Ti prego, non farmi Innamorare #4 BF Series. di Arianna Ena (/viewuser.php?uid=922547)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 Chelsea ***
Capitolo 2: *** 02 Adrian ***
Capitolo 3: *** 03 Chelsea ***
Capitolo 4: *** 04 Adrian ***
Capitolo 5: *** 05 Chelsea ***
Capitolo 6: *** 06 Adrian ***
Capitolo 7: *** 07 Chelsea ***
Capitolo 8: *** 08 Chelsea ***
Capitolo 9: *** 09 Adrian ***
Capitolo 10: *** 10 Chelsea ***
Capitolo 11: *** 11 Adrian ***
Capitolo 12: *** 12 Chelsea ***
Capitolo 13: *** 13 Adrian ***
Capitolo 14: *** 14 Chelsea ***
Capitolo 15: *** 15 Adrian ***
Capitolo 16: *** 16 Chelsea ***
Capitolo 17: *** 17 Adrian ***
Capitolo 18: *** 18 Chelsea ***
Capitolo 19: *** 19 Adrian ***
Capitolo 20: *** 20 Chelsea ***
Capitolo 21: *** 21 Chelsea ***
Capitolo 22: *** 22 Adrian ***
Capitolo 23: *** 23 Chelsea ***
Capitolo 24: *** 24 Adrian ***
Capitolo 25: *** 25 Chelsea ***
Capitolo 26: *** 26 Chelsea ***
Capitolo 27: *** 27 Chelsea ***
Capitolo 28: *** 28 Adrian ***
Capitolo 29: *** 29 Chelsea ***
Capitolo 30: *** 30 Chelsea ***
Capitolo 31: *** 31 Adrian ***
Capitolo 32: *** 32 Chelsea ***
Capitolo 33: *** 33 Adrian ***
Capitolo 34: *** 34 Chelsea ***
Capitolo 35: *** 35 Adrian ***
Capitolo 36: *** 36 Chelsea ***
Capitolo 37: *** 37 Adrian ***
Capitolo 38: *** 38 Chelsea ***
Capitolo 39: *** 39 Adrian ***
Capitolo 40: *** 40 Chelsea ***
Capitolo 41: *** 41 Adrian ***
Capitolo 42: *** 42 Chelsea ***
Capitolo 43: *** 43 Adrian ***
Capitolo 44: *** 44 Chelsea ***
Capitolo 45: *** 45 Adrian ***
Capitolo 46: *** 46 Chelsea ***
Capitolo 47: *** 47 Adrian ***
Capitolo 48: *** 48 Chelsea ***
Capitolo 49: *** 49 Adrian ***
Capitolo 50: *** 50 Chelsea ***
Capitolo 51: *** 51 Adrian ***
Capitolo 52: *** 52 Chelsea ***
Capitolo 53: *** EPILOGO ***
Capitolo 1 *** 01 Chelsea ***
01
Chelsea.
Più
la osservo, più dettagli noto nella parete di fronte ai miei
occhi. Eppure non riesco a sopportare la vista di qualcosa di
più complesso delle lievi venature del muro, del modo in cui
la vernice, così vecchia da non essere più
bianca, ma grigia, mette in rilievo i puntini del gesso decorativo,
vecchio di almeno vent’anni.
Non
sopporto nulla. Mangio perché devo, ma per il resto, credo
siano almeno tre giorni che mi trovo in questo stato semi vegetativo,
ad osservare il muro contro cui è poggiato il mio letto.
È
uno spettacolo desolante e, quando non ne posso più, mi
porto le coperte sopra la testa e lascio che il nulla mi catturi,
sperando di non fare incubi.
Un
incubo, per essere precisa.
Fino
a tre giorni fa, avevo una vita incredibilmente pacifica e non avevo
mai vissuto troppi dispiaceri. È vero, sono cresciuta senza
madre, ma ero troppo piccola e non me ne ricordo. Ho solo una foto a
mostrarmi com’era, oppure mi posso guardare allo specchio.
Da
lei ho preso tutto, tranne i capelli e il fisico. Mentre lei aveva una
bellissima chioma riccia di capelli biondi, io ho i capelli castani e
lisci e, mentre lei era meno formosa, anche subito dopo aver partorito,
io sono un po’ più in carne. Eppure, nonostante
queste differenze, io e lei eravamo uguali. Stessa forma degli occhi,
sebbene non sabbia se anche i suoi avessero la stessa sfumatura color
malva, stesso viso ovale, stesso naso, stessa bocca, con il labbra
carnose e ben delineate e stessa altezza.
Siamo
così simili che, per una vita, mio padre mi ha convinta che,
indossando i suoi vestiti smessi, stessi benissimo.
Parliamo
di pantaloni a vita alta, maglioni a coste e un sacco di altre cose
degli anno ’80.
Ero
convinta di stare bene con me stessa, sebbene sentissi di essere
diversa, ma pensavo che fosse solo per il fatto che mio padre
è un pastore anglicano e che sono cresciuta
all’interno della chiesa, in un ambiente religioso e
morigerato.
La
mia vita è cambiata quando ho conosciuto Meredith
O’Connel, una bellissima ragazza dai capelli rossi con cui
condivido il bagno.
All’inizio
mi intimoriva, perché andava in giro per i corridoi come se
le appartenessero, con sicurezza e forza. Dopo averci parlato un
po’, mi sono sentita ancora più inferiore, ma non
perché lei abbia fatto qualcosa per farmi sentire
così, ma semplicemente perché mi sono resa conto
che mi sarebbe piaciuto essere come lei.
Erano
passate un paio di settimane quando, finalmente, ho preso coraggio e le
ho chiesto se potevo uscire con lei. Effettivamente, non mi aspettavo
che dicesse di sì. Pensavo che mi avrebbe squadrata con un
espressione disgustata in volto e avrebbe detto di no, che non ci
facevo niente con lei.
Invece
lei mi ha guardata, quasi con pietà, ma non per la persona
che sono, ma per quello che ho sempre pensato fossero vestiti che mi
stavano bene.
L’ho
vista sgranare gli occhi e dispiacersi, quando le ho detto che,
effettivamente, erano proprio vestiti appartenuti a mia madre, proprio
come aveva detto lei.
Ora
posso ammettere, in tutta libertà, che tutto il mio look era
pessimo. Non che sia un’esperta di moda ora, ma dopo il suo
corso intensivo, ho capito che genere di cose mi stanno bene senza
farmi sembrare una pornostar.
Dopo
quella serata surreale, dopo che mi sono lasciata andare a domande
anche piuttosto private e non capisco come sia potuto succedere, la mia
vita al campus è migliorata notevolmente.
Non
venivo più guardata come un alieno o una cavia da
laboratorio. Mi sono sentita uguale a tutti gli altri, finalmente
invisibile e non più continuamente osservata e sbeffeggiata.
Meredith
mi ha aperto gli occhi su molte cose, mi ha aiutata a rimettermi in
sesto e a conoscere meglio me stessa.
Ho
scoperto che mi piace prendermi cura di me stessa, di quei piccoli
dettagli che solitamente sembrano insignificanti, ma che in
realtà fanno la differenza, eccome.
Abbiamo
iniziato dai capelli.
Il
biondo paglia è stato sostituito da un bel castano e anche
la permanente, che mi aveva ridotto i capelli in condizioni pessime,
è stata eliminata.
Certo,
non ho più i capelli lunghi come prima, perché il
parrucchiere è stato costretto a tagliarmene via un bel
pezzo, ma ammetto che ora sono decisamente meglio e più
facili da gestire.
Inoltre,
sono finalmente riuscita a liberarmi di quei fastidiosissimi occhiali.
Quasi
non ci credo, ma le lenti a contatto sono di una comodità
unica. Ho sempre pensato che mettersi qualcosa negli occhi fosse
dolorosissimo e Meredith ha dovuto insistere parecchio prima di
riuscire a convincermi ad andare dall’ottico, per farmi dare
le lenti giuste per me.
Non
smetterò mai di ringraziarla per quello che ha fatto per me,
sebbene scoprire la vera me stessa abbia procurato problemi su un
fronte che avevo sempre pensato sicuro.
Mentre
la mia vita scolastica procedeva alla grande, a casa, da mio padre, le
cose hanno iniziato ad andare sempre peggio.
All’inizio
erano piccole critiche, cosa stupide, ma poi è diventato
sempre peggio, tanto che andare la Domenica in chiesa non era
più un piacere.
Durante
il sermone, c’erano sempre una o più frecciatine
al mio indirizzo, frasi costruite ad arte per farmi sentire una
peccatrice, una serva del demonio.
Mio
padre ha cercato di convincermi in tutti i modi a lasciare il college e
tornare a casa, a ricominciare ad indossare i vestiti che ho chiuso in
un paio di scatoloni e messi in soffitta. Ha cercato di annullarmi,
riportarmi sotto quello che lui riteneva il suo controllo,
l’ordine giusto delle cose.
Io
ero sua figlia, SUA, e dovevo solo fare come mi veniva detto.
Volevo
bene a mio padre, pensavo fosse un sant’uomo, uno di
religione, devoto, ma ho scoperto, in un paio di mesi, che la sua era
solo una farsa, una maschera che nascondeva una bestia.
Il
culmine della follia lo ha raggiunto il giorno dopo quello del
Ringraziamento.
Non
so se sia stata la “santità” del giorno
o un ultimo, disperato tentativo di non mostrare il suo vero essere ad
impedirgli di rovinare il 24 Novembre, ma non avrei mai immaginato che
si sarebbe accanito in quel modo contro di me, credevo di averla
“scampata”.
Gli
volevo un bene sincero, era la persona che più amavo e
rispettavo al mondo, e il suo tradimento, la sua violenza, hanno
lasciato una profondissima ferita dentro di me, un baratro che non so
come fronteggiare, perché io sono solo una debole e stupida
ragazza che, da sola, non è in grado di affrontare il mondo.
Il
fatto che, tranne che per andare in bagno, io non mi sia più
alzata da questo letto, dopo che, non so come, ci sono arrivata,
è una prova lampante di quanto io sia debole ed inutile e di
quante preoccupazioni dia al prossimo.
Meredith
mi è stata vicina. Non m’importa che per la
religione lei stia commettendo dei peccati, avendo dei rapporti
sessuali prima del matrimonio, per me andrebbe santificata. Dovrebbero
farle una statua o qualcosa di simile, perché dubito che
un'altra persona si sarebbe comportata allo stesso modo.
Per
fortuna ho avuto lei a cui chiedere aiuto, che ha avuto la brillante
idea di mandare Adrian, uno degli amici di suo fratello.
Non
pensavo che esistessero ragazzi così imponenti, ma allo
stesso tempo belli, perché, nonostante tutto quello che mi
ha detto Meredith su di lui, non posso negare che sia di una bellezza
sconvolgente. Lei lo ha definito un Bufalo, un termine che ha sentito
da Kayla, una ragazza che conosco a malapena, ma trovo che sia molto
adatto.
Quel
ragazzo è davvero alto, anche se non come i suoi amici, e ha
una quantità di muscoli spaventosa, tanto che mi sono
chiesta, la prima volta che l’ho visto, come faccia a non
avere il collo taurino.
Come
se ciò non bastasse, ha un viso davvero troppo bello,
sormontato da occhi di uno colore strano, grigio-blu mi è
sembrato, ma non mi sono mai soffermata troppo sul suo aspetto,
intimorita da quasi tutto il genere maschile, in particolare da quelli
che hanno praticamente tatuato sulla fronte la parola GUAI.
Eppure
sono stata davvero felice di vederlo e ho lasciato che mi aiutasse a
rimettermi in piedi e, dopo aver recuperato tutte le mie cose,
perché in quella casa sapevo già di non voler
tornare mai più, ho lasciato che mi accompagnasse alla sua
macchina, tenendomi saldamente per il gomito
Prima
di quel momento, non avevo mai lasciato avvicinare così
tanto un uomo; Mai, ma gli ero così dannatamente grata, non
solo per l’aiuto, ma per non avermi giudicata e non aver
fatto caso al mio pianto disperato.
Allontanarmi
dalla casa in cui sono cresciuta è stato un sollievo, ma
anche estremamente doloroso, lacerante.
Tutta
la mia vita l’ho vissuta tra quelle pareti. Ho giocato in
salotto e ho imparato a fare il pane al melone insieme alla governante
in quella cucina. Ho fatto tutto lì e non è stato
facile capire, realizzare, che quei giorni felici e spensierati non
torneranno più.
Il
naso inizia a pizzicarmi, mentre altre lacrime mi scivolano lungo le
guance.
Eppure
credevo di averle finite.
Ho
pianto più di quanto pensavo fosse possibile ed ero convinta
che i miei occhi non potessero più produrre alcun liquido.
Li
sento gonfi, pesanti ed affaticati. Ogni volta che sbatto le palpebre,
mi sembra che qualcosa stia raschiando il tessuto delicato,
provocandomi intense ondate di bruciore.
Non
mi sono mai sentita così male in vita mia.
Dei
rumori, dall’altra parte del muro alle mie spalle, mi fanno
rizzare a sedere.
Fino
a pochi secondi fa regnava il silenzio, dato che in tutto il complesso
credo che ci siamo solo noi, e ora sento uno strano chiacchiericcio
arrivare dalla camera di Meredith.
Mi
sembra arrabbiata, sebbene non riesca a sentire le parole che pronuncia.
Subito
dopo, segue la voce di un ragazzo.
Immediatamente
sento un ondata di panico sommergermi.
E
se fosse mio padre? Se fosse venuto a cercarmi qui? Che cosa dovrei
fare? Rimanere qui e sperare che non mi venga a prendere?
Sì,
potrei fare così, ma se dovesse fare del male a Meredith per
colpa mia? Non me lo perdonerei mai.
Con
le gambe che tremano e il cuore che batte a mille, esco da sotto le
coperte e mi infilo le mie comodissime ciabatte rosa shocking e, con
passo malfermo, entro in bagno, cercando di fare meno rumore possibile.
La
porta che conduce nella sua camera è leggermente socchiusa e
nel buio della stanza si vede una sottilissima striscia di luce che
filtra.
Con
attenzione, spingo la porta, fino a creare uno spazio abbastanza largo
per poter sbirciare dall’altra parte.
Temo
che il rumore del mio cuore possa sentirsi anche all’esterno,
perché mi sta assordando, tanto batte in fretta.
Quello
che vedo mi lascia senza parole.
Meredith,
la bellissima e fortissima ragazza che conosco, sta piangendo tra le
braccia di un ragazzo che non conosco, ma che la tiene stretta con
estrema dolcezza, come se volesse sollevarla da qualsiasi problema e
farle da scudo con il proprio corpo.
Mi
chiedo se non sia il ragazzo con cui mi ha detto che va a letto, ma la
sua voce, rotta dal pianto, mi paralizza.
Non
avrei mai voluto sentirla o vederla stare così male.
“Aveva
paura ad andare a casa per il Ringraziamento, ma non ne ha voluto
sapere di venire da Josh e Kayla. Sapevo che sarebbe finita
così. Avrei dovuto insistere di più!”
Mi
sembra di assistere a qualcosa di estremamente privato ed intimo,
sebbene riguardi anche me, ma quello che più mi sconvolge
è il senso di colpa.
Per
la prima volta, vorrei liberarla dalla sofferenza che percepisco nella
sua voce, ma sapere di non poterlo fare, che sta così
perché non sono stata abbastanza lungimirante, è
davvero doloroso.
Richiudo
la porta, perché non voglio e non posso assistere alla
sofferenza di Meredith, inoltre è un momento privato tra
loro due e non voglio mettermi in mezzo, creare ancora più
problemi.
“Stupida,
stupida, stupida!”
Mi
ripeto queste parole per un bel pezzo, appoggiata contro la mia porta
del bagno, ora chiusa.
Come
ho fatto a non pensarci, a non capire che lei, che in tutti i modi ha
dimostrato di tenere a me e di considerarmi un’importante
amica, avrebbe sofferto della mia situazione?
Perché
sono stata così stupida ed egoista?
Avrei
evitato tutto ciò se le avessi dato retta, se non mi fossi
intestardita e non avessi deciso di fare di testa mia, convinta che mio
padre non potesse essere il mostro che in realtà
è.
Avevo
avuto il sospetto che non fosse più l’uomo che
conoscevo, il mio papà amorevole, ma non pensavo che davvero
sarebbe arrivato a tanto, non un uomo di chiesa.
Invece
lo ha fatto e al solo pensiero la guancia ricomincia a bruciarmi.
Non
so per cosa essere più addolorata; se per il suo
comportamento, se per la sofferenza che ho causato a Meredith o se per
quello che ho scoperto, il segreto che, per tanti anni, mio padre ha
avuto con me, la menzogna nella quale sono cresciuta.
Forse
è tutto l’insieme e, stavolta, non posso chiedere
a Meredith di aiutarmi. Non posso causarle altro dolore, altre
preoccupazione. Ora riguarda solo me e le risposte devo trovarle da
sola.
Non
so da dove cominciare, dove chiedere, dato che sono senza lavoro e, se
non mi do una mossa, i soldi che ho messo da parte finiranno presto.
La
prima cosa da fare sarebbe trovarsi un lavoro, ma non h nessun tipo di
esperienza. Non so fare nulla di particolare e non so quante persone
siano disposte a dare un lavoro ad una persona senza la minima
esperienza.
La
seconda da fare, una volta ottenuto il lavoro, trovare qualcuno in
grado di aiutarmi, anche se non saprei nemmeno da che parte iniziare.
Per
quello che ne so, potrebbe non chiamarsi più MarySue e non
vivere più qui a Denver, ma io la devo trovare, devo sapere
perché se n’è andata, perché
mi ha abbandonata, lasciandomi con un uomo del genere.
Perché
sì, la cosa più sconvolgente di tutte,
è stato scoprire che mia madre, che credevo sepolta nel
cimitero poco fuori Denver e sulla cui tomba vado a portare i fiori
ogni domenica, non è mai morta. Lei è viva, da
qualche parte, e ora voglio sapere come ha potuto abbandonare sua
figlia.
Eccoci
quì, con il primo capitolo di questo nuovo libro e dove
iniziamo a conoscere un po' meglio Chelsea, rivivendo, sebbene da
lontano, quello che è successo con suo padre. Come ho
anticipato, cercherò di portare questo libro in
contemporanea con l'altro e, se riuscirò ad aggiornare una
volta a settimana, è molto. Ovviamente l'altro ha la
precedenza e, se non dovessi aggiornare, è perché
proprio non sono riuscita a conciliare il lavoro con la scrittura.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere al
più presto le vostre impressioni. KissKiss
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Capitolo 2 *** 02 Adrian ***
02
Adrian
Se
c’è una cosa che odio, sono le
festività.
Tutti
sorridono, tutti si scambiano gli auguri, ma per cosa?
Niente
ha valore nel mio mondo. Non
i
compleanni, non la Pasqua o il Ringraziamento.
Ancora
meno la festività che ci sta travolgendo in questi giorni.
Forse
una volta il Natale aveva senso, dopotutto, per i cattolici,
rappresenta la
nascita del figlio di Dio, ma oggi non è altro che
un’occasione per partecipare
a “feste” insulse e sbandierare ai quattro venti la
propria ricchezza. O
povertà, a seconda dei casi.
Ogni
anno, puntualmente, mi ritrovo a partecipare a ricevimenti sontuosi in
compagnia di persone che odio e di cui non mi importa nulla. Persone la
cui
sola presenza fa nascere in me il desiderio di renderle profondamente
infelici.
Il
tema è la ricchezza, l’abbondanza, e io, in questo
ambiente frequentato da
persone prive di qualsiasi etica, ci sono cresciuto.
Ho
imparato quale fosse il mio posto molto presto, mio padre me lo ha
mostrato chiaramente,
ma mi è sempre andato stretto e non ho mai avuto nessuna
intenzione di fare
quello che lui avrebbe voluto facessi.
Avrei
già dovuto iniziare a lavorare con lui e avrei dovuto
accettare il fidanzamento
che aveva programmato per me. Avrei dovuto accettare di sposare una
ragazzina
superficiale nata solo per essere data al miglior offerente, come un
animale
per il macello.
Me
ne sono tirato fuori, ma prima le ho mostrato cosa il futuro le avrebbe
riservato.
Le
sue lacrime non mi hanno commosso. Non potrei mai provare nessuna
pietà per
qualcuno che accetta passivamente le decisioni degli altri e poi si
pente delle
proprie azioni.
Mio
padre non aveva
messo in conto che non sarei
mai stato una pedina nelle sue mani e, rovinargli qualsiasi piano,
è diventato
il mio passatempo preferito. Ormai nessuno dei suoi
“amici” altolocati vuole
vedermi. Tengono le loro preziose figlie lontane da me, come se fossi
un mostro
pronto a divorarle.
Forse
è così, visto quante giovani ragazze ho spezzato
nel corso degli anni, ma il
mio comportamento non è mai indiscriminato. Hanno avuto
ciò che meritavano e,
sul momento, sono state più che felici di prendere
ciò che davo loro. Peccato
si aspettassero molto più di quanto io avessi intenzione di
dare, la mente
obnubilata dall’idea di accalappiare un marito ricco.
Se
potesse, il bastardo cancellerebbe il mio nome dal registro di famiglia.
Diseredare
il proprio figlio, significherebbe ammettere un fallimento e lui,
questo, non
lo può accettare.
Non
sia mai che Bruce McLeor, futuro senatore degli Stati Uniti
d’America e
aspirante presidente, ammetta di aver fallito in qualcosa.
Può
tollerare tutto, nessuno scandalo è troppo per lui, ma
diseredarmi ufficialmente
è una cosa che non si può permettere e io godo
immensamente nell’essere la sua
spina nel fianco, la macchia nera sulla sua apparente immacolata vita.
Cerca
in tutti i modi di tenermi lontano dai “guai” come
li definisce lui, ma la
verità è che vuole evitare l’ennesima
brutta figura. Come se potesse veramente
riuscire ad impedirmi qualcosa.
Sono
dall’altra parte della grande sala da ballo in cui si sta
tenendo la festa di
Natale, un occasione dove tutte le personalità
più in vista di Denver si
riuniscono, ma io non ho occhi che per quel maledetto ipocrita del mio
vecchio.
Lui e quella sgualdrina della mia matrigna, che potrebbe
tranquillamente essere
mia sorella maggiore.
Chastity
Brian, adesso McLeor, era una modella di lingerie per Victoria Secret
che ha
teso un bell’agguato a mio padre, mentre usciva
dall’ufficio.
Potrebbe
sembrare un incontro da film d’amore, ma io in queste cose
non credo. Sono
tutte cavolate.
Guarda
caso, lei si trovava di fronte all’ingresso del grattacielo e
le si era
spezzato un tacco. Non sapeva cosa fare, poverina, così ha
chiesto aiuto alla “prima”
persona che è passata lì vicino, Bruce McLeor.
È stato amore a prima vista.
Avrei
anche potuto far finta di crederci se non fosse stato che la gonna,
praticamente inguinale, che indossava, lasciava vedere il bordo delle
calze
autoreggenti che spesso e volentieri usava per le sfilate.
Come
so tutte queste cose?
Semplice.
Ho assistito a tutta la scena.
Ero
uscito dalle porte girevoli alcuni secondi prima del mio vecchio e il
suo
sguardo mi è saettato addosso con cupidigia. Gli occhioni
azzurri,
sapientemente truccati di nero e oro si sono incupiti e mi hanno fatto
una
radiografia completa, soffermandosi sul cavallo dei pantaloni.
L’ho
ignorata, perché il suo interesse palese non mi ha fatto
nessun effetto, ma mio
padre c’è cascato in pieno o forse ha capito
perfettamente che cosa stava
cercando Chastity e gli è stato bene.
Alla
fine non sono fatti miei e, al momento giusto, quando la sua campagna
politica
sarà al culmine, ad un passo dal raggiungimento del sogno di
una vita, allora
uno scandalo enorme, di quelli impossibili da arginare, si
abbatterà su di lui,
rovinandolo per sempre. Fino al allora, Chastity rimarrà al
suo fianco. Mi
serve lì.
La
sgualdrina indossa un costosissimo, quanto volgare, abito rosso, che
lascia
scoperta tutta la schiena flessuosa, e porta i capelli castani raccolti
in un’acconciatura
complicata.
Non
posso vederla in viso, ma so che gli zigomi sono troppo truccati e che
le
labbra, recentemente rifatte, spingono verso fuori, in
un’espressione
perennemente imbronciata.
Bruce
McLeor, invece, nel suo completo nero con il cravattino, non solo
è di una
decina di centimetri più basso, ma è anche
evidentemente sovrappeso. La
differenza tra i due coniugi è abissale e tutti sanno che
Chastity non è altro
che la moglie perfetta da poter sfoggiare in questo tipo di occasioni.
Allontano
lo sguardo dai due, che stringono mani e si aggirano tra li ospiti come
se
fossero stati loro ad organizzare tutto.
Come
ogni dannatissimo anno, siamo nuovamente a Broomfield, al Chateaux at
Fox Meadows,
in questa dannatissima sala con il pavimento in parquet e il gigantesco
lampadario dorato da cui scendono candidi drappi di seta.
L’anno
scorso, in uno degli uffici al piano superiore, mi sono scopato la
figlia dell’ormai
ex Sindaco di Denver. Un’altra poverina che sperava di
riuscire ad accalappiarmi.
È
successo un mezzo pandemonio quando è saltato fuori, ma come
al solito, nessuno
ha osato dirmi niente. Tanto, a cosa sarebbe servito?
Sono
anni che faccio come mi pare, portando vergogna sul
nome della mia famiglia e tutte quelle
stupide cose che ti dicono per cercare di farti sentire in colpa.
Eppure
io, il mio nome lo voglio distruggere, cancellare dagli annali della
politica e
della cerchia di Denver.
Mio
padre deve pagare per quello che ha fatto, per il modo meschino in cui
si è
comportato tutta la vita, per aver portato mia madre alla morte.
Non
so chi odio di più, sinceramente.
Forse
lei, perché non può più rispondere
delle sue azioni, perché nella sua debolezza
ha deciso di farla finita, buttandosi dalla terrazza della villa in cui
vivevamo
a Los Angeles.
Non
le è importato di quello che si sarebbe lasciata alle spalle
quando ha deciso
di saltare. Non le è importato che per tutto il tempo io sia
stato su quel
dannato balcone, cercando di convincerla a scendere dalla ringhiera.
Avevo
solo dodici anni quando mi ha guardato con gli occhi ormai spenti e mi
ha detto:
“ Mi dispiace!”, prima di lasciarsi cadere nel
vuoto alle sue spalle.
Ne
avevo ancora dodici quando mio padre che cercato di dare tutta la colpa
a lei e
a me, dicendomi che era depressa e che non aveva mai superato la mia
nascita. Che
suo padre, mio nonno, prima di darla
in
sposa, lo aveva avvertito del carattere debole della figlia.
Bruce
McLeor ha cercato di passare da innocente ai miei occhi quando io
sapevo
benissimo cosa accadeva tra le mura più private della villa.
Un
ragazzino di quell’età non dovrebbe mai sentire la
propria madre urlare e
piangere, ma è proprio quello che è successo e in
qualche modo, sapevo che, se
avesse voluto, mia madre avrebbe potuto ribellarsi ed andarsene. Era
lei a non
volere la libertà.
La
sua vita sarebbe stata molto più semplice e felice se quella
domenica del
Luglio 1990, in piedi sull’altare, avesse detto di no e si
fosse rifiutata di
sposare un uomo che non amava, scelto dalla sua famiglia a tavolino.
Invece Simone Pruitt/Mc Leor ha
scelto di morire
piuttosto che prendere in mano la sua vita.
Ecco
perché ho deciso che distruggerò la famiglia
McLeor e la Pruitt. Non importa
sopra chi dovrò passare, quanta sofferenza
arrecherò a chi si troverà sulla mia
strada. Mio padre perderà ogni sogno di gloria,
vedrà la propria ambizione
distrutta, e
rimarrà il misero denaro a
tenergli compagnia, mentre mio nonno, l’ormai vedovo Pierre
Pruitt, perderà
anche quello e non gli rimarrà assolutamente nulla da
portarsi nella tomba.
Si
ritroverà solo, senza nessuno ad aiutarlo.
Ecco,
se c’è una cosa che odio quanto
l’ipocrisia delle festività, è
soffermarmi a
ragionare sul perché sono diventato il bastardo che sono.
Non
c’è bisogno di uno strizzacervelli per capire
perché mi comporto come faccio e
perché detesto così tanto le donne. Certo, il
corpo femminile mi piace e anche
parecchio, ma non si riduce tutto alla mera questione fisica. Per me,
il sesso,
oltre che un piacevolissimo diversivo, è anche un modo per
punire quelle donne
che sono attratte da me per il mio aspetto fisico o per il denaro che
possiedo.
Quelle
che mi cercano, vogliono qualcosa da me, tutte vogliono qualcosa,
nessuna è
disinteressata, quindi non mi faccio nessuno scrupolo a prendere quello
che mi
viene spontaneamente offerto. Non
è un
mio problema il perché lo fanno o se dopo che mi sono
rimesso i pantaloni loro
scoppiano a piangere.
Ognuna
ha quello che si merita e sì, sarò anche un
bastardo, ma non ho mai fatto
promesse. Effettivamente, sono uno da poche parole.
Non
mi perdo mai in chiacchiere inutili e, quando apro la bocca, spesso e
volentieri, soprattutto se sono in compagnia dei miei amici, esce un
linguaggio
da scaricatore di porto che non ha nulla a che vedere con la classe
sociale in
cui sono cresciuto.
Guardo
l’orologio che porto al polso e un gemito mi sale alle
labbra. Sono solo le
otto e mezzo e sono qui già da un paio di ore.
Ho
salutato tutti, parlato del più e del meno con le persone
con le quali mi
interessava interagire, ma sinceramente, vorrei proprio andarmene.
Mando
un messaggio a Ryan, un mio amico del College e aspetto che mi
risponda,
prendendo al volo un calice di champagne dal vassoio di un cameriere
che mi è
passato vicino.
Devo
proprio ammettere che nell’ultimo anno sono cambiate davvero
moltissime cose.
Ryan,
adesso lavora come pediatra in uno studio in periferia, si è
sposato, cosa che
ancora fatico a credere, ed ha un pargolo di un paio di mesi. Stanno
passando
tutti assieme il Natale a casa di Josh, un altro amico.
Lui,
come me, ha sempre fatto parte dell’elite, ma si è
recentemente liberato dei
suoi familiari dopo che hanno provato ad incastrarlo con la polizia per
una
storia di denaro riciclato.
Era
uno dei miei compagni di uscita, uno in grado di divertirsi senza
ubriacarsi e
che con le donne ci ha sempre saputo fare. Recentemente si è
fidanzato con la
migliore amica della moglie di Ryan, con la quale ora convive.
Ammetto
che sono due tipe abbastanza in gamba, due che se solo avessi osato
avvicinarmi,
mi avrebbero fatto vedere i sorci verdi, ma ancora non riesco a credere
che in
meno di dodici mesi due miei compari siano passati dalle stelle alle
stalle,
per così dire.
Prima
era tutto un divertimento. Serate passate ai bar, bevendo, scherzando e
rimorchiando se ne avevamo voglia. Ora è tutto cambiato.
Entrambi, appena
finito di lavorare, rientrano dalle rispettiva compagne e sembrano
dannatamente
felici di essersi rinchiusi in una gabbia.
Rimaniamo
solo io e Dave, il mio compagno di appartamento.
Dopo
quasi cinque anni, mi sembra ancora così strano vivere con
qualcuno, per di più
in un appartamento piccolo, se paragonato alla villa in cui sono
cresciuto.
Avrei
potuto avere la mia casa, esattamente come Josh, che aveva il suo
appartamento
privato in centro, ma per una volta, volevo sentirmi un ragazzo
qualsiasi, non
il figlio del giudice McLeor.
Quindi,
quando ho deciso di entrare alla DU, ho messo un annuncio per cercare
un
compagno d’appartamento. Nessuno si è presentato o
ha chiamato.
Poi,
durante gli allenamenti di football, ho conosciuto Dave, che abitava in
una
stanza dove condivideva il bagno con una ragazza. Si era iscritto
all’ultimo
minuto e gli era toccata quella sistemazione, dalla quale non vedeva
l’ora di
scappare.
Mi
ha detto di non poter contribuire con molto, dato che la sua famiglia
non era
per nulla benestante e, per la prima volta, ho incontrato qualcuno che
non mi
stava chiedendo niente, che non aveva la più pallida idea di
chi io fossi.
La
simpatia è stata automatica e abbiamo trovato un modo per
far funzionare la
convivenza.
Non
è stato semplice, perché io ero abituato a farmi
lavare ed inamidare persino le
mutande, ma ce l’abbiamo fatta.
Io
ora passo le mie giornate tessendo il cappio che, pian piano, si sta
stringendo
attorno al collo delle mie vittime e Dave, lui, incredibilmente, ha
appena
superato l’esame per diventare agente di polizia.
Il
vibrare del cellulare mi distoglie dai pensieri.
È
il via libera di cui avevo bisogno.
Passare
la serata in mezzo ad una famiglia felice non è esattamente
il mio ideale di
divertimento, ma se sono sopravvissuto al matrimonio di Ryan, posso
sopravvivere ad una riunione di famiglia. Mi basterà tenere
la bocca chiusa il
più a lungo possibile, così non sarò
tentato di rovinare la serata a tutti.
Odio
vedere la gente che sorride. Non so mai se la felicità sia
vera o finta. Solo
la tristezza è reale, non si può mascherare,
nemmeno con un sorriso.
Gli
occhi non mentono mai e quando sono tristi, hanno un fascino perverso
che mi
scalda e mi fa sentire vivo, reale.
Ho
sempre l’impressione di star vivendo una fantasia, una vita a
metà e non so
perché.
È
tutto molto insoddisfacente e so che non potrò trovare
realmente il mio posto
fino a quando non avrò distrutto per sempre Bruce McLeor.
Ecco
quì i nostro Adrian, un personaggio cupo, infelice, che ha
un unico motivo di esistenza, la vendetta. Cosa ne pensate?
Spero
di riuscire ad aggironare la prossima settimana, ma intanto, vi aspetto
da Meredith e Logan. e con il nuovo capitolo in uscita entro domani
all'ora di pranzo. kiss kiss,
|
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Capitolo 3 *** 03 Chelsea ***
03
Chelsea.
Alle
volte mi sento davvero patetica.
In
due settimane, io non sono riuscita a vedere nemmeno l’ombra
di un lavoro,
mentre Kayla, santa Kayla, me lo ha trovato nell’arco di due
minuti.
È
successo tutto a Capodanno.
Non
avevo nessun’altro posto dove andare, ma prima ancora che
avessi la possibilità
di interrogarmi su quello che avrei o meno fatto, Kayla mi aveva
già inclusa al
loro tavolo, come se ormai fossi parte della loro famiglia.
Devo
davvero ammettere che è una ragazza eccezionale.
Vuole
bene in modo sincero a tutti e si vede che stravede per il cucciolo di
casa, il
piccolo Nathan.
Ogni
volta che può, lo prende in braccio e lo vezzeggia come se
fosse la cosa più
meravigliosa del mondo.
È
triste da ammettere, ma ha trattato anche me con la stessa delicatezza.
Non
mi ha chiesto nulla di mio padre, non c’era
curiosità nel suo sguardo, voglia
di sapere, solo accettazione. Lei mi ha presa per quella che sono e,
ciò che è
successo, non ha davvero importanza per lei, sebbene abbia fatto di
tutto per
avvicinarsi a me e risolvere i miei problemi.
Per
qualche motivo, gliel’ho permesso. Stavamo giusto parlando
dei propositi per
l’anno nuovo, quando senza il minimo imbarazzo, mi ha chiesto
che cosa avessi
intenzione di fare, se avevo intenzione di trovarmi un lavoro.
Ha
sondato il terreno, scoprendo che cosa mi piace, quello che so fare e
dopo
nemmeno dieci minuti, avevo un colloquio di lavoro al Blue Moon, il
locale dove
sia lei che Bianca hanno lavorato lo scorso anno.
Mi
sono presentata il mattino successivo, il due gennaio, e mi sentivo
come un
cucciolo spaurito. Non sapevo cosa dire, come comportarmi, se avrei
dovuto fare
qualcosa, dimostrare le mie capacità, rischiando di fare una
figuraccia oppure
se avrei solo dovuto rimanere ferma come una bella statuina,
presentarmi e
sperare in un miracolo.
La
prima cosa che ho notato, entrando dalla porta di metallo, come quella
dei
Night Club, è stato l’aspetto contrastante
dell’intero posto. In un primo
momento, mi è sembrato che il legno dominasse.
C’era un enorme bancone di legno
scuro, perfettamente tirato a lucido e, dietro esso, una specie di
libreria per
alcolici, posta davanti ad uno specchio, che rifletteva i colori accesi
delle
varie bottiglie.
Le
pareti erano ricoperte di pannelli di legno, stesso materiale dei
tavolini e
delle sedie. Quando
ho sollevato lo
sguardo, mi aspettavo di vedere travi spesse e scure, invece sono
rimasta molto
sorpresa nell’individuare un soppalco di metallo, fatto di
sbarre di ferro, con
attaccati faretti e globi riflettenti di tutti i tipi.
Non
ho faticato affatto a capire come mai il locale abbia così
tanto successo, sia
come bar sportivo, che come disco-pub.
Owen,
il proprietario, mi è venuto incontro non appena mi ha
vista.
È
uno omone grande e grosso, con una bella pancia prominente, ma un viso
tondo e
solare. Ha la testa calva al centro, le orecchie un po’ a
sventola e gli occhi
scuri.
È
una via di mezzo tra un tedesco che ama la birra e l’Orso
Yogi.
Mi
ha fatto immediatamente una buona impressione. Mi ha stretto la mano
con
delicatezza, ma con una presa decisa e mi ha sorriso con fare
rassicurante.
“Io
sono Owen e puoi tranquillamente darmi del tu. Niente formalismi. Kayla
mi ha
detto che stai cercando un lavoro e sai cucinare. Se sai preparare
alette di
pollo alla paprika, enchildas di pollo, panini di vario genere e fare i
nachos
con le varie salse, allora mi sarai più che utile.”
Sono
davvero rimasta sorpresa dal semplice menù che, non per
presunzione, ma so di
poter preparare ad occhi chiusi.
Per
qualche motivo, mio padre ha sempre amato la cucina messicana ed
è sempre stato
una buona forchetta. Cucinare
era il mio
compito, insieme a tenere la casa pulita, come una vera donna di casa,
Se
ora mi guardo indietro, mi rendo conto di quanto tutto ciò
fosse estremamente sbagliato.
Ho dovuto toccare il fondo e sbatterci la faccia per aprire gli occhi e
rendermi conto della realtà.
“Sì,
certo. Sono piatti che conosco molto bene.”
“Perfetto.
Cucinami qualcosa, per favore. La nostra cuoca, Jillian, al momento
è in
vacanza. Ha lavorato durante tutte le festività e si merita
un po’ di tempo con
la famiglia. Vieni. Ti faccio vedere la cucina.”
Mi
ha presa completamente alla sprovvista, ma l’ho seguito
ugualmente oltre il
bancone, dietro una porta di legno, fino ad un locale completamente bianco.
Ogni
singola superficie, dai
piani di lavoro alle
ante dei mobiletti, erano di un bianco
accecante.
Credo
che una qualsiasi cucina professionale dovrebbe avere un aspetto simile.
Appena
entrata, subito alla mia destra, ho
individuato il classico bancone su due piani dove si mettono i piatti
pronti
per l’uscita.
Alla
mia sinistra c’èra la cella frigorifera e uno
scaffale ricolmo di farina,
zucchero e tutti quei generi di prima necessità che non
necessitano di un
ambiente refrigerato.
Al
centro, un ripiano da lavoro in marmo bianco e in fondo, a sinistra, i
fornelli, due forni e due immensi lavelli di acciaio inossidabile.
“Accidenti.”
Non
ho potuto fare a meno di ammirare la pulizia e l’ordine
estremo che mi
circondava.
“Sì,
Jillian è fissata con l’ordine e non posso fare a
meno di ringraziare il giorno
che è arrivata. Sono
ormai sei anni che
lavora per me e non mi ha mai dato un problema. Ora vorrei che avesse
un po’ di
riposo e aiuto in cucina. Se in questi giorni di assenza riuscirai a
cavartela,
considerati assunta.”
Stavo
per dirgli che frequento il college, quando mi ha stoppata con un
sorriso.
“Kayla
mi ha detto che sei una studentessa, per cui non ti chiederò
più di quattro
sere alla settimana. In ogni caso alle undici solitamente chiudiamo la
cucina,
per cui anche in quelle sere non farai troppo tardi.”
Mi
ha dato una pacca fin troppo forte sulla schiena e mi ha mostrato dove
trovare
tutto il necessario e mi ha lasciata da sola a spadellare. Ho trovato
tutti gli
accessori con estrema facilità, segno che la regina della
cucina è una donna
pratica e abituata a cucinare avendo tutto sotto mano, ma in ordine.
All’inizio
ero un po’ tesa, non sapevo bene come muovermi, ma appena ho
iniziato a sentire
odore di soffritto, la mia testa si è snebbiata ed
è diventato tutto
estremamente semplice e immediato.
La
verità, è che ho sempre amato cucinare.
Placava
il mio animo, saziando la sete di qualcosa che fosse solo mio. Per
qualche
motivo, non ho mai fatto sapere a mio padre che amavo cucinare. Forse,
inconsciamente, sapevo che il mondo in cui vivevo non era
così idilliaco come
credevo e temevo che, per qualche assurda ragione, mi facesse pesare
quel
piacere.
Ho
cucinato come non facevo da parecchio, con il sorriso stampato sul viso
e, di
quello che ho preparato, alla fine non è rimasto nulla. Owen
ha spazzolato ogni
cosa. Sul piatto, sono rimaste solo le ossa delle alette, private anche
dalla
loro stessa cartilagine.
Nelle
vaschette di plastica che usano per le salse dei nachos, non
è rimasta nemmeno
l’ombra di pomodoro o formaggio.
All’inizio
non sapevo se gli sarebbe piaciuto il menù, così
mentre mangiava, sono tornata
in cucina e ho pulito, riportando tutto al suo
“originario” splendore.
Owen
mi ha dato il suo benestare subito dopo e mi ha chiesto, se per i pochi
giorni
che rimangono delle vacanze invernali, potevo lavorare anche
all’ora di pranzo,
gomito a gomito con l’altro cuoco, Theo.
Sono
tornata nella mia stanza stremata e mi sono messa a studiare. Tra una
cosa e
l’altra sono rimasta molto indietro.
Non
è che ne avessi tantissima voglia, ma visto che iniziando la
mia nuovo vita di
studentessa lavoratrice il tempo da poter dedicare a questo genere di
cose si
sarebbe ridotto notevolmente, ho deciso di comportarmi in maniera
responsabile.
Stamattina
mi sono svegliata di buon umore e mi sono preparata con estrema calma
dopo aver
studiato ancora un paio di ore.
Mi
aspettavo di veder comparire Meredith, che quando non sta vagabondando
per la
città, con quello che, ne sono sempre più
convinta, credo sia il suo ragazzo,
viene a chiamarmi per andare a fare colazione nella caffetteria
all’angolo.
Si
sono fatte le dieci senza che nemmeno me ne accorgessi, ma della mia
amica nemmeno
l’ombra.
Così
mi sono preparata con tutta calma, prestando particolare attenzione
all’abbigliamento. Non devo essere elegante, dopotutto devo
solo cucinare, ma
non voglio nemmeno apparire sciatta e, soprattutto, ho paura che
dovrò fare
tante ore in piedi e quindi mi sono affidata alle mia scarpe da
ginnastica
color verde acceso.
Prendo
un profondo respiro e sollevo lo sguardo dal marciapiede, puntandolo
sull’insegna al neon attualmente spenta.
C’è
scritto Blue Moon in caratteri semplici.
Prima
di perdere il coraggio, varco nuovamente la porta di metallo.
Il
locale è quasi del tutto vuoto, tranne per alcuni signori
seduti al bancone e
un ragazzo accasciato su uno dei tavolini. Sta dormendo beato.
Ha
i capelli scuri che gli ricadono sul viso, ma non sono abbastanza
lunghi da
nascondere i tratti decisi della mascella e la gobba sul naso. Anche da
seduto,
sembra enorme, tanto da avere l’impressione che la
“piccola” sedia su cui è
seduto stia per cedere.
Allontano
lo sguardo dalla figura addormentata e mi avvicino al bancone, dove
c’è una
ragazza girata di spalle.
Ha
lunghi capelli biondi, così chiari da sembrare quasi
bianchi, raccolti in una
coda di cavallo, che mette in evidenza il collo sottile. Indossa una
canottiera
bianca e posso vedere un tatuaggio scendere dalla sua spalla sinistra
lungo il
braccio.
Si
volta prima ancora che sia riuscita a raggiungere il bancone e mi
sorride,
amichevole.
Ha
gli occhi azzurri pesantemente truccati di nero, ma non ci sono tracce
di
rossetto o cose simili.
Sta
strofinando energicamente un bicchiere, flettendo elegantemente il
braccio. Mi
perdo alcuni secondi ad osservare la rosa nera tatuata sulla spalla e
poi le
sorrido a mia
volta. Non so perché, ma
questa ragazza mi sta simpatica. Sembra
una ragazza decisamente alla mano, dolce, ma allo stesso tempo
determinata.
“Tu
devi essere Chelsea. Owen mi ha detto che cucini benissimo. Io sono
Lesley. Se
hai bisogno di qualcosa, io sono qui. Ti ho preparato
l’armadietto numero
quattro. Dentro c’è un grembiule e tutto quello di
cui avrai bisogno.”
Mi
fa l’occhiolino e abbassa drasticamente la voce, tanto che mi
devo avvicinare
per sentire quello che dice.
“Scusami,
ma non mi posso allontanare. Aaron sta dormendo e di questi ubriaconi
non mi
fido. Prima porta a destra, mentre ti cambi, chiuditi dentro. Essendo
uno
spogliatoio unico, potrebbe entrare qualcuno
inavvertitamente.”
Mi
indica la basculante di legno che ho attraversato ieri e rapidamente
faccio il
giro del bancone per entrare nel corridoio buio dalle pareti spoglie.
Trovo
lo spogliatoio senza problemi e mi chiudo la porta alle spalle.
Ci
sono una serie di armadietti numerati, un paio di panche di legno e una
porta
che, immagino, porti al bagno.
Prendo
il grembiule dall’armadio e osservo titubante la retina per
capelli. Spero
davvero che non sia necessario metterla. Mi sono fatta una treccia
apposta per
non perdere capelli e ho bloccato quella che una volta era una
frangetta, di
lato.
Mi
vesto rapidamente e lascio tutte le mie cose, tranne il cellulare,
nell’armadietto.
Dopo
quello che è successo con mio padre, se sono senza il
cellulare mi sento come
persa, vulnerabile, quindi lo porto sempre con me, come una sorta di
portafortuna.
Appena
esco dallo spogliatoio, trovo Owen ad aspettarmi.
Mi
guarda da capo a piedi, ma non con sguardo lascivo, semplicemente di
curiosità.
Scoppia a ridere quando vede che ho la retina tra le mani.
“Non
ti servirà quella. Se tieni i capelli raccolti non sei
obbligata a metterla.
Vieni, ti presento Theo.”
Mi
precede in cucina e non mi resta che assecondarlo.
Mi
aspettavo di trovare tutto perfettamente ordinato, invece la cucina
è nel caos
e l’odore di sugo al pomodoro permea l’ambiente.
“Theo,
c’è la ragazza di cui ho parlato. Molla un secondo
quell’arrosto, che avrà
bisogno di ancora venti minuti di cottura e vieni a
presentarti.”
Rimango
molto sorpresa dal tono amichevole che usa.
Un
uomo sulla quarantina, con un viso sorridente sbuca da dietro Owen e mi
guarda
con curiosità.
“Se
vali la metà di quanto ha detto questo qui, allora andremo
d’accordissimo.”
Credo
che in teoria avrebbe dovuto essere la sua presentazione,
perché il capo gli da
uno scappellotto e fa volare via il cappello da chef che nascondeva un
cranio
pelato e lucido come una palla da bowling.
“Presentati
come si deve.”
Theo,
rivolge un occhiata di fuoco ad Owen, ma quando si gira verso di me,
sta
sorridendo.
“Mi
chiamo Theodor, ma tutti mi chiamano Theo. Puoi chiamarmi
così anche tu.”
Mi
tende la mano e mi affretto a stringerla.
“Io
sono Chelsea. Piacere!”
Mi
lascia andare rapidamente e si rivolge nuovamente all’omone
che, con la sua
mole, ingombra
buona parte dello spazio
utile.
“Ora,
fuori di qui. La cucina ti è interdetta all’ora di
pranzo. Solo perché Jillian
ti permette di entrare in cucina a spizzicare di tanto in tanto, non
significa che
io farò lo stesso. Fuori di qui e lasciaci
lavorare.”
Owen
sorride e mi supera rapidamente, lasciando me e Theo da soli.
Senza
più niente ad ostruire la vista, posso osservare meglio il
mio “collega”.
È
alto e magro. Indossa una casacca da chef bianca con il colletto alla
tailandese,
che gli casca addosso troppo larga, e un paio di jeans consunti, anche
loro
decisamente abbondanti.
Non
ha un filo di barba e si possono tranquillamente vedere gli zigomi
scarni e
appuntiti.
Eppure,
nonostante ciò, mi sembra una persona molto gioviale.
“Se
mi dice che cosa devo fare, io mi metto subito al lavoro!”
La
mia voce suona titubante, ma è proprio così che
mi sento. Sono un pesce fuor
d’acqua.
Questo
decisamente non è il mio ambiente e non ho mai cucinato per
altre persone, con tempi
da rispettare e così via.
Ho
paura di combinare un disastro.
Lui
mi rivolge un’ occhiataccia, ma mi fa l’occhiolino.
“Dammi
del tu, tutti ci diamo del tu. Owen è un tipo a posto e, non
tarderai a
scoprirlo, il Blue Moon per molti di noi è una seconda casa.
Per Owen siamo una
grande e allargata famiglia e non c’è posto
migliore dove lavorare.”
Dopo
di che inizia a darmi un compito dietro l’altro.
Facci
avanti e indietro per la cucina, espletando una mansione dietro
l’altra.
I
piedi iniziano a farmi male ben presto, ma non mi sono mai sentita
così
realizzata.
Sto
facendo qualcosa per me stessa, per guadagnarmi da vivere e non dover
più
dipendere da nessuno, meno che mai da mio padre.
Il
dolore al momento non è difficile da sopportare,
perché mi sento realmente e
totalmente libera.
Per
la prima volta, inizio a credere di potercela fare.
Vedo
uno spiraglio.
Eccoci
finamente con la storia di Chelsea. L'ho lasciata davvero troppo in
sospeso, ma finire la storia di MEredith e Logan aveva la precedenza.
Chissa come evolerà la vita di Chelsea da questo momento in
poi e, soprattutto, come i nostri due protagonisti, che al momento
vivono vite completamente opposte, inizieranno il loro avvicinamento.
Chissa quale sarà il comune denominatore. Vi aspetto entro
il weekend per il prossimo capitolo e spero che questo vi sia piaciuto.
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Capitolo 4 *** 04 Adrian ***
04
Adrian
Se
ci ragiono sopra, la
mia intera esistenza è una non vita.
Quest’anno
prenderò la
laurea, sebbene credo sia una fortuna non mi abbiano cacciato dopo il
secondo
anno, ma i miei voti non sono decisamente alti.
Si
può dire che pagarmi il
college sia stato uno spreco di denaro, ma quello che ho imparato in
questi cinque
anni forse mi aiuterà a crearmi una vera vita.
Al
momento le mie giornate
sono scandite in modo monotono.
Mi
alzo, controllo sul pc
le quotazioni, vado in palestra, vado a lezione, rientro e passo buona
parte
del pomeriggio facendo treding online. Vendo e compro azioni in base
all’andamento
del mercato.
Mi
piace avere ancora più
soldi di quanti già non abbia e sono particolarmente bravo a
capire come andrà
la borsa.
Ho
iniziato a farlo come
passatempo, ma più analizzavo gi schemi e più
diventavano precisi i miei
pronostici. Sono in
grado di prevedere
il rialzo o il ribasso delle quotazioni, vendendo nel momento migliore
e
acquistando quando tutti non vedono l’ora di sbarazzarne per
avere un profitto.
Inoltre ho qualche conoscenza importante e sono piuttosto bravo a
scucire
informazioni, anche perché
in molto
pensano che ingraziandosi me, si ingrazieranno anche mio padre.
È
stato allora che ho
elaborato il piano perfetto e il trading non è
più stato solo un fruttuoso
passatempo, ma anche un modo perfetto per raggiungere il mio obiettivo.
Lentamente,
ma
inesorabilmente, sto minando le fondamenta dell’Azienda di
mio nonno. Aspetto
solo il momento giusto per distruggerlo completamente.
La
Pruitt International
Inc è un’azienda che da sempre produce componenti
meccanici e mezzi usati
nell’edilizia.
Le
gru e i carrelli
elevatori che si trovano nei porti mercantili? Opera della Pruitt.
Le
ruspe che si possono
vedere nei cantieri stradali? Sempre una produzione Pruitt.
Mio
nonno si è
accaparrato, anche in modo discutibile, tutti gli appalti di quel
genere.
Fornire
materiali alle
imprese e alla nazione è il suo Business personale, il suo
territorio.
Nessuno
osa sfidarlo,
anche se ormai è vecchio, la sua reputazione è
quella che fa andare avanti la
baracca, perché quell’incompetente di mio zio non
è all’altezza della fama
dell’azienda.
George Pierre Pruitt IV
è il primogenito di
Marie Pruitt, la mia ormai defunta nonna materna.
Io
non l’ho nemmeno
conosciuta, è morta prima ancora che mia madre si sposasse,
lasciando il marito
ad occuparsi dei figli ancora adolescenti.
Mia
madre, beh, è finita
come è finita, mentre quell’idiota di George
è diventato il burattino di Pierre
III. È stato messo a capo dell’azienda, sotto il
diretto controllo del
consiglio di amministrazione, dove non può fare danni.
Non
ha potere decisionale
su nulla. È solo la faccia dell’azienda, la
copertina di qualcosa di marcio.
Non
provo nessuna pena per
mio zio, per il modo in cui finirà una volta che
avrò portato a termine la mia
vendetta. L’ignoranza non è una scusa.
Una
volta che sarà tutto
finito, finalmente sarò libero dal giogo machiavellico in
cui sono nato.
Non
avrò pace fino a
quando la crudeltà e la manipolazione di cui la mia famiglia
è diventata
maestra non sarà distrutta
dalla radice.
Non
sono una bella
persona, non mi illudo del contrario, ma mi rifiuto di diventare come
mio
padre, come mio nonno, che non hanno rispetto per niente e nessuno.
Mi
sto decisamente
abbassando al loro livello, ma non meritano nessun genere di
pietà. Hanno
distrutto la vita di mia madre, l’unica persona a cui ho mai
davvero voluto
bene e per questo la pagheranno.
La
vendetta non la
riporterà indietro, lo so, ma a dodici anni ero un ragazzino
impotente, mentre
ora ho le chiavi del destino di quella gente nelle mie mani e loro
nemmeno lo
sanno.
L’odio
mi ribolle nelle
vene feroce ogni volta che sono obbligato a stare in presenza di uno di
loro,
esattamente come in questo momento.
Sono
le otto di sera e il
cocktail party per festeggiare la nomina di mio padre per la carica di
senatore, finalmente ufficiale, è ormai entrato nel vivo.
Mi
trovo nuovamente nella
sala del Chateaux at Fox Meadows e non vedo l’ora di
scappare. Se non fosse per
le informazioni che sono riuscito a reperire, non sarei mai venuto in
questo
posto.
Ho
dovuto assistere ad un
discorso disgustoso sull’importanza della famiglia e del
rispetto, come se il
mio vecchio conoscesse anche solo il significato di una di quelle
parole.
Ho
fato fatica a
guardarlo. Più tempo passa, più la sua vista mi
rende nervoso, ansioso, bramoso
di vendetta.
I
tempi però non sono
maturi e una mia mossa ora sarebbe assolutamente inutile.
L’unica
cosa che mi da la
forza di sopportare questa tortura è sapere che tra non
molto ho appuntamento
con i ragazzi al Blue Moon. C’è la prima partita
del nuovo anno e non ho
nessuna intenzione di perdermela, per quanto sarà una serata
decisamente
strana.
Logan,
l’amico di gioventù
di Ryan, ha da poco avuto un incidente in macchina e ha perso la
memoria.
Questa,
è la prima volta
che esce con noi da quando è stato dimesso e sarà
difficile parlargli come se
non lo conoscessi, come se non fossi al corrente del suo segreto.
In
teoria avrei dovuto
dimenticarmene, soprattutto perché non sono fatti miei, ma
quella peste di
Meredith, la sorella di Ryan, ha un non so che di indimenticabile anche
quando
sembra sul punto di volerti uccidere.
Sinceramente
non so come
sia la loro situazione, ma dalla faccia che aveva l’ultima
volta che l’ho vista
al campus, non credo se la stia passando bene.
Non
sono fatti miei,
quindi sono andato dritto per la mia strada.
Meredith
non è affar mio.
È solo la sorella minore di un mio caro amico, nonostante
abbia un carattere
completamente diverso da quello che il fratello crede.
Ogni
volta che parla di
lei, è come se stesse tessendo le lodi di un angelo un
po’ scorbutico, ma posso
confermare che è tutto tranne che un angelo, quella ragazza.
Ha
un temperamento acceso
e, se si irrita, un linguaggio decisamente scurrile.
Mi
piace pensare che, al
contrario di quello che lei stessa ha detto, non riuscirebbe mai a
sedurmi, ma
forse è chiedere troppo.
Non
sono certo che la mia
amicizia con Ryan mi impedirebbe, se si presentasse
l’occasione, di metterle le
mani addosso.
È
una gran bella ragazza,
una di quelle che non ti chiede nulla dopo averci scopato, insomma,
quello che
mi piace di più.
Per
mia fortuna, non credo
proprio che lei sia interessata a fare sesso con me e ciò mi
sta più che bene.
Motivo
per cui non me la
sono sentita di biasimare Logan per esserci cascato ed ho tenuto la
bocca
chiusa. Non ne ho parlato con nessuno, nemmeno con lui.
Facendo
attenzione a non
rimanere invischiato in qualche stupida conversazione, me la svigno da
questa
specie di enorme villa per eventi.
Prima
di salire sulla mia
Infiniti G37, la mia auto sportiva nera, mi levo giacca e cravatta. Mi
piacerebbe indossare una maglietta normale, ma se mi sfilassi la
camicia qui
nel parcheggio, probabilmente, finirei su qualche stupida rivista
accusato di
atti osceni in luogo pubblico.
Alle
volte i giornalisti
esagerano e, da quando mio padre si è messo in testa di
diventare un personaggi
pubblico, mi seguono ovunque.
Come
se io avessi qualcosa
a che fare con la campagna elettorale.
Odio
che stia cercando di
usarmi per attirare simpatie, giocando al ruolo del papà
perfetto.
Sfreccio
a tutta velocità
tra le strade di Denver, certo di aver seminato qualsiasi paparazzo in
cerca di
uno scoop.
Le
luci blu al neon
dell’insegna del Blue Moon mi danno immediatamente sollievo.
Questo è uno dei
pochi posti in cui mi posso rilassare.
Il
locale è sia un pub
sportivo, che un disco-pub nei weekend, il personale è
gentile e amichevole e
servono una birra davvero eccezionale: appunto la Blue Moon, da cui il
locale
ha preso il nome.
Il
parcheggio circolare è
strapieno di auto, ma io ho il mio parcheggio personale.
Leggermente
distante
dall’ingresso, ma di fronte al vicolo che separa il locale
dall’edificio di uffici
che sta lì dietro, il mio parcheggio è
sorvegliato dalla telecamera di
sicurezza che controlla l’ingresso posteriore e
l’uscita d’emergenza.
Una
volta spento il
motore, mi libero della camicia, sostituendola con una maglietta color
antracite e un giubbotto decisamente meno appariscente del cappotto.
L’aria
è gelida e il
respiro si condensa in nuvolette argentate.
Secondo
il termometro
della macchina ci sono solo 4 gradi, quindi non mi sarei mai aspettato
di
sentire un rumore provenire dal vicolo.
Mi
giro dopo essere
sobbalzato e socchiudo gli occhi per mettere a fuoco lo spazio semibuio.
Faccio
un paio di passi
avanti, pronto a difendermi in caso qualcuno avesse voluto farmi del
male, ma
rimango davvero sorpreso nell’individuare una persona
chinata, intenta a dare
da mangiare ad un gattino spaventato che, non appena si accorge della
mia
presenza, si gira a guardarmi e mi soffia.
“Lo
stai spaventando.”
Per
la prima volta mi rendo
conto che la persona che ho davanti è una ragazza, ma non
una sconosciuta,
bensì una persona che conosco.
“Chelsea?”
Sono
davvero sorpreso di
vederla qui, ancora di più nel vedere che indossa uno dei
grembiuli del Blue
Moon.
Lei
gira la testa di scatto,
gli occhioni spalancati dalla sorpresa.
“Oh,
Adrian. Ciao. Mi hai
spaventata. Pensavo fosse Theo!”
Rimango
impalato a
fissarla mentre lei torna a concentrarsi sul gattino bianco che si
stava
strofinando sulle sue ginocchia.
“cosa
ci fai qui?”
Lei
non mi degna di un’occhiata.
“Ci
lavoro, non è ovvio?”
Con
questa ragazza niente
è ovvio.
Non me la immagino a servire
ai tavoli. Mi
sembra troppo impacciata e, di sicuro, non è il tipo di
ragazza in grado di
gestire le attenzioni indesiderate di certi clienti.
All’improvviso
si alza e
si gira a guardarmi, la testa leggermente inclinata di lato.
“So
quello che stai pensando
e no, non faccio la cameriera. Lavoro in cucina.”
La
osservo in silenzio,
senza nulla da dire.
Non
ho mai conosciuto una
ragazza così strana.
È
come un’ingenua suora
mancata.
La
sua innocenza è
disarmante e il modo in cui si comporta con me è
sconcertante.
Nonostante
quello che è
successo, ogni volta che ci troviamo faccia a faccia è come
se non fosse
successo nulla e non riesco a capirla.
Non
che per me abbia
qualche importanza, ma il suo modo di comportarsi mi incuriosisce.
È
completamente diversa da
qualsiasi persona io abbia mai conosciuto.
Nessuno
sa esattamente che
cosa è successo il giorno che Josh mi ha chiesto di andare a
prenderla a casa
del padre, altrimenti sono sicuro che qualcuno me l’avrebbe
fatta pagare.
Ho
l’impressione che in
molti si metterebbero a proteggere questa ragazza se qualcosa dovesse
ferirla.
Basta
pensare a come sono
intervenuti immediatamente quando ha avuto bisogno di aiuto.
“Beh,
io ho da fare. Ti
saluto.”
Sono
quasi di nuovo in
strada quando la sua voce mi richiama.
Mi
volto ed è ancora ferma
dove l’ho lasciata, le braccia abbandonate lungo i fianchi, i
capelli scuri
raccolti in una treccia laterale.
“Cosa?”
“Grazie!”
Sento
la fronte
incresparsi. Non capisco. Per cosa mi ringrazia? Non ho fatto nulla per
lei.
La
vedo sorridere
gentilmente, sollevando le spalle con noncuranza.
“Per
tutto!”
Si
gira e rientra dalla
porta alle sue spalle, lasciandomi da solo nel vicolo semibuio.
Per
la prima volta, mi
sento come se avessi fatto qualcosa di estremamente sbagliato ed
ingiusto a
qualcuno che non lo meritava affatto.
Eccoci con il nuovo capitolo. Che dire: Adrian si srta rivelando un
personaggio sempre più complesso e ora le domande sono due:
come ha intenzione di distruggere l'azienda del nonno? e che cosa
è successo davvero quel giorno di Novembre? Forse lo
scopriremo nel prossimo capitolo. Vi aspetto martedì per il
prossimo capiitolo. Buon weekend a tutti. kiss kiss
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Capitolo 5 *** 05 Chelsea ***
05
Chelsea.
L’ultima
settimana e mezzo
è stata davvero faticosa, ma anche estremamente
soddisfacente.
Quello
di oggi è stato
l’ultimo servizio prima del rientro di Jillian.
Me
ne hanno parlato tutti
benissimo, anche se non riesco proprio ad immaginarmela.
Theo
mi ha detto che è una
donna dolce, ma allo stesso tempo severa. Disponibile, ma che non si fa
ingannare facilmente.
È
sposata da più di
quindici anni e ha una figlia in piena crisi adolescenziale.
Sono
davvero ansiosa di
conoscerla, anche perché lavoreremo quasi tutti i giorni
gomito a gomito e non
vedo l’ora.
Per
quanto mi siano
piaciuti, questi giorni sono stati anche molto stancanti. Non avevo mai
cucinato per così tante ore di seguito e per così
tante persone.
Ho
scoperto che chi
frequenta il locale ama riempirsi lo stomaco, non solo di birra, ma
anche e
soprattutto di alette di pollo e nachos.
La
prima volta che ho
visto il contenuto della cella frigorifera, sono rimasta senza parole.
C’erano
un numero
imprecisato di chili di alette di pollo.
Ho
pensato fosse troppa
roba, che nemmeno in una settimana sarei riuscita a cucinarle tutte,
invece ho
scoperto che tutta quella roba non era sufficiente nemmeno per tre
sere.
Ho
l’impressione che il
locale faccia il suo guadagno più con il cibo che con
l’alcool e da un pub del
genere non me lo sarei mai aspettato.
Pensavo
che avrei cucinato
con calma, che avrei avuto addirittura dei momenti di stallo, senza
nulla da
fare, ma mi sbagliavo di grosso.
Se
l’ora di pranzo con
Theo è stata difficile da gestire, la sera è
stata ancora più complicata.
La
prima volta è stata
davvero dura. Sono arrivata a fine turno esausta, senza nemmeno le
forze per
alzarmi dalla panca dello spogliatoio.
Lesley
mi ha dato una mano
ad arrivare alla macchina. Ho guidato come in stato di trance, non so
proprio
come sia riuscita ad arrivare al dormitorio senza schiantarmi. Ricordo
solo che
ad un certo punto mi stavo trascinando su per le scale.
Una
volta in camera sono
andata in bagno, mi sono tolta le lenti a contatto e poi mi sono
buttata a
letto.
Ho
dormito nove ore
filate.
La
mattina dopo ero uno
straccio, ma ugualmente sono andata a cercare Meredith, volevo andare a
fare
colazione con lei.
Purtroppo
non era nella
sua stanza, più disordinata e confusionaria del solito.
Sembrava che ci fosse
passato un tifone o che, semplicemente, non riordinasse da giorni.
Mi
sono girata e ho
lasciato perdere. Se fossi rimasta ancora un secondo ad osservare quel
macello,
mi sarei messa a pulire e riordinare.
I
giorni successivi sono
stati più o meno identici. La mattina mi mettevo a studiare,
pranzavo con un
panino al volo, e poi andavo al Blue Moon, oppure, se Owen aveva
bisogno,
andavo ad aiutare Theo per l’ora di pranzo, rimanevo
lì nel pomeriggio a
studiare, comodamente sdraiata sul divano dell’ufficio di
Owen e poi mi mettevo
a preparare le cose che mi sarebbero servite per la serata.
Ho
scoperto che Theo aveva
ragione. Lavorare al Blue Moon è davvero come avere una
seconda famiglia e Owen
sarebbe il “papà” di tutti. È
sempre gentile e disponibile, attento ai bisogni
dei sui dipendenti, che tratta davvero come se fossero dei figli.
Capendo
il mio bisogno di
studiare, mi ha offerto il posto più tranquillo
dell’intero locale: il suo
ufficio privato.
Dalle
tre e mezzo, fino
alle sette, l’intera stanza è a mia disposizione.
Posso studiare o riposare,
quello di cui ho più bisogno e, trascorrere tante ore tra
quelle mura, non mi
pesa più di tanto.
I
primi giorni mi chiedevo
come fosse possibile che, ad ogni ora del giorno e della notte, Lesley
e Aaron,
il buttafuori, io li trovassi al locale.
Pensavo
che fosse Owen a
sfruttarli, invece, parlandoci, ho scoperto che sono loro a voler
passare il
loro tempo libero li dentro.
Aaron,
il ragazzo che il
primo giorno di lavoro stava dormendo sul tavolino, è un bel
ragazzo di poche
parole.
Ha
i capelli scuri
esageratamente lunghi e che gli spiovono perennemente sulla fronte, gli
occhi
scuri, quasi neri, contornati da folte ciglia, e i tratti del viso
induriti da
brutte esperienze.
È
alto e imponente, le braccia
muscolose perennemente messe in rilievo da magliette a maniche corte.
Alle
volte mi chiedo come faccia a non sentire freddo, visto che anche la
sera
indossa una di quelle sue magliettine così sottili.
Credo
che, prima di
approdare al Blue Moon, facesse il militare. In chiesa da mio padre ne
ho visti
tanti rientrati dalla guerra e hanno un non so che di particolare, che
li rende
riconoscibili.
Lesley
invece è una
continua sorpresa. Non ho mai conosciuto una ragazza come lei.
Prima
di tutto, che io
sappia, è la prima persona bisessuale che io abbia mai
conosciuto. Lei non ne
fa mistero, è un po’ un vanto per lei e il modo
schietto e repentino con cui me
lo ha detto mi ha davvero sorpresa.
Non
me lo aspettavo e,
sinceramente, non sapevo proprio cosa dire. È stato qualcosa
di completamente
nuovo per me.
“È
un problema per te”
Anche
la sua domanda mi ha
preso completamente alla sprovvista.
Non
sapevo cosa dire,
anche perché io in questo genere di cose non ho proprio
esperienza.
Faccio
fatica a pensare
che possa piacermi un ragazzo, figuriamoci una persona del mio stesso
sesso.
Tuttavia se uno è felice, io non sono nessuno per dire il
contrario.
Sicuramente
mio padre
direbbe che è una peccatrice e che non vedrà mai
il paradiso, ma di tutte le
cose che mi ha insegnato, questa è quella che ho dimenticato
più in fretta.
Alla
fine è in questo
mondo che viviamo e non penso che l’accesso a paradiso e
inferno dipenda dalla
persona che amiamo.
Se
siamo persone buone
dentro e che cercano di fare del loro meglio, allora sono sicura che il
Signore
ci perdonerà i piccoli peccati.
“Ehm,
no. Non è un
problema!”
La
mia risposta l’ha fatta
sorridere, un ghigno furbo di chi non si aspettava una risposta diversa.
“Bene.
Allora andremo
senz’altro d’accordo!”
Ed
è così che è iniziata
la mia “amicizia” con Lesley.
Siamo
molto diverse, è vero, e non ho mai sentito una donna dire
così tante
parolacce, ma è davvero una brava ragazza e, per qualche
motivo, si preoccupa
per me.
Tutti
si preoccupano per
me. Da Owen a Theo, a Lesley e Dana, la seconda cameriera dai capelli
variopinti.
Tutti
hanno un occhio di
riguardo nei miei confronti, come se non fossi in grado di badare a me
stessa.
Lo
stesso Adrian, con i
suoi modi distaccati, per me ha fatto tanto.
Mi
lavo le mani e mi
appoggio contro il bancone pieno di ciotole ricolme di ingredienti,
pensierosa.
È
stato strano trovarmelo
davanti all’improvviso, non perché mi intimidisca,
ma semplicemente perche non
me lo aspettavo.
Da
un paio di settimane è
comparso un gattino nel vicolo ed è Theo a dargli da
mangiare, ma prima di
iniziare a lavorare o appena ho un momento di respiro, mi piace andare
fuori a
prendere un po’ di aria fresca e coccolare quel tenero
batuffolo di pelo.
In
casa non ho mai avuto
animali, mio padre non ne ha mai voluto nemmeno sentir parlare, ma ho
scoperto
di piacergli molto.
Sono
rimasti tutti molto
sorpresi quando hanno visto il piccolo Brat che si strofinava
affettuosamente
sulle mie caviglie, riempiendo il silenzio con il rumore delle sue
dolci fusa.
Quindi,
visto che
solitamente Brat scappa quando ci sono estranei nei paraggi, non mi
aspettavo
di certo di trovarmi Adrian di fronte pochi minuti fa.
Un
po’ mi sono agitata, ma
penso che sia inevitabile visto che ha visto il peggio di me.
Mi
dispiace che abbia
dovuto assistere alla mia crisi isterica, quel giorno.
Una
volta fuori da quella
casa, al sicuro nella sua macchina dall’odore costoso, ho
iniziato a piangere e
singhiozzare penosamente. Mi sentivo dilaniata, devastata.
Completamente persa.
Per
un po’ ha guidato in
silenzio, lasciando che piangessi. È brutto da dire, ma per
non sentire i miei
patetici lamenti ha alzato la musica dello stereo a palla.
Eppure
non riesco a
biasimarlo. È stato davvero uno spettacolo riprovevole.
Volevo
smettere di
piangere, ma poi pensavo al modo in cui mi aveva sbattuta contro il
muro, alle
sue urla. Ripensavo alla sensazione bruciante che mi ha invaso il viso
quando
mi ha schiaffeggiata e al dolore al gomito quando sono caduta per
terra,
completamente scioccata.
Continuavo
a ripetermi le
cose orribili che mi aveva detto e ad un certo punto ho praticamente
smesso di
respirare.
Provavo
ad incamerare
aria, ma la gola era chiusa e gonfia e l’aria passava a
malapena, producendo un
rumore graffiante e spaventoso.
Non
so quando, in quel
delirio, la musica si è fermata, come la macchina.
Ad
un certo punto il
silenzio è risultato rotto solo dai miei singhiozzi e dal
suono strozzato che
facevo ogni volta che cercavo di prendere fiato.
Mi
sono guardata attorno e
probabilmente avevo l’aspetto di una persona sotto effetto di
droghe pesanti.
Quando
ho incontrato lo
sguardo di Adrian, sono rimasta senza parole.
Era
semplicemente fermo,
girato verso il mio lato, l’espressione del viso
indecifrabile. Per un istante
ho pensato che fosse annoiato dalla situazione e, probabilmente, non mi
sono
sbagliata.
Sono
rimasta a fissarlo
come inebetita ed ho smesso completamente di respirare.
Probabilmente
è stata solo
una mia impressione, ma nel suo sguardo mi è sembrato di
leggere pietà e questo
mi ha fatta sentire ancora più miserabile.
Ho
ricominciato a
piangere, ma non riuscivo a respirare.
Stavo
soffocando.
A
quel punto, al dolore,
si è aggiunta la paura ed ho seriamente pensato di star per
morire.
Il
cuore pulsava forte,
martellandomi nel petto, e
la testa
stava iniziando a girare a causa della mancanza di ossigeno.
È
stato a quel punto che
Adrian mi ha aiutato.
Non
so se lo abbia fatto
di proposito o se il suo sia stato solo un disperato tentativo di farmi
tacere,
ma l’ulteriore shock mi ha messa KO.
Ero
completamente
sconvolta, ma riuscivo nuovamente a respirare.
Avevo
la testa invasa da
decide di centinaia di pensieri, ma ogni volta che sembrava che fossi
sul punto
di rientrare in crisi, il secondo fattore di shock allontanava
prepotentemente
il dolore, lasciandomi semplicemente confusa.
Non
avrei mai pensato che
il mio primo bacio lo avrei ricevuto in lacrime. Al buio della mia
cameretta,
quando avevo sedici anni, fantasticavo sul ballo della scuola. Sarei
arrivata
con un bellissimo vestito candido e avrei attirato
l’interesse del ragazzo più
bello che io avessi mai visto, anche se nelle mie fantasie rimaneva un
ragazzo
in smoking senza volto.
Sognavo
che avremmo
ballato per tutta la sera e che poi mi avrebbe riaccompagnata a casa,
quasi
come una moderna cenerentola, e che lì, di fronte alla porta
d’ingresso, si
sarebbe sporto leggermente in avanti e avrebbe toccato gentilmente le
mie
labbra con le sue.
Non
è stato niente del
genere. È stato qualcosa di intimo e sconvolgete,
assolutamente inaspettato.
Non
ho capito cosa stesse
succedendo in un primo momento. Non sapevo perché aveva
allungato la mano
dietro la mia testa, intrecciandosi tra le dita le mie ciocche
aggrovigliate.
Non
ho realizzato
immediatamente che quella stessa mano mi stava proiettando in avanti,
né che
quella sensazione calda che sentivo sulla bocca era dovuta alle sue
labbra.
È
stato tutto molto
rapido, ma allo stesso tempo intenso e violento.
Un
bacio veloce, rubato,
ma che mi ha restituito un barlume di lucidità.
Sono
rimasta in silenzio
per il resto del percorso.
All’inizio
non sapevo cosa
pensare, come comportarmi. Non
ho mai
pensato che il suo sia stato un gesto gentile, anche se io lo vedo come
tale.
Mi
ha baciata per farmi
stare zitta, per darmi qualcosa di diverso a
cui pensare per poter ritrovare la calma e di
ciò gli sono molto grata.
Forse
qualcuno non la
vedrebbe come me. Non di certo Meredith, tanto meno i suoi amici, per
questo
non ne ho mai parlato con nessuno. È
qualcosa a cui ripenso quando sento che il mondo potrebbe
crollarmi di
nuovo addosso e, vedendo come mi sono ripresa dopo quel giorno, riesco
a
ritrovare l’ottimismo e la forza di andare avanti.
Quello
di oggi, è il
secondo incontro, dopo quel giorno, e non avevo avuto ancora la
possibilità di
ringraziarlo come si deve per il suo aiuto.
So
che è passato quasi un
mese, ma non mi sarei sentita a posto con me stessa se non gli avessi
detto ciò
che sentivo.
Ovviamente
non si
aspettava gratitudine da parte mia e un po’ mi dispiace,
perché, tutto sommato,
con me è stato buono.
“Non
mi impedirai di
entrare nella mia cucina. Le mie ferie sono finite, quindi levati Owen.
Devo
vedere come avete ridotto la mia cucina tu, quello scansafatiche di
Theo e il
nuovo aiutante!”
Le
voci che arrivano dal
corridoio mi fanno sobbalzare.
Sicuramente
la donna ad
aver parlato è quella che entra come una furia dalla porta
basculante e
ispeziona con sguardo critico ogni singola superficie di lavoro.
Dovrei
essere tranquilla,
perché è
tutto pulito e ordinato
nonostante abbia già cucinato parecchia roba, ma sotto
l’attento esame di
questa donna mi sento in agitazione.
A
i capelli biondi
raccolti in una crocchia stretta e occhi scuri. Il viso ha tratti
spigolosi, ma
decisi. È alta quasi quanto me ed indossa un paio di jeans e
una camicetta.
Quando
sposta lo sguardo
su di me, aggrotta le sopracciglia, perplessa. È una bella
donna, ma mi mette
decisamente soggezione.
Mentre
mi analizza, scende
il silenzio, che viene prontamente rotto da Owen, piazzato alle sue
spalle.
“Come
vedi, Jillian, la
cucina è
in ottime mani. La nostra
Chelsea ha fatto un lavoro egregio finora e ti troverai benissimo a
lavorare
con lei.”
Lei
mi studia ancora
qualche secondo, l’espressione indecifrabile, ma poi fa un
passo avanti e mi
tende la mano, sorridendomi.
“Io
sono Jillian e vedo
che stai trattando con cura la mia cucina. Non vedo l’ora di
lavorare con te.”
La
stringo, intimidita e cerco
di rispondere al sorriso nel modo più
naturale possibile, sebbene dentro sia tutta in agitazione.
“Piacere
di conoscerla. Io
sono Chelsea. È la prima volta che lavoro in una cucina,
quindi mi scuso in
anticipo se combinerò qualche disastro e
spero di imparare molto da lei!”
Lei
mi rifila un’occhiataccia,
ma non smette di sorridere.
“Chiamami
pure Jillian e
non ti preoccupare. Andremo d’accordo. Prima che mi
dimentichi, lei è mie
figlia Allyson. Sta attraversando un periodo un po’
turbolento, quindi la
vedrai spesso qui in cucina.”
La
ragazza che mi indica è
di una bellezza incredibile. Ha i capelli castani folti e lunghi, il
viso
sottile di una bambola, candido come la porcellana, e gli occhi
grigio-azzurri.
È alta per essere un adolescente, ma magra e ben
proporzionata. Il fisico è messo
in evidenza da un paio di strettissimi jeans a vita bassa e da una
magliettina
color corallo con lo scollo a barca.
“Non
darle retta. Sono solo
più spigliata di quanto vorrebbe. Piacere di conoscerti
Chelsea. Sono sicura
che andremo d’accordo!”
E
guardandola negli occhi non posso che darle ragione.
Mi sta già simpatica.
Eccoci con il nuovo capitolo. Che dire, la vita della nostra Chelsea si
sta moviementando parecchio. Ha fatto amicizia con tutti quelli che
lavorano con lei e ha praticamente trovato una seconda famiglia.
Chissà come si evolveranno le cose da ora in avanti e
chissà se riuscirà ad instaurare un buon rapporto
sia con Jillian che con Allyson. Viaspetto giovedì per il
prossimo capitolo, nel frattempo, fatemi sapere che cosa ne pensate.
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Capitolo 6 *** 06 Adrian ***
06
Adrian
Dopo
essere rimasto da solo
nel vicolo, ci ho messo alcuni secondi per riprendermi.
La
piccola fiammiferaia mi
ha lasciato completamente senza parole.
Non
immaginavo che, al
mondo, potesse esistere qualcuno di così assolutamente
ingenuo.
Ho
avuto a che fare con
tantissime tipologia di persone, di donne in particolar modo.
Ci
sono le persone furbe;
quelle intelligenti, ma poco lungimiranti; quelle semplicemente stupide
e
quelle subdole.
Ce
ne sono molte altre, ma
non avevo mai avuto a che fare con qualcuno assolutamente inconsapevole
di
quanto il mondo possa essere cattivo: di quanto le persone possano
essere
crudeli.
Quello
che le ho fatto non
merita ringraziamento, volevo semplicemente che stesse zitta e la
smettesse di
piangere come se le fosse morto un parente caro.
In
quel momento ho pensato
che fosse stata stupida a non accorgersi di quello che stava succedendo
e io
non ho mai giustificato la stupidaggine, esattamente come
l’ignoranza.
Ma
come si può condannare
l’innocenza, il modo spontaneo e assolutamente gratuito in
cui lei si comporta.
Anche
se pensavo che fosse
stupida, mi ha fatto una gran pena vederla in quella situazione e non
ho potuto
fare a meno di dare una mano fino alla fine.
Non
è stato un gesto
galante o qualche cazzata simile, semplicemente non mi costava nulla
farlo.
Alcuni
dei miei amici si
sono stupiti per il modo in cui ho aiutato Chelsea, come se avessi
fatto chissà
cosa, come se non fossi un essere umano e solo ed esclusivamente un
mostro.
Non
hanno del tutto torto,
ma non ferisco chi non lo merita. Dalle persone così io sto
semplicemente alla
larga.
Chelsea
Lauren è una di
quelle persone da cui mi devo tenere alla larga, più per il
suo bene che per il
mio.
La
debolezza mi fa rabbia,
innesca qualcosa dentro di me che mi spinge a voler distruggere quella
persona,
portarla allo stremo.
Chelsea,
con la sua
semplicità è esattamente il tipo di persona che
mi fa venire voglia di fargli
del male.
Sarebbe
così semplice
farle del male, distruggere la luce che anima quegli occhi
così dal colore così
strano. Sarebbe estremamente facile e gratificante vedere
l’ombra della
consapevolezza e della disfatta farsi largo in quello sguardo, ma per
la prima
volta, penso che sarebbe semplicemente una cattiveria gratuita.
No,
meglio stare alla
larga da lei. Non oso immaginare che tipo di torture mi riserverebbe
Kayla, la
fidanzata del mio amico Josh, se dovessi fare del male
all’uccellino spaurito
che ha deciso di prendere sotto la sua ala.
Proprio
lei che è tornata
a vivere solo dopo aver iniziato ad uscire con Josh.
Non
so con esattezza che
cosa le sia successo, non sono affari miei e nemmeno mi interessa, ma
il suo
ex, Dawson Steel, non ha una bella reputazione e quindi sicuramente
è qualcosa
con cui non vorrei mai avere a che fare.
In
ogni caso, non mi
sopporta, mi odia letteralmente e non ne ha mai fatto mistero, anche
perché con
lei mi sono comportato da vero stronzo in più di una
occasione, quindi se
osassi anche solo avvicinarmi al suo passerotto ferito, probabilmente
mi
farebbe passare un brutto quarto d’ora e, di sicuro, il mio
amico Josh non si
metterebbe mai contro quella strega travestita da fatina dei boschi.
Bevo
un sorso della mia
birra, ormai mezzo sgasata, e cerco di concentrarmi sulla partita, ma
la mia
mente continua a divagare, non si ferma.
“Ecco
qua, ragazzi!”
La
cameriera abituale,
Lesley, poggia sul tavolino di fronte a noi un intero vassoio di cibo
dai
colori sgargianti.
“Non
lo abbiamo ordinato!”
Protesta
come un idiota Dave,
che allo stesso tempo sta praticamente sbavando.
Non
ho mai visto nessuno
mangiare quanto lui. Indossa il suo immancabile cappellino, che
nasconde le
ciocche bionde e ha gli occhi puntati sul vassoio, così come
anche i miei
amici.
Ci
siamo tutti, la combriccola
al completo.
“Lo
so. Ve lo mandano
dalla cucina!”
Prima
di poter dire
qualcosa, la bionda e tatuata cameriera si gira e torna al bancone.
“Secondo
me hanno
sbagliato.”
Ryan,
con i suoi capelli
ribelli, quasi dello stesso colore degli occhi scuri, sta scuotendo la
testa,
perplesso.
“Chi
se ne importa. Questo
è decisamente meglio della pizza che
ho
mangiato prima di uscire!”
Dave
si avventa sul piatto
e afferra un aletta di pollo rossiccia e dall’aspetto
decisamente succulento.
“Pure
a me non dispiace
mangiare qualcosa. Non
so cucinare e
continuo a comprare cibo d’asporto!”
Logan
afferra un paio di
nachos, li immerge nella salsa al formaggio e se li ficca in bocca,
decisamente
compiaciuto.
“Porca
puttana!”
Josh
non fa una piega
invece e si limita a sorridere,
sorseggiando la sua birra. Sono sicuro che lui sa che questa
è opera di
Chelsea.
Lo
stomaco inizia a
brontolare quando l’odore di paprika mi arriva al naso. Alla
serata organizzata
per mio padre hanno servito giusto qualche stuzzichino, per nulla in
grado di
soddisfare il mio fabbisogno alimentare.
Prendo
un aletta di pollo
e stacco un pezzo di polpa dall’osso, con forza, attento a
non sporcarmi con il
grasso che cola leggermente dalla carne.
Il
sapore speziato mi
esplode in bocca, sorprendendomi con la sua intensità.
Probabilmente
anche gli
altri la pensano allo stesso modo, perché in dieci minuti,
dell’enorme quantità
di cibo, non rimane nulla, se non le ossa spolpate.
“Accidenti
quanto era
buono. Potrei mangiare questa roba per un intera settimana senza
stancarmi.”
Detto
da Dave, che ha il
pessimo vizio di mangiare come un maiale e sempre cose diverse,
è un gran
complimento.
Anche
io, che sono
abituato a cibi raffinati, devo ammettere che era tutto squisito. Non
solo il
pollo, ma anche le salse per i nachos erano deliziose, così
come il chili di
carne che li accompagnava.
Non
sono mai stato un
amante della cucina Messicana, essendo cresciuto mangiando filet
mignon,
prelibati piatti composti e caviale, ma devo ammettere che Chelsea ci
sa
davvero fame.
Buon
per lei. Avere un
lavoro l’aiuterà di sicuro a crescere e forse
allontanerà la prepotente
tentazione di rovinarla.
Non
so perché, ma più una
persona è candida ed innocente, più è
forte il desiderio di farle del male,
corromperla, rovinarla.
Esattamente
come è successo
quando avevo diciassette anni con
una
novizia del convento vicino al collegio privato e super esclusivo in
cui mi ha
mandato mio padre, come estremo tentativo per raddrizzarmi.
Era
un bel posto in fin
dei conti e, sebbene le abbiano provate tutte, ne gli insegnanti, ne il
direttore del collegio sono riusciti a farmi fare quello che volevano.
Ero
servito e riverito.
Avevo un enorme stanza tutta per me, con il bagno privato e , ogni
giorno,
veniva pulita e lucidata. La servitù lavava ed inamidava i
miei abiti, che
erano sempre perfettamente ordinati quando li indossavo.
Tuttavia
non c’erano donne
con cui potessi divertirmi. Le cameriere erano fin troppo disponibili,
così
come le cameriere che si occupavano della cucina.
Un
giorno ho scoperto, per
puro caso, che a un paio di chilometri di distanza, c’era un
convento. All’inizio
non ci ho fatto troppo caso, dopotutto non sono mai stato religioso e,
se lo
fossi, avrei il terrore di finire all’inferno, visto tutto il
male che ho fatto
finora, ma una mattina, di rientro da un festino clandestino, mi sono
imbattuto
in una giovane novizia che, non so per quale motivo, stava spazzando di
fronte
al cancello del convento.
Mi
sono fermato poco
lontano e lei ha alzato gli occhi. Non ricordo di che colore fossero o che tipo di tratti
avesse il suo viso. L’unica
cosa che riesco a ricordare è l’austera casacca
grigia che indossava e il
crocifisso appeso al collo.
Si
è avvicinata,
osservandomi con attenzione, un barlume di interesse nello sguardo.
È
stato in quel momento
che ho scoperto di aver trovato un fantastico diversivo, un modo
davvero
divertente di passare le ultime settimane di
“reclusione”se così si può
chiamare, al collegio.
Ho
iniziato a scappare più
spesso di quanto non avessi fatto fino a quel momento, lasciando gli
adulti
impotenti di fronte alla completa mancanza di controllo che avevano su
di me.
Ogni
due giorni, quando
sapevo che spazzava la strada di fronte al convento, io uscivo di
nascosto e
andavo a “trovarla”. Ho carpito i suoi segreti
più oscuri, l’ho irretita, l’ho
spinta a fidarsi di me, fino a quando non ha mostrato la sua vera
faccia, al
sua vera anima.
Dopo,
ovviamente, quando
si è trattato di affrontare le conseguenze delle sue azioni,
si è dimostrata
ampiamente pentita, ma io non mi sono sentito affatto responsabile
della sua
situazione.
Semplicemente,
se quella
mattina non si fosse avvicinata alla mia macchina per parlare,
guardandomi come
se fossi una cosa molto appetitosa, non avrei provato il desiderio di
rovinarla,
mostrare a tutti chi fosse realmente: Una poveretta che voleva prendere
i voti
solo ed esclusivamente per non dover lavorare e avere una vita comoda e
agiata
Da
quel punto di vista,
Chelsea non le assomiglia per nulla, ma è la sua incredibile
fragilità che mi
attira.
So
che non va bene, che
non è quel tipo di donna, ma ugualmente l’animale,
il mostro, che c’è dentro di
me, ringhia e brama la sua distruzione.
Vuole
saziarsi con la sua
ingenuità, divorare la sua anima delicata per farla
sprofondare nella
disperazione.
Non
voglio fare del male a
qualcuno che non lo merita, mi sono ripromesso di non diventare mai
come il mio
vecchio e di limitarmi alle persone che lo meritano, agli egoisti, a
quelli che
non fanno mai nulla se non per avere un tornaconto personale, ma non
è facile
resistere al desiderio, alla forza inarrestabile che mi spinge a
pensare a
decine di modi per ferirla e far tornare le lacrime di quel giorno di
Novembre.
Quel
giorno la bestia non
ha ringhiato, era assolutamente indifferente, fino a quando non ho
incontrato i
suoi occhi spaventati e iniettati di sangue.
Nonostante
quello che le
era appena successo, riuscivo ancora a leggere fiducia ed è
stato un quel
momento che i pensieri si sono frammentati e ho iniziato a pensare a
come far
diventare quegli occhi ancora più tristi e addolorati.
Quell’azzurro violetto,
lucido di lacrime, era qualcosa di assolutamente ipnotico.
Mi
rendo conto che sono
pensieri malvagi, crudeli, ma non riesco ad arginarli. Posso solo
accettarli e
cercare in tutti i modi di non dargli seguito. Non farei del male solo
a lei,
ma anche a me stesso, perché mi metterei contro le uniche
persone di cui
realmente mi importa ed è per questo che le starò
alla larga, che non al mostro
la possibilità di distruggere la mia vita.
“Ohi,
Adrian. Sveglia. Che
hai amico?”
Dave
mi schiocca e dita
davanti agli occhi e mi rendo conto di essere rimasto fermo impalato a
fissare
il vuoto per non so più quanti minuti.
Mi
limito a rivolgergli un’occhiataccia,
che dice più di mille parole.
“Non
fare lo scorbutico.
Siamo qui per passare una bella serata, non serve che ci incupisci
l’atmosfera
con quella faccia da culo che ti ritrovi!”
Scoppio
a ridere quando
Dave mi mostra il medio con tanto di faccia tosta.
“Parla
quello che ogni
volta ci “diletta” con le sue impeccabili maniere a
tavola.” Il tono sprezzante
è quello che mi riesce meglio, un talento naturale.
Comportarmi come se fossi
il migliore e gli altri non valessero niente è una cosa che
mi viene
assolutamente naturale. Per fortuna i miei amici non ci danno
più di tanto
peso.
“Hai
ancora la paprika su
tutto il viso. Vai in bagno a lavarti e a sarti una sega, California.
Se non
sbaglio è un pezzo che non scopi!”
La
risata di Logan ci
coglie alla sprovvista. Mi ero dimenticato che non si ricorda che io e
Dave ci
punzecchiamo e prendiamo a parolacce praticamente ventiquattro ore su
ventiquattro.
Quando
sono entrato nel
locale e l’ho visto seduto comodamente su una sedia, come se
niente fosse, ho
pensato, per un breve istante, che avesse recuperato la memoria, ma
quando mi
sono avvicinato, mi ha teso la mano e si è presentato, come
se non ci
conoscessimo.
È
stato davvero strano.
Logan
è un tipo a posto.
Si occupa di auto e ho visto un paio di suoi lavori che sono davvero
una bomba.
Non avevo mai visto disegni così colorati e perfetti su una
carrozzeria. Ha un
talento incredibile nel rendere tutto
estremamente vivido.
Inoltre
ha una moto
pazzesca. Non so che modello sia, ma se sapessi guidarla, farei follie
per
averne una così. Ha le cromature argentate che la fanno
sembrare quasi finta da
quanto sono perfette e in rilievo.
“Ma
fanno sempre così?”
Dopo
aver smesso di ridere
si rivolge a Ryan, l’unica persona in tutta Denver di cui si
ricordi.
Per
un paio di mesi hanno
frequentato lo stesso liceo e non fatico a capire come mai siano
diventati
amici. Mi chiedo solo che cosa succederà alla loro amicizia
quando verrà fuori
la storia di Meredith, perché non dubito affatto che prima o
poi si saprà.
I
segreti non durano in
eterno e prima o poi vengono a galla.
Sarà
un disastro, visto
quanto Ryan è protettivo nei confronti della
“piccola” di casa.
“Sempre.
Sono coinquilini
e passano il tempo a stuzzicarsi come due ragazzine
mestruate.”
È
Josh a rispondere
passandosi una mano tra i capelli biondi e puntando gli occhi azzurri
alle mie
spalle.
“Ah,
ecco la nostra
ragazza. Come vanno le cose?”
Non
ho bisogno di girarmi
per sapere che c’è dietro di me, lo so, lo sento
che è lei ed immediatamente
ripenso a quel misero bacetto che le ho dato che l’ha
sconvolta così tanto.
Non
posso non chiedermi
che cosa ne sarebbe di lei se usassi tutte le mie tecniche
più subdole.
Cerco
di allontanare il
pensiero, perché sarebbe un disastro, ma anche mentre faccio
di tutto per non
guardarla, quando si mette nello spazio che separa me e Dave, da
qualche parte
continuo a pensare a come sarebbe facile spezzare lei e la sua debole
forza di
volontà.
“Ehi,
come andiamo?”
Sollevo
lo sguardo e la
prima cosa che noto è la dolcezza che le alleggerisce i
lineamenti.
Un
calcio nello stinco mi
fa sobbalzare, facendomi voltare immediatamente la testa.
Passo
lo sguardo su tutti quelli
che mi circondano fino ad arrivare a Josh, che mi guarda con gli occhi
sgranati.
Ha
un espressione
inorridita in faccia, ma riesce in qualche modo a mascherarla quando,
con una
patetica scusa, mi allontana dal tavolo.
Merda.
Eppure,
nonostante sia una
situazione del cazzo ed è probabile che stia per ricevere
una bella strigliata,
non posso non prestare attenzione allo sguardo di Chelsea, che mi segue
fino a
quando non siamo fuori dalla sua visuale.
Seguo
Josh nel corridoio
che porta ai bagni e fin
fuori dall’uscita
di emergenza. Faccio in tempo a prendere una boccata di aria fredda,
che sento
il mondo spostarsi e la mia schiena e la testa cozzare contro la fredda
e dura
superficie del muro.
Josh
è di fronte a me,
incazzato quasi quanto la volta che l’ex di Kayla le dava il
tormento.
“A
cosa cazzo stavi pensando?
DIMMELO!”
E
per la prima volta mi
limito a distogliere lo sguardo, senza sapere esattamente che cosa dire.
Eccomi qua. Scusate per il ritardo nella pubblicazione, ma Adrian
è un osso duro, molto molto duro, ed entrare nella sua testa
non è per nulla semplice. Non so davvero che cosa dire,
davvero. è stato un capitolo abbastanza interessante e
pesante da scrivere, perché la psiche di Adrian è
davvero tosta. Spero di essere riuscita a rendere al meglio il suo
"tormento" interiore e il suo desiderio di infliggere dolore al
prossimo. Cercherò di pubblicare ancora qualcosa questo
weekend, ma non vi prometto nulla. Spero che questo capitolo vi tenga
buona compagnia fino al prossimo e scusate ancora per il ritardo.
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Capitolo 7 *** 07 Chelsea ***
07
Chelsea.
Sono
due settimane che non
vedo o parlo con Meredith
e sto
iniziando seriamente a preoccuparmi. Ho come l’impressione
che le stia
succedendo qualcosa e cerchi di evitare chiunque, me compresa.
Ho
saputo da Kayla, che è
venuta inaspettatamente a trovarmi al Blue Moon, che ha assistito
all’incidente
di Logan e che è ancora piuttosto scossa dalla cosa.
Mi
ha fatto capire che
Meredith ha bisogno di un amica vicino, ma non riesco a parlarci ed
ignora le
mie chiamate ed i miei messaggi.
So
che sta andando a
lezione e che continua a partecipare agli allenamenti, ma non riesco
proprio a
beccarla e questo non fa altro che aumentare la mia preoccupazione.
La
sua stanza, quando
trovo la porta aperta, cosa che coincide con la sua non presenza,
è un caos
enorme. Non ho mai visto una stanza con abiti sparsi ovunque, cartoni
di pizza
abbandonati in terra e il cestino dell’immondizia pieno di
fazzoletti usati.
Non
so cosa fare e ho meno
tempo libero di quanto immaginassi.
Mi
piace lavorare al Blue
Moon fianco a fianco con Jillian e mi piace chiacchierare con Allyson,
che sta
davvero trascorrendo molto, troppo, tempo al pub.
In
un momento di calma,
dopo l’ennesima serata stressante, Jillian mi ha raccontato,
quasi come se
fossimo amiche di vecchia data, che Allyson è
un’adolescente turbolenta.
Vorrebbe uscire, andare in discoteca e fare l’alba con i suoi
amici, quasi
tutti all’ultimo anno.
È
una così bella e
simpatica ragazza che tutti, nel suo liceo, cercano di esserle amici,
ma questo
non ha fatto altro che creare un vuoto tra lei e la madre.
Jillian
mi ha detto che
suo marito, Paul, è venuto a mancare un paio di anni fa e
questo ha lasciato
nel cuore di Allyson un vuoto incolmabile.
Lei
e suo padre erano
molto uniti, niente a che vedere con il rapporto che io avevo con il
mio e mi è
seriamente dispiaciuto che abbia perso una persona per lei
così importante.
Jillian
mi ha fatto capire
che non le dispiacerebbe affatto se io e Allyson diventassimo amiche.
“Sei
davvero una brava
ragazza. Non so come mai sei finita a lavorare qui, ma è
davvero ammirevole che
tu ti stia impegnando così tanto per il tuo
futuro!”
Sono
stata tentata di
raccontarle ogni cosa, ma alla fine ho taciuto.
“Non
mi ero mai trovata
nella condizione di dover lavorare ed è una vera fortuna per
me aver trovato
questo impiego.”
Se
Jillian è rimasta
delusa dalla mia evasività, non lo ha dato a vedere.
Abbiamo
continuato a
parlare del più e del meno ogni volta che abbiamo avuto
qualche minuto di
respiro.
Occuparsi
in due della
cucina ha reso tutto molto più semplice.
Io
mi occupo del pollo e
della salsa al formaggio, lei di tutto il resto.
Incredibilmente,
è rimasta
molto colpita dalle mie alette di pollo, così mi ha
assegnato la preparazione
della carne, delle spezie e ci aiutiamo a vicenda nella cottura,
soprattutto
quando le richieste sono molte.
Jillian
mi ha detto che
non ha mai cucinato così tanto pollo in vita sua.
È al settimo cielo,
esattamente come Owen che non vorrebbe più farmi andare via.
“Sei
la mia miglior
scoperta dopo Jillian!”
Mi
ha detto testuali
parole dopo una serata particolarmente impegnativa e ciò sia
dovuto alla
mazzetta di banconote che teneva strette nel pugno grassoccio come se
stessero
per rubargliele.
Incredibilmente,
nonostante il carattere socievole e l’essere un ottimo datore
di lavoro, Owen è
anche un gran amante dei soldi. Più il locale guadagna,
più lui è felice.
Il
guaio è che non
sopporto più l’odore della paprika e delle altre
spezie che uso per il cibo.
Prima mi piacevano un sacco, ora il pensiero di mangiare del pollo mi
nausea.
Jillian
si è messa a
ridere quando gliel’ho detto e mi ha assicurato che
passerà: ci devo solo fare
l’abitudine.
Non
avrei mai pensato che
mi sarei trovata a mio agio a parlare con qualcuno come Jillian.
È
una bellissima donna,
con un carattere decisamente impetuoso e che si scalda facilmente.
Ho
perso il conto delle
volte che ha mandato a quel paese Theo e di quante volte ha sbattuto
Owen fuori
dalla cucina.
A
quanto pare, ha il
brutto vizio di entrare in cucina e farsi preparare da mangiare
saltando la
fila di comande che aspettano di essere evase.
È
qualcosa che manda Jillian
fuori di testa e più di una volta le ho visto sparare lampi
dagli occhi.
Però,
allo steso tempo, è
anche una splendida persona.
Per
qualche motivo mi sono
ritrovata a parlare con lei della mia preoccupazione per Meredith,
dello strano
comportamento che sta avendo e mi ha chiesto se, per caso, non stesse
uscendo
con qualcuno.
All’inizio
non sapevo se
dirglielo o meno, dopotutto non credevo che qualcun altro lo sapesse,
ma non è
stato necessario che rispondessi.
Lei
ha capito ugualmente e
mi ha chiesto se potessero aver rotto.
All’inizio
mi è sembrata
una possibilità remota, visto quanto mi sono sembrati legati
quel giorno che ho
spiato in camera sua, ma più ci pensavo, più mi
sembrava verosimile che
Meredith stesse soffrendo per amore.
Così,
stamattina, mi sono
svegliata presto e mi sono appostata davanti alla sua porta, in attesa.
Ad
un certo punto, mentre
ero sul punto di addormentarmi sulla sedia che ho piazzato davanti alla
sua
porta, è comparsa Bianca, la moglie del fratello di Meredith.
È
una bellissima ragazza
dai capelli neri e gli occhi scuri. È più grande
di me di a malapena un anno,
ma giusto un paio di mesi fa ha avuto uno splendido figlio di nome
Nathan.
È
vestita in modo
semplice, con leggins scuri e un pullover nero, sotto un cappotto color
crema,
e non sembra per nulla una madre di famiglia con i capelli corvini
scompigliati.
“Le
stai tendendo un
agguato?”
Annuisco,
leggermente a
disagio per essere stata scoperto, ma Bianca sorride, comprensiva, e i
lineamenti del suo viso si addolciscono ulteriormente.
In
qualche modo, è davvero
la versione umana della sua omonima versione animata.
Sono
rimata molto sorpresa
nello scoprire che, il motivo per cui suo marito la chiama Principessa,
è
perché il suo nome è la versione Italiana di Snow
White, la principessa Disney.
Prima
di sposarsi, era
Bianca Neve. Per qualche motivo, ha voluto mantenere anche il cognome
da nubile
e, dopo il matrimonio, si è limitata ad aggiungere il
cognome del marito,
diventando la signora Bianca Neve-O’Connel.
“Mi
dispiace. Immagino che
ti abbia fatta preoccupare con il suo comportamento.”
Mi
limito ad annuire,
perplessa.
“Mi
evita. Quando rientra
nella sua stanza, si chiude dentro e non apre nemmeno se busso fino a
farmi
male alla mano. Non so come aiutarla. È successo qualcosa
con il suo ragazzo?”
Bianca
inclina la testa,
osservandomi perplessa.
“Quindi
tu sai che sta con
qualcuno!”
Mi
sento a disagio sotto
il suo sguardo indagatore, ma nella sua voce non
c’è ombra di condanna, solo
curiosità.
“Li
ho visti insieme una
volta, ma è stato solo un attimo. Non so chi sia. Vorrei
aiutarla, almeno
starle vicino!”
Bianca
sospira e si passa
una mano tra i capelli, l’espressione triste.
“Quella
stupida ha
preferito affrontare tutto da sola piuttosto che lasciare che qualcuno
vedesse
le sue debolezze. Non doveva venire da me, ma non avrebbe dovuto farti
preoccupare in questo modo. Sicuramente se si fosse confidata con
qualcuno, ora
non sarebbe ridotta all’ombra di se stessa.”
Fa
una piccola pausa e poi
punta lo sguardo sulla porta.
“Ma
forse è meglio così.
Saresti stata male per lei senza poterla aiutare. Torna pure in camera,
parlerò
io con lei. Le cose dovrebbero migliorare ora, o almeno me lo
auguro!”
Mi
alzo, perché in qualche
modo so che Bianca ha ragione e recupero la sedia.
“Posso
chiederti che cosa
è successo? Meredith è mia amica, sono
preoccupata. Forse non posso fare nulla
per aiutarla, ma voglio che stia bene.”
Lei
si avvicina e mi
stringe il braccio con fare rassicurante.
“Lascia
che sia lei a
parlartene, okay? Non sa come comportarsi in questo momento, ma
credimi, farò
di tutto perché le cose si sistemino nel modo
migliore.”
Lo
sguardo di Bianca è
fermo, deciso, e non mi resta altro da fare che arrendermi e rientrare
nella
mia stanza.
Non
mi dirà altro.
Sento
bussare per parecchi
minuti. Il rumore è talmente forte che arriva persino alle
mie orecchie.
Ad
un certo punto il
rumore cessa e, dopo pochi istanti, si sente la porta sbattere
Mi
chiedo se la mia amica
stia realmente bene, se andrà tutto bene.
Continuo
a pensarci per più
di mezz’ora, fino a quando non sento la porta sbattere di
nuovo e l’acqua della
doccia scorrere.
Vorrei
andare da lei e
provare ad alleviare almeno un poco le sue pene, ma forse non siamo poi
così
amiche come pensavo.
Certo,
potrebbe aver
passato un brutto momento, ma io non mi sono mai allontanata da questa
stanza.
Siamo state moltissime volte a pochi passi di distanza.
L’ho
cercata con
insistenza, ho bussato alla sua porta fino a scorticarmi le nocche
della mano,
ma lei mi ha deliberatamente ignorata. Mi ha trattata come un estranea
e questo
mi ferisce, perché lei mi ha aiutata moltissimo.
Poteva
fidarsi di me. Non
avrei mai raccontato a nessuno le sue confidenze, ma lei ha preferito
escludermi dalla sua vita come se non valessi niente, come se non fossi
nessuno.
Sento
una piccola lacrima
scivolare su viso e l’asciugo quasi con rabbia.
Ma
cosa vado a pensare?
Sono
una pessima persona,
un egoista.
Come
posso pensare a
quanto il suo comportamento mi ferisca, quando lei sta così
male da voler stare
da sola e non parlare con nessuno?
Che
razza di amica
penserebbe ai suoi sentimenti feriti in questo genere di situazioni?
Sono
davvero una pessima amica.
Mi
siedo sul letto e fisso
la porta di comunicazione con le lacrime agli occhi.
Ti prego, ti prego, ti prego.
In
cuor mio sto pregando
perché quella porta si apra e la mia amica dai capelli rossi
varchi la soglia,
ma la porta di legno rimane tristemente chiusa e, dopo un tempo
indefinito,
sento la porta che da sul corridoio sbattere.
Scoppio
a piangere, ferita,
delusa e, soprattutto, arrabbiata con me stessa. Non mi dovrei sentire
così,
non è giusto nei sui confronti, ma mi sento abbandonata.
Così
tristemente sola, che
non riesco a trattenermi.
Non
ho nessuno che possa
asciugare le mie lacrime, nessuno a cui interessino.
Cerco
di fare la forte e
andare avanti sorridendo, ma la verità è che a
nessuno importa realmente di me.
Non
sarei mai tornata a
casa mia, ma almeno mi aspettavo che mio padre venisse a cercarmi per
scusarsi,
ma nulla.
Che
cosa se ne fa di una
figlia disubbidiente? Assolutamente niente, ecco quanto valgo realmente
per
lui, per chiunque altro.
Anche
i gesti di altruismo
di Kayla sono stati dovuti al fatto che Meredith ha avuto un occhio di
riguardo
per me, ma nulla di più.
A
nessuno di loro importa
realmente di me, è questa la triste verità, ma
nonostante questo, nonostante le
copiose lacrime che stanno inondando il cuscino che abbraccio, come
un’ancora
di salvezza, non posso fare a meno di pensare che domani è
un altro giorno, che
il sole si alzerà nel cielo e che andrà meglio.
Questa
giornata, questi
sentimenti, le mie lacrime, tutto ciò sarà solo
un ricordo lontano che pian
piano sbiadirà, fino a rimanere una parte della cornice che
è la mia vita.
Domani
è un altro giorno e
non mi sentirò più ferita ed abbandonata come ora.
***
Sono
quasi le undici di
sera, sono esausta, ma non voglio tornare al dormitorio. Non voglio
tornare in
quella solitudine devastante che mi ha accompagnata fino a quando non
so uscita
per venire al lavoro.
È
sabato sera e, per la
prima volta, non anelo al silenzio e alla pace del mio rifugio.
Voglio
chiasso, rumore,
voglio smettere di pensare che sono così triste.
“allora,
vieni? Mamma ha
detto che se vieni con me, mi fa andare!”
Scuoto
la testa e mi
ritrovo ad osservare gli splendidi occhi verdi di Allyson, il viso
speranzoso.
“Scusami,
avevo la testa
altrove. Cosa dicevi?”
“Mi
hanno invitato ad una
festa i miei amici e la faranno in un pub, ma mamma ha detto che da
sola non ci
posso andare, che è troppo pericoloso.”
Fa
una smorfia
infastidita, per nulla d’accordo con l’opinione
legittima di Jillian, ma poi mi
sorride e ricomincia a parlare.
“Così
le ho detto che ti
avrei chiesto di venire con me. Ovviamente è solo per
divertirti, non ho
bisogno di una baby-sitter, sono più che in grado di badare
a me stessa. Ho
avuto tutta la sera l’impressione che la tua testa fosse
altrove e che fossi
giù di morale e non c’è niente di
meglio di una bella festa per tirarsi su il
morale.”
Il
primo impulso è quello
di declinare l’invito, soprattutto perché viene da
una quindicenne, ma devo
essere più disperata di quanto pensassi per prendere in
considerazione l’idea
di andare ad una festa.
Non
mi piace la musica che
ascoltano, non mi piace l’alcool e non mi piacciono tutti
quei corpi che si
sfregano gli uni contro gli altri.
No,
questo genere di cose
non fanno per me, ma sono sola, annoiata, disperata e Allyson mi piace,
è una
tipa sveglia e credo che mi farebbe bene uscire un po’,
distrarmi, provare
almeno a divertirmi come una qualsiasi ragazza di vent’anni e
smetterla di
comportarmi come una musona.
“Va
bene, ma non ho
intenzione di fare tardi.”
Prima
di rendermene conto,
quella che suppongo sia una mia nuova amica, la seconda in tutta la mia
vita,
mi salta addosso, abbracciandomi con forza.
“Sarà
fantastico, vedrai.
Ci divertiremo un sacco e i ragazzi non faranno altro che guardarci e
cercare
di ballare con noi, ma li manderemo a quel paese perché noi
ragazze ci sappiamo
divertire anche e di più senza di loro. Corro a dirlo a
mamma!”
E
prima che me ne sia resa
conto, mi ha lasciata da sola nello spogliatoio, in modo che possa
liberarmi
del grembiule da cucina e sciogliere la treccia.
Mi
guardo allo specchio, e
i miei occhi sono gonfi e leggermente arrossati. Forse non ho
l’aspetto adatto
a divertirmi, l’umore o la voglia di farlo, ma desidero
ancora meno sentirmi
come questa mattina, quindi cercherò di ballare, ridere e
divertirmi, perché ho
vent’anni e anche io posso divertirmi come tutte le altre.
Eccoci con un nuovo capitolo, scusate il ritardo, ma non sono proprio
riuscita a mettermi a scrivere prima di oggi. Con questo capitolo ci
riallacciamo alla storia di Meredith, al giorno del chiarimento e
chissa che cosa succederà ora tra le due amiche.
Sinceramente mi dispiace da morire per Chelsea e per il senso
d'abbandono che non la lascia mai da sola. (lo so, è una
cosa strana) Chissà come si evolverà il suo
rapporto con Allyson e che cosa succederà a questa festa.
Cercherò di aggiornare il prima possibile, promesso. buon
proseguuimento. kiss kiss.
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Capitolo 8 *** 08 Chelsea ***
08
Chelsea.
È
stata una vera
delusione.
Pensavo
che uscire, fare
qualcosa di diverso dal rimanere rintanata nella mia tetra camera come
una
povera disgraziata mi avrebbe fatta stare meglio, invece è
stato il contrario.
La
sensazione di
solitudine si è solo acuita.
Non
è colpa di Allyson,
con lei mi sono trovata a mio agio, ma la musica assordante, la folla,
mi hanno
messa a disagio.
Il
rumore assordante che
permeava il locale è stato terribile, tanto che non ricordo
nulla del locale.
Ricordo
corpi che si
strusciavano gli uni sugli altri, in preda ai fumi
dell’alcool e alla musica,
se così si può chiamare il baccano che usciva
delle casse.
Ricordo
che Allyson mi ha
trascinata fino al bancone per prendere da bere e che, con una patente
falsa e
la complicità del barista, chiaramente una sua conoscenza,
ha preso da bere per
entrambe.
Mi
sono ritrovata un
bicchiere in mano, con quella che mi sembrava coca-cola
all’interno, ma ho
capito immediatamente, dopo averlo assaggiato, che non c’era
solo la bevanda
frizzante.
Appena
sono stata certa
che non mi vedesse, ho appoggiato il bicchiere, ancora pieno, su un
tavolino e
ho fatto finta di niente.
Mi
ha disgustata il sapore
dell’alcool.
Forse,
se avessi bevuto
quel drink, mi sarei sentita meno a disagio. Mi è bastato
guardarmi attorno per
capire che non ci facevo niente in quel posto, che sarebbe stato meglio
se
fossi rimasta nella mia stanza ad autocompatirmi.
Ero
circondata da
adolescenti e ragazze della mia età, ma ciascuna di loro
aveva dei vestiti
molto più corti del mio. La porzione di pelle nude in bella
vista era
nettamente superiore alla marea di nero e paillette dei loro vestiti.
Per
fortuna Allyson non
era mezza nuda, perché altrimenti mi sarei sentita ancora
più a disagio nel mio
vestito stile Audrey Hepburn nero con la scollatura quadrata che mi
arrivava
fino al ginocchio.
Allyson
invece aveva un
vestito con il corpetto ricoperto di lustrini, la sottogonna aderente e
la
parte superiore di tulle trasparente leggermente più lungo
rispetto al tubino.
Tutto ciò ovviamente nero come le calze e gli stivali.
Stava
benissimo ovviamente
e la quantità assurdo di trucco nero che le circondava gli
occhi la faceva
sembrare più grande.
Ha
provato a farmi mettere
quella roba negli occhi, ma mi sono rifiutata categoricamente ed ho
sopportato
paziente i suoi mormorii contrariati mentre aspettava, seduta sul
letto, che
finissi di mettermi quel poco di make-up che uso.
Ho
provato a divertirmi,
ma ad un certo punto alluso deve essersi accorta del mio malcontento e
del mio
disagio, perché mi ha chiesto se volessi andare via.
Mi
è dispiaciuto rovinarle
la serata, ma lei non mi è sembrata infastidita.
In
macchina, mi ha detto
che le dispiaceva che non mi fossi divertita, ma che era contenta
comunque,
perché le ho fatto un enorme favore.
Senza
di me, non sarebbe
mai potuta andare al locale e non avrebbe visto i suoi amici.
Me
li ha presentati, ma
già due secondo dopo aver sentito il loro nome, me ne sono
dimenticata. Erano
ragazzi della mia età, ma per qualche motivo non mi hanno
trasmesso nulle.
Sinceramente
non capisco
per quale motivo Allyson abbi insistito tanto per presentarmi a quel
gruppo di
ragazzi.
Quando
in macchina, mentre
la riaccompagnavo a casa, mi ha chiesto cosa ne pensassi, mi
è sembrato che ci
sia rimasta male quando ha capito che non mi ricordavo il viso di
nessuno di
quei ragazzi.
Jillian
è uscita dal
portoncino d’ingresso del loro appartamento in centro a
Denver, non appena ho
parcheggiato di fronte agli scalini. Mi è stato subito
chiaro che era appostata
alla finestra in attesa del nostro arrivo e
sono quasi riuscita ad immaginare la ruga che aveva tra
gli occhi a
causa della preoccupazione.
Mi
ha salutata con la mano
da lontano, il sorriso stanco di chi non vede l’ora di andare
a dormire, le
braccia strette intorno alla vita, infagottata in una vestaglia rossa.
Ci
sono voluti solo dieci
minuti per arrivare al condominio, tempo più che sufficiente
per rischiare di
addormentarmi.
Come
al solito, non è
stato un riposo sereno e anche oggi ho delle brutte occhiaie violacee.
Lo
specchio è stato
inclemente stamattina, mostrandomi una ragazza con i capelli arruffati,
gli
occhi cerchiati e il viso quasi grigiastro.
Al
contrario della mia
amica Meredith, non amo per nulla il caffè, quindi ci metto
parecchio a
carburare e la domenica sono più svogliata che mai.
Dovrei
studiare, ma non ne
ho voglia e oggi non lavoro nemmeno.
Fino
ad un paio di mesi
fa, avrei trascorso la domenica a
casa
di mio padre, era una specie di rito.
Andavo
alla messa del
mattino e poi dritta a casa. Cucinavo il pranzo, facevo il bucato e
pulivo. La
giornata volava così, ma ora non ho nulla da fare e mi sta
assalendo la
malinconia.
Mi
alzo dal letto e, dopo
una bella doccia, mi metto un paio di jeans a vita alta, un pullover e
il
giaccone, pronta per uscire.
Non
voglio rimanere
rintanata nella mia camera, non mi voglio nascondere dal mondo.
È vero, sono
sola, ma non per mia scelta perciò posso cambiare le cose.
L’aria
fredda che mi
investe una volta uscita dal portone mi ricorda che siamo in pieno
inverno.
Il
Colorado è uno stato
particolarmente freddo in inverno e quindi siamo abituati ad avere
pochi gradi
durante la giornata, ma quest’anno è stato
particolarmente gelido.
Ci
sono state un paio di
bufere che hanno fermato completamente la città a dicembre e
ancora se ne sentono
gli effetti.
La
neve spalata e
accumulata in alcuni punti strategici, è congelata e sporca,
mentre gli alberi
sono ancora carichi di pesanti nuvole bianche.
Il
pallido sole non
riscalda nulla, ma è sempre meglio del grigiore degli scorsi
giorni e del leggero
nevischio che cadeva durante la giornata, rendendo i bordi delle strade
sporchi
di fanghiglia.
Percorro
velocemente la
cinquantina di metri che mi separa dalla mia macchina e faccio fatico
ad aprire
manualmente la serratura perché mi tremano le mani.
Odio
il freddo perché ti
entra nelle ossa e non ti da pace.
La
prima cosa che faccio,
una nella cella frigorifera che durante la notte è diventata
la mia macchina, è
accendere l’aria condizionata.
La
mia piccola utilitaria
di seconda mano è stata un regalo di mio padre. Era stufo
che chiedessi la sua
in prestito per andare a fare le commissioni o per svolgere le
attività che mi
impegnavano nella comunità della chiesa, come la
beneficienza o le raccolte
fondi.
Così,
quando ho compiuto
diciotto anni, mi ha portata da un rivenditore suo amico, per farmi
scegliere
la macchina che preferivo. Ovviamente, ho dovuto scegliere tra quelle
che mi ha
proposto lui e la mia piccola Micra del 2005 color verde bottiglia
è stata fin
da subito la mia preferita. Mio padre ha cercato di spingermi verso un
altro
modello, ma io volevo quella verde anche perché
più piccola e maneggevole.
Alla
fine si è arreso e mi
ha accontentata, ma ora che ci penso, quello è stato il mio
primo atto di
ribellione.
Volevo
una cosa e mi sono
impuntata per averla.
La
macchina è stata messa
a mio nome perché, come non ha mancato di ripetermi a casa
un infinità di
volte, se l’avessi danneggiata mi sarei dovuta arrangiare per
ripararla.
Fortunatamente
non è mai
capitato, ma ora oltre che la benzina, devo occuparmi anche di tutte le
altre
spese, come l’assicurazione, le revisioni e i tagliandi.
Certo, ancora per
qualche mese posso stare tranquilla, ma quando vivevo nel mio bel mondo
dorato,
non avrei mai pensato che mi sarei ritrovata in questa condizione.
Mio
padre, sebbene severo
e tutto il resto, era il mio mondo e non lo avevo mai messo in
discussione. Era
la mia certezza, il mio punto fermo.
Ora
che mi ha “tradita”,
voltandomi brutalmente le spalle, sono sola, abbandonata, ma ironia
della
sorte, la macchina che mi serviva per ubbidire alle sue richieste ora
è
diventata la mia ancora di salvezza.
Così
posso muovermi,
spostarmi senza problemi ed essere indipendente. Non è
molto, ma sapere di
averla mi da un filo di coraggio in più per affrontare ogni
giornata.
Non
so dove andare e
l’unico posto che, al momento mi sembra accogliente,
è il Blue Moon. So che lì
sono la benvenuta e che ci sono persone con cui potrei instaurare un
bel
rapporto, se non fossi così chiusa e spaventata da tutto.
Stranamente,
una delle
poche persone che non mi spaventano, è Adrian.
Certo,
il brutto livido
sulla mascella che aveva l’ultima volta che l’ho
visto mi ha decisamente
sorpresa e lasciata senza parole, ma non mi sento minacciata da lui.
Però
mi sento inquieta
anche se non è una novità. Non mi sono mai
sentita a mio agio in compagni di
ragazzi, nemmeno di Ryan o Josh che di sicuro, visto come guardano le
loro
donne, non mi si avvicinerebbero mai con strane intenzioni.
Purtroppo
è qualcosa che
mi è rimasto addosso a causa della mia educazione e non ci
posso fare proprio
nulla.
Tuttavia,
forse per via
della gratitudine, Adrian
è quello con
cui mi sono sentita meno a disagio finora.
Parcheggio
vicino
all’ingresso e, una volta varcata la porta
d’ingresso, la prima cosa che vedo è
Aaron addormentato ad un tavolino, esattamente come il primo giorno che
sono
entrata al Blue Moon.
Se
allora pensavo fosse
solo una casualità, ben presto ho scoperto che è
invece la norma. Non so per
quale motivo, nessuno lo sa veramente, ma Aaron a casa non dorme.
Riesce a
farlo solo quando è qui.
Di
lui so davvero poche
cose, ma so che è una persona a posto e che prende molto
seriamente il suo
lavoro. Ogni sera, accompagna noi ragazze fino alla macchina e aspetta
che
abbiamo messo in moto e chiuso le portiere. Non rientra fino a quando
non è
certo che siamo al sicuro ed è una cosa che davvero apprezzo
moltissimo.
L’ampio
parcheggio, stile
piazzola che sta di fronte al locale è molto comodo, ma
anche inquietante
quando i lampioni superflui sono spenti e rimane illuminato
principalmente dal
faretto esterno del locale.
Sono
un po’ una fifona e
se non sapessi che, all’ingresso del vicolo cieco che da sul
retro del locale,
c’è una telecamera di sicurezza, non mi azzarderei
nemmeno a mettere fuori il
naso per buttare la spazzatura, figuriamoci per dare da mangiare o
coccolare
Brat.
Per
essere domenica il
locale è stranamente vuoto. Non ci sono nemmeno i soliti
avventori e Lesley è
seduta sul bancone, i capelli raccolti in una coda altissima, che mette
in evidenza
il collo delicato e le lascia scoperta la schiena. Indossa
l’ennesima
canottiera sottilissima e scollatissima e, stranamente, un paio di
Jeans.
Sta
giocando armeggiando
con il cellulare e non si volta nemmeno quando mi siedo sullo sgabello
poco
distante e appoggio i gomiti sulla lucida superficie di legno.
“Ti
prego, dimmi che non
sei qui!”
Il
suo tono scandalizzato
mi lascia perplessa.
“Perche
no, scusa?”
“Perché
è domenica.” Mi
risponde con tono annoiato, come se fosse
un’ovvietà.
“E
quindi?”
Finalmente
distoglie lo
sguardo dallo schermo luminoso e lo punta su di me.
“Pensavo
che visto che
ieri sera sei uscita con quella matta di Allyson oggi saresti rimasta a
letto
tutto il giorno con un dopo sbronza da far paura ed ero veramente
felice per
te, ma ora sei qui e non mi sembri una che ha avuto una nottata
movimentata.”
Ho
l’impressione che sia
più dispiaciuta lei per me che io stessa.
“Non
era il mio ambiente e
poi io non bevo. Sono praticamente astemia.”
Scende
dal bancone con un
saltello e si accovaccia alla mia altezza, in modo da potermi guardare
negli
occhi.
“Sei
una bella ragazza,
dovresti divertirti, scioglierti, flirtare con i ragazzi, invece non
fai niente
di tutto ciò e non voglio che tu te ne penta un giorno. La
vita è un bene
prezioso, lasciatelo dire da una che lo ha capito quasi troppo tardi.
Non
dovresti sprecarla così.”
Scuoto
la testa, confusa.
“non
sto sprecando la mia
vita. Semplicemente non ho niente da fare!”
Si
tira in piedi di botto,
rivolgendomi un’occhiataccia.
“Non
è questo il punto.
Chelsea, dopo una serata in discoteca, dovresti essere ridotta come lui
e
sarebbe giusto così!”
Con
un braccio indica un
punto alle mie spalle e non mi serve girarmi per capire a chi si
riferisce.
Io
invece mi limito a
guardare questa bellissima ed esuberante ragazza che mi sembra fin
troppo
interessata alla mia vita. Non ne capisco il senso. Non ha
assolutamente niente
che non va, ma non faccio a tempo a risponderle perché lei
ricomincia a
parlare, gesticolando.
“Te
ne pentirai, Chelsea.
Tra un paio di anni ti guarderai indietro e penserai a tutte le cose
che non
hai fatto e che invece avresti dovuto.”
Le
sue parole sono
leggermente fuori luogo e ho l’impressione che ora non stia
più parlando di me,
ma di se stessa.
“Les,
c’è qualcosa che ti
turba?”
Lei
rimane sorpresa dalla mia
domanda, caduta nel totale silenzio del locale.
Mi
osserva, gli occhi azzurri
sgranati dalla sorpresa, ma poi scuote il capo, con aria sconsolata.
“Non
capiresti. Sei troppo
giovane ed innocente.”
Forse
si o forse no, ma è
evidente che è frustrata a causa di qualcosa e che
ciò le provoca frustrazione.
“Probabilmente
hai
ragione, ma posso comunque ascoltarti se hai bisogno. La mia
capacità di
comprensione non deve impedirti di sfogarti se ne hai
bisogno.”
Mi
osserva attentamente,
mentre un sorriso triste le increspa gli angoli della bocca.
“Grazie,
Chelsea, ma
davvero, lascia stare. Ascolta solo il mio consiglio. Lasciati andare, non vivere come una
reclusa, non isolarti.
Esci, divertiti, stringi amicizia. Non ti sto dicendo di iniziare a
condurre
una vita sfrenata, perché anche quella non è per
nulla salutare, ma non ridurti
a venire qui più del necessario. Questo locale accoglie
tutti quelli che hanno
bisogno di un luogo dove rifugiarsi o hanno bisogno di ricominciare, ma
tu sei
ancora troppo giovane per ridurti come me, che faccio quasi il doppio
delle ore
che per legge dovrei fare perché devo tirare avanti e ho
delle responsabilità.”
Fa
una pausa per prendere
fiato ed indica l’ingresso.
“Esci
da quella porta e
prendi in mano la tua vita. Non lasciare che le cose ti abbattano.
Trova un
motivo per alzarti la mattina, per lottare, e credici fino in fondo.
Non ti
arrendere Chelsea, perché un giorno potresti davvero
rimpiangerlo.”
Detto
ciò, si volta e mi
lascia da sola al bancone, ma prima di questo mi è sembrati
di scorgere un
inusuale luccichio nei suoi occhi.
Le
sue parole mi rimbombano
dentro con la loro intensità.
Lesley
si porta appresso
un peso non indifferente e probabilmente non vuole che io commetta gli
stessi
errori, anche se non penso che stia succedendo.
Inoltre,
che cosa intende
con trovare qualcosa per cui valga la pena lottare?
Non
lo so, ma ciò che mi
ha detto, probabilmente, mi perseguiterà per parecchio.
Già ora non riesco a
smettere di pensarci.
Finalmente eccomi di ritorno. Purtroppo, oltre ai problemi personali,
si stanno aggiungendo anche altro genere di intoppi, tra cui la
classica difficoltà contro cui mi scontro all'inizio di ogni
nuova storia. riuscire ad entrare in sintonia con i propri personaggi
alle volte può essere difficile, soprattutto nei primi
capitoli. Motivo per cui per un po' sarò irregolare con gli
aggiornamenti, ma spero che valga la pena aspettare. Me lo
augiro sinceramente. Detto ciò, spero che il capitolo vi sia
piaciuto e farò del mio meglio per pubblicare il prima
possibile il prossimo aggiornamento. Kiss kiss.
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Capitolo 9 *** 09 Adrian ***
09
Adrian
Guardandomi
nello
specchietto retrovisore posso finalmente dire che il brutto livido che
mi ha
fatto Josh sotto l’occhio sinistro finalmente se
n’è andato.
Sono
felice di non
assomigliare più ad un drogato in astinenza, ma quel segno
era un chiaro
avvertimento, un monito che mi ricordava perché non devo
fare cazzate.
Ora
che non c’è più, non
so cosa succederà.
Ciò
che è certo è che sto
facendo di tutto per evitarla, per non entrare in contatto in nessun
modo. Sto
addirittura evitando il Blue Moon e credo che i ragazzi stiano
iniziando a
sospettare qualcosa.
Josh
non ha detto nulla,
ma che io non sia più rientrato nel locale, dopo che ci
siamo allontanati, non
è di certo passato inosservato.
Di
sicuro il livido non ha
aiutato a dissimulare ed è stato più difficile di
quanto avessi pensato
comportarmi come al solito e non sentirmi un pezzo di merda. Un
sentimento che
decisamente non sono abituato a dover gestire.
Non
vedo Josh da quella
sera. Dire che era furibondo è un eufemismo.
Quando
non ho risposto
alla sua domanda, mi ha fatto rimbalzare un’altra volta
contro la fredda
superficie del muro. Non sapevo cosa dirgli, perché non ne
avevo esattamente
idea. I miei pensieri erano piuttosto confusi, un susseguirsi continui
di
momenti rimassi impressi nella mia mente e desideri perversi.
“Non
so cosa ti stia
passando per la testa, ma la tua espressione non mi piace per
nulla.”
Questo
me lo ha detto
mentre mi tenevo una mano sulla faccia dolorante e lo osservavo
rientrare.
Non
dargli una risposta
non so se sia stato un bene o un male, perché ho come
l’impressione che
qualcosa si sia spezzato.
In
qualche modo ciò mi ha
aiutato a darmi una svegliata ed evitarla e non pensare ai pochi minuti
passati
assieme, è stato estremamente facile. Questo fino a quando
non è svanito il livido.
Ieri
mattina mi sono
guardato allo specchio e non c’era più traccia del
pugno ricevuto e, nella mia
mente contorta, è stato come ricevere un via libera.
Per
non pensarci, ho fatto
quello che faccio tutti i sabati sera. Sono uscito, mi sono ubriacato e
mi sono
fatto una, anche se ricordo poco o niente.
Stamattina,
come al
solito, alle sette in punto ero in piedi e sono andato in palestra,
dove ho
cercato di scaricare la frustrazione contro il sacco da box.
Credo
che almeno un po’
sia servito e ora l’unica cosa che voglio è una
bella birra gelata e un
bell’hamburger con patatine fritte del Blue Moon.
Non
posso continuare ad
evitare il locale per colpa sua. Non posso rinunciare alle mie
abitudini perché
non riesco a comportarmi come una persona decente.
Non
sono un animale, anche
se il sentimento che sento dentro spesse volte è come il
ruggito di una bestia
affamata.
Parcheggio
vicino
all’ingresso e, senza pensarci troppo,varco la porta
d’ingresso del pub,
entrando in un locale illuminato per metà dalla luce del
sole che entra dalle
finestre alle mie spalle e a metà dai faretti.
La
prima cosa che noto è
Aaron addormentato su uno dei tavolini. Sembra dormire della grosso e
non
capisco come possa preferire una dura superficie di legno ad un morbido
e
accogliente letto.
So
poco di lui, ma sembra
decisamente uno tosto, di quelli da non far arrabbiare. Credo che sia
stato un
militare o qualcosa del genere, non che mi importi, ma sono
estremamente
incuriosito dal suo comportamento sempre distaccato.
Mi
dirigo verso il
bancone, dove un paio di signori con un discutibile livello di igiene
personale
sono intenti a parlare della partita di calcio che si è
disputata ieri sera tra
delle squadre europee.
Il
locale è inondato dalla
musica commerciale proveniente dal televisore e non è
fastidioso come al
solito. Qualcuno ha abbassato il volume e non sembra di trovarsi dentro
ad una
discoteca.
Mi
siedo su uno sgabello e
do la schiena al bancone, apparentemente vuoto, e punto lo sguardo
sull’enorme
schermo dove diverse modelle più nude che vestite mettono in
mostra il loro
fisico scolpito da estenuanti sedute in palestra e diete ferree.
Mi
piacciono le ragazze
magre, con un fisico formoso, ma detesto quelle tutte pelle e ossa.
Sembrano
sempre così deboli e malate.
Un
po’ come Meredith
quando l’ho intravista l’altro giorno al campus.
“Ciao!”
Immediatamente
tutti i
muscoli del mio corpo entrano in tensione e il primo istinto
è quello di
darmela a gambe.
Mi
giro lentamente,
probabilmente con gli occhi sbarrati, e dietro al bancone
c’è una Chelsea perplessa
e con delle occhiaie spaventose.
Probabilmente
il mio
silenzio sorpreso
si protrae per diversi
secondi di troppo, perché la vedo corrugare la fronte.
“Adrian?”
“Non
sapevo facessi anche
la barista!”
La
mia voce suona
sprezzante come al solito, ma lei sembra non farci caso. Si limita a
sollevare
le spalle con noncuranza.
Indossa
una maglietta
lunga a manche corte, con il colletto alla coreana, che nasconde il suo
corpo,
tutt’altro che scheletrico.
Il
giorno che si è
addormentata nella mia macchina, mentre riaccompagnavo lei e Meredith
al
dormitorio, sono stato sorpreso da uno strano slancio di altruismo.
In
qualche modo, è stato
automatico portarla in braccio fino alla sua camera, invece che
svegliarla e
lasciare che si arrangiasse.
Per
qualche strana
ragione, lasciare che dormisse, che si nascondesse nel sonno, per non
affrontare quello che aveva appena passato, mi è sembrata
una buona idea.
Portandola
in braccio, mi
sono reso conto che è tutto tranne che una ragazza che ha
bisogno di mettersi a
dieta e ammetto che quel contatto non mi ha lasciato del tutto
indifferente, ma
non è una cosa tanto strana.
Il
sesso mi piace e ho
decisamente buon gusto.
“Solitamente
non lo
faccio, ma Lesley si è allontanata un attimo e sono arrivati
alcuni clienti;
non potevo rifiutarmi di servirli.”
La
sua spiegazione non fa
una piega e, guardandomi attorno, posso chiaramente vedere che ci sono un paio di gruppetti in
fondo al locale che
chiacchierano animatamente. Chissà perché, ma
quando sono entrato non mi sono
per nulla accorto della loro presenza.
“E
quindi ti sei messa a
fare la barista!”
Faccio
di tutto per
evitarlo, ma non riesco a non riportare l’attenzione su di
lei che,
stranamente, non sembra avere i miei stessi problemi, perché
appare
estremamente tranquilla. Forse leggermente più frizzante del
solito.
“So
stappare un paio di
birre. Ho visto Lesley farlo così tante volte che non
è stato difficile imitare
i suoi movimenti. Certo, trovare le bottiglie non è stato
semplicissimo, ma ci
sono riuscita.”
In
qualche modo la sua
candida e divertita ammissione mi lasciano perplesso.
Possibile
che non si renda
conto di essere estremamente ingenua e trasparente? Sarebbe la vittima
perfetta
per qualche malintenzionato.
Non
so cosa pensare. Da
una parte mi rendo conto di essere,
probabilmente, un enorme pericolo per lei e so perfettamente che starle
alla
larga sarebbe la cosa giusta da fare. Dall’altro sono
estremamente curioso di
vedere altre cose del suo carattere, per capire fino a dove arriva la
sua
spontaneità.
“Come
mai sei qui? Cosa
posso servirti?”
Per
un istante mi balenano
per la testa tutte le battutacce che, in un’altra occasione,
non mi sarei fatto
scrupolo ad usare, ma trattenermi dal dire una sconcezza si dimostra
estremamente facile, quasi automatico.
Di
sicuro non
apprezzerebbe e, forse, nemmeno le capirebbe.
“Volevo
pranzare!”
Il
suo sguardo si illumina
e afferra con enfasi il taccuino li vicino. Forse con un po’
troppo entusiasmo,
perché rischia di farlo cadere insieme alla penna.
“Oh,
che bello. La mia
prima comanda per la cucina.” Sorride, raggiante, per una
cosa così piccola
che, se non si trattasse di lei, penserei ad una finzione.
“Oggi sto facendo un
sacco di cose divertenti!”
Di
fronte ad un
espressione del genere, così felice, qualcosa si smuove
dentro di me, ma lo
blocco prima che possa emergere.
Stringo
con forzai pugni,
nascosti dal bancone e mi forzo di apparire normale. Rimettersi la
maschera è
automatico.
“Un
hamburger con
patatine, cottura media!”
Lei
annota tutto alla
velocità della luce e con un paio di saltelli lasca il
bancone e scompare
dietro la porta di legno poco distante.
“Arrivo
subito, non ti
muovere!”
Come
se stessi per
scappare da un secondo all’altro e non è una cosa
del tutto da escludere.
Non
sono il tipo di uomo
che scappa davanti alle difficoltà, ma Chelsea è
molto più che un problema.
Mi
sento spaesato, come se
fossi entrato in un altro mondo. Sono un tipo cinico, abituato alle
bassezze
delle persone e sempre in guardia. Sono quel genere di uomo che si
guarda
continuamente alle spalle, ma ogni volta che parlo con Chelsea,
è come se
venissi catapultato in un’altra realtà e questo mi
lascia spaesato e
arrabbiato.
È
come se mi trovassi di
fronte ad un cucciolo di cane che mi guarda scodinzolante, con gli
occhi
fiduciosi di chi non si aspetta altro che affetto.
Chelsea
è così e mi fa
ripensare ad un periodo della mia vita che vorrei solo cancellare dalla
mia
memoria.
Mi
fa sentire come se
fossi stato defraudato di qualcosa, della mia infanzia, più
precisamente,
perché non ricordo un solo momento in cui io sia stato
così fiducioso, così
aperto.
Chelsea
è come una bambina
di sei anni che sta scoprendo il mondo e, in qualche modo, questo mi fa
rabbia,
perché io a quell’età sapevo
già che non era un bel posto in cui vivere. Che la
cattiveria può albergare in chiunque.
Soprattutto
nelle persone
di cui ti fidi.
Per
esperienza personale, so
non ci si può fidare di nessuno.
Tutto
può cambiare in un
attimo.
Puoi
essere tranquillo a
giocare in giardino, insieme alla tua adorata tata, e pochi minuti dopo
essere
nel retro di un furgone, con le ginocchia sbucciate, i polsi legati
dietro la
schiena e la bocca tappata da un bavaglio, con
la persona di cui ti fidavi che ti sta dicendo che non
è tutta colpa
tua, ma che è solo perché sei nato in una
famiglia ricca e che si fa ciò che si
deve per sopravvivere.
Che
alla fine non sei
altro che un mezzo per raggiungere un fine.
Ciò
che mi sconvolge di
più, è che lei continua ad essere così
nonostante il padre l’abbia picchiata e
nonostante io mi sia approfittato di un suo momento di debolezza.
Chelsea
in qualche modo
riesce a vedere del bene ovunque e questo accende quella parte di me
che
vorrebbe ferirla e mostrarle che il suo castello dorato non esiste.
Eppure,
io non sono
nessuno per prendere e calpestare il suo modo ottimistico di vedere la
vita.
Io
sono un povero
disilluso infelice, che ha passato gli ultimi diciotto anni della sua
vita a
covare rancore, a fomentare l’odio, alimentandolo invece che
cercare di
spegnerlo.
Sono
quanto di più
distruttivo si possa trovare in giro e, anche solo parlare con me,
può essere
incredibilmente dannoso. Sono cancerogeno, non è una
scoperta. L’ho sempre
saputo.
Queste
tristi
considerazioni sono quelle che mi spingono ad alzarmi dallo sgabello e
lasciare
il locale senza una parola.
Il
freddo sole di Febbraio
mi ferisce gli occhi dopo la penombra, ma per la prima volta mi sento
meno
gravato dal peso che mi porto dentro.
Se
esiste qualcuno per cui
posso fare qualcosa di gentile, di assolutamente non egoistico, quella
è
Chelsea.
Continuare
su questa
strada, significherebbe fare qualcosa di orribile e non voglio
diventare come
mio padre, che distrugge tutto quello che tocca. Sono già
pericolosamente
simile a lui, troppo simile.
Voglio
essere migliore di
come è stato lui e, stare lontano dal mondo dorato di
Chelsea, è il primo passo
per riprendermi la mia vita e, soprattutto, non distruggere la sua.
Josh
ha ragione. Anche se
non lo ha detto, so che lo ha pensato.
Sono
un maledetto bastardo
e sono abbastanza grande per capire cosa è giusto e cosa
è sbagliato fare.
Questa,
è la prima volta
che so di aver preso la decisione giusta.
Eccomi quà. Scusate, ma
in questo periodo non riesco proprio ad essere costante, ma non volevo
far passare una settimana senza aggiornamenti, per cui mi somo messa
sotto e ho iniziato ad approfondire il nostro Adrian, che si sta
dimostrando un personaggio emozionalmente decisamente ostico.
Chissà cosa succederà e cosa ne
penserà la nostra Chelsea dell'improvvisa scomparsa di
Adrian. Spero di riuscire a scrivere il prossiumo cappitolo il prima
possibile. kiss kiss.
|
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Capitolo 10 *** 10 Chelsea ***
10
Chelsea.
“Dove
stai andando?”
Non
sono abituata
all’attività fisica e i pochi passi di corsa che
ho fatto per attraversare il
locale mi hanno lasciata con il fiatone, motivo per cui la mia voce
suona
piuttosto affannata.
Sono
confusa, dispiaciuta,
ma anche offesa, perché non ci si comporta così.
Appena
sono uscita dalla
porta per tornare dietro il bancone, accompagnata da Lesley, finalmente
pronta
per tornare a lavoro, ho subito notato che Adrian non era dove lo avevo
lasciato.
Per
qualche motivo, mi
sono sentita ferita dal suo comportamento, perché non
è la prima volta che
sparisce senza nemmeno salutare.
Non
si fa così.
I
due uomini a cui avevo
servito due birre poco prima erano ancora seduti sugli sgabelli e credo
mi
abbiano presa per pazza quando ho chiesto dove fosse andato.
Motivo
per cui mi sono
fiondata fuori dal locale, sperando di intercettarlo.
Sono
stata fortunata
perché stava salendo in macchina e non appena ha sentito la
mia voce l’ho visto
irrigidirsi, anche se non capisco perché.
Si
gira lentamente, gli
occhi leggermente sgranati, come se fossi la materializzazione di un
incubo.
“Me
ne sto andando!”
Sento
la fronte
incresparsi, non solo per le parole, ma per il tono freddo e distante
con cui
le ha pronunciate, abbastanza diverso dal distacco di dieci minuti fa.
Adrian
è un incognita.
Solitamente sono brava ad interpretare le persone, capire se potrei
andarci
d’accordo o meno. Dopotutto, quando rimani sempre in
disparte, diventi un
ottimo osservatore, ma lui mi ha sempre lasciata perplessa.
È come se non
vivesse nemmeno in questo mondo, un po’ come me prima di
Meredith.
Mi
incuriosisce, perché mi
piacerebbe tirargli fuori una qualche espressione, una qualche
reazione.
Ha
sempre stampata in
faccia un’espressione tesa, guardinga che non capisco, ma
sono convinta che se
sorridesse il mondo gli sembrerebbe meno ostile.
Lui
è il mio opposto, ne
sono sicura.
“Perché?
Ti ho fatto
qualcosa? Quando sono andata in cucina a portare il tuo ordine non
sembrava
fossi sul punto di andartene, senza nemmeno salutare. Avresti almeno
potuto
essere gentile!”
Quasi
non mi riconosco. Di
sicuro la voce tesa e offesa che sento non la riconosco, ma so di
essere io ad
aver pronunciato tali parole, perché mi sento
così dentro e continuo a pensare
a perché è così scostante.
Sono
in una situazione in
cui non mi sono mai trovata. Non ho mai avuto a che fare con qualcuno
che
cambia così rapidamente.
Un
momento prima sembra
quasi un amico, una persona di cui potersi quasi fidare,
l’istante dopo, senza
motivazione, è un estraneo.
“Io
non sono gentile!”
Le
sue parole sono dure
quanto la sua espressione granitica. Gli occhi, più blu del solito per colpa della
luce del sole,
sono come due coltelli piantati nel cervello. Quasi non riesco a
distogliere lo
sguardo, ma se c’è una cosa che ho imparato su me
stessa, soprattutto negli
ultimi mesi, è che non mi piace gettare la spugna.
Sono
profondamene convinta
che tenere duro sia la cosa giusta da fare se credi che ne valga la
pena.
L’orgoglio non serve a nulla se ti impedisce di fare quello
che vuoi.
Questo
l’ho imparato da
Kayla.
All’inizio
non volevo
presentarmi al colloquio con Owen, perché mi sembrava
sbagliato accettare
l’aiuto di Kayla, mi faceva sentire inutile, di nuovo
sottomessa, ma mi sono
resa conto che era l’orgoglio a parlare, ancora ferito a
causa di mio padre.
Per cui ho deciso, in una delle mie comuni notti insonni, che avrei
accettato di
presentarmi a Owen e vedere che tipo di lavoro mi avrebbe offerto,
ignorando così
lo stupido orgoglio che non mi avrebbe dato di che vivere.
Volevo
lavorare e
guadagnare onestamente uno stipendio e non potevo permettere che
qualcosa di
così stupido come l’orgoglio mi impedisse di
diventare indipendente.
Accettare
l’aiuto di
qualcuno non significa che non amo me stessa o che mi sto umiliando, ma
solo
che ci sono cose più importanti.
Quindi
ho deciso di
combattere ogni battaglia fino all’ultimo. Se ne vale la
pena, devo fare tutto
ciò che è in mio potere.
Ecco
perché ho inseguito
Adrian; perché non credo che sia un caso così
disperato come tutti vogliono
farmi credere.
Con
me è stato gentile, mi
ha aiutata contro ogni previsione e nessuno gli ha chiesto di
accompagnarmi al
dormitorio quel giorno. Nessuno gli ha chiesto di portarmi in braccio
fino in
camera mia, come mi ha riferito Meredith alcuni giorni dopo. Sono tutte
cose
che ha fatto di sua iniziativa e qualcuno di così
irrecuperabile avrebbe girato
la faccia dall’altra parte e avrebbe fatto finta di nulla.
Probabilmente,
nonostante
stia cercando di uccidermi con lo sguardo, non è del tutto
impossibile fargli
vedere che non è tutto lì. Forse ha solo bisogno
di un amico in più, qualcuno
che creda in lui ciecamente e questo io lo sto già facendo.
Forse
crede di non essere
una brava persona e tutti sono d’accordo con lui, ma io sono
assolutamente
convinta che abbia solo bisogno di qualcuno che gli faccia vedere il
buono che
invece c’è.
Io
lo vedo, l’ho visto.
“A
modo tuo lo sei.”
“Che
cosa?”
Il
suo tono brusco
dovrebbe spaventarmi o spingermi a retrocedere, ma invece non fa altro
che
invogliarmi a continuare.
“Gentile.
A modo tuo,
anche sei fai il burbero e lo scontroso, sei una brava
persona.”
Lui
scoppia a ridere, ma
non è una risata felice: ha qualcosa di sinistro e freddo.
“Smettila
di sognare e
vedermi come qualcuno che non sono. Svegliati. Questa è la
vita vera, non una
fottuta favola. Chi sembra cattivo, nella maggior parte dei casi, lo
è
realmente. Quelli che sembrano buoni, invece, non lo sono quasi
mai.”
Ha
un espressione
pensierosa, quasi triste.
Non
mi piace.
“Oppure,
semplicemente,
una persona che sembra cattiva ha solo bisogno della
possibilità di dimostrare
che l’apparenza inganna. Magari quella stessa persona non sa
di essere migliore
di quello che crede e gli serve solo un po’ di
incoraggiamento e fiducia.”
Lui
mi guarda per un
secondo e poi, con un paio di rapidi passi, mi raggiunge, sovrastandomi
con la
sua mole imponente.
Il
cappotto invernale lo
fa sembrare ancora più mastodontico. Cerca di intimidirmi e
il primo istinto è
quello di indietreggiare, ma invece di farlo, cerco di rimanere ferma,
con il
cuore che batte a mille e mi rimbomba nelle orecchie.
“Che
cosa vuoi da me Chelsea?
Dovresti solo starmi alla larga, per il tuo bene!”
Sento
un piacevolissimo
fiotto di calore espandersi nel petto, mentre le sue parole, dette con
il tono
più astioso che abbia mai usato in mia presenza, assumono un
significato
piuttosto ovvio.
Sento
le labbra
incresparsi in un sorriso e cerco i suoi occhi tempestosi, duri come la
pietra.
“Vedi?
Non sei poi così
cattivo. Se lo fossi, non ti preoccuperesti di ciò che
è bene per me!”
Lo
vedo irrigidire la
mascella e socchiudere gli occhi.
“Sei
proprio una stupida.”
Prima
che me ne renda
conto, mi ritrovo intrappolata dalle sue braccia, stretta in una presa
di
ferro, con il suo viso vicinissimo al mio.
“Lasciami
andare!”
Sento
il panico che cerca
di farsi largo nei miei pensieri, mentre l’impotenza,
l’immobilità, mi
catapulta indietro di mesi, quando mio padre ha usato la forza per
provare a
sottomettermi.
Mi
manca il respiro mentre
provo a dibattermi per riuscire a liberarmi, ma è come
essere intrappolata
dentro una roccia. Lui non si muove, non fa nessuno movimento, se non
chinare
la testa per avvicinarsi al mio orecchio.
“Vedi?
Sei completamente
indifesa e potrei tenerti così per tutto il giorno. Non mi
provocare, Chelsea,
perché so essere un vero bastardo se necessario.”
Un
lungo brivido di
terrore mi scende lungo la spina dorsale, raggelandomi e rimango come
paralizzata per infiniti secondi, la testa che cerca una ragione per
questo suo
assurdo comportamento. Fino a quando, finalmente, dopo interminabili istanti, non arriva
l’illuminazione.
Il
panico è ancora lì, in
agguato, pronto a farmi perdere la testa e scoppiare a piangere, e il
cuore
pulsa come non ha mai fatto in vita sua, tanto da essere quasi
doloroso, ma mai
come ora sono stata convinta di avere ragione.
Lui
nel frattempo si è
tirato indietro e mi guarda con espressione sorniona, certo di averla
vinta. La
stessa espressione del gattino dopo essersi mangiato un intera
scatoletta di
tonno.
“Allora?
Che aspetti?
Fallo, fai del tuo peggio. Dimostrami che mi sbaglio e che non
c’è niente di
buono!”
Mi
trema la voce e non so
dove trovo il coraggio per sfidarlo e smascherare il suo bluff.
Lo
sta facendo di
proposito, mi sta intimidendo per allontanarmi, ma io non voglio
arrendermi,
perché questa è la dimostrazione che ho ragione,
che non mi sbaglio su di lui.
“Avanti
Adrian, sei stato
tu a dirlo, no?”
Sto
tremando, non mi sento
più le mani o le braccia, anche perché sono
uscita dal locale semplicemente con
la mia sottile maglietta di cotone e i pantaloni che non tengono per
niente
caldo. Ma non è solo questo: È
l’adrenalina che mi scorre nelle vene mista al
terrore.
Ho
paura che si spinga
oltre, che faccia qualcosa che non potrei mai perdonare, ma allo stesso
tempo
ho fede, credo in lui, anche se non mi ha dato nessun motivo reale per
farlo.
Ma
io lo so, ne sono
sicura. Dentro di lui c’è qualcosa di buono, ma
non so se è abbastanza forte
per combattere quello che lui crede di essere, la parte di se che
sbandiera ai
quattro venti come se fosse un trofeo.
Allo
stesso tempo, però,
ho paura di sbagliarmi.
Se
la mia fosse solo una
stupida idea malsana dovuta alla gratitudine? Se il suo comportamento
fosse
stato dettato solo ed esclusivamente dal fatto che i suoi amici
contavano su di
lui?
Se
mi stessi sbagliando,
quale sarebbe la sua prossima mossa?
Continuo
a fissarlo negli
occhi, una sfida che non posso perdere, che non voglio assolutamente
perdere.
Sento
che bruciano, che mi
viene da piangere, ma se non parlo, forse le lacrime non si faranno
vedere, facendo
crollare la mia finta
sicurezza. La sottile patina di decisione che ostento.
Alla
fine è lui a cedere e
mi lascia andare di botto, facendomi barcollare.
Sbatto
le palpebre un paio
di volte per cercare di metterlo a fuoco, ma lui si è
già allontanato, pronto a
salire in macchina.
“Ti
ho avvisata, Chelsea.
Stammi lontano.”
Lo
osservo in silenzio,
impotente, mentre lascia il parcheggio, accompagnato da una sottile
scia di
vapore bollente che si disperde velocemente nell’aria.
Improvvisamente,
nel
parcheggio deserto, con il traffico che scorre a pochi metri da me, mi
ritrovo
sulle ginocchia, svuotata.
Tutta
l’energia che i
animava fino a pochi secondi fa, quella che mi ha permesso di tenergli
testa,
mi ha abbandonata e non sento nulla.
Sono
completamente vuota,
semplicemente continuo a rivivere i pochi minuti appena passati e non
riesco a
gioire della piccola vittoria appena ottenuta.
Sono
troppo scossa.
È
successo tutto in fretta
e inaspettatamente. Più ci penso, più tutto mi
sembra impossibile, surreale,
come se fosse accaduto a qualcun altro.
“Chelsea,
stai bene?”
La
voce mi arriva
ovattata, come attraverso una nebbia e sollevo lo sguardo, che tenevo
puntato
sul freddo asfalto senza nemmeno vederlo.
Davanti
a me c’è Aaron,
con indosso la sua assurda maglietta a maniche corte, ma con
un’espressione
preoccupata in viso.
“Stai
bene? Cos’è
successo? Qualcuno ti ha aggredita?”
Vorrei
dirgli che sto
bene, che non è successo niente del genere, ma invece che le
parole, quando
apro la bocca per parlare, esce solo un suono strozzato.
Mi
porto una mano alla
bocca, per fermare l’orribile suono e mi rendo conto di avere
le guance bagnate
di lacrime.
Sono
talmente sconvolta da
quello che è successo che le lacrime hanno traboccato senza
che me ne rendessi
conto.
Mi
limito a scuotere con
forza la testa, almeno per far sparire un po’ di ansia dal
suo viso.
“Chelsea,
parlami.”
Si
inchina, portandosi
alla mia altezza e mi tende la mano.
“Qualsiasi
cosa sia
successa, ormai è passata. Forza, torniamo dentro, starai
congelando.”
Il
tono gentile di questo
ragazzo dall’aspetto truce mi fa riprendere un po’
il controllo.
Afferro
la mano tesa prima
di perdere il coraggio e lascio che mi aiuti a rimettermi in piedi.
“Vuoi
dirmi cos’è
successo? Sei sicura che nessuno ti abbia fatto del male?”
Scuoto
la testa con più
forza e mi sforzo per ritrovare la voce.
“Sto
bene, davvero. È stata
solo una cosa inaspettata, ma non è successo niente,
davvero!”
Si
mette davanti a me,
fissandomi direttamente negli occhi con fare preoccupato.
“Io
sono qui per assicurarmi
che a nessuna di voi ragazze capiti qualcosa, quindi se qualcuno ti ha
importunata o ti ha spaventata, dimmelo.”
Scuoto
di nuovo la testa,
mentre pian piano che lo shock si attenua sento ritornare la
determinazione.
“Niente
del genere,
davvero. Sto bene. Grazie per essere venuto a cercarmi.”
Lui
fa una smorfia
ridicola e si accarezza con delicatezza la nuca.
“È
stata Lesley a
svegliarmi quando non ti ha vista rientrare. Per svegliarmi mi ha
buttato giù
dalla sedia, letteralmente. Mi verrà sicuramente un
bernoccolo.”
Il
tono melodrammatico mi
fa sorridere e sento che l’episodio di poco fa mi sta
scivolando via di dosso.
Non
voglio che l’abbia
vinta. Non poso permettere che la sua falsa intimidazione sortisca gli
effetti
desiderati, soprattutto perché ora sono ancora
più sicura che era solo una
bugia.
Quando
l’ho messo con le
spalle al muro, si è tirato indietro, quindi vuol dire che
non è un mostro.
“Perché
sorridi così?”
Distolgo
lo sguardo,
puntandolo sull’insegna spenta del Blue Moon.
“Sorrido
perché ho appena
trovato qualcosa per cui vale la pena impegnarsi e tenere
duro!”
Stamattina mi sono svegliata con una Chelsea diversa in mente, una
Chelsea che usa tutto quello che le è successo come forza
per andare avanti e non vedevo l'ora di vedere come la sua dolcezza, la
sua innocenza e la sua assoluta mancanza di malizia si sarebbero
coinciliate con la determinazione che sta scoprendo solo ora di
possedere. Non so ora quando aggiornerò, ma scrivere questo
capitolo è stato abbastanza strano e allo stesso tempo
stimolante. Spero che vi sia piaciuto quanto a me.
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Capitolo 11 *** 11 Adrian ***
11
Adrian.
Le
vibrazioni del sedile
sotto di me sono
l’unica cosa, oltre al
contachilometri, che mi fanno capire che sto correndo troppo.
Ho
il piede premuto con
forza sull’acceleratore, il muscolo della gamba incapace di
rilassarsi.
Sono
teso come una corda
di violino e la musica dei Papa Roach esce dalle casse a tutto volume,
quasi
assordandomi, ma ho bisogno di questo frastuono confortante, di
ricordarmi chi
sono.
Per
un attimo, me ne sono
dimenticato in quel dannato parcheggio.
Assorbo
con avidità le
note e le parole di Beetween Angel &
Insects
È
troppo sporco questo mondo basato
sull’avidità
Fai
un passo indietro e smettila di pensare a te
stesso
Con
la carne e il sangue che tu chiami la
tua anima
Caccialo
fuori, è un grande buco nero
Prendi
il tuo denaro, brucialo come un asteroide
Le
ricchezze non riempiranno mai il vuoto
La
compilation è lunga,
una canzone dietro l’altra e pian piano il battito furioso
del mio cuore si
calma, mentre guido senza meta a velocità folle, ma solo lo
scorrere rapido
delle altre auto e del paesaggio mi fa sentire bene. Ormai sono molto
lontano.
Canzoni,
frasi, ritmi
martellanti, questo è tutto quello di cui ho bisogno. Non
posso sperare, non
posso pensare che quella stupida possa avere ragione. Sarebbe un
illusione e io
so chi sono, cosa sono.
Inizia
Burn e inizio a
canticchiare sottovoce, ripetendo le parole che mi ossessionano.
Brucia,
brucia
Voglio
guardarti bruciare
Brucia,
brucia
Voglio
vederti bruciare
Riceverai
quello che ti meriti
Voglio
vederti bruciare
Il
pensiero torna ai miei
propositi di vendetta, ma vengono brutalmente allontanati da una di
quelle
canzoni che ho aggiunto alla playlist solo perché mi piaceva
ascoltarla, più
che per le parole, per il ritmo, ma ora mi rendo conto di cosa sto
ascoltando,
di che errore ho fatto a mettere Scars
in lista. Le parole sono quanto mai veritiere.
Ho
strappato il mio cuore aperto, ho cucito me
stesso per bene
La
mia debolezza è quel che mi preoccupa
E
le mie cicatrici mi ricordano che il passato è
reale
ho
strappato il mio cuore aperto solo per
sentirmi...
Ho
provato ad aiutarti una volta
contro
i miei consigli
ti
ho visto andare giù
ma
non hai mai realizzato
che
tu stavi annegando nell'acqua
allora
ti ho offerto la mia mano
non
posso aiutarti, ripara da sola
ma
come minimo posso dire di aver provato
mi
dispiace ma io devo andare avanti con la mia
vita
Mi
scendono i brividi lungo
la schiena, mentre la canzone continua, strappandomi alla follia che
mi ha pervaso non so più quanti minuti fa.
Io
volevo solo andarmene,
allontanarmi da lei, ma non ci sono riuscito e quasi ho perso il
controllo.
Non
volevo farle del male,
volevo solo spaventarla, ma in qualche modo lei ha capito che non ero
serio.
Pensavo che sarebbe stata presa dal panico e, per alcuni secondi,
è stato come
avevo programmato, ma invece
che
continuare a dibattersi inutilmente, si è fermata.
Non
ho capito perché fino
a quando non ha reagito.
Tutto
mi aspettavo, tranne
che mi sfidasse.
“Allora? Che aspetti?
Fallo, fai del tuo peggio.
Dimostrami mi sbaglio e non c’è niente di
buono!”
La
sua frase continua a
risuonarmi nella testa. Nessuno mi aveva mai sfidato e nessuna donna
finora mi
era rimasta indifferente. Lei, invece, nonostante il panico dipinto
negli
occhi, mi ha messo alla prova, vincendo.
Eppure
non mi sento come
se avessi perso. Sono sollevato per essere riuscito ad allontanarmi, ma
ciò è
avvenuto dopo che, a discapito della mia decisione di non toccarla,
stavo per
baciarla.
Non
so perché, non è
questione di attrazione, perché non è quella a
dominarmi, ma è qualcosa che ha
a che fare con lo sguardo determinato che aveva.
Ho
provato l’insano
istinto di stringerla ancora più forte e punirla per avermi
sfidato. Forse è
stato il mio orgoglio ferito a parlare, perché stranamente,
non è stata la
bestia a ringhiare e bramare la sua sofferenza. È rimasta
stranamente
acquietata per tutto il tempo, godendosi lo spettacolo.
L’ho
lasciata andare prima
di farle realmente del male. Anche se alla fine l’ha avuta
vinta, so che l’episodio
ha segnato lei quanto me.
Mentre
mi allontanavo a
tutta velocità, sollevando una scia di polvere, in
lontananza, quasi sul punto
di svoltare l’angolo, l’ho vista cadere in
ginocchio.
Per
un istante infinito,
nel vederla finalmente indebolita, accasciata sul cemento, ho pensato
di
tornare indietro, ma poi ho svoltato l’angolo e il pensiero
è volato via,
sostituito dalle sensazioni.
Non
avrei mai pensato che
la sua innocenza potesse spingermi fino a quel punto. Se qualcuno
dovesse
scoprire cosa è successo oggi, probabilmente sarei
seriamente nei guai. Eppure
non riesco a pentirmene, perché grazie a questo, so che mi
starà lontana.
Se
c’è una cosa che ho
imparato, nel corso degli anni, è che nessuna donna, a meno
che non ci siano i
soldi di mezzo, vuole sentirsi usata. Molte per raggiungere il loro
scopo si
lasciano maltrattare e poi fanno le offese, ma
Chelsea non è così.
Come
il gran bastardo che
sono, ho cercato di instillare in lei la paura, cercando di far
riaffiorare il
ricordo di quello che è successo con il padre. So che
è una cosa pessima da
fare, ma ho come avuto l’impressione che se non lo avessi
fatto, lei avrebbe
continuato a darmi il tormento, cercando di cambiarmi, convinta io sia
qualcuno
che non esiste.
Così
facendo non avrebbe
fatto altro che farsi del male e, molto probabilmente, alla fine
l’avrei
distrutta.
No,
molto meglio chiudere
la cosa sul nascere, mostrandole la realtà dei fatti quando
ancora ero in grado
di fare la cosa giusta, che lasciarla fare e appigliarmi alla solita
scusa per
fare i miei comodi.
Ho
fatto del male a tante
persone, distrutto aziende solo per preparare il terreno di gioco dove
annientare
la mia famiglia. Ho avuto a che fare con troppe donne che volevano
qualcosa da
me, ma che alla fine si sono ritrovate con niente in mano e una
reputazione
compromessa. E ciascuna di quelle persone meritavano quello che gli ho
fatto,
anche se io ormai non sono da meno, ma Chelsea?
No,
lei non lo merita e
non posso lasciarle fare quel che vuole, perché io non sono
caritatevole o
altruista. No, non sono niente di buono e, se la lasciassi avvicinare,
prenderei tutto il possibile senza dare nulla in cambio. La convincerei
a darmi
anche più di quello che realmente vuole, per poi liberarmene
una volta
soddisfatto il desiderio.
Non
voglio farle una cosa
del genere, perché deve essere meraviglioso vivere in un
mondo dove il sole
splende sempre e le persone sono sempre gentili e disponibili. Non
voglio
distruggere la sua innocenza così affascinante. Anche se
è così intrigante e
invitante, non voglio annientarla come ho fatto con le altre. Come ho
fatto con
quella suora.
Non
posso farlo, perché
allora anche qualsiasi possibilità di non essere del tutto
un mostro si
annullerebbe.
Voglio
chiudere questa
parentesi della mia vita, liberarmi dal giogo di mio padre, portandolo
alla
rovina e poi ricominciare tutto da capo.
Non
mi libererò mai di
tutta questa oscurità che mi si agita dentro, ma non voglio
dargli altro
nutrimento. Non posso permettere che Chelsea si aggiunga alla lunga
lista di
peccati che ho commesso.
Lei
è diversa da qualsiasi
persona io abbia mai conosciuto.
Una
Bianca, una Kayla o
una Meredith mi avrebbero fatto leccare l’asfalto se mi fossi
azzardato a
toccarle, ma Chelsea ha sollevato la testa e mi ha sfidato a mostrarle
quel
peggio che faticavo a controllare.
Non
so come ho fatto a
lasciarla andare. L’unica cosa che volevo era stringerla
ancora più forte e
portarla via.
No,
lei è forse unica e,
se c’è qualcuno che può aspirare al
lieto fine come una principessa dei cartoni
animati, quella è lei.
Quando
ero piccolo, prima
ancora che la mia tata organizzasse il rapimento, adoravo il film di
Peter Pan.
Era un mondo fantastico e, sebbene lo conoscessi a memoria, volevo
guardarlo e
riguardarlo. Credevo
ancora che cose
come le sirene e volare fossero possibili.
Quando
ho conosciuto
Chelsea la prima volta, ho pensato che assomigliasse a Wendy, la
ragazza che
aiuto Peter Pan a recuperare la sua ombra. Per un attimo, un
piccolissimo
istante, è stato come se mi trovassi davanti ad uno dei
bimbi sperduti dell’Isola
che non c’è.
Eravamo
in un locale e
Meredith è arrivata, esuberante come sempre, accompagnata da
una ragazza dai
capelli biondi e gli occhi violetti che indossava un vestito
retrò.
In
un primo momento ho
pensato che sarebbe stato molto divertente passare alcune ora con lei,
ma ho
realizzato presto che la cosa era fuori discussione. Avevo davanti un
pulcino
bagnato che aveva perso la strada di casa. Quando poi tutti
l’hanno accolta con
naturalezza nel gruppo, è diventata del tutto off-limits ed
è stato un
sollievo.
Non
averci a che fare è
stato molto semplice e si sa, la tentazione è più
facile da gestire se lontana
dallo sguardo.
Oggi,
invece, con l’atteggiamento
combattivo, mi ha ricordato qualcun altro. Nonostante la sua
“stupidità” se
così la vogliamo chiamare, oggi l’ho rivalutata.
Il
pulcino bagnato è
sparito e al suo posto è comparsa una splendida civetta.
Non
avevo mai pensato che
potesse essere così determinata e, nonostante fosse per il
suo bene, mi è
costato molto cercare di fiaccare la sua resistenza.
Ogni
volta che mi mostra
qualcosa di diverso, una nuova sfumatura, è come se tornassi
ad essere un
bambino senza preoccupazioni. È come se mi facesse un
incantesimo e non è
facile tenere a mente che, se mi lasciassi affascinare da lei,
distruggerei
completamente il
suo incanto.
Non
voglio farlo.
Il
silenzio improvviso mi
riporta alla realtà.
Non
sto più guidando. In
qualche modo, anche se completamente rapito dai miei pensieri, sono
uscito
dalla strada e mi sono fermato in una piazzola di sosta.
Stringo
tra le mani il
volante e il disco è finito. Il triangolino del Play
lampeggia sullo schermo,
in attesa di essere premuto per ricominciare a riprodurre la
compilation.
Eppure
non voglio
riascoltare quelle canzoni, non voglio risentire quelle parole che mi
fanno
pensare a Chelsea, al modo in cui l’ho aiutata ad uscire dal
tunnel in cui era
finita.
Non
voglio ripensare a
quel piccolo, misero, contatto di labbra che c’è
stato, perché sarebbe da
femminucce ripensare a qualcosa di così insignificante come
se fosse
importante.
Cosa
accidenti sto
facendo?
Perché
non riesco a non
pensare a lei?
So
cosa ha di diverso e di
speciale, quindi perché non riesco ad accantonarla come ho
fatto in passato?
Non
la conosco meglio di
allora, non abbiamo nulla in comune, quindi perché si sta
scavando un posto
nella mia mente, senza che riesca a farci nulla.
La
odio per questo.
Perché,
semplicemente, non
riesce a lasciarmi in pace?
Devo
cancellarla dalla mia
testa, anche se non so come.
Inserisco
la marcia e mi
immetto nuovamente in strada. So che, da qualche parte, più
avanti, c’è un
cavalcavia che mi permetterà di invertire la marcia e
tornare in città.
Ho
bisogno di un passatempo
e so esattamente dove trovarlo.
|
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Capitolo 12 *** 12 Chelsea ***
12
Chelsea.
Lesley
è preoccupata, lo
vedo da come mi osserva, ma nonostante il tumulto che mi sta scuotendo,
mi
sento abbastanza bene persino soddisfatta di me stessa.
Aaron
non mi ha persa di
vista per tutto il pomeriggio, come se fossi sul punto di crollare, ma
la
verità è che non mi sento sul punto di collassare.
Sono
scossa, è vero,
perché il comportamento di Adrian mi hanno fatto pensare a
quanto mi sia
sentita impotente contro mio padre, ma il pensiero razionale sta
vincendo sulla
paura.
Lui
non mi farebbe mai del
male e questo mi basta.
Alla
fine sono rimasta al
pub, anche perché nella mia stanza non avrei avuto niente da
fare e non avevo
assolutamente voglia di voltarmi continuamente a guardare la porta di
comunicazione, sperando in una comparsa di Meredith che non sarebbe mai
avvenuta.
Così
sono rimasta qui, ha
chiacchierato con Lesley, cercato di tranquillizzare Aaron, che era
evidente
non fosse abituato a gestire le emozioni di una ragazza e ho aiutato
Jillian a
preparare le cose per la serata.
Voleva
che riposassi, dato
che era uno dei miei giorni liberi, ma le ho detto che lo avrei fatto
dopo
averla aiutata in quell’ingrato compito.
Cucinare
è il meno.
Preparare gli ingredienti, marinare la carne e preparare
l’impasto dei tacos
del giorno dopo è la cosa più impegnativa.
Mi
sono occupata prima di
tutto dell’impasto, perché lavorarlo mi aiuta a
non pensare e mi fa scaricare
le energie. Dopo aver finito mi ritrovo sempre con le braccia e le
spalle
irrigidite e doloranti, ma psicologicamente sono piuttosto soddisfatta.
“Allora,
vuoi dirmi perché
sei qui, a lavorare, invece che a trascorrere la domenica con la tua
famiglia?”
La
domanda mi ha preso un
po’ alla sprovvista, ma me lo sarei dovuta aspettare,
perché Jillian ha sempre
dimostrato di essere incuriosita dai motivi che mi hanno portata a
lavorare al
Blue Moon.
Ho
pensato di evitare la
domanda, ma lei mi ha raccontato un po’ della sua vita,
quindi mi è sembrato
giusto ricambiare.
“Non
c’è nessuno con cui
vorrei trascorrere questa giornata. Rimanere al dormitorio, sperando
che la mia
amica decidesse di farsi viva e condividere con me i suoi problemi non
mi è
sembrata una buona idea. Per cui sono venuta qui. Almeno qui non mi
sento sola
ed inutile!”
Mi
sono lasciata andare
eccessivamente, ma alla fine io sono così. Non sono brava a
mantenere i
segreti, a non esprimere le mie emozioni.
L’espressione
di Jillian
si è adombrata e mi ha guardata, cercando di capire cosa
intendessi.
“E
i tuoi genitori? Non
siete legati?”
Come
al solito, pensare a
mio padre ha riaperto quella ferita non ancora richiusa, ma adesso
è più facile
non farsi sopraffare dalla tristezza. La ferita sta guarendo, ha smesso
di
sanguinare. Ci vorrà del tempo e forse non
guarirà mai del tutto, perché il
tradimento è stato troppo grande, ma ho fatto pace con me
stessa e so che non è
colpa mia. Non lo è mai stata e io non sono responsabile dei
suoi
comportamenti, delle sua paure e paranoie, delle sue aspettative. Non
sono
stata io a mettergli la bottiglia in mano e dirgli di bere. Non sono
stata io a
dirgli di picchiarmi, quindi mi rifiuto di sentirmi in colpa.
“Ero
molto legata a mio
padre, ma non ero la figlia che avrebbe voluto, quindi ci siamo
allontanati.”
Come
riassunto può andare.
Sebbene mi trovi molto in sintonia con Jillian, raccontarle ogni cosa
mi sembra
un po’ azzardato. Dopotutto non ho mai raccontato tutta la
verità nemmeno a
Meredith.
Jillian
è rimasta molto
colpita dalla mia risposta, ma ha lasciato cadere l’argomento
con una frase
semplicissima.
“Tu
vai bene così come
sei. Sei una bravissima ragazza e spero che Allyson superi in fretta
questa
fase e diventi come te.”
Le
sue parole in qualche
modo mi hanno colpita, perché a parte Meredith, nessuno me
le ha mai dette.
Ho
continuato a lavorare
in silenzio, immersa nei miei pensieri.
Una
volta finito sono
tornata da Lesley, ormai impegnata con i clienti della sera in attesa
della
partita dei Broncos.
Insieme
a lei c’è un
ragazzo snello e con i capelli alla punk-rock scuri poco più
grande di me. Si
chiama Denis e lavora con Lesley da quasi un anno. Indossa una
maglietta a
maniche corte blu e un paio di jeans che quasi sembrano cuciti addosso.
Betty
Jo e Gilda, le due
cameriere di servizio stasera, ogni volta che si avvicinano al bancone
per
lasciargli un ordine o ritirarne uno sbattono le ciglia con fare
civettuolo, ma
lui non le calcola minimamente.
Le
due ragazze sono
entrambe snelle e con capelli e occhi scuri, ma Betty Jo è
una decina di
centimetri più alta di Gilda e con la carnagione abbronzata,
in netto contrasto
con quella lattea dell’altra.
Ogni
volta che le vedo,
indossano pantaloncini in jeans striminziti oppure gonne cortissime ed
estremamente aderenti.
Eppure,
nonostante i loro
sforzi e le magliette fin troppo
scollate, Denis non le ha mai degnate di una seconda occhiata.
Sarò
anche ingenua, ma
riesco a capire quando una ragazza è interessata ad un
ragazzo.
Anche
se non mi è mai
capitato, sono andata al liceo e so che le ragazze assumono
atteggiamenti
provocanti solo quando sono interessate a fare colpo su qualcuno.
Mi
siedo su uno sgabello
libero, mentre al televisore in fondo alla sala va in onda il
pre-partita.
Lesley
mi fa cenno di
aspettare, ma Denis arriva prima di lei e mi passa una cola fredda.
“Grazie
mille!”
Lui
mi sorride e torna ad
occuparsi dei suoi complessi cocktail.
Denis
è un ragazzo a posto
e decisamente simpatico. Non si prende troppe confidenze e non mi
osserva
troppo attentamente.
Quando
sono al bar, cosa
che ad una certo ora evito di fare, finisce sempre che qualcuno mi
guardi con
troppa insistenza, mettendomi a disagio.
Nonostante
negli ultimi
mesi, un po’ a causa dell’inappetenza e un
po’ a causa del lavoro, sono
dimagrita moltissimo e non sono più esageratamente formosa
come prima, ma
nonostante i chili persi, il seno è rimasto abbondante e
attira ancora troppo
l’attenzione.
Nonostante
usi magliette
con il collo tondo è più che evidente e mi sento
molto a disagio con me stessa
per questo.
Lo
sguardo lascivo che
alcuni mi rivolgono mi fa rivoltare lo stomaco, ma so che è
normale, che la
malizia fa parte de questo mondo, ma nonostante ciò, non
riesco a non essere
disgustata dalla sensazione di sporco che quegli occhi curiosi mi
lasciano
addosso.
Poggio
i gomiti sul
bancone di legno in
modo da nascondermi
un po’ e osservo come rapita i movimenti di Denis.
Don
una mano prende una
bottiglia e con l’altra versa un po’ di liquido
rosa, che a me sembra sciroppo
alla fragola, dentro un contenitore di metallo.
Lo
osservo fare il
giocoliere con due bottiglie, versare un po’ del loro
contenuto nel recipiente
e poi rimetterle al posto con un movimento rapido del polso.
Lo
osservo ripetere tutti
quei movimenti, per me impossibili anche se ci provassi per anni.
Sono
troppo imbranata,
troppo scoordinata per far compiere ad una bottiglia un giro di
trecentosessanta gradi senza versarne nemmeno una goccia.
“Chelsea?”
Volto
la testa e mi trovo
davanti la persona che meno mi aspettavo di vedere.
Meredith
ha i capelli
rossi raccolti in una coda di cavallo, gli occhi verdi circondati da
brutte
occhiaie violacee e il viso più scavato di quanto
già non fosse l’ultima volta
che l’ho vista.
Indossa
una maglietta
rossa eccessivamente larga e un paio di pantaloni felpati neri che
mettono in
evidenza la magrezza eccessiva delle sue gambe.
È
evidente che non sono
l’unica ad aver passato un brutto momento, ma questo, per
qualche motivo, non
mi fa intenerire.
Sono
una pessima persona,
ma non riesco a non essere offesa per il comportamento che ha avuto con
me.
Aveva
promesso che mi
sarebbe stata vicina, che anche se non abbiamo legami di sangue sarebbe
stata
la mia famiglia, ma mi ha lasciata sola
e non mi ha permesso di essere a mia volta un pezzo della
sua famiglia e
aiutarla a stare meglio.
Mi
ha evitata per più di
un mese e adesso è qui, davanti a me, che mi guarda come se
non ci vedessimo da
due giorni invece che da cinque settimane.
Eppure
queste settimane
per me sono state dure e qualcosa dentro di me è cambiato.
Non voglio
accontentarmi delle briciole, di passare del tempo con lei solo
perché non ha
niente di meglio da fare.
Prima
di Meredith non ho
mai avuto un amica, ma sono sicura che l’amicizia non sia
vedersi solo quando
serve.
Sì,
quando ho avuto
bisogno di lei, quando le ho chiesto aiuto, lei
c’è stata, ma non mi basta. Al
momento, sento di non poter fare affidamento su di lei.
Un
mese senza notizie,
dove mi ha escluso completamente dalla sua vita, hanno minato il nostro
rapporto e non posso farci nulla.
È
doloroso ed egoistico e
trovarmela di fronte ora. Non può decidere da sola quando
essermi amica e
quando no.
Ho
il cuore stretto in una
morsa dolorosa, pesante come se lo avessero rivestito con una maglietta
di
piombo.
“Cosa
vuoi, Meredith?”
Il
tono della mia voce è
più duro e triste di quanto non avrei voluto, ma sono
pessima nel nascondere
ciò che provo.
Vedo
la luce dei suoi
occhi affievolirsi
un po’ e le spalle
incurvarsi, come gravate da un grosso peso.
“Possiamo
parlare? Per
favore?”
Vorrei
dirle di no, che
non abbiamo più niente da dirci, ma non ce la faccio.
Nonostante tutto,
nonostante ora siamo così lontane, nonostante la vicinanza,
il mio affetto per
lei è ancora intatto.
Sono
patetica.
Faccio
un cenno a Lesley e
poi uno a Meredith, indicandole di seguirmi e la conduco fino allo
spogliatoio,
decisamente più silenzioso della sala.
Qui
il rumore del mio
cuore forsennato che batte è ancora più forte.
Mi
fermo al centro della
stanza, incrociando le braccia sotto al petto per cercare di
proteggermi da
tutte le emozioni che mi stanno bombardando.
Meredith
è vicina alla
porta, ora nuovamente chiusa e si dondola da un piede
all’altro, incapace di
guardarmi.
“Allora?”
Odio
la mia voce, odio
sentirmi così vulnerabile e arrabbiata. Il rancore non
è un sentimento che
conosco, ma sono due giorni che mi scava dentro senza che io riesca a
fermare
la sua avanzata.
Odio
me stessa per non
riuscire a perdonarla anche se è ovvio che è
stata male quanto me.
.Eppure
mi deve una
spiegazione. Dopo tutto quello che è successo, merito di
ricevere delle scuse.
Come
se il mio pensiero
fosse giunto alle sue orecchie, le scuse arrivano, ma non mi fanno
sentire
meglio, per nulla. Mi seno ancora peggio, meschina addirittura,
perché non
leniscono minimamente il dolore sordo che mi toglie il respiro.
“Mi
dispiace, Chels!”
La
osservo, mentre le sue
parole mi si piazzano sullo stomaco e rischiano di farmi risalire la
cola.
“Per
cosa, Meredith? Per
avermi esclusa dalla tua vita, per avermi fatta preoccupare o
più semplicemente
per non esserci stata e non avermi permesso di esserci? Per cose ti
stai
scusando esattamente.”
Mi
sento male, non riesco
a respirare, ma le parole mi escono di bocca prima che riesca a
fermarle e, da
un lato, mi fanno sentire meglio, ma dall’altro decisamente
peggio.
Perché
non riesco ad
essere la buona fedele che sono sempre stata? Un anno fa, probabilmente
l’avrei
perdonata senza pensarci due volta, ma ora mi viene difficile anche
solo
pensare di farlo.
Ciò
che so dovrei essere è
entrato in contrasto con quella che sto diventando, la vera me stessa,
ma non
sono sicura mi piaccia quello che sto scoprendo.
Osservo
Meredith scuotere
la testa, l’espressione mortificata.
“Per
tutto. Per ogni
singola cosa, ma soprattutto per non essere riuscita a mantenere la
promessa
che ti ho fatto. Avevo promesso che sarei stata la tua famiglia, ma non
l’ho
mantenuta. Mi sono rinchiusa nel mio dolore e ti ho allontanata
perché volevo
semplicemente stare da sola. La cosa peggiore è che per
tutto il tempo non ho
minimamente pensato a quanto male ti stessi facendo.”
Si
passa una mano sul
viso, appoggiandola sulla fronte come per coprirsi gli occhi, ma
all’ultimo cambia
idea e punta gli occhi, lucidi di lacrime su di me.
In
essi posso leggerci una
muta supplica.
Perdonami.
Sento
a mia volta gli
occhi riempirsi di lacrime, mentre la nostalgia inizia, pian piano, ad
allontanare il rancore.
“Ho
detto a me stessa che
ti stavo aiutando per il tuo bene, ma alla fine era solo un mio
desiderio
egoistico. Tu ti sei fidata di me, hai lasciato che ti mostrassi tutto
quello
che ti eri persa e a causa di ciò hai perso la tua famiglia.
Dopo di che, non
appena ho avuto un problema, per quanto grave, ti ho lasciata sola,
abbandonata
a te stessa. Non me lo perdonerò mai Chelsea,
perché non importa quanto sia
stato difficile per me, avrei dovuto
pensare a cosa ti stavo facendo. È tutta colpa
mia. Tu ci hai provato,
hai bussato così tante volte alla mia porta che è
un miracolo che non si sia
rotta, ma ero così trincerata dietro al mio dolore che non
ho pensato, nemmeno
per un istante, che anche tu stessi soffrendo e fossi preoccupata per
me.”
Fa
una pausa, mentre le
lacrime appena trattenute iniziano a scivolarmi lungo il viso.
“Ti
prego, perdonami per
essere stata così egoista.”
Mi
porto le mani sulla
bocca per trattenere i singhiozzi, ma le lacrime ugualmente parlano per
me.
Mi
è mancata così tanto la
mia amica. La persona che per la prima volta è riuscita a
farmi sentire una
ragazza normale. Una persona che, lo so, mi avrebbe voluto bene anche
se non
avessi cambiato aspetto.
Meredith
non si sarebbe
mai vergognata di me.
Non
è vero che mi ha
aiutata solo per egoismo. Mi ha aiutata a scoprire me stessa
perché ne avevo
bisogno.
Punto
lo sguardo,
offuscato dalle lacrime, su di lei e
annuisco, incapace di pronunciare una sola parole e un istante dopo
siamo
strette in un abbraccio, mentre mi lascio andare ad un pianto
liberatorio.
Mi
sento svuotata, ma la
cosa più incredibile è che anche Meredith sta
piangendo, mostrandomi un lato di
se che finora non avevo visto e, quasi, immaginavo esistesse.
Mostrarmi
le sue lacrime,
la sua fragilità, probabilmente è
l’atto di fiducia più grande che lei possa
fare.
“Scusami
anche tu. So che
sei stata male e mi sento davvero meschina per essermi arrabbiata con
te.”
Lei
si allontana
leggermente per potermi guardare negli occhi e scuotere la testa.
“Ne
hai tutto il diritto.
Sono stata imperdonabile. Non sei affatto meschina. Avrei capito se non
mi
avessi perdonata subito. Sei troppo buona e io me ne sto approfittando,
ma farò
di tutto perché ciò non accada più, te
lo prometto.”
Mi
asciugo le lacrime e
prendo fiato, cercando di ritrovare la voce.
“Non
so cosa ti sia
successo, ma per qualsiasi cosa, io sono qui. Sentiti libera di
parlarmi di
tutto quello che vuoi!”
Un
sorriso dolce, ma
estremamente triste incurva le sue labbra.
“Oh,
Chels, non sai quante
cose ho da raccontarti. È stato davvero un periodo
orribile..”
Si
interrompe, mentre un
sorriso sfavillante prende il posto di quello triste di pochi secondi
fa.
“…ma
non sono mai stata
così felice in vita mia. Finalmente le cose stanno andando
per il verso giusto,
Chels. Sta andando tutto al suo posto e se c’è una
persona con cui voglio
condividere la mia gioia, la mia felicità, quella sei tu.
Prima di conoscerti
non avrei mai creduto nell’impossibile, ma se ho tenuto duro,
è solo grazie a
te e a quello che con la tua fede mi hai insegnato.”
Mi
abbraccia di nuovo e
questa volta non c’è più ombra di
tristezza mentre ci stringiamo.
In
qualche modo, questa
riconciliazione, mi ha liberata da quella pesante cappa che mi stava
avvolgendo
e mi impediva di respirare.
Non
voglio mai più essere
così triste, così arrabbiata. Non mi piace
sentirmi così.
Un
leggero bussare ci fa
sobbalzare e allontanare. Mezzo istante più tardi, la porta
si apre e fa capolino
la testa di Lesley.
Ha
un espressione
preoccupata.
“Chelsea,
potresti venire
un momento di la? C’è un ragazzo che chiede di te
e credo abbia bevuto. Aaron
ha provato a convincerlo ad andarsene, ma ha detto che non si
muoverà di qui fino
a quando non ti avrà parlato.”
Rimango
perplessa per
alcuni secondi, mentre mi chiedo chi mai possa volermi parlare. Non
conosco
quasi nessun ragazzo e nessuno di questi po’ avere un valido
motivo per
insistere così tanto.
“Sì,
certo. Abbiamo
finito. Arrivo subito.”
Lei
annuisce e con un
ultima frase si eclissa.
“Fai
in fretta. La situazione
si sta scaldando.”
Mi
volto a guardare
Meredith e lei è perplessa quanto me.
“Scusami,
ma non ho
davvero idea di chi sia e non vorrei che per colpa mia succedesse
qualcosa di
brutto.”
Lei
scuote nuovamente la
testa, comprensiva.
“Ma
figurati. Andiamo a
vedere chi è lo scocciatore, così poi
potrò raccontarti tutto quello che non ti
ho detto prima!”
La
prima cosa che noto,
appena varcata la porta basculante che collega la zona dipendenti dalla
sala
principale, è il capannello di persone vicino
all’ingresso del locale.
Aaron
è vicino alla porta
e mi da le spalle. Parla con qualcuno in modo concitato e sembra sul
punto di
perdere la pazienza.
Mi
faccio largo a spallate
per raggiungerlo il prima possibile, cercando di ignorare il cuore che
nuovamente batte come impazzito nel mio petto.
“Aaron,
eccomi. Che sta
succedendo?”
Lui
si volta a guardarmi,
l’espressione truce e impotente al tempo stesso.
“Non
ne ho idea. È lui che
sta dando di matto.”
Si
sposta leggermente,
permettendomi così di vedere chi c’è
dall’altra parte, chi è che sta cercando a
tutti i costi di entrare nel locale.
Il
cuore mi salta in gola
alla vista dei suoi occhi gonfi e iniettati di sangue, tipici di chi ha
alzato
troppo il gomito.
La
voce mi esce come un
sussurro, mentre vengo nuovamente bombardata da una serie di emozioni
quasi
incomprensibili.
L’unica
cosa certa, al
momento è che sono molto, molto, sorpresa, soprattutto visto
come è finita l’ultima
volta che ci siamo trovati faccia a faccia.
“Adrian,
che ci fai qui?”
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Capitolo 13 *** 13 Adrian ***
13
Adrian
Mi
gira la testa e tutto
quello che ho messo nello stomaco nelle ultime quattro ore sta pensando
di
tornare su, ma non per questo ho intenzione di desistere.
So
che non dovrei essere
qui, non so nemmeno come ci sono arrivato, se ho preso la macchina o se
mi
hanno caricato su un taxi dopo aver finito di scolare quel
po’ di tequila che
ancora avevo nel bicchiere.
Bere
a stomaco vuoto non è
stata una buona idea, ma prima di entrare nello streep club non mi sono
di
certo fermato a comprare da mangiare e lì non servono altro
che patatine
mollicce e salatissime che servono solo per invogliarti a consumare
sempre più
cocktail.
Ci
sono andato non appena
rientrato in città. Volevo ubriacarmi e godermi lo
spettacolo di splendide
ragazze seminude disposte a tutto per un paio di banconote.
Avevo
bisogno di tornare
nel mio mondo, di riprendere coscienza con la realtà, dopo
il tuffo di testa
appena fatto dalla scogliera del mondo incantato di Chelsea.
Avevo
bisogno di tornare
ad essere me stesso e per un po’ ha funzionato.
È
stato tutto perfetto
fino a quando una bella ragazza bruna, con indosso una specie di divisa
succinta da ragazza pon pon non ha cercato di sedurmi.
Normalmente
non mi sarei
fatto pregare.
Avrei
lasciato che mi
accompagnasse nel privè, lontano dagli occhi indiscreti del
suo capo, che per
una parte del guadagno fa finta di non sapere che le sue ragazze fanno
le
puttane, e avrei lasciato che allontanasse il fastidioso fantasma di
una
ragazza dagli occhi violetti.
Eppure
quando quella ha
detto: “Scommetto che c’è più
di quel che sembra!”, e n quel momento mi è
sembrato di trovarmi davanti un’altra persona e, nonostante
morissi dalla
voglia di lasciare che quelle belle labbra rosse si avvolgessero
attorno al mio
uccello, l’ho allontanata, disgustato da me stesso per aver
anche solo
immaginato Chelsea al suo posto, china tra le mie gambe.
Mi
si è ficcata in testa e
non riesco a liberarmene.
Mi
sono censurato, ho
evitato di dire parolacce in sua presenza per non offendere le sue
innocenti
orecchie, ma così facendo non ho fatto altro che darle
attenzioni che non
merita.
Sono
stato io a darle il
potere di entrarmi nella testa e ora me ne devo liberare.
Per
questo sono qui, per
dirle una volta per tutte di lasciarmi in pace, che se non la
smetterà di fare
la crocerossina con me, finirà per farsi del male.
Forse
dirglielo mentre ho
in corpo tanta Tequila quanto sangue nelle vene non è una
buona idea, ma non
posso aspettare a domani.
Voglio
dormire senza avere
l’incubo che possa continuare a perseguitarmi.
In
qualche modo mi sono
ritrovato di fronte al locale, con indosso gli stessi abiti di
stamattina e
senza sentire nemmeno un po’ del freddo che mi circonda.
Aaron,
il buttafuori, non
ha voluto farmi entrare.
“Amico,
dove pensi di
andare? Sei ubriaco!”
Mi
è sembrato più freddo
del normale, ma non ci ho dato peso, perché sicuramente
è stata un’illusione
dettata dall’alcool.
“Devo
parlare con
Chelsea!”
Le
parole sono uscite un
po’ strascicate, ma lui ha compreso benissimo e ha scosso la
testa.
“In
queste condizioni non
vai da nessuna parte. Lascia perdere e torna a casa e, per
l’amor del cielo,
prendi un taxi!”
Il
suo rifiuto mi ha fatto
imbestialire.
Con
che diritto mi privava
della possibilità di riacquistare la mia sanità
mentale?
Sono
avanzato fino a
trovarmi faccia a faccia con lui, che ha mantenuto un atteggiamento
impassibile
che mi ha fatto incazzare ancora di più.
“Se
non ti togli
immediatamente dai coglioni, ti sposterò con la
forza!”
Lui
è scoppiato a ridere.
“Ma
se a malapena ti reggi
sulle gambe. Finiresti con il culo in terra senza nemmeno accorgertene.
Risparmiati un umiliazione e vai a casa.”
“io
non vado da nessuna
parte se prima non parlo con lei. Quindi, o ti togli e mi lasci
entrare, oppure
fai venire lei qui fuori. A te la scelta!”
In
qualche modo sapevo che
aveva ragione e che, se solo avessi provato a mettergli le mani
addosso, me le
avrebbe suonate di santa ragione.
Sono
troppo ubriaco per
pensare di vincere una scazzottata.
“Va
bene, ma se non vuole
uscire te ne torni a casa, sono stato chiaro? Anche se non è
una cameriera e si
può dire che io e te siamo quasi amici, se non vuole
vederti, non ti permetterò
si romperle le scatole!”
Mi
sono limitato ad
annuire e l’ho osservato dire qualcosa
all’auricolare, dopo di che mi ha detto
di aspettare.
Eppure
io non sono un tipo
paziente, per questo i pochi minuti che ci sono voluti
perché lei uscisse mi
sono sembrati eterni.
Purtroppo
non è sola come
avevo sperato e a tallonarla c’è quella spina nel
fianco di Meredith, che a
quanto pare si sta riprendendo alla grande da quando ha sganciato la
bomba a
suo fratello.
Quel
povero disgraziato
era così confuso e disperato che si è ridotto a
chiamare me per avere un
consiglio.
Ovviamente
non potevo
dirgli che sapevo benissimo che sua sorella erano mesi che se la
spassava con
Logan, per cui mi sono limitato a dirgli di lasciarle fare quello che
voleva.
Non
sono così stupido da
dirgli che sapevo ogni cosa. Avrebbe provato a darmele per aver
mantenuto il
segreto e non avergli detto nulla.
“Ti
devo parlare.”
Ignoro
deliberatamente la
rossa e mi concentro solo sulla ragazza perplessa davanti a me, ancora
dietro
la protezione di Aaron.
Prima
che lei riesca solo
anche ad aprire bocca, interviene Meredith, che mi rivolge una di
quelle
occhiate che potrebbero assassinarti all’istante.
“Cosa
vuoi da lei?
Lasciala in pace e tornatene a casa, oppure vai da qualche sgualdrina,
ma stai
lontano da Chelsea!”
Vorrei
dirle che mi sta
scocciando, che oggi non ho abbastanza pazienza per sopportarla, ma in
mia
difesa interviene proprio Chelsea, sebbene con i suoi soliti modi
pacati ed
ingenui.
“Dai,
Meredith, lascialo
stare. Non è poi così male. Ci parlo due minuti e
poi andiamo, okay?”
L’interlocutrice
scuote la
testa.
“Non
ti lascerò da sola
con quel tipo. Non se ne parla nemmeno. Tu non hai idea di che tipo di
persona
sia.”
Incredibilmente
l’espressione di Chelsea si indurisce.
“Meredith,
so esattamene
chi lui sia, non sono una bambina. Inoltre ti ricordo che in precedenza
mi ha
aiutata. Fidati di me, so quello che faccio. Resta qui, torno
subito.”
Detto
ciò scivola fuori
dalla porta, superando elegantemente Aaron e mi raggiunge.
“Vieni,
spostiamoci.”
Faccio
per seguirla, ma l’espressione
del viso di Meredith mi fa temporeggiare.
Per
qualche motivo mi
diverto a farla incavolare, per cui, incurante della mia stessa
incolumità, le
faccio uno dei miei sorrisetti diabolici e lei reagisce stringendo gli
occhi a
fessura e mandando lampi.
Trattenendo
a malapena una
risata, raggiungo Chelsea che si sta dirigendo verso il vicolo con la
telecamera.
Come
volevasi dimostrare,
è ingenua ma non stupida.
“Che
cosa c’è adesso,
Adrian? Hai dimenticato di dirmi qualcosa stamattina?”
La
sua perspicacia e il
modo in cui va direttamente al punto mi prendono alla sprovvista e ci
metto
qualche secondo a registrare le sue parole.
Mi
sento la testa come se
fosse dentro una bolla, però so perché sono qui.
“Devi
lasciarmi in pace!”
Lei
aggrotta le
sopracciglia.
“Non
sono venuta io a
cercarti. Quanto hai bevuto?”
Ignoro
la sua domanda e
cerco di esporre il dialogo interiore che mi sono ripetuto da quando la
mia
piccola bolla di perversione è scoppiata.
“Devi
smetterla di
infilarti nella mia testa e dirmi cosa sono o chi sono.
Non ti permetterò ancora di sconvolgere la
mia vita!”
Lei
scoppia a ridere.
“Ma
che cosa stai dicendo?
Davvero, Adrian, vai a casa, fatti una bella dormita e ne riparliamo
un’altra
volta. In questo momento sei molto confuso.”
Perché
non capisce? Eppure
è così semplice.
“Devi
uscire dalla mia
testa!”
La
osservo inarcare un
sopracciglio e stringersi nelle braccia per ripararsi dal freddo.
Ancora una
volta non indossa la giacca e mi chiedo quanto tempo passerà
prima che si
prenda l’influenza se continua ad andare in giro
semplicemente con una
maglietta leggera quando ci sono zero gradi.
Abbasso
lo sguardo verso
il giubbotto che tengo sotto braccio e che non ho più messo
a quando ho
iniziato a bere.
È
completamente inutile
così.
Prima
che possa anche solo
pensare di prestarglielo, il giubbotto mi viene sfilato di mano.
La
osservo aprirlo,
osservandolo con attenzione e distolgo lo sguardo. Per qualche motivo
mi da
fastidio che lei possa indossarlo, ma allo stesso tempo è
meglio che lo usi,
invece che lasciarlo inutilizzato.
Il
mio campo visivo viene
improvvisamente oscurato e
sento
qualcosa appoggiarsi sulle mie spalle.
Giro
la testa e mi trovo
faccia a faccia con Chelsea, a pochi centimetri di distanza e che quasi
ha le
braccia intorno al mio collo.
Ci
metto qualche secondo a
capire che cosa sia successo.
“Finirai
per ammalarti.
Coraggio, ti metto su un taxi. Hai avuto una giornata
difficile!”
Rimango
fermo ad
osservarla mentre con attenzione mi sistema la giacca sulle spalle. Le
sue mani
mi sfiorano gentilmente le spalle.
“Ho
la macchina!”
Glielo
dico, anche se non
ne sono molto sicuro. È vero, stringo nel pugno la chiave,
ma non sono sicuro
sia qui o ancora di fronte allo streep club. So solo che non voglio
andare a
casa.
L’appartamento
è più vuoto
che pieno da quando Dave ha iniziato a frequentare
l’accademia di Denver per
entrare nelle forze di polizia.
Ventisei
settimane di
allenamento fisico, psicologico e non so che altro.
Quindi
non voglio tornare
a casa, in quella solitudine soffocante.
“Non
ti permetterò di
metterti al volante. Non voglio averti sulla coscienza!”
“Non
prenderò un taxi!”
Non
voglio, assolutamente
no.
“Adrian,
non essere
irragionevole. Ti reggi a malapena in piedi e sono sue minuti che
barcolli, non
puoi guidare e hai bisogno di farti una bella dormita.”
L’espressione
determinata
del suo viso quasi mi fanno capitolare, ma per qualche motivo
è la rabbia a
riversarsi fuori.
“Perché
non riesci a
lasciarmi in pace? Non ti è bastato quello che è
successo stamattina? Non sono
una brava persona e, se me ne darai l’opportunità,
non esiterò a fare anche di
peggio, perché non sono quello che tu credi. Ho fatto cose
orribili di cui non
mi vergogno affatto, quindi lascia perdere.”
Invece
che scappare e
lasciarmi al mio destino, lei semplicemente sorride, sollevando le
spalle con
noncuranza.
“Forse
hai ragione, ma non
è tutto qui. Non sei quello che fai e, anche se non lo sai,
dentro di te c’è
una parte buona, che sa cosa è giusto e cosa è
sbagliato. Non mi farai del
male, Adrian, di sicuro non adesso, quindi muoviti. Anche se non vuoi
prendere
un taxi, non ti permetterò di prendere la macchina per
schiantarti contro un palo
appena svoltato l’angolo. Ti accompagno io!”
Mi
fa girare con decisione
ed inizia a spingermi nuovamente verso il locale.
La
pressione delle sue
mani sulla mia schiena è delicata, ma allo stesso tempo
estremamente persuasiva.
“Qualsiasi
cosa io dica,
sarà inutile, non è vero?”
La
sento ridacchiare alle
mie spalle.
“Assolutamente
si, quindi
lasciami fare, okay? Domani mi ringrazierai!”
Non
era quello che
intendevo, ma evito di ribattere, perché il movimento
oscillatorio della
camminata mi sta di nuovo dando la nausea che, fino a questo momento ho
tenuto
a bada senza troppi sforzi.
Cerco
in tutti i modi di
incamerare aria per non vomitare.
L’ultima
cosa che posso permettermi
in questo momento è far vedere in che condizioni pietose mi
trovo.
Ho
gli occhi gonfi, e
sicuramente rossi, come se fossi settantadue ore senza dormire.
Arriviamo
in fretta
davanti al locale e Aaron mi sta guardando storto e stavolta non
è la mia
immaginazione, ne sono sicuro.
“Aspettami
qui. Ci metto
solo un paio di minuti!”
La
osservo sparire all’interno
e, se anche pensavo di darmi alla fuga, lei me lo rende impossibile.
Prima
ancora di rendermene
conto, mi ha sottratto le chiavi della macchina, rendendomi
così impossibile
evitarla.
“Assicurati
che non si
muova da qui, per favore.”
Sparisce
dietro la porta
di metallo prima che possa formulare una sola frase e Meredith, dopo
avermi
fulminato nuovamente con lo sguardo, la segue.
Non
so cosa succederà tra
quelle due, ma ho idea che Meredith non sarà molto
d’accordo con la decisione
della sua amica di fare, ancora una volta, la buona samaritana.
Per
tutto il tempo, Aaron
si limita a tenermi d’occhio, irradiando disapprovazione da
ogni poro, ad ogni
respiro.
Chelsea
mi raggiunge in
pochi minuti, ha l’espressione vagamente contrariata e d
Meredith non c’è
traccia, ma quando parla è estremamente tranquilla.
“Grazie
Aaron, ci vediamo
domani!”
Mi
prende per il gomito e
mi guida fino ad una comunissima auto dal colore indefinito grazie al
colore
aranciato della luce dei lampioni.
“Coraggio,
sali.”
Mentre
lei si mette comoda
sul sedile, faccio il giro e
mi metto al
posto del passeggero.
Nonostante
all’apparenza
le sue dimensioni siano ridotte, l’abitacolo è
piuttosto spazioso e riesco a
starci senza troppi problemi.
L’interno
è immacolato e
si respira un delicatissimo profumo, molto adatto a Chelsea
Le
do l’indirizzo e mi
metto comodo, respirando a fondo.
“Allacciati
la cintura e
cerca di non vomitare. Sei quasi del colore della macchina.”
Non
capisco il riferimento
al colore, ma su una cosa ha ragione: Se non mi concentro, potrei
veramente
vomitare e non sarebbe uno spettacolo gradevole.
Almeno
questo posso
evitarglielo.
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Capitolo 14 *** 14 Chelsea ***
14
Chelsea
Sono
psicologicamente esausta. È stata la giornata più
interminabile della mia vita
e sono a malapena le dieci di sera.
Non
vedo l’ora di tornare al mio dormitorio, al piacevole e
familiare confort che
la mia stanza mi da.
Mi
sono appena resa conto che è la prima volta che mi trovo da
sola, in una casa,
con un uomo.
Non
che Adria sia pericoloso, per carità, ma è una
cosa che mi lascia piuttosto
perplessa.
Ammetto
che all’inizio, quando l’ho visto in quelle
condizioni, a malapena in grado di
rimanere fermo sulle sue stesse gambe, mi sono sentita intimorita.
Lui
è grande e grosso e, l’ultima volta che ho avuto a
che fare con qualcuno che
aveva alzato troppo il gomito, è stato un disastro di cui
porto ancora i segni,
sebbene solo nell’anima e nel cuore.
Nonostante
ciò, non c’è stato nemmeno un secondo
dove io abbia pensato che lui potesse
essere una bestia violenta come mio padre. Certo, sul suo conto mi sono
sbagliata e lo conoscevo da tutta una vita, ma Adrian non è
così.
Probabilmente
nella sua vita ha sofferto molto, più di quanto chiunque
meriterebbe, ed è per
questo che ora si comporta così, che tiene tutti alla larga.
Nella
parrocchia ho visto tanti ragazzi allo sbando, giovani che avevano
sofferto
enormemente e che reagivano come animali feriti che mordevano la mano
che dava
loro da mangiare.
Per
anni ho lasciato che mi buttassero addosso il loro disprezzo, la loro
rabbia,
perché era evidente che nessuno di loro aveva altro modo per
sfogarsi. Con il
passare del tempo, più che un sacco da box, sono diventata
un’amica, una
confidente. Nel mio piccolo, e con tanta pazienza, li ho aiutati a
riprendersi
la loro vita.
Adrian,
anche se anagraficamente è più grande,
è rimasto ancora un adolescente ribelle
e arrabbiato con il mondo intero.
Non
so cosa sia successo, ma nessuno diventa una roccia indistruttibile se
non si
deve difendere da qualcosa.
So
bene cosa gli sta succedendo ora. Non sono una psicologa, è
vero, ma l’ho visto
capitare tante volte.
Chi
è abituato ad essere rifiutato, non si fida di coloro che
spontaneamente danno
loro fiducia e supporto, lo vedono come un mezzo per ingannarli, per
renderli
vulnerabili e poi tornare a ferirli. Non si fidano davvero di nessuno e
sono
sempre pronti a fare un passo indietro.
Mio
padre non voleva che avessi a che fare con quei ragazzi. Diceva che non
era
compito di una donna riportarli sulla retta via, che spettava a lui
occuparsi
di quei poveri sbandati.
Allora
mi sembrava un valido ragionamento, sebbene fossi determinata a non
abbandonarli. Ora mi chiedo se, il reale motivo, non fosse un altro.
Dopotutto
sono pochi i “bianchi” che pratico
l’anglicanesimo e buona parte della nostra
parrocchia era composta da uomini e donne di colore, provenienti
originalmente
dall’Africa. Quindi ora, dopo tutto quello che è
successo, mi sembra logico
chiedermi se il reale motivo della sua ostinazione non fosse in verità
dovuta ad un certo tipo di
razzismo.
Nel
caso di Adrian, però, è tutto molto diverso e,
forse, addirittura più
complicato. Posso combattere contro un adolescente ribelle, con molti
adolescenti, ragazze e ragazzi spaesati e additati da tutti, ma contro
un
adulto con la sindrome da Peter Pan non lo so, anche se voglio
provarci.
Non
voglio abbandonarlo a se stesso e, dopo quello che mi ha detto, mentre
lo
infilavo sotto le coperte, come se fossi sua madre, sono ancora
più determinata
a non arrendermi.
Può
sputarmi addosso tutto il suo disprezzo, dirmi ancora che sono una
stupida, ma
ciò non mi farà desistere, perché, non
appena abbassa un po’ la guardia, si può
intravedere qualcosa di davvero bello.
Ovviamente
per arrivare fino a questo punto ho dovuto, letteralmente, sudare.
Adrian
non voleva saperne di uscire dalla mia macchina, che più i
minuti passavano,
più accumulava odore di alcool.
Solo
nell’ambiente ristretto della mia micra mi sono resa conto
che aveva attorno un
fastidiosissimo e irrespirabile odore
Con
enormi difficoltà sono riuscita a farlo uscire dalla
macchina, visto che,
nonostante i venti minuti scarsi di auto, si è praticamente
addormentato sul
sedile.
Non
mi ero resa conto che fosse così imponente fino a quando non
l’ho visto
occupare buona parte dello spazio anteriore della macchina.
Alla
fine, dopo averlo scosso, sono riuscita a svegliarlo e a farlo uscire
dalla
macchina. Voleva a tutti i costi prendere l’ascensore, ma il
colorito del suo
viso mi è sembrato esageratamente verdognolo per qualcosa in
grado di nausearti
anche quando sei sobrio.
Così
abbiamo percorso un infinità di rampe di scale fino a quando
non si è fermato
davanti ad una porta. Ha frugato un bel po’ nelle tasche
prima di riuscire a
trovare il mazzo di chiavi, ma gliele ho
prese di mano prima ancora che riuscisse a provare ad aprire le
serrature.
Come
buona parte delle case, c’erano due serratura. Una classica e
una
antisfondamento.
Le
ho aperte entrambe mentre Adrian sembrava sul punto di accasciarsi in
terra,
scivolando lungo la parete.
“Ohi,
sveglia. Se finisci sul pavimento non riuscirò a farti
rialzare.”
In
qualche modo è riuscito a rimanere in piedi, ma ha
barcollato per tutto l’ingresso
e il corridoio sulla sinistra. C’è mancato poco
che finisse contro il tavolo
quadrato con le quattro sedie standard prima che riuscisse ad imboccare
il
corridoio.
È
crollato di faccia sul letto prima ancora che io riuscissi ad accendere
la
luce.
Ho
fatto moltissima fatica per convincerlo a spostarsi verso
l’alto in modo da
poterlo coprire con le coperte. Nonostante il letto matrimoniale,
Adrian è così
imponente da occuparne più di metà senza fatica.
Gli
ho sfilato le scarpe e per fortuna non gli puzzavano i piedi, dopo di
che l’ho
tirato per un braccio, fino a fargli raggiungere il cuscino.
Una
volta sotto le coperte, ha aperto gli occhi e mi ha fissata per alcuni
brevissimi istanti mentre grondavo sudore dalla fronte.
“Non
lasciarmi da solo!”
Dopo
di che ha abbracciato il cuscino come se fosse un ancora di salvezza ed
è
crollato.
La
piccola debolezza che mi ha mostrato ha reso tutto molto più
sopportabile. La
fatica, la stanchezza, tutto ha avuto più senso.
Non
è molto, ma è una minuscola apertura.
Certo,
domani potrebbe essere punto e a capo, ma sapere che
c’è, che la sua armatura
ha un’incrinatura del genere rende tutto molto più
fattibile.
Ora
però non so cosa fare.
Sono
qui da sola, nel suo appartamento e non so che fare. Certo, mi ha
chiesto di
rimanere, ma non sono sicura sia una buona idea.
Voglio
tornare nella mia stanza e andare a dormire.
Sono
così stanca che mi bruciano gli occhi.
Un
leggero bussare alla porta mi fa sobbalzare. Ho il cuore che batte a
mille.
Faccio
i pochi passi che mi separano dalla porta, ma prima di aprire la porta
guardo
dallo spioncino.
“Josh,
come mai sei qui?”
Lui
non risponde alla mia domanda, ma entra velocemente, poggiandomi le
mani sulle
spalle. Ha un espressione preoccupata sul viso, gli occhi azzurri
spalancati,
come alla ricerca di qualcosa mentre mi osserva con attenzione.
“Ti
ha fatto del male?”
La
sua domanda mi prende alla sprovvista, tanto che mi allontano di botto
da lui.
Santo
cielo, perché tutti pensano che sia un mostro?
“Mio
Dio, certo che no. Ma come ti vengono in mente certe idee?”
L’espressione
si ammorbidisce un po’, ma non abbastanza. È
ancora guardingo, come se dovesse
affrontare una battaglia da un momento all’altro.
“Dov’è?”
Non
è per nulla difficile capire di chi sta parlando.
“Lascialo
stare. È fuori combattimento e l’ho messo a
letto!”
Lui
sbatte le palpebre un paio di volte, stupefatto.
“Lo
hai messo a letto?”
Annuisco,
perché non capisco cosa ci sia di strano.
“Sì,
e quindi? Cosa c’è di strano? Avrei dovuto
permettergli di accasciarsi di
fronte alla porta d’ingresso, oppure lasciare che si prendesse
l’influenza per aver dormito al
freddo?”
Lui
solleva le mani in segno di resa e scuote la testa.
“Non
è assolutamente quello che intendevo. È solo
strano perché lo conosco bene!”
Sento
la rabbia montare.
“Ma
perché accidenti tutti quanti lo trattate come se fosse un
mostro?”
Mi
piacerebbe alzare la voce, sfogare la frustrazione che sento,
perché mi da
davvero fastidio che continuino a parlare di lui come se quasi non
fosse un
essere umano.
Josh
dovrebbe essere suo amico, perché non riesce a vedere oltre?
“Lo
conosco bene, Chelsea. È fatto così!”
“Ti
sbagli!”
Lui
scuote la testa, scoraggiato.
“Chelsea,
per favore, non ne vale la pensa. Nonostante l’affetto
sincero che nutro nei
suoi confronti, sono abbastanza obiettivo da vedere che non
è un santo. Non è
un bravo ragazzo e non è nemmeno quello cattivo da salvare
da se stesso. Ho
smesso tempo fa di cercare di capire che cosa gli frulli per la testa e
perché
si comporti in certi modi. Non perdere tempo con una causa persa, ti
farai solo
del male!”
Le
sue parole pacate sono come una pugnalata.
Io
davvero non capisco. Come si può essere così
ottusi e non vedere ciò che è
davanti agli occhi, semplicemente nascosto molto bene?
“Hai
ragione. Non va salvato solo da se stesso, ma principalmente dalle
persone che
dovrebbero volergli bene e cercare di capire che non è tutto
come sembra. Da
quelli che invece di giudicarlo, dovrebbero dargli un minimo di
fiducia. Ecco
da chi deve essere salvato. Da tutte quelle persone che sono riuscite a
fargli
credere di non essere quasi più un essere umano.”
Lui
rimane in silenzio, allibito, completamente senza parole.
“Chelsea,
io…”
Sollevo
una mano e mi rendo conto che trema, che il mio intero corpo sta
tremando a
causa della rabbia repressa.
“Ti
prego, lascia stare. Non voglio parlarne oltre. Tanto non
capiresti.”
Cerco
di ritrovare la calma, ma è molto difficile riuscire a
distaccarmi dall’argomento
che inizia a starmi sempre più a cuore.
“Ora
vuoi dirmi perché sei qui?”
Si
gratta la nuca per nascondere il disagio, ma prima ancora che possa
parlare, io
ho già capito.
“Ti
ha chiamato Meredith, non è vero?”
Distoglie
lo sguardo, forse alla ricerca di una possibile scusa, ma alla fine si
limita
ad annuire.
“Proprio
non riesce a fidarsi di me. Proprio oggi doveva decidere di volersi
comportare
come un amica.”
Rimango
inorridita dalle mie stesse parole un secondo dopo avere pronunciate.
Perché
ho detto e pensato una cosa del genere? Perché non riesco a
smetterla di
portare rancore per quello che è successo questi mesi?
È
ovvio che si preoccupi, lo sapevo che era contraria, che non voleva che
mi
occupassi di Adrian, quindi perché mi stupisco e questa cosa
mi fa così rabbia?
“Non
lo ha fatto con cattive intenzioni. Era solo preoccupata che ti potesse
accadere qualcosa.”
“Lo
so benissimo, ma sapevo quello che stavo facendo. Non mi farebbe mai
del male.
Ci sono state tantissime occasioni dove avrebbe potuto, ma non lo ha
fatto. Quindi
perché è così difficile credere che
possa essere una persona perbene?”
La
mia voce raggiunge il più alto tono consentitomi prima di
rendermi conto che
sto urlando.
Mi
tappo la bocca, respirando affannosamente e Josh, davanti a me, scuote
la
testa, facendo ondeggiare i capelli biondi più lunghi sul
davanti.
“Sei
stanca, vai a riposare. Rimango io.”
Vorrei
rifiutare, vorrei dirgli di andarsene, di smetterla di accusare Adrian
per cose
che non ha fatto, ma lui ha molti più diritti di me di
essere qui.
Adrian
non mi vuole in mezzo ai piedi, è stato molto chiaro oggi e,
anche se credo in
ogni parola che ho detto, non credo che, da sobrio, sarebbe molto
felice di
vedermi nei suoi spazi privati.
Recupero
la borsa e la giacca, appoggiati sull’immacolata penisola
della cucina e supero
Josh senza una parola.
Voglio
mettermi alle spalle questa giornata, cancellare il ricordo di
ciò che è
successo e nascondermi di nuovo nel sonno.
So
bene che non funzionerà, ma almeno per un paio di ore,
voglio liberarmi di
qualsiasi pensiero.
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Capitolo 15 *** 15 Adrian ***
15
Adrian
Non
riesco a respirare.
Nella
vorticosa nebbia che mi avvolge, mi manca l’aria.
Vorrei
muovermi, ma il mio tesso corpo non risponde. È come se
fossi paralizzato.
Sono
a pancia in giù, credo di avere la braccia bloccate lungo i
fianchi e, nel buio
della mia stessa stanza, non vedo assolutamente nulla nonostante tenga
gli
occhi bene aperti.
Non
sono solo nella stanza. C’è qualcosa sulla porta,
so che è lì.
Provo
a non farmi prendere dal panico, ma sono indifeso e chiunque sia, vuole
farmi
del male.
Ad
un certo punto il mondo si rovescia e spalanco gli occhi.
“Porca
puttana, svegliati, imbecille! Sei così ubriaco da morire
soffocato?”
Mi
tiro a sedere di botto, respirando con affanno e mi guardo attorno alla
ricerca
di un nemico.
La
mia stanza è come sempre: incasinata, ma vuota, a parte Josh
con la faccia
stravolta, in piedi alla mia destra.
Non
c’è nessuno sulla porta alle sue spalle e, grazie
alla luce accesa del
corridoio, posso intravedere la cornice dell’orribile quadro
che ha comprato
Dave ad un mercatino di Natale.
Ci
metto alcuni secondi a riprendermi e capire che, molto probabilmente,
il mio è
stato solo un incubo dettato dall’alcool, per quanto reale mi
sia sembrato.
Il
panico scivola via lentamente e mi lascio ricadere sui cuscini e mi
copro gli
occhi con un braccio.
La
luce brucia e, a ben pensarci, ho la testa pesante come se mi avessero
dato una
martellata.
“Cosa
ci fai qui?”
Decisamente
una bella domanda.
Ricordo
abbastanza chiaramente di essere salito sulla macchina di Chelsea e che
ad un
certo punto ho chiuso gli occhi per combattere la nausea. Da quel
momento in
poi è tutto piuttosto confuso.
Non
ricordo di essere sceso dalla macchina, ma solo un infinità
di scalini. Credo
di essere riuscito a prendere le chiavi dalla tasca del giubbotto, ma
non di
sono stato io ad aprire la porta d’ingresso.
Quindi
come sono arrivato nel mio letto, senza scarpe ai piedi, e come ha
fatto Josh
ad entrare?
“Meredith
mi ha chiamato dopo che Chelsea ti ha portato via e mi sono fiondato
qui per
assicurarmi che non facessi qualche cazzata. Immagina la mia sorpresa
nel
sapere che semplicemente te ne sei andato a letto e non ti sei
approfittato della
situazione! È stata lei a farmi entrare dopo che sei
crollato.”
Josh
ha ragione. È davvero una sorpresa.
A
ben pensarci, sarebbe stato il momento ideale per mostrarle chi sono
davvero.
Non avevo nessun freno inibitore, tanto che non ricordo nemmeno che mi
abbia
accompagnato fino al mio appartamento o che ci abbia messo piede.
Eppure non è
successo nulla. Non le ho messo le mani addosso, perché
altrimenti a quest’ora
avrei la faccia in fiamme.
Mi
tolgo il braccio dalla faccia e guardo l’orologio. Sono quasi
le sei del
mattino.
“Perché
sei ancora qui?”
Lo
osservo passarsi una mano sulla faccia e poi tra i capelli, come se
stesse
cercando di svegliarsi.
“Perché
sono tuo amico e perché qualcuno mi ha ricordato che alle
volte non sono il
massimo. Non potevo andarmene. Lei non se ne sarebbe andata ed era
meglio che
ci fossi io una volta ti fossi svegliato. Alle volte sai essere una
spina nel
culo quando ti svegli con la luna storta.”
Mi
viene da ridere, ma non sono sicuro sia una buona idea. Pian piano, la
testa
pulsa sempre più forte.
“Vero!”
Ed
è decisamente un sollievo sapere che lei non è in
casa mia. Un po’ perché sono
sicuro che mi sentirei a disagio se al posto di Josh ci fosse lei,
magari con i
capelli spettinati e gli occhi così particolari arrossati
dalla stanchezza.
Un
po’, perché è decisamente imbarazzante
che mi abbia vinto in quelle condizioni.
È stato decisamente un errore andare a cercarla, ma
è stato più forte di me.:
Dovevo dirle quello che pensavo.
Che
poi ora mi sembrino solo un mucchio di fesserie è un altro
discorso.
Come
accidenti ho potuto dirle di smetterla di entrare nella mia testa?
Ero
davvero troppo ubriaco per fare un discorso sensato.
Tuttavia
le sono grato. Probabilmente, se mi fossi messo al volante, avrei avuto
un incidente
e, forse, non sarei vivo. Di sicuro non sarei nel mio letto con i
postumi della
sbronza peggiore che mi sia mai preso.
“Perché
sei andato da lei?”
La
domanda ha un senso, ma non capisco quale. Sono ancora troppo intontito
dall’alcool e dal sonno.
“Come?”
Mi
metto le mani sulla faccia e mi scappa un gemito quando una stilettata
di
dolore mi attraversa la testa,
fermandosi dietro il mio occhio sinistro.
“Perché
ti sei ubriacato e sei andato al pub? Non ti abbiamo visto per giorni e
pensavo
stessi cercando di evitarla.”
In
un altro momento avrei negato, ma ho la testa così confusa
che le parole mi
scappano di bocca senza che ne abbia controllo.
“Infatti
è così. Sono una minaccia per chiunque,
indistintamente. Eppure lei è convinta
di potermi salvare da me stesso e non posso lasciarglielo fare,
perché sarebbe
così facile approfittarmi della sua ingenuità,
della sua gentilezza. Al
contrario di altre donne, non merita una punizione, di raccogliere
ciò che ha
seminato, per cui volevo solo dirle di starmi alla larga, di smetterla
di
trattarmi come se fossi solo un bambino capriccioso. Di uscire dalla
mia testa
e smetterla di immischiarsi in cose che non le competono. Eppure,
invece di
ascoltarmi, ancora una volta ha fatto di testa sua ed è
riuscita a farmi fare
quello che ha voluto. È così fastidioso,
così frustrante.”
Non
mi sono mai confidato con Josh, ad essere sincero non ho mai raccontato
a
nessuno quello che ho passato quando ero più giovane, ma se
c’è qualcuno che mi
può capire e non guardarmi con pietà, quello
è Josh.
Per
certi versi è cresciuto in una famiglia molto simile alla
mia, se di famiglia
possiamo parlare.
Genitori
ricchi e senza un minimo di considerazione per i figli, da cui hanno
solo
saputo pretendere.
Da
un certo punto di vista, a Josh ha rischiato di andare peggio.
È stato molto
fortunato a non finire nella trappola dei suoi e rimanere invischiato
in una
brutta storia di denaro riciclato.
Josh
sogghigna e si siede sul letto.
“Le
donne sanno essere una vera spina nel fianco, ma inizio a credere che
forse, e
dico solo forse, potrebbe non sbagliarsi del tutto.”
Rimango
impietrito dalle sue parole e lo osservo. Probabilmente ho gli occhi
spalancati
dall’incredulità perché lui ridacchia
nuovamente.
“Di
che accidenti parli?”
Lui
si passa nuovamente la mano tra i capelli, alla ricerca di una risposta
sensata.
“Quando
sono arrivato, la prima cosa che ho fatto, è stata chiederle
se le avevi fatto
qualcosa. Non credo sia stato per cattiveria nei tuoi confronti, ma
perché ti
conosco da diversi anni e ho visto come ti comporti con le donne. Hai
qualcosa
che le spinge a fare tutto ciò che vuoi, ma con lei non lo
hai fatto, non hai
agito come al tuo solito e, in un primo momento, questo mi ha
spiazzato. Ho a
malapena chiuso occhio stanotte, intento
com’ero a riflettere su tutta la
situazione.”
Le
sue parole non mi offendono. Dopotutto è assolutamente vero.
Sono un bravissimo
manipolatore.
“Eppure,
con lei non ti sei mai comportato così. Sarebbe stata la
preda perfetta, eppure
non hai mai fatto niente. I pensieri li hai, li ho letti sulla tua
faccia
quella sera al Blue Moon, ma è come se stessi lottando con
te stesso per
soffocarli. Mi chiedevo perché lo facessi, perché
ti sforzassi così tanto di
andare contro la tua stessa natura e ora tu stesso mi hai dato la
risposta.”
Non
è esattamente vero. Io mi sono approfittato di un suo
momento di debolezza per
fare qualcosa di assolutamente sbagliato, anche se lei non
l’ha mai vista sotto
questo punto di vista.
Sentire
questa specie di elogio, da parte di una persona che considero alla
stregua di
un fratello, brucia, perche non è per nulla meritato.
Eppure,
non posso dirgli nulla, non posso levarmi questo peso di dosso, questa
specie
di macchia.
Quindi
rimango semplicemente zitto, cercando di capire quanto bastardo sono,
mentre
lui continua a tessere lodi.
“Sei
un bastardo, Adrian, lo abbiamo sempre saputo, ma hai più
principi di quanto
credi. Chelsea mi ha rimproverato. Tra le righe mi ha detto che non
sono un
buon amico e, probabilmente, ha ragione.
Mi sono reso conto che ti ho accettato per quello che sei,
ma non mi
sono mai sforzato di capire perché sei
così.”
Si
ferma di nuovo e scoppia a ridere.
“Per
colpa di Kayla sono diventato una femminuccia emotiva,
accidenti.”
Ride
ancora, quasi come un isterico. Come se quello ad avere i postumi da
sbornia
non fossi io. Ho come l’impressione che la stanchezza gli
stia giocando qualche
brutto scherzo ai nervi.
“Kayla
si vergognerebbe di me se sapesse che sono stato così
superficiale. So tutto di
Ryan, di Dave, addirittura di Logan, che conosco da poco più
di sei mesi, ma
dopo anni, non so praticamente nulla di te. Eravamo tutti
così presi dai nostri
problemi, che non ci siamo accorti che non ci hai mai parlato della tua
infanzia, di come sei cresciuto. Ti sei presentato a noi come
l’Adrian McLeor
bastardo e non abbiamo chiesto altro, ti abbiamo semplicemente
accettato.
Mi
vergogno di me stesso. Sono stato davvero un pessimo amico con te, un
menefreghista, e sono bastate quattro parole di quella bambolina per
farmi
mettere tutto in discussione.”
“Perché
mi dici tutto questo?”
“Perché
alla luce di quello che è successo, inizio a pensare che,
forse, potrebbe avere
ragione. Non è da “te” questo
comportamento. Quando si parla di lei, sei
diverso. L’aggressività sparisce, il linguaggio da
scaricatore di porto anche.
Quando c’è lei di mezzo, quella parte di te
così accentuata è come contenuta e
inizio a credere che ciò accada per un motivo. Non sto
dicendo che sei un
santo, per carità, ma è come se cercassi di
essere migliore per non ferirla.
Non ti ho mai visto così attento a qualcuno. Per anni mi
sono abituato a
vederti prendere quello che volevi, incurante del resto, e anche se
pensavo che
alcuni comportamenti fossero sbagliati, li ho sempre giustificati,
dicendomi
semplicemente: “Lui è fatto
così!”, ma è evidente che mi
sbagliavo.”
Sono
allibito, senza parole. Incredibilmente, anche Josh è stato
contagiato dalla stessa
positività di Chelsea. È veramente come una fata
in grado di buttare
incantesimi sulla gente.
“Josh,
non dire cavolate. Sai bene che tipo di persona sono. Appunto
perché mi conosci
da anni, dovresti sapere che non sono un tipo generoso o
compassionevole.”
Lui
solleva le spalle con noncuranza.
“È
vero, ma inizio a pensare che sia stato solo perché avevi a
che fare con le
persone sbagliate. Non
sto dicendo che
sei una persona diversa, ma solo che, forse, con lo stimolo giusto, sai
comportarti diversamente. Per come ti conosco, avrò sempre
il timore che tu
possa ferirla, ma vorrei provare a credere che non sia tutto
lì!”
Non
capisco. Perché Chelsea gli interessa così tanto?
Perché si preoccupa per lei?
Non è altro che l’amica di Meredith, che
è la sorella di un nostro carissimo
amico, è vero, ma non è esattamente parte del
nostro gruppo, anche se sembra
che tutti l’abbiano accettata a pieno titolo come tale.
“Perché
ti preoccupi così tanto?”
Lui
sembra preso alla sprovvista dalla mia domanda e ci riflette su per
alcuni
interminabili secondi.
Il
silenzio è davvero assordante.
Per
qualche motivo, muoio dalla voglia di sapere cosa lo spinge a
preoccuparsi per
lei, che praticamente è una sconosciuta.
“Perché
per certi versi mi ricorda una mia cara amica, una che non sono
riuscito a
proteggere.”
Mi
guarda e posso leggere nei suoi occhi verdi una profonda tristezza.
“Certo,
so che non è nessuno per me, ma da quando sto con Kayla,
noto molte più cose
che prima non avevano nessuna importanza. Ho scoperto che non sono
bravo a
voltare le spalle a chi ha bisogno di aiuto e Chelsea ha trascorso le
festività
natalizie con noi. Kayla si è data un gran da fare per
trovarle un lavoro e non
posso girarmi dall’altra parte dopo tutto quello che ha
fatto!”
“Eh
quello che è importante per quella piccola strega
è importante per te!”
Fino
a ieri questa frase sarebbe suonata sprezzante, ora sembra solo ironica.
Josh
sorride, ma arrossisce.
“Non
prendermi in giro.”
Scoppio
a ridere, perché il suo disagio è divertente.
“Se
non ti conoscessi bene, penserei che sei un idiota!”
Lui
scoppia a ridere.
“Non
pensavo lo avrei mai detto, ma è il tipo di fortuna che
augurerei a chiunque. Non
è tutto facile o rose e fiori, ma Kayla mi ha dato qualcosa
di cui non sapevo
nemmeno aver bisogno: la sua fiducia. L’ultima cosa che
desidero è deluderla,
quindi è automatico cercare di essere migliore di
ciò che ero.”
Scuoto
la testa, leggermente nauseato, anche se non so che ciò sia
dovuto all’eccessiva
dolcezza che il mio amico dimostra quando si tratta della sua donna o
allo
stomaco in subbuglio.
“Sei
una femminuccia.”
Lui
solleva le spalle e si alza dal letto.
“Forse,
ma io ora me ne torno a casa e ho una splendida donna che mi aspetta
nel mio
letto. Una persona che mi aspetta quando rientro la sera e che non mi
ha fatto
nessuna storia quando le ho detto che dovevo venire a prenderti a calci
nel
culo!”
Scoppio
a ridere, anche se la mia testa non approva, perché posso
ben immaginare la
bionda ragazza di Josh che vorrebbe prendermi a calci al suo posto.
Non
mi sopporta e ha tutte le ragioni per detestarmi.
Prima
di tutto mi sono comportato come un vero pezzo di merda al matrimonio
di Ryan,
quando lei e Josh si sono uniti a me e Dave per colazione.
L’ho
chiamata strega di ghiaccio, ma a mia discolpa non sapevo ancora che ci
fosse
qualcosa tra lei e Josh. Lei mi ha rimbeccato per bene, gelida e
sprezzante
proprio come mi aspettavo.
È
stato immediato ed istintivo attaccarla. L’atteggiamento di
Kayla mi è sempre
stato sulle palle. Si è sempre comportata in modo altezzoso,
guardando gli
altri dall’alto in basso. Proprio il tipico atteggiamento in
grado di far
venire fuori il peggio di me.
Sono
stato un vero bastardo e non ho mai visto Josh così furioso.
Solo
successivamente ho scoperto che quella di Kayla era una maschera per
tenere
alla larga i tipi come me.
Non
conosco i dettagli, ma so che ha avuto a che fare con Dawson Steel, un
arrogante figlio di puttana della East Coast.
Non
ho voluto sapere altro, però si può dire che mi
sono abituato al suo
atteggiamento che, da quando convive con Josh è diventato
molto meno glaciale.
“Immagino
che ti ha detto di farmi più male possibile!”
Lui
solleva le spalle e si allontana dal letto, fermandosi sulla porta.
“Mi
ha detto che se proprio dovevo, almeno avresti dovuto ricordartene. Ti
saluto
e, amico? Non so se sia una buona idea, ma voglio credere che Chelsea
abbia
ragione!”
Non
riesco a replicare e rimango fermo a fissare l’uscio vuoto
fino a quando non
sento la porta d’ingresso chiudersi.
Mi
lascio ricadere sui cuscini e mi metto a pancia in giù dopo
aver spento
nuovamente la luce.
Eppure
le ultime parole di Josh mi impediscono di riprendere sonno e, invaso
da mille
pensieri, osservo lentamente i pallidi raggi del sole che sorge,
entrare nella
mia stanza attraverso la tapparella sollevata.
Piccolo
spazio Autore.
Volevo ringraziare tutte le persone che mi stanno seguendo e che
dedicano qualche prezioso minuto del loro tempo per scrivermi messaggi
o piccole recensioni. Leggo attentamente tutto quello che scrivete e mi
emoziono quando vedo che riesco a farvi percepire ciò che
sento quando scrivo. Quindi grazie di cuore.
Da oggi proverò a ripredere la stesura costante, quindi con
aggiornamenti il Lunedì, il Mercoledì e il
Venerdì/Sabato. Mi scuso se ci dovessero essere degli
intoppi e l'aggiornamento dovesse saltare, ma lavoro nove ore al giorno
e spesso non riesco a trovare proprio il tempo per scrivere e dedicare
al capitolo le giuste attenzioni. In ogni caso, grazie per la costanza
e per tutto. kiss kiss.
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Capitolo 16 *** 16 Chelsea ***
16
Chelsea.
“Non
posso venire. Sono a lavoro!”
Meredith
mette il broncio, seduta sul mio letto sfatto, mentre mi preparo per
andare a
lavoro.
Sono
le quattro del pomeriggio di un lunedì davvero disastroso.
Questa
mattina ho avuto un esame, che ho superato per il rotto della cuffia,
mi sono
rovesciata il caffè addosso mentre andavo via dalla
caffetteria del locale e mi
sono provocata una bella ustione sulla mano.
Di
certo non sono sell’umore adatto per incasinarmi la vita e
partecipare ad una
festa di compleanno.
“Ma
ho bisogno che tu sia lì. Sarà la prima uscita
ufficiale mia e di Logan e
voglio che tu lo conosca. Ti ho fatto un torto enorme quando mi sono
tenuta
tutto per me e ora è giusto che tu lo conosca. Inoltre ci
sarà quel testone di
mio fratello che, senza Bianca al suo fianco a tenerlo a freno,
potrebbe
comportarsi da idiota. Nessuno si comporterebbe male con te nei
paraggi!”
Sollevo
gli occhi al cielo, perché è l’ennesima
volta che sento questa frase.
“Meredith,
io non spingo la gente a comportarsi meglio. Lo fanno senza che io
debba fare
nulla!”
Incrocio
le braccia sotto il petto mentre lei torna a scuotere il capo.
“Non
è vero. Il tuo è un dono naturale. Basta la tua
sola presenza per far rigare
dritto chiunque!”
“Ma
la spetti con questa storia? Non ho poteri magici. Rispettano
semplicemente il
fatto che sia cresciuta in un ambiente religioso e morigerato, per
quanto con
tutte le parolacce che dice Theo ogni volta che si brucia, cosa che
capita
almeno una volta al giorno, ormai mi sono abituata.”
“Non
sono le parolacce il problema. Il fatto è che non voglio che
Ryan inizi a
lanciare frecciatine contro Logan!”
“Ah,
quindi io dovrei fare da cuscinetto? Ma scusa, le cose tra te, Logan e
tuo
fratello non si erano sistemate?”
Lei
allunga le gambe e le fa dondolare leggermente.
“Sì,
certo, ci siamo chiariti. Ma ho paura che possa ricadere nelle cattive
abitudine. Ti prego, Chels. Dai, vieni!”
Mi
appoggio contro la scrivania e cerco di rimanere il più
impassibile possibile
mentre lei mi fissa con quegli incredibili occhi verdi pieni di
speranza.
“Ti
rendi conto vero che quello che mi chiedi non è per nulla
carino?”
Lei
sorride perché probabilmente vede che sto per cedere e si
mette a sedere
composta poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“D’accordo,
non volevo arrivare a questo, ma visto che mi costringi…
è il compleanno di
Adrian!”
Per
un momento rimango in silenzio, mentre la mia mente ritorna
all’ultima volta
che l’ho visto. Respingo con forza il pensiero e cerco di
tenere testa a
Meredith, per quanto non sia facile, ora che sta pian piano tornando la
ragazza
di prima.
Certo,
ora il suo intero mondo gravita attorno a Logan e al recuperare il
tempo perso
a causa della relazione segreta che avevano da Settembre, ma sta anche
cercando
di recuperare il nostro rapporto che, dopo come si è
comportata a causa di
Adrian, era di nuovo
ai ferri corti.
“Non
cambia il fatto che io sia a lavoro per tutta la sera e che non ho
nessuna
voglia di cambiarmi e raggiungervi in chissà quale locale,
dove ci sarà una
musica che non mi piace. Luogo dove, probabilmente, finirò
per sentirmi a
disagio per buona parte del tempo. Mi dispiace, Meredith, ma la mia
risposta
rimane no! È stata davvero una brutta giornata e non vedo
l’ora di buttarmi su
quel letto, dove sei così comodamente seduta e che dovrei
rifare prima di
uscire, chiudere gli occhi e dimenticare di aver vissuto questa
giornata.”
Meredith
mi sorride di nuovo, la classica espressione che fa quando sa che sta
per
averla vinta.
“Ma
non ti ho detto la parte migliore. I ragazzi hanno organizzato tutto al
Blue
Moon, quindi non dovrai nemmeno uscire dalla porta d’ingresso
o cambiarti. Non
dirà niente nessuno, te lo garantisco. Sei mia amica e Kayla
non vede l’ora di
rivederti. Non hai più scuse!”
Probabilmente
mi dovrei arrabbiare, ma riesco solo a scoppiare a ridere,
perché Meredith me
l’ha fatta.
“Sei
una vipera. Potevi dirmelo fin dall’inizio invece che fare
tutta questa
commedia.”
Lei
scuote la testa e assume un espressione seria.
“Ti
devi esercitare a dire di no. Sei troppo buona.”
Meredith
al momento è come un segugio sulla preda. Non mi molla un
attimo.
Ovviamente
tutto ciò ha a che fare con Adrian e la sua sbornia della
scorsa domenica.
Certo, da allora non l’ho più
visto, ma Meredith mi ha tirata scema.
Mi
ha detto che sono un ingenua, che Adrian non è un tipo
affidabile e che avrebbe
potuto farmi chissà cosa se lei non avessi chiamato Josh per
darmi il cambio.
Per
qualche motivo, non ho voluto raccontarle che non è successo
niente e che
l’intervento di Josh è stato solo superfluo e un
disturbo per lui.
Da
allora mi da il tormento e mi fa le richieste più strane, a
cui io devo per
forza di cose rispondere di no.
Niente
al mondo mi avrebbe convinta ad uscire dal condominio scalze, con un
paio di
pantaloncini striminziti e una canottiera quasi trasparente.
Meredith
dice che devo allenarmi a dire di no, perché a parer suo
l’unico motivo per cui
ho a che fare con Adrian è perché non riesco a
negare qualcosa alle persone.
Personalmente
credo di riuscirci piuttosto bene quando serve.
Semplicemente
ad Adrian non volevo dire di no e sono stata io ad insistere, sebbene
lei non
mi abbia creduto.
Crede
che lui abbia tanta cattiva influenza su di me, quanta io ne ho
positiva sulle
persone che mi circondano, ma semplicemente è una questione
di rispetto
reciproco.
Io
non rompo le scatole se bevono e fanno cose che per me sono moralmente
discutibili, anche se razionalmente so che sono normalissime, e loro
rispettano
il fatto che sia come sono. Ad essere sincera mi hanno accettata senza
riserve
ed è un comportamento che mi ha molto sorpresa.
Per
quanto riguarda la festa, non sono molto sicura che sarò la
benvenuta.
Adrian
non ha fatto mistero di non sopportarmi e non mi ha nemmeno ringraziata
per
averlo portato a casa. Certo, l’ho fatto senza aspettarmi
nulla in cambio, ma è
ugualmente doloroso vedere che l’impegno profuso non
è minimamente stato
apprezzato.
“Non
so se è una buona idea. Non è il mio ambiente,
sono tuoi amici!”
La
verità è che non voglio vederlo, semplice.
Non
voglio perché so che mi farei solo del male.
Mi
ostino ad aggrapparmi a quello che di buono c’è in
lui perché so che non merita
di essere trattato come viene trattato, ma so anche che se lui per
primo non
vede quanto può essere gentile, io non posso fare
più di tanto. Posso imporgli
la mia presenza fino ad un certo punto e, visto che non si è
più fatto vedere,
immagino di aver superato il confine.
È
anche per questo motivo che questa settimana appena passata
è stata così
strana.
Mi
sono sentita inquieta per tutto il tempo, distratta, poco positiva.
Domenica
sera ero così nervosa che ho lanciato una scarpa contro
l’armadio e mi sono
messa a dormire senza recuperarla e metterla al suo posto.
Stamattina
mi sono svegliata male. Non ricordavo nulla di quello che avevo
studiato ed è
un miracolo che sia riuscita a passarlo e mi sento piuttosto scontrosa.
È un po’
come i giorni che precedono il ciclo.
Non
mi sento me stessa e non mi piace.
Credo
di essere demoralizzata, demotivata. Pensavo di essere riuscita a
riprenderti,
ma mi rendo conto che non sarò mai più la ragazza
di prima.
Sono
successe troppe cose per tornare ad essere la ragazza positiva e solare
di
prima. Ci sono delle nuvole che gettano delle strane ombre dentro me
stessa e
non so davvero come gestirle.
Esattamente
come non so cosa fare con il fastidio e con il sentimento che mi fa
storcere la
bocca ogni volta che Meredith mi elenca, senza mezzi termini, i motivi
per cui
passare del tempo con Adrian è una pessima idea.
Ho
come l’impressione che creda stia nutrendo delle aspettative
romantiche nei
confronti di Adrian, ma questo è assurdo, dato che non so
nemmeno che cosa
significhi. Sta di fatto che continua a parlarmi del modo in cui si
comporta
con le donne, del modo in cui le usa prima di sbarazzarsene, come se
fossero un
fazzoletto usato, e di come, se non gli sto alla larga,
finirò per fare la
stessa loro fine.
La
prima volta che mi ha fatto il “discorsetto”, ho
pensato che fosse solo preoccupata
per me, così come la seconda volta. Ma dopo la terza e la
quarta volta, ho
iniziato ad infastidirmi. Ho imparato a memoria le cose che mi ha
detto, si
sono incise profondamente nella mia mente, e mi da fastidio che mi
tratti come
una stupida, come una ragazzina idiota.
È
vero, non sono mai stata una ragazza normale, ma sebbene non capisca
che cosa
spinga una ragazza a desiderare un ragazzo, inizio a comprendere il
meccanismo.
È
un gioco di sguardi, di attenzioni. Un tira e molla alla fune per
vedere chi
cede per primo.
Tra
me e Adrian non c’è nulla del genere e Meredith se
ne dovrà rendere conto.
“D’accordo.
Ci vengo, ma di sicuro non uscirò davanti agli altri clienti
conciata come
mentre lavoro. Dammi una mano a scegliere qualcosa per più
tardi!”
Ed
esattamente come mi aspettavo, Meredith salta su dal letto e si fionda
nel mio
armadio. Meglio lasciar fare a lei, visto quanto le piace.
***
Non
sono più sicura che sia stata una buona idea.
Se
mi metto la giacca, il look che ha scelto per me Meredith è
decisamente
perfetto per me. La maglietta con lo scollo tondo cade morbida e copre
il fatto
che porto dei jeans fin troppo stretti, ma se la levo, la maglietta
bianca si
trasforma praticamente in una canottiera, visto la non presenza di
maniche e
questo mi mette a disagio, perché non mi piace quel genere
di maglia.
È
troppo sbracciata e si intravede la fascia del reggiseno azzurro sotto
l’ascella.
Purtroppo
non ho scelta. Non posso rimettermi la mia comoda maglia con le maniche
a tre
quarti perché puzza di cibo, spezie e sudore.
Mi
sono lavata velocemente nel bagno dello spogliatoio prima di cambiarmi
e, lo
ammetto, non è stata per nulla una cattiva idea.
Non
pensavo avrei sudato tanto ed è una vera fortuna ch emi sia
portata tutto l’occorrente
per darmi una rinfrescata. Penso proprio che da oggi in poi
avrò sempre un
cambio, asciugamano e saponetta nell’armadietto.
Evidentemente
non avevo chiuso la porta a chiave perché
all’improvviso si spalanca e una
Kayla sorridente.
Indossa
uno splendido vestito a collo alto e smanicato, con un disegno che
ricorda
moltissimo la pelle di serpente.
“Allora,
ti muovi? Stiamo aspettando te per fare il brindisi. Vorremmo farlo
prima di
mezzanotte!”
Sorrido
e mi affretto verso di lei. È davvero raggiante e sono
davvero felice di
vederla. Invece che precederla, mi fermo e la abbraccio. In un primo
momento si
irrigidisce, ma poi mi restituisce la stretta. Sento
l’affetto che mi trasmette
scaldarmi il cuore.
“Non
ho avuto modo di ringraziarti, ma ti sono davvero molto grata per
quello che
hai fatto per me. Sei stata incredibile!”
Mi
allontano e noto che ha le guance rosse e gli occhi leggermente lucidi.
“Ma
figurati. Sei una bravissima ragazza e aiutarti mi ha fatto piacere. In
più
Owen mi è così
grato per averti mandata
da lui che non ha ancora trovato un modo per sdebitarsi e tu sai quanto
sappia
essere generoso.”
Mi
viene da sorridere, ma non riesco a dire nulla perche mi spinge fuori
dalla
porta e fino in sala prima che possa dire nulla.
Per
essere un lunedì, è piuttosto pieno e non credo
che siano tutti amici di Adrian.
“Non
fare caso a tutta questa gente. Molti si sono imbucati sperando di bere
gratis
e altri sono normali clienti!”
Kayla
mi legge nel pensiero e mi sospinge fino in fondo, vicino al palco.
Ci
sono molte persone in piedi, ma non posso capire di chi si tratta
perché all’improvviso
vengo investita da qualcosa di molto pesante e dei corposi capelli
rossi mi
finiscono in faccia.
“Stai
benissimo vestita così, ma levati questa giacca prima di
svenire. C’è un cado
pazzesco!”
Praticamente
urla per sovrastare la cacofonia di suoni che ci circondano.
In
qualche modo riesce a non soffocarmi con i suoi capelli e a sfilarmi il
giacchino. Immediatamente mi sento vulnerabile, ma non ho il tempo di
pensarci,
perché lei e Kayla mi trascinano in mezzo al gruppo di amici
e mi mettono un
bicchiere di spumante in mano.
Non
ho nemmeno fatto in tempo a vedere com’è vestita.
Registro
molte facce familiari di fronte a me. Ci sono Josh, Ryan e Dave per
esempio, ma
anche alcune che non conosco.
Ed
è lampante capire il reale motivo per cui Meredith ha voluto
così tanto che
partecipassi a questa festa quando il mio sguardo cade su Adrian, che
sorride
beato, con al suo fianco due ragazze prosperose più nude che
vestite.
Ed
è altrettanto ovvio che non si aspettava di vedermi
perché, appena i suoi occhi
grigio-azzurri incontrano i miei, vedo la sua espressione irrigidirsi.
Un
coro di: “Auguri!” si leva attorno a noi, ma
entrambi ci limitiamo a sollevare
i bicchieri per il brindisi.
Eppure
ho lo stomaco improvvisamente chiuso.
Non
sarei mai dovuta uscire da quel camerino e non avrei mai dovuto
permettere a
Meredith di manipolarmi, perché il ragazzo che ora ho
davanti potrebbe essere
davvero il mostro che finora mi hanno descritto.
|
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Capitolo 17 *** 17 Adrian ***
17
Adrian
Lo
sapevo maledizione, avrei dovuto saperlo nel momento esatto in cui si
è
presentata al tavolo per farmi gli auguri.
Meredith
è una subdola manipolatrice e questa volta me la
pagherà cara. Come, non lo so,
ma troverò di sicuro un modo, perché non mi piace
essere raggirato.
Le
due belle ragazze con cui è arrivata, una bionda e una
bruna, sono delle sue
compagne di squadra e dal fisico che sfoggiano ne sono praticamente
certo. Sono
slanciate, con il sedere alto e un bel davanzale che non ha bisogno di
reggiseno.
Ovviamente
sono io ad essere un deficiente, perché mi sarei dovuto
aspettare che Chelsea
comparisse da un momento, ma proprio non ci ho pensato. Ogni volta che
il suo
nome si affaccia nella mia mente, automaticamente lo censuro
perché mi fa
sentire a disagio.
Mi
ha visto in uno stato pietoso e mi ha aiutato senza chiedere nulla in
cambio.
Avrei
dovuto ringraziarla, ma non l’ho fatto. Ho preferito ignorare
di essere in
debito con lei.
Per
questo motivo capisco perché, durante il brindisi, mi ha
guardato in quel modo.
È
stato come se, improvvisamente, si fosse trovata di fronte un estraneo.
Non
mi è piaciuto. Dopo aver continuato a rimuginare sulle
parole di Josh,
rinnegandole, trovarmi davanti l’artefice di quel cambiamento
mi ha
scombussolato.
Non
è stata contente di vedermi. Il suo viso si è
rabbuiato quando mi ha
individuato in mezzo alle persone e aveva un espressione impassibile
mentre
toccava appena il bicchiere con lo spumante per il brindisi.
Poi
si è girata e si è allontanata.
Io
sono rimasto fermo dov’ero invece, perché,
nonostante tutto, la compagnia delle
de ragazze, in realtà, non mi dispiaceva affatto.
Almeno
fino a quando non ho visto lei e Meredith discutere.
Non
avevo mai visto Chelsea arrabbiata, ma in quel momento, mentre
gesticolava,
aveva sul viso un’espressione dura.
Improvvisamente
la compagnia delle due ragazze non mi è sembrata
più così divertente. Sapere
cosa si stavano dicendo le due amiche è diventata la mia
priorità.
Quindi
ecco perché sono quasi nascosto dietro l’angolo
che porta all’uscita di
emergenza, vicino ai bagni.
Meredith
e Chelsea stanno ancora discutendo e il tono calmo della seconda mi
stupisce
non poco, nonostante sia palesemente furiosa.
“Io
non sono una bambina Meredith. È vero, sono ingenua e non
capisco determinate
cose, ma non c’era bisogno di comportarsi
così.”
“Anche
se io te lo dico, tu non mi credi. Devi lasciarlo perdere,
perché finirai solo
per farti del male. Credimi. Non voglio vederti soffrire ancora e
sapere che
avrei potuto fare di più, ma che non l’ho
fatto!”
Rimango
in silenzio, in attesa della sua riposta. Sono davvero curioso di
sapere come
risponderà Chelsea alle parole fastidiose
dell’amica.
“Devi
smetterla di pensare che tutto dipenda da te. Faccio da sola le mie
scelte e
come per la storia di mio padre, se e quando ci saranno, ne
affronterò le
conseguenze. Non puoi proteggermi da qualcosa che non è
ancora successo.
Dovresti solo fidarti di me e del mio giudizio.”
Seguono
alcuni secondi di silenzio, rotto solo dalla musica che in lontananza
anima la
sala principale.
“Chels,
non voglio vederti stare male. Volevo solo che vedessi con i tuoi occhi
chi è
Adrian. Non sto dicendo che sia per forza cattivo, ma ti
farà comunque del
male. Anche involontariamente!”
“Meredith!
Ti stai comportando come tuo fratello!”
Mi
tappo la bocca non appena sento salire la risata. Accidenti.
“Come?”
La
voce scioccata di Meredith è molto gratificante, anche se
non ho alcun merito
di ciò, sono piuttosto soddisfatto della piega che sta
prendendo il discorso.
“ti
stai comportando come tuo fratello. Mi hai raccontato della sua
esagerata
preoccupazione nei tuoi confronti e ora tu stai facendo lo stesso con
me. Ti
voglio bene, sei la prima vera amica che io abbia mai avuto e ci tengo
moltissimo, ma non trattarmi come una stupida, per favore. Vorrei che
invece
che darmi addosso, fossi al mio fianco, pronta ad aiutarmi se ce ne
sarà
bisogno, ma così non fai altro che asfissiarmi. Torna di la
e divertiti. Io ti
raggiungo tra qualche minuto.”
Chelsea
mette fine alla conversazione e Meredith passa accanto al mio
nascondiglio
senza notarmi. Non ne sono sicuro, ma credo che la discussione
l’abbia messa a
dura prova.
Probabilmente
Chelsea non si era mia imposta sull’amica prima, ergendo i
confini da non superare.
Guardo
oltre l’angolo e lei è lì, appoggiata
alla parete color crema del corridoio, lo
sguardo perso nel nulla.
Per
qualche motivo, la sua apparente tristezza mi tocca.
So
che non dovrei, che non avrei nemmeno dovuto origliare, che rimanere
con le due
bambole sarebbe stato molto più saggio, ma Chelsea ha smosso
qualcosa quando si
è presa cura di me, quando mi ha fatto arrivare a casa sano
e salvo senza
chiedere nulla in cambio.
Forse
dopotutto esiste ancora un po’ di umanità dentro
di me.
“Lo
sai che ha ragione, non è vero? Se non mi stai lontana ti
farai del male!”
Non
so cos’altro dire, non so come si ringrazi qualcuno.
Lei
non mi guarda nemmeno. Continua a guardare qualcosa sopra lo stipite
della
porta del bagno.
“Vai
via!”
Due
semplici parole, ma pesanti come il piombo.
“E
non si ascoltano le conversazioni degli altri. È da
maleducati!”
Rimango
senza parole di fronte alla sua schiettezza e al tono duro.
“Sei
arrabbiata?”
Mi
avvicino di qualche passo, perché questo comportamento non
è affatto da lei.
“Non
sono arrabbiata!”
Per
qualche ragione sono restio a crederle. La conosco poco, ma non
è il
genere di ragazza
che si tiene dentro le
cose. Meredith in qualche modo deve averla ferita.
“Sì,
lo sei!”
Alla
fine non so nemmeno perché mi importi tanto, ma qualcosa
dentro di me vuole
sentirglielo ammettere, lo pretende.
Finalmente
lei si gira ed incrocia le braccia, come a volersi proteggere. Di
sicuro la
sottile maglietta senza maniche non offre molta protezione.
Mi
cerca con lo sguardo e per qualche ragione non sembra solo arrabbiata,
ma
proprio furiosa.
“Hai
ragione, sono arrabbiata. Anche io sono un essere umano e mi arrabbio
come
chiunque altro, soprattutto quando mi prendono in giro e si
approfittano della
mia gentilezza. Non sono una stupida e odio mi si tratti come tale. Ora
che l’ho
detto, sei contento?”
La
sua rabbia mi investe con forza. So che dovrei sentirmi un verme, ma
per
qualche motivo, il suo sfogo mi fa sentire estremamente soddisfatto.
Non
le rispondo e pian piano il suo viso si ammorbidisce.
“Ma
non è colpa tua. Non è giusto che me la prenda
con te!”
Non
mi piace. Non deve fare così, non lei.
“Fallo,
invece. Non tenerti la rabbia dentro!”
Per
qualche motivo voglio che mi urli contro, che mi mostri il peggio di
se. Cosa
accidenti mi succede?
Lei
mi osserva alcuni istanti, impassibile.
“Non
lo farò. Non sei tu la causa della mia rabbia. Sei un
maleducato ed un ingrato,
ma non sei stato tu a raggirarmi, quindi non lo
farò!”
Scuoto
la testa, perche la sua testardaggine, la sua esagerata correttezza, non mi stanno dando
ciò che voglio. Perché,
per una volta, non può semplicemente accontentarmi?
“Non
sono bravo a ringraziare.”
Le
parole mi escono di bocca senza alcun controllo. Eppure quello che
avrei voluto
dirle è ben altro.
Volevo
dirle di smetterla di essere sempre così giusta,
così impassibile di fronte ai torti
e di smetterla di comportarsi come se dovesse essere a tutti i costi
perfetta.
Incredibilmente,
però, la mia ammissione fa spuntare un sorriso sul suo viso.
“Prego,
Adrian.”
Rimango
senza parole. Che accidenti sta dicendo?
“Io
non ti ho ringraziata!”
Lei
orride maggiormente e finalmente si stacca completamente dalla parete e
mi
viene incontro, fermandosi a pochi passi.
“Scusate!”
Una
ragazza che non sconosce mi supera rapidamente e si fionda dentro uno
dei
bagni.
Il
corridoio è rimasto vuoto fin troppo a lungo, tutti
impegnati a mangiare la
torta portata da Kayla.
Riporto
l’attenzione su Chelsea, ora fin troppo vicino.
“A
modo tuo, lo hai fatto. Alle volte non serve dirlo con le parole. Sei
qui, a
parlare con me, invece che con le ragazze che ho visto prima. Questo mi
basta
ed è come un ringraziamento!”
Rimango
completamente spiazzato dalla sua spiegazione. Per me è
incomprensibile, ma per
lei sembra estremamente razionale.
“Non
ti capisco.”
Lei
inclina la testa e mi sorride di nuovo. Sembra che sia tutto passato e
la diffidenza
di prima sembra completamente scomparsa.
“Sai,
ammetto che ero un po’ arrabbiata con te. Non è
che mi aspettassi chissà cosa,
ma un grazie lo avrei davvero gradito. Avevo pensato di non regalarti
nulla per
il compleanno, un po’ per dispetto, ma mi sono detta che
sarebbe stato
assolutamente infantile da parte mia.”
Rimango
senza parole, perché tutto mi sarei aspettato, tranne una
cosa del genere.
“Non
mi devi regalare nulla!”
Non
voglio un regalo. Non mi piacciono. Ogni volta che qualcuno mi da
qualcosa
senza chiedere nulla in cambio, ho la sensazione di essere in debito
con quella
persona ed è una sensazione che odio. Non voglio sentirmi
ancora più in debito
di così, ma la curiosità prende il sopravvento
sulla diffidenza.
“Come
facevi a sapere che oggi è il mio compleanno?”
Lei
distoglie lo sguardo, in imbarazzo, credo.
“Me
lo ha detto qualcuno a inizio settimana. Però è
inutile che me lo chiedi. Non
te lo dirò. Non è niente di che, solo un
pensierino.”
Non
so davvero che cosa dire. L’idea di un regalo mi agita e mi
fa sentire sotto
pressione, come se fossi sotto un esame.
“Davvero,
non serve che tu mi dia nulla.”
Lei
si rigira a guardarmi proprio mentre la ragazza di prima esce dal bagno
emi
scruta con attenzione. Eppure, nonostante sia palese si tratti di una
bella
ragazza, sono più interessato a questo fantomatico regalo
che ad altro.
“Vieni.
L’ho lasciato di la!”
Mi
precede lungo il corridoio, di nuovo fino in sala, ma invece che
raggiungere
gli altri, gira verso una doppia porta basculante in legno, quella che
conduce
alla cucina.
La
barista, Lesley, è intenta a servire qualcuno al bancone e
ci da le spalle e
nessuno degli invitati sembra prestarci attenzione.
Il
corridoio in cui ci troviamo è
più
piccolo e scuro e si vede che è solo per l’uso del
personale.
Entra
in una porta sulla destra senza dire nulla e non mi resta altro che
seguirla.
La
luce era già accesa e illumina delle panche di legno
appoggiate contro una
parete e degli armadietti, dove al momento si trova Chelsea, che sta
frugando
dentro uno di essi.
Probabilmente
ha trovato quello che stava cercando, perché torna
rapidamente da me e mi tende
un pacchetto rettangolare e piatto avvolto in carta da regalo rossa.
“Non
è nulla di che, ma quando sono stata a casa tua ho visto che
non c’era
praticamente nulla di personale e ho pensato che, forse, avresti
gradito avere
qualcosa da tenere sulla cassettiera.”
Non
mi guarda e sembra alquanto intimidita. Probabilmente io ho un
espressione
molto simile, perché mi esorta ad aprirlo.
Titubante
e con le mani troppo grandi per qualcosa di così delicato,
strappo la carta da
regalo e mi ritrovo a fissare una fotografia in una delicata, ma
semplice,
cornice argentata.
Ci
siamo io, Ryan, Dave e Josh. È stata scattata qui al locale,
perché riconosco
chiaramente i pannelli alle nostre spalle. Non è passato
molto tempo da quando
abbiamo fatto questo scatto con il cellulare di Ryan. È
stato il giorno in cui
gli hanno dato l’abilitazione a Pediatra ed è
stata Bianca a scattarla di
nascosto.
Siamo
in fila,le camice bianche aperte sul colletto e le maniche rivoltate.
Siamo
seduti ad un tavolino, le birre in mano come se fossimo sul punto di
brindare
Ryan
è leggermente piegato in avanti per colpa del braccio che
Josh gli ha messo
sulle spalle, mentre io e Dave ridiamo con la birra sollevata.
Fino
a pochi secondi fa non sapevo esistesse e non avrei mai creduto che mi
sarei
emozionato così tanto nel ricevere qualcosa di
così semplice, ma unico.
È
un regalo pensato apposta per me, non qualcosa donato tanto per fare.
È un
pensiero unico.
Mi
sento strano. Continuo a spostare lo sguardo dalla foto a lei.
L’immobilità
del mio corpo è insopportabile. Devo fare qualcosa
perché è come se fossi sul
punto di esplodere. La confusione è troppa,
l’emozione anche e non so come
esprimere quello che sento.
Mi
piace. Questo piccolo regalo mi piace moltissimo. È qualcosa
di inestimabile
perché rappresenta le persone a cui tengo veramente.
È
l’essenza del nostro rapporto.
“Josh
mi ha detto che al momento il tuo coinquilino non
c’è e che stai vivendo da
solo. Forse così non ti sentirai solo. Spero ti
piaccia!”
Il
suo sguardo violetto è così sincero, colmo di
speranza, come se il suo regalo
potesse non piacermi. La sua voce è titubante, incerta, ma
non so come dirle
che è la cosa più sincera che qualcuno abbia
fatto per me senza risultare
patetico.
Forse
lo spumante mi sta dando alla testa, perché in due passi la
raggiungo e la mia
mano sale ad accarezzarle il viso.
La
sua espressione sorpresa probabilmente è lo specchio della
mia, perché non so
cosa accidenti sto facendo.
Per
fortuna non si allontana. Si limita a guardarmi con
perplessità, come se non
sapesse cosa sto per fare, perché è
più forte di me.
È
più forte di qualsiasi altra cosa il desiderio di
trasmetterle la mia
gratitudine e non conosco nessun’altro modo per farlo.
La
distanza viene colmata in fretta e quando le mie labbra sfiorano le
sue, la
sento tremare, mentre nelle sue iridi violette posso leggere lo
sconcerto, ma
per fortuna, non la paura.
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Capitolo 18 *** 18 Chelsea ***
18
Chelsea.
Sono
immobilizzata e dovrei essere terrorizzata.
La
presa con cui mi tiene attaccata al suo corpo è ferrea,
impossibile da
sciogliere, così come la sua mano, che mi tiene fermo il
viso perché non possa
allontanarmi.
È
una situazione paradossale, che non mi sarei mai aspettata e che so
dovrebbe
farmi paura, ma la verità è che lui conosce solo
questo modo e la pressione delicata
della sua bocca sulla mia ne è la dimostrazione.
Mi
sta fissando negli occhi, indeciso e sorpreso da se stesso.
È come se mi stesse
chiedendo il permesso e
questo va contro
ogni cosa mi sia stata detta su di lui.
“Adrian
prende quello che vuole senza
pensare al male che fa!”
“Non
gli importa di niente e di
nessuno se non dei suoi desideri egoistici!”
Le
parole di Meredith mi echeggiano dentro, ma non rappresentano affatto
la
persona che mi tiene stretta come se dovessi scappare da un momento
all’altro.
Questa
non è una cattiveria, non è un approfittarsi
della situazione, del fatto che
siamo soli nello spogliatoio. No, non è nulla di tutto
ciò.
È
l’unico modo che lui conosce per comunicare qualcosa di
diverso dal disprezzo
che non ha problemi a riversare sugli altri.
Forse,
se non avessi visto la gioia trattenuta sul suo viso, quando ha visto
la
fotografia, avrei pensato a qualcosa di brutto. Invece, per un attimo,
ho visto
la barriera cadere.
Adrian
non sa gestire certe emozioni. La gratitudine è una di
queste.
Lo
ha fatto anche il giorno che mi ha portata via da casa di mia madre.
In
qualche modo, voleva consolarmi, farmi smettere di piangere, darmi
altro a cui
pensare e ha usato l’unico modo che conosce.
Lui
non usa le parole per le cose gentili, quelle le riserva per altro. Lui
dimostra chi è davvero con i gesti.
Sembra
arrogante, sprezzante di tutto e tutti, ma per i suoi amici farebbe di
tutto,
come Josh mi ha raccontato. Se c’è un problema, si
fa in quattro per cercare di
risolverlo.
Lui
è il tipico esempio del detto: le
azioni valgono più di mille parole.
Per
questo motivo, perché sento che tutto quello che vuole fare
è trasmettermi la
sua gratitudine, quello che sente, perché non sa dirlo a
parole, accetto il suo
gesto.
Trovo
il modo di muovermi e, in qualche modo, piegando i gomiti, riesco a
spostare le
mani verso l’alto e ad aggrapparmi alle sue braccia. Dopo di
che, chiudo gli
occhi ed escludo tutto il resto.
Il
calore e la pressione del suo corpo contro il mio sono in grado di
farmi
dimenticare che sto baciando qualcuno, che sto facendo qualcosa che mi
sono
solo limitata a fantasticare.
Non
so cosa significhi, non so come si faccia, ma lui sì, lui lo
sa e me lo mostra
stringendomi più forte e facendomi mancare il respiro per
l’intensità che mi
sta trasmettendo.
Sto
tremando.
Non
so esattamente cosa sto facendo, mi sto limitando a copiare quello che
fa lui,
ma sembra andare bene. Sono imbranata e non so che cosa dovrei davvero
fare, ma
ho l’impressione che ci sia ancora troppa di stanza.
Non
è così che dovrebbe essere. Devo avvicinarmi.
Mi
sollevo sulla punta dei piedi e il contatto cambia immediatamente, come
se con
questo piccolissimo gli avessi dato la risposta che voleva.
Conosco
la teoria, per cui non mi sorprendo eccessivamente quando la sua lingua
inizia
a toccarmi le labbra. È una sensazione così
strana, ma allo stesso tempo
piacevole.
Lo
imito e, quando la mia tocca la sua, diventa tutto molto più
intenso.
Mi
manca il respiro e ho come l’impressione che Adrian stia
cercando di portarmi
via anche quel poco ossigeno che ho
nei
polmoni.
Riesco
solo a pensare al modo in cui mi sta esplorando la bocca, vorace.
È
un duello che unisce i miei due mondi. La sensazione, così
strana, ma allo
stesso familiare, tanto da ricordarmi i lecca lecca che mangiavo da
bambina, va
in netto contrasto il sapore dello spumante che ha bevuto pochi minuti
fa.
Non
so per quanto andiamo avanti, è un tempo infinito, ma non
m’importa. In questo
momento, mi sento diversa.
Ho
il cuore che batte così forte da sembrare sul punto di
scoppiare, non è mai
andato così veloce. Sono avvolta in una specie di bolla di
calore e sono
acutamente consapevole delle mie mani sulle sue braccia, del modo in
cui mi
avvolge le spalle per tenermi stretta e della mano che sembra mi stia
ustionando il viso.
Sento
tutto, ogni singola cosa, eppure, anche con i sensi in sovraccarico,
l’unica
cosa che davvero mi interessa è il modo in cui ci stiamo
baciando, che mi
scalda il petto.
Improvvisarne
cambia posizione e, senza sapere come, mi ritrovo con le braccia
attorno al suo
collo. Le sue mani mi cingono la vita.
Poi,
prima di capire che cosa sta succedendo e perché la
sensazione del suo corpo
interamente contro il mio mi faccia venire la pelle d’oca,
siamo nuovamente
distanti.
È
arretrato così rapidamente da lasciarmi intontita e senza
equilibrio. Mi
ritrovo a fissarlo, il respiro di entrambi affannoso, ma io non penso
di avere
dipinto in viso l’orrore.
Ha
le braccia lungo i fianchi, le mani chiuse a pungo e un espressione di
pentimento dipinta in volto.
“Non
avrei dovuto!”
Si
gira, afferra il mio regalo e praticamente scappa dalla stanza, senza
lasciarmi
nemmeno il tempo di ribattere.
“Io
ho capito!”
La
mia voce risuona triste nel vuoto che mi circonda.
Mi
stringo le braccia al corpo, nel disperato tentativo di catturare il
calore che
rapidamente mi sta abbandonando.
Rimango
impalata a fissare la porta fino a quando la certezza che non iniziano
a farmi
male le gambe.
Come
in trance vado a sedermi sulla panca e, dopo aver poggiato i gomiti
sulle
ginocchia, mi prendo il viso tra le mani. La zona intorno alle labbra
brucia
leggermente, probabilmente a causa dello sfregamento della sua barba
corta
contro la pelle delicata del mio viso.
Quasi
non riesco a credere a quello che è successo, ma il
fastidioso pizzicore attorno
alla bocca è piuttosto eloquente. Non è stato un
sogno o una fantasia.
Un
semplice ringraziamento si è trasformato in qualcosa di
molto più intenso e
davvero con capisco perché sia scappato in quel modo.
Pensavo
avesse almeno intuito che avevo capito perché lo stava
facendo. Invece, di punto
in bianco, è cambiato tutto e non so perché.
Sembrava
come se il suo peggior incubo si fosse appena realizzato, ma io non mi
sento la
vittima di qualcosa di sbagliato.
Baciare
realmente qualcuno è molto diverso dalla fantasia. Non
coinvolge solo la bocca,
le labbra o la lingua, coinvolge molte altre cose. Ti fa sentire vicino
all’altra
persona ed è in grado di farti smettere di pensare.
Nonostante
quello che ha detto, quello che può pensare, io non mi pento
di nulla. È stato
davvero incredibile. Non mi sono mai sentita così in vita
mia.
Quello
di oggi, non ha nulla a che vedere con il bacio che mi ha dato nella
sua
macchina.
In
quel momento non ero solo sorpresa, ma anche estremamente spaventata.
Lui è
riuscito a farmi calmare e mi sono chiesta spesso come sarebbe stato
se, invece
che irrigidirmi, mi fossi lasciata andare.
Sarebbe
stato come oggi, intenso e semplice.
Non
riesco a smettere di pensare al calore che sentivo dentro,
all’adrenalina che
mi ha trasmesso. È stato davvero bello e inizio a capire
come mai alla gente
piaccia tanto baciarsi.
Non
è complicato, non richiede particolari attenzioni.
È una questione di istinto
ed è stata la prima volta in tutta la mia vita che mi sono
abbandonata alle
emozioni, alle sensazioni.
Non
mi sono mai permessa prima di sentire, spaventata
dall’ignoto, dalle
conseguenze, ma in questo caso non ci sono conseguenze.
Sebbene
nella sua intensità, il bacio di Adrian è stato
gentile. Non mi sono sentita
forzata o sopraffatta. Nonostante quello che uno potrebbe pensare, non
lo ha
fatto per egoismo.
“Chelsea,
tutto bene?”
Sollevo
la testa e mi trovo di fronte Meredith. Ha un espressione preoccupata
in viso.
Strano
che non l’abbia sentita entrare. Ero completamente assorta
nei miei pensieri.
“Sì,
certo. Perché me lo chiedi?”
“Hai
una strana espressione. Sei sparita per mezzora e Adrian se
n’è appena andato
come se avesse visto avverarsi il suo
peggior incubo! È successo qualcosa?”
Non
sembra arrabbiata o ferita, nonostante le parole che le ho detto prima
siano
state piuttosto pesanti e mi chiedo quanto dovrei dirle.
Lei
non capirebbe.
“Cosa
vuoi che sia successo, scusa?”
Si
siede sulla panca appoggiata contro l’altra parete per
essermi di fronte e mi
rendo conto che, inconsciamente, mi sono praticamente rintanata in un
angolo.
“Non
lo so, Chels, ma sta succedendo qualcosa. Non sei più quella
di prima. Non
fraintendere: mi piace la ragazza che sta diventando, ma non ti capisco
più. Io
non ho più segreti con te, ma ho come
l’impressione che tu, invece, mi stia
nascondendo qualcosa.”
La
guardo in silenzio e forse il mio silenzio è una ovvia
risposta, perché lei
sospira, l’espressione rabbuiata.
“Mi
dispiace. È ovvio che pensi di non poterti fidare di me per
qualche motivo. È tutta
colpa mia, ovviamente. Non fai altro che ripetermi che mi devo fidare
di te,
che non sei una bambina, ma ti ho sempre ignorata e oggi ho fatto
davvero una
brutta cosa. Non succederà mai più. Volevo solo
evitarti altre sofferenze,
altri dolori, ma come mi hai giustamente detto, mi sto comportando come
ha
fatto Ryan con me. Non mi potevo fidare di lui perché temevo
mi giudicasse, che
arrivasse alle sue conclusioni senza nemmeno ascoltarmi, ed
è evidente che con
te ho commesso lo stesso errore. Scusami Chels, davvero!”
Meredith
è sincera. So che lo è. Non mi direbbe una cosa
del genere se non la sentisse. È
troppo orgogliosa per ammettere si essere in torto se non ne
è realmente
convinta.
“Anche
per me sei un po’ come una sorella. Tengo davvero conto della
tua opinione,
perché su tante cose ne sai più di me, ma vedo
anche che hai dei pregiudizi e
che cercare di farti vedere oltre è davvero
difficile.”
Lei
scuote la testa, ma non per negare.
“È
più forte di me. Ryan mi ha sempre raccontato dei suoi
amici. Non è mai entrato
nei dettagli, perché pensava fossi una bambina, ma
già allora avevo capito che
era uno da cui sarei dovuta stare alla larga. Poi ho parlato con Logan,
gli ho
confidato la mia preoccupazione, e lui non ha fatto altro che
confermare i miei
timori. Non mi basta la tua parola per fidarmi di lui, ma se mi dicessi
perché
sei così convinta che mi
sbaglio, che
tutti noi ci sbagliamo, allora non dirò più
nulla. Nemmeno una parola. Te lo
prometto!”
Il
suo ragionamento ha senso. Le ho detto di fidarsi di me e il punto non
è che
non crede che io possa avere ragione, ma che dell’Adrian che
lei conosce c’è
sempre e solo da diffidare.
“È
per il giorno che è venuto a prendermi a casa di mio
padre.”
Lei
rimane in silenzio, ma vedo che una ruga le increspa la fronte.
“Lui
non ha quasi mai parlato, non ha detto nulla, ne per dirmi che era
colpa mia,
ne per dirmi il contrario. Si è limitato a stare
lì e lasciare che mi mettessi
in piedi da sola. Con la sua sola presenza mi ha permesso di trovare la
forza
necessaria per recuperare le mie cose ed andarmene con
dignità. Poi
sono scoppiata. Avrebbe potuto lasciare
che soffocassi nelle mie stesse lacrime, ma invece, sempre senza una
parola, è
riuscito ad aiutarmi.”
Faccio
una pausa, indecisa se dirle cosa ha fatto per aiutarmi, ma alla fine
decido di
non dirle nulla. Quello deve restare un nostro segreto.
“Non
so perché e non so come, ma lui è solo,
esattamente come lo ero io prima di
conoscerti. Non è il tipo di persona che si apre ed esprime
quello che sente,
che lascia che gli altri si avvicinino e vedano i suoi punti deboli.
Lui non
dice le cose, le fa. La sua gentilezza non sta nelle parole, ma nei
gesti.”
Meredith
è senza parole e ha gli occhi sgranati, come se non credesse
alle sue orecchie.
“E
tutto questo lo hai capito quel giorno?”
Mi
scappa una risatina e mi metto a sedere dritta perché inizia
a farmi male la
schiena.
“Certo
che no, ma mi chiedevo perché fosse stato così
gentile, perché quel giorno,
invece che svegliarmi perché uscissi dalla sua macchina, mi
abbia portata in
braccio fino in camera mia. Ci sono stati altri casi, Meredith. Io
semplicemente li ho visti perché sapevo che
c’erano.”
Solleva
le mani in segno di resa.
“D’accordo.
Mi basta. Voglio credere che hai ragione, ma se dovesse succedere
qualcosa,
qualsiasi cosa, me la dirai?”
Sento
che la stessa ruga sulla sua fronte si sta formando sulla mia.
“Che
cosa intendi?”
Si
passa le dita tra i capelli rossi, a disagio e indecisa su come
spiegarsi.
“Ecco,
non so, tipo se dovesse cercare un qualche tipo di contatto diverso
dall’amicizia!”
Capisco
immediatamente dove vuole andare a parare.
“Ti
riferisci a qualcosa come un bacio, non è vero?”
La
vedo sgranare gli occhi, a disagio per la mia perspicacia e per essere
stata
beccata immediatamente.
“Ehm,
sì. Mi riferisco a qualcosa del genere. Sai
com’è. Questo genere di cose non
sono esattamente il tuo forte.”
Ha
ragione, ma non tutto è bianco o nero.
“Che
valore dai tu esattamente ad un bacio, Meredith? È vero,
sono inesperta in
queste cose, ma so che esistono diversi tipi di baci. Ci sono quelli
dati per
amore, per lussuria, per affetto o semplicemente per condividere
qualcosa, un
sentimento o un emozione. Ci sono baci che vengono dati addirittura
come
ringraziamento. Quindi, esattamente, a quale tipo di bacio ti
riferisci?”
La
mia risposta la spiazza, lasciandola completamente senza parole per
diversi secondi.
Sembra che l’abbia presa in contropiede.
Rimane
immobile a fissare una mattonella per diversi secondi prima di tirare
su la
testa e osservarmi con attenzione. Percepisco l’istante
esatto in cui mette
insieme i vari indizi perché sgrana gli occhi e si sporge
verso di me. Non ha
un espressione ostile, ma semplicemente preoccupata. Quando parla, la
sua voce
è quasi ridotta ad un sussurro.
“È
già successo, non è vero?”
PICCOLO
ANGOLO AUTORE.
Approfitto
di questo aggiornamento per fare un annuncio che probabilmente vi
farà molto felici. Sicuramente vi stavate chiedendo quando
scopriremo qualcosa di più su Dave, ma ciò non
accadrà nella BF Series, bensì in una nuova serie
di libri dedicata interamente ai fratelli Sanders. Partirò a
breve con il primo, intitolato: L'eco di una Promessa, dove
incontreremo una vecchia conoscenza: Alexandra Klos, che abbiamo
conosciuto nel secondo libro. Cercherò in tutti i modi di
portare avanti la pubblicazione in contemporanea con questo libro, ma
di sicuro Chelsea e Adrian avranno la precedenza, quindi gli
aggiornamente del primo volume della Sanders Brothers Series non
saranno tanto costanti quanto quelle di questo libro.
Non
so esattamente in quale libro incontreremo Dave, ma volevo rassicurarvi
che non mi sono dimenticata di lui e che avrete a che fare con i miei
romanzi ancora per molto tempo. Detto ciò, vi saluto e vi do
appuntamento al prossimo aggiornamento, quindi Venerdì,
massimo Sabato.( spero di riuscire venerdì ovviamente). Se
vi va, lasciatemi qualche commento e qualche impressione, dato che
aspettavate con tanta ansia questo capitolo. Alla prossima.
|
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Capitolo 19 *** 19 Adrian ***
19
Adrian
Sono
peggio di quello che pensavo.
Cristo,
non volevo arrivare a tanto, ma la ragione è volata via in
un attimo,
sostituita dalla parte animale che così difficilmente
controllo.
Pensavo,
credevo, di essere in grado di gestire una cosa così
piccola, soprattutto
perché la parte peggiore di me si era acquietata in sua
presenza, ma è stato un
errore credere che non fosse lì, che non avrebbe preso il
controllo alla prima
occasione.
Eppure,
la cosa più sconvolgente di tutte, non è che io
mi sia comportato quasi come un
animale, ma che lei mi abbia lasciato fare, rispondendo ad ogni mio
gesto in
modo quasi speculare.
Pensavo
che dopo il primo contatto si sarebbe irrigidita e si sarebbe ritratta,
che non
mi avrebbe dato la possibilità di andare oltre. Invece ha
chiuso gli occhi e si
è aggrappata a me come se da quel contatto dipendesse
qualcosa di molto
importante.
Per
diversi secondi non ho capito più nulla.
Preso
completamente in contropiede ho continuato a fare quello che stavo
facendo e di
certo non mi aspettavo che iniziasse a partecipare.
Ogni
suo movimento era carico di insicurezza, che è svanita
più rapidamente di
quanto potessi immaginare.
Mi
ha fatto andare completamente fuori di testa, tanto che la mia bestia
interiore
ha preso il sopravvento e si è abbeverata dalla bocca di
Chelsea, prendendo
tutto quello che poteva dare.
Baciarla
non mi bastava e sono stato sul punto di cercare molto di
più.
È
stato a quel punto che mi sono reso conto di cosa stava effettivamente
succedendo e sono letteralmente scappato.
Non
potevo farlo. Non so cosa sarebbe successo, ma sarebbe stato ugualmente
un
disastro.
Non
può venir fuori niente di buono se le sto vicino.
È troppo influenzabile,
troppo genuina per capire che non sarebbe una scelta saggia starmi
attorno.
Speravo
di riuscire a svignarmela senza far capire che c’era qualcosa
che non andava,
ma Josh ormai presta fin troppa attenzione alle mie reazioni e dopo
aver
riaccompagnato a casa Kayla, mi ha raggiunto.
È
passata circa un ora da quando sono tornato nella solitudine del mio
appartamento e l’unica compagnia adatta al mio stato
d’animo è la bottiglia di
Crown Royal alla Vaniglia che mi sono regalato circa una settimana fa.
“Piantala
di andare avanti e indietro come un animale in gabbia. Si
può sapere che cosa è
successo?”
Josh
è comodamente seduto sul mio divano a tre posti e mi guarda
come se fossi
impazzito.
Ma
davvero pensa che gli racconterò che cosa mi turba? Mi
ammazzerebbe, ne sono
sicuro e non ho nessuna voglia di lasciare questo mondo.
Senza
contare che, anche se volessi, non saprei proprio da dove iniziare.
Eppure,
anche così, è whisky a parlare.
“Ho
fatto qualcosa che non dovevo.”
Mi
vergogno della mia debolezza, di non riuscire a essere il freddo
bastardo che
sono sempre stato. Odio queste sensazioni incontrollabili, odio non
avere il
controllo di me stesso, delle situazioni, e odio Chelsea per essere
riuscita a
resuscitare una parte di me che avevo seppellito sotto strati e strati
di
indifferenza e arroganza.
Arrivato
a questo punto della mia vita, non pensavo esistesse più.
Eppure,
nonostante fossi convinto si essere ormai un arido figlio di puttana,
è bastato
così poco per far tornare a galla quella parte di me che
desidera ardentemente
credere in qualcosa, avere fiducia.
Ho
deciso molto tempo fa che alle persone non si può credere,
che se anche tu
farai di tutto per aiutarle, nel momento del bisogno loro non ci
saranno. Ecco
perché ho smesso di credere nel prossimo, perché
ero stufo delle delusioni, di
vedere come ogni cosa che facevo era inutile. A quel punto è
stato molto più
semplice smettere di comportarsi come “si conviene”
e fare solo quello che
desideravo.
Che
io fossi stato un buon figlio o un buon nipote, il risultato non
sarebbe
cambiato; mai. L’occhiata di freddo disprezzo e
disapprovazione avrebbe
comunque accompagnato ogni mia azione.
Sono
poche le persone per cui ancora farei qualcosa e una di esse
è qui, seduta nel
mio salotto, che mi guarda con disapprovazione mista a
curiosità.
Mi
chiedo quanto realmente io mi possa fidare di lui, di tutti loro.
Quanto realmente
valgano le parole della scorsa settimana.
Non
voglio sentire ancora quella delusione, il sentimento di tradimento, ma
Chelsea
è riuscita a risvegliare quel desiderio di non deludere le
persone che mi
vogliono bene e questo è frustrante, mi fa letteralmente
incazzare, ma non ho
nessuno con cui sfogarmi, perché è tutta colpa
mia. Ho abbassato la guardia, le
ho permesso di vedere qualcosa che nessuno avrebbe dovuto vedere, e ho
il serio
sospetto che, nella sua ingenuità, con la sua eccessiva
fiducia, sappia essere
un pitbull. Ho paura che non mollerà il proverbiale osso,
che insisterà fino a
quando uno dei due non sarà completamente distrutto.
La
cosa peggiore, è che non sono sicuro al cento per cento che
sarà lei quella a
farsi più male.
“Che
è successo?”
Rivolgo
un’occhiata di fuoco al mio amico e mi fermo di fronte al
tavolino basso contro
cui ho già sbattuto un paio di volte.
“È
tutta colpa tua!”
Lo
osservo sgranare gli occhi e alzarsi in piedi come per fronteggiarmi.
“Mia?
Che ho fatto scusa?”
“Come
accidenti ti è venuto in mente di dire a Chelsea che ieri
era il mio
compleanno?”
So
che non dovrei prendermela contro di lui, ma non riesco a non pensare
che se
non avesse detto nulla niente di tutto ciò sarebbe successo.
Se
lui avesse tenuto quella cazzo di bocca chiusa, probabilmente sarei in
compagnia di una bella ragazza, magari due, a fare qualcosa di molto
più
divertente che cercare di affogare il mio stesso fegato.
Non
mi sentirei così strano e non avrei nulla da nascondere o
recriminarmi.
“Non
l’ho fatto apposta. È stato un caso. Ero passato
al Bue Moon per chiedere a
Owen se potevamo prenotare un paio di tavoli questo sabato e lei era
lì. Non le
ho detto che forse avremmo festeggiato lì perché
non era ancora stato deciso
nulla, ma non capisco quale sia il problema.”
Finisco
di scolare il bicchiere che ho in mano e il liquido dolciastro mi
brucia la
gola.
Come
fa a non capire qual è il problema?
Dovrebbe
arrivarci da solo.
“Mi
ha fatto un cazzo di regalo!”
Lo
osservo inarcare un sopraccigli e scuotere la testa.
“E
quindi? Non ho mai capito questa tua avversione per i regali. Il
problema è che
hai dovuto rifiutarlo? Ti preoccupi di averla ferita?”
Sembra
sorpreso, ma anche piuttosto divertito.
Rimango
in silenzio, perché ho come l’impressione che se
aggiungessi qualcos’altro si
farebbe un’idea sbagliata e riderebbe di me.
“Davvero,
Adrian. Non capisco quale sia il problema. Chelsea è una
brava ragazza. Sono
sicura che non l’avrà presa a male. Non
è il tipo che si offende per qualcosa
del genere!”
“Non
è questo il punto!”
Non
lo sopporto. Non mi piace che mi difenda senza nemmeno sapere che cosa
ho
combinato. Non lo merito, non va bene.
Sono
consapevole dei miei sbagli, di tutti i miei errori e non ho paura di
pagare
per essi, quindi essere giustificato è inutile. La
realtà dei fatti non cambia.
Mi fa solo sentire più frustrato e in colpa.
Dannata
ragazzina. Prima di conoscerla non c’era niente in grado di
farmi sentire in
colpa. Ogni cosa che facevo era ricca di consapevolezza. Ogni azione
aveva una
reazione di cui ero ben cosciente.
Con
Chelsea è tutto più complicato. Lei non si adatta
ai miei schemi, al mondo che
conosco. Non voglio permetterle di condizionare la mia vita, le mia
abitudini,
e quindi non posso evitarla, ma ogni volta che ci troviamo da soli
succede
qualcosa di incontrollabile che puntualmente mi fa sentire una merda.
Un
vero e proprio mostro.
Mi
lascio cadere sulla poltrona e riempio nuovamente metà
bicchiere con il liquido
ambrato che sembra rendere questa situazione meno strana e frustrante.
“Allora
qual è? Dimmelo, perché ti stai comportando in
modo assurdo. Prima mi attacchi,
sfogando su di me il tuo malumore, poi di punto in bianco ti chiudi a
riccio e
non mi permetti di aiutarti. Non voglio stare qui se non mi vuoi, ma
davvero
Adrian, sono tuo amico. Ti devo più di un favore e credo sia
il caso di
iniziare a renderti almeno l’ultimo.”
Non
ho mai chiesto nulla del genere. Quando ha avuto bisogno di supporto,
ci sono
stato perché era una cosa che volevo fare, ma non mi sono
mai aspettato nulla
in cambio. Aspettarsi che la stessa accortezza riservata ad una persona
poi ti
venga resa è da ingenui.
“Non
sei obbligato a rimanere!”
Che
vada via, che mi lasci solo. Non voglio cedere a questa impellente
necessità di
buttare fuori tutto quello che mi sta logorando, tutto questo peso che
sento
dentro.
“Hai,
ragione, non lo sono, ma voglio!”
Dannazione.
Josh
è davvero un buon amico. L’ho proprio
sottovalutato.
“L’ho
baciata e non avrei dovuto.”
L’ultimo
test, quello definitivo, lui lo supera a piene mani. Si siede di fronte
a me, l’espressione
quasi impassibile di chi sta riflettendo su qualcosa di importante.
La
rabbia, l’accusa e il disprezzo sono le uniche emozioni che
mi aspettavo, ma
non arrivano. Continuano ad essere solo nella mia testa mentre Josh sta
pensando a tutt’altro, è evidente.
“E
lei come l’ha presa?”
La
sua domanda è come una bomba, perché mi spinge a
ripensarci, a rivivere quei
lunghissimi istanti dove è sembrato che ogni altra cosa non
esistesse.
“In
che senso?”
Non
posso soffermarmi ad analizzare le sue reazioni, perché
questo mi spingerebbe a
volerne ancora e non dovrà accadere mai più.
“Beh,
era spaventata, arrabbiata, delusa, non so. Devi dirmelo tu!”
Ho
come l’impressione che parli per esperienza personale e mi
sento molto a disagio.
Non sono abituato a sviscerare in questa maniera le situazioni.
Mi
limito a scuotere la testa e lui annuisce.
“Allora,
se non l’ha presa male, mi dici qual è realmente
il problema?”
“Non
sapeva quello che stava facendo. Ho approfittato, semplicemente, della
sua
disponibilità per fare, come al solito, i miei comodi. Non
importa come abbia
reagito. Non sarebbe mai dovuto succedere!”
Tracanno
il contenuto del bicchiere e per poco non mi va di traverso.
Che
odio, che fastidio, che nervoso.
Non
sopporto di sentirmi così, limitato, chiuso letteralmente in
gabbia senza poter
fare quello che voglio. Eppure è la cosa giusta da fare,
sebbene ciò non dia
sollievo alla mia frustrazione.
Sono
abituato a prendere quello che bramo e non a mettere qualcun altro al
di sopra
di ciò che desidero. È un comportamento
distruttivo il mio, ma non posso, non
riesco a fare diversamente.
Non
sarebbe giusto e non voglio che la sua luce si spenga, che la speranza
che ha
negli occhi ogni volta che la vedo vada in frantumi.
Non
è giusto.
Il
mondo in cui viviamo la metterà abbastanza alla prova senza
che io porti le mie
ombre e la mia oscurità nella sua vita.
Non
voglio essere come il cattivo delle storie per bambini, il Capitan
Uncino della
sua isola felice.
“Senti
Adrian, prima o poi dovrai affrontare quello che è successo
e se c’è una cosa
che ho imparato sulla mia pelle, è che le donne hanno un
modo tutto loro di
pensare. Non importa quanto tu crederai una cosa, loro avranno sempre e
comunque un’idea diversa dalla tua. Il fatto che tu te ne sia
andato senza dire
nulla di sicuro non aiuta!”
Rimango
senza parole e decisamente molto sorpreso.
“Come
sai cosa è successo?”
Lui
scoppia a ridere e non so come interpretare questo suo gesto.
“Per
diverse ragioni. Primo, hai lasciato il locale come se ad inseguirti ci
fosse
il diavolo in persona. Secondo, ci sono passato. Terzo, sei un idiota,
quindi
era ovvio!”
Mi
viene da ridere, ma non perché sia divertente, ma
perché è dannatamente vero.
“Era
così evidente?”
Lui
scuote la testa e mi ruba il bicchiere appena riempito e ne beve un bel
sorso.
“No,
non lo era. Come ho detto, ci sono passato, anche se la mia situazione
con
Kayla era diversa. L’unico consiglio che mi viene da darti
è di parlare con
lei. non sai a cosa starà pensando!”
Scuoto
la testa, perché è l’idea
più stupida che io abbia mai sentito. L’unica cosa
che dovrei fare è chiederle scusa, ma non
c’è mai stata una volta,
da che mi ricordi, dove io abbia chiesto
scusa a qualcuno.
“Impossibile!”
“Perché?”
“Perché
lei ci vedrebbe qualcosa di buono anche se non c’è
assolutamente nulla. Mi sono
approfittato di lei, punto. L’unica cosa che dovrei fare
è scusarmi per il mio comportamento
da bastardo.”
Lui
scuote nuovamente la testa, l’espressione tipica che ha chi
sa qualcosa che tu
non sai.
“Se
c’è una cosa che ho capito di quella ragazza,
è che è estremamente ingenua, ma
non è stupida o influenzabile. Ha le sue idee, per quanto
strane e quello che è
successo dubito fortemente che cambierà l’idea che
ha di te. La vera domanda qui
è: perché ti interessa così tanto
proteggerla?”
Detto
ciò, mi tende il bicchiere praticamente ancora a
metà e finisco di riempirmi lo
stomaco di alcool.
Meglio
non pensarci, perché non ho una risposta pronta che abbia
realmente un senso.
Ragionarci sopra mi porterebbe a pormi domande a cui non voglio trovare
risposta.
Eccomi
con il nuovo capitolo. L'ultimo di questa settimana. Spero che la
confusione e i sentimenti di Adrian si riescano a percepire
perché sono una caotica massa di passato e presente fusi
insieme.
Detto
ciò, vi annuncio che ho iniziato la pubblicazione del
romanzo di cui vi ho parlato, quello intitolato L'eco di una promessa,
che potete trovare sul mio profilo.
Al momento c'è solo un capitolo, ma se Alexa, la ragazza che
si era occupata del catering nella storia di Kayla vi ha incuriositi,
allora è arrivato il momento di saperne di più.
Vi aspetto e alla prossima settimana.
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Capitolo 20 *** 20 Chelsea ***
20
Chelsea
“Allyson,
davvero, sono molto stanca e, come ti ho già detto, quel
genere di posti non
fanno proprio per me.”
“Ma
sarà davvero divertente. Lavori così tanto e non
ti diverti mai.”
“Allyson,
ti ha detto che non ne ha voglia, lasciala stare. Ti ho già
dato il permesso di
andare.”
Jillian
entra in cucina mentre Allyson cerca a tutti i costi di convincermi ad
andare
con lei e le sue amiche ad una qualche festa, ma io non ne ho per nulla
voglia.
So
che si svolgerà a casa di una sua amica, da cui alcune volte
ha pernottato, ma
non ho ascoltato tutto quell che ha detto. Non ha minimamente destato
la mia
curiosità.
È
stata una settimana impegnativa e voglio fruttare il fine settimana per
recuperare lo studio, riposarmi e passare un po’ di tempo con
Meredith.
Ha
preso meglio di quello che pensavo la questione del bacio con Adrian.
All’inizio
voleva ammazzarlo e ciò davvero non mi ha stupita, ma per
qualche ragione ha
voluto ascoltare quello che avevo da dire.
Le
ho parlato del regalo, della faccia che ha fatto quando si è
ritrovato tra le
mani la fotografia e del fatto che il suo bacio è stato solo
un ringraziamento.
Ovviamente
la sua prima reazione è stata di scetticismo, soprattutto
dopo che le ho
raccontato cosa è successo esattamente, quanto quel momento
sia stato intenso.
Per
qualche motivo mi ha messo a disagio raccontarle il modo in cui mi ha
stretta e
come mi ha baciata. È stato decisamente imbarazzante, ma
è Meredith quella
esperta di queste cose e sentivo davvero il bisogno di condividere la
cosa con
qualcuno; con lei.
Nonostante
tutto è rimata molto sorpresa dal comportamento di Adrian.
Visto come si
stavano mettendo le cose, si sarebbe aspettata che cercasse molto di
più.
A
parer suo, che se ne sia andato senza approfittasi della situazione,
è un punto
a favore e, sebbene non concordi con il suo pensiero, se ciò
la spingerà a
trattarlo meglio e non comportarsi più come ha fatto
lunedì, allora mi sta
bene.
Non
farò assolutamente nulla per farle cambiare idea.
Mentre
Allyson rivolge a sua madre un’occhiata contrariata, io mimo
un grazie. Mi
dispiace disattendere le aspettative di Allyson, che mi sta molto
simpatica e
che aiuto volentieri quando sta facendo i compiti e non ho nulla da
fare, ma
assolutamente non condivido la sua passione per le feste, la musica
assordante
e l’alcool, di cui, in qualche modo, riesce sempre a fare
uso, in barba ai
controlli della madre.
“E
va bene. Siete noiose.”
Esce
dalla cucina a passo di marcia e la madre le urla dietro:
“Per l’una a casa o
sarà in punizione per un mese.”
Jillian
non scherza. Allyson mi ha raccontato che una volta ha sforato il
coprifuoco di
cinque minuti e la madre l’ha portata con se al locale per un
mese intero in
modo da averla sempre sotto controllo.
“Pronta
ad andare?”
È
mezzanotte passata e Jillian è stata così gentile
da offrirmi un passaggio fino
al dormitorio. La mia macchina è in officina per sistemare
la scocca dell’olio.
Giovedì
mattina ho trovato un lago di olio sotto la mia macchina e sono stata
costretta
a chiedere un passaggio a Meredith per arrivare al campus.
Ero
tormentata dal pensiero di quanto quella riparazione mi sarebbe
costata, ma
Meredith ha detto che avrebbe chiesto a Logan se poteva fare qualcosa.
Lo
stesso pomeriggio mi ha chiamata e mi ha detto che sarebbe venuto un
carro
attrezzi per prendere la mia macchina e portarla da Logan.
Il
verdetto è stato funesto. La scocca dell’olio
è da sostituire. Non sapevo di
cosa si trattasse esattamente, ma ero certa che quella cosa mi sarebbe
costata
un occhio della testa.
Logan
mi ha detto che in un’officina qualunque avrei speso un sacco
per la
sostituzione o la riparazione, a suo avviso assolutamente inutile, dato
che il
pezzo presenta un gran bel buco.
Ha
cercato di tranquillizzarmi dicendomi che
prima di cercare un pezzo nuovo avrebbe
chiesto a qualche carrozziere o sfasciacarrozze se lo avevano usato o
da poter
prendere da qualche auto incidentata.
Non
ho esattamente capito di cosa parlasse e mi sono limitata ad accettare.
Morale
della favola: per un bel po’ sarò senza macchina.
Odio
questa situazione. Non mi piace dipendere dagli altri per muovermi e
non posso
permettermi di affittare un auto o prendere un taxi.
Sto
contando fin troppo sul buon cuore delle persone che mi circondano.
Nessuno
ne ha fatto un dramma, sono stati tutti più che disponibili
ad aiutarmi, ma mi
pesa dover dipendere dagli altri, soprattutto dopo
l’indipendenza appena
conquistata.
Per
fortuna giovedì non ero di turno e
quindi non si è posto il problema, ma ieri ho
dovuto chiedere a qualcuno
di darmi un passaggio.
Meredith
è venuta a prendermi, mi ha lasciata al condominio ed
è schizzata via alla
velocità della luce. La destinazione era ovvia.
“Grazie
ancora del passaggio Jillian. Mi stai davvero salvando la
vita!”
Usciamo
dal retro per non attraversare la confusione del locale e cerco con lo
sguardo
Brat tra i bidoni, al riparo dal freddo, dove gli ho preparato qualche
settimana fa un bel giaciglio accogliente. Sono due giorni che non lo
vedo e
sto iniziando a preoccuparmi.
“Figurati.
Aiuti sempre moltissimo Allyson. Darti un passaggio non mi costa
nulla!”
Salgo
sulla sua Citroen e mi allaccio la cintura di sicurezza.
Mi
guardo attorno e individuo una maglietta abbandonata sul cruscotto.
“Scusa
per il disordine, ma questa macchina è una specie di secondo
armadio e non
trovo mai il tempo di metterla in ordine e farla pulire.”
Sorrido
e non dico nulla. Il suo imbarazzo è evidente, ma posso
capire che essere una
madre lavoratrice senza nessun aiuto non sia semplice. Certe cose sono
decisamene trascurabili quando ci sono cose più importanti
di cui occuparsi.
Il
percorso è breve, ma oggi Jillian sembra in vene di
chiacchiere, perché mi
chiede come procedono i miei studi.
È
decisamente un tasto dolente.
“Ultimamente
non ho molto la testa per pensare allo studio. Sono cambiate
così tante cose e
non mi sono per nulla abituata!”
Punto
lo sguardo fuori, sulle luci arancioni dei lampioni che illuminano i
marciapiedi ancora pieni di vita.
Procediamo
lentamente a causa del traffico e dei semafori.
“A
qualcosa a che vedere con il motivo per cui sei finita a lavorare al
Blue
Moon?”
Mi
sale alle labbra una risata amara, ma riesco a controllarla.
“Ha
tutto a che fare con quello!”
Mi
piacerebbe parlare con Jillian di quello che è successo,
della delusione immane
che ho ricevuto e della bastonata che mi è arrivata in testa
quando ho scoperto
che mia madre non è fisicamente morta.
Sono
sicura che Jillian saprebbe dirmi qualcosa in grado di farmi sentire
meglio.
Dopotutto, è un genitore e sicuramente sarebbe in grado di
dirmi qualcosa in
grado di non farmi sentire così indesiderata.
Ho
paura che mia madre se ne sia andata perché mi odiava.
All’inizio
non ho pensato a questa ipotesi. Mi sono detta che sicuramente
c’era una buona
ragione, qualcosa che non posso capire, ma dopo che mio padre non mi ha
nemmeno
cercata, ho iniziato a chiedermi se il reale motivo di quanto
è accaduto non
sia io.
Non
credo di avere qualcosa di sbagliato, ma forse sono stata un incidente,
qualcosa che loro non desideravano.
Questo
non cambia chi sono, ma mi piacerebbe avere delle risposte, piuttosto
che stare
sveglia la notte a pormi domande senza risposta.
Conoscere
la verità, per quanto brutta possa essere, è
sempre meglio che vivere
nell’incertezza.
Mi
piacerebbe sapere com’è andata, ma dopo
diciassette anni non so se sarà
possibile. Inizio a pensare che non sarò mai in grado di
mettere via i soldi
necessari ad ingaggiare qualcuno per rintracciarla, senza contare che,
in tutto
questo tempo, possono essere successe tante cose.
C’è
la possibilità, non del tutto remota, visto
l’imprevedibilità della vita, che a
questo punto mia madre sia realmente morta.
Un
incidente stradale, una malattia, un malore improvviso, possono essere
moltissime le cause che potrebbero aver portato via ogni mia
possibilità.
Eppure
non voglio soffermarmi su queste ipotesi. Voglio credere che sia stato
difficile abbandonarmi, che si è rifatta una vita portandomi
nel suo cuore e
che un giorno riuscirò ad incontrarla.
“Ti
va di parlarmene? Ci conosciamo da un po’ e ogni volta che si
tocca l’argomento
ho sempre l’impressione che vorresti parlarne, ma poi ti
chiudi a riccio, come
se qualcosa ti spaventasse.”
Ha
capito tutto. Mi spaventa raccontarlo, parlarne, perché
tutto diventerebbe più
reale di quanto già non sia.
Dopo
quel giorno, non ne ho più parlato con nessuno, nemmeno con
Meredith, che evita
accuratamente l’argomento.
Eppure
sento che invece dovrei parlarne con qualcuno, smetterla di tenermi
dentro
questa cosa che mi sta logorando.
Il
proverbiale vaso deve essere davvero pieno, perché prima
ancora di decidere
qualcosa ne sto parlando e la voce che sento quasi non sembra la mia.
C’è
qualcosa di decisamente crudo e sarcastico nel mio tono e mi sembra
davvero
triste, perché è ovvio che, anche se non ne
parlavo e cercavo di non pensarci,
sotto sotto l’amarezza stava crescendo.
“Ho
sempre pensato di vivere una bella vita, nonostante tutte le mancanze
dovute
all’assenza di mia madre. Avevo un padre affettuoso, sebbene
severo, e sto
frequentando un college che mi è sempre piaciuto molto.
Eppure tutto è cambiato
in pochissimo tempo. Neanche questione di mesi, bensì di
settimane. Lui non
voleva che io frequentassi il college, che cambiassi e mentre non
c’ero ha
iniziato a bere sempre di più. Andare a casa era un
tormento. Le sue continue
frecciatine mi facevano male, ma io gli volevo bene e mi mancava.
Eppure la mia
felicità non è mai stata la sua prima
preoccupazione. Voleva che facessi tutto
quello che voleva lui e quando mi sono rifiutata, è
diventato violento. Ho
tagliato ogni ponte e ho dovuto iniziare a lavorare per mantenermi,
perché mi
rifiuto di dargliela vinta. Lui ha sempre predicato bene, ma razzolato
male,
per cui e sue idee può anche tenersele.”
Il
mio discorso cade nel silenzio e mi rendo conto che ogni singola parola
ha
alleviato la sensazione di oppressione che quando mi soffermo su certe
cose mi
sommerge.
“Non
riesco a capire come qualcuno possa fare del male al proprio figlio, al
sangue
del suo sangue.”
Già.
Nemmeno io riesco a capirlo ed è proprio per questo che
ciò che è successo è
stato così devastante. Se ami qualcuno non puoi fargli del
male.
“Io
ho una figlia, un’altra oltre ad Allyson!”
Rimango
senza parole, completamente sorpresa. Non è solo la
confidenza in se a
lasciarmi senza fiato, ma anche scoprire che Allyson non è
figlia unica mentre
lei è assolutamente convinta di esserlo.
“Allyson
non lo sa!”
Osservo
il profilo di Jillian mentre guida e posso leggere su ogni tratto del
suo viso
la tristezza.
“Non
posso dirglielo, perché non so dove sia la mia
bambina!”
Non
so cosa dire, ma mi viene da piangere. Come è possibile che
lei non sappia dove
sia?
Non
dico nulla perché non riesco a pensare a delle parole
sensate.
“Allora
vivevo a Seattle ed ero molto giovane. Il bambino si muoveva
così tanto e
scalciava così forte che credevo fosse un maschio. Avevo
scelto un sacco di
nomi carini. Il mio preferito era James. È stata
un’autentica sorpresa quando
il medico mi ha messo in braccio una bambina. Aveva gli occhi chiusi,
ma non
appena me l’hanno messa tra le braccia li ha spalancati e mi
ha fissato con
attenzione. I suoi occhioni blu, come quelli di tutti i neonati ero
sicura che
mi vedessero, ma i medici mi hanno spiegato che era impossibile,
poiché i
neonati non vedono molto chiaramente a causa del gonfiore, ma ero
sicura che mi
avesse sorriso. L’abbiamo chiamata Rhea, come la madre degli
dei Greci. Ammetto
che allora ero molto fissata con quel nome e ho rimpianto spesso di non
aspettare una bambina!”
Un
sorriso triste, ma allo stesso tempo carico di dolcezza le illumina il
viso, ma
ho l’impressione che durerà
ben poco.
“Non
me lo aspettavo, ma mio marito è stato d’accordo
con la scelta del nome!”
“Che
cosa è successo dopo?”
“Questo
te lo racconterò la prossima volta. Siamo
arrivate.” Ferma la macchina nel
posto per i disabili e mette le quattro frecce, poi si gira verso di me
e mi
osserva con tristezza.
“Ti
dico tutto questo, perché c’è
sicuramente una spiegazione per tutto quello che
ti è successo. Non ti demoralizzare, okay? Io ho dovuto
lasciare la mia Rhea
per un buon motivo!”
Vorrei
chiederle di più, maggiori dettagli, perché
questo è proprio il tipo di cose
che ho bisogno di sentire, ma è anche piuttosto ovvio che
invece lei non voglia
parlarne più. È una cosa che la fa palesemente
soffrire e già che abbia
accennato a questa cosa per cercare di alleviare il mio tormento
è più di
quanto era obbligata a fare.
“Non
dirò nulla ad Allyson. Grazie per avermene
parlato!”
Esco
dalla macchina accompagnata dalla sua buonanotte. Aspetto di veder
scomparire
la macchina dietro la curva prima di entrare.
L’aria
fresca mi ha aiutata a schiarirmi le idee e riprendermi dalla sorpresa.
Di
sicuro Jillian è riuscita a destare la mia
curiosità.
Non
avrei mai immaginato nulla del genere.
A
questo punto, non vedo davvero l’ora di buttarmi a letto e
scivolare tra le
braccia di Morfeo. Ho bisogno di spegnere il cervello,
perché ho come l’impressione
che sia sul punto di scoppiare.
Troppe
notizie, troppe informazioni e soprattutto troppe domande.
Eppure
è evidente che il mio letto dovrà aspettare
ancora, perché appena metto piede
sul pianerottolo mi trovo davanti qualcuno che proprio non mi aspettavo
di
incontrare, tanto meno di fronte alla mia porta.
è
appoggiato contro la parete, le braccia incrociate sul davanti e
indossa il suo
cappotto scuro. Ai suoi piedi, c’è quella che mi
sembra una strana scatola di
plastica verde.
“Adrian?”
La
mia voce suona più sorpresa di
quanto
avrei voluto e, per qualche assurdo motivo, il cuore ha iniziato a
battere fortissimo,
come se avessi appena finito di correre.
Lui
si gira con un espressione impassibile sul viso e, mentre mi avvicino,
si china
a raccogliere la scatola, afferrandola per una maniglia. Quando la
volta, posso
vedere che è vuota all’interno e ha una grata di
metallo a chiuderla.
“Questo
è tuo!”
Mi
dice non appena lo raggiungo, sollevando la scatola verso di me.
Incuriosita
mi chino ad osservare l’interno e sento la mia bocca
spalancarsi quando capisco
cosa contiene.
“Brat!”
Lo
ammetto. Ero molto ansiosa discrivere questo caipitolo per cui ho fatto
una piccola eccezione e ho aggiornato anche se non era programmato. Non
capiterà spesso, anczi, potrebbe non capitare mai
più, ma spero che questo capitolo extra vi abbia rallegrato
e contriubuito alla domenica. un bacio e a domani.
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Capitolo 21 *** 21 Chelsea ***
21 Chelsea
Afferro
la gabbietta con entrambe le mani e la sollevo fino al mio viso.
Il
piccolo dorme sereno e le strisce, che ricordano quelle di una tigre,
si muovono ad ogni respiro. Ha una rampina fasciata.
Poggio
la gabbietta in terra per non farlo svegliare e mi giro verso Adrian,
che mantiene tutt’ora l’espressione impassibile.
“Che
cosa è successo? Perché c’e
l’hai tu? Ero così preoccupata!”
Lui
distoglie lo sguardo e ho come l’impressione che sia a
disagio. Si passa una mano sulla nuca e poi si gira, trafiggendomi con
quegli stranissimi occhi dal colore indefinito. Non sono mai riuscita a
capire se siano grigi o blu. L’ultima volta che ci siamo
visti, i nostri visi erano così vicini e i suoi occhi mi
sono sembrati blu, ma ora sono sicura che siano grigi.
“È
una lunga storia!”
Sembra
restio a parlarne, ma non so cosa dire per convincerlo a spiegarmi.
Eppur il mio silenzio è evidente che lo mette a disagio,
perché inizia a spostare il peso da un piede
all’altro. Di nuovo non mi guarda. Sembra che le scale
abbiano un’enorme attrattiva.
“Non
guardarmi così, non gli ho fatto nulla.”
Sono
perplessa e non capisco che cosa intenda. Perché ho
l’impressione che si senta colpevole?
“Di
che cosa stai parlando?”
Lui
si passa nuovamente la mano tra i capelli, poi torna a guardarmi.
“L’altro
giorno sono passato al locale, ma non ho fatto a tempo ad entrare. Io,
ecco, volevo parlarti e prima di tutto ho guardato nel vicolo. Tu non
c’eri, ma il gattino, non appena mi ha visto, mi è
venuto incontro zoppicando.”
Mi
guarda attentamente e posso leggere quello che sta cercando di dirmi.
Non riesco a capire perché per lui sia così
difficile ammettere di aver fatto qualcosa di buono.
“Lo
hai portato da un veterinario?”
Lui
annuisce e sono stupita che ancora mi stia guardando. Sembra
così a disagio, imbarazzato, come se questo suo gesto
disinteressato potesse farlo apparire debole.
“Ha
detto che qualche macchina deve averlo investito, anche se solo di
striscio. La zampa non è rotta e si rimetterà, ma
il veterinario non poteva tenerlo ancora.”
Per
cui l’ha portato da me.
Non
so cosa dire. Sono estremamente sorpresa di questo suo gesto. Non
perché creda non ne sia capace, ma perché non me
lo aspettavo.
“Io…
Non so cosa dire. È una fortuna che abbia incontrato
te!”
Lui
rimane estremamente sorpreso dalle mie parole e un po’ di
contegno svanisce dal suo viso. Non capisco perché sia
così distante.
Lui
solleva le spalle con noncuranza, ma distoglie lo sguardo, evidenziando
il suo disagio.
“Non
potevo lasciarlo lì.”
Non
dovrebbe farlo, sminuire il buono che ha appena fatto.
“Non
eri obbligato a portarlo da un veterinario. In molti, al posto tuo, si
sarebbero girati dall’altra parte e lo avrebbero lasciato
dov’era. Grazie!”
Lo
sento a malapena bofonchiare un grazie prima di vederlo dirigersi verso
le scale.
“Aspetta!”
Mi
metto a frugare nella borsa alla ricerca del portafogli.
“Almeno
lascia che ti renda i soldi del veterinario.”
Quando
torno a guardarlo dopo aver finalmente trovato il borsellino, noto che
mi sta osservando con un’espressione di puro sconcerto
dipinto in viso.
Mi
sento a disagio, perché sembra che io abbia detto una
fesseria.
“Che
c’è? Che ho detto?”
Incredibilmente,
scoppia a ridere e posso giurare di non aver mai sentito un suono del
genere.
È
una risata forte, incredibilmente corposa, come se fosse rimasta
intrappolata dentro di lui molto a lungo. Sa di liberatorio e,
nonostante mi lasci perplessa, mi sta contagiando e sento che sto per
aggiungermi a lui.
Mi
tappo la bocca per trattenermi. Ho paura che potrei rovinare questo
momento se dovessi interrompere il momento. Sembra estremamente fragile
nonostante la sua potenza.
Adrian
si appoggia alla parete, come se le forze gli stessero venendo meno e
poi, esattamente come è iniziata, la risata si spegne e lui
sembra estremamente di buon umore quando mi guarda.
Ha
gli occhi lucidi e si tiene il fianco.
“Questa
è buona!”
“Cosa
ho detto di male?”
Lui
mi osserva e sembra interdetto.
“Tu
sai che potrei comprare su due piedi questo stabile, non è
vero?”
Non
capisco che cosa voglia dire, ma sì, lo so. Il famoso giorno
di Novembre, quando Josh lo ha chiamato, si trovava al Country Club
sulla First Ave. È un posto molto conosciuto e frequentato
dall’elite di Denver.
Sono
rimasta molto sorpresa quando ho saputo che Adrian è ricco
di famiglia e ancora di più quando ho visto il modesto
appartamento in cui abita, ma non mi sono soffermata sui dettagli. Sono
fatti suoi.
Per
questo non capisco che cosa c’entri ciò con il mio
desiderio di rimborsarlo della spese di Brat.
Alla
fine è stata tutta colpa mia. Mi ero ripromessa di trovargli
una casa, ma l’idea di separarmi da lui era impensabile.
Pensavo che non sarebbe successo nulla, invece è quasi
finito sotto una macchina.
Sento
gli occhi riempirsi di lacrime e la vista mi si offusca.
Avrei
dovuto pensarci prima, accidenti. Meglio lontano da me, in una casa, al
sicuro, che sotto una macchina, morto.
Povero
piccolo. Avrei dovuto prendermene cura nel modo giusto invece che
essere così egoista.
“Ehi,
perché piangi? Per favore, non piangere!”
La
voce semi terrorizzata di Adrian mi fa venire da sorridere e mi asciugo
gli occhi con la manica del giubbotto prima che possano traboccare.
“Avrei
dovuto pensare che si sarebbe fatto male. È così
piccolo. Dovevo trovargli una casa. Avevo pensato di portarlo qui, ma
se durante un’ispezione delle camere lo avessero trovato, mi
avrebbero buttata fuori e non ho altro posto dove andare.”
Il
suo disagio è palese, così come il desiderio di
fuggire, ma per qualche motivo non lo fa.
“Mi
dispiace.”
“Per
cosa?”
“Per
tutto!”
Sento
il sorriso spuntare e il cuore farsi un po’ più
leggero, perché sebbene sia iniziata diversamente, questa
conversazione, l’abbiamo già avuta. Inoltre,
è la prima volta che usa un termine del genere. So che non
deve essere stato facile per lui. È sicuramente una di
quelle cose che gli viene difficile comunicare a parole.
“Non
ti devi scusare. Non hai fatto nulla di male.”
Lui
scuote la testa e, per qualche motivo, ora siamo a pochi passi di
distanza. Uno di fronte all’altro.
“Si
invece. Non avrei dovuto comportarmi come ho fatto.”
Distoglie un momento lo sguardo e poi torna a fissarmi, come se per lui
continuare a guardarmi gli desse il coraggio di parlare, di mostrarsi.
“Non
avrei dovuto baciarti.”
La
sua ammissione non so se mi piaccia o mi faccia arrabbiare. Ovviamente,
so a cosa sta pensando. Meredith mi ha messa ben in guardia
perché non fraintendessi il suo gesto ed è ovvio
che lui pensa che io abbia dato una qualche importanza a quel bacio.
Non
dico che non ne abbia, sarebbe stupido, ma non ha
l’importanza che pensano tutti. Non credo che sia stato una
qualche tipo di dichiarazione di intenti. Adrian non mi ha mai vista da
quel punto di vista e forse è per questo che mi sento
così a mio agio con lui. Prima che Meredith accennasse a
questa possibilità, non avevo nemmeno pensato che potesse
essere arrivato ad una così sciocca conclusione.
Credevo
semplicemente che si fosse pentito di avermi ringraziata per il regalo.
“Adrian,
non ti devi preoccupare. So che lo hai fatto solo per ringraziarmi e
che io non ti piaccio in quel senso!”
Lo
osservo sbattere le palpebre, come inebetito, mentre è
evidente che non riesce a capire che cosa intendo.
“Ah?”
Sento
il calore salire al viso, perché di certo non mi aspettavo
che non capisse una cosa così semplice.
“Sì,
sai, non sono quel genere di ragazza che frequenti solitamente. Lo so
bene. Per cui… ecco, non ti devi preoccupare. Non ho
assolutamente frainteso.”
Lui
sembra sempre più incredulo e non so che altro dire per
fargli capire il concetto.
“Volevo
dire..”
Lui
solleva una mano.
“Sì,
ho capito cosa vuoi dire e no, non ho mai pensato che avessi frainteso.
È vero, non sei quel tipo di ragazza e per questo motivo non
avrei dovuto, per nessun motivo. Però, su tutto il resto,
hai torto.”
Si
avvicina e, per qualche motivo, ad ogni suo passo, io ne faccio uno
indietro. Il suo atteggiamento è completamente cambiato. Se
prima sembrava quasi docile, ora mi sembra di avere davanti qualcuno
completamente diverso. I suoi occhi hanno uno strano luccichio e potrei
giurare che ora sono di nuovo blu.
Il
mio piede sbatte contro qualcosa e la mia schiena si addossa ad una
superficie verticale. Con la mano sento la fredda muratura che mi
sbarra il cammino.
Ho
il cuore in gola mentre lui colma la distanza che ci separa e mi
sovrasta.
“Che
cosa stai facendo?”
La
mia voce trema e sento il viso bollente. Perché è
così vicino? Mi mette a disagio.
“Tu
non hai idea di quanto sia difficile starti vicino.”
Poggia
le braccia sopra la mia testa ed è come se fossi rinchiusa
in una gabbia soffocante. Non ho vie di fuga. I miei oggi sono
incollati al suo viso.
“Non
sai quanto è stato difficile lasciarti andare e non prendere
tutto ciò che avevi da dare. Se tu credi di non interessarmi
perché non assomigli alle altre, beh, ti sbagli.
È proprio perché sei così diversa,
perché volevi rendermi i soldi spesi dal veterinario, che ti
trovo così maledettamente interessante.”
I
suoi occhi luccicano, mentre la mascella, segnata dalla barba corta,
è irrigidita. Ogni parola è dura ed esce con
difficoltà dalla sua bocca.
Perché
il mio cuore batte così forte? So che non mi farà
del male, ma perché ugualmente sento questa ansia?
Non
ho paura di lui, ma sono invasa da un’altra sensazione,
altrettanto potente, ma che non capisco. Cos’è
questo calore che mi avvolge e che mi impedisce di cercare di scappare?
Non
mi sta tenendo ferma, ma sento ugualmente come se mi stesse stringendo
tra le braccia. Sono intrappolata dalla mia stessa mente.
“Mi
hai riaccompagnato a casa quando non potevo guidare e mi hai fatto un
regalo di inestimabile valore, di cui nemmeno tu capisci il valore, e
nonostante ciò, non hai mai chiesto nulla in cambio.
Perché lo fai? Perché mi rendi impossibile
odiarti e tenerti a distanza? Dannazione, perché non fuggi
da me, quando sarebbe la scelta migliore?”
Le
sue domande non hanno senso, almeno per me, ma una cosa lo so. Tutto
quello che ho fatto, ogni singola cosa, l’ho fatta
perché ero sicura che lui le meritasse.
“Perché
ne valeva la pena!”
La
mia risposta fa scattare qualcosa dentro di lui e in un attimo sono
nuovamente sua prigioniera. Stavolta la sua presa sul mio viso
è decisa, quasi brutale, sebbene non mi faccia male e il suo
bacio è intenso fin dall’inizio. Non
c’è il crescendo dell’ultima volta e
posso solo soccombere sotto il suo assalto.
Sollevo
le braccia, non so per fare cosa, e mi ritrovo con una mano
intrappolata tra la sua e il muro, mentre l’altra si afferra
al cappotto, come se mi dovessi ancorare a qualcosa per non perdermi.
Mi
tremano le gambe, le ginocchia e non so come faccio a rimanere in
piedi, mentre tutto il mio corpo viene bombardato da una serie di
sensazione che fino ad ora non avevo mai provato.
Cos’è
questo desiderio prepotente di toccarlo, di rendergli la forza che mi
sta dimostrando?
Vorrei
afferrarlo e stringerlo come lui sta facendo con la mia mano.
Rispondo
ad ogni suo gesto con la sua stessa intensità e
più va andanti, più mi sento stordita. Mi manca
l’aria, l’ossigeno, bruciato dal calore che mi si
scatena dentro ogni volta che la sua lingua incontra la mia.
Improvvisamente
mi lascia andare, ma stavolta, sul suo viso, non
c’è ombra di pentimento, di paura.
C’è qualcos’altro, qualcosa che non
pensavo io sarei mai riuscita a scatenare in qualcuno.
La
lussuria gli illumina i tratti e so che dovrei esserne disgustata,
almeno spaventata, ma il modo in cui mi guarda mi da i brividi.
Mi
piace.
“Per
i prossimi giorni il gatto lo tengo io, visto che rischieresti di
essere sbattuta fuori. Quando gli avrai trovato una famiglia, fammelo
sapere. Per il resto, Chelsea, stai lontana da me, per il tuo
bene!”
Prima
che io possa anche solo trovare qualcosa da dire, lui imbocca le scale,
portandosi via Brat.
Rimango
ferma contro la parete, ancora incredula.
Cosa
accidenti è successo realmente?
|
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Capitolo 22 *** 22 Adrian ***
22
Adrian
Quella
piccola iena mi ha graffiato. Non appena si è svegliato,
rendendosi conto di
essere in mia compagnia, l’ingrato ha iniziato a dare di
matto. Era così
agitato che per poco non rovesciava il trasportino.
All’inizio
avevo pensato di lasciarlo li dentro, ma è stato subito
evidente che l’animo
selvatico di quel gatto non poteva essere trattenuto.
Non
appena ho aperto lo sportellino, il gatto si è avventato
sulla mia mano,
graffiandomi il dorso, per poi fuggire a nascondersi dietro le tende
del
salotto.
Non
avevo nulla da dargli da mangiare, così, prima di rientrare
all’appartamento,
mi sono fermato ad un mini market 24h per prendere qualcosa dal reparto
animali
domestici.
Non
sapendo cosa fosse più adatto, ho comprato il pacchetto di
croccantini più
costoso che c’era.
L’ingrato
bastardello non si è avvicinato alla ciotola fino a quando
non gliel’ho messa
vicino e mi sono allontanato.
Solo
allora ha messo fuori il muso, mi ha osservato, con quei suoi subdoli
occhietti
dal colore indefinito e poi è andato a mangiare.
Tutto
questo è accaduto meno di cinque minuti dopo essere entrato
nel mio desolato
appartamento.
Non
vedo l’ora che Dave abbia la pausa per fare qualcosa di
divertente.
La
mia vita è un casino e non avrei mai pensato di odiare
così tanto la
solitudine.
La
cosa triste, è che me la sono scelta da solo.
Ho
preferito essere solo, con la compagnia di un gatto che, è
piuttosto ovvio, mi
detesta, piuttosto che uscire per locali o accettare l’invito
di Josh a cena.
Ancora
una volta si è dimostrato un buon amico, ma non potevo
accettare. Sicuramente
avrebbe trovato il momento per chiedermi se ho trovato una risposta
alla sua
domanda.
Ho
evitato di rifletterci sopra il più a lungo possibile, ma
alla fine sono stato
d’accordo con lui su una cosa. Dovevo parlare con Chelsea.
Ecco
perché mi trovavo fuori dal Blue Moon quando quella palla di
pelo ha cercato il
mio aiuto.
Probabilmente
soffriva così tanto che non gli importava chi potesse farlo
stare meglio.
In
qualche modo, sono stato felice del contrattempo. Sì, ho
aiutato il gattino
perché non potevo lasciarlo in quel vicolo freddo in quelle
condizioni, ma l’ho
fatto principalmente perché avrei avuto una scusa per
rimandare l’incontro e,
se mi avesse detestato, almeno avrei avuto qualcosa per rabbonirla.
Ovviamente
non mi aspettavo di parlarne questa sera, ma l’argomento
è venuto fuori di sua
spontanea volontà.
È
stato difficile scusarmi, perché mi ha fatto sentire
vulnerabile.
Ho
imparato da tempo che, se mostri le tue debolezze, chi ti sta di fronte
non
esiterà un attimo a saltarti alla gola. Sono riuscito a
scusarmi solo perché
sapevo che Chelsea non avrebbe mai fato qualcosa del genere.
È
troppo candida per sfruttare le debolezze altrui per i suoi scopi.
Il
fatto che si sia offerta di rimborsarmi il costo del veterinario mi ha
completamente preso alla sprovvista.
Dire
che non me lo aspettavo è riduttivo e sono scoppiato a
ridere come non facevo
da moltissimo tempo.
È
stata una risata liberatoria.
In
un primo momento ho pensato che non sapesse che non avevo bisogno dei
suoi
soldi, ma quando ho capito che in realtà per lei non faceva
assolutamente
nessuna differenza, ha acquistato ancora più splendore ai
miei occhi.
Io
so perché devo starle alla larga, la settimana appena
passata ne è una
dimostrazione palese, anche perché il momento della vendetta
si avvicina, ma
proprio non sono riuscito a trattenermi.
Dovevo
scusarmi. Lei lo meritava.
Ovviamente,
ancora una volta, lei mi ha preso in contropiede. Ero convinto che la
sua
sorpresa, così come la diffidenza che vedevo nel suo
sguardo, fossero dovuti
alla consapevolezza.
Pensavo
avesse capito, già quel giorno nello spogliatoio, che non mi
lascia per nulla
indifferente. Invece lei ha pensato tutt’altro.
Nella
sua infinita ingenuità credeva che l’accaduto
fosse stato solo un momento, una
parentesi senza importanza, ma non è stato così
ed è una delle cose che più mi
hanno sorpreso.
Se
anche all’inizio, il bacio che le ho dato, voleva essere un
ringraziamento, ben
presto è diventato molto altro e sedurla sarebbe stato
facilissimo.
Me
ne sono andato prima di fare qualcosa di irreparabile. Ovviamente solo
in un
secondo momento ho pensato che quanto accaduto mi sarebbe potuto
tornare utile.
All’inizio
non volevo parlare con lei per scusarmi. Volevo invece rimarcare il
concetto,
sebbene ciò mi facesse vergognare di me stesso.
Per
il modo in cui è cresciuta, per il modo in cui si
è comportata durante il
nostro primo bacio, ho pensato che il modo migliore per allontanarla
fosse
spingerla ad avere timore di me.
Quello
che rappresento, come uomo, è ciò da cui lei
è sempre fuggita.
Alla
fine credo che ciò mi sia riuscito meglio di quanto volessi,
ma non era così
che avevo programmato le cose.
Non
avrei dovuto scusarmi, non avrei dovuto ammettere quanto per me lei sia
attraente, quanto il suo modo puro di vivere la vita sia affascinante.
Starle
vicino è come respirare ossigeno puro, come un bicchiere di
acqua fresca dopo
aver patito la sete.
Lei
è vita e io invece sono l’opposto. Io sono il
fuoco e potrei incenerirla.
Solo
il cielo sa quanto io brami il suo corpo, quanto mi piacerebbe
prenderla e
mostrarle quanto il sesso possa essere gratificante e
“sporco”.
Solo
pensare di averla a disposizione, pronta a compiacere le fantasie
più
lussuriose, mi fa venire un’erezione, perché so
che insegnarle ogni cosa
sarebbe estremamente gratificante ed eccitante. Sarebbe perversamente
eccitante
vedere il so viso arrossato dal’imbarazzo mentre esploro le
sue zone più intime
e private, quelle che nessun’uomo sono sicuro ha mai visto o
toccato.
Mentre
la baciavo con forza, ho cercato di riversare su di lei tutta la mia
eccitazione per spaventarla.
La
sua bocca ormai mi ossessiona e, mentre esploravo la sua
cavità con la lingua,
ho pensato a quanto mi sarebbe piaciuto sentire quelle stesse labbra su
un'altra
zona del mio corpo, decisamente calda e tesa.
Sono
sicuro che ha funzionato, anche se devo ammettere che il suo sguardo
aveva un
non so che di concupiscente. Sembrava desiderarne di più, ma
era la confusione
a regnare in quelle profondità color indaco.
Me
ne sono andato prima che fosse troppo tardi, prima di mettere a rischio
tutto
quello per cui ho lottato in questi anni.
Però
non riesco a capire perché ho deciso di portare il gatto a
casa. Non avevo
bisogno di un motivo per rivederla. Avrei dovuto lasciare che se la
sbrigasse
da sola, ma è anche vero che non ha altro posto dove andare
e che se dovesse
perdere il suo alloggio sarebbe un guaio.
Ecco,
ho deciso di tenere il gatto da me per non dovermi sentire in colpa.
Guardo
il graffio e poi il furfante che, dopo aver completamente svuotato il
piattino
del suo contenuto, come se fosse una settimana che non mangiava, si sta
tranquillamente leccando la zampa non ferita, per poi passarla sopra la
testa.
Prendo
un sorso di birra e il liquido gelido un po’ mi aiuta ad
allontanare i pensieri
a luci rosse che non riesco a smettere di fare su Chelsea.
Se
mi concentro, riesco ancora a sentire il suo corpo premuto contro il
mio. Mi
chiedo che tipo di intimo indossi, se sia un tipo da mutande di cotone
come
sembra o se invece, nell’intimità della sua
stanza, le piaccia indossare slip
colorati dalle fantasie infantili.
Non
ho mai trovato particolarmente attraente questo genere di cose, ma ho
come l’impressione
che su di lei mi farebbero tutto un altro effetto.
La
mia fantasia viene fermata dalla suoneria del cellulare.
Niente
può farmi calare un erezione come leggere il nome di mio
padre sul display.
“Pronto!”
La
sua voce fastidiosa mi raggiunge troppo in fretta, senza nemmeno un
saluto.
“La
mia candidatura è ufficiale. A breve inizierò la
campagna elettorale ed esigo
che tu sia al mio fianco, a svolgere il ruolo che ti compete. Tuo nonno
mi ha
accordato il suo pieno sostegno e ci aspettiamo che tu faccia
altrettanto.”
“E
se non lo facessi?”
Mi
diverte provocarlo, immaginare come la sua brutta faccia si riempia di
rossore,
come pronta ad esplodere.
“Tu
farai come ti ho detto. Non ho sopportato per tutti questi anni le tue
cazzate
per nulla. Ho tollerato che frequentassi quello stupido ed inutile
College, ho
sopportato che vivessi in quello squallido appartamento come un
pezzente
qualunque, ma i giochi finiscono qui. O fai come ti dico, oppure ti
taglio i
fondi e allora sarà inutile venire a piangere da me. Basta
fare il figlio
scapestrato. Abbi un po’ di dignità. Hai degli
obblighi da assolvere ed è ora
che tu inizi a comportarti come si conviene ad un uomo del tuo rango
sociale.
Sono stato chiaro?”
Non
aspetta una risposta e mette giù.
È
una fortuna, perché sarei realmente tentato di mandarlo al
diavolo.
Sto
ribollendo di rabbia.
Come
si permette di dirmi cosa devo o non devo fare? Come osa venire a
parlarmi di
obblighi e di dignità?
Lui,
che non è fatto altro che di avidità ed egoismo,
come crede di potermi
controllare?
Ho
smesso di dipendere da lui molto tempo fa. Le mie spese, le pago con i
soldi
che mi sono guadagnato con le quotazioni.
I
soldi che lui mi versa sul conto mensilmente, vengono investiti per
essere
moltiplicati e permettermi di essere finalmente libero.
Io
non gli devo niente, non merita nulla da me. Non appoggio e non
rispetto.
Merita solo di cadere nel fango, di essere umiliato come
l’essere infimo che è.
Lui
e tutta la mia famiglia non meritano altro che la rovina.
La
mia ira si abbatterà su di loro quando meno se lo aspettano.
Mio nonno ha
firmato la sua condanna quando ha deciso di appoggiarlo per le elezioni
governative.
Presto
tutta Denver e tutti quanti sapranno chi è Bruce McLeor.
Ogni intrigo, ogni azione
illegale, tra non molto tutto ciò verrà alla luce
e per sfuggire alla giustizia
non gli rimarrà che scappare.
Ecco
perché Chelsea deve stare lontano da me.
Questa
chiamata è un ulteriore monito.
Non
rinuncerò mai ai miei propositi di vendetta. Niente mi
potrà fermare e una
persona compassionevole come Chelsea proverebbe senz’altro a
fermarmi.
Rimarrebbe
estremamente delusa dal mio comportamento, perché io non
potrei mai comportarmi
nel modo giusto, come si aspetta. Il cerchio deve essere chiuso a
qualsiasi
costo.
Inoltre
ho fatto delle cose che, se mi avvicinassi a lei, la distruggerebbero.
La
mia vita sarà un inferno quando tutto salterà
fuori. Le persone a
me care verranno perseguitate,
tormentate.
No,
non lascerò che lei sia un'altra vittima della mia crociata,
della mia
vendetta. Non permetterò che ciò che ho duramente
costruito si ripercuota su di
lei.
Non
posso permettere che ciò accada.
***
Nonostante
i miei buoni propositi, sono di nuovo qui.
Non
so perché, ma sono agitato. È tutto il giorno che
qualcosa mi disturba e non
capisco cosa sia.
È
iniziato tutto stamattina, con quella perfida canaglia di un gatto che
mi ha
svegliato saltando sul letto e graffiandomi i piedi.
Mi
sono svegliato trafitta da un lancinante dolore e ci ho messo diversi
secondi a
capire che era stato quel dannato filibustiere a infilarmi le unghie
nella
pelle attraverso lo spesso strato della coperta.
Non
appena si è accorto di essere riuscito nel suo intento, e
cioè quando ho
cercato di scrollarmelo di dosso, è saltato giù e
ha iniziato a correre da una
parte all’altra dell’appartamento.
Mi
sono alzato quando ha quasi rischiato di far cadere il portafotografie
poggiato
sul cassettone.
Il
regalo di Chelsea è l’unico pezzo di arredamento
in una camera altrimenti priva
di oggetti personali.
È
qualcosa dal valore inestimabile che conservo gelosamente nella mia
camera,
dove, se anche qualcuno dovesse vederlo, non ne capirebbe
l’importanza.
L’agitazione
del gatto mi ha contagiato e, durante il tempo infinito del brunch, a
cui ho dovuto
partecipare per forza, l’ansia non
mi ha mai abbandonato.
Ho
pensato potesse essere successo qualcosa ai miei amici e li ho sentiti
tutti
con una scusa. Stavano tutti bene.
L’unica
persona che mi viene in mente possa correre un qualche tipo di rischio
è
Chelsea.
Non
ho il suo numero di telefono e, anche se lo avessi avuto, con che
faccia avrei
potuto contattarla per chiederle se stava bene?
So
che non dovrei pensarla, che non dovrei preoccuparmi per lei, ma anche
le ho
detto che deve starmi alla larga, ora non riesco a non avere una brutta
sensazione.
Quando
sono rientrato a casa, il gatto era ancora più isterico di
questa mattina.
I
cuscini del divano erano stati divelti dalla loro sede, la tenda
principale era
a brandelli e, nonostante lo sfacelo, che avrebbe dovuto farmi
incazzare, non
ho potuto fare a meno pensare che se il gatto è agitato
c’è un motivo.
Da
qualche parte ho sentito che i gatti hanno percezioni extrasensoriali e
prima
di oggi non ci ho mai creduto. Non ci credo nemmeno adesso, ma qualcosa
mi ha
spinto fino a qui, poco distante dall’ingresso del condominio
dove alloggia
Chelsea.
Una macchina si ferma di
fronte all’ingresso e
posso riconoscere Meredith al volante della nuova Mercedes argentata di
Logan.
Chelsea
scende dalla parte del passeggero e la vedo chinarsi per parlare con
l’amica.
Dopo pochi secondi si raddrizza e la macchina si allontana.
Da
questa distanza non posso vedere che indossa un giubbotto nero e un
paio di
jeans insieme a degli stivali.
Sorridendo
entra nello stabile e tiro un sospiro di sollievo.
Sta
bene e probabilmente ammazzerò il gatto per avermi distrutto
mezzo
appartamento.
Rimango
ancora un minuto ad osservare l’ingresso del palazzo ed
è proprio mentre sto
per distogliere lo sguardo che una figura esce di corsa dal portone.
Chelsea
si guarda intorno con un’ espressione terrorizzata in volto.
Prima
ancora di rendermene conto, scendo dalla macchina e la raggiungo di
corsa.
“Chelsea!”
Lei
si gira e mi sembra pronta per la fuga. Ha il viso cinereo, gli occhi
colmi di
lacrime e probabilmente non mi riconosce perché arretra,
rischiando di finire
in strada, dove passano le macchine.
“Fermati
Chelsea, sono io, Adrian!”
Lei
si immobilizza e sbatte le palpebre un paio di volte, dopo di che si
lancia su
di me, singhiozzando.
Sono
confuso, preoccupato e spaventato da questo suo comportamento, ma non
mi rimane
altra scelta che stringerla gentilmente. Trema come una foglia.
“Chelsea,
che cosa è successo?”
Lei
piange e singhiozza, ma nonostante questo, riesco a sentire chiaramente
quello
che dice.
“Qualcuno
è entrato nella mia camera! È tutto
distrutto!”
|
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Capitolo 23 *** 23 Chelsea ***
23
Chelsea
È
un disastro.
Chiunque
sia entrato nella mia stanza è passato assolutamente
inosservato.
Non
ci sono telecamere di sicurezza e
la
guardia non ha notato assolutamente nulla di strano.
Sono
stata fuori tutto il giorno e, chiunque sia stato, ha avuto moltissime
occasioni per entrare e devastare la mia stanza.
Non
capisco perché. Cosa ho fatto di male?
Il
mio letto è stato distrutto, squarciato, così
come il cuscino. Gli abiti sono
stati tirati fuori dall’armadio e alcuni capi di
abbigliamento sono stati
tagliati con le mie stesse forbici.
Quando
ho visto quello sfacelo, entrando in camera, sono scappata a gambe
levate,
terrorizzata.
Mi
è sembrato tutto un brutto sogno, il peggiore degli incubi.
Il
mio spazio privato, il luogo dove posso essere me stessa, con le mie
debolezze,
è stato violato e distrutto.
Non
sapevo dove andare. Ogni posto che mi veniva in mene mi sembrava
pericoloso,
non sicuro.
Quando
sono uscita in strada, avrei voluto salire sulla mia macchina e
allontanarmi il
più possibile, ma non avevo nemmeno quella. Ero da sola, di
sera, in mezzo alla
strada, perfettamente vulnerabile.
Adrian
mi ha fatto venire un colpo. In un primo momento, non ho riconosciuto
ne la sua
sagoma imponente ne la sua voce. Ero troppo spaventata.
Appena
ho realizzato chi avevo davanti, sono stata invasa dal sollievo.
Ho
iniziato a piangere, a singhiozzare, e mi sono buttata su di lui,
perché
l’unica cosa di cui avevo bisogno, era una stretta
confortante.
Ero
così confusa e terrorizzata che se si fosse trattato di mio
padre, avrei
reagito allo stesso modo.
Volevo
essere abbracciata. Avevo bisogno di sapere che sarebbe andato tutto
bene.
Adrian
non ha detto nulla, si è limitato a darmi quello di cui
avevo bisogno, ancora
una volta presente quando tutto il mio mondo stava crollando.
Non
ho più un poso dove vivere e non posso permettermi di
affittare una stanza o un
appartamento.
Non
so cosa ne sarà di me. Forse per un paio di giorni posso
chiedere a qualcuno di
ospitarmi, ma non può essere una soluzione ideale e a tempo
indeterminato.
Dovrò trovare una soluzione e non so come fare.
C’è
solo una persona a cui posso chiedere
ospitalità, ma no voglio essere un peso.
Mi
lavo la faccia per cercare di cancellare i segni della paura.
Che
esperienza orribile e andarmene, lasciando tutto in quelle condizioni,
è stato
difficilissimo, come rientrare in quella stanza con la polizia per
poter
prendere qualche effetto personale per la notte.
Solo
quando sono entrata nel bagno mi sono accorta della scritta sullo
specchio del
bagno che mi ha messo i brividi.
Fatta
con il mio pennarello, abbandonato nel lavandino, la parola Bitch
spiccava come se fosse stata un’insegna
al neon.
Ho
preso le poche cose che mi servivano e sono uscita di corsa, indicando
ai due
agenti intervenuti il bagno.
Mi
hanno fatto un sacco di domande, mi hanno chiesto se ho visto qualcuno
di
sospetto o se ho avuto l’impressione che qualcuno ce
l’avesse con me.
Sono
stata sul punto di parlar loro di mio padre, ma non posso credere che
sia stato
lui, non voglio pensare che si sia abbassato a tanto pur di vendicarsi
del mio
abbandono.
Mi
asciugo il viso ed esco dal bagno dalle mattonelle azzurre e beige.
Percorro il
corridoio e raggiungo il salotto.
Brat
si strofina sulle mie gambe, chiamandomi con il suo debole miagolio.
Adrian
non è in vista, ma mi sento a disagio ad essere di nuovo
qui.
Prima
ancora che i poliziotti finissero di fare i rilievi, Adrian mi ha
portata via.
Ha
preso il controllo della situazione ad una velocità
disarmante, come se fosse
abituato a trattare con persone simili, facendosi accordare il permesso
per
farmi prendere un po’ di vestiti e andarmene.
Volevano
che rimanessi per verificare l’eventuale assenza di qualcosa,
ma non sarei di
sicuro stata in grado di aiutare.
Ora
va un po’ meglio, questo è vero, ma fino a venti
minuti fa mi sentivo come se
fossi stata sballottata da una parte all’altra.
Non
ne son del tutto certa, ma credo che è così che
ci si sente dopo essere stati
sulle montagne russe.
Prendo
Brat in braccio prima che si arrampichi sulle mie gambe e lui,
immediatamente,
inizia a ronfare. Il debole prrr prrr continuo e ritmato mi calma un
po’ i
nervi, ma ugualmente è una situazione che non voglio
prendere in mano.
Chiedere
aiuto, a questo punto, renderebbe tutto ancora più reale.
Non
posso più tornare al dormitorio, non sarei più
tranquilla.
“Sei
qui.”
Adrian
arriva alle mia spalle, facendomi sobbalzare.
Mi
volto, facendo un paio di passi indietro verso il divano.
Adrian
occupa completamente l’uscio che divide il salotto-sala da
pranzo dal corridoio
che conduce alle stanze e al bagno.
Si
è tolto il cappotto, quello che ho inondato di lacrime, e
indossa un paio di
jeans scuri e un pullover chiaro che lo fa sembrare ancora
più imponente.
Prima,
in preda alla paura, ho cercato il suo conforto, ma ora, a mente quasi
lucida,
inizio a sentirmi davvero a disagio.
Non
è solo trovarsi nei suoi spazi privati, ma soprattutto
essere in sua compagnia dopo
quello che è successo un paio di giorni fa.
Ho
avuto molto tempo per pensarci, per soffermarmi su quegli istanti nei
momenti
meno opportuni, con un espressione da ebete, a detta di Jillian, che si
è
divertita a prendermi in giro ogni volta che mi ha beccata con la testa
tra le
nuvole.
È
stato più forte di me.
Non
sono riuscita a dimenticare, a non pensare.
Adrian
è stato molto chiaro, non solo con le parole, ma anche con i
fatti.
È
sessualmente attratto da me e in questi giorni, sono arrivata alla
conclusione
che, molto probabilmente, anche io sono attratta da lui, anche se non
so bene
cosa significhi.
Tuttavia
ogni volta che ripenso ai nostri baci, al modo in cui mi ha tenuta
stretta, non
posso non sentirmi agitata, con un enorme nodo allo stomaco.
Mi
è piaciuto baciarlo, sentire i brividi percorrermi la pelle.
Mi è piaciuto il
modo in cui mi ha guardata prima di andarsene.
Ciò
non significa che asseconderò questa cosa, principalmente
perché mi spaventa.
Grazie
agli insegnamenti di mio padre, io del sesso sapevo solo quello che lui
mi aveva detto e
quello che ho sentito alle
lezioni di educazione sessuale al liceo. Quindi, prima di conoscere
Meredith,
non avevo ben chiaro che cosa fosse effettivamente il sesso
Sapevo
che era un qualcosa che marito e moglie fanno la prima notte di nozze,
quando
la moglie concede la sua innocenza al marito, unendo gli organi
sessuali.
Fino
ad un paio di mesi fa, non sapevo altro e la fredda descrizione che mi
è stata
fatta da bambina non ha mai destato la mia curiosità.
Non
era qualcosa da cui trarre piacere o gioia. Per me era un atto freddo e
senza
anima.
Sebbene
con imbarazzo, Meredith me ne ha parlato diversamente. Credo che ormai
lo
vedesse con gli occhi dell’amore, perché il modo
in cui ha descritto le
emozioni che accompagnavano il sesso non credo avessero molto a che
fare con l’atto
carnale in se.
Per
Meredith, il sesso, era un momento di gioia e condivisione. Un qualcosa
che
faceva perché voleva sentire l’altra persona
più vicina.
Mi
ha detto in quel momento di unione, lui le apparteneva, era parte di
lei e questa
cosa, invece che sembrarmi affascinante, mi ha terrorizzata.
Probabilmente
lei ha intuito i miei pensieri, perché mi ha detto che non
è doloroso, che il
corpo di una donna, quella parte in particolare, è elastica.
Invece
che calmarmi, la cosa mi ha spaventata ancora di più,
perché mi sono raffigurata
il pene finto che la professoressa di sessuologia ha portato in aula un
giorno
per mostrare agli studenti come si usa correttamente un profilattico.
Sono
rimasta molto sconvolta da quella vista e, dopo averne parlato con mio
padre,
ho smesso di frequentare quel corso.
Tuttavia
l’immagine di quel pene è rimasta impressa nella
mia mente. Mi sono chiesta
molte volte come fosse possibile per una donna accogliere nel proprio
corpo una
cosa così grande e la risposta non l’ho mai
trovata.
Tuttavia
è impossibile che non sia doloroso.
Per
questo l’idea del sesso mi spaventa così tanto.
Non
è solo qualcosa che io avevo sempre associato
all’amore e al matrimonio, ma
anche qualcosa che per me significava solo sofferenza.
Per
questo ora sono così a disagio, perché mi
è piaciuto stare vicino ad Adrian e
mi sarebbe piaciuto che non finisse mai.
Questo
però mi ha spinta a chiedermi quale sia effettivamente il
mio limite.
Baciare
è okay, ma se Adrian dovesse volere di più, sarei
in grado di negarmi, di dire
di no?
Non
lo so, perché per qualche ragione, negli ultimi giorni, le
parole che mi ha
detto Meredith a tal proposito, hanno cominciato a darmi il tormento,
assumendo
un nuovo significato.
Se
davvero il sesso può essere così, tutto quello
che ho creduto, che mi spaventa
così tanto, non esiste. Tutto quello a cui finora ho creduto
cesserebbe di
avere importanza.
Continuo
a chiedermi se la mia curiosità a tal proposito sia giusta.
Tuttavia,
anche se le cose sono così, io non voglio donarmi a qualcuno
che non mi ama,
che non mi vuole per quella che sono.
Adrian
però mi piace. Mi fa sentire cose che non ho mai provato in
vita mia, cose che
non vorrei mai smettere di provare.
In
questi ultimi dieci minuti mi sono chiesta molte volte
perché, nonostante mi
abbia detto di stargli alla larga, lui si trovasse di fronte al
condominio.
Non
ho ancora avuto modo di domandarglielo, non ho ancora trovato il
coraggio, ma
credo che non esisterà un momento più adatto di
questo per fatlo.
“Cosa
ci facevi lì Adrian?”
Lui
sbatte le palpebre, arrossendo leggermente sul collo.
Lo
osservo spostare il peso da un piede all’altro e passarsi una
mano tra i
capelli già arruffati.
“Non
mi crederesti!”
“Mettimi
alla prova!”
Sono
perplessa, perché mi sembra realmente in
difficoltà, ma non voglio lasciar
perdere.
“Il
tuo gatto, è iniziato tutta per colpa sua.”
Indica
Brat stretto tra le mie braccia, che immediatamente smette di fare le
fusa, si
volta verso di lui e gli soffia con violenza.
Sarei
tentata di scoppiare a ridere, perché è piuttosto
evidente che Brat lo detesta,
ma Adrian mi sembra così serio che non credo sarebbe una
buona idea prenderlo
in giro.
“Che
cosa c’entra lui con la tua presenza di fronte agli
alloggi?”
Lui
pare sempre più a disagio, tanto che inizia a camminare
avanti e indietro. Dal
mobiletto di fianco all’ingresso, fino alla porta. Avanti e
indietro un paio di
volte.
“
È stato agitato per tutto il giorno e mi ha messo
l’ansia addosso. Avevo questa
strana sensazione, come se stesse per succedere qualcosa di brutto e,
se quella
palla di pelo era agitato, l’unica persona a cui poteva
succedere qualcosa eri
tu.”
Credo
di avere la bocca spalancata, perché mi fulmina con lo
sguardo.
Sta
scherzando, non è vero?
Le
premonizioni non esistono, però forse sul gatto potrebbe
avere ragione. In
tantissime religioni il gatto è considerato sacro e
portatore di buoni o
cattivi auspici.
Quindi
perché no? Perché deve essere per forza
impossibile?
Inoltre
questo potrebbe essere un segno. Forse il signore ha messo Adrian sulla
mia
strada perché io possa aiutarlo e questa non è
stato altero che un messaggio dall’alto.
“Così
sono passato per controllare che fosse tutto a posto, che stessi bene.
Pensavo
che fosse una sciocchezza, che sarei tornato a casa dandomi
dell’idiota per
aver creduto a qualcosa di così stupido, ma se ti fosse
successo qualcosa non
me lo sarei mai perdonato!”
La
sua affermazione mi spiazza e probabilmente anche lui sente lo stesso,
perché
ha il viso scarlatto e l’espressione di chi è
sconvolto.
Più
lo osservo, più capisco che cosa mi ha detto, più
sento il calore al centro del
petto aumentare. Vengo sommersa da un enorme tenerezza.
Questo
burbero uomo grande e grosso, che si comporta nei modi peggiori, quando
non usa
le parole per ferire chi lo circonda, sa essere davvero dolce.
Era
preoccupato per me, per la mia incolumità perché
ci tiene, più di quanto lui
stesso sappia.
Forse
non è la persona migliore di questo mondo, ma ha il cuore al
posto giusto. È sepolto
molto in fondo, ma c’è.
Finora
ci avevo sempre creduto, ma ora lo vedo. È lì,
avvolto dalla tristezza, dall’oscurità,
e non voglio fare altro che tirarlo fuori e farlo splendere.
Metto
giù Brat e mi avvicino a lui, rimasto fermo, paralizzato,
con lo sguardo perso
nel vuoto.
Lo
circondo con le braccia e poggio la testa sulla sua spalla.
“Grazie
Adrian per avermi protetta.”
Il
suo corpo, a così stretto contatto con il mio, è
rigido. È come se stessi
abbracciando una colonna di legno, ma pian piano si ammorbidisce e le
sue
braccia si chiudono su di me, come una gabbia dorata.
La
sua stretta è lieve, ma decisa e sento, sotto il mio
orecchio, il suo cuore che
batte forte quanto il mio. Non battono all’unisono: Sembra
quasi che si stiano rincorrendo.
Rimaniamo
fermi così per un sacco di tempo. Così tanto che
i nostri cuori si calmano,
trovando un nuovo ritmo.
Mi
sento bene qui, stretta a lui. So che non mi potrà succedere
sulla fino a
quando gli sarò vicina, ma so anche che dovrei lasciarlo
andare, spezzare
questa stretta così rassicurante.
Per
la prima volta dopo tanto tempo, mi sento in pace.
“Non
puoi restare qui!”
La
sua voce suona bassa ma decisa, così vicina al mio orecchio
da farmi venire la
pelle d’oca e aumentare nuovamente le palpitazioni..
“Lo
so!”
Ma non vorrei mai lasciarti
andare.
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Capitolo 24 *** 24 Adrian ***
24
Adrian.
Chelsea
è andata via da più di mezz’ora e avrei
tanto voluto smettere di pensarci, ma
sapevo che non sarebbe stato possibile.
Chelsea
ha chiamato Meredith per raccontarle l’accaduto e lei ha
chiamato il fratello
per informarlo che avrebbe svuotato al più presto
l’alloggio studentesco.
Non
mi ha sorpreso scoprire tutto ciò da Ryan e Bianca, che
immediatamente sono
saliti da me per parlare con Chelsea e rassicurarsi sul suo stato di
salute.
Ryan
mi ha tenuto sotto controllo per tutto il tempo, osservandomi con una
strana
ruga tra le sopracciglia.
Non
mi ha chiesto nulla, ma quando è sceso per riaccompagnare a
casa la moglie, mi
ha detto che sarebbe risalito di lì a poco.
Lo
sto ancora aspettando e non so se sperare che rimanga a casa sua o meno.
Non
mi è piaciuto il modo in cui mi stava osservando e sono
ancora troppo scosso
per pensare di rimettermi la maschera.
Chelsea,
ancora una volta, è riuscita a spiazzarmi e a tirarmi fuori
cose che non volevo
uscissero.
Non
avrei mai voluto ammettere di essermi preoccupato per lei, nemmeno con
me
stesso.
Mi
ero giustificato, dicendomi che lo facevo solo per avere la coscienza
pulita,
ma la verità è che non volevo che le succedesse
qualcosa e l’unico modo che
avevo per assicurarmene era andare agli alloggi.
Avrei
potuto dirle di rimanere, ma non sarebbe stata una buona idea.
Nonostante
tutto, non è cambiato niente.
Io
sono sempre lo stesso.
Chelsea,
dopo aver chiuso la telefonata con Meredith, e avermi chiesto in
prestito il
carica batteria per il cellulare, ha chiamato Jillian.
Per
tutta la durata della telefonata, Chelsea mi ha dato le spalle, ma
quando si è
girata, aveva un sorriso triste sul viso.
Per
la prima volta, mi è sembrata davvero abbattuta.
Non
l’avevo mai vista così demoralizzata.
Per
la prima volta da molto tempo, ho desiderato aiutare qualcuno. Avrei
voluto
risollevarle il morale, far sparire la tristezza dal suo viso, fino ad
oggi
sempre ottimista.
La
cattiveria del mondo è riuscita ugualmente a raggiungerla.
Avrei
voluto essere una persona diversa per poterle stare accanto, ma invece
che
aiutarla, avrei solo peggiorato la situazione.
Proprio
per questo l’ho
accompagnarla di sotto
quando la sua amica, una bella donna sulla quarantina, è
passata a prenderle.
Lei
è salita sulla macchina, salutandomi con un timido gesto
della mano e sono
rimasto ad osservare mentre spariva in lontananza.
È
stato strano tornare di sopra, con quello stupido gatto che mi
osservava,
seduto sul bracciolo del divano, che mi guardava con sguardo
accusatorio.
“Non
le ho fatto nulla. È meglio così!”
Il
gatto ha girato la testa, come se avesse capito quello che gli ho
detto, ma non
fosse soddisfatto.
Solo
in quel momento mi sono accorto di aver iniziato a parlare con il gatto.
Sto
impazzendo, ne sono sicuro, perché non
c’è altra spiegazione per quello che sta
succedendo, per quello che sto iniziando a sentire.
Non
avrei mai pensato di incontrare una persona in grado di farmi pensare a
qualcosa di diverso dal mio egoismo.
Quando
si tratta di Chelsea, sono disposto a mettere molte cose da parte, ma
non è
abbastanza anche solo per pensare a lei come a qualcosa di diverso di
un’amica.
Non
sono disposto a mettere da parte la mia vendetta e lei merita molto
più di
questo.
La
porta dell’appartamento si apre all’improvviso e il
mio amico entra, portando
con se un
cartone con sei
birre.
“Quelle
per cosa sono?”
Ryan
mi supera senza dire nulla e va a sedersi sulla poltrona. Indossa un
paio di
pantaloni da palestra e una maglia a collo alto pesante. Ha i capelli
più corti
di quanto non li abbia mai avuti, ma per il resto è ancora
quello dell’anno
scorso, nonostante la sua vita sia cambiata completamente.
Quando
si è messo con Bianca, ho pensato fosse impazzito. Quando,
circa un anno fa ci
ha detto che sarebbe diventato padre e che presto avrebbe sposato
Bianca, sono
rimasto sconvolto.
Non
stava cambiando solo la sua vita, ma anche la mia. Niente sarebbe
più stato
come prima. La spensierata amicizia di quegli anni di College si
sarebbe
trasformata in qualcosa per cui non ero pronto.
Ho
disapprovato silenziosamente fino all’ultimo. Anche in
chiesa, mentre lui e
Bianca si stavano scambiandole promesse, ho sperato, egoisticamente ,
che si
tirasse indietro.
Eppure,
quando ha messo alla sua donna l’anello al dito, mi sono
sentito davvero
orgoglioso, perché Ryan è un uomo di parola, come
non ce ne sono molti al
mondo.
Lo
rispetto immensamente per le sue scelte. Sarebbe stato più
semplice,
immensamente di più, lavarsene le mani, ma non è
quel genere di persona ed è per
questo che sono preoccupato per la sua presenza nel mio appartamento.
“Allora,
vuoi dirmi cosa sta succedendo esattamente?”
“Non
so di cosa stai parlando.”
Afferro
una delle birre e la apro dopo essermi messo sul divano ed acceso la
televisione.
“Non
provare a prendermi per il culo. È vero, in questo periodo
sono stato
estremamente occupato, soprattutto dopo la storia di Logan e mia
sorella, ma
sto diventando un buon osservatore e lo so che sta succedendo qualcosa.
Perché
eri lì, Adrian?”
Cambio
i canali in rapida successione, non soffermandomi quasi su quello che
stanno
trasmettendo.
Non
voglio rispondergli, anche perché non so esattamente che
cosa dirgli. Mi
renderei solo ridicolo.
Con
la coda dell’occhio vedo che si guarda attorno, perplesso.
“E
mi spieghi per quale motivo le tende alle finestre sono mezze
distrutte? Che è
successo?”
L’autore
del macello decide proprio in questo istante di farsi vedere, iniziando
a
strusciarsi sulle gambe di Ryan.
“Perché
c’è un gatto?”
All’inizio
la domanda sembra che la domanda la stia ponendo a se stesso, ma poi si
gira
verso di me, con un espressione incredula.
“Perché
c’è un gatto nel tuo appartamento? Adrian che sta
succedendo?”
Più
mi pone domande, più sento la rabbia montare.
Cosa
vuole che gli dica esattamente? È Successo per caso,
dannazione.
“Puoi
smetterla di farmi domande? Sono stufo di avere attorno gente che mi
chiede
cosa mi passa per la testa e mi dice come devo comportarmi. Non ne
posso più di
te, di mio padre, di Josh e di Chelsea, con quel suo assurdo modo di
fare. Non
lo sopporto. Mi spinge a fare cose che non vorrei e lo
detesto!”
Tutta
la frustrazione per la situazione in cui mi trovo viene fuori di botto.
Sono
infuriato. Voglio solo essere lasciato in pace, libero di andare avanti
con la
mia vita.
Perché
tutti gli altri non possono fare lo stesso e lasciarmi stare?? Sto
meglio da
solo.
Non
ho bisogno di loro, non ho bisogno di nessuno.
“Amico,
vedi di darti una
calmata. Se hai i
coglioni girati per un qualche motivo, non te le devi prendere con me o
con
quella poverina. Hai fatto tutto da solo.”
“Chi
sarebbe la poverina?”
“Chelsea,
ovviamente. Mi dispiace un casino per lei ed è bello che tu
l’abbia aiutata, anche
se non riesco a capire perché tu lo abbia fatto.”
Sento
nuovamente la rabbia salire, complice la frustrazione per
l’incapacità di
lavarmene le mani.
“Quella
lì è tutto tranne che una poverina. È
una dannata strega, una fata in grado di
farti fare tutto quello che vuole senza che tu nemmeno ti renda conto
di essere
finito nel suo incantesimo. Le basta sbattere le palpebre, facendo gli
occhioni
da cucciolo bastonato per poter ottenere tutto quello che vuole.
È insopportabile!”
La
risata poderosa di Ryan invade l’intera stanza. Si allunga
per appoggiare la
lattina sul tavolino di fronte a lui e, osservandomi, continua a
ridere, sempre
più forte.
“Cosa
cazzo hai da ridere?”
Se
speravo che la mia evidente rabbia lo facesse smettere, i sbagliavo di
grosso,
perché la sua ilarità aumenta ancora di
più, diventando incontrollabile.
Se
non fossi così furibondo perché si sta prendendo
gioco di me, sarei tentato di
unirmi a lui.
Ha
un non so che di contagioso.
“La
vuoi finire? Mi sto incazzando seriamente!”
Pian
piano il suono si attenua, mentre il mio amico ha il viso rosso, il
fiato corto
e, mi sembra, addirittura le lacrime agli occhi.
Mi
sento estremamente mortificato e questo fa scaturire in me un
sentimento di
odio davvero potente.
Nessuno
mi deve prendere in giro, burlarsi di me. Non sono un buffone, qualcuno
di cui
ridere alle spalle.
“Scusa,
è che vederti così, privo di controllo, mi ha
davvero spiazzato. Da un certo
punto di vista, ho sempre invidiato il tuo ferreo autocontrollo, ma
dall’altro
mi rendevo conto che prima o poi anche tu ti saresti trovato a fare i
conti con
qualcosa che non puoi controllare. Non ti invidio e non vorrei essere
al tuo
posto.”
Si
passa una mano tra i capelli e recupera la sua birra. Da un certo punto
di
vista, il suo ragionamento fila e placa un po’ il mio
risentimento.
“Chelsea
è una persona che non puoi controllare a tuo piacimento e
questo ti spiazza
completamente. Ammetto che ha lasciato molto perplesso anche me con il
suo modo
di fare e il sorriso perennemente incollato sulla faccia. Non avevo mai
incontrato una persona allo stesso tempo così credulona e
allo stesso tempo
così intelligente. Dopo quello che ha passato, anche questa
non ci voleva ed è
un bella cosa che tu l’abbia aiutata.”
Solleva
la birra al mio indirizzo, con un sorriso furbo sul viso che mette in
evidenza
la fossetta sulla guancia destra.
“Anche
se fai il burbero e il duro, non sei una cattiva persona ed
è evidente che
Chelsea riesce a tirare fuori il meglio di te.”
“È
il suo modo di fare. Mi guarda come se fossi sul punto di tirare fuori
un
coniglio dal cilindro e non riesco ad essere il solito bastardo,
perché proprio
non avrebbe senso. L’ultima volta le mie parole le sono
scivolate addosso come
se fossero acqua, lei mi ha osservato per un paio di secondi e poi ha sorriso, sfidandomi e
facendomi sentire un
autentico imbecille. È Convinta che io sia una brava
persona.”
Ryan
finisce la sua bibita osservandomi in silenzio per diversi secondi e mi
chiedo
a cosa stia pensando. La sua espressione è indecifrabile.
“Sai?
Potrebbe avere ragione, perché nessuna cattiva persona
l’avrebbe aiutata come
hai fatto tu. Sei un gran testardo. Sei convinto del tuo ed
è okay, ma forse
avevi proprio bisogno di conoscere una persona più testarda
di te.”
***
Avevo
appena finito di completare l’ultima acquisizione,
raggiungendo così il
cinquantadue virgola otto per cento delle azioni dell’azienda
di mio nonno,
quando il cellulare ha iniziato a squillare.
L’ho
ignorato, perché non avevo nessuna voglia di parlare con mio
padre, ma l’aggeggio
infernale ha continuato a ronzare, come se fosse andato in tilt, fino a
quando
non ho risposto. Il buongiorno è stato il suo urlo che mi ha
mezzo fracassato
un timpano.
“A
cosa devo questo bel saluto?”
“Ma
ti rendi conto di quello che hai fatto? Perché non usi il
cervello, razza di
imbecille?”
Sento
che la rabbia sta iniziando a salire, ma faccio di tutto per arginarla,
perché
on è ancora il momento.
Devo
mantenere il controllo.
Un
giorno, non troppo lontano, si pentirà amaramente del modo
in cui mi ha
trattato, di tutti gli epiteti che mi ha rivolto in questi anni.
Molto
presto il suo stupido figlio gli renderà ogni torto subito.
“Mi
vuoi spiegare di che cosa stai parlando?”
“Della
foto che è finita su internet e potrebbe finire sulle
riviste scandalistiche.
Tu mi vuoi rovinare.”
Rimango
spiazzato dalle sue parole. Di che foto sta parlando?
“Spiegati
meglio”
“Ieri
sera, razza di sciocco. Ti hanno fotografato insieme alla tua amichetta
mentre
saliva nella tua macchina e poi mentre entravate nel tuo edificio.
È evidente
che non siete solo amici e stanno volando le congetture. Ti avevo
chiesto di
mantenere un basso profilo. Invece tu cosa fai? Ti immischi con la
polizia?”
Rimango
senza parole e senza fiato
mentre
realizzo di che cosa sta parlando il vecchio.
Prima
ancora di essermene reso conto, gli ho chiuso il telefono in faccia e
sono di
nuovo al pc, alla ricerca della foto e dell’articolo.
È
come mi ha detto lui.
In
bella vista ci siamo noi. Nella foto ho un espressione tesa, la
preoccupazione
è più evidente di quanto non avrei voluto e
Chelsea invece sembra molto triste,
giù di morale.
Nella
seconda foto, invece, siamo stati ritratti di spalle.
Ho
appena aperto il portone d’ingresso, tenendoglielo aperto e
incoraggiandola a
salire con la mano premuta sulla schiena. Nessuno penserebbe mai che
è un
atteggiamento che non ha nulla a che vedere con le illazioni che ne
scaturiranno.
Nell’articolo
non c’è il nome di Chelsea, ma chi lo ha scritto
ha svolto delle indagini,
perché ha parlato chiaramente dell’accaduto.
Parla
della stanza di strutta e del fatt che sarei accorso immediatamente in
suo
aiuto.
Si
ipotizza una relazione segreta e l’articolo da come certo il
fatto che lei
sarebbe rimastra nell’edificio tutta la notte anche se non
è vero.
Sono
furibondo.
Come
si permettono quegli sciacalli?
Ciò
che faccio della mia vita non ha nulla a che fare con le aspirazioni
politiche
di mio padre e non sopporto che ci vadano di mezzo delle persone che
non hanno
nulla a che fare con questa storia.
Devo
avvertire Chelsea di quanto è successo.
Lei
non sa nulla di queste cose e quei maledetti avvoltoi le daranno il
tormento se
non vengono fermati immediatamente. Non voglio che a causa mia venga
perseguitata ulteriormente.
Ma
come? Non ho il suo numero di telefono e non so dove viva la usa amica.
Cosa
accidenti devo fare? Farsi vedere in pubblico assieme sarebbe una
cattiva,
cattivissima, idea.
Lo
stupido gatto sceglie proprio questo momento per decidere di saltarmi
sulle
gambe, puntare le unghie sulle cosce e stiracchiarsi.
Un
dolore lancinante si irradia su per la coscia destra, mentre il
disgraziato
fugge prima che lo possa acchiappare.
Se
Chelsea non si sbriga a trovargli una casa, quel gattaccio potrebbe
fare una
brutta fine.
Mi
massaggio con cautela la gamba, osservando il cellulare, indeciso.
Potrei
chiamare Logan, farmi passare quella pazza della sua ragazza e
chiederle di
darmi il numero della sua amica, ma non sono molto sicuro che me lo
darebbe.
Meredith
mi detesta profondamente e se mai dovesse scoprire che ho messo le mani
addosso
a Chelsea, credo che proverebbe ad ammazzarmi.
No,
non è decisamente una buona idea, ma a chi chiedere?
Forse
c’è un'altra persona che potrebbe avere il suo
numero di telefono, ma non mi
piace l’idea di chiederle qualcosa, perché lei non
solo non mi può vedere, ma
mi odia spassionatamente.
Kayla
è l’ultima persona con cui vorrei parlare, ma
è anche l’unica persona che mi
può aiutare a non complicare ancora di più le
cose.
Non
ho il suo numero, ma ho quello di Josh e dato che i due praticamente
vivono in
simbiosi, è probabile che in questo momento siano assieme.
Il
telefono squilla parecchie volte prima che lui mi risponda e ottenere
il numero
di Chelsea si rivela più complicato di quello che pensavo,
perché entrambi
hanno visto l’articolo, dato che qualche ficcanaso ha
condiviso il link sulla
pagina facebook del campusl
Dopo
una lunga, lunghissima spiegazione che non avrei voluto dare,
finalmente riesco
ad ottenere quello che mi serve.
Che
io sia dannato se mi dovessi mettere di nuovo in una posizione del
genere.
Che
umiliazione.
|
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Capitolo 25 *** 25 Chelsea ***
25
Chelsea.
Mi
sarei accontentata di un divano e di un bagno, non mi serviva molto
altro.
Invece
Jillian si è data un gran da fare per liberare lo studio
appartenuto al marito,
che fino a quel momento aveva usato come ripostiglio per le cose che
non sapeva
dove mettere.
Ha
aperto il divano letto e ha liberato un cassetto dove farmi mettere le
poche
cose che sono riuscita a portare via dalla mia camera.
Tutto
questo mentre ero seduta al tavolo della cucina con
un’eccitatissima Allyson di
fronte, che non la smetteva di dire quanto era felice che rimanessi un
paio di
giorni da loro.
Mi
sono sentita a disagio per tutto il tempo.
È
vero, non avevo nessun’altro a cui poter chiedere, ma
ciò non ha reso la mia
impotenza più semplice da gestire.
Ad
Allyson non ho raccontato quello che è successo. Sapevo che
si sarebbe
spaventata e non mi avrebbe persa d’occhio.
Le
ho solo detto che momentaneamente il mio alloggio è
inagibile e che sua madre è
stata così gentile da ospitarmi.
“Non
ti preoccupare per i vestiti. Posso prestarti io qualcosa.
Buonanotte.”
Ha
salito le scale prima che potessi dirle che non mi servivano e che, con
tutta
probabilità, i suoi vestiti non mi sarebbero mai entrati.
Io
e Jillian siamo da sole adesso, in questa cucina dall’aria
vissuta, che profuma
di torta di mele e cannella.
“Vuoi
dirmi cos’è successo? Hai una faccia sconvolta.
Niente di ciò che dirai potrà
farmi cambiare idea.”
Stringo
forte tra le mani la tazza di caffè bollente che mi ha
appena passato e punto
lo sguardo su una delle pesche che decorano la tovaglia del tavolo.
“Lo
so. È solo… così difficile. Un momento
prima va tutto bene, l’attimo dopo è
tutto un casino. Questi ultimi mesi sono stati così pesanti.
Prima mio padre,
ora questo. Inizio a chiedermi se riuscirò a vivere almeno
un po’ in pace. Mi
manca la calma e la serenità della mia vita di prima, ma
allo stesso tempo il
pensiero di tornarvi mi annichilisce.”
Seguono
alcuni secondi di silenzio, dove non posso fare a meno di sollevare la
testa e
guardare la bionda donna seduta davanti a me, che sorseggia un bel te
alle more.
“Non
ti giudicherò, Chelsea. Sono l’ultima persona al
mondo che può permettersi di
farlo.”
Non
credo che ci sia qualcosa da giudicare. In fondo, non credo che lei
abbia
proprio qualcosa da farsi perdonare. Io invece ho solo il timore di
apparire
stupida e ottusa. Jillian è una donna che stimo moltissimo,
ancora di più dopo
quello che mi ha raccontato e non vorrei che la mia passata
ingenuità la
condizionasse.
Però
so che non lo farebbe mai, per questo decido finalmente di sfogarmi,
raccontandole tutto quello che è successo, iniziando
dall’inizio.
Le
parlo della scoperta, di Meredith e di come mi abbia aiutata a crescere
e
diventare finalmente me stessa. Le racconto di mio padre, di come ha
sempre
disapprovato la nostra amicizia, denigrandomi.
Quando
le parlo del modo violento in cui si è comportato, le
lacrime fuggono al mio
controllo, perché accompagnate ancora una volta dal
sentimento di perdita.
Jillian
ascolta tutto questo in silenzio e non so se mi abbia guardata, ma io
non
potevo farlo e mi sono limitata a fissare il liquido nero nella tazza
che
tremolava leggermente a causa delle mie mani malferme.
“È
stato per questo che ho dovuto trovare un lavoro. Non voglio
più nulla da lui.
Non è la persona che pensavo fosse e mi ha mentito per tutta
la vita. Mi aveva
detto che mia madre era morta.”
L’ultima
frase suona come il suono di un animale ferito e mi rendo conto di star
singhiozzando.
Non
lo avevo detto a nessuno, nemmeno a Meredith, e questa consapevolezza
allevia
un po’ la pressione che da un po’ di tempo mi
gravava sul cuore.
Jillian
ha lo sguardo sconvolto, quando alzo il capo, e capisco che cosa stia
pensando:
si chiede se, dopo averle portato via la sua bambina, il suo ex marito
abbia
detto la stessa cosa alla sua Rhea, ma ora non ho tempo di soffermarmi
sui suoi
sentimenti.
Non
posso farcela. Non ho le forze per mettere da parte tutto quello che
provo per
alleviare il suo dolore.
Ormai
ho scoperchiato il vaso di Pandora e tutto quello che mi stavo tenendo
dentro
sta uscendo prepotentemente.
“Mi
ha mentito. Ha detto sempre e solo bugie. Una dietro l’altra,
mentre a me
insegnava ad essere una buona credente, una figlia rispettosa. Tutto
ciò mentre
infarciva la mia vita di menzogne. Mia madre è viva, da
qualche parte là fuori
e non so come o se voglio trovarla. Ho paura delle risposte che potrei
ricevere!”
Per
tutto il tempo ho guardato Jillian negli occhi, incapace di distogliere
lo
sguardo.
“Potrebbe
non essere come te, che dopo tanto tempo pensi ancora costantemente a
tua
figlia. Lei potrebbe non amarmi, non avermi mai voluta e questo mi
spaventa
molto. Vorrei sapere, per potermi mettere l’anima in pace.
Almeno sapere se
dopo sedici anni è ancora viva. Ma non so da che parte
cominciare. Ho solo un
nome, MarySue, ma null’altro.”
Jillian
si allunga e mi prende le mani, gli occhi lucidi di chi è
molto coinvolto
emotivamente.
“Oh,
Chelsea, non avevo idea che avessi passato momenti così
brutti. Ti aiuterò,
voglio aiutarti. Se io non posso riabbracciare la mia Rhea, forse tu
potrai
ritrovare tua madre. Ci ho provato, solo il cielo sa se non
l’abbia cercata, ma
Fred me l’ha portata via.”
Sento
il cuore più leggero, ma allo stesso tempo ancora soffocato,
perché percepisco
nitidamente il dolore di Jillian.
“Parlamene.
Dato che siamo in momento di confidenza, parlarne potrebbe aiutarti. Io
un po’
mi sento meglio.”
Lai
scuote la testa, facendo scappare diversi capelli biondi dalla crocchia
che ha
in testa.
“No,
non mi aiuterà. Sono tutte cose che vorrei dire a
Rhea.”
Allontana
le mani da me, ma ora sono io a prendere le sue, stringendole con forza.
Non
voglio che si tiri indietro. Ne ha bisogno lei quanto ne avevo io e
dopo che mi
ha ascoltata, il minimo che posso fare è renderle il favore.
“Coraggio
Jillian. Sono cose che ti stai tenendo dentro da troppo tempo. Tuo
marito lo
sapeva?”
Un
sorriso triste le illumina il viso mentre punta lo sguardo alle mie
spalle,
verso la credenza. L’ho vista prima, la piccola foto che
ritrae una famiglia
felice.
Jillian,
più giovane di almeno dieci anni, che stringe alla vita un
uomo imponente con
la testa rasata e i baffi lunghi e Allyson, che allora avrà
avuto si e no sei
anni, seduta comodamente sulla spalla del padre.
Tutti
e tre sorridono, felici.
“Oh
sì, lui lo sapeva, anche se non ci siamo mai realmente
sposati. Per molto tempo
ha cercato di convincermi a cercarla, ma dopo anni di delusione, ero
così
stanca di soffrire e sperare che la chiamata che aspettavo sarebbe
arrivata. Ho
ingaggiato un investigatore privato, che l’unica cosa che
è riuscito a scoprire
è che mio marito Fred aveva prenotato dei biglietti aerei
che da Denver lo
avrebbero condotto a Londra. Il nome di mia figlia era su uno dei
biglietti.
Non
so se abbiano mai preso quell’aereo, dato che Rhea non aveva
il passaporto, ma
quello è stato l’ultimo indizio che
l’investigatore è riuscito a trovare. Fred
e Rhea sono spariti nel nulla. Nemmeno lo stato è riuscito a
rintracciarli
quando ho fatto la denuncia. Semplicemente sono svaniti nel
nulla.”
Non
riesco a capacitarmene. Come ha potuto fare una cosa del genere a sua
moglie?
Portarle via sua figlia e sparire nel nulla.
Non
riesco ad immaginare quanto sia stato devastante per Jillian.
Dev’essere stato
un dolore inimmaginabile.
Le
stringo forte le mani, mentre dai suoi occhi iniziano a strabordare le
prime
lacrime.
“L’ho
cercata così tanto, ma non c’è stato
nulla da fare. Nessuno è riuscito ad
andare oltre quei maledetti biglietti. Ho
iniziato a chiedermi se non sia stato
meglio così. Dopotutto allora non ero una buona
madre.”
Rimango
in silenzio, sorpresa da questa affermazione, perché io
penso che sia grandiosa
e che Allyson sia estremamente fortunata.
“Ero
così giovane, che non sapevo quanto sarebbe stato diverso
dopo il parto. Avevo
avuto nove mesi per abituarmi alla presenza del bambino. Non vedevo
l’ora che
arrivasse il momento del parto. LA pancia pesava, avevo mal di schiena,
i piedi
doloranti, ma allo stesso tempo ero felice di sentirlo scalciare e
muoversi.
Era una parte di me.”
Sottrae
le mani e con un fazzoletto preso dalla tasca si asciuga gli occhi e si
soffia
il naso.
“Quando
mi hanno messo in braccio la mia splendida bambina, ero al settimo
cielo. Era
stupenda, perfetta, mia. Ma non avevo tenuto conto di quanto il mio
corpo fosse
stato messo alla prova. Tornata a casa, mi sembrava tutto diverso, io
ero
cambiata. Mi guardavo allo specchio, con i residui della gravidanza su
tutto il
corpo, e mi vedevo orribile. Mi sentivo inutile, quando la bambina
piangeva e
non riusciva a smettere, mi faceva paura prenderla in braccio
perché temevo di
essere inadatta e farle del male. Quando
dopo due settimane il latte è sparito, mi sono sentita un
autentico fallimento.”
Mi
guarda con espressione triste, scoraggiata.
“Sono
caduta in depressione ed ero ben felice che ci fosse la sorella di mio
marito
ad aiutarci. Cassandra aveva solo un paio di anni più di me
e non poteva avere
figli a causa di un intervento chirurgico a cui era stata sottoposta da
ragazzina. Adorava Rhea. Passava con lei tantissimo tempo, le dava il
biberon e la
cambiava quando io non
riuscivo a farlo. Cassandra è stata un gran aiuto, ma forse
anche una dei
motivi per cui sono andata via di casa. Avevo detto a Frank che sarei
andata a
farmi curare, perché amavo nostra figlia e volevo essere la
madre migliore del
mondo per lei. mi era sembrato d’accordo, ma quando sono
tornata a casa, due
mesi dopo, erano spariti. La
casa era
vuota, disabitata da almeno due settimane. Non starò a dirti
quanto questo mi
ha fatta soffrire. Solo la consapevolezza che accanto a lei
c’è una bella
persona come Cassandra mi fa andare avanti. Eravamo così
amiche e non so cosa
sia successo, cosa li abbia spinti a lasciarmi indietro, ma sono
sicurissima
che Cassandra proteggerà sempre la mia bambina.”
Ho
un enorme groppo in gola. Vorrei dire qualcosa, ma l’unica
cosa che vorrei fare
è piangere.
Jillian
è una donna straordinaria, ancor più di quanto io
credessi. Superare una cosa
del genere non deve essere stato assolutamente facile ed è
evidente che ancora
non ha superato la perdita.
Non
oso immaginare quanto sia stata dura. Il suo defunto marito
dev’essere stata
davvero una persona speciale.
“Il
padre di Allyson, Paul, giusto? Come vi siete conosciuti?”
Sentir
nominare il suo nome fa immediatamente spuntare un sorriso sul suo viso.
“Oh,
questa è un’altra lunghissima storia, ma era
l’uomo giusto, quello con cui
avrei voluto passare tutta la vita. Sapeva sempre farmi ridere. Anche
se le
cose andavano male, lui riusciva a rallegrarmi. Aveva perennemente il
sorriso
sul viso, anche se nelle foto usciva sempre come un burbero orso
pelato, ed era
pronto a vedere del buono in tutti. Se non lo avessi incontrato, non so
ora
dove sarei.”
“La
vostra deve essere stata davvero una bella storia.”
“Lo
è stata. Sono stati sedici anni meravigliosi. Anche se, lo
ammetto, quando l’ho
conosciuto ero ancora troppo addolorata per aver perso la mia bambina.
Eppure
lui non ha lasciato perdere. Diceva che ne valeva la pena, che non
avrebbe mai
più incontrato una donna come me. Che era molto fortunato.
Ma la verità è che
quella fortunata sono stata io. Lui era tutto quello di cui avevo
bisogno per
tornare a sperare. Ora però basta parlare di me.”
Si
raddrizza, dopo essersi nuovamente pulita il viso con un altro
fazzoletto di
carta e mi rivolge una delle sue solite occhiate di ammonimento.
“Non
mi hai ancora detto cosa ti ha portato a casa nostra.”
Ha
ragione e speravo di non doverne più parlare.
Non
l’ho fatto di proposito, ma speravo che si fosse dimenticata
di questa cosa.
“Qualcuno
è entrato nella mia camera. Ha messo tutto a soqquadro, ha
addirittura
distrutto alcune cose. Mi sono spaventata moltissimo, perché
sono azioni
dettate da una sola cosa: l’odio.”
“accidenti,
che brutta situazione. Resta qui tutto il tempo che ti serve. Quella
stanza
doveva essere uno studio, ma Paul non lo ha mai realmente utilizzato.
Preferisco che lo usi tu piuttosto che lasciare che la polvere si
accumuli sui
mobili.”
“Davvero,
Jillian. Non serve. Troverò in fretta un altro posto dove
stare e che mi possa
permettere.”
Non
voglio abusare della sua ospitalità ed immaginavo che
avrebbe detto qualcosa
del genere, ma di certo non mi sarei mai aspettato che le mie parole
venissero
accolte così male.
“Ti
ho forse dato scelta? Tu hai bisogno di un posto dove stare. Fine della
discussione!”
Sono
senza fiato e allo stesso tempo estremamente commossa per la sua
risolutezza.
Eppure non posso lasciare che le cose vadano così. Non
voglio essere un peso.
“Saranno
comunque solo pochi giorni. Se dovessi rimanere più a lungo,
lascia almeno che
ti paghi un affitto!”
Mi
rivolge l’unica occhiata che non avrei mai voluto ricevere,
quella che riserva
ad Allyson ogni volta che la becca a fare qualcosa che non dovrebbe.
È
uno sguardo inquietante, in grado di zittire anche Theo.
“Tu
non mi pagherai un bel niente. Se vuoi renderti utile, pulisci le tue
cose e
tieni in ordine. Se proprio devi, puoi dare una mano con le faccende
domestiche, ma non accetterò un centesimo da te. Metti quei
soldi da parte per
le rette del college piuttosto e non preoccuparti. Non sarai mai un
peso o un
disturbo.”
Gli
occhi iniziano a pizzicare. Sono commossa. Le sue parole significano
così tanto
per me. Mi sentivo così sola, impotente, abbandonata a me
stessa anche se
accanto ho un sacco di persone pronte ad aiutarmi in caso di bisogno.
Jillian
mi trasmette calore, affetto. Quando sono in sua compagnia mi sento
come se non
fossi obbligata a tenere duro e sopportare ogni cosa da sola.
“Jillian,
io… non so cosa dire.”
“Non
dire nulla e vai a dormire. Hai una faccia davvero stravolta. La mia
camera è
la prima porta sulla destra appena salite le scale. Per qualsiasi cosa,
non
esitare a bussare.”
***
Il
primo pensiero razionale che riesco a formulare dopo aver spento la
sveglia è:
dove accidenti sono?
Non
riconosco nulla di quello che mi circonda, le lenzuola hanno un profumo
diverso.
Una
debole luce entra dai buchi della tapparella, lasciata fin troppo
aperta. Intravedo
una scrivania in fondo alla stanza, circa ad un metro e mezzo dal mio
letto.
Di
fronte a me c’è un armadio enorme, di cui non
riesco a vedere nulla.
Cerco
il cellulare tra le pieghe delle lenzuola e spalanco la bocca quando
vedo l’ora.
Sono
quasi le undici. Avrei dovuto svegliarmi ore fa, invece non ho sentito
la sveglia.
Pian
piano iniziano a riaffiorare i ricordi, lasciandomi per un istante
disorientata.
Sono
a casa di Jillian e ieri qualcuno mi ha distrutto la camera.
Come
ho fatto a dimenticarmene e, soprattutto, come ho potuto dormire quasi
dieci
ore ininterrottamente?
L’aria
fuori dalle coperte è gelida, così mi avvolgo
nella mia vestaglia rosa
shocking, quella che Meredith mi ha regalato per natale in modo che
facesse
coppia con le mie ciabatte.
Apro
piano la porta che da sul corridoio e vengo accecata dalla luce
improvvisa. Lo
studio si affaccia praticamente sull’ingresso,
così passo davanti alle scale
per poter arrivare in cucina.
Non
c’è nessuno, anche se la caraffa del
caffè è a metà. Il tavolo è
perfettamente
pulito e nell’acquaio posso intravedere due tazze in attesa
di essere lavate.
L’unica
cosa fuori posto, è un foglio, appoggiato vicino alla
caraffa mezzo piena.
È
un messaggio di Jillian che mi dice di essere andata a fare la spesa e
di
comportarmi come se fossi a casa mia.
Allyson
è a scuola.
Sono
da sola, in questa casa e mi sento davvero a disagio.
So
che Jillian mi ha detto di restare, ma io ho davvero paura di essere di
troppo,
di risultare invadente.
Che
cosa devo fare?
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Capitolo 26 *** 26 Chelsea ***
26
Chelsea.
Credo
di essere diventata paranoica perché ho
l’impressione che tutti mi stiano
guardando o stiano parlando di me.
C’era
un’innaturale chiacchiericcio a lezione di antropologia
sociale. Il docente ha
provato inizialmente ad arginare il fenomeno, ma alla fine si
è arreso,
continuando la sua spiegazione, consapevole che nessuno stava prestando
attenzione alle sue parole.
In
quel momento, avrei giurato che l’argomento di discussione
fossi io.
Non
è raro che nessuno mi parli, ma li ho visti voltarsi verso
il pio posto più
spesso di quanto non fosse mai successo.
Mi
sono sentita al centro dell’attenzione.
Ora
che sono uscita dall’aula e mi sto dirigendo verso il bar del
campus, credo
semplicemente di essere diventata paranoica, ma non riesco a levarmi di
dosso
la sensazione di essere al centro dell’attenzione.
Mi
infilo nel primo bagno che trovo per sfuggire alla gente e mi chiudo
nel
cubicolo.
Che
pace.
I
bagni non servono solo per espletare i propri bisogni fisiologici, ma
anche per
trovare un po’ di tranquillità.
Al
liceo ero solita trascorrervi molto tempo, perché se tanto
dovevo essere sola,
meglio esserlo in un posto dove non ero circondata da gente.
Sì,
forse è da sfigati, ma non ci posso fare nulla.
“Chelsea?”
Sobbalzo,
seduta sulla tavoletta chiusa del gabinetto. Di chi è questa
voce?
Apro
il cubicolo e seduta sul ripiano dei lavandini c’è
Kayla. Indossa un semplice
maglioncino e un paio di jeans. Le gambe dondolano avanti e indietro ad
una
quarantina di centimetri dal pavimento.
Ha
i capelli raccolti in una coda di cavallo e una sciarpa rossa intorno
al collo
che fa risaltare l’azzurro dei suoi occhi.
“Come
sapevi che ero qui?”
Mi
fa un timido sorriso, guardando oltre la mia spalla.
“Ti
ho vista entrare da lontano e ti ho raggiunta.”
“E
mi stavi cercando perché…?”
“In
effetti non ti ho detto che ti stavo cercando ma è
così. Hai visto l’ultima
novità?”
Non
so di cosa stia parlando, ma di sicuro è collegata con la
strana atmosfera che
regna oggi.
“Ha
qualcosa a che fare con il comportamento di buona parte del
campus?”
Lei
mi rivolge un sorriso un po’ sghembo, che assomiglia
più ad un ghigno
disgustato che altro.
“Certe
cose non cambiano mai. Che tu sia al liceo o al college, la gente non
riesce a
fare a meno di spettegolare. Temo sarà così per
sempre. Alle persone piacciono
i pettegolezzi.”
Mi
appoggio allo stipite della porta e incrocio le braccia sul petto.
“E
questo cos’ha a che fare con me?”
“Adrian
non ti ha ancora chiamata?”
La
sua espressione perplessa mi fa salire un dubbio. Non è che
quello che è
successo al dormitorio è diventato di dominio pubblico?
Oddio.
L’ultima cosa di cui ora ho bisogno è che la gente
mi segua con lo sguardo,
compatendomi come se fossi una povera derelitta.
“Perché
avrebbe dovuto chiamarmi? Il mio numero non lo ha nemmeno.”
I
piedi della ragazza smettono di botto di dondolare e sul suo viso la
rabbia fa
rapidamente capolino.
“Io
lo uccido. Ma come si fa ad essere così imbecilli?”
“Mi
vuoi spiegare che cosa sta succedendo?”
Lei
sbuffa e si passa una mano sul viso completamente struccato se non per
un po’
di mascara sulle altrimenti bionde ciglia.
“Non
dovrei essere io a dirtelo dannazione, ma che io sia dannata se ti
lascerò
tornare la fuori completamente ignara.”
“Kayla,
mi stai facendo preoccupare. Che sta succedendo?”
“Fondamentalmente
non è nulla di che. Queste storie sono all’ordine
del giorno qua al campus, ma
non avevano mai coinvolto Adrian prima, quindi è una succosa
novità per quei
poveracci. Il padre di Adrian si è appena candidato alle
prossime elezioni
governative e questo fa di lui e della sua famiglia, quindi di Adrian,
dei
personaggi pubblici. Chiunque gli stia vicino potrebbe finire nel
mirino di
stupidi fotografi in cerca di scoop e fotografie
compromettenti.”
Non
sapevo tutte queste cose. Di Adrian, del suo passato o della sua
famiglia non
so assolutamente nulla e mi sento alquanto in colpa per non aver
cercato di scoprire
di saperne di più. Avrei potuto chiedere a Josh. Sono sicura
che lui mi avrebbe
risposto senza problemi. Oppure a Meredith, che a sua volta non si
sarebbe
fatta pregare. Nonostante tutto, credo che ancora muoia dalla voglia di
mettermi in guardia su di lui, ma non servirebbe a nulla. Le sue parole
mi
darebbero solo fastidio.
La
vita di Adrian mi ha sempre incuriosita, perché sapendo
avrei potuto
comprenderlo meglio, ma temevo di risultare invadente. Pensavo che, se
avesse
voluto, me ne avrebbe parlato lui stesso.
Ho
preferito concentrarmi sulla sua persona piuttosto che su quello che lo
circonda.
“Continuo
a non capire cosa c’entri con me tutto
ciò!”
“Ieri
sera vi hanno beccati insieme. Ci sono delle foto dove si vede che
siete in
rapporti molto amichevoli e le ipotesi stanno fioccando. Al centro di
tutto ciò,
c’è una vostra possibile relazione segreta. Hanno
postato un articolo su un
giornale online e il post è stato condiviso sulla pagina
facebook del campus. Nell’articolo
si parla di quello che è successo al condomino ieri notte,
del fatto che tu sia
andata via con Adrian e ipotizzano che ti sia fermata a dormire da lui.
Sanno
come ti chiami e sei appena diventata un bersaglio per i
paparazzi!”
Sono
senza parole. Non riesco a capire, ma la situazione sembra abbastanza
preoccupante. Perché non posso vivere in pace?
“Come
sai tutte queste cose?”
“Stamattina
Adrian ha chiamato Josh per avere il tuo numero di telefono. Voleva
avvisarti.
Sei sicura che non ti abbia chiamato?”
Scuoto
la testa e frugo nella borsa per cercare il cellulare.
Lo
schermo si illumina immediatamente, mostrandomi l’immagine di
Brat, che ho
messo come sfondo.
Ci
sono cinque chiamate perse, tutte dallo stesso numero.
“Oh
no! Avevo il telefono in silenzioso.”
I
tratti del viso di Kayla si ammorbidiscono leggermente, ma è
ovvio che Adrian
le sta proprio sullo stomaco.
“Almeno
non se ne è lavato le mani. Dammi retta, Chelsea.
È meglio se gli stai alla
larga. Ti porterà solo guai.”
Non
riesco a capire perché lo odi così tanto.
“Non
mi piace l’idea di essere al centro
dell’attenzione. Sono una persona
tranquilla che vuole semplicemente vivere la sua vita, ma sono sicura
che non
lo ha fatto di proposito.”
Mi
osserva con espressione mesta, come dispiaciuta per me.
“Però
sapeva che sarebbe successo, non è uno stupido. Avrebbe
fatto meglio a lasciar
perdere. Per una volta, avrebbe dovuto mettere da parte quel suo
maledetto
egoismo ed evitare di creare fraintendimenti.”
Le
sue parole sono cariche di rabbia, di risentimento, come se le avesse
fatto
qualcosa di male.
Non
mi piace, non lo sopporto. Non voglio sentir parlare così di
lui, perché non è
vero, non è così.
Mi
ha detto così tante volte di stargli alla larga, di non
avvicinarmi a lui, per
il mio stesso bene. Ha cercato di proteggermi perché lo
sapeva. Eppure,
nonostante ciò, ha corso il rischio che ci vedessero assieme
perché era
preoccupato per me. Come potrei mai arrabbiarmi o avercela con lui per
una cosa
del genere?
È
stato un gesto bellissimo, un pensiero disinteressato e per nulla
egoistico,
quindi non permetterò a Kayla di parlarne male senza
ragione.
Ha
fatto tanto per me, è vero, ma anche Adrian lo ha fatto,
c’è sempre stato
quando avevo davvero bisogno.
“Smettila!
Basta!”
La
mia voce risuona esageratamente acuta nello spazio ristretto.
“Perché
ce l’hai così tanto con lui? Che cosa ti ha mai
fatto di così orribile per
essersi guadagnato il tuo odio? Non ha fatto nulla di male. Mi ha detto
così
tante volte di stargli alla larga, che ormai non le conto
più, quindi se c’è
qualcuno che ha la colpa, qui, quella sono io.”
Kayla
ha un’espressione scioccata in viso, come se non potesse
credere alle sue
orecchie.
“Sei
innamorata di lui?”
La
sua domanda mi prende alla sprovvista.
“No,
non credo almeno. Come puoi essere innamorata di qualcuno, se non sai
nemmeno
che cosa ciò significhi?”
Il
primo istinto è stato quello di negare categoricamente, ma
dire semplicemente
di no mi sembrava una bugia.
È
vero, ci sono affezionata, ma dubito fortemente che si tratti di amore.
Come potrei
amare una persona di cui non so nulla, non sapendo che cosa si provi?
“L’amore
non si spiega Chelsea. Nasce prima che tu possa rendertene conto e
mette radici
profondissime. Non so che cosa ci vedi in quel tipo, ma stai attenta,
per
favore.”
“Non
sono innamorata di lui!”
Cerco
di dirlo con più convinzione possibile, perché le
parole di Kayla mi fanno
paura.
L’amore
è davvero un sentimento così incontrollabile e
forte? Di sicuro io non sono
capace di riconoscerlo, non avendolo mai sperimentato. Non so nemmeno
cosa si
dovrebbe provare.
“Forse
non ancora, ma è evidente che non ti lascia
indifferente.”
“Mi
piace e quindi? Non significa che ne sia innamorata solo per questo
motivo!”
Lei
scende finalmente dal lavabo e si avvicina. È più
bassa di me, ma con l’espressione
sicura che ha in viso, ho l’impressione che mi stia
sovrastando.
Mi
poggia una mano sulla spalla, con fare rassicurante.
“Mi
hai raccontato come hai vissuto e so cosa si prova a non nutrire
nessun’interesse
verso un membro del sesso opposto. È così che mi
sono accorta che stava
nascendo qualcosa di importante tra me e Josh, perché prima
di conoscerlo,
erano anni che non provavo interesse per nessuno. Addirittura,
detestavo tutti
i ragazzi. Adrian in particolare perché mi ricordava
qualcuno del mio passato. So
che non è come quel tipo, ma non posso fare a meno di
provare quest’avversione
e mi dispiace averti fatta arrabbiare, ma sono preoccupata per
te.”
“So
badare a me stessa!”
Le
parole di Kayla hanno un significato profondo. Posso intuire che
qualcosa nel
suo passato l’ha fatta soffrire profondamente ed è
altresì ovvio che lei e Josh
hanno un legame speciale.
È
la prima volta che si lascia andare a qualche tipo di confidenza.
È una ragazza
riservata, che tiene molto alla sua privacy. Che mi abbia detto queste
cose, mi
fa capire che non cerca di malignare o essere cattiva di proposito.
È solo
preoccupata che possa rimanere ferita dalla situazione.
“So
che lo puoi fare, ma Adrian è su un altro pianeta. Siete
estremamente diversi e
non riesco ad immaginare uno scenario dove tutto questo non ti faccia
star
male. Nutrire dei sentimenti profondi per qualcuno
così…”
Fa
una pausa, come a cercare il termine giusto e sono di nuovo pronta a
scattare,
come una molla carica.
“…difficile,
ecco, è pericoloso, soprattutto se sono a senso
unico.”
Mi
sento offesa dalle sue parole. Che cos’ho io che non va?
Perché secondo lei una
persona non potrebbe amarmi?
“Chi
ti dice che lui non provi le stesse cose?”
Lei
forse si accorge di quanto le sue parole mi abbiano toccata,
perché fa un passo
indietro, l’espressione vigile e attenta di chi cerca un modo
carino per dire
qualcosa di spiacevole.
La
stessa che usava mio padre durante i sermoni, quando lanciava le
frecciatine al
mio indirizzo o a quello di qualche peccatore presente sulle panche di
legno
durante la funzione.
“Non
prenderla male, Chelsea. Tu vai benissimo come sei. Non sto dicendo che
hai
qualcosa di sbagliato, solo che non siete per nulla compatibili. Tu sei
una brava
ragazza e lui non è quello che si potrebbe definire il
ragazzo da presentare
alla famiglia o agli amici. Probabilmente ti ha detto di stargli
lontano perché
si è accorto di questo tuo interesse. Se fosse stato
reciproco, non credi che
almeno ci avrebbe provato? Voglio dire, avrebbe cercato un qualche
contatto più
intimo, non credi?”
Apprezzo
la buona volontà, ma le sue parole non fanno altro che
riportare alla mente i
ricordi di quando mi ha baciata, della sensazione di benessere che mi
ha
pervasa quando eravamo così vicini.
Sento
il viso andare a fuoco e distolgo lo sguardo per cercare di dissimulare
l’imbarazzo.
“Oh
porca vacca. Che cosa è successo esattamente tra di
voi?”
Non
posso dirglielo, non ce la faccio. È troppo imbarazzante.
“Nulla.
Assolutamente niente. Ora scusami, devo andare a lezione.”
Prima
che mi possa fermare, levo il pezzo di legno che Kayla ha messo sotto
la porta
per bloccarla e scappo fuori, nei corridoi semi deserti.
Non
è vero che ho lezione, per oggi ho finito, ma non posso
rimanere con lei, ho
bisogno di rimanere sola e riflettere.
Ormai
il tarlo del dubbio si è insinuato nella mia mente e non
posso fare altro che
chiedermi se, inconsciamente, io non abbia investito dei sentimenti nel
mio
rapporto di “amicizia”, se così lo si
può chiamare, con Adrian.
Amicizia,
affetto, amore. Non conosco il confine che separa queste cose e ho
paura di
aver varcato più
di un limite in questi
mesi e, soprattutto, nelle ultime settimane.
Questo
perché, ogni volta che mi capita di ripensare ai pochi
momenti passati insieme,
cosa che capita esageratamente spesso e nei momenti meno opportuni,
sento una
stretta pazzesca alla bocca dello stomaco. Se fino ad ora pensavo fosse
dovuta
all’imbarazzo di aver condiviso così tanto con una
persona, permettendogli di
prendersi così tanta confidenza, ora mi chiedo se il reale motivo non possa essere un
altro.
Mettendo
il caso che io ne sia innamorata, questo che cosa comporterebbe? Come
mi dovrei
comportare?
Dovrei
assecondare questo sentimento oppure reprimerlo?
Non
so cosa fare, cosa pensare, ma una cosa è sicura, anche
Adrian, nei miei
confronti nutre un qualche sentimento.
Non
so se sia solo affetto misto a lussuria o se invece sia qualcosa di
più. Sta di
fatto che di qualsiasi cosa si tratti, non credo di essere pronta ad
affrontarlo.
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Capitolo 27 *** 27 Chelsea ***
27
Chelsea
“Susan,
le enchildas e le ali di pollo per il tavolo dodici sono
pronte!”
Suono
l’ennesima volta la campanella, urlando.
Non
è da me, ovviamente, ma sono agitata, nervosa e la cameriera
che c’è di turno
oggi sembra al rallentatore.
Susan
è stata assunta circa due settimane fa, dopo che Betty Jo ha
deciso di
abbandonare gli studi per tornare in Oklaoma e dare una mano alla sua
famiglia
alla tenuta.
Non
ho ben capito di cosa stesse parlando, ma da quel poco che so, Betty Jo
è una
ragazza di campagna, che voleva sperimentare la vita di
città, con tutto quello
che ne è conseguito.
Non
è stato come aveva immaginato e alla fine è
tornata a casa dopo nemmeno un
anno. Ha detto che le mancava la sua famiglia.
Al
suo posto, Owen ha assunto Susan, che passa un sacco di tempo a
chiacchierare e
molto meno lavorare.
È
la terza volta che la chiamo per questa ordinazione e mi sto
innervosendo. Non
sopporto che il cibo esca dalla cucina freddo.
“Eccomi,
mamma mia quanto rompi.”
La
ragazza che compare sulla soglia e prende il piatto con stizza non mi
sopporta.
Ogni volta che si poggiano su di me, i suoi occhi, scuri come i
capelli,
mandano lampi minacciosi.
È
arrivata comportandosi come una prima donna, pretendendo che tutti
facessero a
modo suo, ma le cose non sono andate così. Se non si da una
mossa, sono sicura che
Owen la caccerà.
“Il
cibo non deve uscire freddo da quell porta, sono stufa di dirtelo.
Vorrei
capire perché fai tutte queste storie solo quando sono sola
in cucina. A
Jillian non rispondi in questo modo.”
Il
suo viso dai lineamenti delicati si contorce in una smorfia.
“Jillian
potrebbe essere mia madre. Tu hai la mia età, per cui non
prendo ordini da te,
mettitelo bene in testa.”
Mi
asciugo le mani nello strofinaccio che ho incastrato nel grembiule e
metto le
mani sui fianchi.
“Non
devi prendere ordini da me, devi solo fare il tuo lavoro. Sei stata
assunta per
occuparti dei tavoli e tutto quello che ciò comporta. Le ordinazioni fa parte dei
tuoi compiti,
cucinare e assicurarmi che i piatti arrivino caldi a chi li ha
ordinati,
invece, è compito mio.”
Lei
mi rivolge un’occhiataccia,
poi si gira
ed esce di gran carriera dalle porte girevoli, borbottando come se non
riuscissi a sentirla.
Non
mi importa cosa pensa di me. Può ritenermi altezzosa quanto
vuole, ma io so
solo facendo il mio lavoro. Non mi piace proprio collaborare con Susan
perché
non perde mai occasione di lamentarsi, brontolare ed insultarmi, come
se le
avessi fatto qualcosa.
So
di non poter stare simpatica a tutti e al momento è proprio
l’ultimo dei miei
pensieri, ma se proprio devo essere trattata così, vorrei
almeno conoscerne la
ragione.
Oggi
non sono proprio dell’umore adatto a sopportare gli sbalzi
d’umore della nuova
cameriera. Sono ancora molto sconvolta da ciò che
è successo ieri, da quello
che mi ha detto Kayla questa mattina e dalla breve conversazione che ho
avuto
con Adrian.
Mi
ha detto proprio quello che mi aspettavo di sentire: Devo semplicemente
stargli
alla larga, ma non sono certa di volerlo o poterlo fare.
Le
parole di Kayla hanno messo radici profonde e mi hanno fatta riflettere
più di
quanto avrei voluto.
Prima
di Adrian, nessuno si era mai avvicinato così tanto a me,
non lo avevo permesso
perché non volevo, mi sembrava una cosa immorale e mi
sentivo a disagio con me
stessa. Prima che
lui entrasse
prepotentemente nella mia vita, non avevo mai provato nessun tipo di
curiosità.
Il
contatto fisico con i ragazzi era qualcosa di impensabile, che andava
contro
tutto quello che mi è stato insegnato.
Ammetto
che anche prima che mi aiutasse ad andare via da casa di mio padre,
Adrian mi
aveva incuriosita. C’era qualcosa, nella sua aria da duro,
che mi ha fatto
pensare che fosse semplicemente molto solo, però allora non
mi sono soffermata
sui dettagli.
Le
mie convinzioni erano solide, ma dopo quanto è accaduto,
ogni cosa è stata
rimessa in discussione, forse è per questo che ho potuto
assecondare la mia
curiosità ed avvicinarmi a qualcuno come Adrian,
apparentemente così diverso di
da me.
Eppure,
non avrei mai pensato che soddisfare un’innocente
curiosità, quale scoprire
qualcosa di più della persona che mi ha salvata, mi avrebbe
potato così
lontano.
Più
ci penso, più la convinzione di provare un interesse
romantico nei confronti di
Adrian aumenta.
Mi
piace vederlo, passare del tempo in sua compagnia, anche quando
accadono le
cose più inaspettate. Mi piace quando mi stringe e so che
questo non è normale.
Non è qualcosa che si prova per un amico.
Questo
rende tutto ancora più complicato, perché non so
cosa fare e non ho nessuno a
cui chiedere consiglio.
Meredith
mi ha detto di stare attenta, di non innamorarmi di Adrian, di non
provare per
lui un interesse diverso dall’amicizia, ma ormai dubito di
essere in grado di
fermare quello che sta succedendo.
Parlargli
al telefono è stato strano. Non mi è piaciuto
quello che mi ha detto, ma non
avrei mia voluto che riagganciasse. Volevo fargli delle domande, per
rimanere
ancora un po’ così, ma non sono riuscita a dire
nulla.
Ero
già qui al Blue Moon quando ha provato a richiamarmi. Gli ho
detto che Kayla mi
aveva spiegato la situazione. Per un istante, ho avuto
l’impressione che stesse
per scusarsi, ma poi si è limitato a redarguirmi
un’altra volta. Se voglio
stare in pace, devo stargli alla larga.
Il
turno finisce fin troppo in fretta. Con la testa tra le nuvole, il
tempo è
volato.
Tra
poco verrà a prendermi Jillian. Oggi era il suo giorno
libero e le ho detto che
per rientrare avrei anche potuto prendere un taxi, ma lei me lo ha
proibito
categoricamente.
Ero
sul punto di ribattere che ero più che in grado di prendere
un taxi da sola
quando, anticipandomi, mi ha detto che sarebbe comunque venuta al
locale.
“Ti
aspetto in macchina e non mi muoverò da lì fino a
quando non sarai uscita. Se
necessario, rimarrò nel parcheggio tutta la notte, ma se mi
dovesse succedere
qualcosa…”
Non
mi è rimasto altro da fare che accettare il suo passaggio.
Temo seriamente che
sia capace di mettere in atto la minaccia.
Jillian
è una dittatrice. O si fa come dice lei, oppure sono guai.
Ammetto
che è anche per questo lato del suo carattere che mi piace
così tanto.
Lavorare
fianco a fianco ha fatto nascere quella che credo sia una bella
amicizia. Io mi
sono aperta con lei e ho ricevuto in cambio la stessa dose di fiducia
che le
avevo dato.
Dopo
aver lavato e messo in ordine ogni cosa, controllo di aver chiuso bene
il gas,
esattamente come faccio ogni volta che chiudo la cucina.
Finisco
di cambiarmi appena in tempo. Precisa come un orologio, alle undici e
quarantacinque minuti, Jillian mi chiama sul cellulare.
Mi
fa appena uno squillo, ma è più che sufficiente
per farmi capire che mi aspetta
fuori.
L’aria
di fine Febbraio è ancora gelida, ma è un
toccasana sia per i miei nervi che
per la mia stanchezza. Per qualche motivo, non appena ho lasciat lo
spogliatoio, mi è scesa addosso un’enorme
stanchezza.
“Pensavo
avrei dovuto aspettare al gelo per tutta la notte.!
Il
suo saluto mi fa salire il sorriso alle labbra.
“Come
se potessi davvero sprecare la tua gentilezza. Volevo evitare di essere
ancora
più di disturbo, ma è evidente che non me lo
permetti. Il minimo che posso fare
è essere puntuale.”
Un
bel sorriso le si delinea sul volto.
“Sono
contenta che tu l’abbia capito. Non potrei mai lasciarti
andare in giro da
sola. Sai com’è.”
Si,
ho capito che cosa la anima, cosa la spinge ad essere così
generosa e
disponibile nei miei confronti.
Non
è solo altruismo. È come se volesse espiare le
sue colpe.
Arriviamo
di fronte alla palazzine in stile anni ’80, con la muratura
esterna composta da
tanti piccoli mattoncini rossi. Alla luce arancione dei lampioni
sembrano di
tutt’altro colore.
Prendo
una grossa boccata di ossigeno, invasa da una strana sensazione. Mi
sento come
poco prima che esploda un temporale. C’è
elettricità nell’aria, una strana
inquietudine.
Meredith
mi ha sempre presa in giro per questa cosa. Diceva che non era
possibile che
potessi prevedere quando avrebbe iniziato a piovere, ma la
verità è che quando
sta per scatenarsi una tempesta, l’aria è diversa,
più pesante e irrespirabile.
Mi
toglie il fiato.
Che
brutta sensazione. So che la mia è solo paranoia. Da ieri,
sono diventata
estremamente vigile. È la paura a parlare, a manifestarsi.
Non sapere chi ce l’ha
con me è inquietante e mi fa stare con il fiato sospeso.
So
che a casa di Jillian sono al sicuro, ma non ho intenzione di passare
la mia
intera esistenza tra quelle mura. Vorrei liberarmi di questo timore, ma
credo
che sia troppo presto.
Ho
bisogno di tempo per metabolizzare ogni cosa.
“Chelsea!”
I
peli mi si rizzano lungo la schiena appena prima che la sua voce mi
raggiunga.
È
fredda, tagliente come la lama di un rasoio. Tutto il mio corpo si
blocca,
diventando come un pezzo di fredda pietra.
Voltarmi,
verso la provenienza del suono, è difficile, ma sapere che
è alle mie spalle, è
ancora più spaventoso. Se un uomo non si fa scrupoli a
picchiare una donna, la
sua stessa figlia, niente mi garantisce che non sia capace anche di
prendermi
alle spalle.
Credevo
che in tutti questi mesi qualcosa in lui sarebbe cambiato, ma invece
è sempre
lo stesso. I corti
capelli scuri sono
ancora perfettamente curati, esattamente come il volto, rasato e
liscio. Gli
occhi scuri, nascosti dietro un paio di lenti spesse, mandano uno
strano
bagliore, che a causa della luce arancione che ci circonda ha un non so
che di
inquietante.
“Stai
seguendo la strada sbagliata. Non hai più un posto da
chiamare casa. Torna
indietro con me, Chelsea, e sarà tutto come prima.”
Credo
che sia ubriaco, perche quando avanza barcolla leggermente.
Riesco
solo a fare mezzo passo indietro prima che lui mi raggiunga,
afferrandomi per
un braccio.
Dov’è
Jillian? Dov’è sparita?
Ho
il cuore che batte a mille, che urla dalla paura, perché so
che quando gli dirò
di no, lui mi colpirà di nuovo, senza che io possa fare
nulla per fermarlo.
La
paura mi sta bloccando.
“Non
torno indietro!”
Cerco
di dare alle mie parole un tono determinato, ma non so se ci sono
riuscita o
meno. Però ho preso una posizione e sono disposta a
difenderla. Non voglio più
essere il suo burattino, essere manipolata per comportarmi come
qualcuno che
non sono.
Sono
buona, gentile, comprensiva, ma non sono stupida, anche se per molto
tempo mi
sono comportata così. Avevo piena fiducia in mio padre,
nelle sue sagge parole
che, ascoltate dai banchi di legno della cappella, sembravano
così forti e
giuste. Mi fidavo così tanto, che per anni non mi sono
chiesta chi fossi io.
Ancora non lo so, ma una cosa l’ho scoperta, non voglio
più tornare indietro.
Questa vita che mi è toccata, con tutte le sue
difficoltà, è molto più vera di
quanto non sia stata quella passata da figlia del pastore Lauren.
“Sei
una stupida. Devi fare come ti viene detto!”
Sento
il suo movimento e chiudo gli occhi, aspettandomi di sentire il dolore
esplodere, ma improvvisamente tutto si ferma.
Socchiudo
appena le palpebre e mio padre, invece che arrabbiato, sembra sotto
shock. Sta
guardando alle mie spalle, con un’espressione tale di
sgomento da lasciarmi
perplessa.
Prima
di rendermene conto, sono libera. La stretta ferrea sul mio braccio
è svanita e
Jillian è davanti a me, con una pistola in mano.
Ha
un’espressione incomprensibile sul viso.
C’è dolore, frustrazione, ma anche
tanta rabbia.
“Toglile
le mani di dosso e vattene.”
Per
la prima volta in vita mia, ho l’impressione che mio padre
non sappia cosa
fare. La sua spavalderia è completamente svanita. Non sono
sicura, però, che iò
dipenda dall’arma puntata contro il suo petto.
Ha
lo sguardo fiso sul viso di Jillian e sembra completamente shoccato.
È come se
si trovasse di fronte ad un fantasma. Anche da questa distanza, posso
vedere
che è sbiancato.
“Jillian?”
La
usa voce è un sussurro a malapena comprensibile, ma
incredulità che alberga in
quella piccolissima parola mi colpisce come un pugno nello stomaco.
So
cosa sta per succedere, ne sono certa, ma non voglio che accada, non
può essere
vero. È solo uno sbaglio, un sogno. Tra poco mi
sveglierò, nel mio confortevole
letto agli alloggi studenteschi e mi metterò a ridere,
magari un po’
istericamente, di questo assurdo sogno.
Non
può essere la realtà, giusto? Queste cose non
succedono nella vita vera. Sono
sogni che si fanno, per compensare le mancanze. Mi devo svegliare.
Mi
pizzico forte la mano, ma sento solo un enorme dolore irradiarsi dal
dorso
della mia mano.
“A
quanto pare la tua memoria è intatta, ma anche la mia.
Vattene immediatamente.
Non le farai ancona più male. Come hai potuto? Come hai
osato fare questo alla
nostra bambina?”
La
mia mente si svuota completamente.
Com’è
possibile?
Come?
Come? Come?
Ho
un caos di pensieri nella testa, mille ricordi, mille cose dette, mille
bugie
ascoltata.
Il
cuore batte così forte nel petto da provocarmi dolore, ma
non posso fare nulla
per allentare la morsa che mi sta rapidamente catturando.
Jillian
non si sbaglia. Non avrebbe mai detto quella frase se non ne fosse
stata
sicura, ma come è possibile?
Qual
è la verità? Chi sono io? Chi era la donna nella
foto che mio padre mi ha detto
essere mia madre?
Perché?
Faccio
un passo indietro. Non respiro.
“Chelsea?”
La
voce di Jillian mi fa sobbalzare e voltare verso di lei.
“Perché?”
La
mia voce è un sussurro a malapena udibile.
“Non
lo so. Ti giuro che non lo sapevo.”
Sembra
sull’orlo delle lacrime, ma io sono pericolosamente vicina a
cadere in pezzi.
Ogni
cosa in cui ho creduto finora, si è dimostrata una bugia
enorme. Io non so più
chi sono.
Mio
padre non è chi dice di essere. Quella che doveva essere mia
madre, è una
sconosciuta. Jillian… Jillian ha appena trovato quello che
ha cercato per anni,
ma io non sono pronta.
Non
posso.
Faccio
un altro passo indietro e vedo la paura dipingersi sul volto di questa
donna,
che potrebbe essere mia madre. Una donna che io rispetto moltissimo.
“Ti
prego, aspetta!”
“Non
posso!”
I miei piedi si muovono
prima ancora che la
testa lo abbia deciso: mi giro e inizio a correre.
Scappare,
fuggire, devo trovare un posto dove stare, dove non essere
un’insieme di dati
sconclusionati, senza capo ne cosa. Non so cosa sia vero, non so cosa
sia
falso.
L’unica
cosa sicura è che qualcuno mi ha mentito e, molto
probabilmente, quel qualcuno,
è mio padre.
Jillian
non mi avrebbe mentito. Non lo ha fatto. Mi ha raccontato di aver avuto
una
figlia a Seattle molto prima che io le raccontassi del modo violento in
cui son
stata trattata da mio padre.
No,
lei non lo sapeva.
Eppure
questo non rende le cose più facili da sopportare.
Rischio
la fortuna attraversando uno stop di corsa e il suono dei clacson di
alcuni
automobilisti inferociti mi segue per alcuni secondi.
Mi
manca il respiro, ho gli occhi invasi dalle lacrime, il cuore devastato
Che
cosa devo fare? Devo fermarmi, trovare una soluzione. Non
posso andare in giro per la città da sola.
È troppo pericoloso.
Allontano,
respingo le emozioni, rilegandole in un angolino del mio cuore per
riuscire a
pensare lucidamente. È
troppo da
gestire.
Forse
almeno un po’ di fortuna esiste per me, perché
riesco ad intercettare un taxi
vuoto.
“Dove
la porto, signorina?”
Bella
domanda. Dove posso andare? Il condominio è fuori
discussione. Il Blue Moon
nemmeno. Ho bisogno di un posto dove posso essere me stessa, dove io
possa
dimenticare. Un posto dove ci sia qualcosa di completamente differente.
Dov’è
il confine tra bene e male? Chi decide cosa è giusto o cosa
è sbagliato? In
base a quali criteri si decide se una persona è buona o
cattiva?
Sono
tutti piccoli quesiti che mi pongo, mentre la vettura, rombando
leggermente,
attraversa rapida le vie della città.
Non
mi interessa più il bene o il male. Finora sono due concetti
che mi hanno
portato solo dolore. Ho bisogno di verità e
c’è una sola persona che, nel bene
o nel male, non mi ha mai mentito.
Lui
non si nasconde dietro un dito, non dice mezze verità.
Adrian va avanti per la
sua strada con determinazione, seguendo la strada intrapresa senza
vacillare.
Non
sono sicura sia un pregio o un difetto, ma so cosa aspettarmi da lui.
Ho
bisogno di essere diversa, di convogliare tutti questi confusi
sentimenti in
qualcosa, ho bisogno di essere diversa, perché ora, la
Chelsea carina,
comprensiva e dolce, non ce la fa più. È arrivata
al limite di sopportazione.
Comportarmi
come si deve non mi ha portato a nulla, se non alla sofferenza. Mi
sento
prigioniera, in gabbia.
Nel
mio cuore, ora, urla un solo desiderio.
Il
taxi si ferma troppo presto, facendomi vacillare. Non sono sicura di
sapere che
cosa sto facendo, ma non esiste altro posto dove possa andare.
L’ascensore
è troppo lento. Sono sulle spine. Ho paura ma allo stesso
tempo non vedo l’ora
di arrivare a destinazione.
Il
corridoio in cui scendo è buio, nessuna luce di cortesia si
accende al mio
arrivo, così uso la luce del cellulare per trovare la porta
giusta. Continua a
vibrare.
Jillian
mi sta chiamando e mandando messaggi, ma io non voglio leggerli, non
voglio
sentirmi in colpa per questi sentimenti contrastanti che mi albergano
dentro. Per
una volta voglio essere egoista e pensare a me stessa.
Il
suono del campanello di diffonde leggermente anche nel corridoio e devo
insistere parecchio prima che Adrian apra la porta.
È
a torso nudo, con un’espressione corrucciata sul bel viso.
Quando mi vede, una
ruga di preoccupazione si forma tra le sopracciglia aggrottate.
“Chelsea?
Cosa ci fai qui a quest’ora? È successo
qualcosa?”
Mi
lascio andare contro di lui, colmando i pochi centimetri che ci
separavano.
Improvvisamente sono senza forze. Mi appoggio al suo corpo caldo, in
cerca di
conforto.
“Cos’è
successo?”
“Ti
prego, fammi dimenticare.”
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Capitolo 28 *** 28 Adrian ***
28
Adrian
Che
cosa dovrei fare?
Non
riesco nemmeno a capire che cosa sta succedendo. L’unica cosa
che so è che ero
sul punto di addormentarmi, dato che domani mattina mi devo alzare
presto,
quando è suonato il campanello.
L’ultima
persona che mi aspettavo di trovare sulla soglia era Chelsea, con il
capo chino
e le spalle curve.
Ero
pronto ad urlare contro lo scocciatore, dato che è
mezzanotte passata, ma
appena ho visto di chi si trattava, la rabbia è scivolata
via, sostituita dalla
preoccupazione.
Sono
oltremodo sorpreso dal suo comportamento, nonché da quello
che ha detto.
È
appoggiata contro di me, come se non fosse più in grado di
reggersi in piedi.
“Ohi!”
Non
mi risponde, ma posso sentire che è gelata e trema.
“Entra
prima che qualcuno ci veda. Non saresti dovuta venire qui.”
La
trascino dentro praticamente di peso, chiudendomi la porta alle spalle.
La
sua espressione, quando mi volto, è quasi assente.
“Che
cosa ci fai qui?”
Solleva
un po’ la testa, cercando di mettermi a fuoco nella penombra
della stanza.
L’unica luce arriva dal corridoio poco dietro di lei, motivo
per cui non riesco
a vederla bene in viso.
La
sua voce, però, mi dice più di tutto.
È bassa, priva di inflessione, stanca.
“Ti
è mai capitato di arrivare ad un punto dove non ne puoi
più? Dove saresti
disposto a supplicare pur di far smettere qualcosa?”
“No,
non mi è mai successo. Vuoi dirmi perché sei in
questo stato? Siediti.”
La
afferro per il gomito e la trascino fino al divano, dove la obbligo a
sedersi.
Ho l’impressione che si tenga in piedi con la sola forza di
volontà.
Non
mi piace la sua espressione. È come se le fosse morto
qualcuno.
Il
gatto salta sul divano e strofina la testa sulla mano abbandonata lungo
il suo
fianco, che rimane immobile nonostante il suo amico peloso stia
cercando le sue
attenzioni.
“Chelsea,
parla, di qualcosa! Che cosa è successo?”
“Non
voglio pensarci.” Solleva il capo, colpendomi con
un’occhiata colma di dolore.
“Sto impazzendo. Deve finire. Questi miliardi di pensieri, di
domande, devono
sparire. Sto impazzendo.”
Mi
afferra per i polsi, in una stretta decisa e più forte di
quanto potessi immaginare.
Ha gli occhi colmi di lacrime trattenute.
“Dimmi
come farlo smettere.”
Sembra
così disperata che mi sento come se mi avessero appena dato
un pugno nello
stomaco.
“Non
credo di poterti aiutare.”
Non
so davvero cosa fare. Io non so consolare le persone, io le faccio
piangere,
soprattutto le donne. Come dovrei fare per alleviare qualcosa che non
so? Come
posso anche solo pensare di lenire la sua pena?
Mi
distraggo solo per un istante, ma è sufficiente per rimanere
disorientato dal
suo improvviso movimento.
Arretro
di un paio di passi per allontanarmi dalle sue mani, ora premute sul
mio petto,
finendo contro il bordo della poltrona.
Mi
sento catapultare all’indietro per colpa della sua spinta.
Sbatto
la schiena contro i morbidi cuscini e ci metto qualche istante a capire
che
cosa è successo. Chelsea
mi ha spinto
all’indietro ed ora è a cavalcioni sulle mie
gambe, la testa appoggiata contro
il mio petto.
I
sui capelli, ormai abbastanza lunghi da spioverle sul viso, mi
solleticano la
pelle, mentre sento calde gocce cadermi addosso.
Le
sue spalle sono scosse trai singhiozzi.
“Si
che puoi. Per tutta la vita ho seguito la retta via. Ho fatto
ciò che era
giusto anche se non mi piaceva. Dove mi ha portato tutto
ciò?”
Solleva
finalmente la testa, mostrandomi il suo volto rigato di lacrime. In
questa
penombra non posso vedere bene il colore delle sue iridi, ma so che,
quando
piange, l’indaco dei suoi occhi diventa ancora più
intenso.
“A
nulla. Erano tutte bugia, dalla prima all’ultima e io sto
impazzendo.”
Si
allunga lentamente verso di me, facendomi bloccare il respiro in gola.
Ho il
cuore che batte all’impazzata.
Che
cosa sta facendo?
Dovrei
allontanarla, spostarla e buttarla fuori di casa, ma sono completamente
ipnotizzato dalla sua espressione.
È
un mix irresistibile di disperazione, speranza, desiderio e innocenza.
Un mix
contrastante che risveglia il mio lato peggiore.
“Non
può essere altro, giusto?”
Ha
gli occhi incatenati ai miei, le labbra ad un soffio dalle mie. Il suo
odore di
pulito mi solletica le narici, mentre una parte del mio corpo che
sarebbe
dovuta rimanere a riposo decide di mettersi sull’attenti.
“Solo
con la pazzia si può spiegare perché sono
così sollevata nel sapere che mi
hanno mentito per tutta la mia vita.”
Copre
la distanza che ci separa, baciandomi gentilmente.
Il
buon senso mi dice che la cosa giusta da fare sarebbe allontanarla e
farla
rinsavire, ma io non sono così, dannazione. Io prendo e
basta, per cui non mi
sento troppo in colpa nell’assecondarla. Se è di
questo che ha bisogno ora, lascerò
che il mio egoismo le dia ciò che ricerca così
disperatamente.
Sarà
lei a fermarsi.
I
suoi palmi minuti sono appoggiati sulle mie spalle nude, per cui mi
raddrizzo
leggermente, avvolgendole un braccio attorno alla vita e infilandole la
mano
libera tra i capelli per intrappolarla e tenerla ferma. Gli strati di
vestiti
ci tengono sufficientemente separati.
Invece
che subire passivamente il mio assalto, come è accaduto
nelle due precedenti
occasioni, Chelsea si spinge ancora di più contro di me,
facendomi sentire le
unghie.
Per
la prima volta, non so come comportarmi, perché il modo in
cui mi sta baciando,
normalmente, porterebbe ad una sola conclusione.
Improvvisamente
si dimena e mi sento immensamente sollevato. Non sono un santo e non
sono una
brava persona.
La
lascio andare, ansioso di sentirla spostare, ma quando riapro gli
occhi, invece
che imbarazzo, sul suo viso c’è solo sollievo e
determinazione. Non si sta
alzando in modo impacciato. No, lei invece si sta sfilando il
giubbotto,
rimanendo con indosso una maglia lunga con lo scollo a barchetta che
arriva
appena alle sue cosce, avvolte da un paio di pantaloni dal tessuto
sottile.
“Non
sai cosa stai facendo!”
La
mia è una supplica. Vattene, urla la mia parte razionale,
mentre la mia parte
animale sta ringhiando, bramosa di averne ancora e sempre di
più.
“Hai
ragione, non so neppure da dove cominciare, ma so cosa non voglio. Non
posso
tornare ad accendere il cervello, non posso tornare a tormentarmi,
voglio solo
sentire.”
Fa
una lunga pausa, distogliendo lo sguardo dal mio viso per passarlo sul
mio
torace nudo. La vedo arrossire, come se si stesse accorgendo solo in
questo
momento che sono mezzo nudo. Per fortuna è seduta sulle
ginocchia, piuttosto
lontano dal mio bacino, altrimenti avrebbe anche un altro motivo per
arrossire.
“Forse
un’altra persona si sentirebbe a disagio nel dirti queste
cose, ma voglio che
tu capisca perché sono venuta qui, di tutti i posti che
conosco, questo è
l’unico dove so che non sarò ingannata.”
Mi
rivolge un sguardo sconsolato, mentre si torce nervosamente le dita.
Non
è la posizione ideale per avere una conversazione, ma ho
paura che,
interrompendola, anche il briciolo di buonsenso che ha riacquistato
possa
svanire.
Se
parla, forse si renderà conto che sta commettendo un errore
madornale. Non
posso darle ciò che vuole o merita. Ciò di cui ha
realmente bisogno.
Stringo
con forza i pungi, estremamente vicini alle sue cosce.
“Tu
mi hai sempre messa in guardia. Non ti sei mai spacciato per qualcuno
che non
sei e anche quando cercavo di farti vedere che c’è
del buono, tu hai continuato
a dirmi che non era così. Tu non mi hai mai mentito, Adrian.
Sicuramente i miei
sentimenti ti sembreranno stupidi, infantili, ma ora ciò di
cui ho bisogno sei
tu, l’unica persona che non mi ha ingannata anche se avrebbe
potuto. L’unica da
cui so cosa aspettarmi.”
Si
sporge verso di me, afferrando le mie mani, come supplicandomi.
“Non
allontanarmi solo perché sarebbe la cosa corretta da fare.
Sono stufa di
prendere decisioni sensate, di fare ciò che è
giusto. Sono stufa della morale,
di sentirmi rinchiusa dentro me stessa, intrappolata da ciò
che mi è stato
insegnato, ma che era solo una bugia.”
“Non
è una buona idea!”
La
mia voce è fiacca, indebolita dalla sua volontà.
Non
è mai successo che una donna dovesse convincermi, il
contrario semmai.
Sta
sciogliendo ogni mia riserva. Il mio autocontrollo, estremamente
debole, sta
rapidamente svanendo, sottomesso dalla sua maldestra seduzione.
“Decisamente
no, ma non mi aspetto nulla. So cosa c’è qui
dentro.” Mi sfiora il petto,
all’altezza del cuore, lasciandomi senza fiato e facendomi
rabbrividire.
“Voglio
solo un momento di assoluta perfezione, dove non esistono problemi,
dispiaceri
o preoccupazioni!”
Le
tolgo dal viso una lacrima solitaria, sfuggita al controllo. Mi fa una
gran
pena. È così disperata.
“Te
ne pentirai!”
Mi
protendo verso di lei, fino a quando a dividerci non
c’è che lo spazio di un
respiro.
“Lo
so.” La sua voce tremante fa contorcere qualcosa dentro di
me, qualcosa che non
riconosco e a cui non posso o voglio pensare ora.
“Però non m’importa.
Solo per un poco… cancella
ogni cosa dalla mia mente!”
È
troppo: la situazione, lei.
Anche
la mia testa si spegne ed è solo l’istinto a
governare le mie azioni.
Non
posso decidere per lei, ma posso fare in modo che il suo pentimento sia
agrodolce.
Le
maniere brutali vengono fuori mano a mano che prendo confidenza con il
suo
corpo, più la tocco, più qualsiasi sentimento
altruistico svanisce, sostituito
dal brivido della conquista, dall’aspettativa di un
accogliente corpo caldo.
In
un piccolissimo angolino della mia anima spero ancora che lei posso
rinsavire e
tirarsi indietro, ma so che ciò non accadrà.
La
cosa bella e brutta di Chelsea è che, quando prende una
decisione, la asseconda
fino alla fine. Non importa quanto sia sbagliata o insensata, lei
è testarda e
farà a modo suo anche a costo di starci male.
I
pochi pensieri vengono spazzati via dalle sensazioni.
Le
passo una mano sulla clavicola e poi più giù,
fino al seno. La sento sobbalzare
e per u istante, ho l’impressione che stia per ritirarsi, ma
invece che
assecondare la paura, perché lo sento che è
terrorizzata, si spinge ancora di
più verso di me.
Saggio
la carne sensibile stringendola leggermente nel palmo, mentre le
solletico la
lingua con la mia. Lei sobbalza di nuovo e un piccolo gemito riempie il
silenzio che ci stava circondando.
Con
parecchia difficoltà mi alzo in piedi, afferrandola per le
natiche. Mi butta le
braccia al collo, stringendo forte per non cadere. Respira a strappi e
ha
un’espressione decisamente sorpresa.
“Cristo
Santo, mi devi fermare!”
Sono
dilaniato. Da una parte l’intenso desiderio di scoprire ogni
centimetro del suo
corpo e perdermi nel suo calore, dall’altro il desiderio, fin
troppo radicato
ormai, di non farle del male in nessun modo.
Se
andiamo avanti così, non sarà il suo corpo a
cambiare, ma ciò che ha dentro.
Come
posso lasciare che si rovini così? Che si macchi di quello
che per lei è un
peccato? Come posso lasciare che le sue emozioni portino entrambi alla
rovina?
Chelsea
non è una donna che deve essere punita, che deve soffrire,
ma se non ci
fermiamo, se non mettiamo fine a questa follia, non sarà
solo lei a pagarne le
conseguenze, ma anche io, perché sarà ancora
più difficile levarmela dalla
testa. Assecondati una volta, i miei desideri egoistici pretenderanno
di essere
assecondati ancora e ancora e questo non farà altro che
farla soffrire.
Inizio
a camminare dritto verso il corridoio illuminato. Una volta varcata la
camera
da letto, solo un miracolo potrebbe impedirmi di andare fino in fondo.
“Non
ti fermerò! Non so cosa mi aspetta, per me è un
territorio inesplorato, ma
voglio sentirti più vicino. Voglio perdere la testa e
liberarmi di tutti i
limiti che mi hanno imposta e che non hanno valore. Voglio assecondare
ciò che
sento e in questo momento, ciò che voglio, sei tu, qualsiasi
cosa significhi.”
Come
dire ancora di no? Sembra più convinta lei di quanto non lo
sia io e questo mi
destabilizza, perché c’è una parte di
me che vorrebbe divorarla.
Quella
stessa bestia che fatico così tanto a trattenere.
Senza
aspettare altri inviti, visto che immagino di averne ricevuti fin
troppi, la
porto in camera da letto. La luce è spenta, ma dopo averla
scaricata
brutalmente sul letto, strappandole un gridolino sorpreso, accendo la
abatjour
per illuminare leggermente l’ambiente.
Voglio
vederla e voglio che lei veda me, che si imprima nella mente
ciò che accadrà da
questo momento in poi.
“Sei
troppo vestita!”
La
vedo arrossire, ma non si tira indietro. Con mani tremanti la osservo
afferrare
i bordi della maglietta e sollevarli, fino a sfilarsela dalla testa,
rimanendo
con indosso un semplice reggiseno del colore dei suoi occhi.
Si
stringe le braccia al petto, come per proteggersi e ha lo sguardo
puntato sul
cassettone.
“Non
ero sicura ti fosse piaciuta.”
So
cosa sta vedendo e mi fa sentire a disagio che lei l’abbia
vista.
“Sono
i miei amici.”
La
risposta è semplice, ma si può avvertire tutto
l’affetto che nutro nei loro
confronti.
“E
per loro tu faresti di tutto. Sei una persona leale. Ecco
perché mi piaci
tanto!”
Al
contrario di me, lei non ha problemi a manifestare ciò che
sente.
È
così candida.
La
raggiungo sul letto, facendo cadere per terra la maglietta che si
è appena levata.
Ha
lo sguardo titubante, spaventato, ma posso anche vedervi la
determinazione.
Se
vuole spegnere il cervello, so perfettamente come fare.
La
bacio di nuovo, distraendola in modo da liberarla dal reggiseno senza
ulteriori
stop.
Basta
parlare.
Non
è venuta qui per questo. Avrebbe potuto farlo, ma ha
preferito scegliere un’altra
strada.
La
mia mano scorre lenta sulla sua pancia, lasciandosi dietro una scia di
pelle d’oca
e brividi.
La
spingo leggermente, fino a farla sdraiare.
“Tieni
gli occhi chiusi e limitati a sentire!”
LA
vedo annuire e ricomincio la mia lenta esplorazione, osservando il suo
mezzobusto nudo che è davvero invitante.
La
pelle chiara non aspetta altro che di ricevere le mie attenzioni.
Vorrei
prendermela con comodo, fare le cose per bene, ma non è
possibile quando, dopo
averlo trattenuto per così tanto tempo, il desiderio prende
il sopravvento.
Le
rubo il fiato, riappropriandomi della carne tenera del suo seno e
tormentandone
le punte sensibili.
La
sento dimenarsi, stringermi più forte e non posso fare altro
che lasciarmi
andare e prendere tutto quello che ha da dare.
Baci,
carezze, sospiri, gemiti, suoi e miei, si alternano rapidamente, mentre
mi godo
il suo viso arrossato dall’imbarazzo quando la libero di
pantaloni e mutandine
in contemporanea.
All’inizio
ha temuto gli occhi chiusi, ma ora, nonostante l’imbarazzo,
non si perde un
solo movimento e cerca di restituirmelo allo stesso modo. Per qualche
ragione,
adora aggrapparsi alle mie spalle, stringendo così forte da
far penetrare
leggermente le unghie nella pelle.
Mi
libero anche dell’ultimo indumento che ci separa, i pantaloni
della tuta che
indossavo e osservo con malcelato orgoglio i suoi occhi spalancarsi. Il
suo
rossore aumenta, ma non accenna minimamente ad abbandonare la posizione
in cui
si trova.
Ha
gli occhi lucidi per l’eccitazione, il petto cosparso di
segni rossi e le cose
semi divaricate.
Nonostante
non le abbia ancora fatto provare la parte migliore, sembra sul punto
di
liquefarsi.
Non
ci sono altre parole, mentre mi prendo quello che da mesi mi tormenta.
La
sua voce sorpresa, ad ogni nuova sensazione che riesce a provare,
demolisce le
fantasie fatte finora.
La
sua mano titubante si muove su di me in movimenti lenti, delicati, come
se
avesse paura di farmi male.
Le
intimo di non fermarsi mentre le mostro sul suo corpo il ritmo da
prendere. Ovviamente
non regge e i suo movimenti diventano concitati, a strappi, mentre
cerca di non
permettere alle sensazioni di avere il sopravvento.
Tuttavia,
il bello del sesso, è che ti fa perdere completamente il
controllo ed è quello
che lei vuole, anche se ancora cerca di resistere.
Anniento
la sua forza di volontà penetrandola con le dita e
strofinandole per acuire le
sensazioni che sta provando.
Le
sfugge dalle labbro un’esclamazione sorpresa quando strofino
nuovamente le dita
umide sul nodulo sensibile poco sopra e so che non manca molto.
La
mia parte egoistica vorrebbe prenderla all’istante, farle
sentire tutta la
potenza del mio corpo che si appropria del suo, ma non ho intenzione di
annientare
il suo spirito.
Per
una volta, prima di prendere, sto dando e non è la lotta
strenua con l’istinto
che avevo pensato.
Voglio
che sia bello anche per lei.
Le
do il tormento, facendola contorcere sulle lenzuola pulite e solo
quando il suo
corpo inizia a tremare, mi prendo ciò che lei è
venuta ad offrire in cambio,
soffocando il suo grido sorpreso con un bacio così profondo
da cancellare ogni
cosa.
Per
averla, sto rischiando l’inferno.
***
La
sveglia sul comodino segna le sei del mattino. Potrei rimanere a letto
ancora
un’ora, ma a che scopo?
Con
il sole che a breve sorgerà, mi cala addosso tutto il peso
della notte appena
passata.
Chelsea
è una studentessa davvero molto diligente e ha imparato in
fretta a lasciarsi
andare. Sono un tipo a cui piace prendersela con calma, godere di ogni
singolo
istante.
Quando
è finito tutto, Chelsea si è girata su un fianco,
si è coperta con il lenzuolo
e ha iniziato a singhiozzare.
Me
lo aspettavo sinceramente, ma mi rifiuto di sentirmi in colpa. Ho fatto
tutto
ciò che potevo per tenerla lontano da me, più di
così non potevo fare.
L’ho
lasciata stare, sono andato in bagno a ripulirmi e poi sono tornato a
letto.
Lei
ha continuato a piangere, per poi addormentarsi, esausta.
Io
invece sono rimasto fermo ad osservare il soffitto per tutto il tempo,
rimuginando su quanto accaduto.
Ho
passato quelle ore a chiedermi se non avrei potuto fare di
più per evitare
questa situazione, ma ogni volta la risposta è stata la
stessa.
È
stata una sua decisione.
Silenziosamente,
per non svegliarla, mi alzo e vado a farmi la doccia. La
lascerò dormire qui,
potrà andarsene quando avrà ripreso un
po’ di controllo.
Devo
andare con mio padre ad una specie di raduno politico e non mi posso
esimere in
nessun modo. Non ternerò che tra due giorni e se vuole, nel
frattempo, può
anche restare qui.
Ciò
che la angustiava ieri sera deve essere qualcosa di davvero importante
per
averla spinta fino a quel punto.
Torno
incamera in silenzio, ma ora il letto è vuoto. I suoi
vestiti sono spariti, il
gatto, che per tutto il tempo è rimasto fuori dalla porta
della camera, chiusa,
anche. Non c’è più la sua gabbietta in
salotto.
Chelsea
se n’è andata come è arrivata:
inaspettatamente, portando con se il suo
orgoglio intatto.
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Capitolo 29 *** 29 Chelsea ***
29
Chelsea.
Non
provare amarezza, rimpianto o
vergogna, fa di me una pessima persona?
Probabilmente
è così, ma non riesco a
vergognarmi di me stessa.
È
stato tutto molto intenso e non avrei
mai pensato di vivere qualcosa del genere.
Era
davvero quello di cui avevo bisogno.
La
mia testa si è svuotata. Tutte le
domande, i pensieri, sono svaniti ed è rimasto solo
l'imbarazzo misto alle
sensazioni.
Mostrare
il mio corpo ad un uomo, ad
Adrian, è stato a dir poco imbarazzante. Mi sentivo a
disagio, vulnerabile, ma
non mi sono tirata indietro. Volevo capire, scoprire, sentire.
È
stato un viaggio pazzesco, che mi ha
lasciata con i nervi spezzati.
Ho
pianto dopo, ma non so esattamente
per cosa sia stato. In un primo momento, mi sono sentita svuotata,
quasi priva
sentimenti, ma poi sono stata investita da tutte quelle emozioni che
avevo così
faticosamente soffocato.
Ho
pianto per me stessa. L'infanzia
rubata, separata da una persona che mi amava con tutta se stessa, senza
conoscerne il motivo. Ho pianto per tutte le cose che mi sono persa. Ho
pianto
per Jillian e per il dolore che ha provato in questi anni ed ho pianto
il
vincolo che ho spezzato. Ero così legata ai ferrei dettami
che mi sono stati
insegnati, da non rendermi conto che erano praticamente disumani e che
mi
tenevano legata ad una persona che sono arrivata a disprezzare: mio
padre.
Dovevo spezzare quel legame è l'unico modo che mi
è venuto in mente, è stato
inconsciamente quello. Me ne sono resa conto solo successivamente,
mentre versavo
le mie lacrime sul cuscino.
Infine ho pianto per Adrian e per tutto quello che lo ha fatto
diventare così.
Anche se non so di cosa si tratta, so che dev'essere stato doloroso.
Non
è stato il mostro che si è sempre
professato. È stato gentile, anche un po' sciocco, quando ha
cercato di farmi
ragionare, ma quando ha ceduto, è stato molto più
umano di quanto non
lasciassero credere le sue parole.
Pensavo
sarebbe stato solo doloroso, che
non avrei provato le emozioni intense che invece mi hanno fatta
contorcere.
Sarebbe potuto finire tutto in fretta, lasciandomi con il rimpianto,
invece non
mi sento così delusa come so che dovrei.
Dovrei
vergognarmi di me stessa, di aver
ceduto ai peccati della carne, ma ora capisco quello che Meredith ha
cercato di
spiegarmi tempo fa.
Per
un po', ho sentito davvero come se
Adrian fosse mio e questo mi è piaciuta.
È
stato davvero un momento di assoluta
perfezione. Non esisteva altro se non noi.
Per
la prima volta, mi sono sentita
apprezzata non solo come persona, ma proprio come donna.
È una
soddisfazione che deriva dal sentirsi desiderati.
Se
chiudo gli occhi, rivedo ancora i
suoi occhi, intensi ed illuminati dalla lussuria; bellissimi. Risento
sulla
pelle il calore delle sue mani, la delicata forza con cui mi ha toccata
Se
ripenso all'intimità raggiunta, mi si
contorce lo stomaco, ma nel cuore sono più leggera di quanto
non fossi ieri
notte.
La
mente si è rischiarata.
Se
avessi avuto ancora qualche dubbio,
quando ho visto la fotografia che gli ho regalato, sul cassettone
completamente
vuoto, sarebbero svaniti completamente.
In
quell'istante, ogni cosa mi è stata
chiara. Sapevo che Adrian era solo, ma fino a quel momento, non avevo
esattamente compreso quanto.
È
un'isola infelice, una nave alla
deriva alla disperata ricerca di un porto.
Ecco
perché con ancora più
determinazione ho deciso di darmi. Se esiste qualcuno che ha bisogno di
quel
genere di regalo, quello è solo lui.
È
stato un scambio alla pari.
La
passione, il piacere, sono state
emozioni che lui mi ha regalato e, come lui cercava di lenire la mia
pena, io
ho cercato di rattoppare il suo cuore ferito.
Non
può essere altrimenti, perché nessun
mostro avrebbe dimostrato la delicatezza che lui mi ha riservato.
Il
dolore quasi non l'ho sentito, ma è
stato abbastanza strano condividere il mio corpo con qualcuno. Ho
sentito
fisicamente la sua presenza, che è andata a riempire un
vuoto di cui non
conoscevo l'esistenza.
È
stato tutto così strano. I miei
movimenti sono stati lenti, impacciati, fin da quando ha guidato le mie
mani sul
suo corpo, in un'imbarazzante esplorazione.
Essere
pelle contro pelle, mi ha fatta
sentire a disagio, ma non è stata una sensazione malsana,
perché mi ha fatto
desiderare di avvicinarmi sempre di più.
Mentre
lui sfregava la corta barba sulla
pelle tenera del mio petto, facendomi rabbrividire, li miei palmi
scorrevano
sulla sua schiena, avvertendone la potenza.
Sapevo
che avrebbe potuto fare di me ciò
che voleva, che avrebbe potuto usarmi violenza senza che io potessi
farci
nulla, ma tutta quell'energia era imbrigliata, lasciata fluire per non
spaventarmi.
Quando
ha guidato la mi mano sulla sua
carne tesa, mi sono sentita arrossire penosamente.
È
stata una scoperta. Di certo non mi
aspettavo che avesse quella consistenza. La sua rigidezza è
stata una sorpresa,
così come la pelle liscia e leggermente umida.
Mi
ha detto come muovermi, ma ero
spaventata ed incerta.
Quando
ha riportato la sua mano tra le
mie gambe, dove si trovava poco prima, la mia testa ha iniziato a
galleggiare.
Non riuscivo a coordinare i movimenti, troppo presa da quelle
sensazioni così
nuove.
Ho
sentito una strana frustrazione
accumularsi nel mio ventre più i suoi tocchi diventavano
energici, determinati.
La lenta invasione delle sue dita mi ha lasciata senza fiato, ma ha
toccato
qualcosa dentro di me che mi ha fatta sobbalzare, acuendo il piacere.
Non avrei
mai immaginato che potesse essere così.
Ad
un certo punto, ho avuto la
sensazione di essere sul punto di farmela addosso, ma non è
successo. C'è stata
come un'esplosione. Il mio ventre ha iniziato a contrarsi,
così come le pareti
interne del mio sesso, un po' come quando ti viene un crampo, ma non
è stato
doloroso, anzi. È stata una sensazione così
intensa e piacevole che non mi sono
accorta di quanto stava accadendo fino a quando al piacere non si
è aggiunto il
dolore.
Tuttavia
la reazione a catena era
impossibile da frenare e le contrazioni di quei muscoli sconosciuti
sono
continuate, cancellando il dolore e lasciando solo un leggero disagio.
Il
suo bacio, in quel momento, è stato
solo un modo per distrarmi dalla resistenza che il mio corpo stava
facendo a
quell'inaspettata invasione.
Il
primo movimento è stato fastidioso,
accompagnato da uno strano bruciore, ma non ho potuto dirglielo o forse
non ho
voluto.
Mi
sono concentrata sulla sua bocca, sul
modo in cui la sua mano mi stringeva la gamba, tenendola alzata verso
il mio
petto ed ogni suo lento movimento è diventato meno
fastidioso di secondo in
secondo, fino a quando lo scorrere è diventato non solo
fluido, ma anche
piacevole.
Ogni
volta che lo sentivo spostarsi in
avanti, che sentivo i suoi muscoli sotto le mie mani tendersi, qualcosa
veniva
toccato, facendomi scorrere dei brividi lungo il corpo, che si
concentravano
nel punto dove eravamo intimamente uniti.
Ho
smesso di pensare molto presto,
troppo rapita dalle sensazioni, fino a quando l'esplosione non
è tornata,
addirittura più forte di prima e che mi ha lasciato con le
membra di gelatina.
Quando
mi sono voltata su un fianco,
ormai stremata e vuota, non volevo piangere, volevo solo assaporare il
silenzio
e la pace appena raggiunta, ma quella è stata solo la calma
prima della
tempesta.
Ho
buttato fuori ogni cosa e avrei
potuto cercarlo, chiedere ancora conforto, ma non l'ho fatto,
perché sapevo di
non poter continuare a fuggire, ad aggrapparmi alle sue spalle quando
qualcosa
è troppo difficile da sopportare.
Le
sue spalle larghe potevano sopportare
quel peso, ma non era giusto gravarlo ulteriormente con i miei problemi
e le
mie emozioni, così forti da non essere comprensibili nemmeno
per me,
figuriamoci per lui.
Mi
è rimasto accanto per tutto il tempo,
in rigoroso silenzio, come ha fatto ogni volta che mi sono rimessa in
piedi. A
modo suo, mi ha dato la forza per rialzarmi, facendomi sentire la sua
presenza.
Credo
di essermi appena assopita, perché
quando si è alzato e, da lontano, mi è arrivato
il rumore dello scrosciare
della doccia, mi sono svegliata.
L'orologio
segnava le sei e un quarto
del mattino.
Era
l'ora di riprendere in mano la mia
vita.
Ho
recuperato i miei vestiti, vestendomi
rapidamente senza guardarmi allo specchio sopra il cassettone. Ho dato
solo una
rapida sbirciata per assicurarmi di esser presentabile, prima di
lasciare la
camera.
Ogni
passo è un monito costante di ciò
che è successo e di cui non riesco a pentirmene, anche se ci
provo.
Brat
era in salotto, intento a mangiare
dalla ciotolina vicina alle tende con i fili tirati.
Stavo
per aprire la porta quando ho
deciso di portare via il piccolo.
Gli
troverò una casa e nel frattempo
sarò io a prendermene cura, un modo lo troverò,
ma non potevo continuare ad
appoggiarmi alla sua gentilezza.
Adrian
è stato fin troppo disponibile
con me e me ne sono approfittata.
Per
cui eccomi qui, con un caffè
bollente in mano, seduta in una caffetteria. La gabbietta è
ai miei piedi e
ogni ragazza che la vede, si ferma per fare un salutino a Brat. Ognuna
di loro
potrebbe essere una padrona fantastica, ma ora non ho tempo di pensarci.
Il
cellulare nella mia borsa pesa come
un macigno grazie alle trentuno chiamate ricevute da Jillian durante la
notte.
Dopo aver chiamato Meredith ed averle chiesto di raggiungermi, cosa che
ha
accettato di fare senza chiedermi nulla, ho mandato un messaggio alla
donna.
Due semplici parole, ma che non rispecchiano appieno come mi sento.
Fisicamente
sto bene, sono incolume, se
non si tiene conto dei vari doloretti qua e là, ma
psicologicamente non sto
bene per nulla.
Devo
raccontare tutta la storia a qualcuno
e quella persona sta entrando proprio in questo momento dalla porta di
fronte a
me, facendo tintinnare il campanello.
Meredith
è imbacuccata in un cappotto
scuro, come la sciarpa che le copre mezzo viso.
La
osservo guardarsi attorno e poi
dirigersi verso di me.
Prima
di sedersi, si libera dei pesanti
indumenti, liberando i bellissimi e lunghi capelli rossi che le
contornano il
viso.
I
suoi occhi verdi mostrano la
preoccupazione, che diventa sempre più intensa mano a mano
che mi analizza.
"Stai
bene? È successo
qualcosa?"
Prendo
un sorso di caffè per calmarmi.
Ora che è di fronte a me, non so da dove cominciare.
"Sono
successe così tante
cose..."
"Sono
qui per ascoltarti. Aspetta
solo un secondo. Ho bisogno di un caffè. Logan ha deciso che
oggi il caffè se
lo farà da solo, dato che non ha tirato fuori il culo dal
letto."
Sorrido
sul bordo della tazza. La
complicità che c'è tra lei e Logan non
smetterà mai di stupirmi. Si stuzzicano
continuamente, rimbeccandosi bonariamente anche con parole che io non
userei
mai nemmeno per insultare qualcuno. Invidio la loro libertà
di espressione.
"Allora?
Come mai sei in questo
posto?"
"Non
so bene da dove cominciare.
Forse è meglio dall'inizio. Non ti ho raccontato tutto
quello che è successo da
mio padre a Novembre!"
La
sua bocca si spalanca, formando una
perfetta O di sorpresa.
"Quel
giorno ho anche saputo che
mia madre è ancora viva!"
La
sua espressione passa da incredula a
furiosa.
"Che
cosa?"
La
sua voce si alza di diversi decibel,
facendo voltare più di un cliente.
"Ti
prego, non urlare."
"Scusami.
È che sono così sorpresa.
Perché non me lo hai detto prima?"
"Non
sapevo cosa pensare. Avevo
così tante domande senza risposta. Ero davvero molto
confusa. Non sapevo se mi
avesse abbandonata, se fosse stata allontanato o chissà
cos'altro. Volevo
trovare una soluzione, farcela da sola. E poi non c'eri."
Lei
si passa una mano sul viso,
l'espressione sconsolata.
"Ecco
perché eri così arrabbiata
con me. Scusami, Chels, avrei dovuto esserci."
Non
dico nulla, ma sento tornare le
lacrime. Avrebbe dovuto, ma ormai è andata così.
"Non
importa più, davvero. Non è
per questo che l'ho detto. Molto probabilmente mi sarei tenuta dentro
ogni cosa
ugualmente. Il punto è che, mio padre, mi ha mentito per
tutta la vita, mi ha
fatto credere di essere qualcuno che non è, crescendomi con
dei principi in cui
non credeva nemmeno lui."
"Cos'è
successo? L'hai
trovata?"
Cerca
in tutti i modi di controllare la
sua esuberanza, ma è ovvio che fatica non poco.
"Non
proprio. È stato un maledetto
caso. Forse il destino voleva riparare al torto fatto,
perché è così strano che
proprio una persona che stimo e che apprezzo come donna, sia la stessa
che mi
ha messo al mondo."
"Spiegati
meglio. Come lo hai
scoperto!"
"Ieri
notte mio padre mi ha teso
un'imboscata. Non so se sapesse già dove stavo vivendo o se
ci abbia seguite
dal locale, sta di fatto che me lo sono trovato di fronte. Diceva che
sarei
dovuta tornare a casa con lui, non ricordo se mi abbia afferrata o se
abbia
solo provato a farlo, sta di fatto che voleva obbligarmi. A quel punto
è
comparsa Jillian. Aveva una pistola in mano. Gliel'ha puntata contro e
la sua
voce era così fredda, furibonda. Mi aveva raccontato la sua
storia, sapevo che
da qualche parte aveva una figlia che le era stata sottratta da suo
marito, ma
come potevo immaginare che quella bambina fossi io?"
Le
lacrime iniziano a scivolarmi lungo
il viso, mentre un enorme groppo mi si forma in gola, impedendomi di
andare
avanti.
Mi
copro il viso per impedire agli altri
di vedermi. È così penoso sentirmi
così divisa. Da una parte sono felice di poter
finalmente scoprire la verità, dall'altra non avrei mai
voluto sapere nulla.
Non
so come gestire questa cosa. Non so
cosa dire, come comportarmi. Se Jillian è davvero mia madre,
allora Allyson è
mia sorella e non so come prenderà. Non so davvero che cosa
succederà da adesso
in poi.
Sento
un braccio ce mi si posa sulle
spalle e ringrazio mentalmente la mia amica, perché avevo
dannatamente bisogno
di dirlo a qualcuno in grado di capirmi.
"Oh,
Chels. Non so cosa dire.
Continua. Dopo cos'è successo?
"Non
lo so!"
Inspiro
forte con il naso, per cercare
di riprendere un po' di controllo, ma l'aria si rifiuta di passare,
obbligandomi a soffiarlo rumorosamente dentro il fazzoletto ormai umido
di
lacrime.
"Sono
scappata. Ero troppo
scioccata. Tutto quello in cui credevo, era una bugia. Un'immensa
menzogna
studiata ad arte per qualche assurdo motivo. Non ho dubitato nemmeno
per un
istante che Jillian potesse aver ragione. Se ha riconosciuto in mio
padre
l'uomo che ha sposato, io posso solo essere quella bambina che le
è stata
portata via. Ti giuro, ancora non riesco a capacitarmene."
“Sei
stata in giro tutta la notte? Perché non mi hai
chiamata?”
Svuoto
il contenuto della tazza, ormai a malapena tiepido per prendere tempo.
Non s dirglielo
oppure no. Cioè, ormai è fatta, le cose non
possono cambiare, ma ho paura di
parlargliene perché so come la prenderebbe. Eppure allo
stesso tempo non vedo l’ora
di condividere questa novità con
qualcuno.
“Aspetta!
Cos’hai sul collo?”
“Eh?”
Meredith
mi infila le mani nei capelli prima che possa capire che cosa sta
succedendo,
obbligandomi a spostarmi all’indietro.
“Che
cazzo è quello?”
Ha
gli occhi spalancati colmi di rabbia, credo che se potessero,
inizierebbero a
sparare fiamme.
“Ma
la vuoi smettere? Si può sapere di cosa stai
parlando?”
Lei
evita la mia domanda, ma non distoglie lo sguardo dal mio viso.
“Chels,
dove sei stata stanotte?”
Sento
immediatamente il rossore salirmi lungo il collo per andare ad
imporporarmi il viso.
“Io
lo ammazzo. Giuro che stavolta lo uccido.”
La
afferro per il braccio per impedirle di allontanarsi.
“Piantala
con questa storia. Tu non ammazzerai proprio nessuno.”
“Perché
non dovrei? Da maledetto bastardo qual è se
n’è approfittato senza battere
ciglio. Sei troppo buona. Perché ancora lo
difendi?”
“Perché
sono andata io da lui!”
Lei
mi guarda con una faccia davvero buffa, che se la situazione non fosse
così
seria, mi farebbe scoppiare a ridere. Ha gli occhi così
sgranati che
assomigliano vagamente a quelli dei pesci.
“Perché?
Avresti potuto chiamarmi!”
Sembra
in qualche modo offesa o forse delusa che non l’abbia
contattata.
“Per
cosa? Per spiegarti che cosa stava succedendo? Non avevo voglia di
parlarne e
meno che mai di rispondere a delle domande.”
“Ma
andare da lui non è stata una buona idea. Grazie al cielo
sei una persona con
un minimo di discernimento, perché altrimenti
chissà cosa sarebbe successo!”
Ancora
una volta è la mia timidezza a tradirmi, scatenando una
nuova ondata di insulti
detti a fior di labbra e minacce di morte ed evirazione.
“Basta,
Mer. Ho scelto io. È stata una mia scelta. Non puoi
colpevolizzarlo per
qualcosa che ho deciso in piena autonomia.”
“Non
eri in grado di ragionare lucidamente. Dev’essere stata
davvero dura per te!”
Non
mi piace. Mi guarda con compassione, come se fossi una poverina non in
grado di
prendere decisioni per conto proprio. Questa è una mia
colpa, perché finora
sono stata remissiva, gentile, quasi manipolabile. È
un’immagine falsata che ho
dato di me stessa quando ancora ero sotto il controllo di mio padre.
Non
è più così ormai, da mesi.
“Dovresti
aver capito, ormai, che non faccio qualcosa se non lo voglio. Non sono
più come
una bambina bisognosa di protezione. È vero, sono molto
ingenua e ignoro tante
cose, ma sto imparando a cavarmela da sola. Posso prendere delle
decisioni e
affrontarne le conseguenze. Ed è stato gentile, Meredith.
Più di quanto avrei
mai immaginato. Forse un altro al suo posto non si sarebbe comportato
allo
stesso modo. Sei libera di non crederci, ma ha cercato di farmi
cambiare idea,
di convincermi a lasciar perdere, ma sono stata io a volerlo e, anche
se so che
dovrei, non riesco a pentirmene. Ne avevo bisogno per più di
un motivo.”
So
di avere il viso letteralmente in fiamme, ma non voglio nascondere la
verità.
Le cose sono andate così e non voglio che lui paghi per
qualcosa che non ha
fatto.
Scommetto
quei pochi soldi che ho, che è convinto di essersi
approfittato di me, del mio
stato d’animo e non posso far nulla, ora, per fargli cambiare
idea.
Ho
altre cose a cui pensare, di cui occuparmi. Ora è giusto che
pensi a me stessa.
“Ne
sei sicura? Era la tua prima volta. Perché proprio
lui?”
“Perché
mi piace. So che non riesci a capire perché mi sia attaccata
così tanto ad
Adrian, ma c’è più di quel che sembra,
tanto di più e non posso fare a meno di
volergli stare vicino.”
“Ne
sei innamorata.”
Sembra
scandalizzata dalle sue stesse parole, come se per lei fosse una cosa
inaccettabile.
“Innamorata
no, ma ci tengo, davvero tanto. Abbastanza per sapere che io avevo
bisogno di
lui, ieri notte, quanto lui di me. Forse sarò presuntuosa o
forse mi sto solo
montando la testa, ma credo davvero che ne valga la pena. So di poter
fare la
differenza.”
“Non
voglio vederti soffrire.”
“Se
accadrà sarà per una mia scelta, ma davvero mi ha
aiutata. È così strano.”
Faccio
una pausa, riflettendo su come stanno cambiando in fretta le cose, su
quanto
rapidamente sto cambiando io. Fino ad una settimana fa, probabilmente
non sarei
riuscita ne a dire così candidamente quello che sento ne a
tenere testa a
Meredith fino a questo punto.
Abbiamo
già avuto battibecchi e mezze litigate, ma mai come oggi mi
sono trovata a
dover far valere le mie opinioni e le mie scelte.
Non
so, forse sto crescendo, oppure sto finalmente scoprendo chi sono
davvero.
“Che
cosa è strano?”
Meredith
è ancora visibilmente scossa dalla mia determinazione, ma
sembra anche propensa
a supportarmi.
“Sono
successe così tante cose. Sono la stessa di ieri, ma allo
stesso tempo mi sento
davvero diversa.”
Lei
sogghigna, ritrovando un pizzico della sua esuberanza.
“Hai
fatto un’esperienza da “grandi”. Io non
mi sono sentita diversa dopo la mia
prima volta, ma perché non aveva lo stesso valore che aveva
per te. Quando doni
spontaneamente qualcosa di te stesso che ritieni importante, quel gesto
ti
cambia. Io a Logan ho donato un pezzo di me che credevo perduto per
sempre e
questo mi ha cambiata, migliorata. Sono
cresciuta e se sta succedendo lo stesso a te, non posso che esserne
contenta. A
questo punto, se dovessi farti male, ci sarò per rimettere
insieme i cocci.”
La
sua approvazione mi fa sentire di nuovo il groppo in fondo alla gola.
Vorrei
ringraziarla, ma so che non riuscirei a parlare e dalla mia bocca
uscirebbe
solo un suono strozzato.
“Sono
contenta che tu me ne abbia parlato. Forse non sono un’ottima
ascoltatrice,
dato che tendo sempre a partire in quarta, ma se dovessi sentire ancora
il
bisogno di confidarti, sappi che puoi dirmi ogni cosa. Non ti
giudicherò mai.”
Lo
so. Meredith è davvero un’amica fantastica su cui
poter fare affidamento.
“Mi
puoi accompagnare a casa di Jillian? Credo di averla fatta preoccupare
molto
stanotte.”
Lei
mi sorride, scompigliandomi i capelli come se fossi una ragazzina.
“Ti
accompagnerò dovunque vorrai.”
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Capitolo 30 *** 30 Chelsea ***
30
Chelsea.
Le
ultime quarantotto ore sono state davvero difficili.
Jillian
non mi ha chiesto nulla quando l’ho raggiunta a casa sua, si
è limitata ad
abbracciarmi ed è scoppiata a piangere.
Mi
sono sentita molto distante dalle sue emozioni. Non ho cercato di
capirle, mi
sono limitata a renderle un abbraccio un po’ rigido, dandole
leggere pacche
sulla schiena.
Non
sono servite a nulla, perché ha pianto disperatamente per
diversi minuti.
“Mi
hai fatta preoccupare!”
Sono
state le sue prime parole, ma non mi ha chiesto ne dove sono stata ne
altro.
Mi
ha fatto sentire in colpa che lei abbia tenuto in considerazione come
mi
sentissi mentre io non sono stata in grado di fare lo stesso.
Non
me ne ha fatto una colpa, anzi, mi ha detto che al posto mio, lei non
sarebbe
tornata tanto presto.
Allyson
stava ancora dormendo e non c’è stato bisogno di
spiegarle come mai sua madre
stesse piangendo.
Tuttavia,
dopo quello che è saltato fuori, credo che sia il caso di
raccontarle ogni
cosa. William Lauren, alias Frank Jones, ha confessato ogni cosa non
appena è
stato arrestato.
Dopo
che me ne sono andata, mio padre è scappato, tornando di
corsa a casa sua.
Jillian ha chiamato la polizia, spiegando l’accaduto.
Gli
agenti si sono recati immediatamente sul posto, aiutati dal indirizzo
presente
su uno dei miei testi di studio.
è
stato un tentativo. Jillian non sapeva che io avessi scritto
l’indirizzo sulla
prima pagina del volume, ha frugato tra le mie cose alla disperata
ricerca di
un indizio per far finalmente arrestare mio padre.
Non
riesco a biasimarla per questo. Molto probabilmente mi sarei comportata
allo
stesso modo.
La
verità raccontata da mio padre, però,
è stata molto peggio di quella che avrei
mai potuto immaginare.
Aveva
organizzato tutto da tempo. I documenti d’identità
falsi, la sua copertura coma
pastore Anglicano, ogni cosa era stata attentamente pianificata.
Mentre
ancora viveva come Frank Jones, William Lauren stava seguendo il
percorso per
diventare un pastore anglicano.
-prima
ancora di conoscere mia madre, aveva già pianificato ogni
cosa.
Tutto
per Cassandra, la donna della fotografia. Mia zia.
Cassandra
Jones aveva subito un’isterectomia a quindici anni, a causa
di una gravidanza extrauterina.
Il
bambino, era figlio di mio padre.
Cassandre
e Frank Jones, fratelli con appena tre anni di differenza, erano
innamorati e
avevano iniziato una relazione incestuosa.
Dopo
quel fatto, Cassandra cadde in depressione, tentando il suicidio due
volte. È stato
in quel momento, che Frak ha
inventato
una nuova identità per se e per sua sorella, che agli occhi
di tutti sarebbe
stata solo sua moglie.
Jillian,
mia madre, anche se mi suona davvero strano pensare a Jillian come alla
donna
ch emi ha messo al mondo, è stata solo lo strumento per
avere la famiglia
perfetta che la sua amata aveva sempre desiderato.
La
depressione post parto di Jillian è stata solo una fortuita
coincidenza, ha
detto mio padre alla polizia. Avrebbe trovato un altro modo per
scomparire con
me e Cassandra.
La
scelta della città, invece, non l’ha scelta lui.
È stato assegnato in questa città
per seguire la chiesa, dato che il precedente pastore si stava
ritirando.
Lui
e Cassandra hanno vissuto felici per un anno e mezzo, fino a quando
lei, presa
dai rimorsi, finalmente non è riuscita
nell’impresa di togliersi la vita.
Cassandra
non si era mai perdonata di avermi portata via a Jillian, a cui,
durante l’anno
di matrimoni, si era affezionata come e fosse stata una sorella. Era
disposta a
lasciar perdere, a trascorrere la sua vita come mia zia,
perché anche solo
avere la sensazione di appartenere ad una famiglia, bastava a farla
felice.
È
stato mio padre a convincerla a procedere con il piano.
Credeva
fosse l’unico modo per farla felice, ma non ha funzionato.
Non
si è mai perdonato l’accaduto.
Da
ascoltatrice esterna, avrei potuto rimanere impietosita dalla storia di
un
amore sbagliato e tormentato, ma anche ascoltando la confessione che
mio padre
ha rilasciato, sentendo la sua voce strozzata, come se fosse un
perfetto
estraneo, non sono riuscita ad intenerirmi. Ho provato solo una grande
rabbia.
Alla
domanda: “Perché non ha riportato la bambina alla
madre?” la risposta è stata:
“Perché
più cresceva, più mi sembrava di rivederla, la
mia Cassandra. Era come se stesi
avendo una seconda possibilità!”
Inutile
dire che mi sono sentita profondamente nauseata da tutta la situazione.
Non
solo era coinvolto in una relazione incestuosa con la sua stessa
sorella, ma ha
riversato per anni su di me quel sentimento sbagliato e morboso.
Qualsiasi
parvenza di sentimento, si è dissolto a causa del disgusto.
Non
sono rimasta ad ascoltare quello che la polizia stava dicendo a
Jillian. Io
avevo bisogno di uscire e respirare un po’ di ossigeno per
allontanare la morsa
che mi stringeva lo stomaco.
Sono
passate due ore e ancora mi sento completamente sottosopra.
“Vuoi
dell’altro caffè? Magari mettici un po’
di zucchero.”
Jillian
è convinta che sia sotto shock. Non sono d’accordo
con lei, ma forse potrebbe
avere ragione, perché mi sento davvero molto confusa.
Non
riesco a smettere di chiedermi: “Adesso cosa
succede?”
“Smettila
di pensarci!”
Probabilmente
lei mi legge nel pensiero oppure legge l’espressione del mio
viso, perché si
siede di nuovo di fronte a me, come tre giorni fa, e tiene tre le mani
la stessa
tazza color ciliegia.
“Tu
ci riesci?”
Lei
mi rivolge un sorriso amaro.
“Come
potrei? Ti ho ritrovata, è vero, ma il tempo perso non si
può recuperare.”
Ha
ragione, ma non è tutto
perduto.
“Questo
è ovvio, ma tu mi conosci, Jillian. In questi mesi abbiamo
avuto modo di
conoscerci e non so che cosa succederà, continuo a
chiedermelo, ma non posso
fare a meno di sentirmi anche sollevata, perché finalmente
ho avuto delle
risposte. Non sono belle, ma almeno posso rispondere a tutti quei
quesiti che
prima mi tormentavano.”
La
sua espressione è a metà tra il sollievo e
l’incredulo.
“Ma
non ti senti ferita per il modo in cui ti ha usata? Io sono davvero
schifata.”
Allungo
una mano e stringo con delicatezza la sua.
“Anche
io sono nauseata, soprattutto per il genere di affetto malato che
nutriva nei
miei confronti, ma tutto questo rende le cose più semplici.
Non mi interessa
recuperare un rapporto con lui, non mi interessa più.
L’unica cosa che mi
importa, ora, è costruire un rapporto con te. Jillian,
io…” Alcune lacrime
sfuggono al mio controllo, scivolandomi sul viso.
“Davvero
non so come saranno le cose da ora in poi, ma già da prima
nutrivo una
grandissima stima nei tuoi confronti e questo non è cambiato
solo perché la
verità è venuta alla luce. Anzi. Tutto questo mi
fa sentire estremamente
fortunata, perché pèer tutti questi anni, dove ti
credevo morta, tu hai
continuato a volermi bene.”
Sottraggo
la mano alla sua stretta gentile e le uso entrambe per coprirmi il
viso. Non
vorrei piangere ancora, ma mi sento così piena, sommersa da
tutto che mi sembra
l’unica valvola di sfogo possibile.
“Non
volevo sembrarti ingrata. Ringrazierò per sempre il signore
per averti
riportata da me, ma è tutto così strano, irreale.
Non riesco a credere che,
dopo tanti anni, finalmente sia successo. Non ci speravo
più. È così strano
pensare che la bambina che ho stretto tra le braccia sia cresciuta
così tanto. Devo
solo rendermi conto che è tutto vero, che
non è un sogno.”
Non
riesco ad immaginare che cosa sta provando. Non riesco ad immaginare di
avere
un desiderio grande come il suo, temere di non vederlo mai realizzato e
poi, di
punto in bianco, ritrovarmi ad avere tra le mani ciò che
avevo sempre
desiderato, senza aver fatto nulla per ottenerlo. Deve essere difficile
capacitarsene.
“Chelsea?”
La
sua voce è morbida, un po’ meno addolorata ora, e
mi spinge a sollevare lo
sguardo.
Jillian
ha gli occhi gonfi e arrossati, ma uno splendido sorriso le illumina il
viso.
“Sì?”
“Sai
questo cosa significa?”
Scuoto
la testa, perché non riesco a capire che cosa voglia dire.
“Vuol
dire che da oggi, questa, è anche casa tua. Ora hai un posto
dove stare e dove
non sentirti di troppo.”
Ricomincio
a piangere, trattenendo nel modo più dignitoso possibile i
singhiozzi.
Un
posto dove stare, una casa, una famiglia: sono tutte cose che pensavo
non avrei
più avuto e invece lei, come se nulla fosse, me le sta dando
e sento la
genuinità delle sue parole. Lo sta facendo con il cuore,
perché lo desidera,
non perché è obbligata a farlo.
“Io…
Non so cosa dire.”
Stavolta
è lei a prendermi la mano, stringendola con delicatezza.
“Tutto
questo avrebbe dovuto essere tuo di diritto. Non so come comportarmi,
perché
ormai sei una donna adulta, ma farò del mio meglio per
essere la madre che
meriti. Sono così orgogliosa della donna che sei
diventata.”
Il
rumore della porta d’ingresso che si chiude ci fa sobbalzare
entrambe. Jillian
ha un espressione ansiosa, mentre osserva una distratta Allyson entrare
in
cucina.
“Sera.”
Il
suo saluto cade nel silenzio, cosa che la spinge a sollevare la testa
per
capire cosa c’è che non va.
Passa
dal mio viso, ancora umido di lacrime, con gli occhi umidi, a quello
della
madre, più o meno nelle stesse condizioni?
“Che
cosa succede?
Qualcosa di grave?”
“Jillian
io vado di là!”
Faccio
per alzarmi dalla sedia, ma lei mi fa segno di rimanere ferma, facendo
invece
cenno ad Allyson di sedersi alla mia sinistra.
“Mi
state spaventando. Volete parlare, sì o no?”
“Allyson,
siediti per favore. È una storia lunga.”
La
giovane prende posto sulla sedia, sedendosi sul bordo della sedia,
evidentemente
sulle spine.
“Si
tratta di una storia che io e tuo padre non ti abbiamo ami raccontato
perché
avrebbe reso le cose ancora più
difficili.”
“E
l’hai raccontata prima a Chelsea che a me, mamma? Per questo
avete l’espressione
di due che hanno pianto?”
Io
e Jillian ci scambiamo uno sguardo, a disagio.
Va
bene non nascondere i propri sentimenti, ma vederli interpretati da
qualcuno
così facilmente mi fa sentire a disagio, esposta,
vulnerabile, e non ho bisogno
di sentirmi ancora più indifesa di quanto già non
mi senta.
“È
perché la riguarda. Lo abbiamo scoperto solo due giorni fa e
sicuramente per te
sarà uno shock, ma è giusto che lo sappia. Avevo
più o meno l’età di Chelsea
quando mi sono sposata, ma no con tuo padre, ma con un uomo di nome
Frank Jones”
Allyson
spalanca la bocca, gli occhi fuori dalle orbite.
“Che
cosa?”
“Hai capito bene. Quando
conobbi tuo padre, ero
una donna molto triste. Tuo padre era l’uomo della mia vita e
l’ho amato con
tutta me stessa. Quando
sei nata tu, ho
pensato che le cose si sarebbero sistemate, che il vuoto che sentivo in
fondo
al petto sarebbe svanito, ma non è stato così. Tu
e tuo padre mi avete dato la
forza di continuare a vivere, ma mi mancava qualcosa che mi era stato
sottratto
prima che Paul mi trovasse. Ti ho raccontato di come ci siamo
conosciuti, non è
vero?”
Allyson
annuisce, il viso sempre più bianco e perplesso.
“Sì,
tu lavoravi in una tavola calda frequentata spesso da motociclisti,
quando papà
è entrato, insieme ai suoi amici. Vi siete guardati ed
è stato amore, giusto?”
Jillian
annuisce, un espressione nostalgica dipinta sul viso.
“Tuo
padre era un orso buono con una sensibilità innata.
Capì subito che qualcosa mi
tormentava e tanto ha fatto che non solo mi sono innamorata pazzamente
di lui,
ma gli ho anche raccontato che mio marito era sparito, portandosi via
mia
figlia.”
Osservo
Allyson, mentre incredulità e sorpresa le si dipingono sul
viso.
“Una
figlia?”
“Sì.
Una bambina di nome Rhea che oggi ha quasi diciannove anni. Tua
sorella.”
Nel
vedere le lacrime spuntare negli occhi di Jillian, sento la commozione
tornare
a farsi sentire, ma non posso piangere ora, perché Allyson
mi sta guardando
come se finalmente stesse mettendo insieme i pezzi.
“Chelsea…
Lei è quella bambina? Mi stai dicendo questo? Che ho
improvvisamente una
sorella e che questa altri non è che la mia amica
Chelsea?”
L
sorpresa viene immediatamente sostituita dalla rabbia, mentre la
ragazza balza
su dalla sedia con tanta energia da rovesciarla.
Bon
guarda me, ma sua madre.
Sembra
estremamente ferita.
“Mi
dispiace non avertene parlato prima, ma come ti ho detto, è
una grande novità
anche per noi. Non sospettavamo nulla perché le nostre
storie non combaciavano.”
Allyson
solleva una mano. Ha gli occhi chiusi, l’espressione
sofferente.
“Stai
zitta, per favore. Non voglio sentire altro. Ho… bisogno di
tempo per pensare.”
E
prima che possa anche solo pensare di fermarla, esce dalla cucina alla
velocità
della luce.
Jillian
ha un’espressione affranta.
“Mi
dispiace tanto!”
“Non
ti preoccupare. Le passerà. È fatta
così. Ha ragione ad essere arrabbiata. È una
grossa novità. Le parlerò più tardi
per spiegarle ogni cosa.”
“Pissi
farlo io?”
La
domanda sale spontanea alle labbra perché ho paura che una
chiacchierata
madre-figlia, in questo omento, non sia la cosa migliore da fare,
soprattutto
per Jillian.
Allyson
è una ragazza davvero dolce, ma l’espressione di
rabbia trattenuta che aveva
prima in viso non mi è piaciuta molto.
Si
sa, quando c’è la rabbia, di mezzo, si tendono a
dire anche cose che non si
pensano, solo perché si sa che faranno soffrire
l’altra persona.
Non
voglio che Jillian venga ferita in un momento di collera.
“Tu?”
Mi
limito ad annuire, in imbarazzo.
“Fino
ad oggi io e alluso abbiamo avuto un buon rapporto. Forse con me
parlerà e sarà
disposta ad ascoltare.”
Lei
ci riflette su alcuni secondi, prima di fare un cenno affermativo con
la
testa,.
“Per
quanto mi bruci ammetterlo, hai ragione. Allyson ora ha bisogno di
un’amica,
non di una madre. La sua stanza è la seconda porta in fondo
a sinistra.”
Lascio
rapidamente la cucina, salgo le scale in legno e appena in cima vado a
sinistra.
Anche
senza che mi dicesse di che porta si tratta, avrei riconosciuto la
camera di
Allyson immediatamente.
Sul
legno chiaro è appeso un cartello con il simbolo del divieto
d’entrata e sotto
c’è il suo nome disegnato in modo molto artistico.
Busso
delicatamente alla porta con il cuore che batte all’impazzata.
“Vai
via!”
“Allyson,
sono io, Chelsea. Fammi entrare per favore.”
Non
ricevo nessun tipo di risposta e immagino che mi stia ascoltando.
“So
come ti senti. Sei spaesata, incredula, ma anche io mi sento
così. Fino a due
ore fa, non sapevo come fosse possibile tutto questo. Lascia che ti
racconti
ogni cosa!”
Passano
diversi secondi, dove temo che le mie parole siano cadute nel vento, ma
poi lo
scatto della serratura mi fa tirare un sospiro di sollievo. Allyson
apre la
porta il tanto necessario per guardarmi bene in faccia.
Stringe
forte il cuscino tra le braccia e ha il viso rigato di lacrime.
“Sei
davvero mia sorella? È tutto vero?”
La
sua voce rotta mi fa venire un groppo in gola, perché
immagino che sia davvero
difficile per le capacitarsene.
“Sì!”
Senza
dire nulla si fa da parte, facendomi intravedere uno scorcio di
cameretta,
cosparsa di poster di band musicali ovunque.
“Entra!”
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Capitolo 31 *** 31 Adrian ***
31
Adrian.
Pochi
giorni. Manca pochissimo tempo al momento della resa dei conti e non
sto più
nella pelle.
Mi
prudono le dita dalla voglia di mettermi al computer e dare il via alla
serie
di eventi che porteranno la famiglia Pruitt e quella McLeor alla rovina.
Non
ci sarà giornale che non parlerà della nostra
disgrazia.
Ho
parlato con Ryan, Josh, Dave e Logan al telefono. Ero a Detroit per
partecipare
alla convention di mio padre quando ho deciso che era il momento giusto
per
avvisarli.
Fino
a quando le acque non si saranno calmate, devono starmi alla larga e,
se dopo
ciò non vorranno più avere a che fare con me, lo
capirò.
Hanno
cercato di tirarmi fuori la verità, volevano convincermi a
lasciar perdere,
Josh ha tirato addirittura in ballo Chelsea per cercare di convincermi
a non
fare qualsiasi cosa io stia per fare.
Inutile
dire che tutto ciò ha scatenato un bel putiferio, dove sono
stato preso
d’assalto con domande a cui non volevo dare risposta.
Dopotutto,
Chelsea non è assolutamente un problema. Dopo ciò
che è successo, dubito
fortemente che tornerà alla carica con la storia che non
sono un maledetto
infame, le sue lacrime e il modo silenzioso in cui se
n’è andata dal mio
appartamento sono stati più
che
eloquenti.
Avesse
lasciato il gatto, forse sarebbe stato diverso, ma è stato
più che recepito il
suo desiderio di non avere più nulla a che fare con me.
Sinceramente
non so come sentirmi a tal proposito.
Credevo
che ne sarei stato felice, che sarebbe stato un sollievo non avere
più a che
fare con la sua testa così strana, ma invece mi sono
ritrovato a pensarla più
spesso di quanto non vorrei.
Ho
pensato addirittura di mandarle un messaggio, almeno per assicurarmi
che stesse
bene, ma subito dopo mi sono dato dello stupido, per due motivi
decisamente
sensati.
Primo,
lei non vuole avere a che fare con me, cosa che capisco e approvo,
secondo,
dovrei essere felice di essermi liberato della sua presenza, del modo
sfrontato
che ha di affrontare le cose più disparate. Del sorriso che
ha sempre stampato
sul viso.
Dovrei
sentirmi soddisfatto.
Con
il suo modo di fare non mi farà più sentire
ancora peggiore di quanto già non
sappia di essere, non mi sentirò più a disagio in
sua presenza, non sarò più
costretto a lottare contro me stesso per non toccarla e corromperla in
tutti i
modi che mi fa immaginare.
Tutto
ciò è finalmente finito e non riesco a capire
perché il tanto agognato sollievo
non arriva.
Perché
non riesco a smettere di chiedermi se sta bene, se ha avuto le risposte
che
cercava, se ora è più serena?
Perché
accidenti dopo essermela fatta non riesco ancora a levarmela dalla
testa?
Ho
impresso nella mente il suo viso, mentre mi seduceva, dolce e ingenua,
ma allo
stesso tempo colma di malizia e intraprendenza.
Sono
rientrato da mezzora e la prima cosa che ho fatto è stata
cambiare le lenzuola.
Appena sono entrato in camera da letto, sono stato investito dai
ricordi, come
non era mai successo prima.
Non
mi è mai capitato di soffermarmi su una scopata, di rivivere
i dettagli, i
momenti, di sentire quasi sulla schiena le unghie della ragazza. Prima
d’ora,
non era mai successo che i sospiri e i suoni continuassero a
riecheggiare tra
le pareti ed è stato un trauma avvertire così
nitidamente la presenza di Chelsea
nei miei spazi, come se veramente fosse rimasta qui per due giorni,
invece che
essere sgattaiolata via silenziosamente appena ho voltato lo sguardo.
Ancora
mi chiedo perché accidenti sia venuta da me. Qual
è il motivo che la spinta a
cercarmi? Per una ragazza di quel tipo, il sesso non è solo
un passatempo o un
divertimento. È qualcosa di più serio.
Non
è come la sua amica Meredith, che è sempre stata
piuttosto libertina, da quanto
ho dedotto, quindi non capisco perché abbia fatto tutto
ciò.
Per
molte la verginità è qualcosa di cui liberarsi e
di certo non arrivano al
college senza esperienza. Non fai sesso solo quando gli dai una
determinata
importanza.
Sarò
anche un sadico bastardo, ma certe cose le so anche io, quindi ho
passato gli
ultimi due giorni a chiedermi perché mi ha fatto un regalo
del genere.
Perché
proprio a me, che non meritavo quello come la fiducia che mi ha sempre
dimostrato?
Avrei
voluto chiederglielo dannazione, perché la tristezza e la
disperazione non
possono essere sentimenti così forti da farti venire meno a
ciò in cui credi.
Il padre di Chelsea è un dannato pastore anglicano e da
quanto ho potuto
vedere, lei è stata cresciuta nella religione.
Quali
sono state le reali motivazioni del suo comportamento?
Non
riesco a capire perché non riesco a levarmi dalla testa
queste domande, che
addirittura riescono ad allontanare i pensiero della vendetta.
Dovrei
smetterla, ma non ci riesco.
Sto
facendo di tutto per comportarmi come al solito, essere il bastardo
menefreghista che sono, ma viene difficile quando, anche se sei
riuscito ad
ottenere quello che volevi, ti senti usato.
Mi
sono detto che ho approfittato del suo momento di debolezza, che
l’ho macchiata
e che sicuramente ne pagherò le conseguenze, dato che sono
un dannatissimo
egoista, ma più penso a quello che è successo, al
modo in cui si è offerta,
come se non desiderasse niente di più al mondo che venire a
letto con me, più
tutte queste scuse appaiono deboli e false.
Se
fossi stato realmente un bastardo, non avrei provato a respingerla, non
avrei
cercato di farle tornare un po’ di buon senso, non
l’avrei messa in guardia.
Se
fossi stato realmente solo un animale, l’avrei presa senza
delicatezza, senza
aspettare i suoi tempi, fregandomene di rendere il tutto più
che gradevole
anche per lei.
Se
penso ad un’altra donna, non sento tutti questi scrupoli. Non
mi farei problemi
a sedurla, scoparmela e poi andarmene senza guardarmi indietro,
più che
soddisfatto di essere riuscito ad ottenere la resa della poveraccia di
turno.
Invece
se si tratta di Chelsea, mi spaventa l’idea di comportarmi
così.
Nonostante
sia alta, per essere una ragazza, e di certo non magra anoressica come
la
maggior parte delle tipe con cui ho a che fare, mi sembra sempre
così fragile,
indifesa. Ogni volta che l’ho tenuta stretta, ho sempre avuto
paura di farle
del male, di spezzarla.
Non
capisco. Perché non riesco ad essere me stesso quando si
tratta di lei? Mi
spinge a fare cose che normalmente non farei e ne sono pure lieto,
perché mi
piace non sentirmi un mostro, mi fa un certo effetto il suo sguardo
compiaciuto
quando le dimostro che non si sta sbagliando, ma allo stesso tempo so
che è
solo finzione, che prima o poi anche questo suo effetto da fatina
incantatrice
svanirà e tornerò a sentire l’apatia,
la solitudine.
Quel
piccolo bastardello di un randagio era una spina nel fianco e mi ha
distrutto
le tende, ma mi faceva compagnia. Sapere che c’era qualcuno
nel mio
appartamento, quando rientravo la sera, dopo la palestra, dopo uno
stupido
ricevimento politico o alla fine delle lezioni, mi ha dato sollievo e
fatto
venir voglia di stare più tempo tra le mura domestiche, a
godermi il silenzio e
la calma.
Mi
sento una femminuccia complessata quando mi metto a pensare a queste
cose,
perché desiderare di cambiare le cose è
pericoloso, mi mette in una condizione
di svantaggio e mi fa perdere il controllo.
Chelsea
ha risvegliato delle emozioni che non credevo esistessero ancora e che
mi
spaventano. Mi rendono vulnerabile e non me lo posso permettere
dannazione. Mi
ero liberato di questa cosa inutile quando ho deciso di far scontare
alla mia
famiglia tutti i crimini commessi e non voglio sentirmi colpevole per
quello
che succederà.
Allo
stesso tempo, però, non mi sentivo così vivo da
un’infinità di tempo.
È come se fossi tornato a respirare.
Per
la prima volta intravedo quello che Chelsea ha cercato di dirmi fin
dall’inizio.
Non sono completamente marcio, da buttare via, ma come posso far
conciliare i
miei piani, ciò che ho così faticosamente
costruito, con quel poco di umanità
che riesco a scorgere tra l’oscurità?
No,
non posso lasciarmi condizionare da questa cosa, anche
perché non ha senso. Non
ha senso soffermarsi su questi pensieri, perché
ciò che è successo non si può
cambiare.
Quando
negli ultimi mesi mi sono allontanato dai miei amici, non è
stato solo perché
uno ha una famiglia, uno è impegnato con
l’accademia di polizia e gli altri due
sono fidanzati. Non è stato per quello che ho diradato i
nostri incontri e ho
iniziato a ritirarmi sempre più spesso nella solitudine del
mio appartamento.
Sono
ben contento per loro. Sono riusciti a trovare una cosa difficilissima
da
trovare se non addirittura impossibile per la maggior parte. No, il
motivo per
cui mi sono allontanato è perché non voglio
perdere le persone a cui voglio
bene.
Il
pandemonio che si scatenerà quando manderò la
mail con l’allegato alla
direzione di People non toccherà solo la mia famiglia, ma
anche tutte le
persone a cui tengo.
Non
posso esporle così, non sarebbe giusto. Cercare di
coinvolgere meno persone
possibili è il meglio che posso fare.
Non
riesco nemmeno ad immaginare che cosa succederà a Chelsea
quando le foto
verranno pubblicate sulla rivista, fatte girare per il web.
Ho
cercato di evitarla, ma qualcuno l’ha voluta mettere in mezzo
e non voglio
essere responsabile dei suoi problemi. Ho fatto di tutto per smentire
un’eventuale
relazione, ma non c’è stato nulla da fare.
Sono
sicuro che non lo sa, ma la voce sta correndo veloce.
Forse
dovrei avvertirla di stare attenta, di non dare troppa confidenza agli
estranei
perché potrebbero essere stupidi paparazzi alla ricerca di
scoop.
Purtroppo
è questo che succede quando si è il figlio di una
figura pubblica e odio che i
miei affari, veri o meno, vengano sbandierati ai quattro venti e
coinvolgano
persone che non hanno nulla a che fare con la campagna elettorale di
mio padre.
Non
voglio che Chelsea venga coinvolta in questo genere di cose. Inoltre
metterebbero in piazza anche le sue faccende private e
l’ultima cosa di cui ha
bisogno, dopo lo stato pietoso in cui si trovava due giorni fa,
è vedere le sue
cose più private che diventano di dominio pubblico.
Forse
dovrei chiamarla a questo proposito, mandarle un messaggio, ma sono
sicuro che
risponderebbe, magari con un tono freddo, distante, così
diverso da quello
solare che ha solitamente.
No,
è giusto che sia io ad avvertirla. L’altra volta
è stata Kayla, per puro caso,
ad avvisarla di ciò che è successo, ma stavolta
lo devo fare io.
Prendo
il cellulare e digito poche parole, prima di decidere di lasciar
perdere e
nascondere la testa sotto la sabbia e far finta di nulla.
“Ho
bisogno di parlarti.”
La
sua risposta arriva anche troppo rapidamente.
“Passo
da te.”
Tre
semplici parole, ma che non so come interpretare. Non è una
buona idea,
accidenti. Non lo è per nulla.
“Non
credo sia il caso.”
Osservo
la doppia spunta blu della chat di Whatsapp per alcuni secondi, ma non
ricevo
risposta.
Potrebbe
essersi offesa?
Il
suono del campanello mi fa sobbalzare. Chi può essere a
quest’ora? Non può già
essere qui, giusto?
Invece
quando apro la porta è proprio Chelsea che mi ritrovo
davanti. Non indossa il
cappotto, ma un pullover rosso sopra una
maglietta bianca leggermente scollata e un paio di jeans.
Ha i capelli
castani sciolti, che incorniciano il viso leggermente arrossato.
“Hai
il teletrasporto?”
Lei
mi guarda con il sopracciglio inarcato e io le indico il cellulare che
tengo in
mano.
“Oh,
giusto. No, ero di sotto da Bianca con Meredith ed ho pensato fosse il
momento
giusto per salire. C’era un po’ di tensione e mi
sentivo a disagio.”
Continuo
a guardarla e lei arrossisce distogliendo lo sguardo.
“Posso
entrare o devo rimanere sulla porta?”
Mi
levo di mezzo per darle accesso all’appartamento, ma sono
sempre più perplesso.
“Meredith
ti ha lasciata salire?”
Chelsea
si ferma al centro del soggiorno e gi volta, le braccia incrociate sul
petto e
l’espressione battagliera, proprio mentre chiudo la porta.
“Potrà
sembrarti strano, ma non faccio tutto quello che mi viene detto.
Inoltre ha ben
altro a cui pensare.”
Mi
sembra stranamente a suo agio mentre si gira e va a sedersi su uno
degli
sgabelli di fronte alla penisola alta.
“Allora?
Vuoi dirmi che cosa c’è?”
Mi
passo una mano tra i capelli, preso alla sprovvista dal suo modo di
fare. È come
se non fosse successo niente. Davvero vuole fingere che non abbiamo mai
fatto
sesso?
“Io…
Ecco, volevo solo avvertirti che d’ora in poi le cose
potrebbero farsi un po’
movimentate. Non so se lo sai, ma mio padre si è candidato
alle prossime
elezioni e quindi gente pronta a tutto per trovare qualcosa di cui
parlare
potrebbe avvicinarti”
Lei
mi osserva per alcuni secondi, la testa leggermente inclinata di lato.
“Volevi
parlarmi solo di questo? Avresti potuto mandarmi un
messaggio.”
Sento
la fronte corrugarsi.
“Di
cos’altro avrei dovuto parlarti?”
“Di
due notti fa, per esempio.”
Mi
prende alla sprovvista, perché avevo già
archiviato l’idea di doverne parlare
quando si è comportata come se non fosse mai successo.
“Sinceramente
non saprei cosa dire. Sei andata via mentre ero sotto la doccia. Forse
dovresti
dire tu qualcosa.”
Lei
sobbalza, arrossendo, ma non distoglie lo sguardo. È ancora
seduta sullo
sgabello, ma ora le gambe non dondolano più, sono ferme,
rigide, prive della
tranquillità che le animava poco fa.
“Ero
in imbarazzo, non sapevo che cosa dire e avevo bisogno di confidarmi
con la mia
migliore amica. Tu non hai idea di quello che ho passato negli ultimi
due
giorni e credimi, il fatto di aver fatto sesso con te, non è
stato il pensiero
più ricorrente nei miei pensieri.”
Sobbalzo
al suo candore. Come può essere ancora così
candida?
“Non
è questo che intendevo. Aspetta, lo hai detto a
Meredith?”
Il
cuore mi balza in gola al solo pensiero che quella piccola iena possa
sapere
una cosa del genere. Mi aveva intimato di stare alla larga dalla sua
amica e
quella è pericolosa e infida.
“Certo
che gliel’ho detto!”
Sembra
addirittura sorpresa, come se non capisse cosa c’è
di male.
“Quella
mi ammazza, lo sai?”
“Non
farà niente del genere, per più di un
motivo.”
Si
alza in piedi e viene verso di me, che sono rimasto a circa due metri
di
distanza in modo da non essere tentato di toccarla.
Averla
di fronte ora, mi rende difficile concentrarmi sulla conversazione.
Continuo a
pensare a quello che abbiamo fatto, alla consistenza e al sapore della
sua
pelle. Alle lenzuola fresche di bucato che non aspettano altro che
essere
stropicciate.
Si
ferma a pochi centimetri da me. I suoi occhi violetti sono ipnotici.
“Che
motivi?”
Sento
la bocca seccarsi quando una zaffata del suo profumo mi arriva alle
narici. Non
è un profumo costoso, è qualcosa di
più semplice e fruttato, come l’arancio.
Deglutisco a vuoto, stringendo le mani a pugno per non allungarle ed
afferrarla.
Voglio
sentire ancora il sapore della sua bocca e spingermi molto oltre, anche
se so
che sarebbe una pessima e impossibile idea.
“Primo,
ha altro a cui pensare. Secondo, è stata una mia scelta
venire qui e non può fartene
una colpa.” Il suo viso si arrossa, probabilmente per colpa
del pensiero di
cosa esattamente abbiamo fatto quando è
“venuta” a casa mia.
“E
terzo, anche se so che dovrebbe essere così, Adrian, io non
mi pento di nulla.
Ne è valsa assolutamente la pena e se tornassi indietro, lo
rifarei.”
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Capitolo 32 *** 32 Chelsea ***
32
Chelsea.
L’emozione
che mi stringe la gola dovrebbe impedirmi di respirare, di parlare, ma
invece
sento solo una gran determinazione.
Ritrovarmi
in questo appartamento riporta a galla il ricordo di quella notte.
In
questi due ultimi giorni, quando mi chiudevo nella mia stanza, cercavo
di
svuotare la mente, di non pensare per riuscire a chiudere gli occhi e
riposare.
Funzionava
per alcuni minuti, ma appena lasciavo andare le briglie del controllo,
le
immagini ricominciavano ad aggredire la mia mente.
Principalmente
ricordi legati a mio padre.
La
mia testa è tornata indietro nel tempo, a momenti che
avrebbero dovuto farmi
sospettare qualcosa. Come quella volta che gli ho chiesto come mai non
andavamo
mai a trovare la mamma al cimitero e la sua risposta non è
stata ne convincente
ne esauriente.
Semplicemente
mi ha proibito di chiedergli dove fosse sepolta.
Ero
piccola, certo, ma anche allora pensai che era strano,
perché mio padre era
sempre buono e gentile con me, mi spiegava ogni cosa.
Ci
sono stati altri episodi del genere, anche se non li ricordo
chiaramente, ma
non volevo riviverli, non volevo assolutamente ripensare
all’affetto ingenuo
che ho nutrito per un uomo malata che in me non rivedeva altri che la
sorella
di cui era innamorato.
A
quel punto mi rifugiavo in altri ricordi,
in modo che mi cullassero.
Adrian
era nei miei pensieri in quei momenti. Lui, i nostri baci e tutto il
resto.
All’inizio
mi sono concentrata solo sui nostri baci, su quello che mi hanno fatto
provare
e a quanto protetta mi abbia fatta sentire.
Ho
ripensato ad ogni momento. A quel primo bacio nella sua auto, che mi ha
aperto
gli occhi su così tante cose.
Al
secondo, il giorno del suo compleanno, ironia della sorte, capitato il
giorno
di San Valentino, dato che la mezzanotte era già scoccata.
Al
terzo, nel corridoio di fronte alla porta della mia stanza.
Credo
di essermi addormentata, perché la mia testa ha iniziato a
produrre immagini
per conto suo.
Nel
sogno, il nostro bacio non terminava con lui che se ne andava. No, nel
mio
sogno, lo invitavo ad entrare.
Mettevo
la gabbietta con il gatto in bagno, prima di gettare le bracci intorno
al collo
di Adrian e ricominciare a baciarlo.
Lui
mi ha messo le mani sul sedere, stringendo con forza, e una gamba tra
le mie.
Mi
ha stretta a se con decisione, continuando a divorarmi la bocca e farmi
sentire
il suo tocco deciso.
Siamo
arretrati barcollando, stretti l’uno all’altro,
fino ad arrivare alla
scrivania, sulla quale mi ha fatto sedere. Mi ha sfilato la maglietta e
il
reggiseno e ha iniziato a leccarmi il busto, scendendo fino al seno.
Mi
è sembrato così reale che non volevo finisse, ma
è terminato proprio nel
momento in cui mi stava infilando una mano nei pantaloni.
Mi
sono svegliata agitata, il ricordo così fresco che quasi
riuscivo a sentire
sulla pancia il residuo della sua bocca. Il
cuore batteva all’impazzata e sul corpo
sentivo la pressione, il desiderio, l’insoddisfazione.
H
provato a mandar via la sensazione, ma non è servito a
nulla.
Ho
passato una giornata agitata a lavoro e a lezione ero decisamente
distratta.
Stanotte
è successo di nuovo. Un altro sogno erotico.
Mi
trovavo di nuovo nella sua camera da letto, sdraiata con indosso solo
il
reggiseno e le mutandine.
Ricordo
ancora chiaramente il tocco delle sua mani, leggermente ruvide, sulle
mie cosce
nude. Sento ancora sulla pelle i piccoli brividi freddi che mi hanno
percorso.
Il
desiderio fisico è andato ad aggiungersi alle già
potenti emozioni che mi
suscita.
Ecco
perché sto così disperatamente cercando di fargli
capire che sto bene, che non
deve pensare di aver fatto qualcosa di male.
La
sua espressione, però, mi dice che non ci crede.
“Sei
andata via!”
“Te
l’ho già detto. Ero in imbarazzo e non me ne puoi
fare una colpa. È stata la
prima volta e non sapevo come comportarmi.”
“Ti
sei portata via il gatto.”
La
sua espressione assomiglia molto a quella che avevano i ragazzi della
parrocchia:
Smarrita.
“Non
potevo continuare ad approfittarmi della situazione. Mi stavi facendo
un favore
enorme e io me ne stavo approfittando. Era il momento che mi prendessi
io cura
di lui.”
“Hai
pianto.”
Ma
le scuse per pensare di essere pessimo non finiscono mai?
Sto
iniziando a stancarmi di questa sua continua e frenetica ricerca di
motivi per
odiarsi.
“Avevo
decine di motivi per piangere. Avevo i nervi a pezzi e capita a tutti
di
lasciarsi andare ad un sano pianto liberatorio ogni tanto. Reprimersi
non fa
bene. Erano mesi che sopportavo una situazione insostenibile. Vivevo
senza
risposte e solo con mille domande. Poi c’è stata
l’intrusione nella mia camera,
poi è saltato tutto in aria come se fosse scoppiata una
bomba e non ne potevo
più.”
Sono
agitata, gesticolo come una pazza, ma non riesco a fermarmi. Voglio
davvero,
con tutto il cuore,
che capisca.
“Non
sai quanto ti sono grata per essere rimasto al mio fianco. Tu e il tuo
silenzio
siete stati ancora una volta un supporto enorme. Nemmeno ti rendi conto
di
quanto mi hai aiutata.”
Faccio
l’unico passo che ci separa e gli prendo il viso tra le mani
per obbligarlo a
guardarmi.
Cerca
di allontanarmi, senza convinzione. Sembra decisamente in
difficoltà.
“Avrei
dovuto immaginare che avresti pensato qualcosa di orribile, che ti
saresti
incolpato di tutto, ma non hai fatto niente di sbagliato. Dovresti
sapere
quanto credo in te e dovresti iniziare ad avere un po’ di
fiducia in me.”
Lui
mi guarda con gli occhi spalancati, poi di colpo si ritrae, mi afferra
per i polsi
e mi blocca rapidamente le braccia dietro la schiena.
La
posizione mi obbliga a spostare il petto all’infuori, a pochi
centimetri dal
suo.
“Ma
che cosa ti sei messa in testa?”
“Scusa?”
Ora
lui sembra arrabbiato, ma non sono sicura che la colpa sia mia. Non
sento
cattiveria nella sua voce. Non mi sento in pericolo. La sua stretta,
che mi
rende impotente, non mi spaventa anche se ho il cuore che batte
all’impazzata.
“Fai
tutto l’opposto di quello che ti viene detto. Sei testarda,
invadente,
pretenziosa, luminosa come una stramaledetta fatina, pronta a
distribuire la
polvere magica sui poveri mortali infelici. Cosa pensi di fare?
Recuperarmi
come se fossi uno straccione? Non sei un’assistente sociale
Chelsea e l’ultima
cosa di cui ho bisogno in questo momento è averti in mezzo
ai piedi, a mettermi
i bastoni fra le ruote.”
I
suoi occhi cangianti sono accesi di ira, ma questo, invece che farmi
tremare,
mi fa venire voglia di abbracciarlo stretto e sfidarlo per portarlo al
limite e
metterlo all’angolo.
“Allora
buttami fuori, Adrian. Mandami via e non cercarmi più. Non
ti avvicinare, non
pensarmi. Fallo e io ti lascerò perdere, ma se non ce la
fai, se non riesci a
lasciarmi uscire da quella porta, allora farò tutto
ciò che posso per
dimostrarti che persona eccezionale vedo quando ti guardo.”
Lui
sbatte le palpebre, come se stesse uscendo da una specie di trance e la
mano
che tiene sulla mia spalla destra mi stringe più forte.
Sembra
completamente perso nei suoi pensieri e trema leggermente.
“Allora,
che cosa aspetti? Hai la possibilità di liberarti di me. Se
davvero non vuoi
avere niente a che fare con la sottoscritta, devi solo accompagnarmi
all’uscita.”
Mi
fissa negli occhi, mentre un po’ di rabbia scivola via.
Posso
vedere nel suo sguardo i pensieri che turbinano.
“E
se non ti dovessi mandare via, cosa faresti?”
La
sua presa si rinsalda, obbligandomi ad avvicinarmi e toccarlo: petto
contro
petto.
La
sua mano lascia la mia spalla, salendo lentamente verso il collo, per
poi
arrivare a prendermi il viso tra le mani. Sono come ipnotizzata dal suo
sguardo, tanto che ci metto diversi secondi a capire la sua domanda.
“Io
non so che peso ti porti dietro, ma voglio esserci quando deciderai di
lasciar
andare tutta la rabbia e raccontarmi ogni cosa. Ti
dimostrerò che puoi fidarti
di me, così la diffidenza che sento svanirà del
tutto. Voglio tenerti stretto
anche se può sembrare uno sbaglio, perché sento
che devo esserci per te,
esattamente come tu ci sei stato quando sono stata io ad avere
bisogno.”
Lui
scuote la testa, distante. Sta cercando di allontanarsi, lo sento. Se
fino ad
un secondo fa stava ascoltando le mie parole con attenzione, ora si sta
estraniando, come se avessi toccato un tasto importante.
“Non
posso darti quello di cui hai bisogno. Non esiste il lieto fine e io
non sono
il mostro che per salvarsi deve redimersi.”
“Non
hai fatto niente che necessiti la redenzione, Adrian. E non credo nel
lieto
fine, la vita è troppo incasinata per qualcosa del genere,
ma io credo nei
momenti. Voglio vivere di quelli e voglio portarti con me.”
Lui
scuote ancora la testa, ma il suo sguardo nasconde la verità
che nemmeno lui
riesce ad ammettere.
La
speranza è ancora viva, anche se soffocata dalla paura.
Di
cosa? Non lo so, ma voglio far brillare quel sentimento, renderlo un
piccolo
sole privato in grado di riscaldare anche gli angoli più
ghiacciati della sua
anima.
Lui
non è come si dipinge, è molto di più,
ma ha paura di crederci.
“Ti
farò del male, Chelsea. Se ti lascio fare, l’unica
a risultarne ferita sarai tu.”
“Ma
è una mia scelta.”
I
miei occhi sono incatenati ai suoi, mentre il mio corpo è
percorso da lievi
vibrazioni.
“Niente
lieto fine, Adrian. Solo…” Mi sollevo sulle punte
dei piedi, mentre il cuore
accelera la sua corsa, pregustando già la resa.
“… un piccolo momento di
perfezione per volta. So che puoi farlo, che vuoi provarci. Ti sto
dando la
possibilità di essere la persona che hai sempre desiderato
essere, ma che credi
di non poter diventare.”
Lui
mi lascia andare di botto, mettendo tra di noi almeno due metri. Sembra
quasi
spaventato.
“Non
posso ricambiare i tuoi sentimenti.”
Incrocio
le braccia sotto al petto. Ho bisogno di trattenere il calore che mi ha
trasmesso.
“Non
è quello che sto domandando. Ti sto chiedendo di darmi la
tua fiducia e permettermi
di mostrarti quanto assieme possiamo essere perfetti.”
Adrian
sembra sempre più spaventato dalle mie parole, come se
potessero prendere forma
per attaccarlo.
Non
capisco che cosa gli stia succedendo.
“Perché
fai tutto questo? Perché sei disposta a metterti in gioco
per me? Non ho fatto
niente per meritarlo.”
Lo
raggiungo, colmando la distanza che ci separava.
Ho
l’impressione che avrebbe voluto arretrare, ma credo che sia
stato l’orgoglio
ad impedirglielo.
Poggi
o una mano sul suo petto, all’altezza del cuore.
“Perché
sono convinta al cento per cento che ne valga la pena. Tutti ci
meritiamo la
felicità e, l’ho capito in questi ultimi giorni,
io ho bisogno di te, quanto tu
di me.”
Me
lo ritrovo addosso prima ancora di capire che cosa sta succedendo.
È
brusco nei movimenti, nel modo in cui mi stringe, come se potessi
scivolargli
tra le dita da un momento all’altro.
Mi
spinge all’indietro, fino ad inchiodarmi contro la parete
divisoria.
Lascia
la mia bocca solo per darmi l’ultimo avvertimento.
“Io
non sono un uomo gentile, Chelsea. Ti mostrerò chi sono
davvero, solo dopo
potrai decidere di andartene finalmente. Non rimarrai.”
“Lascia
che sia io a decidere. Mostramelo!”
Esattamente
come è accaduto nel mio sogno, dopo essersi riappropriato
della mia bocca,
coinvolgendomi in un bacio da togliere il fiato, ma afferra per il
sedere, obbligandomi
ad avvolgergli le gambe attorno alla vita.
Sento
tra le gambe il suo membro duro che si struscia contro di me, mimando
l’atto
sessuale. Tremo, rabbrividisco ad ogni suo movimento, ma non
è per paura.
Lui
è quello che voglio.
Il
mio inconscio è stato chiaro e non voglio più
resistere ai miei desideri in
nome di convinzioni senza valori.
Dato
il modo in cui mi sto comportando, molto probabilmente, se fossi
cresciuta
diversamente, senza tutto quel controllo ferreo, senza la religione,
probabilmente sarei diventata una sgualdrina.
Mi
sono piaciute troppo le sensazioni provate per non volerle sperimentare
nuovamente.
Adrian
capisce solo i gesti, le parole hanno poco valore per lui, per questo
ho deciso
di donargli tutta me stessa.
Voglio
credere che non mi deluderà.
Niente
di quello che può fare mi spingerà a cambiare
idea e non vedo l’ora di scoprire
quanto la mia mente perversa può spingersi oltre.
Con
Adrian mi sento libera di essere me stessa, anche se è una
parte non capisco o
riconosco. So solo che quando la seguo mi sento estremamente viva e a
mio agio.
disagio sentire la sua mano sotto la maglietta e dentro il reggiseno.
Sfrega
un dito sul capezzolo inturgidito e una nuova scarica di brividi mi
percorre la
pelle quando lo stringe tra le dita, fino a raggiungere il punto tra le
gambe
dove continua a spingere. Sento una strana sensazione di calore liquido
che mi
spinge a contorcermi e muovere i fianchi per assecondare i suoi
movimenti, ma
non è abbastanza.
Di
più. Voglio ogni cosa da lui e, in cambio, gli
darò tutto di me.
|
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Capitolo 33 *** 33 Adrian ***
33
Adrian.
“Avresti
dovuto darmi ascolto e andartene.”
“Mandami
via!”
La
voce assonnata di Chelsea è accompagnata dal suo movimento.
Si accoccola più vicina,
nascondendo la testa sul mio petto.
Mi
sto congelando, perché le coperte mi coprono solo fino allo
stomaco, ma non ho
esattamente voglia di muovermi.
Era
un bel po’ che non mi sentivo così soddisfatto.
Abbiamo
fatto sesso, di nuovo, e stavolta non mi sono risparmiato. Ho lasciato
che
quella parte di me, così aggressiva, venisse alla luce e si
sfogasse, ma lei
non è scappata e non si è tirata indietro.
Mi
ha davvero stupito e stavolta non ci sono state lacrime.
“Non
riesco a credere di averlo fatto di nuovo!”
La
sua incredulità mi fa scoppiare a ridere.
“Davvero
non ti capisco.”
Lei
mi stringe più forte, come se non volesse lasciarmi andare.
“Nemmeno
io capisco me stessa alle volte, ma non in questo caso.
Te l’ho già detto, no? Non vado da
nessuna parte.
Prima o poi riuscirò a fartelo capire.”
Ridacchio
di nuovo, perché Chelsea per me è davvero strana.
Credo
si stia innamorando, anche se non so esattamente che cosa significhi.
Non
riesco a capire come possa qualcuno provare certi sentimenti nei miei
confronti.
Se
non ti ha voluto bene la tua famiglia, il sangue del tuo sangue, come
possono
persone che non hanno niente in comune con te provare quel genere di
sentimento, di attaccamento?
È
reale o solo sabbia negli occhi, che ti fa credere a qualcosa che non
esiste?
È
una domanda che in questi ultimi minuti ho continuato a farmi, senza
trovare
una risposta.
Le
parole vanno e vengono, non hanno valore. Sono i gesti a dimostrare
realmente
qualcosa. Sono concreti, affidabili, per questo mi chiedo quanto di
quello che
dice lei corrisponda a realtà, perché ad ogni
parola che dice, lei fa seguire i
fatti.
So
che non è dotata di quella malizia che spinge le persone a
pugnalare gli altri
alle spalle, ma ugualmente non so se posso fidarmi, crederle.
“Chi
lo sa!”
Con
qualsiasi altra persona, il mio commento lapidario, avrebbe sortito
effetto, ma
non con Chelsea, che si solleva su un gomito, avvolgendosi maggiormente
nel
lenzuolo, facendomi rabbrividire per l’aria fredda, e mi
fissa negli occhi.
“Lo
so io. Volevi spaventarmi, ma non ci sei riuscito. Sono ancora qui e, a
meno
che non sia tu a mandarmi via, intendo rimanere. Dovresti averlo capito
che
sono anche troppo testarda e che se mi metto in testa qualcosa non
c’è verso di
farmi cambiare idea.”
“Ho
notato.”
Mi
fissa ancora per qualche secondo, poi si rimette giù,
stringendomi il braccio
in vita e raggiungendo un diverso tipo di intimità.
Non
sono mai stato il tipo che dopo l’amplesso di sofferma sulle
“coccole”, ma nel
suo caso, mi piace questa sensazione di pace che mi trasmette e, il
calore del
suo corpo, mi fa sentire decisamente a mio agio.
È
una strana sensazione quella che mi trasmette e non so come
descriverla. Non
riesco a trovare un termine adatto. È più che
pace, quella che mi fa sentire. È
come se non avessi un solo problema al mondo in questo preciso istante.
Anche
se so che è impossibile, per poco, è bello
crogiolarsi nel pensiero che
qualcuno davvero ci tiene a te.
“Tanto
lo so che non ti dispiace. Puoi non volerlo ammettere, ma prima o poi
capirai
che non sto scherzando e che ti puoi fidare. Finora ti ho scaricato
addosso i
miei problemi, tu puoi fare lo stesso. Per qualsiasi cosa, io ci sono,
anche
solo per ascoltare.”
Le
sue parole cadono nel silenzio, ma è innegabile che mi
facciano effetto.
Sono
poche le persone che si sono offerte di ascoltare i miei problemi, le
cose che
magari mi infastidiscono.
Di
sicura mai nessuna donna ha cercato di approfondire la conoscenza.
Erano donne
che volevano qualcosa da me.
Ora
anche Chelsea mi chiede qualcosa, che probabilmente non sarò
mai in grado di
dare, ma invece che far salire la rabbia, questo suo atteggiamento mi
spinge a
riflettere, perché prima di chiedermi qualcosa, lei mi ha
dato tutto ciò che
aveva e questo mi fa venir voglia di ricambiare, in qualche modo, anche
se so
che non è possibile.
Come
può provare dei sentimenti profondi qualcuno che ha vissuto
nella sterilità
emotiva tutta la vita? A
fatica sono
riuscito a comprendere il sentimento di amicizia e ci sono voluti mesi
se non
addirittura anni per arrivare alla fiducia e all’intesa che
c’è ora. Senza
dimenticarsi che una parte di me, ancora oggi, non riesce a fidarsi
completamente nemmeno di loro, dei miei amici.
Quindi
come potrei mai corrispondere i sentimenti di questa ragazza, che non
fa assolutamente
mistero di quello che prova?
Dovrebbero
terrorizzarmi le sue aspettative, il suo modo di fare così
limpido, come se
fosse assolutamente inevitabile, per me, adeguarmi al suo ritmo. La
cosa
assurda è che mi rendo conto di fare esattamente il suo
gioco, ma non riesco a
farne a meno, perché il suo sguardo violetto, determinato,
ma carico di
fiducia, mi spinge a non volerla deludere.
Eppure
so che ciò accadrà, che quella luce si
spegnerà, e allora non potrò che
assumermene la colpa. Sono pronto a ciò.
Le
ho detto che la farò soffrire, che se continuerà
a perseverare su questa
strada, non ci sarà altro che quello, ma la sua
testardaggine supera il mio
desiderio di evitarle sofferenze.
A
questo punto, sono in ballo e quel che sarà,
sarà. Io non posso più fare niente
per evitare che ciò accada.
Farò
del mio meglio per non essere del tutto un pezzo di merda, ma tra pochi
giorni
lei si allontanerà, disgustata e io non posso farci
assolutamente nulla. L’ho
avvertita.
Nessuna
persona, nemmeno la più buona e generosa del mondo, potrebbe
perdonare e andare
oltre.
“Faresti
meglio ad andare ora, o la tua amica verrà davvero ad
ammazzarmi!”
È
una scusa patetica, ma allontanarla è la cosa giusta.
“No!
Qui si sta così bene!”
Si
stringe ancora di più a me, sprofondando sotto le coperte
fino quasi a far
sparire la testa sotto il piumino rosso.
“Io
mi sto congelando invece. Ti sei presa tutto il lenzuolo!”
La
sento ridere e poi improvvisamente le coperte si sollevano,
accompagnate da una
ventata di aria fredda che mi percorre tutto il corpo, fino a coprirmi
la
faccia.
“Ecco,
così non ci sono scuse. Zitto e non rovinare
tutto.”
Come
si può lottare contro una persona del genere?
Io
non ci riesco e so che è egoistico da parte mia,
perché è come se stessi
servendo dei suoi sentimenti per ottenere qualcosa, ma la
verità innegabile è
che la sua compagnia mi piace e non mi mette di fronte alla
realtà.
Quando
sono in sua compagnia è come se venissi catapultato in
un’altra dimensione,
dove non posso che essere diverso. È come se fossi
addirittura un’altra
persona.
Sarebbe
davvero semplice darle la mia fiducia, ma a cosa servirebbe, dato che
so già
che non resterà? Affidarmi a lei e poi vederla andare via,
porterebbe solo dei
sentimenti che non voglio provare, quindi è meglio evitare
fin dall’inizio.
“Non
mi hai detto se sei riuscita a sistemare le cose. Dopo avermi
“usato”, è il
minimo.”
Lei
ride, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena quando il suono si
ripercuote su di me in una serie di vibrazioni.
“Non
ti ho usato. In ogni caso non posso dire che le cose siano a posto, ma
si
sistemeranno. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono
sicura che troverò un nuovo
equilibrio. Scoprire chi è mia madre e perché
non ‘è stata per tutta la mia vita mi
ha aiutata davvero tanto. Non mi
piaceva l’idea di essere stata abbandonata, ma per fortuna
non devo fare i
conti con questo genere di consapevolezza.”
Sento
tutti i muscoli del corpo irrigidirsi, perché le sue parole
mi portano alla
mente argomenti che non intendo affrontare con nessuno.
Lei
percepisce il mio disagio e solleva la testa, facendo filtrare la luce.
I suoi
occhi che mi fissano sono sgranati, pieni di una comprensione che non
ho mai
desiderato.
“Chi
è stato Adrian?”
Il
campanello alla porta mi salva. Ci fissiamo negli occhi ancora per
qualche
istante e la sua espressione mi dice chiaramente che non ha nessuna
intenzione
di arrendersi.
Si
allontana, facendo passare l’aria fredda e sento
immediatamente la mancanza
della sua pelle morbida e del suo calore.
La
sua schiena flessuosa è decisamente invitante se non fosse
per il campanello,
mi piacerebbe molto esplorarla e marchiarla come ho fatto con la parte
davanti
del suo corpo.
Mi
guarda da sopra la spalla mentre recupera il reggiseno, abbandonato sul
comodino.
“Ti
ho raccontato cose davvero importanti per me, fondamentali addirittura,
quindi
non pensare che potrei giudicarti. Voglio solo capirti
meglio!”
Il
suo sguardo è troppo difficile da sopportare,
perché probabilmente lei è una
delle poche persone a poter capire che cosa significa essere traditi e
abbandonati, ma non posso farlo per due ottime ragioni.
Primo:
significherebbe ammettere qualcosa che non voglio nemmeno prendere in
considerazione. Secondo, lei se ne andrà presto e non
avrebbe senso affrontare
determinati argomenti.
“Non
serve!”
Mi
giro per recuperare i miei vestiti ed andare ad aprire. Chiunque sia,
so già
che mi romperà le palle, quindi mi limito ad infilarmi le
mutande e un paio di
pantaloni della tuta. Voglio che il baccano infernale che regna
nell’appartamento termini.
Dall’altra
parte della porta c’è Ryan, con
un’espressione indecifrabile in viso.
“Possibile
che tu sia appena rientrato e già ti trovo vergognosamente
in compagnia?”
Il
suo cattivo umore è una novità. Negli ultimi mesi
è stato piuttosto calmo, a
parte la settimana del mio compleanno, dove sembrava avesse un diavolo
per
capello.
Ovviamente
la causa era la relazione di sua sorella con il suo vecchio amico del
liceo
Logan, ma questo è solo un dettaglio.
Dopo
essersi abituato al fatto che sua sorella è tutto tranne che
una povera ed
innocente ragazza da proteggere, ha trovato un buon equilibrio. Stato
mentale
che al momento sembra completamente svanito.
“Non
sono affari tuoi. Che ci fai quassù? Tua moglie ha capito di
aver fatto un
pessimo affare a sposarti e ha deciso di liberarsi di te?”
Lui
fa un sorriso un po’ sghembo che assomiglia più
che altro ad una smorfia
ironica.
“Molto
spiritoso. No, è che ho bisogno di parlare con qualcuo prima
di impazzire.”
Chelsea
sceglie proprio questo momento per entrare in salotto. Si sta infilando
il
pullover e ha i capelli sciolti e scompigliati.
Chiunque
capirebbe che cosa è successo e l’espressione
incredula sul viso del mio amico
è piuttosto comprensibile. Ha gli occhi sgranati, ma Chelsea
si comporta come
se non fosse quasi stata beccata in flagrante.
“Io
risalgo dopo. Non abbiamo finito il discorso.”
La
seguo fino alla porta, attento a non fare niente per incoraggiarla. Sta
già
facendo tutto da sola e un qualsiasi gesto da parte mia potrebbe solo
peggiorare le cose.
“Non
c’è molto altro da dire.”
Lei
mi rivolge una mezza occhiataccia, ma sta sorridendo.
“Col
cavolo. C’è moltissimo da dire. Faresti meglio ad
arrenderti, io non ho nessuna
intenzione di gettare la spugna.”
Prima
di uscire dalla porta, aggrappandosi al mio braccio per mantenere
l’equilibrio,
si solleva e mi deposita un lieve bacio sulla guancia ruvida di barba.
“A
più tardi.”
Lascia
l’appartamento come
se nulla fosse e
posso dire di invidiare alla grande il modo disinvolto in cui si
comporta. Mi
sento incredibilmente a disagio in questa situazione.
È
come se fossi dentro una stramaledetta gabbia dalle sbarre di ferro
arrugginito
all’interno di una voliera.
“Sei
impazzito? Che diavolo sta succedendo?”
Mi
volto verso il mio amico, che ancora mi guarda con tanto
d’occhi.
“Lascia
perdere, è meglio.”
“Lo
sai vero che mia sorella potrebbe ammazzarti se lo scoprisse?”
Lo
guardo con espressione impassibile.
“Lo
sa già.”
Ryan
si limita a scuotere la testa, incredulo.
“Come
diamine è successo?”
Gli
rivolgo la mia miglior occhiata truce.
“Hai
bisogno del disegnino? Pensavo che avendo un figlio non avessi bisogno
di
lezioni di sessuologia. Sicuro che sia figlio tuo?”
Il
mio amico scoppia a ridere e mi mostra il dito medio.
“Fanculo,
Adrian. Sono
serio.”
Anche
io.” Scrollo le spalle con nonchalance e vaodo a sedermi
sulla poltrona.
“Perché,
invece che parlare di me, non mi dici perché sei qui? Deve
essere importante per
non passare del tempo con la tua famiglia.”
C’è
stato un periodo dove mi sono comportato da vero stronzo. Non riuscivo
a
pensare a Ryan come ad un uomo sposato ed ero convinto che Bianca
sarebbe stata
solo una rottura di scatole, ma vista la felicità e la
serenità che da al mio
amico, ho iniziato a apprezzare Bianca e ormai la situazione non mi
infastidisce più come all’inizio.
Non
è stato facile accettare il cambiamento e ancora mi chiedo
come sia riuscito ad
innamorarsi di sua moglie e decidere che è la donna con cui
desidera passare il
resto dei suoi giorni. Per non parlare del fatto che adesso ha un
figlio.
“perché
cerco di pensarci il meno possibile. Non so davvero come comportarmi o
come
gestire la situazione.”
“Problemi
a lavoro?”
Glielo
chiedo senza secondi fini. Se provassi in qualsiasi modo ad interferire
con il
suo lavoro, non me lo perdonerebbe mai,,
Per
questa ragione raramente gli chiedo del suo lavoro.
“No,
quello è a posto, almeno quello. È la mia
famiglia che sta andando a scatafascio.”
LA
mia espressione perplessa deve essere piuttosto ovvia,
perché mi fa un
brevissimo resoconto dell’accaduto, lasciandomi senza fiato.
“Brian
ha detto pochissime parole. Dopo aver compreso la situazione e
sganciato la
bomba, è come entrato in uno stato emotivo alterato . Non
avevo mai visto una
persona così arrabbiata e non posso di certo biasimarlo. Mi
chiedo a cosa
stesse pensando mio padre quando ha deciso che era una buona idea
tenerci all’oscuro
della sua esistenza. È nostro fratello, accidenti. Avevamo
il diritto di
saperlo e decidere se e quando conoscerlo.”
“Accidenti. Questa
sì che è una notizia bomba.”
“Lo
puoi ben dire.”
Ryan,
che spesso e volentieri si comporta come se fosse a casa sua, dato che
i due
appartamenti sono quasi completamente speculari, prende dal frigorifero
due
birre con il tappo a vite e viene a sedersi di fronte a me.
Sembra
decisamente provato.
“Non
so come farò a dirlo a mia madre. Proprio ora che ha
iniziato a sorridere e
fidarsi di nuovo di un uomo. Mi dispiace davvero per Ben.”
Lo
capisco più di quanto immagina.
Spesso
anche io mi sono sentito tradito, manipolato, ed è una
sensazione davvero
orribile.
“Credi
che riuscirà a superarlo? Voglio dire, il padre di Logan
è un tipo a posto, ma
come puoi fidarti di un'altra persona quando sai che questa potrebbe
ferirti?”
La
domanda si applica a Catarina, la madre di Ryan, come a me e sono
davvero
curioso di conoscere la sua risposta. Almeno per poter capire.
“è
semplice Adrian. Correre il rischio è l’unico modo
che si ha per poter vincere
qualcosa. Se non ti
metti in gioco, non
potrai mai sperare di andare oltre i tuoi limiti.”
Le
sue parole, so che mi daranno il tormento per parecchio tempo, almeno
fino a
quando Chelsea non sarà definitivamente uscita dalla mia
vita e dalla mia
testa.
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Capitolo 34 *** 34 Chelsea ***
34
Chelsea.
Sono
indecisa. Da una parte mi sento
colpevole, perché non ho molte giustificazioni. Dall'altra,
mi sento davvero
benissimo.
E
sono anche divertita e imbarazzata per
la faccia che ha fatto Ryan quando mi ha visto.
Immagino
non se lo aspettasse.
Quello
di cui invece io sono certa, è
che appena metterò piede nell'appartamento di Bianca,
verrò presa d'assalto.
Dopotutto,
guardando l'ora sull'orologio
della camera da letto, non riuscivo a credere che fossero passate quasi
due
ore.
L'ascensore
è lento nella sua discesa,
lasciandomi il tempo di pensare. Ho il corpo indolenzito e sullo
specchio
piazzato sopra il cassettone ho potuto vedere sulla pelle una serie di
segni
rossi che lasciano pochi dubbi sulla loro provenienza.
Adrian
è stato davvero intenso, molto
più di quella notte e mi sono resa conto di quanto,
realmente, si sia
trattenuto.
È
stato molto diverso.
La
passione è stata travolgente, mi ha
reso impossibile pensare. È stato davvero incredibile il
modo in cui mi sono
sentita, quasi completamente disinibita. Ci sono stati alcuni momenti
di
imbarazzo, dove mi sono resa conto di essere completamente alla sua
merce,
esposta al suo sguardo senza nessun tipo di protezione. Tuttavia
l'imbarazzo è
stato presto sostituito da sensazioni che non pensavo di poter provare.
Per me,
quel piacere fisico, era solo una leggenda metropolitana.
Dopo
avermi aperto gli occhi su un mondo così grande, come potrei
mai scappare,
spaventata da qualcosa che invece mi affascina e fa sentire bene?
Sono
sempre più sicura che, se l amia vita fosse stata diversa,
io e Allyson saremmo
state molto simili.
Solo
ora sono libera di scoprire chi sono e quello che vedo,
sembrerà strano, ma mi
piace.
Busso
piano alla porta dell’appartamento
, perché quando sono uscita Bianca stava cercando di
addormentare Nath e non
vorrei svegliarlo.
Ad
aprire la porta è Meredith, con i
capelli fulvi raccolti in una coda di cavallo. Ha un'espressione
maliziosa in
viso che mi fa arrossire.
Stavolta
non me la farà passare liscia.
"Indovinate
un po' chi è tornato?
Ve lo avevo detto che sarebbe scesa non appena mio fratello fosse
salito."
Entro
nel salotto identico a quello di
Adrian se non per i colori diversi del mobilio e per la
quantità spropositata
di fotografie sparse su ogni superficie.
Sul
tavolino alla mia sinistra c'è una
bellissima fotografia che ritrae Bianca, ancora con il pancione, quindi
ben
prima che la conoscessi, e Ryan con uno smoking e i capelli tirati
indietro.
Bianca indossa un abito da sposa bellissimo ed entrambi sorridono
radiosi.
Di
fianco c'è un'altra immagine, che
ritrae il loro piccolo.
Guardo
verso il divano e ci sono sia la
padrona di casa che la sua amica, che mi osservano con un sorrisetto
furbo
stampato in viso.
"Mi
devi dieci dollari Kayla."
Lei
si volta a guardare l'amica,
fingendo di essere arrabbiata. È il sorriso a tradirla.
"Oh,
ma dai. Te lo puoi scordare.
Sono arrivata che lei era già andata via. Mi hai
imbrogliata."
Sono
imbarazzata e anche un po'
arrabbiata.
"Glielo
hai detto?"
Lei
mette il broncio e corruga le
sopracciglia.
"Non
lo avrei mai fatto. Non c'e
n'è stato bisogno. Qui nessuno è stupido. Bianca
ha capito tutto quando dopo
mezz'ora non eri ancora tornata."
Sento
il calore fluirmi al viso,
imporporandolo.
"Almeno
dicci come è stato, anche
se dalla tua faccia possiamo immaginare."
Bianca
mi sorride, con fare
rassicurante. "Adrian sarà anche una testa di cazzo alle
volte, ma se ti
fa spuntare quel sorriso, allora è okay."
Sento
le gote incandescenti e mi porto
le mani al viso per assicurarmi di non essere sul punto di prendere
fuoco. E
nemmeno provandoci riesco a smettere di sorridere.
"Mi
metti in imbarazzo."
Tutte
e tre le ragazze scoppiano a
ridere.
"Ti
passerà, credi a me."
Kayla
mi guarda come a dire: non hai
speranza di scamparla, lo dico per esperienza.
"Ho
scoperto che, a dispetto di ciò
che si crede, le donne parlano tra di loro di sesso quanto gli uomini,
se non
di più alle volte."
Bianca
scoppia a ridere, mettendosi una
mano davanti alla bocca per attutire il suono.
"Mi
dichiaro colpevole!"
È
impossibile non unirmi al coro ilare.
Nonostante il modo disinibito usato per affrontare il discorso, tutte e
tre le
ragazze presentano sul viso un rossore sospetto che non mi fa sentire
più di
tanto impacciata.
"Ringrazia
che non siamo salite a
rompervi le scatole. Per un attimo ci ha sfiorato l'idea, ma poi
abbiamo
pensato che non fosse il caso di romperti le proverbiali uova nel
paniere."
È
evidente che Meredith è finalmente
riuscita a lasciarsi alle spalle l'atteggiamento protettivo e
paternalistico,
perché altrimenti non sarebbe mai riuscita a scherzare
così sull'argomento.
"Quindi
ne sei innamorata?"
La
domanda a bruciapelo di Kayla mi fa
sobbalzare.
La
guardo negli occhi, leggendovi
preoccupazione.
"Kayla,
non so cosa significhi
amare qualcuno, ma lui mi piace davvero e prima di conoscerlo non avevo
mia
provato interesse per qualcuno. Sono state le tue parole dell'altro
giorno a
farmelo capire. Anche se non sembra, sa essere davvero gentile.
È questo che mi
piace di lui."
La
bionda ragazza scuote la testa,
facendo ondeggiare i capelli lunghissimi.
Bianca
mi guarda con il sorriso stampato
sul viso, in segno di approvazione, e Meredith invece ha solo
un'espressione
bonaria.
"Lui
cosa ne pensa invece?"
La
domanda proviene dalla giovane bruna
dagli occhi scuri.
Bel
quesito che mi tormenta.
"Stavamo
affrontando in qualche
modo l'argomento quando tuo marito ha suonato al campanello. Non lo so,
ho
l'impressione che non si fidi di me. Però non è
solo questo. È come se qualcosa
lo tormentasse, ma non me ne vuole parlare."
"Siete
piuttosto vicini non è
vero?"
"Credo,
ma alle volte non ne sono
sicura. Mi sono appoggiata a lui tantissime volte e vorrei davvero che
facesse
lo stesso con me. Sto facendo di tutto per fargli capire che non vado
da
nessuna parte, ma è come se lui non volesse lasciarmi
avvicinare."
Sia
Bianca che Kayla scuotono la testa,
ma è la seconda a parlare.
"Gli
uomini sanno essere complicati
quanto noi donne alle volte e ho l'impressione che ti sia scelta una
bella
gatta da pelare. Sai come la penso, ma se credi che davvero ne valga la
pena, allora
posso solo consigliarti di tener duro e rimanere ferma sulla tua
posizione."
"Concordo.
Io conosco un po' meglio
Adrian e ho sempre avuto l'impressione che sotto la facciata da testa
di cazzo
si nascondesse ben altro, quindi non mi stupisce che tu sia riuscita a
vedere
quel qualcosa. La tua inesperienza ti ha permesso di vedere oltre la
malizia e
il suo comportamento dissennato."
Bianca
fa una pausa, guardandomi negli
occhi, estremamente seria.
"Il
giorno che ti ho conosciuta
avevi lo sguardo diffidente. Sembravi quasi spaventata da tutto quello
che ti
stava circondando e mi sono chiesta se fossi realmente così
o se fosse solo una
maschera, qualcosa che nascondeva la tua vera personalità,
perché eri troppo
curiosa per essere solo così."
Si
appoggia allo schienale del divano
con le braccia e posa il mento su di esse, osservandomi con attenzione.
"Lo
sai che ora non hai più
quell'espressione?"
Mi
sento sotto esame, perché anche
Meredith e Kayla mi guardano con la stessa curiosità della
loro amica.
"Lo
sai che ha ragione? Non ci
avevo fatto caso, ma ora che ci penso, è proprio
così. Avrei dovuto
accorgermene prima che qualcosa stava cambiando. Forse, dopotutto,
Adrian non
ti ha fatto male. Ovviamente, se ti farà soffrire,
potrò sempre castrarlo, ma finché
non me lo dirai tu, farò la brava."
Sento
le guance scottare, ma non mi
sento più a disagio.
Si
è formata una specie di aria di
cameratismo e Meredith è davvero un tesoro.
Penso
che, a prescindere da come
andranno le cose, potrei davvero trovarmi bene con queste donne.
Certo,
non conosco bene ne Bianca ne
Kayla, ma non fatico affatto ad immaginare di instaurare un legame di
amicizia
con loro. Sono decisamente profonde ed è ovvio che la loro
vita non è stata
facilissima. Gli occhi non mentono e, più quelli di Kayla,
che quelli della sua
amica, mi dicono che entrambe hanno attraversato dei brutti periodi.
Invidio
la loro sicurezza e spero un giorno di riuscire a raggiungere lo stesso
equilibrio che sembra loro abbiano raggiunto.
Vado
a sedermi sulla poltrona, indecisa.
Mi dovrei forse sfogare con loro? Raccontargli quello che mi ha detto?
Di
sicuro hanno tutte più esperienza di me.
"Continua
a ripetermi che mi farà
del male, che rimarrò ferita."
Non
guardo nessuna di loro. Le parole
sono uscite di bocca prima che potessi pensare di frenarle e ho paura
di vedere
qualcosa di spiacevole sui loro visi.
"Mmmh.
Questo potrebbe essere positivo!"
Sollevo
la testa in direzione del
divano. Kayla ha un espressione pensierosa.
"Sai,
ho sempre considerato Adrian
alla stregua di un animale, incapace di provare sentimenti e
assolutamente
irrispettoso nei confronti delle donne, per questo ero preoccupata per
te, ma
se ha cercato di metterti in guardia, forse non è senza
speranza."
"È
convinto di essere un mostro.
Qualcuno che non merita la fiducia o l'affetto del prossimo. Mi
preoccupa
questa sua chiusura."
Le
guardo tutte e tre e posso leggere
sui loro visi la preoccupazione.
"Non
credo che ci siano consigli
per questa situazione. Temo tu possa solo seguire il tuo istinto.
Dopotutto,
tra di noi, sei quella che gli si è avvicinata maggiormente.
Se c'è qualcun che
ha qualche possibilità di sistemare le cose, quella sei tu.
Hai abbastanza
testardaggine per riuscirci."
Ridacchio,
perché mi viene in mente una
cosa che ho pensato prima mentre ero accoccolata contro il petto caldo
di
Adrian.
Questo
dettaglio, però, non lo voglio
condividere con nessuno, è solo mio e mi da la speranza di
riuscire a farcela,
se solo tengo duro.
Dopotutto,
non importa che cosa faccia,
lui non riesce a dirmi di no. Mi asseconda sempre, forse
perché lo metto di
fronte ai suoi limiti e non vuole tirarsi indietro, non lo so.
È solo evidente
che, in qualche modo, lui vuole tutto quello che ho da dare e, anche se
l'istinto
gli dice di rifiutare, non riesce a farne a meno di ciò che
io offro.
È
come se stesse perennemente combattendo una battaglia contro se stesso.
L’Adrian
cattivo e menefreghista, contro un Adrian più attento al
prossimo e che non
desidera ferire o deludere.
Un
lieve bussare mi riscuote dai miei
pensieri. Osservo Meredith andare ad aprire e, chiunque sia dall'altra
parte,
la fa irrigidire, perché sento la tensione aumentare di
colpo.
"Credevo
non venissi più!"
La
voce di Meredith mi da una chiara
indicazione sul nuovo venuto, la persona che in questo momento sta
mandando
all'aria la sua vita.
Il
ragazzo che entra nel salotto è
innegabilmente fratello di Ryan e Meredith. Ha dei folti e scuri
capelli ricci,
gli occhi del colore della terra bruciata e un principio di folta barba
sul
mento delineato. Ha la stessa fossetta di Ryan sulla guancia, la forma
degli
occhi che accomuna entrambi i fratelli ed è decisamente
alto. Troppo per non
avere nulla in comune con quei due spilungoni.
So
che ha a malapena diciotto anni,
anche se sembra decisamente più grande. Ha la carnagione
più scura rispetto a
Ryan o Meredith. Forse c'è del sangue latino nelle sue vene.
Ieri
notte, Meredith mi ha chiamata,
sconvolta. Sono andata a casa sua e di Logan, dato che Jillian ha
voluto
prestarmi la macchina. Ha detto che finche era a lavoro non le serviva
e che
ero libera di usarla.
Quando
sono arrivata a quella specie di
casa ricavata da un vecchio magazzino, Logan era esasperato e Meredith
più
agitata di quanto non l'avessi mai vista.
Il
suo ragazzo l'ha lasciata alle mie
cure ed è uscito per andare dal suo vecchio amico, dato che
anche lui di certo
non aveva preso bene la situazione.
Meredith
era davvero sconvolta. Tutto
immaginava, meno che avere un fratello di diciotto anni, che peraltro
la odia.
Meredith
sapeva che nessuno meglio di me
avrebbe potuto capirla e mi ha raccontato ogni cosa. Dopo due ore di
parolacce,
imprecazioni e minacce di mutilazioni all'indirizzo del suo genitore,
che per
sua fortuna vive dall’altra parte dell’emisfero, finalmente si è
calmata, ma ora che lo vedo,
Brian, capisco come mai è così difficile gestire
la situazione.
Lo
sguardo di questo giovane sprizza
rabbia da tutti i pori. Odia essere qui e, forse, per qualche ragione,
è
arrabbiato con se stesso.
Accidenti,
avrei davvero dovuto fare la
psicologa.
"Stavo
per non venire, ma alla fine
ho cambiato idea."
"Perché?"
L'espressione
di Meredith è ostile,
diffidente e non riesco ad immaginare come si sente. Il mio primo
confronto con
Allyson è stato decisamente più pacifico di
questo. Essere state praticamente
amiche ha aiutato a superare la fase dell'accettazione.
"Lascialo
stare, è appena
arrivato."
Bianca
si alza dal divano, sistemandosi
la maglia rossa sopra i leggins neri che indossa. È a piedi
nudi e si avvicina
al ragazzo con decisione, un bel sorriso cordiale stampato sul viso.
"Ignorala.
Siamo tutti sorpresi. Io
sono Bianca, tua cognata. Vuoi qualcosa da bere?"
La
presentazione della ragazza è così
limpida da far luccicare qualcosa negli occhi di Brian, emozione
immediatamente
repressa, ma così forte da farmi venire un crampo allo
stomaco.
Possibile
che questo ragazzo voglia solo
essere accettato?
Rivolge
un cenno affermativo alla
ragazza, i lineamenti decisamente meno rigidi di quando è
entrato.
Con
la coda dell’occhio vedo la mia amica trafficare con il
telefonino ed immagino
che stia avvisando l’altro su fratello del nuovo arrivo.
Un
vagito riecheggia per la stanza. Mi guardo attorno, alla ricerca di
Nath, ma è
ovvio che non c’è quando vedo una specie di Walkie
Talkie illuminarsi a ritmo
di pianto.
“Lascia,
vado a prenderlo io!”
Meredith
si muove prima che Bianca possa anche solo pensare di allontanarsi dal
frigorifero.
“Grazie,
Di.” Si china, scomparendo quasi del tutto oltre il bancone e
la sento
mormorare qualcosa.
“Non
abbiamo molto. C’è dell’acqua, della
cola, della soda e della birra. Che cosa
prendi?”
Prima
ancora che Brian possa rispondere, Bianca di risolleva, tenendo in mano
una
lattina con la targhetta Blue Moon.
“Lasciami
indovinare. Stavi per chiedere questa?!”
Il
ragazzo si limita ad assentire e si guarda attorno
perplesso, rendendosi conto per la prima
volta della presenza mia e di Kayla, che non si è ancora
mossa dal divano, ora
messa nella stessa posizione che aveva assunto prima Bianca.
“Loro
chi sono?”
“La
ragazza bionda è Kayla, la mia migliore amica,
nonché damigella al matrimonio
mio e di Ryan. Invece lei, con quei fantastici occhi violetti,
è Chelsea. Lei e
Meredith sono diventate amiche come me e Kayla.”
Insieme
al rossore, arriva anche la consapevolezza che, sebbene appaia
tranquilla,
Bianca è decisamente nervosa, perché sta
straparlando.
La
porta d’ingresso si apre, lasciando spazio a Ryan e Adrian.
Non
capisco bene che cosa stia succedendo. Questa non dovrebbe essere una
cosa da
risolvere in famiglia? Invece sembra che si stai radunando
l’intero gruppo,
come se la cosa andasse affrontata tutti assieme.
Ryan
squadra da capo a piedi il fratellino, inarcando un sopracciglio quando
vede
che tiene in mano a birra, da cui ha già bevuto nel
frattempo che ascoltava le
presentazioni.
“Dici
sul serio? Ha solo diciotto anni.”
Il
ragazzo rivolge un’occhiata di fuoco a sua moglie, a pochi
passi da lui. Lei si
limita a liquidare la sua rabbia con un gesto della mano, come se fosse
una
cosa senza importanza.
“Non
essere irrazionale. Tu hai iniziato a bere molto prima e non mentire.
Ti
ricordo che ci conosciamo da un pezzo!”
Lui
le rivolge un’altra occhiataccia,
ma non
controbatte, perché ovviamente lei ha ragione e lui no.
“Dobbiamo
parlare.”
Osservo
il giovane inarcare un sopracciglio, evidentemente non molto contento
del tono
autoritario.
“Preferirei
farlo in privato e senza tutta questa gente in mezzo! Senza offesa, ma
non sono
affari vostri chi io sia.”
Anche
se il tono usato no è dei migliori, non posso che concordare
con lui. Sto per
alzarmi quando Bianca interviene.
“Non
funziona così con noi, Brian. Le persone che vedi in questa
stanza, sono
preziose come dei parenti. È una seconda famiglia.”
Ryan
si avvicina a sua moglie e le cinge le spalle con il braccio. Ogni
volta che li
vedo, lei così minuta e lui così imponente, non
posso fare a meno di chiedermi
come facciano a sembrare così perfetti nonostante le
differenze.
“Esatto.
Forse non siamo sembrati accoglienti e mi dispiace. Siamo
stati presi alla sprovvista e la cosa è
davvero troppo fresca per riuscire a gestirla nel modo
giusto.”
Meredith
sceglie proprio questo istante per entrare nella stanza. Tiene tra le
braccia
Nathan, avvolto in una copertina azzurra che si guarda intorno
incuriosito da
tutte queste voci.
Anche
la ragazza ha un espressione seria, ma è ovvio che la pensa
come il fratello e,
nonostante questo momento non mi riguardi, non posso fare a meno di
esserne
emozionata, perché è ovvio che, anche se non lo
credevo, loro mi considerano un’amica
preziosa.
“Non
ti odiamo, se è quello che pensi!”
La
voce di Meredith è più bassa del solito e so che
quando fa così è perché è
emozionata e vuole nasconderlo.
“Esatto.
Sappiamo che nostro padre è un imbecille, ma non pensavamo
lo fosse fino a
questo punto.”
Brian
scuote la testa, perplesso.
“Continuo
a non capire perché tutte queste persone devono restare ed
ascoltare fatti che
non li riguardano.”
“Il
fatto è che tu sei nostro fratello. Non lo avremmo mai
immaginato, ma è un dato
di fatto e ora che sei qui, fai parte della nostra famiglia, come le
persone
che ci sono in questa stanza. Ci aiutiamo e sosteniamo a vicenda e
vogliamo che
tu lo sappia.”
Sono
sul punto di piangere, perché riesco ad avvertire, nitido,
il sentimento con
cui Ryan ha accompagnato le sue parole.
Prima
di oggi, non sarei mai riuscita ad immaginare una cosa del genere.
Meredith sta
sorridendo, Kayla anche, così come Bianca e Ryan.
L’unico che non sorride, ma
si limita ad avere un’espressione divertita ed esasperata
insieme è Adrian.
Lo
guardo per alcuni secondi, fino a quando non mi cerca con lo sguardo a
sua
volta.
Rimaniamo
a fissarci per diversi secondi e, in questo lasso di tempo, per me
tutto
svanisce. Non mi importa di cosa mi accada attorno, vorrei solo andare
da lui,
ma non mi azzardo a muovermi, mi limito a fargli cenno di avvicinarsi
con un
dito.
Ed
è proprio questo a far spuntare il sorriso sul suo viso,
sorprendendo lui per
primo.
PICCOLO SPAZIO AUTORE.
Scusate se non ho aggiornato ieri, ma avevo una mano fuori uso.
Cercherò di aggiornare anche domani, sebbene la mia mano non
sia del tutto a posto, ma non vi prometto nulla. Al massimo
entro Sabato avrete anche il capitolo 35. Ne approfitto ancora una
volta per ringraziarvi per i commenti e le recensioni che mi lasciate
sempre. Anche se non vi rispondo, leggo sempre con avidità
tutti i vostri commenti e adoro veder eil modo in cui vi emozionate.
Grazie di cuore per il supporto.
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Capitolo 35 *** 35 Adrian ***
35
Adrian.
Io
non ce la posso fare.
È
più forte di me. Quando fa così, come posso non
sorridere? Nella sua semplicità,
Chelsea riesce ad essere decisamente accattivante.
La
scena nel salotto di Ryan non mi ha stupito più di tanto. Ho
sempre avuto
l’impressione che avesse un cuore troppo grande e tanto da
dare agli altri, quindi
quando mi ha detto di volere nella sua vita suo fratello, in modo da
cercare di
creare un rapporto, non mi sono affatto stupito.
Il
ragazzo che mi sono trovato davanti, assomiglia in modo impressionante
al mio
amico. Non solo per l’aspetto fisico, che sembra avere una
specie di stampo di
famiglia, ma per l’atteggiamento.
Ho
riconosciuto in lui una persona indurita dalla delusione. Insomma, un
altro
randagio da raccattare, esattamente come il sottoscritto o come diversi
membri
di questa sottospecie di famiglia.
Più
ci penso, più mi rendo conto che Ryan si è
circondato di persone che avevano
bisogno di un punto fermo, di lui.
Non
penso che si renda conto di quello che fa, dato che è
decisamente troppo
generoso, ma sta diventando il pilastro di questo strano gruppo.
Ryan
ha calamitato tutti nella sua orbita e ora ha deciso di voler conoscere
suo
fratello e so che, quel piccolo ingrato di Brian potrà dire
o fare quello che
vuole, ma alla fine sarà Ryan a spuntarla, perché
non si può fare a meno di
assecondarlo.
E
Chelsea è uguale a lui sotto questo punto di vista. Strega
le persone, le spinge
ad essere migliori e agisce come se gli altri la dovessero assecondare
e basta,
cosa che succede perché, quando ti guarda con quegli occhi,
ti fa smettere di
pensare e ti convince di avere semplicemente ragione.
Crede
così tanto in quello che dice, che è impossibile
non rimanere in qualche modo
coinvolti dalla sua determinazione
Mi
farà impazzire, perché le cose andranno
decisamente a puttane tra non molto e
io non mi dovrei trovare qui, Ryan lo sa benissimo.
Eppure
quando gli ho detto che non sarei sceso, mi ha guardato e semplicemente
mi ha
detto di non dire cazzate e muovere il culo.
Non
so, forse pensa di potermi convincere a non fare nulla, di riuscire a
scoprire
cosa ho in mente, ma dopo tanti anni passati a pianificare e fingere di
non
avere una bomba atomica a disposizione, non riuscirà mai a
tirarmi fuori la
verità.
Sto
cercando di proteggerli, di evitare che le mie azioni creino loro dei
problemi,
ma è come se non volessero essere esclusi.
In
nome di questa “famiglia”? Probabile, ma
ciò non significa che debbano rimanere
coinvolti.
L’ultima
cosa di cui hanno bisogno è di essere perseguitati,
perché è ciò che succederà.
Non
appena l’attenzione mediatica si concentrerà su
mio padre, anche io entrerò nel
campo visivo e di conseguenza saranno esposte anche le persone a me
vicine, che
verranno tormentate da gente alla ricerca di informazioni o succosi pettegolezzi.
Eppure,
anche sapendo tutto questo, non posso che assecondare questo
sgangherato gruppo
di persone, così diverse tra di loro e, per una volta, non
sentirmi un
estraneo.
In
questa stanza, non credo ci sia una sola persona che non sia
rattoppata, a
partire da Ryan, che ha vissuto la sua vita con l’ingrato
compito di vegliare
sulla sua famiglia al posto del padre e ora ha scelto, di sua spontanea
volontà,
di dedicarla a sua moglie e suo figlio, ricavandone più
soddisfazione di quanto
avrebbe mai potuto immaginare, parole sue.
Sua
moglie non è messa meglio. È una strega in
miniatura che nell’ultimo anno e
mezzo ha dovuto affrontare parecchie cose spiacevoli.
Non
conosco i dettagli e non mi interessano, ma i miei amici parlano delle
loro
donne, si sfogano e lo stesso ha fatto Josh, che più di una
volta ha rimarcato
che la sua perfida ragazza Kayla ha avuto un’infanzia molto
difficile, sottolineando
che probabilmente io e lei siamo molto più simili di quello
che sembra.
Lo
stesso Josh ha attraversato un brutto periodo pochi mesi fa e non
capisco come
faccia ad essere così aperto mentalmente.
Questo
dettaglio, in effetti, mi fa sentire l’unica voce fuori dal
coro.
Come
fanno queste persone, dopo aver passato tante difficoltà e
vissuto tante
delusioni, a fidarsi ancora degli altri?
È
una cosa che non comprendo, va oltre ciò in cui posso
credere.
Eppure,
a parte Brian, che al momento si è isolato, dopo aver
snobbato la calorosa
accoglienza, e
osserva la situazione con
occhio curioso e decisamente pensieroso, tutti gli altri stanno
trascorrendo
una bella serata.
Questa
è diventata in definitiva una specie di riunione di famiglia.
Quando
sono arrivati Logan e Josh, portando da bere e pacchetti di patatine e
pop-corn,
hanno voluto
ordinare la pizza per tutti
e quella che doveva essere una tranquilla riunione di famiglia tra
fratelli, si
è trasformata in un ricevimento improvvisato migliore di
tutti quelli eleganti
ed organizzati a cui ho partecipato.
Non
sono obbligato a fare conversazione e posso rilassarmi, essendo me
stesso, per
una volta.
Osservo
la bottiglia di birra, ormai praticamente vuota e valuto
l’idea di alzarmi e
andare a prenderne un’altra senza molto entusiasmo.
Sono
davvero stanco e avrei davvero bisogno di andare a dormire. Ero
già provato a
causa del viaggio, ma passare due ore con Chelsea, nel delirio totale,
mi ha
sfinito.
Cielo,
non avrei mai pensato che potesse accettare tutto quanto. Chelsea
è riuscita a
sorprendermi di nuovo, perché invece che lasciarsi
sopraffare del tutto, ha
preso ogni cosa che io le facevo e me la ributtava contro. Il lieve
bruciare
sulla schiena ne è la prova fisica. La cosa più
assurda ed incredibile è che
non è rimasta traumatizzata da tutto quello. Non dalla
quantità di cose
perverse che le ho mostrato e meno ancora dalla mia rudezza. Ha preso
ogni
dannatissima cosa come se le stessi facendo un regalo.
Non
so davvero che cosa fare con lei, perché sarebbe davvero
più semplice evitare
tutto ciò, ma allo stesso tempo mi rendo conto di quanto sia
difficile, se non
addirittura impossibile, allontanarla.
Ci
sono diverse cose che la rendono unica, così diversa da
qualsiasi donna io
abbia mai avuto nel mio letto e non. Non mi vuole usare per i soldi che
ho o
per qualche altro motivo, lei semplicemente vuole me, anche se non so
perché.
Questa è una delle cose più importanti che la
rendono inestimabile.
Anche
se è difficile accettarlo, da sempre mi sono chiesto
perché nessuno mi volesse
per quello che sono. Hanno cercato di cambiarmi, di modellarmi al mondo
in cui
sono nato e questo ha generato in me non solo il senso di rifiuto da
parte del
prossimo, ma anche una ricerca inconscia e
spasmodica di qualcuno come Chelsea. Qualcuno in grado di
non
soffermarsi sul mio peggio e intravedere il bambino che sono stato.
È
dura ammettere di essere così debole, alla ricerca in
qualcuno in grado di
rendermi vulnerabile.
È
un controsenso, qualcosa che va contro il mio razionale desiderio di
pieno
controllo, ma è una parte di me che non riesco
più a negare.
Chelsea
si è resa spontaneamente feribile davanti a me e questo mi
ha spinto ad
abbassare la guardia e fare lo stesso, a ricambiare. Tutto
ciò è riposante, liberatorio
e assolutamente spaventoso. Niente è più
terrificante di ciò. Dare ad una
persona le armi per tradirti è qualcosa che finora non ho
mai fatto, ma che mi
risulta estremamente difficile non fare ora.
Quando
prima mi ha chiesto chi stato
ad
abbandonarmi, per un secondo ho valutato la possibilità di
raccontarle di mia
madre, del suo gesto scellerato, ma alla fine mi sono tirato indietro,
turbato
da quel nuovo desiderio di intimità.
Il
suo generoso dare mi spinge ad essere egoista e prendere, prendere e
ancora
prendere, fino ad arrivare a voler riempire il vuoto lasciato dalla mia
avidità
con qualcosa di mio.
“Tieni!”
Sobbalzo,
rendendomi conto di essere rimasto ad osservare la bottiglia senza
vederla per
parecchi minuti, e che nel frattempo l’oggetto dei miei
pensieri si è avvicinato.
Mi
sta tendendo una bottiglia di birra appena aperta, mentre
nell’altra mano tiene
una lattina di coca.
“Non
mi serve una cameriera!”
Il
primo istinto è sempre quello di dare una risposta caustica,
ma lei non si fa
impressionare, limitandosi a sorridere.
“Era
solo una scusa per avvicinarmi.”
Per
l’ennesima volta, riesce completamente a spiazzarmi.
“Sei
senza pudore.”
Lei
ridacchia tendendomi la birra e, dopo aver messo la bottiglia vuota in
terra si
siede sul bracciolo della poltrona su cui sono seduto.
“Che
senso ha nascondere i miei pensieri e ciò che sento? Per me
non è un gioco dove
vince chi si arrende per ultimo.”
“Sei
proprio strana.”
Ma
decisamente la sua diversità è ciò che
la rende incredibilmente interessante. È
rassicurante avere a che fare con qualcuno che non si nasconde.
Anche
questo mio ultimo commento viene accolto con una risatina e posso
rilassarmi.
Rimaniamo
così, vicini, per diversi minuti, in silenzio, fino a quando
Meredith non la
chiama.
Mi
rivolge uno sguardo carico di rimpianto prima di allontanarsi e non
posso che
concordare, perché la sua vicinanza era dannatamente
piacevole.
La
mia spalla destra sfiorava a malapena il suo braccio, ma il calore che
sentivo
attraverso il tessuto della maglietta era davvero piacevole.
“Sputa
il rospo.”
Sollevo
lo sguardo e mi ritrovo a fissare gli occhi grigi del mio amico Logan,
che ha
recuperato la memoria, dopo l’incidente, solo da alcune
settimane.
Ha
i capelli castani scompigliati, come il giorno che l’ho
conosciuto. Indossa
un maglione scuro e un paio di jeans
sdruciti, ma non sembra completamente trasandato.
Ha
un officina dietro casa sua e, oltre a riparare auto di un certo
calibro, dato
che per anni ha lavorato come meccanico di auto da corsa, è
anche un esperto
nel creare complessi disegni sulle carrozzerie, per cui maglietta e
jeans sono
il su mondo.
Mi
limito a inarcare un sopracciglio, fingendo di non capire si cosa sta
parlando.
Lui
indica con la testa il punto dove Chelsea sta parlando con Meredith, la
sua
ragazza, e si siede sul bracciolo del divano.
“Vi
ho visti. Che sta succedendo?”
Logan
ha capito fin dal primo giorno che tipo di persona sono e non ha mai
parlato di
nulla. Da un certo punto di vista, anche io e lui siamo simili. I suoi
genitori
si sono rivelati dei veri bastardi. Suo padre era un ubriacone e sua
madre una
puttana nel vero senso della parola, tanto che non avrebbe dovuto
sorprenderlo
scoprire di non essere figlio dell’uomo che credeva fosse suo
padre.
Ho
conosciuto Benjamin O’Rourke il giorno
dell’incidente di suo figlio e non
abbiamo avuto modo di scambiare che due parole, ma mi è
sembrato un tipo a
posto e sono stato davvero felice per il mio amico, che è
riuscito a lasciarsi
alle spalle la sua pessima infanzia.
La
differenza tra me e Logan è che lui è riuscito a
fare pace con se stesso ed
andare avanti, mentre io devo ancora portare a termine la mia vedetta.
Solo
allora riuscirò a mettere una pietra sopra il passato.
“Niente
di che.”
“Lei
non aveva lo sguardo da: niente di che!”
Sospiro,
perché il terzo grado è l’ultima cosa
di cui ho bisogno. Ma perché non mi
lasciano in pace?
“Non
posso farci nulla.”
“Sì
invece. Puoi allontanarla!”
Gli
rivolgo un’occhiataccia, perché da come lo dice
sembra la cosa più facile del
mondo. Ma poi, da
che pulpito la
predica.
Parla
quello che per mesi è andato a letto con la sorella di uno
dei suoi migliori
amici tenendolo all’oscuro di tutto.
Però,
invece che sbottare, mi limito ad una mezza verità.
“Non
me lo permette.”
Lui
scoppia a ridere e si alza, facendo oscillare la bottiglia che tiene in
mano.
“Se
non ti sei accorto di non volerla allontanare, allora sei proprio
scemo!”
Detto
ciò si allontana, sempre ridendo sotto i baffi.
Non
mi piace questa situazione, dove tutti si prendono gioco di me e di
questa
cosa, ma non posso farci nulla, perché è la
dannata verità, solo che non ho
nessuna intenzione di ammetterla a voce alta.
Preferisco
mille volte lasciargli pensare che sono un imbecille piuttosto che
ammettere
che quella fata in forma umana mi sta fottendo il cervello.
Per
esempio, in questo preciso istante vorrei solo afferrarla e riportarla
di
sopra, riprendendo da dove ci hanno interrotti, dato che ero sul punto
di farla
tacere in un modo molto interessante, ma non poso farlo,
perché non ho nessun
diritto di approfittarmi dei suoi sentimenti per perdermi nel suo corpo.
Non
posso toccarla come mi andrebbe, perché lei darebbe alle
cose un significato
molto più profondo di quanto non sia in realtà.
Allontanarla
sarebbe davvero la cosa migliore da fare, a so che quando lei
verrà di nuovo da
me, io non riuscirò a mandarla via e farò
esattamente quello che stavo
immaginando di fare, sentendomi in colpa e un imbecille per la mia
debolezza.
So
che andrà così, perché non riesco
proprio ad immaginare un altro scenario e,
quando le lacrime prenderanno il posto del sorriso, potrò
solo dare la colpa a
me stesso, perché sapevo fin dall’inizio che
sarebbe andata a finire così.
L’unico
da biasimare, sarò io e non riuscirò mai a
perdonarmelo.
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Capitolo 36 *** 36 Chelsea ***
36
Chelsea.
Dall’esterno,
chiunque penserebbe che le cose si sono finalmente sistemate, mala
verità è che
tutta la situazione ha delle connotazioni davvero surreali.
Innanzitutto,
il mio rapporto con Jillian, che si sta complicando. Lei è
abituata ad essere
una madre, mentre io, che non ne ho mai avuta una, rifiuto a
prescindere
“l’autorità”.
Dopo
aver acquisito tanta libertà, privarmene, mi fa sentire come
se avessi perso
qualcosa. Mi sento smarrita senza la mia indipendenza.
Le
regole di casa sua, non fanno per me. Per un breve periodo di tempo,
possono
andare bene, ma sentirmi vincolata mi innervosisce.
Non
che abbia chissà cosa da fare, ma la sola idea di non poter
uscire in completa
se ne ho voglia, perché devo rientrare entro un certo
orario, mi angustia.
Ecco
perché sto racimolando il coraggio per dirle che, nonostante
io apprezzi che mi
tratti come una figlia a prescindere, non me la sento di rimanere a
casa sua
più del necessario.
Non
dipende da lei, non ha fatto assolutamente nulla di male, ma non
possiamo
recuperare diciotto anni vivendo insieme. È troppo.
Lei
vorrebbe che fossi immediatamente sua figlia, che mi comportassi come
fa
Allyson, che borbotta e protesta, ma alla fine è una figlia
piuttosto
diligente, ma non so come essere ciò che vuole e non penso
che ci riuscirò mai.
Sono
cresciuta senza di lei, il mio carattere è forgiato ormai,
anche se ho tanto
ancora da migliorare, quindi non posso essere la persona che lei
desidera,
quella che nella sua mente è sua figlia.
Probabilmente
in questi anni ha immaginato come fossi, esattamente come io ho fatto
in questi
pochi mesi.
Non
riesco ad immaginare quanto l’immagine che si è
creata di sua figlia possa
essere radicata nella sua mente. Temo non sarò mai
all’altezza della sua
immaginazione e non sono sicura di volerlo essere.
Mi
piace la persona che sto diventando. Alle volte ho
l’impressione di parlare di
cose che non conosco, ma sono pronta ad imparare.
Ora
che sono uscita dalla gabbia dorata dove ero segregata, sto scoprendo
il mondo
ed è sì difficile, ma quando superi le
avversità, è anche tanto gratificante.
Tornare
a casa la sera, dopo aver lavorato, oppure dopo aver terminato di
seguire le
lezioni, è piuttosto angosciante, soprattutto da quando sono
andata a
recuperare le mie cose, svuotando l’alloggio studentesco.
Tutti
i miei averi ora sono imballati ed inscatolati. Ci sono anche tutte
quelle cose
che non avrei mai pensato di rivedere, perché erano rimaste
a casa di mio
padre.
Ora
che lui è in prigione, sono potuta andare a casa e
recuperare tutte le mie
cose. Uscire da quella porta, lasciarmi alle spalle gli spazi in cui
sono
cresciuta, è stato doloroso. Ho sentito una grande emozione
stringermi la gola,
ma ho fatto di tutto per non piangere. Non volevo che Jillian si
accorgesse di
quanto tutto ciò mi facesse male.
Trovarmi
tra quelle pareti, mi ha fatto tornare indietro nel tempo, facendomi
rendere
conto che, non importa cosa ha fatto, anche se lo disprezzo, ci
sarà sempre una
piccolissima parte di me che gli vorrà bene.
Mi
ha cresciuta, mi ha dato il calore di una famiglia e mi ha insegnato ad
amare e
rispettare il prossimo, anche se certi insegnamenti, provenienti da
lui, non
hanno per nulla valore.
Eppure
non ho mai voluto buttare via, cancellare, tutto quello che sono. Non potrei nemmeno volendo.
Alla
fine, mio padre non è solo stato trattenuto in centrale, ma
direttamente
trasferito al Arapahoe
County
Detention Center,
lo stesso centro di detenzione in cui mandarono il killer di Aurora,
vicino al
Centennial Airport, nella contea di Arapahoe.
È
una storia che ho sentito al telegiornale. Per molto tempo non si
è parlato di
altro e ogni anno, a cavallo tra il diciannove e il venti luglio, alla
televisione parlano di quello che è successo. Per non
dimenticare, credo.
Mi sono spesso chiesta che
cosa gli fosse
saltato in mente e, anche se all’epoca avevo solo tredici
anni e non potevo
capire bene, sono rimasta profondamente colpita dalla vicenda. Una
sparatoria,
un esecuzione più che altro, all’interno di un
cinema. Come si può decidere di
fare qualcosa così orribile?
Sapere
che mio padre è detenuto nello stesso luogo dove
è stato incarcerato
l’assassino di dodici persone, e che ne ha ferite
più di sessanta, mi ha fatto
un certo effetto, perché mi ha fatto capire che
le cose per lui si stanno mettendo davvero male.
Non
riesco ad immaginare quante saranno le accuse.
Rapimento
di minore, uso di identità fasulle, aggressione e
chissà che altro. Nel
profondo del mio cuore c’è una parte di me che
spera possa in qualche modo
cavarsela con una pena leggera.
Dopotutto,
sembrerà da stupidi, ma per una ragione a me sconosciuta, mi
sentirei in colpa
se dovesse passare il resto della sua vita in carcere.
Jillian
invece ne sarebbe più che felice e la capisco e
c’è quell’altra parte che,
invece, si augura non esca più, in modo da permettermi di
vivere una vita
serena e senza la paura di trovarmelo davanti.
Se
ci penso, mi sento un’egoista, ma non posso farci nulla.
È più forte di me.
Allyson,
in compenso, sembra stia accettando la situazione senza troppi
problemi, forse
merito della giovane età, ma questo mi da a prescindere un
po’ di sollievo.
Non
posso preoccuparmi anche di lei.
Come
se non bastasse, la mia situazione con Adrian è arrivato ad
un punto di fermo.
Non
ci vediamo dalla sera in cui ho conosciuto Brian e sinceramente speravo
che
facesse lui qualcosa.
Io
sono stata impegnata con le faccende di famiglia, con il lavoro e con
lo studio
e mi avrebbe fatto piacere vedergli fare un passo nella mia direzione.
Certo,
non mi posso aspettare chissà cosa da uno che pensa di
essere il diavolo sceso
in terra, cosa leggermente da megalomani peraltro, ma mi avrebbe fatta
sentire
decisamente meno sola.
Anche
se posso contare su Meredith e le altre ragazze, so che
l’unica persona che
vorrei al mio fianco è un’altra, a cui non posso
sempre stare dietro.
Voglio
che creda in me, ma non che pensi che sono una persona appiccicosa,
perché non
è così. Mi piace avere i miei spazi, per questo
la convivenza a casa di Jillian
è così pesante. Non mi sento libera e di sicuro
non mi piacerebbe passare tutto
il mio tempo con una persona sola. Adrian, ha un carattere e una
personalità
piuttosto ingombranti che non sono sicura riuscirei a sopportare
standogli
sempre attaccata come una sanguisuga. Sono paziente e credo fortemente
in tutte
le cose che gli ho detto, ma non è giusto che sia solo io ad
andare da lui. Gli
ho dato tutte le rassicurazioni e le certezze di cui aveva bisogno
almeno per
potermi mandare un sms.
Un
piccolo gesto lo potrebbe fare anche lui verso di me. Non chiedo molto.
Non
posso andare oltre, investendo i miei sentimenti nei suoi confronti se
non è
pronto ad accettarli. Non sono così pazza. Sono dotata anche
io di un minimo di
istinto di conservazione.
È
in questa ultima settimana, lo stesso mi ha pregata di lasciar perdere
e
cancellare ciò che provo prima che sia troppo tardi.
Forse
però un po’ lo è già e non
sono sicura che mi dispiaccia. Sentirmi emotivamente
legata a qualcuno ha i suoi contro, ma anche i sui pro.
“Ohi,!”
La
voce infuriata di Susan mi fa sobbalzare.
Mi
volto di botto, rivolgendole un’occhiataccia.
Nell’ultima settimana, le cose
con lei sono andate peggiorando. È sempre di cattivo umore e
sfrutta ogni
occasione per andarmi contro.
Che
fosse lei a beccarmi con lo sguardo perso nel vuoto proprio non ci
voleva.
“Che
cosa c’è?”
Cerco
di mantenerli il più pacifica possibile, ma è
evidente che non ci sono
riuscita, perché anche io riesco a percepire
l’esasperazione contenuta nelle
parole.
Fa
ondeggiare la coda di cavallo che a malapena contiene i suoi riccissimi
capelli
neri. Sembrano quelli di un’afroamericana da quando sono
mossi.
Una
smorfia si dipinge sul suo viso, facendole dilatare le narici. Gli
occhi neri
scintillano, minacciosi.
“Non
essere così arrogante. Fino a priva contraria non sono io
quella che stava
dormendo in piedi. Ti ho portato un ordine. Muovi il culo, razza di
ragazzina
viziata del cavolo!”
Se
ne va senza darmi il tempo di ribattere. Mi scappa un lungo sospiro,
mentre osservo
l’orologio digitale che scandisce il tempo
all’interno della cucina.
Le
undici e undici. La cucina avrebbe dovuto smettere di prendere ordini
un quarto
d’ora fa, ma a quanto pare Susan i queste cose se ne frega se
è per farmi un
dispetto. Di sicuro se ci fosse stata Jillian non si sarebbe mai
permessa.
E
meno male che non è ancora venuto fuori che lei è
mia madre. Non oso immaginare
come sarebbero i rapporti tra me e Susan.
Già
mi odia e senza conoscere niente di me, figuriamoci se dovesse sapere
che la
capocuoca è mia madre. Di sicuro inizierebbe ad andare i
giro a spargere la
voce che ho ottenuto il lavoro solo grazie ad un favoritismo
inesistente.
Sono
sicura che, anche se mi ha raccomandata Kayla, se non fossi stata in
grado di
lavorare ai ritmi richiesti, Owen non mi avrebbe mai assunta.
Quello
che ho, me lo sono guadagnata, checché ne pensi lei.
Evado
l’ultimo ordine il più rapidamente possibile,
perché davvero non vedo l’ora di
andarmene a dormire.
Sono
esausta.
Ieri
notte non ho dormito perché dovevo studiare per un esame.
Pensavo
che la chimica fosse più semplice, invece mi ritrovo a dover
recuperare. Non
riesco a stare dietro alle spiegazioni anche se mi sto sforzando
moltissimo e
sto seriamente iniziando a prendere in considerazione l’idea
di cambiare corsi.
Al
momento il corso dove sto andando meglio è Sociologia e
questo mi dà da
pensare.
Sono
sempre stata brava a capire le persone, interpretare i segnali inconsci
che
manda, quindi perché non sfruttare questa mia dote per fare
qualcosa di buono.
È
un po’ che ci rifletto e forse la mia vera vocazione
è un’altra. È qualcosa che
mi permetterebbe di aiutare chi ne ha bisogno.
Non
ho mai voluto diventare un ingegnere Bio Chimico. È stata
una delle condizione
imposte da mio padre per permettermi di frequentare la DU e non ci ho
pensato
due volte prima di accettare.
Desideravo
ardentemente scappare da quella realtà e iniziare a
camminare con le mie gambe.
Studiare
qualcosa non nelle mie corde era un piccolo prezzo da pagare per avere
un po’
di libertà.
Tuttavia,
ora che non dipendo più da lui, nessuno mi obbliga a
continuare con l’indirizzo
di studi che aveva scelto per me.
Il
prestito studentesco per cui dovrò fare richiesta per poter
continuare a
frequentare la DU mi da la possibilità di decidere da sola
cosa fare della mia
vita.
Ripulisco
la cucina immersa nei miei pensieri e non viene più a
disturbarmi nessuno.
Susan non si fa più vedere e immagino sia perché
essendo un venerdì sera il
locale è piuttosto affollato.
Il
Weekend il locale diventa una discoteca a tutti gli effetti, in modo
che, chi
si è fermato al locale per seguire una determinata partita
sportiva, non debba
andare in un altro locale per ballare. È un luogo di ritrovo
piuttosto comune
per gli studenti della DU, soprattutto per la sua posizione. Situato
praticamente a metà strada tra la Du e
L’University of Colorado Denver, a LoDo,
il Blue Moon attira studenti da entrambe le università.
Si
trova nel centro storico di Baker, poco lontano dalla I-25 che gli
permette di
essere raggiunto facilmente.
È un
quartiere di giovani e questo è sia positivo, che negativo,
perché se non fosse
per Aaron, il locale sarebbe stato rapinato più volte.
Prima
arrivasse lui, c’era una rapina ogni sei mesi come minimo.
A
raccontarmelo è stata Lesley, in un momento di pausa. Prima
che arrivasse
quell’energumeno dallo sguardo smarrito, lavorare al Blue
Moon non era così
piacevole.
Dopo
aver finito di pulire mando un messaggi a Meredith. Mi ha detto che
sarebbe
rimasta da Bianca e suo fratello fino a tardi per passare del tempo con
Brian e
che mi avrebbe riaccompagnata lei a casa prima di rientrare.
Jillian
a quest’ora dorme e se lo merita dopo gli ultimi impegnativi
giorni.
Ha
dovuto rivivere diciotto anni di angoscia con l’avvocato
dell’accusa e nei
prossimi giorni sarò io a dover raccontare come è
stata la mia vita.
I
risultati del DNA
hanno confermato la
mia identità. Ormai non ci sono più dubbi.
Jillian
è mia madre e di conseguenza ora si procederà con
l’azione legale.
Mi
lavo la faccia per svegliarmi un po’ ed essere almeno
presentabile per
attraversare il locale. Aaron mi farà compagnia fino a
quando non arriverà
Meredith e non voglio di certo assomigliare ad uno zombie. Farei
scappare tutti
i clienti e Susan tornerebbe a casa troppo presto.
Dal
corridoio degli spogliatoi arriva il rumore fastidioso della musica,
già
sparata a palla dalle casse.
Non
voglio andare di là, ma ancora meno desidero rimanere in
questo buio corridoio.
Lato positivo, farò morire d’invidia quella
cameriera antipatica. Lei oggi
prima delle quattro non riuscirà a lasciare il locale.
È
più forte di me: non riesco a farmela stare simpatica. Non
ha nulla a che fare
con il fatto che non le piaccio. Ho avuto a che fare con gente del
genere per
buona parte della mia vita, ma non ho mai preso in antipatia nessuno di
loro.
Solo
Susan
mi fa saltare i nervi. C’è qualcosa in lei che mi
irrita profondamente. Anzi,
per essere precisi è tutto in lei che mi fa andare fuori di
testa.
Non
ha
minimamente rispetto per il prossimo. Fa
quello che vuole senza tenere in considerazione chi la circonda.
L’ho vita
rispondere male anche a Lesley, che anche se sembra una teppista per
via dei
capelli tinti e dei tatuaggi, è una persona davvero
dolcissima e disponibile.
Tuttavia non si è fatta mettere i piedi in testa e le ha
dato una risposta così
tagliente ed immediata che non sarei riuscita ad imitarla nemmeno se
avessi
avuto un ora per pensarci.
Lesley
ha la
lingua lunga e ho gioito intimamente quando ho visto Susan battere in
ritirata,
indignata.
Prendo
un
profondo respiro e mi avventuro nella Jungla umana che abita il locale.
Si
cammina a fatica e le luci intermittenti mi faranno venire a breve il m
di
testa.
Solitamente io e Jillian usciamo dal
retro per evitare la
bolgia, ma Aaron deve vigilare all’ingresso e non ho nessuna
intenzione di
aspettare Meredith da sola nel parcheggio.
Non
sono una
deficiente. Avventurarsi passata la mezzanotte da soli è una
follia.
Denver
è una grande città e come tale è
abitata da tanta gente. Si
sentono continuamente al telegiornale di persone aggredite di notte e
non ho
nessuna intenzione di andare a morire in un fosso.
Aspettare
che vengano a prendermi è la scelta più sensata.
Raggiungo
il fondo del locale e supero un uomo sulla quarantina, alto
ed imponente con la testa rasata.
Justin
è il secondo buttafuori e sta controllando che non ci siano
problemi. Lui mi rivolge
un cenno della testa e, senza perdere di vista la massa umana in
movimento, mi
apre la porta per farmi uscire.
L’aria
fresca mi schiarisce le idee e tiro un sospiro di sollievo. Qua fuori, al riflesso delle
luci blu del neon
dell’insegna, la musica è ridotta ad un sordo
pulsare, come quello dei tamburi.
“Hai
un espressione terribile.”
Aaron
è proprio di fronte a me. Indossa una di quelle sue assurde
magliette aderenti,
ma per fortuna, visto il freddo che fa, almeno è a maniche
lunghe. Davanti a
lui c’è una bella fila di persone, in attesa di
entrare. Non riconosco nessuno
dei visi vicino a me.
“Quella
musica mi farà impazzire. Sono sempre più felice
di lavorare in cucina e non ai
tavoli. Potrei morire se dovessi stare tante ore in mezzo a quel
baccano.”
Vedo
diverse espressioni scettiche e disgustate tra la gente che aspetta in
fila, ma
Aaron invece si limita ad annuire, comprensivo.
“Ecco
perché preferisco lavorare qui fuori. Non vado matto nemmeno
io per questo
genere di musica. Sono più un fan dei vecchi
classici.”
È
la conversazione più lunga che io e lui abbiamo mai avuto.
Non
capita spesso che parli con questo burbero ex militare, ma di solito si
limita
a fare il suo lavoro in silenzio. Ultimamente, però, lo vedo
leggermente più
sereno. Chissà che finalmente non stia facendo pace con
qualsiasi cosa che gli stia
dando il tormento.
Mi
scappa un sorriso.
“Detto
da te è proprio il colmo. Lesley mette la musica al massimo
quando non ci sono
clienti e tu dormi beato.”
La
barista adora far rimbombare per il locale la musica commerciale e
Aaron, che
ormai ha eletto a suo fisso giaciglio uno dei tavoli vicino
all’ingresso, dorme
serenamente ogni volta che arrivo, che la musica sia alto a meno.
Per
la prima volta, sul suo viso compare un sorriso, bello peraltro.
“Mi
stai prendendo in giro?”
Sollevo
le mani in segno di resa, ma mi sento piuttosto allegra. Aaron
è proprio un
tipo a posto.
“Non
mi permetterei mai.”
Il
momento ilare viene interrotto da una voce nervosa e piuttosto
incazzata.
“Se
sapevo che mi sarei trovato davanti questo bel teatrino avrei detto
alla tua
amica di arrangiarsi.”
“Ah?”
Dire
che sono sorpresa è un eufemismo. Non mi aspettavo di
trovarmi Adrian davanti,
né tanto meno che avesse l’espressione furibonda
che adesso gli deforma
leggermente i tratti.
“Che
ci fai qui?”
“La
tua amichetta mi ha chiesto molto gentilmente di venirti a prendere,
è ovvio
che non te lo aspettavi.”
Non
riesco a capire con chi ce l’abbia. Con se stesso per aver
ceduto o con me per
qualche ragione a me sconosciuta?
“Ovviamente
no.”
I
suoi occhi si stringono, fissandomi attentamente. Sembra piuttosto
pericoloso
in questo momento. Chissà cosa gli passa per la mente.
“Muoviti.”
L’ordine
perentorio mi fa sospirare. Quanta pazienza mi tocca avere.
“Arrivo.”
Faccio
un passo nella sua direzione, ma la mia marcia riceve
un’inaspettata battuta d’arresto
quando Aaron mi afferra per il braccio.
“Sei
sicura di voler andare con lui?”
Ha
un espressione tesa, in allerta. Sembra pronto a scattare.
“Fatti
gli affari tuoi.”
Adrian
si mette in mezzo, liberando il mio braccio dalla stretta e mettendosi
tra me e
il buttafuori.
I
due si guardano in cagnesco, faccia a faccia praticamente. Aaron
è leggermente
più alto, ma meno imponente. Se dovessero iniziare a
darsele, nessuno potrebbe
fermarli.
“Perché
non ti levi dalle scatole? Visto che è un impegno
così gravoso, perché non
lasci perdere? Qualcuno accompagnerà Chelsea a casa senza
lamentarsi.”
Aaron
ha lo sguardo duro e non sembra per nulla intimorito dalla persona che
ha di
fronte.
“Ti
ho detto di non impicciarti.”
Sento
odore di guai., quindi afferro Adrian per il braccio e lo tiro.
L’intenzione
sarebbe di farlo allontanare, ma io di sicuro non ho abbastanza forza
per
forzarlo a fare qualcosa che non vuole.
“Adrian,
andiamo, coraggio. Piantala.”
Incredibilmente
asseconda la mia sollecitazione e inizia ad arretrare.
I
due si guardano male ancora una volta e poi Adrian si libera della mia
presa
con uno strattone e si incammina verso il parcheggio.
“Andiamo.”
Mimo
con le labbra una parola di scuse all’indirizzo di Aaron e
lui mi rivolge uno
sguardo più che comprensibile.
“Stai
attenta.”
Rincorro
il mio accompagnatore che non si decide a rallentare il passo. A meno
di cinque
metri da lui posso vedere la sua macchina alla luce di un lampione.
“Adrian,
ti vuoi fermare? Ma si può sapere che ti prende?”
Lui
si ferma, dandomi la possibilità di raggiungerlo, ma non mi
risponde. Si limita
a gelarmi con lo sguardo quando finalmente sono di fronte a lui.
“Allora?
Che cosa ti ha fatto Aaron?”
Stringe
di nuovo lo sguardo, trapassandomi da parte a parte e facendomi
scendere un
brivido gelato lungo la schiena.
“Mi
sta sul cazzo.”
Sobbalzo
appena alla parolaccia. È più forte di me. Ogni
volta che sento parole scurrili
non posso mascherare la mia sorpresa.
“Ma
non ti ha fatto nulla. Mi vuoi dire perché sei arrabbiato?
Se non ti andava di
venire fin qui, potevi rifiutare.”
Lui
distoglie lo sguardo per un secondo, uno soltanto, il tempo necessario
a
mascherare qualcosa nella sua espressione, perché quando mi
guarda di nuovo, l’immagine
di freddo cinismo è perfettamente al suo posto, mentre pochi
attimi fa sembrava
sul punto di mostrare una crepa di vulnerabilità.
“Forse
sarebbe stato meglio.”
Inizia
a venirmi il nervoso. Odio quando fa così. Non lo capisco e
non sono certa del
perché si stia comportando in questo modo assurdo.
L’unica
soluzione che ho per capire che cosa gli passa per la testa,
è provocarlo. Già
una volta tenergli testa ha funzionato. Mi chiedo solo se sia una buona
idea,
ma non ho molta scelta.
“Ma
ti rendi conto che stai esagerando? Non ti fai sentire per una
settimana, poi improvvisamente,
non so per quale ragione, accetti
di
fare un favore ad una persona che, diciamoci la verità, non
incontra la tua simpatia,
e ti presenti qui, sul posto dove lavoro, facendo quella che ha tutta
l’aria di
essere una scenata di gelosia. Si può sapere che cosa ti
passa per la testa?”
Non
distolgo lo sguardo nemmeno per un istante e mi rendo conto
immediatamente di
quando fanno breccia e colpiscono, perché Adrian sobbalza
leggermente e si
ritrae, come spaventato.
Non
posso essere così fortunata, giusto? Non
c’è nessuna possibilità che lui possa
essere geloso, ma se voglio ottenere qualcosa, so che mi devo
comportare come
se effettivamente fossi certa del contrario.
“Sali
in macchina.”
“No!”
Punto
i piedi, trafitta dal suo sguardo cupo.
“Sali.
In. Macchina.”
Fa
paura, è spaventoso questo lato del suo carattere. Se non
sapessi che non è
quel tipo d’uomo, penserei che potrebbe mettermi le mani
addosso.
“Ti
ho detto di no. Rispondimi, Adrian.Perché lo fai?
Perché ti comporti in questo
modo? Sarebbe tutto più semplice se parlassi, invece che
fare di tutto per non
esprimere ciò che pensi davvero.”
Lui
rimane fermo ad osservarmi, perfettamente in silenzio, tanto che alla
fine tiro
un lungo sospiro.
“Adrian,
Non si può continuare così. O ti fidi di me, o
non ti fidi. A te la scelta, ma
non posso fare tutto da sola. Non posso raggiungerti se non mi permetti
di
avvicinarmi”
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Capitolo 37 *** 37 Adrian ***
37
Adrian
Dannazione,
dannazione, dannazione.
Sono
così incazzato che ho voglia di prendere a pugni qualcosa e
per poco non l’ho
fatto.
Ciò
che fa aumentare ancora di più la mia furia,
però, è non riuscire a capire
perché mi sento così.
Fino
a quindici minuti fa stavo bene, anzi, si può dire che fossi
addirittura di
buon umore, mentre ora sono così nervoso da non capire
più nulla.
Non
so cosa sia stato a farmi infastidire, ma so per certo che ha a che
fare con la
ragazza testarda che ho di fronte.
Perché
mi devo sentire così?
Non
mi è piaciuto.
Stavo
percorrendo i pochi metri che mi separavano dall’ingresso
quando l’ho vista.
Stava parlando con il buttafuori in termini decisamente amichevoli,
quando ha
sorriso, è stato come se mi fosse arrivato un pugno
direttamente nello stomaco.
Perché
aveva quell’espressione divertita sul viso? Perché
sembrava sentirsi così a suo
agio in compagnia di quel tipo?
Ho
sentito la rabbia salire, incontrollata, e l’unica cosa che
ho desiderato è
stata andarmene immediatamente, portando via Chelsea, perché
ovviamente non
potevo lasciarla lì.
Sono
stato sul punto di spaccare la faccia da bell’imbusto di
Aaron. Solitamente mi
sta relativamente simpatico, ma quando ha afferrato Chelsea per il
braccio,qualsiasi forma di simpatia o rispetto per aver combattuto per
il
paese, è evaporato.
Perché
le stava dicendo cosa fare e cosa no? Con quale diritto si stava
arrogando il
potere di decidere per lei?
Che
lei abbia scelto di venir via, mi ha ridato un po’ di
lucidità. Non sono sicuro
che sia stata una buona idea, perché questo mi ha fatto
pensare che anche io
non sono nessuno per obbligarla a fare qualcosa.
Perché
mi sono comportato così?
Qual
è stato il fattore scatenante?
Forse
sono semplicemente stato preso alla sprovvista. Se si sorvola sui miei
amici,
non ho mai visto Chelsea parlare con un ragazzo e questo mi ha fatto
decisamente uno strano effetto.
Le
sue parole hanno colpito nel segno.
Vedere
quel sorriso mi ha fatto sentire invidioso, perché nemmeno
una volta a me lo ha
rivolto. Le nostre conversazioni sono sempre state cariche di tensione,
come se
qualcosa crepitasse nell’aria, e mai è stata
abbastanza rilassata da sorridere,
da essere allegra.
Questa,
in definitiva, è il motivo per cui sono così
furioso, ma ammetterlo
significherebbe qualcosa che non posso accettare o prendere in
considerazione.
Lei
mi chiede di fidarmi, ma come posso farlo? Come posso lasciare che si
avvicini
quando so che le mie azioni l’allontaneranno.
Non
è meglio fermarsi qui e soffrire meno, invece che andare
avanti e rendere tutto
ancora più difficile?
Eppure
lei non sembra voler capire. Il mio disagio è troppo forte
per essere espresso
a parole. Mi fa sentire vulnerabile.
La
sua ultima frase mi mette all’angolo, ma cosa le posso mai
dire?
“Non
posso farlo.”
Le
parole vengono fuori come veleno. Sono dure, aspre e fanno spegnere un
po’
della sua speranza. Eppure il luccichio battagliero che riesco a
distinguere
anche con questa scarsa luce mi fa capire che non ha intenzione di
arrendersi.
“Non vuoi, è
diverso. Che cosa ti spaventa,
Adrian? Qual è il vero motivo per cui non riesci ad
aprirti?”
Ogni
sua parola colpisce in profondità, facendomi vedere rosso.
Sono tutte cose che
non voglio affrontare, pensieri che non voglio avere, ma lei mi obbliga
ad
aprire quel cassetto della mia memoria che pensavo di aver chiuso con i
lucchetti.
Io
rimango in silenzio, sperando di scoraggiarla, ma esattamente come
è già
avvenuto una volta, in questo stesso parcheggio, Chelsea mi sfida.
I
suoi occhi mi sfidano,
“Dammi
un motivo valido, Adrian. Sei qui, è l tua
occasione.”
“Ma
cosa vuoi che ti dica?”
La
frase deflagra come una bomba. Il mio tono di voce è
così alto da spaventare
persino me. Non ne posso più, sono arrivato al limite.
“Devo
dirti che sei la ragazza più esasperante ed interessante che
io abbia mai
conosciuto? Che non
riesco ad
allontanarti perché la tua compagnia rende più
sopportabile convivere con me
stesso? Che vederti ridere con quella testa di cazzo mi ha fatto
sentire come
se mi stessero rubando qualcosa? ECCOTI ACCONENTATA:”
La
mia voce sale ulteriormente, scaricandomi. La rabbia sbollisce e rimane
solo un
gran vuoto. Non riesco a sentirmi in imbarazzo.
“Chelsea
io ti spezzerò il cuore e non so come fare per fartelo
capire. Tu vieni da me,
mi offri tutto quello che un uomo potrebbe desiderare, mi dici di
mandarti via,
ma fai di tutto per rimanere, per renderti di inestimabile
valore.”
Le
sto praticamente mostrando un pezzetto della mia anima in questo momento e non so come
frenarmi. È più forte
di qualsiasi istinto di conservazione.
Allungo
una mano e gliela metto sulla spalla, perché potrebbe essere
l’ultima volta che
ho la possibilità di toccarla.
Lei
ha gli occhi sgranati, perché non si aspettava tanta
franchezza e non posso
biasimarla. Ammettere di provare dell’interesse nei suoi
confronti, al di fuori
della sfera sessuale o di amicizia, avrebbe significato varcare un
confine da
cui poi mi sarebbe stato impossibile
tornare indietro. Sono così esasperato, stufo di questa
situazione che mi fa
sentire diviso.
“Non
è di te che non mi fido, ma di me stesso. Te l’ho
detto non molto tempo fa. Tra
poco, la mia vita diventerà complicata e sarà
tutto per colpa mia. Non è giusto
che tu rimanga coinvolta in tutto ciò. Per favore.”
Non
ricordo l’ultima volta che ho chiesto per favore a qualcuno e
con Chelsea sta
capitando fin troppo spesso.
Mi
viene spontaneo, soprattutto in questo genere di circostanze. La mia
è davvero
una supplica.
Non
voglio farle male, ma soprattutto, non voglio rimanere ferito.
Lasciare
libera quella parte di me che non desidera altro che sentirsi libera di
starle
accanto sarebbe pericoloso, perché sarebbe estremamente
doloroso vederla andare
via. Accadrà dannazione, non c’è niente
che io possa fare per impedirlo.
Non
ho nessuna intenzione di vivere ancora l’orribile sensazione
che si prova
quando vieni rifiutato, allontanato, guardato con disprezzo.
Ho
passato la mia vita a rifuggire quel genere di emozioni e so che,
quando farò
scattare la trappola, se lei sarà vicino a me, mi
tratterà come un lebbroso,
come la persona più disgustosa del mondo.
Non
voglio che ciò accada. Devo trovare la forza di
allontanarla. Non posso essere
così pazzo e masochista.
Non
è solo per lei, ma anche per me stesso. Nessuna donna come
Chelsea, con il suo
cuore, la sua gentilezza, la sua integrità, accetterebbe
qualcosa del genere.
Probabilmente
sarebbe contraria a tutto il progetto.
Come
posso anche solo pensare che valga la pena rimanere delusi pur di
averla? Per
quanto poi? Un giorno? Una settimana? Non di più certamente.
Le
liste usciranno a breve e allora farò crollare tutto.
Ho
passato anni a progettare la mia vendetta, a pensare alla disperazione
che si
dipingerà sulla faccia del vecchio quando verranno fuori gli
altarini.
Perché
questa ragazza è dovuta arrivare prima di quel momento?
Perché
la mia parte più umana ha deciso di reagire alla sua
presenza, alla sua forza?
Dannazione,
è tutto così complicato, confuso, che
l’unica cosa che ho ben chiara è che devo
proteggere entrambi.
Eppure
lei non è del mio stesso avviso.
“Mi
fido abbastanza per entrambi.”
Fa
una pausa, prendendo la mano che ancora ho sulla sua spalla e
stringendola tra
le mani con fermezza. I suoi occhi sono limpidi e determinati.
“Ma
non lo vedi? Non importa quello che dici, importa quello che fai. Mi
dici di
andare via, di starti lontano, ma mi trattieni, mi mostri che ci tieni
e non
capisci che se fai così, non posso abbandonarti, girarmi
dall’altra parte e
fare finta di non aver visto.”
Prende
un lungo e tremante respiro.
“Mi
odierai!”
Distolgo
lo sguardo, chinando la testa per fissare la punta delle mie scarpe.
Mi
sento abbattuto, sconfitto, perché non ci riesco. La sua
mano calda è troppo
piacevole da lasciar andare.
I
suoi piedi entrano nel mio campo visivo, fermandosi a pochi centimetri
dai
miei.
Una
delle sue mani lascia andare la mia e sento qualcosa avvolgermi le
spalle, tirandomi
in avanti.
Mi
lascio trascinare, privo di forza di volontà e mi ritrovo
con la fronte premuta
sulla sua spalla.
“Hai
davvero poca fiducia in me.”
La
sua voce è a metà tra il lacrimevole e il
divertito. Come sia possibile, non lo
so, ma è un suono talmente carico di sentimento da far male
come un pugno.
“Non
ti permetterò di escludermi così. Lascia che io
capisca. Non puoi pretendere
che getti la spugna proprio adesso. Ti porti dentro un peso
così grande,
difficile da condividere con altre persone, ma meritiamo entrambi di
più. Se mi
spezzerai il cuore, almeno lascia che io capisca perché. Lo
devi a me, ma lo
devi anche a te stesso. Non puoi chiedermi di odiarti prima che tu
abbia fatto
qualcosa.”
Le
sue parole hanno senso, credo.
Mi
sto arrendendo. Sento la determinazione scivolare via, sostituita dalla
piacevole sensazione di benessere che mi trasmette sempre la sua
vicinanza.
È
come se portasse con se la luce. È una mano testa
nell’oscurità.
Non
c’è speranza, nemmeno un piccolissimo barlume,
eppure nonostante questo, vorrei
davvero, con ogni fibra del mio essere, credere.
Ritirarmi
nel mio angolino sicuro, però, è
un’abitudine difficile da modificare.
“Non
posso.”
Lei
ridacchia e mi stringe leggermente più forte, come se
intuisse il mio desiderio
di allontanarmi, sia fisicamente che emotivamente.
“Certo
che puoi.”
Prende
un lungo respiro, come se fosse indecisa su cosa dire.
“Non
credi che, se non fosse possibile, non saremmo a questo punto? Non ci
sarebbe
stata questa conversazione. Se non ti interessasse perdermi, non ti
saresti
ingelosito vedendomi parlare con Aaron, non ti saresti sentito
derubato. Ti
rendi conto di quanto mi hai dato oggi?”
Le
sua voce filtra attraverso la nebbia di distacco che stava iniziando a
circondarmi.
Tiro
su la testa e incontro i suoi occhi, lucidi di lacrime, il viso
attraversato da
due solchi che brillano alla luce dei lampioni.
“È
stato davvero difficile comportarmi come se avessi tutte le certezze
del mondo,
come se fossi sicura del tuo interesse. Non puoi capire quanto tutto
questo mi
renda felice e sollevata. Avere fiducia in te, su quel poco che avevo,
è stata
davvero dura. Mi sono concentrata sui miei problemi familiari per
distrarmi,
sui bei momenti passati assieme per tenere duro, senza pensare alla
possibilità
che potesse essere tutto inutile, perché volevo con tutto il
cuore credere che
fossi la bella persona che vedevo, che i gesti gentili che mi hai
rivolto
nascondessero più di ciò che si vedeva.”
Per
la prima volta, di fronte alle sue lacrime, non mi sento impotente.
Anche
se stava ostentando sicurezza, a quanto pare, starmi dietro
è stato molto
difficile e questo non fa altro che accrescere la mia stima nei suoi
confronti
e, soprattutto, l’interesse.
Ha
puntato i piedi quando l’allontanavo, dimostrando di avere
più palle di quante
potrò averne in tutta la mia misera vita, quindi come posso
essere io,
stavolta, ad abbandonarla, a voltarle le spalle?
Non
se lo merita, dannazione, e non voglio farlo. Sarebbe la cosa giusta,
ma più
per me che per lei, a questo punto.
Non
voglio guardarmi allo specchio e vedervi riflesso un codardo. Non
voglio
continuare ad essere la causa di queste lacrime che la stanno facendo
singhiozzare disperatamente.
Non
voglio più essere il tipo di uomo che fa piangere le donne,
non lei accidenti.
Anche se solo per poco, voglio provare ad essere migliore.
“Se
l’inferno sarà comunque la mia destinazione, tanto
vale fare il viaggio con
qualcosa che meriti essere ricordato.”
La
stringo tra le braccia e lei si aggrappa al mio giaccone come se fosse
un’ancora
di salvezza.
Il
rumore del suo pianto mi fa male, soprattutto perché so che
non saranno le
ultime lacrime versate per colpa mia, ma prima di quel momento, voglio
far
spuntare sul suo viso il sorriso.
Anche
se sarà per poco, voglio regalarle un po’ di
felicità, quella che le spetta di
diritto, e merita di capire perché tutto ciò non
potrà durare.
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Capitolo 38 *** 38 Chelsea ***
38 Chelsea
La luce leggera che filtra dalle finestre penetra attraverso la foschia del dormiveglia, destandomi.
È solo un filo di luce, ma basta per svegliarmi eppure non ho per nulla voglia di alzarmi.
Si sta così bene sotto queste coperte, accoccolata contro Adrian.
Ieri notte, è stata davvero dura.
Per un attimo, ho pensato di averlo perso. Si stava allontanando, potevo sentire sulla pelle il distacco e, nonostante fosse estremamente difficile, ho deciso di giocare il tutto e per tutto.
È stato un successo contornato di lacrime. Pensare, esprimere tutte quei pensieri tristi, è stato davvero doloroso, ma volevo che capisse che davvero può affidarsi a me, crederci.
Nemmeno la donna più forte del mondo avrebbe potuto sostenere una situazione del genere più a lungo e io, di certo, non sono quella donna.
Ve bene essere testardi, ma non volevo accontentarmi delle briciole di pane.
La sua involontaria gelosia ci ha permesso di arrivare ad un punto di incontro, per quanto sofferto.
Quando sono salita sulla sua auto, ero esausta, completamente svuotata.
È stato così carino da chiedermi se volevo passare la notte con lui e di sicuro, dopo quello che era appena successo, non ero disposta ad allontanarmi.
In quel momento, nemmeno lui sembrava volersi allontanare, perché mentre guidava, se non aveva la mano sul cambio, la teneva sulla mia gamba, come ad assicurarsi che non svanissi da un secondo all'altro.
Nell'ascensore mi ha baciata, prendendomi completamente alla sprovvista. È stato diverso dagli altri, più simile a quel primo bacio nello spogliatoio del Bleu Moon.
Mi ha presa tra le braccia, stringendomi un braccio in vita, e l'altra mano è salita ad avvolgermi il viso.
Non ho potuto guardarlo negli occhi, ma quel sentimento sono riuscita a sentirlo. È stato il primo baio che si è permesso di darmi liberamente.
La prima volta è stato per farmi smettere di piangere e pensava dia vermi fatto qualcosa orribile.
La seconda, credo che sia stato un caso dettato dal momento e ovviamente so che non era quello che desiderava, visto come poi è scappato.
La terza, non me lo ricordo con esattezza. Credo di aver detto qualcosa che lo ha fatto reagire così.
Successivamente ho dovuto persuaderlo che era quello che voleva e, anche la settimana scorsa, è successo perché desiderava che mi allontanassi.
Se la penso così, non ci vedo proprio niente di buono, ma di tutte quelle volte, ricordo la sua espressione tormentata, divisa tra i ciò che voleva e ciò che pensava dover fare.
In quel bacio invece non c'era niente di tutto ciò e l'ho sentito molto più vicino.
Mi sono dovuta aggrappare a lui perché hanno iniziato a tremarmi le gambe.
Una volta nel suo appartamento, non c'è stato più tempo per la delicatezza. Io volevo sentirlo fin sotto la pelle e anche per lui è stato lo stesso.
Anche nei suoi gesti, non c'era più traccia di esitazione.
Non ricordo nemmeno di essermi addormentata, ma credo sia normale. Ero esausta, sia psicologicamente, che fisicamente.
Vorrei solo riaddormentarmi, per cui mi stringo più forte al corpo caldo di Adrian, sperando di riuscire a riprendere sonno.
"Ti ho svegliata?"
La sua voce mi sorprende.
"No, credo sia stata la luce. Credevo dormissi."
Lo sento sospirare.
"Non ho dormito un gran che."
"Per colpa mia?"
Mi sollevo il tanto giusto per poterlo guardare in viso. La penombra non mi permette di distinguere chiaramente la sua espressione, ma riesco a sorgere il bianco dei suoi denti.
"E perché mai dovrebbe essere colpa tua, scusa?"
Il tono divertito della sua voce mi fa sentire ingenua, ma non ci posso fare niente.
"Non lo so, potrei essere sonnambula. Parlare o muovermi nel sonno. Forse sono violenta e ti ho picchiato involontariamente."
La deflagrazione della sua risata rimbomba per tutta la stanza, svegliandomi del tutto.
"Tu? Violenta? Ma quando mai."
Ride ancora, facendomi spuntare un sorriso. È bello sentirlo così spensierato.
"Eri talmente immobile che avrei potuto pensare fossi morta."
Viene anche a me da ridere, perché in effetti è tipico mio.
"Allora come mai non hai dormito?"
"Stavo pensando."
Sento l'atmosfera appesantirsi, portandosi via il momento di leggerezza appena vissuto.
"Non cose allegre immagino."
Lui non risponde, ma comunque capisco di aver centrato il punto.
Non mi piace averlo messo nella situazione di raccontarmi a tutti i costi la sua vita, ma non è nemmeno giusto che non condivida niente.
"Non avrei mai pensato di parlare con qualcuno di certe cose, quindi non so proprio da che parte cominciare."
Il silenzio si protrae per diversi istanti, pesante.
"Devi decidere tu."
Prende un lungo respiro e posso intravedere il suo tormento.
Mi rimetto giù, in modo da dargli lo spazio di cui ha bisogno. Credo che l'ultima cosa che desideri, sia mostrarmi quanto quello che ha dentro lo faccia soffrire.
"Odio mio padre!"
La sua affermazione lapidaria mi fa sobbalzare, ma anche se mi stanno venendo in mente decine e decine di domande, mi mordo la lingua per non interromperlo.
Si sta aprendo di sua spontanea volontà.
"Passami il termine, ma mio padre è il più grande figlio di puttana che io abbia mai conosciuto. Mi ha cresciuto lui, cercando continuamente di farmi diventare qualcuno che non ero, tanto che alla fine, pur di non subire la sua ira, ho iniziato a fingere, nascondendomi dietro l'arroganza e l'indifferenza."
Questo spiega molte cose ed è davvero triste che un bambino cresca così, non amato. Io posso dire tante cose di mio padre, ma non che non mi abbia fatta sentire amata.
"Voleva a tutti i costi che diventassi come lui, ma non ho mai avuto intenzione di essere il suo burattino. Quando sono stato abbastanza grande per non dover più temere che mi mettesse le mani addosso, mi sono ribellato, umiliandolo in ogni modo possibile immaginabile."
Prende un lungo sospiro tremante. Riesco a sentire la pena che prova a ripensare a certe cose, ma più parla, più lo comprendo.
"Ad un certo punto, mi ha mandato in un collegio dove avrebbero dovuto rimettermi in riga, ma nessuna punizione o maniera forte sembrava funzionare, tanto che anche lì ben presto si sono arresi. Non avevo intenzione di sottomettermi a nessuno, meno che mai al'uomo responsabile della morte di mia madre!"
Non posso evitare di sobbalzare, presa completamente alla sprovvista.
Il braccio su cui è poggiata la mia nuca si flette, avvolgendomi le spalle, come a volermi proteggere.
"Mia madre era giovane quando l'hanno obbligata a sposarsi con mio padre. Un matrimonio combinato che l'ha devastata. Mi amava, mi voleva bene, ma la vita con mio padre le era insopportabile. Ha sopportato per anni le angherie e le violenze, che giungevano fino alla mia camera."
La sua voce è diventata improvvisamente fredda come il ghiaccio, carica di un odio così profondo da essere insopportabile.
Come fa a non venir schiacciato da questo sentimento?
"Le sue urla mi hanno accompagnato per anni, ma mai come l'immagine di lei che si butta dal balcone. Quella scena non potrò scordarla mai."
Non posso rimanere ancora ferma. Mi sollevo per guardarlo negli occhi, la vista offuscata dalle lacrime.
Non riesco ad immaginare quanto abbia sofferto.
"Si è suicidata?"
Le mie parole sono deboli, incredule, proprio come mi sento io.
Lo vedo annuire, l'espressione più visibile ora che la luce è aumentata e i miei occhi si sono adattati.
"Avevo dodici anni quando ha deciso che la morte era un'alternativa migliore alla vita che stava conducendo, a me."
Prima di fermarmi a riflettere, quasi mi lancio su di lui per abbracciarlo. Sono ancora nuda, ma in questo momento è l'ultimo dei miei pensieri.
Vorrei solo far sparire l'angoscia che ho percepito nella sua voce.
"È orribile, Adrian."
Per un istante rimane fermo, completamente irrigidito, ma poi le sue braccia si stringono con forza attorno a me.
"Non andrò via,te lo prometto. Devi solo dirmi che mi vuoi e io rimarrò."
Lui mi stringe un po' più forte, ma con poca convinzione.
"Lo so che ci credi, ma non sarà così. Odio talmente tanto mio padre, che sono disposto a tutto pur di fargliela pagare e, per raggiungere questo scopo, farò sicuramente qualcosa che ti farà andare via."
Per la prima volta, le sue parole assumono un nuovo significato: molto inquietante.
Eppure sento che questa sua consapevolezza è accompagnata dal rimpianto.
"Va bene così. Una cosa per volta."
Mi sollevo per guardarlo negli occhi.
I nostri visi sono così vicini che riesco a vedere benissimo la sua tristezza.
"Questo è il motivo per cui ti ho detto così tante volte di starmi alla larga."
I miei capelli scivolano in avanti, spiovendo verso il basso.
Lui solleva una mano e me la infila fa le ciocche, spostandole indietro e posandola sulla nuca.
"Se volessi tirarti indietro adesso, lo capirei."
Ancora una possibilità, ancora una porta aperta per cercare di proteggermi. Eppure, la scelta più logica, non fa per me. Arrendermi non mi piace.
"Non me ne vado. Io non sono perfetta, sono testarda e invadete, come mi hai ricordato, ma sono sicura che, se non mi escludi, possiamo superare ogni cosa. So che non è semplice credermi, ma dopo quello che mi hai raccontato, non ti direi queste cose se non ne fossi veramente convinta."
Vedo che gli piacerebbe credermi, ma che non se la sente e posso capirlo.
Quando una persona che dovrebbe amarti incondizionatamente ti abbandona, rimani segnato. Io non ho vissuto niente di così tragico, ma in minima parte riesco a capire come si debba sentire.
Dopotutto, quando sei così traumatizzato, come puoi credere così facilmente che qualcun altro, senza alcun legame significativo, possa rimanerti accanto?
"Io non le so fare queste cose, Adrian. Ne capisco ancora meno di te, ma so che se sono arrivata fino a questo punto, è perché a te ci tengo davvero. È qualcosa di così forte da darmi il coraggio di andare oltre i miei limiti. Non riesco ad immaginare che qualcosa possa farmi cambiare idea."
Prendo un lungo respiro. Ho bisogno di calmarmi per trovare le parole giuste. Ho il cuore che batte a mille e la sua espressione non mi aiuta a calmarmi.
È rigido, impassibile.
"Non sono nella tua testa per capire a cosa stai pensando, quindi mi sento un po' agitata, ma se riuscissi a rendermi partecipe di questa tua vendetta, almeno non verrò colta di sorpresa."
Posso leggere la perplessità sul suo volto e mi chiedo se abbia capito cosa intendo.
"Chelsea, non si tratta solo di mio padre, ma anche si mio nonno, che ha letteralmente venduto mia madre per affari. Io li distruggerò entrambi e non voglio che tu mi veda per il mostro che sono."
Credo che sia arrossito, perché distoglie lo sguardo, improvvisamente teso.
Il silenzio si protrae per diversi secondi, tempo che la mia mente sfrutta per analizzare ogni singola informazione.
"Mi piace il modo in cui mi guardi. Mi fa sentire bene. Quando sono con te, è come se fossi la persona che avrei potuto essere se non fosse stato tutto così difficile. Se siamo assieme, mi viene spontaneo cercare di essere migliore ed è qualcosa a cui non posso rinunciare."
Una confessione bruciante, che mi fa con il viso girato verso la scrivania alla mia destra.
Credo mi sentirei offesa se non fosse quanto di più simile ad una dichiarazione che lui possa fare. Il disagio è palese sia nell'espressione del suo viso, che nella rigidità del suo corpo.
Ha ancora una mano tra i miei capelli, il pollice che si muove leggermente sul mio zigomo. È un movimento inconscio che però me lo fa sentire dannatamente vicino.
Sostenendomi su un gomito, allungo la mano per toccargli il viso e girarlo verso di me.
I suoi occhi, con questa luce, sono due pozze profonde dove posso leggervi tutta la paura. Dev'essere stato davvero difficile ammetterlo anche solo con se stesso.
"Puoi essere chi vuoi Adrian, ma se per essere quella persona mi vuoi al tuo fianco, allora sarò ancora più felice di restare. Ho sempre visto la persona speciale che si nascondeva dietro l'arroganza e le cattive maniere ed è meraviglioso che tu abbia iniziato a rendertene conto. Potrai sempre contare su di me!"
La sua presa sui miei capelli si rinforza, facendomi sentire il suo desiderio di possesso.
"Voglio prenderti in parola, Chelsea. Voglio fidarmi e crederci. Abbi pazienza con me, perché so essere una gran testa di cazzo."
Dopo di che mi attira a se e mi chiude la bocca con la sua, facendo evaporare ogni pensiero di senso compiuto.
PICCOLO SPAZIO AUTORE.
Scusate il ritardo di pubblicazione, ma ieri mi sono dimenticata il pc a lavoro e non ho potuto completare il capitolo se non dal cellulare, da cui sono dannatamente lenta. Se doveste riscontrare qualche errore, vi prego, fatemelo notare, perché potrebbe essermi sfuggita qualche errore fatto dal correttore del cell. |
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Capitolo 39 *** 39 Adrian ***
39
Adrian
“Questa
sì che è bella!”
Il
tono divertito Logan mi fa storcere il naso e innervosire. Si sta
burlando di
me, l’ingrato. E pensare che gli ho parato il culo non so
più quante volte.
Se
Ryan avesse scoperto che cosa combinava con la sua sorellina, alle sue
spalle,
non saremmo qui tutti assieme. Certo, ora i due vanno d’amore
e d’accordo, ma
solo perche le cose tra Logan e Meredith si sono fatte serie. Se
così non fosse
stato, temo che Logan sarebbe di nuovo in ospedale, con un trauma
cranico e le
ossa fratturate.
Rivolgo
lo sguardo allo schermo in alto, dove sono segnati i punti, sforzandomi
di
ignorare il baccano alle mie spalle, fatto di risatine e chiacchiere, e
lo
sguardo indagatore dei miei tre amici.
Non
avrei mai pensato di trovarmi in una situazione del genere e sentirmi
così
dannatamente a disagio.
Non
ho ancora capito di chi sia stata l’idea, ma non ho avuto
molta scelta. Non
riesco a credere di essere capitato ad un appuntamento di gruppo, ma
quando
Chelsea mi ha guardato con gli occhi che brillavano, speranzosi, non me
la sono
sentita di dirle di no.
L’altro
giorno è venuta a casa mia prima di andare a lavoro,
l’espressione estatica.
Ha
iniziato a parlare velocemente, tanto che all’inizio non
riuscivo a capire che
cosa stesse dicendo.
In
pratica le sua amiche Bianca, Meredith e Kayla stavano organizzando
un’uscita
di gruppo con i loro ragazzi per andare al Bowling e volevano sapere se
anche
lei ci sarebbe stata. La cosa pazzesca di tutto ciò
è che l’atteggiamento di
tutte e tre le ragazze è cambiato da quando sanno che
c’è qualcosa tra me e Chelsea.
Sono diventate
più disponibili, meno
acide, e questo è decisamente un grosso miglioramento.
Sinceramente
non me lo aspettavo e mi sono chiesto più volte a cosa sia
dovuto questo cambiamento
così repentino.
Quella
che più mi ha stupito è stata Kayla, che prima mi
guardava con un’espressione
di disgusto mista a disprezzo. Ovviamente la colpa è anche
mia, perché sono
stato davvero un bastardo con lei, ma non avrei mai immaginato che si
sarebbe
ammorbidita.
Prima
che iniziasse la sua relazione con Josh, non la sopportavo, mi veniva
il
nervoso solo vedendo la sua espressione impassibile e sprezzante. Forse
perché,
inconsciamente, mi ricordava le donne altolocate che sono stato
costretto ad
intrattenere nel orso degli anni. Non mi sbagliavo, non del tutto
almeno.
Kayla
proviene, sì, da una famiglia come la mia, ma è
uscita da quel mondo quando era
ancora un’adolescente. È stata fortunata, sebbene
l’educazione che le è stata
impartita sia una componente costante del suo modo di porsi.
Dalla
prima volta che l’ho vista, è molto meno sulla
difensiva e so che è tutta opera
di Josh, che a sua volta ora sorride molto di più.
Ammetto
che ero preoccupato che le cose potessero essere difficili, ma a parte
questi
testoni che mi prendono in giro, è tutto piuttosto normale.
Le
ragazze si stanno sfidando tra di loro a coppie alle mie spalle, mentre
noialtri ce la stiamo giocando ognuno per conto proprio.
Tra
di noi c’è sempre stata una sottile e sana
competizione, dove ciascuno prova ad
essere il migliore, quindi sarebbe davvero impossibile gareggiare a
squadre.
In
teoria avremmo dovuto gareggiare a squadre, quattro contro quattro, ma
quando
poi è
venuta fuori la rivalità al
momento di fare le divisioni, le ragazze si sono allontanate, scuotendo
la
testa divertite.
“Voi
continuate pure a farvi dominare dal testosterone, noi andiamo a
divertirci per
conto nostro.”
Meredith
ha dato voce ai pensieri di tutti, facendo scoppiare
l’ilarità.
Bianca
e Kayla si sono limitate a scuotere il capo, esordendo
all’unisono con un: “Maschi!”,
mentre Chelsea, che probabilmente non ha capito molto, si è
limitata a
sorridere, impacciata.
Appena
hanno preso posto nella pista subito dopo la nostra, Meredith le ha
sussurrato
qualcosa all’orecchio e l’amica è
arrossita, guardandomi con gli occhi
sgranati: non sono riuscito a trattenere una risata.
Quindi
ecco spiegato il motivo per cui in questo preciso istante sono un
po’ lo zimbello
del gruppo.
Ryan
non è rimasto troppo impressionato dalla nostra presenza,
anche perché ha
beccato Chelsea da me il giorno che mi ha raccontato di avere un
fratello, Logan
ha sgranato un po’ gli occhi, mentre Josh è
rimasto senza parole per un paio di
minuti.
“Fatti
gli affari tuoi.”
Lui
sogghigna apertamente, mentre Ryan e Josh si nascondono dietro una
bottiglia di
birra per godersi lo spettacolo senza essere tirati in mezzo.
“Non
ci penso nemmeno. È troppo divertente. È bello
vederti vulnerabile.”
Gli
ringhio contro, con le mani che mi prudono dalla voglia di cancellare
il
sorriso beffardo dalla sua faccia con un pugno.
“Vai
a farti fottere.”
Lui
sghignazza, allontanandosi di un passo da Ryan, che immediatamente lo
fulmina
con un’occhiataccia.
“Non
ti azzardare a replicare.”
La
minaccia del fratello della sua ragazza è più che
efficace, perché evita di rispondermi,
limitandosi a farmi un occhiolino più che significativo.
Che
sfiga avere un cognato come Ryan. Sarà anche la persona
migliore dopo Chelsea
che io abbia mai conosciuto, ma quando si tratta delle donne della sua
famiglia, Ryan è una testa dura.
Basti
pensare che, nonostante Logan avesse perso la memoria a causa di un
trauma
cerebrale, appena ha scoperto che c’era qualcosa tra lui e la
sorella, ha
smesso di ragionare e gli ha dato un pugno in faccia, nonostante fosse
appena
uscito dalla convalescenza e lui sia un medico che conosce i rischi di
un
comportamento del genere.
“Effettivamente,
anche io sono piuttosto incuriosito. Dall’ultima volta che ci
siamo visti sono
cambiate parecchie cose. Che accidenti è successo?”
La
perplessità di Josh è più che
evidente, che tra una cosa e l’altra è quello che
ne sa meno di tutti, per quanto con lui io mi sia lasciato andare ad un
certo
tipo di confidenze.
Era
rimasto al punto in cui Chelsea stava facendo di tutto per avvicinarsi
a me e
io continuavo a respingerla.
Mi
limito a scrollare le spalle, perché non ho nessuna
intenzione di parlare di
questo con loro. Come sia accaduto, beh, è una cosa che
riguarda solo me e lei.
Mi
fa sentire a disagio l’idea di condividere con loro i
pensieri e le emozioni
che mi hanno portato a cedere.
Si
stanno comportando come delle pettegole.
“Il
giorno che siete venuti a conoscere Brian non avete notato come erano
intimi?”
Ryan
mi rivolge un sorriso malizioso e so cosa sta per fare. La cosa
peggiore è che
non posso zittirlo in nessun modo.
Questo
è perché mi sono burlato di lui quando ha
iniziato la sua relazione con Bianca,
ne sono sicuro. Sapevo che prima o poi avrebbe saldato il conto.
L’attenzione
di Logan e Josh è tutta per Ryan, che ha
l’espressione del gatto soddisfatto.
“Solo
poche ore prima li ho beccati insieme e cosa fosse successo era
piuttosto
ovvio.”
Il
mio amico biondo sgrana gli occhi, mentre l’altro mi rivolge
un’occhiata
sorpresa.
“Alla
faccia. Sei proprio un gran bugiardo. E tu che continuavi a dire che
non era
niente quando eri già andato a segno. Che faccia
tosta.”
Gli
rivolgo un’occhiata di fuoco perché il suo modo di
esprimersi mi da decisamente
sui nervi.
“Non
è andata così, dannazione.”
Mi
sibila tra i denti un’imprecazione, mentre sento il cuore
pulsare forte nel
petto, facendomi salire il sangue alla testa.
“Non
ti scaldare Adrian, sto solo scherzando.”
Logan
fa immediatamente marcia indietro e so di aver appena fatto una figura
patetica, ma è stato più forte di me.
Ridurre
quello che è successo ad una mera questione di sesso non
è giusto per Chelsea.
Sarebbe come sminuire lei come persona e l’importanza che
quello che è successo
ha avuto per lei.
“Scherzi
a parte, come mai hai cambiato idea? Non che non sia bello vederti con
qualcuna
che non sia una compagnia provvisoria, ma sinceramente sono un
po’ preoccupato,
perché non è da te.”
Alla
sincera preoccupazione di Josh si aggiunge quella di Logan.
“Esatto.
L’altra sera eri ancora indeciso, in bilico, diciamo, e oggi
vi presentate assieme
e Chelsea sembra la persona più felice del mondo, mentre tu
non lo sembri, non
del tutto almeno.”
“Adrian,
che sta succedendo?”
Troppe
domande e tutti e tre sono fin troppo solleciti nella loro
preoccupazione.
“Non
vi preoccupate. È solo una situazione provvisoria.”
I
tre si scambiano un’occhiata preoccupata, sospirando
rumorosamente.
“E
lei, questo, lo sa? Perché ha tutta l’aria di una
donna innamorata.”
Mi
limito ad annuire, perché non c’è molto
altro da dire. Alla fine stanno
riuscendo comunque a
tirarmi fuori le
cose e hanno pienamente ragione su tutto.
“Allora
perché l’hai lasciata avvicinare?”
La
domanda pungente di Ryan mi fa sobbalzare, perché va a
toccare decisamente un
tasto dolente.
Potrei
fare finta di nulla, non “confidarmi”, ma sono
arrivato ad un punto dove
tenersi tutto dentro è logorante.
So
che non dovrebbe essere così, ma ormai ci siamo. A breve
potrò lasciarmi il
passato alle spalle e un buon modo per iniziare è non
comportarmi come se fossi
sempre solo.
Gli
amici che ho, sono veri, importanti e sodi potermi fidare. Ci prendiamo
in giro
a vicenda, è vero, ma è perché il
nastro affiatamento ce lo permette.
“Lo
ha voluto lei.”
Una
risposta sincera, che riassume in pieno tutta la situazione senza dover
spiegare tutto. Eppure sembra che loro non capiscano. La loro
espressione è
decisamente perplessa.
“Scusa
se te lo dico, ma tu non sei per niente il tipo di uomo che asseconda
le
richieste altrui. Meno che mai quelle di una donna.”
Verissimo
e per una buona ragione, ma tutte le mie regole, le mie remore, sono
state smontate
da Chelsea di dalla sua disarmante purezza.
Anche
dopo essere stati a letto assieme più volte, dopo che si
è smaliziata, ha
continuato ad
essere una ragazza limpida
e disarmante.
“Aspetta
un secondo a rispondere!”
Ryan
si alza rapidamente, prende dal supporto una palla, soppesandola
attentamente e
poi si avvicina alla pista per lanciarla. Il parquet lucido scricchiola
sotto le
sue scarpe da ginnastica. Fa
un paio di
passi avanti, porta il braccio all’indietro e poi lancia la
palla, inchinandosi
leggermente per farla scivolare in modo pulito.
La
lucida palla di ceramica percorre rapidamente il corridoio, andandosi a
schiantare con
forza sui birilli alla
fine della sua lunga corsa.
Strike
in un colpo, il primo della partita.
Soddisfatto
il mio amico torna al tavolo, mentre il chiacchiericcio della sala da
Bowling
continua e il sistema si mette all’opera per preparare nuovi
birilli.
“Quindi?
Perché?”
Speravo
che avesse deciso di lasciar perdere, ma è evidente che
invece non ha affatto
intenzione di lasciar perdere.
Mi
volto a guardare la causa della situazione. Sta bevendo qualcosa che le
sta
porgendo Meredith. Ha un espressione concentrata sul viso, come se
stesse
cercando di capire qualcosa.
All’improvviso
molla la cannuccia e rivolge all’amica un sorriso felice.
“Io
ho cercato di non pensarci, ma è dannatamente bella. Non so
se sia più bella
dentro o fuori.”
Mi
volto di nuovo verso i miei amici, che mi guardano con tanto
d’occhi.
“Cosa
c’è? Non mi sembra che stia dicendo qualcosa di
strano. È palesemente una bella
ragazza.”
Logan
scuote la testa, come a schiarirsi le idee.
“Ma
solo per questo?”
“Ovviamente
no. È il suo carattere, il suo modo di fare. Mi ha sempre
trattato come se
valessi più di quanto io stesso pensi e questo mi piace.
Più la respingevo, più
lei riusciva ad avvicinarsi, tanto che ho provato la tattica contraria.
Forse,
se fossi stato io ad avvicinarmi, allora finalmente sarebbe scappata,
sarei
riuscito ad allontanarla.”
Sorrido
per la mia idiozia. Mi chiedo come ho fatto a pensare che potesse
tirarsi
indietro.
“Deduco
che non è andata così!”
L’ironia
di Josh è decisamente pertinente.
“Decisamente,
è stato l’opposto. Più cercavo di farla
scappare, più si avvicinava, tanto che
alla fine è successo quel che è successo.
Davvero, mi sarebbe piaciuto essere
migliore e riuscire a tenerla lontana da me, soprattutto per quello che
succederà a breve con le elezioni, ma non ci sono
riuscito.”
Stringo
forte la bottiglia di birra che ho tra le mani per trovare un senso
alle
emozioni che mi si stanno scatenando dentro.
Sto
ammettendo cose che finora non avevo mai ammesso nemmeno con me stesso.
È
la confidenza più importante che io abbia mai fatto ai miei
amici.
“Sono
un dannato egoista, ma lei mi vuole lo stesso. Come avrei potuto dirle
di no?”
Le
loro espressioni pensierose non mi turbano. Non mi interessa che
capiscano.
Alla fine, è una
decisione che non li
riguarda minimamente.
“Ha
dannatamente senso!”
Logan
è il primo a riprendersi e, se pensava di chiedermi
qualcosa, uno strillo acuto
interrompe il momento di confidenze.
Mi
volto appena in tempo per vedere Chelsea che quasi mi salta addosso,
buttandomi
le braccia al collo da dietro?
“Ohi.”
“Adrian.”
Fa una lunga pausa, la voce cantilenante. “Mi gira la
testa.” Aggiunge poi con
una risatina.
Segue
un lunghissimo istante di silenzio, dove nessuno capisce che cosa stia
succedendo, poi capisco.
Giro
la testa verso l’amica, che si tiene una mano sulla bocca nel
tentativo di
soffocare una risata.
“Meredith,
l’hai fatta bere?”
Lei
annuisce appena, le spalle scosse dalla risata.
“Ho
aggiunto solo un po’ di rum alla mia cola, niente di che. Non
pensavo fosse
astemia.”
Tutti
scoppiano a ridere, mentre Chelsea praticamente si accascia sulle mie
spalle.
“Ehi,
stai sveglia. Tirati su, forza.”
La
sento respirare con forza e, lentamente, si tira in piedi, gli occhi
lucidi.
Mi
alzo a mia volta, afferrandola per il braccio.
“Hai
bisogno di mangiare qualcosa e prendere un po’
d’aria. Mi ordinate qualcosa
mentre le faccio fare due passi?”
Sorreggo
Chelsea mentre gli altri annuiscono, senza commentare. Non è
che ci sia molto
da dire. Sicuramente questo mio comportamento li ha stupiti non poco,
ma non ci
posso fare niente.
Inoltre
non voglio che Chelsea mi vomiti in macchina.
Con
calma attraversiamo la sala giochi e appena fuori prendo un lungo
respiro di
aria fredda.
Sia
io che Chelsea siamo senza giacca, ma un paio di minuti non ci faranno
di certo
male.
Camminiamo
fino ad una panchina e lei si siede pesantemente sulla struttura di
metallo,
prendendosi la testa tra le mani. La imito, sollevando il viso al cielo.
Siamo
ai primi di marzo e fa ancora piuttosto freddo, tanto che il mio
respiro si condensa
in piccole nubi di vapore argenteo.
Rimaniamo
in silenzio per diversi minuti, uno di fianco all’altro.
Quando alla fine
sospira, mi decido a guardarla.
Mi
sta osservando, la nebbia dell’alcool meno presente di prima.
“Va
meglio?”
Lei
annuisce, prendendo un nuovo profondo respiro.
“Non
accetterò mia più da bere da Meredith.”
Ma
anche mentre lo dice, sta ridacchiando. È ovvio che
l’effetto non è ancora
passato.
“Non
ti preoccupare. Non credo che si azzarderà ad offrirti
ancora qualcosa di
alcolico. Pronta a tornare dentro?”
Lei
annuisce e ci alziamo. La vedo rabbrividire ed è automatico
metterle un braccio
sopra le spalle.
Invece
che rigirarsi e dirigersi verso l’ingresso, Chelsea si gira e
mi abbraccia, il
viso premuto contro il mio petto. La sua testa arriva tranquillamente
al mio
mento in questa semplice posizione.
Per
un istante non so cosa fare. Come mi dovrei muovere? Devo ricambiare il
gesto,
allontanarla o semplicemente rimanere fermo?
La
sua presa si rinforza leggermente e non mi resta altro da fare che
circondarla
con le braccia.
“Grazie.”
“Per
cosa?”
“Per
essere venuto qui con me. Anche se te l’ho chiesto, non ci
speravo proprio.”
Solleva
la testa per guardarmi, gli occhi che brillano alla luce dei lampioni
che
circondano l’ingresso della sala giochi del centro
commerciale.
Ci
sono poche persone attorno a noi, tutti che escono o entrano, ma
nessuno che
bada a noi. Eppure, anche se fossimo al centro
dell’attenzione, non me ne
accorgerei.
Il
suo sguardo mi trasmette una gran tenerezza, così come il
sorriso che mi sta
rivolgendo.
Il
sorriso che volevo proprio farle spuntare sul viso.
Guardandola,
mi sento libero e senza pensieri, senza preoccupazioni.
“Prego.”
Le
dico un istante prima di chinare la testa e baciarla gentilmente sulla
bocca.
In
questo momento, non mi serve null’altro.
Scusatemi
se questa settimana non ho postato, ma ho avuto degli impedimenti che
non mi hanno permesso in nessun modo non solo di aggiornare, ma proprio
di scrivere. Davvero mi dispiace, ma non sono riuscita a fare meglio di
così. In ogni caso spero che qeusto capitolo vi sia
piaciuto. Ci siamo quasi, manca poco al momento della
verità, quando tutti gli altarini verranno al pettine.
vi aspetto lunedì. kiss kiss e buon week end
|
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Capitolo 40 *** 40 Chelsea ***
40
Chelsea
La
prima cosa che registro, una volta sveglia, è il forte
pulsare alla testa. La
sottile lama di luce che attraversa le persiane, per riversarsi sul mio
viso,
produce una stilettata di dolore che va a concentrarsi dietro agli
occhi,
facendoli pulsare.
Accidenti.
Quindi è questa la famosa post sbornia di cui si parla tanto.
Ieri
sera Meredith mi ha fatto assaggiare il suo drink e sono stata ben
felice di
provare qualcosa di nuovo.
Ovviamente,
non immaginavo che quel poco che ho bevuto mi sarebbe andato alla testa
e mi
avrebbe fatta sentire al risveglio come se mi fosse passato un tram
addosso.
L’effetto
di allegria è durato per tutta la serata in compenso. Anche
dopo aver preso
aria e mangiato qualcosa, in modo che mi passasse il malessere, mi sono sentita estremamente
su di giri.
Allegra come non credo mi sia mai successo.
Probabilmente
questo è anche merito di Adrian, che è stato
estremamente carino con me e
quindi immagino che mi stia dando alla testa.
Se
non fosse così, non avrei avuto una mezza discussione con
Jillian ieri pomeriggio.
Non
è stata molto contenta quando le ho detto che molto
probabilmente non sarei
rientrata a dormire.
La
scorsa settimana, ho passato da Adrian decisamente molto tempo e so che
non
vede di buon occhio questa cosa.
Lei
lavorava al Blue Moon ben prima che Adrian iniziasse a frequentare il
Blue Moon
e sono sicura che non approvi. Sono sicura che sapesse chi era ben
prima che le
dicessi che abbiamo iniziato a frequentarci.
È
stato strano dover rendere nuovamente conto delle proprie azioni, delle
proprie
decisioni, e ammetto di essermi infastidita, ma capisco anche Jillian,
che ha
appena ritrovato una figlia. Dopo quello che ho passato, posso
comprendere il
suo istinto di protezione e ha
ragione
se pensa che Adrian potrebbe spezzarmi il cuore.
Eppure
è una mia scelta, una mia decisione.
Immagino,
però, che sia normale per un genitore non vedere di buon
occhio certe cose. Dopotutto,
io stessa ancora non riesco a credere di avere una vita sessuale e non
sentirmi
sporca o a disagio.
Se
ci penso lucidamente, mi rendo conto che fondamentalmente potrebbe
essere una
cosa sbagliata, ma so che quando sono con Adrian, il desiderio di
condivisione
e piacere supera qualsiasi altra remora. Forse finirò per
abituarmi a questa
cosa, ma per il momento sono ancora molto timida.
Quindi
immagino che sia anche un po’ per questo che Jillian mi ha
rimproverata, dicendomi
che dovrei essere un po’ più responsabile e
dedicare meno tempo ad un uomo del
genere, ma la verità è che voglio passare
più tempo possibile con l’uomo che mi
sta rubando il cuore, perché potrebbe cambiare tutto da un
momento all’altro.
Mi
spaventa il pensiero che possa allontanarmi, ma ho deciso che
affronterò la
questione quando si presenterà. Non so davvero che cosa
aspettarmi e non voglio
preoccuparmi di qualcosa che potrebbe anche non accadere.
Lasciarsi
andare alla fantasia sarebbe estremamente semplice e non voglio farmi
strane
paranoie.
Mi
rigiro, allungando il braccio, ma il letto dall’altra parte
è freddo, dettaglio
che mi fa sollevare di botto dal cuscino, provocandomi un capogiro e un
ondata
di nausea.
Ora
è ufficiale: non berrò mai più
alcolici se devo stare così male il giorno
successivo.
Mi
alzo dal letto lentamente, attenta a coprirmi con il lenzuolo, e cerco
Adrian
per la stanza deserta.
Non
c’è e la porta chiusa mi dice che si è
alzato e non voleva disturbarmi.
Sulla
sedia alla scrivania c’è il mio zaino, da cui
recupero della biancheria pulita
e una maglietta over-size per coprirmi almeno un poco.
L’appartamento
è sempre ad una temperatura perfetta, una volta messo in
funzione il riscaldamento
centralizzato, per cui so che non avrò freddo.
Mi
infilo un paio di calzini bianchi e a piedi nudi raggiungo il salotto
silenzioso.
La
stanza è inondata dalla luce del giorno e il chiarore mi
ferisce gli occhi.
Ci
vogliono alcuni secondi per individuarlo.
Mi
da le spalle, seduto sul divano e guarda fisso davanti a se, immobile.
“Adrian?”
Lo
chiamo, ma non mi sente, perché continua ad essere immobile
come una statua di
cemento.
Lentamente
mi avvicino, preoccupata. Chissà a cosa sta pensando,
così assorto.
“Ehi?”
Sono
a meno di un metro da lui quando sobbalza e volta la testa. La sua
espressione
fa saltare un battito al mio cuore, che poi ricomincia a battere a
ritmo
raddoppiato.
Ha
gli occhi sgranati, con dei brutti cerchi violacei che gli segnano il
viso. è
pallido e ha la bocca leggermente socchiusa.
Mi
guarda attentamente, come se volesse dire qualcosa, ma senza sapere
bene cosa.
“Va
tutto bene?”
Ma
anche prima di fare la domanda, so che non va bene per nulla. Mi
avvicino, fino
a quando a separarci non c’è altro che il
bracciolo del divano stesso.
Il
suo pc portatile è aperto sul tavolino basso e da questa
distanza posso vedere
ben poco.
“Posso?”
Ho
idea che di qualsiasi cosa si tratti, è quello che lo ha
ridotto in questo
stato pietoso.
Lui
si limita ad annuire, inespressivo ora. Ha distolto lo sguardo,
puntandolo
verso il piccolo schermo a led.
Mi
avvicino il tanto necessario per poter guardare e capire di cosa si
tratta.
Ci
sono delle fotografie e per ognuna di esse, c’è
una piccola descrizione.
Scorro
i primi nomi con lo sguardo, fino a quando non individuo qualcosa di
familiare.
McLeor
Bruce, cinquantotto anni, candidato alle elezioni politiche.
La
foto che accompagna la didascalia descrittiva, ha qualcosa di irreale.
L’uomo
che dovrebbe essere il padre di Adrian, non gli assomiglia per nulla.
L’uomo ha
il viso paffuto perfettamente rasato, messo in risalto da un farfallino
che
sembra sul punto di strozzarlo. Ha occhi piccoli e scuri e i capelli
che stanno
via via scomparendo dal centro della testa.
“È
lui?”
L’incredulità
traspare dalla mia voce e finalmente riesco ad ottenere una qualche
reazione da
parte di Adrian.
Mi
giro ad osservarlo e sta sorridendo amaro.
“Non
ci assomigliamo per nulla vero? Ho preso dalla parte di mia madre per
mia
fortuna. Quando era giovane, non era così. Da quando si
è adagiato alla bella
vita. Ha iniziato a peggiorare. Ora nessuno penserebbe mai che abbiamo
un
qualche legame di sangue.”
Il disgusto che prova
all’idea di essere in
qualche modo imparentato con quell’uomo è
palpabile e il mio cuore si stinge in
una morsa dolorosa al pensiero di quanto quell’uomo lo abbia
fatto soffrire.
Riporto
lo sguardo sullo schermo, analizzando il sorriso arrogante e
compiaciuto che ha
nella fotografia, come se sapesse che quell’immagine sarebbe
finita sul sito
ufficiale del partito e stesse cercando di apparire accattivante.
Che
schifo.
Non
riesco a credere che da una persona del genere sia venuto fuori
qualcuno come
Adrian, così incredibile.
“Era
questo che aspettavi?”
Mi
raddrizzo per guardarlo e cerare in tutti i modi di non far trasparire
il mio
nervosismo e la paura che sento. Se mi permettessi di mostrarlo,
probabilmente
perderei il controllo.
Quando
pensavo che sarebbe potuto succedere da un momento all’altro,
non immaginavo
che sarebbe accaduto davvero. A
quanto
pare, nella mia mente, era un’idea astratta, come se non
dovesse mai
realizzarsi.
Lui
si limita ad annuire nuovamente, ma senza guardarmi.
Ha
gli occhi incollati allo schermo.
“Cosa
pensi di fare?”
Forse
sono invadente, ma quando ha deciso di volermi, gli ho chiesto di
coinvolgermi
in tutto questo, di non prendere le sue decisioni da solo senza
mettermi al
corrente e spero non voglia rimangiarsi la parola data.
Ho
bisogno di sapere che cosa succederà da adesso in poi e se
non parlerà
spontaneamente, allora sarò io a chiedere.
Lo
sento sospirare e per la prima volta mi guarda, con gli occhi che amo
tanto
colmi di tormento.
Non
mi tocca anche se siamo vicini e ho come l’impressione che si
stia distaccando,
pronto a vedermi fuggire.
“Adrian,
parlami.” Mi inginocchio fino ad arrivare più o
meno alla sua altezza e mi
appoggio alle sue ginocchia per non perdere l’equilibrio.
“Stai
rendendo tutto più difficile per entrambi. Hai detto di
volerli distruggere,
quindi avrai un piano. Dimmelo.”
Lo
osservo chiudere gli occhi, come dilaniato da qualcosa, ma quando li
riapre, c’è
solo un’immensa tristezza.
“In
questi ultimi anni, con vari espedienti, mi sono appropriato della
quota di
maggioranza delle società di mio padre e di mio nonno. Hanno
investito fino all’ultima
azione possibile per poter arrivare fino a qui ed avere le giuste
conoscenze.
Servono molti fondi e molti supporti per arrivare fino a questo punto
ed
entrambi hanno incautamente investito, convinti di star vendendo a
società e
privati distinti. Si sono indebitati fino al collo pensando che
sarebbero
rientrati del capitale investito una volta entrati in politica,
inconsapevoli
che stavo rastrellando azioni ed investendo i soldi che mi da ogni mese
per distruggerlo.
Ci sono voluti anni di studi e di accurate pianificazioni per riuscire
ad
arrivare a questo punto e, una volta che avrò messo insieme
tutte le azioni che
possiedo, sia mio padre, che mio nonno, perderanno tutto, dal denaro
che deriva
dai proventi delle aziende, sia il prestigio acquisito e quindi la
posizione
politica.”
Si
interrompe, distogliendo lo sguardo e questo mi fa agitare. Se finora
quello
che mi ha detto ha senso, anche se non riesco a capirne le
modalità, il fatto
che ora non mi stia guardando mi fa pensare che non sia finita.
“C’è
dell’altro non è vero?”
La
riluttanza continua e il silenzio si prolunga per troppo tempo. Vorrei
incalzarlo, spingerlo a dirmi tutto, ma ho come l’impressione
che se
insistessi, mi taglierebbe fuori completamente.
Improvvisamente
si muove e inizia a trafficare con il pc, che poi gira verso di me.
Per
un istante non riesco a mettere a fuoco e capire di cosa si tratta, ma
quando realizzo
che cosa sto vedendo, vengo assalita da un attacco di nausea.
L’immagine
occupa l’intero schermo e ritrae una camera dai toni
maschili, con un letto di
ferro battuto.
Su
di esso, due persone si trovano in una posizione che fa capire senza
ombra di
dubbio cosa stia succedendo.
Fa
male, dannazione. È terribilmente doloroso e difficile
riuscire a pensare e non
prendere i piedi e scappare, allontanarmi da tutto questo e cercare di
dimenticare.
“Chi…?”
Non
riesco a dire altro perché la mia voce di spegne.
È come stessero strappando a
forza l’aria dai polmoni.
Non
riesco a distogliere lo sguardo dall’immagine,
così nitida da poter distinguere
i particolari.
La
donna ha i capelli scuri che scendono lungo la schiena e il corpo
longilineo premuto
contro il petto di Adrian. Sono inginocchiati sul letto, entrambi senza
vestiti,
lei leggermente chinata in avanti, ma il
suo viso dai tratti marcati si vede benissimo,
così come il viso di
Adrian, impassibile e severo.
Lei
è voltata verso la telecamera che ha scattato la foto, ma
non credo che ne
fosse a conoscenza.
“La
mia matrigna.”
La
sua risposta fredda mi da il voltastomaco, ma allo stesso tempo, butta
un po’
di luce sul senso dell’immagine.
Dopo
diversi tentativi, finalmente riesco a chiedergli quando è
stata scattata.
Per
la prima volta da quando mi ha mostrato ciò che nascondeva,
riesco a guardarlo.
Mi sta fissando con attenzione, come alla ricerca di un qualche segno.
“Circa
due anni fa. Si erano appena sposati e lei non ha mai fatto mistero di
provare
quel tipo di interesse nei miei
confronti. È successo solo quella volta e solo per un
motivo.”
“Il
tuo piano.”
La
voce esce come un sussurro, rotta dal pianto che non riesco
più a trattenere.
Mi copro il viso con le mani per nascondere le lacrime che hanno deciso
di
scorrere libere e senza freni.
Mi
manca il fiato e fa così male. È come se mi
stessero stringendo forte il cuore.
Fino
a ciò si è spinto per avere vendetta?
Mi
ha sempre messo in guardia, dicendomi che mi avrebbe spezzato il cuore
e quando
ha detto che avrebbe sicuramente fatto qualcosa che mi avrebbe ferito,
non
potevo immaginare che l’aveva già fatta, che era
tutto pianificato. Come potevo?
Anche se ora le sue parole hanno un senso, quando me le ha dette, per
me non ne
avevano.
Ero
accecata.
Eppure,
io ho scelto di andare avanti perché lo amo.
È
una consapevolezza che si è fatta lentamente largo dentro di
me in questi
ultimi giorni e non voglio tirarmi indietro, rinnegare ciò
che sento.
Gli
ho promesso che sarei rimasta e, anche se è orribile
ciò che mi ha mostrato, è
successo tempo fa. Lo sapevo fin dall’inizio che era stato
con altre donne,
anche se non immaginavo che fosse disposto a tanto.
“Mi
dispiace.”
La
sua voce penetra attraverso la nebbia che mi avvolge, fermando di botto
le
lacrime.
I
suoi sono occhi
colmi di rammarico e delusione,
di tristezza mista a impotenza.
Non
posso farlo, voltargli le spalle e andarmene. Tornerei indietro
ugualmente, una
volta metabolizzato il senso di tutto quanto, ma comunque lo ferirei e
non
posso o voglio farlo.
Ha
già sofferto troppo a causa di gente che non riusciva a
tenere in
considerazione i suoi sentimenti.
Ricomincio
a piangere, ma stavolta per lui.
Non
riesco ad immaginare quanto sia stato difficile, fare tutto da solo,
essere
divorato dall’odio e cercare in tutti i modi di non lasciarsi
sopraffare dal
medesimo sentimento. Annaspare per rimanere a galla e cercare di essere
diverso
da quello che stava diventando.
Ora
riesco a capire un po’ di più quanto sia stato
difficile, all’inizio, avere a
che fare con me, combattendo contro se stesso per non ferirmi.
È
sempre stato solo, non posso lasciarlo adesso, non dopo che ha in tutti
i modi
cercato di evitarmi questo dolore.
Devo
accettarlo, sopportarlo per ora, e sono sicura che, un giorno,
riuscirò a
dimenticare.
Eppure,
c’è una cosa che mi viene impossibile tollerare.
È qualcosa che mi fa ribollire
di rabbia. È così forte, che sovrasta tutto il
resto.
“Perché?”
La
domanda esce dalle mie labbra prima che possa formularla in modo
migliore,
infatti lui non capisce che cosa intendo.
“Te
l’ho detto. Devono pagare e sono disposto a tutto per far si
che ciò avvenga.”
Io
scuoto la testa, sollevandomi dal pavimento su cui sono crollata, per
avvicinarmi
a lui, che nel frattempo si è spostato.
Non
so perché lo abbia fatto. Forse per darmi spazio, oppure per
prenderne.
Salgo
sul divano, mettendomi in ginocchio, e allungo le mani le afferrargli
gentilmente il viso, cogliendolo di sorpresa.
Lo
fisso attentamente negli occhi, trovandovi solo confusione e rabbia,
sentimenti
che non fanno altro che acuire il mio desiderio di proteggerlo.
“Non
intendevo quello. Il tuo desiderio lo capisco.”
La
mia voce è spezzata, incrinata dalle lacrime che non riesco
a trattenere.
“Perché,
per colpire lui, devi mortificare te stesso?”
Ecco
il nuovo capitolo. Scusate se c'è voluto così
tanto, ma davvero dal cellulare è difficilissimo scrivere.
Per il momento sono riuscita a riavere il pc, ma purtroppo non so
quanto durerà. Cercherò di scrivere e aggiornare
il nuovo capitolo direttamente domani, in caso non ci riuscissi, vi
avvertitò.
Altra
cosa: mi sto organizzando per creare un gruppo whatsapp "dedicato" alle
mie storie. La verità è che mi piacerebbe
conoscere meglio voi che amate le mie storie, ma sinceramente non so
come altro descrivere questo gruppo che vorrei creare. Se siete
interessati, contattatmi pure in privato.
Detto
ciò, spero che il capitolo vi sa piaciuto e che sia stato
all'altezza delle aspettative.
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Capitolo 41 *** 41 Adrian ***
41
Adrian
L’ultima
cosa che mi aspettavo questa mattina, accendendo il computer, era
vedere che
ieri hanno rilasciato la lista dei candidati.
Per
qualche ragione, al contrario di quello che faccio sempre, ieri non ho
monitorato la situazione e, in un primo momento, mi sono maledetto per
non
averlo fatto.
Un
istante dopo, però, il pensiero di Chelsea ha allontanato il
rammarico.
Se
avessi saputo della lista, la serata di ieri non sarebbe mai esistita.
Al
contrario di quello che pensavo, è stato davvero divertente
passare del tempo
con i miei amici e le ragazze. Non avrei mai immaginato che non mi
sarei
sentito fuori luogo o di troppo. È stato fin troppo semplice
adattarmi alla
situazione.
Decisamente
spaventoso, a pensarci bene, perché vedendo la pagina che
tanto aspettavo, non
sono stato invaso dall’adrenalina come immaginavo,
bensì dal rammarico.
Sono
rimasto ad osservare lo schermo con la fotografia ghignante di mio
padre non so
più per quanto, ma è stato abbastanza
perché lei si svegliasse.
Ho
passato non so quanto tempo a pensare, nel disperato tentativo di
trovare una
soluzione, perché dopo ieri sera, ho davvero il timore che,
se questa cosa tra
di noi dovesse finire, lei non sarebbe l’unica ad uscirne
ferita.
In
quest’ultima settimana Chelsea ha iniziato ad avere
un’importanza spaventosa
nella mia vita.
È
rimasta a casa mia diverse volte e, ogni volta, lasciarla andare via,
si è
rivelato sempre più difficile.
Da quando
ho “smesso” di preoccuparmi per lei, per il dolore
che sapevo le avrei
arrecato, permettendo così ad entrambi di viverla
più serenamente, è come se la
sua importanza fosse aumentata a dismisura.
Mi
ritrovo a pensare a lei anche troppo spesso e, anche se so che
è una
stupidaggine, non posso farne a meno.
Per
questo la notizia che aspettavo ha avuto un sapore così
amaro.
Sapevo
benissimo che Chelsea avrebbe preso male la questione delle fotografie
e di
certo non posso fargliene una colpa.
Ho
provato a cercare ad un modo delicato per metterla al corrente, ma alla
fine l’unica
cosa che sono riuscito a fare, è stato sbatterle in faccia
la realtà.
Le
sue lacrime hanno fatto più male di quanto potessi
immaginare e davvero non so
cosa fare per farla smettere.
È
straziante e non posso che assumermene la colpa.
Mi
sposto un po’ sul divano per allontanarmi. Dubito
sinceramente che voglia
avermi vicino, ma non posso nemmeno andarmene, perché
sarebbe come scappare.
Per
quanto la tentazione sia forte, devo farmi carico della mia colpa.
La
osservo con una morsa allo stomaco. È seduta sul pavimento,
con la maglietta
che a malapena le nasconde l’attaccatura delle cosce. Ha il
viso tra le mani e
sta piangendo come non l’avevo mai vista. Nemmeno quando ha
pianto per suo
padre suonava così disperata.
Sapere
che sarebbe successo, non rende la cosa più facile da
affrontare.
Non
avrei mai immaginato che ferirla mi avrebbe fatto sentire
così meschino.
Che
stupido a pensare di poter far spuntare sul suo viso il sorriso. Non lo
sapevo
fin dal principio che, l’unica cosa che sono capace di fare,
è distruggere
tutto ciò che mi circonda?
“Mi
dispiace!”
L’unica
cosa che posso fare è scusarmi, non solo per il male che le
sto facendo, ma
soprattutto per non essere riuscito ad evitarglielo.
Conosco
benissimo i suoi sentimenti. Come potrebbe essere diversamente, quando
non
riesce e non vuole nasconderli?
Il
suo sguardo, i suoi occhi quando mi guarda, parlano a chiare lettere di
un
sentimento spaventoso con la A maiuscola.
La
cosa terribile, è che mi sono crogiolato
all’interno di quel sentimento,
godendone appieno, assorbendolo come se mi desse nuova linfa vitale.
Provo
qualcosa per lei? Sicuramente si, altrimenti non mi sentirei
così legato e in
colpa, ma non so cosa sia. È qualcosa che non ho mai
sperimentato e che non
riesco in nessun modo ad identificare.
È
un mix di emozioni e sensazioni che si intrecciano e mi confondono.
C’è il
desiderio di proteggerla, soprattutto da me, ma anche quello di tenerla
vicina.
Vorrei vederla più spesso, passare più tempo con
lei, ma quando ciò succede, mi
sento inferiore, assolutamente non in grado di renderle giustizia come
merita.
È
tutto così contorto che non so davvero che cosa sento.
L’unica cosa che so, è
che quando se ne andrà lascerà, un vuoto immenso.
La
sua voce, quando mi chiede spiegazioni, è debole, ferita, e
mi toglie il
coraggio di guardarla.
Vorrei
che capisse, ma non posso chiederglielo, pretenderlo. Non posso essere
così
egoista. Finora lo sono già stato abbastanza.
Improvvisamente
me la trovo davanti. Prima che possa tirarmi indietro, mi tocca,
paralizzandomi.
I
suoi occhi sono rossi e gonfi, addolorati, ma più belli di
quanto non siano mai
stati. Il rossore li fa sembrare ancora più grandi e viola
del normale.
“Non
intendevo quello. Il tuo desiderio lo capisco.”
La
sua voce si incrina e le vedo prendere un profondo respiro, come a
trovare la
forza di dire qualcosa.
Le
sue parole mi spiazzano completamente.
“Perché,
per colpire lui, devi mortificare te stesso?”
Il
mio cuore salta un battito mentre non posso distogliere il mio sguardo
dal suo.
Sembra così determinata, così forte, che mi
chiedo chi sia realmente.
È
davvero un essere umano? Oppure è una sorta di creatura
mistica?
Come
fa a guardarmi negli occhi, a toccarmi, nonostante tutto? Come fa a preoccuparsi per
me, quando la
persona che ne risulta maggiormente ferita è lei?
“Di
che cosa parli?”
Sento
le sue mani sul mio viso tremare leggermente e così capisco
che non è calma e
tranquilla come sta cercando di ostentare. I sentimenti feriti sono
ancora lì,
oscurati dalla sua preoccupazione per me.
Perché
lo fa?
“Di
te come persona. Far girare quella fotografia per umiliare tuo padre,
per
ridicolizzarlo davanti alla gente, non farà altro che
danneggiare te.”
Sul
suo viso si dipinge una strana espressione, un mix di rabbia e dolcezza.
“
Quello che da questa storia rimarrebbe maggiormente colpito, sei
tu.”
Sono
senza parole. Non capisco. Di che cosa parla? Come posso rimanere
danneggiato
da una cosa del genere? Quello con una moglie infedele è
lui, non io. Quello
che sta per perdere ogni singola cosa a cui tiene, è lui.
È
vero, io potrei perdere Chelsea, anche se per come stanno le cose, non
l’ho mai
avuta realmente. Non puoi dire che qualcosa ti
“appartiene” se non te lo sei in
qualche modo guadagnato. Prima che entrasse prepotentemente nella mia
vita ero
solo e, probabilmente, tornerò ad esserlo, quindi non riesco
davvero a capire.
Come
può ciò nuocermi diversamente?
“Non
è vero. È lui quello che ci
rimetterà.”
Lei
scuote la testa, l’espressione determinata.
“Forse,
ma tu non sei uno strumento, Adrian. Sei una persona con dei sentimenti
e
meriti più di quello.”
Indica
con fervore lo schermo del pc, l’immagine che spicca nitida e
beffarda.
“Veder
sbattere quella fotografia sui rotocalchi non umilierà solo
tuo padre per avere
una moglie infedele, ma danneggerà te come persona. Tu che
sei così riservato,
come puoi credere che questo non avrà un impatto decisivo
anche sulla tua vita?
Camminerai per la strada sapendo che ciascuna delle persone che
incontri
potrebbe aver visto quella fotografia. Non ti rendi conto di quanto
tutto ciò
sia mortificante per la tua persona?”
Sembra
così seria, così razionale, che inizio a
chiedermi se realmente ci ho pensato
bene.
Eppure
non ho il tempo di riflettere, perché Chelsea è
partita in quarta,
infervorandosi.
“Inoltre,
che ne sarà della tua credibilità? Quando ti
approprierai delle aziende di tuo
padre e tuo nonno, che ne sarà delle persone innocenti che
ci lavorano? Loro
non hanno nessuna colpa per quello che
ti è successo. So che non
avresti mai
mirato alle società senza tenere in conto i dipendenti, ma
se ti umilii a quel
modo, chi ti darà fiducia? Chi si affiderà a
te?”
Le
sue parole stavolta sono come un pugno nello stomaco.
È
vero. Tutte quelle persone, le loro famiglie, quando avrò
estromesso mio padre
e mio nonno, dipenderanno da me.
Eppure,
allo stesso tempo, non sono disposto ad abbandonare i miei propositi
“Ma
cosa altro posso fare? Non sarà mai sufficiente. Portargli
via la sua azienda,
vanificare i suoi sogni di potere… Niente di tutto
ciò sarà mai abbastanza per
distruggerlo.”
I
suoi occhi si inteneriscono. È di fronte a me, inginocchiata
sul divano, dritta
e fiera, colma di determinazione.
“Adrian,
è abbastanza. Non ti sto dicendo di non vendicarti. Per
quanto non approvi e
non riesca a comprendere davvero, sento che è qualcosa di
cui hai bisogno, ma
non lo fare a quel modo. Non abbassarti a tanto. Forse loro lo
meritano, ma tu
no di certo.”
Prende
una pausa, gli occhi nuovamente lucidi, ma stavolta non
c’è dolore nelle loro
profondità, solo una grande determinazione e tanto amore.
Per
me? Non lo merito.
Coma
fa ad essere così? A
pensare a me,
quando è lei quella che sta soffrendo?
Sbatterle
in faccia quella fotografia, è stato crudele, e a chiunque
altro sarebbe
bastato per alzare i tacchi.
Quindi
perché è
ancora qui? Perché cerca di
farmi ragionare, dandomi così tanta importanza?
Perché mi da così tanta fiducia
quando, quella che mi aveva dato, l’ho tradita senza pensarci
due volte?
“Sei
meglio di così.”
No,
non è vero. È esattamente ciò che
merito.
Scuoto
la testa, incapace di dare voce ai miei pensieri. Non posso dirlo,
sarebbe come
ammetterlo con me stesso, riaprire quella ferita.
“Perché
vuoi punirti?”
La
sua domanda fa traboccare il vaso, ormai colmo.
La
rabbia si scatena, esce prorompente e si abbatte su di lei.
Allontano
bruscamente le sue mani, tanto da farla cadere all’indietro e
le sono sopra, la
rabbia che fa andare il cuore a mille. Stringo i denti così
forte che quasi mi
fa male la mandibola.
Ho
i suoi polsi sotto le mie mani, è completamente in mio
potere, sdraiata sul
divano, senza via di fuga. Eppure, nonostante il barlume di paura che
posso
intravedere nel suo sguardo, lei non cerca di scappare, di
divincolarsi.
Rimane
semplicemente immobile, ad osservare il peggio di me stesso.
“Perché
se avessi fatto qualcosa, una cosa qualsiasi, lei non si sarebbe mai
suicidata.
Se quando la sentivo piangere e pregare mio padre di non picchiarla,
fossi
intervenuto, lei non avrebbe mai scelto di morire. Era così
disperata da
preferire la morte. Era mio dovere difenderla, invece per paura, come
un
codardo, mi rintanavo nella mia camera, dove arrivavano le sue urla
disperate.
Merito quanto loro una punizione. Avrei dovuto fare qualcosa.”
La
mia voce tuona nel salotto, rimbombando tra le pareti.
La
realtà che celavo così profondamente nascosta
dentro di me, continua a
risuonare alle mie orecchie come un eco, anche se ormai la voce si
è spenta.
Dio
quanto mi odio per quello che è successo.
Per
anni ho combattuto contro il rimorso, il senso di colpa, unendolo alla
rabbia
per il suo abbandono, incapace di accettare che è stata
anche colpa mia se lei
ha preferito andarsene.
I
suoi occhi alle volte mi supplicavano di aiutarla, ma io non ho mai
fatto
nulla, giustificando la mia codardia dicendo che era colpa sua, che se
lo era
meritato: che quel destino se lo era scelta da sola.
Ma
se anche fosse stato così, avrei dovuto fare qualcosa,
invece che rimanere
semplicemente fermo a guardare.
Che
gran codardo che sono sempre stato. In grado di prendersela con chi
è più
debole, ma che al primo accenno di confronto si arrende.
Come
è successo con lei, con Chelsea, che nonostante tutto
è più forte di quanto io
non sarò mai.
Non
appena mi ha sfidato, io mi sono subito arreso, perché in
realtà non sono ne
forte ne altro. Solo un vigliacco che si nasconde dietro le apparenze.
“Adrian!”
La
sua voce mi riporta alla realtà, facendomi sbattere le
palpebre.
I
suoi occhi sono gonfi di lacrime e mi affretto a lasciarla andare, a
tirarmi
indietro.
Che
cosa ho fatto? Sono davvero un mostro. Me la sono presa con lei,che non
ha
fatto altro che supportarmi, credere in me.
Sono
davvero una persona orribile.
Metto
più distanza possibile tra di noi, alzandomi dal divano ed
andando alla
finestra.
Deve
starmi lontana. Rischio di farle ancora più male. Non voglio
perdere il
controllo, ma è davvero difficile non essere sommerso da
tutte queste emozioni.
Non
sono in grado di gestirle o affrontarle.
Ho
bisogno di rimanere da solo, di annegare queste cose
nell’alcool e nella
lussuria.
Alle
mie spalle la sento muoversi, ma cerco di ignorarla. Non voglio
sentirla
allontanarsi è già brutto così.
Sapere
di aver superato anche con lei quella linea invisibile che separa
l’uomo dalla
bestia è qualcosa che mi tormenterà per molto,
moltissimo, tempo.
“Va
bene così. Non devi più combattere da
solo.”
La
usa voce è accompagnata dalle sue braccia che
mi avvolgono la vita e si stringono all’altezza
dello stomaco.
Sento
il suo corpo appoggiarsi contro la mia schiena, aderendo alla
perfezione.
Il
mio corpo si irrigidisce in automatico, ma non in senso sessuale. Sono
completamente
in confusione.
Che
cosa succede ora?
Abbasso
lo sguardo sulle sue mani giunte, che si aggrappano l’una
alla’altra quasi con
disperazione. Sui polsi, posso vedere il leggero arrossamento causato
dalla mia
stretta.
“Non
posso dirti cosa fare, ma ti supplico, fai pace con te stesso,
perché non
avresti potuto fare nulla. Nessun bambino o ragazzo può
cambiare le decisioni
degli adulti se loro per primi non lo desiderano. Tu non hai colpa di
niente.
Ti prego, basta. Non farti più del male!”
Le
sue parole sono una preghiera. Qualcosa di così profondo da
non lasciare
spiragli o dubbi.
Nonostante
tutto, i miei gesti, le mie parole, lei non ha intenzione di andarsene
È
una consapevolezza, una certezza, che mi scivola addosso come qualcosa
di
assolutamente benefico e neutralizza la valanga di emozioni dolorose e
contrastanti che mi hanno spinto a perdere il controllo.
Non
sto accettando le sue parole, non sto improvvisamente cambiando idea o
perdonando me stesso.
No,
niente di tutto ciò.
È
solo che pensavo, ero sicuro, non ci fosse più speranza.
Anche mentre mi diceva
di non umiliare la mia persona, ero convinto che se ne sarebbe andata,
che
appena fosse riuscita a convincermi
dell’autenticità e della razionalità
delle
sue parole, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Mentre ora, con
le sue braccia
serrate così forte da non lasciarmi quasi respirare, posso
sentire la sua
determinazione, la sua totale accettazione.
Lei vuole restare, perdonare,
guarire.
Vuole
darmi tutto ciò che non ho mai avuto.
È
così ovvio, così lampante, che mi chiedo come ho
fatto a non capirlo prima. Ce
lo avevo davanti agli occhi.
“Se
mi fermo ora, per cosa avrò sprecato tanti anni della mia
vita?”
Lei
mi stringe ancora più forte, come per assicurarsi che non
riesca a sciogliere
la sua presa.
“Tutto
quello che hai fatto, lo hai fatto per te stesso. Puoi costruirti un
futuro.
Puoi scegliere di vendicarti, di distruggere tutto quello che
c’è di buono in
te, oppure cambiare strada e migliorarti. Puoi fare tutto quello che
vuoi,
Adrian. Essere chiunque tu desideri. Io non vado da nessuna
parte.”
Le
sue parole sono un balsamo che segnano definitivamente la mia sconfitta.
Chino
la testa, con gli occhi che bruciano penosamente.
Sento
la rassegnazione alleggerire il peso che mi si era piazzato sul petto e
automaticamente
porto una mano sulle sue.
Fuori
piove a dirotto. Parlando, non mi ero accorto che il cielo si fosse
rannuvolato, ma è stranamente il linea con la bufera che si
è scatenata in
questo appartamento e, alla fine di tutto, ha vinto lei.
Come
al solito.
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Capitolo 42 *** 42 Chelsea ***
42
Chelsea
“Per
me è tutto scemo.”
Sento
salirmi alle labbra un sorriso comprensivo. Anche io credo che un
po’ lo sia,
ma non per quello che crede lei.
Ho
raccontato a Meredith quello che è successo ieri da Adrian.
È
stato più semplice del previsto aggiornarla su quanto
accaduto e mi ha permesso
di buttare fuori anche quel po’ di risentimento che era
andato formandosi
mentre cercavo di farlo ragionare.
L’ho
stretto più che potevo, cercando disperatamente di fargli
capire che, qualsiasi
fosse stata la sua scelta, non gli avrei voltato le spalle. Sarebbe
stato
difficile, duro, addirittura umiliante, lo sapevo, ma l’idea
di voltargli le
spalle, dopo aver compreso cosa per tanti anni lo ha spinto a
comportarsi in un
certo modo, non mi ha nemmeno sfiorato la mente.
È
assurdo che possa ritenersi responsabile della morte di sua madre.
Assurdo
e anche molto arrogante da parte sue.
Un
ragazzo non ha tutto quel potere ed è ora che se lo metta
bene in testa. Un
figlio dovrebbe essere protetto dai genitori, non il contrario,
soprattutto se
i figlio sono giovani.
Ne
sua madre, ne tanto meno suo padre, hanno svolto il loro dovere,
limitandosi ad
arrecargli ferite, che nel tempo sono andate accumulandosi.
Il
desiderio di lenire la sua pena è stata più forte
di qualsiasi altra cosa. Il
mio cuore ha allontanato la rabbia e il dolore perché la
ferita di Adrian era
così grande che al confronto, ciò che stavo
provando io, era un inezia.
In
quello strano abbraccio, al riparo dalla pioggia che scrosciava fuori
dalle
finestre, un po’ della rabbia che lo stava consumando si
è dissipata.
Per
un po’, ci siamo limitati a stare così, a
osservare il temporale che
assomigliava così tanto alla tempesta che si era appena
conclusa.
Quando
mi ha afferrato una mano, sapevo che non era per allontanarmi, ma per
rassicurarmi.
Per
il momento, non avrebbe fatto nulla, si sarebbe limitato a pensarci.
Devo
aver interpretato bene il messaggio, perché non appena ci
siamo allontanati,
lui è andato al pc e lo ha chiuso.
“Ora
non voglio pensarci.”
I
suoi occhi trasmettevano una tale sicurezza, che mi sono limitata ad
annuire.
Abbiamo
passato il resto del tempo assieme.
Non
si è più allontanato dal mio fianco, privandomi
completamente del mio spazio.
È
stato come se non volesse darmi la possibilità di cambiare
idea.
Mi
cercava con lo sguardo, con una mano, giusto per assicurarsi che fossi
ancora
dove mi aveva lasciata e questo suo atteggiamento, a metà
tra l’ossessivo e il
possessivo, mi ha fatto tenerezza.
Se
glielo avessi chiesto, sono sicura che mi avrebbe lasciata respirare,
ma sapevo
che sarebbe stato estremamente difficile per lui e, lo ammetto, anche
per me.
Superare
l’ostacolo ci ha avvicinati e ora lo sento molto
più mio.
L’idea
di scrivergli un messaggio non mi terrorizza più. So che non
lo ignorerebbe o
che non penserebbe che sono noiosa o asfissiante.
Prima
avevo il terrore di contattarlo proprio per non essere invadente, ma
ora è come
se ne avessi tutti i diritti ed è davvero bello.
Come
io sono sua, lui è mio, me lo ha dimostrato in tutti i modi
possibili e,
sebbene non a parole, so che lo stesso sentimento che anima me, lo sta
provando
anche lui.
Non
può essere diversamente.
Se
non per amore, chi rinuncerebbe ai progetti di una vita?
Non
voglio che si penta di non essere andato fino in fondo, ma non voglio
nemmeno
che si colpevolizzi per averlo fatto.
Qualsiasi
scelta faccia, non sarà indolore, e io sarò
lì per sopportarla con lui.
Sono
rientrata a casa che Jillian
era già
uscita e sono andata direttamente nella mia stanza per studiare un
po’. Anche
se sto pensando di cambiare indirizzo di studio, non voglio rimanere
indietro
in quello che sto facendo al momento e, tra i miei problemi familiari e
Adrian,
sono rimasta parecchio indietro.
Stamattina
mi ha chiamato Meredith, dicendomi che sarebbe passata a prendermi
perché
finalmente Logan ha finito di sistemarmi la macchina.
Quindi
è per questo che ora sono seduta al tavolo da pranzo della
loro cucina. Sono
circa le tre del pomeriggio e stasera lavoro.
La
casa è una via di mezzo tra il rustico e il moderno e ha
davvero carattere. Mi
piacciono soprattutto il contrasto tra il pavimento in parquet e le
travi
portanti di metallo, così come le grandi finestre, che mi
ricordano molto gli
appartamenti di Brooklin che si vedono nei vecchi film degli anni
novanta.
“Lascialo
stare. Non è del tutto da biasimare. Gli piace pensare di
essere cattivo, un
buono a nulla, ma alla fine è uno su cui si può
sempre contare. A modo suo, sa
essere davvero gentile. È davvero eccezionale.”
Meredith
scoppia a ridere, sedendosi sul bordo del tavolo con una tazza di
caffè in
mano. Indossa un paio di leggins scuri e una maglietta morbida color
ciliegia
che le arriva fino alle cosce. Le copre appena il sedere.
“Tutte
queste cose a lui non le hai dette, vero?”
Scrollo
le spalle, un po’ a
disagio.
“Credo
che scapperebbe a gambe levate se sapesse che ho una così
alta opinione di lui.
Non credo che accetterebbe le mie parole. Come ho detto, gli piace
penare di
essere orribile.”
Osservo
la mia amica dai capelli rossi scuotere la sua chioma con vigore ed
esasperazione.
“Ti
ei innamorata di un uomo complicato.”
Sento
il rossore imporporarmi le guance, obbligandomi a distogliere lo
sguardo a
causa dell’imbarazzo.
“Io…”
“Non
ti preoccupare. Se non possiamo parlare di sentimenti e roba
così tra di noi,
con chi dovremmo farlo? I maschi non capiscono che queste cose ci
tormentano,
che sono fondamentali per noi, solo perché non li
tormentiamo con i nostri
drammi emotivi. Avere una donna con cui sfogarti ti assicura di non
diventare
noiosa e asfissiante, soprattutto se si è alle prime
esperienze.”
La
osservo e ha lo sguardo puntato in lontananza.
“Sai,
avevo un amica a Glenwood Springs. Ora le nostre strade si sono divise
e quasi
non ci sentiamo più, ma se non fosse stato per la sua
presenza, tutte le cose
che mi tormentavano, non avrebbero avuto senso o sbocco. Quindi parla
con me se
qualcosa ti angustia, confidati senza sentirti in imbarazzo. Dubito che
potresti dirmi qualcosa in grado di scandalizzarmi.”
Non
mi guarda, ma posso percepire la sua sincerità e la
tentazione è così forte,
irresistibile.
“Non
voglio che diffonda quelle foto.”
La
verità esce dalla mia bocca con prepotenza e facendo nascere
sul suo viso un
sorriso comprensivo.
“Mi
detesto, ma non posso fare a meno di sentirmi ferita all’idea
che lui possa
rendere pubblica una cosa del genere.”
Sento
gli occhi pizzicare e faccio di tutto per trattenere le lacrime.
“Credimi,
ne hai tutti i diritti.”
“Sono
un’egoista.”
Meredith
scoppia a ridere. La guardo, scandalizzata, mentre dentro mi sento
ribollire.
Perché
lo fa? Mi prende in giro?
“Tu
non sei egoista, Chels. Non esiste al mondo persona più
generosa di te. È normale
che tu non voglia. Se mi trovassi nella tua stessa situazione, non mi
sentirei
diversamente. È qualcosa che nessuno potrebbe superare
indenne. Vedere l’uomo
che ami a letto con un'altra, è già di per se
terribile, ma che la cosa sia di
dominio pubblico è anche peggio. Ferisce profondamente e non
saresti normale se
approvassi una cosa del genere.”
“Però
non è giusto. Ha le sue ragioni.”
Meredith
scuote la testa, esasperata.
“Quando
qualcosa ci ferisce, non ha tanta importanza la motivazione.
È già tanto che tu
abbia capito. Avresti semplicemente dovuto dirglielo.”
Stavolta
sono io a scuotere la testa.
“Non
potevo e non posso. Odio l’idea che per distruggere la sua
famiglia debba
umiliarsi più di quanto non detesti l’idea di
vedere quella foto pubblicata sui
giornali. Inoltre sono sicura che lo farebbe, che se gli dicessi di non
farlo,
lui non lo farebbe, ma a cosa servirebbe? Se decidesse di non mandare
quella
foto per me, ho paura che un giorno me lo rinfaccerebbe, che
inizierebbe a
provare rancore nei miei confronti e questa prospettiva mi terrorizza.
No, va
bene così. Anche se è difficile e potrebbe
ritorcersi contro di me, deve essere
lui a decidere. Sono convinta che prenderà la decisione
giusta da solo.”
Meredith
mi guarda, sconsolata.
“L’altruismo
è un arma a doppio taglio, spero che non si ritorca contro
di te.”
Lo
spero anche io.
Rimaniamo
a parlare ancora per una decina di minuti, dove lei mi aggiorna sulle
ultime
novità.
La
prossima settimana è il compleanno di Ryan e sicuramente la
signora Lynch verrà
in città per festeggiare il suo primogenito.
L’unico
problema è che ancora non hanno detto alla madre di avere un
altro fratello e
le cose si stanno complicando.
Me
ne vado fin troppo presto. Era da parecchio che io e Meredith non
passavamo del
tempo assieme in tranquillità. Con tutto quello che
è successo, se mi guardo
indietro, mi sembra di essere stata sulle montagne russe.
Non
ho nessuna voglia di andare a lavoro. Cucinare insieme a Jillian ho
paura non
sarà piacevole. Sono sicura che mi dirà qualcosa
dato che non sono rientrata a
dormire e non ho nessuna voglia di dare giustificazioni.
Per
quanto possa volerle bene, la necessità di abitare per conto
mio sta diventando
sempre più impellente.
Siamo
passate da zero a cento in un battito di ciglia e non credo proprio che
mi
abituerò ad essere di nuovo sotto il controllo di qualcuno.
È
bello riavere la mia macchina, essere di nuovo indipendente e non dover
chiedere a qualcuno di scarrozzarmi da una parte all’altra
della città.
Parcheggio
nel piazzale di fronte al Blue Moon ed esalo il respiro che non mi ero
accorta
di aver trattenuto.
Non
ne ho nessuna voglia. Sarebbe così facile e bello rimettere
in modo, fare
marcia indietro e andare da Adrian. Il
desiderio di passare del tempo con lui, semplicemente vicini, senza
dire una
parola, è estremamente allettante.
Il
bussare al finestrino mi fa sobbalzare, facendomi salire il cuore in
gola.
Mi
calmo immediatamente quando vedo chi c’è
dall’altra parte, ma non riesco a
fermare le ginocchia, che a causa della scarica di adrenalina stanno
tremando
violentemente.
Apro lo sportello e rivolgo un
timido sorriso alla
ragazza, i cui occhi scuri mi fissano gelidi.
“Dio,
Susan. Mi hai spaventata.”
Afferro
la borsa e scendo dalla macchina, assicurandomi di averla chiusa bene.
“Non
essere melodrammatica.”
“Come
mai sei qui fuori? È buio ed è
pericoloso.”
Lei
mi rivolge un’occhiataccia, scuotendo i ricci capelli stretti
in una coda di
cavalo.
“Non
sono affari tuoi.”
Si
incammina verso il retro del locale e la seguo.
Che
scorbutica. Poteva benissimo dirmi che stava buttando
l’immondezza, senza fare
tante sceneggiate.
“Non
riesco a capire cosa ti ho fatto di male.”
Lei
si ferma e prima di accorgermene l’ho superata. Mi giro per
guardarla e l’espressione
del suo viso è feroce.
Si
muove velocemente, tanto che non capisco che cosa stia succedendo fino
a quando
non sento il mondo capovolgersi e la testa sbattere contro qualcosa di
duro.
Per
un istante non capisco più nulla. Ho la vista annebbiata, la
schiena che mi fa
male, la testa che sembra sul punto di spezzarsi.
Lentamente
riesco a mettere a fuoco quello che mi circonda. Sono sdraiata
scompostamente
sull’asfalto, adagiata contro il muro dell’edificio
accanto.
Susan
incombe su di me, il volto una maschera di odio.
“Che
cosa..?”
“STAI
ZITTA!”
Urla
così forte che la sua voce rimbomba nella mia testa. Mi
porto una mano dietro
la nuca, dove sento un forte pulsare e sento qualcosa di caldo bagnarmi
le
dita.
So
cos’è, ma non ho tempo di assicurarmene,
perché la giovane si inchina di fronte
a me e mi afferra il viso con violenza per obbligarmi a guardarla.
Non
avevo mai visto prima tanto odio e tanta cattiveria. È come
se mi trovassi di
fronte al demonio in persona.
“Tutti
a parlare di te, la dolce e carina Chelsea. Poverina,
chissà quanto ha sofferto. Siamo davvero fortunati ad averla
con noi.”
Imita
ironicamente chi ha detto quelle frasi, sputando fuori le parole con
disprezzo
e disgusto.
“Chelsea
di qua, Chelsea di la. Non si fa altro che elogiarti, ma io so bene che
tipo di
persona sei. Che accidenti hai tu che io non ho? Perché
tutti ti tengono in
gran considerazione, quando non sei altro che una poveraccia che per
avere un
lavoro sfrutta l’aiuto dei genitori?”
Probabilmente
sul mio viso si dipinge la sorpresa, perché la mia
assalitrice scoppia in una
risata fredda.
“Pensavi
che non lo sapesse nessuno? Sono stati bravi a mantenere il segreto, ma
era
ovvio. Bastava guardarvi assieme per capire che tu e la cara Jillian
non siete
solo colleghe.”
Si
perde un momento nei suoi pensieri e il silenzio ingombrante acuisce il
dolore
alla mia testa. Non c’è spazio per
nient’altro se non per il dolore.
Non
riesco nemmeno a provare paura, anche se so che dovrei essere
spaventata a
morte.
Sono
ferita e inerme di fronte alla forza del suo odio.
Questa
ragazza, non ha nulla da perdere.
Mi
stringe con più forza il mento, facendomi sentire sulla
pelle le unghie.
“Quindi
perché, anche se sei così patetica, lui ti tratta
così gentilmente? COS’HAI TU
CHE IO NON HO?”
La
collera lascia il posto alla tristezza, mentre i suoi occhi si
riempiono di
lacrime, come se
stesse soffrendo.
“Perché
Adrian non si è innamorato di me?”
Eccomi
con il nuovo capitolo. Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma
ero bloccata e mi mancava un collegamento per poter inserire questa
parte nel modo opportuno. Ringrazio quindi Silvia che mi ha aiutata a
vedere quello che non riuscivo ad identificare. Cosa ne pensate di
questo capitolo? Spero che sia valsa la pena aspettare.
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Capitolo 43 *** 43 Adrian ***
43
Adrian
Non
avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione del genere.
L’agitazione,
l’ansia, ormai mi stanno dominando e non sono sicuro di voler
fuggire a questi
sentimenti.
Se
prima non ero certo di cosa provavo, ora non posso fare a meno di
pensarci.
È
difficile passare dall’indifferenza totale ad una tempesta
emozionale di queste
dimensioni, ma la preoccupazione è troppa per soffermarmi a
pensare che, a
quanto pare, Chelsea aveva perfettamente ragione su di me.
Guardo
con odio il semaforo rosso, con il piede che muore dalla voglia di
premere
l’acceleratore per accorciare la distanza che mi separa dalla
mia destinazione.
Non
hanno saputo dirmi nulla. So solo che Chelsea è in ospedale
e la cosa mi
terrorizza.
Che
diamine è successo? Avrebbe dovuto essere
a lavoro, in un posto dove nessuno le avrebbe fatto del
male, non su una
fredda barella, chissà in che condizioni.
Ha
avuto un incidente d’auto? È caduta dalle scale?
Non ne ho idea. Non riesco a
pensare ad un buon motivo per cui lei possa trovarsi li.
Questo
pomeriggio mi ha mandato un messaggio dove diceva che sarebbe andata a
trovare
Meredith e a ritirare la macchina riparata da Logan.
Da
allora non l’ho più sentita e non so cosa pensare.
Non
voglio pensare che le sia accaduto qualcosa di grave. Il pensiero che
non potrò
più vedere il suo sorriso o i suoi occhi violetti mi ha
sfiorato solo una
volta, sconvolgendomi.
Mi
sono rifiutato di pensarci ancora, perché l’idea
è insostenibile. Non posso
perdere ancora una volta qualcuno a cui tengo. Questa vita, nonostante
il
dolore che ho arrecato e gli sbagli che ho fatto, non può
essere così crudele e
scorretta, perché Chelsea non merita qualcosa del genere.
Voglio
credere che il Dio in cui lei crede così tanto non le
farà del male, anzi, la
proteggerà.
Finalmente
il maledetto semaforo diventa verde e la macchina schizza in avanti con
un
sobbalzo.
Non
mi trovavo lontano, anzi, ero relativamente vicino al Denver Healt,
l’ospedale
dove hanno portato Chelsea. Ero appena arrivato a casa di mio padre a
Circle
Drive quando Meredith mi ha chiamato.
“Chelsea
è in ospedale, al Denver Healt. Muovi il culo.”
Molto
sintetica ed efficiente, ma anche in quelle poche parole, ho potuto
sentire la
sua preoccupazione.
Ho
rimesso in moto la macchina e fatto dietrofront. Se non avessi trovato
tutti i
semafori rossi, sarei già arrivato da un pezzo.
La
preoccupazione mi sta stringendo lo stomaco in una morsa dolorosa. Ho
bisogno
di vederla, assicurarmi che stia bene, solo allora potrò
affrontare la tempesta
che la paura di perderla ha scatenato.
Svolto
l’angolo e la facciata bianca dell’ospedale scatena
il sollievo. Illuminata da
dei faretti, la scritta Denver Healt si legge a malapena, mentre
l’effige posta
sopra, che raffigura un uomo, una donna e un bambino stilizzati sono
praticamente indistinguibili.
Parcheggio
la macchina il più vicino passibile all’ingresso
del pronto soccorso e mi
fiondo dentro.
Alla
reception c’è un infermiera di circa
quarant’anni, che non si stupisce affatto
della mia espressione preoccupata.
“Posso
esserle d’aiuto?”
Avrei
voluto parlare in modo concitato, sparare mille domande e avere
immediatamente
risposta, ma il suo tono pacato mi calma immediatamente. Sicuramente
è un
metodo collaudato.
“Sto
cercando Chelsea Lauren. Mi hanno detto che è stata portata
qui.”
“Aspetti
che controllo.”
Digita
rapidamente qualcosa sulla tastiera del computer e poi fa scorrere la
rotellina
del mouse, osservando con attenzione il monitor.
“L’hanno
portata al quarto piano. Parli con il dottor Murphy.”
La
ringrazio e mi fiondo verso gli ascensori sulla sinistra.
Per
la prima volta, sono grato a mio padre per avermi trascinato con lui
ogni qual
volta doveva fare visita ad un uomo d’affari ricoverato,
altrimenti non sarei
riuscito a muovermi così facilmente.
Le
porte scorrevoli si chiudono non appena premo il numero 4. La mia
faccia, nello
specchio, è bianca e le occhiaie enfatizzano la mia
preoccupazione.
Con
i capelli spettinati, a causa delle troppe volte in cui vi ho passato
la mano,
e l’aspetto di un cadavere appena rianimato, son uno
straccio, ma non m’importa
di apparire perfetto, non in questo momento.
L’ascensore
sembra metterci una vita per salire al piano giusto e quando finalmente
esco
nel corridoio semi deserto, mi tremano le gambe e ho una lieve nausea
da
movimento.
Il
bancone bianco dove chiedere le informazioni è praticamente
di fronte alle porte
e sulla sedia, a consultare delle cartelle, c’è
una ragazza di circa
venticinque anni, con i lineamenti delicati, i capelli rossi e gli
occhi
chiari.
Per
fortuna non è una di quelle sempre pronte a provarci,
perché con fare
professionale mi chiede come può essermi utile.
“Sto
cercando il dottor Murphy. Al pronto soccorso mi hanno detto di parlare
con lui
per quanto riguarda una vostra paziente appena ricoverata.”
“Lo
chiamo subito. Mi dica il nome della paziente e vediamo se posso in
qualche
modo rassicurarla.”
Apprezzo
la disponibilità, ma il cuore batte così forte e
l’ansia è così tanta che spero
non ci metta molto il medico a raggiungermi. Non credo
riuscirò a comportarmi
bene ancora a lungo.
La
ragazza cerca tra le cartelle quella giusta subito dopo aver premuto un
pulsante su una specie di console.
“Allora,
vediamo un po’. Chelsea Lauren, Chelsea Lauren…
Eccola qui.”
Consulta
rapidamente la cartella mentre non sto più nella pelle.
“L’abbiamo
ricoverata nella stanza 432. Le sono stati somministrati liquidi per
endovena e
una dose di morfina per alleviare un po’ il dolore. Sulla
cartella non c’è
scritto altro per il momento, mi dispiace. Dovrà attendere
il medico.”
“Posso
vederla”
Lei
scuote la testa, l’espressione mesta.
“Mi
dispiace, se non è il dottor Murphy a dare il via libera, io
non posso farla
entrare. So che è difficile aspettare, ma gli lasci fare il
suo lavoro. La sua
ragazza è in ottime mani.”
Mi
stupisce che l’infermiera abbia capito così tanto
solo dopo aver scambiato
poche parole, ma non dovrebbe essere così. Dopotutto,
sicuramente questa
giovane ne ha visti parecchie di persone preoccupate ed è
ormai in grado di
capire che genere di persona ha davanti.
Mi
sforzo di sedermi su una delle sedie, ma prima ancora di rendermene
conto, sono
di nuovo in piedi, camminando avanti e indietro vicino agli ascensori.
Scruto
con attenzione ogni medico che si avvicina alla reception, sperando che
sia
quello che sto aspettando, ma tutti si allontanano dopo un breve
scambio di
parole e aver preso una cartella dal mucchio.
“Mi
scusi, è qui per la signorina Lauren?”
Mi
volto di scatto, trovandomi di fronte un uomo sulla cinquantina con i
capelli
striati di bianco e gli
occhi scuri
nascosti da un paio di occhiali rettangolari.
“Sì,
sono Adrian. Come sta?”
Si
avvia lungo il corridoio, facendomi segno di seguirlo.
“Le
condizioni della paziente sono abbastanza buone. Le abbiamo fatto un
primo
esame completo e ha una leve commozione cerebrale, quindi è
un po’ affaticata,
ma cosciente. Ha un paio di costole incrinate e un polso slogato. A
parte
alcune escoriazioni di minore entità, le sue condizioni
generali sono
abbastanza buone.”
“Ma
che cosa è successo? Nessuno ha saputo dirmi
nulla.”
“Non
conosco i dettagli, ma dalle lesioni, posso supporre che sia stata
picchiata da
qualcuno. Ha opposto resistenza, quindi è per questo che sta
fisicamente abbastanza
bene.”
Si
ferma davanti ad una porta, l’espressione tranquilla.
“La
terremo in osservazione per un paio di giorni, in modo da permettere
alle
costole di iniziare a guarire senza farle provare troppo
dolore.”
Punto
lo sguardo sul numero della stanza, osservandola come se dovesse
modificarsi da
un momento all’altro.
“Tenetela
tutto il tempo che sarà necessario. Mi occuperò
io della fattura.”
“Ne
parli alla reception. Vi lascio soli. Rimanga pure quanto vuole, ma non
la
faccia affaticare.”
Il
medico si allontana con passi leggeri, lasciandomi finalmente da solo.
Improvvisamente
ho paura di entrare. Non so cosa aspettarmi.
Prima
di perdere il coraggio, abbasso la maniglia ed entro il più
silenziosamente
possibile.
Chelsea
è sdraiata nel letto in fondo, quello vicino alla finestra
che da sulle luci
della città. Posso vedere solo la sua nuca fasciata, dato
che il resto del
corpo è nascosto da un lenzuolo candido.
Forse
mi ha sentito, perché volta lentamente la testa, lasciandomi
senza fiato.
“Cristo
Santo.”
Le
parole mi escono dalla bocca quasi come una maledizione.
Se
per il medico le sue condizioni sono buone, non oso immaginare come
siano i
pazienti mal messi.
Il
viso di Chelsea è pieno di graffi e lividi.
Ho
un taglio sopra il sopracciglio, un livido sulla mascella, il labbro
inferiore
lacerato e un brutto segno sulla guancia.
“Sono
tanto brutta?”
La
sua voce fiacca mi fa riprendere dallo shock. Come possono averle fatto
del
male?
“No.
Sei sempre bellissima.”
Lei
sorride appena, muovendosi lentamente per raddrizzarsi.
“Bugiardo.
Mi sono vista allo specchio. Faccio paura.”
Mi
avvicino al letto e prendo la sedia più vicina per
accomodarmi al suo fianco.
“Non
sto mentendo. Il fatto che tu sia ferita non ti rende meno incantevole
ai miei
occhi.”
Stento
a riconoscermi, ma vederla sveglia, sebbene dolorante, allevia la mia
preoccupazione.
Finalmente
il cuore può smettere di battere come se stessi correndo,
perché lei starà
bene. Non è successo nulla di irreparabile.
Le
scappa un sorriso, mentre si contrae con una smorfia di dolore sul viso.
“Ti
prego non farmi ridere. La morfina non è miracolosa come
dicono.”
Le
stringo gentilmente una mano, quella fasciata fino al polso e la guardo
attentamente.
“Scusami.
Ero solo preoccupato.”
“Come
lo hai saputo?”
“Mi
ha chiamato Meredith. Non mi ha detto altro, quindi ero davvero
preoccupato.
Che cosa è successo?”
Lei
guarda di nuovo fuori dalla finestra e rimane in silenzio.
“Chelsea?”
“Non
voglio parlarne Adrian. Anzi. Preferirei che te ne andassi!”
Rimango
senza parole.
Che
cosa ha detto?
“Come?”
Lei
non mi guarda e addirittura allontana la sua mano dalla mia presa.
“Per
favore, Adrian. Se vuoi che mantenga la mia promessa. Lasciami sola. Ho
bisogno
di metabolizzare.”
Vorrei
protestare ma una mano sulla mia spalla mi obbliga a tacere.
Al
mio fianco c’è Meredith, con un espressione
avvilita in volto. Scuote la testa,
invitandomi con un cenno a seguirla.
Non
vorrei andarmene. Vorrei capire che cosa sta succedendo e
perché Chelsea mi sta
allontanando, ma inizio a credere che quello che sia successo sia
più grave di
quanto sembri.
Il
minimo che posso fare, è assecondarla. Il medico ha detto di
non farla
affaticare e tutto voglio, tranne che farla soffrire.
“D’accordo.
Ma tornerò domani. Va bene?”
La
vedo annuire e seguo Meredith fuori dalla stanza.
“Che
cosa è successo?”
Lei
sembra restia a parlare, ma so che cederà. Non molto tempo
fa, lei stessa si è
trovata in una situazione simile.
“Non
si è ben capito il perché, ma Susan, una delle
cameriere del Blue Moon, ha
aggredito Chelsea non appena arrivata al locale. Sai, in quel vicolo
con la
telecamera. Owen mi ha detto che avrebbe dovuto essere fuori uso fino a
domani,
ma che i tecnici hanno ristabilito il collegamento stamattina, motivo
per cui
sono riusciti a vedere che cosa stava succedendo. Susan la stava
picchiando,
urlando inferocita qualcosa che ti riguardava. Non sono riusciti a
capire di
cosa si trattasse e ora se ne sta occupando la polizia.”
Mi
rivolge un’occhiata di fuoco, mentre io non so cosa pensare.
La mia testa si è
completamente svuotata.
Quindi
è colpa mia se Chelsea si trova in quelle condizioni?
“Senti.
So che di stronzate ne hai combinate parecchie nella tua vita, ma non
pensare
che sia colpa tua. Non so di cosa si tratta e non sono nemmeno sicura
di
volerlo sapere, ma se quella è una pazza furiosa, tu non hai
colpe. Quindi
limitati a trovare un modo per sistemare la faccenda e poi torna qui.
Anche se
fa la dura, non ce la può fare da sola.”
Indica
con un dito la stanza di Chelsea e so che, se non lo pensasse davvero,
non mi
permetterebbe mai di avvicinarmi alla sua amica.
Annuisco,
incapace di dire altro.
Mentre
lei rientra nella camera, io mi avvio verso la reception.
Sistemerò intanto le
questioni burocratiche, assicurando a Chelsea la miglior sistemazione
possibile, dopo di che mi occuperò di scoprire che accidenti
è successo.
***
Il
rumore della porta di metallo di sicurezza che si chiude alle mie
spalle è
identico a quello che si sente nei film o nei telefilm polizieschi.
Non
sono nemmeno le quattro del mattino, ma con una bella mazzetta, sono
riuscito
ad entrare alla stazione di polizia dove stanno trattenendo la pazza
che ha
aggredito Chelsea.
Ci
sono volute quasi due ore per scoprire dove la stavano detenendo, ma
alla fine
sono riuscito nel mio intento. Il poliziotto che si occupa di far
entrare i
visitatori notturni, ha chiuso un occhio sul fatto che non sono stato
chiamato
dalla detenuta.
Cammino
lentamente nel corridoio che divide le celle, fino ad arrivare a quelle
in
fondo, occupata solo da due donne.
Una
di esse è sdraiata sulla panca di metallo, avvolta in una
pelliccia dozzinale
rosa shocking. L’altra, indossa un paio di jeans e il
grembiule del Blue Moon.
Forse
sente la mia presenza, perché spalanca gli occhi e il suo
viso si illumina di
gioia.
Non
ricordo di averla mai vista. I suoi lineamenti sono delicati, gli occhi
molto
scuri, ma non grandi, le labbra sottili. Non è una gran
bellezza e di sicuro
non me ne ricordo.
“Sei
venuto per me? Lo sapevo che saresti venuto per portarmi via.”
La
sua voce è una cantilena intrisa di follia. Ha gli occhi
lucidi e ho come l’impressione
che stia vivendo una fantasia tutta sua, perché io davvero
non so chi sia
questa tizia.
Sento
la rabbia montarmi dentro. Perché ha fatto una cosa del
genere a Chelsea, che
non ha mai fatto del male a nessuno?
“Chi
sei?”
Il
suo sguardo si offusca, come se stesse tornando alla realtà.
Posso vedere la
confusione, la ricerca di una spiegazione che possa comprendere.
Quando
riesce a formulare un pensiero che per lei abbia senso, torna a
sorridere.
Ha
davvero qualcosa di inquietante.
“Oh,
giusto. Non si deve sapere che ci conosciamo. Tu lo sai che
l’ho fatto per te.”
Si
avvicina alle sbarre e le afferra con forza, premendosi contro il
freddo
metallo come se volesse attraversalo per raggiungermi.
Non
sono mai stato spaventato da una donna, ma questa credo sia realmente
pazza e
pericolosa per chiunque. Andrebbe internata.
“Lo
sai anche tu che quella non è una donna adatta a te. Hai
visto che aspetto
miserevole? Non è come me. Io sono forte. Posso farti
realmente felice.”
I
suoi occhi sono colmi di aspettativa e non so come comportarmi. Voglio
delle
risposte, ma ho il sentore che se dovessi attaccarla, lei si
chiuderebbe a
riccio.
“Susan.”
Pronunciare
il suo nome mi lascia una sensazione di sporco addosso, come se avessi
calpestato gli escrementi di un cane e non fossi riuscito a ripulire
per bene
la scarpa.
“Non
chiamarmi così.” La sua voce si affloscia e il suo
sguardo diventa come quello
di un animale bastonato.
“Come
dovrei chiamarti allora?”
Il
suo sorriso si allarga, compiaciuto.
“Sono
passati così tanti anni e nemmeno allora pronunciavi il mio
nome. Non me lo hai
mai chiesto, in effetti, ma io so tutto di te, ti seguo da allora,
aspettando
il momento giusto per farmi vedere e ricordarti che sono davvero
perfetta per te.”
Capisco
poco e niente dei suoi vaneggi, ma inizio a pensare che mi dovrei
ricordare di
questa persona.
Si
allontana dalle sbarre e fa una giravolta su se stessa con le braccia
aperte.
“Sono
così diversa senza quella casacca. Non mi stanno bene questi
vestiti?”
Si
avvicina di nuovo, allungando una mano verso di me. Ha un espressione
scontenta, delusa.
“Coraggio
Adrian, non vorrai farmi credere di esserti dimenticato di me.
Dopotutto, mi
hai privato del mio futuro, facendomi scoprire che fuori dalle mura del
convento c’era molto altro da scoprire. E io l’ho
fatto, proprio come mi hai
insegnato tu. Ti prego, chiamami ancora Sorella.”
Non
riaffiorano i dettagli, no, di quelli allora non mi importava e li ho
cancellati, ma finalmente capisco chi ho davanti, chi è
questa folle e non
posso fare a meno di sentirmi responsabile di quello che le
è successo, per il
suo declino.
Ero
stupido, immaturo, arrabbiato e ho fatto qualcosa che non avrei dovuto,
ora lo
so, ma nonostante ciò, nonostante capisca che la sua vita
è cambiata per colpa
mia, non sono stato io l’artefice della sua sorte.
Forse
avrò anche dato il via, ma sono passati quasi sette anni da
quando ho lasciato
il collegio esclusivo in cui ho studiato per gli anni del Liceo e non
sono
responsabile di quello che questa donna ha fatto di sua spontanea
volontà.
Non
le ho mai fatto credere di essere innamorato di lei e quando me ne sono
andato,
le ho detto brutalmente che per me è stata solo un gioco, un
passatempo.
“Mi
dispiace di averti rovinato la vita, di aver giocato con te, ma quando
ti dissi
che eri solo un passatempo, ero serio. Ti ho usata, umiliata, e per
questo mi
scuso, ma non ho nessuna intenzione di colpevolizzarmi
perché tu sei una pazza.
Hai scelto da sola che cosa fare della tua vita, non dare a me la colpa
dei
tuoi errori, non usarmi come alibi per giustificare le tue azioni. Stai
tranquilla che farò tutto ciò che è in
mio potere per assicurarmi che tu riceva
l’aiuto di cui hai bisogno e non ti possa più
avvicinare alle persone a me care.
È il minimo che possa fare, ma questa è la prima
e l’ultima volta che parlerò
con te.”
Detto
ciò, seguito dalle urla e dal suo pianto isterico, me ne
vado, sotto lo sguardo
sbigottito e assonnato degli altri ospiti delle celle.
C’è
solo una persona a cui devo chiedere scusa, da cui devo farmi perdonare
e
quella, al momento, si trova su un letto d’ospedale a causa
del mio passato da
incosciente.
Siamo
quasi alla fine, ragazzi. Tenetevi forte.
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Capitolo 44 *** 44 Chelsea ***
44
Chelsea.
“Ti
giuro che non lo capisco.”
Meredith
è seduta sulla sedia accanto al mio letto,
l’espressione pensierosa e anche un
po’ furibonda. “Come ci riesci?”
Normalmente
mi limiterei a sollevare le spalle, perché non sono certa
della risposta da
dare, ma da quando mi sono svegliata, tutta dolorante, ho capito che
alcuni
movimenti è meglio se non li faccio.
Jillian
è venuta in ospedale subito dopo aver finito di lavorare.
Sapeva che ero in
buone mani e non poteva lasciare Owen nei casini, per quanto sono certa
che lui
le abbia detto di venire in ospedale e fregarsene del lavoro Ovviamente
mia
madre è una donna tutta d’un pezzo e non si
avrebbe mai fatto una cosa del
genere.
La
sua integrità, in questo frangente, mi ha colpito molto,
anche perché lei è
stata una delle prime persone a soccorrermi quando Aaron e Owen si sono
accorti
di quanto stava accadendo. Il suo sguardo preoccupato è una
delle poche cose
che ricordo di quei momenti.
Non
appena ho capito di essere al sicuro, protetta dalle persone che mi
vogliono
bene, l’adrenalina che fino a quel momento mi aveva permesso
di tenere duro, è
evaporata, facendomi perdere conoscenza.
Faceva
troppo male.
Mi
aspettavo, quando mi sono svegliata, di trovare qualcuno accanto, ma
ero sola
nella stanza e, visti i pensieri che mi hanno invaso la mente,
è stato meglio
così. Avevo bisogno di tempo.
Non
riesco ad immaginare quanto sia stato difficile per mia madre aspettare
notizie
da altri, ma il pianto liberatorio che le ha scosso le spalle quando
è entrata
nella mia camera e mi ha vista sveglia, anche se con il viso pesto,
è stato un
indice piuttosto preciso della sua sofferenza e della preoccupazione
che la
stava logorando. Anche se l’infermiera carina che si
è presa cura di me ha
provato a mandarla via, senza molta convinzione, lei non ha voluto
allontanarsi
dal mio capezzale fino a quando non è stata certa che non
stessi per scomparire
da un momento all’altro. È andata via che erano
quasi le cinque, ma solo un’ora
dopo sono finalmente riuscita a prendere sonno. In quel momento stavo
abbastanza bene, ma appena sveglia, il dolore è tornato ad
aggredirmi,
ricordandomi la brutta avventura che ho vissuto.
L’infermiera,
stavolta una donna sulla cinquantina con i capelli neri come i suoi
occhi, ha
aggiunto molto presto un antidolorifico alla flebo, ma anche
così, se mi muovo
troppo, il dolore diventa insopportabile.
Il
mio corpo è ridotto all’immobilità
forzata.
“Se
ti trovassi al mio posto, faresti lo stesso. Logan mi sembra tutto,
meno che un
santo, ma non mi sembra che tu lo abbia mai colpevolizzato per le sue
scelte
del passato.”
La
carenza di sonno, unita al dolore, mi hanno resa più acida e
intollerante, per
nulla incline all’ottemperanza.
Meredith
distoglie lo sguardo, consapevole della veridicità delle mie
parole.
“Sì,
ma il suo passato non ha l’aspetto di una donna
vendicativa.”
Sento
la coltre di malumore contro cui stavo combattendo poggiarsi su di me
con forza,
inarrestabile.
Cerco
di rivolgere alla mia amica l’occhiata più
scontrosa di cui sono capace, ma dal
suo sorriso divertito è evidente che non ci sono riuscita e
che la mia non è
stata altro che una buffa smorfia.
Rimaniamo
in silenzio alcuni secondi, dove mi limito a guardare quel poco di
cielo
azzurro che si intravede tra le nubi cariche di pioggia.
Adrian
non è ancora tornato e non so se esserne felice o scontenta.
Quando
gli ho chiesto di andarsene, è stato solo perché
avevo bisogno di tempo: per
pensare, per farmene una ragione, per metabolizzare.
Per
capire e trovare un perché.
Ancora
non riesco a credere a quello che mi ha detto Susan, ma conoscendo
Adrian,
sapendo che tipo di uomo è sempre stato, non riesco a
pensare che siano tutte
bugie, quindi accettare tutto ciò è ancora
più difficile.
Dopotutto,
quale donna riuscirebbe a perdonare al proprio uomo certe cose, anche
se del
suo passato?
Prima
di essere accecata da un attacco di collera, Susan mi stava raccontando
il suo
passato, la sua bellissima e serenissima vita nel convento dove
è stata
cresciuta.
Abbandonata
fuori dal cancello dello stesso, è stata cresciuta dalle
suore nella religione,
nell’amore e altruismo verso il prossimo, questo fino a
quando, a diciannove
anni, non ha conosciuto Adrian, che allora non ne aveva nemmeno
diciotto.
Credevo
che Susan avesse più o meno la mia età, non le
avrei mai dato ventisei anni.
L’Adrian
di cui mi ha parlato, io non l’ho mai conosciuto. Il ragazzo
tenebroso,
infuriato con il mondo, sempre pronto a trasgredire le regole, io non
l’ho mai
conosciuto, ma non faccio fatica ad immaginarmelo.
Non
fatico affatto ad immaginare i suoi occhi tempestosi che lanciano lampi
tutto
attorno, sfidando chi lo circonda a fare qualcosa di cui pentirsi.
Un
Adrian giovane, preda della rabbia e in creca di vendetta, che si
è
approfittato di una giovane ingenua, distruggendola.
Sapendo
questo, la sua reticenza nei miei confronti, assume un nuovo
significato, che
invece che farmelo detestare, me lo fa apprezzare, perché mi
fa capire che non
è più quel genere di persona.
Il
tempo lo ha cambiato e mi da coraggio pensare che forse, un
po’ di quel cambiamento,
è anche opera mia.
Ho
trovato molte similitudini tra me e Susan, soprattutto nel modo in cui
siamo
state cresciute e di cosa ciò ha comportato per la nostra
personalità. Questo fino
a quando non è arrivata al punto dell’abbandono e
la sua follia è cresciuta
fino a diventare ingestibile.
I
ricordi sono piuttosto confusi. È successo tutto troppo in
fretta e il dolore,
misto allo shock di quanto stava succedendo, hanno reso tutto
decisamente
inverosimile, come un brutto sogno.
Un
momento prima mi stava dicendo che era stata cacciata dal convento e
che aveva
dovuto trovare il modo di sopravvivere e un istante dopo stava urlando,
stingendomi il polso così forte da farmi male.
Mi
ha strattonata e ho sentito l’articolazione tendersi e
girarsi. Pensavo di non
poter provare più dolore di così, ma se non mi
fossi ribellata, se nella mia
testa non fosse scattato qualcosa in grado di darmi la forza di
reagire, non so
se starei così “bene”.
Forse
è stato scoprire ciò che ha fatto a darmi la
forza, il coraggio di andare oltre
il primo istinto di rannicchiarmi e subire.
Il
guasto alla macchina non è stato un incidente, ma un
sabotaggio. La sua
intenzione era un’altra, ma la persona a cui ha chiesto di
mettere fuori uso la
mia macchina non se l’è sentita di andare fino in
fondo. Poteva andarmi peggio.
Come
se ciò non bastasse, è stata lei a devastare la
mia camera al dormitorio. Ha
distrutto tutti i vestiti che ho indossato quando ero in compagnia di
Adrian.
Io pensavo che fossero stati scelti a caso, ma lei sapeva tutto, ogni
singola
cosa accaduta tra me e Adrian nell’ultimo periodo.
Sapeva
del bacio nello spogliatoio, di quello nel corridoio del dormitorio,
che l’ha
spinta ad agire e spaventarmi. È stata lei a scattare le
foto quella notte. Era
lì, fuori dal dormitorio, nascosta dalle siepi, che mi
aspettava.
Se
non ci fosse stato Adrian, non so cosa sarebbe successo, ma questo
l’ha fatta
infuriare ancora di più.
Voleva
ferirmi, farmi del male, ma non ero mai sola, mai in una situazione
dove
potesse agire liberamente per intimidirmi, per riprendersi
ciò che, nella sua
mente distorta, era suo di diritto.
Non
sapevo che la telecamera di sicurezza del vicolo fosse in manutenzione
fino a
quando non è stata Jillian a dirmelo, che dalla cucina non
si è accorta di
nulla.
Susan
mi ha teso un agguato, aspettando di potermi avvicinare con una scusa
banale e
senza lasciarmi vie di fuga.
Sapeva
che non mi sarei allarmata. Secondo lei, sono stupidamente ingenua e
credulona,
ma vedere del buono in chiunque non è qualcosa di cui
vergognarsi, bensì
qualcosa di cui essere orgogliosi.
Non
mi importa che ciò sia accaduto anche a causa della mia
buona fede, perché è un
atteggiamento che mi ha permesso di scoprire nuove sfumature della
vita.
È
un atteggiamento che mi ha permesso di superare tutte le batoste che
questi
ultimi mesi mi hanno riservato.
È
qualcosa di inestimabile che mi ha permesso di conoscere una persona
speciale
come Adrian, di cui mi sono innamorata e grazie al quale ho vissuto
esperienze
di cui non mi pento assolutamente, ma che conservo nel cuore come un
inestimabile tesoro.
Però,
nonostante ciò, tutte queste cose, le cattiverie, la
premeditazione e la
violenza, sono state difficili da digerire, da razionalizzare,
perché il mio
primo istinto è stato quello di non volerlo più
vedere. Nonostante mi si
spezzasse il cuore all’idea che non avrei più
visto i suoi occhi dal colore
indefinito, guardarmi come se fossi qualcosa di prezioso e da
proteggere, non
sono riuscita a perdonarlo istantaneamente, perché
ciò che ha fatto a Susan è
davvero orribile.
La
cosa peggiore, è che per una parte della sua storia, io sono
riuscita ad
immedesimarmi nella giovane ragazzina ingenua che non conosceva niente
del
mondo, perché anche io sono stata così. Ho
sentito sulla pelle il suo dolore,
la sua storia, arrivando a vivere, anche se indirettamente, la
sensazione di
essere stata usata e poi lasciata come se non valessi nulla.
Susan
ha rimestato il calderone delle mie emozioni in modo da colpirmi il
cuore e
rendermi impossibile odiarla.
Follia
a parte, ciò che le è accaduto non è
completamente colpa sua.
Questo
non significa che la stia giustificando, perché certe azioni
non hanno nulla in
comune con la religione.
Io
sono una credente Anglicana e certe cose sono un molto lontane da
ciò in cui
credo, esattamente come per una Cristiana, che per di più
aveva intrapreso il
noviziato per dedicare la vita al suo Dio.
Meredith
ha detto che è la prima volta che mi vede avere una reazione
normale, ma dopo
averle raccontato tutto, ha ritrattato.
Secondo
lei, non sono per niente normale.
Lei
dice che al posto mio lo avrebbe mandato al diavolo, ma so che invece
non lo
avrebbe fatto.
Ha
perdonato a Logan tutto quello che è successo mentre era
privo di memoria. Mi
ha detto di non aver voluto sapere se aveva fatto sesso con altre donne
e credo
lo abbia fatto solo per poterlo perdonare, per non perderlo.
Io
e Meredith da quel punto di vista siamo così simili. Lei non
si era mai innamorata,
esattamente come non era successo a me.
Conosceva
il sesso e le piaceva, mentre per me era un tabù, qualcosa
di incomprensibile,
ma è ovvio che quando si tratta di amore, non esistono
differenze. Quando ami,
quando sei fermamente convinto che ne valga la pena, faresti di tutto
per la
persona amata e, finora, non ho mai dubitato che Adrian meritasse il
mio cuore.
Non
è una persona facile da amare, non è qualcuno che
si può avvicinare facilmente,
ma la preoccupazione sul suo viso, quando mi ha vista su questo letto
d’ospedale,
mi hanno ripagata di tanti sforzi, facendomi trovare la forza e le
energie per
trovare il modo di perdonare il suo passato.
Non
ero preparata a vederlo, lo ammetto. Era tutto ancora così
fresco nella mia
mente, che non credevo sarei riuscita a guardarlo negli occhi, ma
quando ho
visto la sua espressione, i suoi occhi preoccupati e
l’aspetto di uno che ha
ricevuto una bastonata in testa, con tanto di capelli scarmigliati, il
mio
povero cuore ha preso il comando e mi sono ritrovata a sorridere,
cercando di
sdrammatizzare la situazione.
Prima
di quel momento, non mi aveva mai fatto dei complimenti, non aveva mai
detto a
voce alta quello che mi aveva dimostrato con le sue azioni, con il suo
desiderarmi fisicamente.
Non
mi aveva mai detto di essere bella. Mi ha addirittura definita
incantevole,
come se fossi una specie di creatura mitologica dalle fattezze
miracolose e,
appunto, incantevoli. Qualcosa di etereo e magico di cui non
può fare a meno.
Anche
se non lo avessi desiderato, come avrei potuto, dopo le sue parole e il
suo
sguardo carico di angoscia, non desiderare di perdonarlo e stargli
ancora più
accanto?
“L’amore
fa fare all’essere umano cose folli e prive di senso, ma
continuo a credere che
per lui ne valga la pena. La mia fede in lui, non vacillerà
solo perché non è
un cavaliere senza macchia. Lo sapevo fin dall’inizio. La sua
armatura è solo più
sporca di quanto immaginassi.”
La
mia amica scuote la testa, contrariata.
“Non
è un cavaliere, il principe azzurro, Chels.”
Sorrido,
stirando appena le labbra, mentre Meredith mi tocca gentilmente la mano
lesionata.
“Questo
lo so, non ho mai creduto all’esistenza del così
detto principe azzurro. A casa
mia erano vietati quel genere di film e la mia infanzia non
è stata plasmata da
quel genere di fantasie. Prima dei quindici anni, non avevo mai visto
nemmeno
uno dei film animati Disney, popolati da principi senza macchia e senza
paura, pronti
a salvare la damigella in pericolo e reclamare il loro lieto fine.
Ammetto che
sono cartoni che hanno un certo fascino, ma nella mia vita non ho mai
cercato
il lieto fine. Mi
sono sempre
accontentata della felicità che derivava dalle piccole cose,
perché quelle
erano certe, mentre il domani non si sapeva mai che cosa potesse
riservare.”
Faccio
una pausa, per trovare le parole giuste. C’è
così tanta confusione nella mia
mente.
“Però
tutte queste cose sono cambiate quando anche il mio presente,
ciò che era
sicuro e non pensavo sarebbe mai mutato, è diventato
incerto. Per un lungo
periodo ho vissuto nella nebbia. Sorridevo, andavo avanti, ma fino a
quando non
ho trovato Adrian, non avevo realmente uno scopo. Quando ho deciso di
voler diventare
sua amica, di voler tirare fuori quel poco di bene che solo io riuscivo
a
vedere, non avrei mai immaginato che sarebbe finita così.
Lui doveva essere
solo un obiettivo, un punto fermo per trovare il modo di riprendermi,
di
scoprire chi volevo essere e cosa desideravo. Eppure, più lo
conoscevo, più
cresceva la mia fiducia in lui, più vedevo ciò
che si annidava nel suo cuore
tormentato, più io cambiavo, andando in una direzione che
non avevo mai
immaginato. Vivo ancora apprezzando ciò che il destino mi
regala di bello, è
vero, ma ho iniziato a guardare al domani con occhi diversi. Voglio
avere
giorni, mesi, anni pieni di piccoli momenti di felicità e so
che, con lui
accanto, quell’emozione abbagliante non mancherà
mai.”
Sorrido
davanti all’espressione impietrita della mia confidente, che
non mi aveva mai
sentita parlare così tanto a cuore spalancato. Finora le cose me le aveva
dovute tirare fuori
con le pinze e tutti quei sentimenti erano rimasti silenziosamente
annidati nel
mio cuore, sommandosi.
I
suoi enormi occhi verdi sono resi ancora più intensi e
luminosi dalle lacrime
trattenute.
“Lui
non è perfetto, Meredith, ma è giusto per me. Mi
fa sentire speciale in un modo
che nemmeno immagini.”
Lei
mi guarda con espressione mesta, puntando lo sguardo sul cielo che si
stava
scurendo.
“Però
non è ancora tornato. Sta facendo buio e non è
qui.”
I
suoi dubbi sono legittimi, ma il mio cuore non trema a questo pensiero.
“Ha
detto che sarebbe tornato e non lo avrebbe detto se non avesse avuto
intenzione
di farlo. Verrà, so che lo farà.”
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Capitolo 45 *** 45 Adrian ***
45
Adrian
Le
avevo promesso che sarei andato in ospedale il giorno dopo, ma non me
la sono
sentita, non prima di aver sistemato un paio di cose.
È
il momento di crescere.
Basta
stronzate. Basta fare cose che possono ferire le persone a cui voglio
bene. È ora
di finirla con questo atteggiamento infantile e patetico.
Dopo
aver parlato con quella pazza che ha aggredito Chelsea, mi sono reso
conto che
ho passato tutta la vita a far scelte pessime solo perché,
tutti quelli che
conoscevo, si aspettavano che le avrei fatte.
Ho
passato il tempo a cercare modi sempre più creativi di
deludere e far vergognare
chi mi circondava, non solo per fargliela pagare, ma perché
autocommiserarmi in
quel genere di azioni era molto più facile che tirare fuori
i coglioni e
iniziare a comportarmi da adulto.
Chelsea
ha cercato di farmelo capire quando mi ha detto di non agire
impulsivamente, di
non comportarmi come uno squalo senza anima solo per vendicarmi di
qualcuno
altrettanto inumano.
Aveva
ragione quando diceva che c’erano delle persone che avrebbero
patito delle
conseguenze a causa delle mie scelte, ma fino a quando non ho visto
Chelsea, in
quel maledetto letto, con la faccia tumefatta per colpa della mia
idiozia, non
avevo capito quanto le sue parole fossero veritiere e pesanti.
Se
il passato mi ha seguito, non oso immaginare che cosa potrebbe
succedere se
dovessi continuare a comportarmi come un marmocchio a cui hanno tolto
un
giocattolo.
Non
posso continuare a distruggere tutto quello che mi circonda solo per
sentirmi
meglio, meno patetico, meno disgraziato.
Sono
un bamboccio viziato, ecco cosa sono. Niente di più, niente
di meno, e dovrei
ringraziare il cielo per aver incontrato una persona buona e
straordinaria come
Chelsea, in grado di vedere cose che io non riesco proprio a vedere,
invece che
comportarmi come se la fortunata fosse lei.
Chelsea,
che invece che aspettarsi il peggio, si aspetta il meglio da me, anche
se è più
difficile vedermi fare qualcosa di buono che di cattivo.
Quando
è che sono caduto così in basso?, è la
domanda che continua a ronzarmi per la
testa.
Se
non l’avessi incontrata, avrei continuato a comportarmi come
un povero idiota,
triste e solo, trincerato dietro una serie interminabile di scuse
patetiche, ma
incapace di ammetterlo per orgoglio.
Ripensare
alla solitudine del mio appartamento, senza la pace che irradia quella
benedetta ragazza, è desolante. Persino la compagnia di quel
furfante di un
gatto che lei adora così tanto sarebbe meglio del desolante
silenzio che
regnerebbe tra quelle anonime pareti se non ci fosse niente di suo a
controbilanciare il mio pessimismo e la mia tendenza a fare
ciò che è più
semplice.
Dopo
quanto è accaduto, con che coraggio avrei potuto presentarmi
davanti a lei, in
quelle condizioni?
Come
una sottospecie di essere umano?
Non
potevo farlo, non è di questo che ha bisogno e accidenti a
me se permetterò che
una cosa del genere possa accadere una seconda volta.
Non
sarebbe mai dovuto succedere nemmeno la prima volta, Cristo Santo.
Merita
di meglio, accidenti! e dato che non voglio lasciarla andare,
perché nonostante
tutto sono ancora un maledettissimo egoista che non vuole privarsi
della sua
magia, farò di tutto per esserne degno.
Quindi
basta stronzate. È ora di finirla con i giochetti e con le
manie da dio sceso
in terra. Poter fare qualcosa non significa farlo per forza. Sono un
tipo
intelligente ed è ora di sfruttare questa qualità
in modi differenti dall’infilare
la testa nella sabbia nel modo più indolore possibile.
Motivo
per cui, invece che andare da Chelsea, ho indetto una bella riunione
familiare.
Fortuna
ha voluto che anche mio nonno, insieme allo zio George fossero a
Denver, per
festeggiare con il mio vecchio la candidatura ufficiale.
Non
è stato bello, non è stato indolore, ma mi ha
permesso di spurgare un po’ di
quell’acido corrosivo che avevo nelle vene e che da
più di dieci anni mi stava
corrodendo le viscere.
“Hai
davvero una bella faccia tosta per comparire qui dopo tutto il disastro
che hai
combinato. Perché non riesci a stare al tuo posto? Non
dovrebbe essere tanto
difficile.”
Il
tono disgustato dell’uomo che ha contribuito a generarmi mi
ha fatto rivoltare
lo stomaco. L’odio ha iniziato a ribollire sotto la facciata
di pietra che
stavo ostentando, perché se avessi mostrato una minima crepa
nella mia
armatura, lui ne avrebbe approfittato.
La
mia matrigna, seduta al suo fianco sull’elegante e opulente
divano con i
rivestimenti e i finimenti in delicato filo dorato, si è
limitata ad osservarmi
leccandosi le labbra tinte di rosso, sicuramente ansiosa di
sperimentare una
nuova cavalcata.
Chastity
è uno degli errori che non avrei dovuto commettere nemmeno
per vendetta.
Facendo sesso con lei solo per avere quegli scatti compromettenti, ho
portato
me stesso al loro squallido e infimo livello. Non finirò mai
di pentirmi per
aver fatto una cosa tanto disgustosa, dato che il corpo di quella donna
non mi
ha mai particolarmente eccitato. Ho sfruttato la mia prestanza, la mia
giovane
età e il mio sano appetito sessuale per perorare una causa
che non avrei mai
nemmeno dovuto intraprendere.
La
vendetta migliore, sarebbe stato escludere quella gente dalla mia vita,
dalla
mia esistenza. Con il mio comportamento, non ho fatto altro che buttare
benzina
sul fuoco.
Mi
sono guardato intorno, nella pomposa “biblioteca”
stile Luigi XIV, con il
soffitto color bronzo e terra bruciata, pieno di intarsi laccati in oro
e il
pittoresco affresco di angeli e puti, come parte degli affreschi della
cupola
di San Pietro, nello stato del Vaticano, dipinti da Michelangelo, a
rendere il
tutto ancora più pacchiano.
È
una stanza in linea con il resto della casa, che da sola parla a gran
voce di
sfarzo e arroganza, perfettamente in linea con lo stile Tudor della
villa,
circondata da più di tremila metri quadrati di giardino
curato con piscina e,
addirittura, una piccola riproduzione di un labirinto, composto da
siepi verdi
e alte.
Il
camino alle mie spalle ha scoppiettato, riportandomi alla conversazione
che
stavo tenendo.
La
mia mente ha iniziato a divagare, in un tentativo di fuga perfettamente
riconoscibile.
“Non
mi interessa quello che pensi o quello che vuoi. Ad essere sincero, non
mi
interessa assolutamente nulla. Sono qui perché mi sono
stancato, di fare a
guerra a delle persone di cui non mi importa nulla.”
Ho
gaurdato le loro facce, impassibili e annoiate, ripetendomi che quel
discorso
lo sto facendo per me, non per farmi capire da loro. Della loro
comprensione,
non m’importava più un’accidenti.
Ho
puntato gli occhi su mio padre, che si è lasciato andare a
se stesso, mettendo
su peso e perdendo sempre più capelli, e ho lasciato uscire
tutte le cose che
per anni ho trattenuto.
“Tu
sei un mostro. Il peggior padre, marito o uomo che io abbia mai
conosciuto. Non
conosci l’affetto, non conosci la pietà o il
rimorso. Hai portato mia madre al
suicidio, la picchiavi, abusavi di lei e della sua debolezza in tutti i
modi
possibili. Mia madre non era tua moglie, era un oggetto di cui facevi
ciò che
volevi indipendentemente da ciò che lei desiderava. Sei un
essere
raccapricciante con cui ho avuto a che fare per troppo tempo. Ho
coltivato odio
e disprezzo, desiderando di distruggerti perché era quello
che pensavo
meritassi, ma la verità è che l’unica
cosa che meriti è l’indifferenza.”
Lui
mi ha guardato con sufficienza, come se non gli stessi dicendo niente
di nuovo
o importante, come se i sentimenti che hanno scosso la mia giovane
anima
fossero inutili.
Ovviamente
per lui era così, ma mentre fino a quarantotto ore prima
ciò mi avrebbe ferito,
portandomi ad accanirmi ancora di più, in quel momento non
mi ha fatto nessun
effetto, perché un anima arida non ha una coscienza che si
fa sentire.
“Ci
hai riunito qui solo per questo? Che spreco di tempo.”
Sul
mio viso ho sentito spuntare il sorriso, mentre avvertivo nitidamente
le ondate
di disapprovazione arrivarmi dalla poltrona su cui stava seduto mio
nonno.
Ne
avevo anche per lui.
“Forse
del tuo, ma non del mio, dato che da oggi ho chiuso. Con te e con tutto
il
resto.”
Lui
scuote la testa, facendo ondeggiare appena i capelli riportati
all’indietro e
mal impomatati.
“Non
riceverai più un centesimo da me, sappilo. O fai come ti
dico io, oppure
inizierai a patire la fame.”
La
classica minaccia non ha sortito nessun’effetto e privarlo
della McLeor Export
Corporation non ha avuto
quel sapore
dolce-amaro che avrebbe avuto una settimana fa.
“Non
mi servono i tuoi soldi, perché ormai sono miei. Tutto
quello che mi hai dato
negli ultimi anni, è servito per comprare tutte le azioni
che hai incautamente
messo in vendita nel disperato tentativo di arrivare in politica. Hai
sacrificato la tua azienda e io ho semplicemente aspettato, raccattando
sul
mercato tutte le azioni che potevo. Non ti sei nemmeno accorto che i
pagamenti
arrivavano tutti dallo stesso conto bancario, troppo accecato dai
soldi.”
Ho
visto lo shock dipingersi sul suo viso, mentre le rotelline del suo
cervello hanno
iniziato a elaborare i fatti.
“Impossibile.”
Ho
sorriso di fronte alla sua incredulità, indicandogli
semplicemente il portatile
sulla scrivania in fondo alla stanza, vicino alla vetrata che da sul
labirinto.
“Controlla
se non mi credi. Non hai più la maggioranza. Sei
finito.”
L’uomo
si è fiondato alla scrivania e io ne ho approfittato per
guardare la giovane
donna che mi stava guardando con occhi annebbiati dalla
stupidità. Era ovvio
che non aveva capito che cosa stava succedendo.
“Ti
conviene lasciarlo prima che sfoghi su di te la sua ira.”
Detto
ciò, mi sono voltato verso il patriarca della famiglia
Pruitt, seduto con fare
composto sulla poltrona, il bastone stretto in pugno, come indeciso se
usarlo
per camminare o per picchiare qualcuno.
“Sei
la disgrazia della famiglia.”
I
suoi occhi scuri hanno lampeggiato di indignazione sul viso rugoso, ma
sempre
perfettamente ordinato. I capelli grigi erano tirati indietro,
mostrando con
orgoglio tutti i suoi settantacinque anni. Indossava un abito di alta
sartoria,
tagliato su misura, mentre lo zio George, poveraccio, stava in piedi
alle sue
spalle, spostando il suo peso da un piede all’altro,
decisamente a disagio.
Ha
gli occhi scuri come suo padre ed è alto quanto me, ma non
ha nulla dell’imponente
struttura fisica che accomuna me e il vecchio. Ha
i capelli precocemente ingrigiti, dato che
non ha nemmeno cinquant’anni. Le strisce bianche della sua
capigliatura rendono
il suo viso più scarno di quanto in realtà non
sia, mettendo in evidenza la
grandezza del naso.
teneva
le spalle curve e mi guardava con un misto di timore e ammirazione.
Mi
sono chiesto se, in realtà, lo zio George non sognasse la
libertà dalla
prepotente dominazione del padre.
“Forse
sì, ma almeno io non ho commesso lo stesso, stupido errore,
suo.” Ho indicato con
il pollice mio padre alle mie spalle, che stava ancora trafficando
furiosamente
con il portatile.
Sapevo
bene che quello che stava vedendo non gli piaceva per nulla.
“Ho
acquisito anche la Pruitt. Caro nonno, anche tu sei fuori
dall’azienda. Potrai partecipare
ai consigli di amministrazione, ma non hai più potere
decisionale. Esattamente
come la McLeor Export, anche la Pruitt International Inc è
mia”
Ho
visto i suoi occhi spalancarsi e la sua bocca aprirsi per prendere una
grossa
boccata d’aria proprio mentre mio padre ha iniziato ad urlare
che non mi avrebbe
permesso di portargli via la sua azienda.
Mi
sono girato ad affrontare il furioso figlio di puttana che avevo
davanti e che,
con i capelli scompigliati, non mi faceva più nessuna paura.
In
quel preciso istante, ho smesso definitivamente di essere suo figlio e
di
dargli potere su di me.
“Non
puoi fare niente. Con effetto immediato, sei sollevato dai tuoi
incarichi di
Amministratore Delegato. Riceverai i documenti inerenti al passaggio di
mano entro
domani pomeriggio e sei pregato di svuotare il tuo ufficio il prima
possibile.”
Ho
preso fiato, dopo aver emesso il primo ordine come nuovo Manager e
Dirigente
della McLeor Export.
Pensavo
mi sarei sentito colpevole, ma invece ho sentito solo un enorme
sollievo,
mentre la rabbia, la collera e la recriminazione, hanno lentamente
iniziato a
scivolare via.
Ho
visto il colore defluire dal suo faccione, mentre si aggrappa alla
scrivania.
Mi
sono voltato verso il vecchio, che stava ansimando e mi guardava con
odio.
“Lo
stesso vale per te. Non sei più il benvenuto, mentre tu,
George, se volessi
continuare a collaborare con la Pruitt, sarai il benvenuto.”
Non
avevo programmato di mantenere i contatti con la famiglia di mia madre,
ma ho avuto
come l’impressione che suo fratello fosse stato tiranneggiato
quanto lei e che
avesse bisogno di un salvagente per fuggire da una situazione che si
trascinava
da troppo tempo.
Mia
madre, lontana da mio padre, era una donna eccezionale,
perché da quello che mi
ha raccontato, mia nonna era una gran bella persona, motivo per cui ero
sempre
più convinto, guardando i grati occhi scuri di mio zio, di
aver fatto la scelta
giusta.
“Mio
figlio non andrà da nessuna parte. È un
inetto.” Si è girato verso il figlio,
che è sbiancato come se lo avessero preso a schiaffi.
“Fai qualcosa. Fermalo.”
George
ha fatto un passo indietro, sul viso una maschera di granito.
“Mi
dispiace, ma dato che sono un incapace, non posso fare nulla.”
Si
è allontanato dalla poltrona ed è venuto verso di
me, tendendomi la mano.
“Rimango
volentieri. Ho investito anni in quell’azienda e non voglio
mollare tutto per
colpa sua.”
Gliel’ho
stretta e per la prima volta ho sentito di aver trovato un terreno
comune con
un uomo che quasi non avevo mai sentito parlare.
Dopo
di ciò, è scoppiato un gran baccano. Mio padre
urlava, mio nonno urlava,
Chastity chiedeva a mio padre delle spiegazioni e, in tutto
ciò, io e lo zio
George siamo rimasti in silenzio, godendoci la furia che imperversava.
Ho
lasciato la biblioteca senza guardarmi indietro, dopotutto, tutto
quello che
volevo portare via da questa casa, l’ho caricato in macchina
mentre aspettavo
che mio padre rientrasse insieme a mio nonno dal pranzo commemorativo
che hanno
consumato in un ristorante pluristellato.
Gli
scatoloni con le cose che per me sono state importanti, ma che non
avevo mai
avuto il coraggio di rivendicare come miei, sono ancora nella mia
auto,mente
entro in ospedale.
L’orario
di visita è finito da un pezzo e sono passate quasi
ventiquattro ore da quando
ho visto Chelsea l’ultima volta.
Ho
schiacciato un pisolino di due ore sul divano prima di andare da mio
padre,
motivo per cui non sono esattamente al massimo della forma, ma non
posso
rimandare oltre questo incontro.
Merita
delle scuse, reali stavolta.
Non
sono bravo con le parole, non lo sono mai stato, ma lei merita molto
più che
una carezza e uno sguardo da cucciolo che chiede perdono, come ho fatto
finora.
Ho
sempre evitato di esprimere a voce alta ciò che sento, forse
per paura o
proprio perché, anche se non sembra, sono piuttosto
introverso, ma almeno delle
scuse sincere, lei le merita.
Non
sono sicuro che lei voglia perdonarmi, ma quando mi ha chiesto di
andarmene, lo
ha fatto per poter mantenere l’unica promessa che mi ha fatto.
Promessa
che parla a grandi lettere di un sentimento con la A maiuscola e che mi
terrorizza a morte, per quando, la sola idea, sia anche in grado di
mettermi
addosso l’adrenalina.
Desidero
essere in grado di dare a quella splendida ragazza tutto ciò
di cui ha bisogno
e ricambiare tutto ciò che mi da, perché nessuno
mi ha mai dato così tanto
senza chiedere nulla in cambio.
Salgo
di straforo al piano e ringrazio la mia buona stella che non ci siano
infermiere dietro al bancone della reception.
Percorro
silenziosamente il corridoio deserto fino alla camera giusta, dove
sulla
targhetta spicca il cognome Lauren.
Apro
lentamente la porta e cerco di sgusciare dentro nel modo più
silenzioso che la
mia mole permette.
Le
luci sono spente, ma la luce della luna illumina il suo letto.
Chelsea
è sveglia, seduta che guarda fuori dalla finestra con
espressione assorta.
Eppure
si è accorta del mio arrivo, perché parla, con
voce sottile, prima ancora che
io possa fare un passo.
“Non
pensavo che la luce della luna piena potesse essere così
forte.”
Mi
avvicino lentamente, mentre lei, altrettanto piano, si raddrizza per
potermi
osservare.
Nella
penombra, non riesco a vedere le sue ferite, ma so che ci sono e mi
odio per
questo.
Niente
di così bello e puro dovrebbe essere rovinato in questo modo.
“Ho
fatto tardi.”
Chelsea
stringe tra le mani il cellulare e me ne accorgo solo quando fa
illuminare lo
schermo.
“Mi
avevi detto che saresti tornato oggi, sei puntualissimo.
Guardo
a mia volta l’orologio e segna mezzanotte in punto.
La
sua affermazione fa sorgere un sorriso sul mio viso stanco.
Ha
ragione. Era già passata la mezzanotte quando le ho detto
che sarei tornato il
giorno successivo e lei si è fidata così tanto di
me da aspettarmi sveglia,
incurante del fatto che avrei potuto deluderla. Io non avevo affatto
badato
alla questione dell’orario, ma lei sì.
Mi
siedo sulla sedia vicino al suo letto, tentato di prenderle la mano
fasciata
per toccarla.
“Come
sapevi che non ti avrei deluso?”
Lei
sorride, un dolcissimo sorriso carico di sentimento.
“Perché
mi hai detto che saresti tornato. Tu non parli, tu semplicemente
dimostri con le azioni le cose importanti. Quindi, quando dici
qualcosa, fai di tutto per mantenere la parola data.”
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Capitolo 46 *** 46 Chelsea ***
46
Chelsea.
Con
me stessa lo posso ammettere.
Quando
l’orario di visite è terminato, mi sono sentita
delusa.
Fino
all’ultimo ho sorriso, forte di fronte alle persone che sono
venute a trovarmi
e a portarmi qualcosa di decente da mettere addosso.
Mia
madre è stata un tesoro, ma ho preferito che ad
accompagnarmi in bagno fosse
Meredith.
Io
e lei abbiamo un rapporto decisamente più intimo e se
qualcuno doveva vedermi
mentre cercavo di sedermi sulla tazza, tutta dolorante, ho preferito
che fosse
lei.
Farmi
una doccia, per levarmi di dosso tutta la sporcizia, è stato
di nuovo molto
difficile e imbarazzante.
Come
un’invalida, mi sono dovuta sedere sullo sgabello di plastica
al centro della
doccia e lasciare che qualcuno mi passasse la spugna addosso e mi
lavasse i
capelli.
Mi
sono sentita molto a disagio, perché la nudità
non credo sarà mai qualcosa a
cui mi potrò abituare, ma sono grata alla mia amica, che si
è comportata come
se il mio palese disagio non esistesse.
Ha
parlato ininterrottamente di tutto e di nulla, riempiendo il silenzio
che
altrimenti sarebbe stato assordante.
Ero
decisamente più in forma e presentabile quando i miei ospiti
se ne sono andati.
Nell’arco
della giornata, sono venuti praticamente tutti.
La
prima a presentarsi, è stata Kayla, che ha dato il cambio ad
una stravolta
Meredith che ha lasciato l’ospedale solo dopo che mi sono
addormentata, messa
KO dal sonnifero che mi hanno messo nella flebo.
La
giovane donna non è riuscita a nascondere la sua
preoccupazione e quanto,
vedermi forzatamente immobilizzata a letto, la facesse soffrire.
I
suoi occhi azzurri hanno iniziato a brillare come gemme, ma non ha
versato
nemmeno una lacrima.
Ha
sorriso, decisa e con la testa alta e si è avvicinata al mio
letto, chiedendomi
come stavo.
Meno
di mezzora dopo è comparsa Bianca, con il suo pargolo dagli
occhi scuri in
braccio.
Le
è scappata di bocca una parolaccia così grossa
che persino la sua migliore
amica ha granato gli occhi. Stranamente, mi sono trovata
d’accordo con lei.
Mi
sentivo come se mi fosse passato sopra un treno merci.
Si
sono limitate a chiedermi come stavo, senza toccare
l’argomento più spinoso.
Se
mi avessero chiesto perché era successo tutto
ciò, non avrei saputo
rispondergli. Non
ero ancora pronta per
parlarne.
Poco
tempo dopo, tra una chiacchiera rilassante e l’altra, sono
comparsi anche Ryan
e Josh, che a quanto pare erano in palestra assieme.
Portavano
un enorme mazzo di fiori a testa, che le ragazze si sono affrettate a
mettere
in dei vasi.
Se
ne sono andati presto, lasciandomi riposare.
Tuttavia,
il vai e vieni di persone non è cessato fino al ritorno di
Meredith, che era
evidente avesse bisogno di ancora qualche ora di sonno.
Quando
è entrata nella stanza, tutta sorridente, aveva con se uno
scatolone da cui ha
tirato fuori altri vasi, per poter mettere un po’ in ordine.
Non
so come facesse a sapere che sarebbero serviti, ma immagino che abbia a
che
fare con la recente degenza di Logan in una stanza fin troppo simile
alla mia.
Motivo
per cui, alla fine, la mia camera ha assunto le sembianze di una
fioreria.
Quando
Meredith è andata via, lasciandomi sola a mangiare del cibo
davvero tremendo,
non mi sono sentita abbandonata, perché tutti gli omaggi
floreali che mi
circondavano mi hanno ricordato l’affetto che così
tante persone nutrono nei
miei confronti.
Al
“perfetto” quadretto, mancava solo Adrian. La sua
non presenza ha oscurato un
po’ il mio benessere, ma anche in quel momento, ho cercato di
trovare qualcosa
per cui sorridere.
Ero
sicura che avrebbe mantenuto la sua promessa, non riuscivo ad
arrendermi all’idea
che potesse non tornare.
Ho
guardato il telefono, con espressione sconsolata, e guardando
l’orario, mi sono
resa conto che, il domani di cui mi aveva parlano, non era ancora
iniziato.
Era
già iniziato un nuovo giorno quando lui mi ha detto che
sarebbe tornato, per
cui ho ricominciato a sperare.
Ho
cenato con la mente e il cuore più leggeri e, quando
è stato il momento di
spegnere le luci, mi sono rilassata sul lettino, leggendo, alla luce
dell’abatjour,
le prime pagine di un romanzo storico che mi ha portato Kayla, ma che
non è
riuscito a catturare la mia attenzione per più di
mezz’ora.
Devo
essermi appisolata, perché quando ho riaperto gli occhi,
erano passate un paio
d’ore e il mio telefono segnava le undici e mezzo passate.
Probabilmente
a svegliarmi è stata la luce della luna, ormai alta nel
cielo e, la cui luce,
ha inondato la mia stanza, facendola apparire eterea, quasi spettrale.
L’ho
sentito arrivare. Qualcosa mi ha messa in allerta e ho aspettato,
guardando
fuori dalla finestra l’enorme sfera bianco argentea che
splendeva in cielo, che
sembrava tenere lontane le poche nuvole ancora presenti in cielo.
Quando
è entrato nella stanza, il cuore ha iniziato a battere
all’impazzata, ma ho
fatto finta di nulla, nel disperato tentativo di calmarmi.
Agitarmi,
mi avrebbe solo fatto male e il mio desiderio più grande,
era passare più tempo
possibile con lui.
Il
mio cuore ha già perdonato il suo passato, è solo
la testa che fa resistenza.
Mi
perdo nei suoi occhi, illuminati dal riflesso della luce.
Ha
un’aria stravolta, come se non avesse dormito che poche ore.
I suoi capelli
sono spettinati e indossa una camicia e dei pantaloni neri, che lo
fanno
sembrare enorme sulla piccola sedia di plastica.
Temo
che potrebbe cedere da un momento all’altro.
Dov’è
stato, se non ha dormito? Cos’ha fatto?
Da
quando gli ho spiegato perché ero sicura che non mi avrebbe
delusa, lui non ha
più pronunciato una parola. Si è limitato a
fissarmi, sbalordito e, credo,
incantato.
Lo
osservo sbattere le palpebre e prendere un profondo respiro. Sembra
nervoso,
tormentato.
“Mi
dispiace.”
Le
sue parole sono completamente inaspettate, tanto che sento le mie
sopracciglia
aggrottarsi e una piega formarsi proprio lì in mezzo.
“Di
che cosa stai parlando?”
“Di
Susan, o come cavolo si chiama. Sono andato a vederla non appena uscito
di qui.
Volevo sapere perché, che cosa mai le avevi fatto di male.
Tutto mi aspettavo
meno che le mie cazzate giovanili avessero delle ripercussioni su di
te. Quindi
mi dispiace. Certo, non sono responsabile delle sue azioni, ma se non
mi fossi
comportato come un idiota, tu non saresti ferita.”
La
sua espressione è sincera, limpida. Mi sta parlando con il
cuore in mano, come
non aveva mai fatto prima e questo non so come mi faccia sentire.
Sono
felice che si stia aprendo, che mi stia lasciando avvicinare sempre di
più, ma
allo stesso tempo non dovrebbe colpevolizzarsi.
“Oh.”
Rimango
in silenzio alcuni secondi, dove lui mi scruta attentamente, alla
ricerca di
una risposta.
“Lei
me lo ha detto. Quello che è successo tanto tempo fa. Di
com’eri da giovane, di
come ti sei comportato. Ciò che è successo nel
passato, non si può cambiare.
Non contano solo gli errori, ma soprattutto il modo in cui poi vi si
pone
rimedio.”
Lui
annuisce, senza distogliere gli occhi dai miei. Non sembra
demoralizzato,
semmai ancora più deciso.
Probabilmente
ha intuito dalla tristezza nei miei occhi e nella voce che so ogni cosa
“Io non posso
cambiare le mie azioni, ma non
voglio più essere quella persona.”
Mi
prende la mano fasciata e la stringe con gentilezza, senza farmi male.
“Oggi
ho parlato con la mia famiglia.”
La
sua dichiarazione piomba su di noi come un enorme macigno. Il mio cuore
salta
un battito e sento gli occhi sgranarsi, mentre nel mio petto inizia ad
infuriare una battaglia.
Respiro
piano dopo aver chiuso gli occhi, nel disperato tentativo di calmarmi.
Non
posso agitarmi, devo stare calma e ferma. Non voglio che il dolore
torni ora
che ho trovato una posizione comoda.
Rimango
in silenzio, aspettando di ascoltare quello che ha da dire. Il mio
cuore non da
segno di volersi calmare, per cui punto lo sguardo sulla testa china,
come se
fosse in preghiera.
“L’ho
affrontato. Mio padre, intendo. Gli ho detto tutto quello che per anni
ho
trattenuto. Gli ho detto che è stato un pessimo padre, un
pessimo marito, la
cosa peggiore che potesse capitare ad un altro essere umano, ma lui non
ha
battuto ciglio. Pensavo che il suo atteggiamento mi avrebbe fatto
arrabbiare,
ma invece mi sono sentito semplicemente sollevato. Non avevo mai avuto
il
coraggio di dirgli apertamente quanto lo odiassi e quanto la sua
presenza nella
mia vita fosse inutile. Gli ho detto dell’azienda, che
l’ho comprata con i suoi
stessi soldi e lo stesso ho fatto con mio nonno. Avrei voluto sputargli
addosso
tutto il risentimento che per anni ho covato nei suoi confronti, per
quello che
ha fatto a mia madre, ma guardandolo mi sono reso conto che ormai non
è altro
che un vecchio e che non ha senso per me investire ancora in quel
sentimento.”
Il
suo racconto è sorprendente.
Speravo,
pregavo, che prendesse la decisione giusta, ma non avrei mai immaginato
che ad
essa sarebbe seguita una specie di liberazione.
L’uomo
che ho di fronte, che non mi guarda, ma che tiene il viso vicino alla
mia mano,
intrappolata tra le sue, è la persona che io ho sempre
intravisto oltre la
maschera di arroganza e indifferenza.
In
questo preciso istante, sembra una persona nuova e il mio cuore
è come se
stesse volando per la gioia.
Se
potesse, uscirebbe dal mio petto per mettersi a svolazzare per la
stanza come
un canarino appena liberato.
Finalmente
solleva la testa, facendo ricadere sulla fronte una ciocca scura di
capelli
ribelli, e mi fissa con un’intensità tale da
togliermi il fiato.
Non
l’ho mai visto così determinato, nemmeno quando mi
ha detto che avrebbe
distrutto a tutti i costi la sua famiglia.
“Voglio
fare qualcosa di buono Chelsea. Non voglio più distruggere
quello che mi
circonda, non voglio più creare delle situazioni che
potrebbero ripercuotersi
su di te o sulle persone a cui voglio bene. L’azienda di
trasporti di mio padre,
troverò il modo di farla crescere. Mio zio George, che per
anni ha lavorato
nella compagnia di mio nonno, mi aiuterà a trovare un
Amministratore Delegato
che sia in grado di gestirla. Farò le cose per bene e non
lascerò che qualcuno
paghi perché mi sono comportato come uno sciocco.”
Sono
molto più che sorpresa, ma soprattutto sono fiera di lui,
del suo
atteggiamento, di quello che ha deciso, da solo, senza che io gli
chiedessi
nulla.
Ero
sicura che ci fosse del buono dentro di lui, ma non avrei mai pensato
che, con
le giuste motivazioni, avrebbe potuto essere una persona
così eccezionale.
Non
era facile trovare un modo diverso di vivere, ma lui ci sta riuscendo
davvero
bene, meglio di quanto non abbia fatto io.
“Non
mi aspettavo tutto ciò.”
La
mia voce è debole, un po’ lamentosa,
perché sono sul punto di piangere. In
questa oscurità, l’intimità che si
è creata non è per nulla imbarazzante e i
miei sentimenti spingono per essere espressi.
Il
mio cuore sta urlando per il desiderio di essere liberato.
“Lo
so. Era qualcosa che dovevo fare per me stesso. Vederti su questo
letto, mi ha
fatto capire molte cose.”
Scuote
la testa, l’espressione a metà tra il divertito e
il triste.
“Ho
vissuto come un codardo, limitandomi a dare la colpa agli altri anche
per
azioni che compivo di mia spontanea volontà. Ma ora non ci
riesco più. Non
riesco ad immaginarmi mentre esco da quella porta e torno a quella
vita.”
Mi
rivolge un sorriso mesto e poso vedere nei suoi occhi lo stesso
sentimento che,
guardandomi allo specchio, vedo riflesso nei miei.
Si
alza rapidamente, portando il suo viso a contatto con il mio. Mi tocca
la
fronte con la sua e mi incatena con lo sguardo. Tra di noi, non
c’è che la
distanza di un respiro.
“Non
voglio più sentirmi così spaventato, Chelsea.
Quando mi hanno detto che eri in
ospedale, per poco non sono stato preso dal panico. Non capivo cosa mi
stesse
succedendo, ma riuscivo solo a pensare che dovevi stare bene, che non
potevi scomparire
dalla mia vita così.”
Fa
una pausa e sento un’ondata di calore percorrermi il corpo,
come una coperta
termo riscaldata avvolta direttamente attorno al mio cuore.
“Non
voglio perderti, perché sei davvero una donna eccezionale,
la miglior cosa che
potesse capitarmi. Tu mi spingi a voler essere migliore e questa cosa
non mi
spaventa più, non mi fa più sentire inferiore.
Potrai mai perdonare lo stupido
ragazzo che sono stato?”
La
muta supplica nei suoi occhi mi stringe il cuore, che quasi sento
dolorante, da
quanto batte in fretta.
Sollevo
la mano sana e gliela poggio sulla guancia ruvida di barba. Ha delle
occhiaie
marcate, che rendono la sua dissimulata preghiera ancora più
significativa ai
miei occhi.
“Anche
se la mente è restia, il mio cuore non può che
perdonarti. Mi sono innamorata
della tua parte peggiore e della gentilezza che mi hai riservato in
quelle
piccole occasioni dove mi hai lasciata avvicinare, dove hai combattuto
le tue
cattive abitudini. Se mi apri così il tuo cuore, come posso
non amarti ancora
di più?”
La
mia dichiarazione cade nel silenzio, mentre posso
leggere nei suoi occhi la sorpresa.
Non
c’è paura nel suo sguardo, non è
proprio una novità. Con le azioni, non ho mai
dissimulato i miei sentimenti, solo prima di oggi, non li avevo mai
esternati a
voce alta.
“Io
non so cosa sia l’amore.”
La
sua voce è bassa, emozionata, e non me lo sarei mai
aspettata.
So
che lui non sa cosa prova, è troppo presto per una persona
che ha passato la
vita a rifuggire quel genere di sentimenti e vivere
nell’odio, ma forse c’è più
comprensione di quanto immaginassi.
“Ma
se è questa cosa che mi fa contrarre lo stomaco quando ti
penso e che mi fa
pensare che sei la persona più straordinaria che io abbia
mai conosciuto,
allora così sia. Non voglio scappare da questa
cosa.”
Fa
una pausa e prende un profondo respiro. Le sue palpebre si aprono e si
chiudono
rapidamente un paio di volte, come se fosse intento a mettere insieme
una frase
complicata.
“Prima
di conoscerti, non avrei mai creduto che qualcuno potesse amarmi, ma se
sei tu,
allora posso crederci. Se sei tu, tutto è
possibile.”
Sento
le lacrime riempirmi finalmente gli occhi e iniziare a rotolare sulle
guance.
Lui le asciuga delicatamente con i pollici e poi mi sfiora
delicatamente il
labro inferiore, quello tumefatto.
“Ti
fa male?”
Io
scuoto la testa, perché in questo momento, anche se provassi
dolore, sono certa
che non lo sentirei.
La
mia gioia, la mia felicità, sono al massimo livello. Non
riesco a ricordare un
momento dove mi sono sentita così appagata, così
al settimo cielo.
Questo
è uno di quei piccoli momenti di assoluta perfezione che ho
sempre desiderato
per me, per noi.
“Bene.”
Annulla
i pochi centimetri che ci stavano separando e poggia delicatamente la
sua bocca
sulla mia.
Illuminati
dai raggi della luna, in una stanza piena di fiori, con solo le nostre
labbra
ad unirci, per la prima volta, i nostri cuori sono sulla stessa
lunghezza d’onda.
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Capitolo 47 *** 47 Adrian ***
47
Adrian
Quando
guardavo i miei amici osservare le loro compagne con lo sguardo da
cucciolo
smarrito, pensavo fossero degli idioti.
Ora,
guardandomi allo specchio, penso di esserlo diventato anche io.
Prima
li fissavo e non capivo quanto fossero fortunati a rimbecillirsi per un
sorriso, mentre ora, beh, pagherei oro per veder sorridere Chelsea.
Anche
solo per vederla per più di dieci minuti, ad essere sincero.
Sono
passati quindici giorni da quando è stata ricoverata e
cinque da quando è stata
dimessa e portata via da sua madre, per trascorrere la convalescenza
nella
camera al piano terra che ha sistemato per lei.
Finche
era in ospedale, riuscivo a passare parecchio tempo in sua compagnia,
anche
perché la giovane infermiera, che quella sera mi ha
rassicurato sul suo stato
di salute ci ha presi in simpatia e faceva finta di non vedermi quando
passava
a controllare che nelle camere fosse tutto in ordine e se ne fossero
andati
tutti.
Per
il tempo che lei è stata in ospedale, è stata la
mia priorità insieme al
lavoro.
Prima
di queste ultime due settimane, non avevo mai sentito come se il
cervello fosse
sul punto di liquefarsi per la troppa attività.
Prendere
il posto di mio padre in azienda, non è stato semplice. Il
consiglio di
amministrazione ha protestato a gran voce sul colpo di mano e sul fatto
che
sono fin troppo giovane, per i loro gusti, per gestire una
società quotata in
borsa.
Quando
gli ho fatto presente che sono riuscito a completare
l’acquisizione, senza che
nessuno di loro si rendesse conto che era in atto una scalata, allora
si sono
calmati e mi hanno permesso di parlare.
La
mia intenzione, non è mai stata quella di stravolgere la
società e fargli
perdere soldi e ho voluto assicurarmene prima che iniziassero a vendere
azioni,
anche perché sarebbe una follia fare un qualche tipo di
mossa senza conoscere i
meccanismi interni.
I
numeri sono stati, effettivamente, la parte più facile del
lavoro.
Analizzare
i dati e le statistiche non è stato complicato come avevo
pensato e, a parte un
piccolo calo di percentuale nell’ultimo periodo, colpa della
concorrenza, della
crisi e dei super sconti che fanno alcune imprese disperate, la McLeor
Export
sta andando alla grande e non c’è motivo di
rivoluzionare qualcosa che sta funzionando bene.
Il
primo comunicato che ho fatto diffondere, è stato che, anche
se c’è stato un
cambio al vertice, non ci sarebbero stati licenziamenti.
I
dipendenti non sanno che tutto ciò è successo per
ragioni che non hanno nulla a
che vedere con il fallimento della società, quindi erano
preoccupati di poter
perdere il posto di lavoro, che ci fossero dei tagli nel personale per
ridurre
le spese e così via. Insomma, quel genere di mosse che
seguono sempre le
acquisizioni.
Una
volta calmate le acque, le cose hanno ricominciato a funzionare come
prima.
La
struttura della McLeor è come una macchina che ha fatto il
rodaggio e ha sempre
gli ingranaggi ben oliati e perfettamente integri.
Ho
analizzato con attenzione tutto il sistema interno, in modo da potermi
muovere
il più agevolmente possibile e, controllando i dati che mio
padre ha cercato di
nascondermi, portando fuori dall’ufficio un hard disk
esterno, di proprietà
della società, sono venuto a conoscenza di quali avrebbero
potuto essere le sue
successive mosse per cercare di espandersi.
Per
il momento, siamo presenti con circa ottantamila dipendenti su tutto il
territorio americano e buona parte di quello canadese. Per le
spedizioni in
America Latina, Europa, Russia o Asia, ci siamo sempre appoggiati o a
ditte
locali o alla nostra diretta concorrente, la FedEx Corporation, che
possedendo
anche una flotta Aerea, riesce ad essere presente su tutto il globo.
Mio
padre aveva intenzione di seguire il suo esempio, iniziando con un paio
di
aerei cargo, ma non ho nessuna intenzione di seguire quella strada, per
ora.
Non ne so abbastanza per poter portare avanti un piano così
ambizioso e,
sicuramente, per un espansione del genere, contava sul genere di
appoggio che
si può ricevere solo dalle alte sfere politiche.
Però non
è stato il lavoro ad allontanarmi da
Chelsea, bensì sua madre, che in qualche modo è
venuta a sapere che
l’aggressione è stata colpa mia.
Quindi,
non appena sono uscito dalla stanza di Chelsea per lasciarla riposare,
il
giorno delle dimissioni, sua madre mi ha detto senza mezzi termini di
levarmi
di torno prima che mi prendesse a bastonate.
Era
così seria che non ho dubitato nemmeno per un istante della
sua serietà.
Non
è che mi impedisca di vederla, dato che la sua dolce
figliola non fa altro che
dirmi di andarla a trovare, ma ogni volta che siamo da soli, lei
compare, come
se fosse l’onnipresente Dio di Chelsea, mettendomi
sull’attenti.
Non
pensavo avrei temuto una donna, ma dopo aver visto
l’espressione furibonda e
determinata di Jillian quando ha scoperto la verità, ho
sinceramente avuto
timore che mi sparasse, dato che so per certo essere in possesso di una
pistola.
Credo
si sia trattenuta solo per non ferire sua figlia, che è
evidente adora.
Chelsea,
nei giorni d’ospedale, mi ha raccontato più nei
dettagli la sua storia con sua
madre. Io credevo che il suo sbalzo emotivo fosse dovuto ai problemi
con suo
padre, ma a quanto pare anche la sua vita, negli ultimi mesi,
è stata piuttosto
complicata.
Non
conoscevo i dettagli, sapevo solo che finalmente era riuscita a
conoscere sua
madre, per cui sono rimasto davvero molto sorpreso quando mi ha detto
che, dopo
essere cresciuta convinta di essere orfana di madre, ha scoperto che in
realtà
era tutta una bugia.
Più
raccontava, più i suoi comportamenti iniziavano ad avere
senso e più lei mi
sembrava incredibile. È passata da una vita sicura a un
momento di profonda
confusione, seguito da una montagna russa di emozioni che è
culminata con il
ritrovamento di sua madre, proprio nella donna con cui stava lavorando
e da cui
si stava facendo ospitare.
Mi
ha ferito scoprire che mi ha taciuto così tante cose di se,
ma so che è stata
colpa mia. Ero talmente trincerato dietro le mie barriere, da non darle
nessuna
possibilità di raccontarsi, di farsi vedere al cento per
cento.
Ero
troppo concentrato sul tenerla lontana e, successivamente, nel capire
come fare
per non ferirla per preoccuparmi di quello che le stava capitando e di
quello
che la tormentava.
Sono
stato davvero pessimo in più di un modo.
Chelsea
non mi ha mai fatto pesare la mia mancanza di interesse, ma so che non
è così
che funziona. Quando stai con una persona, quando ci tieni ad essa,
è
automatico voler sapere di più sulla sua vita, conoscerne
ogni singolo
dettaglio e ora è così.
Voglio
sapere tutto di lei, voglio capire come funziona la sua mente e
crogiolarmi
nella pace che trasmette con la sua disponibilità e
pacatezza.
Ho
scoperto che è una ragazza molto riflessiva, che parla molto
meno di quanto non
pensi. Analizza ogni singolo dettaglio, lo prende, lo smonta e lo
rimonta per
guardarlo da un punto di vista differente, che nessuno o quasi aveva
tenuto in
considerazione.
Alle
volte, invece, sa essere molto fiscale. Certe cose le prende
letteralmente alla
lettera.
L’altro
giorno sono riuscito a passare in sua compagnia dieci minuti senza che
sua
madre fosse presente. Non è successo niente di che, anche
perché non ho nessuna
intenzione di fare qualcosa che possa arrecarle dolore. Stavamo
semplicemente
guardando un film mentre lei sbocconcellava dei salatini.
La
camera in cui sta affrontando la convalescenza è stata
completamente
trasformata.
Il
primo giorno che sono entrato in quella stanza, era ovvio che era
stato, prima
uno studio e successivamente un ripostiglio, poi adattato ad abitazione
per
Chelsea.
Ora
è completamente cambiata. Gli scatoloni sono spariti,
così come gli attrezzi da
palestra inutilizzati, sicuramente acquistati online, che
c’erano in un angolo.
Anche la scrivania è scomparsa e al suo posto
c’è un cassettone con sopra un
enorme televisore, dove può guardare tutti i film che vuole.
Avrei
voluto pensarci io, ma non ho avuto tempo e le sue amiche si sono
adoperate
perché avesse tutto quello di cui aveva bisogno.
Ad
un certo punto, le ho chiesto di passarmi un paio di salatini e lei me
ne ha
messo in mano due di numero.
“Perché
ridi?”
Alla
sua domanda mi sono limitato a mostrarle i due salatini, che sulla mia
mano
sembravano ancora più piccoli.
Lei
ha sollevato le spalle, con un sorriso divertito sul viso.
“A
casa mia, un paio, significa due.”
Ho
riso ancora e mi sono ficcato la manciata di snack in bocca, poi mi
sono
allungato su di lei per rubarle l’intero sacchetto.
È
stato a quel punto che è entrata Jillian, con espressione
ostile, e ha rovinato
il momento ilare.
Non
vedo l’ora che Chelsea si rimetta per passare un
po’ di tempo lontano da quella
casa. Ogni volta che metto piede oltre la porta d’ingresso,
ho l’impressione di
essere appena entrato in trincea.
Il
telefono decide proprio in questo momento di squillare.
Sono
le sette del mattino e non ho nessuna voglia di rialzarmi. Mi sono
fatto la
doccia, ma invece che vestirmi, mi sono ributtato sul materasso. Mi
aspetta una
giornata di mal di testa in ufficio, dove sarò obbligato ad
indossare un
completo giacca e cravatta decisamente troppo impegnativo per i miei
gusti.
Ogni
volta che mi guardo allo specchio, vedo qualcosa che detesto. Essere
conciato
come un fenomeno da baraccone non mi piace, perché ho sempre
associato quel
genere di abbigliamento al mio vecchio, ma so che la mia posizione
richiede dei
sacrifici, per cui cerco di specchiarmi il meno possibile e,
soprattutto, di
non gonfiare i muscoli nel disperato tentativo, quanto inutile di
strappare la
stoffa.
Afferro
il telefono e sorrido quando vedo chi mi sta chiamando. È
più forte di me.
“Buongiorno.”
“Buongiorno.”
“Come
mai sei già sveglia?”
La
sento sospirare, frustrata.
“Sono
stufa di rimanere in casa. Voglio uscire, ma Jillian mi ha sequestrato
le
chiavi della macchina e sto impazzendo. Sono passati quindici giorni.
Se non
sollevo pesi o faccio particolari sforzi, non c’è
nessuna ragione per cui non
debba fare una vita normale. Il medico ha provato a farglielo capire,
ma
Jillian sta esagerando.”
Riesco
a capire la sua frustrazione.
Sua
madre è così sollecita che gli unici momenti in
cui può prendersi una pausa dal
suo controllo ossessivo quando
lei è a
lavoro. Ovviamente la sera c’è in casa sua sorella
e non c’è molto che possa
fare senza macchina.
“Vuoi
che ti rapisca?”
La
sento ridacchiare leggermente, come fa sempre quando vorrebbe ridere
apertamente ma deve evitare per evitare di provare dolore alle costole
contuse.
“Lo
faresti davvero?”
La
nota speranzosa nella sua voce mi fa sollevare di botto dal letto. Io
stavo
scherzando, ma se lei vuole fuggire, allora farò di tutto
per aiutarla.
“Ci
puoi giurare. Io devo andare a lavoro, ma se mi dici a che ora puoi
scappare,
manderò qualcuno a prenderti.”
“Non
mi stai prendendo in giro, vero?”
“Assolutamente
no.”
La
sento sospirare di sollievo e un brivido di compiacimento mi scivola
lungo la
schiena.
“Se
mi tiri fuori di qui, sarò in debito con te per tutta la
vita.”
“Vedrò
di ricordarmelo.”
La
sento ridacchiare di nuovo e poi zittirsi all’improvviso.
“Devo
andare, credo che Jillian si sia alzata. Ti mando un messaggio appena s
qualcosa.”
Chiude
la chiamata bruscamente, come ormai succede fin troppo spesso. Evita di
parlare
con me davanti a sua madre perché non vuole creare altre
tensioni, ma so che
questa situazione la fa sentire frustrata e spero che quella donna
così rigida
se ne renda conto al più presto.
Mi
avvicino al cassettone per prendere i pantaloni poggiati sulla sedia e
la mia
immagine riflessa mi sorprende.
Non
sono i muscoli delineati o il torace ampio a lasciarmi di stucco, ma il
sorriso
felice che ho dipinto sul viso.
Ormai
è ufficiale. Sono entrato nell’esercito dei
ragazzi rimbecilliti.
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Capitolo 48 *** 48 Chelsea ***
48
Chelsea.
Per
la prima volta, mi sono sentita come, molto probabilmente, si sentono
le adolescenti
quando gli viene “negato” qualcosa.
Dopo
aver chiamato Adrian, che mi ha immediatamente proposto una via di fuga
dalla
gabbia di confort e soffocante amore in cui sono stata rinchiusa.
Ho
fatto colazione con Jillian e Allyson, che nelle ultime settimane
è diventata
sempre più cupa e taciturna e poi sono scappata nella mia
cella, per sfuggire
all’atmosfera soffocante che si è creata tra madre
e figlia.
Il
mio rapporto con Allyson è davvero ottimo. Quando siamo
assieme, parliamo di
tutto, addirittura ride, ma appena entra nella stanza Jillian, la sua
espressione si incupisce e il suo sguardo diventa ostile.
È
evidente che tra quelle due c’è un problema, ma
non ho nessuna intenzione di
mettermi in mezzo. Sono cose che non posso capire e in cui non voglio
entrare.
Ho già abbastanza cose a cui pensare senza dovermi mettere a
fare da
mediatrice. E, anche se decidessi di immischiarmi, non sono sicura di
averne
diritto.
Chiusa
nella mia stanza, pensavo di essere al sicuro, di essere riuscita ad
evitare
qualsiasi scontro, ma Jillian ha deciso che era la giornata giusta per
dare
battaglia e perorare la sua causa.
Sono
dieci giorni che, appena può, prende l’argomento.
Ho cercato in tutti i modi di
farle capire che non ho nessuna intenzione di assecondarla, ma a quanto
pare
sono stata troppo poco chiara, perché ha bussato alla porta
proprio mentre
stavo scegliendo cosa mettere e non ho potuto non farla entrare. Ho
cercato di
nascondere i vestiti, ma non sono stata molto brava.
Speravo
di non dover dare spiegazioni, che non si accorgesse che stavo
progettando la
fuga, ma ovviamente, con una figlia adolescente, i miei maldestri
tentativi di
dissimulazione sono falliti miseramente.
Non
mi ha nemmeno dato la possibilità di inventare una scusa
convincente, anche se
non credo che ci sarei riuscita.
Non
sono abituata a dover mentire, a dover giustificare azioni del genere.
Prima
ero praticamente una figlia modello, ora invece, mi piace pensare di
essere
diventata più matura e decisamente indipendente.
Non
mi va per nulla di dover giustificare quello che faccio.
Appena
ha visto la roba ammucchiata sotto il cuscino, ha iniziato la sua
filippica.
Odia
a morte Adrian. Dice che è tutta colpa sua se sono finita in
ospedale, che è un
pessimo ragazzo che non fa per me, che non vuole vedermi soffrire e
avrei anche
potuto capirla se Adrian non si fosse più fatto vedere, se
fosse scomparso dopo
le mie dimissioni, ma a suo rischio e pericolo è venuto a
trovarmi tutti i
giorni, anche solo per vedermi pochi minuti. Mi ha scritto o chiamato
più volte
al giorno, per sapere come stavo. È stato più
carino e dolce di quanto non sia
mai stato, ma tutte queste cose, Jillian, non le vuole vedere.
La
mia comprensione, però, stamattina ha raggiunto il limite.
Non
avrei mai voluto discutere, anche perché non sono ancora del
tutto guarita e
agitarmi, respirare troppo forte, mi causa ancora delle fitte alle
costole, ma
proprio non sono riuscita a trattenermi.
Stava
parlando male dell’uomo che amo, che mi tratta come se fossi
un delicatissimo
oggetto prezioso, quindi non sono riuscita a evitare lo scontro, che la
mia “dolce”
sorellina si è goduta con un sorrisetto sadico sul viso.
“Perché
non riesci a lasciar perdere? Guarda come sei ridotta. Il tuo viso ha
appena
finito di guarire.”
Ho
preso un profondo respiro, attenta a non esagerare.
“Non
ho voglia di discutere.”
Ho
cercato in tutti i modi di farle capire che non era il momento di
litigare, ma
lei non ha voluto sentir ragioni e, esattamente come temevo, ho detto
qualcosa
che non avrei dovuto dire.
È
stata una cattiveria che ho detto in un momento di agitazione.
Non
era mia intenzione ferirla, anche se lei non stava affatto tenendo
conto dei
miei sentimenti, ma dall’espressione ferita che le si
è dipinta sul volto, so
di aver detto l’unica cosa che non avrei dovuto dire.
“Ora
basta con questa storia. È vero, sono finita in ospedale per
qualcosa che
Adrian ha fatto da giovane, ma tutti possono sbagliare. Anche tu hai
fatto
degli errori, ma non per questo te li rinfaccio ogni due minuti. Se io
l’ho
perdonato, puoi farlo anche tu. Inoltre, non è colpa sua se
Susan è una psicopatica.
Se non fosse stato per le sue bravate, io e te non ci saremmo mai
avvicinate
così tanto e, molto probabilmente, non ci saremmo ancora
ritrovate. Smettila di
vedere solo la parte negativa della situazione. È
frustrante.”
Lei
ha spalancato la bocca, sorpresa dal mio atteggiamento.
Fino
a quel momento ho fatto di tutto per non essere un peso o un disturbo,
visto
con quanta attenzione si stava prendendo cura di me, ma adesso sto
meglio,
posso riprendere in mano la mia vita, riprendere da dove mi sono
fermata.
“Sto
solo cercando di proteggerti.”
“Non
serve. Non sono una bambina, non più. Sono cresciuta. Ho
pensato a te per tutta
la vita, prima convinta di non avere nessuna speranza di conoscerti,
poi
ansiosa di sapere perché non ci fossi stata e poi entusiasta
all’idea di
instaurare un rapporto con te, ma non per questo puoi controllarmi come
fai con
Allyson. So che questo è il tuo carattere, che sei fatta
così, che preoccuparti
è il tuo modo di dirmi che mi vuoi bene e anche io te ne
voglio, ma non
possiamo recuperare diciotto anni in un paio di settimane. Non
sarò mai la Rhea
che tu hai conosciuto e mi spezza il cuore sapere che non
potrò mai essere
quello che vuoi, però la realtà è
questa. Non puoi comportarti così ed
aspettarti che semplicemente lo accetti. Ormai sono grande e so
prendere da
sola le decisioni migliori per me stessa.”
Ho
visto il suo viso sbiancare e ho temuto sinceramente di aver esagerato
quando
ha barcollato e si è appoggiata alla porta per sostenersi.
Il
suo sguardo, mentre mi guardava, era colmo di dolore. Così
intenso, da farmi
quasi pentire delle mie parole.
Quasi,
perché non importa quanto sia stata dura, ciò che
ho detto, è una verità
difficile da digerire, ma che prima o poi avremmo dovuto affrontare,
quindi
meglio prima che dopo.
“Ho
bisogno di stare da sola.”
Ho
aperto la bocca, non so bene per dire cosa. Avrei voluto dire qualcosa
per
spazzare via la sua sofferenza, ma niente di quello che mi è
venuto in mente
sarebbe andato bene.
Lei
ha sollevato una mano per fermarmi, prima ancora che riuscissi a
emettere un
suono.
“Hai
detto abbastanza.”
È
uscita dalla stanza, superando Allyson senza nemmeno guardarla. Forse
non si è
nemmeno accorta della sua presenza.
Mia
sorella aveva un espressione a metà tra il soddisfatto e il
dispiaciuto.
“Sei
una cogliona.”
La
sua esclamazione mi ha fatto sobbalzare e stingere il cuore, anche se
dalla sua
espressione non mi è sembrato di scorgere
ostilità.
“Sei
arrabbiata con me? Ho sbagliato?”
Lei
ha scosso la testa, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani
stretti in
una coda alta.
“No.
È la verità, ma non sono sicura che sia stato un
bene dirgliela. Almeno per
lei.”
È
stato strano sentirla parlare in difesa di Jillian, dato che, da quando
vivo
con loro, non è passato giorno senza che litigassero.
Se
n’è andata prima che potessi replicare,
lasciandomi da sola e un po’ più
leggera.
Dieci
minuti dopo, lo sbattere della porta mi ha fatto capire che Jillian era
uscita.
Ho
mandato velocemente un messaggio a Adrian, che mi ha risposto che
avrebbe
mandato subito qualcuno a prendermi.
Mi
sono preparata il più velocemente possibile.
Non
sapevo cosa mettere, anche perché non sapevo quale sarebbe
stata la mia
destinazione.
Alla
fine ho optato per un paio di pantaloni scuri morbidi, un paio di
stivaletti
alla caviglia con una leggera zeppa e una maglietta morbida rosa
confetto.
Non
mi vestivo in modo così sobrio dal giorno di Capodanno a
casa di Kayla. Tra
corsi e lavoro, non ci sono state molte occasioni per sfoggiare un look
elegante. Nemmeno per l’appuntamento di gruppo mi sono
vestita così carina.
Voglio
vederlo, riuscire a passare un po’ di tempo in sua compagnia
senza che l’incubo
di essere interrotti da mia madre.
E
poi, c’è quella parte di me, molto femminile e
vanitosa, che vuole sentirsi bella
ai suoi occhi.
Sono
riuscita a mettere un po’ di mascara giusto in tempo. Avevo
appena finito di
pettinarmi che hanno suonato alla porta.
Il
mio cuore ha immediatamente iniziato a battere all’impazzata.
Finalmente stavo
per uscire.
Alla
porta c’era un uomo di mezza età, con indosso un
elegante completo nero. Sul
taschino, il logo blu, verde e bianco, di una qualche ditta.
Con
i capelli neri tagliati corti e perfettamente pettinati, il viso
perfettamente rasato
e gli occhi castani nascosti da un paio di occhiali da vista, mi
è sembrata una
persona molto rispettabile e seria.
“La
signorina Lauren?”
Ho
annuito, inizialmente sorpresa.
“Sono
l’autista che ha ordinato.”
Mi
sono ben guardata dall’informarlo che non ero stata io a
chiamarlo e mi sono
affrettata a prendere la borsa, la giacca e chiudere la porta.
L’aria
fresca del mattino è stata un toccasana per il mal di testa
che minacciava di
travolgermi dopo il picco di adrenalina della discussione avuta con
Jillian.
Mi
sono seduta con cautela nei sedili posteriori della vettura,
trattenendo un
gemito quando, chinandomi, il costato è stato compresso,
provocandomi una
stilettata di dolore.
Non
è nulla in confronto a come stavo due settimane fa, dove
quasi non potevo
muovermi, ma ugualmente non è piacevole e ne farei
volentieri a meno.
Il
viaggio in macchina è stato decisamente confortevole e
l’autista mi ha detto
che siamo quasi arrivati.
Passiamo
di fronte al Tabor Center, uno degli edifici più importanti
del centro di
Denver, e svoltiamo sulla 17th Street.
La
macchina si arresta dall’altra parte della strada rispetto
alla fermata del bus
numero 1 per Cherry Creek.
“Eccoci
arrivati.”
L’autista
scende rapido e mi apre lo sportello,da cui scendo guardandomi attorno
con
curiosità.
È
passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono
stata in giro e il Central
District è sempre un tripudio di attività e
persone in carriera, vestite di
tutto punto, che vanno di corsa da una parte alla’altra.
È
un quartiere ricco di sedi commerciali, uffici e qui vicino credo ci
sia anche
un consolato.
Anche
se ho sempre vissuto a Denver, non sono mai andata molto in giro e non
conosco
come dovrei la mia stessa città.
Proprio
mentre sto per chiedergli dove ci troviamo esattamente, i miei occhi si
posano
su un’insegna con scritto McLeor Export Corporation.
Ringrazio
l’autista e mi avvio verso l’enorme palazzo con le
vetrate a specchio, che
sembra sovrastarmi.
Passo
accanto ad un venditore di fiori con dei palloncini ad elio a forma di
delfino
e salgo i pochi gradini che portano allo spiazzo antistante
l’edificio.
Più
mi avvicino, più mi sento nervosa.
Passo
di fianco ad una strana costruzione sospesa dall’aria molto
poco stabile. È
sicuramente una qualche forma di arte astratta, formata da dei tubi
bianchi,
uno in verticale e uno in orizzontale, a formare delle croci, che sono
unite
tra di loro da dei cavi.
È
una di quelle cose che non capirò mai.
Incrocio
tre uomini con una ventiquattrore a testa che stanno uscendo dalle
porte
scorrevoli e mi scosto per non essere travolta.
Mi
sono ricordata solo all’ultimo della mia delicata situazione.
Per un istante,
mi sono scordata di essere stata in convalescenza, di essere ancora
delicata.
Anche
un piccolissimo colpo potrebbe provocarmi un forte dolore.
Sono
così felice di non essere più rinchiusa, che
è davvero facile dimenticarsene.
All’ingresso,
all’accoglienza, dietro un grande bancone bianco,
c’è una specie di concierge vestito
di tutto punto, che sta dando indicazioni a una signora vestita con una
pelliccia marrone.
Posso
vedere i capelli scuri stretti in un’acconciatura severa,
mentre l’uomo sembra
chiaramente insofferente.
La
signora ha un tono di voce molto alto, decisamente fastidioso.
Non
invidio per nulla l’uomo che sta cercando in tutti i modi di
calmare la
situazione.
Mi
guardo attorno, nello spazio ampio e luminoso, adornato con piante in
vaso
vicino agli angoli, e individuo la targa con il nome della McLeor.
Fortunatamente
è vicina agli ascensori e non devo aspettare per chiedere
indicazioni.
Ho
il cuore che batte all’impazzata mente salgo al quarto piano,
leggermente
nauseata dal movimento ascensionale del cubicolo.
Quando
le silenziose porte dell’abitacolo si aprono alle mie spalle,
mi ritrovo ad
osservare la 17th Street dall’alto, attraverso le vetrate
dietro la reception,
dove due ragazze digitano con concentrazione su delle tastiere.
Mi
avvicino lentamente con lo stomaco contratto in una morsa.
Mi
sento estremamente a disagio in questo ambiente palesemente di lusso.
Le
vetrate sono così pulite da sembrare quasi trasparenti e il
pavimento, di marmo
bianco, luccica come se non ci avessero mai camminato sopra.
Il
bancone dove stanno le due donne è formato da due postazioni
all’interno di un
semicerchio e, anche in questo caso, la struttura è del
più candido dei colori.
Mi
avvicino alla receptionist che sembra meno occupata con un
po’ di timore.
Esattamente
come la sua collega, ha i capelli biondi tagliati fino alle spalle,
perfettamente
lisci e luminosi e indossa una giacca color antracite sopra una
camicetta
bianca
“Come
posso esserle utile?”
La
donna non solleva nemmeno lo sguardo, ma dalla voce credo abbia
più o meno l’età
di Adrian.
“Sto
cercando Adrian McLeor.”
“Ha
un appuntamento?”
Vengo
presa alla sprovvista dalla sua richiesta.
Ho
bisogno di prendere un appuntamento per vederlo?
“No,
io…”
La
donna non mi fa finire, solleva la testa e, dopo avermi squadrata da
capo a
piedi, mi fulmina con un’occhiataccia.
“Il
signor McLeor è molto occupato e senza appuntamento non vede
nessuno.”
Rimango
senza parole di fronte a tanta formalità. Non sono abituata,
non è il mio
ambiente. Cosa dovrei fare adesso? Chiamarlo? Mandargli un messaggio?
Oppure
tornare a casa?
Qualsiasi
cosa stessi per fare, mi è risparmiata dal suo arrivo, che
fa scattare sull’attenti
anche la seconda ragazza.
“Sto
aspettando una persona se arriva fatela passare direttamente nel
mio…” Si
interrompe quando mi vede e la sua espressione passa da frustrata a
sollevata
in un battito di ciglia.
“Come
non detto. Quando sei arrivata?”
Gli
vado incontro sotto lo sguardo attonito delle sue dipendenti.
“Poco
fa. Stavo giusto pensando di scriverti.”
Mi
abbraccia, cingendomi le spalle con le braccia e io gliele stringo in
vita,
respirando l’odore di pulito del completo elegante che
indossa.
Dire
che è da togliere il fiato, è un eufemismo.
“Come
ti senti?”
“Molto
meglio ora che sono qui.”
Lui
ridacchia e mi lascia andare.
“Vieni,
ti porto a fare un giro.”
Sento
le sopracciglia aggrottarsi, perché non riesco ad immaginare
che ci sia
qualcosa di particolarmente interessante.
Mi
prende per mano con disinvoltura e mi conduce in giro per il piano.
Esattamente
come immaginavo, non è niente di eclatante. Solo enormi
stanze, divise in
cubicoli da pareti di compensato altre un metro e mezzo, il tanto
giusto per
garantire riservatezza e trasparenza, e tante persone vestite con
completi
ordinati e professionali.
Il
mio abbigliamento, al confronto, sembra estremamente infantile,
soprattutto
rispetto al mio accompagnatore.
Non
so se è stata una mia impressione o se veramente sia stato
così, ma per tutto
il tempo, ho avuto la netta sensazione di essere osservata e non mi
è piaciuto
per nulla.
Arriviamo
di fronte ad una scrivania, stranamente vuota e dall’aspetto
abbandonato. Poco distante,
c’è una porta di legno a due battenti.
“Ed
ora la parte migliore, quella che ha realmente senso e merita di essere
vista.
Scusami se è stato noioso.”
Scuoto
la testa, sorridendo. Non è un problema. Se qualcosa
è importante per lui,
allora lo è anche per me. Inoltre, le sue spiegazioni, sono
state davvero
istruttive. Non avrei mai pensato che potesse essere così
complicato un lavoro
di spedizioni.
“Quale
sarebbe la parte interessante.”
Lui
mi sorride, facendomi l’occhiolino con fare malizioso.
“Il
mio ufficio.”
|
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Capitolo 49 *** 49 Adrian ***
49
Adrian.
Lo
sguardo sorpreso e
meravigliato di Chelsea, di fronte all'ampio ufficio in cui ora lavoro
mi fa
guardare l'ambiente con occhi nuovi.
Io
in questo ufficio ci
sono cresciuto l'ho visto cambiare, rinnovarsi, unire uno stile vecchio
e
pomposo a uno più moderno dove spiccano il bianco e il nero,
ma prima della
faccia scioccata di Chelsea, non mi ero mai reso conto di quanto, ad
una
persona esterna, potesse apparire strano.
Un
altro mondo.
"Oh
mio Dio."
La
sua espressione
rende molto bene.
L'ufficio
è composto da
due stanze collegate. Quella in cui ci troviamo ora, è
arredata come se si
trattasse di un salotto di una casa ultra costosa.
Al
centro della stanza,
sopra delle mattonelle di marmo nero, c'è un tavolino basso
di legno massiccio,
su cui sono appoggiati due vassoi, con sopra una caraffa di acqua
fresca e dei
bicchieri immacolati, il tutto dominato da un immenso vaso di cristallo
con dentro
una pianta dall'aspetto orientale.
Due
divani di pelle
bianca, cosparsi di cuscini, nelle varie tonalità di bronzo
e platino, e una
poltrona dello stesso colore, stanno intorno al tavolino, proprio di
fronte
alla vetrata che da sulla piazza antistante l'edificio.
Delle
tende morbide,
intonate ai cuscini, sono spalancante e pendono leggermente mosse
dall'impianto
di riscaldamento.
Le
pareti sono coperte
da lucidi armadi di mogano in cui vengono riposti tutti i documenti e
le
cartelle.
"Non
ti
piace?"
La
osservo scuotere la
testa, gli occhi sgranati.
"Non
so cosa
pensare. È... opprimente... credo."
La
sua descrizione
dell'ambiente è decisamente accurata. Per chi non
è abituato a tanto sfarzo è
decisamente una stanza soffocante.
"Vieni.
Di qua
andrà sicuramente meglio."
Le
prendo la mano e la
tiro verso sinistra, attraverso una porta a vetri smerigliata,
automatizzata
come nei supermercati.
La
sento respirare a
fondo una volta che la porta si è chiusa alle nostre spalle
e non posso che
concordare con lei.
Rispetto
all'altra
stanza, l'ufficio vero e proprio risulta quasi austero.
Nella
stanza, domina
l'ampia scrivania a L, dello stesso legno degli schedari. Una poltrona
di pelle
nera e due poltroncine dello stesso materiale sono l'unico posto per
sedersi.
Il ripiano di legno è occupato da due pile di documenti da
vagliare e un pc
fisso.
Il
pavimento in resina
è di tutte le sfumature del bianco con artistiche linee
grigio scuro.
L'ambiente
molto
luminoso la fa sospirare di sollievo.
"Lavori
davvero
qui?"
Annuisco
e lei mi
sorride.
"Tutto
questo
bianco è davvero abbagliante, ma è molto
più allegro dell'altra stanza."
Non
posso che
concordare con lei, anche perché rispecchia completamente
l'orrido e costoso
gusto di mio padre, mentre questo locale è più
nel mio genere.
Se
fosse per me,
rivoluzionerei l'intero piano, ma non è il momento per quel
genere di
cambiamenti. Prima devo consolidare la mia posizione all'interno della
società.
"Ho
ancora un po'
di cose da fare prima dell'ora di pranzo. Che ne dici di rilassarti un
po'
mentre finisco di controllare un po' di quelle carte?"
Lei
annuisce,
l'espressione serena come non la vedevo da tempo.
"Sono
felice di
essere uscita. Fai con comodo, io ti aspetto di là."
"Puoi
restare qui
se ti va'. La tua presenza non mi disturba."
La
prendo tra le
braccia per stringerla gentilmente. Adesso che è qui, non
vorrei proprio
lasciarla andare, ma se non imparo a far coincidere i miei impegni
lavorativi
con il tempo che posso passare con lei, non riuscirò mai a
mantenere la
promessa che le ho fatto quella seconda notte in ospedale.
Le
ho detto che volevo
essere un uomo migliore e ho assolutamente intenzione di diventarlo.
Non è
facile, perché le cattive abitudini, esattamente come in
questo momento,
cercano di prendere il sopravvento, ma voglio dimostrarle che tutto
l'impegno
che ci ha messo per riuscire ad arrivare dove siamo ora non
è stato vano.
Che
avere pazienza con
me e darmi fiducia non è stato un errore.
Mollare
tutto per passare
un'ora in più con lei sarebbe da immaturi e non me lo
perdonerebbe mai. È
troppo responsabile per accettare un atteggiamento del genere.
Le
sue braccia si
avvolgono attorno al mio busto, facendomi sentire sul petto la
pressione del
suo seno.
Oltre
ad alcuni baci,
decisamente troppo casti per i miei gusti, non ci tocchiamo dal giorno
prima
dell'aggressione e, sebbene l'astinenza forzata me lo faccia venire
duro come
il marmo, non ho nessuna intenzione di assecondare i miei desideri
egoistici se
lei non sta bene.
Le
costole incrinate
sono una scocciatura vera e propria. Ci vogliono settimane
perché il dolore
svanisca del tutto e Chelsea ha preso forse la metà degli
antidolorifici che il
medico le aveva prescritto.
Non
c'è stato verso,
una volta dimessa dall'ospedale, di farle prendere quelle dannate
pillole.
Diceva
semplicemente
che se stava ferma non le servivano. Il dolore era sopportabile e non
aveva
nessuna intenzione di imbottire il suo corpo di medicine e cose in
grado di
confonderla.
L'esperienza
con la
morfina, a quanto pare, non le è piaciuta molto.
Ha
detto che le ha dato
la stessa sensazione di euforia e malessere di quando ha bevuto il
cocktail di
Meredith e che non aveva nessuna intenzione di riprovarla.
Ammetto
di non essere
riuscito a capirla, ma lei è stata irremovibile. A meno che
il dolore non fosse
diventato insopportabile, non aveva nessuna intenzione di prendere le
medicine.
"Forse
no, ma non
voglio distrarti. Concentrati su quei documenti e, quando avrai finito,
sarò
oltre quella porta. Mi abituerò a tutto quell'opprimente
lusso."
Lo
disse con il
sorriso, alzandosi sulle punte dei piedi per depositarmi un bacio
gentile sulle
labbra.
Prima
ancora di avere
il tempo di assaporare il contatto, lei si era già
districata dal nostro
abbraccio e abbandonato l'ufficio, lasciandomi da solo con una montagna
di roba
da fare.
***
Quando
guardo
l'orologio per controllare che ore siano, mi scappa un'imprecazione
Non
riesco a credere
che siano passate più di due ora da quando ho portato
Chelsea nel mio ufficio.
In
un primo momento, ho
avuto difficoltà a concentrarmi. Ero preoccupato che non si
sentisse a suo agio
e i documenti che dovevo controllare erano davvero noiosi.
Tra
una telefonata e
l'altra, mi sono completamente immerso nel lavoro, dimenticandomi di
tutto.
Mi
alzo dalla poltrona
che, sebbene comoda, dopo due ore inizia a diventare fastidiosa e mi
allungo
per sciogliere i nodi a spalle e schiena.
Stare
tante ore seduto
non mi piace, motivo per cui ringrazio sempre il cielo che qualcuno
abbia aperto
una palestra al settimo piano del palazzo. Appena ho un buco libero, mi
infilo
nell'ascensore e vado a scaricare la tensione.
Prendo
il cappotto
dalla gruccia vicino alla porta del bagno e vado a cercare Chelsea.
In
un primo momento la
stanza mi sembra deserta, ma un secondo dopo, la individuo,
profondamente
addormentata su uno dei divani.
I
capelli scuri sono
abbandonati su un cuscino, il corpo rilassato nel sonno. Mi viene da
sorridere
quando noto che, pur di non mettere i piedi sul tessuto, li ha lasciati
deliberatamente penzolare fuori dal bordo.
Mi
avvicino lentamente,
osservando ogni dettaglio. Ora il suo viso non porta più i
segni della violenza
che l'ha colpita. I graffi sono guariti, i lividi svaniti e presto
anche le sue
costole smetteranno di farle male.
Ho
incaricato un
avvocato di occuparsi di tutto quanto. Chiederanno per Susan la massima
pena
consentita e una visita psichiatrica per cercare di aiutarla.
Le
accuse saranno
piuttosto pesanti. Persecuzione, vandalismo, distruzione di
proprietà altrui,
aggressione e credo che l'avvocato proverà ad inserire anche
il tentato
omicidio. A suo favore non va che durante il colloquio con i poliziotti
abbia
detto che avrebbe dovuto ammazzarla quando ne aveva avuto la
possibilità.
Quando
l'ho saputo, mi sono davvero incazzato è il sacco da box
della palestra ne ha
pagato le conseguenze.
Ho continuato a colpire il sacco fino ad avere le mani doloranti e i
muscoli
delle braccia che chiedevano pietà.
Probabilmente,
quella
ragazza, passerà molti anni dietro le sbarre e spero che, se
e quando uscirà,
deciderà di fare qualcosa di buono della sua vita.
Lascio
cadere il
cappotto sulla poltrona e mi avvicino alla donna che mi ha mostrato un
altro
modo di vivere.
Non
riesco ancora a
credere di essere così fortunato. Mi sento come se mi
trovassi in un mondo
sconosciuto e fantascientifico. È la mia vita, lo so, e sono
felice di viverla,
ma allo stesso tempo mi sembra estranea, come se dovesse svanire da un
momento
all'altro.
Eppure
so che lei non
andrà da nessuna parte.
Esattamente
come me,
quando promette qualcosa, Chelsea fa di tutto per mantenere la parola
data e di
lei mi fido ciecamente.
Come
potrebbe essere
diversamente?
Ha
visto il peggio di
me e non è scappata disgustata. Ha perdonato le mie cazzate,
quelle del
presente come quelle del passato, quasi senza battere ciglio nonostante
sia
successo tutto quel casino.
Come
potrei non
fidarmi, quando mi sorride come se il mondo fosse un posto bellissimo
in cui
vivere?
È
una di quelle sue
qualità che preferisco. Lei sorride sempre, anche quando non
va bene niente,
lei trova un modo per farlo. Vede sempre del buono in ogni situazione,
in ogni
persona e io voglio proteggere quel sorriso così speciale.
Farò
tutto ciò che è in
mio potere per proteggerla dalle cose cattive del mondo, in modo che
possa
sempre sorridere come ha fatto solo un paio di ore fa, quando mi ha
visto nella
All.
Mi
chino vicino al suo
viso e le sfioro con delicatezza la piccola cicatrice bianca che ha sul
labbro
inferiore, dove era ferita.
Lei
si muove
leggermente, emettendo una specie di miagolio.
Ripeto
il gesto e i
suoi occhi si spalancano, sorpresi.
Appena
si accorge di
chi ha davanti, la sua espressione si addolcisce e il sorriso le
illumina il
viso.
"Mi
sono
addormentata vero?"
Le
accarezzo il viso,
incapace di fermare la mia mano che vuole toccarla. Lei reclina il
capo, per
avvicinarsi di più al mio palmo, gli occhi socchiusi.
Mi
limito ad annuire.
"Mi
dispiace."
Alle
volte non la
capisco. Si scusa anche per cose che non devono essere perdonate.
"Non
hai fatto
nulla di male. Eri bellissima mentre dormivi."
La
sua espressione
sorpresa mi fa corrugare le sopracciglia.
"Non
mi avevi mai
detto che sono bella."
La
sua innocenza si
palesa di nuovo, con una constatazione così pulita, senza
ombra di
recriminazione, come solo chi è assolutamente puro
può fare.
"Sono
un
idiota."
Lei
mi osserva con
curiosità, aspettando una spiegazione.
Che
pezzo di merda che
sono.
"Tu
sei bellissima
Chelsea, non so se tu lo sia più dentro o fuori, ma sei
comunque
incantevole."
Sento
il cuore pulsare
con forza, mentre le sfioro la fronte per allontanare alcune ciocche
ribelli.
Come
posso essere stato
così stupido da non dirle una cosa così
elementare?
"Mi
hai conosciuta
che ero un caso umano."
La
sua affermazione è
colma di nostalgia, come se qualcosa di quel periodo le mancasse.
"Eri
bellissima
anche con quegli assurdi capelli biondi."
Lei
sembra sorpresa e
non posso biasimarla. Io stesso non riesco a credere di ricordare
quella sera
con tanta chiarezza. La prima cosa che ho notato di lei è
stato quanto poco
assomigliasse alle altre ragazze. Piacevolmente, incredibilmente
diversa.
È
stata anche la prima cosa che mi fatto pensare che farci sesso sarebbe
stato
fenomenale.
"Oddio
che
vergogna."
Si
copre il viso con le
mani, che mi affretto a spostare, intrappolandole tra le mie.
"Perché?
Eri
davvero adorabile ed eri assolutamente off limits."
Lei
sorride,
leggermente persa nei suoi pensieri.
"Sei
stato
gentile. Sei venuto a parlarmi." Mi guarda, con i suoi splendidi occhi
violetti in grado di togliermi il respiro.
"Era
la prima
volta che parlavo con un ragazzo fuori dal mio ambiente. Non riesco a
credere
che siano successe così tante cose in meno di sei mesi."
Nemmeno
io e non mi
sono ancora abituato a tutto ciò. L'ultimo mese in
particolare è stato quello
più carico di avvenimenti in assoluto. La sua vita
è cambiata completamente, ma
anche la mia è stata rivoluzionata: da lei, la mia fata
personale.
Lei
sospira, mentre io
non so cosa dirle.
"Non
avrei mai
pensato di arrivare fino a qui e sentirmi così a mio agio.
Mi sei mancato
questi ultimi quindici giorni."
Le
sorrido, perché il
sentimento è assolutamente reciproco.
"Anche
tu mi sei
mancata."
Lei
lancia un'occhiata
in direzione della porta.
"Credi
che, se ti
baciassi, qualcuno verrebbe ad interromperci?"
La
sua domanda mi
spiazza completamente e, senza pensarci due volte, mi fiondo alla porta
per
chiuderla a chiave.
Meno
di trenta secondi
dopo sono di nuovo vicino a lei. Si è messa in piedi, lo
sguardo che luccica di
aspettativa, e non ci penso due volte prima di metterle le mani addosso.
Le
infilo una mano tra
i morbidi capelli per tenerla ferma e divoro la sua bocca come non
facevo da
troppo tempo.
Mi
è mancata la
sensazione di stringerla tra le braccia, di baciarla.
Lei
è dolce, decisa,
completamente abbandonata contro di me, ma reattiva ad ogni mia
variazione.
Non
è più timida,
schiva. È dannatamente perfetta e mi fa sentire l'uomo
migliore di questo mondo
con il suo abbandono.
"Fa
l'amore con
me."
La
sua voce è dolce, ma
decisa, esattamente come il suo sguardo.
È
la prima volta che
prende l'iniziativa da quella notte dove è venuta nel mio
appartamento e la sua
audacia mi stupisce, anche se al mio pene gonfio fa tutto un altro
effetto.
"Non
voglio farti
del male e poi siamo in ufficio."
Lei
scuote la testa
leggermente, le guance arrossate.
"Sto
bene, ma
voglio sentirti vicino, ho bisogno di sapere che tutto questo non
è solo un
sogno, ma che è tutto vero.
Rinforza
la presa delle
sue braccia sul mio collo per avvicinarmi e, con le labbra a mezzo
centimetro
dalle mie, ripete la sua richiesta, come se potessi mai negarmi una
seconda
volta a prendere ciò che bramo.
Starò
anche cercando di essere migliore, ma lei è dannatamente
eccitante quando è
eccitata.
Inoltre i pantaloni mi vanno stretti da troppo tempo per allontanarla e
provare
a protestare.
Se
lei se la sente, io
non ho nessuna obiezione.
La
trascino sul divano,
lasciandola sdraiare sopra di me e ricomincio a baciarla, con
più foga di
prima.
Lei
si allunga sopra di
me come un gatto, intrecciando le sue gambe con le mie. Con una mia
gamba tra
le sue, è una posizione maledettamente sexy
perché sento ogni centimetro del
suo morbidissimo corpo contro il mio.
Con
una mano le tengo
la testa ferma per poterla divorare, mentre con l'altra inizio a
esplorare le
sue curve. La sua pelle è morbida proprio come ricordavo e
lei profuma di
pesca.
Sollevo
il ginocchio e
lei inizia a muoversi piano contro la mia gamba, premendo il suo centro
bollente contro di me. Sento il calore attraverso gli strati di vestiti
e
questo mi porta a cercare di eccitarla ancora di più.
Mi
sposto e con qualche
difficoltà riesco a capovolgere la nostra posizione.
Chelsea ha le guance arrossate e le labbra, rosse e gonfia per i miei
baci
leggermente aperte.
Prima
di lasciarla
sdraiare di nuovo, le faccio togliere la maglietta che indossa e
lasciandola
solo in reggiseno.
Chelsea
è formosa, ben
proporzionata e le coppe del reggiseno riescono a malapena a contenere
il suo
seno.
Cerco
i suoi occhi e vi
trovo un ombra che mi mette immediatamente in allerta.
"Cosa
c'è che non
va?"
La sua prima reazione è distogliere le sguardo, ma un attimo
dopo si volta e mi
guarda con un misto di determinazione e imbarazzo.
“La
luce. Non è mai successo con tutta questa luce.”
Pian
piano capisco che cosa intende.
Per
quante volte siamo andati a letto assieme, non è mai
successo fuori dalla
camera da letto, stranamente e mai con tanta luce.
“Vuoi
andare via?”
Mi
sento obbligato a chiederglielo, anche se credo che quello che ho nei
pantaloni
potrebbe uccidermi se lei decidesse che è meglio fermarsi.
Con
mio immenso sollievo lei scuote la testa, sempre un po’
timorosa.
“Me
lo dimenticherò, perché mi fai perdere la
testa.”
Detto
ciò, mi attira nuovamente a se per un bacio da togliere il
respiro e che fa
salire la temperatura della stanza di qualche grado.
Le
passo una mano sui fianchi, sulla vita, salendo verso l’alto.
Le sfioro appena
il reggiseno e le afferro il viso per farla voltare e avere accesso al
collo.
Ha
un sapore leggermente salato mentre percorro con la lingua la vena del
collo
che pulsa vistosamente.
Ringrazio
silenziosamente il cielo che l’apertura del suo reggiseno sia
sul davanti e in
un secondo la libero dell’ingombrante indumento.
Mi
sollevo un po’ per guardarla ed è esattamente come
l’avevo immaginata questa
mattina quando mi ha chiamato.
Avevo
una certa fantasia su lei, nuda e scompigliata su uno dei miei divani,
ma non
avrei mai pensato che quella piccola follia mattutina si sarebbe
realizzata in
giornata.
Sotto
il mio esame, il collo e il viso s’imporporano per
l’imbarazzo, facendomi
sorridere.
“Puoi
giurarci che ti farò perdere la testa.”
Mentre
con la bocca esploro tutto quello che ha da offrire, facendole emettere
piccoli
squittii ogni volta che i miei denti sfiorano un capezzolo, con
l’altra mano le
sbottono i pantaloni.
Invece
che rimanere ferma e godersi le mie attenzioni, Chelsea inizia a
trafficare con
la mia camicia, fino a sfilarmela e avere, finalmente, accesso alla mia
pelle,
su cui passa delicatamente le unghie corte.
Me
la prendo con comodo, torturando tutti i suoi punti più
sensibili e facendola
contorcere.
Più
la tocco, più lei diventa esigente e intraprendente. Dopo
aver fatto volare la
mia camicia chissà dove, è lei ad armeggiare con
la cintura dei miei pantaloni
per poterci infilare una mano dentro.
I
suoi occhi sono smarriti, completamente catturati dal momento e non
c’è più
ombra dell’imbarazzo o dell’inquietudine.
Adoro
quando si trasforma in questo modo. Un momento prima è
timorosa, ansiosa, e l’attimo
dopo è pronta a prendere quello di cui a bisogno, come se
qualsiasi freno fosse
stato tolto.
Non
si tira indietro quando le sollevo una gamba sullo schienale del divano
per
avere pieno accesso al suo corpo e torturare con la bocca quella parte
del suo
corpo che richiede così ardentemente le mie attenzioni.
Lei
si inarca sotto il mio tocco, gemendo sommessamente e artigliando con
forza i
miei capelli leggermente troppo lunghi.
I
preliminare con lei sono sempre molto intensi perché
reagisce al mio tocco come
se fosse pervasa da scariche elettriche.
Vederla
venire è decisamene eccitante perché non si frena
in niente. Ogni sua reazione
è amplificata e onesta. Il suo sguardo meravigliato, ogni
volta che il suo corpo
si contrae per il piacere, mi fa sentire eccezionale.
Chelsea
è fatta per il sesso, con me.
È
perfetta per stare tra le mie braccia, per pronunciare il mio nome
mentre
affondo nel suo corpo caldo mentre è ancora scombussolata
dal primo orgasmo.
Eppure,
non so se per non farle male o semplicemente per il piacere del
sentirla dopo
tanto tempo, il nostro amplesso non è scatenato come al
solito.
Non
riesco a smettere di guardare il suo viso, su cui posso leggere tutto
ciò che
prova, mentre pian
piano accelero i
movimenti del bacino per dare ad entrambi sollievo da questa tortura.
Lei
socchiude gli occhi per cercarmi, la fronte imperlata di sudore e il
fiato
corto.
Si
irrigidisce nel mio abbraccio, affonda domi le unghie nelle spalle e
pronunciando parole d’amore che mi fanno completamente
perdere il controllo.
La
mia mente si svuota di ogni pensiero razionale e rimangono solo i
sentimenti e
le sensazioni.
Forse
glielo dico o forse mi limito a pronunciare il suo nome, mentre il
piacere m’irrigidisce
i muscoli.
Non
lo so.
Non
sono sicuro di molte cose, ma è indiscutibile che mi stia
follemente
innamorando di questa donna.
|
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Capitolo 50 *** 50 Chelsea ***
50
Chelsea.
La
tempesta si è placata e giaccio praticamente nuda sulla
morbida pelle del divano
bianco, le gambe così deboli da non provare nessun desiderio
di alzarmi.
Adrian
è sdraiato sopra di me, il respiro ora regolare. Dopo
essersi tolto il
preservativo e dato una pulita veloce con una salvietta di carta,
è tornato sul
divano e mi ha presa tra le braccia, stringendomi forte e delicatamente
allo
stesso tempo.
Mi
è mancata la sua vicinanza, sentirlo così vicino.
Mi è mancato il sesso e non
avrei mai pensato di potermi sentire allo stesso tempo a mio agio e
imbarazzata
nella mia nudità.
Il
pudore e la vergogna, quando sono con Adrian, svaniscono,
perché mi guarda con
gli occhi che brillano. Sono scuri e in tempesta quando è
eccitato e adoro
sapere di fargli un tale effetto.
Non
avrei mai immaginato che uno sguardo lussurioso, invece di farmi
rabbrividire e
disgustare come è
accaduto innumerevoli
volte, prima di lui, mi avrebbe fatta emozionare e sentire felice.
Ho
sempre odiato il modo lascivo in cui alcuni uomini e ragazzi guardavano
il mio
corpo, mi ha sempre messo a disagio, ma quando è Adrian, non
mi sembra mai
abbastanza.
Aprire
le gambe, mostrargli tutti i miei segreti, è molto meno
difficile di come lo è
stato le prime volte, perché adesso le cose sono molto
più chiare.
Certo,
non abbiamo ancora parlato di sentimenti e lui è ancora un
po’ rigido secondo
me, ma sono quasi certa che si stia innamorando di me.
I
suoi occhi mi parlano e mi dicono tutto quello che ho bisogno di
sapere.
Aspetto
con ansia il momento in cui mi dirà quelle parole
così importanti, perché vorrà
dire che ha finalmente accettato di aprirsi del tutto.
Raccontarmi
del suo passato, è stato indubbiamente difficile e so che
c’è voluta una bella
dose di fiducia per confidarsi, quindi sono disposta a dargli tempo,
tutto
quello di cui avrà bisogno.
Anche
se non lo ha detto, i suoi occhi me lo dicono, il modo in cui mi tocca
è come un
dolce sussurro che parla di amore, di adorazione.
Oggi
non è stato solo sesso, è stato molto di
più. L’ho sentito fin dentro l’anima
mentre spingeva nel mio corpo con lentezza, lo sguardo incatenato al
mio.
Non
è stato solo perché non voleva farmi male che
è stato gentile, meno impetuoso e
appassionato delle altre volte. No, oggi desiderava trasmettermi
qualcosa ed è
riuscito a farmi tremare il cuore con il suo tocco gentile.
Io
amo quest’uomo per quello che è, per il dolore che
ha dovuto affrontare, per il
modo, sicuramente sbagliato, in cui si è rialzato, ma tutto
ciò lo ha reso così
diverso da qualsiasi persona io abbia mai conosciuto.
Gli
errori che ha fatto nel passato non contano, perché io sono
speciale per lui,
quanto lo è lui per me.
Io
volevo salvarlo da se stesso, ma la verità è che
si è salvato da solo,
esattamente come io ho trovato un nuovo equilibrio con le mie sole
forze.
Non
gli serviva una salvatrice, ma una ragione per essere migliore. Ha
scelto da
solo la sua strada. Avrebbe potuto continuare ad essere come prima, a
far
soffrire le persone solo per lenire la sua pena, invece che affrontare
i suoi
demoni, invece ha scelto di essere diverso, di cambiare la sua vita ed
essere,
o almeno provare, la persona che avrebbe sempre voluto diventare.
Avrebbe
potuto lasciarsi consumare dall’odio e dalla recriminazione,
ma non lo ha
fatto.
Questo
lo rende non solo forte, ma incredibilmente speciale.
Cambiare
la propria vita richiede sforzo ed impegno e io so bene quanto possa
essere
difficile.
Lo
stringo più forte, mentre lui preme ancora di più
la testa sul mio petto nudo,
esattamente come fanno i neonati.
Un
brivido mi scende lungo la schiena, accompagnato da uno spasmo di
eccitazione.
Adrian
adora il mio seno, passa una quantità di tempo spropositato
a toccarmi, non
solo prima del sesso, ma anche dopo e, se all’inizio questa
sua fissazione mi
metteva a disagio, mi sono abituata anche troppo in fretta a sentire il
suo
peso sopra di me, al calore del suo corpo.
Non
vorrei lasciarlo andare, ma credo che abbiamo passato abbastanza tempo
qui dentro
con la porta chiusa e i suoi dipendenti potrebbero avere bisogno di lui
da un
momento all’altro. Inoltre, la vetrata di fronte a noi mi
mette a disagio.
Anche
se so che quasi sicuramente nessuno potrebbe vedere, con un binocolo o
meno,
che cosa succede, vedere così chiaramente
l’esterno mi fa sentire esposta e
vulnerabile.
Non
sono ancora pronta per diventare una creatura disinibita come la mia
migliore
amica. Per come sono ora, anche una minigonna è troppo
osé, quindi l’idea di
essere nuda dove chiunque potrebbe vedermi se abbastanza in alto, mi
mette a
disagio.
In
questo momento Adrian mi copre, ma prima, mentre eravamo impegnati ad
amarci,
ero completamente esposta.
L’idea
che qualcuno possa averci visto mi fa accapponare la pelle, ma in quel
momento
il desiderio di sentirlo vicino, intimamente connessi, è
stato più forte della
timidezza.
Ora
è tutto così diverso. La sua freddezza
è scomparsa. Dell’uomo che, dopo esseri
preso la mia verginità, è rimasto accanto a me,
senza dire una parola, non è
rimasto nulla.
Improvvisamente
solleva la testa, fissandomi con gli occhi che adesso sembrano del
colore delle
nuvole cariche di pioggia.
“Hai
fame?”
Mi
limito ad annuire e lui si allunga sul pavimento per recuperare i miei
abiti.
Quando
si sta alzando, lo trattengo, intimorita.
“non
è che potresti chiudere quelle tende? Mi sento a
disagio.”
Gli
indico le vetrate e lui scoppia a ridere.
“Non
può vederci nessuno, ma se ti fa stare tranquilla, lo
farò.”
Si
solleva leggermente non appena lo lascia andare e mi sbatte
scherzosamente
addosso uno dei cuscini del divano che, nel corso del nostro
appassionato
interludio sono caduti per terra.
“Copriti
con questo.”
Si
alza, senza quasi lasciarmi il tempo di sedermi e nascondermi dietro il
morbido
cuscino, e lo osservo camminare tranquillamente per la stanza, fino
alle
vetrate, completamente nudo.
Mi
sento a disagio ad osservarlo, perché per me la
nudità è ancora qualcosa che mi
mette a disagio, ma mi piace farlo.
Adrian
ha un bel corpo secondo me. Non so se sia una bellezza universale, ma a
me
piacciono i muscoli delineati della schiena, delle cosce e tutto il
resto.
Potrei rimanere ore a guardarlo, cercando di dipingere nella mente un
suo
ritratto, questo senza essere scoperta.
Infatti,
non appena si gira, dopo aver tirato le tende, distolgo lo sguardo,
imbarazzata.
Il
suo viso ha il tipico sorriso di chi sa di essere stato osservato
attentamente e
gli fa piacere.
Però,
per fortuna, non dice nulla, dimostrando di essere più
sensibile di quanto non
si potrebbe pensare.
Con
le guance in fiamme, mi rivesto, i muscoli delle cosce doloranti per la
tensione a cui sono stati sottoposti.
Lui
fa lo stesso, riacquistando in pochi minuti un aspetto rispettabile e
dignitoso, mentre io sono sicura di assomigliare ad
un’accattona.
Adrian
mi mostra il bagno, un altro locale inequivocabilmente lussuoso nella
sua
semplicità e mi dice di fare con comodo.
Mi
guardo allo specchio e inorridisco. Ho i capelli un disastro a causa
delle
troppe volte in cui Adrian ci ha messo le mani e il viso è
pieno di chiazze
rosse, che stanno lentamente sbiadendo. Il mascara si è
parzialmente sciolto a
causa del sudore e, in aggiunta alle occhiaie già presenti
sul mio viso, ora
sembro un panda sconvolto che è caduto da un albero sopra un
cespuglio
urticante.
Con
rassegnazione mi passo le dita nelle ciocche disordinate, cercando
disperatamente di riportarle in ordine, dopo di che mi lavo il viso,
rimuovo
con un pezzo di carta i residui di nero, non senza riempirmi di
pezzettini di
carta bagnata, che riesco a eliminare con fatica, e riapplico il
mascara,
facendo attenzione a non cavarmi un occhio.
Il
mio corpo sta ancora tremando a causa
dell’intensità del nostro rapporto.
Dopo
un’infinità di tempo, finalmente ho un aspetto
presentabile e raggiungo Adrian,
che è di nuovo alla scrivania e sta parlando al telefono,
un’espressione strana
sul viso.
Sembra
preoccupato, ma anche furibondo.
“Arrivo
subito!”
Sbatte
con forza il telefono sul supporto, facendomi sobbalzare e si alza.
Tutto in
lui parla di ira contenuta.
“Puoi
aspettarmi qui? Devo risolvere un problema. Ci metto al massimo dieci
minuti.”
Mi
fa sedere alla scrivania e mi da un bacio sulla fronte, dopo di che
esce
velocemente dall’ufficio a passo sostenuto.
Qualsiasi
cosa sia successa, non lo ha reso per nulla felice.
Prendo
il cellulare dalla mia borsa e riprendo a leggere il libo da dove lo
avevo
interrotto.
Ho
scoperto che posso acquistare e leggere libri anche sul cellulare
grazie ad un’applicazione
e, prima di addormentarmi, stavo proprio facendo questo.
Prima
di imbattermi in questo romanzo, non avrei mai pensato che il genere
post
apocalittico mi sarebbe piaciuto, ma La Peste Scarlatta di Jack London
è un
romanzo davvero incredibile.
Il
libro è stato scritto nel 1912, ben prima delle guerre
mondiali, ma da come l’autore
parla dell’umanità, è come se avesse
avuto una visione, una premonizione, su
ciò che sarebbe accaduto e che ora tormenta l’uomo
moderno. Parla di una
società vendicativa e prepotente, al massimo della sua
espansione, dove non ci
sono limiti a ciò che l’uomo può fare,
dove non c’è più nessun confine tra
bene
e male. È in quel preciso momento che l’epidemia
colpisce, distruggendo tutto
ciò che l’uomo aveva costruito fino a quel
momento.
Mi
sono imbattuta in questo autore per caso, durante le infinite ore
passate nel
mio letto, e sono stata completamente catturata dalla trama. Guardare
la
televisione mi aveva stancata e stavo cercando qualcosa da leggere.
Mio
padre non mi ha mai spinta a leggere, voleva che partecipassi alle
attività
della comunità, che facessi la mia parte come sua figlia, ma
ho sempre adorato
leggere storie improbabili e al limite della fantasia.
È
stato al liceo che ho finalmente potuto coltivare la mia passione. Mio
padre
non poteva negarmi la possibilità di studiare letteratura
inglese, così si è
rassegnato, vegliando e controllando ossessivamente che non leggessi
qualcosa
di inappropriato.
Ci
hanno fatto leggere Cime Tempestose, Orgoglio e Pregiudizio e, per
quanto siano
state bellissime storie d’amore tormentate, mi sono sempre
apparse più irreali
di altri libri.
Di
tutti quelli che ci hanno fatto leggere, al romanticismo, ho preferito
Moby
Dick e Ventimila leghe sotto i mari. Soprattutto l’ultimo.
Ho
adorato il modo in cui Jules Verne ha descritto il mondo sottomarino e
i suoi
abitanti. Riuscivo a raffigurarmi perfettamente le ambientazioni. La
ricerca
del mostro marino a bordo della nave, vita sul Nautilus, la battuta di
caccia
nel Pacifico. Il
suo racconto mi è
rimasto nella mente e nel cuore.
Stavo
per acquistare e scaricare un altro dei suoi romanzi, che non ho mai
potuto leggere,
quando il mio sguardo si è posato sul romanzo di Jack
London. Mi ha incuriosito
così tanto che l’ho acquistato immediatamente.
Sono
a circa metà della lettura e mi sta appassionando sempre di
più nonostante sia
una specie di necrologio della civiltà umana.
Non
so quanti minuti sono passati quando sento finalmente la porta aprirsi.
Sollevo
la testa di scatto, ansiosa di vederlo entrare, ma la persona che
attraversa le
porte di vetro non è Adrian.
L’uomo
indossa un completo elegante e ha i capelli tirati indietro. Il viso
è
grigiastro e stanco. Si ferma immediatamente quando mi vede, stringendo
gli
occhi fino a riderle a due fessure.
Sento
un brivido di terrore scivolarmi lungo la schiena, mentre mi rendo
conto che l’uomo
che ho davanti, stando ai racconti di Adrian, è tutto meno
che innocuo.
Nonostante
ciò, nonostante il mio corpo stia tremando e il cuore stia
cercando di fuggirmi
dal petto, raddrizzo le spalle, fissandolo con determinazione.
Non
avrei mai pensato di incontrare il padre di Adrian e ne avrei fatto
volentieri
a meno.
Ci
fissiamo per alcuni istanti e non so cosa fare.
Lui
sembra stia riflettendo su qualcosa, mentre mi osserva con sguardo
cattivo.
Quest’uomo,
se così si può definire, mi spaventa, ma non
posso mostrargli la mia paura.
“Credo
che abbia sbagliato ufficio.”
La
mia voce suona leggermente più debole di quanto avrei
voluto, ma non distolgo
lo sguardo.
Deve
andarsene prima che torni Adrian. Non voglio che lo veda.
L’uomo
sorride con cattiveria.
“Invece
credo proprio di essere nel posto giusto.”
Fa
un paio di passi avanti e io mi alzo dalla poltrona su cui ero seduta e
stringo
con forza il telefono nella mano, cercando di trattenere i tremiti.
“Adrian
sarà qui a breve.”
Gli
dico, ma lui scuote la testa, l’espressione maligna e
divertita.
“Oh,
io non credo proprio. Ho dato al mio figliolo una bella distrazione,
così posso
riprendere ciò che è mio.”
Percorre
con lo sguardo il mio corpo, facendomi rabbrividire e venire un conato.
Il mio
stomaco sta cercando di ribellarsi.
“Mio
figlio ha sempre saputo trattarsi bene. Sei proprio una bella
puttana.”
Sento
i miei occhi spalancarsi, mentre il mio corpo si irrigidisce e il
respiro si
spezza.
Lui
continua ad avanzare verso di me e io non mi sento più le
gambe. È come se mi
avessero inchiodato le scarpe sul pavimento.
“Però
ora di devi levare di torno.”
Arriva
ad un passo da me e finalmente il mio cervello si sblocca quando si
china verso
uno dei cassetti. Ha una chiave in mano.
“No!”
Prima
di capire che cosa sto facendo, lo spingo via.
Non
può farlo, non ne ha nessun diritto. Questo posto
è di Adrian, è il suo nuovo
inizio e non lascerò che questo mostro gli faccia ancora del
male, che gli
porti via ciò che si è guadagnato.
Non
mi interessa che cosa vuole, ma se è così
importante da venire fin qui e far
allontanare Adrian per avere libero accesso, allora non deve ottenerla.
“Togliti
dai piedi.”
Mi
spinge all’indietro, ma io afferro con tutte le forze che ho
il suo braccio e
cerco di allontanarlo dalla scrivania.
“Se
ne vada.”
Sento
uno strattone, accompagnato da una penosa fitta alle costole e poi
è come se la
mia faccia esplodesse e il mondo si stesse capovolgendo.
Il
stanza sembra girare mentre perdo l’equilibrio e cado
all’indietro. Finisco
sulla poltrona che, sotto la forza dell’impatto, si
capovolge, scaraventandomi
in terra e contro la scrivania di legno.
Il
dolore che mi avvolge è così intenso da togliermi
il respiro. Non riesco a
capire che cosa stia succedendo, ma un attimo dopo la stanza si riempie
di
rumori, mentre ho come l’impressione che sulla mia faccia sia
stato poggiato un
ferro incandescente.
Ho
lo sguardo annebbiato dalle lacrime e ci metto alcuni secondi a mettere
a fuoco
la macchia scura che oscura il sole del primo pomeriggio.
Il
mio cuore perde un battito mentre riconosco nell’alta figura
il mio Adrian, che
tiene suo padre per il bavero della giacca. Non posso vedere che il
viso dell’uomo,
rosso e spaventato, mentre i suoi piedi sfiorano appena il pavimento.
La
sua voce è fredda come il ghiaccio, ma le sue parole mi
riscaldano come nemmeno
il sole estivo riesce a fare.
“Se
pensi che ti lascerò fare ancora del male a una persona che
amo, ti sbagli di
grosso.”
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Capitolo 51 *** 51 Adrian ***
51
Adrian
L’espressione
non vederci più dalla rabbia sta acquisendo un nuovo
significato per me.
L’uomo
che mi guarda, gli occhi spalancati dalla paura, non dovrebbe trovarsi
in
questo edificio, vicino a Chelsea.
Sento
un’oppressione fastidiosa sul
petto, che
mi fa sentire come se fossi in gabbia.
La
mia mente è invasa da immagini brutali, dove mollo il
vecchio e lo prendo a
pugni, sfogando su di lui più di dieci anni di dolore,
recriminazione e odio.
Vedere
il suo viso devastato e sanguinante sarebbe l’unico modo per
soffocare l’ira
che mi sta irrigidendo tutti i muscoli del corpo.
Eppure
mi trattengo, stringendo la mascella così forte da farmi
male ai denti.
L’unica
cosa che vorrei, in questo momento, è cancellare la sua
esistenza da questo
mondo con le mie stesse mani.
Deve
solo ringraziare che sono arrivato in tempo, perché se
avesse osato farle del
male, più di quanto non le abbia già fatto,
niente e nessuno mi avrebbe
impedito di ucciderlo.
Non
ho nessuna intenzione di rivivere il tormento, i sensi di colpa.
Non
lascerò che ferisca e maltratti una persona che amo.
Pensavo
che se fosse rimasta nel mio ufficio, non sarebbe successo nulla.
Quando mi
sono allontanato, per gestire io stesso la cosa, la sicurezza interna e
dell’edificio stava già cercando
l’intruso, ma solo quando ho visto la faccia
dell’uomo, serena e soddisfatta, sono stato assalito da una
brutta sensazione.
Il
cuore stava per scoppiarmi nel petto mentre tornavo a grandi passi
verso il mio
ufficio, sperando di sbagliarmi.
Non
appena ho varcato le doppie porta di legno, ho sentito il rumore della
sedia
che si rovesciava, seguito immediatamente da un tonfo e un gemito
femminile.
Mi
sono catapultato nella stanza adiacente e lui era lì, chino
dietro la
scrivania, nel punto esatto dove l’avevo lasciata.
Anche
senza vederla, sapevo che era successo qualcosa.
Non
ha avuto il tempo di accorgersi che ero rientrato. Quando ha sollevato
la
testa, ero abbastanza vicino per colpirlo e l’ho fatto,
centrandolo in pieno su
uno zigomo.
Ho
sentito una stilettata di dolore salirmi lungo il braccio, ma in
confronto a
quello che ha sopportato Chelsea, il pulsare della mano non
è nulla.
L’uomo
mi guarda, un occhio leggermente più chiuso
dell’altro a causa dell’impatto con
la mia mano.
Nelle
mie mani, è come un’immobile bambola di pezza
logora e vecchia.
“Cosa
cazzo pensavi di fare?”
La
mia voce è come un ringhio, mentre cerco una spiegazione
razionale a questa
follia.
Pensavo
che i problemi fossero finiti, che fosse chiusa, ma a quanto pare il
vecchio
non ha nessuna intenzione di arrendersi e accettare la sconfitta.
Ciò
che è mio, lui non lo deve nemmeno guardare e toccare
Chelsea è stato il suo
più grande errore.
Non
sono più un ragazzino impotente, ora posso proteggere le
persone a me care e
non ho nessuna intenzione di permettere ad un infimo essere come quello
che ha
contribuito a generarmi di macchiare qualcosa di così bello
e puro come la mia
Chelsea.
Cristo.
Come ha potuto farle del male?
Che
razza di mostro è?
Le
ho lanciato solo una breve occhiata, giusto per assicurarmi che non
fosse
ferita gravemente e la sua espressione sgomenta, mentre si teneva una
mano sul
viso, con gli occhi pieni di lacrime, è stata quella che mi
ha fatto quasi
andare fuori di senno.
Sarei
dovuto arrivare prima, ma lui mi ha giocato. Ha creato un diversivo per
poter
accedere al piano ed intrufolarsi nel mio ufficio.
Mio
padre ritrova la sua spavalderia e con uno scatto inizia a
divincolarsi. Lo
lascio andare solo per non cedere alla tentazione di afferrare, al
posto del
bavero della giacca, il suo collo con entrambe le mani e stringere fino
a
fargli esalare l’ultimo respiro.
Fa
un passo indietro, fissandomi con disgusto e finta spavalderia.
Arretro
di un paio di passi e schiaccio il pulsante dell’interfono,
senza perderlo di
vista.
“Signorina
Smith, mandi immediatamente la sicurezza nel mio ufficio e chiami la
polizia.”
Non
aspetto risposta e tendo una mano a Chelsea, in modo che possa alzarsi,
il
tutto senza distogliere gli occhi dal bastardo.
Non
lascerò che scappi. Stavolta pagherà anche
davanti alla legge.
Sento
la sua esile mano aggrapparsi alla mia e l’aiuto ad alzarsi.
“Stai
bene?”
Le
metto un braccio attorno alle spalle e lei si nasconde contro il mio
petto. Sta
tremando.
“Credo…
Credo di sì.”
È
rigida nel mio abbraccio e posso solo immaginare che cosa stia
provando. Anche
se avrei dovuto, non sono riuscito a proteggerla, non del tutto, e
questo mi fa
stringere lo stomaco in una morsa che diventa più dolorosa
di secondo in
secondo.
Cerco
di non stringere troppo forte il mio braccio attorno al suo corpo.
Vorrei solo stringerla
forte, come per avvolgerla all’interno di un bozzolo sicuro,
e allontanare i
tremori e la paura che irradia.
Osservo
mio padre guardare me e poi la porta ripetutamente, come a valutare le
possibilità di fuga.
“Io
non lo farei se fossi in te. Non obbligarmi a seguirti,
perché dopo che le hai
messo le mani addosso potrei non rispondere più di
me.”
Il
tono della mia voce è freddo, tagliente, ma non sembra che
l’uomo abbia capito
quanto sta rischiando.
“Ma
per favore. Tutte queste scene per una sgualdrina qualsiasi?
Sarà anche bella,
ma non merita tanto impegno, credimi.”
Fa
una pausa e mi guarda con un’espressione di odio e disgusto
tali da farmi
accapponare la pelle.
“Certe
puttane non sanno proprio come comportarsi e allora bisogna insegnargli
l’educazione.
Tua madre era una di queste e non ha mai capito quando era il momento
di
levarsi dai coglioni.”
Le
sue parole mi fanno ribollire di rabbia, mentre Chelsea sobbalza e
trema più
forte. Per la prima volta vedo la sua vera faccia, la cattiveria e la
crudeltà
così abilmente nascosti sotto la patina di
rispettabilità.
Agli
occhi del mondo perfetto, ma nell’intimità della
propria famiglia, un essere
spietato.
Ho
sempre ritenuto i miei più bassi istinti come un mostro da
combattere, ma
soprattutto da assecondare e, per molto tempo, prima di incontrare
Chelsea, sono
stato dannatamente simile all’uomo che ho davanti e che mi
guarda con malcelato
disprezzo.
Bruce
McLeor è abietto e senza coscienza.
È
assurdo, a pensarci, quanto io sia arrivato vicino ad essere la sua
copia.
Ma
io non sono così. Nemmeno nei miei periodi peggiori ho mai
picchiato una donna,
perché è qualcosa che un uomo non dovrebbe mai
fare.
Le
urla di mia madre ancora mi perseguitano nelle notti solitarie, come un
continuo promemoria.
Ma
la vera differenza, tra me e quest’uomo, è la
donna che tengo stretta.
Se
non l’avessi incontrata, se non fosse entrata nella mia vita,
il mio mondo
sarebbe rimasto circoscritto a questo pezzo di merda e
l’avrei finita proprio
come lui, arrabbiato, amareggiato e, molto probabilmente, violento.
Un
cancro per la società.
Sarei
diventato la sua versione più giovane e, non solo avrei
rovinato la vita dei miei
amici, ma anche quella di un sacco di altre persone innocenti.
Chelsea
è la mia coscienza, la luce in fondo al tunnel e non ho
nessuna intenzione di tornare
indietro.
“Tua
madre era solo una schifosa e avrei dovuto insegnare le buone maniere
anche a
te. Sei la vergogna della nostra famiglia. Non sarai mai niente. Sei un
perdente, un fallito.”
Le
sue parole mi fanno vedere rosso, ma sono come una zavorra che mi tiene
ancorato sul posto.
Sono
senza parole e completamente disgustato.
Non
mi accorgo che Chelsea si è divincolata dal mio abbraccio
fino a quando uno
schiocco secco non risuona nella stanza.
Sbatto
le palpebre un paio di volte, perché non riesco a credere ai
miei occhi.
In
due passi, lei lo ha raggiunto e gli ha dato un sonoro schiaffo.
Non
posso vedere il suo viso, ma ha le spalle che tremano.
“Lei
è un mostro. Dovrebbe vergognarsi.”
Gli
occhi dell’uomo s’incendiano di ira e mi muovo
prima ancora di vederlo
sollevare il braccio per renderle il colpo.
La
sposto alle mie spalle e intercetto il braccio, stingendo la presa per
impedirgli di sfuggirmi.
“Oh,
no. Non lo farai.”
Non
mi sono ancora ripreso dalla sorpresa del gesto di Chelsea,
così diverso dal
suo solito modo di comportarsi.
La
sicurezza sceglie proprio questo momento per entrare
nell’ufficio e
immobilizzano mio padre, mettendogli un paio di manette.
“La
polizia sarà qui a breve, signor McLeor.”
Annuisco,
ancora intontito.
“Portatelo
alla reception. Noi aspetteremo qui.”
Portano
fuori mio padre, che vorrei non rivedere mai più.
“Ricordatelo,
Adrian. Senza di me, non sarai mai nessuno!”
Sento
le doppie porte chiudersi in lontananza e mi giro verso Chelsea.
Si
sta stringendo tra le braccia, l’espressione per
metà assente.
La
tempesta emotiva che mi sta divorando viene messa immediatamente in
secondo
piano. Assicurarmi che lei stia bene ha la precedenza.
Raddrizzo
la poltrona dietro la scrivania e con la massima gentilezza di cui sono
capace
la faccio sedere.
“Chelsea,
parlami!”
Lei
solleva la testa, gli occhi violetti lucidi di lacrime e arrossati.
Sulla guancia,
spicca un gonfio segno rosso.
“Sto
bene. Sono solo scossa. Non riesco a credere che abbia detto quelle
cose. Come
può un essere umano essere tanto cattivo?”
Comprendo
la sua confusione, la sua incredulità perché,
sebbene io abbia visto e sentito
cose del genere molte volte, non riesco a smettere di pensare che
è terribilmente
sbagliato e disumano.
“Avrà
quello che si merita, non ti preoccupare.” Le accarezzo il
braccio, fino a
prenderle la mano sinistra per stringerla e portarmela alle labbra.
“Mi
dispiace non essere arrivato prima. Non avevo capito che voleva entrare
qui dentro.”
“Ha
cercato di aprire quel cassetto.”
Seguo
la direzione del suo sguardo e noto una piccola chiave spuntare dal
penultimo
cassetto, quello che non sono ancora riuscito ad aprire e per il quale
avrei
dovuto chiamare un fabbro.
Riporto
subito la mia attenzione su di lei, scuotendola testa.
“Ci
sarà tempo per quello. Ora come ora, non mi interessa sapere
per cosa è venuto.
Voglio essere sicuro che non ti fa male niente.”
Lei
si raddrizza, prendendo un lento e profondo respiro.
Ripete
l’operazione un paio di volte, ad occhi chiusi e, quando li
riapre, sembra più
tranquilla.
“Sto
bene. Quando mi ha scaraventata per terra ho sbattuto il fianco, ma ora
non mi
fa più male. Sono solo un po’ scossa.”
Si
guarda la mano libera, leggermente arrossata sul palmo.
“Non
avevo mai dato uno schiaffo prima.”
Solleva
la testa, determinata.
“Ma
non potevo stare ferma. Tutte quelle cose orribili che stava
dicendo… Non
riuscivo più a sopportarle.”
La
capisco. Anche a me sarebbe piaciuto farlo tacere, definitivamente
però.
“Non
hai fatto niente di sbagliato, tesoro.”
Mi
passo una mano tra i capelli, mentre sento la rabbia scorrermi per le
vene.
“Forse
dovresti andare a casa.”
“Cosa?No!
Perché dovrei fare una cosa del genere?”
Allontano
gli occhi dal suo viso, incapace di continuare a guardarla.
Quel
segno rosso, che molto probabilmente diventerà un livido se
non ci mette subito
del ghiaccio, è la prova del mio fallimento.
Le
avevo promesso che sarebbe stata la sicuro, che non le sarebbe
più successo
niente di male per colpa mia, invece, non appena ho voltato la testa,
è stata schiaffeggiata
da mio padre, come se fosse un animale.
“Perché
sì. Hai bisogno di riposare.”
Lei
si solleva in piedi di scatto, sovrastandomi per alcuni secondi fino a
quando
non mi raddrizzo.
“Ho
riposato abbastanza, Adrian. Sono venuta qui perché avevo
bisogno di uscire e
perché mi sei mancato, quindi ora non mi vado da nessuna
parte.”
Tengo
ancora intrappolata la sua mano tra le mie e lei la solleva,
rafforzando la
stretta per impedirmi di lasciarla andare.
Inclina
il viso per appoggiarlo sul dorso e depositarvi un bacio gentile.
“Te
l’ho già detto. Non sei responsabile delle azioni
malate di una persona. Sei
arrivato in tempo, lo hai fermato, non hai lasciato che mi facesse del
male,
quindi non sentirti colpevole.”
Punta
i suoi occhi nei miei, annichilendo la mia resistenza.
“Tu
non sei come lui e non sei un fallito.”
Le
sue parole colpiscono qualcosa proprio al centro del mio petto, facendo
accelerare
il mio battito cardiaco e stringere lo stomaco in una morsa dolorosa.
C’è
tanta determinazione in quelle pozze violette, ma anche tanta
vulnerabilità.
“Non
puoi saperlo. Domani potrei essere di nuovo uno stronzo.”
Lei
ridacchia leggermente, con un sorriso dolcissimo sulle labbra, che mi
fa
letteralmente sciogliere.
“Io
non voglio cambiarti Adrian, non c’è niente che
cambierei.”
“Non
sono perfetto.”
Lei
sorride ancora.
“Nessuno
lo è. Le cose che davvero contano qualcosa, tu le fai
benissimo. Nessuno mi
aveva mai fatta sentire così, come se fossi qualcosa di
prezioso che merita di essere
protetto e conservato. Ci sei sempre stato quando avevo bisogno di te:
Sempre,
e mi guardi come se non potessi mai stancarti di farlo. Forse non lo
hai
capito, ma io amo ogni singola parte di te. Quelle belle, ma anche
quelle un po’
meno belle.”
Sento
il cuore fare una capriola e le gambe tremare, come dopo aver fatto
un’intensa
attività fisica. Rimango in piedi per pura forza di
volontà.
Non
è la prima volta che lo dice, di amarmi. Me lo ha detto
anche in ospedale e in
quel momento ho fato finta di nulla, perché non ero pronto
ad accettare un
sentimento così forte e instabile. Fino ad oggi non sapevo
che cosa fosse l’amore,
ma quando ho pensato che fosse ferita, sono stato preso dal panico per
un
momento.
Le
sue parole mi riscaldano il petto, allontanando ogni volta, un altro
pezzo di
ghiaccio e indifferenza.
Sono
davvero spaventato perché, con tutto quello che è
successo oggi, non la
biasimerei se decidesse di mandarmi al diavolo, anche se sembra tutto,
meno che
intenzionata ad allontanarsi.
Non
sa quanto io sia grato per il suo atteggiamento, sempre positivo e
comprensivo,
perché la mia vita, senza di lei, io non riesco ad
immaginarla.
Non
riesco a pensare ad uno scenario dove lei non sia presente.
È ovunque anche
quando sono solo.
Vive
nella mia mente con il suo sorriso e l’idea di non poterla
più guardare negli
occhi o di stringerla è insopportabile.
Se
non è amore questo, io non so cosa sia.
|
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Capitolo 52 *** 52 Chelsea ***
52
Chelsea.
Il
mio povero cuore sembra determinato ad avere un infarto prima dei
vent’anni.
Batte
a ritmo serrato ormai da infiniti minuti, premendo
sull’indolenzita cassa
toracica.
Mi
sento molto scombussolata per quello che è successo,
soprattutto per il mio comportamento.
Non
avevo mai provato tanta rabbia in vita mia.
Ho
sentito la ferita nel cuore di Adrian riaprirsi alle parole di suo
padre e sono
stata travolta dall’ira.
Come
osava dire quelle cose a suo figlio, lui che non ha fallito solo come
persona,
ma proprio come essere umano?
So
che la violenza non è una risposta, ma in quel momento sono
stata accecata.
Gli
stava facendo del male e non potevo assolutamente permetterglielo.
Potevo
perdonargli che mi avesse colpita, ma non che ferisse deliberatamente
suo
figlio, solo per sentirsi meno perdente.
No,
non potevo lasciarlo fare, perché dentro di me anche io ho
sempre desiderato
proteggerlo e farlo sentire accettato.
Lui
è grande e grosso, imponente anche per essere un uomo e io
non posso
fisicamente fargli da scudo, ma posso salvaguardare il suo cuore, i
suoi
sentimenti.
Sono
abbastanza forte per farlo e quando ho capito quanto le parole di
quell’uomo
avessero potere su di lui, allora non ci ho più visto.
Doveva
smetterla di mortificare una persona migliore di lui solo
perché non è in grado
di accettare di essere un essere abietto e amorale.
L’impatto
della mia mano sulla sua faccia mi ha lasciato stranamente svuotata.
Non mi
sono sentita soddisfatta, ma nemmeno colpevole.
Semplicemente priva di altre energie.
Non
sarei mai riuscita a spostarmi prima che lui mi colpisse, ma Adrian non
ha
lasciato che accadesse.
Ha
promesso a se stesso di non lasciare che qualcosa di brutto mi accada
di nuovo
e ha mantenuto la promessa.
Mi
ha fatto scudo con il suo corpo e bloccato il colpo come se fosse privo
di
energia.
Fisicamente,
Adrian è molto più prestante del padre e Bruce
McLeor era ben conscio della
disparità di forze, tanto da non tentare di ribellarsi.
Guardo
gli occhi di Adrian emi perdo per un istante.
Sono
così pieni di sentimento da far male al cuore. Come vorrei
sentirgli dire le
stesse parole che gli ho detto io.
Esprimere
i propri sentimenti, senza la certezza che siano ricambiati non
è facili, anzi.
È la cosa più difficile che uno possa fare, ma io
so che prova qualcosa per me,
qualcosa di forte e che lo spinge a volersi prendere cura di me, a
stare
insieme.
Non
abbiamo ufficialmente un’etichetta.
Anche
se ci comportiamo come una coppia e io penso a lui come il mio
fidanzato, so
che le cose non sono chiare.
Non
ho nessuna certezza a cui aggrapparmi e, dimostrargli ciò
che sento, per fargli
capire che può permettersi di abbassare la guardia quando
è con me, non è
semplice.
Temo,
però, che se provassi a mettergli fretta, nonostante quella
notte in ospedale
mi abbia detto che non vuole scappare da me e da quello che gli faccio
sentire,
lo farei allontanare e chiudere a riccio.
L’unico
modo che ho per farlo, è non aver paura di quello che provo,
per quanto sia
difficile.
Ogni
volta che dico di amarlo e lui non dice la stessa cosa, è un
colpo al cuore,
perché desidero ardentemente esserne certa, sapere che lo
stesso devastante
sentimento che provo io, lo sente anche lui,
Ho
bisogno del suo amore e della nostra etichetta.
Apre
la bocca per dire qualcosa, che molto probabilmente ferirà
il mio cuore, ma i
poliziotti, accompagnati da una delle segretaria
all’ingresso, decidono proprio
questo momento per entrare nell’ufficio.
Adrian
si raddrizza immediatamente, facendomi esalare il respiro che non mi
ero resa
conto di star trattenendo.
Gli
uomini parlano per alcuni minuti, dove non ascolto una parola della
loro
conversazione.
Sono
ancora troppo scioccata per concentrarmi su quello che stanno dicendo e
capire.
Motivo
per cui, quando mi ritrovo davanti uno degli agenti, sobbalzo e
distolgo lo
sguardo dal muro bianco su cui era poggiato il mio sguardo.
“Signorina
Lauren, avrei bisogno di farle alcune domande.”
L’uomo
è di origine orientale, non so se coreano o tailandese,
perché ha la carnagione
più scura dei cinesi e dei giapponesi. Gli occhi a mandorla
sono castani come i
capelli, quasi completamente nascosti dal berretto
d’ordinanza.
Sento
due mani poggiarsi sulle mie spalle e sollevo lo sguardo, incontrando
l’incoraggiante sguardo di Adrian, che annuisce fermo alle
mie spalle. È
abbastanza vicino da farmi sentire sulla schiena il calore del suo
corpo, ma
non abbastanza per toccarmi.
Sollevata
per non essere sola, rispondo a tutte le domande del poliziotto.
Non
è semplice, perché mi riporta alla mente le
domande dei poliziotti dopo
aggressione di Susan, ma cerco di essere il più dettagliata
possibile.
“Ha
sbattuto la testa? Vuole che chiamiamo
un’ambulanza?”
Quando
gli dico che mi ha colpita e sono caduta in terra, Adrian si
irrigidisce,
stringendo appena più forte le mani che tiene sulle mie
spalle.
Io
mi limito a scuotere la testa.
“No,
non serve. Non ho sbattuto la testa, solo il fianco e la schiena, ma
sto bene.
La sedia ha rallentato la caduta.”
L’uomo
annuisce e fa qualche altra domanda, per poi congedarsi.
Adrian
lo accompagna fuori e rimango da sola, esattamente come mezzora fa.
Respiro
profondamente, chinata sulla scrivania e combattendo contro le lacrime
che ora
minacciano di venir fuori.
Mi
sono davvero spaventata quando sono caduta per terra e il dolore
è stato così
forte da strapparmi l’aria dai polmoni.
Per
alcuni secondi, ho temuto il peggio. Faceva male, non riuscivo a
percepire
nulla del mondo che mi circondava e sapevo che il padre di Adrian
è un tipo
violento.
Avevo
paura che mi mettesse le mani addosso mentre ero indifesa.
La
presenza di Adrian ha allontanato la paura, ma ora che sono sola, posso
lasciar
sfogare quell’emozione a stento trattenuta.
Le
lacrime scivolano sulle guance e le asciugo con rabbia prima che cadano
sul
legno scuro.
Non
sopporto di essere così fragile, così delicata,
ma la cattiveria dell’essere
umano mi fa male, perché io non potrei mai fare una cosa del
genere.
Amo
troppo la vita e so cos’è il rispetto.
È
per questo che aver dato uno schiaffo mi fa quasi sentire in colpa.
Quasi,
perché non riesco a pentirmi del mio gesto e so che
è stata la cosa giusta da
fare.
“Chelsea,
stai bene? Che succede, ti fa male qualcosa?”
In
un battito di ciglia mi ritrovo Adrian davanti, l’espressione
preoccupata.
Scuoto
di nuovo la testa, asciugandomi le guance e tirando su con il naso.
“Sto
bene. È solo la tensione.”
Si
sporge in avanti e
mi abbraccia,
stringendomi forte.
“Mi
dispiace davvero molto. Avevo dato ordini precisi di non far passare
nessuno
del vecchio staff di mio padre, ma qualcuno è riuscito ad
entrare. Il vecchio
segretario del vecchio è riuscito a sgusciare oltre la
reception e la sicurezza
lo ha beccato mentre trafficava con uno dei computer liberi. Mi hanno
chiamato
perché non sapevano che cosa fare, ma fino a quando non
l’ho visto sorridere,
non ho capito che era solo un diversivo.”
Mi
lascio cullare dal suo abbraccio, poggiando la testa sulla sua spalla,
le
labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.
“Non
potevi saperlo, Adrian.”
Il
mio è solo un sussurro e sento il suo corpo tremare, come
attraversato da una
scarica elettrica.
“Non
sarebbe dovuto succedere. È come se ti stessi portando
sfortuna.”
Lo
respingo per liberarmi dalla sua presa e guardarlo negli occhi.
“Non
dirlo nemmeno per scherzo. Tu non hai nessuna
responsabilità. Non mi avrebbe
mai colpita se non avessi cercato di impedirgli di aprire quel
cassetto.”
Lo
vedo sgranare gli occhi, sorpreso.
“Hai
cercato di impedirglielo?”
La
sua voce è un sussurro da cui traspare
l’incredulità.
Annuisco,
leggermente in imbarazzo.
“Prima
ho cercato di spingerlo lontano, ma quando non si è arreso,
l’ho afferrato per
un braccio e ho cercato di tirarlo via. Lui si è dimenato e
mi ha colpita.”
La
sua espressione è di rabbia mista a sorpresa e non posso
biasimarlo. Nemmeno io
riesco a credere di averlo fatto.
“Perché
hai fatto una cosa del genere?”
La
preoccupazione impregna la sua voce, insieme ad un po’ di
recriminazione.
È
stato da stupidi, se ci penso a mente lucida, ma non mi pento di
essermi messa
contro Bruce McLeor, perché ha già terrorizzato
abbastanza persone nella sua
miserabile vita e, semplicemente, non volevo aggiungermi alla lista
delle sue
vittime, che si sono arrese prima ancora di combattere.
“Perché
voleva mettere le mani nella tua scrivania. TUA, non sua. Non ne aveva
nessun
diritto. Questo posto te lo sei guadagnato, ti appartiene. Non hai
bisogno
della sua presenza nella tua vita. Sei di gran lunga
migliore!”
Gli
angoli della sua bocca fremono e chiude gli occhi, come a trattenere
un’emozione.
Quando
li riapre, ha ripreso il controllo ed è il solito Adrian
comporto.
“Vogliamo
vedere che cosa c’è lì dentro di
così importante, da spingerlo a rischiare di
essere arrestato?”
Annuisco
e lui si inchina.
La
piccola chiave è già nella serratura e a lui non
rimane altro che girarla.
Lo
apre e non vedo cosa contiene, dato che il suo corpo
m’impedisce di vedere.
Quando
si solleva, tiene in mano una cartellina azzurra molto spessa.
Si
siede sulla poltrona e mi fa cenno di raggiungerlo. Prima che possa
decidere
cosa fare, mi afferra e mi fa sedere sulle sue ginocchia.
Sento
la rigidità del suo corpo, la curiosità
trattenuta e che tenta di mascherare.
Eppure non può impedirmi di vedere che le sue belle mani
stanno tremando.
Anche
io mi sento un po’ a disagio, non abituata a questo genere di
intimità, ma non
ho nessuna intenzione di tirarmi indietro.
Apre
la cartella e guarda i primi documenti.
Anche
se potrei leggerli, non lo faccio per due motivi.
Prima
di tutto, sono documenti quasi sicuramente appartenenti
all’azienda, quindi non
ho nessun diritto di leggerli.
Secondo,
molto probabilmente non riuscirei a capire di che cosa si tratta.
Io
sono brava in scienze umanistiche, non in gestione d’impresa.
Rimango
in silenzio, mentre lui legge un foglio dietro l’altro.
“Figlio
di puttana.”
L’improvvisa
rigidità del suo corpo, unita alla volgarità, mi
fanno sobbalzare.
“Scusa
un attimo.”
Mi
fa alzare e si girà verso il computer, digitando
febbrilmente sulla tastiera.
Sono
minuti carichi di ansia, dove non so cosa pensare e posso solo
limitarmi a
respirare quest’aria pesante e carica di preoccupazione,
osservando la sua
schiena rigida e la testa china verso lo schermo.
All’improvviso
si alza dalla sedia e mi prende tra le braccia, scoppiando in una
risata un po’
folle, ma che ha un non so cosa di liberatorio.
I
miei piedi si staccano dal suolo mentre mi fa girare come una trottola
impazzita.
Mi
aggrappo al suo collo, terrorizzata dall’improvviso movimento.
“Adrian!”
Il
mio urlo di spavento lo fa bloccare, permettendomi di guardarlo in
faccia.
Ha
un sorriso enorme dipinto in viso e non lo avevo mai visto sorridere
così.
È
devastante nella sua potenza e mi va direttamente al cuore, facendo
sgorgare un
fiotto di calore che si propaga per tutto il corpo.
“Che
succede?”
Torna
a sedersi sulla poltrona, trascinandomi con se, e afferra i documenti,
mettendomeli in mano, come se potessi leggerli e capirli.
“Adrian,
me lo devi spiegare. Io non so cosa sono questi fogli.”
La
sua voce è carica di eccitazione.
“Questo
è un accordo commerciale illegale che mio padre stava
sottoscrivendo con un’altra
azienda.”
Rimango
in silenzio, non capendo di cosa si tratti.
Lui
molto probabilmente lo capisce, perché continua a spiegare.
“Praticamente
mio padre si è messo d’accordo con
l’amministratore delegato di un’altra
società per monopolizzare il mercato. Questi documenti
contengono informazioni
strategiche per trarre beneficio dal mercato azionario danneggiando
altre
società.”
È
eccitato come un bambino che è stato portato per la prima
volta al parco giochi
e, anche se mi piacerebbe condividere la sua eccitazione, non posso
farlo,
perché non capisco di cosa sta parlando.
“Io
non capisco.”
Lui
sospira e mi fa voltare un po’ sulle sua gambe per potermi
guardare.
I
suoi occhi brillano di gioia.
“È
illegale, Chelsea. Le aziende e le società non possono
monopolizzare in quel
modo il mercato o ripartirlo sfruttando informazioni non di dominio
pubblico.
In quei fogli ci sono una serie di dritte volte ad avvantaggiare la
McLeor a
discapito di altre aziende.”
Forse
sto iniziando a capire che cosa significa, ma non perché lui
sia così felice.
“Ma
se è illegale, allora non passerai dei guai?”
Lui
scuote la testa, il sorriso sempre più ampio.
“No.
Mio padre ha creato quel documento dopo che avevo già
acquisito la quota di
maggioranza, perciò non ha nessuna validità
legale. Inoltre non è stato
registrato nei nostri sistemi, quindi la società
è al sicuro. Faranno dei
controlli, ovviamente, ma con quei documenti, i suoi giorni di gloria
sono
definitivamente finiti. Se non finirà in carcere,
perderà ogni cosa, compresa
la credibilità. Verrà accusato di Insider Trading
e Aggiotaggio, una specie di
frode che riguarda il mercato azionario. Con questi documenti,
sarà per sempre
fuori dalle nostre vite.”
Pian
piano la consapevolezza si fa largo dentro di me e sento allargarsi sul
mio
viso il suo stesso sorriso.
“Ecco
perché è venuto qui. Oh, mio Dio.”
Gli
getto le braccia al collo e lo stringo forte, scoppiando a ridere.
Lui
si solleva dalla poltrona e mi fa eco, facendomi girare di nuovo. Mi
tiene
stretta contro il suo corpo, come se fossi leggera come una piuma.
Mi
fa poggiare i piedi per terra e poggia la sua fronte contro la mia.
“Dio,
quanto ti amo.”
Sobbalzo,
mentre la mia testa registra qualcosa che proprio non si aspettava.
Il
cuore decide di ricominciare la sua folle corsa, togliendomi il respiro.
“Io…”
Il
suo sguardo sincero brilla di eccitazione e mi rendo conto che tutto
quello che
è successo oggi lo ha aiutato a sbloccarsi.
“Tu
non sai quanto quei documenti siano importanti. Nelle mani sbagliate,
avrebbero
anche potuto distruggere l’azienda. Piuttosto che lasciarla a
me, mio padre l’avrebbe
annientata. Se non fossi stata lì, tutto il lavoro di anni
sarebbe stato
inutile e, tutte le persone che dipendono da me, si sarebbero trovate
per
strada, senza lavoro.”
Mi
accarezza la guancia, leggermente intorpidita, con estrema delicatezza.
“Mi
dispiace per questo, ma è stata davvero una fortuna che tu
fossi qui. Grazie
per esserci sempre.”
Sento
il cuore che cerca di fuggire dal petto e gli occhi bruciare.
Nascondo
la testa nel suo petto per non fargli vedere le mie lacrime, e lo
stringo
forte, cercando di fargli capire quanto le sue parole contano per me.
Non
riesco a crederci e non riesco a frenare l’emozione che mi
scalda il petto.
“Davvero
mi ami?”
La
domanda suona titubante e infantile, ma non riesco a trattenerla,
perché dopo
averlo sognato così tanto, mi viene davvero difficile
riuscire a crederci.
Mi
sembra una sogno.
Lui
mi fa sollevare il viso, per incatenare il suo sguardo al mio. Non vi
sono più
ombre e non vi sono dubbi in quelle profondità dal colore
così particolare.
“Non
dubitarne mai. Mi fa una paura fottuta, ma sei la parte più
bella di me e non
amarti è impossibile.”
La
gioia che mi sta percorrendo il corpo è qualcosa di
indescrivibile. Non basta
dire che sono felice, è molto di più.
È
come se il mio mondo si stesse capovolgendo per assestarsi su una nuova
asse. L’asse
di Adrian
“Non
sai quanto è bello.”
“Cosa?”
“Sentirselo
dire.”
Lui
sorride, facendo illuminare completamente il suo viso.
“Non
sarò mai un fidanzato romantico, ma te lo dirò
ogni volta che vorrai.”
Fa
una piccola pausa, prendendomi il viso tra le mani in un gesto molto
dolce.
Mi
aggrappo ai suoi avambracci, perché le gambe mi tremano
così tanto che temo
potrebbero cedere da un momento all’altro.
Mi
sta dando tutto quello che sognavo senza bisogno di chiederglielo.
Come
potrei non amarlo o volerlo cambiare?
È
assolutamente perfetto per me.
Vorrei
parlare, dirgli quanto lo amo, ma non mi ricordo più come si
fa a parlare.
“Sei
una bellissima persona. Hai creduto in me e mi hai spinto a superare i
miei
limiti e per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza,
ma non è solo per
questo. Amo il tuo sorriso, il modo in cui vedi la vita, sempre
positivo e
ricco di buoni propositi. Adoro il modo in cui mi guardi,
perché sembra che io
sia la cosa più bella che tu abbia mai visto. Non posso non
amare la tua
dolcezza e la tua bontà, perché bilanciano
perfettamente tutte le mie cattive
abitudini. Non sarà facile, non lo sarà per
nulla, ma non ho nessuna intenzione
di lasciarti scappare.”
Mi
rivolge un ghigno birichino, mentre con i polpastrelli accarezza i miei
zigomi
per asciugare le lacrime, che ora scorrono senza controllo.
“Sei
riuscita a penetrare tutte le mie paure, i miei demoni, e mi hai fatto
innamorare di te. Da qui non si torna più indietro.
Sarò molto possessivo,
perché non ho nessuna intenzione di perderti.”
Mi
metto sulle punte dei piedi per avvicinarmi il più possibile
a lui, il cuore
che batte più forte che mai.
“Con
calma, amore mio. Un piccolo momento di assoluta perfezione alla
volta.”
Lui
sorride, capendo perfettamente di cosa sto parlando, la sua bocca ormai
a pochi
millimetri dalla mia.
“Uno
per volta.”
Dopo
di ché, sigilla le mie labbra con le sue, coinvolgendomi in
un bacio dolcissimo
che sa non solo di amore, ma anche di promesse impossibili da
infrangere.
E
se c’è una
cosa che so di Adrian, è che
mantiene sempre la parola data.
SPAZIO
AUTORE.
Mi
piange il cuore essere arrivata alla fine di questa storia, di cui
manca solo l'epilogo, ma sono anche estremamente soddisfatta. Ho amato
Chelsea e Adrian fin da quando si sono affacciati nella mia mente,
così
diversi, ma allo stesso tempo così perfetti l'uno per
l'altro. Scrivere
la loro storia non è stato semplice, perché le
barriere di Adrian erano
davvero impenetrabili e Chelsea è stata fenomenale nello
sbaragliare
tutte le sue remore. Spero che abbiate amato anceh voi questa storia
quanto me.
A
breve, quindi, riprenderò la stesura del primo libro della
Sanders
Brothers Series, L'eco di una promessa e inizierò il quinto
volume
della Bf Series, incentrato su allyson. Vi aspettto anche nel mio nuovo
progetto.
Grazie
di cuore per essere arrivati fino a qui.
SPAZIO
AUTORE.
Mi
piange il cuore essere arrivata alla fine di questa storia, di cui
manca solo l'epilogo, ma sono anche estremamente soddisfatta. Ho amato
Chelsea e Adrian fin da quando si sono affacciati nella mia mente,
così diversi, ma allo stesso tempo così perfetti
l'uno per l'altro. Scrivere la loro storia non è stato
semplice, perché le barriere di Adrian erano davvero
impenetrabili e Chelsea è stata fenomenale nello sbaragliare
tutte le sue remore. Spero che abbiate amato anceh voi questa storia
quanto me.
A
breve, quindi, riprenderò la stesura del primo libro della
Sanders Brothers Series, L'eco di una promessa e inizierò il
quinto volume della Bf Series, incentrato su allyson. Vi aspettto anche
nel mio nuovo progetto.
Grazie
di cuore per essere arrivati fino a qui.
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Capitolo 53 *** EPILOGO ***
Epilogo.
Primi
di Maggio.
Sono
passati poco meno di due mesi da quando il padre di Adrian è
stato arrestato e
da allora le cose sono state meravigliose. Complicate, ma assolutamente
indimenticabili.
Adrian
è stato molto occupato con l’azienda e con gli
studi, dato che non ha ancora
conseguito la laurea e, cito testuali parole, “Quel dannato
pezzo di carta gli
serve per chiudere la bocca a quei vecchiacci del consiglio di
amministrazione.”
Ho
soffocato una risata quando me lo ha detto, prima di ributtarsi sui
libri, la
fronte aggrottata in un’espressione concentrata.
Alla
fine, però si è arreso. Tutto quello che non ha a
che fare con i numeri e con
le statistiche non riusciva a capirlo e, anche se la cosa gli ha dato
molto
fastidio, ha chiesto aiuto a Josh, che ha seguito un percorso di studi
analogo
ed è ad un passo dagli esami finali.
Per
fortuna. Sopportare il suo malumore non è stato semplice.
Adrian prima di
allora non aveva mai fatto qualcosa che non gli andasse di fare e,
studiare,
era una di quelle cose.
Ovviamente,
ormai passo più tempo a casa di Adrian che da mia madre, che
alla fine si è
dovuta arrendere all’evidenza dei fatti.
Adrian
non sarebbe uscito dalla mia vita tanto presto e, per convincerla, ci
sono
volute solo altre due fughe.
Dopo
l’increscioso episodio alla McLeor, mia madre ha provato ad
impedirmi di vedere
Adrian, tirando fuori una scusa dopo l’altra e tampinandomi
quando eravamo a
lavoro.
La
prima volta sono sfuggita alla sua sorveglianza in piena notte e mi
sono data
alla macchia, nascondendomi a casa di Adrian per un giorno intero.
Pensavo che
spegnere il telefono per non risponderle le avrebbe fatto capire che
non avevo
nessuna intenzione di darle retta, ma l’ha presa sul
personale, dicendomi che
Adrian non mi faceva per nulla bene.
La
seconda volta, sono scappata dalla finestra dello spogliatoio del Blue
Moon,
mentre Adrian, estremamente divertito dalla situazione, mi aspettava
dall’altra
parte della strada, con il motore acceso. È stato un
po’ come trovarsi dentro
film poliziesco.
Forse
è brutto da dire, ma io stessa ho trovato divertente la
situazione.
Mia
madre si stava comportando in modo irragionevole e farla arrabbiare
è stato
davvero soddisfacente.
È
stato come se fossi tornata ragazzina.
Mi
sono comportata come un’adolescente ribelle e ne vado
piuttosto fiera.
A
differenza del rapporto con mio padre, io so che Jillian non
smetterà di
volermi bene solo perché non sono d’accordo con
lei e non mi comporto come
vuole. So anche che non mi volterà le spalle per una cosa
del genere. Alla
fine, tutto ciò che fa è per amore. Magari un
po’ ossessivo, ma sempre di quel
sentimento si tratta. Nessuno meglio di me può capire che
cosa ti spinge a fare
l’amore.
Dopo
quarantotto ore di chiamate
rifiutate,
non ignorate, proprio rifiutate, con mia somma soddisfazione, e
messaggi
visualizzati senza risposta, alla fine ho ottenuto ciò che
volevo.
Mi
arrendo. Hai vinto
tu.
Un
ora dopo, ero tranquillamente seduta nella sua cucina, con una tazza di
the in
mano e un sorriso radioso, mentre Jillian sembrava che avesse mal di
denti.
“Fai
quello che vuoi. Mi basta dover combattere contro tua
sorella.”
A
quanto pare, Allyson le sta dando dei problemi e, anche se mi sono
offerta di
parlarle, perché magari
con me si
sarebbe aperta, Jillian mi ha detto di lasciar perdere, che era una
questione
tra loro due.
Ho
scoperto che io e Allyson abbiamo un’altra cosa in comune:
una straordinaria
abilità dello scappare di casa.
Sta
di fatto che, sebbene mia madre si rifiuti di perdonare Adrian per
tutto quello
che è successo, dato che non se l’è
filata alla prima occasione, sta cercando
di accettare che io e lui stiamo ufficialmente insieme, cosa che ha
scandalizzato non poco i nostri amici.
Meredith
l’ha minacciato pubblicamente di evirazione nel caso dovesse
farmi soffrire,
mentre i suoi amici, Ryan, Josh, Logan e anche Dave, che ho conosciuto
in
occasione di una pausa del corso che sta frequentando, hanno iniziato a
sfotterlo per essere cascato nella trappola dell’amore.
La
sua risposta mi ha fatto diventare rossa di vergogna, perché
mi ha acchiappata
davanti a tutti e mi ha baciata fino a togliermi il respiro, con tanto
di
lingua.
Le
urla e i fischi di approvazioni, mischiati alle risate allegre delle
ragazze e
il pianto di Nathan, mi hanno fatta vergognare non poco.
Avrei
voluto sotterrarmi, ma poi lui mi ha fatto l’occhiolino e
tutto il resto è
svanito.
Al
diavolo.
Se
posso sopportare i racconti spinti delle ragazze, che a quanto pare
davvero
parlano di sesso più dei ragazzi, allora posso anche
sopportare un po’ di
intimità in pubblico.
Adrian
non è solo molto possessivo e molto protettivo con me, ma
anche molto fisico.
Morale
della favola, tutto il campus ha visto le sue manifestazioni,
perché ha preso
il brutto vizio, quando siamo insieme, di tenermi una mano sul sedere e
non c’è
stato modo di convincerlo a comportarsi bene.
L’unica
volta che ho provato a togliere la sua mano, mi ha strizzato la natica
in modo
molto provocante, facendomi arrossire e ansimare.
Non
mi è rimasto altro che arrendermi.
Mi
vergogno ad ammetterlo anche con me stessa, ma tutto ciò mi
fa vibrare il corpo
come se fosse attraversato da una scarica elettrica e quando ci
ritroviamo da
soli, tutta la tensione accumulata esplode.
In
due mesi, le cose imbarazzanti che potevamo fare a letto e non solo, le
abbiamo
fatte tutte e ancora non riesco a crederci.
Sono
diventata praticamente una drogata di sesso e Adrian non è
povero di fantasia. È
imbarazzante, ma non posso farci nulla. Il mio corpo è come
uno strumento
musicale, perfettamente accordato sulla tonalità di Adrian.
Con
l’ammissione dei suoi sentimenti, anche il suo atteggiamento
nei miei confronti
è cambiato. Si può dire che sia diventato
teneramente prepotente e, questo
scambio di ruoli, ha un non so ché di confortante.
È
bello quando non vuole lasciarmi andare via, anche se abbiamo entrambi
degli
impegni, o quando fa di tutto per trascinarmi di nuovo a letto.
Ha
decisamente una personalità dominante quando si tratta di
me, ma non ha mai
fatto nulla per vincolarmi o impedirmi di esprimermi al massimo. Anzi,
anche se
mette fintamente il broncio e fa l’offeso, so che
è molto fiero di me e di
quello che sto facendo e, anche se è decisamente geloso del
tempo che trascorro
lontano da lui, non ha mai fatto nulla.
Non
ci sono più state scenate di gelosia, segno che si fida
davvero di me.
Ho
cambiato ufficialmente indirizzo di studi e questo ha portato via molto
tempo a
me, esattamente come a lui. Ho dovuto studiare sodo per recuperare
tutti i mesi
di lezioni persi e ho dovuto partecipare a gruppi di studio che mi
hanno portato
via tante ore.
Inoltre,
continuo a lavorare al Blue Moon, anche se non so per quanto ancora
riuscirò a
mantenere questo ritmo.
Adrian
si è generosamente offerto di aiutarmi economicamente e so
perfettamente che se
avessi accettato, non l’avrebbe visto come se lo stessi
sfruttando, ma ho
rifiutato. Voglio farcela da sola. Devo farcela.
Anche
Jillian si è offerta di pagarmi la retta scolastica, avendo
da parte dei risparmi,
ma anche in questo caso ho rifiutato, perché fra due anni
sarà il turno di
Allyson e non ho nessuna intenzione di portarle via qualcosa che
è suo di
diritto.
Io
ce la farò, in un modo o nell’altro.
Ho
un tetto sopra la testa, anche due, se solo volessi, e non mi serve
altro. Il
lavoro al Blue Moon, insieme ai soldi in banca a nome mio, mi
permetteranno di
continuare gli studi.
MarySue,
alias Cassandra, la donna che per anni ero convinta fosse mia madre, si
è
comportata come tale e, quando era in vita, ha creato un piccolo fondo
per il
college a cui avrò accesso dal trenta Agosto, il giorno del
mio ventesimo
compleanno.
Non
c’è molto, ma mi aiuterà.
Per
questo la settimana scorsa, dopo aver firmati i documenti per
legalizzare la
mia identità, ho chiesto a Adrian di accompagnarmi al Rose
Hill Cemetery, dove
c’è la sua tomba.
Non
ci andavo da Novembre, da quando ho scoperto la verità e
ammetto di essermi
sentita in colpa alla fine.
Ero
arrabbiata e triste e avevo paura che, se fossi andata sulla tomba,
sarei stata
presa dal rancore per una donna che, a quanto pare, non ha avuto molte
colpe se
non quelle di aver amato suo fratello e aver amato me.
Il
fatto che abbia creato un fondo per il mio College, è la
dimostrazione che
davvero pensava a me come ad una figlia.
Il
diario che ho trovato tra gli effetti personali di Cassandra, in
soffitta,
quando sono andata a prendere dei documenti per legalizzare la mia
identità, mi
ha confermato il racconto che mio padre ha fatto alla polizia.
Cassandra
si è tolta la vita a causa del rimorso e credeva che mio
padre mi avrebbe
riportata a Jillian se lei non ci fosse più stata.
Si
è tolta la vita perché mi amava e voleva che
crescessi con la mia madre
biologica.
Leggere
quelle parole, sulla carta ingiallita e ondulata dalle lacrime da lei
versate,
hanno cancellato la recriminazione e mi hanno spinta a perdonare.
Non
avrei mai pensato di poter passare oltre, ma Cassandra si è
sacrificata per
cercare di sistemare il casino che mio padre aveva combinato.
Tornare
sulla sua tomba per ringraziarla è qualcosa che desideravo
fare.
Ho
lasciato a Jillian il diario, perché è giusto che
sappia quanto Cassandra le
volesse bene e quanto mi abbia amata nel periodo che è stata
con me.
Inoltre,
deve capire perché ha scelto di suicidarsi e lasciarmi con
mio padre.
L’amore
fa fare alle persone le cose più strane, ne sono sempre
più convinta.
La
lapide bianca, con incastonata una fotografia che ritraeva una donna
bionda,
molto simile a me, con una bimba in braccio, ovviamente io, era
impolverata e
nascosta dai fiori, ormai secchi dell’ultimo visitatore della
tomba, molto
probabilmente mio padre, prima che fosse arrestato.
Adrian
è rimasto in silenzio alle mie spalle mentre ripulivo la
tomba e mettevo dei
fiori freschi, delle calle bianche, che secondo mia madre erano i suoi
fiori
preferiti.
Ho
pianto mentre guardavo la sua fotografia e le parlavo, come se potesse
sentirmi.
“Ciao,
Cassandra. Mi dispiace di non essere più venuta a trovarti,
ma sono successe
tante cose e finalmente è venuta fuori la verità
che tanto desideravi. L’ho
trovata, sai? Jillian, e non ha mai smesso di amarmi. Forse un giorno
verrà
anche lei qui a trovarti, ma per adesso ci sono io e volevo
ringraziarti.
Grazie per avermi amata, grazie per aver fatto tutto ciò che
era in tuo potere
per darmi una vita felice e grazie per essere stata mia madre per tanti
anni. Anche
se non mi hai messo al mondo, i sentimenti che ho nutrito per te erano
sinceri
e ci sono ancora. Per me rimarrai sempre mia madre, anche se non
biologicamente
e, ora più che mai, sono felice di essere stata tua figlia.
Eri una persona
bellissima, sia fuori che dentro, e spero, un giorno, di renderti fiera
di me.”
La
mia vece tremava e quasi non si capivano le parole, ma sono sicura che,
ovunque
lei sia, abbia capito che cosa le stavo dicendo e che abbia sentito
quando
affetto provo per lei.
Non
mi ha messa al mondo, ma mi amava e nelle fotografie che ho trovato, io
ero una
bambina felice, proprio perché ero tutto il suo mondo.
Amava
più me di mio padre e per questo non potrò mai
ringraziarla.
Tutto
ciò che posso fare, è custodire il ricordo della
madre che non ho mai
conosciuto e amarla come si merita.
Negli
ultimi due mesi, ho fatto quasi del tutto pace con i primi diciannove
anni
della mia vita.
Ora,
dopo la procedura legale, sulla mia carta
d’identità e sulla patente figura la
mia vera identità, la persona che sono diventata.
Un’unione del passato e del
presente.
Chelsea
Rhea Lauren.
Il
primo, perché è il nome con cui sono cresciuta,
il mio essere. Il secondo,
perché è il nome che ha scelto, con tanto amore,
per me mia madre e non sarebbe
stato giusto privarla di qualcosa che era suo di diritto.
Unire
ciò che ero, con ciò che sono diventata,
è il primo passo per creare una
persona nuova e, soprattutto, felice.
Forse
ispirato da ciò che ho fatto io, anche Adrian ha espresso il
desiderio di
andare sulla tomba della madre, ma più si avvicinava la
domenica, più diventava
taciturno e irritabile, tanto che stanotte ho dormito a casa di Jillian.
Doveva
decidere se fare pace con il ricordo di sua madre senza che
intervenissi.
Se
gli avessi chiesto di perdonarla, si sarebbe forzato a farlo, ma non
sarebbe
mai stato un vero perdono.
Se
lo vuole fare, lo deve fare di sua spontanea volontà e io
sarò presente, in
rigoroso silenzio.
Stamattina
ho raggiunto casa sua verso le nove, come concordato.
Era
talmente teso che si è limitato a grugnire un saluto prima
di farmi salire in
macchina e partire alla volta del Fairmount Cemetery, dove si trova la
cripta
della famiglia Pruitt-McLeor, che al momento ospita solo la madre di
Adrian.
A
quanto pare, all’epoca della donna, Bruce McLeor e George
Pierre Pruitt III si
sono messi a discutere su dove sarebbe stata sepolta Simone
Pruitt-McLeor. Nella
cripta di famiglia a New York della famiglia di lei oppure in quella
della
famiglia di lui?
Alla
fine hanno trovato una specie di accordo.
Hanno
acquistato una terza cripta, un mausoleo per la loro idiozia.
Quando
Adrian me lo ha raccontato, con il tono amareggiato, mi si è
stretto il cuore e
sono rimasta senza parole.
Il
mondo in cui è cresciuto Adrian, dove certe stupidaggini
hanno così tanto
valore, io non lo capirò mai e non ho nessuna intenzione di
provare a
comprenderlo.
La
macchina percorre silenziosamente la strada asfaltata del cimitero. Sia
a
destra che a sinistra, una triste distesa di tombe a perdita
d’occhio, di tutte
le forme e i colori.
Adrian
stringe il volante con così tanta forza, che le nocche delle
sue mani sono
bianche.
Ferma
la macchina all’ingresso di una specie di villaggio di
cripte. Sulla destra e
sulla sinistra, ci sono circa una decina di casette di marmo bianco,
tutte
uguali. Nulla a che vedere con i mausolei che abbiamo superato prima di
fermarci.
Uno
era così elaborato da essere in stile antica Roma, con tanto
di scritta SPQR
sopra l’ingresso.
Adrian
cerca il mio sguardo e annuisco per incoraggiarlo.
Siamo
arrivati fino a qui perché lo ha voluto lui.
Lo
seguo due passi indietro, mentre legge le targhe, fino a fermarsi alla
terz’ultima
sulla sinistra.
I
cognomi della sua famiglia incisi elegantemente nel marmo.
Con
qualche difficoltà inserisce la chiave nella toppa e la
serratura, quando
scatta, produce un rumore sinistro, come se non venisse aperta da
tempo, cosa
che temo corrisponda a realtà.
Adrian
non è mai venuto in cimitero da sua madre. Era
così arrabbiato e amareggiato da
non volerne nemmeno sapere e, dopo la prima volta che ho toccato
l’argomento,
ricevendo in risposta una specie di ringhio, ho deciso di evitare
l’argomento.
Sono
molto fiera di lui per essere riuscito ad arrivare fino a qui.
Anche
de non dovesse arrivare fino alla fine, è già un
buon inizio.
Stingo
al petto il mazzo di fiori estivi che ho scelto, sperando di rallegrare
un po’
l’atmosfera triste che sicuramente vive in questo mausoleo.
Adrian
mi da le spalle e, prima di entrare, prende un profondo respiro. Lo
seguo,
riparandomi dal primo sole del mattino.
All’interno
c’è poca luce, ma è abbastanza per
vedere la triste fotografia sul loculo alla
mia sinistra.
Non
ci sono altre fotografie, non ci sono fiori finti o secchi.
C’è a malapena un
piccolo vaso incastrato in un supporto che esce dal marmo.
Da
questa distanza non posso vedere bene e il silenzio di Adrian mi
risuona nelle
orecchie.
Non
so per quanto rimane immobile, ad osservare la fotografia di sua madre,
prima
di parlare. Per quello che ne so, potrebbero essere ore.
“Non
so se potrò mai perdonartelo, mamma.” La sua voce
è bassa e posso sentire
quanto gli costa dire qualcosa e non limitarsi ad andarsene,
trattenendo il
dolore.
“Lo
capisco, so perché lo hai fatto, ma ancora non riesco a
perdonarti.”
Si
gira ed esce dalla cripta, fermandosi appena fuori dal cancello, il
viso
rivolto verso il cielo. Credo che stia tremando, ma non posso alleviare
la sua
pena. È una di quelle cose che deve affrontare da solo.
Afferro
il vaso e, dopo aver rimosso la polvere, ci verso dentro
l’acqua che mi sono
portata dietro. Lo rimetto al suo posto, con un bel mazzo di fiori
colorati a
rendere meno solitaria e cupa la cripta.
Con
la manica della giacca ripulisco la fotografia, curiosa di vedere come
fosse la
madre di Adrian.
Simone
era una bellissima donna, con i capelli scuri e gli occhi del figlio.
Nella
fotografia sorride, ma la gioia non arriva agli occhi. Sembra una
vecchia
fototessera. Bellissima, ma altrettanto anonima.
Non
riesco a provare pietà per lei, anche se so che dovrei
compatirla per la
sventura di aver vissuto più di un decennio con Bruce
McLeor, ma con tutto il
dolore che ha fatto a suo figlio, proprio non ce la faccio.
“Avrò
cura di lui!”
La
mia voce risuona nella stanza, decisa e ferma poco prima di uscire.
Mi
chiudo il cancello alle spalle e mi avvicino ad Adrian, che mi aspetta
poco
lontano. Ha delle brutte occhiaie, segno che non ha dormito bene.
Gli
metto la chiave in mano e lo abbraccio, stringendolo in vita e
appoggiando la
testa contro il suo petto.
Le
sue braccia si stringono intorno a me con forza, come se si stesse
aggrappando a me.
“Sembra
così sola.”
La
sua voce è spezzata e non posso impedire alla gola di
stingersi quando la mia
minaccia di andare via.
“Va
tutto bene. Possiamo tornare qui ogni volta che vorrai. Sono sicura che
non ti
biasima per non essere venuto prima.”
Mi
stringe più forte, affondando il viso tra i miei capelli.
“In
dieci anni non credo sia mai venuto nessuno.”
Capisco
cosa sta provando, ma non deve.
Gli
faccio sollevare il viso e lo fisso negli occhi, sconvolti.
“Non
spettava solo a te, Adrian. Avrebbero dovuto venire anche tuo padre,
tuo nonno
e suo fratello. Non eri solo tu la sua famiglia. Sai qual è
la differenza? Tu
oggi sei qui, loro no, quindi non colpevolizzarti anche di questo. Va
bene?”
Lui
mi fissa, ma alla fine annuisce, dandomi un leggero bacio sulla fronte.
“D’accordo.”
Mi
lascia andare solo per afferrarmi la mano e trascinarmi verso la
macchina. Con
un ultimo sguardo alla piccola cripta, rivolgo al cielo una preghiera.
Abbiamo
già sofferto abbastanza entrambi e spero che, ovunque siano,
le nostre madri ci
proteggano e si tengano compagnia.
Io
e Adrian non potremo mai dimenticare, ma la vita va avanti.
Forse
sarà per sempre o forse no, ma finché staremo
assieme, niente potrà fermarci.
Un
momento di assoluta perfezione per volta.
PICCOLO
SPAZIO AUTORE.
Dire
che mi pinage il cuore è un eufemismo. Pensavo di aver
terminato le emozioni, ma anche in questo piccolo capitolo, ho provato
moltissime emozioni diverse. Non so come descrivere questo libro, che
mi sono divertita a scrivere dalla prima all'ultima parole. Intenso,
forse è il termine più adatto, perché
la crescita e l'emotività di Adrian e Chelsea sono
così forti da lasciare senza fiato.
Ho
provato ogni loro singola emozione e questo mi ha lasciata svuotata.
Quindi
vi ringrazio per aver seguito la storia dei nostri due amati
protagonisti. grazie per avergli tenuto compagnia e per aver sorriso,
riso e pianto insieme a loro.
Al
più presto riprenderò la stesura del romanzo
lasciato in sospeso, intitolato L'eco di una promessa e
inizierò a stendere il primo capitolo del quinto volume
delle BF Series, intitolato: Un domani inaspettato.
Grazie
ancora per esserci stati, con i vostri commenti, con le vostre
stelline, grazie per tutto. Siete davvero fantastici.
Un
Bacio.
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