Cavalieri dell'Apocalisse di SumoNessuno (/viewuser.php?uid=849270)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Invidia ***
Capitolo 2: *** II. Superbia ***
Capitolo 1 *** 1. Invidia ***
Si muovevano nell’ombra come spettri. Veloci, silenziosi, letali. Erano quattro, un umano, due elfe e una nana, e per quanto non fossero tutti esili riuscivano a non lasciare traccia del loro passaggio.
Il villaggio era vuoto, tutti si erano rintanati nelle loro calde case per sfuggire al freddo vento che tagliava la pelle e s’insinuava nelle ossa, lasciando fuori solo le guardie che pattugliavano le strade a turno. Non era un grosso paese, comprendeva un centinaio di case in legno disposte lungo due strade principali, più vari vicoli e stradine minori. Le due vie si incrociavano formando il centro del villaggio, dove un obelisco in marmo bianco torreggiava sulle costruzioni vicine. Si chiamava Verde Campagna, il villaggio dei contadini. Si trovava in una valle tra le montagne Crotalo, dove oltre alle abitazioni le uniche cose che si trovavano erano i campi e rigagnoli . Almeno una persona per famiglia era un contadino, ma si trovavano anche artigiani, fabbri, fornai, cuochi, sarti e dottori, erano una comunità indipendente. Il Capo del villaggio era un nobile, un certo Conte Du Blanche che fungeva da tramite tra il Re del Regno di Omega e il paese. Non si interessava più di tanto alle faccende del borgo, a lui interessava soltanto che tutti pagassero le tasse e non andassero a ficcanasare nei suoi affari. Era un uomo di corporatura pesante, non molto alto e con un inizio di calvizie. Vestiva sempre sontuosi e eleganti abiti, in contrasto con la gente del luogo che era vestita invece con abiti da lavoro.
i quattro si arrampicarono con rapidità e agilità su uno dei tetti più alti del villaggio, da cui potevano vedere chiaramente tutta Verde Campagna, illuminata solo dalle lanterne e dalla luce di una magnifica luna piena. IL palazzo del Conte Du Blanche era appena fuori dal borgo, cintato da mura di pietra che impedivano a occhi curiosi di guardare all’interno. L’unica cosa che si notava era il tetto di tegole rosse, un lusso per pochi.
Saltarono giù dalla casa e corsero in un vicolo, continuando a svoltare a ogni incrocio. In pochissimo tempo arrivarono dinnanzi alle mura, senza che nessuno li avesse notati. L’entrata principale era sorvegliata da due guardie, mentre tre pattugliavano il perimetro. Dovevano entrare, e avrebbero usato ogni mezzo a disposizione per farlo. Un delle due elfe prese un arco che teneva sulle spalle, incoccò la freccia e prese la mira. Soffiò sul dardo e lasciò la presa su di esso, che andò a conficcarsi in profondità nel corpo di una guardia; stramazzò a terra in una pozza di sangue mentre il suo compagno esplose in una marea di frammenti, lanciando schizzi di sangue ovunque.
- C’era bisogno di fare questo Pestilenza!? – l’elfa parlò in modo autoritario, sembrando parecchio arrabbiata, all’umano.
- Un po’ di teatralità ci vuole ogni tanto no? - l’uomo rispose tranquillo, quasi divertito.
- non c’è tempo per litigare – li interruppe l’altra elfa - dobbiamo entrare e assassinare il Conte se vogliamo quei soldi. Morte, Pestilenza, voi entrate dalla porta principale e cercate di attirare su di voi più guardie possibile, io e Guerra entreremo dalle fogne e uccideremo il Du Blanche.
- Che schifo le fogne – disse stizzita la nana – ho un’armatura nuova e lucida e tu me la fai sporcare così Carestia?
- Non rompere adesso con questa storia! Avevamo già deciso il piano!
mentre stavano parlando un consistente numero di guardie si era radunato davanti ai due morti, e uno li aveva scoperti.
- Sono gli assassini!!! – urlò, prima di cadere a terra con un’ascia piantata nel cranio da parte della nana.
- Ci tocca cambiare piano mi sa. – esclamò Guerra – ho voglia di spaccare un po’ di teste. – e partì alla carica con la sua grossa ascia metallica in mano
Prima che Carestia potesse dire qualcosa anche gli altri due erano partiti all’attacco, così si lanciò anche lei nella mischia.
ognuno di loro usava un sistema di combattimento e armi diverso: Guerra combatteva con una grossa ascia bipenne, sfruttando la sua pesante armatura per parare i colpi che le arrivavano; Carestia oltre all’arco usava una lunga spada a doppio taglio, colpendo con numerosi fendenti chiunque le si parasse davanti; Morte impugnava una coppia di pugnali dalla lama bianca come l’avorio, continuando a fare capriole e salti mortali per schivare ogni nemico che la attaccasse per poi ucciderlo con un unico colpo in un punto vitale; Pestilenza invece adoperava un lungo bastone, alto tanto quanto lui, che ad un’estremità aveva una sfera verde mentre dall’altra vi era attaccata una lama curva di una falce con cui colpiva gli avversari causando brutti tagli, ma soprattutto usava incantesimi per uccidere i nemici.
in breve tempo tutte le guardie furono fatte a pezzi, e ora la via fino al Conte era sgombra da qualsivoglia nemico.
corsero attraverso i corridoi del palazzo sino a raggiungere la camera da letto ove riposava Du Blanche. Guerra abbatté la porta con un calcio e i quattro entrarono nella stanza. Il Conte si svegliò di soprassalto, mettendosi seduto nel letto; accanto a lui vi era una giovane ragazza, anch’essa molto spaventata, che tentava di nascondere la sua nudità sotto le lenzuola.
- oh abbiamo interrotto qualcosa? – domandò sarcastico Pestilenza – Se vuole usciamo e torniamo più tardi …
- Piantala – lo interruppe Morte con fare severo. – Conte Du Blanche, lei è accusato dei crimini di estorsione, corruzione e sfruttamento. Siamo qui per ordine di Sua Maestà per espiare i suoi peccati. – si rivolse a lui con uno sguardo di ghiaccio che lo terrorizzò.
- no aspettate!!! I-i-io sono sempre-sempre stato u-un fe-fedele ser-servi-servitore del re!!! – farfugliò terrorizzato.
- Ci ha assoldati lui, quindi non maledirci per ciò che ti accadrà. – rispose Guerra
- quindi chi l’ammazza? – domandò tranquilla Carestia – penso che stavolta spetti a Morte l’onore!
- No!!! Voi non potete! – urlò il Conte.
Saltò giù dal letto trascinando la ragazza per un braccio con sé, che provò a divincolarsi invano per liberarsi dalla grassoccia mano di Du Blanche. Lui sostava in mezzo alla stanza tenendo la giovane vicino a sé, mentre con l’altra mano estrasse un pugnale corto dalla cintura che teneva in vita per poi puntarlo alla gola dell’adolescente.
- un passo e lei muore!!! Non vorrete uccidere un’innocente vero?! – nei suoi piccoli occhi brillava una luce di pazzia, e il suo tremore tradiva il finto coraggio che ostentava.
- Abbiamo ucciso decine di guardie per venire qua, una ragazza non ci interessa. – disse con nonchalance Morte.
- Ma voi non potete …
Prima che potesse finire la frase Morte corse verso di lui e con l’indice gli toccò la fronte, per poi scivolare sotto le sue gambe e rialzarsi alle sue spalle.
- Io posso.
Il conte divenne d’improvviso pallido come un lenzuolo e cadde a terra in un pesante tonfo, morto.
Pestilenza recuperò una coperta dal letto e coprì la ragazza, che nel frattempo si era liberata dalla stretta di Du Blanche e stava singhiozzando accucciata in un angolo.
- Voi … voi chi siete? –chiese con un filo di voce tra le lacrime.
- Noi siamo i Cavalieri dell’Apocalisse.- rispose Morte con fare distaccato come suo solito.
- Siamo mercenari che combattono per eliminare i peccati da questo mondo. – continuò Carestia.
- Du Blanche non sarà più un problema per te, sei libera di tornare a casa. –le disse Pestilenza sorridendo.
- Ti consiglio di correre. Questo palazzo verrà incendiato tra non molto per eliminare tutti i cadaveri. – finì Guerra.
La giovane si alzò tenendo stretta la coperta e si mise a correre verso l’uscita, continuando a sussurrare la parola “grazie” ad ogni falcata.
Dal più alto tetto di Verde Campagna l’incendio del Palazzo di Du Blanche era uno spettacolo di terribile bellezza: scarlatte fiamme si levavano alte nel cielo scuro, indomite e voraci. I cittadini tentarono di spegnerlo, ma il fuoco alimentato dalla magia non si può spegnere con l’acqua.
l’incendio continuò fino alle prime luci dell’alba, e quando si estinse l’unica cosa rimasta erano le mura annerite. I quattro Cavalieri rimasero sul tetto a guardare il loro operato per tutta la notte, e la mattina se ne andarono così come erano arrivati, scomparendo nel nulla.
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I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse erano un gruppo di mercenari alquanto particolari, difatti sceglievano solo incarichi che prevedevano il punire chiunque avesse commesso un qualsiasi peccato grave.
Si facevano chiamare Morte, Carestia, Guerra e Pestilenza, così come i Cavalieri dei Testi Sacri erano denominati, ma essi erano solo soprannomi che usavano quando lavoravano. Ma i loro pseudonimi avevano un significato, difatti ognuno di loro possedeva uno speciale potere collegato al loro titolo.
Non era inusuale l’esistenza della magia nell’epoca del Regno di Omega, spesso nascevano bambini in grado di adoperarla, e tramite un allenamento potevano controllare i loro poteri.
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- Beh dai, la missione è andata bene stavolta. – esordì Pestilenza, mentre ripuliva la lama del suo scettro.
Avevano scelto di accamparsi per riposarsi dalla nottata in un piccolo bosco di betulle, appena fuori dalla valle. Il campo era stato allestito con quattro tende e un falò al centro, su cui era stato predisposto uno spiedo. Un coniglio grassoccio e un paio di pesci stavano cuocendo infilzati sull’asta, spargendo un ottimo profumo tutt’intorno.
Morte, Guerra e Pestilenza si stavano preparando al pranzo, mentre Carestia era andata a fare un giro di perlustrazione per scoprire cosa ci fosse lì vicino.
- Ma si, come sempre il piano è fallito ma alla fine abbiamo ucciso il bersaglio. Ottimo lavoro ragazzi! – continuò Morte, sciogliendosi i lunghi capelli castani dalla stretta dello chignon sulla nuca, che ricaddero dolcemente sulle spalle come tante onde brune.
- Sinceramente poteva andare meglio – si lamentò Guerra – potevamo uccidere solo il Conte senza spargere troppo sangue .- disse slacciandosi gli spallacci dell’armatura con alquanta difficoltà.
- Stai sempre a lamentarti! – rispose Morte – non ti va mai bene nulla! – il sarcastico sorriso sulle labbra le fece ridere entrambe.
L’elfa si avvicinò alla nana per aiutarla a levare la possente armatura di metallo che la proteggeva, ma un improvviso fruscio proveniente dalle loro spalle li fece mettere sulla difensiva: estrassero le armi e rimasero fermi ad aspettare, ogni loro muscolo era teso ed erano pronti ad attaccare. Il rumore proveniva da un cespuglio,e sembrava che qualcosa – o qualcuno – si stesse muovendo lì dentro.
Fecero un passo indietro, rimanendo sempre pronti ad attaccare, quando un enorme cinghiale montato da Carestia uscì allo scoperto, dimenandosi a destra e a sinistra e lanciando strazianti versi. Iniziò a correre verso i tre, che all’ultimo lo schivarono gettandosi di lato. Carestia era sul suo dorso, si reggeva con una mano al pelo dell’animale mentre l’altra stringeva l’impugnatura della sua spada, la cui lama era infilzata nella spessa pelle della bestia. Con un forte strattone tolse la spada dal dorso del cinghiale per poi conficcarla nel centro della sua grossa testa; la fiera cadde al suolo morta, frenando al’improvviso e catapultando Carestia in un fiumiciattolo poco più avanti.
Gli altri cavalieri si precipitarono esterrefatti a vedere l’enorme carcassa e ad aiutare la loro compagna, che giaceva seduta a gambe incrociate nell’acqua del rigagnolo, con il viso sporco di terra e le braccia piene di graffi e lividi.
- Stai bene!? – chiese preoccupato Pestilenza – vieni qui che ti curo quei tagli subito, prima che si infettino.
- Ma va’, sono due graffi. Guardate piuttosto che ho preso!!! – rispose euforica e senza preoccupazioni.
- Beh questo è molto meglio che un coniglio e due pesci!!! Finalmente un pranzo degno di tale nome – esordì Guerra, mentre aiutava l’amica a rialzarsi.
- Va’ ad asciugarti in fretta, o rovinerai la tua armatura.- disse Morte con fare neutrale.
mentre Pestilenza curava le ferite grazie a degli incantesimi, Guerra e Carestia si aiutavano a vicenda a levarsi le armature. Morte invece stava facendo a pezzi il cadavere del cinghiale, dividendo la carne in porzioni e mettendole in una borsa con del sale. Muoveva il coltello nel corpo dell’animale con maestria e movimenti precisi, facendo sembrare quel lavoro più semplice di quanto non fosse. La lama penetrava la carne con facilità come fosse burro, anche se essa era molto coriacea. Il sangue scorreva a fiumi, macchiando di cremisi qualunque cosa toccasse, eppure all’elfa non importava molto di sporcare la sua leggera armatura di cuoio o la sua pelle chiara. Quando ebbe finito andò al fiume a lavarsi via quel fluido scarlatto con la limpida acqua che scorreva placida.
Tornò all’accampamento con quattro grossi pezzi di carne tra le mani, grandi poco più della sua testa. I suoi compagni si erano finalmente tolti le armature e stavano scherzando tra di loro.
- Pestilenza mi aiuti?
Lanciò verso di lui le quattro bistecche, volteggiarono nell’aria per un paio di metri prima di fermarsi improvvisamente ad un metro dal terreno. L’umano stava puntando verso di esse il suo bastone, e la sfera verde sull’estremità brillava di una mistica luce. Un leggero movimento del polso di Pestilenza e i filetti si mossero fluttuando fino ad arrivare sopra il fuoco, dove si fermarono e rimasero sospesi nel vuoto.
- non ci resta che aspettare che si cuociano.
- Bene, ho una fame mostruosa. – disse Carestia leccandosi le labbra.
- Carestia che ha fame, non mi è nuova questa cosa – rispose Pestilenza, scatenando le risate di tutti.
- Ma adesso che abbiamo finito la missione possiamo tornare a usare i nostri nomi, capo?- chiese Guerra a Morte, dopo aver smesso di ridere.
- Sì, anzi dobbiamo. Abbiamo un paio di villaggi da qui a palazzo, se usiamo i nostri nomi nessuno saprà chi siamo.
- Oh bene. Mi fa strano venir chiamato Pestilenza così spesso – disse ridacchiando.
- Non che il tuo nome sia meno scomodo, Sumi – gli rispose la nana, facendogli un occhiolino.
- Fra vai a prendere il sidro? – chiese Morte all’altra elfa.
- Perché io?! Puoi andarci anche tu Eli! – rispose Francesca, con tono stizzito.
- Non vado io perché tu sai dov’è, io no. Non ho fatto io le borse degli alcolici. – le disse trattenendo la rabbia e mostrando una finta calma.
- Ah, l’amore tra sorelle! Che bella cosa vero Je? – scherzò Sumi con la nana.
- Oh si, bellissimo! – rise rumorosamente tirando una forte pacca sulla spalla del mago, facendolo cadere di lato.
Elisa fulminò i due che si stavano divertendo con uno sguardo gelido e si zittirono all’istante, guardando verso terra con il capo chino ma con un ampio sorriso dipinto sulle labbra. Francesca prese una borsa in cuoio da dentro la sua tenda, la portò al falò e la diede alla sorella con fare strafottente, per poi girarsi e tornare seduta accanto al fuoco. Elisa prese dalla borsa due bottiglie di Sidro EastWay e quattro boccali, diede un morso al tappo in sughero e lo tolse facilmente dalla bocca della bottiglia, producendo il classico suono sordo. Riempì ogni boccale quasi fino al’orlo, poi li passò ad ognuno dei suoi compagni di viaggio, che li presero e li portarono fino sotto al naso, assaporandone l’aroma dolce e penetrante.
- Si sente che è il miglior sidro di tutta Omega! – disse Francesca in un sospiro.
- Ed è anche il più costoso di tutta Omega, sinceramente potremmo evitare di spendere così tanti soldi in alcool ... – continuò Sumi, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
- Ma smettila. – borbottò Fra – Piace a tutti, inoltre i soldi non sono un problema e possiamo spenderli ogni tanto!!!
- Ma sì, che te ne importa se abbiamo scorte di alcool?! – continuò Jessica, dando man forte all’amica.
- Basta ragazzi – si intromesse Elisa in tono freddo, attirando su di sé le attenzioni del gruppo – dobbiamo brindare al nostro successo. – disse elargendo un caldo sorriso.
si misero tutti a ridere spensierati, per poi far cozzare tra di loro i bicchieri urlando “A noi!”. Passarono la giornata a scherzare, ridere e continuando a bere finchè non si ubriacarono e persero i sensi.
Era ormai sera quando Elisa si svegliò, tastandosi le tempie con entrambe le mani per il forte mal di testa. Si mise seduta a gambe incrociate e cercò di riprendersi un attimo. Nel frattempo anche gli altri si svegliarono, e sia Sumi che Francesca avevano un terribile mal di testa, a differenza di Jessica che invece sembrava molto riposata.
- Tu e il tuo sangue da nano – rantolò Francesca, mentre il capo le sembrava sul punto di esplodere – avrai più alcool che sangue nelle vene!
- Noi nani siamo abituati sin da piccoli a resistere al vino e agli alcolici. Sopportiamo sbronze ben peggiori di queste – si vantò mettendosi in piedi e incamminandosi verso la sua tenda.
- Che fai, dormi? – le chiese di nuovo l’elfa.
- Preparo il mio zaino, dobbiamo partire ricordate?
Un sospiro uscì dalle bocche dei tre seduti a terra che cercavano di rimettersi in piedi.
- A me neanche piace ubriacarmi, è sempre colpa vostra – si lamentò Sumi, reggendosi in posizione eretta con il bastone magico e parlando a singhiozzo.
- Eppure sembrava ti stessi divertendo – sibilò Elisa – quindi smettila di lamentarti. E fra, cerca di alzarti avanti! – disse alla sorella, che si era sdraiata a terra mentre tutti erano in piedi.
Elisa prese Francesca per le braccia e la tirò verso di sé, come fosse un sacco di patate. L’elfa si mise in piedi e barcollante raggiunse la sua tenda come fecero anche gli altri due.
La borsa di Morte era uno zaino in cuoio, non molto grande, con disegnato sopra un teschio con un serpente che gli usciva da un occhio e si avvolgeva sul cranio. Le cose da mettere via non erano molte: un paio di vestiti, calze e guanti di pelle, in più doveva starci la tenda e la stuoia per dormire. Stava piegando i vestiti quando Sumi entrò nella momentanea abitazione, dicendo un “toc toc” per chiedere il permesso.
- cosa c’è sumi? – chiese l’elfa senza girarsi, continuando a piegare il suo vestiario.
- volevo solo chiederti se va tutto bene, è da un paio di giorni che ti vedo fredda … distante. – il tono con cui parlava era alquanto preoccupato – tutto bene?
- Purtroppo no, non va bene. – disse smettendo di lavorare - Sento che qualcosa di orribile sta arrivando, non sono sicura di essere pronta a fronteggiarlo ...
Prima che finisse di parlare si trovò stretta in un vigoroso abbraccio, rimanendo alquanto sorpresa.
- Ti ricordo che non sei sola, hai degli amici che sono sempre pronti ad aiutarti, e se dovesse capitare qualcosa noi ci saremo. Quindi levati quel broncio dalla faccia, non ti si addice. – dopo aver detto ciò la lasciò andare.
- Hai ragione, non dovrei preoccuparmi. Grazie Sumi – rispose con un largo e sereno sorriso, congedando l’amico che uscì con poca agilità dalla tenda.
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Angolo dell'autore:
BuonSalve a tutti i lettori!
Allora, ci tengo a dire che questa storia nasce come regalo di natale alle mie migliori amiche (mi rendo conto di avere più amiche femmine che maschi, ma va benissimo così [sì sono povero e come regalo scrivo storie]) e in particolar modo a Elisa, a cui ho affidato il ruolo di protagonista.
Bene, spero vi sia piaciuta e vi invito a lasciarmi una recensione per sapere cosa ne pensate.
Al prossimo capitolo! |
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Capitolo 2 *** II. Superbia ***
Sumi ricordava perfettamente il giorno in cui incontrò Elisa, anzi il giorno in cui lei lo conobbe, quattro anni prima.
Era il guaritore e il capo religioso di un clan di barbari, il suo culto si fondava sull’adorazione dei Nove Dei che rappresentavano gli avvenimenti della natura: I Primi Quattro, ossia Gorgath, Mand, Yume e Betiy erano coloro che controllavano le stagioni, dalla Primavera di Gorgath all’Inverno di Betiy; I Minori Due Tuma e Poida invece erano il Sole e la Luna; i Secondari Tre erano Domino, Korf e Nepky e rappresentavano i regni di Animali, Piante e Umani.
Il suo clan, i Barbari dell’Orso, era un gruppo di bruti nomadi che si spostavano attraverso i Regni razziando i villaggi di contadini che trovavano sul cammino che Sumi leggeva nelle rune. Viveva per servire i suoi Dei e per curare le persone malate, il tutto con umiltà e bontà. Era un uomo alquanto giovane per avere quel pesante incarico sulle spalle, a soli sette anni scoprì il dono della magia, a dieci già aveva la padronanza di molti incantesimi, a diciotto rase al suolo un villaggio da solo e a venti venne incaricato dal precedente sacerdote di continuare il suo compito, rinunciando per sempre alla violenza. Era alquanto alto e di corporatura alquanto importante, in parte nascosta dalle tuniche e dalle lunghe vesti che era solito indossare. I lunghi capelli e gli occhi erano dello stesso color cioccolato, e la pelle alquanto chiara per essere un barbaro.
Ma un giorno qualcosa lo cambiò.
Una strana malattia si diffuse in tutti i regni, mietendo numerose vittime. L’epidemia colpì pure il Clan dei Barbari dell’Orso, iniziando a decimare i bambini e gli anziani. Sumi passava allora le sue giornate a eseguire rituali, fare incantesimi e pregare gli Dei affinché trovasse una cura per la sua gente.
Ma non vi fu mai una risposta.
Il Clan si stava rimpicciolendo ogni giorno di più, e quando l’ultimo cacciatore si ammalò iniziarono anche a morire di fame. Alcuni arrivarono a mangiare i cadaveri di color che erano morti, aiutando il dilagare del morbo.
Fu allora che il Guaritore decise di andare contro al suo credo. Iniziò brutali esperimenti sui malati e su coloro che erano ancora sani, finendo per impazzire.
Ogni giorno prendeva un malato e tramite alcuni incantesimi gli strappava il cuore dal petto, lasciando il malcapitato vivo e dolorante legato su di un tavolo. Con la magia sostituiva l’organo con oggetti incantati, trasformando la persona in un essere a metà tra la vita e la morte.
Le persone che trasformava non avevano più la malattia, e allora iniziò a uccidere chiunque incontrasse per farli diventare creature immuni a questa.
Finché il morbo non colpì pure lui.
Macchie nere comparvero sulla sua pelle, sangue nero sgorgava dai suoi occhi e lentamente i suoi muscoli si paralizzavano. Costretto ormai a strisciare tra i cadaveri delle persone che aveva inutilmente ucciso, tentò di pregare i suoi Dei ancora una volta.
Chiedendo perdono e salvezza, l’unica risposta che sentì rimbombargli nella testa fu : “Non puoi chiedere il perdono per qualcosa che non hai fatto.”
Non capiva il motivo di quelle parole, aveva ucciso delle persone e le aveva fatte diventare esseri vuoti, perché gli Dei gli dicevano questo?
Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, ma non poteva morire lì. Si trascinò fino a fuori l’accampamento, situato in un’ampia radura in mezzo ad una foresta, appoggiò la schiena ad un albero e con l’ultima energia rimasta pronunciò arcane parole magiche. In qualche secondo, tutto il villaggio iniziò a bruciare in un fuoco verde.
- Adesso, Dei, mi perdonate?
Lasciò cadere la testa sul legno dell’albero, sbattendo lentamente le palpebre mentre fissava la sua vita bruciare. La paralisi iniziava a prendergli pure il tronco, e il braccio sinistro era ormai andato. Grumoso sangue nero scendeva copioso dai suoi occhi, ma si rifiutava di morire in quel modo.
Prese il coltello sacrificale che portava alla cintura con la mano destra, e con estrema difficoltà se lo portò fino al petto.
Prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e si infilzò la lama nel cuore.
“Non puoi chiedere il perdono per qualcosa che non hai fatto”
Quelle parole rimbombavano nell’oscurità.
“Non puoi chiedere il perdono per qualcosa che non hai fatto”
Ma stavolta la voce non era eterea come quella degli Dei, era una voce femminile che gli parlava chiaramente.
“Se ti salvo dalla morte, tu mi seguirai?”
Chi era a parlare? E dove si trovava in quel momento? Era circondato dal buio più assoluto, e gli sembrava di star fluttuando.
“chi sei?” chiese insicuro.
“Tu rispondimi prima.”
Non riusciva a sentire nulla, né il dolore che poco prima lo attanagliava né la paura della fine. Che quell’oscurità fosse il regno dopo la morte, invece che la Foresta dei Sogni dei suoi Dei?
“Mi stai dicendo che sono morto?!” la sua voce tremante tradiva il coraggio che fingeva di avere. Cercò di muoversi, di agitarsi, ma era come avvolto in mare di miele. Non sentiva i muscoli tendersi, gli occhi girare nelle orbite, l’aria passare nelle narici.
Era parte di quel buio.
“Non ancora. Sei bloccato in una sorta di limbo, in attesa di venire giudicato da me. Posso offrirti una nuova vita, ma dovrai seguirmi.”
Quella voce rimbombava in tutta l’area, senza una precisa fonte, e si esprimeva con tono fermo e quasi severo.
Sumi non sapeva cosa fare, poteva essere giudicato da questa e aspirare a un oltretomba, oppure riprendere a vivere e cancellare il suo passato.
In quel momento lasciò definitivamente il suo credo.
“Va bene, ti seguirò. Ma dimmi chi sei.”
Era sicuro di quello che diceva, voleva lasciarsi tutto alle spalle.
“Benissimo. Ti riporterò in vita, e in cambio voglio che tu mi aiuti a eliminare i peccati da questo mondo. Io sono Morte.”
Appena finì di parlare tutto sembrò precipitare. Il nero cadde verso il basso come vernice, lasciando posto ad una luminosa luce bianca che inondava ogni cosa.
Il mago si svegliò in un letto di paglia, il corpo era totalmente indolenzito e riusciva a malapena a muoversi. Girò con fatica la testa, cercando di mettere a fuoco ciò che vedeva. Ciò che all’inizio appariva come una tavolozza di colori di un pittore lentamente si trasformò in una colorita tenda. Era alquanto spaziosa, oltre al letto c’era un grosso tavolo in legno scuro che occupava il centro della stanza su cui vi erano riposte alcune boccette di vetro, contenenti chissà quali pozioni.
Sollevò a stento il braccio sinistro, che fino a poco tempo prima non riusciva più a muovere, e notò con meraviglia che tutte le macchie nere presenti sulla pelle erano scomparse, fatta accezione per una sul dorso della mano. Guardò pure la destra, e vide che pure su quella era presente un’unica chiazza scura.
- Purtroppo non sono riuscita a toglierle tutte, ma poco male. Ti ricorderanno chi sei ora.
Si girò di scatto, causandosi uno strappo al collo, e vide che sull’uscio della tenda vi era una giovane elfa, dalla corporatura esile ma tonica, vestita con un giubbino di cuoio che le andava a pennello; una cintura di pelle le pendeva dalla spalla destra e le cingeva il petto, e su di essa vi erano riposti un paio di coltelli dalla lama lunga e ricurva messi in bella mostra. I pantaloni aderenti mettevano in risalto le sue lunghe e affusolate gambe, e ai piedi indossava un paio di stivaletti di cuoio di ottima fattura.
i suoi capelli, di un colore castano come il legno, cadevano come dolci onde sulle sue spalle formando come una cornice per un viso delicato e dalla pelle chiara, fatta eccezione per due occhi color smeraldo che sembravano brillare.
- Tu … Tu chi sei? – pronunciò quelle parole con un filo di voce roca, e in un lampo la gola gli si asciugò completamente.
- Sono Elisa, Ranger del Clan elfico di AltoBosco. Ma tu già mi conosci, mi sono fatta chiamare Morte.
Sentendo quelle parole Sumi capì subito che lei era colei che gli stava parlando nel limbo. Eppure era totalmente diversa da come se l’era immaginata, la voce gentile e il viso sorridente non potevano appartenere alla stessa persona che prima gli aveva parlato.
- è meglio se riposi adesso, ti verrà spiegato tutto ma devi riprenderti. Non è stato un viaggio facile il tuo. – Si avvicinò con passo felpato, tolse delicatamente la coperta da sopra di lui e scoprì il suo petto, completamente ricoperto da fasce tinte di uno spento rosso.
- Vanno cambiate, credo per l’ultima volta. Non trasudano più sangue come prima.
Estrasse con fulminea velocità il pugnale dalla cintura e tagliò le bende, senza fendere la fragile pelle sottostante.
Il tessuto cadde sui lati del corpo, mostrando la pelle sporca di sangue e con una grossa cicatrice ricucita sul cuore.
Elisa andò a prendere altre fasce sul tavolo, tornò indietro e iniziò ad applicarle di nuovo sul corpo dell’umano. Stendeva un pezzo e poi lo tagliava, poi ricominciava finchè non creava più strati di tessuto.
Quando ebbe finito passò la mano a qualche centimetro dalle fasce, muovendola piano e recitando misteriose parole in qualche antica lingua. Un leggero fumo nero uscì dalle sue dita e si posò sopra le bende, per poi venire assorbito dentro di queste e renderle dure come la pietra.
- Bene, ora dormi per un paio di giorni e poi vedremo di parlare per bene, ok? – gli disse sorridendo e con un tono tranquillo.
Gli tirò le coperte fino al collo e uscì dal tendone senza far alcun rumore, lasciandolo nuovamente solo.
Nuovi pensieri s’insinuavano nella sua mente, ma nemmeno questi riuscirono a tenerlo sveglio e, nel giro di qualche minuto, si assopì in un profondo sonno.
Si risvegliò tre giorni dopo, nello stesso letto e nella stessa tenda. Si sentiva riposato e aveva riacquistato la sensibilità in tutto il corpo, difatti riusciva a muoversi tranquillamente. Riguardò le sue mani, soffermandosi preoccupato su quelle due macchie nere. Passò poi al petto, notò che non vi erano più le bende e che aveva dormito senza alcuna maglia; la pelle aveva preso un colorito naturale e la cicatrice si era chiusa perfettamente. Si mise seduto nel giaciglio e osservò di nuovo il posto in cui era: vide che il tessuto con cui era fatta la tenda aveva un intricato disegno di un’edera verde ricamato su uno sfondo arancio e che era di pianta ottagonale; ad ogni angolo vi era un palo in legno alto all’incirca due metri, e al centro ve n’era uno alto almeno il doppio, che segnava il punto più alto del tendone. Il telo era stato messo su quest’ultimo e poi venivano tese delle corde dall’apice fino ad ogni palo, per dare più rigidità alla struttura. L’ingresso era un semplice arazzo di colore rosso appeso al telo principale tramite sue chiodi, e per entrare bastava spostarlo con una mano.
Provò ad alzarsi in piedi, ma non appena si staccò dal letto ricadde indietro sulla coperta di lana, capendo che doveva ancora riprendere dimestichezza con le gambe e l’equilibrio.
Mentre cercava di rimettersi a posto sotto la coperta entrò una ragazza, anche lei era un elfa ed era molto simile a Elisa, anzi se non fosse stato per i capelli corti era perfettamente identica.
- Oh ti sei svegliato finalmente! – disse euforica – Così mia sorella ha scelto te eh? Chissà perché. Io comunque sono Francesca, ma tu puoi chiamarmi anche Carestia. – si avvicinò a lui e gli porse la mano da stringere con semplicità, mentre mostrava un innocente sorriso.
Lui le strinse la mano con incertezza, fissandola un po’ stupito.
- Piacere Francesca, sono Sumiri e … e non so perché sono qui.
-Oh è semplice, mia sorella sta reclutando quattro persone per poter purificare questo mondo dai peccati che lo affliggono. – disse sedendosi a terra, accanto al letto. Il tono con cui lo disse fece sembrare l’argomento una cosa leggera, quasi uno scherzo.
- Ehm, come? - chiese pensando di aver capito male.
- è semplice, devi solo uccidere le persone che hanno commesso peccati molto gravi. Se riesci a prendere un po’di soldi è anche meglio. – disse ancora con leggerezza.
- Continuo a non capire. – rispose ancora, confuso.
- Oddio si vede che esci da quattro giorni di dormita pesante! – enunciò, quasi esasperata – ti vado a chiamare mia sorella, ha un po’ più di pazienza con le persone. – si alzò da terra con un salto e uscì dalla porta quasi correndo.
Sumi si passò le mani sul viso, cercando di far mente locale su ciò che gli era appena stato detto. Appena tolse i palmi da davanti gli occhi si ritrovò Elisa seduta su una sedia accanto a lui, come se fosse lì da chissà quanto tempo a fissarlo.
- Buongiorno! – disse sorridendo
- Buongiorno – rispose fallendo nel riprodurre lo stesso entusiasmo. – Tua, ehm … sorella, credo, mi ha detto delle cose ma non le ho capite poi molto.
- Non è così brava a spiegare, né a capire le cose. È molto migliore nel metterle in pratica. – rispose pensando molto alle parole che usava. – comunque ora ti spiego cosa è successo. Innanzitutto ti dico che io sono stata scelta per rappresentare la Morte tra i mortali, mentre mia sorella Francesca è stata scelta per rappresentare la Carestia. Il nostro compito è quello di trovare gli ultimi due Cavalieri dell’Apocalisse per poter eliminare un grosso male che si annida in questo mondo, e per farlo dobbiamo innanzitutto eliminare coloro che hanno commesso gravi peccati nella loro vita. Quando sono stata scelta per questo compito, mi sono stati dati dei particolari poteri che mi rappresentano, e in particolare posso scegliere di condannare o assolvere un’anima morente. Eravamo nelle vicinanze del Clan dei Barbari dell’Orso quando ho percepito una particolare anima spegnersi, la tua. – con queste ultime parole, il volto di Sumi improvvisamente s’incupì.
- Perché la mia è particolare?
- Perché tu sei stato scelto per rappresentare il Cavaliere di Pestilenza. L’epidemia che si è diffusa è stato l’inizio dei tuoi poteri che si sono risvegliati, ma tu non sapendolo non hai potuto controllarli e si sono rivolti contro di te.
- Chi lo sceglie? – la voce dell’umano si era fatta dura - Chi sceglie a chi affidare questo compito?!
Elisa distolse lo sguardo, rimanendo in silenzio per qualche istante.
- Non lo so.
A quella risposta Sumi tirò un profondo sospiro di sollievo.
- Sempre meglio che “Gli Dei”. Preferisco non sapere da dove derivi questo incarico. Puoi continuare.
- Come stavo dicendo, la tua anima stava abbandonando il regno dei vivi quando io l’ho fermata, intrappolandola in un limbo per decidere se assolverla e farla ritornare nel tuo corpo o condannarla all’oltretomba. Fortunatamente hai fatto la scelta giusta. – concluse ritornando sorridente.
- Quindi cosa devo fare?
- Da domani inizierai ad allenarti al combattimento, credo che tu sia un mago giusto?
- Sì, ma ho usato la magia principalmente per guarire, è da anni che non la uso per combattere …
- Non ti preoccupare, imparerai di nuovo.
Detto questo Elisa si alzò in piedi e si incamminò verso l’uscita. Con il braccio destro scostò l’arazzo e poi si voltò verso Sumi.
- Domani ti sveglierai alquanto presto e passerai la mattinata a ri-allenare i muscoli. Poi dovrai costruirti un bastone magico e inizierai a lanciare incantesimi. Preparati! – disse disinvolta, per poi uscire dalla tenda.
Sumi rimase lì nel letto a pensare, immergendosi nei meandri della sua mente fino a che non fu troppo stanco per continuare a preoccuparsi. L’ultimo dubbio che gli venne fu “Ma quando è stata l’ultima volta che ho mangiato?” e poi crollò esausto.
Dal giorno successivo iniziò il suo allenamento, da lanciare incantesimi a combattere corpo a corpo. Imparò inoltre a combattere con il bastone e ne creò uno tutto suo, fatto di legno di quercia al cui apice vi era incastonata una sfera di resina magica, che risplendeva alla luce del sole si illuminava ogni qual volta Sumi utilizzava un incantesimo. Decise inoltre di mettere sul fondo una lama di una vecchi falce, riforgiata dal fabbro del Clan Elfico per essere indistruttibile e per non perdere mai l’affilatura.
Passavano i mesi e il rapporto tra l’umano e le due elfe si stringeva sempre di più, e in breve tempo divennero amici molto stretti.
E ora erano lì, appena dopo una missione per il Re in persona, a prepararsi per andare a prendere la lauta ricompensa che li spettava.
Non si sarebbe mai immaginato di arrivare fino a quel punto, ma fortunatamente qualcuno lo aveva salvato tempo addietro dal nulla.
Elisa aveva finito di sistemare le sue cose nella borsa e aveva iniziato a smontare la tenda quando un sottile suono la fece fermare. Nessuno oltre lei sembrava essersene accorto, eppure lei aveva chiaramente sentito qualcuno che estraeva una lama dal fodero non molto lontano dal campo. Guardò i suoi compagni e vide che tutti erano impegnati a mettere a posto, e quel rumore doveva per forza essere di qualcuno che si aggirava nel fitto della foresta. Tenendo salde le mani sui suoi coltelli si incamminò verso l’oscuro bosco con passo lento, guardandosi attorno a ogni falcata. All’improvviso si abbassò di colpo, schivando il fendente di una spada che le passò a pochi centimetri sopra la testa. Estrasse i pugnali e scattò in avanti tenendo le lame davanti a sé. Queste cozzarono contro la spada di prima, producendo un suono che mise sulla difensiva anche gli altri Cavalieri. Con un salto mortale all’indietro Elisa si allontanò dal nemico, e ora poteva vederlo per intero: era un guerriero coperto da un’armatura nera come la notte e che brandiva una lunga spada d’acciaio scintillante.
- Chi sei!? – gli intimò Morte.
- Tempi oscuri stanno arrivando, e voi non siete concentrati. – rispose una voce maschile grave e imponente, rimanendo freddo e distaccato - Ci incontreremo di nuovo, e per allora spero potremo combattere dalla stessa parte.
- Ti ho fatto una domanda – si impose l’elfa
- Lo scoprirai. Sappi solo che non siamo nemici, stasera ho voluto sperimentare la vostra prontezza, e a parte te gli altri non valgono molto. – rispose vaneggiando.
Il soldato stava mettendo via la spada quando fu circondato da un denso fumo nero che gli impediva di vedere. Fece un passo indietro e un forte dolore lo colse al fianco, facendolo barcollare. Tastò il punto dolorante, e si accorse che in quei pochi millimetri dove due pezzi di armatura si congiungevano stava sanguinando parecchio. Si voltò di scatto impugnando di nuovo la sua lama, fece un passo ancora e pure sull’altro fianco si aprì un profondo taglio, che lo fece piegare in due. Guardò davanti a sé e vide che il fumo era sparito, e ora una lama ricurva brillava alla luce della luna davanti al suo elmo.
- Non prenderti mai più gioco di me o dei miei amici o finirai molto male. – lo minacciò Elisa con uno sguardo infuocato e reggendo il pugnale con mano ferma.
- Sei tanto attaccata a loro, ma sai bene che alla fine non potrai risparmiare nessuno. Mi fai pena. – le rispose acido.
L’elfa fece mezzo passo indietro, poi tirò un forte calcio sotto il mento dell’uomo, facendolo ribaltare.
- Vattene e non farti più vedere – lo intimorì.
Senza dire nulla si alzò in piedi e barcollante scomparve tra gli alberi del bosco. Elisa rinfoderò le sue lame e fece ritorno all’accampamento dove i suoi compagni la stavano aspettando con le armi sguainate e pronti ad agire.
- Che è successo!?- chiese Francesca stupita non appena vide la sorella sbucare fuori dall’oscurità del bosco.
- Nulla, uno si era perso e voleva fregarmi dei soldi. – disse quasi ridendo. – ma piuttosto, perché voi non siete intervenuti?
- Ci hai sempre detto di aspettare il tuo segnale prima di agire, così siamo rimasti in attesa. – rispose Jessica appoggiando la sua grande ascia a terra.
Elisa guardò con la coda dell’occhio il buio del bosco, pensando a cosa quel cavaliere gli avesse detto poco prima.
“Tu non sai quanto noi valiamo” pensò dura.
- Allora mi ascoltate quando parlo! – disse riacquistando buon umore. – muoviamoci a mettere via tutto che un grosso sacco d’oro ci aspetta!!!
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- li hai trovati? – la grave e severa voce del Comandante rimbombava in tutta la sala.
- Sì Comandante Krept, avevate ragione … - Il cavaliere era inginocchiato davanti al tavolo del Comandante e gocciolava sangue dalle fessure dell’armatura, mentre parlava colto da un profondo senso di vergogna.
- Te l’avevo detto di non metterti contro di loro, idiota! – gli urlò addosso il grosso uomo, seduto sulla sua sedia. – Pensi che sono pronti a combattere in questa Guerra?!
- Penso di sì, ma non combatteranno mai per noi.
- Oh credo che invece accetteranno. – disse Krept, mettendosi comodo sulla sedia. – Perché se non lo faranno li ucciderò uno ad uno.
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Angolo dell'Autore:
Cialve di nuovo a tutti!
Allora, il secondo capitolo è uscito in fretta perchè l'avevo già scritto prima di far uscire l'uno, quindi non aspettatevi troppo che escano velocemente '^^
precisazione1: Morte può assolver/condannare le anime solo se sono sufficientemente vicine a lei (in termini proprio di metri), e non è l'unico potere che ha.
precisazione2: la lama di falce del bastone di Pestilenza non è attaccata come su una normale falce, bensì la lama segue il bastone. non so spiegare bene come, ma diciamo che la base è piatta ed è direttamente attaccata al vertice del bastone. segue la sua linea, così : o-----------
... non so nemmeno disegnare con word. ottimo.
va beh, vi invito come sempre a lasciare una recensione per sapere che ne pensate, al prossimo capitolo! |
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