Storie dall'Altro Mondo

di Blue Drake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


STORIE DALL'ALTRO MONDO





PRESENTAZIONE

Isabeau, una scrittrice di racconti fantasy, riceve visite inattese – e non necessariamente gradite –. Che cosa mai vorranno da lei, questa volta? E perché proprio in quel momento, quando invece dovrebbe assolutamente portare a termine il suo lavoro, in fretta, prima che l'editore inizi a tramare vendetta contro di lei. Isabeau si augura solamente di non finire nuovamente nei guai, come già successe dodici anni prima; ma per come si stanno mettendo le cose, ci crede poco.






PROLOGO


L'unico suono distinto che si poteva percepire all'interno della camera, illuminata dal sole invernale che irrompeva dall'ampia finestra, era il rapido ticchettare dei tasti del portatile. Tutto il resto era assoluto silenzio e dedita concentrazione.

Fuori dalla finestra il pomeriggio era freddo e ventoso, ma all'interno della camera la temperatura era piacevolmente tiepida e l'aria profumava alternativamente di tea verde al gelsomino oppure di zenzero e cannella, in base alle voglie del momento di chi sedeva di fronte allo schermo del PC.

Si trattava di una giovane donna dall'incarnato pallido incorniciato da lunghi capelli neri – al momento tenuti a bada da un sottile fermaglio di metallo argentato – e dagli occhi verdi, la cui attenzione era tutta per ciò che le sue dita riportavano fedelmente all'interno del documento di scrittura ora aperto sullo schermo.

L'instancabile ticchettio proseguì spedito per diversi minuti ancora, riempiendo fittamente pagine e pagine di densa scrittura. Tuttavia d'un tratto, bruscamente, venne interrotto mentre la sedia girevole scivolava all'indietro e l'occupante si voltava rapidamente alle proprie spalle.

«Chi diamine sei, tu? E perché accidenti sei qui?», sbottò la donna, piantando duramente lo sguardo sulla figura da poco comparsa nella sua stanza.

Il nuovo arrivato – ma evidentemente affatto atteso – aveva l'aspetto di un uomo normale, di mezza età – forse –, abbigliato di grigio alla moda di un impiegato di banca – compresa la valigetta portadocumenti – e con un paio di occhiali dalla montatura nera appesi al naso. Il problema non era il suo aspetto, ma piuttosto il fatto che trenta secondi prima non si trovava lì e che non era affatto entrato dall'unica porta presente nella camera – né tanto meno dalla finestra al settimo piano –.

La donna, dato che non aveva ancora ottenuto alcun genere di risposta, e dato che insieme alla pazienza stava perdendo anche una gran quantità di tempo prezioso, dovette alzarsi in piedi ed insistere.

«Mi hai sentita? Capisci la mia lingua?».

«Sì, certo. Capisco perfettamente», si decise, finalmente, a rispondere lo sconosciuto.

La donna aggrottò le sopracciglia ed irrigidì la mascella, prima di berciare, «E allora che cavolo aspettavi a rispondermi? L'invito ufficiale?!».

«Beh, uhm... Ero solo sorpreso», provò maldestramente a difendersi lo sconosciuto.

«Ma sorpreso di cosa?!», si infuriò a quel punto la donna. «Questa, fino a prova contraria, è casa mia. Tu sei entrato senza invito, non io!».

«Ma appunto...», riprovò quello. Tuttavia non poté in alcun modo continuare perché lei riprese la parola, ancora più seccata di prima.

«Senti, io ho da fare. Il lavoro non si conclude di certo da solo. Se non arrivi al sodo in fretta ti assicuro che, demone o non demone, ti sbatto fuori! Chiaro?!», strillò a quel punto.

«Come fai a saperlo?», si sorprese di nuovo l'altro.

«Ma sei stupido o cosa? Sei comparso dal nulla – puff! –, e hai un aspetto talmente mediocre e insignificante... Avete dei gusti orrendi, lasciatemelo dire. Se io fossi un demone e potessi modificare il mio aspetto esteriore a piacimento, andrei in giro con abiti di alta sartoria e accessori costosi, giusto per fare una buona impressione e togliermi qualche sfizio. Ma voi no, certo... Siete così deprimentemente prevedibili e noiosi! E tu, addirittura, scialbo», rincarò.

«Ehi!», si offese – alla buon'ora – lui. «Come osi, infima umana?!».

«Oh, ma sta' un po' zitto, idiota! E per carità, sparisci, prima che mi saltino i nervi e ti prenda a calci».

Lo sconosciuto – il demone – avrebbe voluto ribattere, ma quella pazza – come l'aveva appena soprannominata nella propria testa – gli aveva lanciato in testa il thermos d'acciaio, che si era aperto e aveva riversato su di lui il proprio bollente contenuto, ustionandolo.

«Ahu! Brucia! Tu sei pazza, donna!», si lamentò lui.

«E tu sei idiota. A ognuno il suo», replicò prontamente lei. «Ora evapora, o ti assicuro che ti pentirai amaramente di essere ancora vivo», era stata l'aperta minaccia, che lui – miracolosamente – sembrò recepire al volo, scomparendo rapidamente in un fioco puff.

«Era ora», sbuffò lei, rammaricandosi unicamente di aver sprecato dell'ottimo tea verde.

Infine aveva ripreso posto alla scrivania e si era rimessa al lavoro di buona lena.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


Capitolo Uno



«Oh, Daumyr, che gente folle che c'è al mondo!», si stava giusto lamentando Kasparean con l'amico, appena raggiunto al locale in cui erano soliti ritrovarsi e chiacchierare in buona compagnia.

«Ah, buon giorno anche a te, Kas», rispose Daumyr, ridacchiando fra sé del malumore dell'amico.

«Sì, certo, buongiorno», borbottò Kasparean. «Tu non hai idea di cosa mi sia appena capitato», proseguì, con espressione drammatica.

«No, Kas. Ma scommetto che ci penserai tu a risolvere questa mia imperdonabile lacuna», lo prese allegramente per i fondelli Daumyr, tranquillamente appollaiato sul suo sgabello di fronte al bancone, sorseggiando mollemente il proprio drink – di un insano color verde acido –.

Kasparean sbuffò e si fece offrire qualcosa di forte. “Per riprendermi dalla brutta esperienza”, usò come scusa.

«Sono appena stato nel mondo degli umani», biascicò poco più tardi, già un po' più rilassato e intontito dall'alcool.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

A quelle parole, un paio di orecchie a punta, di un curioso color bianco ghiaccio, fremettero e si misero discretamente in ascolto, in un angolo in ombra dall'altra parte del locale.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

«Continua pure, Kas, ti ascolto», lo rassicurò l'amico.

«L'altro giorno ho sentito Thareos dire che nel mondo umano stanno accadendo fatti preoccupanti e che potrebbe esserci il rischio di perdere il controllo sul passaggio dimensionale. Così, sai... volevo solo dare un'occhiata, nulla di che», si difese Kasparean.

Daumyr non poté trattenere un sorrisino ironico. «Nulla di che, certo. Magari, che ne so, volevi vedere se c'era modo di scoprire qualcosa di rilevante per lui. No?».

«Beh, beh... Io, ecco... Può darsi. Che ne sai? Un paio di occhi in più possono far comodo», replicò Kasparean, anche se in tono dubbioso.

Daumyr sollevò un sopracciglio. «Forse. Ma potrebbe essere saggio informarne Thareos o qualcuno del suo entourage, prima di agire in questo senso. Non è detto che lui lo voglia, questo paio di occhi in più di cui parli. Soprattutto se non ne è informato», terminò, quasi sottovoce.

Kasparean, nel frattempo, era visibilmente impallidito e il bicchiere – quasi vuoto – tremolava nelle sue mani.

«Non avevo nessuna cattiva intenzione, io. Ero semplicemente curioso», si affrettò a spiegare. «Comunque il viaggio non è servito a molto, tranne a procurarmi un bernoccolo in testa e qualche fastidiosa bruciatura», borbottò mesto.

«Davvero? E come te li sei procurati», si incuriosì Daumyr, versando altre due dita di liquore nel bicchiere dell'amico.

Kasparean storse la bocca al solo ricordo. «Una femmina», sibilò contrariato, scuotendo la testa.

«Una donna umana, intendi?», volle sincerarsi Daumyr.

«Sì, esatto. Che poi sono quelle più pericolose». Sospirò e sembrò perdersi un lungo momento nella propria reminiscenza. «Non sono neppure sicuro di come ci sono finito, ma mi sono ritrovato in casa sua, e quella pazza mi ha insultato e poi mi ha aggredito», si lamentò nuovamente. Questa volta, però, si sporse anche in avanti e, scostando la folta capigliatura di un intenso rosso fiammeggiante, mostrò le ferite di guerra al partecipe amico.

«Wow! Non avevo idea che fossero così agguerrite laggiù», scherzò Daumyr.

«Sì, ridi pure, tu. Ma ti assicuro che, se mai ti ritroverai di fronte una di quelle selvagge, puoi scordarti che io ti protegga. No di sicuro, me la do a gambe, piuttosto», tenne a precisare Kasparean, tremando leggermente alla sola idea delle minacce di quella donna malefica.

«Uhm... Ma non penso siano tutte pericolose psicopatiche. Forse il tuo è stato solo un caso sfortunato», ipotizzò Daumyr, nel tentativo di risollevare l'animo all'amico.

«Sfortunato, dici? Può anche darsi, ma non sono certo di voler ritentare la sorte troppo presto», si impuntò Kasparean, facendo suo malgrado sogghignare l'amico.

«E dimmi, a parte il caratteraccio intrattabile, che tipo era?», volle sapere Daumyr, nonostante tutto fortemente incuriosito dalla bizzarra esperienza di Kasparean.

«Che tipo? Non saprei, che intendi?».

«Non lo so, di preciso. Sono un po' inesperto in questo campo e non conosco granché gli umani. Volevo soltanto farmi un'idea di come sono. Tu ne hai incontrato già qualcuno, no? Raccontami com'è stato. Che impressione ne hai avuto?».

Kasparean, che avrebbe invece voluto scordarsi tutta quella storia da pazzi, sbuffò seccato ma, notando l'espressione genuinamente incuriosita dell'amico, volle comunque tentare una risposta per lui.

«Beh, secondo la mia esperienza, gli umani più piccoli sono anche i più giovani e i meno difficili da trattare. Sono molto curiosi – un po' come lo sei tu, del resto – e di solito non si corrono troppi rischi nell'avvicinarsi a uno di loro. Ma devi fare attenzione: se ci sono in giro delle femmine – quelle che gli umani chiamano madri – è meglio stare ben alla larga perché si corre il rischio di ritrovarsi con ben più di un bernoccolo... Quelle lì sì che sono dei veri demóni, altroché». Si interruppe, crucciato, alla risata dell'amico. «Che c'è? Che hai da ridere, ora?».

Daumyr provò a smettere, ma era davvero troppo divertente e riuscì a fermarsi solo dopo un minuto buono di pura ilarità.

«Oh, nulla, scusami. È solo che credevo fossimo noi i demoni, non loro».

Kasparean gli fece una smorfia seccata. «Spiritoso. Era un modo di dire, ovviamente».

«Certo, certo», accondiscese Daumyr. «E invece, questa che hai incontrato poco fa? Anche lei era una madre?».

«Non saprei. Lì intorno di cuccioli non ce n'erano. Ma sono piuttosto sicuro che non fosse così aggressiva per proteggere qualcuno. Era semplicemente una pazza», ribadì Kasparean. «Lo sai, mi ha perfino minacciato!».

«Addirittura?», si stupì Daumyr.

«Sì, sì. Nemmeno le avessi fatto qualche orribile torto, o maledetto la sua famiglia. Che poi, chi la conosce, non so neppure se ce l'ha, una famiglia. Sono semplicemente capitato nel posto sbagliato, che diamine... per un piccolo errore! Ma pensi forse che a quella importasse che io fossi giustamente spaesato? Nemmeno per sogno!», strillò Kasparean infervorato. «Ha detto che mi vesto in modo scialbo», sussurrò poi mesto, piegando le orecchie a punta, visibilmente abbattuto.

Daumyr poggiò una mano sulla sua spalla e picchiettò gentilmente, tentando di consolarlo. «Ma no, Kas. Sono certo che il tuo travestimento umano sia più che appropriato. Forse era semplicemente nervosa di suo e la tua presenza ha solo accentuato il problema», provò, cauto.

«Tu dici?», chiese Kasparean, ancora un po' sconfortato.

«Ma sì, certo», sorrise Daumyr, offrendo poi all'amico un altro giro per tirarsi su di morale.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

In quello stesso momento, una folta e indisciplinata chioma blu notte arretrò maggiormente fra le ombre più fitte del locale; le punte bianco ghiaccio delle orecchie vibrarono frementi, ma nessun'altra informazione degna di nota uscì dalla bocca di quello stupido demone rosso già mezzo ubriaco. Le labbra violette dello sconosciuto si storsero in una smorfia indispettita e il loro proprietario decise di andare più a fondo alla questione; molto più a fondo.

Attese, pazientemente, che il demone rosso fosse sufficientemente narcotizzato dall'alcool ingerito, poi – rincantucciandosi il più possibile – estese il raggio d'azione del proprio potere ed entrò come un soffice soffio di vento nella mente debole della sua preda, cercando l'informazione che gli sarebbe stata utile in mezzo a tanta cianfrusaglia senza nessun valore. Una volta individuatala se ne impossessò e, più silenziosamente possibile, si ritirò nuovamente in sé stesso, sospirando soddisfatto.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due



Ancora poche pagine e, per quel giorno, avrebbe finalmente concluso. Si stiracchiò, poggiandosi mollemente allo schienale, e si versò una tazza di calda tisana: se l'era decisamente meritata. Sospirò appagata e riprese diligentemente a scrivere, già pregustando una piacevole passeggiata nel parco vicino a casa – a quell'ora del tardo pomeriggio, solitamente poco frequentato – e sorrise di aspettativa, impegnandosi a terminare velocemente il proprio lavoro.

Pochi minuti più tardi, tuttavia, qualcosa turbò la sua concentrazione. Le sue agili dita continuarono coscienziosamente a battere sui tasti, ma dovette rallentare un po' il ritmo, mentre una parte della sua mente si distaccava controllando la natura del nuovo disturbo.

Di nuovo”, pensò. “Che cos'è, oggi, il raduno dei demoni in casa mia?”. Sbuffò, pensando all'ironia di quell'assurda situazione, e si impose di lasciar perdere – per il momento – quell'ennesima intrusione nella sua privacy e di concentrarsi completamente su ciò che stava scrivendo.

Trascorsero altri lunghi minuti, che vennero totalmente riempiti dal frenetico ticchettio dei tasti del portatile. “Se non altro”, rifletté, “questo demone sembra meno invadente dell'altro”. In effetti, il nuovo arrivato non era che una mera ombra sul davanzale al di fuori della finestra; un'ombra che non si era mossa di un solo millimetro e non aveva provocato il minimo rumore, eccettuato un soffice suono – appena percettibile, al di sopra del soffio del vento – al momento della sua comparsa.

La donna davanti al PC sorrise soddisfatta: il lavoro del giorno era concluso e poteva dedicare il resto del pomeriggio ad un po' di sano svago. Si stiracchiò nuovamente e il suo pensiero tornò all'ombra appostata fuori dalla finestra. Non lo aveva più sentito e a malapena poteva scorgerlo con la coda dell'occhio. “Curioso: un demone dalle buone maniere”, ragionò. Infine lasciò perdere ogni altro indugio e decise di prendere di petto quella strana situazione – come sempre, del resto –. Indurì lo sguardo verde e, repentinamente, lasciò la postazione, dirigendosi a passo di marcia fino alla finestra e spalancandola.

«Quindi? Pensi forse di rimanere sul mio davanzale tutta la sera?», attaccò, diritta al punto e senza tentennamenti.

Il demone blu, appollaiato lì fuori da ormai più di un'ora ad osservare, sgranò gli occhi e per poco non finì di sotto, sbilanciato dalla sorpresa. Si aggrappò invece allo stipite della finestra, annaspando impreparato e, cautamente, sollevò lo sguardo blu sulla donna marzialmente piantata di fronte a sé.

«Ehm... No, io... Scusa, non volevo disturbarti», tentò, sperando di non guadagnarsi una reazione violenta.

La donna ghignò – in modo abbastanza spaventoso – e le parole che seguirono non aiutarono di certo a mitigare quella sgradevole sensazione.

«Se davvero mi avessi disturbata, ti posso assicurare che non saresti più sul mio davanzale già da parecchio tempo».

Le orecchie della creatura tremarono per il disagio e il demone deglutì nervosamente.

«Ehm...», riprovò, senza però sapere bene cosa dire né come dirlo. La verità è che non aveva affatto previsto di doverle parlare; credeva di poter semplicemente trattenersi un po' di tempo lì e di passare del tutto inosservato. Evidentemente doveva aver fatto male i suoi calcoli.

La donna, invece, si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato. «Ascolta: o te ne vai di qui – immediatamente –, oppure entri – in fretta, possibilmente –. In ogni caso, non mi costringerai a lasciare la finestra aperta». Lo fissò per un momento, con sguardo calcolatore. «Non so se te ne sei accorto, ma qui è pieno inverno e mi sta entrando l'aria gelida in casa», sibilò indispettita.

«Oh, io... Mi dispiace...», si scusò nuovamente lui, ma venne presto incenerito da una terrificante occhiataccia di quella donna – che effettivamente, doveva proprio darne atto al demone rosso, non sembrava molto trattabile – e, invece di tergiversare ancora sul davanzale, saltò dentro atterrando morbidamente sul caldo parquet, permettendole finalmente di richiudere la finestra e recuperare un poco del tepore perduto.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Il demone, non osando muoversi liberamente e a suo piacimento, si limitò a furtivi sguardi in giro per la stanza, incuriosito come un gatto da tutto ciò che i suoi occhi blu potevano scorgere. Le sottili punte delle sue orecchie vibravano, ora, eccitate per ogni piccola scoperta, e un timido sorriso aveva lentamente preso il posto dell'espressione turbata e contrita di quando, poco prima, era stato imprevedibilmente scoperto. Già, chissà come aveva fatto, quella donna, a rilevare la sua presenza. Eppure era stato molto attento a non fare rumore e a confondersi con l'ambiente circostante.

Occupato com'era nei suoi pensieri, sobbalzò quando la donna gli si avvicinò e gli mise una tazza di ceramica fra le mani: una tazza piacevolmente calda, con dentro del liquido verde non meglio identificato. Dischiuse le labbra e spalancò gli occhi in un'espressione più che sorpresa e, cautamente, sollevò lo sguardo su di lei.

«Ehm...», ripeté. Niente da fare; sembrava proprio che non gli riuscisse di trovare parole adeguate, quel giorno.

«È solo tea verde al gelsomino», specificò lei. «Però è caldo. Dopo più di un'ora là fuori, penso proprio che ti ci voglia». Detto questo, si sedette su un angolo della scrivania e rimase ad osservarlo, in un certo senso incuriosita. Lui era arrossito, o meglio, la sua pelle si era tinta di un tenue violetto. Quindi? Si poteva ancora definire arrossire?

«Ah, io, uhm... Grazie», bisbigliò lui, stringendo la tazza calda e sollevandola fino alla bocca. Ciò nonostante, prima di assaggiarla, annusò indeciso.

Una tintinnante risata giunse alle sue sensibili orecchie, facendole vibrare, e lanciò un'occhiata dubbiosa alla donna, come a voler chiedere “Cosa?”.

«Ti assicuro che non l'ho avvelenata, se è questo che ti preoccupa», lo prese in giro lei.

Forse avrebbe potuto risponderle in qualche maniera, ma preferì – date le sue attualmente scarse capacità comunicative – evitare e, invece, sorbire volenterosamente la bevanda che, a onor del vero, aveva un sapore piuttosto gradevole e contribuì, fra le altre cose, a riscaldargli le membra.

«Quindi, dimmi», riprese la parola lei, «Tu, esattamente, chi sei? E, se non è chiedere troppo, naturalmente», ironizzò, «Come mai sei qui?».

Due ottime domande”, pensò il demone. “Maledettamente ottime”, ragionò, sentendo tornare di prepotenza tutto il nervosismo che, poco prima, aveva quasi dimenticato. Avrebbe iniziato con il rispondere alla prima domanda: delle due, certamente la più facile – o almeno così pensava –.

«Ecco, io mi chiamo Arjentael. Sono...», tentennò, «Un demone blu, sì. Io, ehm... Sarei un...».

«Un telepate», completò lei per lui, guadagnandosi l'ennesima occhiata sorpresa della giornata, anche se questa era inoltre un tantino sconvolta.

«Tu come... Come lo sai?», soffiò Arjentael, decisamente stranito.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre

«Una domanda simile, proprio da qualcuno che dovrebbe poter percepire i pensieri del prossimo? Non è molto lusinghiero, ne convieni?», scherzò la donna.

Arjentael arrossì nuovamente. «Io... Non intendevo essere scortese», cercò di spiegare, «Non sarebbe molto educato, da parte mia, approfittarne in questo modo. Soprattutto in virtù del fatto che mi hai... uhm... ospitato. Trovo che non sarebbe un comportamento onorevole», sussurrò.

La donna, imprevedibilmente, sorrise. «Lo avevo pensato anche poco fa, quando eri ancora là fuori in silenzio: sei stranamente di buone maniere, per essere un demone».

Lui non seppe se considerarlo come un complimento personale oppure come un insulto alla sua stirpe tutta. Nel dubbio, si incupì e tenne a precisare, «Non siamo tutti come quello stupido demone rosso».

«Oh, ma lo so. Lo so molto bene. E non ti volevo offendere, te l'assicuro. Solo, devi pur ammettere che non capita tutti i giorni di incontrare demoni che si comportano come farebbe un vero gentleman inglese. Scommetto che, anche fra i tuoi simili, sei comunque merce rara», speculò lei. Ma prima che Arjentael avesse il tempo di replicare, lei proseguì, «Comunque sia, è stato un inaspettato piacere conoscerti, Arjentael. Io sono Isabeau Nandère. Sono un essere umano; ma questo tu già lo sai, non è vero?».

«Sì», rispose lui, comunque molto imbarazzato, «E mi scuso nuovamente, nel caso la mia inattesa presenza ti abbia in qualche modo arrecato noia. Non immaginavo che... beh, che mi avresti scoperto», balbettò impacciato, arrossendo miseramente e per l'ennesima volta.

«Beh, Arjentael...», cominciò lei.

«Ary», la interruppe lui, «I... i miei amici, di solito, mi chiamano così», precisò.

«Ary, allora. Beh, in questo caso, se ti va, puoi chiamarmi Isy. Non che abbia poi molti amici, intendiamoci, ma quei pochi, solitamente, usano questo nomignolo», propose lei. Poi scese dalla scrivania e, avvicinandoglisi appena, gli indicò una poltroncina rossa alle sue spalle, proprio sotto la finestra da cui era entrato. «Accomodati pure, Ary», offrì, «Mentre chiacchieriamo, vorresti ancora un po' di tea?».

Arjentael si sedette, circospetto, incrociando le gambe sul morbido velluto rosso; ci passò anche le dita, incuriosito dalla strana sofficità di quel materiale.

«Io... uhm... Credo di sì, grazie», si decise infine a rispondere.

«Bene. Come stavo cercando di farti notare poco fa, credo che, per le tue sedute di osservazione della specie umana, avresti fatto meglio a scegliere un altro soggetto se, come deduco, era tua intenzione passare inosservato». Isabeau gli porse nuovamente una tazza colma di tea fumante e poi si accomodò a sua volta sull'accogliente divano in pelle che, a volte, usava per rilassarsi e schiarirsi le idee.

Arjentael, dal canto suo, chinò la testa e la scosse leggermente. «Questo l'avevo intuito. Quello che invece non riesco a capire è perché. Tu sei un'umana però, allo stesso tempo, sei diversa... in qualche modo», ragionò. «Tu sai cose e riesci a... a cosa? Percepire?», tentò, incerto.

Isabeau annuì. «Sì, a percepire è piuttosto esatto. Ti ho sentito arrivare, nel momento esatto in cui hai attraversato il varco, suppongo». Sollevò lo sguardo e lo trovò a fissarla: gli occhi spalancati e un colorito un po' troppo grigio sulla sua pelle bianco ghiaccio.

«Dove... C-come...», incespicò Arjentael.

Lei provò un sorriso comprensivo e lo incitò, «Bevi il tuo tea. Io, intanto, proverò a spiegare».

Il demone abbassò gli occhi sulla superficie liquida che rifletteva parte del suo sconcerto. Chissà, forse avrebbe davvero dovuto scegliersi un altro essere umano da studiare. Eppure era subito rimasto incuriosito dal racconto di quel demone rosso e non aveva potuto fare a meno di desiderare di scoprire qualcosa in più su questa donna della quale aveva solo sentito parlare. Beh, non si aspettava di certo che la sua curiosità sarebbe stata soddisfatta in quel modo così assurdo e inatteso. Ciò nonostante, così, a pelle, sentiva una sorta di legame con Isabeau, la sentiva, in qualche modo, affine e tutto sommato, a modo suo, perfino simpatica.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

«È strano», cominciò lei, «Sono ormai quasi tre anni che non ricevo visite da parte di un demone. In verità, l'unico a farmi visita – più o meno costantemente – negli ultimi dodici anni era un demone atrox».

Arjentael sollevò di scatto lo sguardo dalla sua tazza e la fissò stranito per qualche lungo secondo. «Sul serio? Vuoi dire che ricevevi visite da un demone animale?».

Isabeau annuì nuovamente, «Sì, esatto: una pantera. Era bella, o meglio, era bello: nero come l'inchiostro, con macchie argentate e intelligenti occhi grigi. Non poteva parlare, certo, ma era ovvio che capisse alla perfezione tutto ciò che veniva detto o che gli accadeva intorno. Chissà, forse gli è successo qualcosa di brutto. Non aveva mai lasciato trascorrere così tanto tempo, prima di tornare da me». Aveva un'inflessione un po' triste, la voce di Isabeau, come se effettivamente sentisse la mancanza di quella creatura appartenente ad un mondo diverso dal suo.

«Conosci il suo nome?», chiese a qual punto Arjentael, desideroso, in qualche modo, di poterle essere d'aiuto.

«Oh, sì. Zaynar, è questo il suo nome», e a quello stesso nome riservò un piccolo sorriso, malinconico e affettuoso al tempo stesso.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***








Capitolo Quattro



Doveva averlo sorpreso di nuovo – per quanto non fosse sicura di come –: la stava fissando con un'espressione che pareva proprio sconvolta, anche se non ne comprendeva il motivo.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?», pensò di informarsi Isabeau.

«Sì... Cioè, no», Arjentael tentennò, massaggiandosi le tempie doloranti con le dita sottili.

Quella donna: chi era realmente? Che cosa sapeva del loro mondo? E, soprattutto, come? Nessuno gli aveva mai parlato di esseri umani al corrente del loro mondo e di ciò che vi capitava; ma lei, Isabeau, sapeva, ne era sicuro. Chissà quanto a fondo arrivavano le sue conoscenze. Qualcun altro era al corrente dell'esistenza di Isabeau? E se sì, che cosa rappresentava, lei, per loro? Troppe domande per la mente confusa e in subbuglio di Arjentael. Troppe domande e troppo difficili. Avrebbe mai saputo dare una risposta a qualcuna di esse? Francamente, ne dubitava. Se qualche demone sapeva e non aveva mai ritenuto opportuno informarne la collettività, evidentemente c'erano dei validi motivi che lo spingevano al silenzio. Già, ma quali?

«Ary».

La voce, dubbiosa e forse vagamente impensierita, di Isabeau lo distrasse dai propri pensieri.

«Sì», rispose, incerto.

«Va tutto bene?», si azzardò a chiedere lei.

Arjentael si trattenne dal riderle in faccia unicamente per una pura questione di rispetto. Al tempo stesso si chiese, per la prima volta da che era comparso a casa della donna, se non sarebbe stato più semplice entrare nella sua mente e cercare personalmente le risposte di cui aveva bisogno. E poi, quando l'idea fu abbastanza a fuoco dentro di lui, sgranò gli occhi inorridito perché: no, quella sarebbe stata solo un'orribile violazione dei pensieri di una creatura che – lo sapeva bene – non avrebbe potuto difendersi in alcun modo, non da lui.

«Lo vorrei, non immagini quanto. Ma no, non va tutto bene», soffiò infine, corrucciato e pensieroso.

«Che cosa, di ciò che ho detto, ti ha turbato tanto?», volle capire Isabeau.

La osservò, scrutò attentamente i suoi occhi verdi, fermandosi in superficie: vide solo il riflesso di sé stesso e della sua confusione che doveva aver contagiato anche lei.

«Il nome di quel demone», si decise a spiegare. «Fino a un momento prima non avevo ancora la certezza che tu sapessi davvero. Ma ora... Ora non posso più fingere», ammise, sospirando.

Isabeau aggrottò le sopracciglia. «Tu conosci Zaynar? Sai se sta bene?», non poté evitarsi di chiedere, suo malgrado preoccupata.

«Sì, so di chi si tratta. La domanda è: tu lo sai?», rilanciò Arjentael.

Lei serrò la mascella, seccata, e lo fulminò con un'occhiata niente affatto conciliante. Poi sbuffò e si risolse a rispondere, nella speranza che, così facendo, avrebbe a sua volta trovato una risposta alla propria domanda.

«È il compagno di un demone grigio di nome Lothyan. Da ciò che rammento, solevano viaggiare sempre in coppia. Zay sembrava essersi preso la responsabilità di guardargli le spalle, durante le loro avventure. Fu Lothyan stesso, dodici anni fa, a chiedere a Zaynar di venire da me – probabilmente per controllare che non combinassi pasticci, ci scommetto –», aggiunse petulante e sarcastica.

Quando però tornò a guardare il suo ospite, aspettandosi di ottenere a sua volta qualche tipo di chiarificazione, trovò invece che Arjentael si era alzato in piedi e non la stava nemmeno guardando. Per un momento ne fu indispettita, ma quel sentimento fu di breve durata, sostituito dapprima da disorientamento e in seguito da timore. No, lui non la stava guardando, aveva invece gli occhi blu fissi ai propri piedi e le mani serrate a pugno tremavano, come del resto il suo corpo longilineo.

Isabeau, onestamente, non capiva; non le sembrava d'aver pronunciato parole potenzialmente offensive. Ciò nonostante il demone, che fino ad un momento prima le era parso una creatura tanto gentile, ora sembrava esercitare uno sforzo superiore alle proprie energie per trattenere quella che appariva, a tutti gli effetti, rabbia.

Non sapeva come comportarsi. Avrebbe voluto provare a chiarire con lui; in fondo, demone o no, le era parsa una creatura piuttosto ragionevole e disposta al dialogo. Si stava però chiedendo se quella davanti a lei fosse la stessa creatura che l'aveva pazientemente osservata fuori della sua finestra; a guardarlo in quel momento, non sembrava proprio.

«Ary», si arrischiò, in un lieve sussurro.

Il demone sollevò finalmente lo sguardo, ma sarebbe stato di gran lunga preferibile se non lo avesse fatto: degli occhi curiosi e un po' timidi che le erano apparsi fino a quel momento non era rimasto che il colore; c'era, in fondo ad essi, un'ombra di dolore, confusione e rabbia ad oscurarne la luce.

«Che cos'è successo? Non capisco», riprovò Isabeau, nella speranza di giungere al di là di quell'ombra.

Lei era, però, solo un essere umano, con qualche debole percezione psichica di un mondo che non le apparteneva, e non era abbastanza forte per riuscire a contrastare un demone, in particolare quel demone.

Non lo vide neppure muoversi: un attimo prima era davanti alla poltrona rossa, l'attimo successivo le si parava di fronte, tremando di qualcosa che non era affatto paura, ma un'emozione ben peggiore. E poi, dal nulla, comparve una sottile lancia che il demone puntò diritta al collo di Isabeau.

«Chi sei tu? Che cosa sei?!», ringhiò Arjentael.

Seppur spaventata, Isabeau scosse la testa, soprattutto confusa.

«Dimmelo!», ordinò il demone in tono aspro.

La mano che reggeva la lancia tremò violentemente e la punta sfiorò appena la pelle candida del collo di Isabeau, graffiandola impercettibilmente. Lei quasi non se ne avvide, nondimeno un istante dopo una grossa nuvola di pero nero come la notte si scagliò contro il demone blu, spedendolo brutalmente contro la parete opposta in un confuso nugolo di artigli affilati e vesti blu a brandelli.







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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***








Capitolo Cinque



L'urto violento fece tremare i vetri e beccheggiare le lampade; il frastuono venne però presto coperto da un grido di dolore del demone blu ora bloccato con la schiena a terra dal peso del suo assalitore quando dei grossi artigli si conficcarono in profondità nella sua spalla. Il demone atrox tentò anche di squarciargli la gola con le forti zanne, ma l'offensiva venne fortunosamente arrestata dalla lancia posta in trasversale a difesa del proprietario.

Arjentael era riuscito, per un puro miracolo, a impedire a quell'animale di staccargli la testa con un unico morso, ma non poteva comunque muoversi; la pantera era forte e pesante: se avesse allentato la presa sulle sue fauci, quello l'avrebbe certamente fatto a fettine e lui non ci teneva minimamente a finire i suoi giorni in quel modo, grazie tante.

L'atrox doveva essersi stancato di quella situazione di apparente stallo; aveva dato un terribile strattone alla lancia, quasi staccandogli un braccio, e lo aveva nuovamente colpito con una zampa artigliata, questa volta ferendolo al fianco e strappandogli un altro grido agonizzante e qualche brandello di carne.

Un ringhio sordo vibrò nell'aria e già la pantera si predisponeva ad un nuovo attacco – con l'intimo desiderio che fosse quello definitivo –, quando un nuovo grido – questa volta di donna – lo fece arrestare.

«Zay!», giunse, acuta e urgente, la voce di Isabeau.

Attonita, era rimasta qualche secondo a osservare la scena che si svolgeva, come un sogno, davanti ai suoi occhi increduli. Ma le macchie di sangue violetto che avevano appena imbrattato il suo parquet l'avevano fatta trasalire e tornare in sé.

Quello era Zaynar; il suo amico – da quando non aveva che dodici anni – era appena tornato da lei. Per proteggerla, evidentemente. Ma Isabeau non poteva permettere che Zaynar uccidesse quel demone blu, che sì, l'aveva minacciata e le aveva ringhiato contro – proprio come Zay stava facendo con Arjentael, rifletté –, ma che, ne era certa, doveva aver avuto le sue ottime ragioni. E anche ammesso che così non fosse stato, Isabeau non intendeva permettere che accadesse, non così, non in casa sua e davanti ai propri occhi atterriti e al dolore evidente in quelli del demone blu.

Veloce, raggiunse in poche falcate l'angolo in cui erano finiti i due demoni e si aggrappò con forza alla pelliccia scura del dorso di Zaynar, il quale di scatto si voltò, piantandole addosso quei suoi occhi grigi e acuti, quasi cercasse di rassicurarla che tutto andava bene e che non doveva preoccuparsi.

Lo scambio di sguardi durò solo pochi attimi, poi la pantera tornò a dedicare tutto il suo disgustato furore alla patetica creatura che giaceva sotto le sue grosse zampe, fronteggiandolo con un lungo sibilo di avvertimento.

«No! Zay, ti prego», insistette Isabeau, stringendo fra le dita la morbida e tiepida pelliccia. «Per favore, basta», supplicò, tremando di angoscia alla vista delle condizioni della preda di Zaynar.

Le tonde e vellutate orecchie del felino fremettero e lo stesso fecero le sensibili vibrisse. I mortali artigli si ritrassero nelle loro morbide guaine e, lentamente, Zaynar abbandonò il corpo inerte del demone blu, accostandosi invece con dolcezza al corpo tremante di Isabeau: la sua umana. Strofinò gentilmente il muso squadrato sul collo della donna e accolse fuseggiante il suo atteso abbraccio e le sue mani delicate che gli accarezzavano con cura e affetto la pelliccia.

«Mi sei mancato tanto, Zay», sussurrò la voce di Isabeau nelle sue orecchie.

Un sordo brontolio fu la replica della pantera, che stava a significare, più o meno, “Anche tu, femmina scriteriata”.

Isabeau ridacchiò, incredibilmente serena data la situazione, e affondò il volto nel suo collo soffice e caldo, godendosi il profumo di un amico ritrovato.

Solo qualche minuto più tardi, quando la pantera si era già comodamente acciambellata a terra per meglio deliziarsi delle meritate coccole, l'effimera felicità di Isabeau venne spazzata via da un debole rantolo proveniente dalla sua destra. In quel momento soltanto, la donna si rammentò del motivo di tutto il trambusto di poco prima. Rapidamente, si voltò nella direzione da cui era provenuto il suono e dovette, suo malgrado, trattenere il fiato, travolta dalla vista di qualcosa che da molto tempo, ormai, si era lasciata alle spalle.

«Oddio», sussurrò atterrita, facendo vagare lo sguardo sul corpo dilaniato del demone blu che, grazie al cielo, respirava ancora, per quanto faticosamente.

Un poco tremante, si issò in piedi e, a lenti passi, raggiunse Arjentael e si inginocchiò al suo fianco. Cautamente scostò un brandello della casacca del demone, ma subito ritrasse la mano, lasciando la presa e sussultando.

«Oh, Zay... Che macello», gemette, scuotendo piano la testa.

Per tutta risposta, Zaynar borbottò un mezzo ringhio contrariato che significava, probabilmente, “Se me l'avessi lasciato ammazzare, a quest'ora non staremmo qui a perderci in inutili preoccupazioni”, o comunque una cosa del genere. Non pareva affatto entusiasta di avercelo ancora fra i piedi – le zampe, in questo caso –; si trattava pur sempre di un potenziale pericolo per la sua Isabeau. A ogni buon conto, almeno per il momento, non riteneva di doversene preoccupare, dato che aveva fatto in modo di conciarlo per le feste e di certo, in quelle condizioni, non sarebbe stato per nulla in grado di sollevare un solo dito sulla donna. “Ben gli sta”, pensò acidamente e, soffiando, voltò il muso in un'altra direzione, disinteressandosene platealmente e senza remore.







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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***








Capitolo Sei



Mentre Zaynar si dissociava categoricamente dalla frenetica preoccupazione per quell'inutile creatura riversa a terra, Isabeau aveva invece preso in mano le redini del dramma e si era precipitata diritta in bagno per cercare qualunque cosa potesse esserle utile. Fece ritorno pochi minuti dopo, trafelata e con uno striminzito kit del pronto soccorso, che guardò mesta perché non si era mai degnata di apprendere le basi per un primo intervento di quel genere. Tornò comunque, piena di buone intenzioni, a inginocchiarsi accanto ad Arjentael e deglutì, nervosa, mentre scostava nuovamente i confusi pezzi di tessuto che ancora lo coprivano. Sospirò sconsolata e sfogliò il succinto manuale allegato al kit, in cerca di ispirazione. E infine la trovò.

«Pulire la ferita», borbottò, «Sì, questo posso farlo. Non può mica essere così difficile, giusto?», si chiese dubbiosa.

Fu così che, con pazienza, sbottonò la casacca macilenta e liberò la pelle chiara da qualunque cosa di non organico riuscì a trovare al proprio passaggio. Una volta completata l'operazione, Isabeau si sentiva già stremata, e doveva ancora iniziare la parte complicata.

«Che bello schifo di giornata», berciò, «Non potevo starmene a letto, invece di farmi prendere da questo insano prurito di scrivere a oltranza? Bah!», seguitò a lamentarsi mentre, recuperate spugne e teli in abbondanza, si accinse a lavar via tutto quel maledetto sangue che le stava procurando dolorosi crampi allo stomaco e un monumentale mal di testa da stress.

Un lamento soffocato l'avvertì che, forse, ci stava mettendo troppa energia. Quindi si prese un momento di pausa e respirò a fondo, nel tentativo di darsi una calmata. Tentativo miseramente fallito.

«TU!», ringhiò frustrata all'indirizzo dell'atrox, senza tuttavia ottenere effetti apprezzabili. «Zay!», ritentò, guadagnandosi una sonnacchiosa occhiata di curiosità. «Si può sapere che diamine stai facendo? Non vedi che abbiamo un problema?», persistette.

Zaynar sollevò, scettico, un sopracciglio e si stiracchiò, sbadigliandole in faccia.

Isabeau si sollevò in piedi, incrociò strettamente le braccia al petto e prese a tamburellare un piede sul parquet, digrignando i denti e schioccando la lingua sul palato alternativamente. Ma dato che il suo linguaggio corporeo, palesemente, non sortiva gli effetti sperati, marciò risoluta verso la pantera, piantando i piedi proprio di fronte al suo muso mollemente adagiato a terra e sbottò, «Zaynar! Sto parlando con te. Dopotutto, questo casino è colpa tua».

E finalmente ebbe l'attenzione del demone atrox che, di scatto, risollevò la testa e la fissò con un inequivocabile sguardo allucinato, il quale lasciava chiaramente intendere: “Mia?! Ti sei per caso bevuta il cervello, donna?!”.

O per lo meno, questo fu ciò che dedusse Isabeau, la quale a sua volta lo squadrò in un modo talmente truce che Zaynar si vide costretto a scivolare più indietro e a tenersi pronto a una fuga di emergenza.

«Dimmi, che diavolo di bisogno avevi di farlo a pezzi in quel modo?», sibilò scontenta Isabeau.

Un basso, infelice ringhio borbottato proruppe dalla gola dell'atrox, ma la donna lo incalzò nuovamente.

«Avresti potuto limitarti a bloccarlo a terra e disarmarlo. Qual era la necessità di versare tutto quel sangue?», chiese dunque, mordendosi le labbra a disagio. Una sottile lacrima scorse lungo la sua guancia, dividendola a metà. «Sai bene quanto detesti queste cose, Zay. Tu lo sai», lo accusò debolmente. «O forse lo hai dimenticato, dopo tutto questo tempo», sussurrò mesta.

Zaynar si sollevò sulle zampe e si appoggiò delicatamente a lei, donandole calore e conforto.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

«Zay».

La pantera sollevò lo sguardo perlaceo e attese. Isabeau si perse un momento nei propri pensieri, una mano ad accarezzare il folto pelo nero e gli occhi incollati al corpo pallido del demone blu.

«Tu...», riprese, indecisa, «Tu hai idea, per caso, se nel vostro mondo ci sia qualcuno che può... non so, fare qualcosa per lui? Io non so come aiutarlo, non sono brava in queste cose, mi conosci. Forse... forse qualcuno, laggiù, lo sta aspettando. Magari lo stanno già cercando, invece». Spostò lo sguardo negli occhi dell'atrox. «Puoi trovarlo?», provò, titubante.

Zaynar si attardò a fissare quell'inutile demone blu. Non capiva, davvero, per quale motivo lei dovesse prendersela in quel modo. Lui, quell'idiota, aveva cercato di farle del male, dopotutto. Che diamine di necessità c'era, quindi, di fare i buoni samaritani per qualcuno di simile?

«Zay, ti prego», riprovò Isabeau. «So che non ti importa di lui».

Gli occhi della pantera tornarono sulla sua umana e attesero.

«Lo so, ti conosco abbastanza bene, ormai. Però puoi... p-puoi farlo per me? Lo puoi fare, Zay?».

Il demone sbuffò, sconfitto, appoggiò un soffice orecchio sul suo fianco e annuì, ben sapendo che, per quanto fosse una scelta stupida, era anche l'unica possibile, a meno che non volesse far soffrire la sua Isabeau. E lui non voleva.

Ma lei lo stava abbracciando, in quel momento, e nient'altro aveva importanza; né le scelte stupide, né i demoni idioti e neppure le donne scellerate. Solo le sue braccia sottili e profumate attorno al collo erano importanti, e la sua morbida voce nelle orecchie, che lo ringraziava per qualcosa che ancora non aveva fatto.

Ma lo avrebbe fatto. Per lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Qualsiasi cosa.







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Capitolo 8
*** Capitolo Sette ***








Capitolo Sette



Con un soffice fruscio, Zaynar scomparve nel nulla, diretto nel suo mondo.

E Isabeau fu nuovamente sola. Beh, più o meno. Abbassò lo sguardo, lo soffermò sull'unico altro essere vivente – “per ora”, la pungolò a tradimento la coscienza – presente e mugolò infelice.

Aveva preso la decisione più giusta, lo sapeva bene, eppure si sentiva comunque nervosa e spaventata. Già se lo figurava: sarebbe arrivato da lei qualche assurdo demone, con pretese altrettanto assurde, molto probabilmente incavolato nero per ciò che era accaduto e, naturalmente, se la sarebbe presa con lei, matematico: non c'era scampo. Per fortuna sarebbe stato presente anche Zaynar. Si augurava solamente che non finisse in carneficina; in fondo aveva solo ventiquattro anni, per la miseria!

Nell'attesa che l'amico facesse ritorno con i rinforzi, si sedette accanto ad Arjentael e gli scostò i capelli finiti sugli occhi, sospirando e pregando che, per una volta soltanto, le cose andassero per il meglio.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Trovalo”, diceva lei. “Tsk, come se fosse facile”, pensò Zaynar, percorrendo ad andatura sostenuta la fitta foresta imbiancata dalla recente nevicata. Faceva freddo, ma il corpo agile e robusto dell'atrox non lo percepiva e non se ne curava, mentre i muscoli forti delle zampe si flettevano ritmicamente nella corsa alla ricerca del demone che gli serviva.

Pochi mesi prima si era imbattuto in lui e lo aveva furtivamente seguito, nella speranza di ricavarne qualche informazione. Purtroppo anche quello, come molti altri prima, era stato un buco nell'acqua; neppure quel demone bianco era a conoscenza di qualcosa di utile. Così, alla fine, lo aveva lasciato perdere ed era tornato a battere altre piste, sempre con l'intima e segreta speranza di trovare quella giusta.

In quel momento, invece, desiderava con tutte le sue forze di ritrovare quel maledetto demone bianco, ma il suo naso e i suoi sensi affinati ancora non lo avevano intercettato, costringendolo a proseguire la sua corsa a oltranza.

Fece un improvviso balzo, inerpicandosi fra le fronde di un albero e rintanandosi il più possibile fra le ombre, mentre due demoni rossi passavano proprio lì sotto, parlottando in modo confusionario fra loro senza minimamente avvedersi della presenza silenziosa sopra le loro teste.

Zaynar allungò appena il collo, mantenendo l'equilibrio con la lunga coda, e drizzò le orecchie all'indirizzo del loro continuo cicaleccio perché, se l'udito non l'aveva ingannato, aveva appena sentito il nome del demone che stava cercando sulla bocca di uno dei due rossi lì sotto. Cauto e silenzioso, si spostò fra i rami, tenendo occhi e orecchie fissi sui due, seguendoli come un'ombra senza peso, nella speranza che si decidessero a dire qualcosa di utile – tanto per cambiare –. E dopo lunghi minuti di chiacchiere insulse, finalmente eccolo di nuovo, quel nome tanto sospirato.

«E hai sentito di Erwan?», chiedeva uno.

«No, che cosa ha fatto?», si informava l'altro.

«Per ora ancora nulla di che. Ma pare vada in giro a fare domande strane», rispose il primo.

«Domande? Pensavo che fosse troppo occupato a cercare informazioni sulla scomparsa di Lothyan», dubitava il secondo.

«Beh, pare che ora sia scomparso un altro demone e che Erwan lo stia cercando», lo aggiornò, solerte, il primo.

«Ah, le cose si complicano, eh? E quando scomparirà anche Erwan, chi si prenderà la briga di cercarlo?».

Entrambi i demoni rossi scoppiarono a ridere sguaiatamente, mentre Zaynar, nella propria testa, rispose, “Io lo cercherei, visto che ci sono costretto”, e sbuffò seccato.

Bene, quindi quel bellimbusto di un demone bianco si era accorto che il compagno idiota era sparito dalla circolazione. Questo poteva andare a vantaggio di Zaynar, in qualche modo. Avrebbe potuto provare a sintonizzarsi su Erwan. Normalmente non ne avrebbe ricavato granché, dato che non era mai stato un asso in quei giochetti psichici; ma in questo caso era differente: Zaynar sapeva esattamente su cosa concentrarsi e, questa volta, molto probabilmente, avrebbe funzionato. Doveva fare attenzione, però: Erwan non era un bambolotto sprovveduto come il suo preziosissimo demone blu; poteva diventare molto pericoloso in qualunque momento.

Salì ancora, sul ramo più alto e solido che riuscì a scovare, e lì si appollaiò, piantando gli artigli nel legno in modo da non rischiare di cadere nel momento meno opportuno, poi sollevò la testa e chiuse gli occhi, mentre le orecchie vibravano di anticipazione nell'aria fredda. Inspirò a fondo e lentamente, liberò la mente da ogni pensiero superfluo e concentrò ogni sua percezione su un unico obbiettivo: Erwan e la sua ricerca del demone blu.

Per i primi minuti non accadde assolutamente nulla; tutto ciò che vide fu il nero sbiadito dietro le palpebre serrate, tutto ciò che sentì fu l'aria fredda contro la pelliccia. Poi, senza alcun preavviso, un lampo bianco quasi lo accecò dopo tutto quel buio e dovette conficcare più a fondo gli artigli nel ramo che lo sosteneva, per rimanervi aggrappato. Tornò a concentrarsi e il lampo bianco perse lentamente il suo alone sfumato e abbagliante, concretizzandosi nei capelli candidi di colui che stava braccando già da qualche ora. Esultò dentro di sé e mentalmente seguì i suoi passi, impaziente di riconoscere il luogo in cui si trovava in quel momento e poterlo così raggiungere; tuttavia dovette attendere lunghi minuti per avere una risposta soddisfacente.

Seppe, infine, quale direzione prendere, nel momento in cui riconobbe i bastioni della dimora che, prima della scomparsa di Lothyan, aveva a lungo considerato la loro casa. Allora spalancò gli occhi, un sordo ringhio a vibrargli in gola, balzò a terra e spiccò una corsa risoluta e potente, diretto verso il suo obbiettivo.







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Capitolo 9
*** Capitolo Otto ***








Capitolo Otto



La prima volta in cui lo aveva visto – erano ormai trascorsi più di due secoli, da quel giorno – lo aveva scambiato per una ragazzina. Allora Arjentael portava ancora i capelli blu lunghi e sciolti a coprire le schiena flessuosa ed era assurdamente fissato con quegli stupidi abiti di seta – ampi e morbidi sulle spalle esili –.

Si trovava a un altro di quei faticosi ricevimenti, utili quando si è costretti a intrattenere buoni rapporti in società, e quella – ricordò di aver pensato – non poteva essere altro che l’ennesima, fragile, figlia di qualche facoltoso presente. Tuttavia, quando nessuno, nelle ore successive, si era preso l’onere e l’onore di presentarli, qualche dubbio gli era sorto. Così, in un momento di relativa tranquillità, aveva ben pensato di porre da sé rimedio a quella mancanza; ma quando l’aveva cercata, per presentarlesi egli stesso, si era reso conto che non riusciva più a individuarla in nessun luogo e si era chiesto se, per caso, non avesse invece deciso di abbandonare prematuramente il ricevimento, magari con una qualsiasi di quelle ridicole scuse da dama. Aveva avuto tutto il tempo di indispettirsi, rammaricarsi e infine tentare di affogare la delusione in qualche drink, prima di intercettare con lo sguardo una nuvola di capelli blu ai margini del parco, riconoscendola a prima vista come colei che aveva inutilmente cercato poco prima. Solamente che, quando finalmente era stato in grado di raggiungerla e avvicinarlesi, mentre lei si voltava nella sua direzione richiamata da un discreto saluto di Erwan, questi aveva scoperto – non senza un certo sgomento – che non si trattava affatto di una lei, quanto piuttosto di un lui. Un lui con gli occhi blu più blu che avesse mai visto nel suo abbondante mezzo secolo di vita. E quegli stessi occhi si inchiodarono su di lui in uno sguardo da principio sorpreso per poi divenire spaventato, nel momento in cui aveva riconosciuto Erwan per ciò che effettivamente era: un demone bianco, uno di quei pochi esseri ancora in grado di controllare qualsiasi fenomeno naturale, evento atmosferico o financo i varchi dimensionali. Il giovane demone che aveva erroneamente confuso con una ragazza tentò palesemente di fuggire.

«Aspetta!», lo pregò Erwan.

Senza però alcun risultato; quello si stava già allontanando di gran carriera – per lo meno, per quanto glielo consentissero tutte quelle pieghe di seta che lo ricoprivano fino ai piedi –. Erwan scattò avanti e chiuse strettamente le dita attorno al suo polso, accorgendosi in ritardo di quanto fosse sottile nella propria mano e del fatto che la sua presa si fosse rivelata eccessiva. Lo lasciò velocemente libero quando lo sentì sibilare di dolore.

«Scusami. Io… non intendevo farti del male», mormorò Erwan pentito, mentre lo osservava massaggiarsi il polso e al contempo trafiggerlo con i suoi occhi blu.

«Ah no?», chiese la voce leggermente arrochita del demone blu. «Se qualcuno tenta di sottrarsi alla presenza di altra gente, non ti viene per caso in mente che non abbia desiderio di… compagnia?», domandò con lieve astio.

«Mi dispiace», soffiò Erwan, «Ho solo agito di impulso. Normalmente non amo imporre la mia presenza», assicurò, scoprendosi a desiderare davvero che lui gli credesse e, magari, che gli concedesse la possibilità di riscattarsi.

«Io… Il mio nome è Erwan», provò, stiracchiando un sorriso amichevole – o che almeno si augurò apparisse tale –.

«Lo so», lo sorprese invece l’altro. Le sue labbra si piegarono, per un momento, in un sorriso amaro, prima di spiegare, «E no, non ho frugato indebitamente nella tua mente, se è quello che pensi».

Erwan trasalì e scosse vigorosamente la testa, negando di averlo pensato.

«Quale bisogno ne avrei? Dubito che qui intorno ci sia qualcuno che non sia al corrente della tua identità», puntualizzò il demone blu.

Erwan sospirò e si chiese se per caso avesse ancora qualche remota possibilità di intrattenere una conversazione civile con il ragazzo che gli stava di fronte, oppure al contrario se se le era già giocate tutte con la sua pessima mossa iniziale.

«Io, però, non conosco il tuo nome», tentò, come ultima carta, pregando che non la prendesse nel modo sbagliato.

«Arjentael», rispose inaspettatamente il demone blu, «È questo il mio nome», e poi le sue gote si tinsero di un delicato lillà e abbassò lo sguardo sull’erba fresca e profumata.

Probabilmente fu quello, rifletté Erwan, il momento in cui il suo cuore si innamorò per la prima volta di Arjentael. Era accaduto molte altre volte, in seguito, ma quella prima volta era rimasta impressa nella sua mente, indelebile per i secoli a venire.



~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~



Un sorriso triste pesò sulle labbra di Erwan, mentre il demone bianco si chiedeva, con crescente disperazione, che fine potesse aver fatto il suo Ary e perché, per tutti i fulmini e le tempeste, fosse sparito dalla circolazione in quel modo, senza lasciare traccia e senza dire nulla a nessuno, senza dire nulla a Erwan.

Scosse la testa, preoccupato, incapace di non pensare al peggio; scenari orribili scorsero nella sua mente al pensiero del compagno da solo e – forse – in pericolo. Arjentael non era né mai sarebbe stato un demone votato alle battaglie e alla violenza, era troppo delicato e gentile anche solo per pensare a cose simili.

Ed Erwan si era preso un impegno con sé stesso: proteggere Ary da qualsiasi pericolo e da qualunque dolore. Ma, dannazione, come si supponeva potesse portare avanti i suoi buoni propositi se Arjentael scompariva nel nulla in quel modo? Non bastava l’angoscia di aver perduto un condottiero valido come Lothyan. A sommarsi, ora, c’era anche il dolore e lo sgomento al pensiero di aver perduto una parte di sé, la parte migliore di sé, insieme al proprio cuore.

«Ary, maledizione, dove diavolo ti sei cacciato?!», imprecò, maledicendo al contempo sé stesso per non poter essere al suo fianco in quel momento.







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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***








Capitolo Nove



Zaynar si muoveva a passi felpati, badando bene a rimanere acquattato nell’ombra e controvento, perché voleva assolutamente evitare di essere individuato – per lo meno prima del tempo –. Quel posto lo conosceva come le sue tasche – se solo le avesse avute –, d’altronde ci aveva vissuto per una vita intera, fino all’anno precedente, e stava sfruttando ogni singola conoscenza appresa nel tempo per avere e conservare un vantaggio sul demone bianco. Doveva agire d’anticipo e, possibilmente, prenderlo di sorpresa, se davvero sperava di riuscire a trascinarselo dietro. Probabilmente sarebbe stato tutto più semplice se avesse avuto la possibilità di parlare con lui e spiegargli la situazione, ma dato che la capacità di favella non era qualcosa che poteva coscientemente scegliere di avere o non avere, beh: si sarebbe dovuto accontentare del suo piano di attacco, volente o nolente.

Eccolo: Erwan era in vista, proprio in quel momento. Zaynar si premette sulle rocce che costeggiavano lo strapiombo attorno alla cinta muraria, aguzzò i sensi e attese, con pazienza, che il demone bianco fosse più vicino, abbastanza da essere a portata di balzo. Doveva assolutamente impedire che usasse i suoi poteri, o sarebbe stato un gran bel guaio per l’atrox.



~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~



La dimora di Lothyan era deserta proprio come si aspettava, proprio com’era da più di un anno, ormai. Erwan scosse mestamente la testa e si chiese, per l’ennesima volta, dove potesse mai essere finito ma, soprattutto, perché.

Era ancora immobile, in contemplazione delle mura abbandonate, quando qualcosa si mosse ai margini del suo campo visivo; un’ombra, forse. Non ebbe tuttavia il tempo materiale per avanzare altre supposizioni che si ritrovò a scivolare sull’erba ghiacciata, atterrato dal corpo agile e robusto di un enorme felino. Tentò di ripararsi con un braccio e, nel mentre, estrarre la spada dal fodero, ma dovette rapidamente cambiare tattica, a meno che non volesse finire col fare da pasto per quella creatura piena di zanne luccicanti e artigli affilati. Si aggrappò al terreno duro e gelato con una mano e fece forza con l’altra per tenerlo a distanza; qualcosa, però, non tornava: se quell’animale avesse seriamente voluto sbranarlo, a quell’ora avrebbe già avuto tutto il tempo di ridurlo a brandelli, invece si limitava a tenerlo bloccato sul terreno gelato e a impedire alle sue mani di muoversi agevolmente. Erwan corse il rischio e sollevò gli occhi grigi, trovandone un paio quasi identico ad attenderlo. Infine li riconobbe e il suo sconcerto aumentò esponenzialmente.

«Zaynar? Sei proprio tu?», chiese, sentendo il proprio corpo tremare per lo sforzo degli ultimi istanti e per il terreno freddo sul quale era schiacciato dal peso del felino.

Vide la grossa testa dell’altro demone abbassarsi nella sua direzione e le palpebre nero pece socchiudersi, quasi in tono di scherno per la sua domanda sciocca e tendenziosa.

«Perché sei qui? Dov’è Lothyan?», chiese ancora Erwan. Infine, la domanda più importante in quel momento, «Che cosa vuoi da me?».

E fu libero, improvvisamente, dal peso non indifferente dell’atrox, il quale gli permise di trarre un respiro decente, prima di piantargli una zampa vellutata sul braccio ancora allungato sul terreno. Le sue fauci si richiusero con un secco schiocco sulla casacca di Erwan e l'atrox tirò, strattonando senza troppi riguardi, fino a costringerlo seduto, e poi tirò ancora, ordinandogli con i propri gesti di alzarsi in piedi, in fretta possibilmente.

«Zaynar, aspetta. Io non posso aiutarti, adesso. Ci sono altri problemi che devo risolvere, prima», protestò Erwan.

Quando però cercò di liberarsi dalla morsa dell'atrox, quello ringhiò minacciosamente, dandogli chiaramente a intendere che, in un modo o nell’altro, Erwan avrebbe dovuto fare ciò che l’altro desiderava.

«No, ti prego», provò a farlo ragionare il demone bianco, «So che ci sono questioni che vanno risolte, so che tu vuoi trovare Lothyan, ma…», si passò nervosamente le dita fra i lunghi capelli bianchi, non sapendo bene come spiegarsi in modo da far capire all’atrox la propria urgenza. «Ascolta, Zaynar», si risolse infine, pensando che dopotutto la verità sarebbe stata molto più efficace di qualunque insulso giro di parole, «Anche il mio compagno, Arjentael, è scomparso. È successo da poco e devo assolutamente occuparmene in fretta, prima che di lui svanisca ogni traccia», “Prima che svanisca ogni speranza”, pensò, evitando però di esprimerlo a voce alta.

Uno strattone, l’ennesimo, ma molto più violento dei precedenti, lo fece quasi crollare a terra sulle ginocchia. Sollevò gli occhi ormai disperati, incontrando nuovamente quelli perlacei e vividi dell'atrox che lo fissavano insistentemente e con una certa eloquenza. E allora capì.

«Tu sai dov’è lui?», rantolò, quasi soffocandosi con le proprie stesse parole.

Zaynar mollò la presa sulla sua casacca e, cauto, annuì, alzando la guardia e aspettandosi qualsiasi cosa.

Ciò che invece non si era affatto aspettato era di vederlo scosso da un brivido violento mentre un paio di lacrime rigavano il suo volto, candido come porcellana. Le dita sottili del demone bianco si aggrapparono strette al pelo nero del suo collo e il suo corpo si strinse a quello di Zaynar.

«Portami da lui», soffiò Erwan, tremando ancora, questa volta per la paura di ciò che avrebbe trovato una volta giunto a destinazione.

Zaynar lo fissò intensamente poi, dopo aver annuito di nuovo, afferrò una manica fra i denti e si concentrò con tutto il suo essere su Isabeau. I due demoni, stretti l’uno all’altro, svanirono silenziosamente dai dolci pendii ghiacciati dell’antica dimora di Lothyan e ricomparvero, infreddoliti e sconvolti, nello studio di Isabeau, ora invaso dalla rosseggiante luce del tramonto che ormai declinava fuori dall’ampia finestra.







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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci ***








Capitolo Dieci



Zaynar si scostò di qualche passo ed Erwan si guardò attorno, dapprima spaesato, senza ben riuscire a comprendere in quale luogo fosse capitato. Quando però i suoi occhi incerti si bloccarono sulla figura distesa a terra il respiro gli si strozzò in gola.

«Ary», rantolò senza fiato.

Rapidamente si rimise in piedi e in poche falcate gli fu accanto, scostando di malagrazia la donna accucciata al suo fianco – la quale non franò scompostamente a terra per un puro miracolo –, inginocchiandosi a sfiorarne un braccio e facendo scorrere lo sguardo sconvolto sul suo corpo martoriato. Piano, allungò una mano a fiorargli delicatamente il viso: aveva la pelle più fredda del normale e, spostando le dita sul suo collo affusolato, notò con angoscia che il suo battito e il suo respiro erano entrambi preoccupantemente lievi.

«Ary… Che cosa è successo?», sussurrò, pur comprendendo che non avrebbe ottenuto alcuna risposta, per lo meno fino a quando il compagno non si fosse ripreso a sufficienza.

Invece una risposta giunse, dalla più inattesa delle fonti.

«Mi dispiace per ciò che è successo ad Arjentael. Nessuno di noi lo aveva previsto e credo, in fondo, che nessuno di noi lo volesse», cercò di spiegare Isabeau, in tono stranamente pacato.

Erwan la fissò insistentemente per un lungo istante, quasi a volerle entrare dentro per conoscere ogni cosa. Per loro fortuna non era qualcosa che Erwan potesse realmente fare, ma ciò non lo distolse dai suoi propositi.

«Chi sei tu? Che cosa sai di lui e di ciò che è successo?», indagò, con voce più dura del previsto.

«Io sono Isabeau», rispose di buon grado lei, senza dare a vedere il proprio turbamento per il modo brusco con il quale le si era rivolto. «Noi… Io e lui eravamo qui, in questa stanza, quando…», Isabeau scosse la testa. “La verità”, pensò, È che non ho la più pallida idea di cosa realmente sia accaduto. Ma a lui come lo spiego?”. Lo guardò negli occhi e sospirò, «Non lo so, non so che cosa sia successo per portare a… questo», ammise, muovendo una mano a indicare il corpo privo di sensi di Arjentael.

Erwan assottigliò gli occhi e fece un passo avanti, ma dovette arrestarsi immediatamente al basso ringhio colmo di minaccia di Zaynar. Deglutì, confuso, mentre la rabbia e l’angoscia lottavano strenuamente dentro di lui per prendere il sopravvento.

«Voglio sapere cosa è successo», intimò, «Voglio sapere perché questa mattina Arjentael era sorridente e in perfetta salute, mentre ora si trova ferito e nel mondo umano».

«So perché si trova nel mondo umano», offrì Isabeau.

Erwan la fissò attonito, evidentemente non aspettandosi quel tipo di risposta. Invece, a quanto pare, la vita riserva sempre delle sorprese.

«Allora parla», ordinò asciutto, rifiutandosi ostinatamente di indietreggiare al lampo di ira chiaramente visibile negli occhi dell’altrox – senza contare le zanne sguainate e perfettamente in vista, a monito di probabili e dolorose ritorsioni –.

Isabeau, tuttavia, corrugò la fronte in un cipiglio dubbioso, ma non si limitò a questo; dopo aver lanciato un’occhiata ad Arjentael, si avvicinò cauta al demone bianco, tallonata strettamente dal suo Zay nelle esclusive vesti di guardia del corpo pronta a tutto.

«Senti, non so chi sei e non sono certa di cosa realmente tu voglia sapere. Quello che invece so è che il tuo amico è stato ferito e che ha perduto molto sangue. Io non ho potuto essergli di molto aiuto – e questa è la sola ragione per la quale ti trovi qui, adesso –, ma sono certa che nel vostro mondo esistano creature che invece possano fare qualcosa per lui. Quindi, se fossi in te, come prima cosa prenderei Arjentael e lo condurrei da qualcuno di quei vostri demoni guaritori – o come diavolo li chiamate – e lo farei medicare, così – magari – una volta ripresosi potrà essere lui stesso a raccontarti delle sue disavventure – e chissà, forse vorrà raccontare un paio di cose anche alla sottoscritta –», completò, risoluta e senza farsi il minimo scrupolo a parlare chiaro.

Erwan digrignò i denti e accennò un sordo ringhio frustrato, che venne però prontamente coperto da quello molto più deciso e arrabbiato di Zaynar, il quale, con passi felpati e la coda minacciosamente ondeggiante, si mise fra Isabeau ed Erwan, pronto a dare battaglia.

Erwan, dal canto suo, sospirò e si passò una mano tremante sul viso. «D’accordo. Seguirò il tuo consiglio, per il bene di Arjentael», ammise, «Ma non ho intenzione di lasciar perdere questa storia. È solamente rimandata a un momento più adatto. Mi devi ancora delle risposte, umana», sibilò combattivo.

Ma al posto del timore che si era forse atteso, vide sul volto di Isabeau un cipiglio deciso e perfino un sorriso soddisfatto.

«Bene. Sai dove trovarmi, demone. Io ti aspetto», lo sfidò Isabeau, facendo alzare gli occhi al cielo a Zaynar.

Erwan scosse la testa sconcertato e decise, per il momento, di tralasciare quella storia senza senso e di occuparsi, invece, del suo Ary e delle sue ferite. Tornò in fretta da lui, si accosciò e, con tutta la delicatezza di cui era capace, passò un braccio attorno alle sue spalle e l’altro sotto le sue ginocchia, sollevandolo dolcemente e con cautela. Piano, lo strinse a sé e, prima di sparire per fare ritorno nel suo mondo, si voltò ancora una volta verso quella coppia assurda e male assortita, lanciando una dura occhiata alla donna – un’occhiata che prometteva che si sarebbero rivisti, presto – e un fuggevole sguardo preoccupato all’atrox, che ancora lo fissava, deciso più che mai a vendere cara la pelle e – eventualmente – a trascinarlo con sé all’inferno. A quel pensiero gli sfuggì un sorriso: Ary era di nuovo fra le sue braccia; malconcio, certo, ma vivo. Che cos’era mai l’inferno, quando potevi avere la persona amata al tuo fianco? Abbassò gli occhi grigi sul corpo privo di sensi del compagno, poi lentamente li chiuse e un attimo dopo di lui, nello studio, non c’era più traccia.







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Capitolo 12
*** Capitolo Undici ***








Capitolo Undici

«Beh, è andata bene», commentò Isabeau, con fin troppa allegria per i gusti di Zaynar, il quale la osservò piuttosto perplesso e scosse la testa desolato; mai, nemmeno in un milione di anni, sarebbe davvero riuscito a capire le donne – umane o demoniache che fossero –.

Isabeau però ridacchiò della sua espressione angustiata e rassegnata e, forse per ricompensarlo, si sedette accanto a lui e prese a coccolarlo dolcemente e con molta convinzione, guadagnandosi una fitta pioggerella di fusa grate e deliziate.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Una volta toccato terra, nel familiare giardino del proprio palazzo, Erwan controllò che le condizioni di Arjentael non fossero peggiorate, poi si concentrò attentamente sulla sua prossima meta e, di nuovo, scomparve, per ricomparire in un luogo completamente diverso: un paesaggio di montagna, con dei piccoli laghi più a valle e una foresta di conifere sopra la propria testa. Poco più avanti, spostata leggermente dal sentiero principale, si poteva identificare un’abitazione di roccia con uno spiovente tetto di ardesia adatto ai climi del posto. Quella era la dimora di colui che Erwan cercava.

La donna umana aveva detto giusto: nel loro mondo, i demoni capaci di curare malattie e ferite venivano chiamati guaritori. Quel guaritore in particolare, che abitava in quel luogo isolato e spartano praticamente a memoria di demone, si chiamava Breinem ed era molto antico – almeno per la media dei potenti di quell’epoca –: aveva ormai più di duemilacinquecento anni anche se, come succedeva per la maggior parte degli esponenti della loro razza, ne dimostrava sì e no quaranta. Era un demone tao, con poteri taumaturgici che sembravano destinati ad accrescersi con il passare dei secoli. Al momento non si conoscevano guaritori più potenti di Breinem, ma era difficile da raggiungere per un qualsiasi demone comune – la prima volta che Erwan aveva dovuto cercare quel posto, ci aveva impiegato giorni, letteralmente, per raggiungerlo, a piedi e senza uno straccio di indicazione – e, una volta trovato, non era affatto matematico che decidesse di aiutare lo sventurato di turno. Dipendeva da… Beh, a essere onesti Erwan non aveva mai avuto la più pallida idea di cosa effettivamente spingesse Breinem ad accettare un caso oppure rifiutarlo. Fortuna? Congiunzioni astrali favorevoli? Simpatia a pelle? Qualunque fosse la motivazione del guaritore, di una cosa si poteva essere certi: se accettava di offrire le proprie capacità a qualcuno, quello stesso qualcuno era destinato a sopravvivere a qualunque sciagura e, probabilmente, a godersi una vita lunga e serena – possibilità non da poco, considerate le spiacevoli tendenze che infestavano quel mondo negli ultimi tempi –.

Erwan si fece avanti, attraversando il dolce pendio erboso che conduceva all’entrata della dimora del guaritore, e sentì sulla propria pelle le guardie che lo sfioravano, probabilmente studiando lui e la sua presenza sul posto. Si era sempre domandato cosa sarebbe capitato se qualche idiota con intenzioni poco nobili avesse deciso di attraversare quello stesso prato, all’apparenza privo di pericoli e protezioni. Con tutta probabilità le guardie si sarebbero attivate e lo avrebbero fatto a pezzi seduta stante. Forse era perfino già accaduto, senza che nessuno ne venisse a conoscenza.

Cauto, e facendo del proprio meglio per trattenere saldamente a sé Arjentael senza fargli del male, bussò discretamente all’uscio e attese, paziente e rispettoso, che l’unico abitante decidesse di aprirgli.

Alcuni minuti più tardi, quando già Erwan disperava di ottenere un qualche genere di risposta, la porta fu socchiusa e davanti ai propri occhi comparve la figura in ombra di Breinem.

Era un demone davvero inusuale – perfino secondo i canoni del loro mondo –, una sorta di contraddizione vivente che faceva del suo genere un vero e proprio manifesto. Luce e ombra fusi in un unico essere. I suoi capelli, sottili e lisci, lunghi oltre le ginocchia e mollemente legati in una coda soffice, erano di un grigio luminoso tendente al bianco, praticamente argentati; la sua pelle invece, liscia e incredibilmente priva di imperfezioni – forse mantenuta tale dai suoi stessi poteri – era scura, quasi bronzea; il suo occhio destro era di un luminoso e caldo color oro, mentre il suo occhio sinistro era di un cupo e quasi minaccioso viola; vestiva sempre di una semplice tunica grigia, di lino, e al collo portava un laccio di cuoio con appesa una pietra di luna a forma di goccia; le sue mani erano curate, le dita lunghe e affusolate, ma i nervi guizzavano a dar loro una decisa impressione di forza; vicino alla punta dell’orecchio sinistro portava un piccolo e sottile monile in argento di forma astratta, mentre al lobo destro era fissata una falce di luna nera, probabilmente melanite; inoltre possedeva quattro piccole zanne, nulla di spaventoso, a semplice ricordo di una probabile discendenza da un qualche tipo di demone animale. Nel complesso dava l’idea di una creatura potente e saggia – tutto sommato un ottimo connubio, rifletté Erwan –.

«Ci siamo già incontrati», esordì Breinem, squadrando con curiosità ma senza sorpresa il suo ospite.

Erwan si mosse nervosamente sul posto e deglutì agitato. «Sì, io… Mi scuso per avervi disturbato di nuovo. Non avevo previsto di dover tornare, ma…», fece guizzare velocemente lo sguardo sul compagno svenuto e fremette di angoscia, «Arjentael», continuò, indicando con i gesti il proprio fardello, «Sembra aver avuto un brutto incontro. Non so cosa sia accaduto, l’ho trovato già svenuto», spiegò in fretta, mordendosi poi le labbra mentre un filo appena di speranza lo sosteneva.

Breinem fece un passo avanti, oltre la soglia della propria casa, e allungò una mano verso il collo del demone blu, senza tuttavia sfiorarlo neppure. Quando ritrasse la mano sollevò gli occhi spaiati su Erwan, poi si voltò e sussurrò «Entrate», permettendo al demone bianco di riprendere a respirare.







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Capitolo 13
*** Capitolo Dodici ***








Capitolo Dodici



«Vieni. Appoggialo lì sopra», lo istruì Breinem, indicando con un gesto della mano un grosso tavolo ricoperto da un telo bianco.

Erwan vi si accostò velocemente e, con delicatezza, vi adagiò il compagno ancora privo di sensi, osservandolo con apprensione e notando che le sue labbra sembravano molto più viola del solito, quasi blu. Non si azzardò comunque a fiatare; sapeva che non era né il luogo né il momento adatto per fare domande sciocche e inutili, così si rassegnò ad attendere e restare a guardare.

Mentre Erwan si scostava un poco da Arjentael, per lasciare tutto lo spazio di manovra indispensabile al guaritore, Breinem si avvicinò al demone blu e, per la prima volta, lo sfiorò, facendo scorrere la punta delle dita sulla pelle che ricopriva lo sterno e poi vicino allo squarcio sulla spalla sinistra, osservando attentamente la ferita e studiandola con quella che somigliava molto a curiosità. Abbassò un momento gli occhi sul fianco destro, come a volersi accertare di qualche genere di particolare, poi li sollevò su Erwan.

«Qualcuno ha ripulito le sue ferite», commentò senza alcun tipo di inflessione.

Erwan sbatté le palpebre tre o quattro volte e socchiuse le labbra nel tentativo di dire qualcosa, ma il tentativo naufragò in fretta. Scosse invece la testa, confuso. «Io non…», cominciò, ma si interruppe subito, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente. «La donna», soffiò incerto, aggrottando le sopracciglia.

E mentre Erwan si faceva prendere dai suoi mille dubbi, Breinem aveva già distolto lo sguardo e l’interesse dal demone bianco e aveva invece rivolto entrambi su Arjentael, facendo come prima cosa svanire ciò che rimaneva della sua casacca con un lieve gesto della mano. Da un vano sotto il tavolo estrasse un piccolo cuscino e lo pose con cura sotto la testa blu scarmigliata, poi si concentrò sulla sua spalla sinistra.

«Artigli», mormorò pacato, sfiorando appena i bordi irregolari della ferita, «Probabilmente di un grosso felino», aggiunse fra sé, osservando meglio e provando a indovinare la dinamica dell’accaduto.

Nel momento in cui sembrò soddisfatto delle proprie deduzioni, si voltò a raggiungere una fornita dispensa e ne recuperò un piccolo barattolo, dal quale estrasse un pizzico di polvere rossa che si premurò di spargere sullo squarcio che affondava nella carne della spalla del demone blu; nell’istante in cui la polvere si posò sulla ferita brillò di luce cremisi e scomparve, lasciando unicamente la carne viva e sanguinante ma anche perfettamente incontaminata. Breinem sorrise compiaciuto e, cauto, avvicinò una mano fino quasi a sfiorare la spalla del demone blu, ma senza toccarlo; chiuse gli occhi e piccole rughe di concentrazione solcarono la sua fronte, altrimenti liscia. L’aria tremolò attorno alla spalla di Arjentael e alla mano di Breinem. Pochi istanti dopo Erwan trattenne bruscamente il respiro e sgranò gli occhi mentre, lentamente, prima i muscoli e poi la pelle di Arjentael si rigeneravano, riportando l’articolazione al suo originale aspetto liscio e candido.

Quando Breinem fu soddisfatto del proprio operato, passò a dare attenzione alla ferita ancora aperta sul fianco destro, procedendo nello stesso modo usato precedentemente con la spalla e facendo scomparire presto anche quella. Fatto ciò, inspirò a fondo ed espirò lentamente, sbattendo piano le palpebre per ritrovare lucidità. Si recò nuovamente alla dispensa e questa volta ne estrasse alcune erbe che mescolò accuratamente in una piccola ciotola, alla quale poi aggiunse l’acqua tenuta in caldo in un bollitore sul fuoco; mescolò ancora e, squadrando Erwan con un’occhiata calcolatrice, gli porse la ciotola, ora colma di un liquido azzurro.

«Prendi. Il tuo compagno ha perduto molto sangue e necessita di riprendere energie. Fagli bere questa», lo istruì pacato.

Erwan annuì e si accostò al compagno, accarezzandogli dolcemente la fronte e i capelli che, decisamente, avevano visto giorni migliori. Erwan ridacchiò, dentro di sé, pensando che Ary sembrasse proprio uno spaventapasseri in quel momento, con quel casino blu in testa.

«Ary», soffiò gentile al suo orecchio, «Puoi sentirmi?», provò.

Le labbra del demone blu, ora un po’ meno scure e più simili al loro solito violetto pallido, si arricciarono appena. Erwan, con cautela, gli passò una mano sotto la testa e, piano, gliela sollevò. Allora le sue palpebre tremolarono e Arjentael socchiuse finalmente gli occhi, trovandosi oggetto dell’ennesimo sguardo apprensivo e impensierito di Erwan. Provò a sorridere, senza tuttavia grandi risultati.

«Bevi, coraggio», lo esortò Erwan, «Ti sentirai meglio dopo», gli assicurò.

Arjentael buttò uno sguardo dubbioso sul liquido azzurro, arricciò appena il naso, ma poi sospirò e socchiuse le labbra, mentre il compagno vi accostava la ciotolina.

Erwan sorrise grato mentre l’altro beveva ubbidiente. Quando non rimasero che frammenti di erbe sul fondo, riaccompagnò delicatamente il capo del suo compagno sul piccolo cuscino, accarezzò nuovamente i suoi capelli morbidi e incasinati e lasciò un soffice bacio sulla sua fronte.

«Riposa ora. Presto sarai come nuovo», promise, mentre Arjentael già chiudeva gli occhi e si lasciava sprofondare in un buon sonno ristoratore.

«Puoi aspettare che si risvegli – molto probabilmente non prima di domani mattina – prima di andare via», lo informò d’un tratto Breinem, facendolo quasi trasalire. «Nella stanza qui a fianco c’è un letto, se desideri riposare un po’ anche tu. Altrimenti, se preferisci restare con lui, laggiù c’è un divano piuttosto comodo», sorrise.

«Grazie. Io…», esordì Erwan, ma senza ben sapere come continuare. «Vi devo molto. Come posso ripagarvi?», mormorò confuso.

Di nuovo Breinem sorrise. «Oh, lo farai. Ma non nel modo in cui credi tu», commentò sibillino e vagamente inquietante, confondendo maggiormente Erwan.







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Capitolo 14
*** Capitolo Tredici ***








Capitolo Tredici



Erwan si distese sul divano ma non dormì. Rifletté, invece; sulle parole di Breinem, sul momento in cui aveva ritrovato Arjentael, sul comportamento incomprensibile di Zaynar, e su quella donna – aveva detto di chiamarsi Isabeau, se non ricordava male –. Che cos’era realmente successo? Ary era stato ferito, ma qualcuno aveva cercato di curarlo. La donna, Isabeau, aveva detto che non aveva potuto aiutarlo, ma Breinem era di tutt’altro parere. E Zaynar era sembrato disposto a tutto per proteggere Isabeau; Erwan sospettava che, se avesse cercato di farle del male, l’atrox lo avrebbe attaccato senza indugio, incurante dei probabili rischi. Ma perché aveva attaccato Arjentael? – Oh, sì, Erwan era piuttosto certo su chi avesse prodotto quegli squarci sul corpo del suo compagno –. Possibile che Ary avesse minacciato quella donna? Il suo Ary, quello timido e gentile che non avrebbe mai ferito nessuno di proposito? Erwan scosse la testa, sempre più confuso, e si strinse frustrato i capelli fra le dita, rendendosi conto di quanto assurde sembrassero le sue supposizioni ma non riuscendo comunque ad accantonarle completamente. Avrebbe seguito il consiglio di Isabeau e avrebbe atteso con pazienza che Arjentael si riprendesse a sufficienza da potergli spiegare egli stesso i fatti, e poi… beh, poi avrebbe agito di conseguenza. Fremette, suo malgrado un po’ spaventato all’idea di doversi confrontare apertamente con Zaynar; non era per nulla sicuro di poter avere la meglio in uno scontro diretto, nonostante si reputasse un demone piuttosto potente, per questo si augurava di non dover mai arrivare a tanto. Pensò che il giorno in cui fossero stati davvero costretti a giungere a quel punto, sarebbe stato un giorno assai funesto, considerando che appartenevano alla medesima fazione in quell’assurda lotta per il potere che si disputava ormai da anni nel loro mondo.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Si accorse di essersi assopito solo quando si risvegliò di soprassalto, avvertendo il collo scricchiolare in maniera piuttosto preoccupante dopo essere stato appoggiato molto tempo sul bracciolo del divano. Volse lo sguardo e trovò Arjentael ancora profondamente addormentato, esattamente dove lo aveva lasciato, ma lanciando un’occhiata alla finestra scoprì che fuori già albeggiava, così si stiracchiò e, cauto, si rimise in piedi, borbottando fra sé per le giunture doloranti. Si avvicinò silenziosamente al tavolo su cui riposava tranquillo il compagno e si attardò a osservarlo, mentre un dolce sorriso spuntò sulle sue labbra, notando l’aspetto decisamente più sano che mostrava Arjentael quelle mattina.

Decise di concedersi una passeggiata all’aria aperta, mentre aspettava che il compagno si risvegliasse. Fuori la bruma del primo mattino si stava già diradando, mostrando a tratti un cielo sereno che rispecchiava pienamente lo stato attuale della propria mente e del proprio cuore, entrambi inusualmente più leggeri di quanto non fossero stati in quell’ultimo anno.

Mentre camminava lungo il sentiero, con tutta calma e osservandosi intorno, i primi tiepidi raggi di sole illuminarono il pendio, facendo scintillare la neve del giorno prima; Erwan socchiuse gli occhi chiari e incurvò le labbra in un piccolo sorriso, avanzò ancora di qualche passo poi abbassò completamente le palpebre e inspirò a fondo, gli alti stivali sprofondati nella neve fin oltre il polpaccio e le dita delle mani a muoversi nell’aria tersa quasi stessero suonando una dolce melodia. Piccole onde di neve si sollevarono dal terreno, avvolgendosi a spirale attorno alla bianca figura di Erwan e poi salirono sofficemente verso il cielo, come una nevicata al contrario.

«Atmocinesi», mormorò appena una voce alle sue spalle, ben conosciuta alle orecchie del demone bianco.

Erwan riaprì lentamente gli occhi e si voltò piano verso la figura di Breinem, ferma al limitare del sentiero oltre il quale si era invece spinto l’altro.

«», rispose soltanto, e sorrise dolcemente in direzione del guaritore.

«Il tuo compagno si è risvegliato pochi minuti fa», lo informò Breinem, «E ha chiesto di te», aggiunse, con un piccolo e malizioso incurvarsi di labbra.

Gli occhi di Erwan si illuminarono di gioia e il suo sorriso si allargò.

«Grazie», soffiò, prima di precipitarsi al fianco del suo Ary.







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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordici ***








Capitolo Quattordici



«Erwan».

Il rientro del demone bianco fu accolto dalla soffice voce di Arjentael e dal suo sorriso felice.

«Ehi», sospirò Erwan, andandogli incontro. «Ciao, come ti senti?», chiese subito, apprensivo come sempre, facendo ridacchiare il demone blu.

«Molto meglio», lo tranquillizzò, poi si allungò appena e posò su di lui un piccolo bacio a fior di labbra, inspirando il suo piacevole odore e accarezzandogli il collo. «Grazie», mormorò al suo orecchio, appoggiando il capo sulla sua spalla.

«Di nulla», offrì Erwan, stringendo piano il corpo del compagno a sé, così piacevolmente caldo rispetto al giorno precedente. «Mi sei mancato», bisbigliò con voce traballante.

Arjentael ricambiò l’abbraccio, sospirando al contempo appagato e colpevole. «Lo so. Scusa se non ho pensato a informarti. Non immaginavo affatto che finisse così», ammise.

Erwan si scostò appena da lui, il necessario per poterlo guardare negli occhi. «Allora a che cosa pensavi?».

Il demone blu arrossì e nascose un momento il volto sul collo del compagno. Solo allora borbottò «Non pensavo per nulla, temo», provocando un risolino isterico da parte dell’altro.

«Già, tipico», sbuffò contrariato, senza tuttavia staccarsi dall’abbraccio.

«Sei molto arrabbiato?», indagò cautamente Arjentael.

Trascorse un lungo momento di silenzio – silenzio che Arjentael sentì scorrersi addosso e pesargli quasi a soffocarlo – prima che un qualunque tipo di risposta venisse pronunciata; poi il corpo di Erwan tremò sgomento.

«No, Ary…», gracchiò con voce instabile, «Non sono molto arrabbiato». Inspirò, tentando di farsi forza e trovare le parole giuste, ma non fu per nulla facile. «Io… Ho creduto di averti perso. Per un momento – un momento maledettamente lungo – ho pensato che non sarei mai riuscito ad andare avanti, senza di te, e ho avuto paura…Ho avuto paura di rimanere da solo, ho avuto paura del resto della mia vita e del fatto che… non avrei saputo che cosa farne», ammise.

«Mi dispiace», soffiò Arjentael, stringendo le dita sulla casacca che ricopriva la schiena del compagno.

«Ho bisogno di sapere», ansimò Erwan, troppo sconvolto e agitato per avere la forza di ragionare lucidamente. «Ho bisogno di capire», quasi implorò.

«Lo so», annuì Arjentael.

Ma era confuso e il compagno, pur non possedendo capacità medianiche di quel tipo, lo avvertì distintamente e ammorbidì la stretta delle sue braccia, accarezzandogli dolcemente i capelli e la schiena.

Di nuovo il demone blu annuì, questa volta più con l’intento di rassicurare sé stesso che per altro.

«Usciamo», propose d’un tratto, confondendo il compagno.

«Ary, fuori fa molto freddo», provò a farlo ragionare Erwan, «E tu ti sei appena ripreso. Non credo che sia una buona idea», argomentò.

«Mi coprirò bene», promise Arjentael, «Se vuoi, mi metterò anche la sciarpa», assicurò, con la speranza di convincere il compagno delle sue buone intenzioni.

Erwan, benché stranito, lo scrutò attentamente negli occhi blu – rischiando di perdercisi e di non fare mai più ritorno – e vi lesse tutto il suo bisogno. Anche se non riuscì a comprenderne il motivo, comunque decise di accontentarlo.

«Va bene», decretò, «Ma andrò a prenderti un mantello caldo», impose stoico, nonostante l’occhiata esasperata di Ary, «E anche dei guanti», rincarò.

Si impuntò così tanto, senza voler sentire ragioni, che alla fine Arjentael, più per disperazione che altro, soffiò un «D’accordo» rassegnato e si preparò ad attendere pazientemente il suo ritorno, accoccolato comodamente sul divano.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Arjentael, ben coperto da un caldo mantello di pesante lana blu notte abbellita da sottili ricami argentati – e dai guanti, e perfino da una sciarpa –, procedeva sul sentiero a passi lenti e pensosi. Rifletteva su quanto accaduto il giorno precedente, ma non era ancora riuscito a trovare una vera risposta, seppur avesse numerose ipotesi in proposito.

«Hai incontrato la donna umana?», esordì d’un tratto, prendendo il compagno al suo fianco alla sprovvista.

«Sì, ho incontrato lei – Isabeau – e anche Zaynar», assicurò Erwan.

Il demone blu sgranò gli occhi, sorpreso. «Dunque, era lui davvero», pensò, esprimendo tale pensiero a voce alta.

«Sì, era lui». Erwan si fermò un momento, costringendo il compagno a fare altrettanto. «Ary, perché Zaynar ti ha attaccato», pretese a quel punto di sapere, anche se in qualche modo la risposta lo intimoriva.

«Io…», gracchiò Arjentael, con poche idee per la mente, una peggiore dell’altra. Si passò una mano fra i capelli scompigliati, incasinandoli ancora di più. «È difficile da spiegare», ammise, «È difficile perfino da pensare, a dire il vero».

Ripresero a camminare e Arjentael provò a raccontare al compagno i fatti del giorno precedente, confidandogli la propria confusione durante l’incontro con Isabeau, i pensieri contrastanti e i dubbi che lo avevano afferrato durante quel pomeriggio. Poi gli raccontò di ciò che aveva provato nel momento in cui aveva scoperto che Zaynar era il misterioso visitatore della donna e che lei conosceva non solamente l’atrox, ma perfino Lothyan e parte del suo passato.

«Com’è possibile?!», sbottò a quel punto Erwan.

Arjentael sorrise teneramente all’irruenza del compagno. «È esattamente quello che mi sono domandato anche io. Ho perfino ipotizzato che lei fosse a conoscenza di dove possa trovarsi ora Lothyan. Ma onestamente non sembrava molto più informata di noi», sospirò. Si sentiva un po’ stanco, ma volle comunque portare a termine quella chiarificazione, in qualche modo. «Io… Temo di aver perduto la testa, a un certo punto: troppe informazioni inaspettate, tutte assieme, e boh… Mi sa che il mio cervello è andato un momento in tilt», scherzò, anche se quello che aveva appena ammesso non aveva certo portato a nulla di buono.

«Già, beh, è stata una mossa piuttosto pericolosa, ma in fondo ti capisco. Dubito che avrei reagito in un modo migliore al tuo posto», dovette concedergli Erwan.

«È un periodo un po’ stressante», convenne Arjentael, mordendosi le labbra nervosamente, mentre un nuovo pensiero, non propriamente sereno, si faceva strada nella sua mente. «Credi che dovremmo tornare da loro, vero?».

Erwan comprese al volo il significato di quelle parole e, cauto, annuì. «Temo di sì».







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