Into my dreams

di Misapoty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il monaco Shaolin - (parte I) ***
Capitolo 3: *** Il monaco Shaolin - (parte II) ***
Capitolo 4: *** Incontri casuali - (parte 1) ***



Capitolo 1
*** Il monaco Shaolin - (parte I) ***


Il monaco Shaolin - (parte I)

Shytia era un’immensa città che accoglieva tutti coloro volessero dare inizio a una nuova avventura, un viaggio che permettesse di crescere e di migliorare le proprie arti. Questa sorta di metropoli antica era famosa sia per il numero dei suoi avventurieri, ma soprattutto per la qualità di servizi che offriva, la meta prediletta per coloro che desiderano trovare la propria fortuna al mercato o far riparare le proprie armi dai mastri fabbri del centro, abbellito da fontane e statue raffiguranti le più svariate divinità. Fu proprio una di queste a colpire Tafu, un monaco shaolin che non poteva mostrare più di sedici anni. Da anni, ormai, bramava unicamente di partire alla ricerca di tutti i segreti dell’arte Talios, da cui era rimasto folgorato fin da piccolo. La statua che stava osservando con minuziosità, dal petto ornato da cinque gemme brillanti, rappresentava un dio che, secondo una leggenda, era stato in grado di controllare il pieno potere del Talios. Nel tempo, in molti avevano tentato di padroneggiarlo in tutta la sua potenza, tuttavia, la maggior parte di essi finì col perdere la ragione a causa dello smisurato potere che gli era stato conferito. Tutto ciò aveva sempre affascinato Tafu, che ancora non accennava a distogliere lo sguardo da quella statua luccicante.
«Ti smuovi da lì, Tafu?! È da mezz’ora che stai fissando quella statua! Speri che quel dio si muova e ti riveli ciò che vuoi?»
Tafu, sbuffando, si avviò verso Matis, suo inseparabile compagno di viaggio. Lo fissò a lungo e con scrupolosità, e si ritrovò a pensare ancora una volta a quanto fossero notevoli e palesi le loro differenze: alto e possente, dai cortissimi capelli corvini e gli occhi vispi e neri, tutto del fidato amico incuteva timore, a partire dalla katana minacciosa che pendeva al suo fianco sinistro. Peccato che Matis fosse un bonaccione, e che avesse sempre preferito una bella scorpacciata a un’avventura leggermente più spericolata del solito. Al contrario, Tafu era di media statura e magrolino, dagli insoliti capelli bianchi lunghi fino all’altezza delle spalle, uno spirito libero e indomabile nella sua brama di conoscere ogni anfratto del mondo che lo circondava. Eppure, un particolare accomunava entrambi i compagni: la voglia di imparare nuove arti e affinare nuove tecniche.
«Senti un po’, Matis, hai preso tutto quello che ci serve? L’ultima volta abbiamo rischiato di morire di sete.»
«Quanto sei noioso!» replicò Matis infastidito. «Ovvio che ho preso tutto. Mica avrai intenzione di metterti già in viaggio? Sei un pazzo!»
Tafu soppresse brillantemente la furia che stava per esplodergli. Da incorreggibile impulsivo quale era, difficilmente riusciva nell’intento di trattenere la sua parlantina eccessiva.
«Perché mai non dovremmo? Siamo pronti, abbiamo tutto il necessario, cosa dobbiamo aspettare?»
«Io opterei per una bella mangiata in quella taverna! Mi hanno detto che lì fanno della carne di cinghiale ottima!» Ormai Matis aveva già la bava alla bocca, e la sua mente si era già fiondata su quella succulenta carne di cinghiale.
«Forza, Matis, sono già quattro giorni che siamo fermi qui! Non ho voglia di aspettare altro tempo!» borbottò Tafu spazientito.
«Senti un po’. Ormai è già notte e non ho voglia di imbattermi in qualcosa di strano. Sai che per uscire dalla città bisogna attraversare la montagna a nord o la foresta a sud. Quindi dobbiamo essere carichi di energie e con la pancia piena!»
Tafu iniziò a prendere coscienza che l’idea non era male, poiché ben presto anche il brontolio del suo stomaco si aggiunse a quello dell’amico.
«Solo un’altra notte!» gli intimò con il suo indice. «Non un giorno di più. E vedi di darti una controllata con il cibo, questa volta!»

***

Tafu e Matis si diressero mestamente verso l’osteria. Il profumo che proveniva dalle cucine aveva scatenato la fame avvilente dei due, che si fiondarono a prendere posto una volta notato che il locale fosse già gremito di gente.
«Visto, Tafu, te lo avevo detto. Questo locale deve servire roba di prima qualità, a giudicare da tutta questa gente!»
«Spero solo che non ci costi una cifra!» sbuffò Tafu.
Entrambi si rifocillarono a sazietà fino a tarda notte, quando il sole del tramonto lasciò spazio alla luna piena e bianca come il latte. Il locale si era svuotato da un bel pezzo, fatta eccezione per una giovane donna avvolta in una tunica marrone. Dopo un attimo di esitazione, si avvicinò ai due ragazzi lentamente e con cautela, si levò il cappuccio e lasciò scivolare i lunghi capelli cremisi che le incorniciavano i grandi occhi color verde foglia. Tafu e Matis rimasero estasiati dalla sua bellezza.
«Non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione di poco fa. Siete avventurieri, per caso?» esordì con foce fioca, sedendosi accanto a loro.
«Cosa vuole questa qui da noi?» borbottò Matis nell’orecchio dell’amico, in preda al tensione.
Tafu ridacchiò. Un sorriso falso, dettato più dal nervosismo che per altro. Quella donna, per quanto incantevole potesse sembrare, aveva un che di sospetto.
«Suvvia, Matis, un po’ di gentilezza. Questa ragazza vuole solo scambiare quattro chiacchiere!»
«Avevo intenzione di mostrarvi una mappa.» sentenziò la giovane di rimando, seccata dal comportamento scostante riservatole. «Se vi sto arrecando fastidio, allora tolgo il disturbo.»
Tafu la richiamò indietro non appena il suo cervello fu catturato dalla parola “mappa”. La sua curiosità crebbe in modo smisurato e irrefrenabile.
«Aspetti, aspetti. Lo perdoni, dopo mangiato Matis è sempre un po’ sgarbato.» si affrettò a precisare, grattandosi la testa.
La donna si lasciò sfuggire un sorrisetto quasi impercettibile. Sapeva di aver colto nel segno.
«Ho trovato questa mappa pochi giorni fa in una spedizione nei dintorni. Nei meandri delle rovine è stata ritrovata una reliquia legata a un’arte antica che penso conosciate molto bene entrambi.»
Gli occhi color cielo di Tafu erano come incollati su quelli verdi della fanciulla. Deglutì, impaziente, mentre una goccia di sudore gli scivolò lungo la guancia.
«I simboli raffigurati sulla reliquia indicavano che era appartenuta al dio dell’arte, Talios. Davvero interessante, non trovate?»
Matis, al contrario di Tafu, iniziò già ad immaginare l’immane fatica e la quantità di pericoli a cui lo avrebbe condotto quella mappa. Per di più, una mappa donatagli da una perfetta sconosciuta.
«Non fraintendetemi. Sono qui per approfondire delle informazioni all’università di ricerca, e vedendovi pronti a partire ho pensato che due avventurieri come voi avrebbero potuto aiutarmi.» La donna sventolò la mappa sotto i loro nasi col preciso intento di farli desistere. Tafu rimase ipnotizzato da quel pezzo di carta ingiallito, o almeno questa fu l’impressione di Matis. «Come potete vedere sulla mappa, a nord di Shytia si staglia una catena montuosa da cui è possibile accedere alle radure sottostanti. Su una di queste montagne spicca un castello medievale. La leggenda narra che in questo castello vissero alcuni maestri dell’arte Talios che tentarono di ottenere tutti e cinque i poteri. L’iscrizione presente sulla reliquia ritrovata riporta che il suo contenuto avrebbe svelato il segreto per padroneggiare l’arte del dio.»
Tafu si alzò di scatto, gli occhi sgranati e i pugni serrati dall’eccitazione. Ancora stentava a credere che una simile fortuna stesse capitando proprio a lui, spericolato e maldestro per natura.
«E tu cosa ci guadagneresti?» sibilò Matis sospettoso, frenando i bollenti spiriti dell’amico.
La donna socchiuse gli occhi in due minuscole fessure. «L’unica cosa che vi chiedo è di portarmi le informazioni che troverete. In cambio, voi due potrete disporre di queste stesse informazioni in qualunque momento vogliate.»
«Accettiamo. Ora. All’istante.» sbottò Tafu. Era così euforico che sarebbe stato capace di partire seduta stante, se solo avesse potuto.
«Ottimo!» esclamò la giovane, compiaciuta dalle sue doti persuasive. «Vi chiedo scusa se non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Evelyn, e potete trovarmi al centro di ricerca.»
Tafu e Matis la ringraziarono frettolosamente e sfrecciarono verso la locanda dove alloggiavano per recuperare tutte le ore di sonno necessarie ad affrontare il lungo viaggio che li avrebbe attesi.
«Si è fatto tardissimo! Tutta colpa di quella stupida donna!» si lamentò Matis tra uno sbadiglio e l’altro.
«Ma tu sai cosa abbiamo tra le mani, Matis?! È una mappa che innumerevoli cercatori sognano da anni! Avremo finalmente la possibilità di capire come generare il potere di Talios!» replicò Tafu su di giri.
L’amico sospirò dubbioso. «Credi davvero che possa essere affidabile un pezzo di coccio di duemila anni fa? Sappi che verrò con te, ma sono sicuro che sarà un buco nell’acqua.»

***

L’indomani, all’alba, Tafu era già pronto per intraprendere il lungo viaggio, anche se Matis aveva dei seri dubbi sul fatto che il suo compare avesse dormito per davvero. La prova erano le profonde occhiaie che gli contornavano gli occhi azzurro cielo, che, stranamente, risultavano pieni di vita come al solito.
«Non dirmi che sei rimasto sveglio tutta la notte a studiare quella mappa...»
«Giusto un pochino, non potevo non farlo!»
Matis si passò una mano sulla fronte. «Hai almeno scoperto qualcosa?»
«Negativo, ma ho individuato la posizione del castello.» Tafu si girò di spalle e indicò una montagna poco distante. «Vedi quella parte di montagna che si affaccia sul mare? Ecco, è proprio lì che dobbiamo dirigerci.»
Matis sbarrò gli occhi. Sentì come se avesse già percorso tutta quella strada e sentisse la fatica piegare il suo corpo muscoloso e slanciato.
«Non penso ci arriverò vivo, meglio che inizi a scrivere un testamento.»
«Idiota, con quella stazza che ti ritrovi hai il coraggio di lamentarti? Che razza di maestro di spada sei!»
Matis prese coraggio e, suo malgrado, seguì l’amico nella sua nuova e spericolata avventura. Dopo svariate e intense ore di tragitto raggiunsero il versante opposto della montagna, nel punto esatto in cui si ergeva il castello medievale di cui aveva parlato Evelyn.
«Tafu, ti prego, dobbiamo fermarci...» ansimò Matis riprendendo avidamente fiato. «Ormai siamo arrivati, niente può andare storto...»
Il tempo di finire la frase, che il fragore di un tuono annunciò l’arrivo di un grande acquazzone.
«Dovresti imparare a chiudere quella bocca, Matis.» lo rimproverò Tafu divertito.
I due si precipitarono all’interno del castello per ripararsi dalla pioggia gelida. L’antica costruzione in pietra, ricoperta di edera e muschio, incuteva un terrore da brividi. Le decorazioni gotiche sulle pareti e sui portoni facevano apparire il tutto come uno scenario degno dei libri di avventura, ma al tempo stesso non adatto ai deboli di cuore.
«Mio dio, ma siamo sicuri che non esca un drago e ci massacri?» sussurrò Matis battendo i denti per il gelo. Nonostante fosse bagnato fradicio tanto quanto Tafu, quest’ultimo invece non sembrava patire per nulla il freddo.
«Suvvia, Matis, i draghi sono estinti da anni!»
Matis si affrettò ad accendere una lanterna e proseguì insieme a Tafu rimanendo coraggiosamente alle sue spalle. La mappa, intanto, sembrava si stesse divertendo a condurli in ale sperdute e tetre, sommerse da polvere vecchia di secoli.
«Siamo quasi arrivati, Matis! Non sto più nella pelle!» 
 

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Capitolo 3
*** Il monaco Shaolin - (parte II) ***


Il monaco Shaolin - (parte II) Ormai erano vicini. Erano finalmente a un passo dal scoprire cosa si celava oltre quella porta. Alta, laccata in nero lucido e ornata di rifiniture argentee, così imponente da togliere il respiro. Era stata proprio la mappa a condurli fin lì, quel semplice pezzo di carta logoro e malconcio, sbiadito sui lati, donatogli da una donna sconosciuta che aveva accennato riguardo un’importante verità da scoprire. La verità che aveva catturato Tafu spingendolo in un’avventura indimenticabile nei meandri di quel castello abbandonato. Riuscito nel suo obbiettivo da indomabile avventuriero, adesso il giovane stava ammirando estasiato la porta tanto agognata, in compagnia di Matis. «Sei ancora dell’idea che possiamo fidarci di quella donna?» borbottò quest’ultimo, ancora restio sul da farsi. «Che ti importa! Non sei curioso di sapere cosa c’è lì dietro? Quella donna ha parlato di verità!» replicò Tafu, serio in viso. «Non so te, ma io non mi fido. Perché una donna che non abbiamo mai visto dovrebbe darci una mappa? Non ti sembra sospetto?» «Ma che! Sii positivo, Matis! Sarebbe da idioti resistere a una tentazione del genere!» Tafu non stava più nella pelle. Il desiderio di conoscere cosa nascondeva quella porta gli opprimeva il cuore e la gola. Insieme a Matis, si avvicinò cautamente alla soglia e la illuminò con la luce fioca che la sua lanterna generava. All’esterno, attraverso l’unica finestra presente nella stanza tetra, si intravedevano i lampi squarciare il cielo. «Un’atmosfera da horror, non credi?» balbettò Matis indicando il temporale da brividi, cercando di catturare l’attenzione di Tafu. Ma ormai l’amico era fin troppo concentrato sulla porta e su un ipotetico modo per aprirla. La spinse appena con il palmo della mano permettendo a uno spiraglio di luce di fare capolino, finché il suo corpo non rispose più ai suoi comandi. In un attimo si ritrovò scaraventato al muro del lato opposto della stanza. Polvere e ciottoli di pietra frantumati gli offuscarono la vista. «Ma cosa diavolo è successo?! Stai bene, Tafu?!» gridò Matis. Tafu si rialzò in piedi a fatica. Il suo istinto gli intimò di scappare ancor prima che potesse capire cosa fosse appena accaduto. Il sangue gli ribolliva nelle vene. «Matis, dobbiamo fuggire, ora! C’è qualcuno lì dietro, e di certo non vuole accoglierci con le buone maniere!» In quel preciso istante, una sagoma avvolta in un’armatura nera costellata di smeraldi fuoriuscì dalla porta di legno massiccio. Nella sua mano destra reggeva una pesante ascia medievale e l’agitava fendendo l’aria come se fosse stata una piuma. Quasi d’istinto, Matis estrasse frettolosamente la sua katana, seppur consapevole che la sua fidata arma e le due doti combattive non sarebbero bastate a fermare il possente avversario. La sagoma cominciò a correre verso i due e scaraventò il samurai contro il muro con un colpo ben assestato. Il ragazzo, stramazzato al suolo dolorante e col sangue che gli colava dalla fronte, tentò inutilmente di recuperare la sua spada. «Matis, rialzati e scappa! Questo qui ci ammazzerà!» gridò inutilmente Tafu. Ormai l’amico era svenuto, e lui era rimasto da solo contro quell’imponente armatura. Vide il cavaliere voltarsi verso di lui e scrutarlo a fondo con i suoi occhi rossi e densi come il sangue, quasi lo desiderasse da tempo. Un sibilo agghiacciante scaturì poi dalle sue labbra. «Finalmente. Sei arrivato.» Gli occhi di Tafu erano sgranati dal terrore. Non sapeva cosa fare. Il cavaliere sollevò nuovamente la sua ascia e la indirizzò verso di lui. Ormai era la fine, pensò. La sua straripante curiosità lo aveva ucciso. Sentì la fredda lama sfiorargli la pelle. Poi, un bagliore di luce lo investì. «Non questa volta, mi dispiace!» Tafu non capì cosa stesse succedendo. I suoi occhi erano avvolti nell’oblio. Con il cuore in gola, biascicò con voce flebile il primo e unico pensiero che gli balenò nella mente: “Sono morto?”

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Capitolo 4
*** Incontri casuali - (parte 1) ***


Incontri casuali - (parte 1) Quando decisi di iscrivermi all'università, una volta finito il liceo, pensai che finalmente sarei entrato in un ambiente più serio, o almeno così immaginavo. Mi ero ormai creato uno stereotipo di studente universitario di lingue: tipico ragazzo serio, diplomato con una media alta alle superiori, iper applicato nello studio. Da un lato pensai che tutto questo mi sarebbe stato utile, o almeno in qualche modo avrebbe cambiato il mio modo di studiare. Dall'altro, invece, temevo che così facendo avrei vissuto un’esperienza noiosissima e che non ce l’avrei fatta a resistere a lungo in un ambiente del genere, poiché io e lo studio non eravamo grandi amici. Tutte le mie convinzioni, però, svanirono appena cominciai a frequentare l’università, un posto ben più frenetico del previsto. Il primo giorno feci la conoscenza di due ragazze. Ci incontrammo per la prima volta al corso di letteratura inglese. L’aula era pienissima e gli ultimi posti liberi rimasti erano quelli della mia fila. «Guarda tu quanta gente c’è! Non lo trovi eccitante? Allora quando si comincia?!» esordì una delle due ragazze aguzzando la vista nella speranza, forse, di intravedere qualcosa di interessante sul fondo dell’aula. Era una tipa minuta, dai capelli corti e biondi. Anche avendo una corporatura così esile, aveva fin troppa energia nel suo modo di parlare. «Amy, non urlare. Non farti notare già il primo giorno. Siediti e rilassati.» disse l’altra ragazza invitandola a sedere. Amy si pietrificò dall'imbarazzo e arrossì, sedendosi senza dire nulla accanto all’amica che l’aveva ripresa. Quest’ultima, dai lunghi capelli corvini, era molto più alta di lei e decisamente più tranquilla, o almeno così sembrava. Si presentò poco dopo dicendo di chiamarsi Misaki e si dimostrò tutt’altro che tranquilla. La sua capacità di cambiare continuamente discorso era strabiliante. A quanto pare era l’unica che riusciva a calmare i bollori di Amy riportandola con i piedi per terra. Da quel giorno continuammo a seguire i corsi insieme, e mi toccò ammettere che la loro compagnia non era affatto spiacevole. Trascorsa qualche noiosa settimana di università, un giorno la nostra monotonia venne interrotta da una strana catena di eventi. Come ogni volta, io, Amy e Misaki decidemmo di tornare a casa insieme, avendo in comune un bel tratto di strada. Usciti dalla sede principale, ci ritrovammo nel bel mezzo di un acquazzone senza una precisa meta e nessuno di noi aveva intenzione di decidere sul da farsi. Dopo un po’, stanchi di bagnarci senza motivo a causa della pioggia, optammo per ripararci da qualche parte dove poter mangiare. Le opzioni erano varie, ma decidemmo che una rosticceria in cui poterci sedere andava più che bene. Ci dirigemmo in un locale vicino all’università, piccolo, ma fortunatamente munito di svariati posti a sedere. Era abbastanza rustico, uno di quei posti che non saltano facilmente all’occhio dei passanti, tipico rifugio di qualche universitario fuori sede in cerca di pausa e ristoro. Misaki ed Amy ordinarono in fretta e furia qualche stuzzichino da mangiare per colmare il vuoto allo stomaco. Più che vuoto poteva essere definito come buco nero, ma questo è un dettaglio. Mentre si rifocillavano con una grazia per nulla femminile, iniziarono a parlare delle serie TV che sarebbero dovute uscire a breve in questo autunno ed io, preso dalla noia, estrassi dalla tasca dei pantaloni il mio amatissimo cellulare alla ricerca di qualcosa che potesse distrarmi. Per qualche strano motivo, finii nuovamente col cercare qualcosa nelle vecchie foto della galleria. In più, questa volta, notai che la mia collezione di foto dei libri che avrei voluto comprare aumentava a dismisura senza mai accennare a diminuire. Tra quelle miriadi di immagini si poteva trovare di tutto, o almeno tutto quello che destava il mio interesse: dall’esoterico al racconto di avventura fantastico, libri destinati a rimanere foto per un altro bel po’ di tempo a causa della mancanza di fondi, tra cui sbucarono anche gli innumerevoli manga e fumetti occidentali che avrei voluto comprare. Fumetti che, una volta individuati dal sottoscritto in qualsiasi fumetteria che si rispettasse, venivano minacciati con un “Tu sarai mio”. Tra di loro, in particolare faceva capolino il primo numero di “Adventure Time” che mi ero tanto ripromesso di comprare. Avevo persino già selezionato le variant tra le quali dover scegliere. «Adventure time? Strano vedere qualcuno interessato!» «Beh, avevo intenzione di prendere il primo volume, e penso lo farò a breve.» dissi. Mi girai e mi ritrovai faccia a faccia con una ragazza che stava cercando di guardare sul mio cellulare. Cappelli neri, lunghi, non molto alta e dalla pelle non troppo pallida. Probabilmente lavorava sul posto poiché indossava una divisa e aveva con sé un piccolo blocchetto. «Bene, allora siamo in due, ancora devo decidermi a prenderlo, ma in questi giorni sarà mio.» Si allungò e mi sfilò delicatamente il cellulare di mano sfogliando le varie immagini che stavo guardando. Fu sul punto di fare qualche commento quando fu chiamata dal retro del locale e corse frettolosamente via. Io ero ancora lì, immobile, a cercare di comprendere cosa fosse appena successo. Fui riportato alla ragione da Amy che continuava a indicarmi fuori cercando di comunicarmi che aveva smesso di piovere. Mi alzai e allungai la mano al tavolo per recuperare il cellulare. Con mio assoluto stupore constatai che non c’era. Lo aveva ancora quella ragazza. Mi diressi verso il retro del locale ma mi fermai poco prima. Un piccolo pezzo di carta catturò la mia attenzione, appoggiato con cura sul bancone insieme al mio cellulare. “Ci rivedremo prima o poi. O almeno spero. A...” «Ti vuoi muovere Shin, che stai aspettando?!» Amy alzò le mani al cielo agitandole per farsi notare. Misi nella tasca della giacca il biglietto e mi avvicinai a loro. «Perché ci metti sempre così tanto?» «Sempre a fare storie tu.» borbottai. Dopo aver pagato prendemmo le nostre cose e ci dirigemmo verso l’uscita, quando si avvicinò un altro gruppo di ragazzi. Tre ragazze e due ragazzi, per l’esattezza. Si presentarono dicendo che anche loro erano iscritti alla nostra stessa facoltà di lingue e ci chiesero delle informazioni riguardanti alcuni libri di testo. Ci fermammo a parlare con loro e finimmo con il sederci di nuovo in quel locale. A quanto pare quel posto ormai ci aveva incatenati. Ripresi il mio cellulare per l’ennesima volta, controllai non ci fosse nessun messaggio e lo riposi sul tavolo. «Shin, quanto costava il libro di letteratura?» «Sempre 30, non penso abbiano cambiato il prezzo dopo un giorno.» Misaki mi gettò un'occhiataccia ammonendomi dell'irritante sarcasmo appena usato e le risposi con un’alzata di spalle. Il ragazzo con cui stava parlando pareva l’unico interessato, e sembrava che ad Amy non dispiacesse affatto. Dopo che tutti i dubbi furono risolti, i ragazzi chiesero di unirci a loro per tornare a casa insieme. Amy fissò Misaki nel tentativo di convincerla con lo sguardo, e lei si girò verso di me per chiedermi un ulteriore parere. Non riuscii neanche a dire una parola, che Amy aveva già accettato con fare molto esaltato. «Bene, mi piace il tuo spirito!» disse il ragazzo ridendo. Amy arrossì di colpo quando si rese conto della sua reazione eccessiva, e rimase pietrificata dall'imbarazzo come suo solito. Uscimmo dal locale dopo quella che era sembrata un’infinità di tempo e ci incamminammo verso casa. Fortunatamente un pezzo di strada era comune anche ai nostri nuovi "amici", e quindi ci fu l’occasione di parlare meglio. Il primo ragazzo, di cui ormai Amy era rimasta palesemente affascinata, si presentò come Simon, non troppo alto, dalla corporatura normale e dai capelli leggermente rasati. A seguire, al suo fianco, c’era Yuki. A differenza di Simon, aveva i capelli ricci e folti ed era leggermente più alto di lui, e indossava un giubbotto verde alquanto insolito abbinato a un cappellino grigio. Amy cercava di tenere loro il passo, così da potergli continuare a parlare, ma a causa della sua piccola statura sembrava una maratoneta a un passo dal collassare nell’intento di arrivare il prima possibile al traguardo. Io e Misaki li seguivamo osservando divertiti quella scenetta comica affiancati dalle tre ragazze. Misaki si affrettò a rompere il ghiaccio tartassandole di domande su serie TV e tutto ciò che le passava per la testa, e in questi casi niente poteva fermarla. La prima ragazza, Veronica, sembrava seguire il discorso con grande attenzione rispondendo con precisione alla raffica di domande di Misaki. La seconda, Monica, rimase sbalordita tanto quanto me dalla velocità con cui entrambe cambiavano ripetutamente discorso. In effetti, Misaki era sempre stata famosa per la sua parlantina, ma non mi sarei mai aspettato di trovare qualcuno al suo pari. Ogni tanto Veronica spronava l’ultima ragazza del gruppo, Sefora. Indossava una felpa grigia, e si era rintanata all’interno del suo cappuccio. Interveniva poco o nulla con fare molto distratto per poi ritornare ai suoi pensieri. Di colpo riprese a piovere, ma per mia fortuna ero ormai quasi arrivato. Amy, approfittando della pioggia, tirò con sé Simone alla ricerca di un riparo. Sembrava quasi una scenetta romantica, ma il tutto era reso comico dall’immagine di una piccoletta dalle guance divenute color porpora nel tentativo di trarre in salvo un ragazzo del doppio della sua statura. Mi salutarono tutti rapidamente e fuggirono anche loro alla volta di un riparo. Mi sbrigai a trovare le chiavi di casa, ma prima che potessi infilarle nella serratura del portone mi sentii tirare. Mi girai e vidi una ragazza dalla felpa grigia con il capo chino. Era Sefora. Era rimasta indietro rispetto al resto del gruppo. Alzò lo sguardo e per la prima volta in quella giornata la osservai meglio. Capelli rossicci, occhialoni enormi che le donavano molto e dalla statura esile celata dalla felpa di almeno due taglie più grandi della sua. Mi poggiò le mani al petto porgendomi un cellulare, poi scappò anche lei all’inseguimento del gruppo. Io rimasi lì, imbambolato, sull’uscio del portone. Controllai il cellulare, e rimasi stupito. Era il mio. E solo in quel momento ricordai di aver stupidamente lasciato il cellulare sul nostro tavolo, quando ci trovavamo ancora nel locale. Non avevo neanche fatto in tempo a elaborare il tutto, o magari provare a ringraziarla, che ormai lei era già andata via. Senza farmi ulteriori domande, tornai a casa cercando di non pensare a quanto fosse appena successo. Incominciai a sentirmi stanco e quindi decisi di andare a dormire subito. Mi risvegliai tardi, con forte mal di testa. Fortunatamente era sabato e non ero costretto ad andare all'università. Mi alzai dal letto cercando di mettere a fuoco la mia vista appannata e mi accorsi di aver dormito vestito e di aver lasciato le mie cose in punti sparsi della stanza. Quando il mal di testa si decise a darmi tregua, cercai di ricomporre cosa fosse successo il giorno precedente. Mi ritornò subito alla mente il biglietto che la ragazza del locale mi aveva lasciato cercando di ricordare dove l’avessi riposto, ovvero nella tasca della giacca. Mi avviai barcollando ancora assonnato verso la giacca abbandonata per terra poco distante dal comodino. Infilai la mano nella tasca, ma il biglietto non c’era più.

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