Do you want to know a secret?

di TataTatosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Do you want to know a secret? ***
Capitolo 2: *** Come sei, maestro? ***
Capitolo 3: *** Pioggia e sguardi ***



Capitolo 1
*** Do you want to know a secret? ***


“E lui, cos'ha fatto?”

Sorrise appena e impercettibilmente, Paul, alla domanda intima di Geo; nascose le labbra tirate tra le mani, come se si stesse scusando con il suo volto sceso per l'intrusione di quelle rughette allegre, che ancora ricordavano quelle sessioni intense di registrazioni e battute felici.

“Cos'ha fatto?!” la domanda dell'amico ed interlocutore fidato riecheggiò sulla sua bocca asciutta, tanto che si vide costretto a passarci in mezzo la lingua per umettarla un po', per renderla pronta a pronunciare quelle parole pesanti che gli vibravano in corpo.

“Niente, lui era lì, per tutto il tempo.
Si saziava di cose che gli regalavo a distanza, con gli occhi.
Prendeva posto su quel giaciglio di sogni che preparavo per lui ogni volta che sedevamo nella stessa stanza.
Lo ricoprivo di sorrisi sinceri solo per vedermeli restituire, e Dio solo sa quanto vagabondavo in quelle labbra...” fu davvero difficile per Paul ammettere tutto quello che gli solleticava l'anima al solo pensiero di John; neppure il formicolio alle mani gli permise di indugiare oltre.

“Si lasciava amare, in poche parole. Senza saperlo”.

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Capitolo 2
*** Come sei, maestro? ***


Non ci sono parole. Ne trovo sempre meno e sono del tutto scontate, quando cerco di definire quello che i miei occhi vedono ciò che il cuore brama.

Parlo delle sue mani.

Già, due mani, due arti completamente autonomi, che con i giusti movimenti solleticano le mie più nascoste fantasie . Lui stava imbastendo qualcosa; un surrogato della sua arte con lo strumento che l’ha reso speciale. Comunque, non riuscivo a seguire quella fottutissima spiegazione, non che fosse poco interessante – figuriamoci, tutto ciò che esce da lui, mi verrebbe da soppesarlo e convertirlo in oro da indossare, se fosse possibile – è che proprio pensavo alle sue mani.

Accarezzavo con gli occhi le sue dita svelte; lasciavo camminare la mia  sfacciata cupidigia sui suoi pollici, ed ho immaginato di dirgli “vorrei succhiarti il pollice, così, perché credo sia un atto estremamente erotico” e mi son leccato il labbro superiore, per rinfrescare la scottatura che mi si stava creando tutta in volto.  Vorrei guardarlo negli occhi, mentre lo faccio, perché so di essere bravo;  perché so che di lì a breve mi chiederebbe di succhiargli il cazzo allo stesso modo, ed io…non aspetto altro.

Eppure, neanche la mia pervicace ragione è riuscita a imbrigliare il flusso di immagini che mi scorrevano sulla retina, nell’istante in cui lui, John – cazzo, il suo nome mi corrode le viscere – giocava con le corde della sua chitarra come se stesse  prendendo a pizzichi le guance di qualcuno.  Ho anche fantasticato di sedermi su di lui, scosciato come una troia pronta e insalivargli un lembo di pelle che gli moriva nel colletto; la mia lingua avrebbe sicuramente festeggiato.

Lui, intanto, ripeteva a voce alta e chiara le note della scala cromatica, interessante – davvero – ma non ho potuto  fare a meno di accennare un risolino forzato.

“Perché ridi, McCartney?” chiese  attraverso le lenti tonde che gli nascondevano il disappunto “mi fai sentire inadeguato”

“Ehm, mi scusi, maestro” risposi affogando nelle mie giustificazioni più assurde, in realtà era solo un mio modo per parlargli, per dirgli “ehi, di queste spiegazioni non me ne fotte un cazzo, è te che voglio” ma sono stato zitto, subissato dalla mia stessa vergogna, anelando quelle mani belle e piene sondarmi il corpo, morirmi sui fianchi e spingermi con decisione verso il suo basso ventre.

Per affondarmi il suo cazzo dentro.

Per farmi sentire com’è uomo; per farmi sapere com’è quando si dedica a qualcun altro che non fosse una semplice donna.

E mentre pensavo “la tua Yoko come ti scopa?!” lui pose fine alla sua spiegazione, convinto di esser stato esaustivo leggendo sul mio volto il più falso cenno di assenso.

Nella mia mente, invece, lui venne ed io pure ;  seppellendo la mia testa tra i suoi capelli ramati circondandolo con le braccia. In effetti, il desiderio di abbracciarlo è forte; è come un sapore intenso impregnato in bocca, qualcosa che resta anche il giorno dopo.

Mi sono chiesto, per tutto il tempo, com’è poterlo amare davvero e non come lo amo io, da lontano. Com’è la sua donna quando la scopa, cosa sente quando il piacere gli tocca il cervello e gli urla negli occhi; su quale lato del letto ripone i suoi sogni...

Vorrei saperlo, per non essere impreparato nel caso accadesse sul serio.

 


Salve, popolo Beatlesiano.
​son talmente rimasta affascinata da John e Paul che non ho saputo resistere, ho scritto altri missing moments AU su di loro ed ho ritenuto opportuno ficcarli qui, in una raccolta (:
​spero appreziate, un bacio (:

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Capitolo 3
*** Pioggia e sguardi ***


Pioggia.
Gocce spesse e grigie, di quelle che lavano i vetri delle auto troppo sporche, di quelle che fanno scivolare via i pensieri dalla testa; di quelle che ti fanno stringere nel cappotto per impedire che l’acqua spenga il fuoco che hai dentro.
Paul, raggomitolava il naso nel colletto alitandosi sul petto.

 “Dannata pioggia” sussurrò appena con gli occhi fissi sulla pozzanghera che stava per inghiottirlo e, a gran passi s’apprestava verso quel cancello in ferro battuto che lo invitava a perdersi tra lezioni di chitarra e d’amore.  Ogni volta che il sapore di una nuova lezione con John s’insidiava tra le sue meningi , il cuore gli accorciava il respiro e gli allungava i passi. 
Deglutì, a malapena ed alzò la testa; qualcosa gli vibrò in tasca, e quando si accorse che non era il cuore ad essergli scivolato fin lì, prese in mano il cellulare.

Una notifica di gruppo,  e persino il pollice fu troppo imbarazzato per cliccare sul messaggio che John aveva inviato a tutti i suoi colleghi: “ Vi aspetto al bar” scrisse il maestro e, a quanto pare, quelle quattro parole allineate furono abbastanza da permettere a Paul di scansarsi dalla coltre di calore umano tristemente prodotto da se stesso ed invertire la camminata in direzione del bar, il solito. Avrebbe tardato, ma si disse che forse sarebbe stato meglio così.
 
Non vi si presentò nessuno…nessuno meno che lui, il quale vedeva, osservava dall’altra parte della vetrata una sagoma intenta a gustare il sapore del caffè appena pronto; un aroma che riuscì ad estendersi fino alle sue narici rendendo l’aria più buona; quasi familiare.

“Buongiorno, maestro” masticò Paul e John si voltò.

Bello, un po’ assonnato e con ancora il bordo della tazzina attaccato alle labbra; era goffamente dolce e questo, a Paul fece colorare il naso.

“Ciao McCartney” gli rivolse nel suo tono denso e profondo;  una scioglievolezza per le viscere impreparate di Paul, che a stento seppe accennare il contorno di un sorriso.

Il moro continuava a covare per lui un amore in gran segreto, un sentimento che gli tirava e allentava le budella come una fisarmonica. Chissà se John, in quei silenzi caotici si accorgeva di un tale trambusto, pensò Paul.

Non ci fu imbarazzo o timore nel non aver null’altro da aggiungere. Probabilmente, il silenzio era la cosa che meglio si addiceva ad una situazione come quella, dove il minimo sospiro avrebbe infranto la fragile linea di confine tra la professionalità e la confidenza più spinta e questo Paul non poteva permetterlo. Nemmeno quando implorava, scongiurava se stesso di  innamorarsi di qualcun altro che non fosse lui.
 
John diede un’occhiata rapida all’orologio che segnava le nove e un quarto; la non presenza di altri allievi lì, fece presagire che fossero già tutti in aula, per cui, si vide costretto a proferire un secco “Sarà meglio andare, adesso” non prima di aver posato quattro pound al cassiere.
 
Portò la sua imponente figura fuori da quel posto, lasciando una scia di profumo muschiato che inebetì Paul fino all’inverosimile e che ancora stava lì, sognando tutte le parole che avrebbe potuto dirgli, ma che morirono in fondo alla gola.

“Allora, McCartney” lo redarguì il maestro “mi segui?” lo pregò richiamandolo all’attenzione guardandolo dritto negli occhi.

La potenza di quello sguardo ebbe un effetto devastante su Paul;  avrebbe voluto avere le parole adatte per saperlo descrivere a George, l’indomani.  Gli sembrò che, improvvisamente, tutto il sapere a sua disposizione fosse scivolato sotto a quel paio d’occhi ambrati che, per un attimo, si voltarono per convincerlo.
Paul si sciolse, perché ci vide qualcosa, ci ha visto affetto, ci ha visto un “mi incuriosisci”; ci ha visto un “io e te ne faremo di strada assieme” . 

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