I Have Been All Things Unholy

di Stray_Ashes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tattoos ***
Capitolo 2: *** Healed ***
Capitolo 3: *** It Wasn't Anyone ***
Capitolo 4: *** Needles ***
Capitolo 5: *** A Hot Priest ***
Capitolo 6: *** Trying to Feel Good ***
Capitolo 7: *** St. Francis of Assisi ***
Capitolo 8: *** Motherfucker ***
Capitolo 9: *** Saving People ***
Capitolo 10: *** It's Not a Sin ***
Capitolo 11: *** Feet, Feet are Next ***
Capitolo 12: *** Sacrifice ***
Capitolo 13: *** Cut It Off ***
Capitolo 14: *** I Hand't Thought About That ***
Capitolo 15: *** Never Happened ***
Capitolo 16: *** The Seven Last Words of Jesus Christ ***



Capitolo 1
*** Tattoos ***


Riassunto: 

«Lui pensa che io abbia delle stigmate*» disse Frank, perché tanto, dannazione, le cose non potevano peggiorare ancora di più. Aveva bisogno di liberarsi da quel peso.
«Oh, beh...» rispose Brian, il viso fra le mani. «Naturalmente»
 
*Le stigmate sono tipicamente le piaghe nelle mani, nei piedi e nel costato di Gesù Cristo, provocate dai traumi subiti durante la sua passione; per successiva estensione, indicano lesioni corporali che in particolari soggetti offrono una riproduzione, temporanea o permanente, completa o parziale, delle piaghe di Cristo. In ulteriore traslato, con la parola "stigmate" si indicano i segni fisici, o psichici, o sociali, lasciati in individui o collettività da eventi avversi di varia natura.
Source: Wikipedia




Allora. Molto bene...

Questa è la prima parte della serie Unholyverse, vero e proprio capolavoro di Bexless. L'autrice ha dato la possibilità a tutti di traduzione, quindi, tecnicamente, ho il permesso.
Ho personalmente amato questa storia, e avevo voglia di allenarmi con l'inglese, quindi... perché no? E' una serie parecchio lunga, ma spero di riuscire a starci dietro abbastanza a lungo c:
Uhm... beh, come accennato nella descrizione, ci sono tematiche di religione, esorcismo e demoni, quindi se per voi sono argomenti delicati, non leggete.. ma andiamo, merita talmente tanto che dovreste lo stesso quindi leggete.

Che altro dire? Accetto ben volentieri critiche sulla traduzione e consigli, è il mio primo esperimento serio. Ma spero di fare comunque un buon lavoro. Ci si vede!

_Stray Ashes_



1. Tattoos
 
If God can work through me, He can work through anyone
- St. Francis of Assisi
 
"Se Dio può agire attraverso di me, Egli può agire attraverso chiunque"
- San Francesco d'Assisi. 

«Sai qual’è il punto? » disse Frank, osservando Luke preparare l’ago. «Il punto, è che Dio mi odia»

«Dio ti ha dato un’intossicazione alimentare? »

Frank scrollò le spalle, sentendo il cuoio rovinato della sedia grattargli la pelle da sotto la maglietta. «Perché no? »

Luke avvicinò il proprio sgabello a Frank, e si spostò la sigaretta da un lato all’altro della bocca senza nemmeno toccarla: uno strano, molto pratico movimento che gli increspò il mento coperto di ispida barbetta grigia. «Magari invece ha cose più importanti a cui pensare che maledire le tue budella, ci hai mai pensato? »

«Ha cose più importanti a cui pensare che prendersi cura della mia fottuta vita, questo è certo»

L’intossicazione alimentare, come Frank aveva già spiegato a Luke, era stata solo l’inizio di tutto. Se non avesse avuto quell’intossicazione, non avrebbe dovuto prendersi del tempo fuori dal lavoro, e non avrebbe ricevuto quei due messaggi da Brian, dove esprimeva il suo disappunto sul fatto che Frank non avesse preso quel discorso delle assenze seriamente; e lui stesso non si sarebbe costretto a tornare al lavoro troppo presto, e avrebbe quindi evitato di scappare via per vomitare nel bel mezzo dell’operazione in cui faceva un piercing allo scroto di Darren Haywood, e gli avvocati di Darren Haywood non avrebbero spedito una simpatica lettera a Brian, in cui venivano bellamente schiaffeggiati da una fottuta querela e messi sotto processo, poiché lo scroto di Darren Haywood aveva, apparentemente, cominciato a perdere pus, facendo infezione.

«Voglio dire, mi ero lavato le mani, cazzo» continuò Frank, guardando Luke disinfettargli il dorso della mano con l’alcool. «Non gli stavo mica facendo un piercing alle palle con la lingua, capisci...?»

Luke annuì. Della cenere finì sul pavimento, e un po’ rimase intrappolata nei capelli lunghi e sporchi dell’uomo. «Ti sento, fratello»

«In ogni caso, oggi ho quasi perso la pazienza, a lavoro» Luke girò il fascio di luce della lampada verso la sedia, e Frank fu costretto e chiudere gli occhi. Sentì la mano di Luke coprire la sua per un secondo, in un bizzarro, intimo gesto che parve piuttosto strano e confortevole allo stesso tempo. «Brian si stava occupando ancora del mio caso, ma io amo fottutamente quel posto, ci metto il mio cuore e la mia anima in quel lavoro, e invece lui ancora crede abbia finto tutto per non lavorare, il bastardo, che lo sapeva quanto facesse schifo il mio sistema immunitario quando mia ha assunto. E quindi non so cosa diamine voglia che io faccia»

Luke canticchiò qualcosa a bocca chiusa, e Frank sentii la punta umida della macchinetta cominciare a tracciare il tatuaggio sulle sue nocche.
«Quindi dimmi,» disse Luke, mentre disegnava. «Se sei già nel mestiere, che cazzo ci fai qui a farti fare un tatuaggio da uno sconosciuto? I tuoi colleghi non si arrabbieranno venendo a sapere che sei andato a cercare fuori dalla vostra combriccola? »

Frank ci aveva pensato, a questo, quando si era ritrovato davanti al negozio di Luke, fissando la vetrina, con già la famigliare sensazione del dolore e dell’ago sulla propria pelle. Bob odiava quando i suoi clienti andavano da altri tatuatori, Frank lo sapeva, e questa decisione non avrebbe di certo aiutato la sua campagna “Bob Insegnami a Fare i Tatuaggi”, che a grandi linee consisteva soltanto in sé stesso che assillava Bob per convincerlo ad insegnargli, e in Bob che puntualmente rifiutava. Tutta la questione gli avrebbe solo fatto guadagnare una predica da parte di Bob su come non capisse il santo rapporto tra artista e cliente, Frank ne era certo, ma quel giorno era appena riuscito a tornarsene a casa, ancora seccato dalla lavata di capo da parte di Brian, e dall’ennesimo rifiuto di Bob, e lì aveva trovato la porta di casa propria sfondata, la sua chitarra e la sua tv sparite, e, peggio fra tutto, Ella era scomparsa e probabilmente finita morta sotto a qualche autobus.

Luke strine gli occhi. «Ella?»

«Il mio cane» chiarì Frank, «Insomma, sono andata a cercarla e mi è sembrato di vederla, così ho lasciato la macchina dietro l’angolo e mi sono infilato in questo fottuto vicoletto, sai, quel tipo di vicolo cieco che si vede in Tv, con i cassonetti e probabilmente un cadavere nascosto sotto i sacchi della spazzatura, no?» Frank si mosse sulla sedia.

«Non muoverti» lo ammonì Luke, la macchinetta che ancora si muoveva sulla sua mano.

«Scusa,» disse Frank. «Comunque, non c‘era nessun cane, non so che cazzo avessi visto, ma quando sono tornato indietro, mi stavano rimorchiando via la macchina, così ho dovuto camminare senza neanche conoscere il quartiere, e allora mi sono ritrovato qui fuori, ed ho pensato... non so. I tatuaggi mi fanno sentire meglio.»

Non era del tutto vero, in realtà. Frank si era trascinato a fatica lungo la strada con il suo inutile colletto bagnato tirato su fino al mento, la mente costantemente occupata dal disappunto di Brian e dal pensiero di Ella, probabilmente morta sotto a una gran varietà di veicoli diversi, e in più la lettera ricevuta dall’assistenza medica, in cui gli spiegavano perché non erano in grado di aiutarlo, di nuovo. Poi, continuava a pensare all’offerta di sua madre, che lo invitava a tornare a casa da lei finché non si fosse rimesso del tutto, e poi all’improvviso aveva visto le parole, definite e sfavillanti di ronzante neon, proprio come uno squallido segnale dal cielo: TATTOO.

E lei era lì, nella vetrina, su un pezzo di carta ingiallita appesa in un angolo, sommersa da tutti i simboli celtici e tutte le diavolette sexy della vetrina, con quel viso bianco e le morbide piume così diverse da qualunque cosa Frank avesse mai visto; e lui aveva pesato, “io ti conosco”, e aveva sentito uno strattone nella pancia, come un amo da pesca incastrato appena sotto l’ombelico, tirare verso la superficie. Quindi, si era ritrovato ad attraversare la porta del negozio prima ancora di capire cosa stesse facendo.

Ma non gli andava di dire tutto questo a Luke. Aveva già raccontato metà della propria vita a quel tizio, anche se non tutta la verità. Era stata una cosa molto strana – Frank era un chiacchierone, su questo non c’erano dubbi, ma in genere non andava in giro a raccontare le sue settimane di merda a sconosciuti mai visti prima.

Ma si era sempre sentito sicuro, nei saloni per tatuaggi. L’odore, il tagliente ed umido profumo dell’inchiostro, e il modo in cui le immagini sul muro e sul soffitto rendessero il tutto più piccolo di quanto fosse, come un piccolo buco, accogliente e confortevole per qualche ragione. E questo vecchio tizio, grigio e malandato come se fosse appena uscito da una lotta, era sbucato lentamente dal fondo del negozio con addosso una canottiera di pelle, sufficiente a mostrare tutti i tatuaggi frutto del suo lavoro, sulle braccia e sul petto. Quell’uomo aveva inoltre uno strano modo di guardarti, come se potesse vedere segreti su te stesso che neppure tu conoscevi.

«Voglio la ragazza con le ali,» gli aveva detto Frank, spostando il peso da un piede all’altro, rendendosi poi conto delle orme bagnate lasciate su tutto il pavimento del negozio. E, come se uscirsene con quella frase non fosse già stato abbastanza strano, si era ritrovato ad aggiungere, «Sono Frank. Non ho un appuntamento».

All’inizio c’era stato silenzio, in cui Frank ebbe tempo di riprendere coscienza di sé e balbettare qualcosa sul fatto di aver sbagliato strada e che gli servivano informazioni, ma poi il tizio aveva allungato la mano e detto: «Luke.  Vieni pure, fratello, vedrò che posso fare».

Tornando al presente, Frank sentiva di nuovo la mano di Luke sulla propria, questa volta passando dal gomito fino al polso. Le dita erano ruvide e il palmo caldo, e c’era uno strano odore nell’aria, come di polvere sotto una roccia bagnata, e Frank voleva aprire gli occhi, così da poter vedere il disegno fatto da Luke e assicurarsi fosse giusto, ma poi Luke disse: «Calmo, calmo, verrà meglio se resti fermo» e questa fu l’ultima cosa che udì Frank per un bel un po’.

Quando si svegliò – sì, svegliò, chi cazzo si addormenta mentre ti fanno un tatuaggio? Frank si sentiva bene, ma era stato pur sempre un ago ad avergli bucato la pelle – Luke stava sfregando uno straccio sulla mano pulsante di Frank.

«Merda,» mugugnò Frank, combattendo con la propria lingua ancora semi-addomerntata. «Davvero, scusami. Non mi era mai successo prima»
Luke rise, con una specie di cigolio roco che non sembrava uscire molto spesso dalla sua gola. «Non preoccuparti. Vuoi vedere com’è venuta?»
«Diamine, sì» Frank si tirò su, sollevando la mano. «Oh, amico, ma è bellissima»

Erano proprio le stesse ali che gli erano piaciute, quelle piume ribelli, un’ala per ogni lato della figura e due tese oltre la sua testa. Altre due ancora ritorte verso il basso, come fossero gambe – la figura era una specie di donna, pensò Frank, una donna sdraiata su un letto come prima – anzi no, dopo il sesso, tutto in mostra a parte il fatto che non ci fosse un corpo, soltanto le ali, le ali ed il viso, il quale era triste in qualche modo, nonostante non avesse neppure veri e propri lineamenti. Era triste e bellissimo.

Era proprio bella come l’aveva vista nella vetrina. Anzi, era persino meglio, adesso che apparteneva a Frank.

 

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Capitolo 2
*** Healed ***




2. Healed




«Ti sei fatto fare un tatuaggio da uno sconosciuto?» Bob stava fissando la mano di Frank come se la Vergine Maria ci fosse appena apparsa sopra, o qualcosa del genere. «Ma che cazzo, Iero, non siamo più abbastanza per te? »

Frank roteò gli occhi. «Amico, guardala, è stupenda»

«Non so... » disse Mikey, sporgendosi da oltre la spalla di Bob, e osservando la mano di Frank lì dove Bob aveva sciolto la garza. «E' abbastanza inquietante, non credi?»

«Decisamente inquietante» confermò Ray, da dietro l'altra spalla di Bob. «E da quando ti piacciono le donne, in ogni caso?»

«Fottiti, non hai capelli da tagliere...?» Frank ritrasse la mano, cullandosela sul petto, e riavvolgendo gentilmente il viso della ragazza con la garza. «E' fantastica.»

«Ho l'impressione di averla già vista da qualche parte» disse Mikey, toccando il polso di Frank con la punta delle vita. «Non come tatuaggio, più tipo... arte, o qualcosa del genere»

«Vedi?» Frank fissò Ray. «Arte.»

«E che diamine è quella merda che ci hai spalmato sopra?» Bob arricciò il naso. «Puzza come mia nonna»

In effetti, non era la solita pomata viscida che usava Frank - questa gliel'aveva data Luke in un barattolino senza marca, e gli aveva detto «Promettimi che la metterai tre volte al giorno, e io te la do gratis»

«E' fatta in casa» spiegò Frank a Bob.

Bob si limitò a fissarlo. «E' fatta in casa? Ma che cazzo Iero, quella roba potrebbe contenere qualunque cosa»

«Gesù, sono solo erbe!» Frank stava cominciando ad innervosirsi, ed era cosciente di star usando quel tono di voce grazie a cui in genere otteneva uno scappellotto sulla nuca da parte di Bob, ma non gli importava. Sapeva che aver accettato quella schifezza da Luke era stato parecchio strano, anzi, sapeva che tutta quanta questa storia era strana. Non aveva bisogno che tutti glielo facessero notare.

«E poi, perché vai a sprecare soldi in inchiostro quando ti hanno appena sequestrato la macchina?» Ray sbirciò da sopra i capelli del cliente, puntando le forbici in direzione di Frank attraverso il riflesso dello specchio. «Sai benissimo che devi pagare per riaverla indietro»

«Non riuscirei a permettermelo lo stesso,» replicò Frank. Brian era ancora al telefono nella stanza sul retro, ma Frank riusciva a cogliere le occhiate di disapprovazione che continuava a lanciarli. Frank si mosse dalla porta verso la propria postazione di lavoro, sperando di dare l'impressione di star facendo qualcosa di utile. «Sai che per ogni giorno in cui l'auto resta lì, ti addebitano sessanta dollari extra? Dimenticalo, amico, la mia macchina è andata. Riesco a malapena a permettermi di mangiare, questo mese”

«Puoi chiedere un prestito a Brian fino al giorno dello stipendio» suggerì Ray. Frank lo guardò storto, e Ray sospirò. «Sì, lo so... »

«Dovresti accusarlo di discriminazione» commentò Bob. «Non è colpa tua se sei debole come una violetta afflosciata»

«Amico, chiudi quella cazzo di bocca» Frank scosse la testa, ma sorrise, nonostante tutto. «Comunque, sai che c'è? C'est la vie. Hey, pensi di insegnarmi a usare quel coso, oggi?»

Bob si passò l'ago da una mano all'altra, pensieroso. «Forse domani»

«"Domani" non arriva mai... » sospirò Frank, cercando comunque di non sembrare troppo imbronciato, ben consapevole che Bob lo stava solo stuccando. La cosa andava avanti solo da pochi mesi - se avesse continuato ad insistere, prima o poi Bob avrebbe dovuto dargliela vinta. Era solo una questione di tempo. «Ok, amico, posso aspettare»

Ray lo fissò. «Seriamente? Ti sei messo del Ritalin* nei cereali, stamattina? Che è successo a "Se Bob non mi insegna a tatuare immediatamente adesso, muoio
«La tua lingua delle due in punto è qui» esclamò poi Mikey.

Mikey aveva questo assurdo e strano potere, non si annotava mai niente, ma sapeva sempre come e quando ciascuno di loro aveva un appuntamento. Frank fece un gesto incoraggiante alla ragazza nervosa ferma sulla porta, insieme a due amiche divertite. Probabilmente sarebbe stata ancora più agitata, se solo avesse saputo che Frank era accusato di aver infettato le palle a un tizio.

La ragazza parlò parecchio, e sarebbe stato tutto ok se solo Frank non avesse dovuto farle un piercing proprio alla lingua; inoltre, le amiche continuavano ad intervenire rumorosamente, tanto che Frank fu costretto a spedirle di nuovo nella stanza principale.

La sua mano pulsava costantemente mentre lavorava, ma niente fuori dall'ordinario, così Frank prese a guardarsi il tatuaggio nuovo di zecca, sentendosi... realizzato, calmo, proprio come si era sentito appena uscito dal negozio di Luke la sera prima. Le cose, all'improvviso, non era più sembrate così tragiche - il suo cane sarebbe stato trovato prima o poi, avrebbe potuto fare dei volantini appena finito il turno di lavoro; ultimamente, non aveva più avuto molto tempo di suonare la chitarra, la TV era una cazzata e neppure le ennesime accuse sibilanti di Brian - questa volta riferite al nuovo tatuaggio di Frank, lì dove tutti i clienti potevano vedere le garze - sembravano così terribili.

Alla ragazza-lingua non sembrava importare molto in ogni caso, mentre agitava felicemente i piedi dalla sua postazione all'estremità della panca imbottita. Fissò Frank mentre lui le diceva di prendere un profondo respiro, e poi buttare fuori l'aria mentre infilava l'ago. Si comportò bene, non tentò di agitarsi o ritrarre indietro la lingua quando Frank prese ad avvitare la pallina, così, ad operazione terminata, se ne andò soddisfatta insieme alle amiche.

Più tardi, Frank consumò il pranzo insieme a Mikey e i due ebbero un'intensa sessione di gossip e pettegolezzi sulla ragazza che aveva ballato sopra al tavolo del club in cui erano stati il fine settimana precedente, senza uno straccio di mutanda sotto quell'indumento che pretendeva di essere una gonna, quindi quando Frank arrivò a casa, poteva dire di sentirsi abbastanza bene.

Aveva tutta una suo routine domestica, nei giorni in cui Mikey non lo trascinava fuori con sé in questo posto o in quell'altro, magari uno di quelli aperti da poco. In genere, arrivava a casa, dava da mangiare ad Ella, dava da mangiare a sé stesso, portava a spasso Ella, chiamava sua madre, suonava la chitarra/guardava la tv/si masturbava, andava a dormire. Però, ora non aveva più una chitarra, né una Tv, né una Ella.

Si sedette sul bordo del letto per un lungo minuto, fissando lo spazio vuoto in cui la sua cagnolina avrebbe dovuto essere: i suoi piccoli artigli che schioccavano sul pavimento di piastrelle, il suo naso bagnato che premeva contro la sua mano, i suoi impazienti, sbuffanti commenti per ogni movimento che si azzardava a fare, che fosse pisciare o accendere una sigaretta, senza averle prima dato da mangiare.

L'aveva salvata e accolta soltanto un paio di mesi prima... e sentì una fitta a cuore.

Decidendo di mettersi in azione in qualche modo - creò una volantino con l'immagine della sciocca ed inebetita faccetta del suo cane, insieme alla frase "PER FAVORE, TORNA A CASA :( " e vari dettagli sotto, e camminò per almeno sei milioni di isolati per raggiungere "Kinko" e farlo fotocopiare. Tornando indietro prese ad affiggere i volantini su ogni semaforo, albero o pezzo vuoto di muro che riuscisse a trovare, e in questo tempo, sulla via del ritorno, i polsi presero stranamente a dolergli, probabilmente per via dell'aria fredda, dell'umidità, e del modo in cui stava facendo troppa pressione sulla mano buona, nel tentativo di proteggere quella neo-inchiostrata.
Frank non ci stette a pensare più di tanto, eppure, svegliandosi il giorno dopo, si rese conto che erano ancora infiammati, e facevano male.

Si controllò la mano grattandosi il polso da sotto il getto caldo della doccia - il lavoro di Luke era ancora bellissimo, pensò, intricato, ardito e con linee ben marcate. Era un qualcosa che Frank non aveva mai visto prima. Si vestì e si mise la pomata datagli da Luke, spalmandola con attenzione sulle linee leggermente rialzate. La pelle era un pochino più arrossata da come era in genere dopo un tatuaggio, notò, ma ciò nonostante dava l'impressione di poter cicatrizzarsi in fretta.

La pomata sembrò riuscire ad alleviare le pulsazioni che sentiva nella mano, anestetizzandola o rinfrescandola o qualunque cosa fosse, e dopo un minuto di riflessione , Frank se la spalmò anche sul polso. Era persino meglio dell'Advil che aveva preso poco prima di fare la doccia.

Appena arrivato a lavoro, Bob lo afferrò e lo spinse immediatamente in un angolo. «Non fare casini oggi, «D'accordo” disse Frank, scrollandosi via di dosso la giacca. «Buongiorno anche a te.»

«Dico sul serio” Bob si guardò brevemente alle spalle - Frank non aveva idea del perché, nessuno era in giro a parte Mikey, che non stava ascoltando, ma solo rileggendo l'articolo di una rivista al telefono con qualcuno. «Guarda, io non volevo dirti niente, ma non mi lasci scelta, scappando via in quel modo per farti inchiostrare da un fottuto sconosciuto»

«Che cosa stai dicendo?»

«Voglio insegnarti a tatuare a fine mese” rispose Bob.

Frank gli colpì la spalla. «Non prendermi in giro, figlio di puttana»

«Non ti prendo in giro,» Bob alzò gli occhi al cielo. «Ma Brian pensa che tu sia del tutto inaffidabile, quindi, ti sta tenendo d'occhio.»

«Davvero vuoi insegnarmi?» Frank afferrò la mano a Bob, stritolandogliela con la propria, quella buona. «Amico, oh mio Dio, ma è fantastico

Bob roteò nuovamente gli occhi, ma questa volta in un modo compiaciuto. «Sì, beh, ma non farmi sembrare un idiota, okay? Ho dovuto raccontare a Brian di tutta la tua passione e determinazione o quello che è, perché è un fottutissimo impegno. Non rendermi un bugiardo.»

«Non ti deluderò” promise Frank. Aspettò che Bob si voltasse per poi avvinghiarsi immediatamente alle sue spalle, tirandosi su per mollargli un bacio sull'orecchio. «Sei il migliore, Bob Bryar.»

Bob grugnì e si limitò a scrollarselo di dosso.

Frank roteò su sè stesso e poi danzò fino da Mikey, per condividere la bella notizia.

«Anche io,» disse Mikey, sollevando un dito davanti a Frank per tenerlo indietro. Rise parlando al telefono e aggiunse, «D'accordo, non vedo l'ora di vederti. Anche tu. Ciau.»

Il ragazzo riattaccò e si voltò verso di Frank. «Beh» disse. Ciò che intendeva era "beh?", ma non sempre le frasi venivano fuori corrette, con Mikey.

«Chi era al telefono?» domando Frank, ma poi decise che non gli importava. “Amico, Bob ha detto che comincerà ad insegnarmi!»

«Lo so» replicò Mikey, strisciando fuori dal bancone ed avanzando in linea retta fino alla macchinetta per il caffè.

«Sai già sempre tutto,» si lamentò Frank, seguendolo. Mikey armeggiò con la macchinetta mentre Frank saltellava dietro di lui. «Andiamo, non ignorarmi, dannazione!»

Mikey scosse la testa e si girò, infilando la testa dietro di lui per controllare il bancone. «So soltanto che dovrai tenerti pulito persino il naso. Brian è piuttosto incazzato praticamente tutto il tempo. E la questione degli avvocati di certo non aiuta.»

Frank sollevò le mani. «Oh, ma che cazzo - Mikey, quel tatuaggio era una fottuta opera d'arte, okay? Lo stronzo ha a malapena sanguinato, ho disinfettato tutto subito come sempre, non c'è motivo per cui dovrebbe essere colpa mia.»

Mikey annuì lentamente. «E sei proprio sicuro di non aver--»

«Sono sicuro,” lo interruppe velocemente Frank, per poi parlare con pi calma. «Sono sicuro, non l'ho minimamente ferito. Cosa sono, un novellino qui? Avrò fatto un piercing ad almeno un centinaio di testicoli, so cosa cazzo sto facendo. Potrei farlo anche alle tue anche adesso, con gli occhi chiusi.»

Mikey fece una smorfia. «Per favore, non tentare.»

Frank fu impegnato tutta la mattina - orecchie dopo nasi dopo sopracciglia e dopo ancora orecchie, noioso da far schifo, e all'ora di pranzo i polsi lo stavano praticamente uccidendo. Era nella stanza sul retro intendo intento a prendersi una manciata di Tylenol, quando Brian entrò.

«No,» disse Brian, fissando la bottiglietta che Frank stringeva in mano. «No, ti prego non dirmi che stai male di nuovo.»

«No, è solo un po' di mal di testa» mentì Frank. Bevve le pillole insieme a dell'aranciata, per poi inscenare un gran sorriso a Brian. «Come sta andando la giornata?»

«Sarebbe andata meglio se non avessi buttato via la mattinata a parlare con un avvocato.» Brian buttò la sua roba sul tavolo e si lasciò cadere sulla prima sedia dietro di lui. Si fregò il viso con le mani per poi guardare Frank, le dita che ancora massaggiavano la pelle sotto gli occhi, facendolo apparire ancor più stanco e stressato. «Frank, devo chiedertelo...»

«No, Brian.» Frank si sedette sulla sedia di fronte a lui. Tentò parlare senza stringere i denti, ma non poté evitare di stringere i pugni da dentro le tasche della felpa. «Non sono decisamente da incolpare per le palle esplose di Darren Haywood. Non era colpa mia la prima volta che l'hai chiesto, e non lo è adesso.»

Brian si strofinò la fronte, poi il naso ed il mento. Passando sulla barba sfatta, creò un suono ruvido nell'ufficio silenzioso. «Vuole che ti licenzi.»

Frank non disse niente. I polsi pulsavano di nuovo, e così sciolse i pugni.

Brian aggiunse: «Ti accusa di aver lesionato la parte interna.»

Frank piegò le mani, cercando di grattarsi discretamente i polsi. «Oh, ma per l'amor del cielo...»

«Lesionare la parte interna dello scroto comporta seri rischi, Frank,» continuò Brian. «L'infezione può arrivare fino allo stomaco, i testicoli potrebbero necrotizzarsi-- »

«Puoi farti castrare oppure aspettare di morire» terminò Frank al posto suo. «Pensi che non lo sappia? Brian, gliel'ho detto. Gliel'ho detto che c'erano dei rischi, gli ho fatto firmare quei fottuti documenti, gli ho dato quelle fottute istruzioni post-operatorie che tu ami tanto e non ho lesionato la parte interna

Brian ricambiò intensamente lo sguardo di Frank, dall’altra parte del tavolo. Frank capì che presto si sarebbe spinto in avanti per, probabilmente, cominciare a urlare. Prese un gran respiro, nel tentativo di prepararsi.

Alla fine, invece, Brian disse: «Okay.»

Frank sollevò le sopracciglia. «Cosa?»

«Okay,» ripeté Brian. «Ti credo. Farò in modo che tu possa parlare con gli avvocati così da preparare una dichiarazione, io e gli altri ragazzi testimonieremo a tuo favore, e Frank – è importante, non devi avere in alcun modo contatti con Darren Haywood, okay?»

«Aw, ma dovevamo passare il finesettimana insieme a Vermont!» Frank fece roteare gli occhi. «Cristo, se mai dovessi rivedere quel tizio e le sue parti basse, sarebbe comunque troppo presto, purtroppo»

«Dico sul serio, Frank,» lo zittì Brian, con voce tagliente. «Non parlargli, non cercarlo, non intrattenerlo se ti cerca lui, non guardarlo nemmeno. Ci siamo chiariti?»
«Temo che questo rovini i miei piani di fargli vedere come davvero ci si sente, ad avere le palle rovinate» borbottò Frank, per poi fare un salto di almeno nove metri da terra quando Brian sbatté i pugni sul tavolo.

«Dannazione Frank!» urlò, ma proprio urlò, come se Frank fosse stato una specie di bambinetto. «Questo fottuto negozio è la mia vita, lo capisci? E potrebbero portarmelo via! Ci possono sbattere fuori tutti! Ci hai mai pensato? Hai mai pensato a qualcuno al di fuori di te stesso per un secondo??»

«I-Io-- »

«Cosa ne sarebbe di me, di Ray e di Bob? E soprattutto di Mikey?» inveì Brian, lasciandosi ormai coinvolgere del tutto. «Pensi davvero che qualcun altro potrebbe mai assumerlo lasciando si sieda in giro attaccato a quel telefono tutto il giorno? Pensi davvero che qualcun altro capirebbe che è praticamente, fottutamente magico o qualunque cazzo di cosa faccia per riuscire a convincere la gente ad attraversare questa porta? Vuoi vedere anche lui perdere il suo lavoro...?»

«Mi dispiace» mormorò Frank, sbigottito.

«Non essere dispiaciuto, sii migliore» insistette Brian. «Hai praticamente un record, e io non ti ho mai visto sbagliare con quell’ago – è questa, l’unica cosa che uscirà fuori in tribunale davanti alla corte. Verrai a lavoro tutti i giorni, ti terrai pulito, aiuterai le vecchiette ad attraversare la strada, non uscirà rumore dal tuo appartamento, ti farai un taglio militare se necessario, e sarai un fottuto cittadino modello, mi hai capito?!»

Frank sbatté le palpebre. «Sì, Brian.»

«Bene.» Ora che si era liberato di tutte quelle urla represse, Brian sembrò lentamente sgonfiarsi. «Ho sempre tempo per te, Frank, lo sai. Andiamo, non mi piace fare il capo brutto e cattivo...»

«Lo so» disse Frank. E lo sapeva davvero. Lui e Brian erano stati molto legati, prima di cominciare a lavorare insieme.
«Ma rendi tutto molto difficile a volte» continuò Brian.

«Lo so» ripeté Frank. I polsi lo stavano facendo diventare pazzo, con quello strano, pulsante dolore che gli lanciava tante piccole fitte dal dorso delle mani. Ignorò tutto e disse, «Mi dispiace davvero, Brian. Farò del mio meglio.»

Brian lo guardò stancamente. «Ti urlo addosso parecchio, huh?»

Frank scrollò le spalle. «Credo di meritarmelo.»

«’Fanculo» Brian scrollò a sua volta le spalle, guardando verso il soffitto, per poi mormorare qualcosa che Frank non capì. «D’accordo, torna pure a lavoro.»

«Okay,» rispose Frank. Si alzò e camminò verso la porta, per poi voltarsi nuovamente. «Brian – grazie, amico. Per aiutarmi sempre. Significa molto per me»

Brian fece quella che sembrò quasi una risata. «Sì, beh, combina un altro casino e rovino le tue di palle, altro che Darren Haywood.»

Frank sgattaiolò nella sua stanza e si sedette sullo sgabello nell’angolo, cercando di non apparire troppo abbattuto e carico di sensi di colpa. Passò giusto la frazione di un secondo, prima che Ray si fermasse ansiosamente sulla soglia. «Che c’è?» disse Frank.

«Non parlava sul serio per il taglio militare, vero?» disse Ray, quasi preoccupato. Entrò nella stanza e allungò una mano per toccare i capelli di Frank. «Perché secondo me non hai la struttura corporea adatta a quel taglio.»

Frank rise, spingendolo via. «Fottiti, io ho la struttura corporea di un Dio.»

Ray sogghignò, lo tirò in piedi e lo spinse nel salone principale. «Andiamo, hai proprio bisogno di una spuntatina. Ho ancora qualche minuto prima del prossimo cliente, giusto Mikey?»

Mikey girò un'altra pagina di Cosmo Girl. «Quindici.»

«Perfetto» Ray fece sedere Frank sulla sedia, per poi tirare fuori con uno schiocco e uno svolazzo una mantella. «Come fanno i tuoi capelli a crescere così in fretta, me lo spieghi, Iero? Te li lavi col fertilizzante?»

Era sempre stato rilassante, il lavoro che Ray sapeva fare sui suoi tuoi capelli. Mikey arrivava in negozio sempre in anticipo per farsi mettere il gel, piastrare, agghindare e viziare. E, sinceramente, Frank amava Toro, ma amava decisamente di più il letto. Ray era molto bravo, comunque, avrebbe anche potuto lavorare per quei costosi saloni della città senza problemi, ma diceva sempre di non essere interessato nel fare gli stessi tre tagli tutto il giorno, e comunque, pare che le ragazze lì dentro lo spaventassero.

«Voglio dire, ma perché sono arancioni?» disse adesso, quando Frank gli ricordò delle sue opportunità. «Non è normale. E poi provano a convincerti con quei merdosi prodotto moderni, quindi no, grazie»

Ray aveva con i prodotti per capelli lo stesso rapporto che Frank aveva con il cibo – meno prodotti animali possibili, e più “schifezze della Terra”. Lui usava solamente la sua gamma personale di prodotti creati da sé stesso, che portavano tutti nomi di canzoni degli Iron Maiden: i ragazzi ci andavano pazzi proprio per questo motivo, e quindi Brian stava cercando di farli certificare per poterli vendere liberamente nel negozio.

Ray smise di tagliuzzare sulla nuca di Frank e si alzò, calciando da un lato lo sgabello girevole. «Hai ancora intenzione di lasciarli crescere?» domandò, spingendo il pedale alla base della sedia di Frank per farlo stare più in alto.

«Non so» Frank guardò il proprio riflesso nello specchio, pensandoci. Dietro sé stesso scorgeva Mikey fissare fuori dalla finestra, ignorando bellamente il telefono del negozio che squillava. Non riusciva a vedere Bob, ma sentiva il rumore dell’ago per i tatuaggi. «Forse»

«Ok, a patto che quei dread rimangano una cosa del passato» disse Ray, quasi minacciosamente. Si ritrasse un po’, inclinando la testa di Frank da una parte e dall’altra con la punta delle dita. «Hey, che hai alle mani, amico?»

«Cosa..?»

Ray indicò verso il basso. «O ti fanno male, o ti è presa una crisi epilettica alle dita»

Frank abbassò lo sguardo a sua volta e realizzando di starsi di nuovo sfregando i polsi, facendoli muovere ritmicamente la mantella con quel movimento. «Oh» disse, e sghignazzò. «Già, i polsi mi stanno torturando, non so nemmeno perché»

«Vuoi un massaggio?» si offrì Ray, con simpatia. L’anno precedente, Brian l’aveva convinto a seguire un corso di massaggi indiani, e adesso pensava di essere un maestro.

Frank scosse la testa. «No, amico, grazie ma no»

«D’accordo» Ray mise giù le forbici e frugò nel cesto vicino alla sedia. «Questo è nuovo,» disse, mostrandogli un barattolo di quello che a Frank sembrò stucco. «Lo chiamerò “Charlotte the Harlot*”»

Frank chiuse gli occhi, lasciando che Ray gli spalmasse questo “Charlotte the Harlot” tra i capelli. «Caspita, ha un odore stupendo Ray»

«Lo so, sai?» Ray passò le dita tra i corti capelli delle tempie di Frank e il ciuffo sulla fronte, intrecciandoli ed incasinandoli in quel modo che Frank non era mai riuscito ad imitare da solo, nonostante avesse provato a fare esattamente come Ray. «Sicuramente meglio di quella schifezza che ti metti sul tatuaggio. Sono del tutto contrario a prodotti sintetici, Frank, ma se volevi qualcosa di naturale, avresti potuto venire da me.»

«Lo so,» rispose Frank, senza riuscire ad incrociare il suo sguardo. «Semplicemente non ci ho pensato»

Ray stava giusto togliendo la mantellina a Frank quando Mikey cacciò uno strillo acuto, lanciandosi oltre il balcone e fuggendo fuori dalla porta.
«Che diamine...» disse Bob, sollevando lo sguardo.

Mikey ritornò un minuto dopo, avvinghiato ad un ragazzo dai capelli scuri avvolto in un lungo cappotto nero e qualcosa tipo nove sciarpe. «Bastardo,» diceva Mikey, la bocca appiccicata alla guancia del tizio. «Non provare mai più a lasciarmi solo così a lungo.»

Il ragazzo rise ed abbracciò Mikey ancor più strettamente. «Mi sei mancato anche tu.»

I due rimasero lì, ad abbracciarsi e ridacchiare per almeno un centinaio di anni. Frank sollevò le sopracciglia in direzione di Ray attraverso lo specchio, ma il ragazzo era già voltato a scambiare sguardi allibiti con Bob. Alla fine Brian, che era appena sbucato dalla stanza sul retro, si schiarì la voce e disse: «Mikey, mi piace pensare di poter essere abbastanza, uh, tranquillo, riguardo al tuo lavoro, ma credo sia meglio che questo genere di cose resti confinato -- »

«Oh,» fece Mikey, disincantandosi finalmente. «Gee, questo è il mio capo, Brian, e loro sono Bob, Ray, e Frank» disse, indicando ciascuno di loro mentre li menzionava, per poi riallacciare le braccia al collo del giovane. «Ragazzi, questo è il mio fratello maggiore, Gerard.»

«Ciao» disse Gerard, agitando timidamente una mano.

«Io non mi appendo a mio fratello in quel modo...» mormorò Ray nell’orecchio a Frank, alzandosi dalla sedia.

«Ma davvero...» si trovò d’accordo Frank, anche se in effetti non aveva alcun fratello. Si impegnò comunque di mostrare a Gerard uno dei suoi migliori sorrisi, e allungò una mano. «Ehy, amico, piacere di conoscerti. Mikey non ci ha mai detto niente su di te»

Gerard sorrise a sua volta e sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma si bloccò e afferrò la mano a Frank.

E, con un del tutto improvviso benessere, il dolore scomparve dai suoi polsi. Fu talmente inaspettato, che non ebbe neppure il tempo di sussultare.
Gerard girò la mano a Frank, per ispezionarne il dorso. «Tatuaggio interessante.»

«Grazie!» esclamò Frank, lanciando uno sguardo a Ray che valeva come un “vedi?” Brian e Bob alzarono gli occhi al cielo. «Me lo sono fatto fare solo un paio di giorni fa.»

«Sai che cos’è..?»

«Uhm...» balbettò Frank. Le mani di Gerard erano calde, e più esse toccavano la pelle di Frank, meno lui sentiva i polsi dolere. Ed era – insomma, non poteva essere reale, pensò Frank, probabilmente era solo un trucco della sua mente, o un effetto dell’attrazione sessuale che lo stava distraendo, o qualcosa del genere. Gerard era davvero carino, dopotutto. «Un angelo?» tentò infine.

«E’ un serafino,» disse Gerard, sollevando lo sguardo su Frank da sotto i ciuffi di capelli scuri. «Uno dei serafini, almeno, il più alto e nobile gruppo di angeli»

«Ero sicuro di averla già vista da qualche parte,» disse Mikey. «Gee, vieni, ti faccio fare un giro»

«Okay» rispose Gerard. Si raddrizzò, aspettò un secondo ancora, poi fece: «Uh.»

«Oh!» Frank scattò e lasciò la sua mano – maledizione – e si ritrasse, ridendo. «Scusa»

«Non fa nulla» lo rassicurò Gerard, sorridendo di nuovo.

Frank sentì uno sbalzo nello stomaco, e il dolore tornò a pulsare nei suoi polsi.

Mikey strascinò il fratello dall’altro lato del negozio, e Ray spostò lo sguardo sulla mano di Frank, aggrottando le sopracciglia.

«Amico, questo è davvero strano.» Ray guardò Bob e disse: «Ehy, vieni un attimo a vedere»

«Cosa?» Frank abbassò gli occhi a sua volta. «Oh.»

«E’ guarita.» commentò Bob, tenendo su la mano di Frank, ispezionandola. «E’ – come diamine può essere guarita?»

«Non può esserlo,» disse Frank. «Cioè, l’ho appena fatto fare, non – non può essere. Non aveva neanche ancora cicatrizzato.»

Bob sfregò il palmo contro il tatuaggio, accigliandosi. «Che cazzo è quella roba che ci metti sopra, Frank?»

Frank scosse la testa, cercando di non ritrarsi e sussultare ogni qualvolta che Bob gli rigirava la mano, sopra e sotto. «Non lo so. Ma non era guarita stamattina»
Bob sollevò le sopracciglia.

«Non lo era!» insisté. Frank tolse la mano e se la nascose dietro la schiena, come se questo rendesse il tutto meno strano. «Magari ha usato un ago speciale, non lo so!»

«Un ago speciale.. » ripeté Ray in tono piatto. Frank gli alzò il dito medio della mano libera.

Bob, intanto, era ancora accigliato. «Tutto questo è troppo strano.»

«A essere strano è un tatuatore senza inchiostro,» ribatté Frank. «Tu stesso sei uno scherzo della natura, Bryar, non andare in giro a giudicare»

Ritornò nella propria stanza da lavoro, vagamente consapevole del fatto che il fratello di Mikey se ne stesse andando, ma Frank era troppo occupato a fissarsi la mano, per riuscire a salutare.

Non poteva essere già guarita, fisicamente, non poteva.
Ma lo era.
 
 
 
 
*Ritalin: una specie di narcotico.
*Charlotte the Harlot, ossia "Charlotte la Prostituta. E' una canzone degli Iron Maiden.

.:Angolo della Traduttrice:.
Ho amato questa storia leggendo. La sto amando traducendo. E, oh, finalmente sono riuscita ad introdurre Gerard, perché la prima volta io stessa non vedevo l'ora che comparisse. Lo apprezzo molto come personaggio (cioé che poi lo apprezzo sempre, in quasi qualuqnue ff, ma... aw, dettagli)
Spero che la traduzione vada bene, non ho avuto molto tempo di rileggere, e spero che la storia vi stia prendendo.. perché andandoa avanti, merita sempre di più.  Eno, non sto cercando di comprarvi con paroline cacciate a caso.
Ci si vede al prossimo capitolo, bye!
_StrayAshes_

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Capitolo 3
*** It Wasn't Anyone ***





3. It Wasn't Anyone




Il giorno dopo, il dolore divenne incontrollabile. Anche dopo ripetute applicazioni della pomata di Luke, la situazione non cambiava, e Frank fu costretto a disdire il suo ultimo appuntamento quando uno spasmo gli fece quasi bucare il cranio a un tizio, durante la routine quotidiana.

«Cristo,» grugnì Frank, incurvato su una sedia nella stanza sul retro, entrambe le mani premute contro il petto. «Cazzo, cazzo, ma che cazzo mi sta succedendo adesso?»

Brian era in piedi in angolo della stanza, fissando Frank con le braccia incrociate e le labbra arricciate come se avesse appena mangiato un cesto pieno di limoni. «Mi stai prendendo per il culo, Frank, vero?»

Frank aprì la bocca, con l'intenzione di mandare Brian a fanculo, ma una nuova ondata di dolore lo investì partendo dai polsi, e tutto quello che gli uscì fu un gemito.

«Non credo stia fingendo, Brian.» Ray era accovacciato vicino alla sedia, sfregando un ginocchia a Frank con la mano. «Credo abbia bisogno di un dottore»

Frank sollevò la testa e l'appoggio allo schienale della sedia. «Amico, non li reggo i luoghi di pubblica sanità»

Brian si accigliò. «Perché non puoi semplicemente-- »

«Gli hanno di nuovo negato il Medicaid (* n/t: assistenza medica finanziata dallo Stato per i meno abbienti) » disse piano Bob, appoggiato in un angolo.

Brian, che da sempre tentava di offrire loro tutte le comodità possibili, ma senza sapere come permettersele, lasciò scemare via la rabbia dal viso, sostituendola con senso di colpa. «Oh»

Frank chiuse gli occhi e si concentrò sul ritmo del respiro, evitando di rigettare a causa del dolore. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

«Posso portarti io» si offrì Bob.

***

Alla fine, invece, venne Mikey e Bob li lasciò andare - si era offerto di cancellare l'appuntamento del pomeriggio, ma l'altro ragazzo gli aveva ricordato che quel cliente sarebbe partito per l'Africa settimana prossima, e che quindi non poteva disdire.

«Hai bisogno di qualcosa?» domandò Mikey a Frank, una volta aver riempito i moduli per lui, mentre aspettavano nella fila infinita tra ubriachi e straccioni in pessime condizioni di salute.

«Tuo fratello,» rispose Frank, senza pensare affatto, e poi desiderò mordersi la lingua. Che cazzo aveva intenzione di dire adesso, “perché tuo fratello ha mani con fottuti poteri magici e se i polsi non smettono di farmi male collasserò piangendo”?'

Mikey, tuttavia, non sembrò neppure molto sorpreso. Si limitò a sospirare: «Amico, aspetta, c'è una cosa che devi sapere su Gerard. Lui è-- »

«Gesù Cristo!» disse una voce, e Frank sollevò lo sguardo per trovare un viso fin troppo familiare intento a fissarlo con un'espressione esasperata. «Frank, che cazzo, pensavo fossimo d'accordo che non avrei più dovuto rivedere la tua faccia per almeno un mese»

Frank sorrise debolmente. «Salve, Dottor Durning»

Durning roteò gli occhi e gesticolò verso Frank. «Vieni, coglione, vediamo di fare in fretta. Ci sono anche altre persone in questo posto che hanno bisogno di cure, sai?»

«Mi sei mancato, che posso dirti?» Frank attese che Mikey raccogliesse la loro roba, poi seguì Durning in una delle stanze dell’ospedale.

Durning disse a Frank di sdraiarsi sul lettino, poi si mise un paio di guanti. «Cosa c’è ‘sta volta, gli alieni fra le tue ossa o i troll delle caverne nello stomaco?»

«Uh,» Frank lanciò un’occhiata a Mikey, ma lui sembrò soltanto incuriosito. «Niente di tutto ciò, in realtà. E’ che – mi fanno male i polsi»

Durning spostò lo sgabello così da essere di fronte a Frank, e accese la luce sopra le loro teste. «Male del tipo ”Maratona di seghe” o del tipo “droidi che rubano calcio dalle tue ossa”?»

«Droidi con delle bombe» ribatté Frank. Strinse i denti e spostò lo sguardo quando il dottor Durning gli prese le mano e gentilmente gli fece distendere il braccio. «Ha cominciato due giorni fa»

«Qualche trauma che tu sappia? Ti sei mica buttato giù da un palazzo?»

Frank roteò gli occhi, per poi sibilare, quando Duning premette il pollice contro una delle sue vene. «Figlio di puttana, è successo solo una volta, okay, smettila di – cazzo, fa male – ripeterlo»

«Si è fatto un nuovo tatuaggio sulla mano» intervenne Mikey, ignorando l’occhiataccia che gli lanciò Frank. «E continua a metterci su questa strana schifezza»
Durning diede a Frank un’intensa occhiata, poi si voltò di nuovo verso Mikey. «L’hai portata?»

«Certo» Mikey la tirò fuori dallo zaino di Frank e la passò al dottore. «Tra l’altro, gli è scappato il cane, gli sono entrati i ladri in casa e potrebbe aver fatto letteralmente cadere le palle a un tizio»

«Mikey!» strillò Frank. «Ti ammazzo di botte!»

Mikey rimase imperturbabile. «Lo stress può manifestarsi in modi strani» disse, con aria consapevole.

Durning annusò la pomata, facendo una smorfia. «Puzza come mia nonna.»

«Ha detto la stessa cosa anche Bob» gli disse Mikey.

Durning agitò il barattolino verso di Frank. «Chi te l’ha data?»

«E’ solo per il tatuaggio,» disse Frank, contorcendo nervosamente le dita con il bisogno di riprendersi il barattolino. «L’ha fatta il tizio che mi tatuato»

«Conoscevi questo tizio?» chiese Durning a Mikey.

«Nessuno lo conosceva,» Mikey scosse la testa. «Bob ci ha dato matto»

«Chi è Bob?»

«Il nostro tatuatore» Mikey scoccò a Frank uno sguardo quasi ferito. «Non dovremmo andare da nessun altro tatuatore, figurarsi da uno sconosciuto»

«Frank,» Durning scosse la testa. «Hai il sistema immunitario di un muffin al mirtillo, davvero, è già abbastanza stupido riempirti di schifo la pelle, il naso e Dio solo sa cos’altro, e adesso ti spalmi addosso anche un miscuglio fatto da un tizio che neppure conosci?»

«Sono solo erbe» disse Frank, stringendo i denti.

«Non sai che cosa sia» Durning prese una specie di cotton fioc, immergendolo nella sostanza, per poi gettare il piccolo arnese in un contenitore sterile. «Vedo se riesco a farmi fare un favore dal laboratorio, per analizzarlo. Le piante possono essere molto pericolose, Frank»

Frank roteò nuovamente gli occhi. «Non ho bisogni di un botanico, dottore, ma di dei cazzo di antidolorifici.»

«I tuoi polsi non sono neppure gonfi» disse Durning, alzandosi e levandosi i guantini. «Prova con impacchi caldi o freddi, riposo e movimento, e del Tylenol (n/t: paracetamolo)»

«Il Tylenol non fa un cazzo,» disse Frank, scendendo dal lettino. «Mi serve qualcosa di più forte, tipo Vicodin, qualcosa del genere, Oxy-- »

«OxyContin?» Durning incrociò le braccia sul petto. «Pensi davvero che ti prescriverei del fottuto OxyContin solo perché mi fai gli occhi dolci? Lavoro qui da quattordici anni, Frank, non sono uno stupido novellino.»

«E io non sono un fottuto tossico!» scattò su Frank. «Non riesco a lavorare in queste condizioni, andiamo»

Durning scrollò le spalle. «Il tuo amico ha detto che potresti solo essere sotto stress, perché non ti prendi qualche giorno di risposo?»

«Perderei il mio lavoro!» esclamò Frank bloccando la porta, quando Durning si voltò per andarsene.  «Pensi davvero che sarei in questo buco schifoso se potessi permettermi dei giorni di riposo? Andiamo, tu mi conosci, Durning, per favore

La sua voce si ruppe sull’ultima parola e dovette abbassare lo sguardo, sentendosi accaldato e imbarazzato. La stanza rimase silenziosa, eccetto per il ronzio della lampada. Frank riusciva a scorgere le scarpe di Mikey, sul pavimento.

«Solo per due giorni» disse Durning finalmente. «E di Viodin, non Oxy. E’ tutto ciò che posso fare.»

«Grazie,» mormorò Frank, resistendo all’impulso di abbracciare Durning. «Grazie.»

«Smetti di mettere quella schifezza sui polsi,» ordinò Durning, mentre se ne andava. «E non voglio più vederti per due mesi questa volta, intesi?»

«Intesi» affermò Frank.

Mikey tenne le pillole finché non arrivarono all’appartamento di Frank, impedendogli di prenderne una prima che fosse sdraiato a letto. «Altrimenti sarebbero scomparse»

Mikey andò in bagno, poi fece una chiamata nell’altra stanza. Quando ritornò, il Vicodin stava cominciando a fare finalmente effetto, diminuendo almeno un po’ il dolore pulsante sotto la pelle di Frank. Frank aveva deciso di aspettare Mikey prima di infilarsi sotto le coperte, così si limitò a rotolargli più vicino, a pancia in giù.

Mikey gli spostò i capelli dal volto, avvolgendogli la spalla con un braccio magro. «Stai bene?»

«Non lo so» rispose Frank. Mikey sospirò a bocca chiusa, sfregandogli un po’ la schiena. «Brian urlerà parecchio»

«Non urlerà» lo rassicurò Mikey. «Bob era davvero preoccupato. Brian non urlerà.»

 «Urlerà» insisté Frank. «Mi urlerà addosso davanti a tutti, e sarà la cosa peggiore»

Mikey gli toccò la nuca. «Sei strafatto,» disse con affetto, ritirando il braccio. «E’ meglio se dormi»

«Grazie per essere rimasto,» farfugliò Frank. «Hey, che volevi dirmi a proposito di-- »

Ci fu una frazione di secondo, tra l’impatto e il dolore, come essere colpiti da qualcosa di incredibilmente pesante; il suo respiro uscì prepotentemente dai polmoni, poi l’aria tornò dolorosamente a circolare, mentre sentiva la schiena in fiamme.

«Ma che cazzo...» disse con voce strozzata, e poi non riuscì più nemmeno a parlare, perché ormai, stava urlando.

Le ondate di dolore arrivarono una dopo l’altra , senza mai lasciare abbastanza tempo perché Frank riuscisse a recuperare il respiro. A malapena riusciva a respirare, in ogni caso – c’era qualcosa dietro di lui, qualcuno, che lo teneva giù, premendogli la testa contro il materasso, poteva sentirne le dita contro la pelle. Quel dolore era qualcosa che Frank non aveva mai provato prima di allora; era qualcosa che non veniva da dentro di lui, ma gravava su di lui, pesante, tagliente e grande, colpendolo dalla spalle alle ginocchia, su e giù, ancora e ancora e ancora. Tentò di girarsi, di muoversi, di sollevarsi dalle lenzuola e spostarsi, ma c’era quella mano sulla sua testa, e il suoi polsi erano legati, ora poteva sentirla, la corda, lacerare la sua carne ogni volta che si contorceva per liberarsi.

Poteva sentire Mikey urlare il suo nome, e Frank pensò, “Merda, merda, Mikey, scappa via da qui”, ma un’altra dolorosa sferzata cadde tra la sue scapole, e sentì la propria pelle lacerarsi, con un grande, umida fitta, come tagliata profondamente da un pugnale.

E tutto questo non si fermò. Non si fermò affatto, stava sanguinando e ancora lo picchiavano,  forse fino al punto di scuoiarlo vivo. Il dolore non era come un’onda o come aveva mai letto dovesse essere, adesso era costante, andava avanti e avanti, continuava, e lui ci stava affogando in mezzo, mentre gli riempiva il naso e le orecchie e la bocca, entrandogli dentro, perché lo sentiva ovunque, e non c’era posto in cui rifugiarsi. Provò a urlare, a chiedere aiuto, a pregare perché si fermassero, ma la sua voce era soffocata dal materasso e intasata di lacrime, usciva rauca fuori dalla sua gola, dolorane per le urla, e ogni suono che riuscisse ad emettere era coperto dai rumori esterni, come se vi fossero centinaia di persone, lì a mormorare l’una con l’altra.

“Come possono restare a guardare tutto questo?” pensò, “mi odiano”, e poi un altro colpo cadde, un tagliente, disgustoso rumore sordo vicino al suo orecchio, e Frank sentì l’oscurità risalire fino a lui, entrargli dentro, nel profondo.

***

Quando si svegliò, vide il viso di Mikey, bianco come un cencio e rigato da lacrime asciutte, sporco di sangue.

«Merda,» gracchiò Frank, la gola asciutta e scorticata. «Mikey, ti hanno ferito? Ti hanno fatto del male?»

Mikey scosse piano la testa. Gli stava tenendo stretta la mano.

«Se ne sono andati?» volle sapere Frank, fissando attentamente le lenzuola rosse sotto il suo braccio. Ed erano bianche, prima.

Mikey scosse nuovamente la testa. La sua bocca era premuta in una sottile, pallida linea, come se stesso provando a non vomitare o a non scoppiare a piangere.
Frank prese alcuni profondi, lenti respiri, lottando a sua volta contro l’impulso di rigettare lì sul letto. «Mikey, chi era? Sono ancora qui? Chi era?»

«Non era nessuno,» rispose Mikey, la voce spezzata. «Non era – tu stavi urlando, ti dibattevi e poi, poi sanguinavi, e non c’era nessuno, qui»

Ci fu silenzio, per alcuni minuti. Il sangue nella vene di Frank pulsava a ritmo con il dolore palpitante che sentiva sulla schiena.

«Dovremmo chiamare un’ambulanza,» disse Mikey, alzandosi. «Dovremmo – merda, Frank, tu stai praticamente morendo dissanguato e io me ne resto seduto qui-- »

«Sto bene,» disse Frank. Mikey fece una specie di risata strozzata. «No, davvero, sto – penso di stare bene»

Era la verità. Faceva male, certo, a Frank sembrava di aver lottato contro una gigantesca grattugia per formaggio e di aver anche perso, ma non faceva male come – beh, come avrebbe dovuto. Mosse un poco le braccia e le gambe, cautamente: il movimento si ripercosse sulla schiena, ma non era insopportabile. «Mi daresti una mano ad alzarmi?»

«Non penso che dovresti muoverti» disse Mikey, ma venne verso di Frank comunque, mettendo le mani sotto le sue ascelle, aiutandolo a mettersi a sedere.

Muoversi era in effetti peggio, gli sembrò di avere la pelle tenuta insieme da ragnatele, che avrebbero potuto strapparsi e cadere se si fosse mosso nel modo sbagliato. Ma andarono piano, e Mikey lo aiutò, finché Frank non riuscì ad alzarsi dal letto, stringendo forte gli avambracci dell’altro ragazzo.

«Amico, tutto questo è incredibile» disse Mikey. «Tu sei incredibile.»

Frank ridacchiò piano, stringendo più forte la presa quando le ginocchia vacillarono sotto il suo peso. Mikey lo accompagnò fino al bagno, e il procedimento prese loro parecchio tempo ed impegno, e non era un viaggio che Frank voleva ripetere di nuovo. Si aggrappò al lavandino, provando a regolare il respiro. «Riesci a dare un’occhiata?»

Frank si preparò al peggio quando Mikey cominciò a sfilargli la maglietta, tirandogliela su fino alla testa, mormorando scuse ogni volta che Frank sibilava e trasaliva.

Allargò la cintura dei pantaloni di Frank, per poi abbassare anche quelli, facendogli sollevare i piedi per toglierli del tutto. Frank intravide un tagliuzzato, umido lembo di stoffa e chiuse gli occhi, ingoiando per tenere giù la nausea e l’acido che sentiva in gola. «Beh?»

Mikey non disse nulla per un secondo. Frank sentii i suoi polpastrelli freddi seguire la linea delle spalle, poi giù lungo la colonna vertebrale, un tocco attento sulla coscia. Poi disse, «Non stai sanguinando»

 «Come?» Frank tentò di girare la testa per guardare, ma si bloccò quando la pelle tirò  dolorosamente, sgridandolo. «Mikey, c’è sangue ovunque»

«Lo so,» disse brevemente Mikey. «E sei ridotto a un disastro, amico, sei – sei un casino, ma non stai sanguinando. Voglio dire, non più»

Frank appoggiò la fronte allo specchio sopra il lavandino. «Tutto questo è un casino»

«Anche quello,» disse l’altro, con apprensione.

Mikey lo aiutò ad entrare nella doccia, per poi entrare a sua volta, ancora in maglietta e boxer. Frank si aggrappò a lui e piegò la testa sotto il getto d’acqua, che pizzicò dolosamente sulla sua pelle, sicché dovette premere la faccia contro la spalla ossuta di Mikey e concentrarsi sul ritmo del proprio respiro.

Divenne una specie di Zen, dopo un po’, se si concentrava sui piedi dell’amico ammollo nell’acqua, e non sul liquido color ruggine che spariva nello scarico. Mikey inizialmente tenne il getto fresco, per poi far scaldare l’acqua piano piano. «Fammi dare ancora un’occhiata,» disse, girando Frank perché si appoggiasse al muro.

Frank ci si accosciò contro, premendo il viso in fiamme contro le piastrelle fredde. «Davvero c’è rimasta ancora della pelle a cui dare un’occhiata?»

«Sì, amico, è davvero strano» Mikey premette il palmo della mano contro la sua nuca. «Non ci crederei se non avessi – è già praticamente guarita»

«Non mi sembra affatto fottutamente guarita,» disse Frank, incredulo. Poi gli venne un orribile pensiero: «Oh, dannazione, come sono conciati i tatuaggi?»

Ci fu silenzio.

«Fanculo,» mormorò Frank, sbattendo la fronte contro la parete con un tonfo.

«Bhe, almeno stai mantenendo il tuo senso della prospettiva» disse Mikey, secco, uscendo dalla doccia. Si tolse le calze, ovviamente bagnate. «Non muoverti, prendo un asciugamano»

«Non quello giallo, pizzica» esclamò Frank, alle sue spalle. Si sentiva abbastanza in forze per muoversi da solo, quindi camminò cautamente sul pavimento, piazzandosi nuovamente davanti al lavandino. «Mikey, riesci a portarmi lo specchio che c’è di là?»

Mikey ritornò con lo specchio richiesto e due asciugamani rosa. «Amico,» disse dubbiosamente, quando vide dove stava Frank. «Non sono sicuro che dovresti –»
«Voglio vedere,» lo interruppe Frank. «Tienilo su»

Mikey esitò per un secondo, poi roteò gli occhi e tenne su lo specchio davanti a Frank, così che potesse vedere il proprio riflesso in quello sopra il lavandino.
«Oh,» disse Frank. «Oh, merda.»

Non era male come si sarebbe aspettato – in realtà, non sapeva neanche che aspettarsi, ma si era sentito come se lo avessero scorticato fin all’osso, quindi lo spiazzò vedere solo segni così sottili, la pelle grossomodo ricucita da lunghe, pallide cicatrici, ognuna lievemente rialzata e arrossata ai lati, come se qualcuno le avesse colorate con dell’ombretto rosso. Il suo “Keep the Faith” era illeggibile, la zucca sembrava essere stata distrutta con un seghetto (no, con una fottuta frusta, rise una malvagia, isterica voce nella sua mente) e le cicatrici simili a graffi scendevano lungo il suo corpo, oltre il sedere e le cosce, fino all’ultimo segno, nella piega del ginocchio.

Ma non stava sanguinando. Le ferite non erano aperte. Erano davvero praticamente guarite.

«Come è successo al tuo tatuaggio,» disse piano Mikey, mettendo giù lo specchio e porgendo un asciugamano a Frank, perché se lo legasse in vita. «Il tatuaggio sulla mano»

In quel momento Frank si rese conto che il dolore nei suoi polsi era del tutto svanito.

***

La camera da letto era un macello. Le lenzuola erano rovinate, macchiate di uno sporco, profondo colore rosso-arancio, e altro sangue era colato sul pavimento e schizzato sul muro.

«Come puoi non essere morto?» mormorò Mikey, per poi chiudere velocemente la bocca quando Frank sollevò le sopracciglia. «Non intendevo – è solo che ce n’è così tanto,come, bhe...»

«Come se qualcuno fosse morto dissanguato,» puntualizzò per lui Frank. Si sentì esausto tutt’a  un tratto, troppo stanco per pensare a cosa fosse accaduto, al dolore, a come si era sentito, alla sensazione di essere odiato, la consapevolezza che nessuno l’avrebbe mai aiutato. «Ho bisogno di dormire.»

«Il tizio dell’appartamento qui affianco è venuto qui, prima» disse Mikey, avvicinandosi al guardaroba di Frank ed aprendolo. «Ti ha sentito urlare. Gli ho detto che stavamo guardando un film.»

Frank lasciò cadere l’asciugamano e permise che Mikey lo aiutasse a mettersi dei pantaloni di tuta e una maglietta morbida, che in genere usava solo per dormire. «Un fottuto film...»

«Già.» Mikey vagò per la stanza, facendo su altri vestiti da infilare nella sacca di Frank. Si levò la maglia fradicia e indossò uno dei jeans di Frank, che gli stavano parecchio larghi ed anche ridicolmente corti, poi si rimise la propria felpa. «Andiamo, puoi dormire a casa mia.»

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Capitolo 4
*** Needles ***





4. Needles




Lavorare il giorno dopo fu un inferno. La schiena non fece più male del dovuto, insomma, non più di un tatuaggio nuovo, ma c'era una ragione se non ci si tatuava dalle spalle alle ginocchia tutto in un volta. Frank era consapevole di muoversi in modo bizzarro, ma ignorò le occhiate interrogative di Ray e Bob, tenendo invece la testa bassa.

«Non dovresti essere qui» gli sussurrò nell'orecchio Mikey, a un certo punto.

«E cosa avrei dovuto dire?» Frank s'infilò un paio di guatini di plastica nuovi. «Scusa Brian, non riesco a venire oggi, ieri notte sono stato attaccato e frustato da un sadico invisibile..?»

«Ti coprirei le spalle» Mikey scrollò le spalle.

Frank storse la bocca e scosse la testa. «Lo apprezzo davvero, amico, ma-- »

«Frank!» Brian apparve dal nulla, sorridendo. «Sei qui!»

Frank evitò il contatto con gli occhi di Mikey. «Sono qui.»

«Come vanno i polsi?»

«Bene, non fanno più male,» disse Frank, e non era neanche una bugia.

«Fantastico!» Brian gli sorrise raggiante e gli lasciò una pacca sulla spalla mentre si dirigeva nella stanza sul retro.

Frank si morse fin troppo forte la lingua, tanto da sentire il sapore del sangue, nel tentativo di non scoppiare a piangere per via della botta.

«Merda» Mikey corse fino alla sacca di Frank, frugandoci in mezzo finché non trovò il Vicodin. «Ecco,» disse, tirando fuori una pillola. «Andiamo, è meglio se la prendi»

Frank l'ingoiò senza bisogno di acqua e si appoggiò pesantemente a Mikey per un minuto. «Grande, adesso lavorerò con la faccia da drogato»

«Sempre meglio che dimenarsi in agonia» constatò Mikey.

«Che cazzo succede?» sussurrò Ray, avvicinandosi furtivamente. «Diamine Frankie, stai bene?»

Frank scosse la testa. «Non è niente.»

«Col cavolo che non è niente, sei verde.» Ray incrociò le braccia e rivolse un'occhiata intensa a Mikey. «Che ha che non va?»

«Niente» ripeté a sua volta Mikey, spostando gli occhi con fare evasivo. Il telefono del negozio squillò e il ragazzo balzò praticamente via per rispondere in fretta.

«Okay,» disse Ray, osservandolo. «Ora sono sicuro che qualcosa non va. Mikey non rispondeva a quel telefono da almeno due mesi.» Ray si voltò per fronteggiare di nuovo Frank, aggrottando ansiosamente la fronte. «Che è successo in quella clinica?»

«Ray, dimenticatene.» Frank uscì dal salone principale e fece un cenno al ragazzino con la cresta in attesa, intento a leggere "Casa e Giardino". «Ehy, amico, vuoi venire?»

Ray fece un passo indietro per lasciar passare il ragazzo. «Sai, molte persone raccontano sempre tutto al loro parrucchiere»

Frank roteò gli occhi.

«Ti portiamo a fare un giro fuori, finito di lavorare» disse poi Ray, avvicinandosi all'uscio. «Io, Bob e Mikey. Per prenderci una sbronza, okay?»

Frank rispose con fervore. «Davvero, davvero okay», e poi tornò agli affari, praticando un foro nel labbro del ragazzino con la cresta da moicano.
 
***
 
Il club in cui andarono era rumoroso e scuro, e Frank aveva già bevuto abbastanza al bar da non rendersi conto che le sue scarpe erano costantemente strascicate sul pavimento. Ma non gli importava. Aveva gli amici migliori del mondo e la sua schiena non faceva neanche più male, e avvolto in quella nebbiolina dovuta all'alcool e la musica alta, tutta quella storia della frusta sembrò solo un brutto sogno.

«Uscire con voi è come essere in Goodfellas*» urlò nell'orecchio a Mikey, per sovrastare la musica, dopo che il ragazzo aveva stretto complicate strette di mano con il portiere, il quali li aveva lasciati entrare gratis. «Sai, quella parte in cui Ray Liotta dice di essere ancora in costruzione.»

«Non dovresti neppure essere qui» urlò Mikey di rimando. «E se ricominci a sanguinare sotto la maglia, o se quella... quella cosa che è accaduta ieri notte ricapita?»

Frank lo zittì con un gesto incurante della mano. Era bello uscire di nuovo fuori, ballare, ridere e fare cose normali, o almeno le cose che avrebbero dovuto esserlo, senza preoccuparsi di infezioni intime, polsi ridotti a uno schifo, e arrabbiati, violenti fantasmi. Frank ballò insieme ad una ragazza con un fiore dipinto da un lato del viso, e un ragazzo con dei canini finti, che Frank ritenne stupidi tanto quanto in qualche modo attraenti. Poi, dopo alcuni drink sospettosamente blu, si ritrovò direttamente sul fottuto podio con una delle ballerine del posto, dimostrandosi un completo idiota, ma ciò nonostante, si divertì davvero, per una volta.

«Il tuo amico è una gran ballerino» disse la ragazza a Mikey, quando si presero una pausa nei pressi del bar. «Non l'hai mai portato qui prima, Mikey, questo mi rende triste...»

«Hai uno strano accento» ridacchiò Frank, la testa sulla spalla della ragazza.

Lei gli accarezzò i capelli. «E tu avrai una sbornia da smaltire domani.»

Mikey fissava Frank negli occhi. «Frank, penso tu abbia bevuto abbastanza.»

«Nooooooo.» Frank si sollevò dritto, per poi cadere in avanti contro il bar. «Vuoi solo tenere tutto il divertimento per te, Mikeyway»

«Ti sei già consumato tutto quel Vicodin,» gli ricordò Mikey. «Bob mi prenderà a calci se ti lascio bere fino a crepare»

Frank gli fece un gesto vago con il polso. «Come vuoi - stai uccidendo il divertimento. Sei un fun-vampiro. Un funpiro*. »

«Funpiro,» ripeté la ragazza, scoppiando a ridere. Mikey teneva il braccio attorno alla sua vita.

«Hey,» disse Frank, avvicinandosi in modo che lo sentisse. «Perché non hai portato anche tuo fratello stasera?»

«Non è proprio il suo ambiente...» rispose Mikey. Pareva parecchio a disagio, pensò Frank, ma probabilmente era solo dovuto al fatto che la ragazza gli aveva infilato la mano nei pantaloni così, davanti a tutti.

«Tuo fratello è fico,» disse Frank, buttando giù l'ultima goccia del suo drink. «Tuo fratello - Mikey, ti ho mai detto come mi sento quando mi tocca...?»

Ma Mikey non stava ascoltando. Mikey stava facendo una piccola "esplorazione" di pantaloni a sua volta. Fottuto Mikey. Questo ragazzo sembrava fare più sesso di chiunque altro Frank conoscesse, e non sembrava nemmeno provarci.

«Vado in bagno.» disse Frank al nulla, e barcollò via in quella che pensò dovesse essere la direzione giusta.

Quando dovette tenere almeno un occhio aperto per vedere dove stesse pisciando, realizzò che Mikey aveva probabilmente ragione sulla storia dell'alcool. Frank recuperò un bicchiere lasciato lì da qualcuno e lo riempì d'acqua per pulirlo. Lo riempì fino all'orlo per altre due volte, per poi buttarsi dell'acqua in faccia e avvicinarsi notevolmente al lavandino, fissando il proprio riflesso nello specchio.

«Sei ubriaco,» disse a sé stesso. Il tizio impegnato dietro di lui gli lanciò un'occhiata strana. Frank lo ignorò. «Sei ubriaco, e dovresti tornartene a casa.»

Tuttavia, non poteva andare a casa, non aveva abbastanza soldi per un taxi e neanche sapeva come uscire da quel posto, e inoltre, ricordò che la propria camera da letto era ricoperta di sangue: l'agghiacciante consapevolezza riportò Frank alla sobrietà, più di qualunque quantità di acqua.

Sgattaiolò fuori dal bagno, e stava risalendo lo stretto corridoio verso la stanza principale del club, quando una mano spuntò dal niente afferrando la sua maglia, per poi sbatterlo oltre una porta che prima non aveva neppure visto. Si ritrovò fuori, in un vicoletto.

«Che cazzo?» disse Frank. Il lampione sopra la sua testa proiettava uno stretto cerchio di luce attorno a lui - e non riusciva a vedere nulla, al di fuori di esso. «Che cazzo significa tutto questo?»

«Gran belle mosse, Iero» disse una voce che Frank non riconobbe. Riuscì a scorgere delle figure muoversi nell'oscurità di fronte a lui. «Ti ho visto ballare. E' un peccato che tu non sia così sciolto anche lavorando.»

«Cosa..?» Frank provò a spostarsi via dal muro dietro di lui, ma una delle figure si fece avanti, rivelandosi uno skinhead dall'aspetto minaccioso, che spinse di nuovo Frank contro la parete. Frank emise un grido strozzato – indossava una semplice T-shirt, e i mattoni sporgenti gli raschiarono contro le ferite della schiena. «Figlio di puttana, lasciami andare, o ti rovino la faccia»

Lo skinhead sogghignò. «Come hai rovinato le palle al mio amico, giusto?»

Frank lo fissò, mentre tutta la situazione prendeva senso quando altri due tizi sbucarono dall’oscurità alle sue spalle. «Oh, spero tu mi stia prendendo in giro»
«Per niente.» disse lo skinhead, caricando il pugno.

Frank era ubriaco, ferito e, onestamente, era una schifezza nei corpo a corpo, ma almeno era piccolo e veloce, e si abbassò giusto in tempo per evitare il colpo, che si abbatté invece contro il muro. Il tizio urlò rabbiosamente, girando su sé stesso – i due compagni afferrarono Frank, uno per braccio, sollevandolo praticamente dal suolo.

Bravo cittadino, bravo cittadino, ricordò a sé stesso, frettolosamente. Che cosa cazzo avrebbe dovuto fare adesso, per accontentare Brian?

«Ragazzi, capisco che siete furiosi,» esclamò ad alta voce, cercando di suonare ragionevole e sicuro di sé, anziché terrorizzato come in realtà era. «Okay, ma fare del male a me non aiuterà il caso di Darren, per niente.»

«Non ce ne importa niente del suo caso» disse uno dei tizi che lo tenevano fermo. «A noi importa fare giustizia»

«Giustizia? Che – ah, cazzo!» gridò nuovamente Frank quando lo spinsero violentemente contro il muro, tenendocelo premuto. Erano parecchio più forti di lui – Frank combatté e lottò, ma riusciva a malapena a muoversi: gli tornò il flashback della notte precedente, quando si era ritrovato schiacciato e indifeso nelle mani di qualcuno che non aveva pietà. «Andiamo, tutto questo è stupido, gli avvocati--»

Il dorso della mano dello skinhead si abbatté sul suo viso con un rumore simile a quello di una frusta, e la testa di Frank quasi sparì tra le sue stesse spalle.

«Sta zitto, coglione» lo ammonì lo skinhead. «Gli avvocati si prenderanno i tuoi soldi,» sorrise, con un’espressione bizzarramente dolce su quella faccia da schiaffi.

Estrasse qualcosa dalla tasca – “cazzo,” pensò Frank, “che cos’era? Una pistola, o un preservativo, non è che sta per stuprarmi oh Gesù Cristo” – e lo skinhead gli si avvicinò di più. «...e non ci prenderemo le tue palle.»

La cosa che teneva in mano era un coltellino svizzero.

Fanculo all’essere il “bravo cittadino”. Fanculo tutto.

«Giuro su Dio, se provi anche solo ad alzare un dito su di me, strappo a morsi le tue, di palle» sputò fuori Frank, dimenandosi e calciando con tutta la forza che aveva.
«Tienilo fermo.» ordinò lo skinhead, e gli si stava giusto avvicinando, quando tutto il mondo divenne bianco, e Frank sentì la testa inondata di dolore cieco.

Era vagamente cosciente del proprio corpo che si arcuava e contorceva, delle mani che finalmente lo lasciarono, di sé stesso che cadeva pesantemente al suolo. Tutto ciò che sentiva, infatti, era il dolore, le taglienti fitte di dolore che lo attraversarono fin sotto la pelle del cranio.

Qualcosa di pesante lo colpì alla schiena e gli aghi – sì, erano aghi, realizzò Frank, che conosceva bene la sensazione di punte taglienti nella carne – gli circondarono la testa, ferendolo profondamente. Frank si prese la testa fra le mani cercando di levarseli di dosso, mandarli via, ma qualcuno – i tizi nel vicolo, che cosa gli stavano facendo? – gli afferrò i polsi tenendoglieli giù, e quel qualcosa di pesante lo colpì nuovamente, mentre gli aghi scendevano più in profondità nella sua pelle, contro il cranio: poteva sentirli scattare e affondare dentro di sé, sotto la cute.

Qualcosa di caldo, caldo e umido, gli colò sul viso – “sangue”, pensò confusamente Frank, “sanguino di nuovo” – fino a sfiorargli la bocca spalancata. C’erano di nuovo quei rumori, la folla che mormorava, ma questa volta c’erano anche risa, e qualcuno gridava dei nomi. Non parlavano inglese, non riusciva a capire cosa dicessero e provò anche a spiegarlo, dirgli che non poteva capire perché fossero tutti così arrabbiati, ma in ogni caso di sentiva dispiaciuto, voleva solo che smettessero. A un tratto qualcuno lo scosse, facendolo alzare, abbracciandolo e reggendolo, dicendo il suo nome, ancora e ancora, come una nenia.

«Frankie, Frankie, andiamo, svegliati!»

Frank aprì gli le palpebre, mandando via il sangue dagli occhi, per poi guardare stranito il viso di Mikey. «Cosa?», disse, la voce impastata.

Oltre la spalla di Mikey notò del movimento, e Frank realizzò fossero Bob e Ray e alcuni tizi che non riconobbe, probabilmente membri della sicurezza, mentre i ragazzi che l’avevano attaccato erano a terra.

«No,» tentò di dire, ma dovette piegare da un lato la testa e tossire fuori del sangue, prima di poter continuare. «Non fategli del male»

«Cosa!?» Bob lo fissò come se fosse pazzo. «Frankie, tu--»

«E’ per il caso,» disse Frank, lasciando che la propria testa ciondolasse di nuovo, senza forze. Mikey lo abbracciò stretto. «Brian ha detto che devo restare pulito.»

«Fanculo a Brian!» Bob aveva il ginocchio premuto contro la schiena dello skinhead, tenendo le braccia di quest’ultimo incrociate all’indietro. «Sembri la carcassa di un animale investito, Frank, che hanno provato a fare, staccarti la faccia e usarla come maschera?»

«Non siamo stati noi» esclamò lo skinhead, per poi gridare quando Bob gli torse i polsi.

«Taci» gli disse Bob, tetro. «O ti pesto a sangue su questo fottuto pavimento»

«Non siamo stati noi,» ripeté uno degli altri ragazzi, e uno dei tizi della sicurezza gli strinse la giacca con mano ferma. Il ragazzo sembrava terrorizzato. «Voglio dire, noistavamo per--»

«Chiudi quella fottuta bocca!» lo ammonì lo skinhead, prima che Bob lo facesse urlare di nuovo.

«Ma poi ha cominciato a gridare e sanguinare da solo, e non lo so,» continuò comunque il ragazzo, guardando il terzo del gruppo per conferma, indovinò Frank, ma questi era talmente tanto terrorizzato da non riuscire a fare altro che ondeggiare avanti e indietro. «Ma non siamo stati noi, giuro su Dio!»

Ray spostò lo sguardo su Frank. «Frank? Sono stati loro?»

Frank sollevò il proprio su uno di quelli della sicurezza. «Avete delle telecamere qui fuori?»

L’uomo scosse la testa.

«Sì,» rispose alla fine Frank, sputando altro sangue fuori dalle labbra. «Sì, sono stati loro.»

«Fottuto bugiardo!» prese a urlare lo skinhead, e poi cominciarono a gridare tutti, la sicurezza che abbaiavano nei loro walkie-talkie, Ray e Bob che discutevano su cose a proposito della polizia e della pubblica sicurezza.

Frank si aggrappò alla giacca di Mikey. Il ragazzo gli toccò la fronte appiccicosa, e Frank vide le sue dita allontanarsi sporche di sangue.

«Sono stati loro?» domandò Mikey, cautamente, passando il pollice sotto l’occhio di Frank.

Frank non disse nulla.

«Merda.»

 






 
*Godfellas: si tratta di un film del 1990, diretto da Martin Scorsese.

*Funpiro: in originale era “funnpire” Gioco di parole tra “Fun(=divertimento) e Vampire(=vampiro)
 

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Capitolo 5
*** A Hot Priest ***




5. A Hot Priest






«Continuo a non capire perché diavolo non vuoi denunciarli,» disse Ray, che si era offerto di dare a Frank un passaggio da casa di Mikey fino al suo appartamento, il mattino dopo. «Avrebbero potuto ucciderti»

«Ma non l’hanno fatto» rispose Frank, guardando fuori dal finestrino. Riusciva a vedere il proprio riflesso pallido nello specchietto retrovisore, distorto dall’angolazione del vetro. Le ferite sulla sua fronte risaltavano, rosse e crudeli – si tirò in avanti i capelli per coprirle. «Tra l’altro, temo che a Brian verrà un attacco di cuore»

Ray sbatté le mani sul volante, facendo sobbalzare Frank. «E’ un fottuto casino. Tu vieni assalito da tre coglioni taglia-palle e devi lasciar correre perché, diamine, non suonerebbe bene in tribunale se te ne lamentassi? Nessuna giuria sulla Terra ti accuserebbe di non essere felice per un evento del genere, amico»

Frank ridacchiò sotto i baffi. «Probabilmente no»

«E allora perché non vuoi che il club avverta la polizia?» Ray fece muovere i tergicristalli. «Permetteresti che quelli se la cavino così? Non è da te»

«Sono abbastanza sicuro che Bob gli abbia rotto un braccio» gli ricordò Frank. «Ed ero ubriaco, e l’intero club mi ha visto fuori di testa su quel fottuto podio – ah,merda.» Frank sentì la testa pulsare dolorosamente all’improvviso, i postumi della sbornia e le ferite nella pelle lavorare insieme in una combinazione di perfetto ed orribile dolore.

«Devi rigettare...?» Ray si spostò in avanti abbassando il finestrino, finendo col conficcare i gomiti direttamente nelle costole a Frank. «Ti voglio un mondo di bene, amico, ma ho appena fatto rifare i sedili»

«Non sto per vomitare sui tuoi fottuti sedili,» soffiò Frank, premendosi entrambe le mani sulla fronte. Si premette la punta delle dita negli occhi, finché non vide rosso. «Cazzo, avrei dovuto tenermi del Vicodin per questo»

Ray fece un verso comprensivo. «E non hai pensato di tenerne uno per combattere l’abuso della tua fronte?»

Frank rise e poi gemette, quando il gesto peggiorò la situazione. «Ho sempre mancato di prudenza»

Ray fermò la macchina davanti al palazzo di Frank e attese che il ragazzo  recuperasse la sua roba dal sedile posteriore. «Ehy, qualche notizia di Ella?»

«Cosa?» Frank era ancora troppo distratto dall’evitare che tutta la sua roba uscisse dalla borsa aperta, mentre la sollevava oltre il poggiatesta.

«Ella,» ripeté Ray, fissando Frank come se fosse pazzo. «Il tuo cane? Quello che hai perso? Hai sparpagliato volantini in tutta la città»

«Oh.» Frank sbatté le palpebre, guardando il parabrezza. «Sai che c’è – me ne sono dimenticato.»

«Cosa? Ci stavi uscendo pazzo per quello stupido cane, Frank.»

«Lo so» Frank si sentì strano, freddo e nervoso, con una viscida orribile sensazione che si diramò lenta dallo stomaco fino agli arti, come quando dimentichi di fare i compiti, e qualcuno comincia a parlarne. «Merda. Non so che dire, amico, è che sono successe tante di quelle cose...»

«Mmmh» Ray lo guardò dubbiosamente, per poi avvicinarsi improvvisamente e spostargli i capelli dalla fronte, toccando la pelle con la punta delle dita. «Sai, non sembrano neppure essere state fatte con un coltello»

Frank rimase immobile più che poté, fissando il proprio zaino posato in grembo. Le ferite bruciavano, e se si concentrava, riusciva a sentirli ancora, gli aghi taglienti attraversarlo, la terribile sensazione delle lame sottili tagliargli la pelle e premere contro il suo cranio. Quella mattina nel bagno di Mikey si era passato le mani nei capelli, e aveva sentito le linee rialzate delle cicatrici circondargli la testa in un frastagliato, impreciso cerchio.

Ray sospirò e ritrasse la mano. «Vuoi che ti accompagni dentro?»

A Frank tornò l’immagine della propria stanza, del sangue ovunque, e deglutì. «No, amico. Grazie per il passaggio»

«Quando vuoi» rispose Ray, spostandosi verso di lui per aprirgli la portiera.  «Ci vediamo lunedì».

***
La sua camera da letto era ridotta anche peggio di quanto ricordasse. Quei due giorni avevano trasformato il sangue in un orribile colore marrone, e la puzza che l’aveva accolto non appena aperta la porta, gli aveva quasi fatto perdere i sensi per, maledizione, la quindicesima volta nel giro di due giorni.  

Mikey aveva ragione. Sembrava che qualcuno ci fosse veramente morto dissanguato.

Frank mollò a terra la borsa, prese un gran respiro, e si mise al lavoro. Per prima cosa spalancò le finestre, perché l’aria del suo quartiere sapeva di fumo, auto e hotdog, il che era infinitamente preferibile al sapore di una scena del crimine.  Le lenzuola era ridotte in stato pessimo, quindi si limitò ad afferrarne gli angoli meno insanguinati, usandoli come guanti per fare su tutto il resto in una palla, che gettò direttamente nel sacco della spazzatura. Anche il cuscino incontrò la stessa fine dentro un altro sacchetto, e li lasciò entrambi vicino alla porta.

Cazzo. Non sapeva se “arredamento inzuppato della tua stessa energia vitale” rientrasse nella Liste di oggetti adatti da lasciare nella pattumiera che il proprietario del condominio gli aveva lasciato quando si era trasferito. Avrebbe dovuto bruciarle, quindi. Era così che facevano le persone con la roba sporca di sangue, in quelle commedie del crimine ch sua madre amava tanto, come CSI New Hampshire e cose del genere.

«Che fine hanno fatto quelle coperte che ti ho comprato, tesoro?» disse a sé stesso mentre scrostava il sangue dal muro con del detersivo per i piatti. Abbassò la spugna nella bacinella piena d’acqua accanto a sé, strizzandola. «Oh, già, grazie per avermele comprate, mamma. E’ solo che c’è un fantasma fissato col sado-masochismo e cagate simili che si è dimenticato di avvertirmi, e purtroppo le coperte sono rimaste vittima dello scontro.»

Una volta che il muro fu pulito da macchie di sangue, Frank rilavò il pavimento per almeno novantasette volte, svuotando nel cesso secchio dopo secchio di acqua salmastra, finché non sentì le nocche consumate per lo sfregamento e non poté annusare nell’aria altro che detersivo al pino.

Era fermo vicino al letto, sfregandosi le mani sulla testa dolorante e domandandosi se fosse il caso di chiamare sua madre per chiederle come diavolo levare un litro di sangue da un materasso, quando qualcuno bussò alla porta.

«Merda.» Frank si controllò i vestiti alla ricerca di macchie di sangue superstiti, chiuse la camera da letto dietro di sé e andò a sbirciare dallo spioncino della porta.

Era il fratello magico di Mikey. Lo spioncino lo faceva sembrare alto tre centimetri con una testa enorme, ma era decisamente lui; indossava una giacca di pelle e ancora più sciarpe dell’ultima volta, mentre guardava ansiosamente la porta, mordendosi un’unghia.

«Merda» ripeté di nuovo Frank. Gli occhi di Gerard incontrarono i suoi, e Frank lo sapeva che non poteva davvero vederlo, lo sapeva, ma si abbassò comunque e scappò velocemente via verso il – cazzo, cazzo lo specchio era rimasto nel bagno dall’altra notte. «Solo un secondo!» urlò, raggiungendo il bagno per controllare di non avere enormi macchie di sangue sulla guancia, o qualunque altra cosa inopportuna tipo spinaci fra i denti.

Si spinse i ciuffi di capelli in avanti per nascondere la fronte, si asciugò le mani sulla maglietta – diamine, puzzava ancora di detersivo, ma non poteva fare nulla per rimediare – e ritornò alla porta.

«Okay,» disse sé stesso, e finalmente aprì.

«Ciao!» lo salutò Gerard, togliendosi le dita dalle labbra e rivolgendo a Frank lo stesso timido gesto della mano, come la prima volta che si erano incontrato. «Uh, ti ricordi di me? Sono il fratello di Mikey, ci siamo incontrati l’altro giorno nel vostro negozio, giusto?»

«Oh, già, penso di sì,» mentì Frank, appoggiandosi allo stipite della porta con finta nonchalance. «Gerard, giusto?»

Gerard si illuminò. «Esatto! Amico, nessuno se lo ricorda mai. Finiscono sempre col chiamarmi Gareth o Jeremy, per qualche assurdo motivo»

«Non hai la faccia da Jeremy» gli disse Frank.

«Lo so!» Gerard annuì con entusiasmo, continuando a sorridere. «In ogni caso, uh, ti ho portato un materasso.»

Frank sbatté ripetutamente le palpebre. «Un cosa?»

«Un materasso!» Gerard fece un passo indietro e Frank lo seguì nel corridoio. E infatti, c’era un materasso appoggiato contro il muro vicino alla sua porta. «Mikey ha detto che è successo un problema col tuo, giusto? E questo l’hanno donato alla nostra Signora proprio ieri.»

«La tua Signora?» Frank sollevò allarmato le sopracciglia. «Chi è la tua Signora?»

Gerard rise e agitò la mano. «No, no – Nostra Signora. La Nostra Signora della Pietà. E’ una chiesa a qualche isolato da qui. Hanno cose per la carità, sai, come vestiti, cibo...»

 «Materassi» Frank sogghignò.

Gerard ghignò a sua volta. «Già. Comunque, ho chiesto se potevano darmelo, e mi hanno risposto che nessun altro era interessato, allora un mio amico mi ha dato una mano per portarlo fino a qui, e, beh, eccomi qua» spiegò, sembrando incerto, infilando le mani nelle tasche. «E’ parecchio strano, vero?»

«Non se confrontato con gran parte delle cose che mi sono accadute ultimamente,» ripose Frank, scuotendo la testa. Un materasso. Il fratello bellissimo di Mikey gli aveva portato un materasso. Forse le cose stavano cominciando a migliorare.

«Nessuno ci è mai morto sopra o altro,» aggiunse Gerard ansiosamente. «Voglio dire, credo sia nuovo»

«E’ fantastico,» gli disse Frank, e lo pensava davvero. «Puoi darmi una mano a portarlo dentro?»

Gerard lo aiutò spingendo e tirando il materasso dentro l’appartamento, seguendo poi Frank dentro la camera da letto per liberarsi di quello vecchio.

«Wow,» disse, fissando le macchie. «Brutta perdita dal naso?»

«Non chiedere nemmeno» gli rispose Frank, afferrando le maniglie dalla sua parte. «Bene, tiralo verso di me e poi lo spingiamo fuori nel corridoio, okay?»

Gerard annuì. «Okay. Oh, aspetta, mi tolgo un attimo la giacca.»

«Lasciala pure sul divano,» Frank fece un cenno della testa in direzione del soggiorno. Gerard si allontanò, e Frank gli esclamò dietro: «Sai, questa è la prima volta per me»

«Di solito non accetti forniture per camere da letto da sconosciuti?» ribatté Gerard, dall’altra stanza.

«Nessuno me ne ha mai portate prima,» Frank notò una piccola macchia di sangue sul comodino e si leccò il pollice, grattandoci quindi sopra. «Una volta una ragazza mi ha regalato dei fiori, ma un ragazzo fico che mi porta letti è nuovo»

«C’è una prima volta per tutto,» disse Gerard, rientrando nella stanza.

Frank grattò per l’ultima volta la macchietta. «Già, c’è chi potrebbe considerarlo un pochino presuntuoso per un– » sollevò lo sguardo, e dimenticò completamente ciò che stava per dire. «...Prete.»

«Cosa?» fece Gerard, poi si toccò il collare intorno al collo. «Oh! Già. Mikey non te l’aveva detto?»

 «No, non l’ha fatto,» rispose piano Frank, fissando la gola a Gerard. Un prete. Un prete. E dire che Frank aveva temuto potesse essere, al massimo, etero. Fece scattare gli occhi su sul suo viso: «Oh, Dio, ti ho chiamato figo!»

Gerard annuì solennemente. «L’hai fatto.»

«Augh...» Frank si nascose la faccia fra le mani, sperando che tutto potesse... sparire, se ci avesse pensato abbastanza, ma quando sbirciò fra le proprie dita, Gerard era ancora lì. «Ti ho chiamato figo,» gemette Frank. «Sei un prete e io ti ho dato del figo.»

«E’ tutto okay,» sorrise Gerard, arrotolandosi su una delle maniche. «Onestamente mi hai appena rallegrato la giornata.»

Frank fissò il soffitto, sentendosi senza speranza. «Oh, diamine, mia madre sarebbe parecchio arrabbiata con me, e neanche sa ancora perché»

Gerard rise – aveva quella stessa risata di Mikey, pensò Frank, acuta e graffiante, sciocca e decisamente contagiosa – e si tirò su anche l’altra manica. «Dimenticatene, va tutto bene. Spostiamo questo materasso o cosa?»

Frank sapeva che non potevano abbandonare il materasso vecchio nel corridoio senza che qualcuno chiamasse la polizia, o chessò, dei giornalisti, quindi dovettero combatterci contro per portarlo fuori. Gerard era decisamente un ragazzo stupendo se se ne andava in giro a portare materassi alle persone e pregare per la loro anima immortale, ma camminando all’indietro faticava anche solo a riconoscere la destra dalla sinistra, e più di una volta Frank temette di dover spiegare a Mikey perché suo fratello fosse morto sulle scale del suo palazzo, con il collo rotto e un materasso addosso.

Finalmente riuscirono a portare il materasso giù in strada, e tra l’uno e l’altro furono anche capaci di infilarlo in uno dei cassonetti.

«Cazzo,» ansimò Gerard, passandosi le mani umide sulla maglietta. «Questi cosi sono più pesanti di quello che sembrano»

Frank rise, più per la sorpresa che per altro. «Non credo di aver mai sentito un prete imprecare prima d’ora»

«Hai mai sentito un prete parlare fuori da una messa?»

Frank dovette pensarci su, tenendo la porta aperta a Gerard mentre tornavano dentro il condominio. «Sai che c’è, non credo.»

«Beh, ecco perché» Gerard gli lanciò un sorriso divertito.

Nell’ascensore, Frank dovette impegnarsi per non fissare Gerard come un idiota. Tutti i preti che aveva visto erano grigi o calvi, con mani rugose e solidi, grossi stomaci sotto le vesti piatte e macchiate. Ma Gerard era giovane. Gerard indossava una giacca di pelle. Gerard era attraente. E Gerard era, per definizione, celibe.

Frank era la persona più sfigata del mondo, davvero.

«Vuoi un caffè?» gli chiese, non appena rientrarono dentro l’appartamento. «E’ il minimo che posso fare»

«Volentieri,» la faccia di Gerard si illuminò nel menzionare il caffè. «Hey, posso fumare qui?»

«Fai pure» Frank si allontanò in cucina e sbatté deliberatamente la fronte contro il mobile sopra il rubinetto, il che fu un errore sciocco poiché i tagli si lamentarono dolorosamente.

Gerard era ancora seduto sul divano quando Frank ritornò nel soggiorno con le tazze, fumando e osservando una foto di Mikey e Frank che quest’ultimo teneva sul tavolino da caffè. «Hey, questa quando l’avete scattata?»

«Un anno fa, forse?» Frank gli allungò una delle tazze e si sedette vicino a lui. «E’ strano che non mi abbia mai parlato di te»

Gerard afferrò la tazza con gratitudine e chiuse gli occhi prendendone un sorso. «Mmm,» disse, «Penso che, sai. Il mondo di Mikey e il mio – siamo molto legati, ma le nostre vite sono completamente diverse. Credo che trovi difficile spiegare una persona come me»

«Non avevo mai incontrato un prete prima,» gli disse Frank. «Intendo, nella via reale, non a scuola o chessò io»

«E io non ho mai incontrato nessuno che modifica così il proprio corpo» ribatté Gerard, con un piccolo sussulto.

Frank sogghignò. «Non ci hai mai pensato?»

Gerard scosse la testa con veemenza. «Ho paura degli aghi.»

«Comprensibile.» annuì Frank, prendendo un lento sorso di caffè. «Io ho paura dei chierichetti»

Gerard scoppiò a ridere, e questa volta con un risata parecchio diversa da quella di Mikey, solo un grande e rumoroso “HAHAHA” che fece quasi sputare a Frank il caffè ovunque. «Veramente non passo molto tempo a dare sermoni, sai, quindi la mia vita è abbastanza priva di chierichetti»

«Meno male,» disse Frank automaticamente, per poi sentirsi un coglione quando Gerard roteò gli occhi. «Non intendevo--»

«E’ tutto okay»

«No, non lo è» Frank si sfregò la fronte, sospirando. «E’ per questo che Mikey non parla mai di te, mh?»

Gerard fece spallucce  e sorrise, con un gesto incurante, alla “dimenticalo”, della mano. 

Frank allungò il sorso di caffè, così che per almeno qualche secondo non potesse comportarsi come un idiota, per poi osservare Gerard picchiettare la sigaretta sul posacenere giallo con lo smile di Frank.

«Non mi stai per raccontare una tragica esperienza di quando tu eri un chierichetto, vero?» disse improvvisamente Gerard, voltandosi a guardarlo.

«Cristo, no» Frank recuperò la propria sigaretta, aspirando il fumo. «Mia madre ci ha provato, ma tutto ciò che è riuscita a fare è stato trascinarmi a Messa una volta ogni tanto, figurarsi farmi volontario per servire»

«Già, svegliarsi presto la domenica mattina uccide» gli occhi di Gerard scattarono velocemente sulla fronte di Frank e poi si riabbassarono.

«Non me. Sono molto affezionato al passare quel tempo nel mio letto»

Gerard parve, per qualche motivo, sorpreso. «Non vai in Chiesa?»

«No,» Frank scosse la testa.

«Per niente?» insistette Gerard, e i suoi occhi scattarono nuovamente, come poco prima.

«No,» ripeté Frank, cercando di non suonare irritato, e fallendo, anche. «Cos’è, adesso tenterai di salvare la mia anima?»

Gerard spostò di nuovo gli occhi in quelli di Frank, con un’espressione infelice. «Ti ho offeso...»

Frank gli rivolse il suo stesso movimento incurante della mano. «Non fa nulla. Non vado in Chiesa perché non credo in Dio.»

«Oh» fece Gerard. Guardò pensosamente Frank per un minuto, poi i suoi occhi si spostarono sulla fronte di Frank per l’ennesima volta.
Frank roteò gli occhi, irritato. «Fa’ una foto, dura più a lungo»

«Che?»

«Mi stai fissando la testa.»

«Cosa?» Gerard fece una ridicola faccia alla “ma chi, io?”. Antisgamo, proprio. «Non è vero.»

Frank gli puntò un dito contro il petto. «Non dovresti dare falsa testimonianza»

«Oh, adesso la sai, la Bibbia» disse Gerard, roteando gli occhi. Frank lo fissò per un altro secondo, poi Gerard esitò visibilmente sotto il suo sguardo, lasciandosi sprofondare indietro nel divano con un sospiro. «Okay, d’accordo. Hai ragione. Devo davvero lavorare sulla discrezione.»

Frank fece cadere la cenere nel piccolo contenitore giallo. «C’è bisogno di molta discrezione nel tuo lavoro?»

«Ehy, di certo non farebbe male» Gerard si tirò di nuovo su, «Okay, lo ammetto. Mikey mi ha raccontato cosa è successo con quel materasso.» disse, serio.

«Oh.» Frank guardò il proprio grembo. Non sapeva cosa facesse più schifo – il fatto che Gerard lo pensasse pazzo, o il fatto che potesse provare a convincerlo fosse un Segno, perché Frank aveva fatto incazzare l’Onnipotente con la sua fede inesistente.  «L’ha fatto, uhu?»

«Già» Gerard rimase in silenzio per alcuni secondi, quindi fu quasi uno shock per Frank quando la sua mano gli apparve improvvisamente davanti, molto vicino e con le dita allungate. «Ha anche detto che – ti hanno picchiato ad un club»

Frank non disse nulla. Gerard non lo stava ancora toccando, ma Frank sentiva già cosa sarebbe accaduto se l’avesse fatto, sapeva già come il dolore sarebbe... diminuito, proprio come se una luce troppo luminosa venisse oscurata, o un volume troppo forte, abbassato.

Si spinse in avanti, di poco, forse di nemmeno un pollice, ma fu abbastanza e i polpastrelli di Gerard gli accarezzarono la fronte, spostando i capelli e toccando gentilmente la pelle tra le cicatrici.

Frank dovette mordersi la lingua per trattenere un rumoroso gemito di sollievo. Era come spalmare crema solare su della pelle scottata dal sole o stendersi su lenzuola fresche dopo un’intera giornata spesa in piedi. Non poté farne a meno: si spinse ancora in avanti e il palmo di Gerard si appoggiò completamente alla sua fronte per un minuto; Frank sentì l’ultimo brandello di dolore sciogliersi, e discendere giù attraverso le braccia, le mani e le dita, fino al suolo.

«Frank,» disse Gerard, e Frank realizzò di aver gli occhi chiusi solo quando dovette sforzarsi di aprirli. Gerard lo stava guardando, la fronte corrugata con apprensione. «Ti va di raccontarmi cosa è realmente accaduto?»

E Frank avrebbe davvero voluto farlo, il che sarebbe stata una stupidaggine – aveva appena conosciuto questo ragazzo, per l’amor di Dio. Forse era solo qualche residuo di fiducia per l’essere stato cresciuto cattolico, forse era per via delle mani magiche di Gerard, o quello che era, ma voleva davvero... cavolo, voleva solo confessare tutto.

Si tirò indietro, riafferrando la sigaretta, e il suo corpo protestò con una nuova ed emozionante combinazione di dolore tra polsi e testa. «Come ha detto Mikey, mi hanno picchiato»

Gerard lasciò cadere la mano. «Sei sicuro?»

«Cosa sennò, me lo sono immaginato?»

«Questi segni non sembrano essere stati fatti da qualcuno che ti ha preso a pugni» disse gentilmente Gerard. «Sembrano essere dovuti a qualcosa di molto più appuntito»

«Come un coltello» ribatté Frank, accendendosi la sigaretta. Aspirò una lunga boccata di fumo.

Gerard scrollò piano le spalle. «O un ago»

Frank trattenne il respiro.

«Hai detto di essere un piercer, giusto?» continuò Gerard, ostentando naturalezza.

Frank tossì, con la testa che pulsava a ogni spasmo dei polmoni. «Fottiti,» ringhiò con un verso soffocato, sbattendo le palpebre contro il fumo che era riuscito a farsi finire negli occhi. «Pensi davvero che me le sia fatte da solo..?»

«Non ho detto questo.»

«Grazie per il materasso,» disse Frank con decisione, alzandosi in piedi. Non sapeva esattamente perché se la stesse prendendo tanto – si sentiva tradito, in qualche modo, come se Gerard fosse venuto lì per prenderlo in giro anziché fare qualcosa per sollevargli il morale, ed era stata tutta una scusa per arrivare ad accusarlo di essersi incasinato la faccia da solo. «Probabilmente avrai qualche posto in cui essere, o che ne so, sermoni da dare»

Gerard si abbandonò ad un’espressione delusa. «Non ti stavo accusando di nulla, Frank»

«E tra l’altro, come cazzo ti è venuta l’idea di venire fino a qui? Non sai niente di me.»

Gerard abbassò lo sguardo. «Ho pensato – qualcosa in quello che mi ha detto Mikey mi ha fatto pensare che...» tentò di dire.

Frank incrociò le braccia con irritazione. «Hai pensato cosa

«Mi sbagliavo,» Gerard cominciò a riavvolgersi le sciarpe attorno al collo. «Mi dispiace.»

Merda, pensò Frank. Se prima non era del tutto sicuro di essere dannato, urlare contro un prete perché era stato gentile con lui avrebbe probabilmente sigillato la condanna. Frank lasciò che Gerard infilasse entrambe le braccia nelle maniche della giacca, prima di cedere e tornare a sedersi. «No, sono stato uno stronzo. E’ che è tutto un casino, ultimamente. Le cose non stanno... andando bene.»

Gerard fece una smorfia. «Me ne sono accorto.»

Sedettero in silenzio per alcuni minuti. La gamba di Gerard sfregò brevemente contro il ginocchio di Frank quando si spostò, e Frank la sentì di nuovo, quella sensazione di sollievo. Frank sarebbe finito con l’impazzire, se cominciava a convincersi che questo ragazzo avesse davvero qualche fottuto potere curativo.

Gerard lo guardò con curiosità. «Qualcosa non va?»

«No, non è niente.» Frank scosse la testa. «Quindi, dimmi – se sei un prete e non tieni dei sermoni pubblici, che cosa fai esattamente?»

«Sono un investigatore per il Vaticano,» spiegò Gerard con naturalezza, come se stesse ammettendo di essere un idraulico o qualcosa del genere. «Sai, per quando la gente afferma di aver visto un miracolo»

Frank si ritrovò impressionato, ma tentò di non darlo a vedere. «Tipo statue di Cristo che cominciano a piangere sangue?»

«Più cose tipo l’apparizione della Vergine Maria su una fetta di toast in Maine,» Gerard sorrise amaramente. «Ho ricevuto la carica solo cinque anni fa, quindi le mie missioni sono ancora di qualità piuttosto scarsa. La maggior parte delle cose sensazionali capitano in Sud America, per qualche ragione.»

Frank annuì. «Ne hai mai visto uno?»

Gerard sogghignò. «Di Sud-Americano?»

«Di miracolo» precisò Frank, alzando gli occhi al cielo.

Gerard scosse la testa. «No,» disse, malinconicamente. «Sempre e solo toast».

 




_____________________________________________________
.:Angolo traduttrice:.

Amo intensamente questo capitolo.
Amo intensamente Gerard, ma in questo non c'è nulla di nuovo. 

E ho finito il capiolo nel giro di un giorno. Record mondiale nella storia della mia vita. Ooooh
Spero di aver fatto un buon lavoro comunque, bye :3

_StrayAshes_

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Capitolo 6
*** Trying to Feel Good ***





6. Trying To Feel
Good





Gerard lasciò il suo numero a Frank, “Per qualunque cosa”, gli aveva detto, e Frank passò il resto del fine settimana a mollo in un’infinita serie di bagni caldi, ingoiando antidolorifici come un drogato e resistendo all’impulso di chiamare Gerard e pregarlo di tornare e sedersi lì accanto a lui per un altro po’.
 
Era una situazione ridicola. Si accorse che anche solo l’averlo nel suo appartamento lo faceva sentire sensibilmente meglio, non nel modo in cui agivano gli antidolorifici, affatto: la sua presenza era calmante, fottutamente terapeutica.
 
Probabilmente era tutta un’impressione della sua testa. Probabilmente, tutta questa fottuta storia era nella sua testa. Probabilmente, era anche già stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico da qualche parte e stava solo avendo una pesante allucinazione.
 
La Domenica riuscì a trascinarsi fuori dall’appartamento per recuperare dei viveri e delle coperte per il letto – stendersi su un materasso nudo era diventato scomodo piuttosto in fretta e i cuscini del divano non erano decisamente adatti a dormirci sopra – e tornando indietro l’occhio gli cadde su uno dei volantini che aveva appeso cercando il suo cane.
 
Una manciata di fogliettini con il suo numero di telefono erano stata rimossi, il che poteva dire che qualcuno aveva trovato Ella, o che qualcuno era stato solo molto annoiato aspettando l’autobus. Promise  a sé stesso di controllare la casella dei messaggi del telefono fisso non appena tornato a casa.
 
Aveva pero un sacco di tempo ultimamente, pensò mentre attendeva all’incrocio – cazzo, gli mancava la sua macchina, ed ecco l’ennesima cosa di cui si era dimenticato in mezzo a tutto il resto del casino, da quando l’uomo invisibile aveva presto a perseguitarlo.
 
Le luci del semaforo cambiarono e  Frank avanzò insieme alla piccola folla, spostando i sacchetti della spesa da una mano all’altra per diminuire la pressione sui polsi, nuovamente doloranti. Era strano il modo in cui il dolore era localizzato diversamente a seconda del momenti. Non sapeva che avrebbe fatto se le cicatrici avessero cominciato ad urlare tutte insieme.
 
Arrivò a casa e mise in dispensa la spesa, poi riuscì giusto giusto a mettere le lenzuola nuove sul letto prima che i polsi cedessero del tutto, costringendolo a sedersi a terra per un po’ stringendo le mani al petto e tentando di respirare nonostante il dolore.
 
Fanculo al Dottor Durning, decise improvvisamente, alzandosi di scatto e frugando nella propria sacca. Solo due fottuti giorni di Vicodin, una quantità che sarebbe stata inutile anche solo contro un mal di testa. Le sue dita si chiusero finalmente attorno al barattolino d’unguento che gli aveva dato Luke e stappò il coperchio con un gemito,  tirando fuori troppa sostanza che gli cadde in parte sui jeans, nella fretta di passarselo sulla pelle.
 
«Aaaaah» soffiò, sfregando più velocemente che poteva. Non era piacevole quanto il tocco di Gerard, ma gli regalava in ogni caso del sollievo, e che fosse la pomata o il semplice sfregamento, il doloroso pulsare si attenuò sufficientemente perché potesse muovere le mani senza avere l’impressione che si staccassero da un momento all’altro.
 
Frank si spalmò la pomata in eccesso sopra il tatuaggio; era già del tutto guarito, certo, ma non avrebbe di sicuro guastato.  La ragazza era davvero bellissima, adesso che era definita nella sua pelle, come se fosse sempre stata parte di lui, come se avesse sempre dovuto essere lì.
 
Frank si gettò sul letto e decise di chiamare sua madre, mentendole per venti minuti in cui la rassicurava che andava tutto, per poi addormentarsi e cadere in sogni inquieti, dove qualcuno che non poteva vedere lo seguiva o lo osservava.
 
Di nuovo, si dimenticò di controllare la casella dei messaggi.
 
***
Quel lunedì, Frank raccontò a Brian cosa era successo al club, tralasciando le parti con le luci fantasma e l’invisibile folla che rideva attorno a lui.
 
«Hai fatto la cosa giusta, Frank» disse Brian, tirando fuori il telefono, il fax e giganti pile di fogli. Brian era la persona più organizzata che Frank avesse mai visto. Era piuttosto certo che quel ragazzo sarebbe riuscito a conquistare il mondo con un elenco puntato e un diario sufficientemente grande. «Tutto questo sarà perfetto per screditare quel coglione, amico, è veramente fantastico»
 
«Fantastico,» ripeté Frank poco convinto, tentando di bruciare buchi in testa a Brian con lo sguardo. «Ho amato soprattutto la parte in cui mi hanno quasi fatto lo scalpo». Il che non era del tutto vero, comunque, non erano stati quei ragazzi. Ma Brian non lo sapeva.  
 
«Sarebbe meglio se tu non fossi stato ubriaco, però»  continuò Brian, lo sguardo assente mentre sfogliava il fax.
 
Frank strinse i denti. «Già, beh, ho avuto un paio di settimane merdose, Schechter, scusami se ho cercato di respirare un po’ di libertà»
 
Brian sollevò lo sguardo, sembrando all’inizio sorpreso e poi, quando si ripeté le proprie parole nella mente, anche pentito. «Merda, Frankie, non volevo dire quello. Intendevo, sai, tutto ciò che potrebbe proteggerti--»
 
Frank lo interruppe bruscamente. «Lo so»
 
Brian sembrò del tutto avvilito. «Fa tutto così schifo...»
 
«Puoi dirlo» concordò Frank, tentando di non scoppiare a ridere istericamente pensando a quanto Brian non ne avesse una fottuta idea.
 
«D’accordo,» Brian prese a spostare i fogli sulla sua scrivania, nervosamente. «Chiamerò gli avvocati. Tu torna pure a lavorare, hai una mattinata movimentata.»
 
«Sì, capo» Frank si sollevò in piedi ed era quasi alla porta quando Brian, alle sue spalle, lo richiamò.
 
«Sei con Bob, questo pomeriggio»
 
Frank roteò su sé stesso. «Sul serio?»
 
Brian era già al telefono – coprì il microfono e gli rispose, «Non fare casini», e poi lo congedò del tutto.
 
***
 
Frank trascorse il miglior pomeriggio che potesse ricordare da parecchio tempo. Bob non gli aveva lasciato fare niente, ovviamente, quindi Frank era semplicemente rimasto seduto fermo a guardare, il che sarebbe stata una schifezza se solo restare fermi seduti con le mani in mano non fosse stato esattamente ciò che Frank voleva fare per il resto della sua vita, a quel punto.
 
Era stato in ogni caso fantastico, poter vedere da vicino Bob lavorare senza che questi gli dicesse di levarsi dalla luce e cose così, e imprimersi a fuoco ogni singola considerazione o commento saggio che Bob gli confidava ogni tanto. Bob poteva anche essere uno scherzo della natura senza tatuaggi, ma era davvero uno scherzo della natura che la sapeva lunga a proposito del suo lavoro, oltre ad essere un meticoloso figlio di puttana da distrarre.    
 
Frank amava immensamente i tatuaggi, il che non era una novità, ovviamente, ma amava anche tutto ciò che li riguardava – il modo in cui le persone al primo tatuaggio tremavano di eccitazione e nervosismo, il modo in cui arrivavano ansiosi e se ne andavano come se avessero appena avuto il miglior giorno della loro vita. Amava il momento appena prima che l’ago toccasse la pelle, quando il tatuaggio era soltanto un disegno, qualcosa che poteva ancora essere lavato via, non più permanente del proprio nome scritto su una finestra appannata, e amava la prima pressione dell’ago, quando tutto cambiava e quel disegno entrava a fare parte di te per sempre.
 
Sembrava che il tempo non fosse passato affatto quando Bob aveva cominciato a fare su la roba, mostrando a Frank come pulire e mettere via tutto, anche se Frank conosceva già quei passaggi, non era del tutto un novellino. Ma sapeva che Bob o faceva le cose come voleva lui o non le faceva affatto, e le cose come le faceva lui erano in ogni caso fantastiche, quindi Frank si limitò a dargli corda, saltellando su e giù chiedendogli se prima o poi gli avrebbe permesso di fare qualcosa di effettivo.
 
«Sembra tu abbia appena vinto alla lotteria,» commentò Ray, quando poterono sedersi in pace con il negozio chiuso dopo ore di lavoro, mentre Mikey finiva di fare su i capelli da terra a un ritmo glaciale. «...e poi fatto sesso sulla vetta di tutto il tuo denaro.»
 
Bob sogghignò da sotto il suo stupido cappello di stoffa. «Procedura standard dopo un pomeriggio passato con me, giusto Iero?»
 
Frank roteò sulla sedia. «Prendetevi pure gioco di me, figli di puttana, ma questa è la cosa migliore che mi sia successa in settimane»
 
«Quindi ti senti bene, adesso?» chiese Ray, con una voce strana. «Tipo... felice?»
 
Frank scrollò le spalle. «La mia vita fa un po’ meno schifo rispetto a stamattina, se è questo che intendi»
 
Mikey si avvicinò, appoggiandosi al braccioli della sedia di Frank. «Quindi, mio fratello ti ha portato un materasso, uh?»
 
«Tuo fratello mi ha accusato di autolesionismo,» rispose Frank, spingendo via Mikey, che traballò ma senza cadere. «Ma ci potete credere?»
 
Ci fu silenzio, e uno scambio di sguardi. Frank impallidì. «Oh, Dio, no.»
 
«E’ solo che sei stato sotto molto stress,» disse Ray, serio, spingendosi in avanti. «E a volte lo stress può manifestarsi come--»
 
«Come essere pestato da uno skinhead e i suoi fottuti compagni di prigione?!» esclamò Frank, incredulo, lanciando uno sguardo a Mikey, supplicandolo in cerca di appoggio.
 
«Siamo solo preoccupati per te,» continuò Ray. «Ci sono persone con cui puoi parlare se--»
 
Frank scattò in piedi e si avvicinò all’attaccapanni. «Fottiti, Toro, non ho bisogno di sentire queste cazzate.»
 
«Rilassati, Frank, stiamo solo cerando di aiutarti» s’intromise Bob.
 
«Non ho bisogno del vostro aiuto,» disse Frank in tono indisponente, infilandosi la giacca. Tutte le buone sensazioni ottenute quel pomeriggio sparirono lasciando spazio al dolore, che lo sommerse al loro posto. «Non ci posso credere...»
 
«Frank,» disse Mikey. «Andiamo--»
 
«Tu eri lì!» urlò Frank, puntandogli un dito contro. «Tu mi hai visto, figlio di puttana, tu hai visto, non provare a negarlo, cazzo!»
 
«Che cosa sta dicendo?» disse Ray, alzando il tono di voce. Brian comparve da dietro la porta dell’ufficio in tempo per sentire Ray continuare: «Che cosa intende dire con questo, Mikey? Che cosa hai visto?»
 
Mikey si strinse le braccia attorno al petto, avvilito. «Io non lo so.»
 
Frank si limitò a fissarlo, incredulo. Mikey evitò il suo sguardo, mormorando qualcosa sull’aver preso troppa caffeina quel giorno.
 
«Grazie,» disse infine Frank, afferrando la propria sacca e  dirigendosi alla porta. «Grazie veramente, ragazzi, era esattamente ciò di cui avevo bisogno.»
 
«Frank» sentì Brian richiamarlo, ma qualunque cosa avesse voluto aggiungere andò persa, quando Frank sbatté la porta dietro di sé.
 
***
 
Mikey cominciò ad inviargli messaggio solo cinque minuti dopo: “Ke czzo avr ptuto dire”, e poi dopo altri cinque minuti: “Seriamnt, nn inczzarti così”,  e poi un altro ancora: “Vuoi ke vnga da t?”
 
Frank li ignorò tutti e spense il cellulare, arrivando addirittura a staccare ogni tipo di linea telefonica del proprio appartamento.
 
«Fanculo  a Ray» disse a sé stesso, entrando violentemente in cucina e aprendo a caso cassetti e ante. Aveva lo stomaco troppo chiuso per poter mangiare qualcosa, ma gli andava di fare rumore. «Fanculo a Bob. Fanculo a Brian e il suo fottuto caso giudiziario»
 
Afferrò la bottiglia di vodka che teneva in freezer e si lasciò cadere sul divano, prendendone un fin troppo lungo sorso, che lo fece trasalire e tossicchiare.
 
«Fanculo a Mikey,» borbottò, prendendone un altro. «Fanculo a Giuda.»
 
Gi mancava il suo cane. Gli mancava la sua stupida faccia, e i suoi sbuffi e uggiolii quando vagava per l’appartamento. Gli mancava il tocco umido del suo naso contro le caviglie o sulle tempie, gli mancavano le sue leccate sulla faccia la mattina presto, i suoi ringhi inutili contro la scopa, o il rumore che faceva quando tentava di saltare sul tavolino da caffè, mancandolo, e finendo distesa per terra in un mucchio informe e agitato sul pavimento.  
 
 Gli mancava il suo cane, la sua televisione, la sua chitarra, e oh, Dio, gli mancava essere una persona normale, che non aveva bisogno di arrabbiarsi con i suoi amici, perché uno di questi non aveva detto ciò che Frank stesso gli aveva intimato di non dire, all’inizio.
 
«Fanculo,» borbottò, alzando la voce, prendendo altri due grossi sorsi dalla bottiglia. «Fanculo.»
 
E prese un altro sorso, e un altro ancora. Restò a fissare lo spazio vuoto in cui una volta c’era stata la sua Tv, continuando a bere finché non si rese neppure più conto che essa mancava, finché non gli importò più niente di ciò che pensavano i suoi presunti amici, finché non gli interessò più nulla dei suoi fottuti polsi e la sua fottuta schiena e la sua fottuta testa. Non gli mancò più niente, non gli importò più di niente, né si accorse di nulla quando la bottiglia gli si sfilò dalle dita, quando i suoi occhi si chiusero e il mondo scivolò via.






.:Angolo della traduttrice:.

Capitolo un poco breve, ma ho approfittato del cambio di scena. La scena dopo era troppo lunga, e non mi andava di interromperla a caso.
Oh beh, mi piacerebbe sapere i vostri pareri per quello che sta succedendo nel corso della storia, ci tengo davvero, nonostante questo sia solo un capitolo di passaggio. Prometto che le cose si movimenteranno.... io stessa sto aspettando ossessivamente la prossima scena con Gerard presente.

«Fanculo  a Ray» disse a sé stesso, entrando violentemente in cucina e aprendo a caso cassetti e ante. Aveva lo stomaco troppo chiuso per poter mangiare qualcosa, ma gli andava di fare rumore.

MI sentro troppo Frank a volte. Davvero.
Il rumore gratis è un ottimo antistress, subito dopo la musica. E di certo meglio della vodka (? credo)

See ya!,
StrayAshes_

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Capitolo 7
*** St. Francis of Assisi ***





7. St. Francis of Assisi





Il mattino dopo, si svegliò sentendosi doppiamente una merda. Riuscì a muoversi nel letto abbastanza da recuperare il cellulare, accendendolo per controllare l'ora, ma prima ancora di poter guardare lo schermo, il telefono vibrò per avvertirlo che aveva un messaggio vocale. 

Frank non aveva bisogno di ascoltarlo per sapere che era Brian. 

Cazzo. Era davvero in ritardo, ma sentiva la testa sul punto di spaccarsi da un momento all'altro, i polsi dolevano e non poteva neppure sbattere le palpebre che la nausea lo assaliva, insieme ai postumi della sbornia. Sarebbe arrivato a lavoro in ritardo, sarebbe stato inutile tutto il giorno, e probabilmente Brian gli avrebbe dato fuoco.

Aveva solo bisogno di una fottuta doccia, ma non riusciva ad aumentare la temperatura senza che gli pizzicassero gli occhi. Sentiva le sue stesse ossa cigolare l'una contro l'altra, come se carne e cartilagine si fossero lacerate, lasciando posto a spigoli taglienti, che si sfregavano, scontravano e premevano su appuntiti, critici punti, mentre scariche di dolore gli attraversavano la pelle. 

Tentò di levarsi i vestiti della notte scorsa, ma dovette invece lasciarsi cadere a terra con la testa fra le mani, perché vedeva la stanza vorticare e ondeggiare pericolosamente, un po' come un ballerino di danza contemporanea... dentro un carosello. In mezzo all'oceano. Durante una tempesta. 

Il caffè avrebbe aiutato, se solo fosse riuscito a raggiungere la cucina. E sinceramente, non ricordava neppure l'ultima volta in cui aveva mangiato qualcosa - eppure, al pensiero del cibo, il suo stomaco si contrasse, poco entusiasta.  

Il telefono squillò, con l'acuta suoneria che rimbombò agonizzante nella sua testa, e Frank aprì un occhio spingendosi in avanti per sbirciare lo schermo.

Brian. Di nuovo. Cazzo. E adesso era in ritardo di due ore dal lavoro, cazzo.

 E fanculo ai suoi polsi. Aveva bisogno di una doccia, o non sarebbe mai uscito da quell'appartamento. Si trascinò in bagno e tentò di aprire l'acqua usando i gomiti e un asciugamano, e si stava abbassando per levare i jeans quando una rossa, liquida goccia gli cadde sulla mano. 

«Cosa?» fece Frank. Si toccò la fronte, osservandosi poi la punta delle dita - le trovò cremisi, e quando si sforzò di guardarsi allo specchio, si accorse che i tagli sulla sua fronte si erano riaperti e il sangue colava, scorrendo veloce sul suo viso.

«Mi si sta aprendo la testa,» disse stupidamente al proprio riflesso. All'improvviso i piedi cedettero sotto il suo peso, e si ritrovò sdraiato contro il pavimento del bagno, le braccia spalancate, lo sguardo perso verso il soffitto.

«Cosa?» chiese di nuovo, a nessuno, e poi sentì qualcosa di appuntito, freddo e tagliente trapassargli di netto i polsi. 

Non urlò. Non urlò perché non poteva neppure respirare, da quanto il dolore era forte, schiacciante, irrefrenabile, del tutto oltre ogni altro tipo di dolore che Frank avesse mai anche solo immaginato in un incubo, e tutto questo gli sottrasse l'uso dei polmoni, o degli occhi, o qualunque cosa, che non fosse lasciarlo lì al suolo, impotente. 

L'avevano inchiodato, l'avevano inchiodato al fottuto pavimento del suo bagno, riusciva a sentire i chiodi spingere ritmicamente più a fondo nella sua carne, avvertiva le ossa schiacciate e spinte dall'intrusione, minacciando di schizzare via da sotto la sua pelle.

Vedeva bagliori bianchi lampeggiare oltre le sue palpebre, e si rese conto di star emettendo irregolari rumori animaleschi, che gli vibravano nel petto, ad ogni metallico rintocco sordo che si abbatteva contro le sue mani. Il suo corpo si era già del tutto arreso; Frank si sentiva arrancare disperatamente dentro la proppia pelle, mentre si chiudeva a riccio su se stesso, lasciando i polsi affogare da soli nel dolore, appena oltre il confine della sua coscienza. Frank si concentrò su di essa, e sul sicuro, solitario posto dentro di sé, dove nessuno poteva aiutarlo né nessuno poteva ferirlo, e ogni rumore si perse e si allontanò, finché Frank non rimase avvolto dal silenzio, dall'oscurità.

Frank già lo sentiva, come sarebbe stato farla finita ora, dire addio al rumore e al dolore. Era pronto, era pronto a perdere, purché tutto questo finisse. Non avrebbe potuto vincere. Sentì l'aria abbandonare lentamente i suoi polmoni, i muscoli rilassarsi e le forze cedere. Era quasi finita, era quasi fatta, era quasi, quasi arrivato. 

Sto per morire, realizzò all'improvviso. L'immagine di sua madre gli balenò nella mente, lontana e sfocata dalle lacrime, e lo travolse un'ondata di dolore, rimpianto e tristezza, così intensa da sembrare quasi dolce. 

Fluttò da solo nel buio totale per un po'. Non sapeva per quanto, ma tanto sarebbe finita presto. 

Poi, oltre all'oscurità, ci fu qualcosa. Del rumore, dei tocchi, qualcosa che si ostinava a tenerlo legato alla realtà, come un filo teneva un palloncino. E Frank desiderò che se ne andasse - non voleva tornare indietro, dove tutto era luminoso e rumoroso, dove ogni cosa lo feriva. Voleva solo seguire quella calma, infita oscurità, ovunque essa l'avrebbe condotto - ma quel qualcosa era ancora lì, a ricordargli come un fastidioso promemoria, come era, essere ancora vivi.  

«Frank,» sentì debolmente, come se la voce provenisse da metri di distanza. «Frank.»

Conosceva quella voce. 

«Frank» disse di nuovo, più forte questa volta, aggiungendo poi altre parole, che Frank fece fatica  a capire. «Frank... muorimi addosso... ti riporto indietro... e ti ammazzo con le mie mani»

Frank ridacchiò, e fu proprio questo a riportarlo indietro, con un improvviso grido mentre l'aria riempiva di nuovo i suoi polmoni, e il dolore ricominciava.

«Okay, Frank» Era Brian, che stringeva la testa di Frank, abbandonata sulle sue gambe. «Frank, rilassati, sono io, sono io»

«Brian,» tentò di dire Frank, ma ne uscì come un umido, incasinato, incomprensibile gracidio. 

«Shhh» gli disse Brian, stringendolo un po' più forte. «Va tutto bene, va tutto bene. L'ambulanza sta arrivando. Solo, tieni duro ancora un po', okay? Ancora qualche minuto. Resta con me.»

Frank abbassò lo sguardo - Brian teneva entrambi i polsi di Frank, avvolti da asciugamani ormai tinti di rosso scuro, stretti nelle proprie mani. «Agh> gemette.

«Non tentare di parlare,» disse Brian fermamente, stringendo di più. Stava premendo sulle ferite, realizzò Frank., un po' come facevano in Tv. «Soltanto - annuisci se riesci a sentirmi»

E Frank annuì, lottando contro sé stesso nel tentativo di voltare la testa e guardare negli occhi Brian.

Brian si accigliò, come faceva sempre quando organizzava turni di personale o negoziazioni sul rinnovamento dell'assicurazione del negozio. La sua bocca era nulla più che una linea e la pelle del suo viso era praticamente bianca, ma la voce  era inflessibile quando parlò. «Starai bene. Ti porteremo all'ospedale, ti guariremo. Starai bene»

Frank non ne era sicuro, e questo Brian lo notò, perché la sua espressione divenne più gentile. 

«Ti aiuteremo» Brian cominciò a srotolare gli asciugamani da intorno i polsi di Frank, forse per controllare l'emoraggia. «Aggiusteremo tutto quanto. Non devi più sentirti in questo modo. Troveremo una soluzione, okay? Ti aiuteranno, medici, psicologi, qualunque cosa tu abbia bisogno»

Oh. «Brian, io non ho-- »

«Non parlare» gli disse di nuovo Brian, con voce calda, ma che non ammetteva repliche. Spostò il corpo di Frank cosicché la sua testa gli posasse sulla spalla, mentre continuava a stringerlo. 

Frank poteva sentire il cuore di Brian battere freneticamente, ascoltare il suo veloce ed irregolare respiro. Rimaserò lì stretti insieme fino all'arrivo dell'ambulanza. 

***

«Non ho tentato di suicidarmi» ripeté Frank per la diciannovesima volta. 

Ma la dottoressa non stava ascoltando. «Vieni a vedere,» continuò infatti a parlare con l'infermiera, che l'aveva aiutata a ricuicire Frank. «Da' un'occhiata: non sta neppure più sanguinando. E ha mancato l'arteria per meno di un centimetro»

L'infermiera annuì, spingendosi in avanti per guardare da più vicino. Dava l'impressione di essere una bella donna sotto quella mascherina bianca, pensò Frank. «E entrambe le ferite sembrano essere della stessa forma e dimensione in entrambi i polsi. Non ho idea di come lui ci sia riuscito.»

«Piantatela di dire "lui"» ringhiò Frank fra i denti. «Ve l'ho detto, non sono stato io» 

«Che cosa fai nella vita, Frank?» gli domandò imperterrita la dottoressa, spingendo con attenzione il piccolo ago curvo attraverso la pelle frastagliata di Frank.
«Sono un body-piercer»

Gli occhi della dottoressa si sollevarono per incontrare i suoi. «Devi saperne parecchio in fatto di anatomia, per fare quel lavoro, giusto? E' per questo che non hai tagliato niente di importante?»

Frank roteò gli occhi, spazientito. «Dov'è il Dottor Durning?»

«Sei sotto molto stress ultimamente, Frank?»

«Non c'è abbastanza stress in tutto il mondo da fare di me un suicida, signora. Lei non mi conosce»

«E allora che cos'è successo?»

Frank non rispose. 

La dottoressa mise fine alla discussione. «Frank, ferite auto-inflitte sono spesso segni di--»

«Non mi sono inflitto niente!» urlò Frank, facendo indietreggiare un poco la dottoressa. «Non posso dirle cosa è accaduto perchè io non lo so, capisce, solo... ricucitemi e basta, così posso andarmene da questo posto.»

«Dovrai restare qui per almeno una notte, sotto osservazione» disse con calma la dottoressa. «E voglio che tu parli con qualche psic--»

«No» la interruppe nuovamente Frank. «Non ho bisogno di un fottuto strizzacervelli, okay? Ho bisogno... ho bisogno di un esorcista, o qualcosa del genere.» 
«I tuoi amici sembrano essere dello stesso parere» disse la dottoressa, alzandosi. 

«Cosa?»

La donna si tolse la mascherina, e così l'infermiera. Erano entrambe piuttosto carine, in realtà. «Sarò di ritorno fra non molto, Frank, quindi non tentare di scappare da qualche parte»

Le due uscirono, e pochi secondi dopo Brian comparve sulla porta, trainandosi dietro Mikey Way. Entrarono nella stanza, subito seguiti da - oh. 

«Avresti dovuto chiamarmi subito» disse Gerard, avvicinandosi al letto e afferrando una sedia. Lanciò uno sguardo a Mikey e Brian dietro di lui. «Potete darci qualche minuto, ragazzi?»

Gli occhi di Brian quasi schizzarono fuori dalle orbite.  Lui era sempre stato quello che sapeva cosa fare e cosa stava succedendo, Frank lo conosceva bene, ma chi poteva dire a un prete di farsi indietro? «Non sono sicuro che--»

«Ho bisogno di parlare con Frank,» insistette Gerard. 

Mikey scambiò una complicata, silenziosa serie di sguardi ed espressioni facciali con Gerard - anche Frank ci riusciva ogni tanto con Mikey, almeno un po', ma questo era proprio un livello Olimpico - per poi tirare una manica a Brian.

«Andiamo,» gli disse. «Chiamiamo il negozio, assicuriamoci che Bob e Toro stiano bene»

«Voglio stare con lui» protestò Brian ostinatamente, facendo un altro passo verso il letto. «Non dovrebbe restare con uno sconosciuto»

Mikey guardò Brian come se fosse pazzo. «Non è uno sconosciuto, è Gerard.»

«Già,» disse Brian. «Ed è meraviglioso che voi due siate telepatici, ma noi non lo conosciamo.»

«Oh» Mikey ci ragionò su. «Huh. Temo sia così»

«E' tutto ok, Brian» intervenne Frank.

Seppur riluttante, Brian seguì Mikey fuori dalla stanza, e Gerard si voltò di nuovo verso Frank. «Stai meglio?»

«Ho dei fottutissimi buchi nei polsi» disse Frank. «Sono stato meglio.»

Gerard finì di impilare le sue sciarpe sulla sedia vuota, insieme alla giacca, e si avvicinò per osservare le ferite di Frank. «Ti spiace?»

Frank scrollò le spalle. «Fai con comodo»

Grazie a qualche miracolo riuscì ad usare un tono noncurante, ma la verità era che gli si arricciavamo le dita nello sforzo di non cedere alla tentazione di rotolare di lato per premere la faccia nella maglia a Gerard. Si sentiva meglio anche solo a stargli vicino, come prima nel suo appartamento, ma il desiderio di toccarlo, di sentire quel delizioso sollievo che il contatto avrebbe causato, era incontrollabile. Le dita di Gerard gli sfioravano la pelle lì dove stava disfando le bende, per sbirciarci sotto, ma non era abbastanza. 

«...è così strano» stava dicendo Gerard. Prese gentilmente la mano di Frank, rigirandola per vederne l'altro lato. «Non l'ho mai visto accadere in questo modo.»

«Visto accadere cosa?» Le dita di Frank si contrassero nella tentazione irresistibile di accarezzare il palmo di Gerard. «Cosa cazzo mi sta capitando?»

Gerard gli lasciò la mano e si girò a frugare in mezzo alle sciarpe, finché non ne tirò fuori una piccola macchina fotografica. «Ti spiace» disse, e non era neppure una domanda, né attese una risposta da Frank prima di cominciare a scattare fotografie. 

«E adesso questo è qualcosa di molto perverso o...»

«Il tuo senso dell'umorismo è rimasto intatto, vedo» Gerard gli spostò i capelli dal viso e scattò qualche altra foto. «Frank, hai mai sentito parlare delle stigmate?»

«Sicuro.» Frank non aveva sfregato il naso contro la mano di Gerard, no no, ma forse aveva solo sollevato un po' il viso verso di essa. Dopotutto, era umano. «Suore pazze che sanguinano dai palmi, giusto? Come...» Oh. Oh, assolutamente no. «Tu mi stai prendendo per il culo, vero?»

Gerard rimase in silenzio, posando la macchina fotografica sulla sedia. 

«Io non credo in Dio.» protestò debolmente Frank. 

«Lo so!» sbottò Gerard, agitando le mani. «E' per questo che è così strano!»

«Giusto, perché invece un uomo invisibile che mi inchioda sul pavimento di un bagno è del tutto normale,» replicò Frank. «Comunque, pensavo che le stigmate fossero mani e piedi, non polsi e fronte.»

Gerard annuì. «Le persone le manifestano in vari modi, in genere secondo a come se lo immaginano mentalmente, sai?»

«Ma io non immagino--»

«Lo so.» Gerard aveva cominciato ad avvicinarsi sempre di più, entrambi i gomiti piantati nel letto. «Gli stigmatici sono senza alcun dubbio persone profondamente devote, Frank. Esse amano davvero Gesù, sentono dolore reale sapendo cosa Egli ha sopportato, e questo dolore si manifesta anche fisicamente nella loro stessa carne - gli atei non possono avere stigamte. Semplicemente, non possono.»

«Quindi non puoi aiutarmi» disse Frank debolmente, chiudendo gli occhi. Li riaprì solo quando sentì la mano di Gerard coprire la sua, portando con sé quel dolce sollievo. 

«C'è una prima volta a tutto, giusto?» Gerard gli regalò un piccolo sorriso.

Frank, nonostante tutto, gli sorrise a sua volta. 

«D'accordo» Gerard tirò fuori una specie di piccolo registratore, piazzandolo sopra le coperte che coprivano le gambe di Frank. «Voglio che tu mi racconti esattamente ciò che è successo. Non tralasciare nulla. Non credo che tu sia pazzo né che tu abbia istinti suicidi, okay?»

«Okay»

«Solo, dammi tutto ciò che riesci a ricordare» Gerard gli strinse un gomito per incoraggiarlo, e quel semplice gesto era l'antidolorifico migliore del mondo, Frank ne era certo. «Prenditi tutto il tempo che vuoi»

E Frank gli raccontò tutto, cominciando dagli strani dolori nei polsi, passando poi per lo spettro con la frusta e la miracolosa guarigione alla Wolverine, fino al bizzarro mezzo-scalpo nel vicolo del pub, e infine gli raccontò dell'esperienza nel suo bagno, quella mattina. 

«La parte peggiore non è il fatto che fa male» disse a Gerard, che si era accigliato e aveva preso a scribacchiare in un quadernino con un unicorno sulla copertina. «E' che...»

Si bloccò, non sapendo come spiegare le emozioni che lo sommergevano ogni volta che quei fenomeni iniziavano. 

Gerard continuò a scribacchiare per un altro secondo, poi sollevò lo sguardo. «Vai avanti,» disse gentilmente. «Qual'è la parte peggiore, Frank?»

Frank prese a guardare il soffitto. «E' la sensazione che tutti mi odino» ammise, chiudendo gli occhi così da non dover vedere qualunque espressione Gerard avrebbe fatto. «E' come - non lo so. Mi fa sentire triste, come se fossi totalmente solo. Non mi ero mai sentito in quel modo. E' orribile. E' come essere abbandonati, senza aiuto. O senza speranza. Entrambe le cose. Non lo so»

Gerard non disse nulla, rimase solo il suono ruvido della matita contro la carta, e l'ovattato trambusto delle persone fuori nel corridoio. Dopo qualche momento, Frank sentì di nuovo la mano di Gerard sulla propria, e aprì gli occhi per trovare il ragazzo intento ad esaminare il tatuaggio dell'angelo. 

«Ti avevo detto che è un serafino, giusto?» disse, tracciando il contorno del viso bianco dell'angelo con la punta delle dita. «E' stato un serafino ad apparire nella visione di San Francesco. Conosci quella storia?»

Frank scosse la testa. «Mi ricorda qualcosa, o almeno credo..?»

«San Francesco d'Assisi» spiegò Gerard. «Fu la prima persona a ricevere le stigmate.»

«Francesco,» ripeté Frank. «E' uno scherzo, vero?»

Gerard rise e scosse la testa. «No. Era un tipo strano all'inizio, uno di quelli da feste lussuose, un vero edonista*, ma quando compì ventitré--»

«Io ne ho ventisei» lo interruppe Frank, prima che Gerard potesse venirgli a dire di essere la reincarnazione di un santo, per l'amor del cielo. 

«--ebbe una crisi di fede, visioni e tutto il resto. Dio lo stava chiamando al suo servizio.»

«Ed è lì che ha visto l'angelo?»

«No, quello successe solo intorno ai suoi quarant'anni, una paio di anni prima che morisse.» Gerard passò il palmo su tutta la dimensione del tatuaggio, e Frank arricciò i piedi sotto le lenzuola per quanto la sensazione fosse piacevole. «Stava digiunando fra le montagne, quando il serafino gli apparve. In realtà, alcuni dicono che fosse un serafino crocifisso.»

«Proprio come questo» disse Frank. 

Gerard annuì. «Proprio come questo. E fu il serafino a donare a San Francesco le ferite di Cristo»

«Gran bel dono del cazzo.»

«San Francesco era piuttosto ossessionato con la sofferenza di Cristo. Era convinto della mortificazione della carne come penitenza, sai, al punto di manifestare quelle ferite fisicamente...» Gerard sollevò lo sguardo su Frank. «Ricevere le pene di Cristo era un enorme benedizione ai suoi occhi, perché l'ha portato più vicino al comprendere cosa Cristo avesse attraversato e subito.»

Frank ci ragionò su. Non aveva niente contro Gesù, ma non aveva alcuna aspettativa di seguire le sue orme, o quella roba lì, assolutamente. «Quindi ricevette ciò che ho io adesso? Del tipo, frustate e tutto il resto?»

«No,» disse Gerard, con aria pensierosa. «Ha solo ricevuto le Cinque Ferite - una per ogni chiodo usato per fissare Cristo alla croce, e una per lo squarcio sul fianco inflitto dalla lancia»

«Una lancia» Frank sollevò gli occhi sul soffitto. «Grandioso.»

Gerard poggiò il quadernino di lato e lanciò a Frank uno strano, timido sguardo. «Vorresti - posso vedere la tua schiena?»

Frank si tirò su a sedere e si girò, così da essere seduto di traverso sul letto, la schiena verso Gerard. Presto sentì le sue dita sciogliere i nodi della stupida veste da ospedale, spostando di lato il tessuto e lasciando esposta la pelle nuda.

«Bei tatuaggi» disse Gerard, sorprendentemente vicino all'orecchio di Frank. Il letto sprofondò un po' di più sotto il suo peso, mentre si spostava in avanti.
«Lo erano,» sorpirò Frank, abbandonandosi al piacere del tocco di Gerard. «Ma sono stati un po' rovinati, come puoi vedere.»

Gerard gli sfiorò la nuca e il collo. «Cosa dice qui - "Keep the Faith?»

«Bon Jovi,» gli disse Frank. «Non la Bibbia.»

Gerard fece schioccare la lingua. «Lo so. Credi davvero  che io mi ascolti inni religiosi in macchina?»

Frank ghignò guardandosi il grembo. «Non è così?»

«No.» La mano di Gerard gli passò sulla linea in mezzo alle scapole. «Ascolto band rock capellone un po' come tutti. Perché la zucca?»

«Sono nato ad Halloween»

«Davvero?» Gerard suonò ridicolmente sorpreso, e quando Frank piegò il collo per guardarlo in viso, stava sorridendo come un pazzo. «Che figata!»

Frank sorrise a sua volta, girandosi di nuovo verso il muro. «Immagino di sì. Comunque, che cosa c'entrano le frustate?»

«La flagellazione» mormorò Gerard, continuando a passare la mano sulla pelle di Frank. Frank, dal suo canto, si morse il labbro e affondò le dita nella sue stesse coscie, lottando disperatamente contro l'istinto di spingersi indietro e andare incontro a quel tocco, o direttamente chiedere a Gerard di avvolgerlo nelle sue braccia e non andare via mai più. «Cristo fu frustato spietatamente prima che le guardie gli mettessero la Corona di Spine. Però non ho mai visto nessuno manifestare questo tipo di ferite, prima.»

«Non ho manifestato proprio niente,» disse Frank. «Non le ho volute io»

«Lo so, non intendevo questo,» s'affrettò a dire Gerard. «Intendevo - beh, come ho detto, in genere le ferite appaiono a seconda della propria immagine di sofferenza di Cristo, o almeno così credo. La flagellazione, nella Passione di Cristo, non è di certo iconica quanto lo è la crocifissione, comunque.»

«Io pensavo che Gesù fosse stato inchiodato per le mani e per i piedi» disse Frank, premendo il mento contro il petto quando le mani di Gerard si mossero ancora sulle sue spalle. «E invece sono i miei polsi ad essere incasinati»

«Questo non è propriamente corretto» rispose Gerard. Lasciò la sua schiena e Frank sentì il rumore della macchina fotografica. «Le mani si sarebbero lacerate sotto il peso del corpo. Infatti gli storici hanno più o meno provato che le persone erano crociffise per i polsi, in mezzo alle ossa.»

Frank abbassò lo sguardo sui suoi, di polsi, e sulle bende bianche e pulite che nascondevano alla vista il sangue e le sottili cicatrici. «Oh.»

«Il punto è: la crocifissione di solito non era una pena di morte,» continuò Gerard. La stanza si illuminava ritmicamente ad ogni foto che scattava, per via del flash. «Era considerata una punizione, come un estremo tipo di tortura, capisci? Quindi, parte del problema era che, appendere qualcuno per i polsi causava una cosa chiamata, uh, asfissia da sospensione. Inchiodare anche i piedi alla croce aiutava a sorreggere il corpo, diminuendo il rischio di una morte accidentale.»

Frank posò gli occhi sul poster di un uomo scuoiato, con solo muscoli e ossa, appeso dall'altra parte della stanza. «Morte accidentale? Pensavo che inchiodare un tizio a una croce fosse un po' come gettare la salute e la sicurezza da una cazzo di finestra.»

«Uhm,» fece Gerard. «Come ho detto, non era una pratica per ucciderle, le persone. A volte venivano inchiodate anche per i genitali, pur di supportare meglio il peso del corpo»

«Cosa?!» Frank si girò di scatto, facendo quasi cadere dalle mani la macchina fotografica a Gerard. «Mi stai dicendo che da un momento all'altro potrei avere un chiodo in mezzo ai gioielli?»

Gerard storse il naso. «E' altamente improbabile. Non mi preoccuperei di questo.»

«Facile dirlo per te, tu non lo usi!» Frank si tirò indietro sul letto, tirandosi su le lenzuola, come se queste potessero proteggerlo da psicopatici invisibili dotati di occhi e martello. 

Gerard sbatté le palpebre un paio di volte. «Non risulta sia mai successo a Gesù, se la cosa ti tranquillizza»

Frank sotterrò il viso fra le ginocchia sollevate e gemette. «Tutto questo è anche peggio di quanto pensassi»

Gerard fece un suono bizzarro, e Frank sollevò lo sguardo per trovare quel figlio di puttana ridere di lui. «Scusa,» balbettò velocemente quando Frank gli lanciò un'occhiata furiosa. «Scusa, è solo che - non pensi che il tuo pene sia l'ultimo dei tuoi problemi?»

«Non posso credere tu sia un prete,» disse Frank nella sua miglior voce omicida. «Perché i preti dovrebbero essere gentili»

Gerard ridacchiò di nuovo - era arrossato in volto, nel tentativo di non scoppiare a ridere più forte davanti alle disgrazie di Frank; il che sarebbe stato seccante se solo il suo viso non fosse stato così - Dio, smettila, si disse Frank furiosamente. Maledetto prete! 

Gerard posò la macchina fotografica e guardò ancora l'angelo sulla mano di Frank. «Hai detto che la tua schiena è guarita subito» disse lentamente. «E hai anche detto di aver fatto il tatuaggio solo un paio di giorni prima che ci incontrassimo, giusto?»

«Già» Frank sollevò la mano, premendosela contro il petto. «Perché?»

«Beh,» Gerard piegò un po' la testa da un lato. «Non sono molto esperto in queste cose, ma in genere un tatuaggio non ci mette un po' di più a guarire?»

Frank annuì. «Credo che tutta questa... strana storia fosse già cominciata, guarendo quindi anche il tatuaggio, insieme al resto»

Gerard arricciò la bocca pensosamente. «E cosa ti ha fatto scegliere questo disegno?»

«Non lo so» Frank abbassò lo sguardo sull'angelo. «Mi piaceva e basta.»

«Hmm» fece Gerard. «Non pensi che--»

Brian e Mikey rientrarono improvvisamente nella stanza, e Brian si fiondò direttamente verso il letto. «Come sta, Padre?»

Per un primo momento Frank non riuscì a capire con chi Brian stesse parlando, ma poi Gerard annuì e posò una mano sulla spalla di Brian. «Sta bene. E' una fortuna che tu l'abbia trovato subito, però; ho parlato prima con i dottori.»

Brian si sfregò le mani a mezz'aria, assumendo un'espressione afflitta. «E dire che stavo per licenziarlo...»

«Gli hai salvato la vita» gli disse Gerard. Brian scosse la testa, guardando per terra. 

«Perché i miei dottori discutono con te, in ogni caso?» chiese Frank, solo per rompere l'imbarazzante silenzio che aleggiava nella stanza, non certo per riavere l'attenzione di Gerard tutta per lui, ovviamente. «Non conta più niente la confidenza dottore-paziente?»

«E' il collare» cinguettò Mikey. «E' meglio di un distintivo dell'FBI, per invogliare la gente a parlare.»

«Non che io ne abusi, ovviamente» disse subito Gerard a Brian. «Ma mi è spesso utile»

Brian strinse la mano a Gerard, scuotendola. «Grazie per essere venuto, Padre. Mi dispiace di essere stato, uhm, lo sa, un po' così, prima. Le cose sono complicate»
«Nessun problema»

«Io sono ancora qui, sapete?» intervenne Frank, spostando lo sguardo da Gerard a Brian, intenti a scambiarsi le loro facce alla "puoi-fidarti-di-me". 

Poi Gerard cominciò a fare su tutte le sue cose. «Farò delle ricerche,» disse a Frank, tornando dall'altro lato del letto. Prese la mano di Frank tra entrambe le sue, stringendola gentilmente. «Mi chiamerai se succede qualcosa, vero?»

«Certo. Grazie» Frank strinse un po' a sua volta, cercando di estorcere dal tocco di Gerard quanto più sollievo potesse accumulare, come se fosse stato in grado di immaganizzarlo poi da qualche parte. 

Gerard gli sorrise, e prese Mikey per un braccio uscendo dalla stanza, avvicinandoselo per poter parlare fitto fitto con lui. Frank li guardò andarsene, sentendosi come se fosse appena stato abbandonato, o un qualcos'altro di ugualmente stupido. Perché aveva così disperatamente bisogno che Gerard gli stesse vicino? Tutto questo non aveva senso. 

«Hey,» gli disse Brian quando la porta si chiuse, stringendogli l'altra mano. «Hey, Frankie»

Se c'era una cosa che davvero non riusciva a sopportare, erano le persone che si sentivano in colpa, per lui, o a causa sua, o quello che era. Il punto è, se non era lui a farli sentire in colpa, facendo gli occhi dolci o inscenando una tosse degna di un polmone d'acciaio, allora neanche ne valeva la pena. «Dimenticalo».

Brian si strinse su sé stesso, evidentemente a disagio. Frank poteva capirlo. «Frank--»

«Mi hai salvato la vita,» gli disse Frank. «Gerard te l'ha già detto. E adesso non stai più per licenziarmi, giusto?»

«Certo che no,» sbottò Brian. «Ma perché non mi hai detto che ti sentivi così male, Frank? Avrei potuto fare qualcosa»

«Brian,» Frank si abbandonò contro i cuscini, improvvisamente esausto. «Per l'ultima volta, non sono stato io»

«Giusto, perché i tuoi polsi sono spontaneamente esplosi da soli, ovviamente» replicò l'altro, incrociando le braccia. Brian usciva sempre di testa quando era preoccupato - Frank tentò di tenerlo a mente, per evitare d tirargli in testa un vaso da notte. 

Invece, prese qualche respiro profondo, e chiese con calma, «Ti sono mai sembrato depresso?»

Brian sembrò scrollare le spalle. «No»

«Ho mai dimostrato una qualunque ragione per cui dovrei uccidere me stesso?»

«No,» ammise Brian. «Ma--»

«Se tutto questo non fosse successo, e qualcuno ti avesse chiesto di fare una lista delle persone che fra tutte non potrebbero mai avere tendenze suicide, non sarebbe stato il mio nome quello in cima alla lista?»

«Frank,» disse Brian animatamente, «Questo non è--»

«Hai per caso visto un'arma?»

Brian sbatté le palpebre. «Cosa?»

Frank sollevò i polsi. «Hai per caso visto qualcosa con cui avrei potuto farmi queste?»

«Beh, no, ma--»

«Quindi?» chiese Frank, impazientemente. «Mi sono bucato entrambi i polsi, mi sono sbarazzato delle prove per poi buttarmi sul pavimento del bagno aspettando di morire?»

«E qual'è l'alternativa, Frank?» Brian aveva alzato il tono della voce, agitando le braccia per aria. «Sono entrato e ti ho trovato  steso per terra a sanguinare, proprio dopo quella sfuriata al negozio, cosa cazzo dovrei pensare?»

«Non lo so!» urlò Frank. «Questo non lo so proprio, Brian, so solo che tutto quanto l'universo ce l'ha con me e il fatto che tu mi creda uno svitato non aiuta!»

Brian lo fissò per un minuto, il viso rosso fuoco, poi sospirò e si prese il viso fra le mani. «Che cosa ne pensa il Padre?»

«Lui pensa che io abbia delle stigmate,» disse Frank, perché tanto, diamine, le cose non avrebbero potuto peggiorare ancora. Aveva bisogno di liberarsi di quel peso.

«Oh, beh...» rispose Brian, da in mezzo le dita. «Naturalmente».




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*Edonista: Da Edonismo, Dottrina morale, secondo la quale fine di ogni azione umana è, e non può non essere, il piacere che essa procura a chi la compie. In senso generale, l'edonismo si contrappone quindi ad ogni teoria che veda nella volontà morale la tendenza 





Angolo traduttrice:.

Uhm, non aggiornavo da un po' ma ehy, sono iniziate le vacanze di Pasqua. E mi sono praticamente slogata una caviglia. Ahh, la sfiga. Cosa farei senza...
In ogni caso, questo capitolo per me è stato infinito da tradurre, per un motivo o per l'altro. Era una scena particolarmente continua. Spero di aver fatto un buon lavoro, in ogni caso c:
Fatemi sapere, ci terrei..

Bye

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Capitolo 8
*** Motherfucker ***





8. Motherfucker





«Dico sul serio, ragazzi, dovete tirarmi fuori di qui»

Ray guardò Bob, e poi di nuovo Frank. Avevano entrambi le braccia incrociate, ed incombevano sul suo letto come sentinelle, uno per ogni lato. «Non lo so, Frankie, se i dottori dicono che dovresti parlare con qualcun--»

«Io sono con te, Frank» lo interruppe Bob.

Ray fece un verso contrariato. «Sono piuttosto sicuro che trascinare potenziali suicidi fuori dall’ospedale non sia una cosa ben vista, Bob, vuoi scatenare una zuffa con la sicurezza?»

«Posso batterli,» replicò Bob. «E non dire “zuffa”»

«Non sono un potenziale suicida, non lo sono» insistette Frank. «Ma nessuno strizzacervelli mi crederà mai, Toro, voglio dire, guardami...» aggiunse, sollevando le braccia.

Ray sospirò e sollevò gli occhi verso il cielo. «Signore, dammi la forza.»

«Credimi,» disse Frank, tetro, tirando i lacci della veste da ospedale. «Non ti aiuterà»

Bob s’intromise: «Gli ospedali fanno proprio schifo al cazzo,» Tutti sapevano benissimo che Bob odiava gli ospedali, almeno tanto quanto odiava la pubblicità nel bel mezzo di un film televisivo. Frank ricordò quella volta in cui il ragazzo aveva preso a correre per tutto il negozio inseguendo un piccione rossiccio, cercando di convincerlo ad uscire, anziché continuare a sbatacchiare per tutta la stanza, finché non era cascato scompostamente riuscendo a distruggere uno specchio e aprirsi una caviglia. E ciò nonostante, si era rifiutato di andare all’ospedale per almeno tre giorni.

«--e sei quasi morto.» ricordò Ray a Bob, acidamente. «E non voglio mai più vedere la gamba di qualcuno assumere quel colore orribile, Bryar, seriamente. Penso che Frank dovrebbe rimanere qui e--»

«La sua gamba sta benissimo,» sottolineò Bob, accigliandosi. «Ed è di Frank che stiamo parlando, amico, non infilerà la testa nel forno.»
Frank tirò la manica di Ray. «Non lo farò, prometto»

«Non sei costretto ad aiutare, comunque» disse Bob, portando a Frank la sua roba perché potesse vestirsi. «Puoi sempre dire di non aver visto nulla»

«E’ ovvio che devo aiutare!» strillò Ray, alzando le mani per aria. «Se lascio voi due da soli finirete con una vasectomia accidentale, o qualcos’altro di ancor più tragico»(/ndt: vasectomia: chiusura, dovuta a varie cause, dei dotti deferenti maschili, tubicini di passaggio per gli spermatozoi)

Frank finì di allacciarsi i pantaloni e scivolò giù dal letto per poter infilare i piedi nelle scarpe. «Dobbiamo sbrigarci, hanno detto che lo psicologo sarà qui a momenti»

«Dannazione,» disse Bob. «Non ti vogliono concedere il Medicaid né una fottuta bombola di ossigeno ogni volta che i tuoi gracili, piccoli polmoni cedono, ma riescono a trovarti uno strizzacervelli quando nemmeno ne hai bisogno.»

«Dio benedica l’America...» sentenziò Frank, infilandosi la maglietta.

Il problema era che non sapessero che faccia avesse lo psicologo, quindi Frank dovette tentare di nascondersi ogni volta che un dottore gli passava vicino, il che era piuttosto complicato, perché – beh, era un ospedale. Fortunatamente, Frank poteva nascondersi dietro a... mh, qualunque cosa fosse più grande di lui, e quindi un sacco di cose. Le cose procedettero bene almeno fino alla sala d’attesa, poiché appena entrati lì, Ray fece una curva stretta, girò su sé stesso e spinse Frank su una sedia.

«Cosa--»

«Durning» sibilò Ray, mentre formava insieme a Bob un muro umano, per nasconderlo alla vista.

Era deprimente, pensò Frank, che tutti i suoi amici sapessero che aspetto avesse il suo dottore preferito. Era sul punto di dire che, probabilmente, Durning conoscesse bene anche il loro, di aspetto, quando la ragazza accanto a lui parlò:

«Ciao, ragazzo danzante»

Frank, sorpreso, sollevò lo sguardo e vide che si trattava della ragazza del podio, quella con cui aveva ballato l’alto giorno al club. Certo, questa volta aveva addosso dei jeans e una maglietta, ma era sicuramente lei. «Ragazza danzante!»

Lei sorrise. «Stai male?»

«Io?» Frank si abbassò velocemente le maniche sui polsi, per sicurezza. «No, no, stavo solo – visitando una persona. E tu, tutto bene?»

«Tutto bene, sì» la ragazza abbassò lo sguardo – stava facendo scorrere delle immagini sulla macchina fotografica che teneva in grembo, notò Frank. «Sono caduta a scuola, ho sbattuto la testa. Volevano solo controllare che non avessi una... com’è che si dice... commuzione?»

«Commozione,» la corresse Frank, sorridendo quando lei aggrottò la fronte e ripeté la parola a fior di labbra. «Vai ancora a scuola? Pensavo fossi, beh, sai...»

La ragazza gli lanciò un’occhiata. «Ballo per potermi pagare le lezioni.»

«Oh, io non intendevo--»

Improvvisamente Ray allungò un braccio e gli spinse giù la testa, che finì praticamente in braccio alla giovane ballerina. «’Sta giù!» sibilò.

«Uhm» mormorò Frank, ritrovandosi faccia a faccia con la macchina fotografica, che era praticamente l’unica cosa a separarlo dall’inguine di lei. «Cosa – cosa stai guardando?»

«Foto di una festa,» rispose la ragazza, facendo scorrere qualche altra foto. «Aspetta, ti faccio vedere un tizio con un preservativo in testa»

La gente con preservativi in testa erano sempre stata fonte di intrattenimento, e in ogni caso, Frank non avrebbe potuto andare da nessuna parte, non con la mano di Ray a gravare sulla sua nuca come una tonnellata di mattoni, quindi rimase obbedientemente ad osservare le foto infinite che la ragazza gli mostrava, dicendogli pure i nomi e chi era andato a letto con chi.

Poi, un viso famigliare comparve sullo schermo, e Frank quasi sussultò. «Aspetta! Conosco quel tipo, torna indietro» La ragazza obbedì, tornando indietro di un paio di foto, ed eccola lì, la compiaciuta faccia da cazzo di Darren Haywood, che sorrideva a Frank dallo schermo. «Figlio di puttana».

«Conosci quest’uomo?»

Frank fece una smorfia tetra. «Sfortunatamente»

«E’ un coglione» disse sprezzante la giovane. Passò alla foto successiva ed eccolo di nuovo, immerso in una fottuta vasca idromassaggio, circondato da ragazze. E quegli stronzi dei suoi amici erano con lui. «Ha provato a farsi fare un pompino dalla mia amica Yelena, e lui aveva.. come dire, del metallo nelle--»

«...nelle palle?» finì Frank per lei, forse un po’ troppo forte, perché l’anziana seduta dalla parte opposta scosse la testa con disapprovazione. «Uh, voglio dire. Aveva un piercing? Nelle--»

«Già» la ragazza fece una smorfia. «Yelena, la mia amica, gli ha detto “Non se ne parla!”, e lui l’ha chiamata puttana». Il suo viso si adombrò, mentre imprecava in una lingua che Frank non riconobbe.

Frank osservò la foto da più vicino. «Già, sembrerebbe proprio il tipo di frase che lui – aspetta un attimo» Frank afferrò la macchina fotografica e fissò la data scritta sullo schermo del dispositivo. «Quando è stata scattata?»

La ragazza gli lanciò un’occhiata curiosa. «Qualche settimana fa?»

«Figlio di puttana» ripeté Frank.

«Frank, dobbiamo andarcene» disse piano Bob, da dietro di lui.

«Aspetta, come ti chiami?» chiese Frank alla ragazza.

«Maria,» rispose lei, sollevando formalmente la mano.

«Frank» disse a sua volta, stringendogliela. «Ascolta, Maria, hai per caso una email?»

Lei fece roteare gli occhi. «Certamente»

«Adesso, Frank» insistette Ray, con agitazione.

Frank lo ignorò. «Potresti mandarmi queste foto?»

«Perché?» gli occhi di Maria si strinsero, sospettosamente. «Vuoi metterle su internet?»

«No, no» Frank cominciò a scavare nel proprio zaino alla ricerca di una penna. «Non sono così tanto un verme, te lo giuro, io – posso darti qualcosa in cambio, okay? Ma se me le invii potresti davvero salvarmi la vita, quindi, ti prego

Scrisse velocemente la propria email sul retro di un vecchio volantino e lo sollevò davanti a lei, esibendo la propria miglior espressione angelica.

Maria esitò, e prima che potesse aggiungere altro, Frank sentì le bracca di Bob circondargli i fianchi e cominciare a sollevarlo dal suolo. «Che cazzo, Bob!»

«Dobbiamo andarcene» insistette Bob, iniziando a trascinarlo in direzione della porta, dove Ray si agitava ansiosamente.

Frank piegò il volantino e lo lanciò a Maria. «Per favore!» la scongiurò, mentre lo tiravano via, sempre più lontano. «Sul serio, che cosa vuoi, farò qualunque cosa--»

«Fa’ in modo che Mikey Way mi chiami!» esclamò lei all’improvviso, alzandosi di scatto e facendo cadere tutto per terra. «Lui mi chiama, io ti invio le foto»

«Consideralo fatto!» gridò Frank, e poi si ritrovarono nel parcheggio dell’ospedale, lui che oscillava da una parte all’altra mentre Ray e Bob correvano fino alla macchina.

«Non fatelo mai più!» strillò quindi Frank, non appena lo lasciarono sul sedile posteriore – Frank odiava essere quello basso – e partirono a tutta velocità. «Stavo facendo una scoperta importante!»

«E stavi per essere importantemente scoperto da Durning, piccolo stronzo, smettila con questo piagnisteo!» lo aggredì Bob, dal sedile davanti, schiaffeggiandolo. «E cosa cazzo stavi facendo, comunque, ti pareva il momento di fare colpo sule ragazzine?»

«Potremmo per piacere non colpire il fuggitivo con dei tagli nei polsi? Non voglio riempire di sangue i miei sedili» intervenne Ray, rallentando e tornando alla sua solita guida da nonnina adesso che l’ospedale era lontano. «E cosa diamine c’era di così importante, Frank?»

«Quello stronzo di Darren fottuto Haywood era in una fottutissima vasca idromassaggio cinque fottuti minuti dopo che gli ho fatto quel cazzo di piercing,» disse, o meglio, imprecò Frank, agitandosi quanto poteva con quella stupida cintura a tenerlo fermo sul sedile. «E con tutta probabilità ha anche fatto del sesso – la ragazza ha le foto!»

«Sul serio..?» Bob sbatté un pugno contro il cruscotto. «Ma vieni!»

«Tutto ciò che devo fare è convincere Mikey a chiamarla, e poi lei mi invierà le immagini» Frank si decise ad abbandonarsi contro il sedile, cominciando a sentire l’ondata di sollievo sopraffarlo. «Oh, grazie. Grazie, Dio

Ray lanciò un’occhiata agli specchietti, e cambiò le frecce. «E’ davvero fantastico, Frankie, ma buona fortuna a convincere Mikeyway a fare qualcosa che non vuole fare.»

«Oh, di quello non preoccuparti,» disse Frank, compiaciuto. «Ho un asso nella manica».
 
***
 
«Sei andato a letto con una persona senza più richiamarla??»

Mikey era seduto sul divano di Frank, il viso fra le mani, mentre Gerard era in piedi davanti a lui con le proprie sui fianchi. «Mikey, non posso credere tu abbia fatto una cosa del genere!»

«Non ho mai detto che l’avrei richiamata,» tentò di spiegare Mikey. «Né lei me l’ha mai chiesto. Era una cosa da... una botta e via»

«Mikey» lo riprese Gerard, serio. «Quando vai a letto con qualcuno, è il tuo corpo a fare una promessa, che tu lo voglia o meno.»

Mikey alzò lo sguardo su Frank. «E’ una vendetta per non averti coperto le spalle l’altra volta, vero?»

Frank si limitò a sogghignare, mostrandogli il pollice sollevato.

Gerard guardò il fratello con un’espressione quasi addolorata. «Giocare con i sentimenti degli altri è sbagliato, Mikey, e tu lo sai»

«Ho avuto un sacco di rapporti extraconiugali,» sottolineò Mikey, con voce piatta. «Credo di esserci già, tra i peccatori»

«A Dio non può importare di meno dove infili il pene,» rimbeccò Gerard, agitando le braccia verso di lui. «A lui importa che tu non ti prenda gioco del cuore altrui. Questo, è il peccato!»

«Oh, per – non stavo giocando con lei, Gerard, non mi ha neppure chiesto se avesse potuto rivedermi»

«E’ ovvia che ti voglia rivedere, Mikey!» disse Gerard incredulo. «Tu sei tu.»

E lì cadde per attimo il silenzio, rotto solo da Ray e il suo “Aww”.

Poi Gerard si sedette lentamente accanto a Mikey, poggiandogli una mano sul ginocchio. «Anche se questo non aiutasse Frank,» disse, in tono tranquillo, «So che dovresti richiamarla, perché è la cosa giusta da fare. Poi, il fatto che potrebbe salvare il lavoro hai tuoi amici è un bonus, non ti pare?»

Mieky si alzò di scatto e guardò Gerard negli occhi. «Ti hanno fatto seguire delle lezioni per imparare ad avere ragione su tutto ogni volta?»

«No,» sogghignò Gerard. «Ho imparato da Mamma»

«D’accordo,» borbottò Mikey. «D’accordo, chiamerò la ragazza».





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Chiedo venia per il capitolo corto, ma no sarei più riuscita a tagliarlo, in seguito. E anche per il ritardo...
Capitolo di transizioe, anche se la scoperta su Darren è importante per Frank, beh... ho già iniziato il capitolo dopo, per compensare, e posso spoilerare che ci sarà qualche piccola gioia Frerard, come è giusto che sia c:
Vi lascio a voi stessi, bye
_Ashes

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Capitolo 9
*** Saving People ***


Chiedo venia infinita per il ritardo secolare.
E per il capitolo un po' cortino...

 


9. Saving People




«D’accordo,» borbottò Mikey. «D’accordo, chiamerò la ragazza».

Tutti sobbalzarono quando Brian sbatté i pugni sul tavolo, sollevandoli poi per aria, oltre la propria testa. «SI’!»

Tutti presero a fissarlo, allibiti. Brian si schiarì la gola: «Scusate,» disse, con aria improvvisamente mortificata, «E’ che sono così fottutamente sollevato... Oh, Gesù Cristo, cazzo, grazie Dio…»

«Uhm,» fece Ray, sbarrando gli occhi e prendendo a fare gesti alla “smettila adesso”. «Ixnay con l’asphemy-blay»(/ndt: uhm, è tipo un mescolio tra latino e,oserei dire, inglese. In ogni caso, sta come “piantala con le bestemmie”)

Bob roteò gli occhi. «Sono piuttosto sicuro che il Padre lo conosca il latino, Toro.»

«Esatto» affermò Mikey, orgogliosamente.

Brian parve d’un tratto imbarazzato. «Chiedo scusa, Padre»

«Absit iniuria verbis» rispose cordiale Gerard. «Magnum frates spectat te*» disse poi, voltandosi verso di Mikey, deciso.
«Ma per l’amor del cielo…» brontolò Mikey, tirando fuori il telefono.

Frank intanto si limitava a guardare il tutto dal suo letto, dove Brian aveva insistito stesse fino a nuovo ordine. Si chiese pigramente se anche i Romani suonassero così sexy quando parlavano latino... poi ricordò che forse qualche Dio avrebbe potuto sentire quel pensiero, e tossicchiò ad alta voce come se questo potesse coprirne le prove.

Immediatamente Brian balzò su, precipitandosi al suo capezzale. «Stai bene? Vuoi dell’acqua?Qualcosa..?»

«Sto bene, Brian, quante volte te lo devo ripetere?» disse Frank, zittendolo con un gesto della mano. «La cosa più importante è che Haywood le palle se le è infettate da solo.»

Brian si sporse sul bordo del letto e toccò lievemente il polso di Frank, sopra le bendature. «Ti fa male?»

«No,» Frank scosse la testa, «E’ strano, vero?»

«Tutta questa storia è strana,» confermò Brian, con convinzione. «Ma almeno non finiremo in galera»

«Temo che una notte in cella me la passerò comunque, dopotutto» rispose, chiudendo gli occhi.

Le dita di Brian si mossero avanti e indietro, i polpastrelli che sfregavano piano contro la stoffa delle garze. Dolcemente, gli accarezzò il dorso della mano con il pollice. «Non sapevo che credessi in Dio.»

«E infatti non ci credo» Frank aprì gli occhi e osservò Brian, che continuava a fissargli i polsi. Il sangue aveva lentamente imbevuto il bendaggio, quel tanto che bastava a creare un perfetto cerchio rosso sopra al bianco intonso.

Brian si schiarì la gola. «Il Padre--»

«Amico, si chiama Gerard» lo riprese Frank, ma l’altro si limitò ad ignorarlo.

«Il Padre pensa che potrebbero davvero essere stigmate, Frank»

Frank spostò lo sguardo su Gerard, intento a gesticolare mentre spiegava qualcosa a Bob, che annuiva pensieroso. Ray invece sedeva da un lato, osservando Mikey alle prese con il telefono. «Tu che ne pensi?»

Lì per lì Brian non rispose. Sembrava molto agitato, notò Frank, come se qualcosa di davvero terribile stesse accadendo… e probabilmente era vero. Ma nonostante questo, stranamente Frank si sentiva in pace. Faceva strano pensare che solo un paio di giorni prima stava morendo dissanguato tra le braccia di Brian, insomma – quelle non erano cose che potevano capitare nella vita reale. Eppure…

Frank rigirò la mano e strinse piano il pollice a Brian. «Ehy, io sto bene»

«Già» Brian prese alcuni respiri profondi, lasciando il petto sollevarsi e ricadere lentamente. «Okay, senti – qualunque cosa succeda adesso, qualunque cosa sia tutto questo, qualunque cosa si rivelerà essere... io sono con te, okay?»

Frank gli strinse di nuovo le dita, insicuro su cosa rispondere. Brian aveva un cuore d’oro, davvero, ma in genere era un tipo da “fattene una ragione” e basta, più che uno da “ecco, lascia che ti misuri la febbre”, o quello che era. «Grazie»

Brian si limitò ad annuire.

«No, no» stava dicendo Gerard a Bob. «Ovviamente penso che anche le donne dovrebbero poter diventare preti, è ovvio che lo penso – quello che volevo dire, è che una persona potrebbe fare di più per cambiare un istituzione di quel tipo, ecco tutto»

Bob fece la sua solita faccia riflessiva. «Ma se tutti si rifiutassero di prendere i voti finché le cose non cambiano, allora non avrebbero altra scelta che canonizzarlo»

Gerard scosse la testa. «All’inizio lo pensavo anch’io, ma io davvero--»

«Bene,» lo interruppe Mikey, tornando vicino a loro e chiudendo di scatto il telefono. «Brian, le ho dato il tuo indirizzo email, manderà le foto anche a te».
Brian sollevò le braccia al cielo, vittorioso. «Halle-fucking-lujah!» ((/ndt: non ho avuto cuore di cambiarlo))

«E la ragazza?» chiese tagliente Gerard, incrociando le braccia sul petto.

Mikey roteò gli occhi. «Voleva solo essere sicura che Frank non avesse qualche sito sconcio o robaccia del genere. Non ha nessuna intenzione di saltarmi addosso di nuovo»
Gerard aggrottò le sopracciglia. «Perché no?»
«Oh, mio Dio, ‘sta zitto» sbottò Mikey, coprendosi gli occhi con le mani. «Guarda, l’ho chiamata, lei invierà le foto: il mio lavoro l’ho fatto».

«Grazie Mikey,» disse Frank.

Il ragazzo parve a disagio tutt’a un tratto. «E’ il minimo che potessi fare»

Frank agitò distrattamente la mano. «Come vuoi, ma è già tanto così»

«No, non lo è» insistette Mikey, per poi incrociare le braccia e abbassare lo sguardo verso il pavimento.

Cadde un silenzio imbarazzato, poi Brian lasciò qualche pacca sul ginocchio di Frank e si alzò in piedi. «Allora! Chi ha voglia di pulire del sangue nel bagno di Frank...?»

«Io,» esordì Bob, alzandosi immediatamente.

«Oh mio Dio, non vedo l’ora» disse Ray, scattando in piedi a sua volta.

Gerard si accigliò nuovamente, ancora accomodato sul divano. «Ma Mikey ha detto che l’avevate già pulito prima»

«Probabilmente ci servirà un altro paio di mani, Padre» disse invece Brian, muovendosi per guidare gli altri verso il bagno, e Gerard lanciò a Mikey un’occhiata confusa, decidendosi ad andandosene comunque dalla stanza.

«Ma è tutto pulito qui dentro» lo sentì dire Frank, e poi la porta si chiuse, coprendo tutto il resto.

Frank si girò e catturò lo sguardo di Mikey – si fissarono per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere. «Ah, Mikey, tuo fratello...»

«Lo so,» ridacchiò lui, incurvandosi un poco. «Da ragazzi condividevamo la stessa camera, davvero... e una volta stavo cercando di fargli capire che doveva andarsene per lasciarmi solo con la mia ragazza, e lui invece è semplicemente rimasto lì a guardarmi. Fargli intendere cose di questo tipo è come gettare allusioni dentro un buco nero»

«Forse stava cercando di salvare la tua anima peccatrice,» suggerì Frank. «Sai, rapporti prematrimoniali, e quelle cazzate lì»

Mikey sbuffò, lasciandosi cadere su un angolo del letto. «Non credo proprio, sai? Gerard non pensava ad altro che al sesso prematrimoniale, quando era al liceo»

Frank sghignazzò. «Oh, se solo l’avessi conosciuto a quel tempo»

«Lo sapevo!» Mikey gli puntò addosso un lungo, secco dito accusatore. «Lo sapevo, che avevi una cotta per lui... Cristo, Frank»

«Okay, prima di tutto: chi cazzo dice ancora “avere una cotta” al giorno d’oggi?» Frank gli afferrò il dito e si spostò uella mano dal petto, ghignando per nascondere l’imbarazzo. «E stavo solo scherzando. Andiamo... è un prete»

«Già, lo è» mormorò Mikey, in un lungo sospiro sofferente. «E non è come quella volta, quando hai deciso che l’eterosessualità del ragazzo della caffetteria non era un ostacolo poi così grave, capito?»

«Dio!» esclamò Frank, costernato. «Lo so benissimo!»

«Esatto.»

Frank lo spinse giù dal letto. «Senti, puoi semplicemente scusart,i così che possa decidermi a dormire un po’?»

«Scusarmi per cosa?»

«Per cosa?! Per non avermi coperto le spalle quando Ray e Bob stavano mettendo su le loro piccole fantasie!»

«Mi avevi detto tu di non dire mai nulla a nessuno!»

«L’avevo detto prima!»

«Prima di cosa

«Prima di pensare che io stessi davvero diventando pazzo!» urlò Frank, lanciando le braccia per aria, irritato.

Mikey si limitò a fissarlo in silenzio. E Frank ricambiò immobile lo sguardo, per almeno una trentina di secondi. Fu una lunga sfida di sguardi, insomma, mentre la loro rabbia piano piano scemava.

Fu Mikey a rompere la situazione di stallo, roteando gli occhi. «Bene,» disse con voce annoiata. «Mi dispiace che l’ira di Dio ti stia rendendo uno stronzo»

«A me dispiace che tu non abbia un cuore, solo un cavità vuota nel petto e una fottuta pietra abbandonata lì dentro» replicò allora Frank, e ripresero a fissarsi in silenzio per un’altra manciata di secondi.

«Avete finito? Al Padre non piacciono i bagni»

«Si chiama Gerard!» urlarono in coro Frank e Mikey; quest’ultimo gettò all’altro un timido sorriso, e già da quel gesto Frank capì che tra loro non c’erano più rancori.

Non appena gli altri uscirono dal bagno, Brian cominciò a lamentarsi che dovevano tutti tornare al lavoro, il prima possibile. «Non voglio lasciarlo da solo,» disse a Mikey, ma alludendo a Frank, con un’espressione ansiosa. «Ma ho bisogno di chiamare gli avvocati, e Ray e Bob sono entrambi pieni di appuntamenti e--»

«Resterò io con lui» si propose Gerard, a Brian gli scosse la mano con gratitudine.

Frank roteò gli occhi. «Potete smetterla di parlare come se io non ci fossi?»

Bob si limitò a lasciargli dei colpetti sulla testa. «Come potremmo dimenticarci di te?»

«Cerca di non bucarti di nuovo mentre non ci siamo, okay?» aggiunse Ray, ironicamente, per poi toccare il gomito a Mikey. «Tu vuoi restare?»

«No, vengo con voi» Mikey sfiorò una delle gambe di Frank, ferma sotto la coperta. «Passerò di nuovo finito il lavoro, okay?»

«Okay» confermò Frank, agitando la mano per congedarli. «Adesso via, sciò»

Mikey abbracciò Gerard, seguendo poi gli altri fuori dalla porta. Quest’ultimo, quindi, afferrò una sedia e la posizionò accanto al letto di Frank, accavallò le gambe e allacciò le braccia attorno alle ginocchia. «Ray e Bob sono delle gran belle persone»

«Già, sono fantastici» si trovò d’accordo Frank, con un sorriso. «Ehy, riesci a passarmi una sigaretta?»

Gerard allungò la mano, chiudendola attorno al pacchetto, per poi fare un’espressione dubbiosa. «Sicuro che ti è concesso?»

«Non è una fatica fisica»

Il moro scrollò le spalle, accese una sigaretta e la allungò a Frank, parendo poi indeciso su qualcosa, ma Frank ne capì in fretta la raagione: «Prenditene pure una»

Gerard non se lo fece ripetere due volte, accendendola e inspirando felice. «Mmm... Grazie. Ho lasciato le mie in macchina»

«Insieme ai Cd con gli inni religiosi...?»

«Esatto,» sogghignò Gerard.

«E’ così strano pensare che tu sia un prete...» si lasciò sfuggire Frank, all’improvviso. «Sembri un ragazzo normale. Non posso credere che tu non l’abbia mai, uhm.. sai – fatto.»

Gerard lasciò uscire il fumo di lato, socchiudendo le labbra. «Non sono nato prete»

«Quindi almeno una volta hai fatto sesso,» chiarì Frank, ridacchiando quando Gerard roteò gli occhi. «E allora cosa, non ti è piaciuto?»

«Esiste qualcosa che può non piacere affatto?» Gerard fece scorrere la sigaretta su e giù tra le dita. «Nel diventare un prete c’è di più che l’essere celibe, Frank. Nessuno prende i Voti perché non vuole fare sesso»

«E tu perché li hai presi, allora?»

Gerard rimase in silenzio per alcuni lunghi attimi, abbastanza lunghi da far credere a Frank che non avrebbe mai davvero risposto. «Volevo salvare le persone.»

Frank scoppiò a ridere. «Non puoi star parlando sul serio...»

«La Chiesa mi ha salvato la vita,» spiegò Gerard, tranquillamente. «Ero un gran casino prima, Frankie, tanto che non ci crederesti nemmeno. Però poi ho trovato Dio, e Lui mia ha salvato. Improvvisamente, ho sentito uno scopo nella mia vita»

«Sembri uno uscito fuori da un documentario» constatò Frank, sbigottito. «Hai trovato Dio e lui ti ha salvato? Ma ti senti?»

L’altro strinse gli occhi. «Sei piuttosto scettico per essere uno che ha delle stigmate, lo sai?»

«Non sappiamo ancora che cos’ho,» lo corresse Frank. «E come sei finito a investigare su toast e... su di me, in ogni caso? Volevi salvare le persone, non dovresti essere allora in giro da qualche parte a, che ne so, predicare?»

«Avrei voluto» esclamò Gerard. «Avrei voluto entrare nel pastorale giovanile, sai, per aiutare i ragazzi a rischio o cose del genere. Era quella la mia meta. Ancora lo è»

«E allora perché non l’hai fatto?»

«Ma io l’ho fatto» Gerard aggrottò le sopracciglia, osservando distrattamente la sigaretta e mordicchiandosi un labbro. «L’ho fatto, e sono stato bene»

«Che è successo?»

Il giovane si accomodò meglio sulla sedia, sospirando pesantemente. «Ci provai davvero – i ragazzi mi chiedevano consigli, sai, e io gli dicevo ciò che pensavo fosse più giusto, ma non sempre le mie parole coincidevano con gli insegnamenti della Chiesa, e... beh, alcuni dei loro genitori non hanno gradito, poi l’ha scoperto il Vescovo, e non ha graditoper niente. Io però ero un idiota testardo che non accettava di farsi indietro, e quindi adesso fanno di tutto pur di tenermi a debita distanza dai ragazzi e giuro, Frank, che se adesso fai qualche battuta sui chierichetti ti recito tutti i salmi che so finché non ti sanguineranno le orecchie, e al diavolo i tuoi polsi.»

Frank sollevò innocentemente le mani. «Non ci stavo neppure pensando, giuro su Dio»

Gerard incrociò le braccia, in modo scorbutico. «Sarà meglio per te»

«Il punto è – capisco il voler aiutare le persone, e specialmente i ragazzi. Ma perché un prete? Perché non un assistente sociale, o un insegnante?»

Gerard parve confuso. «Beh, a volte sono entrambe le cose»

«Sì,» disse Frank, pazientemente. «Ma quei tipi di persone possono avere rapporti»

«Il voto alla castità in realtà non riguarda il sesso,» spiegò subito Gerard. «Se un prete avesse una famiglia, una compagna, dei bambini, questi sarebbero la sua priorità su tutto, giusto?» Frank annuì e Gerard continuò: «La priorità di un prete è l’essere al servizio di Dio, ecco perché»

Frank ci ragionò su. «Credo tu abbia ragione»

«In ogni caso, tu?» Gerard gesticolò verso il suo viso.  «Come sei diventato un piercer?»

«Sono stato Chiamato» rispose Frank, con solennità.

Questa volta fu Gerard ad alzare gli occhi al cielo. «Signore, dammi la forza» disse, con scherzosa drammaticità.

Frank ghignò. «E cosa dovrei dire, amico? Tu mi hai appena detto di essere stato scelto da Dio per salvare bambini, o quello che è. Io invece buco capezzoli.»

«Wuargh» grugnì Gerard, incrociando nuovamente le braccia.

«Non ti attira, l’idea?»                 

«E’ una cosa così strana...» disse, e fece una smorfia. «Mi terrorizza»

 «E’ anche piuttosto facile sbagliarlo, sai?» affermò Frank. «Se l’ago scivola e attraversa il capezzolo anziché passare sotto--»

«Smettila!» Gerard si buttò le mani davanti agli occhi, come se Frank avesse potuto piazzargli lo schifoso anellino incriminato sotto il naso. «Non posso sopportare piercing ai capezzoli, okay?»

«Quanto spesso è un problema per te?»

«Più spesso di quanto si possa pensare» borbottò trucemente Gerard.

Frank rise ancora di più, per poi darsi lentamente una calmata. «Non lo so, mi sono semplicemente sentito fatto apposta per quello. Sai, tipo, i piercing – e i tatuaggi, ma quelli sto ancora solo imparando a farli – sono cose che le persone decidono di farsi in occasioni speciali, come fosse un regalo a sé stessi. In questo modo ricorderanno sempre quando hanno passato l’esame, o preso la patente, ogni volta che si metteranno un orecchino, eccetera. E’ una cosa che mi piace, è forte»

«Quindi entrambi ci dedichiamo a qualcosa che fa sentire meglio gli altri,» sorrise Gerard. «Sai che i piercing e quel tipo di arte ci sono anche nella Bibbia?»

«Sul serio?»

«Oh sì. Infatti, il vitello d’oro, il falso idolo che ha tanto fatto infuriare Dio, era fatto di orecchini d’oro fusi. Oh, e c’è una parte relativa agli orecchini dei servi; bucavano loro le orecchie con quegli anelli per segnarli irrimediabilmente come propri schiavi»

«Gran bel modo di mettere in buona luce la modifica del corpo, Bibbia» borbottò Frank.

Gerard ridacchiò e scosse la testa. «A quel tempo le uniche persone con i buchi nelle orecchie erano schiavi e pagani. C’è anche una parte in cui uno dei servi di Abramo dona a Rebekah un anello per le narici» disse, per poi toccare il dorso della mano di Frank. «Ehy, hai per caso altri disegni vagamente religiosi?»

«Non che io sappia» Frank scrollò le spalle. «Comunque, se la modifica del corpo non lascia passare in Paradiso, direi che sono già piuttosto fottuto»

«Non credo che sia così»

 «Credi che a Gesù non interessi qualche segno d’inchiostro?»

«Io penso che torneremo a Lui così come siamo nati. D’altronde, siamo tutti segnati, Frank. Chi più visibilmente di altri, chi meno.»

Frank non seppe che ribattere. Non aveva mai incontrato una persona come Gerard, in grado di sputar semplicemente fuori frasi del genere; frasi potevano sì essere imbarazzanti, a volte, ma che gli facevano anche venir voglia di sedersi ai suoi piedi ed ascoltarlo per sempre.




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* "Absit iniuria verbis" = nessun offesa
"Magnum frates spectat te"  = Grande Fratello ti sta guardando

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Capitolo 10
*** It's Not a Sin ***






10. It's Not a Sin



«Non siamo poi così diversi io e te, Frank» disse Gerard, tutt’a un tratto.
 
Frank, da suo canto, scoppiò a ridere, forse un po’ troppo forte, per coprire la propria confusione. «Non lo so amico, temo che avrei qualche problema a fare un lavoro dove un libretto tascabile mi dice che non posso neanche masturbarmi»
 
«La Bibbia non l’ha mai detto»
 
«Cosa?» Frank fece una smorfia. «Sì invece»
 
«No, invece» scosse la testa Gerard. «E’ il Catechismo a dirlo, basandosi sul fatto che l’azione dissacrerebbe la sacra funzione del sesso, ma di per sé la Bibbia non dice che la masturbazione è un peccato»
 
«Certo che sì!»
 
«Okay,» Gerard fece una faccia risoluta, gesticolando con la mano in un segno d’invito. «E dove lo dice, allora?»
 
«Non spargere il tuo seme al suolo» rispose Frank, trionfalmente. «Levitico, o quella roba lì»
 
«Il Levitico è un libro pieno di pazzie, in grado di chiederci di lapidare qualcuno per aver bevuto un cocktail di gamberi» disse Gerard, accennando un sorriso divertito. «Il libro che stai citando con tanto orgoglio è la Genesi, e non è ciò che in realtà dice»
 
«Bene allora, uomo santo, che dice?»
 
«E Giuda disse a Onan, ‘Giaci con la moglie di tuo fratello e adempi al tuo dovere di cognato, rendendo a tuo fratello una prole del suo stesso sangue» snocciolò Gerard all’istante. «Ma Onan sapeva che quei figli non sarebbero stati suoi; quindi, ogni volta che giaceva con la moglie di suo fratello, spargeva il suo seme al suolo pur di non creare prole. Ciò che fece era malvagio agli occhi del Signore, che quindi lo condannò a morte»
 
Frank gli rivolse un’occhiata strana. «Quindi… “tirarsi fuori prima” è un atto punibile con la morte?Perché in tal caso conoscerei un bel po’ di coppie cattoliche nei guai fino al collo»
 
«Questo non è il punto della storia…»
 
«E quale sarebbe? E perché diamine sto Onan dovrebbe giacere con la moglie di suo fratello? Non ho ingoiato la Bibbia come te, amico, ma sono abbastanza sicuro che quello sarebbe adulterio»
 
«Lo sarebbe eccome,» annuì leggermente Gerard, concedendogli almeno quello. «Ma vedi, suo fratello era morto, e al tempo era tradizione che Onan prendesse la propria cognata sotto il proprio tetto, perché ella non rimanesse sola tra gli sconosciuti, e doveva darle un figlio in onore del marito morto»
 
«Di cosa morì il fratello?»
 
Gerard parve tutt’a un tratto a disagio. «Il Signore lo condannò»
 
«E perché mai?»
 
«Agì malvagiamente ai suoi occhi» mormorò, sospirando quando Frank strabuzzò gli occhi. «Già, lo so, lo so»
 
«Dio era piuttosto inquietante nel Vecchio Testamento, sai?» disse Frank, lanciando al soffitto uno sguardo diffidente.
 
Gerard agitò le mani con irritazione, respingendo l’idea che Dio potesse esserlo. «Senti, il punto è che Dio non ce l’aveva con Onan perché aveva sprecato il suo seme, okay? Era furioso perché aveva disobbedito al padre e alla tradizione, violando quindi il quarto comandamento, e per--»
 
«…perché aver schizzato per terra anziché nel corpo della moglie del fratello morto?» Frank incrociò le braccia sopra le lenzuola. «Wow, già, che terribile stronzo»
 
«Non si parla di – di “schizzare”, Frank» Gerard colpì il bordo del letto,per aggiungere enfasi; tutto rosso così come stava diventando, era fottutamente carino. Frank non potè fare a meno di notarlo. «Onan rifiutò di dare a sua cognata un figlio, perché continuava ad ascoltare qualche stupido orgoglio maschile; eppure, ci è comunque andato a letto, l’ha usata per il suo egoistico piacere. Trasformò quell’atto, che sarebbe potuto essere solenne, bellissimo, un dono di gioia e di vita, una continuazione del suo stesso sangue e di quello del fratello, in qualcosa di sbagliato, sfruttando la donna come un grande gioco sessuale, ed è questo il fottuto peccato, capisci? E su questo non ci piove! Non sto dicendo che quel tizio meritasse di morire, ma non pensi che tutto questo lo renda un grandissimo coglione?»
 
Frank prese a pizzicare le coperte, sentendosi improvvisamente un gran coglione a sua volta. «Non ci avevo pensato in quel senso…»
 
«Quasi nessuno lo fa mai» ribatté Gerard caldamente. «Guarda, potresti trovare le prove che quasi ogni cosa sia un peccato, se volessi. La Bibbia è ambigua, ma aperta all’interpretazione. Io scelgo di non vederla in chiave  “Dio odia gli orgasmi”»
 
Frank si rigirò nella mente quelle frasi, trovandole all’improvviso interessanti. «E quello là pazzo, il Levitico, ha qualcosa da ridire riguardo a tutta questa storia?»
 
«Oh, quello ha un sacco da ridire su un sacco di cose,» rispose Gerard cupamente. «Se vivessimo ancora secondo le regole del Levitico, dovremmo uccidere i bambini quando rispondono ai loro genitori, o dovremmo considerare sporchi gli uomini che hanno avuto un orgasmo andando a letto con una donna»
 
«Seriamente?!» Frank scoppiò a ridere, ancora più forte quando si accorse di come questo irritasse maggiormente Gerard. «Sua madre non gli ha mai spiegati da dove vengono i bambini?»
 
«Apparentemente, no» disse Gerard, l’accenno di un sorriso che cominciava a formarsi agli angoli della bocca. «Te l’ho detto, è tutto pazzo»
 
«Quindi non c’è niente lì a proposito della masturbazione?»
 
Gerard piegò un poco la testa da un lato. «Niente che vorrei le persone prendessero a cuore»
 
A quel punto, Frank chiese mentalmente scusa a sua madre, prima di aprire bocca: «Quindi… lo fai anche tu?»
 
«Fare cosa?» chiese Gerard distrattamente, aprendo il suo taccuino con l’unicorno.
 
«Masturbarsi» mormorò Frank, arricciando le dita dei piedi e trattenendo il respiro alla propria domanda ardita.
 
«Ovviamente» Gerard girò una pagina, poi sollevò lo sguardo su Frank. «Non molto spesso ma… sì»
 
«Oh» fece Frank, debolmente. «Oh.»
 
E ora Gerard stava blaterando di nuovo, qualcosa sul tatuaggio di Frank e sulla storia delle stigmate, ma Frank non stava davvero ascoltando, essendo ben più intento a smetterla di immaginarsi Gerard, mentre si toccava, nudo, oltre che per il collare…. e Dio, Frank sarebbe finito all’Inferno.
«Tornerò tra un attimo» disse a un tratto il giovane prete, lo stridio della sedia che tirò Frank fuori dalla Terra dei Fantasiosi Piaceri Corrotti.
 
«Vai via..?» saltò su Frank, afferrando il polso di Gerard prima che potesse darsi un contegno. Entrambi spostarono lo sguardo in basso, prendendo a fissare per un minuto le dita di uno, strette attorno alla pelle dell’altro.
 
«Soltanto in bagno…» spiegò lentamente Gerard.
 
«Oh» Frank si costrinse a lasciare la presa, aspettandosi già l’ondata di sollievo che se ne sarebbe andata, non appena cessato il contatto. «Uhm»
 
«Cerca di rilassarti» gli disse gentilmente Gerard, lo sguardo ancora puntato sulla mano del ragazzo. «Frank – per caso…?»
 
Frank sollevò il mento. «Per caso cosa?»
 
Gerard aggrottò le sopracciglia, in modo pensieroso, non arrabbiato. «C’è qualcosa che ancora non mi hai detto? Per caso hai sentito qualcosa… qualcosa di nuovo?»
 
Frank scosse la testa. «No,» disse. «Niente di nuovo»
 
Gerard lo lasciò fuori da guai, alzandosi ed allontanandosi in bagno. Frank rimase sdraiato sulla schiena a fissare il soffitto, pensando a qualche buon modo di dire “Hey, potresti entrare nel letto con me per un minuto così che mi passa il mal di testa?”
 
«La lucina del tuo telefono di casa è accesa» chiese Gerard, dal corridoio vicino prima del bagno. «Vuoi che faccia andare i messaggi?»
 
«Sì» rispose Frank, con l’accenno di un sorriso. Sentì il classico beep, poi un paio di messaggi di vecchi amici, che si chiedevano perché fosse sparito dalla faccia della Terra, e poi –
 
«Frank, sono il Dottor Durning. Mi è parso di averti visto sollevato di peso e trascinato fuori dall’ospedale l’altro giorno, ma so che non è così perché ti avevo detto di stare alla larga da qui e prenderti cura di te stesso per una volta»
 
Frank sollevò gli occhi al cielo, seccato.
 
«Comunque, penso che ti piacerebbe sapere che mi sono arrivati i risultati dell’analisi di quella tua pomata per i tatuaggi. Non ho dubbi che sarai felice di sapere di avere ragione. Sono solo erbe – uh, del rosmarino, ciclamino...  forse anche del vischio. Oh, e anche dell’elleboro, della canapa... quella roba lì, e la base è un certo tipo di olio»
 
Ci fu una breve pausa, durante la quale Frank sollevò vittoriosamente il pugno per aria, solo perché Durning potesse rovinargli di nuovo tutta la festa: «La notizia davvero eccitante è che contiene anche della belladonna, la quale è velenosa... non ti pare stupenda, la natura? Quindi il mio consiglio è di smetterla di mettere quella roba sulla tua pelle e di non mangiarla magari, per l’amor del cielo»
 
Un’altra pausa, ed infine: «Prenditi cura di te, Frank. Sai dove trovarmi»
 
Il telefono rilasciò il breve squillo di nuovo, e Gerard apparse sulla porta. «Molte persone tengono a te, Frank»
 
«Già» mormorò Frank, sentendosi all’improvviso più timido. «Almeno adesso sappiamo che cos’è quella roba che mi ha dato Luke»
 
«Già, è una buona notizia» si trovò d’accordo Gerard, tornando a sedersi accanto all’altro. «Ehy, ho una cosa da mostrarti»
 
Si rialzò nuovamente e frugò nel suo zaino, per quindi tornare indietro e spingere la sedia ancora più vicino al letto di Frank, prima di sedersi. Teneva in mano un libro enorme, che aprì e sistemò sopra la pancia di Frank, sfogliando alcune pagine finché non lo lasciò aperto su una grossa immagine.
 
«Questa è la Leggenda di San Francesco» disse Gerard, indicando un monaco con l’aureola, in ginocchio vicino a una montagna decisamente sproporzionata. «E questo è il Serafino»
 
Ed eccolo lì nel cielo, l’angelo di Frank, più sfocato e colorato e con un aspetto meno battagliero, rispetto a quello sulla sua mano, ma ancora inconfondibile. «E’ il mio tatuaggio...»
 
«Appunto» disse Gerard a bassa voce, avvicinandosi un poco. I capelli scuri sfiorarono la guancia di Frank. «Cosa ne pensi?»
 
Frank strinse le dita attorno alle coperte, trovandosi costretto a deglutire alcune volte, prima di riuscire ad aprire di nuovo la bocca improvvisamente asciutta. «Penso che o la montagna è molto piccola, o che è decisamente lontana»
 
Gerard ridacchiò, annuendo. «Penso che perdoneremo Giotto di Bondone, che di pittura religiosa in realtà se ne intendeva. Comunque, non hai torto» Sfogliò alcune altre pagine, mostrando a Frank una nuova immagine. «Era spesso rappresentato insieme a degli uccelli, come qui»
 
Frank tracciò la linea del volto dell’uomo con la punta delle dita, notando quanto sembrasse in pace. «Perché?»
 
«Amava gli animali» mormorò Gerard. «In realtà, è proprio il santo patrono degli animali e dei paesaggi»
 
«Sul serio?» sorrise Frank. «E’ fantastico»
 
«Già, sapevo che l’idea ti sarebbe piaciuta. Mikey mi ha detto che sei un gran amante degli animali anche tu»
 
«Vero,» disse Frank entusiasta. «Avevo un cane prima, Ella. Ed era fantastica, ma – è scappata, e l’ho persa»
 
«Mi dispiace»
 
Frank scrollò le spalle, tornando a sfiorare la pagina in cui San Francesco era rappresentato con l’aureola sopra la testa. «C’è anche un San Gerard?»
 
«In realtà sì,» sorrise Gerard. «Era una specie di monaco italiano»
 
Frank sogghignò. «Di che cos’era il patrono?»
 
Lì per lì il ragazzo esitò, poi roteò gli occhi e sospirò: «Delle madri in attesa»
 
E lì Frank scoppiò a ridere, cercando successivamente di coprire le risa con le mani, e ovviamente fallendo. «Ahaha! Questo è divertente»
 
«Era un consigliere per le suore,» aggiunse Gerard. «E poteva levitare»
 
«Cosa?!» e Frank rise per un altro lungo minuto, e solo dopo sollevare gli occhi per incontrare quelli dell’altro ragazzo. «Um, ricordi prima, quando mi hai chiesto se avevo altri tatuaggi a tema religioso?»
 
Gerard si riprese il suo libro, annuendo. «Uh huh?»
 
«Beh, prima non mi veniva in mente nulla, ma – ecco» Frank spinse via le coperte e si sollevò la maglietta, esponendo la pancia e le due rondini tatuate sopra l’inguine. «Somigliano molto a quelle del tuo libro, non ti pare?»
 
Gerard si spostò, sistemandosi sul letto all’altezza delle ginocchia di Frank, la fronte corrucciata e lo sguardo concentrato. Afferrò la macchina fotografica, e l’agitò in direzione di Frank. «E’ ok?»
 
Frank annuì, e Gerard cominciò a scattare un paio di fotografie, a un certo punto spingendosi in avanti per fare degli zoom. Frank non poté che bloccare il respiro e tenere duro sulla propria sanità mentale, impresa ardua, con un prete più che attraente praticamente intento a fissargli l’inguine, e altri certi posti fin troppo vicini.
 
Gerard posò di lato la macchina, e dopo un istante posò la mano sulla pelle di Frank, allargando le dita sopra le due rondini. «E’ ok?» domandò nuovamente.
 
“Ok” era fottutissima minimizzazione. Essere così vicino a Gerard aveva praticamente annullato tutto il dolore, quasi Frank non lo sentiva più, e la sensazione della dita di Gerard scorrere sulla sua pancia e i suoi fianchi era ben lungi dal prendere un antidolorifico, un sollievo del tutto superiore, come essere gettati di testa in un gigante bicchiere di vetro, pieno di qualcosa di... di frizzante, di fantastico. Frank avvertì un‘ondata di inspiegabile euforia investirlo completamente, ogni centimetro di pelle trepidante e bisognosa di sentire di più. Si morse un labbro e serrò le palpebre, gettandosi le braccia sopra il viso, ma niente era abbastanza per diminuire il bisogno di spingere maggiormente contro il tocco di Gerard, e non poté farci niente quando un suono roco lasciò la sua gola.
 
Le mani di Gerard si bloccarono immediatamente. «Ti sto facendo male?»
 
«Nnn» riuscì a rispondere, scuotendo la testa. Si costrinse nuovamente a rimanere immobile, trattenendo l’aria nei polmoni fino a sentirseli bruciare, e sentendosi il sudore imperlargli il collo e la nuca mentre ancora si teneva il labbro stretto tra i denti. Dovette impiegare tutta la sua forza di volontà per reprimere l’istinto di allacciare le gambe dietro la schiena di Gerard e tirarselo addosso.
 
Frank arricciò le dita contro la stoffa del letto, quando la mano calda di Gerard si spostò sull’osso del suo bacino, e non poté fermare un nuovo sussulto: se avesse provato a resistere per ancora un solo altro minuto, ogni suo difesa sarebbe crollata, permettendogli di piangere o ridere istericamente o finalmente afferrare Gerard, legarlo a letto e stringercisi contro, il più vicino possibile. Non era un desiderio sessuale, non propriamente, non era eccitato o altro, ma solo la sua vicinanza creava dipendenza e lo faceva uscire di testa, perché non era mai abbastanza, e proprio quando sapeva che di lì a poco sarebbe esploso in un milione di piccoli pezzi, lasciò uscire di getto l’aria dai polmoni e si girò improvvisamente, spingendo via la mano di Gerard con un gemito. Si ripiegò su se stesso, chiudendosi nella più piccola palla possibile, senza coraggio di scoprirsi gli occhi.
 
«Scusa» riuscì ad ansimare poi, «Scusa, è solo che – non lo so, mi sento molto strano»
 
Gerard, da suo canto, rimase muto per un secondo, e si schiarì la gola. E poi se la schiarì di nuovo. Quando Frank si convinse a spiare tra le proprie dita, lo trovò rosso come un pomodoro, intento a fissare il pavimento. «Do-dovrei...»
 
«Lasciami dormire» proruppe Frank, spingendosi immediatamente giù la maglietta e cercando di mascherare la sensazione che sentiva ancora in circolo nel sangue: gli sembrava di aver appena avuto una specie di orgasmo-dermatologico, appunto. «Dovresti – ho bisogno di dormire. E tu probabilmente avrai cose migliori da fare, che trattenerti qui»
 
Gerard si schiarì la gola per la terza volta, guardandosi freneticamente attorno. «Non dovresti rimanere da solo...»
 
«Mikey tornerà qui tra non molto» Frank si tirò su a sedere, giocando con le lenzuola pur di tenere occupate le mani, e soprattutto, tenerle su sé stesso.
 
Gerard parve sul punto di controbattere, ma allo stesso tempo dava l’impressione di voler fuggire velocemente da quella fottuta porta. E non c’era da stupirsi, considerato lo spettacolino che Frank aveva messo su per lui, seppur senza volerlo.
 
«Gerard» insistette disperatamente Frank. «Per favore, sto bene»
 
«Potrei fare qualche ricerca su... su quelle erbe allora, immagino» borbottò l’altro, evasivo. «Non saprei, però... Brian non voleva che rimanessi da solo»
 
«Gli manderò un messaggio» Frank tirò fuori il proprio telefono, incastrato tra le sue chiavi. Gerard rimase come in sospeso nella stanza, lanciando occhiate nervose a Frank e poi di nuovo al pavimento. «Io – Gerard, va tutto bene. Glielo farò sapere subito»
 
E dopo quello, Gerard si spostò piuttosto velocemente verso la porta. «Bene allora, io... me ne vado. Mi chiamerai se mai avessi bisogno di me?»
 
«Sì!» rispose velocemente Frank, sforzandosi di essere cordiale. «Dopo!»
 
Gerard esitò ancora un istante, poi si decise a lasciare la stanza.
 
Frank attese di sentire il suono della porta chiudersi, prima di infilarsi del tutto sotto le coperte; a quel punto, si premette il cuscino contro il viso, e gemette forte.





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Una vita di ritardo, ma.. si fa come si può. Direi che in estate proverò a velocizzarmi di nuovo, ma siccome ho stage tutto giugno, vedremo come va :,) La cosa positiva è che come stage devo andare a dipingere un murales per un campo da football (?)

Comunque... capitolo che piano piano si è scaldato, no? Un po' di gioia frerard  fa sempre bene.
Uh, il 24 maggio sono stata al concerto dei Panic! a Parigi... è stato davvero stupendo, da ripetere.... avevo un mio disegno della band in mano (ero in prima fila, 7 ore di attesa spese bene) Brendon mi ha visto, mi ha indicato, sorriso ed annuito. *-* fangirlaggio.
E inoltre, su 1000 persone, sono riuscita a prendere l'unico plettro di Brendon, che è fichissimo. Il mio nuovo scopo nella vita, è ottenere quello di Dallon, solo perché ho una piccola ossessione per quell'uomo... mh.
Ho anche arraffato una delle scalette delle canzoni... posso dirmi mooolto realizzata da quel concerto.

So che non ve ne frega niente, ma vi faccio i miei complimenti e vi stringerei la mano, se davvero state ancora leggendo queste parole. Complimenti davvero.
Sparisco, che è meglio.


_Ashes

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Capitolo 11
*** Feet, Feet are Next ***












11. Feet, Feet are Next





Bob arrivò qualche momento dopo, portando la cena con sé.
 
«Sei un angelo disceso dal cielo» lo accolse Frank, per poi bloccarsi, pensieroso. «E’ piuttosto strano da dire, ora come ora, huh?»
 
Bob si limitò a lanciargli un’occhiata, accendendo la piccola televisione portatile che teneva in mano insieme al cibo. «Non puoi stare senza una Tv, Frank, non sarebbe giusto. Hai davvero bisogno di un po’ di normalità»
 
Frank adorava davvero quel ragazzo, quindi gli lasciò dei colpetti sulla spalla e lo ringraziò, ma quando cominciò a trasmettere il Grande Fratello, Frank diede corda al programma per meno di cinque minuti.
 
A parte compagni di stanza che si urlavano addosso, il punto era proprio quello: normalità. Guardarono il telegiornale e ci strepitarono contro, finché non trovarono una maratona di “Estreme Makeover – Belli per Sempre”, ed entrambi pretesero di non avere le lacrime agli occhi quando il programma presentò un padre di nove bambini sulla sedia a rotelle, con un assegno per una borsa di studio gigante.
 
Nell’episodio successivo, uno dei ragazzi otteneva una fottutissima stanza strafiga, arrangiata come un laboratorio spaziale, e Frank commentò: «Forse dovrei inviargli un video, amico, anch’io sto passando tutti i tipi di dolori e sfortune. Dov’è la mia culla protettiva?»
 
«E cosa potrebbero fare?» disse Bob, la bocca piena di patatine. «Installare un recinto di crocifissi? Un distributore di cerotti?»
 
«Potrebbero darmi una fornitura a vita di Acqua Santa» propose Frank. «O delle fioriere per finestre stracolme di aglio»
 
Bob storse il naso. «Non sono vampiri quelli che ti stanno attaccando»
 
«Non importa, prova a inventartelo tu un piano per scongiurare le stigmate» protestò Frank.
 
«Ne ho già uno»
 
«Ah sì?»
 
Bob allargò le braccia. «Vedi qualche inspiegabile ferita su di me?»
 
«No»
 
«E allora il mio piano funziona» ripose Bob tranquillamente.
 
In seguito, finirono a vedere “Queer Eye  for the Straight Guy”*
 
«Vorrei troppo essere amico di uno chef» disse Frank, mentre osservavano Ted cucinare qualcosa... qualcosa dall’aspetto piuttosto delizioso. «Mmm, gli chef»
 
«Già, gli chef» concordò Bob, poi improvvisamente si tirò su a sedere, strepitando. «Non puoi mettere quelle scarpe con quella maglia, razza di idiota!»
 
Frank scoppiò a ridere, ancora più forte quando il tizio ignorò Bob, e Bob lanciò una patatina contro lo schermo.
 
«E tu sta zitto!»  si volse a dire a Frank. «Amico, lui – Dio, i miei poveri occhi»
 
«Saresti perfetto per fare questo programma» sogghignò Frank, schivando per un pelo la manata di Bob in direzione della sua nuca. «Forse dovresti inviare un curriculum – ow, Bob, no, andiamo, sono ferito!»
 
«Stronzetto» si lamentò Bob, tornando a gridare contro lo schermo. «Marroni le scarpe, marroni!»
 
 
 
La serata trascorse placidamente, tra la Tv e tra Bob che strepitava. Stava raccontando a Frank del kit per la batteria che aveva intenzione di comprare, quando il dolore nei polsi del ragazzo esplose improvvisamente. Frank sibilò e si portò le mani al petto.
 
«Che succede?» chiese Bob immediatamente, lasciando cadere la sigaretta mezza consumata nel posacenere e afferrando la spalla all’amico. «Frank?»
 
«Non lo so» Frank scosse la testa e cominciò a sciogliere il bendaggio dal polso sinistro per darci un’occhiata, quando una nuova ondata di dolore lo attraversò lungo tutta la gamba, per poi concentrarsi nel piede. «Oh cazzo. Oh, no»
 
«Va tutto bene» disse Bob, ora in piedi. «Chiamo un’ambulanza»
 
Frank scosse la testa e si morse forte la lingua, quando il dolore si diramò fino alla sua nuca. «Gerard. Chiama Gerard»
 
Bob afferrò il cellulare e lo aprì, ma Frank cambiò idea e cominciò a scendere dal divano, cadendo scompostamente sulle ginocchia quando le gambe non lo ressero. «Oh, merda, Bob, sta per... – non so che cosa fare»
 
«Cosa succede Frank?» chiese Bob con urgenza. «Dov’è il problema questa volta?»
 
«Cazzo» gemette Frank, appoggiando la fronte al ginocchio dell’amico. «Piedi. Sono i piedi questa volta»
 
Bob si guardò velocemente intorno, poi rimise il telefono in tasca, sollevò Frank e lo portò fino al bagno. «La vasca» disse con calma, girandosi di lato per passare dalla porta. «Così almeno questa volta non sanguinerai ovunque»
 
Frank ridacchiò nonostante tutto, stringendosi alle spalle dell’altro. «No, è solo che ti piace trasportarmi in giro, Bob Bryar»
 
«Vivo solo per quello» lo assecondò Bob, piegando la schiena per appoggiare Frank nella vasca. Spinse di lato le tendine e le appallottolò, incastrandole più in alto, via dai piedi. Si posizionò in ginocchio, togliendo le calze a Frank e tirandogli su fino al ginocchio il pigiama. «Okay» mormorò, afferrando un asciugamano e piazzandoglielo sotto la testa. «Okay?»
 
Frank sollevò lo sguardo su di lui. «Hai già fatto prima tutto questo, vero?»
 
Bob accennò un sorriso. «E’ il mio passato segreto, mi hai beccato»
 
Frank tentò di rispondere, ma tutto il suo corpo cominciò a dolere allo stesso tempo, e quella che gli uscì fu più un flusso strozzato di vocali. Bob gli afferrò una delle mani tremanti, stingendogliela forte e tirando di nuovo fuori il cellulare. «Non preoccuparti Frank, andrà tutto bene»
 
Frank tentò di concentrarsi e prepararsi a qualunque cosa sarebbe successa dopo, arricciando le dita per l’ansia, con i polmoni che lottavano per rilasciare abbastanza aria da poterne respirare di nuova.
 
«Ecco, così» disse Bob, il telefono premuto contro l’orecchio. «Così, amico, respira, dentro e fuori, lentamente, dentro e fuori, bene così»
 
«Non sto partorendo, idiota» disse Frank a denti stretti. «Fa venire Gerard qui per l’amor del cielo, dico sul serio»
 
«Dio, sei proprio un frignone» commentò Bob, continuando a stringergli la mano. «Ehy, sono Bob. Devi venire subito a casa di Frank, i suoi piedi stanno per esplodere o quello che è, non lo so. E’ richiesta la tua attenzione»
 
«Sei esilarante» ansimò Frank, poi però il rumore di un martello contro un chiodo gli rimbombò nelle orecchie, e fu troppo occupato a gridare per poter dire qualcos’altro.
 
***
 
Sorprendentemente, questa volta non svenne. Cioè, non del tutto. Si sentiva vagamente cosciente, con il sottofondo della voce calma di Bob che gli parlava, trattenendogli la mente in quel bagno, e non su qualche collina a fare il martire. Tornò completamente in sé solo quando fu finita, quando il dolore  si fermò e la sua pelle tornò ad avvertire la superficie liscia della vasca, piena di quello che sapeva essere il suo stesso sangue.
 
«Andiamo, ti porto a letto» disse d’un tratto Bob.
 
Frank girò la testa nella sua direzione. «Non sono quel tipo di ragazza»
 
«E io non sono quel tipo di feticista sanguinoso» replicò Bob, tirando su Frank e issandolo sul bordo della vasca. «Le tue unghie dei piedi sono davvero indecenti, comunque»
 
Frank abbandonò la testa contro la spalla di Bob, mentre questi gli passava dell’acqua sopra i piedi e glieli avvolgeva in un asciugamano. Frank realizzò che avrebbe dovuto comprarne nuovi quando tutto questo sarebbe finito. Ammesso che sopravvivesse, ovviamente.
 
«Probabilmente non avrò bisogno di asciugamani in Paradiso» disse a Bob, cominciando a ridacchiare istericamente, più per distrarsi, che per altro.
 
«Se il tuo sangue finisce sulla mia maglietta,» rispose Bob cupamente. «Sta a vedere che finisci all’Inferno»
 
L’emorragia si era ormai quasi del tutto fermata, e Frank tentò di convincere Bob a lasciargli vedere il danno che si era procurato questa volta – ma Bob aveva la teoria che se non guardavi o non parlavi di una ferita, era come non averla affatto. In quel momento qualcuno bussò alla porta, e Frank sentì la voce preoccupata di Gerard. «Frank? Bob? Bob, Frank sta bene?»
 
«E’ tutto okay, solo un secondo» rispose Bob ad alta voce, risollevando Frank e riportandolo in camera da letto.
 
«Ho cambiato idea» disse Frank contro il colletto dell’amico. «Sono stufo di camminare. Puoi portarmi in giro ogni volta che vorrai»
 
Bob lo appoggiò sul letto, riavvolgendo immediatamente gli asciugamani insanguinati. «Diamine, Frank, ora dovrò trovare una nuova grande ambizione per la mia vita»
 
«Sposiamoci» propose Frank mentre l’altro si allontanava per aprire la porta. Bob, ovviamente, lo ignorò.
 
Frank chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio respiro. Ascoltò Bob lasciar passare Gerard, i loro veloci saluti e poi, stranamente, sentì Bob emettere un verso di dolore, e varie scuse da parte di Gerard.
 
Lì per lì fu sul punto di chiedere cosa fosse successo, ma si sentiva troppo scarico anche solo per sollevare la testa. Sentì Bob spostarsi in cucina e i passi di Gerard venire verso di lui: il suo intero corpo cominciò a formicolare in aspettativa, dovuta al ricordo delle sensazioni che il tocco di Gerard gli provocava, di come sapeva far sparire tutto il dolore, anche solo standogli vicino. Sentì il materasso sprofondare un po’, e la voce calda del ragazzo in questione.
 
«Hey, Frankie. Mi dispiace non essere stato qui, quando ne avevi bisogno»
 
Frank aprì gli occhi, e notò Gerard in ginocchio accanto al letto, appoggiato sui propri gomiti. Aveva i capelli umidi, sparati da tutte le parti come se si fosse vestito in fretta e furia, e c’era una striscia di qualcosa di grigiastro su una delle guance. Indosso aveva una maglietta dei Misfits, e dei jeans.
 
Così, semplicemente. Nessun collare, nessuna maglia nera, sembrava solo un normale ragazzo in vestiti normali, e Frank non sapeva se fu per questo, o per via del dolore, o per l’eccessiva perdita di sangue, o se era fin troppo stanco per combattere contro sé stesso, ma prima che potesse fermarsi si allungò in avanti, afferrò la maglietta di Gerard e lo sollevò di peso sul letto, premendo il viso contro il suo petto.
 
«Scusami» gemette, stringendo le braccia per tenersi Gerard ancora più vicino. «Scusami, scusami, ma fa male, fa così male»
 
«Frank..?» stridette Gerard, il panico nella voce. Era diventato completamente immobile. Frank non era neppure sicuro che stesse respirando.
 
«Ti ho mentito,» ammise Frank, sfregando il viso contro la stoffa della maglia di Gerard e annegando nella piacevole sensazione che lo attraversò. «Prima, quando mi ha chiesto se sentivo qualcosa di nuovo, ma non sapevo come dirtelo senza sembrare pazzo, e lo so che è strano, ma ti chiedo di restare qui ancora qualche minuto, solo... qualche minuto, Gerard, ti prego»
 
«E’ tutto okay, Frank» disse piano Gerard, spostandosi un poco. Frank si tirò indietro di qualche centimetro, giusto per lasciarlo sistemarsi un po’ più comodamente, e poi ci si ributtò addosso, sotterrandosi sotto il suo braccio per stargli il più attaccato possibile. «Però dimmi che succede»
 
«Sembra che se tu gli resti vicino, lui non sente più dolore» osservò Bob, che era rimasto appoggiato alla porta. Frank gli lanciò un’occhiata da sotto il gomito di Gerard, e Bob sollevò le mani. «Ma questa è solo l’opinione di un laico»
 
«Oh,» fece Gerard. «Oh! Frank, perché non mi hai detto nulla? Non ti avrei mai lasciato da solo!»
 
In risposta, Frank strinse la presa ancora di più, rilasciando un respiro tremante quando una mano di Gerard gli accarezzò la nuca e l’altra gli strinse la spalla. «Perché è assurdo»
 
«Lo penso anch’io» concordò Bob. «Io vado a fare del caffè, vedi di non reciderti un’arteria mentre non ci sono»
 
«Grazie Bob» intervenne Gerard, stringendo le braccia attorno a Frank e abbracciandolo propriamente. «Mi lasceresti vedere i tuoi piedi?»
 
Frank rimase avvinghiato stretto, scuotendo la testa. «Tra un secondo, solo un secondo»
 
«Dai» insistette Gerard, accarezzandogli il collo. «Non sappiamo se hai bisogno di punti, o altro. Lasciami dare un’occhiata»
 
Frank, seppur riluttante, si decise a lasciare la presa – non faceva male, non esattamente, d’altronde Gerard fu attento a non interrompere del tutto il contatto, ma faceva comunque schifo, rispetto a prima. Gerard si mosse fino in fondo al letto, rimuovendo con attenzione gli asciugamani da attorno ai piedi di Frank, sussultando leggermente alla vista del sangue.
 
«E non ti fanno male?» chiese, tirando fuori l’immancabile macchina fotografica dai jeans. Sollevò lo sguardo in su, verso di Frank, gli occhi grandi e i capelli incasinati: l’aspetto di un normalissimo ragazzo. Già, un normalissimo ragazzo parecchio attraente e con poteri curativi. Che stronzo. «Non sanguinano nemmeno più, le ferite sembrano chiuse. E’ successo anche prima, con i polsi?»
 
Frank gli raccontò brevemente cos’era successo, e Bob rientrò nella stanza con in mano il caffè e delle nuove bende, sedendosi in fondo a letto e prendendo ad avvolgere i piedi dell’amico con la stoffa, mentre Gerard prese a raccontare delle ricerche che aveva fatto.
 
«Ho cercato quelle erbe che il tuo dottore ha menzionato, e a giudicare da quello che ho trovato, alcune di esse non sono usate per, beh, sai... cose molto carine»
 
«Intendi roba tipo... magia nera?» domandò Frank, la guancia premuta contro la sua spalla. Si sentiva caldo, rilassato, protetto, come se nulla potesse mai fargli del male – il che, in tutta onestà, era una cazzata, considerato il fatto che, diamine, c’erano dei buchi nei suoi piedi. «Tipo un incantesimo?»
 
«Ancora non lo so. Stavo scrivendo qualche appunto prima che - »
 
«A matita?» volle sapere Bob.
 
Gerard aggrottò la fronte, confuso. «Sì. Perché?»
 
Bob scosse la testa e sogghignò osservando il caffè. «Boh, così, tanto per sapere»
 
«Non fare lo stronzo, Bob» lo riprese Frank, allungando la mano per sfregare via la striscia grigia dal viso di Gerard, per poi realizzare che forse non avrebbe dovuto, e riabbassò velocemente la mano, arrossendo.
 
«Ero nel bel mezzo di una lettura prima che chiamaste» continuò Gerard, ignaro. «Ma ho tentato di raggiungervi il prima possibile. Ho comunque portato qualche libro, non si sa mai»
 
«Oh, quindi erano libri quelli che mi hai lanciato addosso entrando?» Bob terminò di stringere le bende attorno ai piedi di Frank, strizzandogli giocosamente il mignolo. «Pensavo fossero mattoni avvolti nel cuoio»
 
Gerard si accigliò lievemente. «E in che modo potrebbero aiutarci a combattere il male?»
 
«Potremmo lanciarglieli addosso» rispose Bob, gravemente.
 
«Aspetta un attimo» intervenne Frank, lottando per tirarsi su e allontanandosi da Gerard quanto bastava per non sentire di nuovo il dolore, perché, per quanto la sensazione fosse piacevole, restarci avvinghiato a quel modo era abbastanza umiliante. «Il male? Perché, c’è del male adesso? Dov’è finita tutta la storia di San Francesco?»
 
«Penso solo che dovremmo contemplare tutte le possibilità» ammise Gerard, ostentando una voce che avrebbe dovuto tranquillizzare Frank, ma che fallì nell’intento. «Non sappiamo niente di certo, non ancora»
 
«Se questa cosa andasse avanti, che succederebbe?» domandò Bob. «Le persone vivono con le stigmate per anni, giusto?»
 
Gerard annuì. «Sì, ma – loro in teoria ricevano solo qualche marchio, sui palmi o sui piedi. Non ci sono casi registrati di persone che ne ricevono più di uno o due»
 
«Perché, quali altri ci sono?»
 
«Ce n’è – ne resta solo un altro. La ferita che Cristo ricevette nelle costole da una lancia» disse, toccando lievemente il fianco di Frank, il che per quest’ultimo fu da un lato piacevole, ma di certo non aiutò ad alleviare la sensazione di disperazione che si sentiva sprofondare nello stomaco, come se avesse ingoiato una roccia gigante con su scritto “CONDANNA”. «Proprio qui»
 
Bob ragionò qualche istante. «E sopravvivrebbe a una cosa del genere?»
 
«Non c’è nessun caso documentato» ripeté Gerard. «Non lo so»
 
Bob si alzò improvvisamente in piedi, la bocca ridotta a una linea, e marciò fuori dalla stanza.
 
«Ehy, dove stai andando?» chiese Frank, lasciando dei lievi colpetti rassicuranti sulla mano di Gerard, che aveva la stessa espressione mortificata di chi ha appena investito il cane di qualcuno. «Bob?»
 
«Vado a prendere quei cazzo di libri!» gridò Bob in risposta. «Nessuno ti pugnalerà nelle costole, non finché ci sono io».
 
 
 
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*   ”Queer Eye for the Straight Guy”: (= punto di vista omosessuale per il ragazzo etero) è un reality show Americano, conosciuto in Italia come “I Fantastici 5”








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Ammetto che mi sono divertita a scrivere questo capitolo, mi fa venire una voglia matta di andarmi a rileggere tutta la seconda parte della storia. Magari qualche riga rivado a leggermela.

Beh.. ho aggiornato un po' prima del solito. Cero di farmi perdonare per l'infinita attesa del capitolo precedente....

Comunque... E' FINITA LA SCUOLA!

Okay, ora che l'ho detto mi sento meglio.

_Ashes

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Capitolo 12
*** Sacrifice ***









12. Sacrifice

 
Quando Ray, Mikey e Brian tornarono, la pila dei Libri che Ancora Dobbiamo Controllare si era ridotta sensibilmente, e la pila di quelli Completamente Inutili, invece, era alta in modo allarmante. Frank aveva collezionato molte informazioni su incubi e succubi* e vari altri modi con cui il Diavolo si manifestava, ma nessuno di essi dava l’impressione di poter esistere realmente, e comunque nessuno menzionava le stigmate se non come puro dono dal Cielo.
 
«Hey ragazzi, come va lo studio-party?» chiese Ray, scrollandosi via la giacca dalle spalle.
 
Frank li salutò con la mano. «Pare che salvarmi la vita implichi un sacco di cose da leggere»
 
«Non puoi semplicemente chiedere a, non so...» domandò Bob a Gerard, mentre Brian afferrava un libro e si sedeva sul divano al suo fianco. «Al Vaticano? O quello che è»
 
«Frank è ateo» disse Gerard, senza sollevare gli occhi dalle pagine. «Ci ho provato, ma non mi danno ascolto»
 
«Stai dicendo che lo lasceranno soffrire solo perché non crede in Dio?» s’intromise Mikey, mostrando la propria miglior espressione di disappunto, arricciando quindi le labbra e facendo quasi toccare le sopracciglia. «Wow, Cristo sarebbe davvero orgoglioso»
 
«Mikey, non iniziare» rispose Gerard, girando una pagina. «Ho detto che ci ho provato»
 
Ray superò Mikey, rotolando sul letto. «Comunque, tu come stai? Sai, per i tuoi..»
 
«I miei piedi?» Frank abbassò lo sguardo. Erano molto ridicoli, avvolti in quel modo tra stoffa e garze, tipo i piedi di Topolino. «Vuoi vedere?»
 
«No!» disse Ray velocemente, girandosi di scatto.
 
Mikey, nel frattempo, non si era ancora mosso di un millimetro dalla porta. Se ne accorse Frank: «Mikey, stai bene?»
 
«Che cosa stai facendo?»
 
Frank sollevò il proprio libro. «Sto leggendo di...» controllò brevemente il titolo. «Santa Teresa e i suoi sogni poco convenzionali»
 
«Non parlavo con te» Infatti, Mikey non aveva spostato gli occhi dalla figura di Gerard. «Cos’è, ti accoccoli nel letto di tutti quelli per cui investighi...?»
 
Quello, non era essere accoccolati, Frank e Gerard erano soltanto seduti vicini, ma Mikey aveva l’espressione severa di chi ha appena interrotto una scena di sesso.
 
«E’ colpa mia» disse Frank velocemente. «Fa meno male quando – quando lui è vicino»
 
«Amico, sul serio?» Ray si spinse in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia. «Sei tipo, un guaritore?»
 
«No» rispose Gerard fermamente, senza spostare lo sguardo da Mikey. «Penso c’entri con ciò che è stato fatto a Frank. E sto solo cercando di aiutarlo. Tutto qui»
 
Ray gli lanciò un’occhiata stranita.  «Okay, amico. Hey, Mikey, siediti qui»
 
Mikey rimase bloccato ancora per un secondo, fissando Gerard con una peculiare espressione vuota, che sembrava comunicare molto in una lingua che Frank non conosceva, finché finalmente non si mosse raggiungendo Ray.
 
Brian si schiarì la gola e parlò per coprire l’imbarazzante silenzio che era calato nella stanza. «Quindi... che cosa stiamo cercando?»
 
Gerard raccontò loro delle erbe, e della possibilità che la magia fosse coinvolta. «Il punto, è che è tutto molto strano e confuso, poiché ci sono alcune erbe che sono “cattive” o usate come tale, ma il rosmarino e il ciclamino – » 
 
«...sono usati come protezione» terminò Ray per lui, arrossendo con imbarazzo quando tutti si voltarono verso di lui. «Cos’è, pensate che io faccia i miei prodotti per capelli con quello che trovo in cucina? Io faccio delle ricerche, ragazzi, so quello che faccio»
 
Mikey si sporse verso di lui, sogghignando. «Tu sei un mago, Harry!»
 
«Ma sta’zitto» sbuffò Ray, scuotendo la testa in modo che i capelli finissero in faccia a Mikey.
 
«Beh, allora probabilmente saprai che il vischio non serve solo a baciarsi a Natale» fece Gerard a Ray.
 
«Già, non è, uh... tipo chiamato la “pianta dei vampiri”?»
 
Gerard si illuminò. «Esatto!»
 
«Perché è chiamato così?» volle sapere Brian, spingendosi in avanti, mento appoggiato sui palmi.
 
«Perché è una pianta parassita» gli disse Gerard, girando una pagina del libro che teneva in grembo e mostrandola a Brian e Bob. «Riesce ad infilarsi nella corteccia di altri alberi per ottenere acqua in periodi di siccità – ma la cosa interessante, è che secondo la tradizione Cristiana il vischio era una volta un albero in sé, infatti il suo legno fu utilizzato per costruire la Croce»
 
Frank tornò a sedersi comodo, improvvisamente interessato al vischio, cosa che non avrebbe mai pensato di poter fare. «Questo potrebbe legarsi a ciò che sta succedendo a me, giusto?»
 
Gerard annuì verso di lui. «Probabile. La leggenda dice anche che Dio punì il vischio per essere stato parte della Crocifissione, declassandolo a una strana piccola vite striminzita»
 
Mikey roteò gli occhi. «Gran bel modo di essere misericordiosi»
 
«Quindi, abbiamo selezionato tutte le informazione importanti relative ad erbe e stigmate da questi libri, ed abbiamo scritto degli appunti» continuò Gerard, ignorando Mikey. Prese i fogli che avevano utilizzato e li sparpagliò davanti a sé, aggrottando le sopracciglia. «Uh. Queste sono piuttosto confuse. Bob, che cos’è che dice sui polli..?»
 
Bob sollevò lo sguardo. «Non ho scritto proprio nulla a proposito di polli»
 
Gerard strinse gli occhi, allontanando il foglio di parecchio, per poi di nuovo spiaccicarselo sotto il naso. «Oh. Forse è per via della tua calligrafia – »
 
«Padre,» lo interruppe Brian, «Non sto cercando di dirti come fare il tuo lavoro, ma forse sarebbe stato meglio suddividere un po’ meglio tutto questo»
 
Gerard si limitò a sbattere le palpebre. «Non capisco»
 
«Aspetta – ho portato un paio di cose» Brian si alzò, entrando in un’altra stanza; tornò indietro con un gigante plico di fogli, e una manciata di penne che poggiò in fondo al letto. Cominciò quindi a strappare fogli della dimensione di poster: «Bob, mi daresti un attimo una mano?»
 
Appesero al muro i fogli, e Brian chiese a Gerard di specificare cosa esattamente stavano cercando, e scrisse a grandi caratteri gli argomenti in cima ad ognuno di essi.
 
«Da’ gli appunti a Mikey, è in grado di leggere qualunque cosa, anche la scrittura di Bob» disse, e da Mikey si fece dettare tutto ciò che avevano trovato, scrivendolo sotto forma di elenco puntato.
 
«Wow» sorrise Gerard. «Scommetto che non hai mai calzini spaiati, eh?»
 
Brian alzò gli occhi al cielo e cominciò a  dividere i libri in due pile uguali.
 
«Ho già cercato in quelli» protestò Frank quando Brian allungò a Ray tre libri presi dalla pila di quelli “Completamente Inutili”.
 
«Già, ma senza il mio sistema» rispose Brian con determinazione. «Il sistema non può fallire»
 
 
Era una cosa carina, pensò Frank - seppur carina in modo surreale - avere tutti i suoi amici seduti attorno a sè, intenti a leggere e mormorare l’uno con l’altro. Occasionalmente qualcuno saltava su con una nuova scoperta, Gerard prendeva il libro per verificare, e qualche volta l’informazione finiva sul muro, e qualche volta no.  Ordinarono una pizza, e l’aria della stanza divenne sempre più spessa per via del fumo. Bob e Brian aveva sparpagliato i libri sul tavolino, e Ray e Mikey stavano studiando attentamente un grosso volume che si erano posati in grembo.
 
«E’ come essere in Buffy*» disse Mikey a un certo punto, spostando lo sguardo su Frank da sotto gli occhiali. «Hai presente... quando sono in biblioteca, e fatto tutte quelle ricerche, piene di giochi di parole»
 
«Io prenoto Giles» saltò su Brian immediatamente, sollevando una mano.
 
Gerard farfugliò indignato. «Io sono Giles! Sono io quello con tutti i libri!»
 
«Ma io ho organizzato tutto»  Brian indicò la lista sul muro con il mento.
 
«E io ho una maggiore conoscenza dell’argomento!»
 
«Io ho riportato l’ordine nel caos!»
 
«Ordine tramite cancelleria» concordò Bob. «E’ una cosa da Brian»
 
«Tu hai procurato i materiali, è vero» Gerard si picchiettò la penna sui denti, pensieroso, poi la puntò di nuovo contro di Brian. «Tu puoi essere Joyce»
 
«Scusate, ma Joyce e Giles non andavano a letto insieme...?» intervenne Ray.
 
«Blargh» fece Mikey, disgustato, coprendosi gli occhi. Questa volta Frank non poté che essere d’accordo con lui.
 
«No, non Giles» scosse la testa Gerard. «Ma Ripper»
 
«Sono la stessa cosa» borbottò Bob.
 
Ray spalancò gli occhi. «Non sono la stessa cosa, sarebbe come dire che Angel e Angelus sono la stessa identica persona – »
 
«Quella è tutta un’altra situazione: Angelus è un demone e Angel è un’anima umana» argomentò Gerard.
 
«Lo so benissimo,» disse Ray altezzosamente. «Non sono mica un novellino, in materia “Buffy”»
 
«Oh mio Dio, siete tutti dei nerd perdenti» disse loro Frank, che tutta via durò solo dieci secondi prima di aggiungere: «Io voglio essere Oz»
 
«Oz è silenzioso» disse Brian, con aria esasperata. «E ha i capelli rossi»
 
«E’ basso e suona la chitarra» aggiunse Frank testardamente. «Io sono Oz»
 
«Secondo me Oz somiglia più a Bob» intervenne Mikey, pensierosamente. «E’ tranquillo, e ha un po’ di barba»
 
Frank roteò gli occhi. «E adesso che cazzo c’entra la barba di Bob?»
 
Mikey lo guardò come se fosse stupido: «Oz è un licantropo»
 
Gerard si girò su sé stesso per guardare Bob, gli occhi spalancati. «Sei un licantropo?»
 
«...No.»
 
«Oh» Gerard abbassò gli occhi sul libro, le guance lievemente arrossate. «No, ovviamente no»
 
Bob scrollò le spalle. «Non sarebbe comunque la cosa più strana qua dentro, ho ragione?» disse, e Gerard gli sorrise timidamente.
 
«Tu sei molto più Buffy, in ogni caso» decise Ray, puntando il dito conto Frank. «Stranezze come questa capitano sempre a lei»
 
«Immagino che questo ti renda Willow» disse Frank a Mikey.
 
«No» saltò su Ray, recisamente. «Io sono Willow»
 
«E perché mai saresti Willow?» lo derise Frank, per poi sobbalzare quando Brian chiuse un libro di scatto. «Amico, ma che cazzo...?»
 
«Nessuno di noi è il personaggio di una serie televisiva» ricordò severamente loro, Brian. «Abbiamo tutti un lavoro da fare. Possiamo tornare a concentrarci sulla realtà, per favore?»
 
Ci fu un coro di scuse mortificate, e il silenzio da biblioteca ricalò sulla stanza. «Forse lui è davvero Giles...» sussurrò Frank a Gerard. Gerard gli sorrise di traverso, e Frank dovette convincersi a spostare lo sguardo dalla sua morbida bocca rosa, e i suoi strani, piccoli denti.
 
«Gerard può volare,» annunciò d’un tratto alla stanza, per distrarsi.
 
«Frank, ugh» gemette Gerard con un espressione seccata, ma sotto sotto stava decisamente sorridendo. «Non avrei mai dovuto dirtelo»
 
«Non può volare» ridacchiò Mikey. «Sono scuro che lo saprei»
 
«Non lui, il suo Santo» lo stuzzicò Frank. «San Gerard sapeva levitare»
 
«Sul serio?» ghignò Ray, guardando Gerard.
 
«Ed è il patrono delle madri in dolce attesa!» vociò Frank con finto vanto, scoppiando poi a ridere quando scorse l’espressione esasperata di Gerard.
 
Ray ridacchiò. «Io ce l’ho un mio Santo?»
 
Gerard non rispose subito, continuando a tenere la stessa espressione falsamente arrabbiata per Frank, ma alla fine cedette. «Ci sono vari San Raymond, in realtà. Il mio preferito è quello spagnolo, che fu un famoso insegnante, una persona molto gentile, che navigò da Majorca a Barcellona a bordo del suo mantello»
 
Ray sbattè le palpebre, confuso. «Sul suo mantello?»
 
«Dio lo trasformò in una zattera per lui» aggiunse Gerard, come se fosse ovvio.
 
«Aww!» fece Mikey, tocchignando uno dei ricci di Ray. «Se tu fossi un santo, Dio farebbe una barca con i tuoi capelli!»
 
Gerard continuò: «C’è anche un altro San Raymond che apprezzo molto, comunque... San Raymond Nonnatus? Era un tizio che voleva a tutti costi liberare gli schiavi, mi pare. E anche lui era il patrono delle madri in attesa, proprio come tutti i migliori Santi»
 
Ray si spinse in avanti, dando il cinque a Gerard. «Fantastico, amico»
 
«E per Bob?» volle sapere Frank.
 
«Oh, ce ne sono parecchi» disse Gerard, sollevando brevemente tutte le dita come dimostrazione. «Ma il mio preferito è San Robert di Molesme, che rifiutò fama, ricchezze e molte altre cose. Una persona profondamente spirituale, oltre che un uomo davvero tosto»
 
«Un uomo di sostanza» annuì Bob. Brian gli sorrise, battendogli una mano sul ginocchio. «Approvo»
 
«Però non ci sono dei San Brian» disse Gerard, in tono di scuse. «C’è un Brian “benedetto”, tuttavia, che fu martirizzato a Londra»
 
«E per quale motivo?!» squittì scandalizzato Brian. 
 
«Uh,» Gerard si schiarì la voce quasi on imbarazzo, poi ammise: «Per aver aiutato un prete»
 
Brian si limitò a sospirare. «Ma guarda te...»
 
Frank rise, e si girò verso di Mikey. «Tu non vuoi saperlo?»
 
«Io sono l’Arcangelo Michele» rispose altezzosamente, sollevando lo sguardo da sotto il suo stupido cappello di stoffa (ndt/: “beanie”, non sapevo bene come tradurlo). «Sono il Comandante dell’Armata di Dio. Voi perdete tutti»
 
Gerard si illuminò d’orgoglio. «Esattamente»
 
 
Non fu molto dopo, che Ray alzò gli occhi da uno dei libri che Frank aveva già sfogliato in precedenza; si spostò i capelli dal viso: «Uhm»
 
«Cosa c’è?» si voltò a guardarlo Gerard.
 
«Probabilmente non è nulla» fece Ray , a disagio. «Non c’entra molto con le cose che hai detto di cercare, ma ho pensato che, sai, forse ci potrebbe aiutare»
 
Gerard annui. «Okay. Che cos’hai trovato?»
 
Ray lanciò a Frank una strana, nervosa occhiata, poi si alzò, portando il libro a Gerard. «Vedi, c’è questo passaggio sull’uso di voti e simboli, e dice questa cosa sulla  – »
 
«Purità del sangue» terminò per lui Gerard. «...che può essere raggiunta contrassegnando il sacrificio con un segno o un’immagine rappresentante...» e le parole gli morirono in gola, mentre muoveva velocemente gli occhi avanti e indietro sulla pagina.
 
«Cosa?» pressò Frank. «Rappresentante cosa? E – aspetta un secondo, sacrificio
 
Gerard si lanciò giù dal letto all’improvviso e raggiunse Brian, prendendogli il libro dalle mani e sfogliandolo freneticamente. Fece scorrere il dito verso il basso della pagina, ce lo picchiettò contro con forza e si precipitò verso i fogli sulla parete, cominciando a camminare avanti e indietro da uno all’altro, guardando entrambi i libri e borbottando tra sé e sé.
 
«Gerard» tentò nuovamente Frank, perché il suo stomaco stava cominciando ad annodarsi su sé stesso, e lui non ce la faceva più a restare lì seduto aspettando che gli ingranaggi del cervello di Gerard andassero lentamente al loro posto. «Sacrificio
 
Mikey sedeva in avanti, sulla punta dei piedi, guardando intensamente il fratello. «Dagli tempo, Frank»
 
In quel momento, Gerard si voltò di scattò e sorrise a Ray. «Ce l’hai fatta. L’hai trovato tu, Ray, non riesco a crederci. Hai capito tutto»
 
Ray lanciò le braccia oltre la testa. «Willow, figli di puttana! Che cosa vi avevo detto?» gongolò, poi tornò in se, lasciando le braccia cadere lentamente. «Aspetta, cos’è che ho capito?»
 
«Sei un sacrificio» disse Gerard a Frank, dritto dritto, senza rigiri di parole, senza badare ai sentimenti di nessuno. «Qualcuno ha – per spiegarmi meglio, si può dire che ti ha fatto un incantesimo, perché tu fossi costretto a manifestare i Segni di Cristo. Qualcuno ti sta offrendo a Dio»
 
Frank si tirò su sul letto, le ginocchia salde sotto il corpo, perché sapeva che non avrebbe potuto prendere quella notizia senza un cuscino a sostenere il suo peso. «Ma perché?»
 
Gerard esitò un istante, ma quando Frank ringhiò “Gerard”, cedette e roteò gli occhi con un certo panico: «Perché – perché se ciò che dice il libro è vero, allora se dovesse bere il tuo sangue quando riceverai l’ultima ferita e – e morirai, allora lui diverrà un tutt’uno con Cristo»
 
«E questo cosa cazzo dovrebbe significare?»
 
«Esattamente, non lo so» disse Gerard, prendendo a camminare avanti e indietro, sfogliando velocemente i libri. «Se tiro a indovinare, questo significa soltanto che è un folle»
 
«Pensi che non sia davvero un incantesimo?» chiese Brian.
 
«Se penso che ci sia un modo di diventare un tutt’uno con Cristo, costringendo un tizio a  caso a soffrire le sue pene e bevendo il suo sangue? Uh, no. Non credo proprio. Se penso che sarebbe comunque in grado di uccidere Frank?» e lì si bloccò, alzando gli occhi e fissandoli in quelli di Frank, che straordinariamente non sembrava in panico, solo determinato e fottutamente incazzato. «Allora sì, assolutamente»
 
«Ed è quello che sta facendo?» domandò Frank, sfregandosi i polsi che stavano cominciando a pulsare di nuovo. «Come può riuscirci?»
 
«Il libro parla di un simbolo, e cazzo, è così ovvio, non posso crederci di non averci pensato prima» Gerard si avvicinò a letto, ci gettò sopra i libri, si inginocchiò e prese la mano di Frank tra le sue: «Frank, è il tuo tatuaggio. Dobbiamo liberarci del tuo tatuaggio»
 
 

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*(Incubi e Succubi: nelle leggende di Roma antica e poi del Medioevo, erano demoni cacciatori del sonno, portatori di brutti sogni. Gli incubi erano la versione maschile, i succubi quella femminile)
 
*Buffy:  l'Ammazzavampiri (Buffy the Vampire Slayer) è una serie televisiva statunitense horror-action prodotta tra il 1997 e il 2003 e scritta da Joss Whedon.

 
 

 

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Capitolo 13
*** Cut It Off ***






13. Cut It Off




«Resisti ancora un po’» stava dicendo Gerard. «Bob tornerà presto, e finirà tutto quanto, Frank»
 
«Sono un idiota» disse Frank, le mani contro gli occhi; premette finché non cominciò a vedere scintille rosse vagare oltre le proprie palpebre. «Sono davvero un idiota. No riesco a credere di essermi fatto tutto questo da solo»
 
«Non ti sei fatto proprio niente da solo, Frank, nessuno è da incolpare se non quel coglione di Luke, okay?» ribattè Ray, sedendosi davanti a Frank e appoggiando le mani sulle sue ginocchia.
 
«Io continuo a sostenere che dovremmo chiamare la polizia» disse Brian.
 
Frank si tolse la mano dal viso e roteò gli occhi. «Per dire cosa, Brian? “Oh, Ufficiale, c’è questo tizio che ha fatto un tatuaggio maledetto a un nostro amico invocando lo Spirito Santo, potrebbe per favore arrestarlo...?».
 
Brian sospirò. «Deve pur esserci qualcosa che possiamo fare»
 
«Sono tornato,» chiamò Bob, entrando nella stanza e mollando lo zaino accanto a Frank. «Okay, che cosa volete che faccia, coprirlo interamente di nero o cosa?»
 
«Non lo so» Frank prese a studiarsi la mano. Era strano – adesso sapeva che era un angelo malvagio, ovviamente, eppure ai suoi occhi continuava ad essere bellissima. Sentiva ancora la stessa sensazione che aveva avuto nel negozio di Luke, quando l’aveva vista per la prima volta. «Non è che potremmo semplicemente modificarla? Non mi va troppo a genio l’idea di un grosso cerchio nero sulla mia mano»
 
Bob intanto stava estraendo il necessario dallo zaino. ««Se vuoi poi posso aggiungere dei dettagli intorno ai lati, cosa ne dici?»
 
Frank sospirò. «In tal caso rovinerebbe tutto l’equilibrio del disegno»
 
«Cristo, Frank, priorità!» abbaiò Brian. «Quanto potrà essere importante quando starai sanguinando dagli occhi?»
 
«La Bibbia non dice che a Gesù sia mai successo» intervenne Gerard, per poi affrettarsi ad aggiungere, «Ma in teoria sono d’accordo con te», quando Brian lo guardò truce.
 
«Frank,» disse Mikey, tranquillamente. «Ti sta facendo del male»
 
Frank tornò a guardare il viso dell’angelo. «Già,» ammise, «Lo so»
 
«Bene allora,» disse Bob, tirando fuori gli aghi. «Nero solido, alla fine?»
 
«Oh,» fece Gerard, debolmente. Quando Frank si voltò a guardarlo, notò che era diventato di una notevole sfumatura verdognola. «Oh, quello – quello è un ago, d’accordo...»
 
«Va tutto bene?» gli chiese, per poi sobbalzare quando Gerard si mosse di scatto, allontanandosi da lui. «Dove stai andando?»
 
«Non posso,» disse Gerard rigidamente, torturandosi le mani. «Non posso – mi dispiace, Frank, è solo che, non riesco a sopportare di stare vicino a un ago, non posso, non riesco»
 
«Lui sta sopportando molto più che un fottutissimo ago, Gerard!» disse Mikey, incredulo. «Dio, non fare la ragazzina!»
 
«E’ tutto ok,» tentò di dire Frank, ma tutto quello che gli uscì fu un gemito, quando si tirò in avanti appoggiando la fronte alle ginocchia. Il dolore si ripresentò alla porta della sua coscienza, facendo notare la propria presenza con la solita pugnalata al suo sistema nervoso. Frank stinse gli occhi e cercò di non vomitare. «Cazzo»
 
«Per l’amor del cielo, Gerard» ringhiò Mikey, raggiungendo Frank e posandogli un braccio intorno. Era un gesto gentile, confortante, ma non attenuava il dolore.
 
Frank si appoggiò comunque a lui, nascondendo il volto nella sua spalla. «Bob,ti prego, appena sei pronto»
 
«Farò il più veloce possibile» confermò Bob, infilando i guanti e afferrando l’alcool per pulire la pelle di Frank. «Non fare un casino nelle tue mutandine»
 
Frank sentì Bob prendergli la mano, e il dolore gli risalì velocemente fino al cervello, costringendolo a drizzarsi e gettare la testa all’indietro involontariamente. «Cazzo»
 
«Devi restare fermo, Frankie» lo ammonì Bob, e Frank cominciò a sentire il ronzio dell’ago, adesso attivo.
 
«Ci sto provando» gli rispose Frank stringendo i denti, e a quel punto il dolore gli inondò la spina dorsale, fiorendogli in fondo alla schiena, e un altro spasmo lo investì, questa volta spingendolo in avanti.
 
Sentì indistintamente la voce di Ray, di Brian, e di Bob, che disse: «Non riesco a lavorare così, rischio di passarlo da parte a parte», poi quella di Mikey schioccare, «Gerard, che cazzo, porta il culo fino a qui immediatamente adesso, lui ha bisogno di te», e ancora altro dolore, questa volta sotto forma di una piccola esplosione dietro gli occhi, con un eco di scariche fino ai polsi.
 
Sentì Mikey allontanarsi, e restò solo per un lungo, terrificante secondo, finché due braccia non lo raggiunsero per tenerlo stretto: Frank gridò di nuovo, ma questa volta per il sollievo, spingendosi ciecamente ancora di più contro Gerard, il più possibile avvolto dal suo tiepido tocco, e sempre più lontano dal dolore.
 
«Io farò del mio meglio per non svenire o vomitare,» disse Gerard cupamente nel suo orecchio. «E tu in cambio devi restare fermo per Bob. D’accordo?»
 
«D’accordo» boccheggiò Frank, sentendo Gerard voltare la testa e premere la tempia contro la sua nuca. «Devi soltanto non guardare»
 
«Non lo sto facendo» mormorò Gerard, la voce smorzata. «Non sono nemmeno qui. Mi trovo in un posto molto lontano e senza aghi»
 
Mikey roteò gli occhi. «Oh sì, Gee, tutto questo dev’essere davvero incubo per te»
 
Bob prese la mano a Frank e ci appoggiò fermamente l’ago contro, giusto al centro del viso dell’angelo. «Pronto?»
 
«Pronto» mugolò Gerard, stringendo le braccia intorno alla vita di Frank.
 
Frank scambiò un’occhiata con Mikey, e annuì. «Pronto.»
 
Bob annuì a sua volta. «E adesso, ‘rock and roll’»
 
Faceva male, ovviamente, ma questo dolore era sopportabile, smorzato, sensato e cosi normale che Frank avrebbe voluto piangere. Seguì con gli occhi i movimenti dell’ago, spingendosi in avanti quando Bob spostò le mani per la prima volta, volendo vedere.... niente.
 
Non c’era niente di nuovo lì.
 
«Non ha funzionato,» disse Ray, spuntando da oltre la spalla di Bob. «Bob, perché non sta funzionando?»
 
«Non ne ho idea» Bob tentò di nuovo, e stava funzionando, Frank lo sentiva pungere come sempre, d’altronde era stato inchiostrato centinaia di volta, sapeva benissimo come ci si doveva sentire, eppure, quando Bob si spostò – non c’era niente. L’angelo continuava a fissarlo indisturbato, uguale a prima.
 
«Che succede?» volle sapere Gerard, ancora nascosto dietro a Frank.
 
«Vedi un  po’ tu stesso» Bob sollevò la mano di Frank e Gerard tornò a sedersi dritto. «Questo ragazzo è diventato l’uomo di acciaio all’improvviso»
 
«Così va molto male» osservò Brian, senza parlare a nessuno in particolare. «Così va molto male, vero?»
 
«Lo so,» disse Frank. «E se non riuscissi mai più a fare un altro tatuaggio? »
 
«Cristo, Frank» sospirò Brian. «Quanti tatuaggi pensi di poterti fare se sei morto, me lo spieghi?»
 
«Non sto morendo» ribattè Frank.
 
«Non è quello che sembra da qui!» urlò Brian di rimando, ma la voce gli si spezzò sull’ultima parola, e volse lo sguardo altrove, incrociando le braccia attorno a sé stesso e  piegando le spalle. «Scusami, non è quello che volevo dire»
 
«Già, però l’hai fatto» disse Frank, chiudendo gli occhi. Gerard tornò ad abbracciarlo, cullandolo leggermente avanti e indietro.
 
Il silenzio dilagò per un po’, pesante ed esasperato, finché Ray non intervenne timidamente: «Frank... non pensi che potrebbe essere Gerard?»
 
Frank sollevò lo sguardo. «Cosa?»
 
«Hai detto che non fa male quando lui ti tocca, giusto?» Frank annuì, e Ray continuò: «E quel giorno al negozio, quando vi siete incontrati – lui ti ha stretto la mano, e poi il tuo tatuaggio è guarito magicamente, ricordi?»
 
Frank deglutì. «Sì. Me lo ricordo»
 
«Non era guarito prima di quel momento?» chiese piano Gerard.
 
Frank scosse la testa. «L’avevo appena pulito quella mattina, ancora non era nemmeno cicatrizzato»
 
«Oh» fece Gerard. «Oh».
 
«Quindi, l’ago non può penetrare la sua pelle» disse Brian lentamente. «Perché Gerard lo sta toccando. Ma se lui lascia andare...»
 
«No» Frank strinse le proprie braccia attorno a quelle di Gerard, tenendosele strette. «Per favore – ti prego no»
 
«Tranquillo, non vado via» gli promise Gerard. «Ma tutto questo suona come... come se stessimo solo speculando. E se fosse il tatuaggio stesso? E se fosse tutta la mano?»
 
«Non posso inchiostrarlo» disse Bob con urgenza. «E non abbiamo tempo per rimuoverlo – merda, che cosa facciamo?»
 
Frank sentiva la risposta in fondo allo stomaco, la sentiva risalire fino ai polmoni, nella gola, obbligandolo ad aprire la bocca; tentò comunque di non dire quella parola che gli solleticava le labbra con impazienza, perché tra tutte le idee stupide che Frank aveva avuto nella sua vita, questa era di certo la peggiore. E nonostante tutto questo, si ritrovò a dirla: «Tagliamola»
 
«Sei fuori di testa?!» saltò su Brian, sprezzante. «Non taglieremo la tua fottutissima mano, Frank!»
 
«E perché no? Se ci liberiamo del tatuaggio, l’incantesimo o qualunque cosa sia sarà spezzato, giusto? Mikey, c’è una mannaia nel secondo cassetto in cucina»
 
«E poi per quale ragione hai una mannaia? Sei vegetarian– Mikey, non starai facendo come ha detto!»  gridò Brian con esasperazione quando Mikey si voltò per andare a prenderla. «Frank, non puoi davvero essere serio
 
«Serio sul non voler morire e farmi bere il sangue da qualche religioso idiota malato mentalmente?» Frank sollevò un sopracciglio. «Sì, credo di essere abbastanza serio»
 
«Ma è la tua mano»
 
«Eri tu quello che parlava di priorità» gli ricordò Frank, annuendo quando Mikey ritornò con in mano l’arma. «Beh, io preferisco imparare a vivere con una mano che morire con due»
 
Ray intanto continuava a spostare lo sguardo da uno all’altro, la bocca spalancata. «Frank, io non credo che sia una buona idea»
 
Frank lo ignorò e si spostò per sistemare il braccio, palmo all’insù, sopra il tavolo. Adesso che ci pensava, non vedeva l’ora di liberarsi di tutto questo, riusciva anche a sentire la magia oscura muoversi nelle sue vene come veleno, viaggiando dalla sua mano fino al suo cuore. «Con tutto il rispetto, ragazzi, non prenderò consigli da nessuno che non abbia una mano maledetta, al momento»
 
«Mikey, non puoi farlo» intervenne Gerard da oltre la spalla di Frank. «Se qualcosa va storto, non riuscirai mai a perdonarti»
 
«Non andrà storto niente» disse Frank fermamente, e incontrò gli occhi di Mikey cercando di non mostrare esitazione. Dentro, il suo cuore batteva all’impazzata e lo stomaco era in subbuglio, un macello di acido e torsioni ansiose. «Mikey, mi fido di te»
 
Mikey fece qualche passo incerto verso di lui, e sollevò la lama lentamente.
 
«Non puoi davvero star per tagliarli la mano» disse Bob incredulo. «Mikey, non puoi. Potrebbe morire per la perdita di sangue!»
 
«Non è vero,» disse Mikey rigidamente. «Gerard è qui. Può curarlo»
 
«Non possiamo saperlo!» esclamò Gerard con disperazione. «Mikey – Frank, digli di non farlo!»
 
«Non sentirò dolore se tu resti qui» gli disse Frank. «Andrà tutto bene. Lasciami andare solo un secondo mentre lui – mentre lo fa, e poi riafferrami di nuovo e fa’ quella tua cosa curativa» Frank sollevò lo sguardo su Mikey. «Al mio tre»
 
«Oh, Gesù» gemette Ray, coprendosi gli occhi.
 
«Uno» fece Frank, piegando a pugno l’altro mano e infilandosela in bocca, pur avere qualcosa da mordere.
 
Bob spinse indietro al sedia e si puntellò in piedi, scuotendo la testa. «Questa è davvero una cattiva idea»
 
«Due» disse Frank, contro le proprie nocche.
 
«Frank, no» tentò ancora Gerard, disperatamente.
 
Frank prese un profondo respiro e strinse gli occhi. «Tre».
 
«METTI GIÙ QUELLA CAZZO DI MANNAIA IN QUESTO FOTTUTISSIMO ISTANTE!»
 
Frank aprì gli occhi. Aveva ancora entrambe le mani. E Brian si era piazzato tra lui e Mikey.
 
La mannaia cadde al suolo con un rumore metallico, e Mikey incespicò all’indietro di alcuni passi, scontrandosi contro di Ray, che lo afferrò e lo tenne fermo.
 
«E adesso che tutti quanti si siedano!» urlò ancora Brian.
 
Tutti si sedettero.
 
«Voi siete» ribollì Brian, «I più deficienti figli di puttana che io abbia mai incontrato nella mia dannatissima vita, avete capito? Non so come cazzo sia riuscito a lavorare con voi coglioni in un posto pieno di cose affilate senza perdere un braccio ogni dannata settimana, voi bastardi fuori di testa, siete tutti certificabili, e giuro su Dio che la prossima persona a suggerire una cosa così fottutamente folle da meritarsi un Darwin Award*, incontrerà personalmente la mia ira, altro che l’Onnipotente!»
 
«Sono d’accoro con Brian» cominciò Gerard, ma s’interruppe quando Brian girò su se stesso e gli puntò un dito dritto contro il viso.
 
«E tu sei un prete! Tu tra tutte le persone dovresti avere un po’ più di buon senso, ma no, sei il peggiore di tutti! Per te non è abbastanza spuntare a caso nelle nostre vite, perchè improvvisamente tutti quanti siamo lottando contro Dio o il Diavolo o qualche pazzo tatuatore rinnegato che pensa di essere il Diavolo, no, adesso mi ritrovo anche il mio staff a puntarsi coltelli l’uno conto l’altro?! Non ho idea di come siate abituati lì in Vaticano, Padre, ma noi le nostre vite non le viviamo così!»
 
Gerard aprì la bocca. Frank scosse la testa furiosamente. Gerard la richiuse.
 
«Tutto questo è fuori dalla nostra portata!» sbraitò ancora Brian, completamente rosso in viso, agitando a caso le braccia. «Ray è un parrucchiere
 
E Frank cominciò a ridere. All’inizio solo un pochino, con quel classico stupido sghignazzamento che si cerca sempre di trattenere quando qualcuno urla rabbiosamente, o quando c’è una situazione particolare, persino tragica, ma poi non resistette più, specie quando si voltò a guardare Bob e lo trovò intento a stringere le labbra, a un soffio dallo scoppiare a ridere istericamente, e Frank davvero c’aveva provato, ma cedette e rise così forte che fece male  e dovette lottare per riuscire a respirare, emettendo versi strozzati e ridicoli e quindi ridendo ancora di più, al punto che persino Ray stava ridendo, e così Mikey e anche Gerard, nonostante tentasse di nasconderlo contro la spalla di Frank.
 
«Sono un parrucchiere!» esclamò Ray, collassando contro di Mikey, e alla fine anche l’espressione dura di Brian cedette, quando questi tornò a sedersi pesantemente, prendendosi la testa fra le mani.
 
«Vi odio tutti» gemette, facendo ansimare Frank alla ricerca di aria perché Gerard lo stava stritolando talmente forte che non riusciva a respirare. «Dovrei semplicemente lasciarvi qui a pugnalarvi l’uno con l’altro e risolverei tutti i miei problemi»
 
Quando si calmarono un poco, Mikey ammise: «Oay, forse quella è stata un’idea piuttosto stupida. Però ancora non abbiamo scoperto se Frank può essere ferito mentre Gerard è con lui, o se è solo tutto un problema della mano»
 
Brian roteò gli occhi. «Potrei riportare la vostra attenzione alla borsa piena di aghi ai piedi di Bob?»
 
Bob abbassò lo sguardo. «Mi sono completamente dimenticato che fosse lì»
 
Gerard prese a ridacchiare, solo per zittirsi piuttosto velocemente quando Bob premette un ago in una delle braccia di Frank. «Aargh...»
 
«Aargh anche a te» gli disse Frank, poi abbassò lo sguardo sul proprio braccio. «Oh».
 
L’ago gli aveva penetrato la pelle, normalmente. Non riusciva davvero a sentirlo, ma l’arnese era decisamente lì sotto.
 
«Non capisco» Bob aggrottò le sopracciglia. «Ma immagino che Gerard non c’entri niente, dopotutto»
 
«A quanto pare no» assecondò Frank. In realtà, non sapeva se sentirsi sollevato o deluso, quindi si limitò a tenere la voce inespressiva, neutrale.





* * * *

*Drawin Award:  è un ironico riconoscimento assegnato a qualsiasi persona che abbia aiutato a migliorare la specie umana "rimuovendosi da esso in modo spettacolarmente stupido", quindi morendo (o perdendo la capacità di procreare) per un motivo assurdamente idiota. (<---questa cosa è il top)


  _Ashes




 

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Capitolo 14
*** I Hand't Thought About That ***


 




14. I Hadn't Thought About That






Ben presto tornarono tutti ai propri libri. Brian suggerì di cercare in internet, ma Gerard bocciò l'idea.

«Tutto ciò che troveresti sarebbero dieci mila pagine di fanatici con sbrilluccicanti scrittine viola,» sospirò. «Fidati».

Quindi, seguirono altre ricerche e altro caffè, e altri tentativi da parte di Brian di indovinare la locazione del negozio di Luke in base alle misere descrizioni di Frank: «Era tipo... una strada? E... mi pare stesse piovendo»

«Posso semplicemente dire che preferirei non andare a cercare Luke?» disse poi Frank. «Conosco bene il detto che bisogna affrontare le proprie paure, ragazzi, ma inseguire il pazzo che sta cercando di usarmi come sacrificio umano non è esattamente nella mia lista di cose da fare nella vita»

«Quel che non capisco,» intervenne Gerard improvvisamente, osservando gli appunti ancora affissi sul muro. «E' il perché ci fossero tutte quelle erbe protettive nell'unguento che ti ha dato. Questa cosa non ha senso»

«In realtà ha senso!» saltò su Ray, con eccitazione. «Voglio dire, quell'unguento è per il tatuaggio, giusto? In questo caso è probabile che servisse a svolgere due funzioni»

«Che cosa intendi?» si accigliò Frank.

«Intendo... Okay. A volte voglio che uno dei miei prodotti abbia due azioni contrastanti, come se per esempio volessi che una cosa dia forma e corposità ai capelli, ma che allo stesso tempo tenga giù e lisci le punte»

Mikey annuì con convinzione. «Proprio come quella cosa che mi hai dato, il "Moonchild"»

«Esatto!» Ray si mosse sul suo posto, cercando di spiegarsi. «Sta tutto ne trovare il giusto equilibrio. Quindi, in questo caso, le erbe malvagie servono per potenziare l'incantesimo o quello che è, ma le erbe protettive sono lì per garantire che non succeda niente al tatuaggio, e questa è la ragione per cui Bob non riesce ad inchiostrarci sopra. Il problema è l'unguento. Funziona come uno scudo»

Brian si limitò a fissarlo con uno sguardo da pazzo. «E non avresti potuto menzionare questa cosa quando Frank stava tentando di amputarsi una mano?»

«E' una cosa a cui ho pensato solo adesso,» borbottò Ray, abbassando lo sguardo. «E probabilmente è stupida»

«No, no» annuì Gerard con energia. «Ha assolutamente senso, Ray. Penso tu abbia ragione»

Frank si sfregò gli occhi. «In realtà, sapete che vi dico? Fanculo. Ho cambiato idea. Voglio scovare quel figlio di puttana e prenderlo a botte finché non sanguina»

«Altroché, approvo» convenne Bob.

Gerard però prese a mordersi le unghie, parendo insicuro. «So che dobbiamo fermare quel tizio» disse con preoccupazione, «Ma non posso permettermi di usare la violenza, ragazzi, che avete intenzione di fare, ucciderlo? Non ho intenzione di fare parte di una cosa del genere»

«In che altro modo potremmo fermarlo?» chiese Mikey, spingendosi gli occhiali sul naso con una delle dita affusolate. «Cosa possiamo fare, Gee?»

«Non lo so» Gerard si alzò in piedi, cominciando a camminare avanti e indietro. Frank si accorse che, anche se Gerard interrompeva il loro contatto ma restava molto vicino, e se Frank non cominciava ad andare nel panico, il dolore era sopportabile. «Ci deve pur essere un modo di rompere l'incantesimo»

«Il problema, Padre, è che se anche ci fosse un modo dovremmo comunque fare i conti con quel tizio,» spiegò Brian. «La polizia non sarebbe in sarebbe in grado di aiutare. Non abbiamo molte opzioni, qui»

«Lo so, lo so. Ma non possiamo entrare là dentro e – » Gerard si bloccò, evidentemente frustrato, voltandosi e guardare gli appunti sul muro ancora una volta. Incrociò entrambe le braccia dietro la testa e rimase in silenzio per alcuni minuti, per poi finalmente parlare. «Se riusciamo a trovare un modo di interrompere il potere che ha su di Frank, possiamo poi liberarci di lui affidandolo al Vaticano».

«Lo stesso Vaticano che per primo ha rifiutato di aiutare Frank?» disse Mikey, poco convinto. «Che cazzo pensi che possano mai fare, Gerard, pregare per noi?»

Gerard alzò il dito medio a Mikey senza rimuovere le mani da dietro il collo, e Ray e Frank si scambiarono uno sguardo allibito ed entusiasmato, poiché dai – un prete! Che fa il dito medio! Frank non si sarebbe mai abituato a una cosa del genere. «C'è una fazione del Vaticano che gestisce questo tipo di cose»

«Io pensavo fosse ciò che fai tu» disse Frank, spingendosi un po' in avanti. «La congregazione di queste.. queste robe»

«'Causes of the Saints'» esclamò Bob, roteando gli occhi quando Frank si limitò a fissarlo i modo inespressivo. «Oh andiamo, non dirmi che non hai mai visto quel film»

«Io investigo sui miracoli,» chiarì Gerard, incrociando le braccia sul petto e voltandosi per vederli in viso. «Questa storia è... diversa. Più oscura. In realtà, non dovrei nemmeno sapere tutto questo, ma una volta ho incontrato questo tizio, Padre Crealy, che era sempre ubriaco, e una volta si è lasciato scappare un paio di cosette quando eravamo entrambi a Roma e – oh, a proposito, vi ho mai detto di quella volta in cui ho visto un tipo pescare monetine nella Fontana dei Quattro Fiumi?»

Tutti si limitarono a fissarlo.

«La Fontana dei Quattro Fiumi,» insistette Gerard. «E' una fontana molto famosa. In Piazza Navona? Opera di Bernini?»

«Gee,» intervenne Mikey, nel silenzio. «Smettila di fare il secchione e concentrati»

Gerard sbattè le palpebre. «Oh! Giusto. Bene, in realtà questo è tutto ciò che so. Succedono molte cose che la Chiesa deve gestire, ma non vuole che siano di dominio pubblico, per ragioni di sicurezza o di cattive impressioni, cose così. C'è però un Cardinale con cui parlo molto, c'è una buona possibilità che riesca a portarlo dalla nostra parte»

«E come facciamo ad essere sicuri che Frank non – vabbè, avete capito» disse Ray, facendo un movimento della mano che avrebbe potuto benissimo rappresentare l'esplosione del fianco di Frank, o un tentativo fallito di ballare la Macarena. «Come facciamo ad essere certi che sia al sicuro?»

«Starò bene finché Gerard è con me» lo rassicurò Frank.

Gerard si voltò a guardarlo, sorpreso. «Come puoi esserne sicuro?»

«E' che – riesco a sentirlo» Frank si morse il labbro, tentando di non suonare patetico come temeva di essere. «Non posso spiegarlo, è una cosa che semplicemente so»

Gerard annuì con uno strano imbarazzo e guardò altrove.

«Quindi, fatemi capire» fece Brian, allargando le mani. «O troviamo questo Luke, costringendolo a smettere di torturare Frank per poi girarlo al Vaticano, o... o uno di noi dovrà seriamente adattarsi a tutto un nuovo tipo di vita»

«In sintesi sì, si può dire così» convenne Gerard. «Posso chiamare il Cardinale tra qualche ora, ma non so se sarà giù in ufficio»

Bob si schiarì la gola. «Non pensi che sia abbastanza urgente da permetterci di svegliarlo?»

«Non sta dormendo» disse Gerard, con stanchezza. «E' a Messa»

«E' tutto ok,» disse Frank. «Come ho detto, per ora sto bene. E onestamente, ragazzi, al momento sono fottutamente stanco», mentì, poiché non era stanco, era esausto. Era stato malato così spesso e per così tante volte che ormai la parte peggiore non era più scoprire se qualcosa non andava, bensì era capire esattamente che cosa fosse. Sapere con cosa aveva a che fare lo faceva sentire – okay, la situazione faceva schifo, perché un tatuaggio maledetto non era il primo nella lisa dei suoi desideri, ma saperlo non lo faceva stare peggio di prima. L'adrenalina che gli era passata nelle vene negli ultimi giorni era improvvisamente svanita, smettendo quindi di tenerlo sveglio e attivo, e quindi adesso tutto ciò che sentiva era una gran mal di testa e del disperato bisogno di dormire.

Brian non era molto convinto, però. «Penso che dovremmo restare tutti insieme stanotte»

«Vero, almeno possiamo proteggerti» disse Mikey. «Possiamo... bruciare de salvia, o qualcosa del genere»

«Quello è paganesimo» osservò Gerard.

Mikey si accigliò. «E beh? Allora lo sono anche le erbe dell'incantesimo di Luke, idiota»

«Potremmo fare un cerchio di sale attorno al letto!» esclamò Ray. «L'ho visto una volta in un film»

«No, l'hai visto in Supernatural» lo corresse Bob.

Ray gli fece il dito medio. «Amico, è uguale. Hanno gli AC/DC come colonna sonora, quella serie è spettacolare»

«In realtà non so, non è molto accurata» disse Gerard, storcendo il naso.

«Prima non ti importava che Buffy non fosse "accurata"» gi ricordò Mikey.

«Beh,» roteò gli occhi Gerard. «Almeno Buffy era decente»

Ray boccheggiò, seriamente incredulo, fissando Gerard. «Non posso credere tu abbia detto una cosa del genere!»

«Oh ma per favore, anche solo la loro teologia è completamente – »

«Ho intenzione di fermare tutto questo prima che cominci,» intervenne Brian con decisione, alzandosi in piedi. «E adesso voglio che decidiamo insieme dove abbia intenzione di dormire»

«Il fucile è mio» disse Mikey immediatamente.

«Che cosa intendi, "fucile"?» si accigliò Bob. «Non siamo in una macchina»

Mikey roteò gli occhi. «In un appartamento, il letto è considerato come il sedile del guidatore e il divano è il fucile. E' una cosa che sanno tutti» (/ndt: no, non è vero. Non ho idea di che cosa stiano parlando.)

«No, il guidatore è chiunque possieda il letto, e il fucile è colui che ci dorme assieme» puntualizzò Ray. «Il divano era tipo il... fucile di riserva?»

«Ti sbagli,» gli disse Mikey. «Ma è la stessa. Il fucile di riserva è mio!»

Ray grugnì. «Come vuoi. Tanto sei talmente smilzo e ossuto che saresti finito col fare buchi nel pavimento di Frank»

«Aspettate un attimo, nessuno prenota il fucile?» chiese Frank. «Mi sento quasi offeso, ragazzi»

«Beh, è Gerard che dovrà dormire con te, no?»

Frank sbatté le palpebre, voltandosi a guardare Gerard. Gerard fissava il muro con determinazione. «Oh». Frank non c'aveva pensato. «Non c'avevo pensato»

Gerard abbandonò il muro e prese invece a fissare il pavimento.

«Sono sicuro che starò bene,» disse allora Frank, sperando che tutti smettessero di fissarlo in quel modo. Dio. «Ora sto bene e non ci stiamo nemmeno toccando, no? Se vuoi puoi dormire in soggiorno con Mikey e ti... ti chiamerò se succede qualcosa. L'ultima volta c'è stato un piccolo preavviso, giusto, Bob?»

Bob annuì, ma Gerard aveva preso a torturarsi le mani.

«Se ti succedesse qualcosa mentre io non sono lì,» cominciò, e questa volta prese a fissare anche il soffitto, perché dai, andiamo... non voleva essere lasciato da parte, Frank doveva immaginarlo. «Quindi va bene, va tutto bene. Tanto ho bisogno di restare sveglio ancora un paio di ore prima di poter chiamare il Cardinale, quindi... rimarrò qui»

«Gee,» iniziò Mikey, ma Gerard lo interruppe subito.

«Va tutto bene, Mikey. Smettila di preoccuparti»

Mikey roteò gli occhi. «Non accadrà mai,» borbottò, facendo sorridere Gerard, e poi spostò lo sguardo. «Frank, devi andare in bagno»

«Cosa?» Frank doveva davvero andarci, ma era abituato ad annunciarlo lui a Mikey, e non viceversa. Mikey mosse le sopracciglia in quel modo che significava "conversazione privata, adesso!" e allora Frank capì. «Oh, uh, già, ne ho decisamente bisogno» e cominciò e spostarsi verso il fondo del letto.

Alla fine, camminare non faceva male come avrebbe dovuto avendo dei buchi nei piedi, ma Mikey dovette aiutarlo a stare dritto in piedi mentre faceva pipì e si lava i denti, il che era piuttosto imbarazzante, ma niente che non avessero già sperimentato l'uno con l'altro considerando quel vecchio Venerdì sera.

Mikey aiutò Frank a cambiarsi e nei pantaloni puliti e una maglietta, e solo dopo incrociò le braccia sul proprio petto e intrappolò Frank con un'occhiata seria.

«Cosa?» fece Frank, tentando di non suonare nervoso. Era soltanto Mikey, per l'amor del cielo.

«Amico,» cominciò Mikey, ma si bloccò per un ungo momento, limitandosi a fissare Frank con serietà.

«Cosa?» chiese nuovamente Frank.

Mikey sospirò. «Okay... senti, tu e mio fratello,» Frank aprì la bocca, ma Mikey fece un gesto seccato con la mano, e continuò: «Lui non. Voglio dire, lui non può. Io non voglio... capisci?»

«No, in realtà no» scosse la testa Frank.

Mikey fece altri movimenti a caso con le mani, roteando un po' il collo, e sospirando ancora un paio di volte. Frank si limitò ad aspettare, sapendo che prima o poi Mikey sarebbe arrivato al punto, e l'attesa era soltanto una delle cose che avrebbe dovuto sopportare.

«Gerard stava considerando di lasciare il sacerdozio» ammise infine Mikey, la voce bassa.

«Oh mio Dio,» sussurrò Frank di rimando. «Perché?»

Mikey scosse la testa. «Varie ragioni. Ma soprattutto perché si sente come se non stesse aiutando nessuno, e poi ci sono... motivi politici. È un progressista, o qualcosa del genere. Non lo so»

Frank lo guardò strano. «Io credo che tu lo sappia»

«Okay, va bene, lo so» sorrise appena Mikey. «Ma non te lo posso dire. Il punto è che.. è davvero confuso al momento. Ed è... molto solo, Frank, e...»

«E?»

«E tu sei...» Mikey agitò le mani, indicando tutto Frank, che sollevò un sopracciglio. Mikey sospirò: «E tu sei persistente».

«Io sono – Mikey, Cristo!» sibilò Frank, spintonandolo ma facendo attenzione a non cadere a sua volta, considerata la sua situazione. «Non sto cercando di infilarmi tra le sue mutande, che cazzo, cosa pensi io che sia?»

«Io ti conosco!» sibilò Mikey a sua volta. «So benissimo che espressione hai quando ti fissi su qualcuno, Frank, non sono un idiota!»

«Non sono una specie di...» iniziò Frank, ma si bloccò quando non riuscì a trovare la parola giusta per descrivere qualcuno in grado di provare a sedurre un prete. Anche se se il suddetto prete era decisamente fico e con poteri magici nelle mani. «Prostituta» disse alla fine, perché non gli era venuto nient'altro.

Gli occhi di Mikey rischiarono di rotolare via dalle orbite, dalla forza con cui il ragazzo li fece roteare. «Una prostituta? Fai sul serio?»

Frank fece schioccare la lingua con irritazione. «Mikey, senti, tuo fratello è davvero un ragazzo stupendo, e – okay» si affrettò a dire, sollevando le mani per placare Mikey, che ormai stava praticamente digrignando i denti. «Forse, se le cose fossero diverse... ma non lo sono. Cristo Mikey, sono io qui quello che dovrebbe sentirsi offeso! Cosa pensi, che io stia fingendo tutto questo solo perché ho progetti per il futuro con tuo fratello?»

«Non sono solo preoccupato per lui,» disse Mikey con cautela, cercando lo sguardo di Frank con il proprio. «Ti stai comportando tutto da bisognoso, e roba così»

«Oh, beh» Frank incrociò le braccia. «Grazie tante, Dotto Phil»

Mikey fece una smorfia. «Va bene, scusami. Cazzo, sto soltanto cercando un modo di aiutare»

«Se lo dici tu...» Frank si spinse indietro contro la porta, rotolando la fronte contro il legno; aveva bisogno di tornare di là, il dolore sta gradualmente ritornando alle porte della sua consapevolezza, come una grossa e terrificante onda. «Fa male, Mikey. Fa male, e lui aiuta. Tutto qui. Prometto»

«Prometti» ripeté Mikey, ma la sua voce non era dubbiosa. Toccò la spalla di Frank: «Okay»

* * * *

Fu il turno di Gerard di allontanarsi in bagno dopo che Frank ritornò nella stanza – che fosse il momento della sua porzione di ramanzina da parte d Mikey, Frank non lo sapeva, e in ogni caso era troppo occupato ad osservare Ray, Bob e Brian bisticciare per decidere chi avrebbe dormito sul divano insieme a Mikey.

«Io sono più basso,» stava dicendo Brian. «E sono il vostro capo»

Quando Grard ritornò, Frank aveva già spento le luci in camera sua, infilandosi sotto le coperte.

«Hey,» disse Gerard con calma, appoggiandosi contro il materasso. Ci si sedette sopra rigidamente, il più lontano possibile da Frank, e Frank quasi si sentì in colpa per averlo messo in questa situazione, davvero, ma l'idea di essere pugnalato era molto peggio, e quindi si allungò per afferrare il polso di Gerard. Gerard sobbalzò al contatto, anche se aveva chiaramente visto la mano di Frank avvicinarsi, che cavolo. Si schiarì la gola: «Uhm»

«Uhm» ripeté Frank, rotolando in modo da poter appoggiare la fronte contro il suo braccio. Tenne il resto del corpo lontano da quello di Gerard e sospirò, chiudendo gli occhi e godendosi la pace, via dal dolore. «Così è va bene? Non è troppo strano? Se vuoi possiamo provare a fare una piccola barriera con la sedia, o che ne so... possiamo solo far toccare i piedi se preferisci»

Gerard fece un buffo verso, che avrebbe potuto essere una risata o un attacco di tosse strangolato, mentre accarezzò la testa di Frank in modo un po' goffo. «Va bene così. Tra poco dovrò chiamare il Cardinale, okay?»

«Mmph» rispose Frank, ormai poco motivato e completamente incapace di formare una parola, essendo già quasi addormentato. Riuscì a sentire Gerard tirare fuori qualcosa dalla tasca, e poi si addormentò.  

 

 

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Chiedo scusa per l'attesa... ho problemi con internet da un mese.

_Ashes

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Capitolo 15
*** Never Happened ***


 



15. Never Happened


 

Frank si svegliò quando qualcosa cominciò a fare rumore. Si sentiva caldo e comodo, e quando si sforzò di aprire gli occhi realizzò che Gerard doveva essersi sdraiato alla fine, e che lui doveva essergli venuto addosso mentre dormiva, considerando che ora la testa di Frank era sulla spalla di Gerard, e che da lì poteva vedere la sua mano muoversi appena appena nell'oscurità. Teneva stretto qualcosa, rigirandoselo tra le dita, ma Frank non riuscì a vedere cosa.

Gerard prese un respiro, e poi – stava sussurrando, realizzò Frank, così piano che riusciva a malapena a sentirlo; Frank chiuse gli occhi, rimanendo fermo, e si concentrò finché non riuscì a capire le parole.

«Così fu all'inizio dei tempi, così è adesso, e sempre sarà, in un mondo che non avrà fine,» mormorò Gerard. «Amen».

«Stai dicendo il rosario,» realizzò Frank ad alta voce, e Gerard trasalì sotto di lui, facendo di rimando saltare su la testa di Frank, che colpì dolorosamente la testiera del letto. «Ow»

«Scusa» si scusò Gerard, muovendosi perché Frank potesse spostarsi al suo fianco e vederlo in viso. «Pensavo dormissi»

Frank si stiracchiò e si rimise giù, impegnandosi a rimettere alcuni centimetri di distanza tra i loro colpi, ma lasciando il ginocchio premuto contro il polpaccio di Gerard. «Lo ero»

«Non volevo svegliarti» rispose piano Gerard.

«Non importa» sbadigliò Frank. «Hai parlato col Cardinale?»

Gerard annuì, continuando a far passare le dita sulle perline del rosario. «Penso che ci possa aiutare. Mi richiamerà domani dopo aver provato ad informarsi meglio sull'argomento»

«Forte,» sorrise Frank, allungando le dita per toccare il dorso della mano di Gerard. «Posso vedere?»

Gerard gli passò la collana senza esitazione. «Era di mia nonna»

«E' bellissima» Frank sfregò il pollice contro il legno delle perline, sentendo le lievi venature sotto la pelle. «Voleva che diventassi un prete?»

Gerard ridacchiò. «In verità, lei voleva che entrassi nel mondo dei musical»

Frank sogghignò e scosse la testa. «Sei davvero strano»

«Già,» annuì Gerard. «Lo sono. E sono anche stupito che tu abbia riconosciuto la preghiera, dev'essere passato parecchio tempo dall'ultima volta che l'avrai sentita»

«Una volta ero Cattolico» ammise Frank con aria rassegnata.

Dopodiché, rimasero silenzio per alcuni istanti. Frank riusciva a sentire il respiro degli altri ragazzi provenire dal salotto, e gli occasionali rumori o i fruscii di chi si rigirava. Passò il rosario di nuovo in mano a Gerard. Le loro dita si toccarono.

«Pregavi per me?» domandò Frank. «Scusami, è che – non ti avevo mai visto pregare prima»

«No, va tutto bene,» Gerard riarrotolò le perline della collana tra le proprie dita. «Tecnicamente, sono più il tipo da preghiere "informali", se devo essere onesto. Sono più che altro conversazioni nella mia mente, o ad alta voce, magari mentre faccio i pancakes o qualcosa del genere»

Frank sorrise ed inclinò la testa per guardare Gerard in viso. «Pancakes?»

«O qualcosa del genere» ripeté Gerard. «Non credo che ci sia una separazione tra Dio e l'umanità. Parlo con Lui proprio come se fosse qui accanto a me»

«E ti risponde mai?»

Gerard storse la bocca, pensando. «A volte. Ma mai nel modo in cui me l'aspetto». Frank fece un verso che sperò fosse incoraggiante, e Gerard continuò: «Certe volte è che, sai... magari tu sei in giro investigando sul Big Mac di qualcuno che giura di averci visto sopra la Madonna, e quando te ne torni nel motel guardando Jeopardy, hai solo voglia di avere qualcuno con cui urlare insieme le risposte giuste».

«Gesù non è bravo con i quiz?»

Gerard ghignò. «Per qualcuno che è onnisciente, la sua conoscenza generale fa un po' schifo»

Risero insieme, sghignazzando e silenziandosi a vicenda nella tiepida, piccola stanza. Frank si sentiva stordito, quasi ubriaco, e chiese a Gerard,

«Ti manca mai?»

Gerard si bloccò un attimo, ma poi ammise con calma, «Non il sesso. Ma tutto il resto un po', sai...» disse, gesticolando con una mano mentre le parole gli morivano in gola.

«Urlare contro la tv insieme a qualcuno?» suggerì Frank, e Gerard sorrise un pochino.

«Sì. Sì, quello mi manca». Gli occhi di Gerard erano grandi e scuri nella penombra della stanza. «Sono soltanto umano, Frank».

Erano rannicchiati sul letto, l'uno davanti all'altro. Molto vicino.

Frank lo baciò.

Non era stata sua intenzione, davvero, semplicemente successo, come se il suo corpo avesse finalmente deciso di prendere le redini e fare ciò che Frank aveva sempre voluto fare, una vola per tutte. Ma anche questo non era del tutto vero, perché la parte razionale di Frank non era esattamente relegata in fondo alla mente gridando con orrore, perché lì su un letto insieme a Gerard c'era tutto sé stesso, le loro labbra premute insieme, la mano di Frank sulla guancia di Gerard.

Gerard non si mosse affatto; era talmente paralizzato da non osare neppure respirare, almeno finché Frank non gli accarezzò lo zigomo con il pollice, e allora Gerard mosse la bocca in maniera minima, rispondendo al bacio in modo infinitesimale. Il suo labbro inferiore rimase tra le labbra di Frank, ed era tutto così dolce che Frank avrebbe voluto ancora solo un altro, lungo secondo.

Tuttavia, la parte di Frank che da qualche parte stava effettivamente gridando con orrore riafferrò le redini, e Frank si tirò indietro, fissando Gerard – che lo fissava a sua volta con grandi, enormi occhi inquieti.

«Mi dispiace,» respirò Frank, spingendosi nella direzione opposta fino a rimanere in bilico sul bordo del letto. «Io – Oh mio Dio, Gerard, mi dispiace così tanto, non c'è scusa, non posso credere di averlo fatto. Per favore non – mi dispiace, mi dispiace, okay?»

Gerard ancora non si muoveva, né respirava – o almeno, a Frank non sembrava, perché rimase lì a fissare Frank per un davvero orribile, infinito momento, prima che scuotesse la testa lentamente e lasciasse andare un lungo, scosso sospiro. «Frank».

«Lo so, lo so» Frank si chiuse su se stesso e seppellì la faccia nel cuscino, premendoselo contro le orecchie come se potesse entrare all'interno e rimuovere immediatamente questa situazione dal suo cervello. «Dio, sono un deficiente, sono davvero un coglione. L'avevo promesso a Mikey, gliel'avevo promesso»

«Che cosa gli hai promesso?» Gerard si tirò un po' su a sedere, accigliandosi. «Hai parlato con Mikey di – ti ha detto che io – »

«No, no, Dio, no,» si affrettò a rassicurarlo Frank. «E' che lui mi conosce, sa che io sono – oh, Dio, Gerard, per favore, dimmi che puoi fare a meno di raccontargli questa cosa?»

«Non posso mentire a Mikey» disse debolmente Gerard.

Frank si rigirò sulla schiena e si coprì il viso con le mani. «Nemmeno ometterla?»

Gerard si sedette e prese a passarsi le mani fra i capelli, avanti e indietro fino a lasciarli sparati da tutte le parti, ricordando una versione un po' punk di Doc Brown. «Non posso darti... questo. Non posso darti tutto questo, Frank».

«Lo so,» Frank si tirò velocemente su per poterlo vedere in viso. «Lo so benissimo. Gerard, non è quello che ti sto chiedendo. Non è così,» insistette, quando Gerard parve ancora più preoccupato di prima. «Senti, è che sono successe un sacco di cose folli, e sono stufo di sentire dolore ovunque, e tu.... e tu sei come una specie di Advil ambulante, e la cosa mi è sfuggita di mano, solo per un secondo. Ma per favore non dirglielo, ti prego. Si arrabbierebbe tantissimo»

Gerard sospirò, portandosi le ginocchia contro il petto. «E' anche colpa mia, Frank»

Frank scosse la testa con veemenza. «No, tu stavi solo cercando di aiutarmi»

«Sono stato sconsiderato,» ritorse Gerard. «Mi dispiace»

«Dispiace anche a me,» instette Frank. Cazzo. Sentiva che sarebbe finito a vomitare, e non solo perché la separazione da Gerard gli stava lanciando taglienti schegge di dolore nel cervello. «Per favore, Gerard. Mi dispiace. E dispiace a te. Possiamo dimenticare che sia mai successo? Per favore?»

Gerard si girò a guardarlo, sostenendo il suo sguardo per un lungo momento. Frank incontrò i suoi occhi e tentò di non sudare o rabbrividire in modo troppo ovvio, cominciando a torturarsi le mani finché Gerard non prese compassione e gli poggiò una mano sulla spalla.

«Va bene,» disse, e i suoi occhi erano sinceri. «E' tutto apposto»

«Non lo è,» scosse la testa Frank. «Merda»

«Merda» ripeté Gerard, stringendo la spalla a Frank. «Dai, ora sdraiati, hai l'aspetto di chi è sul punto di svenire, o di sputare fuori l'anima»

Frank tornò a rannicchiarsi sul materasso e Gerard si sdraiò lontano da lui, tenendo comunque la mano sul braccio di Frank.

«Non era tua intenzione,» sussurrò Gerard, quando il respiro di Frank tornò ad essere una regolare sequenza di "dentro e fuori".

Frank scosse la testa. «Non era mia intenzione».

Gerard annuì pensierosamente. «Okay, Frank. Okay»

«Mai successo?»

«Mai successo».

Frank emise un lungo sospiro di sollievo, e chiuse gli occhi. «Sai, gridare contro la tv è una cosa da amici. Io e Bob ci urliamo contro tutto il tempo. Ti sono permessi amici, giusto?»

Sentì il rosario di Gerard tintinnare appena. «Mi sono permessi amici»

«D'accordo allora» disse Frank, speranzoso. «Tu mi tiri fuori vivo da questa storia, e potrai venire ad urlare contro la tv insieme a noi ogni volta che vorrai»

Gerard rimase in silenzio per un minuto, ma quando parlò, nella sua voce c'era un sorriso. «D'accordo».

* * * *

Frank si svegliò al suono della suoneria del suo cellulare. Armeggiò con il dispositivo prima di riuscire a rispondere, avvicinandoselo all'orecchio e borbottando un: «..'onto?»

«Frank Iero?» disse una voce stranamente familiare.

Frank si sfregò la faccia con una mano, sbattendo gli occhi e cercando di allontanare le sensazioni del sogno sulle lucertole che aveva appena fatto. «Sì?»

«Mi dispiace chiamarla così presto,» disse la voce. Frank si sentiva ancora troppo annebbiato dal sonno per riuscire a riconoscerla, ma sapeva di averla già sentita prima. «Spero di non aver disturbato, ma credo di avere qualcosa che le appartiene».

Dall'altra parte, una cane abbaiò. Frank si alzò a sedere così velocemente che la sua testa girò come una trottola, e strinse forte il telefono. «Oh mio Dio, avete Ella? Dove l'avete trovata? Sta bene?»

«Potrebbe darmi il suo indirizzo? Gliela riporto subito»

Gerard si tirò a sedere accanto a Frank, e inarcò un sopracciglio quando l'altro ragazzo prese a ripetere velocemente il proprio indirizzo. «Buone notizie?» chiese, sorridendo quando Frank sollevò il pollice con eccitazione.

«Sarò lì a breve,» disse il tizio dall'altra parte del telefono. Fu solo quando questi chiuse la telefonata che Frank si accorse che non gli aveva detto il suo nome – ma d'altronde, Frank non aveva chiesto. Pazienza.

«Il mio cane!» esclamò a Gerard, saltellando un poco sul posto. «Qualcuno ha ritrovato il mio cane!»

Gerard sollevò la mano per dare un 'cinque' a Frank. «Finalmente qualche buona notizia»

«Vero?» Frank cominciò a muoversi verso il fondo del letto. «Devo dirlo a Mikey»

«Non è qui,» Gerard si alzò e aiutò Frank a mettersi in piedi, lasciandolo andare lentamente in modo che riuscisse a stare in equilibrio da solo. «I ragazzi sono tutti usciti per recuperare vestiti puliti e altre cose qualche minuto fa. Torneranno tra non molto. In più, credo che Brian voglia provare a ripercorrere le strade dove si trovava quel negozio di tatuaggi»

I piedi di Frank erano già guariti abbastanza da permettergli di andare fino in bagno da solo – e grazie a Dio, pensò mentre entrava. L'ultima cosa che voleva chiedere a Gerard era di restare lì vicino personalmente, mentre Frank svolgeva le sue funzioni vitali – specie dopo l'enorme disastro che aveva combinato la sera prima.

«Ho fatto del caffè,» gli comunicò Gerard dalla cucina quando Frank ritornò in soggiorno e si lasciò sprofondare sul divano. «Spero vada bene».

«Più che bene,» rispose Frank. «Non riesco a credere che qualcuno abbia trovato il mio cane! Aveva davvero cominciato a perdere le speranze»

Gerard ritornò con in mano due tazze di caffè e un sorriso enorme. «Lo so! Vedi, questo prova che devi sempre avere fede»

Frank fece una smorfia, prendendo una delle tazze. «E' troppo presto per i giochi di parole, amico»

Gerard ridacchiò beffardo. «Non è mai troppo presto per i giochi di parole»

Erano entrambi a metà di una sigaretta quando Gerard disse con casualità, «Allora... ieri sono rimasto un po' sveglio a leggere qualcosa sugli esorcismi»

Frank trangugiò un lungo sorso di caffè e sollevò un sopracciglio. «Acqua santa e tante grida?»

«E una valanga di preghiere, sì». Gerard scrollò le spalle e tamburellò le dita contro la tazza. «Non lo so, potrebbe tornarci utile»

«Ne hai mai fatto uno prima?»

Gerard fece una smorfia. «Non esattamente. Però ho fatto un corso»

«Un corso,» ripeté Frank. «Amico, la tua vita è parecchio diversa dalla mia»

«Lo credo bene»

«In ogni caso, gli esorcismi non servono a quelli tipo, posseduti? Io non sono posseduto. Niente zuppa di piselli vomitata su di me». Frank gesticolò verso la propria maglia come prova.

«Lo so,» Gerard sospirò e bevve altro caffè. «Era soltanto un'idea. Voglio dire, potremmo trattare la maledizione come fosse un demone, il male è male, no? E Ray ha trovato delle cose riguardo a delle erbe che potrebbero aiutarci. A questo punto, sono aperto ad ogni suggerimento, che c'entri con la Chiesa o meno».

Prima che Frank potesse rispondere, qualcuno bussò alla porta e Frank rischiò di cadere con la faccia per terra nel tentativo di alzarsi velocemente.

«Stai fermo qui,» lo ammonì Gerard, lasciando la sigaretta in equilibrio su bordo del posacenere e appoggiando la mano sulla spalla di Frank per tirarlo indietro. «Vado io».

Frank lo osservò avvicinarsi alla porta, sentendo il proprio stomaco e il petto e... beh tutte quante le sue interiora fremere per l'emozione e la felicità. Si spinse in avanti nel caso Ella gli fosse corsa addosso, e mosse il tavolino da caffè fuori dai piedi.

«Salve,» disse Gerard con entusiasmo una volta aperta la porta. «Grazie mille per essere venuto!»

«Nessun problema,» disse la voce che Frank aveva già sentito prima, e poi improvvisamente Gerard fu tirato in avanti, fuori dalla sua visuale.

Frank sentì la sua voce, soffocata e strozzata, e scorse i suoi piedi agitarsi aldilà della porta. Si alzò dal divano quanto più velocemente potesse, con il cuore a mille e lo stomaco in subbuglio, ma prima che potesse muovere un solo passo Gerard riapparse e cadde scompostamente sul pavimento, e a troneggiare sopra di lui, c'era Luke.

«Oh, Dio» sussurrò Frank.

«Dio non ti sta ascoltando, fratello», disse Luke trucemente, e si avvicinò a Frank con una mano sollevata sopra la testa.

Frank tentò di girarsi e scappare, ma subito sentì una delle mani di Luke tirarlo indietro e schiacciarlo contro il petto dell'altro uomo. Frank scalpitò e lottò; sentì il tavolino da caffè rovesciarsi, il rumore delle tazze e del posacenere spaccarsi al suolo, e poi la mano di Luke premette con forza contro il suo naso e la sua bocca.

Quando Frank tentò di inspirare la sua testa fu riempita da fumi e vapori forti,che disegnarono linee rosso sangue appena oltre le sue palpebre; ebbe tempo di sentire Luke sussurrare, «Stai fermo, stai fermo, non c'è bisogno di combattere,», e poi tutto divenne nero.

 

 

 

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Sorry for the slight delay.

_Ashes

 

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Capitolo 16
*** The Seven Last Words of Jesus Christ ***


 
 



16. The Seven Last Words
of Jesus Chirst
 
 

 

Quando Frank riprese i sensi si ritrovò legato a un tavolo, spogliato di ogni vestito a parte le mutande. La testa gli girava, si sentiva intontito e tutto pareva sfocato, e quando tentò di pronunciare il nome di Gerard, tutto ciò che ne uscì fu un farfuglio.

Girò la testa, o almeno ci provò: faceva male, ma aveva bisogno di trovare Gerard. Aveva bisogno di tenere gli occhi aperti.

Ciò nonostante, il tempo passò. Frank continuò a perdere e riprendere i sensi; gli parve di vedere una figura muoversi, di sentire mani sulla sua pelle. Pensò anche di aver sentito la voce di Gerard, per un attimo, dire il suo nome.

Quando riuscì ad aprire nuovamente gli occhi, la testa gli pulsava talmente da renderlo quasi felice che la stanza fosse sostanzialmente buia. Era un'oscurità che sapeva di chiuso, come se fossero sottoterra, ma non era così spessa da nascondere a Frank gli strani simboli dipinti sui muri con grandi pennellate di rosso e nero.

C'erano delle candele accese sopra a un piccolo tavolo nell'angolo, le fiamme tremolanti che gettavano sottili strisce di luce sopra all'immagine di quella che pareva essere la Vergine Maria, solo – sbagliata, in qualche orribile modo che Frank non riusciva ad identificare, mentre altre immagini giacevano appese ai muri, tra icone e ritratti; alcuni Frank riuscì anche a riconoscerli, mentre altri gli erano sconosciuti.

E sul muro dietro di sé, invece, quando riuscì a girare la testa e roteare gli occhi, c'era un enorme crocifisso con una scritta incisa nel legno nella parte superiore – Frank affilò la vista e tentò di leggere all'incontrario, ma non gli sembrava neppure inglese.

Arrendendosi, girò la testa da una parte, stringendo i denti contro il giramento di testa che l'azione gli provocò. Trovò Gerard abbandonato su una sedia, proprio lì accanto a sé. Le sue braccia erano girate in modo strano dietro la schiena, ma la testa pendeva in avanti, la fronte appoggiata al braccio di Frank, che quindi non riusciva a vederlo in viso.

«Gerard,» mormorò Frank, tirando debolmente le corde. «Gerard, svegliati»

Gerard non si mosse. Respirava ancora, Frank riusciva a sentirlo attraverso il braccio su cui l'altro era appoggiato, ma non rispose in alcun modo quando Frank lo chiamò nuovamente.

Frank avrebbe preferito non iniziare ad urlare – Dio sa dove Luke poteva essere al momento, ma ciò nonostante, aveva bisogno che Gerard si svegliasse, e che se ne andassero insieme da questo posto. Agitò il bracciò più che poté e sibilò ancora il nome dell'altro, e alla fine Gerard parve recuperare i sensi, muovendosi e borbottando qualcosa finché non sollevò uno sguardo sfocato su Frank, sbattendo gli occhi iniettati di sangue ancora nascosti dietro ciuffi di capelli neri.

«Frank?» disse Gerard, con la voce impastata. Deglutii rumorosamente e si tirò su a sedere, sussultando e roteando la testa sulle spalle. «Che è successo? Dove siamo?»

«Non lo so, a casa di Luke probabilmente. Ricordi quando è arrivato nel mio appartamento?»

Gerard chiuse gli occhi per un momento, sforzandosi visibilmente di rimanere concentrato. «Um, sì, sì, credo. Merda – che roba era quella, cloroformio?»

Frank scosse la testa. «Non ne ho idea. Mi sento come se avessi perso una sfida contro un anestesista pazzo, però»

«Pure io,» Gerard grugnì e sbatté le palpebre, osservando la stanza e poi di nuovo Frank. «Perché sei – perché ti ha tolto i vestiti?»

«Non lo voglio davvero sapere,» rispose Frank con fervore. «Aspetta, non è che riesci a liberarti le mani e slegarmi?»

Gerard provò a tirare un po', ma i suoi polsi rimasero ancorati dietro alla sua schiena. Scosse la testa. «Sono legati piuttosto stretti. Aspetta,» disse, e cominciò a muovere i piedi sul pavimento, riuscendo in fine a ruotare la sedia e tirarsi in avanti perché Frank potesse vedergli i polsi. «Cosa sono, manette?»

«Corde,» constatò Frank. «Sono abbastanza sottili però. Non è che vedi, non so, qualcosa di affilato qui intorno?»

«Aspetta – cazzo, sono ancorato all'intera sedia» Gerard si sollevò appena appena in avanti, tentando di stare in piedi quel tanto che l'essere legato alla sedia per polsi e cosce consentisse. Riuscì infine a zoppicare per la stanza, come un incrocio tra un anziano e un granchio, sbattendo le gambe della sedia contro le pareti e imprecando ogni quindici secondi. Poi si bloccò improvvisamente, accanto a un basso tavolo dall'altra parte della stanza. «Uh.»

«Buone notizie?» Frank allungò il collo, nel tentativo di vedere.

«Non sono del tutto sicuro che sia il caso di chiamarle così». Ci fu un sordo rumore metallico ed entrambi si immobilizzarono all'istante, finché alla fine Gerard tornò barcollando da Frank, riposizionando la sedia e stringendo in mano un piccolo scalpello. «C'è un vassoio pieno di strumenti medici e altra merda laggiù.»

«Grandioso,» borbottò Frank, allungando le dita quel tanto che bastava ad afferrare lo scalpellino. «Davvero fottutamente grandioso».

Gerard rimase fermo mentre Frank forzava le proprie dita sudate a mantenere la presa, mentre muoveva lo scalpello su e giù contro le corde che legavano i polsi dell'altro. E alla fine, queste cedettero e si ruppero con un piccolo 'pop', cadendo al suolo e lasciando a Gerard la libertà di scuotere i polsi e slegare le corde strette attorno alle sue cosce.

«Grazie,» disse, non appena riuscì ad alzarsi in piedi, traballando un poco ma riuscendo comunque a restare stabile, mentre lavorava sulle corde attorno a uno dei polsi di Frank. «Queste sono parecchio più spesse, evidentemente voleva essere sicuro che tu non te ne andassi da nessuna parte».

«Grandioso.» ripeté ancora una volta Frank. Sollevò lo sguardo sulla croce che incombeva su di lui e chiese, «Cosa significa quello?»

«Cosa?» Gerard sollevò lo sguardo dal polso di Frank e seguì il punto che gli occhi dell'altro stavano osservando. «Uhm, 'Sitio', che in Latino significa 'Ho sete'.

Frank chiuse gli occhi. «Perché non suona bene per niente?»

Gerard riuscì finalmente a liberare una delle mani di Frank, che subito si tirò il braccio contro il proprio petto, mentre Gerard si mosse dall'altra parte del tavolo per slegargli anche l'altro. «E' parte di quelle che chiamano– »

«Le Sette Ultime Parole di Gesù Cristo, già» intervenne Luke, facendoli sobbalzare entrambi quando emerse dall'ombra. «Le frasi che Egli mormorò restando appeso alla croce, morendo per i nostri peccati.»

Frank si sollevò sui gomiti, guardando con orrore Luke avvicinarsi a loro. Vicino a lui, Gerard era diventato completamente immobile. «Sappiamo cosa stai cercando di fare,» disse Frank, tentando di suonare più coraggioso di quanto non fosse. «L'abbiamo capito».

Luke si limitò ad annuire; si spostò vicino al tavolo e posò i palmi sugli occhi di Frank, tenendolo fermo. «Tranquillo, fratello» sussurrò, mentre Frank sentì i tagli sulla sua fronte riaprirsi e sanguinare. «Sarai finalmente in pace a momenti».

«Smettila!» gridò Gerard, spingendo Luke via dal tavolo e tentando di separarlo da Frank. «Smettila, lo stai uccidendo!»

Luke lasciò andare Frank e colpì Gerard in viso con il dorso della mano, abbastanza forte da sbatterlo contro il muro, dove Gerard scivolò al suolo con un'espressione sorpresa.

«Lascialo in pace!» urlò Frank, combattendo inutilmente contro le corde attorno a polsi e piedi. «Lui non ha fatto niente, non c'entra in tutto questo!»

Gerard si passò la mano sulla bocca, spargendo sangue su tutta la guancia e fino all'orecchio. Si fissò la mano per quando istante, prima di spingersi di nuovo in piedi, tremolando. «Lascialo andare,» disse a Luke. «Sei ancor in tempo per fare la cosa giusta»

Luke scoppiò a ridere: una rugginosa,ruvida risata che gli uscì dalla gola e gli deformò il viso in un piccolo ghigno crudele. «La cosa giusta? Come te? Era la cosa giusta passare la notte a letto con lui?»

«Lo stavo aiutando,» disse Gerard, sollevando le mani come se stesse avendo a che fare con un cane pazzo e fuori controllo. «Stavo aiutando lui, e posso aiutare anche te, Luke».

«Aiutarmi?» Luke rivolse a Gerard quel sorriso corrotto, mentre una delle sue mani passava dallo stomaco al petto di Frank. Il dolore scoppiò in ogni angolo del corpo di quest'ultimo, che dovette mordersi forte il labbro per non gridare. «Che cosa hai intenzione di fare, Padre, pregare per la mia anima?»

«Qualcuno dovrà pur pregare per te, folle figlio di puttana,» sputò Frank, stringendo in dentro lo stomaco e contorcendosi per ritrarsi al tocco di Luke. «Che cosa credi di ottenere uccidendomi, una fottuta medaglia?»

«Non prenderla così male,» disse Luke, passando il dito sulle sopracciglia di Frank. «Sarebbe finita molto prima se non aveste trovato il modo di raggirarmi»

Frank contorse di nuovo la testa, spostandosi da dosso la mano ruvida di Luke, e fissandolo con odio. «Raggirarti? Perché, ti ho mai per caso dato l'impressione di essere disponibile per tatuaggi maledetti?»

«Avresti dovuto essere solo!» gli urlò in faccia Luke, prendendogli di nuovo il viso tra le dita e sbattendolo con forza contro la superficie del tavolo.

Frank gli sputò in viso. «Togli quelle manacce da me!»

Luke non sbatté nemmeno le palpebre, e fece passare invece le dita lungo polso di Frank, premendo il pollice contro i tagli lì presenti e facendo risalire il dolore in tutto il braccio della sua vittima. «Non sono io che ti sono venuto a cercare, fratello» lo sentì dire, sotto l'urlo che Frank stesso sapeva di star inevitabilmente liberando. «Un'anima buona in un posto cattivo, venuta a cercare me»

La mente di Frank lo riportò a quella sera, dov'era stato seduto sulla sedia di Luke raccontandogli la sua vita. Rabbrividì, sentendosi male. «Avevo soltanto avuto una cattiva giornata, folle bastardo»

«E avresti dovuto essere da solo,» ripeté Luke, premendo nuovamente il pollice contro il polsi di Frank, che sentì le sottili cicatrici ricominciare ad aprirsi.

«Basta!» urlò Gerard, lanciandosi di nuovo verso il tavolo e afferrando Luke, tentando ancora una volta di separarlo da Frank. «Basta, Luke, smettila! Ascoltami, Dio ti può perdonare, io posso aiutarti – »

«Non venire a parlarmi di Dio!» Strillò Luke in viso a Gerard, sollevando una mano per colpire Gerard nello stomaco, ridendo quando il ragazzo si ripiegò su sé stesso e collasso in ginocchio.

«Guardatelo, il guerriero di Dio,» sghignazzò, prima di tirare a Gerard un calcio nelle costole.

«Oh, merda» gemette Frank. Gerard rimase al suolo boccheggiando, immobile.

Luke avanzò verso di Frank e gli afferrò le spalle. «L'ultima delle sacre ferite si abbatterà presto su di te,» sibilò, la saliva che gli scivolò sul mento ruvido di barba. «E io otterrò la Sua essenza tramite te»

Frank scosse la testa furiosamente, cercando di ritrarsi dal tocco di Luke. «Che cazzo, tu sei pazzo, figlio di puttana, pensi davvero che Dio accetterà un assassino?»

«Shh,» Luke gli accarezzò i capelli in un gesto grottesco, sgraziato, e si spinse in avanti per mormorare, «'Chiunque mangerà la mia carne e berrà il mio sangue rimarrà in Me, e Io in lui'.»

Frank urlò quando ogni ferita del suo corpo si ripresentò all'improvviso, dolore e sangue sgorgando fuori da lui in quelle che sentiva essere enormi ondate.

«Conoscerò Cristo,» gli sussurrò Luke nell'orecchio. «E la tua anima sarà il mio sacrificio»

Frank scosse la testa ancora una volta, con debolezza. Luke si tirò su nuovamente e gli sorrise trucemente. «Riceverai la pena finale, fratello. E quando accadrà, io potrò – »

La mano di Gerard si mosse all'improvviso, stringendosi contro la caviglia di Luke e facendolo inciampare e cadere scompostamente sulle ginocchia: la fronte dell'uomo sbatté contro il bordo del tavolo prima di collassare con un grugnito, e poi silenzio.

«Scusa,» ansimò Gerard, sollevandosi in piedi.

Si piegò su di Frank, ricominciando a slegare i nodi sui suoi polsi: lo aiutò a tirarsi su a sedere, e Frank si strinse immediatamente contro le sue spalle, stringendolo più vicino e lasciando che quella bellissima sensazione di benessere lo investisse, portando via il dolore. Frank sotterrò la testa contro il collo di Gerard e cercò di regolare il respiro mentre la sensibilità tornava nelle suo corpo e la testa smetteva di minacciare di esplodere.

«Andrà tutto bene,» gi promise Gerard, accarezzandogli i capelli. «Tornerai a stare bene»

Frank non riuscì a fare molto altro se non gemere, tremare e stringersi di più a Gerard, prima che un forte rumore esplose al di là della porta della stanza, facendoli sobbalzare entrambi.

«Ma Cristo, e che cazzo c'è adesso?» sbottò Frank, proprio mentre la figura di Luke ricompariva nel suo campo visivo, e Frank ebbe a malapena tempo di urlare "Gerard, dietro di te!» prima che Luke afferrasse Gerard e lo sbattesse di nuovo al suolo con forza.

«Prenderò anche la tua vita,» ringhiò Luke, rigirando Gerard e premendo il ginocchio contro la sua gola. «Mi prenderò anche la tua se necessario».

Frank lottò disperatamente contro i nodi che gli stringevano le caviglie – le sue mani e le corde erano viscide per via del sangue, e la sua vista andava a veniva con ogni giramento di testa, mentre il rumore ritmico che proveniva da fuori la stanza aumentava. Gerard al suolo lottava per respirare, graffiando debolmente le cosce di Luke ed emettendo suoni strozzati alla ricerca di aria, e all'improvviso i colpi cessarono e qualcuno da fuori gridò:

«Frank?! Siete là dentro?»

Brian. Frank non era mai stato così felice di sentire la sua voce in tutta quanta la sua vita. «Siamo qui!» gridò di rimando. «Sbrigatevi, sta cercando di uccidere Gerard!»

«Resistete!» urlò Brian. «Resistete ancora un po', veniamo a prendervi!»

Frank tirò le corde con più forza – il dolore costante nei polsi gli rendeva difficile usare le dita, e ogni volta che si spingeva in avanti sentiva un minaccioso, sinistro dolore nel costato. Sul pavimento, Luke stringeva ancora le dita contro la gola di Gerard, i cui movimenti stavano diventando sempre più deboli.

«Cazzo, colpiscilo!» strillò Frank a Gerard, nonostante la testa che gli pulsava pericolosamente. «Colpiscilo in faccia e basta, Gerard!»

«Pacifista,» sogghignò beffardo Luke, stringendo ancora più forte la gola a Gerard. «I deboli otterranno solo un mondo di dolore»

Proprio in quel momento, la porta della stanza venne spalancata; Bob entrò come un tornado, seguito immediatamente da Brian, Mikey e Ray. Bob corse all'istante verso di Luke: lo sollevò dal suolo, lontano da Gerard, e lo colpì in faccia con un pugno così forte che Frank sentì il rumore secco del naso di Luke che si spezzava sotto le sue nocche.

 

 

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Chiedo umilmente scusa per l'immenso ritardo, ma ho avuto un blocco con la scrittura generale e non riuscivo/riesco nemmeno a tradurre, considerando che ho procastinato questo apitolo per due mesi almeno, e già solo il disegnare mi consuma una parte enorme del mio tempo, figurati lo scrivere.

Spero comunque di aggiornare presto il capitolo 17 :)

_Ashes

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