Hang a shining star upon the highest bow ˜ Let’s sing together this Christmas di Rinalamisteriosa (/viewuser.php?uid=52428)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pattini da ghiaccio - Aine & Kei ***
Capitolo 2: *** Tazza calda - Haruki, Ringo, Ryuuya ***
Capitolo 3: *** Dormire davanti al caminetto - Kaoru & Syo ***
Capitolo 4: *** Vischio - Kotomi/Mitsuo [Spoiler!] ***
Capitolo 5: *** I personaggi addobbano l'albero di Natale insieme - HEAVENS ***
Capitolo 1 *** Pattini da ghiaccio - Aine & Kei ***
Hang
a shining star upon the highest bow ˜ Let’s sing together this
Christmas
*Pattini
da ghiaccio*
Era
davvero raro che il dottore facesse dei regali a suo nipote. Quella volta gli
mise fra le braccia un paio di pattini da ghiaccio e lo invitò a uscire dal suo
laboratorio.
«Ho
sentito dire che hanno inaugurato un palazzetto del ghiaccio qui vicino e che
tutti i bambini sono entusiasti di andarci, perché non vai anche tu, Aine-kun?»
rispose davanti all’evidente stupore del ragazzino, tornando alle sue carte
complicate e ai suoi esperimenti.
«Ah.
È perché si avvicina Natale, zio?» domandò lui, senza staccare i suoi occhioni
da quelle scarpette con la lama, ricordando in che mese dell’anno effettivamente
fossero, cioè dicembre.
«Molto
bene, bravo! E inoltre meriti un po’ di svago ogni tanto, non puoi sempre stare
rinchiuso in camera a studiare musica, dai retta a me», passò da un tono gentile
a uno scherzoso, scompigliandogli affettuosamente i capelli blu
cielo.
Aine
regalò un dolce sorriso allo zio e poi corse di sopra a cambiarsi, mise due
maglie larghe e pesanti sotto un cappotto blu scuro, pantaloni di velluto, un
cappellino e un paio di guanti di lana, mentre ai piedi calzò degli stivaletti.
Ovviamente portò con sé la paghetta mensile e anche il regalo, celato dentro una
piccola sacca sportiva.
Una
volta giunto al palazzetto del ghiaccio di cui gli aveva parlato lo zio, dopo
aver attraversato una lunga strada con tantissime luminarie natalizie, Aine si
sentì un poco fuori luogo, non immaginava fosse così pieno di gente: c’erano non
solo bambini e ragazzini esagitati, ma anche genitori apprensivi, che si
assicuravano che i loro figli non si facessero troppo male, e giovani coppiette
felici.
Lui
invece si sentiva tutto solo e spaesato, fermo all’ingresso della pista
ghiacciata, senza decidersi a indossare i pattini laminati, ad andare a
ritagliarsi uno spazio per pattinare tranquillo.
Con
le piccole labbra tremanti, stringeva con forza la sua sacca e stava per fare
dietrofront, per tornare sui propri passi e inventarsi qualcosa, un altro modo
per svagarsi, quando lo vide lì, in mezzo alla calca di
persone.
Un
ragazzino alto più o meno come lui, o almeno da lontano gli parve così, dal
volto serio e inespressivo, dalla frangetta calata sulla fronte e dalla bocca
contratta come se nemmeno lui si stesse divertendo.
Un
pesce fuor d’acqua.
Qualcosa
dentro di lui, forse un istinto, forse un presentimento o forse semplice
empatia, lo spinse ad agire. Allora Aine individuò una panca in cui togliersi
gli stivali per calzare le scarpette, si rialzò con sguardo deciso, rischiò di
sbilanciarsi parecchie volte mentre procedeva lentamente, a zigzag, incerto e
oscillante, ma era tutta questione di abitudine, presto avrebbe imparato, si
disse incoraggiante. L’estate precedente, con i pattini a rotelle ci era
riuscito in un mese, qui chissà… Barcollante arrivò infine a un metro di
distanza dal ragazzino, che gli voltava le spalle, forse per cambiare direzione
poiché non si era accorto di lui.
Fu
allora che venne la figuraccia, Aine oscillò troppo verso destra e finì per
perdere l’equilibrio, per scivolare rapidamente giù, colpendo la superficie
ghiacciata con un braccio e con la tempia.
Non
era sfuggito a lui e a qualche altro intorno l’acuto lamento che suo malgrado
aveva lanciato.
Almeno
così aveva attirato la sua attenzione, pensò, infatti il ragazzino slittò
elegantemente verso di lui, si fermò senza alcun tremito e gli tese una mano
guantata.
«Fai
attenzione», lo avvertì fingendosi sgarbato e biasimevole, se lo stava aiutando
significava che la sua vera natura doveva essere più accorta e pacata di quanto
in realtà trasparisse a una prima occhiata.
Senza
interrompere il contatto visivo, Aine accettò la sua mano, la strinse e provò a
rimettersi in piedi, pur senza trattenere una smorfia di dolore per le botte
prese e una lacrimuccia. Il braccino però non era rotto, riusciva a muoverlo
bene, più o meno.
E
stava per perdere nuovamente l’equilibrio, ma quella presenza rassicurante che
lo sostenne con le sue braccia gli impedì di finire gambe all’aria come uno
stupido.
«Che
imbarazzo!» sussurrò, intimidito. «M-mi spiace, avrei voluto presentarmi in modo
meno goffo, ma le gambe mi hanno tradito. Io sono Kisaragi. Kisaragi Aine.
Grazie per l’aiuto!».
Il
ragazzino annuì e fece per voltarsi, ma lui sentiva già di non volere che si
chiudesse nella sua riservatezza, non era giusto che rappresentasse per Aine un
singolo estraneo di quelli che si incrociavano una volta nella vita, che ti
aiutavano e che poi non vedevi più. Dovevano diventare amici, loro due, e visto che
l’altro era così bravo a pattinare e così capace, poteva insegnargli a stare
almeno in equilibrio e a non barcollare come un pinguino
ubriaco.
«Ti
prego, rimani vicino a me, non andare via!» esclamò con trasporto, strizzando
gli occhi lucidi e arpionandosi al suo braccio. Il ragazzino, ignaro di essere
stato scelto come suo amico, in fondo rimase colpito da quel capriccio
improvviso, ma si limitò ad assecondarlo e lo condusse con calma verso i punti
meno affollati. Alla fine Aine scoprì come si chiamava quel ragazzino riservato
e solo apparentemente freddo.
Onpa
Kei.
Ancora
era troppo presto, non poteva saperlo, però non aveva trovato soltanto un amico
fedele.
Lui
e Kei condividevano la stessa passione per la musica. Kei avrebbe imparato a
leggere e a decifrare Aine come uno spartito diventando, un giorno, il
compositore perfetto per lui.
«Kisaragi-kun,
hai un bernoccolo sulla fronte».
«Veramente?
Si nota tanto? Lo zio mi prenderà in giro, uffa!».
_____
Iniziativa: Questa
storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura
di Fanwriter.it! Numero
Parole: 874 Prompt:
26.
Pattini da ghiaccio
Note:
Ultimamente mi sento molto ispirata e direi che è meglio approfittarne
cavalcando quest’ondata di creatività davvero insolita da parte mia
xD
Torno
in questo fandom con una nuova raccolta, questa volta a tema natalizio e
invernale, incoraggiata dall’entusiasmo di Starishadow, alla quale dedico il primo
capitolo ^^
Spero
che ti piaccia e che siano credibili… Io non posso affermare con certezza se a
questi due piaccia pattinare oppure no, ma mi sembrava un’idea carina e
originale per un loro primo incontro, tu che dici?
Diciamo
che in parte devo ringraziare un ricordo legato a mia sorella, che anni fa, nel
periodo natalizio, era andata veramente in una struttura simile a un palazzetto
con una pista di pattinaggio sul ghiaccio e aveva visto persone scivolare
facendosi davvero male. Aine almeno ne è uscito con un bernoccolo e forse un
livido sul braccio, ma nulla di grave! xD
Il
titolo non è farina del mio sacco, in realtà contiene due citazioni provenienti
da due canzoni a tema, sapreste indovinare quali? ^_^
Grazie
per aver letto fin qui *inchino* il prossimo aggiornamento è previsto per
domenica, causa impegni che mi terranno lontana dal pc.
A
presto!
Rina
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Tazza calda - Haruki, Ringo, Ryuuya ***
Doc
*Tazza
calda*
Avere
una tazza calda fra le mani era una delle cose che Haruki Mori adorava di più
nella sua vita.
Che
si trattasse di latte al miele, caffè alla menta, cioccolata calda, tè verde,
non passava giorno – soprattutto nella stagione invernale – senza vedere il
giovane compositore intento a riscaldare le dita fredde e intorpidite, ad
assaporare lentamente una di queste bevande bollenti, soffiando piano fino a
farle diventare tiepide, proprio per avere la scusa di tenere il più possibile
quel calore piacevole sui palmi.
Così
riusciva a suonare meglio del solito e si sentiva più propositivo, soddisfatto e
ispirato. Era un po’ come portare i guanti di lana nei giorni gelidi o come
stendere le braccia sotto il kotatsu
a casa dei suoi. Era piacevolissimo!
Aspettando
il suo primo Natale lontano dai genitori, cosa c’era di meglio di una tazza di
cioccolata calda, una copertina sulle spalle e la stufetta davanti a
sé?
Cosa
poteva desiderare di più?
Crogiolarsi
nel silenzio più assoluto, sopra una comodissima poltrona, privandosi persino
della musica che tanto amava, per guardarsi dentro e per fare un veloce bilancio
delle sue esperienze scolastiche o personali. Concedersi una ventina di minuti
per lui solo.
Dalla
tazza calda salivano leggere spirali di vapore che gli solleticavano il naso, ma
che lo riscaldavano e lo rilassavano in modo gradevole.
Quando
Ringo si trovò ad aprire casualmente la porta e a scovarlo in quello stato di
estasi silenziosa, non ebbe cuore di disturbarlo, con un lieve sorriso
intenerito ritornò sui propri passi e decise che gli avrebbe consegnato il suo
regalino dopo o in un altro momento. Sapeva che per tradizione il regalo di
Natale si faceva alla propria fidanzata la sera del 24 dicembre, però l’idol ci
teneva a ringraziare Haruki per il dono prezioso della sua amicizia
sincera.
E
magari gli avrebbe offerto qualcosa da bere, di caldo ovviamente, per renderlo
ancora più felice!
E
quando, qualche ora dopo, Ryuuya rientrò dopo essere stato impegnato altrove, il
compagno di stanza era già sprofondato nel mondo dei sogni. Se ne stava
placidamente addormentato sulla poltrona, la testa leggermente girata, un
braccio piegato e la guancia premuta su esso. Sorrideva tranquillo, Haruki, e se
lui fosse stato tipo da incantarsi per simili scene, avrebbe detto che era
tenero come un bambino piccolo o bello come un angelo.
Il
più grande lanciò uno sguardo critico al tavolino accanto alla poltrona, dove
c’erano sei tazze vuote da sgombrare. Era tentato di svegliarlo per dirgli di
pensarci di persona, che doveva assumersi le sue responsabilità e lasciare
ordine, invece di stare a far nulla di proficuo per poi poltrire, ma non lo
fece. Non disse nulla, perché accanto alle tazze c’erano cinque fogli, degli
spartiti con il pentagramma pieno di accordi e di note, segno che aveva creato
qualcosa. Lui non voleva impicciarsi, ma era impossibile ignorare la scritta a
caratteri cubitali che risaltava all’inizio del foglio, sopra la prima riga del
pentagramma. Non era il titolo della musica, ma una frase semplice, precisamente
un augurio.
Un
augurio rivolto proprio a lui in un misto di giapponese e
inglese.
For
my strict roomate: ho finito la musica che mi avevi chiesto, poi dimmi che ne
pensi… Merry Xmas!
«Sai sempre come sorprendere quelli che ti
circondano, vero Haruki?» si disse Hyuuga facendo spallucce, passando sopra
al disordine e alle abitudini particolari del compagno, spostandolo piano per
togliergli la copertina schiacciata dietro la schiena e sistemandogliela
attorno, per coprirlo dal freddo. Un gesto premuroso e accorto che fino a
qualche anno prima riservava solamente ai suoi fratelli minori, ai due più
piccoli, e che talvolta, non visto, riservava anche al
ragazzo.
E
nonostante ciò, poi avrebbe fatto finta di non essere responsabile di quel
gesto, in fondo aveva una reputazione da duro da difendere. Sorrise
lievemente.
Buon
Natale.
«Questo
portachiavi con l’angioletto che suona l’arpa è davvero carino, ma non dovevi
disturbarti per me!» esclamò sorpreso il compositore, quando finalmente, il
giorno seguente, era riuscito a incontrare l’altro
ragazzo.
«Aww!
Sei così modesto, Ruki-chan, certo che te lo meriti!» non si trattenne Ringo,
che quel giorno non si era travestito, tirandolo in un veloce abbraccio
affettuoso nel quale lo strinse a sé e il modo esuberante in cui gli si era
rivolto non era dissimile dalla sua maschera abituale. Forse perché loro ormai
si confidavano ogni cosa, si stimavano reciprocamente, erano amici e si volevano
un gran bene.
Haruki
non sapeva dire se fosse più affezionato a lui o a Ryuuya, ma di una cosa era
sicuro, non li avrebbe cambiati con nessun altro al mondo.
Andarono
a sedersi in un tavolino per tre prenotato nel locale addobbato a festa, e in
attesa del ritardatario del trio – non per suo volere, il giorno di Natale si
lavorava come in qualunque altro giorno ordinario, Ryuuya doveva andare sul set
e girare delle scene – Ringo gli offrì da bere qualcosa di
caldo.
«Buon
Natale, Ruki-chan».
«Buon
Natale. Facciamo del nostro meglio anche l’anno prossimo,
okay?».
«Ben
detto!».
E
infine i due amici fecero incontrare le loro tazze mimando un
brindisi.
____
Iniziativa: Questa
storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura
di Fanwriter.it! Numero
Parole: 821 Prompt:
25.
Tazza calda
Note:
Un capitolo su questo trio non poteva mancare *-* il fatto è che Haruki mi
ispira troppa tenerezza e chi meglio di lui poteva meritare un simile
trattamento?
Cioè,
io lo strapazzerei di coccole!!! >.< Per mantenere i personaggi IC, però,
mi sono trattenuta, eheh xD
Nello
scorso capitolo mi sono intenerita a scrivere di Aine, qui di Ruki-chan… E non
saranno gli unici personaggi fluff
della raccolta, sapete? :D
Ho
già chiari tutti gli abbinamenti ^^ spero davvero di non
deludervi.
Grazie
e alla prossima!
Rina
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Dormire davanti al caminetto - Kaoru & Syo ***
Doc
*Dormire davanti
al caminetto*
Il caminetto
spento e polveroso non esercitava la stessa attrattiva che provava quando era
piccolo, non vi aleggiava la stessa magia e pensava che nemmeno metterci della
legna e attizzare il fuoco gli avrebbe fatto cambiare
idea.
Kaoru al momento
era solo, era spossato per le molte ore di studio passate stando chino sui libri
di medicina e sui svariati appunti che annotava durante le lezioni, era annoiato
quando la teoria non ci azzeccava per niente con ciò che in realtà gli
interessava davvero.
I suoi passi
sembravano rimbombare nella stanza vuota, producevano l’eco pesante, ribaltavano
il silenzio in cui si era ostinatamente ritirato dopo essere uscito fuori
dall’ambiente accademico.
Proprio perché
sapeva che c’era un edificio del vecchio dormitorio in cui non ci andava quasi
mai nessuno, l’aveva scelto come suo rifugio personale.
L’eco non cessò
nemmeno quando si lasciò cadere su una sedia, il peso del suo corpo, sebbene non
fosse per nulla imponente, aveva prodotto un tonfo e uno scricchiolio
sinistri.
Kaoru coprì uno
sbadiglio con una mano, mentre l’altra corse a stringere ciocche di capelli
biondi come a cercare un qualche appiglio dalla monotonia della routine
quotidiana, dalla pesantezza di una scelta di vita, seppure niente e nessuno gli
avrebbe fatto cambiare strada.
Il cammino era
ancora lungo, ma ce l’avrebbe fatta, sarebbe diventato un
medico.
I giorni in cui
avevano esercitato delle lezioni pratiche non gli erano affatto dispiaciuti,
sapeva già come misurare la pressione, usare uno stetoscopio, fare le punture,
attaccare una flebo e dosare alcuni medicinali. Più o meno, non pretendeva certo
di essere diventato un esperto in materia, ma finora non aveva
sbagliato.
Gli venne da
sussultare quando, all’improvviso, una notifica sul cellulare aveva infranto
nuovamente il perfetto silenzio della stanza. Tirò l’oggetto fuori dalla tasca
del cappotto pesante che ancora indossava sopra l’uniforme scolastica e i suoi
occhi azzurri fissarono avidamente lo schermo, scorrendo le parole del messaggio
appena ricevuto.
Il freddo che
aveva provato a contatto con l’aria gelida e pungente di dicembre e che l’aveva
accompagnato fino a quel momento parve andar via, sostituito da un calore
avvolgente.
Nonostante la
stanchezza e la noia, Kaoru si lasciò andare, rilassò i lineamenti e sorrise
apertamente, con il cuore. Per lui era raro concedersi un sorriso, di solito si
preoccupava di più della felicità del suo gemello piuttosto che della propria,
ma quelle poche parole lette avevano sortito un effetto
positivo.
Si sfilò la
sciarpa dal collo e si levò in piedi soltanto per sedersi nuovamente, questa
volta a terra, sopra il tappeto ruvido; il caminetto sporco e polveroso ai suoi
occhi non sembrava più così brutto, anzi gli riportava alla mente un ricordo in
particolare, di otto anni prima. Si immaginò di nuovo bambino, che, dopo aver
poggiato il cucchiaio utilizzato per mangiare una fetta di Christmas cake, aveva visto il fratello
fare altrettanto, massaggiandosi con aria soddisfatta il pancino
pieno.
«Anche
quest’anno la torta che abbiamo decorato insieme era buonissima, vero nii-san?»
disse lui spontaneamente, mettendosi in ginocchio sulla sedia e sporgendosi per
prendere il suo piatto vuoto e per riporlo sopra il proprio, con tutta
l’intenzione di mettere ordine come facevano i grandi.
Il piccolo Syo
annuì, balzando giù dalla sedia e raggiungendo il caminetto
acceso.
«Kaoru, ti va di
giocare ancora con me?» sentì la sua vocina chiara e squillante che gli faceva
questa domanda, mentre anche lui scendeva dalla sedia, piano perché teneva i
piatti fra le manine e non voleva farli cadere, altrimenti si sarebbero rotti e
poi si sarebbe sentito in colpa davanti al cipiglio severo della madre. Riuscì a
metterli sulla mensola della cucina e tornò indietro. Avrebbe voluto posare
anche la torta rimasta in frigo, ma dato che il fratello lo richiamò per la seconda
volta, decise di accontentarlo.
«E a cosa
giochiamo?» lo interrogò, prima di vedere che il maggiore si era seduto sopra il
tappeto, con le gambe strette al petto e il mento poggiato sulle ginocchia.
Kaoru si piegò e si mise al suo fianco, fissandolo incuriosito, anche se gli
occhi del suo gemello non stavano ricambiando l’occhiata, ma erano puntati verso
il fuoco. Kaoru notò che il caminetto acceso sembrava una cosa viva, i colori
dei mattoni e della griglia di ferro posta a barriera erano ancora più vividi
del solito e il calore che proveniva da tutto quello scenario era
piacevole.
Inoltre, le due
ghirlande natalizie appoggiate sulla mensola e le due piccole calze, una azzurra
e una lilla, che pendevano sotto di esse lo rendevano ancora più magico. Chissà
se Santa-san sarebbe arrivato quella stessa notte, per riempirle di dolcetti e
caramelle! Kaoru non si aspettava nient’altro, se proprio Santa-san voleva
fargli un regalo per essere stato un bravo bambino, preferiva che lo facesse a
Syo piuttosto che a lui. Ci rinunciava volentieri e senza ripensamenti, perché
vedere suo fratello sorridere meravigliato sarebbe stato il regalo migliore del
mondo.
«Syo-chan?
Allora?» lo incalzò pacatamente, con una mano sulla spalla, finché l’altro non
spostò le braccia e gli mostrò il suo nintendo portatile. L’aveva ricevuto mesi
prima come regalo di compleanno e ogni tanto adorava tirarlo fuori e giocarci,
talvolta coinvolgendolo perché non gli sembrava giusto escludere il fratello da
quella cosa che tanto lo divertiva e lo distraeva dal suo problema di
salute.
«Ape Escape. C’è
una dannata scimmia che non riesco a catturare, magari puoi provarci tu, Kaoru,
visto che sei così paziente! Ti arrivo al punto giusto in cui bisogna sfidarla e
ti passo il nintendo!» esclamò, cambiando la sua espressione assorta in un
ghigno di sfida verso lo schermo della piccola
console.
«Nii-san… l’idea
di catturare scimmie non mi entusiasma, ma se lo desideri mi sta bene, tanto
Santa-san scenderà dal camino più tardi, vero?».
«E questa è la
scusa perfetta per rimanere svegli ad attenderlo! Modestamente sono un grande,
lo so», si lusingò da solo, sorridendo mentre partiva la musichetta introduttiva
prima della schermata del menù.
Senza rendersene
conto, proprio come successe allora, non ce la fece ad aspettare di vedere il
leggendario Santa-san - in cui ormai
non credeva più -, e nemmeno ad aiutare Syo nella sua partita contro delle
movimentate scimmie dal casco lampeggiante. Non ricordò altro. La stanchezza prese il sopravvento
su di lui, però non prima che riuscisse a rispondere al breve messaggio il cui
mittente era proprio suo fratello.
Perso nel
ricordo d’infanzia, si era appisolato con la guancia poggiata sulle braccia
intrecciate sopra le ginocchia, abbracciandosi da solo per non perdere quel
calore familiare che ancora sentiva.
Dormire davanti
al caminetto. Non era la prima volta che gli capitava e si stupì di scoprire che
entrambe le volte, nel passato e nel presente, al suo risveglio ritrovava la
stessa compagnia.
«Oi, Kaoru,
svegliati. Ti rendi conto che qui non siamo a casa nostra?!» lo riprese una voce
decisa e così familiare da farlo sussultare, spingendolo a sollevare la testa di
colpo. Meno male che in fondo aveva il sonno leggero.
«Ti ho scritto
che avrei ritardato un poco, ma se preferivi dormire potevi specificarlo, invece
di rispondere solamente OK», borbottò Syo, levando esasperato gli occhi al
soffitto e incrociando le braccia al petto.
«Nii-san, non
arrabbiarti, è stato più forte di me. Adesso sono sveglio, perciò ti dispiace
aiutarmi?» si scusò tranquillamente Kaoru, tendendo una mano verso di
lui.
Loro due
potevano anche essere molto simili nell’aspetto esteriore, però ognuno era
cresciuto con il proprio carattere e tante piccole differenze, inoltre non
condividevano le stesse esperienze, soprattutto quelle degli ultimi anni. E non
si vedevano spesso.
Sospirando,
l’altro lo tirò in piedi e a una distanza così ravvicinata le occhiaie
risultavano ancora più evidenti sul viso del gemello.
«Non me la conti
giusta. Ci hai scritto in faccia che sei stato tutta la notte chino sui libri»,
affermò Syo, accigliandosi più di prima.
«Vero, per un
esame, ma non ha importanza. Puoi non tenere il broncio e farmi un sorriso dei
tuoi?» lo pregò Kaoru, indietreggiando di un solo passo e incrociando le mani
dietro la schiena.
«Kaoru,
non-».
«Per favore,
oppure sarò costretto a stringerti in un abbraccio soffocante stile Natsuki
finché non lo farai», lo ricattò, anche se in maniera molto
serafica.
«No, di Natsuki
basta uno, preferisco il mio solito fratellino pacato e riservato. Un po’ troppo
ansioso e possessivo a volte, però va bene come sei».
Ed ecco che
finalmente Kaoru lo vide ridere, un poco imbarazzato per l’ammissione, ma
saperlo rilassato era come un ulteriore incentivo, uno stimolo a continuare per
la strada che aveva scelto, una molla che scattava nei momenti
giusti.
Sicuramente
avrebbe recuperato il sonno, ma l’idea di passare quello che restava della
giornata con il fratello gemello, era certo che sarebbe bastata a tenerlo
sveglio.
___
Iniziativa: Questa
storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura
di Fanwriter.it! Numero
Parole: 1412 Prompt: 9.
Dormire davanti al caminetto
Note: In verità
avrei voluto postare un’altra storiella nel terzo capitolo, però ho finito prima
questa e quindi ecco a voi la breve one-shot incentrata su Kaoru Kurusu. Chi lo
conosce può capirla meglio, inoltre ho cercato di renderla comprensibile anche a
chi non lo conosce, non entrando nei dettagli perché altrimenti si sarebbero
perse le sfumature fluff, di
leggerezza che vorrei dare all’intera raccolta.
Nell’anime è
stata omessa la malattia di Syo e io l’ho posta giustamente ai margini per
concentrarmi più sulle sensazioni e i ricordi d’infanzia di Kaoru in questo suo
momento.
Proprio nel
flashback sta il tema natalizio, scoverò sempre modi diversi per parlarne, se
avete notato mi sono documentata a riguardo xD
Ammetto
candidamente di non essere un’esperta sui due gemellini, spero che vi piaccia
ugualmente :D Kaoru sta ancora studiando, mentre per Syo immaginate quello che
volete (le cose son due: o è ancora uno studente, o ha già debuttato e ha fatto
tardi per un impegno di lavoro).
“Ape Escape” era
un gioco che adoravo da piccola, non so se ci avete mai giocato, il mio era per
Playstation… E niente, mi gasava troppo e l’idea di inserirlo in qualche modo è
stata più forte di me xD che nostalgia!
E poi il gioco originale era giapponese, quindi va bene :D
Grazie e alla
prossima!
Rina
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Vischio - Kotomi/Mitsuo [Spoiler!] ***
Doc
*Vischio*
{Last
Christmas ima wa mada
Omoide
ni nante dekinai yo
Demo
ai wa mou
Koko
ni wa i nai this year}
Musica
era come la magia suggestiva del Natale.
Per
lei, Natale era sempre stato una gioia condivisa, una dinamica meraviglia, un
calore diffuso che scaldava nonostante l’abbassamento della temperatura e il
cadere lento, ipnotico dei fiocchi di neve.
Da
bambina adorava ascoltare le Christmas carols originarie di altri paesi e
tradotte in lingua giapponese, il fatto che si potesse riadattare un brano per
permettergli la diffusione su larga scala era meraviglioso. Non ne era sicura,
ma forse era stato proprio grazie a queste canzoni orecchiabili e carine che
l’approccio alla musica era venuto spontaneo nella piccola
Kotomi.
Non
c’era niente che la rendesse più felice del fatto di canticchiarle mentre si
rigirava fra le manine un rametto di vischio.
Musica
era come la vita in continuo movimento.
Tutto
nella vita poteva diventare musica, anche il silenzio.
In molti non ci
facevano caso, troppo presi della caotica routine quotidiana, davano per
scontato ogni suono esistente, ogni rumore prodotto dai mezzi che li
circondavano.
Esistevano
musiche basse e dolci come un sussurro, moderate e normali come un’abitudine,
intense e forti come un temporale. Suoni naturali e artificiali, spontanei e
artefatti, lieti e angoscianti.
Talvolta,
al risveglio, la quindicenne rimaneva stesa sotto le coperte apposta per
concedersi un po’ di tempo ad ascoltare tutto quello che riusciva, le piaceva
distinguere le melodie dalle cacofonie, sorrideva dei ragionamenti e degli
abbinamenti che le balenavano nella mente, si sforzava di trattenere alcuni
pensieri per quando si sarebbe seduta a prendere nota per una futura
composizione.
Certe
mattine, canticchiando a labbra chiuse, Kotomi spalancava le imposte della sua
finestra e salutava il nuovo giorno con la luminosità nello sguardo, traboccante
di gioia sincera per tutti i suoni che le avrebbe
regalato.
Con
indosso la vestaglia, agitava le braccia in alto per salutare il solito postino
che passava con la bicicletta e che aveva la gentilezza di risponderle con un
cenno educato della testa coperta dal cappello.
Lo
sfregare delle ruote sulla carreggiata al momento in cui la bicicletta frenava
era il primo suono, poi soggiunse il trillo del campanello sul canestro
attaccato al manubrio.
Dopo
regalava un saluto verbale a Koichi-kun, il bambino che abitava
nell’appartamento accanto e che in quel momento apriva la porta per recarsi a
scuola. Quello arrossiva di rimando e si defilava sbatacchiando di qua e di là
la sua cartella, la sua timidezza la inteneriva davvero e lo scalpiccio delle
sue scarpette era un’armonia infantile, così dolcemente nostalgica perché anche
lei correva molto da bambina.
Musica
era come un intercalare di emozioni.
Felicità,
tristezza, nostalgia, paura, forza, debolezza, gentilezza, sfrontatezza e poi
altre, molte altre sensazioni che non avevano
definizione.
Convergevano
tutte in un unico sentiero, cavalcavano la stessa onda, volavano alto,
sfrecciavano fino al cielo e anche oltre, verso le stelle più lontane,
trascendendo lo spazio e il tempo.
Infine
tornavano giù, entravano in testa e non ti abbandonavano mai, scaldavano il
cuore e vibravano le sue corde più intime, facevano tremare le
gambe.
Musica
era un intreccio di relazioni importanti.
Grazie
alla sua magia, alla sua vitalità, al suo coinvolgimento emotivo, alle
sperimentazioni che si potevano fare con essa, Kotomi aveva conosciuto
tantissime persone che l’avevano consigliata e aiutata durante il suo percorso
di formazione musicale.
Nel
liceo che frequentava, Kotomi si era iscritta al club di musica, un raduno di
semplici appassionati, aspiranti musicisti, novelli idol che avevano fatto la
gavetta partecipando a delle selezioni rigidissime, e poi c’erano quelli come
lei, che sognavano di comporre musica.
Inoltre,
in questo luogo pieno di allegria e spensieratezza, di larghe finestre e
variopinte carte da parati sui muri, la giovane aveva concepito un progetto
ispirato proprio a quell’ambiente che le era tanto caro e familiare, ossia il
suo ideale di accademia musicale.
Musica
era amore, un batticuore costante, un crescendo di note, partendo dalle più
basse.
Tra
tutte le sue conoscenze in quel campo, solamente una persona si era mostrata
interessata al suo progetto forse troppo ambizioso e certamente irrealizzabile,
una ragazza non avrebbe mai potuto illudersi di riuscire a creare da sola un
simile istituto.
Mitsuo
Saotome sembrava nato per calcare il palcoscenico, per stupire il pubblico, per
accattivarsi il sostegno di tutti.
Mitsuo
Saotome era bello, sorprendente, sfrontato, esagerato nei modi. Sapeva
esattamente come sfruttare le sue doti canore per colpire nel segno, come
reagire a tutte le provocazioni che gli scagliavano contro, come essere
agguerrito senza in realtà ferire nessuno.
Un
giorno, si erano ritrovati entrambi nell’aula del club, da soli perché gli altri
membri erano in ritardo, e lei si era permessa di contraddirlo quando il
ragazzo, con la sua voce bassa e strascicata, aveva detto che la musica non
poteva rispondere alle esigenze di tutti e che era in verità destinata soltanto
a chi la studiava bene.
E
lei aveva replicato concitatamente tutto quello che aveva sempre pensato, che la
musica è magia, suggestione, vita, emozioni, testa, cuore e relazioni. E che
rinunciare alla musica era come vivere un’esistenza in bianco e nero, senza
nessun altro colore.
«Come
ti sentiresti se improvvisamente tu vedessi soltanto bianco e nero? Non sarebbe
triste e vuota una vita così?».
Infine,
Kotomi aveva realizzato, non era stato altro che un modo per metterla alla
prova. Quel ragazzo impertinente, quel novello idol, si era sfilato lentamente
gli occhiali da sole, fissandola con i suoi penetranti occhi castani, per poi
affermare con aria soddisfatta che gli piaceva il suo modo di pensare e che
dovevano fissare un appuntamento, perché da quel giorno lei sarebbe diventata la
sua compositrice.
E
non si limitarono a un solo incontro, ma ne ebbero molti altri, sia al club, sia
all’agenzia Suzuki per la quale lui aveva iniziato a lavorare come
attore.
E
in seguito, sulle note appassionanti di For Love, il singolo di esordio come
cantante che consentì a Saotome di scalare la vetta della classifica nazionale
con un record di ben venti milioni di dischi venduti, i due si erano innamorati
l’uno dell’altra.
*
{Last
Christmas futari nara
Negai
wa kanau to shinjiteta
Mada
koe rare nai
Kimi
wa ima demo special}
Un
rametto di vischio, una piccola pergamena e un fiocco rosso che li teneva
insieme.
Ecco
ciò che aveva trovato la giovane sulla moquette davanti alla porta della sua
camera.
Incuriosita,
Kotomi si era inchinata per prendere l’insolito dono, per sciogliere il nastro
cremisi e per spiegare il pezzo di carta arrotolato su se
stesso.
«L’appuntamento
è vicino alla Tokyo Tower. Al solito posto, al nostro orario. Non mancherò. Your beloved King», lesse in un mormorio
stupito la ragazza dai lunghi capelli castani, che cadevano ondulati fino a metà
schiena, per poi portarselo al petto e scuotere il capo con un sorriso radioso.
Chissà che cosa le aveva preparato, quale folle e sorprendente piano si era
inventato per stupirla nella serata della Vigilia di
Natale!
Kotomi
volse lo sguardo indirizzandolo verso il tondo orologio appeso alla parete
laterale e i suoi occhi blu si sgranarono, perché accidenti, se non si sbrigava
avrebbe fatto tardi per il servizio di volontariato all’ospizio per anziani.
Aveva promesso loro che per l’ora di pranzo li avrebbe intrattenuti suonando
prima il pianoforte e poi la chitarra, si sarebbe sentita profondamente in colpa
se li avesse delusi in qualche modo.
Inoltre,
l’aspettava sua sorella maggiore che non era affatto male come truccatrice,
sarebbe stato più consigliabile affidarsi a lei piuttosto che impiastricciarsi
da sola. A quel punto sarebbe tornata di corsa a casa per scegliere i vestiti
adatti, in modo da non sfigurare… Occielo!
Chiuse
velocemente la porta per darsi una mossa. Una mossa in tutti i
sensi.
Assolvere
a tutti gli impegni della giornata e arrivare in tempo all’appuntamento era
stato davvero faticoso, ma ce l’aveva fatta per miracolo.
Alla
fine non aveva intrattenuto soltanto quei gentili, saggi e adorabili vecchietti,
distesi e sereni nonostante la ragnatela di rughe che tracciava i loro volti
segnati dal tempo, ma anche alcuni nipotini in visita all’ospizio; la presenza
allegra dei bambini le aveva veramente scaldato il cuore, com’erano felici nel
sentirla suonare e cantare! E come la incoraggiavano!
Dopo
essersi preparata adeguatamente per il suo appuntamento con Mitsuo, Kotomi volle
portare con sé un ricordo di quelle ore trascorse piacevolmente, era il cappello
natalizio -un cono rosso con una stellina attaccata alla punta- piazzato sul suo
capo.
Percorse
il tragitto senza mai toglierlo, la ragazza dai capelli castani e dagli occhi
blu, che inoltre aveva scelto di indossare per l’occasione un pullover dello
stesso colore del cappello, un poncho
color argento e una gonna lunga fino alle ginocchia con le pieghe, tinta di un
rosso più tenue, per finire con dei collant grigi e degli stivaletti ai
piedi.
Si
fermò davanti a un albero sempreverde ricoperto da una ragnatela di lucine
scintillanti e attese il suo arrivo, scorgendo tutti i volti che passavano nella
speranza che non tardasse troppo. Nella borsetta conservava un presente per lui,
un cappello di lana fatto con le sue mani, intrecciato con i ferri del mestiere.
Ovviamente, era di colore rosso.
Se
volgeva lo sguardo a destra, poteva vedere la Tokyo Tower che si stagliava
imponente fino al cielo notturno, illuminata a festa.
Appena
lo vide arrivare, perché lei era ormai in grado di riconoscerlo anche se si
camuffava con mascherine stravaganti per passare inosservato, gli corse incontro
e venne subito accolta dalle sue braccia, rifugiandosi in un abbraccio che tanto
le era mancato. Caldo, rassicurante, tangibile. La rilassava incredibilmente
accostare l’orecchio al suo petto e sentire i battiti regolari del cuore, tutti
gli altri suoni si annullavano anche per una come lei, una che prestava
particolare attenzione a tutto ciò che le orecchie captavano. Quello però era un
ritmo che amava, le donava il sentore che non se lo stava immaginando, che lui
si era realmente liberato da tutti gli impegni con l’agenzia ed era lì, tutto
per lei.
Lui
sussurrò piano il suo nome all’orecchio e lei annuì, stringendo maggiormente la
presa.
Quello
che ormai il Giappone conosceva come Shining Saotome, per Kotomi sarebbe stato
sempre Mitsuo-san. Quando le sollevò il mento, lei si perse nei suoi occhi, che
quella sera sembravano davvero brillare di una luce propria simile all’argento del suo poncho, e attese
fiduciosa, schiudendo le labbra.
Allora
lui si scostò e le mostrò un altro rametto di vischio, indietreggiò di un passo,
nascose le mani dietro la schiena.
«Sai
che hai qualcosa nell’orecchio, my
darling?» le fece sapere, in tono teatrale.
«No.
Cosa?» stette al gioco, sorridendo radiosa.
Lui
ghignò, eseguì un piccolo trucco di prestigio e lei finse di credere che quel
rametto fosse finito magicamente tra l’orecchio e il cappello natalizio,
applaudendolo per tre volte.
«Bravo,
bravo. Adesso però tocca a me fare una magia. Chiudi gli occhi, Mitsuo-san, e
aprili soltanto quando te lo dico io, non prima!» stabilì lei, con voce
melodiosa.
Dopo
essersi assicurata che gli occhi che adorava fossero ben chiusi, estrasse il
regalo dalla borsa e lo sistemò tra i capelli ribelli del ragazzo, che erano di
un castano ramato.
«Aprili.
Non avevi nulla di rosso, bisognava rimediare», chiarì, senza smettere di
sorridere.
«L’hai
fatto con le tue mani, vero? For me?»
mormorò con un filo di emozione Saotome, tastando il suo
regalo.
«Yes!» rispose in inglese, dato che a lui
faceva piacere.
E
finalmente lui le prese il viso fra le mani, mentre quelle di lei si
aggrappavano alle sue spalle, sollevandosi in punta di piedi, e si scambiarono
un dolce e intimo bacio, lo sfondo imponente e luminoso della Tokyo Tower alle
spalle e l’augurio silenzioso di poter rendere speciale e indimenticabile ogni
loro momento nell’avvenire, di sorprendersi a vicenda e di amarsi con tenerezza
e passione finché sarebbe stato possibile.
Consapevoli
del fatto che non esisteva regalo più bello del forte legame che li univa e che
risuonava come musica nell’aria.
Si
staccarono sorridenti, unendo le loro fronti e intrecciando rispettivamente la
mano destra sopra lo stesso rametto di vischio, dalle intense foglie verdi e
dalle bacche cremisi.
«Merry
Christmas, my darling».
«Merry
Christmas, my beloved King».
E
la loro serata speciale non era ancora finita, anzi era appena cominciata nel
modo più romantico e perfetto possibile.
___
Iniziativa: Questa
storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura
di Fanwriter.it! Numero
Parole: 1999 (esclusi i versi della canzone) Prompt: 45.
Vischio
Note: Perché
stavolta la mia scelta è caduta su Kotomi?
Mi dispiace che
non esista alcuna storia con lei protagonista, ho controllato anche su
fanfiction.net, e così ho tentato di rimediare inventando qualcosa a
riguardo.
Non è
semplicemente adorabile? *-* Dite che è la mia visione è coerente con quel poco
che si sa su di lei?
Non volevo che
somigliasse ad Haruka, una protagonista che mi annoia tantissimo, anche se non
la odio -in fondo nella prima serie mi
piaceva, si rendeva più utile secondo me.
Giuro che dopo
questo capitolo fluff sulla coppia Kotomi/Saotome ho smesso con le storielle
ambientate nel passato, i prossimi capitoli della raccolta riguarderanno i
protagonisti ^^
Chiedo scusa se
non vado tanto a braccetto con il romanticismo, per questo mi stavo concentrando
più sull’amicizia e sui rapporti fraterni, ultimamente mi sento impacciata con
le coppie di personaggi xD
Ah, quasi
dimenticavo: le citazioni tra virgolette appartengono alla versione giapponese
di Last Christmas, mi sembrava giusto
rendere un piccolo omaggio a questa canzone per la recente scomparsa di George
Michael. Immaginatela canticchiata da Kotomi ^^ ecco il video da dove l’ho
presa: https://www.youtube.com/watch?v=zC8o1gv_Jy4
Alla
prossima!
Rina
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** I personaggi addobbano l'albero di Natale insieme - HEAVENS ***
Doc
*Gli Heavens addobbano l’albero di Natale insieme*
Eiji
Ootori, nella sua giovane vita, ne aveva veduti tanti, tantissimi alberi di
Natale, soprattutto durante i suoi viaggi invernali all’estero. Ne aveva
ammirati di svariate dimensioni, veri o artificiali, multicolori, illuminati a
festa o in modo semplice, con solo qualche luminaria e alcune palline qua e là.
Quando era bambino, certe volte, guardandoli, si chiedeva ingenuamente quanto
tempo richiedesse addobbarne uno.
La
sua famiglia non era solita festeggiare il Natale, quindi trovare una risposta
adeguata per un tale dubbio era davvero complicato, con suo padre che lo
ignorava dicendo che si trattava di “una sciocchezza senza importanza” e suo
fratello che, per il suo bene, gli suggeriva di lasciar perdere, che in effetti
c’erano cose più importanti delle quali doveva davvero preoccuparsi, tipo
proseguire i suoi studi, ascoltare la musica ed evitare vaneggiamenti che
avrebbero soltanto alterato l’umore del genitore.
«Però,
Eiichi niisan, me la prometti almeno una cosa?» se ne usciva infine il minore
degli Ootori, dispiaciuto e speranzoso, con i grandi occhioni color porpora
prossimi alle lacrime e la vocina mesta.
«Va
bene. Qualunque cosa, se serve a non farti piangere», sospirava il ragazzino più
grande, condiscendente.
«Quando
avremo degli amici, lo faremo insieme a loro, vero? Un sorprendente albero di
Natale, tutto nostro!».
«Siamo
tornati!».
Prima
che l’esclamazione allegra e improvvisa di Van invadesse la stanza, regnava una
calma quasi surreale. Nagi era seduto sul divano a leggere superficialmente una
rivista a caso, non potendosi muovere per colpa di Shion, che si era
addormentato con la testa riccioluta sulle sue gambe mentre ascoltava la musica
contenuta nel lettore mp4 dalle apposite cuffiette.
Kira
stava controllando il bollitore del tè, mentre Eiji era impegnato a visionare le
scatole di cartone contenenti gli addobbi natalizi.
Quando
Van, sorridendo, irruppe nella stanza, seguito lentamente da Yamato, appesantito
da uno scatolone rettangolare alto almeno due metri, i quattro alzarono
simultaneamente lo sguardo, anche se tre di loro tornarono subito alle
precedenti operazioni.
Solamente
Eiji si mosse per accogliere cordialmente i due ragazzi.
«Bentornati!
L’avete trovato, vero?» s’informò con un sorriso gentile il fratello minore del
leader del gruppo.
Yamato
lasciò cadere lo scatolone davanti a sé e mostrò un ghigno soddisfatto,
nonostante la fronte sudata per la fatica. Si passò una volta il dorso della
mano su essa, scostando le ciocche bionde, prima di rispondere: «È stato facile
come bere un bicchier d’acqua. Per quanto cerchino di isolarci dal mondo, non ci
riusciranno mai!».
«Ben
detto! Io ho guidato il furgone fino al magazzino ben fornito della Raging Entertainment e nessuna delle
guardie ha ostacolato il nostro passaggio», spiegò
Kiryuin.
«In
verità, è bastato che io facessi qualche telefonata, inventandomi delle minacce
che, a quanto pare, hanno funzionato. Bene, ragazzi! Portate tutto nella nostra
sala prove», ordinò Eiichi, l’ultimo ad arrivare, dietro di
loro.
«Se
collaboriamo, finiremo presto. Vero, niisan?» aggiunse Eiji, agguantando la
scatola leggera e più vicina a lui fra tutte le altre.
E
riguardo a queste, rappresentavano un segno tangibile dell’affetto autentico del
pubblico, era la prima volta che gli Heavens assistevano a un mirabile esempio
di generosità da parte delle loro fan sfegatate.
Loro
non si sarebbero mai aspettati di trovare, quella mattina stessa, parcheggiato
proprio davanti all’uscita dell’edificio che li ospitava durante
quell’isolamento forzato a opera del presidente Ootori, un furgone grigio con
cartelli e poster di incoraggiamento.
Poi,
aprendo lo sportello scorrevole, di scoprire un mucchio di scatole di piccole,
medie o grandi dimensioni.
Fu
così che, incoraggiati dal gesto carino, Kiryuin e Hyuuga junior partirono in quarta alla ricerca
di un abete adatto allo scopo. E adesso che erano tornati, potevano procedere
con i preparativi tanto desiderati da Eiji.
Non
era mai avvolta da un perfetto silenzio, la sala prove o piccola palestra,
quando era occupata da loro.
Il
parquet di legno veniva calpestato dalle suole delle scarpe da ginnastica,
finché dalle casse appese agli angoli non risuonava la musica e il rumore dei
passi cambiava, si faceva più ritmato, più frenetico a seconda della
coreografia. A volte si facevano delle ripetizioni e a volte delle pause, e in
questi momenti la stanza dalle pareti di vetro infrangibile si godeva un lieve
chiacchiericcio, a parte quando qualcuno dava delle precise indicazioni e gli
altri tutti zitti ad ascoltare, oppure quando qualcun altro preferiva eseguire
la sua serie di flessioni piuttosto che parlare.
Quel
giorno di dicembre, però, la sala abituale, dove gli unici oggetti fino ad
allora consentiti erano borsoni muniti di cerniere, asciugamani per detergersi
dal sudore e bottiglie d’acqua per dissetarsi dopo tanto movimento e ricerca di
una perfetta sincronizzazione, ospitava un abete artificiale alto due metri. Non
sarebbe stato prudente procurarsene uno autentico, dal momento che i veri alberi
tendevano a perdere i sottili aghi verdi che circondavano i loro rami ed era
meglio non rischiare che qualcuno scivolasse, poiché nel pavimento della sala
potevano cadere e spargersi queste particolari foglioline.
L’alberello
dalla chioma sempreverde era inoltre circondato da scatole e scatoloni pieni di
vari addobbi – palline di vetro soffiato o altri materiali, morbidi fili
colorati, cappelli natalizi, calze per contenere dolcetti e caramelle, lucine
arrotolate o aggrovigliate, sfere di vetro includenti minute sculture e neve
finta, campanelle, bastoncini di zucchero, eccetera.
Tutto
era partito dalla timida proposta espressa da Eiji Ootori, infatti il ragazzo fu
quello che si stupì più di tutti per il rapido svolgersi degli eventi, non si
aspettava che una sua frase pronunciata per puro caso qualche giorno prima
venisse presa sul serio.
«Non
mi dispiacerebbe addobbare un albero di Natale insieme. Potrebbe aiutare a
sentirci più un gruppo… e inoltre potrebbe essere divertente, o almeno spero che
sia così. Non l’ho mai fatto, anche se da piccolo lo desideravo molto»,
confidò.
Tuttavia,
dato che nessuno degli altri ragazzi aveva replicato sul momento, nemmeno suo
fratello, lui non ci aveva più pensato a quel desiderio d’infanzia emerso fuori
di colpo, anche perché poi avevano ripreso seriamente con le prove della
coreografia di “Fumetsu no
Inferno”.
«Yamato,
spostalo un po’ più a destra», suggerì Van riferendosi all’albero ancora
spoglio.
«Ma
che dici? Riportalo a sinistra, stava meglio prima!» esclamò Nagi in
disaccordo.
«Prova
due passi avanti», mormorò Kira, tranquillo.
«No,
aspettate! E se invece lo mettessimo tre passi verso il muro? Se è troppo
centrale, dopo noi come facciamo le prove?» propose Van, cambiando
idea.
«E
basta! Mi avete scambiato per il vostro servo? Insomma, decidetevi!» sbottò
infine il ragazzo più alto, confuso e alterato dalle loro continue affermazioni
discordanti, non sapendo più a chi dare retta.
«Perdonali,
Yamato, non intendevano farti arrabbiare», intervenne Eiji,
conciliante.
«Ehi,
qui ci sono delle lucine tutte ingarbugliate fra loro. Chi mi aiuta a
sbrogliarle? Non posso chiederlo alle stelle», soggiunse la voce svogliata di
Shion, inginocchiato accanto a uno scatolo aperto, mentre dietro di lui stava un altro con un sacco di
ghirlande natalizie.
«Yamato,
tu sei cresciuto con tre fratelli, giusto? Avrai esperienza con gli alberi di
Natale», provò a fare conversazione Eiji, mentre insieme al biondo visionava il
contenuto di una scatola contenente fili di svariati colori, scartando quelli
che, su suggerimento di suo fratello maggiore, erano troppo chiari, vivaci e non
rispecchiavano per niente lo spirito degli Heavens.
«Preferisco
non ricordare. Io sfidavo Hyuuga Ryuuya a chi allestiva l’albero migliore in
casa, ma non sono riuscito a batterlo nemmeno in quello», sbuffò
Yamato.
«Oh.
Mi dispiace», si rammaricò l’amico, ricevendo però una pacca sulla spalla
dall’altro, segno che non se l’era affatto presa.
«Nagi,
cosa hai fatto?» domandò Kira, senza scomporsi minimamente nonostante un
centinaio di palline colorate avessero appena invaso il parquet, rotolando
disordinatamente intorno a loro e sparpagliandosi per tutto il perimetro della
sala prove.
«Calma,
calma. In questo modo vi ho risparmiato la fatica di tirarle fuori dalle scatole
una per volta, dovreste ringraziarmi. All’idol più carino dell’universo non
piace commettere errori», replicò con candida incuranza il più piccolo,
nonostante avesse rovesciato il contenuto di ben due
scatole.
«“Idol più carino dell’universo”, sveglia
Shion e aiuta Van, sembra in difficoltà con quelle lucine!» sbottò Yamato,
agitando dei filamenti blu e viola come se fossero pon pon, mentre Eiji manteneva il suo
sorriso lieve, muovendosi per andare lui stesso in aiuto del bruno dagli occhi
castani.
Con
un sospiro esasperato, Nagi si dedicò ad Amakusa, trascinandolo, dopo averlo
fatto alzare a fatica, verso l’albero, dove Eiji arrivò per passargli il primo
filo sottile di minuscole lucine liberato dal groviglio, perché iniziassero ad
avvolgerlo nei rami più bassi.
«Per
adesso non preoccupatevi di altro, poi ci penseranno i più alti a completare il
lavoro. Finite questo, così andiamo a smistare le varie decorazioni, per
decidere su quali rami collocarli, ok?».
Così,
sei membri degli Heavens, fra suggerimenti, chiacchiere, scherzi e risate,
passarono tre ore ad addobbare serenamente l’albero di Natale, insieme, con le
specifiche mansioni distribuite fra di loro.
E
mentre esso prendeva forma, illuminato dalle lucine luminose, colorato da lunghi
fili prevalentemente color argento, azzurro ghiaccio, porpora, blu cobalto, blu
cielo e altre sfumature di blu o viola, arricchito con palline decorate e
oggettini vari, Eiichi fece nuovamente la sua comparsa con sette cartellini
vuoti e sette penne per tutti loro.
«Ragazzi,
prendetene uno ciascuno. Scriviamo due aggettivi per il gruppo e appendiamoli
assieme agli addobbi: in questo modo sarà davvero il nostro albero», stabilì il
ragazzo con gli occhiali.
Anche
ricercare le parole adatte fu un’attività simpatica che li aiutò molto a
stabilire una maggiore intesa e complicità fra gli
Heavens.
“Speranza e gentilezza”, furono i primi
due aggettivi segnati e appesi da Eiji Ootori, un ragazzo a modo, che
modestamente sottovalutava il proprio talento pur possedendo un genio artistico
fuori dal comune, un’ottima memoria e una voce angelica e perfettamente
intonata.
“Forza e coraggio”, appuntò senza alcun
indugio Yamato Hyuuga, il membro più grintoso e tosto degli Heavens,
posizionando il suo cartellino su uno dei rami più alti.
“Empatia e luminosità”, scrisse con
grafia elegante Shion Amakusa, che era stato l’ultimo a unirsi al gruppo, eppure
aveva dimostrato in più occasioni di tenerci moltissimo.
“Serietà e autocontrollo”, riportò Kira
Sumeragi, che faceva parte del trio originale e che non parlava molto, ma di
sicuro sapeva esattamente ciò che voleva, avendo offerto fin dal principio le
sue qualità innate per il bene degli Heavens, impegnandosi duramente con tutti
loro.
“Talento e costanza”, decise Nagi, dopo
una veloce discussione con Shion e Van, dal momento che lo avevano anticipato
nella scelta dei due aggettivi, quindi alla fine aveva optato per questi
termini. Il più piccolo e bassino del gruppo protestò un poco quando venne
sollevato da Yamato per appendere il proprio cartellino, ma fu ben felice di
metterlo in alto.
“Fascino e divertimento”, scribacchiò Van, il
burlone degli Heavens, un sorriso impertinente sul viso attraente, che, passando
accanto ai due, batté il cinque con Hyuuga e scompigliò i capelli a Mikado.
“Suspance e imprevedibilità”, riportò
infine il leader del gruppo, dal momento che Eiichi nutriva ancora la forte
convinzione che gli Heavens, tutti insieme, potessero raggiungere vette sempre
più alte di popolarità e ottenere un maggiore riconoscimento, un qualunque
premio, con un’incredibile performance che soltanto i sette guerrieri della musica potevano
eseguire. Malgrado le difficoltà apparentemente insormontabili, avrebbero fatto
ogni cosa per risorgere, rialzarsi e proseguire il
cammino.
Una
volta che ebbero aggiunto il tocco finale, cioè un puntale argentato in cima
all’albero ormai interamente addobbato, Eiichi fece spegnere le luci in sala e
il risultato del loro lavoro emerse fuori in tutta la sua sorprendente bellezza
e luminosità, lasciandoli decisamente a bocca aperta.
E
il minore degli Ootori, felice e commosso, colse l’occasione per ringraziare
affettuosamente il suo fratellone, perché la loro semplice promessa, che si
erano scambiati quando lui era bambino, si era finalmente concretizzata,
brillava vividamente al centro della sala e scaldava il
cuore.
*
Silenzio
in sala.
Telecamere
posizionate a diversi metri dallo stupefacente albero di Natale che rispecchiava
lo spirito irriducibile degli Heavens, i “guerrieri della
musica”.
«Oh!
Oh! Oh! Buon Natale!» esordì Van, in un’interpretazione personale e gioiosa di
Babbo Natale, con indosso il tradizionale costume rosso con cappello sopra gli
stivali marroni e un sacco pieno sulle spalle.
Scampanellando,
Nagi si mise al suo fianco, lui invece era abbigliato come un grazioso elfo
aiutante di Babbo Natale, mentre a un imbronciato e a braccia conserte Yamato
era toccato il costume da renna, con tanto di corna finte.
I
quattro membri degli Heavens rimanenti avevano invece sfilato davanti a loro,
con abiti alla moda che facevano parte di una recente collezione autunno-inverno
di una famosa stilista, per poi posizionarsi di fronte all’albero, accanto agli
amici in costume.
«Buonasera
a tutti! Siamo lieti di essere qui», esordì seraficamente Eiji, parlando a un
microfono, che poi passò al fratello maggiore.
«Ci
tenevamo a ringraziare sentitamente i nostri cari angeli per i bellissimi doni che ci
hanno fatto e per tutto il loro sostegno», continuò
Eiichi.
«Il
vostro affetto unito alla voce delle stelle ci accompagnerà sempre», sussurrò
Shion.
«Per
questo, siamo qui oggi a dedicarvi la nostra cover di una canzone natalizia
molto conosciuta nel mondo occidentale e tradotta in giapponese», riferì Kira.
«Ecco
a voi “Santa Claus is coming to town”
interpretata dagli Heavens!» annunciarono tutti in coro.
E
subito dopo, partì l’introduzione strumentale della base.
“Saa
anatakara
MERRY
CHRISTMAS
Watashikara
MERRY
CHRISTMAS
SANTA
CLAUS IS
COMING TO
TOWN”.
“Ne
kikoete
kurudesho
Suzunone
ga
suku
soko ni
SANTA
CLAUS IS
COMING TO
TOWN”.
“Matikirenaide
Oyasumi
shita koni
Kitto
subarashii PRESENT motte”.
“Saa anatakara
MERRY
CHRISTMAS
Watashikara
MERRY
CHRISTMAS
SANTA
CLAUS IS COMING TO TOWN”.
“Saa anatakara
MERRY
CHRISTMAS
Watashikara
MERRY
CHRISTMAS
SANTA
CLAUS IS COMING TO TOWN”.
“Ne kikoete
kurudesho
Suzunone
ga
suku
soko ni
SANTA
CLAUS IS COMING TO TOWN”.
______
Note:
Approfittando del fatto che le feste, come ogni anno, sono ritornate in mezzo a
noi, ho ripescato la one-shot
dedicata agli Heavens e ho deciso di pubblicarla oggi (secondo la wikia, il 12 dicembre è il compleanno di
Van xD anche se qui non si parla di compleanno, lui è comunque presente, quindi
va bene, dai ^^).
Ammetto
che non mi piaceva com’era uscita alla prima stesura, tuttavia oggi,
rileggendola, ho pensato di darle una possibilità: è bastato dare una
ritoccatina qua e là, aggiungere qualcosa et voilà, ecco a voi la storia natalizia!
:D
Che
ne pensate? Spero vi piaccia ^^
Potete
ascoltare il video che mi ha ispirata su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ziRMA6lrJIk
L’idea
dei colori per farvi immaginare chi canta ogni verso va bene secondo voi? Mi
sembra più indicata rispetto all’uso dello stile copione, ma se non vi piace
posso cambiare la parte finale. (Nelle frasi a colori alternati cantano due
insieme, ovviamente).
Eiichi
(rosso)
Eiji
(viola)
Van
(arancione)
Yamato
(fucsia)
Nagi
(evidenziatore giallo)
Shion
(verde)
Kira
(blu)
Tutti
e sette (nero)
Grazie
per l’attesa e alla prossima!
Rina
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3592479
|