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di Chiaroscura69
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Jack ***
Capitolo 2: *** 2. Famiglia ***
Capitolo 3: *** 3. Incubi? ***
Capitolo 4: *** 4. La mano nera ***
Capitolo 5: *** 5. Il TEMPO ***
Capitolo 6: *** 6. L'Interrogazione ***
Capitolo 7: *** 7. Una discussione diplomatica ***
Capitolo 8: *** 8. Paul ***
Capitolo 9: *** 9. Rivelazioni ***



Capitolo 1
*** 1. Jack ***


Era una gelida giornata nella scuola di Outfeet nel Nevrasca a causa del continuo maltempo , ma gli studenti non si facevano trovare impreparati. Tutti erano imbacuccati in grossi giubbotti di lana,berretti, guanti, sciarpe, e ognuno di loro era immerso in una conversazione diversa, che li distraeva da quel tempo avverso. Per questo motivo l'arrivo di Jack fu notato subito. Non aveva un giubbotto di lana, o un berretto, o dei guanti, e nemmeno una minuscola sciarpa, ma anzi, il suo abbigliamento consisteva in una camicia a maniche corte a motivi quadrati e dei semplici pantaloni che gli arrivavano al ginocchio. Era evidente a tutti che quel ragazzo fosse un ribelle, anche solo dal suo abbigliamento. Probabilmente anche il preside dovette pensarla così, visto che dalla prima volta che lo vide entrare, lo tenne sott'occhio per tutta la sua permanenza ad Outfeet. Tutti noi immaginammo che il preside l'avesse presa come un'offesa personale, quella sua balzana idea di ribellarsi al freddo infatti ad Outfeet chiunque cercasse di ribellarsi o semplicemente di distinguersi, era malvisto. Più sei nella norma,più sei rispettabile; questo era il motto comune. Così, bastava ben poco per farsi additare come 'diverso'; bastava esprimere la propria opinione e che essa fosse differente da quella comune,oppure bastava mettere la sciarpa del colore sbagliato, quella che non usava nessuno, o quella che non piaceva a nessuno. Odiavo questa mentalità. Odiavo dovermi uniformare. D'altronde chi non nasce da avvocati o da dentisti non può sempre permettersi le cose che hanno tutti. Forse fu per questo che appena vidi Jack iniziò subito a starmi simpatico,e quando scoprii che era in classe con me, non so perché ma mi sentii più libera di essere me stessa. Avevo grandi aspettative per quel ragazzo che sembrava uscito da un altro pianeta! Per svariati mesi tutta la cittadina non riuscì a levargli gli occhi di dosso, e le lingue non smisero un attimo di spettegolare sulla sua vita. E quelle persone che prima erano incuriosite dallo strano ragazzo e non si curavano di essere discrete nei suoi confronti con i propri commenti, notando che quest'ultimo non accennava minimamente ad adeguarsi alla norma comune, ogni volta che passava, andavano bisbigliandosi cattiverie di ogni genere sul suo conto. Tuttavia io continuavo a considerarlo un ragazzo speciale nella sua diversità, e bramavo segretamente di poterlo conoscere. Nella mia classe tutte le ragazze erano rimaste colpite da Jack, e inizialmente si erano dimostrate apertamente ammirate nei suoi confronti, ma anch'esse accorgendosi che la situazione non si evolveva e notando che lui non rispondeva a nessuna delle loro avance, ignorandole deliberatamente o rispondendo a grugniti, iniziarono a far circolare voci ancor più perfide sul suo conto e presto la sua fama di ''cattivo ragazzo'' si diffuse in tutta la cittadina. Eppure nessuno aveva il coraggio di affrontarlo, tutti preferivano parlargli alle spalle da perfetti codardi quali erano sempre stati. Da parte mia io continuai per giorni a crogiolarmi nel pensiero di parlargli con una qualsiasi scusa, ma anche il mio coraggio non si decideva a farsi avanti. Per fortuna proprio in quei giorni l'aiuto mi giunse proprio dai professori che, estenuati dalle continue proteste per l'assegnazione dei posti, decisero di metterci in banco insieme. In classe eravamo infatti divisi in due movimenti contrapposti: quello dei termosifoni e quello delle finestre. A me non importava particolarmente né dell'uno né dell'altro ma se avessi dovuto scegliere, avrei scelto mille volte la postazione vicina alla finestra, perché mi avrebbe dato un trampolino di lancio molto più ampio verso la galassia delle fantasie che mi affollavano senza pietà la testa ogni qualvolta cercassi di concentrarmi. Eppure,poiché non mi sarei messa mai contro la classe per esprimere il mio parere su una cosa così stupida, tacqui, così io e Jack fummo posizionati nel primo banco della fila centrale; il posto più sconveniente. Forse non avevo la mia finestra, ma avevo finalmente accanto a me la persona che in quel periodo aveva monopolizzato i miei pensieri incessantemente. Trascorsi tutta la giornata ansiosamente nell'attesa di un suo possibile approccio, ma non arrivò. Non subito almeno. Sapevo che quando suonava la campana ad indicarci l'uscita, lui era il primo ad andarsene, così quel giorno tentai di preparare tutto molto velocemente per far si che uscissimo nello stesso momento, ma appena suonò mi caddero dalle mani tutti i i libri che non avevo infilato in borsa per far più in fretta. Jack non scattò verso la porta come sempre e mi accorsi solo in quel momento che era indaffarato a far qualcosa nel banco. Mentre raccoglievo i libri provai a gettare un'occhiata discreta nella sua direzione, ma lui era imponente e con la sua stazza mi impediva di scorger i movimenti. Dopo qualche istante si alzò e si dileguò dall'aula, senza rivolgermi uno sguardo. Ero rimasta sola in classe, così azzardai un rapido controllo del banco per vedere se avesse lasciato i segni del suo misterioso operato di poco prima o comunque qualcosa che mi avrebbe potuto far capire di cosa si trattasse. Con cautela mi sedetti al suo posto e notai una scritta piuttosto piccola e dalla calligrafia bizzarra che sembrava voler fuggire. Con la terrificante consapevolezza che il messaggio fosse riferito a me,lessi mentalmente: ''Avresti dovuto dire di voler stare vicino alla finestra.''

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Capitolo 2
*** 2. Famiglia ***


Non capivo come ci fosse arrivato. Non capivo perché non me l'avesse detto invece di lasciarmi quel misterioso messaggio sul banco. Sapeva fin troppo di me. Aveva capito che mi sarei sporta a leggerlo? E se invece non l'avesse scritto lui ma ci fosse già stato sul banco? Scartai subito l'idea perché l'avevo visto trafficare misteriosamente e poi ciò che aveva scritto corrispondeva perfettamente con ciò che stavo pensando durante tutta la mattinata. Perciò come aveva fatto a capirlo? E ancora, avrei dovuto chiederglielo il giorno dopo, o avrei dovuto lasciar perdere? Queste domande mi perseguitarono per tutta la serata, quando tornai a casa. Al mio ritorno tutti erano troppo indaffarati per rivolgermi la propria attenzione e per una volta questo mi parve essere d'aiuto, anche se ormai ero abituata a passare completamente inosservata. A casa stavo tutto il tempo da sola, nessuno aveva mai tempo per me;c'erano talmente tante cose da fare, tanti lavori da sbrigare, tante preoccupazioni a cui pensare di cui la più importante era trovare un modo per riuscire ad andare avanti e sopravvivere. Mio padre era stato nella sua gioventù un accanito rivoluzionario; aveva partecipato a manifestazioni, si era iscritto a sindacati e aveva aderito ad innumerevoli scioperi, lottando senza sosta per ciò che riteneva giusto e per ciò che un giorno sarebbe stato fiero di poterci dare. Tuttavia alla morte di mia madre, avvenuta prima della mia nascita, la fiamma della ribellione in lui si era affievolita e aveva sperato, invano, che divampasse in noi. Eravamo sette fratelli, di cui io l'unica femmina e la più piccola. Tutti abbiamo sempre percepito la delusione che provava verso di noi per non aver percorso le sue orme, ma non è facile ribellarsi ad Outfeet. Dopotutto la sua generazione era stata composta da ragazzi disposti a morire pur di ottenere la giustizia, ma I tempi erano cambiati e nessun giovane avrebbe sprecato il suo prezioso tempo per simili sciocchezze. Si pensa spesso che I conservatori siano I vecchi e che I rivoluzionari siano I giovani, ma ci si inganna in quanto questi ultimi hanno voglia di vivere ma non hanno il tempo di pensare a come si debba vivere, finendo per accontentarsi di tutto ciò che li viene imposto per pigrizia o per paura di sovvertire un ordine. Ad Outfeet poi la situazione era anche più grave, in quanto il paese era di vedute chiuse, non c'era pietà per chi cercasse uno spiraglio di libertà, giustizia o quant'altro. Probabilmente potreste pensare che questa descrizione drastica sia frutto della cosidetta ''crisi adolescenziale'', ma chiunque abbia vissuto abbastanza ad Outfeet sa benissimo di cosa parlo. Avevo sempre sognato di trasferirmi, ma le risorse economiche che la mia famiglia possedeva non me l'avevano mai permesso. I miei genitori, quando erano giovani, erravano per il mondo vivendo la propria vita giorno per giorno, senza porsi problemi. Un giorno erano a Madrid, un giorno a Londra, un giorno in Australia, dove la sorte e qualche buona mano di poker li avrebbe portati. Tuttavia mia madre presto si ammalò e non fu più in grado di reggere la vita da nomade. Mia madre era un'artista, sapeva dipingere un paesaggio così minuziosamente e realisticamente che, osservandolo con attenzione, potevi sentire il gorgoglio del fiume, i cinguettii degli uccelli, il tepore dei raggi del sole sulla pelle e il dolce profumo delle primule. I suoi quadri piacevano molto ai critici e spesso riusciva a venderli a prezzi davvero esagerati! Tuttavia la sua arte era un talento discontinuo ed un'arma a doppio taglio, perché per quanto il ricavato delle vendite dei suoi quadri riuscisse a sfamarli la malattia che l'affliggeva la consumava di più ad ogni sforzo che faceva perciò dopo ogni quadro era più debole. Riusciva a dipingere non più di un quadro all'anno e questo li faceva rasentare la miseria davvero molto spesso. Così, a causa della mancanza di cibo la malattia si aggravò e mio padre decise di comprare una piccola casa nel Nevrasca ad Outfeet. Dopo pochi mesi nacque Paul, il mio fratello maggiore, e consecutivamente di anno in anno nascemmo tutti noi: Matt, Jean, Pierre, Simon, Tiàgo, e io, Jaquèline. Alla mia nascita mia madre esalò il suo ultimo fiato e morì tra le braccia disperate di mio padre, lasciando sulle sue spalle le responsabilità di ben sette bambini da sfamare; per fortuna grazie alla sua abilità come meccanico era stato preso subito a lavorare alla stazione ferroviaria che necessitava di un meccanico da molti, troppi anni. Proprio per questo motivo la paga era abbastanza buona, ma riusciva a stento a coprire tutti i nostri bisogni. Con il passare degli anni però, arrivarono altri meccanici con un'esperienza assai maggiore della sua e così perché mio padre necessitava di essere affiancato da dei collaboratori gli venne dimezzato il lavoro e così anche la paga. Mio fratello Paul rinunciò a tutti i suoi sogni e all'età di soli 18 anni lasciò la scuola per trovare un lavoro che ci avrebbe mantenuto. Così fecero Matt, Jean, Pierre, Simon e così stava cercando di fare anche Tiàgo avendo compiuto i 19 già da un pezzo. L'unica che avrebbe dovuto proseguire gli studi dovevo essere io, anche se non l'avevo mai ritenuto giusto. Io non avevo un sogno mentre loro, tutti loro, lo avevano e lo avevano sempre avuto. Perciò perché avrei dovuto privarli della possibilità di realizzare la propria vita nel modo giusto? C'erano state tante discussioni, tanti litigi e proteste, ma ovviamente avevano vinto; secondo loro infatti io meritavo di avere una vita in cui le mie capacità si potessero rivelare appieno e non una vita di faticoso lavoro utile solo per sbarcare il lunario. Dal giorno di quei litigi i rapporti fra tutti noi si gelarono perché mi consideravano un'ingrata e pensavano che la mia vita sarebbe dovuta essere migliore di quella che spettò a mia madre, perché entrambe avevamo il talento che ci avrebbe permesso di ottenere tutto ciò che avremmo potuto desiderare, solo perché avevo ereditato da lei l'abilità della pittura. Per me non era un talento, era una dannazione! A nessuno di loro importava che ogni volta venissi assalita da un profondo dolore che mi ricordava la morte di mia madre, nè che qualche volta mi sia persino capitato di svenire mentre dipingevo. Insomma, ogni volta che potevo mi tenevo lontana dalla pittura, anche se a volte nasceva dentro di me un bisogno accesissimo di dipingere e dovevo sfogare quel bisogno all'istante oppure mi sarei sentita davvero male. Questa era un'altra cosa che bisognava tener nascosta agli abitanti di Outfeet, per i quali ogni forma d'arte che non erano in grado di comprendere era diabolica e andava stroncata. Certo, a scuola capitava che dovessimo dipingere alle volte, ma io ero così insignificante per gli insegnanti che anche se avessi dipinto la gioconda nessuno se ne sarebbe accorto. Fu anche per questo che mi stupì il fatto che qualcuno mi avesse notata. Nessuno mi rivolgeva la parola in classe, non avevo amiche né conoscenti e non perché fossi particolarmente ripugnante o antipatica, ma per il semplice fatto che il mio tenore di vita fosse ben al di sotto del loro. Finalmente perciò la mia vita prese una piega inaspettata, diversa e in un certo senso migliore, quando Jack mi lasciò quella scritta sul banco. Non potevo sapere che non sarebbe stato esattamente un evento positivo il fatto che lui avesse deciso di interagire proprio con me.

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Capitolo 3
*** 3. Incubi? ***


Mi svegliai di soprassalto e istantaneamente mi resi conto che c'era qualcosa di strano. Innanzitutto non mi trovavo sul mio letto, ero in piedi davanti a qualcosa che con gli occhi ancora annebiati dal sonno non riuscivo a distinguere; poi mi accorsi di avere le mani completamente sudice e anche abbastanza doloranti così capii. Avevo dipinto qualcosa con le mani. Guardai meravigliata la tela di fronte a me e per poco non svenni. C'era una figura ma era avvolta dall'oscurità o meglio era divorata dall'oscurità che guadagnava sempre più terreno, nell'angolo sinistro della tela un unico fascio di luce rendeva visibile la figura visibilmente priva di vita e vicino ad essa un'enorme mano nera grondante di sangue si ritraeva nell'oscurità. Mi sedetti sul bordo del letto, sconvolta. Non era certo la prima volta che capitava che dipingessi da sonnambula, ma non avevo mai realizzato qualcosa di così macabro in tutta la mia vita. Guardai fuori dalla finestra, mi accorsi che era ancora notte fonda e venni assalita da una certa paura inspiegabile, così mi rannicchiai sotto le coperte. Naturalmente non riuscii più a chiudere occhio, infatti mi trovavo in quella condizione in cui qualsiasi rumore sembra sospetto e potrebbe potenzialmente essere stato prodotto da un pazzo assassino. Tuttavia non era solo questo; quel dipinto aveva qualcosa di strano, qualcosa di terribilmente familiare e non potei fare a meno di rimurginarci per tutto il tempo. Non appena un caldo raggio illuminò la stanza trovai il coraggio di alzarmi e mi riavvicinai al quadro ma con mio inesorabile sgomento era scomparso. Molte volte nella propria vita chiunque dubita di sè stesso, ma mai come quella volta temetti di aver perso il senno una volta per tutte. Non era entrato nessuno nella mia stanza e io ne ero certa dato che non avevo più chiuso occhio dopo la composizione del quadro. Mi guardai le mani ed ebbi la conferma dei miei sospetti: erano ancora completamente piene di colore. ''Jacquèline'' urlò mio padre dalla cucina. Scesi le scale con riluttanza e mi preparai la colazione. ''Che hai fatto alle mani? Hai dipinto qualcosa stanotte?'' mi chiese subito. Avvertii nella sua voce una nota preoccupata. ''Questa volta no papà, ho solo sognato di averlo fatto'' risposi ridacchiando per alleviare la tensione. Qualcosa nel suo sguardo mi disse che non lo avevo affatto rassicurato ma mi scompigliò i capelli e fece finta di nulla come di suo solito. Un grande pregio di mio padre era proprio quello di non insistere quando si accorgeva che l'argomento non fosse gradito al proprio interlocutore. ''Quest'anno pensi di cavartela? L'ultimo anno è sempre il più difficile'' mormorò distrattamente mentre sorseggiava la sua tazzina di caffè. ''Niente di diverso dal solito'' risposi con indifferenza. Il mio umore improvvisamente cambiò in quanto la domanda sulla scuola mi aveva fatto venire in mente Jack. ''Papà tu sai qualcosa sul ragazzo nuovo? Mi pare si chiamasse Jack... Stohl....'' indagai. Ad Outfeet chiunque poteva essere al corrente dell'arrivo di un qualsiasi cittadino, non contavano età, sesso, nazionalità o orientamento sessuale, tutti sapevano tutto di tutti. Beh tranne della mia famiglia. Su di noi c'era una grave nube di mistero carica di segreti che con gli anni non aveva fatto altro che suscitare il sospetto dei cittadini. ''So che è un tipetto tosto e che sa il fatto suo dato che in paese nessuno lo sopporta e non si fa che parlare di lui. Mi piace.'' disse con un sorriso malizioso. ''Sei il solito'' lo ripresi, ridacchiando. Dopotutto era scontato che fosse così, Jack era probabilmente il cittadino più rivoluzionario del paese, ed era arrivato da due settimane appena. Alla fine avevo deciso che gli avrei parlato,tanto se mi fosse andata male mi sarei attirata la sua indifferenza e nulla di più, come tutte le altre ragazze. Diedi un'ultima sbirciatina alla mia camera ma non vidi il mio dipinto, così misi la divisa scolastica e preparai le mie cose, poi uscii. Non ero mai arrivata in orario a scuola in tutta la mia carriera scolastica, eppure quella rischiava di essere la prima volta. Tuttavia poco prima di entrare mi accorsi improvvisamente di non aver tolto il colore dalle mie dita e decisi di fare tappa al bagno, consapevole che avrei bruciato quei pochi minuti di anticipo sulla campanella. Accelerai il passo finendo per travolgere Jack, o meglio finendo per sbattergli addosso. ''Attenta a dove inciampi'' sibilò in tono minaccioso. Prima che potessi rispondere il suo sguardo si spostò sulle mie mani così le infilai velocemente delle tasche e fuggii in bagno mormorando delle scuse poco convincenti. Sentii il nervoso scivolarmi nella gola e per poco non urlai. Che idiota! Che cafone! Ritirai i miei buoni propositi e decisi che non gli avrei parlato per nulla al mondo. Ci misi del tempo per eliminare ogni traccia di colore e alla fine scoprii di avere le punte delle dita completamente tagliuzzate così mi chiesi con quanta foga avessi dipinto quella notte. Entrai in classe quando la campana aveva suonato da un pezzo e guardando con disprezzo il mio posto vicino a Jack mi ci sedetti con estrema riluttanza spostando la sedia in modo da trovarmi il più possibile distante da lui. ''Temporin, di nuovo in ritardo! La prossima volta non la farò entrare in classe!'' sbraitò la Cooper che mi odiava profondamente fin dal primo giorno del primo anno di scuola. Per lei era un estremo sforzo dovermi avere ogni giorno in classe, figuriamoci ora che mi trovavo nel primo banco, proprio di fronte alla sua cattedra! Inoltre soffriva ogni volta che doveva mettermi il voto più alto della classe nei temi di Letteratura; non poteva proprio sopportarlo. Ad ogni modo era pur sempre la mia professoressa, così abbassai il capo e promisi per la millesima volta che non avrei fatto mai più ritardo. Le malevoli voci di paese ritenevano che la Cooper si fosse tremendamente invaghita di mio padre ma che fosse stata da lui respinta per prestare fedeltà al suo matrimonio anche dopo la morte di mia madre. Probabilmente era vero, e ad aggravare la situazione c'era anche il fatto che io fossi la copia sputata di mia madre. Avevamo gli stessi ricci fittissimi e lunghissimi color biondo cenere, gli occhi dal taglio leggermente orientale color cioccolato e più o meno la stessa corporatura anche se allora io ero leggermente più bassa. Insomma ero il suo incubo e il fatto che l'intero paese ne fosse a conoscenza la torturava, così di rimando,lei torturava me. La lezione iniziò come sempre e io tentai di seguire anche se avevo ancora in mente il dilemma del dipinto. ''Incubi stanotte?'' sussurrò Jack con aria maliziosa ad un certo punto. Mi cadde la matita dalle mani e lo guardai strabuzzando gli occhi. Decisi di non rispondergli e lo ignorai per tutta la giornata anche se mi costò una certa fatica. Era stata una domanda buttata lì per caso? In futuro avrei capito che nulla che avesse a che fare con Jack era qualcosa di buttato lì per caso, ma allora non potevo saperlo e probabilmente fu quello il mio più grande errore. Al secondo suono della campana raccolsi le mie cose e feci per alzarmi ma lui ripetè la domanda di prima, così mi voltai affettando indifferenza e risposi:'' Niente affatto, mai dormito così bene''. Lui sorrise maliziosamente ancora una volta ma non disse nulla, così abbandonai l'aula. Qualche minuto dopo mi accorsi di aver dimenticato lo zaino in classe e tornai indietro a recuperarlo sperando che lui se ne fosse già andato. Per fortuna l'aula era vuota. Mi chinai sul banco per prenderlo e notai che la frase che aveva scritto il giorno prima era stata rimpiazzata da una nuova: ''Hai ragione non era affatto un incubo! Salutami Paul'' E all'improvviso capii cosa c'era di terribilmente familiare nel mio dipinto. La figura senza vita era mio fratello Paul.

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Capitolo 4
*** 4. La mano nera ***


Dopo quel terribile giorno aspettavo con ansia che arrivasse una notizia inaspettata da parte di Paul ma a parte un tombale, estenuante, silenzio, non ci fu nessun allarme. Paul non si trovava più ad Outfeet da almeno dieci anni e le notizie sul suo conto erano sempre state scarse da quando se n'era andato, eppure nessuno in famiglia era mai stato in apprensione per lui. Era come scomparso dalla mia vita nel momento in cui aveva oltrepassato la soglia di casa il giorno in cui aveva compiuto i suoi diciotto anni. Poche cose mi ricordavo su di lui: ad esempio avevo un chiaro ricordo di quanto fosse in disaccordo con nostro padre. Per tutto il tempo che aveva vissuto con noi Paul non aveva fatto altro che litigare con lui, e non si trattava di battibecchi futili o infantili ma di vere e proprie questioni morali. D'altro canto Paul avvertiva su di sè il peso delle aspettative di mio padre moltiplicate dal fatto che fosse il primogenito, e per mio padre Paul rappresentava una prima, atroce, sconfitta nei confronti dei propri ideali e della vita. Il mio rapporto con Paul era sempre stato estremamente affettuoso, lo legava a me il tipico affetto del fratello maggiore verso la sorellina più piccola; sentiva di dovermi proteggere e di dovermi assicurare un posto privilegiato nel mondo. E fu proprio questo il motivo che portò il nostro rapporto ad incrinarsi. Paul decise che tutti i miei fratelli, lui compreso, avrebbero dovuto sacrificare la propria vita e le proprie aspirazioni per garantire a me un futuro brillante. Inizialmente i miei fratelli non la presero bene, e mi diedero ragione quando dissi di non essere d'accordo, ma un giorno, incredibilmente e senza un'apparente ragione, si trovarono completamente d'accordo con Paul. Da quel momento in poi ogni volta che uno di loro compiva i diciotto anni spariva dalla nostra casa e dalla mia vita proprio come il mio fratello maggiore e di loro non ci arrivavano altro che soldi. Soldi che servivano principalmte per me. Mio padre si era sempre schierato a favore dei miei fratelli in questa questione ma rendendosi conto della progressiva sparizione di tutti i suoi figli col tempo cercò di convincerli uno dopo l'altro a non partire; invano. Così io e lui tiravamo avanti, entrambi oberati da un senso di colpa che non avevamo il coraggio di esprimere ad alta voce ma che ci rendeva solidali l'uno con l'altro. Il giorno dopo il terribile dipinto, mi svegliai con l'intenzione di fare tante domande Jack, ma appena arrivai a scuola tutto il mio coraggio scomparve, rimpiazzato da un istintivo terrore nel rivederlo. Non mi era mai capitato di sentirmi così, con nessuno. Mi sentivo in pericolo. Incrociai il suo sguardo per errore mentre entravo in classe scoprendo che non si era seduto nel primo banco della fila centrale dove eravamo stati collocati dalla professoressa ma nella fila a destra, quella vicina alla finestra. Lo ignorai volutamente facendo per andare nella bancata centrale, ma lui mi fece cenno di avvicinarmi. Mi guardai intorno sperando che nessuno pensasse che stessi cercando di prendere il suo posto, ma dato che non c'era nessuno mi avvicinai con circospezione. ''Perchè non tiri fuori le palle piccola Jacky?" mi disse per stuzzicarmi. ''Mi sembra inutile scatenare un litigio per la postazione del banco, tutto qui'' risposi avvampando. Aveva colto perfettamente il punto. Mi chiesi come facesse a leggermi la mente. ''E' dai piccoli passi che si deve partire per ottenere la libertà'' rispose accennando un piccolo sorriso. Era la prima volta che lo vedevo fare una sorta di sorriso, e dovetti ammettere che era davvero affascinante quando sorrideva; ma non mi lasciai incantare. ''Disse colui che per parlarmi non ha saputo far altro che scrivere sul banco per due giorni!'' mugugnai senza riuscire a frenarmi. Dopo essermi resa conto di ciò che avevo avvampai e lo guardai spalancando gli occhi in attesa di una reazione. Lui sorrise un poco fra sè, come se si stesse godendo una battuta che io non potevo conoscere e non mi rispose. Il rumore acuto della campanella rimbombò nell'aula e spinta da un insano istinto di ribellione poggiai la mia borsa vicino a Jack. Entrarono tutti i compagni e coloro ai quali avevamo rubato il posto fecero per avvicinarsi e cercare il confronto, ma poi si accorsero di chi sedeva di fianco a me e lasciarono stare. Avevano tutti paura di lui, non solo io. Tuttavia non mi riservai di rispondere alle loro occhiate di fuoco rivolte a me, perchè sapevo che non avrebbero potuto fare nulla in quel momento. Non parlai con Jack per tutta la giornata, ma i silenzi fra noi stavano divenando abitudinari ormai; inoltre avevo la sensazione che lui sapesse che desideravo rivolgergli davvero tante domande ma che non avevo il coraggio dunque taceva deliberatamente aspettando che io prendessi l'iniziativa. Ecco perchè non lo feci. Alle 13.30 suonò la campana che segnava la fine delle lezioni e lui volò via come di suo solito, senza degnarmi di un saluto. Sospirai rassegnata e feci per prendere le mie cose come sempre, ma Mary e Matiàs, coloro a cui avevamo preso il posto,mi si avvicinarono con aria minacciosa. Raccolsi tutto in fretta e mi affrettai verso la porta,ma intuendo le mie intenzioni Matiàs mi precedette mettendosi fra me e la porta. Mary lo affiancò in un attimo. ''Sai, quando cinque anni fa abbiamo saputo che la figlia di John Temporin, sarebbe stata in classe con noi abbiamo chiuso un occhio sebbene quel fallito di tuo padre fosse la vergogna di Outfeet, noi non abbiamo cercato di mandarti via dall'istituto come avresti meritato.'' ''Parla per te Mary'' la interruppe con un ghigno Matiàs. Sentii le lacrime formarsi sotto gli occhi. ''Non interrompermi ahahah! Dicevo, pensi che tutta la città non sappia la storia della vita dei tuoi genitori? Due vagabondi, troppo poveri per permettersi una casa improvvisamente comprano la villa dei Dagger e ci vanno a vivere generando sette bastardi, insomma non è un po' strano Matiàs? Non sa molto di furto?'' mi schernì. '' Secondo me sa più di assassinio Mary.. insomma potrebbero benissimo aver ucciso i Dagger e aver rubato la loro famosa quanto maledetta eredità'' continuò Matiàs. ''V-voi non avete alcun diritto di dirmi questo'' dissi con la voce incrinata. ''Oh non ce l'avremmo in effetti se tu non ci avessi provocato, ma poi non è nemmeno colpa tua...dovremmo prendercela con quel fallito di tuo padre e quella coniglia di tua madre se ha generato un elemento del genere'' rise Mary. Non ho idea di cosa accadde in quel momento. Ricordo solo di aver perso la vista e di aver sentito pulsare la mano come se fosse fatta di fuoco. Quando ripresi la vista Mary e Matiàs erano distesi l'uno sopra l'altro e non si muovevano; entrambi con gli occhi cerchiati di nero. Guardai per un attimo la mia mano e inorridii. Era nera. Completamente nera. Gettai un urlo e scappai in lacrime. Iniziai a correre ma non avevo un'ottima visuale, date le lacrime, e ad un certo punto udìì un sospiro sfiorarmi le orecchie. Mi voltai indietro per vedere se fossi seguita da qualcuno ma non c'era nessuno e mi voltai nuovamente. Il sospiro mi accompagnò molto a lungo finchè non si trasformò in un vero e proprio richiamo. ''Jaquèline'' Mi voltai un'ultima volta ma non c'era ancora nessuno, e quando mi voltai verso la strada davanti a me non vidi il bordo del marciapiede e caddi senza però farmi troppo male. ''Jaquèline'', udii ancora e alzando lo sguardo verso la finestra di fronte al marciapiede vidi due intensi occhi che mi fissavano.

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Capitolo 5
*** 5. Il TEMPO ***


Sbiancai improvvisamente e credetti di svenire. Quegli occhi erano terribilmente familiari. Qugli occhi erano uguali ai miei. Quegli occhi erano di mia madre. Mi misi di nuovo a correre ma sentii la mia sciarpa tirare come se mi stesse strozzando. La allentai con una mano continuando a correre ma sentii che continuava a tirare. Mi voltai per capire dove mi fossi incastrata e vidi giusto in tempo un'ombra nera fuggire lontano e la mia sciarpa si allentò impovvisamente, sbalzandomi in avanti. Arrivai al cancelletto di casa mia e cercai freneticamente le chiavi ma non le trovai. ''Papààà?! Papàààà?!'' urlai in preda all'ansia. Nessuno rispose. ''Jacquèline'' Di nuovo il richiamo sussurrato mi sfiorò il collo. ''Jacquèline.....il tempo'' ''Che vuol dire?! Chi sei?!" urlai nel panico. "Il tuo tempo........sta per finireeeeeee'' Iniziai a singhiozzare rumorosamente e mi accucciai su me stessa, tremando. All'improvviso il cancello si spalancò rumorosamente e per poco non svenni di nuovo. Mio padre mi raccolse da terra e mi prese in braccio portandomi dentro. Mi rilassai all'istante appena varcai le mie quattro mura familiari, sentendomi al sicuro. Non potevo certo sapere che il pericolo era solo aumentato. ''Jacquèline cosa è successo?'' chiese mio padre preoccupato. ''Non lo so Papà...Oggi in classe alcuni compagni mi hanno insultata e..credo di averli colpiti" confessai. Per un attimo mio padre strabuzzò gli occhi. ''T-tu c-cosa?! D'accordo senti, non devi esserne così scioccata... Tuo padre ha fatto a botte con tante persone per farsi rispettare sai, piccola?'' disse accarezzandomi una guancia. ''Ma papà non è da me.. Io non lo avrei mai fatto.. E' accaduto qualcosa di strano... Guarda la mia mano!'' dissi mostrandogli la mano nera. Lui mi guardò perplesso. ''Ti sei fatta male?'' chiese titubante. ''Ehm no papà, non vedi?!'' ritentai. ''La tua mano non ha niente tesoro'' rispose sempre più sbigottito. Per la seconda volta in quella settimana dubitai di me stessa. Osservai la mano con attenzione ma da qualsiasi angolazione la guardassi, era sempre nerissima come la pece. Mi rassegnai, la strana ero io. ''Nulla scusami, sono solo distrutta da questa gionata''sospirai. ''Sicura che non ci sia dell'altro?'' Per un attimo ebbi la tentazione di raccontargli tutto a partire dal quadro in poi, ma mi resi conto che si sarebbe solo estremamente preoccupato per la mia salute mentale, così glielo risparmiai. Sorrisi. ''Tutto a posto, papà''. Mi baciò la testa. ''La mia guerriera'' mi disse affettuosamente mentre salivo nella mia camera. Come avrei fatto senza di lui? Mi buttai sul letto e mi presi la testa fra le mani. Una parola continuava a martellarmi la mente: il TEMPO. Sentivo senza sapere il perchè che fosse la chiave di tutto ciò che stava accadendo nella mia vita. Era sempre stato affascinante per me tentare di comprendere il segreto del tempo, ecco perchè quel monito sussurrato sulla porta di casa mi aveva fatto rabbrividire; sapevo quanto il Tempo potesse essere pericoloso. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la morte. Iniziai a sentire la mia mano formicolare senmpre più forte. Cercai di far finta di nulla e di continuare col filo dei miei pensieri. Nell'Apocalisse l'angelo giura che il tempo non esisterà più. È molto giusto, preciso, esatto. Quando tutto l'uomo raggiungerà la felicità, il tempo non esisterà più, perché non ce ne sarà più bisogno. È un'idea giustissima. Dove lo nasconderanno? Non lo nasconderanno in nessun posto. Il tempo non è un oggetto, è un'idea. Si spegnerà nella mente. Appena finii di elaborare questo ragionamento la mia mano iniziò a bruciarmi con insistenza. Ciò poteva significare solamente una cosa: dovevo dipingere. Continuai ad ignorare il bruciore e a pensare. Tutti ce l'abbiamo... un tempo limitato... Il tempo limitato è quello della nostra vita... sta a noi usarlo al meglio o sprecarlo... Il tempo non si vede... perché le cose che non si vedono sono più le più importanti!? Mi alzai presi freneticamente una tela, ormai priva di qualunque volontà. Feci per prendere i colori ma la mia mano deviò autonomamente nella tela e con orrore mi accorsi che più vi sfregavo istintivamente più il nero della mia mano si trasferiva sulla tela. Dopo qualche istante iniziò a delinearsi uno scenario inquietante. Un enorme orologio sgocciolante affogava una figura minuta e raggomitolata su sè stessa. Intorno a loro mille occhi la guardavano minacciosamente girandole intorno vorticosamente. Quando la mia mano cercò di concludere la figura un brivido mi scese lungo la schiena e tentai di ritrarla. ''Smettila!!'' urlai con le lacrime negli occhi, invano. Presi il quadro e lo scaraventai dalla finestra. Quella volta non ebbi dubbi nel riconoscere la figura. Quella volta la figura ero io.

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Capitolo 6
*** 6. L'Interrogazione ***


Capitolo 6 Arrivai a scuola decisamente in anticipo e mi diressi come una furia alla ricerca di Jack. Lo vidi esattamente dove quella volta andai a sbattere contro di lui qualche tempo prima. Stava sempre là?! Mi resi conto dal filo dei miei pensieri che la nostra non sarebbe stata affatto una conversazione diplomatica ma decisi che in fondo non aveva alcuna importanza. L'avrei fatto parlare. Questa volta gli andai a sbattere sopra volontariamente. Lui si girò di scatto con un lampo di sorpresa negli occhi. ''Oh scusami Jack, non l'ho proprio fatto apposta'' mi scusai esagerando i toni per fargli capir che non ero affatto dispiaciuta. ''Non posso credere ai miei occhi! Ma questa è Jacquèline la codarda?'' mi provocò. ''Ok senti non ho tempo per queste cose. Noi due dobbiamo parlare.'' ''Ti ascolto'' fece lui con aria divertita. ''Cosa diavolo hai da sorridere me lo spieghi?!'' mi inviperii per un attimo. Ancora una volta sopresi un lampo di sbigottimento nei suoi occhi ma lui parve ben intento a nasconderlo. ''Rido della tua imprevedibilità mia dolce isterica Jacky'' rispose con una punta di nervoso nella voce. Beh almeno ora il nervoso lo avevamo in due. ''Dobbiamo parlare, ma non qui.'' sussurrai guardandomi intorno con aria eloquente. ''Guarda che io non ho paura di loro e non vedo perchè dovremmo nasconderci. Oltretutto io non spreco il mio tempo con te al di fuori dell'orario scolastico'' TEMPO. Nel momento stesso in cui pronunciò quella parola sentii il mio cuore dibattersi senza una ragione. La mia mano iniziò a formicolare pericolosamente così la misi in tasca. ''Ti prego è urgente...Io ho paura'' ammisi e sentii gli occhi velarsi di lacrime mentre lo guardavo implorante. Un attimo dopo mi vergognai di me stessa così non attesi neanche una sua risposta e me ne andai a capo chino per nascondere il volto. Per fortuna o per sfortuna la campanella trillò in quel momento così dovemmo entrare. Dopo aver varcato la soglia dell'aula mi impegnai per cercare Màtias e Mary ma stranamente non si erano presentati a scuola. Mi sedetti nel banco vicino alla finestra e misi ,come già avevo fatto in passato, la sedia il più possibile lontana dal posto di Jack. Appena lo vidi entrare abbassai lo sguardo fino a terra e mi raggomitolai su me stessa. Tuttavia non mi sfuggì il suo sguardo totalmente perso nel vuoto, che non gli avevo mai visto. ''Temporin, all'interrogazione''sibilò la Cooper che probabilmente aveva captato il mio umore tendente al suicidio quel giorno. Imprecai silenziosamente e mi chiesi per quale ragione la sfortuna non venisse mai a trovarmi una volta sola. Non avevo mai capito che gusto ci trovassero alcuni professori a farti perdere qualunque buona stima avessi di te stessa, chiamandoti alle interrogazioni quando è palese che emani onde radioattive per il tuo umor nero. E' chiaro che non andrai mai bene. Comunque non potevo certo prendere un due e non presentarmi, così strinsi i denti e mi alzai, imprecando silenziosamente. ''Temporin ci parli dell'ultima lezione'' Deglutii rumorosamente. ''Perchè proprio l'ultima prof? Insomma ci sono un sacco di capitoli..''tentai. Nell'ultima lezione non avevo seguito nulla perchè ero troppo preoccupata per Paul. ''Decido io che cosa chiedere Temporin! Inoltre durante l'ultima lezione ho notato con piacere la sua bava scintillare nel banco quindi ho capito che deve averla appassionata particolarmente!'' mi prese in giro. I miei compagni scoppiarono in una risata di scherno. Tutti, eccetto Jack. Lui mi osservava incuriosito, come per vedere la mia reazione. Avvampai. Una serie di risposte iniziarono a vorticarmi nella testa. ''Allora Temporin non vuole dirmi nulla? Guardi che il tempo sta per finire!'' incalzò. Il TEMPO. Ancora lui. Iniziai a sentire la mano formicolare sempre più forte e a tremare. Guardai i miei compagni che ridacchiavano osservandomi e non capii più nulla. Presi una penna dal banco e gliela piantai nella mano sinistra. Tutti iniziarono ad urlare ed io fuggii in bagno in lacrime. Rimasi in bagno per due ore, poi decisi di prendermi le mie responsabilità. Non riuscivo nemmeno a credere di aver potuto compiere un gesto del genere. Appena varcai la soglia dell'aula mi accorsi con grande sbigottimento che non c'era nessuno, eccetto Jack. ''Ok-disse, per una volta serio-, dobbiamo parlare''.

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Capitolo 7
*** 7. Una discussione diplomatica ***


7. Una conversazione ''Dove sono tutti?'' domandai intimorita, bloccandomi sull'uscio. ''Ciò che è accaduto oggi è stata una prova, come anche il tuo litigio con Matiàs e Mary: non è accaduto nulla nella realtà e qui oggi non c'è mai stato nessuno.'' rispose sorridendomi minacciosamente. Ma che stava dicendo?! Feci un passo indietri e mi guardai le spalle con aria preoccupata. ''Ok senti, è bene che mettiamo in chiaro subito alcune cose; in questa discussione c'è in ballo la tua vita, e prima che ti venga in mente l'idea di scappare sappi che non avrebbe senso perchè ora, in questo preciso istante, esistiamo solo tu ed io.'' ''C-cosa significa?''sussurrai indietreggiando ancora. ''Non penso che tu sia in grado di poterlo capire; sappi solo che oltre quella porta troverai me, e fuori da questa scuola troverai me, così come ovunque in questo momento.'' Era un tesi così strampalata che probabilmente in un altro momento sarei scoppiata a ridere ma una lunga scarica di brividi mi percorse la schiena. Cosa feci secondo voi? Naturalmente scappai. Senza nemmeno capire dove stessi andando iniziai ad aprire una per una le aule con la malferma idea di barricarmi al loro interno, ma ogni volta che facevo capolino dentro la stanza, lui era lì ad aspettarmi nella stessa posizione della prima aula. Non ho idea di quanto tempo fosse passato, fin quando qualcuno mi afferrò per un braccio. ''D'accordo, ora basta. Non ho abbastanza pazienza per aspettare che tu sia pronta a parlarmi perciò se non vuoi dovrò prendere una decisione un po' più drastica'' sussurrò Jack bloccandomi contro di lui mentre cercavo di dimenarmi. ''La soluzione più drastica prevedrebbe la mia morte?''urlai dibattendomi. ''Perspicace'' commentò continuando a tenermi ferma. Smisi di ribellarmi e iniziai a tremare. Prima che potessi fermarla una lacrima scese nella mia guancia. ''Stai piangendo?'' mi chiese, sbigottito. ''Sono umana, sai?!''sbottai tirando sù con il naso. Lo vidi esitare per un attimo. ''Non va bene così Jackie, devi essere forte. Non puoi lasciarti andare così alla prima difficoltà'' mi rimproverò senza guardarmi. ''Mi hai detto che vuoi uccidermi, diavolo! Come dovrei reagire secondo te?'' risposi aggressiva. ''Ti ho dato una possibilità di scampo, e non l'hai nemmeno presa in considerazione!'' mi rimproverò di nuovo. Sospirai e smisi di piangere stranamente rinfrancata. ''Allora parliamo...''concessi titubante. ''Finalmente! Voglio darti una garanzia perchè credo che in questo momento tu ne abbia bisogno: per tutto il tempo che avrai a che fare con me non ti mentirò mai, nel bene e nel male. Da me riceverai solo verità.'' affermò guardandomi intensamente negli occhi. Annuii ricambiando lo sguardo. ''Sappi che sei la seconda da quasi tre secoli alla quale concedo un'occasione. Sto indagando su di te e devo prendere una decisione.'' ''Chi era la prima?'' ''Non è importante ai fini di questa discussione'' sbottò infastidito per essere stato interrotto. ''Uff, come vuoi.'' ''Dicevo, sto cercando di capire se tu sia un pericolo. So che hai una maledizione addosso.'' ''U-una maledizione?''balbettai sentendo un brivido lungo la schiena. Mi guardò torvo. ''So che sai di averla quindi non fingere. Tu dipingi quadri maledetti, crei scenari violenti e macabri, e ciò che dipingi si realizza.'' ''Questo significa che Paul...?''dissi non avendo il coraggio di continuare la frase. Lui annuì. Mi si velarono nuovamente gli occhi di lacrime. ''Mi stai dicendo che non sapevi nulla?''esclamò ancora un po' scettico. ''Io non so di che stai parlando accidenti!''sbottai con la voce rotta. ''Calmati...non lo immaginavo! Ma questo non fa altro che confermare i miei sospetti.'' ''Che vuoi dire?'' sussurrai smettendo di piangere. ''Mettiamola così: ci sono due squadre di calcio d'accordo?'' Lo guardai strabuzzando gli occhi. ''Stai seriamente facendo questo esempio?'' commentai acida. ''Tu fidati. Dicevo, due squadre di calcio hanno i propri giocatori giusto? Ecco, in questo momento tu sei l'attaccante della squadra dei cattivi''. ''E tu saresti nella squadra dei buoni?'' dissi sollevando un sopracciglio con aria scettica. ''Oh no, questo è il bello-sorrise- io sono l'arbitro. In questo istante ti stanno per passare la palla e io dovrò valutare se dichiarare il fuorigioco o meno.'' ''Va bene questo esempio sta iniziando a confondermi. Chi sono i ''cattivi''? E i ''buoni''?'' domandai spazientita. ''Se te lo dicessi probabilmente ti condannerei a morte'' disse guardandomi negli occhi. ''Hei hai detto che mi avresti detto la verità!''protestai. ''Più verità di questa! Sappi solo che si tratta di qualcuno di molto vicino a te.'' Rabbrividii. ''Prima che tu mi possa fare altre domande chiarisco subito la mia proposta; sai quanti quadri hai dipinto finora?''mi chiese. ''Non saprei, credo intorno ai dodici''. ''Mmm no affatto! Ne hai dipinti 30''affermò fissandomi. ''No te lo garantisco Jack, me lo ricorderei!'' insistetti convinta. Sospirò. ''D'accordo, sarà più difficile di quanto pensassi. Li hanno rubati, nascosti, trafugati e il nostro compito sarà quello di trovarli e poi distruggerli. Non potrei farlo senza il tuo aiuto perchè solo tu puoi trovare i tuoi quadri dato che li hai dipinti col tuo sangue e con i tuoi sentimenti.''spiegò. ''Ma che dici? Ho sempre usato colore.''sgranai gli occhi. ''Ricordi la tua mano nera? Ti diventa così solo quando ti arrabbi fino all'estremo, lo hai notato? E hai notato che quando l'hai strofinata sulla tela il colore si è trasferito sulla superficie?'' Annuii spiazzata. ''Quella è la tua maledizione. A proposito, la prossima volta che la mano ti diventa nera vieni da me e ti mostrerò come eliminare il problema''continuò. Ne approfittai per fargli notare che in quel momento l'avessi color ebano. ''Dammi la mano''mi ordinò. La poggiai sulla sua e vidi lentamente il nero sparire e mischiarsi al verde dei suoi occhi. ''Destino........''sussurrò con occhi assenti. ''Che significa?'' domandai titubante. Tornò completamente in sè stesso e si allontanò da me come scottato. ''Ho visto delle cose nei tuoi sentimenti. Un giorno ne parleremo.'' Affermò bruscamente. ''Perciò devo scegliere; o ti aiuto o mi uccidi, sbaglio?'' domandai un po' offesa dai suoi modi. ''Esatto.'' disse senza guardarmi. ''Immagino di non avere altra scelta...C'è una minima possibilità di salvare mio fratello?'' Jack digrignò i denti. ''Se riusciamo a distruggere i quadri entro la quarta luna piena dalla loro creazione le anime che hai sigillato al loro interno possono essere liberate''spiegò, quasi contro la sua volontà. ''Ehi per caso hai qualche problema con Paul?''domandai sorpresa per la sua reazione. ''Diciamo che non è dei miei preferiti.'' ''Ho un'ultima domanda da farti Jack; chi è la prima persona a cui hai dato questa possibilità? Ho bisogno di saperlo''. ''Te lo dirò, in fondo te lo meriti sei stata coraggiosa. L'altra persona era tua madre''. Strabuzzai gli occhi. ''Mia madre? Ma lei è morta quasi vent'anni fa.... quanti anni hai? E perchè hai questi strani poteri? Insomma Jack, chi diavolo sei?'' rabbrividii. ''Avevi detto una sola domanda''ironizzò. ''Vuoi che mi fidi di te? Allora rispondi!'' esclamai. ''Oh no, io ti ho detto tutto ciò che dovevi sapere. La scelta è tua. Devi capire tu di chi puoi fidarti. E comunque ti darò solo una piccola risposta: la mia identità è racchiusa in un unico elemento; tutto gira intorno al...'' ''Tempo!'' lo interruppi avendo un'improvvisa rivelazione. Mi guardò sbigottito e disse:''Esatto''. E sparì portando via tutti i miei dubbi con sè.

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Capitolo 8
*** 8. Paul ***


Tornai a casa con una grande confusione in testa e inizai a sentire le mani formicolare. Una cosa che Jack non mi aveva detto durante la nostra breve discussione era come poterlo chiamare in caso di necessità; perciò decisi di cercare di non pensare alle enormi domande che aveva -volontariamente o non-messo nella mia testa. Eppure, per quanto mi sforzassi c'era un terrificante pensiero che mi angustiava; se davvero ciò che disegnavo diventava realtà la prossima vittima della maledizione sarei stata io stessa? Dopo aver formulato questo ragionamento sentii affluire alle mani un enorme peso e non ebbi il coraggio di guardarle. Poi mi venne l'illuminazione. ''Papàà?!'' chiamai con una nota d'ansia nella voce. Non rispose nessuno, così mi precipitai di sotto. Mio padre aveva spesso l'abitudine di chiudersi a chiave nel suo studio e a nessuno era concesso entrare se non in sua presenza. Non avevo mai capito il perchè di tutta questa segretezza ma lui non aveva mai voluto fornirci una spiegazione valida ed invano io e i miei fratelli avevamo provato per anni ad entrare di nascosto. Bussai lievemente nella porta del suo studio e attesi. ''Jacki sei già a casa?'' mi chiese mio padre dallo studio senza aprire la porta. Mi ricordai improvvisamente che in teoria sarei dovuta essere a scuola dato che a causa di Jack quella mattina mi ero ritrovata in una realtà spazio-temporale che ne era la copia fedele ma non mi avrebbe certo garantito la presenza nel registro. ''Ehm, non mi sentivo bene e sono tornata prima! Posso entrare un attimo? Ho una domanda importante da farti...''chiesi con impazienza. ''Solo un attimo, cara'' Sentii un leggero frusciare e supposi che stesse riordinando dei fogli nella scrivania ma poi mi resi conto che più che un fruscio quel rumore sembrava il trascinamento di qualcosa nel pavimento. Dopo qualche istante la porta si aprì e vi entrai, guardandomi intorno come facevo sempre quando varcavo la soglia di quel luogo così poco conosciuto. ''Senti Jaquèline devo parlarti di una cosa...''iniziò mio padre guardandomi attentamente negli occhi. ''Aspetta papà prima ti devo chiedere una cosa io! Hai visto per caso un quadro in giardino in questi giorni? Deve essermi, ehm, caduto per sbaglio dalla finestra qualche giorno fa...''lo interruppi in fretta. Il suo sguardo si fece improvvisamente allarmato. ''No tesoro, suppongo che se ti è caduto dalla finestra sia ancora là...Lo sai che nessuno tocca le tue cose'' rispose con un vago tono di rimprovero. ''Lo so che avrei dovuto controllare subito ma mi è proprio passato di mente'' mi giustificai. Lui sospirò. ''Sono sicuro che lo ritroveremo''affermò poi dolcemente. Sorrisi e mi alzai facendo per andarmene. ''Aspetta Jackie, devo parlarti...'' Dal suo tono e dal suo viso compresi che si trattava davvero di qualcosa di allarmante. Mi bloccai sull'uscio. ''Ho ricevuto una telefonata oggi, da Ferenston...''iniziò ma poi gli si ruppe la voce. All'improvviso capii. Paul. ''E' successo qualcosa a Paul?''domandai cercando di simulare un tono sorpreso e preoccupato, cosa che non mi venne troppo difficile considerando le circostanze. Invece di rispondere mi abbracciò. Lo strinsi forte a me e desiderai con tutta me stessa di potergli dire che Paul non era ancora spacciato; c'era ancora una possibilità per lui. Tutto dipendeva da me e Jack. Tuttavia non dissi nulla, consapevole del fatto che non avrebbe mai capito. Rimanemmo abbracciati per tantissimo tempo e impercettibilmente sentii una parte del suo dolore trasferirsi in me; perchè funziona così, quando qualcuno che ami soffre una parte di te soffre quanto lui. Di nuovo le mie mani iniziarono a formicolare e temetti di vedere il colore nero riaffiorare violentemente. Mi staccai dall'abbraccio e abbassando lo sguardo feci per uscire dalla stanza. Solo in quell'istante mi accorsi che nel pavimento c'era una lunga striscia di ruggine che terminava improvvisamente dietro l'immensa biblioteca dello studio. Fra me e me pensai che in effetti fosse una cosa veramente strana ma poi mi ricordai della mia mano e fuggii in camera mia, non prima però di aver controllato in giardino se ci fosse il mio quadro. Ovviamente non c'era nulla. Salii le scale frustratissima e mi guardai finalmente la mano; era nerissima. Presa da un impulso incontrollabile cercai freneticamente una tela nel mio armadio ma non trovai nulla. ''Cerchi questa?"

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Capitolo 9
*** 9. Rivelazioni ***


''Cerchi questa?'' disse una voce terribilmente familiare vicino al mio letto. Alzai gli occhi e rimasi folgorata, era Jack con la mia cornice fra le mani. Il mio primo istinto fu quello di buttarmi fra le sue braccia, avevo bisogno di sostegno e paradossalmente lui era ciò che nella mi vita fino a quel momento avrei potuto definire la cosa più simile all'amicizia. Naturalmente lui non se lo aspettava e rimase immobile per lunghi istanti, ma alla fine mi avvolse con un braccio senza dire nulla. Dopo poco tempo sciolsi l'abbraccio e improvvisamente presi consapevolezza del fatto che lui non era certo entrato per la porta principale. ''Come diavolo hai fatto ad entrare? Sono sicura di aver chiuso tutti i lucchetti della porta'' gli dissi con sospetto. Già, perchè dovete sapere che dopo la morte di mamma almeno quattro volte idei ladri avevano cercato di introdursi in casa per rubare le sue opere e mio padre aveva deciso di proteggere la casa in tutti i modi possibili. Avevamo quindici lucchetti nella porta d'ingresso, un e norme cancello chiuso a catenaccio di ferro, cani da caccia a guardia del giardino e un sistema di allarme elettronico a prova di Lupin. Lo faceva più che altro per proteggerci dato che nessuno ha mai trovato le opere di mia madre. E questo è un altro mistero che grava sulla mia famiglia. ''Credi che questa casa sia così sicura Jacquèline?''rispose alzando un sopracciglio. ''Credevo...''risposi piccata. Bastò anche una piccolissima scintilla di nervoso per ricordarmi la mano nera, ma non ebbi bisogno di dirlo. ''Dammi la mano, sciagurata''disse prendendomi in giro. Ridacchiai e gliela porsi. Subito mi sentìì meglio ma non volevo che lui se ne andasse, e non volevo nemmeno chiedergli di restare. ''E ora vai a molestare qualche altra ragazza maledetta?'' scherzai. Lui si adombrò. ''Mi piace il fatto che la morte di tante persone non ti pesa csì tanto dato che sei pronta a scherzarci come se nulla fosse'' mi rimproverò severamente. Alzai gli occhi al cielo. ''Ma quanto diavolo sei noioso?!' sbottai, subito pentendomene. Lui sospirò. ''Perchè non mi chiedi quello che vuoi chiedermi e basta?'' disse con malcelato divertimento. Diventai paonazza. ''N-non ho a-assolutamente niente da chiederti'' biascicai cercando di affettare noncuranza. ''Sì Jackie, anche se mi reputi noioso resterò a farti compagnia finchè non ti addormenterai.'' mi prese in giro. Sorrisi rincuorata, avevo troppa paura di restare da sola. Una piccola parte di me aveva deciso di potersi fidare di lui, decisamente troppo in fretta. ''Eri tu che continuavi a tormentarmi in questi giorni, sospirando e chiamando il mio nome?'' chiesi quasi certa di aver capito tutto. ''No. Di che stai parlando?'' si allarmò. ''Una voce continuava a chiamarmi e qualcosa ha cercato di strozzarmi''raccontai col cuore che mi batteva a mille solo rievocando il ricordo. ''In che senso ha cercato di strozzarti? Raccontami tutto e bene''. ''Tornavo da scuola, il giorno dell'aggressione a Matiàs e Mary, e un sospiro mi ha sfiorato le orecchie trasformandosi lentamente in una voce che pronunciava il mio nome. Ero già abbastanza sconvolta, così son corsa via. Ad un certo punto la mia sciarpa ha iniziato a diventare troppo stretta, ho tentato di allentarla ma non ci sono riuscita, così mi sono voltata per cercare un punto dove potevo essermi incastrata, mentre diventava sempre più stretta, ma c'era solo un'ombra nera dietro di me...Ha mollato di scatto la sciarpa e mi ha sbalzato in avanti. Ma la cosa ancora più strana è ciò che è successo dopo...''ricordai all'improvviso i due occhi così familiari. ''Cioè?'' ''No, niente niente.''ritrattai, sapendo che mi avrebbe presa per pazza se gli avessi raccontato qualcosa. ''Jacki, potrebbe essere importante'' disse osservandomi attentamente. ''Ma tanto non mi crederesti!'' affermai titubante sotto il suo sguardo intenso. ''So benissimo quando menti, sai?'' affermò. ''Se riesci a leggere nel pensiero perchè non lo scopri da solo invece che torturare me?''sbottai innervosita. ''Ahahaah ma io non leggo nel pensiero, mia cara!''mi parve sinceramente divertito. Sì certo, e allora come faceva ad indovinare i miei pensieri così spesso?! ''Credi che io sia così stupida?''ribattei squadrandolo con diffidenza. ''Oh no affatto, in realtà tu sai perchè indovino i tuoi pensieri, ma non sai di saperlo''. ''Questa la so! E' Socrate!'' risi davanti al suo sbigottimento. Ero certa di vedere in lui delle espressioni estremamente indecifrabili ma inquietanti quando credeva di non essere visto. Poi all'improvviso ebbi una rivelazione. ''Il tempo...''sussurrai fra me e me. Jack indietreggiò come se l'avessi sparato. ''Jack queste cose sono già successe vero?''domandai all'improvviso con orrore. ''Io non capisco. No, questa situazione è assurda''sbottò Jack senza guardarmi e avvicinandosi alla finestra. ''Dove stai andando? Jack, non osare pensare di andartene adesso!!'' urlai arrabbiandomi. Tuttavia lui non mi ascoltava. Mi accorsi un istante dopo che i suoi piedi iniziavano a sparire e così anche tutta la sua figura a poco a poco scomparve. Ogni incontro con lui generava in me nuovi dubbi, ma questa volta ero anche ferita. Avevo paura e avevo bisogno di compagnia e lui se n'era andato.

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