A Moment in Life

di Faith_Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meeting you - Los Angeles ***
Capitolo 2: *** You Again - New York ***



Capitolo 1
*** Meeting you - Los Angeles ***


Quella era una di quelle serate che lo capisci subito che sta per succedere qualcosa, così quando Brendon Urie decise di essere ancora troppo pieno di energie per andare a dormire dopo quel concerto magnifico, avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stata una serata come le altre. Raggiunge un paio di amici in uno dei suoi locali preferiti della città e per la prima ora e mezza non accadde assolutamente nulla, era la solita serata calda e allegra in una Los Angeles ancora tutta da scoprire. 
Dopo aver ballato per quasi tutta la sera, decise di aver bisogno di qualcosa, si avvicinò al bancone e lì successe qualcosa.

Eve Laine aveva passato probabilmente la serata peggiore della sua vita. Non solo aveva litigato con il suo ragazzo Josh, di nuovo, ma aveva anche fatto ritardo a lavoro e il suo capo, un idiota di prima categoria che sapeva solo approfittare di ogni momento per palpare le cameriere, le aveva fatto un richiamo. In più quella sembrava una serata particolarmente movimentata e tutta Los Angeles sembrava essersi riversata in quel locale. Non ricordava nemmeno più quanti cocktail, shots, birre e alcolici vari, aveva preparato e aveva un bisogno urgente di una sigaretta per calmarsi. Si stava giusto per prendere una meritata pausa quando vide Brendon Urie avvicinarsi al bacone e una strana vocina nella sua testolina le impose di restare e servirlo.

<< Ciao posso chiederti una birra o stai staccando? >> esordì lui con un sorriso molto carino in volto.
<< Ah ho ancora molto da fare prima che finisca il mio turno. – sospirò lei. – Una birra, certo arriva subito.>>
<< E’ un peccato perché ho notato che non ti sei fermato un secondo e mi piacerebbe offrirti qualcosa da bere.>> 
Brendon non sapeva nemmeno come gli fosse venuto in mente di dire una cosa del genere, lui era sposato e amava sua moglie, anche se a volte tra loro era dura. Cioè non che ci fosse qualcosa di male ad offrire da bere ad una ragazza, il problema era il pensiero che si era formato nella sua mente quando aveva posato gli occhi su di lei. I tratti ispanici, la pelle leggermente ambrata, gli occhi di smeraldo e quei capelli neri e lunghi che gli avevano fatto venire voglia di passarci le dita.
Eve inarcò un sopracciglio mentre posava la birra sul bancone davanti al cantante.
<< Perché dovresti volermi offrire da bere?>>
Lui sorrise di nuovo.
<< Perché no? – poi le porse la mano. – Sono Brendon.>>
<< Lo so chi sei. – gli fece notare lei, ma si accorse subito di essere sembrata scortese, quindi prese la sua mano. – Eve.>>
Il sorriso del ragazzo si allargò di più e dio se era un bel sorriso.
<< E’ un vero piacere, Eve. Ascolta non c’è nessuna possibilità che io ti convinca a staccare e venire via con me?>> di nuovo si chiese come gli fosse venuto in mente, ma il ghiaccio era sciolto ed era evidente che in qualche modo ci fosse sintonia tra loro.
<< Non posso davvero. – sorrise dispiaciuta. -  Il mio capo mi ha già rimproverata stasera e mi sta guardando.>> accennò con il capo verso sinistra dove un omaccione dall’aspetto abbastanza autoritario li stava fissando da lontano.
Brendon si avvicinò di più a lei come se volesse parlarle all’orecchio.
<< Aspettiamo che si distragga allora.>> sussurrò sorridendo.
La ragazza gli colpì il braccio in modo del tutto giocoso e stava per rispondere alla sua provocazione quando vide il capo avvicinarsi. Per qualche motivo non voleva che i dipendenti socializzassero con i clienti.
<< E’ meglio che vai, prima che mi prenda un altro richiamo per colpa tua.>>
Lui annuì, portandosi una mano all’altezza del cuore. 
<< Non sia mai. Vorrà dire che aspetterò.>> le fece l’occhiolino e poi tornò dai suoi amici.

La punizione per aver “flirtato” con un cliente fu che Eve non poté fare pause fino all’orario di chiusura e Brendon non si presentò più al bancone, anzi la ragazza non si accorse nemmeno quando lui e gli amici uscirono dal locale, troppo presa a servire mille clienti contemporaneamente. Alla fine poteva classificare lo scambio di battute con il cantante come un semplice momento, non gli era dispiaciuto di certo parlare con lui, ma di certo non si considerava che lui stesse davvero flirtando.
Quindi si stupì non poco quando, uscendo finalmente da quel locale maledetto, se lo ritrovò davanti tutto sorridente, fermo contro una macchina che l’aspettava.
<< Mi stavo chiedendo… - esordì stampandosi di nuovo quel sorriso stupendo sulle labbra. – Ma tu lavori davvero tutte le sere fino a quest’ora?>> chiede mentre lei si avvicinava.
Non lo aveva notato prima, troppo preso dal momento in sé per notare i dettagli, ma la ragazza indossava un vestitino nero semplice che però faceva risaltare tutti i suoi lati migliori e calzava degli stivali al ginocchio con tacco alto che il solo pensiero di indossarli per ore e ore gli fece venire male ai piedi per lei.
<< E’ la dura vita di una semplice barista. In più ho dovuto fare un doppio turno stasera.>> sorride anche lei, mostrando i denti avorio in contrasto con la carnagione mulatta.
<< Per colpa mia?>> si preoccupò di chiederle, ma la vide subito scuote il capo facendo ondeggiare di lato i bei capelli.
<< Diciamo che non è stata la mia serata migliore.>> accennò un sorriso.
<< Beh allora permettimi di cercare di renderla migliore.>> le porse la mano attendendo che lei la prendesse. La vide titubare e per qualche istante e pensò di essersi spinto troppo oltre, ma poi Eve sorrise e posò gentilmente la mano sulla sua.

La prima tappa fu un fast food aperto tutta la notte, mangiarono un panino a testa, divisero una porzione di patatine e bevvero una cola. Eve si stupiva di come la conversazione con Brendon non si esaurisse mai, anzi si trovava così bene con lui da aver quasi dimenticato che era le 4 del mattino ed era seduta in un fast food con il cantante dei Panic! At the Disco, il quale tra l’altro le stava tenendo la mano. 
Spostò lo sguardo su le loro mani unite sul tavolino e per un secondo sua vocina interiore le gridò “Che diavolo stai facendo? E’ un uomo sposato oltre che famoso!”, ma quando sollevò di nuovo lo sguardo, trovò l’uomo che le sorrideva e mise a zittire la sua voce interiore, voleva godersi quel momento senza pensare a cosa sarebbe o non sarebbe successo. Decise di ignorare anche il fatto che un paio di persone li stavano guardando e probabilmente avevano riconosciuto il suo accompagnatore.
Finirono di mangiare e Brendon pagò per entrambi vietando categoricamente alla ragazza di mettere mano al portafogli; le passò un braccio intorno al collo e la strinse un po’ a sé.
<< Dove vuoi andare ora?>> le chiese una volta fuori dal locale continuando a tenerla stretta al proprio corpo.
<< Decidi tu, credo di essere troppo stanca anche solo per per pensare ad un posto dove andare.>> rispose lei posando il capo contro il suo petto.
<< Oh che sbadato, non ho nemmeno pensato che forse volevi andare a riposare. Vuoi che ti porti a casa?>>
Eve scosse il capo. 
<< Non importa, mi sto divertendo…>> sollevò lo sguardo e incontrò il suo, così vicino da chiedersi quando si fossero avvicinanti tanto. 
Ci fu un momento in cui il mondo sembrò essersi fermano, il tempo non aveva significato e l’unica cosa che entrambi desideravano era avvicinarsi ancora e assaporare l’uno le labbra dell’altra, così quando Brendon fece scivolare il braccio lungo la schiena della ragazza e le prese una mano, Eve non esitò a farsi trascinare ovunque volesse.
Il cantante fece una piccola corsetta verso un vicolo più appartato, tirandosela dietro, stando attento a non accellerare troppo in modo che lei non rischiasse di cadere con i tacchi, e bloccandola poi tra il suo corpo e il muro di mattoni.
Eve poteva sentire il calore del corpo dell’uomo, ormai così vicino al proprio e chiuse gli occhi quando lui le posò una mano sulla guancia in una carezza dolce, attendendo solo il momento in cui avrebbe sentito le labbra del cantante sulle sue. Tenne gli occhi aperti comunque, imponendosi di non chiuderli perché voleva cogliere tutto quello che stava passando nella mente dell’altro.
Brendon si prese qualche minuto per osservare il viso della ragazza da vicino, l’accarezzò, scrutò nei suoi occhi verdi, passò il pollice sulle sue labbra morbide ed infine, lentamente, cancellò quell’ultima distanza e la baciò.
Le labbra di Eve erano effettivamente morbide, carnose e combaciavano perfettamente con le sue; le chiese l’accesso passando la lingua dolcemente sulla la fessura tra le labbra e lei le aprì piano lasciando che fosse lui scivolare tra esse; le loro lingue si incontrarono e piano iniziarono una danza dolce e proibita, ma appagante come un angolo di paradiso.

Senza nemmeno rendersene conto si ritrovarono a casa di Eve, stesi l’uno sull’altra sul letto, mentre i loro corpi si sfioravano delicatamente, muovendosi in piena sincronia, e le loro labbra ancora congiunte, giocavano, si desideravano, si mordevano.
<< Brendon…>> mormorò la ragazza con un ultimo barlume di razionalità.
Lui posò un dito sulle sue labbra zittendola dolcemente.
<< Resta con me.>> le sussurrò prima di impossessarsi di nuovo delle sue labbra.
Per un tempo indefinito rimasero su quel letto semplicemente ad accarezzarsi a vicenda, il cantante avrebbe passato ora a sfiorare il corpo della ragazza, viziando gentilente ogni centimetro della sua pelle scura, lambendola con le labbra ed assaporando il suo sapore e godendo dell’espressione di beatitudine dipinta sul suo volto. Scese a baciarle il ventre piatto, giocando con la lingua sul piercing all’ombelico e facendola ridacchiare, arrivando a baciare il centro della sua femminilità e sorridendo del modo in cui la fece sussultare.
Eve gemette lievemente sentendo la lingua del cantante sfiorare una zona così sensibile del suo corpo e non riuscì a non portare una mano tra i suoi capelli, stringendo le dita tra di essi ed assecondando il suo movimento. Dio se era bravo! E tanti cari saluti ai pensieri razionali sul fatto che fosse sposato e lei non si era mai comportata così…
Brendon risalì il corpo di lei posando lievi baci nel tragitto, le accarezzò il viso, posizionandosi meglio tra le sue gambe e puntando gli occhi nei suoi mentre scivolava in lei, lentamente, non avevano di certo fretta di bruciare.
La naturalezza, la dolcezza, la complicità con cui divennero una sola entità, un insieme perfetto di due corpi perfettamente in sintonia sia di movimenti che di suoni, gemiti, sospiri, ansiti che bruciarono l’aria tutto intorno, fino all’apice di un orgasmo profondo, appagante, a suggellare quel peccato alle primi luci dell’alba; uno di quegli orgasmi che lascia senza fiato, senza energie ma che fa sorridere della più pura felicità.

Quando Eve Laine aprì gli occhi, la luce del sole che filtrava dalla finestra, calda e abbagliante, le fece intuire che doveva essere mezzogiorno o giù di lì. Quello che era successo la notte prima, tutto quello che era successo, le sembrava solo un bel sogno e se ne sarebbe davvero convinta se non fosse stato per il braccio che la stringeva ad un altro corpo addormentato accanto a sé. Sollevò lo sguardo e rimase a fissare il volto di Brendon Urie che dormiva beato e tranquillo, con un vago sorriso spontaneo disegnato sulle labbra.
La ragazza si mosse tra le sue braccia fino ad essergli di fronte, posò un bacio sulle sue labbra e accarezzò il suo viso, lui fece una lieve smorfia e strofinò il viso sul cuscino come un bimbo capriccioso che non vuole svegliarsi.
<< Dovresti andare, è tardissimo.>> mormorò.
<< Mi stai cacciando?>> chiese lui ancora con la voce impastata di sonno e gli occhi chiusi e Eve rise.
<< No, ma se vuoi restare qui tutto il giorno, fammi almeno andare a preparare la colazione.>> 
Lui la stava ancora stringendo a sé e questo le limitava considerevolmente movimenti, ma invece di sciogliere la presa, lui la strinse di più e aprì piano gli occhi puntandoli nei suoi.
<< Possiamo goderci ancora un po' questo momento prima di tornare alla realtà?>> chiese e sembrava quasi una supplica a cui lei non poté che annuire, così posò di nuovo le labbra sulle sue prima di poggiare il capo contro la sua spalla.
Passarono svariati minuti in silenzio, semplicemente godendosi quell'abbraccio e cercando di trattenere le sensazioni provate la notte prima, poi il cantante posò un bacio sulla sua fronte accarezzandole la nuca e lei seppe che quella era la fine di quel sogno. Era tardi ed entrambi dovevano tornare alla realtà delle loro vite. Ancora qualche minuto e lui sarebbe tornato ad essere il frontman dei Panic! At the Disco e lei una semplice barista che faceva due lavori per pagarsi il college.
<< Non dimenticarmi.>> sussurrò sulle labbra di lei prima di baciarle un'ultima volta, dopo essersi rivestito e averla guardata per qualche secondo. Lei rimase in quel letto, seminuda e coperta solo da un lenzuolo che profumava di loro; si prese quel bacio e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Entrambi sapevano che non si sarebbero più rivisti, mai più, e ora avrebbero dovuto affrontare le conseguenze di quello che era successo, ma per quella notte, per quel fugace momento, si erano appartenuti e l'avrebbero ricordato per sempre.

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Capitolo 2
*** You Again - New York ***


C’è un motivo se New York è una città così caotica ed affollata, ed è che tutti, almeno una volta nella vita, anche solo per un weekend o per una vita intera, finiscono per trovarsi nella grande mela. Eve Laine ad esempio, aveva lasciato il sole caldo della California subito dopo aver concluso i suoi studi alla UCLA e si era ritrovata in quel calderone di culture diverse, e se all’inizio si era sentita un pesce fuor d’acqua, ora, all’età di quarant’anni, con un lavoro come giornalista per una nota rivista di musica, un appartamento ad Harlem, un figlio di adolescente e un cane; si sentiva una donna realizzata. E pensare che quando aveva lasciato LA, la sua migliore amica, Jane, era così preoccupata che facesse una qualche stronzata, che non faceva che chiamarla in continuazione per assicurarsi che tutto stesse procedendo bene.
Il suo cellulare iniziò a squillare e ovviamente era sul fondo della borsa, e lei era nel bel mezzo di una delle strade più affollate della city. Posò le buste a terra e si piegò sulle ginocchia per cercarlo mentre malediceva il giorno in cui aveva avuto la brillante idea di comprare un cappotto senza tasche. Riuscì a trovarlo ed era suo figlio che la stava chiamando.
<< Oh ehi…>> rispose il più velocemente possibile per paura che chiudesse la chiamata.
*Che fine avevi fatto fare al telefono?
<< Nessuno fine, era in borsa.>> 
*Ti ricordi che stasera sono a cena da Tyler, vero?
Alzò gli occhi al cielo maledicendosi mentalmente. Ovviamente lo aveva dimenticato.
<< Certo che mi ricordo.>> mentì.
*Bugiarda. – sentenziò il ragazzino. – Sei ancora a lavoro?
<< No, sto per prendere un taxi e venire a casa. Ti trovo lì o stai già andando dagli Harvey?>>
*No, penso mi troverai a casa ancora per un paio d’ore, ma in caso, ti ho lasciato un’insalatona in frigo.
<< Ehi ragazzino, ti ricordo che sono io il genitore tra i due.>>
*Già, assurdo vero?
<< Ci vediamo dopo.>>
*A dopo.
Chiuse la chiamata, raccolse le sue buste, si voltò facendo un passo in avanti e…si ritrovò faccia a faccia con una moto che frenò all’ultimo evitando di investirla, ma non di farla finire con il sedere a terra.

Brendon Urie aveva deciso che quella era la giornata perfetta per esplorare la città in sella alla sua nuova moto. New York d’autunno era spettacolare e tutto intorno si respirava un’aria quasi magica, e quindi perfetta per prendere ispirazione per nuove canzoni. Ora che i Panic! At the Disco erano tornati insieme e a far musica dopo due anni di pausa e avevano ottenuto un disco di platino e due d’oro; non doveva assoluta perdere il ritmo o lasciarsi distrarre, doveva restare concentrato sul lavoro il più possibile.
Accellerò un po’ e curvò in una delle strade più affollate, impennò e…si trovò davanti una donna che stava per attraversare con in mano almeno sei shopping bag. Fece appena in tempo a frenare per non metterla sotto, ma quella cadde all’indietro, quindi il minimo che potesse fare era soccorrerla. Appena si tolse il caso, tirò i capelli indietro e abbassò lo sguardo su di le.
<< Mio Dio, stai bene? - chiese subito e quando lei sollevò lo sguardo verso di lui, la vide sbiancare. C’era qualcosa in quel volto che gli ricordava una serata di fine aprile a Los Angeles, una di quelle sera che si ricordano per tutta la vita. La sua mente gli rimandò alla memoria un bel sorriso gentile, un paio di tacchi alti, una risata cristallina, un paio di labbra rosse come le fiamme dell’inferno e altrettanto tentatrici. - Eve.>> ricordò il nome e nel momento esatto in cui lo pronunciò gli sembrò di vedere la donna davanti a lui farsi ancora più pallida.
<< Ciao.>> disse però e la voce, che per un secondo non era voluta uscire, aveva tuttavia un tono abbastanza calmo da sembrare solo sorpresa da quell’incontro.
Il cantante spense la moto e scese porgendole poi la mano libera ed aiutandola ad alzarsi.
<< Stai bene? Mi dispiace non ti avevo proprio vista. Che assurdità il destino a volte. Quanto è passato?>>
<< Quattordici anni. – rispose lasciando la sua mano una volta in piedi, sistemandosi il pantalone e controllando che non si fosse strappato. – Sto bene, si. Che ci fai qui a New York?>> gli chiese.
<< Sono qui per dei concerti e qualche intervista. Tu che ci fai qui?>> 
<< Ci vivo, da almeno dieci anni ormai.>>
<< Davvero? È fantastico. - sorrise lui e Eve si chiese perché fosse così entusiasta di rivederla dopo tutti quegli anni. Quattordici anni e Brendon aveva ancora il sorriso più bello che avesse mai visto…o beh, uno dei due sorrisi più belli. – Dobbiamo festeggiare, è la seconda volta che il destino ci fa incontrare per caso. Ti va un caffè?>> le chiese e Eve sorrise per la nonchalance con cui lui attribuiva tutto ad uno strano piano del destino.
<< L’ultima volta che ci siamo visti mi hai offerto la cena, ora vuoi offrirmi un caffè, se dovessimo rincontrarci tra altri quattordici anni mi offrirai un pranzo?>>
<< Posso offritelo anche ora. – ci pensò qualche secondo. – Che ne dici se domani pranziamo insieme e intanto ci prendiamo un caffè?>> propose in fine indicandole un locale poco distante.
<< Addirittura Mr. Urie, così finirai per viziarmi.>> scherzò mentre si incamminava con lui.

Seduta in quel Café, mentre chiacchierava con il cantante dei Panic! At the Disco, per la seconda volta nella sua vita, le sembrava come se fossero due vecchi amici e non solo due che erano andati a letto insieme e ora si erano rincontrati per caso.
<< Dimmi di te? Cosa ti ha portato a trasferiti qui?>> le chiese Brendon dopo aver ordinato un caffè, un cappuccino e una fetta di torta.
<< Il lavoro. Mi sono laureata in musica e giornalismo e sono venuta qui per un master in editoria e ora lavoro per un giornale.>> raccontò cercando di guardarlo negli occhi il meno possibile per evitare di ritrovarsi immersa nei ricordi.
<< Wow! Che giornale?>> 
<< Oh forse lo conosci, mai sentito parlare di Rolling Stone?>>
Il cantante la guardò sorpreso ed ammirato.
<< Wow, bel colpo! – alzò la mano per farle battere il cinque. – Ti ho lasciato che facevi la barista e ti ritrovo giornalista di Rolling Stone, è fantastico. Non potrei essere più fiero di te.>> 
A quelle parole la donna non poté più fare a meno di guardarlo negli occhi. Era fiero di lei? Lui era fiero di lei? E perché avrebbe dovuto? Non è che avessero mai avuto un qualsiasi tipo di rapporto che potesse giustificare un’affermazione del genere. Insomma, erano andati a letto insieme una volta e poi non si erano più visti per quattordici anni.
<< Grazie, credo. – non era sicura che fosse quella la giusta risposta da dargli, ma riuscì addirittura a sorridergli. – E tu? So che la band ha vinto un sacco di premi per il nuovo album, che è stupendo in caso non te l’avessero ancora detto. Ci voleva questo ritorno ad effetto dopo quella pausa di due anni.>> annuì e in quel momento arrivarono le loro ordinazioni.
<< Grazie, stiamo cercando di organizzare il tour ora. Sarà strano tornare on the road dopo un periodo così lungo fermi.>>
<< Già, temo che mio figlio mi trascinerà ad uno dei vostri concerti, o forse anche più di uno…>> disse lei senza pensarci e rendendosi conto solo dopo, guardando l’espressione sul volto di Brendon cambiare completamente, della bomba che aveva appena sguanciato senza nemmeno pensarci.
<< Hai un figlio? - chiese il cantante sorpreso e dato che ormai il danno era fatto, lei annuì. – Sul serio?>>
<< Si, frequenta il liceo ad Harlem e nemmeno a dirlo è un tuo fan.>>
<< E dimmi, ti sei sposata?>> chiese ancora prendendo poi un sorso di caffè.
Eve scosse il capo.
<< No, il ragazzo con cui stavo quando ci siamo conosciuti mi ha lasciato poco tempo dopo e da allora non ho avuto relazioni degne di nota.>> 
<< Ti ha lasciato per quello che c’è stato tra noi?>> non era riuscito proprio ad evitarlo, doveva chiederlo, ma la donna scosse il capo di nuovo.
<< No, o meglio si, gli ho detto di averlo tradito e lui mi ha lasciato, ma non ha mai saputo con chi.>> spiegò.
<< Oh. Beh mi dispiace di essere stato la causa della vostra rottura.>> 
Di cosa dispiaceva mica era colpa sua e poi perché avrebbe dovuto importargli? Eve non riusciva proprio a capire quale fosse il motivo di tanta preoccupazione. D’altra parte Brendon stava sviluppando una certa curiosità per la vita della donna davanti a lui. C’era qualcosa in lei, che l’aveva attratto fin dal primo istante che l’aveva vista e la stessa attrazione la provava in quel preciso istante.
<< Mi ha messo le mani addosso, quindi è stato meglio perderlo.>>
La donna non se ne accorse, perché aveva appena abbassato lo sguardo sulla fetta di torta posta al centro del tavolo, ma quella sua affermazione aveva appena fatto balzare sull’attenti l’uomo.
<< Ha fatto cosa???>>
<< Non importa, ormai sono passati anni. – liquidò la questione con poco interesse. – Vuoi iniziare tu? Ha un aspetto invitante.>>
Lui allora si limitò a farle cenno di poter iniziare a mangiare. Nella sua mente non riusciva a cancellare l’idea che qualcuno aveva messo le mani addosso alla fantastica ragazza che aveva conosciuto quella sera, che un vile bastardo aveva avuto modo di farle del male e gliene aveva fatto. Gli vennero in mente tutti i mezzi che poteva usare per rintracciare quell’essere che non era nemmeno degno di essere chiamato uomo, solo per il gusto di cambiargli i connotati.
<< E tua moglie? Glielo hai mai detto?>> gli stava chiedendo Eve e lui ci mise un po’ a risponderle, preso com’era da quei pensieri di vendetta.
<< No. Le cose tra noi andavano già abbastanza male senza che le dicessi anche di averla tradita. – rispose tornando a guardarla negli occhi. – E non è più mia moglie.>> precisò.
Lei annuì abbassando lo sguardo.
<< Si, ho saputo.>> si limitò a dire e fece per prendere la forchettina per assaggiare la torta.
Con un movimento abbastanza naturale, Brendon le prese la mano nella sua, di nuovo, e quando i loro sguardi si incontrarono, entrambi ebbero l’istinto di annullare le distanze e fregarsene di tutto, tanto forte era il desiderio di assaporarsi di nuovo.
La tensione fu interrotta dal cellulare di Eve che iniziò a squillare sul tavolo, facendola sobbalzare. Le bastò uno sguardo per vedere la foto apparsa sul display, riconoscerla e far scattare la mano su di essa per coprirla, nella vana speranza che il cantante non l’avesse notata.
Ovviamente l’aveva notata dato che aveva a sua volta portato lo sguardo sul display quando il cellulare aveva iniziato a suonare e inevitabilmente aveva notato una certa somiglianza con il ragazzo nella foto.
<< Quello è tuo figlio?>> chiese ora confuso.
<< Si. Scusa devo scappare. – scattò in piedi ed era evidentemente nervosa, tanto da fare qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare. Si chinò accanto a lui e gli posò un bacio sulla guancia, quasi all’angolo della bocca a dire il vero. – E’ stato bello rivederti e grazie per il caffè e la torta.>> si affrettò a dire prima di correre fuori, maledicendosi in tutte le lingue che conosceva.

Quando Brendon rientrò nel suo hotel, il suo amico e bassista Dallon Weekes era comodamente seduto sul divanetto e  beveva una spremuta mentre leggere un giornale trovato alla reception e la prima cosa che notò nel cantante fu la sua espressione confusa e sconvolta.
<< Ehi che fine avevi fatto? Che è quella faccia? Sembra che tu abbia visto un fantasma.>> 
L’altro si lasciò letteralmente cadere sul divanetto accanto a lui, si prese il volto tra le mani e rimase per qualche istante immobile come in preda ad una profonda crisi, poi si passò entrambe le mani tra i capelli e sospirò pesantemente.
<< Credo di avere un figlio.>> dirlo ad alta voce era anche più sconvolgente che ripeterlo nella sua testa. Il bassista si lasciò sfuggire una risatina.
<< Di che diavolo parli? Sono certo che se Sarah avesse avuto un bambino te ne saresti accorto in sei anni di matrimonio e non credo tu sia stato qualcun'altra nel mentre…>>
<< No, cioè si. – perché non aveva mai parlato di Eve nemmeno con lui? – C’è una cosa che devo dirti.>>
<< Non posso crederci! Hai frequentato una donna e non me lo hai detto? Quando è successo?>>
<< Quattordici anni fa.>> rispose facendo un rapido calcolo mentale. Si, in effetti il ragazzino nella foto doveva avere più o meno quell’età e non c’erano dubbi che gli somigliasse. Il pensiero lo colpì come un fulmine. Suo figlio aveva il suo stesso sorriso.
<< Ma quattordici anni fa eri sposato.>> notò ovvio l’altro che a quanto pareva stava a sua volta calcolando i tempi.
<< Si, lo so che ero sposato, D! Altrimenti perché credi che non ne abbia mai parlato?>> chiese retorico.
<< A Sarah lo hai mai detto?>> 
<< No, certo che no. E’ successo una sera e pensavo non l’avrei più rivista. – si sentiva quasi in colpa a sminuire così quello che c’era stato tra loro, ma era effettivamente stata una notte di passione. - Perché non mi ha cercato? Avrebbe dovuto dirmelo, o avrebbe potuto dirmelo oggi, invece nulla.>>
<< Com’è che vi siete rivisti?>>
<< Per caso. L’ho quasi investita con la moto. – raccontò ancora. – Rolling Stone! Abbiamo un’intervista con Rolling Stone?>> chiese all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio.
Il bassista lo guardò perplesso.
<< Si, dopo domani, ma ora che c’entra?>>
Brendon si alzò in piedi e si diresse a passo spedito fuori dalla stanza.
<< Lei lavora per Rolling Stone.>> lo informò prima di uscire definitivamente.

Eve era seduto alla sua scrivania e stava visionando alcune foto per l’articolo sui festival estivi quando il suo collega Jeff Greif spalancò la porta facendola sobbalzare.
<< Un disastro!>> annunciò guardandola. 
E la donna si chiese che diavolo ci facesse lì, era quasi certa che avessero un’intervista da fare al piano di sotto anche se non ricordava a chi.
<< Che è successo?>> chiese comunque.
<< I Panic! At the Disco. – a quel nome improvvisamente Jeff aveva tutta la sua attenzione. – Il signor Brendon Urie si rifiuta di rilasciare l’intervista a meno che non sia tu a farla.>> 
<< Ma io non mi occupo delle interviste.>> 
Si diede della stupida, Brendon era di sotto e stava chiedendo di vederla e, ne era certa, poteva esserci solo un motivo valido e lei si soffermava sul fatto che non si occupava dell’interviste?
<< Ti prego, sai come sono fatte queste star. Uno non tira fuori nemmeno una canzone per due anni e poi pretende di avere anche l’intervistatrice personale. - sbuffò il ragazzo. – Puoi scendere a parlargli almeno?>>
<< Ma... - sbuffò pensando che sarebbe stato inutile ribellarsi, prima o poi avrebbe dovuto affrontare la cosa. - Ok, scendo.>> cedette alzandosi dalla sua sedia girevole e andando verso Jeff che le fece strada fino all'ufficio al piano di sotto.
Brendon era seduto con il resto della band su un grosso divano e quando vide Eve scattò in piedi.
<< Mr. Urie, salve, perdoni l'attesa.>> esordì lei formale porgendogli la mano.
<< Miss. Laine. E' un piacere.>> fortunatamente lui la assecondò.
<< Se vuole seguirmi, vorrei scambiare due chiacchiere in privato prima di procedere con l'intervista.>>
Il cantante annuì e lei lo guidò verso un ufficio alla loro sinistra, appena entrò chiuse la porta dietro di sé.
<< Che diavolo ti è saltato in mente? Non puoi venire qui e mettere in difficoltà i miei colleghi, cosa credi che penseranno ora?>> lo aggredì senza nemmeno rendersene conto.
<< E io cosa dovrei pensare che mi hai tenuto nascosto di essere rimasta incinta?>>
Colpita e affondata, aveva fatto presto. Rimase a guardarlo indecisa su cosa dirgli.
<< Che avrei dovuto fare, chiamare il tuo manager? "Salve mi chiamo Eve Laine e aspetto un figlio da Brendon Urie", non mi sembrava un'opzione plausibile.>> 
<< Avresti potuto dirmelo ieri quando ci siamo rivisti, invece di fuggire come se io fossi così stupido da non notare che tuo figlio mi somiglia e fare due più due.>>
<< Sono passati quattordici anni, Brendon, perdonami se ero sorpresa di vederti dopo tutto quel tempo e non ho trovato un modo per dirtelo!>>
Calò il silenzio e entrambi rimasero a fissarsi come se la discussione stesse continuando attraverso i loro occhi.
<< Ho provato a cercarti, sai? Sono tornato a Los Angeles qualche tempo dopo e sono andato nel locale dove lavoravi. Ho parlato con un'altra barista, mi ha detto che ti eri licenziata, così sono passato sotto casa tua ma non c'eri.>>
L'aveva cercata? Lei pensava fosse stato solo un momento di debolezza, in fondo lui era sposato all'epoca e Eve era sicura si fosse lasciato prendere da una momentanea passione, invece lui era tornato a cercarla.
<< Sono andata a stare dalla mia migliore amica, dopo la rottura con Josh.>> 
Josh. Josh era il verme che si era permesso di alzare le mani su di lei, su di lei che aspettava già suo figlio. Ora si che Brendon aveva voglia di andare a spaccargli la faccia.
<< E lui...sa chi sono?>> chiese quasi temendo la risposta.
La donna si lasciò sfuggire una risatina sarcastica.
<< Certo, sa chi è Brendon Urie frontman e leader dei Panic! At the Disco, ma ovviamente non sa che sei suo padre.>>
Di nuovo calò il silenzio. Era una situazione strana per entrambi. Come dici ad un ragazzino di quattordici anni che sei suo padre? Di certo non c'era un modo semplice per affrontare la questione.
<< Mi piacerebbe conoscerlo. Se per te va bene.>> ormai non si sentiva più sicuro di nulla. 
Non era preparato per una cosa del genere, non sapeva come affrontarla, come essere un padre per un adolescente che per gran parte della sua vita lo aveva conosciuto solo come un cantante famoso.
Eve annuì.
<< Credo sia un tuo diritto. Ti chiedo solo di...aspettare che sia io a parlargli prima, non sarà facile per lui e voglio che si senta pronto.>>
<< Certo, sono d'accordo.>> 
Quello di certo era un momento importante nella vita di tutti e tre, avrebbero dovuto trovare un modo per far funzionare la cosa e non mandare tutto a puttane, il che era facile a dirsi e apparentemente impossibile a farsi.
<< Sarà meglio che ora facciamo quest'intervista prima che qualcuno pensi che ti ho ucciso qui dentro.>> scherzò la donna riuscendo a spezzare la tensione e farlo ridacchiare.
Uscirono dall'ufficio e da quel momento in poi furono solo Eve Laine che intervista i Panic! At the Disco, riuscendo a dare una parvenza di professionalità e distacco emotivo all'incontro e all'intervista.



(ndA - Sono pienamente consapevole che all'inizio questa doveva essere solo una OneShot, ma per qualche motivo nella mia testa continuano a susseguirsi idee, quindi ho deciso di renderla una fan fiction. Ammetto di aver scoperto i Panic! At the Disco solo da qualche settimana, cioè sapevo perfettamente chi erano ma non li avevo mai ascoltati, quindi perdonate se non sono super infomata su di loro, per questo ho messo OOC come avvertimento. Spero che questo secondo capitolo vi piaccia e soprattutto che lasciate tanti commenti, sono curiosa delle vostre opinioni. Grazie. Faith.)

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