Georgie, la nuova saga

di Rubina1970
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte dei pensieri e degli amori ***
Capitolo 2: *** Nuove dimostrazioni d'affetto ***
Capitolo 3: *** A perdifiato ***
Capitolo 4: *** Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** Beautiful Goodbye ***
Capitolo 6: *** Interludio, o delle conversazioni impossibili ***
Capitolo 7: *** Le nozze ***
Capitolo 8: *** The Power of Love ***
Capitolo 9: *** Irrequieto ***
Capitolo 10: *** Sì, viaggiare ***
Capitolo 11: *** Conti in sospeso ***
Capitolo 12: *** Tintinnio di bicchieri e musica da ballo ***
Capitolo 13: *** Agrodolce ***
Capitolo 14: *** Lo sbocciare di un fiore spontaneo (Somebody) ***
Capitolo 15: *** Con lei nella mente ***
Capitolo 16: *** Scherzo (Allegro con brio) ***
Capitolo 17: *** A te che sei lontano ***
Capitolo 18: *** Eventi naturali potenti (A Question Of Lust) ***
Capitolo 19: *** Pericolo! ***
Capitolo 20: *** Falling ... ***
Capitolo 21: *** Arthur nel paese delle meraviglie ***
Capitolo 22: *** Segretamente ***
Capitolo 23: *** Rosa d'autunno ***
Capitolo 24: *** Oi nostoi (I ritorni) ***
Capitolo 25: *** Damsels In Distress ***
Capitolo 26: *** È nata in mezzo al mare … ***
Capitolo 27: *** Il cuore si rivela ***
Capitolo 28: *** Onore ai cuori costanti ***
Capitolo 29: *** Con le migliori intenzioni ***
Capitolo 30: *** La ragnatela ***
Capitolo 31: *** Che triste è dirsi addio ***
Capitolo 32: *** Le ultime parole che mi hai detto ***
Capitolo 33: *** Luna di miele (I) ***
Capitolo 34: *** Luna di miele (II) ***
Capitolo 35: *** Improvvisamente divisi ***
Capitolo 36: *** L'attesa (Bachata Rosa) ***
Capitolo 37: *** L'incubo ***
Capitolo 38: *** Il sole di settembre ***
Capitolo 39: *** La tempesta ***
Capitolo 40: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 41: *** Il tuo amore mi ha liberato ***
Capitolo 42: *** Resta tra le mie braccia (Quédate en mis brazos) ***
Capitolo 43: *** Tornare ad amare (Volver a amar) ***



Capitolo 1
*** La notte dei pensieri e degli amori ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Yumiko Igarashi e Mann Izawa; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Parte I. Il passato che ritorna


1. La notte dei pensieri e degli amori[1]

 
― Georgie … Credi che non sia possibile tornare indietro?[2]

 

A Georgie sembrò incredibile, che Lowell pensasse ancora a lei. Usciva il valzer, sulla terrazza profumata, e l’aria mite della bella serata estiva le portava anche un aroma diverso, quello che emanava Lowell. Era calore, era innocenza, era il ricordo di quello che avrebbe potuto essere e non era stato mai tra di loro.
 
― No, Lowell … Non puoi dimenticare tutto quello che ha fatto per te Elisa. Non voglio che sia infelice a causa nostra.
 
― Elisa! Ti preoccupi sempre degli altri, come quando mi hai salvato! Non fraintendermi, se sono vivo lo devo al tuo altruismo, ma … ma tu, che cos’è che vuoi? Ci pensi mai?
 
― Sì … Lowell, aiutami, non ce la faccio! – Lacrime calde scendevano su quel bel viso. Lowell non sapeva perché Georgie piangesse, ma non lo sopportava, e si sentì terribilmente meschino. Lei che aveva così tanto amato, lei che aveva giurato di sposare, vissuta sempre con poco, ora aveva avuto la sua serata di gala … e lui che aveva fatto? l’aveva messa in imbarazzo in pubblico, e alla fine l’aveva pure fatta piangere!
 
― No, ti prego! – Lowell s’inginocchiò e le baciò il palmo delle mani, poi parlò con una voce che non pareva la sua: ― Non devi piangere, ho sbagliato e non t’importunerò più. Sono sempre stato solo, perché i miei genitori non mi hanno mai amato e tu lo sai, ed io non ho mai amato Elisa. Mai! Tu sei l’unica anima che sia mai stata vicina alla mia, perciò farò quello che decidi tu. Perché ti ho sempre amato, e mi metto a tua disposizione. Dimmi solo se posso fare qualcosa per farti smettere di piangere, Georgie, tesoro mio!
 
Georgie sentì una grande tenerezza, mentre Lowell le confessava la sua immensa solitudine, e di colpo aveva capì che voleva stargli vicino, come l’inverno precedente e anche di più. Ma si sentiva improvvisamente indifesa, perché la verità che aveva dovuto soffocare per tutto il tempo ora era riemersa, e aveva paura che il Lowell che aveva conosciuto (calore, innocenza …) non esistesse più. E se lui fosse cambiato? e se quello di prima fosse il vero Lowell, sprezzante e vendicativo? Eppure, ora era così dolce …
 
― Sì! Balla con me, Lowell, e poi … e poi … non tornare da lei … restami vicino, ho sofferto così tanto quando ti ho dovuto lasciare!
 
Could We Turn Back Time (Georgie) by Rubina1970

Lowell si alzò, e si sentì più forte: come aveva fatto a non pensarci prima? Georgie con la sua tenerezza non lo aveva mai abbandonato! Ma perché aveva dato ascolto ad Elisa che gli diceva il contrario, e che solo lei gli voleva bene? Perché era febbricitante e solo, ecco perché. Debole e triste, a causa di una malattia cattiva che gli scavava dentro. Ma ora, era tutto diverso.
 
― Non accadrà mai più, Georgie. Anche nella mia vita ci sono stati dei cambiamenti, ed il più importante è che ora io decido da me. L’unica padrona della mia vita e del mio cuore sei tu! – Le passò teneramente un braccio intorno alla vita per avvicinarla di più, mentre con l’altra mano continuava a tenere quelle di Georgie sul cuore, e poi la baciò. Sembrava una cosa consueta tra di loro, ma era un altro tipo di bacio. Non c’era più l’adolescente spensierato che aveva approfittato di un’occasione inattesa per baciare una sconosciuta, e nemmeno il giovane sognatore che fuggiva con la sua bella in carrozza senza una sterlina in tasca. C’era un ragazzo che conosceva la paura di morire, e un dolore diverso, mai provato prima: quello di amare senza rimedio e senza speranza, per giorni e poi per mesi, una persona che credeva perduta per sempre.
 
La stringeva a sé, Lowell, e dentro pregava di poter scegliere, stavolta. Perché non poteva accettare di perdere Georgie una seconda volta. Ancora non si era nemmeno potuto abituare all’idea di averla persa. Georgie, la bambina che prima lo spogliava e poi fuggiva via spaventata da se stessa, la fanciulla tremante che lo aveva sconvolto, quando in casa sua erano caduti sul tappeto e lei era quasi nuda … era una donna ormai. La sentiva diversa, indipendente e sicura, ora che lo baciava con trasporto e lo abbracciava più forte, come lui aveva solo sognato. E finalmente, desiderò vivere! Essere un uomo, l’uomo di Georgie, solo quello!
 
Elisa era uscita sulla terrazza giusto in tempo per vedere quel bacio formidabile, e per sentire le parole di Georgie quando, senza aprire gli occhi, con la voce strozzata dall’emozione, gli disse:
 
― Oh, Lowell, mio caro, sì! Sarà come vuoi tu, il tempo è tornato indietro stanotte, e io starò sempre con te! Te lo giuro, ora so che è quello che voglio.
 
Elisa rientrò nel salone, e non sentì Lowell sussurrare a Georgie quanto l’amava. Georgie aveva detto “sì” già tre volte, negli ultimi minuti, e continuò a pensarlo insistentemente intanto che lui le parlava piano nell’orecchio, e quando anziché parlare prese a baciarle il viso. Era lo stesso ragazzo con gli occhi azzurri come il cielo che l’aveva folgorata l’anno prima, solo che ora le piaceva molto di più. Il fiore sbocciato al forte sole australiano era diventato frutto nelle fredde stagioni inglesi, ed ora era profumato e dolce, nella notte estiva.
 
Il valzer finì, e ne iniziò un altro, più struggente, un valzer inglese. Allora, Lowell si ricordò della prima cosa che lei gli aveva chiesto di fare quella sera, e si staccò da lei per fissarla negli occhi. Poi, senza parlare, portò una mano di Georgie sulla propria spalla ed iniziarono a ballare lì, sotto il soffitto più bello del mondo, quello del firmamento.
 
***
 
Al rientro nella grande sala da ballo, capirono che la loro assenza era stata notata. Per cominciare, la giovane festeggiata era sparita col fidanzato di Elisa Dangering per un bel pezzo, dopo che lui l’aveva trattata malissimo. Poi, Elisa era andata via da sola! La folla d’invitati in abito di gala li guardava e mormorava. Ed infine, il Conte non mancò di rilevare il luccichio negli occhi dei due ragazzi, e fu il primo a capire quello che presto sarebbe stato evidente a tutti: erano innamorati, e quello di poc’anzi non era che uno di quei bisticci dopo i quali di solito le coppie si ritrovano più affiatate di prima. Infatti, da quel momento, Lowell fu il perfetto cavaliere di Georgie: le fece pubbliche scuse per il suo comportamento, ballò con lei, le portò da bere e la servì durante il rinfresco, conversò con suo padre felicitandosi per il suo ritrovato titolo e, al momento di salutarla, le porse lui il cappotto, completando la serata con un baciamano ed un languido “Buonanotte, dolce Georgie.”
 
Dopo averlo salutato dal finestrino con un dolce sorriso, Georgie tornò a casa in carrozza col papà, in uno stato di grande emozione e speranza. Il Conte non sapeva granché della sua storia con Lowell, e così la ragazza raccontò: il boomerang, il loro innamoramento immediato, la promessa che si erano fatti una notte di pioggia. Poi, venne la parte più difficile: la mamma l’aveva cacciata di casa, quella notte. La prima volta che aveva parlato con suo padre del passato, aveva evitato tanti particolari. Ora invece raccontò che, mentre Lowell salpava per l’Inghilterra allo scopo di rompere il fidanzamento con Elisa e poter così sposare lei, Georgie aveva perso tutte le sue certezze, scoprendo brutalmente di essere figlia di un deportato …
 
― E il peggio non fu nemmeno questo. Potevo anche accettare di essere stata adottata, ma la mamma mi disse che avevo fatto qualcosa di brutto, che papà era morto per colpa mia e che avevo fatto del male ai miei fratelli.
 
Che cosa?!
 
― Sì. – Adesso Georgie si vergognava davvero. – Io non capivo perché dicesse così, mi vedeva come una poco di buono e questo era tutto quello che potevo comprendere. Abel era rimasto fuori, quella sera, però c’era Arthur, e meno male, perché scappai via e …
 
Per un attimo, le venne in mente Arthur, e i suoi sentimenti per lei che lo zio Kevin le aveva rivelato il giorno dopo. Non doveva essere stato facile, per lui, e lei non lo aveva ancora ringraziato …
 
― Caddi nel fiume, e Arthur mi salvò. Mi portò da Kevin, un signore molto buono che vive nei paraggi, perché io non avevo più una casa. – Quant’era penoso, per lei, ora che la mamma era morta, raccontare queste cose? e quanto lo era ascoltare, per suo padre che non aveva mai capito che la figlia avesse sofferto tanto e corso tanti pericoli prima che lui la ritrovasse? Gli si spezzava il cuore al pensiero che Georgie aveva sofferto ancora di più perché sua madre le aveva buttato in faccia che lei era “la figlia di un deportato”. Meno male che non sapeva il resto della frase: “e di una svergognata”! L’insulto alla moglie morta gli fu risparmiato, e presto il racconto passò oltre:
 
– Mi curarono, ma poi Abel mi disse che mi amava … e che mi avrebbe sposato.
 
Non se la sentiva di riferire i fatti alla lettera. Pausa d’imbarazzo: il Conte stentava a crederci, e Georgie a continuare.
 
― E Kevin mi disse che anche Arthur mi amava e mi aveva salvato, correndo dei pericoli per me. I miei “fratelli” erano innamorati di me, e io non potevo scegliere tra di loro, anche perché amavo Lowell! Così m’imbarcai di nascosto come mozzo su una nave per l’Inghilterra, e il resto lo sai. Abel mi seguì di corsa, e Arthur subito dopo la morte della mamma, a quanto dice nella lettera. E poi, in Inghilterra, scoprii che Lowell era gravemente malato: siamo scappati insieme, ma non ho potuto fare niente per curarlo. Così, avevo deciso di rinunciare a lui, lasciandolo a casa di Elisa che aveva i mezzi e lo amava, ma rivedendolo oggi … Papà noi ci amiamo più di prima!
 
Il povero Conte era sbalordito! Quei ragazzi, così freschi a prima vista, avevano vissuto esperienze tremende, e lui sapeva ancora così poco di loro, soprattutto di sua figlia! Di certo c’era che lei amava Lowell Grey, e pareva esserne corrisposta.
 
Ma che ne sarebbe stato dei due fratelli, che gli erano già così cari? Quant’era stato difficile, per loro? Abel innamorato … Arthur altrettanto! Lowell poteva anche essere l’amore di Georgie, ma che avrebbero fatto loro due, una volta scoperte le ultime novità? E quanto avrebbero dovuto soffrire, ancora?
 
― Georgie … a me va bene tutto, ma hai pensato a quello che dirai ai tuoi fratelli?
 
― Oddio, è vero! No, non lo so … Ma loro sono proprio questo, i miei fratelli, come posso amarli diversamente? Siamo cresciuti così, “fratellone”, “fratellino” e “sorellina”! Dovranno capire, anche perché io partirò con Lowell per l’Italia!
 
Per l’Italia?!
 
― Sì, papà. Lowell sta per partire, lo diceva perfino il giornale, è importante! E io andrò con lui!
 
Così, il Conte apprese che Lowell doveva partire per luoghi caldi per poter guarire da una malattia ai polmoni. Ma il Conte conosceva abbastanza la “buona società” inglese per iniziare a preoccuparsi seriamente della reputazione di Georgie:
 
― Ma cara Georgie, io ho capito che tu e lui fate sul serio, ma ti consiglio di riflettere: tu sei venuta qui e dopo poco tempo sei scappata con Lowell, che era sul punto di fidanzarsi ufficialmente con Elisa e aveva viaggiato con lei fino in Australia e ritorno. Dopo aver vissuto con lui, vi siete lasciati e lui si è fidanzato con lei, e ora vorresti partire per l’estero con lui un’altra volta, come niente fosse? Tu sei Contessa, ora, e adesso che hai fatto il tuo ingresso in società, come si può giustificare questo senza un matrimonio? Anche Lowell, che non appartiene ad una famiglia nobile, senza matrimonio, non sarebbe accettato tanto facilmente.
 
― Ma noi intendiamo proprio sposarci! Era stabilito da prima, ora basta convincere la sua famiglia, ma adesso io sono in una posizione migliore di Elisa, no? Accetteranno … è tutto deciso.
 
In realtà, con Lowell non avevano parlato precisamente di matrimonio, e Georgie non aveva idea di quanto fosse urgente la partenza per l’Italia, sapeva solo che il ragazzo aveva accennato alla necessità di andarci per la propria salute. Ma per lei, era “tutto deciso”! Già, una cosa da nulla … uno scherzo!
 
Eppure, anche Lowell si sentiva privo di preoccupazioni. Per lui, la notte fu ottima. Tornò a casa sua sicuro che i suoi (e specialmente la sua cara nonna) sarebbero stati ben felici del “cambio di dama” tra Elisa e Georgie, visti i recenti sviluppi. E cullandosi con questa certezza, si addormentò sognando di un tuffo involontario in un fiume australiano; di una stupenda ragazza bionda che lo spogliava per asciugargli i vestiti per poi … assicurarsi che fosse asciutto anche lui, strofinandogli il corpo col suo grembiule immacolato; e di un sole caldo ed invitante sulla pelle, un sole che da tanto non lo scaldava più così.
 
***
 
Quella notte non fu altrettanto tranquilla per i giovani Butman.
 
Abel si mise a letto cercando di negare il proprio nervosismo: aveva fatto bene o male a non andare al ballo? Lui non apparteneva a quel mondo, e tanto con Georgie c’era suo padre. Poteva forse essere in mani migliori? Avrebbe dovuto sentirsi tranquillo, e invece aveva paura. Di che cosa esattamente, era difficile da dire. Forse di perdere Georgie? Perché, poteva perderla più di così? Lei non lo amava: quando lui le aveva detto e ripetuto di amarla, lei non aveva fatto altro che sfuggirgli, e alla fine anche lui aveva capito che non poteva costringerla. Si vergognava di aver provato a costringerla. Si vergognava di diverse cose: una volta aveva picchiato selvaggiamente suo fratello solo perché aveva “osato” innamorarsi di lei; aveva investito Georgie coi propri sentimenti senza chiederle niente dei suoi, proprio quando forse lei avrebbe avuto solo bisogno che lui le dicesse “sei sempre della famiglia, ti voglio bene così, come un fratello”; l’aveva persino baciata, quando lei aveva scoperto di non essere sua sorella solo da poche ore (durante le quali era quasi morta, a causa di quella scoperta!).
 
O forse aveva paura che Georgie perdesse se stessa? che quel mondo la illudesse col suo luccichio per poi distruggerla, la ragazza ingenua venuta dalla campagna australiana? Sarebbero bastati il suo titolo e l’amore di suo padre, a proteggerla? Abel avrebbe voluto farlo lui, ma non era sicuro che Georgie gliel’avrebbe permesso. Infondo lui non era mica suo fratello! Lei era Contessa, come poteva capire che forse l’amore di quel non-fratello era un bene prezioso, diventato sempre più puro nella rinuncia?
 
“Oh, Georgie … se avessi bisogno di qualcuno che sia sincero e che ti ami davvero, vieni da me!” supplicava in silenzio, con la gola chiusa dalla tristezza “Io non cercherò più di sopraffarti, non ti chiederò niente, ma non allontanarti da me! Se avrai bisogno … no, che stupido! Sono io che ho bisogno di te, Georgie.” Sperava solo che l’indomani, al momento di rivedersi, lei fosse ancora la ragazza allegra con cui era cresciuto, fiduciosa nella sua famiglia e lontana da un mondo cattivo che non l’avrebbe mai amata quanto lui.
 
Arthur spense la luce e chiuse gli occhi. La stessa stanza per lui e Abel, com’era giusto che fosse, come a casa. Abel si era trasferito dal Conte Wilson dopo la sua liberazione, al solo scopo di stare con suo fratello, dal momento che il Conte Gerard e il Conte Wilson erano decisi ad ospitarlo, e così voleva anche Georgie. Veramente, dopo tutte le esperienze atroci che aveva avuto, Arthur si sentiva molto più sicuro, sapendo che Abel dormiva con lui. E allora, perché era triste? Era salvo, no? E Georgie si stava divertendo, alla sua festa. Che diavolo aveva, da sentirsi così giù? “Sei felice?” gli aveva chiesto suo fratello. Non gliel’aveva mai chiesto, e lo aveva spiazzato, e così lui aveva risposto di sì troppo in fretta, per non pensare. Ma a che cosa? Doveva essere felice, era vivo e già era un miracolo, tutti i suoi cari lo avevano salvato e adesso erano con lui. Gli volevano bene, e non sarebbe stato giusto dire di non essere felice con tutto quello che avevano fatto per lui.
 
No, che non era felice. Si sentiva vuoto, la sua vita era salva ma gli mancava qualcosa. Aveva perso qualcosa d’importante. Aveva ancora paura, riviveva lo sparo, le cattiverie di Arwin, i suoi sguardi viscidi addosso … a volte gli pareva di rivedere le sbarre alla sua finestra, che si poteva aprire ma solo per buttarsi di sotto e morire; altre volte, rivedeva quella segreta orribile, dove il giorno era uguale alla notte, e dove Dangering si prendeva la briga di scendere solo per ricordargli, ogni tanto, che presto lo avrebbero ucciso; il rasoio, che lo aveva chiamato invitandolo a farla finita, e la paura nella paura … la paura di restare da solo e avere paura senza che ci fosse nessuno a svegliarlo dall’incubo.
 
Veramente, ripensando al suo tentativo di suicidio, rabbrividì e fu contento di essere ancora vivo. Non si sentiva vivo come quando era ancora a casa sua, un innocente e allegro ragazzo australiano di campagna, però se fosse morto, pensò, non avrebbe mai saputo che Abel era pronto a prendersi una pallottola per salvarlo, né che Georgie si era messa d’impegno per lui.
 
Già, Georgie … si sentì strano. Non provava il solito calore, al pensiero di quegli occhi verdi. Ora, poi, Georgie entrava davvero in un mondo diverso, come aveva detto Abel. Non c’erano più bugie che lui potesse dire per fermarla, né fotografie che la potessero commuovere per legarla ancora alla fattoria, alla solita vita. Erano tutti trucchi che lui aveva usato in passato, in Australia, per trattenerla a casa con loro. Cioè, con lui. Ma non servivano più, doveva lasciarla andare. Si sentì ancora più vuoto: aveva perso la speranza di essere amato. Gli vennero in mente degli altri occhi che conosceva, questi qui azzurri, ed ebbe un sussulto al cuore. Aveva perso anche Maria … No, che non era felice.
 

[1] Dalla canzone “La notte dei pensieri” di Michele Zarrillo.

[2] In questo capitolo, sono inserite in corsivo le parole citate direttamente dall’ultimo episodio dell’anime.

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Capitolo 2
*** Nuove dimostrazioni d'affetto ***


Avviso per tutti voi: mi rendo conto che questo capitolo è interlocutorio, perciò il prossimo aggiornamento lo farò prima delle due settimane che sono trascorse tra il primo capitolo e questo. Potevo e volevo fare prima, veramente, ma Emerald77 mi ha chiesto se non potevo inserire un disegno ad ogni capitolo. Credo che la buona Emerald non si renda assolutamente conto di quale impresa titanica sia! Qui una fanart ci sarà e spero che vi piaccia, ma non credo che potrò assolutamente essere costante in questo!

Avviso per le fans di Abel: sento il vostro odio su di me ... ma vi assicuro che il vostro eroe avrà il suo momento d'oro, anche se ci vorrà tempo e forse non sarà come voi (e lui) se l'aspetterebbero.

E ora, buon divertimento a tutti!




L’indomani, Georgie fece colazione tardi. Ovvio, era anche rientrata tardi. I suoi fratelli avevano già finito, non li cercò e quindi non li vide. Poi, si vestì con calma, non aveva voglia di affrontare la famiglia. Alla fine, si decise ad uscire dalla sua camera e scese, proprio nel momento in cui alla porta si presentò Lowell con un gran mazzo di rose rosa. Era una domenica mattina bellissima, soprattutto per lei dal momento in cui lo vide. Si dimenticò di aver avuto dei pensieri e scese le scale di corsa per abbracciarlo di slancio, col suo antico radioso sorriso:
 
― Lowell! Sei venuto a trovarmi, che bello! Buongiorno! – , e lo baciò, mentre lui l’abbracciava felice.
 
― Buongiorno, tesoro mio! Certo che sono venuto da te, non potevo starti lontano! Mi sono ricordato che ti piacciono i fiori, ho fatto bene?
 
Naturale, che aveva fatto bene! Georgie prese i fiori e li mise istantaneamente nell’acqua, canticchiando. Suo padre e il Conte Wilson, intanto, uscirono da uno studio per vedere chi era arrivato, dal momento che avevano sentito qualcuno ma nessuno era stato annunciato. I saluti con Lowell furono cordiali, e subito dopo il ragazzo arrivò al punto:
 
― Conte Gerard, stamattina sono venuto a chiedere a Georgie di fare una passeggiata, se ne ha voglia, e magari poi di pranzare con me. Mi rendo conto che le sembrerà strano, ma ho scritto già alla Signorina Elisa Dangering per rompere il mio fidanzamento con lei, la mia famiglia è stata già informata e perciò io sono un uomo libero a tutti gli effetti. – Lowell parlava sorridendo in modo sicuro, gli occhi di Georgie brillavano d’impazienza, e suo padre non poté resistere. Infondo l’estate inglese dura così poco, bisognava che i ragazzi si godessero gli sgoccioli della bella stagione.
 
Mentre stavano uscendo, Arthur scese al pianterreno e li vide sulla porta. Non poteva nascondere la sorpresa, ma poteva almeno essere educato:
 
― Georgie, sei in piedi … Oh, buongiorno … cioè, ciao, Lowell. Non ci si vedeva da parecchio, eh?
 
― Ciao, Arthur. Eh, già! L’ultima volta che ci siamo visti ti chiamavi Cain … però ti trovo bene, hai una cera molto migliore. Mi fa piacere!
 
― Arthur, ciao! Noi usciamo, ci vediamo dopo, fratellino!
 
Georgie … con Lowell!!? Arthur dovette prendere atto dell’evidenza: Georgie usciva con Lowell, quasi di corsa, trascinandolo via mentre a lui brillavano gli occhi. Pensò ad Abel, che si perdeva sempre i momenti più importanti. E non era un bene. Ma come gli era venuto in mente Abel? a lui, Arthur, non importava che Georgie avesse ritrovato il suo primo amore? Ancora quello strano senso di vuoto …
 
I due ragazzi uscirono in strada come gli alunni l’ultimo giorno di scuola, come se avessero vinto un premio. Erano euforici, tutto li divertiva, nel sole e nel giorno di festa. Si spinsero camminando fino ad un parco pubblico, che era pieno di famigliole uscite dalla messa. Passeggiavano sottobraccio, bellissimi, ma Georgie si staccava spesso per l’emozione di cose nuove: il venditore di fiori all’angolo tra due viali (ma stavolta non spinse Lowell a comprare nulla), il laghetto coi cigni, il suonatore d’organetto col suo repertorio di storie musicali, il teatro dei burattini pieno di bambini. Era il lato del carattere di Georgie che Lowell amava di più, entusiasta, pieno di vita giovane e stupita. Ma Georgie era cresciuta: non chiedeva tutto, non voleva giocattoli, ora apprezzava la compagnia di Lowell oltre ogni cosa.
 
― Non sai, non saprai mai quanto mi sei mancato in tutto questo periodo …
 
― Anche tu, Georgie, angelo mio. Ho pregato che tu tornassi da me, che mi portassi via. Volevo andarmene, ma più di tutto volevo te. Ti amo da morire, Georgie!
 
Un bacio sotto un salice piangente, che coi suoi lunghi rami fogliati e ricadenti, verdi e fitti, li copriva. Baciarsi all’aperto, in pubblico! Ma nessuno li vedeva, e loro si amavano con tutta l’anima, dopo una lunga e dolorosa separazione. E Lowell assaporava un profumo che lo rendeva felice: i capelli di Georgie, misti a speranza.
 
Il sole trapelava attraverso le foglie di acacia, quercia, leccio. Sembrava tutto perfetto.
 
Poi, fu ora di pranzo. Georgie non voleva andare in un posto chic, e Lowell pensava che sarebbe stato meglio e più discreto andare in un locale qualunque, dove non li avrebbero riconosciuti, finché il fidanzamento non fosse stato ufficializzato. Si preoccupava per lei, novella Contessa Gerard, assolutamente non preparata alle chiacchiere malevole delle cronache mondane.
 
Trovarono un posticino dove facevano pollo e aringhe arrosto, patate (tante, in tutti i modi) e cavoli. Zuppa alla buona e tavolacci, ma pulito. È difficile spiegare quello che avvenne: Lowell non era a disagio. Per uno come lui, aveva del miracoloso!
 
― Due aringhe con patate arrosto, per me, e una bella pinta chiara. E tu, tesoro?
 
― Del pollo, patate fritte e una birra anch’io. Grazie! … Amore! – ora Georgie bisbigliava – Mi stupisci … non pensavo che ti trovassi bene in un posto così. Mi pareva che tu …
 
Si dovette fermare: quello che stava dicendo non suonava gentile, e lei non riuscì a trovare un  modo gentile di dirlo. Lowell la perdonò per averlo sottovalutato:
 
― Georgie, io ho pensato tanto a te. E ho capito che non posso portarti via dal tuo mondo. Io lo rispetto, sai? Credi in me, almeno un po’, per favore. Cercherò di essere accettato dalla gente comune, che probabilmente è molto migliore di quella che conosco io. Ma soprattutto, lo farò per non metterti a disagio come ho fatto ieri sera. Ho deciso di non farlo più.
 
Mangiarono, bevvero, risero, si tennero per mano sul tavolo guardandosi con amore e dicendosi mille sciocchezze meravigliose. Lowell era felice per vari motivi. Era con lei, soprattutto, lei che amava tanto, l’unica che avesse mai amato. E poi, Georgie aveva ritrovato suo padre, che era stato riabilitato, e aveva potuto salvare suo fratello Arthur: questi erano i due argomenti più presenti nei discorsi di lei, e la rendevano raggiante. Ed infine, Lowell aveva fatto solo un paio di colpi di tosse quella mattina e nient’altro.
 

Lowell by Rubina1970
Ma poi uscirono, e Lowell prese a tossire. Si sentì come se lo stessero svegliando bruscamente da un bel sogno. A Georgie vennero i brividi. Quando si fu ripreso, gli chiese:
 
― Lowell, ma allora stai di nuovo male!
 
― No, amore, non di nuovo. Sono sempre stato male. Se non sono ancora partito per l’Italia, è perché in marzo i medici dissero che farmi viaggiare nelle condizioni in cui stavo, sarebbe stato pericoloso. A riprendermi, tra l’intervento e tutto, ci ho messo tre mesi, poi è arrivata la bella stagione e pensavo che l’estate sarebbe stata comunque buona anche qui, e non mi sbagliavo. Però non sto bene, sai ...
 
Georgie cominciò a ragionare su quello che Lowell aveva detto: avrebbe dovuto essere già partito, e adesso arrivava l’autunno, che lui non poteva sopportare. La partenza doveva essere quasi pronta, ma poi lui aveva mandato a monte il matrimonio con Elisa. Questo lo avrebbe trattenuto in Inghilterra, col freddo? se sì, la colpa era tutta sua, di Georgie! Bisognava partire.
 
― Lowell … partiamo! Dai, sì, andiamo in Italia, partiamo subito! Andiamo dove fa caldo, anch’io ho tanta voglia di sole!... ― A Lowell s’intenerì il cuore: “Piccola Georgie, tu che una volta per curarmi hai venduto l’unica cosa preziosa che avevi, che cosa non faresti per me?”. la ragazza assunse di colpo un’espressione strana, poi continuò: ― Però … papà dice che dovremmo essere sposati …
 
Non era precisamente così che Lowell immaginava la sua proposta di matrimonio: intanto pensava che sarebbe stato lui a farla a Georgie! Non l’aveva ancora fatta perché aveva paura che lei non fosse pronta, infondo tante cose erano successe da quella notte nella grotta, quando sembrava tutto così naturale tra di loro. Dopo quella notte, lui l’aveva persa, e quell’esperienza lo spaventava ancora, non aveva voluto metterle fretta per non perderla di nuovo. Ma Georgie aveva parlato di sposarsi come niente fosse, e lui sperò con tutta l’anima di ricevere un sì:
 
― Sì, sposiamoci, alla buonora! Anzi, te lo chiedo come se fosse la prima volta, e se tu stavolta mi dirai che ti ho fatto soffrire, e che è troppo presto e vuoi pensarci, o che per il momento non vuoi, io capirò: vuoi sposarmi, Georgie?
 
― Sì, lo voglio come lo volevo prima! – Ora, Georgie aveva sul viso il suo sorriso più felice, mentre piangeva di gioia. – Mi sembra tutto un sogno, ma so che voglio sposarti …
 
Lowell la strinse a sé, chiuse gli occhi e tuffò il viso in quei riccioli morbidi e profumati che gli erano sempre piaciuti tanto. Per un po’ rimasero così, ad ascoltare i loro cuori che battevano troppo forte, come se il resto del mondo non esistesse.
 
 
***
 
 
Intanto, a casa Abel aveva avuto tutto il tempo di rientrare. Era andato nella zona portuale a trovare Joy e la sua famiglia, per cercare la compagnia di persone schiette che lo distraessero e lo aiutassero a placare l’angoscia che sentiva ancora dalla sera prima. Era tornato prima di pranzo, ed in casa c’era un gran silenzio. Segno che Georgie era uscita. Ma trovò Arthur, al quale chiese dove fosse andata. Non era un discorso facile …
 
― Beh, sì, stamattina l’ho vista di sfuggita … è uscita.
 
― Ah, con suo padre, vero?
 
― No! … No, lui è uscito col Conte Wilson, ma saranno qui dopo pranzo, credo.
 
― Mi vuoi dire che è uscita da sola? per andare dove?!
 
― No, … non era sola. – Arthur non se la sentiva, capiva dall’ansia delle domande di Abel che lui era ancora innamorato perso di Georgie, e non voleva dargli quel dolore. Ma che altro poteva fare? – È uscita a pranzo con Lowell …
 
― Con Lowell!? ma se lo aveva lasciato! Fu proprio lei a dirmi che il loro era un amore impossibile!
 
― Abel, mi dispiace ma non ti so dire di più. Penso che per capire meglio dovremo aspettare che rientri, e parlarci …
 
― Ma Arthur … Non vedi che non è un buon segno? Ieri la presentazione a Corte, oggi va a pranzo con Lowell! La stiamo perdendo, non t’importa?
 
Arthur non rispose. Non voleva perdere proprio nessuno, certo che gli importava di Georgie. Ma la sua preoccupazione non era rabbiosa e intima come quella di suo fratello, piuttosto temeva che lei facesse la scelta sbagliata. E lo preoccupava anche il rossore di Abel. Abel era sempre stato tremendamente geloso, e non ne erano mai venute cose buone. Temeva che soffrisse ancora, ma non sapeva come aiutarlo. Lui stesso era così confuso … stanco … strano, a quell’ora …
 
Poi, dopo mangiato, subdola, arrivò la fitta alla testa, facendosi annunciare solo da un breve capogiro. Abel vide suo fratello cambiare espressione e colore, poi portarsi una mano alla fronte ed accartocciarsi su un divano, in preda al dolore. Prima lo fece stendere, poi mandò a chiamare di corsa il medico, e rimase con Arthur a dirgli che non doveva avere paura perché lui lo avrebbe curato, che non doveva vergognarsi di gridare, e che lui, Abel, gli voleva bene. Ogni volta che succedeva, gli sembrava di rivederlo, al pianterreno di villa Dangering, con Arwin che gli parlava in tono sprezzante mentre lui si contorceva per il dolore. Ma stavolta poteva stargli vicino.
 
La fitta passò presto, così com’era venuta. Il medico disse che con la pallottola che lo aveva colpito poteva star molto peggio, e che le crisi erano sempre più rare e brevi, e questo faceva sperare bene. Poi, però, parlò separatamente con Abel, ed il suo tono si fece meno allegro. Il dottore era stato chiamato immediatamente dopo la liberazione del ragazzo, per curare Abel ferito e visitare Arthur, e conosceva tutta la storia di quest’ultimo: come aveva dovuto seppellire la madre da solo, il suo viaggio, il colpo di pistola, la crudele prigionia dai Dangering con le continue minacce di morte e i maltrattamenti. Era soprattutto questo ultimo punto a preoccuparlo:
 
― Vede, la medicina non sa spiegare quanto nel malessere del ragazzo sia dovuto solo alla ferita e quanto alle sofferenze subite. Sta meglio, ma a parte alleviare il dolore quando questo si presenta, non c’è cura. Lei mi dice che suo fratello è uno spirito sensibile, il che è una bella qualità, ma io sono persuaso che se riuscisse a buttarsi alle spalle quanto gli è accaduto guarirebbe prima.
 
― Capisco. In effetti non lo so, dottore, non ne parla mai.
 
― Anche questo … vede, forse dovrebbe sfogarsi, piangere, urlare, anziché tenersi dentro tutti i suoi incubi. Dovrebbe chiedere attenzione e aiuto. Invece, anche prima si è scusato “per il disturbo”, dicendo che ormai si sentiva molto meglio. Ma perché suo fratello dovrebbe scusarsi, lui è un paziente ed io il suo medico!
 
― Lo so, ―   sospirò Abel – ma forse questo è un lascito dei suoi carcerieri, o dovrei dire “aguzzini”? Gli facevano pesare le sue sofferenze come una scocciatura, mentre erano loro ad averlo ridotto così!
 
― … Mi raccomando, non lasciatelo più solo, per un lungo periodo. Perché anche se non lo vuole mostrare, ha bisogno di sentirsi appoggiato, confortato, difeso. E ascoltato, capito! E così guarirà, secondo me.
 
― Ho capito, dottore. Ho capito bene, non si preoccupi. Ci sono io, adesso, con lui, e non lo lascerò! – Anche senza che il medico glielo dicesse, Abel questa promessa a se stesso l’aveva già fatta.
 
Dopo che il dottore se ne fu andato, tornarono il Conte Wilson e il suo ospite, il Conte Gerard, e quest’ultimo fu preso dall’angoscia alla scoperta del malessere di Arthur. Il ragazzo voleva riposare, e lui lo lasciò con dispiacere, rimanendo nella stanza vicina, a scrivere in silenzio, nel caso Arthur avesse avuto bisogno di aiuto. Lo conosceva da pochissimo, eppure gli voleva già enormemente bene, a quel dolce, bellissimo ragazzo sfortunato che aveva fatto da angelo custode alla sua bimba fin da piccolo. Gli voleva già bene come ne voleva ad Abel, e questo gli dava gioia.
 
Il pomeriggio scorreva e Georgie non tornava.

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Capitolo 3
*** A perdifiato ***


Lowell aveva preso una decisione, quella di non temporeggiare. Così, propose a Georgie di andare a casa sua a conoscere sua nonna, prima di rientrare, e Georgie accettò. La prima volta, non l’aveva realmente conosciuta.
 
Giunsero alla bella casa che lei aveva già visto, ma ora poteva entrare dalla porta principale in un bel pomeriggio di fine estate.
 
Entrarono, e cercarono subito la nonna. La trovarono: sembrava preoccupata, e non si accorse subito di loro, mentre sedeva pensierosa su di una poltrona di un bel salotto verde, con una mano a sorreggere la fronte e gli occhi chiusi.
 
― Nonna? ciao, stai bene?
 
― Oh … Oh, sei tu, Lowell. Sì, non ti preoccupare. – Georgie era rimasta nel corridoio, dove la nonna non potesse vederla. La verità era che aveva paura di essere cacciata: infondo, nonostante sapesse qual era ora la sua posizione, non ci si era ancora abituata.
 
― Nonna, ti vorrei presentare una persona, finalmente. Georgie è qui, ed è lei la mia fidanzata. Georgie Gerard, eccola! – E la ragazza entrò sorridendo.
 
― Buonasera, Signora.
 
― Georgie … Dunque sei tu la ragazza per la quale Lowell è scappato lo scorso inverno. Sei veramente carina.
 
― Nonna, non devi considerarla così. Noi non saremmo mai “scappati” se Dangering non mi avesse minacciato. Io non ho mai amato Elisa, fattene una ragione! E voi che dite di volermi bene, non vi siete mai preoccupati di questo! Io e Georgie abbiamo vissuto con poco, allora, ma solo grazie ai suoi sforzi!
 
― Vieni avanti, allora! – Georgie tremava, ma fece comunque il suo miglior inchino.
 
― Piacere, Signora. Ho sentito tanto parlare di lei.
 
― Anch’io, ragazza, anch’io. Ora, dimmi una cosa: tu hai accompagnato Lowell nella sua fuga, e così gli hai fatto quasi perdere tutto. A quel punto, lo hai letteralmente scaricato sulla porta di Elisa, che lo ha salvato praticamente per un pelo, ed ha fatto in modo che fosse reintegrato anche nella sua famiglia. Ora, tu sei stata riabilitata in società e vuoi tornare con lui, mi pare, altrimenti non saresti qui. Ma non è che ti occorre il suo patrimonio? Cos’è, prima quando è povero lo lasci, e poi te lo riprendi?
 
― Ora basta, nonna! Visto che è il solo argomento che sembri capire, pensa a questo: tu volevi entrare nella buona società, no? Beh, adesso i Dangering sono in disgrazia, e dovresti essere contenta che non siano loro a presentarti. Invece, i Gerard sono tornati ad essere quello che erano, molto importanti. E Georgie Gerard è la ragazza che io sposerò.
 
― Oh, caro, hai ragione! Sai, è che io sono vecchia, e faccio fatica ad abituarmi alle novità. – Anche Georgie faceva fatica: non riusciva a sopportare il fatto che Lowell, per renderla accettabile alla sua famiglia, non la potesse presentare come colei che amava, ma come la Contessa Gerard. – Allora, Georgie, sei la cara fidanzata del nostro Lowell! Che bello conoscerti!
 
― Signora: io amo Lowell, e Lowell mi ama. Sono una persona rispettabile. Questo è il mio solo biglietto da visita, ed è così che mi deve considerare! Se deve darmi il benvenuto in questa casa, lo faccia per questo, e per questo soltanto!
 
La nonna era interdetta, Lowell fiero. Le andò vicino per cingerle le spalle con un braccio … la sua Georgie!
 
― Io … io … ― La nonna di Lowell aveva gli occhi spiritati, e per un attimo i ragazzi ebbero paura di quello che sarebbe potuto succedere. – Io capisco. Scusami, Lowell, e tu, Georgie, cerca di perdonarmi. Oh, io ho allevato questo ragazzo quasi da sola, ma sapevo che non apparteneva a me ma ai suoi genitori. E i suoi genitori volevano tanto un matrimonio nella classe nobile, che per la nostra famiglia era il massimo che si potesse sperare! Così mi sono dimenticata della cosa più importante: la tua felicità, mio caro …
 
La signora si alzò in piedi ed allargò le braccia, con un sorriso nuovo:
 
― Oh, venite qui, ragazzi adorati!!! – Lowell e Georgie si buttarono tra le sua braccia, con gli occhi lucidi.
 
Il resto scivolò via con una certa facilità: Lowell disse alla nonna che lui e Georgie volevano sposarsi prima dell’autunno e partire subito, e la nonna fece loro gli auguri, anche se non si poteva assumere la responsabilità di accettare anche per i genitori del ragazzo. A quel punto, il pomeriggio trascorse in fretta, Georgie non se ne accorse nemmeno. La nonna ora le dimostrava affetto, e il suo Lowell era raggiante. Il tè, e finalmente i famosi biscotti che erano un segno dell’amore della nonna per suo nipote. Quando ormai stava facendo buio, Lowell riportò Georgie a casa, e scese dalla carrozza con lei per fare al Conte la proposta ufficiale di matrimonio. I due innamorati si sentivano davvero felici, e con questo stato d’animo entrarono in casa.
 
 
***
 
 
Abel stava aspettando Georgie, e anche Arthur, che ormai si era alzato, le venne incontro, avendola sentita rientrare, e così Georgie e Lowell si trovarono di fronte i due ragazzi che li guardavano, uno dal corridoio e l’altro a metà delle scale.
 
― Ciao, ragazzi … Beh, che c’è? perché quelle strane facce? Ah, papà, ciao! Ti volevamo proprio parlare. – Suo padre era apparso dietro ad Abel. Lowell lo salutò.
 
― Lowell, buonasera. Georgie … hai fatto un po’ tardi, tutto bene?
 
― Sì papà, benissimo! Sono stata a conoscere la nonna di Lowell, e ti devo proprio parlare, adesso …
 
Andarono in uno studio del pianterreno, mentre i due ragazzi rimanevano interdetti: ma allora era una cosa ufficiale!
 
Georgie non voleva ancora affrontare i fratelli, e anche per questo fece in modo di parlare prima col padre. Gli comunicò velocemente la buona riuscita del pomeriggio, e poi venne al punto: Lowell stava ancora male, l’autunno sarebbe arrivato da un momento all’altro e per lui sarebbe stato pericoloso. Perciò la partenza andava affrettata: non si poteva aspettare più di due settimane.
 
A quel punto, Lowell prese la parola e chiese la mano di Georgie, affermando che l’avrebbe amata e protetta per tutta  la vita.
 
― La volontà di mia figlia è importante, Lowell, molto più della mia. Ed è importante anche che capisca quello che sta per fare. Georgie, tesoro: io ho parlato della tua reputazione, ieri sera, è vero, ma non intendevo dire che ti devi sposare in fretta e furia. Questa decisione influenzerà tutta la tua esistenza. Devi riflettere, ne sei certa? Non sarebbe meglio aspettare che Lowell si sia curato e torni dal suo viaggio, sareste più grandi …
 
― Papà, caro … So che ti preoccupi per me, ma io sono già grande. Sono stata cacciata da casa, sono partita da sola, sono arrivata qui e ho lavorato per vivere e far sopravvivere anche Lowell … ― Georgie non immaginava l’imbarazzo che provocava al suo fidanzato con queste ultime parole, ― e ho dovuto anche lottare per salvare Arthur. Sono grande abbastanza da sapere che significherebbe per me perdere Lowell un’altra volta. Lui ha bisogno di me, e io di lui. Niente ci separerà di nuovo!
 
La ragazza parlava con calma, senza alzare la voce né esitare. Non faceva i capricci. Non cercava di convincere il padre. Lo stava informando della sua scelta serenamente. E il Conte capì che la Georgie bambina che lui non aveva quasi visto, gli mancava tanto. Come avrebbe voluto che sua figlia fosse ancora immatura, poterla coccolare, sapere che aveva bisogno di una guida e di lui! Come avrebbe preferito che Lowell non fosse venuto alla festa della sera prima, a portargliela via! Sentì un nodo in gola, ma lo ingoiò e, con voce arrochita, prese la parola per esprimere i propri sentimenti paterni:
 
― Georgie, va bene … ma ci lasci così di corsa … ― Il suo tono di voce era faticoso e annunciava il pianto. Evidentemente, fu molto meglio così che un semplice “sì” o “no”, perché fece breccia nel cuore di Georgie che scoppiò in lacrime e corse ad abbracciarlo:
 
― Oh, papà! Papà mio … ma io non vorrei lasciare proprio nessuno! Non partiremmo, se non fosse assolutamente necessario, ma lo è, ed è anche urgente!
 
Per un po’, nessuno parlò. Lowell non voleva interferire con quell’emozione non sua, ma anche lui era turbato, dispiaciuto di avere tanta fretta, triste per il dolore che infliggeva alla sua amata e suo padre. Mentre si asciugava le lacrime pure lui, maledì ancora una volta la sua malattia, che lo obbligava a portar via Georgie. Poi, in modo chiaramente udibile ma a fatica, il Conte sussurrò:
 
― Quanta fretta che hai, bambina mia! Lo sai, vero, che mi mancherai da morire? Ti ho ritrovato così di recente, dopo tutti questi anni, e sei la mia figlia meravigliosa. La tua mamma vive in te, mi par di vederla, a volte. Non dimenticarti del tuo papà, per favore, anche se non ti sono stato vicino per tanto tempo …
 
Georgie si sentiva spaccare il cuore: questa partenza rischiava di essere dolorosa quanto l’altra, dall’Australia, perché lasciava un papà dolcissimo che aveva ritrovato dopo una lontananza troppo lunga per tutti e due.
 
― Oh, sapessi quanto mi mancherai pure tu! Non potrei mai dimenticarti, come ti viene in mente? Ti voglio bene …
 
― Lo so, bambina, e anch’io te ne voglio tanto! E farò quello che va fatto: parlerò col nostro parroco e vediamo che cosa si può fare in sole due settimane. Lowell … vieni qui. Sei della famiglia, ormai! Abbracciami anche tu …
 
Lowell non trattenne un’altra lacrima. Oh, se anche suo padre fosse stato così dolce! Il ragazzo trovò poche parole sentite per ringraziare il Conte, e passò ancora qualche momento prima che il terzetto si ricomponesse un minimo.
 
A seguire, vennero le raccomandazioni: “la mia unica figlia”, le qualità della giovane Georgie, i luoghi lontani e stranieri in cui l’avrebbe portata, la speranza di felicità che il matrimonio comportava per lei. Lowell assicurava al Conte che lui sapeva quanto era fortunato, e prometteva amore e premure per lei fino al suo ultimo giorno, che sarebbero tornati appena possibile, che era un gentiluomo fedele e di parola, e che avrebbe protetto lei e i suoi eventuali bambini anche a prezzo della propria vita. E poi, si presentò spontaneamente una domanda:
 
― A proposito, figlia mia, ma hai parlato coi tuoi fratelli? No? Sarà meglio farlo subito, non credi?
 
Era vero, ma anche tanto complicato. Georgie spiegò a Lowell che sarebbe stato molto meglio se ai ragazzi avesse parlato prima lei. Così, uscirono dalla stanza e notarono che Abel a Arthur non erano lì fuori: meglio, così padre e figlia scambiarono affettuosi saluti con Lowell, che se ne andò sperando che stavolta Abel reagisse meglio alla novità (che tanto nuova poi non era). Il neofidanzato si avviò verso casa sua con questi pensieri, felice ma un po’ trepidante. Aveva ragione, poiché oltre ai giovani Butman bisognava ancora informare anche i signori Grey: suo padre e sua madre.
 
 
***
 
Quando arrivò a casa, Lowell capì subito che i suoi erano arrivati. Sua madre chiamava seccata la sua cameriera, perché non trovava una cappelliera, e suo padre sbatté la porta del suo studio, ad indicare il disturbo che quel frastuono gli dava. Lowell, trovandosi al pianterreno, era più vicino al padre, e così decise di affrontare prima lui. Bussò ed entrò senza aspettar risposta.
 
― Padre, le devo parlare. Sì, è urgente! ―, suo padre aveva assunto già l’espressione di chi vorrebbe tanto occuparsi d’altro. – Si tratta del mio futuro.
 
― Ancora?! Ma se hai appena lasciato la tua fidanzata! Bravo, capiscimi, i Dangering oggi chi li vuole? … Ma hai altre idee improvvise?
 
― Ho lasciato Elisa perché non l’ho mai amata, ma ora voglio sposare la ragazza che amo, e finalmente posso farlo! Credo che sarebbe meglio parlare anche con la mamma …
 
― Sì, è meglio, anche perché sono sicuro che certe idee romantiche te le mette in testa lei! Va’ su, chiamala e fa’ presto a tornare, così ci sbrighiamo …
 
Un padre che si comporti così, oggi come allora, con tanta indifferenza e perfino fastidio per suo figlio, sarebbe una cosa difficile da spiegare. Ma il Sig. Grey non si era mai sentito padre di Lowell: era convinto che sua moglie lo avesse sempre tradito, e che Lowell non fosse suo figlio. O forse, questa era la spiegazione che si dava per aver inaridito il suo animo al punto da non provare niente per sua moglie e nemmeno per lui, da molto tempo. Lowell lo sapeva. Aveva sempre saputo di essere un ipotetico orfano, tenuto in casa solo perché, almeno di fronte al mondo, un discendente ci voleva, e poi non si poteva provare che lui non fosse veramente figlio del Sig. Grey. Ma aveva sempre notato, con angoscia e con dolore, di non somigliargli affatto.
 
Il giovane salì a cercare di portar giù sua madre, non ostante l’assenza della preziosa cappelliera.
 
― Madre! Le devo parlare … ― disse bussando alla porta del boudoir della Sig.ra Grey, una donna mondana, capricciosa e poco sensibile. Avuto il permesso di entrare, aprì e chiese: ― Buonasera, madre. Il Sig. Grey ed io vorremmo che scendesse nel suo studio, c’è una cosa che le devo dire.
 
― Lowell, che c’è? … per caso non ti senti molto bene? … – La domanda della signora non era affatto un segno di premura materna, poiché fu pronunciata distrattamente, senza smettere di cercare il contenitore in fondo ad un armadio. Era come parlare del tempo.
 
― Madre, non è questo, grazie, ma se avrà la bontà di scendere, saprà di che si tratta.
 
― Oh, adesso no, ragazzo, via … lo vedi bene che sono occupata!
 
― Madre, è importante! E papà è già di pessimo umore!
 
― Ragione di più per non scendere, caro … ― Lowell ripensò all’accoglienza avuta da Georgie presso suo padre, e gli venne la nausea.
 
― Si tratta del mio futuro! Ed io devo parlare a tutti e due! ― Freddo, ma offeso, Lowell mostrava di controllare un’emozione forte, ed il suo tono stavolta colpì sua madre, che sbuffando lo seguì di sotto. Lowell pensò anche che non c’era tempo, perché ogni momento perso dava a suo padre la possibilità d’inventare una scusa per rimandare.
 
Quando furono tutti nell’ufficio ― elegante ma pesante, arredato per impressionare ―, Lowell disse tutto. Che aveva ritrovato Georgie al ballo, che erano più innamorati di prima, che volevano sposarsi e partire entro una quindicina di giorni al massimo, e che sia la nonna che  il Conte Gerard avevano già dato il loro consenso.
 
― Via una fidanzata, avanti un’altra! In fede mia, ragazzo, non ho mai visto nessuno che avesse tanta fretta di sposarsi con una purché fosse! – La voce di suo padre era forte come sempre, e le sue parole esprimevano il massimo della volgarità, all’orecchio di Lowell che amava Georgie con dolore e tenerezza da mesi. Il Sig. Grey s’intonava nei modi all’arredamento della stanza.
 
― Padre! Io non sono qui a dire che ho cambiato ragazza come ci si cambia d’abito! Amo Georgie e l’ho sempre amata, perfino il nonno (suo padre), che l’ha vista in Australia, ne è rimasto subito colpito favorevolmente! Non sono fuggito con lei per un capriccio, e ora che dico che voglio sposarla, dico sul serio, non lo capisce?!
 
― Ma sì, pensaci un attimo: è pur sempre la figlia del Conte Gerard, dopotutto! La Sig.ra Broadbent, che ieri è stata alla festa per la sua presentazione in società, ha detto che è molto in vista, ora, e molto carina. Lowell si è fatto notare, ieri sera! E poi, meglio i Gerard dei Dangering! – La Sig.ra Grey era una persona capace di decidere del futuro coniugale di suo figlio sulla base di un bollettino mondano! A Lowell quegli argomenti parvero molto insulsi, ma furono opportuni, perché al padre diedero un suggerimento importante circa un’amicizia proficua con una famiglia nobile, e alla madre fornirono un modo per chiudere l’argomento e correre a frugare la stanza guardaroba, dove già da dieci minuti la cameriera stava cercando.
 
Così, con un generico assenso e la promessa di fissare i particolari il giorno dopo, Lowell fu messo alla porta e lasciato solo. Non un abbraccio, non una parola d’interessamento per i suoi sentimenti, non una lacrima di commozione per l’imminente matrimonio dell’unico figlio della coppia. Non un po’ d’affetto, per lui. Rimase in corridoio un momento, colpito come da uno schiaffo in piena faccia. Ma poi pensò che Georgie era un’altra cosa, e sarebbe stata lei a stargli vicino da allora in poi. Non era più costretto a misurare il proprio valore sull’importanza che la sua famiglia gli attribuiva, perché c’era una persona per la quale lui era unico ed importantissimo, e quella persona era la ragazza che amava, e che stava per diventare la donna della sua vita. “Grazie, Georgie!”, bisbigliò: adesso sì che lo stava salvando, più ancora di quando si rovinava le mani lavorando per mantenerlo, o di quando aveva dovuto rinunciare a lui.



Angolo dell'autore: Prima di tutto, grazie a tutti per la grande attenzione che state dando a questa storia. Non me l'aspettavo, ero convinta che l'aver dato tanto spazio a Lowell avrebbe ridotto molto il seguito del pubblico, invece non è stato così! Ho cercato di non far aspettare troppo che mi segue con tanto affetto, pubblicando questo capitolo presto, come avevo promesso.
Ma ... è un altro capitolo interlocutorio! Lo so. Stavate aspettando con ansia la reazione dei fratelli Butman, che ci piacciono tanto, alla notizia del fidanzamento di Georgie, e invece ancora niente! Ma questo significa dare attenzione a tutti i personaggi: come reagirebbero la nonna e i genitori di Lowell o il papà di Georgie? Non ci sono solo Abel e Arthur ...
A proposito dei genitori di Lowell, importante: io non me li sono inventati! Mi pare che nell'anime non ci siano, invece nel manga sì, solo in un paio di momenti ma significativi: quando Lowell torna dal suo viaggio in Australia, loro non vanno a prenderlo al porto e lui riflette su quanto poco gli vogliano bene. Poi, Georgie assiste con lui, senza che nessuno lo sappia, ad un litigio tra i due in cui la madre accusa il padre di essere indifferente verso Lowell, e il padre le rinfaccia dei tradimenti che dimostrerebbero che lui non ne è realmente il padre. In tutti e due o casi, Lowell si vergogna dei suoi genitori e si sente rifiutato e solo. Evidentemente, da qui derivano la sua insicurezza e il suo attaccamento esclusivo verso la nonna. Per capire Lowell, questo elemento ha molta importanza. Io non ho fatto che riprendere esattamente il carattere dei genitori, ho solo reso la madre un po' meno irascibile e un po' più svampita.
Grazie mille a tutti e ci vediamo presto, non vi farò aspettare molto! Ciao!

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Capitolo 4
*** Rivelazioni ***


Questo capitolo è in parte ispirato a Deep Smoke, di Tetide, in particolare all'ottavo capitolo, l'ultimo da lei pubblicato. Ho la sua autorizzazione,e  se non ci credete fate prima a chiederlo a lei. Ma ha altro da fare, ed è già stata tanto gentile a darmi retta e farmi scirvere questo capitolo così com'è. Strano come due storie tanto diverse possano convergere, in certi punti ... Approfitto dell'occasione per ringraziare tutti, ancora una volta, della simpatia e dell'assiduità con cui mi seguite. Spero che la mia storia continui a piacervi!



Quando Georgie aprì la porta del salotto vide che Abel era scuro in volto, e Arthur pareva molto preoccupato. Entrambi si alzarono subito.
 
Tanto tempo prima, in una terribile notte di pioggia, appena prima che nella sua vita scoppiasse il putiferio, Georgie aveva immaginato di dire ai suoi fratelli la stessa cosa che doveva dire adesso. Ma allora era ingenua e fiduciosa, credeva di essere la loro sorella e non aveva idea dei loro sentimenti. Quindi, era stato facile vedere, nella fantasia, Arthur che stringeva la mano a Lowell e Abel che gli rifilava un pugno. Da allora, però, era successo di tutto, e stavolta Georgie davvero non sapeva che cosa aspettarsi. Per un attimo, pensò di scappare, e capì come doveva essersi sentito Lowell quando aveva dovuto affrontare le aspettative della sua famiglia. Ma lei voleva bene a quei ragazzi, e si fidava del loro affetto per lei.
 
― Sentite, devo dire anche a voi quello che ho detto a papà: io e Lowell ci siamo ritrovati. Avevo dovuto lasciarlo perché non potevo mettere in pericolo la sua vita. Lui doveva assolutamente essere curato, e le cure costavano troppo per me, così l’ho dovuto lasciare davanti a casa di Elisa. Perché almeno non fosse solo. Ma ora questi ostacoli non esistono più, e non dobbiamo più scappare per stare insieme. Perciò …
 
― Georgie, prima dimmelo sinceramente: tu lo ami ancora? sei sicura? – Abel faceva fatica a crederlo: infondo erano mesi che non la sentiva nominare Lowell, e nel frattempo avevano affrontato tante difficoltà insieme! Come poteva essere che i suoi sentimenti fossero ancora quelli di prima?
 
― Abel … sì … ― Abel non disse niente, ma scolorì, e dovette ricordarsi di respirare. Anche una cosa banale come respirare gli faceva male, ma per ora non voleva lasciarsi andare a quello che provava, perché voleva seguire il discorso fino alla fine.
 
― Un secondo, Georgie! Tu hai detto che siete scappati insieme? e che tu non potevi farlo curare, giusto? Ma allora tu hai vissuto con lui! – Arthur non conosceva tutta la storia, ovviamente. Georgie non aveva avuto né tempo né motivo di raccontare anche a lui quello che Abel già sapeva sui suoi giorni con Lowell.
 
― Ecco, in effetti sì, la sua famiglia e soprattutto i Dangering non accettavano il nostro amore, così siamo scappati. Dopo il ballo, ti ricordi? C’era la Regina, al ballo, perché il Duca stava facendo tremende pressioni su Lowell, e così siamo dovuti fuggire. Prima siamo stati da Emma e Dick, poi prendemmo una stanza ammobiliata a poco prezzo …
 
Arthur incassò il colpo appoggiandosi al muro e cercando di non pensare a Georgie e Lowell che vivevano insieme. Guardò il fratello, che evidentemente lo sapeva già, e notò che era così teso che sembrava sul punto di spezzarsi. Convivenza … “ci siamo ritrovati” … gli venne un dubbio:
 
― Ma che progetti avete, adesso? perché ne avete, vero?
 
― Sì. Abbiamo deciso di sposarci entro due settimane. – , tutto d’un fiato!
 
Abel sospirò: l’aria non voleva entrare nei suoi polmoni, e la gola gli si stringeva in un modo insopportabile. Arthur non sapeva come reagire, ma il suo affetto per Georgie era tale che ebbe paura di deluderla. Si fece forza, si avvicinò a lei e l’abbracciò dolcemente:
 
― Georgie, se è quello che vuoi … ma perché tanta fretta? c’è altro che non ci hai detto, non è che per caso tu … non è che aspetti un bambino, vero?
 
A Georgie venne un colpo. Il comportamento dei suoi fratelli era più misurato del previsto, ma c’era una tensione stranissima, insopportabile, e questa domanda proprio non se l’aspettava! Certo, Arthur non poteva conoscere i tempi in cui i fatti si erano svolti: erano sei mesi che lei e Lowell si erano lasciati, ma lui non lo sapeva. Però, che domandina! La ragazza era tremendamente in imbarazzo, anche per la presenza di suo padre a tutta quella conversazione: lei con Lowell non aveva fatto proprio niente per cui potesse essere rimasta incinta, ma ora di colpo capì che tutta la sua famiglia pensava di sì!
 
― Arthur! … Oddio, no, ma che dici? … Tra me e Lowell non c’è mai stato … mai … oh mamma mia! No, davvero, e poi lui è un vero gentiluomo, non si è mai approfittato … insomma, non è successo niente, mai …
 
― Va bene, va bene, scusami, … ma allora, pensaci bene, perché dovete correre così? Ho paura che tu faccia troppo in fretta, ecco.
 
― Ma bisogna, perché tra due settimane al massimo andremo in Italia!
 
― IN ITALIA?! – I due fratelli avevano gridato più o meno insieme.
 
― Sì, perché Lowell sta ancora molto male e deve andare dove fa caldo e c’è il sole. Non c’è tempo da perdere.
 
― Brava, così recuperate il tempo che avete perso l’inverno scorso, quando non è successo niente perché Lowell si è comportato “da gentiluooomo”, come dici tu! – La tensione era esplosa, e l’esplosione aveva assunto la forma di una frase di Abel, sibilante, risentita e maligna. Era paonazzo, e la guardava in un modo che faceva paura. Subito dopo, infilò la porta di volata, uscendo nella sera che si faceva scura.
 
― ABEL! – gridò Georgie, con gli occhi che le si gonfiavano di lacrime. Arthur e suo padre erano ancora vicini a lei, e l’abbracciarono tutti e due, come per proteggerla dalle parole che erano appena state pronunciate. Il primo a parlare fu Arthur:
 
― Georgie, non ci pensare proprio a quello che ha detto. Mi dispiace, adesso devo uscire a cercare di parlarci, ma tu diménticati tutto quello che ha detto, capito? Non piangere, ti prego, e ricordati che io ti voglio sempre tanto bene. Sempre. – Le diede un bacio sulla fronte, e poi, brevemente, aggiunse: ― E scusalo. Sai, è veramente dura, per lui.
 
Poi, affidò Georgie al padre con un’occhiata piena d’apprensione, ed uscì a cercare suo fratello.
 
Lo vide che stava per svoltare l’angolo, e lo raggiunse correndo. Tentò di fermarlo, di parlare con lui, di ottenere almeno che lo guardasse, ma non c’era niente da fare: Abel camminava a passo spedito, lo sguardo davanti a sé, torvo.
 
― Senti, io ti capisco, lo sai che se c’è uno che ti capisce sono io. Ma non fare così, parlami, mi stai facendo paura!
 
― Bene! Faccio paura anche a me stesso, adesso! Perché sono arrabbiato, anche con te! Se avessimo detto prima a Georgie la verità, che non siamo suoi fratelli, forse non sarebbe andata così. – Era un sintomo della sua sofferenza, un ragionamento assurdo, ma aveva una sua strana logica: Abel pensava che se Georgie avesse saputo prima la propria storia, avrebbe potuto innamorarsi di lui prima di conoscere Lowell. Arthur, invece, interpretò diversamente le parole del fratello:
 
― Forse! È vero, noi saremmo stati molto meno rudi della mamma, nel dirle tutto, e così non l’avrebbe cacciata, e lei non sarebbe stata così angosciata da partire per venire qui, ma non puoi saperlo. Soprattutto non potevamo saperlo allora! A me interessa che lei stia bene, e te l’ho sempre detto. Sia quel che sia, Abel, sia quel che sia, per me la sua felicità è la prima cosa!
 
― OH, INSOMMA, ARTHUR! LA STIAMO PERDENDO! – Si erano infilati in un vicolo tranquillo, tutti erano a cena a quell’ora, e Abel si sentì finalmente libero di urlare e di piangere. Si sentiva morire, perché veder andare via Georgie così, con un altro, dopo averla ritrovata, per lui era troppo.
 
Arthur non c’era quando, alcune settimane prima, suo fratello si era lasciato andare al pianto con Georgie perché salvarlo dai Dangering gli pareva impossibile. Quindi lui non aveva mai visto Abel in quello stato, e si sentì stringere il cuore. Ma si sentiva anche stupito per il fatto di non stare altrettanto male anche lui. C’era una cosa che aveva capito da un po’, e suo fratello no, che forse era il momento di dire:
 
― Abel … Abel: non è mai stata nostra. – Parlava molto lentamente, tenendo per le spalle il fratello come per impedire che andasse in pezzi, mentre le lacrime cominciavano a rigare il bel viso di Abel. Avrebbe voluto proteggerlo, ma prima Abel si fosse reso conto di questo fatto, meglio sarebbe stato per lui: ― Per lei noi siamo i suoi fratelli. Lo capisci?
 
A questo punto, il maggiore poggiò la fronte sulla spalla del minore e pianse per davvero. Arthur lo abbracciava stretto, perché non poteva fare altro. Lo sentiva scuotersi, e avrebbe dato qualunque cosa per aiutarlo. Quasi si pentiva di quello che gli aveva detto, sperava di non essere stato brusco. Quel ragazzo non era solo il suo unico fratello, era anche colui a cui doveva la vita, e non poteva fare niente per lui. E non riusciva nemmeno a piangere. Che gli succedeva? era indifferenza? o si erano scambiati i ruoli? Aveva paura, per Abel e per se stesso, in modi diversi.
 
Dopo alcuni minuti di singhiozzi strazianti, Abel si riprese un po’. Prese il fazzoletto che Arthur gli porse, e dopo essersi asciugato gli occhi, lo guardò, notando la sua espressione sconvolta:
 
― Ammiro tanto la tua forza, sai? Riesci a ragionare, e pensi pure a confortare me. Ma come fai? Io t’invidio: se penso a quella volta che ti sei buttato in mare e ti sei messo a nuotare per fermare la sua nave, adesso sei così maturo … Non come me.
 
― No, Abel, io non sono forte. E non sono migliore di te. Io … io … riesco a farmi forza perché … ― un respiro profondo – Io non sono più innamorato di Georgie!
 
Quella era la sera delle rivelazioni sconvolgenti, per i due giovani. E questa era una sorpresa per entrambi. Arthur stesso non si era reso conto del cambiamento avvenuto dentro di lui, e non voleva accettarlo! Non solo aveva sempre amato Georgie, lui era innamorato dell’amore, e ora gli pareva di sentirsi quasi peggio a non amarla più che ad amarla invano.
 
― Vedi, per me è stato diverso, io non ho mai pensato che lei potesse amare proprio me. Non sono io che sono venuto in Inghilterra pensando che fosse possibile. Avevo saputo che lei amava Lowell già a casa, e poi … Abel, io credevo di non uscire vivo da quella prigione, sono sopravvissuto solo per dire a te e a Georgie della mamma … ma dopo, niente aveva più senso … mi dicevano che mi avrebbero ucciso … ― Man mano che parlava, sembrava astrarsi dalla realtà, e conficcare di nuovo lo sguardo nella sua cella. Ora era in balìa del Duca che da fuori rideva di lui, o di Arwin che giocava con lui apposta per fargli del male: ― … e volevo morire anch’io … meglio che essere ammazzato … avevo paura … ho paura. Ogni giorno, ogni maledetta notte, io … ho tanta paura, Abel, e non so di che!
 
Si buttò tra le braccia del fratello, che dovette sorreggerlo come se stesse per cadere, e finalmente, scoppiò a piangere anche Arthur. Non lo aveva ancora fatto da quando era stato liberato, ed ogni altra emozione a parte l’angoscia continua, era stata soffocata, in lui. Ora, era come se si fosse rotto un argine, e il suo terribile dolore straripava:
 
― Oh, Abel! Aiuto! … Io non sono più io, non capisco che mi succede! … Quelli … mi avevano sparato … non gli importava un accidenti di me … pensavo che mi avrebbero ucciso … o se no, mi avrebbe ucciso la paura! … Adesso non amo più Georgie, ma come posso amare una donna? … Oh, guardami, Abel, ti pare che Georgie … proprio io? ma ti pare? … Tu mi hai salvato … sei forte … non io!
 
Abel lo abbracciava ancora, mentre dentro di lui qualche cosa gridava. Che avevano fatto di male, lui e suo fratello, per soffrire così? Come potevano aiutarsi a vicenda, ora? Liberarlo non era stata impresa da poco, ma non era tutto. Forse, se per amore di Georgie, non si fosse sentito così male anche lui, ora sarebbe stato più forte anche per Arthur … per quello stesso Arthur che, un attimo prima, cercava di confortare lui!
 
― Oh, ragazzino! E tu ti preoccupavi per me? Coraggio, Arthur … Non sei più prigioniero, sei con noi. Sei con me! Non piangere così … Sì che sei forte, sei sempre stato forte. E non dire mai più certe brutte cose di te stesso! Non c’è proprio niente che non va, in te, capito? Amerai e sarai amato, perché no? Ehi! Capito?! – L’obbligò a guardarlo in faccia, voleva essere convincente.
 
― Sì, Abel, va bene … Va un po’ meglio. Grazie. Oh, macché, mi sento uno schifo!
 
― Certo che tra tutti e due, che bello spettacolo che siamo, eh, Arthur? – Ad Arthur venne quasi da ridere, tra le lacrime. Forse, si poteva anche rincasare, e contrariamente alle premesse, fu Abel a dover quasi portare a casa il fratello. Si sentivano meglio, si erano finalmente sfogati e si erano anche ritrovati più vicini di prima.
 
Rientrarono, ed Abel accompagnò Arthur di sopra, per essere sicuro che ci arrivasse senza problemi: era pallidissimo, e questa fu anche la prima cosa che Georgie notò quando, facendosi coraggio, aprì la porta della sua camera e li vide, nel corridoio. Abel non la guardò, non la salutò, ma entrò nella propria stanza sorreggendo ancora il fratello. Arthur si sentiva di nuovo debole, ma almeno ebbe la forza di dire:
 
― Georgie … Hai visto? l’ho riportato indietro. ― , ed era vero, anche se era Abel che fisicamente quasi sorreggeva lui.
 
― Arthur, che cos’hai?! Ti senti male?
 
― Sono solo uno straccio, ma adesso mi do una sciacquata e vedrai che mi passa. Voglio scendere a cena con voi, se non è troppo tardi, perché presto partirai, e non cenerò più con te … ― Lo disse con un tono di voce molto più triste di quello che avrebbe voluto, mentre Abel versava dell’acqua nella bacinella di ceramica perché il fratello si potesse rinfrescare la faccia. Abel non aveva ancora guardato direttamente Georgie, che si era seduta di fronte ad Arthur per osservarlo meglio.
 
― Oh, Arthur … Abel, ascoltatemi! Io vi voglio bene, non vorrei mai andarmene, ma Lowell sta molto, molto male! – Ora, era lei che piangeva! – Abel, tu sei venuto in Inghilterra per me, e mi sei stato tanto vicino quando ne avevo più bisogno, credi che l’abbia dimenticato? E tu, Arthur, caro, sapessi che gioia stare di nuovo con te: mi sei mancato tanto, e avevo tanta paura che non ce l’avremmo fatta a salvarti, e proprio adesso che ti ritrovo … Anche papà, l’ho appena ritrovato, mi piange il cuore! Non vorrei lasciare nessuno di voi, siete la mia famiglia, ed è una famiglia meravigliosa! Però … perdonatemi …
 
Abel si sentì vinto su tutti i fronti: non sperava più nell’amore di Georgie, non poteva neanche stare con lei da fratello, non poteva provare per lei la rabbia che avrebbe voluto e che aveva espresso prima, e non aveva più orgoglio. Finalmente, dopo aver aiutato Arthur (che non parlava perché aveva di nuovo il groppo in gola), riuscì a guardarla e a dire quello che voleva dire da quando era entrato in casa:
 
― No, sono io che ti chiedo scusa. Tu non hai fatto niente di male, mentre io ti ho aggredito. E non solo prima: ho sempre preteso, da te e da Arthur, e quando non avevo quello che volevo, mi comportavo male con voi. Perdonami tu, Georgie, se puoi, per averti spaventata con sentimenti che non potevi contraccambiare, per averti fatta scappare e poi inseguita fin qui, per aver trattato sempre male Lowell, per prima …
 
Era in piedi vicino a  lei, e parlando le aveva abbracciato le spalle, ed accarezzava dolcemente la bionda testa di Georgie, posata di fianco contro di lui, come un buon “fratello” che conforta la “sorellina”. Anche se di conforto aveva più bisogno lui:
 
― Ma io che farò, Georgie, senza di te?
 
Georgie smise di piangere. Non si trattava dell’amore fraterno e tranquillo che avrebbe sperato, e lei era veramente angosciata per i suoi fratelli. Ma l’abbraccio di Abel era quello dell’infanzia, e le scaldava ancora il cuore. Quei due ragazzi non li avrebbe mai né persi, né dimenticati, e sentì che la capivano, che finalmente la lasciavano andare per la sua strada:
 
― Grazie, Abel … Arthur, grazie. Vi porterò nel mio cuore, sempre!
 
In quel preciso istante, Deegeeree Doo, che era entrato svolazzando e aveva visto Abel giù di morale, si posò sulla sua spalla e disse l’ultima cosa che avrebbe dovuto dire:
 
― CRRAÀ! Georgie! … Ti amo, Georgie! ― , e i tre giovani sprofondarono nell’imbarazzo!

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Capitolo 5
*** Beautiful Goodbye ***


5. Beautiful Goodbye [1]

 
Nei giorni a seguire, altri colloqui si resero necessari. Georgie dovette conoscere i genitori di Lowell, e le due famiglie riunite dovettero incontrarsi. Quest’ultima fu una situazione particolarmente impegnativa, perché i giovani erano davvero preoccupati. Lowell non si fidava per niente dei suoi genitori, temeva che dicessero qualche cosa che avrebbe potuto offendere soprattutto Abel o Arthur: i due fratelli provenivano da una realtà diversa, e probabilmente non avrebbero apprezzato la smania di avanzata sociale che si nascondeva dietro l’entusiasmo dei suoi per l’imminente matrimonio. Abel, Arthur e Georgie sapevano che quello era l’inizio dei contatti con una mentalità a loro non familiare, quella della buona società inglese, alla quale loro tre non avevano mai aspirato, e soprattutto Abel era diffidente, come già aveva dimostrato a Lowell. Il possibile comportamento di Abel faceva paura a Georgie, e l’idea di frequentare un’altra famiglia ricca e pretenziosa non faceva piacere ad Arthur.
 
Invece, tutto andò in modo molto tranquillo, grazie soprattutto al Conte Gerard e al Conte Wilson, che erano uomini di mondo e sapevano che conveniva fare conversazione senza esprimere nessuna opinione precisa, essere concilianti e diplomatici, gentili ma un po’ formali, insomma creare i presupposti per una pacifica sopportazione reciproca. I ragazzi si annoiarono senza darlo a vedere, come si poteva prevedere. I fratelli Butman strinsero la mano amichevolmente a Lowell (anche Abel, e con un garbo che Georgie proprio non aveva mai visto), e furono gentilissimi con lui. E grazie a tutto questo lavoro, fu possibile per la famiglia di Georgie registrare un importantissimo successo: ottennero d’invitare alla cerimonia e al ricevimento tutti i loro amici, compresi Emma e Dick e la famiglia di Joy. La soluzione era semplice: fare una festa gigantesca, in modo che tutti avessero la possibilità di stare a contatto con persone simili a loro, e chi voleva stare solo con la nobiltà potesse farlo senza far troppo caso ad altri. Bisognava far presto, per recapitare gli inviti e dare a tutti il tempo di rispondere. Georgie e Lowell avevano sperato in una cerimonia intima, ma accettarono tutto di buon grado, tanto presto sarebbero stati lontani.
 
Fu durante uno di quegli incontri che Arthur, con la scusa di dare la sua benedizione alla coppia, ad un certo punto colse l’occasione per prendere da parte Lowell, in un salottino laterale, e gli raccomandò di aver cura di Georgie:
 
― Io ho sempre cercato di proteggerla. Quando è venuta qui, non ho più potuto, perché dovevo restare a casa e pensare a mia madre. Ma sapevo che mio fratello sarebbe arrivato presto qui per lei, e almeno contavo su di lui. Ora conto su di te: ti prego, falla felice!
 
Apparve improvvisamente Abel, che li aveva seguiti:
 
― Ci contiamo tutti e due. Non so se capisci quanto ti ama, io l’ho vista a pezzi dopo essersi separata da te. E se non ci fossi tu, adesso la proteggeremmo noi, magari ce la riporteremmo in Australia, invece dovrà trattare con gente molto diversa da lei, che non la capirà. Elisa era solo un esempio, ma non l’unico. Proteggila, Lowell! E amala, non ti chiedo altro.
 
― Abel, grazie. E anche tu, Arthur, sta’ tranquillo. Io amo Georgie veramente, e starò con lei tutta la vita. Lo so che è diversa dal mondo di cui io faccio parte, ma suo padre è nobile, e sarebbe entrata in società comunque, non è “colpa” mia! Ora, penserò io a lei, a costo di lasciare tutto e portarcela io stesso, in Australia, se è l’unico posto dove può essere felice! Del resto, a me piace proprio perché è così: naturale e limpida. Come il vostro Paese.
 
Le parole di Lowell piacquero molto ai due ragazzi, che augurarono anche a lui tanta felicità. E in un secondo momento, quella sera stessa, la conversazione ebbe un piccolo seguito, quando Arthur incrociò Lowell nuovamente da solo sulla porta del vasto bagno a disposizione degli ospiti:
 
― Scusami, una cosa che non ti ho detto prima: ti volevo ringraziare per … ecco, per non … Grazie di aver rispettato mia sorella, nel periodo in cui avete vissuto insieme. Non tanti l’avrebbero fatto, e lei era solo una ragazza di provincia … Hai mostrato di avere onore.
 
― Oh! … Beh, no … niente, era lei che … Non mi devi ringraziare, Arthur, io non sono il tipo d’uomo che … ― Il colore del viso di Lowell in quel momento non era proprio paonazzo, virava piuttosto al bordeaux.
 
― Lo so. È proprio per questo che ti sono grato. – Arthur gli sorrise e gli diede un colpetto affettuoso sulla spalla, prima di uscire chiudendosi la porta dietro. Lowell si era davvero conquistato i fratelli Butman! Ma Abel avrebbe preferito detestarlo, perché era l’uomo che gli portava via Georgie …
 
Arthur vedeva benissimo che suo fratello stava male, e avrebbe voluto tanto aiutarlo, ma non riusciva ad aiutare molto nemmeno se stesso. Quella sera, o una di quelle successive, quando furono a letto, il ragazzo sentì di nuovo la sensazione di vuoto. Non era chiaro perché, ma era irrequieto, e Abel se ne accorse. Gli chiese che cos’avesse, e lui non seppe che rispondere:
 
― Che ti devo dire, non lo so. È da quando sono stato liberato che mi sento così. Mi pare di essere morto dentro, forse proprio perché non amo Georgie come prima. O perché non riesco a liberarmi dei ricordi. Te l’ho detto, spesso ho paura. Credevo di aver paura per Georgie, ma non so se è così. Veramente, sono molto più preoccupato per te. O forse è per me …
 
― E meno male che l’altra settimana mi avevi detto di essere felice!
 
― Guarda che io vi sono grato, davvero, mi avete salvato, non voglio farti credere che …
 
― Arthur, ma che c’entra? Tu non puoi essere felice per far contenti noi o per gratitudine, lo devi essere per te. Io desidero che tu stia bene.
 
― Grazie, Abel, veramente. Anche tu … almeno provaci. Lo so che è difficile, scusami, lo so. Ma spero davvero che tu sia felice, e presto …
 
Abel aveva detto “desidero che tu stia bene”: tanti gli volevano bene. Anche Maria gli aveva detto la stessa frase, di recente. Gliel’aveva detta la notte in cui lo aveva liberato. Chissà come gli era venuta in mente, se poteva Arthur evitava di pensare a quei giorni tremendi. Ma il pensiero dell’affetto di Maria non gli dava tanto fastidio, anzi era confortante …
 
***
 
L’ultima frenetica settimana passava, tra preparativi di ogni tipo: le nozze, l’itinerario, i bagagli, i biglietti, la difficoltà per Georgie di staccarsi da tutti i suoi cari … Un turbinio difficile da gestire, in cui l’organizzazione del viaggio fu la parte più importante.
 
Era logico che Georgie avesse pochissimo tempo per fermarsi a riflettere su quel momento così decisivo nella sua vita, ma in cuor suo sentiva che il suo rapporto con Lowell era cambiato, e lei stessa era cambiata, in tutti i mesi trascorsi da quando l’aveva incontrato. Ora, sapeva che voleva dire vivere con qualcuno che si doveva imparare a conoscere, che non faceva parte della sua famiglia e della solita routine. Sapeva quant’era difficile capirsi, e lo sforzo che costava perdonare e perdonarsi i comportamenti sbagliati, dettati dalle preoccupazioni, dalla fatica della vita che a volte era più dura del previsto. Sapeva com’era davvero Lowell: alle volte spaventato, intimamente solo, reduce da una sofferenza non ancora passata. Ma anche sognatore, tenero, rispettoso dei suoi tempi, affettuoso e capace di sentimenti profondi. Lowell aveva bisogno dell’amore di Georgie, e ora Georgie sapeva di aver bisogno di lui, perché in quei mesi in cui si era separata da lui con la prospettiva di non rivederlo più, non lo aveva affatto dimenticato.
 
Si sentiva però ancora in colpa verso Elisa. Così, una sera, passeggiando nel giardino della casa di Lowell con lui, non poté fare a meno di parlare di lei:
 
― Era qui che giocavi da piccolo? come quella volta che hai scoperto la villa vicina, col ritratto di mia madre?
 
― No, era alla casa di campagna! Era il castello dei tuoi, no? All’epoca era già diroccato, e nel muro di cinta avevamo trovato un buco.
 
― Ah, già … ovvio … Tu ed Elisa, chissà quante volte avrete passeggiato così, in campagna, o proprio qui, come ora noi due …
 
Lowell si bloccò di colpo. Come diavolo veniva in mente a Georgie d’immaginare lui mentre passeggiava con Elisa allo stesso modo, magari proprio come in quel momento, cingendole le spalle con un braccio mentre lei gli passava il suo attorno alla vita?!
 
― Georgie, ma che dici?! Che cosa c’entra adesso Elisa?
 
― Scusami, Lowell, scusami tanto … Continuo a chiedermi se sia giusto così. Mi pare di averla sfruttata. Certo, l’ho fatto per salvarti perché non potevo farlo io, ma intanto è lei che ti è stata vicino, e forse si è illusa davvero, una volta o più di una volta …
 
― Amore, ma tu pensi che io l’abbia lasciata illudere? Quando salpammo dall’Australia, io glielo dissi subito! Che avrei rotto il fidanzamento, che non l’amavo! Ma come puoi pensare che io abbia mai desiderato di stare così con un’altra?! … In una sera magari come questa, mentre i grilli cantavano, vicino alla fontana che zampillava, vicino alle campanule chiuse e alle belle di notte aperte, come adesso, io ho sempre sognato … io avrei voluto sempre e solo te.
 
La voce di Lowell, accompagnata dai grilli e dalla fontana, entrava nella mente di Georgie e la placava. Quella era la voce di un uomo col timbro di un ragazzo, e nella penombra gli occhi di Lowell brillavano con sicurezza, scaldati dall’emozione di quel momento. La luce della casa non lontana, infatti, li faceva scintillare, così come brillava sull’acqua in movimento, e tutto il resto erano impressioni scure e stelle remote. Poi, Lowell cambiò espressione, guardò le luci provenienti dai finestroni, infine abbracciò stretta Georgie con un gesto un po’ brusco, sempre rimanendo in silenzio. Fino al momento in cui sussurrò, con la voce che cominciava a tremare:
 
― Quando ti ho detto che avevo iniziato a farmi del male, tu non mi hai ascoltato davvero. Ho iniziato a bere, perché morivo senza di te. Per te … avevi tuo fratello da salvare, chissà quante preoccupazioni … ma anch’io … Ero solo, senza nessuna occupazione che mi distraesse da te, e pensavo continuamente al perché mi avevi lasciato davanti a casa di Elisa. Ero diventato antipatico, con lei. E poi l’alcol ha compromesso la mia guarigione completa. ― Che shock per Georgie! Ma come, Lowell si stava autodistruggendo proprio pensando a lei! con tutti i sacrifici che aveva fatto pur di salvarlo … ― Ora, invece, voglio smettere di bere. Lo capisci, che il cuore è libero? Se fossi rimasto definitivamente con Elisa contro la mia volontà, avrei finito per odiarla, rendendo infelici almeno due persone: me e lei. E tu … mi piace pensare che avresti sofferto anche tu, per amor mio …
 
― Oh, Lowell, ma stai piangendo? sono una sciocca che ha paura per la troppa felicità! Ho paura di perderti ancora, come se non ti meritassi, perdonami! Ma promettimi che non ti farai più del male!
 
A questo punto, senza preavviso, Lowell la baciò. Lowell la sorprendeva, a volte, coi suoi baci, come nei primi tempi in Australia. Il fatto era che l’aveva sentita vibrare, emozionata e felice, innamorata e veramente turbata. Lowell era deciso a conquistarla tutte le volte che fosse necessario, e ci riusciva. Georgie non conosceva ancora il bacio di un uomo, e quella sera Lowell pareva davvero un uomo. Proprio quella sera, in cui aveva messo a nudo tutta la sua fragilità. E lei chiuse gli occhi e chiese a Dio di lasciarla stare lì, di non toccare niente, perché lei lo amava e lui l’amava, mentre lui non smetteva di stringerla, i grilli di cantare e la fontana di mormorare.
 
***
 
 
Quella stessa sera, prima di dormire, Georgie non poté fare a meno di riflettere ancora a lungo. Stava per andare lontano per chissà quanto tempo, e lei partendo non voleva avere conti in sospeso, occorreva chiuderli tutti come aveva fatto, almeno in cuor suo, con Elisa. Ma questa non era l’unica persona ad avere dei diritti: il ragionamento che le aveva fatto credere di essere in debito con Elisa, se aveva una sua logica, allora si applicava anche ad Abel e Arthur. I suoi “fratelli” non l’avevano forse sostenuta, amata e accompagnata per anni, senza essere corrisposti, come e più di quanto avesse fatto Elisa con Lowell? E lei andava via con un altro uomo. Ricordò il rimprovero che sua madre Mary le aveva fatto: “i tuoi fratelli ti amano, e tu vai con un altro?!” … Ora comprendeva il senso di quelle parole, che la sua mente aveva rifuggito sempre fino a quel momento. Loro le avevano augurato ogni bene, ma a loro doveva essere costato molto più che a suo padre, perché perdevano ogni speranza di veder coronati i loro rispettivi sogni d’amore con lei.
 
L’indomani, Georgie si alzò presto e andò a svegliare i due ragazzi. Trovò solo Abel a letto (chissà come mai Arthur era già in piedi …), con le tende chiuse che non lasciavano entrare che un debole alone della luce mattutina. Lo abbracciò mentre ancora dormiva,:
 
― Abel … buongiorno … ― Georgie sussurrava, ma non così piano da non svegliarlo: ― Bisogna che ti svegli, è mattina!
 
― Mmmh? … Georgie … ma che ci fai qua? …
 
― Niente, ti volevo solo dire una cosa: io voglio che tu sappia che so … ecco …
 
Abel si stava svegliando più per via dello stupore e della curiosità che dell’orario o altro. Che poteva mai volere Georgie? Era arrossita, e lo guardava con imbarazzo evidente, il che era molto fuori dai canoni del loro rapporto:
 
― Che c’è, hai perso la parola? o la memoria? – … sdrammatizzare era l’unica!
 
― No, è che … tu sei venuto fin qui solo per me. Mi hai cercata, aiutata, perdonata, hai perfino insegnato a Deegeeree Doo il mio nome solo per trovarmi. E io vado via, e ti lascio solo. Mi sento male per te … Vorrei tornare presto e ritrovare mio fratello. Vorrei che tu non soffrissi mai più per me, e trovarti libero, e pronto a scherzare come una volta. Sei sempre stato impulsivo, aggressivo, violento e un po’ prepotente, però lo facevi per me. Io … non sarò mai felice, se saprò di farti soffrire …
 
Abel era sveglio ormai totalmente, e stupito, imbarazzato e chissà quante altre cose insieme, mentre ascoltava Georgie ancora disteso sul letto, solo appoggiato su di un gomito per guardarla meglio. Perché Georgie gli diceva quelle cose? Non voleva che gli si parlasse del suo amore per lei, non voleva soprattutto che a parlargliene fosse lei, e si sentiva più indifeso ancora perché poco prima dormiva. Non era preparato. Non voleva parlarne. Ma poi capì che lei era sincera (e quando non lo era stata?). Georgie stava male per lui … Gli voleva bene a modo suo, come sempre, e bisognava confortarla. Per lo meno, bisognava dire qualcosa! E poi, l’ultima cosa che Abel voleva era l’infelicità di Georgie, e se lei non poteva davvero essere felice sapendo che lui soffriva per lei, bisognava …
 
― Georgie … Va bene così. Non ci pensare, davvero. Io sono un uomo, ormai, ho viaggiato, chissà quanto viaggerò ancora … il mondo è grande! E poi è stato un bene venire in Inghilterra, no? Non avrei conosciuto il Signor Allen, altrimenti, e lui conta su di me, e poi … mi sarei perso il tuo matrimonio, restando in Australia. Io ce la faccio, Georgie. Mi fa male, ma ho la scorza dura … ― (a questo, Abel non ci credeva) – Non pensare a me. Sarai una sposa meravigliosa, cerca anche di essere una sposa felice …
 
Georgie aveva tanta voglia di piangere. Si adagiò sulle coperte, di fianco, per abbracciare meglio Abel, che riprese a parlare:
 
― Piuttosto, hai fatto lo stesso discorso ad Arthur? Perché non ti preoccupi per lui, oltre che per me? – Abel sapeva benissimo quello che il fratello gli aveva detto, e cioè che lui non era più innamorato di Georgie. Ma questo non cambiava che Arthur avesse sofferto quanto lui, e lui si sentiva sempre più colpevole verso il ragazzo per i suoi comportamenti del passato. E poi, era una scusa ottima per distogliere Georgie da sé.
 
― No … ma con lui è difficile … Lui non mi ha mai detto quello che provava, me l’ha detto lo zio Kevin. – Questa scoperta lasciò Abel di stucco: con tutto il dolore che Arthur si era portato appresso per via dei suoi sentimenti per Georgie, davvero non le aveva mai detto niente! Nemmeno dopo che lei aveva scoperto le sue vere origini, il fratello si era permesso di dichiararsi, ma era rimasto fedele ai suoi propositi di essere un buon fratello anche per lei! – Come faccio a parlargliene? Lo sai quant’è sensibile …
 
― Un modo lo troverai, come hai fatto con me.
 
Allora la bionda Georgie si asciugò una piccola lacrima fuggitiva e diede un buffetto ad Abel, poi si alzò e lo lasciò con un “Ci vediamo giù!”, mentre chiudeva la porta. E Abel si alzò, un po’ più rassegnato, intenerito ma triste. E pensò che, nonostante tutto quello che aveva detto prima, avrebbe preferito non essere mai venuto in Inghilterra.
 
Georgie fece colazione di corsa, senza aspettare Abel, poi uscì afferrando dei fiori che si trovavano vicino alla porta, salì in camera sua e ci si chiuse dentro, dopo aver depredato un altro vaso che decorava il ballatoio. Poi, dopo un’ora e mezza, uscì con le mani dietro la schiena e andò a cercare Arthur, trovandolo in giardino che leggeva. Il ragazzo aveva deciso di seguire alla lettera i consigli del medico: aria aperta, niente brutti pensieri e vita regolata. Si era svegliato poco dopo l’alba e non aveva indugiato tra le lenzuola, perché quando lo faceva gli tornavano in mente cose angoscianti. Dopo colazione, non appena il sole si era alzato un po’, era uscito a leggere sfruttando la giornata serena.
 
― ARTHUR! – Georgie lo chiamava con la maniera allegra dei loro anni spensierati: ― Arthur, mettiti in piedi, ho una cosa per te!
 
― Georgie, buongiorno … ma che c’è?
 
― Sì, buongiorno, ma alzati subito!
 
Arthur si alzò senza capire e la ragazza tirò fuori da dietro la sua gonna vaporosa una grossa ghirlanda: era composta coi fiori dal gambo più sottile, che si potevano intrecciare, e cioè soprattutto narcisi e garofanini, e vi erano inseriti tromboncini, alcune bellissime rose di serra, tre gigli e perfino un’orchidea. Georgie mise la ghirlanda al collo di Arthur:
 
― Ecco, questo è per dirti che ti voglio bene. Quando Abel è tornato dal suo imbarco, ne ho fatta una per lui e poi abbiamo festeggiato tutti insieme, e per te che sei tornato da morte quasi certa, invece niente! Non era giusto! E poi volevo che sapessi che anche se saremo lontani … io …
 
La voce le mancava, e allora Arthur si tolse la ghirlanda per non sciuparla, e l’abbracciò stretta:
 
― Anch’io ti voglio bene, Georgie …
 
― Lo so, e ti chiedo scusa … io non ho mai potuto amarti come volevi tu, ma …
 
― Che … che cosa? – Arthur non si aspettava proprio quell’argomento: che cosa sapeva Georgie dei suoi sentimenti per lei?!
 
― Sì, me l’ha detto lo zio Kevin, quanto mi amavi e i rischi che avevi corso per salvarmi dal fiume …
 
Arthur a questo punto era irrimediabilmente arrossito, e non se la sentiva assolutamente di affrontare la questione di petto. Dire a Georgie che non l’amava più, equivaleva a riconoscere che l’aveva amata … ma tanto lei lo sapeva già …
 
― Zio Kevin … non dovrebbe raccontare certe confidenze … quando lo rivedo, mi sente … Tu, però, non devi scusarti, che colpa ne hai se … La vita va come vuole, e io starò bene … cercherò … in un modo o nell’altro … ― Si rese conto di non essere molto convincente: non amava Georgie come prima, certo, ma l’aveva amata tanto, e ora una puntura dell’antico sentimento gli faceva ancora male. Era un rimpianto, nient’altro, ma cercò di scacciarlo: ― Pensa ad Abel, piuttosto, lui sì che sta male …
 
― La vuoi sapere una cosa buffa? Voi due vi somigliate sempre di più! – Georgie sorrise: si sentiva sollevata, avendo finalmente mostrato ai due ragazzi di conoscere e rispettare i loro sentimenti. – Sì, con lui ho già parlato … e mi ha detto la stessa cosa che mi stai dicendo tu: che dovevo parlare con te …
 
Da quel momento, Georgie si sentì sempre più calma, anziché innervosirsi col passare dei giorni. Nella sua mente risuonavano ogni tanto le note del carillon che Lowell le aveva regalato, e di colpo si sentiva serena, già lontana col suo amore.
 

[1] Titolo di una canzone di Amanda Marshall, sulla quale è stato montato un bellissimo video con immagini della serie di Georgie: http://oruke.free.fr/lady_georgie/amv01.html

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Capitolo 6
*** Interludio, o delle conversazioni impossibili ***


Questo capitoletto, tra l'onirico e il demenziale, è vagamente delirante, e fa da cuscinetto al momento che state attendendo, cioè le sospirate nozze. Ha anche altre funzioni, ma forse la più importante è quella di alleggerire un po' l'atmosfera in attesa della festa. Io personalmente sento il bisogno di alleggerirla: le notizie sui giornali sono cupe, la situazione generale difficile. E come se non bastasse i commenti che trovo (su altre ff, grazie al Cielo) mi sembrano spesso un po' troppo aggressivi, perché tra fans di Abel, di Arthur e di Lowell la guerra è ancora aperta. Mi sembra francamente un comportamento poco adeguato a persone adulte e civili. Forse anch'io ho ecceduto un po' in qualcuna delle mie recensioni, ma lo facevo per difesa del mio beniamino (Butman minore, per chi non lo sapesse ancora!), solo che così non si finisce più. Questo è prima di tutto un gioco! Siamo troppo grandi per litigare per le figurine! E non è il clima più adatto all'Avvento. Perciò, questo è il mio proposito: farvi sognare e qualche volta sorridere. Pubblicherò presto il mio prossimo capitolo dopo questo, e sarà un piacere accompagnarvi all'anno nuovo così, con un proposito di pace. E a tutti voi che leggete, e magari recensite, un grosso, sentito, commosso grazie da parte mia.


Il sogno cominciò nel solito modo: Arwin lo minacciava. Pretendeva qualche cosa da lui, ma non diceva che. Arthur non era riuscito mai a capire perché lo trattasse così, finché un giorno, finalmente, aveva intuito qualche cosa che lo aveva terrorizzato ancora di più, dalle parole di Arwin (“Cain! … mio bellissimo Cain …”). Arwin si divertiva a sottometterlo, a farlo sentire indifeso. E allora, la paura prendeva Arthur alla gola, mentre l’altro parlava, col suo tono freddo e al tempo stesso fintamente amichevole. Proprio questo avveniva nel sogno, realistico e sinistro:
 
Sei davvero molto sfortunato, Cain! Avresti dovuto essere ucciso appena sei arrivato, ma io e mia sorella ti abbiamo preso in simpatia.[1] Questa era una bugia dalla quale era difficile difendersi, perché la “simpatia” di Arwin per lui era tutt’altra cosa, era morbosa ed insinuante, inconfessabile per la morale dei tempi. Ed era quello che spaventava di più Arthur ogni volta che lo vedeva arrivare. Inoltre, poi comunque arrivava sempre la crudeltà. Infatti: ― Diremo che sei morto a causa dell’aggravamento della tua malattia!
 
Non c’era via di fuga, la luce trapelava solo dalla piccola feritoia sbarrata, ed era prodotta da torce, perché quella era una segreta. Poi, all’improvviso, una botola si aprì sotto i piedi di Arwin, che fu inghiottito senza un grido, senza scomporsi o cambiare espressione, come una pupazzo che cade, o piuttosto una carta da gioco, perché non si udì nemmeno un tonfo. La porta si aprì ed entrò Maria (molto più reale, fatta di carne, trepidante), che lo invitava ad andarsene rapidamente. Arthur non poteva essere più meravigliato, e chiese spiegazioni, fissandola negli occhi. La risposta fu:
 
― Io ti amo, Arthur, e desidero che tu stia bene.
 
Arthur si svegliò di colpo, col cuore che batteva all’impazzata. Se nel sogno provava grande stupore per quell’improvvisa salvezza (e per l’ancora più improvvisa morte di Arwin), da sveglio era ancora più stupito. Era stupito da se stesso: aveva rivissuto la sua liberazione, ma provava una cosa nuova, accanto alla paura, allo stupore, alla gratitudine e al sollievo di essere salvo. Vedeva davanti a sé gli occhi di Maria, e si rese conto che erano grandi e profondi, di un azzurro particolare, tendente al viola, che lui non aveva mai visto prima. Quello sguardo e quell’ultima frase che aveva sognato lo emozionavano. Perché? Perché Maria lo aveva chiamato Arthur, non “Cain”! L’aveva fatto solo quella volta, ma non avrebbe dovuto, lei non sapeva il suo nome! Era impossibile … che gliel’avesse detto Georgie? perché? E poi, era successo davvero o era solo nel sogno che lo aveva chiamato “Arthur”? E perché saperlo era così importante per lui?
 
Quando fu mattina, andò di corsa da Georgie e chiese chiarimenti.
 
― Oh, Arthur, la cosa è andata così: ormai avevamo deciso di fidarci di Maria, perciò alla fine io le ho detto chi sei, e mi sono anche presentata come la tua sorellastra. Le ho detto che siamo cresciuti insieme, in Australia.
 
― Ah. E lei? E che le hai detto di preciso, su di me? – , Arthur stesso si chiedeva perché stesse facendo tante domande: era così importante, ma perché?!
 
― Lei non stava nella pelle! Non sapeva niente di te, e voleva sapere tutto. Ho descritto la fattoria e quanto ci eri affezionato, e il tuo carattere, sempre così premuroso e protettivo con me. Le ho detto che sei il più caro fratello del mondo, e che eri rimasto sempre con noi, quando Abel si era imbarcato. Che di sicuro saresti tornato volentieri in Australia, dove siamo stati tanto felici. Le notizie che le davo la confortavano molto. – Georgie parlava sorridendo. L’affetto che trapelava nel ricordare la conversazione era lo stesso tenero sentimento con cui aveva descritto Arthur a Maria. Arthur era emozionato.
 
― La confortavano?
 
― Sì, perché all’inizio piangeva. È stata lei a dirmi che avevi tentato di suicidarti, e mi ha detto anche che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarti. – Arthur rimase in silenzio, guardando Georgie con una strana incredulità. – Davvero, mi ha detto che avrebbe dato la sua vita per salvarti, queste parole precise! Ma perché mi chiedi tutte queste cose, invece di lasciarmi vestire, così magari posso scendere a fare colazione?
 
― Grazie, Georgie, sì, ci vediamo di sotto.
 
Arthur uscì, si chiuse la porta dietro, camminò lentamente lungo il corridoio ed iniziò a scendere i gradini concentrato sui suoi pensieri. Maria aveva dichiarato il suo amore ad Arthur, e non a “Cain”. Era successo veramente. Era un dettaglio? Non erano la stessa persona: Cain era il fidanzato che non se ne sarebbe andato via da lei, ma non esisteva, era solo una proiezione dei desideri della ragazza e una protezione per la sua identità, mentre Arthur era un prigioniero che scappava, un giovane australiano che sarebbe andato chissà dove. Lei sapeva che lui era Arthur, uno che non avrebbe più rivisto. “… Avrebbe dato la tua vita per salvarti, ha detto queste parole precise!” … “Io ti amo, Arthur, e desidero che tu stia bene.” … “Io ti amo, Arthur …”, e poi era partita senza dirgli una parola, per togliere di mezzo la gratitudine e l’imbarazzo. Anche solo sentir parlare di lui, della sua infanzia e della sua famiglia, l’aveva confortata.
 
Lo aveva salvato contro tutto e tutti, e poi non gli aveva chiesto più niente, solo di restare vivo e stare bene.
 
Arthur vide tutto il sacrificio che Maria aveva fatto. Dov’era finita quella ragazzina sciocca che lui aveva conosciuto dai Dangering, e che non aveva un minimo di senso della realtà, tanto da inventarsi un fidanzamento inesistente? Maria gli apparve diversa. Doveva soffrire molto, altro che quella “vita felice” che lui le aveva augurato. Aveva degli occhioni tristissimi, la notte del suo salvataggio, ed ora che li aveva rivisti nel sogno non riusciva a toglierseli dalla mente. Gli aveva dato anche un bacino furtivo, prima che lui sparisse nel cunicolo. E in quel momento, lui aveva chiuso gli occhi. Arthur si sentiva strano, contento e triste al tempo stesso. Però, quella nuova inquietudine era bella!
 
Era ancora assorto in questi pensieri quando una Georgie euforica si presentò a fare colazione:
 
― Ma che bella idea! Maria! Oh, buongiorno, Abel! – Arthur e Abel la guardavano senza capire: ― Ma sì, la voglio invitare al matrimonio!
 
― Ma tu sai dove vive?!
 
― No, Arthur, ce lo diranno i Barnes! Oggi pomeriggio aspetto una loro visita, Catherine di mi fa da damigella. Loro sanno dov’è e ci daranno di sicuro l’indirizzo!  … Sempre se a te va bene, Arthur: se ti dispiace non importa, non la invitiamo.
 
Ad Arthur non dispiaceva per niente.
 
La Signora e la Signorina Barnes, in perfetto orario e di ottimo umore, si presentarono per organizzare la partecipazione della ragazzina alle nozze. E con l’occasione, conobbero finalmente Arthur, l’unico membro della famiglia con cui non avevano ancora conversato. L’avevano visto, naturalmente, quando si era presentato come testimone di punta dell’accusa contro il defunto Duca Dangering, e in difesa del Conte Gerard, ma allora il ragazzo era molto teso all’idea di rivedere l’odiato Duca, e non era rimasto a conoscere gli amici di Georgie.
 
Ora, in attesa dell’arrivo di Emma, che doveva occuparsi degli abiti e degli accessori, si sedettero a sorseggiare un tè in un bel salotto illuminato dal sole basso. Così esaminarono Arthur a fondo, e lo “approvarono”:
 
― Oh, che famiglia affascinante la tua!
 
― Proprio vero! Quando ti ho vista sulla nave, ti ho trovato bellissima, ma certo che anche i tuoi fratelli, e Lowell …!
 
― Grazie, Catherine! Anch’io li adoro.
 
― Grazie … ― disse un imbarazzatissimo Arthur: non si aspettava che questo fosse l’atteggiamento tipico di Catherine e sua madre, e ora invidiava suo fratello che era uscito per lavoro e non doveva sottostare a quei complimenti, ai quali lui non sapeva come reagire.
 
― Oh, Georgie, ma mica te li puoi tenere tutti per te! ― La Signora scherzava, per prendere in giro Arthur, ma Catherine la prese alla lettera …
 
― La mamma ha ragione! Va bene che tu sei una ragazza e io non posso amarti, va bene che sposi Lowell, e va bene che Abel è venuto qui a Londra per te, ma Arthur non è mica tuo! Arthur, mio dolce nuovo amico, hai la fidanzata?
 
― No, ecco … no! Ma tu fai la dichiarazione a tutti, anche alle ragazze? – Arthur non credeva alle sue orecchie, guardava Georgie cercando di capire che significasse quel “tu sei una ragazza e io non posso amarti” e intanto avrebbe voluto tanto scappare di lì.
 
― Non fraintenderla, Arthur, io mi ero imbarcata come mozzo! E tutti credevano che fossi un ragazzo … Ma noi volevamo sapere un indirizzo, no?
 
“Brava, Georgie, grazie!” pensò Arthur: non solo avrebbe potuto contattare Maria, ma così si cambiava argomento. Almeno, così credeva lui. Come si sbagliava! Non appena Catherine e sua madre ebbero comunicato l’indirizzo ed il nome preciso della zia presso cui abitava Maria, sorse in loro il dubbio che Arthur volesse riallacciare i rapporti con la sua precedente fidanzata:
 
― Ooooh, ma allora il nostro ragazzo ha a cuore la dolce Maria! Non è che sei tu, Arthur, che vuoi rivederla?
 
― Ecco … veramente … mi farebbe piacere …
 
―No, mamma, il fidanzamento era finto, non ricordi? Ad Arthur non interessa Maria!
 
Siccome era sabato, il lavoro ai cantieri navali si era concluso un’ora prima, e Abel ebbe scelse proprio quel momento per presentarsi nella stanza. Fu accolto con il massimo entusiasmo dalle due dame, che in sostanza reagirono più o meno così:
 
― Che bello, Abel, sei tornato! Georgie, cara! Sei sempre circondata da ragazzi meravigliosi!
 
― Hai ragione, mamma, ma io non ho dubbi sulla mia scelta. Abel, sono così contenta di vederti! Ma non te la prendere, è Arthur il mio preferito!
 
― Arthur, non sei contento? Ti sei fidanzato di nuovo, congratulazioni! – L’occasione di prendere un po’ in giro il fratellino era troppo ghiotta per Abel, che rideva noncurante dell’occhiata fulminante di Arthur. Quest’ultimo, però, oramai rosso porpora in viso, non ebbe il tempo di reagire, perché con suo sollievo arrivò Emma, la conversazione si spostò sugli abiti e i due giovani furono invitati ad uscire per permettere la necessaria prova.
 
― Vieni, Arthur, “ragazzo meraviglioso”, lasciamo le signore in pace! Signore, arrivederci.
 
― Non ci provare, Abel! La Signora e la Signorina Barnes contavano anche te nel discorso di prima, non solo me!
 
― Ma naturale, e poi Abel è un eroe, così coraggioso da salvare suo fratello, e quell’aria inquieta e tenebrosa … non è vero, ma chérie?
 
― Proprio così, maman, è coraggioso come Georgie! Ciao, Abel, e … au revoir, mio diletto!
 
― Sì, va be’ … ciao, Catherine … Arrivederci, Signora Barnes, è stato un piacere. Ciao, Emma. ―, ad Arthur non pareva vero di defilarsi!
 
Emma, Georgie e Abel avevano le lacrime agli occhi dal ridere, anche se le prime due almeno si trattenevano. Arthur era doppiamente sollevato: quella conversazione impossibile era finita, e lui aveva una traccia precisa di Maria.
 
Che bello, se verrà alla festa, pensava. Era stata invitata, ma di colpo quella sera Arthur comprese che non c’era comunque garanzia che Maria accettasse l’invito. Scoprì che gli mancava, ma non disse niente.
 
In compenso, la mattina dopo gli venne un’altra delle sue crisi. Fu molto più breve delle altre, ma dolorosa come una coltellata alla tempia. Ma per fortuna, quando la fitta passò, Arthur ebbe un doppio motivo di sollievo: fu Georgie, che a Maria teneva molto, ad insistere perché la invitasse espressamente lui (“Dipende tutto da te, che lei venga o no, lo sai!”), e alla fine lui aggiunse a penna queste parole all’invito:
 
Cara Maria,
 
Georgie e Lowell vorrebbero davvero che tu ci fossi. E farebbe tanto piacere anche a me. Non è per gratitudine, ma per la tua compagnia. Naturalmente, non ci aspettiamo che tu venga da sola, e quindi l’invito è esteso ad un accompagnatore di tuo gradimento, per esempio tua zia la Contessa Constancia Dangering[2]. Se non verrai, capirò, ma in tal caso scrivimi almeno due righe: vorrei sapere come stai, e non perdere i contatti con qualcuno che mi sta molto a cuore. A presto, spero
 
il tuo affezionato Arthur Buttman
 
E Maria fece sapere che accettava l’invito, per sé e per sua zia. Mentre invece Elisa, invitata anch’essa da Georgie, com’era prevedibile rifiutò.
 


Piccola noticina a margine dell'autore: il problema se Maria possa o no chiamare Arthur "Arthur", al momento della sua liberazione, deriva da un errore dell'adattamento italiano. Effettivamente, in quella puntata, Maria una volta lo chiama Arthur, il che mi ha dato uno spunto che mi è piaciuto da morire. Da morire!
 

[1] Qui, come dall’inizio della storia, sono in corsivo tutte quelle frasi, che i personaggi dicono, che sono state tratte direttamente dall’anime.
[2] A quei tempi, era impensabile che una signorina come Maria, di circa quindici anni e di buona famiglia, si presentasse ad un’occasione in società non accompagnata.

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Capitolo 7
*** Le nozze ***


E venne il giorno tanto atteso, finalmente. Il sole sorse come gli altri giorni (un po’ velato, veramente, dall’umidità notturna che si andò diradando con le ore), e l’autunno che iniziava fu clemente come il giorno prima. Londra stava vivendo un momento sospeso di luce dorata ―  e foglie ramate, ambra, gialle, verdi screziate di arancio ― dopo il verde radioso dell’estate e prima del grigio spietato ed ineluttabile della brutta stagione; apparentemente, questo era l’unico elemento di eccezionalità di quella giornata.
 
Invece, Georgie si alzò dal letto con la consapevolezza che sarebbe cambiato tutto, quel giorno. Non sarebbe più tornata a dormire lì, anche perché la casa era del Conte Wilson, e, tornando eventualmente, in Inghilterra avrebbe dormito a casa Gerard o a casa Grey:
 
― Georgie, vagabonda! Dov’è casa tua?  ― chiese alla propria immagine riflessa nello specchio. “Dove andrà Lowell.” si rispose in silenzio.
 
Avrebbe lasciato la camicia da notte, per farsela spedire una volta lavata ad un indirizzo che ancora non conosceva, e avrebbe dormito con una di quelle da sposa, bianchissime e ricamatissime, a partire dalla notte successiva. Quella notte … pensò a Lowell e perse il filo di quello che stava facendo. Ah, già, scendere per la colazione. Far presto. Appeso in tutto il suo splendore ed illuminato dalla luce gentile di settembre, c’era il suo abito da sposa bianco candido. Una risatina nervosa: “Lowell, amore mio, manca poco e sarò tua moglie!”.


 
La mattinata passò, anche se a tratti troppo in fretta e a tratti troppo lentamente (a seconda che ci si preoccupasse di tutte le cose da fare, o che prevalessero l’ansia e l’impazienza). E subito dopo pranzo, ci pensò la parrucchiera a distrarre Georgie. Poi Emma, bellissima anche lei e pronta ad agghindare Georgie dalla testa in giù. Poi, i Barnes e la famiglia di Joy: due stupende damigelle in bianco latte e rose fucsia non stavano più nella pelle, e tutte le dame cinguettavano e si congratulavano, si commuovevano e s’incoraggiavano a vicenda a non perdere tempo:
 
― Il bouquet! …
 
― Il velo va così?
 
― Piano con le forcine!
 
― Sei bellissima! Pensa, quando Lowell ti vedrà …
 
I due ragazzi fecero in modo di stare lontani dalla camera di Georgie il più possibile, una volta finito di pranzare (Abel non perdeva il suo appetito nemmeno in una simile circostanza). Del resto, avevano da fare anche loro, e si erano ormai resi conto di quanto potesse essere elaborata l’eleganza maschile. I camerieri personali del padrone di casa e del Conte Gerard, rispettivamente, s’impegnarono al massimo perché anche i due giovani fossero impeccabili, con le loro giacche di raso impreziosite da due stupendi garofani bianchi, e dalle quali spuntavano i magnifici ricami delle loro camicie immacolate. Alla fine, Abel e Arthur si guardarono a vicenda; Arthur sorrise compiaciuto; Abel si strinse nelle spalle; suo fratello gli disse solo:
 
― Coraggio …
 
Il Conte Gerard … tremava quasi per l’emozione, aveva dormito pochissimo e non era contento fino in fondo: era un papà che lasciava andare sposa sua figlia, sapendo che sarebbe partita per un paese lontano e non solo per un viaggio di nozze, e questo poco dopo una separazione durata quasi quindici anni. Ma era orgoglioso e felice per lei, pensando che sarebbe stata onorata e amata. Come anche sua madre avrebbe meritato di essere. Il pensiero di Sophia era più presente del solito, per lui, quel giorno, e gli mancava più che mai: che crudeltà del destino poteva aver voluto che sua moglie, anche lei sposa da non molto tempo, subisse l’umiliazione del confino, del campo dove vivevano stentatamente i deportati, del disonore e poi … morire così, da sola, sotto la pioggia … Come sarebbe stato bello vederla sorridere nel guardare sua figlia, quel gran giorno! E, almeno lei, poi gli sarebbe rimasta vicino … Ma questi pensieri il buon Conte se li teneva per sé: non era consentito essere tristi.
 
Lowell J. Grey aveva preso una forte dose della valeriana di sua madre, la sera prima, per poter dormire. Alla fine, bene o male, si era addormentato. Quella mattina, sveglio come un grillo, aveva baciato sua nonna, tornando poi in camera sua a passo di danza. Si sentiva euforico ed innamorato. E poi, quando fu pronto per uscire, si sentì fiero di sé: con la giacca grigio perla, la cravatta impreziosita da un gioiello di famiglia, e tutto il resto, era lo sposo più bello che si potesse immaginare. Perfino sua madre … e perfino suo padre (osservò con emozione il giovane) parevano commossi per lui!
 
Poi, si corse: al pianterreno, alle carrozze, prima lo sposo, sua madre, suo padre (“No, vicino a me si mette la nonna!” “Oh, va bene Lowell! Uffa …”), il testimone subito dietro la carrozza dello sposo, alla chiesa (“Oddio, che traffico!”), tutto bene, tutto in orario! Poi, gli invitati (“Sposa o sposo? Prego, di qua”), e l’attesa. Lowell in piedi, un po’ nervoso. Poi, di colpo, Lowell si calmò: Georgie sarebbe arrivata a minuti per diventare sua moglie. Quanto avevano lottato per questo? Quanto avevano pianto? Avevano perso perfino la speranza, ma non la voglia di amarsi, e la loro fedeltà era stata premiata.
 
Elisa si avvicinò a Lowell percorrendo una delle navate laterali, e gli tese la mano, solo un po’agitata ma sorridente:
 
― Lowell … Ciao. Ce l’hai fatta! Ti volevo fare tanti auguri.
 
― Grazie! Elisa, sei stata buona a venire! Anch’io ti auguro tanta felicità, e mi fa piacere potertelo dire, finalmente … Pensa come sarà contenta Georgie di vederti, aveva paura che non venissi!
 
― No, io non resto. Scusami, ma non ce la faccio. Volevo solo farti gli auguri, vado via … Giustificami tu con Georgie, ti prego, e dille che auguro ogni bene possibile anche a lei. Chissà come sarà bella, oggi! Beh … Ciao, Lowell. Buon viaggio, e … riguardati … Ciao!
 
― Grazie ancora, ciao … ―, ma Elisa si era già voltata, e a grandi passi percorreva la navata centrale senza guardare né a destra né a sinistra, e tantomeno indietro, incurante di qualche sguardo incuriosito di chi l’aveva riconosciuta. ― Buona fortuna, e scusami tu … Sii felice, Elisa.
 
Dieci minuti dopo, Georgie, al braccio di suo padre, preceduta da Joy e Catherine che spargevano petali di rose rosa carico sul tappeto, entrò, al suono dell’organo, nella grande cattedrale.
 
Camminò sicura ma inconsapevole dei propri passi, guardando Lowell davanti a sé attraverso il tulle, illuminata da un sole obliquo che filtrava dalle vetrate gotiche. Era una delle prime volte in vita sua che portava il busto, e un profumo prezioso, e tutto questo contribuiva a farla sentire una regina. Le sembrava che tutta quella gente non ci fosse: sentiva l’appoggio sicuro del braccio paterno e gli era grata, sapeva che lì c’erano alcune persone che l’amavano molto e il suo cuore traboccava d’amore per loro, ed era grata a tutti. Ma soprattutto, c’era Lowell di fronte a lei. Pensò anche a chi era in Cielo: “Papà … mamma … mamma Sophia … vi voglio bene … ecco il mio sposo …”
 
Le formule furono recitate. Gli sposi furono chiamati a riflettere sul valore della loro scelta, e a Lowell fu posta una domanda. Disse di sì con la voce rotta e gli occhi lucidi. La stessa domanda fu rivolta a Georgie, e lei, serena, disse di sì.
 
Abel fu costretto ad aggrapparsi ad Arthur, il quale per fortuna se l’aspettava e lo sorresse con sicurezza. Era fatta! Altre formule furono recitate, ci fu lo scambio degli anelli. Arthur si asciugò una lacrima, il Conte Gerard non ci provò neppure. La nonna di Lowell singhiozzava. Lowell e Georgie erano marito e moglie.
 
Le ultime formalità furono sbrigate, e finalmente cominciarono i saluti e gli abbracci, le congratulazioni e gli auguri.
 
Anche Maria si avvicinò agli sposi per congratularsi. Georgie e Lowell furono particolarmente affettuosi con lei, e il Conte Gerard pareva addirittura volerla coccolare. Fu allora che Arthur si voltò verso il gruppetto e la vide: portava il lutto per la morte di padre e fratello, e la sua acconciatura era diversa dal solito, molto più elaborata. Per la verità, le stava benissimo, come i gioielli importanti che aveva messo, e l’abito la slanciava molto; sembrava anche molto cresciuta, in poche settimane, perché aveva un’aria più seria e consapevole del solito. Lui era felice di vederla, e le andò incontro subito, ringraziandola per essere venuta. La loro conversazione fu abbastanza formale, anche per via della presenza della zia di Maria, una dama imponente, pretenziosa nello stile ma al tempo stesso austera. Ma Arthur notò che Maria aveva un sorriso mesto …
 
Poi, gli sposi montarono nella sontuosa carrozza nuziale scoperta e decorata, e Lowell aspettò che i bambini la circondassero per lanciare loro monetine e caramelle, nell’euforia generale. Il corteo partì e raggiunse il palazzo della festa.
 
In realtà, mai si era vista festa più democratica, e l’insieme stranamente non stonava, perché tutte quelle persone erano lì per far felici Georgie e Lowell: non c’era niente di formale, anche se tutti erano assai eleganti. Nessun invitato sgradito, nessuna strana presenza.
 
C’erano tutti gli amici londinesi. E c’era Maria Dangering: quando al ricevimento la ragazza e la zia furono annunciate, il brusio di disapprovazione che seguì i loro nomi confermò ad Arthur che la sua dolce salvatrice doveva aver fatto un grosso sforzo per presentarsi. Era la stessa accoglienza scandalizzata che era toccata ad Elisa qualche settimana prima, al debutto di Georgie in società, ma Arthur quella volta non c’era e non si aspettava che la nobiltà fosse così critica verso Maria. Il Conte Gerard, però, non perse neanche un attimo: le andò incontro e le baciò la mano, per dimostrare a tutti che la giovane futura Duchessa Dangering era la benvenuta, poi scortò personalmente nella grande sala lei e la zia, e Arthur vide Maria molto sollevata.
 
Lo stato d’animo di Abel era ben diverso. Si sforzava di non pensare al dopo, al ritorno a casa senza Georgie (gli sposi avrebbero trascorso la notte a casa di Lowell prima di partire l’indomani) e a quello che significava. Ma era molto meglio che essere costretto a vederli salire in camera loro, come sarebbe successo se la loro prima notte l’avessero dovuta passare a casa del Conte Wilson! Avrebbe anche voluto non notare l’affiatamento che c’era tra lei e Lowell, pur essendo ben consapevole che questo era il miglior auspicio possibile perché lei fosse felice. Tentava di non guardarli nemmeno, ed invece non poteva evitare di guardarla, mentre apriva le danze volteggiando raggiante nel suo vestito bianco con perle ricamate, tra le braccia del suo sposo. Al dito, Georgie portava un anello nuovo, e brillava pure quello. Una stella bionda si muoveva per la sala, ed era tutta di Lowell.
 
Arthur era più a suo agio. Rispetto al ballo dai Dangering, quello era uno scherzo, anche se era quasi l’addio con Georgie. Non aveva voglia di tristezza, però, e infatti era felice per lei, così felice che si stupì … perché voleva davvero dire che i sentimenti della sua pubertà erano passati. Quello che spezzava il cuore di suo fratello, dava gioia a lui. Così, ballò volentieri il valzer con Catherine (che lo aveva preteso!). E dopo il valzer, fu annunciato un reel, e le coppie furono invitate a formarsi per quella danza allegra e sfrenata. Vicino ad una delle enormi finestre aperte sul parco, c’era Maria, ed Arthur fu veloce a raggiungerla:
 
― Non ti ho ancora detto quanto mi piace la tua nuova acconciatura, e non ti ho nemmeno invitata a ballare! Vuoi? –, Maria sorrise con un’emozione evidente, perché Arthur le aveva fatto un complimento inatteso!
 
― Grazie! Vorrei, ma … sai, il lutto …
 
― Oh, certo! … perdonami! Come ho potuto essere così indelicato? – Arthur era arrossito per la mortificazione: ― Devi essere addolorata, mi dispiace tanto …
 
― No! Per la verità, non lo sono. – Ora, Arthur era davvero meravigliato, e la sua espressione forse lo rivelò, perché Maria si sentì molto a disagio, pur continuando a parlare: ― Mia zia penserebbe che sono una figlia snaturata, una sorella senza cuore, ma forse tu puoi capirmi: io detesto tutto quello che mio padre e mio fratello realmente erano. Mai avrei creduto che fossero capaci di cose così orribili: tradimento della Corona, omicidi, contrabbando, sequestro di persona nel tuo caso, e poi … nel tuo caso … forse quello che hanno fatto a te è peggio di quello che hanno fatto alla mia amata Inghilterra! Mio padre non mi capiva, e Arwin l’ho pianto pure troppo. Fosse per me, ballerei, eccome! Ma devo salvare le apparenze …
 
Arthur sorrise, la prese per mano e la portò all’aperto. Sempre sorridendo, e senza parlare, girò a sinistra sul vasto spiazzo lastricato antistante la facciata della casa, uscendo dalla luce dei finestroni, e avvicinandosi al giardino quanto bastava per essere lontani dall’illuminazione:
 
― Signorina, oso ripetere la mia proposta: mi concederebbe questa danza?
 
Maria rise per il suo tono buffo (e la sua risata sincera allargò il cuore ad Arthur), fece un grazioso inchino e si mise in posizione: erano soli, il buio li proteggeva, e finalmente le apparenze e i nomi non contavano più. Si lanciarono nel ballo, allegro, saltellante e frenetico come solo un reel può essere, più veloci delle preoccupazioni e delle sofferenze degli ultimi mesi.
 
Quando la musica finì, Arthur e Maria si fermarono ansimando e ridendo ancora. Si guardavano senza vedersi realmente, perché si erano allontanati ancora dalla casa, e ormai erano sotto le prime piante scure, ma si sorridevano, e sapevano che l’altro ricambiava il sorriso.
 
― Sai, era un pezzo che non stavo così bene. Ballare mi piace, e soprattutto ti ho fatto sorridere! Sei stata il mio unico conforto, a casa dei tuoi, senza parlare di tutto quello che hai fatto per salvarmi, e io per te riesco a fare così poco …
 
― No, niente gratitudine, ti prego … Altrimenti dovrò sgridarti.
 
― Sgridarmi, e perché? Solo perché ti sono riconoscente?
 
― No … ― , di colpo Arthur percepì che Maria si era fatta seria. – Perché mi hai mentito per mesi …
 
Questa fu come una frustata per Arthur! Non l’aveva mai considerata in questo modo, ma in effetti dal punto di vista di Maria poteva sembrare proprio così: lui aveva recitato la parte del fidanzato per dei mesi.
 
― Perché l’hai fatto?! Io ti avrei aiutato prima, ti avrei creduto, o pensavi di non poterti fidare di me? Se davvero ti sono stata di un qualche conforto, perché non hai pensato a me? – Maria sussurrava, ma c’era qualche cosa di stridente e doloroso nella sua voce: ― Io ci credevo, sai? Credevo di essere la tua fidanzata, che tu mi … Oh, perché?
 
― Chiamami vigliacco, se vuoi: l’ho fatto perché avevo paura. – Arthur sussurrò a sua volta, iniziando a tremare: ― Io ero continuamente sorvegliato, spiato, e non potevo parlare liberamente con nessuno. A quel ballo, quella sera, incontrai Georgie, ti ricordi? Non dissi niente nemmeno a lei. E scrissi una lettera d’addio a lei e a mio fratello, quando riuscii a comunicare con loro, perché anche per loro era pericolosissimo avvicinarsi a me!
 
Ora, Arthur parlava affannosamente, sempre più concitato:
 
― I tuoi … mi ripetevano di continuo che sarei stato ucciso subito, se non fosse stato … per te. Tu mi hai salvato dal primo giorno! Ma mi dicevano che mi avrebbero ammazzato se ti avessi detto una sola parola, e alla fine … avevano deciso di uccidermi comunque. Maria … io avevo paura per me e anche per te, ma non volevo mentirti! Però, se dovessi farlo di nuovo, ti nasconderei tutto ancora, perché quelli lì … perdonami, ti supplico … erano degli assassini, e chissà che ti avrebbero fatto!!! E se tu … e se invece tu non mi avessi creduto …
 
― Basta, ora calmati! – Maria interruppe il fiume di sofferenza che Arthur non riusciva più a controllare. Il ragazzo aveva la voce spezzata, stava per piangere, e lei invece usò un tono fermo ma delicato: ― Hai ragione tu, hai fatto bene. Ma ora, ti prego, calmati …
 
La tenerezza di Maria era ancora tutta per lui: gli si era avvicinata, e nel buio gli aveva posato una mano sul petto ansante, mentre con l’altra gli accarezzò una guancia. Ne avevano passate tante insieme che quel suo gesto così intimo era giustificato.
 
― Volevi proteggermi, e io non l’avevo capito … in effetti, è vero: quando tu sparisti nel cunicolo, arrivò di corsa mio fratello, e vedendo che ti avevo fatto scappare, mi minacciò!
 
Che cosa?! Che maledetto … ti minacciò?!
 
― Non poté mai mettere in atto la sua minaccia, naturalmente, perciò non so che cosa mi volesse fare, mi disse solo “Avrai quel che meriti!” … Mio Dio, devi aver vissuto nel terrore!
 
― Maria … Ti rendi conto che ero spacciato? Tuo padre mi avrebbe fatto ammazzare, era già deciso, e tu mi hai salvato! Perciò … sì, lo so io che cosa ti meriti: tanta felicità. Sei sempre dolcissima con me! ― , e dolcissimo era anche il suo tono di voce, in quel momento: ― E io ti ho scritto di venire per incontrarti, senza più prigioni o costrizioni! Perché vorrei tanto continuare a vederti, sei l’unica cosa bella che Londra mi ha dato …
 
― Ma questo non avverrà. – I due ragazzi sobbalzarono! A parlare, con voce sonora e perentoria, era la zia Constancia, giunta senza che loro se ne avvedessero. La dama aveva visto Arthur portar fuori Maria e aveva atteso, poi non vedendoli rientrare era uscita a cercarli. Le loro voci l’avevano guidata facilmente.
 
― Non se la prenda, Signor Butman, ma è fuori discussione. Maria ha degli obblighi verso il proprio ceto e il proprio casato. Per volontà di suo padre, non potrà sposarsi prima dei diciotto anni, e in questi tre anni avrà tutto il tempo d’incontrare un uomo adatto, per nascita e posizione. Capisce bene che voi due venite da due mondi completamente diversi!
 
― Zia, ti prego …
 
― Maria, vieni via. Io ho acconsentito ad accompagnarti qui perché ci tenevi tanto, ma è il caso che qualcuno ricordi a questo giovane il suo posto e a te il tuo!
 
― Adesso l’ha fatto, Milady, sarà soddisfatta! ― Dal piazzale, si erano avvicinati Georgie e Lowell: gli sposi si erano presi un momento di tregua, e avevano colto benissimo il senso dell’intervento di Lady Dangering. Lowell non si trattenne: ― Ora non crede che sarebbe giusto dar loro almeno il tempo di salutarsi?
 
― Arthur, Maria … noi accompagniamo dentro la nostra ospite. – Georgie era dispiaciutissima, ma lei e Lowell non potevano fare altro che spingere la nobildonna a concedere ai due ragazzi ancora qualche minuto.
 
― Maria … fa’ presto. Stiamo per andarcene. –, e Lady Constancia si allontanò al braccio di Lowell.
 
Arthur si sentiva come se lo avessero derubato. Non gli pareva proprio giusto che gli fosse vietato vedere Maria solo perché lui non era nobile. Un altro addio, anche se diverso da quello nella prigione di villa Dangering, ma pur sempre forzato, e molto più doloroso. Le mani di Maria erano ancora sul suo petto, dove lui le tratteneva con affetto, come per non staccarsi da lei.
 
― Mi sbagliavo: hanno messo in gabbia anche te …
 
― Mi dispiace, Arthur, è stata arrogante, ma sai, mia zia non è cattiva. Crede solo ad un certo ordine delle cose. Come mio tutore, si sente in dovere di fare quello che le regole e la volontà di mio padre impongono …
 
― Ma cos’è questa storia dei diciott’anni?
 
― Mio padre l’ha scritto nel testamento: non potrò sposarmi prima dei diciotto anni, ed erediterò il mio titolo e la mia fortuna sposandomi solo con un uomo “adeguato” … Quest’ultima cosa non mi ha stupito molto, ma i diciotto anni proprio non me li spiego …
 
― Ma tuo padre quando ha fatto testamento?
 
― Sei mesi fa, circa …
 
― Allora, la parte dei diciotto anni è per me! – Arthur era amaro e risoluto, e intanto stringeva le mani di Maria, cercando di confortarla: ― Tuo padre non voleva che tu sposassi me. Non aveva ancora deciso quando mi avrebbe ucciso, ma pensava che se fosse morto, in tre anni, anche senza di lui, Arwin mi avrebbe fatto sparire, in una maniera o nell’altra!
 
― Oh, Arthur! Stavano davvero per ucciderti … ― Per Maria era troppo, e un pianto violento le esplose da dentro.
 
Arthur l’abbracciò stretta. Ma come poteva riportarla dentro e lasciarla andare via così? Avrebbe tanto voluto trovare parole adeguate, ma provava una gran rabbia verso tutti i Dangering, e al tempo stesso era terribilmente triste per lei. Voleva assolutamente farla smettere di piangere, e gli tornò in mente quel bacio furtivo che lei gli aveva dato dicendogli addio la prima volta. No, lui non poteva! non sarebbe stato giusto: lei doveva smettere di soffrire per lui, e le conveniva dimenticarlo. Allora, la baciò su una guancia, con calore, a lungo, e poi:
 
― Ti prego, non piangere. Almeno, non piangere mai più per me: io voglio solo che tu sia felice, mia dolce, coraggiosa Maria … – E Maria, inaspettatamente, smise di piangere davvero. Perché Arthur era bravissimo a tirare su il morale alle ragazze a cui voleva bene, aveva fatto molta pratica.



Cari lettori e amici, solo due parole tra noi. Intanto, la fanart ha un modello che ho seguito solo parzialmente e che è questo:stock 1034 by sophiaastock, della bravissima sophiaastock (Link all'immagine da copincollare bel browser: http://sophiaastock.deviantart.com/art/stock-1034-93038438).
Infine, con questo capitolo vi faccio tanti carissimi auguri di buon Natale e di un gioioso anno nuovo. Fino a fine anno, infatti, impegni vari
 (e non si tratta solo delle Feste, purtroppo) non mi permetteranno di aggiornare, e probabilmente nemmeno di scrivere. Vi ringrazio sinceramente di aver arricchito tanto questo mio anno, e vi prometto che sarò presto da voi nel 2015. Nel frattempo, spero che stiate tutti bene e che l'anno nuovo cominci per tutti nel migliore dei modi, e vi auguro ancora, col cuore, buon Natale!

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Capitolo 8
*** The Power of Love ***


Arthur dovette riportare dentro Maria, e vederla andar via. Gli dispiaceva moltissimo che se ne andasse così presto, e lanciò un’occhiataccia alle spalle della zia mentre uscivano, ma non voleva portare rancore: il mondo andava così, che ci si poteva fare? In effetti non era colpa della dura zia Constancia, e magari era vero che non era cattiva … Ma la cosa non lo consolava.
 
Nessuno dei due disse “addio”. E Maria lo lasciò col più dolce degli sguardi. Che occhi che aveva, pensò Arthur, così belli e lui per tanto tempo non ci aveva fatto caso!
 
Poi il ragazzo andò da Lowell e gli bisbigliò:
 
Grazie … ―, e l’altro gli sorrise con complicità.
 
Maria salì in carrozza con sentimenti contrastanti. Da un lato, la terribile tristezza di sapere che non doveva più rivedere il caro Arthur, e questo era forse il primo e più forte tra i moti del suo animo sensibile. Dall’altro, la gioia di averlo visto perché invitata da lui, che l’aveva anche cercata con insistenza per ballare; lui, quel caro “Cain” che l’aveva protetta non informandola del suo rapimento perché, semplicemente, era troppo pericoloso. E poi, la dolcezza indescrivibile di quel ballo e di quella conversazione: quanta tenerezza le aveva dimostrato Arthur? Certo, lei non si sarebbe più illusa che lui l’amasse, però … In cuor suo, benediceva quelle tenebre: chissà se alla luce sarebbero stati capaci di calare le difese e mostrarsi senza pudori. Le pareva che la guancia avesse conservato un tepore speciale, e quello unito alla felicità per le nozze di Georgie la faceva sognare di mettersi un abito bianco anche lei, un giorno, e ballare con Arthur, e partire con lui, e fare progetti … Arthur dagli intensi occhi azzurri, che quella sera era bello come il sole, e che sapeva essere tanto carino con lei … Se il ragazzo credeva di averla aiutata a dimenticarlo e ad accettare il proprio destino, si sbagliava enormemente.
 
Nel frattempo, nella grande sala, Abel si stava facendo notare. Era elegante e bello, e lo sapeva. C’era stato un periodo in cui avrebbe cercato di stordirsi bevendo e poi rifugiandosi tra le braccia di una ragazza qualsiasi. Ora non l’avrebbe mai fatto, ma vedere Georgie che levava in alto il calice di champagne francese con suo marito, era troppo perché potesse nascondere il dolore che provava. Così, ebbe paura di rovinarle la festa, e decise di ballare. Non di bere quanto avrebbe fatto un tempo, ma di distrarsi con altre compagnie femminili, anche perché tra le conoscenze di Lowell (in mezzo a tante ragazze scialbe e viziate) qualche bella figliola c’era. L’indomani, non si sarebbe ricordato il viso di nessuna. Doveva lasciare Georgie a Lowell. Definitivamente.
 
Qualcun altro era in uno stato non proprio felice: Joy aveva sempre avuto un carattere allegro, e anche quella volta era sicura di poter mantenere un atteggiamento in linea col suo nome. Georgie che si sposava, una meravigliosa festa in un palazzo che a lei pareva un castello, e lei era stata chiamata a far da damigella, inoltre indossava il vestito più bello che avesse mai sognato di avere! Allora, come mai di colpo si sentiva malinconica? Abel era presente, ed era di una bellezza che, come una luce forte, anche dopo aver smesso di guardarla restava impressa negli occhi. Soprattutto negli occhi di Joy. Ma lui le appariva lontanissimo, mentre lo guardava danzare, portare un bicchiere di bollicine ad una ragazza più grande e raffinata di lei, parlare con questa e con quella sorridendo come un uomo, raccogliere ammirazione e cercarla. Non conosceva questo lato del ragazzo, e si sentiva tremendamente inesperta rispetto a quello che lei stessa provava. Sapeva che lui aveva cercato disperatamente Georgie, ma poi quella si sposava con Lowell, e allora … No, non sarebbe mai venuto il suo turno, con lui.
 
D’un tratto, Abel incrociò lo sguardo della ragazzina e le andò incontro col suo sorriso più aperto:
 
― Joy! … Non ti ho ancora fatto i complimenti, stai benissimo stasera!
 
― Oh, veramente, Abel?! – la ragazza era tutta occhi increduli.
 
― AHAH! Quando una signorina della buona società riceve un complimento da un uomo, non deve mai mostrare di stupirsi! Al massimo ringrazia … Joy, sei veramente carina. Ti va di ballare?
 
Certo, che le andava! E ballò, consapevole del suo primo dolore d’amore. Abel era gentile, le era affezionato, ma non era per lei. Ballò anche con Arthur, che scherzò con lei come con una vecchia amica. Georgie dedicò molte attenzioni a lei e alla sua famiglia. Così, quando più tardi, andando via, sua madre le chiese se si era divertita, Joy rispose di sì, ma intanto in cuor suo disse addio ad un’illusione. Non si rendeva pienamente conto del fatto che, quella sera, Abel si era sforzato di fare esattamente la stessa cosa. E non immaginava che, di tutte le ragazze presenti, lei era quella con cui lui si era rilassato veramente, perché la considerava un’amica molto importante.
 
Naturalmente, Abel ballò anche con Georgie. Non fu facilissimo per lui, ma lo fece, augurandole felicità ad ogni passo. E con Georgie ballarono parecchi altri cavalieri, tra cui lo sposo, ovviamente. Lowell, forse, era il più felice di tutti: nella sua partenza, lui era quello che non lasciava praticamente nessuno (se si esclude la sua amatissima nonna). Partiva con Georgie anziché con Elisa, cosa impensabile fino a due settimane prima; e non aveva più paura nemmeno della malattia, che insidiosa, si era ripresentata dopo l’operazione. Georgie lo guardava con occhi splendenti, gli sorrideva, la sua piccola mano lo toccava nella danza e ad ogni occasione (per prendere un bicchiere o un piatto che lui le porgeva, per attirare la sua attenzione, per appoggiarsi al suo braccio nell’atto di attraversare la sala, o per fargli una carezza di nascosto). Non aveva preoccupazioni, e si sentiva il cuore così leggero che pensò che gli invitati corressero il rischio di vedere lo sposo spiccare il volo e mettersi a volteggiare intorno al grande candelabro, come avrebbe fatto Deegeeree Doo! Neanche per un attimo gli balenò il dubbio di non tornare mai da quel viaggio.
 
Ad Arthur, a sua volta, piaceva davvero ballare: aveva gambe snelle e scattanti, anche se non si divertì più come in quella danza all’aperto, con Maria, perché le altre ragazze presenti non lo coinvolgevano allo stesso modo. Con sua sorella Georgie ballò più volte. Sua sorella, finalmente! Ora si sentiva sicuro di questo sentimento, e altrettanto si sentiva sicura Georgie, specialmente perché dopo un valzer Arthur l’abbracciò stretta ancora qualche momento e glielo disse:
 
― Sii felice, sorellina mia! Mi mancherai, e non so quando ci rivedremo, ma io so che sarai sempre la piccola di casa, per me …
 
Georgie sentì una stretta alla gola e non riuscì a rispondere, ma gli sorrise con gli occhi lucidi, e tutto quello che c’era da dire lo disse così.
 
E la festa continuò, finché non fu abbastanza tardi e tutti gli invitati se ne furono andati. Allora, Georgie e Lowell salirono nuovamente sulla carrozza nuziale che, dopo i saluti agli intimi (il papà, i fratelli, il Signor Allen e il Conte Wilson), li portò via. Il Conte Gerard rimase a guardarla mentre si allontanava, con un nodo alla gola, e si rivolse al Signor Allen, che era ancora accanto a lui:
 
― Se ne va. E non sarà mai più una bambina.
 
Il bravo Signor Allen non aveva figli, ma aveva buon cuore e capiva benissimo la delicatezza del momento. Gli dispiaceva molto per il Conte, ma avrebbe anche voluto dirgli che era stato comunque fortunato a ritrovarla … e ad averla avuta, una figlia così.
 
― Signor Conte … Georgie è una ragazza tanto cara e piena di vita. Con tutte le cose che le sono successe, ha mantenuto l’entusiasmo. Stasera era così felice, e Lowell l’ama davvero! Se Dio vorrà, potrà rivederla presto, e sarà bello vederla felice ancora.
 
― Ha ragione, Signor Allen, ma quello che ho perso della sua vita non lo recupererò mai … Ora ci sono quei due ragazzi, in casa, e mi confortano moltissimo, perché mi ci sono affezionato subito. Ma quanto ci mancherà Georgie!
 
― Non voglio essere indiscreto, Signor Conte, ma … anche loro non resteranno per sempre. Abel ha una carriera a cui pensare …
 
― Che intende dire, mi scusi, Signor Allen? Ci sono progetti particolari per lui?
 
― Ma no, Signor Conte! Io non me ne vado da nessuna parte! – Abel e Arthur erano tornati quasi subito sullo slargo davanti alla casa, per accompagnare anche la famiglia dello sposo a prendere la carrozza che li avrebbe ricondotti a casa loro. I due giovani erano sopraggiunti alle spalle dei due uomini senza essere uditi, perché coperti dalla voce del maggiordomo che chiamava il cocchiere dei Grey e dal rumore stesso della carrozza in arrivo. Avevano così sentito la parte finale della conversazione, alla quale Abel mise fine col suo commento, detto con voce spensierata e sicura. Arthur, però, notò una strana espressione del Signor Allen, e non credette completamente al “no” di Abel.
 
Questo dubbio riaffiorò nella sua mente solo per un attimo, quella sera. Era troppo stanco per pensare a lungo, e poi aveva altre emozioni nell’animo. Soprattutto, aveva conservato ancora la strana dolcezza amara che gli aveva lasciato il saluto di Maria. Ma anche questo non gli impedì di addormentarsi quasi subito, mentre non fu così per suo fratello. E per altri, naturalmente …
 
Georgie e Lowell salirono nella loro stanza nuziale. La trovarono riscaldata dal camino acceso, e tutto quello di cui potevano avere bisogno li aspettava già pronto per l’uso: i loro bagagli leggeri contenevano la biancheria per quella notte e gli abiti da viaggio per il giorno dopo, due cameriere portarono dell’acqua ben calda e dell’altra fresca nel caso avessero avuto sete, e soprattutto, al centro della bella stanza, troneggiava un ricco letto matrimoniale a baldacchino …
 
La cameriera anziana, evidentemente quella di grado superiore, chiese garbatamente a Georgie se desiderava essere aiutata a cambiarsi d’abito. Georgie non era ancora abituata a queste usanze della nobiltà, e declinò l’offerta, e allora le due servitrici, dopo essersi accertate che gli sposi non avessero più bisogno di loro, augurarono la buonanotte inchinandosi e uscirono. L’altra, la più giovane, nell’uscire sbirciò Lowell con aria sognante e un po’ triste, e lui fece finta di non accorgersene. Aveva sempre fatto finta di non accorgersene: anche se suo padre non l’avrebbe mai ammesso, era normale che i giovani benestanti facessero le loro prime esperienze erotiche con una o più esponenti della servitù (e molte giovani che lavoravano a servizio dovevano decidere se accettare e avere un posto sicuro, o rifiutarsi qualunque cosa accadesse, anche se spesso erano ben contente delle attenzioni del “signorino”; questa specifica ragazza apparteneva a quest’ultima categoria, essendo totalmente invaghita di Lowell), ma Lowell no. Lui aveva un certo senso dell’onore che gli aveva sempre impedito di approfittarsi della sua posizione con una domestica. Con Georgie, si era trattenuto. Con Elisa, non voleva proprio. A pagamento, non gli era nemmeno mai venuto in mente. Così, ora era piuttosto nervoso, alla vista di quel letto ...
 
“Ma che diavolo!” pensò “Questo è il momento di essere felice, non di avere paura! E poi, Georgie sarà più preoccupata di me, tocca a me incoraggiarla!”
 
― Beh, rispetto alla nostra prima sistemazione, mi sembra molto meglio, ti pare? – tentò di sdrammatizzare, con una frase qualsiasi.
 
― Io mi accontenterei di nuovo, purché fosse con te …
 
“Ah, Georgie! Touché! Tu non ti lamentavi mai, mentre io ero solo un peso per te! Eri molto più forte di me allora e lo sei adesso …”
 
― Tu sei capace di qualsiasi cosa, mia tenera Georgie. – disse con grande serietà, mentre le prendeva una mano tra le sue – Io chiaramente no. Ma spero di essere degno di te, ce la metterò tutta. Solo con te e solo per te … Georgie … Grazie di aver voluto proprio me.
 
Le baciò la mano. Georgie era emozionata e cominciò a tremare leggermente. Lowell l’amava così tanto, la considerava così forte, veramente?! Non aveva mai pensato a se stessa in quel modo. Dunque quello era il legame nuziale più profondo … voler essere migliori per far felice la persona amata, sapendo benissimo che ci accetterebbe ugualmente …
 
― Vado fuori, così puoi cambiarti …
 
― Lowell! … magari basta che ti giri … come facevamo allora … ― Georgie non voleva aspettare da sola, perché non voleva far salire il suo nervosismo ancora. Desiderava la presenza di Lowell per sentirsi più sicura.
 
Così, si cambiarono dandosi le spalle come avevano sempre fatto, uno da un lato del letto e l’altra dall’altro. Poi, si girarono, e Lowell la guardò come non l’aveva mai guardata. Ora poteva! Oh, la bella Georgie era ancora più splendente che nei suoi ricordi e desideri! E gli sorrideva …
 
In realtà, a Georgie veniva un po’ da ridere, sia per il nervosismo, sia per questa buffa abitudine di cambiarsi senza guardarsi, dopo che lei lo aveva completamente spogliato (e guardato!) prima ancora di sapere il suo nome! Rideva tra sé del ricordo di quel momento, che aveva segnato il risveglio della sua adolescenza. Ma era anche tanto tesa! Chissà perché, ricordava ogni sillaba di quello che le aveva spiegato la buona Emma, e sapeva che doveva aspettarsi qualche cosa di bello, ma non le era molto chiaro che cosa …
 
Lowell spense un elegante lume ad olio, poi prese la via più breve per raggiungere Georgie: attraverso il letto, dal quale la invitò con un gesto. Georgie gli si avvicinò col respiro che le mancava, perché lo voleva stringere a sé ma non sapeva come, pensava “lo bacerei tutto!” ma non sapeva bene che cosa significasse, e intanto tremava più di prima.
 
― Non aver paura, dolce Georgie: questo è il momento di essere felici … ― , intanto l’attirava a sé, finché lei sentì il calore della sua pelle contro la propria ― … e tu sei … tanto bella …
 
Finalmente, Lowell la stava baciando (e non di sorpresa, stavolta, ma proprio come lei voleva). E l’abbracciava, accarezzandole la schiena attraverso la delicata e sottile camicia da notte bianca che le lasciava scoperte le braccia. E con quelle braccia, Georgie lo stringeva sempre più convulsamente, sospirando tra un bacio e l’altro, perché sentiva che la sua ansia lentamente si dissolveva lasciando il posto ad un’altra cosa … che prendeva tutti i suoi pensieri e la rendeva audace. Poi infilò una mano sotto la casacca del pigiama di Lowell, per scoprire meglio com’era il suo amato. Lui se la sfilò senza farsi pregare, e intanto la guardava: la sua sposa desiderata a lungo, l’unica, ora finalmente era lì, con addosso un velo di cotone ricamato e nient’altro, con le guance rosse e le labbra già di nuovo vicinissime alle sue …
 
Presto ogni altro vestito che indossavano sembrò volare via, per lasciare spazio all’amore. Georgie si rese conto di non aver mai provato una tale felicità. La paura pareva svanita! La luce del camino accarezzava la pelle chiara di Lowell, guizzava sui suoi riccioli biondi, tremolava nei begli occhi azzurro cielo che l’ammiravano per un attimo, prima di chiudersi per assaporare meglio quelle sensazioni stupende mai provate, e poi di nuovo si aprivano su di lei con desiderio e curiosità, con lo stupore irripetibile della scoperta.
 
E quegli occhi, mentre non smettevano di ammirare Georgie, di esplorarla, leggevano il proprio stesso desiderio nei gesti e nello sguardo di lei. Quello era il corpo di Georgie, che popolava i sogni di Lowell ma che gli era sempre sfuggito, anche nella fantasia. Quello era l’amore che lui non era mai riuscito ad immaginare, eppure l’aveva sognato tanto. Lo faceva impazzire il fatto di poterla amare. Voleva farla felice e cercava i modi migliori per riuscirci, ascoltando ogni sua più piccola reazione. Era bello, e non gli bastava mai.
 
E Lowell amò Georgie. Lo fece con tutte le sue forze, portandola con sé in un mondo sconosciuto a tutti e due, fino all’ultimo sospiro caldo. Ebbe la soddisfazione di sentirla cedere al piacere che le offriva; poi perse la coscienza della realtà, travolto da un brivido meraviglioso che lo scuoteva dentro violentemente; infine, incrociò lo sguardo verde di Georgie, e vide che sorrideva, che in quello sguardo c’era ancora un velo di passione appagata.
 
Georgie lo guardava riemergendo da un sogno nuovo per lei, e chissà perché le vennero in mente i suoi fiori preferiti, le mimose della sua Australia che in primavera riempivano gli alberi di giallo e di profumo. Dovevano essere in piena fioritura … che gioia le davano, che serenità[1] … come in quel momento, in cui si sentì perfettamente in pace e piena d’amore:
 
― Ora sono una regina, Lowell … È stato come tornare a nascere … solo grazie a te …
 
La loro felicità, che ai due innamorati pareva giunta a completamento, era solamente iniziata.
 
La mattina dopo, Georgie aprì gli occhi per prima. O meglio, li spalancò di colpo per essere sicura di non aver sognato il ricordo che si era appena affacciato alla sua mente, e vide un cherubino dormire accanto a sé. Era tutto vero, era successo, e lui ora – adagiato su un fianco, totalmente rilassato, con una mano rivolta verso di lei come se avesse appena lasciato la sua – dormiva serenamente l’ultimo sonno del mattino. E su quella sua mano, alla debole luce che filtrava dalle finestre velate, spiccava una fede dorata. A parte un cane che abbaiò in giardino, e un richiamo lontano, c’era un tale silenzio che Georgie sentiva il respiro ritmico del suo Lowell:
 
Sospiri nel mattino[2]
di amanti addormentati,
vicinissimi,
rotolano via come il tuono ora
che ti guardo negli occhi”.
 
Perché le venne in mente il tuono, se tutto era quiete? Lowell si era svegliato in quel momento, e i loro occhi si erano incontrati. E a lei sorse alla mente l’immagine di lui che aveva creduto di vedere quella mostruosa notte di pioggia e follia, in cui sua madre l’aveva cacciata e lei, inseguendo l’illusione di averlo lì davanti, era caduta nel fiume. Nelle sue orecchie, confusamente, quella notte arrivavano i rumori del temporale e del fiume ingrossato, e col tempo erano rimasti fusi con il ricordo della visione di Lowell che la chiamava a sé. Ora, sentiva la stessa forza che l’attraeva verso di lui, perché lui l’aveva chiamata piano, nel vederla al suo risveglio. Solo che era proprio vero, stavolta, e lei non sentiva né freddo né paura: tese una mano e lo toccò, poteva abbracciarlo! Lowell ripeté soltanto “Oh, Georgie …”, mentre si lasciava abbracciare stringendola di nuovo, pelle contro pelle, come la notte prima. I pensieri di Georgie furono assorbiti da lui:
 
Mi aggrappo al tuo corpo
e sento ogni tuo movimento,
la tua voce è calda e tenera …
 
― Lowell … Non potrei mai rinunciare a questo amore.
Perché io sono la tua donna
e tu sei il mio uomo!
Ogni volta che avrai bisogno di me,
farò tutto quello che potrò,
e anche se ci dovessero essere momenti
in cui ti sembrerò distante,
tu non dovrai mai chiederti dove sono
perché io sarò sempre al tuo fianco!
 
Lowell era al colmo della felicità per le parole che lei gli aveva appena detto, e l’emozione era tanta che anche Georgie ne fu sopraffatta e non riuscì a dire altro per un po’, mentre i suoi pensieri, cullati dall’abbraccio di Lowell, continuavano il loro percorso:
 
Andiamo verso qualcosa,
un luogo che non conosco,
e a volte ho paura ma sono pronta ad imparare
cose nuove sul potere dell’amore.
Il battito del tuo cuore, all’improvviso
me l’ha mostrato chiaramente:
la paura di non farcela, se mai ne ho avuta,
ormai è infinitamente lontana da me …”
 
― Oh, il tuo cuore che batte … lo sento, Lowell …
 
E Lowell, silenziosamente, con gli occhi umidi e chiusi, ringraziò Dio.
 

[1] Le mimose sono una citazione letterale del manga: nella scena in cui Georgie fa l’amore con Abel, le vengono in mente l’Australia e le sue mimose, rappresentate graficamente, anche se lei non le nomina.
[2] Nella parte finale del capitolo, sono inseriti in corsivo dei versi, tradotti da me con qualche libertà, della canzone “The Power of Love”, scritta ed interpretata da Jennifer Rush nel 1985 per la CBS. Ovviamente, tutti i diritti per la canzone sono suoi e della casa discografica. A prescindere da tutte le interpretazioni successive, consiglio la sua prima versione, di cui inserisco il link al video con testi in lingua originale:
https://www.youtube.com/watch?v=vLeoiJ1x1xs
Il video è opera di SK, che non possiede i diritti del brano.




Angolo dell'autore. Miei cari lettori, buon anno. Spero davvero che le vostre Feste siano passate nel modo più bello e sereno, per quanto mi riguarda non mi lamento, tutto considerato.
Dico "tutto considerato" perché la mia vita con l'anno nuovo non si presenta più semplice, ma se possibile ancora più complicata che in quello vecchio. A causa di questo e del fatto che sto per finire i capitoli già scritti, diraderò gli aggiornamenti. Questo mi dispiace moltissimo, anche perché quando ho iniziato non sapevo che  mi aspettava un periodo tanto confuso e difficile, e andando avanti speravo che almeno avrei trovato delle soluzioni.
Come sempre mi capita, più la mia vita è scomoda, più le mie storie sono dolci (sempre se ho tempo di scrivere!). Forse avrei dovuto avvisarvi che questo capitolo è ad alto tasso di zuccheri! C'è anche un elemento diverso dal solito qui, una specie di esperimento: ho notato che la songfic è una dimensione affascinante in cui mi trovo bene, e qui ne ho incastonata una in una storia lunga. Lo farò di nuovo, credo, perché in questa storia ci sta bene. Sempre se la cosa non vi disgusta!
Non sono invece riuscita ad inserire una fanart che volevo fare, sempre per mancanza di tempo, ma non è escluso che in un secondo momento l'aggiunga ...
Grazie per aver letto e scusate la prolissità di questa nota finale. Grazie per le eventuali recensioni che vorrete lasciare. E grazie ancora per tutta la vostra simpatica attenzione, miei carissimi lettori! A presto ...

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Capitolo 9
*** Irrequieto ***


 
In realtà, quella mattina, Georgie e Lowell ebbero solo pochi minuti per svegliarsi, sorprendersi del fatto di essere vicini, ricordare gli eventi recenti e stringersi ancora, in quel letto gigante. Poi, dovettero prepararsi, assicurandosi di non aver dimenticato niente, di essere insomma pronti per un lungo viaggio.
 
Uscendo, trovarono la servitù schierata in due ali al lato dell’ingresso, lungo le scale del portico. Non molto personale, ma tutto “storico”, e tutti volevano vedere il giovane sposo un’ultima volta. Lowell infatti non lo sapeva, ma nessuno aveva dato l’ordine alla servitù di salutarlo: si erano disposti così di loro iniziativa, perché avevano visto nascere e crescere quel ragazzo, conoscevano bene la sua solitudine, lo avevano ascoltato con ansia mentre tossiva giorno e notte, avevano trepidato con discrezione per le sue nozze. Ora, lui e la sua bellissima sposa se ne andavano forse per sempre, e parecchi di loro piangevano (la camerierina infatuata, la governante, la cuoca, il maggiordomo … il cocchiere si tratteneva a fatica, ma solo perché avrebbe salutato Lowell più tardi, alla stazione).
 
― Buon viaggio, signor Lowell … Abbia cura di sé …
 
― Si rimetta in forze, e non si dimentichi di noi!
 
― Tanti tanti auguri a lei e alla sua sposa!
 
― Aspetteremo le sue lettere! Arrivederci, signor Lowell …
 
E Lowell scoppiò in lacrime.
 
Bisognava partire, e cominciò la corsa alla stazione, dove i parenti e gli amici più cari degli sposi li aspettavano o sarebbero arrivati, più trafelati di loro, per salutarli.
 
Le valigie, i biglietti, la carrozza di prima classe e poi i saluti. Abel e Arthur salirono a bordo, per dire a Georgie tutto quello che sapeva già: che doveva essere felice, che sarebbe mancata tanto a tutti e due, che si sarebbero scritti sempre, che speravano solo che la salute di Lowell si ristabilisse perfettamente.
 
La famiglia di Lowell pianse quanto ci si poteva aspettare, ma per Lowell era già molto di più di quello che si aspettava lui. Sua nonna gli passò di nascosto un pacchetto, dicendogli di darlo a Georgie quando fosse partito il treno, e lui lo nascose in fretta tra i bagagli, per poi piangere a sua volta: sua nonna non era perfetta, aveva tanti difetti, ma lui non aveva mai avuto una famiglia a parte lei.
 
Il Conte Gerard era il più affranto. La sua bimba non c’era più, ormai per sempre, e al suo posto c’era una giovane moglie che partiva col marito verso una meta ancora da definire bene, perché lui potesse guarire (cosa tutt’altro che certa). Ma era anche fiero di lei, e felice, perché Georgie era amata e amava, era sposa e piena d’entusiasmo, e niente gliel’avrebbe più portata via.
 
Tutti gli altri erano commossi e felici (anche perché tutto era andato bene, in quel tour de force, ed Emma sapeva quanta fatica c’era voluta!). Ci fu l’ultimo avviso, i giovani Butman scesero dal treno (adoravano i treni fin da piccoli, da prima di vederli), e poi un fischio, una serie di porte si chiuse sbattendo e il treno, lentamente, sbuffando, si mosse, sul binario della stazione che portava il nome della Regina, diretto a Dover, poi a Calais, e poi incontro al suo destino: essere diviso perché i viaggiatori potessero prendere le rispettive direzioni. Lentamente, Georgie e Lowell si dovettero voltare e poi sporgere dal finestrino per vedere i loro cari che sventolavano mani e fazzoletti, anch’essi come loro con gli occhi umidi (o in lacrime).
 
― ARRIVEDERCI! TI SCRIVERÒ, PAPÀ!
 
― CIAO, E NON TI DIMENTICARE DEI TUOI FRATELLI! SCRIVI ANCHE A NOI!
 
― MI MANCHERAI, GEORGIE! – Ad Abel il cuore si spezzò ancora un po’.
 
Poi, il treno fu troppo lontano, e i due sposi sparirono agli occhi dei loro cari.
 
Tornando a casa, Abel non disse una sola parola, mentre Arthur e il Conte parlavano, e il Conte Wilson con loro cercava di tirar su il papà di Georgie. In realtà, c’erano molti motivi per essere felici, ma naturalmente Abel non ci riusciva (e anche per gli altri uomini nella carrozza, veramente, non era facile affrontare la realtà).
 
“Quel damerino”, così Abel aveva definito Lowell nel momento in cui aveva scoperto che Georgie era innamorata di lui. Adesso, non se la sentiva più di chiamarlo così, ma si sentiva lo stesso tradito nelle sue speranze più intime. Aveva diviso tanti anni con lei, così vera ed innocente, e dove avrebbe mai potuto trovare un’altra così? che avesse quella stessa generosità, quella risata aperta, quella totale assenza di malizia? quei riccioli tanto belli … quella grazia e quelle labbra … Non ce n’era un’altra, e lui che aveva percorso i sette mari solo nella speranza di dimenticarla, era riuscito solo a sconvolgerla e deluderla a causa dell’impeto della sua passione. Ma non rinnegava quello che aveva fatto: l’amore che provava era talmente forte e sincero, che gli parve di essere giustificato, e si perdonò. Finalmente …
 
Nel frattempo, il treno si allontanava, superando i sobborghi e le fabbriche chiuse nel giorno festivo. Lowell e Georgie sedevano nel loro bello scompartimento di prima, ma nonostante la loro felicità, per lei le lacrime parevano in agguato ogni momento. In effetti, aveva pianto di meno partendo dall’Australia, perché allora non aveva nessuno con cui aprirsi, e mille angosce le occupavano la mente, e invece ora aveva tutto il tempo di pensare ai cari visi che lasciava, e la comprensione di Lowell la spingeva a lasciarsi andare.
 
Per fortuna, il novello sposo trovò il modo di distrarla, dandole il pacchetto che le mandava sua nonna. Georgie aveva un carattere forte e allegro, e subito la curiosità prese il sopravvento. La sorpresa dei due giovani fu forte quando videro che cos’era: una scatola divisa in tre scomparti quadrati in fila, di cui i due laterali contenevano dei bellissimi, elaborati bonbon fatti a mano, e quella centrale un anello con uno zaffiro ovale montato con altre pietre più chiare e più piccole:
 
― Questo anello è per te, Georgie, e io lo conosco: mia nonna ci tiene. Oh, c’è un bigliettino piegato sotto. Dice “Benvenuta, Georgie”! La nonna …! Hai visto quanto bene ti vuole?
 
― Sì!... Vuol dire che non mi ha accolto solo per entrare nella nobiltà! – La bella Georgie era raggiante, e abbracciò Lowell. Un altro conto in sospeso era stato chiuso, mentre una nuova vita si apriva.
 
Finalmente, la carrozza che trasportava il gruppetto dei familiari di Georgie e il Conte Wilson arrivò a casa di quest’ultimo. Era passato mezzogiorno di una ventosa, strana domenica mattina. L’autunno si annunciava di cattivo umore.
 
Era stata recapitata una lettera per Abel, ma Abel non l’aprì: prese un cavallo e partì per chissà dove. Prima di andare, disse a suo fratello solo “ciao”, e questa fu la risposta di Arthur:
 
― Lo so, coraggio … Io ti aspetto, non fare troppo tardi …
 
Al Conte Gerard, invece, Arthur disse che probabilmente Abel sarebbe tornato solo nel pomeriggio.
 
Così, il ragazzo cavalcò. Voleva dimenticare, piangere, stare solo. La prima cosa era impossibile, la seconda non gli riusciva, la terza solamente si stava realizzando. Abel, cresciuto in campagna sapeva quali erano i limiti del cavallo, e questo lo frenava naturalmente dal chiedergli troppo. Ma il suo cuore era molto più addolorato di quanto la corsa potesse sfogare. Abel superò i confini di Londra e si fermò. I dintorni erano abitati comunque, anche se in modo disordinato e non fitto. Casette, tutte appartenenti a coloro che, coltivando da sé i prodotti che poi consumavano, cercavano di superare il rifiuto che la città aveva opposto alla loro integrazione, alla loro ricerca di riscatto e progresso.
 
Il ragazzo si appiedò e prese a calci un sasso, poi sferrò due pugni ad un albero, sempre sforzandosi almeno di piangere, poi vide che un uomo anziano lo guardava da sotto un berretto di velluto grossolano. Allora smise, col fiatone e le nocche che si arrossavano.
 
― Ce l’hai con qualcuno in particolare? perché non penso che l’albero c’entri.
 
― No … non c’entra, è vero … Sono proprio ridicolo, eh?
 
― … Ho visto di peggio …
 
― Ah, grazie! Meno male … no, non sono ubriaco, se è questo che pensa …
 
― Senti, bel ragazzo: io non ti chiedo a che diavolo pensi tu, perciò fammi il favore di non pretendere di sapere che accidenti penso io! – Quell’uomo, chiunque fosse, era irresistibile! Ebbe l’effetto di far calmare Abel, e nello stato in cui si trovava, non era un effetto trascurabile.
 
― Ha ragione, è vero … tanto non glielo direi … ma mi scusi, non volevo essere inopportuno.
 
― … Giornataccia, eh? ma è vero, non sei ubriaco. Ti va un tè? un bicchiere di latte caldo, magari?
 
― Grazie, sì … in effetti, non ho pranzato …
 
Allora, l’uomo mangiò con lui: pane e formaggio, da tagliare e portare alla bocca col coltello. E una patata: un frugale pasto contadino. Comunque fosse, uno sconosciuto era meglio che uno della famiglia, perché lui non sapeva che cosa lo tormentava, e si mantenne fedele alla condotta che aveva scelto, quella di non chiedere. Abel trascorse con lui buona parte del pomeriggio: lo aiutò con l’orto, riparò lo steccato, spaccò la legna, sistemò meglio il pollaio. Il lavoro dei campi, dopo tanto tempo, era quello che gli ci voleva … sentire di nuovo la zappa in mano, gli odori tipici, i rumori delle galline che razzolavano nel silenzio.
 
Mentre lavorava, Abel alzò lo sguardo e vide uno stormo a “V”, com’è frequente all’inizio di ottobre. Andavano a sud … come sarebbe piaciuto fare anche a lui. Come faceva in quel momento Georgie, mentre viveva il suo primo giorno da sposa: “Tanti auguri, amore  mio …”, poi, sempre senza parlare, il ragazzo abbassò nuovamente il capo e riprese il lavoro.
 
Quell’uomo doveva essere un buon diavolo: non aveva molto, ma divideva spontaneamente e sapeva essere riconoscente. Dopo aver rifocillato anche il cavallo, Abel gli lasciò nome e indirizzo, prima di andarsene, nel caso a quella persona fosse servito qualcosa. Ma l’uomo non ringraziò, si limitò a salutarlo: la sua povertà non era più potente del suo carattere, che preferiva offrire che chiedere.
 
Abel rientrò a sera. Salutò tutti senza espressione e senza dire dove fosse andato, affermando solo che sarebbe stato puntuale per cena. Poi, prese la posta (recapitata con un corriere privato, visto che era domenica) e vide che l’unica busta, quella per lui, riportava, con una grafia elegante ma semplice, il nome di Rebecca Clark. Ad Abel non diceva nulla, finché non la lesse:
 
Caro Abel,
 
ti ricordi ancora di me? Ci siamo conosciuti nella lontana Australia, quando eravamo appena due ragazzini: io sono Becky (all’epoca, mi chiamavano tutti così), quella che t’invitò, coi tuoi fratelli, ad una festa di compleanno. Dodici, ne compivo, ricordi? Temo di sì, che ti ricorderai di me, com’ero …
 
Ti sto scrivendo in fretta, ma non potevo non farlo subito: sono in Inghilterra da meno di una settimana, e avevo letto del matrimonio di Lowell J. Grey e Georgie Gerard, ma non avevo capito che si trattava della nostra Georgie finché non ho letto le cronache mondane sul giornale di oggi, coi vostri nomi e la storia del ricongiungimento tra il Conte Gerard e la sua figlia perduta. Per questo, sapendo che lei sta per partire, ti scrivo di corsa, sperando che tu riceva la mia lettera in tempo, ma ne dubito! Il fatto è che vorrei tanto scusarmi con lei, più ancora che con te e Arthur. Un tempo, ero un’odiosa snob, viziata e prepotente. Non ho giustificazioni per il mio comportamento di allora, ma mi scuso lo stesso con tutti voi. Sono cambiata, sai? E sono tanto felice per Georgie. Una Contessa, nientemeno! Ma non c’entra, questo, io mi vergognerei lo stesso di averla trattata male, ero una vera sciocca, e infatti ci pensò tuo fratello a mettermi a posto! Come sta Arthur? Ho letto, confusamente, che gli sono successe cose brutte, e mi dispiace, era un ragazzo generoso e in gamba. Spero che sia tutto superato. E che mi perdoni!
 
Senti, mando subito il corriere, e qui sotto metto il mio indirizzo: se mi puoi salutare Georgie, dille che io le auguro tanti anni di meravigliosa felicità. Ma anche se non ce la fai, rispondimi. Mi farebbe tanto piacere rivedere te e tuo fratello, e almeno vorrei sapere come stai. Spero proprio che tu stia bene.
 
Nel frattempo, resto la tua affezionata
 
Becky.
 
Cara Becky,
 
ma che sorpresa! Certo che mi ricordo di te, eri carina e suonavi così bene il piano! Certo, coi cavalli non era che ci sapessi fare tanto … Sto scherzando, naturalmente. La tua lettera mi ha fatto veramente piacere, non immaginavo mai di riceverla, e oggi mi ci voleva. Perché Georgie se n’è andata.
 
No, il messaggio non mi è arrivato in tempo perché gliene potessi parlare, ma ti prometto che lo farò la prima volta che le scriverò. Ma prima di allora, mi piacerebbe rivederti. Io ho un lavoro a tempo pieno come assistente di un grande armatore e progettista di navi, ma sono libero tutte le sere e tutte le domeniche, perciò scegli tu il momento e il luogo.
 
 Certo che ti scuso per quella bravata, eravamo dei ragazzini sconclusionati, e a quell’età abbiamo fatto tutti cose un po’ stupide. Io ne ho fatte parecchie anche dopo quell’età.
 
L’unico che di sciocchezze non ne ha mai fatte è Arthur! Mio fratello non è cambiato per niente, è solo più alto, ma per il resto è ancora maledettamente saggio, rispetto a me. Ma questo nel suo caso è un dono: è vero che gli sono accadute cose molto brutte, e chissà come ne poteva uscire … Invece, per fortuna, è sempre lo stesso e sta bene, ormai. Non vedo l’ora di dirgli della tua lettera, ma prima volevo risponderti. Ora posso andare a dargli la notizia: chissà come sarà sorpreso!
 
Attendo una tua risposta, quando sei comoda, e grazie di esserti ricordata di noi.
 
Sinceramente
 
Abel Butman.
 
E non appena vide Arthur, Abel gli comunicò la novità:
 
― Non immaginerai mai di chi era la lettera che ho ricevuto prima! Becky, te la ricordi?
 
― Oddio! ... Sì, me la ricordo, quella là … Ma mica sarà a Londra, vero? E che vuole?
 
― No, aspetta, non essere troppo severo con lei: la lettera che mi ha scritto è molto simpatica …
 
― Oh, già, certo! Mi ricordo che ti è sempre piaciuta!
 
― Ma dai, che dici? – Abel mentiva sapendo di mentire.
 
― Che dico, eh? Ah, tu osi negare che ti eri preso una scuffia tremenda per lei! Povero Abel, non capivi più niente! Anche quando trattò male Georgie non hai mosso un dito per difenderla, e lei che, poverina, cercava in tutti i modi di compiacere quella Becky!
 
― Uffa, Arthur, va bene! – Ad Abel veniva da ridere, suo fratello lo prendeva in giro ma non aveva torto. Era sorprendente, comunque, che gli venisse da ridere in un giorno simile, ed Arthur avrebbe volentieri continuato a punzecchiarlo, se era quello che ci voleva per distrarlo e farlo sentire più leggero.
 
― Però guarda che sembra davvero molto cambiata, e si è scusata più e più volte per quella faccenda della festa. Ha anche un sacco di belle parole per te! Non ci credi? – Non ci credeva. – Senti qua: “Come sta Arthur?”, ecc. ecc., “… era un ragazzo generoso e in gamba. Spero che sia tutto superato. E che mi perdoni!”
 
Arthur, che non era abituato a ricevere complimenti da ragazze quasi sconosciute (e nemmeno da quelle che gli erano familiari, veramente), rimase senza parole, per la soddisfazione di Abel, che continuò:
 
― Allora, non ti è più simpatica, adesso? Spero proprio di sì, perché le ho risposto, e fisseremo un giorno per rivederci!
 
“Oh, no! Ancora l’alta società!” pensò Arthur. Ma notò che ad Abel, stranamente, questo pensiero non pareva proprio essere venuto in mente. “Va be’, contento lui …”
 
― D’accordo, te lo concedo: è simpatica. Ma mica dovrò venire anch’io? … I suoi inviti sono sempre per te!
 
Invece, dopo due giorni, arrivò un biglietto di Becky che invitava i due fratelli a prendere il tè in una rinomata sala da tè e pasticceria del centro per la domenica seguente. Un invito appropriato, non troppo intimo, non troppo impegnativo: sarebbe stato strano, infatti, invitare solo Abel, da parte di una ragazza con la quale non c’era né parentela né consuetudine. Arthur era sicuro di essere stato invitato solo per questo.
 
E non era l’unico invito che avevano ricevuto: i Barnes davano una festa da ballo, di lì a tre settimane, per festeggiare la fine della stagione della caccia e il ritorno in città di tutti quei loro amici che passavano l’estate in campagna. A questo secondo invito, però, Abel non pareva interessato. In realtà, era piuttosto abbattuto ma si sforzava di non darlo a vedere. “A che mi servono tutte le ragazze di una festa”, pensava “se Georgie non c’è? Lei è di un altro, adesso. Lontana e perduta. E io non voglio ballare.”




Angolo dell'autore: Cari lettori e amici, pubblico questo capitoletto con titubanza. Innanzitutto perché è, appunto, un capitoletto, che si regge sul vento e sulle inquietudini non dichiarate di Abel, niente di più. Scusatemi per questo, ma è stato scritto di getto un paio di mesi fa come se fosse indispensabile, per dare un po' di silenzio ad Abel. Poi l'ho ritoccato, ma soprattutto nella prima e nella terza parte, la partenza e le lettere. La parte centrale è rimasta quasi uguale, ma anche lì ... Volevo una parte realistica e rurale, invece ho sconfinato nel bozzettismo, che è un'altra cosa. E poi c'è la questione principale: le mie storie sono cominciate con racconti che duravano, nel tempo della storia, un giorno o meno; poi, ho ampliato il raggio di tempo, di luogo e di azione, ma "L'angelo con l'ala spezzata", infondo, dura solo sei mesi veri e propri. Da storie che rispettavano la fine originale, sono passata al what if, ma ancora tutto o quasi si poteva derivare dalle premesse come logica conseguenza. Qui, invece, in questo capitolo io esco dalle conseguenze del what if per entrare nella pura immaginazione: ora che Georgie e Lowell si sono sposati, tutti i personaggi hanno una storia che non ha più niente a che fare con l'originale. E si rompe qualsiasi unità di tempo, luogo o azione. Spero di non aver voluto puntare troppo in alto per le mie capacità, e inoltre questo è l'ultimo capitolo che ho scritto, per il resto ho solo scene spezzate. Abbiate pazienza, cercherò di essere puntuale.
Vi ringrazio sinceramente per il vostro appoggio, considero questo quasi come il mio personale regalo di San Valentino a tutti voi. A presto, un abbraccio a tutti
Rubina

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Capitolo 10
*** Sì, viaggiare ***


10. Sì, viaggiare … [1]


E così, arrivò la domenica dell’appuntamento con Becky. Un tè! Proprio con la ragazza che aveva trattato malissimo Georgie e l’aveva fatta ubriacare a tradimento con una torta “corretta” al rhum. Arthur non sapeva bene che aspettarsi, ma intendeva stare bene attento a non essere drogato pure lui! In realtà, ci andava soprattutto perché pensava che a suo fratello avrebbe fatto bene distrarsi, e meglio se con una sua ammiratrice. Abel aveva avuto un’aria abbattuta tutta la settimana, ma niente di più, all’apparenza. In realtà, però, Arthur sapeva che c’era molto di più, e che semplicemente era meglio non parlarne se non ne parlava lui.

 
Il posto era bello, com’era da prevedere. Grandi vetrate con una cornice decorativa incisa si affacciavano sulla strada, permettendo a chi passava di ammirare torte e pasticcini, e tavolini con clienti seduti subito dietro le vetrine. Le maniglie e le rifiniture d’ottone erano lucide, le porte ampie, l’ambiente adeguatamente riscaldato e pieno di profumi. Scaffali con dolci si alternavano ad altri con vasi alti contenenti le diverse qualità di tè, dietro i banconi. Vetrinette addossate alle pareti libere contenevano raffinate confezioni di tè e pasticcini. E dovunque, biscotti, sciroppi alla frutta, caramelle, confetti, croccanti, delicate prelibatezze. I due ragazzi si presentarono puntuali ed iniziarono a guardarsi intorno, e avevano appena individuato un tavolino libero quando si sentirono chiamare da una voce frizzante:
 
― Ciao! Oh, che bello, siete qui tutti e due! I due più bei ragazzi d’Australia!
 
Una figura slanciata, un vestito raffinato ma dall’aria disinvolta, un’acconciatura semplice e un gran sorriso: Becky! I saluti furono cordialissimi, e subito la ragazza stupì i due fratelli con questa frase bisbigliata con complicità:
 
― Sentite, il posto sarà anche alla moda ma è carissimo, non me l’aspettavo! Lasciate offrire me oppure andiamo da un’altra parte, va bene? In nome dei vecchi tempi …
 
― Beh, veramente … Oh, in fondo tra amici si può fare, sì, grazie, Becky! – fece Abel.
 
― Abel, a me non pare che …
 
― AHAH! Arthur, capisco i tuoi scrupoli, ma spero che dopo oggi mi chiamerai amica anche tu!
 
Becky davvero non sembrava la stessa. Anche ad Arthur riuscì difficile continuare a sospettare, non poteva essere affettazione … Insomma, la signorina superba ed egocentrica ora pareva alla mano e sinceramente cordiale. Decisero che poteva offrire lei, e presero posto.
 
― E così, chi l’avrebbe detto, ritrovarsi così lontano da Sidney, eh? Ma ditemi di Georgie! Come ha conosciuto suo marito?
 
Arthur intervenne prontamente:
 
― Beh, ha conosciuto Lowell l’anno scorso, in Australia, per l’inaugurazione della nuova ferrovia.
 
― Ah, già, come nipote del Governatore Grey … Conosco bene la storia della ferrovia … E ditemi, dove si stabiliranno ora? – Becky aveva recuperato dei vecchi giornali e si era informata meglio da sola; così, sapeva per esempio che Lowell era stato gravemente malato, che era stato fidanzato a lungo con un’altra ragazza e che sarebbe dovuto partire con lei per ragioni di salute, sapeva anche delle calunnie ai danni del Conte Gerard, della sua deportazione e delle disgrazie occorse a Georgie e a sua madre, e aveva letto molto sul processo Dangering e sul rapimento di Arthur. Era ben attenta ad evitare tutti questi argomenti, per non mettere in difficoltà i suoi ritrovati amici, che non si accorsero nemmeno di come lei si districasse tra discorsi che potevano farsi imbarazzanti, evitandoli con la leggerezza di una ballerina. Non poteva, però, evitare di rattristare Abel parlando di Georgie, perché non conosceva i suoi sentimenti. Li conosceva Arthur, che continuò a parlare finché l’attenzione non si spostò su altro, assistito da una Becky dalla conversazione brillante.
 
Anche i novelli sposi, come Becky, avrebbero voluto sapere dove il loro viaggio li avrebbe condotti. Sapevano solo che avrebbero continuato in treno fino a Napoli. Ma se il viaggio avesse stancato troppo Lowell, si sarebbero fermati in Liguria, in Toscana o a Roma, dove avevano preso informazioni sui possibili alloggi. La tradizione dei viaggi della classe abbiente in Inghilterra di solito prevedeva di arrivare fino a Napoli, e loro avevano sentito parlare del golfo e delle isole dove c’erano importanti stabilimenti termali. A parte le terme, molto frequentate, certamente il sole del Mediterraneo avrebbe comunque fatto bene a Lowell. Una volta a Napoli, quindi, avrebbero pernottato in un bellissimo albergo e poi avrebbero valutato l’opportunità di arrivare fino a Ischia, ma l’intenzione era comunque quella di spostarsi in cerca del caldo.
 
Prima, però, occorreva raggiungere le Alpi, e per farlo bisognava attraversare la Francia. Per Georgie tutto era nuovo e sorprendente: non pensava che la varietà di paesaggi e di lingue la potesse emozionare tanto. Il viaggio fino a Dover non fu particolarmente degno di nota, la traversata della Manica però fu faticosa: il vento della domenica non era cessato, anzi ingrossava il braccio di mare. Nell’aria il salmastro era addirittura visibile, spinto verso l’alto dagli spruzzi delle onde che sferzavano i pontili sotto un cielo bianco. I passeggeri del ferry furono costretti a rimanere nelle cabine chiuse, e il fumo di alcuni signori indelicati costrinse Lowell a cercare aria vicino alle scale che salivano verso l’esterno. Georgie ringraziava il Cielo che il suo sposo avesse la possibilità di viaggiare sempre in prima classe, perché lei sapeva bene quanto poteva essere duro frequentare i locali più in basso, vicino agli odori di sentina, nella calca e con una compagnia ben più indelicata e fastidiosa. Anzi, era un vero miracolo che lei stessa, una ragazza traumatizzata dalla cacciata da parte di sua madre, fosse sopravvissuta al lungo viaggio dall’Australia compiuto con la qualifica di mozzo, il gradino più basso sulle navi.
 
Poi, i bagagli dei viaggiatori erano stati smistati su convogli che partivano per varie direzioni, e Georgie e Lowell avevano di nuovo occupato un elegante scompartimento letto su un treno che da Calais andava verso sud-est. E Georgie ebbe l’emozionante esperienza di sentire il suo Lowell che parlava francese! Oh, com’era affascinante mentre ordinava la cena! Una lingua suadente, diversa dall’unica che Georgie avesse mai sentito in vita sua, fioriva nella voce morbida di Lowell, e forse per la prima volta Georgie pensò che le sarebbe piaciuto studiare qualche cosa di diverso dal taglio e cucito. Certo, non le importava proprio niente di pavoneggiarsi col francese come le dame eleganti, ma ormai era una sarta rifinita e sapeva creare modelli propri alla perfezione, non poteva migliorare, mentre poteva imparare tante cose nuove col suo sposo. Senza contare che era improponibile, per una Contessa sposata con un uomo ricco e dalla famiglia influente, continuare a fare la sarta …
 
Ultimata la créme brûlée, ancora seduta nella carrozza ristorante dalle tappezzerie di velluto, coi gomiti appoggiati al tavolo e il mento posato sulle dita incrociate, Georgie bisbigliò:
 
― Lowell … dimmi che mi ami, dimmelo in francese!...
 
Je t’aime beaucoup, Georgie … ― Lowell sorrideva, la testa un po’ reclinata e gli occhi fissi in quelli della sua sposa.
 
― Adesso, dimmi che torniamo subito nella nostra cabina: noi vogliamo stare soli, vero? Dimmelo in inglese …
 
― Ah, Georgie … Sono tutto tuo, mon amour
 
Con questo stato d’animo, avevano già superato il confine italiano, e quella domenica pomeriggio in cui i giovani Butman prendevano il tè con la signorina Clark, i coniugi Grey si accingevano, dopo il controllo dei passaporti sulle Alpi, ad esplorare una nazione giovane e strana, eppure antica: l’Italia.
 
Non aveva tutti i torti, Becky, quando al tavolino della bella sala da tè, avendo sentito i piani di viaggio di Georgie e Lowell, esclamò:
 
― Oh, la invidio! Anche a me piacerebbe tanto viaggiare come lei …
 
― Ma Becky, tu stai viaggiando, non sei arrivata fin qui?
 
― Hai ragione, Arthur, ma è che non mi stanco mai, vorrei vedere sempre posti nuovi.
 
― Allora è con Abel che devi parlare, è lui il grande viaggiatore!
 
Becky rivolse ad Abel uno sguardo radioso ed incuriosito, chiedendogli di raccontare, e lui parlò di buon grado dei suoi viaggi, mentre sorseggiava il tè al latte. In effetti, Arthur non ricordava volentieri il suo tragitto da casa fin lì, mentre Abel aveva fatto il giro del mondo per scelta e per una passione che nutriva fin da bambino, oltre che per cercare di non pensare a Georgie.
 
Così, Abel aveva aneddoti curiosi di cui parlare: nell’Oceano Atlantico aveva visto dei delfini, e nel suo primo imbarco si era fatto benvolere dal primo ufficiale, che gli aveva insegnato moltissime cose. Era diventato un marinaio rifinito perché gli avevano permesso di dedicarsi anche allo studio della navigazione, vedendo che era intelligente e molto desideroso d’imparare. Questi apprendimenti lo avevano messo in luce col signor Allen, che aveva incontrato a Londra dopo che nella zona del porto alcuni balordi lo avevano aggredito e addirittura accoltellato! Ma poi era intervenuta una sua amica che aveva chiamato aiuto, mettendoli in fuga. Questa storia emozionò molto Becky, ma la spaventò anche, così per farla divertire Abel raccontò di aver preso con sé un pappagallo, durante il suo ultimo viaggio, e di avergli insegnato i nomi di Georgie e Arthur perché lo aiutasse a trovarli. Questo fece ridere Becky, perché di tutti i modi possibili per rintracciare i suoi fratelli, questo le pareva il più stravagante, e non riusciva a credere che Georgie fosse stata ritrovata proprio così!
 
Poi, quando Abel le chiese come fosse nato il suo desiderio di viaggiare, fu il turno di Becky:
 
― Oh, sapete, io adesso apprezzo tutto in un altro modo … Dopo che ci conoscemmo, mio padre ebbe un tracollo finanziario. Degli investimenti sbagliati ci rovinarono, non avevamo quasi più nulla. Per pagare i debiti, fu venduta la grande casa in cui abitavamo a Sidney e tutte le terre e il bestiame, io dovetti lasciare il mio collegio, e ci riducemmo a vivere in un piccolo cottage, che insieme a un po’ di soldi ricavati dalle aste, era tutto quello che ci restava. Fu un anno terribile, non sapevamo che fare. Quasi tutti i nostri “amici” sparirono dalla circolazione, anche le ragazze che avevano partecipato a quella festa cambiarono atteggiamento verso di me. Io ero sempre stata prepotente, sicura della mia posizione sociale, mi piaceva l’importanza che mi dava … ma non capivo che non ero realmente importante io, fino a quel momento, ma la mia posizione.
 
Abel e Arthur non fiatavano, e stavano ignorando il tavolino apparecchiato coi dolci e col tè. Non si aspettavano una simile confidenza da parte di Becky, ma erano ragazzi di buon cuore, e si sentivano già solidali con lei, anche se Becky, da “povera”, probabilmente aveva sempre avuto un tenore di vita superiore a quello che avesse mai avuto la famiglia Butman.
 
― Alla fine, mi isolarono anche loro. Ma grazie a quel poco che eravamo riusciti a conservare e agli sforzi dell’unico amico fidato che ci era rimasto, riuscimmo ad ottenere un nuovo prestito, e mio padre comperò azioni della ferrovia. Pian piano, grazie alla ferrovia, ci siamo ripresi, ma io non sono tornata in collegio, ho preferito studiare a casa. Il mio vecchio mondo mi faceva paura, mi sentivo meglio a fare una vita più semplice. Tutto ha un’importanza diversa, per me, da allora. Tutto è un regalo nuovo! E quando la nave è salpata per l’Inghilterra non mi è sembrato vero, viaggiare e vedere il mondo! Altro che vestiti e capricci! Perciò, vedi come ti capisco, Abel?
 
Arthur sorrise a suo fratello: aveva ragione lui, Becky era simpatica.
 
Uscirono e camminarono un bel po’, con Becky al centro, al braccio di tutti e due i ragazzi, e intanto chiacchieravano incessantemente. Prima che la carrozza della ragazza depositasse Abel e Arthur a casa, decisero di vedersi la settimana seguente, per parlare ancora di posti lontani e viaggi.
 
Prima, però, avvenne un fatto decisivo. Un pomeriggio, all’inizio della settimana, Arthur decise di andare a trovare il fratello al lavoro, per distrarsi. Ascoltandolo parlare con Becky la domenica prima, infatti, si era reso conto che gli sarebbe piaciuto vedere il suo studio, coi progetti e gli strumenti che sicuramente c’erano, e magari visitare i cantieri. Prima passò davanti all’ufficio del signor Allen, e pensava di bussare per salutarlo quando si accorse che la porta era accostata. E così, udì:
 
― … lo so che lo fai per Arthur, ma è il momento di farti strada nella vita! Io so che questo è quello che ti è sempre piaciuto, puoi far carriera, non negarti questa possibilità!
 
― Mi creda, io non mi sono mai negato niente in vita mia! Ora però la situazione è diversa. Le ho spiegato che il medico è stato chiaro: quel ragazzo ha vissuto un’esperienza tremenda che non ha ancora superato, e per farlo ha bisogno di avere intorno a sé persone su cui poter contare. Non è che non apprezzi l’occasione che mi offre, e la ringrazio sinceramente, ma io adesso devo pensare a lui, sta ancora male …
 
― Ah, Abel, come mi dispiace dover discutere ancora con te su un argomento così personale … E tuo fratello mi piace, è un ragazzo a posto, ti capisco! Ma io ti sono amico, lo sai! Io devo mandare una persona di fiducia a Gibilterra, e poi sai del mio progetto di espansione, tu sei l’unico che vorrei mandare in mia vece …
 
Arthur fece irruzione:
 
Abel, ma sei diventato matto? Non puoi dire di no, non devi dire di no, e specialmente per me! Non pensare a me, tu sei nato per questo lavoro! Questo era il tuo desiderio da sempre, non ti ricordi? Buonasera, signor Allen, mi scusi tanto ma … Abel, tu devi accettare!
 
― Arthur … I miei sogni, i miei desideri, li ho messi sempre avanti a tutto … un po’ troppo, direi. Quando sono partito, è stato facile lasciare casa sapendo che lì c’eri tu. Signor Allen, se non fosse stato per mio fratello che si è sempre occupato di nostra madre e di Georgie, mandando avanti la fattoria con le sue forze, loro due come avrebbero mangiato? I campi se non si coltivano, non producono! Le pecore vanno munte, i maiali e i cavalli accuditi, Georgie aveva solo tredici anni e lei e la mamma da sole non ce l’avrebbero fatta. E se anche lui avesse voluto scegliere? avere una vita indipendente?
 
― Ma io non volevo andare via, non mi hai mica costretto tu! Io volevo la fattoria, ti ricordi che te l’ho sempre detto? La mia casa, la mia famiglia …
 
― Già, e la tua famiglia adesso sono io! Ho promesso che non ti avrei mai più lasciato solo, almeno finché non starai veramente bene, e manterrò la promessa.
 
― Ma io sto bene, sono quasi guarito del tutto anche dai mal di testa! Anzi, no, sto benissimo: signor Allen, per favore, dia un lavoro anche a me sulla nave di Abel!
 
Il fratello maggiore sobbalzò: che cosa dava tanta sfacciataggine ad Arthur?
 
― Ma Arthur …
 
― Oh, sta’ zitto! Mica posso continuare ad approfittare del papà di Georgie e del Conte Wilson! E poi non è stato il viaggio come uomo di fatica a farmi male, è che mi hanno sparato, è diverso! – Poi, rivolgendosi al signor Allen, Arthur assunse un tono più calmo ma accorato, voleva fare bella figura: ― È così, signor Allen, io ho già lavorato a bordo, posso lavorare perché il mio ultimo mal di testa è stato più di dieci giorni fa, la fatica non mi spaventa! Mi faccia fare qualunque cosa, prometto d’impegnarmi al massimo, non se ne pentirà, ma mi faccia partire, così anche Abel partirà!
 
Al bravo signor Allen, Arthur piaceva sempre di più. Accettò.
 
Quando i due giovani furono usciti, l’uomo rimase da solo dietro la finestra, guardando il suo riflesso sul vetro contro le ombre della sera:
 
― Sembro Babbo Natale … ― bisbigliò tra sé.
 
In effetti, sapeva che non era un buon affare assumere Arthur: l’aveva preso come apprendista, e sarebbe partito per imparare, almeno in parte, il lavoro di Abel, ripagando il suo apprendistato col lavoro di bordo, ovvero facendo quello che fosse stato necessario (ma sempre senza esagerare, perché lui non era un mozzo, il suo era un ruolo di concetto).
 
Però … il giovane si era lasciato sfuggire che il suo desiderio fin da bambino era la fattoria, casa sua, la sua terra, e non il mare o Londra. Quindi si trattava di istruire una persona che sicuramente presto o tardi sarebbe entrata in quell’ufficio per dire che se ne andava! Ma il signor Allen non era un uomo comune. Abel era stato subito preso a salario pieno, quindi la stanza che per un certo periodo aveva occupato, praticamente l’aveva avuta gratis, il signor Allen gliel’aveva offerta solo perché gli faceva piacere e poteva anche permetterselo. I guadagni del simpatico armatore erano già forti di per sé. Quello che gli mancava era una famiglia, non soldi. Ed era diventato ricco, non arido.
 
Sorrise e si schiaffeggiò bonariamente il panciotto che copriva il suo ventre voluminoso:
 
― Mi mancano solo barba e capelli bianchi, e poi … un Babbo Natale perfetto!
 
E l’indomani iniziarono i preparativi per la partenza dei due giovani e la formazione di Arthur, che avrebbe affiancato il fratello nel suo viaggio.


Angolo dell'autore: Benritrovati a tutti! Su questo capitolo ho solo una precisazione da fare: non ho un'idea precisa dei tempi di un viaggio in treno dell'epoca: quanto ci voleva da Londra a raggiungere Dover? e da lì ad attraversare la Francia fino al confine italiano? e dopo? Continuerò ad informarmi (intanto ringrazio profondamente bacionero per l'aiuto che mi ha offerto per la ricerca storica). Quel che so è che gli spostamenti erano molto più lenti di oggi, e continuarono ad esserlo anche all'inizio del XX secolo.
Per il resto ... godetevelo! Noi ci rivediamo in aprile, e prometto che se vi faccio un pesce, sarà buonissimo da mangiare!


 

[1] Titolo della nota canzone di Lucio Battisti del 1977, su testo di Mogol.

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Capitolo 11
*** Conti in sospeso ***


Fu necessario dirlo al Conte Gerard, che si preparò, suo malgrado, ad un altro distacco.
 
E nel fine settimana, si dovette dirlo a Becky. Andarono a trovarla nella sua casa in affitto a Londra, in un palazzo centrale ben esposto vicino a Marble Arch, con un’architettura neoclassica non troppo pretenziosa e un ampio cortile d’ingresso per le carrozze. I giovani furono accolti con entusiasmo da Becky, che aveva preparato personalmente il tè per loro.
 
Il pomeriggio cominciò allegramente, ma ben presto alla ragazza fu comunicato che i due giovani erano sul punto di partire. Solo conoscendo approfonditamente Becky si sarebbe potuto notare il cambiamento nel suo umore: era una signorina colta che aveva visto molta gente elegante in vita sua, ed aveva imparato a nascondere bene le sue emozioni, ma un’ombra le passò sul viso per un momento. Subito dopo, si felicitò con Abel e Arthur, augurando loro di fare un viaggio sereno e fruttuoso, stringendo la mano con calore ad entrambi … ad Abel, forse, un secondo di più. Poi, le chiacchiere ripresero a scorrere allegramente: Gibilterra! Forse il Mediterraneo! Era musica per le orecchie dell’amante dei viaggi che Becky era diventata.
 
Fu in quel clima che nel salotto damascato color crema entrò suo padre, il signor Clark, un uomo corpulento e baffuto e dall’aria gioviale. I ragazzi l’avevano già visto, anni prima, ma lui non si poteva ricordare di loro due, quindi questi ultimi furono presentati come amici australiani di Becky, e lui li salutò con contentezza:
 
― Oh, ma che bello, benvenuti, benvenuti! Sono contento che siate venuti a trovarla, e così venite dall’Australia?
 
― Sì, signore. Ci siamo conosciuti lì, tanto tempo fa. Ci ha fatto piacere ritrovare Becky. – per essere uno che odiava cordialmente le persone altolocate, Abel pareva estremamente gentile quando si trattava di Becky o di suoi congiunti. La ragazza lo guardava con un sorriso radioso.
 
― E fa veramente piacere anche a me! Due giovani così piacevoli, e poi la mia figliola non ha altri amici qui a Londra, non ho ancora avuto modo di presentarle qualcuno dei figli dei miei conoscenti di lavoro.
 
― Oh, e anche noi stiamo per partire … Senti, Abel, ma perché non la portiamo con noi alla festa dai Barnes? Si tratta dei Baroni Barnes, signor Clark, fanno una festa sabato prossimo e ci hanno invitato.
 
Il padre e la figlia furono più che felici della proposta, e così il signor Clark uscì tutto soddisfatto. Ma subito dopo il tono di Abel cambiò:
 
― Io sono contento se voi due andate a divertirvi, però non vengo.
 
― Che cosa?!
 
― Ma Abel, perché? Lo sai che a loro, e anche a Becky, farebbe piacere!
 
― Becky, scusami, ma l’alta società non fa per me. Tu non hai idea di quanto li ho odiati: prima tutti a disposizione del Duca Dangering e poi tutti a prenderne le distanze, come se nemmeno lo avessero conosciuto! prima guardavano Georgie con disprezzo e non volevano che sposasse Lowell, poi tutti lì ad applaudire il loro matrimonio quando lei è diventata Contessa. Ho un conto in sospeso con loro fin dal giorno stesso in cui ho conosciuto Lowell, anche se lui non c’entrava e riconosco che è una brava persona. No, grazie, io sono un marinaio, ricordate?
 
― E allora? anch’io sono un marinaio …
 
― No, tu non ancora, Arthur … Comunque, vacci tu: accompagnerai Becky a meraviglia e Katherine sarà felice lo stesso.
 
― Chi è Katherine?
 
― Oh, una spasimante di Arthur …
 
― ABEL, NON DIRE SCIOCCHEZZE!
 
― Ma è vero, e non essere sempre così modesto! È un’affascinante signorina di quasi nove anni, che non si stanca mai di ammirarlo e tessere le sue lodi!
 
― Tesse anche le tue lodi, e quelle di Georgie!
 
― È vero! Pur essendo un ottimo partito, è una ragazza democratica … – e la conversazione riprese più allegra di prima, con Abel che prendeva in giro il fratello e Becky che rideva fino alle lacrime.
 
Dopo aver riso, preso il tè ed esaminato tutte le circostanze della partenza imminente di Abel e Arthur, i due giovani tornarono a casa. Lì, trovarono il Conte Gerard in uno stato che li preoccupò, e per un attimo dimenticarono Becky, Katherine e la festa.
 
Il Conte era nel suo studio, al buio. Quando i ragazzi bussarono per salutarlo, lo trovarono così, seduto e silenzioso. Dopo alcune domande preoccupate, scoprirono di che cosa si trattava:
 
― Ragazzi miei, scusate, non volevo coinvolgervi. Sono solo un po’ avvilito, perché un anno fa, in questo stesso giorno, Georgie sbarcava in Inghilterra e io scoprivo della morte di mio fratello.
 
― Suo fratello, Conte?
 
― Ah, già, tu non ne sai niente, Arthur. – Arthur era seriamente interessato alla malinconia del Conte, e questi raccontò che suo fratello, un medico, era andato anni prima in Australia sulle tracce di Georgie, ma non l’aveva trovata, e per una strana coincidenza aveva fatto ritorno a Londra sulla stessa nave presa dalla ragazza.
 
― Ma a bordo, un marinaio attentò alla vita di Georgie, per ragioni personali, col veleno. – questo fece sobbalzare Arthur, e anche Abel, che pure era già a conoscenza della faccenda. – Non ti sto a spiegare come, quel veleno lo assunse mio fratello, e morì. E pensare che stava facendo tutto questo per me …
 
― E l’aveva anche trovata, sulla nave …
 
― Già … E anche prima, era stato dell’idea di essere ad un passo da lei, una volta, nelle campagne intorno a Sidney, ma l’ultima conferma non riuscì ad averla.
 
― Scusi, ha detto nelle campagne intorno a Sidney? – Arthur stava diventando pallido.
 
― Sì, la cercava con l’aiuto del famoso bracciale che era stato di sua madre. – Anche Abel aveva un’aria tesa, ora.
 
― Mi perdoni, ma precisamente dove pensava di trovarla? – chiese Arthur.
 
― Nella Sun Valley. Perché?
 
― Oh, no, niente … ― ma non era vero che non era niente. Arthur si mise a premere una mano contro la tempia, si sedette e chiuse gli occhi. Non si sentiva bene, una fitta così non gli capitava da tempo, e quella sera non cenò.
 
Abel non disse nulla al Conte, se non che suo fratello proprio non avrebbe mangiato, mentre lui avrebbe consumato una cena veloce per tornare a stargli vicino, nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto. Tra di loro i ragazzi non parlarono del dottor Skiffens. Ma la mattina seguente, Abel notò che Arthur aveva gli occhi cerchiati. Lo aiutò a vestirsi, ma gli disse perentoriamente:
 
― Tu oggi stai a casa. E per prepararti al viaggio che ci aspetta, mi farai il seguente favore: ti metterai in testa che non è stata colpa tua! – Suo fratello minore non rispose, abbassò soltanto gli occhi e fece di sì con la testa, lentamente.
 
Ma non appena suo fratello fu uscito, Arthur si mise a gironzolare nervosamente per la stanza. Avrebbe tanto voluto piangere, ma non ci riusciva! Non ne capiva il motivo, le lacrime erano sempre state un rifugio sicuro per lui, ma ora niente … tutta l’angoscia che provava cresceva senza trovare uno sfogo. Non voleva farsi sentire, ma ansimava, e in realtà avrebbe voluto gridare che gli dispiaceva, che tutto era successo solo per il suo amore ingenuo da ragazzino, e che lui non avrebbe mai voluto far del male a nessuno. Ripeteva a se stesso quello che suo fratello gli aveva detto, e cioè che non era colpa sua, ma non ci credeva. Avrebbe solo voluto tornare indietro, pregava per il dottore e gli chiedeva perdono col cuore a pezzi. Non si era mai sentito così in tutta la sua vita.
 
Dopo alcuni minuti, il Conte Gerard bussò. Arthur non rispose perché avrebbe preferito sparire che farsi vedere in quello stato, sperava fosse qualcuno della servitù che, non sentendo niente, lo avrebbe cercato da un’altra parte. Invece, il buon Conte sapeva che Arthur era lì, bussò di nuovo, lo chiamò e, non ricevendo risposta, si preoccupò per lui. E quindi entrò.
 
Il povero Conte ebbe un tuffo al cuore alla vista dello stato in cui Arthur si trovava: ogni suo muscolo pareva teso, gli occhi trasmettevano un forte turbamento, e subito si abbassarono, come a volersi nascondere. Arthur avvertì un tuffo altrettanto forte nel vedere che non era riuscito a rimanere solo, ma anzi davanti a lui c’era proprio la persona verso la quale si sentiva maggiormente colpevole, dopo il defunto dottor Skiffens. Il Conte Gerard fu presso di lui in un attimo, chiedendogli con angoscia che cosa avesse. Per Arthur era troppo:
 
― Signor Conte, mi perdoni … Sono stato io … La colpa è mia … ― Arthur affondò la faccia nel cuscino e finalmente pianse. Singhiozzava, seduto sul letto, senza riuscire per qualche momento a dire altro. Ovviamente, il Conte cercava di consolarlo e di convincerlo a spiegarsi. Arthur dentro di sé tremava dall’angoscia di non essere perdonato affatto, se il Conte avesse saputo che cosa era successo anni prima, ma pensò che se non avesse rischiato, quel peso non lo avrebbe lasciato più. Gli pareva che per lui non ci dovesse essere mai più niente di bello, temeva che sarebbe impazzito se non avesse trovato il modo di liberarsi da quella solitudine e da quella vergogna. Respirò, cercando di calmarsi e di riordinare i pensieri. Ma quell’uomo così affettuoso, avrebbe continuato a guardarlo con tanta tenerezza anche dopo aver sentito tutto quello che Arthur aveva da dire? O avrebbe buttato fuori di casa sia lui che suo fratello, rompendo per sempre un’armonia che a lui, Arthur, piaceva tanto?
 
― Sì, era vero che l’aveva trovata … Suo fratello aveva trovato Georgie, ma noi … non volevamo che se ne andasse. Un uomo elegante, un inglese, che cercava proprio lei e l’avrebbe riconosciuta per via del braccialetto, un grosso bracciale d’oro e pietre preziose, che sicuramente apparteneva ad una famiglia importante … Se la sarebbe portata via! Per sempre, lei avrebbe vissuto da un’altra parte! E allora, io … ho sviato le sue ricerche.
 
Il Conte guardava Arthur a bocca aperta, e il ragazzo non aveva il coraggio di guardarlo. Sentì di dover spiegare meglio i suoi motivi.
 
― Georgie aveva sempre creduto di essere nostra sorella. Lei non sapeva niente, anche per lei sarebbe stato molto doloroso scoprirlo, era praticamente una bambina! Certo … ora penso che avrebbe dovuto pur saperlo, prima o poi, anche se mia madre ha usato il modo peggiore … – non si trattava solo di questo, naturalmente. Arthur sospirò e continuò:  – … era il mio primo amore … e Abel non si è ancora ripreso del tutto, per lui era la stessa cosa che per me. Vede, non potevo pensare di non vederla più tutti i giorni, a casa con me …
 
Anche il Conte Gerard aveva gli occhi pieni di lacrime. Non rispose, ma abbracciò Arthur. Per Arthur, fu come lo schiaffo che si dava ai neonati per farli respirare per la prima volta: gli faceva male, quell’abbraccio che riteneva di non meritare, ma al tempo stesso gli restituiva la vita, e gli parve di tornare a respirare profondamente dopo un’eternità.
 
― Domenica … ― la voce del Conte era sofferente, ma non irata ― … domenica ci venite al cimitero con me? Tu la sua tomba non l’hai nemmeno mai vista …
 
Il ragazzo fece di sì con la testa.
 
A quel punto, il Conte Gerard si ricordò del secondo motivo per cui era entrato, oltre a volersi informare sulla salute di Arthur: una lettera di Georgie!
 
― Guarda, Arthur: lei scrive a te e ad Abel, i suoi fratelli, oltre che a me, vedi? Leggila: ti farà bene!
 
Georgie dava notizie sue e di Lowell: si erano felicemente fermati a Napoli per alcuni giorni allo scopo di far recuperare un po’ le forze a Lowell, dopo che questo, nell’ultimo tratto, aveva ricominciato a tossire frequentemente. Non era certo la scoperta del rinfocolarsi dei disturbi di Lowell a rallegrare l’atmosfera, quanto il tono generale usato da Georgie. Questa era la parte dedicata ad Abel e Arthur:
 
“Lunedì 4 ottobre
 
Miei carissimi fratelli,
spero stiate bene come sto bene io, qui, col mio sposo. L’Italia è affascinante! Sapeste, la gente parla in modi così diversi tra loro che pare che quelli delle montagne non si capiscano con gli abitanti del fondovalle! Abbiamo passato le Alpi senza problemi, e un po’ mi è dispiaciuto perché non mi ero affatto stancata del paesaggio francese. Vedeste che bei campi! Ma andare oltre è stato meglio, perché il freddo delle montagne non faceva bene a Lowell. Cercheremo di non fare soste fino a Napoli.
 
 
Mercoledì 6 ottobre
 
Abbiamo deciso di andare spediti a Napoli, anche se tutti dicevano che Firenze e Roma meritano di essere viste. Sono un po’ confusa, però, riguardo ai commenti dei viaggiatori inglesi su questo paese: dicono che è bellissimo, grandioso, ma che questo riguarda solo il passato, mentre al presente gli Italiani sono rozzi, violenti e miserabili nelle condizioni di vita, e di fronte alla gente comune consigliano di “girarsi dall’altra parte” in modo da vedere solo i monumenti antichi. Lowell dice che sono tutte sciocchezze. Domani arriveremo!
 
 
Giovedì 7 ottobre
 
Abbiamo preso possesso della nostra camera in un bell’albergo in centro città, e abbiamo trovato ad attenderci la vostra lettera. Che gioia! Avete anche ritrovato Becky! Che notizia, non me l’aspettavo, sono felice che vi abbia cercato! Oh, che peccato che non sia potuta venire al matrimonio, così l’avrei vista. Divertitevi, voi tre!
 
Mi sa che Lowell aveva ragione circa gli Italiani, perché Napoli mi è sembrata una meraviglia, e non solo per le opere in muratura. Qui sono tutti così gentili, e basta che lui parli Francese perché lo capiscano benissimo! Mi rendo conto che sono fortunata a viaggiare con un uomo come lui, che sa tante cose e me le fa capire meglio.
 
Però è vero che la gente è povera. Non tutta la gente, il fatto è che fuori dalle mura ci sono molte persone che sembra che non abbiano proprio niente, e ci hanno detto di evitare certi posti. Anche noi spesso andavamo in giro senza scarpe, e pescavamo quasi a mani nude (vi ricordate? che risate, e che bello quando c’era anche papà!), però le scarpe se volevamo ce le avevamo tutti … Mi manca la mamma, sarebbe felice di vedere come sono diventata elegante da allora, quando il massimo per me era un nastro per i capelli … Però, lo sapete? Questo posto ha un’aria meravigliosa, alle volte sembra l’Australia. Come vi piacerebbe, ragazzi!
 
Partiremo di qui non appena Lowell si sentirà un po’ meglio … Non è niente, tossisce parecchio dalle Alpi francesi, ma non è niente … Sarà stanco e basta, vero? Qui tutti dicono di sbrigarsi ad andare a Ischia, alle terme, il medico stamattina ha parlato di bagni di vapore e fanghi, non so bene che cosa siano ma dicono che passerà tutto. Pregate per lui, va bene? Non per me, io mi diverto tanto! Pensate che proprio poco fa credevo che sotto la mia finestra ci fosse uno che cantava, invece mi hanno spiegato che vende verdure e lo fa cantando!
 
Mi mancate tanto. Datemi notizie fresche di Arthur, dimmi che stai bene! Adesso vi saluto, così scrivo a papà. Prima, però, salutatemi Becky. Sono sicura che è ancora più bella! Qui una ragazza che suona il piano come lei sarebbe molto apprezzata: come ho detto, cantano tutti!
 
Un bacio forte a tutti e due, tesori miei!
 
Affettuosamente
 
Georgie”
 
Abel era già uscito, quando la lettera arrivò, e solo Arthur e il Conte ebbero modo di rallegrarsene. Ma anche quando Abel rientrò, la lettura della lettera non sembrò tirarlo su di morale. Arthur un po’ se l’aspettava: lui non poteva essere completamente felice, sentendo che Georgie era molto contenta di poter viaggiare e vivere con Lowell. Ma accidenti, suo fratello doveva distrarsi, in qualche modo! Ripensando al suo malore della sera prima, gli venne un’idea che tenne ben nascosta.
 
La settimana passò in fretta, e venne il sabato. Arthur doveva avere il tempo di prepararsi e poi passare a prendere Becky per arrivare dai Barnes prima di cena, e così venne via dalla zona portuale in anticipo, ma quando Abel tornò a casa (a metà pomeriggio, come tutti i sabati), quello che trovò fu una brutta sorpresa. Arthur non era affatto pronto, anzi era a letto, perché lamentava un altro mal di testa, come gli spiegò il Conte Gerard appena lo vide entrare:
 
― Sono preoccupato, Abel. Pareva che stesse meglio, ma forse è l’angoscia per il mio povero fratello che lo fa stare così …
 
Abel abbassò gli occhi, poi li posò nuovamente sul viso del Conte, ma aveva un’espressione titubante che proprio non era da lui.
 
― Suo fratello, eh? … Allora … Arthur le ha parlato di qualcosa?
 
― Sì, mi ha raccontato di quello che gli disse anni fa, per trattenere Georgie a casa vostra.
 
― Oh, signor Conte, io … non le ho detto niente, e nemmeno a Georgie, quando ho saputo di lui … Erano giorni dolorosi, ero preoccupato per Arthur che non sapevamo come salvare. Mi sentivo male per quello che avevamo fatto, ma non ce la facevo ad affrontarlo con lei … Mi creda, qualunque cosa abbia detto mio fratello non è stata tutta colpa sua, c’ero anch’io e non feci altro che confermare quello che diceva lui: che Georgie era nostra sorella, che non aveva nessun braccialetto importante … ― Abel aveva cambiato colore, diventando sempre più rosso, e la sua voce ora tremava, perché si sentiva un vigliacco che prima aveva mentito al dottor Skiffens, e poi aveva taciuto la sua responsabilità al Conte. Pensò che Arthur aveva più coraggio di lui, e ora pagava da solo per una colpa comune a tutti e due! – Per favore, non se la prenda con lui, era solo un ragazzino innamorato, ero io quello grande, avrei dovuto comportarmi da uomo … Signor Conte, lo perdoni!
 
Il Conte lo aveva lasciato parlare anche troppo, in rapporto ai propri desideri, ma gli pareva giusto che il ragazzo dicesse tutto quello che aveva da dire. Però non lo lasciò proseguire oltre:
 
― Abel, ma io l’ho già perdonato! Arthur lo sa …
 
Il ragazzo era molto sorpreso, e per un momento il Conte Gerard vide lo sguardo limpido e stupito del bambino e poi del ragazzino di provincia che doveva essere stato Abel quando ancora non conosceva il mondo, e lottava a fatica tra il suo amore proibito e la sua coscienza.
 
― E perdono anche te, naturalmente! Non siete stati voi, è stato il Duca Dangering a portarmi via mia figlia, dopo aver causato la morte di mia moglie. Se tuo padre non l’avesse presa, sai che cosa l’aspettava, vero? Uno squallido orfanotrofio inglese, tra stenti e malattie, senza tenerezza, e senza perdono: le avrebbero rinfacciato di continuo che era la figlia di un deportato, di un traditore della Corona! Il suo sorriso, quel miracolo, si sarebbe spento subito. Forse non sarebbe nemmeno sopravvissuta fino al mio ritorno. Invece, non solo ha avuto una famiglia, una vita sana e libera, ma è anche diventata una persona molto importante per voi due. Molto importante … ― Abel avrebbe voluto sprofondare! – Avete sbagliato per questo motivo, quel giorno.
 
― Ma Georgie avrebbe potuto avere una via migliore! Noi avevamo già deciso di dire la verità e io avrei dovuto essere forte anche per Arthur …
 
― Quanti anni avevi?
 
― Quattordici, credo.
 
― Solo quattordici … Eri solo un ragazzino, non puoi rimpiangerlo per sempre! Vedi, Abel: nessuno è perfetto!
 
― Signor Conte … Conte Gerard, io …
 
― Zitto, basta così. Piuttosto, affacciati nella stanza di tuo fratello: vedi come sta, ma senza fare rumore, perché forse dorme. – L’ordine era stato dato col tono più affettuoso. E Abel l’eseguì.
 
― Abel … ― Arthur parlava con un filo di voce: ― … sei tornato, finalmente. Entra.
 
― Arthur, speravo che dormissi. Come ti senti?
 
― Ah, non lo so … mi fa ancora male, e sono così debole … ho paura di dare di stomaco, non posso muovermi, ma tu prendi i vestiti che ti servono e preparati: devi accompagnare tu Becky …
 
― Ma sei sicuro che …
 
― Sbrigati!!! Non fare brutta figura facendola aspettare, oggi è importante accompagnarla: lo sai che ci tiene, e poi noi partiremo! Ah, e portati la lettera di Georgie, a Becky farà piacere di sicuro se gliela leggi. Ma ti prego, cambiati di là … mi sento tanto stanco, devo dormire …
 
Così, molto a malincuore, Abel prese il frac[1]. Il Conte Gerard ordinò al proprio cameriere di aiutarlo, perché l’occasione lo richiedeva e il tempo era poco, e Abel dovette accettare anche questo. Elegantissimo e sbarbato di fresco, uscì alla volta di casa Clark, con la mente rivolta ancora al Conte, al dottor Skiffens e soprattutto a suo fratello che giaceva al buio in camera.
 
Arthur udì la carrozza che partiva. Contò lentamente fino a dieci, poi si alzò, accese un lume e si vestì con tranquillità, dopo di che scese al piano inferiore. Trovò il Conte Gerard e il suo ospite, il buon Conte Wilson, nella sala da biliardo.
 
― Signori, buonasera. Disturbo se vi guardo giocare, fino all’ora di cena?
 
― Arthur! No, che non disturbi, ma … come ti senti?
 
― Oh, beh … meglio, grazie! Ho un po’ di appetito, veramente …
 
― Che peccato, tuo fratello è appena uscito, forse facevi in tempo ad andare anche tu.
 
― No, Conte Wilson: se ci fossi andato io, Abel si sarebbe rifiutato. Ma è così giù di morale, deve vedere gente, distrarsi un po’, altrimenti non fa che pensare … Ci sono altre ragazze, e poi sono sicuro che Becky ci voleva andare con lui, e non con me. O magari la più contenta sarà Joy, visto che ci va anche lei, chissà!
 
Il ragazzo guardò il Conte Gerard con aria complice e soddisfatta, poi i due gentiluomini si scambiarono un’occhiata, con la quale il Conte Wilson cercava spiegazioni presso il suo amico, che con gli occhi gli fece capire di non fare domande, che poi gli avrebbe spiegato meglio ogni cosa. Il Conte Gerard si limitò ad offrirsi d’insegnare ad Arthur a giocare a biliardo, e anche il suo ospite si disse d’accordo. Così, Arthur passò una piacevolissima serata, crogiolandosi col pensiero che Abel si sarebbe sicuramente divertito.





Cari lettori e amici, con questo capitolo auguro a tutti voi

buona Pasqua!
 

Che sia serena, che sia un nuovo inizio e che sia vissuta col cuore da tutti!
E grazie, come sempre, della vostra affettuosa presenza. Alla prossima ^^
 

[1] “Fino al 1880 l’unico abito formale maschile da sera accettato era il frac, con la marsina a coda di rondine ed il farfallino bianco.”, http://it.wikipedia.org/wiki/Smoking#Origine

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Capitolo 12
*** Tintinnio di bicchieri e musica da ballo ***




Abel arrivò a casa di Becky, si fece annunciare e la ragazza scese le scale andandogli incontro. La prima cosa che Abel notò fu che col suo abito oro e verde stava benissimo, anche se la sua fu un’impressione molto maschile e cioè molto generica: un occhio più attento avrebbe notato come i riflessi del vestito s’intonavano alla carnagione ed ai capelli della ragazza, creando un piacevole contrasto coi suoi begli occhi di un azzurro freddo, e che l’insieme riusciva a non risultare pretenzioso perché portato con naturalezza, con gioielli piccoli e con un’acconciatura molto classica e poco frivola. Un altro occhio, forse, l’avrebbe notato, ma non certo il suo! E non fece quasi in tempo a salutarla che già lei si stupiva di vederlo e chiedeva spiegazioni. Il ragazzo la informò che Arthur non si sentiva bene, ma che lui era pronto a scortarla alla festa e lo considerava un vero piacere. Lo sguardo di Becky, da preoccupato e dispiaciuto, si schiarì in un largo sorriso.
 
Durante il tragitto in carrozza, c’era luce a sufficienza perché Abel potesse estrarre la lettera di Georgie e leggerla a Becky, che sorrideva incuriosita e contenta, anche perché c’erano parole affettuose pure per lei. Abel però non fece caso all’espressione rabbuiata di Becky mentre lui le leggeva la frase riguardante le sue abilità di pianista: fu un attimo, un’ennesima emozione che la sua amica nascose. Anzi, forse proprio per giustificare quel suo strano momento e sviare l’attenzione, Becky affrontò un lato spinoso dell’argomento riguardante Georgie:
 
― Incredibile che non mi porti rancore … Del resto, nemmeno tu e Arthur! Tutti avevate motivi validi per essere ancora offesi con me, ma soprattutto lei: la trattai malissimo, ebbi anche l’impudenza di dirti che non mi piaceva! Abel, me ne vergogno tanto, ora capisco che in realtà dissi così perché mi piaceva troppo …
 
― Come? Io credo che Georgie non abbia mai portato rancore in vita sua, e sai che ho già accettato le tue scuse, ma ora proprio non capisco che vuoi dire: ti piaceva troppo?!
 
― Sì … Le ragazze possono essere molto invidiose, sai? Ero una tal primadonna, credevo che mettendo in cattiva luce lei avrei risaltato meglio io! E tu sai perché volevo farmi notare …
 
― Becky, lascia stare! È passato tanto di quel tempo, che importanza ha ormai? Siamo stati ragazzi tutti, tu facevi solamente dodici anni! E lo sai che mi ha detto il Conte Gerard proprio stasera, a proposito degli errori di gioventù? “Nessuno è perfetto”. Anch’io mancai nei confronti di Georgie a quella festa, ma oggi non lo farei mai per nessun motivo, perché quegli errori non li farò più, e così tu. Ah, eccoci arrivati! Vedrai, i Barnes sono persone simpaticissime, non si direbbe neanche che sono dei nobiloni!
 
Così, il ragazzo mandò in fumo la prima occasione, che ad Arthur sarebbe parsa promettente, d’incoraggiare i sentimenti che Becky, forse, stava quasi per svelare. Fu perché non se ne accorse? o proprio perché se ne accorse? La ragazza si pose queste domande con una certa ansia, mentre scendeva dalla carrozza con l’aiuto del suo bel cavaliere. E poi: quanto tempo aveva ancora per riconquistarlo? Lui stava per partire, e l’impresa già di per sé non appariva affatto facile. L’insicurezza l’assalì. Un tempo era stata insicura nello scoprire di essersi innamorata, perché era la prima volta che si sentiva vulnerabile. Ora, le vicende della sua vita l’avevano scaraventata giù dal suo piedistallo di bella e viziata figlia di una famiglia tra le più abbienti di Sidney. Ora sapeva di non essere invincibile, e Abel, pur così vicino e affettuoso con lei, le sfuggiva …
 
Catherine si staccò dai suoi genitori, che stavano in piedi all’ingresso del salone per accogliere gli invitati, e si fece velocemente incontro ad Abel e Becky, quando il maestro di cerimonie, nella sua livrea storica delle grandi occasioni, annunciò l’arrivo della “Signorina Rebecca Margaret Clarke” e del “Signor Abel Butman”:
 
― Oh, siete arrivati! Che bello, Abel, ci sei anche tu! Piacere, signorina, Catherine Barnes! ― , strinse la mano a Becky, mentre anche questa si presentava, ― Ma Arthur dov’è, è indaffarato con la carrozza?
 
― Mi dispiace, e dispiace tanto soprattutto a lui, ma non è potuto venire: stasera stava male, altrimenti non si sarebbe perso la festa per niente al mondo.
 
Era molto raro che Catherine fosse a corto di parole, ma in quel momento lo era, e la sua tristezza era evidente. Anche per questo, a Becky la bambina piacque immensamente dal primo momento. Abel si affrettò a rincuorarla dicendo che sicuramente il ragazzo si sarebbe presentato il giorno dopo o giù di lì, per farle visita, e questo ebbe un effetto positivo su Catherine. Ma non era la stessa cosa che avere Arthur lì, in abito elegante e subito …
 
― Catherine, mi presenti i tuoi amici? – a parlare era un bel ragazzo bruno in divisa militare rossa[1], con degli impertinenti capelli ricci e occhi verdi e ridanciani. In mano, aveva un bicchiere di punch.
 
― Oh, zio, hai ragione! Ti presento i miei amici australiani, ma sono solo alcuni: Abel, fratello di Georgie, e Rebecca, la sua amica. Mancano Arthur e Georgie, naturalmente, che è in Italia. Lui è il capitano Rory Barnes! – Si trattava del fratello cadetto del Barone, padre di Catherine, e poteva avere vent’anni. – Sai, zio, Abel, come Georgie, è un grande marinaio!
 
― Per carità, tutti mi chiamano Becky! Piacere.
 
― Signorina, enchanté! Per la verità, tutti mi chiamano … Rory! Mi chiamerei Robert, ma il mio nome completo non ve lo dico, altrimenti si fredda il punch! Abel, io non saprei stare su una nave per più di dieci minuti senza sentire la mancanza della terra sotto i piedi, e per dimostrarti la mia incondizionata ammirazione verso tutti i marinai, lascia che ti offra del punch finché è caldo. – Il giovane non aveva chiesto, per fortuna, come facesse sua sorella ad essere un grande marinaio. Ma soprattutto, aveva modi allegri e affabili, e gli aveva offerto da bere, due cose che Abel non mancò di apprezzare.
 
Nel frattempo, era giunta anche una delle carrozze della casa, che portava Joy e suo fratello Brandon[2], suscitando l’entusiasmo di Catherine: le due ragazze avevano legato molto in occasione delle nozze di Georgie, e lei l’aveva voluta assolutamente, le aveva fatto confezionare un bel vestito e si era assicurata che anche il fratello fosse abbigliato in modo da trovarsi a suo agio. Brandon era maggiore di due anni rispetto a Joy, ed era stato imbarcato fino a tutto il mese di settembre. Era un ragazzone atletico, biondo tendente al rosso, come si conveniva al suo nome irlandese, e dagli occhi gentili. Ed era molto felice che la sorellina avesse tanti amici nuovi. Strinse vigorosamente la mano di Abel, che ancora non conosceva ma che ammirava già, e s’inchinò educatamente a Becky. Il punch dovette aspettare che le presentazioni fossero fatte.
 
Joy era raggiante: un’altra meravigliosa festa, alla quale lei mai avrebbe sognato di poter partecipare, e alla presenza non solo del suo amato fratello, ma anche di Abel, il che non era previsto! Sentiva frusciare il suo abito di raso celeste e si sarebbe sentita perfettamente felice se non fosse stato per la presenza di quell’elegante signorina australiana che Abel accompagnava. Non era che non le piacesse, al contrario, era troppo perfetta: pareva del tutto a suo agio in quell’ambiente, era certamente molto bella e mostrava con Abel una confidenza diversa da quella che si era creata tra lui e Joy. Becky non l’avrebbe mai chiamato “marinaio”, aveva un sorriso composto e un portamento raffinato. E Abel era tenuto a stare con lei, quella sera.
 
Infine, mezz’ora dopo, il maestro di cerimonie annunciò “la Contessa Constancia Mathilda Dangering e la Signorina Maria Daphne Dangering”. Un lieve brusio circolò per il grande salone da ballo, propagandosi ai salotti adiacenti e alla sala col buffet, e poi subito s’interruppe, sostituito dal normale chiacchiericcio. Abel non se ne accorse nemmeno. Più tardi, fu lei che lo chiamò:
 
― Oh, Maria, sei tu! Che sorpresa vederti, non sapevo che saresti venuta. Mi fa piacere!
 
― Grazie! Anch’io sono contenta di vederti, ma … non vedo Arthur, come mai? Dov’è?
 
― Ecco … Voleva venire, ma non si sentiva bene …
 
Abel vide lo sguardo vivido di Maria cambiare velocemente espressione: ora era angosciata!
 
― Oh, Abel! Oddio, davvero?! Oh, no! …
 
Becky si era avvicinata, e ora era interessata dal comportamento di Maria, che lei non conosceva. Maria le ricordava che lei avrebbe dovuto essere lì con un altro cavaliere, quella sera, e la preoccupazione della ragazza per Arthur fece sentire Becky molto egoista, perché in cuor suo non poteva fare a meno di essere emozionata di trovarsi lì con Abel. Così, segretamente, chiese scusa ad Arthur. Intanto, Abel cercava di rincuorare Maria:
 
― Vedrai che non è niente, è stato meglio nelle ultime settimane! Sarà un momento, forse la tensione per la nostra partenza. Ma tu stasera devi pensare a divertirti, te lo direbbe anche lui se fosse qui. – Forse per distrarla, o solo per educazione, presentò Maria a Becky. Il nome Dangering fece trasalire quest’ultima, ma naturalmente non lo diede a vedere. La diversione, comunque, non impedì a Maria di notare una cosa molto importante per lei:
 
― Arthur parte? partite insieme? Quando? E per dove?
 
― Oh, per adesso Gibilterra, ma non è che una prima fase. Forse proseguiremo nel Mediterraneo, ma comunque sono in programma diversi affari del mio capo, che ci faranno viaggiare ancora. Partiamo in settimana.
 
― Beh, ma non sarebbe meglio che lui non si muovesse, finché non sta bene?
 
― In effetti, capisco la tua preoccupazione, ma magari un cambiamento d’aria gli farà bene. Comunque, io non lo lascerò mai, e se qualche cosa non va lo rimando indietro. Va bene?
 
― Allora … Io spero che non ce ne sia bisogno, e che facciate un ottimo viaggio.
 
Maria abbassò gli occhi, che ora erano tristissimi, ma fu un attimo perché sopraggiunse la zia Constancia che chiamò Maria con gesto imperioso: una sua amica voleva parlare con lei. In realtà, la Contessa era veramente preoccupata: un ragazzo così somigliante! Maria non doveva pensarci, era meglio soprattutto per lei. Bisognava che non avesse contatti con quello che necessariamente doveva essere il fratello del signor Butman …
 
Da quel momento, Maria fu circondata da un nugolo di giovani, come da quando era arrivata. Anche Abel ebbe modo di notare che era richiestissima, a differenza del ricevimento per il matrimonio di Georgie. In effetti, in quella occasione c’erano molti amici intimi del Conte Gerard e personalità influenti del giro dei Grey, persone di rango e uomini d’affari che, per varie ragioni, avevano trascorso parte dell’estate a Londra e avevano seguito lo scandalo Dangering direttamente in tribunale o dai giornali cittadini. Alcuni di loro sedevano in Parlamento e sapevano bene quanto era forte il potere di quella famiglia e quanto il defunto Duca fosse stato vicino alla Regina: più in alto era stato il Duca, più chiacchierata e sconveniente era la sua caduta. Era dunque nel loro interesse, anche politico, prendere le distanze dai Dangering. Invece, gli ospiti della festa dai Barnes erano più che altro proprietari terrieri, una nobiltà di origine feudale, molto tradizionalista. Quelle persone non si erano interessate particolarmente allo scandalo di un personaggio che magari non conoscevano direttamente, ma davano alla nascita la massima importanza. E sapevano che Dangering era un nome della nobiltà superiore, nella quale loro sarebbero entrati molto volentieri: la futura Duchessa diventava allora un’ereditiera importante, una ragazza da frequentare assolutamente, un ottimo partito. Eppure, e malgrado la volontà della zia, Maria avrebbe voluto continuare a pensare solamente ad Arthur …
 
 
***
 
 
Georgie era pronta per scendere a cena. Lei e Lowell finalmente stavano per godersi quella che poteva essere considerata come la fine del viaggio. Infatti, valeva la pena di disfare le valigie e profumarsi di più, ordinare champagne e dimenticare le preoccupazioni per qualche ora: erano arrivati a Ischia. Ora alloggiavano, a tempo indefinito, in un bell’albergo di recente costruzione, situato in una via elegante della cittadina di Ischia Ponte. La traversata era stata più interessante che non quella della Manica, perché il tempo clemente aveva permesso di apprezzare il vento di mare e soprattutto la vista incomparabile del golfo. La zona flegrea, Pozzuoli e Procida, e in cima a tutto, il vulcano col suo pennacchio!
 
Georgie non sapeva assolutamente niente dell’Italia, sapeva solo che era un posto considerato pieno di sole e, generalmente parlando, “meridionale”. Questo perché aveva avuto modo di sentirne parlare solo da inglesi, dal momento che, naturalmente, rispetto all’Australia l’Italia era a nord! Che capogiro le dava pensare a quanto grande poteva essere il mondo, a lei, ex-ragazzina di campagna che non aveva nemmeno avuto il coraggio di lasciare la famiglia per andare come apprendista sarta a Sidney! Non immaginava di sicuro che, appena fuori dal porto di Ischia, si sarebbe inebriata degli aromi di agrumi, di frutteti, di mare colpiti da un sole generoso come quello australiano. O che un castello (fatato?) costruito apparentemente sul mare le si sarebbe presentato all’improvviso, dopo aver quasi attraversato un’isola discretamente grande, tra vigne e tornanti. Non sapeva che un giorno avrebbe volentieri indossato dei guanti per andare a cena in un albergo straniero, sentendosi a casa perché il suo sposo era con lei.
 
E Lowell … lui aveva un po’ di paura. Aveva sposato la sua amatissima Georgie e per un attimo si era sentito al sicuro, ma poi la tosse lo aveva spaventato di nuovo. Ora guardava la sua sposa così bella, nel suo abito lavanda, e si chiedeva se davvero lì l’avrebbero salvato: l’immagine della grazia e della giovinezza era proprio accanto a lui, e lui non faceva che abbeverarsi di quell’immagine, con la sensazione che fintanto che Georgie fosse stata così bella, sana e sorridente, la morte non avrebbe potuto toccare neanche lui. Sorrise anche Lowell, nell’accostare la sedia di Georgie al tavolo rotondo assegnato loro per la cena, perché si era accorto di quanto era ammirata. Gli piaceva che tutti l’ammirassero! “Sì, che diavolo, bando ai pensieri!”, pensava, mentre si sedeva accanto a lei, e la conversazione coi vicini di tavolata iniziava.
 
C’era in particolare un nobile dell’entroterra, che parlava Inglese. Viaggiava con la figlia, una ragazza mora e paffutella dell’età di Georgie, ed era venuto anche lui per le terme. Aveva dei modi molto eleganti e gentili, e questo incoraggiò i due novelli sposi a chiacchierare con lui:
 
― I signori vengono dall’Inghilterra, dunque? Il viaggio è stato faticoso?
 
― In effetti un po’, soprattutto lungo. Ma io non sono inglese, sono australiana! Beh, più esattamente sono inglese, ma sono cresciuta in Australia.
 
― Oh, venite da così lontano! – la figlia del Marchese italiano era deliziata.
 
― Sì, e forse è per questo che l’Italia mi sembra un paese così strano! Bello, certo, ma possibile che tutti quanti debbano scendere e cambiare treno quando arrivano a sud di Roma? E poi è vero che la gente parla in così tanti modi diversi che non ci si capisce?
 
Lowell aveva sempre apprezzato la schiettezza di Georgie, ma non era sicuro di come il loro vicino di tavolo l’avrebbe presa. Fortunatamente, il Marchese sorrise:
 
― Permettetemi, Madame: dovete pensare che la nostra nazione è giovane come la vostra, l’Australia, ma molto diversa. Prima, c’erano tanti territori divisi che per secoli si sono fatti la guerra o hanno cambiato proprietario, cadendo in mano dei Francesi, degli Spagnoli, degli Austriaci … E ogni volta, arrivava qualcuno da fuori, con la propria lingua. È naturale che i modi di parlare siano cresciuti da sé, a seconda del posto … e dei signori locali! ― Georgie spalancava gli occhi verdi e dolci, e al Marchese piaceva parlare con una giovane signora tanto bella e che mostrava un tale interesse. E senza smettere di mangiare per mantenere la linea!
 
Al momento del secondo (cefalo arrosto, gustosissimo), il Marchese raccontò un altro aspetto della vita del luogo che incuriosì Georgie:
 
― Vedano, la faccenda della ferrovia è significativa: i nostri binari sono più … stretti!
 
― Che cosa?! – anche Lowell ormai pendeva dalle labbra del gentiluomo. In fondo, aveva preso parte all’inaugurazione della ferrovia, a Sidney, e in quell’occasione si era informato su trasporti e strade ferrate. Ma a parte questo, e a prescindere dall’appetito inusuale che l’aria di mare e l’ottima cucina gli avevano fatto venire, non gli era sfuggito il feeling particolare che si era venuto a creare tra sua moglie e il brizzolato ma piacente Marchese. Voleva che quest’ultimo distogliesse gli occhi da lei, e magari che Georgie distogliesse per un po’ i propri da lui! Se si fosse interessato anche di energia elettrica, avrebbe potuto dire che si sentiva attraversare dalla gelosia come dalla corrente. Il paragone non gli venne in mente, ma afferrò la mano di Georgie per attirare la sua attenzione, e lei lo guardò ridendo all’idea dei binari stretti: il suo sorriso (e il vino del monte Epomeo) gli scaldò il sangue.
 
― La cosa diverte i signori? Me ne rallegro, ma in realtà per noi questo è motivo d’orgoglio! La ferrovia che dall’antico confine con lo Stato Pontificio (lo Stato che era del Papa) scende verso sud, è la più antica d’Italia, e per questo è diversa. Noi siamo stati i primi a sviluppare la metallurgia moderna in questo Paese, e ci siamo fatti la ferrovia per primi. Ora, se il Conte di Cavour, da quell’uomo eccelso che è, oppure addirittura Sua Maestà il Re Savoia in persona, ci volesse onorare della sua visita … deve cambiare treno pure lui, oppure decidersi a rimodernare la strada ferrata! Santé! – Sua figlia Benedetta, Georgie e Lowell scoppiarono a ridere, alzando i loro bicchieri.
 
 
***
 
 
Abel ballò molto, soprattutto per far divertire Becky. Naturalmente i Barnes le presentarono degli amici, e la ragazza ballò anche con alcuni di loro. Durante quel periodo di tempo, Abel ebbe modo di conversare un po’ con Rory, in un’occasione in cui il ragazzo non invitò nessuna. Rory era proprio il contrario di un nobile standard, secondo l’idea di Abel:
 
― Meno male che siete venuti voi quattro, Abel! Non dirlo in giro, ma io detesto queste serate con la nobiltà! Guardali: credono di essere tutti chissà chi! A me piacciono i miei camerati, la vita di caserma, e sono contento di non essere io l’erede. Cioè, mi piacerebbe, certo, ma ormai non ci penso più, anche perché a mio fratello tocca frequentare e compiacere gli alti papaveri. Non sono loro che frequentano lui, capisci, è lui che deve compiacerli se vuole farsi prendere in considerazione. No, meglio una bella birra e i dadi o una partita di whist coi miei compagni … sai giocare a whist?
 
― No, veramente no.
 
― Gravissimo, per uno che balla tanto bene! ma non ti preoccupare, si rimedia. A proposito, ballerine adorabili Becky e Joy! Davvero, meglio compagnie schiette come la vostra.
 
Abel era divertito, e la serata si stava rivelando molto più piacevole del previsto per lui. Arthur ne sarebbe stato contento! Arthur gli venne in mente proprio in quel momento: “Non è male avere una sorella nobile, no?[3] … chi lo sa, magari aveva ragione … una sorella … Abel sorrise, ma non stava più ascoltando Rory.
 
Poco dopo, per riposarsi un po’, Becky non partecipò alla quadriglia, e prese qualche cosa da bere con Abel e le sue nuove conoscenze nobili, ai margini del grande salone. Da lì potevano vedere bene tutti i ballerini, e per lei e Abel era spontaneo guardare Joy che ballava allegramente con suo fratello, ma così attirarono l’attenzione della comitiva su loro due, e questi furono i commenti:
 
― Che tipi, i Barnes! A me piacciono, ma non sai mai che aspettarti da loro! Per esempio, chi saranno quei due così ordinari?
 
― Mamma mia, li hai visti? Lei sembra una contadina, per come ride e si muove!
 
― Certo che anche lui … Non sono per niente dignitosi: pare di vedere un mugnaio e sua moglie!...
 
Abel stava per lanciare parole di fuoco ed incenerirli tutti, ma la danza finì e i due ragazzi vennero proprio verso di loro, mentre quegli altezzosi rampolli di baronetti e conti continuavano a commentare (“Oh, no, vengono proprio qui! Ci tocca!...”)! Non era proprio il caso che Joy e Brandon si accorgessero della situazione!


Carissimi lettori, ecco il mio nuovo capitolo. L'avrei pubblicato forse prima se non fosse stato per la fanart, piuttosto faticosa, ma magari meglio così: ci sono voluto molti ritocchi, molte correzioni per ottenere l'equilibrio che volevo io tra i vari elementi. E senza che me ne accorgessi, la mia cara Jane Austen è tornata a spruzzare un po' della sua "acqua di colonia old England" sulla mia storia!
Personaggi nuovi: ancora non so quanto peso avranno, ma mi stanno venendo delle piccole idee, intanto la trama generale c'è. Ah, nel caso che qualcuno se lo chieda: sì, il nome di Rory è un piccolo omaggio alla serie del "Doctor Who"!
Ancora sulla fanart: l'abito esiste, ho stampato la foto come modello ma non trovo più la fonte, appena la trovo la comunico.
Intanto, un altro mese è passato. Io spero il meglio per ciascuno di voi. I problemi della sottoscritta, invece, non si sono ancora minimamente risolti, ma tengo duro e pubblico, scrivo, disegno finché posso. Se ci dovessero essere interruzioni importanti, non mancherò di avvisarvi.
Ma salvo novità, invito tutti coloro che hanno apprezzato questa parte a leggere anche il prossimo capitolo, che sarà nel mese delle
rose! Fino ad allora, grazie ancora una volta del vostro sostegno. Non sapete il bisogno che ne ho! Perciò vi prego, non fatemelo mancare. Non avrei mai pensato che il pubblico diventasse importante per me, ai fini del bisogno o del piacere di scrivere, e invece è proprio così, oggi non vorrei mai deludere nessuno di voi. Vi abbraccio tutti.

 
 

[1] Le divise dell’esercito inglese erano rosse nell’800.
[2] Non si dice da nessuna parte che Joy avesse un fratello. Anzi, nel manga chiama Abel “fratellino”,  e non “marinaio” come nel cartone, perché dice di aver “sempre desiderato un fratello maggiore”. Io, però, ho trovato innaturale che, in una casa di pescatori come la sua, il capofamiglia dormisse in un letto singolo nascosto dietro una tenda, come si vede chiaramente perché è lì che Abel si sistema nell’anime, fintanto che il padre della ragazza è a pesca. Sarebbe molto più logico che quello fosse il letto di un fratello che si trovava in  mare, mentre il padre avrebbe dovuto dormire con sua moglie. Le camere separate per i coniugi, infatti, erano un lusso di chi poteva permettersi appartamenti divisi.
[3] Battuta di Arthur nell’ultima puntata.

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Capitolo 13
*** Agrodolce ***


Beh, la parte dolce è molto dolce ... Del resto, maggio è un mese dolce. Astenersi dalla lettura se non si amano le scene d'amore gratuite. O forse quella che c'è qui tanto gratuita non è? ...



La collisione tra Joy e Brandon da un lato e la comitiva snob dall’altra pareva inevitabile. Pareva anche probabile che Abel, con la sua ira non più contenuta, aggravasse la situazione, rimarcando i commenti malevoli del gruppo proprio mentre i suoi amici arrivavano. Per fortuna, furono proprio quei commenti a coprire la voce di Becky, mentre suggeriva ad Abel che cosa fare:
 
― Presto, invita a ballare Joy, e poi portiamoli via! – e subito dopo si rivolse alla Signora Barnes, che passava giusto in quel momento: ― Baronessa! La festa è stupenda, ma tra poco ce ne dovremo andare e io volevo chiederle di permettermi di usare il suo piano per una polka, prima di andar via!
 
La bella e simpatica dama era entusiasta, Abel immediatamente invitò Joy, e Becky chiese a Brandon di accompagnarla, perché ci voleva qualcuno che le girasse le pagine. Pericolo scampato! E Becky suonò, suscitando la palese ammirazione di tutti (e la gratitudine nascosta di Abel, per aver salvato la buona piccola Joy che gli era tanto cara).
 
Anche Rory aveva osservato tutta la scena, stando in disparte, senza farsi notare. Era strano come un ragazzo che sapeva essere tanto chiassoso fosse in grado di passare inosservato, grazie alla divisa simile a tante altre, ai baffetti comuni a tanti altri, e a un fisico asciutto e poco appariscente. I suoi mobilissimi occhi verdi seguirono gli sguardi acidi della comitiva fino a vedere Joy e Brandon che ballavano con inconsapevole allegria, videro il furore puro dello sguardo di Abel e l’apprensione lucida in quello di Becky, e la contentezza dei due fratelli per le attenzioni dei loro amici. Rimase ad osservarli (il Porto in una mano) con sguardo compiaciuto, e con un’attenzione particolare che lo rendeva stranamente serio.
 
Dopo gli applausi, che Becky ricevette sorridendo con finta modestia, i due ragazzi non lasciarono più un secondo Joy e Brandon, anzi offrirono loro un passaggio a casa nella loro carrozza, che questi accettarono, contenti di non dover dare un disturbo ai Barnes.
 
Dopo la serie di saluti affettuosi alla famiglia (molto meno ai loro giovani e odiosi invitati), Abel cercò Maria, e la trovò circondata dal solito corteggio di ufficiali in divisa dell’esercito o della marina, giovanotti in abito scuro e signorine eleganti. Tutti volevano fare bella figura con lei, ma Maria non perdeva la compostezza, e forse anche per questo, risultava molto più bella delle altre. Abel non poté non notarlo, pareva un’altra persona rispetto a quando l’aveva conosciuta, turbata e tremante, nei sotterranei di casa sua. La ragazza si voltò di colpo, sentendosi chiamare:
 
― Abel! Per un attimo, mi pareva … è che tu somigli così tanto ad Arthur che … ― s’interruppe e sorrise con evidente simpatia, come fino a quel momento non aveva mai fatto con nessuno, quella sera.
 
― Lo so! Ci hanno anche confuso, alle volte. E dire che siamo così diversi, in tutto il resto! Sono venuto a salutarti, andiamo via …
 
― Mi dispiace, avrei voluto … ― di nuovo, Maria assunse un’espressione seria, guardando un punto oltre la spalla di Abel, e di colpo abbassò la voce: ― Mia zia, purtroppo, non vuole che frequenti Arthur o la sua famiglia.
 
L’antico carattere irascibile di Abel non poteva non scatenarsi di nuovo. Ma si limitò a trapelare attraverso una fiammata violenta nel suo sguardo blu cobalto, profondo. Il ragazzo non era più impulsivo come una volta, così serrò le mascelle e poi disse sottovoce a Maria:
 
― Per tua zia, è una perdita non conoscere mio fratello.
 
― Se tu sapessi, Abel! Oh, se sapessi … Non giudicarmi male, non dipende da me.
 
― Non mi permetterei mai! Anzi, perdonami se te l’ho fatto pensare. Ma a lui, dispiacerà molto non vederti.
 
I ragazzi che accompagnavano Maria, a quel punto, pensarono che la loro presenza fosse veramente indiscreta, e si defilarono tutti. Così, la Contessa Dangering notò con chi Maria si trovava. E Maria se ne accorse. Abel vide l’espressione della ragazza e si voltò, incontrando lo sguardo della dama, e colse subito tutta l’altezzosità che aveva sempre odiato nella nobiltà inglese. Ora era rivolta contro di lui e soprattutto contro Arthur, che non era stato altro che una vittima delle malefatte dei Dangering, e ancora quella sera stessa, pensava Abel, era da solo a casa coi postumi di quelle violenze, invece di essere lì a divertirsi.
 
― Perdonami … ― sussurrò Maria, affrettandosi a raggiungere i suoi amici. E Abel fece lo stesso coi propri, le guance ancora in fiamme per la collera trattenuta, pensando che Maria si meritava dei parenti migliori.
 
Il quartetto di amici era nell’atrio inferiore che dava sull’ingresso della villa, e già stava per uscire quando Maria arrivò di corsa dal salone.
 
― ABEL! Scusami, quando vedi Arthur, digli che … che …
 
― Maria, dimmi pure, gli riferirò tutto!
 
― … No, non fa niente. Scusami …
 
― No, non scusarti. Dirò ad Arthur che lo saluti, va bene? Mi dispiace che non vi siate incontrati stasera, e a lui dispiacerà di sicuro enormemente, domani, quando lo saprà. – le fece un delicato baciamano: – Beh, magari non gli dirò quanto sei richiesta dagli altri uomini, poverino! O farei meglio a dirglielo?
 
La dolce Maria rise, poi gli altri ragazzi la salutarono e montarono in carrozza, dopo di che parlarono ancora di lei e di com’era tenera verso Arthur (sui rapporti tra di loro, Abel non si sbottonò), di come poteva stare lui, e di quanto elegante e squisita fosse la festa. E naturalmente, dei viaggi di Brandon, che deliziavano la fantasia di Becky!
 
Quando ebbero lasciato i due fratelli a casa loro, intrapresero da soli l’ultimo tratto di strada, che era ben più lungo ora che avevano fatto quella deviazione. Abel disse subito quello che gli premeva:
 
― Sei stata veramente brava, sai? Grazie! Hai salvato Joy e Brandon, e chissà come sarebbe finita se io avessi detto quello che stavo per dire! I Barnes si sarebbero potuti anche offendere … Hai capito perché non ci volevo venire?
 
― Non devi ringraziarmi, Abel, i tuoi amici mi piacciono! Ma io non mi stupisco della mentalità della nobiltà inglese. Ti confesso che capisco benissimo l’imbarazzo in cui Joy si sarebbe trovata, perché anch’io … ― Becky guardava fuori dal finestrino, senza vedere nulla a parte aloni indistinti proiettati dai lampioni. Si aspettava che Abel la invitasse a proseguire, ma Abel non disse nulla.
 
― … Questa gente non lo deve sapere. Ma nel periodo del nostro tracollo, io … ho dato lezioni di pianoforte per denaro!
 
Tra tutte le cose che Becky poteva dire, questa era una che Abel proprio non si aspettava: tutta la sua famiglia aveva sempre lavorato! Stava per sbottare a ridere ma si trattenne. Non poté fare a meno, però, di pensare a Georgie che si alzava presto, preparava da mangiare per tutti, curava le galline, si dava da fare nei campi coi fratelli, aiutava lo zio Kevin nella trebbiatura, cuciva, s’imbarcava come mozzo, manteneva Lowell col suo lavoro … Era come se un profumo di grano maturo e mimose fosse entrato nella carrozza, e il sorriso gli morì sulle labbra.
 
Intanto, il suo silenzio aumentava l’imbarazzo di Becky:
 
― Per i nobili, è impensabile che una ragazza di buona famiglia lavori! Che lo faccia per interesse economico, cioè. Un conto è ricamare o comporre un centrotavola floreale per motivi artistici, o magari farlo per beneficienza, un conto è per lavoro! Questo, mai e poi mai! Non me lo perdonerebbero, se lo sapessero …
 
― Eppure Georgie ha sempre lavorato, fin da bambina. E oggi è Contessa, e non ci pensa più nessuno.
 
― Per lei è diverso, lei è nobile grazie al sangue, mentre io … Non avere un titolo e aver lavorato è diverso. Hai sentito quello che dicevano di Joy e Brandon, no? A me la farebbero pagare, quello è un mondo crudele.
 
Il dispiacere di Becky era palpabile, ma anche ad Abel dispiaceva. Per ragioni opposte:
 
― Di quel mondo crudele però tu vuoi far parte! Ti senti naturalmente attratta da loro, da quelli che stanno più in alto. Non puoi farne a meno.
 
Un breve silenzio. Becky teneva gli occhi bassi.
 
― Becky … è normale, questo. Lo so, tu sei nata in mezzo alla ricchezza, in Australia eri potente; qui devi fare i conti coi nobili, ma in realtà non c’è niente di strano. Io sono sicuro che ti accoglieranno a braccia aperte, anzi probabilmente l’hanno già fatto, e va bene così. Ti meriti di avere successo! Solo … guardati le spalle: come hai detto tu, quello è un mondo crudele.
 
― Abel, io … sono io che ora ringrazio te. Sai che “snob” vuol dire “senza nobiltà”? Come mi si addice, eh? …
 
― Oh, ma che vai a pensare! ― Abel prese con affetto una mano inguantata di Becky. La ragazza continuò, stavolta senza amarezza:
 
― Capisco le tue scelte, come tu le mie: Joy e la sua famiglia valgono di più di quella gente, e una volta ero anch’io così meschina … Certo, i Barnes fanno eccezione, e credo anche Maria, ma tu stasera avevi ottime ragioni per non voler venire. Ti ho costretto io, mi dispiace.
 
― Che bifolco che sono, non ti ho ancora detto che ho passato una serata bellissima con te! Sei stata una dama stupenda, mi hanno invidiato a morte. Sei veramente bella, stasera.
 
Becky abbassò lo sguardo sulla mano che era ancora tra quelle di Abel.
 
― Non ci vengo, a salutarti al porto. Ci salutiamo stanotte. No. Non ti guarderò partire!
 
― Come vuoi. – Abel lasciò la mano di Becky. ― Ma se ti dovessero trattare male, tu scrivimi e ci penso io, arrivo di corsa e li prendo a pugni! Sarei capace davvero, lo sai?
 
Ed era vero! Becky rise, per un attimo:
 
― Me lo immagino, e sai che bella scena! Oh, già, … dovrò scrivere, se vorrò parlare con te e con Arthur … Salutamelo tanto, ti prego.
 
A quel punto, dovettero congedarsi davvero. Abel baciò la mano di Becky come aveva fatto con quella di Maria. Dissero un paio di frasi come “Buon viaggio” e “Grazie per la serata”. Poi, Abel le fece un buffetto sulla guancia:
 
― Buonanotte, e scusami se prima ti ho messo in imbarazzo: “nessuno è perfetto”, giusto?
 
― A te manca poco. Buonanotte, marinaio[1]. – Si girò, e solo quando fu abbastanza lontana da non essere sentita, sussurrò: ― Quanto mi mancherai, Abel …
 
Pochi momenti dopo, Abel era seduto in carrozza, pensando che Arthur sarebbe stato un cavaliere  migliore di lui, perché era talmente democratico da non giudicare male nemmeno i nobili o chi voleva frequentarli. Ma si era divertito, e anche Becky! Peccato solo che, mentre tornava a casa, la preoccupazione per la salute di suo fratello tornò ad assillarlo. Ed il pensiero di Georgie lo accompagnò per tutto il tragitto. Avrebbe voluto essere un altro, per non pensarci.
 
 
***
 
 
Tornato in camera con Georgie, mentre questa andava nel bagno a prepararsi per la notte, Lowell si tolse la giacca, la cravatta e il panciotto e aprì la finestra. Era forse un gesto azzardato, nelle sue condizioni e in una sera di ottobre, ma faceva insolitamente caldo, come a volte capita in ottobre nel centro e nel sud d’Italia. Oh, come gli pareva lontana l’Inghilterra! Non gli mancava di certo. Respirò profondamente: era stata una fortuna avere una stanza che non dava sulla facciata ma sul cortile dietro l’edificio, perché le camere sulla strada erano forse più grandi, e decorate con meravigliose buganvillee, ma lì … Il balconcino era affacciato dal lato mare, panoramico sopra il centro abitato; la posizione era molto più silenziosa e godeva degli aromi del giardino: le rose, una fioritura tardiva del glicine assolutamente impensabile in Inghilterra, più in là a destra la limonaia, e in fondo, digradante, l’orto dove di giorno spiccavano alcune zucche. Tutto ad incorniciare un mare che brillava di lampare, nella serata tranquilla. Lowell non avrebbe cambiato quella stanza con un’altra per nessuna ragione. Una folata marina gli scompigliò i capelli sulla fronte, e lui richiuse il vetro. Si sbottonò la camicia e si guardò nel vasto specchio incorniciato di legno dorato: era fiero di sé perché aveva saputo sempre limitarsi nell’alcol, da oltre un mese, e dal suo aspetto nessuno avrebbe detto che non fosse in forma perfetta. Il vino gli coloriva le guance (“Italia batte Francia, direi, riguardo ai vini. Però!... non me l’aspettavo mica!”, pensò sorridendo).
 
Sfilò le scarpe.
 
Spense un lume.
 
Rimase nella penombra vicino alla finestra, dalla quale non entrava la luna. L’unica luce era data dal lumino sul comodino dal lato di Georgie. La sua amata Georgie, molto più splendente della luna! Il suo amore lo faceva sentire un privilegiato. I suoi sorrisi erano per lui una fonte di felicità di cui non poteva più fare a meno. Ed era solo l’inizio, pensava Lowell: di tutti gli uomini della terra, lui era quello che avrebbe diviso la sua vita con lei!
 
E Georgie uscì dal bagno.
 
― Ecco, io ho finito. – e si sedette sul letto, indossando una delle sue romantiche camicie da notte del corredo da sposa.
 
― Ma se non abbiamo ancora cominciato … ― disse Lowell sottovoce, avvicinandosi al letto. Mentre si toglieva i pantaloni, salì sul letto ed investì Georgie con un lungo bacio. Poi, le sussurrò all’orecchio:
 
– Eri troppo bella stasera, tutti gli uomini ti guardavano.
 
― Ahah! Ma dai, che dici?! – Georgie ricambiava i suoi baci ed accettava il suo gioco.
 
― Io mica mi sento tranquillo, hai visto come ti guardava il marchese Filiberto? – , un bacio sul collo la fece rabbrividire con piacere. – Ma tu appartieni a me solamente!
 
Lowell non smetteva di baciarla in modo vorace, con morsi gentili, mentre si distendeva su di lei. Georgie chiuse gli occhi, gustandosi lo slancio di suo marito, e intanto esponeva il collo di più, con un sorriso.
 
― Che c’è, Lowell … mi reclami? Allora vieni qui … ― Cominciò ad accarezzagli la schiena con mani come piume, restituendogli i brividi languidi che provava. Era una cosa che piaceva moltissimo a Lowell, che non riusciva più a pensare quando avvertiva quel lieve solletico.
 
Dopo alcuni secondi così, il giovane sposo già non poteva più aspettare. Aiutò Georgie a sfilarsi velocemente quell’ultimo leggero indumento che ancora portava, e poi le afferrò i seni, cominciando a baciarli, tuffandovi dentro il viso, mentre avvampava di una febbre che nasceva dalla sua passione. Georgie rise: ah, sentirlo così pieno di desiderio! La faceva sentire forte, innamorata e donna. E poi, la sua pelle già fremeva, anche lei aveva voglia di lui:
 
― Baciami, Lowell … divorami …
 
Non c’era più l’imbarazzo delle prime volte, ma una nuova complicità tra di loro. Georgie ora lo stringeva senza timidezze, lo accarezzava in modo impertinente per eccitarlo di più, e Lowell esplorava con sicurezza il piacere della sua amata.
 
― Sei bellissima … dimmi di sì, amore mio …
 
― Ah, sì! Sì, Lowell! – come se davvero fosse stato necessario dirlo! Ma tutto pareva necessario, a loro due, in quel momento: mordersi le labbra a vicenda, soffocare un grido con la mano, lasciare un segno rosso con la bocca sulla pelle chiara dell’altro, giurarsi “ti amo” con un sospiro affannato e con gli occhi chiusi … Del resto, era così bello per Georgie arrendersi e perdere la cognizione di tutto quello che non fosse passione! E Lowell non si saziava mai, ma ora con estrema delicatezza e ora con vigore cercava la soddisfazione di Georgie e la propria; finché non crollò su di lei, lasciandosi travolgere da quel brivido sublime, più forte di lui, sempre lo stesso ma unico ogni volta.
 


 
***
 
 
L’indomani mattina, Abel fu svegliato da suo fratello che chiudeva la porta. Capì che il rumore doveva essere stato quello (anche se Arthur aveva cercato di essere silenziosissimo) del fatto che lo sentì canticchiare sul ballatoio, mentre si allontanava dalla stanza. Meglio così, doveva sentirsi bene! Anche Abel si ritrovò perfettamente sveglio nel giro di qualche minuto, scese e appena lo vide s’informò:
 
― Allora, come stai?
 
― Oh, bene. Ecco, sì, non ho più nulla stamattina.
 
― Uhm. Fatti vedere. Sì, hai un bell’aspetto. Però sono preoccupato, sei stato male due volte in una settimana. Senti, io credo che il Conte Gerard avrà cura di te: non devi partire.
 
Arthur questo proprio non se l’aspettava! Ora doveva rimediare, ma non era semplice …
 
― Ma no, che bisogno c’è che io rinunci … Ieri mi è passato tutto così in fretta! E poi, che figura farei col signor Allen?
 
― Ci parlerò io, ma tu non ti muovi! Due volte in una settimana! Sarei uno sconsiderato a non preoccuparmi. Aveva ragione Maria.
 
Il pane tostato e imburrato che Arthur aveva in mano rimase a mezz’aria senza arrivare alla sua bocca aperta:
 
― Maria?! Ma come, c’era anche lei ieri sera?
 
― Sì, e mi ha anche pregato di salutarti. Diceva che non sarebbe saggio imbarcarsi stando male, e aveva le lacrime agli occhi per te, al pensiero di te. Com’era dispiaciuta, poverina, e angosciata!
 
― Ma che ci fa a Londra? E quanto si ferma?
 
― Non lo so, non ne abbiamo parlato. Ma non credo che sua zia te la lascerebbe incontrare, se non in un’occasione pubblica come quella di ieri.
 
― Accidenti, averlo saputo … Beh, in ogni caso mettiti in testa questo: io parto, va bene? Non faccio figuracce col capo, e poi se permetti sono abbastanza grande da badare a me stesso! Oh, diavolo … Tu non puoi capire!
 
Il ragazzo scattò in piedi senza finire la colazione e uscì, ignorando il fratello che lo chiamava. Allora Abel si alzò anche lui e lo seguì in giardino (avvisando prima una cameriera che si erano solo interrotti, ma sarebbero tornati a tavola), dove lo trovò assorto in questi pensieri:
 
“Che rabbia! Scommetto che non è successo niente tra lui e Becky, però intanto io non ho incontrato Maria … E ora se ne esce con questa faccenda, che sono stato troppo male … ma che male e male! Io devo partire! Non lo capisce, mio fratello, che ho bisogno di uno scopo? E che dovrei fare, tornare in Australia da solo? Ma io non voglio! Io devo lavorare, non ce la faccio a farmi mantenere dal Conte Gerard a casa del Conte Wilson! … Maria si è preoccupata per me! E io non posso dirle che non stavo male, ieri … La zia! Che rabbia, quella strega! Oh, accidenti … ma che mi succede? Ho fatto tutto da solo, che bel pasticcio! Tutto per te, Abel, che rabbia che mi fai, possibile che ti si debba sempre spiegare tutto se no non ci arrivi?”
 
― Arthur, ma si può sapere che ti prende? Parliamo col medico, se vuoi, ma sappiamo che dirà: tu stai peggiorando, probabilmente proprio perché per questa partenza ti stai agitando troppo. Non devi stancarti.
 
― Abel! … Io ho bisogno di lavorare, ho sempre lavorato in vita mia. E poi … ieri io stavo bene. Ecco, te l’ho detto! Eh, lo so, ho fatto un po’ di scena, ma tu ti dovevi distrarre assolutamente, e Becky … secondo  me non le è ancora passata, per te. Perciò io parto!
 
― E tu, piccola carogna, hai fatto preoccupare tutti quanti così! Me, il papà di Georgie, Becky, i Barnes (dovevi vedere Catherine, poverina), e poi … poi Maria! Non ti meriti tante premure!
 
Piccola carogna?!!”, si chiese Arthur: percepiva con stupore qualche cosa di poco serio nella voce di Abel, a dispetto delle sue parole. Suo fratello, sempre così iracondo, non se l’era presa per niente!
 
― Ma non sei arrabbiato?
 
― Qua sei tu quello che si è arrabbiato. Scemo! Dovrebbe dispiacermi sapere che stai bene? – Abel scoppiò a ridere perché era contento per il fratello, ed in effetti c’era di peggio che essere mandato con l’inganno ad una festa accompagnato da una bella ragazza: ― Piuttosto, ma perché te la sei presa tanto, prima? Dai, vieni a finire la colazione, che oggi dobbiamo far visita alla tomba del dottor Skiffens …
 
Gli diede uno scappellotto affettuoso sulla testa e lo riportò dentro. Già, perché se l’era presa? Arthur cominciava a capirlo …
 
Lo capì meglio ancora quel pomeriggio, quando si presentò in visita al palazzo dei Barnes. Catherine gli corse incontro festante:
 
― Arthur, sei qui, finalmente! Oh, ieri sera questa casa era un deserto senza di te! Ma come stai? Ti senti un po’ meglio?
 
― Sì, grazie! Sto veramente bene, oggi, e sono qua per farmi perdonare e per tranquillizzarti: sei soddisfatta?
 
Certo, che lo era! Il tè fu servito ad Arthur, a Catherine e ai suoi in uno dei bei salotti adiacenti al salone da ballo, in onore dell’ospite. Probabilmente, era l’ultima volta che  lo vedevano prima della sua partenza:
 
― Allora, partite giovedì, tu e Abel? – il Barone era sinceramente partecipe. – E farete una tirata fino a Gibilterra o è previsto un attracco, magari in Portogallo?
 
― No, sarà un tragitto unico. La nave deve arrivare vuota per potersi rifornire bene laggiù, ma noi ci fermeremo per gli affari del signor Allen.
 
― È una bella cosa che abbia tanta fiducia in tuo fratello!
 
― Papà! Finiscila di monopolizzare Arthur, lui è venuto a trovare me!
 
― La piccola ha ragione, tesoro. Piuttosto, perché non mi accompagni di là? Ho voglia di suonare qualche cosa per il caro Arthur, se ha piacere di ascoltare.
 
― Ma certo, solo non vorrei che si disturbasse per me.

― Ma quale disturbo, figurati! Ci sei mancato così tanto, ieri, caro! – Poi lanciò alla figlia uno sguardo d’intesa e disse al marito – Vieni.
 
Così, la signora Barnes prendeva posto allo stesso piano che aveva suonato Becky la sera prima. Era riuscita a lasciare Arthur da solo con Catherine in un salottino laterale, anche se dal pianoforte riusciva a vederla bene. E la bambina si sedette più vicino ad Arthur, sullo stesso divanetto. Ma spostando un cuscino, qualche cosa la distrasse: un ventaglio nero.
 
― Oh? E questo? L’avranno dimenticato ieri, di sicuro.
 
Poi, Catherine lo aprì, e Arthur sobbalzò:
 
― O è di Maria, o è di sua zia, Catherine: conosco bene lo stemma. – Non ripensò alla sua prigionia, ma solo a Maria. Arrivarono le prime note di un valzer suonato al piano.
 
― Bisogna ridarglielo! Sai, ieri Maria era sempre circondata da un sacco di gente, forse per questo non l’ha più visto.
 
― Circondata di gente?
 
― Eh, sì, tutti gli ufficiali giovani e tanti altri volevano conoscerla. Ma potrebbe anche essere della zia Constancia … ― Catherine, intanto, provava il ventaglio con gesti teatrali, e si metteva in posa per ammirarsi in uno degli specchi della stanza.
 
― Ma tu la rivedrai, allora?
 
― Perché?
 
― Beh, per ridarle il ventaglio!
 
― No, chiedevo perché me lo domandi. – La bambina puntò degli occhi chiari e insolitamente seri in quelli di Arthur. Arthur abbassò i propri.
 
― No, dicevo per dire … Fino ad oggi non pensavo nemmeno che fosse a Londra, e per esempio non so quanto resta, perché io non l’ho vista …
 
― Non lo so nemmeno io … so solo che è appena arrivata. Vuoi andarla a trovare?
 
― Non posso, sua zia mi odia.
 
Catherine fece silenzio per qualche secondo, poi sfoggiò il suo brillante sorriso:
 
― Poverina, lei non poteva ballare per via del lutto, ma lo sai chi è che ha ballato tanto? Joy! L’azzurro le sta bene, e suo fratello è simpatico! Va d’accordo con Abel e anche con zio Rory. Ah, già, tu non conosci lo zio Rory … ― Catherine parlava della festa in un modo che divertiva Arthur, ma il ragazzo non poté notare una nuova serietà dietro le parole frivole della ragazzina. A undici anni (e non nove, come scherzando diceva Abel), una consapevolezza particolare l’aveva fatta crescere. Una tristezza che prima non c’era chiedeva di essere celata dal solito chiacchiericcio.
 
Non appena Arthur, dopo molti ringraziamenti e saluti,  se ne fu andato, Catherine disse a sua madre di avere assoluto bisogno d’incontrare Maria al più presto, per un proposito rispetto al quale il ventaglio dimenticato non era che un’ottima scusa.





Il ritratto di Lowell l'ho fatto io, e deriva da una foto di Dan Skinner (indirizzo da copincollare nel browser, scusate ma non riesco a far funzionare il link): http://cerberuseros.deviantart.com/art/In-his-eyes-191687834.



 

[1] In questo modo, Becky smentì Joy: anche una signorina elegante come lei chiamava Abel “marinaio”!

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Capitolo 14
*** Lo sbocciare di un fiore spontaneo (Somebody) ***


Dunque, ben ritrovati a tutti! La prima cosa che mi preme dire è che questa settimana la fanart del capitolo precedente ha subìto miglioramenti importanti, quindi se l'avete vista da un po' e vi è piaciuta, vi consiglierei di riguardarla, perché magari anche a voi piacerà di più adesso.
Questo capitolo non si può definire forse una songfic, ma ci si avvicina, e la sua ispirazione è "Somebody", dei Depeche Mode. In traduzione, ovviamente! Il link al video lo trovate più in basso, nella mia versione preferita, quella dal vivo tratta dal famoso concerto di Pasadena.
Per il resto, buona lettura!




Il ragazzo giaceva nel dormiveglia[1]. Una pioggia sottile cadeva. Egli non ne era consapevole. Ma forse fu uno sgocciolio ad alleggerire il suo sonno senza svegliarlo del tutto. Adagiato su un fianco, un braccio morbidamente abbandonato sul corpo scaldato dalle coperte e dal sonno, la mano poggiata tranquilla sul lenzuolo candido, di fronte a lui. I pensieri, quasi non ancora pensieri, presero corpo da soli:
 
[2]Voglio qualcuno con cui dividere
… dividere il resto della mia vita.
… Che condivida i miei pensieri più profondi
e conosca i miei dettagli più intimi.
Qualcuno che sia al mio fianco
e mi sostenga
e in cambio
avrà tutto il mio sostegno!

 
Lei mi ascolterà
quando voglio parlare
del mondo in cui viviamo
e della vita in generale.

 
Proprio io … che non sono niente di speciale …
cresciuto in una fattoria …
però Lei lo farà. Mi ascolterà.
 
Anche se le mie idee possono essere sbagliate
e perfino distorte,
Lei mi ascolterà fino alla fine,
e non si lascerà tirare facilmente
al mio modo di pensare …
in effetti, spesso non sarà d’accordo …
Ma alla fine di tutto,
Lei mi capirà!
 
La mano del ragazzo si mosse in avanti e verso il cuscino, accarezzando il lenzuolo. Forse cercava un ostacolo morbido, forse voleva esprimere tenerezza verso qualcuno che non era presente. Arthur infatti si trovava nella sua stanza, ed era impensabile che Lei fosse lì, tra le lenzuola … Ma una mente giovane che sta ancora quasi dormendo, che non ha preso coscienza della realtà della propria esistenza concreta (come facciamo tutti quando inizia il giorno), si lascia andare facilmente al sogno.
 
Voglio qualcuno che mi voglia bene
appassionatamente
con ogni pensiero
e con ogni respiro!
 
Fu il respiro del bell’Arthur, a rompere il suo ritmo regolare. Lentamente, si svegliava. E mentre sognava la sua donna che ancora non aveva, le sue labbra (complici!) si schiudevano: cercavano più aria? cercavano un sorso dell’amore tanto desiderato? …
 
Qualcuno che mi aiuti a vedere le cose
in una luce diversa,
e tutte quelle cose che ora detesto,
mi potrebbero quasi piacere.
Io non voglio che nessuno
mi tiri per le briglie
e sto ben attento ad evitarlo …
ma quando dormo
voglio qualcuno
che mi metta le braccia intorno
e che mi baci

 
teneramente
 
La mano raggiunse le labbra, e le toccò, le accarezzò con la punta di due dita, delicatamente …
 
Qualcuno, sì … MARIA! Anche se si era sentito prigioniero di un gioco crudele, a casa Dangering, anche se laggiù l’idea di farsi amare proprio da lei lo avrebbe disturbato, ora era tutto cambiato! E se lei fosse stata lì, vicino a lui (accarezzò nuovamente il lenzuolo, si umettò le labbra con la lingua e socchiuse gli occhi chiari) … vicina, nel suo letto, ad abbracciarlo e baciarlo teneramente … in un caso del genere, lui avrebbe saputo benissimo che cosa fare!
 
Arthur si svegliò del tutto, quella mattina piovosa, con la sensazione di aver trovato una risposta che era lì ad aspettarlo da tanto tempo, se solo lui avesse voluto vederla.
 
― Pezzo d’asino! ― , la voce ancora lenta e sommessa.
 
― Che cosa?! Buongiorno anche a te! Con chi ce l’hai, Arthur? – Abel era nella stanza anche lui, e si preparava ad uscire.
 
― Con me stesso … ― sospirò Arthur, coprendosi gli occhi con una mano: ― Lo sapevi che tuo fratello è proprio stupido? Ce l’ho avuta lì per dei mesi, tutti i giorni, e non me ne sono nemmeno accorto …
 
― Arthur? Sai che non capisco, vero?
 
― Era così affettuosa, sempre intorno a me … tenera! E io l’ho vista veramente solo quando mi ha aperto la cella. Potevo stare con lei quanto volevo … solo che non volevo! E adesso … adesso …
 
Arthur si alzò a sedere sul letto, e fissò lo sguardo in quello incuriosito di Abel:
 
― Non la rivedrò più. E non posso pensare di averla persa. Lei non sa nemmeno che io … ma neanch’io sapevo … Abel: sto parlando di Maria! Della mia piccola, forte e meravigliosa salvatrice! Oh, che scemo! Come mai non ho capito prima che ho bisogno di lei? Ma è una duchessa! … Finisco sempre a pensare alle ragazze che non posso avere!
 
― Mi sa che è di famiglia … ― Abel gli toccò affettuosamente la spalla, Arthur sospirò e affondò la testa tra le mani. Avrebbe tanto voluto tornare ad illudersi, come pochi istanti prima, di averla lì.
 
Venne infine il giorno della partenza. Una mattina nebbiosa e strana. Come prima cosa, Arthur ricevette un biglietto di Becky, che lo salutava con tutto il suo affetto, ringraziandolo di tutto, perché lui e suo fratello le avevano fatto passare alcuni giorni bellissimi. Gli augurava ogni felicità, e sperava che si sarebbero rivisti presto, a Londra o in qualunque posto. I saluti per Abel non c’erano. Arthur trovò il tempo per rispondere che gli dispiaceva veramente di non vederla, che era stato felicissimo di ritrovarla dopo tanti anni, e che le doveva ancora una festa da ballo. Anche a lei augurava tutto quello che desiderava, e lo pregava di tenerlo informato sui suoi spostamenti, soprattutto se intendeva lasciare l’Inghilterra, magari per tornare a casa.
 
Arthur, tuttavia, non chiese niente ad Abel del motivo per cui Becky non veniva a salutarli, e nemmeno se anche lui avesse ricevuto un biglietto simile (ma gli pareva strano che Becky mandasse due biglietti distinti allo stesso indirizzo). Alla fine, non poteva insistere sapendo quello che Abel provava per Georgie, e poi aveva detto di essersi divertito tanto, alla festa!
 
A differenza delle formalità che riguardavano l’imbarco dei passeggeri, per Abel e Arthur le operazioni che precedevano la partenza furono svolte in due parti: loro facevano parte del personale, quindi non dovevano superare nessun controllo dei biglietti, e l’alloggio lo conoscevano. Dopo averci portato il bagaglio, Abel si dedicò agli ultimi dettagli organizzativi, mentre Arthur si ritrovò al porto con molto anticipo e poco da fare se non seguire le attività del fratello. Non c’era ancora da aspettarsi nemmeno l’arrivo degli amici che li avrebbero salutati. Decise di scendere a terra per un po’ e mentre toccava il molo, la vide! Maria guardava verso di lui, e nel riconoscerlo alzò il tulle che scendendo dal cappello le copriva parte del viso.
 
Per Arthur, fu quasi come trovarsi davanti Georgie al ballo dei Dangering. Il cuore gli balzò in gola, e per un attimo pensò di correre ad abbracciarla forte. Non poteva farlo, naturalmente, e allora nell’avvicinarsi a lei si ripeteva che c’erano troppi ostacoli tra di loro. Infatti, la salutò così:
 
― Maria! Ma … sei qui? E tua zia lo sa?
 
― No, perché, preferisci avvertirla? – la ragazza sorrideva, e anche Arthur abbassò lo sguardo un attimo e rise, pensando che avrebbe potuto scegliere meglio le prime parole da dirle:
 
― No … Naturalmente no! Mi fa piacere vederti. Molto …
 
― Non potevo mica venire a Londra e lasciarti partire senza nemmeno incontrarti! – musica per le orecchie di Arthur, che continuava a sorriderle.
 
― Senti, ho un po’ di tempo: partiamo solo tra quasi due ore, e prima che arrivino persone da salutare ce ne vorrà. Ti offro qualcosa di caldo, ti va?
 
― Certo, grazie! – Arthur diede una voce al fratello, che gli confermò che era libero. Maria si appoggiò al suo braccio, e andarono in una caffetteria piuttosto fine e riservata, frequentata soprattutto da passeggeri eleganti e uomini d’affari. Era proprio quello su cui Maria aveva contato: arrivare presto significava intercettarlo prima di tutti, e forse stare un po’ da sola con lui. Arthur non avrebbe potuto chiedere di meglio!
 
― Quando Abel mi ha detto che eri qui, non ti dico la sorpresa! Ma come mai sei a Londra?
 
― Per l’eredità di mio padre: stiamo per ristrutturare il palazzo, prima dobbiamo portare via le nostre cose e fare l’inventario del resto. Ci vorranno diversi giorni. Ma non vedo l’ora di andarmene.
 
― Come mai?
 
― Finché non avranno fatto i lavori, per me stare lì è brutto. Prima sono stata felice, in quella casa, ma dopo … lo sai, non ti voglio ricordare brutte cose. Ma stando lì è difficile non pensarci. Io avrei preferito vendere tutto.
 
Arthur rabbrividì, e prese tra le mani la sua tazza di cioccolata per scaldarsi e scacciare l’angoscia che il pensiero della casa dei Dangering gli dava:
 
― Ti capisco, mi dispiace … Se non partissi, cercherei di distrarti io … Su, parliamo d’altro: come hai saputo i particolari della nostra partenza?
 
― Oh, è stata Catherine: è stata molto dolce, poverina, si è presa una cotta per te! Mi ha fatto visita lunedì, abbiamo parlato tanto di te …
 
― Oddio! Oh, povero me, chissà che avrete detto! No, non voglio saperlo, in certi casi non sapere è meglio: come minimo, lei avrà detto che sono stato uno zotico a mancare alla festa, e tu che tanto non so nemmeno ballare un reel!
 
― Sentilo, come fa il modesto! Ma se al matrimonio di Georgie non hai fatto che ballare! Lo dici solo per carpirmi il segreto delle nostre confidenze femminili!
 
― E tu che ne sai di quello che ho fatto al matrimonio di Georgie se eri andata via?
 
― Ho le mie fonti, ahaha! – Maria addentò un pasticcino, con una grinta che non si sarebbe permessa davanti a sua zia.
 
― A proposito, ho sentito che eri la ragazza più richiesta della serata, sabato!
 
― E a te chi … ah, certo: Abel. Beh, con qualcuno dovevo pur parlare, tu non c’eri …
 
― Già: non sai quanto mi è dispiaciuto non vederti. – la sua voce diceva di più, una frase cortese diventò di colpo intima.
 
― Arthur!… Io … avrei tanto voluto che tu ci fossi. Anche perché … ecco, se non stai bene, non dovresti partire!
 
― Oh, Maria, volevo tanto dirtelo: io non stavo veramente male! Ho detto una bugia solo per far uscire un po’ mio fratello, che ha i suoi pensieri e non fa mai niente per distrarsi! – In cuor suo, maledisse ancora quella bugia che lo aveva tenuto lontano da lei. Tutte le volte che mentiva, andava sempre a finir male! Intanto, il viso di Maria si era illuminato di nuovo:
 
― Ma che trucco, che ti sei inventato! Veramente stai bene, adesso? Come sono contenta, e sollevata! Ero in pena …
 
― Lo so, mio fratello mi ha detto che sei stata così buona da preoccuparti per me. Del resto, l’hai sempre fatto. Grazie! Sei sempre tanto cara con me … ― Maria lo guardava negli occhi con la sua tenerezza di sempre, e ad Arthur pareva di volare.
 
Per maggior discrezione, avevano scelto un tavolino un po’ appartato, che era circondato da un divanetto incorporato al muro, a semicerchio. Ci stavano comodamente seduti entrambi, e Arthur si spostò leggermente verso di lei. Era piacevole stare in quell’ambiente caldo, con davanti un cacao bollente, sapendo che fuori era tutto umido e nebbioso. Soprattutto, era bello stare insieme. A guardarli ora, pareva impossibile che fossero reduci da cose orribili, e che il loro rapporto fosse nato tra bugie e violenze: per loro scherzare era la cosa più naturale del mondo, adesso che niente li condizionava, ed Arthur avrebbe voluto restare lì per tutto il giorno, a guardare quel sorriso che ora gli piaceva tanto. Ma sapeva che Lady Constancia non avrebbe permesso che si vedessero liberamente, figuriamoci accettare qualche cosa di più tra loro due. E poi, lui stava partendo, e non sapeva quando e se si sarebbero rivisti. Invece di pensare che questa fosse una buona ragione per buttarsi prima che fosse troppo tardi, ricacciò nel cuore le parole dolci che stava per pronunciare. Pensava che fosse meglio non dirle quanto si era innamorato …
 
 
***
 
 
Lowell aveva finalmente cominciato le sue cure termali, che inaspettatamente erano molto piacevoli. Gli piaceva stare disteso, mentre beneficiava degli effetti del calore dei fanghi, perché il corpo e la mente si rilassavano del tutto. In quel posto, lontano da tutti quelli che conosceva a parte Georgie, gli pareva di essere molto più libero, e inoltre era sposato, quindi poteva restare con la sua amata tutto il tempo che voleva senza preoccupazioni. Tutto questo, aggiunto alla bellezza dei luoghi, faceva sembrare il suo viaggio di cura una vacanza!
 
Anche Georgie si godeva il soggiorno. Decise di passeggiare per esplorare la zona ogni volta che Lowell era impegnato con le sue cure. Così, faceva esattamente il contrario di quello che le avevano suggerito gli inglesi che aveva incontrato durante il viaggio: s’infilava nei vicoletti, magari per scoprire che sbucavano su una terrazza che dava sul mare, o curiosava nel mercato del pesce con la stessa allegria che aveva dimostrato a Londra, quando con Lowell aveva partecipato alle nozze di Emma e Dick. Insomma, non si girava dall’altra parte di fronte all’Italia popolare.
 
In cuor suo, non era cambiata molto, solo che ora Lowell pretendeva che stesse attenta a non girare da sola perché poteva essere pericoloso, specialmente non conoscendo la lingua. Benedetta e suo padre si erano offerti di accompagnarla, ma quella mattina, stranamente, Georgie disse che preferiva starsene tranquilla, magari avrebbe scritto a suo padre. Quando il ragazzo, dopo i fanghi, attraversò la hall pregustando il piacere di rivedere la sua sposa in camera, però, il concierge lo avvertì che ci avrebbe trovato il dottore, perché sua moglie non si era sentita bene.
Lowell scolorò, salì di corsa ed entrò come un fulmine in stanza, trovando Georgie a letto e il medico ancora lì:
 
― Georgie!! Come ti senti, che è successo?
 
― Lowell, ciao … Non allarmarti, non è niente, è stato un momento … ― Georgie sorrideva, ma ormai lo sposo era in preda al panico.
 
― Dottore, me lo dica lei, per piacere, mia moglie mi vuole tranquillizzare ma io non ci credo: è vero che sta bene? o non è che è colpa mia? – Lowell non pronunciava mai la parola “tisi” perché aveva il terrore che gli venisse pure quella[3]: ― … le ho passato io … qualche cosa?
 
― Beh, Signor Grey, in effetti si potrebbe anche dire così …
 
― Ma dottore!... ― protestò Georgie, non del tutto seria.
 
― AHAHAH! No, mi perdoni, non volevo spaventarla! La signora ha ragione: vede, sua moglie è solamente in stato interessante … Beh, io lascio i signori da soli. Se la signora non se la sentisse di pranzare alla solita ora o di scendere, che mangi pure quando ne ha voglia. Non c’è niente di cui preoccuparsi, per ora, ma sanno dove trovarmi. Arrivederci!
 
Lowell aspettò che il medico fosse un po’ più in là, nel corridoio, per lanciare un “AAAHH” di gioia e tuffarsi sul letto. Risero tutti e due, si abbracciarono, poi senza lasciare la sua stretta Lowell accarezzò a lungo il viso e i capelli di Georgie.
 
― Hai poi scritto a tuo padre, angelo mio?
 
― Sì, tesoro, ma dopo faccio un’aggiunta alla lettera …
 
 
***
 
 
Il Conte Fritz Gerard, in quel momento, era ignaro della grande emozione che la successiva lettera di sua figlia gli avrebbe dato, anzi era piuttosto abbattuto. Aveva raggiunto il porto col Conte Wilson, e alla banchina trovò Abel che parlava con Emma, Dick e i Barnes. Il signor Allen gli si fece incontro, proprio mentre arrivava Joy con la sua famiglia. Brandon fu presentato a tutti quelli che non conosceva, e poi il padre di Georgie, alzandosi il bavero per proteggersi dall’umidità, chiese di Arthur … e Arthur apparve, accompagnando Maria. Catherine non gli corse incontro come avrebbe fatto fino a qualche giorno prima, e Arthur si rivolse a tutti coi suoi soliti modi affabili. Ad un certo punto, però, coperto dalle chiacchiere degli altri che non si fermavano un momento, fu lui a rivolgersi a lei:
 
― Catherine, mi hai fatto un regalo, oggi, lo sai, vero? Grazie di aver fatto venire qui Maria …
 
― Io le ho solo detto il molo e l’ora precisa della tua partenza … ― Arthur l’abbracciò, e lei si mise a piangere: ― … Ma devi proprio? Prima è andata via Georgie, ma almeno lei si era sposata e partiva per Lowell, ma tu … perché non resti?
 
In effetti, Arthur non sarebbe voluto partire. Suo fratello era elettrizzato, mentre illustrava a Brandon alcune caratteristiche della nave. Invece, lui aveva le lacrime agli occhi. Joy appariva abbattuta, non ostante la presenza della sua amica Catherine, il Conte Gerard e il Conte Wilson ai quali Arthur doveva tanto gli sarebbero mancati immensamente, e tutti gli amici di Georgie erano diventati amici suoi. Si era già dovuto staccare da Georgie stessa. E poi, in ogni secondo sapeva con esattezza dov’era Maria, e cercava di starle vicino fino all’ultimo.
 
La nebbia si alzava con grande lentezza, ma il tempo dei saluti alla fine arrivò. Abel disse arrivederci a tutti con un calore insolito per lui, perché non dimenticava che ciascuna di quelle persone aveva fatto qualche cosa per uno dei suoi cari. Più di tutti, gli sarebbero mancati il Conte Gerard e Joy, con la sua vivacità. E il suo saluto a loro due fu particolarmente affettuoso. Il padre di Georgie si fece promettere dai ragazzi di scrivere prima di raggiungere il primo porto, perché la loro lettera partisse appena possibile.
 
Abel ebbe un pensiero anche per Becky, mentre iniziava a salire sulla passerella, ma nel girarsi a salutare tutti aveva un magnifico sorriso: ormai bramava il mare. E Arthur dovette salutare Maria: le parole non volevano uscirgli dalla gola, e la ragazza faceva uno sforzo visibile per non piangere. Arthur non se la sentiva di abbracciarla davanti a tutti, allora le tenne strette tutte e due le mani a lungo, guardandola negli occhi. Infine, trovò un po’ di voce, anche se era roca:
 
― Non facciamo che dirci addio, noi due …
 
― A-allora stavolta dimmi solo “arrivederci” …
 
― A presto, Maria. Ti porterò nei miei pensieri. – Lentamente, iniziò ad allontanarsi, ma tenendole ancora una mano.
 
― Ed io ti terrò nelle mie preghiere.
 
― Ti prego, fallo … ― Dovette lasciarle la punta delle dita.
 
Joy si stava facendo forza, poi vedendo lui e Abel ormai sul ponte scoppiò in lacrime tra le braccia di suo fratello. Emma si strinse a Dick, pensando che era fortunata a non doversi separare da suo marito come tante altre donne. Catherine e i suoi, il Conte Gerard e gli altri cominciarono ad agitare le mani, chiamandoli e facendo loro ogni augurio di successo, poi la nave si mosse.
 
Arthur non voleva staccare gli occhi dal bel volto triste di Maria. Ma perché si trovava sempre dal lato sbagliato del parapetto di una nave, dalla parte opposta rispetto alla ragazza che amava? Come a Sidney, desiderava buttarsi in mare e raggiungere la sua amata a nuoto. “Poche bracciate e sono da lei!” si diceva, mentre gentilmente la nebbia diradava, permettendogli di vederla ancora. Ma il signor Allen non gli avrebbe più rivolto la parola, suo fratello si sarebbe vergognato di lui e certamente Abel avrebbe avuto anche dei gravi problemi. “Ce la farei ancora, certo che l’acqua sarà freddissima …”, ma sapeva che non doveva. Però Maria lo guardava attraverso le lacrime, e lui non riusciva a sopportarlo. Di colpo, capì che lui aveva una sola alternativa, quella di tornare in Australia, e quindi di non vedere davvero più Maria. No! Questo mai! Così, invece, sarebbe potuto tornare a Londra dopo alcuni mesi.
 
― RITORNERÒ DA TE! ASPETTAMI! – Maria forse lo sentì e forse no, la lontananza non gli lasciava più vedere il suo viso, e la nebbia la nascose ai suoi occhi. Rimase a guardare verso il molo, tentando di scorgerla ancora, anche solo per un secondo. Le lacrime, intanto, gli rigavano le guance.
 
Poi, seppe che era troppo tardi.
 
Cercò Abel con gli occhi ma non lo trovò, quindi chiese ad un marinaio poco distante:
 
― Scusa, hai visto mio fratello?
 
― Sì che l’ho visto. Fa “l’aiuto-vedetta”! – e indicò verso l’alto: Abel era salito sul pennone, e ora guardava verso un orizzonte indistinguibile, dove c’era il mare aperto, e sorrideva. Un vento leggero, che lui conosceva bene, gli muoveva i capelli, il primo refolo dall’aroma salino che veniva da lontano e non aveva niente dello smog di Londra. Il suo sogno lo chiamava, mentre Arthur lo guardava col naso all’insù e pensava che si sarebbe dovuto arrampicare anche lui, un giorno o l’altro.
 
A casa, Becky pensava ad Abel, con un nodo alla gola che non andava né su né giù. Se lo immaginava quasi così com’era in quel momento: libero; poiché la giovane capiva benissimo l’attrazione di Abel per i viaggi di mare. Non immaginava certo che lo stesso sentimento l’accomunava a lui e ad Arthur, a Maria e alle altre ragazze che piangevano sul molo, anche se per ciascuno era diverso: era la nostalgia per la persona amata. Perfino Georgie, felice com’era, a volte si sentiva nostalgica, poiché ogni tanto, senza che se lo sapesse spiegare, nei mesi seguenti si ritrovò a vagare con la mente sulle praterie australiane, con due bei bambini castani, i fratelli dei suoi ricordi più innocenti.

Fine prima parte




Angolo dell'autore: Ebbene, siamo arrivati alla fine del primo tomo! Molti di voi magari avevano dimenticato che questa era una storia in parti, ma lo è. Non credo che gli aggiornamenti diraderanno per questo, e sono contenta di essere riuscita ad aggiornare entro la fine del mese come avevo detto.
Mie care Tetide, Petra Lu e emerald77: i vostri commenti affettuosi mi sostengono e mi fanno sentire la vostra amicizia, pur così strana, vissuta on line tra persone che non si sono mai viste. Spero proprio che la mia storia continui ad appassionarvi, anche se certi sviluppi, che qualcuna aspettava con ansia, dovranno attendere. Se volete farvi vive di più anche fuori dalle recensioni, sappiate che io dedico molto tempo ai rapporti coi miei sostenitori per quanto riguarda le opere grafiche e c'è tranquillamente posto per qualunque cosa mi vogliate dire, per una chiacchierata o una battuta, per una critica o quallo che vi pare. Se ho poco tempo, magari rispondo in ritardo ma rispondo. Intanto, grazie di essere così splendide con me!
Miei cari lettori silenziosi: io non vi nomino mai perché considero le fanfic come dei libri e credo sempre che debba essere l'opera a parlare per me e la lettura il vostro unico interesse. Oggi, invece, faccio un'eccezione per ringraziarvi di aver seguito la mia storia fin qui! Io lo so che ci siete, che vi affacciate per vedere se ci sono aggiornamenti e per rileggere una parte che vi è piaciuta, ogni tanto trovo una persona nuova che ha messo una mia storia tra le seguite o tra le preferite, o che ha messo me tra gli autori preferiti. Non avete idea della felicità che mi date! Grazie a tutti e a presto!
 
[1] https://youtu.be/kBP-EaXU1Vc . Sarebbe consigliato avviare il video adesso.
[2] D’ora in poi, le parole della canzone, che ho personalmente tradotto con qualche minima licenza alla fine, saranno in corsivo. Link al testo originale: http://www.lyricsfreak.com/d/depeche+mode/somebody_20039351.html . Testo di Martin Gore, © EMI Music Publishing, Sony/ATV Music Publishing .
[3] Contrariamente all’opinione più diffusa e agli indizi, è improbabile che Lowell avesse la tisi. Se l’avesse avuta, sarebbe stato quasi spacciato (forse, il soggiorno in luoghi caldi gli sarebbe stato utile), ma soprattutto non si sarebbe mai parlato di operazione: sottoporre un tubercolotico ad un’operazione ai polmoni, non è solo inutile, trattandosi di una patologia virale, ma anche molto pericoloso.

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Capitolo 15
*** Con lei nella mente ***


È con grande titubanza che mi appresto a sottoporvi questo nuovo lungo capitolo. Tutto mi sembra nuovo, nella seconda parte: il ritmo, il comportamento dei personaggi, i luoghi … E poi, c’è una cosa che potrebbe scandalizzare qualcuna, ma quello che qui Abel fa era perfettamente normale a quei tempi per i giovani che avevano un minimo di disponibilità economiche. Non mi va proprio di giudicare i miei personaggi, perciò farò esattamente come Arthur che non giudica, anche se non condivide …
Questo capitolo lo vorrei dedicare a Andy Grim perché, se ancora legge questa storia, veda che non scherzavo quando ho fatto sposare Georgie e Lowell, mi meraviglia casomai essere stata la prima!
Vorrei dedicarlo anche a tutti coloro che si sono preoccupati per la salute di Lowell: Tetide, Petra Lu, emerald77. Qui ci sono notizie importanti!
E tutti, ma proprio tutti, siate i benvenuti! Spero solo di farvi divertire ;)




La notizia della gravidanza di Georgie corse: da suo padre passò in primo luogo ad Emma e Dick, che erano molto cari al Conte per aver ospitato sua figlia nel momento del bisogno e per aver contribuito in modo attivo al salvataggio di Arthur. Emma provò, per la prima volta in vita sua, una punta d’invidia verso Georgie. Era sposata da quasi un anno e non era rimasta ancora incinta. Dick non se ne preoccupava, ma lei sì …
 
Quasi contemporaneamente al Conte, ne fu informata la nonna di Lowell, da una lettera entusiasta del nipote, che scriveva specificamente a lei e genericamente, già che c’era, ai suoi genitori. La signora considerò seriamente la possibilità d’imbarcarsi per l’Italia in primavera, tanto era emozionata. E cominciò a fantasticare su quel frugoletto che avrebbe tanto voluto tenere tra le braccia. La reazione della madre di Lowell fu di grande allegria, e suo padre stappò una bottiglia pregiata. Poi lo seppero i Barnes: madre e figlia erano molto emozionate e avrebbero voluto essere lì con Georgie, così le scrissero immediatamente e le mandarono anche delle riviste con modelli per il corredo di mamma e bambino. Catherine era sempre in contatto con Joy, e quest’ultima, che ne fu felicissima, informò subito il signor Allen. L’armatore si recò personalmente dal Conte Gerard per felicitarsi. I due ci bevvero su in compagnia del Conte Wilson, e ne approfittarono, tra un brindisi e l’altro, per parlare anche dei giovani Butman, che erano in viaggio e si stavano facendo onore.
 
Alla fine, fatalmente, la lettera del Conte che li informava della grande notizia li raggiunse mentre erano già a Gibilterra. Arthur la lesse, se la tenne tutto il giorno e poi la portò ad Abel. Per lui, era una bellissima notizia, ma sapeva che per suo fratello era diverso. Abel ascoltò in silenzio il fratello che leggeva ad alta voce, poi sospirò:
 
― Beh, c’era da aspettarselo.
 
― Sì. Sono proprio contento per lei e Lowell.
 
― Già. Una coppia felice …
 
― Sì …
 
― Arthur, lo so che stai aspettando che io faccia o dica cose esagitate. Ma non mi posso più comportare come un ragazzino … ― Abel stava appoggiato ad una finestra dell’albergo di Gibilterra, giocherellava con la chiave e guardava fuori con svogliatezza il crepuscolo che si faceva notte. – Quello che mi distrugge è che non torna. Rimane in Italia di sicuro, ora che è incinta. E l’Italia non è tanto vicina. Non si tratta più della salute di Lowell: capisci, avrà un bambino e rimanderà ancora il suo rientro qui, perché i bambini piccoli hanno le loro esigenze … Chissà quando la rivedremo.
 
Arthur aveva le lacrime agli occhi per lui, e anche per Georgie che gli mancava, che avrebbe avuto un bimbo senza che lui e Abel potessero partecipare all’evento, che aveva una vita lontana e sempre più difficile da immaginare. Non sarebbe diventato zio solo perché Georgie avrebbe avuto un figlio! L’Australia gli tornò in mente, con la sua vita semplice, e lui che per anni aveva lottato per trattenere Georgie lì, al riparo dal mondo: che nostalgia! Ma aveva dovuto combattere soprattutto con Abel, sempre impetuoso, sempre a mettere il suo amore avanti a tutto, e ora Abel pareva troppo calmo, rassegnato. Non parlava “da Abel”.
 
― Senti, Abel, usciamo! Non devi restare qui a rimuginare, e poi non sappiamo molto di questo posto, ancora! Domani è domenica e possiamo dormire. Sei tu l’uomo di mare, accompagna il tuo apprendista e fratello minore a scoprire il porto!
 
Uscirono. C’era una taverna molto frequentata, dove la musica suonata da un’orchestra alla buona era accompagnata da risate e colpi di stecca. L’ambiente, a parte il fumo, era gradevole, considerata l’umidità salmastra e appiccicaticcia che c’era all’esterno. I due giovani erano entrati e si erano appoggiati al bancone, dove avevano chiesto due birre locali. Dopo poco, si accorsero che due signorine piuttosto carine, sulla ventina e oltre, li stavano osservando insistentemente, ridacchiando tra di loro. Non appena le ragazze incontrarono i loro sguardi, alzarono i loro bicchierini, come brindando a loro due. Abel e Arthur si guardarono, e quest’ultimo non protestò. Così, si misero a parlare con le sconosciute.
 
― Oh, siete qui per affari! Che bello, eh, Ethel? Così giovani e già così capaci!
 
― Bello, sì, Louise. Oh, ma ho finito il bicchiere! No, non voglio che mi offriate da bere, mica siamo qui per approfittare! Quella birra com’è, Abel, mi fai assaggiare? … Oh, buona!
 
Ordinarono delle birre anche per le ragazze, e si sedettero tutti e quattro ad un tavolo. Ethel era alta e bruna, prosperosa, con un’aria molto vivace e un abito viola che le metteva in risalto gli occhi verdi. Louise aveva qualche cosa di malinconico nello sguardo scuro, e sapeva gestirlo molto bene per farsi ammirare; di media statura, formosetta, bionda e vaporosa, faceva un contrasto interessante con l’amica e “collega”. Era evidente che Louise era interessata ad Arthur, anche senza bisogno di assaggiare la sua birra! Ma mentre Abel pareva perfettamente a suo agio, Arthur era teso e si chiedeva come quell’avventura sarebbe finita.
 
― Arthur … mio serio amico, che cosa c’è? Com’è serio, eh, Ethel? Bisogna che un marinaio si distragga pure, ogni tanto! Parla con Louise, raccontami qualche cosa di te, m’interessa. Di che parte dell’Inghilterra sei?
 
― No, veramente siamo australiani …
 
Niente pareva più esotico e affascinante di due australiani!
 
― OOH, australiani, Ethel, ma che bellezza!
 
― Non ci posso credere, australiani! Che cosa abbiamo fatto qui, tu ed io, fino ad oggi, Louise, se in Australia ci sono dei giovani così?!
 
Abel rise di gusto ed inaugurò un nuovo giro di birre.
 
― E così, siete fratelli e siete venuti in Inghilterra dall’Australia insieme, giusto? – chiese Louise.
 
― No: in realtà – rispose Abel ad alta voce – siamo venuti separatamente e lui è mio padre!
 
Anche Arthur dovette esplodere in una risata, come le loro nuove conoscenti: Abel lo prendeva in giro per la sua serietà, ma non gli si potevano dare tutti i torti. Anche se Arthur, a sua volta, aveva le sue ragioni. Più tardi, prese da parte suo fratello, lasciando le due ragazze al tavolo per qualche minuto, con la scusa di liberarlo dai boccali vuoti e ordinare qualcos’altro. E si rivolse ad Abel così:
 
― Ma insomma, stiamo esagerando! Beviamo troppo, e poi, quelle due …
 
― Che c’è, Louise non è di tuo gusto? Arthur, credevo che le bionde ti piacessero!
 
― E dai, non è questo, lo vedo che sono belle! Ma intanto sono capaci di farsi offrire da bere a nostre spese all’infinito, e poi … Nei miei pensieri c’è solo Maria. E anche tu, lo sai che se resti con Ethel alla fine dovrai pagare, vero? Mica vorrai … pagare per una donna?!
 
― E se fosse?
 
― Ah … scusa, non pensavo … L’hai già fatto in passato? – intanto, stavano arrivando i loro quattro bicchierini di bourbon, e ne presero in mano due ciascuno.
 
― No. Jessica era gratis.
 
― Che?! Allora, con Jessica tu …
 
― Arthur: per non pensare a Georgie, una Ethel vale quanto una Jessica.
 
― Ah … e con Jessica, sei riuscito a non pensarci?
 
― No.
 
― Ah. Capisco. Come vuoi. Ma io no!
 
― Tranquillo, nessuno ti obbligherà!
 
Le nuove libagioni furono accolte al tavolo col massimo entusiasmo.
 
Dopo un’oretta dall’arrivo dei ragazzi nel locale, Abel aveva messo un braccio intorno alla vita di Ethel, e parlavano sorridendo, vicinissimi. Louise appoggiò la testa sulla spalla di Arthur:
 
― Lo sai? A prima vista vi somigliate, ma in realtà siete proprio diversi. Tu sembri un cucciolo che ha bisogno di coccole …
 
― Grazie … sei molto dolce, Louise … ― Arthur era in imbarazzo, ma la tenerezza di una ragazza era difficile da respingere, per lui. Gli arrivava il profumo della cipria che abbondava sul viso e sulla scollatura dell’abito fucsia di Louise, e la bocca a cuore di lei era vicina alla sua.
 
Abel lo guardava con la coda dell’occhio, e in cuor suo si divertì quando vide Arthur girarsi leggermente dal lato della ragazza bionda, abbassare la testa verso di lei e lasciare che le loro labbra si sfiorassero. Ma fu solo un attimo: quelle labbra non erano di Maria. Arthur, che stava per lasciarsi andare, provò più nostalgia che mai per la sua amata, e si vergognò nei suoi confronti. Lei si era messa contro tutta la famiglia per lui, e lui dopo solo un mese che non la vedeva si comportava come se Maria non ci fosse mai stata! Il ragazzo allontanò il viso di scatto:
 
― Scusami, Louise! No …
 
― Ma caro, che cosa ti tormenta? sono io che non ti piaccio? – L’animo sensibile del ragazzo ebbe un sussulto, colpito da quella domanda pronunciata con la vocina …
 
― Oh, non è questo, te lo giuro, Louise, tu sei bellissima, sei una ragazza molto … molto …
 
― Devi credergli, mio fratello mi ha detto prima che per lui sei bella! È che tu non lo conosci … ― Abel intervenne, non poté frenarsi, e in breve raccontò molte più cose di quelle che avrebbe detto prima di bere tanto: ― Non devi giudicarlo male, lui … è fedele!
 
― Oooh! … Ma che tenerezza, Louise, hai sentito? è fedele!
 
― Oh, Artie, l’ho capito subito che eri un cuore sensibile e puro! Sei fidanzato, mio caro?
 
― No … ― Il ragazzo non era così rosso in viso da quando aveva conosciuto Catherine e sua madre!
 
― No, lui è fedele ad una fanciulla che non sa neanche niente del suo amore!
 
Louise lo abbracciò, mentre Ethel guardava Arthur languidamente (e abbracciava Abel):
 
― Ethel, esistono ancora uomini così!
 
― Proprio vero, cara, chi l’avrebbe detto! Ma perché la tua dama non sa niente?
 
― Perché è proprio quello che hai detto: una dama. – Arthur si era rassegnato a rispondere, anzi gli fece piacere: gli pareva di poter finalmente essere libero di parlare con qualcuno: ― Figlia di un duca, unica erede al titolo. La famiglia ha deciso da tempo, lei sposerà un nobile, e io non potrò mai avere la loro approvazione.
 
― Oh, ma allora non sai se anche lei ti ama! – Louise lo guardava stando aggrappata al suo braccio e spalancando i grandi occhi profondi. Arthur non rispose, e allora prese la parola Abel, serio:
 
― Sì, che lo ama. Gli ha salvato la vita per amore.
 
Le due ragazze si sciolsero in esclamazioni estasiate. Poi, Ethel si rivolse ad Abel, con uno sguardo che non ammetteva dubbi:
 
― E tu, mio caro? Anche tu hai un amore impossibile nel cuore?
 
― Sì … ma non sono fedele.
 
― Allora, vieni di sopra con me?
 
― Sì …
 

Personality (Abel, Lady Georgie) by Rubina1970
Arthur e Louise rimasero da soli per oltre un’ora, per quanto potessero essere soli in un locale pieno di gente. Il ragazzo evitò i tavoli da biliardo, per non giocare d’azzardo, non bevve più, e Louise non gli chiese nemmeno più di offrirle niente: rimasero a chiacchierare amichevolmente. Arthur scoprì che la ragazza era nata in Spagna, la prima di sette figli, che suo padre era inglese e sua madre spagnola, e che la sua famiglia viveva poco oltre il confine, sulla costa. Quando Abel tornò, senza Ethel, i due ragazzi salutarono Louise. E lo stesso fece lei, baciandoli entrambi, di rapina, sulle labbra.
 
Sulla via del ritorno, Abel decise di chiedere al fratello quello che gli premeva da un po’:
 
― Ti ho scandalizzato, stasera?
 
― No … Ti capisco. Se non avessi un briciolo di speranza per quanto riguarda Maria, non lo so se, prima, con Louise … non lo so.
 
― Fai bene, ad avere speranze.
 
 Arthur sorrise. Avrebbe voluto dire qualche cosa che confortasse Abel, anche per riconoscenza dell’incoraggiamento che gli aveva appena dato e che gli aveva fatto immensamente piacere. Ma non riuscì a trovare niente, poiché Georgie era Georgie, e nemmeno mandarlo alla festa con Becky pareva essere servito a nulla. “Grazie, Ethel!”, pensò allora Arthur, visto che lei sicuramente lo aveva aiutato più di quanto potesse fare un fratello. Abel parve averlo sentito, perché cambiò repentinamente argomento:
 
― Sai, credo che Ethel mi abbia fatto uno sconto!
 
Arthur si mise a ridere:
 
― E Louise ha sprecato un sacco di tempo, ma pareva contenta! Che sia il nostro fascino?
 
― Sicuramente …
 
Abel non era l’individuo più modesto del mondo, ma quella volta aveva ragione.
 
 
 
***
 
 
I mesi trascorrevano.
 
Il viaggio di Abel e Arthur ebbe successo, e tornarono giusto in tempo per Natale.
 
Georgie si era abituata all’atmosfera di Ischia, ormai, e la sua condizione era tale che finalmente poté trovare il tempo di prendere lezioni di lingua: Italiano! La sua gravidanza era abbastanza tranquilla, ma era bene che non si strapazzasse, e quindi un’attività sedentaria come quella andava benissimo. Intanto, Lowell rifioriva.
 
Brandon era ripartito, stavolta per le Indie occidentali, lasciando Joy a Londra e la sua stanza di nuovo vuota. La ragazza aveva promesso al fratello di non frequentare troppo un ambiente non adatto alla sua classe sociale, e non era stato difficile mantenere la promessa: lei e Catherine si videro solo tra di loro, senza eventi ed inviti.
 
Maria e sua zia andavano abbastanza d’accordo.
 
Becky era richiestissima.
 
Abel era contento di come Arthur si era destreggiato in mare: il ragazzo aveva voglia d’imparare e teneva a far fare bella figura al fratello maggiore, quindi si era impegnato molto. Veramente, si era anche divertito parecchio. Col tempo, aveva anche capito il perché di tante lezioni di matematica, visto che la navigazione era proprio questo: calcoli esatti, interpretazioni corrette d’informazioni di natura numerica o geometrica, e conoscenze tecniche.
 
Il signor Allen era soddisfatto, e i due giovani avevano potuto mandare dei soldi allo zio Kevin: era assolutamente necessario aiutarlo, perché aveva la responsabilità delle loro terre, e doveva assumere del personale. Lo zio stava bene, mandava una quantità di lettere affettuose e non gli pareva vero che i tre ragazzi si facessero strada. Il Conte Gerard e gli altri amici riservarono ai due fratelli una magnifica accoglienza.
 
Tutto bene, dunque? Non proprio … Per Arthur, non trovare Maria a Londra non fu del tutto una sorpresa, ma lui non poteva andare a trovarla in campagna, e nemmeno scriverle … Non gli pareva giusto, col rischio di metterla in imbarazzo con sua zia, e poi lui non era proprio nessuno, dal punto di vista sociale, rispetto a lei. Non le aveva nemmeno detto quello che provava. Come poteva pensare di aspettarsi qualche cosa da lei? che lei lo amasse ancora, magari che lo aspettasse?! Lui era un contadino che momentaneamente faceva il marinaio, e con buoni risultati, ma niente di più.
 
Mentre Abel, per la prima volta nella vita, si accontentava, senza sperare nemmeno di raggiungere un obiettivo personale: non era assolutamente felice. Era Natale, e Georgie era lontana, si limitava a scrivere lettere gioiose riguardanti la propria gravidanza e la salute di suo marito. Come Abel aveva previsto, non parlava di tornare; ma tanto, non sarebbe più tornata per lui, come lui avrebbe voluto.
 
Comunque, i tre giovani, che erano cresciuti in Australia, ebbero modo per la prima volta di vivere un Natale europeo in famiglia. Assaggiarono dolci sconosciuti e altre pietanze tipiche della Festa, a Londra nevicò copiosamente e i fuochi artificiali ischitani deliziarono Georgie e Lowell.
 
Arthur non aveva mai visto tanta neve, neanche l’inverno precedente. Seduto dietro una finestra appannata di casa Wilson, sbrinata con una manica del maglione per poter vedere all’esterno, il ragazzo sedeva a guardare come nel pomeriggio la luce del sole, già bassa e dorata, luccicava su tutto quello che toccava, poiché tutto era innevato e scintillante. Ascoltava le carole che provenivano dalla strada, e si chiedeva se anche Maria stesse osservando la neve. Maria cantava bene, lui l’aveva sentita in casa Dangering, e forse in campagna aveva amici con cui organizzare un piccolo coro casalingo, da intonare vicino ad un grande albero decorato. O forse non le era permesso, per via del lutto. Ma magari, quando era da sola, suonava il piano … e allora, ascoltarla,  comprarle un regalo, darglielo la sera della Vigilia … Che avrebbe dato per essere con lei!
 
A distrarlo ci pensò Becky: non attese un giorno prima d’invitare i due ragazzi a trascorrere l’ultima notte dell’anno con lei, con Rory che era appena tornato a casa in licenza e coi loro amici. Abel rifiutò dicendo che voleva passare quella festa con gli altri amici di Londra, che erano di famiglia semplice e non avrebbero mai ricevuto un tale invito, e anche Arthur disse che non poteva. Becky capì l’antifona, e decise d’invitarli un pomeriggio entrambi senza altra gente. Loro accettarono subito, e furono felici di ridere insieme a lei come l’autunno precedente, raccontandole del loro viaggio: il particolare clima di Gibilterra e la magia della veduta di Algeciras in lontananza; i canti notturni dei gitani provenienti dai sobborghi della città portuale; il vento che in certi giorni saliva dal Marocco e rendeva tutti nervosi, annodava i capelli e i pensieri, e faceva sognare luoghi più remoti ancora.
 
Per Becky, però, rivedere Abel fu un colpo: si rese conto che era stata ad aspettarlo, suo malgrado …
 
Le Feste passarono, e i due fratelli dovettero progettare un altro viaggio. Il primo febbraio partirono per la costa francese.
 
In Normandia, Arthur era francamente scontento. Odiava il clima, e non poteva non pensare alle sue terre, al grano che lì stavano per trebbiare, al calore secco ma profumato delle praterie. Era così preso dai suoi pensieri che non fece neanche caso ad un evento: dai primi di dicembre, quando ancora stava per imbarcarsi alla volta dell’Inghilterra, non aveva più avuto neanche un sintomo che ricordasse i suoi antichi mal di testa. Quella fitta era arrivata improvvisamente, come una puntura (forse indotta dal cambiamento del vento, che spirando ora dall’oceano, aveva portato umidità), e in un attimo era svanita. E fu l’ultima fitta alla testa, conseguenza della ferita di proiettile, della sua vita. Arthur era guarito. E non fu il solo …
 
 
***
 
 
“Ischia, 23 marzo 1883
 
Caro papà
 
ti scrivo col cuore in gola per la contentezza: la notizia che ho ricevuto è meravigliosa! Lowell è guarito! I medici hanno controllato e ricontrollato, hanno preferito aspettare la fine dell’inverno per essere sicuri. Ma continuavano a dire “complimenti, signor Grey, lei sta molto meglio!”
 
Io ci volevo credere. Tu sai che per me, ora, i pensieri si dividono tra la mia pancia che cresce e la sua salute! Poi, stamattina ha avuto un controllo, e non ha voluto che io andassi con lui per non farmi stancare. Io lo aspettavo in giardino, sapessi com’è bella la stagione che cambia qui! Ad un certo punto, è arrivato quasi di corsa e ha detto: “Georgie, non ti devi più preoccupare di niente! Io sono un uomo sano!”
 
Oh, papà! Mi sono messa a ballare, letteralmente, non riuscivo a stare ferma, e lui rideva … Dovevi vederci, da una finestra si è affacciata una cameriera e deve aver pensato che fossimo matti! Le abbiamo pure fatto ciao ciao con la mano! Fortuna che poi siamo andati a pranzo come se niente fosse e tutti ci hanno visto quasi normali. Ma noi non siamo normali, adesso: abbiamo brindato, non facevamo che ridere, e l’emozione di Lowell è grande. Continua a ripetere che si sente nuovo, diverso, e io ringrazio il Cielo per questa felicità. Qui la gente è parecchio devota, dicono che se si riceve una grazia si deve portare un cero in chiesa, mi sa che lo farò.
 
Adesso, ci sono grandi cambiamenti in vista: stiamo pensando seriamente di stabilirci qua. Prima di tutto non sarebbe molto saggio per me viaggiare ora, e poi non si può mica far nascere il bambino in albergo! In realtà ci siamo ambientati. Penso che cercheremo casa da domani, ci sono degli inglesi qui che ci aiuteranno. Non voglio che sia un dispiacere per te, ma io davvero per adesso non posso pensare di mettermi in viaggio per l’Inghilterra, e poi Londra non mi è piaciuta. Qui, invece, c’è un sole meraviglioso già in questo periodo. Sarà che l’anno scorso, di questi tempi, cercavamo inutilmente un modo di salvare Arthur, e che ero lontana da Lowell, ma mi pareva che l’inverno londinese dovesse durare per sempre. E poi, sto facendo grandi progressi con la lingua!
 
Ma tu verrai qui a trovarci, quest’estate, vero? Quando il bambino nascerà. Non è vero che tutti i miei pensieri sono per il piccolo e per Lowell, penso sempre anche a te. Ho bisogno di sapere che per il parto tu ci sarai. Io non ho paura, però … La mia idea è che quando nasce un bambino la famiglia si riunisce. Io ho avuto tante persone che mi hanno voluto bene, ma i miei genitori australiani sono morti, la mamma è morta, e voi tre siete lontani … Lowell considera famiglia-famiglia solo sua nonna. Credo che sia l’unica che gli manca davvero. Invece io sento tanto la nostalgia tua e dei ragazzi. Pagherei per avere qui almeno lo zio Kevin, o Emma e Dick. Hai visto, alla fine mi manca perfino Londra!
 
Credo di aver bisogno di mettere radici, dopo tanto viaggiare. Quando vivevo in Australia, il mio mondo era piccolo piccolo: la mamma, lo zio, il ricordo di papà, i miei buoni fratelli, il mio koala, le pecore, i campi … Credevo che sarei vissuta e morta lì, come tutti i contadini, e mi andava bene. Le notizie erano quelle pubblicate sul giornale di Sidney, ma non ci riguardavano molto perché non vivevamo a Sidney. A noi interessava il prezzo del grano, quello della lana, al massimo l’arrivo della fiera in paese. Papà e mamma adottivi si erano conosciuti proprio ad una fiera, e io pensavo che un giorno, in una circostanza simile, avrei incontrato anch’io un ragazzo di un paese vicino, e che mi sarei sposata per diventare una brava moglie e mamma. In un certo senso, si sta avverando: ho incontrato Lowell ad una gara di boomerang per l’inaugurazione della ferrovia, e somigliava tanto ad una fiera! Nel conoscerlo, mi sono emozionata subito, e il giorno stesso mi ha chiesto di sposarlo, e ora sono sua moglie e sto per diventare padrona di casa e soprattutto madre. Ma è successo tutto in modo così diverso da come pensavo! Se ci fossi tu, se ci fossero Abel e Arthur … allora, sarei davvero più felice che nei miei sogni …
 
Che stupida, la gravidanza mi rende sentimentale! Io sono più felice che nei miei sogni! Lowell è un marito adorabile. E chissà se sarà un maschietto o una femminuccia … Mi pare strano pensare che non somiglierà mai ai miei fratelli, perché non sono miei fratelli. Va bene, somiglierà a me e a Lowell, magari a te o alla mamma. Non ho perso dei fratelli, ho trovato un papà! Vedi quanti motivi ho per essere felice? E poi Lowell è salvo, salvo, salvo!
 
Ma vorrei che fosse già luglio, per stringere il mio cucciolo tra le braccia e per averti qui. Se poi potessero venire anche Arthur e Abel, non chiederei altro. Spero che si riguardino, in Francia, e che Abel non beva troppo vino francese!
 
A presto, scriverò appena avrò trovato una sistemazione, ma tu dammi presto tue notizie
 
Ti abbraccio forte
 
Georgie e il suo bambino”




Angolo dell’autore: Due piccole curiosità finali: la fanart ha avuto un modello, anche se poi l’ho “tradito”: l’immagine è al link http://holdmycoat.deviantart.com/art/Beautiful-Men-I-138437630 e il modello è l’inglese Vincent Azzopardi.
L’episodio delle prostitute non doveva trovarsi qui, ma molto più avanti, però l’ho spostato perché alcune di voi non vedevano l’ora di sapere come Abel avrebbe reagito alla notizia della gravidanza di Georgie. Vedete quanto è importante ogni vostro intervento? Grazie a questo particolare, ho potuto mettere a fuoco cose che non avevo previsto nemmeno io! Siete tutti preziosi. A presto, buon fine settimana e grazie!

 

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Capitolo 16
*** Scherzo (Allegro con brio) ***


Capitolo per niente serio e con trama apparentemente esile. Ma in parte è "di stagione", tornerà utile ai fini degli sviluppi, e poi ci sono scene che fa piacere scrivere! Spero che faccia piacere anche a voi leggerlo, miei cari lettori che rallegrate la mia estate.
Ah, mi direte che dalla fanart non si vede che Georgie è incinta: è perché la fanart è stata fatta indipendentemente, come regalo di compleanno nei miei confronti, dalla carissima DarkRinoa88: non è un amore?




In realtà, era vero che Georgie e Lowell si erano ambientati. Gli inglesi che frequentavano le terme erano numerosi, qualcuno decideva a volte di prendere casa a Ischia, e anche i nobili napoletani amavano le cure termali, in particolare la località di Casamicciola era molto vivace. Lowell alle terme aveva conosciuto una comitiva locale che lo aveva preso subito in simpatia. Specialmente Georgie fu accolta volentieri perché era fuori dal comune: amava la gente del posto, per questa ragione voleva imparare la lingua, era molto schietta e non somigliava affatto ai turisti di alto rango. Così, furono proprio i nuovi amici che li aiutarono a trovare casa e servitù.
 
C’era in particolare una domestica di una certa età, Antonia, che si affezionò immediatamente a Georgie. La buona donna la viziava: le piaceva chiederle se desiderava un tè all’inglese, se doveva ravvivarle il fuoco, se la luce non era diventata troppo scarsa per leggere e non fosse ora di accendere altre lampade. Fu un colpo per Georgie quando la signora le disse che per Pasqua doveva tornare definitivamente al paese, dall’altra parte dell’isola, perché il figlio era tornato dall’America, dove aveva avuto una certa fortuna. Ma ancora di più fu un colpo per Antonia:
 
― Signora mia, ma come faccio a lasciarvi!... Voi lo capite, è per mio figlio Giuseppe, sono quindici anni che non lo vedo, e tutta la famiglia si riunisce per una grande festa (viene pure mio fratello da Pozzuoli)! Ma come faccio?...
 
― Antonia … Non preoccupatevi per me: è una grande gioia, questa, no? Anch’io sentirò la vostra mancanza …
 
― Ah, ma io non vi lascio mica da sola! Non vi lascio da sola! Ho trovato a ‘na figliola, che è un fiore, io la conosco da che era così! –, e fece un gesto con la mano a circa mezzo metro di altezza da terra, – Maristella, si chiama. ‘Nu ciore! E voi, signora Contessa, mi dovete fare la cortesia di non dare retta alle chiacchiere che avrete a sentire su di lei: ‘a ggente, sa, è ‘nvidiosa!
 
Quando Georgie vide Maristella, capì subito di che cosa la gente doveva essere invidiosa: la giovane era una di quelle bellezze spettacolari che creano come un vortice intorno a sé, provocato dall’attenzione spasmodica generale che attirano. Alta un po’ più di Georgie, con un viso dagli zigomi scolpiti che le mettevano in risalto gli occhi azzurro chiaro, e una massa di capelli castani e scuri, ricci e lucenti. Il naso drittissimo s’intonava a meraviglia con la bocca importante, e un collo slanciato sovrastava una struttura prosperosa e snella al tempo stesso. Eppure, quello che Georgie notò per prima cosa fu l’espressione seria della ragazza, che pareva non piegare mai quel suo lungo collo, ma al massimo abbassava le ciglia, come una regina orientale che si fosse trovata, a proprio dispetto, a portare gli abiti di una popolana. Chissà perché, però, non le diede un’impressione di superbia: Maristella si guardava intorno senza altra evidente intenzione che capire quello che ci si aspettava da lei.
 
― Eccola qua, signora Contessa! Maristella, saluta!
 
― Buongiorno, signora Contessa, molto lieta.
 
― Ciao, Maristella! Piacere di conoscerti! Mi sa che abbiamo la stessa età, sai? –
 
― Può darsi, signora. – Maristella rispose con voce del tutto indifferente, ma il suo sguardo tradiva un certo stupore: Georgie era così inattesa, nei suoi modi gioviali!
 
In effetti, il comportamento di Georgie era, sotto ogni aspetto, cordiale, eppure assolutamente inusuale per una signora ricca e straniera che incontrasse una domestica per la prima volta.
 
― Ecco qua! Vede, signora, questa figliola è di famiglia di pescatori, come tanti qua attorno. Farà del suo meglio, è forte e molto beneducata, pulita e onesta. – Maristella abbassò gli occhi allungati. – Voi non dovete tenere pensiero, comandate e lei farà.
 
In quel momento, nella cucina entrò Lowell, che cercava Georgie. Disse un “buongiorno” generale e andò a dare un bacio in fronte alla sua bella moglie.
 
― Oh, tesoro, ciao! Antonia mi ha appena presentato Maristella, che la sostituirà. Mi diceva che farà quello che vorrò, ma io non sono abituata a comandare, lo sai.
 
Lowell si girò a guardare la nuova assunta, e sorrise:
 
― E allora tu non comandare, chiedi e basta: sono sicuro che andrà benone. Vero, signorina?
 
Maristella, vedendo Lowell, si era irrigidita. La coppia aveva parlato Inglese, e lei non sapeva che cosa si erano detti, lui poi l’aveva guardata, e per la ragazza era stato imbarazzante. Rimase immobile, senza sapere assolutamente che dire o che fare.
 
― Ah, Mister Grey, dovete scusarla: Maristella non parla Inglese, ma parla Francese, perché alla chiesa c’era una suora francese che l’ha insegnato a tutte le bambine. – Allora, Lowell ripeté quello che aveva detto, stavolta in Francese (e meno male che Georgie aveva fatto enormi progressi in Italiano!), ma nella traduzione forse si perse qualche cosa:
 
― Ho detto che sono sicuro che farai tutto quello che ti si chiederà, anche se mia moglie non è abituata a comandare.
 
Maristella alzò le sopracciglia, arrossì, e poi con voce incolore rispose in Francese:
 
― Tutto, se Monsieur non mi chiede niente di disonesto. – Poi, con aria esterrefatta, guardò Georgie e subito dopo Antonia.
 
Ma la sua espressione non era niente rispetto allo sbigottimento di Lowell:
 
― Oh, mio Dio! Georgie, non volevo mica dire che … Oh, mio Dio! ― Come aveva potuto essere frainteso così?! Lui! La fedeltà in persona, un gentleman!
 
― Uh, Gesù, Mister Grey, che c’è? Maristella, che hai detto? – Antonia cercava di capire.
 
― Che io faccio quello che mi si dice, ma solo se è onesto: nessuno si deve prendere libertà con me!
 
Antonia arrossì a sua volta, poi rispose con gli occhi di fuori:
 
― Ma sei uscita pazza?! Questa è una casa a posto, nessuna delle ragazze si è mai lamentata, io l’avrei saputo! Chiedi subito scusa, come ti sei permessa?!
 
Per fortuna, Georgie, che non spiccicava una parola di Francese ma sapeva ascoltare, capì quello che era successo e scoppiò in una fragorosa risata (intanto, aveva sentito contrarsi il braccio di Lowell dietro la schiena, allora gli prese la mano sudaticcia per l’imbarazzo, e la tenne tra le sue per confortarlo):
 
― No, Antonia, non vi arrabbiate! Maristella, mio marito voleva solo dire che con te posso chiedere gentilmente, che non devo per forza comandare. Lowell non si è offeso, vero, caro? Accidenti, che bel modo di conoscersi!
 
Georgie continuava a ridere, e allora anche Lowell rise, anche perché non c’era altro modo di uscire da quella situazione inverosimile. Maristella era rossa in viso, ma per la prima volta sorridente da quando era entrata. Eccezionalmente, chinò il collo di cigno in un gesto di umiltà, e chiese scusa insistentemente a Lowell in Francese. Il giovane rise più forte e abbracciò Georgie:
 
― Va bene, Maristella, va bene! Non parliamone più, eh?
 
In seguito, Antonia spiegò a Georgie e Lowell che la ragazza era oggetto di continue chiacchiere e comportamenti poco rispettosi, ma non per sua colpa: era la sua bellezza a darle tanti problemi. La sua famiglia, poi, era piuttosto povera, e con questa scusa ogni tanto c’erano uomini, con maggiori disponibilità economiche, che pensavano che lei “dovesse” essere più accondiscendente con le loro richieste, o piuttosto pretese. E Maristella aveva imparato a non fidarsi, a difendersi subito senza cerimonie.
 
― In realtà, è brava. Ma … brava veramente!
 
Georgie rimase un attimo assorta: era da queste cose che Abel la voleva proteggere, con tutte  le sue dimostrazioni di forza verso gli altri ragazzi del paese? I suoi fratelli le mancavano tanto! Non l’avevano mai lasciata un momento, da ragazza, ma Maristella doveva essere cresciuta molto più sola.
 
― Ma certo, Antonia. Andremo d’accordissimo. – E così fu.
 
 


***
 
 
All’inizio dell’estate, Abel e Arthur tornarono nuovamente a Londra, e come loro anche Brandon tornò nuovamente dal suo lungo imbarco. Joy era eccitatissima da giorni, e invitò tutti i suoi amici ad una festa: i fratelli Butman, ovviamente, il signor Allen, Emma e Dick, i suoi innumerevoli conoscenti della zona portuale, e il Conte Gerard col Conte Wilson, e infine Catherine, che disse che sarebbe venuta accompagnata da suo zio Rory. In un vasto cortile acciottolato, fu allestito perfino un tavolato di legno, opera di Dick, per permettere ai ballerini di avere una base regolare su cui muoversi. Era il pomeriggio luminoso del ventidue di giugno, quando si presentarono le prime vicine con pietanze coperte per il rinfresco, e un gruppo di amici e compagni di navigazione di Brandon arrivarono con violini, vari tipi di tamburi e mazze, un flauto traverso e altri strumenti: erano irlandesi, e sapevano bene come far ballare la gente. Emma e Dick portarono un vassoio anche loro. Emma si era arricciata i capelli e si era messa un bellissimo vestito giallo limone con ricami azzurri che poteva star bene solo a lei.
 
Era anche il giorno in cui Arthur compiva diciotto anni. Il ragazzo si preparò canticchiando, mettendosi un vestito con una certa tipica eleganza, ma da popolano. Suo fratello fece altrettanto, e sul pianerottolo delle scale della casa del Conte Wilson convinse quest’ultimo e il Conte Gerard (che viveva ancora lì, non ostante i restauri delle sue proprietà fossero finiti) a togliersi il frac ed il garofano all’occhiello per indossare abiti più informali.
 
Non appena arrivarono, Dick li salutò con allegria e con una caraffa di punch freddo, che tutti assaggiarono volentieri. I due ragazzi furono chiamati da Brandon e Joy, che presentarono loro alcuni amici. Arthur non conosceva bene Brandon, ma gli sembrò un simpatico ragazzone di buon cuore, e ben presto si ritrovò a parlare con lui di viaggi di mare come se avessero fatto il servizio militare insieme[1].
 
I musicisti iniziarono a suonare, e Arthur invitò a ballare Joy, che era la ragazza che conosceva meglio. Abel e Brandon si ritrovarono a guardarli e si misero a chiacchierare:
 
― Si diverte, tua sorella, eh? Ma Joy è sempre allegra …
 
― Sì, per fortuna, anche se … ha avuto i suoi dispiaceri.
 
― Oh, mi dispiace! Sembra incredibile …
 
― Sì, ma sta passando. Mi fa piacere se simpatizza con tuo fratello, è un bravo ragazzo.
 
― Vero. Oggi è anche la sua festa!
 
― L’ho sentito dire … Quanti anni fa?
 
― Diciotto!
 
― Joy ne ha quasi sedici …
 
― … Brandon? Non lasciarti trascinare dai modi di mio fratello minore, lui è gentile con tutti e gli piace ballare!
 
― … Si è capito quello che stavo pensando, eh?
 
― Già …
 
― Ma che vuoi, è mia sorella, e oggi vende fiammiferi per aiutare la famiglia! Non mi va che continui così all’infinito.
 
― Ti capisco, sei il fratello maggiore. Non so che consiglio darti, ho anch’io i miei pensieri per Arthur …
 
― Perché? – Brandon aggrottò le sopracciglia, perché non gli andava che sua sorella ballasse con qualcuno che dava pensieri al fratello …
 
― Oh, non fraintendermi, non è colpa sua! È che mi sembra che il mare non sia la sua strada. Il suo sogno è sempre stato la fattoria di famiglia, in Australia, ma l’ha lasciata alla morte di nostra madre, per cercare me e Georgie e riunire la famiglia, non so se sai quello che è successo. – Certo, che lo sapeva! – Da allora, non è più tornato a casa, e l’ha fatto per me. Stava malissimo, dopo … le sue disavventure, ed io non volevo lasciarlo, e allora per non farmi perdere un’occasione di carriera, l’anno scorso è partito per Gibilterra con me come apprendista.
 
― Ma non ti pare che vada bene per lui?
 
― Per essere bravo, è bravo. Ma penso sempre che, potendo, avrebbe preferito tornare di corsa in Australia dai suoi campi, dalle pecore … Lui è fatto così. E mi dispiace.
 
― Eh, già! Il destino è assurdo! Io ho cercato in tutte le maniere di migliorarmi, il mare è la mia vita. In parte, ci riesco abbastanza, ma a lui è caduta addosso la possibilità di diventare un marinaio rifinito, e non è quello che fa per lui … ― Intanto, la polka stava finendo.
 
― Beh … fatti vedere al cantiere navale. Abbiamo dei grossi progetti in corso, lavoro ce n’è. Se vuoi, vedo se riesco ad infilarti in un posto dove puoi imparare, se ti piace la navigazione … ― Questa non era una di quelle cose che Abel avrebbe detto con facilità. Non cercava i favori della gente, e aveva già “infilato” Arthur, ma chi era che gli aveva offerto un tetto quando era da solo a Londra in inverno? Joy. Chi lo aveva presentato al signor Allen, salvandolo dall’accoltellamento? Joy. E chi aveva recuperato Georgie, quando lui aveva ormai quasi perso la speranza? ancora e sempre Joy. Abel aveva dormito nel letto di Brandon gratis, e si sentiva sicuro che non gli avrebbe fatto fare brutte figure col suo capo.
 
L’arrivo di Rory e Catherine fu accolto con grande simpatia, anche perché Rory portava quattro bottiglie di vino buono e due di bourbon, e … Becky! La ragazza era un’intima, ormai, per parecchie persone: per Abel e Arthur, per Catherine e suo zio, e naturalmente aveva simpatia per Joy e Brandon, come aveva già dimostrato alla festa dell’anno prima. Catherine buttò le braccia al collo di Joy e di suo fratello, Rory stappò allegramente le bottiglie e Becky era dotata di una bellezza e di un sorriso smagliante che la fece apprezzare almeno dalla componente maschile della comitiva.
 
Infine, dopo altre danze ed il rinfresco, fu il momento dei brindisi: i compagni di viaggio di Brandon alzarono più volte i bicchieri per lui e per la sua gentile famiglia. Poi, con grande sorpresa di Arthur, arrivò una grande torta, e Joy prese la parola dicendo che quella torta era per festeggiare il suo compleanno! L’idea era del Conte Gerard, ma non sarebbe stata messa in pratica senza il consenso di Brandon, perché in origine la festa era per lui, ed era giusto che lui fosse d’accordo. Arthur era enormemente contento: mai avrebbe pensato di festeggiare così, e ricambiò le attenzioni con due brindisi, uno a tutti gli amici e uno a Brandon. Se solo ci fossero state loro, le due ragazze che tanto gli mancavano: la sorellina e l’amata lontana …
 
Non era l’unico a pensare all’amore. A Dick, quella festa ricordava tanto le sue nozze. A differenza di Arthur e Abel, però, lui aveva vicino a sé la sua donna. Bisognava conoscere bene Dick per sapere che era un sentimentale. A sua moglie piaceva anche per quello! Ebbe un impulso, si alzò in piedi e parlò ad alta voce:
 
― Carissimi amici! Finora abbiamo potuto festeggiare due ragazzi d’oro, ma visto che è il momento dei brindisi, non vi pare che sia ora di pensare anche alle signore? – un brusio di consenso percorse il gruppo – Ci voglio pensare io. Io sono un privilegiato, sapete? Voglio che vediate tutti il perché: la vedete quella fanciulla intenta a tagliare una fetta di torta? Quella meraviglia (Emma, si chiama), non ci crederete mai, ha sposato proprio me! Un anno e mezzo fa, signori! E oggi, che sono “al giogo” da un po’, mi sento di poter dire sulla pubblica piazza che sposerei quella signora altre dieci volte, se si potesse. Ma non si può, e allora, almeno vi chiedo di brindare. Signori uomini, specialmente voi: alle signore e all’amore!
 
Emma si era coperta le guance rosse con le mani, mise giù il coltello e corse a brevi passi tra le braccia di Dick, che la strinse forte a sé, mentre tutti ripetevano con entusiasmo il brindisi di Dick e bevevano. Ognuno sapeva a chi pensare: i più fortunati pensarono alla donna con cui erano andati alla festa, Arthur sussurrò in fretta “A Maria!” un attimo prima di posare le labbra sul bordo del suo bicchiere, e Abel … decise di non pensare, se non a vedere il fondo del proprio calice. Mentre le conversazioni riprendevano a scorrere tranquillamente, Abel si sentì chiamare da Becky con tono buffamente furtivo:
 
― Ehi, uomo del mistero! A me puoi dirlo: hai fatto quest’ultimo brindisi per qualcuno in particolare, o per tutte noi dame presenti? ― … Abel pensò che Becky forse non fosse del tutto sobria, ma la loro confidenza la giustificava.
 
― Io?! Io sono sposato! – una battuta gli parve la cosa migliore: ― Quando un uomo intraprende la vita del mare, sposa la nave su cui viaggia ogni volta, perché il mare non lascia posto ad altro!
 
― Uhmmm! Ecco uno che non la racconta giusta!
 
― Ahaha! Come, non mi credi?!
 
― E va bene, ti credo, tanto cambierai idea! E tuo fratello, il festeggiato, ha sposato una polena pure lui o secondo te aveva qualcuno in mente?
 
― Io sono l’uomo del mistero, l’hai detto tu: dalla mia bocca non uscirà una parola! Ti va di ballare?
 
La musica era appena ripresa, e le coppie si erano formate subito, come incoraggiate dal brindisi. Questo aveva dato modo ad Abel di cambiare argomento, e Becky fece di sì con la testa, sorridendo, mentre un lunghissimo e basso tramonto dorato illuminava ancora lo spiazzo.
 
Dopo tre canzoni non c’erano più differenze o persone che non si conoscevano: tutti erano amici, il Conte Wilson scherzava fraternamente col padre di Joy, e Brandon invitò a ballare Becky per una scatenata danza irlandese.
 
Era sorprendente come Becky si fosse ambientata subito. Era stata brava a non esagerare già da casa: niente di troppo elegante, nessun gioiello importante, e i capelli acconciati in una pettinatura che dava libero sfogo a molte ciocche, che le ricadevano sulle spalle e non parevano nemmeno arricciate. Becky saltellava e Rory la guardava.
 
Infine, tutti tornarono a casa, e tutti mediamente molto soddisfatti. Forse, la più felice era Emma. Anche Rory era contento. Depositata a casa Catherine, accompagnò Becky, e le chiese le sue impressioni su quella giornata:
 
― Oh, sono stata benissimo! Mi sono proprio divertita! Tu non conosci ancora bene alcuni di loro: Abel e Arthur sono sempre adorabili, hai visto la faccia di Arthur quando è entrata quella torta gigante per lui? E Abel, quanto abbiamo ballato! Sono contenta per Emma e Dick, fa bene vederli così innamorati. Tu pensi che Brandon si fermerà a lungo? A me ha detto che vuole fermarsi, speriamo!
 
― Direi che ti sei proprio divertita! Bene, ho insistito io per farti venire e ho fatto proprio bene …
 
― Certo, che hai fatto bene! Perché, pensavi che mi sarei annoiata?
 
― No. Ma non ti avevo mai vista come oggi. Ti vedo sempre in mezzo all’alta società, a fare la mademoiselle … Qua oggi era un’altra cosa.
 
― Robert Barnes, ma che dici? Sei tu quello nato bene, di noi due! Io vengo da una famiglia di uomini d’affari australiani!
 
― Sì, ma io non erediterò, e vivo in caserma, lo sai. Quando mi sposerò, mia moglie dovrà sapere che il Barone è mio fratello e che la proprietà è indivisibile quanto il titolo. Io non vorrei una donna che si rifiuta di mangiare trota perché non ci sono le posate da pesce.
 
― Rory, ma di che parli?...
 
Rory fece una breve pausa, guardando Becky. Vide all’istante che la ragazza non fingeva, ma era veramente impreparata alla piega che lui voleva dare al discorso. Del resto, aveva cominciato malissimo, parlando di caserma e di eredità, di mademoiselles e di posate da pesce, e capì di essere su di un binario morto. Se Becky non aveva mai pensato a lui, doveva tentare di farle aprire gli occhi, di avvicinarla a sé lentamente, e poi chiederle quello che avrebbe voluto in un modo ben diverso.
 
― Niente, che a me piace la gente comune. I tuoi amici mi hanno conquistato! Me li ricordavo bene dall’anno scorso, tutti meno Arthur che quasi non conoscevo. Ma ora voglio frequentarli tutti!
 
“No, loro mi piacciono ma sei tu che mi hai conquistato! Tu, bambina stupenda che ballavi coi tuoi capelli lucenti nel vento …”
 
Becky non udì i pensieri segreti di Rory, ma sorrise lo stesso: l’idea di fare una comitiva con tutti i suoi amici preferiti le piaceva.
 

[1] Veramente, in Inghilterra la leva obbligatoria non funzionava proprio come il nostro servizio militare, e credo nemmeno in Australia. Gli Inglesi avevano un esercito e una marina di professionisti, che integravano con altri uomini solo in caso di guerra. Ma l’immagine rendeva bene l’idea, anche perché in Italia sotto i Savoia la coscrizione obbligatoria c’è stata eccome, e abbiamo visto che l’Italia non è molto lontana da questa storia …

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Capitolo 17
*** A te che sei lontano ***


Proprio in quei giorni, appena tornato in Inghilterra, Arthur aveva chiesto al Conte Gerard se avesse notizie di Maria. Lo aveva fatto come niente fosse, distrattamente, ma solo all’apparenza. E aveva scoperto che si trovava in Cornovaglia. Il ragazzo aveva sospirato: la Cornovaglia era del tutto fuori dalla sua portata.
 
Maria era impegnata in un viaggio che era appena iniziato: era previsto, infatti, che l’autunno seguente non tornasse affatto a Londra, ma che partisse nuovamente alla volta della Francia e dell’Italia per compiere quel grand tour che sua zia riteneva necessario per lei. Maria si stava preparando a diventare una dama rifinita, e la Cornovaglia era una prima tappa della sua formazione. Non era da sola: una comitiva di amici (in parte inglesi e in parte del sud del Galles, di dove la famiglia era originaria) l’accompagnava. Anzi, erano proprio quei giovani che avevano convinto le loro famiglie, e lady Constancia, che le coste più occidentali dell’Inghilterra erano uno spettacolo da vedere assolutamente, in estate.
 
Così, nel mese di luglio, Maria visitò la mitica Tintagel. Le leggende arturiane erano di gran moda, perché si sposavano a meraviglia col gusto romantico. Anche l’arte figurativa del periodo s’ispirava al ciclo del Graal, quell’arte che coi pittori Preraffaelliti si lasciava andare ad una malinconica, estatica, quasi decadente reinterpretazione del gusto italiano del primo Rinascimento. E Maria avrebbe visitato presto l’Italia: ecco un'altra scusa per andare in Cornovaglia, dunque, che era all’origine della cultura inglese come le rovine greco-romane e le testimonianze rinascimentali erano all’origine di quella italiana. Insomma, un gruppo di rampolli colti e ricchi, privi di occupazioni e di preoccupazioni, con la lingua molto sciolta se occorreva, aveva decantato ai facoltosi genitori una bella quantità di luoghi comuni dall’odore “culturale”, al solo scopo di farsi una bella vacanza sulla costa.
 
A Maria vedere posti nuovi non dispiaceva. Londra non le mancava di sicuro, Arthur non le aveva mai fatto intendere che tra di loro ci potesse essere di più che amicizia, almeno da quando era stato liberato dalla sua prigionia, e lei gradiva qualunque distrazione dalla pena del suo cuore. Ma, poverina, aveva fatto male i suoi conti …
 
Visitavano le rovine di Tintagel in una ventosa mattinata di sole, come ne capitano spesso in prossimità dell’oceano. Il posto era suggestivo, e il ragazzo più grande della comitiva faceva da guida a tutti. Si trattava di Charles Fenner, ventitré anni e una laurea in legge, futuro Visconte, parente stretto del Duca di Cumberland, ed era il più importante del gruppo come lignaggio, insieme a Maria. Era un tipo elegante, con una sua bellezza nordica, molto abile con le parole, la vocazione alla politica e grandi prospettive. E pareva prendere spesso Maria sotto la sua ala, leggendo per lei le guide turistiche, offrendosi di accompagnarla ovunque e d’insegnarle a tirare con l’arco, esaltando le sue abilità musicali e qualunque altro talento la ragazza potesse avere.
 
― Ed ecco dunque Tintagel presentarsi al viaggiatore aspra e ricca di mistero. – Charles leggeva con un tono leggermente ironico la sua guida: ― La salita è lunga ed impervia, ma quale premio offrirà a colui che, dall’alto, potrà ammirare l’isola stagliarsi tra le rovine ed il grande oceano! I secoli hanno trasformato i bastioni superstiti, facendoli sembrare quasi una muraglia di roccia naturale, mentre siamo di fronte ad uno dei più alti lasciti del nostro passato. Qui, infatti, su queste stesse roccaforti, camminava re Artù, quell’antico e saggio re fondatore che diede all’Inghilterra …
 
Maria non lo ascoltava già più: re Artù, “King Arthur” … Arthur … Il suo pensiero era altrove. Il cuore le si riempiva di nostalgia, pensando a qualcuno che non sperava di rivedere. Non aveva udito le ultime parole che il suo amore le aveva gridato dalla nave, quindi non si aspettava certo che volesse tornare da lei.
 
Ma serbava memoria di ogni momento trascorso con lui. L’ultima volta che l’aveva visto, Arthur le aveva sorriso dolcemente tutto il tempo, come non aveva fatto mai a casa Dangering. Teneva tra le mani la sua tazza fumante e la guardava, pareva che fosse interessato ad ogni sua parola, e poi le aveva tenuto la mano finché non aveva dovuto lasciarla, sul molo. Le mani di Arthur erano diverse da quelle degli altri ragazzi che lei conosceva: erano state usate, e non solo per intingere la penna d’oca in un calamaio alla city! Era stato il lavoro della terra e del mare (ora Maria lo sapeva) a renderle più grandi e forti, anche se delicate. Quelle mani una volta l’avevano condotta fuori da un salone, per coinvolgerla in un ballo sfrenato nell’ombra notturna di un giardino. Se solo le avesse potute sentire ancora una volta, calde e sicure!...
 
Per un attimo, Maria rivisse il ricordo più struggente di tutti: un bacio sulle labbra, dato da lei e ricevuto con dolcezza da lui, nelle segrete del suo palazzo di Londra … l’unico bacio della sua vita, nel quale Maria aveva infuso tutto il suo amore, la sua apprensione ed il suo enorme rimpianto. Le labbra di Arthur non l’avevano baciata più, e questa dolorosa certezza le era ben chiara. Però, avevano riso e sorriso con lei. Si rese conto che era stato proprio durante il ballo per le nozze di Georgie che lei lo aveva sentito ridere per la prima volta, e dopo quella sera l’aveva sentito ridere e visto sorridere ancora. Anche tutte le attenzioni che le aveva mostrato al porto erano state spontanee: e se nei suoi sentimenti ci fosse stato altro, oltre alla gratitudine?...
 
Charles continuava ad attirare l’attenzione di tutti con letture e battute, ma lei avrebbe tanto preferito essere sola. Non sentiva nemmeno amicizia per tutta quella gente che si prodigava per compiacerla, tutto da parte loro le pareva interessato e noioso. Arthur era così diverso da loro! Maria guardava l’oceano e la pianura sottostante e si chiedeva dove fosse, con le sue mani, con la sua risata. Se in quel momento fosse apparso lì, i suoi capelli lucenti sarebbero stati mossi dal vento (quei capelli che non ne volevano sapere di restare a lungo nella posizione imposta dal pettine, ma che incorniciavano lo stesso perfettamente il viso di Arthur, rendendo la sua bellezza ancora più seducente agli occhi di Maria).
 
Il mare brillante sotto il sole non interrompeva il suo suono potente ed accattivante, ma Charles scherzava su Excalibur. Maria pensò che anche nel suo cuore era conficcata una spada, e che solo la mano sicura di Arthur avrebbe potuto estrarla, come Artù dalla roccia. Il pensiero delle mani di Arthur le diede un brivido: il desiderio che lui l’amasse era addirittura doloroso. Avrebbe voluto piangere, e invece non poteva neanche pronunciare il suo nome …

 
 Tintagel Castle Summer 2004 - geograph.org.uk - 10533.jpg[1]
 
 
***
 
 
Con suo stupore, Georgie notò che la gravidanza la rendeva davvero sentimentale, come aveva scritto a suo padre. Guardava Lowell con particolare apprensione, quando usciva per incontrare gli amici che si era fatto a Casamicciola, o il medico (col quale ormai si davano del tu). Lowell l’avrebbe volentieri portata dovunque con sé, ma lei non sempre se la sentiva: era stanca, per via del peso che si portava dietro tutto il tempo, e avvertiva più del solito il caldo.
 
La sua maggiore felicità, quando Lowell non c’era, era la compagnia di Maristella. Maristella era una ragazza taciturna, a causa della rigida educazione che aveva ricevuto, ma col trascorrere delle settimane aveva capito che Georgie era proprio come appariva: solare e affettuosa, priva di superbia o malizia, simpatica e pronta ad andare incontro a tutti. Una domenica, tornando dalla messa con la famiglia, l’aveva incontrata a passeggio con Lowell, e la sua padrona aveva stretto la mano a suo padre con calore! Georgie Grey Contessa Gerard era una persona che trattava tutti allo stesso modo, e cioè in modo incantevole. Così, la ragazza fece quello che poteva per Georgie: soprattutto ascoltarla mentre parlava, nelle lunghe ore di riposo e di caldo crescente. E i racconti di Georgie andavano sempre in due direzioni, e cioè verso l’Inghilterra quando parlava di suo padre, e verso l’Australia quando parlava di sé. Perché la vita di Georgie si rispecchiava ancora nel cielo australiano. Maristella provava ad immaginare le vastità inconcepibili, gli animali bizzarri di quel remoto paese. E poi, Georgie aveva due famiglie di cui poter raccontare! Ad incuriosirla, però, furono soprattutto gli aneddoti che riguardavano loro, due fratelli che parevano da fiaba, belli e nobili di cuore, affettuosi eppure diversissimi.
 
Se Georgie aveva tanto tempo per raccontare, era perché Lowell usciva spesso: si era interessato sempre di più ai trasporti, e alcuni suoi amici avevano affari nelle ferrovie della terraferma. Inoltre gli avevano spiegato che le fonti termali dell’isola erano numerose, e lui stava valutando se investire in nuove strutture termali. Anche in quel caso, il problema erano i trasporti, perché i collegamenti interni a Ischia non erano un granché e gli abitanti dei diversi paesi non avevano ancora pensato al benessere che poteva portar loro la costruzione di strade migliori tra le diverse sorgenti. Insomma, Lowell studiava l’isola, si confrontava coi frequentatori delle terme di Casamicciola che avessero cultura e disponibilità economiche, s’informava sui prezzi dei terreni e sulle possibilità di migliorare la circolazione di cose e persone, e in più si divertiva un mondo. La sua famiglia aveva fatto fortuna con l’impero coloniale, e lui aveva ereditato una certa mentalità imprenditoriale tipicamente inglese.
 
Ma Georgie, a malincuore, dovette ammettere che anche se la prima parte del suo viaggio in Italia le era sembrata una luna di miele (non ostante la malattia di Lowell), quel momento era finito. Era subentrata una cosa che mai lei si sarebbe aspettata, nel suo rapporto con suo marito: la routine. Lei era incinta, e a quell’epoca si riteneva che la gravidanza dovesse comportare una maggior distanza tra marito e moglie. I rapporti fisici erano addirittura vietati, e se una signora in stato interessante era autorizzata a non fare assolutamente nulla e a rimanere a casa, specialmente con le temperature estive, non altrettanto si poteva dire per un marito benestante e che volesse farsi una posizione. Il futuro padre era tenuto a “lasciar tranquilla” la moglie (si diceva così per dire che non doveva nemmeno toccarla o quasi) e a mantenere lui i rapporti sociali, affidando la signora alle cure delle donne della casa, meglio se esperte. Forse fu per questa ragione che Antonia sentì il dovere morale, insieme al desiderio, di tornare a casa Grey.
 
Georgie se la vide arrivare una mattina di buon’ora. Le due donne furono felicissime di rivedersi, addirittura commosse! Timidamente, Antonia chiese a Georgie se nella casa non ci potesse essere ancora un posto per lei:
 
― Non mi ci potevo vedere, signora Contessa! Io, con le mani in mano, a ricamare e chiacchierare con le vicine tutto il giorno! Io non chiedo molto, non ho mai detto a mio figlio di farmi fare la vita della signora … Mi ha detto che posso fare quello che voglio, ma questo io già lo so, sono sua madre! Però … certo, se non avete bisogno di persone, io lo capisco …
 
Come poteva Georgie dire di no? ma come poteva separarsi da Maristella? Due giorni dopo, una difficile decisione era stata presa, e Antonia si trasferì, armata di un borsone di stoffa, di un ombrello e di un cappellino, equipaggiata cioè per tutte le stagioni.
 
 
***
 
 
“Mia cara Georgie,
 
sono felice di sapere che la tua gravidanza procede bene! Sarai una mamma meravigliosa, come sognavi sempre da bambina.
 
Io, però, non sarò presente al lieto evento. Siamo in un momento particolare, qui all’impresa navale, e saremmo dovuti partire tutti e due, sia io che Arthur, l’unico aspirante sostituto nel mio ruolo che abbia un minimo di esperienza. Ma nei confronti del signor Allen, io non me la sento di lasciare tutto proprio adesso.
 
Mi odierai? no, per favore! Prometto che una cosa simile non accadrà mai più! Siamo rimasti in questo continente, lontano da casa, anche nella speranza di rimanere uniti, troverò un’altra persona che mi possa rimpiazzare al più presto, magari alla prossima occasione lascerò qui Arthur. Ma lui non ci ha proprio pensato, voleva venire da te assolutamente, e il Conte tuo padre sarà con lui. Arriveranno presto, insieme! Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene e ci rivedremo presto. Se avessi dei dubbi, ti ricordo che il primo a partire di corsa quando sei scappata da casa per venire in Inghilterra, sono stato io. Io non ti dimentico un solo momento, Georgie …
 
La mia prossima lettera sarà più lunga, per ora ti abbraccio, mi raccomando di riposarti e rimango sempre
 
il tuo affezionato Abel.”
 
Il breve foglio fu aperto e scorso in fretta la mattina in cui Antonia si era trasferita di nuovo in casa. Quando arrivò la posta, Georgie non aveva ancora trovato il coraggio di affrontare Maristella, e Lowell era già uscito. Proprio in quell’istante, Antonia entrò nel boudoir dove Georgie appena finito di leggere, giusto in tempo per vederla cadere seduta su una poltroncina e scoppiare in singhiozzi. Non era un comportamento da lei, certamente era la gravidanza, o forse altri pensieri che la opprimevano, ma scoppiò proprio in un pianto dirotto, spaventando a morte Antonia che pensò che avesse ricevuto notizie tragiche:
 
― Signora Contessa! Oh, Signora Contessa, che vi succede? Brutte notizie? Vi sentite male? – la brava signora corse da Georgie, le prese il foglio dalle mani guardandolo con angoscia perché era in Inglese e lei non lo poteva leggere, lo appoggiò e sostenne Georgie per le spalle, che si scuotevano senza sosta.
 
― Antonia … Oh, lui non viene … Maristella va via … e Lowell … Lowell …
 
― Signora Contessa, vi prego, calmatevi, questo nel vostro stato non va bene! Volete dirmi che cosa vi succede? Magari, se vi sfogate …
 
― Sì, per favore, Antonia, aiutatemi … Solo voi mi potete capire … Abel … Abel … ah, grazie … ― Antonia le aveva porto un fazzoletto e le stava versando un bicchiere d’acqua, vedendo che Georgie stava cominciando a recuperare il controllo di sé, ― Abel è il mio fratello adottivo più grande. Lui doveva venire per il parto … lui con Arthur il minore e con mio padre … ma mi ha scritto … mi ha scritto … che non viene più!
 
― Oh, ma allora la lettera che avete ricevuto, perdonatemi, ma solamente questo diceva? non è successa una disgrazia?
 
Effettivamente (Georgie si vergognò un po’) non era successa una disgrazia. Ma allora, perché si sentiva tanto male? forse Antonia non era solo l’unica che la potesse capire, era anche la persona che la poteva aiutare a fare chiarezza dentro di sé:
 
― Beh, no … ecco … non lo so che mi succede … Mi pare di restare sola! – bevve un sorso d’acqua e si sentì più calma – Noi siamo sempre stati molto uniti, ma Abel già una volta partì e rimase lontano, come marinaio … e mi è mancato tanto. Lui è forte e gentile con me, il mio fratellone! Invece non può venire per il lavoro.
 
― Ma vostro padre e l’altro vostro fratello vengono, no?
 
― Sì. Arthur non si è mai allontanato da me, in effetti, lui è tanto dolce, e viene, e rivedrò anche papà! – finalmente, le sfuggì un mezzo sorriso.
 
― E allora, signora Contessa, lo vedete? perché dite che vi pare di restare sola, se ci sono loro?!
 
― Lowell, mio marito … non lo so, non c’è quasi mai. Il tempo è così lento e vuoto, ora che non posso lavorare e che lui non c’è. Io ho sempre lavorato, ho sofferto parecchio nella mia vita, ma ero sempre io a correre: sono venuta in Inghilterra da sola, ho lavorato quando Lowell stava male, ho lottato per salvare mio fratello, sono venuta qui come moglie, e ora invece … aspettare … tutti i giorni …
 
― Signora Contessa … Voi siete la padrona, questa è casa vostra, ma il signore ha da fare fuori, è normale …
 
― Padrona, Antonia? E pensate che me ne importi? A me importa di lui, e lui non c’è, proprio adesso che mi sta per succedere una cosa così grande e importante! E poi, Abel che non viene, Maristella che va via … che avrei fatto senza di lei? … Oh, Antonia, non intendevo dire che … io sono felicissima che voi siate tornata!
 
― Signora Contessa … lo so, grazie. – Antonia non si aspettava amicizia dalla sua padrona, e sapeva che non poteva pretendere nulla. Le dispiaceva solo che Georgie avesse dei rimpianti per le conseguenze del suo ritorno. La sua umiltà la salvò da un dispiacere personale: sapere che Georgie piangeva anche perché era stata scelta lei, e non Maristella, per restare.
 
― Mi dispiace, Antonia, voi … siete tanto buona, mi volete bene, mi capite … Però intanto Maristella è diventata mia amica! E io non la voglio mandare via! Abbiamo parlato tanto dell’Australia, della vita dei pescatori, di lei … vuole diventare una brava ricamatrice e imparare l’Inglese!
 
― Signora Contessa, voi tenete il cuore di latte e miele! Sapete che dovete fare? aspettate. Aspettate questa sera e parlate con vostro marito quando torna, magari una soluzione si trova, per adesso a Maristella non ditegli niente. E tiratevi su, che presto arriveranno vostro padre il Conte e vostro fratello!
 
― Avete ragione … grazie! Non so proprio perché mi sono comportata così, mi sento una sciocca …
 
― Eh, è normale, quando si aspetta! Un bel pianto ce lo siamo fatto tutte quante! E quando parlate con vostro marito … se mi permettete … ditegli le cose chiaramente. Gli uomini non indovinano mai! A loro le cose gliele dobbiamo dire! Per il resto … la pazienza delle donne è anche questa: rimanere a casa, mentre loro sono fuori.
 
Antonia aveva colto nel segno. Lasciò Georgie per prepararle di persona un tè e chiamò Maristella per tenerle compagnia, riproponendosi di fare i complimenti alla ragazza per come si era comportata bene al suo primo servizio. E Georgie si fermò a guardare la breve lettera di Abel: lui la conosceva veramente bene, prima ancora di ricevere risposta già le ricordava che non doveva dubitare del suo affetto, e che lui si era precipitato a Londra per cercarla, senza una traccia, senza farsi scoraggiare dal fatto che lei era praticamente scappata lontano dalla proposta di matrimonio che lui le aveva fatto. Fino a quel momento, non le era venuto in mente nemmeno per un attimo, ma ora le pareva chiaro: ad Abel costava parecchio non raggiungerla. Forse troppo … forse ora era lui che scappava dal dolore di vederla madre e moglie felice di un altro uomo … e magari non c’era nessuno a consolare lui, mentre lei aveva la sua creatura, Antonia, Maristella, Arthur e suo padre in arrivo, Lowell … Ripensò a sua madre Mary: lei sì, che aveva perso suo marito! Lowell sarebbe tornato sempre, mentre quel caro papà che lei aveva conosciuto per così poco (e amato così tanto) un giorno era morto, lasciando una sposa che non aveva mai più pensato ad un uomo. Quanto doveva aver sofferto sua madre? Riempire i giorni col lavoro, senza nessuno che la potesse ascoltare, e con tre figli piccoli da tirar su, doveva essere stato tremendo. E l’altra sua madre, che lei non ricordava più? Erano venuti a portar via suo marito da casa, in manette, e da quel giorno non aveva più avuto un attimo di pace! Quant’era fortunata lei, Georgie, a confronto? Lowell sarebbe tornato sempre! Lui che la capiva e l’amava tanto …
 
E Lowell tornò effettivamente per pranzo, quel giorno, perché aveva pensato che la gravidanza giungeva al termine e che non era bene attraversare l’isola e tornare soltanto la sera. Georgie mangiò con lui come niente fosse, poi gli disse che intendeva riposarsi un po’ in camera e gli chiese di venire con lei.
 
Si cambiò, si distese su una chaise-longue e lo fece mettere accanto a sé, in camera da letto, mentre dalle tende chiare filtravano le righe di luce create dalle persiane.
 
― Ho un problema, sai? Sono felice che Antonia sia ritornata, ma Maristella mi mancherà troppo, non voglio che se ne vada.
 
― Georgie, non si può assumere altro personale così. Quando arriverà il bambino, dovremo anche prendere una balia!
 
A Georgie venne un colpo! Non ci aveva pensato proprio, nell’ambiente dove era cresciuta nessuno aveva avuto bambinaie, tantomeno una vera balia!
 
― E perché?!!
 
― Beh, ma per allattare e per pensare al bambino, naturalmente. – Era davvero troppo, per la povera Georgie.
 
― NO! NO! Perché mi fai questo? Che c’è, non pensi che sarei una brava madre, vero?
 
― Ma Georgie … che dici, no, si fa così nelle famiglie ricche …
 
― Mi vuoi solo come una bella porcellana, da lasciare lì per guardarla! Non vuoi che lavori, non stai mai con me, non mi tocchi neanche più, adesso non dovrei nemmeno allattare il mio bambino!
 
Lowell arrossì violentemente, e gli sembrò che tutto il suo mondo venisse giù come un castello di carte. Che ne sapeva lui del matrimonio? L’unico modello che conosceva era assai poco felice, e lui credeva di aver fatto tutto secondo le regole della sua classe sociale, ma Georgie era diversa, era potentemente vitale, e l’aveva conquistato subito proprio per quello. E ora la sua vitalità aveva spazzato via in un attimo tutte le sue convinzioni alto-borghesi, facendolo sentire un miserabile. Nella sua forza, però, Georgie non si era limitata a distruggere: gli aveva offerto la salvezza, indicato la strada.
 
― NO! Oh, perdonami, sono un cretino, ma non volevo, te lo giuro! Faremo come vuoi tu, tutto come vuoi tu! Sarai una mamma stupenda, io spero di avere una figlia come te, e l’allatterai tu finché ne avrai voglia, ad aiutarti ci penserà Antonia, e se vuoi Maristella avrai Maristella! E io … io … vedi, non è che …
 
Lowell si era quasi messo a piangere, e si dovette interrompere per un momento. Non pensava che lei potesse dubitare così del suo amore e della sua considerazione! Si stava creando un solco pericoloso tra di loro, e gli era completamente sfuggito, ma ora si poteva rimediare.
 
Anche Georgie era emozionata, suo marito ora era autentico e vicino, stava cercando di dimostrarle tutto il suo amore. Le accarezzava i riccioli biondi con una mano, e con l’altra le accarezzò la pancia riprendendo a parlare:
 
― Io credevo di fare quello che dovevo, ma non pensare mai che io non ti voglia come la prima notte. Anche adesso, sapessi quanto ti vorrei, sei così donna ora … ora che avrai mio figlio! Tu sei forte e stupenda come nessun’altra, e io sarò sempre devoto a te!
 
Georgie si sentiva davvero rinascere. Si alzò con un sorriso felice, e prendendo Lowell per mano lo condusse fino al letto. Forse non sapeva neanche lei bene quello che doveva fare, ora che il suo corpo era così diverso, e di sicuro non lo sapeva Lowell. Ma per lui fu naturale distendersi accanto a lei per abbracciarla e baciarla, e poi lasciarsi guidare. Era stato sul punto di deluderla, l’aveva fatta sentire inutile ed incompleta, proprio il contrario di quello che voleva! Era tanto bello, baciarla così! E Georgie si lasciava coccolare accarezzando il suo amato, che finalmente lavava via tutti i dubbi e le paure. Poi, gli sbottonò la camicia. Poi, senza smettere di baciarlo, gli prese una mano perché anche lui l’accarezzasse, e lui non poteva dire di no, cercare di comportarsi come un uomo ragionevole come gli era stato raccomandato!
 
“Lei saprà quello che fa!” si disse Lowell, mentre le toccava una coscia con una mano, stringendola per le spalle con l’altra.
 
― Ti amerò sempre, Georgie …
 
Nessuno li vide per tutto il pomeriggio. Quella sera, non c’erano problemi né tensioni in casa, e Maristella ricevette la proposta di restare come dama di compagnia. Oltre al compenso dovuto, avrebbe anche avuto del tempo libero per occuparsi della sua famiglia e avrebbe preso regolari lezioni di taglio, cucito e ricamo e Inglese. Georgie ora aveva una protégé.
 

[1] Crediti per l’’immagine di Tintagel: "Tintagel Castle Summer 2004 - geograph.org.uk - 10533" di chestertouristcom. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons: "Tintagel Castle Summer 2004 - geograph.org.uk - 10533" by chestertouristcom. Licensed under CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons.

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Capitolo 18
*** Eventi naturali potenti (A Question Of Lust) ***


Arthur respirò profondamente, sentendosi di ottimo umore. Quella luce ridente, quell’aria calda, il colore del mare visto dal porto mentre la barca si avvicinava al molo, gli parevano familiari. Era eccitato all’idea di rivedere Georgie, e addirittura elettrizzato per l’intensità della bella stagione italiana, che gli ricordava stranamente l’Australia. Lui era nato per quelle temperature!
 
Già il porto di Napoli gli si era presentato con una vista che lo aveva impressionato, per la vastità del porto stesso ma soprattutto per il paesaggio unico: la città si stendeva risalendo da un lato verso il vulcano dal caratteristico profilo, e dall’altro abbracciando il mare con una costa di una bellezza che lui (pur non essendo mai stato un grande amante dei viaggi) non poté non ammirare. I colori esaltati da un sole vivace lo avevano fatto pensare alla prima volta che Abel gli aveva mostrato Sidney, con l’oceano che scintillava, le grandi navi ormeggiate che facevano dondolare lentamente gli alberi e la febbrile attività della zona di carico e scarico. Suo fratello avrebbe adorato quest’altro porto così imponente, peccato che non fosse venuto! Dai moli per gli attracchi internazionali, si erano poi spostati a Mergellina, da dove partivano i traghetti per Ischia e le altre isole, e quel poco della città che aveva visto lo aveva colpito molto (castelli sul mare!). E ora, stava per rivedere Georgie … puntò gli occhi sul molo, come già faceva il Conte Gerard vicino a lui. Eccola!


 
 
Georgie agitava le braccia verso di loro, e la videro sempre meglio mentre il traghetto attraccava. Come sorrideva, e che bel pancione che aveva messo su!
 
― Guardi, guardi signor Conte, come sta bene!
 
― Vero che sta bene? Oh, la mia bambina! – il Conte si asciugò una lacrima, prima di precipitarsi sul molo con Arthur.
 
Georgie lasciò andare il parasole, che Lowell afferrò al volo, ridendo di felicità, e un attimo dopo suo padre e suo fratello la stavano abbracciando, ridendo anche loro. Le baciavano le guance che si erano arrotondate, poi la guardavano meglio per complimentarsi con lei (“Ma che bella mamma che sei, Georgie!”), poi era lei a dire che li aveva aspettati con impazienza e che ora non le pareva vero di averli lì, informandosi meglio su come stavano (“Il viaggio è stato buono?” “Sì, ma non finiva mai!”). Poi, il terzetto si ricompose un minimo, Lowell si fece avanti per dare il benvenuto ai nuovi arrivati, e allegramente tutti si diressero a casa Grey.
 
I giorni successivi passarono in modo piacevole, tutti erano sorridenti, e anche la nonna di Lowell arrivò come promesso, rendendolo felicissimo. Il giovane non andava più via per giornate intere, poiché il parto era prossimo, e poi gli pareva di doverlo a Georgie perché non voleva più che lei si sentisse trascurata. La compagnia degli ospiti gli piaceva: per loro stappò delle bottiglie di vino italiano pregiato; col Conte conversava di mille cose; ad Arthur, in un paio di escursioni,  mostrò molti posti dove la natura esaltava l’estate gloriosa del Mediterraneo. Ogni volta finivano per fare il bagno in qualche spiaggia (Lowell doveva stare molto attento a non scottarsi, Arthur non pareva badarci molto). Nuotavano, lasciando che anche i cavalli si rinfrescassero, per poi montare nuovamente ancora bagnati, e tornare giusto in tempo per cambiarsi, togliersi di dosso il sale e pranzare; mai Lowell avrebbe pensato di comportarsi così, ma dire di no al buon umore di Arthur era molto difficile.
 
Maristella poi ebbe l’emozione di conoscere uno dei fratelli di cui Georgie parlava sempre nei suoi racconti, e lo trovò simpatico e molto dolce. Anche se per ragioni di lingua non potevano ancora conversare, infatti, ebbe modo di osservarlo in un modo che glielo “mostrò” chiaramente, per com’era davvero la sua natura. Un giorno, dalla finestra, lo vide nell’orto; per qualche motivo, non stava accompagnando gli altri della comitiva, ma si era preso un momento da solo, e lo notò mentre con attenzione camminava tra gli ortaggi e le verdure. Si accorse che sapeva il fatto suo, nel verificare il grado di maturazione dei piselli e nell’accertarsi che le piante da frutto fossero state fissate bene alla spalliera. Poi, lo vide mettersi di lato al perimetro coltivato e contemplarlo con un’espressione soddisfatta. In quel momento, passò un gatto macchiato di grigio proprio lungo l’orto, e Arthur lo chiamò, poi gli si avvicinò e si chinò ad accarezzarlo; continuò per un pezzo, rimanendo accosciato mentre l’animale gli girava intorno con la coda dritta all’insù. All’improvviso, il ragazzo alzò gli occhi verso la finestra, e nel vedere la bella Maristella che lo guardava, le fece un largo sorriso e la salutò con un gesto della mano, senza smettere di accarezzare il gatto con l’altra. Da quel giorno, Maristella ebbe l’impressione di conoscere Arthur molto bene.
 
Georgie lo conosceva bene veramente, ma non sapeva che Arthur pensava insistentemente ad una certa persona. Specialmente ora che vedeva come Georgie viveva la sua vita di sposa e di madre, non poteva fare a meno di pensare a Maria, che si sarebbe sposata per interesse, con un uomo che non era lui, e che un giorno magari sarebbe stata incinta, e quell’uomo avrebbe potuto guardarla con orgoglio e chiamarla pubblicamente “mia moglie”, come faceva Lowell con Georgie.
 
Arthur invece non sapeva che Georgie aveva paura, ora che il parto si avvicinava. Le pareva brutto dirlo, doveva essere felice e ci si aspettava che fosse forte. Felice lo era, ma non sapeva come le cose sarebbero andate, considerando quante donne a quei tempi morivano partorendo. Per fortuna, a Ischia non era la prima a trovarsi in questa situazione, e Antonia le promise, una sera, di non lasciarla mai sola quando fosse venuto il momento. La nonna di Lowell prima di andare a dormire non mancava mai di dirle “Dormi sonni tranquilli, tesoro, e non temere nulla”, e Georgie capì che, anche se lei non la dichiarava, la sua paura era stata compresa e perdonata.
 
Lowell a sua volta non sapeva assolutamente che lontano, a Londra, un giovane di belle speranze impiegato in un ruolo di responsabilità presso uno dei massimi armatori, affascinante e indipendente, invece di godersi la vita pensava a Georgie. Abel aveva ripreso a pregare. Pregava per Georgie, perché tutto andasse bene, perché il parto fosse facile, perché il bambino fosse robusto, per poter avere presto buone notizie di lei. Pregava anche per sé: di dimenticarla, e poter trovare un po’ di pace. Non poteva fare altro che starle lontano.
 
E anche se la gravidanza era sembrata interminabile, il parto un bel giorno arrivò e fu anche veloce. Sophia Mary Grey era paffutella, e nei giorni seguenti fu chiaro che era una bambina allegra, senza troppa voglia di piangere ma piuttosto di mangiare e dormire. Georgie stava bene e tutti erano emozionati, felici e un po’ stralunati per la straordinaria novità. La lettera che informava Abel arrivò presto, tutti gli amici di Londra furono coinvolti: l’allegria era generale. E se Abel e Arthur avevano dei rimpianti, per ragioni diverse, comunque non lo davano a vedere.
 
Dopo cinque giorni dal lieto evento, avvenne però qualcosa di veramente imprevisto. La sera del 28 luglio 1883, la terra tremò per alcuni secondi, a Ischia, in un modo che fu avvertito un po’ in tutta l’isola, ma a casa di Lowell e Georgie pareva non ci fossero danni. Presto però arrivarono le notizie, correndo da un paese all’altro: Casamicciola, sull’altro lato dell’isola, era sprofondata. In alta stagione, gli alberghi dovevano essere pieni. C’erano certamente molti dispersi, non si sapeva quanti, non si poteva ancora immaginare il numero dei morti. La situazione era pericolosa per il rischio di crolli e nuove scosse, bisognava che i soccorsi arrivassero presto. L’emergenza era nazionale.
 
Lowell lo seppe il giorno dopo, a pranzo, e non era ancora neanche uscito sui giornali. Non appena lo seppe, scolorò. Appoggiò il tovagliolo con le mani che tremavano, e chiese al Conte e ad Arthur di fermarsi a Ischia un po’ di più. Accettarono, guardandolo con apprensione:
 
― A Casamicciola ci sono i miei amici. – spiegò brevemente, prima di alzarsi.
 
Lowell andò di corsa da Georgie, che dal parto non si alzava ancora se non per brevi momenti, e le raccontò tutto con il respiro che si faceva affannoso, infine le disse la cosa più importante:
 
― Io ci devo andare. Perdonami, ma devo andare. Laggiù ci sono i miei amici, e poi tutta la gente che vive qui ha fatto tanto per me: mi hanno salvato, mi hanno accolto! Ora non mi posso tirare indietro, anche perché io l’isola la conosco, bisogna far arrivare sicuramente acqua pulita, medicine, trasportare feriti … Amore, lasciami andare!
 
― Ma certo, tesoro. Fammi avere presto notizie, se puoi. E non preoccuparti per me.
 
Lowell era seduto sul letto accanto a Georgie, allora si sdraiò vicino a lei e l’abbracciò:
 
― Come sono fortunato ad avere una moglie come te! Sai che non vorrei mai separarmi da te e da Sophia proprio adesso, ma tu mi capisci … Tuo padre e Arthur hanno promesso di starti vicino il più a lungo possibile. Non preoccuparti per me, starò attento …
 
Poi, dovette alzarsi e partire. Georgie rimase a letto, pensando che Lowell sarebbe sempre tornato da lei.
 
Comunque, il giovane fece bene a raggiungere Casamicciola, perché di cose da fare ce n’erano molte, e lui effettivamente aveva un’idea chiara del posto e di come organizzare trasporti e spostamenti. Presto i soccorsi arrivarono dalla terraferma, e lui era già un punto di riferimento per le operazioni[2]. Molte persone furono trovate vive. Qualcuno dei suoi amici fu trovato morto. Lowell piangeva tutte le notti (almeno, le notti in cui si coricava), ma di fatto non aveva molto tempo neanche per quello poiché era sempre all’opera, e appena poteva mandava biglietti rassicuranti a casa, perché Georgie e i suoi cari in genere stessero tranquilli.
 
Ma se Georgie o sua nonna avessero potuto vederlo … mentre, coperto di polvere, camminava in punta di piedi con altri uomini tra le macerie (alle volte, su di esse), tutti attenti a non fare rumori che potessero coprire un lamento o un altro suono proveniente dal basso. Oppure, mentre dormiva in una tenda da campo, per poi lavarsi il meno possibile per non consumare preziosissima acqua. O ancora, buttar giù un pasto veloce in una cucina militare allestita dai Carabinieri, gamella di metallo e cucchiaio, come un fantaccino! Lui, cresciuto nel lusso, che fino all’anno prima avrebbe temuto la polvere per la paura di tossire e spaccarsi i capillari!
 
Il fatto è che l’urgenza era tanta: dove prima c’erano pittoreschi quartieri e alberghi raffinati, restava qualcosa che la mente stentava a definire: voragini, resti di travi misti a mattoni e calcinacci, ed oggetti inattesi qua e là (un giocattolo, un pennello da barba, una scarpa), disfacimento e rovine. Il suono del pianto era continuo. Cose come identificare una persona, trovare documenti importanti o valori, erano tanto urgenti quanto difficoltose. Contemporaneamente, bisognava vigilare contro lo sciacallaggio. E Lowell rimaneva senza fiato nel notare per la prima volta il valore sella normalità. Per chi aveva perso tutto, coprirsi in caso di pioggia, o mangiare con le posate, o semplicemente sapere dov’erano le proprie cose, rappresentavano ricordi o sogni, ormai. I più bisognosi erano i più deboli: gli anziani e i bambini, specialmente i più piccoli, avevano necessità urgenti e difficili da soddisfare. Gli altri sarebbero stati già contenti di riuscire a recuperare qualcosa di privato, o semplicemente di dormire una notte tranquilla.
 
Dopo la prima emergenza, nuove necessità si presentarono: poiché molte delle persone coinvolte erano in vacanza, ora desideravano comunicare con le famiglie rimaste a casa, e magari tornare velocemente. Bisogni comprensibilissimi, ma Lowell, che si occupava specialmente dei trasporti e dei collegamenti, sapeva che c’erano questioni di maggior urgenza, ed era costretto a chiedere altra pazienza a quelle persone. Gli si stringeva il cuore ogni volta che non riusciva ad accogliere prontamente una richiesta, e finché si trattava d’impedimenti puramente economici, pagava lui pur di accelerare le cose. Non era stato mai così contento di essere nato con le tasche piene! La gratitudine non gli sfuggiva, e bastava un sorriso aperto, l’allegria di chi ritrovava un parente o degli scampati estratti vivi dalle macerie, a ripagarlo. Poi, un nuovo sommovimento della terra faceva di nuovo paura a tutti, gli metteva fretta, si riprendeva il lavoro. In queste circostanze, notò l’impegno col quale lavoravano le forze armate italiane mandate ad aiutare. Tempo dopo, ebbe modo di riflettere sulle scelte dei governi: non era assurdo che tante famiglie fossero spaccate ed impoverite con le guerre, che tante speranze morissero sui campi di battaglia, quando tutti lavoravano tanto più volentieri per salvare che per uccidere …?
 
Forse per la prima volta, Lowell non pensava a sé (era diventato un uomo, e al massimo si sentiva messo alla prova, spinto a dimostrare il proprio valore in circostanze eccezionali, ma di norma non pensava a sé). Ma a chi pensava, allora, a parte i presenti e coloro che mancavano all’appello sui luoghi del disastro? A Georgie, ovviamente, lasciata sola a poche ore dal parto. Sapeva bene qual era il suo dovere, eppure gli pareva di mancare verso di lei … E una sera, in cui si erano interrotte le operazioni di ricerca perché tutti i corpi erano ormai stati estratti, si ritrovò ad andare a dormire un po’ prima. Allora, rimase a pensare a lei e alle sensazioni che più gli mancavano del loro rapporto. Georgie gli appariva forte più che mai, nel ricordo, ma anche incredibilmente seducente … Voleva solo tornare a casa e abbandonarsi di nuovo …[3]
 
Fragile …
come un bambino, tra le tue braccia.

E certo mi sono comportato come tale!
Oh, come mi vergogno di essere stato così infantile,
quando vivevamo insieme in Inghilterra …
Egoista …
Sciocco che non sono altro …
E tu a perdonare sempre!
Sii dolce con me,
io mai ti farei del male
volontariamente.

 
E invece, anche da sposati,
mi sono dovuto scusare con te.
Le mie scuse
sono l’unica cosa che riesci ad avere da me,
a quanto pare.

 
Ma tu, forza viva della natura,
tu mi salvi sempre!
Come un bambino
riesci a farmi sorridere
con l’affetto che mi dai
e lo sai …

 
È una questione di desiderio,
è una questione di fiducia,
è questione di non permettere
che quello che abbiamo costruito
crolli nella polvere.

 
E polvere ne ho vista tanta, tante rovine,
so com’è: non sarà mai come prima.
Ma a noi due non succederà.
Quello che abbiamo va protetto.
Tornerò da te presto, Georgie!
 
Da te e da mia figlia,
nella nostra casa,
nella nostra famiglia,
nel nostro letto,
tra le tue braccia.
 
Noi lo sappiamo:
sono tutte queste cose
e altre ancora,
a tenerci insieme!

 
… Mi hai salutato con un bacio
quando me ne sono andato da solo.
Ma tu sai che preferirei tanto

 
essere a casa!


Lascerò questo posto, prima o poi.
Me lo porterò dietro,
coi suoi pianti
e l’odore di disinfettante,
con le parole inutili dette a consolare
chi soffre.
Ma lo lascerò! E presto, con te, potrò
 
essere a casa!
 
 
***
 
 
Ovviamente, le notizie rimbalzarono sui giornali di tutta Europa e non solo, anche perché molte vittime erano turisti. Pochi giorni dopo la tragedia, Maristella portò la posta a Georgie nel suo solito boudoir, poi uscì. Georgie lesse una lettera dall’Inghilterra mentre Arthur le teneva compagnia prima della poppata.
 
― Oh, Arthur, che dolce che è! Era tanto tempo che non avevo sue notizie, che carina a preoccuparsi!
 
― Chi?
 
― Maria. Ha saputo del terremoto.
 
MARIA! Arthur sobbalzò, e prima di poter recuperare il controllo domandò:
 
Eh?! Ma come, vi scrivete?
 
― Veramente no, ma ha saputo quello che è successo e allora è riuscita a procurarsi l’indirizzo, perché voleva sapere se stiamo tutti bene. Dolce, no?
 
― Sì … dolce … ― se c’era uno che la trovava dolce, era proprio lui! Ad Arthur il cuore batteva forte, ma riusciva a non dimostrarlo, quasi vergognandosi di quello che provava per lei. Con falsa tranquillità, indagò: ― Allora, che dice?
 
― È in Cornovaglia … dove sta la Cornovaglia?
 
― Punta sud-ovest. Oceano.
 
― Ah. Beh, pare che stia bene, sta facendo un lungo viaggio che la porterà in Francia e poi in Italia.
 
In Italia!” pensò Arthur con rinnovata emozione: come sarebbe stato bello vederla a Ischia, con quella natura intorno e nient’altro, lontano dalle convenzioni inglesi e da Lady Constancia!
 
― Ma dice che non pensa di arrivare fin qui a Ischia, e comunque sarà in Francia in agosto e solo dopo verrà giù fino a Napoli e … Pompei. Oh, è ora, devo andare, senti che Sophia mi reclama? Le risponderò dopo. Ti va di scriverle anche tu?
 
― Ma certo, lo faccio subito. – Arthur guardò la mano di Georgie che posava la lettera e rimase lì da solo, col foglio scritto di pugno di Maria.
 
Georgie arrivò nella nursery e si accomodò per la poppata, con Maristella vicino. Allora, le chiese di portarle il ventaglio che aveva lasciato in un’altra stanza. Maristella passò dunque davanti alla porta aperta del boudoir, e senza intenzione guardò dentro appena in tempo per vedere qualcosa che la colpì …
 
― Signora Contessa? ecco il ventaglio … scusate, vi posso chiedere una cosa? Avete ricevuto posta importante?
 
― Beh, oddio, niente di che … perché?
 
― Ecco, c’era una lettera … privata?
 
― Maristella birbantella, che domande mi fai? pensi che abbia l’amante? – Georgie rideva, e anche Maristella rise, imbarazzata:
 
― Nooo, no, per carità! Ma vostro fratello, ecco … Arthur … quando sono passata davanti al boudoir ho notato che stava baciando un foglio di quelli di stamattina! Forse sono indiscreta …
 
A Georgie brillarono gli occhi, li spalancò e sorrise ampiamente e allegramente:
 
― Senti senti … Ma guarda! E brava Maristella, hai appena scoperto un segreto del mio fratellino che non conoscevo nemmeno io! Quella era sicuramente la lettera di una certa nostra amica, che è molto affezionata a lui, ma non immaginavo che anche lui … AHAHA! Scoperto, Arthur!
 
Le due ragazze risero con complicità. Poi, Maristella sospirò: meglio averlo saputo subito, pensava, eppure già le dispiaceva un po’ … A parte la lingua, Arthur non era proprio alla sua portata. Ma quest’esperienza le stava facendo bene: lei era abituata ad essere cercata con troppa insistenza dagli uomini, invece in quella casa Lowell, Arthur e il Conte erano più che rispettosi con lei (il Conte Gerard parlava anche Francese), e ora scopriva anche che Arthur pensava ad un’altra persona. Non gli era del tutto indifferente (Arthur aveva pure gli occhi, e lei era troppo bella per risultare indifferente ad un giovane di un anno e mezzo più grande di lei, libero da legami e in vacanza), ma l’ammirazione di Arthur era anche più discreta di quella del Conte, che con lei scherzava spesso. Questo le permise di crescere: stava imparando a sostenere una normale conversazione con un uomo, senza balzare a conclusioni sbagliate o essere troppo brusca, come aveva fatto con Lowell quando l’aveva conosciuto. E di questo si rendeva benissimo conto, poteva esserne contenta, eppure … un po’ le pareva di aver spiato Arthur eccessivamente, prima dalla finestra, poi da una porta del corridoio. E poi le dispiaceva che lui avesse a cuore un’altra donna. Perché anche alle donne più belle del mondo capita, alle volte, di non essere proprio prese in considerazione, e non piace nemmeno a loro.
 
Quel pomeriggio, sul tardi, Georgie andò in giardino a godere del fresco e del verde, e Arthur l’accompagnò. Lei prese posto su una panchina, lui si accoccolò ai suoi piedi per il piacere di averla vicina.
 
― Quanto mi piace questo posto! Capisco perché tu e Lowell non siete più tornati in Inghilterra, anch’io sono contento di restare più a lungo. Abel e il signor Allen se la caveranno benissimo per un po’ di giorni …
 
― Già, tanto più che a Londra non c’è nemmeno Maria!
 
― Oh … tanto di solito non la frequento. Sua zia non vuole, lo sai.
 
― Ah, sì, sua zia! … Mi dispiace. Dispiacerà anche a lei.
 
Arthur poggiò la testa sulle ginocchia di Georgie, voltato in modo da nasconderle il viso, e si sforzò di apparire disinvolto:
 
― Tu dici, eh?
 
― Ma certo! Così come so che dispiace a te! Perché a te dispiace molto, vero?...
 
Arthur si prese una pausa, poi cedette alla curiosità della sorella, ma sempre senza guardarla o alzare la testa:
 
― Ficcanaso!!
 
― HAHA! Scusami, Arthur, ma Ischia è un’isoletta, tutti sanno tutto di tutti gli altri, non c’è niente da fare! – parlando rideva, e gli accarezzò i riccioli castani: in realtà, lui e Maria le facevano una gran tenerezza! ― Scusa, ma lei lo sa, dei tuoi sentimenti?
 
― No … sua zia! Sua zia non vuole, c’è un testamento, c’è in gioco tutta l’eredità dei Dangering: Maria deve sposare un certo tipo di uomo, puoi immaginare quale. Non certo un contadino o un marinaio, e neanche un borghese impiegato al cantiere navale! Che glielo dico a fare? Perché lei mi dica che tanto è tutto inutile e che preferisce diventare Duchessa?…
 
Georgie fece una pausa, senza ridere più.
 
― Vuoi che gliene parli io, per scoprire quello che prova?
 
― No, meglio di no. – Il tono di voce di Arthur tradiva una certa malinconia. Georgie non poteva fare molto per lui:
 
― Senti, io le ho risposto e ho preso già nota dell’indirizzo: la lettera tienila tu, se ti va.
 
Allora, Arthur alzò la testa e la guardò con un gran sorriso: non aveva niente di Maria, solo i suoi ricordi, e un foglio scritto da lei era una gran cosa, anche se non era per lui.
 
Georgie scherzò, per sdrammatizzare:
 
― Lo sai? Mi pare strano vedere che t’interessi ad una ragazza: finché non me ne ha parlato lo zio Kevin, non mi era mai venuto in mente che tu ti potessi innamorare!
 
― E magari invece Abel sì, vero? “Grazie”, Georgie! – le diede un piccolo pugno affettuoso sulla coscia. – Lo vedi, mi sottovaluti, tutti mi hanno sempre sottovalutato!
 
― Ma no! Maria non ti sottovaluta, e poi io non lo immaginavo nemmeno per Abel, finché non l’ho sorpreso con Jessica! – , Arthur scoppiò a ridere, ma resistette alla tentazione di fare domande indiscrete, ― Per me voi siete sempre stati i miei fratelli e basta, sempre come da bambini, capisci?
 
― Sì, certo. – Arthur si sdraiò sull’erba con le braccia incrociate sotto la testa – Comunque Abel non è mai stato innamorato di Jessica.
 
― Lo so …
 
― Georgie? Grazie della lettera …




Nota dell'Autore: Capitolo faticosissimo, cari i miei lettori! Non solo per le circostanze della mia vita, ma perché la volta scorsa ho commesso un reato di lesa maestà: ho inserito la parola "routine" riferita alla storia d'amore della "protagonista" (anche se non si può dire che Georgie sia l'unica protagonista, qui)! Non so come, ma in questa storia è entrata la normalità. E ora in parte proseguo su quella stessa linea, il che rende molto più difficile scrivere, perché mi porta fuori dai canoni della storia romantica che finora era il mio campo. Ma così i miei personaggi mi sembrano più vicini. Strano come aspetti autobiografici mi siano scivolati qui dentro, come se tracce della mia vita restassero attaccate inesorabilmente a questa storia.
Mi rendo conto come qualcuno dei miei amatissimi lettori sia rimasto spiazzato da questo virata intimistica e realistica. Ha spiazzato pure me! Ma io continuo a sperare che resisterete e che vi ritroverò più avanti, quando altri fatti imprevisti e drammatici accadranno ai nostri eroi.
Perciò, grazie! Grazie di leggere ancora questa storia lunga e dal ritmo discontinuo! Spero stavolta di poter davvero aggiornare presto, pare che l'ispirazione si sia rifatta viva ... Nel frattempo, mando un mare d'amore a tutti, sperando di avervi fatto sorridere e trepidare ancora un po'! Ah, per la cronaca: non sono di Napoli e dintorni, sono stata a Ischia solo un paio di volte e non ho idea se anche allora i traghetti per le isole partissero da Mergellina o meno (ma mi pare logico). Il fatto è che io amo il mio Paese, e questi posti in particolare.
A presto!
 

[1] Copyright per la veduta antica di Mergellina: Archivio Carbone, Archivio Istituto Geografico De Agostini, IGDA/A. Dagli Orti, IGDA/L. Romano, Farabolafoto.
[2] Questa è solo una storia di finzione e non c’è la minima intenzione di sminuire l’efficienza dei soccorsi in occasione della tragedia di Casamicciola: non c’era bisogno che un inglese prendesse in mano la situazione, furono mandate anche diverse forze armate in grado di gestire le operazioni, tutta l’Italia si mobilitò, andò a Ischia anche il re e fece una donazione personale, furono raccolti molti fondi e arrivarono aiuti anche dall’estero. Le cose furono fatte nel miglior modo possibile.
[3] I pensieri di Lowell sono affidati in parte alle parole di “A Question Of Lust”, dei Depeche Mode, da Black Celebration del 1986. Stavolta, il testo della canzone l’ho usato solo in parte (non la seconda strofa), e la traduzione è interamente mia, con una lieve licenza (le parole del brano sono in corsivo, fino alla chiusura delle virgolette). Comunque, il testo originale si può leggere qui: http://www.azlyrics.com/lyrics/depechemode/aquestionoflust.html. Consiglio l’ascolto e la visione del video: https://www.youtube.com/watch?v=vOtRZOlE0WM . Testo di Martin L. Gore. Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari.

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Capitolo 19
*** Pericolo! ***


La risposta alla preziosa lettera raggiunse Maria mentre questa stava per partire. La buttò in borsa, poiché non aveva proprio tempo per leggerla. L’aprì sul treno per Dover. Conteneva un foglio di pugno di Georgie, e un altro, con una grafia diversa, più minuta, maschile. Maria guardò la firma e si sentì quasi svenire. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse notato il suo turbamento, mentre la vettura superava i sobborghi londinesi per inoltrarsi nella campagna. Allora, lesse prima il foglio che non si aspettava:
 
Mia carissima Maria,
 
mi trovo qui per il lieto evento. Lascio a Georgie la piacevole necessità d’informarti sulla nascita di Sophia e sul fatto che tutti noi stiamo bene, abbiamo avvertito le scosse ma non abbiamo nemmeno avuto danni.
 
Mi limiterò a sfruttare l’occasione per parlarti di altro. Intanto, grazie: la tua premura denuncia ancora una volta la tua gentilezza d’animo, ma non stare in pena per noi, sappi solo che ricevere la tua lettera ha fatto piacere a tutti … forse a me più che agli altri. Sai, il tuo ricordo non mi lascia mai. E anche se i momenti che abbiamo trascorso insieme sono stati soprattutto momenti dolorosi per me a causa della mia prigionia, oggi che finalmente tanto tempo è passato, io ricordo solo la tua dolcezza. Il tuo affetto per tutti quei mesi tremendi, la tua allegria alle nozze di Georgie (non ho raccontato a nessuno che hai ballato, niente paura!), la tua meravigliosa sorpresa al molo …
 
Ti racconterei dei miei viaggi, di Gibilterra e della Normandia, e dell’Italia, e ti chiederei di scrivermi, se osassi. Ma non lo faccio per rispetto a tua zia e al suo divieto. So bene che sarà difficile rivedersi, ma io trascorro lunghi periodi in Inghilterra. Quando arriverai in Italia, io sarò già ripartito. Ma non dispero d’incontrarti presto, alla fine Londra ha i suoi soliti giri che tutti frequentano. Non mi vergogno di dire che ci conto: la tua presenza mi manca molto.
 
Buon viaggio, e che il Cielo ti protegga sempre
 
Con affetto
 
Arthur Butman
 
La ragazza credeva di sognare! Arthur era sempre più affettuoso con lei, questo poteva forse significare qualche cosa di più? Lesse la lettera altre due volte, poi dovette arrendersi: non c’era proprio niente di esplicito, solo un tono intimo. Arthur non aveva rivelato niente, e quello che lei aveva creduto di leggere non c’era. Ma lui non la lasciava andare, perché quelle parole potevano anche significare di più di quel che dicevano! Maria sospirò: durante quel viaggio, ci sarebbe stato un momento in cui si sarebbero trovati sullo stesso parallelo, ma non si sarebbero incontrati.
 
Maria non andò a Ischia; così non confidò a Georgie quello che provava, e Georgie non venne meno all’impegno preso con Arthur per dirle che anche lui si era finalmente innamorato di lei.
 
Lowell tornò a casa dopo alcuni giorni, a godersi sua moglie e sua figlia appena nata. Arthur e il Conte Gerard poterono ripartire nella commozione generale. Abel fu felicissimo delle notizie che sentì da loro, ma non parlò di andare a trovare Georgie appena possibile, e Arthur sapeva bene che suo fratello proprio non si sentiva pronto a rivederla.
 
Maristella si rese conto di non essersi innamorata (ma capì che avrebbe potuto succederle, se avesse parlato a lungo con Arthur, cosa che la incoraggiò molto nel suo studio dell’Inglese).
 
Lowell, invece, col passare delle settimane sentì che il terremoto aveva aperto una crepa che non si richiudeva. Non era una crepa visibile, era dentro di lui. L’esperienza che aveva fatto a contatto con la tragedia gli aveva fatto capire quanto era stato fortunato, e anche quanto doveva essere stato difficile per Georgie stargli vicino: lui aveva sempre avuto ricchezza e bellezza, era l’unico erede della famiglia, la sua salute era tornata e ora aveva la sua amata moglie, una figlia, una bella casa … ma gli pareva di non meritare tante fortune. Lei, e non lui, aveva lottato perché il loro rapporto in Inghilterra funzionasse; a lui c’era voluto troppo tempo anche per rompere il fidanzamento con una donna che non amava, e questo per un senso di colpa verso sua nonna; mentre era Georgie a mantenerlo e fare sacrifici. Voleva trovare un’occupazione seria a Ischia, ma così aveva trascurato proprio Georgie e proprio durante la gravidanza. Il terremoto non lo aveva nemmeno sfiorato, quando tanti erano morti. Lowell capì che il senso di colpa era la “melodia di fondo” della sua vita, e gli pareva che non sarebbe cambiata mai. La fortuna gli era caduta tra le mani, e temeva di perderla, di non esserne all’altezza. Si stringeva a Georgie e a Sophia, per sentirle più vicine e sue. Ripensò al suo progetto di sfruttamento termale: l’idea di migliorare le comunicazioni era servita a qualcosa, almeno, e doveva continuare su quella strada. Se avesse fatto qualche cosa di valido, pensava, forse avrebbe in parte pareggiato i conti, e mantenuto più salda la sua vita.
 
Prima di settembre, sua nonna ripartì per l’Inghilterra, e attraversò la Manica giusto in tempo per evitare le mareggiate di fine estate. Alla consueta festa autunnale a casa Barnes stavolta andarono entrambi i fratelli Butman, perché Abel era stato incoraggiato con insistenza da Rory. Ma Rory non si era ancora reso conto che il suo amico, che era uscito spesso con lui quell’estate, quello stesso amico al quale stava insegnando a giocare a whist, era anche l’oggetto dei sentimenti repressi di Becky; Becky anche in quell’occasione elargì sorrisi, battute e danze senza lasciar trapelare niente di quello che provava. Joy e Brandon, invece, non andarono alla festa, ma avevano modo lo stesso di frequente tutti i loro amici, ora che Brandon lavorava a terra presso il signor Allen per fare pratica di tecnica navale. Brandon era riconoscente a tutti (al signor Allen, ad Abel, in effetti gli piaceva molto anche la compagnia di Arthur), ma più o meno inconsapevolmente sognava di rimanere in quella posizione e di far carriera, e cioè di “fare le scarpe” ad uno o a tutti e due i suoi amici. Tutti i partecipanti alla festa, comunque, si divertirono molto. Maria, purtroppo, era a Roma.
 
Insomma, il tempo riprese il suo scorrere: sempre uguale, eppure capriccioso, il tempo non rivelava ancora i sentimenti di molti di quei giovani, che cercavano il loro destino e spesso nascondevano speranze e segreti. Fu l’autunno delle occasioni mancate, delle parole non dette.
 
Fu Rory, inaspettatamente, a rompere quell’empasse inquietante. Seguito da altri.
 
Dopo che anche quell’autunno fu trascorso, arrivò un altro Natale. Come era oramai tradizione, Abel e Arthur lo trascorsero col Conte Gerard e il Conte Wilson, e ricevettero un regalo bellissimo: una foto in cui Georgie posava, seduta su una poltrona in abito elegante, con Sophia in braccio e Lowell in piedi dietro di loro. Per la famiglia Grey ormai Ischia era diventata “casa”, anche perché quell’anno ricevettero una quantità di dimostrazioni d’affetto: arrivarono doni da tutti – ceramiche di Capodimonte e coralli, trionfi di fiori e di frutta, bottiglie di limoncello, caciotte e perfino un paio di prosciutti. La gente non dimenticava gli sforzi profusi da Lowell durante la calamità. E c’era Sophia! Era il Natale più bello della loro vita. Per Fritz Gerard fu una gioia indescrivibile guardare sua figlia e la sua nipotina in un ricordo che sarebbe rimasto per sempre, e con questa grande gioia iniziò il nuovo anno.
 
Fu Rory ad accompagnare Becky alla festa elegante con gli amici altolocati per l’ultimo dell’anno, come altre volte l’aveva accompagnata in società. Becky avrebbe di nuovo festeggiato con i ragazzi Butman separatamente, dopo. Il fatto è che il sontuoso ricevimento, cosa fuori dal normale, si svolgeva a casa di Elisa Dangering! Elisa aveva un nome importante, e per tutto l’anno precedente la sua famiglia aveva lavorato senza sosta per far dimenticare (al pubblico di quelli “che contavano”) la catena di scandali che avevano travolto tutti loro e specialmente lei. In effetti, Elisa era stata a lungo fidanzata, con un ragazzo che era scappato con un’altra proprio quando nientemeno che la Regina Vittoria aveva espresso il suo appoggio a quel fidanzamento; poi, il giovane era tornato, ed era stato riaccolto pur essendo solo un borghese, a danno dell’orgoglio di Elisa, che aveva così dimostrato di essere davvero disposta a tutto per amore (una cosa non comune per una giovane del suo rango); poi, nel momento del terribile caso giuridico che aveva infangato il nome di tutta la famiglia, “quello scostumato” l’aveva abbandonata di nuovo … per la stessa ragazza di prima, che nel frattempo era diventata un ottimo partito!
 
Ora, Elisa e gli altri Dangering facevano la loro rentree con un grande ballo di Capodanno. Becky splendeva di luce propria, quella sera. Aveva scelto il color magenta, certamente audace per una signorina, ma i suoi occhi brillanti se ne avvantaggiavano. Erano presenti anche i Barnes, cosa abbastanza normale; ma la festa non era in un luogo normale … Becky aveva appena finito una danza con un giovane amico, e si avvicinò a Rory che l’accompagnò al buffet: la ragazza aveva sete. Nei paraggi, si muoveva Elisa, per controllare che il punch non si raffreddasse troppo. Da un salottino di damasco, si alzò una voce femminile che fingeva di non volersi alzare apposta:
 
― Ecco, ci risiamo! In questa casa vengono invitati tutti, io credevo che almeno adesso sarebbero stati più attenti! – A parlare era una dama altezzosa, Lady M. (per discrezione, non faremo il suo nome). Ad ascoltarla, altre tre elegantissime signore, tutte con lo sguardo rivolto verso Becky ed Elisa alternativamente.
 
Non bastava certo il clima natalizio ad addolcire Lady M.! La posizione di Elisa era precaria, ancora non si erano spente del tutto le chiacchiere che la coinvolgevano, ed inoltre i suoi genitori, anche se Dangering, appartenevano pur sempre ad un ramo cadetto (infatti, non suo padre, ma Maria, una donna e per di più ancora minorenne, era l’erede naturale, e lui non era nemmeno un curatore ad interim del patrimonio, ma semplicemente un parente di un ramo cadetto). Il padre di Elisa si era lanciato in politica, certo, ma ai Comuni, non ai Lords, e cioè non per diritto di nascita. In pratica, si doveva sudare il consenso, ed in questo era un acceso rivale di Lord M., il Baronetto marito della signora. Inoltre, la dama aveva una figlia, una ragazzetta scialba e non particolarmente colta che nutriva un debole per il giovane con cui Becky aveva appena ballato. Colpire Becky in pubblico significava non solo screditarla agli occhi del ragazzo, ma anche mettere in imbarazzo la famiglia del diretto avversario politico di Lord M. . Si potrebbe anche pensare che la signora non fosse andata alla festa con altro scopo che criticare i Dangering …
 
― Signorina Clark, ma che bel vestito! Si faccia un po’ vedere, le dispiace? – Lady M. convocò Becky con un dito alzato e il mento all’insù: ― Sapete, la signorina fa parte del gruppo di amici di Annabelle, ed è la figlia di un … commerciante australiano! Questi colori accesi, mia cara signorina, sono tipici della moda australiana, vero? Per contrastare la violenza di quell’ambiente selvaggio!
 
― Lady M., anche l’ambiente londinese, a volte, può essere violento! – a parlare era Rory, che non aveva lasciato a Becky nemmeno il tempo di fiatare: ― La politica, ad esempio, è così. E le feste possono essere … campo di battaglia anch’esse, pare.
 
― E anche l’esercito non scherza, a quanto mi dicono, Signor Barnes. Ma non c’interrompa, per piacere, non capita tutti i giorni d’incontrare una persona che viene dalle campagne delle colonie in un posto così … vorrei dire “esclusivo”, ma non si può definirlo così. I Dangering non imparano mai! Dopo la figuraccia con i Grey e con quell’altro ragazzo che si era fidanzato con Maria, avrebbero dovuto aver più cura dei loro ospiti. Signorina Dangering, ha invitato lei questa persona?
 
Elisa sarebbe intervenuta comunque, anche se non fosse stata chiamata per nome, perché sentiva che quell’attacco era per lei:
 
― Milady, sì, l’ho invitata io! – e non era vero – E se la compagnia non le piace, non la trattengo. O forse la sua famiglia non ha avuto altri inviti per stasera, visto che hanno accettato quello dell’avversario politico di suo marito? Comunque, il rosso dona molto alla mia amica, e non si può certo dire che doni a tutte. A proposito, perché Annabelle non è venuta?
 
― Ma … sì, che è venuta, siamo venuti praticamente per accontentare lei! Anzi, solo per quello.
 
― Ah, ecco! Non l’avevo notata. Annabelle fa molto bene a non ballare di continuo. Con permesso, i miei amici volevano bere ed io volevo servirli. – Un cenno della testa di Elisa mise fine a quella terribile conversazione, le signore furono costrette a ricambiare il saluto e chiuderla lì.
 
Becky era più rossa del suo vestito. Elisa teneva ben alta la testa e sorrideva. Rory si offrì di servire lui le due ragazze e si diresse al buffet ridendo sotto i baffi, sicuro di aver protetto bene Becky, con l’aiuto insperato e deciso della padrona di casa.
 
― Non badare a quella strega, la soprannomineremo “Lady Macbeth”! In effetti, il rosso si addice pure a Lady Macbeth, ma è il rosso del sangue, ahah! – Elisa si rivolgeva con gentilezza a Becky, introducendola in un bel salotto azzurro, laterale alla sala da ballo.
 
― Io non so davvero come ringraziarti, Elisa!
 
― Oh, non preoccuparti, il suo vero bersaglio non eri tu, era la mia famiglia (sai, la politica …), ma con me non va da nessuna parte: io sono sempre stata maestra di queste questioni!
 
― Oh, l’hai sistemata veramente bene! Sono contenta solo che Abel non ci fosse …
 
― Abel? Chi, il fratellastro di Georgie? Perché? – Elisa si era quasi dimenticata di lui.
 
― Oh, lui odia queste cose: certi atteggiamenti snob, per mettere una ragazza in difficoltà davanti alla gente, lo farebbero infuriare.
 
― Ah, sì … beh, anche suo fratello odia queste cose … l’ho visto all’opera … ― Elisa era imbarazzata. Ridimensionare Lady M. era un conto, l’aveva già fatto per difendere la nonna di Lowell; ma ricordare di essersi comportata male anche lei, con Georgie, era tutta un’altra cosa!
 
― Arthur? Ah, sì, ora che me lo dici … l’ho visto all’opera anch’io, tanto tempo fa. Se penso a come mi comportavo una volta io in Australia … ― “ … non ero troppo diversa da quella signora.”, pensò Becky, a completare la frase, ma non lo disse ad alta voce.
 
Le due ragazze distolsero lo sguardo l’una dall’altra: Elisa fissava uno stucco bianco che fingeva un Hermes sulla parete celeste, Becky si concentrò sul bracciolo lavorato a grappoli d’uva della sua poltroncina. Entrambe pensavano alla stessa cosa: in passato, avevano voluto umiliare Georgie in pubblico, e Arthur le aveva fronteggiate. Ora che sapevano quello che si provava a stare dall’altra parte, se ne vergognavano molto, e in fondo capivano che Arthur aveva avuto tutte le ragioni …
 
Rory arrivò con tre bicchieri spumeggianti e tutto il suo consueto buon umore, e la conversazione prese un tono allegro. Dopo un po’, Elisa disse di dover tornare ad occuparsi dei suoi ospiti, e i due giovani rimasero lì da soli, in una posizione defilata rispetto agli altri invitati.
 
― Quella Elisa non la conoscevo, non mi aspettavo che mi difendesse così! È stata proprio magnifica, hai sentito come ha aggiustato la signora? Non so che avrei fatto senza di lei …
 
― … E senza di me, no, invece? Anch’io ti ho difeso, o non te ne sei accorta?
 
― Oh, scusami! Scusami, Rory, hai ragione … sei stato molto bravo …
 
― … Ma solo in seconda battuta rispetto ad Elisa, eh? – Rory era abile nel nascondere le emozioni dietro i baffetti, ma la sua delusione era profonda. Era da tempo immemorabile che Elisa non era oggetto di tanta gelosia.
 
― No, ma no, che c’entra? Elisa mi ha spiegato che era tutto un gioco politico, volevano colpire me per colpire la sua famiglia che dà questa festa, tutto qua … Per questo è stata così accorta. Mentre tu l’hai fatto per amicizia, non credere che non l’apprezzi.
 
― Oh, non era solo per colpire i Dangering. – Rory parlava con aria disinvolta, mentre intanto la parola “amicizia” – segretamente, invisibile – gli si conficcava dentro, facendogli male. All’espressione interrogativa di Becky, Rory continuò:
 
― Leslie, con cui ballavi prima, pare che si debba fidanzare con Annabelle. Lady M. era gelosa anche di te! È possibile che siano venuti a casa del loro avversario politico solo per tenere insieme i due ragazzi che le famiglie vogliono far sposare. E tu sei bella, lo sai, vero? molto … molto bella.
 
― Oh, Rory, sei un tesoro! Un vero … sì, un vero tesoro!
 
― Fiuuu! Oddio, ho temuto che dicessi “amico”! No, io non lo faccio per amicizia. – Becky si faceva seria, stentava a capire, e questo non poteva sfuggire agli occhi grigi e acuti di Rory: ― Ma tu non lo noti mai, vero? Becky, ma che devo fare ancora? Sono mesi e mesi che mi dedico a te! Vuoi mettere a tacere tutte le Lady M. del mondo? Sposati … sposami! Io ti amo … seriamente. No, non sto scherzando!
 
In effetti, Rory aveva posato il suo bicchiere, e non solo perché era ormai vuoto. Ora fissava Becky in un modo in cui non l’aveva mai fissata nessuno, era serissimo e la sua voce aveva assunto un tono basso e acceso.
 
― Quello che posso offrirti dal punto di vista materiale, tu lo sai, ho cercato di essere sempre molto sincero. Ma il mio amore l’ho tenuto per me, aspettando il momento giusto. Rebecca … tu mi faresti felice, sei meravigliosa … e io cercherò … mi prodigherò … lo giuro … per far felice te!
 
Becky era senza fiato, ma non si poteva dire che fosse per la felicità. Si alzò, costringendo Rory a scattare in piedi anche lui, e si mosse per la stanza nervosamente.
 
― Io vorrei poterti dire di sì …
 
― Ma non puoi, è evidente. – a dispetto dell’apparente impassibilità di Rory, la sua voce tremava.
 
― Non è per te! Sono io … venendo in Inghilterra, ero già innamorata. – Rory sobbalzò e si allentò il colletto della divisa – Tanto tempo fa, in Australia, conobbi … Abel.
 
Abel? Butman?!! – Questa Rory non se l’aspettava davvero! Ora non pareva impassibile, aveva la bocca aperta e gli occhi che tradivano una profonda emozione: angoscia! Se fosse stato di vetro, quella rivelazione avrebbe mandato in frantumi il capitano Robert Barnes.
 
― Sì … Mi bastò vederlo, ed era già troppo tardi. Oh, io non pensavo mica d’incontrarlo, venendo qui! E poi, ci eravamo lasciati male: io ero solo una ragazzina viziata, pretendevo che mio padre me lo comprasse, come faceva con tutto quello che gli chiedevo! Trattai male Georgie solo per farmi notare da lui, ma Arthur se ne accorse e me ne disse tante che mi fece sparire, Arthur è uno deciso che sa quello che fa! Che strano, è stata Elisa a ricordarmelo, proprio poco fa … Comunque, quella volta, anche Abel … mi voltò le spalle con una signorilità che non ho mai dimenticato. Mai.
 
― Oh, sì … mio Dio … Non mi meraviglia troppo, capisco il fascino che Abel può esercitare su di una fanciulla …
 
― Dovevo imparare una lezione, e loro me l’hanno proprio insegnata. Ma non pensavo nemmeno io che mi sarei emozionata così, quando l’anno scorso ho letto i loro nomi su un giornale di Londra … Oh, perdonami, Rory, non dev’essere bello ascoltare queste cose, per te.
 
― No, ora io devo sapere tutto! In che rapporti siete voi due? Perché io non mi voglio mettere tra te e il mio amico, se state insieme … anche se sarà difficile …
 
― Ecco … non c’è niente da dire. Lui non … non lo so, Rory! Non abbiamo mai parlato, io Abel lo conosco solo per com’è in pubblico, ma non mi ha mai detto … Non gli ho mai chiesto niente.
 
― Ho capito. Naturale.[1] Io aspetterò ancora.
 
― Rory, che dici? – Becky gli si fece vicina e lo fronteggiò: – Potresti aspettare per niente, non sarebbe giusto …
 
― Ma io sono un soldato, e so stare fermo ad aspettare a lungo, con tutti i tempi. Io veglierò e ti starò vicino, se il servizio non mi richiamerà altrove. Io aspetterò secoli, se sarà necessario! Aspetterò che tu mi apra la porta che ora è sigillata, finché non mi dirai che mi ami, o che non c’è nessuna speranza! – Rory aveva perso tutto l’aplomb, e ora parlava in modo accorato, tenendo lo sguardo fisso in quello di Becky: ― Solo ti prego, non tornare in Australia! Io laggiù non ti posso seguire, e anche se sei una viaggiatrice, per ora aspetta anche tu … che il tempo sveli i suoi percorsi![2] Forse un giorno mi dirai di sì …
 
― Forse, sì … Oh, Rory … vuoi tornare a casa? Per me va bene …
 
― E darla vinta a Lady M.? Penserebbe di averti messa in fuga lei! No, non se ne parla. La notte è giovane, ed è una notte importante …
 
Becky lo guardava con ammirazione: Rory era davvero molto forte, anche se non lo dava a vedere. La notte “importante” continuò e poi fini, dopo i fuochi d’artificio, i brindisi e molte danze. Per il nuovo anno, Becky aveva preso due risoluzioni: la prima era che non si sarebbe mai sposata per ragioni “sociali”, come all’inizio sembrava suggerire Rory e come sarebbe sembrato ovvio a qualsiasi donna dell’alta società che avesse perso lo spirito romantico della gioventù. La seconda era di fare chiarezza anche lei, come aveva coraggiosamente fatto Rory.
 
Furono le due Catherine a fornire l’occasione. Sì, due: la ragazza e la nave! La Catherine salpò in gennaio, ed era un vascello sperimentale che Abel aveva curato personalmente. Inizialmente c’era la volontà d’integrare la forza del vapore con quella del vento. I problemi di progettazione e realizzazione erano stati importanti, dovuti al fatto che mentre il treno era nato con la tecnologia industriale, la nave era un mezzo antichissimo che nei secoli era stato perfezionato per essere capiente il più possibile (come per le navi da carico e da passeggeri), o leggero se occorreva sfruttare la velocità (come in quelle da combattimento), ma mai si era posta la questione di dove mettere le macchine e il carbone. Ora la nuova energia si andava imponendo, ma era difficile cambiare mentalità e rinunciare alla velatura (in fin dei conti, ci potevano essere dei rematori, sui velieri, che svolgevano la stessa funzione di un motore …). Invece, dopo aver studiato la situazione con Abel, il signor Allen si convinse che si doveva fare una scelta: per le grandi navi, la struttura andava cambiata per far spazio a motori imponenti, una sala macchine, grandi fumaioli, una vasta carbonaia, e quindi non c’era più posto per le vele. Altri armatori si stavano muovendo nella stessa direzione, bisognava aggiornarsi. Il varo era stato debitamente pubblicizzato e gli amici furono chiamati a raccolta: Brandon e sua sorella Joy erano di zona, vennero Emma e Dick, Arthur passò a prendere Catherine e sua madre, e Rory accompagnò Becky, ma poiché Rory ad una certa ora doveva prendere servizio, sarebbe stato Abel a riportarla a casa, alla fine dei festeggiamenti. Il Conte Gerard patrocinava l’evento.
 
A bordo furono ammesse poche visite speciali, perché era una nave veloce da carico, e non c’era motivo di mostrarla ai viaggiatori di lusso come se fosse stata una nave da crociera. Quella a cui non si poteva proprio dire di no era Catherine, che aveva dato il nome al vascello, e così la bambina salì a bordo con Abel, il Conte Gerard, Becky e Rory. Sul ponte, si mise a curiosare dappertutto: non c’erano gli alberi, e nemmeno tutto il sartiame tipico dei velieri, e questo la incuriosiva molto! Rory e il Conte si complimentavano con Abel e gli facevano molte domande sull’imbarcazione, mentre a terra la folla gremiva il molo, una banda suonava e il signor Allen intratteneva i giornalisti. Arthur stava supervisionando il catering, e servendo personalmente un flute alla Baronessa Barnes,che si congratulava amabilmente con lui e si diceva molto emozionata, ma anche dispiaciuta nell’apprendere che i due ragazzi erano prossimi ad una nuova partenza. Intanto, il gruppetto a bordo si spostò a poppa.
 
Fu allora che il signor Allen diede il segnale di accendere le macchine, e Catherine, che stava osservando con stupore le grandi eliche, udendo i motori si aspettava di vedere le pale muoversi. Invece, queste le parevano ferme: chissà che spuma dovevano fare quando si muovevano, e che delusione nel notare che restavano immobili! In realtà, la caldaia andava prima portata a temperatura: occorreva produrre il primo vapore. Inoltre, non si dovevano azionare le pale, se non si voleva dare una forza propulsiva alla nave, e ancora non era il momento del varo, ma Catherine pensò che non fosse possibile che le eliche non si muovessero, e così si sporse ancora di più per vederle meglio, tra le barre che costituivano il parapetto di poppa. Becky la vide con la coda dell’occhio, mentre tutto il gruppo era distratto dalla conversazione …
 
Becky urlò: Catherine stava sparendo alla sua vista, in uno svolazzare di gonne lilla!
 
Catherine non si vedeva più, aveva perso l’equilibrio, era caduta!
 
Abel udì il grido di Becky:
 
― NO! ABEL, È CADUTA! – e corse al parapetto di poppa!
 



Nota dell'autore: Non se l'aspettava nessuno, vero? Ebbene, sì, aggiorno a pochi giorni dal capitolo precedente, e cambio un po' il ritmo dell'azione. Inoltre, vi lascio proprio nel momento di maggior tensione! Però, per il prossimo capitolo, non prometto niente ma non dovrebbe volerci un secolo.
Faccio una dovuta precisazione: tutte le informazioni che ho inserito circa la navigazione sono completamente inventate da me! Il problema è che nella storia di Georgie ci hanno fatto vedere molti velieri, ma l'energia a vapore era già in uso da un pezzo anche nella navigazione transoceanica, la più tarda e difficile perché si doveva trasportare molto carbone. In pratica, il mondo di Georgie è parecchio in ritardo sulla Storia, per quanto riguarda i trasporti. Dato che tutte le navi presenti, anche nel manga, sono a vela, ho dovuto immaginare che solo negli anni '80 dell'800 si studiasse il modo di sfruttare il vapore nelle navi. Per il resto, è ovvio che non si possa trasformare un veliero in un mezzo a vapore con facilità: gli spazi, il galleggiamento, il peso, la struttura, i materiali ... tutto cambia. Dubito che si potessero avere grandi navi ibride, al massimo ci saranno state all'inizio delle strutture che permettessero la manovra a remi, tanto per sicurezza. Era la Rivoluzione Industriale, e l'Inghilterra la trainava, sicuramente le compagnie navali avranno fatto degli esperimenti, solo che li hanno fatti oltre 50 anni prima.
Ah, tornando al capitolo: qui non c'è neanche un minimo corredo video o audio, ma il capitolo è nato in fretta e doveva essere proprio così. Le volte scorse ho inaugurato un nuovo tipo d'immagini: l'immagine di Tintagel l'ho cercata on line, mentre quella di Mergellina antica fa parte di una serie della De Agostini di tanti anni fa, che ho comprato. Dal prossimo capitolo, dovrebbero esserci fanart di altre, magistrali artiste, quindi non perdetevele!!! A presto!
 

[1] In effetti, era difficile che in quell’ambiente una ragazza si dichiarasse. Si può dire che non doveva farlo, e doveva avvicinarsi ad un uomo in modo obliquo, sempre che non ci fossero impedimenti di altro tipo. Barriere sociali vere e proprie tra Becky e Abel non ce n’erano, a parte il fatto che lei era un po’ troppo ricca per lui e assolutamente troppo elegante, come lui stesso dice nella serie.
[2] Tutta la battuta di Rory è un riferimento marcato al personaggio di Rory nel Doctor Who: il centurione che per millenni difende ovunque la capsula del tempo in cui la sua sposa Amy (la “viaggiatrice” del tempo) è stata chiusa perché sia protetta, finché il tempo non finisce per aprire la capsula.

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Capitolo 20
*** Falling ... ***


La folla urlò un istante dopo Becky!
 
La Baronessa udì la folla rumoreggiare improvvisamente, e come Arthur e tutti i presenti alzò gli occhi, per vedere quello che anche Abel vide dall’alto: Catherine (o meglio, uno svolazzare lilla) era rimasta aggrappata all’esterno della poppa! SUA FIGLIA!
 
Abel, dall’alto, vide anche le grandi eliche minacciose sotto la bambina … Scavalcò il parapetto, mentre tutti, a partire da Catherine, urlavano per lo spavento (sua madre no, aveva perso i sensi e Arthur la stava sorreggendo). Tenendosi in piedi sulla base del parapetto a barre, con la mano destra aggrappata alla più bassa di esse, si chinò velocemente di lato per afferrare il braccio di Catherine. Fu un attimo, la tirò su con forza col braccio sinistro e la porse a Rory, che dal ponte la prese alla vita e la fece passare dentro, al disopra al parapetto stesso! Allora, Abel si aggrappò con tutte e due le mani alla provvidenziale ringhiera a barre (se fosse stata piena, a che cosa si sarebbe potuta aggrappare Catherine nella sua caduta?), e poté anche lui mettersi al sicuro sul ponte di poppa.
 
Dal molo, la folla applaudiva freneticamente il gesto di Abel. Per loro, era come uno spettacolo inatteso, ma alcune persone la vivevano in modo ben diverso: Arthur aveva i sudori freddi (continuò a sentirsi il cuore che batteva da fargli male e lo stomaco contratto, anche parecchi minuti dopo aver visto suo fratello nuovamente a bordo), e intanto bagnava con acqua fredda il viso della povera Baronessa svenuta mentre le ripeteva “È in salvo, Catherine è salva!”. Il signor Allen era ancora terrorizzato, come tutti gli amici, ma lui si sentiva anche responsabile: quella non era una nave prevista per dei visitatori, che gli era venuto in mente di far salire delle signore a bordo? se fosse successo qualcosa di brutto, sarebbe stata tutta colpa sua
 
Catherine piangeva e tremava, stringendosi a Rory: non solo aveva rivissuto la caduta dalla nave che l’aveva riportata in Inghilterra due anni prima, ma era più grande e quindi consapevole, perciò ora aveva veramente avuto paura.
 
Abel si vergognava, invece di essere fiero di sé, e chiese scusa con la testa china:
 
― Catherine … Rory … perdonatemi … dovevo stare più attento … era mia responsabilità … come membro della compagnia …
 
― No, è mia nipote. Dovevo pensarci io. L’hai salvata, Abel. – disse Rory con la voce sempre più spezzata, stringendo Catherine: – A tuo grave rischio. Io rispetto il tuo coraggio. Grazie. Non … non pensiamoci più …
 
― No, Rory ha ragione, non pensarci. Sei stato incredibilmente rapido e coraggioso, Abel. – il Conte Gerard era sconvolto come tutti, ma forse più lucido, e nel dare due pacche sulla spalla di Abel si rese conto di quello che andava fatto: ― Ora dobbiamo scendere e pensare ad aiutare Catherine a riprendersi, e poi sua madre sarà ansiosa di rivederla. Per ogni questione che si dovesse porre … mi assumerò io ogni responsabilità!
 
Il Conte si allontanò da Abel con un ultimo sguardo d’intesa, per andare da Rory che stava per piangere, e prendere in braccio Catherine. La bambina, oltre le spalle del Conte, tra le lacrime vide Abel, prima di allontanarsi, e gli tese la piccola mano guantata:
 
― Grazie, Abel … grazie … sei stato un eroe …
 
Abel era sconvolto, ma guardò Catherine e si sforzò di sorridere, e poi rimase solo con Becky, che era ancora pallidissima ed impietrita. Dal parapetto al quale era aggrappata, Becky si slanciò verso Abel e lo abbracciò:
 
― Non dire nemmeno per scherzo che è stata colpa tua! Tu l’hai salvata … io l’avevo persa di vista … Oh, perché noi ragazze siamo così avventate? Proprio come quando mi salvasti dal cavallo imbizzarrito, ti ricordi? Noi facciamo le sciocche e tu ci salvi, oh, Abel! Sei davvero un eroe!...
 
Abel si scoprì a sorridere e abbracciare Becky. Sorrideva all’idea di essere visto come un eroe (lui non si sentiva affatto tale) e abbracciava Becky perché questa, tremante, abbracciava lui. Becky era dolce, lo faceva sentire perdonato e forte. Il suo momentaneo smarrimento stava passando.
 
― Becky … grazie … “Eroe”, ma che dite, tu e Catherine? Io so qual è il mio dovere, tutto qua. Su, calmati. Ora non c’è bisogno di …
 
― … di? Sì, io ne ho bisogno! Oh, Abel, se tu sapessi … io ho bisogno di stare così ancora un po’, prima di tornare giù e affrontare tutta quella gente … “Signorina, sta bene? Vuole un cordiale?” Ma no, io voglio solo … io …
 
Becky alzò lo sguardo sul viso di Abel. Quant’era bello, Abel! Anche ora, con le labbra ancora bianche per lo shock, era di una bellezza conturbante.
 
― Che cosa vuoi, Becky?
 
― Te. Io ti amo da sempre, Abel! E ora, non mi dire che siamo troppo diversi, che abbiamo ambizioni diverse, dimmi la verità! Che cosa provi, tu?
 
― Becky … Va bene, sarò sincero … Io ti posso dare il mio affetto in molte forme, ma il mio cuore, quello … non mi appartiene più da tanti anni. Non posso dartelo, è di qualcun altro … Ma tu sei una ragazza speciale! Sarai felice, vedrai!
 
Becky abbassò lo sguardo. Senza rispondere, si staccò dall’abbraccio e si portò una mano sul viso, appoggiandosi nuovamente al parapetto, e Abel tornò a preoccuparsi:
 
― Becky?... Stai bene? Io non … Vieni, ti porto giù. – La ragazza fece di sì con la testa, e scese senza dire una parola.
 
Sul molo, furono investiti dalla festosa e chiassosa accoglienza di quelli che avevano assistito agli eventi, e dovettero farsi strada faticosamente verso il signor Allen e il Conte Gerard, che erano presso Catherine e sua madre. Abel continuava a sorreggere Becky, senza rispondere ai complimenti che riceveva da tutte le parti per il suo coraggio. Becky riusciva di nuovo a parlare, per dire “permesso … scusate …” mentre avanzavano. Furono fermati da Arthur, che buttò le braccia al collo di suo fratello senza dire niente. La folla applaudì con fragore, mentre i giornalisti prendevano appunti (non si poteva dire che il varo di quella nave non fosse un successo, dal punto di vista della pubblicità). Anche lui notò che Becky pareva sconvolta, e l’aiutò a farsi largo con Abel, poi la scortò a sedersi e subito le porse qualche cosa che la ristorasse, ma non le chiese niente, dando per scontato che il suo turbamento fosse dovuto solo al pericolo corso da Catherine. Non poteva sapere quanto Becky gli fosse riconoscente di non fare domande!
 
Raggiunte le signore Barnes, Abel tentò di scusarsi di nuovo, ma non ci riuscì, perché la Baronessa parlò di slancio, con le lacrime che non cessavano di rigarle il viso:
 
― Oh, Abel! Oh salvatore di mia figlia! Tu e Georgie, tu e Georgie … siete uguali! Anche lei la salvò, mentre veniva qui dall’Australia! La mia riconoscenza è eterna, non lo dimenticheremo mai!
 
Catherine ormai sorrideva al suo campione (per fortuna, stavolta non s’innamorò di lui!). Il signor Allen si asciugava gli occhi. Abel stringeva una mano di Catherine, e alla sua mamma non trovava niente da dire se non “Ma no … macché …”. Tutti parevano felici. Solo Rory, guardando Becky, si accorse che aveva un’espressione stranissima, ma non poté scoprire di che si trattava.
 
Dopo che la bottiglia fu rotta contro la chiglia della nave, il nastro fu tagliato, le foto commemorative furono scattate  e tutti i tappi partirono, la Catherine finalmente salpò. Arthur era già tornato, dopo aver riaccompagnato a casa le signore Barnes, che erano molto stanche (sarebbe andato a far loro visita il giorno dopo, una premura molto gradita da tutt’e due). Rory si congedò e prese servizio. Gli uomini che avevano collaborato alla creazione della nave, e principalmente il signor Allen, Abel, Arthur e l’apprendista Brandon, rimasero coi loro amici a godersi il momento, ora che tutte le angosce erano passate. Infine, Abel riportò a casa Becky, e il gruppo si sciolse.
 
Becky, nella penombra della carrozza, mentre attraversavano Londra al crepuscolo, teneva gli occhi chiusi ma giocherellava con un pizzo del suo abito, mostrando di essere sveglia. Abel, comunque, per discrezione restava in silenzio.
 
― Abel? – fece Becky, sempre con gli occhi chiusi.
 
― Sì?
 
― La mamma di Catherine diceva che tu e Georgie siete uguali. Lo pensi pure tu?
 
― Mah, forse sì … Lei lo diceva perché …
 
― Sì, ho sentito. – Becky aprì gli occhi, puntandoli su di lui – Dimmi, è a lei che appartiene il tuo cuore da anni? Non mi sbaglio, vero?
 
Abel avrebbe voluto scendere, anche dal finestrino, in mancanza di meglio … ma capì che Becky gli era cara, e che voleva essere sincero con chi lo era stata per prima:
 
― Mi dispiace, ma proprio tanto … Io so come si sta ad amare qualcuno che … Sì, io amo proprio lei. Dovunque vada. Qualunque cosa faccia. Di giorno. Di notte. – Abel teneva la testa appoggiata al cuscino poggiatesta della carrozza, posto dietro di lui, e parlava con malinconia guardando fuori la sera invernale: – Non passa mai. Anche se lei è moglie e madre felice. Ma almeno, io non sono costretto a vederla di continuo come succede a te. Vuoi che non ci rivediamo più?
 
― No! No, perché? E poi tu stai comunque partendo, no? Quando tornerai, mi sarò fatta una ragione … del tuo rifiuto …
 
Ora, Abel avrebbe tanto voluto aiutarla. Le voleva bene, e lei si stava facendo molta forza. Decise di arrivare fino in fondo, perché Becky capisse di essere speciale.
 
― Io … tanti anni fa, ti avrei dato un’altra risposta. Ero innamorato di te, sai?
 
Becky sobbalzò e aprì la bocca per lo stupore! Abel sorrise.
 
― Ero così emozionato per l’invito alla tua festa! A casa mi prendevano in giro tutti! Mia madre, però, secondo me un po’ ci sperava, che mi mettessi con te. Ah, Becky, sarebbe stato bello!...
 
― … se io non avessi rovinato tutto, vero? Io me lo sentivo, in quel periodo ero tremendamente gelosa di lei, dentro di me lo sapevo che per te non era una sorella! Ma che stupida sono stata, ho voluto servirmi di lei e ho avuto torto, così ti ho perso …
 
― Non ha senso recriminare ora, doveva andare così! Non ti biasimo; anch’io, del resto, mancai gravemente verso Georgie. A quell’epoca non sapevo ancora che l’avrei amata tanto, e non facevo caso ai tuoi dispetti verso di lei. Oh, come si arrabbiò Arthur! Perché lui, ora che ci penso, sicuramente era già … ― si morse un labbro, aveva detto più del dovuto.
 
― Era già cosa? – una nuova curiosità aveva distratto Becky dal suo dolore, almeno per il momento. Abel non rispose, fece solo un mezzo sorrisetto, ma era già anche troppo: ― … innamorato di lei pure lui??! Arthur?!
 
― Guarda che io non ti ho detto niente, è un grandissimo segreto! Tanto più che lui ama un’altra donna, adesso. – Abel si maledisse in silenzio: ma non riusciva proprio a star zitto, quella sera? Non si era reso conto di essere sotto shock per gli eventi tumultuosi della giornata, e quello era il sorprendente risultato!
 
― Ah, sì, eh? “Uomo del mistero”, ti scucirò anche questa informazione! – Becky aveva un rapporto molto confidenziale con lui, e per questo ora riusciva a divertirsi davvero non ostante la delusione del suo cuore: ― Oh, non dirmelo: Maria Dangering!
 
Abel si chinò verso di lei sorridendo:
 
― Se ti fai scappare una parola, anche una sola, è la volta che mio fratello mi ammazza! Lui è molto più riservato di me, lei è una signorina importante e non c’è niente tra di loro, perciò non ti mettere a spettegolare!
 
― Come, “niente tra di loro”? Ma se lo sanno tutti, che erano fidanzati e lei gli ha pure salvato la vita! – ora Becky appariva imbronciata.
 
― Non c’è niente tra di loro. Il fidanzamento era una specie di farsa del Duca suo padre, e dopo che Arthur è stato liberato è finito tutto. E ora … non si vedono da più di un anno.
 
La carrozza proseguiva tranquilla sul selciato, e per un po’ fu l’unico rumore che si udì, insieme alla confusione del traffico esterno.
 
― Oh, Abel, ma perché dobbiamo soffrire tutti così? Io, tu, Arthur, Rory …
 
Rory?!
 
― Ah, io non ti dico niente, se no poi mi accusi di “spettegolare”!
 
Erano arrivati, e si lasciarono come i migliori amici del mondo. Ma Becky, che aveva fatto fronte alla situazione nel modo più adatto ad una dama della sua levatura, si sentiva sinceramente affranta. Avrebbe pianto da sola, di nascosto. Da quella dama che era.
 
 
***
 
 
I giovani Butman, dunque, in febbraio partirono per la Francia. Brandon continuò il suo apprendistato presso il signor Allen. Maria non mise piede a Londra se non per pochi giorni, per poi ripartire. Georgie e Lowell vedevano crescere felicemente la loro creatura, e continuavano ad occuparsi di quello che interessava a ciascuno dei due (Georgie riprese anche il suo amato cucito, nei ritagli di tempo). Maristella fece progressi sbalorditivi in Inglese, ballo e bon ton. Becky continuò a frequentare l’alta società, scortata da Rory, che non se ne lamentava, anche se le buone maniere fasulle della nobiltà inglese non gli erano mai piaciute. Tutto regolare, a parte il fatto che Joy cominciò a frequentare il figlio di un fornaio, ed Emma rimase incinta! Per tutte queste ragioni, la primavera sembrò cominciare nel modo più promettente possibile.
 
Per il Conte Gerard, la cosa più bella di quella primavera era il rientro dei due ragazzi ai quali era tanto attaccato. Un bel pomeriggio di un aprile mite, Abel e Arthur sbarcarono a Bristol. Il Conte li prelevò al porto, con tutta la giovialità che si può immaginare. I due ragazzi erano perfino commossi: quell’uomo forse vedeva in loro i fratelli di Georgie, forse li apprezzava per altri motivi, ma era quanto di più simile ad un genitore che avessero avuto dalla morte della madre. Considerando poi che il Conte Gerard non aveva vissuto con loro per tutta la loro infanzia e adolescenza, il modo in cui voleva bene a ciascuno di loro pareva ancora più commovente.
 
Da Bristol, si mossero in carrozza in direzione di Bath. Il posto era diverso dal solito, ma il Conte Wilson lì aveva degli amici, membri di un circolo di filosofia, che avevano invitato lui e il Conte Gerard a partecipare ad un ciclo di conferenze. Era proprio per questo che i due giovani avevano preferito imbarcarsi su una nave che li portasse a Bristol: per stare con Fritz Gerard, tanto potevano sempre andare a Londra in un secondo momento.
 
Nel portare i ragazzi a casa (il Conte Wilson aveva una proprietà a Bath, e li stava aspettando a casa), il Conte Gerard volle fare un giro piuttosto largo, e passando per un elegante quartiere residenziale, indicò una bella villa d’inizio secolo:
 
― Ecco, ho pensato che vi potesse interessare: lì è dove vive ora Maria Dangering con sua zia[1].
 
Arthur non se l’aspettava proprio! Volse la testa di scatto:
 
― Dove?!!!
 
― Lì.
 
― Ah! E … non a Londra e dintorni?
 
― No, pare che sua zia frequenti le terme quotidianamente da mesi ormai. A Londra quasi non si sono fatte vedere, quest’inverno. Ho avuto ragione: v’interessa!
 
Arthur guardò suo fratello, seduto di fianco al Conte: Abel riusciva a malapena a trattenere una risatina. Arthur non poté che sorridere a sua volta ad Abel:
 
― Sì, m’interessa … mi scriverò l’indirizzo …
 
L’indomani mattina, Arthur uscì e si diresse a casa di Maria. Arrivò al cancello signorile, e cominciò a fare il giro del muro di cinta. Come immaginava, il retro della villa affacciava su un bel parco, ma per ragioni varie, nel tempo la pianta della proprietà aveva cambiato forma diventando asimmetrica, e lo spazio che stava tra un fianco dell’edificio e il muro si era andato riducendo. In pratica, era come se la villa si trovasse spostata su di un lato del terreno, arrivando quasi al punto dove il muro dava su una stradina laterale sterrata al limite della campagna, stradina che a quell’ora era deserta.
 
Un mattino soleggiato di primavera, alberi e cinguettare di uccelli (alcuni con versi particolari che non si potevano definire cinguettii ma piuttosto richiami suggestivi), un muro oltre il quale s’intravedevano le tegole della casa, e in quella casa … Maria! Arthur era bloccato lì: chiamare alla porta non poteva, di andarsene non era capace. Ad un certo punto, la sua accesa curiosità aumentò vertiginosamente: un pianoforte! Subito dopo l’attacco di un brano lento, la musica si fermò e lui udì distintamente una voce femminile dire “Molto bene, Signorina Dangering, riprendiamo dall’inizio l’esercizio di ieri”! Poi, il piano riprese a suonare[2].
 



La curiosità di Arthur debordava: non stette a pensarci, si arrampicò su di un castagno, raggiunse l’altezza del muro e poi si collocò in una posizione che fosse stabile, tra i rami. Da lì, guardò le finestre della villa, e proprio di fronte a lui la vide! Maria si muoveva con leggiadra padronanza, indossando un tutù ricadente sui fianchi e calze chiare, e scarpette da balletto: una lezione di danza classica!
 
La mente del ragazzo non era interessata al fatto che doveva essere quell’esercizio ad averla resa così slanciata ed armoniosa; non considerava il rischio di essere visto, o peggio ancora di cadere. No: Arthur la guardava tra le foglie, e ogni suo movimento, ogni atteggiamento gliela rendeva più desiderabile. La guardava rapito, come si guarda una visione soprannaturale: come gli piaceva la sua figura, con quel vitino e quelle braccia delicate! com’era seducente la sua grazia, inconsapevole com’era di essere osservata! Tornite e perfette, le sue gambe si lasciavano guardare da lui in un modo inconcepibile per una giovane duchessa, e lo facevano con piena innocenza, mentre tracciavano meravigliose geometrie nell’aria, sollevandosi a turno da terra per poi tornare a poggiare il piedino con precisione sul parquet. Il colore della pelle trapelava dalle calze leggere, regalando alle sue gambe scattanti un color rosa più pallido di quello di un fiore … e davvero la sua pelle pareva altrettanto tenera di un petalo, al giovane innamorato! Sotto il corpetto morbido, s’intravedevano le forme della ragazza, ed apparivano diverse rispetto a quando mille volte lui l’aveva vista: non c’erano busti o abiti importanti, stavolta, a decidere come il corpo di Maria doveva apparire, e tanta naturalezza era meravigliosa e sconvolgente agli occhi di Arthur. Nastri color crema contenevano gentilmente la chioma castana di Maria senza impedire ad alcune ciocche libere di fluttuare nell’aria, proprio come sicuramente si muovevano, nell’acqua, i capelli delle sirene.
 
E in vetta a tutto, come un sovrano sul suo trono, c’era il viso amato e bello di Maria, che Arthur non aveva la gioia di vedere da un anno e mezzo. E lui tratteneva il respiro, sognando di poter interrompere quella lezione e saltare dentro la stanza, di essere solo con lei e prenderla tra le braccia, e baciare quel viso che tanto aveva sognato, e stringere quel corpo che mai aveva nemmeno immaginato, e dirle finalmente tutto il suo amore! E lei si sarebbe lasciata soffocare dai suoi baci, e lo avrebbe amato ancora più di prima, e sarebbe stata dolcissima e tremante …
 
Ruotando su di un piede, al momento di appoggiare a terra l’altro, Maria improvvisamente incontrò lo sguardo di Arthur, sgranò gli occhi per un istante e … sbagliò! Cadde con un breve grido, mentre Arthur si precipitava giù dal castagno (poco mancò che perdesse l’equilibrio), superando l’ultima parte del tronco con un balzo, per poi correre via a perdifiato. No, se Maria lo aveva riconosciuto non lo avrebbe mai denunciato, ma se non lo avesse riconosciuto? avrebbe detto che un estraneo si era introdotto in giardino per spiarla, e lui non doveva mica farsi trovare! Prese la direzione dei campi e corse, fermandosi solo quando si sentì al sicuro, ansimando e piegandosi sulle ginocchia. Poi, rise forte: Dio, che paura! ma com’era bella, Maria …
 
Per fortuna, la dolce Maria non si era fatta male. L’aveva riconosciuto (o almeno così credeva, no, anzi era sicura, ma forse non era possibile che fosse lui … e su di un albero, poi!). Non disse una parola di quello che aveva visto, ma da quel momento non riuscì a pensare ad altro che al dubbio se davvero aveva visto Arthur, arrampicato su di un albero, fuori da una finestra della casa di Bath …



Nota dell'Autore: PEREPEPE'PEPEEE'! Non vi abituate a queste sorprese perché non durerà! Scrivo e pubblico in fretta finché posso, ma prevedo giorni molto difficili ...
Parliamo di cose più amene: l'idea di far salvare Catherine da Abel mi è venuta grazie ad una recensione di BUBUBU ad una storia di Tetide, ed è risultata proprio utile ;-)
La favolosa fanart appartiene alle divine http://galia-and-kitty.deviantart.com , due artiste russe. La loro pagina va visitata assolutamente da tutte le fans del vecchio caro stile shoujo.
A proposito del brano dei Rondò Veneziano: temo che le immagini siano state "rapinate" on line da artisti non consenzienti e che non sono stati citati, e di questo mi scuso profondamente. Purtroppo, trovare questo bellissimo brano on line è molto difficile. Io ci sono affezionata fin da ragazzina, è uno dei miei brani preferiti di sempre.

Chiarimento di carattere astrologico: ho scritto in una nota che Arthur è del Cancro, secondo la mia concezione. 
 Vediamo un po’: Arthur è timido, riflessivo, molto dolce, sensibile; in amore, è capace di grande affetto, ma non è tipo da buttarsi facilmente in una relazione fisica (non che non sia passionale, ma la passione se la tiene a lungo per sé); legato alla casa della sua infanzia, alle origini (solo a lui poteva venire in mente di usare la fotografia di famiglia per trattenere Georgie a casa, quando sta per partire per Sidney con Barbara), alla famiglia, specialmente alla madre (non parte per inseguire Georgie in Inghilterra, secondo me proprio per non lasciare la madre da sola); è uno “che conserva”, e cioè vorrebbe che le cose non cambiassero, e non dimentica nulla, anzi mantiene la parola perfino in circostanze impossibili (dice espressamente che rimanda il suo suicidio fino a che avrà mantenuto la promessa fatta alla madre morente di dire certe cose a Georgie); veste sempre di azzurro e bianco, spingendosi al massimo al grigio perla, i colori del Cancro. Tutte queste sono caratteristiche cancerine. Detto per inciso, Abel invece ha tutti i crismi dell’Ariete … e se avrete voglia di continuare a leggere, e l'argomento non vi disgusta, ci ritorneremo ...

Per ora, buon autunno, miei carissimi lettori!
 

[1] Nota erudita per lettori curiosi. Avrei voluto evitare di collocare questa parte a Bath, per non sfruttare un’ambientazione già ampiamente descritta da Jane Austen (che io venero) in Persuasione. Ma alla fine ho dovuto scartare città portuali come Brighton e Plymouth, per collocazione geografica o per non ritrovarmi in un posto troppo vicino a Portsmouth, dove ho ambientato buona parte del mio Angelo con l’ala spezzata. Inoltre, mi facevano comodo le terme di Bath per giustificare un’assenza da Londra durata tutto l’inverno, di Maria e sua zia (anche se le ragioni si riveleranno poi essere due). Così è avvenuto che i luoghi termali hanno preso una grande rilevanza in questa storia, il che all’inizio mi ha sorpreso. Poi, però, ho riflettuto sul fatto che la storia di Georgie è molto condizionata dall’elemento acquatico, e non solo per le avventure marinare di Abel e soprattutto di Georgie stessa. Questo è ancora più evidente nel manga, che è molto più sintetico, per certi versi, dell’anime. E nel manga, stranamente, il personaggio più legato all’acqua è Arthur: Arthur pesca con Georgie stando a mollo nel fiume (dopo un notevole tuffo), poi la salva dal fiume stesso, si tuffa per inseguire la nave di Georgie a nuoto, tenta il suicidio presso la vasca da bagno piena, e infine viene dato per annegato nel Tamigi. Tanto per fare un paragone, nel manga Abel, che pure fa il marinaio, non viene mai mostrato bagnato se non quando piove. Riguardo alla caduta di Arthur nel Tamigi, si potrebbe dire che, nel manga, Arthur cambia il suo ruolo dopo essere “morto” per acqua, e poi rinato con una nuova forza, che colpisce Georgie quando lo ritrova in Australia, ma questo è un discorso legato alla possibilità che Georgie alla fine del manga s’innamori davvero di lui, e qui siamo in una storia che deriva dall’anime (dove sicuramente Georgie non s’innamora di Arthur). Resta che io vedo Arthur come dominato dall’acqua, ed infatti non a caso gli ho fatto compiere gli anni in ben due storie sempre il 22 giugno: è la mia festa, ma è anche segno del fatto che secondo me Arthur è del Cancro, segno cardinale d’acqua …
[2] Il brano sul quale Maria ballava era il seguente: https://www.youtube.com/watch?v=m6wj2n_6l0c (video sulla canzone “Isole” dei Rondò Veneziano, dall’album Rapsodia veneziana del 1986, Baby Records).

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Capitolo 21
*** Arthur nel paese delle meraviglie ***


Attenzione, capitolo ad alto contenuto di zucchero: astenersi quelli a cui non piace! Temo che per un po' sarà anche l'ultimo: non so se riuscirò ad aggiornare prima della fine dell'anno perché nella mia vita ci sono stati sviluppi, un nuovo lavoro molto impegnativo che mi rende tutto complicatissimo. Tenete presente che, anche se non mi vedete, io sono sempre felice di ogni segnale che mi mandate, e cosidero un grande privilegio e una fortuna poter avere letttori così meravigliosi! Ah, la fanart è un regalo della meravigliosa Arielle, un'artista finlandese che fa cose divine. Oltretutto, è molto umile e non sa ancora quanto è brava ...


Maria vide Arthur venirle incontro fuori dal negozio all’improvviso, quando ormai l’aveva quasi raggiunta, e non nascose il suo stupore. Se nascondesse altro, Arthur non lo poteva dire, ma almeno pareva contenta di vederlo. Almeno quello: era passato così tanto tempo, che lui non sapeva se sarebbe stato il benvenuto, o se invece non le avrebbe procurato quell’imbarazzo che si prova a rivedere qualcuno con cui in passato c’era stato un legame forte, ma che ormai ci appare un estraneo.
 
― Arthur! … Che sorpresa … Sei a Bath!
 
― Sì. Sono momentaneamente a terra con mio fratello … Maria … come stai? Sembri così … ti trovo benissimo.
 
― Grazie, sto abbastanza bene. Di sicuro preferisco Bath a Londra. E tu? Ti sei fatto più robusto, forse anche più … più alto? – (ovviamente non era più alto, ma solo più uomo).
 
― Sto bene, sì … Non ti dico la sorpresa anche per me, dopo tutto questo tempo ritrovarti qui per caso …
 
― Beh, sì, un bel caso! Io e la zia abbiamo investito qui il ricavo di certi investimenti, ma non mi fermerò a lungo. Il prossimo autunno tornerò nella capitale, devo andare a Corte per un periodo: sono attesa da Sua Maestà come dama di compagnia. Sai come sono queste antiche usanze di famiglia!
 
Arthur si sentiva le ginocchia molli e la testa vuota. In realtà, non era così che avrebbe voluto che fosse il loro incontro: tra loro avvertiva un vuoto che pesava, come una barriera che lo faceva star male ma che non sapeva spiegarsi neanche lui. Forse era perché improvvisamente Maria si era messa a dire che era ricca, una dama che stava per andare a Corte, quasi a ricordargli la differenza che c’era tra di loro. C’era sempre stata, eppure non era mai stata importante fino alle parole della Contessa Constancia Dangering alle nozze di Georgie, e in quel momento lui si era arreso all’idea che Maria dovesse seguire gli obblighi della sua classe sociale, lontano da lui. Ma allora, lui non aveva capito che cosa perdeva! Non aveva ancora provato il dolore sordo della sua mancanza mese dopo mese, giorno dopo giorno, senza sapere nemmeno se l’avrebbe mai rivista. Non l’aveva ancora vista danzare, col cuore in gola per la voglia di rivelarsi a lei. Soprattutto, non l’aveva desiderata e amata mai come ora, mentre la guardava e tutti i suoi sensi parevano concentrati su ogni dettaglio di lei: la sua pelle morbida e chiara, simile alla panna, che spuntava dal voile del colletto, il suo sguardo luminoso che lo soggiogava da sotto le lunghe ciglia scure, le sue labbra che lui aveva potuto sfiorare una volta sola e che ora non poteva toccare più. Quelle labbra piene sorridevano, parlavano con la sua voce (solo un po’ più fonda, posata, da donna), quella che un tempo gli aveva dichiarato amore. E ora quella voce parlava di un destino che scorreva senza di lui.
 
― Certo, tu … sei una Dangering … Vedrai che tutti ti apprezzeranno, laggiù, anche la Regina. Beh, allora … buona fortuna. Ciao, Maria …
 
La voce di Arthur era dolce, ma le sue parole ne erano appena mitigate. Quello era un addio, per quanto lo riguardava. Le sorrise facendole il gesto tipico e beneducato di toccarsi il cappello, come faceva un uomo che salutava una signora con la quale non aveva confidenza. Si era già voltato quando Maria lo chiamò con un tono diverso, che pareva quello di una volta:
 
― Arthur! … Arthur … ma vai già via? non ci vediamo da tanto, speravo che …
 
― … che …? – la voce di Arthur ora era triste – … che cosa, Maria …? Ti ho augurato felicità tante volte, te l’augurerò sempre.
 
Arthur non si girava, aveva paura di guardarla e crollare. E invece capì di non avere via d’uscita perché Maria gli si avvicinò da dietro e gli prese un braccio.
 
― Ma io non sono felice. Ti prego, parliamo un po’. Sali in carrozza con me, almeno staremo più tranquilli.
 
Arthur non poteva resistere. Maria disse al cocchiere di fare un giro per i viali e poi per il parco, e si sedette, tirando le tendine. Il ragazzo prese posto di fronte a lei. Erano da soli in una carrozza chiusa, dove lo aveva invitato lei: sembrava che Maria si sforzasse di ridurre l’abisso che ora li divideva, ma comunque secondo le regole della società lui poteva solo guardarla da una rispettosa distanza. Era un popolano, e l’amore che lei gli aveva mostrato (e che lui aveva respinto) era già inopportuno di per sé … Eppure, non poté non chiedere perché Maria non fosse felice. Per fortuna, Maria parlò sinceramente:
 
― Ecco … Mia zia è stata chiara, ricordi? Io ho dei doveri verso la mia famiglia. Andare a Corte, comportarmi da signora, dover render conto a mia zia, rispettare il testamento di mio padre … proprio lui, che non rispettò mai nulla! La mia vita è fatta di obblighi. Vorrei tanto non essere nata e vissuta qui, avere una vita normale. Ecco, per esempio, come quella di Georgie: una ragazza cresciuta in campagna, che poi ha sposato l’uomo che amava!
 
― Oh, per questo, Georgie non ha avuto una vita normale! Suo padre condannato ingiustamente, la mamma morta così, poi crescere credendo di essere figlia dei nostri genitori solo per essere cacciata via dalla mamma una brutta notte! E venire in Inghilterra a cercare le proprie origini da sola, poi …
 
― Scusami, sono una sciocca ingrata … Hai ragione, però io ammiro ancora di più il suo coraggio, se penso a come ha affrontato tutto, ha ritrovato suo padre, ha salvato te e poi ha sposato l’uomo che amava! A proposito, come stanno lei e Lowell? e il Conte?
 
― Bene, grazie! Lowell si è ripreso completamente, la bambina sta benissimo! E il Conte sta molto bene, è anche lui qui a Bath … Sai, Georgie e Lowell si sono messi in affari, giù a Ischia, e ora lui è nei trasporti. Pensa che sull’isola li amano tutti, li chiamano “i biondi”!
 
“I biondi”?! OH, CHE BUFFO! – Maria batté le mani, pareva una ragazzina, e Arthur la riconobbe come quello che davvero era: la fanciulla vivace a cui doveva la sua salvezza, quella stessa che gli aveva rubato il cuore. – Sono tanto felice per loro, per tutti loro! Si meritano di essere felici, almeno come risarcimento del dolore che mio padre ha inferto … a tradimento … E forse io devo scontarlo, invece … Ma tu e il Conte, qui a Bath, che meraviglia … dov’è che state? Devi darmi assolutamente l’indirizzo …
 
Arthur si sentiva stringere il cuore: erano passati mesi e mesi, ma Maria non era ancora uscita dall’incubo, e credeva di avere delle colpe! Il suo sorriso radioso si era spento, e ora si capiva che la ragazza cercava di farsi coraggio cambiando argomento. Chissà quanto gliel’avevano fatto pesare, quei nobilastri arroganti, di essere la figlia di Dangering! proprio quelli che, fintanto che lui era stato potente – Arthur lo sapeva bene – avevano fatto a gara ad adularlo!
 
― Certo che ti darò l’indirizzo, tutto quello che vuoi, Maria … ― Maria lo guardò negli occhi e tornò a sorridere, e ad Arthur sembrò di toccare per un attimo il cielo con un dito! Bisognava farla sorridere ancora, era necessario, urgente! – Ma Ischia è molto meglio, ci sei mai stata? No? Ah, mi piacerebbe andarci, e magari portarti con me, così non dovresti preoccuparti degli obblighi e del rango! Oh, il mondo è grande, e se invidi Georgie per com’è cresciuta, allora ti porterei anche in Australia! Ne andresti matta, sai?
 
― Sì, mi piacerebbe girare il mondo come fate tu e tuo fratello! Devi essere molto felice di poter viaggiare!
 
― Felice, beh … non proprio. Mi piace, ora ho imparato tante cose, ma il mio sogno è sempre stato restare nella mia patria, nella mia casa, coltivare la terra di mio padre … magari ingrandirla … Vedi, anche se non c’entra torno a pensare sempre all’Australia.
 
― Oh … ma allora, perché ti sei imbarcato?
 
― Per Abel, è una storia lunga …
 
La passeggiata in carrozza era stata anch’essa lunga, ed erano arrivati ai giardini che ne erano la destinazione. I due giovani decisero di scendere e camminare un po’, e Maria si strinse al braccio di Arthur in un modo che lui trovò stupendo. Non c’era più nessuna distanza tra di loro, e Maria si sentì libera di chiedere dell’Australia, dei canguri e se era vero che portavano i figli in una tasca. Arthur spiegò che era proprio vero, che lo stesso facevano i koala (e descrisse i koala) e gli opossum (descrisse pure quelli), e di come le loro tasche fossero alla rovescia forse perché non dovevano saltare come i canguri ma arrampicarsi e soprattutto dormire a testa in giù. Maria si divertiva moltissimo, e sorrideva con occhi luccicanti, proprio come Arthur desiderava, senza mai staccarsi dal suo braccio. Il giovane la conduceva per sentieri alberati, allontanandosi dai viali più ampi e frequentati, finché furono soli. Si sentiva felice come non era stato da un tempo infinito, mentre il calore delle mani di Maria sul suo braccio sembrava irradiarsi fin dentro di lui, e gli pareva di non averla mai vista così bella. Anche Arthur sorrideva. In alto, gli alberi giocavano coi raggi del sole, ora nascondendoli e ora lasciandoli filtrare tra le loro foglie, e sotto di essi camminava Arthur, senza rendersi conto assolutamente di essere bello anche lui, di come i suoi occhi chiari scintillavano, di com’erano lucenti i suoi riccioli castani, di come la sua bellezza classica fosse accarezzata dalla luce del pomeriggio limpido. Di tutte queste cose, si accorgeva però Maria, che ne era l’unica testimone.
 
Si diedero appuntamento per il giorno dopo, alle terme: la zia Constancia ci andava quotidianamente (“Sai, la zia non sta molto bene, negli ultimi tempi. Per questo siamo a Bath …”), ma non si tratteneva mai molto, così dopo le dieci e mezza Maria sarebbe stata libera.
 
La ragazza non lo vide arrivare, l’indomani, fuori dall’imponente edificio bianco in stile neoclassico, con colonne di marmo e timpani che sovrastavano le finestre, disposte in simmetrie perfette. Arthur arrivò alle sue spalle e la chiamò con dolcezza:
 
― Maria …
 
Lei si girò, da dietro un delicato parasole di pizzo, schiuse nuovamente quel sorriso che a lui piaceva tanto e rispose:
 
― Arthur! … Buongiorno …
 
Dopo due giorni, pareva che vedersi quotidianamente fosse un’abitudine immutabile, una cosa che era sempre stata e si sarebbe protratta eternamente. Arthur aveva quasi la sensazione fisica del bisogno di vedere Maria ogni giorno, e che l’armonia del cosmo dipendesse da quel sorriso rivolto a lui. Non vedeva neanche il resto della gente che affollava i viali e le caffetterie, le terme e il parco. Il pensiero di dover tornare a Londra, perciò, lo colse come uno schiaffo, quando Abel disse che era necessario non indugiare oltre e presentarsi al più presto al signor Allen.
 
― OH, NO! Abel, ti prego, digli che non posso … che non mi sento bene, non lo so, ecco, sì, che sto male! Prendi tempo, almeno fino alla settimana prossima!
 
Arthur!!! Ma che dici, se sembri un fiore di primavera, hai un bel colorito e un ottimo umore!
 
― Ma io non posso partire ora …
 
― E perché? … Senti, se devo mentire a quella brava persona, mi devi dare un buon motivo!
 
Erano nel corridoio in cima alle scale della bella villa, di ritorno al piano superiore dalla colazione. Arthur si guardò intorno, poi chiese al fratello di seguirlo in camera sua:
 
― Ce l’ho, un buon motivo. È per Maria.
 
― Aaaa-haa! – fece Abel, con un’aria d’intesa.
 
― Sì, proprio “aaa-haa”! … ― Un vago rossore cominciò ad apparire sulle guance di Arthur, mentre suo fratello lo fissava: ― Beh, perché continui a guardarmi?
 
― Vai avanti, no? Mi dicevi di Maria …
 
― Ci siamo visti spesso, ultimamente.
 
― E …?
 
― E stiamo bene insieme. Nessuno sa che ci vediamo.
 
― E …?
 
― E basta, non voglio partire!
 
― Ma le hai detto quello che provi?
 
― Beh … no. Certo, mi piacerebbe …
 
― Arthur, senti, io ti copro col signor Allen, ma tu devi muoverti! Se non lo fai, finisce che la perdi, non essere sciocco, pensi a lei di continuo da più di un anno! E prima o poi noi dovremo pur ripartire da Bath …
 
Arthur non rispose, ma sapeva che stavolta suo fratello aveva proprio ragione. Non si era reso conto della precarietà della situazione, e se Maria credesse ancora di essere solo un’amica per lui? In fondo, era lei l’unica ad essere stata sempre sincera.
 
 
***
 
 
Il sogno cominciò con Arwin, coi suoi passi nel corridoio oltre la porta. Questa si aprì e lo fece entrare, lui e la sua aria subdola di sempre. Arthur era disteso sul letto, girato dalla parte opposta, e non si voltò, eppure gli pareva di vederla, quella sua aria melliflua che nascondeva un desiderio rapace. Era da tanto che non lo sognava, eppure ad Arthur sembrò di essere da sempre lì, prigioniero.
 
― Dormivi? Oh, scusa, Cain … ― Arthur si morse un labbro, sperando che quello non si avvicinasse, – Ma come sei silenzioso, stamattina! Che c’è, non ti piace la nostra accoglienza? Ma non puoi mica essere così ingrato, non con me che ho cura di te quasi quanto la mia sorellina … Che c’è, vorresti uscire, forse?
 
Arwin fece schioccare la frusta. Arthur conosceva già quel gioco, ma decise che non aveva più intenzione di giocare. Si alzò dal letto fronteggiando il suo nemico, estrasse una pistola grande quanto quelle del secolo prima (non si chiese nemmeno da dove fosse uscita quella specie di archibugio) e gli sparò su due piedi, colpendolo in pieno petto. Morto! Anzi, disintegrato! Arwin si sgretolò come fosse fatto di terracotta sottile, e Arthur senza pensarci su lo scavalcò e spinse la porta, che cedette tranquillamente …
 
Un attimo dopo si trovava in un giardino pieno di sole. Una grande farfalla multicolore gli svolazzava davanti, poi si allontanava verso il viale di fronte a lui, poi tornava. Al giovane sembrò un invito, e gli piaceva così tanto che in un battito di ciglia si era già dimenticato di Arwin, caduto in cocci dopo la sua pistolettata. Libero e sereno, curioso e stupito, camminò dietro la farfalla, per il viale circondato da una siepe incommensurabilmente alta, godendo della brezza sul viso, del verde e del cinguettio incessante, unito al rumore di acqua corrente … finché si aggiunse un altro suono forse più piacevole ancora: risate di fanciulla. Anzi: le fanciulle dovevano essere due …




La siepe pareva finire in una sorta di piazzola ovale circondata di bosso, e sul lato di fronte a lui la piazzola aveva due uscite simmetriche ai lati, al di là delle quali s’intravedeva un corso d’acqua. Nascosto dalla siepe, Arthur guardò da una delle aperture: si apriva una radura fiorita, che si stendeva fino ad un bellissimo piccolo lago, una pozza naturale limpida che riceveva acqua da una cascata e poi la lasciava defluire in un fiumicello. Ad una vasta quercia sul limitare della radura era appesa un’altalena che gli ricordava la sua infanzia, e una ragazza coi capelli al vento si faceva spingere da un’altra, ridendo. Colei che spingeva era Georgie, con indosso un abito giallino, drappeggiato, di foggia greca, molto scollato, che si apriva da un lato mostrando le sue gambe lunghe:
 
― Ma insomma, dove vorresti arrivare, sulla luna? E allora prendi questo, ahahaha! – e Georgie diede una poderosa spinta alla schiena dell’altra ragazza, che venne sospinta in avanti.
 
Meraviglia! L’aria e il movimento portarono all’indietro i capelli ondulati e sciolti della giovane, mostrando che era Maria! Maria rideva, e intanto si spingeva a sua volta portando in avanti al massimo i piedi nudi, e così il suo abito ellenizzante bianco crema le scoprì completamente le gambe slanciate e protese. Dopo due spinte e molte risate, Maria si fermò:
 
― Georgie, ma è tardi, facciamo il bagno!
 
Saltò giù dall’altalena e tutt’e due corsero al laghetto, buttandovisi dentro allegramente, ancora vestite … anche se erano decisamente poco vestite! E con abiti chiari e leggeri, che una volta bagnati le nascondevano ancora meno.
 
Arthur tratteneva il fiato, con le orecchie che ronzavano. Che altro poteva fare, un ragazzo diciottenne dell’era vittoriana al quale si offriva un tale spettacolo, se non pregare che durasse a lungo[1]? Invece, ad un certo punto ci fu un’interruzione: una voce maschile alle sue spalle …
 
― Piantala subito di guardare mia moglie!!!
 
― Lowell?! Shhh! Zitto! No, non sto guardando Georgie, te lo giuro!
 
― Ah, no? E allora, guardi Maria! Beh, si è fatta proprio bella: non ti posso biasimare, se t’interessa …
 
― Beh, ecco, sì, a dire il vero …
 
Georgie uscì dall’acqua e si gettò supina sui fiori, le braccia in alto e gli occhi chiusi, per asciugarsi. Uscì anche Maria, e rimase un momento ferma per riunire i capelli all’indietro, attorcigliarli e strizzarli, col vestito schiacciato addosso e reso ormai trasparente dall’acqua; poi, raggiunse l’amica e si distese a pancia in giù, e nel farlo la sua scollatura si aprì pericolosamente:
 
― Ah, se Arthur fosse qui …! – sospirò Maria, mentre Georgie sorrideva.
 
― Senti, ma si può sapere che aspetti? – sussurrò Lowell ad Arthur, poi senza attendere risposta uscì da dietro la siepe e corse verso le ragazze, che lo accolsero con esclamazioni di giubilo.
 
 
***
 
 
Ma i giorni passavano senza che lui si decidesse. Abel partì e stava già per essere di ritorno, quel sabato, il giorno in cui Arthur e Maria si erano dati appuntamento per andare ad un concerto pomeridiano che si sarebbe tenuto nel padiglione del parco (non che al ragazzo queste cose interessassero molto, ma interessavano a Maria, e allora a lui andava benissimo; crescendo, poi, le avrebbe trovate molto interessanti anche lui).
 
Maria lo passò a prendere in carrozza vicino a casa del Conte, e da lì proseguirono con le tendine chiuse, perché il sole basso dava fastidio alla ragazza. Chiese lei ad Arthur di tirare le tendine, e lui tirò anche quelle dal lato all’ombra, con aria apparentemente indifferente. Si riproponeva la situazione del loro primo incontro a Bath, ma ora tra loro c’era una ben diversa confidenza. Eppure, il ragazzo non si sentiva molto tranquillo.
 
― Questo vestito ti sta benissimo. – Maria era tornata al suo amato color malva.
 
― Grazie, Arthur! – la ragazza sorrise, piacevolmente sorpresa (oh, il suo sorriso! Arthur non mancò di ammirarlo).
 
Guardandola, si rese conto di quanto era cresciuta da quando l’aveva incontrata. Le era capitato un po’ di tutto, la ragazzina che era stata non esisteva proprio più. Ma davanti a lui non c’era una dama superficiale ed affettata, come lui aveva temuto giorni prima: c’era sempre lei, la fanciulla che l’aveva salvato per amore, che aveva pianto tanto per lui, che aveva eluso ogni sorveglianza per andare a salutarlo alla partenza, e anche ora probabilmente era lì a prezzo di chissà che bugia. E lui che non aveva il coraggio nemmeno di dirle quanto l’amava!
 
“Come sei bella, e io non te l’ho mai detto! – pensava, col cuore che batteva sempre più forte – Tu hai un cuore dolce come lo zucchero, prezioso come una perla dei Caraibi, e l’hai offerto a me! E io non ti ho ancora detto che ti amo, che ti sogno giorno e notte! Forse è vero quello che scrivono nei romanzi, che la donna ama in un modo più completo, più puro … Ma possibile che tu, dama della Regina, meravigliosa come sei, mi ami ancora?...”
 
Come fare per scoprirlo?
 
― Maria … io … senti … ti ricordi che mi hai detto di non essere felice? Sai, nemmeno io sono stato felice, in tutto quel tempo in cui non ci siamo visti. E neanche prima ancora, veramente. Ma ora con te … è cambiato tutto. Dimmi, sei un po’ più felice anche tu, adesso? – Si vergognò subito della sua domanda, perché era troppo diretta, presupponeva una certa intimità tra di loro, ma lui non poteva pretendere che lei dicesse di sì. Avrebbe dovuto essere prima lui, ad esporsi, anche a rischio di essere respinto, perché quella ragazza l’aveva già fatto tante volte, e lui l’aveva respinta. Quindi non la lasciò parlare, anche se Maria stava per rispondere:
 
― Scusa, non dovevo permettermi. Ma c’è una cosa importante che ti devo dire: almeno tu, dovresti essere felice, perché sei un essere eccezionale! – Fissava lo sguardo in quegli occhi dal blu indefinibile che lo facevano tremare, e parlava con voce sempre più suadente e appassionata: ― Mi sembra ancora di vederti, aprire la porta ed entrare come la primavera in quella cella … ridarmi la libertà, la dignità, la vita! Forte e delicata, così coraggiosa … E sul mare, e in porti stranieri, mi sei apparsa mille volte come allora. E mi sei mancata … (non credevo che mi avresti fatto questo effetto!) … mi manchi sempre, da piangere.
 
Maria trasalì, e questo Arthur lo notò, anche se lei non voleva interromperlo:
 
― Dico cose assurde, vero? Ma non ti preoccupare, se non mi vuoi ascoltare basta che mi butti fuori dalla carrozza e io capirò che hai ragione. Però, fintanto che non lo fai … ― , ora Arthur, che non si era mai fermato per la paura di non riuscire poi a continuare, dovette fare una brave pausa per riprendere coraggio, e prese posto sul sedile di fronte, vicino a lei: ― … se sei così buona da ascoltarmi, io ti devo dire solo una cosa: ringrazio Dio per questo dolore che sentivo lontano da te, perché l’amore … sì, Maria, l’amore … vero, grande, terribile e dolcissimo, che provo per te, io me lo voglio tenere stretto dentro. Perché tu sei un essere eccezionale, e se io ti amerò e ti sarò fedele, avrò comunque fatto qualche cosa di degno nella vita …
 
Maria rispose con la voce che tremava, e a guardarla pareva che il busto non la lasciasse respirare abbastanza:
 
― Arthur … è vero tutto questo? Per me … per me … ci sei sempre stato solo tu … certe volte mi pareva d’impazzire, pensando che tu non mi avresti mai amato …
 
Ad Arthur pareva incredibile che Maria fosse sempre la stessa, ma invece ecco che lei gli offriva il suo amore con la sua diretta semplicità di sempre! Non poté fare altro che baciarla immediatamente, lei chiuse gli occhi umidi, lui chiuse i suoi … Allora, gli sembrò che il cuore gli esplodesse di gioia, e che dalle labbra morbide di Maria entrasse in lui un calore mai provato prima, come un balsamo profumato che scioglieva anni di solitudine e tristezza. Gli tornò in mente una frase di Abel: “tu sarai amato” … e Maria non lo aveva dimenticato! L’abbracciò e diede coraggio a quel bacio leggero, rendendolo più sicuro e profondo, mentre la percezione della realtà intorno a lui svaniva per lasciar posto solo a Maria, che ora lo abbracciava a sua volta. Quello per lui era il momento più felice della sua vita. Quando quel bacio finì, il mondo gli apparve bellissimo.
 
― Ma allora, mi ami ancora? ― , gli pareva ancora impossibile, nonostante tutto!
 
― Non lo sai? – anche Maria tremava, mentre la sua voce usciva sempre un po’ ansante, un sussurro che era musica per le orecchie di Arthur: ― Amo solo te da sempre, e per sempre …
 
― Oh, sì … amami … Fa’ pure di me quello che vuoi, ma amami, ti prego …
 
Arthur avrebbe voluto restare così in eterno, ad assaporare i baci di Maria e a dirle quanto l’amava. Ora, la ragazza rideva per la felicità, con le guance in fiamme. Tra i due non c’era più nessuna distanza:
 
― Sei così bella … che non riesco a credere che davvero posso stringerti così, e dirti che ti amo, finalmente!
 
― E allora io che dovrei dire?! Credevo che non mi amassi, che non mi avresti mai voluto … Sai, anche quando ci siamo rivisti … mi sono messa a parlare di Londra, della Corte, solo perché mi vergognavo di essere ancora così innamorata, perché credevo di essermi illusa: avrei voluto nascondermi per la vergogna di averti inseguito per tutto quel tempo e perché ti amo sempre come prima!
 
― Povera cara, è tutta colpa mia, sono stato un disastro! Un anno e mezzo fa ho capito che cosa significava la nostalgia che provavo per te. E mi sono maledetto per averti respinta quando potevo stare con te, a casa di tuo padre … Ma allora ero un prigioniero e non sapevo amarti …
 
La carrozza rallentò e si fermò nei paraggi del padiglione. Maria si ricompose velocemente, aprì in parte il finestrino senza sporgersi e disse al cocchiere di proseguire senza fretta lungo i viali fino alla campagna, perché avevano cambiato idea. Così, dimenticarono il concerto e tutto il resto, consapevoli solo dei loro baci e dei loro sospiri. Maria aveva sedici anni e mezzo. Arthur ne avrebbe compiuti diciannove in giugno, e per la prima volta provava il piacere di accarezzare con le labbra la bocca della ragazza amata, di parlarle d’amore, di stringerla a sé con tenerezza e trepidazione. La passione del suo cuore a lungo sofferente si rivelava, sorprendendo anche lui.
 

[1] Non annoierò troppo nessuno, spero, se riconosco brevemente le citazioni che riempiono questo sogno: Diana cacciatrice al bagno con le sue ninfe spiata da Atteone, il locus amoenus dei latini e dei medievali, il premio che spetta all’eroe che uccide il mostro e all’iniziato che arriva alla fine del labirinto … Naturalmente, tutte queste cose facevano parte del bagaglio di un uomo di quei tempi, che poteva certo trovare eccitante la fantasia di due ragazze scalze in un giardino, vestite succintamente, alla greca, che poi facessero pure il bagno.

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Capitolo 22
*** Segretamente ***


“Cara Emma,
 
che felicità sapere che aspetti un bimbo, finalmente! Non stavo nella pelle quando ho ricevuto la notizia! Spero davvero che ora scoprirai le gioie che io già conosco …
 
All’inizio, è come una magia: fai fatica a credere che sia un fatto vero, “mamma” è una parola che fino a quel momento associavi ad altre persone ed invece tocca a te. Non riesci ad immaginare come sarà e fai tutte le cose pensando “adesso mi metto a gridarlo al mondo intero, lo dico a tutti!”, poi cominci a capire che non sarai più la stessa … Che il cambiamento forse riguarderà solo te: nessuno può vedere la piccola cosa nel tuo corpo, che cresce piano piano. Segretamente, cresce un pochino ogni giorno anche se non te ne accorgi. Poi, si vede un po’, e così sai che la ragazza dal fiore diventa frutto …
 
Oh, perdonami, mi sono lasciata andare! Ma non è tutta colpa mia: c’entra anche Lowell, se … aspetto un bambino pure io!!! Sì, diventeremo mamme insieme! Beh, non lo so, io ci metterò più tempo di te, ma quasi insieme!
 
Dammi tue notizie presto, non vedo l’ora di sapere come procede! E non ti stancare, mi raccomando, la fatica arriverà di colpo e ti dovrai fermare di botto! E come farai, se avrai troppe commissioni alla sartoria?
 
Per quanto mi riguarda, la frenesia qui è al massimo: Lowell ha deciso che per la nuova nascita dovremo avere una casa più grande e direttamente sul mare, e io non posso dargli torto. Abbiamo visto che la bimba sta meglio quando siamo più vicini al mare, pare che l’aria salina faccia molto bene ai bambini. E vedessi come mangia di gusto, la mia piccola! Oh, vedrai, sarai molto felice anche tu …
 
Adesso ti lascio, così la lettera può partire subito. Io sto benone, tu riguardati. Salutami tanto Dick, che sarà un papà stupendo.
 
Georgie”
 
Questa  lettera non era indirizzata ad Abel, ma il ragazzo stava già per ripartire da Londra quando gliene arrivò un’altra con la stessa notizia che recava quella per Emma (e lo stesso festoso entusiasmo). Georgie era di nuovo incinta! Abel era incredulo … guardò l’albero fuori dalla finestra: i getti primaverili erano prorompenti. Anche a Georgie succedeva qualche cosa di simile … Il ragazzo si alzò e aprì i vetri. Il vento tiepido era piacevole, perfino eccitante (o era stata la lettera a farlo sentire così?), e di colpo Abel prese una decisione: stavolta sarebbe andato lui in Italia. Adesso che ad affiancare il signor Allen ci sarebbero stati Arthur e Brandon, considerato che entrambi erano maturati nel lavoro, poteva anche partire. Non si sarebbe più nascosto a leccarsi le ferite, alla fine Georgie aveva scritto a lui e a lui soltanto, a Londra pur sapendo benissimo che suo padre si trovava fuori città. E lui non voleva più perdersi un evento così importante della vita del suo grande amore. Doveva pur affrontarla, prima o poi, se voleva continuare a vivere … Lontano da lui, lei viveva, eccome …
 
 
***
 
 
Becky era uscita nel primo pomeriggio, l’orario ideale per una visita amichevole. Si presentò a casa Barnes e fu accolta con la solita allegria concitata. Catherine era particolarmente felice di vederla perché voleva mostrarle il suo primo busto! La sua corporatura minuta si avvantaggiava della rigida corsetteria, mostrando un vitino di vespa di cui la ragazzina era fiera. Nel boudoir color glicine e verde pallido, profumato di lavanda, Catherine camminava avanti e indietro col mento in alto, e si esercitava nell’inchino di fronte alla bella e raffinata Becky, che mostrava ammirazione e compiacimento. In quel momento, Becky era davvero divertita ed emozionata come la sua giovanissima amica: due ragazze condividevano un momento di entusiasmo adolescenziale, e a guardarle sarebbe stato difficile immaginare la notevole differenza di età, esperienza ed estrazione sociale che le divideva.
 
― Non credi che starò benissimo, ora, col color crema e il lilla che si portano questa primavera?
 
― Altroché, Cathy! E la mussola vaporosa è perfetta, con quei colori e la tua figura!
 
― Oh, che delizia, la mussola! Hai sempre idee meravigliose! … Peccato solo che ci dovrò andar piano coi dolci …
 
― Ma che dici, sei così sottile! Lo vuoi un consiglio? mangiateli tutti e non ci pensare!
 
― Hai ragione. Mangerò, e porterò la mussola lilla e crema, e ci divertiremo un mondo! Un’amica come te mi ci vuole proprio, adesso che arriva la stagione, e … oddio, ma che ore sono?! LE CINQUE! Sta per arrivare un ospite, Becky, un ospite che non vedi da taaanto tempo!
 
Catherine si stava sistemando meglio i nastri tra i capelli, mentre parlava, e nel dire le ultime frasi si avvicinò a Becky facendo vedere di voler sistemare anche la sua acconciatura (che non ne aveva minimamente bisogno) …
 
― Ma chi?
 
― Oooh, lo vedrai! Stai proprio bene, ora puoi andare ad incontrarlo …
 
Raggiunsero la serra mentre Becky continuava a far domande alla sua amica e ospite, che non le rispondeva ma sorrideva ammiccante. In piedi di spalle all’ingresso, rivolto ad una delle grandi vetrate che davano sull’esterno, c’era il giovane.
 
― È arrivato, ma che bello! Ha viaggiato a lungo, è stato molto lontano, ma ora è ritornato!
 
Becky alzò gli occhi e lo vide, proprio mentre lui si girava:
 
― Oh, Rory …!
 
Rory evidentemente non si aspettava di vederla, perché la sorpresa sul suo viso era evidente. Erano mesi che non la vedeva, perché era stato all’estero per un lungo servizio di scorta ad un diplomatico. Il suo stupore soddisfaceva enormemente la nipotina, che batté le mani e rise. Rapidamente, l’ufficiale si tolse un guanto e lo tenne nell’altra mano, per poter prendere quella di Becky e baciarla, come l’etichetta prevedeva. Becky strinse con tutte e due le mani quella di Rory. Segretamente, quest’ultimo ringraziò Catherine per la meravigliosa sorpresa.
 
 
***
 
 
Il giorno dopo, verso l’ora di pranzo, Abel fece ritorno a Bath, e trovò che la notizia della gravidanza di Georgie era giunta anche lì. Il Conte e suo fratello erano estremamente allegri ed emozionati, e per parecchio tempo i tre non fecero che parlare della novità, immaginando anche il modo migliore di organizzare il viaggio di Abel (e del Conte Gerard) per Ischia. Pareva che ad Arthur non dispiacesse di cedere il posto al fratello, stavolta, perché in effetti era sempre meglio che uno di loro restasse.
 
Quando furono solo loro due, Abel con discrezione interrogò Arthur sugli eventuali sviluppi della sua situazione sentimentale, ma il ragazzo gli rivolse un sorriso ammiccante e non rispose, limitandosi a dire:
 
― Non ti preoccupare: ora sono pronto per tornare al lavoro a Londra.
 
― Ah, d’accordo! Perché dobbiamo rientrare al più presto, magari domani …
 
Probabilmente, Abel capì benissimo che era successo qualcosa di positivo, ma non fece altre domande, e fece bene: Arthur stava gustandosi, per la prima volta in vita sua, quella piacevolissima sensazione che consiste nell’avere un amore segreto e corrisposto. Non faceva altro che ripensare alle emozioni della sera precedente, cercando di assaporare di nuovo ogni sensazione nel ricordo, di ricreare ogni dettaglio nella mente. I riccioli di Maria, al lato della guancia; il suo sguardo tenero e sorridente su di lui; il calore della sua mano sul viso; le parole precise che avevano pronunciato … e lo sapeva solo lui! Gli pareva di essere solo lui in tutta Bath, anzi in tutto il mondo, ad essere così felice! Il ragazzo si trovava in uno stato di esaltazione, e tutto gli pareva terribilmente intenso e suggestivo, nella luce e nei colori, nei suoni e nei profumi della primavera …
 
 

Quel pomeriggio, Arthur, con allegria e impazienza, si diresse alle terme per un nuovo appuntamento con Maria. Si mise ad attendere al solito posto, vicino a una delle uscite laterali, all’esterno della grande sala marmorea che costituiva l’ingresso. Sarebbe arrivata dal parco, senza dubbio. Arthur cercava di non sembrare impaziente, la loro doveva essere una liason segreta, guai se una vicina altolocata della famiglia si fosse accorta di un trasporto eccessivo tra di loro! Ma non vedeva l’ora d’incrociare il suo sguardo, di riconoscere la sua figura che si avvicinava … Sarebbe stata in verde, in azzurro, in grigio chiaro?
 
Ma il tempo trascorreva e Maria non arrivava …
 
Dopo quasi un’ora e mezza, Arthur si trovava in uno stato d’animo opposto a quella mattina: lei non era venuta, e lui non sapeva perché! Non riusciva ad immaginare una ragione che potesse averla tenuta lontana da lui. Doveva essere qualche cosa di grave, magari riguardante sua zia. No, certo sarebbe stato meglio di no … ma doveva essere grave, e non doveva riguardare loro due: perché se avesse riguardato loro due, allora poteva voler dire che erano stati scoperti, e questo significava difficoltà a non finire per rivedersi; e se non fosse stato grave … no, Maria non avrebbe mai mancato d’incontrarlo per una ragione meno che grave! La mente di Arthur si rifiutava di considerare questa possibilità.
 
A cena, il Conte Gerard aveva un ospite: si trattava di un nobile che nell’ultimo anno aveva fatto investimenti importanti nella contea di origine del Conte, acquistando anche il terreno attiguo al suo. Così, erano diventati vicini, e trovandosi tutti e due a Bath era buona educazione che si vedessero. Era una conoscenza recente, e forse per questo non si fece troppi problemi a parlare proprio dei Dangering nella casa di quello che era stato il loro maggior oppositore. La cosa fu casuale:
 
― E allora, caro Gerard, lei non frequenta le terme da diversi giorni, non è così?
 
― In effetti, è vero, ma mi ripromettevo di tornarci presto.
 
― Oh, dovrebbe! Il parco è magnifico in questa stagione, e se il tempo resterà buono come la settimana scorsa, avremo il piacere di poter contare su delle ottime compagnie. Per esempio, c’è il bridge! E poi, il club di teosofia …
 
― Ah, davvero? un club di teosofia?
 
― Sì, Conte, è tenuto da una dama davvero squisita. Voi la conoscete, almeno di nome: è Lady Constancia Dangering. Per fare la sua conoscenza, le terme sono il luogo ideale, anche se i dibattiti proseguono spesso altrove … ― Arthur tese l’orecchio immediatamente, e sorrise tra sé: si era appena reso conto che, a differenza di quello che di sicuro succedeva al Conte, per lui ormai quel nome non richiamava alla memoria l’odioso Duca e suo figlio, ma Maria e la sua dolcezza. Il Conte, comunque, non fece una piega al sentir nominare la famiglia del suo feroce nemico, mentre l’ospite continuava:
 
― … Anche se purtroppo, negli ultimi due giorni, l’illustre Lady Constancia non ci ha concesso il piacere della sua presenza. Eh, no! La ragione dovrebbe essere una certa signorina … Ma questi sono solo pettegolezzi senza consistenza.
 
Abel guardò suo fratello: il ragazzo aveva appoggiato il cucchiaio e guardava il proprietario terriero con ansia.
 
― Oh, andiamo, amico mio! – intervenne il Conte – Voi sapete bene come creare una grande attesa! Non lasciateci così, di che si tratta? Tanto più che probabilmente conosciamo anche quella certa signorina: è la giovane Miss Maria, vero?
 
― Oh, la conoscete? Una fanciulla davvero incantevole, non è così? Ebbene, si dice che stia per fidanzarsi con Charles Fenner! Oh, nulla di più appropriato! Fenner è un giovane brillante, di grandi prospettive: sarà Visconte, ed è imparentato col Duca di Cumberland. Sarebbe un’unione molto opportuna! – Con quest’ultima frase, l’ospite del Conte Gerard si ritenne soddisfatto, alzò il suo bicchiere per bere e poi lasciò che la conversazione lasciasse questo argomento.
 
Arthur non si rese conto di come potesse continuare a mangiare e a bere: forse, più che autocontrollo, era un automatismo che gli permetteva di affrontare lo shock. Abel lo osservava con apprensione, per paura che esplodesse da un momento all’altro, ma invece non successe niente, e appena poté il ragazzo si congedò con educazione e salì in camera sua.
 
Fece i gradini lentamente. Percorse il corridoio senza vederlo. Aprì la porta e se la richiuse alle spalle, senza accendere la luce. Ma che stava succedendo? Maria … non una ragazza qualsiasi, non una signorina viziata e superficiale, ma Maria, la sua salvatrice! Che un giorno lo baciava appassionatamente e il giorno dopo si fidanzava con un altro, un nobile! Perché tanto lui, Arthur, non era all’altezza, naturalmente … Ma avrebbe sempre potuto respingerlo, invece d’illuderlo così … La gelosia che era tipica di suo fratello maggiore gli era sempre stata estranea, ma ora ne sentiva il gusto aspro in bocca, e la sentiva crescere come un mostro che gli toglieva la ragione.
 
Abel bussò. Non udendo risposta, entrò e trovò il ragazzo al buio, che si stringeva le braccia come a trattenere la rabbia.
 
― Arthur … posso accendere? – Arthur annuì senza girarsi, e Abel accese due lumi ad olio – Mi dispiace … ma forse non è vero niente!...
 
― Che cosa, Abel?! Io non so più che cosa è vero …
 
― Oh, dai, non dare per scontato che sia così senza prima parlare con lei …
 
― Sapessi quante cose mi ha già detto … ― Arthur si girò a fissare il fratello con occhi scavati, e il suo tono di voce cambiò: ― … ma l’unica cosa sicura è che io non sarò mai Visconte! Si è voluta divertire, lo capisci? Uno sfizio, con un provincialotto come me, prima di annunciare a tutti il suo grande fidanzamento! Lei, dama della Regina …
 
Arthur non riusciva più a continuare, si voltò verso la finestra per nascondere le lacrime e si mise le mani nei capelli. Ma Abel conosceva perfettamente quello stato, e col tempo aveva capito che non era bene assecondarlo. Se, al momento giusto, avesse saputo ascoltare Georgie, invece di pensare solo al furore dei propri sentimenti …
 
― Senti, calmati: così non va bene. Prima di tutto dovresti parlare con lei, specialmente se tra di voi c’è stato … qualcosa …
 
― Sì, c’è stato! Oh, Abel, tu non lo sai: c’è un testamento, del Duca, che dice che Maria erediterà il titolo e le proprietà ma solo se sposerà l’uomo “adeguato”, e Lady Constancia è la curatrice del testamento del fratello … Come ho fatto ad essere così ingenuo? Eppure lei … sembrava così sincera!... Io non ci posso credere! Non ci posso credere! – Arthur parlava sottovoce, sempre senza guardare in faccia il fratello.
 
― Arthur, sai che ti dico? Nemmeno io. Non dubitare così di lei finché non saprai di più, in effetti lo dobbiamo a lei se sei ancora vivo, non te lo dimenticare mai!
 
Arthur riconobbe che Abel aveva ragione, era un argomento serio. Si asciugò gli occhi e, con l’aiuto del fratello, un po’ alla volta si calmò. Quando si sentì tranquillo, Abel lo lasciò solo, e allora il ragazzo scrisse un breve foglio:
 
“Maria adorata,
 
scusami se questa lettera non sarà formalmente corretta ed elegante quanto quella di un corteggiatore del tuo rango, ma a scriverti è una mano che trema per l’angoscia: solo ieri mi hai promesso amore eterno, e oggi sento voci di un tuo prossimo fidanzamento con un altro uomo. Un fidanzamento “appropriato”, “opportuno” … Dunque è già tutto finito? Il nostro amore spazzato via da una clausola testamentaria! Perché forse è solo questo, la tua fortuna sarà tua solo così. O no?
 
Maria, io sto partendo per Londra con una certa fretta, e non so quando ci rivedremo. Forse non ci saranno altre occasioni, se non le creiamo noi, e allora te lo chiedo con il cuore che sanguina, sii sincera con me e non mi lasciare illusioni senza speranza. È vero? Sarai di un altro? Se così non fosse, se mi ami, come nelle mie preghiere, allora ti chiedo un’altra cosa: non tradirmi. Non lasciarmi. Non dimenticarmi.
 
Se invece questo è un addio, allora sii felice. Te lo auguro come sempre, ancora una volta.
 
A., che appartiene solo a te.”
 
L’indomani mattina, il tempo si mostrava capriccioso: nuvole e vento, sempre in movimento, quasi come se la stagione si fosse pentita dell’assaggio di tempo bello e mite che aveva concesso. I due fratelli si diressero alla stazione per tornare a Londra, ma fecero un largo giro. Raggiunta la villa presa in affitto da Lady Constancia, bussarono e si presentarono al servitore impettito che aprì, chiedendo di parlare con la Signorina Maria. Arthur consegnò la sua lettera ben chiusa all’uomo, e furono lasciati ad attendere in un salotto che dava sull’ingresso. Il servitore salì, raggiungendo Maria e sua zia che si trovavano sedute in una delle stanze più grandi e luminose del piano superiore, intente a ricamare.
 
― Maria? Non devi vedere quel giovane. Lo sai, vero?
 
Maria non rispose e aprì la lettera; la lesse tutta di corsa, senza lasciar trapelare nessuna emozione. Si alzò dirigendosi verso il camino acceso, poi si rivolse all’uomo che aveva portato il messaggio:
 
― Per favore, dica al giovane Butman che, riguardo alle sue richieste, la mia risposta è “mai, mai e poi mai nella vita”. Queste parole precise! Grazie. – e buttò la lettera accartocciata nel camino.
 
― Ben fatto, Maria. – si compiacque Lady Constancia.
 
Il messaggero riferì, e poi accompagnò di nuovo i due ragazzi alla porta. Arthur manteneva un’espressione indecifrabile, ma quando fu abbastanza distante dalla casa si mise a ridere sempre più forte, facendo preoccupare seriamente Abel per la sua salute mentale.
 
― Arthur? Che hai, che ti succede? Tutto bene?
 
― Bene, sì, non preoccuparti! E brava Maria! Vedi … io le avevo chiesto se davvero avrebbe sposato un altro, e poi tre cose: di non tradirmi, di non lasciarmi e di non dimenticarmi. E lei mi ha risposto “mai, mai nella vita”!!!
 
Anche Abel si mise a ridere, poi i due ragazzi si dovettero affrettare.
 
Il foglio ardeva nel camino, portandosi via il suo contenuto di amore segreto e proibito, e questa totale mancanza di prove rassicurava Maria, che rimase un momento a guardare le nuvole mutevoli. Dentro di sé inviava un bacio al suo amato che partiva, assaporando per un attimo ancora i dolci ricordi che condivideva con lui. Pensava anche con gioia che presto lo avrebbe raggiunto a Londra e magari sarebbero riusciti a rivedersi. Certo, sarebbe stato molto più bello incontrarlo di persona che lasciarlo andar via così, ma doveva stare molto attenta, finché si trovava così vicina a sua zia. E poi era sicura che lui avesse capito il trucco che aveva usato per dirgli quello che provava davvero.
 
E così non fu annunciato nessun fidanzamento. Non ancora.





Sono molto incerta riguardo a questo capitolo, alla sua struttura, ai personaggi, alla fanart ... Mi sembra una vita che non scrivo e non pubblico, siete ancora tutti lì? e vi piacerà? Io spero di sì ...
A tenermi lontana da questa storia cono stati problemi veri, ma non dimentico le soddisfazioni che il sito e le mie storie mi hanno dato, e devo dire che tutto questo mi manca. Perciò, mi rende molto felice ed emozionata questo aggiornamento. Divertitevi, e grazie mille della vostra presenza. Ci avviciniamo alla fine della seconda parte, spero di non deludere nessuno e di non farvi aspettare troppo, ma temo che non potrò aggiornare prima di Pasqua. Per ora, a presto, miei carissimi lettori!

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Capitolo 23
*** Rosa d'autunno ***


Capitolino che prepara il cambio di scena e di vita di alcuni personaggi. Capitoletto che segna il mio timido ritorno qui, dopo tanto, anzi troppo tempo. Capitolo dolce dolce. Se ci state, sarete i benvenuti. Altrimenti, esistono storie a tinte forti adatte a gusti diversi da questa storia, che cerca le sfumature e procede col suo passo (che non le ho impresso io, casomai il contrario …) e che desidera dare espressione a quella parte delicata del mio cuore che nella vita pratica rischia di essere sacrificata. Ripeto, non ho scelto io: ancora una volta, la storia s’impone, e questa storia m’impone dolcezza e introspezione, quasi silenzio, forse per contrastare le terribili vicende che vengono dal mondo esterno e la tendenza generale a gridare più forte per imporsi. E un ritmo che può sembrare lento (e spostamenti un po’ vagabondi dei miei personaggi) perché devono crescere circostanze che richiedono tempo a maturare nella vita vera. Il manga, e ancora di più l’anime di Georgie, ad un certo punto “infilano la volata”, io dico sempre che è come se fossero finiti i soldi, e il finale è affrettato. Anche molte telenovelas funzionano così, ogni puntata ne succedono di tutti i colori, per stupire e stordire lo spettatore. Ecco, qua no.
Fatta questa premessa, rimane da darvi il mio sincero benvenuto: godetevi la lettura, e siate felici! Tutti, ma proprio tutti, miei carissimi lettori, siate felici e buona estate!



La primavera passò. Abel compì ventun anni[1], un’età in cui un giovane veniva considerato ormai un uomo da tutti. Si sentiva sollevato all’idea di rivedere Georgie per una scelta propria, matura. Georgie, come aveva detto Arthur una volta, non era mai stata sua, ma niente e nessuno poteva negare che per un periodo fosse stata davvero sua sorella: la sua mente tornava sempre più spesso all’Australia, ai giochi da bambini, ai prati e al fiume, al padre … Sarebbe stato capace di essere ancora puro come allora? poteva davvero tornare ad essere un fratello per Georgie? Lui se lo augurava, ma non poteva esserne certo finché non l’avesse vista, e questo lo rendeva impaziente. Ma per fortuna, ora come allora vent’anni sono un’età spensierata: Arthur e Brandon non dicevano di no ad una serata al pub, anche Rory era in città, e così Abel aveva sempre compagnia. Era più a suo agio con loro di come fosse mai stato con chiunque altro, perché grazie all’assenza di Georgie, lui riusciva a vedere le relazioni con gli altri ragazzi in modo rilassato, senza rivalità, e poi quelli erano diventati amici fissi, a differenza di tutti i marinai con cui aveva viaggiato.
 
Buona parte della serenità di quell’estate era dovuta alla discrezione di Rory, che non si fece mai sfuggire niente delle confidenze che Becky gli aveva fatto: certo, alle volte si chiedeva che cosa lei provasse ora, e siccome stava con lei più che poteva, la osservava. Ma non disse mai una parola ad Abel, pensando che se quest’ultimo avesse provato più che amicizia per lei, a quest’ora qualcosa tra di loro sarebbe successo. E a lui non sarebbe potuto sfuggire.
 
Poiché Brandon era un ragazzo molto assennato, e in quel momento aveva deciso di concentrarsi solo sulla carriera senza pensare alle ragazze, si può dire che il più inquieto dei quattro fosse Arthur. Ma lui non poteva fare altro che aspettare, perché Maria sarebbe tornata solo in autunno. E Maria in effetti tornò, ma mancò la tradizionale festa di fine estate dai Barnes di diversi giorni. E poi, fu assorbita dalle esigenze della Corte.
 
Tutto ciò che la ragazza riuscì a fare fu parlare coi Barnes. In effetti, appartenevano ad una nobiltà minore che non aveva molte opportunità di andare a Corte, ma era perfettamente normale che Maria volesse continuare a frequentare le amicizie che aveva quando non era ancora in vista, e così Lady Constancia non sospettò mai che ci fosse anche altro dietro ai loro rapporti. Maria andò a far loro visita, una cosa che già di per sé mandava in visibilio la famiglia. Il Conte Barnes non era presente, e questo le facilitò il compito:
 
― Signorina Maria, ci siete mancata così tanto alla festa! Ma questa visita è così gradita che ci ripaga di tutto!
 
― Mia cara Contessa, vorrei che mi desse del tu, come quando non ero altro che una ragazzina e non dovevo andare a Corte! Anche a me è dispiaciuto molto non poter venire alla vostra festa annuale. Sapete che, se posso, non manco mai.
 
― Sai, Maria, c’erano proprio tutti, e avresti ballato in continuazione! Non ti avrebbero fatto riprendere fiato un momento! – Catherine stava gettando un amo: come avrebbe reagito Maria nel sapere che alla festa c’erano “proprio tutti”?
 
― Dici, eh? Beh, ecco, c’erano tante altre signore e signorine …
 
― Oh, ma tu hai degli amici che ti vogliono bene, lo sai! A proposito, ho saputo che anche il Conte Gerard, Abel e Arthur sono stati a Bath: li hai incontrati, per caso, quest’estate?  ― Visto che Maria faceva la ritrosa, Catherine diede il suo affondo! E Maria abbassò lo sguardo …
 
― Sì, lo so. Ho visto Arthur, a Bath … Io … ecco, avrei un favore da chiedere, ma non so se …
 
Gli occhi della Contessa si aprirono di più e brillarono, mentre si protendeva col busto verso la giovane e illustre ospite, e Catherine sorrise trionfante:
 
― Ma signorina, cioè Maria, non devi farti scrupoli di chiedere nulla a noi! Qui sei tra amici, lo sai!
 
― E poi, noi ti capiamo: hai già dimostrato che Arthur è …
 
― Catherine! Bambina mia, non essere impertinente, lo vedi che così metti Maria in imbarazzo!
 
― Oddio, avete ragione! – Maria fece una risatina, per togliersi d’impiccio – Tutti sanno che io ho voluto fidanzarmi con Arthur, due anni e mezzo fa, e che poi l’ho aiutato a fuggire, eppure sono imbarazzata, adesso! In realtà, il fatto è che mia zia Constancia non pensa che dovrei frequentare i Butman, ma io voglio farlo. E io so che anche lui lo vuole …
 
Madre e figlia esclamarono, annuirono, fecero sentire ad alta voce il loro totale appoggio alla volontà di Maria, e lo fecero tutte e due insieme, coprendosi la voce a vicenda:
 
― Ma è naturale, chi non vorrebbe frequentarli?! E loro ti vogliono molto bene!
 
― Certo, che vi volete vedere, come quando lui partì e io ti dissi l’ora e il molo!
 
― E poi, il Medio Evo è finito, siamo quasi nel ventesimo secolo! Due giovani come voi devono vedersi!
 
― Io adoro queste cose! Gli incontri clandestini, i sotterfugi, le lettere segrete …
 
― Basta, basta, così mi fate arrossire! – Maria era rossa veramente, e rideva.
 
― Ma allora, ― prese la parola Catherine – qual era il favore che volevi chiederci?
 
― Io non mi sento tranquilla a scrivergli e ricevere le sue lettere da casa mia, ma se potessi farlo utilizzando una casa amica come punto convenuto … Forse potremmo anche riuscire a metterci d’accordo per incontrarci da qualche parte, ma dobbiamo poter comunicare senza che mia zia lo sappia.
 
― Ma conta su di noi, cara Maria! Oh, assoluta discrezione, promesso! – la Contessa era seria, nella sua offerta d’aiuto, ma Catherine era addirittura commossa:
 
― Oh, Maria, sarà il nostro segreto. – la ragazzina le prese le mani, ― Non sai come ti capisco: un cuore che arde non conosce divieti o confini!
 
― Che Dio vi benedica, amiche mie! Grazie! A nome mio, e anche … sì, anche a nome del mio dolce Arthur. Per ora ci basterebbe poterci scrivere e incontrare, e un giorno, chissà … senza doverci nascondere più.
 
Ma Arthur in ottobre dovette prendere una decisione che lo tenne lontano dall’Inghilterra a lungo. Fu quando il tempo era già diventato scuro e umido. Il signor Allen chiamò “i suoi ragazzi” a raccolta e fece loro una proposta che, si aspettava, li avrebbe entusiasmati. Aveva deciso di fare un passo importante portando i suoi affari dall’altra parte del mondo, e per questo aveva bisogno di collaboratori fidati: propose dunque ad Abel di andare a Sidney per suo conto, a meno che i giovani Butman non preferissero che fosse Arthur a partire, visto che era ormai maturo per un tale incarico!
 
La reazione di Abel lo stupì:
 
― Signor Allen, grazie mille! La sua fiducia mi fa sempre piacere, e la prospettiva è molto interessante, ma sono sicuro che Arthur potrà svolgere questo compito da solo e benissimo. Io non posso proprio partire, in questo momento.
 
Il simpatico Brandon, che era presente, guardò i due amici cercando di capire che cosa stesse succedendo: Abel era sereno e risoluto, eppure l’Australia era casa sua, aveva una proprietà laggiù e avrebbe dovuto partire senza pensarci nemmeno; Arthur, che era stato designato come un degno sostituto da suo fratello maggiore, e che a detta di Abel aveva sempre desiderato tornare alle radici, manteneva una strana espressione, che non era proprio di entusiasmo.
 
Abel continuò:
 
– Non mi fraintenda, signor Allen, io andrei volentieri, ma ora proprio non posso: ho promesso a mia sorella Georgie che le sarei stato vicino per il suo secondo parto, e sono due anni che non la vedo. Siamo sempre stati così legati … che penserebbe se mancassi anche alla seconda nascita, dopo che mi sono perso la prima? Ma Arthur è pronto, e quando anche io partirò per andare da lei in Italia, ci penserà Brandon alle questioni dell’ufficio.
 
Abel non intendeva essere egoista, piuttosto non gli venne nemmeno in mente che così stava obbligando suo fratello a partire per un lungo periodo senza dargli modo di rifiutare. Arthur in realtà era combattuto, perché l’Australia era sempre nei suoi desideri, ma ora a Londra era appena arrivata Maria … Comunque, capì che non c’era niente da fare, perché il signor Allen era d’accordo. La decisione era presa.
 
Una settimana più tardi, dopo la messa domenicale, Maria si allontanò con un pretesto. Andò direttamente alla casa di campagna del Conte Gerard, dove Arthur la stava aspettando. La vettura pubblica era appena spuntata dalla curva immersa nei maestosi alberi imbruniti, gialli e rossicci, e lui già correva fuori per accoglierla. La raggiunse, Maria scese con movimenti misurati, col viso velato, e la vettura ripartì per andarsene, lasciandoli sul viale interno alla tenuta. Non appena i due ragazzi la videro sparire, si guardarono: Arthur sollevò il velo scoprendo il bel volto emozionato di Maria, e allora la baciò. Stavano per separarsi per parecchi mesi, eppure a loro due pareva che tutta la dolcezza del mondo fosse compresa in quel bacio delicato e lungo.
 
Entrarono nella villa, che era vuota perché il Conte si trovava in città. La situazione poteva apparire scabrosa, ma Maria (che stava pensando proprio a questo) fu distratta da un elemento fuori posto: proprio al centro dell’ingresso, era stato collocato un tavolino che evidentemente non aveva altro motivo di trovarsi lì che quello di farsi notare subito, con quello che sorreggeva. Infatti, sul tavolino, in un vaso, c’era una gigantesca rosa bianca appena sbocciata, una rara rosa autunnale …

 
 
[2]                                                           

― Maria, io non sono un esperto del linguaggio dei fiori, però … volevo regalarti qualche cosa che rappresentasse il mio sentimento, e che non ti compromettesse quando tornerai a casa. Un fiore può passare inosservato, puoi sempre dire che l’hai visto nella vetrina di un fiorista e hai voluto comprartelo. Questa è una rosa, che è il fiore dell’amore … ed è bianca, perché il mio amore per te è puro. – Arthur, invece, era arrossito: ― Non devi aver timore, anche se siamo soli in una casa isolata … io … so amarti col rispetto che meriti.
 
Maria gli gettò le braccia al collo:
 
― Non esiste al mondo una donna più fortunata di me! Ho capito quello che vuoi dire … e ti amo anche di più per questo!
 
Nelle poche ore che avevano per stare insieme, rimasero in casa, lei seduta di fronte al camino acceso e lui prima sullo stesso divano e poi sul tappeto, per poggiarle la testa in grembo. Mentre stava accoccolato vicino alle sue gambe, lasciandosi accarezzare i riccioli castani, le prometteva che sarebbe tornato sempre da lei, e lei tra un bacio e l’altro gli disse ancora una volta che non lo avrebbe mai lasciato o tradito, anche se l’attesa fosse stata lunga.
 
Poi, fu necessario scortare Maria a casa, e Arthur la tenne tra le braccia per tutto il viaggio in carrozza. Quando la casa fu vicina, dovettero salutarsi, perché la ragazza doveva scendere in fretta per non far insospettire nessuno. Non si poteva nemmeno permettere di piangere (e allora anche Arthur si sforzò di non farlo). A sorpresa, tirò fuori dalla borsetta una piccola ciocca di capelli ramati tenuti insieme da un nastrino lilla:
 
― Così non ti dimenticherai di me … l’Australia è tanto grande e lontana …
 
― Ma come fai a dire così? Lo sai che non potrei mai! Io sono sicuro di me, piuttosto tu, a Corte … No, scusami, non dubito di te. Ecco, ti devo lasciar andare. Maria, ovunque sarò … Maria, io ti giuro … ― Non finì la frase, invece la baciò ancora una volta, col respiro che gli mancava.
 
Poi, lei scese, con gli occhi lucidi, e varcò il cancello senza voltarsi, come se scendesse da una carrozza a pagamento ormai vuota. Solo quella notte, al buio, piansero tutti e due, da soli.
 
L’indomani, Arthur partì per Sidney, in compagnia di Sir William Adams Junior. La costa si allontanava da lui, mentre l’Australia si avvicinava: casa! Avrebbe dovuto esserne felice, ma le sue emozioni erano tante e contrastanti: voleva rivedere la fattoria, lo zio Kevin che gli era mancato tanto, ma al tempo stesso avrebbe voluto fermarsi e scendere, per tornare di corsa da Maria. Il ragazzo aveva dovuto lasciare la sua casa, che per lui era molto importante, per seguire Georgie e Abel, i suoi affetti più grandi, e ora si accingeva a fare il percorso inverso, ma intanto Maria era diventata il nuovo asse portante della sua vita, occupando quel posto intimo che a lungo era stato di Georgie.
 
Mentre lui viaggiava, a Londra Emma viveva con trepidazione la sua maternità, e Joy cresceva a vista d’occhio, riguadagnando improvvisamente quella statura che le mancava rispetto alle ragazze della sua età. Un’altra partenza si preparava: Abel sarebbe andato presto in Italia a rivedere la donna che aveva amato fin dall’adolescenza, e che stava per dare a suo marito un secondo figlio, e la sua impazienza cresceva (come quella del Conte Gerard, d’altra parte).  E in Italia, anche Georgie vedeva crescere la sua pancia, tra mille emozioni, e intanto affrontava un trasloco. Tutto questo accadeva in quell’autunno allegro, triste e tenero, in cui tutti (anche Rory coi suoi sentimenti ancora inappagati, anche Catherine che sognava incessantemente l’amore, anche Maristella che diventava una donna diversa dalla ragazza di paese che era stata), ma proprio tutti, aspettavano il loro futuro. Il futuro sconosciuto si avvicinava, come le Feste di Natale e dell’anno nuovo, e come sempre con l’anno nuovo, tutti speravano che i frutti che portava fossero dolci e abbondanti. 
 
 
Fine seconda parte
 

[1] Nota astrusa per lettori cavillosi. Avevo detto che Abel era molto arietino, ma a pensarci bene, è più vicino al Leone. Resto assolutamente dell’idea che appartenga ad un segno di fuoco, e avevo pensato all’Ariete perché in primo luogo mi pareva il caso che tutti i giovani Butman appartenessero a segni Cardinali, e poi l’ariete è un antico simbolo di fertilità maschile e non si può certo negare che questo si adatti a colui che nel manga mette incinta Georgie con un solo incontro amoroso. Inoltre, è tipica dell’Ariete la difficoltà d’immedesimarsi coi sentimenti e i bisogni degli altri, problema che crea conseguenze disastrose a seguito dei comportamenti del giovane Abel: l’Ariete è l’uno, il primo dello zodiaco, e ancora non sa capire il prossimo, finché non si evolve e “scopre” l’altro da sé.
Recentemente, però, approfondendo la cosa, mi sono convinta che il Leone si adatta meglio ad Abel: come l’Ariete, il Leone ha una naturale propensione per il successo, è un leader naturale, non passa mai inosservato, e in più è dotato di una spiccata sensualità. Non sopporta il rifiuto e la sconfitta, per questo può diventare prepotente e rancoroso. Lasciare spazio agli altri è una cosa che deve imparare crescendo, e Abel lo fa molto bene. Il suo organo è il cuore, e infatti nel manga lui viene ucciso con una fucilata in pieno petto. Il Leone è dominato dal Sole, e come il sole, Abel “asciuga” il fratello offrendogli la sua sciarpa (un asciugamano nell’anime) dopo che Arthur si è buttato in mare per inseguire la nave su cui parte Georgie; nella serie, quando Arthur è prigioniero dei Dangering, Abel sottolinea l’arrivo della bella stagione, mostrando di essere sensibile ai movimenti del suo astro ( lo dice rimpiangendo che il fratello debba passare rinchiusola bella stagione, come se ci fosse qualche differenza nell’essere prigioniero in inverno o col bel tempo). Infine, il Leone ha dei capelli bellissimi: avete notato la cura con cui sono disegnati i capelli di Abel nel manga? Ma quello che mi ha convinto definitivamente è questa frase, che ho letto su Astra di luglio e che cito a memoria: il Leone come il Sole brilla di luce propria, è amato quando risplende, meno quando abbaglia. Abel brilla davvero, tutti lo notano, ma lo amiamo quando eccelle, non quando diventa prepotente!
[2] La meravigliosa fanart non è mia: è della carissima, Zaly, altrimenti nota come Margaret, che mi ha fatto un regalo graditissimo. Ecco qui la sua pagina: http://zalyheartlesstigress.deviantart.com !
 

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Capitolo 24
*** Oi nostoi (I ritorni) ***


Parte III: Come le stelle fisse

24. Oi nostoi (I ritorni)[1]

 
Il vento di mare tra i capelli gli era sempre piaciuto, lo riportava all’eccitazione dell’infanzia, quando cominciava a sentire la sua vocazione a viaggiare in nave. Ora, il golfo di Napoli si presentava magnifico ai suoi occhi, e una diversa emozione lo rendeva irrequieto. Per lui non era come per il Conte Gerard, che non stava nella pelle dalla contentezza di rivedere sua figlia: lui non sapeva come avrebbe reagito, e per quanto volesse vederla, non si sentiva troppo sicuro di sé. Ma le voci dei marinai e dei gabbiani, il rumore delle onde mosse da un leggero vento freddo e umido e il suono delle sartie gli piacevano troppo per non sorridere. E poi, era cambiato profondamente da quando, anni prima, era tornato a casa perché non poteva più stare lontano da lei, e lo sapeva. E in ogni caso, l’inverno sul Mediterraneo era molto più luminoso e incoraggiante che in Inghilterra!
 
Ma il Conte si preoccupò e fece preoccupare anche Abel, quando si accorse che stavolta non c’era Georgie ad accoglierli a Ischia, e nemmeno Lowell! C’era il loro maggiordomo con la loro carrozza privata: Georgie non si era sentita molto bene, quella mattina, e per prudenza Lowell era rimasto con lei in attesa del medico. In fretta e con ansia, i due viaggiatori recuperarono i bagagli e si misero subito in marcia verso la nuova residenza dei Grey. Passarono davanti al nuovissimo ambulatorio medico dell’ostetrico che si occupava della gravidanza di Georgie, e il maggiordomo (il signor Carlucci, un uomo con un sorriso bonario a malapena celato dai baffi) ebbe la geniale idea di provare a chiedere se il medico fosse rientrato: potevano forse avere notizie prima ancora di giungere a casa. Così fecero, e il dottore riconobbe subito il Conte, padre della sua paziente: questa fu una bella fortuna, perché così si sentì libero di spiegare che non era successo assolutamente nulla di cui preoccuparsi, solo un normale episodio di spossatezza e qualche fitta, che lasciava il tempo che trovava fino al momento delle vere doglie. Abel e il Conte si fecero un gran sorriso a vicenda, e ripartirono, dopo aver ringraziato più e più volte il medico. Ora si sentivano sereni, ora potevano notare la magnifica vegetazione spontanea e i panorami marittimi che si avvicendavano curva dopo curva! Non c’era niente di più bello di poter respirare di nuovo dopo essere stati in apprensione, salvo la prospettiva imminente di rivedere Georgie.
 
Questo era il loro stato d’animo quando, infine, videro la casa e Lowell aprì, e subito si affrettò anche lui a dire che ogni preoccupazione era passata, che Georgie stava bene e che lui era felicissimo di rivederli. Suo suocero e Abel gli strinsero la mano con la massima cordialità, e finalmente …
 
― Abel! Papà! Oh, che bello, non vedevo l’ora! – la bella Georgie era seduta su un canapè e sfoggiava una pancia di tutto rispetto, che giustificava il fatto che non si alzasse in piedi mentre protendeva le braccia verso i suoi cari e sorrideva, il viso reso rotondo dalla gravidanza e gli occhi che luccicavano.
 
Suo padre l’abbracciò subito, e poi lo fece Abel … Erano anni che non la vedeva. Non aveva più visto lo smeraldo dei suoi occhi e lo splendore morbido dei suoi capelli. Erano anni che non sentiva quella risata spontanea e fresca, anni in cui aveva potuto ricordare la cara voce di Georgie ma non sentirla. E ora lei lo abbracciava (lui poteva addirittura toccarla e baciarle la guancia), e lo chiamava “Abel, fratello mio”! Non avrebbe saputo dire con esattezza quello che provava, ma di una cosa fu sicuro: lui non amava Georgie! Forse fu la sorpresa a stordirlo e a non fargli cogliere subito le altre emozioni che sentiva, ma poi se ne rese conto: era felice. Emozionato e terribilmente felice, e questa felicità gliela trasmetteva la vicinanza di Georgie, ma senza turbarlo più. La guardò con gli occhi lucidi:
 
― Georgie, come ti trovo bene! Sono tanto felice di rivederti che mi metterei a ballare! E lo sono anche per te … e per Lowell!
 
― Oh, Abel! Papà, che bello, non ricordo di aver mai visto Abel coi lucciconi per la contentezza! AAHAH! Abbracciami di nuovo, fratellone!
 
E mentre lui si chinava e l’abbracciava di nuovo, il Conte Gerard e Lowell ridevano per l’allegria del momento e per i motivi che ciascuno dei due aveva, motivi leggermente diversi ma comunque profondi. Subito, un altro motivo di gioia si presentò: la piccola e paffuta Sophia entrò in braccio ad Antonia, col visino curioso e roseo rivolto a cercare la mamma in mezzo a tutta quella gente. Georgie accolse sua figlia e la presentò ai nuovi arrivati: pareva che la bimba, tutta mossette e smorfiette, sapesse di essere al centro della festa!
 
Fu un pranzo gioioso e strettamente riservato agli intimi: i padroni di casa e la loro figlia, il Conte, Abel e la buona signora Antonia, che oramai praticamente era della famiglia. Georgie continuò a chiedere notizie al padre e ad Abel su cose che lei sapeva già, solo per il gusto di sentir raccontare che Emma aveva finalmente la gioia di un bel maschietto e che Dick aveva offerto da bere a tutto il pub per festeggiare, o che Arthur era diretto in Australia e ne era felice anche se gli sarebbe tanto piaciuto anche essere lì con loro … Ad Abel venne in mente il giorno in cui, a Londra, tra la neve, Georgie gli era apparsa su di un albero, per poi sommergerlo di domande sciocche per non parlare del loro rapporto. Come si sentiva libero, ora, a confronto! Ora raccontava, rideva di gusto, assaggiava piatti nuovi e non si aspettava niente di più da lei.
 
Quando si alzarono da tavola, Georgie disse di essere stanca e di volersi stendere a letto, e Lowell disse che l’avrebbe accompagnata, come usavano fare le popolazioni del luogo dopo mangiato nei giorni di festa. Il Conte voleva riposare dopo il viaggio, e Abel si trovò senza nulla da fare se non uscire e guardarsi intorno.
 
La prima cosa che lo colpì fu che quel posto era tutto salite e discese, tra vicoli e viali, e case in pietra ben diverse da quelle che potevano vedere nei paesi di campagna australiani. Eppure, camminare non gli risultava faticoso, anzi lo divertiva. Lo divertì anche notare quello che Georgie aveva scritto, e cioè che la gente cantava, e spesso per vendere qualcosa. E che cosa vendevano! I profumi erano diversi dall’Inghilterra, e questo gli piaceva, perché amava le cose intense ed esotiche, e aveva avuto anche la fortuna di capitare lì proprio nel periodo che precede il Natale, quando i dolci tipici si sfornavano continuamente, nelle case come nei mercati dove venivano poi esposti su dei grossi banchi.


 
MercatoNapoli masdersat12002 by Rubina1970
[2]                                 

La sera scendeva in fretta, e lui stava rientrando per una strada acciottolata in salita, quando ci fu un piccolo incidente. Una ragazza che camminava con un giovane, vari metri avanti a lui, perse un lembo di un involto che stava trasportando, e ne caddero delle arance che cominciarono a rotolare. La ragazza si girò di scatto, tirando indietro la massa di capelli ricci, e così finì di far cadere tutte le arance. Abel reagì istintivamente, vedendole correre verso di lui, e si affrettò a raccoglierne quante più poteva, mentre la giovane si precipitava giù ad inseguirle col suo accompagnatore, al grido di “Ué, Pasca’, corri!” Fortunatamente, non c’era quasi nessuno in quel momento, altrimenti forse non tutti gli agrumi sarebbero tornati alla legittima proprietaria! Invece, Abel le restituì i frutti che aveva raccolto, mentre Pasquale (“Pasca’”) recuperava facilmente gli ultimi ancora a terra.
 
― Grazie, gentilissimo. – disse la sconosciuta, senza far troppo caso a chi aveva di fronte perché impegnata a riavvolgere con cura le arance. Ma Abel rispose in inglese, e allora lei alzò gli occhi su di lui. Anche lui la guardò e rimase un attimo interdetto: era una delle creature più belle che lui avesse mai visto, e lo guardava con degli occhi limpidi che parevano voler dire chissà che cosa.
 
Thank you, mister. Very kind of you. – Abel era sempre più colpito: la bellezza locale parlava inglese! Intanto, Pasquale li raggiunse, e rimase a guardarli con un’espressione di curiosa diffidenza, anche perché fu in inglese che continuarono a parlare:
 
― Figurati! Fai la mia stessa strada, vuoi che ti accompagni? Oh, scusa, tu non sei da sola.
 
― No, non sono da sola, e poi non siamo stati presentati.
 
― Oh, ma siete tutti così formali, da queste parti? Va bene, allora presentiamoci: tu come ti chiami?
 
― Maristella.
 
― Mari … what? No, troppo complicato, ti chiamerò Mary, come mia madre. Io mi chiamo …
 
― Abel! – Quella ragazza era piena di sorprese, e la faccia di Abel era esterrefatta.
 
― E tu come fai a saperlo?!
 
― “Da queste parti” siamo tutti un po’ maghi e un po’ streghe! – la ragazza rise, mostrando un aspetto del tutto diverso della sua bellezza.
 
― Allora … sai dirmi anche se ci rivedremo?
 
― Sì! Sono sicura! Dai, prendi un’arancia, mister! Arrivederci!
 
― Oh, grazie … Ciao, Mary!
 
Abel rimase a guardarla mentre sbucciava l’arancia, e la ragazza col silenzioso Pasquale risaliva la via: aveva una figura slanciata, ma decisamente prosperosa, e un portamento fiero che non gli dispiaceva per niente. Poi, guardò il frutto: a Londra sarebbe costato una fortuna, e lei glielo aveva regalato così, con grande semplicità. Nella penombra del crepuscolo, notò che la buccia e la polpa erano di un colore molto scuro, che non gli era familiare, ma l’assaggiò in fretta, perché gli venne l’assurdo pensiero che, se non l’avesse fatto subito, quella ragazza avrebbe riso di lui dicendo che “mister” aveva paura delle streghe! E fece bene: l’arancia era dolcissima. La fanciulla del luogo, intanto, era sparita oltre la curva, e quando Abel svoltò lei non si vedeva più.
 
 
***
 
 
Il porto, frenetico come sempre. Il sole, lo stesso. I gabbiani, striduli come ci si aspetta che siano. Ma per il ragazzo sul ponte, l’emozione era grande: quella era l’Australia della sua infanzia, del suo cuore!
 
Avrebbe portato una corona sulle tombe dei genitori, certo. Ma la cosa più importante era che avrebbe rivisto tutto e tutti quelli che gli stavano a cuore in quel continente da dove la sua vita proveniva. Il sangue gli ribolliva dal desiderio di attraccare, il cane accanto a lui era irrequieto ma contento, anche nella sua vecchiaia mostrava tutto l’entusiasmo di un cane che torna a casa e che sta per rivedere il padrone:
 
― Buono, buono, amico mio! Lo zio non lo sa, dobbiamo aspettare di raggiungerlo! – Arthur aveva resistito alla tentazione di scrivergli e avvertirlo del suo arrivo, e ora, nello splendore superbo dell’estate australiana, non stava nella pelle nemmeno lui, mentre cercava di calmare Sir William Adams Junior.
 
Velocemente, i bagagli di Arthur furono scaricati e lui salì su una carrozza (aveva avuto tutte le accortezze necessarie per essere il primo a lasciare il porto, tra tutti i viaggiatori a bordo), sempre col cane. Il tragitto era breve e a lui batteva forte il cuore.
 
In lontananza, la casa col suo recinto. Niente era cambiato! Il giovane Butman aveva scritto con regolarità allo zio Kevin, non appena era stato liberato da casa Dangering e si era sentito abbastanza in forze, quindi aveva dovuto fare un certo sforzo per non far notare troppo il diradarsi delle sue lettere una volta che si era imbarcato: le lettere viaggiavano sui mercantili postali, e potevano essere spedite solo da terra, il che rendeva difficoltoso nascondere un viaggio a chi, stando su una nave, dovesse scrivere spesso. Ma lui ormai sapeva che ce l’aveva fatta, e che lo zio era abbastanza in salute da reggere lo shock! In carrozza, Sir William fremeva a più non posso, e così Arthur aprì lo sportello, dal vialetto in prossimità della casa: il cane schizzò fuori abbaiando di gioia, con la lingua che penzolava da un lato e le orecchie al vento corse dritto nella direzione giusta, e … sentendolo abbaiare, zio Kevin aprì la porta di casa sua e uscì …
 
Sono poche e preziose, le gioie pure durante l’età avanzata. Una di queste è sicuramente la vista del proprio anziano cane che arriva correndo felice, dopo anni che non lo si vede. Lo zio Kevin si abbassò ridendo e piangendo, per poter accogliere tra le braccia l’animale, che gli si buttò addosso mugolando allegramente.
 
Dalla carrozza, intanto, un giovane di bellissimo aspetto scendeva con le lacrime agli occhi e un largo sorriso, e Kevin non ebbe bisogno che di un secondo per riconoscerlo: Arthur! Cresciuto e irrobustito, quasi un uomo, elegante anche se aveva arrotolato le maniche della camicia, sorridente, era di fronte a lui, nel sole brillante della vallata:
 
― Oh, ma sei tu! Oh, ragazzo caro! – lo zio allargò ancora le braccia, e Arthur arrivò di corsa a rifugiarvisi, senza più cercare di non piangere. L’anziano bracco scodinzolava freneticamente intorno a loro.
 
Dopo aver congedato la vettura, e aver preso qualche cosa di fresco al tavolo del tinello, Arthur raccontò velocemente le ragioni del suo viaggio, continuando a compiacersi della sorpresa fatta allo zio. Poi, parlò di tutto il resto, incalzato dalle sue domande: lui stava bene, i brutti ricordi erano passati, e anche Abel e Georgie stavano bene. Abel ormai era un uomo sicuro di sé, con una buona posizione nel campo dei trasporti (non che prima non fosse sicuro di sé …), e Georgie, così felice, una mamma! E il nuovo parto che era prossimo e magari c’era anche già stato, e Lowell, suo marito, un bravo ragazzo che sapeva il fatto suo, nei trasporti pure lui. Gli parlò delle impressioni che aveva ricavato dalla visita che aveva fatto loro in Italia e del proprio lavoro, della sua vita di Londra e del padre di Georgie. Ma non disse niente di Maria. Non era più un ragazzino bisognoso di una guida per affrontare i suoi primi palpiti adolescenziali. E lo zio Kevin, per non essere indiscreto, non gli chiese nulla dei suoi sentimenti.
 
 
***
 
 
Abel rivide Georgie solo quella sera, a cena, e notò che c’era un posto in più rispetto al pranzo. Non fece domande, perché con Georgie stavano nuovamente parlando di Arthur e dell’Australia, e intanto tutti o quasi presero posto a sedere. La persona che mancava arrivò di lì a un minuto: Maristella si scusò subito per il ritardo, e prontamente Georgie le disse che non doveva preoccuparsi perché quella era anche casa sua, come le aveva ripetuto più volte. Solo allora, Abel si rese conto che a centrotavola, su un’alzata d’argento, c’era il prezioso tesoro che lui aveva aiutato a recuperare: le arance sanguinelle che la ragazza aveva portato a casa.
 
― Abel, lei è Maristella, di cui ti ho scritto tanto. Vive con noi, ma oggi non c’era perché era andata a trovare suo padre. Maristella, mio fratello Abel, finalmente è qui pure lui! Papà, tu già la conosci.
 
― Signor Conte, ben ritrovato! Il viaggio è stato faticoso?
 
― Oh, la nostra bella Maristella! Che meraviglia! Sì, un po’ faticoso, ma non potevo essere più felice di venire qui! – il Conte fece il baciamano alla bella protetta di casa Grey, che aveva un certo rossore sulle guance e non aveva ancora guardato Abel in faccia.
 
― E anche per voi, mister, il viaggio è stato pesante?
 
― No, grazie, io sono un uomo di mare, e comunque non pesante quanto … le arance! Ciao, Mary! Adesso ho capito come facevi a sapere che ci saremmo rivisti! – Maristella e Abel risero, e Georgie non poté trattenere la curiosità.
 
Allora, Abel raccontò l’incidente delle arance, facendo ridere tutti perché sottolineò la sua sorpresa nel vedere che una perfetta sconosciuta lo aveva chiamato per nome: naturalmente, Maristella aveva notato la grande somiglianza tra lui e Arthur, e sapeva tutto del suo arrivo atteso per quel giorno.
 
Così continuò la vacanza di Abel e del Conte Gerard. Durante i festeggiamenti di Natale, coi fuochi d’artificio vicino al mare e canzoni nuove per loro, le campane e l’allegria della gente, Abel si sentì ancora una volta felice, e stavolta era felice “per sottrazione”: era per lui una sensazione nuova non essere innamorato di nessuno, e gli dava uno strano senso di euforia e di forza. Si godeva la compagnia e sapeva in cuor suo che qualunque cosa di nuovo e bello gli poteva accadere da un momento all’altro, perché era libero come non ricordava di essere mai stato.
 
E qualcosa di nuovo, in effetti, stava per accadere: alla fine dell’anno nacque Adam Grey. Quando iniziarono le doglie di Georgie, la casa cadde nello scompiglio, eppure il medico arrivò rapidamente, Antonia era salda al suo posto, Maristella si dava da fare e Sophia era stata affidata a una signora molto esperta che la teneva ben lontana per non spaventarla e non far agitare la partoriente. A creare il senso di panico generale erano gli uomini presenti: il Conte era agitatissimo, com’era logico che fosse, e Lowell poi non si dava pace, era pallido, Abel temette di dover chiamare un secondo medico per lui. Aveva già visto la stessa situazione poco tempo prima, in novembre, alla nascita del bimbo di Dick e Emma. Quella volta la casa era troppo piccola perché il futuro padre potesse rimanervi senza dare fastidio, e Abel si era incaricato di portarlo fuori mentre la levatrice faceva il suo lavoro, con l’ausilio di Joy. Erano stati al pub per un paio d’ore, durante le quali Abel si era assicurato che Dick non bevesse alcolici. Poi, non era stato più possibile trattenere Dick, che era voluto tornare a tutti i costi a casa, e lì era rimasto (uscendo a più riprese nel cortile per calmare i nervi). Abel non lo aveva lasciato mai, e aveva vissuto di riflesso il parto di Emma. Ora, memore di quell’esperienza, era seriamente preoccupato per Georgie.
 
Non poteva quindi non essere solidale col Conte e con Lowell, che ad un certo punto temette di svenire e dovette prendere addirittura un cordiale. Dopo il liquore, Lowell sembrò calmarsi e uscì sul balcone con Abel a prendere un po’ d’aria fresca:
 
― Grazie per essere venuto. Quando è nata Sophia, oltre a mio suocero e ad Arthur c’era mia nonna, ma stavolta non se l’è proprio sentita: il viaggio è lungo per una persona della sua età …
 
― Non dirlo nemmeno, Lowell: non potevo mancare.
 
― Già … Georgie è molto importante per te. Ti devo ringraziare anche per questo.
 
― Che intendi dire? Siamo cresciuti insieme …
 
― Sì, ma per te non era una sorella, vero? Tu l’hai sempre saputo. Eppure, ho notato come l’hai protetta dal momento stesso in cui ti ho conosciuto: che pugno, ti ricordi? HAHA!
 
― Sì, mi ricordo … Mi dispiace per quella volta …
 
― No, io non dovevo baciarla in quella maniera. Ma tutta quella situazione era assurda: non so che cosa le fosse preso a quella smorfiosa di Elisa, promettere un bacio al vincitore di una gara sportiva! Una signorina nella sua posizione non si sarebbe mai dovuta comportare così, ma lontano dall’Inghilterra pareva che non ci fossero limiti, e io mi feci trascinare. Tu non mi hai potuto sopportare per parecchio tempo, a causa di quel mio colpo di testa …
 
― Ma è acqua passata … ― Abel non aveva voglia di parlare di quell’argomento: si avvicinava pericolosamente ad un altro, che riguardava i suoi sentimenti più intimi.
 
― Eppure, anche se non approvavi la nostra unione, hai continuato a proteggerla anche a Londra. Me lo ricordo, sai, quando ci avvisasti che Dangering ci dava la caccia. Dimmi una cosa, adesso sei davvero contento del matrimonio di tua sorella? Io non sono solo un ragazzino viziato, anche se forse lo ero. – Lowell fumava nervosamente, e non immaginava nemmeno quanto nervoso fosse Abel in quel momento.
 
― Vedi, adesso io so che Georgie è serena, e tu sei stato di parola con lei. Ma un altro nella tua posizione non sarebbe stato adatto a Georgie, lo capisci? I miei timori erano giustificati. Lei era una ragazza scatenata e libera, e tu uno che frequentava l’aristocrazia. Lei era innocente e non sapeva i rischi che correva, e tu la portavi a sognare una vita diversa, ma se poi avessi deciso che era solo tutto un capriccio, per te? Io … pensavo che a lei ci volesse uno che la conoscesse bene, che la prendesse com’era sempre stata, un uomo con le idee chiare e del suo stesso ceto (chi se lo immaginava, che lei era una Contessa?). Sì, insomma, uno del suo ambiente.
 
― Uno come te? – Lowell lo guardava col suo sguardo chiaro, senza tensione o gelosia apparente, ma era una situazione che ad Abel non piaceva lo stesso. Anche se sapeva di non avere niente da nascondere.
 
― L’hai chiamata “mia sorella”, e adesso la chiamo anch’io così. Sì, sono molto felice del vostro matrimonio. Davvero.
 
― Abel? Se io fossi morto … ― Abel sobbalzò: che c’entrava ora quell’argomento? – Se la mia malattia mi avesse ucciso invece di guarire … io sarei stato un egoista, a lasciarla sola. E allora, avrei voluto piuttosto lasciarla con te.
 
Ad Abel venne in mente un pensiero: se Lowell stava parlando senza aver saputo nulla dei suoi sentimenti da Georgie, allora stava andando ad istinto. E il suo istinto non gli diceva che Georgie non aveva mai amato lui o altri, ma solo il suo Lowell? Non gli diceva nemmeno che, se lui, Abel,  l’avesse amata ancora, quel discorso lo avrebbe fatto soffrire senza costrutto né ragione, perché Georgie era sposata e Lowell era vivo e vegeto?
 
― Guarda che Georgie appartiene solo a Georgie! Non avrebbe amato mai né me, né Arthur, e tu non puoi decidere per lei!
 
Arthur?!
 
― Sì, perché? Neanche lui è suo fratello! – Abel aveva detto più di quanto voleva, un’altra volta!
 
― Già, hai ragione. Lei sa … ha sempre saputo quello che voleva. Scusami, sono nervoso, non so che mi prende. È che lei è là che … io vorrei proteggerla, ma ora non posso farlo! Forse per questo ho detto certe sciocchezze …
 
― Non preoccuparti, Lowell, è naturale. In queste circostanze succederebbe a chiunque, di dire cose senza senso.
 
Ma in quelle circostanze, parlare della morte non era opportuno. La gente dell’isola non l’avrebbe mai approvato, e avrebbe fatto numerosi gesti scaramantici sentendo il discorso fatto da Lowell. In effetti, Georgie non gli aveva mai parlato dei sentimenti che i fratellastri avevano nutrito per lei, perché era una cosa che la imbarazzava troppo, e Lowell aveva parlato solo per istinto: forse un istinto premonitore?
 
Comunque, il parto alla fine andò come meglio non si poteva, e il bambino riempì tutti di gioia. Si decise di continuare la serie delle “A”, chiamandolo Adam, come il primo uomo. Il passato era passato, e sia Abel che Lowell dimenticarono quella conversazione, conservando solo un ricordo: Abel era stato vicino a Lowell come aveva fatto Arthur per la nascita di Sophia, e questo significava che tra di loro ci poteva finalmente essere amicizia. Un’altra cosa che fece felice la già entusiasta Georgie.
 
 
***
 
 
Col passare dei giorni, Arthur sbrigò con soddisfazione gli affari che lo avevano portato laggiù, e continuò ad occuparsi anche dei propri: la fattoria, le notizie dei vicini, lo zio … Eppure, si meravigliò della sensazione che le cose gli davano. Tutto uguale, ma niente come prima. Lui vedeva il piccolo mondo di provincia nel quale era nato con occhi diversi, ora. E sebbene non gli mancasse Londra in sé, si rendeva conto di voler ripartire presto, perché tutti i luoghi della sua infanzia erano dolorosamente vuoti, mentre a Londra c’era Maria (e in Europa c’erano Abel, Georgie, la famiglia che Georgie si era creata e quella che lo aveva accolto costituita anche dal Conte Gerard, i suoi amici, il lavoro …). Anche per questo stava il più a lungo possibile con lo zio. Del resto, perfino gli animali della sua fattoria erano stati trasferiti in recinti separati presso la casa di Kevin, che altrimenti non avrebbe potuto occuparsene di persona.
 
Prima di riprendere il mare (stavolta da solo: il cane doveva restare col suo vecchio padrone), mostrò allo zio Kevin il ricciolo di Maria. Fu una domenica al tramonto, quando tirò fuori la bustina dalla tasca, e il ciuffo dalla bustina:
 
― Ecco, lo sai questo che cos’è?
 
― Oooh, beh, a vederlo sembra un ricciolo di una dama!
 
― Sì, è quello che è. Questo è di Maria, è lei che me l’ha dato. Lo vedi, com’è dolce? Lei mi ama, zio. – Il ragazzo era serio – E io ho promesso che le resterò sempre vicino.
 
― La figlia del tuo carceriere? Fammi capire, Arthur … Ma tu eri innamorato pazzamente di Georgie! Che hai fatto, ti sei sentito responsabile perché Maria ti ha salvato la vita a costo di rovinare la sua famiglia, e ti sei compromesso?
 
― NO! No, non è così, io … non amo nessun’altra! Capisci, non amo Georgie, amo Maria! Georgie è felice così, e io per lei. Ma Maria … Lei è sempre nei miei pensieri. E io sono nei suoi, zio … Io ho bisogno dei suoi sguardi, dei suoi baci! Sì, l’ho baciata, perché? credevi che sarei rimasto sempre in disparte a guardare la vita degli altri?
 
― No, no, figurati …
 
― Meglio così! Perché io la sposerò. Lo so, è una futura Duchessa, dama della Regina d’Inghilterra, ma molto prima di questo lei è il mio amore. Io aspetterò che lei sia adulta, e quando avrà diciotto anni sarà padrona della sua vita, e poi …
 
― Ma Arthur, scusami, non è detto che basti avere diciotto anni per questo. La sua famiglia le starà addosso, avranno anche loro i loro progetti su di lei, e non ci rinunceranno tanto presto. Voglio dire, lei potrebbe dover aspettare molti anni prima di essere veramente libera.
 
― Tu dici? … ― Arthur davvero non ci aveva mai pensato! – Va bene, non importa, noi aspetteremo! Noi ci amiamo e ci ameremo, gli altri dicano quello che vogliono!
 
Allora, Kevin lo guardò: non era mai accaduto che Arthur ragionasse così! Davvero, il ragazzino di una volta non c’era più: il suo amore dell’adolescenza con lui cominciava e in lui finiva, invece ora il ragazzo parlava per due persone, evidentemente conosceva davvero la volontà della ragazza e si lanciava verso il domani con lei, come una coppia.
 
― Bravo! Così è giusto, voi due insieme farete la vostra strada! – ma lo zio non poteva dire quanto lunga e travagliata quella strada sarebbe stata.

Ebbene, sì: ho deciso che col capitolo precedente si conclude la seconda parte, e questa è la terza! Avevo promesso che l'aggiornamento sarebbe arrivato presto: ora, a parte la novità dell'inizio della terza parte, sono abbastanza soddisfatta perché questo è un capitolo corposo e coerente: i nostri ritornano, ma niente è come l'avevano lasciato. Mi si dirà che Abel non torna in Italia, ma in effetti torna da Georgie, che è stata lontana da lui per oltre due anni, ma gli ci volevano. Però quello che sembra a me non basta, ora voglio sapere che ne dite voi, miei carissimi lettori (se ci siete e leggete ancora). Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, cercherò di affrettarmi ma non so se potrò essere altrettanto veloce. Comunque, ci sono ... ve l'avevo promesso! Grazie ancora una volta a tutti, a chi recensisce e a chi non lo fa ma intanto legge: grazie e un mondo di baci da Rubina1970!!
 

[1] Spero di non risultare pedante a segnalare che Nostoi (gr. Νόστοι), cioè Ritorni  è il “Titolo di un poema greco (secondo tarde tradizioni, in 5 libri) perduto, appartenente al ciclo epico; narrava il ritorno in patria di singoli eroi della guerra di Troia.” (Enciclopedia Treccani). Anche l’Odissea è a tutti gli effetti un “ritorno”, che divenne un sottogenere epico vero e proprio: gli eroi greci, anche quelli sopravvissuti alla guerra di Troia, non riuscirono a tornare tutti in patria, e per molti il ritorno fu doloroso, sia per le sofferenze di un viaggio lungo e pericoloso, sia per le scoperte fatte una volta giunti, perché le loro famiglie, le loro case e le loro città risultavano ben diverse da come le avevano lasciate o desiderate. Qualcuno decise addirittura di non tornare per niente e di stabilirsi altrove.
[2] Copyright per il quadro del mercato: Archivio Carbone, Archivio Istituto Geografico De Agostini, IGDA/A. Dagli Orti, IGDA/L. Romano, Farabolafoto. Altro non saprei, se non che potrebbe appartenere alla scuola di Posillipo, considerando lo stile impressionista.

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Capitolo 25
*** Damsels In Distress ***


Buonasera a tutti! Due paroline: a partire dalla volta scorsa, e più che mai, mi sono resa conto che la fantasia ormai ha preso il sopravvento. Poiché in questa storia ci sono molti personaggi miei che interagiscono ad un livello abbastanza profondo coi protagonisti, e l'azione si è spostata in tre Paesi e avanti di un paio d'anni, è inevitabile che si presentino cose che non hanno più una rigida coerenza con la storia originale. Quindi, emerge quello che è il mio gusto, unito ad una gran voglia di divertirmi. Ecco allora che i nostri si trovano addirittura in una realtà italiana caratterizzata in senso dialettale, oppure in situazioni talmente impreviste dall'anime che mi sembra di lanciarmi senza paracadute! Spero con tutto il cuore che il mio gioco vi diverta, altra volontà non c'è. Ma lo capisco se qualche lettore nutre delle perplessità, non si tratta di OOC ma forse, in un certo senso, quasi di AU. E si avvicinano avventure che porteranno altri !cambiamenti ai nostri. D'altra parte, stiamo giocando con le figurine o con le bambole, e nient'altro, quindi si tratta di lasciarsi andare. Godetevi il gioco, e grazie infinite di leggere e di recensire (per coloro che decideranno di farlo). Buon Ferragosto a tutti (se non aggiorno prima ;P ) e tanta felicità!


La vacanza di Abel e del Conte Gerard proseguì nel modo più piacevole che si possa immaginare. Georgie e Lowell, naturalmente, erano al settimo cielo. I bambini davano gioia a tutti, e il Conte non poteva essere più felice di stare con la sua amata figlia. Ad Abel il posto piaceva e tutto lo incuriosiva. Faceva spesso escursioni solitarie nella zona, ma rimpiangeva che le giornate fossero brevi e di dover tornare sempre presto per evitare di circolare col buio fuori paese.
 
Una sera dopo Capodanno, si trovava dall’altra parte dell’abitato, quando uscendo da un vicolo sulla strada principale, vide nel crepuscolo la figura inconfondibile di Maristella. Sembrava camminare di buon passo, e quasi subito lui capì che in realtà stava cercando di evitare un gruppo di tre ragazzi (probabilmente pescatori) che la stavano apparentemente importunando. Abel ci mise un attimo ad arrivare presso di loro, salutare Maristella e offrirle di accompagnarla. La sua esperienza gli diceva che non era opportuno rivolgere la parola a quei tre, per non apparire come un attaccabrighe e perché loro probabilmente non parlavano inglese.
 
La ragazza fu molto sorpresa, lo salutò e disse che era grata al mister, ma non c’era bisogno che lui facesse una deviazione.
 
― Sì, se avessi una meta precisa, ma non ce l’ho! Lascia che ti accompagni: stavolta sei sola …
 
― Ma è un disturbo inutile, non vado lontano. E poi, io a questi qua li conosco. – nel dire così, guardò con aria di sfida i tre che erano rimasti in silenzio fino a quel momento, presi alla sprovvista dall’apparizione di Abel e dalla lingua che non conoscevano.
 
― Oh, Maristella, che c’è, il tuo amico ti vuole tutta quanta? Noi non siamo gelosi, ma siamo arrivati prima di lui.
 
― Eh, e prima di lui ve ne andate! Ja’, faciteme o’piacere, che ho fretta! – ma i ragazzi le si pararono davanti senza lasciarla passare.
 
Abel vide arrivare quello che ci voleva per evitare una probabile rissa: una vettura pubblica. Far salire Maristella e salire con lei era l’unica, altrimenti avrebbe dovuto suonarle a quei tre! Fermò il mezzo con un gesto, afferrò Maristella per un polso, la condusse fino allo sportello e lo aprì:
 
― Sali! Non mi costringere a litigare per la strada!
 
― Ma io … sì. – Maristella salì rapidamente. I tre ragazzi protestarono e raggiunsero la vettura in fretta, ma la ragazza li bloccò: ― Adesso BASTA! Non avete capito che voglio essere lasciata in pace? Il mio amico viene con me, e voi trovatevi qualche cosa da fare, che sennò lo dico a vostro padre!
 
I tre non si aspettavano una tale reazione. Guardarono Abel, che si era messo tra la carrozza e loro, e non pareva affatto intimidito dal loro numero, anzi li fissava come se avesse voluto incenerirli. Decisero che era meglio lasciar perdere. Abel salì e la vettura partì.
 
Allora, Abel chiese alla ragazza dove doveva portarla e lei spiegò al vetturino la destinazione: andava a casa di suo padre. Poi, la bella Maristella ammutolì, e dopo un po’ che non parlava e non lo guardava nemmeno, Abel chiese:
 
― Mary … tutto bene? Davvero li conoscevi, quelli?
 
Maristella non rispose subito, ma era molto tesa e guardava fuori dal finestrino. Abel si accorse che aveva gli occhi lucidi. Alla fine, lei parlò:
 
― Sì. Non sono cattivi, ma non sono tanto diversi dagli altri. Sono del mio quartiere, mi volevano “accompagnare” pure loro …
 
― Ma non mi sembri contenta … volevi restare in loro compagnia?
 
― NO! Non sono gentili … ma se fossi arrivata a casa con loro, nessuno lo avrebbe trovato strano. Sarei sembrata gentile io, ma la gente non capisce. Perché dovrei essere gentile con chi non mi è amico? Per loro, una come me … ― la ragazza inghiottì e si rifiutò di piangere ― … è superba! Come se non sapessi quello che loro vogliono veramente! Ma io non posso muovere un passo senza che tutti si mettano a pensare chissà che cosa. Allora, va bene se mi faccio accompagnare a casa da tre zompafuoss’[1] che in realtà mi vorrebbero per le loro cosacce, ma se invece torno in carrozza, con uno straniero …
 
― … se torni in carrozza con me …?
 
― Diranno “ah, certo che Maristella è cambiata da quando frequenta “agl’inglesi”, adesso se ne va in carrozza la sera, da sola, con uno che non conosciamo, uno ricco, e chissà quello che va cercando, e chissà questo, e chissà quell’altro …” … Io non do mai confidenze, per questo.
 
Abel era sconvolto. Pensò che la gente del posto fosse pazza: una brava ragazza doveva lasciarsi importunare dai vicini per la strada ma non poteva farsi accompagnare da lui, che la voleva solo mettere al sicuro, come ogni inglese (o australiano) avrebbe compreso all’istante! E non solo: Maristella era imbarazzata, e a lui passò per la mente l’orribile pensiero che quelli del suo quartiere la potessero umiliare per causa sua.
 
― Mary … ― la sua voce era improvvisamente suadente, e fu questo che colse di sorpresa Maristella, tanto che per la prima volta da quando erano saliti in carrozza, lo guardò negli occhi.
 
Abel era a corto di argomenti. E poi, gli occhi umidi e puliti di Maristella lo avevano disarmato definitivamente. Gli venne in mente Georgie, e la sua espressione quando lo aveva sorpreso, molti anni prima, avvinghiato a Jessica. Perché questo pensiero? la situazione era così diversa! Poi, comprese: la stessa purezza, stupita da un mondo viscido e maligno. Certo, lui con Jessica non stava facendo niente di male, ma lei era pur sempre “quello che era”[2]. Staccarsi da lei era stato uno scherzo, per lui, ma ora come poteva proteggere Maristella?
 
― Mi dispiace tanto. Dimmi se posso rimediare in qualche modo: vuoi che non ti porti a casa, così non ti vedranno? che ti lasci qui?
 
Mister … Io credo di no: quei tre ci hanno visto, e se vogliono lo racconteranno. Magari non lo fanno, però io … non mi va mica di … Mi pare di offenderti, a ragionare come quella gente.
 
Abel era di nuovo senza parole. Quant’era sensibile, quella ragazza! Le fece il baciamano e le sorrise.
 
A Maristella quel sorriso fece uno strano effetto: a volte Abel le ricordava fin troppo Arthur. Non era mai stata davvero innamorata di Arthur, è vero, ma il sorriso dolce di quel ragazzo se lo ricordava bene, e ora lo aveva rivisto in “un altro posto”, e cioè sul viso di un uomo diverso, che era riuscito ad ispirarle una grande sicurezza. Lui l’aveva difesa e si era messo a sua disposizione. Con stile e generosità, aveva mostrato forza di carattere, e ora quella gentilezza delicata!
 
― Io non ti ho nemmeno ringraziato per come mi hai portato via.
 
― No, non mi devi ringraziare. Magari, poi mi regali un’altra arancia! – Maristella rise, finalmente. – E accompagnarti è un grande piacere.
 
― Il piacere è mio.
 
 
 
 
***
 
 
Maria continuava la sua vita, nell’inverno inglese, tra gli impegni della Corte e la vita sociale che ci si aspettava dal suo rango. Le compagnie più o meno erano le solite: i giovani ricchi e rampanti coi quali aveva fatto il suo viaggio in Cornovaglia e altri nobili. Certo, a lei piaceva essere ricercata e considerata, ma era cresciuta abbastanza bruscamente a causa dei fatti di cronaca e personali in cui la famiglia l’aveva coinvolta, e non era tanto ingenua da ignorare che la quasi totalità di quelle persone non era interessata a lei ma alla sua posizione. Era la società, l’elite che si specchiava in se stessa; e la convenzione di frequentarsi, conversare (ma non di politica o di economia, una signorina non si doveva interessare di queste cose), ballare (ma non come dei “selvaggi”, bensì secondo regole e geometrie studiate per ostentare civiltà), in realtà era tutto un paravento per quei giochi di potere che governavano la Gran Bretagna e parte del mondo (cioè la parte del mondo che contava per quelle persone, del resto o degli altri non importava a nessuno di loro).
 
Charles Fenner, il giovane che le era stato sempre vicino dalla Cornovaglia, continuava ad avere per Maria delle attenzioni particolari, che alla ragazza non potevano sfuggire. Lei non lo incoraggiava, ma non poteva fare molto nemmeno per scoraggiarlo, perché lui non era mai così esplicito da permetterle di rifiutarlo senza apparire scortese. E a modo suo, Maria avrebbe voluto che la situazione rimanesse tale: aveva bisogno di qualcuno da poter considerare amico, in quella grande rappresentazione collettiva che era diventata la sua vita, e non aveva tanto spesso l’opportunità di vedere i Barnes. S’illudeva che avrebbe potuto continuare senza problemi a contare su una presenza allegra e non eccessivamente invadente come quella di Charles.
 
All’inizio del nuovo anno, i giovani amici di Charles decisero di visitare un ristorante con pista da ballo, nuovo, di cui tutta la mondanità parlava.
 
― Venite, mia cara Maria, vi farò conoscere la vera Londra!
 
― Ma Charles, – rise Maria scendendo dalla carrozza al braccio del suo accompagnatore – io la conosco, ci sono nata!
 
― Ma Londra è la città del momento, del futuro! Londra cambia di ora in ora, oggi scopriremo cosa di nuovo arriva dal resto del mondo, oggi ci lasceremo portare verso l’avvenire! – Charles sembrava convinto, mentre apriva per Maria e altri due amici la porta del locale.
 
― Vuoi dire che il menù del posto è internazionale? – Maria lo prendeva in giro.
 
― Oh, sì che lo è! Ma in fondo, che cos’è Parigi, quando hai visto Londra?
 
Questo le piaceva di Charles: non era mai serio, e l’aiutava a non pensare a niente se non a sciocchezze. Lasciati i soprabiti all’ingresso, i giovani dovettero attraversare la sala per raggiungere il tavolo: si trovava vicino alla pista da ballo, in un separé laterale che avrebbe potuto essere isolato chiudendo le tende che lo dividevano dal resto della sala. Ma nessuno disse niente circa il chiudere le tende, con sollievo di Maria. Cenarono alla francese, ascoltando l’orchestra e guardando di tanto in tanto le coppie che ballavano al centro del salone. Anche l’altra coppia di amici si unì alle danze, e Maria commentò:
 
― Avevi ragione, Charles: questo posto è particolare, la musica è così moderna! E la cucina mi piace … non vado matta per quella inglese.
 
― È difficile andar matti per la cucina inglese! Anche se riconosco che la nostra moda sportiva e le nostre maniere sono le migliori del mondo, e anche la nostra Marina, in ambito culinario forse i Francesi sono insuperabili … Lasciamoglielo, qualche piccolo motivo d’orgoglio, ti pare? Ma questo locale ha ancora molto altro da offrire …
 
Maria lo guardò con espressione interrogativa, e questo diede a Charles un’enorme soddisfazione: stava per fare il suo colpo! Chiamò il cameriere, e ordinò assenzio. Maria trasalì.
 
― Allora, mia dolce amica, non vi avevo promesso novità? In Francia l’assenzio è l’ultimo urlo degli artisti!
 
― Sì, ma ho sentito dire che … – Maria era perplessa, avrebbe voluto anche dire che non capiva che c’entrassero gli artisti con Charles Fenner e con lei, ma fu interrotta.
 
― Oh, Maria, certo, vi capisco …
 
Intanto, la bottiglia con la scritta “Absinthe” sull’etichetta aveva raggiunto il tavolo, con due bicchieri da liquore, due cucchiaini traforati e delle zollette di zucchero. Charles fece una strana alchimia, poi continuò a parlare:
 
La fatina verde che vive nell’assenzio vuole la vostra anima. Ma con me non avete nulla da temere.[3] O avete troppa paura delle fate?
 
― Io … non esistono le fate! – Maria era a disagio, anche perché detestava apparire intimorita davanti a quel giovane.
 
― Aaah, tanto vale, meglio così se non ci credete: potete bere con me tranquillamente, allora! Prosit!
 
Maria si sentiva con le spalle al muro. Bevve. Non sapeva dire se le piacesse o no quel gusto inebriante e caldo, di erbe. Certo che il colore era un po’ inquietante, così come la strana operazione compiuta da Charles per preparare la bevanda, ma non si sentì strana o diversa dopo i primi due sorsi. Allora, bevve ancora.
 
― Questo elisir aiuta a conoscere quello che abbiamo dentro, Maria. Tutto qui. Ora mi direte che voi vi conoscete benissimo, ma questo è quello che dicono tutti. Conoscersi davvero è un’altra cosa. Vorreste ballare con me?
 
― Sì …
 
Maria ballava, e intanto ripensava a quello che Charles aveva detto sul conoscere se stessi. Forse quella era la verità, e forse a lui interessava scoprire cose di lei che lei altrimenti avrebbe nascosto? Oh, ma che c’era poi da nascondere nella sua vita? Non aveva mai fatto niente di male, non era come suo padre e suo fratello, e poi i suoi due grandi segreti lei sapeva tenerli benissimo! Non aveva paura! E invece, non capiva che quello era l’effetto dell’assenzio, che le toglieva la prudenza e la portava a considerare irrilevanti cose che altrimenti le sarebbero sembrate addirittura gravi …[4]
 
― Ora, mia cara, potete dire di conoscere la vera Londra, finalmente! Ma non conoscete ancora me: io sono un uomo pieno di sogni, sapete? – l’assenzio faceva il suo effetto anche su Charles! – E un mio sogno è andare lontano: prima a Parigi, quella vera, dove ci sono gli artisti, e poi … i Caraibi!!! Dove ci sono i pirati!
 
Risero tutti e due:
 
― Sì, i pirati! Maria, a voi piacciono i pirati?
 
― A chi non piacciono i pirati, Charlie? E le grandi lune piene delle isole calde …
 
― Sì, Maria, ecco che emerge finalmente la vera voi stessa! La luna, le isole e voi! Voi, non i pirati! Cioè, posso fare a meno dei pirati e anche degli artisti se avrò voi … non sentite com’è dolce questa canzone? Il vostro cuore, e solo quello, può essere più dolce di così. A che cosa pensate? Ditemi tutto di questo cuore …
 
― Il mio cuore … la luna, e le isole, e la canzone dolce … Sei un demonio, Charles, ma io non ho paura delle fate, e nemmeno dei pirati! Perché con me c’è sempre lui … con la sua forza e il suo amore, coi suoi occhi e quel volto … Le turchesi dei Caraibi hanno imparato l’azzurro dagli occhi di Arthur!
 
Maria si fermò di colpo, portandosi una mano a coprire la bocca come a voler fermare le parole che ne erano già uscite: uno dei suoi due preziosi segreti era quasi stato svelato! Anche Charles si dovette fermare e la guardò con angoscia: e adesso, chi diavolo era Arthur?!
 
Maria disse di non sentirsi bene e chiese di essere accompagnata immediatamente a casa. Lungo la strada dal locale alla moda fino a casa sua, non disse una sola parola, per paura di quello che avrebbe potuto sfuggirle. La mattina dopo, al suo risveglio, cercò di analizzare lucidamente la situazione: non aveva detto molto, ma comunque aveva detto il nome del suo amato. Ora, non c’era motivo di credere che Charles Fenner avrebbe fatto un cattivo uso di quel nome, ma lei si sentiva lo stesso molto ansiosa. Bisognava evitare qualsiasi riferimento a quella serata, da allora in poi, perché parlarne e chiedere al suo amico di tenere il segreto era davvero troppo pericoloso. E bisognava ricordarsi di evitare l’assenzio come la peste!
 
Ma Charles non poteva dimenticare la rivelazione che aveva ricevuto. Significava uno squarcio su un mondo di cui lui non sospettava l’esistenza, perché ora sapeva che Maria, che viveva la sua vita apparentemente senza legami, nascondeva un sogno, un sentimento, e lui non ne faceva parte. Due giorni dopo quella serata (meglio non essere troppo pressanti), Charles andò a farle visita, e trovò che la zia Constancia non stava molto bene. Certi fastidi che riguardavano il suo cuore si erano fatti vivi, dopo i benefici ottenuti a Bath. Charles ebbe la possibilità di essere gentile con Maria, mostrarsi leggero ma non troppo per risollevarle il morale, offrirle ogni possibile assistenza, e Maria lo ringraziò. Si salutarono da buoni amici, e la ragazza si preparò per cenare.
 
A tavola, la zia parlò di Charles:
 
― Maria, il tuo amico signor Fenner è stato molto?
 
― Un paio d’ore. Abbiamo chiacchierato.
 
― È sempre molto premuroso con te, mi pare. Sai, è una buona cosa. Viene anche lui da un’ottima famiglia, oltre ad essere gentile e piacevole.
 
― Sì, è abbastanza simpatico.
 
― Abbastanza? Tutto qua?! Povero ragazzo, non sei molto espansiva coi tuoi amici più affezionati! Non è che vuoi nascondere altro, facendo finta che non t’interessi?
 
A Maria faceva piacere che la convalescenza non impedisse a Lady Constancia di sorridere e prenderla anche un po’ in giro, ma si sentiva ancora in grande imbarazzo per aver assaggiato una bevanda tanto pericolosa come l’assenzio proprio con Charles, e abbassò lo sguardo cercando di essere naturale (senza riuscirci affatto):
 
― Ma no, che cosa dici, zia?
 
Ovviamente, la zia trasse le conclusioni sbagliate …
 

[1] Saltafossi, ragazzini.
[2] Questo giudizio così moralista, ci tengo a dirlo, non è mio, ma di Abel. Un uomo di quei tempi non avrebbe trovato una definizione positiva per una ragazza di costumi liberi come Jessica.
[3] Frase che viene dritta dal film Dracula di Bram Stoker, di Francis Ford Coppola, del 1993.
[4] In realtà, sugli effetti dell’assenzio non c’è unanimità. All’inizio del XX secolo, le compagnie produttrici di vino e il governo francese iniziarono un’accesa campagna contro l’assenzio, per opposti motivi (le prime perché era un prodotto concorrente molto diffuso, il secondo per combattere l’alcolismo, poiché l’assenzio è un alcolico, per la precisione un distillato). Appare chiaro, ormai, che le leggende che furono messe in circolazione sugli effetti tossici e allucinogeni dell’assenzio erano inventate ad arte, e i suoi effetti non sembrano essere molto diversi da quelli di un qualunque alcolico (le sostanze incriminate come pericolose in esso contenute, si trovano anche in molti altri alcolici, mai ritenuti pericolosi). A differenza che negli altri paesi, nel Regno Unito l’assenzio non fu mai vietato, anche se, come in tutta Europa, la sua moda decadde dopo il 1915. L’Unione Europea considera oggi l’assenzio come un prodotto perfettamente legale. Il che non significa che non abbia il suo margine di rischio …

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Capitolo 26
*** È nata in mezzo al mare … ***


Con l'augurio che tutti abbiate passato un buon Ferragosto e vi stiate godendo l'estate, ecco che arriva il nuovo capitolo. Questo è uno di quei capitoli che sfuggono di più alla tipologia della storia originale, ma io ci tengo anche perché contiene una parte di dolcezza molto forte, e sapete che è una cosa nelle mie corde. Amanti dei gusti aspri e duri, siete avvisati.
Per la cronaca, vorrei ricordare, se non l'ho già detto, che io non provengo da nessuno dei luoghi descritti. Però, nel mio piccolo, sono un'appassionata di canzone napoletana, che è molto di più di una versione regionale della canzone melodica italiana. Si tratta di un patrimonio nazionale molto più prezioso di quello che si pensa, viene studiata nei conservatori di tutto il mondo, ed è un genere a sé, originale sia nel'impianto melodico che nei versi, alto e popolare insieme e ancora molto vitale. Il mondo giustamente ce la invidia, e anche se io non capisco niente di musica e non so nemmeno leggere il pentagramma, so quello che dico.
Mi resta solo da ringraziare tutti i miei cari lettori, e mandare un bacione a chi recensisce: siete stati molto generosi con la mia storia, spero tanto di non deludervi e di non stancarvi mai. Anche per questo, conto di aggiornare abbastanza presto ...
Buon divertimento!


L’anno era iniziato nel modo più bello, e i Grey vollero che continuasse ancora meglio preparando una sorpresa alla piccola Sophia: Antonia la “convinse” che doveva appendere un calzino vicino al camino la sera del cinque di gennaio, perché l’avrebbe ritrovato pieno di dolci. Ovviamente, Sophia era troppo piccola perché si possa dire che si fosse convinta di qualche cosa, ma le fu spiegato tutto e scelse lei il calzino, che poi fu appeso da suo padre sotto i suoi occhioni curiosi. La Befana era una tradizione lontana da quella inglese, ma Lowell e Georgie erano così felici di aver messo su casa a Ischia che volevano che i loro figli partecipassero delle usanze locali, così Antonia descrisse dettagliatamente la Befana a Sophia, spiegandole che era tanto brutta quanto buona, perché la bontà si può trovare dove meno te l’aspetti e bisogna sempre riconoscerla e farla entrare. La Befana sarebbe entrata a cercare i bimbi che avevano fatto i bravi per riempire le loro calze di dolci, ma era difficilissimo vederla, perché come già aveva fatto Santa Claus due settimane prima, sapeva non farsi scorgere dai bambini che la stavano aspettando.
 
Fecero tutti finta di andare a letto, e di mettere anche Sophia a letto per la notte. Però, dopo un paio di minuti, Abel entrò nella stanza della piccola con una buffa aria furtiva:
 
― Sophia! Dormi, Sophia? – bisbigliò, sapendo già che la bambina era quasi certamente sveglia, e infatti vide che lei lo guardava: ― Sono lo zio Abel, e sono qua di nascosto per farti vedere una cosa magica: la vuoi vedere la Befana?
 
Sophia non poteva sperare di meglio! Sorrise e disse di sì! Allora, Abel la prese in braccio:
 
― Sei molto fortunata, di solito i bambini non la possono mica vedere! Vieni, facciamo piano …
 
Il grande albero vicino al camino era acceso con una gran quantità di candeline, come acceso era anche il camino, e solo quelli illuminavano la stanza. Curva e di spalle, vicino all’albero, la figura della Befana pareva non aspettarsi di essere scoperta, perché si girò, mostrando una faccia fuligginosa e dei capelli che sembravano paglia uscire da sotto un brutto berretto rattoppato:
 
― Ma chi è questa bambina, ma chi è? Osa vedermi oggi, che è la mia notte? – gracchiò, avvicinandosi lentamente.
 
Sophia era a metà tra  la contentezza e lo spavento, ma era in braccio ad Abel, che la faceva sentire sicura, così continuò a guardare la figura ricurva e lacera, con la boccuccia aperta.
 
― Ohhh, ma è la mia bambina preferita! Sophia è molto coraggiosa! Solo per questo, avrà un regalo speciale! – e le mise nella mano paffutella un mostacciolo glassato. – Ciao, Sophia, e fai la brava un altro anno, capito? Fai vedere al tuo fratellino come si fa! AHAHAHAHA!
 
Con quest’ultima risata stridente, la Befana uscì correndo dalla stanza. Abel mostrò il camino alla bambina: al posto del suo calzino, c’era una calza ricamata gigantesca, ricolma di ogni dolciume possibile! La piccola era estasiata e tese le braccine verso la calza, mentre da dietro una porta uscivano Lowell, il Conte e Antonia. L’aria profumava di cera e di abete, i chiodi di garofano conficcati nelle arance che adornavano l’albero sprigionavano il loro aroma, e lo stesso faceva la legna nel camino, mentre dalla calza usciva un profumo di cannella, zucchero e crema.
 
Mentre passava la piccola in braccio al padre, Abel raccontò l’avventura con la Befana, che Lowell, il Conte e Antonia commentavano man mano con una serie di “ooh!” e “ma davvero?”, e la bimba faceva di sì con la testolina, sorridendo. Poi, Abel lasciò i tre a giocare con Sophia, dicendo che andava a raccontare tutto anche a Georgie (che era in camera, poiché ancora non si alzava).
 
Quando Abel bussò, una fresca voce femminile disse “avanti!”, e lui aprì la porta: fu notevole la sua sorpresa quando vide che con Georgie c’era Maristella in camicia da notte e vestaglia, che si faceva togliere l’ultima fuliggine dal viso da una cameriera:
 
― Oh, scusa, sei qui! Volete che me ne vada? – chiese Abel, girandosi per non guardare la bella pupilla dei Grey.
 
― No, sono in vestaglia, non fa niente! Oh, mister, com’è andata dopo che sono uscita? ― Maristella era leggermente imbarazzata ma entusiasta, e doveva aver già raccontato a Georgie tutta la parte a cui era stata presente.
 
― A meraviglia! – si girò con un gran sorriso, – L’ho lasciata che giocava con Lowell, Fritz e Antonia. Non si è spaventata per niente! La sorpresa è riuscita benissimo, meno male che loro tre da dietro la porta ridevano piano, perché Sophia non li ha sentiti!
 
― AHH, che bello! Siete stati bravissimi, come vorrei averlo visto!
 
― Ti dovrai far raccontare tutto di nuovo da lei, a modo suo. E anche tu, Mary. Oh, accidenti, adesso verranno qui, e non ti devono trovare coi vestiti della strega!
 
Maristella sobbalzò, con l’aiuto di Abel raccolse in fretta tutto il suo travestimento e uscì di corsa con lui, dopo un “buonanotte” veloce a Georgie (che cercava di non ridere, in attesa dell’arrivo di sua figlia e del resto della famiglia).
 
Corsero silenziosamente lungo il corridoio, con Maristella che faceva strada reggendo un lume, entrarono nella sua stanza e chiusero la porta, poi risero per lo “scampato pericolo”.
 
― Allora, sono stata brava? Ero abbastanza brutta?
 
― Sì, strano a dirsi, eri proprio brutta!
 
Appoggiarono il travestimento, e Abel la guardò per un momento:
 
― Oh, scusa, ferma un attimo … ― estrasse un fazzoletto e le strofinò un lato della guancia: ― Ecco … era rimasta un po’ di fuliggine.
 
― Grazie …
 
― Sì, sei stata proprio brava, e sembravi una vera strega. Eppure, sei tanto bella …
 
Mister!
 
― Lo so, vado via. E poi, te l’avranno già detto tutti, vero? scusa se non sono stato originale. Buonanotte.
 
Abel sorrise e uscì, lasciando Maristella prima che potesse rispondere.
 
In camera sua, si tolse dalla tasca il fazzoletto immacolato e lo guardò, sorrise di nuovo: ma quale fuliggine! Aveva avuto voglia di accarezzarle il viso, tutto qua.
 
 
***
 
 
Dopo qualche settimana, Georgie si rimise finalmente in forze. Suo padre e Abel non sarebbero ripartiti senza vederla ristabilita, e alla fine la neo-mamma poté riprendere le vecchie abitudini. Una di queste era andare a prendere il caffè dopo la messa della domenica, tutti insieme, coi pescatori della zona portuale. Tutta l’isola passeggiava, dopo la messa, e affollava il porto e il lungomare; la cosa sorprendente per il Conte Gerard e per Abel era che ci fosse una tale commistione tra le classi, ma in quella zona, un gentiluomo era sempre un gentiluomo, e non si sentiva diminuito a chiacchierare amabilmente con chi lo rispettava. Lowell era cambiato enormemente, e Abel lo capì del tutto solo allora: l’Italia lo aveva reso più franco, sicuro di sé e amabile. Ecco che le lezioni di italiano prese dai Grey si rendevano particolarmente utili, ed ecco che Maristella poteva sentirsi a suo agio anche fuori casa: erano cose che si svolgevano alla luce del sole, lei era in compagnia, e nessuno poteva dire niente del fatto che lei frequentava “gl’inglesi”.
 
Quella particolare domenica, qualcuno aveva portato la chitarra, e mentre erano seduti presso le barche, ad un tavolino al sole, qualcuno decise di cantare un pezzo allegro proprio vicino a loro, guardando Maristella (anche perché guardare Georgie era proibito, visto che era sposata). A tradurlo pensò Antonia, che conosceva bene l’antica tarantella[1]:
 
È nata mmiez'o mare,
Michelemmà, Michelemmà,
È nata mmiez'o mare,
Michelemmà, Michelemmà,
oje na scarola...
oje na scarola...

 
― Ah, parla di una ragazza riccia … sì, ‘na “scarola”, riccia come l’insalata! Di una ragazza nata nel mare, che si chiama Michela!
 
Li turche se nce vanno,
Michelemmà, Michelemmà,
Li turche se nce vanno,
Michelemmà, Michelemmà,
a reposare...
a reposare...

 
Chi pe la cimma e chi,
Michelemmà, Michelemmà,
Chi pe la cimma e chi,
Michelemmà, Michelemmà ,
pe lo streppone...
pe lo streppone...

 
― Questa parte dice che i Turchi vengono spesso a cercarla, perché la vogliono per spasso, e la tirano chi da una parte e chi dall’altra, ma … mi sa che non ci riescono a prenderla! – Gli ascoltatori risero, ma Abel era più serio, mentre guardava un’imperturbabile Maristella, che era la destinataria della canzone e non dava il minimo segno d’interesse.
 
Biato a chi la vence,
Michelemmà, Michelemmà
Biato a chi la vence,
Michelemmà, Michelemmà
co’ sta figliola...
co’ sta figliola...

 
Sta figliola ch'e figlia,
Michelemmà e Michelemmà
Sta figliola ch'e figlia,
Michelemmà e Michelemmà
oje de Notaro...
oje de Notaro...

 
― Sì, insomma, qua dice che questa Michela è proprio una bella figliola e che chi potrà averla sarà molto fortunato!
 
Intanto, il cantante era passato dal sorridere a Maristella al guardare Abel, e tutto intorno si era radunato un gruppetto di gente.
 
E mpietto porta na,
Michelemmà, Michelemmà
E mpietto porta na,
Michelemmà, Michelemmà
Stella Diana...
Stella Diana...

 
― Pare che sia pure una ragazza di buona famiglia, figlia di notai. E nel petto porta una stella Diana, dice la canzone. Diana, sì, la dea, no?
 
― In che senso? – chiese Abel.
 
― Diana è rappresentata anche dalla Luna, perciò la ragazza porta un ciondolo a forma di mezza luna, ma il punto è che Diana era vergine, e non permetteva a nessuno di amarla. – spiegò Lowell.
 
Pe fa mori' ll'amante,
Michelemmà, Michelemmà
Pe fa mori' ll'amante,
Michelemmà, Michelemmà
A duje a duje...
A duje a duje...

 
― Ah, adesso ho capito perché la canzone dice così! – esclamò Antonia: ―  Perché poi dice che lei porta nel petto una stella Diana per far morire gli innamorati in gran quantità![2]
 
Mentre i Grey e il Conte ridevano sotto i baffi, Abel lanciò uno sguardo in cagnesco al cantante e chitarrista. Non gli andava che facesse certe osservazioni su Maristella, nemmeno velate! Vide allora che l’uomo sembrava sorridere verso qualcun altro: il giovane Pasca’, il ragazzo che aveva accompagnato Maristella la sera in cui Abel l’aveva conosciuta e di cui non si era ancora accorto. Pasca’ a sua volta era rosso in viso e guardava Abel in un modo non esattamente amichevole. Forse il cantante alludeva a Pasquale, quando parlava degli innamorati insoddisfatti di Michela? Allora, Abel tornò a fissare Maristella. La ragazza era seria e teneva gli occhi fissi sul mare, sempre mantenendo la sua figura perfettamente eretta. Si calò il velo sul viso prima di alzare lo sguardo sul cantante e, mentre tutti applaudivano, lo ringraziò:
 
― Molto bravo, grazie! Oh, ciao, Pasquale!
 
― Ciao, Maristella … e buongiorno a tutti. – il ragazzo si tolse il cappello nel salutare e se ne andò subito, perché sapeva che la ragazza non lo avrebbe invitato a restare.
 
Ma anche il resto della compagnia se ne stava andando, così si alzarono. Si alzò anche Maristella, sempre impenetrabile. Abel non poteva fare a meno di guardarla, e di chiedersi se la sua placida eleganza di movimenti fosse naturale o studiata apposta per superare indenne l’attenzione che quasi sempre suscitava. Si chiedeva anche che cosa pensasse davvero la ragazza, ma quella gli sorrise con spontanea gentilezza:
 
Mister … va tutto bene?
 
Abel decise che sarebbe stato meglio sbrigarsi a partire, o sarebbe stato troppo difficile. Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe detto che sarebbe stata sua intenzione lasciar cadere l’argomento, invece le parole uscirono da sole:
 
― Io sì, se a te non ha dato fastidio nessuno. Il cantante o gli altri ti hanno disturbato, in qualche modo?
 
― No, perché? È una bella canzone, tradizionale.
 
― Una bella canzone, è vero. Ma sai, dopo quello che mi hai detto, pensavo … Se qualcuno ti scoccia, se la dovrà vedere con me!
 
― Proprio come Georgie mi aveva detto …
 
― Cioè?
 
― Che sei sempre stato così: protettivo con lei, contro chiunque del vostro paese.
 
― Già … certe risse, ne venivano fuori! Qualche volta, mi sono picchiato furiosamente anche con mio fratello …
 
― Oh, no! Non con Arthur, è terribile! Ma non volevate tutti e due molto bene a Georgie?
 
― Sì, ma sì, certo! – Abel pensò al modo in cui un tempo tutti e due “volevano bene” a Georgie, e sviò il discorso: ― Ma alle volte non ci trovavamo d’accordo su quello che era meglio per lei … Sai, difendere la ragazza più bella del paese non è mica facile! Me ne sono accorto anche con te, l’altra settimana …
 
― Oh, ma … grazie.
 
― Ho una certa esperienza, e se serve proteggerti ancora, mi offro volontario! – passeggiavano sul molo sorridendo, un po’ indietro rispetto agli altri, e per un attimo il silenzio, la luce tranquilla riflessa dal mare e la presenza di Maristella diedero ad Abel un senso di vera felicità, così continuò con convinzione: ― Anzi, la prossima volta che esci vorrei accompagnarti ancora, e magari farlo finché non partirò.
― Grazie, mi farebbe piacere! Sai, ne avevo bisogno … Vado a trovare mio padre tutti i mercoledì.
 
Abel capì che partire sarebbe comunque stato molto difficile. Eccezionalmente, Maristella teneva gli occhi bassi.
 
Passarono un paio di giorni, e Abel disse a Georgie di sfuggita che l’indomani avrebbe dovuto uscire per accompagnare Maristella da suo padre perché “spesso veniva importunata” lungo la strada.
 
Abel non poteva immaginarlo, ma a Georgie venne un colpo, tanto che quella sera chiamò a sé Maristella e Lowell, e cercò di capirci qualche cosa.
 
― Scusami, Maristella, ma dovevo parlarti di una cosa che riguarda anche mio marito. Ho saputo che quando esci da sola, il mercoledì, c’è qualcuno che ti dà fastidio per la strada. Vorrei sapere se è vero, ti prego di parlare e di non vergognarti di niente.
 
Maristella aprì la bocca, ma solo per la sorpresa, non perché avesse qualche cosa da dire, anzi rimase in silenzio.
 
― Mia cara, ma perché non me l’hai mai detto?! Io ho voluto che ci fosse Lowell perché riguarda tutta la famiglia, noi ti vogliamo bene …
 
― E non solo, mia cara figliola: ci siamo presi una responsabilità, sei sotto la nostra ala! Che direbbe tuo padre se sapesse che tutte le settimane noi ti trascuriamo mettendoti in pericolo?
 
― Vedi, tesoro, domani l’accompagnerà Abel. – proseguì Georgie – Ed è stato lui a dirmelo (se non fosse stato per lui …), ma poi lui e papà partono, e allora lei continuerà ad andare e venire …
 
― Noi vogliamo solo proteggerti, Maristella, ti prego, dicci tutto: ti hanno fatto qualche cosa di male?
 
― Oh, no!
 
― Meno male! Oh, meno male, eh, Georgie? Ma dalla settimana prossima, sarai sempre accompagnata, andata e ritorno!
 
― Oh, mister Grey … non vale la pena …
 
― Tranquilla, tesoro, Lowell ha ragione: andata e ritorno!
 
― No, io … Non ne ho veramente bisogno … Davvero posso parlare liberamente? – naturalmente, Georgie e Lowell dissero di sì: ―  Questo succedeva prima che mi prendeste sotto la vostra protezione. Ora la gente lo sa, che non mi deve importunare, perché ci siete voi, e quello che mister Butman ha visto è una sciocchezza con dei ragazzini di quattordici – quindici anni che non avevano niente da fare, ma non mi avrebbero mai fatto del male. Una ragazzata senza conseguenze! No, io l’ho detto ad Abel proprio perché lui sta per partire … e io … volevo … stare il più possibile con lui! Perdonatemi!
 
La ragazza era rossa in viso come Georgie e Lowell non l’avevano mai vista. Lowell si mise a ridere:
 
― Perdonata, perdonata, certo! Ma magari ti faremo accompagnare lo stesso, se non ti dispiace.
 
― Oh, Maristella! Come potrei non perdonarti? E ti prometto che Lowell non dirà a mio fratello nemmeno una parola! Io, per me … non lo so! Per adesso, muta, promesso!
 
Dovettero offrire a Maristella qualche cosa di fresco e farla sedere per un bel po’, prima che si tranquillizzasse per il disturbo che aveva recato alla famiglia … ma il rossore sulle sue guance rimase.
 
E così, ci fu un’altra sera d’inverno, un altro viaggio in carrozza andata e ritorno, in cui Maristella e Abel ebbero modo di stare insieme da soli.
 
― Certo che la vita per una ragazza non è facile. – Abel non disse “per una ragazza così bella”, ma era quello che pensava: ― Quando io m’imbarcai, a proteggere Georgie rimase Arthur, ma quando lei partì da sola, e come mozzo, io credetti d’impazzire! E partii subito pur di non lasciarla sola.
 
― Sempre protettivo, eh? In effetti, è stata fortunata, sia sulla nave che dopo, chissà che le poteva capitare … Ma io l’ammiro, partire così senza protezione né soldi per seguire l’uomo che amava in un altro continente, una cosa meravigliosa!
 
― Veramente, non partì per seguire Lowell ma per trovare le sue origini. Sei romantica a pensare che fosse partita solo per amore!
 
― Io lo farei! Tu no?
 
― Sì, anch’io. Ma Georgie aveva anche altre ragioni, volevo dire solo questo … Davvero andresti fino all’altro capo del mondo per amore?
 
― Sì, ma non è solo perché sono “romantica”! Io vorrei andarmene da qua. Mi piace la mia isola, questa è la mia casa, amo i paesaggi, le nostre tradizioni, però sono stanca della mentalità. Vivendo coi Grey ho capito che una donna può studiare, conoscere, decidere anche altro e non solo di sposarsi e fare tanti figli. E io voglio conoscere.
 
― Ti capisco bene, anch’io ho sentito fin da piccolo il bisogno di partire per mare e girare tutto il mondo. Ed è giusto che una donna possa vedere cose nuove e conoscere, come dici tu. Ma a parte tutto, tu partiresti per andare lontanissimo, con l’uomo che ami?
 
― Se sapessi davvero che mi ama … sì. Lo farei.
 
Abel sorrise.
 
Però, quando suo padre chiese a Maristella se ad accompagnarla era lo stesso uomo della settimana precedente e lei disse di sì, lui le consigliò di non abituarsi a qualcosa che poteva perdere. E infatti al ritorno, Abel le disse di dover assolutamente tornare a Londra per rispettare i suoi impegni, poiché il suo lavoro era lì.
 
[1] La canzone è “Michelemmà”, e va ascoltata assolutamente. Tra tutte, forse la versione più adatta qui è questa cantata da Sergio Bruni: https://www.youtube.com/watch?v=8CoiaifQJEw (ma anche la versione di Murolo merita).
[2] L’interpretazione della canzone segue quella suggerita da http://www.italianopera.org/Canzone/Napoletana/Michelemma.html, che parla anche di un’altra simbologia: “Michela là” (cioè “Michelemmà”) sarebbe un’isola anziché una persona, forse Ischia, bella, elevata, contesa dai Turchi e inaccessibile. La canzone è di anonimo, del 1600, raccolta poi nel 1700 da Salvator Rosa, al quale fu erroneamente attribuita per molto tempo.

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Capitolo 27
*** Il cuore si rivela ***


C’era ancora una domenica, prima della partenza dei due graditissimi ospiti, e ci fu un’altra passeggiata dopo la messa. Ma stavolta Georgie non partecipò, perché l’allattamento la stancava, e così lei, suo marito e suo padre tornarono a casa coi bambini, ma Abel propose a Maristella di non perdere la bella mattinata di sole, velata solo da una leggera foschia che non faceva che aumentare il senso di tranquillità da giorno di festa. Così, camminarono da soli sul lungomare fino al porto, e poi sui moli:
 
― Già da bambino, mi sono sempre sentito attratto dal mare, ma anche a te deve piacere, se sei voluta venire qui.
 
― A me piace il mare visto dalla terra: i pescatori non lo amano mai davvero, perché è traditore.
 
― Ah, capisco. Io invece volevo veleggiare lontano, vedere il mondo …
 
― E ci sei riuscito, sarai contento!
 
― Sì, non posso lamentarmi. Lo senti, quest’odore? Umido, di onde, di alghe, di mitili … Per me è il massimo. E poi, quando sei al largo, invece, il mare non ha odore, perché l’aria è perfettamente pulita, e tutto intorno l’orizzonte è apparentemente uguale (in realtà, non è proprio uguale, cambia la luce, di notte cambiano le stelle); eppure, anche quella è una cosa che mi piace da morire. I polmoni si aprono. I pensieri volano.
 
― Secondo me, gli occhi di chi ha guardato molto il mare sono diversi.
 
― Come, diversi? l’espressione, dici?
 
― No, proprio gli occhi. Hanno preso più luce, e sono cambiati. Diventano chiari anche se sono scuri … ridi? Non ci credi, eppure guarda che è vero! I tuoi occhi diventeranno così, un giorno …
 
Si era avvicinato a loro, da dietro, senza che se ne accorgessero, il giovane Pasquale, che li superò e salutò Maristella, ma stavolta si fermò con loro e si fece presentare Abel, nonostante la differenza di lingua. Poi, si rivolse ancora alla bella fanciulla:
 
― Volevo proprio conoscerlo, il tuo cavaliere!
 
― Beh, perché lo dici con quel tono? Mister Butman è molto gentile con me, e allora?
 
― Ah, sì, ci credo. Ma … quanto si ferma?
 
― Sta per ripartire.
 
― E tu, come farai? Parti pure tu?
 
Nun fa’o scemo, Pasca’!
 
― Tieni ragione, scusa. Buona passeggiata a tutti e due, io vado. Arrivederci, mister.
 
Abel e Maristella lo salutarono e tornarono a camminare, a passo lento, nel sole:
 
― È innamorato di te.
 
― Che cosa? No, macché, è solo un amico d’infanzia, siamo cresciuti praticamente come fratelli, come fa ad essere innamorato di me?
 
― Ah, beh, certo! Perché quando si cresce praticamente come fratelli non ci si può innamorare, vero? … Sei proprio ingenua.
 
― E tu come fai a dire di chi è innamorato, che non hai capito una parola di quello che mi ha detto? perché io sono ingenua e tu sei uomo di mondo?
 
― Proprio perché non ho capito, ho osservato: voleva buttarmi a mare per la gelosia! C’è mancato poco! Ma la tua frase mi conferma che ho visto giusto: altrimenti, dimmi un po’ tu che ti ha detto, se non era niente del genere!
 
― Geloso di te, mister, nientemeno!
 
― Che c’è, non mi vuoi dire che ti ha detto?
 
― E perché te lo dovrei dire? L’ha detto a me, non a te!
 
Abel non sorrideva più, e distolse gli occhi da lei. Che rabbia, era troppo tardi! Quella era la sua vecchia nemica-amica di sempre, la gelosia, inconfondibile … bollente, densa, nera e amara come il caffè fatto in quel posto da dove sarebbe stato meglio partire prima, ma ormai per lui era tardi …
 
― Non avevo il diritto, perdonami, Mary.
 
― Io non desidero nasconderti niente e tu non hai niente di cui scusarti … Sei stato il mio angelo custode in tutti questi giorni! Forse hai ragione, alla fine: mi sa che Pasca’ si è ingelosito.
 
― Ma siete solo amici d’infanzia, no?
 
― Ma sì … per me, lui è solo un amico.
 
Abel sorrise e decise di mentire spudoratamente:
 
― Vedrai che gli passa …
 
E ben presto fu tempo di partenze e di arrivi. Erano appena arrivati i genitori di Lowell, che facevano il viaggio per la prima volta, per conoscere l’erede, quando Abel e Fritz Gerard dovettero partire da Ischia. Ancora una volta, ci furono lacrime e fazzoletti che sventolavano dal molo. Sul ponte, Abel guardò la famiglia Grey che diventava sempre più piccola. La convalescenza ormai superata aveva restituito tutta la sua bellezza florida a Georgie, che lui continuò a fissare mentre salutava lui e suo padre da lontano, tra Lowell e Maristella. Maristella pareva seriamente commossa anche lei … e vederle vicine faceva risaltare lo splendore di entrambe. “Meglio così, un taglio netto e subito”, pensò Abel, ma aveva la gola stretta e non riuscì a convincersi.
 
Quando Abel e il Conte furono di ritorno in Inghilterra, tutti gli amici inglesi vollero avere notizie dirette di Georgie, e tra questi anche Becky, che invitò Abel a prendere il tè a casa sua apposta per quello. E Abel raccontò quasi tutto, in primo luogo dei due bambini e poi delle sue impressioni dell’isola.
 
― E Georgie? Non mi hai ancora parlato di lei.
 
― Oh, dovresti vederla! Sta benissimo, ed è più bella che mai. I piccoli la rendono molto tenera, e poi si vede che con Lowell sta bene. Una signora, la nostra Georgie, non sembra più la ragazzina che hai conosciuto tu!
 
Becky non poteva non notare un cambiamento in Abel: ora era sereno nel parlare di Georgie come di una moglie e madre di famiglia, si capiva che i suoi sentimenti erano cambiati.
 
― Mi fa piacere! Tutto quello che mi hai detto mi fa piacere, anche per te. Era ora.
 
― Per me? Che cosa era ora?
 
― Niente. Sai, anch’io ho una novità, ma è un segreto, capito? Mio padre pensa di ritornare in Australia.
 
― Oh, di già? Mi dispiace … Beh, doveva succedere, no? Presto o tardi, credo che ci tornerò anch’io, e forse Georgie. Arthur, di sicuro! Ma perché un segreto?
 
― Non voglio che lo sappia Rory, ancora. Tu non puoi capire, Rory mi ha detto che mi amava, l’anno scorso, ma se sapesse che me ne vado …
 
― Becky, ma tu che gli hai detto?
 
― E che gli potevo dire, Abel?
 
― … Non ti sembra giusto che sappia che te ne vai? In effetti, non dovresti tenerlo legato a te così, scusa ma è un po’ egoista.
 
― Accidenti, Abel, tu le cose le dici direttamente, eh? Hai ragione, però … io … i miei sentimenti sono cambiati più dei tuoi, se è possibile. Lui mi è stato vicino da quando mi ha conosciuto, come se niente potesse farlo allontanare da me, e nessun uomo lo aveva mai fatto. La buona società inglese parla, quella australiana adula, ma poi tutto cambia in funzione degli interessi, e invece lui no. Lo sai che non è ricco, sarebbe suo interesse fare un buon matrimonio, e allora perché non si cerca un’altra? Perché è un uomo serio.
 
― Chi lo direbbe? Proprio lui che scherza sempre e mi ha insegnato a giocare a whist! No, scherzo: la serietà di cui parli tu è una cosa diversa. Ma allora, lo ami?
 
― Sempre diretto, questo mi piace di te! Sì, ma non credo che lui mi ami più. L’ho respinto e l’ho perso! Sono patetica, m’innamoro sempre di ragazzi fantastici che mi amerebbero pure, ma lo faccio coi tempi sbagliati!
 
― Grazie per il complimento, ma non sei patetica, non dirlo mai più! L’amore che hai per lui è una cosa bella, non patetica. Io ti capisco benissimo … anche perché sono meno fortunato di te, in amore. Ma se lui ti volesse ancora, tu che faresti, rimarresti per lui? Sai che è un militare, dovrebbe lasciare la sua unica occupazione possibile, se si trasferisse fuori dall’Inghilterra.
 
― … Penso di sì, resterei. E tu, che faresti? Sapresti lasciare tutto per amore di una donna lontana?
 
Solo in quel momento, Abel si rese conto di aver fatto una conversazione simile pochi giorni prima, con Maristella. Rispose di slancio “sì!”: forse, non voleva essere da meno di Becky. O forse sapeva di averlo già fatto, di partire lasciando tutto per Georgie. In realtà, pensava a quella ragazza italiana a cui aveva fatto la stessa domanda.
 
Becky, invece, pensava unicamente a Rory: all’inizio, lo vedeva solo come un ragazzo molto simpatico che sapeva metterla a suo agio, mentre ora lo ammirava per la sua determinazione e coerenza. Rory aveva delle opinioni precise, e si comportava sempre di conseguenza. Le era rimasto affettuosamente amico, nonostante tutto quello che lei doveva avergli fatto passare. Eppure, faceva di tutto perché nessuno pensasse a lui in modo molto serio, voleva apparire solo come un allegro figlio cadetto che prendeva con leggerezza tutto, come molti altri ufficiali giovani. Pareva non volere l’ammirazione degli altri, e di questo Becky sapeva di non essere capace. Proprio per questo, lo ammirava di più, e l’ammirazione era diventata un sentimento molto forte.
 
 
***
 
 
Anche in Australia ci fu una separazione e una partenza. Arthur andò al porto con lo zio Kevin, perché aveva rimandato fino all’ultimo il distacco. In realtà, era tremendamente combattuto tra l’amore per il suo paese e il bisogno di rivedere Maria. Non pensava che sarebbe stato così difficile, al momento di andarsene, salutare di nuovo la sua casa, le colline erbose, il fiume, le montagne che apparivano azzurre in lontananza. E lo zio:
 
― Beh, Kevin, allora io vado, non c’è altro da fare, i bagagli sono su ed è ora.
 
― Sì, vai, Arthur. Fa’ buon viaggio e dammi notizie,  mi raccomando. Anche di quella certa signorina che di sicuro non vedrai l’ora di rivedere, ahah!
 
Ma Arthur non rise, anzi buttò le braccia al collo dello zio trattenendo le lacrime:
 
― Ma tu mi mancherai da morire! Non te l’ho mai detto, ma … sei importante per me.
 
― Oddio, Arthur … Lo so, lo so! La mia famiglia siete voi ragazzi Butman, e tu mi hai sempre dato tanta gioia. Sono fiero di te! Anche i tuoi lo sarebbero, credo di avere l’autorità per dirlo … ― ora non riusciva più a parlare nemmeno lui.
 
Si separarono con gli occhi lucidi e Arthur s’imbarcò. Aveva un pensiero fisso: “Tornerò … con lei!”
 
E finalmente, Arthur rimise piede a Londra. Era partito in autunno andando verso l’estate australiana, l’aveva trascorsa quasi tutta lì e ora era di nuovo in Inghilterra con la bella stagione, e forse anche questo gli metteva allegria: tre estati di seguito! Riabbracciò il Conte (che come sempre, andò a prenderlo al porto e fu affettuosissimo) e si fece raccontare tutto di Georgie, poi incontrò Abel quando questi tornò dal lavoro, e si fece raccontare tutto anche da lui. A sua volta, parlò con abbondanza di dettagli dello zio Kevin e dell’Australia, della fattoria e dell’esito del suo incarico. Poi, parlarono degli amici inglesi: il figlio di Dick ed Emma, Joy che si era fidanzata col figlio di un droghiere …
 
― E … lei … Maria … Hai notizie?
 
― Veramente non l’ho vista, ma mi dicono che è molto impegnata a Corte. I Barnes avevano posta per te?
 
― Non sono in città, però non credo.
 
― Ci sei andato subito! Ti manca ancora come prima, eh?
 
― Sempre! Oh, va be’, nessuna nuova buona nuova, vuol dire che sta bene. Riuscirò a vederla, e presto! E tu … rivedere Georgie è stato difficile?
 
― No, per niente. Anzi, è stato bello rivederla, è la mia sorellina!
 
Sorellina, Abel? Ah, benone!
 
― Già! A proposito, ti saluta Maristella.
 
― Oh, l’hai conosciuta! E si è ricordata di me, che carina! Carina, vero?
 
― Sì … da sola, valeva il viaggio.
 
L’ottimismo dei ragazzi pareva giustificato dai successi ottenuti in paesi lontani e dal fatto che Arthur era tornato, finalmente, nella città dove viveva Maria. Ma Abel aveva una nuova brama segreta nel cuore, e passarono settimane senza che Arthur riuscisse a vedere Maria. C’era però un posto dove si potevano incontrare senza che nessuno si meravigliasse troppo: casa di Elisa! Certo, occorreva un’occasione perché Elisa e i Butman non si erano mai frequentati … Al ragazzo non sarebbe mai venuto in mente un modo per essere invitato lì, ma l’impensabile alla fine si verificò: la festa di fine primavera data dai genitori di Elisa. Stavolta, in giugno, si festeggiava l’inizio dell’estate, che comportava l’interruzione dei lavori delle Camere e la partenza della maggior parte della nobiltà per le dimore di campagna. I Barnes erano invitati, e mentre Rory chiese di poter accompagnare Becky (che Elisa ricordava con simpatia), Catherine riuscì a convincere Elisa a permetterle di portare Arthur.
 
La villa non era sconosciuta ad Arthur, che l’aveva vista ai tempi della sua prigionia, ma tornarci non gli faceva un effetto particolare: lui aveva in mente solo Maria, E poi, era con amici: scherzò con Rory, Becky e Catherine, ballò con la Baronessa Barnes, assaggiò l’aperitivo. Ad un certo punto, Catherine gli andò vicino e gli bisbigliò “è arrivata!”. Arthur mise giù il bicchiere e attraversò quasi di corsa la seconda sala, poi il salone delle danze e raggiunse il vestibolo presso  lo scalone, col cuore in gola. Maria gli apparve di spalle, mentre conversava con Elisa e con Charles Fenner, in un abito fucsia cangiante con accessori dorati (Becky aveva anticipato la moda l’anno prima, e ora il rosso vivo in tutte le sue varianti era il colore preferito dalle ragazze). La chiamò: “Maria …”, e lei si girò per incontrare il suo sguardo.


 
 Maria At 18 by Rubina1970

 
Il tempo non aveva cambiato il suo corso normale, come sembrò ad Arthur. Gli occhi di Maria parevano dirgli mille cose, ma lui non sapeva se era il suo stesso desiderio a fargliela apparire dolce ed emozionata. Le osservò il viso, e gli sembrò più adulta dell’ultima volta che l’aveva vista, più slanciata (effetto della danza), l’abito le donava eccezionalmente, ma lui si doveva trattenere: prenderla tra le braccia così non era possibile, e non poteva nemmeno tradire le proprie emozioni … come salutarla, dopo sei mesi?
 
In quei pochissimi secondi, anche Charles ebbe modo di osservare Maria, e gli sembrò che trattenesse il fiato. Ma anche lui ebbe un tuffo al cuore quando la sentì pronunciare quel nome: “Oh, Arthur!”
 
Il giovane Butman avanzò e la salutò con un baciamano formale, poi alzò il viso e conficcò di nuovo lo sguardo in quello di Maria, e allora Charles ebbe la conferma che era lui: i suoi occhi erano di quell’azzurro intenso, turchese, di cui Maria aveva parlato. Chi era? che c’era dietro tutto quanto?
 
― Ti trovo benissimo, Maria!
 
― Sto molto bene, grazie! Anche tu stai bene, hai … un bell’aspetto.
 
― Grazie … Se posso portarti via ai tuoi amici per un po’, vorresti … ballare questo ballo con me?
 
― Con piacere, sì! – la voce di Maria poteva apparire calma solo a chi non la conoscesse bene, ― Scusate.
 
La ragazza posò la mano sul suo braccio e seguì Arthur nell’imponente salone.
 
Catherine lo aveva seguito di corsa, e istintivamente Becky e Rory avevano fatto lo stesso, perché non era normale che Arthur girasse sui tacchi e partisse verso l’ingresso senza dire una parola di spiegazione. Ora, il loro stato d’animo era ben diverso da quello di Charles Fenner, che subito chiese a Elisa, con un tono di voce quasi rabbioso:
 
― Ma chi era quello?
 
― Come, non lo sai? Arthur Butman, lo sventurato che il defunto Duca mio zio si era preso in casa tre anni fa! O meglio, l’aveva rapito … Quell’australiano che si era fidanzato con mia cugina, era anche sui giornali! Non puoi non ricordare la sua testimonianza al processo, fu una catastrofe …
 
Charles trasalì: come aveva fatto a non ricollegare i fatti?! Il ragazzo con cui Maria era stata fidanzata anni prima, quello che era stato rapito dal padre e dal fratello di lei, aveva usato un nome falso, ma ne aveva anche uno vero, e lui l’aveva letto sul giornale! Che voleva? perché Maria forse era ancora infatuata, d’accordo, ma lui non doveva già essere sparito di nuovo nel buco oscuro da cui era venuto?! E non era neanche inglese!
 
Rory fece anche lui qualche domanda a Becky e Catherine, intanto che queste, visibilmente emozionate, seguivano a loro volta Arthur e Maria nel salone:
 
― Ah, zio, io non ti posso dire niente! È un grande segreto! – ma solo l’ingenuità di un’adolescente quale era Catherine poteva farle credere che questa frase non tradisse già il segreto, almeno in parte!
 
― Ah, io ufficialmente non so niente, Abel mi ha fatto promettere di stare zitta!
 
Rory aveva sentito abbastanza, e così come Charles (ma con sentimenti opposti) ora stava lavorando per indizi e osservazione, mentre guardava attentamente Arthur e Maria volteggiare con eleganza. Non occorreva essere degli indovini! Anche senza sentire quello che si dicevano, era evidente che i due giovani ballavano e si sorridevano, parlando pochissimo, ma senza staccare lo sguardo adorante l’uno dall’altro:
 
― Mi sei mancata …
 
― Anche tu! Ma dimmi, com’era l’Australia? Non la vedevi da tanto tempo!
 
― Ecco … hai presente Londra? tutto il contrario: era luminosa, profumata e calda!
 
― Meraviglioso!
 
― Tu l’ameresti, l’Australia! E lei amerebbe te … Ci verrai, un giorno, con me?
 
― Ma certo, amore mio!
 
Così, ballarono due danze di seguito.  Poi, cominciò un valzer, e allora Arthur chiese a Maria:
 
― A me sembra di volare, ma magari sei stanca. Vuoi che ci fermiamo?
 
― No, perché mi verranno a cercare altre persone, e non mi va.
 
E ripresero a ballare! Non potevano passare inosservati, andando avanti così, e allora Arthur decise che doveva far presto, ora che i conoscenti di Maria magari si erano distratti, e prima che la gente li notasse troppo. Molte coppie ballavano, e volteggiando in mezzo a loro, Arthur condusse Maria ad uno dei grandi finestroni, il più laterale di tutti. Con naturalezza, le prese la mano e uscì con lei sull’acciottolato verso il parco, poi si tolse dal fascio di luce e, addossandosi al muro, al buio, l’abbracciò e la baciò appassionatamente. E Maria rispose al suo bacio.


Carissimi lettori, niente di particolare da dire su questo capitolo, solo che ho infranto un tabù quando ho fatto sì che Abel non ami più Georgie, e ora, come avrete capito, sto per infrangerne un altro ...
Quello che mi spinge a scrivere questa nota è ben diverso: il mio pensiero e augurio va a tutti voi, che mi piace immaginare al sicuro, nelle vostre case, o a godervi le vostre belle vacanze senza pensieri. Spero stiate davvero tutti bene, che nessuno di voi sia stato toccato dai fatti orribili dell'ultima settimana. Ma non lo saprò mai, perché se qualcuno ha avuto dei problemi col terremoto, non si metterà certo a rispondere a queste parole. E allora, infiniti auguri a tutti: a quelli che recensiscono, a quelli che non lo fanno mai ma stanno leggendo, e a quelli che non leggeranno questa nota. Auguri di un po' di serenità, di tanto amore e di vivere giorni di festa, anche senza nessun motivo preciso per festeggiare. Io sono qui a scrivere storie dolci, la paura non mi è ancora passata del tutto ma qui a Roma, anche se le scosse si sono fatte sentire e sono state forti, non ci sono stati problemi. A parte il resto della vita (che va abbastanza a rotoli, come pare sia diventata la regola per me), proprio non mi permetto di lamentarmi.
E con la promessa di aggiornare abbastanza presto, vi abbraccio stretti tutti quanti e vi saluto fino alla prossima!
Rubina1970

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Capitolo 28
*** Onore ai cuori costanti ***


Erano sei mesi che non si vedevano. Si erano scritti lettere appassionate di nascosto, e ogni volta il desiderio di rivedersi e stare insieme ne veniva alimentato. Avevano atteso quella sera con ansia, e ora si stringevano senza remore perché finalmente erano da soli!
 
― Maria … Prestami il tuo respiro perché a me manca il fiato …
 
― Eccolo, mio caro! Prendi il mio respiro e baciami ancora …
 
E come poteva, Arthur, dire di no? Ma ben presto si dovette scuotere:
 
― Dobbiamo stare attenti, abbiamo solo un paio di minuti, non voglio che notino la tua assenza.
 
― Già, e potrebbe anche uscire qualcun altro …
 
― Oh, dimenticavo: a Sidney ti ho preso una cosa.
 
Arthur estrasse dalla tasca una scatola piatta, rettangolare, e la diede a Maria. La ragazza l’aprì con gli occhi che brillavano, e vide che conteneva un braccialetto d’argento lavorato:
 
― Certo, non è paragonabile ai gioielli che porti tu, ma contiene un messaggio inciso all’interno. Qui è buio, te lo dico io che c’è scritto: dice “A Maria mio solo amore. A.” …
 
― Oh, tesoro mio! Ma è bellissimo! Grazie, non sai quanto è importante per me! – Maria era commossa.
 
― Non è prudente che tu te lo metta ora. – Arthur aveva le guance in fiamme: ― Per adesso è meglio se lo tieni in tasca, poi magari, con le maniche lunghe … Mi ami?
 
― Sì, tanto, lo sai! Non potevo più stare un giorno senza vederti! Adesso non so proprio come farò fino alla prossima volta! – Bisbigliò Maria stringendosi a lui ancora di più.
 
― Sei dolcissima! Io morivo dal desiderio di baciarti, mi prudevano le labbra dall’inizio della serata!
 
― A me prudono anche adesso …
 
― Oh, devo rimediare! ― … e con tutto, la loro incoscienza non fu scoperta nemmeno allora. Appena staccò la bocca da quella di Maria, Arthur sospirò: ― Dobbiamo rientrare … e sembrare calmi!
 
― Allora sorridi, e balliamo!
 
E ballarono nuovamente.
 
Dopo un po’ successe quello che era inevitabile. Lady M. era presente a quella festa anche perché in politica accadono strane cose, e in quel momento era conveniente che gli avversari, cioè suo marito e il padre di Elisa, mostrassero di essere in rapporti più che civili, poiché nuove alleanze si stavano preparando. Questo non rendeva la dama più simpatica o meno classista. E proprio Lady M. li stava osservando.
 
― Non conosco il giovane con cui continua a ballare la Signorina Maria Dangering … Voi sapete chi è quel gentiluomo?
 
Lady Lucas le rispose prontamente:
 
― Ma non è un gentiluomo[1]! È proprio incredibile: quello è il ragazzo di cui era infatuata anni fa e che presentò a tutti come il suo fidanzato!
 
― Ah … Allora non capisco proprio che cosa intenda fare! È evidente che non impara nulla dagli errori! Già in passato l’aver aperto la sua casa a quel popolano ha dato risultati disastrosi per la sua famiglia, e ora … è davvero riprovevole. Farsi vedere in giro ancora con gente come lui, la figlia del defunto Duca in persona …
 
Una voce di ragazza, proprio vicino alle due signore, bassa ma non abbastanza per non essere udita da quelle dame:
 
― Oh, insomma! Sarebbe ora che certe stupide regole sociali venissero abolite, anche perché Arthur non aveva colpe per quello che gli hanno fatto i Dangering, e Maria è stata un angelo custode per lui. Ma certa gente proprio non cambia!
 
Becky con questo se ne andò dalla sala, precipitosamente e senza guardare dove andava, infilò un corridoio, e poi entrò in un salottino che aveva le luci spente, ed era illuminato solo dal riflesso che proveniva dai saloni della festa. Rory non l’aveva lasciata.
 
― Che rabbia, la vorrei ammazzare! Quella è la strega che mi ha apostrofato l’anno scorso, sempre in questa casa, ti ricordi? Non le piacevano i vestiti rossi! Ora, non le piace vedere una signorina importante che danza con un giovane gentile e rispettabile, che le è seriamente affezionato, ma non stanno facendo niente di male! E poi, hai visto come si amano? Separare due cuori uniti come i loro sarebbe una follia, una crudeltà inaudita e una sciocchezza. Maledette regole sociali!
 
― … Tu sei davvero diversa da questi nobiloni, per fortuna, e direi che non hai bisogno di loro!
 
― Che strano … quando sono arrivata qui dall’Australia, Abel mi ha detto che era naturale che questo ambiente mi accettasse, ma ora … non so se posso accettarlo io.
 
― Basta sopportarlo, come faccio io: non vuol dire accettarlo!
 
― Pensi che dovrei staccarmi dalla nobiltà inglese? Forse dovrò farlo. Oh, Rory, tu non sai: mio padre mi vuole riportare in Australia dopo l’estate! E io non so che fare …
 



Per Rory il colpo non poteva essere più grande!
 
Che cosa?!
 
― Sì. Noi abbiamo terre laggiù, i nostri affari australiani hanno bisogno di mio padre, e lo scopo del suo viaggio lo ha raggiunto. Ma io … non voglio! – Becky stava per piangere: – Non è per l’Inghilterra in sé …
 
Rory dovette sedersi, e Becky non si accorse che tremava.
 
― Dimmi la verità: c’è una possibilità che tu rimanga?
 
― Sì, ma non dipende da me. Rory … dammi tu un motivo per restare! Altrimenti andrò via, e non ti cercherò più, e lo capirò perché io non ti merito, sono stata cieca!
 
Il povero Rory sentì come se si fosse sentito soffocare e finalmente l’aria tornasse a rinfrescargli i polmoni! Si alzò di scatto, e seppe subito che cosa dire:
 
― Io non ho aspettato altro! Non ho mai chiesto altro che il tuo amore, e se hai pensato che i miei sentimenti siano cambiati è perché avevo deciso di non farti nessuna pressione, ma avrei aspettato ancora, se avessi dovuto, e invece … Rebecca: resta con me e diventa mia moglie! Io sono un ufficiale, e la mia vita la conosci, non è quella della gran nobiltà, ma io ti amo più che mai, e ti amerò sempre!
 
― Rory … sì! – alla fine, fu Becky che scoppiò in lacrime, e nel frattempo sorrideva.
 
Un attimo dopo, Rory l’aveva abbracciata, e delicatamente posava le sue labbra tremanti su quelle di Becky, che si sentiva felice come non le era mai capitato in vita sua. In effetti, le pareva che il cuore le dovesse scoppiare, alla fine lei non aveva mai permesso a nessuno di arrivarle così vicino, anche se era una ragazza molto richiesta. Nessuno l’aveva mai stretta così. Rory aveva un profumo che le piaceva e il suo bacio la stordiva di felicità …
 
Dopo aver baciato intensamente la sua amata, sempre senza smettere di tenerla stretta, Rory pensò che quello che aveva sentito non gli bastava:
 
― Becky, ma allora è vero! Veramente tu mi ami? – in effetti, nei mesi precedenti non aveva notato nessun cambiamento nell’atteggiamento di Becky verso di lui.
 
― Sì, ti amo tanto! Io … non te l’ho mai fatto capire, forse, ma è perché all’inizio non lo sapevo, e poi mi vergognavo di cercarti io dopo il modo in cui avevo accolto la tua prima proposta. E tu sei stato sempre tanto discreto che non mi sono capitate occasioni.
 
― Che poco romantico sono stato, eh? Povera Becky!
 
― Ma no, non è vero. “Romantico” è una parola alla moda, ma tanta gente la usa senza capire quello che è davvero importante. Tu hai un calore nascosto e sicuro, e me l’hai offerto sempre. Questo è romantico! Anche oggi, non mi hai lasciata sola un attimo, amore mio …
 
― Stasera sei stata ancora più meravigliosa che mai, capace di difendere la giustizia, l’amore, gli amici, in faccia a questa gente! Così mi piaci, io ho solo aspettato che tu capissi quello che volevi, che diventassi la persona che sei diventata. Non che prima non fossi meravigliosa, ma dovevi fare le tue scelte.
 
― E io scelgo te!
 
Nella penombra, Becky vedeva un luccichio limpido come il diamante negli occhi verdi di Rory, e lo trovava più bello e affascinante che mai. Rory sentiva dentro che tutta la solitudine e l’attesa incerta si scioglievano in un tepore sempre più dolce.
 
Nel salone grande, Arthur e Maria ad un certo punto dovettero proprio fermarsi, e si avviarono al buffet, dove furono raggiunti immediatamente da Becky e Rory. Fu quest’ultimo a chiamare Arthur, prima che loro li vedessero:
 
― Arthur? Facci gli auguri!
 
― Va bene, ma perché?
― In effetti, hai ragione, per ora li dovresti fare solo a me: domani vado a parlare col padre di Becky, e speriamo di piacergli!
 
Arthur spalancò gli occhi e si mise a ridere:
 
― NO! Ma auguri, allora! Che bella notizia! Maria, tu già li conosci, vero?
 
Già si conoscevano, Maria sorrideva in modo assolutamente raggiante, e fece loro gli auguri anche lei, poi i due cavalieri invitarono lei e Becky a sedersi: avrebbero provveduto loro a servirle. Arthur e Rory ebbero modo di scambiare due parole:
 
―Bravo Rory, così si fa! Sarete molto felici, io lo so. – Rory scoppiava di contentezza e sorrideva con gratitudine all’amico, ― Come vorrei fare come te …
 
Ecco, il tono di Arthur era cambiato, e anche Rory non poteva più sorridere come prima:
 
― Io sono Arthur Butman e sono davvero impresentabile per Lady Constancia Dangering. Me l’ha già detto.
 
― Oddio, mi dispiace … Ma allora, dopo stasera vi separerete?
 
― No. Tu sei un amico e di te mi fido, ma non dirlo a nessuno: ― Arthur bisbigliò, sicuro di essere coperto dal chiacchiericcio e dalla musica: ― se dopo la maggiore età di Maria, la famiglia ci ostacolerà ancora … le chiederò di fare quello che sarà necessario.
 
― Mi sembra un proposito ardito, ma ti capisco. Conta sul mio silenzio! Ma ora, secondo me, converrebbe che ballaste con altri per un po’: tu inviti Becky e io Maria, va bene? ― Arthur accettò ― … Comunque … che notte, eh?
 
― Sì, molto bella! – Rory aveva posto la domanda con tono ammiccante, e Arthur si sforzò di non ridere, ma gli brillavano gli occhi.
 
― Ma guardalo, malandrino, con quella sua aria angelica …
 
― Rory, che c’è, io non ho fatto niente di male!
 
Ridendo di gusto, i due amici tornarono dalle ragazze, ma non rimasero molto in quattro. Infatti, i conoscenti di Maria si avvicinarono, come lei aveva previsto, e la ragazza si limitò a presentarli alle sue conoscenze londinesi (dicendo di Arthur che era “un vecchio e caro amico”), poi Rory si precipitò a invitarla ballare. Lo stesso fece Arthur con Becky, e così la serata proseguì nel modo più piacevole per loro. Le Barnes erano addirittura in estasi e anche Elisa era abbastanza tranquilla.
 
Maria ballò una volta con Charles, ma era un ballo figurato con gruppi che si spostavano in modo complesso per la sala, e questo impedì che tra di loro ci fosse molta conversazione. Arthur, da parte sua, non riconobbe il nome di quel ragazzo, che aveva già sentito a Bath a proposito di un possibile fidanzamento con Maria.
 
Poi, dovettero dividersi. Arthur e Maria si salutarono prima in privato, con altri baci segreti e appassionati in giardino, e poi in pubblico (“arrivederci a presto”, “bellissima serata”, “grazie per la deliziosa compagnia”, ecc.).
 
Rory accompagnò Becky, in un viaggio che non poteva essere più dolce, con Rory che le teneva le mani e ogni tanto l’abbracciava per baciarla, e con l’impazienza del giorno dopo, quando Rory sarebbe andato a parlare col signor Clark.
 
Arthur salì nella carrozza dei Barnes, dove Catherine e sua madre non si fecero problemi a sommergerlo di domande e di esclamazioni esaltate davanti al Barone. Il ragazzo arrossiva ma rideva, e rispondeva (finché gli era possibile e mantenendo un certo pudore) alla loro curiosità.
 
Maria tornò a casa con Charles, e fu il viaggio più scomodo:
 
― Maria, sapete che io vi sono sempre vicino, e per questo mi sento di chiedervelo: chi era per voi il giovane con cui avete trascorso tutta la serata?
 
― Charles, io so che mi sei amico, ma perché mi fai domande di cui conosci già la risposta? Io mi ricordo di averti già parlato di lui la sera in cui parlammo di artisti e di pirati …
 
― Dunque non rispondete in modo diretto! Ma avete ragione, un’idea me la sono già fatta. Non pensate alla vostra reputazione? farvi vedere così tanto con lui, voi che siete una dama di Corte …
 
― Charlie: Arthur non intende cospirare contro il regno di Sua Maestà, non ha commesso nessun delitto, sono certa che non ha debiti né vizi e non risulta che abbia disonorato fanciulle. Vorrei che si potesse dire lo stesso della mia famiglia! Grazie, ma con lui la mia reputazione non è a rischio.
 
― Oh, Maria, ma che dite? Voi siete infinitamente superiore a lui! Ora mi vedo costretto a chiederlo, mi dispiace: dove eravate, quando nessuno vi ha visto, per più volte durante la serata?
 
Maria stava perdendo la pazienza, perché quest’ultima domanda era davvero troppo indiscreta!
 
― Ad incipriarmi il naso.

― Ah, sì? Col vostro amico?
 
Maria fece una smorfia sostenuta prima di rispondere:
 
― Al lavabo delle signore lui non c’era di sicuro!
 
― Non siete sincera con me! Non era mai accaduto prima … Ma io so che anche lui era sparito!
 
― Mi risulta che occasionalmente anche i gentiluomini usino la toilette! Senti, basta così, stai esagerando!
 
― Mi dispiace, forse non avrei dovuto. Sono solo preoccupato: ora potete rispondere come volete, ma non vorrei che vi trovaste in una situazione ben più stringente, a dover dare spiegazioni difficili. Io … ci tengo moltissimo, a voi.
 
― Grazie della tua attenzione, Charles. Ma io ho un cuore solo e devo seguirlo …
 
Ci fu un momento di silenzio. Maria si chiese ancora una volta se non ci fosse altro dietro la “curiosità” di Charles, ma sperava che comunque quell’ultima frase che gli aveva detto fosse interpretata come un “no” definitivo da lui. Poi, le venne un altro pensiero, molto più angosciante:
 
― Senti … Visto che hai tante premure nei miei riguardi, ce n’è una che vorrei chiederti: mi piacerebbe che non parlassi con mia zia della presenza di Arthur alla festa. Non credo che gliene parlerà mia cugina, e io preferirei che non lo sapesse. Deve stare tranquilla, lo sai che non sta molto bene.
 
― Vedo che Lady Dangering ha un atteggiamento più … razionale di voi, riguardo a questo giovane.
 
Maria si offese:
 
― Sì. E non le piacciono neanche i consumatori d’assenzio. Ma io mantengo sempre i segreti degli altri. – Maria si detestò per quello che aveva detto: era un ricatto nei confronti del suo unico amico, ma in quel momento le pareva di non potersi fidare di lui, perché temeva la gelosia che poteva provare.
 
― Maria … ma noi siamo amici!
 
― Hai ragione, scusami. Non parliamone più, va bene? Stasera … è andata così perché sono molto stanca, ho ballato troppo e ora mi sono preoccupata anche per la salute di mia zia.
 
― La salute di Milady sta a cuore a tutti e due, non preoccupatevi.
 
E così, quella notte eccezionale finì.
 
Il giorno dopo, due cose singolari successero. La prima fu che Rebecca Margaret Clark si fidanzò col capitano Robert James Senyon Barnes. La seconda fu la lettera anonima recapitata nel pomeriggio alla Contessa Dangering:
 
Milady, fate attenzione: vostra nipote rischia di cadere preda di un volgare arrampicatore sociale australiano.

da qualcuno che vi apprezza
 

[1] Finora, la parola “gentiluomo” è stata usata nel senso attuale, ma allora in Inghilterra si riferiva ad un nobile, o almeno a chi fosse proprietario di una rendita e quindi non dovesse lavorare.



Aggiornamento velocissimo, stavolta, perché sto correndo anche con la scrittura. Temo infatti che nelle prossime settimane i miei impegni aumentino molto e allora mi ritroverò a tardare molto come lo scorso inverno.
Importantissimo, sulla fanart: è un regalo di compleanno dell'adorabile Arielle, autrice anche di Arthur che gioca con la farfalla, che avete visto in un vecchio capitolo, e di altre immagini del nostro caro ragazzo, come questa. Non è dolce?
E ora, buon divertimento coi nostri eroi e felicissimo settembre. A presto e grazie a tutti!

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Capitolo 29
*** Con le migliori intenzioni ***


La dama prese delle contromisure, ma con discrezione: si era fatta l’idea che insistere con Maria sul divieto di frequentare Arthur Butman poteva essere controproducente, perché una ragazza della sua età poteva intestardirsi proprio a causa di un divieto. Così non ne parlò affatto con lei, ma si rivolse direttamente alla Regina, chiedendo il favore personale di un invito che portasse Maria a Balmoral per l’estate, e il favore le venne accordato.
 
La mossa successiva fu di parlare con Charles Fenner, recandosi di persona a casa sua:
 
― Signor Fenner, ho deciso di vederla senza avvisare Maria di questo perché mi è arrivata una voce allarmante. Ma voglio sapere prima di tutto una cosa: quali sono i suoi sentimenti verso Maria?
 
― Milady …
 
― Lo so che la mia domanda può sembrare inopportuna, ma ho l’impressione che lei stia temporeggiando e devo capire il motivo di questa mancanza d’iniziativa. Se non ha intenzione di farsi avanti per chiedere la sua mano, per piacere lo dica subito.
 
― No, non è vero! io desidero sposare Maria! Ma sto rimandando perché mi pare che lei non sia del tutto pronta … ― Charles era nato per la politica, e non disse certo che Maria non era d’accordo, ma solo che forse non era ancora il momento!
 
― Beh, ma faccia qualcosa! Come forse saprà, Maria si avvicina alla maggiore età. Ora, come forse non saprà, c’è un testamento redatto dal mio defunto fratello, che la rende unica erede del titolo e delle proprietà a patto che si sposi non prima dei diciotto anni e con un uomo adeguato. Il momento si avvicina! Perché Maria diventi Duchessa, non basta che non si sposi fino ai diciotto, ma bisogna anche aspettare che si sposi, per essere certi che lo faccia nel modo migliore. Ma sono venuta a conoscenza … ― la voce della dama si fece molto grave – del fatto che Maria è insidiata da qualcuno. Mi dica: lei è al corrente di questo?
 
― Io … a che si riferisce, Signora Contessa?
 
― Non lo sa? Bene, io non voglio che ci siano sorprese per lei, e quindi glielo dirò: un giovane assolutamente non adatto a lei per condizione sociale. Temo che Maria, giovane com’è, se lasciata a se stessa possa commettere un errore. Ma  il tempo è a nostro favore, perché sua Maestà ha richiesto la sua presenza a Balmoral. Anche lei, Charles, dovrà trascorrere l’estate lì. La corteggi! La salvi! Se davvero la vuole …
 
― Sì! Sì, Milady! – Charles non stava nella pelle, aveva avuto un’opportunità che non poteva assolutamente perdere, ma gli rimaneva un dubbio: ― Solo, se lei … se amasse davvero quella persona?
 
― Non lasci niente d’intentato, Charles. Vede, quel giovane è la persona più pericolosa che ci sia per lei, perché … quello che le ho detto non è tutto. Ecco, si tratta proprio della stessa persona che mio fratello e mio nipote imprigionarono in casa, dopo averlo ferito, e che riuscì a salvarsi in modo così tumultuoso che Arwin ne rimase ucciso! E se per tutto questo tempo egli avesse nutrito un desiderio di vendetta sulla nostra famiglia? Se volesse circuire Maria solo per indurla in una trappola che la rovini per sempre? Non dimentichiamo che lui dichiarò che il finto fidanzamento con Maria era un’imposizione, che lui non l’aveva mai voluto.
 
― Intesi, Signora Contessa. Lo considero un privilegio, grazie di aver pensato a me. E la prima cosa che farò sarà parlare con quell’individuo, se voi siete d’accordo: per il vostro nome, non sarebbe bene per voi esporvi a farlo personalmente, ma se mi date l’autorità di presentarmi come colui che sta per fidanzarsi con Maria in accordo con la famiglia …
 
― No, mi dispiace ma nel suo caso questo non sarebbe utile. Il fatto che più mi preoccupa, vede … – Lady Constancia abbassò la testa e lo sguardo e si passò una mano sulla fronte preoccupata: ― Quel giovane continua ad avere rapporti stretti con la famiglia Gerard, è praticamente il pupillo del Conte. Se pensassi che parlare col ragazzo fosse opportuno, potrei facilmente far valere la mia posizione personale, ma non dimentichi che non è un gentiluomo e che la cosa più probabile è che sia istigato da Gerard. Dopo quello che gli è successo a causa di mio fratello maggiore, non so fino a che punto si potrebbe spingere il suo odio, potrebbe essere diventato davvero un uomo senza scrupoli e senza onore, anche se forse un tempo non lo era. Gerard potrebbe considerare un mio o suo intervento come un segno di debolezza da parte mia, e l’effetto potrebbe essere quello d’indurli a cogliere l’occasione, forzando le cose fino al punto di cercare di allontanarla da me e dalla sua casa!
 
Charles tratteneva quasi il fiato, e intanto pensava ad Arthur che ballava con Maria alla festa da Elisa: strano che fosse stato ammesso lì, se era così pericoloso per i Dangering. Forse era davvero dell’idea di sposarla, e allora non sarebbe stato tanto facile indurre Maria a respingerlo e prendere il suo posto. Ma finché Lady Constancia assecondava la propria avversione per lui, Charles se ne avvantaggiava, ora era praticamente il promesso di Maria, anche all’insaputa di quest’ultima … perfino contro la sua volontà! Adesso aveva avuto carta bianca con lei, oltre le sue speranze.
 
― Signor Fenner … Maria è l’unica cosa che conta per me, e che cosa accadrebbe se quell’uomo la inducesse ad un’imprudenza e poi l’abbandonasse? L’onore di Maria potrebbe essere in pericolo, potrebbe perdere non solo il titolo ma anche quella rispettabilità che ora il nome dei Dangering sta recuperando. Solo che per una ragazza, in questi casi, poi non c’è più modo di recuperare. E dei suoi sentimenti, poi, non parliamone nemmeno, ne soffrirebbe moltissimo! Oh, io li conosco, questi bell’imbusti che non si fanno sfuggire l’occasione di rovinare la vita ad una fanciulla innocente! Anche nel migliore dei casi, se volesse sposarla, sarebbe solo un profittatore che mira alla sua fortuna e al suo prestigio, ben oltre il posto che gli spetta. Per il bene di Maria, non lasci niente d’intentato, Charles!
 
Lady Constancia fece ritorno a casa immersa in pensieri cupi: non si sentiva tranquilla, pensava che non aveva nemmeno chiesto a Fenner se amasse veramente Maria o no, piuttosto gliel’aveva praticamente offerta in un modo che avrebbe spinto qualunque giovane del suo rango ad accettare. Ma pensava anche ai rischi corsi dalla ragazza per salvare Arthur quando era ancora giovanissima: all’amore incondizionato che doveva aver provato per lui, si accompagnava inevitabilmente il rischio che Maria fosse ancora facilmente manovrabile da un individuo che non poteva dare nessun affidamento. No, troppo pericoloso, lasciar perdere non era pensabile! Per il suo bene, solo per il suo bene … ma forse avrebbe sofferto; il risveglio dai sogni sarebbe stato doloroso, se era ancora innamorata. Ma sarebbe ben più doloroso essere sedotta e poi abbandonata da quel soggetto. Meglio lasciar fare a Fenner: sapeva rallegrarla, l’avrebbe distratta, aveva tutta l’estate. Per ora l’importante era che Maria non sapesse che dietro la partenza per Balmoral c’era il suo intervento mirato ad allontanarla dal pupillo di Gerard. Forse, dopo l’estate, accettarlo sarebbe stato più facile anche per lei.
 
― Oh, ciao, zia, sei tornata! Guarda, è appena arrivato un invito a Balmoral: la Regina vuole che vada con la famiglia Reale! Non ne ho una gran voglia, già mi sono dovuta presentare a Corte tutto l’anno … Certo, però, che questo permette di accorciare di un paio di mesi il mio anno di servizio.[1]
 
― Maria, non essere sciocca! E soprattutto non essere ingrata: è un grande onore che Sua Maestà ti fa, e tu dovresti sapere quali sono i tuoi doveri!
 
― Lo so, sì … Zia, ma stai bene? Hai un’aria stanca, mi fai preoccupare!
 
― No, cara, non devi … Non è proprio nulla. – il sorriso della dama era forzato – Anche a me dispiace che tu debba partire, no? E poi, avverto solo un po’ di stanchezza, di cui tu non devi darti pensiero. Con tutto quello a cui dovresti pensare, la tua partenza è prossima … allegra, bambina!
 
Ma il giorno dopo, giusto per scrupolo, fu chiamato il medico.
 
Nei giorni seguenti, sembrava che il tempo avesse accelerato il suo ritmo, perché la voglia di stare insieme di Arthur e Maria si scontrava con l’avvicinarsi del momento della loro separazione. Maria era tenuta d’occhio molto più strettamente del solito da sua zia, con la scusa dei laboriosi preparativi della partenza, e non aveva mezza giornata da poter rubare per stare con lui come l’autunno precedente. Poté solo promettergli che, un dato pomeriggio, sarebbe uscita in giardino per un po’ di tempo e avrebbe fatto quattro passi: sarebbe sgattaiolata fuori per qualche minuto, perché era troppo pericoloso che Arthur s’introducesse nella villa, e al ritorno si sarebbe giustificata dicendo di aver voluto solo fare il giro dell’isolato, per distrarsi un po’.
 
Le giornate erano lunghissime, e c’era ancora un bel sole quando Maria finalmente uscì come una ladra da casa sua per fare “il giro dell’isolato”! Dietro l’angolo, naturalmente, Arthur non aspettava che lei. Senza saperlo, s’infilarono nello stesso vicolo dove Georgie e Abel si erano rifugiati durante il loro appostamento, anni prima:
 
― Maria, qui finalmente posso abbracciarti … ― Arthur la strinse a sé e chiuse gli occhi: ― Rimani così solo un momento, ti prego!
 
Maria non parlava, e intanto abbracciava Arthur abbandonandosi a quello che provava. Si sentiva vibrare di passione, tra le braccia del suo amato, e al tempo stesso era dolorosamente cosciente dell’urgenza di separarsi di nuovo. Non voleva piangere, perché non poteva permettersi nemmeno quello, ma era molto difficile trattenersi se lui continuava a stringerla così.
 
― Io … starò via meno di quando sei partito per l’Australia … questo è l’unico pensiero che mi ha permesso di controllarmi, in questi giorni, ma se continui così mi farai piangere!...
 
― Piangere, oh, no! – Arthur si staccò da lei con gli occhi lucidi, per evitare che l’emozione la sopraffacesse: ― Non sia mai che io faccia bagnare i tuoi occhi meravigliosi! Hai ragione, l’estate passa presto, specialmente in Inghilterra …
 
Le baciò entrambe le mani, e cercò di sorridere:
 
― Niente regali, stavolta, darebbero nell’occhio. Ma io ho sempre la tua ciocca di capelli, sai? L’ho mostrata anche allo zio Kevin, di cui ti ho tanto parlato … Mi ha detto che ci faremo la nostra vita, noi due.
 
― Io ho il tuo braccialetto, ma non mi servono segni esteriori per sapere che mi ami e che io ti amo!
 
― Sei molto più forte di me … La nostra storia è piena di addii, e tu sei sempre la più forte. Anche adesso, io non vorrei lasciarti andare!
 
Maria gli accarezzò una guancia. Arthur si sforzava di registrare nella mente ogni momento, per poterlo rivivere nel ricordo quando lei fosse stata lontana, e chiuse gli occhi per assaporare il tepore e la morbidezza della sua mano sul viso.
 
― Nemmeno io vorrei andare, tesoro mio! Ma devo … Guarda che mi tocca fare, sotterfugi a non finire solo per poterti vedere un minuto! Ma ne vale sempre la pena …
 
Arthur si guardò un momento intorno, poi la baciò col cuore in gola, mentre Maria lo stringeva tra le braccia. Fu un bacio breve, a paragone di quelli che si erano scambiati alla festa, ma non era certo meno ardente.
 
Poi, si affacciarono dal vicolo, ne uscirono, Arthur poté accompagnare Maria solo all’angolo della casa dove si fermò tenendola per mano. Non si salutarono, si limitarono a guardarsi mentre Maria riprendeva lentamente a camminare e le loro mani inevitabilmente si staccavano. La ragazza si girò, abbassò lo sguardo ed entrò dal cancello con passo sicuro, pronta ad affrontare la finzione che l’attendeva. Arthur preferì allontanarsi quasi di corsa, senza girarsi a guardare né la casa né il vicolo, sperando in questo modo di dominarsi meglio. Lo stesso vicolo che era stato testimone del pianto dirotto di suo fratello, ai tempi della sua crudele prigionia, rimaneva dietro di lui, ma lui l’avrebbe ricordato per un abbraccio, una carezza e un bacio.

 
 
 
 

***
 
 
“Cari Abel e Arthur,
 
come state? Io sto molto bene, stiamo tutti bene e l’estate qui è magnifica. I bambini mi assorbono molto, ma per fortuna non sono sola, e poi Lowell sta spesso con sua figlia, quando io mi devo occupare di Adam. Lowell è un papà meraviglioso, Abel l’ha visto: legge fiabe a Sophia, raccoglie conchiglie per lei e poi gliele mostra una a una come grandi tesori … Papà era proprio così, ricordate? Quanto mi manca, povero papà … Lui ci ha dato tanta forza, con la sua dolcezza. Come sarebbe stato bello se anche mio padre avesse potuto fare lo stesso con me! Ma gli scriverò una lettera a parte, per convincerlo a tornare presto, così si godrà di più i nipotini.
 
E voi, quando tornerete? Arthur, Lowell dice che gli mancano le vostre nuotate, e lo capisco, quant’è che non facciamo un tuffo insieme come ai vecchi tempi? Oh, sì, manchi anche a me, a tutti, non solo a Lowell. E anche tu, Abel, sei sempre nei nostri pensieri.”
 
Georgie alzò la penna e si rivolse a Maristella, che era proprio lì vicino e leggeva il giornale:
 
― Posso scrivere ad Abel che ci manca e nominare te?
 
― No. – Maristella alzò un momento lo sguardo da dietro il foglio, e guardò Georgie accigliata: ― Sennò si monta la testa.
 
― AHAHA! Va bene! – Georgie prendeva in giro Maristella, ma in realtà le stavano molto a cuore i suoi sentimenti, e cercava di comprenderli meglio.
 
Ma la prima lettera che arrivò, il giorno dopo, non era dei due ragazzi, e l’atmosfera fu ben diversa:
 
― Che cara, Maria! Mi dispiace da morire per lei e per Arthur …
 
― Succede qualcosa di brutto ad Arthur? – a chiedere era Maristella, seduta a ricamare vicino a Georgie mentre questa leggeva la posta.
 
― Sì: deve separarsi ancora dalla sua amata. Sai, il loro è un amore segreto, ma un grande amore! Le parole sono così belle che te le voglio leggere, spero di non mancare di discrezione: “Fa così male, che se il nostro amore non fosse una forza viva e più grande di noi due, direi che è tutta una follia continuare a torturarsi con la lontananza. Se non lo amassi così, e se non sapessi che lui mi ama come mi ama, gli direi di rinunciare. Ma non posso: sarebbe come strapparmi il cuore e strapparlo a lui. Dobbiamo essere saldi, non c’è altro scampo. Forse un giorno il mondo accetterà il fatto che siamo solo due persone che si amano.”[2]
 
Maristella aveva completamente dimenticato il ricamo, e ascoltava Georgie rapita. Di colpo, abbasso lo sguardo, e fece la domanda che le opprimeva il cuore da settimane:
 
― E tu, Georgie, che ne pensi? Ha senso amare qualcuno che vive lontano?
 
― Io … non lo so.
 
― Non lo sai? Davvero? – la delusione sul viso di Maristella! Ma come, Georgie aveva attraversato l’oceano da sola, si era ricongiunta a Lowell, era fuggita con lui, l’aveva dovuto lasciare, poi l’aveva ritrovato e sposato, e ora “non lo sapeva”?!
 
― Maristella, io non me la sento di dirti che ci credo, che l’amore è più importante di tutto. Quando Lowell stava male, io stessa ho dovuto staccarmi da lui con l’idea di non rivederlo mai più. Ma non è solo questo: ho paura che tu pensi a qualcuno, se mi chiedi questo, e io non voglio incoraggiarti.
 
― Oh, Georgie … ma perché? Io credevo che …
 
― Tu non me l’hai mai detto, ma io l’ho capito, sai? Abel è un ragazzo eccezionale, e tu sei una ragazza speciale, io sarei felice se voi due … Mia cara, tesoro: ti voglio troppo bene per vederti soffrire, devo metterti in guardia! Conosci i suoi sentimenti? Sai se anche lui prova per te quello che provi tu?
 
― Veramente … no.
 
― Io so una cosa: una volta mi amava intensamente. Devi saperlo, e mi dispiace, ma è meglio subito che dopo. Era talmente innamorato che mi ha seguito di corsa dall’Australia, convinto di sposarmi non appena mi avesse trovato. Quando gli dissi che amavo Lowell, l’ho visto disperato. Anche se io non lo capivo perché per anni ho creduto che fosse mio fratello, in realtà chissà da quanto tempo mi amava. Ora, non so che cosa prova, ma se non ti ama allo stesso modo in cui ha amato me, allora non ti ama.
 
― Sì … ho capito … grazie. – poi, Maristella scoppiò in lacrime, e non disse altro.
 
Quella sera, però, mentre Georgie si chiedeva se non era stata troppo dura con la sua sincera e inesperta amica, Maristella ripensava alle parole di Maria: “se non lo amassi così … e non sapessi che lui mi ama come mi ama …”. Il secondo dei due elementi del discorso (riferito però ad Abel) era quello discusso con Georgie: Abel chi amava? e se il suo amore del passato era stato tanto forte, e anche ammesso che provasse qualche cosa per lei ora, come amava, in un modo altrettanto totale o no? Maristella non poteva darsi una risposta, e si rigirava nel letto inutilmente. Ripensava ai suoi occhi blu, che dietro intelligenza e maturità nascondevano una fiamma pronta a divampare … Lui l’aveva protetta, e il suo sguardo si era infuocato, quando i tre giovani nullafacenti l’avevano fermata per la strada. Una strana cupezza aveva attraversato i suoi occhi quando lei non gli aveva voluto riferire le parole di Pasca’. Era forse gelosia? o era lei che voleva che lo fosse? C’era stata anche tanta dolcezza, in quello sguardo, durante i viaggi in carrozza e le passeggiate con lei, e poi, quel momento in cui erano stati da soli, un solo lume acceso nella stanza, e lui si era avvicinato per pulirle la guancia dalla fuliggine: al pensiero, il cuore le si scioglieva nel petto. Lui ammirava la sua bellezza, gliel’aveva detto chiaramente, ma questo non lo distingueva dalla maggior parte degli uomini da lei incontrati.
 
E allora, si chiese come mai, se soffriva così pensando ad Abel, non poteva semplicemente smettere di pensarci. No, non poteva e non voleva! Voleva che lui provasse per lei quello stesso sentimento intenso e irresistibile che Georgie le aveva descritto. Alla fine, chi era capace di tanto amore, poteva anche amare ancora così, era nella sua natura. Il primo termine del discorso di Maria riguardava lei, Maristella: “se non lo amassi così”. La ragazza capì che lo amava … che anche lei amava Abel così, come Maria aveva detto! Rimase un momento in contemplazione del suo ricordo di lui, della bellezza che risplendeva su quel viso, e decise che lo avrebbe amato lo stesso. Avrebbe sofferto, molto probabilmente, ma forse aveva una speranza, e per ora le sarebbe bastata quella. Sperava che l’avrebbe rivisto, e che forse allora lui si sarebbe dichiarato. Il pensiero più bello che le avesse mai attraversato la mente, non poteva aspettare! E non sapeva nemmeno se quel momento sarebbe mai arrivato …
 

[1] Maria aveva cominciato a prestare servizio a Corte in settembre. Ho immaginato che le ragazze di certe famiglie dovessero servire come dame della regina per un anno prima della maggiore età, ma i due mesi di ferie della famiglia reale non contavano perché erano mesi liberi anche per le dame. Quindi l’anno sarebbe ripreso in settembre per durare ancora fino a novembre e completare così i dodici mesi. Dopo di che, volendo, Maria avrebbe potuto fare la domanda per restare a servizio come dama di Corte stabile.
[2] Per soddisfare la possibile curiosità dei lettori, si riporta la lettera di Maria per intero:
“Cara Georgie,
ti scrivo perché ho bisogno di sfogarmi e tu mi conosci così bene che sono certa che  mi capirai. Oggi ho avuto la notizia: dovrò partire per Balmoral la settimana prossima e restarci tutta l’estate, la famiglia reale ha deciso così. Sembrerebbe una bella notizia, e mia zia mi esorta alla gratitudine, ma io riesco a pensare solo al fatto che appena due giorni fa ho potuto rivedere Arthur dopo tanti mesi, e ora ci separeremo di nuovo. Ho una voglia tremenda di rompere qualche cosa, di piangere, di prendermela con qualcuno, e invece devo sembrare calma!
Tu sai quanto mi è caro! Se tu ci fossi stata, amica mia, a quella festa da Elisa! Abbiamo ballato tanto, io e lui. Mi ha sorriso tutto il tempo, non era mai stato così bello prima d’ora, e quando mi stringe tra le braccia mi fa tremare dentro! E ora, dovrò dirglielo, e dovrò di nuovo nascondere a tutti gli altri il dolore di sapere che non lo rivedrò per dei mesi. Fa così male, che se il nostro amore non fosse una forza viva e più grande di noi due, direi che è tutta una follia continuare a torturarsi con la lontananza. Se non lo amassi così, e se non sapessi che lui mi ama come mi ama, gli direi di rinunciare. Ma non posso: sarebbe come strapparmi il cuore e strapparlo a lui. Dobbiamo essere saldi, non c’è altro scampo. Forse un giorno il mondo accetterà il fatto che siamo solo due persone che si amano.
Quando puoi, dammi tue notizie. La tua ultima lettera mi ha dato tanta gioia! E abbiamo parlato di te anche con Arthur, anche se le sue notizie non erano di prima mano. Se Abel fosse stato presente alla festa, gli avrei chiesto di te direttamente. Arthur mi dice che il viaggio a Ischia gli ha fatto eccezionalmente bene, a quanto pare Ischia fa bene a tutti!
Grazie di aver ascoltato il mio cuore, e abbi cura di te
Con grandissimo affetto
Maria D. Dangering”




Non credo di avere molto da aggiungere, se non che la fanart è in parte un ritratto di una persona reale. Gli occhi, infatti, sono di un attore e cantante che ha impersonato proprio lui! Esiste infatti, da poco, il musical di Georgie, che forse qualcun altro di vio avrà visto durante le date romane a maggio. Lo spettacolo è bellissimo, mi sono pure comprata il cd, ed è in previsione una data a Gallarate (la prevendita inizierà a breve). E lui è Dario Inserra, bravissimo e con uno sguardo magnetico, e la foto da me presa a modello è proprio quella ufficiale del suo profilo Facebook.
Questa storia procede e spero proprio di aggiornare presto. E sono felicissima di tutti i vostri commenti, l'appoggio che mi date è un grandissimo stimolo a continuare. Grazie a tutti, davvero!

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Capitolo 30
*** La ragnatela ***


La famiglia reale si stabilì a Balmoral per le vacanze, e con lei Maria Daphne Dangering, dama di compagnia della Regina. E dopo qualche giorno, come previsto, partì Charles Fenner. Quando l’andò a trovare, fu per Maria una piacevole sorpresa: gli andò incontro sorridendo, nel salottino dov’era stato fatto accomodare, all’interno della zona degli ospiti della residenza estiva della famiglia reale:
 
― Charlie! Qual buon vento, non ti aspettavo!
 
― Maria! Potevo stare a lungo lontano da voi, nella deserta Londra, privata della sua luce? – Maria rise, Charles le baciò la mano, si sedettero: ― Volevo sapere se state bene e se siete serena, dovendo restare qui.
 
― Si, grazie, sto bene e … sono serena, come dici tu. Perché non dovrei?
 
― Ah, dunque … Non sapete nulla. Ecco, ho sbagliato, evidentemente vostra zia non voleva farvi stare in pena.
 
― Che succede?
 
― … Ormai non posso nascondervelo. Vostra zia, il suo cuore … lo sapete già. Oh, il medico dice che fintanto che non si agita , non c’è nulla di cui preoccuparsi, ma Lady Constancia è molto provata.
 
― Oh, no! – Maria si alzò – Devo tornare subito …
 
― No, no, assolutamente! Proprio questo voleva evitare Sua Eccellenza, sono sicuro, che voi interrompeste la vostra permanenza qui! – Maria si risedette – Questa non è una vacanza, lo sapete bene, non potete partire senza scontentare sua Maestà, e poi ve l’ho appena detto: vostra zia non deve assolutamente agitarsi. Tanto vale che facciate finta di non sapere niente, sarà meglio, perché così le risparmierete anche il disturbo di decidere se dirvi la verità o mentirvi.
 
― Ma … dici? Forse, se spiegassi alla Regina …
 
― Ma poi dovreste presentarvi a vostra zia, che non ne sarebbe per niente contenta! Lo so di chiedervi molto, ma la cosa da fare ora è restare ben salda al vostro posto, perché questo le darà conforto. E posso anche suggerire di non chiedere notizie al medico di famiglia? Se vi dicesse la verità, confermerebbe quello che vi ho detto io, non ne sapreste di più, ma non potreste più fingere di non sapere che vostra zia non sta bene. Vi sentireste in dovere di tornare, e lei ne soffrirebbe. E se Lady Constancia preferisce tenervi all’oscuro, non potreste comunque fidarvi di quello che vi dovesse dire il medico, se per esempio scrivesse che non c’è nulla di cui preoccuparsi.
 
― Oddio, ma così non saprò davvero nulla!
 
― Ma ci sono io! Io posso andare periodicamente a Londra e accertarmi della salute di Milady! Non siete sola, Maria … Ora dovete essere forte, essere all’altezza del prestigio dei Dangering per la famiglia, ma non dovete portare il fardello da sola: io non vi abbandonerò!
 
― Grazie, Charlie … Sì, forse hai ragione, mia zia ci tiene tanto … Mi sento più tranquilla, ora, ma tu almeno dimmi sempre tutto di come sta …
 
Quella sera stessa, Maria scrisse una lettera falsamente serena a sua zia, informandosi anche sulla sua salute, in un modo che non sembrasse allarmato. E sua zia, naturalmente, rispose che non doveva assolutamente stare in pensiero. E Charles Fenner rimase a Balmoral tutta l’estate, salvo sporadici viaggi a Londra di uno o due giorni.
 
 
***
 
 
Quell’estate tremenda lentamente passava. Abel e Arthur dovettero affidare l’ufficio a Brandon (oramai perfettamente efficiente) e precipitarsi a Liverpool per quasi due mesi: un grave incendio aveva colpito una parte dell’area portuale, e bisognava valutare i danni al cantiere, vedere come salvare gli affari coi fornitori e i clienti per prendere tempo e tamponare le perdite, riorganizzare il personale ora che il cantiere era semidistrutto e, specialmente, ricostruirlo.
 
Alla fine di agosto, il caldo fece scoppiare un’epidemia a Napoli: il colera, endemico in quelle zone. La notizia arrivò rapidissima a Ischia, e subito furono organizzati trasporti alternativi per rifornimenti e spostamenti, che non passassero dalla zona partenopea, ma addirittura da Gaeta e da Sorrento! Tale misura naturalmente serviva ad evitare il contagio, e Lowell se ne interessò di persona. Ma quando l’ingranaggio dimostrò di funzionare, e lui avrebbe potuto tornare a fare la vita del tranquillo benestante, invece prese Georgie da parte e la informò di una difficile decisione:
 
― Amore mio, ci ho pensato, e temo di doverti dare un dolore. Io sono un uomo, non sono più il ragazzino fragile di una volta, lo sai, vero?
 
― Lowell, tu mi spaventi …
 
― No, non spaventarti. Si tratta dell’epidemia: io devo molto a questa gente, e mi sono già preparato alle emergenze col terremoto. Non posso starmene a guardare, devo rendermi utile … sulla terraferma.
 
― Ma … e se ti ammali?
 
― Georgie, lo so, non credere. Ma io sono un uomo. Non posso ignorare la sofferenza dei miei simili quando questi sono così vicini, io che ho avuto tutto dalla vita. Mi sentirei come se scappassi. Quando stavo male, e potevo aver preso la tisi, tu mi sei stata vicina, eppure lo sanno tutti quant’è contagiosa. Perfino una ragazza come Elisa si è data da fare! Non posso stare a guardare, sei tu che sei indispensabile ogni momento per i bambini, ma per me è diverso. Tornerò presto.
 
Georgie non riuscì a piangere. Ammirava Lowell, ma avrebbe voluto anche dirgliene quattro, perché lui era “indispensabile ogni momento” per lei e per i bambini. Ma non riuscì nemmeno a parlare per dire che a volersi mettere in gioco così, secondo lei, non dimostrava altruismo, ma solo incoscienza … e una certa incapacità di pensare a lei. Non riuscì a dirglielo perché si vergognava a chiedere qualche cosa per sé: non l’aveva mai fatto! In vita sua, non aveva mai pensato che un altro dovesse cambiare un suo piano per lei, non aveva mai chiesto di essere considerata prima di altri, non sapeva reclamare attenzione. Lasciò che lui l’abbracciasse restando impietrita. Quella sera, invece, a letto al buio, pianse a lungo, mentre Lowell cercava in tutti i modi di confortarla. Pianse, ma non disse una parola per farlo restare.
 
Lowell partì, lasciando Georgie con la promessa di essere prudente e tornare presto (ma sapeva che doveva aspettare la fine dei contagi prima di poter dire di non essere pericoloso, lasciare la città e tornare dalla moglie e dai figli). Napoli era una città molto grande, e all’inizio il contagio era limitato ad alcuni quartieri. Poi, un po’ alla volta si propagò. Il caldo umido unito alla mancanza di piogge e di ventilazione rinforzava l’epidemia, impedendo all’aria di pulirsi. Le condizioni di vita difficili (per non dire tremende) di una discreta percentuale della popolazione non facilitavano certo l’igiene e l’abitudine di mangiare molluschi crudi, ancora meno. La situazione era dolorosa, ma a Ischia non c’erano problemi e questo a Lowell bastava. Almeno, se lo faceva bastare, perché solo facendo appello a tutto il suo equilibrio riusciva a far fronte ai problemi che incontrava e al pensiero della quarantena che avrebbe dovuto presumibilmente affrontare prima di tornare a casa.
 
 
***
 
 
Alla fine di agosto, mentre nel sud Italia infuriava il caldo afoso, in Inghilterra aveva rinfrescato molto, e le Camere stavano per riprendere tutte le attività, quindi la famiglia reale si apprestava a lasciare Balmoral. Charles non aveva più motivo di restare lì nemmeno lui, e lo disse a Maria, nel modo che gli era più conveniente, mentre passeggiava con lei per la grande galleria di quadri del palazzo (dal momento che il giardino era troppo infangato):
 
― Maria, state per rivedere vostra zia, finalmente. Siete contenta?
 
― A dire il vero, sì, Charles. Qui è tutto molto bello, ma preferisco tornare e accertarmi di persona del suo stato.
 
― Ma come, non vi fidate di me? – l’espressione di Charles pareva tutto meno che ironica, stavolta. – Ma io ho fatto di tutto per … non avevo affari qui, sono venuto e sono rimasto solo per voi, perché ho pensato che avrei potuto esservi d’aiuto con vostra zia e per non lasciarvi sola!
 
― Oh, ma io non intendevo dire questo! Mi sei stato di grande aiuto, lo sai, mio caro amico …
 
Amico, eh? Maria, potrei darvi del tu, allora? Se non sono indiscreto …
 
― Sì, certo.
 
― Maria, ascoltami: io non l’ho fatto per amicizia, ma perché tu sei la donna che amo. Io desidero sposarti, e so che ormai anche tu lo sai!
 
― No, io … non lo sapevo proprio …
 
― Ma le mie attenzioni erano talmente chiare che … E va bene, non importa, tanto te lo sto dicendo adesso.
 
Il suo tono di voce era diverso dal solito, molto più agitato, e Maria si accorse che aveva la fronte imperlata; così, per sdrammatizzare la tensione, aprì uno dei finestroni affacciati sul parco e lasciò entrare l’aria fresca di cui aveva tanto bisogno anche lei.
 
― Non ti chiedo di rispondermi subito, come farei con una donna che fosse di una condizione diversa dalla tua, visto che finora non avevi intuito le mie intenzioni. – Maria lo guardò perplessa: lui le concedeva tempo per la sua condizione sociale … ― Ma ti prego di valutare tutti gli aspetti positivi del nostro matrimonio: non occorre che ti dica delle nostre famiglie, che sono molto simili per il loro prestigio. E poi, tua zia ne sarebbe felice.
 
― Scusa, Charles, perché mi dici che mi dai più tempo di quanto non ne daresti a un’altra donna? Ha a che fare col testamento di mio padre, per caso? – disse Maria, sedendosi sul cuscino rosso del largo davanzale della finestra.
 
― No, perché, che dice il testamento? – Charles si ricordò appena in tempo che non doveva far trapelare di conoscerlo, poteva voler dire che si era informato sull’eredità di Maria prima di chiederla in sposa, e questo non avrebbe fatto bella figura! E poi, non doveva far capire di aver già parlato con Lady Constancia.
 
― Dice che io non mi potrò sposare fino ai diciotto anni, se voglio ereditare il titolo e le proprietà.
 
― Ah, non lo sapevo.
 
― Non fa niente. Che dicevi di mia zia?
 
― Che sarebbe molto felice della nostra unione! – Charles si sentiva sempre più a disagio: il suo orgoglio di casta gli aveva fatto prendere il discorso dal lato sbagliato, invece di parlare d’amore aveva cominciato a parlare di questioni dinastiche!
 
― Lo supponi o lo sai? Hai parlato con mia zia prima che con me?
 
― Ma Maria … qualunque famiglia sarebbe felice d’imparentarsi con la mia, perché non dovrebbe esserlo tua zia? Certo, lei sarà molto esigente per quanto riguarda te, e anche tu devi esserlo, e per questo ti dico di pensarci serenamente, lo capisco: tu sei Maria Dangering!
 
― Ah, questo intendevi dire prima con la mia condizione … Charles, io desidero sposarmi per amore. Se mi ami come dici, non puoi non capirmi.
 
― Ma certo che ti capisco, Maria, ma guarda in faccia la realtà: il tuo bell’australiano non lo potrai sposare mai. – Maria trasalì, e Charles si stupì di nuovo per come si stava destreggiando male, ma ormai era in ballo: ― Perdonami, ma anche un amico e basta ha il dovere di essere sincero, a maggior ragione io che reclamo la tua mano: potresti essere condannata a soffrire per chissà quanto tempo, se resti legata a lui. Io posso renderti felice, e …
 
― Tu credi di potermi rendere felice e per questo mi reclami, addirittura?
 
― Sì. Perché sono anni che ti amo, e perché io posso sposarti di fronte a tutti! Lui non potrebbe, e tua zia … te l’ho già detto: la sua salute sta a cuore anche a me.
 
Maria lo fissò con occhi di fuoco, avrebbe voluto gridargli in faccia che si sbagliava di grosso, che non gliene importava niente anche se tutto quello che diceva fosse stato vero, e che non doveva tirare in ballo così la malattia di sua zia. Ma non riusciva a parlare: gli argomenti di Fenner erano solidi, e lei voleva enormemente bene a Constancia Dangering, in realtà. Non poteva spezzarle il cuore proprio adesso che si era indebolito troppo per reggere una delusione simile.
 
― Non è una condanna, mia dolce Maria: i tuoi doveri non sono tutto. Ci sono io che ti amo, e ti amerò. Pensaci, è proprio così brutto?
 
Maria si sentiva sconfitta, abbassò gli occhi per non mostrare che stava per piangere:
 
― E tu … sei quello stesso che parlava di Parigi … che sognava i pirati …
 
― Io conosco bene i sogni, e li rispetto, sai? Potremo andarci, se vorrai … Ma ora non piangere, ti prego. Io aspetterò, non c’è nessuna fretta.
 
― Grazie … Charlie …
 
Tornato al suo alloggio, Charles Fenner si sedette allo scrittoio, intinse la penna nell’inchiostro e scrisse:
 
“Pregiata Lady Dangering,
 
Vi scrivo per dirvi che tutto è stato compiuto senza lasciare nulla d’intentato, come volevate. Ho fatto alfine la mia proposta alla vostra squisita nipote, ed essa è stata respinta, come previsto. Tuttavia ritengo che il momento sia maturo poiché finalmente Maria ha iniziato a titubare. Sarebbe sufficiente un vostro intervento, ora, per indurla a rompere definitivamente con l’australiano.
 
Sto per rientrare anch’io a Londra, dove spero di trovarvi in buona salute come vi ho lasciato, ma se così non fosse, vi esorterei a non turbare la nostra Maria con una preoccupazione in più, a meno che non si dovesse trattare di qualche cosa che non è possibile celare. Naturalmente, questa è solo un’ipotesi remota e improbabile, mi auguro.
 
Vi ringrazio ancora per la vostra benevola considerazione, sperando di esserne sempre all’altezza, e vi porgo i miei più sinceri omaggi
 
Il vostro devotissimo
 
Charles Fenner”
 
Quando rivide sua zia, Maria fu più che mai sollevata. Era a casa, alla fine, e anche Arthur sarebbe tornato presto o tardi, e poi poteva finalmente controllare la situazione della salute della zia di persona. In effetti, la trovò molto meglio di quel che pensava, ma l’aria tirata dell’ultimo periodo prima della sua partenza era rimasta. La zia minimizzò, disse che non era nulla, ma Maria non ci poteva onestamente credere: avrebbe voluto che fosse vero per molti motivi, ma Charles l’aveva pur avvertita che Lady Constancia l’avrebbe sempre protetta da una cattiva notizia.
 
Ma Lady Constancia la batté sul tempo, convocandola per parlare di ben altro!
 
―  Maria, tesoro, ti trovo benissimo! La vacanza ti ha giovato!
 
―  Grazie, zia, ma non la chiamerei proprio vacanza … Mi sarebbe piaciuto andare a Bath anche quest’anno, ma come mai non ci sei andata almeno tu? Ti avrebbe fatto bene, non hai una bella cera …
 
―  Maria, rispondere ad un complimento con un’osservazione del genere, non è molto gentile, ahah!
 
―  Stai cambiando argomento, zia …
 
―  No, sei tu che hai cambiato argomento, stavamo parlando di Balmoral: dimmi, ho saputo che nonostante i tuoi impegni, hai avuto anche degli svaghi. Per esempio, Charles Fenner ti è venuto a trovare spesso, mi dicono …
 
―  E chi te l’ha detto?
 
―  Oh, è stato lui: è venuto a trovare anche me, un giovane molto premuroso …
 
―  Già … ―  “era per sapere della sua salute e riferirmi, ma preferirei che non lo avesse fatto”, pensò Maria.
 
―  Sei di poche parole, devo dire tutto io? E va bene. Io credo che dovresti prenderlo in considerazione, sai? Tutti (ma proprio tutti!) ormai si sono accorti che ti adora, non veniva certo a trovarmi per me! E io sono convinta che gli basterebbe un piccolo incoraggiamento per chiedere la tua mano.
 
―  A dire il vero, l’ha già fatto …
 
―  Ohhh, lo vedi? Tutto ha un senso chiaro, lui ti ama! Sarebbe bellissimo vederti sposa, mia cara, e non riesco a pensare ad un giovane migliore per te!
 
Maria si sentiva in trappola: amava Arthur, e non voleva assolutamente né lasciarlo, né dargli un dolore, ma come scontentare sua zia, nelle condizioni precarie in cui si trovava? Poteva prendere tempo, scegliere il male minore: un fidanzamento si poteva sempre rompere, quando Lady Constancia fosse stata meglio …
 
“Mio caro Arthur,
 
ti scrivo velocemente da casa mia, dove sono tornata. Ora, non abbiamo più la libertà di scriverci che avevamo quando ero a Balmoral. Non ho avuto notizie chiare della salute di mia zia, ma sono stata messa alle strette: lei desidera che io mi fidanzi con Charles Fenner. Io non vorrei, lo sai, ma si tratta di una misura temporanea, solo finché lei non starà meglio. Ti chiedo solo un po’ di pazienza: presto non sarò più costretta a questa finzione, appena mia zia starà meglio romperò qualsiasi legame con Charles.
 
Ne va della mia coscienza, amore mio: come mi sentirei se per colpa mia, la mia cara zia dovesse aggravarsi? Il suo cuore … nessuno vuol dirmi nulla di chiaro, ma io ho paura a dirle la verità.
 
Oddio, devo scappare, non devo farmi scoprire! Ti prego, sopporta per me!
 
Per sempre
 
Maria”
 
“Maria dolcissima,
 
non sottostare a questa prigionia! Non sappiamo nulla della salute di tua zia, come tu stessa mi dici: e se non dovesse migliorare tanto presto? ti sposerai, per non darle un dolore? Amore mio, non vedi che ti stanno incastrando?
 
Non fare promesse affrettate, non esporti, te ne potresti pentire! Io non voglio essere l’amante di una duchessa sposata. Per te, accetterò tutto, ma tu? Davvero vuoi vivere così?
 
Per il nostro amore, resisti. Dì di no.
 
Il tuo
 
Arthur”
 
Arthur, però, tralasciò di dire che stava per lasciare Liverpool con Abel, per raggiungere a Bath il Conte Gerard in vacanza. In cuor suo, ingenuamente, sperava addirittura che Maria andasse con sua zia alle terme per qualche giorno, ma Lady Constancia non si fece proprio vedere quell’anno.
 
E Maria, a sua volta, ebbe un colloquio decisivo con Charles:
 
―  Allora, Maria, mia cara, come hai trovato Londra, dopo così tanto tempo?
 
―  Charles, sono solo stata un paio di mesi a Balmoral, non torno mica dalle Indie dopo dieci anni! Comunque, non so che dirti, non ho visto ancora praticamente nessuno. Ho altro a cui pensare.
 
―  Cosa?! Vuoi dire che stai pensando alla proposta che ti ho fatto, di rendermi tuo marito e felice per sempre?
 
―  Oh … beh … veramente, io mi riferivo a mia zia …
 
―  Ah, certo … la salute di Milady … E, dimmi, come sta?
 
―  Anche qui, mi provi impreparata. Hai saputo di più tu in tre o quattro volte che sei venuto a Londra, che io che ci vivo, con lei! Sembra che non mi voglia proprio dire niente, ma così, invece di tranquillizzarmi, mi spaventa di più. – Maria parlava molto più del necessario, sperando di sviare il discorso.
 
―  Capisco … Maria: io non ti voglio mettere fretta, ma non credi che una decisione sia necessaria? Riguardo a noi, intendo … ―  “Noi?!” pensò Maria – Devi valutare a mente lucida la situazione. Qui c’è un uomo pronto a sposarti, un uomo che ti potrà garantire la vita che meriti e che ti spetta. Guardami, ti prego …
 
―  Ma così, tu mi parli di meriti (quali meriti avrei, poi …), mi parli di un posto nella società … ―  Maria indietreggiava, mentre Charles si avvicinava sempre di più a lei, fissandola in viso come non si faceva, tra inglesi beneducati – Mi parli di un matrimonio d’interesse. Tu conosci i miei sentimenti per … per Arthur …
 
―  Ah, sì? E lui dov’è?
 
―  A Liverpool, per lavoro.
 
―  Lavoro! Già, per un armatore, che pittoresco … E dimmi, ti ha chiesto espressamente di sposarti, ha mai parlato con tua zia?
 
―  Beh, no, ma …
 
―  Francamente, non avrebbe dovuto illuderti così! Lo sa, che non ti potrà sposare mai, mai! Lo sa, ma intanto ti tiene legata, perché? Maria, tutti i matrimoni della nobiltà sono combinati. Se non sarò io, sarà un altro, almeno tu sai quanto ti amo! – Charles prese Maria per le braccia, con una forza inattesa per la ragazza – E allora, pensa al tuo ruolo, tu sei Maria Dangering! Non puoi far finta di no, e tua zia conta solo su di te!
 
―  Charles, ma … calmati!
 
―  No! Dimmi che mi sposerai, prima. La settimana prossima la mia famiglia darà un piccolo ricevimento, l’otto: quel giorno, annunceremo il nostro fidanzamento.
 
―  Ma dove sta la mia scelta, così?
 
―  Sposare me o un altro, è la tua scelta. Ma Arthur … lui non lo sposerai, non potrai mai. Tu hai la responsabilità dei Dangering, mia dolcissima, non puoi averne solo i privilegi. Così come me, fai parte di un mondo che ha le sue regole, e noi siamo coloro su cui l’Inghilterra conta per avere una guida sicura. Farai quello che ci si aspetta da te, come tutti noi. Dammi retta … lascialo. Fallo per lui … e per me, tesoro mio!



 
Allora, sono stata rapida o no? Stavolta avevo fretta perché avevo questa parte quasi pronta e mi pareva che fosse meglio non lasciare il capitolo precedente così a lungo, dal momento che era stato pensato tutto come un continuum, diviso poi in capitoli per necessità.
Niente di particolare da aggiungere, salvo che l'altra volta avevo dimenticato di dirvi (adesso l'aggiungerò al capitolo precedente) che la fanart deriva in parte da un personaggio reale: gli occhi di Arthur

 
WIP - Eyes by Rubina1970

sono di un attore e cantante che ha impersonato proprio lui! Esiste infatti, da poco, il musical di Georgie, che forse qualcun altro di vio avrà visto durante le date romane a maggio. Lo spettacolo è bellissimo, mi sono pure comprata il cd, ed è in previsione una data a Gallarate (la prevendita inizierà a breve). E lui è Dario Inserra, bravissimo e con uno sguardo magnetico, e la foto da me presa a modello è proprio quella ufficiale del suo profilo Facebook.
E allora a presto, perché mi auguro di poter fare presto, e grazie come sempre di esserci, con tutto il mio cuore!

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Capitolo 31
*** Che triste è dirsi addio ***


E due sere dopo, Maria scrisse:
 
“Arthur, mia sola gioia,
 
ho dovuto farlo: martedì mi fidanzerò con Charles, ma è solo un pro forma! Non temere, lo faccio per la salute della zia. Un fidanzamento si può sempre rompere, dammi solo un po’ di tempo.
 
È che lei, capisci,  pareva che non aspettasse altro, non ho avuto cuore di deluderla! Voglio che tu lo sappia da me, non significa niente, qualunque cosa ti dicano … Noi non ci stiamo lasciando, ricordati che è solo per poco, finché non potrò parlarle con tranquillità.
 
Ti prego, non giudicarmi male … e perdonami: sapessi com’è difficile …
 
Rimango sempre la tua
 
Maria”
 
La lettera arrivò a Liverpool, l’albergatore di quella città la rispedì a Londra perché era l’unico indirizzo che aveva, mentre Arthur era a Bath. Il nove settembre, nel pomeriggio, un ignaro Conte Gerard leggeva il giornale di Londra, mentre i suoi due carissimi Arthur e Abel, a poca distanza da lui, si godevano un po’ di riposo in giardino.
 
― Ma senti … senti, senti … Ma bene! Ascoltate anche voi: “La serata a casa dei Visconti Fenner ha visto la realizzazione di quello che già si mormorava da giorni: è stato annunciato il fidanzamento del primogenito, il noto Charles, con la pregiata Signorina Maria Dangering, dama di prima classe della Regina e futura erede del Ducato …”
 
― Fritz, lascia, non importa … ― Abel cercò inutilmente di evitare che il Conte infierisse su suo fratello coi particolari.
 
― Oh, ma continua, sentite qua: “La Signorina indossava uno squisito abito color platino con bustier che sembrava fatto apposta per intonarsi all’anello che Charles le ha donato. Lo champagne stappato per l’occasione era particolarmente pregiato, poi il promesso sposo ha tenuto il discorso di rito, ringraziando la fidanzata di averlo reso il più felice tra gli uomini. Le note di un valzer viennese …” (ma pensate un po’, quelle finesse, viennese!) “… hanno accompagnato la coppia nell’apertura delle danze.” Speriamo che sia felice, è una cara ragazza.
 
― E non c’è altro?! – Arthur si alzò, con la voce spezzata e gli occhi già arrossati dalle lacrime che li stavano inondando: – Oh, ma c’informeranno di tutto, vero? Della data delle nozze, e di come sarà bella col suo abito bianco, e della luna di miele in qualche bellissima riviera, in Francia, o magari in Italia! Perché il pubblico deve saperlo!
 
Il Conte Gerard fissava Arthur con gli occhi sgranati, non capendo assolutamente perché il giovane uomo, di solito garbato e misurato, avesse il volto in fiamme e un tono di voce sprezzante e sopra le righe:
 
― Io odio questi sciacalli di giornalisti! – il ragazzo piangeva, mentre afferrava il giornale e lo strappava – E poi sono dei bugiardi, io non ci credo!
 
Abel scattò in piedi e lo afferrò, per cercare di consolarlo, e fece bene perché Arthur si lasciò andare in un modo che lo avrebbe fatto cadere, senza l’aiuto del fratello. Il Conte Gerard stava cominciando a capire, ma ci pensò Arthur, ormai un fiume in piena di dolore, a spiegare tutto:
 
― Non ci credo … Non è vero … Un valzer … viennese … Avranno brindato, sorrisi e auguri … “Il più felice degli uomini” … l’avrà presa per mano per ammirare la luna … lei si sarà lasciata cingere la vita, e non soltanto per ballare … Che promesse si saranno fatti, da soli, in un angolino …
 
― Fratello, non torturarti così, non serve a niente!
 
― Ma lei l’aveva promesso prima a me! Di non tradirmi, mai, mai nella vita! – aggrappato ad Abel, Arthur singhiozzava ma non si fermava: ― Neanche una parola, m’ha detto! Ha lasciato che lo sapessi dai giornali, io le avevo detto di non farlo, e lei me l’ha nascosto! … Non voglio! …
 
Il Conte era mortificato:
 
― Arthur … caro, perdonami, io non ne sapevo niente …
 
― Sì, Fritz: Arthur e Maria erano segretamente legati da un anno e mezzo, ma questo … temo che cambi le cose.
 
― Un anno e mezzo! In segreto! Ma … che significa (perdonami, Arthur) che le avevi detto di non farlo?
 
― Lei … lei … ― Arthur, messo a sedere da Abel, bevve un sorso d’acqua che il fratello gli offriva, e faticosamente rispose: ― Si tratta di sua zia, che voleva questo fidanzamento e non sta bene. Maria deve sposarsi in un certo modo, se vuole diventare duchessa, fa parte del testamento di quel maiale di Dangering, e sua zia è la curatrice del testamento. E Maria non voleva deluderla perché sta molto male. Ma si sta illudendo, questo è solo l’inizio, oramai hanno vinto: è finita … lo sposerà …
 
― Aspetta, ho capito: ― intervenne Abel: ― secondo l’idea di Maria doveva essere un fidanzamento finto, fatto solo per accontentare sua zia, e tu le avevi detto di non farlo. Ma scusa, non può essere proprio così, una cosa temporanea, solo a beneficio di Lady Dangering? Non ho ragione, Fritz?
 
Ma Fritz Gerard non aveva cuore di mentire ad Arthur, e disse solo “ma sì, vedremo”. Poi, con l’aiuto di Abel, portò Arthur al piano superiore, dove gli diede un calmante di un tipo simile a quello che gli somministrava il medico quando aveva il mal di testa, e Arthur si addormentò di colpo per via dello shock. Lo lasciarono che dormiva un sonno senza sogni, e tornarono a parlare dell’accaduto in un’altra stanza, a voce bassa:
 
― No, Abel, mi spiace: non si lascia un Fenner per sposare un Butman. La nostra società è crudele e i nobili che si sposano per amore sono veramente rari.
 
― Sì, però … Maria amava davvero molto Arthur, mi sembra incredibile quello che è successo. Forse sarebbe il caso di sapere qualche cosa di più! Più tardi, gli chiederò il permesso d’informarmi con gli amici che frequentano certi ambienti, almeno capirà com’è stato possibile.
 
― Mi pare una buona idea. E per ora, mi pare anche che sia meglio che Arthur non torni a Londra, perché si riprenda un po’ prima di viaggiare e perché lì c’è Maria, e lui ci penserebbe molto di più.
 
― Resto anch’io. Ma non credo che, stando qui, ci penserà di meno …
 
Abel aveva proprio ragione: quello era il posto dove Arthur aveva più ricordi del suo amore con Maria, coi suoi viali e le terme. Il ragazzo fu intrattabile per un paio di giorni, ma rimase comunque a Bath: almeno, lì non doveva lavorare. Ma così, s’illudeva di dormire e invece non riposava, e non aveva niente da fare che lo distraesse davvero. Si spostava dalla sua stanza al giardino e non faceva altro che rimuginare:
 
“Hai detto addio.[1]
Se ne va la mia vita.
Hai voluto piangere
per un amore da dimenticare.”
 
 
In giardino, la luce e i suoni erano troppo allegri per lui: era il posto adatto a una comitiva di amici o a due innamorati, e questo gli faceva male. Allora, andava nel salotto, e si buttava su un divano, dove non riusciva a leggere o a concentrarsi su niente:
 
“Te ne vai ridendo
e io muoio!
Il mio dolore è sapere

che non puoi piangere.”
 
 
Non riusciva a fare a meno d’immaginarsela alla festa di fidanzamento, che rideva a comando e fingeva di sorridere, mentre lui e solo lui era l’amore che aveva nel cuore. Lei che lo aveva salvato, che aveva amato solo lui … E sentiva di amarla ancora di più, con un doloroso senso d’impotenza:
 
“Amore, vita della mia vita,
quant’è triste dirsi addio!
Ti porti via la giovinezza

e questo amore senza scampo …”
 
 
Ma lui non le aveva detto addio, né tantomeno gliel’aveva detto lei! Poterla rivedere, chiederle perché, e come avesse potuto … Schizzava in piedi e tornava in camera sua:
 
amore che lungo la strada
non ti puoi voltare indietro.
Ridi, quando senti
il desiderio di piangere.”
 
 
Certo, lei non poteva volerlo davvero, quel fidanzamento, e anche lei doveva aver voglia di piangere. E certo, almeno lui poteva farlo. Ma poi, pensava che si stava illudendo ancora: era lei che lo aveva lasciato, anzi si era fidanzata senza nemmeno lasciarlo, e aveva avuto anche una bella festa e un anello! Figuriamoci se soffriva quanto lui! Arrivava a colpirlo nel petto quella gelosia che aveva cercato inutilmente di allontanare … lei stava con un altro … chissà da quanto … dopo che a lui aveva regalato baci e dolci promesse …
 
“E pensare che ti ho amata
con l’anima e la vita,
e oggi ti vuoi prendere gioco
del mio dolore.
Questo amore che ho sognato
non posso tenerlo nascosto!
Sono state parole false,
hai mentito mille volte
dichiarando il tuo amore! Oh, donna!
 
 
Doveva convincersi che era finita. Aveva permesso ad Abel di scrivere a Rory, per saperne di più, ma non c’era più niente da fare, lei lo aveva lasciato. Con dolore, forse. Con rimpianto di sicuro. Ma lui doveva dirle addio, anche se era insopportabile:
 
Amore, vita della mia vita,
quant’è triste dirsi addio!
Ti porti via la giovinezza
e questo amore senza scampo,
amore che lungo la strada
non ti puoi voltare indietro.
Ridi quando senti
il desiderio di piangere.
Addio, tesoro mio!
Addio!”
 
 
Arthur non sapeva che quell’addio sarebbe durato solo pochi giorni …
 
 
***
 
 
A Londra, invece, Lady Constancia rifioriva. Una mattina, prese Maria di nuovo da parte e le fece la grande proposta:
 
― Maria, tesoro: Charles ha fatto il suo passo, è venuto da me a chiedere la tua mano, e io non ho nessun motivo di dirgli di no, quindi puoi essere ben contenta! Ho accondisceso alle vostre nozze, che potrebbero essere celebrate molto presto!
 
― Come sarebbe … molto presto, zia?
 
― Ma perché indugiare, Maria? Tu compirai diciotto anni la settimana prossima! Non c’è più alcun impedimento, certo che i tempi sono un po’ strettini, ma …
 
― Zia, ma che fretta c’è? Io speravo di avere prima notizie precise della tua salute …
 
― Senti, angelo mio, ma si può sapere perché continui a trattarmi come una malata? Che preoccupazione hai circa la mia salute, se non sono mai stata meglio?
 
― Oh … ma … ma davvero? – Maria non ci poteva credere, qualche cosa proprio non quadrava …
 
― Ma certo, non c’è nessuna ragione di preoccuparsi, quante volte te l’ho ripetuto? Se preferisci, parla col nostro medico!
 
Maria lo fece quel giorno stesso, solo per sentire una replica di quello che le aveva già detto Lady Constancia. Alla fine, però, il dottore aggiunse:
 
― Signorina, se la cosa vi può rassicurare, avete la mia parola che sono stato io a dire a vostra zia che non aveva bisogno delle terme, quest’anno: sono io che l’ho suggerito, e per questo non è partita! Non avete motivo di preoccuparvi …
 
Come ultimo scrupolo, Maria parlò con sua cugina Elisa, che confermò di aver visto più volte sua zia durante l’estate, e sempre in buona salute. Anzi, era stata piuttosto presa dal fatto che il circolo degli amici di Bath non l’aveva lasciata, e lei aveva avuto modo di disquisire di teosofia anche a Londra.
 
Infine, la ragazza andò, quel pomeriggio, dai Barnes. Non aveva preannunciato la sua visita, ma era impaziente di avere da Arthur notizie che tardavano ad arrivare. E lì, trovò Becky e Rory. Ad accoglierla fu Catherine, e subito fu chiaro che qualche cosa non andava:
 
― Maria, quanto hai fatto bene a venire! Ma che è successo? Perché questa decisione così all’improvviso?
 
― Ehm, a che ti riferisci, Catherine? … Oh, Becky, Rory, quanto tempo! Che piacere rivedervi!
 
― Maria, ben tornata a Londra … come stai?
 
― Signorina Dangering! – Rory sbatté i tacchi, con sorpresa di Maria.
 
― Ma Rory, via! Che cosa sono questi formalismi tra di noi, non ci davamo del tu?
 
― Sì, ma questo era legato a … ad una certa condizione, e magari ora le cose non stanno più così. Io sono al vostro servizio.
 
― Maria, stai cambiando argomento: ti ho chiesto perché! Non ci posso credere, che tu ti sia innamorata così di colpo, tu amavi Arthur! – Catherine non aveva mai avuto peli sulla lingua!
 
― Oh, ma allora … ― Maria abbassò molto  la voce ― … allora voi non sapete nulla! Non è niente di reale, io ero solo preoccupata per la salute di mia zia …
 
― Maria, perdonami, ma … ― anche Becky prese a bisbigliare: ― … non capisco: la cosa è molto reale, Arthur è affranto dal dolore! Abel scrive che rimarranno a Bath ancora per un po’, perché quel povero ragazzo non è neanche in grado di viaggiare!
 
― A BATH! Ma io … gli ho scritto a Liverpool! Possibile che non abbia ricevuto la mia lettera?
 
― Signorina Dangering, mi permetto d’intervenire: Arthur soffre anche per il vostro totale silenzio, lui ha dovuto apprendere del vostro fidanzamento dai giornali! – Rory sapeva essere impeccabilmente formale, se voleva.
 
― Dai … giornali? – Maria impallidì, si aggrappò al bracciolo: – Affranto dal dolore? … Oh, no … Oh, mio Dio … Penserà che io abbia mancato alla mia promessa … dubiterà dei miei sentimenti … Che cosa penserà di me, povero amore mio … Rory … Becky … aiuto …
 
― Maria! Cioè, signorina! Fatevi forza, su! – Rory le faceva vento, Catherine ebbe l’idea geniale di un cordiale, Becky le rinfrescava il viso!
 
Solo quando fu perfettamente padrona di sé, la lasciarono tornare a casa. Maria li lasciò dopo precise spiegazioni, ma spiegò anche che lei stessa era una vittima: era stato tutto un tranello! Lei amava Arthur! Perché aveva creduto che lady Constancia stesse male? Ma perché gliel’aveva detto e ripetuto Charles, per tutta l’estate, e solo lui! Lei gli aveva creduto perché la versione del giovane sulla salute della dama era stata coerente e progressiva, e non si era resa conto di non aver avuto nessuna prova che fosse anche vera! Oh, Charles l’avrebbe sentita! Si fece anche dare subito l’indirizzo di Bath del Conte Gerard. Gli avrebbe scritto appena tornata (ad Arthur, naturalmente, e Rory avrebbe subito risposto ad Abel), quindi si precipitò a casa, scortata da Rory perché era sotto shock …
 
Ma entrando in casa, le mancarono le forze di nuovo a causa di quello che trovò: prima di tutto, le sue nozze erano state organizzate. Tutto deciso e pronto, in pochissimo tempo! E poi, c’era una busta recapitata per lei, direttamente da Bath, che conteneva una ciocca dei suoi capelli stretta in un nastro lilla …
 
Maria teneva in mano il ricciolo, seduta sul tappeto in camera sua, incapace di alzarsi o di smettere di singhiozzare:
 
“Che cosa ho fatto?! Arthur, che cosa ti ho fatto?! Stupida, stupida! E debole! Ma sono stata vittima di una trappola, non ho visto la ragnatela e ci sono caduta, non volevo! Non volevo lasciarti, mai, mai nella vita … ma che dico? non ho il diritto, gli ho spezzato il cuore! E ho spezzato anche il mio: per che cosa mi sto giocando la vita?! … Ah, no … NO! Non l’avranno vinta così!”
 
Entrò la sua cameriera personale, che accorse ad aiutarla, cercando di capire come. Sorretta da lei, Maria si alzò e scrisse una lettera disperata che inviò a Bath, chiedendo aiuto e perdono.
 
E l’indomani mattina, alla casa di Bath del Conte Gerard arrivò una lettera disperata. Ma era di Georgie, e di colpo cambiò tutto: Lowell aveva contratto il colera e non poteva muoversi da Napoli, non sapevano se sarebbe sopravvissuto e Georgie implorava la sua famiglia di non lasciarla sola.
 
Precipitosamente, la famiglia tornò a Londra: bisognava andare da lei! E avere i biglietti per il continente non si poteva, da Bath. Inoltre, occorreva che Abel e Arthur parlassero col signor Allen e gli spiegassero l’urgenza, questo comportava che il Conte partisse subito e loro in un secondo momento.
 
In queste difficili circostanze, Abel era sicuramente il più lucido dei tre. Anzi, veramente si vergognava della maniera in cui, dentro di sé, aveva preso la notizia. Lo disse ad Arthur, quella sera stessa, a Londra, dopo che il Conte era già partito:
 
― Sai, domattina dobbiamo andare subito a parlare col signor Allen, come prima cosa. E se ci dovessero essere ritardi per qualche ragione, ti chiederei la cortesia di restare tu: io vorrei proprio partire subito. Oh, non fraintendermi, lo so che ci tieni anche tu come me a stare vicino a Georgie, è … che vorrei essere già lì.
 
― Per me, è uguale, tanto si tratterebbe di poco. Non vedi l’ora di vederla, eh?
 
― No … cioè, sì! Certo …
 
― “No, cioè sì?” Abel, ma che ti prende?
― Niente! A me, niente, come ti viene in mente?… – girò velocemente il viso dall’altra parte, per nascondere una cosa di cui si vergognava moltissimo, un sorriso.
 
― Fratello, ci trovi qualche cosa da ridere? beato te …
 
― No, che c’entra, non sto ridendo! Sto … sorridendo, ecco.
 
― …
 
― Perché mi guardi così, Arthur?
 
― …
 
― Oh, e va bene! Tanto non sono mai stato bravo a nascondere queste cose! In realtà, non so che pensare nemmeno io, e voglio arrivare lì al più presto per togliermi il pensiero e il dubbio. Sto parlando di …
 
― … una donna!
 
― Diavolo, sì: Maristella! Ecco, l’ho detto! Adesso tu mi giudicherai male, se penso a me stesso in questo momento. Il fatto è che io spero davvero con tutto il cuore che Lowell si riprenda presto: oramai siamo amici, è davvero un bravo ragazzo, innamorato di Georgie, e poi lei lo ama, e ci sono i piccoli! … ma se penso a Ischia … vedo lei.
 
― Io non ti giudico male affatto, fratello! – Arthur, che aveva passato la serata sprofondato in un divano senza voglia di nulla, si alzò e, dopo giorni, mostrò un debole sorriso anche lui: ― Anzi, sono contento per te. Ti ci voleva, un pensiero nuovo, una speranza, dopo tutto questo tempo. Pensa che io volevo metterti con Becky!
 
― Ma dai! Con Becky, ahah! – Abel era divertito, perché Arthur magari non sapeva nemmeno che la ragazza era stata davvero innamorata di lui, un paio d’anni prima.
 
― Già, sta meglio con Rory! Certo, Maristella è una ragazza che entrerebbe nel cuore di qualunque uomo con facilità …
 
― Che vuoi dire?
 
― Oh, niente. Che ti capisco. Ma certo che sarà corteggiatissima … di’ un po’, c’è stato qualche cosa di più tra di voi?
 
― Corteggiatissima, eh? in effetti … Oh, che ti devo dire, non lo so che c’è stato tra di noi! Quando ero lì, mi sono sentito come se bastasse molto poco, e mi sono tirato indietro.
 
Tu che ti tiri indietro?!
 
― Non fraintendermi, Maristella è una ragazza a posto, non intendevo “tirarmi indietro” in quel senso! – Arthur fece un cenno con la testa, come a dire che nemmeno lui lo intendeva in quel senso, ― Semplicemente, avrei potuto dirle … ma lei ha tutta la sua vita in Italia, e io nemmeno so dove pianterò le tende domani! Sono scappato via. Per non affezionarmi troppo.
 
― Come hai fatto con Georgie tanti anni fa, senza troppo successo, mi pare. E stavolta, ci sei riuscito?
 
― … Mi sa di no. Ma non me ne importa più: io non negherò l’amore che provo per lei, stavolta. Voglio rivederla, fratello … voglio, voglio rivederla! Stare con lei, dirle tutto! E mi sento maledettamente in colpa verso Georgie, verso Lowell, verso i bambini …
 
― Hai detto … “l’amore che provo per lei”!? Nientemeno … Non sentirti in colpa, Abel, te lo dice uno che non ha fatto altro che sentirsi in colpa per il proprio amore per tanto tempo. Anzi, ti faccio veramente tutti i miei auguri. – Una pacca sulla spalla del maggiore, che ricambiò col più radioso dei sorrisi, ― Spero che tu abbia più fortuna di me … Io, che credevo di avere il suo amore …
 
Arthur non sorrideva più, e fu il turno di Abel di dargli una pacca sulla spalla:
 
― Ma lei ti amava, Arthur … che dico, ti ama! Io lo so.
 
― Amen. Non riesco a rassegnarmi. Non ce la faccio …
 
Nessuno di loro poteva immaginare che tutti gli eventi degli ultimi giorni avevano fatto sì che le lettere di Maria e di Rory arrivassero a Liverpool solo dopo la loro partenza.
 

[1] Arthur riflette tra sé (ecco perché le virgolette), e in corsivo si trova il testo, tradotto da me, della famosa romanza “Amor, vida de mi vida”, dalla zarzuela Maravilla, del maestro Federico Moreno Torroba. Una “zarzuela” è un genere lirico musicale spagnolo, simile all’operetta ma indipendente e addirittura precedente a questa, che ha continuato la sua produzione fino alla seconda metà del secolo scorso. Sebbene questo brano sia stato spesso interpretato da tenori, fu scritto per baritono, e io propongo la versione che, tra quelle che ho trovato, nella mia totale ignoranza musicale, mi è sembrata la migliore: https://www.youtube.com/watch?v=x6_VfoWd8j8


Pubblico un altro capitolo, stavolta con il dubbio che questo genere musicale, una romanza da una zarzuela, non vi dica molto. Io adoro "Amor vida de mi vida", forse qualcuno l'ha sentita cantata da Placido Domingo, che l'ha proposta varie volte.
​Qualcuno avrà notato che spesso riporto le 
lettere scritte dai personaggi: il genere epistolare è un genere classico della letteratura inglese tra '700 e '800, ed è a quello che mi rifaccio in questi casi. La lettera era un mezzo un po' ingenuo, primitivo, per raccontare al tempo stesso sia i fatti sia i desideri e i sentimenti del personaggio scelto come punto di vista, inserendo anche indizi sul suo carattere. Ma come molte cose un po' vecchiotte, ha il suo fascino! Anche la lettera anonima del capitloprecedente è un meccanismo abbastanza logoro; a proposito, non si sa chi l'abbia scritta ... In questo capitolo, comunque, mi sono trattenuta perché avrei potuto scrivere almeno altre tre lettere, ma io non sto scrivendo un romanzo epistolare.
Quello che sto cercando di scrivere è una storia che sia un po' realista: dappertutto si leggono ff in cui Arthur sposa Maria, come niente fosse, poi magari però lasciano tutto e vanno a vivere in Australia. Sì, ma non sarebbe stato mica così facile, all'epoca! Spero davvero che questa nuova peripezia dei nostri personaggi vi diverta, e che nessuno si scandalizzi troppo a leggere di Abel innamorato di una donna che non è Georgie.
Spero anche che inizierete l'autunno nel migliore dei modi, e che continuerete a seguire questa storia. A presto!

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Capitolo 32
*** Le ultime parole che mi hai detto ***


A Napoli, Lowell stava male. “Di nuovo!”, pensava lui.
 
Pensava che, dopo la sua malattia ai polmoni, forse la sua vita era stata solo prorogata di un po’, perché lui potesse mettere al mondo due meravigliose nuove vite, e niente di più. Forse che lui davvero era di passaggio, come tanti altri stranieri che andavano a Ischia a curarsi e poi ripartivano, mentre lui sarebbe dipartito e basta? Lowell giaceva su quel letto umido di afa e febbre, incapace di alzarsi, ma intanto pensava di essersela proprio cercata. Da quando aveva avuto la “grazia” dalla sua malattia, aveva fatto di tutto per ripagarla, ma in realtà aveva messo a repentaglio la sua stessa esistenza e la felicità di altre persone, che amava con tutto se stesso! O forse aveva voluto dimostrare di essere forte anche lui, come il valoroso Abel che lo aveva a lungo considerato indegno di Georgie e troppo viziato … come Arthur, che aveva superato una ferita da arma da fuoco, un sequestro, un tentativo di suicidio e chissà cos’altro, e quei due ragazzi erano anche orfani, per niente ricchi, lontanissimi da casa … Georgie li aveva sempre avuti davanti, erano un modello di virilità: e lui si era messo in testa di dimostrare di essere all’altezza.
 
Poi, Lowell pensava alla sua infanzia agiata, alla casa signorile in cui abitava servito e riverito, e capiva che uno come lui nasceva già “in debito”; e se per di più gli toccavano anche certe fortune, come i suoi bambini e la sua bellissima Georgie, allora non c’era niente di esagerato a cercare di dimostrare il proprio valore. Altrimenti, sarebbe stato davvero solo un bamboccio viziato. E chiedeva perdono in cuor suo a Georgie, giurandole che, se si fosse salvato ancora, non l’avrebbe davvero lasciata più neanche in caso di fine del mondo! Se si fosse salvato … se
 
Per fortuna, Lowell non era da solo: c’erano persone che rischiavano la vita, a Napoli, soprattutto medici e infermiere ma anche giornalisti e forze dell’ordine, che comunicavano via telegrafo col resto del paese. Lowell si trovava certo in una situazione difficile, ma era sempre assistito, perché trascurarlo sarebbe stata pura ingratitudine, e intorno a lui intanto la città cominciava a capire che doveva bollire l’acqua prima di berla, lavare bene la roba da mangiare, e pregare. Pregavano tutti, giorno e notte, e inconsapevolmente pregavano anche per lui. Tutti i Santi e le Madonne vennero portati in processione, tra canti, candele e incenso a profusione. Tutte le catacombe, le cappelle, le nicchie con immagini sacre ricevettero visite, omaggi floreali, doni preziosi. E, finalmente, i primi ex-voto dei guariti. I contagi diminuivano, e chiunque avesse una persona cara nel golfo aspettava e contava sulla fede (e sulla moderna medicina). Tra loro, a Ischia, c’era Georgie.
 
Georgie si strascinava come non le era mai accaduto nella vita. Tentava di governare la casa e la servitù. Si sforzava di sorridere e di ascoltare gli altri. Voleva essere la mamma di sempre per i suoi bambini. Ma a metà giornata, crollava sul letto preda dei propri pensieri, incapace di muoversi fino al tardo pomeriggio, senza dormire né riposare … L’afa era la scusa che usava con tutti. In realtà, si lasciava vincere dall’ansia che le costava uno sforzo sovrumano tenere a bada. Lei non era mai stata così, da ragazza si alzava presto, spogliava Arthur a forza per fare il bucato, pensava a tutto e a tutti, e lo faceva cantando. Ora, non riusciva ad essere forte nemmeno per i suoi figli. Ora le venivano pensieri che non aveva mai avuto, su com’è debole una persona, che crede di fare dei progetti e poi si ritrova allo sbando, senza avere il minimo indizio del futuro … E infine, quando il suo dolore si faceva più acuto, pensava agli occhi celesti che amava: li avrebbe rivisti? Ricordava ancora perfettamente l’ultima volta che le avevano sorriso … e non era stato per dirle addio! Sarebbe tornato, lui doveva tornare vivo da lei, ma quando?
 
“Prima o poi nel tempo, io so,[1]
mio caro, che tornerai da me.
Le rose fioriranno ancora;
ma la primavera sembra eterna.
Nel tuo bacio non c’era un addio.
Tu sei ancora la ragione di tutto.”

 
Lowell non le aveva mai detto addio una sola volta, lei sì: se ne stava andando, sotto la neve, quando aveva capito che il fidanzamento con Elisa non era stato rotto; poi lo aveva lasciato a casa della sua ex-fidanzata in una notte fredda e spaventosa; era stato lui a riportare il sole nella sua vita, quando lei non lo aspettava più, dicendole che doveva pensare a se stessa e al loro amore. Avrebbe riportato la primavera un’altra volta … gliel’aveva promesso con un bacio, prima di andare (come le mancavano i baci del suo Lowell!). Prima di andare …
 
“Posso sentirti sussurrare nel silenzio della mia stanza,
il mio cuore si arrende come il sole alla luna.
A stento riesco a sopportare questo dolore che brucia in eterno.
- Amami ora e per sempre -
sono state le ultime parole che mi hai detto."

 
La voce di Lowell, gentile e piena di calore per lei, tornava a parlarle nell’orecchio … Bastava così poco, nella penombra, per illudersi che lui ci fosse. Come appena sveglia, quando si rifiutava di aprire gli occhi per continuare a pensare che allungando una mano lo avrebbe trovato:
 
“E quando arriva il mattino,
le mie mani ti cercano ancora.
Certe cose restano le stesse,
non ci posso fare niente.
Faccio fatica a superare la giornata
da quando te ne sei andato via.
Posso sentirti sussurrare nel silenzio della mia stanza,
il mio cuore si arrende come il sole alla luna …”

 
Georgie piangeva in silenzio. Lowell era lontano, non era con lei. Con lei, lontano, c’era solo il rumore delle onde sui frangiflutti. Alla fine, lui era solo oltre un braccio di mare, ma irraggiungibile per lei, che non poteva correre da lui in nessun caso, a meno di rischiare di ammalarsi a sua volta, con l’eventualità (estrema ma da considerare) di lasciare i suoi figli completamente orfani! Pregava, allora, Georgie, di essere abbastanza forte:
 
“Che il Cielo mi aiuti a superare questo mare infinito
e le stelle su di me mi guidino.
Infrangendosi su scogli lontani,
le onde chiamano i nostri nomi
ancora e ancora.
E io posso sentirti sussurrare nel silenzio della mia stanza,
il mio cuore si arrende come il sole alla luna.
A stento riesco a sopportare questo dolore che brucia in eterno.
- Amami ora e per sempre -
sono state le ultime parole che mi hai detto.”

 
Dopo di che, una Georgie dal viso tirato si alzava. Dolcemente, Maristella o Antonia venivano a prenderla per riportarla alla realtà dei suoi bambini che la stavano aspettando. I loro visetti risplendevano come i frutti d’oro del giardino delle Esperidi.
 
 
***
 
 
I due ragazzi tornarono a casa per recuperare i bagagli. Parlare col signor Allen non era stato complicato, quell’uomo era fatto di burro! Si sentivano responsabili verso di lui, e si ripromettevano di tornare appena possibile (più che altro, era Arthur che lo diceva). Ma erano giunti quasi sulla porta per partire alla volta dell’Italia, quando successe qualche cosa che lo smentì. Giunse a fermarli un ragazzo della servitù, con un messaggio urgentissimo per lui da Liverpool. Arthur si bloccò, e aprì di corsa la busta sigillata da Maria. Lesse e poi si rivolse al fratello:
 
― Senti … Abel: io non posso venire! Va’ avanti tu.
 
― E perché?!
 
― Mi sta chiamando … Io le ho fatto una promessa, e ora lei ha bisogno di me. Non posso partire così.
 
― Fa’ vedere … Maria?! Ma che …
 
― Leggi.
 
Abel lesse la pagina scritta di corsa, concitata, angosciata, e poi disse:
 
― Va bene. Quanto ti ci vorrà?
 
― Almeno un paio di giorni, se saprò che lei accetta quello che le voglio proporre: devo organizzare tutto, licenziarmi …
 
― Come, licenziarti?!
 
― E tu credi che Maria Daphne Dangering, dama della Regina, anche se diventasse duchessa, potrebbe mai tornare nella buona società inglese dopo aver sposato me?! Un marinaio australiano! Qui non avremmo un posto, anche con tutte le sue proprietà. Dovremmo partire per l’Australia, e poi è probabile che sia diseredata, e allora sarebbe ancora meglio andar via.
 
― Accidenti, ma così all’improvviso … Hai ragione. Devi andare da lei, e poi scrivimi per farmi sapere come va. Allora, hai visto che ti ama? Lo dicevo io! – una bella pacca sulla spalla del fratellino, poi sospirò: ― Oh, ma perché tutto adesso? Meno male che Fritz ci ha lasciato una grossa cifra, casomai non avessimo potuto partire subito …
 
― Già! Maria deve viaggiare in prima classe! – Arthur già sognava la sua luna di miele …
 
In camera sua, proprio come Georgie, Maria era preda dei più tristi pensieri. La seconda cosa che aveva fatto non appena scoperto il trucco di Fenner, era stata parlare con Lady Constancia per annullare le nozze. Pensava che sarebbe stato difficile, ma non che non ci sarebbe riuscita. Invece:
 
― Zia, scusami, ma ho fatto una scoperta molto grave che mi costringe ad annullare le nozze!
 
― Ah, davvero? E quale?
 
― Prima di tutto io non amo Charles! Lui mi ha spinta ad accettare questo fidanzamento dicendomi che tu eri gravemente malata, e che non dovevo darti la delusione di non essere esattamente … Insomma, per tutta l’estate mi ha ripetuto che stavi malissimo! Diceva che venire a Londra a controllare come stavi era suo compito perché tutti gli altri mi avrebbero mentito, e così io ho creduto che tu stessi male veramente, in pericolo di vita. Un po’ alla volta, non lo so nemmeno io come, mi ha detto che dipendeva da me: o lo sposavo, o tu saresti potuta morire!
 
― Sì … capisco. Beh, riconosco che non ha agito nel modo migliore …
 
― Ma come, non t’importa? mi ha mentito! Sulla tua salute!
 
― D’accordo, ha un po’ esagerato, ma i suoi fini erano buoni …
 
― E quali sarebbero questi suoi fini? Un momento: che significa “esagerato”? Doveva fare qualche cosa … vi eravate accordati alle mie spalle?!
 
― Lo fai sembrare un tradimento! Ma via, era per il tuo bene, e poi io credevo che ti piacesse …
 
― No, è a te che piace! Questo matrimonio non lo voglio, lo farei solo per interesse, e non di mia volontà ma per forza! Io amo Arthur Butman!
 
― Ed è anche per questo che Charles Fenner mi piace … Lui può salvarti, amore mio. Lo dico per il tuo bene …
 
Maria aveva ricevuto un nuovo shock. E chissà come avrebbe reagito se avesse letto la lettera in cui sua zia rimproverava Fenner: gli esprimeva il suo disappunto perché lei lo aveva spinto a non lasciare niente d’intentato, sì, ma “spingersi al punto di mentire a Maria su una faccenda tanto delicata era stato improprio”. Ora, la dama lo invitava ad essere il più sincero possibile con lei in futuro per il bene della loro “unione”, poiché Maria era seriamente offesa dal suo comportamento. Lady Dangering gli imponeva poi, personalmente, di non parlare più della sua salute se non per riportare alla lettera la verità, e solo se necessario. Concludeva facendogli notare che “certe bugie, se anche si usano comunemente in politica, possono rovinare i rapporti familiari per sempre, specialmente se dette con un secondo fine”. In realtà, Charles Fenner le piaceva molto meno, da quando aveva saputo come aveva mentito a Maria, però era ancora il male minore …
 
In ogni caso, le nozze non erano state nemmeno posticipate. E ora, da sola in camera sua, la giovane promessa si sentiva in trappola, delusa, offesa, livida … e furibonda con se stessa al punto di arrendersi, tanto Arthur non le rispondeva, tanto non l’avrebbe mai perdonata, del resto se l’era meritato … E da quel colloquio con Lady Dangering, non era più uscita dalla sua stanza, dove prendeva i pasti e si rifiutava di ricevere. A “milady” (come ora la chiamava) non poteva impedire d’entrare in quanto era la padrona di casa, ma per il resto non volle vedere Charles né scendere, e si faceva solo recapitare la posta. Almeno, se Arthur avesse scritto, lei lo avrebbe saputo subito.
 
E Arthur scrisse.
 
Il giorno dopo, Maria si fece preparare ed uscì, dicendo che andava a fare una passeggiata in centro, visto che doveva pur ricominciare a muoversi se voleva sposarsi di lì a tre giorni. Invece, incontrò Arthur nel giardino della villa dei Barnes, senza entrare in casa. Gli corse incontro e poi si bloccò a poca distanza da lui, che non si era mosso e la guardava con occhi pieni di lacrime:
 
― Lo so … sono stata una stupida. Ti ho dato un dolore ingiusto e tu hai tutte le ragioni di essere in collera, ma non so nemmeno io come ho fatto a portare le cose fino a questo punto, io non ho mai pensato di tradirti o di lasciarti! Questo pegno – gli tese il ricciolo nel nastrino colorato: – appartiene a te. Perché io te l’ho donato col mio cuore …
 
― Perché tu mi ami! Devi dirlo, che mi ami! – Arthur non stava più per piangere, ma tratteneva un’emozione che filtrava nella sua voce rotta.
 
― Ti amo!
 
― E verrai via con me, dimmelo! In Australia … questa settimana!
 
― Verrò con te, sì, dovunque, portami via da tutto questo! Portami lontano da questo teatrino assurdo, prima che io diventi una marionetta in mezzo alle altre marionette!
 
Arthur l’abbracciò di slancio, la baciò e poi tuffò il viso nel velo che Maria si era tirata indietro dal volto. Lui tremava, lei piangeva. Lui prese in mano la ciocca rossiccia e se la mise nel taschino sul cuore, lei gli accarezzava la guancia come aveva fatto un paio di mesi prima. Lei gli chiedeva perdono e lui le baciava le lacrime, la fronte, le labbra ancora una volta. Nel momento in cui lei smise di piangere, fu lui a non riuscire a frenare le lacrime:
 
― Tu sei viva, non sei una marionetta! Sei la mia donna, ma io ho creduto … che non mi amassi più … che lui, quel Charles, ti avesse conquistata …
 
― Che vada al diavolo, Charles, baciami!
 
Dopo un po’ si ricomposero abbastanza da poter parlare quasi normalmente:
 
― Maria … io non ti posso portare via adesso perché … beh, sai com’è nei romanzi: lui la porta via dall’altare sul suo cavallo, due pistolettate per seminare le famiglie di lei e dello sposo, e fuggono insieme verso il futuro protetti dalla notte, ma nella realtà non è così. I tuoi sono i Dangering, ci troverebbero in mezza giornata, e poi tu hai un onore che io rispetto.
 
― Faremo come vuoi tu, amore. Ma presto: io compio diciotto anni domani, e sabato mi devo sposare. Se non mi aiuti tu, darò uno scandalo!
 
― Uno scandalo ho paura che ci sarà, ma noi ci sposeremo e allora non potranno separarci. Il piano è questo …
 
Maria non ruppe il fidanzamento, perché questo avrebbe messo in allarme tutti. Invece, si mostrò docile, fece le ultime prove del vestito e finì i bagagli per la sua nuova vita. Festeggiò i suoi diciotto anni come si conveniva.
 
Il giorno dopo, disse di voler fare visita ai Barnes perché non voleva cominciare la vita di dama di rango che l’attendeva prima di esservi costretta. Lady Dangering lo considerò un capriccio innocente e la lasciò andare. Maria mise il suo anello di fidanzamento in un cassetto, scese le scale, attraversò tranquillamente l’atrio, uscì, si chiuse la porta dietro con le lacrime agli occhi e non si voltò.
 
Con sé non portava nulla, a parte una serie di gioielli alla quale era particolarmente affezionata, nascosti sotto gli abiti. Quel giorno, i Barnes avevano fatto in modo di non essere in città, per non essere direttamente coinvolti. Maria andò, invece, a casa Clark.
 
Tutti gli amici erano stati chiamati a raccolta: Becky l’accolse in fretta, Emma la stava aspettando. Maria si provò alcuni abiti e della biancheria, ed Emma fece rapidamente le poche modifiche che erano necessarie perché la ragazza avesse un guardaroba e potesse viaggiare.
 
Arthur veniva dall’ufficio dell’impresa navale, dove aveva ritirato le sue cose e la liquidazione. Due giorni prima, aveva affrontato un momento difficile:
 
― Signor Allen? Posso?
 
― Arthur, ma che ci fai qui? Credevo che tu fossi già oltre la Manica!
 
― No, io … Mi vergogno a dirle … Sappia che io ho una grande stima per lei. E le sono molto riconoscente! Lei ha fatto grandi cose per me, ma io mi … mi licenzio. Devo farlo! Sono stato benissimo qui però …
 
― … Però mi vuoi dire che te ne torni nell’altro emisfero a curare la terra della tua famiglia!
 
― Sì … ma lei come …
 
― Oh, io lo sapevo dall’inizio, che questo momento sarebbe arrivato. Tu sei votato a quello da sempre, e io ho accettato di assumerti lo stesso. Non me ne sono mai pentito, sai? Nemmeno adesso! – Arthur aveva un nodo alla gola, e la sua riconoscenza verso quell’uomo aumentava di momento in momento, ― Però, mi togli una curiosità? Perché proprio adesso, ha a che fare con Georgie, o meglio Lady Grey?
 
― No. – Arthur deglutì per poter parlare: ― Vede, io … mi sono trovato una compagna per la vita. Mi voglio sposare con una ragazza che la sua famiglia non mi permette nemmeno di vedere, perciò non resteremo qui in Inghilterra, sarebbero solo nuovi guai. Già così non è facile, a me sarebbe piaciuto offrirle un matrimonio diverso da …
 
― A-ha! Auguri e felicitazioni, ragazzo mio!
 
― Grazie … lei ha già capito tutto! E poi, le devo chiedere un altro favore.
 
― Voi Butman!… avete sempre qualche cosa di diverso dagli altri. Il favore te lo faccio, è già accordato, però mi raccomando: sposala!
 
E grazie anche al signor Allen, quel giorno Arthur aveva tutto il necessario. Assieme a lui, arrivò anche Dick, e tutti insieme andarono in chiesa.
 
Fu una cerimonia molto intima. Brandon, Joy, Rory, il Conte Wilson e i signori Allen e Clark vollero essere tutti lì. Arthur era molto emozionato, ma sorrideva. Maria aveva le guance rosse e gli occhi lucidi. Non c’era nessuno dei loro parenti, non c’era Georgie, mancavano Lowell e Fritz Gerard, e naturalmente i due sposi in cuor loro pensavano anche a tutti coloro che non potevano essere lì. Tuttavia, non ci si poteva fare niente, e non c’era nemmeno molto tempo per i pensieri.
 
Maria esibì i suoi gioielli, e una meravigliosa mantiglia spagnola di pizzo bianco che Lady Constancia le aveva regalato per il suo debutto in società, a tredici anni. A sorpresa, la famiglia Barnes le aveva fatto trovare un bel bouquet, e aveva prenotato degli addobbi floreali per la chiesa.
 
Arthur si sentiva esaltato. Guardava Maria e si ripeteva “ce l’ho fatta! sono fortunato! sono felice!”. Maria aveva l’impressione che tutto fosse straordinariamente “potente”: la luce all’aria aperta, i colori che filtravano dalle gigantesche vetrate, il profumo dei fiori unito alla cera delle candele, il suono dei passi sulle pietre antiche. Le loro voci vacillarono appena al momento di pronunciare le formule. Le mani di Arthur tremavano nel mettere l’anello al dito di Maria, e lei dovette tener ferma la sinistra del suo sposo per potergli infilare la fede. Si sposarono, nella commozione e nell’affetto di tutti i presenti. Subito dopo, dovettero partire.
 

[1] Affido, in corsivo e tra virgolette, i pensieri di Georgie alle parole della canzone di Richard Marx “The Last Words You Said”, nella versione cantata da Sarah Brightman e Richard Marx: https://www.youtube.com/watch?v=KxGjwP6tUaQ (contenuto nell’album The Very Best of 1990-2000, East-West, 2001). In passato, è stata la colonna sonora della popolare serie Uccelli di rovo



Ecco un altro capitolo, stavolta "di stagione"! I fatti si svolgono in un settembre caldo ... mentre il mio è come "congelato": ancora non riesco a capire che ne sarà del mio lavoro quast'anno, e finché ho tempo, come ho detto, scrivo e aggiorno.
Qui, c'è solo una cosa che mi lascia un po' perplessa: Georgie ci viene sempre fatta vedere come una che non si arrende mai, non cede nemmeno di fronte alle peggiori sventure, mentre qui la rendo un po' "depressa" (scusate l'abbondanza di virgolette). Questo suo carattere sempre allegro e il tipo fisico mi hanno fatto pensare che lei fosse dei Gemelli, anche perché ho avuto diverse conoscenze dei Gemelli, e tutte erano ragazze un po' simili a lei nei comportamenti. Ma devo dire che la parte della tristezza di Georgie mi sta molto a cuore perché, non ci crederete mai, è fortemente autobiografica. La sua reazione è la mia di fronte ai momenti vuoti, di tristezza e attesa, quando non sai che fare. Non riesco ad immaginarla così indistruttibile come ce l'hanno presentata, per me Georgie è così ora.
Oh, a proposito: Maria invece è necessariamente della Vergine. Mi faceva comodo che fosse di settembre, e poi mi va bene che sia di un segno di terra, razionale e concreto, capace di agire quando la situazione lo richiede senza perdere la testa e senza cedere facilmente alle elucubrazioni degli altri. Infatti, Maria non si abbandona mai alla fantasia di Charles, ma chiama sempre le cose col suo nome, e anche questo le permette di salvare Arthur quando ce n'è bisogno.
Grazie come sempre, carissimi lettori, recensori e no, e buon autunno: se l'estate proprio deve finire (NOOOO!), che almeno finisca bene! A presto ^^

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Capitolo 33
*** Luna di miele (I) ***


Carissimi tutti, sono in ritardo e mi dispiace molto. Questo è stato un mese difficile: ho dovuto affrontare un lavoro nuovo, non comodo da raggiungere e con un orario più pesante dell'anno scorso, poi c'è stato il terremoto ... Non vi nascondo che per me è stato davvero scioccante, anche in seguito all'orribile spavento della scorsa estate. Stiamo tutti bene, ma qui l'ultima scossa l'ho sentita appena un paio di giorni fa e ancora una volta mi ha terrorizzato (oltre a stancarmi, perché era nel cuore della notte e dovevo andare al lavoro presto).
Ma non sono qui a parlarvi di tristezze, anzi: questo è un capitolo in cui Arthur non piange (- Nooo! - Sì, davvero!)! Per capire il grado di zucchero del capitolo, riflettete sul titolo ...
La fanart è della dolce 
Kika777, che molto generosamente mi ha permesso di usarla.  Dedico il capitolo a lei e a tutti voi, che mi date tanta felicità coi vostri commenti e il vostro affetto. Spero che vi divertirete, io ho adorato questo capitolo! Un grosso abbraccio e a presto ^^


Quella sera, l’assenza di Maria gettò casa Dangering nel caos, ma a spiegare in parte le cose fu … Charles Fenner, che arrivò pallido e trafelato, alle otto, portando notizie inquietanti: Maria gli aveva fatto recapitare una lettera da un corriere, nella quale affermava la sua intenzione di fuggire con Arthur Butman!
Una lettera personale di Maria giungeva anche a Buckingham Palace, e la sovrana la lesse subito (rimanendo impassibile, malgrado il fatto che in cuor suo, si divertì nel leggerla).
Questo era il contenuto delle due missive:

“Maestà,
mi permetto di scriverVi perché penso che Vi sia dovuto, dopo che tanta benevolenza ho ricevuto da Voi. Sto per compiere un passo che probabilmente disapproverete, ma giuro che la mia buona fede è totale, e che mai c’è stata o ci sarà l’intenzione di disonorare.
Io sto per rompere il mio fidanzamento. Vi ero stata indotta con l’inganno dal Signor Fenner, ma Vi prego di perdonarlo, poiché sono sicura che i suoi sentimenti verso di me siano sinceri, e sono stati quelli a spingerlo. Ora, mi sento libera di sposare colui che amo e che mi ama, ma la sua condizione è quella di uomo comune, e pertanto mia zia Lady Dangering non acconsentirà mai alle nozze. Per questo motivo, ci sposeremo in segreto e poi lasceremo subito l’Inghilterra, anche se questo mi costerà il titolo e ogni altro diritto.
Tuttavia, desidero che sappiate che nulla potrà far vacillare la mia fedeltà a Voi. Ora che il mio servizio è finito, e che parto forse per sempre, Vi confermo e Vi prometto il mio amore di suddita fedele.
La Vostra eternamente devota
Maria Daphne Dangering”

“Caro Charles,
non mi hai vista in questi giorni, né mi rivedrai. Ti scrivo perché non sono così vigliacca da lasciarti senza una parola, ma te lo meriteresti, poiché la tua, di parola, è stata insincera. Infatti, avendo saputo che mi hai mentito su una cosa per me sacra come la salute di mia zia, allo scopo di ricattarmi perché ti sposassi, ero stata tentata di non scriverti nemmeno.
Io ti lascio e ti dichiaro libero da qualunque promessa tu mi abbia fatto. Sposa pure chi vorrai e sii felice.
Ti lascio sia per la bugia che mi hai detto, sia (e soprattutto) perché io amo Arthur Butman e sto per fuggire con lui. Stasera stessa, salperemo per l’Australia, e tu non saprai mai più nulla di me. Ti lascio senza rancore, e te lo dimostro chiedendoti perdono: so benissimo che una signora non si fidanza con un uomo per scappare di casa con un altro la settimana dopo. Ma credimi, è meglio così: se ti avessi sposato, ti avrei reso infelice, e il mio unico rimpianto è di aver permesso che si arrivasse a questo punto.
Ti chiedo un ultimo favore: parla tu con mia zia. Dille che le scriverò presto, ma a lei davvero non riesco a scrivere ora. Che non tema per me. Io mi fido di Arthur, che per una volta anche lei si fidi di me!
Addio, signor Fenner. Coi miei auguri di ogni bene
Maria D.”

Questa seconda lettera, ovviamente, chiarì molte cose ma non calmò gli animi. Lady Dangering si precipitò a Scotland Yard a denunciare la scomparsa di sua nipote, accompagnata da Charles Fenner. La lettera di Maria, secondo lei, costituiva solo la prova che “quell’uomo” l’aveva convinta a lasciare la sua casa, ma la dama non credeva affatto che volesse sposarla, e pertanto bisognava controllare le navi in partenza per l’Australia perché, probabilmente, Maria sarebbe stata fatta salire a forza su una di quelle: se non c’era matrimonio, c’era sequestro! Lady Dangering affermava, cioè, che Maria era una ragazza di “sani e virtuosi principi”, che appena avesse capito che sarebbe stata disonorata e non sposata, avrebbe preteso subito di tornare a casa; se si era imbarcata, era di sicuro contro la sua volontà. In ogni caso, bisognava ritrovarla per accertarsi che stesse bene e che le cose stessero proprio come lei diceva, perché chi poteva dire quali fossero davvero le intenzioni di “quell’australiano”? Non si poteva mica permettere che la trascinasse così dall’altra parte del globo, in quella “terra per uomini perduti”!
Ma non fu necessario mettere in moto un imponente schieramento di polizia per le ricerche: ben presto si scoprì su quale nave erano prenotati il signor e la signora Butman. E quella nave era già salpata.
Lady Dangering tornò a casa sotto shock. Poté ottenere solo che si proseguissero le ricerche emettendo un mandato che raggiungesse la nave al suo primo scalo … in Irlanda! Charles, avvilito e umiliato, si separò dalla nobildonna dopo che questa fu salita in carrozza, con la promessa di tornare a farle visita di buon’ora, e a casa sua avrebbero aspettato notizie. Ma quando Lady Constancia entrò in casa, trovò che aveva una visita: il parroco di una chiesa abbastanza distante dalla sua zona era venuto ad informarla di persona delle avvenute nozze tra Maria Daphne Dangering e Arthur Butman!
Il reverendo aveva accolto la preghiera dei due sposi, d’informare la dama per tempo ma non prima di una certa ora. I ragazzi volevano garantirsi il vantaggio di partire prima che qualcuno potesse cercarli, ma Maria non poteva sopportare il pensiero che il suo nome fosse macchiato da certi sospetti e soprattutto che sua zia passasse una notte senza avere sue notizie. Lady Dangering immaginò Maria diretta in Australia su una nave che viaggiava nella notte, oramai sposata, e capì di non poterla fermare più. E non solo: Maria aveva perso il diritto all’eredità. Che cosa avrebbe fermato Elisa e i suoi dal contestare la nomina di Maria a erede universale, dopo un fatto simile?
Così, mentre la polizia cercava Maria e Arthur nella zona portuale, i due ragazzi erano già in viaggio verso il continente … in treno! Il signor Allen aveva procurato i biglietti per la prima nave disponibile quella sera, e tutte le informazioni erano state fatte filtrare accuratamente: la lettera di Maria era studiata apposta per indirizzare le ricerche nella direzione opposta al loro viaggio, poiché loro erano diretti in Italia, da Georgie, come Arthur aveva promesso. L’Australia li avrebbe aspettati!
Fu solo quando il treno si mosse che Arthur si rilassò. La partenza era stata commovente: non immaginava, fino ad allora, quanto gli sarebbe costato lasciare tutte quelle persone … Joy, Dick, Emma e il Conte Wilson avevano partecipato attivamente al suo salvataggio … Brandon, Rory e Becky erano ormai per lui amici coi quali c’era autentico cameratismo, oltre che affetto … il signor Allen era stato il miglior datore di lavoro del mondo, gli aveva permesso tante cose e lo aveva fatto crescere … i Barnes lo avevano coccolato, eppure anche loro avevano contribuito per farlo diventare un giovane uomo in grado di affrontare il mondo … aveva abitato per mesi e mesi a casa del Conte Wilson, lui che non aveva niente in Inghilterra a parte, all’inizio, una malattia e una taglia messa su di lui da Dangering … aveva visto nascere il bimbo di Emma e Dick, ma non lo avrebbe visto crescere … Aveva salutato la giovanissima Catherine in modo particolarmente affettuoso: le aveva detto “sii felice e grazie di tutto”, e aveva dovuto sforzarsi di non piangere nel separarsi da quella fanciulla che era stata innamorata di lui fin da bambina. Alla stazione c’era stata molta fretta, ma ora il ragazzo si rendeva conto che tutta quella gente gli mancava già. “Sono proprio un emigrante,” pensò “costretto a rimpiangere sempre qualcuno dovunque mi trovi, con un pezzo di cuore in ogni continente dove ho vissuto … Se solo fossi come Abel, che vive per viaggiare e non si guarda mai indietro!”
Maria, che come lui aveva già percorso quella linea, si rese conto solo in quel momento della portata del cambiamento nella sua vita: partiva per sempre! Non aveva più una casa in Inghilterra, e avrebbe diviso la sua vita con un uomo che, in effetti, aveva visto per pochi giorni negli ultimi tre anni. Non che dubitasse del futuro: aveva già messo in gioco tutto una volta per salvare Arthur, e ora non temeva di lasciare tutto, e anche di corsa. Se avesse avuto dei dubbi, avrebbe probabilmente accettato lo stesso destino che accettavano tante altre ragazze come lei e si sarebbe legata allo sposo scelto dalla famiglia, e al suo ruolo in fondo sicuro, prevedibile. Col matrimonio combinato, avrebbe conservato ricordi e conoscenze, sarebbe stata comunque una rottura con la sua vita precedente ma molto meno drastica di così. In realtà, però, era turbata. Erano soprattutto la velocità e la segretezza con cui tutto stava succedendo, a sconvolgerla: non aveva neanche salutato, perfino la biancheria che avrebbe portato non era la sua!
Guardavano scorrere i sobborghi della città nel crepuscolo. Arthur capiva che Maria doveva essere tesa, ma non sapeva bene come affrontare il discorso, perché temeva di essere deluso, aspettandosi solo amore ed entusiasmo da lei, mentre magari lei stava cominciando a ripensarci … Anche lui la conosceva poco, negli ultimi anni non si erano visti spesso!
― Tutto a posto? emozionata?
― Sì … Sai, ho un po’ paura di non essere una brava moglie. Io non ho mai stirato, non so cucinare e mi fa paura …
Arthur era un po’ stupito, ma capì che Maria aveva ragione: una ragazza che non si era mai rifatta il letto, che non si era mai dovuta porre nemmeno il problema del prezzo delle cose che voleva, e di sicuro non aveva mai messo in conto il tempo che ci vuole per il bucato o per lavare i piatti, ora diventava la moglie di un contadino …
― Povero amore mio, che fuga d’amore poco romantica! Ti sei sposato uno che non ti può nemmeno garantire una cuoca ma solo una fattoria … e magari tu sognavi una fuga mozzafiato con un avventuriero, un pirata o giù di lì …
― Non mi parlare di pirati, come faceva quel buffone di Charles! No, grazie! Sarò tua moglie e tu mi dovrai insegnare tutto. Mi dispiace per te … ma noi resteremo sempre insieme come una cosa sola, cucina o non cucina!
― Sarai perfetta così! ― Arthur rise e l’abbracciò: ― Ah, tesoro, come vorrei che Charles ti vedesse adesso!
― Haha, sei perfido! Povero Charles, avrà letto la mia lettera a quest’ora …
― Come, gli hai scritto?! Non bastava scrivere a tua zia?
― No, non me la sono sentita di scrivere a lei, però dovevo far arrivare a casa l’idea della nave, in qualche modo. E poi a Charles dovevo dare spiegazioni, non ti pare? Stavo per sposare lui … voglio dire, lui pensava che stessi per sposarlo …
― Maria, senti … Ma se io non fossi potuto venire a prenderti, perché ero in Italia, magari … tu che avresti fatto?
― Te l’ho detto, uno scandalo. Avrei detto di no all’altare, se proprio mi ci avessero trascinato.
― Ma io non lo capisco, perché lui ha voluto spingerti così, non lo sapeva che amavi me? Ora me lo puoi dire, senza paura perché io lo posso accettare: non è che hai avuto una storia con lui, per caso?
Maria spalancò gli occhi, e per un attimo si sentì veramente sconvolta:
― Ma no, che cosa stai dicendo?! E tu mi hai sposato col pensiero che io potevo averti tradito con un altro, e non hai detto niente?!
― No, è che … io sono … sono geloso, scusami! Devi capire, ho avuto giorni per immaginarmi … te con lui, voi due che … E adesso gli hai anche scritto. Non riesco a non chiedermi …
― Io non ti ho tradito!
― Oh, ma certo che no, certo che no! – Arthur era rosso in viso per la vergogna: ― Non volevo, perdonami, è che il pensiero di un altro che ti abbracciava, magari che ti … Niente, lasciamo stare, errore mio.
Maria lo osservò: Arthur era teso in ogni muscolo del corpo, e guardava fuori col viso appoggiato sulla mano, e la mano che in parte gli copriva il viso. Era tremendamente in imbarazzo, ma alla fine non aveva torto, lei si era fidanzata con un altro!
― Non essere geloso … Certo che gli dissi che ti amavo, lui lo sapeva. Non gli ho mai permesso di baciarmi, né di abbracciarmi stretta come tu hai sempre potuto fare. Sei tanto carino, quando sei geloso! ― Maria rise, e Arthur sorrise abbassando gli occhi – Non ho mai amato nessuno che non fossi tu, non potevo lasciarmi baciare da un altro! E tu, sei mai stato innamorato di un’altra?
Arthur non alzò gli occhi, aprì la bocca per parlare e la richiuse. Maria smise di ridere di colpo. Il giovane sposo non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione. Lui non conosceva bene Maria, che cosa si poteva aspettare a dirle la verità? Maria aveva il diritto di chiedere, e lui ormai non poteva fare altro che ammettere, perché per negare era già troppo tardi, e scappare non era possibile! Maria si stava pentendo di quella domanda, e aspettava una risposta che in effetti aveva paura di sentire.
― S-sì. Veramente … non ero corrisposto, però. E non gliel’ho nemmeno dichiarato. – Arthur pregò che Maria si accontentasse, ma sbagliava: Maria voleva vedere il fondo, anche se un po’ le faceva male.
― E … chi era? una ragazza australiana, una tua amica?
― Maria, per l’amor del Cielo … ― Arthur si alzò dal posto accanto a lei e le si sedette di fronte, le prese le mani sul tavolino tra di loro e la guardò negli occhi, ma non riuscì a sostenere quello sguardo chiaro: ― Lei era … era … ecco … ufff! era Georgie! Ma credeva di essere mia sorella, all’epoca.
Georgie?! Oh, mio Dio …
― Maria, ma che importa ormai? Sono passati anni da allora …
― Ma vivevate insieme. La conoscevi perfettamente, c’era una grande confidenza, no? Lei ti è stata più vicino di me. Ed è così bella …
― Tu … tu mi piaci da morire, Maria Butman! Tu! Lei mi conosceva abbastanza poco, invece, perché non conosceva la fiamma che ho dentro, non le interessava e si considerava mia sorella. Nessuna mi è mai stata vicina come te. Voglio bene a mia sorella, e basta. Georgie non mi ha mai guardato come mi guardi tu. Ho scoperto l’amore con te. Sono rinato con te, quella notte che mi hai salvato. Tu mi desti un bacio, te lo ricordi? Dimmi, te lo ricordi? – si alzò di nuovo e tornò a sedersi vicino a lei, mettendole un braccio intorno alle spalle.
― Sì … davvero ti piaccio così tanto?
― Io ti ho appena sposato, come puoi avere dei dubbi?! Quello fu il mio primo bacio. Un bacino come quello per me è stato un pensiero sconvolgente per mesi! e tu sei bellissima! – Arthur sorrise abbracciandola: ― Un minuto fa ero io a morire di gelosia per Charles, non ti ricordi? Ah, sono pazzo di te!
La baciò a lungo nel loro scompartimento privato, con una passione che Maria ricambiava, infine si alzarono e uscirono per la cena.
Qualche ora dopo, Arthur si accertò che Maria avesse tutto l’occorrente per la notte. Bastava la parola “notte” a fargli venire il batticuore, mentre la giovane sposa non entrava in argomento ma lo guardava con occhi che brillavano, e ogni tanto intercalava la conversazione (dolcissima) con una risatina nervosa. Infine, lo sposo entrò nello scompartimento letto, trovando Maria già distesa nel letto di sotto, com’era logico. La sua sposa si era cambiata mentre lui era fuori, e lui decise che si sarebbe cambiato dopo, quando fosse stato più tranquillo, perché in quel momento era in uno stato di agitazione notevole e non aveva ancora nessuna confidenza con lei. Allora, capì che era il momento di rompere il ghiaccio e chiuse la porta col catenaccio …
― Sei a posto, il letto va bene?
― Sì, Arthur, grazie … ― Maria non lasciava trapelare la sua emozione, ma non poteva non essere un po’ tesa, e fin lì Arthur ci arrivava.
Tolta la cravatta, si sbottonò tre bottoni della camicia, mise il suo pigiama sul letto di sopra e si chinò su Maria, che era coperta dal lenzuolo quasi fino alle spalle.
― Mi posso sedere?
― Sì, certo.
― Maria … hai paura, vero?
― Sì … un po’.
― Ma ci sono io! Fidati di me, questo è il momento di essere felici … ― Maria si tirò più su sul letto (per sedersi, lo spazio era troppo basso), e Arthur poté vedere la parte superiore di una camicia da notte a maniche corte, con dei bei ricami e una consistenza che le permetteva di adagiarsi sulle forme della ragazza. Maria era bella! Oh, come gli piaceva!
― Io mi fido di te …
Maria era reduce da una rivoluzione nella sua vita, e ora era stanca, soprattutto agitata per tutte quelle novità. Ma la giovinezza le dava la spavalderia di accettare ogni cosa con curiosità, l’amore la sosteneva, e ora affidarsi a lui la faceva sentire sollevata.
― Brava: vedrai, come sarà bello stare insieme come fanno gli sposi. Però, certo che averti qui, finalmente, non sembra vero! Ti amo tanto che non mi sembra vero … ― Le accarezzò una guancia.
Maria prese la sua mano e tornò a distendersi, sempre tenendo la mano di Arthur e poi spostandola sul proprio collo, verso la scollatura. Arthur si chinò su di lei per baciarla delicatamente. Con una mano, Maria gli accarezzava i capelli mossi e morbidi, sulla nuca, mentre continuavano a baciarsi, poi gli disse:
― Ma così sarai scomodissimo … ― e si schiacciò contro la parete dello scompartimento, sollevando le coperte per invitarlo. Così, si scoprì il busto e un fianco, e il cuore di Arthur, che già batteva forte, fece una capriola.
― Bisogna che mi tolga i vestiti … per mettermi nelle lenzuola …
― Sì …
Maria tratteneva il fiato: il suo sogno proibito di sempre finalmente si rivelava a lei … quelle spalle larghe, quella corporatura slanciata e perfetta, la trepidazione con cui la guardava! Sì, il suo amore era un uomo di carne e pensieri, sentimenti e vita, da stringere forte per sempre! Gli tese le braccia, come pensava che non avrebbe mai fatto (una signora vittoriana non si comportava così), socchiudendo gli occhi e sussurrando “Sei bello …”.
Quell’invito spazzò via ogni titubanza del ragazzo, che si tuffò in quell’abbraccio con un gemito felice. Subito, Arthur sentì sotto di sé il corpo morbido di Maria, che si era già scaldato tra le lenzuola, e non poté fare a meno di stringerselo addosso, e questo lo fece sentire come non si era mai sentito in vita sua: eccitato, forte e virile.
La sua dolcezza innata trovò la strada del silenzio per esprimere il suo desiderio: Arthur guardò Maria negli occhi, dopo averla baciata con passione, poi abbassò lo sguardo sul resto di lei accompagnandolo con una carezza. La mano di Arthur scese dal collo e si allargò superando la clavicola e il suo piccolo incavo delicato, poi scese ancora lungo il braccio con le dita, arrivando sotto il seno, dove si fermò e si aprì per raccoglierlo dolcemente. Mai la sua mano era arrivata fin lì. Arthur rimase puntellato su di un gomito per assaporare l’emozione che gli dava quel contatto così morbido, mentre rubava con gli occhi ogni riflesso del raso cercando d’immaginare quello che c’era sotto.
Maria guardava la mano di Arthur, e la trovava grande e calda, sicura. Poi, invece, sul suo viso leggeva la sua timidezza, la passione trattenuta, e lo amava ancora di più. Così, il capezzolo s’indurì mostrandosi liberamente attraverso il tessuto. Arthur credette di sognare. Quasi per accertarsi che non fosse un sogno, trovò il coraggio:
― Amore mio, ti prego: spogliati … ― Era un sussurro, detto con quella voce che in tre anni e mezzo era cambiata, diventando quella profonda di un uomo.
Finalmente poté ammirare la sua Maria, coi suoi seni abbondanti, il suo ombelico, i fianchi, tutto quello che lui aveva immaginato tante volte, ma ora era tutto vero e molto più invitante!
― Oddio … quanto sei bella! – cercava di non ansimare ma era una battaglia persa, mentre anche lui rimaneva senza più niente addosso.
Maria abbozzò un sorriso, con le guance rosse, fissando gli occhi nei suoi, prima di osare guardarlo tutto.
Un attimo dopo, Maria lo guardava e sorrideva con vera felicità. Un attimo dopo ancora, Arthur la baciava con slancio e lei sospirava con gli occhi chiusi, perdendosi sempre di più in quel piacere. Poco dopo, era lei a baciarlo, sul viso, sul petto, nel quale il cuore di Arthur batteva come se dovesse alimentare il treno che li portava lontano.
Il treno li portava lontano, e la loro passione faceva altrettanto. Ormai non si vergognavano e non si fermavano, ma anzi volevano sempre di più. Solo un barlume di volontà cosciente li spingeva a non gemere troppo forte, a non gridare al mondo la loro felicità. Invece, a tratti e col respiro spezzato, si bisbigliavano ancora il loro amore e i loro brividi:
― Sei tra le mie braccia! … Io non l’avevo mai fatto …
― Davvero?
― Davvero! Mi sono mantenuto … per te.
Maria pensò che lui era come lei, inesperto ed emozionato, ma aveva dovuto “fare l’uomo”, doveva essere stato difficile! E aveva fedelmente aspettato quel momento: lo amava ancora di più per questo, e lo strinse più forte mentre scopriva un piacere nuovo.
― E adesso sei … la mia donna …
― Lo sono sempre stata! … Non ho mai amato … che te!
― Ah … sono troppo felice!
Il treno correva nella notte, sotto la luna. Al suo interno, in uno scompartimento di prima classe in penombra, Arthur e Maria si amavano con tutte le loro forze. Nella notte francese, in un piccolo spazio adatto ad una sola persona, il loro amore esplodeva segretamente, e quando finalmente quella giornata finì, il movimento prodotto dalla corsa sulla ferrovia sembrò cullarli. Si lasciarono andare al sonno vicini e sorridenti, sentendosi diversi da prima, un uomo e una donna, marito e moglie. Una cosa sola.
L’indomani, brillava il sole sulla Francia. I due sposi novelli si svegliarono e da quel momento per loro fu una festa. Ridevano di pura felicità per il fatto di essere insieme, sposati, in viaggio verso il loro futuro. Fecero colazione nel loro piccolo spazio privato e meraviglioso. Era un po’ seccante doversi comportare come due tranquilli viaggiatori, anziché come due sposi padroni di casa, per quelle convenzioni alle quali è difficile sfuggire. Più che altro per pudore, infatti, decisero di alzarsi e permettere al personale di sistemare lo scompartimento per gli usi diurni. Così, Arthur si fece la barba, sorridendo a Maria che lo guardava divertita nello specchio. Maria si acconciò i capelli e tutti e due si vestirono con indolenza.

 

Poi, si sedettero davanti al loro finestrino e lasciarono trascorrere le ore, guardando campagne e città, guardandosi negli occhi, facendo progetti. Passeggiarono nel corridoio per un po’, pranzarono e decisero di fare come i mediterranei: dissero di voler riposare e chiesero che i letti fossero preparati di nuovo. Così, finalmente …
― Ecco, siamo da soli, era ora … Baciami, marito mio! – Maria sorrideva con un’espressione molto invitante, mentre Arthur si affrettava a chiudere col chiavistello.
― Sì, subito, signora Butman! – Come gli piaceva poterlo dire! E come gli piacevano le labbra e i sospiri di Maria!
Frettolosamente, le slacciò il vestito, e Maria gli sfilò la giacca e la cravatta. Con una mano, Arthur si precipitò a chiudere la tendina dorata del finestrino (potevano entrare in una stazione, e sarebbe stato terribile essere visti!), e la luce del giorno continuò a filtrare con discrezione. Una lama di sole a lato della cortina giocava coi loro volti e i loro corpi, rendendo tutto ancora più magico per i due innamorati. Anche per questo, forse, a tutti e due sembrò tutto diverso dalla notte precedente. Il viso di Maria sapeva di cipria, e Arthur dovette combattere con la complicata corsetteria dell’epoca. Si mordeva il labbro inferiore mentre le slacciava sul davanti il nastro del busto color panna:
― Queste cose le hanno inventate per far aspettare gli uomini, vero? Maledetti …
― Ahah, veramente sì! Hai fretta, amore?
― Sì … Colpa tua, sei troppo sexy …
― Bene, così mi desidererai di più!
Maria gli infilò le mani sotto la camicia, e allora Arthur perse davvero la testa: le dita della ragazza sui fianchi e sul torace gli provocavano un dolce solletico stuzzicante e lo obbligavano a gemere, mentre tutte le esitazioni della notte prima non erano che un ricordo. Il busto finalmente venne via, e Maria frenò il suo sposo appena in tempo per evitare che si strappasse via la camicia con tutti i bottoni! Il resto degli abiti … seguì alla rinfusa, e i due giovani si buttarono di nuovo sul letto inferiore: quello scompartimento era diventato un’alcova nonostante le dimensioni inadeguate. Arthur fece in modo di aderire più che poteva alla pelle di Maria, che intanto gli si aggrappava alla schiena baciandogli il collo. Il suo sposo era fremente e bello, e lei si sentiva dentro qualche cosa di nuovo, di violento, che la mordeva e la spingeva, e questa forza aumentava con le parole di passione che Arthur le sussurrava con voce roca:
― Maria, baciami … così, baciami ancora! Sapessi quanto l’ho sognato … Ah, ti voglio!
― Allora stringimi … Sono qui, tutta per te! … Ma che cosa mi hai fatto …? Mi hai stregata …
Il giovane si puntellò un momento sul letto per guardare la sua amata sotto di sé: il raggio di sole accarezzava la pelle chiara di Maria, e si muoveva mentre lei ansimava, seguendo così le rotondità del suo corpo; poi, risalendo fino al viso (la bellezza di quelle labbra, aperte per cercare aria!), illuminava la sua guancia arrossata, per risplendere azzurro in una delle sue iridi. Più in basso, Arthur sentiva la propria virilità spingere contro una coscia di Maria, e questa sensazione lo inebriava:
― Volevi che ti desiderassi di più: ti basta, così? Mi fai impazzire, amore!
Maria sorrise trionfante, poi lasciò che i baci e le carezze facessero la loro danza nuziale un’altra volta, sentì corpo e mente esplodere di piacere un’altra volta, e raccolse con felicità i sussulti e l’abbandono di Arthur.
Egli rimase disteso su di lei, con gli occhi chiusi, ad assaporare quel momento perfetto mentre il respiro tornava normale, e il dorato pomeriggio di settembre li avvolgeva. Poi, sollevò lo sguardo sulla sua Maria, che ora gli appariva rilassata e più bella che mai:
― A ripensarci, sai … devo dire che sono più contento così: è meglio che Charles non possa vederci …
― Ma come ti viene in mente!? – risero di gusto tutti e due, ancora languidamente allacciati.
― Adoro farti ridere! No, sul serio, è così bello! Stare così, qui con te, amarti così … è troppo bello. Come se non esistesse nient’altro al mondo …
― La nostra felicità è nostra. E noi ci apparteniamo.

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Capitolo 34
*** Luna di miele (II) ***


Ma a Londra, anche Lady Constancia faceva i suoi piani. Quella mattina, per prima cosa fu informata del fatto che i fuggiaschi in realtà non avevano mai preso la nave! Presumibilmente, dovevano essersi mossi via terra, perché non era probabile che fossero ancora in città. Poi, la polizia scoprì che si erano effettivamente sposati, e a questo punto il commissario le spiegò che loro si fermavano lì: non c’era motivo di continuare ad inseguire una coppia di legittimi consorti, che magari avevano già lasciato il paese e che, ormai, erano padroni di farlo perché marito e moglie non potevano essere perseguiti dalla legge solo perché ad una parente non piaceva lo sposo.
L’altro sposo, Charles, era presente, e anche Elisa Dangering, che appena saputo dei fatti aveva voluto raggiungere la zia, visto che i suoi erano fuori città. Lady Dangering ogni tanto guardava Charles e sospirava. Era seriamente preoccupata per Maria, perché non sapeva se stava bene e come avrebbe vissuto da quel giorno, non sapeva dove fosse e non aveva idea di quando e se l’avrebbe rivista. Ma era anche un po’ arrabbiata con Fenner: il giovane aveva lasciato intendere che il suo rapporto con Maria funzionasse, e per questo lei aveva creduto di poter affrettare le nozze; invece Maria non aveva mai voluto sposarlo, e se non ci fosse stato l’inganno di Charles ora la ragazza sarebbe stata al sicuro a casa; eppure, al tempo stesso, la dama rimpiangeva che il progetto matrimoniale con lui fosse sfumato. E se alla dama non sfuggiva la relazione tra la fuga di Maria e la pressione su di lei perché sposasse Charles, forse le sfuggiva che a farle pressione era stata proprio lei …
Per quell’ora, i giornali erano già usciti e tutta la nazione sapeva del “sequestro” della giovane e innocente Maria Dangering ad opera di un “avventuriero australiano” che l’aveva portata chissà dove. Per la gente, Arthur Butman era ancora un ricercato, e Lady Constancia a questo punto fece una cosa davvero irrazionale e pericolosa: decise d’ignorare la testimonianza del parroco e il punto di vista degli investigatori, e di fare come se Maria e Arthur non si fossero sposati. Per cominciare, chiese alla polizia di non calcare la mano coi giornalisti su quel matrimonio, anzi di aspettare a comunicare qualsiasi cosa alla stampa. Si apriva la stagione di cricket e si dibattevano fatti importanti alle Camere: la gente si sarebbe distratta, e la notizia dell’avvenuta regolarizzazione della coppia sarebbe stata pubblicata come secondaria. Non c’era nessuna logica, era solo il tentativo di negare l’evidenza del matrimonio di Maria e Arthur.
Poi, Charles Fenner ed Elisa accompagnarono la Contessa a casa sua, dove la lasciarono perché voleva restare sola. Charles, infine, pallido e avvilito, accompagnò a casa anche Elisa:
― Non ci posso ancora credere … Io volevo portarla con me, farle vedere Parigi … Noi dovevamo andare ai Caraibi …
― Oh, Charlie, mi dispiace proprio tanto! Non te lo meritavi. – Elisa era in imbarazzo verso Fenner, che apparteneva ad una famiglia importante e ufficialmente poteva considerarsi offeso nel suo onore per l’abbandono della sua promessa.
― Dove sarà adesso? … Con lui!
― Eh, lo so! Questi australiani, venuti fin qua solo per sconvolgere la nostra famiglia … povero Charles, ti capisco così bene! A me la sorellastra di Arthur ha portato via Lowell!
― Già, tu sì che mi capisci. Gente come noi di rado ha la fortuna di potersi sposare per amore, e io ci ero andato così vicino … Ora la gente si aspetta anche che io mi comporti come niente fosse, in fin dei conti sono Charles Fenner, io siederò ai Lords! Ma come si fa, a fingere …
― L’amore è una cosa molto bella e molto forte, io lo so. Perciò, con me, non devi per forza fare il superiore. Tu sei già superiore per nascita e cultura alla maggior parte della gente, che vuoi che ne capiscano? Con me puoi stare sereno, Charlie … ― Elisa sorrise con un’espressione che confortò davvero Charles, per un momento.
― Come sei buona, Elisa …
― Hai ragione, a gente come noi l’amore spesso non è consentito, mentre tu ed io sappiamo che cos’è. Però, devi ammettere che … anche Maria lo conosce. Pensaci, che matrimonio sarebbe stato il vostro? – Elisa fece una pausa, perché Charles potesse cominciare a considerare l’idea: ― Mia cugina … gli salvò la vita tre anni fa, e andò incontro a tutte le conseguenze. Se non lo ha dimenticato finora, anche sposandoti avrebbe avuto dei rimpianti. Ti meriti di meglio, non ti pare?
― Come mai sei così saggia?
― Io ho dimenticato Lowell. Tu dimenticherai lei, e sarai felice. Siamo arrivati. Vieni su, ti offro un po’ di tè. Con questo freschetto ci vuole, e fa miracoli per la tristezza!
Charles sorrise e accettò. Dentro di sé, s’interrogò sui suoi propositi: conosceva davvero l’amore? E che sapeva del matrimonio, che non fosse che era una necessità soggetta alla convenienza? E invece, forse era così il senso del legame matrimoniale: un calore dolce e confortante come una tazza di tè, un’offerta gentile e gratuita e non una pretesa. Aveva cercato di soggiogare Maria, forse aveva proprio sbagliato tutto …
Non aveva ripensamenti, invece, Lady Constancia, rimasta sola coi suoi pensieri angosciosi sulla sorte di Maria. Doveva trovarla, assolutamente, magari anche riportarla in Inghilterra. Ci doveva pur essere un vizio in quel matrimonio, qualcosa a cui appellarsi! E comunque, anche se non c’era, lei Maria la doveva trovare per sapere tutto sulla sua vita: non si fidava affatto di Butman …
Nel pomeriggio, finalmente si decise: fece chiamare un uomo, un certo Duncan, investigatore privato. Doveva scoprire dove fossero andati Arthur e Maria, e tenerla aggiornata. Se non erano più in Inghilterra, allora sarebbe partita anche lei, ma prima di tutto lui doveva seguire le loro tracce e raggiungere Maria, perché Lady Constancia non avrebbe avuto pace finché non l’avesse trovata.
 
 
***
 
Lontanissimi da tutti questi pensieri, i due novelli sposi vedevano il loro secondo tramonto dal finestrino. Al crepuscolo, cenarono (Arthur rideva, spiegando a Maria che col clima australiano si sarebbe abituata a non considerare più quattro stagioni, ma solo due, e avrebbe imparato a non mangiare presto come i bambini). Erano giunti presso le Alpi, al momento di andare a dormire, e faceva più freddo. I due ragazzi si addormentarono ciascuno nel proprio letto, stavolta, dopo lunghe chiacchiere e tenerezze al buio. Per Arthur, fu una sorpresa quello che accadde dopo …
Il sogno cominciò con le sbarre della sua cella, nei sotterranei angusti e umidi di casa Dangering. Da dietro la porta, i passi di due uomini a lui ben noti si avvicinavano. “No, per favore!”, pensava il povero ragazzo, sentendosi piccolo e debole, chiedendosi che volessero da lui. Entrarono dopo un rumore di chiavistelli, con violenza:
― Ma chi ti credi di essere?! Tu … e Maria! Non esiste, mia figlia non ti appartiene, non lo permetterò! – a tuonare era il Duca, imponente come non mai con le sue basette, le sue sopracciglia grigie e austere, il suo pesante panciotto di broccato: ― Morirai per questo, Cain!
Dangering uscì, lasciando lì Arwin, che si avvicinò ad Arthur (non prima di aver chiuso la porta a chiave dall’interno):
― Sei stato un pazzo! Ora non ti possiamo più proteggere, non lo capisci? Dovevi essere solo un capriccio, per mia sorella, ma tu hai voluto troppo, piccolo ingrato! Ora la tua vita vale così poco che io potrei prendermi tutto quello che voglio da te, potrei chiamare quei due là fuori e farti legare … potrei drogarti, non sai quanta bella roba che c’è qui … potrei spogliarti, lo sai?, e tu non ti opporresti, perché la droga fa questo e altro. E prima dell’alba, scopriresti quant’è torbida l’acqua del Tamigi, non ti troverebbero mai. Non ti cercheranno mai nel fiume, ti faremo un funerale finto per Maria, e bye bye … tutto perché hai preferito tentare di fuggire con lei …
Arthur si svegliò tremando, era così sconvolto e freddo che avrebbe voluto gridare aiuto, stava per farlo quando si ricordò dov’era e con chi. Ma sì, i Dangering erano morti e lui era già il marito di Maria, e si trovava o in Francia o addirittura in Italia … ma non si sentiva bene. Tremava di freddo e l’angoscia non lo lasciava. Non voleva svegliare Maria … poi smise di mentire a se stesso: sì, che voleva svegliarla!
― Maria … Maria!
― Mmmh … amore? … ma che c’è?
― Niente, io … ho freddo! Odio il freddo, io sono australiano … non riesco a dormire …
― Chiamiamo qualcuno del personale, ci facciamo portare una coperta? – la voce di Maria suonava assonnata.
― Sì … no, aspetta. Magari dopo … io … è che il freddo non lo provavo quasi mai, a casa, in Australia, mentre mi ricorda la mia prigionia. Quelle notti … ero da solo, non sapevo più se avrei rivisto qualcuno che conoscevo, e nella mia stanza … faceva tanto freddo … mi stringevo … avevo paura, mi volevano uccidere, tuo padre lo diceva sempre … Maria, avevo tanta paura di morire, i brividi non passavano. Tuo fratello, poi … mi veniva a cercare, e … io non lo so, il perché e che voleva … pareva quasi … mi guardava …
― No! Oh, mio caro, non me lo dire, davvero Arwin … ?!
― No, non lo so, non è mai successo che mi … però, sai, non lo so bene … Era tanto che non ci pensavo, eppure … Ho avuto un incubo: sarei stato ucciso a breve …
― Vieni subito qui!
Arthur scese la scaletta tremando, non si spiegava davvero quel sogno dopo anni che non gli capitava, poi s’infilò di corsa nella nicchia calda lasciata dal corpo di Maria, mentre lei gli faceva posto e lo abbracciava. E allora, dopo un secondo, Arthur si rese conto che era nuda!
― Caspita, è vero, sei proprio gelato! Brrr!
― Ma … Maria, com’è che non hai la camicia da notte?
― Oh, beh, è sotto il cuscino. Mentre parlavi ho avuto un’idea geniale: per scaldare bene una persona in un letto, in mancanza di una stufa o di uno scaldino, l’ideale è il corpo nudo di un’altra persona!  Sono o no un genio? Una cosa del genere poteva venire in mente solo a me!
Arthur rise, finalmente, sentendosi molto meglio:
― Già, a chi altri? Un’idea eccezionale … ― non se ne parlava proprio, di raccontare a Maria che una volta, una notte di tempesta in cui Georgie aveva vissuto un altro “incubo”, lui aveva avuto proprio la stessa ispirazione! – Grazie, amore mio … mi sento molto meglio, è bellissimo così!
Il pensiero di quell’episodio a casa di zio Kevin evaporò dalla mente di Arthur, facendo posto a tanta tenerezza.
― Non avere paura, ci sono io qui, non ti lascio … Qui non ti tocca nessuno … Ti scaldo io, lo senti? Stai tranquillo, tesoro … Non succede niente, riposati …
Maria teneva amorevolmente il viso di Arthur appoggiato sul suo petto morbido, e parlava sottovoce. Arthur la strinse (cercando di non toccarla con le mani perché dovevano essere fredde), mentre sorrideva con gli occhi nel buio. Forse era questo il senso vero del legame coniugale: un posto segreto e sicuro, dove non manca mai il calore che rassicura e salva dalle brutture della terra, il luogo dove può andare solo l’amore più vero e nessun altro.
― Forse se ho fatto quel sogno è perché … dopo tutto quello che è successo, all’improvviso è tutto così bello … che ho paura che qualcuno arrivi e mi dica che non è vero, che tu non sei per me, e ti porti di nuovo via! Stupido, eh? ― Il pensiero che invece proprio nessun altro potesse raggiungerli, lo confortò fino a farlo addormentare.
 
***
 
L’indomani, Abel poté finalmente prendere il traghetto che da Gaeta portava a Ischia. La stagione mediterranea era completamente diversa da quella che aveva lasciato a Londra, pareva ancora estate. E che estate! Il caldo si faceva sentire e attraverso la foschia il sole scottava ancora. Un mezzo di trasporto di casa Grey lo aspettava all’approdo, con un cocchiere. Che meraviglia, il panorama! D’estate era ancora più bello, anche se Abel non dimenticava che Lowell stava male, che Georgie era angosciata e che lui era lì per cercare di portarle conforto. Velocissimamente, scaricò il proprio bagaglio e sbarcò.
La carrozza partì, attraversò il centro abitato e se lo lasciò dietro per seguire la tortuosa strada costiera, che assecondava i promontori. Poi, le prime case della cittadina lasciarono il posto a palazzi più grandi, vicino alle scogliere. E in un’insenatura protetta, dal finestrino aperto (che bella la brezza del mare, che da quel lato dell’isola non incontrava l’aria della città malata sulla terraferma!), dal finestrino verso la spiaggetta, Abel la vide. Era china sull’acqua bassa, con l’abito tirato su sui polpacci nudi, fermato in modo da non bagnare la gonna, a piedi scalzi nel mare, intenta a pescare telline che poi raccoglieva in un grembiule. Il sole contro i suoi capelli rossicci era lo stesso che brillava sull’acqua, abbagliando in parte Abel, eppure quest’ultimo non ebbe un attimo di esitazione nell’identificarla:
Stop, please! – disse al cocchiere, e poi si affacciò per guardarla.
Nel sentire la carrozza, o forse per scostarsi un ricciolo dalla fronte, la bella si drizzò e sollevò lo sguardo, e così si accorse improvvisamente del giovane che la fissava sporgendosi dal finestrino della carrozza, dal piano della strada un po’ sopra di lei, a pochi metri appena. Riconoscendolo, Maristella lo fissò, le labbra un po’ imbronciate della ragazza parevano più carnose, la sua scollatura generosa la scopriva molto di più che non l’abbigliamento invernale col quale Abel l’aveva conosciuta, la posizione curva (e l’imbarazzo, forse?) le avevano arrossato le guance, e attraverso l’acqua limpida si distinguevano le sue caviglie e i suoi piedi nudi e chiari … In una parola, era provocante all’inverosimile, e fissava Abel accigliata e silenziosa.
Abel capì che era tutto perduto, ormai lui non era più indipendente dall’amore che lo aveva tormentato per anni. Come fare a darsi un contegno? Ma perché, tra tutti i modi in cui poteva capitargli di rivederla, la doveva incontrare proprio così, con quell’aria da popolana che ne esaltava la sensualità … e perché lo guardava così seria, era forse capace di leggergli dentro e lo rimproverava per il suo desiderio? Il giovane sorrise:

 
 Abel (Lady Georgie - Collin Atkinston) by Rubina1970

― Mary! Che fai, peschi? – “che domanda ovvia e stupida!”, pensò subito dopo. Ma qualche cosa doveva pur dire!
― Sì! Tutti pescatori, in famiglia, mister! Fatto buon viaggio? – “ma che hai da guardare?! Sì, sono china a raccogliere telline come una ragazzotta qualsiasi, che hai da guardarmi, lo sapevi, no? Oh, ma proprio di qua dovevi guardare, non potevi tirar dritto?! Mi vergogno da morire …”, pensava la povera Maristella, cercando di darsi un tono disinvolto.
― Sì, ottimo, specialmente l’arrivo! – “calmati, Abel, non correre!”, Abel non sapeva proprio come evitare di tradire le sue emozioni! Non voleva essere sfacciato, e cercò di frenare la lingua, ma non poteva impedire anche al suo cuore di correre sfrenatamente. Lei era pericolosamente scoperta, ma lui si sentiva nudo di fronte a lei, indifeso e fin troppo leggibile. – Com’è che ogni volta che arrivo a Ischia porti cose da mangiare con te? Buffo, eh?
― Buffo, eh già! – “oddio, sono io che devo sembragli buffa! Mister, non è che ridi di me, per caso? Ma che aspetti ad andartene, non posso resistere al tuo sguardo, e piantala di guardarmi dall’alto come se volessi prendermi in giro!”, la calma di Maristella era puramente apparente, ma il suo imbarazzo non era colpa di Abel, e non dipendeva da lui se si trovava più in alto di lei, stando sulla strada! La ragazza si aggrappava inconsciamente al grembiule, forse proprio per non ripetere la scena del loro primo incontro, perdendo le telline come allora aveva perso le arance …
― Beh, allora io vado! Ci vediamo dopo a casa, sì?
― Sì …
Abel si passò una mano tra i capelli scuri e lucenti, che un refolo di vento gli aveva scarmigliato, e poi con la stessa mano le fece un cenno di saluto, un attimo dopo era già partito e Maristella rimase lì … pensando a quanto era bello Abel con la luce del mattino che gli baciava la fronte e riverberava nei suoi brillanti occhi azzurri. Poi, la bellissima Maristella uscì dall’acqua. Di telline non voleva più saperne, ora desiderava ricomporsi e rivederlo: “Malandrino, canzonatore, guarda che io sono una signora! Ué, ma adesso a casa lo vedrai! Oh, non vedo l’ora … amore mio!”
Era stato uno di quei rari momenti in cui due persone si toccano ad un livello profondo. Nessuno dei due, però, immaginava che l’altro provasse le stesse cose, che i loro sentimenti fossero così simili. Anche Abel pensava di aver fatto una ben magra figura, e l’immagine di “Mary” gli faceva mancare il respiro al punto tale che fu tentato di dire al cocchiere di tornare indietro. “Ma no … mi renderei ridicolo, e con che scusa? … CHE IDIOTA! Ma dove avevo la testa?!”
Neanche un minuto dopo essere ripartita, la carrozza si ripresentò sulla piccola insenatura, e Abel ne scese perché trovandosi sulla carreggiata opposta, ora, doveva attraversare la strada per vedere chi si trovava sulla spiaggia. Si appoggiò di corsa al parapetto, pronto a chiamarla, ma non la vide. La delusione gli bruciò come uno schiaffo violento. Si guardò attorno, ma dov’era, mica poteva essere sparita, o per caso aveva una barca?! Ah, meno male, eccola di lato, fuori dall’acqua!
― Maristella! – la ragazza si voltò di scatto a guardarlo, restando con la bocca aperta come una bambina che scarta un dono: ― Senti, ma vai a casa? Ti porto io!
― Ma … ho … i piedi bagnati, e poi, le telline …
― Oh, e che problema c’è? Aspetta!
Abel tornò al veicolo, aprì lo sportello e frugò dentro, poi tornò in fretta e scese con brevi e atletici saltelli la scala di pietra che portava giù. In mano aveva un asciugamano bianco, e disse:
― Siediti! ― , a Maristella, che automaticamente ubbidì e si mise seduta sul muretto di sassi e malta.
Allora, Abel si chinò e le prese un piede nell’asciugamano, lo asciugò e lo mise delicatamente nella sua scarpa tenendolo per la caviglia, poi fece lo stesso con l’altro, si sollevò, prese l’involto intriso di acqua salata che la giovane aveva posato sullo stesso muretto, lo avvolse nel medesimo asciugamano e porse a Maristella il braccio.
― Grazie … ― Maristella non trovava proprio altro da dire, e nella speranza di non avere le guance troppo rosse, si lasciò accompagnare alla carrozza.
I cinque o sei pescatori di varie età, che si trovavano sulla spiaggia e avevano osservato attentamente tutto, videro il veicolo chiudersi e ripartire. Il più anziano di loro si tolse la sigaretta dalla bocca e disse solo:
― Che peccat’! Se nn’è ghiuta …
― E beat’isso, che se ll’è purtata!1 – fu il commento sentito di un altro.
Il viaggio in carrozza era breve, ormai, e i due ragazzi scambiarono poche parole. Gentili, dapprima:
― Beh, allora tuo fratello si è sposato!
― Ah, vi è arrivata una sua lettera? Oh, che meraviglia! Lo speravo, ma ero in viaggio, e così l’avete saputo prima voi qui a Ischia di me che vengo da lì. Che ha scritto?
― Che è andato tutto bene e sta arrivando. Mi fa così piacere per lui! – “le guance mi scottano ancora! Speriamo che non ci faccia caso … in fondo, co’sto sole, penserà che è per quello!”
― Una bella notizia, finalmente! Saranno felici, sono sicuro. – “Maristella, che dolce che sei e nemmeno lo sai!”
― Già, non abbiamo avuto altre belle notizie … ― Seguirono poche frasi preoccupate su Georgie e Lowell, e poi Abel e Maristella erano arrivati.
Improvvisamente, Maristella sorrise e abbassò gli occhi, mentre la carrozza rallentava e infilava il vialetto d’ingresso:
― Senti … ti devo chiedere … Ecco, per favore, non dire a Georgie che mi hai vista pescare in quel modo. Io non voglio offendere …
― Offendere?! E perché?
― I Grey mi danno tutto, hanno cercato di fare di me una vera signora. Che direbbero se … Ogni tanto, ma non spesso, io torno a fare quello che facevo prima. Ora conosco tante cose, però alle volte devo fare queste cose da paesana, lo so che non è elegante ma mi fa sentire libera. – e alzò il suo sguardo fiero, accigliandosi di nuovo.
― Ma tu sei libera. Loro ti vogliono bene, ma non ti vogliono cambiare, e nemmeno io. No … non dovresti cambiare. – Abel aprì il suo sportello e si mise a bisbigliare: ― Georgie da bambina imparò ad arrampicarsi sugli alberi! … e mi sa che ha continuato a farlo finché non si è sposata!
Ora, Maristella rideva con gli occhi che brillavano. Abel scese:
― Per favore, non cambiare … ― , poi girò intorno al veicolo per dare di nuovo il braccio a Maristella.
Quando scesero dal mezzo che li aveva accolti, si sentivano tutti e due combattuti tra l’ansia per i loro cari e una segreta ed irrequieta felicità.

1- Che peccato, se n'è andata!
  - E beato lui che se l'è portata via!


Ecco il nuovo capitolo, che avevo promesso a qualcuno di postare entro la settimana. Sarà l'ultimo prima di Natale, ma magari entro le Feste riuscirò ad aggiornare ancora, non lo so!
L'unica cosa che magari è meglio dire è che quel bel ragazzo al quale ho fatto un ritratto (nel mio vecchio stile di disegno, e mi è piaciuto tanto!) è lo stupendo Collin Atkinston nella foto di Viilu.
E
dunque
buone Feste
a tutti, con l'augurio
di un Natale
pieno di calore e speranza
e di un anno
in c
ui ritrovare serenità
e far realizzare tutti i vostri sogni!
A presto coi più sinceri auguri
del
mio cuore

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Capitolo 35
*** Improvvisamente divisi ***


 
Per Georgie, rivedere Abel fu un grande conforto. Ora, aveva vicino due degli uomini più importanti del mondo, per lei. Il fratellone andò nella sua stanza e le tenne la mano, le raccontò del suo viaggio e poi, per distrarla, disse quello che sapeva della storia d’amore di Arthur e Maria dal momento in cui lei li aveva persi di vista: il loro innamoramento era stato dichiarato a Bath un anno e mezzo prima, poi erano stati spesso divisi incontrandosi di nascosto e di rado, l’estate prima c’era stato il breve fidanzamento di Maria con Fenner e Arthur aveva pianto lacrime amare … Alla fine, il biglietto disperato di Maria aveva stravolto tutti i piani di viaggio del ragazzo, e lo aveva portato alla conclusione che fosse necessario sposarla subito e scappare con lei. Georgie ascoltava con emozione, e sorrideva al pensiero che presto sarebbero arrivati anche loro. Finalmente, si alzò e andò a fare colazione, con grande gioia di Fritz, che obbligò Abel a raccontare tutto quanto di nuovo! Era presente anche Maristella, alla quale venne in mente che era stata proprio lei la prima ad accorgersi dell’amore che Arthur nutriva per Maria: così, Maristella spiegò la storia della lettera, e tutti la trovarono molto divertente. Tutto questo serviva a far sorridere Georgie … a scacciare il pensiero atroce del pericolo in cui versava Lowell … della probabile solitudine e angoscia di lui … a superare l’impotenza. Sì, molto meglio parlare della fuga dei due innamorati, e pregustare il piacere del loro arrivo a Ischia … Ma non sarebbe andata come loro speravano.
Sulle Prealpi piemontesi, ci fu un problema al sistema di riscaldamento della carrozza dove viaggiavano i due sposi. Tutti i passeggeri che la occupavano furono invitati a scendere a (…)1, per permettere un tentativo di manutenzione, e se questo non avesse funzionato, avrebbero dovuto probabilmente cambiare carrozza. Solo un breve contrattempo …
La stazione non era grande, disponeva di una sala d’attesa di prima classe ma Maria la trovò fumosa, e volle uscire. L’aria aperta era molto meglio: pungente per via dell’altitudine, ma piacevole. Arthur suggerì di prendere qualche cosa alla vicina caffetteria:
― No, ti prego, mio caro, non voglio chiudermi di nuovo in una stanza. Ma se tu hai voglia di andare …
― Non intendo lasciarti qui!
― No, è che … qualche cosa mi andrebbe, ma ho anche bisogno di aria, è tanto che viaggiamo …
― Aspetta, ti faccio portare un tè? una cioccolata?
― Un tè, sì … all’inglese, con un po’ di latte. Io ti aspetto qui.
― Cerco di sbrigarmi, allora. Magari si sbrigassero anche gli operai della ferrovia …
Arthur si mosse, lasciando Maria a passeggiare pigramente vicino alle aiuole della stazione e all’orto della casa adiacente.
Un’oca uscì dall’orto, dondolandosi in modo buffo, o almeno a Maria sembrò buffo, con la pancia tonda sulle zampe grigiastre. Maria si avvicinò al recinto:
― Ehi, ma dove vai? Non ti allontanare … fatti vedere da vicino, aspetta!
― Signora Butman? Milady? – una voce inattesa alle sue spalle: un uomo la chiamava dalla stradina al lato della fattoria, e la chiamava in inglese, per nome!
Arthur dovette fare un po’ di fila, alla caffetteria: non era stato il solo ad avere quell’idea, tra tutti i passeggeri che erano stati costretti a scendere per permettere i lavori, oltre a quelli in attesa di altri treni. L’acqua per il tè non ci mise poi molto, ma abbastanza perché accadesse qualche cosa, all’esterno. Arthur uscì con una cameriera che portava un vassoio per Maria, e la cercò lì dove l’aveva lasciata; non vedendola, si girò verso l’orto ma vide solo l’oca che rientrava tranquilla e silenziosa, mentre una ragazzina dai capelli castani che parevano di stoppa chiudeva il cancello dall’interno. Lo spiazzo era vuoto. Arthur guardò anche verso la stradina solitaria, laterale, e non vide nessuno; provò in sala d’attesa: nessuno. Cominciò a cercarla anche sul treno, ma l’inserviente gli assicurò che non era risalito nessuno … nessuno! Ad un certo punto, gli sembrò che il cuore gli si fermasse, mentre la cameriera col vassoio lo guardava interrogativa: non c’era! Maria era scomparsa!
Il giovane sposo si fece assicurare ancora più volte che Maria non potesse essere sul treno. Chiese che venissero esaminate le ritirate per le signore, anche quelle della stazione, ma non la trovarono. Allora, col cuore in gola e la fronte intrisa di sudore, fece scaricare i bagagli e si rivolse alla polizia ferroviaria.
Fu necessario trovare un interprete. Non ci volle molto, ma ad Arthur sembrò un’eternità. Nel frattempo, il treno fischiò, e a lui venne il terrore che, se qualcuno dei passeggeri poteva sapere qualche cosa di lei, ripartisse senza essere interrogato, e questo lo fece agitare ancora di più:
― Insomma, quanto ci vuole? Dovete fermare il treno, subito! Interrogare tutti!
Il giovane diede una manata sul tavolo del commissario al quale si rivolgeva, concitato. Il commissario, però (un ometto untuoso e di pessimo umore), non la prese bene e lo guardò con ostentato fastidio:
― Deve calmarsi, e aspettare. A-s-p-e-t-t-a-r-e!
Arthur era terrorizzato dall’incertezza, ma dovette aspettare, e si limitò a guardarlo in cagnesco finché l’interprete non arrivò. Poi, poté finalmente esporre tutte le sue angosce, esibire il certificato di nozze e i titoli di viaggio, e pretendere un’immediata ricerca.
Il commissario non si dimostrò affatto più comprensivo, dopo aver visto i documenti del ragazzo. Tanto il treno era ancora fermo, e lui si sentiva libero di procedere a modo suo con chi aveva mostrato (secondo lui) scarso rispetto dell’autorità:
― Lei, signor Butman, è … protestante?
― Eh? Sì, presbiteriano. E allora?
― Uhm … ― il commissario pareva trovare la cosa sospetta, ma ancora più sospetto gli sembrò quello che scoprì poi: proprio in quel momento un suo agente gli aveva porto un giornale che riportava (secondo la volontà di Lady Dangering) la notizia del rapimento della giovane futura Duchessa inglese Dangering ad opera di un “profittatore di pochi scrupoli” di nome Arthur Butman.
Sfortunatamente, il giornale riportava anche una breve ma importante informazione: la nobile sventurata aveva con sé svariati gioielli di alto valore, al momento della sua scomparsa. Allora, il commissario fece di più di quello che sarebbe stato logico e suo dovere fare: non solo fece esaminare il treno e interrogare il personale, i passeggeri, gli avventori della caffetteria e coloro che si trovavano in attesa sulle banchine (senza tralasciare gli abitanti della casa colonica), ma volle che fossero perquisiti lo scompartimento e i bagagli di Arthur e Maria. Cercava i gioielli, e non li trovò. Nella sua mente si andava formando un’ipotesi che gettava su Arthur una luce molto equivoca … ma non la rivelò ancora. Si limitò a fare domande sul motivo di quel viaggio e sui parenti di Ischia. Intanto, le ricerche nei dintorni continuavano, e dopo un po’ il treno ripartì.
Arthur era ormai terrorizzato, non sapeva assolutamente che pensare. Non si mosse dalla stazione di polizia per tutto il giorno, sperando e rimanendo deluso ogni volta che la porta si apriva. Era del tutto all’oscuro anche del fatto che il commissario, convinto che il caso fosse abbastanza importante e losco da portare lustro alla sua carriera, aveva mandato un messaggio alla polizia inglese: avrebbe potuto dire di aver collaborato con l’estero per risolvere uno scabroso caso internazionale di scomparsa! Alla fine, il funzionario disse al giovane sposo angosciato di restare in paese (come se Arthur avesse voglia di andarsene senza Maria!), presso l’albergo locale.
Arthur prese mestamente possesso della camera (matrimoniale, naturalmente, Maria doveva ricomparire presto!), e tornò ad aspettare.
La mattina dopo, non c’erano notizie di Maria, e il commissario decise che era il momento di sparare la sua “cannonata”: l’uomo interrogò Arthur sulla moglie e sulla possibilità che la giovane signora fosse scappata alla prima occasione che le si era presentata. A questa insinuazione, Arthur si sentì gelare il sangue ... se sospettavano di lui, l’avrebbero cercata nel modo più sbagliato possibile, e probabilmente non l’avrebbero mai ritrovata! Solo un animo gentile come quello di Arthur poteva non farsi prendere dalla rabbia di fronte a un tale sospetto, ma l’angoscia fu più forte di tutto, e forse per questo il ragazzo riuscì a controllarsi.
L’investigatore, però, aveva un suo discorso in mente, e non aveva ancora finito. Chiese ad Arthur notizie dei gioielli, e Arthur non seppe che rispondere, perché a mala pena ci aveva fatto caso, e non sapeva dove fossero. Il commissario espresse il sospetto che fossero già stati “smerciati” … da Arthur stesso! I contanti erano facili da depositare in una qualsiasi banca, per essere poi prelevati dovunque, e del resto il tempo l’aveva avuto anche in Inghilterra, prima di partire, e una volta sposata la dama nessuno gliene avrebbe mai chiesto conto …
Arthur impallidì:
― Che significa? Che cosa sta immaginando?!
― Io non immagino, signore, io deduco! E dalle informazioni che ho avuto, ci sono parecchi dubbi sul suo matrimonio … ― gli mise davanti il giornale britannico aperto alla pagina che parlava del presunto sequestro di Maria Dangering, ― Ma verranno presto chiariti da Scotland Yard. Nel frattempo, ho scritto ufficialmente alla Dama che è stata tutrice della Signora Butman, la Contessa Dangering, e sono sicuro che appena in Inghilterra sapranno tutto …
Arthur non aspettò la traduzione dell’interprete, perché la lettura veloce dell’articolo e il nome di Lady Dangering lo fecero sbottare:
― LADY DANGERING?! Se c’entra qualcosa, se per caso è stata lei, io non so quello che farò! Maria è mia moglie, mia moglie, e io soltanto ho diritto di stare con lei!
― Si calmi! – rispose il funzionario, contento di aver fatto perdere la calma al suo sospettato, e intenzionato ad arrestarlo se fosse successo di nuovo, minaccia che fece tradurre accuratamente. I rapporti tra Arthur e quell’uomo non potevano che peggiorare.
 
***
 
Una mattina pesante scese sul golfo di Napoli. L’afa era tale che non faceva presagire niente di buono neanche alle prime luci: quell’aria umida e ferma era quanto di peggio per sconfiggere il morbo. A Ischia la brezza non mancava e non c’era una nuvola, ma Abel sapeva leggere l’orizzonte, e il fatto di non vedere nulla anche guardando verso la terraferma gli diceva che i napoletani avrebbero fatto fatica a guarire ancora per un giorno. Il postino non portò nulla di preoccupante, i giornali non riportavano il nome “Grey”, e allora iniziò di nuovo il lavoro principale della casa, che consisteva nel cercare i modi per rasserenare l’attesa di Georgie. Fu Antonia ad avere l’idea: la giovane signora inglese che stava per arrivare di sicuro non doveva avere un guardaroba estivo che fosse abbastanza leggero, e nel dubbio sulle sue misure precise, sarebbe stato meglio avere almeno delle stoffe delicate già pronte al suo arrivo per farle fare qualcosa di adeguato. Tutta la famiglia partì per una mattinata di spese frivole. Mentre l’esperta Georgie selezionava cotonina e seta, pizzo e passamaneria, Abel portò Sophia, Antonia e Maristella a prendere il gelato.
Il caffè era frequentato da molti ischitani e da alcuni turisti, e lo era un po’ a tutte le ore, perché non c’è un orario peggiore di un altro per un caffè, una granita o un orzo quando non si ha niente da fare. I signori in abito crema seduti ai tavolini guardarono la “famiglia” entrare senza staccare gli occhi da Maristella, oltre il fumo delle loro sigarette.
― Ahhh … è bell’assai!
― Eh, sì. Fa sempre piacere vedere che i giovani “a posto” si sposano e tengono alla famiglia! Di questi tempi specialmente …
― Vero, vero! E poi, la maternità fa bene, è noto!
― Non troppa, però!
― No, no, e chi dice questo … il giusto. Ah, la famiglia è una cosa bellissima!
― Già … E la maternità fa bene, si vede proprio!
Maristella non guardava quegli uomini, ma non poteva fare a meno di sentirli, e sospirò sollevata al pensiero che Abel non poteva capire quello che dicevano. Allora, volle giocare alla coppia con bambina e bambinaia, e prese in braccio la piccola con dolcezza perché potesse vedere meglio le varie specialità di gelato esposte: era quello che una mamma avrebbe fatto! E intanto tra sé rideva, per l’emozione di far finta di essere sposata con Abel … Abel che la guardava con la coda dell’occhio, e per un momento ebbe la stessa fantasia. Il gelato fu scelto e pagato. Né Maristella né Antonia ebbero la minima voglia di spiegare ad Abel le allusioni di quei signori, e lui, pur consapevole degli sguardi che lanciavano alla ragazza, non ci trovò niente di strano e non commentò. Uscirono, con lui che teneva la porta aperta per farle passare, e mentre Maristella passava incrociò il suo sguardo: si sorrisero. Poi, Abel lanciò un’occhiata velocissima verso i tavolini, con malcelato orgoglio, e pensò: “Non ci pensate neanche, lei sta con me!”
Poi, nel pomeriggio, arrivò la lettera. Le notizie erano terribili, Abel la portò immediatamente da Georgie col cuore in gola:
― Georgie … no, non ti preoccupare, non viene da Napoli: è di Arthur. Ecco, leggi. – Georgie, reclinata sul divano, lesse e poi guardò Abel con pura angoscia: ― Io devo … devo, capisci?, andare da lui. Tu hai Fritz, Maristella e Antonia, i piccoli … Arthur ha solo me, adesso, e io ho promesso …
― Ma certo, che devi andare! Oh, vorrei poter venire con te … Un momento, vieni. – Georgie guidò Abel in camera sua, dove scoprì una cassaforte nascosta, l’aprì e ne prese dei soldi, dandoli al fratello.
― Georgie, non occorre …
― Ma prendili, sono tutti i soldi che ci sono in casa ma non è un problema per me. Arthur ne può avere bisogno!
― Hai ragione … dobbiamo pensare a lui. Te li restituiremo.
― Ma figurati! Piuttosto io non capisco, che cosa le sarà successo?!
― Non lo so. Non capisco nemmeno io, ma non ti nascondo che … non mi piace, non so che pensare. Maria non può essere scappata volontariamente, e allora …
― Oh, mio Dio! Vai, corri, Arthur è da solo coi suoi pensieri … un’altra volta, come …
― Sì. Come a Londra. Ma torneremo presto. Presto, te lo giuro, e con Maria. Deve essere così!
Abel buttò quattro cose in uno zaino e corse al porto. Non poteva perdere il primo traghetto, non ebbe neanche il tempo di parlare col Conte Gerard, anche se questo lo vide uscire col bagaglio in tutta fretta. E fu lui a dire a Maristella quello che aveva visto, pochi minuti dopo, quando la ragazza apparve in uno dei salotti:
― Abel? Lo cercavi?
― Sì, veramente mi chiedevo dove fosse, perché oggi non l’ho visto …
― Io sì, e ti dirò che non capisco bene. Deve aver avuto brutte notizie, credo di lavoro, per essere partito così …
― Partito?!
― Ecco, è andato via in tutta fretta con uno zaino in spalla. Deve aver salutato Georgie di corsa per prendere il traghetto, ma lei è in camera sua e io non voglio disturbarla … Maristella! Ma dove vai?!
Maristella non rispose, non ascoltava, aveva afferrato la borsa e i guanti tralasciando il cappello, ed ora usciva tirandosi la porta dietro. Trovare un trasporto pubblico non fu difficile, il difficile fu calmare l’ansia di non fare in tempo. Il tragitto le parve troppo lungo, lo aveva perso, ma forse no, il suo cuore sulle spine le diceva di no … Dimenticò i guanti nella vettura.
Corse sul molo, la giovane e bella Maristella, con nel cuore una frenesia nuova per lei, un sentimento che non le permetteva di tirarsi indietro sdegnosamente come avrebbe voluto. Lui andava via, Abel dagli occhi blu la lasciava, forse per non tornare! Si sentiva sciocca, temeva di aver fatto tardi, ma vide il traghetto che non aveva ancora imbarcato i passeggeri e allora si vergognò, sentendosi più sciocca ancora, per essere stata “fredda” con lui prima, e per averlo inseguito poi. Lo vide, di spalle, e pensò solo che lo amava disperatamente.
― Mister!
― Oh, Mary! Ma … che c’è, hai corso?... Maristella?...
― Tu mi chiedi … mi chiedi che c’è? Te ne andavi … e non … insomma … non mi saluti nemmeno? – Maristella era turbata, questo fu evidente ad Abel, e il giovane comprese che ci doveva essere un malinteso.
― No, che dici, non vado via! È per mio fratello, ho avuto notizie gravi, è successo qualcosa nel suo viaggio, Maria è scomparsa!
― Eh? Scomparsa?! – Maristella non sapeva più che pensare.
― Sì, non so molto, ma lui ha bisogno di me, e io gli devo stare vicino, comunque torno appena posso. Ma tu pensavi … ― si guardò intorno, e capì di colpo che doveva parlare con lei da solo: ― Vieni con me.
Prese Maristella per la vita, un gesto insolitamente intimo tra loro due. La trascinò un po’ più distante, dietro a una catasta di casse che dovevano essere spostate presto, e anche il suo traghetto era prossimo alla partenza. Ma tanto lui era deciso a non perdere tempo.
La ragazza lo guardò con le guance rosse, mentre lui parlava:
― Ma tu veramente pensavi che sarei partito così? E veramente sei venuta per questo? Io … io non vorrei andare proprio da nessuna parte. Voglio troppo bene ad Arthur per lasciarlo solo, quello che è successo è molto grave, ma tu … come puoi dubitare che sarei tornato appena possibile?
― … Certo, lo so che non abbandoneresti Georgie con quello che sta passando … – Abel comprese che la ragazza era davvero inconsapevole di quello che provocava in lui. Le sorrise:
― Io tornerò di sicuro, da … da te. Oh, Maristella! Guarda, sto tremando! Io non ti lascio, se sei venuta per me devi sapere che voglio solo … amarti … ― tra le mani teneva il bel viso della ragazza, che lo guardava con occhi innocenti e stupiti, ma anche felici. – Ti amo, e voglio amarti sempre!
La baciò, con trepidazione e con trasporto, senza chiedersi se qualcuno li potesse vedere, senza pensare al traghetto e senza sentire niente a parte il fruscio nelle orecchie. Non si sentiva così felice da un tempo lunghissimo, dall’Australia: Maristella lo baciava!
Maristella tratteneva il respiro, per cercare di contenere la sua felicità e la sensazione di vivere un momento unico nella sua vita, sicuramente il più bello che avesse mai vissuto. Lei, che era sempre stata riservata e sicura di sé, ora si appoggiò ad Abel, e lo trovò forte e rassicurante. Quel bacio pareva non finire mai, pareva fermare il tempo e ricrearlo.
Quando Abel si staccò da lei, Maristella aprì gli occhi e vide che lui sorrideva, con gli occhi che brillavano, più bello di quanto non le fosse mai apparso. Reclinò il viso sul suo petto e chiuse gli occhi, abbracciandolo stretto:
― Oh, Abel … ― lui trattenne il respiro: lei non lo chiamava mai per nome, e ora lo faceva con un soffio pieno di calore che gli faceva vibrare il cuore, ― …  allora è così! Mi ami come ti amo io!
― Oh, mio Dio! – sospirò Abel.
L’amore non era mai stato benevolo con lui. Bello, spavaldo e magnetico com’era, Abel poteva avere tutte le donne che voleva, eppure non aveva mai avuto un amore felice, eccetto che per quel breve momento d’illusione in cui aveva creduto che Georgie lo corrispondesse. Ma stavolta non aveva dubbi, non si poteva sbagliare come gli era successo a casa dello zio Kevin, Maristella ricambiava davvero i suoi sentimenti, e il calore più dolce lo avvolgeva, e lui stringeva la sua amata col cuore che batteva come quello di un ragazzo di dodici anni al primo appuntamento.
Rimasero abbracciati, non volevano separarsi, ma dovevano farlo:
― Ora so che andrai da Arthur e lo aiuterai, perché sei forte e giudizioso. – sospirò Maristella: ― Non dubito che tornerai da me, perché sei sincero e gentile!
Staccò la guancia dal petto di Abel, continuando a sentirne il calore:
― E tu sai che io ti aspetterò. Noi donne delle famiglie di pescatori sappiamo aspettare! Non dubitare.
― Solo un pazzo non tornerebbe da te! E ora che mi hai detto che mi ami … non sarò più così geloso. Perché io sono sempre geloso di te, sai? Ma tu aspetterai me, e amerai solo me!
Il traghetto si staccò, con Abel che teneva gli occhi fissi sulla ragazza ferma sul molo. Ma com’era bella! Vedeva ancora i suoi occhi innamorati, il suo sorriso speciale solo per lui. Ora che diventava sempre più piccola, a lui parve di rivederla come l’aveva vista la mattina del giorno prima, irresistibile, a piedi nudi in cerca di telline sulla spiaggia, col sole tra i capelli. Un attimo dopo, la ricordò con Sophia in braccio, una mammina perfetta, e poi risentì il suo abbraccio appassionato: era la donna giusta per lui!

 

 
25 Per tutelare la reputazione degli abitanti del luogo, si ometterà il nome della località.
 
E dunque, ben ritrovati! Sono mancata molto più tempo di quel che pensavo, e riesco ad aggiornare solo grazie al fatto che sono a riposo forzato con due costole rotte! Risparmio a tutti i particolari, diciamo solo che comunque mi fa molto piacere essere di nuovo qui, coi miei personaggi e tutti i miei carissimi lettori. Ah, importantissimo: la dolcissima fanart è di Kika777, che si è ispirata al mio precedente capitolo. Potete vedere la sua opera ingrandita qui, e da lì visitare la sua splendida galleria d'immagini. Grazie, Kika, è stupendo sapere di aver ispirato qualcuno, con lettrici come te viene più voglia di continuare a scrivere! E grazie anche a tutti voi che leggete, sperando di continuare a incontrare il vostro gradimento. Buona primavera e felicità a tutti!
 

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Capitolo 36
*** L'attesa (Bachata Rosa) ***







Carissimi tutti, mi fa piacere poter augurarvi buona Pasqua! Anche se questo capitolo mi preoccupa perché è un vero delirio (infatti, il suo titolo doveva essere proprio "Delirio")! Tutti i prossimi capitoli lo sono, perché ormai la mia fantasia corre senza freni, e così scrivo cose come questa, e mi sembrano pure necessarie ... Ci saranno anche diverse songfic come questa, un genere delirante già di suo, comunque a questo proposito raccomando di cliccare sul link e di ascoltare il brano (quando si arriva alla prima nota, che per colpa della mia versione di Word non funzione come un link interno, ma per trovare il testo della nota bisogna andare alla fine del capitolo ... mi dispiace molto!). Ma prometto che nel mio prossimo aggiornamento (che dovrebbe essere molto presto) ci sarà anche molta azione, e niente di tanto lirico! Quindi, spero vi divertiate e vi auguro Feste serene e piene di calore ^^



Quella mattina, nella hall dell’albergo, Arthur ricevette il fratello con sollievo, ma Abel si spaventò quando lo vide: aveva gli occhi cerchiati, non si era fatto la barba, e il suo tono di voce era davvero avvilito.
― Grazie di essere venuto subito. Scusami, lo so che a Ischia c’era bisogno di te, ma io …
― Non ti preoccupare proprio, io dovevo venire da te.
― Ma … ci sono novità di Lowell?
― No, purtroppo. O per fortuna. Georgie è in pena, ma ora non possiamo fare molto. Dimmi, piuttosto, ma che succede qui?
Arthur ci mise parecchio tempo a raccontare che il viaggio era andato benissimo fino a un certo punto. Abel si accorse che per lui era quasi una fuga dalla realtà soffermarsi sui ricordi belli, ma poi emerse un altro elemento: quando Arthur arrivò alla scomparsa di Maria, i particolari sparirono dal racconto, perché alla stazione non c’era stato niente di strano, Maria era stata la solita ragazza affettuosa e felice di prima, non era accaduto nulla di particolare se non che … non c’era più traccia di lei. E da allora, un altro fatto rattristava il giovane sposo:
― Fratello … sospettano di me. Credono che io mirassi ai gioielli di Maria, e che lei sia scappata …
Abel si sentì andare a fuoco per la rabbia: che specie di idioti lavoravano nella polizia di (…)?!
L’attesa era l’unica azione possibile, perché avevano detto ad Arthur di aspettare notizie, e che in ogni caso lo avrebbero informato a fine giornata, se non ci fossero state novità significative. E una chiamata giunse prima di sera:
― Il signor Butman? – ripeté l’albergatore al poliziotto all’ingresso: ― Da questa parte.
― Signor Butman, venga: la sua presenza è richiesta.
― Andiamo! – Abel scattò in piedi, e in realtà fu ben felice di potersi muovere, perché aspettare lo innervosiva, e poi così avrebbe visto in faccia gli accusatori di suo fratello.
Ma non erano diretti al posto di polizia: c’era un albergo importante (in un’altra provincia, sul lago, un po’ distante ma era il migliore della zona), dove Lady Dangering era appena arrivata e teneva sotto interrogatorio il commissario. Proprio così, e non vice versa: il commissario, infatti, era uno di quegli uomini per i quali il potere, di qualsiasi tipo, merita ogni attenzione e riguardo semplicemente perché un giorno potrebbe anche essere utile. In quel momento, lui era pienamente cosciente che il suo ruolo era tale che avrebbe dovuto tenere in mano lui la conversazione, gestendo l’indagine ed esercitando la propria funzione ufficiale, però si sentiva molto più furbo a dare alla dama inglese la sensazione di essere lei a tenerlo in soggezione. Non lo faceva perché intimidito alla presenza dell’aristocrazia, e nemmeno perché condividesse la mentalità dell’epoca per la quale una dama della nobiltà non poteva essere trattata come una testimone qualunque: lui lo faceva per puro interesse … ipotetico e preventivo.
― E dunque lei sospettava di Butman, eh? Ah, lo condivido. Non mi piace il matrimonio di mia nipote. Certo, i passeggeri saranno stati debitamente interrogati, mi auguro.
― Sì, signora Contessa, tutti interrogati a puntino.
― Bravo, bene. E che hanno detto?
― Ecco, signora Contessa, a dire il vero … non hanno detto molto … e tutti ripetono la stessa cosa: pare (pare, beninteso, ma non è detto che sia tutto vero) che i due fossero una coppia molto affiatata … Per quanto non si facessero vedere molto durante il giorno, li hanno notati alle ore dei pasti, signora Contessa, e non sembrerebbe che la giovane dama fosse trattenuta contro la sua volontà …
Mentre l’interprete parlava, Lady Constancia sospirò e si portò la mano alla fronte come faceva spesso, da quando Maria era scappata di casa. Era la sua reazione al pensiero che la ragazza era irrimediabilmente sposata con Arthur Butman, e che “una mattana dovuta alla giovinezza” era diventata decisiva per il suo destino. Il commissario, poi, non faceva che aumentare il carico della sua amarezza:
― Vede, Signora Contessa, non è solo questo particolare che mi ha spinto  riconsiderare la posizione del Butman: il rapporto della polizia inglese parla chiaro, non c’è stato sequestro, e le nozze sono regolari. C’è scritto tutto, è ufficiale, i giornali hanno gonfiato la cosa … Di conseguenza, dovremo guardare altrove …
― Commissario, lei non sa tutto. Vede, la … relazione … tra mia nipote e quel Butman è di vecchia data. Io credo, sì, senza dubbio, che lei sia stata sinceramente innamorata di lui per anni, e che sia scappata di propria volontà per sposarsi con lui. Ciò non significa che la sua condotta sia decorosa, ovviamente, data la sua posizione. Per questo, ho preso le mie contromisure, e ho chiesto a un investigatore privato di rintracciare e pedinare la coppia. Ora, so che si è messo sulle loro tracce già da Calais, e prima della mia partenza gli ho scritto pretendendo di essere aggiornata qui, al più presto! Perché lui deve sapere qualche cosa di più, dato che aveva il compito di non perderli di vista e di tenermi informata. Non dubito che riceveremo presto notizie. Ma ora … ― entrò un poliziotto baffuto e informò il commissario dell’arrivo del marito della scomparsa. – Bene, è arrivato! Mi dovrà delle spiegazioni!
Arthur entrò, seguito dal fratello e scortato da due poliziotti. I due ragazzi guardarono immediatamente Lady Dangering. Abel lo fece con assoluta antipatia, poiché ne aveva tutte le ragioni, Arthur con trepidazione perché sperava di leggere sul suo viso un’espressone di sollievo che avrebbe significato il ritrovamento di Maria. Non c’era traccia di letizia sul viso della dama, e Arthur s’irrigidì.
― Signori Butman!
― Milady, buongiorno. – risposero i due ragazzi, e poi salutarono il commissario. Arthur istantaneamente gli chiese se c’erano novità:
― Parlerò io, commissario. – Lady Constancia non aveva il minimo riguardo! – No, signor Butman, l’unica novità da quando lei si è trascinato via mia nipote da Londra è che è scomparsa! Sparita nel nulla, mentre era sotto la sua responsabilità. Che ha da dire?
― Che ho da dire? Signora Contessa, l’unica cosa che ho da dire è che la rivoglio, voglio stare con mia moglie. Ma mi guardi: ho smesso di mangiare, di dormire, ho sospeso tutto quello che avevo da fare perché ho assolutamente bisogno di ritrovarla! Sono disperato, io e Maria ci amiamo!
Lady Constancia ebbe una reazione che nessuno si sarebbe aspettato. Sospirò, si alzò (il commissario, maestro di piaggeria, scattò sull’attenti) e si avvicinò ad Arthur, lo guardò con un’espressione triste, poi si spostò verso la finestra, si appoggiò allo stipite e guardò fuori attraverso il vetro, malinconicamente:
― Anch’io … la amo … e non so dove sia … che cosa le sia successo … Sarà sola, ma perché? Dicono coloro che erano sul treno che non sembrava affatto volersi allontanare … Allora chi … come … e perché l’hanno presa? Maria, signor Butman,… è preziosa,… unica, per me! Maria la amava, lo so … Maria la ama … e allora, dove sarà? con chi? …
La voce di Lady Dangering era sempre più tirata, per il pianto che tratteneva. Abel aveva un nodo alla gola, e Arthur stava anche peggio:
― Milady, io le giuro che non avrò pace finché non l’avrò ritrovata. Deve essere viva, e stare bene. Non smetterò mai di cercarla. E quando l’avrò di nuovo con me, anche se lei, Contessa, mi odia, io non impedirò mai a Maria di vederla ogni volta che vorrà. Non era mia intenzione separarla dalla sua famiglia. Per me conta solo Maria, e che stia bene.
Lady Dangering guardò Arthur e vide chiaramente tutta la sua angoscia e il suo amore, nei suoi grandi occhi umidi di lacrime. Arthur non sapeva nulla, e allora il commissario si era sbagliato e quindi non aveva nessunissima pista valida. Era il pensiero più tremendo di tutta la sua vita. Restava solo da sperare nel suo investigatore.
 
***
 
Dall’altra parte del lago, la giovane rigirava tra le mani il braccialetto. Non ricordava nulla prima del suo risveglio lì, all’ospedale. Dalla sua finestra, guardava impassibile un paesaggio che non le diceva proprio niente, e nessuno la conosceva o era venuto a trovarla:
“Un giorno uguale a ieri. Mi sento confusa. Quanto tempo resterò qui, così? Possibile che nessuno mi cerchi? Qui parlano italiano e io lo capisco, però sono inglese, so solo questo. E che mi chiamo Maria. Inglese … Inghilterra … Regno Unito, capitale: Londra, forma di governo: monarchia parlamentare, capo di stato: la regina Victoria, Camere: due, i Comuni e i Lord …
Ma io? qual è il mio ruolo? Sposata, dicono. Dalle condizioni del mio corpo, sono sposata e dicono che non mi hanno … com’era la parola? “violentata”. Bene, è qualcosa. “La signora …?”, “Maria” e poi? non lo so. Non mi ricordo niente! Ho paura!
Però, forse A. mi sta cercando. Per forza, perché il bracciale dice “A Maria mio solo amore. A.”. Maria dovrei essere io, perciò sarà mio marito, di sicuro. E mi sta cercando, per forza! Oh, che caro bracciale! Non esiste un bracciale più bello, c’è il mio nome sopra e c’è scritto che A. mi ama! Ma chi è A.? Anthony? Albert? Adam? Abel? come sarà? e come sarà essere moglie? Forse è giovane e bello. Sì, vorrei tanto che lo fosse! E che fosse gentile, buono con me. Che fosse una brava persona. Magari … un avvocato … un dottore … Non importa, anche se fosse contadino, panettiere o maniscalco, mi basterebbe sapere che anch’io lo amo … chissà se anch’io lo amo …e se non lo amo? E poi, se mi ama ed è gentile e onesto, allora perché non viene subito a prendermi? Chissà dove sta, ora. Magari è un soldato o un marinaio, e non può venire. Speriamo che non sia morto! Non voglio essere vedova … Ho paura. Mamma … ci sei? Papà?
Sono sola. Non so chi sono. Ho paura. Conosco solo quello che dice il bracciale, che A. mi ama … A., mio marito …”
Intorno ai polsi, aveva dei segni che non si spiegava, e un po’ dappertutto, soprattutto sul viso, sulle gambe e sulle mani, aveva lividi ed escoriazioni dovuti alla caduta per la scarpata sotto la quale era stata ritrovata, nel bosco. Prima, buio assoluto.
Nella stanza spoglia, non c’era nessun’altra paziente. All’inizio Maria era stata quasi in isolamento, per paura che, essendo smemorata, non fosse sana di mente e desse in escandescenze da un momento all’altro. Però, ben presto i suoi abiti (le erano stati mostrati, ma non li aveva riconosciuti), laceri ma eleganti, unitamente alle sue maniere distinte, avevano persuaso tutti che meritasse un buon trattamento, e quindi lei ora aveva un stanza da sola come segno speciale di attenzione. Questo fu decisamente un bene per lei, a causa di quello che stava avvenendo, a sua insaputa, ad un altro piano dell’edificio …
Su di un’isola lontana, vicino ad un’altra finestra, affacciata su un mare calmo che dava verso ovest, Georgie si era fatta mettere un inginocchiatoio. Da lì, pregava per i suoi cari. Lowell era sempre il primo nei suoi pensieri, ma c’era posto per altri, e subito dopo di lui Georgie pregava proprio per lei, Maria. Maria di cui non si sapeva niente e che non sapeva più niente di sé.
 
***
 
Non c’era traccia di miglioramento nelle condizioni del giovane signor Grey. Molti erano più gravi di lui, molti altri come lui lottavano sperando di essere abbastanza forti. Napoli si sforzava di combattere il contagio a tutti i livelli e coi più diversi mezzi. Prima di tutto c’erano i medici, gli infermieri e le suore che lavoravano negli ospedali: ci s’indaffarava intorno ai malati e si cercava soprattutto di evitare la disidratazione, facendo attenzione, per quanto possibile, almeno a non propagare il contagio. In città come nei santuari venivano organizzate veglie di preghiera e rosari, dovunque c’erano benedizioni, voti, fioretti e processioni. E oltre che ai santi cristiani, ci si appellava a quegli scongiuri ben meno ortodossi che facevano parte della cultura popolare, secondo il principio che non si poteva mai sapere da dove sarebbe potuto giungere un aiuto.
Anche Lowell avrebbe voluto pregare, ma non sempre era abbastanza lucido per farlo. A volte, la sua mente si lasciava inesorabilmente andare, e allora rivelava la sua natura gentile e i suoi sentimenti più profondi. Pensava a sua nonna, che a lungo era stata l’unico vero affetto della sua vita, e a sua madre che si era già mossa alla volta di Ischia per stargli il più vicino possibile (saperlo gli avrebbe fatto bene, ma non lo sapeva). Ma Sophia e Adam erano il suo pensiero più forte: vederli crescere, guarire per tornare da loro, essere la loro guida e il loro pilastro … ora desiderava con tutte le sue forze essere padre! E naturalmente, in fondo al cuore aveva sempre Georgie, che aveva già promesso di non lasciare più, e che ora gli mancava insopportabilmente. Quando la febbre saliva, allora nella sua mente i volti rosati dei suoi bambini diventavano tutt’uno col più angelico viso di donna che avesse mai visto. Mentre il suono del mare non lontano cullava i suoi pensieri, la sua fantasia lo illudeva di poterle parlare:
“Ti regalo una rosa1
l’ho incontrata sul cammino
non so se è nuda
o se ha un solo vestito.2
­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­Ma non è importante: la coprono solo petali leggeri ma va per il mondo innocente come te.
… Non so se la innaffia l’estate
o se si ubriaca di oblio …

Oh, no, Georgie! Quest’estate atroce lontano da te non ti deve far dimenticare il nostro amore. Sono io che sembro ubriaco, ma di lacrime … Sei una rosa bianca, innocente. Sei una rosa rossa, come il fuoco che mi hai acceso dentro. L’amore che ti offro è un rosa.
Non so se è stata mai amata
O se ha un amore segreto.
Oh, amore, sei tu la rosa che mi dà calore
Sei il sogno della mia solitudine
Un letargo di blu, un’eclisse di mare.

Sei un mare che mi avvolge e culla il mio delirio, questo letargo che sembra oscurare la mia mente. Non capisco che ore sono, se questa tenebra ovattata è un nuvola o un’eclisse, mi manca il sole! Il sole, come quel giorno in cui ci siamo conosciuti e mi hai buttato in acqua, ricordi, vero, Georgie? Mi sono asciugato subito, era merito del sole o del calore che mi avevi scatenato sotto la pelle? O della nostra giovinezza, che ora non trovo più perché tu non ci sei …
Oh, amore, io sono satellite e tu sei il mio sole,
Un universo di acqua sorgiva,
uno spazio di luce che riempi solo tu …

Io, satellite perduto e oscuro, ho bisogno dei tuoi baci per avere un senso. Mio sole, dammi luce o morirò qui! Lo spazio è freddo e buio senza di te. Ma con te … con te tutto torna ad essere vivo! Grazie a te mi sono salvato già una volta e mille volte, purificami ancora e mi salverò! Tu che sei acqua di sorgente, acqua viva … Se mi potrò immergere in te, allora so che rivivrò, e in cambio ti offro tutto di me:
Ti regalo le mie mani
che ti cercano, che ti hanno amato tanto,
le mie palpebre cadute,
in questo delirio, e in tutti i miei sogni, e in tutti i miei baci,
il bacio più profondo,
quello che soffoca in un gemito …
ti ricordi i miei baci, vero, Georgie?
Ti regalo un autunno
un giorno tra aprile e giugno …
Come quel giorno sereno, in Australia, quando ti sei tolta il cappello e i tuoi riccioli sono scesi per illuminare il tuo viso, e mi hanno detto che ti potevo baciare, e tutta la mia vita è cambiata. Benedetto sia l’autunno boreale, il mio colpo di fulmine e il primo giorno della mia felicità!
Ti regalo un fulmine di speranze
E un cuore messo a nudo.
Perché quel giorno mi hai rivelato il mio cuore, e io non ho più potuto mentire al mondo sui miei sentimenti. E da allora ti appartengo. E a te ritornerò, come le mimose che ami tanto, come le onde che bagnano queste spiagge, e come le stelle fisse, che non tradiscono mai.”
E finalmente, mentre Lowell si abbandonava così, giunse un refolo fresco, poi un tuono che fu solo il primo; l’autunno, quasi fosse stato evocato da Lowell stesso, sembrò avvicinarsi; infine un vero diluvio, che era stato desiderato a lungo, sopraggiunse a portarsi via l’aria cattiva dal golfo di Napoli.


1 La parte in corsivo è la mia traduzione di “Bachata rosa”, una canzone del 1990 di Juan Luis Guerra pubblicata nell’album omonimo creato con la collaborazione artistica del gruppo dei 440. Può essere ascoltata (con un bel video) a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=nPq-GYp5Kp0 . Qui di seguito riporto il testo originale, come compare nel booklet che accompagnava il CD:
Te regalo una rosa
la encontré en el camino
no sé si está desnuda
o tiene un solo vestido
Si la riega el verano
o se embriaga de olvidos
Si alguna vez fue amada
o tiene amores escondidos
 
Ay, amor, eres la rosa que me da calor
eres el sueño de mi soledad
un letargo de azul
un eclipse de mar
Ay, amor
yo soy satélite y tú eres mi sol
un universo de agua mineral
un espacio de luz
que sólo llenas tú, ay amor ...
 
Te regalo mis manos
mis párpados caídos
el beso más profundo
el que se ahoga en un gemido, oh
Te regalo un otoño
un día entre Abril y Junio
un rayo de ilusiones
un corazón al desnudo
 
Ay, amor ...
2 Questi due versi (“no sé si está desnuda / o tiene un solo vestido”) sono un adattamento da Pablo Neruda, in Libro de las Preguntas, 1974: “Dime, ¿la rosa está desnuda / o sólo tiene ese vestido?”.

 

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Capitolo 37
*** L'incubo ***


Carissimi tutti, sono molto contenta di poter aggiornare presto e in un giorno di festa! Mi auguro che questo capitolo incontri il vostro gusto, perché esce molto dal mio solito stile e direi che richiede un certo sforzo di "fiducia" da parte del lettore: può una giovane come la nostra Maria comportarsi così come vedrete, in un momento tanto difficile? e gli altri personaggi? Io spero tanto che tutto questo risulti credibile. In ogni caso, mi è piaciuto tanto scriverlo, e la mia voglia di esplorare territori nuovi può forse in parte giustificare qualche ingenuità. Allora, divertitevi, grazie di esserci, godetevi questa strana primavera e ... a presto!

 
Qualche giorno prima, alla stazione ferroviaria di (…)
 
― Signora Butman? Milady? – una voce inattesa alle sue spalle: un uomo la chiamava dalla stradina al lato della fattoria, e la chiamava in inglese, per nome!
― Lei chi è? Come fa a conoscermi?!
― Io lavoro per la sua affezionata e illustre zia, Lady Dangering. La signora l’ha inseguita fin qui con tutti i mezzi, dopo la sua partenza, perché non sapeva darsi pace di averla persa, e ora è qui.
― La zia!? Qui!!! Dove?!
― Mi segua, prego. Qui, proprio dietro il muro, nella sua carrozza. Mi segua, prego.
E Maria, troppo ingenua per capire, lo seguì. Un altro uomo a cavallo aspettava dietro il muro, in un attimo il primo le mise una mano sulla bocca:
― Ma che fai, sei scemo?!
― No, macché scemo … La sposina ha certi gioielli da far impallidire il compenso che ci ha promesso milady! Ora ci darà tutto … ― Maria era terrorizzata, tentava inutilmente di gridare e sciogliersi dalla morsa che le impediva ogni movimento. Prima che se ne rendesse conto, era imbavagliata: ― Qua è pericoloso, portiamola via, così la spenniamo con calma!
― Accidenti, io dico che sei matto! Corri, via, e silenzio!
Maria era stata incappucciata con un sacco e issata su di un cavallo in un secondo, e ora correva via, sempre tenuta stretta da uno dei malfattori.
Nessuno aveva visto o sentito nulla, ma lei non lo sapeva. Sapeva solo che era annichilita dalla paura, come non era stata mai. Non riusciva nemmeno a pregare, all’inizio, poi vide un bosco intorno a sé e pensò che, una volta in un luogo isolato, forse non si sarebbero accontentati dei gioielli. Allora, pregò e pianse.
Si fermarono dopo un’eternità, le tolsero il cappuccio e il bavaglio per sfilarle gli orecchini, poi la buttarono sull’erba senza troppi complimenti:
― NO, FERMI! Che mi volete fare? AIUTOOO! – uno schiaffo violento in pieno viso la lasciò senza fiato per un attimo, e allora il suo rapitore, che era quello che l’aveva colpita, parlò:
― Zitta, madame, o guai a te, tanto qua ti sentono solo i lupi! Ora sta’ ferma, capito? Ferma!!!
― AAAAH! – gridò Maria quando le strappò la camicia per ghermire quella spilla che, brillando al sole diretto, aveva attirato l’attenzione del malintenzionato.
― E aiutami a farla star zitta, buono a nulla!
L’altro, molto più giovane, era rimasto fermo in piedi a guardare quello che accadeva, ma si scosse e s’inginocchiò pure lui, premendo una mano sulla bocca di Maria:
― Insomma, che vuoi fare?
― Non l’hai ancora capito, buono a nulla? – Maria si dimenava a più non posso, e l’uomo che l’aveva aggredita (magro, le guance segnate da due rughe profonde e la bocca arcigna e giallastra) aveva il suo daffare a trattenerla: ― Guarda qua che meraviglia: tra l’oro e le pietre, ci mettiamo a posto! E sai che ti dico? La zozzetta è proprio bellina anche lei, eheheh! Questa qua è carne fresca, mica una batta qualsiasi … Uhmmm, senti come profuma … E senti come scalcia, sembra una puledra! Ti domo io, duchessa puledra, così la pianti di agitarti, quando scopri che ti piace!
― Io dico che dobbiamo prima avvisare Duncan! Il cervello qua è lui, saprà che fare con lei … dopo …
Duncan?! E chi se ne frega di Duncan, ti va di dividere con lui?
― E bravo, ma che credi, quello ci denuncerà subito, se non dividiamo con lui!!!
L’argomento sembrò colpire l’uomo:
― Ma perché non stai zitto? Così a un uomo gli passano tutte le voglie! Eh, però è vero, quello là ci denuncia. Hai sentito, bambolina? Si riparte. Abbiamo tre cavalli, uno doveva essere comunque per te, e non mi va di stancare troppo il mio, perciò ora senti bene: ti rimettiamo il bavaglio … così … e ti leghiamo le mani dietro per bene, … in … questo … modo … ― l’uomo accompagnava le parole con gesti sicuri ― , e poi ti fissiamo su questo bel cavallo. Scappare non ti conviene, perché non ti puoi tenere alle briglie né ad altro, e se scappi, o ti rompi l’osso del collo da sola, o dopo pochi metri ti prendo e te lo rompo io, intesi?
Quel viaggio atroce riprese. Maria, montata alla cavaliera e legata alla sella, seguiva contro la sua volontà il primo uomo, che le aveva attaccato il cavallo al proprio. Il tempo le parve infinito, fino a quando arrivarono in cima ad un colle dal quale si vedeva un lago molto grande, oltre i boschi, e in lontananza si distinguevano numerosi centri abitati e imbarcazioni. Ma era tutto terribilmente lontano …
― Ci fermiamo qui. – disse il più anziano dei rapitori, che mise Maria a terra e la fece sedere, senza rivolgerle la parola. – Stammi bene a sentire, ora tu vai in città e avvisi Duncan che siamo qui.
Il pensiero di rimanere da sola con quell’uomo terrorizzò Maria, come se il fatto che gli uomini fossero due la potesse rassicurare.
― E chi me lo dice che non scappi con la ragazza? – chiese l’altro.
― Nessuno, cretino! Solo il fatto che hai detto tu, che se Duncan non si prende la sua fetta, ci toccherà scappare tutta la vita!
― Ma … io mica parlo italiano … darò nell’occhio …
― Sei veramente idiota! E con chi dovresti parlare, scusa? Vai alla locanda, trovi Duncan …
― Ma io non so arrivarci, alla locanda!
― Maledizione, mi tocca andare a me! Ma perché, perché, io dico, Duncan doveva tirarsi appresso un essere tanto insulso e inutile come te?! Va bene, ma bada che se te la fai scappare … E poi … il primo morso a questa bella pesca succulenta, voglio darglielo io … ― e sottolineò queste parole afferrando Maria dietro il collo, poi l’accarezzò fino alla scollatura, dove scintillava una collana importante … e aprì il gancio che la chiudeva, sfilandola e mettendosela in tasca!
― Ehi, che fai?
― Già, perché secondo te io mi fido!
Le tolse anelli e bracciali d’oro e pietre preziose, e un fermaglio finemente decorato, con perle, e si mise tutto in tasca facendo la massima attenzione che niente potesse cadere.
― E io come faccio a sapere che ritorni?!
― Te l’ho già detto: la pollastra merita il viaggio! E poi … se non torniamo, tu saresti capace di denunciarci meglio di Duncan!
L’uomo se ne andò. E l’altro rimase lì, guardando Maria con una strana espressione:
― Beh? Che hai da guardarmi con quegli occhi imploranti? Che c’è, hai sete? – Maria fece di sì con la testa, ― Ora ti levo il bavaglio, ma guarda che se strilli Snipes ti sente, e quello torna indietro e ti ammazza subito senza pensarci …
Maria poté bere, ma a quel punto qualche cosa cambiò: invece di rimetterle il bavaglio, il secondo rapitore (un ragazzotto rosso e lentigginoso, con la pelle color latte e le ciglia rossicce, e una stazza davvero imponente) le offrì da mangiare:
― Ecco, ti dovranno bastare due gallette, per ora: chissà quanto ci toccherà viaggiare alla macchia, adesso … mica lo so come finisce …
― Male, finisce, come vuoi che finisca? – Maria parlava piano, con voce mesta e la testa bassa, quasi senza incontrare lo sguardo della sua “guardia” – Perché quello Snipes ha parlato di mia zia? La zia sa di voi, vero? E allora, siete nei guai …
― Oh, sentila! Sei tu, quella nei guai, mica noi! Qua non siamo in Inghilterra, e tua zia non conta!
― Lo dici tu … Però io non ci voglio avere a che fare, con lei. Tutto quello che voglio è tornare da mio marito …
― Tu non vuoi niente, e faresti meglio a stare zitta!
― Puoi imbavagliarmi, ma prima magari è meglio se mi stai a sentire: io non dirò una parola di voi a mia zia né alla polizia, dei gioielli non m’importa … a mio marito, importa meno che a me … se tu mi lasci andare, ti garantisco …
CHE? Lasciarti andare?! Tu vaneggi, sarà lo spavento, sei diventata pazza! Tu aspetterai qui buona, con me, che arrivino Snipes e Duncan …
― E perché dovrebbero arrivare? I gioielli li ha Snipes, li dividerà con Duncan e a te lasceranno solo il tempo di capire che hai aspettato inutilmente con una prigioniera che non vale più nulla …
― Sta’ zitta! Sanno che io li posso denunciare!
― … denunciando te stesso, sì, certo!
Il ragazzo non poteva sbiancare più di quanto la sua pelle non fosse già bianca in partenza.
― E se davvero tornassero … l’unico modo per farmi tacere sarebbe uccidermi, lo sai. Quando sarà il momento, divideranno i gioielli a modo loro, ma anche se a te daranno le briciole, tu sarai sempre un assassino. Davvero non potrai denunciarli mai, dovrai scappare per sempre, io sono di una famiglia importante, che ti credi? E tutto per pochi spiccioli … sempre ammesso che tornino …
Era pomeriggio, quando Maria si mise a correre. La corda era stata recisa e lasciata lì apposta, con vicino un sasso molto acuminato che facesse credere che la prigioniera si era liberata da sola, mentre il suo carceriere dormiva. Poi, quest’ultimo non era più riuscito a trovarla. O almeno, questa fu la versione che si sentirono raccontare Snipes e Duncan al loro arrivo, due ore dopo che il loro giovane e inesperto complice si era convinto che non li avrebbe più rivisti (ma era rimasto, perché non voleva farseli nemici, se mai fossero tornati).
Duncan era fuori di sé, a questo punto, e diede un violento pugno a Snipes, che aveva fatto un grave colpo di testa rapendo colei che doveva solo sorvegliare, ed era stato anche tanto imprudente da fare il nome di Duncan davanti a lei. Anzi, a Duncan bruciava la terra sotto i piedi al punto che niente lo avrebbe trattenuto dal fuggire non appena Snipes era arrivato in paese coi gioielli e con la storia del sequestro … salvo il fatto che bisognava assicurarsi il silenzio di Maria. Snipes, a sua volta, fin dal primo momento sarebbe stato pronto a scappare, lasciando il complice e Maria al loro destino, ma Duncan non ne aveva voluto sapere: voleva che Maria tacesse per sempre! E poiché la ragazza era sparita, ora la carriera di Duncan era finita, e lui doveva darsi alla macchia immediatamente. Era furioso, cercarla era un’impresa quasi impossibile, si era giocato tutto per colpa di Snipes: fu per questo che, dopo il litigio che seguì il pugno, gli sparò, uccidendolo sul colpo.
Lo sparo echeggiò, il silenzio del posto ne fu squarciato. E arrivò a Maria, che ne fu ancora più spaventata: erano i suoi rapitori? quanto erano vicini? da che parte proveniva il colpo, e perché lei aveva la sensazione di aver solo girato in tondo? Non era così, naturalmente, ma non si vedeva assolutamente nessun segno umano, indicazione, strada o casa alla quale chiedere aiuto, e il panorama non era visibile tra quei fitti alberi. Maria non sapeva se si era avviata verso un centro abitato o no, poteva contare solo sul sentiero che continuava a seguire col cuore in gola, prendendo una direzione a casaccio ogni volta che si biforcava.
Le ore passavano, e lei cominciò ad essere presa dal panico … C’erano punti in cui il bosco era davvero scuro, e allora le veniva il terrore che stesse per giungere la sera. Oppure, irrazionalmente, avrebbe voluto rannicchiarsi nel punto più buio per non essere vista dai suoi aggressori, che le pareva di sentir giungere alle sue spalle da un momento all’altro. Continuava ad avanzare, stanca, senza sapere dove andava. Pensava confusamente che avrebbe potuto davvero incontrare dei lupi, se avesse passato la notte lì. Si chiedeva se dei soccorritori la stessero cercando da quelle parti, e quante possibilità aveva di essere trovata. Gridare aiuto le pareva imprudente. Si fermò col fiatone, sentendosi arresa … avrebbe voluto essere un animale, sparire tra gli arbusti e dimenticare … Poi, sentì un rumore dietro di sé, e corse via terrorizzata, mise un piede in fallo e cadde tra i tronchi a fianco del sentiero in costa, lungo il pendio scosceso e pericoloso. Infine, la sua caduta si arrestò. Maria non si muoveva e non era facilmente visibile, dal sentiero.
Scese la sera. I sequestratori di Maria avrebbero potuto passare di lì e non vederla (forse passarono proprio là sopra), tanto ormai non pensavano di poterla trovare. Ma rischiava di non essere trovata mai più, il colore del suo pastrano sembrava fatto apposta per mimetizzarsi nel sottobosco autunnale. Invece, si era avvicinata più di quanto non credesse al centro abitato di (…), ormai in Lombardia, e la mattina dopo, molto presto, passò di lì un postino. Fu in tutto e per tutto un colpo di fortuna che la scorgesse, se il sole fosse salito un po’ di più le ombre si sarebbero spostate, e forse non l’avrebbe vista. Corse a chiedere aiuto alla frazione più vicina, due guide alpine la tirarono su, e la sconosciuta da quel momento fu presa in cura dall’ospedale del posto, dove fu registrata solo come “Maria, inglese”, perché il braccialetto e il suo modo di parlare facevano intendere solo questo: lei non ricordava più nulla.
 
***

 
 
 
Il caso aveva voluto che Maria scappasse verso la vallata “sbagliata”, perché coi suoi rapitori aveva già superato il confine della provincia e in questo modo non fece che allontanarsi dal luogo dove erano state perse le sue tracce. La giurisdizione di polizia era un’altra, e  nel luogo da cui era stata rapita nessuno pensava che Maria potesse essersi allontanata tanto. La gente del posto dove era giunta non leggeva se non i giornali locali, per informarsi sui prezzi delle sementi o sulle date delle fiere ambulanti, o su poco più. Le informazioni non passarono, e non raggiunsero le persone giuste che avrebbero potuto collegare la scomparsa della sposa inglese che viaggiava sul treno con il ritrovamento della smemorata britannica, elegante ma senza soldi né documenti. Se avesse avuto almeno i gioielli, sarebbe stato diverso, ma non li aveva. Aveva solo un bracciale, che era d’argento e non risultava tra quelli (in oro) registrati come in possesso di Maria Dangering quando aveva lasciato casa sua. In realtà, per questo stesso fatto esso non si abbinava al resto della gioielleria con cui Maria era scesa dal treno, e che era ben visibile: per questo, la ragazza lo aveva nascosto sotto la manica, e dunque era sfuggito ai malfattori che l’avevano derubata. Tutto ciò lei non lo ricordava, e la presenza stessa del bracciale fece pensare che non fosse stata derubata affatto, quindi non ci fu una possibile denuncia per furto.
Il fatto che non portasse la fede al dito poteva significare semplicemente che non era sposata; a lei, per delicatezza, dissero che “probabilmente era maritata”, dato che era stata accuratamente visitata ed era risultato che non era vergine e non aveva subìto violenze. Ma poiché nessuno pensava seriamente che le avessero rubato la fede nuziale, tutti all’ospedale sottintesero che la ragazza doveva semplicemente aver avuto un uomo (come minimo) e non un marito. Vestiti alla moda ma niente gioielli da vera dama, un bracciale con una dedica d’amore di un uomo, una presunta esperienza carnale: elementi che potevano far pensare, più che altro, ad una prostituta in trasferta, tanto più che proprio in quegli anni esistevano nelle zone di campagna delle compagnie itineranti che ufficialmente erano di attrici, ballerine e cantanti, ma in realtà erano composte soprattutto da accompagnatrici, di cui alcune straniere (o che si spacciavano per tali).
La fortuna di Maria fu la sua buona educazione. I suoi modi erano troppo raffinati e non lasciavano spazio a dubbi: era una signora. Molto bella, delicata, spaventata e senza memoria, e nessuno che la cercasse … non poteva evitare di attirare l’attenzione di medici e infermieri, e uno dei benefattori abituali dell’ospedale venne a conoscenza del suo caso. Avendola vista, gli sorse il dubbio che fosse una dama che aveva avuto un qualche incidente da qualche parte oltre il lago. Mentre lei si arrovellava per ricordare, lui – in un ufficio ad un altro piano dell’ospedale – scriveva lettere che, data a sua influenza, sarebbero giunte fino al piccolo posto di polizia di (…).
Allora, il commissario pensò bene di sfruttare l’occasione per conquistarsi il favore di Lady Dangering: andò di persona, in gran fretta, al suo albergo per avvisarla delle grandi notizie, e quando fu giunto trovò il modo di farle notare che aveva provveduto ad informare “anche” il marito, ma con la cura che non potesse arrivare all’ospedale prima di loro. Così, la dama avrebbe avuto la possibilità di vedere Maria per prima, da sola. La gratitudine di Lady Constancia, comunque, se mai vi fu, non si manifestò.
Una carrozza correva portando Lady Constancia Dangering e il commissario F.M.B. verso il traghetto che li avrebbe portati dal lato opposto del lago. La nobildonna era visibilmente agitata: le notizie di una giovane e bella smemorata inglese di nome Maria, di grande finezza ma senza segni di riconoscimento (salvo un bracciale che la dama non conosceva) erano confortanti e al tempo stesso inquietanti. Era veramente lei? Ma certo, non poteva che essere lei! E davvero non ricordava nulla? Ma che cosa non ricordava? E che fine avevano fatto i gioielli, possibile davvero che Butman li avesse venduti negando poi ogni cosa, anche trovandosi in un terribile stato d’animo per la scomparsa misteriosa di Maria? O forse le era accaduto qualcosa di mostruoso, che includeva la rapina? Lady Constancia tremava. Non aveva avuto più nessun messaggio da Duncan, che cosa poteva significare? I suoi sentimenti erano anche più angosciati di quanto i suoi pensieri possano far immaginare: il suo cuore era tormentato da una speranza che coincideva con una nuova angoscia, e l’impazienza e i dubbi la rendevano silenziosa, assente.
Due poliziotti, nel frattempo, avevano raggiunto l’albergo cittadino. Avevano avuto precise istruzioni d’informare Arthur Butman di tutti i particolari noti, e quando giunsero a parlare del braccialetto d’argento …
― È LEI! ABEL, È LEI! IL BRACCIALE … è un mio regalo, capisci? Lei lo doveva avere con sé perché so che ce l’aveva sul treno e non è stato trovato! – Arthur era incapace di stare fermo, e suo fratello lo seguì di corsa mentre si precipitava a cercare un cavallo: ― Oh, mio Dio, dobbiamo andare, facciamo presto! L’abbiamo trovata! Abel, l’abbiamo trovata!
― Non si preoccupi, signor Butman, la scortiamo noi.
Con sorpresa, i due fratelli trovarono un mezzo di trasporto della polizia fuori dall’albergo, pronto per dirigersi all’imbarcadero dove anche loro avrebbero preso il traghetto (non lo stesso di Lady Dangering, ma quello successivo). I poliziotti non dovevano perderlo di vista, perché sebbene nulla gravasse più a carico di Arthur, qualche cosa di poco chiaro era successo alla sventurata signora Maria Butman, e il commissario B. non voleva correre rischi.
Anche Arthur ebbe quindi tutto il tempo di cadere preda di dubbi e domande. Su Lady Constancia, aveva il vantaggio di essere certo dell’identità di Maria, per via del braccialetto. Ma anche lui non poteva evitare di chiedersi come mai Maria si trovasse così lontano, e soprattutto senza memoria. Lui sapeva con sicurezza che la sua amata si era allontanata contro la propria volontà, e questo lo terrorizzava, perché qualcuno doveva comunque averla rapita … Il viaggio nella vettura del commissariato gli parve lungo, e più lungo ancora quello in battello. Guardava il paesaggio cambiare, le coste del lago intorno a lui mutare forma mentre avanzava sull’acqua, ma a mala pena vedeva tutto questo. Ripensava alla dolcezza e alla passione che Maria gli aveva offerto sul treno, alle sue risate e ai suoi baci. Ripensava ai suoi sguardi lunghi e intensi, nella penombra dello scompartimento dove lui aveva percorso e scoperto con emozione la sua pelle. Chiudeva gli occhi e risentiva le mani calde di Maria su di sé. E poi, come un in incubo, tornava a chiedersi se qualcuno aveva sciupato la gioia di Maria, la sua femminilità appena sbocciata, perfino la sua mente.
Giunsero, alla fine, e trovarono che Maria era … “occupata”: Lady Constancia era con lei.
― Ma io sono il marito!
― Abbia un po’ di pazienza, la paziente deve prima riprendersi dal colpo di aver visto qualcuno che forse la conosce, bisogna procedere con calma …
― Senta! – Abel non era più disposto ad aspettare: ― Lo sa che la signora è sposata e ha cambiato vita? Ha lasciato tutto pur di stare con mio fratello, e adesso …
― Si calmi, la prego!
Ma difficilmente Abel si sarebbe calmato, se non fosse stato interrotto dalla Contessa in persona, che usciva dalla camera di Maria con gli occhi umidi:
― Oh, siete qui … Se volete vederla … io ho finito … ― e Lady Constancia singhiozzò!
― Ma Milady … Oh, mio Dio, che c’è? – niente avrebbe potuto spaventare Arthur di più, perfino il commissario aveva un’aria contrita e sfatta.
― Non ricorda, signor Butman. – disse il commissario: ― Sì, si tratta di lei, ma non riconosce nessuno …
Anche ad Arthur venne voglia di piangere, ma poi si frenò:
― Però … è viva … è qui. Col tempo, sono sicuro … Io vado.
Lady Constancia fece di sì con la testa, e seguì Arthur come faceva Abel – il commissario, come sempre, seguiva la Contessa.
Arthur entrò nella stanza e Maria lo vide. Per lei, fu come se una luce abbagliante fosse entrata con lui, e quella luce illuminò ogni cosa in un modo che le sembrò quasi doloroso, oltre che un sollievo, e forse per questo urlò:
― AAH! Arthur … ARTHUR! – e poi si slanciò verso di lui, superando un’infermiera con agilità, e all’istante lo raggiunse.
Arthur non ebbe la forza di fiatare, si limitò a correre incontro a Maria per abbracciarla e mettersi a piangere col viso premuto contro i suoi capelli, gli occhi chiusi.


Alla fine ho deciso d'inserire qui delle curiosità che ho scritto nella risposta a una recensione, e che riguardano la scelta dei nomi dei personaggi e il modo in cui certe ispirazioni entrano nelle storie: Duncan doveva essere un nome molto classico, ma anche suggerire decisione (ha un suono molto "rigido", come uno scatto), e somiglia vagamente a Dangering. Dangering viene forse da "danger" (=pericolo), e ho già giocato nella mia prima storia su "danger ring", come "segnale d'allarme" per Arthur quando sente quel nome. Ma Duncan e Dangering hanno anche a che fare, volendo, con "dungeon" (=segreta), il che è perfetto perché sia quelli che questo imprigionano i nostri beniamini. Snipes invece doveva avere un suono sibilante, e significa attaccare tendendo un agguato, o anche parlare male alle spalle di qualcuno: meglio di così non si poteva. Tutto questo è vero, anche se in effetti sono stati anche i primi nomi che mi sono venuti alla mente un volta che mi sono fatta un'idea dei personaggi, perché era logico che si chiamassero così ...
Il fatto che Arthur abbia questo effetto su Maria costituisce una strana coincidenza: Arthur non è forse anche il nome del re leggendario della Tavola Rotonda? I re nel Medio Evo a volte erano talmente venerati da essere considerati capaci di curare i malati, e questo lo riprende Tolkien nel Signore degli Anelli, dove Eowyn viene curata dal re Aragorn e riportata alla normalità dall'amore di Faramir. Anzi, probabilmente l'ispirazione mi è venuta proprio da lì.

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Capitolo 38
*** Il sole di settembre ***


Dietro Arthur, era entrato nella stanza Abel, e ora aveva gli occhi lucidi mentre guardava suo fratello che abbracciava Maria. Lady Constancia era rimasta subito fuori dalla porta, e sorrideva tra le lacrime stringendo il suo fazzoletto, appoggiata al commissario, mentre l’infermiera, emozionata, si faceva il segno della croce e correva a chiamare i medici.
― Maria … ― sospirò alla fine Arthur – Mi riconosci, vero? Lo sai chi sono?
― Sì, tu sei Arthur, il mio caro sposo … Oh, sapessi che paura ho avuto! Non … loro … mi hanno rapita, lì alla stazione, e io non volevo andare con loro, non volevo!
― No, lo so, e proprio per questo avevo tanta paura anch’io, lo sapevo che ti avevano rapita!
― … e … volevano i gioielli … e volevano … e … È stato orribile!
Lo stato d’animo di Arthur era passato dall’attesa angosciante all’euforia commossa, e poi di nuovo all’angoscia: che cosa era davvero successo? L’idea che Maria avesse dovuto subire una violenza lo terrorizzava.
― Volevano … che cosa, tesoro? Un riscatto, forse …?
― No, no … – ora Maria parlava fissando un punto dietro le spalle del suo amato, come se potesse rivedere la prigionia che aveva dimenticato fino a quel momento: ― Io non volevo, te l’ho detto. Ma loro erano più forti, mi hanno portata nel bosco …
― Ora basta! – disse il medico, da poco arrivato – La paziente deve riposare, dopo le emozioni che ha avuto.
― Sì … è vero … ― Arthur era pallidissimo, con le guance rigate dalle lacrime – E poi … io … anche se l’avessero violentata, io la voglio con me lo stesso!31
― No, non si preoccupi, questo non è accaduto, signor …
― Butman. – disse con enorme sollievo Arthur. Che fortuna che il medico parlasse inglese, così da poter liberare il povero ragazzo dalla sua ansia! Ma naturalmente, non era un caso se Maria era stata affidata a lui, anche se parlava italiano.
― No, amore, sono riuscita a scappare. E poi … loro mi volevano uccidere. – Arthur e Abel, che si erano guardati con un sorriso appena un attimo prima, la fissarono con autentico terrore un’altra volta. – Aspettavamo solo che arrivasse quello Snipes con … Duncan …
Cosa?! Duncan!!! – Lady Dangering fece irruzione nella stanza, mentre pensieri terribili, ma veri, le affollavano la mente: ecco perché il suo uomo di fiducia era sparito, era coinvolto nel rapimento di Maria! E l’aveva messo lei sulle sue tracce! Lei voleva “salvarla”, invece lui e i suoi volevano altro …
Solo allora, Maria la vide di nuovo dopo aver riacquistato la memoria, e all’istante esclamò:
― MAMMA!
Il grido di Maria sorprese Arthur, che all’inizio pensò che quell’errore  fosse dovuto al legame molto stretto che si era creato tra lei e sua zia. Ma Maria abbassò lo sguardo e non si corresse. Lady Constancia cambiò espressione, senza più piangere: ora era stupita, ma aveva anche assunto una strana dolcezza. Arthur cominciava a capire, ma non a crederci …
― Dottore, lasciateci soli, per favore.
― Ma signora Contessa, la signora Maria è in uno stato molto delicato, io mi permetto di dissentire …
― La signora Maria sta molto meglio! E ho detto che vogliamo rimanere da soli. Sarà solo per pochi minuti, e non la stancheremo, vedrà. Sotto la mia responsabilità … e quella di suo marito, vero, Arthur?
Il comportamento della Lady era sorprendentemente confidenziale, ora, verso Arthur. Tutto gli pareva una rivelazione, e fece di sì con la testa, serio.
― … Solo per pochi minuti! – ripeté perentoriamente il medico, uscendo con tutti gli altri.
― Arthur … amore … te l’avrei detto, te lo giuro. Io … io … non sono figlia del Duca Dangering … ma di sua sorella.
― Sì. Vede, Arthur, io non mi sono mai sposata. Maria fu fatta nascere in un luogo appartato, dove trascorsi nell’anonimato la maggior parte della gestazione e il periodo seguente. Mio fratello fece in modo che nessuno vedesse sua moglie per lo stesso periodo, e poi si presentarono a tutti col lieto evento, come se Maria fosse nata dal loro matrimonio. Era necessario che io non mi sposassi più, naturalmente, e che mantenessimo tutti le apparenze, anche per ragioni legate alla posizione politica di mio fratello. Per lei ho fatto tutto questo, negli ultimi anni … perché morto l’erede naturale, Arwin, se si sapesse che Maria è un’illegittima e per di più del ramo femminile, perderebbe ogni diritto e subentrerebbe Elisa. Il titolo, le terre … tutto. E poi, eravamo vincolate a quel testamento! Mio fratello voleva che Maria ereditasse, ne sono sicura, anche se era molto affezionato anche ad Elisa; ma come non gli piaceva il suo fidanzato di allora, così non gli piaceva nemmeno lei, Arthur: per questo mi sono mostrata così inflessibile, per via del testamento. Perché Maria prendesse il posto e il nome che erano di mio padre, e che mio fratello e mio nipote hanno disonorato!
Arthur ascoltava e comprendeva, finalmente, come mai Maria aveva sempre tenuto tanto in considerazione la volontà di Lady Constancia: questa era sua madre, e la ragazza desiderava il suo affetto e la sua felicità. Maria, che fino a quel momento aveva tenuto la testa bassa e non aveva più guardato Arthur, prese la parola:
― A me queste cose non interessano. A me interessi tu! Se non mi vuoi più, ora che sai che mio padre non … insomma, io non ce l’ho, un padre! Non sono nessuno …
― Shhh!... Non devi dire queste cose. Tu sei molto importante. Veramente, non mi sei mai sembrata la figlia di Dangering … o la sorella di Arwin … per fortuna! Io ti amo lo stesso, non m’importa se la legittima erede è Elisa. – Arthur accarezzava i capelli e il viso teso di Maria, che gli sorrise e poi nascose la faccia contro la sua giacca, rifugiandosi nel posto dove si sentiva più sicura al mondo.
― Vede, non è detto ancora. Per la nostra famiglia non è bene che ci siano altri scandali. A questo scopo è ragionevole sacrificare il diritto di Elisa, che comunque resta in una posizione più che invidiabile finanziariamente e socialmente, e non si gioverebbe di un nuovo scandalo. Come ho detto, desidero che Maria sia Duchessa, non solo perché è mia figlia, ma anche perché è coraggiosa e meritevole, ed è l’unica all’altezza, molto più di quello sciagurato di mio fratello, del suo degno figlio o di Elisa. Manca un solo passo perché questo avvenga, spetta a me compierlo e non mi è gravoso: io dichiaro che Maria ha rispettato le condizioni poste dal testamento, perché si è sposata a diciotto anni e con un uomo degno.
Arthur sgranò gli occhi guardando la dama, mentre anche Maria riemergeva dal suo rifugio caldo per puntare uno sguardo incredulo su sua madre. Poi, Lady Constancia sorrise e allargò le braccia:
― Vieni qui, tesoro mio!
Maria corse ad abbracciarla, e Arthur aveva già cominciato a ringraziarla, quando lei lo fermò:
― No, no, Arthur: è lei che ha riportato Maria alla normalità. I medici non sapevano quanto ci sarebbe voluto, e mia figlia mi aveva visto prima di vedere lei, ma non è bastato. Ci voleva che vedesse lei. Lei non ha ceduto in tutti questi anni; ha accettato tutto, anche di onorare Maria nel caso che fosse stata oltraggiata32, che non ereditasse più, perfino che le fosse stato nascosto che è un’illegittima. Avrebbe potuto ripudiarla e vendicarsi pubblicamente, dirlo a tutti, sarebbe stato nel suo diritto. Io non avrei mai voluto dirlo nemmeno a lei, ma non potevamo più nasconderglielo. Sono io che la ringrazio. Vorrà collaborare perché questo segreto non esca da questa stanza?
― Ma certo, Milady!
― Vede che sono io che debbo ringraziarla?
Qualcuno potrebbe dire che Lady Constancia si era assunta un enorme rischio: aveva promesso che il colloquio privato sarebbe durato solo cinque minuti e che non avrebbe agitato Maria, ma che sarebbe successo alla salute della poverina se Arthur, scandalizzato dalla scoperta della sua dubbia origine, l’avesse abbandonata su due piedi? Qualcun altro potrebbe anche dire che ormai Lady Constancia non aveva altra scelta che offrire il Ducato a Maria, accettando il nuovo genero imprevisto (e così far entrare Arthur in un certa società, con tutte le conseguenze!), se voleva evitare una catastrofe. Ma forse aveva capito quanto appassionato e puro fosse l’amore di Arthur, capace di riportare alla realtà la mente di Maria: lui non l’avrebbe abbandonata, lei non avrebbe subito uno shock nel delicato stato in cui si trovava e in cambio la dama lo avrebbe accolto nella famiglia. Forse ci sarà perfino qualcuno che dirà che Maria era una figlia snaturata perché non amava abbastanza sua madre: non si era ripresa dall’amnesia nel rivederla, quando invece la vista di Arthur, suo marito da una settimana, era bastata all’istante. E forse si potrebbe dire che la legittima erede era pur sempre Elisa. Ma le famiglie importanti di un tempo erano così: quanti figli illegittimi ereditavano perché a tutti conveniva mantenere il segreto sul loro concepimento?
Il cuore di Lady Constancia e quello di Maria, come quello di tutti, non erano certo perfetti o “logici”, ma seguivano i propri percorsi e rispondevano alle proprie ragioni profonde. In effetti nessuno, che si dichiari umano, dovrebbe sentirsi in diritto di giudicare l’amore disinteressato quando questo si manifesta. E in quella stanza d’ospedale ora c’era quel genere d’amore che salva e redime, che perdona e non cede di fronte a nulla.
 
***
 
Il giorno dopo, poiché Maria pareva stare bene, i medici decisero di dimetterla. Arthur si presentò all’ospedale con dei vestiti per lei, e i due sposi ne uscirono insieme per raggiungere di nuovo la stazione, dove Abel avrebbe portato il resto del bagaglio. Maria si guardava intorno mentre percorreva i viali freschi di alberi, e poi mentre attraversava il lago col traghetto: in quota si avvertiva già un’idea di autunno, ma lì al fondovalle l’aria era tiepida, e la luce dorata di settembre faceva i suoi giochi sull’acqua e sulle foglie con allegria. Eppure, a lei sembrava che ci fosse un pericolo tra le folte piante delle rive, o sul treno, o ad attenderla a Ischia. La ridente cittadina pareva scendere dolcemente verso i moli, incontro a loro, e il bosco di larici più in su profumava, scaldato dal sole e rinvigorito dall’umidità nell’aria. Ma tutta quella bellezza non le comunicava quel senso di libertà che si sarebbe aspettata: con gli occhi, Maria si volse verso il ramo più lontano del lago, a cercare il mare. Il lago era chiuso, invece lei desiderava vedere non la terra, bensì il mare aperto come quello inglese, perché le pareva che solo così si sarebbe sentita libera.
Arthur si accorse della sua inquietudine, le chiese se ci fosse qualche problema e si affrettò a offrirle di fermarsi qualche giorno in albergo, se non se la sentiva ancora di viaggiare:
― No! No, non importa, voglio partire … sono solo preoccupata per Lowell: hai notizie?
― No, purtroppo. Abel ha scritto del tuo ritrovamento, ma non so se Georgie ci risponderebbe qui, magari preferirà aspettare di vederci di persona.
― Oh … vedi che dobbiamo partire? Ho un brutto presentimento, Arthur, non lo so …
Arthur si preoccupò ma non disse niente. Il viaggio, poi, distrasse tutti da questi pensieri.
Alla stazione, Maria si separò da sua “zia” con commozione. Lady Constancia avrebbe preferito che Maria aspettasse qualche giorno a ripartire, per riposarsi meglio, ma la ragazza era ansiosa di dimenticare quel posto e per questo voleva andarsene. Il treno, finalmente, partì, e i due sposi presero possesso del loro scompartimento. L’atmosfera era diversa dalla prima parte del viaggio, perché ora non avevano più la sensazione di essere in fuga, piuttosto si sentivano in convalescenza, e poi c’era Abel che avrebbe occupato un letto non lontano da loro.
C’era anche altro, a rendere il clima insolito, e i due fratelli ne parlarono alla prima occasione in cui si trovarono da soli:
― Allora, domani a quest’ora siamo a Ischia. Così Maria si potrà riposare: mi è sembrata un po’ stanca, ma è il minimo, con quello che le è successo. Dimmi, come sta? Forse bisognava fermarsi un po’, come suggeriva sua zia?
― Abel, che devo dirti, io gliel’ho proposto, ma lei proprio non ha voluto …
― Ti dirò, per me è meglio così. Sai, faccio avanti e indietro in treno da giorni e io preferisco viaggiare per mare, mi conosci!
― Ah, sì? solo per questo?
― No, no, Arthur, è per Georgie, lo sai! Lei ha bisogno di noi, e poi voglio avere notizie …
― Georgie ci avrebbe scritto le notizie, e ha sempre suo padre, ora. Certo, anch’io voglio rivederla, mi manca e voglio starle vicino. Ma … non c’è altro, davvero? solo questo?
― Arthur, che vuoi?!
― Lo sai! Una certa Maristella, graziosissima signorina che abita presso nostra sorella, potrebbe essere uno dei motivi che ti attirano a Ischia, magari?...
― … Ficcanaso!
― Eheh! Povero Abel, appena arrivato dalla tua bella sei dovuto ripartire, senza nemmeno fare in tempo a dirle quello che provi! Un cuore straziato, il tuo!
― … Ficcanaso, e ti sbagli pure!
― Cioè? … Gliel’hai già detto?!
Abel sorrise, alzò il mento e guardò il fratello:
― Sei tu che ci metti sempre un secolo, a fare le cose, non io! E poi, dicono che Ischia sia più bella in settembre, con le sue terme …
― Sì, certo, perché a te interessano le terme! – i due ragazzi ridevano di gusto, ma Arthur si fece serio: ― Ma sì, le terme sono una buona idea, per Maria, così forse …
― Che c’è? allora non sta bene? – anche Abel era serio.
― … Non lo so. Sembra stanca, inquieta … Io non ho dimenticato che quando ero da poco uscito dalla prigionia di casa Dangering, mi sentivo davvero male, invece di essere contento per la mia libertà. Credo che anche lei sia ancora scossa.
― Mi dispiace. Speriamo davvero di arrivare presto, forse l’atmosfera famigliare la farà sentire più tranquilla.
― Speriamo.
E bene o male, il viaggio trascorse. I tre giovani presero un altro traghetto. Il mare era liscio come una tavola eppure sarebbe stato blu, se il cielo sereno non fosse stato sporcato dalla foschia dell’afa. Maria era silenziosa e guardava verso le isole (che non si vedevano) e il mare aperto, che pareva non avere una linea dell’orizzonte, confondendosi col cielo.
― Allora, amore mio, hai visto? Il mare, finalmente, come volevi tu! – nel dire queste parole, Arthur le prese la mano, e Maria sobbalzò impercettibilmente.
― Eh? Ah! … Sì … sì, però è strano, è tutto così immobile e caldo! Fa caldo …
― Lo so, hai ragione, ti prendo dell’altra acqua fresca. Credo che qui dovrai usare un parasole più fitto, questo non ti può proteggere sotto questo sole, o in Australia.
― In Australia, già … Arthur, ti rendi conto che io ho ereditato il titolo e le terre? Ho anche la responsabilità del mio nome, adesso …
― Sì, lo so. Ne abbiamo parlato, io farò come vuoi tu …
― Sei molto buono.
― Ma che discorsi sono? Tra noi non ci sono mai state cerimonie: tu mi hai salvato la vita, hai buttato all’aria la fedeltà alla tua famiglia, e io ti ho sposato portandoti via come se tu non avessi assolutamente nulla! Abbiamo sempre creduto solo nel nostro amore, e ora mi dici “sei molto buono” ― Arthur fece la boccuccia e una vocina che costrinse Maria ad un sorriso – come una sposina del secolo scorso, la vittima di un matrimonio combinato e delle formalità? BLEAH!
Arthur fece una smorfia e una linguaccia, e ottenne da Maria la risata che non sentiva più da troppi giorni. Poi, la ragazza bevve l’acqua fresca (un lusso da viaggio in prima classe) e si appoggiò di più a lui:
― Hai ragione, sono una sciocca. Ciò non toglie che sei buono. Ma Ischia mi ci vuole, sì, l’aria di mare e la cara Georgie … per dimenticare tutto …
Arthur guardò con apprensione davanti a sé, cercando lo sguardo di suo fratello, ma non lo trovò: ancora una volta, Abel guardava verso prua con allegra impazienza, coi capelli al vento come si addice a un marinaio. Oggi, però, si sentiva il cuore leggero, gli pareva di aver aspettato un secolo quel momento eppure quelle ultime ore non gli passavano mai! Lei era lì, l’avrebbe rivista, molto presto! Si ricordò dei suoi primi viaggi, e si sentì felice: non era più in fuga dal suo amore, perché ora era corrisposto, ed era un uomo che sapeva tutto delle navi, e si sentiva a casa sua mentre guardava le deboli onde arricciarsi contro lo scafo in basso … Maristella gli riempiva il petto più dell’aria salmastra. Alle sue spalle non esisteva nulla, di fronte a lui c’era una dolce promessa di baci e felicità …
E finalmente, il porto fu chiaramente visibile, avvicinandosi sempre di più, e poi fu talmente vicino che la figura di Georgie, vestita di un elegantissimo color crema, si poté distinguere sul molo. “Buon segno”, pensò Abel: “l’altra volta non c’era, forse ci sono buone notizie.”
Ma la speranza di Abel fu presto delusa: da vicino, la giovane e bella Georgie rivelò uno sguardo preoccupato, subito prima di correre loro incontro.
― Oh, ragazzi, finalmente siete qui! Ero tanto in pena per voi, Arthur caro! Oh, Maria!
Georgie si era fatta forza ed era andata al porto per apprensione, inseguendo come sempre il suo cuore generoso che la spingeva a dare più attenzione ai suoi cari che a qualunque altra cosa. Ora, abbracciava il fratellino e gli schioccava due forti bacioni sulle guance. E poi, si diresse a Maria che era subito dietro di lui, le andò incontro senza parlare e le prese le mani. Poi, le accarezzò una guancia. Maria scoppiò in lacrime:
― Oh, Georgie …
― Lo so, cara, lo so … ― Georgie abbracciò Maria. Aveva voglia di piangere anche lei, ma si trattenne perché se c’era una cosa che aveva imparato presto, era essere forte per gli altri, specialmente quando le stavano tanto a cuore.
Ad Abel tutto questo sfuggì completamente: ferma vicino a Georgie, in verde smeraldo, c’era Maristella, che per tutto il tempo lo guardò sorridendo con più dolcezza del solito. Abel le tese la mano:
― Maristella … ciao! Ben ritrovata.
― Abel, ben arrivato. – Abel baciò la mano che la ragazza gli aveva offerto – Fatto buon viaggio?
― Tremendo. Le preoccupazioni, sai …
― Oh, ma certo! Che sciocca … ― la ragazza distolse con imbarazzo i suoi brillanti occhi chiari.
― Ma che importa? È finito, per fortuna, e io sono qui … siamo arrivati, alla buon’ora. E tu? Sei stata bene?
― Beh, sai … Se ci fossero state novità su Mister Grey … ma niente, purtroppo.
― Oh … beh, arriveranno presto, nessuna nuova buona nuova. – Abel non si rese conto della leggera incongruenza del suo discorso perché ora aveva notato il Conte Gerard proprio lì, in piedi vicino a Maristella: fino a quel momento non l’aveva proprio considerato, e questo, dato il titolo del Conte, era assolutamente inaccettabile! – Signor Conte, buongiorno! Ecco …
― Abel, ragazzo mio, ma non mi chiamavi Fritz?! Ahah!
Il Conte non dava importanza alle formalità, ma solo con Abel e gli altri più intimi amici. E Abel si ricordò di quanto lo ammirava, mentre gli stringeva la mano e dopo, abbracciando forte Georgie. La sua cara Georgie! quanto avrebbe voluto proteggerla ancora, come da bambini …
Lasciarono il porto e il mare baluginante sotto un sole opaco, e andarono a casa. Tutti i nuovi arrivati occuparono le loro stanze, e si cambiarono in fretta i vestiti accaldati.
Poi, Abel si precipitò fuori dalla camera: trovò ben presto Maristella che veniva avanti da sola, in un corridoio, con un cesto pieno di erbe aromatiche per la cucina. Senza indugi, la prese tra le braccia e la baciò come sognava di fare da quando se n’era andato! Maristella rimase immobile col suo cesto infilato in un braccio (le erbe non caddero per miracolo), respirando appena. Abel credeva di sognare, era tutto nuovo anche per lui, quell’emozione in gola che gli faceva venir voglia di gridare non l’aveva mai provata … ora avrebbe potuto baciarla ogni volta che .. o no? gli parve strano che Maristella fosse così controllata e non l’abbracciasse come alla sua partenza …
― Abel … ti prego, non è il caso …
― E perché? Che c’è? Io non ho pensato ad altro che …
― …ad altro che …? – Maristella era preoccupata, adesso, e Abel temette che si arrabbiasse, di sicuro aveva frainteso!
― Ma niente, che vai a pensare, non vedevo l’ora di rivederti! Mi sei mancata tanto …
― Oh, sì, caro, anche tu, però adesso lasciami … Io non voglio mancare di rispetto a questa casa.
― Nemmeno io, e allora? – Abel la lasciò, ma anche se era un ragazzo orgoglioso, non poté nascondere la sua delusione.
― E allora, qui in questa casa io mi devo comportare in un certo modo, per riguardo ai signori Grey! Non posso baciarti, lo capisci? Che direbbero, se lo sapessero?
― E che ne so, che direbbero? Ma allora … mi vuoi dire che ci possiamo baciare solo fuori?!
― Sì.
― Ma … guarda che io conosco Lowell da molto più tempo, e ti assicuro che lui certi problemi non se li è mai fatti! Aveva appena conosciuto Georgie e la baciò in pubblico, ad una festa per …
― Non ha importanza. Lui era di una famiglia importante, io invece sono solo una protetta e questa è casa sua.
― Ah, uffa! Va be’, stasera …
― Non esco, di sera, senza la famiglia!
― Mmmmmh … e va bene! – (Maristella, in realtà, gongolava nel notare l’impazienza del suo innamorato, ma era decisa a non dargli soddisfazione finché lui non avesse accettato le sue condizioni) ― Domani mattina??
― Sì, esco per i fatti miei domani. Allora, mi accompagnerai fuori, al mercato. A dopo, amore mio, luce dei miei occhi! – ora, Maristella poteva sorridergli apertamente, sottolineando con uno sguardo intenso le sue ultime parole.
Soddisfatta, la ragazza se ne andò a testa alta verso la cucina, e Abel la guardò come i bambini guardano i dolci di Natale prima della cena della Vigilia, quando hanno il divieto assoluto di toccarli …



31 Può sembrare assurdo, ma il discorso di Arthur era legato alla mentalità del tempo. Vale la pena ricordare che una donna violentata era una donna disonorata, che un marito forse avrebbe anche potuto ripudiare, perché la gente avrebbe trovato normale che lui non la volesse più toccare …
32
 Oltraggiata: violentata.
 
Nota dell'Autore: Capitolo senza orpelli, stavolta, ma mi pareva che la cosa importante dovesse essere la narrazione, dopo tanto tempo volevo assolutamente aggiornare e poi è stato un periodo molto difficile. Mille impegni di lavoro che hanno sfinito anche la mia salute, un mese e mezzo passati a fare avanti e indietro con l'ospedale per il mio compagno ... Ora che alcune cose sembrano in via di soluzione, eccomi di nuovo (ma quanto mi è mancato il sito!), con un capitolo importante. 
Anche se sembra strano, questo è il capitolo più autobiografico che ho scritto. C'è molto di mia madre in Lady Constancia, questa madre così esigente e invadente, che con le migliori intenzioni, finisce quasi per provocare la distruzione fisica di sua figlia. Maria deve rischiare di essere ripudiata dalla famiglia, se vuole vivere la propria vita e non quella imposta da altri. Alla fine, le ho fatte ritrovare più forti, più unite e sincere di prima, sperando anch'io di ritrovare così mia madre.
Naturalmente non è così. Io non ho quasi più speranza di riuscirci. E questo anche perché io non sono scappata di casa, sono solo diventata un individuo diverso e separato da lei, rifiutandomi di accettare tutto quello che mia madre pensa e dice. La mia colpa è un efferato delitto di opinione ... e il fatto di non aver avuto figli. Per entrambe le cose, non so che farci. Aspetto che succeda un miracolo che possa invertire la rotta e stemperare la tensione crescente tra me e lei. Ma intanto, ricordo continuamente l'epoca felice in cui credevo che sarei stata amata sempre e comunque dai miei genitori ...
Anche il comportamento di Maria ha molto di autobiografico, ma questa è un’altra questione: anch’io quando non so che fare mi chiudo in uno strano silenzio che molta gente scambia per calma.
Ma non voglio lasciarvi con una nota malinconica! Alla fine, oggi è un giorno di festa, anche se per me è un Ferragosto strano, passato a casa. Allora vi dirò che 
c'è di buono che il prossimo capitolo arriverà presto, allora forse ci potrebbe essere una piccola fanart, magari ... Sempre se ci siete ancora, e avrete la bontà di continuare a leggere questa storia lunga e un po' strana! Comunque Buon Ferragosto ovunque siate, e grazie di cuore!

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Capitolo 39
*** La tempesta ***


Eccolo! Sappiate subito, prima di leggere, che la stupenda fanart è, come già è accaduto, della dolcissima Kika777, dalla sua pagina deviantArt. Visitatela, capito?


La serata passò, e l’indomani si prospettavano sole e vento, quando Maria si svegliò. Il ragazzo giaceva su un fianco, come al solito. La stanza era in penombra, ma Maria indovinava il suo viso con facilità. I riccioli che le erano sempre piaciuti tanto erano un po’ più corti del solito, ma comunque sparpagliati sul cuscino. Il respiro tranquillo, le labbra chiuse in un’espressione serena. Erano belle, quelle labbra, e Maria le conosceva bene. Poco più su, c’era il naso che Arthur aveva sempre avuto dritto e garbato. Delle belle sopracciglia arcuate sovrastavano i suoi occhi chiusi: Maria sapeva bene che le palpebre nascondevano una luce azzurra che lei amava enormemente … Lo guardava, nel silenzio, e si chiedeva come mai, se era sempre tanto bello, lei non era più riuscita ad accettare che la toccasse.
Maria in quel momento avrebbe voluto coccolarlo. Lo amava, come sempre se non di più, e allora si sentiva attratta da lui, ma non poteva nascondersi che anche se si sentiva così, non sapeva più cedere alla passione per lui. Le sembrava che ci fosse un vetro tra di loro, e si vergognava di non essere la sposa che era stata durante la prima pare del loro viaggio in treno. Lei ricordava bene la felicità e l’allegria di quei giorni, delle scoperte piene d’emozione che aveva vissuto tra le sue braccia … Ma era stata strappata a quella gioia, e una brutalità che non aveva mai conosciuto aveva fatto irruzione nella sua vita. A questo, si univa la preoccupazione per il futuro: ora lei aveva ereditato tutto, ed era una prospettiva inattesa, che comportava delle responsabilità inconciliabili col desiderio di Arthur di tornare a vivere in Australia. La ragazza era confusa, e le pareva di aver perso una parte di sé: quella spavalderia con cui lo aveva sempre amato, e soprattutto in quella loro meravigliosa fuga in treno.
Arthur socchiuse gli occhi e la vide. Le sue labbra si distesero in un sorriso appena accennato:
― Ciao … tesoro … com’è, già sveglia?
― Sì … buongiorno … Arthur? Ti amo!
Lui sorrise e l’abbracciò lentamente, assonnato com’era. Lei si rannicchiò e chiuse gli occhi.
 
***
 
Quella mattina finalmente Abel accompagnò fuori Maristella. C’era uno strano vento, che agitava il mare e i capelli ricci della ragazza. Andarono a comprare del filo da ricamo, poi alle bancarelle vicino al porto, dove era esposto del bellissimo pesce, ma quello era un acquisto che avrebbe fatto una domestica. Maristella passava, ogni tanto commentava quello che vedeva, ma non comprava nulla …
― Senti, Mary … Tu sai quanto mi piace passeggiare con te, ma si può sapere che cosa devi prendere? – ad Abel pareva di perdere tempo.
― Oh, quando lo vedo lo saprò, e tu mi aiuterai a portarlo a casa, vero?
― Certamente! Ma mi vuoi dire che non sai che cosa stai cercando?
― Io ho trovato quello che cercavo … Oh, guarda là, che bei fiori!
Abel sorrise, pensando che forse Maristella era uscita con una scusa solo per stare con lui.
Anche Georgie era uscita, pur controvoglia, per mostrare a Maria un negozio di stoffe, molto bello. E anche quella era una scusa: lo scopo era stare un po’ con lei, distrarsi e distrarla, perché era rimasta molto colpita dal suo pianto all’arrivo, il giorno prima. Maria sembrava contenta di quel giro, e questo fece molto piacere a Georgie (e incontrava anche i desideri di Arthur, che sperava che una passeggiata per negozi tra ragazze, senza uomini, le rallegrasse tutte e due). Poi, Georgie volle far assaggiare a Maria un caffè fatto alla maniera del posto, e mentre lo bevevano entrò una folata di vento dalla porta aperta: sapeva di pioggia.
― Oh! Sembra che debba piovere, proprio il tuo primo giorno, che scocciatura! – Georgie si rivolse allora al barman: ― Lei che dice, pioverà?
E fusse o’Cielo1, madame!
― Perché?
― Perché la pioggia è benedetta! Si porterebbe via ‘a malatia … da Napoli e da tutta la marina. La malattia vuole il caldo umido, ma la pioggia con questo vento pulisce l’aria, specie se è tanta, e quei poverelli laggiù starebbero meglio.
― La pioggia è benedetta, allora! Oddio, speriamo che piova tanto! – a Georgie s’inumidirono gli occhi, Maria sapeva bene il motivo e il barista lo capì facilmente anche senza saperlo.
― Vieni, Georgie, rientriamo prima che ci prenda lo scroscio …
Più o meno, fu la stessa cosa che, in un’altra parte della cittadina, si dissero anche Maristella e Abel, solo che loro non fecero in tempo. L’aria si era fatta buia, praticamente tutti parevano essersi messi a correre, intanto che i tuoni si avvicinavano, e nel cielo sempre più scuro due fronti di nubi pesanti si preparavano a scontrarsi. I primi goccioloni sorpresero i due giovani mentre salivano lungo il vicolo dove Abel aveva visto Maristella per la prima volta.
― Corri, infiliamoci lì! – Maristella indicò un sottopassaggio ad arco tra due case vicinissime.
― Ma siamo quasi arrivati!
― Almeno per un po’, finché si sfoga e diminuisce, vieni! – Maristella aveva deciso, e si trovarono riparati, intanto che la pioggia iniziava a battere con forza.
Si guardarono, e si misero a ridere senza un perché.
― Adesso ci tocca aspettare! Vabbè, tanto non avevo impegni, e tu? – scherzò Abel.
― Sì, un appuntamento con te per andare al mercato, non ti ricordi?
― Eh, già, e meno male che abbiamo fatto in tempo a comprare “tutta questa roba” prima della pioggia! Se no, come si faceva? – Abel indicò il pacchetto col filo e il mazzolino di fiori che spuntava dalla borsa di Maristella.
Maristella rise ancora di gusto, poi guardò la pioggia che cadeva fitta:
― Però, che bello …
― Sì. Bellissimo. Ma solo perché ti amo, Mary …
Guardarsi con occhi incantati e baciarsi, fu un attimo. Abel abbracciava Maristella e la baciava con gli occhi chiusi, cercando di trattenere nei giusti limiti la passione che provava. Perché Abel era fatto così, nell’ira e nell’amore prendeva fuoco subito, e aveva aspettato a lungo di poterla stringere tra le braccia in quel modo. Ora, poteva finalmente farlo e gli pareva un sogno, poteva baciarla quanto voleva e quei baci li assaporava con delicatezza prima, con voracità poi, e allora il sogno diventava potentemente vero.
Maristella non si ritrasse, non protestò né disse una parola. Non fiatò nemmeno quando si staccarono, una volta e poi un’altra, tra un bacio e l’altro, ma lo guardò con occhi felici, e vide che il bel volto di Abel le sorrideva. Arrivò perfino a chiedersi se Abel non lo sapesse, di avere un sorriso irresistibile, e quanto la faceva sentire felice e al tempo stesso fragile. Ricambiò il suo sorriso, ingoiò quasi per rimandare giù il suo cuore emozionato. Poi, chiuse gli occhi lasciandosi baciare ancora, cercando lei stessa le labbra di Abel. Quanto lo amava!
Dentro di sé, Abel per un attimo chiese perdono al Cielo: credeva di essere ormai maturo, ben diverso dal ragazzo inquieto che era stato, e invece … Non disse niente, ma smise di baciare Maristella e l’abbracciò senza guardarla in viso: si vergognava della sua stessa emozione, e non voleva che la ragazza leggesse nei suoi occhi il desiderio che provava. L’odore di pioggia, i tuoni, e un abbraccio trepidante per dare tregua alla passione: si ricordò di una grotta nell’emisfero opposto e di un giorno lontano, con Georgie. No, che non era cambiato, il ruggito indomabile della sua natura si faceva sentire come allora. Abel imparò che, almeno per lui, i desideri non sarebbero invecchiati con l’età2. Ma che gioia provava ora che si sentiva amato, a differenza di tanti anni prima! Come lui, anche Maristella respirava nell’aria il vento di pioggia e il profumo dei suoi fiori, e con la guancia appoggiata sul petto di Abel, ascoltava felice il suo respiro accelerato.

 
 22a by Kika777
 
 
***
 
La mattina dopo, l’aria si sentiva diversa. Le nuvole avevano lasciato il posto ad una luce cristallina e la lunga pioggia del giorno prima aveva portato il fresco che era mancato per tanto tempo. Georgie era uscita presto in giardino, e si era seduta in un angolo fiorito. Fu lì che Abel la trovò, essendosi svegliato presto anche lui. Si sedette vicino a lei.
― Che bello avervi tutti qui, Abel … Quanto tempo è passato, eh?
― Già. Noi tre non stiamo insieme da … oddio, non ci posso credere! da prima che ti sposassi!
― Sì, da Londra … e io e te non stiamo così in un giardino, a parlare da soli, da quando tu mi ritrovasti, dopo la mia fuga in Inghilterra. Che confusione, quei giorni me li ricordo come giorni strani, in cui io non facevo altro che correre, per stare con Lowell, per sfuggire a Dangering … una gran confusione!
― Ma già allora sapevi quello che volevi. Georgie … Lowell tornerà, vedrai!
― Quando eravamo bambini, ti ricordi? Anche allora mi capitava di avere paura e tu mi stavi vicino. Come adesso, mi raccontavi tante cose belle, le nostre dita s’intrecciavano … così. E allora io mi calmavo.
― Georgie, come sei nostalgica stamattina!
― No, sono contenta! Perché stiamo qua in questo giardino, come tanto tempo fa … Grazie di essere venuto.
― Quando tu hai paura, io corro. Come quando eravamo bambini, sì, prima che tutto diventasse complicato …
Georgie lasciò che le sue dita restassero intrecciate a quelle di Abel e appoggiò la testa sul suo braccio. Abel era molto più alto di lei anche da seduto. “Una mimosa e un pino,” pensò Georgie “così siamo io e Abel: io sono ammirata della sua forza, della sua capacità di vedere lontano, i suoi orizzonti sono grandi e sicuri. Ma io non voglio tante cose, voglio solo che Lowell torni da me e dai bambini. Adesso non ho più paura di dire ad Abel i miei veri sentimenti per Lowell, ora sento di avere davvero due fratelli … e che fratelli! Eppure, non ho bisogno di dirgli quello che penso per sentire che mi capisce. Se solo sapessi che Lowell sta bene! …”
― Grazie di essere venuto.
― Georgie? Tornerà da te. Io ci credo.
Abel era naturalmente ottimista in quel periodo. Maristella trovava sempre scuse nuove per uscire e allora lui usciva a sua volta. Ma dopo un paio di giorni, in paese non fu più possibile per loro passare inosservati … anche se non se ne resero conto.
Un paio di mattine più tardi, come sempre, arrivò la posta, ma la circostanza si rivelò subito eccezionale. Le notizie tanto attese erano finalmente arrivate, e Georgie le comunicò a tutti con enorme allegria: Lowell era fuori pericolo! Naturalmente, ci fu un’agitazione totale in casa, ma soprattutto un’aria di festa. Il Conte Gerard uscì per andare a telegrafare ai Grey la grande novità. Maristella uscì in giardino con Antonia, per far giocare i bambini, che anche se molto piccoli, capivano che c’era euforia e dovevano sfogarla. Così, Maria, Arthur, Abel e la padrona di casa si ritrovarono a chiacchierare attorno ad un tavolo, mentre Georgie sfogliava il giornale senza vederlo, emozionata com’era:
― Ragazzi, ma ci pensate?, sta per tornare a casa! Vivo e sano, da me e dai suoi figli!
― Sì, Georgie, finalmente! Pensa anche a quanto sarà felice quando arriverà!
― Oh, sì, Abel! Che bel pensiero che hai avuto! Che felicità, lui è l’unico uomo che io abbia mai amato! – era da tempo che la bellissima Georgie non appariva così radiosa.
― Già … e pensare che dicono che le donne sono incostanti … ― Arthur guardava la sua sposa, che sorrideva a Georgie, poi le prese la mano: ― Niente di più falso!
― Hai proprio ragione, lo sai? Noi donne non siamo quelle banderuole che la gente crede! Se ne sentono tante, ma poi, se vai a controllare, molto spesso sono gli uomini ad essere incostanti … ― Georgie era troppo allegra per contenersi, e parlava senza riferirsi a niente in particolare, spinta solo dalla frenesia del momento …
― Oh, ma sentila! Quanti uomini incostanti conosci, Georgie? Io non mi riconosco in quello che dici … ― Abel finse di essere offeso.
― Oh, scusa, fratellone … Non mi riferivo certo a te o ad Arthur …
― Grazie. – disse Arthur, assumendo poi un’aria maliziosa e facendo l’occhiolino a Maria: ― Almeno su di me, non c’è proprio niente da dire!
― Come sarebbe, “almeno su di te”? Che vorresti insinuare, ragazzino, eh? – Abel insisteva volentieri in quel gioco, felice per le buone notizie e per la sua situazione con Maristella.
― … niente!
― Mamma, papà, perché ne avete voluto fare un altro, non bastavo io? – Abel parlava con gli occhi al cielo, teatralmente, per far ridere le ragazze, e ci riusciva molto bene! – Calunniatore di un fratello, che hai da dire, eh?
― Ma niente, solo che li conosci, i marinai: dei veri farfalloni!
― Ma che dici?! Io non … e tu, allora, pensi di essere tanto più innocente? La povera Catherine ce ne metterà, a riprendersi dal tuo matrimonio! – Maria e Georgie scoppiarono in una fragorosa risata, per la gioia di Abel, ma ora Arthur doveva difendersi!
― Senti che sfacciato! Davvero vuoi che faccia qualche nome? Va bene: Jessica …
― Arthur, sta’ zitto! – Abel, suo malgrado, stava arrossendo, ma sarebbe stato molto più serio se avesse saputo che Maristella, di ritorno dal giardino, si era bloccata ad ascoltare nascosta dalle tende chiare della porta-finestra.
― … Becky, Ethel3, … ― continuava spietatamente Arthur.
― Che cosa? Becky?! – esclamò divertita Maria.
― Già, tu non lo sai: quando ci siamo conosciuti, con Becky, in Australia, Abel si era preso una bella cotta! – Georgie non la smetteva di ridere: ― Arthur, ma te lo ricordi, quando uscì a far legna così distratto che invece dell’accetta, prese una scopa?
Arthur se lo ricordava bene, e rideva fino alle lacrime. Anche Abel, comunque, non era offeso, perché sapeva che i suoi fratelli lo prendevano solo un po’ in giro, senza cattiveria, e perché era troppo contento.
― Ma chi è Ethel? – chiese Georgie.
― Una signorina, suppongo non l’unica che Abel avrà conosciuto nei tanti porti che ha visto …
― Arthur, chiudi quella bocca!
Abel ottenne subito il silenzio di Arthur, che si rese conto all’ultimo momento che non era il caso di raccontare della serata alla taverna di Gibilterra con Ethel e Louise … davanti a sua moglie:
― Va bene, non dirò altro. In fin dei conti, nessuno è perfetto, ma adesso siamo diventati grandi, no?
― Già. E io sono sempre fedele, finché so di avere speranze … Allora, non c’è lontananza che tenga, o tempo che possa farmi dimenticare, e se c’è uno che lo dovrebbe sapere meglio di tutti, quello sei tu, Arthur!
― Sì, lo so. E non ti chiedo altro, va bene?
― Altro su che, Arthur? – ora Georgie era curiosa!
― Che fratelli ficcanaso! – protestò Abel, facendo ridere ancora tutti. Tutti meno una persona …
Maristella si era allontanata dalla finestra, con uno stato d’animo terribile: la gelosia, la delusione e l’orgoglio ribollivano in lei in ugual misura …
“Una ragazza in ogni porto”, eh? Prima amava Georgie, poi una certa Becky che era una conoscenza australiana, poi questa Ethel che chi lo sa chi diavolo era, poi chissà quante … e poi chella scema ‘e Maristella! Un marinaio, ecco, che fa le sue conquiste e poi riparte! Ma stavolta si è sbagliato: non io, con me non troverà quello che cerca … Grazie, Arthur, che mi hai messa in guardia!”
Ma nel camminare furiosamente prima in giardino e poi in casa, dov’era rientrata passando dalla cucina, Maristella sentì gli occhi pieni di lacrime e un dolore sordo, tremendo, dentro di sé.
All’opposto di lei, Georgie intanto era corsa in giardino a giocare anche lei coi suoi figli, nella luminosa mattinata di settembre.


1 “Sarebbe il Cielo (a mandare la pioggia).”
2 Parafrasato dalla canzone “La stagione dell’amore”, di Franco Battiato.
Vedi cap. 15, “Con lei nella mente”


NdA: E dunque eccomi qua, in grave ritardo sulla promessa fatta. Mi dispiace avervi fatto aspettare così, ma mille cose mi hanno intralciato. Alla fine di luglio, si sono presentati problemi di coppia che derivano da un lungo periodo molto stressante e difficile per tutti e due, io e il mio compagno, e quindi il capitolo 38 (scritto un po' di tempo prima) l'ho pubblicato in un momento in cui l'ispirazione per continuare faceva fatica a presentarsi. Comunque, stiamo risolvendo. La cosa più grave è stata un lutto in famiglia che ho avuto il mese scorso ... lo sentivo arrivare da un po' e alla fine ho dovuto affrontare quello che temevo. Inoltre, in due settimane ho trovato lavoro e poi l'ho cambiato. Ora, spero che la nuova attività mi lasci maggior respiro rispetto a prima (in queste settimane, ho creduto d'impazzire), ma per il mio compagno è in arrivo un altro intervento chirurgico ...
Ma in questi capitoli si sta verificando una cosa piacevole: come gli orologi fermi che per forza segnano l'ora giusta due volte al giorno, la mia storia cresce con tale lentezza che ogni tanto, per caso, si allinea alla stagione! Spero che il mio acquazzone d'inizio autunno vi sia piaciuto, io l'ho scritto con molto amore, e altre pagine amorosissime sono in arrivo!

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Capitolo 40
*** Ritrovarsi ***


Per tutto il giorno, Maristella continuò ad evitare Abel, ma questo non ci fece molto caso, convinto che si trattasse solo della ritrosia che lei aveva espresso, legata alla casa e non a lui. E un’altra giornata passò. L’atteggiamento di Maristella, però, era destinato a cambiare ben presto …
Quella sera, al crepuscolo, Abel uscì da solo a imbucare la posta. Avevano scritto molto, per comunicare agli amici la grande notizia della guarigione di Lowell. Venne sera e Abel non tornava. All’inizio non ci pensarono più di tanto, ma poi il ritardo aumentò. Maristella era indecisa tra l’essere preoccupata o sospettosa, perché in cuor suo temeva che il giovane si fosse fermato in qualche locale pubblico …
― Uff, ma com’è che Abel ancora non torna? Non vorrei che gli fosse successo qualcosa … ― Georgie guardava l’orologio a parete con insistenza, ― A te, Maristella, non ha detto niente?
― A me? No, perché a me?
― Oh … niente, è che state spesso insieme, ultimamente …
― Ma … non in particolare, direi … ― Maristella mise giù il ricamo e sperò di non arrossire, ma il suo orgoglio prese il sopravvento: ― Georgie, che vuoi, l’avete detto voi che è un marinaio, chissà chi avrà incontrato …
Si fermò di colpo: lei non era stata ufficialmente presente a quella conversazione! Non doveva mostrare di sapere certe cose, e il suo tentativo di sembrare indifferente intanto era fallito miseramente, come dimostrò l’intervento di Arthur:
― Dai, non dire così di lui … che c’è, avete litigato? – Arthur leggeva sprofondato in un divano e aveva ascoltato le due ragazze, mentre Maria no, perché intenta a commentare col Conte Gerard alcuni spartiti comprati da poco.
― No, perché?
Arthur si alzò e si avvicinò alla nervosa Maristella, sedendosi allo stesso tavolino e mettendosi a parlare piano:
― Scusami, lo so che non sono fatti miei, ma … mi sa che hai frainteso quello che dicevamo. Mio fratello non ha bisogno che lo difenda io, ma visto che sono stato io a parlare di lui per primo, devo difenderlo. Guarda che le cose che hai sentito erano tutto uno scherzo, volevamo solo prenderlo un po’ in giro, ma lui non è un ragazzo inaffidabile … In realtà, Abel è un uomo serio, forse Georgie non te lo può confermare perché è tanto che non lo vede, ma io lo so. Quando tiene a una persona ... nessuna lo può distrarre.
― Ah, ma anch’io la penso così, anche se non lo vedevo da tanto! – disse Georgie – In Australia, è vero, ebbe qualche avventura quando … Ma poi, a Londra, quando tu, Arthur, eri prigioniero dei Dangering, mi sono accorta che lui era diverso. Maturo, concentrato e comprensivo, ma che caro che è!
Georgie ora aveva la mente libera dall’angoscia dei giorni precedenti, e aveva osservato attentamente Arthur mentre parlava: lei ricordava che Maristella aveva detto di essere innamorata di Abel, e da come Arthur si esprimeva, intuì che il ragazzo sapeva qualcosa dei sentimenti del fratello. Se Arthur voleva parlar bene di Abel con Maristella, un motivo ci doveva pur essere! Nella sua mente si affacciò il pensiero di formare tutti una grande famiglia, ma si disse che stava correndo troppo! In effetti, Arthur aveva immaginato che Maristella corrispondesse suo fratello dal modo in cui Abel si era pronunciato durante il viaggio, e dal fatto che, in quei giorni, era stato di umore ottimo.
Maristella abbassò lo sguardo: credeva di aver nascosto alla famiglia la sua storia d’amore, e di aver capito tutto di Abel per aver ascoltato un pezzo di conversazione, ma forse aveva proprio sbagliato! Era stata frettolosa nel giudicarlo male, con lei era stato sempre un gentiluomo, e che le aveva detto Georgie di lui? Che era uno che amava con tutto se stesso!
― Arthur … sei gentile, grazie. – disse piano, senza alzare lo sguardo: ― E anche a te, Georgie. Speriamo che rientri presto …
Bussarono. Era il medico di famiglia dei Grey a Ischia, con una carrozza, nella quale c’era Abel. Con pochissime parole, il dottore spiegò che Abel doveva essere portato dentro con cautela, perché aveva due costole rotte!
In pochi secondi, la pace ritrovata di quella casa fu sconvolta. Arthur volle occuparsi da solo di sorreggere il fratello perché poteva essere sorretto da un lato solo. Il conte Gerard stava vicinissimo ai due per aiutare Arthur, casomai ce ne fosse stato bisogno, nel trasportare il giovane nella sua stanza che per fortuna era al pianterreno. Il medico controllava attentamente che il paziente non ricevesse scossoni e non facesse movimenti sbagliati, e intanto spiegava che aveva una doppia frattura e alcune contusioni (la più evidente era sullo zigomo), e che lui lo aveva incontrato provvidenzialmente perché il suo ambulatorio era a pochi passi dal luogo dell’aggressione. Georgie, Antonia, Maria e Maristella (pallidissima!) trasalirono al sentir parlare di aggressione.
― Ma dottore, non sarebbe stato meglio l’ospedale? Sono preoccupato! – indagò il Conte.
― Signor Conte, non ce n’è realmente bisogno, il Signor Butman aveva fretta di tornare a casa, e tutto sommato un trasporto breve è la cosa migliore. Con le dovute precauzioni, può benissimo essere curato qui.
― Ci dica che dobbiamo fare, dottore, e lo farò … lo faremo! – a parlare era stata Maristella.
― Non c’è granché da fare, deve stare tranquillo ed evitare assolutamente attività sportive e sforzi.
― Oh, tranquilli: non sto morendo, mi è capitato di peggio! – Abel sorrideva.
― Davvero?! – esclamò Maristella, incredula e inquieta.
― Che faccetta angosciata! Non farmi ridere, che non posso!
Non poteva nemmeno chiacchierare, perché tutte le signore dovettero uscire: il medico, il Conte e Arthur dovevano aiutarlo a spogliarsi per metterlo a letto. Era necessario fare piano perché il colpo più forte lo aveva preso sul petto, e questo gli rendeva difficili i movimenti. Quando ebbero finito, Maristella bussò per portare ad Abel dell’acqua, e loro la fecero entrare e uscirono.
Abel era disteso su dei comodi cuscini, coperto solo fino alla vita dalle lenzuola perché faceva già abbastanza caldo di per sé. Fu allora che Maristella notò una cicatrice sul suo petto, segno di uno squarcio che gli avevano fatto gli sgherri di Dangering quando a Londra lo avevano scambiato per “Cain”.
― Allora … è vero che ti è capitato di peggio in passato …
― Sì. Questa era una coltellata.
― Che cosa?! Ma quando, perché? Oddio, non sarai mica uno che attacca briga?
― Ahah! lo sono stato, un tempo … accidenti, non posso ridere … No, scherzo, non è per questo: quella volta mi avevano preso per Arthur, volevano aggredire lui …
― Volevano aggredire Arthur?!
― Sì … senti, è una lunga storia … se ti va, te la racconto un’altra volta …
― Oh, ma certo, sarai stanco, devi riposarti! Ciao, se ti serve qualche cosa … ― Maristella fece per andarsene, ma Abel la fermò prendendola per una mano.
― No, resta. Mi fa piacere …
Allora, la ragazza si sedette vicino a lui:
― Resto finché vuoi … ma non hai cenato, vuoi mangiare qualcosa?
― Sì, più tardi … grazie. Oh, senti, valeva la pena …
― Valeva … la pena?...
― Sì. Io so perché mi hanno aggredito.
― Non per derubarti?
― No. Dovevano essere dei tuoi “amici”, che ci hanno visto insieme e mi hanno voluto far capire che non erano contenti …
― Ti hanno picchiato … e così tanto, poi … per colpa mia?!
― Ma no, quale colpa, tu non c’entri se la gente è gelosa! E comunque, non li ho mica mandati via così, un po’ di pugni li ho dati pure io, per giustizia. Non mi pento di essermi fatto vedere con te, e lo rifarò!
Maristella si mise a piangere. Tutti i suoi problemi derivavano dalla gente che la soffocava fin da quando portava le trecce, ma era lei a sentirsi in colpa.
― No, non piangere! Perché piangi, se io sto bene e ti dico che non è niente?
― Non è vero … guarda là quello che ti hanno fatto! … ― Maristella stringeva e tormentava il fazzoletto già umido, ― E poi io non sono stata buona con te … tu sempre così caro con me … e io … sono colpevole, tu non lo sai …
― Che cos’hai fatto di grave, ultimamente? – Abel accarezzava una guancia arrossata della sua Maristella, e non riusciva proprio a credere che potesse essere colpevole di qualche cosa.
― Ho dubitato di te! Ecco! Che cosa brutta!...
― E perché? – Abel non se l’aspettava!
― Perché tu … sei così bello … tutte le ragazze che avrai conosciuto!, hai girato tutti i mari e i continenti … Arthur e Georgie dicevano che hai avuto tante donne … ― Abel rimase a bocca aperta, perché stentava a credere che i suoi fratelli avessero parlato così di lui con Maristella; – Tu sei sempre stato libero, e invece io non sono mai andata nemmeno sul continente, sono solo … una provinciale …
― E io un campagnolo! – Abel baciò una mano di Maristella e se la tenne sulla guancia, mentre lei, ora vicinissima al suo viso, lo guardava con degli occhioni da bambina, ancora umidi ― Io sono cresciuto in una fattoria, la gente come Lowell mi ha sempre creato un certo disagio … finché non l’ho conosciuto meglio, anche lui mi pareva un signorino, di un mondo troppo diverso dal mio. E a parte lui e il Conte, non sono molti i signori che riesco a sopportare, mi fanno impressione! Ma pensaci un momento! Tu parli Inglese e Francese, esci con l’ombrellino o col velo sul viso se c’è il sole, scommetto che sai anche leggere la musica! Invece guarda la mia mano: ― mise la mano aperta davanti a sé, e Maristella la guardò, poi con quella stessa mano riprese ad accarezzare quella di lei: ― … io ho lavorato la campagna e ho dormito in una stiva, su un’amaca, con altri trenta marinai che giocavano, scommettevano, e si faticavano la vita … Chi è il provinciale, alla fine?
― Io sono stata ingiusta e stupida perché sono gelosa … non mi era mai capitato …
― Oh, invece a me sì, ti capisco! Ma tu non sei mai stupida …
Maristella lo baciò sulle labbra, cogliendolo di sorpresa! Ora, lo conosceva molto meglio, e non lo vedeva più come un ragazzo ma come “un uomo serio”, come aveva detto Arthur. Dentro di sé, sentì che avrebbe voluto proteggerlo da tutto, desiderava abbracciarlo ma non poteva perché gli avrebbe fatto male, e allora continuò a baciarlo con dolcezza.
Quando s’interruppe un momento, sempre senza allontanare il viso dal suo, lo vide aprirsi in un sorriso felice:
― Mary … guarda che siamo in casa …
― Busseranno prima di entrare … ― sussurrò Maristella.
 
***
 
Un paio di giorni passarono lenti, nell’attesa che la convalescenza di Lowell gli permettesse di tornare a casa. Tutti parevano molto allegri, nell’estate che si era fatta dolce e leggermente ventilata, sotto un cielo tornato pulito. I contagi in città erano finiti! Come predetto, l’acqua aveva lavato via la malattia, e ora il vento di mare faceva il resto. Pareva di respirare per la prima volta dopo tanto tempo, anche se ovviamente sulla terraferma era ancora necessaria molta prudenza.
Ma sotto la calma apparente, qualcuno non era sereno. Dal momento in cui aveva recuperato la memoria, si sentiva come se le avessero rubato qualcosa. Ovviamente non era del tutto falso, perché le avevano preso tutti i gioielli, ma in realtà le avevano portato via un’altra cosa, ben diversa … Maria non aveva mai frequentato nessuno che le parlasse in modo brutale: Arwin e il Duca erano uomini orribili, ma con lei erano sempre stati affettuosissimi, e tutti gli altri si erano sempre comportati con garbo nei suoi confronti. A mala pena comprendeva quello che raccontavano i fatti di cronaca nera scritti sui giornali. Ma ora, di colpo, la violenza allo stato puro le si era scagliata contro, e non l’aveva distrutta (moralmente e fisicamente) per un miracolo. Lei era inerme contro i suoi aggressori, e per loro lei non era una persona da rispettare, ma solo un oggetto da sfruttare nel modo più conveniente. Sarebbe bastato così poco, a Snipes, per dare sfogo ai sui capricci più osceni … prima di ucciderla … Questa consapevolezza terribile si era nascosta nella sua memoria per un po’; poi però la memoria era tornata, e lei non poteva più sfuggire al terrore. Per questo non riusciva più a essere un’amante per Arthur: lui era un uomo, alla fin fine.
In cerca di pace, Maria passava molto tempo di fronte al mare. Come sempre, il mare la faceva sentire riconciliata con se stessa. Non era più il lago, dove si era sentita oppressa e confusa come mai nella vita! Ora le pareva di dover ricominciare a orientarsi nelle cose come una persona convalescente, alla quale i sapori sembrano nuovi e più forti, la luce più brillante, l’aria emozionante, dopo una lunga malattia. E che mare era quello! Non somigliava affatto al mare inglese, che di solito era spumoso ma grigio, sotto un cielo sempre inquieto. Questo mare pareva che ridesse, che si vestisse di tutti i generi di azzurro e verde per una festa, che la chiamasse con voce vivace e amichevole. Lo sognò, addirittura.
Maria sognò che si trovava in una terra strana, una specie di bosco circondato da montagne. Si mise il sole alle spalle e cominciò a muoversi nella direzione che le pareva più promettente, perché le si profilava davanti un avvallamento, forse una gola o un passaggio da dove avrebbe potuto vedere oltre. Seguendo l’unico sentiero che c’era, notò con stupore che la breccia davanti a lei si apriva, come se le prominenze montuose si spostassero allargandole la via. Fu così che, in un tempo brevissimo, si ritrovò a oltrepassare lo sbarramento che pareva alto e invalicabile, e subito scoprì di essere in un posto tutt’altro che montano.
Ora, nel sogno, camminava lungo una spiaggia deserta e assolata, una lingua di sabbia chiarissima delimitata da una folta vegetazione con palme alte e cespugli. Non sentiva il bisogno delle scarpe e del cappello, e se li tolse. Camminava con leggerezza, la sabbia era piacevole e si sentiva curiosa e al sicuro; e dopo un po’ scorse Arthur che faceva il bagno a una certa distanza, e la chiamava dall’acqua:
― Maria! Vieni, dai!
― Ma … in acqua? … così?
― Sì, fai come me!
Arthur emerse col busto, scoperto e scintillante al sole. Poi le diede le spalle e prese a nuotare. A Maria pareva un delfino, come li aveva visti in Grecia: era forte, lucente e sicuro. Si accorse che era entrata in acqua abbastanza da bagnarsi tutta la gonna color malva, e allora lo chiamò:
― Arthur, dove vai? Aspettami, sto arrivando!
Su di loro, si sentivano i gabbiani e basta, insieme alle onde. Arthur si voltò e tornò velocemente verso di lei, poi bagnato com’era l’abbracciò. Maria provò un brivido che la svegliò: quel contatto era troppo intenso per poter dormire! Si rese conto di essere molto emozionata, perché lui nel sogno era bello e desiderabile in un modo che lei non ricordava neanche più. Lontano, nel silenzio, sentì un’onda che si arricciava nella baia, e intanto allungò una mano per cercare Arthur: lui era sempre lì, che dormiva, e questo la rese stranamente felice.


 
Ex-city-girl by Kika777
 

Nota dell'Autrice: Ecco il mio capitoletto. Spero che i miei fedeli e cari lettori mi perdoneranno il ritardo, ma questo autunno si è rivelato abbastanza denso di complicazioni. Intanto, la fanart: è ancora una volta della cara Kika777, che mi ha fornito anche l'ispirazione per alcune parti del sogno di Maria. Grazie Kika, non sai che bello vedere che mi segui così e m'incoraggi, e poi i tuoi disegni sono sempre più belli!
Poi, il capitolo, che ha preso forma anche sulle reazioni di Sissi1978 al mio capitolo precedente: Sissi, io spero di aver addolcito Maristella al punto giusto, ma la cosa importante è che mi hai stimolato molto. Grazie a te ho capito meglio la dimensione che dovevo dare alla storia di Abel. E casomai qualcuno se lo stesse chiedendo, no: Maristella e Abel in questo capitolo non fanno l'amore XD !
A tutti i miei amici e lettori, due parole ancora. In questo capitolo più che mai mi rendo conto che la mia scrittura sta inevitabilmente tornando ad una forma un po' più forbita; io all'inizio per questa storia mi ero data un target molto giovane e volevo mantenermi su capitoli brevi e linguaggio semplice ma efficace. No, non c'è stato verso. Mi dispiace se qualcuno lo trova fastidioso, ma il fatto è che io non ce la faccio a scrivere di un sequestro di persona e poi ignorare le conseguenze psicologiche, e queste per me richiedono una certa complessità anche nell'espressione. Un po' come è successo con gli Harry Potter (a
lla faccia della modestia!), una storia cominciata con romanzi brevi per ragazzi poi è diventata tutta un'altra cosa.
Infine, grazie ancora una volta. Non sarò frequente negli aggiornamenti, ma non abbandonerò mai le mie storie né voi. Grazie di cuore, sinceramente, e felicissimo fine settimana!

 

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Capitolo 41
*** Il tuo amore mi ha liberato ***


La vera liberazione di Maria stava avvenendo adesso. Il primo piccolo passo fu nell’intimo scompartimento letto suo e di Arthur. Per lei, era importante sfogarsi in quel momento, e Arthur era proprio l’uomo giusto. Per lui, l’unione con Maria era il traguardo di una vita passata a nascondere i propri sentimenti. Nella società del tempo, tanto in Australia quanto in qualsiasi altro posto come l’Inghilterra o l’Italia, non era consentito parlare di certe emozioni in pubblico, e ovviamente Arthur era stato educato così, ma per lui l’amore verso Georgie era stato un tormento segreto particolarmente doloroso. E poi, perfino la soddisfazione di un fidanzamento ufficiale era stata irraggiungibile, vista la posizione di Maria. Ora, Arthur ci teneva particolarmente a non avere più segreti, con la persona che amava. Per questo, e perché era preoccupato, aveva cercato di capire fin da subito come Maria si sentisse, dopo essere stata ritrovata, e l’aveva interrogata con affetto e discrezione. Il momento delle confidenze era quello che precedeva il sonno. Se Maria non spiegava bene quello che provava, era perché non sapeva descriverlo:
― Il fatto è che mi sento strana, inquieta. Ho avuto paura …
― Certo, come potevi non averne? – Arthur scostò un lungo ciuffo che copriva il volto chino di Maria, portandolo dietro il suo orecchio.
― … Sapevo che mi avrebbero uccisa. – La voce di Maria di colpo fu bassa, dura, e Arthur rabbrividì.
― Mio Dio …
― Mi capisci?
― Sì. Ci sono passato, ti ricordi? Dangering padre e figlio me lo dicevano. Anche prima che mi chiudessero nella cella sotterranea, mi minacciavano, per questo ho cercato di suicidarmi. Alla fine si erano decisi.
Maria alzò su di lui degli occhi enormi, e poi si mise a piangere:
― Non ti ho saputo proteggere! Ora lo so come ti sentivi …
― Ma no, tu mi hai salvato, Maria, non te lo ricordi più? Che stupido a parlartene proprio ora, non volevo turbarti …
― Ma perché il mondo è così? Se io … se io … non fossi stata fortunata … mi volevano violentare, sai? E forse un giorno avrebbero ritrovato il mio corpo irriconoscibile …
Arthur l’abbracciò, come per trattenerla prima che l’angoscia la strascinasse via:
― No, no! Non hanno potuto niente contro di te, non è successo! – Maria singhiozzava – Non pensare a questo. Non ti cercheranno nemmeno, tanto tutti sanno che sono stati loro e non possono avvicinarsi, tu sei al sicuro! Sei lontana da queste cose, non pensarci! Resta con me, tra le mie braccia …
Arthur la capiva benissimo, e Maria ne era sicura. Era sicura di amarlo come sempre, eppure avvertiva una barriera, non tra di loro, ma dentro di sé: la Maria di sempre era stata forte, fiduciosa e appassionata, eppure ora non riusciva più a sentire la voce del suo cuore.
Poi erano arrivati nella splendente estate di Ischia, dove per calmarsi Maria spesso suonava, oltre a contemplare il mare. Al tempo stesso, capiva che isolarsi non le faceva bene. Com’era preziosa per lei l’atmosfera famigliare della casa di Georgie! Tutti si volevano bene, e ne volevano a lei. Le capitava di notare che il Conte Gerard mostrava attenzioni speciali nei suoi confronti, e non era la solita compiacenza che tutti le avevano sempre riservato per il suo rango: il Conte sapeva che lei non era allegra come Georgie e Maristella, che sprizzavano felicità. Semplicemente, la coccolavano tutti, e Maria si accorse che le piaceva molto.
Nella tranquillità della vita a casa di Georgie, c’erano stati altri momenti di tenerezza tra lei e Arthur. Se lui voleva baciarla, Maria accettava, all’inizio. Ma se erano nella loro bella camera color crema, magari vicini all’intimità, si tirava indietro, dopo pochi momenti.
 
***
 
A dieci giorni dal suo arrivo, decisa a trovare una soluzione ad almeno uno dei suoi problemi, Maria prese una risoluzione:
“Cara cugina,
è da molto che non parliamo, e da allora quante cose sono successe! Spero che tu sia in salute e così tutta la tua cara famiglia.
A quest’ora, mia zia sarà tornata a Londra e avrà comunicato tutto quello che ho attraversato in questo periodo. Spero ti faccia piacere sapere che io sto bene, nonostante il mio sequestro. Non ho scritto “nonostante le mie disavventure” perché voglio che non ci siano dubbi: le mie nozze io le considero la più grande gioia della mia vita, e solo dei malintenzionati che mi hanno rapita per poche ore qui in Italia (con la mia breve perdita della memoria) hanno potuto offuscarla. Immagino che scandalo sia stato per la società inglese, invece, il mio repentino matrimonio. Mi dispiace se questo ti ha creato qualche difficoltà o preoccupazione. Certo, ai Dangering un nuovo scandalo non avrà portato nulla di buono, ma fido che ti sentirai molto sollevata quando avrai letto lo scopo di questa mia lettera.
Io ho deciso di declinare il mio diritto di eredità a tuo favore. Sì, lo so che sembra assurdo, ma ho le mie ragioni per farlo. Tu sarai sempre una Dangering, mentre io sto entrando in un mondo nuovo dove non ci sarà posto per certe convenzioni. Del resto, che ci si aspetta, che io magari ritorni a Londra e mi rimetta a frequentare i migliori salotti della città, o la Corte perfino, dopo essere scappata, con un borghese australiano, alla vigilia delle mie nozze? T’immagini le facce? No, per carità! E per la carriera politica di tuo padre, poi, sarebbe molto meglio che io non tornassi. E soprattutto, Arthur è un uomo profondamente diverso da quelli che frequentano quegli ambienti. Non verrebbe accettato mai. Non mi aspetto che tu capisca, ma in realtà a me non interessa affatto che lui sia accolto tra quei signori, o di tornare da quelle signore. Quello che dicono e fanno non mi riguarda più. Perché dovrei sottoporre mio marito a certe situazioni, e per tutta la vita? Per lui sarebbe penoso, ma nemmeno a lui interessa quella gente fintanto che non ci deve vivere insieme. Abbiamo altri pensieri, lui ha altri sogni. Sorpresa di scoprire che non è un avventuriero bramoso del mio titolo e delle mie proprietà? Scommetto che sei addirittura incredula, non sorpresa!
Davvero, io mi sto impegnando con te, mia cara Elisa. No, io non voglio più diventare duchessa. Non intendo disprezzare la fortuna di cui ho goduto senza averne nessun merito, solo per la mia nascita. Voglio solo vendere una parte della proprietà – la parte alienabile36, e neanche tutta – e trasformare così la mia fortuna di nascita in libertà. Il resto, come vuole la legge (e come di sicuro vorrai anche tu), sarà di mio zio Dangering, tuo padre, e un giorno diventerà tuo.
Ora, dovrò comunicare questo alla zia, e so che le dispiacerà, ma so anche che mi vuole bene … il suo vero dolore non sarà tanto che io rinunci al titolo e al resto, ma il fatto che non tornerò.
Ah, ho un’altra notizia che forse ti farà piacere: se non lo saprai già per quando la lettera arriverà, sappi che Lowell è guarito dal colera! Qui siamo tutti in grande attesa del suo ritorno, pensa che ha fatto appena in tempo a conoscere il suo nuovo nato e poi è partito e si è ammalato! Ma è Georgie quella più felice, naturalmente.
Anche a te auguro ogni felicità, e spero che vorrai augurare la stessa cosa a me: una grande avventura mi aspetta. Penso proprio che partiremo per l’Australia, e tu sei la prima a cui lo dico. Sarò un’inglese all’estero, ma viaggerò senza portarmi dietro la mentalità britannica, almeno spero. Vedi quante novità?
Arrivederci, salutami la tua famiglia e sta’ tranquilla: manterrò la parola.
Con affetto, tua cugina
Maria Daphne Dangering Butman”
Arthur e Maria ne avevano parlato già dal viaggio: non si trattava più di una fuga da tutto, romantica e piena di prospettive nuove, ora era necessario fare dei progetti concreti. Maria era corsa via dall’Inghilterra e da tutta la sua vita pensando di non doversi più voltare indietro, e invece l’Inghilterra l’aveva ripresa. I malfattori che l’avevano rapita erano partiti da lì, inviati da sua madre (che aveva ripetuto a Maria di aver voluto “solo il suo bene”, confondendolo in buona fede con l’eredità). In modo più o meno consapevole, Lady Constancia e gli uomini da lei assoldati erano stati emissari di una tradizione più forte della volontà degli individui. Per questa tradizione, non si poteva sfuggire alla propria nascita, e i doveri erano più importanti delle scelte. La libertà era una cosa che in Inghilterra non esisteva, non se ne doveva nemmeno parlare, almeno negli ambienti di livello, e non certo davanti a una signorina.
Ad Arthur non sfuggiva che il benessere che si affacciava nella sua vita era qualche cosa di decisivo ed enorme, ma in effetti, provava un gran senso di fastidio al pensiero che per tutta la vita ne avrebbe pagato il prezzo, vivendo in Inghilterra, facendo esercizio di paziente ipocrisia per mostrarsi all’opposto dell’uomo che era, essendo destinato a un certo disprezzo da parte dell’alta società comunque e sempre … Non voleva fare pressioni a Maria, ma aveva paura: e se un giorno, nello specchio, non si fosse riconosciuto più? … trasformato in un “principe consorte” stanco e deluso, costretto a compiacere gente odiosa per non dare motivo d’imbarazzo alla sua amata moglie, senza successo e senza sosta, privato di qualunque libera iniziativa sulla propria vita, esiliato per sempre da quella che per lui era casa … Non riusciva nemmeno a immaginare che il rischio peggiore che correva era un altro: quello, per non impazzire, di diventare un giorno “come loro”, quei nobili che in cuor suo detestava.
Eppure, quando Maria glielo disse, il giorno prima di scrivere a Elisa, per Arthur fu una grossa sorpresa. Gli pareva che Maria rinunciasse a qualcosa di troppo grande, e lui non pensava che le radici si dovessero tagliare. “Sei sicura?”, domandò:
― Ma certo che sono sicura! Basta Inghilterra, basta col passato! Se devo guardare avanti, allora voglio cominciare col non tornare indietro. Come credi che mi guarderebbe la gente? Scappata, sposata con un australiano del popolo, poi rapita … “un altro scandalo dei Dangering”, un fenomeno da scrutare per criticare! Elisa conosce le clausole del testamento, e sicuramente sarebbe molto irritata dalla situazione, potrebbe anche contestare il mio diritto al titolo. E poi, potremo andare in Australia con un bel patrimonio! Ho bisogno di te, non di tutte quelle persone che non ci capirebbero mai.
Arthur immaginò una vita nuova, in Australia, con Maria, e capì di essere libero come non era mai stato. Maria lo rendeva libero! L’abbracciò per la felicità, sollevandola da terra.
 
*** 
 
L’entusiasmo per l’imminente ritorno di Lowell, la complicità tra Abel e Maristella, e ora una diversa armonia tra Arthur e Maria: tutti parevano sapere dentro di sé che le cose più belle dovevano ancora accadere. Solo una settimana e ci furono, segretamente, nuovi sviluppi.
Arthur attendeva con grande rispetto che Maria ritrovasse il suo desiderio esuberante, ma non era del tutto inattivo. C’erano sere in cui la baciava con tenerezza, guardandola in un modo che sottintendeva molto di più. Ogni volta, però, s’interrompeva quasi subito, per non spaventarla, e le diceva:
― Quando vorrai … io ti aspetto. – Oppure: ― Tu mi rendi felice, e un giorno riuscirò a rendere felice te …
Infine, una sera, quando erano già tra le lenzuola, le baciò la fronte, gli occhi, le guance e le labbra, tenendo una mano dietro la nuca di Maria, e con l’altra tenendosi una mano di lei sul cuore:
― Voglio baciarti per venerarti, e sarai tu a fermarmi. Appena mi dici di smettere, io smetto.
Maria fece di sì con la testa. Arthur le baciò di nuovo la bocca lentamente, poi il mento e la gola. Le diede un piccolo bacio sul petto, proprio al centro, poi si fermò a guardarla e sussurrò:
― Sei splendente come la Stella del Sud, e ti amo tanto … ma se vuoi, mi fermo.
― No … ― la voce di Maria nascondeva bene una certa emozione.
Arthur riprese a baciarla, spostandosi verso una spalla, che scoprì; poi baciò il braccio, poi la mano. Avvicinò le mani di Maria tra loro, per baciare l’altra, e risalire delicatamente con le labbra lungo l’altro braccio fino alla spalla e al collo. Aveva il respiro corto, e Maria se ne accorse. Poi, la guardò e Maria sostenne il suo sguardo:
― Maria, le tue mani sono calde, ma il mio amore brucia di più! Però, se vuoi che smetta, ti basta dirlo.
― No. – Maria non sembrava spaventata, eppure un po’ lo era, e lei stessa si chiedeva perché lo lasciava fare, invece di fermarlo.
Arthur abbassò la camicia da notte di Maria (ormai sbottonata e scomposta), avvicinò i suoi seni, e tra di essi nascose il viso per un attimo. Subito li lasciò liberi – gli tremavano le mani, Maria se ne accorse ― , e baciò la parte alta del suo ventre chiarissimo. Coi baci percorse una “esse” sul suo costato (baciandolo prima da una parte, poi dall’altra), per scendere verso l’ombelico.
― Un mortale come me può solo sognare tanta bellezza! Dimmi, vuoi che mi fermi qui?
― No … ― ora, la voce di Maria tremava.
Arthur le baciò l’ombelico, che si ritrasse rapidamente:
― Oh, scusa, mia adorata, ti ho fatto il solletico?
― No! – era una bugia.
― Allora … smetto?
― No, non smettere …, ancora. – Maria si stupì di se stessa.
Il suo stupore aumentò quando sentì che Arthur la spogliava del tutto senza incontrare resistenza. Stranamente, temeva quello che stava per accadere, e al tempo stesso voleva che accadesse proprio così … Nei fatti, era solo lei a decidere, e questo la rassicurava completamente.
Arthur disegnò un circolino con la lingua intorno all’ombelico di Maria, disse “Torno subito!” con un sorrisetto, poi si spogliò completamente a sua volta, ma la spiazzò quando, invece di tornare effettivamente a dedicarsi al suo ventre, la baciò su un fianco, all’esterno dell’osso pelvico. Sarà stato l’effetto della sorpresa, o dei baci sulla parte laterale della coscia fin verso il ginocchio, ma a Maria sfuggì un sussulto. Il bell’Arthur alzò lo sguardo su di lei e vide che aveva gettato la testa indietro:
― Oh, non illudere così il tuo povero amante! Se devo fermarmi, dimmelo, e io non protesterò.
― Non … per adesso, no … ― Maria scoprì solo in quel momento che la situazione la divertiva. Stava per dire ad Arthur di non smettere assolutamente, ma all’ultimo secondo decise di non dargli questa soddisfazione.
Da parte sua, Arthur evitava accuratamente di accarezzarla perché gli pareva un gesto troppo aggressivo: le mani possono anche afferrare, e lui voleva che lei lo autorizzasse, prima di fare niente del genere, per non intimidirla. Le baciò il ginocchio senza sollevarlo, quindi, anche se moriva dalla voglia di sfiorarle la gamba con le dita. Scese più in basso, giunse alla caviglia, vide l’altra gamba proprio lì e baciò anche l’altra caviglia. Maria gliela sottrasse piegando il ginocchio in su.
― Se questo tuo pellegrino ha osato troppo, mi fermo subito. Vuoi che mi fermi?
― Arthur … ― Maria sospirò – ma se sei arrivato alla fine, dove vuoi andare, pellegrino?
― Oh, sarebbe scandalosa, la risposta a questa domanda! – Arthur sorrideva lievemente, con le guance rosse – Intanto vorrei tornare indietro, fino alla tua bocca di rugiada, e poi … dove vorrai tu!
― Io ti voglio … qui … ― Maria gli tese le braccia.
― Mia signora, sono qui …


36 Per la legge, ancora parzialmente feudale, che governava la proprietà della terra, i signori non sempre potevano fare quello che volevano coi beni che ereditavano. La terra poteva, sì, essere venduta (o confiscata, ad esempio per debiti), ma i nobili spesso non potevano spezzarla, poiché la proprietà era più importante, antica e duratura delle stesse famiglie che la possedevano. Ecco perché i figli cadetti non ereditavano una parte della terra (a volte neanche delle rendite derivanti da altri affari, come industrie o altre compagnie): tutto derivava da una concessione reale di molti secoli prima, che era avvenuta in blocco e doveva restare unita, come se, ipoteticamente, un giorno la si dovesse restituire integra al re.



*Carissimi amici, avevo promesso di aggiornare per Natale e non ci sono riuscita! * La colpa è stata soprattutto di Microsoft, che ha fatto ** impazzire il mio computer con l'ultimo update. *Per riuscire a farlo tornare a posto ho dovuto fare un backup di tutto, e mi ci è voluta un settimana, prima di ripristinare la vecchia versione di Windows, e intanto mi sono ritrovata sotto le Feste. *E allora, *posso solo augurarvi adesso delle * Feste serene , per quello che ancora ne rimane, *e un meraviglioso 2018! *
PS: Per farmi perdonare, oltre a riempire di amore questo capitolo, ho intenzione di aggiornare molto presto ... *
 

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Capitolo 42
*** Resta tra le mie braccia (Quédate en mis brazos) ***


 
Tutte le frasi in corsivo all’interno di questo capitolo sono tratte dalla canzone “Quédate en mis brazos”, di Cristian Castro, dall’album Hoy Quiero Soñar (2004). A questo link (ma ce ne sono altri), la canzone, con video amatoriale: https://www.youtube.com/watch?v=JJy5hsTBKwg . Buona lettura e buon ascolto, ci rivediamo alla fine del capitolo!


Arthur si allungò sulla sua sposa e baciò di nuovo quella “bocca di rugiada” che tanto amava. Nel frattempo, si stese delicatamente su di lei. Difficile descrivere l’emozione di Maria a quel contatto! Ma Arthur si sentiva fortunato, e l’unica cosa che contava era che Maria non lo respingeva, anzi poteva sentirla palpitante sotto di sé. 
― Sta’ tra le mie braccia,
chiudi gli occhi belli …
Fa’ come se il tempo si fermasse proprio qui.

 ― No … voglio guardarti …
Si strinsero, mentre fuori la notte avanzava. Per loro pareva che il tempo si fosse fermato davvero, perché non erano coscienti di nient’altro che dei loro sospiri. Non sentivano le onde sulle scogliere, non si accorsero di un gruppo di giovani ridanciani che passò proprio davanti alla casa. Non avvertirono nemmeno i grilli, riportati da un nuovo riflusso dell’estate, quell’estate che ad Arthur ricordava tanto l’Australia.
Le loro parole erano brevi e dolci:
― Maria, ho paura ad essere tanto felice!
― Io non ho paura, ti amo troppo!
La paura pareva davvero un ricordo. La notte cresceva, e dentro quella stanza color crema e avorio, tutto avveniva come in un sogno gioioso per Arthur e Maria. Confusamente, a Maria venne in mente un’antica fiaba che aveva sentito una volta, da bambina: una fanciulla aveva sacrificato la sua libertà per diventare prigioniera di una bestia misteriosa, e aveva scoperto che quella creatura viveva in un castello circondato da un giardino incantato, su di un’isola sconosciuta. Lei era l’unica ospite a poter apprezzare le delizie di quel giardino, dove la natura era ricca e profumata e tutto invitava all’allegria; col tempo, la fanciulla aveva scoperto che non temeva più la bestia, anzi era felice di vivere con lui. Maria si sentì privilegiata: la paura era stata sconfitta, il giardino delle delizie era tutto per lei, e non c’era nessuna bestia ma soltanto Arthur, il suo bellissimo e tenero Arthur!
Pensando forse anche al giardino incantato e ai suoi frutti, o forse solo per istinto, Maria volle assaporare Arthur1: fu lei a cospargere di baci il suo corpo, senza timore di essere troppo audace, e i suoi baci si fecero molto meno casti di quelli che lui le aveva riservato poco prima! Come poteva, del resto, ignorare la felicità con cui Arthur accoglieva la sua passione? Arthur si abbandonava a quelle sensazioni, e intanto non riusciva a credere che finalmente Maria avesse superato tutte le sue angosce e fosse pronta ad amarlo di nuovo come una sposa, o meglio, continuava a ripetersi che non gli pareva vero. In effetti, quel momento era importante, una guarigione per lei e una benedizione speciale per lui.
Maria non ricordava quasi più le gioie provate sul treno mentre attraversavano la Francia, e in quel momento si sentiva senza esperienza né aspettative:
― Sto rinascendo! Tutto merito tuo!
― Anch’io … muoio nel cielo caldo della pelle tua … e rinasco!
In effetti, neanche Arthur ricordava bene quanto fosse intenso amare Maria fisicamente. Lui, il ragazzo posato della famiglia, abituato all’autocontrollo, fremeva di desiderio. Si concesse un’ultima battuta:
― Allora … vuoi che mi fermi?
― Non osare!
Risero, e poi continuarono ad amarsi con tutto lo slancio di cui erano capaci, fino a stancarsi, fino a quando il loro respiro fu tornato normale.
La notte scorreva silenziosa, a parte il mare. Ma nella stanza di nuovo tranquilla, Arthur non voleva ancora dormire: avrebbe voluto fermare quel momento, e combatteva per non cedere al sonno, ancora. Maria se ne accorse:
― Amore, mi sento bene! Ma forse ora dovremmo dormire …
― Perché?
― Come, “perché”? Perché non riesci a stare sveglio! – risero tutti e due, abbracciati – Chissà che ore sono …
― Dormi pure, se vuoi. Dormi dolcemente mentre io ti guardo …2

Maria chiuse gli occhi, mentre Arthur parlava sottovoce:
― Non mi manca niente quando ti ho vicino
e sento che il cuore mio è in festa amandoti,
la serenità che ho cercato sempre,
va più in là più di quanto io abbia sognato mai.
Sta’ tra le mie braccia, restaci per sempre,
Voglio immaginarti eternamente qui con me.

― Abbracciami, Arthur, che poi ai tuoi sogni ci penso io … Andremo in Australia, presto, come volevi tu …
Arthur si commuoveva quasi nel notare che Maria pareva leggergli nel pensiero: era anche l’idea dell’Australia che rendeva la sua felicità così perfetta! E lui la strinse più forte, sussurrando ancora una speranza, quasi una preghiera:
― Sta’ tra le mie braccia, che ti sento mia,
e che il nostro cuore possa non spezzarsi mai,
ho paura ad essere tanto felice,
che toccare il cielo sia soltanto fantasia.
Niente è per sempre e il mio cuore trema,
Voglio che stanotte, amore, non finisca più.

Poi, anche Arthur fece silenzio.
 
***
 
L’indomani, Lowell si mise in cammino presto. Aveva fretta di arrivare, ma questo non gli impediva di ammirare ogni cosa con stupore infantile, proprio per l’entusiasmo che provava. Era la convalescenza che volgeva lentamente al termine, e le forze che lentamente ritornavano, a farlo sentire così. In realtà non era in forma, doveva appoggiarsi ad un bastone per sicurezza poiché era ancora debole, ma si era rifiutato di aspettare. “Quante volte sono dovuto guarire, nella mia vita?”, pensava, “E dire che sono così giovane! Povera Georgie, che arnese ti sei trovata!” Ma non c’era amarezza nei suoi pensieri, solo un’ eccitazione che lo faceva sorridere di tutto. Il tragitto verso il porto gli parve un sogno, coi viali limpidi nel primo sole, e i negozi che aprivano.
Rideva tra sé, nel guardare il golfo sereno che si spalancava davanti a lui, col molo dei traghetti nuovamente gremito dopo la riapertura dei collegamenti diretti, coi pescatori di mitili di nuovo all’opera senza timori, sotto costa … e, più lontano, i pescherecci, i vari navigli che un tempo era abituale osservare, e le isole. Non guardava più la città o il Vesuvio: gli interessava solo individuare Ischia, dove c’era la sua casa con la sua famiglia. Voleva che l’orizzonte fosse sereno, che il viaggio fosse breve.
Georgie si alzò sul letto di scatto: era giunto il giorno! Si buttò addosso una vestaglia e uscì:
― Sveglia, sveglia, tutti quanti! – e abbracciò Antonia, che passava in corridoio e quasi si spaventò.
Abel la sentì, ma non ebbe paura, a differenza di Antonia, perché lui aveva già udito tante volte quel tono squillante nella voce di Georgie ragazzina. Fu felice per lei e uscì dalla sua stanza seguendo i richiami (“Sveglia, che è oggi!”) che lo condussero verso il piano inferiore. La chiamò, e lei tornò indietro, spuntando in fondo alle scale. Vedendolo, Georgie corse di nuovo su, la vestaglia leggera e chiara che svolazzava intorno a lei, e lo abbracciò stando un gradino più giù di lui. Profumo di grano maturo … “proprio come una volta”, pensò Abel.
La casa si animò in fretta. Arthur e Maria non erano particolarmente svegli, ma erano particolarmente felici, e date le circostanze nessuno notò né la loro indolenza, né la loro allegria. Una cameriera di fiducia uscì a comprare le ultime cose necessarie per un banchetto, alcuni garzoni arrivarono con alimenti prenotati con anticipo. Il Conte diede il braccio a sua figlia per uscire e salire in carrozza, coi bambini, e tutti andarono al porto.
Il sole era alto quando il traghetto arrivò. Georgie vide qualcosa che brillava e non ebbe dubbi: solo Lowell poteva essere biondo così! Allora, si mise a correre. Non si ricordava più di essere “una signora sposata” (come avrebbe detto sua madre, e forse anche Antonia), il busto non la preoccupò. Il cappello le si sganciò dall’acconciatura e cadde, raccolto prontamente da Arthur, e la sua chioma luminosa fu ben visibile dalla barca, mentre man mano si liberava e si avvicinava veloce lungo il molo. Lowell avrebbe voluto essere più agile e in salute per raggiungerla subito, mentre la voce gli si chiudeva per l’emozione: non riusciva nemmeno a chiamarla! E quando fu finalmente sceso dalla passerella, Georgie lo raggiunse con un grido di gioia, abbracciandolo con la forza che l’aveva sempre caratterizzata. Era la Georgie di tanti anni prima alla gara di boomerang, quella di Londra, che non si fermava di fronte a niente per amor suo. E lui era riconoscente di tanta fortuna:
― Non partirò più, non ti lascerò mai più! – le giurava tra le lacrime. Alzò lo sguardo oltre il viso radioso e umido di Georgie (non era mai stata così bella!) e vide i suoi figli, rosei e rotondetti, che si avvicinavano col resto della famiglia.
― Certo, che non andrai via! Io non ti farò andare più da nessuna parte! Oh, Lowell, resta tra le mie braccia …


 
1Continua la metafora, per chi non se ne fosse accorto: nel capitolo precedente, Arthur parla di “bocca di rugiada” a proposito di Maria, e qui lei lo vede come un giardino, dove evidentemente la rugiada si posa.
2Si riportano le parole della canzone. La traduzione è mia, ed è stata fatta in modo da rispettare il più possibile il ritmo originale (che è anche ballabile). Ecco il testo seguito dalla traduzione: 
 
Quédate en mis brazos, cierra tus ojitos,
Haz como si el tiempo ha decidido no volver.
Quédate dormida mientras yo te miro
Y muero en el cielo oscuro y tibio de tu piel.
No me falta nada cuando estás conmigo
Y mi corazón está de fiesta amándote,
Es la eterna calma que nunca he tenido
Mucho más que todo lo que alguna vez soñé.
Quédate en mis brazos, quédate por siempre,
Quiero imaginarte tan eterna como ayer.
Quédate en mis brazos que hoy te siento mía,
Que no llegue el día en que se rompa el corazón,
Tengo tanto miedo de ser tan dichoso
Que tocar el cielo sea tal vez una ilusión.
Nada es para siempre y hoy me tiembla el alma
Quiero que esta noche amor nunca salga el sol.
Quédate en silencio, mírame a los ojos,
Déjame volar al infinito en tu mirar,
Háblame despacio palabras del alma
Que son el conjuro a mis angustias y mi penar.
Quédate en mis brazos, quédate por siempre,
Quiero imaginarte tan eterna como ayer.
Quédate en mis brazos que hoy te siento mía,
Que no llegue el día en que se rompa el corazón,
Tengo tanto miedo de ser tan dichoso
Que tocar el cielo sea tal vez una ilusión.
Nada es para siempre y hoy me tiembla el alma
Quiero que esta noche nunca salga el sol.
Quédate en mis brazos que hoy te siento mía,
Que no llegue el día en que se rompa el corazón,
Tengo tanto miedo de ser tan dichoso
Que tocar el cielo sea tal vez una ilusión.
Nada es para siempre y hoy me tiembla el alma
Quiero que esta noche, amor, nunca salga el sol.
 
Sta’ tra le mie braccia, chiudi gli occhi belli,
Fa’ come se il tempo si fermasse proprio qui.
Dormi dolcemente mentre io ti guardo
e muoio nel cielo tiepido della tua pelle.
Non mi manca niente quando ti ho vicino
e sento cheil cuore mio è in festa amandoti,
la serenità che ho cercato sempre,
va più in là più di quanto io abbia sognato mai.
Sta’ tra le mie braccia, restaci per sempre,
Voglio immaginarti eternamente qui con me.
Sta’ tra le mie braccia, che ti sento mia,
Che il nostro cuore non debba spezzarsi mai,
Ho paura ad essere tanto felice
Che toccare il cielo sia soltanto fantasia.
Niente è per sempre e il mio cuore trema,
Voglio che stanotte, amore, non finisca più.
Non mi dire niente, guardami negli occhi,
Lasciami volare nel tuo sguardo all’infinito,
Parla piano piano, parlami col cuore
E allontanerai da me l’angoscia e il dolore.
Sta’ tra le mie braccia, restaci per sempre,
Voglio immaginarti eternamente qui con me.
Sta’ tra le mie braccia, che ti sento mia,
Che il nostro cuore non debba spezzarsi mai,
Ho paura ad essere tanto felice
Che toccare il cielo sia soltanto fantasia.
Niente è per sempre e il mio cuore trema,
Voglio che stanotte non finisca più.
Sta’ tra le mie braccia, che ti sento mia,
Che il nostro cuore non debba spezzarsi mai,
Ho paura ad essere tanto felice
Che toccare il cielo sia soltanto fantasia.
Niente è per sempre e il mio cuore trema,
Voglio che stanotte, amore, non finisca più.

 
Sono qui ad aggiornare con enorme ritardo sul previsto, e di questo mi scuso. Dall'inizio dell'anno, i problemi di salute all'interno della mia famiglia si sono moltiplicati e il lavoro ha le sue pretese. Per esempio, oggi dovrei dedicarmi a quello e anche a un concorso che per me è molto importante e che non ho ancora cominciato a preparare ...
Invece non potevo star lontana da voi ancora, così ecco qua, pur con qualche dubbio su questo capitolo, anche se l'ho immaginato tanto tempo fa. Come vedete, mi mantengo fedele alla mia costante: più è problematica la mia vita, più dolci sono i miei lavori. Ma non nascondo che scrivere è sempre più difficile, soprattutto per mancanza oggettiva di tempo e di serenità. Però vi faccio una promessa: finché potrò avere un collegmento a internet e un computer, io continuerò a pubblicare le mie storie. Magari lentamente, ma lo farò. E se dovessi smettere, cercherò di avvisarvi, ma per me sarebbe enormemente triste ... E dunque grazie della pazienza e dell'affetto. La mia storia finirà abbastanza presto in termini di capitoli, ma non so quando potrò aggiornare, comunque sia ... la finirò, e non sarà certamente l'ultima! A presto, spero che il mio capitolo vi abbia portato un po' di gioia e vi abbraccio con tutto il cuore!
 

 

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Capitolo 43
*** Tornare ad amare (Volver a amar) ***


Nota iniziale dell’Autrice: Carissimi tutti, scusate il ritardo. Questo capitolo mi è costato molta fatica, non riuscivo a trovare la concentrazione e l’ispirazione. Questo perché nella mia vita le cose non sembrano semplificarsi mai! Non sto benissimo, ma pian piano recupererò il tempo perduto, non vi lascio soli! Ma non voglio ritardare la lettura con chiacchiere inutili, dirò solo che la fanart è tutta mia e fatta con un modello, un’antica cartolina pubblicitaria (tutti i riferimenti li trovate alla pagina sorgente dell’immagine: https://www.deviantart.com/rubina1970/art/EDIT-For-BlueIvyViolet-In-the-Garden-761195955
Un’ultima cosa: nella mia caotica e non-vacanziera estate, una cosa che mi ha spronato molto a scrivere e ultimare il disegno è stato il disastro del ponte Morandi a Genova. Cose tremende succedono, tragedie collettive e individuali. Il mio augurio di serenità va a tutti voi, spero che stiate bene e che la vostra estate sia stata magnifica e lontana da ogni cosa brutta. Se così non fosse, a maggior ragione vi auguro ogni bene e vi abbraccio. Nel mio piccolo, scrivo storie dolci e faccio disegni felici (sempre! nonostante tutto), e spero che questo stato d’animo vi raggiunga e vi accompagni.

 


Lowell si congratulò con Maria e Arthur appena ebbe modo di salutare tutti i presenti. Georgie gli aveva scritto del loro matrimonio, ma lui non aveva mai potuto rispondere perché far uscire lettere dalla città durante l’epidemia era decisamente pericoloso, e naturalmente tutti i particolari che avrebbero potuto angosciarlo erano stati taciuti di proposito: in conclusione, di tutto quello che era accaduto, lui ne sapeva ben poco. Sapeva però che Maria era diventata Duchessa, e questo gli seccava parecchio. Il rango di Maria sarebbe stato imbarazzante per tutti loro, perché avrebbe dovuto essere trattata come se ogni cosa ruotasse attorno a lei, e lui, il padrone di casa, non sarebbe stato padrone di rilassarsi nemmeno nelle sue condizioni di convalescente. Per queste ragioni, fu costretto a essere particolarmente formale nel fare gli auguri ai novelli sposi, ma Arthur lo interruppe quasi subito (“Grazie, grazie, Lowell, ma nelle tue condizioni dovresti pensare solo a riposarti! Per gli altri discorsi ci sarà tempo dopo! Ti aiuto col bagaglio, dov’è che sta?”). Così, Lowell ebbe a mala pena il tempo di notare che Maria aveva un aspetto allegro ma stranamente disadorno per il suo rango di nobiltà …
Lo stupore di Lowell fu grande quando Georgie, già durante il tragitto verso casa, gli raccontò di tutti i fatti accaduti in sua assenza! Una fuga d’amore, un matrimonio clandestino, un sequestro, e poi la scomparsa, e lo shock … Georgie aveva un animo molto sensibile, e voleva essere sicura che Lowell non facesse domande come “il viaggio da Londra è stato faticoso?”!
Una volta a casa e cambiati gli abiti, si diressero tutti a tavola, e prima di sedersi (in teoria, l’etichetta non autorizzava assolutamente Lowell a sedersi prima di Maria e del Conte), Lowell si diresse a lei con queste parole:
― Ecco, Duchessa Dangering … Io spero che tutto sia di suo gradimento, è stato un grande piacere per me trovarla qui, un privilegio inatteso.
― Lowell, mio caro Lowell … ma quale Duchessa! – Maria sorrideva sinceramente divertita – Nessuno mi chiama così, e tutto è perfetto, grazie! Del resto, tra qualche tempo ci muoveremo di nuovo verso l’Inghilterra, e questa per me è una vacanza di cui avevo bisogno.
Ci fu un silenzio improvviso. Georgie guardò Arthur con delusione:
― Ma come, ve ne andate?
Abel le mise una mano sulla spalla con delicatezza:
― Dovevamo aspettarcelo, Georgie, lo sai che Maria ha una posizione …
― Mi sa che è meglio se ci sediamo, così vi spiego tutto: c’è stato un equivoco. – Arthur prese in mano la situazione e raccontò quei progetti che non avevano ancora comunicato.
L’Inghilterra sarebbe stata solo una tappa necessaria per la liquidazione del patrimonio e il trasferimento del titolo a Elisa. A nessuno dei due interessava la posizione privilegiata di Maria! E piuttosto, erano interessati all’Australia, con meraviglia di Lowell e di Fritz Gerard. L’Australia?! Una remota provincia ormai perduta dell’impero britannico, che veniva preferita alla vita della Corte, solo perché i Butman vi erano cresciuti e possedevano una fattoria laggiù! Il Conte e Lowell si guardarono e le loro espressioni fecero ridere di cuore la giovane sposa:
― Lo so, lo so, sembrerebbe assurdo a quei parrucconi dei miei parenti inglesi, ma a voi no, spero! Oh, per favore, cercate di capirci! Di Londra ne abbiamo abbastanza tutti e due, ma Londra non si stancherebbe mai di scrutarci e di criticarmi. Se volevo frequentare quella gente, tanto valeva sposare Fenner, almeno non avrei dato nell’occhio! La Regina non può scappare, ma a volte penso che lo farebbe volentieri anche lei, se potesse; noi sì, che siamo scappati, e non torneremo indietro.
― Io ti capisco! – rispose prontamente Georgie: ― Tu non sei come loro. E poi anche io e Lowell siamo scappati via, alla fine. L’Australia è stupenda, sai? Ti piacerà da morire. Certo, farete una vita diversa da quella che facevamo noi, perché sarete ricchi, comunque noi siamo stati molto felici.
― Oh, riusciremo a “sopportare” la ricchezza ed essere felici lo stesso, non ti preoccupare!
A questa battuta di Arthur, anche il Conte Gerard e Lowell smisero di trattenersi e scoppiarono a ridere. Le risate coprirono le parole sommesse che Abel sussurrò a Maristella:
― Sì, l’Australia è stupenda. Ti piacerebbe vederla?
― Chissà, forse la vedrò, un giorno. – Maristella, in cuor suo, sperava che Abel volesse sottintendere di più, e ne avrebbe avuto la conferma in breve tempo …
Ma Lowell non se ne accorse, concentrato com’era su Maria: capì come mai Arthur e gli altri con lei ignoravano totalmente l’etichetta paludata che sarebbe stata richiesta, e perfino Maristella (una protegee, ma era entrata in casa praticamente come cameriera) sembrava tutt’altro che intimidita da lei. Maria, che non vedeva da molto tempo e che ricordava ben più acerba e distante, era molto cambiata, ma non era diventata nemmeno lontanamente quella che sarebbe stato logico aspettarsi.
L’impressione di lei che Lowell aveva avuto al porto era giusta. Maria per cominciare non aveva ricomprato gioielli importanti, dopo il furto, limitandosi a un piccolo acquisto tipico del posto, un paio di orecchini di corallo, e per andare al porto non li aveva messi. Anche i vestiti che indossava non erano suoi: erano eleganti e alla moda, essendo di Becky, ma non erano quelli di una dama di prima classe della Regina! A Ischia, si era fatta fare solo indumenti molto leggeri e semplici. Aveva rifiutato l’offerta insistente di sua madre di una cameriera personale che le acconciasse i capelli e l’aiutasse a vestirsi. A casa di Georgie, aveva accettato che una ragazza la servisse, ma da quando era partita da Londra usava solo acconciature semplicissime. Maria non voleva fare niente che non avrebbe potuto fare comodamente anche in Australia, e le scocciava l’idea di portarsi dietro personale di servizio perché non riusciva a immaginare l’impressione che questo avrebbe fatto alla gente che conosceva i Butman.
Dal primo momento in poi, furono molte le cose che stupirono Lowell. Non era solo la grande emozione di sentirsi di nuovo a casa e vivo, padrone della sua vita. Non si trattava della gioia di rivedere Georgie e i bambini (ed erano cresciuti!), anche se era vero che tutte queste cose insieme gli facevano riassaporare l’esistenza in un modo assolutamente unico. Le novità erano reali: la casa era piena di persone, e non solo Maria, ma tutte queste persone parevano cambiate.
La cosa più evidente che Lowell notò fu che tutti erano molto più sorridenti e sereni di come li ricordava. Erano due anni che non vedeva Arthur, e lo trovò sicuro di sé e maturo. Maristella, poi, ora appariva allegra e tenera, incline al rossore. Invece, Georgie quasi esagerava con le sue premure, arrivando a essere ansiosa. O almeno, Lowell attribuiva la sua irrequietezza all’ansia per la sua salute … Solo il Conte Gerard era lo stesso di sempre.
Georgie, in realtà, ripensava insistentemente all’Australia. Sarà stata la presenza contemporanea a casa dei due fratelli, o forse la luce della stagione bella, che le ricordava quella della zona subtropicale dov’era cresciuta. Quando usciva, per la prima volta in vita sua Georgie si accorgeva di non aver voglia di fare due chiacchiere con tutti. Proprio lei, la ragazza estroversa che si era ambientata ovunque con facilità, ora era nostalgica. Si scrollava presto l’inquietudine di dosso, come sempre; ma poi tornava, e lei non sapeva bene perché. Ma non era solo in ansia per la salute di Lowell, questo lo sapeva.
 
***
 
Cominciarono giorni pigri e sereni. L’ansia per la salute di Lowell era svanita, Abel era in via di guarigione e una morbida estate agli sgoccioli invitava al riposo. L’isola splendeva nella sua bellezza selvaggia, e a volte si sentivano ancora le cicale.
Nelle mattinate tranquille, prima di uscire, Georgie e Antonia davano disposizioni per la giornata, alcuni si vestivano con lentezza, altri leggevano posta e giornali, mentre la servitù si occupava del necessario. Poi, la famiglia usciva volentieri per andare a godersi l’aria di mare: le spiaggette avevano zone alberate e alti scogli che facevano ombra, la ventilazione era piacevole, e il silenzio, il panorama e il sordo sciacquio delle onde creavano un’atmosfera che piaceva a tutti. O meglio, a tutti loro, poiché questo passatempo offriva anche il vantaggio dell’intimità: quasi nessuno frequentava la spiaggia, dal momento che ancora non era nata la moda dei bagni di mare. Dopo pranzo, qualcuno leggeva o passeggiava, si sorseggiava un tè … Qualcun altro trovava un angolo inatteso della casa dove strappare a sorpresa un bacio alla persona amata, con l’emozione del rischio di essere scoperti.
I pensieri andavano dove volevano. Dopo le ore calde, Georgie e Maristella giocavano coi bambini in giardino. Un pomeriggio, Abel stette un po’ a osservare Maristella e Sophia da una finestra. Per un attimo, si sorprese a pensare che Maristella sarebbe stata una brava mamma. Non era la prima volta che indugiava in questo pensiero: gli faceva piacere. E sentiva che gli dava una speranza diversa riguardo al futuro.

 


 

Arthur amava l’estate e il sole, e per lui tutto era bellissimo, in quei giorni. Era veramente una vacanza. Una volta, mostrò al fratello un sentiero che ricordava bene, dalle sue escursioni con Lowell di qualche anno prima: la vegetazione occultava parzialmente il percorso, ma la salita non era ripida e la meta era una grotta termale bellissima. L’anfratto era abbastanza grande da poterci camminare dentro per vari metri, ed era chiaro che la gente del posto lo conosceva, ma nonostante i gradini scalpellati nella roccia, pareva che non ci entrasse mai nessuno. Dall’alto, la luce filtrava attraverso un vasto squarcio aperto, tra il verde della collina che dava sul mare, e dall’alto si riversava l’acqua di ben due fonti. Dal momento che le acque si univano più su, chissà dove, per poi forare la pietra fino a terminare lì, il getto era quasi caldo e non sapeva di zolfo come altre sorgenti, inoltre formava un balzo tale da potercisi comodamente bagnare stando in piedi.
Una mattina, anche Maristella decise di andare alla scoperta quello stesso sentiero. Georgie era a casa coi piccoli, e anche Arthur e Maria perché sarebbero partiti il giorno dopo e volevano sfruttare ogni momento per stare con loro. Abel era chissà dove, Lowell riposava in spiaggia su una sedia pieghevole insieme al Conte Gerard, e da lì s’incamminò la ragazza. Maristella non ricordava il luogo, perché ci era stata solo da bambina, ma mentre saliva ebbe una sensazione di dejà vu, e continuò alla ricerca di quel ricordo che le sfuggiva.
Si stupì nello scoprire la grotta: ecco dove portava il sentiero, e com’era grande! Avvertiva il rumore dell’acqua, che rendeva tutto ancora più magico. Si trovava in una fiaba, forse? Rise tra sé di quel pensiero infantile. Era stata magari la stessa cosa che aveva pensato da bambina quando l’avevano portata là, e poi l’aveva dimenticato. Ma insieme al ricordo, nella grotta, ritrovò anche Abel, e subito non riuscì a pensare ad altro che a lui.
Abel si era impresso bene a mente il percorso e ci era tornato da solo, sentendosi abbastanza in forze. Accaldato più del previsto per la camminata, si era tolto tutto meno i pantaloni, e ora era sotto il getto d’acqua. Non poteva aver sentito arrivare Maristella alle sue spalle, e pensava solo a godersi il bagno con tanto di doccia naturale.
Maristella non rivelò la sua presenza, ma si bloccò dov’era, incapace di tornare indietro. Lo guardava per la prima volta in quel modo: certo, l’aveva già visto a torso nudo quando era stato aggredito, ma allora era preoccupata, e poi in quel momento doveva essere discreta. Adesso, invece, Abel non sapeva che lei era lì, e aveva modo di fissarlo. Non intendeva fissarlo … eppure voleva solo quello, restare lì in un angolo a guardare. Voleva che lui non si girasse, per paura di essere scoperta, o almeno che non si girasse subito. Quelle erano le sue spalle: erano forti e belle, e su di esse rimbalzava l’acqua che, illuminata dal sole alto, brillava di schizzi, e scintillava mentre scorreva sulla sua schiena e sulle sue braccia, che Abel alzò per portarsi all’indietro i capelli neri luccicanti. La stessa acqua, poi, rendeva lucidi i pantaloni scuri del giovane, che essendo bagnati, aderivano ai suoi fianchi.
Maristella respirava appena. Quanti uomini aveva visto, in calzoni flosci, sui pescherecci al porto, luccicare al sole? Allora non si era mai emozionata, mentre adesso il cuore le faceva male nel petto, e quasi a momenti le veniva la tentazione di scappare per quanto era turbata. Ma non era capace di andarsene, anche perché sentì Abel intonare un paio di versi di una canzone: “And now, I found that the world is round / And of course it rains everyday40! Aveva anche una bella voce, chiara e limpida, e chi se lo immaginava che cantasse così bene?
E poi, lentamente, con un bel sorriso, Abel si girò, buttando la testa indietro sotto il getto d’acqua. Ora, il suo viso chiaro era illuminato, così come il petto. Solo la penombra nascondeva ancora Maristella, che si maledisse per non essersene andata prima. La ragazza fece per sgattaiolare via, ma mosse un sasso col piede, e subito Abel aprì gli occhi, cercando l’intruso davanti a sé, con una mano a schermare la luce.
― Non spaventarti: sono io. – la voce le uscì strana, ma davvero non voleva spaventarlo, ed era l’unico motivo per il quale si era rivelata.
― Oh, Mary! Ma che ci fai qui?!
“Ecco, e adesso? Penserà che lo spiavo, ma perché faccio sempre queste figuracce con lui?”
― Niente, non sapevo di trovarti qua, e non mi ricordavo nemmeno di questo posto … e me ne sto andando.
― No, dai! Perché tanta fretta?
― Perché … stai facendo la doccia … ― “ma che risposte cretine mi escono?!”
― Beh, adesso smetto e vengo lì. – Abel sorrideva, nel prendere la camicia per asciugarsi, poi si avvicinò a lei.
Maristella fece un passo indietro, Abel ne fece due avanti.
― Non ti volevo disturbare …
― Stai scherzando, vero? – Abel non capiva del tutto la strana timidezza di Maristella, ma gli piaceva anche di più.
Poi, successe un fatto raro: da bella e altera com’era sempre stata, Maristella apparve imbarazzata, abbassò la testa e Abel si accorse che tremava.
― Ma che c’è, stai bene?
― Sì … non dobbiamo rimanere qui …
― Perché, è proprietà privata? Spero di no, perché io se potessi non me ne andrei più! – poi, subito ebbe un’intuizione: ― Di che hai paura? di me, forse?
Maristella alzò lo sguardo ma non la testa, e non rispose, guardandolo seria. Abel le prese una mano e se la posò sul petto umido. Maristella guardò la propria mano: quel gesto Abel l’aveva già fatto e le era sempre sembrato affettuoso, mentre ora le pareva diverso. No, non aveva paura di lui, ma l’emozione era talmente forte che la travolgeva. Abel non parlava e la guardava. Allora, Maristella abbozzò un sorriso, fragile e tenero, e fu Abel a sentirsi perduto.
― Oh, Mary! …
Abel si avvicinò ancora e Maristella rimase immobile, e lui la baciò con desiderio trattenuto, bagnandole il vestito.
Quando la guardò di nuovo, Maristella stava tornando a sorridere sempre con lo sguardo basso, e intanto non aveva mai tolto la mano calda dal suo petto, e quel contatto era praticamente una carezza, e sotto quella mano il cuore di Abel gioiva.
Le scostò delle ciocche dal lato del viso e dal collo, e Maristella chinò la testa verso quel contatto umido e fresco, che le diede un brivido. Non gli era mai apparsa così vicina, perché erano davvero soli in quel luogo che pareva proteggere la loro intimità, e perché Maristella tremava ancora. Abel la baciò di nuovo, chiudendo gli occhi, col cuore che ora balzava in gola anche a lui. Capì di doversi frenare.
― Io non sono un santo, sai? Una volta ero geloso e violento. Te l’ho già detto, mi pare … ― Maristella lo guardava senza capire: ― Oggi, sono un uomo, e so come mi devo comportare. Non avere mai paura di me, va bene? Anche se … sei veramente irresistibile, sai? e qualunque uomo al posto mio … in un posto come questo … Ma tu non hai nulla da temere da me.
Ma come poteva una ragazza completamente innocente come lei – e Abel doveva saperlo – frenare il proprio batticuore e il fruscio nelle orecchie, quando l’oggetto del suo amore era così vicino? Benedetto cuore giovane, che desidera così forte da soffrire anche nella felicità e non può farne a meno! Maristella era felice, così sorrise ad Abel:
― Ma io non ho paura. – e naturalmente, un po’ era vero e un po’ mentiva.
― Quanto sei bella, oggi … scusa se sono banale …
― Grazie. – Maristella alzò la testa e trovò un inatteso coraggio: ― Anche tu lo sei.
Abel lasciò cadere il complimento perché non era abituato a riceverne, ma sorrise e continuò:
― Sì, invece è banale dirti che sei bella, potrebbe dirtelo chiunque. Non è per quello che ti voglio bene. Il tuo sorriso è la mia gioia, io vorrei che tu fossi felice, solo questo! Voglio vivere con te, e se sposarci significherà che dovrò trasferirmi in un altro paese, farò i passi che servono …
― Sposarci?! – il viso di Maristella s’illuminò – Quando?!
― Presto!
Si rese conto di non aver mai amato così, con speranza, gioia e desiderio, e la baciò sul viso più volte, cercando tra un bacio e l’altro le parole per dirlo:
― Tu … tu mi salvi … no, mi fai rinascere!
Maristella, pur felice com’era di sentirlo dire così, lo guardava con un certo stupore, non era sicura di capire bene, e Abel decise di spiegarsi, e intanto le baciava dolcemente le guance e le tempie:
― Dentro di me c’era una porta chiusa dove tenevo nascosto il mio dolore … Oltre la soglia dei miei timori, dei miei errori, dei miei insuccessi … oltre le ferite del passato e gli amori dimenticati41, ― per un attimo, lo sfiorò il pensiero della sua innocenza perduta nell’amore per Georgie, e dell’assurdità di tutti quegli anni – è rimasto solo un freddo immenso, la spina crudele della delusione.
L’acqua frusciava nel ricadere nella piscina naturale, e frusciavano le orecchie di Maristella. Le esperienze passate di Abel, che le avevano provocato gelosia in passato, ora glielo rendevano più affascinante, come colui che ha vissuto molto intensamente affascina sempre chi è giovane e inesperto. In più, lei aveva un cuore tenero, e si ripropose di ripagarlo per il passato, e cento volte tanto. Lo baciò, poi appoggiò la testa riccioluta sul suo petto umido, e lui riprese a parlare sommessamente:
― Ecco, è così che mi rimetti al mondo … Mia dolce Maristella, tu arrivi nella mia vita come il sole, come la dolce limpidezza dell’amore, come il profumo della brezza del mattino … e cancelli il mio dolore per sempre!
Maristella chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla breve vertigine che le provocò il pensiero di aver trovato l’amore della sua vita. Sì, lo avrebbe sposato e avrebbe avuto un’infinità di giorni per “cancellare il suo dolore”, anzi si ripropose di fare molto di più che ricompensare Abel per le sofferenze subite. Forse era questo il senso del legame coniugale? Una certezza di ritrovare quotidianamente quel qualcuno che pareggia i conti con la vita e ci lascia un sapore dolce, qualunque cosa ci sia riservata … e la certezza di una promessa mantenuta, perché l’amore quando è corrisposto si ripaga da sé. Infatti Maristella sentiva che sarebbe stato leggero e facile, compiere la promessa che gli stava facendo. Al colmo della felicità, alzò il viso e gli sorrise, e Abel continuò, emozionato:
― Tornare ad amare, ancora una volta, rinascere in te e nel tuo sguardo … ― le prese il viso raggiante tra le mani ― … cancellando con la tua luce, le ombre della mia solitudine … Amare di nuovo, sentire che adesso mi resterai accanto, e che non mi lascerai! E così potrò vivere il dolce amore che mi dai …
Abel la baciò di nuovo e l’abbracciò di più.
― Guarda, adesso tu sei quasi asciutto e io mi sono bagnata! Che dirà la gente, se ci vede tornare così? – Maristella ora rideva, per difendersi dal tumulto che sentiva dentro, un misto di desiderio e di gioia incontenibile.
― Che sono un uomo fortunato, dirà, e avrà ragione! Domani parlerò con tuo padre, e anche con Lowell, se occorre! – Abel sospirò di contentezza, ma il sospiro gli procurò una fitta che gli fece cambiare bruscamente espressione. L'incanto si era rotto.
― Abel, che succede? Ti fa di nuovo male?
― Sì … Diavolo, questo non è molto romantico, eh?
― Oh, non mi sento tranquilla a vederti così, ti sei stancato troppo, o forse l’acqua era troppo calda, noi dell’isola lo sappiamo bene …
― Non preoccuparti, passerà!
― Comunque, tu domani non ti muovi, ti riguardi e resti a casa! Torniamo giù, piano piano, va bene?
― Va bene. – Abel era felice: Maristella era così preoccupata per lui che si era totalmente dimenticata della gente e di quello che avrebbe potuto dire vedendoli.
E li videro, in effetti. Qualcuno del paese, passando nei pressi della spiaggia, si accorse di loro che scendevano dal sentiero, e non se lo sarebbe tenuto per sé. E poi, Lowell li vide arrivare. Maristella gli si fece incontro velocemente:
― Mister Grey, ad Abel ha fatto di nuovo male la frattura!
― Oh, Abel! Come ti senti? Torniamo subito a casa! – Anche il Conte, che era proprio lì e più in forma di Lowell, si precipitò verso Abel.
Il giovane disse di sentirsi già bene, e a quel punto tutti e due notarono che Abel era bagnato, e allora lui raccontò che in un’altra occasione Arthur gli aveva mostrato una grotta con una bella cascatella calda … Ma Lowell intanto aveva registrato la particolare impressione che gli aveva fatto la vista di lui e della bella Maristella, tutta preoccupata, che spuntavano da dentro la macchia. 


40 Una piccola licenza poetica: sono versi di “World”, dei Bee Gees, del 1967. Un buon video, con testo: https://www.youtube.com/watch?v=FX5ijqEIGXs . Non solo è una canzone che mi piace, l’ho inserita perché permette di dispiegare la voce in modo che trovo liberatorio; inoltre, parla del momento in cui un giovane si rende conto delle esigenze della realtà e si chiede quale sia il suo posto definitivo nel mondo, e per questo mi pareva adatta ad Abel.
41 Da qui, in corsivo, i versi della canzone “Volver a amar”, di Cristian Castro (da Mi vida sin tu amor, 1999), che consiglio di ascoltare a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=FX5ijqEIGXs La traduzione dallo spagnolo è mia, riporto qui sotto il testo originale:
Tras el umbral de mis temores
De mis errores y mis fracasos
Tras las heridas del pasado
Y los amores ya olvidados
Tras la inocencia que hubo un día
Tras la ironía de aquellos años
Sólo ha quedado un frío inmenso
La espina cruel del desengaño
Llegas a mi vida como un sol
Como la suave transparencia del amor
Como el aroma de la brisa en la mañana
Borrando para siempre mi dolor
Volver a amar una vez más
Nacer de nuevo en ti
En tu mirar
Llenando con tu luz
Las sombras de mi soledad
Tras la inocencia que hubo un día
Tras la ironía de aquellos años
Sólo ha quedado un frío inmenso
La espina cruel del desengaño
Llegas a mi vida como un sol
Como la suave transparencia del amor
Como el aroma de la brisa en la mañana
Borrando para siempre mi dolor

 
Nota finale autobiografica dell’Autrice: Un’altra volta Cristian Castro, per parlare d’amore, sì, mi ripeto! Lo so, ma credo che vi conforterà sapere che per un po’ sarà l’ultima songfic con canzoni sue! Il fatto è che il genere mi è congeniale, e lui ha certi testi, e una maniera di cantare … ! Spesso mi capita di ascoltare questi brani col loro video, sul pc, alternandoli a quelli tratti da Georgie. Magari stendo il bucato, e ogni tanto butto un occhio allo schermo, e così nascono molte mie ispirazioni e associazioni. Nascono dal mio vissuto più banale e quotidiano, perché è un buon momento per la fantasia. Con questa piccola nota privata, vi lascio fino al prossimo capitolo, sperando che questo vi sia piaciuto. Almeno, è di stagione! Grazie a chi legge e a chi vorrà commentare, a presto!

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