Memorie di un principe che voleva cambiare il suo regno

di TotalEclipseOfTheHeart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il figlio che non vedeva mai suo padre ***
Capitolo 2: *** Quando finisce il tempo dei giochi, e ti ritrovi già grande ***
Capitolo 3: *** Ti raggiungerò mai? ***
Capitolo 4: *** Ricordami chi eri ***



Capitolo 1
*** Il figlio che non vedeva mai suo padre ***


Il figlio che non vedeva mai il padre
 

Differentemente dalla maggior parte delle persone, io possiedo dei chiarissimi ricordi risalenti al periodo inerente alla mia infanzia, quando ancora il mondo mi pareva troppo grande e complesso per essere compreso, e la sola cosa che desideravo era poter passare del tempo con quell’uomo che, negli anni successivi, fece di me ciò che sono ora. Astor l’Imperatore Supremo di Draconia, mio padre.
So che, dopo la narrazione degli eventi che mi condussero a unirmi ai Guardiani, potrà apparire persino strano, ma io l’ho amato veramente, quell’uomo.
Quando non ero che un bambino, lo vedevo come un idolo, un eroe, una leggenda vivente e irraggiungibile. Era l’uomo che, col solo impegno e la dedizione, aveva contribuito a espandere il nostro regno fin quasi ai confini di Flogon, facendo rifiorire il commercio e la cultura, che con le generazioni precedenti si erano quasi persi nelle guerre e nelle disgrazie continue con i regni limitrofi.
Le sue gesta erano miti, ogni sua parola rappresentava la legge, e nessuno osava opporglisi. Come potevo non ammirarlo??? Come era possibile non desiderare d’eguagliare tanta magnificenza? Non essere fiero del mio grado di sangue, in quanto suo figlio?
Lo amavo, con tutto me stesso, e sarei morto per lui.
Purtroppo però, più il tempo trascorreva, inesorabile, e più mi pareva che per lui non valesse lo stesso.
Lo rincorrevo per i corridoi, seguendolo ovunque e partecipando persino ai più segreti consigli di guerra (per me incomprensibili) pur di stargli accanto. Mi vantavo dei miei successi presso i mentori, dei traguardi raggiunti nell’equitazione o nell’arte della spada, facevo qualsiasi cosa pur di ottenere, anche se solo per un pallido istante, la sua preziosissima attenzione.
Nonostante tutto, il muro che pareva separarci pareva sempre insuperabile.
Avvolto nel suo fascio di luce meravigliosa, mio padre mi appariva sempre più lontano e remoto, e vi erano momenti, come quando i dignitari mi intimavano di andarmene per i fatti miei, di non stargli tra i piedi, perché aveva faccende importanti da sbrigare, in cui sentivo la solitudine avvolgermi, soffocante.
Allora, correvo a nascondermi, nelle stanze vuote, dentro le armature o dietro agli immensi vasi di fiori che costeggiavano i corridoi di quella reggia che per me era una casa. E piangevo, singhiozzavo disperatamente, fino a quando le lacrime non uscivano più, e iniziavo a sentirmi vuoto e infinitamente, dannatamente triste.
Era mio padre, no?
Quindi perché non c’era mai?
Perché era sempre assente, anche durante le occasioni più importanti, come il mio compleanno, o come quando, per la prima volta, avevo manifestato il mio Dono del Fuoco? Non poteva proprio prendersi del tempo, per me, che ero suo figlio???
I dubbi mi soffocavano l’anima, e presto smisi di parlare e divenni sempre più cupo. Terminai di seguire le lezioni dei maestri, perché se poi non potevo vantarmi dei successi ottenuti con lui, a che serviva studiare ed esercitarsi?
Perché impegnarsi tanto, se poi lui non riconosceva nemmeno la mia bravura?
Tetro e privo di amici, come si confaceva al mio grado e alle aspettative dietro a esso, la mia unica consolazione era il mio Legame, che mi accompagnava ovunque e mi consolava sempre, quando mi sentivo triste o solo.
E poi, c’erano anche le mie sorelline.
Quando avevo cinque anni, Arianne aveva circa qualche un anno in meno di me, e Ariyme invece a quel tempo era ancora un fagottino urlante e pieno di vita, visto che la malattia doveva ancora stravolgere la sua debole vita.
Quindi, quando mi sentivo triste passavo spesso a trovarle, e per un istante i miei problemi parevano come svanire.
Tuttavia, loro erano comunque delle future lady, e quindi la loro formazione doveva avvenire separatamente dalla mia, e non potevo vederle spesso.
Quindi, che mi piacesse o meno, ero solo. E non potevo farci niente.
Eppure vi fu, sebbene per un brevissimo tempo, un periodo in cui, anche se per pochi mesi, mio padre fu veramente presente.
Ricordo perfettamente quel tempo, un tempo che avrei preferito non vivere, perché standomi accanto, e dando a me bambino modo di affezionarmi ancora di più a lui e di conoscerlo meglio, rese persino più dolorosa, poi, la nostra definitiva separazione. Ripercorro quindi quel periodo con nostalgia, ma anche con un profondo, insuperabile vuoto dentro.
Perché si, mio padre sarebbe potuto essere un buon padre.
 
Accadde in occasione del mio quinto compleanno, che non ebbi nemmeno l’occasione di festeggiare a dovere visto che, proprio in quel periodo, la nostra nazione entrò ufficialmente in guerra con alcune delle popolazioni a noi limitrofe.
Prima che me ne rendessi conto, la reggia si svuotò della gran parte delle sue personalità più importanti perché, chiamati alle armi, molti degli uomini più dotati furono costretti a spostarsi sul fronte per partecipare alla guerra.
Ammetto che, per me ragazzino, quella situazione pareva quasi soprannaturale, estranea. Mi sembrava quasi impossibile che così, da un giorno all’altro, il nostro impero fosse stato travolto dai conflitti, e che ora molti dei nostri guerrieri migliori fossero costretti a sacrificare le proprie vite per proteggere la mia che, invece, proseguiva, priva di reali svolte, nella reggia.
Fu tutto troppo veloce, troppo rapido.
Presto, la corte parve come accelerare la propria vita. Tutti erano sempre ansiosi, tesi, e indaffarati per questo o quest’altro motivo.
Poi, un giorno, mio padre rientrò dal fronte sud.
Quando gli corsi incontro mi bloccai, osservando sconvolto il suo braccio sinistro che, avvolto da una medicazione bianca, pendeva quasi inerte lungo il fianco, imbrattato a tratti da scure macchie purpuree.
Lui, il mio magnifico, invincibile, leggendario padre, era stato ferito.
Per me, che avevo trascorso la maggior parte dell’esistenza a venerarlo quasi come un dio, fu un shock non indifferente. Eppure, presto imparai a essere grato di quella sua condizione che, per almeno sei mesi, lo avrebbe costretto a palazzo e a un duro periodo di riposo e ripresa.
Ero piccolo, egoista, e la continua assenza negli anni precedenti mi spinse presto a essere persino felice di quella nuova situazione. Ora, so bene quanto fosse crudele come cosa, ma io non potevo che ringraziare gli dei che, con quella ferita, mi avevano finalmente concesso un modo per passare del tempo col mio adoratissimo padre.
Impossibilitato dalle ammonizioni dei medici a immergersi nuovamente nei ritmi spossanti dei suoi doveri come regnante, presto lui prese l’abitudine di passare quelle ore libere in mia compagnia, dedicandomi quelle attenzioni che prima non ero mai riuscito a ottenere e mettendomi sempre al primo posto.
Diede ordine a tutti i miei maestri di prendersi un periodo di riposo, perché da allora in poi avrebbe voluto occuparsi personalmente della mia formazione, assicurandosi che ricevessi solo il meglio e tutto ciò che meritavo.
Mio padre era un insegnante severo, certo, ma anche incredibilmente rassicurante, come dire, quasi caloroso. Certo, la sua fermezza era indiscussa, ma nonostante tutto il modo in cui mi istruiva faceva trasparire un profondissimo affetto nei miei confronti, che emergeva sia nel modo in cui mi guardava sia nel suo tono dolce e bonario, rassicurante oltre ogni immaginazione.
Mi seguiva con calma e pazienza, e spesso anche con un notevole entusiasmo, portandomi anche fuori per lunghissime cavalcate, noi due soli, o facendomi montare sul suo drago, che solitamente non si faceva mai nemmeno vedere in pubblico. Spesso rimanevamo fuori per intere giornate, e tornavamo a sera tarda, incuranti delle proteste degli inservienti e delle governanti. Oppure,  in alternativa, mi portava con sé quando doveva fare un importante viaggio, e faceva in modo che fossi sempre presente, istruendomi sulle tecniche di commercio o sulle popolazioni con cui avevamo a che fare, insegnandomi le lingue o ancora facendomi visitare monumenti dalla bellezza mozzafiato.
E poi c’erano le lezioni, mai noiose e sempre gradevoli, in cui lui mi accompagnava passo per passo. Con una gentilezza tale da sorprendere chiunque, per un uomo come lui, solitamente sempre irremovibile.
Fu così che ebbi modo di conoscerlo, meglio di come abbiano fatto molti altri. Anzi, forse, tra tutti, solo mia madre riuscì a vedere questo lato del suo carattere.
Vidi quella parte di sé che non mostrava mai in giro, quella parte che lo rendeva più umano ma, allo stesso tempo, più fragile e ancora, quella parte che mai sarei riuscito a scordare. Anche dopo anni di rapporti quasi inesistenti, il ricordo di lui non mi avrebbe mai abbandonato, impedendomi di odiarlo realmente, come invece avrei forse dovuto.
Quei mesi furono i migliori, ma, dopo un po’, arrivarono anch’essi alla loro fine.
Presto la ferita che tanto aveva debilitato mio padre guarì, permettendogli di tornare a prendere in mano i suoi doveri e costringendolo quindi a tornare sul fronte, perché nel frattempo la situazione bellica era andata nuovamente a peggiorarsi.
Perdevamo terreno su terreno, e le nostre truppe erano sempre più in difficoltà, specialmente in assenza di una figura che le guidasse e le incoraggiasse. Quindi ormai non si poteva più posticipare, e la sua presenza era necessaria.
Se ne andò, tornò al fronte, da un giorno all’altro.
Improvvisamente, senza dirmi niente, senza alcun preavviso. Scomparve, semplicemente. E io ne rimasi distrutto.
Erano passati solo sei mesi, eppure avevo veramente creduto che tra me e lui fosse nato un legame, qualcosa, qualsiasi cosa, che gli avrebbe impedito di andarsene di nuovo. Ma mi ero sbagliato, ancora una volta.
Fu un trauma troppo grande.
Eppure, col tempo, il dolore del suo abbandono, non so come, iniziò a scemare.
Per essere sincero, non è che diminuisse. Semplicemente, avevo iniziato a farci l’abitudine, e prima che me ne rendessi conto non ci facevo nemmeno più caso.
Mi rassegnai, all’idea che tra me e lui ci sarebbe stato sempre un enorme baratro a separarci.
 
Quel giorno, in cui morì, io mi diressi verso la sua tomba.
Il suo corpo era lì, immobile, perfetto nel gelo eterno della morte.
Composto e fermo, esattamente come era sempre stato in vita, i suoi occhi vuoti osservavano il soffitto, seguendo orizzonti che nessun altro poteva vedere. Anche da vivo, aveva sempre guardato più lontano di tutti gli altri, oltre i canoni e le norme comuni. E ora, non avrebbe più potuto fare nulla.
Alla fine, anche il mio mito era tramontato.
Lo osservavo, vuoto e nostalgico, pensando a tutto quello che mi ero perso, che ci eravamo persi.
Non sapevo cosa pensare, cosa dire. La parole mi morivano in gola.
Dopotutto, tenevo veramente a lui e avrei voluto sul serio essere amato a mia volta.
Sorrisi, pensando a tutte le volte in cui io a lui eravamo riusciti a capirci, come per magia, senza nemmeno ricorrere alle parole. Funzionavamo così, noi due, prima che tutto finisse, che quei mesi giungessero al termine.
E così me ne andai, perché, in fondo al cuore sapevo che un legame c’era stato veramente. Seppur incomprensibile, seppure seppellito tra le regole di corte e i doveri che lo tenevano occupato notte a giorno.
Quando rientrai nelle mie stanze, la prima cosa che feci fu prendere quel pacchetto, il regalo per il mio quinto compleanno, che non avevo mai aperto perché quello era stato anche il giorno in cui era partito per il fronte.
Lo aprii, e sorrisi.
Aestiir, il Sigillo della Casata.
Il simbolo del nostro legame, lo aveva dato a me, tra tutti.
Forse, dopotutto, lui era stato veramente un buon padre. Solo, non avevo mai avuto modo di capirlo …


Note dell'Autrice:
Come preventivamente promesso, ecco a voi l'attesissimo spin-off interamente dedicato al nostro amato Castiel!!!
Eheheh ... *Balla sulla sedia tutta soddisfatta di sè*
Per festeggiare il raggiungimento dei 500 visitatori nel primo capitolo della serie, ho deciso di pubblicare finalmente questa mini-serie, composta da sette oneshoot che, a partire da oggi, posterò ogni tre giorni su questa pagina.
Per quel che riguarda invece la storia principale, attualmente sto lavorando in collaborazione con eleCorti, o Elettra.C, quindi penso che mentre attendo il suo betaggio e mi dedico a una revisione completa della storia, che essendo a metà ne avrebbe anche bisogno, mi prenderò una brevissima pausa. 
Tranquilli, non ci metterò moltissimo.
Le feste sono alle porte, e piuttosto che pubblicare saltuariamente e senza ordine preferisco prendermi una breve, e a mio parere anche meritata ;), pausa, che mi terrà occupata fino a Capodanno. Comunque, visto che vi voglio un mondo di bene, vi prometto che alle 24.00 esatte del 31 Dicembre 2016, o 00.00 esatte del 1 Gennaio 2017 (punti di vista), farò un botto e come regalo inserirò almeno almeno tre capitoli in una volta sola! Finora ho sempre mantenuto le mie promesse, quindi state tranquilli!
La pausa ovviamente riguardarà solo la serie principale, per questo breve spin-off ho già tutto il materiale pronto quindi potrete vederla completa in non molto tempo.
Ringrazio quindi tutti i miei carissimi lettori e recensori, e che dire, vi aspetto all'anno prossimo!
Teoth

 

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Capitolo 2
*** Quando finisce il tempo dei giochi, e ti ritrovi già grande ***


Quando finisce il tempo dei giochi, e ti ritrovi già grande
 
 
“Siamo proprio sicuri che non ci rimarrò secco?”, quasi potevo rivedermi, lì, col mio insegnante di volo, a osservare scettico l’apparentemente infinito vuoto che separava me e il mio Gored dal suolo, presso la Rampa di Volo dell’Accademia dei Draghi.
Avevo solo sette anni, e come ogni giovane principe da lì a pochi mesi avrei dovuto affrontare la mia Prova del Sangue, per dimostrare a tutti che finalmente potevo passare dal periodo innocente dell’infanzia a quello più complesso dell’adolescenza. Cosa che, per un nobile come me, significava, di fatto, iniziare a essere considerato e trattato come un adulto a tutti gli effetti.
E non ero ancora del tutto sicuro che la cosa mi sarebbe piaciuta.
Per dimostrare pubblicamente il mio valore e la mia affidabilità, avrei dovuto, per la prima volta, affrontare le terribili correnti assassine del Canyon delle Ossa. Basta sentire il nome per capire che no, non sarebbe stata una passeggiata.
In pratica, si trattava di leghe e leghe di canyon rossi come il sangue, con le temperature che toccavano spesso e volentieri altezze altrove impossibili e raffiche di sabbia e fuliggine nera che ti impedivano di vedere a un palmo dal naso. Canyon che, beninteso, collezionava migliaia di morti ogni anno.
Inutile dire che, per un bambino di a malapena sette anni, l’idea di dover affrontare una cosa simile non era esattamente delle migliori. L’unica mia consolazione era che non sarei stato solo, visto che anche Gored avrebbe dovuto accompagnarmi in quella che continuava a sembrarmi un’impresa decisamente assurda e alquanto suicida …
E quindi eccomi lì, ad ascoltare i moniti del mio insegnante di volo, che, pallido come un cencio cercava di ricordarmi tutti i suoi insegnamenti, visto che quel giorno avrei dovuto affrontare il mio primo volo da solo, e che se ci fossi rimasto secco mio padre, molto probabilmente, lo avrebbe mandato al patibolo.
Lo guardai, visibilmente incazzato e chiedendomi quanto cavolo dovessero pagarlo per quel lavoro così rischioso. Bastava pensare che, quando un antico principe ci lasciò le penne, in una lezione di volo, il povero e malcapitato insegnate venne scuoiato vivo e appeso sulle mura della città.
Forse, dopotutto, non ero io quello messo proprio peggio.
Nei giorni precedenti, la mia vita era cambiata drasticamente.
E non ero affatto certo che quei cambiamenti mi piacessero. Insomma, avevo quasi l’impressione che fosse accaduto tutto troppo in fretta.
Prima, potevo fare, tutto sommato, quello che volevo. Passavo le giornate fuggendo dagli inservienti e dai maestri, giocando con mia madre, che a quel tempo ancora non aveva nemmeno i segni della malattia che poi l’avrebbe sempre confinata nelle sue stanze, e importunando, non senza un pelo di piacere, i miei fratelli durante le loro lezioni di scherma o lotta libera. Mangiavo praticamente a ogni ora del giorno e nel primo posto che mi capitava a tiro, nessuno osava dirmi nulla né cercare di controllarmi, ed ero sempre libero di dire e fare quello che volevo, anche di fronte a importanti ambasciatori esteri o nobili di un certo calibro.
Poi, improvvisamente, tutto cambiò. Tanto per iniziare, mi preclusero l’accesso alle stanze sia di mia madre che delle mie sorelle: potevo vederle solo una volta alla settimana, e mai per più di un’ora. Mi venne assegnato un maggiordomo, che controllava tutto ciò che facevo, svegliandomi rigorosamente all’alba e facendomi vestire degli abiti più consoni al mio rango, per poi assicurarsi che seguissi tutte le lezioni senza saltarne nemmeno una. Il tempo libero divenne un miraggio, la mattina studiavo le materie teoriche, come commercio e diritto, matematica e fisica, oppure le lingue, e il pomeriggio mi addestravo nelle discipline legate al combattimento, alla caccia e al volo. Ogni finesettimana seguivo i miei fratelli nelle visite di convenienza presso facoltose famiglie aristocratiche, o partecipavo a balli ed eventi mondani. Ogni mia azione era meticolosamente controllata e programmata dall’alto, e poco importava quale fosse il mio parere.
Ma, soprattutto, le aspettative nei miei confronti cambiarono radicalmente. Se prima non mi veniva chiesto che il minimo indispensabile, ora sulle mie spalle gravavano tutti i doveri e gli obblighi di un principe della famiglia reale. Non mi importava di cosa avrebbero potuto pensare gli altri, delle tradizioni o dei protocolli, tuttavia non volevo deludere né mia madre né tantomeno mio padre, che sebbene non fosse mai presente era sempre tenuto al corrente di tutti i miei progressi.
Così, eccomi lì, a osservare cinico il baratro che si apriva sotto di me. Sentii le gambe farsi di gelatina, ma poi mi ripresi, dicendomi che un principe reale non dovrebbe mai tentennare in quel modo, e guardai ansioso il mio insegnante, quasi a supplicarlo di lasciarmi tornare al castello.
Quello si ricompose, dicendo: “State tranquillo, Vostra Altezza. Se seguirete i miei consigli, sono assolutamente certo che non avrete nessun problema. Ho fatto preparare il vostro Legame …”
“Gored.”, dissi, infastidito, “Il mio Legame ha un nome, e si chiama Gored. Ricordi?”
Quello storse la bocca, osservando il mio sottosviluppato draghetto, che a quell’età avrebbe dovuto raggiungere almeno le dimensioni di un piccolo elefante, ma in realtà era di poco più grande di un pony di taglia media. Non posso fare a meno di sorridere all’idea che, nei mesi successivi, avrebbe affrontato un picco di crescita tale da posizionarlo in cima a tutte le classifiche mai fatte sulle dimensioni dei nostri cari compagni e, di conseguenza, anche sulla forza e sulla determinazione del nostro spirito.
“Ehm, si, certamente. Comunque, sulla sella avete tutte le bisacce e le cartine necessarie per orientarvi fino a quando non avrete terminato il percorso. Come da protocollo, troverete delle postazioni ogni tre leghe, dove avrete modo di rifocillarvi a dovere, tuttavia, è necessario che siate di ritorno entro il tramonto, altrimenti l’esame non potrà ritenersi valido.”
E tu finiresti sulla forca, ma questo è meglio non dirlo.
Pensai, disgustato.
Osservai ancora una volta il baratro, poi feci un profondo sospiro, cercando di restare calmo anche se, dentro di me, mi pareva quasi di scoppiare.
Mi concentrai sulla domanda di cosa avrebbe pensato mia madre, se mi fossi tirato indietro senza nemmeno provarci, e su come avrebbe potuto reagire mio padre, sapendo che suo figlio era un fallito. Pensai ai miei fratelli, che in meno di mezza giornata avevano stabilito un record di primo volo senza precedenti, e alle mie sorelle, che ancora dovevano imparare.
Balzai sulla groppa di Gored con una determinazione di facciata che successivamente avrebbe stupito persino me, visto che in realtà me la stavo praticamente facendo sotto dalla paura.
Senza guardarmi indietro, spronai il mio compagno, che aprì le ali e, con un forte schiocco, si gettò direttamente in picchiata.
Urlai, sentendo il vuoto attanagliarmi le viscere, poi, il nulla.
 
La sensazione successiva non fu, come in molti raccontano, terrore, o paura.
No, la verità è ben diversa.
Mi bastarono che pochi istanti, per capire.
Sentivo il vento sulle orecchie, gli occhi luccicanti a causa del freddo e della sabbia, la gravità combattere contro le potenti ali del mio compagno e la terra farsi sempre più lontana e remota.
L’adrenalina mi dava al cervello, e semplicemente smisi di pensare.
Le preoccupazioni vennero spazzate via dal mio animo come sotto un fiume di acqua purificatrice, mentre mi abbandonavo a quel brivido senza prezzo che mi avvolgeva lo spirito e liberava i miei sensi, rendendomi finalmente libero.
Privo dei miei limiti, fisici o mentali che fossero, potei vedere il mondo da una prospettiva che mai mi sarei sognato di raggiungere.
Sentii il vecchio, debole e timido me scomparire, per lasciare spazio a una consapevolezza nuova.
Non sapevo ancora dove mi avrebbe portato quella strada, ma non mi importava, la sola cosa che dovevo fare per saperlo era percorrerla. E ora che, finalmente, il mondo mi si apriva verso nuovi orizzonti, sentivo che c’era qualcosa, oltre, qualcosa che mi rendeva diverso, che mi avrebbe fatto raggiungere vette che mai mi sarei sognato di percorrere prima.
Quel giorno, terminai il percorso in meno di poche ore, distruggendo tutti i record che un draconiano possa anche solo sognarsi.
Non ci fermammo, né io né Gored, perché ora che eravamo un tutt’uno le cose della terra ci apparivano distanti e sfocate, prive di senso e interesse. Il nostro cibo era l’aria contro il viso, la nostra acqua il brivido gelido dell’ignoto, il nostro sonno la sfida continua che gridavamo contro le leggi della fisica e della natura.
Ovviamente, quando fu ora di atterrare ci rendemmo conto che quello era tutto fuorchè ciò che volevamo.
Lontano, sulle montagne, potevo quasi vederlo, il mio maestro, che si torceva le mani in preda al terrore, di fronte all’idea che sarei potuto non tornare.
Forse fu allora, che qualcosa in me cambiò.
Dopotutto, dopo quel giorno, sarei entrato nel mondo degli adulti. Se volevo dire addio alla mia infanzia, al periodo degli scherzi e delle marachelle, dovevo farlo in grande.
Sorrisi, mentre un pensiero diabolico faceva capolino nella mia mente d’innocente (seh, come no) bambino.
Guardai Gored, che dal canto suo sghignazzò, come capendo ciò che mi stava passando per la testa.
Facemmo dietro front, lasciandoci alle spalle la capitale e dirigendoci verso le terre più a sud, verso i cieli e gli orizzonti più lontani, e passammo il resto della giornata a giocare tra le correnti, rincorrendo i draghi salvatici e gareggiando con essi in spettacoli acrobatici senza precedenti.
Seppur a malincuore, al tramonto fui costretto a rincasare, e non potei trattenere un risolino divertito nel vedere il mio insegnante in preda a una crisi di nervi, mentre mio padre lo osservava con aria alquanto assassina e mia madre glene diceva di tutti i sacrosanti colori. Mai sottovalutare una mamma arrabbiata, ricordatevelo.
Dopotutto, a quei tempi, quando era ancora piena di vita e ardore, era nota a tutti per la sua incredibile capacità di sottomettere senza nemmeno scomodarsi tanto persino nostro padre, figurarsi la corte. Nessuno poteva dirle cosa fare, né controbattere alle sue osservazioni. Sempre che non volesse finire in pasto alla sua dragonessa, ovvio. La quale, se possibile, era persino peggio della padrona. Se possibile.
Atterrai sorridendo, al che venni travolto dalle mie sorelle mentre, al contrario dai miei fratelli ricevetti prima un calcio negli stinchi e poi uno sguardo divertito. Mia mamma, dal canto suo, per poco non mi fece soffocare tra le sue braccia.
Però, non era a loro che stavo guardando, in quel momento.
Alzai gli occhi, inattesa dell’approvazione di mio padre. Avevo portato a termine il mio primo volo, quindi potevo accedere alla Prova del Sangue, e di lì a poco sarei diventato un adulto a tutti gli effetti.
Mi osservò, in silenzio, poi il suo sguardo si posò sul mio compagno, ancora sporco delle polveri color terracotta che riempivano l’aria a sud della capitale, e lo vidi sorridere appena, come se avesse compreso ciò che avevo fatto.
Mi si avvicinò, posandomi una mano sulla spalla e dicendo: “Benvenuto tra i grandi, figlio mio.”
Sorrisi.
Forse, dopotutto, crescere non era così malaccio.


Note dell'Autrice:
Eccomi di ritorno!
Come promesso, vi lascio qui il secondo capitolo dedicato allo spin-off sul nostro amatissimo Castiel.
Spero vivamente che vi piaccia, anche perchè ci sto mettendo veramente tutto il cuore nel scrivere queste piccole finestre sulla vecchia vita dei nostri Guardiani!
Come potete vedere, la vita per un giovane principe draconiano può essere veramente dura, ma sappiamo tutti che Castiel riuscirà a superare senza problemi gli ostacoli che il destino deciderà di mettergli contro. 
Ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a leggere questa mia grande storia, e coloro che mi aiutano con le loro recensioni e osservazioni personali. Io sono sempre qui, felice e soddisfatta di sentire i vostri commenti, negativi o positivi che possano essere, per cui non fatevi problemi a scrivermi se per caso notate qualcosa che non vi aggrada molto, o che secondo voi stona col resto della storia: mi aiutate nel migliorarla e mi rendete anche felice.
Detto questo, ci risentiremo, se non erro, l'otto, con la pubblicazione del prossimo capitolo castielcentralizzato (wow, ho coniato un nuovo termine!).
Teoth

 

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Capitolo 3
*** Ti raggiungerò mai? ***


Ti raggiungerò mai?
 
 
“Ahi!”, urlai, mentre, per l’ennesima volta in quei brevi minuti, la spada d’allenamento di Caesar raggiungeva repentina la mia protezione in cuoio, facendomi cadere col sedere a terra, dolorante e imbarazzato.
Ci trovavamo nell’Arena di Addestramento di Draacos, dove tutti i giovani e illustri nobili, che in futuro avrebbero preso le redini del regno, erano impegnati a seguire la propria dose di esercizi giornalieri, con i Mastri Spadaccini che li osservavano a vista, per assicurarsi chela cosa non si trasformasse in un gioco, ma nemmeno che nessuno si annoiasse eccessivamente.
Si trattava di un’ampissima arena circolare, fornita anche di spalti in pietra grezza, color sabbia, dalle quale occasionalmente anche amici e familiari potevano assistere agli allenamenti. Era suddivisa in quattro zone ben differenziate: la prima era quella in cui mi trovavo, assieme a mio fratello, ed era un ampio spiazzo libero, con i lati coperti di porta armi bianche, destinate per gli scontri a breve o medio raggio; la seconda era molto simile, ma tappezzata di manichini a forma d’uomo, e destinata alle discipline come il tiro con l’arco o il lancio dei coltelli; la terza era la più estesa, e lì vi si addestravano i giovani nei combattimenti a cavallo; la quarta invece insegnava l’utilizzo della magia per scopi guerreschi, ed era la sola a cui si poteva accedere non prima di aver accumulato una certa esperienza anche nelle altre, oltre che quella che mi aveva sempre interessato maggiormente. Sebbene non avessi ancora i requisiti per accedervi.
“Sai, se continui ad attaccarmi alla cieca, urlando come un pazzo e menando colpi a caso, non riuscirai mai a raggiungere la Quarta Casa.”, fece lui, inespressivo, senza tuttavia esimersi dal porgermi la mano per alzarmi.
“Uffa!”, sbuffai, affranto, “Tanto, non riuscirò mai a essere bravo come te, o Castor! L’istruttore dice che siete i migliori allievi che abbia mai avuto da quando ha iniziato a insegnare!”
Quello alzò un sopracciglio, poi sbuffò, come spesso faceva di fronte a me se per caso dicevo qualcosa di troppo infantile o che lo infastidisse particolarmente: “Ovvio che non ci raggiungerai mai, se continui a lamentarti come una femminuccia!”, ribattè, colpendomi sul vivo.
Mi alzai, senza rendermi conto di quanto, effettivamente, quelle parole fossero state scelte più per motivarmi che per offendermi realmente. Dopotutto, io avevo solo nove anni, e Caesar già quindici: non era raro che ricorresse a trucchetti simili per spingermi a dare il meglio, e sebbene non lo avrei capito che anni dopo forse non era un caso che solo con me decidesse di prendersi del tempo libero, a dispetto dei suoi doveri di Erede, per potermi addestrare o aiutare nei miei studi.
Poteva anche essere un genio e un gentiluomo, e non scomporsi mai di fronte a niente e nessuno, a sotto sotto ci teneva a me, perché sapeva molto bene quanto il mio destino fosse diverso dal suo e forse quasi le invidiava, la mia vita spensierata e priva di preoccupazioni. Paragonate alle sue, le mie giornate non erano che una misera barzelletta.
Dopotutto, che gli piacesse o no lui doveva mostrarsi sempre perfetto e intoccabile, solo tempo dopo mi resi conto come, forse, quelle ore passate in mia compagnia fossero il suo unico momento di respiro in mezzo a tutti quei doveri che gli piovevano addosso a tutte le ore del giorno.
Tuttavia, a quel tempo ero ancora troppo giovane per capirlo, e quindi guardavo sempre a lui come ciò che avrei assolutamente voluto essere.
Differentemente che con nostro fratello, lui non era solo dotato, ma aveva anche un carattere piacente e un modo di agire e parlare da vero leader, tutti lo apprezzavano a vedevano in lui ciò che un vero figlio di re avrebbe dovuto essere.
Inutile dire quanto desiderassi poter essere, un giorno, in grado di raggiungerlo.
Ripresi in mano la spada, mettendomi in posizione di guardia, più determinato che mai: “Chi piange come un femminuccia?!? Fatti sotto, ti riempirò di legnate fino a farti chiedere pietà!”, sbottai, rosso in viso mentre quello sorrideva appena, forse soddisfatto del risultato ottenuto.
“Ma certo! Non aspettavo altro!”, dichiarò, cercando di fare un affondo al mio indirizzo.
Schivai di lato, determinato a non dargliela vinta facilmente.
Sebbene fosse chiaro come stesse solo giocando, mi impegnai al massimo per tenergli testa, e quando, finalmente, alcune ore dopo riuscii a disarmarlo gettai la mia spada in aria, esultando, in preda all’euforia: “Ecco, visto fratellone? Ora dovrai fare tutto quello che dico! Il vincitore decide, ricordi?”
Una nostra piccola regola, che solitamente finiva con me costretto sui libri per un giorno intero, ma che, almeno per quel giorno, mi avrebbe visto dalla parte della vittoria.
Quello sospirò, fintamente sottoposto: “Ebbene, cosa dovrò fare, messer vincitore?”, chiese, sorridendo alla mia gioia infantile.
Mi feci pensieroso.
Poi schioccai le dita, contento.
“Dovrai dirmi con chi ti vedi tutte le sere!”, dichiarai infine, ancora inconsapevole di ciò che gli stavo realmente chiedendo.
Era da alcuni giorni, ormai, che sapevo di quel suo piccolo segreto. Non avevo ancora capito quanto la cosa fosse importante, per me, che di bravate notturne ne facevo tutti i giorni, non era così grave, però indubbiamente la cosa non poteva che suscitare una curiosità irrestibile nel mio animo di bambino.
Lo avevo scoperto per caso, mentre tornavo da una delle mie spedizioni nelle cucine, e lo avevo beccato a guardarsi attorno nei giardini del palazzo, con tutta l’aria di chi non vuole essere seguito. Ovviamente, io lo pedinai. Non che servisse a molto, in pochi minuti lo avevo perso di vista, ma da quel giorno lo tenni sempre d’occhio, scoprendo che non di rado usciva dalle sue stanze a sera tarda, per tornare solo quando la luna era già alta e tutti stavano dormendo.
Improvvisamente, l’espressione di lui abbandonò tutta la propria ironia, per diventare profondamente seria, mentre rispondeva: “Cestiel, io … mi spiace, ma questo non posso proprio dirtelo …”, disse, quasi dispiaciuto.
Mi immobilizzai.
Insomma, quella era la Regola del Vincitore, tutti dovevano seguirla, no? Io lo avevo sempre fatto, quando era lui a battermi, e proprio allora che vi ero riuscito io, si rifiutava di seguirla? Naturalmente, la prima cosa che pensai fu che ce l’avesse con me, e non volesse darmi la soddisfazione di dimostrare la mia meritata vittoria.
Sbottai: “Non è giusto, quando eri tu a vincere, facevo sempre tutto quello che volevi. Che male c’è se per oggi vale il contrario? Scommetto che sei geloso! Si, sei geloso perché oggi sono stato più bravo di te.”
Lo vidi impallidire, poi abbassò il capo, voltandosi: “Per ora abbiamo finito. Puoi tornare a casa.”, disse, per poi lasciarmi, senza pronunciare altro.
Furioso, con lui e con il mondo, gridai, in modo che anche lui potesse sentirmi: “Io ti odio!”, poi voltai i tacchi, le lacrime che spingevano per uscire a gli occhi gonfi di delusione.
Ora, meglio chiarire una cosa.
Quando un bambino di nove anni dice certe cose, solitamente non sa nemmeno cosa sta facendo. Semplicemente, si rende conto che sono le parole perfette per ferire qualcuno, specialmente qualcuno che ti vuole molto bene, e visto che il suo scopo è fare sentire quel qualcuno come si sente lui, altro non può che pronunciarle.
Spesso senza essere realmente consapevole di quelle che potrebbero essere le conseguenze, o di quanto certe cose possano ferire gli altri.
Ed era proprio ciò che avevo fatto.
Preso dall’ira, non mi ero curato troppo della reazione che avrebbe potuto avere mio fratello, o del fatto che forse avrebbe potuto avere dei buoni motivi per non voler soddisfare la mia curiosità.
Corsi nelle mie stanze che stavo quasi per piangere, per poi chiudermi all’interno, deciso a non uscire per il resto  dei miei giorni. Anche se in realtà sapevo benissimo che al primo sintomo di fame sarei sgattaiolato nelle cucine per rimpinzarmi come un dannato, in modo da affogare nel cibo quelle che ancora credevo essere le peggiori sciagure cosmiche che potessero colpire la vita di un innocente fanciullo della mia età.
 
Fu nei giorni seguenti che raggiunsi in breve tempo una decisione che avrei fatto molto meglio a non prendere, perché se le mie parole potevano anche non aver toccato mio fratello (che d’altronde era ben consapevole della mia indole volubile e dei problemi infantili di ogni bambino), certamente quello che stavo per fare lo avrebbe fatto. E nel peggiore dei modi.
Così, quando poco tempo dopo venne a cercarmi, per chiedermi se volevo passare del tempo con lui, lo cantonai con freddezza, determinato a non dargliela vinta e a farlo soffrire come meglio mi riusciva.
Inizialmente, parve veramente sorpreso del mio comportamento, perché di solito non ero un tipo troppo rancoroso, e dimenticavo in fretta i torti che avevo subito, o avevo pensato di aver subito, come accadeva più di frequente.
Tuttavia, non pareva altresì intenzionato a spiegarmi il motivo delle sue continue fughe, per cui presto il nostro rapporto parve quasi congelarsi. Diventammo sempre più distaccati, cosa che, sebbene allora ancora non lo sapessi, finì col ferire non solo lui, ma anche me.
Se Caesar pareva quasi sentire la mancanza delle nostre ore assieme, ed prese l’abitudine di sotterrarsi di lavoro per non pensarci troppo, io dal canto mio mi resi presto conto di come quel mio piano mi si stava velocemente ritorcendo contro.
Dopotutto, lui era il solo con cui potessi passare del tempo.
Castor, se cercavo di avvicinarmici anche solo per parlare, ma scacciava sempre via in malo modo, e le mie sorelle … beh, insomma, erano delle femmine, no? Io avevo bisogno di un amico maschio, con cui condividere anche tutte quelle piccole confidenze che mai avrei avuto il coraggio di fare con loro. Eamyr ed Efnir erano ancora troppo piccoli. Mentre tutti gli altri pupilli di corte solitamente preferivano girare al largo da me, che ero abbastanza noto per le mie bravate e la mia indole tutt’altro che remissiva e succube.
Ben presto capii come, senza di lui, le mie giornate si fossero fatte monotone e prive di stimoli.
Fu proprio quando decisi di ripristinare le cose che la motivazione che tanto mi aveva nascosto venne a galla, sconvolgendo non solo la mia concezione di lui ma sorprendendo anche tutta la corte al completo.
 
Accadde una mattina di mezza estate.
Finalmente, mi ero risolto a parlargli, e quindi avevo deciso di dirigermi verso le sue stanze, dove in quell’ora del giorno era solito studiare quelle materie allora per me incomprensibili quali economia e diritto.
Feci per alzare la mano, e bussare come era consono al mio rango, quando mi bloccai, ascoltando le voci sconvolte e furiose che provenivano dall’interno.
Una delle quali apparteneva a mio padre.
Cosa ci faceva l’Imperatore di Draconia a corte? Non doveva essere ancora sul fronte? E perché si era preso la briga di visitare le stanze di uno dei suoi figli, quando di solito non se ne occupava mai?
Tesi le orecchie, curioso, e li sentii.
“Sia chiaro, mi aspetto una spiegazione.”, sbottò nostro padre, visibilmente arrabbiato.
“Caesar, noi vogliamo solo il tuo bene.”, feci una smorfia disgustata, sentendo la voce dell’Imperatrice Eleazer. Era passato ancora pochissimo tempo da quando quell’USURPATRICE aveva preso il posto di mia madre, e ancora non riuscivo a perdonarla abbastanza, tanto era l’odio e il rancore accumulato nei suoi confronti. “Se tuo padre ti dice certe cose, è solo perché si preoccupa per il tuo futuro, e la tua posizione. Sei l’Erede, non puoi permetterti certe libertà, tantomeno con una semplice servetta di corte. Cosa c’è stato tra voi due?”
Sussultai.
A quel tempo, ero ancora troppo legato al modo di pensare dei miei “simili”. Un principe che si legava a una serva? Non c’era niente di peggio! Almeno secondo i miei canoni di bambino ancora privo di esperienza nelle cose del mondo.
Solo dopo avrei maturato il mio amore smisurato per il mio popolo, apprendendo che, forse, sono proprio coloro dei ceti più bassi che mostrano al meglio l’identità di un paese. Coloro che hanno più bisogno di essere protetti, e amati.
Comunque, a quel tempo tutto ciò era per me una grandissimo scandalo.
Insomma, mio fratello, il mio fratello perfetto, legare con una misera serva?
Disgustato, indietreggiai, incapace di ascoltare altro.
Pentito dell’idea di riconciliarmi con lui, me ne andai ad ampie falcate, furioso con me stesso e con lui per la sua stupidaggine.
 
Fu quello ciò che ci separò per sempre.
Perché anche dopo aver capito le sue azioni, non avrei potuto dimenticare come, nei giorni seguenti, non fosse mai venuto a cercarmi.
Ero ancora convinto che non avesse mai tenuto realmente alla nostra amicizia, e quella convinzione mi accompagnò per la maggior parte dei miei anni.
Eppure, dentro di me, la speranza che tutto potesse tornare come prima non si era mai realmente sopita.
 
Ora, lo osservo, la corona sul capo, e la folla che lo inneggia sotto di lui.
Sorrido.
Insomma, forse, saranno anche dovuti passare anni, ma, alla fine, tutto è tornato come prima.
Non pretendo più di essere come lui, ho smesso di biasimare la mia unicità da tempo.
Eppure, non c’è proprio dubbio.
Mio fratello sarà un re straordinario …


Note dell'Autrice:
Rieccomi tornata!
E con questo siamo già al terzo capitolo, dedicato interamente al rapporto tra Castiel e Caesar, quando erano ancora giovani.
Spero di aver rappresentato a dovere il modo di pensare ancora infantile e inesperto del primo, che diversamente dal secondo ha solo nove anni, e quindi ancora non riesce a vedere il mondo come lo vedrebbe un adulto. Rendere bene il pesiero di un bambino è quanto di più complesso si possa immaginare, e spero di aver fatto un buon lavoro.
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e a recensirmi.
Vi adoro ragazzi!
Teoth

 

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Capitolo 4
*** Ricordami chi eri ***


Ricordami chi eri
 
 
Voglio premettere una cosa.
Castor non è sempre stato uno stronzo fatto e finito.
Prima che tutto cambiasse, io e lui andavamo parecchio d’accordo.
Forse persino di più di quanto non andassi con le mie sorelline minori.
Ok, magari ci riempivamo di mazzate a tutte le ore del giorno e della notte, ma ci volevamo bene. Diciamo che il nostro rapporto era un po’ particolare, più complesso di quello che solitamente accomuna dei fratelli forse anche a causa del fatto che quando eravamo piccoli, e lui non aveva ancora intrapreso la strada del milite sadico tutto d’un pezzo, avevamo due caratteri incredibilmente simili, forse persino affini.
Eravamo entrambi due scavezzacollo fatti e finiti, il terrore di tutti i domestici e gli inservienti di corte, la calamità peggiore che i maggiordomi avessero mai dovuto affrontare dopo le guerre di confine … insomma, avevamo una certa, e meritata, fama.
Cocciuti a livelli estremi, oltre che parecchio impudenti e non poco impavidi (ma noi preferivamo definirci “cavallerescamente coraggiosi”), passavamo la gran parte delle nostre giornate a gozzovigliare in cerca di guai, per i corridoi della reggia, incuranti delle bestemmie e delle imprecazioni che le nostre malaugurate vittime ci lanciavano contro a ogni singola nostra marachella.
Noi ci chiamavamo “spiriti liberi”, ma se doveste chiedere a quella domestica che coprimmo di vernice rossa, probabilmente potreste sentirci definire persino “demoni assatanati”, o “catastrofi naturali”. Personalmente, penso che sia solo questione di punti di vista.
Chi arrivava al castello, rimaneva subito immancabilmente affascinato dai nostri bei visini angelici, così teneri e paccioccosi. Poi si trovavano le formiche rosse nel letto, e guai se avevamo la sfortuna di beccarlo in giro, perché subito iniziava a lanciarci contro maledizioni e improperi di ogni genere immaginabile e non, e a volte anche qualche pezzo di argenteria malauguratamente capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Comunque, ci volevamo un gran bene …
Le cose iniziarono a cambiare quel giorno, in una calda e assolata mattina di prima estate.
 
“Manco morto! Non ha tempo nemmeno per salutarmi quando torna da quelle sue ridicole missioni da salvatore di mondi, e ora mi chiede di venire con lui al fronte?!? Non ci penso nemmeno!”, le grida furiose di mio fratello mi giunsero all’orecchio proprio mente stavo schiacciando il mio pisolino pomeridiano, al che aprii un occhio, assonnato e visibilmente infastidito.
Castor mi venne incontro, i pugni serrati e tante rughe in fronte da dargli quasi l’aria di un demonio sceso in terra.
Ed effettivamente qualcuno avrebbe potuto vederlo proprio così, considerato il calcio che scagliò poco dopo a uno dei bellissimi (e dubito anche altrettanto costosi) vasi in ceramica posti ai lati del piccolo portico in cui ci trovavamo.
Alzai un sopracciglio, ormai completamente sveglio, e mi misi a sedere: “Ehm … posso sapere che succede? Quello era il vaso di Zia Mildred, devi essere parecchio incazzato per non curarti della sua possibile vendetta, quella donna è un’arpia.”
Lui sbuffò, sedendosi al mio fianco e borbottando: “Papà dice che sono abbastanza grande per prendere il mio posto nel regno, e quindi dovrei accompagnarlo al Fronte Meridionale, per confortare i feriti dell’ultima battaglia.”
Mi misi a sedere, elettrizzato: “Aspetta un attimo, e perché non vuoi andarci? Insomma, sarebbe una forza! Potresti vedere finalmente i campi di battaglia, e i comandanti di papà, forse persino alcuni degli Spadaccini Leggendari di Draconia … è un’occasione unica, perché rinunciarvi?”
Quello sbuffò, guardandomi con un pelo di insufficienza.
Effettivamente, io ero ancora parecchio giovane, avevo si e no nove anni e ancora non avevo ben chiaro il significato della parola “guerra”. Per me una proposta simile sarebbe stato quanto di meglio immaginabile, perché la mia concezione di ciò era quello che ci veniva tramandato dai poemi e dai canti dei nostri antenati, che quasi mai si fermavano a descrivere il lato più macabro dei conflitti armati, come per esempio le morti e i feriti. Castor, invece, aveva già tredici anni, e sebbene non fosse certo un adulto già capiva meglio ciò che avrebbe significato seguire il padre nel suo viaggio: probabilmente temeva di rimanere ferito, o persino di uscirne troppo cambiato anche solo per riconoscersi, timore che successivamente si rivelò più che fondato.
“Sììì, certo, non vedo l’ora. Così magari mentre siamo là qualche bel sicario si fa venire in mente di scegliere proprio quel  momento per visitare la regal tende di nostro padre, e ci rimetto le penne pure io. No, tante grazie, ma io ne faccio volentieri a meno.”, disse, sbuffando.
Lo guardai, senza capire, per cui proseguii: “Eddai! Saresti tenuto sotto sorveglianza giorno e notte, papà non permetterebbe mai che suo figlio rischi la vita. Sono certo che saresti così protetto che nessuno riuscirebbe ad avvicinarsi, nemmeno di un millimetro!”
Quello parve adombrarsi, mentre mi fissava, con la coda dell’occhio, poi prese un respiro, per voltarsi e guardarmi negli occhi. Era la prima volta che lo vedevo così serio e triste: “Senti, Cast, ora ti dirò una cosa … ma dovrà rimanere solo tra noi due, va bene?”
Annuii veementemente, curioso, e forse anche un pelo preoccupato.
Sorrise appena, proseguendo: “So che tu pensi ancora che papà ci voglia bene, come si dovrebbe voler bene a dei figli. Forse, se fossimo nati in un altro tempo e in un altro luogo, sarebbe anche potuto essere così, o almeno mi piace pensarlo. Ma io ho passato tredici anni della mia vita aspettando che mettesse, anche solo per un istante, da parte i propri doveri e il proprio onore per dedicarmi anche solo un secondo della sua esistenza, e ho capito da tempo che quel momento non arriverà mai. Dici che siamo i suoi figli, e che se andassimo al fronte ci fornirebbe un scorta degna di un imperatore, ma credi veramente che priverebbe le sue guarnigioni di preziosi soldati, solo per proteggere non dico il suo primogenito, ma il suo secondogenito? Quando ha altri tre figli che possano sostituirlo? Pensi veramente che lo farebbe?
Papà è un uomo di fuoco, Cast. Lui è nato per servire il suo popolo, e i suoi figli non lo distoglieranno certo da questo proposito, specialmente considerando che ormai si aspetta da me che sia perfettamente in grado di difendermi da solo. Siamo Draconiani, ci viene insegnata l’arte della guerra sin da quando impariamo a parlare, dubito che sprecherebbe i suoi uomini per una cosa simile. E io non sono disposto a essere ammazzato solo a causa della sua dannata ossessione per questo regno!”
Lo fissai, immobile e muto, del tutto incapace di formulare anche solo un pensiero coerente, o una protesta che potesse difendere, e giustificare (come forse avrei dovuto) le azioni di nostro padre. Perché in fondo sapevo che aveva ragione, e che sebbene fossero crudeli, quelle parole avessero un fondo di verità non indifferente.
Abbassai il capo, frastornato.
Lui sorrise, scompigliandomi i capelli e cercando di tirarmi su il morale.
Poi, improvvisamente, dissi, sorprendendo persino me stesso: “Questa famiglia sta andando in malora.”
Si fermò, osservandomi preoccupato.
Solitamente, forse anche a causa del fatto che ero comunque solo un bambino, e tra l’altro anche abbastanza carico, erano rari i momenti in cui fossi triste, o pronunciassi un ragionamento o un’osservazione particolarmente profondi.
Ma per quanto potessi essere giovane, e forse anche ingenuo, non ero certo cieco.
L’avevo capito da tempo che la nostra famiglia non era più quella di una volta, anzi, che si stava lentamente sgretolando dall’interno.
“Caesar ormai non ci guarda più: è sempre via per motivi diplomatici, o chiuso in camera a studiare per diventare un valido successore. Arianne è partita con le Sacerdotesse della Fenice, per apprendere l’arte della guerra e Ariyme sta ogni giorno peggio. Come se non bastasse, mamma non esce più dalle sue stanze, l’Imperatrice monopolizza la corte come fosse un circolo di marionette e LEI sembra si diverta nel seminare zizzania dove più le aggrada. E papà le va anche dietro.”, Castor si oscurò. Sapeva bene che stavo parlando proprio di sua madre, e forse lui stesso era il primo a odiare i suoi modi esageratamente crudeli e subdoli, e quindi era lui, più di tutti, a comprendere ciò che stavo dicendo. Lo guardai, le lacrime agli occhi, al che lui arrossì, guardandosi attorno disperato in cerca di aiuto, in vista della cascata di lacrime in arrivo.
“P-promettimi che tu non mi lascerai mai, Ok?”, chiesi, affondando il viso sulla sua spalla.
Quello parve rilassarsi, mentre il suo sguardo si addolciva e, forse, una leggera lacrimuccia gli solcava la guancia.
Si affrettò ad asciugarla, tornando a sorridere, spaccone: “Eddai! E tu saresti un uomo? A me sembri più una piccola paperella piagnucolosa!”
Mi pulii le lacrime, gridando: “Non è affatto vero! Non stavo piangendo!”
“Sì, si, e quegli occhioni rossi dove me li metti?”, disse, divertito.
Mi affrettai a coprirmi il viso: “Zitto, anche tu stavi piangendo.”
Mi saltò addosso, mentre rotolavamo nella sabbia e iniziavamo a prenderci a botte scherzosamente. Dopotutto, eravamo fatti così: con noi, le parole passavano sempre in secondo piano, solo con i pugni sapevamo trasmetterci i nostri sentimenti, senza dover parlare per ore e rischiare di non concludere niente.
“Prova a ripeterlo se ne hai il coraggio!”, gridò, furioso.
“Piagnone!”
“Mezza calzetta!”
“Lecca mutande!!!”
“Cocco di mamma!!!”
“Sadico!”
“Piromane!”
Ci fermammo, affannati, poi lo guardai: “Mmmhhh, ma cos’è un piromane esattamente?”, chiesi, incerto.
Scoppiammo a ridere, mentre un’ombra assassina ci compariva alle spalle, ed Eleazer ci osservava, visibilmente irritata (immagino più per i fatto che avevamo appena ridotto a uno straccio i suoi vestiti in seta, quanto perché ci eravamo quasi ammazzati di legnate).
Ci voltammo, tremanti.
“Ehm … salve.”, feci, cercando di sotterrarmi.
Castor, invece, fu più impavido: “Ehilà, bella giornata, vero?”
Quella divenne arancione, poi rossa, poi viola … infine scoppiò: “Piccoli, subdoli e malvagrerrimi … si può sapere che avete fatto hai vostri vestiti?”
Abbassammo lo sguardo.
Era difficile tenere testa all’Imperatrice, quando ci si metteva.
Poi la vidi sorridere, mentre il suo sguardo si spostava da me a mio fratello, raffreddandosi appena, e disse: “Castor, tuo padre desidera parlarti nel suo ufficio, ed è stato abbastanza chiaro a riguardo. Va a cambiarti e poi assicurati di passare da lui.”, ci guardammo, ma lui sorrise, confortandomi: “Tranquillo. Suppongo sia inutile opporsi, specialmente se  sarà lui in persona a ordinarmi di andare, ma puoi stare calmo: quando sarò tornato, andremo subito a giocare sulle mura del castello!”
 
Quello che non sapevo, a quel tempo, era che non quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto quel Castor solare e allegro, perché il viaggio lo avrebbe completamente cambiato.
Non seppi mai cosa fosse successo con esattezza, ma alcuni giorni dopo la sua partenza mi giunse voce che il Fronte Meridionale era stato nuovamente attaccato, e che questa volta la portata dell’assalto era di gran lunga superiore alle precedenti.
L’Imperatore, ferito, fu costretto a chiudersi nella sua tenda, limitandosi a guidare i movimenti delle truppe da lì.
Mio fratello, invece, venne costretto a sostituirlo. O meglio, fu lui stesso a offrirsi volontario per scendere sul campo al posto suo: le truppe avevano bisogno di un reale che le guidasse, non solo perché altrimenti il morale sarebbe caduto in pezzi ma anche perché era spesso proprio la presenza di nostro padre a dare loro quella forza leggendaria che permetteva  ai nostri uomini di vincere anche le battaglie più disperate.
Così, quel viaggio che sarebbe dovuto durare solo qualche settimana costrinse Castor sul campo per oltre sei mesi.
Quando rientrò, e lo guardai negli occhi, non vidi nulla che ricordasse la luce calda e gentile di una volta.
Il dolore e la morte lo avevano cambiato, penetrando a fondo nel suo animo e portandolo a essere l’esatto opposto di quello che era stato un tempo. Eppure, quando ancora avevo modo di vederlo combattere, e i suoi occhi si illuminavano nella furore della lotta, mi pareva quasi di rivederlo.
Sono passati anni da quei giorni lontani.
Alla fine, i miei peggiori timori si sono avverati.
La nostra famiglia ha quasi rischiato di distruggersi.
Eppure, forse anche grazie al suo sacrificio finale, ora sono qui, e sono vivo. Sorrido, osservando la tomba di mio fratello. Dopotutto, alla fin fine, è proprio vero: non mi ha mai lasciato solo.


Note dell'Autrice:
Scusateee (*si prostra a terra e chiede umilmente perdono*)!!!
Purtroppo ho avuto alcuni non indifferenti problemi col pc, che ha passato le ultime settimane a spegnarsi e riaccendersi senza un apparente ordine logico.
Comunque, dopo aver tribulato non poco con lo schermo sono riuscita a farlo risistemare, e spero veramente di riuscire a scrivere i capitoletti mancanti nel minor tempo possibile.
Quindi, che dire?
Fatto Astor e Caesar, ho pensato che anche Castor dovesse avere un capitoletto tutto suo, a dispetto del caratterino che si ritrovava, e quindi eccolo qui. Il Castor bambino di questa One è molto differente da quello della serie, ma in generale un po' tutti i suoi fratelli erano diversi prima, fatta eccezione per Arianne e Ariyme, con le quali Castiel ha sempre avuto un rapporto abbastanza buono.
Ovviamente, sto proseguendo anche con la serie principale, tranquilli. Per ora sono al trentesimo capitolo e con un po' di fortuna dovrei riuscire a scriverne almeno una deina prima di capodanno, quando ne pubblicherò tre in un colpo solo come "regalone" di fine anno. Per essere sincera, sono così ansiosa di sapere cosa ne pensarete che quasi quasi ne inserisco uno anche per Natale, ma preferisco non promettere niente, almeno per ora, visto e considerato che probabilmente sarò via per tutto il giorno.
Ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a seguirmi, e sopratutto i miei carissimi recensori, senza i quali non saprei proprio cosa fare.
Alla prossima!
Teoth

 

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