People I had known once before

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di pigne, fama e verità ***
Capitolo 2: *** Di gioielli e bellezze del Nilo ***
Capitolo 3: *** Di vecchie conoscenze e mortalità ***



Capitolo 1
*** Di pigne, fama e verità ***


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L’ultima volta che io avevo usato
il numero del vento e degli ululati
era stato per spingere il gigante
Humbaba a entrare in una foresta
di pini, così che il mio padrone
 Gilgamesh potesse aggirarlo di
soppiatto per accopparlo. Stiamo
parlando di qualcosa come il 2600 a. C.
E già allora funzionò soltanto perché
Humbaba aveva più pigne in testa di
tutti i pini circostanti.
 
 
 



Da qualche parte in Mesopotamia, 2600 a. C.
 
 
- Non ci posso credere – il bel giovane si grattò la testa osservando il corpaccione flaccido steso ai propri piedi.
- Dubitavi di me, Bartimeus? – Gilgamesh mi lanciò un’occhiata da sotto le folte sopracciglia.
- No, non è quello – mi aggiustai le lance sulla spalla – La cosa che mi stupisce è che sia cascato in quello stupido trucco degli ululati! Andiamo! Persino un folletto scemo se ne sarebbe accorto, per Marduk! –
Gilgamesh scoppiò in una delle sue risate tonanti. – Stavi decisamente sopravvalutando il vecchio Humbaba, mio buon jinn. Te l’avevo detto che sarebbe bastato poco per distrarlo. –
- Bah, spero solo non si sparga troppo la voce che ho usato quello squallido trucchetto: ho una reputazione da mantenere, io –
Gilgamesh rise di nuovo e si avviò lungo il sentiero che portava nel cuore del bosco. Io lo seguii, le lance tintinnanti sulle spalle.
All’epoca, Gilgamesh era ancora piuttosto giovane e poco conosciuto era il suo nome, pertanto si era messo in testa di girare il mondo, ammazzare chiunque lo infastidisse e, così facendo, acquisire gloria e fama.[1] Anch’io ero stato sulla Terra per relativamente poco tempo e ne ero incuriosito; in più, muoversi spesso era bello, faceva scordare il dolore e la nostalgia di casa.
Per la notte accesi un falò di pigne[2] e mi stravaccai comodamente sulla schiena a guardare le stelle, approfittando dell’inusuale mancanza di loquacità del mio padrone[3]. Effettivamente, era bizzarro tacesse per tanto tempo, soprattutto visto che eravamo intorno a un falò e i falò solleticavano sempre la voglia di Gilgamesh per le storie, specie se a raccontarle era lui. Invece al momento, se ne stava corrucciato a fissare il legno che si carbonizzava insieme alla sua cena.
Ok, quello era decisamente allarmante: non sia mai che Gilgamesh lasciasse bruciare il cibo, perciò tolsi lo spiedo dal fuoco e glielo sventolai davanti al naso. – Non mangi? –
Gilgamesh sospirò, riscuotendosi dalla trance. – Stavo pensando, Bartimeus.
- Incredibile – commentai. – Capisco che l’attività possa risultarti estranea e dunque farti perdere l’appetito... –
Gilgamesh mi lanciò un’occhiata che avrebbe pietrificato tre Humbaba. Io risposi con uno sberleffo.
- Pensavo, mio insolente jinn, a quel che hai detto prima. Sullo spargere la voce – aggiunse in risposta al mio sopracciglio alzato – e su come sia facile farsi conoscere... ma mai nel modo in cui desideri, bensì nel modo in cui ti descrivono gli altri -.
- E dov’è il problema, fintantoché la cosa è a nostro vantaggio? –
Gilgamesh si strinse nelle spalle. – Non so... che magari non sarò ricordato come vorrei. Magari sarò solo un idiota che ammazzava giganti per passatempo? –
Sogghignai. – Ma tu sei solo un idiota che ammazza giganti per passatempo -.
Seguì un momento di silenzio.
- E tu? Tu come vorresti essere ricordato, Bartimeus? –
Risi incredulo. – Credi che mi importi di una cosa così umana? Quando tornerò nell’Altro Luogo, non farà differenza che abbia servito un re o un mago da fiera -.
Con mia sorpresa, l’espressione accigliata di Gilgamesh[4] si sciolse in un sorriso. – Sei un gran bugiardo, Bartimeus. Non c’è niente che ti preoccupi più della tua reputazione tra gli altri spiriti -.
- Be’, non vorrai che mi paragonino a un folletto, no? O a qualche essere in basso nella catena alimentare. Sono un jinn di tutto rispetto, se permetti. E’ una questione di... principio – e il giovane sumero annuì con vigore. – Poi, alla fine, non mi importa granché che tu mi ordini di costruire mura o cucinarti la cena -.
Forse fu a causa delle ombre danzanti del fuoco, ma non riuscii a vedere con chiarezza l’espressione di Gilgamesh; sembrava divertito, ma con un accenno di tristezza e qualcosa’altro che non riuscii bene a definire... ma probabilmente era solo un gioco di luce e ombra, perché un istante dopo si era messo a divorare il suo spiedo e blaterava: - Di’ un po’, ti ho mai raccontato della rissa in cui mi hanno spaccato il naso?
 
[1] Non siatene scandalizzati: all’epoca in cui non c’erano internet e riviste di gossip, quello era il metodo più veloce per avere fan.
[2] Eravamo letteralmente circondati da pigne. Mai viste tante in vita mia. A parte quelle nella testa degli umani.
[3] Gilgamesh adorava sentire il suono della propria voce, specialmente quand’era uno sbarbatello. Ora, anche a me non dispiace scambiare due chiacchiere, lo sapete, ma sentire dieci volte la storia di come si era rotto il naso era un tantino pesante.
[4] Quella poi con cui sarebbe stato ricordato nei secoli a venire. Un peccato per uno che adorava le storielle divertenti da osteria.



Eccomi qui, come promesso! Questa raccolta nasce dal fatto che Bartimeus parla parla e poi si affeziona terribilmente a un sacco di persone, nel corso dei millenni e io ho il cuore di burro quanto lui.
Gilgamesh. Ecco, rileggendo l'Anello di Salomone, ho notato che Bart sembra particolarmente affezionato a Uruk e, di conseguenza tra lui e Gilgamesh ci doveva essere di più di un rapporto schiavo/padrone.Se vi interessa, qui trovate un mio lunghissimo post (in inglese) su questa roba, se no il succo è questo.
La citazione è ovviamente presa dalla Porta di Tolomeo; io non ho mai letto l'Epopea di Gilgamesh, così ho chiesto ad amici che l'hanno letta e a Wikipedia, poi ho ignorato allegramente tutte le informazioni e quindi non ho la più pallida idea di cosa facciano Bart e Gilgamesh nel bosco di cedri. Ho voluto analizzare una delle più grandi contraddizioni di Bart, che nota anche Asmira: il piacere di essere sulla Terra nonostante tutto e anche la voglia di essere ricordato e conosciuto, cosa che lo rende simile al giovane re. Comunque, ora sono molto convinta che quei due siano i tipici compari di bevute e si siano girati tutte le osterie sumere (?) e sappiano tutte le canzoni più volgari e sconce.
Spero continuerete a seguire anche questa raccolta :) Per l'ordine seguirò la cronologia ufficiale che trovate qui
 
A presto!!

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Capitolo 2
*** Di gioielli e bellezze del Nilo ***


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Sono io che ho consegnato quella
Cavigliera a Nefertiti.
E vorrei sottolineare che era
una bellezza anche prima di
infilarsela. (Comunque questi
maghi moderni si sbagliavano.
La Cavigliera non aumenta
la bellezza di una donna;
piuttosto, costringe il marito a
ubbidire a ogni suo capriccio.
Mi chiesi come se la stesse passando
il povero vecchio Duca).

 
 

Tebe, 1350 a. C. circa
 

La Cavigliera in sé non era niente di grandioso: un oggettino in oro cesellato, di quelli che rigurgitavano dagli scrigni di Nefertiti. Ma una lunga esperienza1 mi aveva insegnato a diffidare dei gioielli apparentemente innocui. Quello e l’aura che mi abbagliava gli occhi interni.
Fu con una certa esitazione che la tesi a Nefertiti, e fu con una certa esitazione che lei la prese e la soppesò. In quel momento, senza ornamenti né trucco, non dimostrava un giorno in più dei suoi quindici anni; eppure quella ragazzina minuta era la moglie del faraone, e una discreta maga.
Nefertiti fece un profondo respiro e si passò la mano libera sulla faccia. – Sto sbagliando, Bartimeus? –
- Be’, al momento stai solo fissando quella Cavigliera con aria tormentata e direi che non puoi sbagliare facendo così – commentò il giovane schiavo seduto ai suoi piedi.
Nefertiti mi lanciò un’occhiataccia. – Non voglio ingannare mio marito né tantomeno usare la magia per manipolarlo, ma... –
- Ma è incapace a regnare – completai – Ce ne siamo accorti tutti, soprattutto quei vecchiacci di Karnak... ci vorrebbe qualcuno con un caratterino tale da rimetterli al loro posto -.
La ragazza mi volò le spalle e posò il gioiello sul tavolino accanto alla finestra, la luce della luna che si riversava sulla sua figura elegante. – Perché mi stai dicendo tutto questo? – disse tagliente. –
Perché vuoi che prenda io il comando? Nessuno sano di mente accetterebbe che una donna, giovane e incinta2... –
Sbuffai. – Nefertiti, credi che mi importi qualcosa della vostra politica? Ti sto dicendo questo perché penso che se tu facessi qualcosa finalmente la vita di corte si movimenterebbe un po’. Sono così annoiato -.
Si voltò, scrutandomi severa, mentre io le rivolsi un ghigno rilassato dal pavimento. Avrebbe fatto bene anche a lei fare qualcosa, scrollarsi di dosso l’indolenza che inevitabilmente la vita di corte aveva portato. Nefertiti non era nata per essere una moglie trofeo e passare la vita tra ancelle e cortigiani ossequiosi; era nata per governare, per sedere su un trono e guardare giù il popolo adorante. Ovviamente, non le dissi nulla di tutto ciò: ci mancava solo che le dessi qualche motivo in più di autostima.
- Senti, posso dirti questo – mi rizzai in piedi, superandola di due spanne abbondanti. Dovevamo assolutamente procurarci qualcosa che la rendesse maestosa pur essendo alta un metro e un dattero. – Sei molto brava a dare ordini e questo, come tuo schiavo da quasi dieci anni, posso assicurartelo -.
- Eri lo schiavo di mio padre, non il mio – bofonchiò, ma la vidi mordersi il labbro per nascondere un sorriso.
D’impulso, mi afferrò le mani. – Bartimeus, dimmi la verità: pensi che sarei in grado di... di governare?
 
Quando Nefertiti entrò nella sala, le tremavano leggermente le mani, ma solo il possente guerriero dalla testa di leonessa3 se ne accorse, e solo perché camminava al fianco della giovane regina e la conosceva da troppo tempo. I passi di lei erano lievi, ma sapevo che a fine giornata, quando si fosse tolta la Cavigliera, la pelle sotto sarebbe stata arrossata e dolorante. Anche quando se l’era infilata e soprattutto quando aveva esercitato il suo potere sul povero Amenhotep4, avevo visto un lampo di dolore attraversarle i lineamenti, ma era difficile dire se fosse solo fisico o ci entrasse anche un pizzico di senso di colpa. Ma, detto tra noi, dubito se ne sia pentita in seguito. O forse sì, ma solo molto più tardi, quando il sangue del faraone avrebbe macchiato il pavimento e lei sarebbe stata strappata ai suoi figli e al suo regno.
In quel momento, però, era giovane, sfacciata, bella e aveva al suo servizio uno spirito di straordinaria potenza e soavità5, con cui i folletti  e i foliot che si erano portati dietro i sacerdoti non potevano sognare di competere. Non dubitavo che molti di quei maghi avrebbero potuto convocare un jinn del mio calibro, addirittura un afrit di discreta potenza; ma erano stati presi di sorpresa, vedete, perché nessuno, nemmeno il vecchio Ay poteva immaginare che Nefertiti conoscesse le arti magiche, e anche bene; e lei, ovviamente, si era riservata l’asso nella manica per la sua presa di potere. Si erano tutti fermati al suo bel visetto e alla certezza che il suo fedele jinn fosse sotto il controllo del padre, che proprio non si decideva a tirare le cuoia e a liberare un posto a corte.
Ovviamente, durante quella sua prima seduta, Nefertiti rimase quieta a fianco di Amenhotep ad ascoltare e osservare, tanto che nessuno dei consiglieri osò tentare una protesta più esplicita di qualche occhiataccia, che, comunque, sbiadiva contro lo sguardo d’acciaio della leonessa.
Fu solo a notte fonda, quando si era ritirata nelle sue stanza, sfilata il gioiello dalla caviglia e sciolto i capelli, che Nefertiti sbottò in un commento poco cortese sugli onorabile consiglieri.
- Mia signora! – annaspò scandalizzato il guerriero, prendendo la più comoda forma di un gatto delle sabbie.
- Oh, non sei credibile, mi hai sentito dire di peggio – borbottò Nefertiti – Bisogna riprendere in mano tutto. Quei vecchi stanno facendo il bello e il cattivo tempo, trattano Amenhotep come se fosse ancora un bambino e non mi hanno cacciata solo perché sono la figlia di Ay – a quello emisi un delicato colpetto di tosse – E grazie al mio prode jinn che incombeva su di loro, ovviamente –
- Grazie, padrona. Ora che si fa? –
Nefertiti si passò distrattamente la mano sullo stomaco ancora piatto e guardò di sbieco la Cavigliera. – Tanto per cominciare, inventiamo un pettegolezzo sul perché porti un gioiello magico. Oh, e voglio vedere i registri contabili –
Gli umani sono veramente ottusi; lo dimostra il fatto che abbiano prontamente creduto (e ci credono ancora oggi) che la Cavigliera servisse ad aumentare la bellezza di Nefertiti. Vero che era vista in pubblico in vesti da cerimonia, talmente sfolgorante da oscurare chiunque altro e, più avanti, col copricapo tipico dei faraoni, una visione che intimidiva anche i generali nubiani più tosti; ed è vero anche che nessuno la vedeva quand’era più bella che mai, sola nel buio della sua stanza, e poteva ridere liberamente senza gli sguardi insidiosi dei cortigiani e delle altre mogli. Ma diciamo semplicemente che gli umani credono a quel che gli fa comodo credere e che una ragazzina dominasse il Paese non piaceva a nessuno. Molto meglio credere alla sua vanità e frivolezza, caratteristiche più femminili del reggere le finanze e conoscere un poco di strategia militare.
Nefertiti si accomodò sospirando sui cuscini accanto alla finestra a osservare i giardini silenziosi e prese il gatto sulle ginocchia, come se fosse un animaletto da compagnia. Avevo perso la voce a 
ricordarle che era piuttosto umiliante per uno spirito della mia levatura e che non avrei mai fatto le fusa come un qualunque micetto, e perché non ne adottava uno e basta? Non aveva che l’imbarazzo della scelta, tra tutti i felini che circolavano a palazzo. Sfortunatamente, da quell’orecchio Nefertiti proprio non ci sentiva.
 
 


1E anche un altro oggettino appartenuto a una certa Vecchia Sacerdotessa di Ur.
 
2Proprio così, la piccolo Nefertiti era in dolce attesa, anche se ancora non si vedeva. Devo dire che mi faceva uno strano effetto pensare che l’avevo conosciuta da marmocchia e che ora lei  avrebbe generato un marmocchio. Come corre veloce la vita umana.
 
3Ci voleva un po’ di pompa magna per il suo ingresso nel consiglio di sacerdoti e scribi che di fatto governavano il Paese. Nefertiti non aveva commentato, ma sapevo che le aveva fatto piacere impressionare il pubblico, e soprattutto la testa di leonessa.


4Più tardi conosciuto come Akhenaton. Un bravo ragazzo, ma decisamente un po’ troppo ingenuo per regnare e essere il marito di Nefertiti.
 
5Io.

 
 
 
Non mi ero affatto dimenticata di questa raccolta, credetemi! Tuttavia, è stato piuttosto difficile scrivere di Nefertiti dal punto di vista di Bart, dato che deve mantenere la sua posa da duro e che... be’, io dubito che con lei ce l’abbia fatta. Seriamente, avete letto quella nota nell’Amuleto? Non sei proprio credibile, Bart.
In questa storia ci sono molti riferimenti a Collo lungo e sguardo d’acciaio, ma credo che sia tutto abbastanza chiaro: Nefertiti è moglie del faraone da poco tempo e ovviamente tutta la riforma religiosa è ancora lungi da venire; qui sta solo tastando il terreno. E ha dovuto utilizzare la Cavigliera perché, ovviamente, suo marito non le avrebbe mai concesso di sedere con lui nel consiglio (ho l’impressione che Amenhotep fosse uno che seguiva tutte le tradizioni per non irritare gli anziani etc).
Che dire, spero che sia venuta una roba vagamente credibile u.u Grazie a tutti voi lettori e ai recensori Alsha e L_A_B_SH, fedelissime.
 Al prossimo capitolo, con Salomone e Asmira! (oddio, non so cosa inventarmi)

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Capitolo 3
*** Di vecchie conoscenze e mortalità ***


Di vecchie conoscenze e mortalità
 
 
[...] Poi ci fu quella brutta faccenda con l’anello
magico di Salomone, che uno dei suoi rivali mi
costrinse a sgraffignare e gettare nel mare.
In quell’occasione dovetti tirar fuori
tutta la mia parlantina, ve lo dico io. [...]
 

Gerusalemme, 930 a. C circa
 
La notizia si diffondeva come uno sciame di cavallette, da Israele all’Egitto alla Grecia: re Salomone il Saggio stava esalando l’ultimo respiro. Il regno aveva già tirato fuori i propri abiti a lutto e si preparava a lunghe veglie di inconsolabili pianti, lamentando la perdita del sovrano, tanto buono e giusto.
Se qualcuno si fosse degnato di chiedere la mia opinione al riguardo, io avrei commentato con un sincero “Era ora!”. Francamente, per un uomo nelle sue condizioni, era vissuto molto più di quanto avrebbe mai potuto auspicare.
Da tutta la faccenda di Khaba, della ragazza e dell’Anello, ero stato convocato alcune volte dai maghi al servizio del re (ora decisamente ridotti e più servili che mai), il quale pareva richiedesse me personalmente per certi lavori particolari1. Fra le altre cose, mi era stato anche “gentilmente richiesto” di non parlare troppo del furto e della natura dell’Anello, cosa che, in fin dei conti, avevo fatto: dopotutto, l’importante era sottolineare che Salomone in persona si fidava del mio giudizio e abilità e che avevo sconfitto un marid, scusate se è poco.
Quanto alla ragazza, Asmira, non l’avevo più vista; ogni tanto mi ero oziosamente domandato se fosse ancora viva e pimpante come l’avevo lasciata o se la sua regina l’avesse fatta eliminare una volta per tutte. In tutta sincerità, era più probabile che succedesse il contrario; ma la ragazza non era mai sembrata desiderosa di ricchezze e potere, perciò, se davvero avesse accoltellato la regina, l’avrebbe fatto più per esasperazione, immagino.
Il mio attuale padrone era un mago non degno di nota, che casualmente si trovava a Gerusalemme in quel periodo; siccome, oltre a essere incompetente2, era anche frivolo e ozioso, era sparito da tempo in uno dei quartieri vicino al porto per trastullarsi. Io, approfittando delle ore libere, girovagavo per i tetti di Gerusalemme in forma di gatto, osservando i cambiamenti della città, gli altri spiriti, le persone che affollavano le strade. Con la morte di Salomone, sicuramente il prestigio e il potere di Israele sarebbero diminuiti, a meno che il vecchio re non avesse trovato un degno erede3 cui passare l’Anello. Oppure un modo per distruggerlo, liberando finalmente il grande Spirito dalla sua prigione.
Il gatto si calò giù per un muro, osservando una carovana di cammelli appena arrivata: il capo carovana stava discutendo con una figura armata di spada e pugnale, probabilmente riguardo il compenso. La figura si sciolse parte del turbante e lunghe ciocche scure piovvero giù sulle spalle. Il gatto strinse gli occhi e si spostò per vedere meglio.
Era invecchiata, naturalmente: la ricordavo poco più che ragazza, ora era una donna fatta; il viso era segnato dal sole e dal vento, ma i movimenti erano ancora agili e sicuri, l’espressione imperiosa.
Dunque aveva mantenuto ciò che mi aveva detto quella lontana mattina luminosa: non era diventata né guardia né moglie di Salomone, ma aveva continuato per la sua strada, proteggendo come meglio sapeva Saba. Il che non poteva che farmi piacere: anch’io sapevo cosa voleva dire amare la propria casa. Certo, la sua città prima o poi si sarebbe comunque ridotta in polvere e oblio, come ogni cosa terrena, ma con un po’ di fortuna, nemmeno lei ci sarebbe stata per vederlo.
Il gatto si aggirò intorno alle zampe dei cammelli, facendo ondeggiare la coda con ostentazione, pur dubitando che Asmira mi avrebbe riconosciuto: non sapevo se la sua capacità di osservazione fosse rimasta la stessa, ma difficile che ricordasse con precisione la mia guisa da gatto.4
Come da manuale, non mi degnò neanche di uno sguardo: ottenuta la sua ricompensa, si diresse rapida verso il palazzo. Oooh, dunque era stata convocata. Interessante.
Dopo un bel po’ di tallonamento da parte mia, si accorse finalmente di me, o meglio, del gatto che le trotterellava dietro. Mi fissò, accigliata allo stesso modo di tanti anni prima. Decisi di risparmiarle la fatica: - Salve, Asmira –
La prima cosa che le lessi in viso fu lo shock; poi, inaspettatamente, si aprì in un sorriso luminoso che le addolcì i lineamenti. – Bartimeus! Sei tu! –
Cambiai nel giovane lanciere sumero che lei, senza dubbio, ricordava e, un secondo dopo, me la ritrovai addosso che mi stritolava in un abbraccio. Oh.
- Credevo non ti avrei più rivisto, sai? Sarebbe stato normale, dopotutto, visto che per te vent’anni non sono niente... – blaterò, senza rispetto per il mio spazio personale.
- E invece... – riuscii a sfuggire alla sua presa. Be’ evidentemente con la vecchiaia si era fatta più emotiva.
Mi osservò dalla testa ai piedi e si lasciò sfuggire un risolino. – Sei identico, è assurdo... – scosse la testa, facendosi più seria. – Ti ha convocato Salomone? –
- Stavolta no, per fortuna... Sono solo di passaggio –
- Stavolta? – mi interruppe. – Sei stato di nuovo al suo servizio? –
- Lasciamo stare – tagliai corto – Dimmi di te, piuttosto. Sempre armata fino ai denti e accigliata, vedo –
Si strinse nelle spalle quasi timidamente. – Te l’avevo detto, cos’avrei fatto. E l’ho fatto –
- Niente mocciosi? Un maritino fedele che ti aspetta a casa? –
Scoppiò a ridere. – Certo che no! Pensavo mi conoscessi – Effettivamente il pensiero di Asmira sposata e con prole era ridicolo quanto la quantità di profumo che Salomone era solito spruzzarsi addosso. A tal proposito... – Il vecchio Sal ti ha chiamato per l’ultimo addio? –
Si fece nuovamente seria e annuì. – In questi anni, ogni volta che passavo da queste parti mi mandava a chiamare e oserei dire che siamo diventati amici. Quindi... – sospirò e mi fece un sorriso mesto. – Ma tu sai meglio di me questo, vero, Bartimeus? Quanto brevi siano le nostre vite. A essere sinceri, nemmeno io sono più giovane...
Tentai di evitare l’imminente crisi di mezz’età. – Sei ancora tosta, sai? Sono sicuro che prendi ancora a calci gli utukku. Con in più il beneficio della saggezza -.
Mi concesse una risatina mentre ci avvicinavamo al palazzo. – Non ci siamo mai incrociati in tutti questi anni... è un peccato. Ogni tanto mi è venuta quasi voglia di convocarti io stessa –
La fissai. – Grato che tu abbia evitato -.
- L’avrei fatto solo per una chiacchierata! Non ho bisogno certo di schiavi... ma ho sentito la tua mancanza –
Questa mi colse alla sprovvista. Cioè, perfettamente comprensibile che l’assenza del mio acume e delle mie brillanti osservazioni le avesse pesato, ma mai mi sarei aspettato una confessione. La fanciulla che ricordavo era seriosa, controllata ed evitava di dare confidenza ai demoni, sconosciuti e non.
- Sai, sarebbe carino ricambiare –
- Sai, non mi definirei ‘carino’ – la fulminai con un’occhiataccia; lei ricambiò a tono. Insieme, entrammo nel palazzo di re Salomone.
 



1Una bella scocciatura, potete giurarci.
 
2Non per nulla di lì a poco avrei approfittato di un errore di fonetica per abbrustolirlo. Non valeva nemmeno la pena di mangiarlo: mi avrebbe solo guastato l’essenza.
 
3Con tutte quelle mogli verrebbe da dire che non aveva che l’imbarazzo della scelta.
 
4Per quanto elegante e armoniosa.





Non sono morta! Ma terribilmente in ritardo! Non sola in questa ma almeno in altre due storie... mi dispiace. E questo capitolo non è nemmeno il massimo della vita, ne sono consapevole... ma è stato difficile scriverlo, soprattutto perché abbiamo già abbastanza notizie su Asmira; ma non potevo proprio saltarla, ragazzi. Vi auguro un felice (o almeno decente) anno nuovo, con tutto il mio affetto!

 

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