Drop Dual Deal

di itstimetolisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo; ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno: ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due: ***



Capitolo 1
*** Prologo; ***


Prepare yourself;

 

Nel mondo c'è una varietà incredibile di gente: più di sette miliardi di persone, vite che si intrecciano, altre che si ignorano e scorrono. Differenti popoli, lingue, tradizioni, storie. Diverse professioni: avvocati, professori, medici, ragioniere, barboni...e la sfiga doveva proprio decidere di ritirarsi a vita privata da me?

Insomma, condivido un piccolo appartamento nella periferia di Dublino con la mia coinquilina, nonché compagna di corsi, Camille Devine, eh, no, non è in qualche modo imparentata con il cugino del figlio dello zio di Josh Devine, già chiesto. In realtà, credo sia stata la prima cosa che le abbia chiesto quando ci siamo conosciute. Non potete capire quanto ci rimasi male. Stavo già iniziando a preparare gli incontri strategici. Comunque, accettai Camille come mia coinquilina, non sapendo che la sfiga si sarebbe immischiata anche lì. Credevo, o meglio speravo, che una volta lasciata la mia casa e la mia vecchia vita alle spalle, la sfortuna si sarebbe scocciata per poi girarmi al largo...e invece era più insistente dei venditori abusivi d'ombrelli a ciel sereno.

E ancora quest'oggi, in questo preciso momento, mentre seguo con lo sguardo gli spostamenti del mio professore di economia, sento la solita presenza farmi il malocchio, borbottare maledizioni ed esultare prevedendo la brutta piega che prenderanno gli eventi.

Esattamente una settimana fa, il professor Mackey ci aveva consegnato un questionario a sorpresa sulle sue lezioni. Anonimo, aveva detto. Senza voto, aveva detto. State tranquilli, aveva invece sibilato come un serpente.

Inizialmente mi ero rassicurata, anche perché raramente lo ascolto blaterare in classe di numeri, legislazioni e banche, e dunque non avrei saputo cosa rispondere. Per questo porto sempre con me la mia copia di riviste sui One Direction e una piccola foto ritagliata di Niall Horan, il biondo che fa impazzire il mondo. Io, più che impazzita, ne sono ossessionata, devota, ammaliata. Con quei suoi capelli falsi come i suoi denti di un bianco perfetto e tutti dritti, la sua risata alla Spongebob Squerpants, ma ha anche dei difetti.

Il professore sbatte il foglio sul banco che condivido con Cam e un altro ragazzo piuttosto gaio. Il signor Mackey ha una faccia crucciata e mi guarda con disapprovazione, prima di consegnare i test ai due compagni e andare avanti. Ci saranno più di trenta studenti in aula, eppure almeno una ventina guardano nella mia direzione. Forse la sfiga ha appeso un cartello direzionale per far vedere a tutti quanto la mia vita vada a rotoli. Ma potrà andarmi sempre tutto male? Sarà solo una mia impressione. Così tanta casualità meschina concentrata in un corpo diciamo non così tanto esile non è umanamente possibile. Quasi mi convinco da sola.

Quasi. Perché il foglio della prova scritta mostra tutt'altro. Ci sono marchi rossi e cerchi ovali su entrambe le facce, segnando le risposte scorrette, errori grammaticali o stupidaggini del mio cervello alle nove del mattino. Mi schiaffo una mano in faccia, strisciandola disperata, mentre osservo la firma storta e sinuosa del professore e la lettera di enormi dimensioni al suo fianco. Un'ennesima, dannatissima, stupidissima C-, che poi la stupida sarei io per averla presa. Gli argomenti mi sembravano così facile detti dal professore, perché una volta elaborati dal mio cervello diventano:

"Che ore sono?"

"Martedì."

Sbuffo e mi lascio cadere la testa sul banco con un tonfo sordo, magari il dolore mi aiuterà a dimenticare la disgrazie dell'essere nata come Holly Madden e non Jennifer Lopez. Svogliatamente lancio un'occhiata alla mia compagna di banco e la vedo sorridere con tutta l'energia in corpo. Non la vedevo così da quando aveva trovato le candele alla cannella che tanto cercava. Da allora il nostro appartamento odora di biscotti tedeschi appena sfornati, ma lei dice che le ricorda la sua infanzia in Germania, e sinceramente tutto era meglio di sentirla lagnarsi in tedesco. Veramente qualcosa che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.

«Presumo che a te sia andato tutto a gonfie vele» bofonchio, la guancia schiacciata sul braccio.

Camille annuisce. «Come un vascello pirata!» Allunga la mano stretta a pugno in cerca di complimenti per la sua battuta. Di tutta risposta la lascio con il braccio a mezz'aria (sappiate che lasciare un amico con il pungo senza ricambiarlo è un vero atto di tradimento) e mi sporgo sulla sedia per rivolgermi al ragazzo di fianco alla bionda.

«Ehi, bella bruna» bisbiglio nella sua direzione.

Jakey alza la testa, passandosi una mano nel ciuffo prosperoso alla Elvis Presley dei poveri. «Grazie, tesoro, ma i miei capelli sono antracite.»

«Se è per questo non sei nemmeno bella» sbotto.

Cam trattiene a stento una risata, mentre Jakey assume un'aria contrariata. Perché i gay devono essere così delicati e poco divertenti?

«Su, non fare il difficile» lo canzono, sbuffando sonoramente. «Quanto hai preso?»

Jakey schiocca la lingua, ma alla fine cede e afferra il foglio per mostrarmelo. La sua A lampeggia come un'insegna al neon sul bianco immacolato del foglio. Spalanco impercettibilmente la bocca, immaginando i possibili scenari per falsificare i voti nel server della scuola e scambiare quelli del gaio con i miei disastrosi.

«Sei un fottuto secchione» sbraito, facendo per lanciarmi contro il ragazzo. Camille mi trattiene per un braccio, mentre il professor Mackey si schiarisce la voce. È tornato alla sua postazione in fondo alla lunga fila di banchi in stile gradinate di stadio, ma il soffitto a cupola permette la propagazione facile del suono e la sua voce rauca raggiunge le ultime file. (Storia dell'arte è da sempre stata la mia materia preferita; alle superiori avevo un professore così attraent...cioè preparato.) E a giudicare dalla sua espressione, anche la mia voce ha superato gli spalti di studenti, per raggiungere l'uomo dai folti sopracciglioni bianchi.

«Signorina Madden» inizia con voce controllata, tuttavia le parole arrivano chiaramente taglienti alle orecchie di ogni studente, «perché invece di tormentare i suoi compagni non spende quel tempo a studiare? Credo che sarebbe più proficuo per la sua carriera scolastica.»

Invece a lui sarebbe proficua un trattamento di ricrescita per la palla da bowling che si ritrova in testa, mi trovo a pensare, perdendomi nei riflessi che le luci proiettano sulla sua pelata.

«Ancora un'insufficienza e non le sarà permesso prendere parte allo stage in Australia» continua con troppa enfasi, smuovendo la pelle raggrinzita appesa al collo. Arriccio il naso a quella vista. «Almeno mi sta ascoltando?»

Questa volta alza la voce e il rimbombo colpisce le orecchie di tutti i presenti. Non so gli altri, ma io inizio a sentire dei fischi prolungati. Assottiglio gli occhi e annuisco.

«Allora saprà ripetermi cosa le ho detto nel frattempo che metto a posto le mie cose» dice con un ghigno. Non è una domanda, ma un vero e proprio ordine, senza se e senza ma.

Annuisco ancora, autonomamente, ma è solo quando l'aula cala nel silenzio più assoluto e trenta paia di occhi si fissano sulla mia figura, che mi rendo conto di averne combinata un'altra delle mie, e non so come uscirne.

«E-Ehm...» boccheggiò in cerca di risposte. Di cosa potrà mai avermi parlato? Di sua moglie? No, non credo ne abbia una: chi mai se lo prenderebbe. La fame nel mondo? No, dalla sua stazza deduco che si preoccupi di più delle riserve di birra nel ripostiglio. Forse parlava proprio di quello! L'Irlanda è famosa per la birra e mi avrà proposto di abbandonare gli studi per dedicarmi alla produzione in nero di quella bevanda...ogni bambino irlandese sogna una propria produzione illegale di birra in stile Walter White con la sua metanfetamina.

«Il tuo voto» bisbiglia Cam al mio fianco, dandomi una gomitata nel fianco.

«Ah» sussulto, massaggiandomi la parte dolorante. «I-Il mio voto...già, il mio voto al test a sorpresa...il voto che mi avete assegnato nel test a sorpresa» scandisco con estrema lentezza, prendendo tempo. Osservo il professore impilare uno a uno i fogli, per poi ricominciare da capo a infilarli nella borsa. E' furbo, cerca di incastrarmi in tutti i modi possibili, ma la campanella arriverò presto a salvarmi da questa brutta situazione; un po' come Stiles salva Lydia dall'Eichen House, o come Goku salva il mondo, o come Carlo II che finalmente può tornare in Inghilterra. La campanella salva sempre gli studenti, e la sfiga non avrebbe potuto nulla contro la mera verità della storia...

«Guarda che mancano ancora venti minuti» mi avvisa Camille, come leggendomi nel pensiero. «Scusati per aver urlato, e prometti che ti impegnerai» aggiunge poi.

Annuisco, trovandomi d'accordo con lei. La ragazza sbuffa.

«Devi ripetere ciò che ho detto!» ordina perentoria e non me lo faccio ripetere due volte.

«Professor Mackey, vorrei scusarmi per aver alzato la voce durante una lezione, e in vista di quest'ultimo risultato, farò in modo di conseguire i punti necessari allo stage.» Mi stupisco di me stessa a volte: chi avrebbe mai detto che sarei stata in grado di concepire tali parole dalla mia bocca grezza come un diamante dell'Africa.

«Interessante, signorina Madden» disse lui. Sembra dimenticarsi delle sue pulizie di primavera e mi guarda attraverso i piccoli occhiali poggiati sul naso adunco. «Tuttavia sono dell'idea che bisogni imparare mediante le azioni. Dunque invito lei, e la sua amica a fianco a presentarsi domani nella mia classe» sentenzia. Un coro di risate si leva dagli studenti nell'aula, persino Jakey scoppia nella sua risata da gatto investito, mentre Camille sgrana gli occhi e io sbuffo, ormai abituata a quei trattamenti. L'anno universitario è iniziato da due mesi e io e il professor Mackey ci siamo incontrati di pomeriggio almeno tre volte a settimana. Diciamo che le punizioni sono un altro lato della sfiga che mi affligge.

«Con permesso, direi che la lezione è finita. Ringraziate che questi voti non verranno considerati nel vostro registro.» Mi scocca un'occhiata che la dice lunga. Io distolgo lo sguardo, infastidita dalla sua prepotenza. Si crede così forte solo perché si nasconde dietro la sua cattedra da professore. «Restate in classe fino al suono della campanella.»

E così mentre lui va a bersi il suo caffè delle dieci - e poi verrà quello delle undici, delle dodici e così via - noi poveri disgraziati rimaniamo a guardarci in faccia come pesci lessi. A diciotto, o quasi diciannove, anni ostentiamo ancora a fare amicizie. Giovani d'oggi, direbbe mia nonna: santa donna, la mia nonna.

Mi stiracchio oltre lo schienale della sedia e borbotto parole incomprensibili anche a me stessa. Effetti della stanchezza.

«Mi sembrava strano che fosse passata mezza settimana senza che finissi in punizione» scherza Jakey, avvicinando la sedia.

«Già mi mancava» rispondo, perdendomi a osservare il soffitto mal ridotto dell'aula. Passano alcuni secondi e l'unico vociferare che sento proviene dagli altri studenti alla mia sinistra o davanti al mio banco. Dei miei vicini nemmeno la minima ombra. Per questo torno alla mediocre realtà e vedo Jakey lanciarmi sguardi eloquenti, con tanto di onde con le sopracciglia. Di tutta risposta inarco le mie, stranita. E definiscono me pazza, ma si sono mai visti?

Improvvisamente Jakey mi tira un calcio allo stinco ed evito di richiamare a me il potere delle Sante Pretty Cure, mordendomi l'interno della guancia. In fine, quando mi indica con lo sguardo la figura della mia amica, capisco. Strano a dirsi, ma capisco la gestualità. Un'altra cosa in cui sono negata.

«Ca-» cerco di chiamarla, ma come un giocattolo a molla, la bionda scatta a sedere, lo sguardo vacuo e le labbra che si muovevano tra loro quasi a spasmi regolari. «Cosa stai mormorando?» chiedo, avvicinandomi alle sue labbra per intercettare qualche parola.

«SONO ROVINATA» strilla direttamente nel mio orecchio, come a farlo di proposito. D'istinto, e colta di sorpresa, mi lancio all'indietro, andando a urtare lo schienale della sedia, che si inclina sotto il mio peso e capitombolo a terra senza grazia. Attorno a me, attraverso il fischio dell'orecchio, riesco a sentire le risate strascicante, ed eccezionalmente trattenute, dei miei compagni meschini.

«Rovinata. Rovinata. Rovinata» blatera, portandosi le mani alla testa. Fortuna che ha i capelli legati in una coda, o potrei scommettere che se li sarebbe strappati.

«Non esagerare» sbotto, rimettendomi seduta con quel poco di dignità che mi è rimasta. Dopo l'ennesima caduta in pubblico, la presenza opprimente della sfiga sembra svanita. Tuttavia meglio rimanere all'erta. Non ho ancora raggiunto la mia quota giornaliera.

«Non sono mai finita in punizione» dice quasi febbrilmente, scuotendomi per le spalle. Cerco di divincolarmi dalla sua presa, invano. «Se mia madre lo viene a sapere...»

Emetto un fischio prolungato. «Draco Malfoy dopo una liposuzione, ti ho detto di darti una calmata. Parlerò con il professor Mackey e sistemerò tutto.»

«Lo faresti, per me?» domanda con voce esile, guardandomi con occhi lucidi.

Annuisco, alzando gli occhi al cielo e mi lascio stritolare dalla presa ferrea di Camille, mentre continua a ripetermi ringraziamenti e lodi nell'orecchio.

«Buona fortuna!» esclama Jakey, rimirandosi le unghie.

E sento l'aura negativa abbattersi come una cascata su di me. Non è che per caso quello strambo gaio porta il malocchio? Dovrei chiamare qualcuno di bravo, molto bravo. Forse quel certo Dominique del corso di psicologia avrà una qualche acqua santa, in mezzo alle tante svastiche e foto imputabile del Duce. 





 




 

HELLO!

Come va?? Spero bene, perché a Holly non va così tanto bene da...be' da quando è nata!

Sono tornata con una nuova storia, anche se devo ancora finire You & I, ma non potevo tenermela ancora per me, scusate. Comunque la prima storia è quasi finita, non mancano molti capitoli, perciò perché non iniziarne una nuova? (Sperando di portarla a termine. Sono così sfaticata.)

Spero sinceramente che vi piaccia. Ho deciso di cambiare genere, perché solitamente mi piace scrivere in terza persona e con un linguaggio più "sublime" alla Tasso nel Gerusalemme Liberata ma sentivo il bisogno di ideare qualcosa di più leggero.

Comunque, scherzi a parte, la mente contorta della protagonista è diciamo improntata alla mia, e i suoi amici hanno qualche tratto del carattere dei miei.
Camille è del tutto uguale a una mia amica veramente tutta shalla e "zi' fatti una canna". 
Dominique è ispirato a un mio amico nazista, omofobo e razzista (ma ha anche dei difetti) ma non sarà tanto utile nella storia...credo.

Jakey è semplicemente Jakey, nulla di importante.

Comunque, detto questo direi che il mio piccolo sfogo possa finire qui! Se la storia non avrà successo la abbandonerò, anche se con molto rammarico, perché altrimenti come libererò le mie battutine deprimenti?

Lasciate un commento e una stellina per illuminare la mia giornata.
Tadaaan ve l'ho chiesto così gentilmente :3

BYE.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno: ***


Chill Out;

Esco dall'aula senza aver messo del tutto a posto le mie cose, il foglio del test ancora in mano e il piccolo zaino con la cerniera totalmente aperta nell'altra. Purtroppo, grazie alla goffaggine che madre natura ha deciso di assegnarmi, cerco in ogni modo di sistemare la situazione senza scontrarmi con qualcuno, inciampare, o invocare i santi. Altrimenti, cosa direbbe mia zia Dahlia? Grande donna anche lei, come mia nonna. Insomma, una famiglia rispettabile; tuttavia la tradizione sembra essersi spezzata alla mia nascita.

«Sei veramente imbranata» ride Camille, aiutandomi a chiudere la cerniera e a infilare lo zaino sulle spalle. Ha tanto l'aria di una mamma con la figlia il primo giorno d'asilo. Tuttavia accetto volentieri il gesto, che mi evita possibili fraintendimenti.

«Non c'è bisogno di ricordarmelo» bofonchio, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.

Ci immergiamo nella calca di studenti che affluiscono all'uscita, per poi ritrovarci nel cortile dell'università. Immense distese di verde acceso sulle quali non ho mai avuto il coraggio di sedermi. Un giorno vidi un cane usare l'erba per altri fini poco piacevoli. Da quel giorno evito persino di sfiorare i fasci con le suole delle mie magnifiche vans nere sfumate grigio.

«Su, non fare così» incita Cam, dandomi alcune pacche solidali sulla spalla. «La fortuna gira» recita come un mantra. So che la mattina è usanza per lei alzarsi, blaterare qualche frase con tante pause e canticchiare qualcosa, ma che fosse così positiva mi sfuggiva dalla testa.

«Ma tu non eri rovinata?» sbotto, lanciandole un'occhiataccia. Il suo volto si rabbuia, e i suoi occhi chiari tendono a un grigio scuro. Potrei giurare di vederci anche qualche traccia di lacrima. «Stavo scherzando!» mi affretto ad aggiungere, prima che possa scoppiare a piangere davanti a tutto il campus, mormorando incomprensibili maledizioni in germanico antico. Ci fermiamo vicino alla fermata del bus cittadino, con altrettante persone confuse e ficcanaso che guardano nella nostra direzione. A meno che non abbia assunto l'aspetto di Emilia Clarke durante la notte, non c'è granché da guardare, perciò smammassero via.

Dopo circa venti minuti oltre l'orario in cui avrebbe dovuto arrivare, riesco finalmente a scorgere l'autobus dal fondo della strada, quasi come un miraggio nel deserto afoso. La mia salvezza.

Solo che, ovviamente, con una vita afflitta dalla merda come la mia, la mia àncora di salvezza non poteva che puzzare come tale. Un agglomerato di ciccioni puzzolenti, uomini d'affari grugnanti e studenti di ogni età. Soprattutto i fastidiosissimi liceali che si credo dei scesi in terra, ma non sanno che gli aspetterà un lungo tempo di occhiaie, disperazione, ansia, sfortuna nei casi più rari (come il mio) e tentativi di suicidio tramite avvelenamento da pizza. (In questo caso è opera di Camille, quell'unica volta che si trovò l'esame in corrispondenza di quel periodo del mese.)

Io e Cam arriviamo a casa circa una nauseante, ballonzolante mezzora dopo, sfinite. Senza proferire parola, mi butto sul letto. Non ho nemmeno voglia di mangiare. Incredibile, io che non voglio mangiare. Inaudito. Piano piano sento le palpebre calare e non ricordo altro.

«Holly, svegliati! Non voglio fare tardi anche nell'ora di punizione» grida con snervante voce acuta la mia coinquilina, entrando nella mia stanza sbattendo la porta alla parete.

Mi rigiro nel letto, bofonchiando parole poco gentili. Noto anche di avere gli stessi vestiti del giorno prima ancora addosso, solo più sgualciti. Mi sfrego gli occhi con le mani chiuse a pugno.

«Mamma, mi porti il succo?» mormoro, stiracchiandomi. Fa leggermente freddo, ma con la mente sto più dall'altra parte che nel mondo reale.

«Se non alzi quel culo, il succo te lo farà il professore con il sudore che verserai» sbraita Camille.

Immedesimandomi nel suo racconto in stile cantica di Dante, scatto in piedi e afferro alla rinfusa i primi ricambi che trovo.

Attraversiamo metà edificio di corsa, i piccoli zainetti che urtano le spalle e gli altri studenti che ci guardano curiosi. Mentre la classe di economia e pressoché vicina all'entrata, l'ufficio del professor Mackey è da tutt'altra parte. Dunque ci impieghiamo più tempo del dovuto per raggiungerlo, e quando bussiamo, la voce bassa e rauca dell'uomo risuona esasperata.

Di fatti, il professor Mackey è seduto alla sua scrivania, come se ci avesse aspettato in quella posizione tutto il tempo per coglierci di sorpresa, le mani incrociate sul grembo e ci scruta accigliato.

«Scusi il ritardo, professore» mormora Camille, il respiro affannoso e le guance arrossate.

Di tutta risposta, io rimango calme e immobile al mio posto, non facendomi intimorire dall'uomo che in realtà mi fa paura.

«Niente scuse» afferma severo, additandoci. «Vi siete guadagnate un'altra ora di punizione!» sbraita, e annota qualcosa sul suo fidato taccuino.

«In realtà, professore» intervengo, assumendo l'aria più innocente possibile, «mi chiedevo se potesse esternare la signorina Devine dalla punizione. È stata tutta colpa mia, in fondo. Lei voleva solo aiutarmi. Professore, voi non avete mai avuto un amico fedele?» Avrei potuto applaudirmi da sola. «Posso scontare anche le sue, di ore.»

«Signorina Madden» Il professor Mackey lascia la sua amata sedia reclinabile in pelle e si appoggia alla scrivania, «il suo è un bel gesto, devo ammetterlo, ma la signorina Devine ha provato a farmi fesso, è arrivata in ritardo almeno quanto lei, e si nasconde dietro una sua amica. A quanto pare non merita tanta fedeltà. Inoltre ogni giorno porta nella mia aula un puzzo di erba» fa una smorfia, come a ricordare l'odore delle erbe aromatiche di Camille.

«Professore!» scatta Camille. Toccatele tutto, ma non le sue erbe. «Queste sono gravi accuse! Potrei denunciarla al servizio scolastico per stress emotivo...»

«Bla bla bla» l'uomo imita una bocca che parla con la mano. «Se non fai stare zitta la tua amica, le ore aumenteranno» avverte rivolgendosi a me.

Di botto mi fiondo sulla bocca della mia amica, bloccandola dal dire altro. Annuisco e il professore ci lascia nel suo studio, avvisandoci che sarebbe andato a fare colazione alla caffetteria della scuola.

Mi dirigo verso i numerosi scaffali, stracolmi di scartoffie e raccoglitori segnati da un cartellino. In silenzio afferro il primo in ordine cronologico e mi siedo alla scrivania del professore con un sospiro prolungato.

Camille, a braccia conserte davanti alla porta, mi scruta beffarda con sguardo carico di significato e qualche sua solita ramanzina.

Cerco di ignorarla, accendendo il computer. Peccato che la nonna Lucy, la bella scimmia di Neanderthal, fosse più moderna e veloce del catorcio fornito dal budget scolastico, che - ammettiamolo - faceva più pena di tutta la mia vita fino ad allora. Intreccio le mani sotto il mento e aspetto. Le occhiatacce di Camille bruciano sul mio corpo, ovviamente non letteralmente, ma mi mettono in soggezione. Odio le persone che mi guardano per lungo tempo senza parlare, fanno uscire la parte insicura di me. Alla fine smetto di resistere e sbatto rumorosamente le mani sul piano in legno, facendomi anche molto male.

«Cosa c'è?» grugnisco, decisa e temeraria.

Camille sgrana gli occhi, alzando le mani in segno di resa. «Ti stavo solo guardando.»

«Sai che mi dà fastidio» rispondo, massaggiandomi i palmi delle mani arrossate. Il case del computer sembra tossire una, due, tre volte, e ricomincia a ronzare.

«Appunto.»

Alzo gli occhi al cielo. «Seriamente, spara.»

«Se avessi una pistola, volentieri» ribatte tagliente.

Corrugo le sopracciglia. «Ma non eri proclamatrice di pace e difensora dei diritti degli esseri viventi?»

«Tu non sei un essere vivente, Holly. Gli esseri viventi apportano innovazioni, servono uno scopo e lasciano le loro tracce. Tu...tu sei praticamente inutile. A parte respirare, non credo che tu sappia fare qualcosa.»

Boccheggio per alcuni secondi. La mia amica Camille, l'hippie sfegatata, ha appena composto un insulto. Mi asciugo una finta lacrima dalla guancia e corro ad abbracciare la mia amica. «Per fortuna, iniziavo a pensare che non fossi capace.»

«Di fare cosa?» chiede, scostandosi per respirare, poi scuote la testa, rassegnata. «Sei un caso perso. Credo che l'università ti abbia dato alla testa.» Sembrò illuminarsi come un elettricista con le mani bagnate. «Ho quello che fa per te.»

«Chris Wood con un fiocchetto sul suo...sai...insomma, il suo pacco regalo.» Indico il cavallo dei pantaloni, inarcando un sopracciglio.

Camille arriccia il naso e fa un verso disgustato e scuote le spalle come a togliersi quell'immagine dalla testa. «Intendevo che ho il rimedio per il tuo affaticamento.»

«Affatica-che?» ripeto. «Oh, lo stress psicologico ed emotivo.» Annuisco. «Bella fregatura.»

«Si, be'...» Camille mi fissa incerta per alcuni secondi, per poi tornare al suo discorso. «Per alleviare lo "stress" ho un rituale veramente carino. Si esegue in due secondi. Tanto, a parte ricopiare le copie cartacee sul profilo scolastico del professore, non abbiamo niente di meglio da fare.»

Mi stringo nelle spalle. «Okay.»

«Non dovresti cedere così facilmente. E se dovessi bere sangue umano?»

«Con Damon Salvatore? Allora, sì!» Camille affonda il viso nelle mani e grida. Poi tutto torna normale. «Cosa ti prende? Non dovrei fidarmi di te? Cavolo, se sei strana forte.»

«Siediti e basta» ordina, indicandomi il divano in pelle a due posti.

Mi ci accomodo lentamente, e la guardo maneggiare con alcune candele trovate su una delle mensole (irrilevante l'uso che ne fa il professore, anche perché preferirei non saperlo) e le posizioni a terra. Nel frattempo avvia una playlist di canzoni calme e zen sul suo cellulare. Sicuro che le mie playlist dei Twenty One Pilots e Imagine Dragons la traumatizzerebbero a vita. E la ragazza è già fusa di suo.

«Ora chiudi gli occhi.» Obbedisco e il mondo si oscura. Sento solo il profumo delle candele e il dolce sottofondo musicale. La voce di Camille interrompe il momento di contemplazione. «Concentrati sui suoni, lascia che inglobino i tuo pensieri.»

«Con la tua voce da papera mi riesce difficile concentrarmi» affermo, aprendo un occhio. Camille mi tira uno schiaffo sul braccio e torno a rilassarmi. In un certo momento sento che la musica calmante sta facendo il suo effetto. Sento come se della morfina scorresse nelle mie vene, e la mia anima lentamente si separasse dal mio colpo. Ma torno alla normalità e apro gli occhi, seccata. «Non penso stia funzionando.»

*sta cercando lo scambio*

Camille sbuffa, sbloccando lo schermo del computer per controllare i passi del rituale. E sbuffa ancora, e ancora, e ancora, finché non lo chiude di scatto e si alza in piedi. «Oh, be', pazienza.» dice, mentre soffia per spegnere le candele.

Mi isso anche io in piedi, e allargo le braccia. «Come sarebbe a dire pazienza?»

Camille si stringe nelle spalle. «Non c'è da fidarsi della roba online.»

«E lo dici solo adesso?» sbotto. «Per fortuna non abbiamo evocato una qualche bestia di Satana.»

«Non te ne accorgeresti comunque» risponde tetra.

Indietreggio e deglutisco sonoramente, scatenando la risata della mia amica. Ridi, tanto alla fine sarò io a ridere.

Nel frattempo inserisco il numero del fascista Dominique tra le chiamate rapide.

 

 




HELLLOOO

Ecco un nuovo capitolo! Nel prossimo inizierà la vera storia con tanti colpi di scena e tanto degenero, yuhu! 
Mi sta entusiasmando un sacco scriverla, e spero sinceramente che possa entusiasmare i lettori allo stesso modo.
I protagonisti della storia dovrebbero essere Luke, Ashton e Holly, ma non so proprio quale coppia prevarrà...mmmh. Penso che lo scopriremo con la nostra Holly e le sue scelte poco raccomandabili. 

Lasciate una recensione, se vi va!

Ci sentiamo a un prossimo aggiornamento


BYEEEE
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Due: ***


Ex(s)pelled;

 

 

La mattina arriva fin troppo presto, e non mi sento ancora pronta a iniziare una nuova giornata di corse frenetiche, critiche costruttive - come direbbero loro - dei vecchi australopitechi dei professori che mi ritrovo, o anche solo sentire l'irritante voce di quella stramba della mia coinquilina. Mi propone incantesimi satanici spacciandoli per rituali di rilassamento e si aspetta che ci caschi come una noce di cocco da una palma...su una bella spiaggetta delle Hawaii, con il mio mojito in una mano, mentre nell'altra stringo quella di Joseph Morgan. I suoi occhi ghiaccio mi guardano come mia madre guarda un flacone di detersivo in saldo; i suoi capelli sono arricciati dalla salsedine del mare e il costume mi permette di osservare il tatuaggio delle rondini che prendono il volo sul suo petto. 

Mugugno nei miei pensieri perversi delle sei del mattino, mentre lo immagino uscire dall'acqua con il torace bagnato e le goccioline che lentamente delineano la sua pelle. Ma improvvisamente la figura borbottante del professor Mackey mi si piazza davanti, con i suoi sopracciglioni brizzolati e la pelle a macchie rugosa. Il mio sogno romantico viene spazzato via da un uragano di urla e rimproveri. 

Apro di scatto gli occhi pur di non torturarmi psicologicamente un secondo di più con quel pensiero ripugnante. La prima cosa che mi trovo davanti sono i numeri lampeggianti della sveglia che segnano le nove del mattino. È davvero una bella sveglia, comunque, a forma di nuvoletta rosa cavalcata da un angelo intento a suonare un gong. Quasi rido a quella scena. Chiudo gli occhi ancora pensando a quanto i miei gusti però si siano rammolliti: prima dell'università non mi sarei mai permessa di comprare qualcosa di rosa e così sdolcinato e dozzinale. Una spesa superflua. 

E realizzo in quel momento, spalancando gli occhi, che in effetti io non ho mai comprato una sveglia a forma di nuvola con tanto di angelo incorporato.

Mi alzo di scatto, le coperte scivolano via dal mio corpo, mostrando una lingerie nera di pizzo, e un gran bel corpo tonificato e secco. Sgrano gli occhi, trattenendo il respiro.

Possibile che i miei innumerevoli riti sacrificali alla Dea della bellezza (indipendentemente dalla religione) abbiano portato buon frutto? Chissà in quale corpo mi ritrovo. Jennifer Lopez non credo, la tonalità della mia pelle è troppo chiara, quasi come una porcellana. Jennifer Lawrence? Magari, ma le ciocche che circondano il collo e coprono i seni sono di un castano chiarissimo, ma non biondo. Sarò qualche altra Jennifer? Chi più esiste? Dovrei fare una ricerca. Se solo avessi qui con me il mio fidato laptop. 

Perdendomi nei miei pensieri, dimenticando l'oscenità della sveglia, comincio a osservarmi le punte dei capelli. Nemmeno una doppia punta, un leggero strato di crespo, una decolorazione finita male, epico, non è uno scherzo! Nulla. Zero. Nada. Nichts. Devo avvisare Camille di lasciar perdere i suoi rituali zen e alle erbe e concentrarsi sulla religione. In effetti, sarebbe anche ora di andare a svegliarla, o faremo tardi a lezione. 

Al mio fianco sento una presenza, si muove, si attorciglia le coperte attorno al corpo, tirandole leggermente verso la sua parte. Credendo che sia la mia coinquilina che sotto l'effetto dei fumi aromatici ha sbagliato stanza – è già successo, potrebbe sempre ricapitare -, dico: «Camille, devi assolutamente vedere questo!» con una voce stridula ed emozionata, non stando più nella pelle...ed è davvero così.

Mi volto per guardarla, appoggiando la schiena alla spalliera del letto. È un letto comodo, stranamente comodo rispetto al giorno prima, o tutti gli altri giorni da quando mi sono trasferita in questo appartamento fatiscente. E scoprendo che la figura che dorme dall'altra parte del letto non è la mia amica bionda, mi rendo conto che quella non è nemmeno la mia stanza.

I mobili sono di un nero lucido, le pareti sono coperte da vernice chiara e alla mia destra, dietro la sveglia degli incubi, sbuca una lampada zebrata rosa e crema.

Sussulto sul posto, togliendomi le coperte di dosso e capitolando malamente a terra con un tonfo sordo, naturalmente a discapito del mio didietro. Scatto in piedi a una velocità mai avuta, energicamente, e noto la chioma sempre bionda della persona dall'altro lato del materasso, la pelle leggermente abbronzata, il fisico asciutto ma tonico e un piercing al labbro inferiore. Le lenzuola a malapena fasciano i fianchi, scoprendo dei boxer neri e grigi.

Mi corpo la bocca con una mano prima di emettere uno squittio poco umano. Cosa diamine ci fa quell'energumeno barra adone greco barra figo da paura nel mio letto? O meglio, cosa ci faccio io nel suo? Perché definitivamente il tappetto a peluche, strettamente rosa, sul quale sono seduta non è mio. 

Dietro di me si staglia la porta della stanza in vernice laccata bianca. La osservo con probabili occhi a cuoricino, come la mia via di fuga e salvezza. Potrebbe evitarmi situazioni scomode. La apro e sbuco in un lungo corridoio. L'aria è calda, come il parquet riscaldato; un lusso che non potevo permettermi nemmeno quando stavo a casa dei miei genitori. Attorno ci sono altre sei stanze, ma non mi ci soffermo. Appena scorgo le scale mi ci fiondo all'istante.

Ma ovviamente sperare che la fortuna fosse rimasta con il vecchio corpo è troppo; a quanto pare la mia anima è stata maledetta dal giorno in cui mia madre mi ha dato alla luce. 

Holland Madden, il Mad nel tuo cognome non sarà mai una casualità finché vivrai sotto questo cielo! Era la mia interpretazione del malocchio lanciatomi dal dio della sfiga. 

E dunque a pochi centimetri dal primo gradino, sento qualcosa venirmi addosso. È alto, più di me, e deduco sia una persona dal verso di dolore sofferto che emette. Entrambi cadiamo a terra. È la seconda volta in quanto, un minuto scarso?

Mi massaggio la parte dolorante, sbuffando e sospirando. Evito parole poco consone, anche perché la mia mente sembra non poterne concepire, ancora assopita.

«Mi dispiace tanto, Gwen» si scusa una voce. È piuttosto acuta, ma roca al punto giusto. 

Spinta dalla curiosità guardo chi ho urtato e be'...può urtarmi quante altre volte vuole. Può darmi tutti i botti di Capodanno che vuole!

Ha dei folti capelli color del miele, alcune punte ricciolute sbucano da una bandana nera e bianca. Gli occhi sono grandi e acquosi, di un nocciola chiarissimo e sembrano saperti leggere nel profondo. Ci metto alcuni secondi a recepire quelle parole. Ha l'aspetto di un Dio a tutti gli effetti. «Gwen?» ripeto, alla fine.

Il ragazzo deglutisce rumorosamente. «Ti ha dato fastidio? Credevo avessi il permesso di chiamarti così.» Comincia a torturarsi le mani, in maniera nervosa e si guarda attorno. «Gwendolyn, per favore, non dirlo di nuovo a Luke, non lo farò più.»

Sinceramente non capisco nulla del discorso del ragazzo, impegnata a non staccare i miei occhi dai suoi, ma dallo sguardo percepisco l'insicurezza e l'agitazione. «Gwendolyn?» Inarco un sopracciglio. Ha l'aria di uno che sta scappando dalla Mafia cinese e chiede aiuto a un mafioso cinese.

Il ragazzo si alza, pulendosi i pantaloni, e mi porge una mano, titubante. La accetto, ma lo sento irrigidirsi al contatto con la mia pelle. Ritira la mano frettolosamente non appena ritrovo l'equilibrio. «Signorina Warlow, allora? Insomma, non mi hai mai detto di chiamarti così, però se è quello che vuoi...»

Porti entrambe le braccia davanti al mio corpo, trovandole incredibilmente magre, ossute e cineree. Il ragazzo smette di parlare di colpo. «Cosa stai blaterando?» gli chiedo.

Il ragazzo boccheggia per alcuni secondi, stranito. Mi guarda come mio fratello guardava le foche all'acquario. Giustamente lui inizia a borbottare cose a caso e quella strana sarei io. Ho capito che ho subito un intervento plastico durante la notte e che sia andata a letto con un Adone, ma non esageriamo.

«Tutto bene?» azzarda poi il ragazzo.

Lo guardo di sottecchi e lo vedo sussultare. Quasi mi sto abituando all'effetto che ho su di lui. Grossomodo l'effetto che avrebbe un respiro di Josh Hutcherson sulla mia schiena. 

«Tutto bene?» dico retorica. «Un pazzo mi sta molestando!» sbotto, incrociando le braccia. Un gesto che mi esce naturale, ma che in realtà non ho mai sentito mio fino a quel momento.

«Oh.» Il ragazzo si indica con un dito. «Sarei io?»

Sospiro. «No, l'anima di mio zio Paul che infesta la casa. Sì, genio, tu!» Lo indico teatralmente.

«Scusami, me ne vado subito, allora. Stavo andando giù per la colazione» continua a parlottare a disagio. Si passa la mano tra i capelli almeno tre volte.

È carino, ma sembra piuttosto male per quanto riguarda il cervello.

«Gwen.» Sento dire a una voce esterna, dato che il ragazzo ha le labbra serrate e l'espressione spaurita non proviene decisamente da lui. È più roca e bassa.

Inizialmente non mi giro, ancora impegnata a squadrare il ragazzo. Passa lo sguardo con agitazione da me alla provenienza della voce.

«Gwen?» ripete questa voce. Non mi giro, persa nei miei pensieri. Non mi ha ancora detto il suo nome. Potrei indovinarlo dalla sua faccia. Non sono una sensitiva come la stramba Camille, ma chi sa che la fortuna non abbia deciso di farsi vedere, per una volta. Sicuramente l'incontro con questo bel pezzo di manz...

«Gwenny!» quasi grida la voce. Sento afferrarmi per un braccio. Mi chiedo perché tutti stiano cominciando a chiamarmi in quel modo. Mi sento come catapultata nel mondo reale e mi volto con espressione confusa. Mi trovo inchiodata da un paio di occhi ghiaccio, seducenti, un viso spigoloso e delle labbra dannatamente seducenti. Boccheggio per alcuni secondi. Ho dovuto aspettare diciannove anni perché il mio desiderio di diventare una strafiga si avverasse...e ora sono circondata da Adoni peggio dell'opera di Marino. Insomma, se persino Jane Bingum* aveva così tanti spasimanti, perché Holly Madden non può? Eccoti servita, sfiga, ho vinto io.

«Ashton, cosa le hai detto?» sibila minacciosamente il ragazzo con cui probabilmente ho passato la notte, rivolto al ragazzo con cui mi sono scontrata. Accidenti quanti ragazzi! Ci sono più piselli qui che nel minestrone di zia Dahlia.

Il riccio alza le mani come in segno di resa, sgranando gli incredibili occhi da cerbiatto davanti a due fanali. «Assolutamente niente. Per errore ci siamo scontrati, ma...»

Improvvisamente il biondo copre la distanza che gli separa con due grandi falcate. Ha davvero delle gambe lunghe e mi sento a disagio. Persino il riccio stenta a eguagliarlo. «Ci sei andato in contro?» sbotta, afferrandolo per il colletto della maglietta nera. Le nocche sbiancano e sono certa che un pugno faccia male peggio di due ore di matematica la mattina.

«Non l'ho fatto di proposito, Luke. Non guardavo dove stavo andando» tenta di giustificarsi l'altro.

Due ragazzi stanno veramente per intraprendere una faida alla Montecchi e Capuleti per me? Al liceo, al massimo litigavano per chi avrebbe dovuto avermi nella squadra di pallavolo...ed ero l'ultima rimasta. E ancora non capisco perché ci tengano tanto a tenermi su un vassoio d'argento.

«Farai meglio a stare più attento la prossima volta» prorompe con voce minacciosa. Lancia uno sguardo gelido al riccio, carico di un significato e qualcosa mi dice che c'è altro dietro al battibecco. Ma quella sensazione svanisce insieme alla furia improvvisa del biondo più chiaro. Tuttavia, se per caso volevano azzuffarsi senza maglietta, non li avrei di certo fermati.

Decido però intervenire, anche perché non mi sembra giusto che gli si venga addossata tutta la colpa. In realtà è stata colpa mia: se non mi fossi fatta prendere dallo spirito libero dell'animale nella savana, adesso non saremmo in questa situazione. «Non è un problema. Insomma, capita a tutti» intervengo, separando i due ragazzi frapponendomi tra loro. Non ho ancora avuto la possibilità di guardarmi allo specchio, ma dalla loro espressione devo essere stravolgente, perché mi fissano come dei pesci fuori dall'acqua. «Che c'è?» ribatto, confusa. Mi tocco la faccia, sentendo gli zigomi spigolosi e le labbra carnose sotto il tocco delle mie dita affusolate. Mi trattengo dal ringraziare Dio e tutti i Santi del Paradiso. Devo essere una dea!

Il ragazzo con il piercing al labbro mi sfiora delicatamente un braccio. Quel tocco mi fa rabbrividire. «Gwenny, sicura di stare bene? Non è che hai la febbre?»

Socchiudo gli occhi. Io cerco di non fare la parte di Elena la Troia – che non c'entra assolutamente nulla con la sua provenienza – e lui mi chiede se sono malata? A questo mondo nulla ci è riconosciuto.

«Credo che poco prima abbia fatto una battuta» continua Ashton. Luke lo fulmina con lo sguardo. Ashton si zittisce all'istante, le labbra serrate in una linea dura.

«Quale battuta, scusami?» lo guardo e aspetto che risponda, ma le sue labbra rimangono immobili. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Santo Padre, ma dove sono finita?

«Ashton, rispondi» parla al posto mio il ragazzo biondo.

«Quella dell'anima di tuo zio Paul» chiarisce, gesticolando animatamente, visibilmente a disagio.

Incrocio le braccia sotto il seno. Ashton distoglie lo sguardo, imbarazzato. «E allora? Non mi sembra tanto divertente. E comunque non c'è da scherzare sullo zio Paul, potrebbe passare a miglior vita da un momento all'altro se non smette di bere birra come si cambia le mutande...» mi fermo un attimo a pensare a quella metafora. «Anche se in effetti non credo che si cambi così spesso. Forse dovrei dire come perde i capelli. Sì, chiarisce meglio la situazione.» Annuisco soddisfatta di me stessa, schioccando la lingua sul palato. In questo caso, Camille avrebbe riso con me, avendo incontrato di persona zio Paul, ma i due ragazzi mi osservano come se fossi un fenomeno da baraccone. Di rimando li fisso anche io.

«Non sapevo avessi uno zio che si chiama Paul. Anzi, non credevo avessi uno zio, punto» risponde con espressione offesa il ragazzo biondo.

Lo guardo di sottecchi. «Perché mai dovresti conoscere il mio albero genealogico?»

«Be', forse perché mi hai presentato la tua famiglia?» replica in tono retorico. Mi fa venire voglia di dargli un pugno dritto in faccia. Dopo una semplice notte di passione pretende già di conoscere la mia famiglia, e che per di più sia stata io a presentargliela.

Sto per controbattere a tono, quando una strana consapevolezza si fa largo nella mia mente come una ragazzina al concerto dei One Direction per entrare prima di tutte. Quale notte di passione? L'ultimo ricordo che ho è quello di essere andata a dormire dopo aver visto l'ultima puntata di Arrow, beandomi della bellezza di Oliver Queen. Non ricordo nessuna festa speciale, o di essere uscita. Camille dormiva nella stanza a fianco, come tutte le sere. Perciò, come diamine ero finita lì?

Non aspetto nemmeno di esporre quei pensieri ad alta voce. Scendo di fretta le scale, diretta alla porta d'entrata. In un angolo trovo l'attaccapanni con cinque giubbotti appesi e sotto, quasi in un ordine compulsivo, sono posizionate in fila cinque paia di scarpe. Quattro vans nere, alcune con fantasie varie, e paio di tacchi neri laccati. In alcun modo riconosco le mie, perciò afferro le prime sneaker che trovo davanti e le infilo senza pensarci troppo. Indosso un cappotto a caso, verde bottiglia e imbottito. Apro la porta e mi precipito nel cortile. Non ci metto molto a riconoscere una delle periferie della città di Dublino, e grazie ai miei tanti momenti di smarrimento appena arrivata in città, mi oriento verso il centro. Inizio a camminare nell'umidità della mattina.

Durante i miei gesti affrettati e sconsiderati, i due ragazzi non hanno mai smesso di gridarmi dietro, sperando forse di convincermi a tornare indietro.

«Gwendolyn!» grida la voce più acuta. La ignoro.

«Gwenny» urla l'altra, più bassa. Ancora una volta la ignoro.

L'ultima cosa che sento sono altre grida ripetute di quel nome. Ma che poi, chi è questa Gwendolyn Warlow? Perché se la Dea della bellezza deve aver scelto proprio questa celebrità in cui immettere la mia anima, avrebbe anche potuto sceglierne una più conosciuta.

x

Attraversare un intero quartiere, prendere il Dart e girovagare per il centro della città non era stata forse la più grande delle idee, ma ormai è tardi per starci a pensare. Sono ferma davanti al Trinity College di Dublino, scrutando la folla di studenti che sciama fuori dall'altra parte della strada. Il traffico e i lavori in corso rendono difficile individuare la chioma rossastra della mia amica pazza, però non mi perdo d'animo. A quanto pare l'animo è l'unica cosa rimastami.

Mi stringo nel cappotto, fulminano con lo sguardo un gruppo di turisti ficcanaso che scattano foto alla me nuova. Stranamente inizio a sentire uno strano tic all'occhio, e con arroganza sento la mia bocca muoversi per pronunciare: «Almeno togliete il flash, imbecilli!»

Mi tappo la bocca con entrambe le mani, sgranando gli occhi sbalordita. Ma imbecilli va ancora di moda? E da quando? Cosa mi sta succedendo!

Individuo la mia coinquilina, e giuro che non sono mai stata così felice di vederla. Prenoto il semaforo dei pedoni e aspetto con impazienza il mio turno. Le auto sfrecciano da una parte all'altra, ignorandomi completamente.

Camille sta uscendo da lezione con il solito Jakey tutto in ghingheri nei suoi gilet a fantasie variopinte e papillon a pois. E lui si definisce gay? Con quel gusto? A questo punto avrebbe proprio bisogno di una lezione di moda da Gordon Ramsay.

Ed è allora che la vedo. O meglio, mi vedo. I capelli corvini, gli occhi chiari, le fossette alle guance. E, Dio mio, sono veramente brutta! Tra tutti i capi che mi ritrovo nel guardaroba, dovevo proprio scegliere quella maglietta verde acqua da abbinare con i pantaloni rossi?

Mi corpo gli occhi a quella vista e sento di star per svenire. Non mi è mai importato della moda, ma ora sento come se ne dipendesse la mia vita. A un certo punto, però, sempre a rilento come dall'inizio della giornata, mi rendo conto che non posso essere in due posti contemporaneamente.

Se io sono nel corpo di questo stambecco di Victoria's Secret, chi diamine si è permesso di appropriarsi del mio scempio di corpo? E perché questa merda di semaforo non vuole scattare?

Alzo la testa totalmente fuori di me, e con rammarico osservo il semaforo passare dal giallo al rosso. Mi sono distratta per due secondi e ho perso la mia occasione. Lancio un calcio al palo e un gemito di dolore lascia le mie labbra, mentre mi massaggio un piede. Le vans non sono esattamente adatte per tirare calci di punta.

«Ma porca merda» sbraito e sbatto un piede a terra come una bambina viziata; il che mi fa innervosire ancora di più. Non ho mai fatto quel gesto in vita mia!

«Ehi, ehi, ehi, non c'è bisogno di essere così sgarbati» ammonisce qualcuno. Roteo gli occhi e non mi degno nemmeno di girarmi, premendo di nuovo il pulsante circolare, questa volta con più veemenza del dovuto.

«Ehi, carina, mi stai ascoltando?» Vedo una mano pararsi davanti ai miei occhi e sventolare. Senza troppi preamboli ne afferro il polso e cerco di storcerlo - come mi ha insegnato mio fratello dopo anni e anni di torture per aiutarlo con il corso di difesa personale – ma la mia mano passa attraverso la pelle e perdo l'equilibrio, venendo catapultata in avanti. Mi preparo al botto con il suolo, ma stranamente tarda ad arrivare. Con un po' di coraggio apro gli occhi e mi guardo attorno.

Il mondo sembra essersi fermato. I pedoni smettono di camminare, le auto di rombare, e soprattutto quella macchina che per poco non mi viene addosso si ferma; sfioro il paraurti con il mio naso talmente è vicina. Qualcuno mi aiuta a rimettermi in piedi. Ha un tocco gelido e rabbrividisco nel mio parka, ricordandomi che sotto indosso una semplice accozzaglia di biancheria sexy. Mi giro a guardare il mio salvatore, chiedendomi come abbia potuto muoversi se tutto il resto è fermo. E semplicemente me ne accorgo dal suo corpo evanescente con un contorno lucente e un paio di ali candide e piumate che sbucano dalle sue spalle possenti.

Spalanco la bocca e sento che la mascella potrebbe toccare la strada se fosse possibile, biologicamente parlando. Indietreggio spaurita, sentendo il freddo metallo del palo dietro la schiena.

«Sembra che hai visto un fantasma!» L'essere scoppia in una fragorosa risata, che naturalmente non accompagno. Vedendo che è l'unico a ridere si blocca di colpo, aggiustandosi la giacca in pelle bianca. Schiocca le dita e un foglio arrotolato compare nelle sue mani. Si schiarisce la voce. «Va bene, allora passiamo al nostro lavoro. Holland Madden, a seguito di interventi illegali nel continuum delle anime, sono stato inviato per ricondurti sulla giusta strada della tua vita...»

«...di merda» aggiungo istintivamente.

L'angelo mi scocca un'occhiataccia ma continua imperterrito. «Al fine di riportare l'ordine naturale e assicurare che non capiti più nulla del genere. Tutto chiaro?» domanda, percorrendo il mio corpo con i suoi occhi grigi.

Tento di coprirmi come meglio posso. «Diciamo.»

Il ragazzo luminescente sospira. «Cosa non ti è chiaro?» Schiocca nuovamente le dita e la lunga pergamena svanisce nel nulla con uno sbuffo di fumo.

Mi trattengo dal fare un fischio prolungato, anche perché credo che questo corpo non ne sia capace. «Chi cazzo sei tu? E da dove sei sbucato. Come conosci il mio nome?» borbotto infervorata.

Il ragazzo sbuffa ironico e sbatte le braccia contro i fianchi. «Ho appena riferito che ha commesso un'azione illegale e lei pensa al suo nome. Incredibile. E sei veramente una ragazza rude!» Scuote la testa incredulo, rivolto al cielo.

Seguo il suo sguardo, trovando solamente le nuvole grigie di Dublino. È pazzo, chiaramente andato. Matto da legare. Kaputt.

«D'accordo. D'accordo» dice in fine. Ancora non capisco con chi stia parlando. Potrei provare a scappare, o a cercare aiuto. Ma a meno che le belle statuine non tornino in vita, sono bloccata con questo tizio strambo, peggio Caroline che non sa scegliere Klaus, e lei è matta forte.

«Scusami» pronuncio, dopo attimi di silenzio in cui il ragazzo non ha fatto altro che sospirare e parlottare fra sé.

«Sì, dimmi» mi incita, additandomi con una strana luce negli occhi.

«È possibile premere il tasto play? No, perché questa situazione è un po' inquietante.» Con un ampio gesto della mia mano gli indico il traffico e la folla di persone.

L'angelo si sbatte una mano in fronte, più volte. Se vuole aiuto, potrei farlo al posto suo, con molto piacere.

Schiocca le dita e lo sciamare e il caos cittadino ricomincia come se nulla fosse. L'auto che stava per investirmi ci passa davanti come se nulla fosse. Accidenti se tutto questo è da uscire pazzi. Forse sto ancora dormendo, o forse Camille mi ha dato qualche roba forte attraverso il fumo delle candele. Questo spiegherebbe perché lei è così...fantasiosa.

«Comunque» soggiunge il ragazzo, attirando la mia attenzione su di lui, «Io sono Elliott, e ti scorterò in questo viaggio all'inverso.» Mi porge una mano. Titubante, cerco di stringerla, ritrovandomi con la mano serrata a pugno, incontrando solamente la mia pelle.

Il ragazzo fissa la scena imbarazzato e ritira la mano. Mi sento così stupida, soprattutto perché le persone fissano una ragazza che tiene un pugno davanti a sé praticamente mezza nuda. Mi stringo nelle spalle. Almeno sono attraente.

«Forse è meglio andare in un luogo più appartato» suggerisce l'angelo, seguendo con lo sguardo giudicatore un gruppo di studenti che ridacchia. Sento una folata di vento attraversarmi tutto il corpo, scorrere nelle vene e gelarmi sul posto quando le sue ali mi attraversano. «Ops, scusa» mormora. 

Apro e chiudo gli occhi più volte. «Forse è meglio aspettare che l'effetto di quelle candele passi.» 

 

 

 

 

 

HELLOOOO

Ecco qui il secondo capitolo! Potete trovare questa storia anche su Wattpad: itstimetolisa

Comunque passiamo alle cose serie:

a.  Auguri di buon Natale anche se in ritardo, ma non avendo pubblicato niente non ho potuto farli;

b. Felice anno nuovo!! Che sia un 2017 sfortunato come il numero stesso, sperando di non ritrovarvi come Holly! Gli auguri gentili sono troppo banali. 

c. Spero che la storia cominci a piacervi, perché dal prossimo capitolo le situazioni si smuoveranno leggermente. Ho un paio di capitoli pronti pronti, ma non so quando aggiornerò, perché io sono imprevedibile. 

d. Se vi interessano le storie sui One Direction, passate pure dal mio profilo, vi pago! 

Passiamo alla storia:

Elliott ha fatto la sua entrata in grande stile, e posso solo dirvi che lo a-do-ro! E piacerà anche a voi! Ashton e Luke non potevano mancare, mentre Calum e Michael faranno la loro entrata nei prossimi capitoli. Non posso svelarvi niente, ma avete notato che Ashton si comporta in modo strano? Be', scopriremo il perché solo vivendo! 

Noi ci vediamo a un prossimo aggiornamento

BYEEE

 

*Jane Bingum è la protagonista del telefilm Drop Dead Diva  da cui ho preso ispirazione per questa storia. E Grayson è troppo bello!

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