Ti prego, non farmi Innamorare #4 BF Series.

di Arianna Ena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 Chelsea ***
Capitolo 2: *** 02 Adrian ***
Capitolo 3: *** 03 Chelsea ***
Capitolo 4: *** 04 Adrian ***
Capitolo 5: *** 05 Chelsea ***
Capitolo 6: *** 06 Adrian ***
Capitolo 7: *** 07 Chelsea ***
Capitolo 8: *** 08 Chelsea ***
Capitolo 9: *** 09 Adrian ***
Capitolo 10: *** 10 Chelsea ***
Capitolo 11: *** 11 Adrian ***
Capitolo 12: *** 12 Chelsea ***
Capitolo 13: *** 13 Adrian ***
Capitolo 14: *** 14 Chelsea ***
Capitolo 15: *** 15 Adrian ***
Capitolo 16: *** 16 Chelsea ***
Capitolo 17: *** 17 Adrian ***
Capitolo 18: *** 18 Chelsea ***
Capitolo 19: *** 19 Adrian ***
Capitolo 20: *** 20 Chelsea ***
Capitolo 21: *** 21 Chelsea ***
Capitolo 22: *** 22 Adrian ***
Capitolo 23: *** 23 Chelsea ***
Capitolo 24: *** 24 Adrian ***
Capitolo 25: *** 25 Chelsea ***
Capitolo 26: *** 26 Chelsea ***
Capitolo 27: *** 27 Chelsea ***
Capitolo 28: *** 28 Adrian ***
Capitolo 29: *** 29 Chelsea ***
Capitolo 30: *** 30 Chelsea ***
Capitolo 31: *** 31 Adrian ***
Capitolo 32: *** 32 Chelsea ***
Capitolo 33: *** 33 Adrian ***
Capitolo 34: *** 34 Chelsea ***
Capitolo 35: *** 35 Adrian ***
Capitolo 36: *** 36 Chelsea ***
Capitolo 37: *** 37 Adrian ***
Capitolo 38: *** 38 Chelsea ***
Capitolo 39: *** 39 Adrian ***
Capitolo 40: *** 40 Chelsea ***
Capitolo 41: *** 41 Adrian ***
Capitolo 42: *** 42 Chelsea ***
Capitolo 43: *** 43 Adrian ***
Capitolo 44: *** 44 Chelsea ***
Capitolo 45: *** 45 Adrian ***
Capitolo 46: *** 46 Chelsea ***
Capitolo 47: *** 47 Adrian ***
Capitolo 48: *** 48 Chelsea ***
Capitolo 49: *** 49 Adrian ***
Capitolo 50: *** 50 Chelsea ***
Capitolo 51: *** 51 Adrian ***
Capitolo 52: *** 52 Chelsea ***
Capitolo 53: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** 01 Chelsea ***


01 Chelsea.



Più la osservo, più dettagli noto nella parete di fronte ai miei occhi. Eppure non riesco a sopportare la vista di qualcosa di più complesso delle lievi venature del muro, del modo in cui la vernice, così vecchia da non essere più bianca, ma grigia, mette in rilievo i puntini del gesso decorativo, vecchio di almeno vent’anni.

Non sopporto nulla. Mangio perché devo, ma per il resto, credo siano almeno tre giorni che mi trovo in questo stato semi vegetativo, ad osservare il muro contro cui è poggiato il mio letto.

È uno spettacolo desolante e, quando non ne posso più, mi porto le coperte sopra la testa e lascio che il nulla mi catturi, sperando di non fare incubi.

Un incubo, per essere precisa.

Fino a tre giorni fa, avevo una vita incredibilmente pacifica e non avevo mai vissuto troppi dispiaceri. È vero, sono cresciuta senza madre, ma ero troppo piccola e non me ne ricordo. Ho solo una foto a mostrarmi com’era, oppure mi posso guardare allo specchio.

Da lei ho preso tutto, tranne i capelli e il fisico. Mentre lei aveva una bellissima chioma riccia di capelli biondi, io ho i capelli castani e lisci e, mentre lei era meno formosa, anche subito dopo aver partorito, io sono un po’ più in carne. Eppure, nonostante queste differenze, io e lei eravamo uguali. Stessa forma degli occhi, sebbene non sabbia se anche i suoi avessero la stessa sfumatura color malva, stesso viso ovale, stesso naso, stessa bocca, con il labbra carnose e ben delineate e stessa altezza.

Siamo così simili che, per una vita, mio padre mi ha convinta che, indossando i suoi vestiti smessi, stessi benissimo.

Parliamo di pantaloni a vita alta, maglioni a coste e un sacco di altre cose degli anno ’80.

Ero convinta di stare bene con me stessa, sebbene sentissi di essere diversa, ma pensavo che fosse solo per il fatto che mio padre è un pastore anglicano e che sono cresciuta all’interno della chiesa, in un ambiente religioso e morigerato.

La mia vita è cambiata quando ho conosciuto Meredith O’Connel, una bellissima ragazza dai capelli rossi con cui condivido il bagno.

All’inizio mi intimoriva, perché andava in giro per i corridoi come se le appartenessero, con sicurezza e forza. Dopo averci parlato un po’, mi sono sentita ancora più inferiore, ma non perché lei abbia fatto qualcosa per farmi sentire così, ma semplicemente perché mi sono resa conto che mi sarebbe piaciuto essere come lei.

Erano passate un paio di settimane quando, finalmente, ho preso coraggio e le ho chiesto se potevo uscire con lei. Effettivamente, non mi aspettavo che dicesse di sì. Pensavo che mi avrebbe squadrata con un espressione disgustata in volto e avrebbe detto di no, che non ci facevo niente con lei.

Invece lei mi ha guardata, quasi con pietà, ma non per la persona che sono, ma per quello che ho sempre pensato fossero vestiti che mi stavano bene.

L’ho vista sgranare gli occhi e dispiacersi, quando le ho detto che, effettivamente, erano proprio vestiti appartenuti a mia madre, proprio come aveva detto lei.

Ora posso ammettere, in tutta libertà, che tutto il mio look era pessimo. Non che sia un’esperta di moda ora, ma dopo il suo corso intensivo, ho capito che genere di cose mi stanno bene senza farmi sembrare una pornostar.

Dopo quella serata surreale, dopo che mi sono lasciata andare a domande anche piuttosto private e non capisco come sia potuto succedere, la mia vita al campus è migliorata notevolmente.

Non venivo più guardata come un alieno o una cavia da laboratorio. Mi sono sentita uguale a tutti gli altri, finalmente invisibile e non più continuamente osservata e sbeffeggiata.

Meredith mi ha aperto gli occhi su molte cose, mi ha aiutata a rimettermi in sesto e a conoscere meglio me stessa.

Ho scoperto che mi piace prendermi cura di me stessa, di quei piccoli dettagli che solitamente sembrano insignificanti, ma che in realtà fanno la differenza, eccome.

Abbiamo iniziato dai capelli.

Il biondo paglia è stato sostituito da un bel castano e anche la permanente, che mi aveva ridotto i capelli in condizioni pessime, è stata eliminata.

Certo, non ho più i capelli lunghi come prima, perché il parrucchiere è stato costretto a tagliarmene via un bel pezzo, ma ammetto che ora sono decisamente meglio e più facili da gestire.

Inoltre, sono finalmente riuscita a liberarmi di quei fastidiosissimi occhiali.

Quasi non ci credo, ma le lenti a contatto sono di una comodità unica. Ho sempre pensato che mettersi qualcosa negli occhi fosse dolorosissimo e Meredith ha dovuto insistere parecchio prima di riuscire a convincermi ad andare dall’ottico, per farmi dare le lenti giuste per me.

Non smetterò mai di ringraziarla per quello che ha fatto per me, sebbene scoprire la vera me stessa abbia procurato problemi su un fronte che avevo sempre pensato sicuro.

Mentre la mia vita scolastica procedeva alla grande, a casa, da mio padre, le cose hanno iniziato ad andare sempre peggio.

All’inizio erano piccole critiche, cosa stupide, ma poi è diventato sempre peggio, tanto che andare la Domenica in chiesa non era più un piacere.

Durante il sermone, c’erano sempre una o più frecciatine al mio indirizzo, frasi costruite ad arte per farmi sentire una peccatrice, una serva del demonio.

Mio padre ha cercato di convincermi in tutti i modi a lasciare il college e tornare a casa, a ricominciare ad indossare i vestiti che ho chiuso in un paio di scatoloni e messi in soffitta. Ha cercato di annullarmi, riportarmi sotto quello che lui riteneva il suo controllo, l’ordine giusto delle cose.

Io ero sua figlia, SUA, e dovevo solo fare come mi veniva detto.

Volevo bene a mio padre, pensavo fosse un sant’uomo, uno di religione, devoto, ma ho scoperto, in un paio di mesi, che la sua era solo una farsa, una maschera che nascondeva una bestia.

Il culmine della follia lo ha raggiunto il giorno dopo quello del Ringraziamento.

Non so se sia stata la “santità” del giorno o un ultimo, disperato tentativo di non mostrare il suo vero essere ad impedirgli di rovinare il 24 Novembre, ma non avrei mai immaginato che si sarebbe accanito in quel modo contro di me, credevo di averla “scampata”.

Gli volevo un bene sincero, era la persona che più amavo e rispettavo al mondo, e il suo tradimento, la sua violenza, hanno lasciato una profondissima ferita dentro di me, un baratro che non so come fronteggiare, perché io sono solo una debole e stupida ragazza che, da sola, non è in grado di affrontare il mondo.

Il fatto che, tranne che per andare in bagno, io non mi sia più alzata da questo letto, dopo che, non so come, ci sono arrivata, è una prova lampante di quanto io sia debole ed inutile e di quante preoccupazioni dia al prossimo.

Meredith mi è stata vicina. Non m’importa che per la religione lei stia commettendo dei peccati, avendo dei rapporti sessuali prima del matrimonio, per me andrebbe santificata. Dovrebbero farle una statua o qualcosa di simile, perché dubito che un'altra persona si sarebbe comportata allo stesso modo.

Per fortuna ho avuto lei a cui chiedere aiuto, che ha avuto la brillante idea di mandare Adrian, uno degli amici di suo fratello.

Non pensavo che esistessero ragazzi così imponenti, ma allo stesso tempo belli, perché, nonostante tutto quello che mi ha detto Meredith su di lui, non posso negare che sia di una bellezza sconvolgente. Lei lo ha definito un Bufalo, un termine che ha sentito da Kayla, una ragazza che conosco a malapena, ma trovo che sia molto adatto.

Quel ragazzo è davvero alto, anche se non come i suoi amici, e ha una quantità di muscoli spaventosa, tanto che mi sono chiesta, la prima volta che l’ho visto, come faccia a non avere il collo taurino.

Come se ciò non bastasse, ha un viso davvero troppo bello, sormontato da occhi di uno colore strano, grigio-blu mi è sembrato, ma non mi sono mai soffermata troppo sul suo aspetto, intimorita da quasi tutto il genere maschile, in particolare da quelli che hanno praticamente tatuato sulla fronte la parola GUAI.

Eppure sono stata davvero felice di vederlo e ho lasciato che mi aiutasse a rimettermi in piedi e, dopo aver recuperato tutte le mie cose, perché in quella casa sapevo già di non voler tornare mai più, ho lasciato che mi accompagnasse alla sua macchina, tenendomi saldamente per il gomito

Prima di quel momento, non avevo mai lasciato avvicinare così tanto un uomo; Mai, ma gli ero così dannatamente grata, non solo per l’aiuto, ma per non avermi giudicata e non aver fatto caso al mio pianto disperato.

Allontanarmi dalla casa in cui sono cresciuta è stato un sollievo, ma anche estremamente doloroso, lacerante.

Tutta la mia vita l’ho vissuta tra quelle pareti. Ho giocato in salotto e ho imparato a fare il pane al melone insieme alla governante in quella cucina. Ho fatto tutto lì e non è stato facile capire, realizzare, che quei giorni felici e spensierati non torneranno più.

Il naso inizia a pizzicarmi, mentre altre lacrime mi scivolano lungo le guance.

Eppure credevo di averle finite.

Ho pianto più di quanto pensavo fosse possibile ed ero convinta che i miei occhi non potessero più produrre alcun liquido.

Li sento gonfi, pesanti ed affaticati. Ogni volta che sbatto le palpebre, mi sembra che qualcosa stia raschiando il tessuto delicato, provocandomi intense ondate di bruciore.

Non mi sono mai sentita così male in vita mia.

Dei rumori, dall’altra parte del muro alle mie spalle, mi fanno rizzare a sedere.

Fino a pochi secondi fa regnava il silenzio, dato che in tutto il complesso credo che ci siamo solo noi, e ora sento uno strano chiacchiericcio arrivare dalla camera di Meredith.

Mi sembra arrabbiata, sebbene non riesca a sentire le parole che pronuncia.

Subito dopo, segue la voce di un ragazzo.

Immediatamente sento un ondata di panico sommergermi.

E se fosse mio padre? Se fosse venuto a cercarmi qui? Che cosa dovrei fare? Rimanere qui e sperare che non mi venga a prendere?

Sì, potrei fare così, ma se dovesse fare del male a Meredith per colpa mia? Non me lo perdonerei mai.

Con le gambe che tremano e il cuore che batte a mille, esco da sotto le coperte e mi infilo le mie comodissime ciabatte rosa shocking e, con passo malfermo, entro in bagno, cercando di fare meno rumore possibile.

La porta che conduce nella sua camera è leggermente socchiusa e nel buio della stanza si vede una sottilissima striscia di luce che filtra.

Con attenzione, spingo la porta, fino a creare uno spazio abbastanza largo per poter sbirciare dall’altra parte.

Temo che il rumore del mio cuore possa sentirsi anche all’esterno, perché mi sta assordando, tanto batte in fretta.

Quello che vedo mi lascia senza parole.

Meredith, la bellissima e fortissima ragazza che conosco, sta piangendo tra le braccia di un ragazzo che non conosco, ma che la tiene stretta con estrema dolcezza, come se volesse sollevarla da qualsiasi problema e farle da scudo con il proprio corpo.

Mi chiedo se non sia il ragazzo con cui mi ha detto che va a letto, ma la sua voce, rotta dal pianto, mi paralizza.

Non avrei mai voluto sentirla o vederla stare così male.

“Aveva paura ad andare a casa per il Ringraziamento, ma non ne ha voluto sapere di venire da Josh e Kayla. Sapevo che sarebbe finita così. Avrei dovuto insistere di più!”

Mi sembra di assistere a qualcosa di estremamente privato ed intimo, sebbene riguardi anche me, ma quello che più mi sconvolge è il senso di colpa.

Per la prima volta, vorrei liberarla dalla sofferenza che percepisco nella sua voce, ma sapere di non poterlo fare, che sta così perché non sono stata abbastanza lungimirante, è davvero doloroso.

Richiudo la porta, perché non voglio e non posso assistere alla sofferenza di Meredith, inoltre è un momento privato tra loro due e non voglio mettermi in mezzo, creare ancora più problemi.

“Stupida, stupida, stupida!”

Mi ripeto queste parole per un bel pezzo, appoggiata contro la mia porta del bagno, ora chiusa.

Come ho fatto a non pensarci, a non capire che lei, che in tutti i modi ha dimostrato di tenere a me e di considerarmi un’importante amica, avrebbe sofferto della mia situazione?

Perché sono stata così stupida ed egoista?

Avrei evitato tutto ciò se le avessi dato retta, se non mi fossi intestardita e non avessi deciso di fare di testa mia, convinta che mio padre non potesse essere il mostro che in realtà è.

Avevo avuto il sospetto che non fosse più l’uomo che conoscevo, il mio papà amorevole, ma non pensavo che davvero sarebbe arrivato a tanto, non un uomo di chiesa.

Invece lo ha fatto e al solo pensiero la guancia ricomincia a bruciarmi.

Non so per cosa essere più addolorata; se per il suo comportamento, se per la sofferenza che ho causato a Meredith o se per quello che ho scoperto, il segreto che, per tanti anni, mio padre ha avuto con me, la menzogna nella quale sono cresciuta.

Forse è tutto l’insieme e, stavolta, non posso chiedere a Meredith di aiutarmi. Non posso causarle altro dolore, altre preoccupazione. Ora riguarda solo me e le risposte devo trovarle da sola.

Non so da dove cominciare, dove chiedere, dato che sono senza lavoro e, se non mi do una mossa, i soldi che ho messo da parte finiranno presto.

La prima cosa da fare sarebbe trovarsi un lavoro, ma non h nessun tipo di esperienza. Non so fare nulla di particolare e non so quante persone siano disposte a dare un lavoro ad una persona senza la minima esperienza.

La seconda da fare, una volta ottenuto il lavoro, trovare qualcuno in grado di aiutarmi, anche se non saprei nemmeno da che parte iniziare.

Per quello che ne so, potrebbe non chiamarsi più MarySue e non vivere più qui a Denver, ma io la devo trovare, devo sapere perché se n’è andata, perché mi ha abbandonata, lasciandomi con un uomo del genere.

Perché sì, la cosa più sconvolgente di tutte, è stato scoprire che mia madre, che credevo sepolta nel cimitero poco fuori Denver e sulla cui tomba vado a portare i fiori ogni domenica, non è mai morta. Lei è viva, da qualche parte, e ora voglio sapere come ha potuto abbandonare sua figlia.

Eccoci quì, con il primo capitolo di questo nuovo libro e dove iniziamo a conoscere un po' meglio Chelsea, rivivendo, sebbene da lontano, quello che è successo con suo padre. Come ho anticipato, cercherò di portare questo libro in contemporanea con l'altro e, se riuscirò ad aggiornare una volta a settimana, è molto. Ovviamente l'altro ha la precedenza e, se non dovessi aggiornare, è perché proprio non sono riuscita a conciliare il lavoro con la scrittura. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere al più presto le vostre impressioni. KissKiss 


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Capitolo 2
*** 02 Adrian ***


02 Adrian

 

 

Se c’è una cosa che odio, sono le festività.

Tutti sorridono, tutti si scambiano gli auguri, ma per cosa?

Niente ha valore nel mio mondo.  Non i compleanni, non la Pasqua o il Ringraziamento.

Ancora meno la festività che ci sta travolgendo in questi giorni.

Forse una volta il Natale aveva senso, dopotutto, per i cattolici, rappresenta la nascita del figlio di Dio, ma oggi non è altro che un’occasione per partecipare a “feste” insulse e sbandierare ai quattro venti la propria ricchezza. O povertà, a seconda dei casi.

Ogni anno, puntualmente, mi ritrovo a partecipare a ricevimenti sontuosi in compagnia di persone che odio e di cui non mi importa nulla. Persone la cui sola presenza fa nascere in me il desiderio di renderle profondamente infelici.

Il tema è la ricchezza, l’abbondanza, e io, in questo ambiente frequentato da persone prive di qualsiasi etica, ci sono cresciuto.

Ho imparato quale fosse il mio posto molto presto, mio padre me lo ha mostrato chiaramente, ma mi è sempre andato stretto e non ho mai avuto nessuna intenzione di  fare quello che lui avrebbe voluto  facessi.

Avrei già dovuto iniziare a lavorare con lui e avrei dovuto accettare il fidanzamento che aveva programmato per me. Avrei dovuto accettare di sposare una ragazzina superficiale nata solo per essere data al miglior offerente, come un animale per il macello.

Me ne sono tirato fuori, ma prima le ho mostrato cosa il futuro le avrebbe riservato.

Le sue lacrime non mi hanno commosso. Non potrei mai provare nessuna pietà per qualcuno che accetta passivamente le decisioni degli altri e poi si pente delle proprie azioni.

Mio padre  non aveva messo in conto che non sarei mai stato una pedina nelle sue mani e, rovinargli qualsiasi piano, è diventato il mio passatempo preferito. Ormai nessuno dei suoi “amici” altolocati vuole vedermi. Tengono le loro preziose figlie lontane da me, come se fossi un mostro pronto a divorarle.

Forse è così, visto quante giovani ragazze ho spezzato nel corso degli anni, ma il mio comportamento non è mai indiscriminato. Hanno avuto ciò che meritavano e, sul momento, sono state più che felici di prendere ciò che davo loro. Peccato si aspettassero molto più di quanto io avessi intenzione di dare, la mente obnubilata dall’idea di accalappiare un marito ricco.

Se potesse, il bastardo cancellerebbe il mio nome dal registro di famiglia.

Diseredare il proprio figlio, significherebbe ammettere un fallimento e lui, questo, non lo può accettare.

Non sia mai che Bruce McLeor, futuro senatore degli Stati Uniti d’America e aspirante presidente, ammetta di aver fallito in qualcosa.

Può tollerare tutto, nessuno scandalo è troppo per lui, ma diseredarmi ufficialmente è una cosa che non si può permettere e io godo immensamente nell’essere la sua spina nel fianco, la macchia nera sulla sua apparente immacolata vita.

Cerca in tutti i modi di tenermi lontano dai “guai” come li definisce lui, ma la verità è che vuole evitare l’ennesima brutta figura. Come se potesse veramente riuscire ad impedirmi qualcosa.

Sono dall’altra parte della grande sala da ballo in cui si sta tenendo la festa di Natale, un occasione dove tutte le personalità più in vista di Denver si riuniscono, ma io non ho occhi che per quel maledetto ipocrita del mio vecchio. Lui e quella sgualdrina della mia matrigna, che potrebbe tranquillamente essere mia sorella maggiore.

Chastity Brian, adesso McLeor, era una modella di lingerie per Victoria Secret che ha teso un bell’agguato a mio padre, mentre usciva dall’ufficio.

Potrebbe sembrare un incontro da film d’amore, ma io in queste cose non credo. Sono tutte cavolate.

Guarda caso, lei si trovava di fronte all’ingresso del grattacielo e le si era spezzato un tacco. Non sapeva cosa fare, poverina, così ha chiesto aiuto alla “prima” persona che è passata lì vicino, Bruce McLeor. È stato amore a prima vista.

Avrei anche potuto far finta di crederci se non fosse stato che la gonna, praticamente inguinale, che indossava, lasciava vedere il bordo delle calze autoreggenti che spesso e volentieri usava per le sfilate.

Come so tutte queste cose?

Semplice. Ho assistito a tutta la scena.

Ero uscito dalle porte girevoli alcuni secondi prima del mio vecchio e il suo sguardo mi è saettato addosso con cupidigia. Gli occhioni azzurri, sapientemente truccati di nero e oro si sono incupiti e mi hanno fatto una radiografia completa, soffermandosi sul cavallo dei pantaloni.

L’ho ignorata, perché il suo interesse palese non mi ha fatto nessun effetto, ma mio padre c’è cascato in pieno o forse ha capito perfettamente che cosa stava cercando Chastity e gli è stato bene.

Alla fine non sono fatti miei e, al momento giusto, quando la sua campagna politica sarà al culmine, ad un passo dal raggiungimento del sogno di una vita, allora uno scandalo enorme, di quelli impossibili da arginare, si abbatterà su di lui, rovinandolo per sempre. Fino al allora, Chastity rimarrà al suo fianco. Mi serve lì.

La sgualdrina indossa un costosissimo, quanto volgare, abito rosso, che lascia scoperta tutta la schiena flessuosa, e porta i capelli castani raccolti in un’acconciatura complicata.

Non posso vederla in viso, ma so che gli zigomi sono troppo truccati e che le labbra, recentemente rifatte, spingono verso fuori, in un’espressione perennemente imbronciata.

Bruce McLeor, invece, nel suo completo nero con il cravattino, non solo è di una decina di centimetri più basso, ma è anche evidentemente sovrappeso. La differenza tra i due coniugi è abissale e tutti sanno che Chastity non è altro che la moglie perfetta da poter sfoggiare in questo tipo di occasioni.

Allontano lo sguardo dai due, che stringono mani e si aggirano tra li ospiti come se fossero stati loro ad organizzare tutto.

Come ogni dannatissimo anno, siamo nuovamente a Broomfield, al Chateaux at Fox Meadows, in questa dannatissima sala con il pavimento in parquet e il gigantesco lampadario dorato da cui scendono candidi drappi di seta.

L’anno scorso, in uno degli uffici al piano superiore, mi sono scopato la figlia dell’ormai ex Sindaco di Denver. Un’altra poverina che sperava di riuscire ad accalappiarmi.

È successo un mezzo pandemonio quando è saltato fuori, ma come al solito, nessuno ha osato dirmi niente. Tanto, a cosa sarebbe servito?

Sono anni che faccio come mi pare, portando vergogna sul  nome della mia famiglia e tutte quelle stupide cose che ti dicono per cercare di farti sentire in colpa.

Eppure io, il mio nome lo voglio distruggere, cancellare dagli annali della politica e della cerchia di Denver.

Mio padre deve pagare per quello che ha fatto, per il modo meschino in cui si è comportato tutta la vita, per aver portato mia madre alla morte.

Non so chi odio di più, sinceramente.

Forse lei, perché non può più rispondere delle sue azioni, perché nella sua debolezza ha deciso di farla finita, buttandosi dalla terrazza della villa in cui vivevamo a Los Angeles.

Non le è importato di quello che si sarebbe lasciata alle spalle quando ha deciso di saltare. Non le è importato che per tutto il tempo io sia stato su quel dannato balcone, cercando di convincerla a scendere dalla ringhiera.

Avevo solo dodici anni quando mi ha guardato con gli occhi ormai spenti e mi ha detto: “ Mi dispiace!”, prima di lasciarsi cadere nel vuoto alle sue spalle.

Ne avevo ancora dodici quando mio padre che cercato di dare tutta la colpa a lei e a me, dicendomi che era depressa e che non aveva mai superato la mia nascita. Che suo padre, mio nonno, prima di darla  in sposa, lo aveva avvertito del carattere debole della figlia.

Bruce McLeor ha cercato di passare da innocente ai miei occhi quando io sapevo benissimo cosa accadeva tra le mura più private della villa.

Un ragazzino di quell’età non dovrebbe mai sentire la propria madre urlare e piangere, ma è proprio quello che è successo e in qualche modo, sapevo che, se avesse voluto, mia madre avrebbe potuto ribellarsi ed andarsene. Era lei a non volere la libertà.

La sua vita sarebbe stata molto più semplice e felice se quella domenica del Luglio 1990, in piedi sull’altare, avesse detto di no e si fosse rifiutata di sposare un uomo che non amava, scelto dalla sua famiglia a tavolino.

Invece  Simone Pruitt/Mc Leor ha scelto di morire piuttosto che prendere in mano la sua vita.

Ecco perché ho deciso che distruggerò la famiglia McLeor e la Pruitt. Non importa sopra chi dovrò passare, quanta sofferenza arrecherò a chi si troverà sulla mia strada. Mio padre perderà ogni sogno di gloria, vedrà la propria ambizione distrutta,  e rimarrà il misero denaro a tenergli compagnia, mentre mio nonno, l’ormai vedovo Pierre Pruitt, perderà anche quello e non gli rimarrà assolutamente nulla da portarsi nella tomba.

Si ritroverà solo, senza nessuno ad aiutarlo.

Ecco, se c’è una cosa che odio quanto l’ipocrisia delle festività, è soffermarmi a ragionare sul perché sono diventato il bastardo che sono.

Non c’è bisogno di uno strizzacervelli per capire perché mi comporto come faccio e perché detesto così tanto le donne. Certo, il corpo femminile mi piace e anche parecchio, ma non si riduce tutto alla mera questione fisica. Per me, il sesso, oltre che un piacevolissimo diversivo, è anche un modo per punire quelle donne che sono attratte da me per il mio aspetto fisico o per il denaro che possiedo.

Quelle che mi cercano, vogliono qualcosa da me, tutte vogliono qualcosa, nessuna è disinteressata, quindi non mi faccio nessuno scrupolo a prendere quello che mi viene spontaneamente offerto. Non  è un mio problema il perché lo fanno o se dopo che mi sono rimesso i pantaloni loro scoppiano a piangere.

Ognuna ha quello che si merita e sì, sarò anche un bastardo, ma non ho mai fatto promesse. Effettivamente, sono uno da poche parole.

Non mi perdo mai in chiacchiere inutili e, quando apro la bocca, spesso e volentieri, soprattutto se sono in compagnia dei miei amici, esce un linguaggio da scaricatore di porto che non ha nulla a che vedere con la classe sociale in cui sono cresciuto.

Guardo l’orologio che porto al polso e un gemito mi sale alle labbra. Sono solo le otto e mezzo e sono qui già da un paio di ore.

Ho salutato tutti, parlato del più e del meno con le persone con le quali mi interessava interagire, ma sinceramente, vorrei proprio andarmene.

Mando un messaggio a Ryan, un mio amico del College e aspetto che mi risponda, prendendo al volo un calice di champagne dal vassoio di un cameriere che mi è passato vicino.

Devo proprio ammettere che nell’ultimo anno sono cambiate davvero moltissime cose.

Ryan, adesso lavora come pediatra in uno studio in periferia, si è sposato, cosa che ancora fatico a credere, ed ha un pargolo di un paio di mesi. Stanno passando tutti assieme il Natale a casa di Josh, un altro amico.

Lui, come me, ha sempre fatto parte dell’elite, ma si è recentemente liberato dei suoi familiari dopo che hanno provato ad incastrarlo con la polizia per una storia di denaro riciclato.

Era uno dei miei compagni di uscita, uno in grado di divertirsi senza ubriacarsi e che con le donne ci ha sempre saputo fare. Recentemente si è fidanzato con la migliore amica della moglie di Ryan, con la quale ora convive.

Ammetto che sono due tipe abbastanza in gamba, due che se solo avessi osato avvicinarmi, mi avrebbero fatto vedere i sorci verdi, ma ancora non riesco a credere che in meno di dodici mesi due miei compari siano passati dalle stelle alle stalle, per così dire.

Prima era tutto un divertimento. Serate passate ai bar, bevendo, scherzando e rimorchiando se ne avevamo voglia. Ora è tutto cambiato. Entrambi, appena finito di lavorare, rientrano dalle rispettiva compagne e sembrano dannatamente felici di essersi rinchiusi in una gabbia.

Rimaniamo solo io e Dave, il mio compagno di appartamento.

Dopo quasi cinque anni, mi sembra ancora così strano vivere con qualcuno, per di più in un appartamento piccolo, se paragonato alla villa in cui sono cresciuto.

Avrei potuto avere la mia casa, esattamente come Josh, che aveva il suo appartamento privato in centro, ma per una volta, volevo sentirmi un ragazzo qualsiasi, non il figlio del giudice McLeor.

Quindi, quando ho deciso di entrare alla DU, ho messo un annuncio per cercare un compagno d’appartamento. Nessuno si è presentato o ha chiamato.

Poi, durante gli allenamenti di football, ho conosciuto Dave, che abitava in una stanza dove condivideva il bagno con una ragazza. Si era iscritto all’ultimo minuto e gli era toccata quella sistemazione, dalla quale non vedeva l’ora di scappare.

Mi ha detto di non poter contribuire con molto, dato che la sua famiglia non era per nulla benestante e, per la prima volta, ho incontrato qualcuno che non mi stava chiedendo niente, che non aveva la più pallida idea di chi io fossi.

La simpatia è stata automatica e abbiamo trovato un modo per far funzionare la convivenza.

Non è stato semplice, perché io ero abituato a farmi lavare ed inamidare persino le mutande, ma ce l’abbiamo fatta.

Io ora passo le mie giornate tessendo il cappio che, pian piano, si sta stringendo attorno al collo delle mie vittime e Dave, lui, incredibilmente, ha appena superato l’esame per diventare agente di polizia.

Il vibrare del cellulare mi distoglie dai pensieri.

È il via libera di cui avevo bisogno.

Passare la serata in mezzo ad una famiglia felice non è esattamente il mio ideale di divertimento, ma se sono sopravvissuto al matrimonio di Ryan, posso sopravvivere ad una riunione di famiglia. Mi basterà tenere la bocca chiusa il più a lungo possibile, così non sarò tentato di rovinare la serata a tutti.

Odio vedere la gente che sorride. Non so mai se la felicità sia vera o finta. Solo la tristezza è reale, non si può mascherare, nemmeno con un sorriso.

Gli occhi non mentono mai e quando sono tristi, hanno un fascino perverso che mi scalda e mi fa sentire vivo, reale.

Ho sempre l’impressione di star vivendo una fantasia, una vita a metà e non so perché.

È tutto molto insoddisfacente e so che non potrò trovare realmente il mio posto fino a quando non avrò distrutto per sempre Bruce McLeor.

Ecco quì i nostro Adrian, un personaggio cupo, infelice, che ha un unico motivo di esistenza, la vendetta. Cosa ne pensate? 

Spero di riuscire ad aggironare la prossima settimana, ma intanto, vi aspetto da Meredith e Logan. e con il nuovo capitolo in uscita entro domani all'ora di pranzo. kiss kiss, 

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Capitolo 3
*** 03 Chelsea ***


03 Chelsea.

 

 

Alle volte mi sento davvero patetica.

In due settimane, io non sono riuscita a vedere nemmeno l’ombra di un lavoro, mentre Kayla, santa Kayla, me lo ha trovato nell’arco di due minuti.

È successo tutto a Capodanno.

Non avevo nessun’altro posto dove andare, ma prima ancora che avessi la possibilità di interrogarmi su quello che avrei o meno fatto, Kayla mi aveva già inclusa al loro tavolo, come se ormai fossi parte della loro famiglia.

Devo davvero ammettere che è una ragazza eccezionale.

Vuole bene in modo sincero a tutti e si vede che stravede per il cucciolo di casa, il piccolo Nathan.

Ogni volta che può, lo prende in braccio e lo vezzeggia come se fosse la cosa più meravigliosa del mondo.

È triste da ammettere, ma ha trattato anche me con la stessa delicatezza.

Non mi ha chiesto nulla di mio padre, non c’era curiosità nel suo sguardo, voglia di sapere, solo accettazione. Lei mi ha presa per quella che sono e, ciò che è successo, non ha davvero importanza per lei, sebbene abbia fatto di tutto per avvicinarsi a me e risolvere i miei problemi.

Per qualche motivo, gliel’ho permesso. Stavamo giusto parlando dei propositi per l’anno nuovo, quando senza il minimo imbarazzo, mi ha chiesto che cosa avessi intenzione di fare, se avevo intenzione di trovarmi un lavoro.

Ha sondato il terreno, scoprendo che cosa mi piace, quello che so fare e dopo nemmeno dieci minuti, avevo un colloquio di lavoro al Blue Moon, il locale dove sia lei che Bianca hanno lavorato lo scorso anno.

Mi sono presentata il mattino successivo, il due gennaio, e mi sentivo come un cucciolo spaurito. Non sapevo cosa dire, come comportarmi, se avrei dovuto fare qualcosa, dimostrare le mie capacità, rischiando di fare una figuraccia oppure se avrei solo dovuto rimanere ferma come una bella statuina, presentarmi e sperare in un miracolo.

La prima cosa che ho notato, entrando dalla porta di metallo, come quella dei Night Club, è stato l’aspetto contrastante dell’intero posto. In un primo momento, mi è sembrato che il legno dominasse. C’era un enorme bancone di legno scuro, perfettamente tirato a lucido e, dietro esso, una specie di libreria per alcolici, posta davanti ad uno specchio, che rifletteva i colori accesi delle varie bottiglie.

Le pareti erano ricoperte di pannelli di legno, stesso materiale dei tavolini e delle sedie.  Quando ho sollevato lo sguardo, mi aspettavo di vedere travi spesse e scure, invece sono rimasta molto sorpresa nell’individuare un soppalco di metallo, fatto di sbarre di ferro, con attaccati faretti e globi riflettenti di tutti i tipi.

Non ho faticato affatto a capire come mai il locale abbia così tanto successo, sia come bar sportivo, che come disco-pub.

Owen, il proprietario, mi è venuto incontro non appena mi ha vista.

È uno omone grande e grosso, con una bella pancia prominente, ma un viso tondo e solare. Ha la testa calva al centro, le orecchie un po’ a sventola e gli occhi scuri.

È una via di mezzo tra un tedesco che ama la birra e l’Orso Yogi.

Mi ha fatto immediatamente una buona impressione. Mi ha stretto la mano con delicatezza, ma con una presa decisa e mi ha sorriso con fare rassicurante.

“Io sono Owen e puoi tranquillamente darmi del tu. Niente formalismi. Kayla mi ha detto che stai cercando un lavoro e sai cucinare. Se sai preparare alette di pollo alla paprika, enchildas di pollo, panini di vario genere e fare i nachos con le varie salse, allora mi sarai più che utile.”

Sono davvero rimasta sorpresa dal semplice menù che, non per presunzione, ma so di poter preparare ad occhi chiusi.

Per qualche motivo, mio padre ha sempre amato la cucina messicana ed è sempre stato una buona forchetta.  Cucinare era il mio compito, insieme a tenere la casa pulita, come una vera donna di casa,

Se ora mi guardo indietro, mi rendo conto di quanto tutto ciò fosse estremamente sbagliato. Ho dovuto toccare il fondo e sbatterci la faccia per aprire gli occhi e rendermi conto della realtà.

“Sì, certo. Sono piatti che conosco molto bene.”

“Perfetto. Cucinami qualcosa, per favore. La nostra cuoca, Jillian, al momento è in vacanza. Ha lavorato durante tutte le festività e si merita un po’ di tempo con la famiglia. Vieni. Ti faccio vedere la cucina.”

Mi ha presa completamente alla sprovvista, ma l’ho seguito ugualmente oltre il bancone, dietro una porta di legno, fino ad un locale completamente  bianco.

Ogni singola superficie,  dai piani di lavoro alle ante dei mobiletti, erano di un  bianco accecante.

Credo che una qualsiasi cucina professionale dovrebbe avere un aspetto simile.

Appena entrata, subito alla mia destra,  ho individuato il classico bancone su due piani dove si mettono i piatti pronti per l’uscita.

Alla mia sinistra c’èra la cella frigorifera e uno scaffale ricolmo di farina, zucchero e tutti quei generi di prima necessità che non necessitano di un ambiente refrigerato.

Al centro, un ripiano da lavoro in marmo bianco e in fondo, a sinistra, i fornelli, due forni e due immensi lavelli di acciaio inossidabile.

“Accidenti.”

Non ho potuto fare a meno di ammirare la pulizia e l’ordine estremo che mi circondava.

“Sì, Jillian è fissata con l’ordine e non posso fare a meno di ringraziare il giorno che è arrivata.  Sono ormai sei anni che lavora per me e non mi ha mai dato un problema. Ora vorrei che avesse un po’ di riposo e aiuto in cucina. Se in questi giorni di assenza riuscirai a cavartela, considerati assunta.”

Stavo per dirgli che frequento il college, quando mi ha stoppata con un sorriso.

“Kayla mi ha detto che sei una studentessa, per cui non ti chiederò più di quattro sere alla settimana. In ogni caso alle undici solitamente chiudiamo la cucina, per cui anche in quelle sere non farai troppo tardi.”

Mi ha dato una pacca fin troppo forte sulla schiena e mi ha mostrato dove trovare tutto il necessario e mi ha lasciata da sola a spadellare. Ho trovato tutti gli accessori con estrema facilità, segno che la regina della cucina è una donna pratica e abituata a cucinare avendo tutto sotto mano, ma in ordine.

All’inizio ero un po’ tesa, non sapevo bene come muovermi, ma appena ho iniziato a sentire odore di soffritto, la mia testa si è snebbiata ed è diventato tutto estremamente semplice e immediato.

La verità, è che ho sempre amato cucinare.

Placava il mio animo, saziando la sete di qualcosa che fosse solo mio. Per qualche motivo, non ho mai fatto sapere a mio padre che amavo cucinare. Forse, inconsciamente, sapevo che il mondo in cui vivevo non era così idilliaco come credevo e temevo che, per qualche assurda ragione, mi facesse pesare quel piacere.

 

Ho cucinato come non facevo da parecchio, con il sorriso stampato sul viso e, di quello che ho preparato, alla fine non è rimasto nulla. Owen ha spazzolato ogni cosa. Sul piatto, sono rimaste solo le ossa delle alette, private anche dalla loro stessa cartilagine.

Nelle vaschette di plastica che usano per le salse dei nachos, non è rimasta nemmeno l’ombra di pomodoro o formaggio.

All’inizio non sapevo se gli sarebbe piaciuto il menù, così mentre mangiava, sono tornata in cucina e ho pulito, riportando tutto al suo “originario” splendore.

Owen mi ha dato il suo benestare subito dopo e mi ha chiesto, se per i pochi giorni che rimangono delle vacanze invernali, potevo lavorare anche all’ora di pranzo, gomito a gomito con l’altro cuoco, Theo.

Sono tornata nella mia stanza stremata e mi sono messa a studiare. Tra una cosa e l’altra sono rimasta molto indietro.

Non è che ne avessi tantissima voglia, ma visto che iniziando la mia nuovo vita di studentessa lavoratrice il tempo da poter dedicare a questo genere di cose si sarebbe ridotto notevolmente, ho deciso di comportarmi in maniera responsabile.

Stamattina mi sono svegliata di buon umore e mi sono preparata con estrema calma dopo aver studiato ancora un paio di ore.

Mi aspettavo di veder comparire Meredith, che quando non sta vagabondando per la città, con quello che, ne sono sempre più convinta, credo sia il suo ragazzo, viene a chiamarmi per andare a fare colazione nella caffetteria all’angolo.

Si sono fatte le dieci senza che nemmeno me ne accorgessi, ma della mia amica nemmeno l’ombra.

Così mi sono preparata con tutta calma, prestando particolare attenzione all’abbigliamento. Non devo essere elegante, dopotutto devo solo cucinare, ma non voglio nemmeno apparire sciatta e, soprattutto, ho paura che dovrò fare tante ore in piedi e quindi mi sono affidata alle mia scarpe da ginnastica color verde acceso.

Prendo un profondo respiro e sollevo lo sguardo dal marciapiede, puntandolo sull’insegna al neon attualmente spenta.

C’è scritto Blue Moon in caratteri semplici.

Prima di perdere il coraggio, varco nuovamente la porta di metallo.

Il locale è quasi del tutto vuoto, tranne per alcuni signori seduti al bancone e un ragazzo accasciato su uno dei tavolini. Sta dormendo beato.

Ha i capelli scuri che gli ricadono sul viso, ma non sono abbastanza lunghi da nascondere i tratti decisi della mascella e la gobba sul naso. Anche da seduto, sembra enorme, tanto da avere l’impressione che la “piccola” sedia su cui è seduto stia per cedere.

Allontano lo sguardo dalla figura addormentata e mi avvicino al bancone, dove c’è una ragazza girata di spalle.

Ha lunghi capelli biondi, così chiari da sembrare quasi bianchi, raccolti in una coda di cavallo, che mette in evidenza il collo sottile. Indossa una canottiera bianca e posso vedere un tatuaggio scendere dalla sua spalla sinistra lungo il braccio.

Si volta prima ancora che sia riuscita a raggiungere il bancone e mi sorride, amichevole.

Ha gli occhi azzurri pesantemente truccati di nero, ma non ci sono tracce di rossetto o cose simili.

Sta strofinando energicamente un bicchiere, flettendo elegantemente il braccio. Mi perdo alcuni secondi ad osservare la rosa nera tatuata sulla spalla e poi le sorrido  a mia volta. Non so perché, ma questa ragazza mi sta simpatica.  Sembra una ragazza decisamente alla mano, dolce, ma allo stesso tempo determinata.

“Tu devi essere Chelsea. Owen mi ha detto che cucini benissimo. Io sono Lesley. Se hai bisogno di qualcosa, io sono qui. Ti ho preparato l’armadietto numero quattro. Dentro c’è un grembiule e tutto quello di cui avrai bisogno.”

Mi fa l’occhiolino e abbassa drasticamente la voce, tanto che mi devo avvicinare per sentire quello che dice.

“Scusami, ma non mi posso allontanare. Aaron sta dormendo e di questi ubriaconi non mi fido. Prima porta a destra, mentre ti cambi, chiuditi dentro. Essendo uno spogliatoio unico, potrebbe entrare qualcuno inavvertitamente.”

Mi indica la basculante di legno che ho attraversato ieri e rapidamente faccio il giro del bancone per entrare nel corridoio buio dalle pareti spoglie.

Trovo lo spogliatoio senza problemi e mi chiudo la porta alle spalle.

Ci sono una serie di armadietti numerati, un paio di panche di legno e una porta che, immagino, porti al bagno.

Prendo il grembiule dall’armadio e osservo titubante la retina per capelli. Spero davvero che non sia necessario metterla. Mi sono fatta una treccia apposta per non perdere capelli e ho bloccato quella che una volta era una frangetta, di lato.

Mi vesto rapidamente e lascio tutte le mie cose, tranne il cellulare, nell’armadietto.

Dopo quello che è successo con mio padre, se sono senza il cellulare mi sento come persa, vulnerabile, quindi lo porto sempre con me, come una sorta di portafortuna.

Appena esco dallo spogliatoio, trovo Owen ad aspettarmi.

Mi guarda da capo a piedi, ma non con sguardo lascivo, semplicemente di curiosità. Scoppia a ridere quando vede che ho la retina tra le mani.

“Non ti servirà quella. Se tieni i capelli raccolti non sei obbligata a metterla. Vieni, ti presento Theo.”

Mi precede in cucina e non mi resta che assecondarlo.

Mi aspettavo di trovare tutto perfettamente ordinato, invece la cucina è nel caos e l’odore di sugo al pomodoro permea l’ambiente.

“Theo, c’è la ragazza di cui ho parlato. Molla un secondo quell’arrosto, che avrà bisogno di ancora venti minuti di cottura e vieni a presentarti.”

Rimango molto sorpresa dal tono amichevole che usa.

Un uomo sulla quarantina, con un viso sorridente sbuca da dietro Owen e mi guarda con curiosità.

“Se vali la metà di quanto ha detto questo qui, allora andremo d’accordissimo.”

Credo che in teoria avrebbe dovuto essere la sua presentazione, perché il capo gli da uno scappellotto e fa volare via il cappello da chef che nascondeva un cranio pelato e lucido come una palla da bowling.

“Presentati come si deve.”

Theo, rivolge un occhiata di fuoco ad Owen, ma quando si gira verso di me, sta sorridendo.

“Mi chiamo Theodor, ma tutti mi chiamano Theo. Puoi chiamarmi così anche tu.”

Mi tende la mano e mi affretto a stringerla.

“Io sono Chelsea. Piacere!”

Mi lascia andare rapidamente e si rivolge nuovamente all’omone che, con la sua mole,  ingombra buona parte dello spazio utile.

“Ora, fuori di qui. La cucina ti è interdetta all’ora di pranzo. Solo perché Jillian ti permette di entrare in cucina a spizzicare di tanto in tanto, non significa che io farò lo stesso. Fuori di qui e lasciaci lavorare.”

Owen sorride e mi supera rapidamente, lasciando me e Theo da soli.

Senza più niente ad ostruire la vista, posso osservare meglio il mio “collega”.

È alto e magro. Indossa una casacca da chef bianca con il colletto alla tailandese, che gli casca addosso troppo larga, e un paio di jeans consunti, anche loro decisamente abbondanti.

Non ha un filo di barba e si possono tranquillamente vedere gli zigomi scarni e appuntiti.

Eppure, nonostante ciò, mi sembra una persona molto gioviale.

“Se mi dice che cosa devo fare, io mi metto subito al lavoro!”

La mia voce suona titubante, ma è proprio così che mi sento. Sono un pesce fuor d’acqua.

Questo decisamente non è il mio ambiente e non ho mai cucinato per altre persone, con tempi da rispettare e così via.

Ho paura di combinare un disastro.

Lui mi rivolge un’ occhiataccia, ma mi fa l’occhiolino.

“Dammi del tu, tutti ci diamo del tu. Owen è un tipo a posto e, non tarderai a scoprirlo, il Blue Moon per molti di noi è una seconda casa. Per Owen siamo una grande e allargata famiglia e non c’è posto migliore dove lavorare.”

Dopo di che inizia a darmi un compito dietro l’altro.

Facci avanti e indietro per la cucina, espletando una mansione dietro l’altra.

I piedi iniziano a farmi male ben presto, ma non mi sono mai sentita così realizzata.

Sto facendo qualcosa per me stessa, per guadagnarmi da vivere e non dover più dipendere da nessuno, meno che mai da mio padre.

Il dolore al momento non è difficile da sopportare, perché mi sento realmente e totalmente libera.

Per la prima volta, inizio a credere di potercela fare.

Vedo uno spiraglio.

Eccoci finamente con la storia di Chelsea. L'ho lasciata davvero troppo in sospeso, ma finire la storia di MEredith e Logan aveva la precedenza. Chissa come evolerà la vita di Chelsea da questo momento in poi e, soprattutto, come i nostri due protagonisti, che al momento vivono vite completamente opposte, inizieranno il loro avvicinamento. Chissa quale sarà il comune denominatore. Vi aspetto entro il weekend per il prossimo capitolo e spero che questo vi sia piaciuto.

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Capitolo 4
*** 04 Adrian ***


04 Adrian

 

 

Se ci ragiono sopra, la mia intera esistenza è una non vita.

Quest’anno prenderò la laurea, sebbene credo sia una fortuna non mi abbiano cacciato dopo il secondo anno, ma i miei voti non sono decisamente alti.

Si può dire che pagarmi il college sia stato uno spreco di denaro, ma quello che ho imparato in questi cinque anni forse mi aiuterà a crearmi una vera vita.

Al momento le mie giornate sono scandite in modo monotono.

Mi alzo, controllo sul pc le quotazioni, vado in palestra, vado a lezione, rientro e passo buona parte del pomeriggio facendo treding online. Vendo e compro azioni in base all’andamento del mercato.

Mi piace avere ancora più soldi di quanti già non abbia e sono particolarmente bravo a capire come andrà la borsa.

Ho iniziato a farlo come passatempo, ma più analizzavo gi schemi e più diventavano precisi i miei pronostici.  Sono in grado di prevedere il rialzo o il ribasso delle quotazioni, vendendo nel momento migliore e acquistando quando tutti non vedono l’ora di sbarazzarne per avere un profitto. Inoltre ho qualche conoscenza importante e sono piuttosto bravo a scucire informazioni, anche perché  in molto pensano che ingraziandosi me, si ingrazieranno anche mio padre.

È stato allora che ho elaborato il piano perfetto e il trading non è più stato solo un fruttuoso passatempo, ma anche un modo perfetto per raggiungere il mio obiettivo.

Lentamente, ma inesorabilmente, sto minando le fondamenta dell’Azienda di mio nonno. Aspetto solo il momento giusto per distruggerlo completamente.

La Pruitt International Inc è un’azienda che da sempre produce componenti meccanici e mezzi usati nell’edilizia.

Le gru e i carrelli elevatori che si trovano nei porti mercantili? Opera della Pruitt.

Le ruspe che si possono vedere nei cantieri stradali? Sempre una produzione Pruitt.

Mio nonno si è accaparrato, anche in modo discutibile, tutti gli appalti di quel genere.

Fornire materiali alle imprese e alla nazione è il suo Business personale, il suo territorio.

Nessuno osa sfidarlo, anche se ormai è vecchio, la sua reputazione è quella che fa andare avanti la baracca, perché quell’incompetente di mio zio non è all’altezza della fama dell’azienda.

 George Pierre Pruitt IV è il primogenito di Marie Pruitt, la mia ormai defunta nonna materna.

Io non l’ho nemmeno conosciuta, è morta prima ancora che mia madre si sposasse, lasciando il marito ad occuparsi dei figli ancora adolescenti.

Mia madre, beh, è finita come è finita, mentre quell’idiota di George è diventato il burattino di Pierre III. È stato messo a capo dell’azienda, sotto il diretto controllo del consiglio di amministrazione, dove non può fare danni.

Non ha potere decisionale su nulla. È solo la faccia dell’azienda, la copertina di qualcosa di marcio.

Non provo nessuna pena per mio zio, per il modo in cui finirà una volta che avrò portato a termine la mia vendetta. L’ignoranza non è una scusa.

Una volta che sarà tutto finito, finalmente sarò libero dal giogo machiavellico in cui sono nato.

Non avrò pace fino a quando la crudeltà e la manipolazione di cui la mia famiglia è diventata maestra non sarà  distrutta dalla radice.

Non sono una bella persona, non mi illudo del contrario, ma mi rifiuto di diventare come mio padre, come mio nonno, che non hanno rispetto per niente e nessuno.

Mi sto decisamente abbassando al loro livello, ma non meritano nessun genere di pietà. Hanno distrutto la vita di mia madre, l’unica persona a cui ho mai davvero voluto bene e per questo la pagheranno.

La vendetta non la riporterà indietro, lo so, ma a dodici anni ero un ragazzino impotente, mentre ora ho le chiavi del destino di quella gente nelle mie mani e loro nemmeno lo sanno.

L’odio mi ribolle nelle vene feroce ogni volta che sono obbligato a stare in presenza di uno di loro, esattamente come in questo momento.

Sono le otto di sera e il cocktail party per festeggiare la nomina di mio padre per la carica di senatore, finalmente ufficiale, è ormai entrato nel vivo.

Mi trovo nuovamente nella sala del Chateaux at Fox Meadows e non vedo l’ora di scappare. Se non fosse per le informazioni che sono riuscito a reperire, non sarei mai venuto in questo posto.

Ho dovuto assistere ad un discorso disgustoso sull’importanza della famiglia e del rispetto, come se il mio vecchio conoscesse anche solo il significato di una di quelle parole.

Ho fato fatica a guardarlo. Più tempo passa, più la sua vista mi rende nervoso, ansioso, bramoso di vendetta.

I tempi però non sono maturi e una mia mossa ora sarebbe assolutamente inutile.

L’unica cosa che mi da la forza di sopportare questa tortura è sapere che tra non molto ho appuntamento con i ragazzi al Blue Moon. C’è la prima partita del nuovo anno e non ho nessuna intenzione di perdermela, per quanto sarà una serata decisamente strana.

Logan, l’amico di gioventù di Ryan, ha da poco avuto un incidente in macchina e ha perso la memoria.

Questa, è la prima volta che esce con noi da quando è stato dimesso e sarà difficile parlargli come se non lo conoscessi, come se non fossi al corrente del suo segreto.

In teoria avrei dovuto dimenticarmene, soprattutto perché non sono fatti miei, ma quella peste di Meredith, la sorella di Ryan, ha un non so che di indimenticabile anche quando sembra sul punto di volerti uccidere.

Sinceramente non so come sia la loro situazione, ma dalla faccia che aveva l’ultima volta che l’ho vista al campus, non credo se la stia passando bene.

Non sono fatti miei, quindi sono andato dritto per la mia strada.

Meredith non è affar mio. È solo la sorella minore di un mio caro amico, nonostante abbia un carattere completamente diverso da quello che il fratello crede.

Ogni volta che parla di lei, è come se stesse tessendo le lodi di un angelo un po’ scorbutico, ma posso confermare che è tutto tranne che un angelo, quella ragazza.

Ha un temperamento acceso e, se si irrita, un linguaggio decisamente scurrile.

Mi piace pensare che, al contrario di quello che lei stessa ha detto, non riuscirebbe mai a sedurmi, ma forse è chiedere troppo.

Non sono certo che la mia amicizia con Ryan mi impedirebbe, se si presentasse l’occasione, di metterle le mani addosso.

È una gran bella ragazza, una di quelle che non ti chiede nulla dopo averci scopato, insomma, quello che mi piace di più.

Per mia fortuna, non credo proprio che lei sia interessata a fare sesso con me e ciò mi sta più che bene.

Motivo per cui non me la sono sentita di biasimare Logan per esserci cascato ed ho tenuto la bocca chiusa. Non ne ho parlato con nessuno, nemmeno con lui.

Facendo attenzione a non rimanere invischiato in qualche stupida conversazione, me la svigno da questa specie di enorme villa per eventi.

Prima di salire sulla mia Infiniti G37, la mia auto sportiva nera, mi levo giacca e cravatta. Mi piacerebbe indossare una maglietta normale, ma se mi sfilassi la camicia qui nel parcheggio, probabilmente, finirei su qualche stupida rivista accusato di atti osceni in luogo pubblico.

Alle volte i giornalisti esagerano e, da quando mio padre si è messo in testa di diventare un personaggi pubblico, mi seguono ovunque.

Come se io avessi qualcosa a che fare con la campagna elettorale.

Odio che stia cercando di usarmi per attirare simpatie, giocando al ruolo del papà perfetto.

Sfreccio a tutta velocità tra le strade di Denver, certo di aver seminato qualsiasi paparazzo in cerca di uno scoop.

Le luci blu al neon dell’insegna del Blue Moon mi danno immediatamente sollievo. Questo è uno dei pochi posti in cui mi posso rilassare.

Il locale è sia un pub sportivo, che un disco-pub nei weekend, il personale è gentile e amichevole e servono una birra davvero eccezionale: appunto la Blue Moon, da cui il locale ha preso il nome.

Il parcheggio circolare è strapieno di auto, ma io ho il mio parcheggio personale.

Leggermente distante dall’ingresso, ma di fronte al vicolo che separa il locale dall’edificio di uffici che sta lì dietro, il mio parcheggio è sorvegliato dalla telecamera di sicurezza che controlla l’ingresso posteriore e l’uscita d’emergenza.

Una volta spento il motore, mi libero della camicia, sostituendola con una maglietta color antracite e un giubbotto decisamente meno appariscente del cappotto.

L’aria è gelida e il respiro si condensa in nuvolette argentate.

Secondo il termometro della macchina ci sono solo 4 gradi, quindi non mi sarei mai aspettato di sentire un rumore provenire dal vicolo.

Mi giro dopo essere sobbalzato e socchiudo gli occhi per mettere a fuoco lo spazio semibuio.

Faccio un paio di passi avanti, pronto a difendermi in caso qualcuno avesse voluto farmi del male, ma rimango davvero sorpreso nell’individuare una persona chinata, intenta a dare da mangiare ad un gattino spaventato che, non appena si accorge della mia presenza, si gira a guardarmi e mi soffia.

“Lo stai spaventando.”

Per la prima volta mi rendo conto che la persona che ho davanti è una ragazza, ma non una sconosciuta, bensì una persona che conosco.

“Chelsea?”

Sono davvero sorpreso di vederla qui, ancora di più nel vedere che indossa uno dei grembiuli del Blue Moon.

Lei gira la testa di scatto, gli occhioni spalancati dalla sorpresa.

“Oh, Adrian. Ciao. Mi hai spaventata. Pensavo fosse Theo!”

Rimango impalato a fissarla mentre lei torna a concentrarsi sul gattino bianco che si stava strofinando sulle sue ginocchia.

“cosa ci fai qui?”

Lei non mi degna di un’occhiata.

“Ci lavoro, non è ovvio?”

Con questa ragazza niente è ovvio.

 Non me la immagino a servire ai tavoli. Mi sembra troppo impacciata e, di sicuro, non è il tipo di ragazza in grado di gestire le attenzioni indesiderate di certi clienti.

All’improvviso si alza e si gira a guardarmi, la testa leggermente inclinata di lato.

“So quello che stai pensando e no, non faccio la cameriera. Lavoro in cucina.”

La osservo in silenzio, senza nulla da dire.

Non ho mai conosciuto una ragazza così strana.

È come un’ingenua suora mancata.

La sua innocenza è disarmante e il modo in cui si comporta con me è sconcertante.

Nonostante quello che è successo, ogni volta che ci troviamo faccia a faccia è come se non fosse successo nulla e non riesco a capirla.

Non che per me abbia qualche importanza, ma il suo modo di comportarsi mi incuriosisce.

È completamente diversa da qualsiasi persona io abbia mai conosciuto.

Nessuno sa esattamente che cosa è successo il giorno che Josh mi ha chiesto di andare a prenderla a casa del padre, altrimenti sono sicuro che qualcuno me l’avrebbe fatta pagare.

Ho l’impressione che in molti si metterebbero a proteggere questa ragazza se qualcosa dovesse ferirla.

Basta pensare a come sono intervenuti immediatamente quando ha avuto bisogno di aiuto.

“Beh, io ho da fare.  Ti saluto.”

Sono quasi di nuovo in strada quando la sua voce mi richiama.

Mi volto ed è ancora ferma dove l’ho lasciata, le braccia abbandonate lungo i fianchi, i capelli scuri raccolti in una treccia laterale.

“Cosa?”

“Grazie!”

Sento la fronte incresparsi. Non capisco. Per cosa mi ringrazia? Non ho fatto nulla per lei.

La vedo sorridere gentilmente, sollevando le spalle con noncuranza.

“Per tutto!”

Si gira e rientra dalla porta alle sue spalle, lasciandomi da solo nel vicolo semibuio.

Per la prima volta, mi sento come se avessi fatto qualcosa di estremamente sbagliato ed ingiusto a qualcuno che non lo meritava affatto.




Eccoci con il nuovo capitolo. Che dire: Adrian si srta rivelando un personaggio sempre più complesso e ora le domande sono due: come ha intenzione di distruggere l'azienda del nonno? e che cosa è successo davvero quel giorno di Novembre? Forse lo scopriremo nel prossimo capitolo. Vi aspetto martedì per il prossimo capiitolo. Buon weekend a tutti. kiss kiss

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Capitolo 5
*** 05 Chelsea ***


05 Chelsea.

 

 

L’ultima settimana e mezzo è stata davvero faticosa, ma anche estremamente soddisfacente.

Quello di oggi è stato l’ultimo servizio prima del rientro di Jillian.

Me ne hanno parlato tutti benissimo, anche se non riesco proprio ad immaginarmela.

Theo mi ha detto che è una donna dolce, ma allo stesso tempo severa. Disponibile, ma che non si fa ingannare facilmente.

È sposata da più di quindici anni e ha una figlia in piena crisi adolescenziale.

Sono davvero ansiosa di conoscerla, anche perché lavoreremo quasi tutti i giorni gomito a gomito e non vedo l’ora.

Per quanto mi siano piaciuti, questi giorni sono stati anche molto stancanti. Non avevo mai cucinato per così tante ore di seguito e per così tante persone.

Ho scoperto che chi frequenta il locale ama riempirsi lo stomaco, non solo di birra, ma anche e soprattutto di alette di pollo e nachos.

La prima volta che ho visto il contenuto della cella frigorifera, sono rimasta senza parole.

C’erano un numero imprecisato di chili di alette di pollo.

Ho pensato fosse troppa roba, che nemmeno in una settimana sarei riuscita a cucinarle tutte, invece ho scoperto che tutta quella roba non era sufficiente nemmeno per tre sere.

Ho l’impressione che il locale faccia il suo guadagno più con il cibo che con l’alcool e da un pub del genere non me lo sarei mai aspettato.

Pensavo che avrei cucinato con calma, che avrei avuto addirittura dei momenti di stallo, senza nulla da fare, ma mi sbagliavo di grosso.

Se l’ora di pranzo con Theo è stata difficile da gestire, la sera è stata ancora più complicata.

La prima volta è stata davvero dura. Sono arrivata a fine turno esausta, senza nemmeno le forze per alzarmi dalla panca dello spogliatoio.

Lesley mi ha dato una mano ad arrivare alla macchina. Ho guidato come in stato di trance, non so proprio come sia riuscita ad arrivare al dormitorio senza schiantarmi. Ricordo solo che ad un certo punto mi stavo trascinando su per le scale.

Una volta in camera sono andata in bagno, mi sono tolta le lenti a contatto e poi mi sono buttata a letto.

Ho dormito nove ore filate.

La mattina dopo ero uno straccio, ma ugualmente sono andata a cercare Meredith, volevo andare a fare colazione con lei.

Purtroppo non era nella sua stanza, più disordinata e confusionaria del solito. Sembrava che ci fosse passato un tifone o che, semplicemente, non riordinasse da giorni.

Mi sono girata e ho lasciato perdere. Se fossi rimasta ancora un secondo ad osservare quel macello, mi sarei messa a pulire e riordinare.

I giorni successivi sono stati più o meno identici. La mattina mi mettevo a studiare, pranzavo con un panino al volo, e poi andavo al Blue Moon, oppure, se Owen aveva bisogno, andavo ad aiutare Theo per l’ora di pranzo, rimanevo lì nel pomeriggio a studiare, comodamente sdraiata sul divano dell’ufficio di Owen e poi mi mettevo a preparare le cose che mi sarebbero servite per la serata.

Ho scoperto che Theo aveva ragione. Lavorare al Blue Moon è davvero come avere una seconda famiglia e Owen sarebbe il “papà” di tutti. È sempre gentile e disponibile, attento ai bisogni dei sui dipendenti, che tratta davvero come se fossero dei figli.

Capendo il mio bisogno di studiare, mi ha offerto il posto più tranquillo dell’intero locale: il suo ufficio privato.

Dalle tre e mezzo, fino alle sette, l’intera stanza è a mia disposizione. Posso studiare o riposare, quello di cui ho più bisogno e, trascorrere tante ore tra quelle mura, non mi pesa più di tanto.

I primi giorni mi chiedevo come fosse possibile che, ad ogni ora del giorno e della notte, Lesley e Aaron, il buttafuori, io li trovassi al locale.

Pensavo che fosse Owen a sfruttarli, invece, parlandoci, ho scoperto che sono loro a voler passare il loro tempo libero li dentro.

Aaron, il ragazzo che il primo giorno di lavoro stava dormendo sul tavolino, è un bel ragazzo di poche parole.

Ha i capelli scuri esageratamente lunghi e che gli spiovono perennemente sulla fronte, gli occhi scuri, quasi neri, contornati da folte ciglia, e i tratti del viso induriti da brutte esperienze.

È alto e imponente, le braccia muscolose perennemente messe in rilievo da magliette a maniche corte. Alle volte mi chiedo come faccia a non sentire freddo, visto che anche la sera indossa una di quelle sue magliettine così sottili.

Credo che, prima di approdare al Blue Moon, facesse il militare. In chiesa da mio padre ne ho visti tanti rientrati dalla guerra e hanno un non so che di particolare, che li rende riconoscibili.

Lesley invece è una continua sorpresa. Non ho mai conosciuto una ragazza come lei.

Prima di tutto, che io sappia, è la prima persona bisessuale che io abbia mai conosciuto. Lei non ne fa mistero, è un po’ un vanto per lei e il modo schietto e repentino con cui me lo ha detto mi ha davvero sorpresa.

Non me lo aspettavo e, sinceramente, non sapevo proprio cosa dire. È stato qualcosa di completamente nuovo per me.

“È un problema per te”

Anche la sua domanda mi ha preso completamente alla sprovvista.

Non sapevo cosa dire, anche perché io in questo genere di cose non ho proprio esperienza.

Faccio fatica a pensare che possa piacermi un ragazzo, figuriamoci una persona del mio stesso sesso. Tuttavia se uno è felice, io non sono nessuno per dire il contrario.

Sicuramente mio padre direbbe che è una peccatrice e che non vedrà mai il paradiso, ma di tutte le cose che mi ha insegnato, questa è quella che ho dimenticato più in fretta.

Alla fine è in questo mondo che viviamo e non penso che l’accesso a paradiso e inferno dipenda dalla persona che amiamo.

Se siamo persone buone dentro e che cercano di fare del loro meglio, allora sono sicura che il Signore ci perdonerà i piccoli peccati.

“Ehm, no. Non è un problema!”

La mia risposta l’ha fatta sorridere, un ghigno furbo di chi non si aspettava una risposta diversa.

“Bene. Allora andremo senz’altro d’accordo!”

Ed è così che è iniziata la mia “amicizia” con Lesley.  Siamo molto diverse, è vero, e non ho mai sentito una donna dire così tante parolacce, ma è davvero una brava ragazza e, per qualche motivo, si preoccupa per me.

Tutti si preoccupano per me. Da Owen a Theo, a Lesley e Dana, la seconda cameriera dai capelli variopinti.

Tutti hanno un occhio di riguardo nei miei confronti, come se non fossi in grado di badare a me stessa.

Lo stesso Adrian, con i suoi modi distaccati, per me ha fatto tanto.

Mi lavo le mani e mi appoggio contro il bancone pieno di ciotole ricolme di ingredienti, pensierosa.

È stato strano trovarmelo davanti all’improvviso, non perché mi intimidisca, ma semplicemente perche non me lo aspettavo.

Da un paio di settimane è comparso un gattino nel vicolo ed è Theo a dargli da mangiare, ma prima di iniziare a lavorare o appena ho un momento di respiro, mi piace andare fuori a prendere un po’ di aria fresca e coccolare quel tenero batuffolo di pelo.

In casa non ho mai avuto animali, mio padre non ne ha mai voluto nemmeno sentir parlare, ma ho scoperto di piacergli molto.

Sono rimasti tutti molto sorpresi quando hanno visto il piccolo Brat che si strofinava affettuosamente sulle mie caviglie, riempiendo il silenzio con il rumore delle sue dolci fusa.

Quindi, visto che solitamente Brat scappa quando ci sono estranei nei paraggi, non mi aspettavo di certo di trovarmi Adrian di fronte pochi minuti fa.

Un po’ mi sono agitata, ma penso che sia inevitabile visto che ha visto il peggio di me.

Mi dispiace che abbia dovuto assistere alla mia crisi isterica, quel giorno.

Una volta fuori da quella casa, al sicuro nella sua macchina dall’odore costoso, ho iniziato a piangere e singhiozzare penosamente. Mi sentivo dilaniata, devastata. Completamente persa.

Per un po’ ha guidato in silenzio, lasciando che piangessi. È brutto da dire, ma per non sentire i miei patetici lamenti ha alzato la musica dello stereo a palla.

Eppure non riesco a biasimarlo. È stato davvero uno spettacolo riprovevole.

Volevo smettere di piangere, ma poi pensavo al modo in cui mi aveva sbattuta contro il muro, alle sue urla. Ripensavo alla sensazione bruciante che mi ha invaso il viso quando mi ha schiaffeggiata e al dolore al gomito quando sono caduta per terra, completamente scioccata.

Continuavo a ripetermi le cose orribili che mi aveva detto e ad un certo punto ho praticamente smesso di respirare.

Provavo ad incamerare aria, ma la gola era chiusa e gonfia e l’aria passava a malapena, producendo un rumore graffiante e spaventoso.

Non so quando, in quel delirio, la musica si è fermata, come la macchina.

Ad un certo punto il silenzio è risultato rotto solo dai miei singhiozzi e dal suono strozzato che facevo ogni volta che cercavo di prendere fiato.

Mi sono guardata attorno e probabilmente avevo l’aspetto di una persona sotto effetto di droghe pesanti.

Quando ho incontrato lo sguardo di Adrian, sono rimasta senza parole.

Era semplicemente fermo, girato verso il mio lato, l’espressione del viso indecifrabile. Per un istante ho pensato che fosse annoiato dalla situazione e, probabilmente, non mi sono sbagliata.

Sono rimasta a fissarlo come inebetita ed ho smesso completamente di respirare.

Probabilmente è stata solo una mia impressione, ma nel suo sguardo mi è sembrato di leggere pietà e questo mi ha fatta sentire ancora più miserabile.

Ho ricominciato a piangere, ma non riuscivo a respirare.

Stavo soffocando.

A quel punto, al dolore, si è aggiunta la paura ed ho seriamente pensato di star per morire.

Il cuore pulsava forte, martellandomi nel petto,  e la testa stava iniziando a girare a causa della mancanza di ossigeno.

È stato a quel punto che Adrian mi ha aiutato.

Non so se lo abbia fatto di proposito o se il suo sia stato solo un disperato tentativo di farmi tacere, ma l’ulteriore shock mi ha messa KO.

Ero completamente sconvolta, ma riuscivo nuovamente a respirare.

Avevo la testa invasa da decide di centinaia di pensieri, ma ogni volta che sembrava che fossi sul punto di rientrare in crisi, il secondo fattore di shock allontanava prepotentemente il dolore, lasciandomi semplicemente confusa.

Non avrei mai pensato che il mio primo bacio lo avrei ricevuto in lacrime. Al buio della mia cameretta, quando avevo sedici anni, fantasticavo sul ballo della scuola. Sarei arrivata con un bellissimo vestito candido e avrei attirato l’interesse del ragazzo più bello che io avessi mai visto, anche se nelle mie fantasie rimaneva un ragazzo in smoking senza volto.

Sognavo che avremmo ballato per tutta la sera e che poi mi avrebbe riaccompagnata a casa, quasi come una moderna cenerentola, e che lì, di fronte alla porta d’ingresso, si sarebbe sporto leggermente in avanti e avrebbe toccato gentilmente le mie labbra con le sue.

Non è stato niente del genere. È stato qualcosa di intimo e sconvolgete, assolutamente inaspettato.

Non ho capito cosa stesse succedendo in un primo momento. Non sapevo perché aveva allungato la mano dietro la mia testa, intrecciandosi tra le dita le mie ciocche aggrovigliate.

Non ho realizzato immediatamente che quella stessa mano mi stava proiettando in avanti, né che quella sensazione calda che sentivo sulla bocca era dovuta alle sue labbra.

È stato tutto molto rapido, ma allo stesso tempo intenso e violento.

Un bacio veloce, rubato, ma che mi ha restituito un barlume di lucidità.

Sono rimasta in silenzio per il resto del percorso.

All’inizio non sapevo cosa pensare, come comportarmi.  Non ho mai pensato che il suo sia stato un gesto gentile, anche se io lo vedo come tale.

Mi ha baciata per farmi stare zitta, per darmi qualcosa di diverso a  cui pensare per poter ritrovare la calma e di ciò gli sono molto grata.

Forse qualcuno non la vedrebbe come me. Non di certo Meredith, tanto meno i suoi amici, per questo non ne ho mai parlato con nessuno. È  qualcosa a cui ripenso quando sento che il mondo potrebbe crollarmi di nuovo addosso e, vedendo come mi sono ripresa dopo quel giorno, riesco a ritrovare l’ottimismo e la forza di andare avanti.

Quello di oggi, è il secondo incontro, dopo quel giorno, e non avevo avuto ancora la possibilità di ringraziarlo come si deve per il suo aiuto.

So che è passato quasi un mese, ma non mi sarei sentita a posto con me stessa se non gli avessi detto ciò che sentivo.

Ovviamente non si aspettava gratitudine da parte mia e un po’ mi dispiace, perché, tutto sommato, con me è stato buono.

“Non mi impedirai di entrare nella mia cucina. Le mie ferie sono finite, quindi levati Owen. Devo vedere come avete ridotto la mia cucina tu, quello scansafatiche di Theo e il nuovo aiutante!”

Le voci che arrivano dal corridoio mi fanno sobbalzare.

Sicuramente la donna ad aver parlato è quella che entra come una furia dalla porta basculante e ispeziona con sguardo critico ogni singola superficie di lavoro.

Dovrei essere tranquilla, perché  è tutto pulito e ordinato nonostante abbia già cucinato parecchia roba, ma sotto l’attento esame di questa donna mi sento in agitazione.

A i capelli biondi raccolti in una crocchia stretta e occhi scuri. Il viso ha tratti spigolosi, ma decisi. È alta quasi quanto me ed indossa un paio di jeans e una camicetta.

Quando sposta lo sguardo su di me, aggrotta le sopracciglia, perplessa. È una bella donna, ma mi mette decisamente soggezione.

Mentre mi analizza, scende il silenzio, che viene prontamente rotto da Owen, piazzato alle sue spalle.

“Come vedi, Jillian, la cucina  è in ottime mani. La nostra Chelsea ha fatto un lavoro egregio finora e ti troverai benissimo a lavorare con lei.”

Lei mi studia ancora qualche secondo, l’espressione indecifrabile, ma poi fa un passo avanti e mi tende la mano, sorridendomi.

“Io sono Jillian e vedo che stai trattando con cura la mia cucina. Non vedo l’ora di lavorare con te.”

La stringo, intimidita e cerco di rispondere al sorriso nel modo più  naturale possibile, sebbene dentro sia tutta in agitazione.

“Piacere di conoscerla. Io sono Chelsea. È la prima volta che lavoro in una cucina, quindi mi scuso  in anticipo se combinerò qualche disastro e spero di imparare molto da lei!”

Lei mi rifila un’occhiataccia, ma non smette di sorridere.

“Chiamami pure Jillian e non ti preoccupare. Andremo d’accordo. Prima che mi dimentichi, lei è mie figlia Allyson. Sta attraversando un periodo un po’ turbolento, quindi la vedrai spesso qui in cucina.”

La ragazza che mi indica è di una bellezza incredibile. Ha i capelli castani folti e lunghi, il viso sottile di una bambola, candido come la porcellana, e gli occhi grigio-azzurri. È alta per essere un adolescente, ma magra e ben proporzionata. Il fisico è messo in evidenza da un paio di strettissimi jeans a vita bassa e da una magliettina color corallo con lo scollo a barca.

“Non darle retta. Sono solo più spigliata di quanto vorrebbe. Piacere di conoscerti Chelsea. Sono sicura che andremo d’accordo!”

E guardandola negli occhi non posso che darle ragione. Mi sta già simpatica.


Eccoci con il nuovo capitolo. Che dire, la vita della nostra Chelsea si sta moviementando parecchio. Ha fatto amicizia con tutti quelli che lavorano con lei e ha praticamente trovato una seconda famiglia. Chissà come si evolveranno le cose da ora in avanti e chissà se riuscirà ad instaurare un buon rapporto sia con Jillian che con Allyson. Viaspetto giovedì per il prossimo capitolo, nel frattempo, fatemi sapere che cosa ne pensate.

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Capitolo 6
*** 06 Adrian ***


06 Adrian

 

 

Dopo essere rimasto da solo nel vicolo, ci ho messo alcuni secondi per riprendermi.

La piccola fiammiferaia mi ha lasciato completamente senza parole.

Non immaginavo che, al mondo, potesse esistere qualcuno di così assolutamente ingenuo.

Ho avuto a che fare con tantissime tipologia di persone, di donne in particolar modo.

Ci sono le persone furbe; quelle intelligenti, ma poco lungimiranti; quelle semplicemente stupide e quelle subdole.

Ce ne sono molte altre, ma non avevo mai avuto a che fare con qualcuno assolutamente inconsapevole di quanto il mondo possa essere cattivo: di quanto le persone possano essere crudeli.

Quello che le ho fatto non merita ringraziamento, volevo semplicemente che stesse zitta e la smettesse di piangere come se le fosse morto un parente caro.

In quel momento ho pensato che fosse stata stupida a non accorgersi di quello che stava succedendo e io non ho mai giustificato la stupidaggine, esattamente come l’ignoranza.

Ma come si può condannare l’innocenza, il modo spontaneo e assolutamente gratuito in cui lei si comporta.

Anche se pensavo che fosse stupida, mi ha fatto una gran pena vederla in quella situazione e non ho potuto fare a meno di dare una mano fino alla fine.

Non è stato un gesto galante o qualche cazzata simile, semplicemente non mi costava nulla farlo.

Alcuni dei miei amici si sono stupiti per il modo in cui ho aiutato Chelsea, come se avessi fatto chissà cosa, come se non fossi un essere umano e solo ed esclusivamente un mostro.

Non hanno del tutto torto, ma non ferisco chi non lo merita. Dalle persone così io sto semplicemente alla larga.

Chelsea Lauren è una di quelle persone da cui mi devo tenere alla larga, più per il suo bene che per il mio.

La debolezza mi fa rabbia, innesca qualcosa dentro di me che mi spinge a voler distruggere quella persona, portarla allo stremo.

Chelsea, con la sua semplicità è esattamente il tipo di persona che mi fa venire voglia di fargli del male.

Sarebbe così semplice farle del male, distruggere la luce che anima quegli occhi così dal colore così strano. Sarebbe estremamente facile e gratificante vedere l’ombra della consapevolezza e della disfatta farsi largo in quello sguardo, ma per la prima volta, penso che sarebbe semplicemente una cattiveria gratuita.

No, meglio stare alla larga da lei. Non oso immaginare che tipo di torture mi riserverebbe Kayla, la fidanzata del mio amico Josh, se dovessi fare del male all’uccellino spaurito che ha deciso di prendere sotto la sua ala.

Proprio lei che è tornata a vivere solo dopo aver iniziato ad uscire con Josh.

Non so con esattezza che cosa le sia successo, non sono affari miei e nemmeno mi interessa, ma il suo ex, Dawson Steel, non ha una bella reputazione e quindi sicuramente è qualcosa con cui non vorrei mai avere a che fare.

In ogni caso, non mi sopporta, mi odia letteralmente e non ne ha mai fatto mistero, anche perché con lei mi sono comportato da vero stronzo in più di una occasione, quindi se osassi anche solo avvicinarmi al suo passerotto ferito, probabilmente mi farebbe passare un brutto quarto d’ora e, di sicuro, il mio amico Josh non si metterebbe mai contro quella strega travestita da fatina dei boschi.

Bevo un sorso della mia birra, ormai mezzo sgasata, e cerco di concentrarmi sulla partita, ma la mia mente continua a divagare, non si ferma.

“Ecco qua, ragazzi!”

La cameriera abituale, Lesley, poggia sul tavolino di fronte a noi un intero vassoio di cibo dai colori sgargianti.

“Non lo abbiamo ordinato!”

Protesta come un idiota Dave, che allo stesso tempo sta praticamente sbavando.

Non ho mai visto nessuno mangiare quanto lui. Indossa il suo immancabile cappellino, che nasconde le ciocche bionde e ha gli occhi puntati sul vassoio, così come anche i miei amici.

Ci siamo tutti, la combriccola al completo.

“Lo so. Ve lo mandano dalla cucina!”

Prima di poter dire qualcosa, la bionda e tatuata cameriera si gira e torna al bancone.

“Secondo me hanno sbagliato.”

Ryan, con i suoi capelli ribelli, quasi dello stesso colore degli occhi scuri, sta scuotendo la testa, perplesso.

“Chi se ne importa. Questo è decisamente meglio della pizza che  ho mangiato prima di uscire!”

Dave si avventa sul piatto e afferra un aletta di pollo rossiccia e dall’aspetto decisamente succulento.

“Pure a me non dispiace mangiare qualcosa.  Non so cucinare e continuo a comprare cibo d’asporto!”

Logan afferra un paio di nachos, li immerge nella salsa al formaggio e se li ficca in bocca, decisamente compiaciuto.

“Porca puttana!”

Josh non fa  una piega invece e si limita a sorridere, sorseggiando la sua birra. Sono sicuro che lui sa che questa è opera di Chelsea.

Lo stomaco inizia a brontolare quando l’odore di paprika mi arriva al naso. Alla serata organizzata per mio padre hanno servito giusto qualche stuzzichino, per nulla in grado di soddisfare il mio fabbisogno alimentare.

Prendo un aletta di pollo e stacco un pezzo di polpa dall’osso, con forza, attento a non sporcarmi con il grasso che cola leggermente dalla carne.

Il sapore speziato mi esplode in bocca, sorprendendomi con la sua intensità.

Probabilmente anche gli altri la pensano allo stesso modo, perché in dieci minuti, dell’enorme quantità di cibo, non rimane nulla, se non le ossa spolpate.

“Accidenti quanto era buono. Potrei mangiare questa roba per un intera settimana senza stancarmi.”

Detto da Dave, che ha il pessimo vizio di mangiare come un maiale e sempre cose diverse, è un gran complimento.

Anche io, che sono abituato a cibi raffinati, devo ammettere che era tutto squisito. Non solo il pollo, ma anche le salse per i nachos erano deliziose, così come il chili di carne che li accompagnava.

Non sono mai stato un amante della cucina Messicana, essendo cresciuto mangiando filet mignon, prelibati piatti composti e caviale, ma devo ammettere che Chelsea ci sa davvero fame.

Buon per lei. Avere un lavoro l’aiuterà di sicuro a crescere e forse allontanerà la prepotente tentazione di rovinarla.

Non so perché, ma più una persona è candida ed innocente, più è forte il desiderio di farle del male, corromperla, rovinarla.

Esattamente come è successo quando avevo diciassette anni con  una novizia del convento vicino al collegio privato e super esclusivo in cui mi ha mandato mio padre, come estremo tentativo per raddrizzarmi.

Era un bel posto in fin dei conti e, sebbene le abbiano provate tutte, ne gli insegnanti, ne il direttore del collegio sono riusciti a farmi fare quello che volevano.

Ero servito e riverito. Avevo un enorme stanza tutta per me, con il bagno privato e , ogni giorno, veniva pulita e lucidata. La servitù lavava ed inamidava i miei abiti, che erano sempre perfettamente ordinati quando li indossavo.

Tuttavia non c’erano donne con cui potessi divertirmi. Le cameriere erano fin troppo disponibili, così come le cameriere che si occupavano della cucina.

Un giorno ho scoperto, per puro caso, che a un paio di chilometri di distanza, c’era un convento. All’inizio non ci ho fatto troppo caso, dopotutto non sono mai stato religioso e, se lo fossi, avrei il terrore di finire all’inferno, visto tutto il male che ho fatto finora, ma una mattina, di rientro da un festino clandestino, mi sono imbattuto in una giovane novizia che, non so per quale motivo, stava spazzando di fronte al cancello del convento.

Mi sono fermato poco lontano e lei ha alzato gli occhi. Non ricordo di che colore fossero  o che tipo di tratti avesse il suo viso. L’unica cosa che riesco a ricordare è l’austera casacca grigia che indossava e il crocifisso appeso al collo.

Si è avvicinata, osservandomi con attenzione, un barlume di interesse nello sguardo.

È stato in quel momento che ho scoperto di aver trovato un fantastico diversivo, un modo davvero divertente di passare le ultime settimane di “reclusione”se così si può chiamare, al collegio.

Ho iniziato a scappare più spesso di quanto non avessi fatto fino a quel momento, lasciando gli adulti impotenti di fronte alla completa mancanza di controllo che avevano su di me.

Ogni due giorni, quando sapevo che spazzava la strada di fronte al convento, io uscivo di nascosto e andavo a “trovarla”. Ho carpito i suoi segreti più oscuri, l’ho irretita, l’ho spinta a fidarsi di me, fino a quando non ha mostrato la sua vera faccia, al sua vera anima.

Dopo, ovviamente, quando si è trattato di affrontare le conseguenze delle sue azioni, si è dimostrata ampiamente pentita, ma io non mi sono sentito affatto responsabile della sua situazione.

Semplicemente, se quella mattina non si fosse avvicinata alla mia macchina per parlare, guardandomi come se fossi una cosa molto appetitosa, non avrei provato il desiderio di rovinarla, mostrare a tutti chi fosse realmente: Una poveretta che voleva prendere i voti solo ed esclusivamente per non dover lavorare e avere una vita comoda e agiata

Da quel punto di vista, Chelsea non le assomiglia per nulla, ma è la sua incredibile fragilità che mi attira.

So che non va bene, che non è quel tipo di donna, ma ugualmente l’animale, il mostro, che c’è dentro di me, ringhia e brama la sua distruzione.

Vuole saziarsi con la sua ingenuità, divorare la sua anima delicata per farla sprofondare nella disperazione.

Non voglio fare del male a qualcuno che non lo merita, mi sono ripromesso di non diventare mai come il mio vecchio e di limitarmi alle persone che lo meritano, agli egoisti, a quelli che non fanno mai nulla se non per avere un tornaconto personale, ma non è facile resistere al desiderio, alla forza inarrestabile che mi spinge a pensare a decine di modi per ferirla e far tornare le lacrime di quel giorno di Novembre.

Quel giorno la bestia non ha ringhiato, era assolutamente indifferente, fino a quando non ho incontrato i suoi occhi spaventati e iniettati di sangue.

Nonostante quello che le era appena successo, riuscivo ancora a leggere fiducia ed è stato un quel momento che i pensieri si sono frammentati e ho iniziato a pensare a come far diventare quegli occhi ancora più tristi e addolorati. Quell’azzurro violetto, lucido di lacrime, era qualcosa di assolutamente ipnotico.

Mi rendo conto che sono pensieri malvagi, crudeli, ma non riesco ad arginarli. Posso solo accettarli e cercare in tutti i modi di non dargli seguito. Non farei del male solo a lei, ma anche a me stesso, perché mi metterei contro le uniche persone di cui realmente mi importa ed è per questo che le starò alla larga, che non al mostro la possibilità di distruggere la mia vita.

“Ohi, Adrian. Sveglia. Che hai amico?”

Dave mi schiocca e dita davanti agli occhi e mi rendo conto di essere rimasto fermo impalato a fissare il vuoto per non so più quanti minuti.

Mi limito a rivolgergli un’occhiataccia, che dice più di mille parole.

“Non fare lo scorbutico. Siamo qui per passare una bella serata, non serve che ci incupisci l’atmosfera con quella faccia da culo che ti ritrovi!”

Scoppio a ridere quando Dave mi mostra il medio con tanto di faccia tosta.

“Parla quello che ogni volta ci “diletta” con le sue impeccabili maniere a tavola.” Il tono sprezzante è quello che mi riesce meglio, un talento naturale. Comportarmi come se fossi il migliore e gli altri non valessero niente è una cosa che mi viene assolutamente naturale. Per fortuna i miei amici non ci danno più di tanto peso.

“Hai ancora la paprika su tutto il viso. Vai in bagno a lavarti e a sarti una sega, California. Se non sbaglio è un pezzo che non scopi!”

La risata di Logan ci coglie alla sprovvista. Mi ero dimenticato che non si ricorda che io e Dave ci punzecchiamo e prendiamo a parolacce praticamente ventiquattro ore su ventiquattro.

Quando sono entrato nel locale e l’ho visto seduto comodamente su una sedia, come se niente fosse, ho pensato, per un breve istante, che avesse recuperato la memoria, ma quando mi sono avvicinato, mi ha teso la mano e si è presentato, come se non ci conoscessimo.

È stato davvero strano.

Logan è un tipo a posto. Si occupa di auto e ho visto un paio di suoi lavori che sono davvero una bomba. Non avevo mai visto disegni così colorati e perfetti su una carrozzeria.  Ha un talento incredibile nel rendere tutto estremamente vivido.

Inoltre ha una moto pazzesca. Non so che modello sia, ma se sapessi guidarla, farei follie per averne una così. Ha le cromature argentate che la fanno sembrare quasi finta da quanto sono perfette e in rilievo.

“Ma fanno sempre così?”

Dopo aver smesso di ridere si rivolge a Ryan, l’unica persona in tutta Denver di cui si ricordi.

Per un paio di mesi hanno frequentato lo stesso liceo e non fatico a capire come mai siano diventati amici. Mi chiedo solo che cosa succederà alla loro amicizia quando verrà fuori la storia di Meredith, perché non dubito affatto che prima o poi si saprà.

I segreti non durano in eterno e prima o poi vengono a galla.

Sarà un disastro, visto quanto Ryan è protettivo nei confronti della “piccola” di casa.

“Sempre. Sono coinquilini e passano il tempo a stuzzicarsi come due ragazzine mestruate.”

È Josh a rispondere passandosi una mano tra i capelli biondi e puntando gli occhi azzurri alle mie spalle.

“Ah, ecco la nostra ragazza. Come vanno le cose?”

Non ho bisogno di girarmi per sapere che c’è dietro di me, lo so, lo sento che è lei ed immediatamente ripenso a quel misero bacetto che le ho dato che l’ha sconvolta così tanto.

Non posso non chiedermi che cosa ne sarebbe di lei se usassi tutte le mie tecniche più subdole.

Cerco di allontanare il pensiero, perché sarebbe un disastro, ma anche mentre faccio di tutto per non guardarla, quando si mette nello spazio che separa me e Dave, da qualche parte continuo a pensare a come sarebbe facile spezzare lei e la sua debole forza di volontà.

“Ehi, come andiamo?”

Sollevo lo sguardo e la prima cosa che noto è la dolcezza che le alleggerisce i lineamenti.

Un calcio nello stinco mi fa sobbalzare, facendomi voltare immediatamente la testa.

Passo lo sguardo su tutti quelli che mi circondano fino ad arrivare a Josh, che mi guarda con gli occhi sgranati.

Ha un espressione inorridita in faccia, ma riesce in qualche modo a mascherarla quando, con una patetica scusa, mi allontana dal tavolo.

Merda.

Eppure, nonostante sia una situazione del cazzo ed è probabile che stia per ricevere una bella strigliata, non posso non prestare attenzione allo sguardo di Chelsea, che mi segue fino a quando non siamo fuori dalla sua visuale.

Seguo Josh nel corridoio che porta ai bagni e  fin fuori dall’uscita di emergenza. Faccio in tempo a prendere una boccata di aria fredda, che sento il mondo spostarsi e la mia schiena e la testa cozzare contro la fredda e dura superficie del muro.

Josh è di fronte a me, incazzato quasi quanto la volta che l’ex di Kayla le dava il tormento.

“A cosa cazzo stavi pensando? DIMMELO!”

E per la prima volta mi limito a distogliere lo sguardo, senza sapere esattamente che cosa dire.



Eccomi qua. Scusate per il ritardo nella pubblicazione, ma Adrian è un osso duro, molto molto duro, ed entrare nella sua testa non è per nulla semplice. Non so davvero che cosa dire, davvero. è stato un capitolo abbastanza interessante e pesante da scrivere, perché la psiche di Adrian è davvero tosta. Spero di essere riuscita a rendere al meglio il suo "tormento" interiore e il suo desiderio di infliggere dolore al prossimo. Cercherò di pubblicare ancora qualcosa questo weekend, ma non vi prometto nulla. Spero che questo capitolo vi tenga buona compagnia fino al prossimo e scusate ancora per il ritardo.

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Capitolo 7
*** 07 Chelsea ***


07 Chelsea.

 

 

Sono due settimane che non vedo o parlo con  Meredith e sto iniziando seriamente a preoccuparmi. Ho come l’impressione che le stia succedendo qualcosa e cerchi di evitare chiunque, me compresa.

Ho saputo da Kayla, che è venuta inaspettatamente a trovarmi al Blue Moon, che ha assistito all’incidente di Logan e che è ancora piuttosto scossa dalla cosa.

Mi ha fatto capire che Meredith ha bisogno di un amica vicino, ma non riesco a parlarci ed ignora le mie chiamate ed i miei messaggi.

So che sta andando a lezione e che continua a partecipare agli allenamenti, ma non riesco proprio a beccarla e questo non fa altro che aumentare la mia preoccupazione.

La sua stanza, quando trovo la porta aperta, cosa che coincide con la sua non presenza, è un caos enorme. Non ho mai visto una stanza con abiti sparsi ovunque, cartoni di pizza abbandonati in terra e il cestino dell’immondizia pieno di fazzoletti usati.

Non so cosa fare e ho meno tempo libero di quanto immaginassi.

Mi piace lavorare al Blue Moon fianco a fianco con Jillian e mi piace chiacchierare con Allyson, che sta davvero trascorrendo molto, troppo, tempo al pub.

In un momento di calma, dopo l’ennesima serata stressante, Jillian mi ha raccontato, quasi come se fossimo amiche di vecchia data, che Allyson è un’adolescente turbolenta. Vorrebbe uscire, andare in discoteca e fare l’alba con i suoi amici, quasi tutti all’ultimo anno.

È una così bella e simpatica ragazza che tutti, nel suo liceo, cercano di esserle amici, ma questo non ha fatto altro che creare un vuoto tra lei e la madre.

Jillian mi ha detto che suo marito, Paul, è venuto a mancare un paio di anni fa e questo ha lasciato nel cuore di Allyson un vuoto incolmabile.

Lei e suo padre erano molto uniti, niente a che vedere con il rapporto che io avevo con il mio e mi è seriamente dispiaciuto che abbia perso una persona per lei così importante.

Jillian mi ha fatto capire che non le dispiacerebbe affatto se io e Allyson diventassimo amiche.

“Sei davvero una brava ragazza. Non so come mai sei finita a lavorare qui, ma è davvero ammirevole che tu ti stia impegnando così tanto per il tuo futuro!”

Sono stata tentata di raccontarle ogni cosa, ma alla fine ho taciuto.

“Non mi ero mai trovata nella condizione di dover lavorare ed è una vera fortuna per me aver trovato questo impiego.”

Se Jillian è rimasta delusa dalla mia evasività, non lo ha dato a vedere.

Abbiamo continuato a parlare del più e del meno ogni volta che abbiamo avuto qualche minuto di respiro.

Occuparsi in due della cucina ha reso tutto molto più semplice.

Io mi occupo del pollo e della salsa al formaggio, lei di tutto il resto.

Incredibilmente, è rimasta molto colpita dalle mie alette di pollo, così mi ha assegnato la preparazione della carne, delle spezie e ci aiutiamo a vicenda nella cottura, soprattutto quando le richieste sono molte.

Jillian mi ha detto che non ha mai cucinato così tanto pollo in vita sua. È al settimo cielo, esattamente come Owen che non vorrebbe più farmi andare via.

“Sei la mia miglior scoperta dopo Jillian!”

Mi ha detto testuali parole dopo una serata particolarmente impegnativa e ciò sia dovuto alla mazzetta di banconote che teneva strette nel pugno grassoccio come se stessero per rubargliele.

Incredibilmente, nonostante il carattere socievole e l’essere un ottimo datore di lavoro, Owen è anche un gran amante dei soldi. Più il locale guadagna, più lui è felice.

Il guaio è che non sopporto più l’odore della paprika e delle altre spezie che uso per il cibo. Prima mi piacevano un sacco, ora il pensiero di mangiare del pollo mi nausea.

Jillian si è messa a ridere quando gliel’ho detto e mi ha assicurato che passerà: ci devo solo fare l’abitudine.

Non avrei mai pensato che mi sarei trovata a mio agio a parlare con qualcuno come Jillian.

È una bellissima donna, con un carattere decisamente impetuoso e che si scalda facilmente.

Ho perso il conto delle volte che ha mandato a quel paese Theo e di quante volte ha sbattuto Owen fuori dalla cucina.

A quanto pare, ha il brutto vizio di entrare in cucina e farsi preparare da mangiare saltando la fila di comande che aspettano di essere evase.

È qualcosa che manda Jillian fuori di testa e più di una volta le ho visto sparare lampi dagli occhi.

Però, allo steso tempo, è anche una splendida persona.

Per qualche motivo mi sono ritrovata a parlare con lei della mia preoccupazione per Meredith, dello strano comportamento che sta avendo e mi ha chiesto se, per caso, non stesse uscendo con qualcuno.

All’inizio non sapevo se dirglielo o meno, dopotutto non credevo che qualcun altro lo sapesse, ma non è stato necessario che rispondessi.

Lei ha capito ugualmente e mi ha chiesto se potessero aver rotto.

All’inizio mi è sembrata una possibilità remota, visto quanto mi sono sembrati legati quel giorno che ho spiato in camera sua, ma più ci pensavo, più mi sembrava verosimile che Meredith stesse soffrendo per amore.

Così, stamattina, mi sono svegliata presto e mi sono appostata davanti alla sua porta, in attesa.

Ad un certo punto, mentre ero sul punto di addormentarmi sulla sedia che ho piazzato davanti alla sua porta, è comparsa Bianca, la moglie del fratello di Meredith.

È una bellissima ragazza dai capelli neri e gli occhi scuri. È più grande di me di a malapena un anno, ma giusto un paio di mesi fa ha avuto uno splendido figlio di nome Nathan.

È vestita in modo semplice, con leggins scuri e un pullover nero, sotto un cappotto color crema, e non sembra per nulla una madre di famiglia con i capelli corvini scompigliati.

“Le stai tendendo un agguato?”

Annuisco, leggermente a disagio per essere stata scoperto, ma Bianca sorride, comprensiva, e i lineamenti del suo viso si addolciscono ulteriormente.

In qualche modo, è davvero la versione umana della sua omonima versione animata.

Sono rimata molto sorpresa nello scoprire che, il motivo per cui suo marito la chiama Principessa, è perché il suo nome è la versione Italiana di Snow White, la principessa Disney.

Prima di sposarsi, era Bianca Neve. Per qualche motivo, ha voluto mantenere anche il cognome da nubile e, dopo il matrimonio, si è limitata ad aggiungere il cognome del marito, diventando la signora Bianca Neve-O’Connel.

“Mi dispiace. Immagino che ti abbia fatta preoccupare con il suo comportamento.”

Mi limito ad annuire, perplessa.

“Mi evita. Quando rientra nella sua stanza, si chiude dentro e non apre nemmeno se busso fino a farmi male alla mano. Non so come aiutarla. È successo qualcosa con il suo ragazzo?”

Bianca inclina la testa, osservandomi perplessa.

“Quindi tu sai che sta con qualcuno!”

Mi sento a disagio sotto il suo sguardo indagatore, ma nella sua voce non c’è ombra di condanna, solo curiosità.

“Li ho visti insieme una volta, ma è stato solo un attimo. Non so chi sia. Vorrei aiutarla, almeno starle vicino!”

Bianca sospira e si passa una mano tra i capelli, l’espressione triste.

“Quella stupida ha preferito affrontare tutto da sola piuttosto che lasciare che qualcuno vedesse le sue debolezze. Non doveva venire da me, ma non avrebbe dovuto farti preoccupare in questo modo. Sicuramente se si fosse confidata con qualcuno, ora non sarebbe ridotta all’ombra di se stessa.”

Fa una piccola pausa e poi punta lo sguardo sulla porta.

“Ma forse è meglio così. Saresti stata male per lei senza poterla aiutare. Torna pure in camera, parlerò io con lei. Le cose dovrebbero migliorare ora, o almeno me lo auguro!”

Mi alzo, perché in qualche modo so che Bianca ha ragione e recupero la sedia.

“Posso chiederti che cosa è successo? Meredith è mia amica, sono preoccupata. Forse non posso fare nulla per aiutarla, ma voglio che stia bene.”

Lei si avvicina e mi stringe il braccio con fare rassicurante.

“Lascia che sia lei a parlartene, okay? Non sa come comportarsi in questo momento, ma credimi, farò di tutto perché le cose si sistemino nel modo migliore.”

Lo sguardo di Bianca è fermo, deciso, e non mi resta altro da fare che arrendermi e rientrare nella mia stanza.

Non mi dirà altro.

Sento bussare per parecchi minuti. Il rumore è talmente forte che arriva persino alle mie orecchie.

Ad un certo punto il rumore cessa e, dopo pochi istanti, si sente la porta sbattere

Mi chiedo se la mia amica stia realmente bene, se andrà tutto bene.

Continuo a pensarci per più di mezz’ora, fino a quando non sento la porta sbattere di nuovo e l’acqua della doccia scorrere.

Vorrei andare da lei e provare ad alleviare almeno un poco le sue pene, ma forse non siamo poi così amiche come pensavo.

Certo, potrebbe aver passato un brutto momento, ma io non mi sono mai allontanata da questa stanza. Siamo state moltissime volte a pochi passi di distanza.

L’ho cercata con insistenza, ho bussato alla sua porta fino a scorticarmi le nocche della mano, ma lei mi ha deliberatamente ignorata. Mi ha trattata come un estranea e questo mi ferisce, perché lei mi ha aiutata moltissimo.

Poteva fidarsi di me. Non avrei mai raccontato a nessuno le sue confidenze, ma lei ha preferito escludermi dalla sua vita come se non valessi niente, come se non fossi nessuno.

Sento una piccola lacrima scivolare su viso e l’asciugo quasi con rabbia.

Ma cosa vado a pensare?

Sono una pessima persona, un egoista.

Come posso pensare a quanto il suo comportamento mi ferisca, quando lei sta così male da voler stare da sola e non parlare con nessuno?

Che razza di amica penserebbe ai suoi sentimenti feriti in questo genere di situazioni? Sono davvero una pessima amica.

Mi siedo sul letto e fisso la porta di comunicazione con le lacrime agli occhi.

Ti prego, ti prego, ti prego.

In cuor mio sto pregando perché quella porta si apra e la mia amica dai capelli rossi varchi la soglia, ma la porta di legno rimane tristemente chiusa e, dopo un tempo indefinito, sento la porta che da sul corridoio sbattere.

Scoppio a piangere, ferita, delusa e, soprattutto, arrabbiata con me stessa. Non mi dovrei sentire così, non è giusto nei sui confronti, ma mi sento abbandonata.

Così tristemente sola, che non riesco a trattenermi.

Non ho nessuno che possa asciugare le mie lacrime, nessuno a cui interessino.

Cerco di fare la forte e andare avanti sorridendo, ma la verità è che a nessuno importa realmente di me.

Non sarei mai tornata a casa mia, ma almeno mi aspettavo che mio padre venisse a cercarmi per scusarsi, ma nulla.

Che cosa se ne fa di una figlia disubbidiente? Assolutamente niente, ecco quanto valgo realmente per lui, per chiunque altro.

Anche i gesti di altruismo di Kayla sono stati dovuti al fatto che Meredith ha avuto un occhio di riguardo per me, ma nulla di più.

A nessuno di loro importa realmente di me, è questa la triste verità, ma nonostante questo, nonostante le copiose lacrime che stanno inondando il cuscino che abbraccio, come un’ancora di salvezza, non posso fare a meno di pensare che domani è un altro giorno, che il sole si alzerà nel cielo e che andrà meglio.

Questa giornata, questi sentimenti, le mie lacrime, tutto ciò sarà solo un ricordo lontano che pian piano sbiadirà, fino a rimanere una parte della cornice che è la mia vita.

Domani è un altro giorno e non mi sentirò più ferita ed abbandonata come ora.

 

***

 

Sono quasi le undici di sera, sono esausta, ma non voglio tornare al dormitorio. Non voglio tornare in quella solitudine devastante che mi ha accompagnata fino a quando non so uscita per venire al lavoro.

È sabato sera e, per la prima volta, non anelo al silenzio e alla pace del mio rifugio.

Voglio chiasso, rumore, voglio smettere di pensare che sono così triste.

“allora, vieni? Mamma ha detto che se vieni con me, mi fa andare!”

Scuoto la testa e mi ritrovo ad osservare gli splendidi occhi verdi di Allyson, il viso speranzoso.

“Scusami, avevo la testa altrove. Cosa dicevi?”

“Mi hanno invitato ad una festa i miei amici e la faranno in un pub, ma mamma ha detto che da sola non ci posso andare, che è troppo pericoloso.”

Fa una smorfia infastidita, per nulla d’accordo con l’opinione legittima di Jillian, ma poi mi sorride e ricomincia a parlare.

“Così le ho detto che ti avrei chiesto di venire con me. Ovviamente è solo per divertirti, non ho bisogno di una baby-sitter, sono più che in grado di badare a me stessa. Ho avuto tutta la sera l’impressione che la tua testa fosse altrove e che fossi giù di morale e non c’è niente di meglio di una bella festa per tirarsi su il morale.”

Il primo impulso è quello di declinare l’invito, soprattutto perché viene da una quindicenne, ma devo essere più disperata di quanto pensassi per prendere in considerazione l’idea di andare ad una festa.

Non mi piace la musica che ascoltano, non mi piace l’alcool e non mi piacciono tutti quei corpi che si sfregano gli uni contro gli altri.

No, questo genere di cose non fanno per me, ma sono sola, annoiata, disperata e Allyson mi piace, è una tipa sveglia e credo che mi farebbe bene uscire un po’, distrarmi, provare almeno a divertirmi come una qualsiasi ragazza di vent’anni e smetterla di comportarmi come una musona.

“Va bene, ma non ho intenzione di fare tardi.”

Prima di rendermene conto, quella che suppongo sia una mia nuova amica, la seconda in tutta la mia vita, mi salta addosso, abbracciandomi con forza.

“Sarà fantastico, vedrai. Ci divertiremo un sacco e i ragazzi non faranno altro che guardarci e cercare di ballare con noi, ma li manderemo a quel paese perché noi ragazze ci sappiamo divertire anche e di più senza di loro. Corro a dirlo a mamma!”

E prima che me ne sia resa conto, mi ha lasciata da sola nello spogliatoio, in modo che possa liberarmi del grembiule da cucina e sciogliere la treccia.

Mi guardo allo specchio, e i miei occhi sono gonfi e leggermente arrossati. Forse non ho l’aspetto adatto a divertirmi, l’umore o la voglia di farlo, ma desidero ancora meno sentirmi come questa mattina, quindi cercherò di ballare, ridere e divertirmi, perché ho vent’anni e anche io posso divertirmi come tutte le altre.



Eccoci con un nuovo capitolo, scusate il ritardo, ma non sono proprio riuscita a mettermi a scrivere prima di oggi. Con questo capitolo ci riallacciamo alla storia di Meredith, al giorno del chiarimento e chissa che cosa succederà ora tra le due amiche. Sinceramente mi dispiace da morire per Chelsea e per il senso d'abbandono che non la lascia mai da sola. (lo so, è una cosa strana) Chissà come si evolverà il suo rapporto con Allyson e che cosa succederà a questa festa. Cercherò di aggiornare il prima possibile, promesso. buon proseguuimento. kiss kiss.

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Capitolo 8
*** 08 Chelsea ***


08 Chelsea.

 

 

È stata una vera delusione.

Pensavo che uscire, fare qualcosa di diverso dal rimanere rintanata nella mia tetra camera come una povera disgraziata mi avrebbe fatta stare meglio, invece è stato il contrario.

La sensazione di solitudine si è solo acuita.

Non è colpa di Allyson, con lei mi sono trovata a mio agio, ma la musica assordante, la folla, mi hanno messa a disagio.

Il rumore assordante che permeava il locale è stato terribile, tanto che non ricordo nulla del locale.

Ricordo corpi che si strusciavano gli uni sugli altri, in preda ai fumi dell’alcool e alla musica, se così si può chiamare il baccano che usciva delle casse.

Ricordo che Allyson mi ha trascinata fino al bancone per prendere da bere e che, con una patente falsa e la complicità del barista, chiaramente una sua conoscenza, ha preso da bere per entrambe.

Mi sono ritrovata un bicchiere in mano, con quella che mi sembrava coca-cola all’interno, ma ho capito immediatamente, dopo averlo assaggiato, che non c’era solo la bevanda frizzante.

Appena sono stata certa che non mi vedesse, ho appoggiato il bicchiere, ancora pieno, su un tavolino e ho fatto finta di niente.

Mi ha disgustata il sapore dell’alcool.

Forse, se avessi bevuto quel drink, mi sarei sentita meno a disagio. Mi è bastato guardarmi attorno per capire che non ci facevo niente in quel posto, che sarebbe stato meglio se fossi rimasta nella mia stanza ad autocompatirmi.

Ero circondata da adolescenti e ragazze della mia età, ma ciascuna di loro aveva dei vestiti molto più corti del mio. La porzione di pelle nude in bella vista era nettamente superiore alla marea di nero e paillette dei loro vestiti.

Per fortuna Allyson non era mezza nuda, perché altrimenti mi sarei sentita ancora più a disagio nel mio vestito stile Audrey Hepburn nero con la scollatura quadrata che mi arrivava fino al ginocchio.

Allyson invece aveva un vestito con il corpetto ricoperto di lustrini, la sottogonna aderente e la parte superiore di tulle trasparente leggermente più lungo rispetto al tubino. Tutto ciò ovviamente nero come le calze e gli stivali.

Stava benissimo ovviamente e la quantità assurdo di trucco nero che le circondava gli occhi la faceva sembrare più grande.

Ha provato a farmi mettere quella roba negli occhi, ma mi sono rifiutata categoricamente ed ho sopportato paziente i suoi mormorii contrariati mentre aspettava, seduta sul letto, che finissi di mettermi quel poco di make-up che uso.

Ho provato a divertirmi, ma ad un certo punto alluso deve essersi accorta del mio malcontento e del mio disagio, perché mi ha chiesto se volessi andare via.

Mi è dispiaciuto rovinarle la serata, ma lei non mi è sembrata infastidita.

In macchina, mi ha detto che le dispiaceva che non mi fossi divertita, ma che era contenta comunque, perché le ho fatto un enorme favore.

Senza di me, non sarebbe mai potuta andare al locale e non avrebbe visto i suoi amici.

Me li ha presentati, ma già due secondo dopo aver sentito il loro nome, me ne sono dimenticata. Erano ragazzi della mia età, ma per qualche motivo non mi hanno trasmesso nulle.

Sinceramente non capisco per quale motivo Allyson abbi insistito tanto per presentarmi a quel gruppo di ragazzi.

Quando in macchina, mentre la riaccompagnavo a casa, mi ha chiesto cosa ne pensassi, mi è sembrato che ci sia rimasta male quando ha capito che non mi ricordavo il viso di nessuno di quei ragazzi.

Jillian è uscita dal portoncino d’ingresso del loro appartamento in centro a Denver, non appena ho parcheggiato di fronte agli scalini. Mi è stato subito chiaro che era appostata alla finestra in attesa del nostro arrivo e  sono quasi riuscita ad immaginare la ruga che aveva tra gli occhi a causa della preoccupazione.

Mi ha salutata con la mano da lontano, il sorriso stanco di chi non vede l’ora di andare a dormire, le braccia strette intorno alla vita, infagottata in una vestaglia rossa.

Ci sono voluti solo dieci minuti per arrivare al condominio, tempo più che sufficiente per rischiare di addormentarmi.

Come al solito, non è stato un riposo sereno e anche oggi ho delle brutte occhiaie violacee.

Lo specchio è stato inclemente stamattina, mostrandomi una ragazza con i capelli arruffati, gli occhi cerchiati e il viso quasi grigiastro.

Al contrario della mia amica Meredith, non amo per nulla il caffè, quindi ci metto parecchio a carburare e la domenica sono più svogliata che mai.

Dovrei studiare, ma non ne ho voglia e oggi non lavoro nemmeno.

Fino ad un paio di mesi fa, avrei trascorso la domenica  a casa di mio padre, era una specie di rito.

Andavo alla messa del mattino e poi dritta a casa. Cucinavo il pranzo, facevo il bucato e pulivo. La giornata volava così, ma ora non ho nulla da fare e mi sta assalendo la malinconia.

Mi alzo dal letto e, dopo una bella doccia, mi metto un paio di jeans a vita alta, un pullover e il giaccone, pronta per uscire.

Non voglio rimanere rintanata nella mia camera, non mi voglio nascondere dal mondo. È vero, sono sola, ma non per mia scelta perciò posso cambiare le cose.

L’aria fredda che mi investe una volta uscita dal portone mi ricorda che siamo in pieno inverno.

Il Colorado è uno stato particolarmente freddo in inverno e quindi siamo abituati ad avere pochi gradi durante la giornata, ma quest’anno è stato particolarmente gelido.

Ci sono state un paio di bufere che hanno fermato completamente la città a dicembre e ancora se ne sentono gli effetti.

La neve spalata e accumulata in alcuni punti strategici, è congelata e sporca, mentre gli alberi sono ancora carichi di pesanti nuvole bianche.

Il pallido sole non riscalda nulla, ma è sempre meglio del grigiore degli scorsi giorni e del leggero nevischio che cadeva durante la giornata, rendendo i bordi delle strade sporchi di fanghiglia.

Percorro velocemente la cinquantina di metri che mi separa dalla mia macchina e faccio fatico ad aprire manualmente la serratura perché mi tremano le mani.

Odio il freddo perché ti entra nelle ossa e non ti da pace.

La prima cosa che faccio, una nella cella frigorifera che durante la notte è diventata la mia macchina, è accendere l’aria condizionata.

La mia piccola utilitaria di seconda mano è stata un regalo di mio padre. Era stufo che chiedessi la sua in prestito per andare a fare le commissioni o per svolgere le attività che mi impegnavano nella comunità della chiesa, come la beneficienza o le raccolte fondi.

Così, quando ho compiuto diciotto anni, mi ha portata da un rivenditore suo amico, per farmi scegliere la macchina che preferivo. Ovviamente, ho dovuto scegliere tra quelle che mi ha proposto lui e la mia piccola Micra del 2005 color verde bottiglia è stata fin da subito la mia preferita. Mio padre ha cercato di spingermi verso un altro modello, ma io volevo quella verde anche perché più piccola e maneggevole.

Alla fine si è arreso e mi ha accontentata, ma ora che ci penso, quello è stato il mio primo atto di ribellione.

Volevo una cosa e mi sono impuntata per averla.

La macchina è stata messa a mio nome perché, come non ha mancato di ripetermi a casa un infinità di volte, se l’avessi danneggiata mi sarei dovuta arrangiare per ripararla.

Fortunatamente non è mai capitato, ma ora oltre che la benzina, devo occuparmi anche di tutte le altre spese, come l’assicurazione, le revisioni e i tagliandi. Certo, ancora per qualche mese posso stare tranquilla, ma quando vivevo nel mio bel mondo dorato, non avrei mai pensato che mi sarei ritrovata in questa condizione.

Mio padre, sebbene severo e tutto il resto, era il mio mondo e non lo avevo mai messo in discussione. Era la mia certezza, il mio punto fermo.

Ora che mi ha “tradita”, voltandomi brutalmente le spalle, sono sola, abbandonata, ma ironia della sorte, la macchina che mi serviva per ubbidire alle sue richieste ora è diventata la mia ancora di salvezza.

Così posso muovermi, spostarmi senza problemi ed essere indipendente. Non è molto, ma sapere di averla mi da un filo di coraggio in più per affrontare ogni giornata.

Non so dove andare e l’unico posto che, al momento mi sembra accogliente, è il Blue Moon. So che lì sono la benvenuta e che ci sono persone con cui potrei instaurare un bel rapporto, se non fossi così chiusa e spaventata da tutto.

Stranamente, una delle poche persone che non mi spaventano, è Adrian.

Certo, il brutto livido sulla mascella che aveva l’ultima volta che l’ho visto mi ha decisamente sorpresa e lasciata senza parole, ma non mi sento minacciata da lui.

Però mi sento inquieta anche se non è una novità. Non mi sono mai sentita a mio agio in compagni di ragazzi, nemmeno di Ryan o Josh che di sicuro, visto come guardano le loro donne, non mi si avvicinerebbero mai con strane intenzioni.

Purtroppo è qualcosa che mi è rimasto addosso a causa della mia educazione e non ci posso fare proprio nulla.

Tuttavia, forse per via della gratitudine,  Adrian è quello con cui mi sono sentita meno a disagio finora.

Parcheggio vicino all’ingresso e, una volta varcata la porta d’ingresso, la prima cosa che vedo è Aaron addormentato ad un tavolino, esattamente come il primo giorno che sono entrata al Blue Moon.

Se allora pensavo fosse solo una casualità, ben presto ho scoperto che è invece la norma. Non so per quale motivo, nessuno lo sa veramente, ma Aaron a casa non dorme. Riesce a farlo solo quando è qui.

Di lui so davvero poche cose, ma so che è una persona a posto e che prende molto seriamente il suo lavoro. Ogni sera, accompagna noi ragazze fino alla macchina e aspetta che abbiamo messo in moto e chiuso le portiere. Non rientra fino a quando non è certo che siamo al sicuro ed è una cosa che davvero apprezzo moltissimo.

L’ampio parcheggio, stile piazzola che sta di fronte al locale è molto comodo, ma anche inquietante quando i lampioni superflui sono spenti e rimane illuminato principalmente dal faretto esterno del locale.

Sono un po’ una fifona e se non sapessi che, all’ingresso del vicolo cieco che da sul retro del locale, c’è una telecamera di sicurezza, non mi azzarderei nemmeno a mettere fuori il naso per buttare la spazzatura, figuriamoci per dare da mangiare o coccolare Brat.

Per essere domenica il locale è stranamente vuoto. Non ci sono nemmeno i soliti avventori e Lesley è seduta sul bancone, i capelli raccolti in una coda altissima, che mette in evidenza il collo delicato e le lascia scoperta la schiena. Indossa l’ennesima canottiera sottilissima e scollatissima e, stranamente, un paio di Jeans.

Sta giocando armeggiando con il cellulare e non si volta nemmeno quando mi siedo sullo sgabello poco distante e appoggio i gomiti sulla lucida superficie di legno.

“Ti prego, dimmi che non sei qui!”

Il suo tono scandalizzato mi lascia perplessa.

“Perche no, scusa?”

“Perché è domenica.” Mi risponde con tono annoiato, come se fosse un’ovvietà.

“E quindi?”

Finalmente distoglie lo sguardo dallo schermo luminoso e lo punta su di me.

“Pensavo che visto che ieri sera sei uscita con quella matta di Allyson oggi saresti rimasta a letto tutto il giorno con un dopo sbronza da far paura ed ero veramente felice per te, ma ora sei qui e non mi sembri una che ha avuto una nottata movimentata.”

Ho l’impressione che sia più dispiaciuta lei per me che io stessa.

“Non era il mio ambiente e poi io non bevo. Sono praticamente astemia.”

Scende dal bancone con un saltello e si accovaccia alla mia altezza, in modo da potermi guardare negli occhi.

“Sei una bella ragazza, dovresti divertirti, scioglierti, flirtare con i ragazzi, invece non fai niente di tutto ciò e non voglio che tu te ne penta un giorno. La vita è un bene prezioso, lasciatelo dire da una che lo ha capito quasi troppo tardi. Non dovresti sprecarla così.”

Scuoto la testa, confusa.

“non sto sprecando la mia vita. Semplicemente non ho niente da fare!”

Si tira in piedi di botto, rivolgendomi un’occhiataccia.

“Non è questo il punto. Chelsea, dopo una serata in discoteca, dovresti essere ridotta come lui e sarebbe giusto così!”

Con un braccio indica un punto alle mie spalle e non mi serve girarmi per capire a chi si riferisce.

Io invece mi limito a guardare questa bellissima ed esuberante ragazza che mi sembra fin troppo interessata alla mia vita. Non ne capisco il senso. Non ha assolutamente niente che non va, ma non faccio a tempo a risponderle perché lei ricomincia a parlare, gesticolando.

“Te ne pentirai, Chelsea. Tra un paio di anni ti guarderai indietro e penserai a tutte le cose che non hai fatto e che invece avresti dovuto.”

Le sue parole sono leggermente fuori luogo e ho l’impressione che ora non stia più parlando di me, ma di se stessa.

“Les, c’è qualcosa che ti turba?”

Lei rimane sorpresa dalla mia domanda, caduta nel totale silenzio del locale.

Mi osserva, gli occhi azzurri sgranati dalla sorpresa, ma poi scuote il capo, con aria sconsolata.

“Non capiresti. Sei troppo giovane ed innocente.”

Forse si o forse no, ma è evidente che è frustrata a causa di qualcosa e che ciò le provoca frustrazione.

“Probabilmente hai ragione, ma posso comunque ascoltarti se hai bisogno. La mia capacità di comprensione non deve impedirti di sfogarti se ne hai bisogno.”

Mi osserva attentamente, mentre un sorriso triste le increspa gli angoli della bocca.

“Grazie, Chelsea, ma davvero, lascia stare. Ascolta solo il mio consiglio. Lasciati andare,  non vivere come una reclusa, non isolarti. Esci, divertiti, stringi amicizia. Non ti sto dicendo di iniziare a condurre una vita sfrenata, perché anche quella non è per nulla salutare, ma non ridurti a venire qui più del necessario. Questo locale accoglie tutti quelli che hanno bisogno di un luogo dove rifugiarsi o hanno bisogno di ricominciare, ma tu sei ancora troppo giovane per ridurti come me, che faccio quasi il doppio delle ore che per legge dovrei fare perché devo tirare avanti e ho delle responsabilità.”

Fa una pausa per prendere fiato ed indica l’ingresso.

“Esci da quella porta e prendi in mano la tua vita. Non lasciare che le cose ti abbattano. Trova un motivo per alzarti la mattina, per lottare, e credici fino in fondo. Non ti arrendere Chelsea, perché un giorno potresti davvero rimpiangerlo.”

Detto ciò, si volta e mi lascia da sola al bancone, ma prima di questo mi è sembrati di scorgere un inusuale luccichio nei suoi occhi.

Le sue parole mi rimbombano dentro con la loro intensità.

Lesley si porta appresso un peso non indifferente e probabilmente non vuole che io commetta gli stessi errori, anche se non penso che stia succedendo.

Inoltre, che cosa intende con trovare qualcosa per cui valga la pena lottare?

Non lo so, ma ciò che mi ha detto, probabilmente, mi perseguiterà per parecchio. Già ora non riesco a smettere di pensarci.



Finalmente eccomi di ritorno. Purtroppo, oltre ai problemi personali, si stanno aggiungendo anche altro genere di intoppi, tra cui la classica difficoltà contro cui mi scontro all'inizio di ogni nuova storia. riuscire ad entrare in sintonia con i propri personaggi alle volte può essere difficile, soprattutto nei primi capitoli. Motivo per cui per un po' sarò irregolare con gli aggiornamenti, ma spero che  valga la pena aspettare. Me lo augiro sinceramente. Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto e farò del mio meglio per pubblicare il prima possibile il prossimo aggiornamento. Kiss kiss.

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Capitolo 9
*** 09 Adrian ***


09 Adrian

 

 

Guardandomi nello specchietto retrovisore posso finalmente dire che il brutto livido che mi ha fatto Josh sotto l’occhio sinistro finalmente se n’è andato.

Sono felice di non assomigliare più ad un drogato in astinenza, ma quel segno era un chiaro avvertimento, un monito che mi ricordava perché non devo fare cazzate.

Ora che non c’è più, non so cosa succederà.

Ciò che è certo è che sto facendo di tutto per evitarla, per non entrare in contatto in nessun modo. Sto addirittura evitando il Blue Moon e credo che i ragazzi stiano iniziando a sospettare qualcosa.

Josh non ha detto nulla, ma che io non sia più rientrato nel locale, dopo che ci siamo allontanati, non è di certo passato inosservato.

Di sicuro il livido non ha aiutato a dissimulare ed è stato più difficile di quanto avessi pensato comportarmi come al solito e non sentirmi un pezzo di merda. Un sentimento che decisamente non sono abituato a dover gestire.

Non vedo Josh da quella sera. Dire che era furibondo è un eufemismo.

Quando non ho risposto alla sua domanda, mi ha fatto rimbalzare un’altra volta contro la fredda superficie del muro. Non sapevo cosa dirgli, perché non ne avevo esattamente idea. I miei pensieri erano piuttosto confusi, un susseguirsi continui di momenti rimassi impressi nella mia mente e desideri perversi.

“Non so cosa ti stia passando per la testa, ma la tua espressione non mi piace per nulla.”

Questo me lo ha detto mentre mi tenevo una mano sulla faccia dolorante e lo osservavo rientrare.

Non dargli una risposta non so se sia stato un bene o un male, perché ho come l’impressione che qualcosa si sia spezzato.

In qualche modo ciò mi ha aiutato a darmi una svegliata ed evitarla e non pensare ai pochi minuti passati assieme, è stato estremamente facile. Questo fino a quando non è svanito il livido.

Ieri mattina mi sono guardato allo specchio e non c’era più traccia del pugno ricevuto e, nella mia mente contorta, è stato come ricevere un via libera.

Per non pensarci, ho fatto quello che faccio tutti i sabati sera. Sono uscito, mi sono ubriacato e mi sono fatto una, anche se ricordo poco o niente.

Stamattina, come al solito, alle sette in punto ero in piedi e sono andato in palestra, dove ho cercato di scaricare la frustrazione contro il sacco da box.

Credo che almeno un po’ sia servito e ora l’unica cosa che voglio è una bella birra gelata e un bell’hamburger con patatine fritte del Blue Moon.

Non posso continuare ad evitare il locale per colpa sua. Non posso rinunciare alle mie abitudini perché non riesco a comportarmi come una persona decente.

Non sono un animale, anche se il sentimento che sento dentro spesse volte è come il ruggito di una bestia affamata.

Parcheggio vicino all’ingresso e, senza pensarci troppo,varco la porta d’ingresso del pub, entrando in un locale illuminato per metà dalla luce del sole che entra dalle finestre alle mie spalle e a metà dai faretti.

La prima cosa che noto è Aaron addormentato su uno dei tavolini. Sembra dormire della grosso e non capisco come possa preferire una dura superficie di legno ad un morbido e accogliente letto.

So poco di lui, ma sembra decisamente uno tosto, di quelli da non far arrabbiare. Credo che sia stato un militare o qualcosa del genere, non che mi importi, ma sono estremamente incuriosito dal suo comportamento sempre distaccato.

Mi dirigo verso il bancone, dove un paio di signori con un discutibile livello di igiene personale sono intenti a parlare della partita di calcio che si è disputata ieri sera tra delle squadre europee.

Il locale è inondato dalla musica commerciale proveniente dal televisore e non è fastidioso come al solito. Qualcuno ha abbassato il volume e non sembra di trovarsi dentro ad una discoteca.

Mi siedo su uno sgabello e do la schiena al bancone, apparentemente vuoto, e punto lo sguardo sull’enorme schermo dove diverse modelle più nude che vestite mettono in mostra il loro fisico scolpito da estenuanti sedute in palestra e diete ferree.

Mi piacciono le ragazze magre, con un fisico formoso, ma detesto quelle tutte pelle e ossa. Sembrano sempre così deboli e malate.

Un po’ come Meredith quando l’ho intravista l’altro giorno al campus.

“Ciao!”

Immediatamente tutti i muscoli del mio corpo entrano in tensione e il primo istinto è quello di darmela a gambe.

Mi giro lentamente, probabilmente con gli occhi sbarrati, e dietro al bancone c’è una Chelsea perplessa e con delle occhiaie spaventose.

Probabilmente il mio silenzio  sorpreso si protrae per diversi secondi di troppo, perché la vedo corrugare la fronte.

“Adrian?”

“Non sapevo facessi anche la barista!”

La mia voce suona sprezzante come al solito, ma lei sembra non farci caso. Si limita a sollevare le spalle con noncuranza.

Indossa una maglietta lunga a manche corte, con il colletto alla coreana, che nasconde il suo corpo, tutt’altro che scheletrico.

Il giorno che si è addormentata nella mia macchina, mentre riaccompagnavo lei e Meredith al dormitorio, sono stato sorpreso da uno strano slancio di altruismo.

In qualche modo, è stato automatico portarla in braccio fino alla sua camera, invece che svegliarla e lasciare che si arrangiasse.

Per qualche strana ragione, lasciare che dormisse, che si nascondesse nel sonno, per non affrontare quello che aveva appena passato, mi è sembrata una buona idea.

Portandola in braccio, mi sono reso conto che è tutto tranne che una ragazza che ha bisogno di mettersi a dieta e ammetto che quel contatto non mi ha lasciato del tutto indifferente, ma non è una cosa tanto strana.

Il sesso mi piace e ho decisamente buon gusto.

“Solitamente non lo faccio, ma Lesley si è allontanata un attimo e sono arrivati alcuni clienti; non potevo rifiutarmi di servirli.”

La sua spiegazione non fa una piega e, guardandomi attorno, posso chiaramente vedere che ci sono  un paio di gruppetti in fondo al locale che chiacchierano animatamente. Chissà perché, ma quando sono entrato non mi sono per nulla accorto della loro presenza.

“E quindi ti sei messa a fare la barista!”

Faccio di tutto per evitarlo, ma non riesco a non riportare l’attenzione su di lei che, stranamente, non sembra avere i miei stessi problemi, perché appare estremamente tranquilla. Forse leggermente più frizzante del solito.

“So stappare un paio di birre. Ho visto Lesley farlo così tante volte che non è stato difficile imitare i suoi movimenti. Certo, trovare le bottiglie non è stato semplicissimo, ma ci sono riuscita.”

In qualche modo la sua candida e divertita ammissione mi lasciano perplesso.

Possibile che non si renda conto di essere estremamente ingenua e trasparente? Sarebbe la vittima perfetta per qualche malintenzionato.

Non so cosa pensare.  Da una parte mi rendo conto di essere, probabilmente, un enorme pericolo per lei e so perfettamente che starle alla larga sarebbe la cosa giusta da fare. Dall’altro sono estremamente curioso di vedere altre cose del suo carattere, per capire fino a dove arriva la sua spontaneità.

“Come mai sei qui? Cosa posso servirti?”

Per un istante mi balenano per la testa tutte le battutacce che, in un’altra occasione, non mi sarei fatto scrupolo ad usare, ma trattenermi dal dire una sconcezza si dimostra estremamente facile, quasi automatico.

Di sicuro non apprezzerebbe e, forse, nemmeno le capirebbe.

“Volevo pranzare!”

Il suo sguardo si illumina e afferra con enfasi il taccuino li vicino. Forse con un po’ troppo entusiasmo, perché rischia di farlo cadere insieme alla penna.

“Oh, che bello. La mia prima comanda per la cucina.” Sorride, raggiante, per una cosa così piccola che, se non si trattasse di lei, penserei ad una finzione. “Oggi sto facendo un sacco di cose divertenti!”

Di fronte ad un espressione del genere, così felice, qualcosa si smuove dentro di me, ma lo blocco prima che possa emergere.

Stringo con forzai pugni, nascosti dal bancone e mi forzo di apparire normale. Rimettersi la maschera è automatico.

“Un hamburger con patatine, cottura media!”

Lei annota tutto alla velocità della luce e con un paio di saltelli lasca il bancone e scompare dietro la porta di legno poco distante.

“Arrivo subito, non ti muovere!”

Come se stessi per scappare da un secondo all’altro e non è una cosa del tutto da escludere.

Non sono il tipo di uomo che scappa davanti alle difficoltà, ma Chelsea è molto più che un problema.

Mi sento spaesato, come se fossi entrato in un altro mondo. Sono un tipo cinico, abituato alle bassezze delle persone e sempre in guardia. Sono quel genere di uomo che si guarda continuamente alle spalle, ma ogni volta che parlo con Chelsea, è come se venissi catapultato in un’altra realtà e questo mi lascia spaesato e arrabbiato.

È come se mi trovassi di fronte ad un cucciolo di cane che mi guarda scodinzolante, con gli occhi fiduciosi di chi non si aspetta altro che affetto.

Chelsea è così e mi fa ripensare ad un periodo della mia vita che vorrei solo cancellare dalla mia memoria.

Mi fa sentire come se fossi stato defraudato di qualcosa, della mia infanzia, più precisamente, perché non ricordo un solo momento in cui io sia stato così fiducioso, così aperto.

Chelsea è come una bambina di sei anni che sta scoprendo il mondo e, in qualche modo, questo mi fa rabbia, perché io a quell’età sapevo già che non era un bel posto in cui vivere. Che la cattiveria può albergare in chiunque.

Soprattutto nelle persone di cui ti fidi.

Per esperienza personale, so non ci si può fidare di nessuno.

Tutto può cambiare in un attimo.

Puoi essere tranquillo a giocare in giardino, insieme alla tua adorata tata, e pochi minuti dopo essere nel retro di un furgone, con le ginocchia sbucciate, i polsi legati dietro la schiena e la bocca tappata da un bavaglio, con  la persona di cui ti fidavi che ti sta dicendo che non è tutta colpa tua, ma che è solo perché sei nato in una famiglia ricca e che si fa ciò che si deve per sopravvivere.

Che alla fine non sei altro che un mezzo per raggiungere un fine.

Ciò che mi sconvolge di più, è che lei continua ad essere così nonostante il padre l’abbia picchiata e nonostante io mi sia approfittato di un suo momento di debolezza.

Chelsea in qualche modo riesce a vedere del bene ovunque e questo accende quella parte di me che vorrebbe ferirla e mostrarle che il suo castello dorato non esiste.

Eppure, io non sono nessuno per prendere e calpestare il suo modo ottimistico di vedere la vita.

Io sono un povero disilluso infelice, che ha passato gli ultimi diciotto anni della sua vita a covare rancore, a fomentare l’odio, alimentandolo invece che cercare di spegnerlo.

Sono quanto di più distruttivo si possa trovare in giro e, anche solo parlare con me, può essere incredibilmente dannoso. Sono cancerogeno, non è una scoperta. L’ho sempre saputo.

Queste tristi considerazioni sono quelle che mi spingono ad alzarmi dallo sgabello e lasciare il locale senza una parola.

Il freddo sole di Febbraio mi ferisce gli occhi dopo la penombra, ma per la prima volta mi sento meno gravato dal peso che mi porto dentro.

Se esiste qualcuno per cui posso fare qualcosa di gentile, di assolutamente non egoistico, quella è Chelsea.

Continuare su questa strada, significherebbe fare qualcosa di orribile e non voglio diventare come mio padre, che distrugge tutto quello che tocca. Sono già pericolosamente simile a lui, troppo simile.

Voglio essere migliore di come è stato lui e, stare lontano dal mondo dorato di Chelsea, è il primo passo per riprendermi la mia vita e, soprattutto, non distruggere la sua.

Josh ha ragione. Anche se non lo ha detto, so che lo ha pensato.

Sono un maledetto bastardo e sono abbastanza grande per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato fare.

Questa, è la prima volta che so di aver preso la decisione giusta.

Eccomi quà. Scusate, ma in questo periodo non riesco proprio ad essere costante, ma non volevo far passare una settimana senza aggiornamenti, per cui mi somo messa sotto e ho iniziato ad approfondire il nostro Adrian, che si sta dimostrando un personaggio emozionalmente decisamente ostico. Chissà cosa succederà e cosa ne penserà la nostra Chelsea dell'improvvisa scomparsa di Adrian. Spero di riuscire a scrivere il prossiumo cappitolo il prima possibile. kiss kiss.

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Capitolo 10
*** 10 Chelsea ***


10 Chelsea.

 

 

“Dove stai andando?”

Non sono abituata all’attività fisica e i pochi passi di corsa che ho fatto per attraversare il locale mi hanno lasciata con il fiatone, motivo per cui la mia voce suona piuttosto affannata.

Sono confusa, dispiaciuta, ma anche offesa, perché non ci si comporta così.

Appena sono uscita dalla porta per tornare dietro il bancone, accompagnata da Lesley, finalmente pronta per tornare a lavoro, ho subito notato che Adrian non era dove lo avevo lasciato.

Per qualche motivo, mi sono sentita ferita dal suo comportamento, perché non è la prima volta che sparisce senza nemmeno salutare.

Non si fa così.

I due uomini a cui avevo servito due birre poco prima erano ancora seduti sugli sgabelli e credo mi abbiano presa per pazza quando ho chiesto dove fosse andato.

Motivo per cui mi sono fiondata fuori dal locale, sperando di intercettarlo.

Sono stata fortunata perché stava salendo in macchina e non appena ha sentito la mia voce l’ho visto irrigidirsi, anche se non capisco perché.

Si gira lentamente, gli occhi leggermente sgranati, come se fossi la materializzazione di un incubo.

“Me ne sto andando!”

Sento la fronte incresparsi, non solo per le parole, ma per il tono freddo e distante con cui le ha pronunciate, abbastanza diverso dal distacco di dieci minuti fa.

Adrian è un incognita. Solitamente sono brava ad interpretare le persone, capire se potrei andarci d’accordo o meno. Dopotutto, quando rimani sempre in disparte, diventi un ottimo osservatore, ma lui mi ha sempre lasciata perplessa. È come se non vivesse nemmeno in questo mondo, un po’ come me prima di Meredith.

Mi incuriosisce, perché mi piacerebbe tirargli fuori una qualche espressione, una qualche reazione.

Ha sempre stampata in faccia un’espressione tesa, guardinga che non capisco, ma sono convinta che se sorridesse il mondo gli sembrerebbe meno ostile.

Lui è il mio opposto, ne sono sicura.

“Perché? Ti ho fatto qualcosa? Quando sono andata in cucina a portare il tuo ordine non sembrava fossi sul punto di andartene, senza nemmeno salutare. Avresti almeno potuto essere gentile!”

Quasi non mi riconosco. Di sicuro la voce tesa e offesa che sento non la riconosco, ma so di essere io ad aver pronunciato tali parole, perché mi sento così dentro e continuo a pensare a perché è così scostante.

Sono in una situazione in cui non mi sono mai trovata. Non ho mai avuto a che fare con qualcuno che cambia così rapidamente.

Un momento prima sembra quasi un amico, una persona di cui potersi quasi fidare, l’istante dopo, senza motivazione, è un estraneo.

“Io non sono gentile!”

Le sue parole sono dure quanto la sua espressione granitica. Gli occhi, più blu  del solito per colpa della luce del sole, sono come due coltelli piantati nel cervello. Quasi non riesco a distogliere lo sguardo, ma se c’è una cosa che ho imparato su me stessa, soprattutto negli ultimi mesi, è che non mi piace gettare la spugna.

Sono profondamene convinta che tenere duro sia la cosa giusta da fare se credi che ne valga la pena. L’orgoglio non serve a nulla se ti impedisce di fare quello che vuoi.

Questo l’ho imparato da Kayla.

All’inizio non volevo presentarmi al colloquio con Owen, perché mi sembrava sbagliato accettare l’aiuto di Kayla, mi faceva sentire inutile, di nuovo sottomessa, ma mi sono resa conto che era l’orgoglio a parlare, ancora ferito a causa di mio padre. Per cui ho deciso, in una delle mie comuni notti insonni, che avrei accettato di presentarmi a Owen e vedere che tipo di lavoro mi avrebbe offerto, ignorando così lo stupido orgoglio che non mi avrebbe dato di che vivere.

Volevo lavorare e guadagnare onestamente uno stipendio e non potevo permettere che qualcosa di così stupido come l’orgoglio mi impedisse di diventare indipendente.

Accettare l’aiuto di qualcuno non significa che non amo me stessa o che mi sto umiliando, ma solo che ci sono cose più importanti.

Quindi ho deciso di combattere ogni battaglia fino all’ultimo. Se ne vale la pena, devo fare tutto ciò che è in mio potere.

Ecco perché ho inseguito Adrian; perché non credo che sia un caso così disperato come tutti vogliono farmi credere.

Con me è stato gentile, mi ha aiutata contro ogni previsione e nessuno gli ha chiesto di accompagnarmi al dormitorio quel giorno. Nessuno gli ha chiesto di portarmi in braccio fino in camera mia, come mi ha riferito Meredith alcuni giorni dopo. Sono tutte cose che ha fatto di sua iniziativa e qualcuno di così irrecuperabile avrebbe girato la faccia dall’altra parte e avrebbe fatto finta di nulla.

Probabilmente, nonostante stia cercando di uccidermi con lo sguardo, non è del tutto impossibile fargli vedere che non è tutto lì. Forse ha solo bisogno di un amico in più, qualcuno che creda in lui ciecamente e questo io lo sto già facendo.

Forse crede di non essere una brava persona e tutti sono d’accordo con lui, ma io sono assolutamente convinta che abbia solo bisogno di qualcuno che gli faccia vedere il buono che invece c’è.

Io lo vedo, l’ho visto.

“A modo tuo lo sei.”

“Che cosa?”

Il suo tono brusco dovrebbe spaventarmi o spingermi a retrocedere, ma invece non fa altro che invogliarmi a continuare.

“Gentile. A modo tuo, anche sei fai il burbero e lo scontroso, sei una brava persona.”

Lui scoppia a ridere, ma non è una risata felice: ha qualcosa di sinistro e freddo.

“Smettila di sognare e vedermi come qualcuno che non sono. Svegliati. Questa è la vita vera, non una fottuta favola. Chi sembra cattivo, nella maggior parte dei casi, lo è realmente. Quelli che sembrano buoni, invece, non lo sono quasi mai.”

Ha un espressione pensierosa, quasi triste.

Non mi piace.

“Oppure, semplicemente, una persona che sembra cattiva ha solo bisogno della possibilità di dimostrare che l’apparenza inganna. Magari quella stessa persona non sa di essere migliore di quello che crede e gli serve solo un po’ di incoraggiamento e fiducia.”

Lui mi guarda per un secondo e poi, con un paio di rapidi passi, mi raggiunge, sovrastandomi con la sua mole imponente.

Il cappotto invernale lo fa sembrare ancora più mastodontico. Cerca di intimidirmi e il primo istinto è quello di indietreggiare, ma invece di farlo, cerco di rimanere ferma, con il cuore che batte a mille e mi rimbomba nelle orecchie.

“Che cosa vuoi da me Chelsea? Dovresti solo starmi alla larga, per il tuo bene!”

Sento un piacevolissimo fiotto di calore espandersi nel petto, mentre le sue parole, dette con il tono più astioso che abbia mai usato in mia presenza, assumono un significato piuttosto ovvio.

Sento le labbra incresparsi in un sorriso e cerco i suoi occhi tempestosi, duri come la pietra.

“Vedi? Non sei poi così cattivo. Se lo fossi, non ti preoccuperesti di ciò che è bene per me!”

Lo vedo irrigidire la mascella e socchiudere gli occhi.

“Sei proprio una stupida.”

Prima che me ne renda conto, mi ritrovo intrappolata dalle sue braccia, stretta in una presa di ferro, con il suo viso vicinissimo al mio.

“Lasciami andare!”

Sento il panico che cerca di farsi largo nei miei pensieri, mentre l’impotenza, l’immobilità, mi catapulta indietro di mesi, quando mio padre ha usato la forza per provare a sottomettermi.

Mi manca il respiro mentre provo a dibattermi per riuscire a liberarmi, ma è come essere intrappolata dentro una roccia. Lui non si muove, non fa nessuno movimento, se non chinare la testa per avvicinarsi al mio orecchio.

“Vedi? Sei completamente indifesa e potrei tenerti così per tutto il giorno. Non mi provocare, Chelsea, perché so essere un vero bastardo se necessario.”

Un lungo brivido di terrore mi scende lungo la spina dorsale, raggelandomi e rimango come paralizzata per infiniti secondi, la testa che cerca una ragione per questo suo assurdo comportamento. Fino a quando, finalmente, dopo interminabili  istanti, non arriva l’illuminazione.

Il panico è ancora lì, in agguato, pronto a farmi perdere la testa e scoppiare a piangere, e il cuore pulsa come non ha mai fatto in vita sua, tanto da essere quasi doloroso, ma mai come ora sono stata convinta di avere ragione.

Lui nel frattempo si è tirato indietro e mi guarda con espressione sorniona, certo di averla vinta. La stessa espressione del gattino dopo essersi mangiato un intera scatoletta di tonno.

“Allora? Che aspetti? Fallo, fai del tuo peggio. Dimostrami che mi sbaglio e che non c’è niente di buono!”

Mi trema la voce e non so dove trovo il coraggio per sfidarlo e smascherare il suo bluff.

Lo sta facendo di proposito, mi sta intimidendo per allontanarmi, ma io non voglio arrendermi, perché questa è la dimostrazione che ho ragione, che non mi sbaglio su di lui.

“Avanti Adrian, sei stato tu a dirlo, no?”

Sto tremando, non mi sento più le mani o le braccia, anche perché sono uscita dal locale semplicemente con la mia sottile maglietta di cotone e i pantaloni che non tengono per niente caldo. Ma non è solo questo: È l’adrenalina che mi scorre nelle vene mista al terrore.

Ho paura che si spinga oltre, che faccia qualcosa che non potrei mai perdonare, ma allo stesso tempo ho fede, credo in lui, anche se non mi ha dato nessun motivo reale per farlo.

Ma io lo so, ne sono sicura. Dentro di lui c’è qualcosa di buono, ma non so se è abbastanza forte per combattere quello che lui crede di essere, la parte di se che sbandiera ai quattro venti come se fosse un trofeo.

Allo stesso tempo, però, ho paura di sbagliarmi.

Se la mia fosse solo una stupida idea malsana dovuta alla gratitudine? Se il suo comportamento fosse stato dettato solo ed esclusivamente dal fatto che i suoi amici contavano su di lui?

Se mi stessi sbagliando, quale sarebbe la sua prossima mossa?

Continuo a fissarlo negli occhi, una sfida che non posso perdere, che non voglio assolutamente perdere.

Sento che bruciano, che mi viene da piangere, ma se non parlo, forse le lacrime non si faranno vedere,  facendo crollare la mia finta sicurezza. La sottile patina di decisione che ostento.

Alla fine è lui a cedere e mi lascia andare di botto, facendomi barcollare.

Sbatto le palpebre un paio di volte per cercare di metterlo a fuoco, ma lui si è già allontanato, pronto a salire in macchina.

“Ti ho avvisata, Chelsea. Stammi lontano.”

Lo osservo in silenzio, impotente, mentre lascia il parcheggio, accompagnato da una sottile scia di vapore bollente che si disperde velocemente nell’aria.

Improvvisamente, nel parcheggio deserto, con il traffico che scorre a pochi metri da me, mi ritrovo sulle ginocchia, svuotata.

Tutta l’energia che i animava fino a pochi secondi fa, quella che mi ha permesso di tenergli testa, mi ha abbandonata e non sento nulla.

Sono completamente vuota, semplicemente continuo a rivivere i pochi minuti appena passati e non riesco a gioire della piccola vittoria appena ottenuta.

Sono troppo scossa.

È successo tutto in fretta e inaspettatamente. Più ci penso, più tutto mi sembra impossibile, surreale, come se fosse accaduto a qualcun altro.

“Chelsea, stai bene?”

La voce mi arriva ovattata, come attraverso una nebbia e sollevo lo sguardo, che tenevo puntato sul freddo asfalto senza nemmeno vederlo.

Davanti a me c’è Aaron, con indosso la sua assurda maglietta a maniche corte, ma con un’espressione preoccupata in viso.

“Stai bene? Cos’è successo? Qualcuno ti ha aggredita?”

Vorrei dirgli che sto bene, che non è successo niente del genere, ma invece che le parole, quando apro la bocca per parlare, esce solo un suono strozzato.

Mi porto una mano alla bocca, per fermare l’orribile suono e mi rendo conto di avere le guance bagnate di lacrime.

Sono talmente sconvolta da quello che è successo che le lacrime hanno traboccato senza che me ne rendessi conto.

Mi limito a scuotere con forza la testa, almeno per far sparire un po’ di ansia dal suo viso.

“Chelsea, parlami.”

Si inchina, portandosi alla mia altezza e mi tende la mano.

“Qualsiasi cosa sia successa, ormai è passata. Forza, torniamo dentro, starai congelando.”

Il tono gentile di questo ragazzo dall’aspetto truce mi fa riprendere un po’ il controllo.

Afferro la mano tesa prima di perdere il coraggio e lascio che mi aiuti a rimettermi in piedi.

“Vuoi dirmi cos’è successo? Sei sicura che nessuno ti abbia fatto del male?”

Scuoto la testa con più forza e mi sforzo per ritrovare la voce.

“Sto bene, davvero. È stata solo una cosa inaspettata, ma non è successo niente, davvero!”

Si mette davanti a me, fissandomi direttamente negli occhi con fare preoccupato.

“Io sono qui per assicurarmi che a nessuna di voi ragazze capiti qualcosa, quindi se qualcuno ti ha importunata o ti ha spaventata, dimmelo.”

Scuoto di nuovo la testa, mentre pian piano che lo shock si attenua sento ritornare la determinazione.

“Niente del genere, davvero. Sto bene. Grazie per essere venuto a cercarmi.”

Lui fa una smorfia ridicola e si accarezza con delicatezza la nuca.

“È stata Lesley a svegliarmi quando non ti ha vista rientrare. Per svegliarmi mi ha buttato giù dalla sedia, letteralmente. Mi verrà sicuramente un bernoccolo.”

Il tono melodrammatico mi fa sorridere e sento che l’episodio di poco fa mi sta scivolando via di dosso.

Non voglio che l’abbia vinta. Non poso permettere che la sua falsa intimidazione sortisca gli effetti desiderati, soprattutto perché ora sono ancora più sicura che era solo una bugia.

Quando l’ho messo con le spalle al muro, si è tirato indietro, quindi vuol dire che non è un mostro.

“Perché sorridi così?”

Distolgo lo sguardo, puntandolo sull’insegna spenta del Blue Moon.

“Sorrido perché ho appena trovato qualcosa per cui vale la pena impegnarsi e tenere duro!”



Stamattina mi sono svegliata con una Chelsea diversa in mente, una Chelsea che usa tutto quello che le è successo come forza per andare avanti e non vedevo l'ora di vedere come la sua dolcezza, la sua innocenza e la sua assoluta mancanza di malizia si sarebbero coinciliate con la determinazione che sta scoprendo solo ora di possedere. Non so ora quando aggiornerò, ma scrivere questo capitolo è stato abbastanza strano e allo stesso tempo stimolante. Spero che vi sia piaciuto quanto a me.

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Capitolo 11
*** 11 Adrian ***


11 Adrian.

 

 

Le vibrazioni del sedile sotto di me  sono l’unica cosa, oltre al contachilometri, che mi fanno capire che sto correndo troppo.

Ho il piede premuto con forza sull’acceleratore, il muscolo della gamba incapace di rilassarsi.

Sono teso come una corda di violino e la musica dei Papa Roach esce dalle casse a tutto volume, quasi assordandomi, ma ho bisogno di questo frastuono confortante, di ricordarmi chi sono.

Per un attimo, me ne sono dimenticato in quel dannato parcheggio.

Assorbo con avidità le note e le parole di Beetween Angel & Insects

 

È troppo sporco questo mondo basato sull’avidità
Fai un passo indietro e smettila di pensare a te stesso

 

Con la carne e il sangue che tu chiami la tua anima
Caccialo fuori, è un grande buco nero
Prendi il tuo denaro, brucialo come un asteroide
Le ricchezze non riempiranno mai il vuoto

 

La compilation è lunga, una canzone dietro l’altra e pian piano il battito furioso del mio cuore si calma, mentre guido senza meta a velocità folle, ma solo lo scorrere rapido delle altre auto e del paesaggio mi fa sentire bene. Ormai sono molto lontano.

Canzoni, frasi, ritmi martellanti, questo è tutto quello di cui ho bisogno. Non posso sperare, non posso pensare che quella stupida possa avere ragione. Sarebbe un illusione e io so chi sono, cosa sono.

Inizia Burn e inizio a canticchiare sottovoce, ripetendo le parole che mi ossessionano.

 

Brucia, brucia
Voglio guardarti bruciare
Brucia, brucia
Voglio vederti bruciare
Riceverai quello che ti meriti
Voglio vederti bruciare

 

 

Il pensiero torna ai miei propositi di vendetta, ma vengono brutalmente allontanati da una di quelle canzoni che ho aggiunto alla playlist solo perché mi piaceva ascoltarla, più che per le parole, per il ritmo, ma ora mi rendo conto di cosa sto ascoltando, di che errore ho fatto a mettere Scars in lista. Le parole sono quanto mai veritiere.

 

Ho strappato il mio cuore aperto, ho cucito me stesso per bene
La mia debolezza è quel che mi preoccupa
E le mie cicatrici mi ricordano che il passato è reale
ho strappato il mio cuore aperto solo per sentirmi...

 

Ho provato ad aiutarti una volta
contro i miei consigli
ti ho visto andare giù
ma non hai mai realizzato
che tu stavi annegando nell'acqua
allora ti ho offerto la mia mano

 

non posso aiutarti, ripara da sola
ma come minimo posso dire di aver provato
mi dispiace ma io devo andare avanti con la mia vita

 

Mi scendono i brividi lungo la schiena, mentre la canzone continua, strappandomi alla follia che mi ha pervaso non so più quanti minuti fa.

Io volevo solo andarmene, allontanarmi da lei, ma non ci sono riuscito e quasi ho perso il controllo.

Non volevo farle del male, volevo solo spaventarla, ma in qualche modo lei ha capito che non ero serio. Pensavo che sarebbe stata presa dal panico e, per alcuni secondi, è stato come avevo programmato, ma  invece che continuare a dibattersi inutilmente, si è fermata.

Non ho capito perché fino a quando non ha reagito.

Tutto mi aspettavo, tranne che mi sfidasse.

“Allora? Che aspetti? Fallo, fai del tuo peggio. Dimostrami mi sbaglio e non c’è niente di buono!”

La sua frase continua a risuonarmi nella testa. Nessuno mi aveva mai sfidato e nessuna donna finora mi era rimasta indifferente. Lei, invece, nonostante il panico dipinto negli occhi, mi ha messo alla prova, vincendo.

Eppure non mi sento come se avessi perso. Sono sollevato per essere riuscito ad allontanarmi, ma ciò è avvenuto dopo che, a discapito della mia decisione di non toccarla, stavo per baciarla.

Non so perché, non è questione di attrazione, perché non è quella a dominarmi, ma è qualcosa che ha a che fare con lo sguardo determinato che aveva.

Ho provato l’insano istinto di stringerla ancora più forte e punirla per avermi sfidato. Forse è stato il mio orgoglio ferito a parlare, perché stranamente, non è stata la bestia a ringhiare e bramare la sua sofferenza. È rimasta stranamente acquietata per tutto il tempo, godendosi lo spettacolo.

L’ho lasciata andare prima di farle realmente del male. Anche se alla fine l’ha avuta vinta, so che l’episodio ha segnato lei quanto me.

Mentre mi allontanavo a tutta velocità, sollevando una scia di polvere, in lontananza, quasi sul punto di svoltare l’angolo, l’ho vista cadere in ginocchio.

Per un istante infinito, nel vederla finalmente indebolita, accasciata sul cemento, ho pensato di tornare indietro, ma poi ho svoltato l’angolo e il pensiero è volato via, sostituito dalle sensazioni.

Non avrei mai pensato che la sua innocenza potesse spingermi fino a quel punto. Se qualcuno dovesse scoprire cosa è successo oggi, probabilmente sarei seriamente nei guai. Eppure non riesco a pentirmene, perché grazie a questo, so che mi starà lontana.

Se c’è una cosa che ho imparato, nel corso degli anni, è che nessuna donna, a meno che non ci siano i soldi di mezzo, vuole sentirsi usata. Molte per raggiungere il loro scopo si lasciano maltrattare e poi fanno le offese, ma  Chelsea non è così.

Come il gran bastardo che sono, ho cercato di instillare in lei la paura, cercando di far riaffiorare il ricordo di quello che è successo con il padre. So che è una cosa pessima da fare, ma ho come avuto l’impressione che se non lo avessi fatto, lei avrebbe continuato a darmi il tormento, cercando di cambiarmi, convinta io sia qualcuno che non esiste.

Così facendo non avrebbe fatto altro che farsi del male e, molto probabilmente, alla fine l’avrei distrutta.

No, molto meglio chiudere la cosa sul nascere, mostrandole la realtà dei fatti quando ancora ero in grado di fare la cosa giusta, che lasciarla fare e appigliarmi alla solita scusa per fare i miei comodi.

Ho fatto del male a tante persone, distrutto aziende solo per preparare il terreno di gioco dove annientare la mia famiglia. Ho avuto a che fare con troppe donne che volevano qualcosa da me, ma che alla fine si sono ritrovate con niente in mano e una reputazione compromessa. E ciascuna di quelle persone meritavano quello che gli ho fatto, anche se io ormai non sono da meno, ma Chelsea?

No, lei non lo merita e non posso lasciarle fare quel che vuole, perché io non sono caritatevole o altruista. No, non sono niente di buono e, se la lasciassi avvicinare, prenderei tutto il possibile senza dare nulla in cambio. La convincerei a darmi anche più di quello che realmente vuole, per poi liberarmene una volta soddisfatto il desiderio.

Non voglio farle una cosa del genere, perché deve essere meraviglioso vivere in un mondo dove il sole splende sempre e le persone sono sempre gentili e disponibili. Non voglio distruggere la sua innocenza così affascinante. Anche se è così intrigante e invitante, non voglio annientarla come ho fatto con le altre. Come ho fatto con quella suora.

Non posso farlo, perché allora anche qualsiasi possibilità di non essere del tutto un mostro si annullerebbe.

Voglio chiudere questa parentesi della mia vita, liberarmi dal giogo di mio padre, portandolo alla rovina e poi ricominciare tutto da capo.

Non mi libererò mai di tutta questa oscurità che mi si agita dentro, ma non voglio dargli altro nutrimento. Non posso permettere che Chelsea si aggiunga alla lunga lista di peccati che ho commesso.

Lei è diversa da qualsiasi persona io abbia mai conosciuto.

Una Bianca, una Kayla o una Meredith mi avrebbero fatto leccare l’asfalto se mi fossi azzardato a toccarle, ma Chelsea ha sollevato la testa e mi ha sfidato a mostrarle quel peggio che faticavo a controllare.

Non so come ho fatto a lasciarla andare. L’unica cosa che volevo era stringerla ancora più forte e portarla via.

No, lei è forse unica e, se c’è qualcuno che può aspirare al lieto fine come una principessa dei cartoni animati, quella è lei.

Quando ero piccolo, prima ancora che la mia tata organizzasse il rapimento, adoravo il film di Peter Pan. Era un mondo fantastico e, sebbene lo conoscessi a memoria, volevo guardarlo e riguardarlo.  Credevo ancora che cose come le sirene e volare fossero possibili.

Quando ho conosciuto Chelsea la prima volta, ho pensato che assomigliasse a Wendy, la ragazza che aiuto Peter Pan a recuperare la sua ombra. Per un attimo, un piccolissimo istante, è stato come se mi trovassi davanti ad uno dei bimbi sperduti dell’Isola che non c’è.

Eravamo in un locale e Meredith è arrivata, esuberante come sempre, accompagnata da una ragazza dai capelli biondi e gli occhi violetti che indossava un vestito retrò.

In un primo momento ho pensato che sarebbe stato molto divertente passare alcune ora con lei, ma ho realizzato presto che la cosa era fuori discussione. Avevo davanti un pulcino bagnato che aveva perso la strada di casa. Quando poi tutti l’hanno accolta con naturalezza nel gruppo, è diventata del tutto off-limits ed è stato un sollievo.

Non averci a che fare è stato molto semplice e si sa, la tentazione è più facile da gestire se lontana dallo sguardo.

Oggi, invece, con l’atteggiamento combattivo, mi ha ricordato qualcun altro. Nonostante la sua “stupidità” se così la vogliamo chiamare, oggi l’ho rivalutata.

Il pulcino bagnato è sparito e al suo posto è comparsa una splendida civetta.

Non avevo mai pensato che potesse essere così determinata e, nonostante fosse per il suo bene, mi è costato molto cercare di fiaccare la sua resistenza.

Ogni volta che mi mostra qualcosa di diverso, una nuova sfumatura, è come se tornassi ad essere un bambino senza preoccupazioni. È come se mi facesse un incantesimo e non è facile tenere a mente che, se mi lasciassi affascinare da lei, distruggerei completamente  il suo incanto.

Non voglio farlo.

Il silenzio improvviso mi riporta alla realtà.

Non sto più guidando. In qualche modo, anche se completamente rapito dai miei pensieri, sono uscito dalla strada e mi sono fermato in una piazzola di sosta.

Stringo tra le mani il volante e il disco è finito. Il triangolino del Play lampeggia sullo schermo, in attesa di essere premuto per ricominciare a riprodurre la compilation.

Eppure non voglio riascoltare quelle canzoni, non voglio risentire quelle parole che mi fanno pensare a Chelsea, al modo in cui l’ho aiutata ad uscire dal tunnel in cui era finita.

Non voglio ripensare a quel piccolo, misero, contatto di labbra che c’è stato, perché sarebbe da femminucce ripensare a qualcosa di così insignificante come se fosse importante.

Cosa accidenti sto facendo?

Perché non riesco a non pensare a lei?

So cosa ha di diverso e di speciale, quindi perché non riesco ad accantonarla come ho fatto in passato?

Non la conosco meglio di allora, non abbiamo nulla in comune, quindi perché si sta scavando un posto nella mia mente, senza che riesca a farci nulla.

La odio per questo.

Perché, semplicemente, non riesce a lasciarmi in pace?

Devo cancellarla dalla mia testa, anche se non so come.

Inserisco la marcia e mi immetto nuovamente in strada. So che, da qualche parte, più avanti, c’è un cavalcavia che mi permetterà di invertire la marcia e tornare in città.

Ho bisogno di un passatempo e so esattamente dove trovarlo.

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Capitolo 12
*** 12 Chelsea ***


12 Chelsea.

 

 

 

 

Lesley è preoccupata, lo vedo da come mi osserva, ma nonostante il tumulto che mi sta scuotendo, mi sento abbastanza bene persino soddisfatta di me stessa.

Aaron non mi ha persa di vista per tutto il pomeriggio, come se fossi sul punto di crollare, ma la verità è che non mi sento sul punto di collassare.

Sono scossa, è vero, perché il comportamento di Adrian mi hanno fatto pensare a quanto mi sia sentita impotente contro mio padre, ma il pensiero razionale sta vincendo sulla paura.

Lui non mi farebbe mai del male e questo mi basta.

Alla fine sono rimasta al pub, anche perché nella mia stanza non avrei avuto niente da fare e non avevo assolutamente voglia di voltarmi continuamente a guardare la porta di comunicazione, sperando in una comparsa di Meredith che non sarebbe mai avvenuta.

Così sono rimasta qui, ha chiacchierato con Lesley, cercato di tranquillizzare Aaron, che era evidente non fosse abituato a gestire le emozioni di una ragazza e ho aiutato Jillian a preparare le cose per la serata.

Voleva che riposassi, dato che era uno dei miei giorni liberi, ma le ho detto che lo avrei fatto dopo averla aiutata in quell’ingrato compito.

Cucinare è il meno. Preparare gli ingredienti, marinare la carne e preparare l’impasto dei tacos del giorno dopo è la cosa più impegnativa.

Mi sono occupata prima di tutto dell’impasto, perché lavorarlo mi aiuta a non pensare e mi fa scaricare le energie. Dopo aver finito mi ritrovo sempre con le braccia e le spalle irrigidite e doloranti, ma psicologicamente sono piuttosto soddisfatta.

“Allora, vuoi dirmi perché sei qui, a lavorare, invece che a trascorrere la domenica con la tua famiglia?”

La domanda mi ha preso un po’ alla sprovvista, ma me lo sarei dovuta aspettare, perché Jillian ha sempre dimostrato di essere incuriosita dai motivi che mi hanno portata a lavorare al Blue Moon.

Ho pensato di evitare la domanda, ma lei mi ha raccontato un po’ della sua vita, quindi mi è sembrato giusto ricambiare.

“Non c’è nessuno con cui vorrei trascorrere questa giornata. Rimanere al dormitorio, sperando che la mia amica decidesse di farsi viva e condividere con me i suoi problemi non mi è sembrata una buona idea. Per cui sono venuta qui. Almeno qui non mi sento sola ed inutile!”

Mi sono lasciata andare eccessivamente, ma alla fine io sono così. Non sono brava a mantenere i segreti, a non esprimere le mie emozioni.

L’espressione di Jillian si è adombrata e mi ha guardata, cercando di capire cosa intendessi.

“E i tuoi genitori? Non siete legati?”

Come al solito, pensare a mio padre ha riaperto quella ferita non ancora richiusa, ma adesso è più facile non farsi sopraffare dalla tristezza. La ferita sta guarendo, ha smesso di sanguinare. Ci vorrà del tempo e forse non guarirà mai del tutto, perché il tradimento è stato troppo grande, ma ho fatto pace con me stessa e so che non è colpa mia. Non lo è mai stata e io non sono responsabile dei suoi comportamenti, delle sua paure e paranoie, delle sue aspettative. Non sono stata io a mettergli la bottiglia in mano e dirgli di bere. Non sono stata io a dirgli di picchiarmi, quindi mi rifiuto di sentirmi in colpa.

“Ero molto legata a mio padre, ma non ero la figlia che avrebbe voluto, quindi ci siamo allontanati.”

Come riassunto può andare. Sebbene mi trovi molto in sintonia con Jillian, raccontarle ogni cosa mi sembra un po’ azzardato. Dopotutto non ho mai raccontato tutta la verità nemmeno  a Meredith.

Jillian è rimasta molto colpita dalla mia risposta, ma ha lasciato cadere l’argomento con una frase semplicissima.

“Tu vai bene così come sei. Sei una bravissima ragazza e spero che Allyson superi in fretta questa fase e diventi come te.”

Le sue parole in qualche modo mi hanno colpita, perché a parte Meredith, nessuno me le ha mai dette.

Ho continuato a lavorare in silenzio, immersa nei miei pensieri.

Una volta finito sono tornata da Lesley, ormai impegnata con i clienti della sera in attesa della partita dei Broncos.

Insieme a lei c’è un ragazzo snello e con i capelli alla punk-rock scuri poco più grande di me. Si chiama Denis e lavora con Lesley da quasi un anno. Indossa una maglietta a maniche corte blu e un paio di jeans che quasi sembrano cuciti addosso.

Betty Jo e Gilda, le due cameriere di servizio stasera, ogni volta che si avvicinano al bancone per lasciargli un ordine o ritirarne uno sbattono le ciglia con fare civettuolo, ma lui non le calcola minimamente.

Le due ragazze sono entrambe snelle e con capelli e occhi scuri, ma Betty Jo è una decina di centimetri più alta di Gilda e con la carnagione abbronzata, in netto contrasto con quella lattea dell’altra.

Ogni volta che le vedo, indossano pantaloncini in jeans striminziti oppure gonne cortissime ed estremamente aderenti.

Eppure, nonostante  i loro sforzi e le magliette fin troppo scollate, Denis non le ha mai degnate di una seconda occhiata.

Sarò anche ingenua, ma riesco a capire quando una ragazza è interessata ad un ragazzo.

Anche se non mi è mai capitato, sono andata al liceo e so che le ragazze assumono atteggiamenti provocanti solo quando sono interessate a fare colpo su qualcuno.

Mi siedo su uno sgabello libero, mentre al televisore in fondo alla sala va in onda il pre-partita.

Lesley mi fa cenno di aspettare, ma Denis arriva prima di lei e mi passa una cola fredda.

“Grazie mille!”

Lui mi sorride e torna ad occuparsi dei suoi complessi cocktail.

Denis è un ragazzo a posto e decisamente simpatico. Non si prende troppe confidenze e non mi osserva troppo attentamente.

Quando sono al bar, cosa che ad una certo ora evito di fare, finisce sempre che qualcuno mi guardi con troppa insistenza, mettendomi a disagio.

Nonostante negli ultimi mesi, un po’ a causa dell’inappetenza e un po’ a causa del lavoro, sono dimagrita moltissimo e non sono più esageratamente formosa come prima, ma nonostante i chili persi, il seno è rimasto abbondante e attira ancora troppo l’attenzione.

Nonostante usi magliette con il collo tondo è più che evidente e mi sento molto a disagio con me stessa per questo.

Lo sguardo lascivo che alcuni mi rivolgono mi fa rivoltare lo stomaco, ma so che è normale, che la malizia fa parte de questo mondo, ma nonostante ciò, non riesco a non essere disgustata dalla sensazione di sporco che quegli occhi curiosi mi lasciano addosso.

Poggio i gomiti sul bancone di legno  in modo da nascondermi un po’ e osservo come rapita i movimenti di Denis.

Don una mano prende una bottiglia e con l’altra versa un po’ di liquido rosa, che a me sembra sciroppo alla fragola, dentro un contenitore di metallo.

Lo osservo fare il giocoliere con due bottiglie, versare un po’ del loro contenuto nel recipiente e poi rimetterle al posto con un movimento rapido del polso.

Lo osservo ripetere tutti quei movimenti, per me impossibili anche se ci provassi per anni.

Sono troppo imbranata, troppo scoordinata per far compiere ad una bottiglia un giro di trecentosessanta gradi senza versarne nemmeno una goccia.

“Chelsea?”

Volto la testa e mi trovo davanti la persona che meno mi aspettavo di vedere.

Meredith ha i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, gli occhi verdi circondati da brutte occhiaie violacee e il viso più scavato di quanto già non fosse l’ultima volta che l’ho vista.

Indossa una maglietta rossa eccessivamente larga e un paio di pantaloni felpati neri che mettono in evidenza la magrezza eccessiva delle sue gambe.

È evidente che non sono l’unica ad aver passato un brutto momento, ma questo, per qualche motivo, non mi fa intenerire.

Sono una pessima persona, ma non riesco a non essere offesa per il comportamento che ha avuto con me.

Aveva promesso che mi sarebbe stata vicina, che anche se non abbiamo legami di sangue sarebbe stata la mia famiglia, ma mi ha lasciata sola  e non mi ha permesso di essere a mia volta un pezzo della sua famiglia e aiutarla a stare meglio.

Mi ha evitata per più di un mese e adesso è qui, davanti a me, che mi guarda come se non ci vedessimo da due giorni invece che da cinque settimane.

Eppure queste settimane per me sono state dure e qualcosa dentro di me è cambiato. Non voglio accontentarmi delle briciole, di passare del tempo con lei solo perché non ha niente di meglio da fare.

Prima di Meredith non ho mai avuto un amica, ma sono sicura che l’amicizia non sia vedersi solo quando serve.

Sì, quando ho avuto bisogno di lei, quando le ho chiesto aiuto, lei c’è stata, ma non mi basta. Al momento, sento di non poter fare affidamento su di lei.

Un mese senza notizie, dove mi ha escluso completamente dalla sua vita, hanno minato il nostro rapporto e non posso farci nulla.

È doloroso ed egoistico e trovarmela di fronte ora. Non può decidere da sola quando essermi amica e quando no.

Ho il cuore stretto in una morsa dolorosa, pesante come se lo avessero rivestito con una maglietta di piombo.

“Cosa vuoi, Meredith?”

Il tono della mia voce è più duro e triste di quanto non avrei voluto, ma sono pessima nel nascondere ciò che provo.

Vedo la luce dei suoi occhi  affievolirsi un po’ e le spalle incurvarsi, come gravate da un grosso peso.

“Possiamo parlare? Per favore?”

Vorrei dirle di no, che non abbiamo più niente da dirci, ma non ce la faccio. Nonostante tutto, nonostante ora siamo così lontane, nonostante la vicinanza, il mio affetto per lei è ancora intatto.

Sono patetica.

Faccio un cenno a Lesley e poi uno a Meredith, indicandole di seguirmi e la conduco fino allo spogliatoio, decisamente più silenzioso della sala.

Qui il rumore del mio cuore forsennato che batte è ancora più forte.

Mi fermo al centro della stanza, incrociando le braccia sotto al petto per cercare di proteggermi da tutte le emozioni che mi stanno bombardando.

Meredith è vicina alla porta, ora nuovamente chiusa e si dondola da un piede all’altro, incapace di guardarmi.

“Allora?”

Odio la mia voce, odio sentirmi così vulnerabile e arrabbiata. Il rancore non è un sentimento che conosco, ma sono due giorni che mi scava dentro senza che io riesca a fermare la sua avanzata.

Odio me stessa per non riuscire a perdonarla anche se è ovvio che è stata male quanto me.

.Eppure mi deve una spiegazione. Dopo tutto quello che è successo, merito di ricevere delle scuse.

Come se il mio pensiero fosse giunto alle sue orecchie, le scuse arrivano, ma non mi fanno sentire meglio, per nulla. Mi seno ancora peggio, meschina addirittura, perché non leniscono minimamente il dolore sordo che mi toglie il respiro.

“Mi dispiace, Chels!”

La osservo, mentre le sue parole mi si piazzano sullo stomaco e rischiano di farmi risalire la cola.

“Per cosa, Meredith? Per avermi esclusa dalla tua vita, per avermi fatta preoccupare o più semplicemente per non esserci stata e non avermi permesso di esserci? Per cose ti stai scusando esattamente.”

Mi sento male, non riesco a respirare, ma le parole mi escono di bocca prima che riesca a fermarle e, da un lato, mi fanno sentire meglio, ma dall’altro decisamente peggio.

Perché non riesco ad essere la buona fedele che sono sempre stata? Un anno fa, probabilmente l’avrei perdonata senza pensarci due volta, ma ora mi viene difficile anche solo pensare di farlo.

Ciò che so dovrei essere è entrato in contrasto con quella che sto diventando, la vera me stessa, ma non sono sicura mi piaccia quello che sto scoprendo.

Osservo Meredith scuotere la testa, l’espressione mortificata.

“Per tutto. Per ogni singola cosa, ma soprattutto per non essere riuscita a mantenere la promessa che ti ho fatto. Avevo promesso che sarei stata la tua famiglia, ma non l’ho mantenuta. Mi sono rinchiusa nel mio dolore e ti ho allontanata perché volevo semplicemente stare da sola. La cosa peggiore è che per tutto il tempo non ho minimamente pensato a quanto male ti stessi facendo.”

Si passa una mano sul viso, appoggiandola sulla fronte come per coprirsi gli occhi, ma all’ultimo cambia idea e punta gli occhi, lucidi di lacrime su di me.

In essi posso leggerci una muta supplica.

Perdonami.

Sento a mia volta gli occhi riempirsi di lacrime, mentre la nostalgia inizia, pian piano, ad allontanare il rancore.

“Ho detto a me stessa che ti stavo aiutando per il tuo bene, ma alla fine era solo un mio desiderio egoistico. Tu ti sei fidata di me, hai lasciato che ti mostrassi tutto quello che ti eri persa e a causa di ciò hai perso la tua famiglia. Dopo di che, non appena ho avuto un problema, per quanto grave, ti ho lasciata sola, abbandonata a te stessa. Non me lo perdonerò mai Chelsea, perché non importa quanto sia stato difficile per me, avrei dovuto  pensare a cosa ti stavo facendo. È tutta colpa mia. Tu ci hai provato, hai bussato così tante volte alla mia porta che è un miracolo che non si sia rotta, ma ero così trincerata dietro al mio dolore che non ho pensato, nemmeno per un istante, che anche tu stessi soffrendo e fossi preoccupata per me.”

Fa una pausa, mentre le lacrime appena trattenute iniziano a scivolarmi lungo il viso.

“Ti prego, perdonami per essere stata così egoista.”

Mi porto le mani sulla bocca per trattenere i singhiozzi, ma le lacrime ugualmente parlano per me.

Mi è mancata così tanto la mia amica. La persona che per la prima volta è riuscita a farmi sentire una ragazza normale. Una persona che, lo so, mi avrebbe voluto bene anche se non avessi cambiato aspetto.

Meredith non si sarebbe mai vergognata di me.

Non è vero che mi ha aiutata solo per egoismo. Mi ha aiutata a scoprire me stessa perché ne avevo bisogno.

Punto lo  sguardo, offuscato dalle lacrime, su di lei e annuisco, incapace di pronunciare una sola parole e un istante dopo siamo strette in un abbraccio, mentre mi lascio andare ad un pianto liberatorio.

Mi sento svuotata, ma la cosa più incredibile è che anche Meredith sta piangendo, mostrandomi un lato di se che finora non avevo visto e, quasi, immaginavo esistesse.

Mostrarmi le sue lacrime, la sua fragilità, probabilmente è l’atto di fiducia più grande che lei possa fare.

“Scusami anche tu. So che sei stata male e mi sento davvero meschina per essermi arrabbiata con te.”

Lei si allontana leggermente per potermi guardare negli occhi e scuotere la testa.

“Ne hai tutto il diritto. Sono stata imperdonabile. Non sei affatto meschina. Avrei capito se non mi avessi perdonata subito. Sei troppo buona e io me ne sto approfittando, ma farò di tutto perché ciò non accada più, te lo prometto.”

Mi asciugo le lacrime e prendo fiato, cercando di ritrovare la voce.

“Non so cosa ti sia successo, ma per qualsiasi cosa, io sono qui. Sentiti libera di parlarmi di tutto quello che vuoi!”

Un sorriso dolce, ma estremamente triste incurva le sue labbra.

“Oh, Chels, non sai quante cose ho da raccontarti. È stato davvero un periodo orribile..”

Si interrompe, mentre un sorriso sfavillante prende il posto di quello triste di pochi secondi fa.

“…ma non sono mai stata così felice in vita mia. Finalmente le cose stanno andando per il verso giusto, Chels. Sta andando tutto al suo posto e se c’è una persona con cui voglio condividere la mia gioia, la mia felicità, quella sei tu. Prima di conoscerti non avrei mai creduto nell’impossibile, ma se ho tenuto duro, è solo grazie a te e a quello che con la tua fede mi hai insegnato.”

Mi abbraccia di nuovo e questa volta non c’è più ombra di tristezza mentre ci stringiamo.

In qualche modo, questa riconciliazione, mi ha liberata da quella pesante cappa che mi stava avvolgendo e mi impediva di respirare.

Non voglio mai più essere così triste, così arrabbiata. Non mi piace sentirmi così.

Un leggero bussare ci fa sobbalzare e allontanare. Mezzo istante più tardi, la porta si apre e fa capolino la testa di Lesley.

Ha un espressione preoccupata.

“Chelsea, potresti venire un momento di la? C’è un ragazzo che chiede di te e credo abbia bevuto. Aaron ha provato a convincerlo ad andarsene, ma ha detto che non si muoverà di qui fino a quando non ti avrà parlato.”

Rimango perplessa per alcuni secondi, mentre mi chiedo chi mai possa volermi parlare. Non conosco quasi nessun ragazzo e nessuno di questi po’ avere un valido motivo per insistere così tanto.

“Sì, certo. Abbiamo finito. Arrivo subito.”

Lei annuisce e con un ultima frase si eclissa.

“Fai in fretta. La situazione si sta scaldando.”

Mi volto a guardare Meredith e lei è perplessa quanto me.

“Scusami, ma non ho davvero idea di chi sia e non vorrei che per colpa mia succedesse qualcosa di brutto.”

Lei scuote nuovamente la testa, comprensiva.

“Ma figurati. Andiamo a vedere chi è lo scocciatore, così poi potrò raccontarti tutto quello che non ti ho detto prima!”

La prima cosa che noto, appena varcata la porta basculante che collega la zona dipendenti dalla sala principale, è il capannello di persone vicino all’ingresso del locale.

Aaron è vicino alla porta e mi da le spalle. Parla con qualcuno in modo concitato e sembra sul punto di perdere la pazienza.

Mi faccio largo a spallate per raggiungerlo il prima possibile, cercando di ignorare il cuore che nuovamente batte come impazzito nel mio petto.

“Aaron, eccomi. Che sta succedendo?”

Lui si volta a guardarmi, l’espressione truce e impotente al tempo stesso.

“Non ne ho idea. È lui che sta dando di matto.”

Si sposta leggermente, permettendomi così di vedere chi c’è dall’altra parte, chi è che sta cercando a tutti i costi di entrare nel locale.

Il cuore mi salta in gola alla vista dei suoi occhi gonfi e iniettati di sangue, tipici di chi ha alzato troppo il gomito.

La voce mi esce come un sussurro, mentre vengo nuovamente bombardata da una serie di emozioni quasi incomprensibili.

L’unica cosa certa, al momento è che sono molto, molto, sorpresa, soprattutto visto come è finita l’ultima volta che ci siamo trovati faccia a faccia.

“Adrian, che ci fai qui?”

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Capitolo 13
*** 13 Adrian ***


13 Adrian

 

 

Mi gira la testa e tutto quello che ho messo nello stomaco nelle ultime quattro ore sta pensando di tornare su, ma non per questo ho intenzione di desistere.

So che non dovrei essere qui, non so nemmeno come ci sono arrivato, se ho preso la macchina o se mi hanno caricato su un taxi dopo aver finito di scolare quel po’ di tequila che ancora avevo nel bicchiere.

Bere a stomaco vuoto non è stata una buona idea, ma prima di entrare nello streep club non mi sono di certo fermato a comprare da mangiare e lì non servono altro che patatine mollicce e salatissime che servono solo per invogliarti a consumare sempre più cocktail.

Ci sono andato non appena rientrato in città. Volevo ubriacarmi e godermi lo spettacolo di splendide ragazze seminude disposte a tutto per un paio di banconote.

Avevo bisogno di tornare nel mio mondo, di riprendere coscienza con la realtà, dopo il tuffo di testa appena fatto dalla scogliera del mondo incantato di Chelsea.

Avevo bisogno di tornare ad essere me stesso e per un po’ ha funzionato.

È stato tutto perfetto fino a quando una bella ragazza bruna, con indosso una specie di divisa succinta da ragazza pon pon non ha cercato di sedurmi.

Normalmente non mi sarei fatto pregare.

Avrei lasciato che mi accompagnasse nel privè, lontano dagli occhi indiscreti del suo capo, che per una parte del guadagno fa finta di non sapere che le sue ragazze fanno le puttane, e avrei lasciato che allontanasse il fastidioso fantasma di una ragazza dagli occhi violetti.

Eppure quando quella ha detto: “Scommetto che c’è più di quel che sembra!”, e n quel momento mi è sembrato di trovarmi davanti un’altra persona e, nonostante morissi dalla voglia di lasciare che quelle belle labbra rosse si avvolgessero attorno al mio uccello, l’ho allontanata, disgustato da me stesso per aver anche solo immaginato Chelsea al suo posto, china tra le mie gambe.

Mi si è ficcata in testa e non riesco a liberarmene.

Mi sono censurato, ho evitato di dire parolacce in sua presenza per non offendere le sue innocenti orecchie, ma così facendo non ho fatto altro che darle attenzioni che non merita.

Sono stato io a darle il potere di entrarmi nella testa e ora me ne devo liberare.

Per questo sono qui, per dirle una volta per tutte di lasciarmi in pace, che se non la smetterà di fare la crocerossina con me, finirà per farsi del male.

Forse dirglielo mentre ho in corpo tanta Tequila quanto sangue nelle vene non è una buona idea, ma non posso aspettare a domani.

Voglio dormire senza avere l’incubo che possa continuare a perseguitarmi.

In qualche modo mi sono ritrovato di fronte al locale, con indosso gli stessi abiti di stamattina e senza sentire nemmeno un po’ del freddo che mi circonda.

Aaron, il buttafuori, non ha voluto farmi entrare.

“Amico, dove pensi di andare? Sei ubriaco!”

Mi è sembrato più freddo del normale, ma non ci ho dato peso, perché sicuramente è stata un’illusione dettata dall’alcool.

“Devo parlare con Chelsea!”

Le parole sono uscite un po’ strascicate, ma lui ha compreso benissimo e ha scosso la testa.

“In queste condizioni non vai da nessuna parte. Lascia perdere e torna a casa e, per l’amor del cielo, prendi un taxi!”

Il suo rifiuto mi ha fatto imbestialire.

Con che diritto mi privava della possibilità di riacquistare la mia sanità mentale?

Sono avanzato fino a trovarmi faccia a faccia con lui, che ha mantenuto un atteggiamento impassibile che mi ha fatto incazzare ancora di più.

“Se non ti togli immediatamente dai coglioni, ti sposterò con la forza!”

Lui è scoppiato a ridere.

“Ma se a malapena ti reggi sulle gambe. Finiresti con il culo in terra senza nemmeno accorgertene. Risparmiati un umiliazione e vai a casa.”

“io non vado da nessuna parte se prima non parlo con lei. Quindi, o ti togli e mi lasci entrare, oppure fai venire lei qui fuori. A te la scelta!”

In qualche modo sapevo che aveva ragione e che, se solo avessi provato a mettergli le mani addosso, me le avrebbe suonate di santa ragione.

Sono troppo ubriaco per pensare di vincere una scazzottata.

“Va bene, ma se non vuole uscire te ne torni a casa, sono stato chiaro? Anche se non è una cameriera e si può dire che io e te siamo quasi amici, se non vuole vederti, non ti permetterò si romperle le scatole!”

Mi sono limitato ad annuire e l’ho osservato dire qualcosa all’auricolare, dopo di che mi ha detto di aspettare.

Eppure io non sono un tipo paziente, per questo i pochi minuti che ci sono voluti perché lei uscisse mi sono sembrati eterni.

Purtroppo non è sola come avevo sperato e a tallonarla c’è quella spina nel fianco di Meredith, che a quanto pare si sta riprendendo alla grande da quando ha sganciato la bomba a suo fratello.

Quel povero disgraziato era così confuso e disperato che si è ridotto a chiamare me per avere un consiglio.

Ovviamente non potevo dirgli che sapevo benissimo che sua sorella erano mesi che se la spassava con Logan, per cui mi sono limitato a dirgli di lasciarle fare quello che voleva.

Non sono così stupido da dirgli che sapevo ogni cosa. Avrebbe provato a darmele per aver mantenuto il segreto e non avergli detto nulla.

“Ti devo parlare.”

Ignoro deliberatamente la rossa e mi concentro solo sulla ragazza perplessa davanti a me, ancora dietro la protezione di Aaron.

Prima che lei riesca solo anche ad aprire bocca, interviene Meredith, che mi rivolge una di quelle occhiate che potrebbero assassinarti all’istante.

“Cosa vuoi da lei? Lasciala in pace e tornatene a casa, oppure vai da qualche sgualdrina, ma stai lontano da Chelsea!”

Vorrei dirle che mi sta scocciando, che oggi non ho abbastanza pazienza per sopportarla, ma in mia difesa interviene proprio Chelsea, sebbene con i suoi soliti modi pacati ed ingenui.

“Dai, Meredith, lascialo stare. Non è poi così male. Ci parlo due minuti e poi andiamo, okay?”

L’interlocutrice scuote la testa.

“Non ti lascerò da sola con quel tipo. Non se ne parla nemmeno. Tu non hai idea di che tipo di persona sia.”

Incredibilmente l’espressione di Chelsea si indurisce.

“Meredith, so esattamene chi lui sia, non sono una bambina. Inoltre ti ricordo che in precedenza mi ha aiutata. Fidati di me, so quello che faccio. Resta qui, torno subito.”

Detto ciò scivola fuori dalla porta, superando elegantemente Aaron e mi raggiunge.

“Vieni, spostiamoci.”

Faccio per seguirla, ma l’espressione del viso di Meredith mi fa temporeggiare.

Per qualche motivo mi diverto a farla incavolare, per cui, incurante della mia stessa incolumità, le faccio uno dei miei sorrisetti diabolici e lei reagisce stringendo gli occhi a fessura e mandando lampi.

Trattenendo a malapena una risata, raggiungo Chelsea che si sta dirigendo verso il vicolo con la telecamera.

Come volevasi dimostrare, è ingenua ma non stupida.

“Che cosa c’è adesso, Adrian? Hai dimenticato di dirmi qualcosa stamattina?”

La sua perspicacia e il modo in cui va direttamente al punto mi prendono alla sprovvista e ci metto qualche secondo a registrare le sue parole.

Mi sento la testa come se fosse dentro una bolla, però so perché sono qui.

“Devi lasciarmi in pace!”

Lei aggrotta le sopracciglia.

“Non sono venuta io a cercarti. Quanto hai bevuto?”

Ignoro la sua domanda e cerco di esporre il dialogo interiore che mi sono ripetuto da quando la mia piccola bolla di perversione è scoppiata.

“Devi smetterla di infilarti nella mia testa e dirmi cosa sono o chi sono.  Non ti permetterò ancora di sconvolgere la mia vita!”

Lei scoppia a ridere.

“Ma che cosa stai dicendo? Davvero, Adrian, vai a casa, fatti una bella dormita e ne riparliamo un’altra volta. In questo momento sei molto confuso.”

Perché non capisce? Eppure è così semplice.

“Devi uscire dalla mia testa!”

La osservo inarcare un sopracciglio e stringersi nelle braccia per ripararsi dal freddo. Ancora una volta non indossa la giacca e mi chiedo quanto tempo passerà prima che si prenda l’influenza se continua ad andare in giro semplicemente con una maglietta leggera quando ci sono zero gradi.

Abbasso lo sguardo verso il giubbotto che tengo sotto braccio e che non ho più messo a quando ho iniziato a bere.

È completamente inutile così.

Prima che possa anche solo pensare di prestarglielo, il giubbotto mi viene sfilato di mano.

La osservo aprirlo, osservandolo con attenzione e distolgo lo sguardo. Per qualche motivo mi da fastidio che lei possa indossarlo, ma allo stesso tempo è meglio che lo usi, invece che lasciarlo inutilizzato.

Il mio campo visivo viene improvvisamente oscurato  e sento qualcosa appoggiarsi sulle mie spalle.

Giro la testa e mi trovo faccia a faccia con Chelsea, a pochi centimetri di distanza e che quasi ha le braccia intorno al mio collo.

Ci metto qualche secondo a capire che cosa sia successo.

“Finirai per ammalarti. Coraggio, ti metto su un taxi. Hai avuto una giornata difficile!”

Rimango fermo ad osservarla mentre con attenzione mi sistema la giacca sulle spalle. Le sue mani mi sfiorano gentilmente le spalle.

“Ho la macchina!”

Glielo dico, anche se non ne sono molto sicuro. È vero, stringo nel pugno la chiave, ma non sono sicuro sia qui o ancora di fronte allo streep club. So solo che non voglio andare a casa.

L’appartamento è più vuoto che pieno da quando Dave ha iniziato a frequentare l’accademia di Denver per entrare nelle forze di polizia.

Ventisei settimane di allenamento fisico, psicologico e non so che altro.

Quindi non voglio tornare a casa, in quella solitudine soffocante.

“Non ti permetterò di metterti al volante. Non voglio averti sulla coscienza!”

“Non prenderò un taxi!”

Non voglio, assolutamente no.

“Adrian, non essere irragionevole. Ti reggi a malapena in piedi e sono sue minuti che barcolli, non puoi guidare e hai bisogno di farti una bella dormita.”

L’espressione determinata del suo viso quasi mi fanno capitolare, ma per qualche motivo è la rabbia a riversarsi fuori.

“Perché non riesci a lasciarmi in pace? Non ti è bastato quello che è successo stamattina? Non sono una brava persona e, se me ne darai l’opportunità, non esiterò a fare anche di peggio, perché non sono quello che tu credi. Ho fatto cose orribili di cui non mi vergogno affatto, quindi lascia perdere.”

Invece che scappare e lasciarmi al mio destino, lei semplicemente sorride, sollevando le spalle con noncuranza.

“Forse hai ragione, ma non è tutto qui. Non sei quello che fai e, anche se non lo sai, dentro di te c’è una parte buona, che sa cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non mi farai del male, Adrian, di sicuro non adesso, quindi muoviti. Anche se non vuoi prendere un taxi, non ti permetterò di prendere la macchina per schiantarti contro un palo appena svoltato l’angolo. Ti accompagno io!”

Mi fa girare con decisione ed inizia a spingermi nuovamente verso il locale.

La pressione delle sue mani sulla mia schiena è delicata, ma allo stesso tempo estremamente persuasiva.

“Qualsiasi cosa io dica, sarà inutile, non è vero?”

La sento ridacchiare alle mie spalle.

“Assolutamente si, quindi lasciami fare, okay? Domani mi ringrazierai!”

Non era quello che intendevo, ma evito di ribattere, perché il movimento oscillatorio della camminata mi sta di nuovo dando la nausea che, fino a questo momento ho tenuto a bada senza troppi sforzi.

Cerco in tutti i modi di incamerare aria per non vomitare.

L’ultima cosa che posso permettermi in questo momento è far vedere in che condizioni pietose mi trovo.

Ho gli occhi gonfi, e sicuramente rossi, come se fossi settantadue ore senza dormire.

Arriviamo in fretta davanti al locale e Aaron mi sta guardando storto e stavolta non è la mia immaginazione, ne sono sicuro.

“Aspettami qui. Ci metto solo un paio di minuti!”

La osservo sparire all’interno e, se anche pensavo di darmi alla fuga, lei me lo rende impossibile.

Prima ancora di rendermene conto, mi ha sottratto le chiavi della macchina, rendendomi così impossibile evitarla.

“Assicurati che non si muova da qui, per favore.”

Sparisce dietro la porta di metallo prima che possa formulare una sola frase e Meredith, dopo avermi fulminato nuovamente con lo sguardo, la segue.

Non so cosa succederà tra quelle due, ma ho idea che Meredith non sarà molto d’accordo con la decisione della sua amica di fare, ancora una volta, la buona samaritana.

Per tutto il tempo, Aaron si limita a tenermi d’occhio, irradiando disapprovazione da ogni poro, ad ogni respiro.

Chelsea mi raggiunge in pochi minuti, ha l’espressione vagamente contrariata e d Meredith non c’è traccia, ma quando parla è estremamente tranquilla.

“Grazie Aaron, ci vediamo domani!”

Mi prende per il gomito e mi guida fino ad una comunissima auto dal colore indefinito grazie al colore aranciato della luce dei lampioni.

“Coraggio, sali.”

Mentre lei si mette comoda sul sedile, faccio il giro  e mi metto al posto del passeggero.

Nonostante all’apparenza le sue dimensioni siano ridotte, l’abitacolo è piuttosto spazioso e riesco a starci senza troppi problemi.

L’interno è immacolato e si respira un delicatissimo profumo, molto adatto a Chelsea

Le do l’indirizzo e mi metto comodo, respirando a fondo.

“Allacciati la cintura e cerca di non vomitare. Sei quasi del colore della macchina.”

Non capisco il riferimento al colore, ma su una cosa ha ragione: Se non mi concentro, potrei veramente vomitare e non sarebbe uno spettacolo gradevole.

Almeno questo posso evitarglielo.

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Capitolo 14
*** 14 Chelsea ***


14 Chelsea

 

 

Sono psicologicamente esausta. È stata la giornata più interminabile della mia vita e sono a malapena le dieci di sera.

Non vedo l’ora di tornare al mio dormitorio, al piacevole e familiare confort che la mia stanza mi da.

Mi sono appena resa conto che è la prima volta che mi trovo da sola, in una casa, con un uomo.

Non che Adria sia pericoloso, per carità, ma è una cosa che mi lascia piuttosto perplessa.

Ammetto che all’inizio, quando l’ho visto in quelle condizioni, a malapena in grado di rimanere fermo sulle sue stesse gambe, mi sono sentita intimorita.

Lui è grande e grosso e, l’ultima volta che ho avuto a che fare con qualcuno che aveva alzato troppo il gomito, è stato un disastro di cui porto ancora i segni, sebbene solo nell’anima e nel cuore.

Nonostante ciò, non c’è stato nemmeno un secondo dove io abbia pensato che lui potesse essere una bestia violenta come mio padre. Certo, sul suo conto mi sono sbagliata e lo conoscevo da tutta una vita, ma Adrian non è così.

Probabilmente nella sua vita ha sofferto molto, più di quanto chiunque meriterebbe, ed è per questo che ora si comporta così, che tiene tutti alla larga.

Nella parrocchia ho visto tanti ragazzi allo sbando, giovani che avevano sofferto enormemente e che reagivano come animali feriti che mordevano la mano che dava loro da mangiare.

Per anni ho lasciato che mi buttassero addosso il loro disprezzo, la loro rabbia, perché era evidente che nessuno di loro aveva altro modo per sfogarsi. Con il passare del tempo, più che un sacco da box, sono diventata un’amica, una confidente. Nel mio piccolo, e con tanta pazienza, li ho aiutati a riprendersi la loro vita.

Adrian, anche se anagraficamente è più grande, è rimasto ancora un adolescente ribelle e arrabbiato con il mondo intero.

Non so cosa sia successo, ma nessuno diventa una roccia indistruttibile se non si deve difendere da qualcosa.

So bene cosa gli sta succedendo ora. Non sono una psicologa, è vero, ma l’ho visto capitare tante volte.

Chi è abituato ad essere rifiutato, non si fida di coloro che spontaneamente danno loro fiducia e supporto, lo vedono come un mezzo per ingannarli, per renderli vulnerabili e poi tornare a ferirli. Non si fidano davvero di nessuno e sono sempre pronti a fare un passo indietro.

Mio padre non voleva che avessi a che fare con quei ragazzi. Diceva che non era compito di una donna riportarli sulla retta via, che spettava a lui occuparsi di quei poveri sbandati.

Allora mi sembrava un valido ragionamento, sebbene fossi determinata a non abbandonarli. Ora mi chiedo se, il reale motivo, non fosse un altro. Dopotutto sono pochi i “bianchi” che pratico l’anglicanesimo e buona parte della nostra parrocchia era composta da uomini e donne di colore, provenienti originalmente dall’Africa. Quindi ora, dopo tutto quello che è successo, mi sembra logico chiedermi se il reale motivo della sua ostinazione non fosse  in verità dovuta ad un certo tipo di razzismo.

Nel caso di Adrian, però, è tutto molto diverso e, forse, addirittura più complicato. Posso combattere contro un adolescente ribelle, con molti adolescenti, ragazze e ragazzi spaesati e additati da tutti, ma contro un adulto con la sindrome da Peter Pan non lo so, anche se voglio provarci.

Non voglio abbandonarlo a se stesso e, dopo quello che mi ha detto, mentre lo infilavo sotto le coperte, come se fossi sua madre, sono ancora più determinata a non arrendermi.

Può sputarmi addosso tutto il suo disprezzo, dirmi ancora che sono una stupida, ma ciò non mi farà desistere, perché, non appena abbassa un po’ la guardia, si può intravedere qualcosa di davvero bello.

Ovviamente per arrivare fino a questo punto ho dovuto, letteralmente, sudare.

Adrian non voleva saperne di uscire dalla mia macchina, che più i minuti passavano, più accumulava odore di alcool.

Solo nell’ambiente ristretto della mia micra mi sono resa conto che aveva attorno un fastidiosissimo e irrespirabile odore

Con enormi difficoltà sono riuscita a farlo uscire dalla macchina, visto che, nonostante i venti minuti scarsi di auto, si è praticamente addormentato sul sedile.

Non mi ero resa conto che fosse così imponente fino a quando non l’ho visto occupare buona parte dello spazio anteriore della macchina.

Alla fine, dopo averlo scosso, sono riuscita a svegliarlo e a farlo uscire dalla macchina. Voleva a tutti i costi prendere l’ascensore, ma il colorito del suo viso mi è sembrato esageratamente verdognolo per qualcosa in grado di nausearti anche quando sei sobrio.

Così abbiamo percorso un infinità di rampe di scale fino a quando non si è fermato davanti ad una porta. Ha frugato un bel po’ nelle tasche prima di riuscire  a trovare il mazzo di chiavi, ma gliele ho prese di mano prima ancora che riuscisse a provare ad aprire le serrature.

Come buona parte delle case, c’erano due serratura. Una classica e una antisfondamento.

Le ho aperte entrambe mentre Adrian sembrava sul punto di accasciarsi in terra, scivolando lungo la parete.

“Ohi, sveglia. Se finisci sul pavimento non riuscirò a farti rialzare.”

In qualche modo è riuscito a rimanere in piedi, ma ha barcollato per tutto l’ingresso e il corridoio sulla sinistra. C’è mancato poco che finisse contro il tavolo quadrato con le quattro sedie standard prima che riuscisse ad imboccare il corridoio.

È crollato di faccia sul letto prima ancora che io riuscissi ad accendere la luce.

Ho fatto moltissima fatica per convincerlo a spostarsi verso l’alto in modo da poterlo coprire con le coperte. Nonostante il letto matrimoniale, Adrian è così imponente da occuparne più di metà senza fatica.

Gli ho sfilato le scarpe e per fortuna non gli puzzavano i piedi, dopo di che l’ho tirato per un braccio, fino a fargli raggiungere il cuscino.

Una volta sotto le coperte, ha aperto gli occhi e mi ha fissata per alcuni brevissimi istanti mentre grondavo sudore dalla fronte.

“Non lasciarmi da solo!”

Dopo di che ha abbracciato il cuscino come se fosse un ancora di salvezza ed è crollato.

La piccola debolezza che mi ha mostrato ha reso tutto molto più sopportabile. La fatica, la stanchezza, tutto ha avuto più senso.

Non è molto, ma è una minuscola apertura.

Certo, domani potrebbe essere punto e a capo, ma sapere che c’è, che la sua armatura ha un’incrinatura del genere rende tutto molto più fattibile.

Ora però non so cosa fare.

Sono qui da sola, nel suo appartamento e non so che fare. Certo, mi ha chiesto di rimanere, ma non sono sicura sia una buona idea.

Voglio tornare nella mia stanza e andare a dormire.

Sono così stanca che mi bruciano gli occhi.

Un leggero bussare alla porta mi fa sobbalzare. Ho il cuore che batte a mille.

Faccio i pochi passi che mi separano dalla porta, ma prima di aprire la porta guardo dallo spioncino.

“Josh, come mai sei qui?”

Lui non risponde alla mia domanda, ma entra velocemente, poggiandomi le mani sulle spalle. Ha un espressione preoccupata sul viso, gli occhi azzurri spalancati, come alla ricerca di qualcosa mentre mi osserva con attenzione.

“Ti ha fatto del male?”

La sua domanda mi prende alla sprovvista, tanto che mi allontano di botto da lui.

Santo cielo, perché tutti pensano che sia un mostro?

“Mio Dio, certo che no. Ma come ti vengono in mente certe idee?”

L’espressione si ammorbidisce un po’, ma non abbastanza. È ancora guardingo, come se dovesse affrontare una battaglia da un momento all’altro.

“Dov’è?”

Non è per nulla difficile capire di chi sta parlando.

“Lascialo stare. È fuori combattimento e l’ho messo a letto!”

Lui sbatte le palpebre un paio di volte, stupefatto.

“Lo hai messo a letto?”

Annuisco, perché non capisco cosa ci sia di strano.

“Sì, e quindi? Cosa c’è di strano? Avrei dovuto permettergli di accasciarsi di fronte alla porta d’ingresso, oppure lasciare che  si prendesse l’influenza per aver dormito al freddo?”

Lui solleva le mani in segno di resa e scuote la testa.

“Non è assolutamente quello che intendevo. È solo strano perché lo conosco bene!”

Sento la rabbia montare.

“Ma perché accidenti tutti quanti lo trattate come se fosse un mostro?”

Mi piacerebbe alzare la voce, sfogare la frustrazione che sento, perché mi da davvero fastidio che continuino a parlare di lui come se quasi non fosse un essere umano.

Josh dovrebbe essere suo amico, perché non riesce a vedere oltre?

“Lo conosco bene, Chelsea. È fatto così!”

“Ti sbagli!”

Lui scuote la testa, scoraggiato.

“Chelsea, per favore, non ne vale la pensa. Nonostante l’affetto sincero che nutro nei suoi confronti, sono abbastanza obiettivo da vedere che non è un santo. Non è un bravo ragazzo e non è nemmeno quello cattivo da salvare da se stesso. Ho smesso tempo fa di cercare di capire che cosa gli frulli per la testa e perché si comporti in certi modi. Non perdere tempo con una causa persa, ti farai solo del male!”

Le sue parole pacate sono come una pugnalata.

Io davvero non capisco. Come si può essere così ottusi e non vedere ciò che è davanti agli occhi, semplicemente nascosto molto bene?

“Hai ragione. Non va salvato solo da se stesso, ma principalmente dalle persone che dovrebbero volergli bene e cercare di capire che non è tutto come sembra. Da quelli che invece di giudicarlo, dovrebbero dargli un minimo di fiducia. Ecco da chi deve essere salvato. Da tutte quelle persone che sono riuscite a fargli credere di non essere quasi più un essere umano.”

Lui rimane in silenzio, allibito, completamente senza parole.

“Chelsea, io…”

Sollevo una mano e mi rendo conto che trema, che il mio intero corpo sta tremando a causa della rabbia repressa.

“Ti prego, lascia stare. Non voglio parlarne oltre. Tanto non capiresti.”

Cerco di ritrovare la calma, ma è molto difficile riuscire a distaccarmi dall’argomento che inizia a starmi sempre più a cuore.

“Ora vuoi dirmi perché sei qui?”

Si gratta la nuca per nascondere il disagio, ma prima ancora che possa parlare, io ho già capito.

“Ti ha chiamato Meredith, non è vero?”

Distoglie lo sguardo, forse alla ricerca di una possibile scusa, ma alla fine si limita ad annuire.

“Proprio non riesce a fidarsi di me. Proprio oggi doveva decidere di volersi comportare come un amica.”

Rimango inorridita dalle mie stesse parole un secondo dopo avere pronunciate.

Perché ho detto e pensato una cosa del genere? Perché non riesco a smetterla di portare rancore per quello che è successo questi mesi?

È ovvio che si preoccupi, lo sapevo che era contraria, che non voleva che mi occupassi di Adrian, quindi perché mi stupisco e questa cosa mi fa così rabbia?

“Non lo ha fatto con cattive intenzioni. Era solo preoccupata che ti potesse accadere qualcosa.”

“Lo so benissimo, ma sapevo quello che stavo facendo. Non mi farebbe mai del male. Ci sono state tantissime occasioni dove avrebbe potuto, ma non lo ha fatto. Quindi perché è così difficile credere che possa essere una persona perbene?”

La mia voce raggiunge il più alto tono consentitomi prima di rendermi conto che sto urlando.

Mi tappo la bocca, respirando affannosamente e Josh, davanti a me, scuote la testa, facendo ondeggiare i capelli biondi più lunghi sul davanti.

“Sei stanca, vai a riposare. Rimango io.”

Vorrei rifiutare, vorrei dirgli di andarsene, di smetterla di accusare Adrian per cose che non ha fatto, ma lui ha molti più diritti di me di essere qui.

Adrian non mi vuole in mezzo ai piedi, è stato molto chiaro oggi e, anche se credo in ogni parola che ho detto, non credo che, da sobrio, sarebbe molto felice di vedermi nei suoi spazi privati.

Recupero la borsa e la giacca, appoggiati sull’immacolata penisola della cucina e supero Josh senza una parola.

Voglio mettermi alle spalle questa giornata, cancellare il ricordo di ciò che è successo e nascondermi di nuovo nel sonno.

So bene che non funzionerà, ma almeno per un paio di ore, voglio liberarmi di qualsiasi pensiero.

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Capitolo 15
*** 15 Adrian ***


15 Adrian

 

 

 

Non riesco a respirare.

Nella vorticosa nebbia che mi avvolge, mi manca l’aria.

Vorrei muovermi, ma il mio tesso corpo non risponde. È come se fossi paralizzato.

Sono a pancia in giù, credo di avere la braccia bloccate lungo i fianchi e, nel buio della mia stessa stanza, non vedo assolutamente nulla nonostante tenga gli occhi bene aperti.

Non sono solo nella stanza. C’è qualcosa sulla porta, so che è lì.

Provo a non farmi prendere dal panico, ma sono indifeso e chiunque sia, vuole farmi del male.

Ad un certo punto il mondo si rovescia e spalanco gli occhi.

“Porca puttana, svegliati, imbecille! Sei così ubriaco da morire soffocato?”

Mi tiro a sedere di botto, respirando con affanno e mi guardo attorno alla ricerca di un nemico.

La mia stanza è come sempre: incasinata, ma vuota, a parte Josh con la faccia stravolta, in piedi alla mia destra.

Non c’è nessuno sulla porta alle sue spalle e, grazie alla luce accesa del corridoio, posso intravedere la cornice dell’orribile quadro che ha comprato Dave ad un mercatino di Natale.

Ci metto alcuni secondi a riprendermi e capire che, molto probabilmente, il mio è stato solo un incubo dettato dall’alcool, per quanto reale mi sia sembrato.

Il panico scivola via lentamente e mi lascio ricadere sui cuscini e mi copro gli occhi con un braccio.

La luce brucia e, a ben pensarci, ho la testa pesante come se mi avessero dato una martellata.

“Cosa ci fai qui?”

Decisamente una bella domanda.

Ricordo abbastanza chiaramente di essere salito sulla macchina di Chelsea e che ad un certo punto ho chiuso gli occhi per combattere la nausea. Da quel momento in poi è tutto piuttosto confuso.

Non ricordo di essere sceso dalla macchina, ma solo un infinità di scalini. Credo di essere riuscito a prendere le chiavi dalla tasca del giubbotto, ma non di sono stato io ad aprire la porta d’ingresso.

Quindi come sono arrivato nel mio letto, senza scarpe ai piedi, e come ha fatto Josh ad entrare?

“Meredith mi ha chiamato dopo che Chelsea ti ha portato via e mi sono fiondato qui per assicurarmi che non facessi qualche cazzata. Immagina la mia sorpresa nel sapere che semplicemente te ne sei andato a letto e non ti sei approfittato della situazione! È stata lei a farmi entrare dopo che sei crollato.”

Josh ha ragione. È davvero una sorpresa.

A ben pensarci, sarebbe stato il momento ideale per mostrarle chi sono davvero. Non avevo nessun freno inibitore, tanto che non ricordo nemmeno che mi abbia accompagnato fino al mio appartamento o che ci abbia messo piede. Eppure non è successo nulla. Non le ho messo le mani addosso, perché altrimenti a quest’ora avrei la faccia in fiamme.

Mi tolgo il braccio dalla faccia e guardo l’orologio. Sono quasi le sei del mattino.

“Perché sei ancora qui?”

Lo osservo passarsi una mano sulla faccia e poi tra i capelli, come se stesse cercando di svegliarsi.

“Perché sono tuo amico e perché qualcuno mi ha ricordato che alle volte non sono il massimo. Non potevo andarmene. Lei non se ne sarebbe andata ed era meglio che ci fossi io una volta ti fossi svegliato. Alle volte sai essere una spina nel culo quando ti svegli con la luna storta.”

Mi viene da ridere, ma non sono sicuro sia una buona idea. Pian piano, la testa pulsa sempre più forte.

“Vero!”

Ed è decisamente un sollievo sapere che lei non è in casa mia. Un po’ perché sono sicuro che mi sentirei a disagio se al posto di Josh ci fosse lei, magari con i capelli spettinati e gli occhi così particolari arrossati dalla stanchezza.

Un po’, perché è decisamente imbarazzante che mi abbia vinto in quelle condizioni. È stato decisamente un errore andare a cercarla, ma è stato più forte di me.: Dovevo dirle quello che pensavo.

Che poi ora mi sembrino solo un mucchio di fesserie è un altro discorso.

Come accidenti ho potuto dirle di smetterla di entrare nella mia testa?

Ero davvero troppo ubriaco per fare un discorso sensato.

Tuttavia le sono grato. Probabilmente, se mi fossi messo al volante, avrei avuto un incidente e, forse, non sarei vivo. Di sicuro non sarei nel mio letto con i postumi della sbronza peggiore che mi sia mai preso.

“Perché sei andato da lei?”

La domanda ha un senso, ma non capisco quale. Sono ancora troppo intontito dall’alcool e dal sonno.

“Come?”

Mi metto le mani sulla faccia e mi scappa un gemito quando una stilettata di dolore mi attraversa la testa,  fermandosi dietro il mio occhio sinistro.

“Perché ti sei ubriacato e sei andato al pub? Non ti abbiamo visto per giorni e pensavo stessi cercando di evitarla.”

In un altro momento avrei negato, ma ho la testa così confusa che le parole mi scappano di bocca senza che ne abbia controllo.

“Infatti è così. Sono una minaccia per chiunque, indistintamente. Eppure lei è convinta di potermi salvare da me stesso e non posso lasciarglielo fare, perché sarebbe così facile approfittarmi della sua ingenuità, della sua gentilezza. Al contrario di altre donne, non merita una punizione, di raccogliere ciò che ha seminato, per cui volevo solo dirle di starmi alla larga, di smetterla di trattarmi come se fossi solo un bambino capriccioso. Di uscire dalla mia testa e smetterla di immischiarsi in cose che non le competono. Eppure, invece di ascoltarmi, ancora una volta ha fatto di testa sua ed è riuscita a farmi fare quello che ha voluto. È così fastidioso, così frustrante.”

Non mi sono mai confidato con Josh, ad essere sincero non ho mai raccontato a nessuno quello che ho passato quando ero più giovane, ma se c’è qualcuno che mi può capire e non guardarmi con pietà, quello è Josh.

Per certi versi è cresciuto in una famiglia molto simile alla mia, se di famiglia possiamo parlare.

Genitori ricchi e senza un minimo di considerazione per i figli, da cui hanno solo saputo pretendere.

Da un certo punto di vista, a Josh ha rischiato di andare peggio. È stato molto fortunato a non finire nella trappola dei suoi e rimanere invischiato in una brutta storia di denaro riciclato.

Josh sogghigna e si siede sul letto.

“Le donne sanno essere una vera spina nel fianco, ma inizio a credere che forse, e dico solo forse, potrebbe non sbagliarsi del tutto.”

Rimango impietrito dalle sue parole e lo osservo. Probabilmente ho gli occhi spalancati dall’incredulità perché lui ridacchia nuovamente.

“Di che accidenti parli?”

Lui si passa nuovamente la mano tra i capelli, alla ricerca di una risposta sensata.

“Quando sono arrivato, la prima cosa che ho fatto, è stata chiederle se le avevi fatto qualcosa. Non credo sia stato per cattiveria nei tuoi confronti, ma perché ti conosco da diversi anni e ho visto come ti comporti con le donne. Hai qualcosa che le spinge a fare tutto ciò che vuoi, ma con lei non lo hai fatto, non hai agito come al tuo solito e, in un primo momento, questo mi ha spiazzato. Ho a malapena chiuso occhio stanotte, intento  com’ero a riflettere su tutta la situazione.”

Le sue parole non mi offendono. Dopotutto è assolutamente vero. Sono un bravissimo manipolatore.

“Eppure, con lei non ti sei mai comportato così. Sarebbe stata la preda perfetta, eppure non hai mai fatto niente. I pensieri li hai, li ho letti sulla tua faccia quella sera al Blue Moon, ma è come se stessi lottando con te stesso per soffocarli. Mi chiedevo perché lo facessi, perché ti sforzassi così tanto di andare contro la tua stessa natura e ora tu stesso mi hai dato la risposta.”

Non è esattamente vero. Io mi sono approfittato di un suo momento di debolezza per fare qualcosa di assolutamente sbagliato, anche se lei non l’ha mai vista sotto questo punto di vista.

Sentire questa specie di elogio, da parte di una persona che considero alla stregua di un fratello, brucia, perche non è per nulla meritato.

Eppure, non posso dirgli nulla, non posso levarmi questo peso di dosso, questa specie di macchia.

Quindi rimango semplicemente zitto, cercando di capire quanto bastardo sono, mentre lui continua a tessere lodi.

“Sei un bastardo, Adrian, lo abbiamo sempre saputo, ma hai più principi di quanto credi. Chelsea mi ha rimproverato. Tra le righe mi ha detto che non sono un buon amico e, probabilmente, ha ragione.  Mi sono reso conto che ti ho accettato per quello che sei, ma non mi sono mai sforzato di capire perché sei così.”

Si ferma di nuovo e scoppia a ridere.

“Per colpa di Kayla sono diventato una femminuccia emotiva, accidenti.”

Ride ancora, quasi come un isterico. Come se quello ad avere i postumi da sbornia non fossi io. Ho come l’impressione che la stanchezza gli stia giocando qualche brutto scherzo ai nervi.

“Kayla si vergognerebbe di me se sapesse che sono stato così superficiale. So tutto di Ryan, di Dave, addirittura di Logan, che conosco da poco più di sei mesi, ma dopo anni, non so praticamente nulla di te. Eravamo tutti così presi dai nostri problemi, che non ci siamo accorti che non ci hai mai parlato della tua infanzia, di come sei cresciuto. Ti sei presentato a noi come l’Adrian McLeor bastardo e non abbiamo chiesto altro, ti abbiamo semplicemente accettato.

Mi vergogno di me stesso. Sono stato davvero un pessimo amico con te, un menefreghista, e sono bastate quattro parole di quella bambolina per farmi mettere tutto in discussione.”

“Perché mi dici tutto questo?”

“Perché alla luce di quello che è successo, inizio a pensare che, forse, potrebbe avere ragione. Non è da “te” questo comportamento. Quando si parla di lei, sei diverso. L’aggressività sparisce, il linguaggio da scaricatore di porto anche. Quando c’è lei di mezzo, quella parte di te così accentuata è come contenuta e inizio a credere che ciò accada per un motivo. Non sto dicendo che sei un santo, per carità, ma è come se cercassi di essere migliore per non ferirla. Non ti ho mai visto così attento a qualcuno. Per anni mi sono abituato a vederti prendere quello che volevi, incurante del resto, e anche se pensavo che alcuni comportamenti fossero sbagliati, li ho sempre giustificati, dicendomi semplicemente: “Lui è fatto così!”, ma è evidente che mi sbagliavo.”

Sono allibito, senza parole. Incredibilmente, anche Josh è stato contagiato dalla stessa positività di Chelsea. È veramente come una fata in grado di buttare incantesimi sulla gente.

“Josh, non dire cavolate. Sai bene che tipo di persona sono. Appunto perché mi conosci da anni, dovresti sapere che non sono un tipo generoso o compassionevole.”

Lui solleva le spalle con noncuranza.

“È vero, ma inizio a pensare che sia stato solo perché avevi a che fare con le persone sbagliate.  Non sto dicendo che sei una persona diversa, ma solo che, forse, con lo stimolo giusto, sai comportarti diversamente. Per come ti conosco, avrò sempre il timore che tu possa ferirla, ma vorrei provare a credere che non sia tutto lì!”

Non capisco. Perché Chelsea gli interessa così tanto? Perché si preoccupa per lei? Non è altro che l’amica di Meredith, che è la sorella di un nostro carissimo amico, è vero, ma non è esattamente parte del nostro gruppo, anche se sembra che tutti l’abbiano accettata a pieno titolo come tale.

“Perché ti preoccupi così tanto?”

Lui sembra preso alla sprovvista dalla mia domanda e ci riflette su per alcuni interminabili secondi.

Il silenzio è davvero assordante.

Per qualche motivo, muoio dalla voglia di sapere cosa lo spinge a preoccuparsi per lei, che praticamente è una sconosciuta.

“Perché per certi versi mi ricorda una mia cara amica, una che non sono riuscito a proteggere.”

Mi guarda e posso leggere nei suoi occhi verdi una profonda tristezza.

“Certo, so che non è nessuno per me, ma da quando sto con Kayla, noto molte più cose che prima non avevano nessuna importanza. Ho scoperto che non sono bravo a voltare le spalle a chi ha bisogno di aiuto e Chelsea ha trascorso le festività natalizie con noi. Kayla si è data un gran da fare per trovarle un lavoro e non posso girarmi dall’altra parte dopo tutto quello che ha fatto!”

“Eh quello che è importante per quella piccola strega è importante per te!”

Fino a ieri questa frase sarebbe suonata sprezzante, ora sembra solo ironica.

Josh sorride, ma arrossisce.

“Non prendermi in giro.”

Scoppio a ridere, perché il suo disagio è divertente.

“Se non ti conoscessi bene, penserei che sei un idiota!”

Lui scoppia a ridere.

“Non pensavo lo avrei mai detto, ma è il tipo di fortuna che augurerei a chiunque. Non è tutto facile o rose e fiori, ma Kayla mi ha dato qualcosa di cui non sapevo nemmeno aver bisogno: la sua fiducia. L’ultima cosa che desidero è deluderla, quindi è automatico cercare di essere migliore di ciò che ero.”

Scuoto la testa, leggermente nauseato, anche se non so che ciò sia dovuto all’eccessiva dolcezza che il mio amico dimostra quando si tratta della sua donna o allo stomaco in subbuglio.

“Sei una femminuccia.”

Lui solleva le spalle e si alza dal letto.

“Forse, ma io ora me ne torno a casa e ho una splendida donna che mi aspetta nel mio letto. Una persona che mi aspetta quando rientro la sera e che non mi ha fatto nessuna storia quando le ho detto che dovevo venire a prenderti a calci nel culo!”

Scoppio a ridere, anche se la mia testa non approva, perché posso ben immaginare la bionda ragazza di Josh che vorrebbe prendermi a calci al suo posto.

Non mi sopporta e ha tutte le ragioni per detestarmi.

Prima di tutto mi sono comportato come un vero pezzo di merda al matrimonio di Ryan, quando lei e Josh si sono uniti a me e Dave per colazione.

L’ho chiamata strega di ghiaccio, ma a mia discolpa non sapevo ancora che ci fosse qualcosa tra lei e Josh. Lei mi ha rimbeccato per bene, gelida e sprezzante proprio come mi aspettavo.

È stato immediato ed istintivo attaccarla. L’atteggiamento di Kayla mi è sempre stato sulle palle. Si è sempre comportata in modo altezzoso, guardando gli altri dall’alto in basso. Proprio il tipico atteggiamento in grado di far venire fuori il peggio di me.

Sono stato un vero bastardo e non ho mai visto Josh così furioso.

Solo successivamente ho scoperto che quella di Kayla era una maschera per tenere alla larga i tipi come me.

Non conosco i dettagli, ma so che ha avuto a che fare con Dawson Steel, un arrogante figlio di puttana della East Coast.

Non ho voluto sapere altro, però si può dire che mi sono abituato al suo atteggiamento che, da quando convive con Josh è diventato molto meno glaciale.

“Immagino che ti ha detto di farmi più male possibile!”

Lui solleva le spalle e si allontana dal letto, fermandosi sulla porta.

“Mi ha detto che se proprio dovevo, almeno avresti dovuto ricordartene. Ti saluto e, amico? Non so se sia una buona idea, ma voglio credere che Chelsea abbia ragione!”

Non riesco a replicare e rimango fermo a fissare l’uscio vuoto fino a quando non sento la porta d’ingresso chiudersi.

Mi lascio ricadere sui cuscini e mi metto a pancia in giù dopo aver spento nuovamente la luce.

Eppure le ultime parole di Josh mi impediscono di riprendere sonno e, invaso da mille pensieri, osservo lentamente i pallidi raggi del sole che sorge, entrare nella mia stanza attraverso la tapparella sollevata.

Piccolo spazio Autore.

Volevo ringraziare tutte le persone che mi stanno seguendo e che dedicano qualche prezioso minuto del loro tempo per scrivermi messaggi o piccole recensioni. Leggo attentamente tutto quello che scrivete e mi emoziono quando vedo che riesco a farvi percepire ciò che sento quando scrivo. Quindi grazie di cuore.
Da oggi proverò a ripredere la stesura costante, quindi con aggiornamenti il Lunedì, il Mercoledì e il Venerdì/Sabato. Mi scuso se ci dovessero essere degli intoppi e l'aggiornamento dovesse saltare, ma lavoro nove ore al giorno e spesso non riesco a trovare proprio il tempo per scrivere e dedicare al capitolo le giuste attenzioni. In ogni caso, grazie per la costanza e per tutto.  kiss kiss.

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Capitolo 16
*** 16 Chelsea ***


16 Chelsea.

 

“Non posso venire. Sono a lavoro!”

Meredith mette il broncio, seduta sul mio letto sfatto, mentre mi preparo per andare a lavoro.

Sono le quattro del pomeriggio di un lunedì davvero disastroso.

Questa mattina ho avuto un esame, che ho superato per il rotto della cuffia, mi sono rovesciata il caffè addosso mentre andavo via dalla caffetteria del locale e mi sono provocata una bella ustione sulla mano.

Di certo non sono sell’umore adatto per incasinarmi la vita e partecipare ad una festa di compleanno.

“Ma ho bisogno che tu sia lì. Sarà la prima uscita ufficiale mia e di Logan e voglio che tu lo conosca. Ti ho fatto un torto enorme quando mi sono tenuta tutto per me e ora è giusto che tu lo conosca. Inoltre ci sarà quel testone di mio fratello che, senza Bianca al suo fianco a tenerlo a freno, potrebbe comportarsi da idiota. Nessuno si comporterebbe male con te nei paraggi!”

Sollevo gli occhi al cielo, perché è l’ennesima volta che sento questa frase.

“Meredith, io non spingo la gente a comportarsi meglio. Lo fanno senza che io debba fare nulla!”

Incrocio le braccia sotto il petto mentre lei torna a scuotere il capo.

“Non è vero. Il tuo è un dono naturale. Basta la tua sola presenza per far rigare dritto chiunque!”

“Ma la spetti con questa storia? Non ho poteri magici. Rispettano semplicemente il fatto che sia cresciuta in un ambiente religioso e morigerato, per quanto con tutte le parolacce che dice Theo ogni volta che si brucia, cosa che capita almeno una volta al giorno, ormai mi sono abituata.”

“Non sono le parolacce il problema. Il fatto è che non voglio che Ryan inizi a lanciare frecciatine contro  Logan!”

“Ah, quindi io dovrei fare da cuscinetto? Ma scusa, le cose tra te, Logan e tuo fratello non si erano sistemate?”

Lei allunga le gambe e le fa dondolare leggermente.

“Sì, certo, ci siamo chiariti. Ma ho paura che possa ricadere nelle cattive abitudine. Ti prego, Chels. Dai, vieni!”

Mi appoggio contro la scrivania e cerco di rimanere il più impassibile possibile mentre lei mi fissa con quegli incredibili occhi verdi pieni di speranza.

“Ti rendi conto vero che quello che mi chiedi non è per nulla carino?”

Lei sorride perché probabilmente vede che sto per cedere e si mette a sedere composta poggiando i gomiti sulle ginocchia.

“D’accordo, non volevo arrivare a questo, ma visto che mi costringi… è il compleanno di Adrian!”

Per un momento rimango in silenzio, mentre la mia mente ritorna all’ultima volta che l’ho visto. Respingo con forza il pensiero e cerco di tenere testa a Meredith, per quanto non sia facile, ora che sta pian piano tornando la ragazza di prima.

Certo, ora il suo intero mondo gravita attorno a Logan e al recuperare il tempo perso a causa della relazione segreta che avevano da Settembre, ma sta anche cercando di recuperare il nostro rapporto che, dopo come si è comportata a causa di Adrian, era di  nuovo ai ferri corti.

“Non cambia il fatto che io sia a lavoro per tutta la sera e che non ho nessuna voglia di cambiarmi e raggiungervi in chissà quale locale, dove ci sarà una musica che non mi piace. Luogo dove, probabilmente, finirò per sentirmi a disagio per buona parte del tempo. Mi dispiace, Meredith, ma la mia risposta rimane no! È stata davvero una brutta giornata e non vedo l’ora di buttarmi su quel letto, dove sei così comodamente seduta e che dovrei rifare prima di uscire, chiudere gli occhi e dimenticare di aver vissuto questa giornata.”

Meredith mi sorride di nuovo, la classica espressione che fa quando sa che sta per averla vinta.

“Ma non ti ho detto la parte migliore. I ragazzi hanno organizzato tutto al Blue Moon, quindi non dovrai nemmeno uscire dalla porta d’ingresso o cambiarti. Non dirà niente nessuno, te lo garantisco. Sei mia amica e Kayla non vede l’ora di rivederti. Non hai più scuse!”

Probabilmente mi dovrei arrabbiare, ma riesco solo a scoppiare a ridere, perché Meredith me l’ha fatta.

“Sei una vipera. Potevi dirmelo fin dall’inizio invece che fare tutta questa commedia.”

Lei scuote la testa e assume un espressione seria.

“Ti devi esercitare a dire di no. Sei troppo buona.”

Meredith al momento è come un segugio sulla preda. Non mi molla un attimo.

Ovviamente tutto ciò ha a che fare con Adrian e la sua sbornia della scorsa  domenica. Certo, da allora non l’ho più visto, ma Meredith mi ha tirata scema.

Mi ha detto che sono un ingenua, che Adrian non è un tipo affidabile e che avrebbe potuto farmi chissà cosa se lei non avessi chiamato Josh per darmi il cambio.

Per qualche motivo, non ho voluto raccontarle che non è successo niente e che l’intervento di Josh è stato solo superfluo e un disturbo per lui.

Da allora mi da il tormento e mi fa le richieste più strane, a cui io devo per forza di cose rispondere di no.

Niente al mondo mi avrebbe convinta ad uscire dal condominio scalze, con un paio di pantaloncini striminziti e una canottiera quasi trasparente.

Meredith dice che devo allenarmi a dire di no, perché a parer suo l’unico motivo per cui ho a che fare con Adrian è perché non riesco a negare qualcosa alle persone.

Personalmente credo di riuscirci piuttosto bene quando serve.

Semplicemente ad Adrian non volevo dire di no e sono stata io ad insistere, sebbene lei non mi abbia creduto.

Crede che lui abbia tanta cattiva influenza su di me, quanta io ne ho positiva sulle persone che mi circondano, ma semplicemente è una questione di rispetto reciproco.

Io non rompo le scatole se bevono e fanno cose che per me sono moralmente discutibili, anche se razionalmente so che sono normalissime, e loro rispettano il fatto che sia come sono. Ad essere sincera mi hanno accettata senza riserve ed è un comportamento che mi ha molto sorpresa.

Per quanto riguarda la festa, non sono molto sicura che sarò la benvenuta.

Adrian non ha fatto mistero di non sopportarmi e non mi ha nemmeno ringraziata per averlo portato a casa. Certo, l’ho fatto senza aspettarmi nulla in cambio, ma è ugualmente doloroso vedere che l’impegno profuso non è minimamente stato apprezzato.

“Non so se è una buona idea. Non è il mio ambiente, sono tuoi amici!”

La verità è che non voglio vederlo, semplice.

Non voglio perché so che mi farei solo del male.

Mi ostino ad aggrapparmi a quello che di buono c’è in lui perché so che non merita di essere trattato come viene trattato, ma so anche che se lui per primo non vede quanto può essere gentile, io non posso fare più di tanto. Posso imporgli la mia presenza fino ad un certo punto e, visto che non si è più fatto vedere, immagino di aver superato il confine.

È anche per questo motivo che questa settimana appena passata è stata così strana.

Mi sono sentita inquieta per tutto il tempo, distratta, poco positiva.

Domenica sera ero così nervosa che ho lanciato una scarpa contro l’armadio e mi sono messa a dormire senza recuperarla e metterla al suo posto.

Stamattina mi sono svegliata male. Non ricordavo nulla di quello che avevo studiato ed è un miracolo che sia riuscita a passarlo e mi sento piuttosto scontrosa. È un po’ come i giorni che precedono il ciclo.

Non mi sento me stessa e non mi piace.

Credo di essere demoralizzata, demotivata. Pensavo di essere riuscita a riprenderti, ma mi rendo conto che non sarò mai più la ragazza di prima.

Sono successe troppe cose per tornare ad essere la ragazza positiva e solare di prima. Ci sono delle nuvole che gettano delle strane ombre dentro me stessa e non so davvero come gestirle.

Esattamente come non so cosa fare con il fastidio e con il sentimento che mi fa storcere la bocca ogni volta che Meredith mi elenca, senza mezzi termini, i motivi per cui passare del tempo con Adrian è una pessima idea.

Ho come l’impressione che creda stia nutrendo delle aspettative romantiche nei confronti di Adrian, ma questo è assurdo, dato che non so nemmeno che cosa significhi. Sta di fatto che continua a parlarmi del modo in cui si comporta con le donne, del modo in cui le usa prima di sbarazzarsene, come se fossero un fazzoletto usato, e di come, se non gli sto alla larga, finirò per fare la stessa loro fine.

La prima volta che mi ha fatto il “discorsetto”, ho pensato che fosse solo preoccupata per me, così come la seconda volta. Ma dopo la terza e la quarta volta, ho iniziato ad infastidirmi. Ho imparato a memoria le cose che mi ha detto, si sono incise profondamente nella mia mente, e mi da fastidio che mi tratti come una stupida, come una ragazzina idiota.

È vero, non sono mai stata una ragazza normale, ma sebbene non capisca che cosa spinga una ragazza a desiderare un ragazzo, inizio a comprendere il meccanismo.

È un gioco di sguardi, di attenzioni. Un tira e molla alla fune per vedere chi cede per primo.

Tra me e Adrian non c’è nulla del genere e Meredith se ne dovrà rendere conto.

“D’accordo. Ci vengo, ma di sicuro non uscirò davanti agli altri clienti conciata come mentre lavoro. Dammi una mano a scegliere qualcosa per più tardi!”

Ed esattamente come mi aspettavo, Meredith salta su dal letto e si fionda nel mio armadio. Meglio lasciar fare a lei, visto quanto le piace.

 

***

 

Non sono più sicura che sia stata una buona idea.

Se mi metto la giacca, il look che ha scelto per me Meredith è decisamente perfetto per me. La maglietta con lo scollo tondo cade morbida e copre il fatto che porto dei jeans fin troppo stretti, ma se la levo, la maglietta bianca si trasforma praticamente in una canottiera, visto la non presenza di maniche e questo mi mette a disagio, perché non mi piace quel genere di maglia.

È troppo sbracciata e si intravede la fascia del reggiseno azzurro sotto l’ascella.

Purtroppo non ho scelta. Non posso rimettermi la mia comoda maglia con le maniche a tre quarti perché puzza di cibo, spezie e sudore.

Mi sono lavata velocemente nel bagno dello spogliatoio prima di cambiarmi e, lo ammetto, non è stata per nulla una cattiva idea.

Non pensavo avrei sudato tanto ed è una vera fortuna ch emi sia portata tutto l’occorrente per darmi una rinfrescata. Penso proprio che da oggi in poi avrò sempre un cambio, asciugamano e saponetta nell’armadietto.

Evidentemente non avevo chiuso la porta a chiave perché all’improvviso si spalanca e una Kayla sorridente.

Indossa uno splendido vestito a collo alto e smanicato, con un disegno che ricorda moltissimo la pelle di serpente.

“Allora, ti muovi? Stiamo aspettando te per fare il brindisi. Vorremmo farlo prima di mezzanotte!”

Sorrido e mi affretto verso di lei. È davvero raggiante e sono davvero felice di vederla. Invece che precederla, mi fermo e la abbraccio. In un primo momento si irrigidisce, ma poi mi restituisce la stretta. Sento l’affetto che mi trasmette scaldarmi il cuore.

“Non ho avuto modo di ringraziarti, ma ti sono davvero molto grata per quello che hai fatto per me. Sei stata incredibile!”

Mi allontano e noto che ha le guance rosse e gli occhi leggermente lucidi.

“Ma figurati. Sei una bravissima ragazza e aiutarti mi ha fatto piacere. In più Owen mi è  così grato per averti mandata da lui che non ha ancora trovato un modo per sdebitarsi e tu sai quanto sappia essere generoso.”

Mi viene da sorridere, ma non riesco a dire nulla perche mi spinge fuori dalla porta e fino in sala prima che possa dire nulla.

Per essere un lunedì, è piuttosto pieno e non credo che siano tutti amici di Adrian.

“Non fare caso a tutta questa gente. Molti si sono imbucati sperando di bere gratis e altri sono normali clienti!”

Kayla mi legge nel pensiero e mi sospinge fino in fondo, vicino al palco.

Ci sono molte persone in piedi, ma non posso capire di chi si tratta perché all’improvviso vengo investita da qualcosa di molto pesante e dei corposi capelli rossi mi finiscono in faccia.

“Stai benissimo vestita così, ma levati questa giacca prima di svenire. C’è un cado pazzesco!”

Praticamente urla per sovrastare la cacofonia di suoni che ci circondano.

In qualche modo riesce a non soffocarmi con i suoi capelli e a sfilarmi il giacchino. Immediatamente mi sento vulnerabile, ma non ho il tempo di pensarci, perché lei e Kayla mi trascinano in mezzo al gruppo di amici e mi mettono un bicchiere di spumante in mano.

Non ho nemmeno fatto in tempo a vedere com’è vestita.

Registro molte facce familiari di fronte a me. Ci sono Josh, Ryan e Dave per esempio, ma anche alcune che non conosco.

Ed è lampante capire il reale motivo per cui Meredith ha voluto così tanto che partecipassi a questa festa quando il mio sguardo cade su Adrian, che sorride beato, con al suo fianco due ragazze prosperose più nude che vestite.

Ed è altrettanto ovvio che non si aspettava di vedermi perché, appena i suoi occhi grigio-azzurri incontrano i miei, vedo la sua espressione irrigidirsi.

Un coro di: “Auguri!” si leva attorno a noi, ma entrambi ci limitiamo a sollevare i bicchieri per il brindisi.

Eppure ho lo stomaco improvvisamente chiuso.

Non sarei mai dovuta uscire da quel camerino e non avrei mai dovuto permettere a Meredith di manipolarmi, perché il ragazzo che ora ho davanti potrebbe essere davvero il mostro che finora mi hanno descritto.

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Capitolo 17
*** 17 Adrian ***


17 Adrian

 

Lo sapevo maledizione, avrei dovuto saperlo nel momento esatto in cui si è presentata al tavolo per farmi gli auguri.

Meredith è una subdola manipolatrice e questa volta me la pagherà cara. Come, non lo so, ma troverò di sicuro un modo, perché non mi piace essere raggirato.

Le due belle ragazze con cui è arrivata, una bionda e una bruna, sono delle sue compagne di squadra e dal fisico che sfoggiano ne sono praticamente certo. Sono slanciate, con il sedere alto e un bel davanzale che non ha bisogno di reggiseno.

Ovviamente sono io ad essere un deficiente, perché mi sarei dovuto aspettare che Chelsea comparisse da un momento, ma proprio non ci ho pensato. Ogni volta che il suo nome si affaccia nella mia mente, automaticamente lo censuro perché mi fa sentire a disagio.

Mi ha visto in uno stato pietoso e mi ha aiutato senza chiedere nulla in cambio.

Avrei dovuto ringraziarla, ma non l’ho fatto. Ho preferito ignorare di essere in debito con lei.

Per questo motivo capisco perché, durante il brindisi, mi ha guardato in quel modo.

È stato come se, improvvisamente, si fosse trovata di fronte un estraneo.

Non mi è piaciuto. Dopo aver continuato a rimuginare sulle parole di Josh, rinnegandole, trovarmi davanti l’artefice di quel cambiamento mi ha scombussolato.

Non è stata contente di vedermi. Il suo viso si è rabbuiato quando mi ha individuato in mezzo alle persone e aveva un espressione impassibile mentre toccava appena il bicchiere con lo spumante per il brindisi.

Poi si è girata e si è allontanata.

Io sono rimasto fermo dov’ero invece, perché, nonostante tutto, la compagnia delle de ragazze, in realtà, non mi dispiaceva affatto.

Almeno fino a quando non ho visto lei e Meredith discutere.

Non avevo mai visto Chelsea arrabbiata, ma in quel momento, mentre gesticolava, aveva sul viso un’espressione dura.

Improvvisamente la compagnia delle due ragazze non mi è sembrata più così divertente. Sapere cosa si stavano dicendo le due amiche è diventata la mia priorità.

Quindi ecco perché sono quasi nascosto dietro l’angolo che porta all’uscita di emergenza, vicino ai bagni.

Meredith e Chelsea stanno ancora discutendo e il tono calmo della seconda mi stupisce non poco, nonostante sia palesemente furiosa.

“Io non sono una bambina Meredith. È vero, sono ingenua e non capisco determinate cose, ma non c’era bisogno di comportarsi così.”

“Anche se io te lo dico, tu non mi credi. Devi lasciarlo perdere, perché finirai solo per farti del male. Credimi. Non voglio vederti soffrire ancora e sapere che avrei potuto fare di più, ma che non l’ho fatto!”

Rimango in silenzio, in attesa della sua riposta. Sono davvero curioso di sapere come risponderà Chelsea alle parole fastidiose dell’amica.

“Devi smetterla di pensare che tutto dipenda da te. Faccio da sola le mie scelte e come per la storia di mio padre, se e quando ci saranno, ne affronterò le conseguenze. Non puoi proteggermi da qualcosa che non è ancora successo. Dovresti solo fidarti di me e del mio giudizio.”

Seguono alcuni secondi di silenzio, rotto solo dalla musica che in lontananza anima la sala principale.

“Chels, non voglio vederti stare male. Volevo solo che vedessi con i tuoi occhi chi è Adrian. Non sto dicendo che sia per forza cattivo, ma ti farà comunque del male. Anche involontariamente!”

“Meredith! Ti stai comportando come tuo fratello!”

Mi tappo la bocca non appena sento salire la risata. Accidenti.

“Come?”

La voce scioccata di Meredith è molto gratificante, anche se non ho alcun merito di ciò, sono piuttosto soddisfatto della piega che sta prendendo il discorso.

“ti stai comportando come tuo fratello. Mi hai raccontato della sua esagerata preoccupazione nei tuoi confronti e ora tu stai facendo lo stesso con me. Ti voglio bene, sei la prima vera amica che io abbia mai avuto e ci tengo moltissimo, ma non trattarmi come una stupida, per favore. Vorrei che invece che darmi addosso, fossi al mio fianco, pronta ad aiutarmi se ce ne sarà bisogno, ma così non fai altro che asfissiarmi. Torna di la e divertiti. Io ti raggiungo tra qualche minuto.”

Chelsea mette fine alla conversazione e Meredith passa accanto al mio nascondiglio senza notarmi. Non ne sono sicuro, ma credo che la discussione l’abbia messa a dura prova.

Probabilmente Chelsea non si era mia imposta sull’amica prima, ergendo i confini da non superare.

Guardo oltre l’angolo e lei è lì, appoggiata alla parete color crema del corridoio, lo sguardo perso nel nulla.

Per qualche motivo, la sua apparente tristezza mi tocca.

So che non dovrei, che non avrei nemmeno dovuto origliare, che rimanere con le due bambole sarebbe stato molto più saggio, ma Chelsea ha smosso qualcosa quando si è presa cura di me, quando mi ha fatto arrivare a casa sano e salvo senza chiedere nulla in cambio.

Forse dopotutto esiste ancora un po’ di umanità dentro di me.

“Lo sai che ha ragione, non è vero? Se non mi stai lontana ti farai del male!”

Non so cos’altro dire, non so come si ringrazi qualcuno.

Lei non mi guarda nemmeno. Continua a guardare qualcosa sopra lo stipite della porta del bagno.

“Vai via!”

Due semplici parole, ma pesanti come il piombo.

“E non si ascoltano le conversazioni degli altri. È da maleducati!”

Rimango senza parole di fronte alla sua schiettezza e al tono duro.

“Sei arrabbiata?”

Mi avvicino di qualche passo, perché questo comportamento non è affatto da lei.

“Non sono arrabbiata!”

Per qualche ragione sono restio a crederle. La conosco poco, ma non è il genere  di ragazza che si tiene dentro le cose. Meredith in qualche modo deve averla ferita.

“Sì, lo sei!”

Alla fine non so nemmeno perché mi importi tanto, ma qualcosa dentro di me vuole sentirglielo ammettere, lo pretende.

Finalmente lei si gira ed incrocia le braccia, come a volersi proteggere. Di sicuro la sottile maglietta senza maniche non offre molta protezione.

Mi cerca con lo sguardo e per qualche ragione non sembra solo arrabbiata, ma proprio furiosa.

“Hai ragione, sono arrabbiata. Anche io sono un essere umano e mi arrabbio come chiunque altro, soprattutto quando mi prendono in giro e si approfittano della mia gentilezza. Non sono una stupida e odio mi si tratti come tale. Ora che l’ho detto, sei contento?”

La sua rabbia mi investe con forza. So che dovrei sentirmi un verme, ma per qualche motivo, il suo sfogo mi fa sentire estremamente soddisfatto.

Non le rispondo e pian piano il suo viso si ammorbidisce.

“Ma non è colpa tua. Non è giusto che me la prenda con te!”

Non mi piace. Non deve fare così, non lei.

“Fallo, invece. Non tenerti la rabbia dentro!”

Per qualche motivo voglio che mi urli contro, che mi mostri il peggio di se. Cosa accidenti mi succede?

Lei mi osserva alcuni istanti, impassibile.

“Non lo farò. Non sei tu la causa della mia rabbia. Sei un maleducato ed un ingrato, ma non sei stato tu a raggirarmi, quindi non lo farò!”

Scuoto la testa, perche la sua testardaggine, la sua esagerata correttezza,  non mi stanno dando ciò che voglio. Perché, per una volta, non può semplicemente accontentarmi?

“Non sono bravo a ringraziare.”

Le parole mi escono di bocca senza alcun controllo. Eppure quello che avrei voluto dirle è ben altro.

Volevo dirle di smetterla di essere sempre così giusta, così impassibile di fronte ai torti e di smetterla di comportarsi come se dovesse essere a tutti i costi perfetta.

Incredibilmente, però, la mia ammissione fa spuntare un sorriso sul suo viso.

“Prego, Adrian.”

Rimango senza parole. Che accidenti sta dicendo?

“Io non ti ho ringraziata!”

Lei orride maggiormente e finalmente si stacca completamente dalla parete e mi viene incontro, fermandosi a pochi passi.

“Scusate!”

Una ragazza che non sconosce mi supera rapidamente e si fionda dentro uno dei bagni.

Il corridoio è rimasto vuoto fin troppo a lungo, tutti impegnati a mangiare la torta portata da Kayla.

Riporto l’attenzione su Chelsea, ora fin troppo vicino.

“A modo tuo, lo hai fatto. Alle volte non serve dirlo con le parole. Sei qui, a parlare con me, invece che con le ragazze che ho visto prima. Questo mi basta ed è come un ringraziamento!”

Rimango completamente spiazzato dalla sua spiegazione. Per me è incomprensibile, ma per lei sembra estremamente razionale.

“Non ti capisco.”

Lei inclina la testa e mi sorride di nuovo. Sembra che sia tutto passato e la diffidenza di prima sembra completamente scomparsa.

“Sai, ammetto che ero un po’ arrabbiata con te. Non è che mi aspettassi chissà cosa, ma un grazie lo avrei davvero gradito. Avevo pensato di non regalarti nulla per il compleanno, un po’ per dispetto, ma mi sono detta che sarebbe stato assolutamente infantile da parte mia.”

Rimango senza parole, perché tutto mi sarei aspettato, tranne una cosa del genere.

“Non mi devi regalare nulla!”

Non voglio un regalo. Non mi piacciono. Ogni volta che qualcuno mi da qualcosa senza chiedere nulla in cambio, ho la sensazione di essere in debito con quella persona ed è una sensazione che odio. Non voglio sentirmi ancora più in debito di così, ma la curiosità prende il sopravvento sulla diffidenza.

“Come facevi a sapere che oggi è il mio compleanno?”

Lei distoglie lo sguardo, in imbarazzo, credo.

“Me lo ha detto qualcuno a inizio settimana. Però è inutile che me lo chiedi. Non te lo dirò. Non è niente di che, solo un pensierino.”

Non so davvero che cosa dire. L’idea di un regalo mi agita e mi fa sentire sotto pressione, come se fossi sotto un esame.

“Davvero, non serve che tu mi dia nulla.”

Lei si rigira a guardarmi proprio mentre la ragazza di prima esce dal bagno emi scruta con attenzione. Eppure, nonostante sia palese si tratti di una bella ragazza, sono più interessato a questo fantomatico regalo che ad altro.

“Vieni. L’ho lasciato di la!”

Mi precede lungo il corridoio, di nuovo fino in sala, ma invece che raggiungere gli altri, gira verso una doppia porta basculante in legno, quella che conduce alla cucina.

La barista, Lesley, è intenta a servire qualcuno al bancone e ci da le spalle e nessuno degli invitati sembra prestarci attenzione.

Il corridoio in cui ci troviamo è  più piccolo e scuro e si vede che è solo per l’uso del personale.

Entra in una porta sulla destra senza dire nulla e non mi resta altro che seguirla.

La luce era già accesa e illumina delle panche di legno appoggiate contro una parete e degli armadietti, dove al momento si trova Chelsea, che sta frugando dentro uno di essi.

Probabilmente ha trovato quello che stava cercando, perché torna rapidamente da me e mi tende un pacchetto rettangolare e piatto avvolto in carta da regalo rossa.

“Non è nulla di che, ma quando sono stata a casa tua ho visto che non c’era praticamente nulla di personale e ho pensato che, forse, avresti gradito avere qualcosa da tenere sulla cassettiera.”

Non mi guarda e sembra alquanto intimidita. Probabilmente io ho un espressione molto simile, perché mi esorta ad aprirlo.

Titubante e con le mani troppo grandi per qualcosa di così delicato, strappo la carta da regalo e mi ritrovo a fissare una fotografia in una delicata, ma semplice, cornice argentata.

Ci siamo io, Ryan, Dave e Josh. È stata scattata qui al locale, perché riconosco chiaramente i pannelli alle nostre spalle. Non è passato molto tempo da quando abbiamo fatto questo scatto con il cellulare di Ryan. È stato il giorno in cui gli hanno dato l’abilitazione a Pediatra ed è stata Bianca a scattarla di nascosto.

Siamo in fila,le camice bianche aperte sul colletto e le maniche rivoltate. Siamo seduti ad un tavolino, le birre in mano come se fossimo sul punto di brindare

Ryan è leggermente piegato in avanti per colpa del braccio che Josh gli ha messo sulle spalle, mentre io e Dave ridiamo con la birra sollevata.

Fino a pochi secondi fa non sapevo esistesse e non avrei mai creduto che mi sarei emozionato così tanto nel ricevere qualcosa di così semplice, ma unico.

È un regalo pensato apposta per me, non qualcosa donato tanto per fare. È un pensiero unico.

Mi sento strano. Continuo a spostare lo sguardo dalla foto a lei.

L’immobilità del mio corpo è insopportabile. Devo fare qualcosa perché è come se fossi sul punto di esplodere. La confusione è troppa, l’emozione anche e non so come esprimere quello che sento.

Mi piace. Questo piccolo regalo mi piace moltissimo. È qualcosa di inestimabile perché rappresenta le persone a cui tengo veramente.

È l’essenza del nostro rapporto.

“Josh mi ha detto che al momento il tuo coinquilino non c’è e che stai vivendo da solo. Forse così non ti sentirai solo. Spero ti piaccia!”

Il suo sguardo violetto è così sincero, colmo di speranza, come se il suo regalo potesse non piacermi. La sua voce è titubante, incerta, ma non so come dirle che è la cosa più sincera che qualcuno abbia fatto per me senza risultare patetico.

Forse lo spumante mi sta dando alla testa, perché in due passi la raggiungo e la mia mano sale ad accarezzarle il viso.

La sua espressione sorpresa probabilmente è lo specchio della mia, perché non so cosa accidenti sto facendo.

Per fortuna non si allontana. Si limita a guardarmi con perplessità, come se non sapesse cosa sto per fare, perché è più forte di me.

È più forte di qualsiasi altra cosa il desiderio di trasmetterle la mia gratitudine e non conosco nessun’altro modo per farlo.

La distanza viene colmata in fretta e quando le mie labbra sfiorano le sue, la sento tremare, mentre nelle sue iridi violette posso leggere lo sconcerto, ma per fortuna, non la paura.

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Capitolo 18
*** 18 Chelsea ***


18 Chelsea.

 

 

Sono immobilizzata e dovrei essere terrorizzata.

La presa con cui mi tiene attaccata al suo corpo è ferrea, impossibile da sciogliere, così come la sua mano, che mi tiene fermo il viso perché non possa allontanarmi.

È una situazione paradossale, che non mi sarei mai aspettata e che so dovrebbe farmi paura, ma la verità è che lui conosce solo questo modo e la pressione delicata della sua bocca sulla mia ne è la dimostrazione.

Mi sta fissando negli occhi, indeciso e sorpreso da se stesso. È come se mi stesse chiedendo il permesso  e questo va contro ogni cosa mi sia stata detta su di lui.

“Adrian prende quello che vuole senza pensare al male che fa!”

“Non gli importa di niente e di nessuno se non dei suoi desideri egoistici!”

Le parole di Meredith mi echeggiano dentro, ma non rappresentano affatto la persona che mi tiene stretta come se dovessi scappare da un momento all’altro.

Questa non è una cattiveria, non è un approfittarsi della situazione, del fatto che siamo soli nello spogliatoio. No, non è nulla di tutto ciò.

È l’unico modo che lui conosce per comunicare qualcosa di diverso dal disprezzo che non ha problemi a riversare sugli altri.

Forse, se non avessi visto la gioia trattenuta sul suo viso, quando ha visto la fotografia, avrei pensato a qualcosa di brutto. Invece, per un attimo, ho visto la barriera cadere.

Adrian non sa gestire certe emozioni. La gratitudine è una di queste.

Lo ha fatto anche il giorno che mi ha portata via da casa di mia madre.

In qualche modo, voleva consolarmi, farmi smettere di piangere, darmi altro a cui pensare e ha usato l’unico modo che conosce.

Lui non usa le parole per le cose gentili, quelle le riserva per altro. Lui dimostra chi è davvero con i gesti.

Sembra arrogante, sprezzante di tutto e tutti, ma per i suoi amici farebbe di tutto, come Josh mi ha raccontato. Se c’è un problema, si fa in quattro per cercare di risolverlo.

Lui è il tipico esempio del detto: le azioni valgono più di mille parole.

Per questo motivo, perché sento che tutto quello che vuole fare è trasmettermi la sua gratitudine, quello che sente, perché non sa dirlo a parole, accetto il suo gesto.

Trovo il modo di muovermi e, in qualche modo, piegando i gomiti, riesco a spostare le mani verso l’alto e ad aggrapparmi alle sue braccia. Dopo di che, chiudo gli occhi ed escludo tutto il resto.

Il calore e la pressione del suo corpo contro il mio sono in grado di farmi dimenticare che sto baciando qualcuno, che sto facendo qualcosa che mi sono solo limitata a fantasticare.

Non so cosa significhi, non so come si faccia, ma lui sì, lui lo sa e me lo mostra stringendomi più forte e facendomi mancare il respiro per l’intensità che mi sta trasmettendo.

Sto tremando.

Non so esattamente cosa sto facendo, mi sto limitando a copiare quello che fa lui, ma sembra andare bene. Sono imbranata e non so che cosa dovrei davvero fare, ma ho l’impressione che ci sia ancora troppa di stanza.

Non è così che dovrebbe essere. Devo avvicinarmi.

Mi sollevo sulla punta dei piedi e il contatto cambia immediatamente, come se con questo piccolissimo gli avessi dato la risposta che voleva.

Conosco la teoria, per cui non mi sorprendo eccessivamente quando la sua lingua inizia a toccarmi le labbra. È una sensazione così strana, ma allo stesso tempo piacevole.

Lo imito e, quando la mia tocca la sua, diventa tutto molto più intenso.

Mi manca il respiro e ho come l’impressione che Adrian stia cercando di portarmi via anche quel poco ossigeno che  ho nei polmoni.

Riesco solo a pensare al modo in cui mi sta esplorando la bocca, vorace.

È un duello che unisce i miei due mondi. La sensazione, così strana, ma allo stesso familiare, tanto da ricordarmi i lecca lecca che mangiavo da bambina, va in netto contrasto il sapore dello spumante che ha bevuto pochi minuti fa.

Non so per quanto andiamo avanti, è un tempo infinito, ma non m’importa. In questo momento, mi sento diversa.

Ho il cuore che batte così forte da sembrare sul punto di scoppiare, non è mai andato così veloce. Sono avvolta in una specie di bolla di calore e sono acutamente consapevole delle mie mani sulle sue braccia, del modo in cui mi avvolge le spalle per tenermi stretta e della mano che sembra mi stia ustionando il viso.

Sento tutto, ogni singola cosa, eppure, anche con i sensi in sovraccarico, l’unica cosa che davvero mi interessa è il modo in cui ci stiamo baciando, che mi scalda il petto.

Improvvisarne cambia posizione e, senza sapere come, mi ritrovo con le braccia attorno al suo collo. Le sue mani mi cingono la vita.

Poi, prima di capire che cosa sta succedendo e perché la sensazione del suo corpo interamente contro il mio mi faccia venire la pelle d’oca, siamo nuovamente distanti.

È arretrato così rapidamente da lasciarmi intontita e senza equilibrio. Mi ritrovo a fissarlo, il respiro di entrambi affannoso, ma io non penso di avere dipinto in viso l’orrore.

Ha le braccia lungo i fianchi, le mani chiuse a pungo e un espressione di pentimento dipinta in volto.

“Non avrei dovuto!”

Si gira, afferra il mio regalo e praticamente scappa dalla stanza, senza lasciarmi nemmeno il tempo di ribattere.

“Io ho capito!”

La mia voce risuona triste nel vuoto che mi circonda.

Mi stringo le braccia al corpo, nel disperato tentativo di catturare il calore che rapidamente mi sta abbandonando.

Rimango impalata a fissare la porta fino a quando la certezza che non iniziano a farmi male le gambe.

Come in trance vado a sedermi sulla panca e, dopo aver poggiato i gomiti sulle ginocchia, mi prendo il viso tra le mani. La zona intorno alle labbra brucia leggermente, probabilmente a causa dello sfregamento della sua barba corta contro la pelle delicata del mio viso.

Quasi non riesco a credere a quello che è successo, ma il fastidioso pizzicore attorno alla bocca è piuttosto eloquente. Non è stato un sogno o una fantasia.

Un semplice ringraziamento si è trasformato in qualcosa di molto più intenso e davvero con capisco perché sia scappato in quel modo.

Pensavo avesse almeno intuito che avevo capito perché lo stava facendo. Invece, di punto in bianco, è cambiato tutto e non so perché.

Sembrava come se il suo peggior incubo si fosse appena realizzato, ma io non mi sento la vittima di qualcosa di sbagliato.

Baciare realmente qualcuno è molto diverso dalla fantasia. Non coinvolge solo la bocca, le labbra o la lingua, coinvolge molte altre cose. Ti fa sentire vicino all’altra persona ed è in grado di farti smettere di pensare.

Nonostante quello che ha detto, quello che può pensare, io non mi pento di nulla. È stato davvero incredibile. Non mi sono mai sentita così in vita mia.

Quello di oggi, non ha nulla a che vedere con il bacio che mi ha dato nella sua macchina.

In quel momento non ero solo sorpresa, ma anche estremamente spaventata. Lui è riuscito a farmi calmare e mi sono chiesta spesso come sarebbe stato se, invece che irrigidirmi, mi fossi lasciata andare.

Sarebbe stato come oggi, intenso e semplice.

Non riesco a smettere di pensare al calore che sentivo dentro, all’adrenalina che mi ha trasmesso. È stato davvero bello e inizio a capire come mai alla gente piaccia tanto baciarsi.

Non è complicato, non richiede particolari attenzioni. È una questione di istinto ed è stata la prima volta in tutta la mia vita che mi sono abbandonata alle emozioni, alle sensazioni.

Non mi sono mai permessa prima di sentire, spaventata dall’ignoto, dalle conseguenze, ma in questo caso non ci sono conseguenze.

Sebbene nella sua intensità, il bacio di Adrian è stato gentile. Non mi sono sentita forzata o sopraffatta. Nonostante quello che uno potrebbe pensare, non lo ha fatto per egoismo.

“Chelsea, tutto bene?”

Sollevo la testa e mi trovo di fronte Meredith. Ha un espressione preoccupata in viso.

Strano che non l’abbia sentita entrare. Ero completamente assorta nei miei pensieri.

“Sì, certo. Perché me lo chiedi?”

“Hai una strana espressione. Sei sparita per mezzora e Adrian se n’è appena andato come se avesse visto avverarsi il suo  peggior incubo! È successo qualcosa?”

Non sembra arrabbiata o ferita, nonostante le parole che le ho detto prima siano state piuttosto pesanti e mi chiedo quanto dovrei dirle.

Lei non capirebbe.

“Cosa vuoi che sia successo, scusa?”

Si siede sulla panca appoggiata contro l’altra parete per essermi di fronte e mi rendo conto che, inconsciamente, mi sono praticamente rintanata in un angolo.

“Non lo so, Chels, ma sta succedendo qualcosa. Non sei più quella di prima. Non fraintendere: mi piace la ragazza che sta diventando, ma non ti capisco più. Io non ho più segreti con te, ma ho come l’impressione che tu, invece, mi stia nascondendo qualcosa.”

La guardo in silenzio e forse il mio silenzio è una ovvia risposta, perché lei sospira, l’espressione rabbuiata.

“Mi dispiace. È ovvio che pensi di non poterti fidare di me per qualche motivo. È tutta colpa mia, ovviamente. Non fai altro che ripetermi che mi devo fidare di te, che non sei una bambina, ma ti ho sempre ignorata e oggi ho fatto davvero una brutta cosa. Non succederà mai più. Volevo solo evitarti altre sofferenze, altri dolori, ma come mi hai giustamente detto, mi sto comportando come ha fatto Ryan con me. Non mi potevo fidare di lui perché temevo mi giudicasse, che arrivasse alle sue conclusioni senza nemmeno ascoltarmi, ed è evidente che con te ho commesso lo stesso errore. Scusami Chels, davvero!”

Meredith è sincera. So che lo è. Non mi direbbe una cosa del genere se non la sentisse. È troppo orgogliosa per ammettere si essere in torto se non ne è realmente convinta.

“Anche per me sei un po’ come una sorella. Tengo davvero conto della tua opinione, perché su tante cose ne sai più di me, ma vedo anche che hai dei pregiudizi e che cercare di farti vedere oltre è davvero difficile.”

Lei scuote la testa, ma non per negare.

“È più forte di me. Ryan mi ha sempre raccontato dei suoi amici. Non è mai entrato nei dettagli, perché pensava fossi una bambina, ma già allora avevo capito che era uno da cui sarei dovuta stare alla larga. Poi ho parlato con Logan, gli ho confidato la mia preoccupazione, e lui non ha fatto altro che confermare i miei timori. Non mi basta la tua parola per fidarmi di lui, ma se mi dicessi perché sei così convinta che  mi sbaglio, che tutti noi ci sbagliamo, allora non dirò più nulla. Nemmeno una parola. Te lo prometto!”

Il suo ragionamento ha senso. Le ho detto di fidarsi di me e il punto non è che non crede che io possa avere ragione, ma che dell’Adrian che lei conosce c’è sempre e solo da diffidare.

“È per il giorno che è venuto a prendermi a casa di mio padre.”

Lei rimane in silenzio, ma vedo che una ruga le increspa la fronte.

“Lui non ha quasi mai parlato, non ha detto nulla, ne per dirmi che era colpa mia, ne per dirmi il contrario. Si è limitato a stare lì e lasciare che mi mettessi in piedi da sola. Con la sua sola presenza mi ha permesso di trovare la forza necessaria per recuperare le mie cose ed andarmene con dignità.  Poi sono scoppiata. Avrebbe potuto lasciare che soffocassi nelle mie stesse lacrime, ma invece, sempre senza una parola, è riuscito ad aiutarmi.”

Faccio una pausa, indecisa se dirle cosa ha fatto per aiutarmi, ma alla fine decido di non dirle nulla. Quello deve restare un nostro segreto.

“Non so perché e non so come, ma lui è solo, esattamente come lo ero io prima di conoscerti. Non è il tipo di persona che si apre ed esprime quello che sente, che lascia che gli altri si avvicinino e vedano i suoi punti deboli. Lui non dice le cose, le fa. La sua gentilezza non sta nelle parole, ma nei gesti.”

Meredith è senza parole e ha gli occhi sgranati, come se non credesse alle sue orecchie.

“E tutto questo lo hai capito quel giorno?”

Mi scappa una risatina e mi metto a sedere dritta perché inizia a farmi male la schiena.

“Certo che no, ma mi chiedevo perché fosse stato così gentile, perché quel giorno, invece che svegliarmi perché uscissi dalla sua macchina, mi abbia portata in braccio fino in camera mia. Ci sono stati altri casi, Meredith. Io semplicemente li ho visti perché sapevo che c’erano.”

Solleva le mani in segno di resa.

“D’accordo. Mi basta. Voglio credere che hai ragione, ma se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa, me la dirai?”

Sento che la stessa ruga sulla sua fronte si sta formando sulla mia.

“Che cosa intendi?”

Si passa le dita tra i capelli rossi, a disagio e indecisa su come spiegarsi.

“Ecco, non so, tipo se dovesse cercare un qualche tipo di contatto diverso dall’amicizia!”

Capisco immediatamente dove vuole andare a parare.

“Ti riferisci a qualcosa come un bacio, non è vero?”

La vedo sgranare gli occhi, a disagio per la mia perspicacia e per essere stata beccata immediatamente.

“Ehm, sì. Mi riferisco a qualcosa del genere. Sai com’è. Questo genere di cose non sono esattamente il tuo forte.”

Ha ragione, ma non tutto è bianco o nero.

“Che valore dai tu esattamente ad un bacio, Meredith? È vero, sono inesperta in queste cose, ma so che esistono diversi tipi di baci. Ci sono quelli dati per amore, per lussuria, per affetto o semplicemente per condividere qualcosa, un sentimento o un emozione. Ci sono baci che vengono dati addirittura come ringraziamento. Quindi, esattamente, a quale tipo di bacio ti riferisci?”

La mia risposta la spiazza, lasciandola completamente senza parole per diversi secondi. Sembra che l’abbia presa in contropiede.

Rimane immobile a fissare una mattonella per diversi secondi prima di tirare su la testa e osservarmi con attenzione. Percepisco l’istante esatto in cui mette insieme i vari indizi perché sgrana gli occhi e si sporge verso di me. Non ha un espressione ostile, ma semplicemente preoccupata. Quando parla, la sua voce è quasi ridotta ad un sussurro.

“È già successo, non è vero?”

PICCOLO ANGOLO AUTORE.

Approfitto di questo aggiornamento per fare un annuncio che probabilmente vi farà molto felici. Sicuramente vi stavate chiedendo quando scopriremo qualcosa di più su Dave, ma ciò non accadrà nella BF Series, bensì in una nuova serie di libri dedicata interamente ai fratelli Sanders. Partirò a breve con il primo, intitolato: L'eco di una Promessa, dove incontreremo una vecchia conoscenza: Alexandra Klos, che abbiamo conosciuto nel secondo libro. Cercherò in tutti i modi di portare avanti la pubblicazione in contemporanea con questo libro, ma di sicuro Chelsea e Adrian avranno la precedenza, quindi gli aggiornamente del primo volume della Sanders Brothers Series non saranno tanto costanti quanto quelle di questo libro. 

Non so esattamente in quale libro incontreremo Dave, ma volevo rassicurarvi che non mi sono dimenticata di lui e che avrete a che fare con i miei romanzi ancora per molto tempo. Detto ciò, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento, quindi Venerdì, massimo Sabato.( spero di riuscire venerdì ovviamente). Se vi va, lasciatemi qualche commento e qualche impressione, dato che aspettavate con tanta ansia questo capitolo. Alla prossima. 

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Capitolo 19
*** 19 Adrian ***


19 Adrian

 

 

Sono peggio di quello che pensavo.

Cristo, non volevo arrivare a tanto, ma la ragione è volata via in un attimo, sostituita dalla parte animale che così difficilmente controllo.

Pensavo, credevo, di essere in grado di gestire una cosa così piccola, soprattutto perché la parte peggiore di me si era acquietata in sua presenza, ma è stato un errore credere che non fosse lì, che non avrebbe preso il controllo alla prima occasione.

Eppure, la cosa più sconvolgente di tutte, non è che io mi sia comportato quasi come un animale, ma che lei mi abbia lasciato fare, rispondendo ad ogni mio gesto in modo quasi speculare.

Pensavo che dopo il primo contatto si sarebbe irrigidita e si sarebbe ritratta, che non mi avrebbe dato la possibilità di andare oltre. Invece ha chiuso gli occhi e si è aggrappata a me come se da quel contatto dipendesse qualcosa di molto importante.

Per diversi secondi non ho capito più nulla.

Preso completamente in contropiede ho continuato a fare quello che stavo facendo e di certo non mi aspettavo che iniziasse a partecipare.

Ogni suo movimento era carico di insicurezza, che è svanita più rapidamente di quanto potessi immaginare.

Mi ha fatto andare completamente fuori di testa, tanto che la mia bestia interiore ha preso il sopravvento e si è abbeverata dalla bocca di Chelsea, prendendo tutto quello che poteva dare.

Baciarla non mi bastava e sono stato sul punto di cercare molto di più.

È stato a quel punto che mi sono reso conto di cosa stava effettivamente succedendo e sono letteralmente scappato.

Non potevo farlo. Non so cosa sarebbe successo, ma sarebbe stato ugualmente un disastro.

Non può venir fuori niente di buono se le sto vicino. È troppo influenzabile, troppo genuina per capire che non sarebbe una scelta saggia starmi attorno.

Speravo di riuscire a svignarmela senza far capire che c’era qualcosa che non andava, ma Josh ormai presta fin troppa attenzione alle mie reazioni e dopo aver riaccompagnato a casa Kayla, mi ha raggiunto.

È passata circa un ora da quando sono tornato nella solitudine del mio appartamento e l’unica compagnia adatta al mio stato d’animo è la bottiglia di Crown Royal alla Vaniglia che mi sono regalato circa una settimana fa.

“Piantala di andare avanti e indietro come un animale in gabbia. Si può sapere che cosa è successo?”

Josh è comodamente seduto sul mio divano a tre posti e mi guarda come se fossi impazzito.

Ma davvero pensa che gli racconterò che cosa mi turba? Mi ammazzerebbe, ne sono sicuro e non ho nessuna voglia di lasciare questo mondo.

Senza contare che, anche se volessi, non saprei proprio da dove iniziare.

Eppure, anche così, è whisky a parlare.

“Ho fatto qualcosa che non dovevo.”

Mi vergogno della mia debolezza, di non riuscire a essere il freddo bastardo che sono sempre stato. Odio queste sensazioni incontrollabili, odio non avere il controllo di me stesso, delle situazioni, e odio Chelsea per essere riuscita a resuscitare una parte di me che avevo seppellito sotto strati e strati di indifferenza e arroganza.

Arrivato a questo punto della mia vita, non pensavo esistesse più.

Eppure, nonostante fossi convinto si essere ormai un arido figlio di puttana, è bastato così poco per far tornare a galla quella parte di me che desidera ardentemente credere in qualcosa, avere fiducia.

Ho deciso molto tempo fa che alle persone non si può credere, che se anche tu farai di tutto per aiutarle, nel momento del bisogno loro non ci saranno. Ecco perché ho smesso di credere nel prossimo, perché ero stufo delle delusioni, di vedere come ogni cosa che facevo era inutile. A quel punto è stato molto più semplice smettere di comportarsi come “si conviene” e fare solo quello che desideravo.

Che io fossi stato un buon figlio o un buon nipote, il risultato non sarebbe cambiato; mai. L’occhiata di freddo disprezzo e disapprovazione avrebbe comunque accompagnato ogni mia azione.

Sono poche le persone per cui ancora farei qualcosa e una di esse è qui, seduta nel mio salotto, che mi guarda con disapprovazione mista a curiosità.

Mi chiedo quanto realmente io mi possa fidare di lui, di tutti loro. Quanto realmente valgano le parole della scorsa settimana.

Non voglio sentire ancora quella delusione, il sentimento di tradimento, ma Chelsea è riuscita a risvegliare quel desiderio di non deludere le persone che mi vogliono bene e questo è frustrante, mi fa letteralmente incazzare, ma non ho nessuno con cui sfogarmi, perché è tutta colpa mia. Ho abbassato la guardia, le ho permesso di vedere qualcosa che nessuno avrebbe dovuto vedere, e ho il serio sospetto che, nella sua ingenuità, con la sua eccessiva fiducia, sappia essere un pitbull. Ho paura che non mollerà il proverbiale osso, che insisterà fino a quando uno dei due non sarà completamente distrutto.

La cosa peggiore, è che non sono sicuro al cento per cento che sarà lei quella a farsi più male.

“Che è successo?”

Rivolgo un’occhiata di fuoco al mio amico e mi fermo di fronte al tavolino basso contro cui ho già sbattuto un paio di volte.

“È tutta colpa tua!”

Lo osservo sgranare gli occhi e alzarsi in piedi come per fronteggiarmi.

“Mia? Che ho fatto scusa?”

“Come accidenti ti è venuto in mente di dire a Chelsea che ieri era il mio compleanno?”

So che non dovrei prendermela contro di lui, ma non riesco a non pensare che se non avesse detto nulla niente di tutto ciò sarebbe successo.

Se lui avesse tenuto quella cazzo di bocca chiusa, probabilmente sarei in compagnia di una bella ragazza, magari due, a fare qualcosa di molto più divertente che cercare di affogare il mio stesso fegato.

Non mi sentirei così strano e non avrei nulla da nascondere o recriminarmi.

“Non l’ho fatto apposta. È stato un caso. Ero passato al Bue Moon per chiedere a Owen se potevamo prenotare un paio di tavoli questo sabato e lei era lì. Non le ho detto che forse avremmo festeggiato lì perché non era ancora stato deciso nulla, ma non capisco quale sia il problema.”

Finisco di scolare il bicchiere che ho in mano e il liquido dolciastro mi brucia la gola.

Come fa a non capire qual è il problema?

Dovrebbe arrivarci da solo.

“Mi ha fatto un cazzo di regalo!”

Lo osservo inarcare un sopraccigli e scuotere la testa.

“E quindi? Non ho mai capito questa tua avversione per i regali. Il problema è che hai dovuto rifiutarlo? Ti preoccupi di averla ferita?”

Sembra sorpreso, ma anche piuttosto divertito.

Rimango in silenzio, perché ho come l’impressione che se aggiungessi qualcos’altro si farebbe un’idea sbagliata e riderebbe di me.

“Davvero, Adrian. Non capisco quale sia il problema. Chelsea è una brava ragazza. Sono sicura che non l’avrà presa a male. Non è il tipo che si offende per qualcosa del genere!”

“Non è questo il punto!”

Non lo sopporto. Non mi piace che mi difenda senza nemmeno sapere che cosa ho combinato. Non lo merito, non va bene.

Sono consapevole dei miei sbagli, di tutti i miei errori e non ho paura di pagare per essi, quindi essere giustificato è inutile. La realtà dei fatti non cambia. Mi fa solo sentire più frustrato e in colpa.

Dannata ragazzina. Prima di conoscerla non c’era niente in grado di farmi sentire in colpa. Ogni cosa che facevo era ricca di consapevolezza. Ogni azione aveva una reazione di cui ero ben cosciente.

Con Chelsea è tutto più complicato. Lei non si adatta ai miei schemi, al mondo che conosco. Non voglio permetterle di condizionare la mia vita, le mia abitudini, e quindi non posso evitarla, ma ogni volta che ci troviamo da soli succede qualcosa di incontrollabile che puntualmente mi fa sentire una merda.

Un vero e proprio mostro.

Mi lascio cadere sulla poltrona e riempio nuovamente metà bicchiere con il liquido ambrato che sembra rendere questa situazione meno strana e frustrante.

“Allora qual è? Dimmelo, perché ti stai comportando in modo assurdo. Prima mi attacchi, sfogando su di me il tuo malumore, poi di punto in bianco ti chiudi a riccio e non mi permetti di aiutarti. Non voglio stare qui se non mi vuoi, ma davvero Adrian, sono tuo amico. Ti devo più di un favore e credo sia il caso di iniziare a renderti almeno l’ultimo.”

Non ho mai chiesto nulla del genere. Quando ha avuto bisogno di supporto, ci sono stato perché era una cosa che volevo fare, ma non mi sono mai aspettato nulla in cambio. Aspettarsi che la stessa accortezza riservata ad una persona poi ti venga resa è da ingenui.

“Non sei obbligato a rimanere!”

Che vada via, che mi lasci solo. Non voglio cedere a questa impellente necessità di buttare fuori tutto quello che mi sta logorando, tutto questo peso che sento dentro.

“Hai, ragione, non lo sono, ma voglio!”

Dannazione.

Josh è davvero un buon amico. L’ho proprio sottovalutato.

“L’ho baciata e non avrei dovuto.”

L’ultimo test, quello definitivo, lui lo supera a piene mani. Si siede di fronte a me, l’espressione quasi impassibile di chi sta riflettendo su qualcosa di importante.

La rabbia, l’accusa e il disprezzo sono le uniche emozioni che mi aspettavo, ma non arrivano. Continuano ad essere solo nella mia testa mentre Josh sta pensando a tutt’altro, è evidente.

“E lei come l’ha presa?”

La sua domanda è come una bomba, perché mi spinge a ripensarci, a rivivere quei lunghissimi istanti dove è sembrato che ogni altra cosa non esistesse.

“In che senso?”

Non posso soffermarmi ad analizzare le sue reazioni, perché questo mi spingerebbe a volerne ancora e non dovrà accadere mai più.

“Beh, era spaventata, arrabbiata, delusa, non so. Devi dirmelo tu!”

Ho come l’impressione che parli per esperienza personale e mi sento molto a disagio. Non sono abituato a sviscerare in questa maniera le situazioni.

Mi limito a scuotere la testa e lui annuisce.

“Allora, se non l’ha presa male, mi dici qual è realmente il problema?”

“Non sapeva quello che stava facendo. Ho approfittato, semplicemente, della sua disponibilità per fare, come al solito, i miei comodi. Non importa come abbia reagito. Non sarebbe mai dovuto succedere!”

Tracanno il contenuto del bicchiere e per poco non mi va di traverso.

Che odio, che fastidio, che nervoso.

Non sopporto di sentirmi così, limitato, chiuso letteralmente in gabbia senza poter fare quello che voglio. Eppure è la cosa giusta da fare, sebbene ciò non dia sollievo alla mia frustrazione.

Sono abituato a prendere quello che bramo e non a mettere qualcun altro al di sopra di ciò che desidero. È un comportamento distruttivo il mio, ma non posso, non riesco a fare diversamente.

Non sarebbe giusto e non voglio che la sua luce si spenga, che la speranza che ha negli occhi ogni volta che la vedo vada in frantumi.

Non è giusto.

Il mondo in cui viviamo la metterà abbastanza alla prova senza che io porti le mie ombre e la mia oscurità nella sua vita.

Non voglio essere come il cattivo delle storie per bambini, il Capitan Uncino della sua isola felice.

“Senti Adrian, prima o poi dovrai affrontare quello che è successo e se c’è una cosa che ho imparato sulla mia pelle, è che le donne hanno un modo tutto loro di pensare. Non importa quanto tu crederai una cosa, loro avranno sempre e comunque un’idea diversa dalla tua. Il fatto che tu te ne sia andato senza dire nulla di sicuro non aiuta!”

Rimango senza parole e decisamente molto sorpreso.

“Come sai cosa è successo?”

Lui scoppia a ridere e non so come interpretare questo suo gesto.

“Per diverse ragioni. Primo, hai lasciato il locale come se ad inseguirti ci fosse il diavolo in persona. Secondo, ci sono passato. Terzo, sei un idiota, quindi era ovvio!”

Mi viene da ridere, ma non perché sia divertente, ma perché è dannatamente vero.

“Era così evidente?”

Lui scuote la testa e mi ruba il bicchiere appena riempito e ne beve un bel sorso.

“No, non lo era. Come ho detto, ci sono passato, anche se la mia situazione con Kayla era diversa. L’unico consiglio che mi viene da darti è di parlare con lei. non sai a cosa starà pensando!”

Scuoto la testa, perché è l’idea più stupida che io abbia mai sentito. L’unica cosa che dovrei fare è chiederle scusa, ma non c’è mai stata una volta,  da che mi ricordi, dove io abbia chiesto scusa a qualcuno.

“Impossibile!”

“Perché?”

“Perché lei ci vedrebbe qualcosa di buono anche se non c’è assolutamente nulla. Mi sono approfittato di lei, punto. L’unica cosa che dovrei fare è scusarmi per il mio comportamento da bastardo.”

Lui scuote nuovamente la testa, l’espressione tipica che ha chi sa qualcosa che tu non sai.

“Se c’è una cosa che ho capito di quella ragazza, è che è estremamente ingenua, ma non è stupida o influenzabile. Ha le sue idee, per quanto strane e quello che è successo dubito fortemente che cambierà l’idea che ha di te. La vera domanda qui è: perché ti interessa così tanto proteggerla?”

Detto ciò, mi tende il bicchiere praticamente ancora a metà e finisco di riempirmi lo stomaco di alcool.

Meglio non pensarci, perché non ho una risposta pronta che abbia realmente un senso. Ragionarci sopra mi porterebbe a pormi domande a cui non voglio trovare risposta.

Eccomi con il nuovo capitolo. L'ultimo di questa settimana. Spero che la confusione e i sentimenti di Adrian si riescano a percepire perché sono una caotica massa di passato e presente fusi insieme.

Detto ciò, vi annuncio che ho iniziato la pubblicazione del romanzo di cui vi ho parlato, quello intitolato L'eco di una promessa, che potete trovare sul mio profilo. 

Al momento c'è solo un capitolo, ma se Alexa, la ragazza che si era occupata del catering nella storia di Kayla vi ha incuriositi, allora è arrivato il momento di saperne di più. Vi aspetto e alla prossima settimana. 

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Capitolo 20
*** 20 Chelsea ***


20 Chelsea

 

 

“Allyson, davvero, sono molto stanca e, come ti ho già detto, quel genere di posti non fanno proprio per me.”

“Ma sarà davvero divertente. Lavori così tanto e non ti diverti mai.”

“Allyson, ti ha detto che non ne ha voglia, lasciala stare. Ti ho già dato il permesso di andare.”

Jillian entra in cucina mentre Allyson cerca a tutti i costi di convincermi ad andare con lei e le sue amiche ad una qualche festa, ma io non ne ho per nulla voglia.

So che si svolgerà a casa di una sua amica, da cui alcune volte ha pernottato, ma non ho ascoltato tutto quell che ha detto. Non ha minimamente destato la mia curiosità.

È stata una settimana impegnativa e voglio fruttare il fine settimana per recuperare lo studio, riposarmi e passare un po’ di tempo con Meredith.

Ha preso meglio di quello che pensavo la questione del bacio con Adrian.

All’inizio voleva ammazzarlo e ciò davvero non mi ha stupita, ma per qualche ragione ha voluto ascoltare quello che avevo da dire.

Le ho parlato del regalo, della faccia che ha fatto quando si è ritrovato tra le mani la fotografia e del fatto che il suo bacio è stato solo un ringraziamento.

Ovviamente la sua prima reazione è stata di scetticismo, soprattutto dopo che le ho raccontato cosa è successo esattamente, quanto quel momento sia stato intenso.

Per qualche motivo mi ha messo a disagio raccontarle il modo in cui mi ha stretta e come mi ha baciata. È stato decisamente imbarazzante, ma è Meredith quella esperta di queste cose e sentivo davvero il bisogno di condividere la cosa con qualcuno; con lei.

Nonostante tutto è rimata molto sorpresa dal comportamento di Adrian. Visto come si stavano mettendo le cose, si sarebbe aspettata che cercasse molto di più.

A parer suo, che se ne sia andato senza approfittasi della situazione, è un punto a favore e, sebbene non concordi con il suo pensiero, se ciò la spingerà a trattarlo meglio e non comportarsi più come ha fatto lunedì, allora mi sta bene.

Non farò assolutamente nulla per farle cambiare idea.

Mentre Allyson rivolge a sua madre un’occhiata contrariata, io mimo un grazie. Mi dispiace disattendere le aspettative di Allyson, che mi sta molto simpatica e che aiuto volentieri quando sta facendo i compiti e non ho nulla da fare, ma assolutamente non condivido la sua passione per le feste, la musica assordante e l’alcool, di cui, in qualche modo, riesce sempre a fare uso, in barba ai controlli della madre.

“E va bene. Siete noiose.”

Esce dalla cucina a passo di marcia e la madre le urla dietro: “Per l’una a casa o sarà in punizione per un mese.”

Jillian non scherza. Allyson mi ha raccontato che una volta ha sforato il coprifuoco di cinque minuti e la madre l’ha portata con se al locale per un mese intero in modo da averla sempre sotto controllo.

“Pronta ad andare?”

È mezzanotte passata e Jillian è stata così gentile da offrirmi un passaggio fino al dormitorio. La mia macchina è in officina per sistemare la scocca dell’olio.

Giovedì mattina ho trovato un lago di olio sotto la mia macchina e sono stata costretta a chiedere un passaggio a Meredith per arrivare al campus.

Ero tormentata dal pensiero di quanto quella riparazione mi sarebbe costata, ma Meredith ha detto che avrebbe chiesto a Logan se poteva fare qualcosa.

Lo stesso pomeriggio mi ha chiamata e mi ha detto che sarebbe venuto un carro attrezzi per prendere la mia macchina e portarla da Logan.

Il verdetto è stato funesto. La scocca dell’olio è da sostituire. Non sapevo di cosa si trattasse esattamente, ma ero certa che quella cosa mi sarebbe costata un occhio della testa.

Logan mi ha detto che in un’officina qualunque avrei speso un sacco per la sostituzione o la riparazione, a suo avviso assolutamente inutile, dato che il pezzo presenta un gran bel buco.

Ha cercato di tranquillizzarmi dicendomi  che prima di cercare un pezzo nuovo avrebbe chiesto a qualche carrozziere o sfasciacarrozze se lo avevano usato o da poter prendere da qualche auto incidentata.

Non ho esattamente capito di cosa parlasse e mi sono limitata ad accettare.

Morale della favola: per un bel po’ sarò senza macchina.

Odio questa situazione. Non mi piace dipendere dagli altri per muovermi e non posso permettermi di affittare un auto o prendere un taxi.

Sto contando fin troppo sul buon cuore delle persone che mi circondano.

Nessuno ne ha fatto un dramma, sono stati tutti più che disponibili ad aiutarmi, ma mi pesa dover dipendere dagli altri, soprattutto dopo l’indipendenza appena conquistata.

Per fortuna giovedì non ero di turno e  quindi non si è posto il problema, ma ieri ho dovuto chiedere a qualcuno di darmi un passaggio.

Meredith è venuta a prendermi, mi ha lasciata al condominio ed è schizzata via alla velocità della luce. La destinazione era ovvia.

“Grazie ancora del passaggio Jillian. Mi stai davvero salvando la vita!”

Usciamo dal retro per non attraversare la confusione del locale e cerco con lo sguardo Brat tra i bidoni, al riparo dal freddo, dove gli ho preparato qualche settimana fa un bel giaciglio accogliente. Sono due giorni che non lo vedo e sto iniziando a preoccuparmi.

“Figurati. Aiuti sempre moltissimo Allyson. Darti un passaggio non mi costa nulla!”

Salgo sulla sua Citroen e mi allaccio la cintura di sicurezza.

Mi guardo attorno e individuo una maglietta abbandonata sul cruscotto.

“Scusa per il disordine, ma questa macchina è una specie di secondo armadio e non trovo mai il tempo di metterla in ordine e farla pulire.”

Sorrido e non dico nulla. Il suo imbarazzo è evidente, ma posso capire che essere una madre lavoratrice senza nessun aiuto non sia semplice. Certe cose sono decisamene trascurabili quando ci sono cose più importanti di cui occuparsi.

Il percorso è breve, ma oggi Jillian sembra in vene di chiacchiere, perché mi chiede come procedono i miei studi.

È decisamente un tasto dolente. 

“Ultimamente non ho molto la testa per pensare allo studio. Sono cambiate così tante cose e non mi sono per nulla abituata!”

Punto lo sguardo fuori, sulle luci arancioni dei lampioni che illuminano i marciapiedi ancora pieni di vita.

Procediamo lentamente a causa del traffico e dei semafori.

“A qualcosa a che vedere con il motivo per cui sei finita a lavorare al Blue Moon?”

Mi sale alle labbra una risata amara, ma riesco a controllarla.

“Ha tutto a che fare con quello!”

Mi piacerebbe parlare con Jillian di quello che è successo, della delusione immane che ho ricevuto e della bastonata che mi è arrivata in testa quando ho scoperto che mia madre non è fisicamente morta.

Sono sicura che Jillian saprebbe dirmi qualcosa in grado di farmi sentire meglio. Dopotutto, è un genitore e sicuramente sarebbe in grado di dirmi qualcosa in grado di non farmi sentire così indesiderata.

Ho paura che mia madre se ne sia andata perché mi odiava.

All’inizio non ho pensato a questa ipotesi. Mi sono detta che sicuramente c’era una buona ragione, qualcosa che non posso capire, ma dopo che mio padre non mi ha nemmeno cercata, ho iniziato a chiedermi se il reale motivo di quanto è accaduto non sia io.

Non credo di avere qualcosa di sbagliato, ma forse sono stata un incidente, qualcosa che loro non desideravano.

Questo non cambia chi sono, ma mi piacerebbe avere delle risposte, piuttosto che stare sveglia la notte a pormi domande senza risposta.

Conoscere la verità, per quanto brutta possa essere, è sempre meglio che vivere nell’incertezza.

Mi piacerebbe sapere com’è andata, ma dopo diciassette anni non so se sarà possibile. Inizio a pensare che non sarò mai in grado di mettere via i soldi necessari ad ingaggiare qualcuno per rintracciarla, senza contare che, in tutto questo tempo, possono essere successe tante cose.

C’è la possibilità, non del tutto remota, visto l’imprevedibilità della vita, che a questo punto mia madre sia realmente morta.

Un incidente stradale, una malattia, un malore improvviso, possono essere moltissime le cause che potrebbero aver portato via ogni mia possibilità.

Eppure non voglio soffermarmi su queste ipotesi. Voglio credere che sia stato difficile abbandonarmi, che si è rifatta una vita portandomi nel suo cuore e che un giorno riuscirò ad incontrarla.

“Ti va di parlarmene? Ci conosciamo da un po’ e ogni volta che si tocca l’argomento ho sempre l’impressione che vorresti parlarne, ma poi ti chiudi a riccio, come se qualcosa ti spaventasse.”

Ha capito tutto. Mi spaventa raccontarlo, parlarne, perché tutto diventerebbe più reale di quanto già non sia.

Dopo quel giorno, non ne ho più parlato con nessuno, nemmeno con Meredith, che evita accuratamente l’argomento.

Eppure sento che invece dovrei parlarne con qualcuno, smetterla di tenermi dentro questa cosa che mi sta logorando.

Il proverbiale vaso deve essere davvero pieno, perché prima ancora di decidere qualcosa ne sto parlando e la voce che sento quasi non sembra la mia. C’è qualcosa di decisamente crudo e sarcastico nel mio tono e mi sembra davvero triste, perché è ovvio che, anche se non ne parlavo e cercavo di non pensarci, sotto sotto l’amarezza stava crescendo.

“Ho sempre pensato di vivere una bella vita, nonostante tutte le mancanze dovute all’assenza di mia madre. Avevo un padre affettuoso, sebbene severo, e sto frequentando un college che mi è sempre piaciuto molto. Eppure tutto è cambiato in pochissimo tempo. Neanche questione di mesi, bensì di settimane. Lui non voleva che io frequentassi il college, che cambiassi e mentre non c’ero ha iniziato a bere sempre di più. Andare a casa era un tormento. Le sue continue frecciatine mi facevano male, ma io gli volevo bene e mi mancava. Eppure la mia felicità non è mai stata la sua prima preoccupazione. Voleva che facessi tutto quello che voleva lui e quando mi sono rifiutata, è diventato violento. Ho tagliato ogni ponte e ho dovuto iniziare a lavorare per mantenermi, perché mi rifiuto di dargliela vinta. Lui ha sempre predicato bene, ma razzolato male, per cui e sue idee può anche tenersele.”

Il mio discorso cade nel silenzio e mi rendo conto che ogni singola parola ha alleviato la sensazione di oppressione che quando mi soffermo su certe cose mi sommerge.

“Non riesco a capire come qualcuno possa fare del male al proprio figlio, al sangue del suo sangue.”

Già. Nemmeno io riesco a capirlo ed è proprio per questo che ciò che è successo è stato così devastante. Se ami qualcuno non puoi fargli del male.

“Io ho una figlia, un’altra oltre ad Allyson!”

Rimango senza parole, completamente sorpresa. Non è solo la confidenza in se a lasciarmi senza fiato, ma anche scoprire che Allyson non è figlia unica mentre lei è assolutamente convinta di esserlo.

“Allyson non lo sa!”

Osservo il profilo di Jillian mentre guida e posso leggere su ogni tratto del suo viso la tristezza.

“Non posso dirglielo, perché non so dove sia la mia bambina!”

Non so cosa dire, ma mi viene da piangere. Come è possibile che lei non sappia dove sia?

Non dico nulla perché non riesco a pensare a delle parole sensate.

“Allora vivevo a Seattle ed ero molto giovane. Il bambino si muoveva così tanto e scalciava così forte che credevo fosse un maschio. Avevo scelto un sacco di nomi carini. Il mio preferito era James. È stata un’autentica sorpresa quando il medico mi ha messo in braccio una bambina. Aveva gli occhi chiusi, ma non appena me l’hanno messa tra le braccia li ha spalancati e mi ha fissato con attenzione. I suoi occhioni blu, come quelli di tutti i neonati ero sicura che mi vedessero, ma i medici mi hanno spiegato che era impossibile, poiché i neonati non vedono molto chiaramente a causa del gonfiore, ma ero sicura che mi avesse sorriso. L’abbiamo chiamata Rhea, come la madre degli dei Greci. Ammetto che allora ero molto fissata con quel nome e ho rimpianto spesso di non aspettare una bambina!”

Un sorriso triste, ma allo stesso tempo carico di dolcezza le illumina il viso, ma ho l’impressione che  durerà ben poco.

“Non me lo aspettavo, ma mio marito è stato d’accordo con la scelta del nome!”

“Che cosa è successo dopo?”

“Questo te lo racconterò la prossima volta. Siamo arrivate.” Ferma la macchina nel posto per i disabili e mette le quattro frecce, poi si gira verso di me e mi osserva con tristezza.

“Ti dico tutto questo, perché c’è sicuramente una spiegazione per tutto quello che ti è successo. Non ti demoralizzare, okay? Io ho dovuto lasciare la mia Rhea per un buon motivo!”

Vorrei chiederle di più, maggiori dettagli, perché questo è proprio il tipo di cose che ho bisogno di sentire, ma è anche piuttosto ovvio che invece lei non voglia parlarne più. È una cosa che la fa palesemente soffrire e già che abbia accennato a questa cosa per cercare di alleviare il mio tormento è più di quanto era obbligata a fare.

“Non dirò nulla ad Allyson. Grazie per avermene parlato!”

Esco dalla macchina accompagnata dalla sua buonanotte. Aspetto di veder scomparire la macchina dietro la curva prima di entrare.

L’aria fresca mi ha aiutata a schiarirmi le idee e riprendermi dalla sorpresa. Di sicuro Jillian è riuscita a destare la mia curiosità.

Non avrei mai immaginato nulla del genere.

A questo punto, non vedo davvero l’ora di buttarmi a letto e scivolare tra le braccia di Morfeo. Ho bisogno di spegnere il cervello, perché ho come l’impressione che sia sul punto di scoppiare.

Troppe notizie, troppe informazioni e soprattutto troppe domande.

Eppure è evidente che il mio letto dovrà aspettare ancora, perché appena metto piede sul pianerottolo mi trovo davanti qualcuno che proprio non mi aspettavo di incontrare, tanto meno di fronte alla mia porta.

è appoggiato contro la parete, le braccia incrociate sul davanti e indossa il suo cappotto scuro. Ai suoi piedi, c’è quella che mi sembra una strana scatola di plastica verde.

“Adrian?”

La mia voce suona più sorpresa  di quanto avrei voluto e, per qualche assurdo motivo, il cuore ha iniziato a battere fortissimo, come se avessi appena finito di correre.

Lui si gira con un espressione impassibile sul viso e, mentre mi avvicino, si china a raccogliere la scatola, afferrandola per una maniglia. Quando la volta, posso vedere che è vuota all’interno e ha una grata di metallo a chiuderla.

“Questo è tuo!”

Mi dice non appena lo raggiungo, sollevando la scatola verso di me.

Incuriosita mi chino ad osservare l’interno e sento la mia bocca spalancarsi quando capisco cosa contiene.

“Brat!”

Lo ammetto. Ero molto ansiosa discrivere questo caipitolo per cui ho fatto una piccola eccezione e ho aggiornato anche se non era programmato. Non capiterà spesso, anczi, potrebbe non capitare mai più, ma spero che questo capitolo extra vi abbia rallegrato e contriubuito alla domenica. un bacio e a domani.

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Capitolo 21
*** 21 Chelsea ***



21 Chelsea




Afferro la gabbietta con entrambe le mani e la sollevo fino al mio viso.

Il piccolo dorme sereno e le strisce, che ricordano quelle di una tigre, si muovono ad ogni respiro. Ha una rampina fasciata.

Poggio la gabbietta in terra per non farlo svegliare e mi giro verso Adrian, che mantiene tutt’ora l’espressione impassibile.

“Che cosa è successo? Perché c’e l’hai tu? Ero così preoccupata!”

Lui distoglie lo sguardo e ho come l’impressione che sia a disagio. Si passa una mano sulla nuca e poi si gira, trafiggendomi con quegli stranissimi occhi dal colore indefinito. Non sono mai riuscita a capire se siano grigi o blu. L’ultima volta che ci siamo visti, i nostri visi erano così vicini e i suoi occhi mi sono sembrati blu, ma ora sono sicura che siano grigi.

“È una lunga storia!”

Sembra restio a parlarne, ma non so cosa dire per convincerlo a spiegarmi. Eppur il mio silenzio è evidente che lo mette a disagio, perché inizia a spostare il peso da un piede all’altro. Di nuovo non mi guarda. Sembra che le scale abbiano un’enorme attrattiva.

“Non guardarmi così, non gli ho fatto nulla.”

Sono perplessa e non capisco che cosa intenda. Perché ho l’impressione che si senta colpevole?

“Di che cosa stai parlando?”

Lui si passa nuovamente la mano tra i capelli, poi torna a guardarmi.

“L’altro giorno sono passato al locale, ma non ho fatto a tempo ad entrare. Io, ecco, volevo parlarti e prima di tutto ho guardato nel vicolo. Tu non c’eri, ma il gattino, non appena mi ha visto, mi è venuto incontro zoppicando.”

Mi guarda attentamente e posso leggere quello che sta cercando di dirmi. Non riesco a capire perché per lui sia così difficile ammettere di aver fatto qualcosa di buono.

“Lo hai portato da un veterinario?”

Lui annuisce e sono stupita che ancora mi stia guardando. Sembra così a disagio, imbarazzato, come se questo suo gesto disinteressato potesse farlo apparire debole.

“Ha detto che qualche macchina deve averlo investito, anche se solo di striscio. La zampa non è rotta e si rimetterà, ma il veterinario non poteva tenerlo ancora.”

Per cui l’ha portato da me.

Non so cosa dire. Sono estremamente sorpresa di questo suo gesto. Non perché creda non ne sia capace, ma perché non me lo aspettavo.

“Io… Non so cosa dire. È una fortuna che abbia incontrato te!”

Lui rimane estremamente sorpreso dalle mie parole e un po’ di contegno svanisce dal suo viso. Non capisco perché sia così distante.

Lui solleva le spalle con noncuranza, ma distoglie lo sguardo, evidenziando il suo disagio.

“Non potevo lasciarlo lì.”

Non dovrebbe farlo, sminuire il buono che ha appena fatto.

“Non eri obbligato a portarlo da un veterinario. In molti, al posto tuo, si sarebbero girati dall’altra parte e lo avrebbero lasciato dov’era. Grazie!”

Lo sento a malapena bofonchiare un grazie prima di vederlo dirigersi verso le scale.

“Aspetta!”

Mi metto a frugare nella borsa alla ricerca del portafogli.

“Almeno lascia che ti renda i soldi del veterinario.”

Quando torno a guardarlo dopo aver finalmente trovato il borsellino, noto che mi sta osservando con un’espressione di puro sconcerto dipinto in viso.

Mi sento a disagio, perché sembra che io abbia detto una fesseria.

“Che c’è? Che ho detto?”

Incredibilmente, scoppia a ridere e posso giurare di non aver mai sentito un suono del genere.

È una risata forte, incredibilmente corposa, come se fosse rimasta intrappolata dentro di lui molto a lungo. Sa di liberatorio e, nonostante mi lasci perplessa, mi sta contagiando e sento che sto per aggiungermi a lui.

Mi tappo la bocca per trattenermi. Ho paura che potrei rovinare questo momento se dovessi interrompere il momento. Sembra estremamente fragile nonostante la sua potenza.

Adrian si appoggia alla parete, come se le forze gli stessero venendo meno e poi, esattamente come è iniziata, la risata si spegne e lui sembra estremamente di buon umore quando mi guarda.

Ha gli occhi lucidi e si tiene il fianco.

“Questa è buona!”

“Cosa ho detto di male?”

Lui mi osserva e sembra interdetto.

“Tu sai che potrei comprare su due piedi questo stabile, non è vero?”

Non capisco che cosa voglia dire, ma sì, lo so. Il famoso giorno di Novembre, quando Josh lo ha chiamato, si trovava al Country Club sulla First Ave. È un posto molto conosciuto e frequentato dall’elite di Denver.

Sono rimasta molto sorpresa quando ho saputo che Adrian è ricco di famiglia e ancora di più quando ho visto il modesto appartamento in cui abita, ma non mi sono soffermata sui dettagli. Sono fatti suoi.

Per questo non capisco che cosa c’entri ciò con il mio desiderio di rimborsarlo della spese di Brat.

Alla fine è stata tutta colpa mia. Mi ero ripromessa di trovargli una casa, ma l’idea di separarmi da lui era impensabile. Pensavo che non sarebbe successo nulla, invece è quasi finito sotto una macchina.

Sento gli occhi riempirsi di lacrime e la vista mi si offusca.

Avrei dovuto pensarci prima, accidenti. Meglio lontano da me, in una casa, al sicuro, che sotto una macchina, morto.

Povero piccolo. Avrei dovuto prendermene cura nel modo giusto invece che essere così egoista.

“Ehi, perché piangi? Per favore, non piangere!”

La voce semi terrorizzata di Adrian mi fa venire da sorridere e mi asciugo gli occhi con la manica del giubbotto prima che possano traboccare.

“Avrei dovuto pensare che si sarebbe fatto male. È così piccolo. Dovevo trovargli una casa. Avevo pensato di portarlo qui, ma se durante un’ispezione delle camere lo avessero trovato, mi avrebbero buttata fuori e non ho altro posto dove andare.”

Il suo disagio è palese, così come il desiderio di fuggire, ma per qualche motivo non lo fa.

“Mi dispiace.”

“Per cosa?”

“Per tutto!”

Sento il sorriso spuntare e il cuore farsi un po’ più leggero, perché sebbene sia iniziata diversamente, questa conversazione, l’abbiamo già avuta. Inoltre, è la prima volta che usa un termine del genere. So che non deve essere stato facile per lui. È sicuramente una di quelle cose che gli viene difficile comunicare a parole.

“Non ti devi scusare. Non hai fatto nulla di male.”

Lui scuote la testa e, per qualche motivo, ora siamo a pochi passi di distanza. Uno di fronte all’altro.

“Si invece. Non avrei dovuto comportarmi come ho fatto.” Distoglie un momento lo sguardo e poi torna a fissarmi, come se per lui continuare a guardarmi gli desse il coraggio di parlare, di mostrarsi.

“Non avrei dovuto baciarti.”

La sua ammissione non so se mi piaccia o mi faccia arrabbiare. Ovviamente, so a cosa sta pensando. Meredith mi ha messa ben in guardia perché non fraintendessi il suo gesto ed è ovvio che lui pensa che io abbia dato una qualche importanza a quel bacio.

Non dico che non ne abbia, sarebbe stupido, ma non ha l’importanza che pensano tutti. Non credo che sia stato una qualche tipo di dichiarazione di intenti. Adrian non mi ha mai vista da quel punto di vista e forse è per questo che mi sento così a mio agio con lui. Prima che Meredith accennasse a questa possibilità, non avevo nemmeno pensato che potesse essere arrivato ad una così sciocca conclusione.

Credevo semplicemente che si fosse pentito di avermi ringraziata per il regalo.

“Adrian, non ti devi preoccupare. So che lo hai fatto solo per ringraziarmi e che io non ti piaccio in quel senso!”

Lo osservo sbattere le palpebre, come inebetito, mentre è evidente che non riesce a capire che cosa intendo.

“Ah?”

Sento il calore salire al viso, perché di certo non mi aspettavo che non capisse una cosa così semplice.

“Sì, sai, non sono quel genere di ragazza che frequenti solitamente. Lo so bene. Per cui… ecco, non ti devi preoccupare. Non ho assolutamente frainteso.”

Lui sembra sempre più incredulo e non so che altro dire per fargli capire il concetto.

“Volevo dire..”

Lui solleva una mano.

“Sì, ho capito cosa vuoi dire e no, non ho mai pensato che avessi frainteso. È vero, non sei quel tipo di ragazza e per questo motivo non avrei dovuto, per nessun motivo. Però, su tutto il resto, hai torto.”

Si avvicina e, per qualche motivo, ad ogni suo passo, io ne faccio uno indietro. Il suo atteggiamento è completamente cambiato. Se prima sembrava quasi docile, ora mi sembra di avere davanti qualcuno completamente diverso. I suoi occhi hanno uno strano luccichio e potrei giurare che ora sono di nuovo blu.

Il mio piede sbatte contro qualcosa e la mia schiena si addossa ad una superficie verticale. Con la mano sento la fredda muratura che mi sbarra il cammino.

Ho il cuore in gola mentre lui colma la distanza che ci separa e mi sovrasta.

“Che cosa stai facendo?”

La mia voce trema e sento il viso bollente. Perché è così vicino? Mi mette a disagio.

“Tu non hai idea di quanto sia difficile starti vicino.”

Poggia le braccia sopra la mia testa ed è come se fossi rinchiusa in una gabbia soffocante. Non ho vie di fuga. I miei oggi sono incollati al suo viso.

“Non sai quanto è stato difficile lasciarti andare e non prendere tutto ciò che avevi da dare. Se tu credi di non interessarmi perché non assomigli alle altre, beh, ti sbagli. È proprio perché sei così diversa, perché volevi rendermi i soldi spesi dal veterinario, che ti trovo così maledettamente interessante.”

I suoi occhi luccicano, mentre la mascella, segnata dalla barba corta, è irrigidita. Ogni parola è dura ed esce con difficoltà dalla sua bocca.

Perché il mio cuore batte così forte? So che non mi farà del male, ma perché ugualmente sento questa ansia?

Non ho paura di lui, ma sono invasa da un’altra sensazione, altrettanto potente, ma che non capisco. Cos’è questo calore che mi avvolge e che mi impedisce di cercare di scappare?

Non mi sta tenendo ferma, ma sento ugualmente come se mi stesse stringendo tra le braccia. Sono intrappolata dalla mia stessa mente.

“Mi hai riaccompagnato a casa quando non potevo guidare e mi hai fatto un regalo di inestimabile valore, di cui nemmeno tu capisci il valore, e nonostante ciò, non hai mai chiesto nulla in cambio. Perché lo fai? Perché mi rendi impossibile odiarti e tenerti a distanza? Dannazione, perché non fuggi da me, quando sarebbe la scelta migliore?”

Le sue domande non hanno senso, almeno per me, ma una cosa lo so. Tutto quello che ho fatto, ogni singola cosa, l’ho fatta perché ero sicura che lui le meritasse.

“Perché ne valeva la pena!”

La mia risposta fa scattare qualcosa dentro di lui e in un attimo sono nuovamente sua prigioniera. Stavolta la sua presa sul mio viso è decisa, quasi brutale, sebbene non mi faccia male e il suo bacio è intenso fin dall’inizio. Non c’è il crescendo dell’ultima volta e posso solo soccombere sotto il suo assalto.

Sollevo le braccia, non so per fare cosa, e mi ritrovo con una mano intrappolata tra la sua e il muro, mentre l’altra si afferra al cappotto, come se mi dovessi ancorare a qualcosa per non perdermi.

Mi tremano le gambe, le ginocchia e non so come faccio a rimanere in piedi, mentre tutto il mio corpo viene bombardato da una serie di sensazione che fino ad ora non avevo mai provato.

Cos’è questo desiderio prepotente di toccarlo, di rendergli la forza che mi sta dimostrando?

Vorrei afferrarlo e stringerlo come lui sta facendo con la mia mano.

Rispondo ad ogni suo gesto con la sua stessa intensità e più va andanti, più mi sento stordita. Mi manca l’aria, l’ossigeno, bruciato dal calore che mi si scatena dentro ogni volta che la sua lingua incontra la mia.

Improvvisamente mi lascia andare, ma stavolta, sul suo viso, non c’è ombra di pentimento, di paura. C’è qualcos’altro, qualcosa che non pensavo io sarei mai riuscita a scatenare in qualcuno.

La lussuria gli illumina i tratti e so che dovrei esserne disgustata, almeno spaventata, ma il modo in cui mi guarda mi da i brividi.

Mi piace.

“Per i prossimi giorni il gatto lo tengo io, visto che rischieresti di essere sbattuta fuori. Quando gli avrai trovato una famiglia, fammelo sapere. Per il resto, Chelsea, stai lontana da me, per il tuo bene!”

Prima che io possa anche solo trovare qualcosa da dire, lui imbocca le scale, portandosi via Brat.

Rimango ferma contro la parete, ancora incredula.

Cosa accidenti è successo realmente?


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Capitolo 22
*** 22 Adrian ***


22 Adrian

 

 

Quella piccola iena mi ha graffiato. Non appena si è svegliato, rendendosi conto di essere in mia compagnia, l’ingrato ha iniziato a dare di matto. Era così agitato che per poco non rovesciava il trasportino.

All’inizio avevo pensato di lasciarlo li dentro, ma è stato subito evidente che l’animo selvatico di quel gatto non poteva essere trattenuto.

Non appena ho aperto lo sportellino, il gatto si è avventato sulla mia mano, graffiandomi il dorso, per poi fuggire a nascondersi dietro le tende del salotto.

Non avevo nulla da dargli da mangiare, così, prima di rientrare all’appartamento, mi sono fermato ad un mini market 24h per prendere qualcosa dal reparto animali domestici.

Non sapendo cosa fosse più adatto, ho comprato il pacchetto di croccantini più costoso che c’era.

L’ingrato bastardello non si è avvicinato alla ciotola fino a quando non gliel’ho messa vicino e mi sono allontanato.

Solo allora ha messo fuori il muso, mi ha osservato, con quei suoi subdoli occhietti dal colore indefinito e poi è andato a mangiare.

Tutto questo è accaduto meno di cinque minuti dopo essere entrato nel mio desolato appartamento.

Non vedo l’ora che Dave abbia la pausa per fare qualcosa di divertente.

La mia vita è un casino e non avrei mai pensato di odiare così tanto la solitudine.

La cosa triste, è che me la sono scelta da solo.

Ho preferito essere solo, con la compagnia di un gatto che, è piuttosto ovvio, mi detesta, piuttosto che uscire per locali o accettare l’invito di Josh a cena.

Ancora una volta si è dimostrato un buon amico, ma non potevo accettare. Sicuramente avrebbe trovato il momento per chiedermi se ho trovato una risposta alla sua domanda.

Ho evitato di rifletterci sopra il più a lungo possibile, ma alla fine sono stato d’accordo con lui su una cosa. Dovevo parlare con Chelsea.

Ecco perché mi trovavo fuori dal Blue Moon quando quella palla di pelo ha cercato il mio aiuto.

Probabilmente soffriva così tanto che non gli importava chi potesse farlo stare meglio.

In qualche modo, sono stato felice del contrattempo. Sì, ho aiutato il gattino perché non potevo lasciarlo in quel vicolo freddo in quelle condizioni, ma l’ho fatto principalmente perché avrei avuto una scusa per rimandare l’incontro e, se mi avesse detestato, almeno avrei avuto qualcosa per rabbonirla.

Ovviamente non mi aspettavo di parlarne questa sera, ma l’argomento è venuto fuori di sua spontanea volontà.

È stato difficile scusarmi, perché mi ha fatto sentire vulnerabile.

Ho imparato da tempo che, se mostri le tue debolezze, chi ti sta di fronte non esiterà un attimo a saltarti alla gola. Sono riuscito a scusarmi solo perché sapevo che Chelsea non avrebbe mai fato qualcosa del genere.

È troppo candida per sfruttare le debolezze altrui per i suoi scopi.

Il fatto che si sia offerta di rimborsarmi il costo del veterinario mi ha completamente preso alla sprovvista.

Dire che non me lo aspettavo è riduttivo e sono scoppiato a ridere come non facevo da moltissimo tempo.

È stata una risata liberatoria.

In un primo momento ho pensato che non sapesse che non avevo bisogno dei suoi soldi, ma quando ho capito che in realtà per lei non faceva assolutamente nessuna differenza, ha acquistato ancora più splendore ai miei occhi.

Io so perché devo starle alla larga, la settimana appena passata ne è una dimostrazione palese, anche perché il momento della vendetta si avvicina, ma proprio non sono riuscito a trattenermi.

Dovevo scusarmi. Lei lo meritava.

Ovviamente, ancora una volta, lei mi ha preso in contropiede. Ero convinto che la sua sorpresa, così come la diffidenza che vedevo nel suo sguardo, fossero dovuti alla consapevolezza.

Pensavo avesse capito, già quel giorno nello spogliatoio, che non mi lascia per nulla indifferente. Invece lei ha pensato tutt’altro.

Nella sua infinita ingenuità credeva che l’accaduto fosse stato solo un momento, una parentesi senza importanza, ma non è stato così ed è una delle cose che più mi hanno sorpreso.

Se anche all’inizio, il bacio che le ho dato, voleva essere un ringraziamento, ben presto è diventato molto altro e sedurla sarebbe stato facilissimo.

Me ne sono andato prima di fare qualcosa di irreparabile. Ovviamente solo in un secondo momento ho pensato che quanto accaduto mi sarebbe potuto tornare utile.

All’inizio non volevo parlare con lei per scusarmi. Volevo invece rimarcare il concetto, sebbene ciò mi facesse vergognare di me stesso.

Per il modo in cui è cresciuta, per il modo in cui si è comportata durante il nostro primo bacio, ho pensato che il modo migliore per allontanarla fosse spingerla ad avere timore di me.

Quello che rappresento, come uomo, è ciò da cui lei è sempre fuggita.

Alla fine credo che ciò mi sia riuscito meglio di quanto volessi, ma non era così che avevo programmato le cose.

Non avrei dovuto scusarmi, non avrei dovuto ammettere quanto per me lei sia attraente, quanto il suo modo puro di vivere la vita sia affascinante.

Starle vicino è come respirare ossigeno puro, come un bicchiere di acqua fresca dopo aver patito la sete.

Lei è vita e io invece sono l’opposto. Io sono il fuoco e potrei incenerirla.

Solo il cielo sa quanto io brami il suo corpo, quanto mi piacerebbe prenderla e mostrarle quanto il sesso possa essere gratificante e “sporco”.

Solo pensare di averla a disposizione, pronta a compiacere le fantasie più lussuriose, mi fa venire un’erezione, perché so che insegnarle ogni cosa sarebbe estremamente gratificante ed eccitante. Sarebbe perversamente eccitante vedere il so viso arrossato dal’imbarazzo mentre esploro le sue zone più intime e private, quelle che nessun’uomo sono sicuro ha mai visto o toccato.

Mentre la baciavo con forza, ho cercato di riversare su di lei tutta la mia eccitazione per spaventarla.

La sua bocca ormai mi ossessiona e, mentre esploravo la sua cavità con la lingua, ho pensato a quanto mi sarebbe piaciuto sentire quelle stesse labbra su un'altra zona del mio corpo, decisamente calda e tesa.

Sono sicuro che ha funzionato, anche se devo ammettere che il suo sguardo aveva un non so che di concupiscente. Sembrava desiderarne di più, ma era la confusione a regnare in quelle profondità color indaco.

Me ne sono andato prima che fosse troppo tardi, prima di mettere a rischio tutto quello per cui ho lottato in questi anni.

Però non riesco a capire perché ho deciso di portare il gatto a casa. Non avevo bisogno di un motivo per rivederla. Avrei dovuto lasciare che se la sbrigasse da sola, ma è anche vero che non ha altro posto dove andare e che se dovesse perdere il suo alloggio sarebbe un guaio.

Ecco, ho deciso di tenere il gatto da me per non dovermi sentire in colpa.

Guardo il graffio e poi il furfante che, dopo aver completamente svuotato il piattino del suo contenuto, come se fosse una settimana che non mangiava, si sta tranquillamente leccando la zampa non ferita, per poi passarla sopra la testa.

Prendo un sorso di birra e il liquido gelido un po’ mi aiuta ad allontanare i pensieri a luci rosse che non riesco a smettere di fare su Chelsea.

Se mi concentro, riesco ancora a sentire il suo corpo premuto contro il mio. Mi chiedo che tipo di intimo indossi, se sia un tipo da mutande di cotone come sembra o se invece, nell’intimità della sua stanza, le piaccia indossare slip colorati dalle fantasie infantili.

Non ho mai trovato particolarmente attraente questo genere di cose, ma ho come l’impressione che su di lei mi farebbero tutto un altro effetto.

La mia fantasia viene fermata dalla suoneria del cellulare.

Niente può farmi calare un erezione come leggere il nome di mio padre sul display.

“Pronto!”

La sua voce fastidiosa mi raggiunge troppo in fretta, senza nemmeno un saluto.

“La mia candidatura è ufficiale. A breve inizierò la campagna elettorale ed esigo che tu sia al mio fianco, a svolgere il ruolo che ti compete. Tuo nonno mi ha accordato il suo pieno sostegno e ci aspettiamo che tu faccia altrettanto.”

“E se non lo facessi?”

Mi diverte provocarlo, immaginare come la sua brutta faccia si riempia di rossore, come pronta ad esplodere.

“Tu farai come ti ho detto. Non ho sopportato per tutti questi anni le tue cazzate per nulla. Ho tollerato che frequentassi quello stupido ed inutile College, ho sopportato che vivessi in quello squallido appartamento come un pezzente qualunque, ma i giochi finiscono qui. O fai come ti dico, oppure ti taglio i fondi e allora sarà inutile venire a piangere da me. Basta fare il figlio scapestrato. Abbi un po’ di dignità. Hai degli obblighi da assolvere ed è ora che tu inizi a comportarti come si conviene ad un uomo del tuo rango sociale. Sono stato chiaro?”

Non aspetta una risposta e mette giù.

È una fortuna, perché sarei realmente tentato di mandarlo al diavolo.

Sto ribollendo di rabbia.

Come si permette di dirmi cosa devo o non devo fare? Come osa venire a parlarmi di obblighi e di dignità?

Lui, che non è fatto altro che di avidità ed egoismo, come crede di potermi controllare?

Ho smesso di dipendere da lui molto tempo fa. Le mie spese, le pago con i soldi che mi sono guadagnato con le quotazioni.

I soldi che lui mi versa sul conto mensilmente, vengono investiti per essere moltiplicati e permettermi di essere finalmente libero.

Io non gli devo niente, non merita nulla da me. Non appoggio e non rispetto. Merita solo di cadere nel fango, di essere umiliato come l’essere infimo che è.

Lui e tutta la mia famiglia non meritano altro che la rovina.

La mia ira si abbatterà su di loro quando meno se lo aspettano. Mio nonno ha firmato la sua condanna quando ha deciso di appoggiarlo per le elezioni governative.

Presto tutta Denver e tutti quanti sapranno chi è Bruce McLeor. Ogni intrigo, ogni azione illegale, tra non molto tutto ciò verrà alla luce e per sfuggire alla giustizia non gli rimarrà che scappare.

Ecco perché Chelsea deve stare lontano da me.

Questa chiamata è un ulteriore monito.

Non rinuncerò mai ai miei propositi di vendetta. Niente mi potrà fermare e una persona compassionevole come Chelsea proverebbe senz’altro a fermarmi.

Rimarrebbe estremamente delusa dal mio comportamento, perché io non potrei mai comportarmi nel modo giusto, come si aspetta. Il cerchio deve essere chiuso a qualsiasi costo.

Inoltre ho fatto delle cose che, se mi avvicinassi a lei, la distruggerebbero.

La mia vita sarà un inferno quando tutto salterà fuori.  Le persone a me care verranno perseguitate, tormentate.

No, non lascerò che lei sia un'altra vittima della mia crociata, della mia vendetta. Non permetterò che ciò che ho duramente costruito si ripercuota su di lei.

Non posso permettere che ciò accada.

 

 

***

 

 

Nonostante i miei buoni propositi, sono di nuovo qui.

Non so perché, ma sono agitato. È tutto il giorno che qualcosa mi disturba e non capisco cosa sia.

È iniziato tutto stamattina, con quella perfida canaglia di un gatto che mi ha svegliato saltando sul letto e graffiandomi i piedi.

Mi sono svegliato trafitta da un lancinante dolore e ci ho messo diversi secondi a capire che era stato quel dannato filibustiere a infilarmi le unghie nella pelle attraverso lo spesso strato della coperta.

Non appena si è accorto di essere riuscito nel suo intento, e cioè quando ho cercato di scrollarmelo di dosso, è saltato giù e ha iniziato a correre da una parte all’altra dell’appartamento.

Mi sono alzato quando ha quasi rischiato di far cadere il portafotografie poggiato sul cassettone.

Il regalo di Chelsea è l’unico pezzo di arredamento in una camera altrimenti priva di oggetti personali.

È qualcosa dal valore inestimabile che conservo gelosamente nella mia camera, dove, se anche qualcuno dovesse vederlo, non ne capirebbe l’importanza.

L’agitazione del gatto mi ha contagiato e, durante il tempo infinito del brunch, a cui  ho dovuto partecipare per forza, l’ansia non mi ha mai abbandonato.

Ho pensato potesse essere successo qualcosa ai miei amici e li ho sentiti tutti con una scusa. Stavano tutti bene.

L’unica persona che mi viene in mente possa correre un qualche tipo di rischio è Chelsea.

Non ho il suo numero di telefono e, anche se lo avessi avuto, con che faccia avrei potuto contattarla per chiederle se stava bene?

So che non dovrei pensarla, che non dovrei preoccuparmi per lei, ma anche le ho detto che deve starmi alla larga, ora non riesco a non avere una brutta sensazione.

Quando sono rientrato a casa, il gatto era ancora più isterico di questa mattina.

I cuscini del divano erano stati divelti dalla loro sede, la tenda principale era a brandelli e, nonostante lo sfacelo, che avrebbe dovuto farmi incazzare, non ho potuto fare a meno pensare che se il gatto è agitato c’è un motivo.

Da qualche parte ho sentito che i gatti hanno percezioni extrasensoriali e prima di oggi non ci ho mai creduto. Non ci credo nemmeno adesso, ma qualcosa mi ha spinto fino a qui, poco distante dall’ingresso del condominio dove alloggia Chelsea.

 Una macchina si ferma di fronte all’ingresso e posso riconoscere Meredith al volante della nuova Mercedes argentata di Logan.

Chelsea scende dalla parte del passeggero e la vedo chinarsi per parlare con l’amica. Dopo pochi secondi si raddrizza e la macchina si allontana.

Da questa distanza non posso vedere che indossa un giubbotto nero e un paio di jeans insieme a degli stivali.

Sorridendo entra nello stabile e tiro un sospiro di sollievo.

Sta bene e probabilmente ammazzerò il gatto per avermi distrutto mezzo appartamento.

Rimango ancora un minuto ad osservare l’ingresso del palazzo ed è proprio mentre sto per distogliere lo sguardo che una figura esce di corsa dal portone.

Chelsea si guarda intorno con un’ espressione terrorizzata in volto.

Prima ancora di rendermene conto, scendo dalla macchina e la raggiungo di corsa.

“Chelsea!”

Lei si gira e mi sembra pronta per la fuga. Ha il viso cinereo, gli occhi colmi di lacrime e probabilmente non mi riconosce perché arretra, rischiando di finire in strada, dove passano le macchine.

“Fermati Chelsea, sono io, Adrian!”

Lei si immobilizza e sbatte le palpebre un paio di volte, dopo di che si lancia su di me, singhiozzando.

Sono confuso, preoccupato e spaventato da questo suo comportamento, ma non mi rimane altra scelta che stringerla gentilmente. Trema come una foglia.

“Chelsea, che cosa è successo?”

Lei piange e singhiozza, ma nonostante questo, riesco a sentire chiaramente quello che dice.

“Qualcuno è entrato nella mia camera! È tutto distrutto!”

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Capitolo 23
*** 23 Chelsea ***


23 Chelsea

 

 

È un disastro.

Chiunque sia entrato nella mia stanza è passato assolutamente inosservato.

Non ci sono telecamere di sicurezza e  la guardia non ha notato assolutamente nulla di strano.

Sono stata fuori tutto il giorno e, chiunque sia stato, ha avuto moltissime occasioni per entrare e devastare la mia stanza.

Non capisco perché. Cosa ho fatto di male?

Il mio letto è stato distrutto, squarciato, così come il cuscino. Gli abiti sono stati tirati fuori dall’armadio e alcuni capi di abbigliamento sono stati tagliati con le mie stesse forbici.

Quando ho visto quello sfacelo, entrando in camera, sono scappata a gambe levate, terrorizzata.

Mi è sembrato tutto un brutto sogno, il peggiore degli incubi.

Il mio spazio privato, il luogo dove posso essere me stessa, con le mie debolezze, è stato violato e distrutto.

Non sapevo dove andare. Ogni posto che mi veniva in mene mi sembrava pericoloso, non sicuro.

Quando sono uscita in strada, avrei voluto salire sulla mia macchina e allontanarmi il più possibile, ma non avevo nemmeno quella. Ero da sola, di sera, in mezzo alla strada, perfettamente vulnerabile.

Adrian mi ha fatto venire un colpo. In un primo momento, non ho riconosciuto ne la sua sagoma imponente ne la sua voce. Ero troppo spaventata.

Appena ho realizzato chi avevo davanti, sono stata invasa dal sollievo.

Ho iniziato a piangere, a singhiozzare, e mi sono buttata su di lui, perché l’unica cosa di cui avevo bisogno, era una stretta confortante.

Ero così confusa e terrorizzata che se si fosse trattato di mio padre, avrei reagito allo stesso modo.

Volevo essere abbracciata. Avevo bisogno di sapere che sarebbe andato tutto bene.

Adrian non ha detto nulla, si è limitato a darmi quello di cui avevo bisogno, ancora una volta presente quando tutto il mio mondo stava crollando.

Non ho più un poso dove vivere e non posso permettermi di affittare una stanza o un appartamento.

Non so cosa ne sarà di me. Forse per un paio di giorni posso chiedere a qualcuno di ospitarmi, ma non può essere una soluzione ideale e a tempo indeterminato. Dovrò trovare una soluzione e non so come fare.

 C’è solo una persona a cui posso chiedere ospitalità, ma no voglio essere un peso.

Mi lavo la faccia per cercare di cancellare i segni della paura.

Che esperienza orribile e andarmene, lasciando tutto in quelle condizioni, è stato difficilissimo, come rientrare in quella stanza con la polizia per poter prendere qualche effetto personale per la notte.

Solo quando sono entrata nel bagno mi sono accorta della scritta sullo specchio del bagno che mi ha messo i brividi.

Fatta con il mio pennarello, abbandonato nel lavandino, la parola Bitch spiccava come se fosse stata un’insegna al neon.

Ho preso le poche cose che mi servivano e sono uscita di corsa, indicando ai due agenti intervenuti il bagno.

Mi hanno fatto un sacco di domande, mi hanno chiesto se ho visto qualcuno di sospetto o se ho avuto l’impressione che qualcuno ce l’avesse con me.

Sono stata sul punto di parlar loro di mio padre, ma non posso credere che sia stato lui, non voglio pensare che si sia abbassato a tanto pur di vendicarsi del mio abbandono.

Mi asciugo il viso ed esco dal bagno dalle mattonelle azzurre e beige. Percorro il corridoio e raggiungo il salotto.

Brat si strofina sulle mie gambe, chiamandomi con il suo debole miagolio.

Adrian non è in vista, ma mi sento a disagio ad essere di nuovo qui.

Prima ancora che i poliziotti finissero di fare i rilievi, Adrian mi ha portata via.

Ha preso il controllo della situazione ad una velocità disarmante, come se fosse abituato a trattare con persone simili, facendosi accordare il permesso per farmi prendere un po’ di vestiti e andarmene.

Volevano che rimanessi per verificare l’eventuale assenza di qualcosa, ma non sarei di sicuro stata in grado di aiutare.

Ora va un po’ meglio, questo è vero, ma fino a venti minuti fa mi sentivo come se fossi stata sballottata da una parte all’altra.

Non ne son del tutto certa, ma credo che è così che ci si sente dopo essere stati sulle montagne russe.

Prendo Brat in braccio prima che si arrampichi sulle mie gambe e lui, immediatamente, inizia a ronfare. Il debole prrr prrr continuo e ritmato mi calma un po’ i nervi, ma ugualmente è una situazione che non voglio prendere in mano.

Chiedere aiuto, a questo punto, renderebbe tutto ancora più reale.

Non posso più tornare al dormitorio, non sarei più tranquilla.

“Sei qui.”

Adrian arriva alle mia spalle, facendomi sobbalzare.

Mi volto, facendo un paio di passi indietro verso il divano.

Adrian occupa completamente l’uscio che divide il salotto-sala da pranzo dal corridoio che conduce alle stanze e al bagno.

Si è tolto il cappotto, quello che ho inondato di lacrime, e indossa un paio di jeans scuri e un pullover chiaro che lo fa sembrare ancora più imponente.

Prima, in preda alla paura, ho cercato il suo conforto, ma ora, a mente quasi lucida, inizio a sentirmi davvero a disagio.

Non è solo trovarsi nei suoi spazi privati, ma soprattutto essere in sua compagnia dopo quello che è successo un paio di giorni fa.

Ho avuto molto tempo per pensarci, per soffermarmi su quegli istanti nei momenti meno opportuni, con un espressione da ebete, a detta di Jillian, che si è divertita a prendermi in giro ogni volta che mi ha beccata con la testa tra le nuvole.

È stato più forte di me.

Non sono riuscita a dimenticare, a non pensare.

Adrian è stato molto chiaro, non solo con le parole, ma anche con i fatti.

È sessualmente attratto da me e in questi giorni, sono arrivata alla conclusione che, molto probabilmente, anche io sono attratta da lui, anche se non so bene cosa significhi.

Tuttavia ogni volta che ripenso ai nostri baci, al modo in cui mi ha tenuta stretta, non posso non sentirmi agitata, con un enorme nodo allo stomaco.

Mi è piaciuto baciarlo, sentire i brividi percorrermi la pelle. Mi è piaciuto il modo in cui mi ha guardata prima di andarsene.

Ciò non significa che asseconderò questa cosa, principalmente perché mi spaventa.

Grazie agli insegnamenti di mio padre, io del sesso sapevo solo quello che lui  mi aveva detto e quello che ho sentito alle lezioni di educazione sessuale al liceo. Quindi, prima di conoscere Meredith, non avevo ben chiaro che cosa fosse effettivamente il sesso

Sapevo che era un qualcosa che marito e moglie fanno la prima notte di nozze, quando la moglie concede la sua innocenza al marito, unendo gli organi sessuali.

Fino ad un paio di mesi fa, non sapevo altro e la fredda descrizione che mi è stata fatta da bambina non ha mai destato la mia curiosità.

Non era qualcosa da cui trarre piacere o gioia. Per me era un atto freddo e senza anima.

Sebbene con imbarazzo, Meredith me ne ha parlato diversamente. Credo che ormai lo vedesse con gli occhi dell’amore, perché il modo in cui ha descritto le emozioni che accompagnavano il sesso non credo avessero molto a che fare con l’atto carnale in se.

Per Meredith, il sesso, era un momento di gioia e condivisione. Un qualcosa che faceva perché voleva sentire l’altra persona più vicina.

Mi ha detto in quel momento di unione, lui le apparteneva, era parte di lei e questa cosa, invece che sembrarmi affascinante, mi ha terrorizzata.

Probabilmente lei ha intuito i miei pensieri, perché mi ha detto che non è doloroso, che il corpo di una donna, quella parte in particolare, è elastica.

Invece che calmarmi, la cosa mi ha spaventata ancora di più, perché mi sono raffigurata il pene finto che la professoressa di sessuologia ha portato in aula un giorno per mostrare agli studenti come si usa correttamente un profilattico.

Sono rimasta molto sconvolta da quella vista e, dopo averne parlato con mio padre, ho smesso di frequentare quel corso.

Tuttavia l’immagine di quel pene è rimasta impressa nella mia mente. Mi sono chiesta molte volte come fosse possibile per una donna accogliere nel proprio corpo una cosa così grande e la risposta non l’ho mai trovata.

Tuttavia è impossibile che non sia doloroso.

Per questo l’idea del sesso mi spaventa così tanto.

Non è solo qualcosa che io avevo sempre associato all’amore e al matrimonio, ma anche qualcosa che per me significava solo sofferenza.

Per questo ora sono così a disagio, perché mi è piaciuto stare vicino ad Adrian e mi sarebbe piaciuto che non finisse mai.

Questo però mi ha spinta a chiedermi quale sia effettivamente il mio limite.

Baciare è okay, ma se Adrian dovesse volere di più, sarei in grado di negarmi, di dire di no?

Non lo so, perché per qualche ragione, negli ultimi giorni, le parole che mi ha detto Meredith a tal proposito, hanno cominciato a darmi il tormento, assumendo un nuovo significato.

Se davvero il sesso può essere così, tutto quello che ho creduto, che mi spaventa così tanto, non esiste. Tutto quello a cui finora ho creduto cesserebbe di avere importanza.

Continuo a chiedermi se la mia curiosità a tal proposito sia giusta.

Tuttavia, anche se le cose sono così, io non voglio donarmi a qualcuno che non mi ama, che non mi vuole per quella che sono.

Adrian però mi piace. Mi fa sentire cose che non ho mai provato in vita mia, cose che non vorrei mai smettere di provare.

In questi ultimi dieci minuti mi sono chiesta molte volte perché, nonostante mi abbia detto di stargli alla larga, lui si trovasse di fronte al condominio.

Non ho ancora avuto modo di domandarglielo, non ho ancora trovato il coraggio, ma credo che non esisterà un momento più adatto di questo per fatlo.

“Cosa ci facevi lì Adrian?”

Lui sbatte le palpebre, arrossendo leggermente sul collo.

Lo osservo spostare il peso da un piede all’altro e passarsi una mano tra i capelli già arruffati.

“Non mi crederesti!”

“Mettimi alla prova!”

Sono perplessa, perché mi sembra realmente in difficoltà, ma non voglio lasciar perdere.

“Il tuo gatto, è iniziato tutta per colpa sua.”

Indica Brat stretto tra le mie braccia, che immediatamente smette di fare le fusa, si volta verso di lui e gli soffia con violenza.

Sarei tentata di scoppiare a ridere, perché è piuttosto evidente che Brat lo detesta, ma Adrian mi sembra così serio che non credo sarebbe una buona idea prenderlo in giro.

“Che cosa c’entra lui con la tua presenza di fronte agli alloggi?”

Lui pare sempre più a disagio, tanto che inizia a camminare avanti e indietro. Dal mobiletto di fianco all’ingresso, fino alla porta. Avanti e indietro un paio di volte.

“ È stato agitato per tutto il giorno e mi ha messo l’ansia addosso. Avevo questa strana sensazione, come se stesse per succedere qualcosa di brutto e, se quella palla di pelo era agitato, l’unica persona a cui poteva succedere qualcosa eri tu.”

Credo di avere la bocca spalancata, perché mi fulmina con lo sguardo.

Sta scherzando, non è vero?

Le premonizioni non esistono, però forse sul gatto potrebbe avere ragione. In tantissime religioni il gatto è considerato sacro e portatore di buoni o cattivi auspici.

Quindi perché no? Perché deve essere per forza impossibile?

Inoltre questo potrebbe essere un segno. Forse il signore ha messo Adrian sulla mia strada perché io possa aiutarlo e questa non è stato altero che un messaggio dall’alto. 

“Così sono passato per controllare che fosse tutto a posto, che stessi bene. Pensavo che fosse una sciocchezza, che sarei tornato a casa dandomi dell’idiota per aver creduto a qualcosa di così stupido, ma se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato!”

La sua affermazione mi spiazza e probabilmente anche lui sente lo stesso, perché ha il viso scarlatto e l’espressione di chi è sconvolto.

Più lo osservo, più capisco che cosa mi ha detto, più sento il calore al centro del petto aumentare. Vengo sommersa da un enorme tenerezza.

Questo burbero uomo grande e grosso, che si comporta nei modi peggiori, quando non usa le parole per ferire chi lo circonda, sa essere davvero dolce.

Era preoccupato per me, per la mia incolumità perché ci tiene, più di quanto lui stesso sappia.

Forse non è la persona migliore di questo mondo, ma ha il cuore al posto giusto. È sepolto molto in fondo, ma c’è.

Finora ci avevo sempre creduto, ma ora lo vedo. È lì, avvolto dalla tristezza, dall’oscurità, e non voglio fare altro che tirarlo fuori e farlo splendere.

Metto giù Brat e mi avvicino a lui, rimasto fermo, paralizzato, con lo sguardo perso nel vuoto.

Lo circondo con le braccia e poggio la testa sulla sua spalla.

“Grazie Adrian per avermi protetta.”

Il suo corpo, a così stretto contatto con il mio, è rigido. È come se stessi abbracciando una colonna di legno, ma pian piano si ammorbidisce e le sue braccia si chiudono su di me, come una gabbia dorata.

La sua stretta è lieve, ma decisa e sento, sotto il mio orecchio, il suo cuore che batte forte quanto il mio. Non battono all’unisono: Sembra quasi che si stiano rincorrendo.

Rimaniamo fermi così per un sacco di tempo. Così tanto che i nostri cuori si calmano, trovando un nuovo ritmo.

Mi sento bene qui, stretta a lui. So che non mi potrà succedere sulla fino a quando gli sarò vicina, ma so anche che dovrei lasciarlo andare, spezzare questa stretta così rassicurante.

Per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento in pace.

“Non puoi restare qui!”

La sua voce suona bassa ma decisa, così vicina al mio orecchio da farmi venire la pelle d’oca e aumentare nuovamente le palpitazioni..

“Lo so!”

Ma  non vorrei mai lasciarti andare.

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Capitolo 24
*** 24 Adrian ***


24 Adrian.

 

 

Chelsea è andata via da più di mezz’ora e avrei tanto voluto smettere di pensarci, ma sapevo che non sarebbe stato possibile.

Chelsea ha chiamato Meredith per raccontarle l’accaduto e lei ha chiamato il fratello per informarlo che avrebbe svuotato al più presto l’alloggio studentesco.

Non mi ha sorpreso scoprire tutto ciò da Ryan e Bianca, che immediatamente sono saliti da me per parlare con Chelsea e rassicurarsi sul suo stato di salute.

Ryan mi ha tenuto sotto controllo per tutto il tempo, osservandomi con una strana ruga tra le sopracciglia.

Non mi ha chiesto nulla, ma quando è sceso per riaccompagnare a casa la moglie, mi ha detto che sarebbe risalito di lì a poco.

Lo sto ancora aspettando e non so se sperare che rimanga a casa sua o meno.

Non mi è piaciuto il modo in cui mi stava osservando e sono ancora troppo scosso per pensare di rimettermi la maschera.

Chelsea, ancora una volta, è riuscita a spiazzarmi e a tirarmi fuori cose che non volevo uscissero.

Non avrei mai voluto ammettere di essermi preoccupato per lei, nemmeno con me stesso.

Mi ero giustificato, dicendomi che lo facevo solo per avere la coscienza pulita, ma la verità è che non volevo che le succedesse qualcosa e l’unico modo che avevo per assicurarmene era andare agli alloggi.

Avrei potuto dirle di rimanere, ma non sarebbe stata una buona idea. Nonostante tutto, non è cambiato niente.

Io sono sempre lo stesso.

Chelsea, dopo aver chiuso la telefonata con Meredith, e avermi chiesto in prestito il carica batteria per il cellulare, ha chiamato Jillian.

Per tutta la durata della telefonata, Chelsea mi ha dato le spalle, ma quando si è girata, aveva un sorriso triste sul viso.

Per la prima volta, mi è sembrata davvero abbattuta.

Non l’avevo mai vista così demoralizzata.

Per la prima volta da molto tempo, ho desiderato aiutare qualcuno. Avrei voluto risollevarle il morale, far sparire la tristezza dal suo viso, fino ad oggi sempre ottimista.

La cattiveria del mondo è riuscita ugualmente a raggiungerla.

Avrei voluto essere una persona diversa per poterle stare accanto, ma invece che aiutarla, avrei solo peggiorato la situazione.

Proprio per questo  l’ho accompagnarla di sotto quando la sua amica, una bella donna sulla quarantina, è passata a prenderle.

Lei è salita sulla macchina, salutandomi con un timido gesto della mano e sono rimasto ad osservare mentre spariva in lontananza.

È stato strano tornare di sopra, con quello stupido gatto che mi osservava, seduto sul bracciolo del divano, che mi guardava con sguardo accusatorio.

“Non le ho fatto nulla. È meglio così!”

Il gatto ha girato la testa, come se avesse capito quello che gli ho detto, ma non fosse soddisfatto.

Solo in quel momento mi sono accorto di aver iniziato a parlare con il gatto.

Sto impazzendo, ne sono sicuro, perché non c’è altra spiegazione per quello che sta succedendo, per quello che sto iniziando a sentire.

Non avrei mai pensato di incontrare una persona in grado di farmi pensare a qualcosa di diverso dal mio egoismo.

Quando si tratta di Chelsea, sono disposto a mettere molte cose da parte, ma non è abbastanza anche solo per pensare a lei come a qualcosa di diverso di un’amica.

Non sono disposto a mettere da parte la mia vendetta e lei merita molto più di questo.

La porta dell’appartamento si apre all’improvviso e il mio amico entra, portando con se                un cartone con sei birre.

“Quelle per cosa sono?”

Ryan mi supera senza dire nulla e va a sedersi sulla poltrona. Indossa un paio di pantaloni da palestra e una maglia a collo alto pesante. Ha i capelli più corti di quanto non li abbia mai avuti, ma per il resto è ancora quello dell’anno scorso, nonostante la sua vita sia cambiata completamente.

Quando si è messo con Bianca, ho pensato fosse impazzito. Quando, circa un anno fa ci ha detto che sarebbe diventato padre e che presto avrebbe sposato Bianca, sono rimasto sconvolto.

Non stava cambiando solo la sua vita, ma anche la mia. Niente sarebbe più stato come prima. La spensierata amicizia di quegli anni di College si sarebbe trasformata in qualcosa per cui non ero pronto.

Ho disapprovato silenziosamente fino all’ultimo. Anche in chiesa, mentre lui e Bianca si stavano scambiandole promesse, ho sperato, egoisticamente , che si tirasse indietro.

Eppure, quando ha messo alla sua donna l’anello al dito, mi sono sentito davvero orgoglioso, perché Ryan è un uomo di parola, come non ce ne sono molti al mondo.

Lo rispetto immensamente per le sue scelte. Sarebbe stato più semplice, immensamente di più, lavarsene le mani, ma non è quel genere di persona ed è per questo che sono preoccupato per la sua presenza nel mio appartamento.

“Allora, vuoi dirmi cosa sta succedendo esattamente?”

“Non so di cosa stai parlando.”

Afferro una delle birre e la apro dopo essermi messo sul divano ed acceso la televisione.

“Non provare a prendermi per il culo. È vero, in questo periodo sono stato estremamente occupato, soprattutto dopo la storia di Logan e mia sorella, ma sto diventando un buon osservatore e lo so che sta succedendo qualcosa. Perché eri lì, Adrian?”

Cambio i canali in rapida successione, non soffermandomi quasi su quello che stanno trasmettendo.

Non voglio rispondergli, anche perché non so esattamente che cosa dirgli. Mi renderei solo ridicolo.

Con la coda dell’occhio vedo che si guarda attorno, perplesso.

“E mi spieghi per quale motivo le tende alle finestre sono mezze distrutte? Che è successo?”

L’autore del macello decide proprio in questo istante di farsi vedere, iniziando a strusciarsi sulle gambe di Ryan.

“Perché c’è un gatto?”

All’inizio la domanda sembra che la domanda la stia ponendo a se stesso, ma poi si gira verso di me, con un espressione incredula.

“Perché c’è un gatto nel tuo appartamento? Adrian che sta succedendo?”

Più mi pone domande, più sento la rabbia montare.

Cosa vuole che gli dica esattamente? È Successo per caso, dannazione.

“Puoi smetterla di farmi domande? Sono stufo di avere attorno gente che mi chiede cosa mi passa per la testa e mi dice come devo comportarmi. Non ne posso più di te, di mio padre, di Josh e di Chelsea, con quel suo assurdo modo di fare. Non lo sopporto. Mi spinge a fare cose che non vorrei e lo detesto!”

Tutta la frustrazione per la situazione in cui mi trovo viene fuori di botto. Sono infuriato. Voglio solo essere lasciato in pace, libero di andare avanti con la mia vita.

Perché tutti gli altri non possono fare lo stesso e lasciarmi stare?? Sto meglio da solo.

Non ho bisogno di loro, non ho bisogno di nessuno.

“Amico, vedi di  darti una calmata. Se hai i coglioni girati per un qualche motivo, non te le devi prendere con me o con quella poverina. Hai fatto tutto da solo.”

“Chi sarebbe la poverina?”

“Chelsea, ovviamente. Mi dispiace un casino per lei ed è bello che tu l’abbia aiutata, anche se non riesco a capire perché tu lo abbia fatto.”

Sento nuovamente la rabbia salire, complice la frustrazione per l’incapacità di lavarmene le mani.

“Quella lì è tutto tranne che una poverina. È una dannata strega, una fata in grado di farti fare tutto quello che vuole senza che tu nemmeno ti renda conto di essere finito nel suo incantesimo. Le basta sbattere le palpebre, facendo gli occhioni da cucciolo bastonato per poter ottenere tutto quello che vuole. È insopportabile!”

La risata poderosa di Ryan invade l’intera stanza. Si allunga per appoggiare la lattina sul tavolino di fronte a lui e, osservandomi, continua a ridere, sempre più forte.

“Cosa cazzo hai da ridere?”

Se speravo che la mia evidente rabbia lo facesse smettere, i sbagliavo di grosso, perché la sua ilarità aumenta ancora di più, diventando incontrollabile.

Se non fossi così furibondo perché si sta prendendo gioco di me, sarei tentato di unirmi a lui.

Ha un non so che di contagioso.

“La vuoi finire? Mi sto incazzando seriamente!”

Pian piano il suono si attenua, mentre il mio amico ha il viso rosso, il fiato corto e, mi sembra, addirittura le lacrime agli occhi.

Mi sento estremamente mortificato e questo fa scaturire in me un sentimento di odio davvero potente.

Nessuno mi deve prendere in giro, burlarsi di me. Non sono un buffone, qualcuno di cui ridere alle spalle.

“Scusa, è che vederti così, privo di controllo, mi ha davvero spiazzato. Da un certo punto di vista, ho sempre invidiato il tuo ferreo autocontrollo, ma dall’altro mi rendevo conto che prima o poi anche tu ti saresti trovato a fare i conti con qualcosa che non puoi controllare. Non ti invidio e non vorrei essere al tuo posto.”

Si passa una mano tra i capelli e recupera la sua birra. Da un certo punto di vista, il suo ragionamento fila e placa un po’ il mio risentimento.

“Chelsea è una persona che non puoi controllare a tuo piacimento e questo ti spiazza completamente. Ammetto che ha lasciato molto perplesso anche me con il suo modo di fare e il sorriso perennemente incollato sulla faccia. Non avevo mai incontrato una persona allo stesso tempo così credulona e allo stesso tempo così intelligente. Dopo quello che ha passato, anche questa non ci voleva ed è un bella cosa che tu l’abbia aiutata.”

Solleva la birra al mio indirizzo, con un sorriso furbo sul viso che mette in evidenza la fossetta sulla guancia destra.

“Anche se fai il burbero e il duro, non sei una cattiva persona ed è evidente che Chelsea riesce a tirare fuori il meglio di te.”

“È il suo modo di fare. Mi guarda come se fossi sul punto di tirare fuori un coniglio dal cilindro e non riesco ad essere il solito bastardo, perché proprio non avrebbe senso. L’ultima volta le mie parole le sono scivolate addosso come se fossero acqua, lei mi ha osservato per un paio di secondi e poi  ha sorriso, sfidandomi e facendomi sentire un autentico imbecille. È Convinta che io sia una brava persona.”

Ryan finisce la sua bibita osservandomi in silenzio per diversi secondi e mi chiedo a cosa stia pensando. La sua espressione è indecifrabile.

“Sai? Potrebbe avere ragione, perché nessuna cattiva persona l’avrebbe aiutata come hai fatto tu. Sei un gran testardo. Sei convinto del tuo ed è okay, ma forse avevi proprio bisogno di conoscere una persona più testarda di te.”

 

***

 

Avevo appena finito di completare l’ultima acquisizione, raggiungendo così il cinquantadue virgola otto per cento delle azioni dell’azienda di mio nonno, quando il cellulare ha iniziato a squillare.

L’ho ignorato, perché non avevo nessuna voglia di parlare con mio padre, ma l’aggeggio infernale ha continuato a ronzare, come se fosse andato in tilt, fino a quando non ho risposto. Il buongiorno è stato il suo urlo che mi ha mezzo fracassato un timpano.

“A cosa devo questo bel saluto?”

“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Perché non usi il cervello, razza di imbecille?”

Sento che la rabbia sta iniziando a salire, ma faccio di tutto per arginarla, perché on è ancora il momento.

Devo mantenere il controllo.

Un giorno, non troppo lontano, si pentirà amaramente del modo in cui mi ha trattato, di tutti gli epiteti che mi ha rivolto in questi anni.

Molto presto il suo stupido figlio gli renderà ogni torto subito.

“Mi vuoi spiegare di che cosa stai parlando?”

“Della foto che è finita su internet e potrebbe finire sulle riviste scandalistiche. Tu mi vuoi rovinare.”

Rimango spiazzato dalle sue parole. Di che foto sta parlando?

“Spiegati meglio”

“Ieri sera, razza di sciocco. Ti hanno fotografato insieme alla tua amichetta mentre saliva nella tua macchina e poi mentre entravate nel tuo edificio. È evidente che non siete solo amici e stanno volando le congetture. Ti avevo chiesto di mantenere un basso profilo. Invece tu cosa fai? Ti immischi con la polizia?”

Rimango senza parole e senza  fiato mentre realizzo di che cosa sta parlando il vecchio.

Prima ancora di essermene reso conto, gli ho chiuso il telefono in faccia e sono di nuovo al pc, alla ricerca della foto e dell’articolo.

È come mi ha detto lui.

In bella vista ci siamo noi. Nella foto ho un espressione tesa, la preoccupazione è più evidente di quanto non avrei voluto e Chelsea invece sembra molto triste, giù di morale.

Nella seconda foto, invece, siamo stati ritratti di spalle.

Ho appena aperto il portone d’ingresso, tenendoglielo aperto e incoraggiandola a salire con la mano premuta sulla schiena. Nessuno penserebbe mai che è un atteggiamento che non ha nulla a che vedere con le illazioni che ne scaturiranno.

Nell’articolo non c’è il nome di Chelsea, ma chi lo ha scritto ha svolto delle indagini, perché ha parlato chiaramente dell’accaduto.

Parla della stanza di strutta e del fatt che sarei accorso immediatamente in suo aiuto.

Si ipotizza una relazione segreta e l’articolo da come certo il fatto che lei sarebbe rimastra nell’edificio tutta la notte anche se non è vero.

Sono furibondo.

Come si permettono quegli sciacalli?

Ciò che faccio della mia vita non ha nulla a che fare con le aspirazioni politiche di mio padre e non sopporto che ci vadano di mezzo delle persone che non hanno nulla a che fare con questa storia.

Devo avvertire Chelsea di quanto è successo.

Lei non sa nulla di queste cose e quei maledetti avvoltoi le daranno il tormento se non vengono fermati immediatamente. Non voglio che a causa mia venga perseguitata ulteriormente.

Ma come? Non ho il suo numero di telefono e non so dove viva la usa amica.

Cosa accidenti devo fare? Farsi vedere in pubblico assieme sarebbe una cattiva, cattivissima, idea.

Lo stupido gatto sceglie proprio questo momento per decidere di saltarmi sulle gambe, puntare le unghie sulle cosce e stiracchiarsi.

Un dolore lancinante si irradia su per la coscia destra, mentre il disgraziato fugge prima che lo possa acchiappare.

Se Chelsea non si sbriga a trovargli una casa, quel gattaccio potrebbe fare una brutta fine.

Mi massaggio con cautela la gamba, osservando il cellulare, indeciso.

Potrei chiamare Logan, farmi passare quella pazza della sua ragazza e chiederle di darmi il numero della sua amica, ma non sono molto sicuro che me lo darebbe.

Meredith mi detesta profondamente e se mai dovesse scoprire che ho messo le mani addosso a Chelsea, credo che proverebbe ad ammazzarmi.

No, non è decisamente una buona idea, ma a chi chiedere?

Forse c’è un'altra persona che potrebbe avere il suo numero di telefono, ma non mi piace l’idea di chiederle qualcosa, perché lei non solo non mi può vedere, ma mi odia spassionatamente.

Kayla è l’ultima persona con cui vorrei parlare, ma è anche l’unica persona che mi può aiutare a non complicare ancora di più le cose.

Non ho il suo numero, ma ho quello di Josh e dato che i due praticamente vivono in simbiosi, è probabile che in questo momento siano assieme.

Il telefono squilla parecchie volte prima che lui mi risponda e ottenere il numero di Chelsea si rivela più complicato di quello che pensavo, perché entrambi hanno visto l’articolo, dato che qualche ficcanaso ha condiviso il link sulla pagina facebook del campusl

Dopo una lunga, lunghissima spiegazione che non avrei voluto dare, finalmente riesco ad ottenere quello che mi serve.

Che io sia dannato se mi dovessi mettere di nuovo in una posizione del genere.

Che umiliazione.

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Capitolo 25
*** 25 Chelsea ***


25 Chelsea.

 

 

Mi sarei accontentata di un divano e di un bagno, non mi serviva molto altro.

Invece Jillian si è data un gran da fare per liberare lo studio appartenuto al marito, che fino a quel momento aveva usato come ripostiglio per le cose che non sapeva dove mettere.

Ha aperto il divano letto e ha liberato un cassetto dove farmi mettere le poche cose che sono riuscita a portare via dalla mia camera.

Tutto questo mentre ero seduta al tavolo della cucina con un’eccitatissima Allyson di fronte, che non la smetteva di dire quanto era felice che rimanessi un paio di giorni da loro.

Mi sono sentita a disagio per tutto il tempo.

È vero, non avevo nessun’altro a cui poter chiedere, ma ciò non ha reso la mia impotenza più semplice da gestire.

Ad Allyson non ho raccontato quello che è successo. Sapevo che si sarebbe spaventata e non mi avrebbe persa d’occhio.

Le ho solo detto che momentaneamente il mio alloggio è inagibile e che sua madre è stata così gentile da ospitarmi.

“Non ti preoccupare per i vestiti. Posso prestarti io qualcosa. Buonanotte.”

Ha salito le scale prima che potessi dirle che non mi servivano e che, con tutta probabilità, i suoi vestiti non mi sarebbero mai entrati.

Io e Jillian siamo da sole adesso, in questa cucina dall’aria vissuta, che profuma di torta di mele e cannella.

“Vuoi dirmi cos’è successo? Hai una faccia sconvolta. Niente di ciò che dirai potrà farmi cambiare idea.”

Stringo forte tra le mani la tazza di caffè bollente che mi ha appena passato e punto lo sguardo su una delle pesche che decorano la tovaglia del tavolo.

“Lo so. È solo… così difficile. Un momento prima va tutto bene, l’attimo dopo è tutto un casino. Questi ultimi mesi sono stati così pesanti. Prima mio padre, ora questo. Inizio a chiedermi se riuscirò a vivere almeno un po’ in pace. Mi manca la calma e la serenità della mia vita di prima, ma allo stesso tempo il pensiero di tornarvi mi annichilisce.”

Seguono alcuni secondi di silenzio, dove non posso fare a meno di sollevare la testa e guardare la bionda donna seduta davanti a me, che sorseggia un bel te alle more.

“Non ti giudicherò, Chelsea. Sono l’ultima persona al mondo che può permettersi di farlo.”

Non credo che ci sia qualcosa da giudicare. In fondo, non credo che lei abbia proprio qualcosa da farsi perdonare. Io invece ho solo il timore di apparire stupida e ottusa. Jillian è una donna che stimo moltissimo, ancora di più dopo quello che mi ha raccontato e non vorrei che la mia passata ingenuità la condizionasse.

Però so che non lo farebbe mai, per questo decido finalmente di sfogarmi, raccontandole tutto quello che è successo, iniziando dall’inizio.

Le parlo della scoperta, di Meredith e di come mi abbia aiutata a crescere e diventare finalmente me stessa. Le racconto di mio padre, di come ha sempre disapprovato la nostra amicizia, denigrandomi.

Quando le parlo del modo violento in cui si è comportato, le lacrime fuggono al mio controllo, perché accompagnate ancora una volta dal sentimento di perdita.

Jillian ascolta tutto questo in silenzio e non so se mi abbia guardata, ma io non potevo farlo e mi sono limitata a fissare il liquido nero nella tazza che tremolava leggermente a causa delle mie mani malferme.

“È stato per questo che ho dovuto trovare un lavoro. Non voglio più nulla da lui. Non è la persona che pensavo fosse e mi ha mentito per tutta la vita. Mi aveva detto che mia madre era morta.”

L’ultima frase suona come il suono di un animale ferito e mi rendo conto di star singhiozzando.

Non lo avevo detto a nessuno, nemmeno a Meredith, e questa consapevolezza allevia un po’ la pressione che da un po’ di tempo mi gravava sul cuore.

Jillian ha lo sguardo sconvolto, quando alzo il capo, e capisco che cosa stia pensando: si chiede se, dopo averle portato via la sua bambina, il suo ex marito abbia detto la stessa cosa alla sua Rhea, ma ora non ho tempo di soffermarmi sui suoi sentimenti.

Non posso farcela. Non ho le forze per mettere da parte tutto quello che provo per alleviare il suo dolore.

Ormai ho scoperchiato il vaso di Pandora e tutto quello che mi stavo tenendo dentro sta uscendo prepotentemente.

“Mi ha mentito. Ha detto sempre e solo bugie. Una dietro l’altra, mentre a me insegnava ad essere una buona credente, una figlia rispettosa. Tutto ciò mentre infarciva la mia vita di menzogne. Mia madre è viva, da qualche parte là fuori e non so come o se voglio trovarla. Ho paura delle risposte che potrei ricevere!”

Per tutto il tempo ho guardato Jillian negli occhi, incapace di distogliere lo sguardo.

“Potrebbe non essere come te, che dopo tanto tempo pensi ancora costantemente a tua figlia. Lei potrebbe non amarmi, non avermi mai voluta e questo mi spaventa molto. Vorrei sapere, per potermi mettere l’anima in pace. Almeno sapere se dopo sedici anni è ancora viva. Ma non so da che parte cominciare. Ho solo un nome, MarySue, ma null’altro.”

Jillian si allunga e mi prende le mani, gli occhi lucidi di chi è molto coinvolto emotivamente.

“Oh, Chelsea, non avevo idea che avessi passato momenti così brutti. Ti aiuterò, voglio aiutarti. Se io non posso riabbracciare la mia Rhea, forse tu potrai ritrovare tua madre. Ci ho provato, solo il cielo sa se non l’abbia cercata, ma Fred me l’ha portata via.”

Sento il cuore più leggero, ma allo stesso tempo ancora soffocato, perché percepisco nitidamente il dolore di Jillian.

“Parlamene. Dato che siamo in momento di confidenza, parlarne potrebbe aiutarti. Io un po’ mi sento meglio.”

Lai scuote la testa, facendo scappare diversi capelli biondi dalla crocchia che ha in testa.

“No, non mi aiuterà. Sono tutte cose che vorrei dire a Rhea.”

Allontana le mani da me, ma ora sono io a prendere le sue, stringendole con forza.

Non voglio che si tiri indietro. Ne ha bisogno lei quanto ne avevo io e dopo che mi ha ascoltata, il minimo che posso fare è renderle il favore.

“Coraggio Jillian. Sono cose che ti stai tenendo dentro da troppo tempo. Tuo marito lo sapeva?”

Un sorriso triste le illumina il viso mentre punta lo sguardo alle mie spalle, verso la credenza. L’ho vista prima, la piccola foto che ritrae una famiglia felice.

Jillian, più giovane di almeno dieci anni, che stringe alla vita un uomo imponente con la testa rasata e i baffi lunghi e Allyson, che allora avrà avuto si e no sei anni, seduta comodamente sulla spalla del padre.

Tutti e tre sorridono, felici.

“Oh sì, lui lo sapeva, anche se non ci siamo mai realmente sposati. Per molto tempo ha cercato di convincermi a cercarla, ma dopo anni di delusione, ero così stanca di soffrire e sperare che la chiamata che aspettavo sarebbe arrivata. Ho ingaggiato un investigatore privato, che l’unica cosa che è riuscito a scoprire è che mio marito Fred aveva prenotato dei biglietti aerei che da Denver lo avrebbero condotto a Londra. Il nome di mia figlia era su uno dei biglietti.

Non so se abbiano mai preso quell’aereo, dato che Rhea non aveva il passaporto, ma quello è stato l’ultimo indizio che l’investigatore è riuscito a trovare. Fred e Rhea sono spariti nel nulla. Nemmeno lo stato è riuscito a rintracciarli quando ho fatto la denuncia. Semplicemente sono svaniti nel nulla.”

Non riesco a capacitarmene. Come ha potuto fare una cosa del genere a sua moglie? Portarle via sua figlia e sparire nel nulla.

Non riesco ad immaginare quanto sia stato devastante per Jillian. Dev’essere stato un dolore inimmaginabile.

Le stringo forte le mani, mentre dai suoi occhi iniziano a strabordare le prime lacrime.

“L’ho cercata così tanto, ma non c’è stato nulla da fare. Nessuno è riuscito ad andare oltre quei maledetti biglietti.  Ho iniziato a chiedermi se non sia stato meglio così. Dopotutto allora non ero una buona madre.”

Rimango in silenzio, sorpresa da questa affermazione, perché io penso che sia grandiosa e che Allyson sia estremamente fortunata.

“Ero così giovane, che non sapevo quanto sarebbe stato diverso dopo il parto. Avevo avuto nove mesi per abituarmi alla presenza del bambino. Non vedevo l’ora che arrivasse il momento del parto. LA pancia pesava, avevo mal di schiena, i piedi doloranti, ma allo stesso tempo ero felice di sentirlo scalciare e muoversi. Era una parte di me.”

Sottrae le mani e con un fazzoletto preso dalla tasca si asciuga gli occhi e si soffia il naso.

“Quando mi hanno messo in braccio la mia splendida bambina, ero al settimo cielo. Era stupenda, perfetta, mia. Ma non avevo tenuto conto di quanto il mio corpo fosse stato messo alla prova. Tornata a casa, mi sembrava tutto diverso, io ero cambiata. Mi guardavo allo specchio, con i residui della gravidanza su tutto il corpo, e mi vedevo orribile. Mi sentivo inutile, quando la bambina piangeva e non riusciva a smettere, mi faceva paura prenderla in braccio perché temevo di essere inadatta e farle del male.  Quando dopo due settimane il latte è sparito, mi sono sentita un autentico fallimento.”

Mi guarda con espressione triste, scoraggiata.

“Sono caduta in depressione ed ero ben felice che ci fosse la sorella di mio marito ad aiutarci. Cassandra aveva solo un paio di anni più di me e non poteva avere figli a causa di un intervento chirurgico a cui era stata sottoposta da ragazzina. Adorava Rhea. Passava con lei tantissimo tempo, le dava il biberon  e la cambiava quando io non riuscivo a farlo. Cassandra è stata un gran aiuto, ma forse anche una dei motivi per cui sono andata via di casa. Avevo detto a Frank che sarei andata a farmi curare, perché amavo nostra figlia e volevo essere la madre migliore del mondo per lei. mi era sembrato d’accordo, ma quando sono tornata a casa, due mesi dopo, erano spariti.  La casa era vuota, disabitata da almeno due settimane. Non starò a dirti quanto questo mi ha fatta soffrire. Solo la consapevolezza che accanto a lei c’è una bella persona come Cassandra mi fa andare avanti. Eravamo così amiche e non so cosa sia successo, cosa li abbia spinti a lasciarmi indietro, ma sono sicurissima che Cassandra proteggerà sempre la mia bambina.”

Ho un enorme groppo in gola. Vorrei dire qualcosa, ma l’unica cosa che vorrei fare è piangere.

Jillian è una donna straordinaria, ancor più di quanto io credessi. Superare una cosa del genere non deve essere stato assolutamente facile ed è evidente che ancora non ha superato la perdita.

Non oso immaginare quanto sia stata dura. Il suo defunto marito dev’essere stata davvero una persona speciale.

“Il padre di Allyson, Paul, giusto? Come vi siete conosciuti?”

Sentir nominare il suo nome fa immediatamente spuntare un sorriso sul suo viso.

“Oh, questa è un’altra lunghissima storia, ma era l’uomo giusto, quello con cui avrei voluto passare tutta la vita. Sapeva sempre farmi ridere. Anche se le cose andavano male, lui riusciva a rallegrarmi. Aveva perennemente il sorriso sul viso, anche se nelle foto usciva sempre come un burbero orso pelato, ed era pronto a vedere del buono in tutti. Se non lo avessi incontrato, non so ora dove sarei.”

“La vostra deve essere stata davvero una bella storia.”

“Lo è stata. Sono stati sedici anni meravigliosi. Anche se, lo ammetto, quando l’ho conosciuto ero ancora troppo addolorata per aver perso la mia bambina. Eppure lui non ha lasciato perdere. Diceva che ne valeva la pena, che non avrebbe mai più incontrato una donna come me. Che era molto fortunato. Ma la verità è che quella fortunata sono stata io. Lui era tutto quello di cui avevo bisogno per tornare a sperare. Ora però basta parlare di me.”

Si raddrizza, dopo essersi nuovamente pulita il viso con un altro fazzoletto di carta e mi rivolge una delle sue solite occhiate di ammonimento.

“Non mi hai ancora detto cosa ti ha portato a casa nostra.”

Ha ragione e speravo di non doverne più parlare.

Non l’ho fatto di proposito, ma speravo che si fosse dimenticata di questa cosa.

“Qualcuno è entrato nella mia camera. Ha messo tutto a soqquadro, ha addirittura distrutto alcune cose. Mi sono spaventata moltissimo, perché sono azioni dettate da una sola cosa: l’odio.”

“accidenti, che brutta situazione. Resta qui tutto il tempo che ti serve. Quella stanza doveva essere uno studio, ma Paul non lo ha mai realmente utilizzato. Preferisco che lo usi tu piuttosto che lasciare che la polvere si accumuli sui mobili.”

“Davvero, Jillian. Non serve. Troverò in fretta un altro posto dove stare e che mi possa permettere.”

Non voglio abusare della sua ospitalità ed immaginavo che avrebbe detto qualcosa del genere, ma di certo non mi sarei mai aspettato che le mie parole venissero accolte così male.

“Ti ho forse dato scelta? Tu hai bisogno di un posto dove stare. Fine della discussione!”

Sono senza fiato e allo stesso tempo estremamente commossa per la sua risolutezza. Eppure non posso lasciare che le cose vadano così. Non voglio essere un peso.

“Saranno comunque solo pochi giorni. Se dovessi rimanere più a lungo, lascia almeno che ti paghi un affitto!”

Mi rivolge l’unica occhiata che non avrei mai voluto ricevere, quella che riserva ad Allyson ogni volta che la becca a fare qualcosa che non dovrebbe.

È uno sguardo inquietante, in grado di zittire anche Theo.

“Tu non mi pagherai un bel niente. Se vuoi renderti utile, pulisci le tue cose e tieni in ordine. Se proprio devi, puoi dare una mano con le faccende domestiche, ma non accetterò un centesimo da te. Metti quei soldi da parte per le rette del college piuttosto e non preoccuparti. Non sarai mai un peso o un disturbo.”

Gli occhi iniziano a pizzicare. Sono commossa. Le sue parole significano così tanto per me. Mi sentivo così sola, impotente, abbandonata a me stessa anche se accanto ho un sacco di persone pronte ad aiutarmi in caso di bisogno.

Jillian mi trasmette calore, affetto. Quando sono in sua compagnia mi sento come se non fossi obbligata a tenere duro e sopportare ogni cosa da sola.

“Jillian, io… non so cosa dire.”

“Non dire nulla e vai a dormire. Hai una faccia davvero stravolta. La mia camera è la prima porta sulla destra appena salite le scale. Per qualsiasi cosa, non esitare a bussare.”

 

 

***

 

Il primo pensiero razionale che riesco a formulare dopo aver spento la sveglia è: dove accidenti sono?

Non riconosco nulla di quello che mi circonda, le lenzuola hanno un profumo diverso.

Una debole luce entra dai buchi della tapparella, lasciata fin troppo aperta. Intravedo una scrivania in fondo alla stanza, circa ad un metro e mezzo dal mio letto.

Di fronte a me c’è un armadio enorme, di cui non riesco a vedere nulla.

Cerco il cellulare tra le pieghe delle lenzuola e spalanco la bocca quando vedo l’ora.

Sono quasi le undici. Avrei dovuto svegliarmi ore fa, invece non ho sentito la sveglia.

Pian piano iniziano a riaffiorare i ricordi, lasciandomi per un istante disorientata.

Sono a casa di Jillian e ieri qualcuno mi ha distrutto la camera.

Come ho fatto a dimenticarmene e, soprattutto, come ho potuto dormire quasi dieci ore ininterrottamente?

L’aria fuori dalle coperte è gelida, così mi avvolgo nella mia vestaglia rosa shocking, quella che Meredith mi ha regalato per natale in modo che facesse coppia con le mie ciabatte.

Apro piano la porta che da sul corridoio e vengo accecata dalla luce improvvisa. Lo studio si affaccia praticamente sull’ingresso, così passo davanti alle scale per poter arrivare in cucina.

Non c’è nessuno, anche se la caraffa del caffè è a metà. Il tavolo è perfettamente pulito e nell’acquaio posso intravedere due tazze in attesa di essere lavate.

L’unica cosa fuori posto, è un foglio, appoggiato vicino alla caraffa mezzo piena.

È un messaggio di Jillian che mi dice di essere andata a fare la spesa e di comportarmi come se fossi a casa mia.

Allyson è a scuola.

Sono da sola, in questa casa e mi sento davvero a disagio.

So che Jillian mi ha detto di restare, ma io ho davvero paura di essere di troppo, di risultare invadente.

Che cosa devo fare?

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Capitolo 26
*** 26 Chelsea ***


26 Chelsea.

 

 

Credo di essere diventata paranoica perché ho l’impressione che tutti mi stiano guardando o stiano parlando di me.

C’era un’innaturale chiacchiericcio a lezione di antropologia sociale. Il docente ha provato inizialmente ad arginare il fenomeno, ma alla fine si è arreso, continuando la sua spiegazione, consapevole che nessuno stava prestando attenzione alle sue parole.

In quel momento, avrei giurato che l’argomento di discussione fossi io.

Non è raro che nessuno mi parli, ma li ho visti voltarsi verso il pio posto più spesso di quanto non fosse mai successo.

Mi sono sentita al centro dell’attenzione.

Ora che sono uscita dall’aula e mi sto dirigendo verso il bar del campus, credo semplicemente di essere diventata paranoica, ma non riesco a levarmi di dosso la sensazione di essere al centro dell’attenzione.

Mi infilo nel primo bagno che trovo per sfuggire alla gente e mi chiudo nel cubicolo.

Che pace.

I bagni non servono solo per espletare i propri bisogni fisiologici, ma anche per trovare un po’ di tranquillità.

Al liceo ero solita trascorrervi molto tempo, perché se tanto dovevo essere sola, meglio esserlo in un posto dove non ero circondata da gente.

Sì, forse è da sfigati, ma non ci posso fare nulla.

“Chelsea?”

Sobbalzo, seduta sulla tavoletta chiusa del gabinetto. Di chi è questa voce?

Apro il cubicolo e seduta sul ripiano dei lavandini c’è Kayla. Indossa un semplice maglioncino e un paio di jeans. Le gambe dondolano avanti e indietro ad una quarantina di centimetri dal pavimento.

Ha i capelli raccolti in una coda di cavallo e una sciarpa rossa intorno al collo che fa risaltare l’azzurro dei suoi occhi.

“Come sapevi che ero qui?”

Mi fa un timido sorriso, guardando oltre la mia spalla.

“Ti ho vista entrare da lontano e ti ho raggiunta.”

“E mi stavi cercando perché…?”

“In effetti non ti ho detto che ti stavo cercando ma è così. Hai visto l’ultima novità?”

Non so di cosa stia parlando, ma di sicuro è collegata con la strana atmosfera che regna oggi.

“Ha qualcosa a che fare con il comportamento di buona parte del campus?”

Lei mi rivolge un sorriso un po’ sghembo, che assomiglia più ad un ghigno disgustato che altro.

“Certe cose non cambiano mai. Che tu sia al liceo o al college, la gente non riesce a fare a meno di spettegolare. Temo sarà così per sempre. Alle persone piacciono i pettegolezzi.”

Mi appoggio allo stipite della porta e incrocio le braccia sul petto.

“E questo cos’ha a che fare con me?”

“Adrian non ti ha ancora chiamata?”

La sua espressione perplessa mi fa salire un dubbio. Non è che quello che è successo al dormitorio è diventato di dominio pubblico?

Oddio. L’ultima cosa di cui ora ho bisogno è che la gente mi segua con lo sguardo, compatendomi come se fossi una povera derelitta.

“Perché avrebbe dovuto chiamarmi? Il mio numero non lo ha nemmeno.”

I piedi della ragazza smettono di botto di dondolare e sul suo viso la rabbia fa rapidamente capolino.

“Io lo uccido. Ma come si fa ad essere così imbecilli?”

“Mi vuoi spiegare che cosa sta succedendo?”

Lei sbuffa e si passa una mano sul viso completamente struccato se non per un po’ di mascara sulle altrimenti bionde ciglia.

“Non dovrei essere io a dirtelo dannazione, ma che io sia dannata se ti lascerò tornare la fuori completamente ignara.”

“Kayla, mi stai facendo preoccupare. Che sta succedendo?”

“Fondamentalmente non è nulla di che. Queste storie sono all’ordine del giorno qua al campus, ma non avevano mai coinvolto Adrian prima, quindi è una succosa novità per quei poveracci. Il padre di Adrian si è appena candidato alle prossime elezioni governative e questo fa di lui e della sua famiglia, quindi di Adrian, dei personaggi pubblici. Chiunque gli stia vicino potrebbe finire nel mirino di stupidi fotografi in cerca di scoop e fotografie compromettenti.”

Non sapevo tutte queste cose. Di Adrian, del suo passato o della sua famiglia non so assolutamente nulla e mi sento alquanto in colpa per non aver cercato di scoprire di saperne di più. Avrei potuto chiedere a Josh. Sono sicura che lui mi avrebbe risposto senza problemi. Oppure a Meredith, che a sua volta non si sarebbe fatta pregare. Nonostante tutto, credo che ancora muoia dalla voglia di mettermi in guardia su di lui, ma non servirebbe a nulla. Le sue parole mi darebbero solo fastidio.  

La vita di Adrian mi ha sempre incuriosita, perché sapendo avrei potuto comprenderlo meglio, ma temevo di risultare invadente. Pensavo che, se avesse voluto, me ne avrebbe parlato lui stesso.

Ho preferito concentrarmi sulla sua persona piuttosto che su quello che lo circonda.

“Continuo a non capire cosa c’entri con me tutto ciò!”

“Ieri sera vi hanno beccati insieme. Ci sono delle foto dove si vede che siete in rapporti molto amichevoli e le ipotesi stanno fioccando. Al centro di tutto ciò, c’è una vostra possibile relazione segreta. Hanno postato un articolo su un giornale online e il post è stato condiviso sulla pagina facebook del campus. Nell’articolo si parla di quello che è successo al condomino ieri notte, del fatto che tu sia andata via con Adrian e ipotizzano che ti sia fermata a dormire da lui. Sanno come ti chiami e sei appena diventata un bersaglio per i paparazzi!”

Sono senza parole. Non riesco a capire, ma la situazione sembra abbastanza preoccupante. Perché non posso vivere in pace?

“Come sai tutte queste cose?”

“Stamattina Adrian ha chiamato Josh per avere il tuo numero di telefono. Voleva avvisarti. Sei sicura che non ti abbia chiamato?”

Scuoto la testa e frugo nella borsa per cercare il cellulare.

Lo schermo si illumina immediatamente, mostrandomi l’immagine di Brat, che ho messo come sfondo.

Ci sono cinque chiamate perse, tutte dallo stesso numero.

“Oh no! Avevo il telefono in silenzioso.”

I tratti del viso di Kayla si ammorbidiscono leggermente, ma è ovvio che Adrian le sta proprio sullo stomaco.

“Almeno non se ne è lavato le mani. Dammi retta, Chelsea. È meglio se gli stai alla larga. Ti porterà solo guai.”

Non riesco a capire perché lo odi così tanto.

“Non mi piace l’idea di essere al centro dell’attenzione. Sono una persona tranquilla che vuole semplicemente vivere la sua vita, ma sono sicura che non lo ha fatto di proposito.”

Mi osserva con espressione mesta, come dispiaciuta per me.

“Però sapeva che sarebbe successo, non è uno stupido. Avrebbe fatto meglio a lasciar perdere. Per una volta, avrebbe dovuto mettere da parte quel suo maledetto egoismo ed evitare di creare fraintendimenti.”

Le sue parole sono cariche di rabbia, di risentimento, come se le avesse fatto qualcosa di male.

Non mi piace, non lo sopporto. Non voglio sentir parlare così di lui, perché non è vero, non è così.

Mi ha detto così tante volte di stargli alla larga, di non avvicinarmi a lui, per il mio stesso bene. Ha cercato di proteggermi perché lo sapeva. Eppure, nonostante ciò, ha corso il rischio che ci vedessero assieme perché era preoccupato per me. Come potrei mai arrabbiarmi o avercela con lui per una cosa del genere?

È stato un gesto bellissimo, un pensiero disinteressato e per nulla egoistico, quindi non permetterò a Kayla di parlarne male senza ragione.

Ha fatto tanto per me, è vero, ma anche Adrian lo ha fatto, c’è sempre stato quando avevo davvero bisogno.

“Smettila! Basta!”

La mia voce risuona esageratamente acuta nello spazio ristretto.

“Perché ce l’hai così tanto con lui? Che cosa ti ha mai fatto di così orribile per essersi guadagnato il tuo odio? Non ha fatto nulla di male. Mi ha detto così tante volte di stargli alla larga, che ormai non le conto più, quindi se c’è qualcuno che ha la colpa, qui, quella sono io.”

Kayla ha un’espressione scioccata in viso, come se non potesse credere alle sue orecchie.

“Sei innamorata di lui?”

La sua domanda mi prende alla sprovvista.

“No, non credo almeno. Come puoi essere innamorata di qualcuno, se non sai nemmeno che cosa ciò significhi?”

Il primo istinto è stato quello di negare categoricamente, ma dire semplicemente di no mi sembrava una bugia.

È vero, ci sono affezionata, ma dubito fortemente che si tratti di amore. Come potrei amare una persona di cui non so nulla, non sapendo che cosa si provi?

“L’amore non si spiega Chelsea. Nasce prima che tu possa rendertene conto e mette radici profondissime. Non so che cosa ci vedi in quel tipo, ma stai attenta, per favore.”

“Non sono innamorata di lui!”

Cerco di dirlo con più convinzione possibile, perché le parole di Kayla mi fanno paura.

L’amore è davvero un sentimento così incontrollabile e forte? Di sicuro io non sono capace di riconoscerlo, non avendolo mai sperimentato. Non so nemmeno cosa si dovrebbe provare.

“Forse non ancora, ma è evidente che non ti lascia indifferente.”

“Mi piace e quindi? Non significa che ne sia innamorata solo per questo motivo!”

Lei scende finalmente dal lavabo e si avvicina. È più bassa di me, ma con l’espressione sicura che ha in viso, ho l’impressione che mi stia sovrastando.

Mi poggia una mano sulla spalla, con fare rassicurante.

“Mi hai raccontato come hai vissuto e so cosa si prova a non nutrire nessun’interesse verso un membro del sesso opposto. È così che mi sono accorta che stava nascendo qualcosa di importante tra me e Josh, perché prima di conoscerlo, erano anni che non provavo interesse per nessuno. Addirittura, detestavo tutti i ragazzi. Adrian in particolare perché mi ricordava qualcuno del mio passato. So che non è come quel tipo, ma non posso fare a meno di provare quest’avversione e mi dispiace averti fatta arrabbiare, ma sono preoccupata per te.”

“So badare a me stessa!”

Le parole di Kayla hanno un significato profondo. Posso intuire che qualcosa nel suo passato l’ha fatta soffrire profondamente ed è altresì ovvio che lei e Josh hanno un legame speciale.

È la prima volta che si lascia andare a qualche tipo di confidenza. È una ragazza riservata, che tiene molto alla sua privacy. Che mi abbia detto queste cose, mi fa capire che non cerca di malignare o essere cattiva di proposito. È solo preoccupata che possa rimanere ferita dalla situazione.

“So che lo puoi fare, ma Adrian è su un altro pianeta. Siete estremamente diversi e non riesco ad immaginare uno scenario dove tutto questo non ti faccia star male. Nutrire dei sentimenti profondi per qualcuno così…”

Fa una pausa, come a cercare il termine giusto e sono di nuovo pronta a scattare, come una molla carica.

“…difficile, ecco, è pericoloso, soprattutto se sono a senso unico.”

Mi sento offesa dalle sue parole. Che cos’ho io che non va? Perché secondo lei una persona non potrebbe amarmi?

“Chi ti dice che lui non provi le stesse cose?”

Lei forse si accorge di quanto le sue parole mi abbiano toccata, perché fa un passo indietro, l’espressione vigile e attenta di chi cerca un modo carino per dire qualcosa di spiacevole.

La stessa che usava mio padre durante i sermoni, quando lanciava le frecciatine al mio indirizzo o a quello di qualche peccatore presente sulle panche di legno durante la funzione.

“Non prenderla male, Chelsea. Tu vai benissimo come sei. Non sto dicendo che hai qualcosa di sbagliato, solo che non siete per nulla compatibili. Tu sei una brava ragazza e lui non è quello che si potrebbe definire il ragazzo da presentare alla famiglia o agli amici. Probabilmente ti ha detto di stargli lontano perché si è accorto di questo tuo interesse. Se fosse stato reciproco, non credi che almeno ci avrebbe provato? Voglio dire, avrebbe cercato un qualche contatto più intimo, non credi?”

Apprezzo la buona volontà, ma le sue parole non fanno altro che riportare alla mente i ricordi di quando mi ha baciata, della sensazione di benessere che mi ha pervasa quando eravamo così vicini.

Sento il viso andare a fuoco e distolgo lo sguardo per cercare di dissimulare l’imbarazzo.

“Oh porca vacca. Che cosa è successo esattamente tra di voi?”

Non posso dirglielo, non ce la faccio. È troppo imbarazzante.

“Nulla. Assolutamente niente. Ora scusami, devo andare a lezione.”

Prima che mi possa fermare, levo il pezzo di legno che Kayla ha messo sotto la porta per bloccarla e scappo fuori, nei corridoi semi deserti.

Non è vero che ho lezione, per oggi ho finito, ma non posso rimanere con lei, ho bisogno di rimanere sola e riflettere.

Ormai il tarlo del dubbio si è insinuato nella mia mente e non posso fare altro che chiedermi se, inconsciamente, io non abbia investito dei sentimenti nel mio rapporto di “amicizia”, se così lo si può chiamare, con Adrian.

Amicizia, affetto, amore. Non conosco il confine che separa queste cose e ho paura di aver varcato  più di un limite in questi mesi e, soprattutto, nelle ultime settimane.

Questo perché, ogni volta che mi capita di ripensare ai pochi momenti passati insieme, cosa che capita esageratamente spesso e nei momenti meno opportuni, sento una stretta pazzesca alla bocca dello stomaco. Se fino ad ora pensavo fosse dovuta all’imbarazzo di aver condiviso così tanto con una persona, permettendogli di prendersi così tanta confidenza, ora mi chiedo se il reale  motivo non possa essere un altro.

Mettendo il caso che io ne sia innamorata, questo che cosa comporterebbe? Come mi dovrei comportare?

Dovrei assecondare questo sentimento oppure reprimerlo?

Non so cosa fare, cosa pensare, ma una cosa è sicura, anche Adrian, nei miei confronti nutre un qualche sentimento.

Non so se sia solo affetto misto a lussuria o se invece sia qualcosa di più. Sta di fatto che di qualsiasi cosa si tratti, non credo di essere pronta ad affrontarlo.

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Capitolo 27
*** 27 Chelsea ***


27 Chelsea

 

 

“Susan, le enchildas e le ali di pollo per il tavolo dodici sono pronte!”

Suono l’ennesima volta la campanella, urlando.

Non è da me, ovviamente, ma sono agitata, nervosa e la cameriera che c’è di turno oggi sembra al rallentatore.

Susan è stata assunta circa due settimane fa, dopo che Betty Jo ha deciso di abbandonare gli studi per tornare in Oklaoma e dare una mano alla sua famiglia alla tenuta.

Non ho ben capito di cosa stesse parlando, ma da quel poco che so, Betty Jo è una ragazza di campagna, che voleva sperimentare la vita di città, con tutto quello che ne è conseguito.

Non è stato come aveva immaginato e alla fine è tornata a casa dopo nemmeno un anno. Ha detto che le mancava la sua famiglia.

Al suo posto, Owen ha assunto Susan, che passa un sacco di tempo a chiacchierare e molto meno lavorare.

È la terza volta che la chiamo per questa ordinazione e mi sto innervosendo. Non sopporto che il cibo esca dalla cucina freddo.

“Eccomi, mamma mia quanto rompi.”

La ragazza che compare sulla soglia e prende il piatto con stizza non mi sopporta. Ogni volta che si poggiano su di me, i suoi occhi, scuri come i capelli, mandano lampi minacciosi.

È arrivata comportandosi come una prima donna, pretendendo che tutti facessero a modo suo, ma le cose non sono andate così. Se non si da una mossa, sono sicura che Owen la caccerà.

“Il cibo non deve uscire freddo da quell porta, sono stufa di dirtelo. Vorrei capire perché fai tutte queste storie solo quando sono sola in cucina. A Jillian non rispondi in questo modo.”

Il suo viso dai lineamenti delicati si contorce in una smorfia.

“Jillian potrebbe essere mia madre. Tu hai la mia età, per cui non prendo ordini da te, mettitelo bene in testa.”

Mi asciugo le mani nello strofinaccio che ho incastrato nel grembiule e metto le mani sui fianchi.

“Non devi prendere ordini da me, devi solo fare il tuo lavoro. Sei stata assunta per occuparti dei tavoli e tutto quello che ciò comporta.  Le ordinazioni fa parte dei tuoi compiti, cucinare e assicurarmi che i piatti arrivino caldi a chi li ha ordinati, invece, è compito mio.”

Lei mi rivolge un’occhiataccia,  poi si gira ed esce di gran carriera dalle porte girevoli, borbottando come se non riuscissi a sentirla.

Non mi importa cosa pensa di me. Può ritenermi altezzosa quanto vuole, ma io so solo facendo il mio lavoro. Non mi piace proprio collaborare con Susan perché non perde mai occasione di lamentarsi, brontolare ed insultarmi, come se le avessi fatto qualcosa.

So di non poter stare simpatica a tutti e al momento è proprio l’ultimo dei miei pensieri, ma se proprio devo essere trattata così, vorrei almeno conoscerne la ragione.

Oggi non sono proprio dell’umore adatto a sopportare gli sbalzi d’umore della nuova cameriera. Sono ancora molto sconvolta da ciò che è successo ieri, da quello che mi ha detto Kayla questa mattina e dalla breve conversazione che ho avuto con Adrian.

Mi ha detto proprio quello che mi aspettavo di sentire: Devo semplicemente stargli alla larga, ma non sono certa di volerlo o poterlo fare.

Le parole di Kayla hanno messo radici profonde e mi hanno fatta riflettere più di quanto avrei voluto.

Prima di Adrian, nessuno si era mai avvicinato così tanto a me, non lo avevo permesso perché non volevo, mi sembrava una cosa immorale e mi sentivo a disagio con me stessa.  Prima che lui entrasse prepotentemente nella mia vita, non avevo mai provato nessun tipo di curiosità.

Il contatto fisico con i ragazzi era qualcosa di impensabile, che andava contro tutto quello che mi è stato insegnato.

Ammetto che anche prima che mi aiutasse ad andare via da casa di mio padre, Adrian mi aveva incuriosita. C’era qualcosa, nella sua aria da duro, che mi ha fatto pensare che fosse semplicemente molto solo, però allora non mi sono soffermata sui dettagli.

Le mie convinzioni erano solide, ma dopo quanto è accaduto, ogni cosa è stata rimessa in discussione, forse è per questo che ho potuto assecondare la mia curiosità ed avvicinarmi a qualcuno come Adrian, apparentemente così diverso di da me.

Eppure, non avrei mai pensato che soddisfare un’innocente curiosità, quale scoprire qualcosa di più della persona che mi ha salvata, mi avrebbe potato così lontano.

Più ci penso, più la convinzione di provare un interesse romantico nei confronti di Adrian aumenta.

Mi piace vederlo, passare del tempo in sua compagnia, anche quando accadono le cose più inaspettate. Mi piace quando mi stringe e so che questo non è normale. Non è qualcosa che si prova per un amico.

Questo rende tutto ancora più complicato, perché non so cosa fare e non ho nessuno a cui chiedere consiglio.

Meredith mi ha detto di stare attenta, di non innamorarmi di Adrian, di non provare per lui un interesse diverso dall’amicizia, ma ormai dubito di essere in grado di fermare quello che sta succedendo.

Parlargli al telefono è stato strano. Non mi è piaciuto quello che mi ha detto, ma non avrei mia voluto che riagganciasse. Volevo fargli delle domande, per rimanere ancora un po’ così, ma non sono riuscita a dire nulla.

Ero già qui al Blue Moon quando ha provato a richiamarmi. Gli ho detto che Kayla mi aveva spiegato la situazione. Per un istante, ho avuto l’impressione che stesse per scusarsi, ma poi si è limitato a redarguirmi un’altra volta. Se voglio stare in pace, devo stargli alla larga.

Il turno finisce fin troppo in fretta. Con la testa tra le nuvole, il tempo è volato.

Tra poco verrà a prendermi Jillian. Oggi era il suo giorno libero e le ho detto che per rientrare avrei anche potuto prendere un taxi, ma lei me lo ha proibito categoricamente.

Ero sul punto di ribattere che ero più che in grado di prendere un taxi da sola quando, anticipandomi, mi ha detto che sarebbe comunque venuta al locale.

“Ti aspetto in macchina e non mi muoverò da lì fino a quando non sarai uscita. Se necessario, rimarrò nel parcheggio tutta la notte, ma se mi dovesse succedere qualcosa…”

Non mi è rimasto altro da fare che accettare il suo passaggio. Temo seriamente che sia capace di mettere in atto la minaccia.

Jillian è una dittatrice. O si fa come dice lei, oppure sono guai.

Ammetto che è anche per questo lato del suo carattere che mi piace così tanto.

Lavorare fianco a fianco ha fatto nascere quella che credo sia una bella amicizia. Io mi sono aperta con lei e ho ricevuto in cambio la stessa dose di fiducia che le avevo dato.

Dopo aver lavato e messo in ordine ogni cosa, controllo di aver chiuso bene il gas, esattamente come faccio ogni volta che chiudo la cucina.

Finisco di cambiarmi appena in tempo. Precisa come un orologio, alle undici e quarantacinque minuti, Jillian mi chiama sul cellulare.

Mi fa appena uno squillo, ma è più che sufficiente per farmi capire che mi aspetta fuori.

 

L’aria di fine Febbraio è ancora gelida, ma è un toccasana sia per i miei nervi che per la mia stanchezza. Per qualche motivo, non appena ho lasciat lo spogliatoio, mi è scesa addosso un’enorme stanchezza.

“Pensavo avrei dovuto aspettare al gelo per tutta la notte.!

Il suo saluto mi fa salire il sorriso alle labbra.

“Come se potessi davvero sprecare la tua gentilezza. Volevo evitare di essere ancora più di disturbo, ma è evidente che non me lo permetti. Il minimo che posso fare è essere puntuale.”

Un bel sorriso le si delinea sul volto.

“Sono contenta che tu l’abbia capito. Non potrei mai lasciarti andare in giro da sola. Sai com’è.”

Si, ho capito che cosa la anima, cosa la spinge ad essere così generosa e disponibile nei miei confronti.

Non è solo altruismo. È come se volesse espiare le sue colpe.

Arriviamo di fronte alla palazzine in stile anni ’80, con la muratura esterna composta da tanti piccoli mattoncini rossi. Alla luce arancione dei lampioni sembrano di tutt’altro colore.

Prendo una grossa boccata di ossigeno, invasa da una strana sensazione. Mi sento come poco prima che esploda un temporale. C’è elettricità nell’aria, una strana inquietudine.

Meredith mi ha sempre presa in giro per questa cosa. Diceva che non era possibile che potessi prevedere quando avrebbe iniziato a piovere, ma la verità è che quando sta per scatenarsi una tempesta, l’aria è diversa, più pesante e irrespirabile.

Mi toglie il fiato.

Che brutta sensazione. So che la mia è solo paranoia. Da ieri, sono diventata estremamente vigile. È la paura a parlare, a manifestarsi. Non sapere chi ce l’ha con me è inquietante e mi fa stare con il fiato sospeso.

So che a casa di Jillian sono al sicuro, ma non ho intenzione di passare la mia intera esistenza tra quelle mura. Vorrei liberarmi di questo timore, ma credo che sia troppo presto.

Ho bisogno di tempo per metabolizzare ogni cosa.

“Chelsea!”

I peli mi si rizzano lungo la schiena appena prima che la sua voce mi raggiunga.

È fredda, tagliente come la lama di un rasoio. Tutto il mio corpo si blocca, diventando come un pezzo di fredda pietra.

Voltarmi, verso la provenienza del suono, è difficile, ma sapere che è alle mie spalle, è ancora più spaventoso. Se un uomo non si fa scrupoli a picchiare una donna, la sua stessa figlia, niente mi garantisce che non sia capace anche di prendermi alle spalle.

Credevo che in tutti questi mesi qualcosa in lui sarebbe cambiato, ma invece è sempre lo stesso.  I corti capelli scuri sono ancora perfettamente curati, esattamente come il volto, rasato e liscio. Gli occhi scuri, nascosti dietro un paio di lenti spesse, mandano uno strano bagliore, che a causa della luce arancione che ci circonda ha un non so che di inquietante.

“Stai seguendo la strada sbagliata. Non hai più un posto da chiamare casa. Torna indietro con me, Chelsea, e sarà tutto come prima.”

Credo che sia ubriaco, perche quando avanza barcolla leggermente.

Riesco solo a fare mezzo passo indietro prima che lui mi raggiunga, afferrandomi per un braccio.

Dov’è Jillian? Dov’è sparita?

Ho il cuore che batte a mille, che urla dalla paura, perché so che quando gli dirò di no, lui mi colpirà di nuovo, senza che io possa fare nulla per fermarlo.

La paura mi sta bloccando.

“Non torno indietro!”

Cerco di dare alle mie parole un tono determinato, ma non so se ci sono riuscita o meno. Però ho preso una posizione e sono disposta a difenderla. Non voglio più essere il suo burattino, essere manipolata per comportarmi come qualcuno che non sono.

Sono buona, gentile, comprensiva, ma non sono stupida, anche se per molto tempo mi sono comportata così. Avevo piena fiducia in mio padre, nelle sue sagge parole che, ascoltate dai banchi di legno della cappella, sembravano così forti e giuste. Mi fidavo così tanto, che per anni non mi sono chiesta chi fossi io. Ancora non lo so, ma una cosa l’ho scoperta, non voglio più tornare indietro. Questa vita che mi è toccata, con tutte le sue difficoltà, è molto più vera di quanto non sia stata quella passata da figlia del pastore Lauren.

“Sei una stupida. Devi fare come ti viene detto!”

Sento il suo movimento e chiudo gli occhi, aspettandomi di sentire il dolore esplodere, ma improvvisamente tutto si ferma.

Socchiudo appena le palpebre e mio padre, invece che arrabbiato, sembra sotto shock. Sta guardando alle mie spalle, con un’espressione tale di sgomento da lasciarmi perplessa.

Prima di rendermene conto, sono libera. La stretta ferrea sul mio braccio è svanita e Jillian è davanti a me, con una pistola in mano.

Ha un’espressione incomprensibile sul viso. C’è dolore, frustrazione, ma anche tanta rabbia.

“Toglile le mani di dosso e vattene.”

Per la prima volta in vita mia, ho l’impressione che mio padre non sappia cosa fare. La sua spavalderia è completamente svanita. Non sono sicura, però, che iò dipenda dall’arma puntata contro il suo petto.

Ha lo sguardo fiso sul viso di Jillian e sembra completamente shoccato. È come se si trovasse di fronte ad un fantasma. Anche da questa distanza, posso vedere che è sbiancato.

“Jillian?”

La usa voce è un sussurro a malapena comprensibile, ma incredulità che alberga in quella piccolissima parola mi colpisce come un pugno nello stomaco.

So cosa sta per succedere, ne sono certa, ma non voglio che accada, non può essere vero. È solo uno sbaglio, un sogno. Tra poco mi sveglierò, nel mio confortevole letto agli alloggi studenteschi e mi metterò a ridere, magari un po’ istericamente, di questo assurdo sogno.

Non può essere la realtà, giusto? Queste cose non succedono nella vita vera. Sono sogni che si fanno, per compensare le mancanze. Mi devo svegliare.

Mi pizzico forte la mano, ma sento solo un enorme dolore irradiarsi dal dorso della mia mano.

“A quanto pare la tua memoria è intatta, ma anche la mia. Vattene immediatamente. Non le farai ancona più male. Come hai potuto? Come hai osato fare questo alla nostra bambina?”

La mia mente si svuota completamente.

Com’è possibile?

Come? Come? Come?

Ho un caos di pensieri nella testa, mille ricordi, mille cose dette, mille bugie ascoltata.

Il cuore batte così forte nel petto da provocarmi dolore, ma non posso fare nulla per allentare la morsa che mi sta rapidamente catturando.

Jillian non si sbaglia. Non avrebbe mai detto quella frase se non ne fosse stata sicura, ma come è possibile?

Qual è la verità? Chi sono io? Chi era la donna nella foto che mio padre mi ha detto essere mia madre?

Perché?

Faccio un passo indietro. Non respiro.

“Chelsea?”

La voce di Jillian mi fa sobbalzare e voltare verso di lei.

“Perché?”

La mia voce è un sussurro a malapena udibile.

“Non lo so. Ti giuro che non lo sapevo.”

Sembra sull’orlo delle lacrime, ma io sono pericolosamente vicina a cadere in pezzi.

Ogni cosa in cui ho creduto finora, si è dimostrata una bugia enorme. Io non so più chi sono.

Mio padre non è chi dice di essere. Quella che doveva essere mia madre, è una sconosciuta. Jillian… Jillian ha appena trovato quello che ha cercato per anni, ma io non sono pronta.

Non posso.

Faccio un altro passo indietro e vedo la paura dipingersi sul volto di questa donna, che potrebbe essere mia madre. Una donna che io rispetto moltissimo.

“Ti prego, aspetta!”

“Non posso!”

I  miei piedi si muovono prima ancora che la testa lo abbia deciso: mi giro e inizio a correre.

Scappare, fuggire, devo trovare un posto dove stare, dove non essere un’insieme di dati sconclusionati, senza capo ne cosa. Non so cosa sia vero, non so cosa sia falso.

L’unica cosa sicura è che qualcuno mi ha mentito e, molto probabilmente, quel qualcuno, è mio padre.

Jillian non mi avrebbe mentito. Non lo ha fatto. Mi ha raccontato di aver avuto una figlia a Seattle molto prima che io le raccontassi del modo violento in cui son stata trattata da mio padre.

No, lei non lo sapeva.

Eppure questo non rende le cose più facili da sopportare.

Rischio la fortuna attraversando uno stop di corsa e il suono dei clacson di alcuni automobilisti inferociti mi segue per alcuni secondi.

Mi manca il respiro, ho gli occhi invasi dalle lacrime, il cuore devastato

Che cosa devo fare? Devo fermarmi, trovare una soluzione.  Non posso andare in giro per la città da sola. È troppo pericoloso.

Allontano, respingo le emozioni, rilegandole in un angolino del mio cuore per riuscire a pensare lucidamente.    È troppo da gestire.

Forse almeno un po’ di fortuna esiste per me, perché riesco ad intercettare un taxi vuoto.

“Dove la porto, signorina?”

Bella domanda. Dove posso andare? Il condominio è fuori discussione. Il Blue Moon nemmeno. Ho bisogno di un posto dove posso essere me stessa, dove io possa dimenticare. Un posto dove ci sia qualcosa di completamente differente.

Dov’è il confine tra bene e male? Chi decide cosa è giusto o cosa è sbagliato? In base a quali criteri si decide se una persona è buona o cattiva?

Sono tutti piccoli quesiti che mi pongo, mentre la vettura, rombando leggermente, attraversa rapida le vie della città.

Non mi interessa più il bene o il male. Finora sono due concetti che mi hanno portato solo dolore. Ho bisogno di verità e c’è una sola persona che, nel bene o nel male, non mi ha mai mentito.

Lui non si nasconde dietro un dito, non dice mezze verità. Adrian va avanti per la sua strada con determinazione, seguendo la strada intrapresa senza vacillare.

Non sono sicura sia un pregio o un difetto, ma so cosa aspettarmi da lui.

Ho bisogno di essere diversa, di convogliare tutti questi confusi sentimenti in qualcosa, ho bisogno di essere diversa, perché ora, la Chelsea carina, comprensiva e dolce, non ce la fa più. È arrivata al limite di sopportazione.

Comportarmi come si deve non mi ha portato a nulla, se non alla sofferenza. Mi sento prigioniera, in gabbia.

Nel mio cuore, ora, urla un solo desiderio.

Il taxi si ferma troppo presto, facendomi vacillare. Non sono sicura di sapere che cosa sto facendo, ma non esiste altro posto dove possa andare.

L’ascensore è troppo lento. Sono sulle spine. Ho paura ma allo stesso tempo non vedo l’ora di arrivare a destinazione.

Il corridoio in cui scendo è buio, nessuna luce di cortesia si accende al mio arrivo, così uso la luce del cellulare per trovare la porta giusta. Continua a vibrare.

Jillian mi sta chiamando e mandando messaggi, ma io non voglio leggerli, non voglio sentirmi in colpa per questi sentimenti contrastanti che mi albergano dentro. Per una volta voglio essere egoista e pensare a me stessa.

Il suono del campanello di diffonde leggermente anche nel corridoio e devo insistere parecchio prima che Adrian apra la porta.

È a torso nudo, con un’espressione corrucciata sul bel viso. Quando mi vede, una ruga di preoccupazione si forma tra le sopracciglia aggrottate.

“Chelsea? Cosa ci fai qui a quest’ora? È successo qualcosa?”

Mi lascio andare contro di lui, colmando i pochi centimetri che ci separavano. Improvvisamente sono senza forze. Mi appoggio al suo corpo caldo, in cerca di conforto.

“Cos’è successo?”

“Ti prego, fammi dimenticare.”

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Capitolo 28
*** 28 Adrian ***


28 Adrian

 

 

Che cosa dovrei fare?

Non riesco nemmeno a capire che cosa sta succedendo. L’unica cosa che so è che ero sul punto di addormentarmi, dato che domani mattina mi devo alzare presto, quando è suonato il campanello.

L’ultima persona che mi aspettavo di trovare sulla soglia era Chelsea, con il capo chino e le spalle curve.

Ero pronto ad urlare contro lo scocciatore, dato che è mezzanotte passata, ma appena ho visto di chi si trattava, la rabbia è scivolata via, sostituita dalla preoccupazione.

Sono oltremodo sorpreso dal suo comportamento, nonché da quello che ha detto.

È appoggiata contro di me, come se non fosse più in grado di reggersi in piedi.

“Ohi!”

Non mi risponde, ma posso sentire che è gelata e trema.

“Entra prima che qualcuno ci veda. Non saresti dovuta venire qui.”

La trascino dentro praticamente di peso, chiudendomi la porta alle spalle.

La sua espressione, quando mi volto, è quasi assente.

“Che cosa ci fai qui?”

Solleva un po’ la testa, cercando di mettermi a fuoco nella penombra della stanza. L’unica luce arriva dal corridoio poco dietro di lei, motivo per cui non riesco a vederla bene in viso.

La sua voce, però, mi dice più di tutto. È bassa, priva di inflessione, stanca.

“Ti è mai capitato di arrivare ad un punto dove non ne puoi più? Dove saresti disposto a supplicare pur di far smettere qualcosa?”

“No, non mi è mai successo. Vuoi dirmi perché sei in questo stato? Siediti.”

La afferro per il gomito e la trascino fino al divano, dove la obbligo a sedersi. Ho l’impressione che si tenga in piedi con la sola forza di volontà.

Non mi piace la sua espressione. È come se le fosse morto qualcuno.

Il gatto salta sul divano e strofina la testa sulla mano abbandonata lungo il suo fianco, che rimane immobile nonostante il suo amico peloso stia cercando le sue attenzioni.

“Chelsea, parla, di qualcosa! Che cosa è successo?”

“Non voglio pensarci.” Solleva il capo, colpendomi con un’occhiata colma di dolore. “Sto impazzendo. Deve finire. Questi miliardi di pensieri, di domande, devono sparire. Sto impazzendo.”

Mi afferra per i polsi, in una stretta decisa e più forte di quanto potessi immaginare. Ha gli occhi colmi di lacrime trattenute.

“Dimmi come farlo smettere.”

Sembra così disperata che mi sento come se mi avessero appena dato un pugno nello stomaco.

“Non credo di poterti aiutare.”

Non so davvero cosa fare. Io non so consolare le persone, io le faccio piangere, soprattutto le donne. Come dovrei fare per alleviare qualcosa che non so? Come posso anche solo pensare di lenire la sua pena?

Mi distraggo solo per un istante, ma è sufficiente per rimanere disorientato dal suo improvviso movimento.

Arretro di un paio di passi per allontanarmi dalle sue mani, ora premute sul mio petto, finendo contro il bordo della poltrona.

Mi sento catapultare all’indietro per colpa della sua spinta.

Sbatto la schiena contro i morbidi cuscini e ci metto qualche istante a capire che cosa è successo.  Chelsea mi ha spinto all’indietro ed ora è a cavalcioni sulle mie gambe, la testa appoggiata contro il mio petto.

I sui capelli, ormai abbastanza lunghi da spioverle sul viso, mi solleticano la pelle, mentre sento calde gocce cadermi addosso.

Le sue spalle sono scosse trai singhiozzi.

“Si che puoi. Per tutta la vita ho seguito la retta via. Ho fatto ciò che era giusto anche se non mi piaceva. Dove mi ha portato tutto ciò?”

Solleva finalmente la testa, mostrandomi il suo volto rigato di lacrime. In questa penombra non posso vedere bene il colore delle sue iridi, ma so che, quando piange, l’indaco dei suoi occhi diventa ancora più intenso.

“A nulla. Erano tutte bugia, dalla prima all’ultima e io sto impazzendo.”

Si allunga lentamente verso di me, facendomi bloccare il respiro in gola. Ho il cuore che batte all’impazzata.

Che cosa sta facendo?

Dovrei allontanarla, spostarla e buttarla fuori di casa, ma sono completamente ipnotizzato dalla sua espressione.

È un mix irresistibile di disperazione, speranza, desiderio e innocenza. Un mix contrastante che risveglia il mio lato peggiore.

“Non può essere altro, giusto?”

Ha gli occhi incatenati ai miei, le labbra ad un soffio dalle mie. Il suo odore di pulito mi solletica le narici, mentre una parte del mio corpo che sarebbe dovuta rimanere a riposo decide di mettersi sull’attenti.

“Solo con la pazzia si può spiegare perché sono così sollevata nel sapere che mi hanno mentito per tutta la mia vita.”

Copre la distanza che ci separa, baciandomi gentilmente.

Il buon senso mi dice che la cosa giusta da fare sarebbe allontanarla e farla rinsavire, ma io non sono così, dannazione. Io prendo e basta, per cui non mi sento troppo in colpa nell’assecondarla. Se è di questo che ha bisogno ora, lascerò che il mio egoismo le dia ciò che ricerca così disperatamente.

Sarà lei a fermarsi.

I suoi palmi minuti sono appoggiati sulle mie spalle nude, per cui mi raddrizzo leggermente, avvolgendole un braccio attorno alla vita e infilandole la mano libera tra i capelli per intrappolarla e tenerla ferma. Gli strati di vestiti ci tengono sufficientemente separati.

Invece che subire passivamente il mio assalto, come è accaduto nelle due precedenti occasioni, Chelsea si spinge ancora di più contro di me, facendomi sentire le unghie.

Per la prima volta, non so come comportarmi, perché il modo in cui mi sta baciando, normalmente, porterebbe ad una sola conclusione.

Improvvisamente si dimena e mi sento immensamente sollevato. Non sono un santo e non sono una brava persona.

La lascio andare, ansioso di sentirla spostare, ma quando riapro gli occhi, invece che imbarazzo, sul suo viso c’è solo sollievo e determinazione. Non si sta alzando in modo impacciato. No, lei invece si sta sfilando il giubbotto, rimanendo con indosso una maglia lunga con lo scollo a barchetta che arriva appena alle sue cosce, avvolte da un paio di pantaloni dal tessuto sottile.

“Non sai cosa stai facendo!”

La mia è una supplica. Vattene, urla la mia parte razionale, mentre la mia parte animale sta ringhiando, bramosa di averne ancora e sempre di più.

“Hai ragione, non so neppure da dove cominciare, ma so cosa non voglio. Non posso tornare ad accendere il cervello, non posso tornare a tormentarmi, voglio solo sentire.”

Fa una lunga pausa, distogliendo lo sguardo dal mio viso per passarlo sul mio torace nudo. La vedo arrossire, come se si stesse accorgendo solo in questo momento che sono mezzo nudo. Per fortuna è seduta sulle ginocchia, piuttosto lontano dal mio bacino, altrimenti avrebbe anche un altro motivo per arrossire.

“Forse un’altra persona si sentirebbe a disagio nel dirti queste cose, ma voglio che tu capisca perché sono venuta qui, di tutti i posti che conosco, questo è l’unico dove so che non sarò ingannata.”

Mi rivolge un sguardo sconsolato, mentre si torce nervosamente le dita.

Non è la posizione ideale per avere una conversazione, ma ho paura che, interrompendola, anche il briciolo di buonsenso che ha riacquistato possa svanire.

Se parla, forse si renderà conto che sta commettendo un errore madornale. Non posso darle ciò che vuole o merita. Ciò di cui ha realmente bisogno.

Stringo con forza i pungi, estremamente vicini alle sue cosce.

“Tu mi hai sempre messa in guardia. Non ti sei mai spacciato per qualcuno che non sei e anche quando cercavo di farti vedere che c’è del buono, tu hai continuato a dirmi che non era così. Tu non mi hai mai mentito, Adrian. Sicuramente i miei sentimenti ti sembreranno stupidi, infantili, ma ora ciò di cui ho bisogno sei tu, l’unica persona che non mi ha ingannata anche se avrebbe potuto. L’unica da cui so cosa aspettarmi.”

Si sporge verso di me, afferrando le mie mani, come supplicandomi.

“Non allontanarmi solo perché sarebbe la cosa corretta da fare. Sono stufa di prendere decisioni sensate, di fare ciò che è giusto. Sono stufa della morale, di sentirmi rinchiusa dentro me stessa, intrappolata da ciò che mi è stato insegnato, ma che era solo una bugia.”

“Non è una buona idea!”

La mia voce è fiacca, indebolita dalla sua volontà.

Non è mai successo che una donna dovesse convincermi, il contrario semmai.

Sta sciogliendo ogni mia riserva. Il mio autocontrollo, estremamente debole, sta rapidamente svanendo, sottomesso dalla sua maldestra seduzione.

“Decisamente no, ma non mi aspetto nulla. So cosa c’è qui dentro.” Mi sfiora il petto, all’altezza del cuore, lasciandomi senza fiato e facendomi rabbrividire.

“Voglio solo un momento di assoluta perfezione, dove non esistono problemi, dispiaceri o preoccupazioni!”

Le tolgo dal viso una lacrima solitaria, sfuggita al controllo. Mi fa una gran pena. È così disperata.

“Te ne pentirai!”

Mi protendo verso di lei, fino a quando a dividerci non c’è che lo spazio di un respiro.

“Lo so.” La sua voce tremante fa contorcere qualcosa dentro di me, qualcosa che non riconosco e a cui non posso o voglio pensare ora.

“Però  non m’importa. Solo per un poco… cancella ogni cosa dalla mia mente!”

È troppo: la situazione, lei.

Anche la mia testa si spegne ed è solo l’istinto a governare le mie azioni.

Non posso decidere per lei, ma posso fare in modo che il suo pentimento sia agrodolce.

Le maniere brutali vengono fuori mano a mano che prendo confidenza con il suo corpo, più la tocco, più qualsiasi sentimento altruistico svanisce, sostituito dal brivido della conquista, dall’aspettativa di un accogliente corpo caldo.

In un piccolissimo angolino della mia anima spero ancora che lei posso rinsavire e tirarsi indietro, ma so che ciò non accadrà.

La cosa bella e brutta di Chelsea è che, quando prende una decisione, la asseconda fino alla fine. Non importa quanto sia sbagliata o insensata, lei è testarda e farà a modo suo anche a costo di starci male.

I pochi pensieri vengono spazzati via dalle sensazioni.

Le passo una mano sulla clavicola e poi più giù, fino al seno. La sento sobbalzare e per u istante, ho l’impressione che stia per ritirarsi, ma invece che assecondare la paura, perché lo sento che è terrorizzata, si spinge ancora di più verso di me.

Saggio la carne sensibile stringendola leggermente nel palmo, mentre le solletico la lingua con la mia. Lei sobbalza di nuovo e un piccolo gemito riempie il silenzio che ci stava circondando.

Con parecchia difficoltà mi alzo in piedi, afferrandola per le natiche. Mi butta le braccia al collo, stringendo forte per non cadere. Respira a strappi e ha un’espressione decisamente sorpresa.

“Cristo Santo, mi devi fermare!”

Sono dilaniato. Da una parte l’intenso desiderio di scoprire ogni centimetro del suo corpo e perdermi nel suo calore, dall’altro il desiderio, fin troppo radicato ormai, di non farle del male in nessun modo.

Se andiamo avanti così, non sarà il suo corpo a cambiare, ma ciò che ha dentro.

Come posso lasciare che si rovini così? Che si macchi di quello che per lei è un peccato? Come posso lasciare che le sue emozioni portino entrambi alla rovina?

Chelsea non è una donna che deve essere punita, che deve soffrire, ma se non ci fermiamo, se non mettiamo fine a questa follia, non sarà solo lei a pagarne le conseguenze, ma anche io, perché sarà ancora più difficile levarmela dalla testa. Assecondati una volta, i miei desideri egoistici pretenderanno di essere assecondati ancora e ancora e questo non farà altro che farla soffrire.

Inizio a camminare dritto verso il corridoio illuminato. Una volta varcata la camera da letto, solo un miracolo potrebbe impedirmi di andare fino in fondo.

“Non ti fermerò! Non so cosa mi aspetta, per me è un territorio inesplorato, ma voglio sentirti più vicino. Voglio perdere la testa e liberarmi di tutti i limiti che mi hanno imposta e che non hanno valore. Voglio assecondare ciò che sento e in questo momento, ciò che voglio, sei tu, qualsiasi cosa significhi.”

Come dire ancora di no? Sembra più convinta lei di quanto non lo sia io e questo mi destabilizza, perché c’è una parte di me che vorrebbe divorarla.

Quella stessa bestia che fatico così tanto a trattenere.

Senza aspettare altri inviti, visto che immagino di averne ricevuti fin troppi, la porto in camera da letto. La luce è spenta, ma dopo averla scaricata brutalmente sul letto, strappandole un gridolino sorpreso, accendo la abatjour per illuminare leggermente l’ambiente.

Voglio vederla e voglio che lei veda me, che si imprima nella mente ciò che accadrà da questo momento in poi.

“Sei troppo vestita!”

La vedo arrossire, ma non si tira indietro. Con mani tremanti la osservo afferrare i bordi della maglietta e sollevarli, fino a sfilarsela dalla testa, rimanendo con indosso un semplice reggiseno del colore dei suoi occhi.

Si stringe le braccia al petto, come per proteggersi e ha lo sguardo puntato sul cassettone.

“Non ero sicura ti fosse piaciuta.”

So cosa sta vedendo e mi fa sentire a disagio che lei l’abbia vista.

“Sono i miei amici.”

La risposta è semplice, ma si può avvertire tutto l’affetto che nutro nei loro confronti.

“E per loro tu faresti di tutto. Sei una persona leale. Ecco perché mi piaci tanto!”

Al contrario di me, lei non ha problemi a manifestare ciò che sente.

È così candida.

La raggiungo sul letto, facendo cadere per terra la maglietta che si è appena levata.

Ha lo sguardo titubante, spaventato, ma posso anche vedervi la determinazione.

Se vuole spegnere il cervello, so perfettamente come fare.

La bacio di nuovo, distraendola in modo da liberarla dal reggiseno senza ulteriori stop.

Basta parlare.

Non è venuta qui per questo. Avrebbe potuto farlo, ma ha preferito scegliere un’altra strada.

La mia mano scorre lenta sulla sua pancia, lasciandosi dietro una scia di pelle d’oca e brividi.

La spingo leggermente, fino a farla sdraiare.

“Tieni gli occhi chiusi e limitati a sentire!”

LA vedo annuire e ricomincio la mia lenta esplorazione, osservando il suo mezzobusto nudo che è davvero invitante.

La pelle chiara non aspetta altro che di ricevere le mie attenzioni.

Vorrei prendermela con comodo, fare le cose per bene, ma non è possibile quando, dopo averlo trattenuto per così tanto tempo, il desiderio prende il sopravvento.

Le rubo il fiato, riappropriandomi della carne tenera del suo seno e tormentandone le punte sensibili.

La sento dimenarsi, stringermi più forte e non posso fare altro che lasciarmi andare e prendere tutto quello che ha da dare.

Baci, carezze, sospiri, gemiti, suoi e miei, si alternano rapidamente, mentre mi godo il suo viso arrossato dall’imbarazzo quando la libero di pantaloni e mutandine in contemporanea.

All’inizio ha temuto gli occhi chiusi, ma ora, nonostante l’imbarazzo, non si perde un solo movimento e cerca di restituirmelo allo stesso modo. Per qualche ragione, adora aggrapparsi alle mie spalle, stringendo così forte da far penetrare leggermente le unghie nella pelle.

Mi libero anche dell’ultimo indumento che ci separa, i pantaloni della tuta che indossavo e osservo con malcelato orgoglio i suoi occhi spalancarsi. Il suo rossore aumenta, ma non accenna minimamente ad abbandonare la posizione in cui si trova.

Ha gli occhi lucidi per l’eccitazione, il petto cosparso di segni rossi e le cose semi divaricate.

Nonostante non le abbia ancora fatto provare la parte migliore, sembra sul punto di liquefarsi.

Non ci sono altre parole, mentre mi prendo quello che da mesi mi tormenta.

La sua voce sorpresa, ad ogni nuova sensazione che riesce a provare, demolisce le fantasie fatte finora.

La sua mano titubante si muove su di me in movimenti lenti, delicati, come se avesse paura di farmi male.

Le intimo di non fermarsi mentre le mostro sul suo corpo il ritmo da prendere. Ovviamente non regge e i suo movimenti diventano concitati, a strappi, mentre cerca di non permettere alle sensazioni di avere il sopravvento.

Tuttavia, il bello del sesso, è che ti fa perdere completamente il controllo ed è quello che lei vuole, anche se ancora cerca di resistere.

Anniento la sua forza di volontà penetrandola con le dita e strofinandole per acuire le sensazioni che sta provando.

Le sfugge dalle labbro un’esclamazione sorpresa quando strofino nuovamente le dita umide sul nodulo sensibile poco sopra e so che non manca molto.

La mia parte egoistica vorrebbe prenderla all’istante, farle sentire tutta la potenza del mio corpo che si appropria del suo, ma non ho intenzione di annientare il suo spirito.

Per una volta, prima di prendere, sto dando e non è la lotta strenua con l’istinto che avevo pensato.

Voglio che sia bello anche per lei.

Le do il tormento, facendola contorcere sulle lenzuola pulite e solo quando il suo corpo inizia a tremare, mi prendo ciò che lei è venuta ad offrire in cambio, soffocando il suo grido sorpreso con un bacio così profondo da cancellare ogni cosa.

Per averla, sto rischiando l’inferno.

 

***

 

La sveglia sul comodino segna le sei del mattino. Potrei rimanere a letto ancora un’ora, ma a che scopo?

Con il sole che a breve sorgerà, mi cala addosso tutto il peso della notte appena passata.

Chelsea è una studentessa davvero molto diligente e ha imparato in fretta a lasciarsi andare. Sono un tipo a cui piace prendersela con calma, godere di ogni singolo istante.

Quando è finito tutto, Chelsea si è girata su un fianco, si è coperta con il lenzuolo e ha iniziato a singhiozzare.

Me lo aspettavo sinceramente, ma mi rifiuto di sentirmi in colpa. Ho fatto tutto ciò che potevo per tenerla lontano da me, più di così non potevo fare.

L’ho lasciata stare, sono andato in bagno a ripulirmi e poi sono tornato a letto.

Lei ha continuato a piangere, per poi addormentarsi, esausta.

Io invece sono rimasto fermo ad osservare il soffitto per tutto il tempo, rimuginando su quanto accaduto.

Ho passato quelle ore a chiedermi se non avrei potuto fare di più per evitare questa situazione, ma ogni volta la risposta è stata la stessa.

È stata una sua decisione.

Silenziosamente, per non svegliarla, mi alzo e vado a farmi la doccia. La lascerò dormire qui, potrà andarsene quando avrà ripreso un po’ di controllo.

Devo andare con mio padre ad una specie di raduno politico e non mi posso esimere in nessun modo. Non ternerò che tra due giorni e se vuole, nel frattempo, può anche restare qui.

Ciò che la angustiava ieri sera deve essere qualcosa di davvero importante per averla spinta fino a quel punto.

Torno incamera in silenzio, ma ora il letto è vuoto. I suoi vestiti sono spariti, il gatto, che per tutto il tempo è rimasto fuori dalla porta della camera, chiusa, anche. Non c’è più la sua gabbietta in salotto.

Chelsea se n’è andata come è arrivata: inaspettatamente, portando con se il suo orgoglio intatto.

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Capitolo 29
*** 29 Chelsea ***


29 Chelsea.





Non provare amarezza, rimpianto o vergogna, fa di me una pessima persona?

Probabilmente è così, ma non riesco a vergognarmi di me stessa.

È stato tutto molto intenso e non avrei mai pensato di vivere qualcosa del genere.

Era davvero quello di cui avevo bisogno.

La mia testa si è svuotata. Tutte le domande, i pensieri, sono svaniti ed è rimasto solo l'imbarazzo misto alle sensazioni.

Mostrare il mio corpo ad un uomo, ad Adrian, è stato a dir poco imbarazzante. Mi sentivo a disagio, vulnerabile, ma non mi sono tirata indietro. Volevo capire, scoprire, sentire.

È stato un viaggio pazzesco, che mi ha lasciata con i nervi spezzati.

Ho pianto dopo, ma non so esattamente per cosa sia stato. In un primo momento, mi sono sentita svuotata, quasi priva sentimenti, ma poi sono stata investita da tutte quelle emozioni che avevo così faticosamente soffocato.

Ho pianto per me stessa. L'infanzia rubata, separata da una persona che mi amava con tutta se stessa, senza conoscerne il motivo. Ho pianto per tutte le cose che mi sono persa. Ho pianto per Jillian e per il dolore che ha provato in questi anni ed ho pianto il vincolo che ho spezzato. Ero così legata ai ferrei dettami che mi sono stati insegnati, da non rendermi conto che erano praticamente disumani e che mi tenevano legata ad una persona che sono arrivata a disprezzare: mio padre. 
Dovevo spezzare quel legame è l'unico modo che mi è venuto in mente, è stato inconsciamente quello. Me ne sono resa conto solo successivamente, mentre versavo le mie lacrime sul cuscino.
Infine ho pianto per Adrian e per tutto quello che lo ha fatto diventare così. Anche se non so di cosa si tratta, so che dev'essere stato doloroso.

Non è stato il mostro che si è sempre professato. È stato gentile, anche un po' sciocco, quando ha cercato di farmi ragionare, ma quando ha ceduto, è stato molto più umano di quanto non lasciassero credere le sue parole.

Pensavo sarebbe stato solo doloroso, che non avrei provato le emozioni intense che invece mi hanno fatta contorcere. Sarebbe potuto finire tutto in fretta, lasciandomi con il rimpianto, invece non mi sento così delusa come so che dovrei.

Dovrei vergognarmi di me stessa, di aver ceduto ai peccati della carne, ma ora capisco quello che Meredith ha cercato di spiegarmi tempo fa.

Per un po', ho sentito davvero come se Adrian fosse mio e questo mi è piaciuta.

È stato davvero un momento di assoluta perfezione. Non esisteva altro se non noi.

Per la prima volta, mi sono sentita apprezzata non solo come persona, ma proprio come donna.  È una soddisfazione che deriva dal sentirsi desiderati.

Se chiudo gli occhi, rivedo ancora i suoi occhi, intensi ed illuminati dalla lussuria; bellissimi. Risento sulla pelle il calore delle sue mani, la delicata forza con cui mi ha toccata

Se ripenso all'intimità raggiunta, mi si contorce lo stomaco, ma nel cuore sono più leggera di quanto non fossi ieri notte.

La mente si è rischiarata.

Se avessi avuto ancora qualche dubbio, quando ho visto la fotografia che gli ho regalato, sul cassettone completamente vuoto, sarebbero svaniti completamente.

In quell'istante, ogni cosa mi è stata chiara. Sapevo che Adrian era solo, ma fino a quel momento, non avevo esattamente compreso quanto.

È un'isola infelice, una nave alla deriva alla disperata ricerca di un porto.

Ecco perché con ancora più determinazione ho deciso di darmi. Se esiste qualcuno che ha bisogno di quel genere di regalo, quello è solo lui.

È stato un scambio alla pari.

La passione, il piacere, sono state emozioni che lui mi ha regalato e, come lui cercava di lenire la mia pena, io ho cercato di rattoppare il suo cuore ferito.

Non può essere altrimenti, perché nessun mostro avrebbe dimostrato la delicatezza che lui mi ha riservato.

Il dolore quasi non l'ho sentito, ma è stato abbastanza strano condividere il mio corpo con qualcuno. Ho sentito fisicamente la sua presenza, che è andata a riempire un vuoto di cui non conoscevo l'esistenza.

È stato tutto così strano. I miei movimenti sono stati lenti, impacciati, fin da quando ha guidato le mie mani sul suo corpo, in un'imbarazzante esplorazione.

Essere pelle contro pelle, mi ha fatta sentire a disagio, ma non è stata una sensazione malsana, perché mi ha fatto desiderare di avvicinarmi sempre di più.

Mentre lui sfregava la corta barba sulla pelle tenera del mio petto, facendomi rabbrividire, li miei palmi scorrevano sulla sua schiena, avvertendone la potenza.

Sapevo che avrebbe potuto fare di me ciò che voleva, che avrebbe potuto usarmi violenza senza che io potessi farci nulla, ma tutta quell'energia era imbrigliata, lasciata fluire per non spaventarmi.

Quando ha guidato la mi mano sulla sua carne tesa, mi sono sentita arrossire penosamente.

È stata una scoperta. Di certo non mi aspettavo che avesse quella consistenza. La sua rigidezza è stata una sorpresa, così come la pelle liscia e leggermente umida.

Mi ha detto come muovermi, ma ero spaventata ed incerta.

Quando ha riportato la sua mano tra le mie gambe, dove si trovava poco prima, la mia testa ha iniziato a galleggiare. Non riuscivo a coordinare i movimenti, troppo presa da quelle sensazioni così nuove.

Ho sentito una strana frustrazione accumularsi nel mio ventre più i suoi tocchi diventavano energici, determinati. La lenta invasione delle sue dita mi ha lasciata senza fiato, ma ha toccato qualcosa dentro di me che mi ha fatta sobbalzare, acuendo il piacere. Non avrei mai immaginato che potesse essere così.

Ad un certo punto, ho avuto la sensazione di essere sul punto di farmela addosso, ma non è successo. C'è stata come un'esplosione. Il mio ventre ha iniziato a contrarsi, così come le pareti interne del mio sesso, un po' come quando ti viene un crampo, ma non è stato doloroso, anzi. È stata una sensazione così intensa e piacevole che non mi sono accorta di quanto stava accadendo fino a quando al piacere non si è aggiunto il dolore.

Tuttavia la reazione a catena era impossibile da frenare e le contrazioni di quei muscoli sconosciuti sono continuate, cancellando il dolore e lasciando solo un leggero disagio.

Il suo bacio, in quel momento, è stato solo un modo per distrarmi dalla resistenza che il mio corpo stava facendo a quell'inaspettata invasione.

Il primo movimento è stato fastidioso, accompagnato da uno strano bruciore, ma non ho potuto dirglielo o forse non ho voluto.

Mi sono concentrata sulla sua bocca, sul modo in cui la sua mano mi stringeva la gamba, tenendola alzata verso il mio petto ed ogni suo lento movimento è diventato meno fastidioso di secondo in secondo, fino a quando lo scorrere è diventato non solo fluido, ma anche piacevole.

Ogni volta che lo sentivo spostarsi in avanti, che sentivo i suoi muscoli sotto le mie mani tendersi, qualcosa veniva toccato, facendomi scorrere dei brividi lungo il corpo, che si concentravano nel punto dove eravamo intimamente uniti.

Ho smesso di pensare molto presto, troppo rapita dalle sensazioni, fino a quando l'esplosione non è tornata, addirittura più forte di prima e che mi ha lasciato con le membra di gelatina.

Quando mi sono voltata su un fianco, ormai stremata e vuota, non volevo piangere, volevo solo assaporare il silenzio e la pace appena raggiunta, ma quella è stata solo la calma prima della tempesta.

Ho buttato fuori ogni cosa e avrei potuto cercarlo, chiedere ancora conforto, ma non l'ho fatto, perché sapevo di non poter continuare a fuggire, ad aggrapparmi alle sue spalle quando qualcosa è troppo difficile da sopportare.

Le sue spalle larghe potevano sopportare quel peso, ma non era giusto gravarlo ulteriormente con i miei problemi e le mie emozioni, così forti da non essere comprensibili nemmeno per me, figuriamoci per lui.

Mi è rimasto accanto per tutto il tempo, in rigoroso silenzio, come ha fatto ogni volta che mi sono rimessa in piedi. A modo suo, mi ha dato la forza per rialzarmi, facendomi sentire la sua presenza.

Credo di essermi appena assopita, perché quando si è alzato e, da lontano, mi è arrivato il rumore dello scrosciare della doccia, mi sono svegliata.

L'orologio segnava le sei e un quarto del mattino.

Era l'ora di riprendere in mano la mia vita.

Ho recuperato i miei vestiti, vestendomi rapidamente senza guardarmi allo specchio sopra il cassettone. Ho dato solo una rapida sbirciata per assicurarmi di esser presentabile, prima di lasciare la camera.

Ogni passo è un monito costante di ciò che è successo e di cui non riesco a pentirmene, anche se ci provo.

Brat era in salotto, intento a mangiare dalla ciotolina vicina alle tende con i fili tirati.

Stavo per aprire la porta quando ho deciso di portare via il piccolo.

Gli troverò una casa e nel frattempo sarò io a prendermene cura, un modo lo troverò, ma non potevo continuare ad appoggiarmi alla sua gentilezza.

Adrian è stato fin troppo disponibile con me e me ne sono approfittata.

Per cui eccomi qui, con un caffè bollente in mano, seduta in una caffetteria. La gabbietta è ai miei piedi e ogni ragazza che la vede, si ferma per fare un salutino a Brat. Ognuna di loro potrebbe essere una padrona fantastica, ma ora non ho tempo di pensarci.

Il cellulare nella mia borsa pesa come un macigno grazie alle trentuno chiamate ricevute da Jillian durante la notte. Dopo aver chiamato Meredith ed averle chiesto di raggiungermi, cosa che ha accettato di fare senza chiedermi nulla, ho mandato un messaggio alla donna. Due semplici parole, ma che non rispecchiano appieno come mi sento.

Fisicamente sto bene, sono incolume, se non si tiene conto dei vari doloretti qua e là, ma psicologicamente non sto bene per nulla.

Devo raccontare tutta la storia a qualcuno e quella persona sta entrando proprio in questo momento dalla porta di fronte a me, facendo tintinnare il campanello.

Meredith è imbacuccata in un cappotto scuro, come la sciarpa che le copre mezzo viso.

La osservo guardarsi attorno e poi dirigersi verso di me.

Prima di sedersi, si libera dei pesanti indumenti, liberando i bellissimi e lunghi capelli rossi che le contornano il viso.

I suoi occhi verdi mostrano la preoccupazione, che diventa sempre più intensa mano a mano che mi analizza.

"Stai bene? È successo qualcosa?"

Prendo un sorso di caffè per calmarmi. Ora che è di fronte a me, non so da dove cominciare.

"Sono successe così tante cose..."

"Sono qui per ascoltarti. Aspetta solo un secondo. Ho bisogno di un caffè. Logan ha deciso che oggi il caffè se lo farà da solo, dato che non ha tirato fuori il culo dal letto."

Sorrido sul bordo della tazza. La complicità che c'è tra lei e Logan non smetterà mai di stupirmi. Si stuzzicano continuamente, rimbeccandosi bonariamente anche con parole che io non userei mai nemmeno per insultare qualcuno. Invidio la loro libertà di espressione.

"Allora? Come mai sei in questo posto?"

"Non so bene da dove cominciare. Forse è meglio dall'inizio. Non ti ho raccontato tutto quello che è successo da mio padre a Novembre!"

La sua bocca si spalanca, formando una perfetta O di sorpresa.

"Quel giorno ho anche saputo che mia madre è ancora viva!"

La sua espressione passa da incredula a furiosa.

"Che cosa?"

La sua voce si alza di diversi decibel, facendo voltare più di un cliente.

"Ti prego, non urlare."

"Scusami. È che sono così sorpresa. Perché non me lo hai detto prima?"

"Non sapevo cosa pensare. Avevo così tante domande senza risposta. Ero davvero molto confusa. Non sapevo se mi avesse abbandonata, se fosse stata allontanato o chissà cos'altro. Volevo trovare una soluzione, farcela da sola. E poi non c'eri."

Lei si passa una mano sul viso, l'espressione sconsolata.

"Ecco perché eri così arrabbiata con me. Scusami, Chels, avrei dovuto esserci."

Non dico nulla, ma sento tornare le lacrime. Avrebbe dovuto, ma ormai è andata così.

"Non importa più, davvero. Non è per questo che l'ho detto. Molto probabilmente mi sarei tenuta dentro ogni cosa ugualmente. Il punto è che, mio padre, mi ha mentito per tutta la vita, mi ha fatto credere di essere qualcuno che non è, crescendomi con dei principi in cui non credeva nemmeno lui."

"Cos'è successo? L'hai trovata?"

Cerca in tutti i modi di controllare la sua esuberanza, ma è ovvio che fatica non poco.

"Non proprio. È stato un maledetto caso. Forse il destino voleva riparare al torto fatto, perché è così strano che proprio una persona che stimo e che apprezzo come donna, sia la stessa che mi ha messo al mondo."

"Spiegati meglio. Come lo hai scoperto!"

"Ieri notte mio padre mi ha teso un'imboscata. Non so se sapesse già dove stavo vivendo o se ci abbia seguite dal locale, sta di fatto che me lo sono trovato di fronte. Diceva che sarei dovuta tornare a casa con lui, non ricordo se mi abbia afferrata o se abbia solo provato a farlo, sta di fatto che voleva obbligarmi. A quel punto è comparsa Jillian. Aveva una pistola in mano. Gliel'ha puntata contro e la sua voce era così fredda, furibonda. Mi aveva raccontato la sua storia, sapevo che da qualche parte aveva una figlia che le era stata sottratta da suo marito, ma come potevo immaginare che quella bambina fossi io?"

Le lacrime iniziano a scivolarmi lungo il viso, mentre un enorme groppo mi si forma in gola, impedendomi di andare avanti.

Mi copro il viso per impedire agli altri di vedermi. È così penoso sentirmi così divisa. Da una parte sono felice di poter finalmente scoprire la verità, dall'altra non avrei mai voluto sapere nulla.

Non so come gestire questa cosa. Non so cosa dire, come comportarmi. Se Jillian è davvero mia madre, allora Allyson è mia sorella e non so come prenderà. Non so davvero che cosa succederà da adesso in poi.

Sento un braccio ce mi si posa sulle spalle e ringrazio mentalmente la mia amica, perché avevo dannatamente bisogno di dirlo a qualcuno in grado di capirmi.

"Oh, Chels. Non so cosa dire. Continua. Dopo cos'è successo?

"Non lo so!"

Inspiro forte con il naso, per cercare di riprendere un po' di controllo, ma l'aria si rifiuta di passare, obbligandomi a soffiarlo rumorosamente dentro il fazzoletto ormai umido di lacrime.

"Sono scappata. Ero troppo scioccata. Tutto quello in cui credevo, era una bugia. Un'immensa menzogna studiata ad arte per qualche assurdo motivo. Non ho dubitato nemmeno per un istante che Jillian potesse aver ragione. Se ha riconosciuto in mio padre l'uomo che ha sposato, io posso solo essere quella bambina che le è stata portata via. Ti giuro, ancora non riesco a capacitarmene."

“Sei stata in giro tutta la notte? Perché non mi hai chiamata?”

Svuoto il contenuto della tazza, ormai a malapena tiepido per prendere tempo. Non s dirglielo oppure no. Cioè, ormai è fatta, le cose non possono cambiare, ma ho paura di parlargliene perché so come la prenderebbe. Eppure allo stesso tempo non vedo l’ora di condividere questa novità con  qualcuno.

“Aspetta! Cos’hai sul collo?”

“Eh?”

Meredith mi infila le mani nei capelli prima che possa capire che cosa sta succedendo, obbligandomi a spostarmi all’indietro.

“Che cazzo è quello?”

Ha gli occhi spalancati colmi di rabbia, credo che se potessero, inizierebbero a sparare fiamme.

“Ma la vuoi smettere? Si può sapere di cosa stai parlando?”

Lei evita la mia domanda, ma non distoglie lo sguardo dal mio viso.

“Chels, dove sei stata stanotte?”

Sento immediatamente il rossore salirmi lungo il collo per andare ad imporporarmi il viso.

“Io lo ammazzo. Giuro che stavolta lo uccido.”

La afferro per il braccio per impedirle di allontanarsi.

“Piantala con questa storia. Tu non ammazzerai proprio nessuno.”

“Perché non dovrei? Da maledetto bastardo qual è se n’è approfittato senza battere ciglio. Sei troppo buona. Perché ancora lo difendi?”

“Perché sono andata io da lui!”

Lei mi guarda con una faccia davvero buffa, che se la situazione non fosse così seria, mi farebbe scoppiare a ridere. Ha gli occhi così sgranati che assomigliano vagamente a quelli dei pesci.

“Perché? Avresti potuto chiamarmi!”

Sembra in qualche modo offesa o forse delusa che non l’abbia contattata.

“Per cosa? Per spiegarti che cosa stava succedendo? Non avevo voglia di parlarne e meno che mai di rispondere a delle domande.”

“Ma andare da lui non è stata una buona idea. Grazie al cielo sei una persona con un minimo di discernimento, perché altrimenti chissà cosa sarebbe successo!”

Ancora una volta è la mia timidezza a tradirmi, scatenando una nuova ondata di insulti detti a fior di labbra e minacce di morte ed evirazione.

“Basta, Mer. Ho scelto io. È stata una mia scelta. Non puoi colpevolizzarlo per qualcosa che ho deciso in piena autonomia.”

“Non eri in grado di ragionare lucidamente. Dev’essere stata davvero dura per te!”

Non mi piace. Mi guarda con compassione, come se fossi una poverina non in grado di prendere decisioni per conto proprio. Questa è una mia colpa, perché finora sono stata remissiva, gentile, quasi manipolabile. È un’immagine falsata che ho dato di me stessa quando ancora ero sotto il controllo di mio padre.

Non è più così ormai, da mesi.

“Dovresti aver capito, ormai, che non faccio qualcosa se non lo voglio. Non sono più come una bambina bisognosa di protezione. È vero, sono molto ingenua e ignoro tante cose, ma sto imparando a cavarmela da sola. Posso prendere delle decisioni e affrontarne le conseguenze. Ed è stato gentile, Meredith. Più di quanto avrei mai immaginato. Forse un altro al suo posto non si sarebbe comportato allo stesso modo. Sei libera di non crederci, ma ha cercato di farmi cambiare idea, di convincermi a lasciar perdere, ma sono stata io a volerlo e, anche se so che dovrei, non riesco a pentirmene. Ne avevo bisogno per più di un motivo.”

So di avere il viso letteralmente in fiamme, ma non voglio nascondere la verità. Le cose sono andate così e non voglio che lui paghi per qualcosa che non ha fatto.

Scommetto quei pochi soldi che ho, che è convinto di essersi approfittato di me, del mio stato d’animo e non posso far nulla, ora, per fargli cambiare idea.

Ho altre cose a cui pensare, di cui occuparmi. Ora è giusto che pensi a me stessa.

“Ne sei sicura? Era la tua prima volta. Perché proprio lui?”

“Perché mi piace. So che non riesci a capire perché mi sia attaccata così tanto ad Adrian, ma c’è più di quel che sembra, tanto di più e non posso fare a meno di volergli stare vicino.”

“Ne sei innamorata.”

Sembra scandalizzata dalle sue stesse parole, come se per lei fosse una cosa inaccettabile.

“Innamorata no, ma ci tengo, davvero tanto. Abbastanza per sapere che io avevo bisogno di lui, ieri notte, quanto lui di me. Forse sarò presuntuosa o forse mi sto solo montando la testa, ma credo davvero che ne valga la pena. So di poter fare la differenza.”

“Non voglio vederti soffrire.”

“Se accadrà sarà per una mia scelta, ma davvero mi ha aiutata. È così strano.”

Faccio una pausa, riflettendo su come stanno cambiando in fretta le cose, su quanto rapidamente sto cambiando io. Fino ad una settimana fa, probabilmente non sarei riuscita ne a dire così candidamente quello che sento ne a tenere testa a Meredith fino a questo punto.

Abbiamo già avuto battibecchi e mezze litigate, ma mai come oggi mi sono trovata a dover far valere le mie opinioni e le mie scelte.

Non so, forse sto crescendo, oppure sto finalmente scoprendo chi sono davvero.

“Che cosa è strano?”

Meredith è ancora visibilmente scossa dalla mia determinazione, ma sembra anche propensa a supportarmi.

“Sono successe così tante cose. Sono la stessa di ieri, ma allo stesso tempo mi sento davvero diversa.”

Lei sogghigna, ritrovando un pizzico della sua esuberanza.

“Hai fatto un’esperienza da “grandi”. Io non mi sono sentita diversa dopo la mia prima volta, ma perché non aveva lo stesso valore che aveva per te. Quando doni spontaneamente qualcosa di te stesso che ritieni importante, quel gesto ti cambia. Io a Logan ho donato un pezzo di me che credevo perduto per sempre e questo mi ha cambiata, migliorata.  Sono cresciuta e se sta succedendo lo stesso a te, non posso che esserne contenta. A questo punto, se dovessi farti male, ci sarò per rimettere insieme i cocci.”

La sua approvazione mi fa sentire di nuovo il groppo in fondo alla gola. Vorrei ringraziarla, ma so che non riuscirei a parlare e dalla mia bocca uscirebbe solo un suono strozzato.

“Sono contenta che tu me ne abbia parlato. Forse non sono un’ottima ascoltatrice, dato che tendo sempre a partire in quarta, ma se dovessi sentire ancora il bisogno di confidarti, sappi che puoi dirmi ogni cosa. Non ti giudicherò mai.”

Lo so. Meredith è davvero un’amica fantastica su cui poter fare affidamento.

“Mi puoi accompagnare a casa di Jillian? Credo di averla fatta preoccupare molto stanotte.”

Lei mi sorride, scompigliandomi i capelli come se fossi una ragazzina.

“Ti accompagnerò dovunque vorrai.”

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Capitolo 30
*** 30 Chelsea ***


30 Chelsea.

 

 

Le ultime quarantotto ore sono state davvero difficili.

Jillian non mi ha chiesto nulla quando l’ho raggiunta a casa sua, si è limitata ad abbracciarmi ed è scoppiata a piangere.

Mi sono sentita molto distante dalle sue emozioni. Non ho cercato di capirle, mi sono limitata a renderle un abbraccio un po’ rigido, dandole leggere pacche sulla schiena.

Non sono servite a nulla, perché ha pianto disperatamente per diversi minuti.

“Mi hai fatta preoccupare!”

Sono state le sue prime parole, ma non mi ha chiesto ne dove sono stata ne altro.

Mi ha fatto sentire in colpa che lei abbia tenuto in considerazione come mi sentissi mentre io non sono stata in grado di fare lo stesso.

Non me ne ha fatto una colpa, anzi, mi ha detto che al posto mio, lei non sarebbe tornata tanto presto.

Allyson stava ancora dormendo e non c’è stato bisogno di spiegarle come mai sua madre stesse piangendo.

Tuttavia, dopo quello che è saltato fuori, credo che sia il caso di raccontarle ogni cosa. William Lauren, alias Frank Jones, ha confessato ogni cosa non appena è stato arrestato.

Dopo che me ne sono andata, mio padre è scappato, tornando di corsa a casa sua. Jillian ha chiamato la polizia, spiegando l’accaduto.

Gli agenti si sono recati immediatamente sul posto, aiutati dal indirizzo presente su uno dei miei testi di studio.

è stato un tentativo. Jillian non sapeva che io avessi scritto l’indirizzo sulla prima pagina del volume, ha frugato tra le mie cose alla disperata ricerca di un indizio per far finalmente arrestare mio padre.

Non riesco a biasimarla per questo. Molto probabilmente mi sarei comportata allo stesso modo.

La verità raccontata da mio padre, però, è stata molto peggio di quella che avrei mai potuto immaginare.

Aveva organizzato tutto da tempo. I documenti d’identità falsi, la sua copertura coma pastore Anglicano, ogni cosa era stata attentamente pianificata.

Mentre ancora viveva come Frank Jones, William Lauren stava seguendo il percorso per diventare un pastore anglicano.

-prima ancora di conoscere mia madre, aveva già pianificato ogni cosa.

Tutto per Cassandra, la donna della fotografia. Mia zia.

Cassandra Jones aveva subito un’isterectomia a quindici anni, a causa di una gravidanza extrauterina.

Il bambino, era figlio di mio padre.

Cassandre e Frank Jones, fratelli con appena tre anni di differenza, erano innamorati e avevano iniziato una relazione incestuosa.

Dopo quel fatto, Cassandra cadde in depressione, tentando il suicidio due volte. È stato in quel momento, che Frak  ha inventato una nuova identità per se e per sua sorella, che agli occhi di tutti sarebbe stata solo sua moglie.  

Jillian, mia madre, anche se mi suona davvero strano pensare a Jillian come alla donna ch emi ha messo al mondo, è stata solo lo strumento per avere la famiglia perfetta che la sua amata aveva sempre desiderato.

La depressione post parto di Jillian è stata solo una fortuita coincidenza, ha detto mio padre alla polizia. Avrebbe trovato un altro modo per scomparire con me e Cassandra.

La scelta della città, invece, non l’ha scelta lui. È stato assegnato in questa città per seguire la chiesa, dato che il precedente pastore si stava ritirando.

Lui e Cassandra hanno vissuto felici per un anno e mezzo, fino a quando lei, presa dai rimorsi, finalmente non è riuscita nell’impresa di togliersi la vita.

Cassandra non si era mai perdonata di avermi portata via a Jillian, a cui, durante l’anno di matrimoni, si era affezionata come e fosse stata una sorella. Era disposta a lasciar perdere, a trascorrere la sua vita come mia zia, perché anche solo avere la sensazione di appartenere ad una famiglia, bastava a farla felice.

È stato mio padre a convincerla a procedere con il piano.

Credeva fosse l’unico modo per farla felice, ma non ha funzionato.

Non si è mai perdonato l’accaduto.

Da ascoltatrice esterna, avrei potuto rimanere impietosita dalla storia di un amore sbagliato e tormentato, ma anche ascoltando la confessione che mio padre ha rilasciato, sentendo la sua voce strozzata, come se fosse un perfetto estraneo, non sono riuscita ad intenerirmi. Ho provato solo una grande rabbia.

Alla domanda: “Perché non ha riportato la bambina alla madre?” la risposta è stata: “Perché più cresceva, più mi sembrava di rivederla, la mia Cassandra. Era come se stesi avendo una seconda possibilità!”

Inutile dire che mi sono sentita profondamente nauseata da tutta la situazione.

Non solo era coinvolto in una relazione incestuosa con la sua stessa sorella, ma ha riversato per anni su di me quel sentimento sbagliato e morboso.

Qualsiasi parvenza di sentimento, si è dissolto a causa del disgusto.

Non sono rimasta ad ascoltare quello che la polizia stava dicendo a Jillian. Io avevo bisogno di uscire e respirare un po’ di ossigeno per allontanare la morsa che mi stringeva lo stomaco.

Sono passate due ore e ancora mi sento completamente sottosopra.

“Vuoi dell’altro caffè? Magari mettici un po’ di zucchero.”

Jillian è convinta che sia sotto shock. Non sono d’accordo con lei, ma forse potrebbe avere ragione, perché mi sento davvero molto confusa.

Non riesco a smettere di chiedermi: “Adesso cosa succede?”

“Smettila di pensarci!”

Probabilmente lei mi legge nel pensiero oppure legge l’espressione del mio viso, perché si siede di nuovo di fronte a me, come tre giorni fa, e tiene tre le mani la stessa tazza color ciliegia.

“Tu ci riesci?”

Lei mi rivolge un sorriso amaro.

“Come potrei? Ti ho ritrovata, è vero, ma il tempo perso non si può recuperare.”

Ha ragione, ma non è  tutto perduto.

“Questo è ovvio, ma tu mi conosci, Jillian. In questi mesi abbiamo avuto modo di conoscerci e non so che cosa succederà, continuo a chiedermelo, ma non posso fare a meno di sentirmi anche sollevata, perché finalmente ho avuto delle risposte. Non sono belle, ma almeno posso rispondere a tutti quei quesiti che prima mi tormentavano.”

La sua espressione è a metà tra il sollievo e l’incredulo.

“Ma non ti senti ferita per il modo in cui ti ha usata? Io sono davvero schifata.”

Allungo una mano e stringo con delicatezza la sua.

“Anche io sono nauseata, soprattutto per il genere di affetto malato che nutriva nei miei confronti, ma tutto questo rende le cose più semplici. Non mi interessa recuperare un rapporto con lui, non mi interessa più. L’unica cosa che mi importa, ora, è costruire un rapporto con te. Jillian, io…” Alcune lacrime sfuggono al mio controllo, scivolandomi sul viso.

“Davvero non so come saranno le cose da ora in poi, ma già da prima nutrivo una grandissima stima nei tuoi confronti e questo non è cambiato solo perché la verità è venuta alla luce. Anzi. Tutto questo mi fa sentire estremamente fortunata, perché pèer tutti questi anni, dove ti credevo morta, tu hai continuato a volermi bene.”

Sottraggo la mano alla sua stretta gentile e le uso entrambe per coprirmi il viso. Non vorrei piangere ancora, ma mi sento così piena, sommersa da tutto che mi sembra l’unica valvola di sfogo possibile.

“Non volevo sembrarti ingrata. Ringrazierò per sempre il signore per averti riportata da me, ma è tutto così strano, irreale. Non riesco a credere che, dopo tanti anni, finalmente sia successo. Non ci speravo più. È così strano pensare che la bambina che ho stretto tra le braccia sia cresciuta così tanto.  Devo solo rendermi conto che è tutto vero, che non è un sogno.”

Non riesco ad immaginare che cosa sta provando. Non riesco ad immaginare di avere un desiderio grande come il suo, temere di non vederlo mai realizzato e poi, di punto in bianco, ritrovarmi ad avere tra le mani ciò che avevo sempre desiderato, senza aver fatto nulla per ottenerlo. Deve essere difficile capacitarsene.

“Chelsea?”

La sua voce è morbida, un po’ meno addolorata ora, e mi spinge a sollevare lo sguardo.

Jillian ha gli occhi gonfi e arrossati, ma uno splendido sorriso le illumina il viso.

“Sì?”

“Sai questo cosa significa?”

Scuoto la testa, perché non riesco a capire che cosa voglia dire.

“Vuol dire che da oggi, questa, è anche casa tua. Ora hai un posto dove stare e dove non sentirti di troppo.”

Ricomincio a piangere, trattenendo nel modo più dignitoso possibile i singhiozzi.

Un posto dove stare, una casa, una famiglia: sono tutte cose che pensavo non avrei più avuto e invece lei, come se nulla fosse, me le sta dando e sento la genuinità delle sue parole. Lo sta facendo con il cuore, perché lo desidera, non perché è obbligata a farlo.

“Io… Non so cosa dire.”

Stavolta è lei a prendermi la mano, stringendola con delicatezza.

“Tutto questo avrebbe dovuto essere tuo di diritto. Non so come comportarmi, perché ormai sei una donna adulta, ma farò del mio meglio per essere la madre che meriti. Sono così orgogliosa della donna che sei diventata.”

Il rumore della porta d’ingresso che si chiude ci fa sobbalzare entrambe. Jillian ha un espressione ansiosa, mentre osserva una distratta Allyson entrare in cucina.

“Sera.”

Il suo saluto cade nel silenzio, cosa che la spinge a sollevare la testa per capire cosa c’è che non va.

Passa dal mio viso, ancora umido di lacrime, con gli occhi umidi, a quello della madre, più o meno nelle stesse condizioni?

“Che cosa  succede? Qualcosa di grave?”

“Jillian io vado di là!”

Faccio per alzarmi dalla sedia, ma lei mi fa segno di rimanere ferma, facendo invece cenno ad Allyson di sedersi alla mia sinistra.

“Mi state spaventando. Volete parlare, sì o no?”

“Allyson, siediti per favore. È una storia lunga.”

La giovane prende posto sulla sedia, sedendosi sul bordo della sedia, evidentemente sulle spine.

“Si tratta di una storia che io e tuo padre non ti abbiamo ami raccontato perché avrebbe reso le cose ancora  più difficili.”

“E l’hai raccontata prima a Chelsea che a me, mamma? Per questo avete l’espressione di due che hanno pianto?”

Io e Jillian ci scambiamo uno sguardo, a disagio.

Va bene non nascondere i propri sentimenti, ma vederli interpretati da qualcuno così facilmente mi fa sentire a disagio, esposta, vulnerabile, e non ho bisogno di sentirmi ancora più indifesa di quanto già non mi senta.

“È perché la riguarda. Lo abbiamo scoperto solo due giorni fa e sicuramente per te sarà uno shock, ma è giusto che lo sappia. Avevo più o meno l’età di Chelsea quando mi sono sposata, ma no con tuo padre, ma con un uomo di nome Frank Jones”

Allyson spalanca la bocca, gli occhi fuori dalle orbite.

“Che cosa?”

“Hai  capito bene. Quando conobbi tuo padre, ero una donna molto triste. Tuo padre era l’uomo della mia vita e l’ho amato con tutta me stessa.  Quando sei nata tu, ho pensato che le cose si sarebbero sistemate, che il vuoto che sentivo in fondo al petto sarebbe svanito, ma non è stato così. Tu e tuo padre mi avete dato la forza di continuare a vivere, ma mi mancava qualcosa che mi era stato sottratto prima che Paul mi trovasse. Ti ho raccontato di come ci siamo conosciuti, non è vero?”

Allyson annuisce, il viso sempre più bianco e perplesso.

“Sì, tu lavoravi in una tavola calda frequentata spesso da motociclisti, quando papà è entrato, insieme ai suoi amici. Vi siete guardati ed è stato amore, giusto?”

Jillian annuisce, un espressione nostalgica dipinta sul viso.

“Tuo padre era un orso buono con una sensibilità innata. Capì subito che qualcosa mi tormentava e tanto ha fatto che non solo mi sono innamorata pazzamente di lui, ma gli ho anche raccontato che mio marito era sparito, portandosi via mia figlia.”

Osservo Allyson, mentre incredulità e sorpresa le si dipingono sul viso.

“Una figlia?”

“Sì. Una bambina di nome Rhea che oggi ha quasi diciannove anni. Tua sorella.”

Nel vedere le lacrime spuntare negli occhi di Jillian, sento la commozione tornare a farsi sentire, ma non posso piangere ora, perché Allyson mi sta guardando come se finalmente stesse mettendo insieme i pezzi.

“Chelsea… Lei è quella bambina? Mi stai dicendo questo? Che ho improvvisamente una sorella e che questa altri non è che la mia amica Chelsea?”

L sorpresa viene immediatamente sostituita dalla rabbia, mentre la ragazza balza su dalla sedia con tanta energia da rovesciarla.

Bon guarda me, ma sua madre.

Sembra estremamente ferita.

“Mi dispiace non avertene parlato prima, ma come ti ho detto, è una grande novità anche per noi. Non sospettavamo nulla perché le nostre storie non combaciavano.”

Allyson solleva una mano. Ha gli occhi chiusi, l’espressione sofferente.

“Stai zitta, per favore. Non voglio sentire altro. Ho… bisogno di tempo per pensare.”

E prima che possa anche solo pensare di fermarla, esce dalla cucina alla velocità della luce.

Jillian ha un’espressione affranta.

“Mi dispiace tanto!”

“Non ti preoccupare. Le passerà. È fatta così. Ha ragione ad essere arrabbiata. È una grossa novità. Le parlerò più tardi per spiegarle ogni cosa.”

“Pissi farlo io?”

La domanda sale spontanea alle labbra perché ho paura che una chiacchierata madre-figlia, in questo omento, non sia la cosa migliore da fare, soprattutto per Jillian.

Allyson è una ragazza davvero dolce, ma l’espressione di rabbia trattenuta che aveva prima in viso non mi è piaciuta molto.

Si sa, quando c’è la rabbia, di mezzo, si tendono a dire anche cose che non si pensano, solo perché si sa che faranno soffrire l’altra persona.

Non voglio che Jillian venga ferita in un momento di collera.

“Tu?”

Mi limito ad annuire, in imbarazzo.

“Fino ad oggi io e alluso abbiamo avuto un buon rapporto. Forse con me parlerà e sarà disposta ad ascoltare.”

Lei ci riflette su alcuni secondi, prima di fare un cenno affermativo con la testa,.

“Per quanto mi bruci ammetterlo, hai ragione. Allyson ora ha bisogno di un’amica, non di una madre. La sua stanza è la seconda porta in fondo a sinistra.”

Lascio rapidamente la cucina, salgo le scale in legno e appena in cima vado a sinistra.

Anche senza che mi dicesse di che porta si tratta, avrei riconosciuto la camera di Allyson immediatamente.

Sul legno chiaro è appeso un cartello con il simbolo del divieto d’entrata e sotto c’è il suo nome disegnato in modo molto artistico.

Busso delicatamente alla porta con il cuore che batte all’impazzata.

“Vai via!”

“Allyson, sono io, Chelsea. Fammi entrare per favore.”

Non ricevo nessun tipo di risposta e immagino che mi stia ascoltando.

“So come ti senti. Sei spaesata, incredula, ma anche io mi sento così. Fino a due ore fa, non sapevo come fosse possibile tutto questo. Lascia che ti racconti ogni cosa!”

Passano diversi secondi, dove temo che le mie parole siano cadute nel vento, ma poi lo scatto della serratura mi fa tirare un sospiro di sollievo. Allyson apre la porta il tanto necessario per guardarmi bene in faccia.

Stringe forte il cuscino tra le braccia e ha il viso rigato di lacrime.

“Sei davvero mia sorella? È tutto vero?”

La sua voce rotta mi fa venire un groppo in gola, perché immagino che sia davvero difficile per le capacitarsene.

“Sì!”

Senza dire nulla si fa da parte, facendomi intravedere uno scorcio di cameretta, cosparsa di poster di band musicali ovunque.

“Entra!”

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Capitolo 31
*** 31 Adrian ***


31 Adrian.

 

 

Pochi giorni. Manca pochissimo tempo al momento della resa dei conti e non sto più nella pelle.

Mi prudono le dita dalla voglia di mettermi al computer e dare il via alla serie di eventi che porteranno la famiglia Pruitt e quella McLeor alla rovina.

Non ci sarà giornale che non parlerà della nostra disgrazia.

Ho parlato con Ryan, Josh, Dave e Logan al telefono. Ero a Detroit per partecipare alla convention di mio padre quando ho deciso che era il momento giusto per avvisarli.

Fino a quando le acque non si saranno calmate, devono starmi alla larga e, se dopo ciò non vorranno più avere a che fare con me, lo capirò.

Hanno cercato di tirarmi fuori la verità, volevano convincermi a lasciar perdere, Josh ha tirato addirittura in ballo Chelsea per cercare di convincermi a non fare qualsiasi cosa io stia per fare.

Inutile dire che tutto ciò ha scatenato un bel putiferio, dove sono stato preso d’assalto con domande a cui non volevo dare risposta.

Dopotutto, Chelsea non è assolutamente un problema. Dopo ciò che è successo, dubito fortemente che tornerà alla carica con la storia che non sono un maledetto infame, le sue lacrime e il modo silenzioso in cui se n’è andata dal mio appartamento sono stati  più che eloquenti.

Avesse lasciato il gatto, forse sarebbe stato diverso, ma è stato più che recepito il suo desiderio di non avere più nulla a che fare con me.

Sinceramente non so come sentirmi a tal proposito.

Credevo che ne sarei stato felice, che sarebbe stato un sollievo non avere più a che fare con la sua testa così strana, ma invece mi sono ritrovato a pensarla più spesso di quanto non vorrei.

Ho pensato addirittura di mandarle un messaggio, almeno per assicurarmi che stesse bene, ma subito dopo mi sono dato dello stupido, per due motivi decisamente sensati.

Primo, lei non vuole avere a che fare con me, cosa che capisco e approvo, secondo, dovrei essere felice di essermi liberato della sua presenza, del modo sfrontato che ha di affrontare le cose più disparate. Del sorriso che ha sempre stampato sul viso.

Dovrei sentirmi soddisfatto.

Con il suo modo di fare non mi farà più sentire ancora peggiore di quanto già non sappia di essere, non mi sentirò più a disagio in sua presenza, non sarò più costretto a lottare contro me stesso per non toccarla e corromperla in tutti i modi che mi fa immaginare.

Tutto ciò è finalmente finito e non riesco a capire perché il tanto agognato sollievo non arriva.

Perché non riesco a smettere di chiedermi se sta bene, se ha avuto le risposte che cercava, se ora è più serena?

Perché accidenti dopo essermela fatta non riesco ancora a levarmela dalla testa?

Ho impresso nella mente il suo viso, mentre mi seduceva, dolce e ingenua, ma allo stesso tempo colma di malizia e intraprendenza.

Sono rientrato da mezzora e la prima cosa che ho fatto è stata cambiare le lenzuola. Appena sono entrato in camera da letto, sono stato investito dai ricordi, come non era mai successo prima.

Non mi è mai capitato di soffermarmi su una scopata, di rivivere i dettagli, i momenti, di sentire quasi sulla schiena le unghie della ragazza. Prima d’ora, non era mai successo che i sospiri e i suoni continuassero a riecheggiare tra le pareti ed è stato un trauma avvertire così nitidamente la presenza di Chelsea nei miei spazi, come se veramente fosse rimasta qui per due giorni, invece che essere sgattaiolata via silenziosamente appena ho voltato lo sguardo.

Ancora mi chiedo perché accidenti sia venuta da me. Qual è il motivo che la spinta a cercarmi? Per una ragazza di quel tipo, il sesso non è solo un passatempo o un divertimento. È qualcosa di più serio.

Non è come la sua amica Meredith, che è sempre stata piuttosto libertina, da quanto ho dedotto, quindi non capisco perché abbia fatto tutto ciò.

Per molte la verginità è qualcosa di cui liberarsi e di certo non arrivano al college senza esperienza. Non fai sesso solo quando gli dai una determinata importanza.

Sarò anche un sadico bastardo, ma certe cose le so anche io, quindi ho passato gli ultimi due giorni a chiedermi perché mi ha fatto un regalo del genere.

Perché proprio a me, che non meritavo quello come la fiducia che mi ha sempre dimostrato?

Avrei voluto chiederglielo dannazione, perché la tristezza e la disperazione non possono essere sentimenti così forti da farti venire meno a ciò in cui credi. Il padre di Chelsea è un dannato pastore anglicano e da quanto ho potuto vedere, lei è stata cresciuta nella religione.

Quali sono state le reali motivazioni del suo comportamento?

Non riesco a capire perché non riesco a levarmi dalla testa queste domande, che addirittura riescono ad allontanare i pensiero della vendetta.

Dovrei smetterla, ma non ci riesco.

Sto facendo di tutto per comportarmi come al solito, essere il bastardo menefreghista che sono, ma viene difficile quando, anche se sei riuscito ad ottenere quello che volevi, ti senti usato.

Mi sono detto che ho approfittato del suo momento di debolezza, che l’ho macchiata e che sicuramente ne pagherò le conseguenze, dato che sono un dannatissimo egoista, ma più penso a quello che è successo, al modo in cui si è offerta, come se non desiderasse niente di più al mondo che venire a letto con me, più tutte queste scuse appaiono deboli e false.

Se fossi stato realmente un bastardo, non avrei provato a respingerla, non avrei cercato di farle tornare un po’ di buon senso, non l’avrei messa in guardia.

Se fossi stato realmente solo un animale, l’avrei presa senza delicatezza, senza aspettare i suoi tempi, fregandomene di rendere il tutto più che gradevole anche per lei.

Se penso ad un’altra donna, non sento tutti questi scrupoli. Non mi farei problemi a sedurla, scoparmela e poi andarmene senza guardarmi indietro, più che soddisfatto di essere riuscito ad ottenere la resa della poveraccia di turno.

Invece se si tratta di Chelsea, mi spaventa l’idea di comportarmi così.

Nonostante sia alta, per essere una ragazza, e di certo non magra anoressica come la maggior parte delle tipe con cui ho a che fare, mi sembra sempre così fragile, indifesa. Ogni volta che l’ho tenuta stretta, ho sempre avuto paura di farle del male, di spezzarla.

Non capisco. Perché non riesco ad essere me stesso quando si tratta di lei? Mi spinge a fare cose che normalmente non farei e ne sono pure lieto, perché mi piace non sentirmi un mostro, mi fa un certo effetto il suo sguardo compiaciuto quando le dimostro che non si sta sbagliando, ma allo stesso tempo so che è solo finzione, che prima o poi anche questo suo effetto da fatina incantatrice svanirà e tornerò a sentire l’apatia, la solitudine.

Quel piccolo bastardello di un randagio era una spina nel fianco e mi ha distrutto le tende, ma mi faceva compagnia. Sapere che c’era qualcuno nel mio appartamento, quando rientravo la sera, dopo la palestra, dopo uno stupido ricevimento politico o alla fine delle lezioni, mi ha dato sollievo e fatto venir voglia di stare più tempo tra le mura domestiche, a godermi il silenzio e la calma.

Mi sento una femminuccia complessata quando mi metto a pensare a queste cose, perché desiderare di cambiare le cose è pericoloso, mi mette in una condizione di svantaggio e mi fa perdere il controllo.

Chelsea ha risvegliato delle emozioni che non credevo esistessero ancora e che mi spaventano. Mi rendono vulnerabile e non me lo posso permettere dannazione. Mi ero liberato di questa cosa inutile quando ho deciso di far scontare alla mia famiglia tutti i crimini commessi e non voglio sentirmi colpevole per quello che succederà.

Allo stesso tempo, però, non mi sentivo così vivo da un’infinità di tempo.  È come se fossi tornato a respirare.

Per la prima volta intravedo quello che Chelsea ha cercato di dirmi fin dall’inizio. Non sono completamente marcio, da buttare via, ma come posso far conciliare i miei piani, ciò che ho così faticosamente costruito, con quel poco di umanità che riesco a scorgere tra l’oscurità?

No, non posso lasciarmi condizionare da questa cosa, anche perché non ha senso. Non ha senso soffermarsi su questi pensieri, perché ciò che è successo non si può cambiare.

Quando negli ultimi mesi mi sono allontanato dai miei amici, non è stato solo perché uno ha una famiglia, uno è impegnato con l’accademia di polizia e gli altri due sono fidanzati. Non è stato per quello che ho diradato i nostri incontri e ho iniziato a ritirarmi sempre più spesso nella solitudine del mio appartamento.

Sono ben contento per loro. Sono riusciti a trovare una cosa difficilissima da trovare se non addirittura impossibile per la maggior parte. No, il motivo per cui mi sono allontanato è perché non voglio perdere le persone a cui voglio bene.

Il pandemonio che si scatenerà quando manderò la mail con l’allegato alla direzione di People non toccherà solo la mia famiglia, ma anche tutte le persone a cui tengo.

Non posso esporle così, non sarebbe giusto. Cercare di coinvolgere meno persone possibili è il meglio che posso fare.

Non riesco nemmeno ad immaginare che cosa succederà a Chelsea quando le foto verranno pubblicate sulla rivista, fatte girare per il web.

Ho cercato di evitarla, ma qualcuno l’ha voluta mettere in mezzo e non voglio essere responsabile dei suoi problemi. Ho fatto di tutto per smentire un’eventuale relazione, ma non c’è stato nulla da fare.

Sono sicuro che non lo sa, ma la voce sta correndo veloce.

Forse dovrei avvertirla di stare attenta, di non dare troppa confidenza agli estranei perché potrebbero essere stupidi paparazzi alla ricerca di scoop.

Purtroppo è questo che succede quando si è il figlio di una figura pubblica e odio che i miei affari, veri o meno, vengano sbandierati ai quattro venti e coinvolgano persone che non hanno nulla a che fare con la campagna elettorale di mio padre.

Non voglio che Chelsea venga coinvolta in questo genere di cose. Inoltre metterebbero in piazza anche le sue faccende private e l’ultima cosa di cui ha bisogno, dopo lo stato pietoso in cui si trovava due giorni fa, è vedere le sue cose più private che diventano di dominio pubblico.

Forse dovrei chiamarla a questo proposito, mandarle un messaggio, ma sono sicuro che risponderebbe, magari con un tono freddo, distante, così diverso da quello solare che ha solitamente.

No, è giusto che sia io ad avvertirla. L’altra volta è stata Kayla, per puro caso, ad avvisarla di ciò che è successo, ma stavolta lo devo fare io.

Prendo il cellulare e digito poche parole, prima di decidere di lasciar perdere e nascondere la testa sotto la sabbia e far finta di nulla.

“Ho bisogno di parlarti.”

La sua risposta arriva anche troppo rapidamente.

“Passo da te.”

Tre semplici parole, ma che non so come interpretare. Non è una buona idea, accidenti. Non lo è per nulla.

“Non credo sia il caso.”

Osservo la doppia spunta blu della chat di Whatsapp per alcuni secondi, ma non ricevo risposta.

Potrebbe essersi offesa?

Il suono del campanello mi fa sobbalzare. Chi può essere a quest’ora? Non può già essere qui, giusto?

Invece quando apro la porta è proprio Chelsea che mi ritrovo davanti. Non indossa il cappotto, ma un pullover rosso sopra una  maglietta bianca leggermente scollata e un paio di jeans. Ha i capelli castani sciolti, che incorniciano il viso leggermente arrossato.

“Hai il teletrasporto?”

Lei mi guarda con il sopracciglio inarcato e io le indico il cellulare che tengo in mano.

“Oh, giusto. No, ero di sotto da Bianca con Meredith ed ho pensato fosse il momento giusto per salire. C’era un po’ di tensione e mi sentivo a disagio.”

Continuo a guardarla e lei arrossisce distogliendo lo sguardo.

“Posso entrare o devo rimanere sulla porta?”

Mi levo di mezzo per darle accesso all’appartamento, ma sono sempre più perplesso.

“Meredith ti ha lasciata salire?”

Chelsea si ferma al centro del soggiorno e gi volta, le braccia incrociate sul petto e l’espressione battagliera, proprio mentre chiudo la porta.

“Potrà sembrarti strano, ma non faccio tutto quello che mi viene detto. Inoltre ha ben altro a cui pensare.”

Mi sembra stranamente a suo agio mentre si gira e va a sedersi su uno degli sgabelli di fronte alla penisola alta.

“Allora? Vuoi dirmi che cosa c’è?”

Mi passo una mano tra i capelli, preso alla sprovvista dal suo modo di fare. È come se non fosse successo niente. Davvero vuole fingere che non abbiamo mai fatto sesso?

“Io… Ecco, volevo solo avvertirti che d’ora in poi le cose potrebbero farsi un po’ movimentate. Non so se lo sai, ma mio padre si è candidato alle prossime elezioni e quindi gente pronta a tutto per trovare qualcosa di cui parlare potrebbe avvicinarti”

Lei mi osserva per alcuni secondi, la testa leggermente inclinata di lato.

“Volevi parlarmi solo di questo? Avresti potuto mandarmi un messaggio.”

Sento la fronte corrugarsi.

“Di cos’altro avrei dovuto parlarti?”

“Di due notti fa, per esempio.”

Mi prende alla sprovvista, perché avevo già archiviato l’idea di doverne parlare quando si è comportata come se non fosse mai successo.

“Sinceramente non saprei cosa dire. Sei andata via mentre ero sotto la doccia. Forse dovresti dire tu qualcosa.”

Lei sobbalza, arrossendo, ma non distoglie lo sguardo. È ancora seduta sullo sgabello, ma ora le gambe non dondolano più, sono ferme, rigide, prive della tranquillità che le animava poco fa.

“Ero in imbarazzo, non sapevo che cosa dire e avevo bisogno di confidarmi con la mia migliore amica. Tu non hai idea di quello che ho passato negli ultimi due giorni e credimi, il fatto di aver fatto sesso con te, non è stato il pensiero più ricorrente nei miei pensieri.”

Sobbalzo al suo candore. Come può essere ancora così candida?

“Non è questo che intendevo. Aspetta, lo hai detto a Meredith?”

Il cuore mi balza in gola al solo pensiero che quella piccola iena possa sapere una cosa del genere. Mi aveva intimato di stare alla larga dalla sua amica e quella è pericolosa e infida.

“Certo che gliel’ho detto!”

Sembra addirittura sorpresa, come se non capisse cosa c’è di male.

“Quella mi ammazza, lo sai?”

“Non farà niente del genere, per più di un motivo.”

Si alza in piedi e viene verso di me, che sono rimasto a circa due metri di distanza in modo da non essere tentato di toccarla.

Averla di fronte ora, mi rende difficile concentrarmi sulla conversazione. Continuo a pensare a quello che abbiamo fatto, alla consistenza e al sapore della sua pelle. Alle lenzuola fresche di bucato che non aspettano altro che essere stropicciate.

Si ferma a pochi centimetri da me. I suoi occhi violetti sono ipnotici.

“Che motivi?”

Sento la bocca seccarsi quando una zaffata del suo profumo mi arriva alle narici. Non è un profumo costoso, è qualcosa di più semplice e fruttato, come l’arancio. Deglutisco a vuoto, stringendo le mani a pugno per non allungarle ed afferrarla.

Voglio sentire ancora il sapore della sua bocca e spingermi molto oltre, anche se so che sarebbe una pessima e impossibile idea.

“Primo, ha altro a cui pensare. Secondo, è stata una mia scelta venire qui e non può fartene una colpa.” Il suo viso si arrossa, probabilmente per colpa del pensiero di cosa esattamente abbiamo fatto quando è “venuta” a casa mia.

“E terzo, anche se so che dovrebbe essere così, Adrian, io non mi pento di nulla. Ne è valsa assolutamente la pena e se tornassi indietro, lo rifarei.”

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Capitolo 32
*** 32 Chelsea ***


32 Chelsea.

 

 

L’emozione che mi stringe la gola dovrebbe impedirmi di respirare, di parlare, ma invece sento solo una gran determinazione.

Ritrovarmi in questo appartamento riporta a galla il ricordo di quella notte.

In questi due ultimi giorni, quando mi chiudevo nella mia stanza, cercavo di svuotare la mente, di non pensare per riuscire a chiudere gli occhi e riposare.

Funzionava per alcuni minuti, ma appena lasciavo andare le briglie del controllo, le immagini ricominciavano ad aggredire la mia mente.

Principalmente ricordi legati a mio padre.

La mia testa è tornata indietro nel tempo, a momenti che avrebbero dovuto farmi sospettare qualcosa. Come quella volta che gli ho chiesto come mai non andavamo mai a trovare la mamma al cimitero e la sua risposta non è stata ne convincente ne esauriente.

Semplicemente mi ha proibito di chiedergli dove fosse sepolta.

Ero piccola, certo, ma anche allora pensai che era strano, perché mio padre era sempre buono e gentile con me, mi spiegava ogni cosa.

Ci sono stati altri episodi del genere, anche se non li ricordo chiaramente, ma non volevo riviverli, non volevo assolutamente ripensare all’affetto ingenuo che ho nutrito per un uomo malata che in me non rivedeva altri che la sorella di cui era innamorato.

A quel punto mi rifugiavo in altri ricordi,  in modo che mi cullassero.

Adrian era nei miei pensieri in quei momenti. Lui, i nostri baci e tutto il resto.

All’inizio mi sono concentrata solo sui nostri baci, su quello che mi hanno fatto provare e a quanto protetta mi abbia fatta sentire.

Ho ripensato ad ogni momento. A quel primo bacio nella sua auto, che mi ha aperto gli occhi su così tante cose.

Al secondo, il giorno del suo compleanno, ironia della sorte, capitato il giorno di San Valentino, dato che la mezzanotte era già scoccata.

Al terzo, nel corridoio di fronte alla porta della mia stanza.

Credo di essermi addormentata, perché la mia testa ha iniziato a produrre immagini per conto suo.

Nel sogno, il nostro bacio non terminava con lui che se ne andava. No, nel mio sogno, lo invitavo ad entrare.

Mettevo la gabbietta con il gatto in bagno, prima di gettare le bracci intorno al collo di Adrian e ricominciare a baciarlo.

Lui mi ha messo le mani sul sedere, stringendo con forza, e una gamba tra le mie.

Mi ha stretta a se con decisione, continuando a divorarmi la bocca e farmi sentire il suo tocco deciso.

Siamo arretrati barcollando, stretti l’uno all’altro, fino ad arrivare alla scrivania, sulla quale mi ha fatto sedere. Mi ha sfilato la maglietta e il reggiseno e ha iniziato a leccarmi il busto, scendendo fino al seno.

Mi è sembrato così reale che non volevo finisse, ma è terminato proprio nel momento in cui mi stava infilando una mano nei pantaloni.

Mi sono svegliata agitata, il ricordo così fresco che quasi riuscivo a sentire sulla pancia il residuo della sua bocca.  Il cuore batteva all’impazzata e sul corpo sentivo la pressione, il desiderio, l’insoddisfazione.

H provato a mandar via la sensazione, ma non è servito a nulla.

Ho passato una giornata agitata a lavoro e a lezione ero decisamente distratta.

Stanotte è successo di nuovo. Un altro sogno erotico.

Mi trovavo di nuovo nella sua camera da letto, sdraiata con indosso solo il reggiseno e le mutandine.

Ricordo ancora chiaramente il tocco delle sua mani, leggermente ruvide, sulle mie cosce nude. Sento ancora sulla pelle i piccoli brividi freddi che mi hanno percorso.

Il desiderio fisico è andato ad aggiungersi alle già potenti emozioni che mi suscita.

Ecco perché sto così disperatamente cercando di fargli capire che sto bene, che non deve pensare di aver fatto qualcosa di male.

La sua espressione, però, mi dice che non ci crede.

“Sei andata via!”

“Te l’ho già detto. Ero in imbarazzo e non me ne puoi fare una colpa. È stata la prima volta e non sapevo come comportarmi.”

“Ti sei portata via il gatto.”

La sua espressione assomiglia molto a quella che avevano i ragazzi della parrocchia: Smarrita.

“Non potevo continuare ad approfittarmi della situazione. Mi stavi facendo un favore enorme e io me ne stavo approfittando. Era il momento che mi prendessi io cura di lui.”

“Hai pianto.”

Ma le scuse per pensare di essere pessimo non finiscono mai?

Sto iniziando a stancarmi di questa sua continua e frenetica ricerca di motivi per odiarsi.

“Avevo decine di motivi per piangere. Avevo i nervi a pezzi e capita a tutti di lasciarsi andare ad un sano pianto liberatorio ogni tanto. Reprimersi non fa bene. Erano mesi che sopportavo una situazione insostenibile. Vivevo senza risposte e solo con mille domande. Poi c’è stata l’intrusione nella mia camera, poi è saltato tutto in aria come se fosse scoppiata una bomba e non ne potevo più.”

Sono agitata, gesticolo come una pazza, ma non riesco a fermarmi. Voglio davvero, con tutto  il cuore, che capisca.

“Non sai quanto ti sono grata per essere rimasto al mio fianco. Tu e il tuo silenzio siete stati ancora una volta un supporto enorme. Nemmeno ti rendi conto di quanto mi hai aiutata.”

Faccio l’unico passo che ci separa e gli prendo il viso tra le mani per obbligarlo a guardarmi.

Cerca di allontanarmi, senza convinzione. Sembra decisamente in difficoltà.

“Avrei dovuto immaginare che avresti pensato qualcosa di orribile, che ti saresti incolpato di tutto, ma non hai fatto niente di sbagliato. Dovresti sapere quanto credo in te e dovresti iniziare ad avere un po’ di fiducia in me.”

Lui mi guarda con gli occhi spalancati, poi di colpo si ritrae, mi afferra per i polsi e mi blocca rapidamente le braccia dietro la schiena.

La posizione mi obbliga a spostare il petto all’infuori, a pochi centimetri dal suo.

“Ma che cosa ti sei messa in testa?”

“Scusa?”

Ora lui sembra arrabbiato, ma non sono sicura che la colpa sia mia. Non sento cattiveria nella sua voce. Non mi sento in pericolo. La sua stretta, che mi rende impotente, non mi spaventa anche se ho il cuore che batte all’impazzata.

“Fai tutto l’opposto di quello che ti viene detto. Sei testarda, invadente, pretenziosa, luminosa come una stramaledetta fatina, pronta a distribuire la polvere magica sui poveri mortali infelici. Cosa pensi di fare? Recuperarmi come se fossi uno straccione? Non sei un’assistente sociale Chelsea e l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è averti in mezzo ai piedi, a mettermi i bastoni fra le ruote.”

I suoi occhi cangianti sono accesi di ira, ma questo, invece che farmi tremare, mi fa venire voglia di abbracciarlo stretto e sfidarlo per portarlo al limite e metterlo all’angolo.

“Allora buttami fuori, Adrian. Mandami via e non cercarmi più. Non ti avvicinare, non pensarmi. Fallo e io ti lascerò perdere, ma se non ce la fai, se non riesci a lasciarmi uscire da quella porta, allora farò tutto ciò che posso per dimostrarti che persona eccezionale vedo quando ti guardo.”

Lui sbatte le palpebre, come se stesse uscendo da una specie di trance e la mano che tiene sulla mia spalla destra mi stringe più forte.

Sembra completamente perso nei suoi pensieri e trema leggermente.

“Allora, che cosa aspetti? Hai la possibilità di liberarti di me. Se davvero non vuoi avere niente a che fare con la sottoscritta, devi solo accompagnarmi all’uscita.”

Mi fissa negli occhi, mentre un po’ di rabbia scivola via.

Posso vedere nel suo sguardo i pensieri che turbinano.

“E se non ti dovessi mandare via, cosa faresti?”

La sua presa si rinsalda, obbligandomi ad avvicinarmi e toccarlo: petto contro petto.

La sua mano lascia la mia spalla, salendo lentamente verso il collo, per poi arrivare a prendermi il viso tra le mani. Sono come ipnotizzata dal suo sguardo, tanto che ci metto diversi secondi a capire la sua domanda.

“Io non so che peso ti porti dietro, ma voglio esserci quando deciderai di lasciar andare tutta la rabbia e raccontarmi ogni cosa. Ti dimostrerò che puoi fidarti di me, così la diffidenza che sento svanirà del tutto. Voglio tenerti stretto anche se può sembrare uno sbaglio, perché sento che devo esserci per te, esattamente come tu ci sei stato quando sono stata io ad avere bisogno.”

Lui scuote la testa, distante. Sta cercando di allontanarsi, lo sento. Se fino ad un secondo fa stava ascoltando le mie parole con attenzione, ora si sta estraniando, come se avessi toccato un tasto importante.

“Non posso darti quello di cui hai bisogno. Non esiste il lieto fine e io non sono il mostro che per salvarsi deve redimersi.”

“Non hai fatto niente che necessiti la redenzione, Adrian. E non credo nel lieto fine, la vita è troppo incasinata per qualcosa del genere, ma io credo nei momenti. Voglio vivere di quelli e voglio portarti con me.”

Lui scuote ancora la testa, ma il suo sguardo nasconde la verità che nemmeno lui riesce ad ammettere.

La speranza è ancora viva, anche se soffocata dalla paura.

Di cosa? Non lo so, ma voglio far brillare quel sentimento, renderlo un piccolo sole privato in grado di riscaldare anche gli angoli più ghiacciati della sua anima.

Lui non è come si dipinge, è molto di più, ma ha paura di crederci.

“Ti farò del male, Chelsea. Se ti lascio fare, l’unica a risultarne ferita sarai tu.”

“Ma è una mia scelta.”

I miei occhi sono incatenati ai suoi, mentre il mio corpo è percorso da lievi vibrazioni.

“Niente lieto fine, Adrian. Solo…” Mi sollevo sulle punte dei piedi, mentre il cuore accelera la sua corsa, pregustando già la resa. “… un piccolo momento di perfezione per volta. So che puoi farlo, che vuoi provarci. Ti sto dando la possibilità di essere la persona che hai sempre desiderato essere, ma che credi di non poter diventare.”

Lui mi lascia andare di botto, mettendo tra di noi almeno due metri. Sembra quasi spaventato.

“Non posso ricambiare i tuoi sentimenti.”

Incrocio le braccia sotto al petto. Ho bisogno di trattenere il calore che mi ha trasmesso.

“Non è quello che sto domandando. Ti sto chiedendo di darmi la tua fiducia e permettermi di mostrarti quanto assieme possiamo essere perfetti.”

Adrian sembra sempre più spaventato dalle mie parole, come se potessero prendere forma per attaccarlo.

Non capisco che cosa gli stia succedendo.

“Perché fai tutto questo? Perché sei disposta a metterti in gioco per me? Non ho fatto niente per meritarlo.”

Lo raggiungo, colmando la distanza che ci separava.

Ho l’impressione che avrebbe voluto arretrare, ma credo che sia stato l’orgoglio ad impedirglielo.

Poggi o una mano sul suo petto, all’altezza del cuore.

“Perché sono convinta al cento per cento che ne valga la pena. Tutti ci meritiamo la felicità e, l’ho capito in questi ultimi giorni, io ho bisogno di te, quanto tu di me.”

Me lo ritrovo addosso prima ancora di capire che cosa sta succedendo.

È brusco nei movimenti, nel modo in cui mi stringe, come se potessi scivolargli tra le dita da un momento all’altro.

Mi spinge all’indietro, fino ad inchiodarmi contro la parete divisoria.

Lascia la mia bocca solo per darmi l’ultimo avvertimento.

“Io non sono un uomo gentile, Chelsea. Ti mostrerò chi sono davvero, solo dopo potrai decidere di andartene finalmente. Non rimarrai.”

“Lascia che sia io a decidere. Mostramelo!”

Esattamente come è accaduto nel mio sogno, dopo essersi riappropriato della mia bocca, coinvolgendomi in un bacio da togliere il fiato, ma afferra per il sedere, obbligandomi ad avvolgergli le gambe attorno alla vita.

Sento tra le gambe il suo membro duro che si struscia contro di me, mimando l’atto sessuale. Tremo, rabbrividisco ad ogni suo movimento, ma non è per paura.

Lui è quello che voglio.

Il mio inconscio è stato chiaro e non voglio più resistere ai miei desideri in nome di convinzioni senza valori.

Dato il modo in cui mi sto comportando, molto probabilmente, se fossi cresciuta diversamente, senza tutto quel controllo ferreo, senza la religione, probabilmente sarei diventata una sgualdrina.

Mi sono piaciute troppo le sensazioni provate per non volerle sperimentare nuovamente.

Adrian capisce solo i gesti, le parole hanno poco valore per lui, per questo ho deciso di donargli tutta me stessa.

Voglio credere che non mi deluderà.

Niente di quello che può fare mi spingerà a cambiare idea e non vedo l’ora di scoprire quanto la mia mente perversa può spingersi oltre.

Con Adrian mi sento libera di essere me stessa, anche se è una parte non capisco o riconosco. So solo che quando la seguo mi sento estremamente viva e a mio agio. disagio sentire la sua mano sotto la maglietta e dentro il reggiseno.

Sfrega un dito sul capezzolo inturgidito e una nuova scarica di brividi mi percorre la pelle quando lo stringe tra le dita, fino a raggiungere il punto tra le gambe dove continua a spingere. Sento una strana sensazione di calore liquido che mi spinge a contorcermi e muovere i fianchi per assecondare i suoi movimenti, ma non è abbastanza.

Di più. Voglio ogni cosa da lui e, in cambio, gli darò tutto di me.

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Capitolo 33
*** 33 Adrian ***


33 Adrian.

 

 

 

“Avresti dovuto darmi ascolto e andartene.”

“Mandami via!”

La voce assonnata di Chelsea è accompagnata dal suo movimento. Si accoccola più vicina, nascondendo la testa sul mio petto.

Mi sto congelando, perché le coperte mi coprono solo fino allo stomaco, ma non ho esattamente voglia di muovermi.

Era un bel po’ che non mi sentivo così soddisfatto.

Abbiamo fatto sesso, di nuovo, e stavolta non mi sono risparmiato. Ho lasciato che quella parte di me, così aggressiva, venisse alla luce e si sfogasse, ma lei non è scappata e non si è tirata indietro.

Mi ha davvero stupito e stavolta non ci sono state lacrime.

“Non riesco a credere di averlo fatto di nuovo!”

La sua incredulità mi fa scoppiare a ridere.

“Davvero non ti capisco.”

Lei mi stringe più forte, come se non volesse lasciarmi andare.

“Nemmeno io capisco me stessa alle volte, ma non in questo caso.  Te l’ho già detto, no? Non vado da nessuna parte. Prima o poi riuscirò a fartelo capire.”

Ridacchio di nuovo, perché Chelsea per me è davvero strana.

Credo si stia innamorando, anche se non so esattamente che cosa significhi. Non riesco a capire come possa qualcuno provare certi sentimenti nei miei confronti.

Se non ti ha voluto bene la tua famiglia, il sangue del tuo sangue, come possono persone che non hanno niente in comune con te provare quel genere di sentimento, di attaccamento?

È reale o solo sabbia negli occhi, che ti fa credere a qualcosa che non esiste?

È una domanda che in questi ultimi minuti ho continuato a farmi, senza trovare una risposta.

Le parole vanno e vengono, non hanno valore. Sono i gesti a dimostrare realmente qualcosa. Sono concreti, affidabili, per questo mi chiedo quanto di quello che dice lei corrisponda a realtà, perché ad ogni parola che dice, lei fa seguire i fatti.

So che non è dotata di quella malizia che spinge le persone a pugnalare gli altri alle spalle, ma ugualmente non so se posso fidarmi, crederle.

“Chi lo sa!”

Con qualsiasi altra persona, il mio commento lapidario, avrebbe sortito effetto, ma non con Chelsea, che si solleva su un gomito, avvolgendosi maggiormente nel lenzuolo, facendomi rabbrividire per l’aria fredda, e mi fissa negli occhi.

“Lo so io. Volevi spaventarmi, ma non ci sei riuscito. Sono ancora qui e, a meno che non sia tu a mandarmi via, intendo rimanere. Dovresti averlo capito che sono anche troppo testarda e che se mi metto in testa qualcosa non c’è verso di farmi cambiare idea.”

“Ho notato.”

Mi fissa ancora per qualche secondo, poi si rimette giù, stringendomi il braccio in vita e raggiungendo un diverso tipo di intimità.

Non sono mai stato il tipo che dopo l’amplesso di sofferma sulle “coccole”, ma nel suo caso, mi piace questa sensazione di pace che mi trasmette e, il calore del suo corpo, mi fa sentire decisamente a mio agio.

È una strana sensazione quella che mi trasmette e non so come descriverla. Non riesco a trovare un termine adatto. È più che pace, quella che mi fa sentire. È come se non avessi un solo problema al mondo in questo preciso istante.

Anche se so che è impossibile, per poco, è bello crogiolarsi nel pensiero che qualcuno davvero ci tiene a te.

“Tanto lo so che non ti dispiace. Puoi non volerlo ammettere, ma prima o poi capirai che non sto scherzando e che ti puoi fidare. Finora ti ho scaricato addosso i miei problemi, tu puoi fare lo stesso. Per qualsiasi cosa, io ci sono, anche solo per ascoltare.”

Le sue parole cadono nel silenzio, ma è innegabile che mi facciano effetto.

Sono poche le persone che si sono offerte di ascoltare i miei problemi, le cose che magari mi infastidiscono.

Di sicura mai nessuna donna ha cercato di approfondire la conoscenza. Erano donne che volevano qualcosa da me.

Ora anche Chelsea mi chiede qualcosa, che probabilmente non sarò mai in grado di dare, ma invece che far salire la rabbia, questo suo atteggiamento mi spinge a riflettere, perché prima di chiedermi qualcosa, lei mi ha dato tutto ciò che aveva e questo mi fa venir voglia di ricambiare, in qualche modo, anche se so che non è possibile.

Come può provare dei sentimenti profondi qualcuno che ha vissuto nella sterilità emotiva tutta la vita?  A fatica sono riuscito a comprendere il sentimento di amicizia e ci sono voluti mesi se non addirittura anni per arrivare alla fiducia e all’intesa che c’è ora. Senza dimenticarsi che una parte di me, ancora oggi, non riesce a fidarsi completamente nemmeno di loro, dei miei amici.

Quindi come potrei mai corrispondere i sentimenti di questa ragazza, che non fa assolutamente mistero di quello che prova?

Dovrebbero terrorizzarmi le sue aspettative, il suo modo di fare così limpido, come se fosse assolutamente inevitabile, per me, adeguarmi al suo ritmo. La cosa assurda è che mi rendo conto di fare esattamente il suo gioco, ma non riesco a farne a meno, perché il suo sguardo violetto, determinato, ma carico di fiducia, mi spinge a non volerla deludere.

Eppure so che ciò accadrà, che quella luce si spegnerà, e allora non potrò che assumermene la colpa. Sono pronto a ciò.

Le ho detto che la farò soffrire, che se continuerà a perseverare su questa strada, non ci sarà altro che quello, ma la sua testardaggine supera il mio desiderio di evitarle sofferenze.

A questo punto, sono in ballo e quel che sarà, sarà. Io non posso più fare niente per evitare che ciò accada.

Farò del mio meglio per non essere del tutto un pezzo di merda, ma tra pochi giorni lei si allontanerà, disgustata e io non posso farci assolutamente nulla. L’ho avvertita.

Nessuna persona, nemmeno la più buona e generosa del mondo, potrebbe perdonare e andare oltre.

“Faresti meglio ad andare ora, o la tua amica verrà davvero ad ammazzarmi!”

È una scusa patetica, ma allontanarla è la cosa giusta.

“No! Qui si sta così bene!”

Si stringe ancora di più a me, sprofondando sotto le coperte fino quasi a far sparire la testa sotto il piumino rosso.

“Io mi sto congelando invece. Ti sei presa tutto il lenzuolo!”

La sento ridere e poi improvvisamente le coperte si sollevano, accompagnate da una ventata di aria fredda che mi percorre tutto il corpo, fino a coprirmi la faccia.

“Ecco, così non ci sono scuse. Zitto e non rovinare tutto.”

Come si può lottare contro una persona del genere?

Io non ci riesco e so che è egoistico da parte mia, perché è come se stessi servendo dei suoi sentimenti per ottenere qualcosa, ma la verità innegabile è che la sua compagnia mi piace e non mi mette di fronte alla realtà.

Quando sono in sua compagnia è come se venissi catapultato in un’altra dimensione, dove non posso che essere diverso. È come se fossi addirittura un’altra persona.

Sarebbe davvero semplice darle la mia fiducia, ma a cosa servirebbe, dato che so già che non resterà? Affidarmi a lei e poi vederla andare via, porterebbe solo dei sentimenti che non voglio provare, quindi è meglio evitare fin dall’inizio.

“Non mi hai detto se sei riuscita a sistemare le cose. Dopo avermi “usato”, è il minimo.”

Lei ride, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena quando il suono si ripercuote su di me in una serie di vibrazioni.

“Non ti ho usato. In ogni caso non posso dire che le cose siano a posto, ma si sistemeranno. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono sicura che troverò un nuovo equilibrio. Scoprire chi è mia madre e perché  non ‘è stata per tutta la mia vita mi ha aiutata davvero tanto. Non mi piaceva l’idea di essere stata abbandonata, ma per fortuna non devo fare i conti con questo genere di consapevolezza.”

Sento tutti i muscoli del corpo irrigidirsi, perché le sue parole mi portano alla mente argomenti che non intendo affrontare con nessuno.

Lei percepisce il mio disagio e solleva la testa, facendo filtrare la luce. I suoi occhi che mi fissano sono sgranati, pieni di una comprensione che non ho mai desiderato.

“Chi è stato Adrian?”

Il campanello alla porta mi salva. Ci fissiamo negli occhi ancora per qualche istante e la sua espressione mi dice chiaramente che non ha nessuna intenzione di arrendersi.

Si allontana, facendo passare l’aria fredda e sento immediatamente la mancanza della sua pelle morbida e del suo calore.

La sua schiena flessuosa è decisamente invitante se non fosse per il campanello, mi piacerebbe molto esplorarla e marchiarla come ho fatto con la parte davanti del suo corpo.

Mi guarda da sopra la spalla mentre recupera il reggiseno, abbandonato sul comodino.

“Ti ho raccontato cose davvero importanti per me, fondamentali addirittura, quindi non pensare che potrei giudicarti. Voglio solo capirti meglio!”

Il suo sguardo è troppo difficile da sopportare, perché probabilmente lei è una delle poche persone a poter capire che cosa significa essere traditi e abbandonati, ma non posso farlo per due ottime ragioni.

Primo: significherebbe ammettere qualcosa che non voglio nemmeno prendere in considerazione. Secondo, lei se ne andrà presto e non avrebbe senso affrontare determinati argomenti.

“Non serve!”

Mi giro per recuperare i miei vestiti ed andare ad aprire. Chiunque sia, so già che mi romperà le palle, quindi mi limito ad infilarmi le mutande e un paio di pantaloni della tuta. Voglio che il baccano infernale che regna nell’appartamento termini.

Dall’altra parte della porta c’è Ryan, con un’espressione indecifrabile in viso.

“Possibile che tu sia appena rientrato e già ti trovo vergognosamente in compagnia?”

Il suo cattivo umore è una novità. Negli ultimi mesi è stato piuttosto calmo, a parte la settimana del mio compleanno, dove sembrava avesse un diavolo per capello.

Ovviamente la causa era la relazione di sua sorella con il suo vecchio amico del liceo Logan, ma questo è solo un dettaglio.

Dopo essersi abituato al fatto che sua sorella è tutto tranne che una povera ed innocente ragazza da proteggere, ha trovato un buon equilibrio. Stato mentale che al momento sembra completamente svanito.

“Non sono affari tuoi. Che ci fai quassù? Tua moglie ha capito di aver fatto un pessimo affare a sposarti e ha deciso di liberarsi di te?”

Lui fa un sorriso un po’ sghembo che assomiglia più che altro ad una smorfia ironica.

“Molto spiritoso. No, è che ho bisogno di parlare con qualcuo prima di impazzire.”

Chelsea sceglie proprio questo momento per entrare in salotto. Si sta infilando il pullover e ha i capelli sciolti e scompigliati.

Chiunque capirebbe che cosa è successo e l’espressione incredula sul viso del mio amico è piuttosto comprensibile. Ha gli occhi sgranati, ma Chelsea si comporta come se non fosse quasi stata beccata in flagrante.

“Io risalgo dopo. Non abbiamo finito il discorso.”

La seguo fino alla porta, attento a non fare niente per incoraggiarla. Sta già facendo tutto da sola e un qualsiasi gesto da parte mia potrebbe solo peggiorare le cose.

“Non c’è molto altro da dire.”

Lei mi rivolge una mezza occhiataccia, ma sta sorridendo.

“Col cavolo. C’è moltissimo da dire. Faresti meglio ad arrenderti, io non ho nessuna intenzione di gettare la spugna.”

Prima di uscire dalla porta, aggrappandosi al mio braccio per mantenere l’equilibrio, si solleva e mi deposita un lieve bacio sulla guancia ruvida di barba.

“A più tardi.”

Lascia l’appartamento  come se nulla fosse e posso dire di invidiare alla grande il modo disinvolto in cui si comporta. Mi sento incredibilmente a disagio in questa situazione.

È come se fossi dentro una stramaledetta gabbia dalle sbarre di ferro arrugginito all’interno di una voliera.

“Sei impazzito? Che diavolo sta succedendo?”

Mi volto verso il mio amico, che ancora mi guarda con tanto d’occhi.

“Lascia perdere, è meglio.”

“Lo sai vero che mia sorella potrebbe ammazzarti se lo scoprisse?”

Lo guardo con espressione impassibile.

“Lo sa già.”

Ryan si limita a scuotere la testa, incredulo.

“Come diamine è successo?”

Gli rivolgo la mia miglior occhiata truce.

“Hai bisogno del disegnino? Pensavo che avendo un figlio non avessi bisogno di lezioni di sessuologia. Sicuro che sia figlio tuo?”

Il mio amico scoppia a ridere e mi mostra il dito medio.

“Fanculo, Adrian.  Sono serio.”

Anche io.” Scrollo le spalle con nonchalance e vaodo a sedermi sulla poltrona.

“Perché, invece che parlare di me, non mi dici perché sei qui? Deve essere importante per non passare del tempo con la tua famiglia.”

C’è stato un periodo dove mi sono comportato da vero stronzo. Non riuscivo a pensare a Ryan come ad un uomo sposato ed ero convinto che Bianca sarebbe stata solo una rottura di scatole, ma vista la felicità e la serenità che da al mio amico, ho iniziato a apprezzare Bianca e ormai la situazione non mi infastidisce più come all’inizio.

Non è stato facile accettare il cambiamento e ancora mi chiedo come sia riuscito ad innamorarsi di sua moglie e decidere che è la donna con cui desidera passare il resto dei suoi giorni. Per non parlare del fatto che adesso ha un figlio.

“perché cerco di pensarci il meno possibile. Non so davvero come comportarmi o come gestire la situazione.”

“Problemi a lavoro?”

Glielo chiedo senza secondi fini. Se provassi in qualsiasi modo ad interferire con il suo lavoro, non me lo perdonerebbe mai,,

Per questa ragione raramente gli chiedo del suo lavoro.

“No, quello è a posto, almeno quello. È la mia famiglia che sta andando a scatafascio.”

LA mia espressione perplessa deve essere piuttosto ovvia, perché mi fa un brevissimo resoconto dell’accaduto, lasciandomi senza fiato.

“Brian ha detto pochissime parole. Dopo aver compreso la situazione e sganciato la bomba, è come entrato in uno stato emotivo alterato . Non avevo mai visto una persona così arrabbiata e non posso di certo biasimarlo. Mi chiedo a cosa stesse pensando mio padre quando ha deciso che era una buona idea tenerci all’oscuro della sua esistenza. È nostro fratello, accidenti. Avevamo il diritto di saperlo e decidere se e quando conoscerlo.”

 “Accidenti. Questa sì che è una notizia bomba.”

“Lo puoi ben dire.”

Ryan, che spesso e volentieri si comporta come se fosse a casa sua, dato che i due appartamenti sono quasi completamente speculari, prende dal frigorifero due birre con il tappo a vite e viene a sedersi di fronte a me.

Sembra decisamente provato.

“Non so come farò a dirlo a mia madre. Proprio ora che ha iniziato a sorridere e fidarsi di nuovo di un uomo. Mi dispiace davvero per Ben.”

Lo capisco più di quanto immagina.

Spesso anche io mi sono sentito tradito, manipolato, ed è una sensazione davvero orribile.

“Credi che riuscirà a superarlo? Voglio dire, il padre di Logan è un tipo a posto, ma come puoi fidarti di un'altra persona quando sai che questa potrebbe ferirti?”

La domanda si applica a Catarina, la madre di Ryan, come a me e sono davvero curioso di conoscere la sua risposta. Almeno per poter capire.

“è semplice Adrian. Correre il rischio è l’unico modo che si ha per poter vincere qualcosa.  Se non ti metti in gioco, non potrai mai sperare di andare oltre i tuoi limiti.”

Le sue parole, so che mi daranno il tormento per parecchio tempo, almeno fino a quando Chelsea non sarà definitivamente uscita dalla mia vita e dalla mia testa.

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Capitolo 34
*** 34 Chelsea ***


34 Chelsea. 


Sono indecisa. Da una parte mi sento colpevole, perché non ho molte giustificazioni. Dall'altra, mi sento davvero benissimo.

E sono anche divertita e imbarazzata per la faccia che ha fatto Ryan quando mi ha visto.

Immagino non se lo aspettasse.

Quello di cui invece io sono certa, è che appena metterò piede nell'appartamento di Bianca, verrò presa d'assalto.

Dopotutto, guardando l'ora sull'orologio della camera da letto, non riuscivo a credere che fossero passate quasi due ore.

L'ascensore è lento nella sua discesa, lasciandomi il tempo di pensare. Ho il corpo indolenzito e sullo specchio piazzato sopra il cassettone ho potuto vedere sulla pelle una serie di segni rossi che lasciano pochi dubbi sulla loro provenienza.

Adrian è stato davvero intenso, molto più di quella notte e mi sono resa conto di quanto, realmente, si sia trattenuto.

È stato molto diverso.

La passione è stata travolgente, mi ha reso impossibile pensare. È stato davvero incredibile il modo in cui mi sono sentita, quasi completamente disinibita. Ci sono stati alcuni momenti di imbarazzo, dove mi sono resa conto di essere completamente alla sua merce, esposta al suo sguardo senza nessun tipo di protezione. Tuttavia l'imbarazzo è stato presto sostituito da sensazioni che non pensavo di poter provare. Per me, quel piacere fisico, era solo una leggenda metropolitana.

Dopo avermi aperto gli occhi su un mondo così grande, come potrei mai scappare, spaventata da qualcosa che invece mi affascina e fa sentire bene?

Sono sempre più sicura che, se l amia vita fosse stata diversa, io e Allyson saremmo state molto simili.

Solo ora sono libera di scoprire chi sono e quello che vedo, sembrerà strano, ma mi piace.

Busso piano alla porta dell’appartamento , perché quando sono uscita Bianca stava cercando di addormentare Nath e non vorrei svegliarlo.

Ad aprire la porta è Meredith, con i capelli fulvi raccolti in una coda di cavallo. Ha un'espressione maliziosa in viso che mi fa arrossire.

Stavolta non me la farà passare liscia.

"Indovinate un po' chi è tornato? Ve lo avevo detto che sarebbe scesa non appena mio fratello fosse salito."

Entro nel salotto identico a quello di Adrian se non per i colori diversi del mobilio e per la quantità spropositata di fotografie sparse su ogni superficie.

Sul tavolino alla mia sinistra c'è una bellissima fotografia che ritrae Bianca, ancora con il pancione, quindi ben prima che la conoscessi, e Ryan con uno smoking e i capelli tirati indietro. Bianca indossa un abito da sposa bellissimo ed entrambi sorridono radiosi.

Di fianco c'è un'altra immagine, che ritrae il loro piccolo.

Guardo verso il divano e ci sono sia la padrona di casa che la sua amica, che mi osservano con un sorrisetto furbo stampato in viso.

"Mi devi dieci dollari Kayla."

Lei si volta a guardare l'amica, fingendo di essere arrabbiata. È il sorriso a tradirla.

"Oh, ma dai. Te lo puoi scordare. Sono arrivata che lei era già andata via. Mi hai imbrogliata."

Sono imbarazzata e anche un po' arrabbiata.

"Glielo hai detto?"

Lei mette il broncio e corruga le sopracciglia.

"Non lo avrei mai fatto. Non c'e n'è stato bisogno. Qui nessuno è stupido. Bianca ha capito tutto quando dopo mezz'ora non eri ancora tornata."

Sento il calore fluirmi al viso, imporporandolo.

"Almeno dicci come è stato, anche se dalla tua faccia possiamo immaginare."

Bianca mi sorride, con fare rassicurante. "Adrian sarà anche una testa di cazzo alle volte, ma se ti fa spuntare quel sorriso, allora è okay."

Sento le gote incandescenti e mi porto le mani al viso per assicurarmi di non essere sul punto di prendere fuoco. E nemmeno provandoci riesco a smettere di sorridere.

"Mi metti in imbarazzo."

Tutte e tre le ragazze scoppiano a ridere.

"Ti passerà, credi a me."

Kayla mi guarda come a dire: non hai speranza di scamparla, lo dico per esperienza.

"Ho scoperto che, a dispetto di ciò che si crede, le donne parlano tra di loro di sesso quanto gli uomini, se non di più alle volte."

Bianca scoppia a ridere, mettendosi una mano davanti alla bocca per attutire il suono.

"Mi dichiaro colpevole!"

È impossibile non unirmi al coro ilare. Nonostante il modo disinibito usato per affrontare il discorso, tutte e tre le ragazze presentano sul viso un rossore sospetto che non mi fa sentire più di tanto impacciata.

"Ringrazia che non siamo salite a rompervi le scatole. Per un attimo ci ha sfiorato l'idea, ma poi abbiamo pensato che non fosse il caso di romperti le proverbiali uova nel paniere."

È evidente che Meredith è finalmente riuscita a lasciarsi alle spalle l'atteggiamento protettivo e paternalistico, perché altrimenti non sarebbe mai riuscita a scherzare così sull'argomento.

"Quindi ne sei innamorata?"

La domanda a bruciapelo di Kayla mi fa sobbalzare.

La guardo negli occhi, leggendovi preoccupazione.

"Kayla, non so cosa significhi amare qualcuno, ma lui mi piace davvero e prima di conoscerlo non avevo mia provato interesse per qualcuno. Sono state le tue parole dell'altro giorno a farmelo capire. Anche se non sembra, sa essere davvero gentile. È questo che mi piace di lui."

La bionda ragazza scuote la testa, facendo ondeggiare i capelli lunghissimi.

Bianca mi guarda con il sorriso stampato sul viso, in segno di approvazione, e Meredith invece ha solo un'espressione bonaria.

"Lui cosa ne pensa invece?"

La domanda proviene dalla giovane bruna dagli occhi scuri.

Bel quesito che mi tormenta.

"Stavamo affrontando in qualche modo l'argomento quando tuo marito ha suonato al campanello. Non lo so, ho l'impressione che non si fidi di me. Però non è solo questo. È come se qualcosa lo tormentasse, ma non me ne vuole parlare."

"Siete piuttosto vicini non è vero?"

"Credo, ma alle volte non ne sono sicura. Mi sono appoggiata a lui tantissime volte e vorrei davvero che facesse lo stesso con me. Sto facendo di tutto per fargli capire che non vado da nessuna parte, ma è come se lui non volesse lasciarmi avvicinare."

Sia Bianca che Kayla scuotono la testa, ma è la seconda a parlare.

"Gli uomini sanno essere complicati quanto noi donne alle volte e ho l'impressione che ti sia scelta una bella gatta da pelare. Sai come la penso, ma se credi che davvero ne valga la pena, allora posso solo consigliarti di tener duro e rimanere ferma sulla tua posizione."

"Concordo. Io conosco un po' meglio Adrian e ho sempre avuto l'impressione che sotto la facciata da testa di cazzo si nascondesse ben altro, quindi non mi stupisce che tu sia riuscita a vedere quel qualcosa. La tua inesperienza ti ha permesso di vedere oltre la malizia e il suo comportamento dissennato."

Bianca fa una pausa, guardandomi negli occhi, estremamente seria.

"Il giorno che ti ho conosciuta avevi lo sguardo diffidente. Sembravi quasi spaventata da tutto quello che ti stava circondando e mi sono chiesta se fossi realmente così o se fosse solo una maschera, qualcosa che nascondeva la tua vera personalità, perché eri troppo curiosa per essere solo così."

Si appoggia allo schienale del divano con le braccia e posa il mento su di esse, osservandomi con attenzione.

"Lo sai che ora non hai più quell'espressione?"

Mi sento sotto esame, perché anche Meredith e Kayla mi guardano con la stessa curiosità della loro amica.

"Lo sai che ha ragione? Non ci avevo fatto caso, ma ora che ci penso, è proprio così. Avrei dovuto accorgermene prima che qualcosa stava cambiando. Forse, dopotutto, Adrian non ti ha fatto male. Ovviamente, se ti farà soffrire, potrò sempre castrarlo, ma finché non me lo dirai tu, farò la brava."

Sento le guance scottare, ma non mi sento più a disagio.

Si è formata una specie di aria di cameratismo e Meredith è davvero un tesoro.

Penso che, a prescindere da come andranno le cose, potrei davvero trovarmi bene con queste donne.

Certo, non conosco bene ne Bianca ne Kayla, ma non fatico affatto ad immaginare di instaurare un legame di amicizia con loro. Sono decisamente profonde ed è ovvio che la loro vita non è stata facilissima. Gli occhi non mentono e, più quelli di Kayla, che quelli della sua amica, mi dicono che entrambe hanno attraversato dei brutti periodi.

Invidio la loro sicurezza e spero un giorno di riuscire a raggiungere lo stesso equilibrio che sembra loro abbiano raggiunto.

Vado a sedermi sulla poltrona, indecisa. Mi dovrei forse sfogare con loro? Raccontargli quello che mi ha detto? Di sicuro hanno tutte più esperienza di me.

"Continua a ripetermi che mi farà del male, che rimarrò ferita."

Non guardo nessuna di loro. Le parole sono uscite di bocca prima che potessi pensare di frenarle e ho paura di vedere qualcosa di spiacevole sui loro visi.

"Mmmh. Questo potrebbe essere positivo!"

Sollevo la testa in direzione del divano. Kayla ha un espressione pensierosa.

"Sai, ho sempre considerato Adrian alla stregua di un animale, incapace di provare sentimenti e assolutamente irrispettoso nei confronti delle donne, per questo ero preoccupata per te, ma se ha cercato di metterti in guardia, forse non è senza speranza."

"È convinto di essere un mostro. Qualcuno che non merita la fiducia o l'affetto del prossimo. Mi preoccupa questa sua chiusura."

Le guardo tutte e tre e posso leggere sui loro visi la preoccupazione.

"Non credo che ci siano consigli per questa situazione. Temo tu possa solo seguire il tuo istinto. Dopotutto, tra di noi, sei quella che gli si è avvicinata maggiormente. Se c'è qualcun che ha qualche possibilità di sistemare le cose, quella sei tu. Hai abbastanza testardaggine per riuscirci."

Ridacchio, perché mi viene in mente una cosa che ho pensato prima mentre ero accoccolata contro il petto caldo di Adrian.

Questo dettaglio, però, non lo voglio condividere con nessuno, è solo mio e mi da la speranza di riuscire a farcela, se solo tengo duro.

Dopotutto, non importa che cosa faccia, lui non riesce a dirmi di no. Mi asseconda sempre, forse perché lo metto di fronte ai suoi limiti e non vuole tirarsi indietro, non lo so. È solo evidente che, in qualche modo, lui vuole tutto quello che ho da dare e, anche se l'istinto gli dice di rifiutare, non riesce a farne a meno di ciò che io offro.

È come se stesse perennemente combattendo una battaglia contro se stesso. L’Adrian cattivo e menefreghista, contro un Adrian più attento al prossimo e che non desidera ferire o deludere.

Un lieve bussare mi riscuote dai miei pensieri. Osservo Meredith andare ad aprire e, chiunque sia dall'altra parte, la fa irrigidire, perché sento la tensione aumentare di colpo.

"Credevo non venissi più!"

La voce di Meredith mi da una chiara indicazione sul nuovo venuto, la persona che in questo momento sta mandando all'aria la sua vita.

Il ragazzo che entra nel salotto è innegabilmente fratello di Ryan e Meredith. Ha dei folti e scuri capelli ricci, gli occhi del colore della terra bruciata e un principio di folta barba sul mento delineato. Ha la stessa fossetta di Ryan sulla guancia, la forma degli occhi che accomuna entrambi i fratelli ed è decisamente alto. Troppo per non avere nulla in comune con quei due spilungoni.

So che ha a malapena diciotto anni, anche se sembra decisamente più grande. Ha la carnagione più scura rispetto a Ryan o Meredith. Forse c'è del sangue latino nelle sue vene.

Ieri notte, Meredith mi ha chiamata, sconvolta. Sono andata a casa sua e di Logan, dato che Jillian ha voluto prestarmi la macchina. Ha detto che finche era a lavoro non le serviva e che ero libera di usarla.

Quando sono arrivata a quella specie di casa ricavata da un vecchio magazzino, Logan era esasperato e Meredith più agitata di quanto non l'avessi mai vista.

Il suo ragazzo l'ha lasciata alle mie cure ed è uscito per andare dal suo vecchio amico, dato che anche lui di certo non aveva preso bene la situazione.

Meredith era davvero sconvolta. Tutto immaginava, meno che avere un fratello di diciotto anni, che peraltro la odia.

Meredith sapeva che nessuno meglio di me avrebbe potuto capirla e mi ha raccontato ogni cosa. Dopo due ore di parolacce, imprecazioni e minacce di mutilazioni all'indirizzo del suo genitore, che per sua fortuna vive dall’altra parte dell’emisfero,  finalmente si è calmata, ma ora che lo vedo, Brian, capisco come mai è così difficile gestire la situazione.

Lo sguardo di questo giovane sprizza rabbia da tutti i pori. Odia essere qui e, forse, per qualche ragione, è arrabbiato con se stesso.

Accidenti, avrei davvero dovuto fare la psicologa.

"Stavo per non venire, ma alla fine ho cambiato idea."

"Perché?"

L'espressione di Meredith è ostile, diffidente e non riesco ad immaginare come si sente. Il mio primo confronto con Allyson è stato decisamente più pacifico di questo. Essere state praticamente amiche ha aiutato a superare la fase dell'accettazione.

"Lascialo stare, è appena arrivato."

Bianca si alza dal divano, sistemandosi la maglia rossa sopra i leggins neri che indossa. È a piedi nudi e si avvicina al ragazzo con decisione, un bel sorriso cordiale stampato sul viso.

"Ignorala. Siamo tutti sorpresi. Io sono Bianca, tua cognata. Vuoi qualcosa da bere?"

La presentazione della ragazza è così limpida da far luccicare qualcosa negli occhi di Brian, emozione immediatamente repressa, ma così forte da farmi venire un crampo allo stomaco.

Possibile che questo ragazzo voglia solo essere accettato?

Rivolge un cenno affermativo alla ragazza, i lineamenti decisamente meno rigidi di quando è entrato.

Con la coda dell’occhio vedo la mia amica trafficare con il telefonino ed immagino che stia avvisando l’altro su fratello del nuovo arrivo.

Un vagito riecheggia per la stanza. Mi guardo attorno, alla ricerca di Nath, ma è ovvio che non c’è quando vedo una specie di Walkie Talkie illuminarsi a ritmo di pianto.

“Lascia, vado a prenderlo io!”

Meredith si muove prima che Bianca possa anche solo pensare di allontanarsi dal frigorifero.

“Grazie, Di.” Si china, scomparendo quasi del tutto oltre il bancone e la sento mormorare qualcosa.

“Non abbiamo molto. C’è dell’acqua, della cola, della soda e della birra. Che cosa prendi?”

Prima ancora che Brian possa rispondere, Bianca di risolleva, tenendo in mano una lattina con la targhetta Blue Moon.

“Lasciami indovinare. Stavi per chiedere questa?!”

Il ragazzo si limita ad assentire e si guarda attorno  perplesso, rendendosi conto per la prima volta della presenza mia e di Kayla, che non si è ancora mossa dal divano, ora messa nella stessa posizione che aveva assunto prima Bianca.

“Loro chi sono?”

“La ragazza bionda è Kayla, la mia migliore amica, nonché damigella al matrimonio mio e di Ryan. Invece lei, con quei fantastici occhi violetti, è Chelsea. Lei e Meredith sono diventate amiche come me e Kayla.”

Insieme al rossore, arriva anche la consapevolezza che, sebbene appaia tranquilla, Bianca è decisamente nervosa, perché sta straparlando.

La porta d’ingresso si apre, lasciando spazio a Ryan e Adrian.

Non capisco bene che cosa stia succedendo. Questa non dovrebbe essere una cosa da risolvere in famiglia? Invece sembra che si stai radunando l’intero gruppo, come se la cosa andasse affrontata tutti assieme.

Ryan squadra da capo a piedi il fratellino, inarcando un sopracciglio quando vede che tiene in mano a birra, da cui ha già bevuto nel frattempo che ascoltava le presentazioni.

“Dici sul serio? Ha solo diciotto anni.”

Il ragazzo rivolge un’occhiata di fuoco a sua moglie, a pochi passi da lui. Lei si limita a liquidare la sua rabbia con un gesto della mano, come se fosse una cosa senza importanza.

“Non essere irrazionale. Tu hai iniziato a bere molto prima e non mentire. Ti ricordo che ci conosciamo da un pezzo!”

Lui le rivolge un’altra occhiataccia,  ma non controbatte, perché ovviamente lei ha ragione e lui no.

“Dobbiamo parlare.”

Osservo il giovane inarcare un sopracciglio, evidentemente non molto contento del tono autoritario.

“Preferirei farlo in privato e senza tutta questa gente in mezzo! Senza offesa, ma non sono affari vostri chi io sia.”

Anche se il tono usato no è dei migliori, non posso che concordare con lui.  Sto per alzarmi quando Bianca interviene.

“Non funziona così con noi, Brian. Le persone che vedi in questa stanza, sono preziose come dei parenti. È una seconda famiglia.”

Ryan si avvicina a sua moglie e le cinge le spalle con il braccio. Ogni volta che li vedo, lei così minuta e lui così imponente, non posso fare a meno di chiedermi come facciano a sembrare così perfetti nonostante le differenze.

“Esatto. Forse non siamo sembrati accoglienti e mi dispiace.  Siamo stati presi alla sprovvista e la cosa è davvero troppo fresca per riuscire a gestirla nel modo giusto.”

Meredith sceglie proprio questo istante per entrare nella stanza. Tiene tra le braccia Nathan, avvolto in una copertina azzurra che si guarda intorno incuriosito da tutte queste voci.

Anche la ragazza ha un espressione seria, ma è ovvio che la pensa come il fratello e, nonostante questo momento non mi riguardi, non posso fare a meno di esserne emozionata, perché è ovvio che, anche se non lo credevo, loro mi considerano un’amica preziosa.

“Non ti odiamo, se è quello che pensi!”

La voce di Meredith è più bassa del solito e so che quando fa così è perché è emozionata e vuole nasconderlo.

“Esatto. Sappiamo che nostro padre è un imbecille, ma non pensavamo lo fosse fino a questo punto.”

Brian scuote la testa, perplesso.

“Continuo a non capire perché tutte queste persone devono restare ed ascoltare fatti che non li riguardano.”

“Il fatto è che tu sei nostro fratello. Non lo avremmo mai immaginato, ma è un dato di fatto e ora che sei qui, fai parte della nostra famiglia, come le persone che ci sono in questa stanza. Ci aiutiamo e sosteniamo a vicenda e vogliamo che tu lo sappia.”

Sono sul punto di piangere, perché riesco ad avvertire, nitido, il sentimento con cui Ryan ha accompagnato le sue parole.

Prima di oggi, non sarei mai riuscita ad immaginare una cosa del genere. Meredith sta sorridendo, Kayla anche, così come Bianca e Ryan. L’unico che non sorride, ma si limita ad avere un’espressione divertita ed esasperata insieme è Adrian.

Lo guardo per alcuni secondi, fino a quando non mi cerca con lo sguardo a sua volta.

Rimaniamo a fissarci per diversi secondi e, in questo lasso di tempo, per me tutto svanisce. Non mi importa di cosa mi accada attorno, vorrei solo andare da lui, ma non mi azzardo a muovermi, mi limito a fargli cenno di avvicinarsi con un dito.

Ed è proprio questo a far spuntare il sorriso sul suo viso, sorprendendo lui per primo.



PICCOLO SPAZIO AUTORE.
Scusate se non ho aggiornato ieri, ma avevo una mano fuori uso. Cercherò di aggiornare anche domani, sebbene la mia mano non sia del tutto a posto,  ma non vi prometto nulla. Al massimo entro Sabato avrete anche il capitolo 35. Ne approfitto ancora una volta per ringraziarvi per i commenti e le recensioni che mi lasciate sempre. Anche se non vi rispondo, leggo sempre con avidità tutti i vostri commenti e adoro veder eil modo in cui vi emozionate. Grazie di cuore per il supporto.

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Capitolo 35
*** 35 Adrian ***


35 Adrian.

 

 

Io non ce la posso fare.

È più forte di me. Quando fa così, come posso non sorridere? Nella sua semplicità, Chelsea riesce ad essere decisamente accattivante.

La scena nel salotto di Ryan non mi ha stupito più di tanto. Ho sempre avuto l’impressione che avesse un cuore troppo grande e tanto da dare agli altri, quindi quando mi ha detto di volere nella sua vita suo fratello, in modo da cercare di creare un rapporto, non mi sono affatto stupito.

Il ragazzo che mi sono trovato davanti, assomiglia in modo impressionante al mio amico. Non solo per l’aspetto fisico, che sembra avere una specie di stampo di famiglia, ma per l’atteggiamento.

Ho riconosciuto in lui una persona indurita dalla delusione. Insomma, un altro randagio da raccattare, esattamente come il sottoscritto o come diversi membri di questa sottospecie di famiglia.

Più ci penso, più mi rendo conto che Ryan si è circondato di persone che avevano bisogno di un punto fermo, di lui.

Non penso che si renda conto di quello che fa, dato che è decisamente troppo generoso, ma sta diventando il pilastro di questo strano gruppo.

Ryan ha calamitato tutti nella sua orbita e ora ha deciso di voler conoscere suo fratello e so che, quel piccolo ingrato di Brian potrà dire o fare quello che vuole, ma alla fine sarà Ryan a spuntarla, perché non si può fare a meno di assecondarlo.

E Chelsea è uguale a lui sotto questo punto di vista. Strega le persone, le spinge ad essere migliori e agisce come se gli altri la dovessero assecondare e basta, cosa che succede perché, quando ti guarda con quegli occhi, ti fa smettere di pensare e ti convince di avere semplicemente ragione.

Crede così tanto in quello che dice, che è impossibile non rimanere in qualche modo coinvolti dalla sua determinazione

Mi farà impazzire, perché le cose andranno decisamente a puttane tra non molto e io non mi dovrei trovare qui, Ryan lo sa benissimo.

Eppure quando gli ho detto che non sarei sceso, mi ha guardato e semplicemente mi ha detto di non dire cazzate e muovere il culo.

Non so, forse pensa di potermi convincere a non fare nulla, di riuscire a scoprire cosa ho in mente, ma dopo tanti anni passati a pianificare e fingere di non avere una bomba atomica a disposizione, non riuscirà mai a tirarmi fuori la verità.

Sto cercando di proteggerli, di evitare che le mie azioni creino loro dei problemi, ma è come se non volessero essere esclusi.

In nome di questa “famiglia”? Probabile, ma ciò non significa che debbano rimanere coinvolti.

L’ultima cosa di cui hanno bisogno è di essere perseguitati, perché è ciò che succederà.

Non appena l’attenzione mediatica si concentrerà su mio padre, anche io entrerò nel campo visivo e di conseguenza saranno esposte anche le persone a me vicine, che verranno tormentate da gente alla ricerca di informazioni  o succosi pettegolezzi.

Eppure, anche sapendo tutto questo, non posso che assecondare questo sgangherato gruppo di persone, così diverse tra di loro e, per una volta, non sentirmi un estraneo.

In questa stanza, non credo ci sia una sola persona che non sia rattoppata, a partire da Ryan, che ha vissuto la sua vita con l’ingrato compito di vegliare sulla sua famiglia al posto del padre e ora ha scelto, di sua spontanea volontà, di dedicarla a sua moglie e suo figlio, ricavandone più soddisfazione di quanto avrebbe mai potuto immaginare, parole sue.

Sua moglie non è messa meglio. È una strega in miniatura che nell’ultimo anno e mezzo ha dovuto affrontare parecchie cose spiacevoli.

Non conosco i dettagli e non mi interessano, ma i miei amici parlano delle loro donne, si sfogano e lo stesso ha fatto Josh, che più di una volta ha rimarcato che la sua perfida ragazza Kayla ha avuto un’infanzia molto difficile, sottolineando che probabilmente io e lei siamo molto più simili di quello che sembra.

Lo stesso Josh ha attraversato un brutto periodo pochi mesi fa e non capisco come faccia ad essere così aperto mentalmente.

Questo dettaglio, in effetti, mi fa sentire l’unica voce fuori dal coro.

Come fanno queste persone, dopo aver passato tante difficoltà e vissuto tante delusioni, a fidarsi ancora degli altri?

È una cosa che non comprendo, va oltre ciò in cui posso credere.

Eppure, a parte Brian, che al momento si è isolato, dopo aver snobbato la calorosa accoglienza,  e osserva la situazione con occhio curioso e decisamente pensieroso, tutti gli altri stanno trascorrendo una bella serata.

Questa è diventata in definitiva una specie di riunione di famiglia.

Quando sono arrivati Logan e Josh, portando da bere e pacchetti di patatine e pop-corn,  hanno voluto ordinare la pizza per tutti e quella che doveva essere una tranquilla riunione di famiglia tra fratelli, si è trasformata in un ricevimento improvvisato migliore di tutti quelli eleganti ed organizzati a cui ho partecipato.

Non sono obbligato a fare conversazione e posso rilassarmi, essendo me stesso, per una volta.

Osservo la bottiglia di birra, ormai praticamente vuota e valuto l’idea di alzarmi e andare a prenderne un’altra senza molto entusiasmo.

Sono davvero stanco e avrei davvero bisogno di andare a dormire. Ero già provato a causa del viaggio, ma passare due ore con Chelsea, nel delirio totale, mi ha sfinito.

Cielo, non avrei mai pensato che potesse accettare tutto quanto. Chelsea è riuscita a sorprendermi di nuovo, perché invece che lasciarsi sopraffare del tutto, ha preso ogni cosa che io le facevo e me la ributtava contro. Il lieve bruciare sulla schiena ne è la prova fisica. La cosa più assurda ed incredibile è che non è rimasta traumatizzata da tutto quello. Non dalla quantità di cose perverse che le ho mostrato e meno ancora dalla mia rudezza. Ha preso ogni dannatissima cosa come se le stessi facendo un regalo.

Non so davvero che cosa fare con lei, perché sarebbe davvero più semplice evitare tutto ciò, ma allo stesso tempo mi rendo conto di quanto sia difficile, se non addirittura impossibile, allontanarla.

Ci sono diverse cose che la rendono unica, così diversa da qualsiasi donna io abbia mai avuto nel mio letto e non. Non mi vuole usare per i soldi che ho o per qualche altro motivo, lei semplicemente vuole me, anche se non so perché. Questa è una delle cose più importanti che la rendono inestimabile.

Anche se è difficile accettarlo, da sempre mi sono chiesto perché nessuno mi volesse per quello che sono. Hanno cercato di cambiarmi, di modellarmi al mondo in cui sono nato e questo ha generato in me non solo il senso di rifiuto da parte del prossimo, ma anche una ricerca inconscia e  spasmodica di qualcuno come Chelsea. Qualcuno in grado di non soffermarsi sul mio peggio e intravedere il bambino che sono stato.

È dura ammettere di essere così debole, alla ricerca in qualcuno in grado di rendermi vulnerabile.

È un controsenso, qualcosa che va contro il mio razionale desiderio di pieno controllo, ma è una parte di me che non riesco più a negare.

Chelsea si è resa spontaneamente feribile davanti a me e questo mi ha spinto ad abbassare la guardia e fare lo stesso, a ricambiare. Tutto ciò è riposante, liberatorio e assolutamente spaventoso. Niente è più terrificante di ciò. Dare ad una persona le armi per tradirti è qualcosa che finora non ho mai fatto, ma che mi risulta estremamente difficile non fare ora.

Quando prima mi ha chiesto chi  stato ad abbandonarmi, per un secondo ho valutato la possibilità di raccontarle di mia madre, del suo gesto scellerato, ma alla fine mi sono tirato indietro, turbato da quel nuovo desiderio di intimità.

Il suo generoso dare mi spinge ad essere egoista e prendere, prendere e ancora prendere, fino ad arrivare a voler riempire il vuoto lasciato dalla mia avidità con qualcosa di mio.

“Tieni!”

Sobbalzo, rendendomi conto di essere rimasto ad osservare la bottiglia senza vederla per parecchi minuti, e che nel frattempo l’oggetto dei miei pensieri si è avvicinato.

Mi sta tendendo una bottiglia di birra appena aperta, mentre nell’altra mano tiene una lattina di coca.

“Non mi serve una cameriera!”

Il primo istinto è sempre quello di dare una risposta caustica, ma lei non si fa impressionare, limitandosi a sorridere.

“Era solo una scusa per avvicinarmi.”

Per l’ennesima volta, riesce completamente a spiazzarmi.

“Sei senza pudore.”

Lei ridacchia tendendomi la birra e, dopo aver messo la bottiglia vuota in terra si siede sul bracciolo della poltrona su cui sono seduto.

“Che senso ha nascondere i miei pensieri e ciò che sento? Per me non è un gioco dove vince chi si arrende per ultimo.”

“Sei proprio strana.”

Ma decisamente la sua diversità è ciò che la rende incredibilmente interessante. È rassicurante avere a che fare con qualcuno che non si nasconde.

Anche questo mio ultimo commento viene accolto con una risatina e posso rilassarmi.

Rimaniamo così, vicini, per diversi minuti, in silenzio, fino a quando Meredith non la chiama.

Mi rivolge uno sguardo carico di rimpianto prima di allontanarsi e non posso che concordare, perché la sua vicinanza era dannatamente piacevole.

La mia spalla destra sfiorava a malapena il suo braccio, ma il calore che sentivo attraverso il tessuto della maglietta era davvero piacevole.

“Sputa il rospo.”

Sollevo lo sguardo e mi ritrovo a fissare gli occhi grigi del mio amico Logan, che ha recuperato la memoria, dopo l’incidente, solo da alcune settimane.

Ha i capelli castani scompigliati, come il giorno che l’ho conosciuto.  Indossa un maglione scuro e un paio di jeans sdruciti, ma non sembra completamente trasandato.

Ha un officina dietro casa sua e, oltre a riparare auto di un certo calibro, dato che per anni ha lavorato come meccanico di auto da corsa, è anche un esperto nel creare complessi disegni sulle carrozzerie, per cui maglietta e jeans sono il su mondo.

Mi limito a inarcare un sopracciglio, fingendo di non capire si cosa sta parlando.

Lui indica con la testa il punto dove Chelsea sta parlando con Meredith, la sua ragazza, e si siede sul bracciolo del divano.

“Vi ho visti. Che sta succedendo?”

Logan ha capito fin dal primo giorno che tipo di persona sono e non ha mai parlato di nulla. Da un certo punto di vista, anche io e lui siamo simili. I suoi genitori si sono rivelati dei veri bastardi. Suo padre era un ubriacone e sua madre una puttana nel vero senso della parola, tanto che non avrebbe dovuto sorprenderlo scoprire di non essere figlio dell’uomo che credeva fosse suo padre.

Ho conosciuto Benjamin O’Rourke il giorno dell’incidente di suo figlio e non abbiamo avuto modo di scambiare che due parole, ma mi è sembrato un tipo a posto e sono stato davvero felice per il mio amico, che è riuscito a lasciarsi alle spalle la sua pessima infanzia.

La differenza tra me e Logan è che lui è riuscito a fare pace con se stesso ed andare avanti, mentre io devo ancora portare a termine la mia vedetta. Solo allora riuscirò a mettere una pietra sopra il passato.

“Niente di che.”

“Lei non aveva lo sguardo da: niente di che!”

Sospiro, perché il terzo grado è l’ultima cosa di cui ho bisogno. Ma perché non mi lasciano in pace?

“Non posso farci nulla.”

“Sì invece. Puoi allontanarla!”

Gli rivolgo un’occhiataccia, perché da come lo dice sembra la cosa più facile del mondo.  Ma poi, da che pulpito la predica.

Parla quello che per mesi è andato a letto con la sorella di uno dei suoi migliori amici tenendolo all’oscuro di tutto.

Però, invece che sbottare, mi limito ad una mezza verità.

“Non me lo permette.”

Lui scoppia a ridere e si alza, facendo oscillare la bottiglia che tiene in mano.

“Se non ti sei accorto di non volerla allontanare, allora sei proprio scemo!”

Detto ciò si allontana, sempre ridendo sotto i baffi.

Non mi piace questa situazione, dove tutti si prendono gioco di me e di questa cosa, ma non posso farci nulla, perché è la dannata verità, solo che non ho nessuna intenzione di ammetterla a voce alta.

Preferisco mille volte lasciargli pensare che sono un imbecille piuttosto che ammettere che quella fata in forma umana mi sta fottendo il cervello.

Per esempio, in questo preciso istante vorrei solo afferrarla e riportarla di sopra, riprendendo da dove ci hanno interrotti, dato che ero sul punto di farla tacere in un modo molto interessante, ma non poso farlo, perché non ho nessun diritto di approfittarmi dei suoi sentimenti per perdermi nel suo corpo.

Non posso toccarla come mi andrebbe, perché lei darebbe alle cose un significato molto più profondo di quanto non sia in realtà.

Allontanarla sarebbe davvero la cosa migliore da fare, a so che quando lei verrà di nuovo da me, io non riuscirò a mandarla via e farò esattamente quello che stavo immaginando di fare, sentendomi in colpa e un imbecille per la mia debolezza.

So che andrà così, perché non riesco proprio ad immaginare un altro scenario e, quando le lacrime prenderanno il posto del sorriso, potrò solo dare la colpa a me stesso, perché sapevo fin dall’inizio che sarebbe andata a finire così.

L’unico da biasimare, sarò io e non riuscirò mai a perdonarmelo.

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Capitolo 36
*** 36 Chelsea ***


36 Chelsea.

 

 

Dall’esterno, chiunque penserebbe che le cose si sono finalmente sistemate, mala verità è che tutta la situazione ha delle connotazioni davvero surreali.

Innanzitutto, il mio rapporto con Jillian, che si sta complicando. Lei è abituata ad essere una madre, mentre io, che non ne ho mai avuta una, rifiuto a prescindere “l’autorità”.

Dopo aver acquisito tanta libertà, privarmene, mi fa sentire come se avessi perso qualcosa. Mi sento smarrita senza la mia indipendenza.

Le regole di casa sua, non fanno per me. Per un breve periodo di tempo, possono andare bene, ma sentirmi vincolata mi innervosisce.

Non che abbia chissà cosa da fare, ma la sola idea di non poter uscire in completa se ne ho voglia, perché devo rientrare entro un certo orario, mi angustia.

Ecco perché sto racimolando il coraggio per dirle che, nonostante io apprezzi che mi tratti come una figlia a prescindere, non me la sento di rimanere a casa sua più del necessario.

Non dipende da lei, non ha fatto assolutamente nulla di male, ma non possiamo recuperare diciotto anni vivendo insieme. È troppo.

Lei vorrebbe che fossi immediatamente sua figlia, che mi comportassi come fa Allyson, che borbotta e protesta, ma alla fine è una figlia piuttosto diligente, ma non so come essere ciò che vuole e non penso che ci riuscirò mai.

Sono cresciuta senza di lei, il mio carattere è forgiato ormai, anche se ho tanto ancora da migliorare, quindi non posso essere la persona che lei desidera, quella che nella sua mente è sua figlia.

Probabilmente in questi anni ha immaginato come fossi, esattamente come io ho fatto in questi pochi mesi.

Non riesco ad immaginare quanto l’immagine che si è creata di sua figlia possa essere radicata nella sua mente. Temo non sarò mai all’altezza della sua immaginazione e non sono sicura di volerlo essere.

Mi piace la persona che sto diventando. Alle volte ho l’impressione di parlare di cose che non conosco, ma sono pronta ad imparare.

Ora che sono uscita dalla gabbia dorata dove ero segregata, sto scoprendo il mondo ed è sì difficile, ma quando superi le avversità, è anche tanto gratificante.

Tornare a casa la sera, dopo aver lavorato, oppure dopo aver terminato di seguire le lezioni, è piuttosto angosciante, soprattutto da quando sono andata a recuperare le mie cose, svuotando l’alloggio studentesco.

Tutti i miei averi ora sono imballati ed inscatolati. Ci sono anche tutte quelle cose che non avrei mai pensato di rivedere, perché erano rimaste a casa di mio padre.

Ora che lui è in prigione, sono potuta andare a casa e recuperare tutte le mie cose. Uscire da quella porta, lasciarmi alle spalle gli spazi in cui sono cresciuta, è stato doloroso. Ho sentito una grande emozione stringermi la gola, ma ho fatto di tutto per non piangere. Non volevo che Jillian si accorgesse di quanto tutto ciò mi facesse male.

Trovarmi tra quelle pareti, mi ha fatto tornare indietro nel tempo, facendomi rendere conto che, non importa cosa ha fatto, anche se lo disprezzo, ci sarà sempre una piccolissima parte di me che gli vorrà bene.

Mi ha cresciuta, mi ha dato il calore di una famiglia e mi ha insegnato ad amare e rispettare il prossimo, anche se certi insegnamenti, provenienti da lui, non hanno per nulla valore.

Eppure non ho mai voluto buttare via, cancellare, tutto quello che sono.  Non potrei nemmeno volendo.

Alla fine, mio padre non è solo stato trattenuto in centrale, ma direttamente trasferito al  Arapahoe County Detention Center, lo stesso centro di detenzione in cui mandarono il killer di Aurora, vicino al Centennial Airport, nella contea di Arapahoe.

È una storia che ho sentito al telegiornale. Per molto tempo non si è parlato di altro e ogni anno, a cavallo tra il diciannove e il venti luglio, alla televisione parlano di quello che è successo. Per non dimenticare, credo.

 Mi sono spesso chiesta che cosa gli fosse saltato in mente e, anche se all’epoca avevo solo tredici anni e non potevo capire bene, sono rimasta profondamente colpita dalla vicenda. Una sparatoria, un esecuzione più che altro, all’interno di un cinema. Come si può decidere di fare qualcosa così orribile?

Sapere che mio padre è detenuto nello stesso luogo dove è stato incarcerato l’assassino di dodici persone, e che ne ha ferite più di sessanta, mi ha fatto un certo effetto, perché mi ha fatto capire che  le cose per lui si stanno mettendo davvero male.

Non riesco ad immaginare quante saranno le accuse.

Rapimento di minore, uso di identità fasulle, aggressione e chissà che altro. Nel profondo del mio cuore c’è una parte di me che spera possa in qualche modo cavarsela con una pena leggera.

Dopotutto, sembrerà da stupidi, ma per una ragione a me sconosciuta, mi sentirei in colpa se dovesse passare il resto della sua vita in carcere.

Jillian invece ne sarebbe più che felice e la capisco e c’è quell’altra parte che, invece, si augura non esca più, in modo da permettermi di vivere una vita serena e senza la paura di trovarmelo davanti.

Se ci penso, mi sento un’egoista, ma non posso farci nulla. È più forte di me.

Allyson, in compenso, sembra stia accettando la situazione senza troppi problemi, forse merito della giovane età, ma questo mi da a prescindere un po’ di sollievo.

Non posso preoccuparmi anche di lei.

Come se non bastasse, la mia situazione con Adrian è arrivato ad un punto di fermo.

Non ci vediamo dalla sera in cui ho conosciuto Brian e sinceramente speravo che facesse lui qualcosa.

Io sono stata impegnata con le faccende di famiglia, con il lavoro e con lo studio e mi avrebbe fatto piacere vedergli fare un passo nella mia direzione.

Certo, non mi posso aspettare chissà cosa da uno che pensa di essere il diavolo sceso in terra, cosa leggermente da megalomani peraltro, ma mi avrebbe fatta sentire decisamente meno sola.

Anche se posso contare su Meredith e le altre ragazze, so che l’unica persona che vorrei al mio fianco è un’altra, a cui non posso sempre stare dietro.

Voglio che creda in me, ma non che pensi che sono una persona appiccicosa, perché non è così. Mi piace avere i miei spazi, per questo la convivenza a casa di Jillian è così pesante. Non mi sento libera e di sicuro non mi piacerebbe passare tutto il mio tempo con una persona sola. Adrian, ha un carattere e una personalità piuttosto ingombranti che non sono sicura riuscirei a sopportare standogli sempre attaccata come una sanguisuga. Sono paziente e credo fortemente in tutte le cose che gli ho detto, ma non è giusto che sia solo io ad andare da lui. Gli ho dato tutte le rassicurazioni e le certezze di cui aveva bisogno almeno per potermi mandare un sms.

Un piccolo gesto lo potrebbe fare anche lui verso di me. Non chiedo molto. Non posso andare oltre, investendo i miei sentimenti nei suoi confronti se non è pronto ad accettarli. Non sono così pazza. Sono dotata anche io di un minimo di istinto di conservazione.

È in questa ultima settimana, lo stesso mi ha pregata di lasciar perdere e cancellare ciò che provo prima che sia troppo tardi.

Forse però un po’ lo è già e non sono sicura che mi dispiaccia. Sentirmi emotivamente legata a qualcuno ha i suoi contro, ma anche i sui pro.

“Ohi,!”

La voce infuriata di Susan mi fa sobbalzare.

Mi volto di botto, rivolgendole un’occhiataccia. Nell’ultima settimana, le cose con lei sono andate peggiorando. È sempre di cattivo umore e sfrutta ogni occasione per andarmi contro.

Che fosse lei a beccarmi con lo sguardo perso nel vuoto proprio non ci voleva.

“Che cosa c’è?”

Cerco di mantenerli il più pacifica possibile, ma è evidente che non ci sono riuscita, perché anche io riesco a percepire l’esasperazione contenuta nelle parole.

Fa ondeggiare la coda di cavallo che a malapena contiene i suoi riccissimi capelli neri. Sembrano quelli di un’afroamericana da quando sono mossi.

Una smorfia si dipinge sul suo viso, facendole dilatare le narici. Gli occhi neri scintillano, minacciosi.

“Non essere così arrogante. Fino a priva contraria non sono io quella che stava dormendo in piedi. Ti ho portato un ordine. Muovi il culo, razza di ragazzina viziata del cavolo!”

Se ne va senza darmi il tempo di ribattere. Mi scappa un lungo sospiro, mentre osservo l’orologio digitale che scandisce il tempo all’interno della cucina.

Le undici e undici. La cucina avrebbe dovuto smettere di prendere ordini un quarto d’ora fa, ma a quanto pare Susan i queste cose se ne frega se è per farmi un dispetto. Di sicuro se ci fosse stata Jillian non si sarebbe mai permessa.

E meno male che non è ancora venuto fuori che lei è mia madre. Non oso immaginare come sarebbero i rapporti tra me e Susan.

Già mi odia e senza conoscere niente di me, figuriamoci se dovesse sapere che la capocuoca è mia madre. Di sicuro inizierebbe ad andare i giro a spargere la voce che ho ottenuto il lavoro solo grazie ad un favoritismo inesistente.

Sono sicura che, anche se mi ha raccomandata Kayla, se non fossi stata in grado di lavorare ai ritmi richiesti, Owen non mi avrebbe mai assunta.

Quello che ho, me lo sono guadagnata, checché ne pensi lei.

Evado l’ultimo ordine il più rapidamente possibile, perché davvero non vedo l’ora di andarmene a dormire.

Sono esausta.

Ieri notte non ho dormito perché dovevo studiare per un esame.

Pensavo che la chimica fosse più semplice, invece mi ritrovo a dover recuperare. Non riesco a stare dietro alle spiegazioni anche se mi sto sforzando moltissimo e sto seriamente iniziando a prendere in considerazione l’idea di cambiare corsi.

Al momento il corso dove sto andando meglio è Sociologia e questo mi dà da pensare.

Sono sempre stata brava a capire le persone, interpretare i segnali inconsci che manda, quindi perché non sfruttare questa mia dote per fare qualcosa di buono.

È un po’ che ci rifletto e forse la mia vera vocazione è un’altra. È qualcosa che mi permetterebbe di aiutare chi ne ha bisogno.

Non ho mai voluto diventare un ingegnere Bio Chimico. È stata una delle condizione imposte da mio padre per permettermi di frequentare la DU e non ci ho pensato due volte prima di accettare.

Desideravo ardentemente scappare da quella realtà e iniziare a camminare con le mie gambe.

Studiare qualcosa non nelle mie corde era un piccolo prezzo da pagare per avere un po’ di libertà.

Tuttavia, ora che non dipendo più da lui, nessuno mi obbliga a continuare con l’indirizzo di studi che aveva scelto per me.

Il prestito studentesco per cui dovrò fare richiesta per poter continuare a frequentare la DU mi da la possibilità di decidere da sola cosa fare della mia vita.

Ripulisco la cucina immersa nei miei pensieri e non viene più a disturbarmi nessuno. Susan non si fa più vedere e immagino sia perché essendo un venerdì sera il locale è piuttosto affollato.

Il Weekend il locale diventa una discoteca a tutti gli effetti, in modo che, chi si è fermato al locale per seguire una determinata partita sportiva, non debba andare in un altro locale per ballare. È un luogo di ritrovo piuttosto comune per gli studenti della DU, soprattutto per la sua posizione. Situato praticamente a metà strada tra la Du e L’University of Colorado Denver, a LoDo, il Blue Moon attira studenti da entrambe le università.

Si trova nel centro storico di Baker, poco lontano dalla I-25 che gli permette di essere raggiunto  facilmente. È un quartiere di giovani e questo è sia positivo, che negativo, perché se non fosse per Aaron, il locale sarebbe stato rapinato più volte.

Prima arrivasse lui, c’era una rapina ogni sei mesi come minimo.

A raccontarmelo è stata Lesley, in un momento di pausa. Prima che arrivasse quell’energumeno dallo sguardo smarrito, lavorare al Blue Moon non era così piacevole.

Dopo aver finito di pulire mando un messaggi a Meredith. Mi ha detto che sarebbe rimasta da Bianca e suo fratello fino a tardi per passare del tempo con Brian e che mi avrebbe riaccompagnata lei a casa prima di rientrare.

Jillian a quest’ora dorme e se lo merita dopo gli ultimi impegnativi giorni.

Ha dovuto rivivere diciotto anni di angoscia con l’avvocato dell’accusa e nei prossimi giorni sarò io a dover raccontare come è stata la mia vita.

I risultati del  DNA hanno confermato la mia identità. Ormai non ci sono più dubbi.

Jillian è mia madre e di conseguenza ora si procederà con l’azione legale.

Mi lavo la faccia per svegliarmi un po’ ed essere almeno presentabile per attraversare il locale. Aaron mi farà compagnia fino a quando non arriverà Meredith e non voglio di certo assomigliare ad uno zombie. Farei scappare tutti i clienti e Susan tornerebbe a casa troppo presto.

Dal corridoio degli spogliatoi arriva il rumore fastidioso della musica, già sparata a palla dalle casse.

Non voglio andare di là, ma ancora meno desidero rimanere in questo buio corridoio. Lato positivo, farò morire d’invidia quella cameriera antipatica. Lei oggi prima delle quattro non riuscirà a lasciare il locale.

È più forte di me: non riesco a farmela stare simpatica. Non ha nulla a che fare con il fatto che non le piaccio. Ho avuto a che fare con gente del genere per buona parte della mia vita, ma non ho mai preso in antipatia nessuno di loro.

Solo Susan mi fa saltare i nervi. C’è qualcosa in lei che mi irrita profondamente. Anzi, per essere precisi è tutto in lei che mi fa andare fuori di testa.

Non ha minimamente rispetto per il prossimo.  Fa quello che vuole senza tenere in considerazione chi la circonda. L’ho vita rispondere male anche a Lesley, che anche se sembra una teppista per via dei capelli tinti e dei tatuaggi, è una persona davvero dolcissima e disponibile. Tuttavia non si è fatta mettere i piedi in testa e le ha dato una risposta così tagliente ed immediata che non sarei riuscita ad imitarla nemmeno se avessi avuto un ora per pensarci.

Lesley ha la lingua lunga e ho gioito intimamente quando ho visto Susan battere in ritirata, indignata.

Prendo un profondo respiro e mi avventuro nella Jungla umana che abita il locale. Si cammina a fatica e le luci intermittenti mi faranno venire a breve il m di testa.

Solitamente  io e Jillian usciamo dal retro per evitare la bolgia, ma Aaron deve vigilare all’ingresso e non ho nessuna intenzione di aspettare Meredith da sola nel parcheggio.

Non sono una deficiente. Avventurarsi passata la mezzanotte da soli è una follia.

Denver è una grande città e come tale è abitata da tanta gente. Si sentono continuamente al telegiornale di persone aggredite di notte e non ho nessuna intenzione di andare a morire in un fosso.

Aspettare che vengano a prendermi è la scelta più sensata.

Raggiungo il fondo del locale e supero un uomo sulla quarantina, alto ed imponente con la testa rasata.  Justin è il secondo buttafuori e sta controllando che non ci siano problemi. Lui mi rivolge un cenno della testa e, senza perdere di vista la massa umana in movimento, mi apre la porta per farmi uscire.

L’aria fresca mi schiarisce le idee e tiro un sospiro di sollievo.  Qua fuori, al riflesso delle luci blu del neon dell’insegna, la musica è ridotta ad un sordo pulsare, come quello dei tamburi.

“Hai un espressione terribile.”

Aaron è proprio di fronte a me. Indossa una di quelle sue assurde magliette aderenti, ma per fortuna, visto il freddo che fa, almeno è a maniche lunghe. Davanti a lui c’è una bella fila di persone, in attesa di entrare. Non riconosco nessuno dei visi vicino a me.

“Quella musica mi farà impazzire. Sono sempre più felice di lavorare in cucina e non ai tavoli. Potrei morire se dovessi stare tante ore in mezzo a quel baccano.”

Vedo diverse espressioni scettiche e disgustate tra la gente che aspetta in fila, ma Aaron invece si limita ad annuire, comprensivo.

“Ecco perché preferisco lavorare qui fuori. Non vado matto nemmeno io per questo genere di musica. Sono più un fan dei vecchi classici.”

È la conversazione più lunga che io e lui abbiamo mai avuto.

Non capita spesso che parli con questo burbero ex militare, ma di solito si limita a fare il suo lavoro in silenzio. Ultimamente, però, lo vedo leggermente più sereno. Chissà che finalmente non stia facendo pace con qualsiasi cosa che gli stia dando il tormento.

Mi scappa un sorriso.

“Detto da te è proprio il colmo. Lesley mette la musica al massimo quando non ci sono clienti e tu dormi beato.”

La barista adora far rimbombare per il locale la musica commerciale e Aaron, che ormai ha eletto a suo fisso giaciglio uno dei tavoli vicino all’ingresso, dorme serenamente ogni volta che arrivo, che la musica sia alto a meno.

Per la prima volta, sul suo viso compare un sorriso, bello peraltro.

“Mi stai prendendo in giro?”

Sollevo le mani in segno di resa, ma mi sento piuttosto allegra. Aaron è proprio un tipo a posto.

“Non mi permetterei mai.”

Il momento ilare viene interrotto da una voce nervosa e piuttosto incazzata.

“Se sapevo che mi sarei trovato davanti questo bel teatrino avrei detto alla tua amica di arrangiarsi.”

“Ah?”

Dire che sono sorpresa è un eufemismo. Non mi aspettavo di trovarmi Adrian davanti, né tanto meno che avesse l’espressione furibonda che adesso gli deforma leggermente i tratti.

“Che ci fai qui?”

“La tua amichetta mi ha chiesto molto gentilmente di venirti a prendere, è ovvio che non te lo aspettavi.”

Non riesco a capire con chi ce l’abbia. Con se stesso per aver ceduto o con me per qualche ragione a me sconosciuta?

“Ovviamente no.”

I suoi occhi si stringono, fissandomi attentamente. Sembra piuttosto pericoloso in questo momento. Chissà cosa gli passa per la mente.

“Muoviti.”

L’ordine perentorio mi fa sospirare. Quanta pazienza mi tocca avere.

“Arrivo.”

Faccio un passo nella sua direzione, ma la mia marcia riceve un’inaspettata battuta d’arresto quando Aaron mi afferra per il braccio.

“Sei sicura di voler andare con lui?”

Ha un espressione tesa, in allerta. Sembra pronto a scattare.

“Fatti gli affari tuoi.”

Adrian si mette in mezzo, liberando il mio braccio dalla stretta e mettendosi tra me e il buttafuori.

I due si guardano in cagnesco, faccia a faccia praticamente. Aaron è leggermente più alto, ma meno imponente. Se dovessero iniziare a darsele, nessuno potrebbe fermarli.

“Perché non ti levi dalle scatole? Visto che è un impegno così gravoso, perché non lasci perdere? Qualcuno accompagnerà Chelsea a casa senza lamentarsi.”

Aaron ha lo sguardo duro e non sembra per nulla intimorito dalla persona che ha di fronte.

“Ti ho detto di non impicciarti.”

Sento odore di guai., quindi afferro Adrian per il braccio e lo tiro. L’intenzione sarebbe di farlo allontanare, ma io di sicuro non ho abbastanza forza per forzarlo a fare qualcosa che non vuole.

“Adrian, andiamo, coraggio. Piantala.”

Incredibilmente asseconda la mia sollecitazione e inizia ad arretrare.

I due si guardano male ancora una volta e poi Adrian si libera della mia presa con uno strattone e si incammina verso il parcheggio.

“Andiamo.”

Mimo con le labbra una parola di scuse all’indirizzo di Aaron e lui mi rivolge uno sguardo più che comprensibile.

“Stai attenta.”

Rincorro il mio accompagnatore che non si decide a rallentare il passo. A meno di cinque metri da lui posso vedere la sua macchina alla luce di un lampione.

“Adrian, ti vuoi fermare? Ma si può sapere che ti prende?”

Lui si ferma, dandomi la possibilità di raggiungerlo, ma non mi risponde. Si limita a gelarmi con lo sguardo quando finalmente sono di fronte a lui.

“Allora? Che cosa ti ha fatto Aaron?”

Stringe di nuovo lo sguardo, trapassandomi da parte a parte e facendomi scendere un brivido gelato lungo la schiena.

“Mi sta sul cazzo.”

Sobbalzo appena alla parolaccia. È più forte di me. Ogni volta che sento parole scurrili non posso mascherare la mia sorpresa.

“Ma non ti ha fatto nulla. Mi vuoi dire perché sei arrabbiato? Se non ti andava di venire fin qui, potevi rifiutare.”

Lui distoglie lo sguardo per un secondo, uno soltanto, il tempo necessario a mascherare qualcosa nella sua espressione, perché quando mi guarda di nuovo, l’immagine di freddo cinismo è perfettamente al suo posto, mentre pochi attimi fa sembrava sul punto di mostrare una crepa di vulnerabilità.

“Forse sarebbe stato meglio.”

Inizia a venirmi il nervoso. Odio quando fa così. Non lo capisco e non sono certa del perché si stia comportando in questo modo assurdo.

L’unica soluzione che ho per capire che cosa gli passa per la testa, è provocarlo. Già una volta tenergli testa ha funzionato. Mi chiedo solo se sia una buona idea, ma non ho molta scelta.

“Ma ti rendi conto che stai esagerando? Non ti fai sentire per una settimana, poi improvvisamente, non so per quale ragione,  accetti di fare un favore ad una persona che, diciamoci la verità, non incontra la tua simpatia, e ti presenti qui, sul posto dove lavoro, facendo quella che ha tutta l’aria di essere una scenata di gelosia. Si può sapere che cosa ti passa per la testa?”

Non distolgo lo sguardo nemmeno per un istante e mi rendo conto immediatamente di quando fanno breccia e colpiscono, perché Adrian sobbalza leggermente e si ritrae, come spaventato.

Non posso essere così fortunata, giusto? Non c’è nessuna possibilità che lui possa essere geloso, ma se voglio ottenere qualcosa, so che mi devo comportare come se effettivamente fossi certa del contrario.

“Sali in macchina.”

“No!”

Punto i piedi, trafitta dal suo sguardo cupo.

“Sali. In. Macchina.”

Fa paura, è spaventoso questo lato del suo carattere. Se non sapessi che non è quel tipo d’uomo, penserei che potrebbe mettermi le mani addosso.

“Ti ho detto di no. Rispondimi, Adrian.Perché lo fai? Perché ti comporti in questo modo? Sarebbe tutto più semplice se parlassi, invece che fare di tutto per non esprimere ciò che pensi davvero.”

Lui rimane fermo ad osservarmi, perfettamente in silenzio, tanto che alla fine tiro un lungo sospiro.

“Adrian, Non si può continuare così. O ti fidi di me, o non ti fidi. A te la scelta, ma non posso fare tutto da sola. Non posso raggiungerti se non mi permetti di avvicinarmi”


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Capitolo 37
*** 37 Adrian ***


37 Adrian

 

 

Dannazione, dannazione, dannazione.

Sono così incazzato che ho voglia di prendere a pugni qualcosa e per poco non l’ho fatto.

Ciò che fa aumentare ancora di più la mia furia, però, è non riuscire a capire perché mi sento così.

Fino a quindici minuti fa stavo bene, anzi, si può dire che fossi addirittura di buon umore, mentre ora sono così nervoso da non capire più nulla.

Non so cosa sia stato a farmi infastidire, ma so per certo che ha a che fare con la ragazza testarda che ho di fronte.

Perché mi devo sentire così?

Non mi è piaciuto.

Stavo percorrendo i pochi metri che mi separavano dall’ingresso quando l’ho vista. Stava parlando con il buttafuori in termini decisamente amichevoli, quando ha sorriso, è stato come se mi fosse arrivato un pugno direttamente nello stomaco.

Perché aveva quell’espressione divertita sul viso? Perché sembrava sentirsi così a suo agio in compagnia di quel tipo?

Ho sentito la rabbia salire, incontrollata, e l’unica cosa che ho desiderato è stata andarmene immediatamente, portando via Chelsea, perché ovviamente non potevo lasciarla lì.

Sono stato sul punto di spaccare la faccia da bell’imbusto di Aaron. Solitamente mi sta relativamente simpatico, ma quando ha afferrato Chelsea per il braccio,qualsiasi forma di simpatia o rispetto per aver combattuto per il paese, è evaporato.

Perché le stava dicendo cosa fare e cosa no? Con quale diritto si stava arrogando il potere di decidere per lei?

Che lei abbia scelto di venir via, mi ha ridato un po’ di lucidità. Non sono sicuro che sia stata una buona idea, perché questo mi ha fatto pensare che anche io non sono nessuno per obbligarla a fare qualcosa.

Perché mi sono comportato così?

Qual è stato il fattore scatenante?

Forse sono semplicemente stato preso alla sprovvista. Se si sorvola sui miei amici, non ho mai visto Chelsea parlare con un ragazzo e questo mi ha fatto decisamente uno strano effetto.

Le sue parole hanno colpito nel segno.

Vedere quel sorriso mi ha fatto sentire invidioso, perché nemmeno una volta a me lo ha rivolto. Le nostre conversazioni sono sempre state cariche di tensione, come se qualcosa crepitasse nell’aria, e mai è stata abbastanza rilassata da sorridere, da essere allegra.

Questa, in definitiva, è il motivo per cui sono così furioso, ma ammetterlo significherebbe qualcosa che non posso accettare o prendere in considerazione.

Lei mi chiede di fidarmi, ma come posso farlo? Come posso lasciare che si avvicini quando so che le mie azioni l’allontaneranno.

Non è meglio fermarsi qui e soffrire meno, invece che andare avanti e rendere tutto ancora più difficile?

Eppure lei non sembra voler capire. Il mio disagio è troppo forte per essere espresso a parole. Mi fa sentire vulnerabile.

La sua ultima frase mi mette all’angolo, ma cosa le posso mai dire?

“Non posso farlo.”

Le parole vengono fuori come veleno. Sono dure, aspre e fanno spegnere un po’ della sua speranza. Eppure il luccichio battagliero che riesco a distinguere anche con questa scarsa luce mi fa capire che non ha intenzione di arrendersi.

“Non  vuoi, è diverso. Che cosa ti spaventa, Adrian? Qual è il vero motivo per cui non riesci ad aprirti?”

Ogni sua parola colpisce in profondità, facendomi vedere rosso. Sono tutte cose che non voglio affrontare, pensieri che non voglio avere, ma lei mi obbliga ad aprire quel cassetto della mia memoria che pensavo di aver chiuso con i lucchetti.

Io rimango in silenzio, sperando di scoraggiarla, ma esattamente come è già avvenuto una volta, in questo stesso parcheggio, Chelsea mi sfida.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

I suoi occhi mi sfidano,

“Dammi un motivo valido, Adrian. Sei qui, è l tua occasione.”

“Ma cosa vuoi che ti dica?”

La frase deflagra come una bomba. Il mio tono di voce è così alto da spaventare persino me. Non ne posso più, sono arrivato al limite.

“Devo dirti che sei la ragazza più esasperante ed interessante che io abbia mai conosciuto?  Che non riesco ad allontanarti perché la tua compagnia rende più sopportabile convivere con me stesso? Che vederti ridere con quella testa di cazzo mi ha fatto sentire come se mi stessero rubando qualcosa? ECCOTI ACCONENTATA:”

La mia voce sale ulteriormente, scaricandomi. La rabbia sbollisce e rimane solo un gran vuoto. Non riesco a sentirmi in imbarazzo.

“Chelsea io ti spezzerò il cuore e non so come fare per fartelo capire. Tu vieni da me, mi offri tutto quello che un uomo potrebbe desiderare, mi dici di mandarti via, ma fai di tutto per rimanere, per renderti di inestimabile valore.”

Le sto praticamente mostrando un pezzetto della mia anima in questo  momento e non so come frenarmi. È più forte di qualsiasi istinto di conservazione.

Allungo una mano e gliela metto sulla spalla, perché potrebbe essere l’ultima volta che ho la possibilità di toccarla.

Lei ha gli occhi sgranati, perché non si aspettava tanta franchezza e non posso biasimarla. Ammettere di provare dell’interesse nei suoi confronti, al di fuori della sfera sessuale o di amicizia, avrebbe significato varcare un confine da cui poi mi sarebbe stato  impossibile tornare indietro. Sono così esasperato, stufo di questa situazione che mi fa sentire diviso.

“Non è di te che non mi fido, ma di me stesso. Te l’ho detto non molto tempo fa. Tra poco, la mia vita diventerà complicata e sarà tutto per colpa mia. Non è giusto che tu rimanga coinvolta in tutto ciò. Per favore.”

Non ricordo l’ultima volta che ho chiesto per favore a qualcuno e con Chelsea sta capitando fin troppo spesso.

Mi viene spontaneo, soprattutto in questo genere di circostanze. La mia è davvero una supplica.

Non voglio farle male, ma soprattutto, non voglio rimanere ferito.

Lasciare libera quella parte di me che non desidera altro che sentirsi libera di starle accanto sarebbe pericoloso, perché sarebbe estremamente doloroso vederla andare via. Accadrà dannazione, non c’è niente che io possa fare per impedirlo.

Non ho nessuna intenzione di vivere ancora l’orribile sensazione che si prova quando vieni rifiutato, allontanato, guardato con disprezzo.

Ho passato la mia vita a rifuggire quel genere di emozioni e so che, quando farò scattare la trappola, se lei sarà vicino a me, mi tratterà come un lebbroso, come la persona più disgustosa del mondo.

Non voglio che ciò accada. Devo trovare la forza di allontanarla. Non posso essere così pazzo e masochista.

Non è solo per lei, ma anche per me stesso. Nessuna donna come Chelsea, con il suo cuore, la sua gentilezza, la sua integrità, accetterebbe qualcosa del genere.

Probabilmente sarebbe contraria a tutto il progetto.

Come posso anche solo pensare che valga la pena rimanere delusi pur di averla? Per quanto poi? Un giorno? Una settimana? Non di più certamente.

Le liste usciranno a breve e allora farò crollare tutto.

Ho passato anni a progettare la mia vendetta, a pensare alla disperazione che si dipingerà sulla faccia del vecchio quando verranno fuori gli altarini.

Perché questa ragazza è dovuta arrivare prima di quel momento?

Perché la mia parte più umana ha deciso di reagire alla sua presenza, alla sua forza?

Dannazione, è tutto così complicato, confuso, che l’unica cosa che ho ben chiara è che devo proteggere entrambi.

Eppure lei non è del mio stesso avviso.

“Mi fido abbastanza per entrambi.”

Fa una pausa, prendendo la mano che ancora ho sulla sua spalla e stringendola tra le mani con fermezza. I suoi occhi sono limpidi e determinati.

“Ma non lo vedi? Non importa quello che dici, importa quello che fai. Mi dici di andare via, di starti lontano, ma mi trattieni, mi mostri che ci tieni e non capisci che se fai così, non posso abbandonarti, girarmi dall’altra parte e fare finta di non aver visto.”

Prende un lungo e tremante respiro.

“Mi odierai!”

Distolgo lo sguardo, chinando la testa per fissare la punta delle mie scarpe.

Mi sento abbattuto, sconfitto, perché non ci riesco. La sua mano calda è troppo piacevole da lasciar andare.

I suoi piedi entrano nel mio campo visivo, fermandosi a pochi centimetri dai miei.

Una delle sue mani lascia andare la mia e sento qualcosa avvolgermi le spalle, tirandomi in avanti.

Mi lascio trascinare, privo di forza di volontà e mi ritrovo con la fronte premuta sulla sua spalla.

“Hai davvero poca fiducia in me.”

La sua voce è a metà tra il lacrimevole e il divertito. Come sia possibile, non lo so, ma è un suono talmente carico di sentimento da far male come un pugno.

“Non ti permetterò di escludermi così. Lascia che io capisca. Non puoi pretendere che getti la spugna proprio adesso. Ti porti dentro un peso così grande, difficile da condividere con altre persone, ma meritiamo entrambi di più. Se mi spezzerai il cuore, almeno lascia che io capisca perché. Lo devi a me, ma lo devi anche a te stesso. Non puoi chiedermi di odiarti prima che tu abbia fatto qualcosa.”

Le sue parole hanno senso, credo.

Mi sto arrendendo. Sento la determinazione scivolare via, sostituita dalla piacevole sensazione di benessere che mi trasmette sempre la sua vicinanza.

È come se portasse con se la luce. È una mano testa nell’oscurità.

Non c’è speranza, nemmeno un piccolissimo barlume, eppure nonostante questo, vorrei davvero, con ogni fibra del mio essere, credere.

Ritirarmi nel mio angolino sicuro, però, è un’abitudine difficile da modificare.

“Non posso.”

Lei ridacchia e mi stringe leggermente più forte, come se intuisse il mio desiderio di allontanarmi, sia fisicamente che emotivamente.

“Certo che puoi.”

Prende un lungo respiro, come se fosse indecisa su cosa dire.

“Non credi che, se non fosse possibile, non saremmo a questo punto? Non ci sarebbe stata questa conversazione. Se non ti interessasse perdermi, non ti saresti ingelosito vedendomi parlare con Aaron, non ti saresti sentito derubato. Ti rendi conto di quanto mi hai dato oggi?”

Le sua voce filtra attraverso la nebbia di distacco che stava iniziando a circondarmi.

Tiro su la testa e incontro i suoi occhi, lucidi di lacrime, il viso attraversato da due solchi che brillano alla luce dei lampioni.

“È stato davvero difficile comportarmi come se avessi tutte le certezze del mondo, come se fossi sicura del tuo interesse. Non puoi capire quanto tutto questo mi renda felice e sollevata. Avere fiducia in te, su quel poco che avevo, è stata davvero dura. Mi sono concentrata sui miei problemi familiari per distrarmi, sui bei momenti passati assieme per tenere duro, senza pensare alla possibilità che potesse essere tutto inutile, perché volevo con tutto il cuore credere che fossi la bella persona che vedevo, che i gesti gentili che mi hai rivolto nascondessero più di ciò che si vedeva.”

Per la prima volta, di fronte alle sue lacrime, non mi sento impotente.

Anche se stava ostentando sicurezza, a quanto pare, starmi dietro è stato molto difficile e questo non fa altro che accrescere la mia stima nei suoi confronti e, soprattutto, l’interesse.

Ha puntato i piedi quando l’allontanavo, dimostrando di avere più palle di quante potrò averne in tutta la mia misera vita, quindi come posso essere io, stavolta, ad abbandonarla, a voltarle le spalle?

Non se lo merita, dannazione, e non voglio farlo. Sarebbe la cosa giusta, ma più per me che per lei, a questo punto.

Non voglio guardarmi allo specchio e vedervi riflesso un codardo. Non voglio continuare ad essere la causa di queste lacrime che la stanno facendo singhiozzare disperatamente.

Non voglio più essere il tipo di uomo che fa piangere le donne, non lei accidenti. Anche se solo per poco, voglio provare ad essere migliore.

“Se l’inferno sarà comunque la mia destinazione, tanto vale fare il viaggio con qualcosa che meriti essere ricordato.”

La stringo tra le braccia e lei si aggrappa al mio giaccone come se fosse un’ancora di salvezza.

Il rumore del suo pianto mi fa male, soprattutto perché so che non saranno le ultime lacrime versate per colpa mia, ma prima di quel momento, voglio far spuntare sul suo viso il sorriso.

Anche se sarà per poco, voglio regalarle un po’ di felicità, quella che le spetta di diritto, e merita di capire perché tutto ciò non potrà durare.

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Capitolo 38
*** 38 Chelsea ***


38 Chelsea







La luce leggera che filtra dalle finestre penetra attraverso la foschia del dormiveglia, destandomi.

È solo un filo di luce, ma basta per svegliarmi eppure non ho per nulla voglia di alzarmi.

Si sta così bene sotto queste coperte, accoccolata contro Adrian.

Ieri notte, è stata davvero dura.

Per un attimo, ho pensato di averlo perso. Si stava allontanando, potevo sentire sulla pelle il distacco e, nonostante fosse estremamente difficile, ho deciso di giocare il tutto e per tutto.

È stato un successo contornato di lacrime. Pensare, esprimere tutte quei pensieri tristi, è stato davvero doloroso, ma volevo che capisse che davvero può affidarsi a me, crederci.

Nemmeno la donna più forte del mondo avrebbe potuto sostenere una situazione del genere più a lungo e io, di certo, non sono quella donna.

Ve bene essere testardi, ma non volevo accontentarmi delle briciole di pane.

La sua involontaria gelosia ci ha permesso di arrivare ad un punto di incontro, per quanto sofferto.

Quando sono salita sulla sua auto, ero esausta, completamente svuotata.

È stato così carino da chiedermi se volevo passare la notte con lui e di sicuro, dopo quello che era appena successo, non ero disposta ad allontanarmi.

In quel momento, nemmeno lui sembrava volersi allontanare, perché mentre guidava, se non aveva la mano sul cambio, la teneva sulla mia gamba, come ad assicurarsi che non svanissi da un secondo all'altro.

Nell'ascensore mi ha baciata, prendendomi completamente alla sprovvista. È stato diverso dagli altri, più simile a quel primo bacio nello spogliatoio del Bleu Moon.

Mi ha presa tra le braccia, stringendomi un braccio in vita, e l'altra mano è salita ad avvolgermi il viso.

Non ho potuto guardarlo negli occhi, ma quel sentimento sono riuscita a sentirlo. È stato il primo baio che si è permesso di darmi liberamente. 

La prima volta è stato per farmi smettere di piangere e pensava dia vermi fatto qualcosa orribile.

La seconda, credo che sia stato un caso dettato dal momento e ovviamente so che non era quello che desiderava, visto come poi è scappato.

La terza, non me lo ricordo con esattezza. Credo di aver detto qualcosa che lo ha fatto reagire così.

Successivamente ho dovuto persuaderlo che era quello che voleva e, anche la settimana scorsa, è successo perché desiderava che mi allontanassi.

Se la penso così, non ci vedo proprio niente di buono, ma di tutte quelle volte, ricordo la sua espressione tormentata, divisa tra i ciò che voleva e ciò che pensava dover fare.

In quel bacio invece non c'era niente di tutto ciò e l'ho sentito molto più vicino.

Mi sono dovuta aggrappare a lui perché hanno iniziato a tremarmi le gambe.

Una volta nel suo appartamento, non c'è stato più tempo per la delicatezza. Io volevo sentirlo fin sotto la pelle e anche per lui è stato lo stesso.

Anche nei suoi gesti, non c'era più traccia di esitazione.

Non ricordo nemmeno di essermi addormentata, ma credo sia normale. Ero esausta, sia psicologicamente, che fisicamente.

Vorrei solo riaddormentarmi, per cui mi stringo più forte al corpo caldo di Adrian, sperando di riuscire a riprendere sonno.

"Ti ho svegliata?"

La sua voce mi sorprende.

"No, credo sia stata la luce. Credevo dormissi."

Lo sento sospirare.

"Non ho dormito un gran che."

"Per colpa mia?"

Mi sollevo il tanto giusto per poterlo guardare in viso. La penombra non mi permette di distinguere chiaramente la sua espressione, ma riesco a sorgere il bianco dei suoi denti.

"E perché mai dovrebbe essere colpa tua, scusa?"

Il tono divertito della sua voce mi fa sentire ingenua, ma non ci posso fare niente.

"Non lo so, potrei essere sonnambula. Parlare o muovermi nel sonno. Forse sono violenta e ti ho picchiato involontariamente."

La deflagrazione della sua risata rimbomba per tutta la stanza, svegliandomi del tutto.

"Tu? Violenta? Ma quando mai."

Ride ancora, facendomi spuntare un sorriso. È bello sentirlo così spensierato.

"Eri talmente immobile che avrei potuto pensare fossi morta."

Viene anche a me da ridere, perché in effetti è tipico mio.

"Allora come mai non hai dormito?"

"Stavo pensando."

Sento l'atmosfera appesantirsi, portandosi via il momento di leggerezza appena vissuto.

"Non cose allegre immagino."

Lui non risponde, ma comunque capisco di aver centrato il punto.

Non mi piace averlo messo nella situazione di raccontarmi a tutti i costi la sua vita, ma non è nemmeno giusto che non condivida niente.

"Non avrei mai pensato di parlare con qualcuno di certe cose, quindi non so proprio da che parte cominciare."

Il silenzio si protrae per diversi istanti, pesante.

"Devi decidere tu."

Prende un lungo respiro e posso intravedere il suo tormento.

Mi rimetto giù, in modo da dargli lo spazio di cui ha bisogno. Credo che l'ultima cosa che desideri, sia mostrarmi quanto quello che ha dentro lo faccia soffrire.

"Odio mio padre!"

La sua affermazione lapidaria mi fa sobbalzare, ma anche se mi stanno venendo in mente decine e decine di domande, mi mordo la lingua per non interromperlo. 

Si sta aprendo di sua spontanea volontà.

"Passami il termine, ma mio padre è il più grande figlio di puttana che io abbia mai conosciuto. Mi ha cresciuto lui, cercando continuamente di farmi diventare qualcuno che non ero, tanto che alla fine, pur di non subire la sua ira, ho iniziato a fingere, nascondendomi dietro l'arroganza e l'indifferenza."

Questo spiega molte cose ed è davvero triste che un bambino cresca così, non amato. Io posso dire tante cose di mio padre, ma non che non mi abbia fatta sentire amata.

"Voleva a tutti i costi che diventassi come lui, ma non ho mai avuto intenzione di essere il suo burattino. Quando sono stato abbastanza grande per non dover più temere che mi mettesse le mani addosso, mi sono ribellato, umiliandolo in ogni modo possibile immaginabile."

Prende un lungo sospiro tremante. Riesco a sentire la pena che prova a ripensare a certe cose, ma più parla, più lo comprendo.

"Ad un certo punto, mi ha mandato in un collegio dove avrebbero dovuto rimettermi in riga, ma nessuna punizione o maniera forte sembrava funzionare, tanto che anche lì ben presto si sono arresi. Non avevo intenzione di sottomettermi a nessuno, meno che mai al'uomo responsabile della morte di mia madre!"

Non posso evitare di sobbalzare, presa completamente alla sprovvista.

Il braccio su cui è poggiata la mia nuca si flette, avvolgendomi le spalle, come a volermi proteggere.

"Mia madre era giovane quando l'hanno obbligata a sposarsi con mio padre. Un matrimonio combinato che l'ha devastata. Mi amava, mi voleva bene, ma la vita con mio padre le era insopportabile. Ha sopportato per anni le angherie e le violenze, che giungevano fino alla mia camera."

La sua voce è diventata improvvisamente fredda come il ghiaccio, carica di un odio così profondo da essere insopportabile.

Come fa a non venir schiacciato da questo sentimento?

"Le sue urla mi hanno accompagnato per anni, ma mai come l'immagine di lei che si butta dal balcone. Quella scena non potrò scordarla mai."

Non posso rimanere ancora ferma. Mi  sollevo per guardarlo negli occhi, la vista offuscata dalle lacrime.

Non riesco ad immaginare quanto abbia sofferto.

"Si è suicidata?"

Le mie parole sono deboli, incredule, proprio come mi sento io.

Lo vedo annuire, l'espressione più visibile ora che la luce è aumentata e i miei occhi si sono adattati.

"Avevo dodici anni quando ha deciso che la morte era un'alternativa migliore alla vita che stava conducendo, a me."

Prima di fermarmi a riflettere, quasi mi lancio su di lui per abbracciarlo. Sono ancora nuda, ma in questo momento è l'ultimo dei miei pensieri. 

Vorrei solo far sparire l'angoscia che ho percepito nella sua voce.

"È orribile, Adrian."

Per un istante rimane fermo, completamente irrigidito, ma poi le sue braccia si stringono con forza attorno a me.

"Non andrò via,te lo prometto. Devi solo dirmi che mi vuoi e io rimarrò."

Lui mi stringe un po' più forte, ma con poca convinzione.

"Lo so che ci credi, ma non sarà così. Odio talmente tanto mio padre, che sono disposto a tutto pur di fargliela pagare e, per raggiungere questo scopo, farò sicuramente qualcosa che ti farà andare via."

Per la prima volta, le sue parole assumono un nuovo significato: molto inquietante. 

Eppure sento che questa sua consapevolezza è accompagnata dal rimpianto.

"Va bene così. Una cosa per volta."

Mi sollevo per guardarlo negli occhi.

I nostri visi sono così vicini che riesco a vedere benissimo la sua tristezza.

"Questo è il motivo per cui ti ho detto così tante volte di starmi alla larga."

I miei capelli scivolano in avanti, spiovendo verso il basso.

Lui solleva una mano e me la infila fa le ciocche, spostandole indietro e posandola sulla nuca.

"Se volessi tirarti indietro adesso, lo capirei."

Ancora una possibilità, ancora una porta aperta per cercare di proteggermi. Eppure, la scelta più logica, non fa per me. Arrendermi non mi piace. 

"Non me ne vado.  Io non sono perfetta, sono testarda e invadete, come mi hai ricordato, ma sono sicura che, se non mi escludi, possiamo superare ogni cosa. So che non è semplice credermi, ma dopo quello che mi hai raccontato, non ti direi queste cose se non ne fossi veramente convinta."

Vedo che gli piacerebbe credermi, ma che non se la sente e posso capirlo. 

Quando una persona che dovrebbe amarti incondizionatamente ti abbandona, rimani segnato. Io non ho vissuto niente di così tragico, ma in minima parte riesco a capire come si debba sentire. 

Dopotutto, quando sei così traumatizzato, come puoi credere così facilmente che qualcun altro, senza alcun legame significativo, possa rimanerti accanto?

"Io non le so fare queste cose, Adrian. Ne capisco ancora meno di te, ma so che se sono arrivata fino a questo punto, è perché a te ci tengo davvero. È qualcosa di così forte da darmi il coraggio di andare oltre i miei limiti. Non riesco ad immaginare che qualcosa possa farmi cambiare idea."

Prendo un lungo respiro. Ho bisogno di calmarmi per trovare le parole giuste. Ho il cuore che batte a mille e la sua espressione non mi aiuta a calmarmi.

È rigido, impassibile.

"Non sono nella tua testa per capire a cosa stai pensando, quindi mi sento un po' agitata, ma se riuscissi a rendermi partecipe di questa tua vendetta,  almeno non verrò colta di sorpresa."

Posso leggere la perplessità sul suo volto e mi chiedo se abbia capito cosa intendo.

"Chelsea, non si tratta solo di mio padre, ma anche si mio nonno, che ha letteralmente venduto mia madre per affari. Io li distruggerò entrambi e non voglio che tu mi veda per il mostro che sono."

Credo che sia arrossito, perché distoglie lo sguardo, improvvisamente teso.

Il silenzio si protrae per diversi secondi, tempo che la mia mente sfrutta per analizzare ogni singola informazione.

"Mi piace il modo in cui mi guardi. Mi fa sentire bene. Quando sono con te, è come se fossi la persona che avrei potuto essere se non fosse stato tutto così difficile. Se siamo assieme, mi viene spontaneo cercare di essere migliore ed è qualcosa a cui non posso rinunciare."

Una confessione bruciante, che mi fa con il viso girato verso la scrivania alla mia destra.

Credo mi sentirei offesa  se non fosse quanto di più simile ad una dichiarazione che lui possa fare. Il disagio è palese sia nell'espressione del suo viso, che nella rigidità del suo corpo.  

Ha ancora una mano tra i miei capelli, il pollice che si muove leggermente sul mio zigomo. È un movimento inconscio che però me lo fa sentire dannatamente vicino.

Sostenendomi su un gomito, allungo la mano per toccargli il viso e girarlo verso di me.

I suoi occhi, con questa luce, sono due pozze profonde dove posso leggervi tutta la paura. Dev'essere stato davvero difficile ammetterlo anche solo con se stesso. 

"Puoi essere chi vuoi Adrian, ma se per essere quella persona mi vuoi al tuo fianco, allora sarò ancora più felice di restare. Ho sempre visto la persona speciale che si nascondeva dietro l'arroganza e le cattive maniere ed è meraviglioso che tu abbia iniziato a rendertene conto. Potrai sempre contare su di me!"

La sua presa sui miei capelli si rinforza, facendomi sentire il suo desiderio di possesso.

"Voglio prenderti in parola, Chelsea. Voglio fidarmi e crederci. Abbi pazienza con me, perché so essere una gran testa di cazzo."

Dopo di che mi attira a se e mi chiude la bocca con la sua, facendo evaporare ogni pensiero di senso compiuto.




PICCOLO SPAZIO AUTORE.

Scusate il ritardo di pubblicazione, ma ieri mi sono dimenticata il pc a lavoro e non ho potuto completare il capitolo se non dal cellulare, da cui sono dannatamente lenta. Se doveste riscontrare qualche errore, vi prego, fatemelo notare, perché potrebbe essermi sfuggita qualche errore fatto  dal correttore del cell.

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Capitolo 39
*** 39 Adrian ***


39 Adrian

 

 

“Questa sì che è bella!”

Il tono divertito Logan mi fa storcere il naso e innervosire. Si sta burlando di me, l’ingrato. E pensare che gli ho parato il culo non so più quante volte.

Se Ryan avesse scoperto che cosa combinava con la sua sorellina, alle sue spalle, non saremmo qui tutti assieme. Certo, ora i due vanno d’amore e d’accordo, ma solo perche le cose tra Logan e Meredith si sono fatte serie. Se così non fosse stato, temo che Logan sarebbe di nuovo in ospedale, con un trauma cranico e le ossa fratturate.

Rivolgo lo sguardo allo schermo in alto, dove sono segnati i punti, sforzandomi di ignorare il baccano alle mie spalle, fatto di risatine e chiacchiere, e lo sguardo indagatore dei miei tre amici.

Non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione del genere e sentirmi così dannatamente a disagio.

Non ho ancora capito di chi sia stata l’idea, ma non ho avuto molta scelta. Non riesco a credere di essere capitato ad un appuntamento di gruppo, ma quando Chelsea mi ha guardato con gli occhi che brillavano, speranzosi, non me la sono sentita di dirle di no.

L’altro giorno è venuta a casa mia prima di andare a lavoro, l’espressione estatica.

Ha iniziato a parlare velocemente, tanto che all’inizio non riuscivo a capire che cosa stesse dicendo.

In pratica le sua amiche Bianca, Meredith e Kayla stavano organizzando un’uscita di gruppo con i loro ragazzi per andare al Bowling e volevano sapere se anche lei ci sarebbe stata. La cosa pazzesca di tutto ciò è che l’atteggiamento di tutte e tre le ragazze è cambiato da quando sanno che c’è qualcosa tra me e Chelsea.  Sono diventate più disponibili, meno acide, e questo è decisamente un grosso miglioramento.

Sinceramente non me lo aspettavo e mi sono chiesto più volte a cosa sia dovuto questo cambiamento così repentino.

Quella che più mi ha stupito è stata Kayla, che prima mi guardava con un’espressione di disgusto mista a disprezzo. Ovviamente la colpa è anche mia, perché sono stato davvero un bastardo con lei, ma non avrei mai immaginato che si sarebbe ammorbidita.

Prima che iniziasse la sua relazione con Josh, non la sopportavo, mi veniva il nervoso solo vedendo la sua espressione impassibile e sprezzante. Forse perché, inconsciamente, mi ricordava le donne altolocate che sono stato costretto ad intrattenere nel orso degli anni. Non mi sbagliavo, non del tutto almeno.

Kayla proviene, sì, da una famiglia come la mia, ma è uscita da quel mondo quando era ancora un’adolescente. È stata fortunata, sebbene l’educazione che le è stata impartita sia una componente costante del suo modo di porsi.

Dalla prima volta che l’ho vista, è molto meno sulla difensiva e so che è tutta opera di Josh, che a sua volta ora sorride molto di più.

Ammetto che ero preoccupato che le cose potessero essere difficili, ma a parte questi testoni che mi prendono in giro, è tutto piuttosto normale.

Le ragazze si stanno sfidando tra di loro a coppie alle mie spalle, mentre noialtri ce la stiamo giocando ognuno per conto proprio.

Tra di noi c’è sempre stata una sottile e sana competizione, dove ciascuno prova ad essere il migliore, quindi sarebbe davvero impossibile gareggiare a squadre.

In teoria avremmo dovuto gareggiare a squadre, quattro contro quattro, ma quando poi  è venuta fuori la rivalità al momento di fare le divisioni, le ragazze si sono allontanate, scuotendo la testa divertite.

“Voi continuate pure a farvi dominare dal testosterone, noi andiamo a divertirci per conto nostro.”

Meredith ha dato voce ai pensieri di tutti, facendo scoppiare l’ilarità.

Bianca e Kayla si sono limitate a scuotere il capo, esordendo all’unisono con un: “Maschi!”, mentre Chelsea, che probabilmente non ha capito molto, si è limitata a sorridere, impacciata.

Appena hanno preso posto nella pista subito dopo la nostra, Meredith le ha sussurrato qualcosa all’orecchio e l’amica è arrossita, guardandomi con gli occhi sgranati: non sono riuscito a trattenere una risata.

Quindi ecco spiegato il motivo per cui in questo preciso istante sono un po’ lo zimbello del gruppo.

Ryan non è rimasto troppo impressionato dalla nostra presenza, anche perché ha beccato Chelsea da me il giorno che mi ha raccontato di avere un fratello, Logan ha sgranato un po’ gli occhi, mentre Josh è rimasto senza parole per un paio di minuti.

“Fatti gli affari tuoi.”

Lui sogghigna apertamente, mentre Ryan e Josh si nascondono dietro una bottiglia di birra per godersi lo spettacolo senza essere tirati in mezzo.

“Non ci penso nemmeno. È troppo divertente. È bello vederti vulnerabile.”

Gli ringhio contro, con le mani che mi prudono dalla voglia di cancellare il sorriso beffardo dalla sua faccia con un pugno.

“Vai a farti fottere.”

Lui sghignazza, allontanandosi di un passo da Ryan, che immediatamente lo fulmina con un’occhiataccia.

“Non ti azzardare a replicare.”

La minaccia del fratello della sua ragazza è più che efficace, perché evita di rispondermi, limitandosi a farmi un occhiolino più che significativo.

Che sfiga avere un cognato come Ryan. Sarà anche la persona migliore dopo Chelsea che io abbia mai conosciuto, ma quando si tratta delle donne della sua famiglia, Ryan è una testa dura.

Basti pensare che, nonostante Logan avesse perso la memoria a causa di un trauma cerebrale, appena ha scoperto che c’era qualcosa tra lui e la sorella, ha smesso di ragionare e gli ha dato un pugno in faccia, nonostante fosse appena uscito dalla convalescenza e lui sia un medico che conosce i rischi di un comportamento del genere.

“Effettivamente, anche io sono piuttosto incuriosito. Dall’ultima volta che ci siamo visti sono cambiate parecchie cose. Che accidenti è successo?”

La perplessità di Josh è più che evidente, che tra una cosa e l’altra è quello che ne sa meno di tutti, per quanto con lui io mi sia lasciato andare ad un certo tipo di confidenze.

Era rimasto al punto in cui Chelsea stava facendo di tutto per avvicinarsi a me e io continuavo a respingerla.

Mi limito a scrollare le spalle, perché non ho nessuna intenzione di parlare di questo con loro. Come sia accaduto, beh, è una cosa che riguarda solo me e lei.

Mi fa sentire a disagio l’idea di condividere con loro i pensieri e le emozioni che mi hanno portato a cedere.

Si stanno comportando come delle pettegole.

“Il giorno che siete venuti a conoscere Brian non avete notato come erano intimi?”

Ryan mi rivolge un sorriso malizioso e so cosa sta per fare. La cosa peggiore è che non posso zittirlo in nessun modo.

Questo è perché mi sono burlato di lui quando ha iniziato la sua relazione con Bianca, ne sono sicuro. Sapevo che prima o poi avrebbe saldato il conto.

L’attenzione di Logan e Josh è tutta per Ryan, che ha l’espressione del gatto soddisfatto.

“Solo poche ore prima li ho beccati insieme e cosa fosse successo era piuttosto ovvio.”

Il mio amico biondo sgrana gli occhi, mentre l’altro mi rivolge un’occhiata sorpresa.

“Alla faccia. Sei proprio un gran bugiardo. E tu che continuavi a dire che non era niente quando eri già andato a segno. Che faccia tosta.”

Gli rivolgo un’occhiata di fuoco perché il suo modo di esprimersi mi da decisamente sui nervi.

“Non è andata così, dannazione.”

Mi sibila tra i denti un’imprecazione, mentre sento il cuore pulsare forte nel petto, facendomi salire il sangue alla testa.

“Non ti scaldare Adrian, sto solo scherzando.”

Logan fa immediatamente marcia indietro e so di aver appena fatto una figura patetica, ma è stato più forte di me.

Ridurre quello che è successo ad una mera questione di sesso non è giusto per Chelsea. Sarebbe come sminuire lei come persona e l’importanza che quello che è successo ha avuto per lei.

“Scherzi a parte, come mai hai cambiato idea? Non che non sia bello vederti con qualcuna che non sia una compagnia provvisoria, ma sinceramente sono un po’ preoccupato, perché non è da te.”

Alla sincera preoccupazione di Josh si aggiunge quella di Logan.

“Esatto. L’altra sera eri ancora indeciso, in bilico, diciamo, e oggi vi presentate assieme e Chelsea sembra la persona più felice del mondo, mentre tu non lo sembri, non del tutto almeno.”

“Adrian, che sta succedendo?”

Troppe domande e tutti e tre sono fin troppo solleciti nella loro preoccupazione.

“Non vi preoccupate. È solo una situazione provvisoria.”

I tre si scambiano un’occhiata preoccupata, sospirando rumorosamente.

“E lei, questo, lo sa? Perché ha tutta l’aria di una donna innamorata.”

Mi limito ad annuire, perché non c’è molto altro da dire. Alla fine stanno riuscendo comunque  a tirarmi fuori le cose e hanno pienamente ragione su tutto.

“Allora perché l’hai lasciata avvicinare?”

La domanda pungente di Ryan mi fa sobbalzare, perché va a toccare decisamente un tasto dolente.

Potrei fare finta di nulla, non “confidarmi”, ma sono arrivato ad un punto dove tenersi tutto dentro è logorante.

So che non dovrebbe essere così, ma ormai ci siamo. A breve potrò lasciarmi il passato alle spalle e un buon modo per iniziare è non comportarmi come se fossi sempre solo.

Gli amici che ho, sono veri, importanti e sodi potermi fidare. Ci prendiamo in giro a vicenda, è vero, ma è perché il nastro affiatamento ce lo permette.

“Lo ha voluto lei.”

Una risposta sincera, che riassume in pieno tutta la situazione senza dover spiegare tutto. Eppure sembra che loro non capiscano. La loro espressione è decisamente perplessa.

“Scusa se te lo dico, ma tu non sei per niente il tipo di uomo che asseconda le richieste altrui. Meno che mai quelle di una donna.”

Verissimo e per una buona ragione, ma tutte le mie regole, le mie remore, sono state smontate da Chelsea di dalla sua disarmante purezza.

Anche dopo essere stati a letto assieme più volte, dopo che si è smaliziata, ha continuato  ad essere una ragazza limpida e disarmante.

“Aspetta un secondo a rispondere!”

Ryan si alza rapidamente, prende dal supporto una palla, soppesandola attentamente e poi si avvicina alla pista per lanciarla. Il parquet lucido scricchiola sotto le sue scarpe da ginnastica.  Fa un paio di passi avanti, porta il braccio all’indietro e poi lancia la palla, inchinandosi leggermente per farla scivolare in modo pulito.

La lucida palla di ceramica percorre rapidamente il corridoio, andandosi a schiantare  con forza sui birilli alla fine della sua lunga corsa.

Strike in un colpo, il primo della partita.

Soddisfatto il mio amico torna al tavolo, mentre il chiacchiericcio della sala da Bowling continua e il sistema si mette all’opera per preparare nuovi birilli.

“Quindi? Perché?”

Speravo che avesse deciso di lasciar perdere, ma è evidente che invece non ha affatto intenzione di lasciar perdere.

Mi volto a guardare la causa della situazione. Sta bevendo qualcosa che le sta porgendo Meredith. Ha un espressione concentrata sul viso, come se stesse cercando di capire qualcosa.

All’improvviso molla la cannuccia e rivolge all’amica un sorriso felice.

“Io ho cercato di non pensarci, ma è dannatamente bella. Non so se sia più bella dentro o fuori.”

Mi volto di nuovo verso i miei amici, che mi guardano con tanto d’occhi.

“Cosa c’è? Non mi sembra che stia dicendo qualcosa di strano. È palesemente una bella ragazza.”

Logan scuote la testa, come a schiarirsi le idee.

“Ma solo per questo?”

“Ovviamente no. È il suo carattere, il suo modo di fare. Mi ha sempre trattato come se valessi più di quanto io stesso pensi e questo mi piace. Più la respingevo, più lei riusciva ad avvicinarsi, tanto che ho provato la tattica contraria. Forse, se fossi stato io ad avvicinarmi, allora finalmente sarebbe scappata, sarei riuscito ad allontanarla.”

Sorrido per la mia idiozia. Mi chiedo come ho fatto a pensare che potesse tirarsi indietro.

“Deduco che non è andata così!”

L’ironia di Josh è decisamente pertinente.

“Decisamente, è stato l’opposto. Più cercavo di farla scappare, più si avvicinava, tanto che alla fine è successo quel che è successo. Davvero, mi sarebbe piaciuto essere migliore e riuscire a tenerla lontana da me, soprattutto per quello che succederà a breve con le elezioni, ma non ci sono riuscito.”

Stringo forte la bottiglia di birra che ho tra le mani per trovare un senso alle emozioni che mi si stanno scatenando dentro.

Sto ammettendo cose che finora non avevo mai ammesso nemmeno con me stesso.

È la confidenza più importante che io abbia mai fatto ai miei amici.

“Sono un dannato egoista, ma lei mi vuole lo stesso. Come avrei potuto dirle di no?”

Le loro espressioni pensierose non mi turbano. Non mi interessa che capiscano. Alla fine, è  una decisione che non li riguarda minimamente.

“Ha dannatamente senso!”

Logan è il primo a riprendersi e, se pensava di chiedermi qualcosa, uno strillo acuto interrompe il momento di confidenze.

Mi volto appena in tempo per vedere Chelsea che quasi mi salta addosso, buttandomi le braccia al collo da dietro?

“Ohi.”

“Adrian.” Fa una lunga pausa, la voce cantilenante. “Mi gira la testa.” Aggiunge poi con una risatina.

Segue un lunghissimo istante di silenzio, dove nessuno capisce che cosa stia succedendo, poi capisco.

Giro la testa verso l’amica, che si tiene una mano sulla bocca nel tentativo di soffocare una risata.

“Meredith, l’hai fatta bere?”

Lei annuisce appena, le spalle scosse dalla risata.

“Ho aggiunto solo un po’ di rum alla mia cola, niente di che. Non pensavo fosse astemia.”

Tutti scoppiano a ridere, mentre Chelsea praticamente si accascia sulle mie spalle.

“Ehi, stai sveglia. Tirati su, forza.”

La sento respirare con forza e, lentamente, si tira in piedi, gli occhi lucidi.

Mi alzo a mia volta, afferrandola per il braccio.

“Hai bisogno di mangiare qualcosa e prendere un po’ d’aria. Mi ordinate qualcosa mentre le faccio fare due passi?”

Sorreggo Chelsea mentre gli altri annuiscono, senza commentare. Non è che ci sia molto da dire. Sicuramente questo mio comportamento li ha stupiti non poco, ma non ci posso fare niente.

Inoltre non voglio che Chelsea mi vomiti in macchina.

Con calma attraversiamo la sala giochi e appena fuori prendo un lungo respiro di aria fredda.

Sia io che Chelsea siamo senza giacca, ma un paio di minuti non ci faranno di certo male.

Camminiamo fino ad una panchina e lei si siede pesantemente sulla struttura di metallo, prendendosi la testa tra le mani. La imito, sollevando il viso al cielo.

Siamo ai primi di marzo e fa ancora piuttosto freddo, tanto che il mio respiro si condensa in piccole nubi di vapore argenteo.

Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, uno di fianco all’altro. Quando alla fine sospira, mi decido a guardarla.

Mi sta osservando, la nebbia dell’alcool meno presente di prima.

“Va meglio?”

Lei annuisce, prendendo un nuovo profondo respiro.

 “Non accetterò mia più da bere da Meredith.”

Ma anche mentre lo dice, sta ridacchiando. È ovvio che l’effetto non è ancora passato.

“Non ti preoccupare. Non credo che si azzarderà ad offrirti ancora qualcosa di alcolico. Pronta a tornare dentro?”

Lei annuisce e ci alziamo. La vedo rabbrividire ed è automatico metterle un braccio sopra le spalle.

Invece che rigirarsi e dirigersi verso l’ingresso, Chelsea si gira e mi abbraccia, il viso premuto contro il mio petto. La sua testa arriva tranquillamente al mio mento in questa semplice posizione.

Per un istante non so cosa fare. Come mi dovrei muovere? Devo ricambiare il gesto, allontanarla o semplicemente rimanere fermo?

La sua presa si rinforza leggermente e non mi resta altro da fare che circondarla con le braccia.

“Grazie.”

“Per cosa?”

“Per essere venuto qui con me. Anche se te l’ho chiesto, non ci speravo proprio.”

Solleva la testa per guardarmi, gli occhi che brillano alla luce dei lampioni che circondano l’ingresso della sala giochi del centro commerciale.

Ci sono poche persone attorno a noi, tutti che escono o entrano, ma nessuno che bada a noi. Eppure, anche se fossimo al centro dell’attenzione, non me ne accorgerei.

Il suo sguardo mi trasmette una gran tenerezza, così come il sorriso che mi sta rivolgendo.

Il sorriso che volevo proprio farle spuntare sul viso.

Guardandola, mi sento libero e senza pensieri, senza preoccupazioni.

“Prego.”

Le dico un istante prima di chinare la testa e baciarla gentilmente sulla bocca.

In questo momento, non mi serve null’altro.

Scusatemi se questa settimana non ho postato, ma ho avuto degli impedimenti che non mi hanno permesso in nessun modo non solo di aggiornare, ma proprio di scrivere. Davvero mi dispiace, ma non sono riuscita a fare meglio di così. In ogni caso spero che qeusto capitolo vi sia piaciuto. Ci siamo quasi, manca poco al momento della verità, quando tutti gli altarini verranno al pettine.  vi aspetto lunedì. kiss kiss e buon week end

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Capitolo 40
*** 40 Chelsea ***


40 Chelsea

 

 

La prima cosa che registro, una volta sveglia, è il forte pulsare alla testa. La sottile lama di luce che attraversa le persiane, per riversarsi sul mio viso, produce una stilettata di dolore che va a concentrarsi dietro agli occhi, facendoli pulsare.

Accidenti. Quindi è questa la famosa post sbornia di cui si parla tanto.

Ieri sera Meredith mi ha fatto assaggiare il suo drink e sono stata ben felice di provare qualcosa di nuovo.

Ovviamente, non immaginavo che quel poco che ho bevuto mi sarebbe andato alla testa e mi avrebbe fatta sentire al risveglio come se mi fosse passato un tram addosso.

L’effetto di allegria è durato per tutta la serata in compenso. Anche dopo aver preso aria e mangiato qualcosa, in modo che mi passasse il malessere,  mi sono sentita estremamente su di giri. Allegra come non credo mi sia mai successo.

Probabilmente questo è anche merito di Adrian, che è stato estremamente carino con me e quindi immagino che mi stia dando alla testa.

Se non fosse così, non avrei avuto una mezza discussione con Jillian ieri pomeriggio.

Non è stata molto contenta quando le ho detto che molto probabilmente non sarei rientrata a dormire.

La scorsa settimana, ho passato da Adrian decisamente molto tempo e so che non vede di buon occhio questa cosa.

Lei lavorava al Blue Moon ben prima che Adrian iniziasse a frequentare il Blue Moon e sono sicura che non approvi. Sono sicura che sapesse chi era ben prima che le dicessi che abbiamo iniziato a frequentarci.

È stato strano dover rendere nuovamente conto delle proprie azioni, delle proprie decisioni, e ammetto di essermi infastidita, ma capisco anche Jillian, che ha appena ritrovato una figlia. Dopo quello che ho passato, posso comprendere il suo istinto di protezione e  ha ragione se pensa che Adrian potrebbe spezzarmi il cuore.

Eppure è una mia scelta, una mia decisione.

Immagino, però, che sia normale per un genitore non vedere di buon occhio certe cose. Dopotutto, io stessa ancora non riesco a credere di avere una vita sessuale e non sentirmi sporca o a disagio.

Se ci penso lucidamente, mi rendo conto che fondamentalmente potrebbe essere una cosa sbagliata, ma so che quando sono con Adrian, il desiderio di condivisione e piacere supera qualsiasi altra remora. Forse finirò per abituarmi a questa cosa, ma per il momento sono ancora molto timida.

Quindi immagino che sia anche un po’ per questo che Jillian mi ha rimproverata, dicendomi che dovrei essere un po’ più responsabile e dedicare meno tempo ad un uomo del genere, ma la verità è che voglio passare più tempo possibile con l’uomo che mi sta rubando il cuore, perché potrebbe cambiare tutto da un momento all’altro.

Mi spaventa il pensiero che possa allontanarmi, ma ho deciso che affronterò la questione quando si presenterà. Non so davvero che cosa aspettarmi e non voglio preoccuparmi di qualcosa che potrebbe anche non accadere.

Lasciarsi andare alla fantasia sarebbe estremamente semplice e non voglio farmi strane paranoie.

Mi rigiro, allungando il braccio, ma il letto dall’altra parte è freddo, dettaglio che mi fa sollevare di botto dal cuscino, provocandomi un capogiro e un ondata di nausea.

Ora è ufficiale: non berrò mai più alcolici se devo stare così male il giorno successivo.

Mi alzo dal letto lentamente, attenta a coprirmi con il lenzuolo, e cerco Adrian per la stanza deserta.

Non c’è e la porta chiusa mi dice che si è alzato e non voleva disturbarmi.

Sulla sedia alla scrivania c’è il mio zaino, da cui recupero della biancheria pulita e una maglietta over-size per coprirmi almeno un poco.

L’appartamento è sempre ad una temperatura perfetta, una volta messo in funzione il riscaldamento centralizzato, per cui so che non avrò freddo.

Mi infilo un paio di calzini bianchi e a piedi nudi raggiungo il salotto silenzioso.

La stanza è inondata dalla luce del giorno e il chiarore mi ferisce gli occhi.

Ci vogliono alcuni secondi per individuarlo.

Mi da le spalle, seduto sul divano e guarda fisso davanti a se, immobile.

“Adrian?”

Lo chiamo, ma non mi sente, perché continua ad essere immobile come una statua di cemento.

Lentamente mi avvicino, preoccupata. Chissà a cosa sta pensando, così assorto.

“Ehi?”

Sono a meno di un metro da lui quando sobbalza e volta la testa. La sua espressione fa saltare un battito al mio cuore, che poi ricomincia a battere a ritmo raddoppiato.

Ha gli occhi sgranati, con dei brutti cerchi violacei che gli segnano il viso. è pallido e ha la bocca leggermente socchiusa.

Mi guarda attentamente, come se volesse dire qualcosa, ma senza sapere bene cosa.

“Va tutto bene?”

Ma anche prima di fare la domanda, so che non va bene per nulla. Mi avvicino, fino a quando a separarci non c’è altro che il bracciolo del divano stesso.

Il suo pc portatile è aperto sul tavolino basso e da questa distanza posso vedere ben poco.

“Posso?”

Ho idea che di qualsiasi cosa si tratti, è quello che lo ha ridotto in questo stato pietoso.

Lui si limita ad annuire, inespressivo ora. Ha distolto lo sguardo, puntandolo verso il piccolo schermo a led.

Mi avvicino il tanto necessario per poter guardare e capire di cosa si tratta.

Ci sono delle fotografie e per ognuna di esse, c’è una piccola descrizione.

Scorro i primi nomi con lo sguardo, fino a quando non individuo qualcosa di familiare.

McLeor Bruce, cinquantotto anni, candidato alle elezioni politiche.

La foto che accompagna la didascalia descrittiva, ha qualcosa di irreale. L’uomo che dovrebbe essere il padre di Adrian, non gli assomiglia per nulla. L’uomo ha il viso paffuto perfettamente rasato, messo in risalto da un farfallino che sembra sul punto di strozzarlo. Ha occhi piccoli e scuri e i capelli che stanno via via scomparendo dal centro della testa.

“È lui?”

L’incredulità traspare dalla mia voce e finalmente riesco ad ottenere una qualche reazione da parte di Adrian.

Mi giro ad osservarlo e sta sorridendo amaro.

“Non ci assomigliamo per nulla vero? Ho preso dalla parte di mia madre per mia fortuna. Quando era giovane, non era così. Da quando si è adagiato alla bella vita. Ha iniziato a peggiorare. Ora nessuno penserebbe mai che abbiamo un qualche legame di sangue.”

Il  disgusto che prova all’idea di essere in qualche modo imparentato con quell’uomo è palpabile e il mio cuore si stinge in una morsa dolorosa al pensiero di quanto quell’uomo lo abbia fatto soffrire.

Riporto lo sguardo sullo schermo, analizzando il sorriso arrogante e compiaciuto che ha nella fotografia, come se sapesse che quell’immagine sarebbe finita sul sito ufficiale del partito e stesse cercando di apparire accattivante.

Che schifo.

Non riesco a credere che da una persona del genere sia venuto fuori qualcuno come Adrian, così incredibile.

“Era questo che aspettavi?”

Mi raddrizzo per guardarlo e cerare in tutti i modi di non far trasparire il mio nervosismo e la paura che sento. Se mi permettessi di mostrarlo, probabilmente perderei il controllo.

Quando pensavo che sarebbe potuto succedere da un momento all’altro, non immaginavo che sarebbe accaduto davvero.  A quanto pare, nella mia mente, era un’idea astratta, come se non dovesse mai realizzarsi.

Lui si limita ad annuire nuovamente, ma senza guardarmi.

Ha gli occhi incollati allo schermo.

“Cosa pensi di fare?”

Forse sono invadente, ma quando ha deciso di volermi, gli ho chiesto di coinvolgermi in tutto questo, di non prendere le sue decisioni da solo senza mettermi al corrente e spero non voglia rimangiarsi la parola data.

Ho bisogno di sapere che cosa succederà da adesso in poi e se non parlerà spontaneamente, allora sarò io a chiedere.

Lo sento sospirare e per la prima volta mi guarda, con gli occhi che amo tanto colmi di tormento.

Non mi tocca anche se siamo vicini e ho come l’impressione che si stia distaccando, pronto a vedermi fuggire.

“Adrian, parlami.” Mi inginocchio fino ad arrivare più o meno alla sua altezza e mi appoggio alle sue ginocchia per non perdere l’equilibrio.

“Stai rendendo tutto più difficile per entrambi. Hai detto di volerli distruggere, quindi avrai un piano. Dimmelo.”

Lo osservo chiudere gli occhi, come dilaniato da qualcosa, ma quando li riapre, c’è solo un’immensa tristezza.

“In questi ultimi anni, con vari espedienti, mi sono appropriato della quota di maggioranza delle società di mio padre e di mio nonno. Hanno investito fino all’ultima azione possibile per poter arrivare fino a qui ed avere le giuste conoscenze. Servono molti fondi e molti supporti per arrivare fino a questo punto ed entrambi hanno incautamente investito, convinti di star vendendo a società e privati distinti. Si sono indebitati fino al collo pensando che sarebbero rientrati del capitale investito una volta entrati in politica, inconsapevoli che stavo rastrellando azioni ed investendo i soldi che mi da ogni mese per distruggerlo. Ci sono voluti anni di studi e di accurate pianificazioni per riuscire ad arrivare a questo punto e, una volta che avrò messo insieme tutte le azioni che possiedo, sia mio padre, che mio nonno, perderanno tutto, dal denaro che deriva dai proventi delle aziende, sia il prestigio acquisito e quindi la posizione politica.”

Si interrompe, distogliendo lo sguardo e questo mi fa agitare. Se finora quello che mi ha detto ha senso, anche se non riesco a capirne le modalità, il fatto che ora non mi stia guardando mi fa pensare che non sia finita.

“C’è dell’altro non è vero?”

La riluttanza continua e il silenzio si prolunga per troppo tempo. Vorrei incalzarlo, spingerlo a dirmi tutto, ma ho come l’impressione che se insistessi, mi taglierebbe fuori completamente.

Improvvisamente si muove e inizia a trafficare con il pc, che poi gira verso di me.

Per un istante non riesco a mettere a fuoco e capire di cosa si tratta, ma quando realizzo che cosa sto vedendo, vengo assalita da un attacco di nausea.

L’immagine occupa l’intero schermo e ritrae una camera dai toni maschili, con un letto di ferro battuto.

Su di esso, due persone si trovano in una posizione che fa capire senza ombra di dubbio cosa stia succedendo.

Fa male, dannazione. È terribilmente doloroso e difficile riuscire a pensare e non prendere i piedi e scappare, allontanarmi da tutto questo e cercare di dimenticare.

“Chi…?”

Non riesco a dire altro perché la mia voce di spegne. È come stessero strappando a forza l’aria dai polmoni.

Non riesco a distogliere lo sguardo dall’immagine, così nitida da poter distinguere i particolari.

La donna ha i capelli scuri che scendono lungo la schiena e il corpo longilineo premuto contro il petto di Adrian. Sono inginocchiati sul letto, entrambi senza vestiti, lei leggermente chinata in avanti, ma il  suo viso dai tratti marcati si vede benissimo, così come il viso di Adrian, impassibile e severo.

Lei è voltata verso la telecamera che ha scattato la foto, ma non credo che ne fosse a conoscenza.

“La mia matrigna.”

La sua risposta fredda mi da il voltastomaco, ma allo stesso tempo, butta un po’ di luce sul senso dell’immagine.

Dopo diversi tentativi, finalmente riesco a chiedergli quando è stata scattata.

Per la prima volta da quando mi ha mostrato ciò che nascondeva, riesco a guardarlo. Mi sta fissando con attenzione, come alla ricerca di un qualche segno.

“Circa due anni fa. Si erano appena sposati e lei non ha mai fatto mistero di provare quel tipo di interesse nei  miei confronti. È successo solo quella volta e solo per un motivo.”

“Il tuo piano.”

La voce esce come un sussurro, rotta dal pianto che non riesco più a trattenere. Mi copro il viso con le mani per nascondere le lacrime che hanno deciso di scorrere libere e senza freni.

Mi manca il fiato e fa così male. È come se mi stessero stringendo forte il cuore.

Fino a ciò si è spinto per avere vendetta?

Mi ha sempre messo in guardia, dicendomi che mi avrebbe spezzato il cuore e quando ha detto che avrebbe sicuramente fatto qualcosa che mi avrebbe ferito, non potevo immaginare che l’aveva già fatta, che era tutto pianificato. Come potevo? Anche se ora le sue parole hanno un senso, quando me le ha dette, per me non ne avevano. 

Ero accecata.

Eppure, io ho scelto di andare avanti perché lo amo.

È una consapevolezza che si è fatta lentamente largo dentro di me in questi ultimi giorni e non voglio tirarmi indietro, rinnegare ciò che sento.

Gli ho promesso che sarei rimasta e, anche se è orribile ciò che mi ha mostrato, è successo tempo fa. Lo sapevo fin dall’inizio che era stato con altre donne, anche se non immaginavo che fosse disposto a tanto.

“Mi dispiace.”

La sua voce penetra attraverso la nebbia che mi avvolge, fermando di botto le lacrime.

I suoi sono  occhi colmi di rammarico e delusione, di tristezza mista a impotenza.

Non posso farlo, voltargli le spalle e andarmene. Tornerei indietro ugualmente, una volta metabolizzato il senso di tutto quanto, ma comunque lo ferirei e non posso o voglio farlo.

Ha già sofferto troppo a causa di gente che non riusciva a tenere in considerazione i suoi sentimenti.

Ricomincio a piangere, ma stavolta per lui.

Non riesco ad immaginare quanto sia stato difficile, fare tutto da solo, essere divorato dall’odio e cercare in tutti i modi di non lasciarsi sopraffare dal medesimo sentimento. Annaspare per rimanere a galla e cercare di essere diverso da quello che stava diventando.

Ora riesco a capire un po’ di più quanto sia stato difficile, all’inizio, avere a che fare con me, combattendo contro se stesso per non ferirmi.

È sempre stato solo, non posso lasciarlo adesso, non dopo che ha in tutti i modi cercato di evitarmi questo dolore.

Devo accettarlo, sopportarlo per ora, e sono sicura che, un giorno, riuscirò a dimenticare.

Eppure, c’è una cosa che mi viene impossibile tollerare. È qualcosa che mi fa ribollire di rabbia. È così forte, che sovrasta tutto il resto.

“Perché?”

La domanda esce dalle mie labbra prima che possa formularla in modo migliore, infatti lui non capisce che cosa intendo.

“Te l’ho detto. Devono pagare e sono disposto a tutto per far si che ciò avvenga.”

Io scuoto la testa, sollevandomi dal pavimento su cui sono crollata, per avvicinarmi a lui, che nel frattempo si è spostato.

Non so perché lo abbia fatto. Forse per darmi spazio, oppure per prenderne.

Salgo sul divano, mettendomi in ginocchio, e allungo le mani le afferrargli gentilmente il viso, cogliendolo di sorpresa.

Lo fisso attentamente negli occhi, trovandovi solo confusione e rabbia, sentimenti che non fanno altro che acuire il mio desiderio di proteggerlo.

“Non intendevo quello. Il tuo desiderio lo capisco.”

La mia voce è spezzata, incrinata dalle lacrime che non riesco a trattenere.

“Perché, per colpire lui, devi mortificare te stesso?”

Ecco il nuovo capitolo. Scusate se c'è voluto così tanto, ma davvero dal cellulare è difficilissimo scrivere. Per il momento sono riuscita a riavere il pc, ma purtroppo non so quanto durerà. Cercherò di scrivere e aggiornare il nuovo capitolo direttamente domani, in caso non ci riuscissi, vi avvertitò. 

Altra cosa: mi sto organizzando per creare un gruppo whatsapp "dedicato" alle mie storie. La verità è che mi piacerebbe conoscere meglio voi che amate le mie storie, ma sinceramente non so come altro descrivere questo gruppo che vorrei creare. Se siete interessati, contattatmi pure in privato. 

Detto ciò, spero che il capitolo vi sa piaciuto e che sia stato all'altezza delle aspettative.

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Capitolo 41
*** 41 Adrian ***


41 Adrian

 

 

L’ultima cosa che mi aspettavo questa mattina, accendendo il computer, era vedere che ieri hanno rilasciato la lista dei candidati.

Per qualche ragione, al contrario di quello che faccio sempre, ieri non ho monitorato la situazione e, in un primo momento, mi sono maledetto per non averlo fatto.

Un istante dopo, però, il pensiero di Chelsea ha allontanato il rammarico.

Se avessi saputo della lista, la serata di ieri non sarebbe mai esistita.

Al contrario di quello che pensavo, è stato davvero divertente passare del tempo con i miei amici e le ragazze. Non avrei mai immaginato che non mi sarei sentito fuori luogo o di troppo. È stato fin troppo semplice adattarmi alla situazione.

Decisamente spaventoso, a pensarci bene, perché vedendo la pagina che tanto aspettavo, non sono stato invaso dall’adrenalina come immaginavo, bensì dal rammarico.

Sono rimasto ad osservare lo schermo con la fotografia ghignante di mio padre non so più per quanto, ma è stato abbastanza perché lei si svegliasse.

Ho passato non so quanto tempo a pensare, nel disperato tentativo di trovare una soluzione, perché dopo ieri sera, ho davvero il timore che, se questa cosa tra di noi dovesse finire, lei non sarebbe l’unica ad uscirne ferita.

In quest’ultima settimana Chelsea ha iniziato ad avere un’importanza spaventosa nella mia vita.

È rimasta a casa mia diverse volte e, ogni volta, lasciarla andare via, si è rivelato sempre più difficile.  Da quando ho “smesso” di preoccuparmi per lei, per il dolore che sapevo le avrei arrecato, permettendo così ad entrambi di viverla più serenamente, è come se la sua importanza fosse aumentata a dismisura.

Mi ritrovo a pensare a lei anche troppo spesso e, anche se so che è una stupidaggine, non posso farne a meno.

Per questo la notizia che aspettavo ha avuto un sapore così amaro.

Sapevo benissimo che Chelsea avrebbe preso male la questione delle fotografie e di certo non posso fargliene una colpa.

Ho provato a cercare ad un modo delicato per metterla al corrente, ma alla fine l’unica cosa che sono riuscito a fare, è stato sbatterle in faccia la realtà.

Le sue lacrime hanno fatto più male di quanto potessi immaginare e davvero non so cosa fare per farla smettere.

È straziante e non posso che assumermene la colpa.

Mi sposto un po’ sul divano per allontanarmi. Dubito sinceramente che voglia avermi vicino, ma non posso nemmeno andarmene, perché sarebbe come scappare.

Per quanto la tentazione sia forte, devo farmi carico della mia colpa.

La osservo con una morsa allo stomaco. È seduta sul pavimento, con la maglietta che a malapena le nasconde l’attaccatura delle cosce. Ha il viso tra le mani e sta piangendo come non l’avevo mai vista. Nemmeno quando ha pianto per suo padre suonava così disperata.

Sapere che sarebbe successo, non rende la cosa più facile da affrontare.

Non avrei mai immaginato che ferirla mi avrebbe fatto sentire così meschino.

Che stupido a pensare di poter far spuntare sul suo viso il sorriso. Non lo sapevo fin dal principio che, l’unica cosa che sono capace di fare, è distruggere tutto ciò che mi circonda?

“Mi dispiace!”

L’unica cosa che posso fare è scusarmi, non solo per il male che le sto facendo, ma soprattutto per non essere riuscito ad evitarglielo.

Conosco benissimo i suoi sentimenti. Come potrebbe essere diversamente, quando non riesce e non vuole nasconderli?

Il suo sguardo, i suoi occhi quando mi guarda, parlano a chiare lettere di un sentimento spaventoso con la A maiuscola.

La cosa terribile, è che mi sono crogiolato all’interno di quel sentimento, godendone appieno, assorbendolo come se mi desse nuova linfa vitale.

Provo qualcosa per lei? Sicuramente si, altrimenti non mi sentirei così legato e in colpa, ma non so cosa sia. È qualcosa che non ho mai sperimentato e che non riesco in nessun modo ad identificare.

È un mix di emozioni e sensazioni che si intrecciano e mi confondono. C’è il desiderio di proteggerla, soprattutto da me, ma anche quello di tenerla vicina. Vorrei vederla più spesso, passare più tempo con lei, ma quando ciò succede, mi sento inferiore, assolutamente non in grado di renderle giustizia come merita.

È tutto così contorto che non so davvero che cosa sento. L’unica cosa che so, è che quando se ne andrà lascerà, un vuoto immenso.

La sua voce, quando mi chiede spiegazioni, è debole, ferita, e mi toglie il coraggio di guardarla.

Vorrei che capisse, ma non posso chiederglielo, pretenderlo. Non posso essere così egoista. Finora lo sono già stato abbastanza.

Improvvisamente me la trovo davanti. Prima che possa tirarmi indietro, mi tocca, paralizzandomi.

I suoi occhi sono rossi e gonfi, addolorati, ma più belli di quanto non siano mai stati. Il rossore li fa sembrare ancora più grandi e viola del normale.

“Non intendevo quello. Il tuo desiderio lo capisco.”

La sua voce si incrina e le vedo prendere un profondo respiro, come a trovare la forza di dire qualcosa.

Le sue parole mi spiazzano completamente.

“Perché, per colpire lui, devi mortificare te stesso?”

Il mio cuore salta un battito mentre non posso distogliere il mio sguardo dal suo. Sembra così determinata, così forte, che mi chiedo chi sia realmente.

È davvero un essere umano? Oppure è una sorta di creatura mistica?  

Come fa a guardarmi negli occhi, a toccarmi, nonostante tutto?  Come fa a preoccuparsi per me, quando la persona che ne risulta maggiormente ferita è lei?

“Di che cosa parli?”

Sento le sue mani sul mio viso tremare leggermente e così capisco che non è calma e tranquilla come sta cercando di ostentare. I sentimenti feriti sono ancora lì, oscurati dalla sua preoccupazione per me.

Perché lo fa?

“Di te come persona. Far girare quella fotografia per umiliare tuo padre, per ridicolizzarlo davanti alla gente, non farà altro che danneggiare te.”

Sul suo viso si dipinge una strana espressione, un mix di rabbia e dolcezza.

“ Quello che da questa storia rimarrebbe maggiormente colpito, sei tu.”

Sono senza parole. Non capisco. Di che cosa parla? Come posso rimanere danneggiato da una cosa del genere? Quello con una moglie infedele è lui, non io. Quello che sta per perdere ogni singola cosa a cui tiene, è lui.

È vero, io potrei perdere Chelsea, anche se per come stanno le cose, non l’ho mai avuta realmente. Non puoi dire che qualcosa ti “appartiene” se non te lo sei in qualche modo guadagnato. Prima che entrasse prepotentemente nella mia vita ero solo e, probabilmente, tornerò ad esserlo, quindi non riesco davvero a capire.

Come può ciò nuocermi diversamente?

“Non è vero. È lui quello che ci rimetterà.”

Lei scuote la testa, l’espressione determinata.

“Forse, ma tu non sei uno strumento, Adrian. Sei una persona con dei sentimenti e meriti più di quello.”

Indica con fervore lo schermo del pc, l’immagine che spicca nitida e beffarda.

“Veder sbattere quella fotografia sui rotocalchi non umilierà solo tuo padre per avere una moglie infedele, ma danneggerà te come persona. Tu che sei così riservato, come puoi credere che questo non avrà un impatto decisivo anche sulla tua vita? Camminerai per la strada sapendo che ciascuna delle persone che incontri potrebbe aver visto quella fotografia. Non ti rendi conto di quanto tutto ciò sia mortificante per la tua persona?”

Sembra così seria, così razionale, che inizio a chiedermi se realmente ci ho pensato bene.

Eppure non ho il tempo di riflettere, perché Chelsea è partita in quarta, infervorandosi.

“Inoltre, che ne sarà della tua credibilità? Quando ti approprierai delle aziende di tuo padre e tuo nonno, che ne sarà delle persone innocenti che ci lavorano?  Loro non hanno nessuna colpa per quello che ti è successo. So che  non avresti mai mirato alle società senza tenere in conto i dipendenti, ma se ti umilii a quel modo, chi ti darà fiducia? Chi si affiderà a te?”

Le sue parole stavolta sono come un pugno nello stomaco.

È vero. Tutte quelle persone, le loro famiglie, quando avrò estromesso mio padre e mio nonno, dipenderanno da me.

Eppure, allo stesso tempo, non sono disposto ad abbandonare i miei propositi

“Ma cosa altro posso fare? Non sarà mai sufficiente. Portargli via la sua azienda, vanificare i suoi sogni di potere… Niente di tutto ciò sarà mai abbastanza per distruggerlo.”

I suoi occhi si inteneriscono. È di fronte a me, inginocchiata sul divano, dritta e fiera, colma di determinazione.

“Adrian, è abbastanza. Non ti sto dicendo di non vendicarti. Per quanto non approvi e non riesca a comprendere davvero, sento che è qualcosa di cui hai bisogno, ma non lo fare a quel modo. Non abbassarti a tanto. Forse loro lo meritano, ma tu no di certo.”

Prende una pausa, gli occhi nuovamente lucidi, ma stavolta non c’è dolore nelle loro profondità, solo una grande determinazione e tanto amore.

Per me? Non lo merito.

Coma fa ad essere così?  A pensare a me, quando è lei quella che sta soffrendo?

Sbatterle in faccia quella fotografia, è stato crudele, e a chiunque altro sarebbe bastato per alzare i tacchi.

Quindi perché  è ancora qui? Perché cerca di farmi ragionare, dandomi così tanta importanza? Perché mi da così tanta fiducia quando, quella che mi aveva dato, l’ho tradita senza pensarci due volte?

“Sei meglio di così.”

No, non è vero. È esattamente ciò che merito.

Scuoto la testa, incapace di dare voce ai miei pensieri. Non posso dirlo, sarebbe come ammetterlo con me stesso, riaprire quella ferita.

“Perché vuoi punirti?”

La sua domanda fa traboccare il vaso, ormai colmo.

La rabbia si scatena, esce prorompente e si abbatte su di lei.

Allontano bruscamente le sue mani, tanto da farla cadere all’indietro e le sono sopra, la rabbia che fa andare il cuore a mille. Stringo i denti così forte che quasi mi fa male la mandibola.

Ho i suoi polsi sotto le mie mani, è completamente in mio potere, sdraiata sul divano, senza via di fuga. Eppure, nonostante il barlume di paura che posso intravedere nel suo sguardo, lei non cerca di scappare, di divincolarsi.

Rimane semplicemente immobile, ad osservare il peggio di me stesso.

“Perché se avessi fatto qualcosa, una cosa qualsiasi, lei non si sarebbe mai suicidata. Se quando la sentivo piangere e pregare mio padre di non picchiarla, fossi intervenuto, lei non avrebbe mai scelto di morire. Era così disperata da preferire la morte. Era mio dovere difenderla, invece per paura, come un codardo, mi rintanavo nella mia camera, dove arrivavano le sue urla disperate. Merito quanto loro una punizione. Avrei dovuto fare qualcosa.”

La mia voce tuona nel salotto, rimbombando tra le pareti.

La realtà che celavo così profondamente nascosta dentro di me, continua a risuonare alle mie orecchie come un eco, anche se ormai la voce si è spenta.

Dio quanto mi odio per quello che è successo.

Per anni ho combattuto contro il rimorso, il senso di colpa, unendolo alla rabbia per il suo abbandono, incapace di accettare che è stata anche colpa mia se lei ha preferito andarsene.

I suoi occhi alle volte mi supplicavano di aiutarla, ma io non ho mai fatto nulla, giustificando la mia codardia dicendo che era colpa sua, che se lo era meritato: che quel destino se lo era scelta da sola.

Ma se anche fosse stato così, avrei dovuto fare qualcosa, invece che rimanere semplicemente fermo a guardare.

Che gran codardo che sono sempre stato. In grado di prendersela con chi è più debole, ma che al primo accenno di confronto si arrende.

Come è successo con lei, con Chelsea, che nonostante tutto è più forte di quanto io non sarò mai.

Non appena mi ha sfidato, io mi sono subito arreso, perché in realtà non sono ne forte ne altro. Solo un vigliacco che si nasconde dietro le apparenze.

“Adrian!”

La sua voce mi riporta alla realtà, facendomi sbattere le palpebre.

I suoi occhi sono gonfi di lacrime e mi affretto a lasciarla andare, a tirarmi indietro.

Che cosa ho fatto? Sono davvero un mostro. Me la sono presa con lei,che non ha fatto altro che supportarmi, credere in me.

Sono davvero una persona orribile.

Metto più distanza possibile tra di noi, alzandomi dal divano ed andando alla finestra.

Deve starmi lontana. Rischio di farle ancora più male. Non voglio perdere il controllo, ma è davvero difficile non essere sommerso da tutte queste emozioni.

Non sono in grado di gestirle o affrontarle.

Ho bisogno di rimanere da solo, di annegare queste cose nell’alcool e nella lussuria.

Alle mie spalle la sento muoversi, ma cerco di ignorarla. Non voglio sentirla allontanarsi è già brutto così.

Sapere di aver superato anche con lei quella linea invisibile che separa l’uomo dalla bestia è qualcosa che mi tormenterà per molto, moltissimo, tempo.

“Va bene così. Non devi più combattere da solo.”

La usa voce è accompagnata dalle sue braccia che  mi avvolgono la vita e si stringono all’altezza dello stomaco.

Sento il suo corpo appoggiarsi contro la mia schiena, aderendo alla perfezione.

Il mio corpo si irrigidisce in automatico, ma non in senso sessuale. Sono completamente in confusione.

Che cosa succede ora?

Abbasso lo sguardo sulle sue mani giunte, che si aggrappano l’una alla’altra quasi con disperazione. Sui polsi, posso vedere il leggero arrossamento causato dalla mia stretta.

“Non posso dirti cosa fare, ma ti supplico, fai pace con te stesso, perché non avresti potuto fare nulla. Nessun bambino o ragazzo può cambiare le decisioni degli adulti se loro per primi non lo desiderano. Tu non hai colpa di niente. Ti prego, basta. Non farti più del male!”

Le sue parole sono una preghiera. Qualcosa di così profondo da non lasciare spiragli o dubbi.

Nonostante tutto, i miei gesti, le mie parole, lei non ha intenzione di andarsene

È una consapevolezza, una certezza, che mi scivola addosso come qualcosa di assolutamente benefico e neutralizza la valanga di emozioni dolorose e contrastanti che mi hanno spinto a perdere il controllo.

Non sto accettando le sue parole, non sto improvvisamente cambiando idea o perdonando me stesso.

No, niente di tutto ciò.

È solo che pensavo, ero sicuro, non ci fosse più speranza. Anche mentre mi diceva di non umiliare la mia persona, ero convinto che se ne sarebbe andata, che appena fosse riuscita a convincermi dell’autenticità e della razionalità delle sue parole, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Mentre ora, con le sue braccia serrate così forte da non lasciarmi quasi respirare, posso sentire la sua determinazione, la sua totale accettazione.

Lei  vuole restare, perdonare, guarire.

Vuole darmi tutto ciò che non ho mai avuto.

È così ovvio, così lampante, che mi chiedo come ho fatto a non capirlo prima. Ce lo avevo davanti agli occhi.

“Se mi fermo ora, per cosa avrò sprecato tanti anni della mia vita?”

Lei mi stringe ancora più forte, come per assicurarsi che non riesca a sciogliere la sua presa.

“Tutto quello che hai fatto, lo hai fatto per te stesso. Puoi costruirti un futuro. Puoi scegliere di vendicarti, di distruggere tutto quello che c’è di buono in te, oppure cambiare strada e migliorarti. Puoi fare tutto quello che vuoi, Adrian. Essere chiunque tu desideri. Io non vado da nessuna parte.”

Le sue parole sono un balsamo che segnano definitivamente la mia sconfitta.

Chino la testa, con gli occhi che bruciano penosamente.

Sento la rassegnazione alleggerire il peso che mi si era piazzato sul petto e automaticamente porto una mano sulle sue.

Fuori piove a dirotto. Parlando, non mi ero accorto che il cielo si fosse rannuvolato, ma è stranamente il linea con la bufera che si è scatenata in questo appartamento e, alla fine di tutto, ha vinto lei.

Come al solito.

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Capitolo 42
*** 42 Chelsea ***


42 Chelsea

 

 

“Per me è tutto scemo.”

Sento salirmi alle labbra un sorriso comprensivo. Anche io credo che un po’ lo sia, ma non per quello che crede lei.

Ho raccontato a Meredith quello che è successo ieri da Adrian.

È stato più semplice del previsto aggiornarla su quanto accaduto e mi ha permesso di buttare fuori anche quel po’ di risentimento che era andato formandosi mentre cercavo di farlo ragionare.

L’ho stretto più che potevo, cercando disperatamente di fargli capire che, qualsiasi fosse stata la sua scelta, non gli avrei voltato le spalle. Sarebbe stato difficile, duro, addirittura umiliante, lo sapevo, ma l’idea di voltargli le spalle, dopo aver compreso cosa per tanti anni lo ha spinto a comportarsi in un certo modo, non mi ha nemmeno sfiorato la mente.

È assurdo che possa ritenersi responsabile della morte di sua madre.

Assurdo e anche molto arrogante da parte sue.

Un ragazzo non ha tutto quel potere ed è ora che se lo metta bene in testa. Un figlio dovrebbe essere protetto dai genitori, non il contrario, soprattutto se i figlio sono giovani.

Ne sua madre, ne tanto meno suo padre, hanno svolto il loro dovere, limitandosi ad arrecargli ferite, che nel tempo sono andate accumulandosi.

Il desiderio di lenire la sua pena è stata più forte di qualsiasi altra cosa. Il mio cuore ha allontanato la rabbia e il dolore perché la ferita di Adrian era così grande che al confronto, ciò che stavo provando io, era un inezia.

In quello strano abbraccio, al riparo dalla pioggia che scrosciava fuori dalle finestre, un po’ della rabbia che lo stava consumando si è dissipata.

Per un po’, ci siamo limitati a stare così, a osservare il temporale che assomigliava così tanto alla tempesta che si era appena conclusa.

Quando mi ha afferrato una mano, sapevo che non era per allontanarmi, ma per rassicurarmi.

Per il momento, non avrebbe fatto nulla, si sarebbe limitato a pensarci.

Devo aver interpretato bene il messaggio, perché non appena ci siamo allontanati, lui è andato al pc e lo ha chiuso.

“Ora non voglio pensarci.”

I suoi occhi trasmettevano una tale sicurezza, che mi sono limitata ad annuire.

Abbiamo passato il resto del tempo assieme.

Non si è più allontanato dal mio fianco, privandomi completamente del mio spazio.

È stato come se non volesse darmi la possibilità di cambiare idea.

Mi cercava con lo sguardo, con una mano, giusto per assicurarsi che fossi ancora dove mi aveva lasciata e questo suo atteggiamento, a metà tra l’ossessivo e il possessivo, mi ha fatto tenerezza.

Se glielo avessi chiesto, sono sicura che mi avrebbe lasciata respirare, ma sapevo che sarebbe stato estremamente difficile per lui e, lo ammetto, anche per me.

Superare l’ostacolo ci ha avvicinati e ora lo sento molto più mio.

L’idea di scrivergli un messaggio non mi terrorizza più. So che non lo ignorerebbe o che non penserebbe che sono noiosa o asfissiante.

Prima avevo il terrore di contattarlo proprio per non essere invadente, ma ora è come se ne avessi tutti i diritti ed è davvero bello.

Come io sono sua, lui è mio, me lo ha dimostrato in tutti i modi possibili e, sebbene non a parole, so che lo stesso sentimento che anima me, lo sta provando anche lui.

Non può essere diversamente.

Se non per amore, chi rinuncerebbe ai progetti di una vita?

Non voglio che si penta di non essere andato fino in fondo, ma non voglio nemmeno che si colpevolizzi per averlo fatto.

Qualsiasi scelta faccia, non sarà indolore, e io sarò lì per sopportarla con lui.

Sono rientrata a casa che  Jillian era già uscita e sono andata direttamente nella mia stanza per studiare un po’. Anche se sto pensando di cambiare indirizzo di studio, non voglio rimanere indietro in quello che sto facendo al momento e, tra i miei problemi familiari e Adrian, sono rimasta parecchio indietro.

Stamattina mi ha chiamato Meredith, dicendomi che sarebbe passata a prendermi perché finalmente Logan ha finito di sistemarmi la macchina.

Quindi è per questo che ora sono seduta al tavolo da pranzo della loro cucina. Sono circa le tre del pomeriggio e stasera lavoro.

La casa è una via di mezzo tra il rustico e il moderno e ha davvero carattere. Mi piacciono soprattutto il contrasto tra il pavimento in parquet e le travi portanti di metallo, così come le grandi finestre, che mi ricordano molto gli appartamenti di Brooklin che si vedono nei vecchi film degli anni novanta.

“Lascialo stare. Non è del tutto da biasimare. Gli piace pensare di essere cattivo, un buono a nulla, ma alla fine è uno su cui si può sempre contare. A modo suo, sa essere davvero gentile. È davvero eccezionale.”

Meredith scoppia a ridere, sedendosi sul bordo del tavolo con una tazza di caffè in mano. Indossa un paio di leggins scuri e una maglietta morbida color ciliegia che le arriva fino alle cosce. Le copre appena il sedere.

“Tutte queste cose a lui non le hai dette, vero?”

Scrollo le spalle, un po’  a disagio.

“Credo che scapperebbe a gambe levate se sapesse che ho una così alta opinione di lui. Non credo che accetterebbe le mie parole. Come ho detto, gli piace penare di essere orribile.”

Osservo la mia amica dai capelli rossi scuotere la sua chioma con vigore ed esasperazione.

“Ti ei innamorata di un uomo complicato.”

Sento il rossore imporporarmi le guance, obbligandomi a distogliere lo sguardo a causa dell’imbarazzo.

“Io…”

“Non ti preoccupare. Se non possiamo parlare di sentimenti e roba così tra di noi, con chi dovremmo farlo? I maschi non capiscono che queste cose ci tormentano, che sono fondamentali per noi, solo perché non li tormentiamo con i nostri drammi emotivi. Avere una donna con cui sfogarti ti assicura di non diventare noiosa e asfissiante, soprattutto se si è alle prime esperienze.”

La osservo e ha lo sguardo puntato in lontananza.

“Sai, avevo un amica a Glenwood Springs. Ora le nostre strade si sono divise e quasi non ci sentiamo più, ma se non fosse stato per la sua presenza, tutte le cose che mi tormentavano, non avrebbero avuto senso o sbocco. Quindi parla con me se qualcosa ti angustia, confidati senza sentirti in imbarazzo. Dubito che potresti dirmi qualcosa in grado di scandalizzarmi.”

Non mi guarda, ma posso percepire la sua sincerità e la tentazione è così forte, irresistibile.

“Non voglio che diffonda quelle foto.”

La verità esce dalla mia bocca con prepotenza e facendo nascere sul suo viso un sorriso comprensivo.

“Mi detesto, ma non posso fare a meno di sentirmi ferita all’idea che lui possa rendere pubblica una cosa del genere.”

Sento gli occhi pizzicare e faccio di tutto per trattenere le lacrime.

“Credimi, ne hai tutti i diritti.”

“Sono un’egoista.”

Meredith scoppia a ridere. La guardo, scandalizzata, mentre dentro mi sento ribollire.

Perché lo fa? Mi prende in giro?

“Tu non sei egoista, Chels. Non esiste al mondo persona più generosa di te. È normale che tu non voglia. Se mi trovassi nella tua stessa situazione, non mi sentirei diversamente. È qualcosa che nessuno potrebbe superare indenne. Vedere l’uomo che ami a letto con un'altra, è già di per se terribile, ma che la cosa sia di dominio pubblico è anche peggio. Ferisce profondamente e non saresti normale se approvassi una cosa del genere.”

“Però non è giusto. Ha le sue ragioni.”

Meredith scuote la testa, esasperata.

“Quando qualcosa ci ferisce, non ha tanta importanza la motivazione. È già tanto che tu abbia capito. Avresti semplicemente dovuto dirglielo.”

Stavolta sono io a scuotere la testa.

“Non potevo e non posso. Odio l’idea che per distruggere la sua famiglia debba umiliarsi più di quanto non detesti l’idea di vedere quella foto pubblicata sui giornali. Inoltre sono sicura che lo farebbe, che se gli dicessi di non farlo, lui non lo farebbe, ma a cosa servirebbe? Se decidesse di non mandare quella foto per me, ho paura che un giorno me lo rinfaccerebbe, che inizierebbe a provare rancore nei miei confronti e questa prospettiva mi terrorizza. No, va bene così. Anche se è difficile e potrebbe ritorcersi contro di me, deve essere lui a decidere. Sono convinta che prenderà la decisione giusta da solo.”

Meredith mi guarda, sconsolata.

“L’altruismo è un arma a doppio taglio, spero che non si ritorca contro di te.”

Lo spero anche io.

Rimaniamo a parlare ancora per una decina di minuti, dove lei mi aggiorna sulle ultime novità.

La prossima settimana è il compleanno di Ryan e sicuramente la signora Lynch verrà in città per festeggiare il suo primogenito.

L’unico problema è che ancora non hanno detto alla madre di avere un altro fratello e le cose si stanno complicando.

Me ne vado fin troppo presto. Era da parecchio che io e Meredith non passavamo del tempo assieme in tranquillità. Con tutto quello che è successo, se mi guardo indietro, mi sembra di essere stata sulle montagne russe.

Non ho nessuna voglia di andare a lavoro. Cucinare insieme a Jillian ho paura non sarà piacevole. Sono sicura che mi dirà qualcosa dato che non sono rientrata a dormire e non ho nessuna voglia di dare giustificazioni.

Per quanto possa volerle bene, la necessità di abitare per conto mio sta diventando sempre più impellente.

Siamo passate da zero a cento in un battito di ciglia e non credo proprio che mi abituerò ad essere di nuovo sotto il controllo di qualcuno.

È bello riavere la mia macchina, essere di nuovo indipendente e non dover chiedere a qualcuno di scarrozzarmi da una parte all’altra della città.

Parcheggio nel piazzale di fronte al Blue Moon ed esalo il respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto.

Non ne ho nessuna voglia. Sarebbe così facile e bello rimettere in modo, fare marcia indietro e andare da Adrian.  Il desiderio di passare del tempo con lui, semplicemente vicini, senza dire una parola, è estremamente allettante.

Il bussare al finestrino mi fa sobbalzare, facendomi salire il cuore in gola.

Mi calmo immediatamente quando vedo chi c’è dall’altra parte, ma non riesco a fermare le ginocchia, che a causa della scarica di adrenalina stanno tremando violentemente.

Apro  lo sportello e rivolgo un timido sorriso alla ragazza, i cui occhi scuri mi fissano gelidi.

“Dio, Susan. Mi hai spaventata.”

Afferro la borsa e scendo dalla macchina, assicurandomi di averla chiusa bene.

“Non essere melodrammatica.”

“Come mai sei qui fuori? È buio ed è pericoloso.”

Lei mi rivolge un’occhiataccia, scuotendo i ricci capelli stretti in una coda di cavalo.

“Non sono affari tuoi.”

Si incammina verso il retro del locale e la seguo.

Che scorbutica. Poteva benissimo dirmi che stava buttando l’immondezza, senza fare tante sceneggiate.

“Non riesco a capire cosa ti ho fatto di male.”

Lei si ferma e prima di accorgermene l’ho superata. Mi giro per guardarla e l’espressione del suo viso è feroce.

Si muove velocemente, tanto che non capisco che cosa stia succedendo fino a quando non sento il mondo capovolgersi e la testa sbattere contro qualcosa di duro.

Per un istante non capisco più nulla. Ho la vista annebbiata, la schiena che mi fa male, la testa che sembra sul punto di spezzarsi.

Lentamente riesco a mettere a fuoco quello che mi circonda. Sono sdraiata scompostamente sull’asfalto, adagiata contro il muro dell’edificio accanto.

Susan incombe su di me, il volto una maschera di odio.

“Che cosa..?”

“STAI ZITTA!”

Urla così forte che la sua voce rimbomba nella mia testa. Mi porto una mano dietro la nuca, dove sento un forte pulsare e sento qualcosa di caldo bagnarmi le dita.

So cos’è, ma non ho tempo di assicurarmene, perché la giovane si inchina di fronte a me e mi afferra il viso con violenza per obbligarmi a guardarla.

Non avevo mai visto prima tanto odio e tanta cattiveria. È come se mi trovassi di fronte al demonio in persona.

“Tutti a parlare di te, la dolce e carina Chelsea. Poverina, chissà quanto ha sofferto. Siamo davvero fortunati ad averla con noi.

Imita ironicamente chi ha detto quelle frasi, sputando fuori le parole con disprezzo e disgusto.

“Chelsea di qua, Chelsea di la. Non si fa altro che elogiarti, ma io so bene che tipo di persona sei. Che accidenti hai tu che io non ho? Perché tutti ti tengono in gran considerazione, quando non sei altro che una poveraccia che per avere un lavoro sfrutta l’aiuto dei genitori?”

Probabilmente sul mio viso si dipinge la sorpresa, perché la mia assalitrice scoppia in una risata fredda.

“Pensavi che non lo sapesse nessuno? Sono stati bravi a mantenere il segreto, ma era ovvio. Bastava guardarvi assieme per capire che tu e la cara Jillian non siete solo colleghe.”

Si perde un momento nei suoi pensieri e il silenzio ingombrante acuisce il dolore alla mia testa. Non c’è spazio per nient’altro se non per il dolore.

Non riesco nemmeno a provare paura, anche se so che dovrei essere spaventata a morte.

Sono ferita e inerme di fronte alla forza del suo odio.

Questa ragazza, non ha nulla da perdere.

Mi stringe con più forza il mento, facendomi sentire sulla pelle le unghie.

“Quindi perché, anche se sei così patetica, lui ti tratta così gentilmente? COS’HAI TU CHE IO NON HO?”

La collera lascia il posto alla tristezza, mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime, come  se stesse soffrendo.

“Perché Adrian non si è innamorato di me?”

Eccomi con il nuovo capitolo. Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma ero bloccata e mi mancava un collegamento per poter inserire questa parte nel modo opportuno. Ringrazio quindi Silvia che mi ha aiutata a vedere quello che non riuscivo ad identificare. Cosa ne pensate di questo capitolo? Spero che sia valsa la pena aspettare.

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Capitolo 43
*** 43 Adrian ***


43 Adrian

 

 

Non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione del genere.

L’agitazione, l’ansia, ormai mi stanno dominando e non sono sicuro di voler fuggire a questi sentimenti.

Se prima non ero certo di cosa provavo, ora non posso fare a meno di pensarci.

È difficile passare dall’indifferenza totale ad una tempesta emozionale di queste dimensioni, ma la preoccupazione è troppa per soffermarmi a pensare che, a quanto pare, Chelsea aveva perfettamente ragione su di me.

Guardo con odio il semaforo rosso, con il piede che muore dalla voglia di premere l’acceleratore per accorciare la distanza che mi separa dalla mia destinazione.

Non hanno saputo dirmi nulla. So solo che Chelsea è in ospedale e la cosa mi terrorizza.

Che diamine è successo? Avrebbe dovuto essere  a lavoro, in un posto dove nessuno le avrebbe fatto del male, non su una fredda barella, chissà in che condizioni.

Ha avuto un incidente d’auto? È caduta dalle scale? Non ne ho idea. Non riesco a pensare ad un buon motivo per cui lei possa trovarsi li.

Questo pomeriggio mi ha mandato un messaggio dove diceva che sarebbe andata a trovare Meredith e a ritirare la macchina riparata da Logan.

Da allora non l’ho più sentita e non so cosa pensare.

Non voglio pensare che le sia accaduto qualcosa di grave. Il pensiero che non potrò più vedere il suo sorriso o i suoi occhi violetti mi ha sfiorato solo una volta, sconvolgendomi.

Mi sono rifiutato di pensarci ancora, perché l’idea è insostenibile. Non posso perdere ancora una volta qualcuno a cui tengo. Questa vita, nonostante il dolore che ho arrecato e gli sbagli che ho fatto, non può essere così crudele e scorretta, perché Chelsea non merita qualcosa del genere.

Voglio credere che il Dio in cui lei crede così tanto non le farà del male, anzi, la proteggerà.

Finalmente il maledetto semaforo diventa verde e la macchina schizza in avanti con un sobbalzo.

Non mi trovavo lontano, anzi, ero relativamente vicino al Denver Healt, l’ospedale dove hanno portato Chelsea. Ero appena arrivato a casa di mio padre a Circle Drive quando Meredith mi ha chiamato.

“Chelsea è in ospedale, al Denver Healt. Muovi il culo.”

Molto sintetica ed efficiente, ma anche in quelle poche parole, ho potuto sentire la sua preoccupazione.

Ho rimesso in moto la macchina e fatto dietrofront. Se non avessi trovato tutti i semafori rossi, sarei già arrivato da un pezzo.

La preoccupazione mi sta stringendo lo stomaco in una morsa dolorosa. Ho bisogno di vederla, assicurarmi che stia bene, solo allora potrò affrontare la tempesta che la paura di perderla ha scatenato.

Svolto l’angolo e la facciata bianca dell’ospedale scatena il sollievo. Illuminata da dei faretti, la scritta Denver Healt si legge a malapena, mentre l’effige posta sopra, che raffigura un uomo, una donna e un bambino stilizzati sono praticamente indistinguibili.

Parcheggio la macchina il più vicino passibile all’ingresso del pronto soccorso e mi fiondo dentro.

Alla reception c’è un infermiera di circa quarant’anni, che non si stupisce affatto della mia espressione preoccupata.

“Posso esserle d’aiuto?”

Avrei voluto parlare in modo concitato, sparare mille domande e avere immediatamente risposta, ma il suo tono pacato mi calma immediatamente. Sicuramente è un metodo collaudato.

“Sto cercando Chelsea Lauren. Mi hanno detto che è stata portata qui.”

“Aspetti che controllo.”

Digita rapidamente qualcosa sulla tastiera del computer e poi fa scorrere la rotellina del mouse, osservando con attenzione il monitor.

“L’hanno portata al quarto piano. Parli con il dottor Murphy.”

La ringrazio e mi fiondo verso gli ascensori sulla sinistra.

Per la prima volta, sono grato a mio padre per avermi trascinato con lui ogni qual volta doveva fare visita ad un uomo d’affari ricoverato, altrimenti non sarei riuscito a muovermi così facilmente.

Le porte scorrevoli si chiudono non appena premo il numero 4. La mia faccia, nello specchio, è bianca e le occhiaie enfatizzano la mia preoccupazione.

Con i capelli spettinati, a causa delle troppe volte in cui vi ho passato la mano, e l’aspetto di un cadavere appena rianimato, son uno straccio, ma non m’importa di apparire perfetto, non in questo momento.

L’ascensore sembra metterci una vita per salire al piano giusto e quando finalmente esco nel corridoio semi deserto, mi tremano le gambe e ho una lieve nausea da movimento.

Il bancone bianco dove chiedere le informazioni è praticamente di fronte alle porte e sulla sedia, a consultare delle cartelle, c’è una ragazza di circa venticinque anni, con i lineamenti delicati, i capelli rossi e gli occhi chiari.

Per fortuna non è una di quelle sempre pronte a provarci, perché con fare professionale mi chiede come può essermi utile.

“Sto cercando il dottor Murphy. Al pronto soccorso mi hanno detto di parlare con lui per quanto riguarda una vostra paziente appena ricoverata.”

“Lo chiamo subito. Mi dica il nome della paziente e vediamo se posso in qualche modo rassicurarla.”

Apprezzo la disponibilità, ma il cuore batte così forte e l’ansia è così tanta che spero non ci metta molto il medico a raggiungermi. Non credo riuscirò a comportarmi bene ancora a lungo.

La ragazza cerca tra le cartelle quella giusta subito dopo aver premuto un pulsante su una specie di console.

“Allora, vediamo un po’. Chelsea Lauren, Chelsea Lauren… Eccola qui.”

Consulta rapidamente la cartella mentre non sto più nella pelle.

“L’abbiamo ricoverata nella stanza 432. Le sono stati somministrati liquidi per endovena e una dose di morfina per alleviare un po’ il dolore. Sulla cartella non c’è scritto altro per il momento, mi dispiace. Dovrà attendere il medico.”

“Posso vederla”

Lei scuote la testa, l’espressione mesta.

“Mi dispiace, se non è il dottor Murphy a dare il via libera, io non posso farla entrare. So che è difficile aspettare, ma gli lasci fare il suo lavoro. La sua ragazza è in ottime mani.”

Mi stupisce che l’infermiera abbia capito così tanto solo dopo aver scambiato poche parole, ma non dovrebbe essere così. Dopotutto, sicuramente questa giovane ne ha visti parecchie di persone preoccupate ed è ormai in grado di capire che genere di persona ha davanti.

Mi sforzo di sedermi su una delle sedie, ma prima ancora di rendermene conto, sono di nuovo in piedi, camminando avanti e indietro vicino agli ascensori.

Scruto con attenzione ogni medico che si avvicina alla reception, sperando che sia quello che sto aspettando, ma tutti si allontanano dopo un breve scambio di parole e aver preso una cartella dal mucchio.

“Mi scusi, è qui per la signorina Lauren?”

Mi volto di scatto, trovandomi di fronte un uomo sulla cinquantina con i capelli striati di bianco e  gli occhi scuri nascosti da un paio di occhiali rettangolari.

“Sì, sono Adrian. Come sta?”

Si avvia lungo il corridoio, facendomi segno di seguirlo.

“Le condizioni della paziente sono abbastanza buone. Le abbiamo fatto un primo esame completo e ha una leve commozione cerebrale, quindi è un po’ affaticata, ma cosciente. Ha un paio di costole incrinate e un polso slogato. A parte alcune escoriazioni di minore entità, le sue condizioni generali sono abbastanza buone.”

“Ma che cosa è successo? Nessuno ha saputo dirmi nulla.”

“Non conosco i dettagli, ma dalle lesioni, posso supporre che sia stata picchiata da qualcuno. Ha opposto resistenza, quindi è per questo che sta fisicamente abbastanza bene.”

Si ferma davanti ad una porta, l’espressione tranquilla.

“La terremo in osservazione per un paio di giorni, in modo da permettere alle costole di iniziare a guarire senza farle provare troppo dolore.”

Punto lo sguardo sul numero della stanza, osservandola come se dovesse modificarsi da un momento all’altro.

“Tenetela tutto il tempo che sarà necessario. Mi occuperò io della fattura.”

“Ne parli alla reception. Vi lascio soli. Rimanga pure quanto vuole, ma non la faccia affaticare.”

Il medico si allontana con passi leggeri, lasciandomi finalmente da solo.

Improvvisamente ho paura di entrare. Non so cosa aspettarmi.

Prima di perdere il coraggio, abbasso la maniglia ed entro il più silenziosamente possibile.

Chelsea è sdraiata nel letto in fondo, quello vicino alla finestra che da sulle luci della città. Posso vedere solo la sua nuca fasciata, dato che il resto del corpo è nascosto da un lenzuolo candido.

Forse mi ha sentito, perché volta lentamente la testa, lasciandomi senza fiato.

“Cristo Santo.”

Le parole mi escono dalla bocca quasi come una maledizione.

Se per il medico le sue condizioni sono buone, non oso immaginare come siano i pazienti mal messi.

Il viso di Chelsea è pieno di graffi e lividi.

Ho un taglio sopra il sopracciglio, un livido sulla mascella, il labbro inferiore lacerato e un brutto segno sulla guancia.

“Sono tanto brutta?”

La sua voce fiacca mi fa riprendere dallo shock. Come possono averle fatto del male?

“No. Sei sempre bellissima.”

Lei sorride appena, muovendosi lentamente per raddrizzarsi.

“Bugiardo. Mi sono vista allo specchio. Faccio paura.”

Mi avvicino al letto e prendo la sedia più vicina per accomodarmi al suo fianco.

“Non sto mentendo. Il fatto che tu sia ferita non ti rende meno incantevole ai miei occhi.”

Stento a riconoscermi, ma vederla sveglia, sebbene dolorante, allevia la mia preoccupazione.

Finalmente il cuore può smettere di battere come se stessi correndo, perché lei starà bene. Non è successo nulla di irreparabile.

Le scappa un sorriso, mentre si contrae con una smorfia di dolore sul viso.

“Ti prego non farmi ridere. La morfina non è miracolosa come dicono.”

Le stringo gentilmente una mano, quella fasciata fino al polso e la guardo attentamente.

“Scusami. Ero solo preoccupato.”

“Come lo hai saputo?”

“Mi ha chiamato Meredith. Non mi ha detto altro, quindi ero davvero preoccupato. Che cosa è successo?”

Lei guarda di nuovo fuori dalla finestra e rimane in silenzio.

“Chelsea?”

“Non voglio parlarne Adrian. Anzi. Preferirei che te ne andassi!”

Rimango senza parole.

Che cosa ha detto?

“Come?”

Lei non mi guarda e addirittura allontana la sua mano dalla mia presa.

“Per favore, Adrian. Se vuoi che mantenga la mia promessa. Lasciami sola. Ho bisogno di metabolizzare.”

Vorrei protestare ma una mano sulla mia spalla mi obbliga a tacere.

Al mio fianco c’è Meredith, con un espressione avvilita in volto. Scuote la testa, invitandomi con un cenno a seguirla.

Non vorrei andarmene. Vorrei capire che cosa sta succedendo e perché Chelsea mi sta allontanando, ma inizio a credere che quello che sia successo sia più grave di quanto sembri.

Il minimo che posso fare, è assecondarla. Il medico ha detto di non farla affaticare e tutto voglio, tranne che farla soffrire.

“D’accordo. Ma tornerò domani. Va bene?”

La vedo annuire e seguo Meredith fuori dalla stanza.

“Che cosa è successo?”

Lei sembra restia a parlare, ma so che cederà. Non molto tempo fa, lei stessa si è trovata in una situazione simile.

“Non si è ben capito il perché, ma Susan, una delle cameriere del Blue Moon, ha aggredito Chelsea non appena arrivata al locale. Sai, in quel vicolo con la telecamera. Owen mi ha detto che avrebbe dovuto essere fuori uso fino a domani, ma che i tecnici hanno ristabilito il collegamento stamattina, motivo per cui sono riusciti a vedere che cosa stava succedendo. Susan la stava picchiando, urlando inferocita qualcosa che ti riguardava. Non sono riusciti a capire di cosa si trattasse e ora se ne sta occupando la polizia.”

Mi rivolge un’occhiata di fuoco, mentre io non so cosa pensare. La mia testa si è completamente svuotata.

Quindi è colpa mia se Chelsea si trova in quelle condizioni?

“Senti. So che di stronzate ne hai combinate parecchie nella tua vita, ma non pensare che sia colpa tua. Non so di cosa si tratta e non sono nemmeno sicura di volerlo sapere, ma se quella è una pazza furiosa, tu non hai colpe. Quindi limitati a trovare un modo per sistemare la faccenda e poi torna qui. Anche se fa la dura, non ce la può fare da sola.”

Indica con un dito la stanza di Chelsea e so che, se non lo pensasse davvero, non mi permetterebbe mai di avvicinarmi alla sua amica.

Annuisco, incapace di dire altro.

Mentre lei rientra nella camera, io mi avvio verso la reception. Sistemerò intanto le questioni burocratiche, assicurando a Chelsea la miglior sistemazione possibile, dopo di che mi occuperò di scoprire che accidenti è successo.

 

 

***

 

 

Il rumore della porta di metallo di sicurezza che si chiude alle mie spalle è identico a quello che si sente nei film o nei telefilm polizieschi.

Non sono nemmeno le quattro del mattino, ma con una bella mazzetta, sono riuscito ad entrare alla stazione di polizia dove stanno trattenendo la pazza che ha aggredito Chelsea.

Ci sono volute quasi due ore per scoprire dove la stavano detenendo, ma alla fine sono riuscito nel mio intento. Il poliziotto che si occupa di far entrare i visitatori notturni, ha chiuso un occhio sul fatto che non sono stato chiamato dalla detenuta.

Cammino lentamente nel corridoio che divide le celle, fino ad arrivare a quelle in fondo, occupata solo da due donne.

Una di esse è sdraiata sulla panca di metallo, avvolta in una pelliccia dozzinale rosa shocking. L’altra, indossa un paio di jeans e il grembiule del Blue Moon.

Forse sente la mia presenza, perché spalanca gli occhi e il suo viso si illumina di gioia.

Non ricordo di averla mai vista. I suoi lineamenti sono delicati, gli occhi molto scuri, ma non grandi, le labbra sottili. Non è una gran bellezza e di sicuro non me ne ricordo.

“Sei venuto per me? Lo sapevo che saresti venuto per portarmi via.”

La sua voce è una cantilena intrisa di follia. Ha gli occhi lucidi e ho come l’impressione che stia vivendo una fantasia tutta sua, perché io davvero non so chi sia questa tizia.

Sento la rabbia montarmi dentro. Perché ha fatto una cosa del genere a Chelsea, che non ha mai fatto del male a nessuno?

“Chi sei?”

Il suo sguardo si offusca, come se stesse tornando alla realtà. Posso vedere la confusione, la ricerca di una spiegazione che possa comprendere.

Quando riesce a formulare un pensiero che per lei abbia senso, torna a sorridere.

Ha davvero qualcosa di inquietante.

“Oh, giusto. Non si deve sapere che ci conosciamo. Tu lo sai che l’ho fatto per te.”

Si avvicina alle sbarre e le afferra con forza, premendosi contro il freddo metallo come se volesse attraversalo per raggiungermi.

Non sono mai stato spaventato da una donna, ma questa credo sia realmente pazza e pericolosa per chiunque. Andrebbe internata.

“Lo sai anche tu che quella non è una donna adatta a te. Hai visto che aspetto miserevole? Non è come me. Io sono forte. Posso farti realmente felice.”

I suoi occhi sono colmi di aspettativa e non so come comportarmi. Voglio delle risposte, ma ho il sentore che se dovessi attaccarla, lei si chiuderebbe a riccio.

“Susan.”

Pronunciare il suo nome mi lascia una sensazione di sporco addosso, come se avessi calpestato gli escrementi di un cane e non fossi riuscito a ripulire per bene la scarpa.

“Non chiamarmi così.” La sua voce si affloscia e il suo sguardo diventa come quello di un animale bastonato.

“Come dovrei chiamarti allora?”

Il suo sorriso si allarga, compiaciuto.

“Sono passati così tanti anni e nemmeno allora pronunciavi il mio nome. Non me lo hai mai chiesto, in effetti, ma io so tutto di te, ti seguo da allora, aspettando il momento giusto per farmi vedere e ricordarti che sono davvero perfetta per te.”

Capisco poco e niente dei suoi vaneggi, ma inizio a pensare che mi dovrei ricordare di questa persona.

Si allontana dalle sbarre e fa una giravolta su se stessa con le braccia aperte.

“Sono così diversa senza quella casacca. Non mi stanno bene questi vestiti?”

Si avvicina di nuovo, allungando una mano verso di me. Ha un espressione scontenta, delusa.

“Coraggio Adrian, non vorrai farmi credere di esserti dimenticato di me. Dopotutto, mi hai privato del mio futuro, facendomi scoprire che fuori dalle mura del convento c’era molto altro da scoprire. E io l’ho fatto, proprio come mi hai insegnato tu. Ti prego, chiamami ancora Sorella.”

Non riaffiorano i dettagli, no, di quelli allora non mi importava e li ho cancellati, ma finalmente capisco chi ho davanti, chi è questa folle e non posso fare a meno di sentirmi responsabile di quello che le è successo, per il suo declino.

Ero stupido, immaturo, arrabbiato e ho fatto qualcosa che non avrei dovuto, ora lo so, ma nonostante ciò, nonostante capisca che la sua vita è cambiata per colpa mia, non sono stato io l’artefice della sua sorte.

Forse avrò anche dato il via, ma sono passati quasi sette anni da quando ho lasciato il collegio esclusivo in cui ho studiato per gli anni del Liceo e non sono responsabile di quello che questa donna ha fatto di sua spontanea volontà.

Non le ho mai fatto credere di essere innamorato di lei e quando me ne sono andato, le ho detto brutalmente che per me è stata solo un gioco, un passatempo.

“Mi dispiace di averti rovinato la vita, di aver giocato con te, ma quando ti dissi che eri solo un passatempo, ero serio. Ti ho usata, umiliata, e per questo mi scuso, ma non ho nessuna intenzione di colpevolizzarmi perché tu sei una pazza. Hai scelto da sola che cosa fare della tua vita, non dare a me la colpa dei tuoi errori, non usarmi come alibi per giustificare le tue azioni. Stai tranquilla che farò tutto ciò che è in mio potere per assicurarmi che tu riceva l’aiuto di cui hai bisogno e non ti possa più avvicinare alle persone a me care. È il minimo che possa fare, ma questa è la prima e l’ultima volta che parlerò con te.”

Detto ciò, seguito dalle urla e dal suo pianto isterico, me ne vado, sotto lo sguardo sbigottito e assonnato degli altri ospiti delle celle.

C’è solo una persona a cui devo chiedere scusa, da cui devo farmi perdonare e quella, al momento, si trova su un letto d’ospedale a causa del mio passato da incosciente.

Siamo quasi alla fine, ragazzi. Tenetevi forte.

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Capitolo 44
*** 44 Chelsea ***


44 Chelsea.

 

 

 

“Ti giuro che non lo capisco.”

Meredith è seduta sulla sedia accanto al mio letto, l’espressione pensierosa e anche un po’ furibonda. “Come ci riesci?”

Normalmente mi limiterei a sollevare le spalle, perché non sono certa della risposta da dare, ma da quando mi sono svegliata, tutta dolorante, ho capito che alcuni movimenti è meglio se non li faccio.

Jillian è venuta in ospedale subito dopo aver finito di lavorare. Sapeva che ero in buone mani e non poteva lasciare Owen nei casini, per quanto sono certa che lui le abbia detto di venire in ospedale e fregarsene del lavoro Ovviamente mia madre è una donna tutta d’un pezzo e non si avrebbe mai fatto una cosa del genere.

La sua integrità, in questo frangente, mi ha colpito molto, anche perché lei è stata una delle prime persone a soccorrermi quando Aaron e Owen si sono accorti di quanto stava accadendo. Il suo sguardo preoccupato è una delle poche cose che ricordo di quei momenti.

Non appena ho capito di essere al sicuro, protetta dalle persone che mi vogliono bene, l’adrenalina che fino a quel momento mi aveva permesso di tenere duro, è evaporata, facendomi perdere conoscenza.

Faceva troppo male.

Mi aspettavo, quando mi sono svegliata, di trovare qualcuno accanto, ma ero sola nella stanza e, visti i pensieri che mi hanno invaso la mente, è stato meglio così. Avevo bisogno di tempo.

Non riesco ad immaginare quanto sia stato difficile per mia madre aspettare notizie da altri, ma il pianto liberatorio che le ha scosso le spalle quando è entrata nella mia camera e mi ha vista sveglia, anche se con il viso pesto, è stato un indice piuttosto preciso della sua sofferenza e della preoccupazione che la stava logorando. Anche se l’infermiera carina che si è presa cura di me ha provato a mandarla via, senza molta convinzione, lei non ha voluto allontanarsi dal mio capezzale fino a quando non è stata certa che non stessi per scomparire da un momento all’altro. È andata via che erano quasi le cinque, ma solo un’ora dopo sono finalmente riuscita a prendere sonno. In quel momento stavo abbastanza bene, ma appena sveglia, il dolore è tornato ad aggredirmi, ricordandomi la brutta avventura che ho vissuto.

L’infermiera, stavolta una donna sulla cinquantina con i capelli neri come i suoi occhi, ha aggiunto molto presto un antidolorifico alla flebo, ma anche così, se mi muovo troppo, il dolore diventa insopportabile.

Il mio corpo è ridotto all’immobilità forzata.

“Se ti trovassi al mio posto, faresti lo stesso. Logan mi sembra tutto, meno che un santo, ma non mi sembra che tu lo abbia mai colpevolizzato per le sue scelte del passato.”

La carenza di sonno, unita al dolore, mi hanno resa più acida e intollerante, per nulla incline all’ottemperanza.

Meredith distoglie lo sguardo, consapevole della veridicità delle mie parole.

“Sì, ma il suo passato non ha l’aspetto di una donna vendicativa.”

Sento la coltre di malumore contro cui stavo combattendo poggiarsi su di me con forza, inarrestabile.

Cerco di rivolgere alla mia amica l’occhiata più scontrosa di cui sono capace, ma dal suo sorriso divertito è evidente che non ci sono riuscita e che la mia non è stata altro che una buffa smorfia.

Rimaniamo in silenzio alcuni secondi, dove mi limito a guardare quel poco di cielo azzurro che si intravede tra le nubi cariche di pioggia.

Adrian non è ancora tornato e non so se esserne felice o scontenta.

Quando gli ho chiesto di andarsene, è stato solo perché avevo bisogno di tempo: per pensare, per farmene una ragione, per metabolizzare.

Per capire e trovare un perché.

Ancora non riesco a credere a quello che mi ha detto Susan, ma conoscendo Adrian, sapendo che tipo di uomo è sempre stato, non riesco a pensare che siano tutte bugie, quindi accettare tutto ciò è ancora più difficile.

Dopotutto, quale donna riuscirebbe a perdonare al proprio uomo certe cose, anche se del suo passato?

Prima di essere accecata da un attacco di collera, Susan mi stava raccontando il suo passato, la sua bellissima e serenissima vita nel convento dove è stata cresciuta.

Abbandonata fuori dal cancello dello stesso, è stata cresciuta dalle suore nella religione, nell’amore e altruismo verso il prossimo, questo fino a quando, a diciannove anni, non ha conosciuto Adrian, che allora non ne aveva nemmeno diciotto.

Credevo che Susan avesse più o meno la mia età, non le avrei mai dato ventisei anni.

L’Adrian di cui mi ha parlato, io non l’ho mai conosciuto. Il ragazzo tenebroso, infuriato con il mondo, sempre pronto a trasgredire le regole, io non l’ho mai conosciuto, ma non faccio fatica ad immaginarmelo.

Non fatico affatto ad immaginare i suoi occhi tempestosi che lanciano lampi tutto attorno, sfidando chi lo circonda a fare qualcosa di cui pentirsi.

Un Adrian giovane, preda della rabbia e in creca di vendetta, che si è approfittato di una giovane ingenua, distruggendola.

Sapendo questo, la sua reticenza nei miei confronti, assume un nuovo significato, che invece che farmelo detestare, me lo fa apprezzare, perché mi fa capire che non è più quel genere di persona.

Il tempo lo ha cambiato e mi da coraggio pensare che forse, un po’ di quel cambiamento, è anche opera mia.

Ho trovato molte similitudini tra me e Susan, soprattutto nel modo in cui siamo state cresciute e di cosa ciò ha comportato per la nostra personalità. Questo fino a quando non è arrivata al punto dell’abbandono e la sua follia è cresciuta fino a diventare ingestibile.

I ricordi sono piuttosto confusi. È successo tutto troppo in fretta e il dolore, misto allo shock di quanto stava succedendo, hanno reso tutto decisamente inverosimile, come un brutto sogno.

Un momento prima mi stava dicendo che era stata cacciata dal convento e che aveva dovuto trovare il modo di sopravvivere e un istante dopo stava urlando, stingendomi il polso così forte da farmi male.

Mi ha strattonata e ho sentito l’articolazione tendersi e girarsi. Pensavo di non poter provare più dolore di così, ma se non mi fossi ribellata, se nella mia testa non fosse scattato qualcosa in grado di darmi la forza di reagire, non so se starei così “bene”.

Forse è stato scoprire ciò che ha fatto a darmi la forza, il coraggio di andare oltre il primo istinto di rannicchiarmi e subire.

Il guasto alla macchina non è stato un incidente, ma un sabotaggio. La sua intenzione era un’altra, ma la persona a cui ha chiesto di mettere fuori uso la mia macchina non se l’è sentita di andare fino in fondo. Poteva andarmi peggio.

Come se ciò non bastasse, è stata lei a devastare la mia camera al dormitorio. Ha distrutto tutti i vestiti che ho indossato quando ero in compagnia di Adrian. Io pensavo che fossero stati scelti a caso, ma lei sapeva tutto, ogni singola cosa accaduta tra me e Adrian nell’ultimo periodo.

Sapeva del bacio nello spogliatoio, di quello nel corridoio del dormitorio, che l’ha spinta ad agire e spaventarmi. È stata lei a scattare le foto quella notte. Era lì, fuori dal dormitorio, nascosta dalle siepi, che mi aspettava.

Se non ci fosse stato Adrian, non so cosa sarebbe successo, ma questo l’ha fatta infuriare ancora di più.

Voleva ferirmi, farmi del male, ma non ero mai sola, mai in una situazione dove potesse agire liberamente per intimidirmi, per riprendersi ciò che, nella sua mente distorta, era suo di diritto.

Non sapevo che la telecamera di sicurezza del vicolo fosse in manutenzione fino a quando non è stata Jillian a dirmelo, che dalla cucina non si è accorta di nulla.

Susan mi ha teso un agguato, aspettando di potermi avvicinare con una scusa banale e senza lasciarmi vie di fuga.

Sapeva che non mi sarei allarmata. Secondo lei, sono stupidamente ingenua e credulona, ma vedere del buono in chiunque non è qualcosa di cui vergognarsi, bensì qualcosa di cui essere orgogliosi.

Non mi importa che ciò sia accaduto anche a causa della mia buona fede, perché è un atteggiamento che mi ha permesso di scoprire nuove sfumature della vita.

È un atteggiamento che mi ha permesso di superare tutte le batoste che questi ultimi mesi mi hanno riservato.

È qualcosa di inestimabile che mi ha permesso di conoscere una persona speciale come Adrian, di cui mi sono innamorata e grazie al quale ho vissuto esperienze di cui non mi pento assolutamente, ma che conservo nel cuore come un inestimabile tesoro.

Però, nonostante ciò, tutte queste cose, le cattiverie, la premeditazione e la violenza, sono state difficili da digerire, da razionalizzare, perché il mio primo istinto è stato quello di non volerlo più vedere. Nonostante mi si spezzasse il cuore all’idea che non avrei più visto i suoi occhi dal colore indefinito, guardarmi come se fossi qualcosa di prezioso e da proteggere, non sono riuscita a perdonarlo istantaneamente, perché ciò che ha fatto a Susan è davvero orribile.

La cosa peggiore, è che per una parte della sua storia, io sono riuscita ad immedesimarmi nella giovane ragazzina ingenua che non conosceva niente del mondo, perché anche io sono stata così. Ho sentito sulla pelle il suo dolore, la sua storia, arrivando a vivere, anche se indirettamente, la sensazione di essere stata usata e poi lasciata come se non valessi nulla.

Susan ha rimestato il calderone delle mie emozioni in modo da colpirmi il cuore e rendermi impossibile odiarla.

Follia a parte, ciò che le è accaduto non è completamente colpa sua.

Questo non significa che la stia giustificando, perché certe azioni non hanno nulla in comune con la religione.

Io sono una credente Anglicana e certe cose sono un molto lontane da ciò in cui credo, esattamente come per una Cristiana, che per di più aveva intrapreso il noviziato per dedicare la vita al suo Dio.

Meredith ha detto che è la prima volta che mi vede avere una reazione normale, ma dopo averle raccontato tutto, ha ritrattato.

Secondo lei, non sono per niente normale.

Lei dice che al posto mio lo avrebbe mandato al diavolo, ma so che invece non lo avrebbe fatto.

Ha perdonato a Logan tutto quello che è successo mentre era privo di memoria. Mi ha detto di non aver voluto sapere se aveva fatto sesso con altre donne e credo lo abbia fatto solo per poterlo perdonare, per non perderlo.

Io e Meredith da quel punto di vista siamo così simili. Lei non si era mai innamorata, esattamente come non era successo a me.

Conosceva il sesso e le piaceva, mentre per me era un tabù, qualcosa di incomprensibile, ma è ovvio che quando si tratta di amore, non esistono differenze. Quando ami, quando sei fermamente convinto che ne valga la pena, faresti di tutto per la persona amata e, finora, non ho mai dubitato che Adrian meritasse il mio cuore.

Non è una persona facile da amare, non è qualcuno che si può avvicinare facilmente, ma la preoccupazione sul suo viso, quando mi ha vista su questo letto d’ospedale, mi hanno ripagata di tanti sforzi, facendomi trovare la forza e le energie per trovare il modo di perdonare il suo passato.

Non ero preparata a vederlo, lo ammetto. Era tutto ancora così fresco nella mia mente, che non credevo sarei riuscita a guardarlo negli occhi, ma quando ho visto la sua espressione, i suoi occhi preoccupati e l’aspetto di uno che ha ricevuto una bastonata in testa, con tanto di capelli scarmigliati, il mio povero cuore ha preso il comando e mi sono ritrovata a sorridere, cercando di sdrammatizzare la situazione.

Prima di quel momento, non mi aveva mai fatto dei complimenti, non aveva mai detto a voce alta quello che mi aveva dimostrato con le sue azioni, con il suo desiderarmi fisicamente.

Non mi aveva mai detto di essere bella. Mi ha addirittura definita incantevole, come se fossi una specie di creatura mitologica dalle fattezze miracolose e, appunto, incantevoli. Qualcosa di etereo e magico di cui non può fare a meno.

Anche se non lo avessi desiderato, come avrei potuto, dopo le sue parole e il suo sguardo carico di angoscia, non desiderare di perdonarlo e stargli ancora più accanto?

“L’amore fa fare all’essere umano cose folli e prive di senso, ma continuo a credere che per lui ne valga la pena. La mia fede in lui, non vacillerà solo perché non è un cavaliere senza macchia. Lo sapevo fin dall’inizio. La sua armatura è solo più sporca di quanto immaginassi.”

La mia amica scuote la testa, contrariata.

“Non è un cavaliere, il principe azzurro, Chels.”

Sorrido, stirando appena le labbra, mentre Meredith mi tocca gentilmente la mano lesionata.

“Questo lo so, non ho mai creduto all’esistenza del così detto principe azzurro. A casa mia erano vietati quel genere di film e la mia infanzia non è stata plasmata da quel genere di fantasie. Prima dei quindici anni, non avevo mai visto nemmeno uno dei film animati Disney, popolati da principi senza macchia e senza paura, pronti a salvare la damigella in pericolo e reclamare il loro lieto fine. Ammetto che sono cartoni che hanno un certo fascino, ma nella mia vita non ho mai cercato il lieto fine.  Mi sono sempre accontentata della felicità che derivava dalle piccole cose, perché quelle erano certe, mentre il domani non si sapeva mai che cosa potesse riservare.”

Faccio una pausa, per trovare le parole giuste. C’è così tanta confusione nella mia mente.

“Però tutte queste cose sono cambiate quando anche il mio presente, ciò che era sicuro e non pensavo sarebbe mai mutato, è diventato incerto. Per un lungo periodo ho vissuto nella nebbia. Sorridevo, andavo avanti, ma fino a quando non ho trovato Adrian, non avevo realmente uno scopo. Quando ho deciso di voler diventare sua amica, di voler tirare fuori quel poco di bene che solo io riuscivo a vedere, non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. Lui doveva essere solo un obiettivo, un punto fermo per trovare il modo di riprendermi, di scoprire chi volevo essere e cosa desideravo. Eppure, più lo conoscevo, più cresceva la mia fiducia in lui, più vedevo ciò che si annidava nel suo cuore tormentato, più io cambiavo, andando in una direzione che non avevo mai immaginato. Vivo ancora apprezzando ciò che il destino mi regala di bello, è vero, ma ho iniziato a guardare al domani con occhi diversi. Voglio avere giorni, mesi, anni pieni di piccoli momenti di felicità e so che, con lui accanto, quell’emozione abbagliante non mancherà mai.”

Sorrido davanti all’espressione impietrita della mia confidente, che non mi aveva mai sentita parlare così tanto a cuore spalancato.  Finora le cose me le aveva dovute tirare fuori con le pinze e tutti quei sentimenti erano rimasti silenziosamente annidati nel mio cuore, sommandosi.

I suoi enormi occhi verdi sono resi ancora più intensi e luminosi dalle lacrime trattenute.

“Lui non è perfetto, Meredith, ma è giusto per me. Mi fa sentire speciale in un modo che nemmeno immagini.”

Lei mi guarda con espressione mesta, puntando lo sguardo sul cielo che si stava scurendo.

“Però non è ancora tornato. Sta facendo buio e non è qui.”

I suoi dubbi sono legittimi, ma il mio cuore non trema a questo pensiero.

“Ha detto che sarebbe tornato e non lo avrebbe detto se non avesse avuto intenzione di farlo. Verrà, so che lo farà.”

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Capitolo 45
*** 45 Adrian ***


45 Adrian

 

 

Le avevo promesso che sarei andato in ospedale il giorno dopo, ma non me la sono sentita, non prima di aver sistemato un paio di cose.

È il momento di crescere.

Basta stronzate. Basta fare cose che possono ferire le persone a cui voglio bene. È ora di finirla con questo atteggiamento infantile e patetico.

Dopo aver parlato con quella pazza che ha aggredito Chelsea, mi sono reso conto che ho passato tutta la vita a far scelte pessime solo perché, tutti quelli che conoscevo, si aspettavano che le avrei fatte.

Ho passato il tempo a cercare modi sempre più creativi di deludere e far vergognare chi mi circondava, non solo per fargliela pagare, ma perché autocommiserarmi in quel genere di azioni era molto più facile che tirare fuori i coglioni e iniziare a comportarmi da adulto.

Chelsea ha cercato di farmelo capire quando mi ha detto di non agire impulsivamente, di non comportarmi come uno squalo senza anima solo per vendicarmi di qualcuno altrettanto inumano.

Aveva ragione quando diceva che c’erano delle persone che avrebbero patito delle conseguenze a causa delle mie scelte, ma fino a quando non ho visto Chelsea, in quel maledetto letto, con la faccia tumefatta per colpa della mia idiozia, non avevo capito quanto le sue parole fossero veritiere e pesanti.

Se il passato mi ha seguito, non oso immaginare che cosa potrebbe succedere se dovessi continuare a comportarmi come un marmocchio a cui hanno tolto un giocattolo.

Non posso continuare a distruggere tutto quello che mi circonda solo per sentirmi meglio, meno patetico, meno disgraziato.

Sono un bamboccio viziato, ecco cosa sono. Niente di più, niente di meno, e dovrei ringraziare il cielo per aver incontrato una persona buona e straordinaria come Chelsea, in grado di vedere cose che io non riesco proprio a vedere, invece che comportarmi come se la fortunata fosse lei.

Chelsea, che invece che aspettarsi il peggio, si aspetta il meglio da me, anche se è più difficile vedermi fare qualcosa di buono che di cattivo.

Quando è che sono caduto così in basso?, è la domanda che continua a ronzarmi per la testa.

Se non l’avessi incontrata, avrei continuato a comportarmi come un povero idiota, triste e solo, trincerato dietro una serie interminabile di scuse patetiche, ma incapace di ammetterlo per orgoglio.

Ripensare alla solitudine del mio appartamento, senza la pace che irradia quella benedetta ragazza, è desolante. Persino la compagnia di quel furfante di un gatto che lei adora così tanto sarebbe meglio del desolante silenzio che regnerebbe tra quelle anonime pareti se non ci fosse niente di suo a controbilanciare il mio pessimismo e la mia tendenza a fare ciò che è più semplice.

Dopo quanto è accaduto, con che coraggio avrei potuto presentarmi davanti a lei, in quelle condizioni?

Come una sottospecie di essere umano?

Non potevo farlo, non è di questo che ha bisogno e accidenti a me se permetterò che una cosa del genere possa accadere una seconda volta.

Non sarebbe mai dovuto succedere nemmeno la prima volta, Cristo Santo.

Merita di meglio, accidenti! e dato che non voglio lasciarla andare, perché nonostante tutto sono ancora un maledettissimo egoista che non vuole privarsi della sua magia, farò di tutto per esserne degno.

Quindi basta stronzate. È ora di finirla con i giochetti e con le manie da dio sceso in terra. Poter fare qualcosa non significa farlo per forza. Sono un tipo intelligente ed è ora di sfruttare questa qualità in modi differenti dall’infilare la testa nella sabbia nel modo più indolore possibile.

Motivo per cui, invece che andare da Chelsea, ho indetto una bella riunione familiare.

Fortuna ha voluto che anche mio nonno, insieme allo zio George fossero a Denver, per festeggiare con il mio vecchio la candidatura ufficiale.

Non è stato bello, non è stato indolore, ma mi ha permesso di spurgare un po’ di quell’acido corrosivo che avevo nelle vene e che da più di dieci anni mi stava corrodendo le viscere.

“Hai davvero una bella faccia tosta per comparire qui dopo tutto il disastro che hai combinato. Perché non riesci a stare al tuo posto? Non dovrebbe essere tanto difficile.”

Il tono disgustato dell’uomo che ha contribuito a generarmi mi ha fatto rivoltare lo stomaco. L’odio ha iniziato a ribollire sotto la facciata di pietra che stavo ostentando, perché se avessi mostrato una minima crepa nella mia armatura, lui ne avrebbe approfittato.

La mia matrigna, seduta al suo fianco sull’elegante e opulente divano con i rivestimenti e i finimenti in delicato filo dorato, si è limitata ad osservarmi leccandosi le labbra tinte di rosso, sicuramente ansiosa di sperimentare una nuova cavalcata.

Chastity è uno degli errori che non avrei dovuto commettere nemmeno per vendetta. Facendo sesso con lei solo per avere quegli scatti compromettenti, ho portato me stesso al loro squallido e infimo livello. Non finirò mai di pentirmi per aver fatto una cosa tanto disgustosa, dato che il corpo di quella donna non mi ha mai particolarmente eccitato. Ho sfruttato la mia prestanza, la mia giovane età e il mio sano appetito sessuale per perorare una causa che non avrei mai nemmeno dovuto intraprendere.

La vendetta migliore, sarebbe stato escludere quella gente dalla mia vita, dalla mia esistenza. Con il mio comportamento, non ho fatto altro che buttare benzina sul fuoco.

Mi sono guardato intorno, nella pomposa “biblioteca” stile Luigi XIV, con il soffitto color bronzo e terra bruciata, pieno di intarsi laccati in oro e il pittoresco affresco di angeli e puti, come parte degli affreschi della cupola di San Pietro, nello stato del Vaticano, dipinti da Michelangelo, a rendere il tutto ancora più pacchiano.

È una stanza in linea con il resto della casa, che da sola parla a gran voce di sfarzo e arroganza, perfettamente in linea con lo stile Tudor della villa, circondata da più di tremila metri quadrati di giardino curato con piscina e, addirittura, una piccola riproduzione di un labirinto, composto da siepi verdi e alte.

Il camino alle mie spalle ha scoppiettato, riportandomi alla conversazione che stavo tenendo.

La mia mente ha iniziato a divagare, in un tentativo di fuga perfettamente riconoscibile.

“Non mi interessa quello che pensi o quello che vuoi. Ad essere sincero, non mi interessa assolutamente nulla. Sono qui perché mi sono stancato, di fare a guerra a delle persone di cui non mi importa nulla.”

Ho gaurdato le loro facce, impassibili e annoiate, ripetendomi che quel discorso lo sto facendo per me, non per farmi capire da loro. Della loro comprensione, non m’importava più un’accidenti.

Ho puntato gli occhi su mio padre, che si è lasciato andare a se stesso, mettendo su peso e perdendo sempre più capelli, e ho lasciato uscire tutte le cose che per anni ho trattenuto.

“Tu sei un mostro. Il peggior padre, marito o uomo che io abbia mai conosciuto. Non conosci l’affetto, non conosci la pietà o il rimorso. Hai portato mia madre al suicidio, la picchiavi, abusavi di lei e della sua debolezza in tutti i modi possibili. Mia madre non era tua moglie, era un oggetto di cui facevi ciò che volevi indipendentemente da ciò che lei desiderava. Sei un essere raccapricciante con cui ho avuto a che fare per troppo tempo. Ho coltivato odio e disprezzo, desiderando di distruggerti perché era quello che pensavo meritassi, ma la verità è che l’unica cosa che meriti è l’indifferenza.”

Lui mi ha guardato con sufficienza, come se non gli stessi dicendo niente di nuovo o importante, come se i sentimenti che hanno scosso la mia giovane anima fossero inutili.

Ovviamente per lui era così, ma mentre fino a quarantotto ore prima ciò mi avrebbe ferito, portandomi ad accanirmi ancora di più, in quel momento non mi ha fatto nessun effetto, perché un anima arida non ha una coscienza che si fa sentire.

“Ci hai riunito qui solo per questo? Che spreco di tempo.”

Sul mio viso ho sentito spuntare il sorriso, mentre avvertivo nitidamente le ondate di disapprovazione arrivarmi dalla poltrona su cui stava seduto mio nonno.

Ne avevo anche per lui.

“Forse del tuo, ma non del mio, dato che da oggi ho chiuso. Con te e con tutto il resto.”

Lui scuote la testa, facendo ondeggiare appena i capelli riportati all’indietro e mal impomatati.

“Non riceverai più un centesimo da me, sappilo. O fai come ti dico io, oppure inizierai a patire la fame.”

La classica minaccia non ha sortito nessun’effetto e privarlo della McLeor Export Corporation non ha  avuto quel sapore dolce-amaro che avrebbe avuto una settimana fa.

“Non mi servono i tuoi soldi, perché ormai sono miei. Tutto quello che mi hai dato negli ultimi anni, è servito per comprare tutte le azioni che hai incautamente messo in vendita nel disperato tentativo di arrivare in politica. Hai sacrificato la tua azienda e io ho semplicemente aspettato, raccattando sul mercato tutte le azioni che potevo. Non ti sei nemmeno accorto che i pagamenti arrivavano tutti dallo stesso conto bancario, troppo accecato dai soldi.”

Ho visto lo shock dipingersi sul suo viso, mentre le rotelline del suo cervello hanno iniziato a elaborare i fatti.

“Impossibile.”

Ho sorriso di fronte alla sua incredulità, indicandogli semplicemente il portatile sulla scrivania in fondo alla stanza, vicino alla vetrata che da sul labirinto.

“Controlla se non mi credi. Non hai più la maggioranza. Sei finito.”

L’uomo si è fiondato alla scrivania e io ne ho approfittato per guardare la giovane donna che mi stava guardando con occhi annebbiati dalla stupidità. Era ovvio che non aveva capito che cosa stava succedendo.

“Ti conviene lasciarlo prima che sfoghi su di te la sua ira.”

Detto ciò, mi sono voltato verso il patriarca della famiglia Pruitt, seduto con fare composto sulla poltrona, il bastone stretto in pugno, come indeciso se usarlo per camminare o per picchiare qualcuno.

“Sei la disgrazia della famiglia.”

I suoi occhi scuri hanno lampeggiato di indignazione sul viso rugoso, ma sempre perfettamente ordinato. I capelli grigi erano tirati indietro, mostrando con orgoglio tutti i suoi settantacinque anni. Indossava un abito di alta sartoria, tagliato su misura, mentre lo zio George, poveraccio, stava in piedi alle sue spalle, spostando il suo peso da un piede all’altro, decisamente a disagio.

Ha gli occhi scuri come suo padre ed è alto quanto me, ma non ha nulla dell’imponente struttura fisica che accomuna me e il vecchio.  Ha i capelli precocemente ingrigiti, dato che non ha nemmeno cinquant’anni. Le strisce bianche della sua capigliatura rendono il suo viso più scarno di quanto in realtà non sia, mettendo in evidenza la grandezza del naso.

teneva le spalle curve e mi guardava con un misto di timore e ammirazione.

Mi sono chiesto se, in realtà, lo zio George non sognasse la libertà dalla prepotente dominazione del padre.

“Forse sì, ma almeno io non ho commesso lo stesso, stupido errore, suo.” Ho indicato con il pollice mio padre alle mie spalle, che stava ancora trafficando furiosamente con il portatile.

Sapevo bene che quello che stava vedendo non gli piaceva per nulla.

“Ho acquisito anche la Pruitt. Caro nonno, anche tu sei fuori dall’azienda. Potrai partecipare ai consigli di amministrazione, ma non hai più potere decisionale. Esattamente come la McLeor Export, anche la Pruitt International Inc è mia”

Ho visto i suoi occhi spalancarsi e la sua bocca aprirsi per prendere una grossa boccata d’aria proprio mentre mio padre ha iniziato ad urlare che non mi avrebbe permesso di portargli via la sua azienda.

Mi sono girato ad affrontare il furioso figlio di puttana che avevo davanti e che, con i capelli scompigliati, non mi faceva più nessuna paura.

In quel preciso istante, ho smesso definitivamente di essere suo figlio e di dargli potere su di me.

“Non puoi fare niente. Con effetto immediato, sei sollevato dai tuoi incarichi di Amministratore Delegato. Riceverai i documenti inerenti al passaggio di mano entro domani pomeriggio e sei pregato di svuotare il tuo ufficio il prima possibile.”

Ho preso fiato, dopo aver emesso il primo ordine come nuovo Manager e Dirigente della McLeor Export.

Pensavo mi sarei sentito colpevole, ma invece ho sentito solo un enorme sollievo, mentre la rabbia, la collera e la recriminazione, hanno lentamente iniziato a scivolare via.

Ho visto il colore defluire dal suo faccione, mentre si aggrappa alla scrivania.

Mi sono voltato verso il vecchio, che stava ansimando e mi guardava con odio.

“Lo stesso vale per te. Non sei più il benvenuto, mentre tu, George, se volessi continuare a collaborare con la Pruitt, sarai il benvenuto.”

Non avevo programmato di mantenere i contatti con la famiglia di mia madre, ma ho avuto come l’impressione che suo fratello fosse stato tiranneggiato quanto lei e che avesse bisogno di un salvagente per fuggire da una situazione che si trascinava da troppo tempo.

Mia madre, lontana da mio padre, era una donna eccezionale, perché da quello che mi ha raccontato, mia nonna era una gran bella persona, motivo per cui ero sempre più convinto, guardando i grati occhi scuri di mio zio, di aver fatto la scelta giusta.

“Mio figlio non andrà da nessuna parte. È un inetto.” Si è girato verso il figlio, che è sbiancato come se lo avessero preso a schiaffi. “Fai qualcosa. Fermalo.”

George ha fatto un passo indietro, sul viso una maschera di granito.

“Mi dispiace, ma dato che sono un incapace, non posso fare nulla.”

Si è allontanato dalla poltrona ed è venuto verso di me, tendendomi la mano.

“Rimango volentieri. Ho investito anni in quell’azienda e non voglio mollare tutto per colpa sua.”

Gliel’ho stretta e per la prima volta ho sentito di aver trovato un terreno comune con un uomo che quasi non avevo mai sentito parlare.

Dopo di ciò, è scoppiato un gran baccano. Mio padre urlava, mio nonno urlava, Chastity chiedeva a mio padre delle spiegazioni e, in tutto ciò, io e lo zio George siamo rimasti in silenzio, godendoci la furia che imperversava.

Ho lasciato la biblioteca senza guardarmi indietro, dopotutto, tutto quello che volevo portare via da questa casa, l’ho caricato in macchina mentre aspettavo che mio padre rientrasse insieme a mio nonno dal pranzo commemorativo che hanno consumato in un ristorante pluristellato.

Gli scatoloni con le cose che per me sono state importanti, ma che non avevo mai avuto il coraggio di rivendicare come miei, sono ancora nella mia auto,mente entro in ospedale.

L’orario di visita è finito da un pezzo e sono passate quasi ventiquattro ore da quando ho visto Chelsea l’ultima volta.

Ho schiacciato un pisolino di due ore sul divano prima di andare da mio padre, motivo per cui non sono esattamente al massimo della forma, ma non posso rimandare oltre questo incontro.

Merita delle scuse, reali stavolta.

Non sono bravo con le parole, non lo sono mai stato, ma lei merita molto più che una carezza e uno sguardo da cucciolo che chiede perdono, come ho fatto finora.

Ho sempre evitato di esprimere a voce alta ciò che sento, forse per paura o proprio perché, anche se non sembra, sono piuttosto introverso, ma almeno delle scuse sincere, lei le merita.

Non sono sicuro che lei voglia perdonarmi, ma quando mi ha chiesto di andarmene, lo ha fatto per poter mantenere l’unica promessa che mi ha fatto.

Promessa che parla a grandi lettere di un sentimento con la A maiuscola e che mi terrorizza a morte, per quando, la sola idea, sia anche in grado di mettermi addosso l’adrenalina.

Desidero essere in grado di dare a quella splendida ragazza tutto ciò di cui ha bisogno e ricambiare tutto ciò che mi da, perché nessuno mi ha mai dato così tanto senza chiedere nulla in cambio.

Salgo di straforo al piano e ringrazio la mia buona stella che non ci siano infermiere dietro al bancone della reception.

Percorro silenziosamente il corridoio deserto fino alla camera giusta, dove sulla targhetta spicca il cognome Lauren.

Apro lentamente la porta e cerco di sgusciare dentro nel modo più silenzioso che la mia mole permette.

Le luci sono spente, ma la luce della luna illumina il suo letto.

Chelsea è sveglia, seduta che guarda fuori dalla finestra con espressione assorta.

Eppure si è accorta del mio arrivo, perché parla, con voce sottile, prima ancora che io possa fare un passo.

“Non pensavo che la luce della luna piena potesse essere così forte.”

Mi avvicino lentamente, mentre lei, altrettanto piano, si raddrizza per potermi osservare.

Nella penombra, non riesco a vedere le sue ferite, ma so che ci sono e mi odio per questo.

Niente di così bello e puro dovrebbe essere rovinato in questo modo.

“Ho fatto tardi.”

Chelsea stringe tra le mani il cellulare e me ne accorgo solo quando fa illuminare lo schermo.

“Mi avevi detto che saresti tornato oggi, sei puntualissimo.

Guardo a mia volta l’orologio e segna mezzanotte in punto.

La sua affermazione fa sorgere un sorriso sul mio viso stanco.

Ha ragione. Era già passata la mezzanotte quando le ho detto che sarei tornato il giorno successivo e lei si è fidata così tanto di me da aspettarmi sveglia, incurante del fatto che avrei potuto deluderla. Io non avevo affatto badato alla questione dell’orario, ma lei sì.

Mi siedo sulla sedia vicino al suo letto, tentato di prenderle la mano fasciata per toccarla.

“Come sapevi che non ti avrei deluso?”

Lei sorride, un dolcissimo sorriso carico di sentimento.

“Perché mi hai detto che saresti tornato. Tu non parli, tu semplicemente dimostri con le azioni le cose importanti. Quindi, quando dici qualcosa, fai di tutto per mantenere la parola data.”

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Capitolo 46
*** 46 Chelsea ***


46 Chelsea.

 

 

 

Con me stessa lo posso ammettere.

Quando l’orario di visite è terminato, mi sono sentita delusa.

Fino all’ultimo ho sorriso, forte di fronte alle persone che sono venute a trovarmi e a portarmi qualcosa di decente da mettere addosso.

Mia madre è stata un tesoro, ma ho preferito che ad accompagnarmi in bagno fosse Meredith.

Io e lei abbiamo un rapporto decisamente più intimo e se qualcuno doveva vedermi mentre cercavo di sedermi sulla tazza, tutta dolorante, ho preferito che fosse lei.

Farmi una doccia, per levarmi di dosso tutta la sporcizia, è stato di nuovo molto difficile e imbarazzante.

Come un’invalida, mi sono dovuta sedere sullo sgabello di plastica al centro della doccia e lasciare che qualcuno mi passasse la spugna addosso e mi lavasse i capelli.

Mi sono sentita molto a disagio, perché la nudità non credo sarà mai qualcosa a cui mi potrò abituare, ma sono grata alla mia amica, che si è comportata come se il mio palese disagio non esistesse.

Ha parlato ininterrottamente di tutto e di nulla, riempiendo il silenzio che altrimenti sarebbe stato assordante.

Ero decisamente più in forma e presentabile quando i miei ospiti se ne sono andati.

Nell’arco della giornata, sono venuti praticamente tutti.

La prima a presentarsi, è stata Kayla, che ha dato il cambio ad una stravolta Meredith che ha lasciato l’ospedale solo dopo che mi sono addormentata, messa KO dal sonnifero che mi hanno messo nella flebo.

La giovane donna non è riuscita a nascondere la sua preoccupazione e quanto, vedermi forzatamente immobilizzata a letto, la facesse soffrire.

I suoi occhi azzurri hanno iniziato a brillare come gemme, ma non ha versato nemmeno una lacrima.

Ha sorriso, decisa e con la testa alta e si è avvicinata al mio letto, chiedendomi come stavo.

Meno di mezzora dopo è comparsa Bianca, con il suo pargolo dagli occhi scuri in braccio.

Le è scappata di bocca una parolaccia così grossa che persino la sua migliore amica ha granato gli occhi. Stranamente, mi sono trovata d’accordo con lei.

Mi sentivo come se mi fosse passato sopra un treno merci.

Si sono limitate a chiedermi come stavo, senza toccare l’argomento più spinoso.

Se mi avessero chiesto perché era successo tutto ciò, non avrei saputo rispondergli.  Non ero ancora pronta per parlarne.

Poco tempo dopo, tra una chiacchiera rilassante e l’altra, sono comparsi anche Ryan e Josh, che a quanto pare erano in palestra assieme.

Portavano un enorme mazzo di fiori a testa, che le ragazze si sono affrettate a mettere in dei vasi.

Se ne sono andati presto, lasciandomi riposare.

Tuttavia, il vai e vieni di persone non è cessato fino al ritorno di Meredith, che era evidente avesse bisogno di ancora qualche ora di sonno.

Quando è entrata nella stanza, tutta sorridente, aveva con se uno scatolone da cui ha tirato fuori altri vasi, per poter mettere un po’ in ordine.

Non so come facesse a sapere che sarebbero serviti, ma immagino che abbia a che fare con la recente degenza di Logan in una stanza fin troppo simile alla mia.

Motivo per cui, alla fine, la mia camera ha assunto le sembianze di una fioreria.

Quando Meredith è andata via, lasciandomi sola a mangiare del cibo davvero tremendo, non mi sono sentita abbandonata, perché tutti gli omaggi floreali che mi circondavano mi hanno ricordato l’affetto che così tante persone nutrono nei miei confronti.

Al “perfetto” quadretto, mancava solo Adrian. La sua non presenza ha oscurato un po’ il mio benessere, ma anche in quel momento, ho cercato di trovare qualcosa per cui sorridere.

Ero sicura che avrebbe mantenuto la sua promessa, non riuscivo ad arrendermi all’idea che potesse non tornare.

Ho guardato il telefono, con espressione sconsolata, e guardando l’orario, mi sono resa conto che, il domani di cui mi aveva parlano, non era ancora iniziato.

Era già iniziato un nuovo giorno quando lui mi ha detto che sarebbe tornato, per cui ho ricominciato a sperare.

Ho cenato con la mente e il cuore più leggeri e, quando è stato il momento di spegnere le luci, mi sono rilassata sul lettino, leggendo, alla luce dell’abatjour, le prime pagine di un romanzo storico che mi ha portato Kayla, ma che non è riuscito a catturare la mia attenzione per più di mezz’ora.

Devo essermi appisolata, perché quando ho riaperto gli occhi, erano passate un paio d’ore e il mio telefono segnava le undici e mezzo passate.

Probabilmente a svegliarmi è stata la luce della luna, ormai alta nel cielo e, la cui luce, ha inondato la mia stanza, facendola apparire eterea, quasi spettrale.

L’ho sentito arrivare. Qualcosa mi ha messa in allerta e ho aspettato, guardando fuori dalla finestra l’enorme sfera bianco argentea che splendeva in cielo, che sembrava tenere lontane le poche nuvole ancora presenti in cielo.

Quando è entrato nella stanza, il cuore ha iniziato a battere all’impazzata, ma ho fatto finta di nulla, nel disperato tentativo di calmarmi.

Agitarmi, mi avrebbe solo fatto male e il mio desiderio più grande, era passare più tempo possibile con lui.

Il mio cuore ha già perdonato il suo passato, è solo la testa che fa resistenza.

Mi perdo nei suoi occhi, illuminati dal riflesso della luce.

Ha un’aria stravolta, come se non avesse dormito che poche ore. I suoi capelli sono spettinati e indossa una camicia e dei pantaloni neri, che lo fanno sembrare enorme sulla piccola sedia di plastica.

Temo che potrebbe cedere da un momento all’altro.

Dov’è stato, se non ha dormito? Cos’ha fatto?

Da quando gli ho spiegato perché ero sicura che non mi avrebbe delusa, lui non ha più pronunciato una parola. Si è limitato a fissarmi, sbalordito e, credo, incantato.

Lo osservo sbattere le palpebre e prendere un profondo respiro. Sembra nervoso, tormentato.

“Mi dispiace.”

Le sue parole sono completamente inaspettate, tanto che sento le mie sopracciglia aggrottarsi e una piega formarsi proprio lì in mezzo.

“Di che cosa stai parlando?”

“Di Susan, o come cavolo si chiama. Sono andato a vederla non appena uscito di qui. Volevo sapere perché, che cosa mai le avevi fatto di male. Tutto mi aspettavo meno che le mie cazzate giovanili avessero delle ripercussioni su di te. Quindi mi dispiace. Certo, non sono responsabile delle sue azioni, ma se non mi fossi comportato come un idiota, tu non saresti ferita.”

La sua espressione è sincera, limpida. Mi sta parlando con il cuore in mano, come non aveva mai fatto prima e questo non so come mi faccia sentire.

Sono felice che si stia aprendo, che mi stia lasciando avvicinare sempre di più, ma allo stesso tempo non dovrebbe colpevolizzarsi.

“Oh.”

Rimango in silenzio alcuni secondi, dove lui mi scruta attentamente, alla ricerca di una risposta.

“Lei me lo ha detto. Quello che è successo tanto tempo fa. Di com’eri da giovane, di come ti sei comportato. Ciò che è successo nel passato, non si può cambiare. Non contano solo gli errori, ma soprattutto il modo in cui poi vi si pone rimedio.”

Lui annuisce, senza distogliere gli occhi dai miei. Non sembra demoralizzato, semmai ancora più deciso.

Probabilmente ha intuito dalla tristezza nei miei occhi e nella voce che so ogni cosa

 “Io non posso cambiare le mie azioni, ma non voglio più essere quella persona.”

Mi prende la mano fasciata e la stringe con gentilezza, senza farmi male.

“Oggi ho parlato con la mia famiglia.”

La sua dichiarazione piomba su di noi come un enorme macigno. Il mio cuore salta un battito e sento gli occhi sgranarsi, mentre nel mio petto inizia ad infuriare una battaglia.

Respiro piano dopo aver chiuso gli occhi, nel disperato tentativo di calmarmi.

Non posso agitarmi, devo stare calma e ferma. Non voglio che il dolore torni ora che ho trovato una posizione comoda.

Rimango in silenzio, aspettando di ascoltare quello che ha da dire. Il mio cuore non da segno di volersi calmare, per cui punto lo sguardo sulla testa china, come se fosse in preghiera.

“L’ho affrontato. Mio padre, intendo. Gli ho detto tutto quello che per anni ho trattenuto. Gli ho detto che è stato un pessimo padre, un pessimo marito, la cosa peggiore che potesse capitare ad un altro essere umano, ma lui non ha battuto ciglio. Pensavo che il suo atteggiamento mi avrebbe fatto arrabbiare, ma invece mi sono sentito semplicemente sollevato. Non avevo mai avuto il coraggio di dirgli apertamente quanto lo odiassi e quanto la sua presenza nella mia vita fosse inutile. Gli ho detto dell’azienda, che l’ho comprata con i suoi stessi soldi e lo stesso ho fatto con mio nonno. Avrei voluto sputargli addosso tutto il risentimento che per anni ho covato nei suoi confronti, per quello che ha fatto a mia madre, ma guardandolo mi sono reso conto che ormai non è altro che un vecchio e che non ha senso per me investire ancora in quel sentimento.”

Il suo racconto è sorprendente.

Speravo, pregavo, che prendesse la decisione giusta, ma non avrei mai immaginato che ad essa sarebbe seguita una specie di liberazione.

L’uomo che ho di fronte, che non mi guarda, ma che tiene il viso vicino alla mia mano, intrappolata tra le sue, è la persona che io ho sempre intravisto oltre la maschera di arroganza e indifferenza.

In questo preciso istante, sembra una persona nuova e il mio cuore è come se stesse volando per la gioia.

Se potesse, uscirebbe dal mio petto per mettersi a svolazzare per la stanza come un canarino appena liberato.

Finalmente solleva la testa, facendo ricadere sulla fronte una ciocca scura di capelli ribelli, e mi fissa con un’intensità tale da togliermi il fiato.

Non l’ho mai visto così determinato, nemmeno quando mi ha detto che avrebbe distrutto a tutti i costi la sua famiglia.

“Voglio fare qualcosa di buono Chelsea. Non voglio più distruggere quello che mi circonda, non voglio più creare delle situazioni che potrebbero ripercuotersi su di te o sulle persone a cui voglio bene. L’azienda di trasporti di mio padre, troverò il modo di farla crescere. Mio zio George, che per anni ha lavorato nella compagnia di mio nonno, mi aiuterà a trovare un Amministratore Delegato che sia in grado di gestirla. Farò le cose per bene e non lascerò che qualcuno paghi perché mi sono comportato come uno sciocco.”

Sono molto più che sorpresa, ma soprattutto sono fiera di lui, del suo atteggiamento, di quello che ha deciso, da solo, senza che io gli chiedessi nulla.

Ero sicura che ci fosse del buono dentro di lui, ma non avrei mai pensato che, con le giuste motivazioni, avrebbe potuto essere una persona così eccezionale.

Non era facile trovare un modo diverso di vivere, ma lui ci sta riuscendo davvero bene, meglio di quanto non abbia fatto io.

“Non mi aspettavo tutto ciò.”

La mia voce è debole, un po’ lamentosa, perché sono sul punto di piangere. In questa oscurità, l’intimità che si è creata non è per nulla imbarazzante e i miei sentimenti spingono per essere espressi.

Il mio cuore sta urlando per il desiderio di essere liberato.

“Lo so. Era qualcosa che dovevo fare per me stesso. Vederti su questo letto, mi ha fatto capire molte cose.”

Scuote la testa, l’espressione a metà tra il divertito e il triste.

“Ho vissuto come un codardo, limitandomi a dare la colpa agli altri anche per azioni che compivo di mia spontanea volontà. Ma ora non ci riesco più. Non riesco ad immaginarmi mentre esco da quella porta e torno a quella vita.”

Mi rivolge un sorriso mesto e poso vedere nei suoi occhi lo stesso sentimento che, guardandomi allo specchio, vedo riflesso nei miei.

Si alza rapidamente, portando il suo viso a contatto con il mio. Mi tocca la fronte con la sua e mi incatena con lo sguardo. Tra di noi, non c’è che  la distanza di un respiro.

“Non voglio più sentirmi così spaventato, Chelsea. Quando mi hanno detto che eri in ospedale, per poco non sono stato preso dal panico. Non capivo cosa mi stesse succedendo, ma riuscivo solo a pensare che dovevi stare bene, che non potevi scomparire dalla mia vita così.”

Fa una pausa e sento un’ondata di calore percorrermi il corpo, come una coperta termo riscaldata avvolta direttamente attorno al mio cuore.

“Non voglio perderti, perché sei davvero una donna eccezionale, la miglior cosa che potesse capitarmi. Tu mi spingi a voler essere migliore e questa cosa non mi spaventa più, non mi fa più sentire inferiore. Potrai mai perdonare lo stupido ragazzo che sono stato?”

La muta supplica nei suoi occhi mi stringe il cuore, che quasi sento dolorante, da quanto batte in fretta.

Sollevo la mano sana e gliela poggio sulla guancia ruvida di barba. Ha delle occhiaie marcate, che rendono la sua dissimulata preghiera ancora più significativa ai miei occhi.

“Anche se la mente è restia, il mio cuore non può che perdonarti. Mi sono innamorata della tua parte peggiore e della gentilezza che mi hai riservato in quelle piccole occasioni dove mi hai lasciata avvicinare, dove hai combattuto le tue cattive abitudini. Se mi apri così il tuo cuore, come posso non amarti ancora di più?”

La mia dichiarazione cade nel silenzio, mentre posso  leggere nei suoi occhi la sorpresa.

Non c’è paura nel suo sguardo, non è proprio una novità. Con le azioni, non ho mai dissimulato i miei sentimenti, solo prima di oggi, non li avevo mai esternati a voce alta.

“Io non so cosa sia l’amore.”

La sua voce è bassa, emozionata, e non me lo sarei mai aspettata.

So che lui non sa cosa prova, è troppo presto per una persona che ha passato la vita a rifuggire quel genere di sentimenti e vivere nell’odio, ma forse c’è più comprensione di quanto immaginassi.

“Ma se è questa cosa che mi fa contrarre lo stomaco quando ti penso e che mi fa pensare che sei la persona più straordinaria che io abbia mai conosciuto, allora così sia. Non voglio scappare da questa cosa.”

Fa una pausa e prende un profondo respiro. Le sue palpebre si aprono e si chiudono rapidamente un paio di volte, come se fosse intento a mettere insieme una frase complicata.

“Prima di conoscerti, non avrei mai creduto che qualcuno potesse amarmi, ma se sei tu, allora posso crederci. Se sei tu, tutto è possibile.”

Sento le lacrime riempirmi finalmente gli occhi e iniziare a rotolare sulle guance. Lui le asciuga delicatamente con i pollici e poi mi sfiora delicatamente il labro inferiore, quello tumefatto.

“Ti fa male?”

Io scuoto la testa, perché in questo momento, anche se provassi dolore, sono certa che non lo sentirei.

La mia gioia, la mia felicità, sono al massimo livello. Non riesco a ricordare un momento dove mi sono sentita così appagata, così al settimo cielo.

Questo è uno di quei piccoli momenti di assoluta perfezione che ho sempre desiderato per me, per noi.

“Bene.”

Annulla i pochi centimetri che ci stavano separando e poggia delicatamente la sua bocca sulla mia.

Illuminati dai raggi della luna, in una stanza piena di fiori, con solo le nostre labbra ad unirci, per la prima volta, i nostri cuori sono sulla stessa lunghezza d’onda.

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Capitolo 47
*** 47 Adrian ***


47 Adrian

 

 

Quando guardavo i miei amici osservare le loro compagne con lo sguardo da cucciolo smarrito, pensavo fossero degli idioti.

Ora, guardandomi allo specchio, penso di esserlo diventato anche io.

Prima li fissavo e non capivo quanto fossero fortunati a rimbecillirsi per un sorriso, mentre ora, beh, pagherei oro per veder sorridere Chelsea.

Anche solo per vederla per più di dieci minuti, ad essere sincero.

Sono passati quindici giorni da quando è stata ricoverata e cinque da quando è stata dimessa e portata via da sua madre, per trascorrere la convalescenza nella camera al piano terra che ha sistemato per lei.

Finche era in ospedale, riuscivo a passare parecchio tempo in sua compagnia, anche perché la giovane infermiera, che quella sera mi ha rassicurato sul suo stato di salute ci ha presi in simpatia e faceva finta di non vedermi quando passava a controllare che nelle camere fosse tutto in ordine e se ne fossero andati tutti.

Per il tempo che lei è stata in ospedale, è stata la mia priorità insieme al lavoro.

Prima di queste ultime due settimane, non avevo mai sentito come se il cervello fosse sul punto di liquefarsi per la troppa attività.

Prendere il posto di mio padre in azienda, non è stato semplice. Il consiglio di amministrazione ha protestato a gran voce sul colpo di mano e sul fatto che sono fin troppo giovane, per i loro gusti, per gestire una società quotata in borsa.

Quando gli ho fatto presente che sono riuscito a completare l’acquisizione, senza che nessuno di loro si rendesse conto che era in atto una scalata, allora si sono calmati e mi hanno permesso di parlare.

La mia intenzione, non è mai stata quella di stravolgere la società e fargli perdere soldi e ho voluto assicurarmene prima che iniziassero a vendere azioni, anche perché sarebbe una follia fare un qualche tipo di mossa senza conoscere i meccanismi interni.

I numeri sono stati, effettivamente, la parte più facile del lavoro.

Analizzare i dati e le statistiche non è stato complicato come avevo pensato e, a parte un piccolo calo di percentuale nell’ultimo periodo, colpa della concorrenza, della crisi e dei super sconti che fanno alcune imprese disperate, la McLeor Export sta andando alla grande e non c’è motivo di  rivoluzionare qualcosa che sta funzionando bene.

Il primo comunicato che ho fatto diffondere, è stato che, anche se c’è stato un cambio al vertice, non ci sarebbero stati licenziamenti.

I dipendenti non sanno che tutto ciò è successo per ragioni che non hanno nulla a che vedere con il fallimento della società, quindi erano preoccupati di poter perdere il posto di lavoro, che ci fossero dei tagli nel personale per ridurre le spese e così via. Insomma, quel genere di mosse che seguono sempre le acquisizioni.

Una volta calmate le acque, le cose hanno ricominciato a funzionare come prima.

La struttura della McLeor è come una macchina che ha fatto il rodaggio e ha sempre gli ingranaggi ben oliati e perfettamente integri.

Ho analizzato con attenzione tutto il sistema interno, in modo da potermi muovere il più agevolmente possibile e, controllando i dati che mio padre ha cercato di nascondermi, portando fuori dall’ufficio un hard disk esterno, di proprietà della società, sono venuto a conoscenza di quali avrebbero potuto essere le sue successive mosse per cercare di espandersi.

Per il momento, siamo presenti con circa ottantamila dipendenti su tutto il territorio americano e buona parte di quello canadese. Per le spedizioni in America Latina, Europa, Russia o Asia, ci siamo sempre appoggiati o a ditte locali o alla nostra diretta concorrente, la FedEx Corporation, che possedendo anche una flotta Aerea, riesce ad essere presente su tutto il globo.

Mio padre aveva intenzione di seguire il suo esempio, iniziando con un paio di aerei cargo, ma non ho nessuna intenzione di seguire quella strada, per ora. Non ne so abbastanza per poter portare avanti un piano così ambizioso e, sicuramente, per un espansione del genere, contava sul genere di appoggio che si può ricevere solo dalle alte sfere politiche.

 Però non è stato il lavoro ad allontanarmi da Chelsea, bensì sua madre, che in qualche modo è venuta a sapere che l’aggressione è stata colpa mia.

Quindi, non appena sono uscito dalla stanza di Chelsea per lasciarla riposare, il giorno delle dimissioni, sua madre mi ha detto senza mezzi termini di levarmi di torno prima che mi prendesse a bastonate.

Era così seria che non ho dubitato nemmeno per un istante della sua serietà.

Non è che mi impedisca di vederla, dato che la sua dolce figliola non fa altro che dirmi di andarla a trovare, ma ogni volta che siamo da soli, lei compare, come se fosse l’onnipresente Dio di Chelsea, mettendomi sull’attenti.

Non pensavo avrei temuto una donna, ma dopo aver visto l’espressione furibonda e determinata di Jillian quando ha scoperto la verità, ho sinceramente avuto timore che mi sparasse, dato che so per certo essere in possesso di una pistola.

Credo si sia trattenuta solo per non ferire sua figlia, che è evidente adora.

Chelsea, nei giorni d’ospedale, mi ha raccontato più nei dettagli la sua storia con sua madre. Io credevo che il suo sbalzo emotivo fosse dovuto ai problemi con suo padre, ma a quanto pare anche la sua vita, negli ultimi mesi, è stata piuttosto complicata.

Non conoscevo i dettagli, sapevo solo che finalmente era riuscita a conoscere sua madre, per cui sono rimasto davvero molto sorpreso quando mi ha detto che, dopo essere cresciuta convinta di essere orfana di madre, ha scoperto che in realtà era tutta una bugia.

Più raccontava, più i suoi comportamenti iniziavano ad avere senso e più lei mi sembrava incredibile. È passata da una vita sicura a un momento di profonda confusione, seguito da una montagna russa di emozioni che è culminata con il ritrovamento di sua madre, proprio nella donna con cui stava lavorando e da cui si stava facendo ospitare.

Mi ha ferito scoprire che mi ha taciuto così tante cose di se, ma so che è stata colpa mia. Ero talmente trincerato dietro le mie barriere, da non darle nessuna possibilità di raccontarsi, di farsi vedere al cento per cento.

Ero troppo concentrato sul tenerla lontana e, successivamente, nel capire come fare per non ferirla per preoccuparmi di quello che le stava capitando e di quello che la tormentava.

Sono stato davvero pessimo in più di un modo.

Chelsea non mi ha mai fatto pesare la mia mancanza di interesse, ma so che non è così che funziona. Quando stai con una persona, quando ci tieni ad essa, è automatico voler sapere di più sulla sua vita, conoscerne ogni singolo dettaglio e ora è così.

Voglio sapere tutto di lei, voglio capire come funziona la sua mente e crogiolarmi nella pace che trasmette con la sua disponibilità e pacatezza.

Ho scoperto che è una ragazza molto riflessiva, che parla molto meno di quanto non pensi. Analizza ogni singolo dettaglio, lo prende, lo smonta e lo rimonta per guardarlo da un punto di vista differente, che nessuno o quasi aveva tenuto in considerazione.

Alle volte, invece, sa essere molto fiscale. Certe cose le prende letteralmente alla lettera.

L’altro giorno sono riuscito a passare in sua compagnia dieci minuti senza che sua madre fosse presente. Non è successo niente di che, anche perché non ho nessuna intenzione di fare qualcosa che possa arrecarle dolore. Stavamo semplicemente guardando un film mentre lei sbocconcellava dei salatini.

La camera in cui sta affrontando la convalescenza è stata completamente trasformata.

Il primo giorno che sono entrato in quella stanza, era ovvio che era stato, prima uno studio e successivamente un ripostiglio, poi adattato ad abitazione per Chelsea.

Ora è completamente cambiata. Gli scatoloni sono spariti, così come gli attrezzi da palestra inutilizzati, sicuramente acquistati online, che c’erano in un angolo. Anche la scrivania è scomparsa e al suo posto c’è un cassettone con sopra un enorme televisore, dove può guardare tutti i film che vuole.

Avrei voluto pensarci io, ma non ho avuto tempo e le sue amiche si sono adoperate perché avesse tutto quello di cui aveva bisogno.

Ad un certo punto, le ho chiesto di passarmi un paio di salatini e lei me ne ha messo in mano due di numero.

“Perché ridi?”

Alla sua domanda mi sono limitato a mostrarle i due salatini, che sulla mia mano sembravano ancora più piccoli.

Lei ha sollevato le spalle, con un sorriso divertito sul viso.

“A casa mia, un paio, significa due.”

Ho riso ancora e mi sono ficcato la manciata di snack in bocca, poi mi sono allungato su di lei per rubarle l’intero sacchetto.

È stato a quel punto che è entrata Jillian, con espressione ostile, e ha rovinato il momento ilare.

Non vedo l’ora che Chelsea si rimetta per passare un po’ di tempo lontano da quella casa. Ogni volta che metto piede oltre la porta d’ingresso, ho l’impressione di essere appena entrato in trincea.

Il telefono decide proprio in questo momento di squillare.

Sono le sette del mattino e non ho nessuna voglia di rialzarmi. Mi sono fatto la doccia, ma invece che vestirmi, mi sono ributtato sul materasso. Mi aspetta una giornata di mal di testa in ufficio, dove sarò obbligato ad indossare un completo giacca e cravatta decisamente troppo impegnativo per i miei gusti.

Ogni volta che mi guardo allo specchio, vedo qualcosa che detesto. Essere conciato come un fenomeno da baraccone non mi piace, perché ho sempre associato quel genere di abbigliamento al mio vecchio, ma so che la mia posizione richiede dei sacrifici, per cui cerco di specchiarmi il meno possibile e, soprattutto, di non gonfiare i muscoli nel disperato tentativo, quanto inutile di strappare la stoffa.

Afferro il telefono e sorrido quando vedo chi mi sta chiamando. È più forte di me.

“Buongiorno.”

“Buongiorno.”

“Come mai sei già sveglia?”

La sento sospirare, frustrata.

“Sono stufa di rimanere in casa. Voglio uscire, ma Jillian mi ha sequestrato le chiavi della macchina e sto impazzendo. Sono passati quindici giorni. Se non sollevo pesi o faccio particolari sforzi, non c’è nessuna ragione per cui non debba fare una vita normale. Il medico ha provato a farglielo capire, ma Jillian sta esagerando.”

Riesco a capire la sua frustrazione.

Sua madre è così sollecita che gli unici momenti in cui può prendersi una pausa dal suo controllo ossessivo  quando lei è a lavoro. Ovviamente la sera c’è in casa sua sorella e non c’è molto che possa fare senza macchina.

“Vuoi che ti rapisca?”

La sento ridacchiare leggermente, come fa sempre quando vorrebbe ridere apertamente ma deve evitare per evitare di provare dolore alle costole contuse.

“Lo faresti davvero?”

La nota speranzosa nella sua voce mi fa sollevare di botto dal letto. Io stavo scherzando, ma se lei vuole fuggire, allora farò di tutto per aiutarla.

“Ci puoi giurare. Io devo andare a lavoro, ma se mi dici a che ora puoi scappare, manderò qualcuno a prenderti.”

“Non mi stai prendendo in giro, vero?”

“Assolutamente no.”

La sento sospirare di sollievo e un brivido di compiacimento mi scivola lungo la schiena.

“Se mi tiri fuori di qui, sarò in debito con te per tutta la vita.”

“Vedrò di ricordarmelo.”

La sento ridacchiare di nuovo e poi zittirsi all’improvviso.

“Devo andare, credo che Jillian si sia alzata. Ti mando un messaggio appena s qualcosa.”

Chiude la chiamata bruscamente, come ormai succede fin troppo spesso. Evita di parlare con me davanti a sua madre perché non vuole creare altre tensioni, ma so che questa situazione la fa sentire frustrata e spero che quella donna così rigida se ne renda conto al più presto.

Mi avvicino al cassettone per prendere i pantaloni poggiati sulla sedia e la mia immagine riflessa mi sorprende.

Non sono i muscoli delineati o il torace ampio a lasciarmi di stucco, ma il sorriso felice che ho dipinto sul viso.

Ormai è ufficiale. Sono entrato nell’esercito dei ragazzi rimbecilliti.

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Capitolo 48
*** 48 Chelsea ***


48 Chelsea.

 

 

Per la prima volta, mi sono sentita come, molto probabilmente, si sentono le adolescenti quando gli viene “negato” qualcosa.

Dopo aver chiamato Adrian, che mi ha immediatamente proposto una via di fuga dalla gabbia di confort e soffocante amore in cui sono stata rinchiusa.

Ho fatto colazione con Jillian e Allyson, che nelle ultime settimane è diventata sempre più cupa e taciturna e poi sono scappata nella mia cella, per sfuggire all’atmosfera soffocante che si è creata tra madre e figlia.

Il mio rapporto con Allyson è davvero ottimo. Quando siamo assieme, parliamo di tutto, addirittura ride, ma appena entra nella stanza Jillian, la sua espressione si incupisce e il suo sguardo diventa ostile.

È evidente che tra quelle due c’è un problema, ma non ho nessuna intenzione di mettermi in mezzo. Sono cose che non posso capire e in cui non voglio entrare. Ho già abbastanza cose a cui pensare senza dovermi mettere a fare da mediatrice. E, anche se decidessi di immischiarmi, non sono sicura di averne diritto.

Chiusa nella mia stanza, pensavo di essere al sicuro, di essere riuscita ad evitare qualsiasi scontro, ma Jillian ha deciso che era la giornata giusta per dare battaglia e perorare la sua causa.

Sono dieci giorni che, appena può, prende l’argomento. Ho cercato in tutti i modi di farle capire che non ho nessuna intenzione di assecondarla, ma a quanto pare sono stata troppo poco chiara, perché ha bussato alla porta proprio mentre stavo scegliendo cosa mettere e non ho potuto non farla entrare. Ho cercato di nascondere i vestiti, ma non sono stata molto brava.

Speravo di non dover dare spiegazioni, che non si accorgesse che stavo progettando la fuga, ma ovviamente, con una figlia adolescente, i miei maldestri tentativi di dissimulazione sono falliti miseramente.

Non mi ha nemmeno dato la possibilità di inventare una scusa convincente, anche se non credo che ci sarei riuscita.

Non sono abituata a dover mentire, a dover giustificare azioni del genere.

Prima ero praticamente una figlia modello, ora invece, mi piace pensare di essere diventata più matura e decisamente indipendente.

Non mi va per nulla di dover giustificare quello che faccio.

Appena ha visto la roba ammucchiata sotto il cuscino, ha iniziato la sua filippica.

Odia a morte Adrian. Dice che è tutta colpa sua se sono finita in ospedale, che è un pessimo ragazzo che non fa per me, che non vuole vedermi soffrire e avrei anche potuto capirla se Adrian non si fosse più fatto vedere, se fosse scomparso dopo le mie dimissioni, ma a suo rischio e pericolo è venuto a trovarmi tutti i giorni, anche solo per vedermi pochi minuti. Mi ha scritto o chiamato più volte al giorno, per sapere come stavo. È stato più carino e dolce di quanto non sia mai stato, ma tutte queste cose, Jillian, non le vuole vedere.

La mia comprensione, però, stamattina ha raggiunto il limite.

Non avrei mai voluto discutere, anche perché non sono ancora del tutto guarita e agitarmi, respirare troppo forte, mi causa ancora delle fitte alle costole, ma proprio non sono riuscita a trattenermi.

Stava parlando male dell’uomo che amo, che mi tratta come se fossi un delicatissimo oggetto prezioso, quindi non sono riuscita a evitare lo scontro, che la mia “dolce” sorellina si è goduta con un sorrisetto sadico sul viso.

“Perché non riesci a lasciar perdere? Guarda come sei ridotta. Il tuo viso ha appena finito di guarire.”

Ho preso un profondo respiro, attenta a non esagerare.

“Non ho voglia di discutere.”

Ho cercato in tutti i modi di farle capire che non era il momento di litigare, ma lei non ha voluto sentir ragioni e, esattamente come temevo, ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire.

È stata una cattiveria che ho detto in un momento di agitazione.

Non era mia intenzione ferirla, anche se lei non stava affatto tenendo conto dei miei sentimenti, ma dall’espressione ferita che le si è dipinta sul volto, so di aver detto l’unica cosa che non avrei dovuto dire.

“Ora basta con questa storia. È vero, sono finita in ospedale per qualcosa che Adrian ha fatto da giovane, ma tutti possono sbagliare. Anche tu hai fatto degli errori, ma non per questo te li rinfaccio ogni due minuti. Se io l’ho perdonato, puoi farlo anche tu. Inoltre, non è colpa sua se Susan è una psicopatica. Se non fosse stato per le sue bravate, io e te non ci saremmo mai avvicinate così tanto e, molto probabilmente, non ci saremmo ancora ritrovate. Smettila di vedere solo la parte negativa della situazione. È frustrante.”

Lei ha spalancato la bocca, sorpresa dal mio atteggiamento.

Fino a quel momento ho fatto di tutto per non essere un peso o un disturbo, visto con quanta attenzione si stava prendendo cura di me, ma adesso sto meglio, posso riprendere in mano la mia vita, riprendere da dove mi sono fermata.

“Sto solo cercando di proteggerti.”

“Non serve. Non sono una bambina, non più. Sono cresciuta. Ho pensato a te per tutta la vita, prima convinta di non avere nessuna speranza di conoscerti, poi ansiosa di sapere perché non ci fossi stata e poi entusiasta all’idea di instaurare un rapporto con te, ma non per questo puoi controllarmi come fai con Allyson. So che questo è il tuo carattere, che sei fatta così, che preoccuparti è il tuo modo di dirmi che mi vuoi bene e anche io te ne voglio, ma non possiamo recuperare diciotto anni in un paio di settimane. Non sarò mai la Rhea che tu hai conosciuto e mi spezza il cuore sapere che non potrò mai essere quello che vuoi, però la realtà è questa. Non puoi comportarti così ed aspettarti che semplicemente lo accetti. Ormai sono grande e so prendere da sola le decisioni migliori per me stessa.”

Ho visto il suo viso sbiancare e ho temuto sinceramente di aver esagerato quando ha barcollato e si è appoggiata alla porta per sostenersi.

Il suo sguardo, mentre mi guardava, era colmo di dolore. Così intenso, da farmi quasi pentire delle mie parole.

Quasi, perché non importa quanto sia stata dura, ciò che ho detto, è una verità difficile da digerire, ma che prima o poi avremmo dovuto affrontare, quindi meglio prima che dopo.

“Ho bisogno di stare da sola.”

Ho aperto la bocca, non so bene per dire cosa. Avrei voluto dire qualcosa per spazzare via la sua sofferenza, ma niente di quello che mi è venuto in mente sarebbe andato bene.

Lei ha sollevato una mano per fermarmi, prima ancora che riuscissi a emettere un suono.

“Hai detto abbastanza.”

È uscita dalla stanza, superando Allyson senza nemmeno guardarla. Forse non si è nemmeno accorta della sua presenza.

Mia sorella aveva un espressione a metà tra il soddisfatto e il dispiaciuto.

“Sei una cogliona.”

La sua esclamazione mi ha fatto sobbalzare e stingere il cuore, anche se dalla sua espressione non mi è sembrato di scorgere ostilità.

“Sei arrabbiata con me? Ho sbagliato?”

Lei ha scosso la testa, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani stretti in una coda alta.

“No. È la verità, ma non sono sicura che sia stato un bene dirgliela. Almeno per lei.”

È stato strano sentirla parlare in difesa di Jillian, dato che, da quando vivo con loro, non è passato giorno senza che litigassero.

Se n’è andata prima che potessi replicare, lasciandomi da sola e un po’ più leggera.

Dieci minuti dopo, lo sbattere della porta mi ha fatto capire che Jillian era uscita.

Ho mandato velocemente un messaggio a Adrian, che mi ha risposto che avrebbe mandato subito qualcuno a prendermi.

Mi sono preparata il più velocemente possibile.

Non sapevo cosa mettere, anche perché non sapevo quale sarebbe stata la mia destinazione.

Alla fine ho optato per un paio di pantaloni scuri morbidi, un paio di stivaletti alla caviglia con una leggera zeppa e una maglietta morbida rosa confetto.

Non mi vestivo in modo così sobrio dal giorno di Capodanno a casa di Kayla. Tra corsi e lavoro, non ci sono state molte occasioni per sfoggiare un look elegante. Nemmeno per l’appuntamento di gruppo mi sono vestita così carina.

Voglio vederlo, riuscire a passare un po’ di tempo in sua compagnia senza che l’incubo di essere interrotti da mia madre.

E poi, c’è quella parte di me, molto femminile e vanitosa, che vuole sentirsi bella ai suoi occhi.

Sono riuscita a mettere un po’ di mascara giusto in tempo. Avevo appena finito di pettinarmi che hanno suonato alla porta.

Il mio cuore ha immediatamente iniziato a battere all’impazzata. Finalmente stavo per uscire.

Alla porta c’era un uomo di mezza età, con indosso un elegante completo nero. Sul taschino, il logo blu, verde e bianco, di una qualche ditta.

Con i capelli neri tagliati corti e perfettamente pettinati, il viso perfettamente rasato e gli occhi castani nascosti da un paio di occhiali da vista, mi è sembrata una persona molto rispettabile e seria.

“La signorina Lauren?”

Ho annuito, inizialmente sorpresa.

“Sono l’autista che ha ordinato.”

Mi sono ben guardata dall’informarlo che non ero stata io a chiamarlo e mi sono affrettata a prendere la borsa, la giacca e chiudere la porta.

L’aria fresca del mattino è stata un toccasana per il mal di testa che minacciava di travolgermi dopo il picco di adrenalina della discussione avuta con Jillian.

Mi sono seduta con cautela nei sedili posteriori della vettura, trattenendo un gemito quando, chinandomi, il costato è stato compresso, provocandomi una stilettata di dolore.

Non è nulla in confronto a come stavo due settimane fa, dove quasi non potevo muovermi, ma ugualmente non è piacevole e ne farei volentieri a meno.

Il viaggio in macchina è stato decisamente confortevole e l’autista mi ha detto che siamo quasi arrivati.

Passiamo di fronte al Tabor Center, uno degli edifici più importanti del centro di Denver, e svoltiamo sulla 17th Street.

La macchina si arresta dall’altra parte della strada rispetto alla fermata del bus numero 1 per Cherry Creek.

“Eccoci arrivati.”

L’autista scende rapido e mi apre lo sportello,da cui scendo guardandomi attorno con curiosità.

È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono stata in giro e il Central District è sempre un tripudio di attività e persone in carriera, vestite di tutto punto, che vanno di corsa da una parte alla’altra.

È un quartiere ricco di sedi commerciali, uffici e qui vicino credo ci sia anche un consolato.

Anche se ho sempre vissuto a Denver, non sono mai andata molto in giro e non conosco come dovrei la mia stessa città.

Proprio mentre sto per chiedergli dove ci troviamo esattamente, i miei occhi si posano su un’insegna con scritto McLeor Export Corporation.

Ringrazio l’autista e mi avvio verso l’enorme palazzo con le vetrate a specchio, che sembra sovrastarmi.

Passo accanto ad un venditore di fiori con dei palloncini ad elio a forma di delfino e salgo i pochi gradini che portano allo spiazzo antistante l’edificio.

Più mi avvicino, più mi sento nervosa.

Passo di fianco ad una strana costruzione sospesa dall’aria molto poco stabile. È sicuramente una qualche forma di arte astratta, formata da dei tubi bianchi, uno in verticale e uno in orizzontale, a formare delle croci, che sono unite tra di loro da dei cavi.

È una di quelle cose che non capirò mai.

Incrocio tre uomini con una ventiquattrore a testa che stanno uscendo dalle porte scorrevoli e mi scosto per non essere travolta.

Mi sono ricordata solo all’ultimo della mia delicata situazione. Per un istante, mi sono scordata di essere stata in convalescenza, di essere ancora delicata.

Anche un piccolissimo colpo potrebbe provocarmi un forte dolore.

Sono così felice di non essere più rinchiusa, che è davvero facile dimenticarsene.

All’ingresso, all’accoglienza, dietro un grande bancone bianco, c’è una specie di concierge vestito di tutto punto, che sta dando indicazioni a una signora vestita con una pelliccia marrone.

Posso vedere i capelli scuri stretti in un’acconciatura severa, mentre l’uomo sembra chiaramente insofferente.

La signora ha un tono di voce molto alto, decisamente fastidioso.

Non invidio per nulla l’uomo che sta cercando in tutti i modi di calmare la situazione.

Mi guardo attorno, nello spazio ampio e luminoso, adornato con piante in vaso vicino agli angoli, e individuo la targa con il nome della McLeor.

Fortunatamente è vicina agli ascensori e non devo aspettare per chiedere indicazioni.

Ho il cuore che batte all’impazzata mente salgo al quarto piano, leggermente nauseata dal movimento ascensionale del cubicolo.

Quando le silenziose porte dell’abitacolo si aprono alle mie spalle, mi ritrovo ad osservare la 17th Street dall’alto, attraverso le vetrate dietro la reception, dove due ragazze digitano con concentrazione su delle tastiere.

Mi avvicino lentamente con lo stomaco contratto in una morsa.

Mi sento estremamente a disagio in questo ambiente palesemente di lusso.

Le vetrate sono così pulite da sembrare quasi trasparenti e il pavimento, di marmo bianco, luccica come se non ci avessero mai camminato sopra.

Il bancone dove stanno le due donne è formato da due postazioni all’interno di un semicerchio e, anche in questo caso, la struttura è del più candido dei colori.

Mi avvicino alla receptionist che sembra meno occupata con un po’ di timore.

Esattamente come la sua collega, ha i capelli biondi tagliati fino alle spalle, perfettamente lisci e luminosi e indossa una giacca color antracite sopra una camicetta bianca

“Come posso esserle utile?”

La donna non solleva nemmeno lo sguardo, ma dalla voce credo abbia più o meno l’età di Adrian.

“Sto cercando Adrian McLeor.”

“Ha un appuntamento?”

Vengo presa alla sprovvista dalla sua richiesta.

Ho bisogno di prendere un appuntamento per vederlo?

“No, io…”

La donna non mi fa finire, solleva la testa e, dopo avermi squadrata da capo a piedi, mi fulmina con un’occhiataccia.

“Il signor McLeor è molto occupato e senza appuntamento non vede nessuno.”

Rimango senza parole di fronte a tanta formalità. Non sono abituata, non è il mio ambiente. Cosa dovrei fare adesso? Chiamarlo? Mandargli un messaggio? Oppure tornare a casa?

Qualsiasi cosa stessi per fare, mi è risparmiata dal suo arrivo, che fa scattare sull’attenti anche la seconda ragazza.

“Sto aspettando una persona se arriva fatela passare direttamente nel mio…” Si interrompe quando mi vede e la sua espressione passa da frustrata a sollevata in un battito di ciglia.

“Come non detto. Quando sei arrivata?”

Gli vado incontro sotto lo sguardo attonito delle sue dipendenti.

“Poco fa. Stavo giusto pensando di scriverti.”

Mi abbraccia, cingendomi le spalle con le braccia e io gliele stringo in vita, respirando l’odore di pulito del completo elegante che indossa.

Dire che è da togliere il fiato, è un eufemismo.

“Come ti senti?”

“Molto meglio ora che sono qui.”

Lui ridacchia e mi lascia andare.

“Vieni, ti porto a fare un giro.”

Sento le sopracciglia aggrottarsi, perché non riesco ad immaginare che ci sia qualcosa di particolarmente interessante.

Mi prende per mano con disinvoltura e mi conduce in giro per il piano.

Esattamente come immaginavo, non è niente di eclatante. Solo enormi stanze, divise in cubicoli da pareti di compensato altre un metro e mezzo, il tanto giusto per garantire riservatezza e trasparenza, e tante persone vestite con completi ordinati e professionali.

Il mio abbigliamento, al confronto, sembra estremamente infantile, soprattutto rispetto al mio accompagnatore.

Non so se è stata una mia impressione o se veramente sia stato così, ma per tutto il tempo, ho avuto la netta sensazione di essere osservata e non mi è piaciuto per nulla.

Arriviamo di fronte ad una scrivania, stranamente vuota e dall’aspetto abbandonato. Poco distante, c’è una porta di legno a due battenti.

“Ed ora la parte migliore, quella che ha realmente senso e merita di essere vista. Scusami se è stato noioso.”

Scuoto la testa, sorridendo. Non è un problema. Se qualcosa è importante per lui, allora lo è anche per me. Inoltre, le sue spiegazioni, sono state davvero istruttive. Non avrei mai pensato che potesse essere così complicato un lavoro di spedizioni.

“Quale sarebbe la parte interessante.”

Lui mi sorride, facendomi l’occhiolino con fare malizioso.

“Il mio ufficio.”

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Capitolo 49
*** 49 Adrian ***


49 Adrian.


Lo sguardo sorpreso e meravigliato di Chelsea, di fronte all'ampio ufficio in cui ora lavoro mi fa guardare l'ambiente con occhi nuovi.

Io in questo ufficio ci sono cresciuto l'ho visto cambiare, rinnovarsi, unire uno stile vecchio e pomposo a uno più moderno dove spiccano il bianco e il nero, ma prima della faccia scioccata di Chelsea, non mi ero mai reso conto di quanto, ad una persona esterna, potesse apparire strano.

Un altro mondo.

"Oh mio Dio."

La sua espressione rende molto bene.

L'ufficio è composto da due stanze collegate. Quella in cui ci troviamo ora, è arredata come se si trattasse di un salotto di una casa ultra costosa.

Al centro della stanza, sopra delle mattonelle di marmo nero, c'è un tavolino basso di legno massiccio, su cui sono appoggiati due vassoi, con sopra una caraffa di acqua fresca e dei bicchieri immacolati, il tutto dominato da un immenso vaso di cristallo con dentro una pianta dall'aspetto orientale.

Due divani di pelle bianca, cosparsi di cuscini, nelle varie tonalità di bronzo e platino, e una poltrona dello stesso colore, stanno intorno al tavolino, proprio di fronte alla vetrata che da sulla piazza antistante l'edificio.

Delle tende morbide, intonate ai cuscini, sono spalancante e pendono leggermente mosse dall'impianto di riscaldamento.

Le pareti sono coperte da lucidi armadi di mogano in cui vengono riposti tutti i documenti e le cartelle.

"Non ti piace?"

La osservo scuotere la testa, gli occhi sgranati.

"Non so cosa pensare. È... opprimente... credo."

La sua descrizione dell'ambiente è decisamente accurata. Per chi non è abituato a tanto sfarzo è decisamente una stanza soffocante.

"Vieni. Di qua andrà sicuramente meglio."

Le prendo la mano e la tiro verso sinistra, attraverso una porta a vetri smerigliata, automatizzata come nei supermercati.

La sento respirare a fondo una volta che la porta si è chiusa alle nostre spalle e non posso che concordare con lei.

Rispetto all'altra stanza, l'ufficio vero e proprio risulta quasi austero.

Nella stanza, domina l'ampia scrivania a L, dello stesso legno degli schedari. Una poltrona di pelle nera e due poltroncine dello stesso materiale sono l'unico posto per sedersi. Il ripiano di legno è occupato da due pile di documenti da vagliare e un pc fisso.

Il pavimento in resina è di tutte le sfumature del bianco con artistiche linee grigio scuro.

L'ambiente molto luminoso la fa sospirare di sollievo.

"Lavori davvero qui?"

Annuisco e lei mi sorride.

"Tutto questo bianco è davvero abbagliante, ma è molto più allegro dell'altra stanza."

Non posso che concordare con lei, anche perché rispecchia completamente l'orrido e costoso gusto di mio padre, mentre questo locale è più nel mio genere.

Se fosse per me, rivoluzionerei l'intero piano, ma non è il momento per quel genere di cambiamenti. Prima devo consolidare la mia posizione all'interno della società.

"Ho ancora un po' di cose da fare prima dell'ora di pranzo. Che ne dici di rilassarti un po' mentre finisco di controllare un po' di quelle carte?"

Lei annuisce, l'espressione serena come non la vedevo da tempo.

"Sono felice di essere uscita. Fai con comodo, io ti aspetto di là."

"Puoi restare qui se ti va'. La tua presenza non mi disturba."

La prendo tra le braccia per stringerla gentilmente. Adesso che è qui, non vorrei proprio lasciarla andare, ma se non imparo a far coincidere i miei impegni lavorativi con il tempo che posso passare con lei, non riuscirò mai a mantenere la promessa che le ho fatto quella seconda notte in ospedale.

Le ho detto che volevo essere un uomo migliore e ho assolutamente intenzione di diventarlo. Non è facile, perché le cattive abitudini, esattamente come in questo momento, cercano di prendere il sopravvento, ma voglio dimostrarle che tutto l'impegno che ci ha messo per riuscire ad arrivare dove siamo ora non è stato vano.

Che avere pazienza con me e darmi fiducia non è stato un errore.

Mollare tutto per passare un'ora in più con lei sarebbe da immaturi e non me lo perdonerebbe mai.  È troppo responsabile per accettare un atteggiamento del genere.

Le sue braccia si avvolgono attorno al mio busto, facendomi sentire sul petto la pressione del suo seno.

Oltre ad alcuni baci, decisamente troppo casti per i miei gusti, non ci tocchiamo dal giorno prima dell'aggressione e, sebbene l'astinenza forzata me lo faccia venire duro come il marmo, non ho nessuna intenzione di assecondare i miei desideri egoistici se lei non sta bene.

Le costole incrinate sono una scocciatura vera e propria. Ci vogliono settimane perché il dolore svanisca del tutto e Chelsea ha preso forse la metà degli antidolorifici che il medico le aveva prescritto.

Non c'è stato verso, una volta dimessa dall'ospedale, di farle prendere quelle dannate pillole.

Diceva semplicemente che se stava ferma non le servivano. Il dolore era sopportabile e non aveva nessuna intenzione di imbottire il suo corpo di medicine e cose in grado di confonderla.

L'esperienza con la morfina, a quanto pare, non le è piaciuta molto.

Ha detto che le ha dato la stessa sensazione di euforia e malessere di quando ha bevuto il cocktail di Meredith e che non aveva nessuna intenzione di riprovarla.

Ammetto di non essere riuscito a capirla, ma lei è stata irremovibile. A meno che il dolore non fosse diventato insopportabile, non aveva nessuna intenzione di prendere le medicine.

"Forse no, ma non voglio distrarti. Concentrati su quei documenti e, quando avrai finito, sarò oltre quella porta. Mi abituerò a tutto quell'opprimente lusso."

Lo disse con il sorriso, alzandosi sulle punte dei piedi per depositarmi un bacio gentile sulle labbra.

Prima ancora di avere il tempo di assaporare il contatto, lei si era già districata dal nostro abbraccio e abbandonato l'ufficio, lasciandomi da solo con una montagna di roba da fare.

***

Quando guardo l'orologio per controllare che ore siano, mi scappa un'imprecazione

Non riesco a credere che siano passate più di due ora da quando ho portato Chelsea nel mio ufficio.

In un primo momento, ho avuto difficoltà a concentrarmi. Ero preoccupato che non si sentisse a suo agio e i documenti che dovevo controllare erano davvero noiosi.

Tra una telefonata e l'altra, mi sono completamente immerso nel lavoro, dimenticandomi di tutto.

Mi alzo dalla poltrona che, sebbene comoda, dopo due ore inizia a diventare fastidiosa e mi allungo per sciogliere i nodi a spalle e schiena.

Stare tante ore seduto non mi piace, motivo per cui ringrazio sempre il cielo che qualcuno abbia aperto una palestra al settimo piano del palazzo. Appena ho un buco libero, mi infilo nell'ascensore  e vado a scaricare la tensione.

Prendo il cappotto dalla gruccia vicino alla porta del bagno e vado a cercare Chelsea.

In un primo momento la stanza mi sembra deserta, ma un secondo dopo, la individuo, profondamente addormentata su uno dei divani.

I capelli scuri sono abbandonati su un cuscino, il corpo rilassato nel sonno. Mi viene da sorridere quando noto che, pur di non mettere i piedi sul tessuto, li ha lasciati deliberatamente penzolare fuori dal bordo.

Mi avvicino lentamente, osservando ogni dettaglio. Ora il suo viso non porta più i segni della violenza che l'ha colpita. I graffi sono guariti, i lividi svaniti e presto anche le sue costole smetteranno di farle male.

Ho incaricato un avvocato di occuparsi di tutto quanto. Chiederanno per Susan la massima pena consentita e una visita psichiatrica per cercare di aiutarla.

Le accuse saranno piuttosto pesanti. Persecuzione, vandalismo, distruzione di proprietà altrui, aggressione e credo che l'avvocato proverà ad inserire anche il tentato omicidio. A suo favore non va che durante il colloquio con i poliziotti abbia detto che avrebbe dovuto ammazzarla quando ne aveva avuto la possibilità.

Quando l'ho saputo, mi sono davvero incazzato è il sacco da box della palestra ne ha pagato le conseguenze.
Ho continuato a colpire il sacco fino ad avere le mani doloranti e i muscoli delle braccia che chiedevano pietà.

Probabilmente, quella ragazza, passerà molti anni dietro le sbarre e spero che, se e quando uscirà, deciderà di fare qualcosa di buono della sua vita.

Lascio cadere il cappotto sulla poltrona e mi avvicino alla donna che mi ha mostrato un altro modo di vivere.

Non riesco ancora a credere di essere così fortunato. Mi sento come se mi trovassi in un mondo sconosciuto e fantascientifico. È la mia vita, lo so, e sono felice di viverla, ma allo stesso tempo mi sembra estranea, come se dovesse svanire da un momento all'altro.

Eppure so che lei non andrà da nessuna parte.

Esattamente come me, quando promette qualcosa, Chelsea fa di tutto per mantenere la parola data e di lei mi fido ciecamente.

Come potrebbe essere diversamente?

Ha visto il peggio di me e non è scappata disgustata. Ha perdonato le mie cazzate, quelle del presente come quelle del passato, quasi senza battere ciglio nonostante sia successo tutto quel casino.

Come potrei non fidarmi, quando mi sorride come se il mondo fosse un posto bellissimo in cui vivere?

È una di quelle sue qualità che preferisco. Lei sorride sempre, anche quando non va bene niente, lei trova un modo per farlo. Vede sempre del buono in ogni situazione, in ogni persona e io voglio proteggere quel sorriso così speciale.

Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerla dalle cose cattive del mondo, in modo che possa sempre sorridere come ha fatto solo un paio di ore fa, quando mi ha visto nella All.

Mi chino vicino al suo viso e le sfioro con delicatezza la piccola cicatrice bianca che ha sul labbro inferiore, dove era ferita.

Lei si muove leggermente, emettendo una specie di miagolio.

Ripeto il gesto e i suoi occhi si spalancano, sorpresi.

Appena si accorge di chi ha davanti, la sua espressione si addolcisce e il sorriso le illumina il viso.

"Mi sono addormentata vero?"

Le accarezzo il viso, incapace di fermare la mia mano che vuole toccarla. Lei reclina il capo, per avvicinarsi di più al mio palmo, gli occhi socchiusi.

Mi limito ad annuire.

"Mi dispiace."

Alle volte non la capisco. Si scusa anche per cose che non devono essere perdonate.

"Non hai fatto nulla di male. Eri bellissima mentre dormivi."

La sua espressione sorpresa mi fa corrugare le sopracciglia.

"Non mi avevi mai detto che sono bella."

La sua innocenza si palesa di nuovo, con una constatazione così pulita, senza ombra di recriminazione, come solo chi è assolutamente puro può fare.

"Sono un idiota."

Lei mi osserva con curiosità, aspettando una spiegazione.

Che pezzo di merda che sono.

"Tu sei bellissima Chelsea, non so se tu lo sia più dentro o fuori, ma sei comunque incantevole."

Sento il cuore pulsare con forza, mentre le sfioro la fronte per allontanare alcune ciocche ribelli.

Come posso essere stato così stupido da non dirle una cosa così elementare?

"Mi hai conosciuta che ero un caso umano."

La sua affermazione è colma di nostalgia, come se qualcosa di quel periodo le mancasse.

"Eri bellissima anche con quegli assurdi capelli biondi."

Lei sembra sorpresa e non posso biasimarla. Io stesso non riesco a credere di ricordare quella sera con tanta chiarezza. La prima cosa che ho notato di lei è stato quanto poco assomigliasse alle altre ragazze. Piacevolmente, incredibilmente diversa.

È stata anche la prima cosa che mi fatto pensare che farci sesso sarebbe stato fenomenale.

"Oddio che vergogna."

Si copre il viso con le mani, che mi affretto a spostare, intrappolandole tra le mie.

"Perché? Eri davvero adorabile ed eri assolutamente off limits."

Lei sorride, leggermente persa nei suoi pensieri.

"Sei stato gentile. Sei venuto a parlarmi." Mi guarda, con i suoi splendidi occhi violetti in grado di togliermi il respiro.

"Era la prima volta che parlavo con un ragazzo fuori dal mio ambiente. Non riesco a credere che siano successe così tante cose in meno di sei mesi."

Nemmeno io e non mi sono ancora abituato a tutto ciò. L'ultimo mese in particolare è stato quello più carico di avvenimenti in assoluto. La sua vita è cambiata completamente, ma anche la mia è stata rivoluzionata: da lei, la mia fata personale.

Lei sospira, mentre io non so cosa dirle.

"Non avrei mai pensato di arrivare fino a qui e sentirmi così a mio agio. Mi sei mancato questi ultimi quindici giorni."

Le sorrido, perché il sentimento è assolutamente reciproco.

"Anche tu mi sei mancata."

Lei lancia un'occhiata in direzione della porta.

"Credi che, se ti baciassi, qualcuno verrebbe ad interromperci?"

La sua domanda mi spiazza completamente e, senza pensarci due volte, mi fiondo alla porta per chiuderla a chiave.

Meno di trenta secondi dopo sono di nuovo vicino a lei. Si è messa in piedi, lo sguardo che luccica di aspettativa, e non ci penso due volte prima di metterle le mani addosso.

Le infilo una mano tra i morbidi capelli per tenerla ferma e divoro la sua bocca come non facevo da troppo tempo.

Mi è mancata la sensazione di stringerla tra le braccia, di baciarla.

Lei è dolce, decisa, completamente abbandonata contro di me, ma reattiva ad ogni mia variazione.

Non è più timida, schiva. È dannatamente perfetta e mi fa sentire l'uomo migliore di questo mondo con il suo abbandono.

"Fa l'amore con me."

La sua voce è dolce, ma decisa, esattamente come il suo sguardo.

È la prima volta che prende l'iniziativa da quella notte dove è venuta nel mio appartamento e la sua audacia mi stupisce, anche se al mio pene gonfio fa tutto un altro effetto.

"Non voglio farti del male e poi siamo in ufficio."

Lei scuote la testa leggermente, le guance arrossate.

"Sto bene, ma voglio sentirti vicino, ho bisogno di sapere che tutto questo non è solo un sogno, ma che è tutto vero. 

Rinforza la presa delle sue braccia sul mio collo per avvicinarmi e, con le labbra a mezzo centimetro dalle mie, ripete la sua richiesta, come se potessi mai negarmi una seconda volta a prendere ciò che bramo.

Starò anche cercando di essere migliore, ma lei è dannatamente eccitante quando è eccitata. 
Inoltre i pantaloni mi vanno stretti da troppo tempo per allontanarla e provare a protestare.

Se lei se la sente, io non ho nessuna obiezione.

La trascino sul divano, lasciandola sdraiare sopra di me e ricomincio a baciarla, con più foga di prima.

Lei si allunga sopra di me come un gatto, intrecciando le sue gambe con le mie. Con una mia gamba tra le sue, è una posizione maledettamente sexy perché sento ogni centimetro del suo morbidissimo corpo contro il mio.

Con una mano le tengo la testa ferma per poterla divorare, mentre con l'altra inizio a esplorare le sue curve. La sua pelle è morbida proprio come ricordavo e lei profuma di pesca.

Sollevo il ginocchio e lei inizia a muoversi piano contro la mia gamba, premendo il suo centro bollente contro di me. Sento il calore attraverso gli strati di vestiti e questo mi porta a cercare di eccitarla ancora di più.

Mi sposto e con qualche difficoltà riesco a capovolgere la nostra posizione.
Chelsea ha le guance arrossate e le labbra, rosse e gonfia per i miei baci leggermente aperte.

Prima di lasciarla sdraiare di nuovo, le faccio togliere la maglietta che indossa e lasciandola solo in reggiseno.

Chelsea è formosa, ben proporzionata e le coppe del reggiseno riescono a malapena a contenere il suo seno.

Cerco i suoi occhi e vi trovo un ombra che mi mette immediatamente  in allerta.

"Cosa c'è che non va?"
La sua prima reazione è distogliere le sguardo, ma un attimo dopo si volta e mi guarda con un misto di determinazione e imbarazzo.

“La luce. Non è mai successo con tutta questa luce.”

Pian piano capisco che cosa intende.

Per quante volte siamo andati a letto assieme, non è mai successo fuori dalla camera da letto, stranamente e mai con tanta luce.

“Vuoi andare via?”

Mi sento obbligato a chiederglielo, anche se credo che quello che ho nei pantaloni potrebbe uccidermi se lei decidesse che è meglio fermarsi.

Con mio immenso sollievo lei scuote la testa, sempre un po’ timorosa.

“Me lo dimenticherò, perché mi fai perdere la testa.”

Detto ciò, mi attira nuovamente a se per un bacio da togliere il respiro e che fa salire la temperatura della stanza di qualche grado.

Le passo una mano sui fianchi, sulla vita, salendo verso l’alto. Le sfioro appena il reggiseno e le afferro il viso per farla voltare e avere accesso al collo.

Ha un sapore leggermente salato mentre percorro con la lingua la vena del collo che pulsa vistosamente.

Ringrazio silenziosamente il cielo che l’apertura del suo reggiseno sia sul davanti e in un secondo la libero dell’ingombrante indumento.

Mi sollevo un po’ per guardarla ed è esattamente come l’avevo immaginata questa mattina quando mi ha chiamato.

Avevo una certa fantasia su lei, nuda e scompigliata su uno dei miei divani, ma non avrei mai pensato che quella piccola follia mattutina si sarebbe realizzata in giornata.

Sotto il mio esame, il collo e il viso s’imporporano per l’imbarazzo, facendomi sorridere.

“Puoi giurarci che ti farò perdere la testa.”

Mentre con la bocca esploro tutto quello che ha da offrire, facendole emettere piccoli squittii ogni volta che i miei denti sfiorano un capezzolo, con l’altra mano le sbottono i pantaloni.

Invece che rimanere ferma e godersi le mie attenzioni, Chelsea inizia a trafficare con la mia camicia, fino a sfilarmela e avere, finalmente, accesso alla mia pelle, su cui passa delicatamente le unghie corte.

Me la prendo con comodo, torturando tutti i suoi punti più sensibili e facendola contorcere. 

Più la tocco, più lei diventa esigente e intraprendente. Dopo aver fatto volare la mia camicia chissà dove, è lei ad armeggiare con la cintura dei miei pantaloni per poterci infilare una mano dentro.

I suoi occhi sono smarriti, completamente catturati dal momento e non c’è più ombra dell’imbarazzo o dell’inquietudine.

Adoro quando si trasforma in questo modo. Un momento prima è timorosa, ansiosa, e l’attimo dopo è pronta a prendere quello di cui a bisogno, come se qualsiasi freno fosse stato tolto.

Non si tira indietro quando le sollevo una gamba sullo schienale del divano per avere pieno accesso al suo corpo e torturare con la bocca quella parte del suo corpo che richiede così ardentemente le mie attenzioni.

Lei si inarca sotto il mio tocco, gemendo sommessamente e artigliando con forza i miei capelli leggermente troppo lunghi.

I preliminare con lei sono sempre molto intensi perché reagisce al mio tocco come se fosse pervasa da scariche elettriche.

Vederla venire è decisamene eccitante perché non si frena in niente. Ogni sua reazione è amplificata e onesta. Il suo sguardo meravigliato, ogni volta che il suo corpo si contrae per il piacere, mi fa sentire eccezionale.

Chelsea è fatta per il sesso, con me.

È perfetta per stare tra le mie braccia, per pronunciare il mio nome mentre affondo nel suo corpo caldo mentre è ancora scombussolata dal primo orgasmo.

Eppure, non so se per non farle male o semplicemente per il piacere del sentirla dopo tanto tempo, il nostro amplesso non è scatenato come al solito.

Non riesco a smettere di guardare il suo viso, su cui posso leggere tutto ciò che prova,  mentre pian piano accelero i movimenti del bacino per dare ad entrambi sollievo da questa tortura.

Lei socchiude gli occhi per cercarmi, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto.

Si irrigidisce nel mio abbraccio, affonda domi le unghie nelle spalle e pronunciando parole d’amore che mi fanno completamente perdere il controllo.

La mia mente si svuota di ogni pensiero razionale e rimangono solo i sentimenti e le sensazioni.

Forse glielo dico o forse mi limito a pronunciare il suo nome, mentre il piacere m’irrigidisce i muscoli.

Non lo so.

Non sono sicuro di molte cose, ma è indiscutibile che mi stia follemente innamorando di questa donna.

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Capitolo 50
*** 50 Chelsea ***


50 Chelsea.

 

 

La tempesta si è placata e giaccio praticamente nuda sulla morbida pelle del divano bianco, le gambe così deboli da non provare nessun desiderio di alzarmi.

Adrian è sdraiato sopra di me, il respiro ora regolare. Dopo essersi tolto il preservativo e dato una pulita veloce con una salvietta di carta, è tornato sul divano e mi ha presa tra le braccia, stringendomi forte e delicatamente allo stesso tempo.

Mi è mancata la sua vicinanza, sentirlo così vicino. Mi è mancato il sesso e non avrei mai pensato di potermi sentire allo stesso tempo a mio agio e imbarazzata nella mia nudità.

Il pudore e la vergogna, quando sono con Adrian, svaniscono, perché mi guarda con gli occhi che brillano. Sono scuri e in tempesta quando è eccitato e adoro sapere di fargli un tale effetto. 

Non avrei mai immaginato che uno sguardo lussurioso, invece di farmi rabbrividire e disgustare come  è accaduto innumerevoli volte, prima di lui, mi avrebbe fatta emozionare e sentire felice.

Ho sempre odiato il modo lascivo in cui alcuni uomini e ragazzi guardavano il mio corpo, mi ha sempre messo a disagio, ma quando è Adrian, non mi sembra mai abbastanza.

Aprire le gambe, mostrargli tutti i miei segreti, è molto meno difficile di come lo è stato le prime volte, perché adesso le cose sono molto più chiare.

Certo, non abbiamo ancora parlato di sentimenti e lui è ancora un po’ rigido secondo me, ma sono quasi certa che si stia innamorando di me.

I suoi occhi mi parlano e mi dicono tutto quello che ho bisogno di sapere.

Aspetto con ansia il momento in cui mi dirà quelle parole così importanti, perché vorrà dire che ha finalmente accettato di aprirsi del tutto.

Raccontarmi del suo passato, è stato indubbiamente difficile e so che c’è voluta una bella dose di fiducia per confidarsi, quindi sono disposta a dargli tempo, tutto quello di cui avrà bisogno.

Anche se non lo ha detto, i suoi occhi me lo dicono, il modo in cui mi tocca è come un dolce sussurro che parla di amore, di adorazione.

Oggi non è stato solo sesso, è stato molto di più. L’ho sentito fin dentro l’anima mentre spingeva nel mio corpo con lentezza, lo sguardo incatenato al mio.

Non è stato solo perché non voleva farmi male che è stato gentile, meno impetuoso e appassionato delle altre volte. No, oggi desiderava trasmettermi qualcosa ed è riuscito a farmi tremare il cuore con il suo tocco gentile.

Io amo quest’uomo per quello che è, per il dolore che ha dovuto affrontare, per il modo, sicuramente sbagliato, in cui si è rialzato, ma tutto ciò lo ha reso così diverso da qualsiasi persona io abbia mai conosciuto.

Gli errori che ha fatto nel passato non contano, perché io sono speciale per lui, quanto lo è lui per me.

Io volevo salvarlo da se stesso, ma la verità è che si è salvato da solo, esattamente come io ho trovato un nuovo equilibrio con le mie sole forze.

Non gli serviva una salvatrice, ma una ragione per essere migliore. Ha scelto da solo la sua strada. Avrebbe potuto continuare ad essere come prima, a far soffrire le persone solo per lenire la sua pena, invece che affrontare i suoi demoni, invece ha scelto di essere diverso, di cambiare la sua vita ed essere, o almeno provare, la persona che avrebbe sempre voluto diventare.

Avrebbe potuto lasciarsi consumare dall’odio e dalla recriminazione, ma non lo ha fatto.

Questo lo rende non solo forte, ma incredibilmente speciale.

Cambiare la propria vita richiede sforzo ed impegno e io so bene quanto possa essere difficile.

Lo stringo più forte, mentre lui preme ancora di più la testa sul mio petto nudo, esattamente come fanno i neonati.

Un brivido mi scende lungo la schiena, accompagnato da uno spasmo di eccitazione.

Adrian adora il mio seno, passa una quantità di tempo spropositato a toccarmi, non solo prima del sesso, ma anche dopo e, se all’inizio questa sua fissazione mi metteva a disagio, mi sono abituata anche troppo in fretta a sentire il suo peso sopra di me, al calore del suo corpo.

Non vorrei lasciarlo andare, ma credo che abbiamo passato abbastanza tempo qui dentro con la porta chiusa e i suoi dipendenti potrebbero avere bisogno di lui da un momento all’altro. Inoltre, la vetrata di fronte a noi mi mette a disagio.

Anche se so che quasi sicuramente nessuno potrebbe vedere, con un binocolo o meno, che cosa succede, vedere così chiaramente l’esterno mi fa sentire esposta e vulnerabile.

Non sono ancora pronta per diventare una creatura disinibita come la mia migliore amica. Per come sono ora, anche una minigonna è troppo osé, quindi l’idea di essere nuda dove chiunque potrebbe vedermi se abbastanza in alto, mi mette a disagio.

In questo momento Adrian mi copre, ma prima, mentre eravamo impegnati ad amarci, ero completamente esposta.

L’idea che qualcuno possa averci visto mi fa accapponare la pelle, ma in quel momento il desiderio di sentirlo vicino, intimamente connessi, è stato più forte della timidezza.

Ora è tutto così diverso. La sua freddezza è scomparsa. Dell’uomo che, dopo esseri preso la mia verginità, è rimasto accanto a me, senza dire una parola, non è rimasto nulla.

Improvvisamente solleva la testa, fissandomi con gli occhi che adesso sembrano del colore delle nuvole cariche di pioggia.

“Hai fame?”

Mi limito ad annuire e lui si allunga sul pavimento per recuperare i miei abiti.

Quando si sta alzando, lo trattengo, intimorita.

“non è che potresti chiudere quelle tende? Mi sento a disagio.”

Gli indico le vetrate e lui scoppia a ridere.

“Non può vederci nessuno, ma se ti fa stare tranquilla, lo farò.”

Si solleva leggermente non appena lo lascia andare e mi sbatte scherzosamente addosso uno dei cuscini del divano che, nel corso del nostro appassionato interludio sono caduti per terra.

“Copriti con questo.”

Si alza, senza quasi lasciarmi il tempo di sedermi e nascondermi dietro il morbido cuscino, e lo osservo camminare tranquillamente per la stanza, fino alle vetrate, completamente nudo.

Mi sento a disagio ad osservarlo, perché per me la nudità è ancora qualcosa che mi mette a disagio, ma mi piace farlo.

Adrian ha un bel corpo secondo me. Non so se sia una bellezza universale, ma a me piacciono i muscoli delineati della schiena, delle cosce e tutto il resto. Potrei rimanere ore a guardarlo, cercando di dipingere nella mente un suo ritratto, questo senza essere scoperta.

Infatti, non appena si gira, dopo aver tirato le tende, distolgo lo sguardo, imbarazzata.

Il suo viso ha il tipico sorriso di chi sa di essere stato osservato attentamente e gli fa piacere.

Però, per fortuna, non dice nulla, dimostrando di essere più sensibile di quanto non si potrebbe pensare.

Con le guance in fiamme, mi rivesto, i muscoli delle cosce doloranti per la tensione a cui sono stati sottoposti.

Lui fa lo stesso, riacquistando in pochi minuti un aspetto rispettabile e dignitoso, mentre io sono sicura di assomigliare ad un’accattona.

Adrian mi mostra il bagno, un altro locale inequivocabilmente lussuoso nella sua semplicità e mi dice di fare con comodo.

Mi guardo allo specchio e inorridisco. Ho i capelli un disastro a causa delle troppe volte in cui Adrian ci ha messo le mani e il viso è pieno di chiazze rosse, che stanno lentamente sbiadendo. Il mascara si è parzialmente sciolto a causa del sudore e, in aggiunta alle occhiaie già presenti sul mio viso, ora sembro un panda sconvolto che è caduto da un albero sopra un cespuglio urticante.

Con rassegnazione mi passo le dita nelle ciocche disordinate, cercando disperatamente di riportarle in ordine, dopo di che mi lavo il viso, rimuovo con un pezzo di carta i residui di nero, non senza riempirmi di pezzettini di carta bagnata, che riesco a eliminare con fatica, e riapplico il mascara, facendo attenzione a non cavarmi un occhio.

Il mio corpo sta ancora tremando a causa dell’intensità del nostro rapporto.

Dopo un’infinità di tempo, finalmente ho un aspetto presentabile e raggiungo Adrian, che è di nuovo alla scrivania e sta parlando al telefono, un’espressione strana sul viso.

Sembra preoccupato, ma anche furibondo.

“Arrivo subito!”

Sbatte con forza il telefono sul supporto, facendomi sobbalzare e si alza. Tutto in lui parla di ira contenuta.

“Puoi aspettarmi qui? Devo risolvere un problema. Ci metto al massimo dieci minuti.”

Mi fa sedere alla scrivania e mi da un bacio sulla fronte, dopo di che esce velocemente dall’ufficio a passo sostenuto.

Qualsiasi cosa sia successa, non lo ha reso per nulla felice.

Prendo il cellulare dalla mia borsa e riprendo a leggere il libo da dove lo avevo interrotto.

Ho scoperto che posso acquistare e leggere libri anche sul cellulare grazie ad un’applicazione e, prima di addormentarmi, stavo proprio facendo questo.

Prima di imbattermi in questo romanzo, non avrei mai pensato che il genere post apocalittico mi sarebbe piaciuto, ma La Peste Scarlatta di Jack London è un romanzo davvero incredibile.

Il libro è stato scritto nel 1912, ben prima delle guerre mondiali, ma da come l’autore parla dell’umanità, è come se avesse avuto una visione, una premonizione, su ciò che sarebbe accaduto e che ora tormenta l’uomo moderno. Parla di una società vendicativa e prepotente, al massimo della sua espansione, dove non ci sono limiti a ciò che l’uomo può fare, dove non c’è più nessun confine tra bene e male. È in quel preciso momento che l’epidemia colpisce, distruggendo tutto ciò che l’uomo aveva costruito fino a quel momento.

Mi sono imbattuta in questo autore per caso, durante le infinite ore passate nel mio letto, e sono stata completamente catturata dalla trama. Guardare la televisione mi aveva stancata e stavo cercando qualcosa da leggere.

Mio padre non mi ha mai spinta a leggere, voleva che partecipassi alle attività della comunità, che facessi la mia parte come sua figlia, ma ho sempre adorato leggere storie improbabili e al limite della fantasia.

È stato al liceo che ho finalmente potuto coltivare la mia passione. Mio padre non poteva negarmi la possibilità di studiare letteratura inglese, così si è rassegnato, vegliando e controllando ossessivamente che non leggessi qualcosa di inappropriato.

Ci hanno fatto leggere Cime Tempestose, Orgoglio e Pregiudizio e, per quanto siano state bellissime storie d’amore tormentate, mi sono sempre apparse più irreali di altri libri.

Di tutti quelli che ci hanno fatto leggere, al romanticismo, ho preferito Moby Dick e Ventimila leghe sotto i mari. Soprattutto l’ultimo.

Ho adorato il modo in cui Jules Verne ha descritto il mondo sottomarino e i suoi abitanti. Riuscivo a raffigurarmi perfettamente le ambientazioni. La ricerca del mostro marino a bordo della nave, vita sul Nautilus, la battuta di caccia nel Pacifico.  Il suo racconto mi è rimasto nella mente e nel cuore.

Stavo per acquistare e scaricare un altro dei suoi romanzi, che non ho mai potuto leggere, quando il mio sguardo si è posato sul romanzo di Jack London. Mi ha incuriosito così tanto che l’ho acquistato immediatamente.

Sono a circa metà della lettura e mi sta appassionando sempre di più nonostante sia una specie di necrologio della civiltà umana.

Non so quanti minuti sono passati quando sento finalmente la porta aprirsi. Sollevo la testa di scatto, ansiosa di vederlo entrare, ma la persona che attraversa le porte di vetro non è Adrian.

L’uomo indossa un completo elegante e ha i capelli tirati indietro. Il viso è grigiastro e stanco. Si ferma immediatamente quando mi vede, stringendo gli occhi fino a riderle a due fessure.

Sento un brivido di terrore scivolarmi lungo la schiena, mentre mi rendo conto che l’uomo che ho davanti, stando ai racconti di Adrian, è tutto meno che innocuo.

Nonostante ciò, nonostante il mio corpo stia tremando e il cuore stia cercando di fuggirmi dal petto, raddrizzo le spalle, fissandolo con determinazione.

Non avrei mai pensato di incontrare il padre di Adrian e ne avrei fatto volentieri a meno.

Ci fissiamo per alcuni istanti e non so cosa fare.

Lui sembra stia riflettendo su qualcosa, mentre mi osserva con sguardo cattivo.

Quest’uomo, se così si può definire, mi spaventa, ma non posso mostrargli la mia paura.

“Credo che abbia sbagliato ufficio.”

La mia voce suona leggermente più debole di quanto avrei voluto, ma non distolgo lo sguardo.

Deve andarsene prima che torni Adrian. Non voglio che lo veda.

L’uomo sorride con cattiveria.

“Invece credo proprio di essere nel posto giusto.”

Fa un paio di passi avanti e io mi alzo dalla poltrona su cui ero seduta e stringo con forza il telefono nella mano, cercando di trattenere i tremiti.

“Adrian sarà qui a breve.”

Gli dico, ma lui scuote la testa, l’espressione maligna e divertita.

“Oh, io non credo proprio. Ho dato al mio figliolo una bella distrazione, così posso riprendere ciò che è mio.”

Percorre con lo sguardo il mio corpo, facendomi rabbrividire e venire un conato. Il mio stomaco sta cercando di ribellarsi.

“Mio figlio ha sempre saputo trattarsi bene. Sei proprio una bella puttana.”

Sento i miei occhi spalancarsi, mentre il mio corpo si irrigidisce e il respiro si spezza.

Lui continua ad avanzare verso di me e io non mi sento più le gambe. È come se mi avessero inchiodato le scarpe sul pavimento.

“Però ora di devi levare di torno.”

Arriva ad un passo da me e finalmente il mio cervello si sblocca quando si china verso uno dei cassetti. Ha una chiave in mano.

“No!”

Prima di capire che cosa sto facendo, lo spingo via.

Non può farlo, non ne ha nessun diritto. Questo posto è di Adrian, è il suo nuovo inizio e non lascerò che questo mostro gli faccia ancora del male, che gli porti via ciò che si è guadagnato.

Non mi interessa che cosa vuole, ma se è così importante da venire fin qui e far allontanare Adrian per avere libero accesso, allora non deve ottenerla.

“Togliti dai piedi.”

Mi spinge all’indietro, ma io afferro con tutte le forze che ho il suo braccio e cerco di allontanarlo dalla scrivania.

“Se ne vada.”

Sento uno strattone, accompagnato da una penosa fitta alle costole e poi è come se la mia faccia esplodesse e il mondo si stesse capovolgendo.

Il stanza sembra girare mentre perdo l’equilibrio e cado all’indietro. Finisco sulla poltrona che, sotto la forza dell’impatto, si capovolge, scaraventandomi in terra e contro la scrivania di legno.

Il dolore che mi avvolge è così intenso da togliermi il respiro. Non riesco a capire che cosa stia succedendo, ma un attimo dopo la stanza si riempie di rumori, mentre ho come l’impressione che sulla mia faccia sia stato poggiato un ferro incandescente.

Ho lo sguardo annebbiato dalle lacrime e ci metto alcuni secondi a mettere a fuoco la macchia scura che oscura il sole del primo pomeriggio.

Il mio cuore perde un battito mentre riconosco nell’alta figura il mio Adrian, che tiene suo padre per il bavero della giacca. Non posso vedere che il viso dell’uomo, rosso e spaventato, mentre i suoi piedi sfiorano appena il pavimento.

La sua voce è fredda come il ghiaccio, ma le sue parole mi riscaldano come nemmeno il sole estivo riesce a fare.

“Se pensi che ti lascerò fare ancora del male a una persona che amo, ti sbagli di grosso.”

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Capitolo 51
*** 51 Adrian ***


51 Adrian

 

 

L’espressione non vederci più dalla rabbia sta acquisendo un nuovo significato per me.

L’uomo che mi guarda, gli occhi spalancati dalla paura, non dovrebbe trovarsi in questo edificio, vicino a Chelsea.

Sento un’oppressione fastidiosa sul  petto, che mi fa sentire come se fossi in gabbia.

La mia mente è invasa da immagini brutali, dove mollo il vecchio e lo prendo a pugni, sfogando su di lui più di dieci anni di dolore, recriminazione e odio.

Vedere il suo viso devastato e sanguinante sarebbe l’unico modo per soffocare l’ira che mi sta irrigidendo tutti i muscoli del corpo.

Eppure mi trattengo, stringendo la mascella così forte da farmi male ai denti.

L’unica cosa che vorrei, in questo momento, è cancellare la sua esistenza da questo mondo con le mie stesse mani.

Deve solo ringraziare che sono arrivato in tempo, perché se avesse osato farle del male, più di quanto non le abbia già fatto, niente e nessuno mi avrebbe impedito di ucciderlo.

Non ho nessuna intenzione di rivivere il tormento, i sensi di colpa.

Non lascerò che ferisca e maltratti una persona che amo.

Pensavo che se fosse rimasta nel mio ufficio, non sarebbe successo nulla. Quando mi sono allontanato, per gestire io stesso la cosa, la sicurezza interna e dell’edificio stava già cercando l’intruso, ma solo quando ho visto la faccia dell’uomo, serena e soddisfatta, sono stato assalito da una brutta sensazione.

Il cuore stava per scoppiarmi nel petto mentre tornavo a grandi passi verso il mio ufficio, sperando di sbagliarmi.

Non appena ho varcato le doppie porta di legno, ho sentito il rumore della sedia che si rovesciava, seguito immediatamente da un tonfo e un gemito femminile.

Mi sono catapultato nella stanza adiacente e lui era lì, chino dietro la scrivania, nel punto esatto dove l’avevo lasciata.

Anche senza vederla, sapevo che era successo qualcosa.

Non ha avuto il tempo di accorgersi che ero rientrato. Quando ha sollevato la testa, ero abbastanza vicino per colpirlo e l’ho fatto, centrandolo in pieno su uno zigomo.

Ho sentito una stilettata di dolore salirmi lungo il braccio, ma in confronto a quello che ha sopportato Chelsea, il pulsare della mano non è nulla.

L’uomo mi guarda, un occhio leggermente più chiuso dell’altro a causa dell’impatto con la mia mano.

Nelle mie mani, è come un’immobile bambola di pezza logora e vecchia.

“Cosa cazzo pensavi di fare?”

La mia voce è come un ringhio, mentre cerco una spiegazione razionale a questa follia.

Pensavo che i problemi fossero finiti, che fosse chiusa, ma a quanto pare il vecchio non ha nessuna intenzione di arrendersi e accettare la sconfitta.

Ciò che è mio, lui non lo deve nemmeno guardare e toccare Chelsea è stato il suo più grande errore.

Non sono più un ragazzino impotente, ora posso proteggere le persone a me care e non ho nessuna intenzione di permettere ad un infimo essere come quello che ha contribuito a generarmi di macchiare qualcosa di così bello e puro come la mia Chelsea.

Cristo. Come ha potuto farle del male?

Che razza di mostro è?

Le ho lanciato solo una breve occhiata, giusto per assicurarmi che non fosse ferita gravemente e la sua espressione sgomenta, mentre si teneva una mano sul viso, con gli occhi pieni di lacrime, è stata quella che mi ha fatto quasi andare fuori di senno.

Sarei dovuto arrivare prima, ma lui mi ha giocato. Ha creato un diversivo per poter accedere al piano ed intrufolarsi nel mio ufficio.

Mio padre ritrova la sua spavalderia e con uno scatto inizia a divincolarsi. Lo lascio andare solo per non cedere alla tentazione di afferrare, al posto del bavero della giacca, il suo collo con entrambe le mani e stringere fino a fargli esalare l’ultimo respiro.

Fa un passo indietro, fissandomi con disgusto e finta spavalderia.

Arretro di un paio di passi e schiaccio il pulsante dell’interfono, senza perderlo di vista.

“Signorina Smith, mandi immediatamente la sicurezza nel mio ufficio e chiami la polizia.”

Non aspetto risposta e tendo una mano a Chelsea, in modo che possa alzarsi, il tutto senza distogliere gli occhi dal bastardo.

Non lascerò che scappi. Stavolta pagherà anche davanti alla legge.

Sento la sua esile mano aggrapparsi alla mia e l’aiuto ad alzarsi.

“Stai bene?”

Le metto un braccio attorno alle spalle e lei si nasconde contro il mio petto. Sta tremando.

“Credo… Credo di sì.”

È rigida nel mio abbraccio e posso solo immaginare che cosa stia provando. Anche se avrei dovuto, non sono riuscito a proteggerla, non del tutto, e questo mi fa stringere lo stomaco in una morsa che diventa più dolorosa di secondo in secondo.

Cerco di non stringere troppo forte il mio braccio attorno al suo corpo. Vorrei solo stringerla forte, come per avvolgerla all’interno di un bozzolo sicuro, e allontanare i tremori e la paura che irradia.

Osservo mio padre guardare me e poi la porta ripetutamente, come a valutare le possibilità di fuga.

“Io non lo farei se fossi in te. Non obbligarmi a seguirti, perché dopo che le hai messo le mani addosso potrei non rispondere più di me.”

Il tono della mia voce è freddo, tagliente, ma non sembra che l’uomo abbia capito quanto sta rischiando.

“Ma per favore. Tutte queste scene per una sgualdrina qualsiasi? Sarà anche bella, ma non merita tanto impegno, credimi.”

Fa una pausa e mi guarda con un’espressione di odio e disgusto tali da farmi accapponare la pelle.

“Certe puttane non sanno proprio come comportarsi e allora bisogna insegnargli l’educazione. Tua madre era una di queste e non ha mai capito quando era il momento di levarsi dai coglioni.”

Le sue parole mi fanno ribollire di rabbia, mentre Chelsea sobbalza e trema più forte. Per la prima volta vedo la sua vera faccia, la cattiveria e la crudeltà così abilmente nascosti sotto la patina di rispettabilità.

Agli occhi del mondo perfetto, ma nell’intimità della propria famiglia, un essere spietato.

Ho sempre ritenuto i miei più bassi istinti come un mostro da combattere, ma soprattutto da assecondare e, per molto tempo, prima di incontrare Chelsea, sono stato dannatamente simile all’uomo che ho davanti e che mi guarda con malcelato disprezzo.

Bruce McLeor è abietto e senza coscienza.

È assurdo, a pensarci, quanto io sia arrivato vicino ad essere la sua copia.

Ma io non sono così. Nemmeno nei miei periodi peggiori ho mai picchiato una donna, perché è qualcosa che un uomo non dovrebbe mai fare.

Le urla di mia madre ancora mi perseguitano nelle notti solitarie, come un continuo promemoria.

Ma la vera differenza, tra me e quest’uomo, è la donna che tengo stretta.

Se non l’avessi incontrata, se non fosse entrata nella mia vita, il mio mondo sarebbe rimasto circoscritto a questo pezzo di merda e l’avrei finita proprio come lui, arrabbiato, amareggiato e, molto probabilmente, violento.

Un cancro per la società.

Sarei diventato la sua versione più giovane e, non solo avrei rovinato la vita dei miei amici, ma anche quella di un sacco di altre persone innocenti.

Chelsea è la mia coscienza, la luce in fondo al tunnel e non ho nessuna intenzione di tornare indietro.

“Tua madre era solo una schifosa e avrei dovuto insegnare le buone maniere anche a te. Sei la vergogna della nostra famiglia. Non sarai mai niente. Sei un perdente, un fallito.”

Le sue parole mi fanno vedere rosso, ma sono come una zavorra che mi tiene ancorato sul posto.

Sono senza parole e completamente disgustato.

Non mi accorgo che Chelsea si è divincolata dal mio abbraccio fino a quando uno schiocco secco non risuona nella stanza.

Sbatto le palpebre un paio di volte, perché non riesco a credere ai miei occhi.

In due passi, lei lo ha raggiunto e gli ha dato un sonoro schiaffo.

Non posso vedere il suo viso, ma ha le spalle che tremano.

“Lei è un mostro. Dovrebbe vergognarsi.”

Gli occhi dell’uomo s’incendiano di ira e mi muovo prima ancora di vederlo sollevare il braccio per renderle il colpo.

La sposto alle mie spalle e intercetto il braccio, stingendo la presa per impedirgli di sfuggirmi.

“Oh, no. Non lo farai.”

Non mi sono ancora ripreso dalla sorpresa del gesto di Chelsea, così diverso dal suo solito modo di comportarsi.

La sicurezza sceglie proprio questo momento per entrare nell’ufficio e immobilizzano mio padre, mettendogli un paio di manette.

“La polizia sarà qui a breve, signor McLeor.”

Annuisco, ancora intontito.

“Portatelo alla reception. Noi aspetteremo qui.”

Portano fuori mio padre, che vorrei non rivedere mai più.

“Ricordatelo, Adrian. Senza di me, non sarai mai nessuno!”

Sento le doppie porte chiudersi in lontananza e mi giro verso Chelsea.

Si sta stringendo tra le braccia, l’espressione per metà assente.

La tempesta emotiva che mi sta divorando viene messa immediatamente in secondo piano. Assicurarmi che lei stia bene ha la precedenza.

Raddrizzo la poltrona dietro la scrivania e con la massima gentilezza di cui sono capace la faccio sedere.

“Chelsea, parlami!”

Lei solleva la testa, gli occhi violetti lucidi di lacrime e arrossati. Sulla guancia, spicca un gonfio segno rosso.

“Sto bene. Sono solo scossa. Non riesco a credere che abbia detto quelle cose. Come può un essere umano essere tanto cattivo?”

Comprendo la sua confusione, la sua incredulità perché, sebbene io abbia visto e sentito cose del genere molte volte, non riesco a smettere di pensare che è terribilmente sbagliato e disumano.

“Avrà quello che si merita, non ti preoccupare.” Le accarezzo il braccio, fino a prenderle la mano sinistra per stringerla e portarmela alle labbra.

“Mi dispiace non essere arrivato prima. Non avevo capito che voleva entrare qui dentro.”

“Ha cercato di aprire quel cassetto.”

Seguo la direzione del suo sguardo e noto una piccola chiave spuntare dal penultimo cassetto, quello che non sono ancora riuscito ad aprire e per il quale avrei dovuto chiamare un fabbro.

Riporto subito la mia attenzione su di lei, scuotendola testa.

“Ci sarà tempo per quello. Ora come ora, non mi interessa sapere per cosa è venuto. Voglio essere sicuro che non ti fa male niente.”

Lei si raddrizza, prendendo un lento e profondo respiro.

Ripete l’operazione un paio di volte, ad occhi chiusi e, quando li riapre, sembra più tranquilla.

“Sto bene. Quando mi ha scaraventata per terra ho sbattuto il fianco, ma ora non mi fa più male. Sono solo un po’ scossa.”

Si guarda la mano libera, leggermente arrossata sul palmo.

“Non avevo mai dato uno schiaffo prima.”

Solleva la testa, determinata.

“Ma non potevo stare ferma. Tutte quelle cose orribili che stava dicendo… Non riuscivo più a sopportarle.”

La capisco. Anche a me sarebbe piaciuto farlo tacere, definitivamente però.

“Non hai fatto niente di sbagliato, tesoro.”

Mi passo una mano tra i capelli, mentre sento la rabbia scorrermi per le vene.

“Forse dovresti andare a casa.”

“Cosa?No! Perché dovrei fare una cosa del genere?”

Allontano gli occhi dal suo viso, incapace di continuare a guardarla.

Quel segno rosso, che molto probabilmente diventerà un livido se non ci mette subito del ghiaccio, è la prova del mio fallimento.

Le avevo promesso che sarebbe stata la sicuro, che non le sarebbe più successo niente di male per colpa mia, invece, non appena ho voltato la testa, è stata schiaffeggiata da mio padre, come se fosse un animale.

“Perché sì. Hai bisogno di riposare.”

Lei si solleva in piedi di scatto, sovrastandomi per alcuni secondi fino a quando non mi raddrizzo.

“Ho riposato abbastanza, Adrian. Sono venuta qui perché avevo bisogno di uscire e perché mi sei mancato, quindi ora non mi vado da nessuna parte.”

Tengo ancora intrappolata la sua mano tra le mie e lei la solleva, rafforzando la stretta per impedirmi di lasciarla andare.

Inclina il viso per appoggiarlo sul dorso e depositarvi un bacio gentile.

“Te l’ho già detto. Non sei responsabile delle azioni malate di una persona. Sei arrivato in tempo, lo hai fermato, non hai lasciato che mi facesse del male, quindi non sentirti colpevole.”

Punta i suoi occhi nei miei, annichilendo la mia resistenza.

“Tu non sei come lui e non sei un fallito.”

Le sue parole colpiscono qualcosa proprio al centro del mio petto, facendo accelerare il mio battito cardiaco e stringere lo stomaco in una morsa dolorosa.

C’è tanta determinazione in quelle pozze violette, ma anche tanta vulnerabilità.

“Non puoi saperlo. Domani potrei essere di nuovo uno stronzo.”

Lei ridacchia leggermente, con un sorriso dolcissimo sulle labbra, che mi fa letteralmente sciogliere.

“Io non voglio cambiarti Adrian, non c’è niente che cambierei.”

“Non sono perfetto.”

Lei sorride ancora.

“Nessuno lo è. Le cose che davvero contano qualcosa, tu le fai benissimo. Nessuno mi aveva mai fatta sentire così, come se fossi qualcosa di prezioso che merita di essere protetto e conservato. Ci sei sempre stato quando avevo bisogno di te: Sempre, e mi guardi come se non potessi mai stancarti di farlo. Forse non lo hai capito, ma io amo ogni singola parte di te. Quelle belle, ma anche quelle un po’ meno belle.”

Sento il cuore fare una capriola e le gambe tremare, come dopo aver fatto un’intensa attività fisica. Rimango in piedi per pura forza di volontà.

Non è la prima volta che lo dice, di amarmi. Me lo ha detto anche in ospedale e in quel momento ho fato finta di nulla, perché non ero pronto ad accettare un sentimento così forte e instabile. Fino ad oggi non sapevo che cosa fosse l’amore, ma quando ho pensato che fosse ferita, sono stato preso dal panico per un momento.

Le sue parole mi riscaldano il petto, allontanando ogni volta, un altro pezzo di ghiaccio e indifferenza.

Sono davvero spaventato perché, con tutto quello che è successo oggi, non la biasimerei se decidesse di mandarmi al diavolo, anche se sembra tutto, meno che intenzionata ad allontanarsi.

Non sa quanto io sia grato per il suo atteggiamento, sempre positivo e comprensivo, perché la mia vita, senza di lei, io non riesco ad immaginarla.

Non riesco a pensare ad uno scenario dove lei non sia presente. È ovunque anche quando sono solo.

Vive nella mia mente con il suo sorriso e l’idea di non poterla più guardare negli occhi o di stringerla è insopportabile.

Se non è amore questo, io non so cosa sia.

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Capitolo 52
*** 52 Chelsea ***


52 Chelsea.

 

 

Il mio povero cuore sembra determinato ad avere un infarto prima dei vent’anni.

Batte a ritmo serrato ormai da infiniti minuti, premendo sull’indolenzita cassa toracica.

Mi sento molto scombussolata per quello che è successo, soprattutto per il mio comportamento.

Non avevo mai provato tanta rabbia in vita mia.

Ho sentito la ferita nel cuore di Adrian riaprirsi alle parole di suo padre e sono stata travolta dall’ira.

Come osava dire quelle cose a suo figlio, lui che non ha fallito solo come persona, ma proprio come essere umano?

So che la violenza non è una risposta, ma in quel momento sono stata accecata.

Gli stava facendo del male e non potevo assolutamente permetterglielo.

Potevo perdonargli che mi avesse colpita, ma non che ferisse deliberatamente suo figlio, solo per sentirsi meno perdente.

No, non potevo lasciarlo fare, perché dentro di me anche io ho sempre desiderato proteggerlo e farlo sentire accettato.

Lui è grande e grosso, imponente anche per essere un uomo e io non posso fisicamente fargli da scudo, ma posso salvaguardare il suo cuore, i suoi sentimenti.

Sono abbastanza forte per farlo e quando ho capito quanto le parole di quell’uomo avessero potere su di lui, allora non ci ho più visto.

Doveva smetterla di mortificare una persona migliore di lui solo perché non è in grado di accettare di essere un essere abietto e amorale.

L’impatto della mia mano sulla sua faccia mi ha lasciato stranamente svuotata. Non mi sono sentita soddisfatta, ma nemmeno colpevole.  Semplicemente priva di altre energie.

Non sarei mai riuscita a spostarmi prima che lui mi colpisse, ma Adrian non ha lasciato che accadesse.

Ha promesso a se stesso di non lasciare che qualcosa di brutto mi accada di nuovo e ha mantenuto la promessa.

Mi ha fatto scudo con il suo corpo e bloccato il colpo come se fosse privo di energia.

Fisicamente, Adrian è molto più prestante del padre e Bruce McLeor era ben conscio della disparità di forze, tanto da non tentare di ribellarsi.

Guardo gli occhi di Adrian emi perdo per un istante.

Sono così pieni di sentimento da far male al cuore. Come vorrei sentirgli dire le stesse parole che gli ho detto io.

Esprimere i propri sentimenti, senza la certezza che siano ricambiati non è facili, anzi. È la cosa più difficile che uno possa fare, ma io so che prova qualcosa per me, qualcosa di forte e che lo spinge a volersi prendere cura di me, a stare insieme.

Non abbiamo ufficialmente un’etichetta.

Anche se ci comportiamo come una coppia e io penso a lui come il mio fidanzato, so che le cose non sono chiare.

Non ho nessuna certezza a cui aggrapparmi e, dimostrargli ciò che sento, per fargli capire che può permettersi di abbassare la guardia quando è con me, non è semplice.

Temo, però, che se provassi a mettergli fretta, nonostante quella notte in ospedale mi abbia detto che non vuole scappare da me e da quello che gli faccio sentire, lo farei allontanare e chiudere a riccio.

L’unico modo che ho per farlo, è non aver paura di quello che provo, per quanto sia difficile.

Ogni volta che dico di amarlo e lui non dice la stessa cosa, è un colpo al cuore, perché desidero ardentemente esserne certa, sapere che lo stesso devastante sentimento che provo io, lo sente anche lui,

Ho bisogno del suo amore e della nostra etichetta.

Apre la bocca per dire qualcosa, che molto probabilmente ferirà il mio cuore, ma i poliziotti, accompagnati da una delle segretaria all’ingresso, decidono proprio questo momento per entrare nell’ufficio.

Adrian si raddrizza immediatamente, facendomi esalare il respiro che non mi ero resa conto di star trattenendo.

Gli uomini parlano per alcuni minuti, dove non ascolto una parola della loro conversazione.

Sono ancora troppo scioccata per concentrarmi su quello che stanno dicendo e capire.

Motivo per cui, quando mi ritrovo davanti uno degli agenti, sobbalzo e distolgo lo sguardo dal muro bianco su cui era poggiato il mio sguardo.

“Signorina Lauren, avrei bisogno di farle alcune domande.”

L’uomo è di origine orientale, non so se coreano o tailandese, perché ha la carnagione più scura dei cinesi e dei giapponesi. Gli occhi a mandorla sono castani come i capelli, quasi completamente nascosti dal berretto d’ordinanza.

Sento due mani poggiarsi sulle mie spalle e sollevo lo sguardo, incontrando l’incoraggiante sguardo di Adrian, che annuisce fermo alle mie spalle. È abbastanza vicino da farmi sentire sulla schiena il calore del suo corpo, ma non abbastanza per toccarmi.

Sollevata per non essere sola, rispondo a tutte le domande del poliziotto.

Non è semplice, perché mi riporta alla mente le domande dei poliziotti dopo aggressione di Susan, ma cerco di essere il più dettagliata possibile.

“Ha sbattuto la testa? Vuole che chiamiamo un’ambulanza?”

Quando gli dico che mi ha colpita e sono caduta in terra, Adrian si irrigidisce, stringendo appena più forte le mani che tiene sulle mie spalle.

Io mi limito a scuotere la testa.

“No, non serve. Non ho sbattuto la testa, solo il fianco e la schiena, ma sto bene. La sedia ha rallentato la caduta.”

L’uomo annuisce e fa qualche altra domanda, per poi congedarsi.

Adrian lo accompagna fuori e rimango da sola, esattamente come mezzora fa.

Respiro profondamente, chinata sulla scrivania e combattendo contro le lacrime che ora minacciano di venir fuori.

Mi sono davvero spaventata quando sono caduta per terra e il dolore è stato così forte da strapparmi l’aria dai polmoni.

Per alcuni secondi, ho temuto il peggio. Faceva male, non riuscivo a percepire nulla del mondo che mi circondava e sapevo che il padre di Adrian è un tipo violento.

Avevo paura che mi mettesse le mani addosso mentre ero indifesa.

La presenza di Adrian ha allontanato la paura, ma ora che sono sola, posso lasciar sfogare quell’emozione a stento trattenuta.

Le lacrime scivolano sulle guance e le asciugo con rabbia prima che cadano sul legno scuro.

Non sopporto di essere così fragile, così delicata, ma la cattiveria dell’essere umano mi fa male, perché io non potrei mai fare una cosa del genere.

Amo troppo la vita e so cos’è il rispetto.

È per questo che aver dato uno schiaffo mi fa quasi sentire in colpa.

Quasi, perché non riesco a pentirmi del mio gesto e so che è stata la cosa giusta da fare.

“Chelsea, stai bene? Che succede, ti fa male qualcosa?”

In un battito di ciglia mi ritrovo Adrian davanti, l’espressione preoccupata.

Scuoto di nuovo la testa, asciugandomi le guance e tirando su con il naso.

“Sto bene. È solo la tensione.”

Si sporge in avanti  e mi abbraccia, stringendomi forte.

“Mi dispiace davvero molto. Avevo dato ordini precisi di non far passare nessuno del vecchio staff di mio padre, ma qualcuno è riuscito ad entrare. Il vecchio segretario del vecchio è riuscito a sgusciare oltre la reception e la sicurezza lo ha beccato mentre trafficava con uno dei computer liberi. Mi hanno chiamato perché non sapevano che cosa fare, ma fino a quando non l’ho visto sorridere, non ho capito che era solo un diversivo.”

Mi lascio cullare dal suo abbraccio, poggiando la testa sulla sua spalla, le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.

“Non potevi saperlo, Adrian.”

Il mio è solo un sussurro e sento il suo corpo tremare, come attraversato da una scarica elettrica.

“Non sarebbe dovuto succedere. È come se ti stessi portando sfortuna.”

Lo respingo per liberarmi dalla sua presa e guardarlo negli occhi.

“Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu non hai nessuna responsabilità. Non mi avrebbe mai colpita se non avessi cercato di impedirgli di aprire quel cassetto.”

Lo vedo sgranare gli occhi, sorpreso.

“Hai cercato di impedirglielo?”

La sua voce è un sussurro da cui traspare l’incredulità.

Annuisco, leggermente in imbarazzo.

“Prima ho cercato di spingerlo lontano, ma quando non si è arreso, l’ho afferrato per un braccio e ho cercato di tirarlo via. Lui si è dimenato e mi ha colpita.”

La sua espressione è di rabbia mista a sorpresa e non posso biasimarlo. Nemmeno io riesco a credere di averlo fatto.

“Perché hai fatto una cosa del genere?”

La preoccupazione impregna la sua voce, insieme ad un po’ di recriminazione.

È stato da stupidi, se ci penso a mente lucida, ma non mi pento di essermi messa contro Bruce McLeor, perché ha già terrorizzato abbastanza persone nella sua miserabile vita e, semplicemente, non volevo aggiungermi alla lista delle sue vittime, che si sono arrese prima ancora di combattere.

“Perché voleva mettere le mani nella tua scrivania. TUA, non sua. Non ne aveva nessun diritto. Questo posto te lo sei guadagnato, ti appartiene. Non hai bisogno della sua presenza nella tua vita. Sei di gran lunga migliore!”

Gli angoli della sua bocca fremono e chiude gli occhi, come a trattenere un’emozione.

Quando li riapre, ha ripreso il controllo ed è il solito Adrian comporto.

“Vogliamo vedere che cosa c’è lì dentro di così importante, da spingerlo a rischiare di essere arrestato?”

Annuisco e lui si inchina.

La piccola chiave è già nella serratura e a lui non rimane altro che girarla.

Lo apre e non vedo cosa contiene, dato che il suo corpo m’impedisce di vedere.

Quando si solleva, tiene in mano una cartellina azzurra molto spessa.

Si siede sulla poltrona e mi fa cenno di raggiungerlo. Prima che possa decidere cosa fare, mi afferra e mi fa sedere sulle sue ginocchia.

Sento la rigidità del suo corpo, la curiosità trattenuta e che tenta di mascherare. Eppure non può impedirmi di vedere che le sue belle mani stanno tremando.

Anche io mi sento un po’ a disagio, non abituata a questo genere di intimità, ma non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro.

Apre la cartella e guarda i primi documenti.

Anche se potrei leggerli, non lo faccio per due motivi.

Prima di tutto, sono documenti quasi sicuramente appartenenti all’azienda, quindi non ho nessun diritto di leggerli.

Secondo, molto probabilmente non riuscirei a capire di che cosa si tratta.

Io sono brava in scienze umanistiche, non in gestione d’impresa.

Rimango in silenzio, mentre lui legge un foglio dietro l’altro.

“Figlio di puttana.”

L’improvvisa rigidità del suo corpo, unita alla volgarità, mi fanno sobbalzare.

“Scusa un attimo.”

Mi fa alzare e si girà verso il computer, digitando febbrilmente sulla tastiera.

Sono minuti carichi di ansia, dove non so cosa pensare e posso solo limitarmi a respirare quest’aria pesante e carica di preoccupazione, osservando la sua schiena rigida e la testa china verso lo schermo.

All’improvviso si alza dalla sedia e mi prende tra le braccia, scoppiando in una risata un po’ folle, ma che ha un non so cosa di liberatorio.

I miei piedi si staccano dal suolo mentre mi fa girare come una trottola impazzita.

Mi aggrappo al suo collo, terrorizzata dall’improvviso movimento.

“Adrian!”

Il mio urlo di spavento lo fa bloccare, permettendomi di guardarlo in faccia.

Ha un sorriso enorme dipinto in viso e non lo avevo mai visto sorridere così.

È devastante nella sua potenza e mi va direttamente al cuore, facendo sgorgare un fiotto di calore che si propaga per tutto il corpo.

“Che succede?”

Torna a sedersi sulla poltrona, trascinandomi con se, e afferra i documenti, mettendomeli in mano, come se potessi leggerli e capirli.

“Adrian, me lo devi spiegare. Io non so cosa sono questi fogli.”

La sua voce è carica di eccitazione.

“Questo è un accordo commerciale illegale che mio padre stava sottoscrivendo con un’altra azienda.”

Rimango in silenzio, non capendo di cosa si tratti.

Lui molto probabilmente lo capisce, perché continua a spiegare.

“Praticamente mio padre si è messo d’accordo con l’amministratore delegato di un’altra società per monopolizzare il mercato. Questi documenti contengono informazioni strategiche per trarre beneficio dal mercato azionario danneggiando altre società.”

È eccitato come un bambino che è stato portato per la prima volta al parco giochi e, anche se mi piacerebbe condividere la sua eccitazione, non posso farlo, perché non capisco di cosa sta parlando.

“Io non capisco.”

Lui sospira e mi fa voltare un po’ sulle sua gambe per potermi guardare.

I suoi occhi brillano di gioia.

“È illegale, Chelsea. Le aziende e le società non possono monopolizzare in quel modo il mercato o ripartirlo sfruttando informazioni non di dominio pubblico. In quei fogli ci sono una serie di dritte volte ad avvantaggiare la McLeor a discapito di altre aziende.”

Forse sto iniziando a capire che cosa significa, ma non perché lui sia così felice.

“Ma se è illegale, allora non passerai dei guai?”

Lui scuote la testa, il sorriso sempre più ampio.

“No. Mio padre ha creato quel documento dopo che avevo già acquisito la quota di maggioranza, perciò non ha nessuna validità legale. Inoltre non è stato registrato nei nostri sistemi, quindi la società è al sicuro. Faranno dei controlli, ovviamente, ma con quei documenti, i suoi giorni di gloria sono definitivamente finiti. Se non finirà in carcere, perderà ogni cosa, compresa la credibilità. Verrà accusato di Insider Trading e Aggiotaggio, una specie di frode che riguarda il mercato azionario. Con questi documenti, sarà per sempre fuori dalle nostre vite.”

Pian piano la consapevolezza si fa largo dentro di me e sento allargarsi sul mio viso il suo stesso sorriso.

“Ecco perché è venuto qui. Oh, mio Dio.”

Gli getto le braccia al collo e lo stringo forte, scoppiando a ridere.

Lui si solleva dalla poltrona e mi fa eco, facendomi girare di nuovo. Mi tiene stretta contro il suo corpo, come se fossi leggera come una piuma.

Mi fa poggiare i piedi per terra e poggia la sua fronte contro la mia.

“Dio, quanto ti amo.”

Sobbalzo, mentre la mia testa registra qualcosa che proprio non si aspettava.

Il cuore decide di ricominciare la sua folle corsa, togliendomi il respiro.

“Io…”

Il suo sguardo sincero brilla di eccitazione e mi rendo conto che tutto quello che è successo oggi lo ha aiutato a sbloccarsi.

“Tu non sai quanto quei documenti siano importanti. Nelle mani sbagliate, avrebbero anche potuto distruggere l’azienda. Piuttosto che lasciarla a me, mio padre l’avrebbe annientata. Se non fossi stata lì, tutto il lavoro di anni sarebbe stato inutile e, tutte le persone che dipendono da me, si sarebbero trovate per strada, senza lavoro.”

Mi accarezza la guancia, leggermente intorpidita, con estrema delicatezza.

“Mi dispiace per questo, ma è stata davvero una fortuna che tu fossi qui. Grazie per esserci sempre.”

Sento il cuore che cerca di fuggire dal petto e gli occhi bruciare.

Nascondo la testa nel suo petto per non fargli vedere le mie lacrime, e lo stringo forte, cercando di fargli capire quanto le sue parole contano per me.

Non riesco a crederci e non riesco a frenare l’emozione che mi scalda il petto.

“Davvero mi ami?”

La domanda suona titubante e infantile, ma non riesco a trattenerla, perché dopo averlo sognato così tanto, mi viene davvero difficile riuscire a crederci.

Mi sembra una sogno.

Lui mi fa sollevare il viso, per incatenare il suo sguardo al mio. Non vi sono più ombre e non vi sono dubbi in quelle profondità dal colore così particolare.

“Non dubitarne mai. Mi fa una paura fottuta, ma sei la parte più bella di me e non amarti è impossibile.”

La gioia che mi sta percorrendo il corpo è qualcosa di indescrivibile. Non basta dire che sono felice, è molto di più.

È come se il mio mondo si stesse capovolgendo per assestarsi su una nuova asse. L’asse di Adrian

“Non sai quanto è bello.”

“Cosa?”

“Sentirselo dire.”

Lui sorride, facendo illuminare completamente il suo viso.

“Non sarò mai un fidanzato romantico, ma te lo dirò ogni volta che vorrai.”

Fa una piccola pausa, prendendomi il viso tra le mani in un gesto molto dolce.

Mi aggrappo ai suoi avambracci, perché le gambe mi tremano così tanto che temo potrebbero cedere da un momento all’altro.

Mi sta dando tutto quello che sognavo senza bisogno di chiederglielo.

Come potrei non amarlo o volerlo cambiare?

È assolutamente perfetto per me.

Vorrei parlare, dirgli quanto lo amo, ma non mi ricordo più come si fa a parlare.

“Sei una bellissima persona. Hai creduto in me e mi hai spinto a superare i miei limiti e per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza, ma non è solo per questo. Amo il tuo sorriso, il modo in cui vedi la vita, sempre positivo e ricco di buoni propositi. Adoro il modo in cui mi guardi, perché sembra che io sia la cosa più bella che tu abbia mai visto. Non posso non amare la tua dolcezza e la tua bontà, perché bilanciano perfettamente tutte le mie cattive abitudini. Non sarà facile, non lo sarà per nulla, ma non ho nessuna intenzione di lasciarti scappare.”

Mi rivolge un ghigno birichino, mentre con i polpastrelli accarezza i miei zigomi per asciugare le lacrime, che ora scorrono senza controllo.

“Sei riuscita a penetrare tutte le mie paure, i miei demoni, e mi hai fatto innamorare di te. Da qui non si torna più indietro. Sarò molto possessivo, perché non ho nessuna intenzione di perderti.”

Mi metto sulle punte dei piedi per avvicinarmi il più possibile a lui, il cuore che batte più forte che mai.

“Con calma, amore mio. Un piccolo momento di assoluta perfezione alla volta.”

Lui sorride, capendo perfettamente di cosa sto parlando, la sua bocca ormai a pochi millimetri dalla mia.

“Uno per volta.”

Dopo di ché, sigilla le mie labbra con le sue, coinvolgendomi in un bacio dolcissimo che sa non solo di amore, ma anche di promesse impossibili da infrangere.

E se c’è  una cosa che so di Adrian, è che mantiene sempre la parola data.

SPAZIO AUTORE.

Mi piange il cuore essere arrivata alla fine di questa storia, di cui manca solo l'epilogo, ma sono anche estremamente soddisfatta. Ho amato Chelsea e Adrian fin da quando si sono affacciati nella mia mente, così diversi, ma allo stesso tempo così perfetti l'uno per l'altro. Scrivere la loro storia non è stato semplice, perché le barriere di Adrian erano davvero impenetrabili e Chelsea è stata fenomenale nello sbaragliare tutte le sue remore. Spero che abbiate amato anceh voi questa storia quanto me.

A breve, quindi, riprenderò la stesura del primo libro della Sanders Brothers Series, L'eco di una promessa e inizierò il quinto volume della Bf Series, incentrato su allyson. Vi aspettto anche nel mio nuovo progetto. 

Grazie di cuore per essere arrivati fino a qui.

SPAZIO AUTORE.

Mi piange il cuore essere arrivata alla fine di questa storia, di cui manca solo l'epilogo, ma sono anche estremamente soddisfatta. Ho amato Chelsea e Adrian fin da quando si sono affacciati nella mia mente, così diversi, ma allo stesso tempo così perfetti l'uno per l'altro. Scrivere la loro storia non è stato semplice, perché le barriere di Adrian erano davvero impenetrabili e Chelsea è stata fenomenale nello sbaragliare tutte le sue remore. Spero che abbiate amato anceh voi questa storia quanto me.

A breve, quindi, riprenderò la stesura del primo libro della Sanders Brothers Series, L'eco di una promessa e inizierò il quinto volume della Bf Series, incentrato su allyson. Vi aspettto anche nel mio nuovo progetto. 

Grazie di cuore per essere arrivati fino a qui.

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Capitolo 53
*** EPILOGO ***


Epilogo.

 

Primi di Maggio.

 

 

Sono passati poco meno di due mesi da quando il padre di Adrian è stato arrestato e da allora le cose sono state meravigliose. Complicate, ma assolutamente indimenticabili.

Adrian è stato molto occupato con l’azienda e con gli studi, dato che non ha ancora conseguito la laurea e, cito testuali parole, “Quel dannato pezzo di carta gli serve per chiudere la bocca a quei vecchiacci del consiglio di amministrazione.”

Ho soffocato una risata quando me lo ha detto, prima di ributtarsi sui libri, la fronte aggrottata in un’espressione concentrata.

Alla fine, però si è arreso. Tutto quello che non ha a che fare con i numeri e con le statistiche non riusciva a capirlo e, anche se la cosa gli ha dato molto fastidio, ha chiesto aiuto a Josh, che ha seguito un percorso di studi analogo ed è ad un passo dagli esami finali.

Per fortuna. Sopportare il suo malumore non è stato semplice. Adrian prima di allora non aveva mai fatto qualcosa che non gli andasse di fare e, studiare, era una di quelle cose.

Ovviamente, ormai passo più tempo a casa di Adrian che da mia madre, che alla fine si è dovuta arrendere all’evidenza dei fatti.

Adrian non sarebbe uscito dalla mia vita tanto presto e, per convincerla, ci sono volute solo altre due fughe.

Dopo l’increscioso episodio alla McLeor, mia madre ha provato ad impedirmi di vedere Adrian, tirando fuori una scusa dopo l’altra e tampinandomi quando eravamo a lavoro.

La prima volta sono sfuggita alla sua sorveglianza in piena notte e mi sono data alla macchia, nascondendomi a casa di Adrian per un giorno intero. Pensavo che spegnere il telefono per non risponderle le avrebbe fatto capire che non avevo nessuna intenzione di darle retta, ma l’ha presa sul personale, dicendomi che Adrian non mi faceva per nulla bene.

La seconda volta, sono scappata dalla finestra dello spogliatoio del Blue Moon, mentre Adrian, estremamente divertito dalla situazione, mi aspettava dall’altra parte della strada, con il motore acceso. È stato un po’ come trovarsi dentro film poliziesco.

Forse è brutto da dire, ma io stessa ho trovato divertente la situazione.

Mia madre si stava comportando in modo irragionevole e farla arrabbiare è stato davvero soddisfacente.

È stato come se fossi tornata ragazzina.  Mi sono comportata come un’adolescente ribelle e ne vado piuttosto fiera.

A differenza del rapporto con mio padre, io so che Jillian non smetterà di volermi bene solo perché non sono d’accordo con lei e non mi comporto come vuole. So anche che non mi volterà le spalle per una cosa del genere. Alla fine, tutto ciò che fa è per amore. Magari un po’ ossessivo, ma sempre di quel sentimento si tratta. Nessuno meglio di me può capire che cosa ti spinge a fare l’amore.

Dopo quarantotto ore di  chiamate rifiutate, non ignorate, proprio rifiutate, con mia somma soddisfazione, e messaggi visualizzati senza risposta, alla fine ho ottenuto ciò che volevo.

Mi arrendo. Hai vinto tu.

Un ora dopo, ero tranquillamente seduta nella sua cucina, con una tazza di the in mano e un sorriso radioso, mentre Jillian sembrava che avesse mal di denti.

“Fai quello che vuoi. Mi basta dover combattere contro tua sorella.”

A quanto pare, Allyson le sta dando dei problemi e, anche se mi sono offerta di parlarle, perché magari  con me si sarebbe aperta, Jillian mi ha detto di lasciar perdere, che era una questione tra loro due.

Ho scoperto che io e Allyson abbiamo un’altra cosa in comune: una straordinaria abilità dello scappare di casa.

Sta di fatto che, sebbene mia madre si rifiuti di perdonare Adrian per tutto quello che è successo, dato che non se l’è filata alla prima occasione, sta cercando di accettare che io e lui stiamo ufficialmente insieme, cosa che ha scandalizzato non poco i nostri amici.

Meredith l’ha minacciato pubblicamente di evirazione nel caso dovesse farmi soffrire, mentre i suoi amici, Ryan, Josh, Logan e anche Dave, che ho conosciuto in occasione di una pausa del corso che sta frequentando, hanno iniziato a sfotterlo per essere cascato nella trappola dell’amore.

La sua risposta mi ha fatto diventare rossa di vergogna, perché mi ha acchiappata davanti a tutti e mi ha baciata fino a togliermi il respiro, con tanto di lingua.

Le urla e i fischi di approvazioni, mischiati alle risate allegre delle ragazze e il pianto di Nathan, mi hanno fatta vergognare non poco.

Avrei voluto sotterrarmi, ma poi lui mi ha fatto l’occhiolino e tutto il resto è svanito.

Al diavolo.

Se posso sopportare i racconti spinti delle ragazze, che a quanto pare davvero parlano di sesso più dei ragazzi, allora posso anche sopportare un po’ di intimità in pubblico.

Adrian non è solo molto possessivo e molto protettivo con me, ma anche molto fisico.

Morale della favola, tutto il campus ha visto le sue manifestazioni, perché ha preso il brutto vizio, quando siamo insieme, di tenermi una mano sul sedere e non c’è stato modo di convincerlo a comportarsi bene.

L’unica volta che ho provato a togliere la sua mano, mi ha strizzato la natica in modo molto provocante, facendomi arrossire e ansimare.

Non mi è rimasto altro che arrendermi.

Mi vergogno ad ammetterlo anche con me stessa, ma tutto ciò mi fa vibrare il corpo come se fosse attraversato da una scarica elettrica e quando ci ritroviamo da soli, tutta la tensione accumulata esplode.

In due mesi, le cose imbarazzanti che potevamo fare a letto e non solo, le abbiamo fatte tutte e ancora non riesco a crederci.

Sono diventata praticamente una drogata di sesso e Adrian non è povero di fantasia. È imbarazzante, ma non posso farci nulla. Il mio corpo è come uno strumento musicale, perfettamente accordato sulla tonalità di Adrian.

Con l’ammissione dei suoi sentimenti, anche il suo atteggiamento nei miei confronti è cambiato. Si può dire che sia diventato teneramente prepotente e, questo scambio di ruoli, ha un non so ché di confortante.

È bello quando non vuole lasciarmi andare via, anche se abbiamo entrambi degli impegni, o quando fa di tutto per trascinarmi di nuovo a letto.

Ha decisamente una personalità dominante quando si tratta di me, ma non ha mai fatto nulla per vincolarmi o impedirmi di esprimermi al massimo. Anzi, anche se mette fintamente il broncio e fa l’offeso, so che è molto fiero di me e di quello che sto facendo e, anche se è decisamente geloso del tempo che trascorro lontano da lui, non ha mai fatto nulla.

Non ci sono più state scenate di gelosia, segno che si fida davvero di me.

Ho cambiato ufficialmente indirizzo di studi e questo ha portato via molto tempo a me, esattamente come a lui. Ho dovuto studiare sodo per recuperare tutti i mesi di lezioni persi e ho dovuto partecipare a gruppi di studio che mi hanno portato via tante ore.

Inoltre, continuo a lavorare al Blue Moon, anche se non so per quanto ancora riuscirò a mantenere questo ritmo.

Adrian si è generosamente offerto di aiutarmi economicamente e so perfettamente che se avessi accettato, non l’avrebbe visto come se lo stessi sfruttando, ma ho rifiutato. Voglio farcela da sola. Devo farcela.

Anche Jillian si è offerta di pagarmi la retta scolastica, avendo da parte dei risparmi, ma anche in questo caso ho rifiutato, perché fra due anni sarà il turno di Allyson e non ho nessuna intenzione di portarle via qualcosa che è suo di diritto.

Io ce la farò, in un modo o nell’altro.

Ho un tetto sopra la testa, anche due, se solo volessi, e non mi serve altro. Il lavoro al Blue Moon, insieme ai soldi in banca a nome mio, mi permetteranno di continuare gli studi.

MarySue, alias Cassandra, la donna che per anni ero convinta fosse mia madre, si è comportata come tale e, quando era in vita, ha creato un piccolo fondo per il college a cui avrò accesso dal trenta Agosto, il giorno del mio ventesimo compleanno.

Non c’è molto, ma mi aiuterà.

Per questo la settimana scorsa, dopo aver firmati i documenti per legalizzare la mia identità, ho chiesto a Adrian di accompagnarmi al Rose Hill Cemetery, dove c’è la sua tomba.

Non ci andavo da Novembre, da quando ho scoperto la verità e ammetto di essermi sentita in colpa alla fine.

Ero arrabbiata e triste e avevo paura che, se fossi andata sulla tomba, sarei stata presa dal rancore per una donna che, a quanto pare, non ha avuto molte colpe se non quelle di aver amato suo fratello e aver amato me.

Il fatto che abbia creato un fondo per il mio College, è la dimostrazione che davvero pensava a me come ad una figlia.

Il diario che ho trovato tra gli effetti personali di Cassandra, in soffitta, quando sono andata a prendere dei documenti per legalizzare la mia identità, mi ha confermato il racconto che mio padre ha fatto alla polizia.

Cassandra si è tolta la vita a causa del rimorso e credeva che mio padre mi avrebbe riportata a Jillian se lei non ci fosse più stata.

Si è tolta la vita perché mi amava e voleva che crescessi con la mia madre biologica.

Leggere quelle parole, sulla carta ingiallita e ondulata dalle lacrime da lei versate, hanno cancellato la recriminazione e mi hanno spinta a perdonare.

Non avrei mai pensato di poter passare oltre, ma Cassandra si è sacrificata per cercare di sistemare il casino che mio padre aveva combinato.

Tornare sulla sua tomba per ringraziarla è qualcosa che desideravo fare.

Ho lasciato a Jillian il diario, perché è giusto che sappia quanto Cassandra le volesse bene e quanto mi abbia amata nel periodo che è stata con me.

Inoltre, deve capire perché ha scelto di suicidarsi e lasciarmi con mio padre.

L’amore fa fare alle persone le cose più strane, ne sono sempre più convinta.

La lapide bianca, con incastonata una fotografia che ritraeva una donna bionda, molto simile a me, con una bimba in braccio, ovviamente io, era impolverata e nascosta dai fiori, ormai secchi dell’ultimo visitatore della tomba, molto probabilmente mio padre, prima che fosse arrestato.

Adrian è rimasto in silenzio alle mie spalle mentre ripulivo la tomba e mettevo dei fiori freschi, delle calle bianche, che secondo mia madre erano i suoi fiori preferiti.

Ho pianto mentre guardavo la sua fotografia e le parlavo, come se potesse sentirmi.

“Ciao, Cassandra. Mi dispiace di non essere più venuta a trovarti, ma sono successe tante cose e finalmente è venuta fuori la verità che tanto desideravi. L’ho trovata, sai? Jillian, e non ha mai smesso di amarmi. Forse un giorno verrà anche lei qui a trovarti, ma per adesso ci sono io e volevo ringraziarti. Grazie per avermi amata, grazie per aver fatto tutto ciò che era in tuo potere per darmi una vita felice e grazie per essere stata mia madre per tanti anni. Anche se non mi hai messo al mondo, i sentimenti che ho nutrito per te erano sinceri e ci sono ancora. Per me rimarrai sempre mia madre, anche se non biologicamente e, ora più che mai, sono felice di essere stata tua figlia. Eri una persona bellissima, sia fuori che dentro, e spero, un giorno, di renderti fiera di me.”

La mia vece tremava e quasi non si capivano le parole, ma sono sicura che, ovunque lei sia, abbia capito che cosa le stavo dicendo e che abbia sentito quando affetto provo per lei.

Non mi ha messa al mondo, ma mi amava e nelle fotografie che ho trovato, io ero una bambina felice, proprio perché ero tutto il suo mondo.

Amava più me di mio padre e per questo non potrò mai ringraziarla.

Tutto ciò che posso fare, è custodire il ricordo della madre che non ho mai conosciuto e amarla come si merita.

Negli ultimi due mesi, ho fatto quasi del tutto pace con i primi diciannove anni della mia vita.

Ora, dopo la procedura legale, sulla mia carta d’identità e sulla patente figura la mia vera identità, la persona che sono diventata. Un’unione del passato e del presente.

Chelsea Rhea Lauren.

Il primo, perché è il nome con cui sono cresciuta, il mio essere. Il secondo, perché è il nome che ha scelto, con tanto amore, per me mia madre e non sarebbe stato giusto privarla di qualcosa che era suo di diritto.

Unire ciò che ero, con ciò che sono diventata, è il primo passo per creare una persona nuova e, soprattutto, felice.

Forse ispirato da ciò che ho fatto io, anche Adrian ha espresso il desiderio di andare sulla tomba della madre, ma più si avvicinava la domenica, più diventava taciturno e irritabile, tanto che stanotte ho dormito a casa di Jillian.

Doveva decidere se fare pace con il ricordo di sua madre senza che intervenissi.

Se gli avessi chiesto di perdonarla, si sarebbe forzato a farlo, ma non sarebbe mai stato un vero perdono.

Se lo vuole fare, lo deve fare di sua spontanea volontà e io sarò presente, in rigoroso silenzio.

Stamattina ho raggiunto casa sua verso le nove, come concordato.

Era talmente teso che si è limitato a grugnire un saluto prima di farmi salire in macchina e partire alla volta del Fairmount Cemetery, dove si trova la cripta della famiglia Pruitt-McLeor, che al momento ospita solo la madre di Adrian.

A quanto pare, all’epoca della donna, Bruce McLeor e George Pierre Pruitt III si sono messi a discutere su dove sarebbe stata sepolta Simone Pruitt-McLeor. Nella cripta di famiglia a New York della famiglia di lei oppure in quella della famiglia di lui?

Alla fine hanno trovato una specie di accordo.

Hanno acquistato una terza cripta, un mausoleo per la loro idiozia.

Quando Adrian me lo ha raccontato, con il tono amareggiato, mi si è stretto il cuore e sono rimasta senza parole.

Il mondo in cui è cresciuto Adrian, dove certe stupidaggini hanno così tanto valore, io non lo capirò mai e non ho nessuna intenzione di provare a comprenderlo.

La macchina percorre silenziosamente la strada asfaltata del cimitero. Sia a destra che a sinistra, una triste distesa di tombe a perdita d’occhio, di tutte le forme e i colori.

Adrian stringe il volante con così tanta forza, che le nocche delle sue mani sono bianche.

Ferma la macchina all’ingresso di una specie di villaggio di cripte. Sulla destra e sulla sinistra, ci sono circa una decina di casette di marmo bianco, tutte uguali. Nulla a che vedere con i mausolei che abbiamo superato prima di fermarci.

Uno era così elaborato da essere in stile antica Roma, con tanto di scritta SPQR sopra l’ingresso.

Adrian cerca il mio sguardo e annuisco per incoraggiarlo.

Siamo arrivati fino a qui perché lo ha voluto lui.

Lo seguo due passi indietro, mentre legge le targhe, fino a fermarsi alla terz’ultima sulla sinistra.

I cognomi della sua famiglia incisi elegantemente nel marmo.

Con qualche difficoltà inserisce la chiave nella toppa e la serratura, quando scatta, produce un rumore sinistro, come se non venisse aperta da tempo, cosa che temo corrisponda a realtà.

Adrian non è mai venuto in cimitero da sua madre. Era così arrabbiato e amareggiato da non volerne nemmeno sapere e, dopo la prima volta che ho toccato l’argomento, ricevendo in risposta una specie di ringhio, ho deciso di evitare l’argomento.

Sono molto fiera di lui per essere riuscito ad arrivare fino a qui.

Anche de non dovesse arrivare fino alla fine, è già un buon inizio.

Stingo al petto il mazzo di fiori estivi che ho scelto, sperando di rallegrare un po’ l’atmosfera triste che sicuramente vive in questo mausoleo.

Adrian mi da le spalle e, prima di entrare, prende un profondo respiro. Lo seguo, riparandomi dal primo sole del mattino.

All’interno c’è poca luce, ma è abbastanza per vedere la triste fotografia sul loculo alla mia sinistra.

Non ci sono altre fotografie, non ci sono fiori finti o secchi. C’è a malapena un piccolo vaso incastrato in un supporto che esce dal marmo.

Da questa distanza non posso vedere bene e il silenzio di Adrian mi risuona nelle orecchie.

Non so per quanto rimane immobile, ad osservare la fotografia di sua madre, prima di parlare. Per quello che ne so, potrebbero essere ore.

“Non so se potrò mai perdonartelo, mamma.” La sua voce è bassa e posso sentire quanto gli costa dire qualcosa e non limitarsi ad andarsene, trattenendo il dolore.

“Lo capisco, so perché lo hai fatto, ma ancora non riesco a perdonarti.”

Si gira ed esce dalla cripta, fermandosi appena fuori dal cancello, il viso rivolto verso il cielo. Credo che stia tremando, ma non posso alleviare la sua pena. È una di quelle cose che deve affrontare da solo.

Afferro il vaso e, dopo aver rimosso la polvere, ci verso dentro l’acqua che mi sono portata dietro. Lo rimetto al suo posto, con un bel mazzo di fiori colorati a rendere meno solitaria e cupa la cripta.

Con la manica della giacca ripulisco la fotografia, curiosa di vedere come fosse la madre di Adrian.

Simone era una bellissima donna, con i capelli scuri e gli occhi del figlio. Nella fotografia sorride, ma la gioia non arriva agli occhi. Sembra una vecchia fototessera. Bellissima, ma altrettanto anonima.

Non riesco a provare pietà per lei, anche se so che dovrei compatirla per la sventura di aver vissuto più di un decennio con Bruce McLeor, ma con tutto il dolore che ha fatto a suo figlio, proprio non ce la faccio.

“Avrò cura di lui!”

La mia voce risuona nella stanza, decisa e ferma poco prima di uscire.

Mi chiudo il cancello alle spalle e mi avvicino ad Adrian, che mi aspetta poco lontano. Ha delle brutte occhiaie, segno che non ha dormito bene.

Gli metto la chiave in mano e lo abbraccio, stringendolo in vita e appoggiando la testa contro il suo petto.

Le sue braccia si stringono intorno a me con forza, come se si stesse aggrappando  a me.

“Sembra così sola.”

La sua voce è spezzata e non posso impedire alla gola di stingersi quando la mia minaccia di andare via.

“Va tutto bene. Possiamo tornare qui ogni volta che vorrai. Sono sicura che non ti biasima per non essere venuto prima.”

Mi stringe più forte, affondando il viso tra i miei capelli.

“In dieci anni non credo sia mai venuto nessuno.”

Capisco cosa sta provando, ma non deve.

Gli faccio sollevare il viso e lo fisso negli occhi, sconvolti.

“Non spettava solo a te, Adrian. Avrebbero dovuto venire anche tuo padre, tuo nonno e suo fratello. Non eri solo tu la sua famiglia. Sai qual è la differenza? Tu oggi sei qui, loro no, quindi non colpevolizzarti anche di questo. Va bene?”

Lui mi fissa, ma alla fine annuisce, dandomi un leggero bacio sulla fronte.

“D’accordo.”

Mi lascia andare solo per afferrarmi la mano e trascinarmi verso la macchina. Con un ultimo sguardo alla piccola cripta, rivolgo al cielo una preghiera.

Abbiamo già sofferto abbastanza entrambi e spero che, ovunque siano, le nostre madri ci proteggano e si tengano compagnia.

Io e Adrian non potremo mai dimenticare, ma la vita va avanti.

Forse sarà per sempre o forse no, ma finché staremo assieme, niente potrà fermarci.

Un momento di assoluta perfezione per volta.

PICCOLO SPAZIO AUTORE.

Dire che mi pinage il cuore è un eufemismo. Pensavo di aver terminato le emozioni, ma anche in questo piccolo capitolo, ho provato moltissime emozioni diverse. Non so come descrivere questo libro, che mi sono divertita a scrivere dalla prima all'ultima parole. Intenso, forse è il termine più adatto, perché la crescita e l'emotività di Adrian e Chelsea sono così forti da lasciare senza fiato. 

Ho provato ogni loro singola emozione e questo mi ha lasciata svuotata.

Quindi vi ringrazio per aver seguito la storia dei nostri due amati protagonisti. grazie per avergli tenuto compagnia e per aver sorriso, riso e pianto insieme a loro. 

Al più presto riprenderò la stesura del romanzo lasciato in sospeso, intitolato L'eco di una promessa e inizierò a stendere il primo capitolo del quinto volume delle BF Series, intitolato: Un domani inaspettato. 

Grazie ancora per esserci stati, con i vostri commenti, con le vostre stelline, grazie per tutto. Siete davvero fantastici. 

Un Bacio.

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