Be careful making wishes in the dark di Calime (/viewuser.php?uid=9488)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Your cruel device ***
Capitolo 2: *** Your blood like ice ***
Capitolo 3: *** You're poison runnin' through my veins ***
Capitolo 4: *** Your web, I’m caught ***
Capitolo 5: *** One look could kill my pain, your thrill ***
Capitolo 6: *** I don't wanna break these chains ***
Capitolo 7: *** Runnin’ deep inside my veins ***
Capitolo 1 *** Your cruel device ***
Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono, ma sono di proprietà di Chinomiko e della
Beemoov.
Be careful making wishes in the dark
~ Can’t be sure when they hit
their mark ~
01. Your cruel device
«Sei davvero una stronza,
Ambra» sibilò
Kentin con astio, lanciandole uno sguardo di disprezzo. Tremava
impercettibilmente, i pugni stretti e le labbra chiuse in una linea di
disgusto.
Non era semplicemente furioso: era ferito. E si sentiva il re degli
imbecilli semplicemente perché aveva dato retta a lei,
Ambra, quando era ovvio – ovvio
– che non gli
avrebbe portato nulla di buono.
«Volevo soltanto mostrarti la verità.
Eccotela». Lei gli indicò con un ampio gesto della
mano ciò che la porta socchiusa mal celava.
«Aprirti gli occhi» aggiunse con sottile
compiacimento.
Kentin scosse la testa, imbrigliando le violente emozioni che
scalpitavano per uscire fuori. «Non ne avevo affatto bisogno
e tutto questo non è che uno dei tuoi infantili capricci.
Cosa vuoi?»
Ambra aggrottò la fronte, fulminandolo con lo sguardo, e
mordicchiò l’unghia del pollice in un gesto
distratto, un po’ stupita dalla sua reazione: secondo i
piani, Kentin avrebbe dovuto scappare a gambe levate in lacrime e
frignare in un angolino buio di un’aula vuota, come il
ragazzino quattrocchi che ricordava. Invece… forse era
cambiato più profondamente di quanto avesse sospettato. Un
cambiamento che prescindeva da quello fisico.
«Nulla» sbottò, allontanandosi stizzita.
Lui le andò dietro in cerca di risposte.
«Vattene» sibilò, fissandolo bieca con
la coda dell’occhio.
«No» ribatté lui ostinato.
«Cos’è tutta questa dimostrazione di
forza? Non ricordavo fossi un duro» lo derise, aprendo
l’armadietto per prendere la borsa e rientrare a casa.
«Sono cambiato» replicò lui con una
punta di orgoglio.
La ragazza annuì piano, controllando di non aver dimenticato
nulla.
«Allora?!» si spazientì lui, sbattendo
una mano sugli armadietti vicini.
Ambra si girò furiosa. «Vi inculcano anche
parecchia testardaggine all’Accademia Militare, a quanto
pare!» sbottò, chiudendo con forza
l’anta.
Vedendolo intenzionato a rimanere fermo lì, a innervosirla,
tentò di sgusciare dal lato libero, ma Kentin le
impedì la fuga afferrandole il braccio.
«Lasciami o mi metto a urlare!» inveì.
Lui le riservò uno sguardo di fuoco. «Sei la
peggior vipera sulla faccia della terra, se sei rimasta soddisfatta del
risultato ottenuto» le sputò con veleno,
liberandola.
«Non ho ottenuto alcun risultato!» si
lasciò sfuggire lei, andando poi a mordersi il labbro
inferiore per l’errore commesso.
Kentin sembrò preso in contropiede, ma poi un lento sorriso
aleggiò sulle labbra. «Meglio per me».
Tuttavia Ambra non demorse. «Non vedi che è
innamorata di tutti i ragazzi del liceo, tranne te?!»
Si spazientì: doveva avere pure un punto debole! Non poteva
essere rimasto indifferente alla disgustosa scenetta intima tra quella
e Lysandro, svoltasi sotto i loro occhi!
Tutti – tutti! – erano a conoscenza di quanto lui
morisse dietro alla nuova – davvero patetico. Era cambiato e
tornato per quella, ma non aveva ottenuto il
risultato sperato.
Un po’ le spiaceva, giusto perché aveva occhio per
certe cose e Kentin si era fatto proprio un bel ragazzo…
Peccato fosse proprio quel Kentin!
«Sei solo invidiosa». Il ragazzo si
appoggiò agli armadietti, squadrandola con fare superiore.
Quell’atteggiamento la fece irritare, ma si
affrettò ad approfittare di quel momento per andare via
senza degnarlo di un minimo cenno di saluto.
Percorse il corridoio vuoto per qualche metro e, quando
sentì di essere abbastanza lontana e sicura di non essere
fermata, si voltò un attimo: Kentin aveva lo sguardo perso
innanzi, gli occhi socchiusi e le spalle curve, come affaticate da un
fardello che non voleva abbandonare lungo la strada. Lo
osservò passarsi una mano sul volto e tra i capelli, le
labbra si schiusero in un sospiro che non sentì.
Forse – semplicemente – era diventato bravo a
mascherare le emozioni e un po’ del vecchio quattrocchi
piagnucolone era ancora presente, ma ben nascosto.
Ambra scosse la testa in un gesto teatrale, voltandogli le spalle e
lasciando che le onde bionde ricadessero morbide dietro le spalle.
Alla fine, qualcosa era riuscita ad ottenere e, d’altronde,
la vendetta andava servita fredda.
I risultati l’avrebbero presto deliziata.
Ci sono ricascata…
Sta roba era in cantiere da… secoli? No, scherzo. Da quando
ho scritto Un bacio da dimenticare,
vabbè. L’ho tirata fuori adesso perché
finalmente sono riuscita a concluderla (evviva i tempi biblici xD).
Sarà una long di sette mini-capitoli, la mia prima in
assoluto e in questo fandom! Wow, che strana sensazione… mi
sale l’ansia.
Un paio di punti:
1) Essendo una sorta di sequel della
sopracitata flashfic ne consiglio la lettura, giusto per capire il
punto di partenza (cliccate su sul titolo, oppure nella serie). Penso che la fanfiction sia comunque fruibile senza,
vedete voi quel che vi aggrada :)
2) I capitoli saranno piuttosto breve,
perché è un primo esperimento e perché
questa long è nata proprio come un qualcosa senza impegno, e
si focalizzeranno su un preciso momento nell’arco temporale
lasciando sullo sfondo gli accadimenti (non aspettatevi una continuazione
tra un capitolo e l’altro, ma dei veri e propri salti).
Magari capirete meglio al capitolo successivo.
3) L’avvertimento What if?
è messo perché il gioco non ha preso
(né prenderà mai, credo) una piega del
genere… Non ci sono neanche riferimenti agli episodi finora
usciti :) Sono indecisa se mettere anche l’avvertimento
OOC… Aspetto pareri.
4) Quella, ovvero la lei che
Kentin e
Ambra hanno spiato, è la Dolcetta che sarà sempre menzionata come una
“lei” generica.
Infine, cercherò di aggiornare settimanalmente o comunque
senza far passare mesi e mesi, giusto il tempo di correggere i capitoli.
Grazie per la lettura e spero di non avervi annoiato troppo!
Calime
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Capitolo 2 *** Your blood like ice ***
Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono, ma sono di proprietà di Chinomiko e della
Beemoov.
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their mark ~
02. Your blood like ice
Kentin sentì urlare nella propria testa una vocetta
fastidiosa – che assomigliasse inquietantemente a quella di
Alexy era un dettaglio trascurabile – intimargli di
smetterla, che era un colossale coglione e che tutto quello non avrebbe
portato nulla – nulla – di buono.
Era comparsa da quando Ambra l’aveva scoperto giù
nel sottoscala, nascosto dagli scatoloni contenenti le decorazioni
natalizie con cui la preside Shermansky voleva addobbare
l’istituto. Accovacciato a terra, con le gambe raccolte al
petto e la testa nascosta lì in mezzo, proprio come il
ragazzino che mesi fa si era trasferito.
In cosa era cambiato, esattamente? Se bastava soltanto un rifiuto a
ridurlo allo stato primordiale, allora tutto il training psico-fisico
dell’Accademia Militare poteva andare a farsi benedire.
La verità era che aveva rovinato tutto con lei –
inutile dare la colpa alla propria avventatezza – e adesso
non sarebbe più riuscito a guardarla in faccia.
Cosa avesse avuto in mente in quel momento non sapeva spiegarselo
neanche lui stesso. Soltanto che gli era scattato qualcosa, dentro, nel
profondo, dove quella scena da dimenticare e le parole di Ambra avevano
trovato terreno fertile, attecchendo e prosperando fino al primo,
fatale, sboccio.
Solo il migliore amico.
Per lei era solo il migliore amico. Quello intelligente, quello che
adesso poteva vantare anche un fisico niente male, quello goloso di
biscotti, quello che c’era sempre nel momento del bisogno,
quello con cui parlare liberamente di tutto, quello che lasciava il
cellulare acceso di notte per lei, per i suoi messaggi.
Quello e nient’altro.
Quello che le moriva dietro da… be’, da sempre! Un
sempre trascorso a illudersi, a fantasticare e sperare
un’evoluzione del loro rapporto – perfetto,
sì, ma malsano per lui, per quei sentimenti tenuti chiusi a
chiave, soffocati nella gola e tra i denti quando la vedeva sorridere.
Qualcosa era cambiato da molto, ormai, ma non l’aveva mai
voluto vedere, né ammettere.
In quelle condizioni disperate, debole e stanco, Ambra
l’aveva trovato. Come avesse fatto non importava –
probabilmente stava cercando qualcun altro e poteva facilmente
immaginare anche chi. Importava soltanto che non aveva la forza di
affrontarla, né di fingersi qualcos’altro
– come aveva sempre fatto da quando era tornato –,
né di respingerla quando se l’era trovata
accucciata sui talloni, proprio davanti ai suoi occhi.
Ambra gli aveva sorriso amaramente, uno strano modo di approcciarsi a
lui, nuovo e pericoloso. E, fatto insolito, nessuna battuta era uscita
dalle sue labbra schiuse.
Poi gli si era avvicinata a poco a poco, con studiata lentezza.
E lui non aveva fatto nulla: non aveva mosso un muscolo per
allontanarla, né uno sguardo, né un suono.
Si era lasciato baciare e avrebbe potuto opporsi, di tempo gliene aveva
lasciato.
Ma non voleva.
Al diavolo! Non era un santo e quel bacio era più vicino a
un anestetico che a un nuovo coltello sguainato per fargli del male.
Forse domani se ne sarebbe pentito, ma era ancora pomeriggio e gli era
sempre piaciuto vivere nel presente. E il presente era lo scantinato,
l’odore di cartone invecchiato e la polvere sottile che
respiravano.
Quel bacio che sapeva di falsa compassione.
Ambra baciava male – le aveva detto la verità quel
giorno. Baciava male per la sua sciocca presunzione di saperlo fare,
per non mostrarsi meno abile dell’avversario.
Con lei non esistevano i compromessi: non vedeva nessuno come amico
– neppure Li e Charlotte. Tutto partiva e finiva con lei,
sciocca bambina troppo cresciuta.
«Segui me» le disse, quando ripresero fiato.
Lesse confusione nel suo sguardo, ma non voleva perdersi in chiacchiere
e perciò glielo mostrò con un altro bacio;
d’altronde, se dovevano divertirsi, che almeno fosse
piacevole.
Ambra comprese allora le sue parole, ma fece in tutt’altro
modo – un modo che comunque non gli dispiacque: stava
migliorando.
«Cosa ti avevo detto?» soffiò lei.
«Non si innamorerà mai di te».
Kentin le prese il volto tra le mani e fece scontrare di nuovo le loro
bocche affamate: sfogò la rabbia e il dolore mordendole le
labbra. Non si preoccupò di chiederle scusa o di smettere:
era Ambra. Ambra!
«Che mi dici di Castiel?» le sussurrò,
vendicativo. «Da quanto gli vai dietro?»
Sapeva che stava facendo la figura dello stronzo, un ruolo che non gli
apparteneva, eppure i sensi di colpa per averla ferita non si fecero
sentire: con lei aveva scoperto il lato meschino che non aveva mai
lasciato uscire.
La ragazza assottigliò lo sguardo, irata. «Non
sono affari tuoi» sibilò.
Kentin sorrise crudele. «Chi mai vorrebbe una come
te?»
Quella provocazione non la toccò e Ambra stese le labbra in
una linea di sardonica soddisfazione. Le umettò con la punta
della lingua prima di replicare: «Basta mostrarsi
disponibili, a quanto pare», alluse con malizia.
Lui sembrò riprendersi in quel momento dall’apatia
con cui si era crogiolato e la spinse via in un gesto nauseato.
«Sei stata tu a baciarmi».
«E tu ne hai approfittato» rispose lei.
«Forse non sei poi così tanto innocente come vuoi
far credere».
Il ragazzo socchiuse gli occhi, stringendo forte i pugni. Non era vero,
si ripeteva. Non era vero, eppure l’aveva accettato come
fosse l’antidoto migliore al letale veleno che sentiva in
circolo – e un antidoto non deriva forse dal veleno stesso?
«Siamo molto simili, in fondo». Ambra gli si
avvicinò con l’intenzione di continuare da dove si
erano interrotti.
«No» mormorò secco.
«No» ripeté, spingendola via dalle
spalle. «È stato un attimo di debolezza»
sussurrò come se stesse parlando tra sé, gli
occhi verdi fissi in quelli di lei, quasi la stesse vedendo per la
prima volta. «Non si ripeterà mai più.
Stai lontana da me! Hai avuto ciò che volevi: mi hai
spezzato il cuore» le intimò duro.
Ambra sbuffò annoiata: «Quanto sei melodrammatico.
Io non ho colpa: è stata quella sciacquetta a-»
Kentin la interruppe, stringendole le spalle in una morsa. Un gemito di
dolore le uscì dalle labbra, ma non se ne curò.
«Non ci provare» sibilò, fuori di
sé. «Non paragonarla a te».
Inaspettatamente lei lo baciò con veemenza, aprendo le sue
labbra per scontrarsi con la sua lingua. Lo sentì perdere un
attimo il controllo, ma poi si scostò da lei come scottato.
«Adesso basta» disse e si alzò.
Ambra lo seguì con lo sguardo mentre usciva, sorridendo
machiavellica.
“Sarai tu a cercarmi, perché io sono disponibile e
lei… lei no” pensò, passando la lingua
sulle labbra rosse e gonfie con manifesta soddisfazione.
Rieccomi ^^
Le cose sono abbastanza prevedibili, ma come ho già detto è una fanfiction senza alcun impegno di originalità e contenuti. Anche il prossimo sarà abbastanza “tranquillo”, poi… Chi lo sa? ;)
Sarà che ho consumato tutta l’originalità nel volere accoppiare Ambra e Kentin ahahah
Volevo aggiungere giusto una cosina: Alexy non è innamorato di Kentin (ci mancava solo questa xD glielo risparmio, va’!).
Un sentito grazie a chi ha messo questa storia tra le seguite e chi ha recensito lo scorso capitolo ♥
Alla prossima!
Calime
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Capitolo 3 *** You're poison runnin' through my veins ***
Disclaimer: I personaggi non
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03. You're poison runnin' through my veins
Non sempre ogni progetto va come previsto.
Esistono molteplici fattori che possono influenzare un evento in
percentuali anche differenti, ma Ambra odiava la matematica ed era
più semplice di mente. Ragionare secondo uno schema logico
di causa-effetto comportava meno sforzo: se attuava un qualcosa, doveva
accadere quello che si era aspettata accadesse.
Spesso era anche questione di fortuna. E la fortuna aiutava gli audaci,
come amava ripetersi – forse era per questo motivo che
tendeva a dare poco o nullo peso alle controindicazioni ed effetti
collaterali… In particolare, ripensandoci, non è
che le spiacesse più di tanto.
Ambra zittì il cervello, sospirando affannosamente.
Difficile chiamare quello un fastidioso effetto collaterale.
Impossibile, quando riusciva a immergersi così a fondo in
quelle nuove sensazioni che la paura di perdersi era già un
lontano ricordo. Ormai accoglieva di buon grado quella sorta di oblio:
sentiva caldo in tutto il corpo, scosso da brividi, il sangue correva
veloce e imporporava le sue guance non di imbarazzo – che era
svanito presto – e si trovava a spasimare, bramare, qualcosa
che entrambi avevano imparato ad ottenere giocando con
l’attesa.
In un primo tempo si era anche chiesta, rimproverandosi, quando avesse
perso il controllo della situazione: non aveva architettato che
innocenti bacetti, così, per passatempo, giusto
perché…
Lui era tornato a cercarla. Lui la voleva. Lui non la blandiva con
paroline dolci, ma le ritorceva contro lo stesso, amaro, veleno.
Kentin non era Castiel, ma le dava tutta l’importanza e
l’attenzione che desiderava. La viziava, in un certo senso,
in un modo diverso da quello che le riservava la propria famiglia.
Sentiva di essere speciale tra le sue braccia – quando
speciale non lo era affatto ai suoi occhi: se non
l’apprezzava come persona, almeno l’apprezzava per
il suo corpo.
Entrambi cercavano altro, ma quello era tutto ciò che
avevano ottenuto: conforto e pietà,
un’intolleranza reciproca non così insopportabile.
L’odio era da bambini, l’odio era per la nuova
studentessa che con quella sua finta faccia da santarellina si era
accaparrata il favore di tutti – il favore di Castiel.
Semplicemente, quando si ritrovavano nello scantinato, nel laboratorio
di chimica, o in qualsiasi altra aula vuota, la porta chiusa, nascosti
dai banchi o dal tramonto del sole, non c’era posto per le
preoccupazioni, per i problemi, per altri pensieri.
Così, quando lui alla fine chiamava il suo nome –
non quello di un’altra, non quello di lei –, Ambra
non poteva che rispondergli e cercarlo poi ancora.
Ancora.
E ancora.
Disperatamente. Come un tossico, era sempre l’ultima dose
– sempre.
E sempre l’ultima non era.
Ehi, gente! Sono un pelino in ritardo sulla mia tabella di marcia e… sì, ho la giustificazione pronta! xD
Tempo a parte, mi sono accorta che i capitoli sono da riscrivere quasi integralmente e questo mi impegna abbastanza… Be’, almeno ho cambiato POV u.u
Alla prossima!
Calime
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Capitolo 4 *** Your web, I’m caught ***
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04. Your web, I’m caught
Lo schiaffo non giunse a colpirla con violenza, ma si bloccò a mezz’aria in un pugno. Lentamente Kentin abbassò il braccio tremando, il volto livido.
Ambra sciolse l’irrigidimento delle membra, tese nell’attesa del dolore che non arrivo – ma fece più male. Le lacrime minacciavano di uscire dagli occhi ormai lucidi, ma le labbra strette fermarono l’agitarsi del mare nel proprio petto.
Come avesse fatto Kentin a saperlo così in fretta, la sorprese giusto per l’attimo che le servì a ricordare i soggetti in questione, entrambi poco inclini al pettegolezzo. E lei non aveva fiatato neppure con Li e Charlotte – e avrebbe potuto farlo, avrebbe voluto vantarsene e sghignazzare soddisfatta sotto i loro occhi ammirati… Invece, aveva scelto di tenere la bocca chiusa per una ragione che ancora le sfuggiva.
La verità era che quell’esperienza l’aveva svuotata. Non riusciva a crogiolarsi nella vittoria, non provava quel gusto dolciastro al sol pensiero di spifferare tutto a tutti – a Kentin.
«Non sono la tua ragazza» lo derise con la voce ridotta in un sussurro, in un ultimo tentativo disperato di orgoglio.
Kentin si passò una mano sul viso, preda di un forte sconvolgimento emotivo: provava rabbia, stupore, vergogna per se stesso – perché, ancora, si sentiva così stupido, sempre stupido –, a tratti un moto di tristezza di cui non riusciva a capacitarsi.
«No, infatti» masticò tra i denti stretti con violenza per trattenere l’impeto di sfogarsi su lei.
«Non dovrebbe importarti quello che faccio» continuò, atona.
Lui scosse la testa per ritrovare almeno un pizzico della lucidità persa: perché era andato a cercarla quando era chiaro che non poteva avanzare alcuna pretesa? Ambra non era la sua ragazza – era niente – e non lo sarebbe mai stata.
Eppure – che ironia! –, si sentiva tradito. Di nuovo.
Faceva dannatamente male, nonostante fosse stato chiaro sin dal principio che quei fili tesi tra loro – quell’assurda rete che li aveva intrappolati insieme – avrebbero avuto un solo burattinaio: lei. Ambra.
Tutto gli appariva così chiaro, cristallino, davanti gli occhi: Ambra non era brava a tessere fitte trame, eppure una piccola parte di lui credeva che… Non era possibile che si fosse spinta così in là soltanto per conquistare Castiel!
Eppure…
«Complimenti». Buffo come Ambra riuscisse sempre a tirare fuori il suo lato peggiore. «Ti è stato facile sbarazzarti della verginità con me per potertela spassare con lui».
Ambra tremò per il gelo che nascondeva tutto il disprezzo delle sue parole e scottava sulla sua pelle, marchiandola e tacciandola come quello che non aveva mai desiderato essere.
Se fosse stata davvero una ragazza facile, allora non avrebbe dovuto mettere su tutto quel teatrino. Non ce ne sarebbe stato bisogno.
L’aver ottenuto la “vendetta” tanto agognata – se così poteva ancora definirla – non era riuscita a saziarla. Esisteva qualcosa che desiderava ancora, ne era certa. Lo sentiva.
Un qualcosa che non era riuscita a trovare neppure tra le braccia di Castiel.
«E io che credevo…» Kentin scosse la testa, interrompendosi. «No, sono stato solo un illuso», sorrise amaro.
«Cosa credevi?» sussurrò lei, sentendo qualcosa spezzarsi dentro. «Di essere speciale?» La voce le si incrinò. «Ci siamo divertiti insieme, tutto qui».
Tutto qui.
Kentin indietreggiò. «Credevo» sospirò apparentemente più calmo, «che fossi diversa, ma… Alla fine, Castiel se la merita, una come te».
Ambra accusò il colpo senza dar segni di cedimento, mantenendo quell’atteggiamento di superiorità che era ormai il suo marchio di fabbrica: anche quando non aveva ragione, anche quando avrebbe dovuto provare vergogna, anche quando avrebbe dovuto ammettere la sconfitta, sempre si pavoneggiava a regina incontrastata del liceo.
Era davvero sciocco, a pensarci. E ne rideva quando erano altri a farlo.
“Castiel se la merita, una come te”, ma Castiel non l’aveva mai voluta davvero – nonostante i baci, le carezze, gli abbracci –, né mai avrebbe cambiato idea. E una notte non significava nulla.
Ambra si strinse le braccia attorno alle spalle, mentre lacrime bagnavano finalmente le sue guance.
Non aveva provato nulla. Nulla. Ed era assurdo, strano, impossibile. Le aveva lasciato addosso soltanto un nuovo odore che dopo la doccia era svanito, una nuova esperienza di cui avrebbe conservato un ricordo distorto, una nuova ferita procurata a Kentin che, per una volta, non aveva fatto nulla.
E, di nuovo, quel vuoto incolmabile che sempre l’accompagnava.
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Capitolo 5 *** One look could kill my pain, your thrill ***
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05. One look could kill my pain, your thrill
Ambra scostò con un gesto nervoso della mano i fili biondi che si erano attaccati al lucidalabbra.
La classe rumoreggiava agitata come ogni mattina, in attesa dell’arrivo di Faraize e delle vittime che avrebbe mietuto con l’interrogazione di storia. Sbuffò annoiata: aveva sempre dato poco peso al rendimento scolastico… Bastava Nathaniel per quello e lei rimaneva comunque la principessa di casa, con o senza bei voti.
Al banco di fianco, Li intavolava da sola – credeva seriamente che non avesse di meglio a cui pensare? – una filippica sull’edizione limitata di rossetti di non aveva capito quale marca e Charlotte, davanti, ripassava infastidita per il sottofondo gracchiante. Almeno – unica nota positiva di quel simpatico quadretto – Li poneva domande a cui rispondeva da sola, per cui Ambra doveva soltanto fingere di essere interessata e assecondarla, ovviamente, e Charlotte avrebbe continuato a ignorare entrambe fino al cambio dell’ora.
Con la testa altrove, puntò lo sguardo sull’ambiente in cui era immersa fisicamente: quasi tutti i posti erano occupati, mancavano i soliti ritardatari e il professore. Il clima era fastidiosamente allegro nonostante l’imminente sterminio… Tutto normale, insomma.
Tutto fin troppo normale.
E oltremodo noioso.
Ambra torturò l’unghia del pollice con i denti, non curandosi che fosse fresca di smalto – a qualcosa serviva avere Li come tirapiedi. Irritata da quell’indigesta quotidianità desiderava soltanto bigiare, ma aveva la nauseante sensazione che nessun posto sarebbe stato adeguato al suo pessimo, pessimo, umore.
E di posti, ormai, ne conosceva parecchi. Anfratti del liceo sconosciuti anche al custode stesso, poteva affermarlo con sicurezza e un certo orgoglio. Nascondigli in cui passare l’intervallo e il pranzo… E le lezioni di Faraize: Kentin era un secchione, sì, ma le spiegazioni del professore erano così soporifere che le ci voleva sempre poco per convincerlo.
Esasperata da quel pensiero – da lui –, sbatté le mani sul banco così forte da far sussultare sia Li che Charlotte.
«Di’, sei diventata matta o cosa?» l’apostrofò quest’ultima.
«Ambra, ma allora non mi stai ascoltando!» Li, invece, optò per l’indignazione – falsa come la borsa Chanel che sfoggiava quella mattina.
Ambra la linciò con lo sguardo, riducendo gli occhi a due letali fessure. «Ovvio che non ti ascoltavo! Parli sempre da sola e io devo anche fingere di stare a sentirti come un’idiota! Prenditi un manichino, se vuoi un interlocutore inanimato!»
Raccolse la borsa da terra e senza degnarle di saluto avanzò verso l’uscita.
«Interlocutore inanimato?» sentì Li chiedere in tono confuso.
Il sospiro esageratamente frustrato di Charlotte fu coperto dalla porta che si spalancò davanti i propri occhi attoniti.
Oh, cazzo.
E tanti cari saluti alla buona educazione di mammina.
Alla domanda di routine di Alexy, Kentin aveva sfoggiato un sorriso come non gli capitava da tempo. Era stato un banale “come va, amico?” seguito da un sincero “bene”.
E bene stava davvero. Stranamente bene. Assurdamente bene.
Così bene da stupirsene lui stesso.
Non era caduto nel solito baratro nero di sofferenza, come aveva paventato all’inizio, come già era successo, poiché bastava ricordare la causa di tutto per far chiudere la voragine e continuare a camminare su sicuri sentieri.
Avrebbe dovuto stare male e disperarsi per una come Ambra? Dopo quello che aveva confermato di essere? Oh, no. Proprio no.
Doveva ammettere di essersi fatto raggirare troppo facilmente… A sua discolpa poteva addurre la delusione per quell’amore a senso unico che aveva sempre provato per lei, la sua migliore amica.
Inutile darsi contro quando i fatti smentivano le impressioni: Ambra era stata capace di mostrargli un lato che, adesso lo sapeva, non le apparteneva. Un lato con cui era stato divertente trastullarsi. Un lato che – era restio ad ammetterlo – gli piaceva.
Gli piaceva non vederla mai abbassare la cresta o tirarsi indietro, ma, anzi, quasi pretendere di ottenere quello che voleva, come se tutto le fosse dovuto. Era divertente vederla affannarsi per avere l’ultima parola, anche quando non le riusciva appieno. Aveva l’orgoglio di una regina, come lei stessa amava definirsi, e – anche questo, Kentin non l’avrebbe ammesso tanto facilmente – il caratterino che le serviva per mantenere il titolo. A volte, pareva volerlo comandare a bacchetta e, alla fine, ci era anche riuscita.
Tuttavia, sotto la maschera della bambina viziata si nascondeva una persona profondamente sola. E questo pensiero aveva attecchito con forza dentro di lui: difficilmente sarebbe riuscito a sradicarlo; ancora, dopotutto, ne era convinto.
Soltanto, pensava di avere la situazione sotto controllo, ma… Be’, non era che Kentin, no? Poteva aver messo su muscoli, cambiato taglio di capelli, sostituito i fondi di bottiglia che utilizzava come occhiali con lenti a contatto, ma neppure l’Accademia Militare era riuscita a cambiargli l’essenza.
Tristemente, uno stupido rimaneva pur sempre uno stupido.
E gli stupidi non conducevano mai i giochi.
Anzi, soccombevano il più delle volte.
«Mi stai ascoltando?» domandò Alexy, sventolandogli una mano davanti al viso.
Kentin si fermò di colpo, sorpreso. Batté le palpebre e, realizzando come si fosse perso nei propri pensieri, sorpassò l’amico con uno sbuffo infastidito.
«Certo. Entriamo» borbottò, aprendo la porta dell’aula B.
Erano già in ritardo e ci teneva a fare buona impressione su Faraize prima dell’interrogazione.
«Oh, il signorino A+ non ha mica di questi problemi!»
La frecciatina di Alexy mancò il tiro: l’attenzione del moro era stata calamitata dalla ragazza che si erano trovati di fronte.
Ambra.
Ambra che aveva tutta l’aria di voler fuggire via e forse lo stava facendo.
Kentin ebbe appena il tempo di cogliere nei suoi occhi lo stesso stupore che l’aveva inchiodato all’uscio, quando lei atteggiò il viso nel solito cipiglio altezzoso. Alle sue spalle, sentiva lo sguardo sospettoso di Alexy e forte gli arrivò il sentore di domande inopportune… Per sua fortuna, Ambra si accinse a passare sotto i loro nasi come nulla fosse.
E, in effetti, nulla era successo.
Proprio nulla.
Ok, meno due capitoli alla fine :)
Questa volta le guest star hanno voluto una parte attiva e non ho potuto oppormi ahahah
QUI trovate il missing moment dedicato ad Alexy e Kentin nel contesto di questo capitolo.
Alla prossima!
Calime
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Capitolo 6 *** I don't wanna break these chains ***
Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono, ma sono di proprietà di Chinomiko e della
Beemoov.
Be careful making wishes in the dark
~ Can’t be sure when they hit
their mark ~
06. I don't wanna break these chains
Da quando aveva felicemente – per lui, un po’ meno
per il padre – lasciato l’Accademia Militare ed era
ufficialmente ritornato al liceo, Kentin si era trovato coinvolto quasi
ogni giorno in diverse attività, a volte anche abbastanza
originali. Ce n’era per tutti i gusti e, per fortuna, non ci
si annoiava mai… Poteva dire di averne vissute di ogni e il
peggio era stato finire tra i boccoli biondi e le labbra venefiche di
chi non avrebbe mai immaginato; ma quello rientrava come un fuori onda
durante le riprese del programma di punta, un taglio eliminato senza
neanche passare dal cestino.
Non si era perciò scomposto alla notizia della presenza a
scuola di un certo Dake, nipote del professore Boris. Muscolatura,
abbronzatura e tatuaggi a parte, era stato piuttosto semplice
inquadrarlo, tanto più che Rosalya gli aveva dato il
benvenuto storcendo il naso e commentando acidamente su quanto avessero
sentito la sua mancanza… Quasi quasi iniziava a piacergli
Castiel, soprattutto quando gli fu chiaro come andasse dietro a tutte,
a lei che lo snobbava al pari dell’amica.
Almeno non era l’unico ad essere stato scaricato, si era
trovato a pensare con una punta di amarezza.
Difficile riprendersi e dimenticare in fretta, quando il tempo
trascorso a crogiolarsi in quel sentimento non corrisposto era tanto,
troppo. Faceva di certo meno male e qualche battuta era riuscito a
scambiarla, anche se nel profondo aveva ormai capito che le cose non
potevano tornare come prima – non ancora, almeno.
Tuttavia, la sua attenzione aveva decretato un’altra vittima,
una frivola preda che aveva ridacchiato giuliva alle battute del
palestrato australiano per tutto il giorno.
«Ti piacciono proprio i cretini».
Non era affatto difficile incontrarsi, dato che frequentavano le stesse
lezioni e la scuola non era certo un labirinto di corridoi e aule,
né trovarsi in posti fuori da occhi indiscreti e ad orari
difficilmente favoriti dagli altri studenti.
Ambra sussultò, sorpresa nel riconoscere la sua voce: non
l’aveva più cercata, né lei era tornata
a infastidirlo. L’ignoranza reciproca aveva regnato tutto
quel tempo, senza bisogno che fingessero.
«Cos’è? Ti sei già stancata
di Castiel?» le soffiò nell’orecchio,
abbassandosi appena – quando le si era avvicinato
così tanto? «Mi era parso di capire che
fossi… innamorata?»
«Hai capito male» replicò, tagliente,
ignorando il brivido che le aveva suscitato quel tono minaccioso e
intimo allo stesso tempo, il suo fiato caldo aveva mosso le onde
bionde, arrivando dritto al collo scoperto.
«Sei sempre stata tu quella disperata, Ambra».
Kentin avvolse le sue piccole spalle con entrambe le mani.
«Quella che vuole tutta l’attenzione. Quella
capricciosa che non ha altro modo in cui sfogare la sua
frustrazione».
Ambra si mangiò un sorriso compiaciuto: le aveva servito la
scappatoia su un vassoio d’argento. «Eppure non ti
è spiaciuto questo… modo. Sbaglio?»
Percepì l’irrigidirsi del suo corpo tramite la
fermezza della sua stretta: aveva fatto centro.
«Pare proprio che, qui, qualcuno sia ge-lo-so»
cantilenò, schioccando la lingua.
Kentin la lasciò andare, scottato.
«Guardati allo specchio» sbottò lei,
voltandosi per fronteggiarlo. «Ti sorprenderebbe il
riflesso».
Il ragazzo le lanciò uno sguardo di fuoco. Strinse le mani a
pugno e i denti per non urlare – contro di lei o se stesso?
«Credi forse di conoscermi?!» berciò.
Gli puntò l’indice contro. «Tu stai
ancora soffrendo per quella… quella-ah!»
sospirò, esasperata, lanciando le braccia e gli occhi al
soffitto.
«Oh, come se per te fosse diverso! Andiamo, Ambra: sei
patetica!»
«Patetica, io?» Rise con finto sarcasmo.
«Non venirmi a fare la morale! Adesso, poi!»
Incrociò le braccia al petto, aggrottando la fronte.
Kentin fece per replicare, quando scosse la testa, sconfitto:
perché l’aveva cercata? Perché stava
perdendo tempo in inutili schermaglie?
«Avrei preferito vederti con Castiel, piuttosto che con
quell’imbecille, ma…» Scosse nuovamente
la testa, come a cacciare insidiosi pensieri. «Be’,
chi sono io per dirti questo? Non siamo mai stati amici, non
c’è stato mai niente».
«Infatti» concordò lei, distogliendo lo
sguardo dai suoi accusatori occhi verdi. «Fatti una vita,
quattrocchi».
Sentendo quel soprannome poco lusinghiero, Kentin emise uno sbuffo
divertito per la prima volta da quando era cominciata tutta
quell’assurda storia – incredibile!
«È così che mi vedi?»
Ambra scrollò le spalle e non lo degnò di
risposta.
Pareva una bambina, così, con quel broncio: ironicamente,
non faceva che mettere più in mostra
quell’insicurezza di cui era vittima. Avvicinandosi, le
passò il dorso della mano su una sua guancia calda e subito
si ritrovò scrutato dai suoi occhi azzurri e sgranati,
stupiti da quella mossa – e, a un’analisi
più approfondita, forse anche impauriti.
«La verità è che non riesco ad
odiarti» ammise con un piccolo sorriso stanco.
«Proprio non riesco» sospirò.
«Per te sarò anche soltanto lo stupido
quattrocchi, ma guardare come ti affanni a cercare quel qualcosa
che-», s’interruppe impensierito. «Potrei
esserci io nei tuoi panni, ma anche tu nei miei».
Appoggiò l’intero palmo sul suo viso e lei vi si
premette contro, con una naturalezza che lo disarmò
– forse era stato soltanto un gesto inconscio.
Ambra chiuse gli occhi, sopraffatta da un’emozione che le
scaldò il petto e le gote. «Vattene,
Kentin» riuscì a intimargli, respingendo il nodo
alla gola. «Non cercarmi più, ti prego».
Era la prima volta che implorava e usava il suo nome.
Lei.
Ambra.
E Kentin l’accontentò.
Ci risentiamo settimana prossima con l’ultimo capitolo (non so se vedrete cambiato anche il rating, ma tranquilli che non sarà rosso) e i saluti finali ;)
Mille grazie di tutto cuore a chi continua a sopportarmi!! ♥
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Capitolo 7 *** Runnin’ deep inside my veins ***
Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono, ma sono di proprietà di Chinomiko e della
Beemoov.
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07. Runnin’ deep inside my veins
La porta degli spogliatoi si aprì tanto inaspettatamente e
rumorosamente da far sussultare Kentin, impegnato a frizionarsi i
capelli con un asciugamano. Ambra stava sulla soglia, aggrappata alla
maniglia che stringeva tra le mani come se ne dipendesse la vita. I
suoi occhi azzurri parlarono e agirono per lei senza che articolasse
alcun suono o alzasse un solo dito. Tremava di rabbia: ne era certo,
non poteva essere altrimenti.
Buttò l’asciugamano dentro il borsone utilizzato
per gli allenamenti e gli incontri del club di basket e tirò
fuori la maglietta pulita.
«Si bussa prima di entrare» la salutò
saccente, lanciandole uno sguardo veloce mentre si rivestiva.
«Questi sono gli spogliatoi maschili».
Imperterrita, Ambra strinse i pugni continuando a scagliargli contro il
proprio disprezzo.
Il ragazzo sospirò, chiuse la cerniera del borsone e si
incamminò verso di lei che, stando ferma proprio innanzi
all’uscita, gli impedì di avanzare oltre.
«Ambra» la chiamò per attirare la sua
attenzione. «La partita è finita, sono
già tutti fuori e i ragazzi mi stanno aspettando».
Quel tono fastidiosamente conciliante riuscì a scuoterla
abbastanza da gettarglisi contro: Ambra artigliò la sua
t-shirt con la disperazione di un condannato a morte, mentre gli occhi
ancora promettevano l’inferno.
Kentin sospirò pesantemente e con gentilezza
cercò di allontanarla. «Non fare la
bambina».
«Tu…» esalò lei.
«Ti rendi conto di cosa hai fatto?!» gli
urlò.
Il ragazzo sbuffò, annoiato. «Chi è
gelosa, adesso?»
«Siamo uguali! Uguali! Non puoi essere-».
«Cosa? Finalmente felice?» la interruppe lui con
sarcasmo. «È così, allora: ti
crogiolavi nel mio dolore».
«No! No! Io-» balbettò, agitata.
«Cosa stai dicendo? Non… Non sono io la cattiva in
questa storia!»
«Hai proprio voglia di farmi ridere stasera, eh?»
replicò, cinico. «Mi hai sbattuto la cruda
verità in faccia e quanto io sia stato solo uno stupido, mi
hai usato a tuo piacimento – facendomi sentire ancora
più stupido –, ti ho lasciata in pace come avevi
chiesto… e adesso cosa pretendi, Ambra? Ho fatto tutto
quello che volevi. Dovresti saltare di gioia».
Ambra sbarrò gli occhi, irrimediabilmente lucidi.
«No… No, io-», non riuscì a
concludere per il nodo alla gola che deglutì senza successo.
Quelle parole contenevano una verità che si era sempre
rifiutata di vedere, a cui non voleva credere. Una verità
che faceva troppo male, più male della consapevolezza che
Castiel non l’avrebbe amata, mai.
Per cosa continuava a darsi così tanta pena? Cosa cercava
che non trovava? Cosa desiderava così tanto da fare di tutto
– farsi del male, farlo agli altri? Cosa?
Ironia della sorte: Kentin pareva saperlo e questo la mandava su tutte
le furie. Lui l’accusava a ragione e allo stesso tempo
s’incolpava, ma – tanto – era un caso
perso, un ingenuo che si era fatto abbindolare con fin troppa
facilità. O probabilmente, l’aveva asseconda per
pietà e adesso fingeva di essere lui la vittima.
Ambra rise tra sé freddamente: no, quello sarebbe stato
troppo anche per lui – un po’ aveva imparato a
conoscerlo. La verità era che stava impazzendo e
lui… Lui aveva fatto tutto – tutto –
quello che lei aveva voluto facesse. E non esisteva alcun motivo per
cui fossero lì a discutere, a scrutarsi negli occhi tentando
una comunicazione impossibile.
Impossibili erano loro due insieme, ma insieme avevano dato il via a
quella partita, a quella guerra che mal aveva tollerato
l’armistizio impostole, scalpitando per
un’insaziabile sete di sangue, sudore e polvere. Non ci
sarebbe mai stata pace, né lei in fondo l’aveva
mai chiesta – altrimenti perché precipitarsi
lì? Perché correre da lui alla voce di corridoio
che lo voleva interessato ad Iris?
Iris! Cosa avesse Iris più di lei, poi! Nulla!
Ambra abbassò lo sguardo, vinta dalla consapevolezza: non
poteva muovergli contro nulla, eppure prepotentemente voleva qualcosa.
Aveva tessuto una ragnatela in cui era rimasta intrappolata, soffocata.
«Va’ a casa». Kentin la spinse dalle
spalle, ma lei non mollò la presa.
Ambra prese un profondo respiro, sopraffatta e stanca.
«Quanto mi trovi patetica adesso?»
mormorò.
«Abbastanza da permetterti di rovinarmi la maglietta con le
tue unghie» sbottò lui, sincero.
Scoppiò a ridere amaramente sorprendendo entrambi, e,
raccogliendo i pezzi del proprio orgoglio, alzò lo sguardo.
Qualcosa scattò tra loro: Kentin seppe in anticipo
ciò che lei stava per fare, ma quando accadde non si oppose.
Lasciò cadere il borsone a terra, con un calcio chiuse la
porta e la schiacciò contro di essa.
Ambra si premette contro il suo corpo, contro le sue labbra che non la
lasciavano respirare in quella lotta di baci voraci, di denti che
mordevano e tiravano e di lingue che duellavano per avere la meglio.
Avvolse le braccia attorno al suo collo e le gambe ai suoi fianchi,
quando lui l’afferrò dalle cosce per spostarsi
senza interruzioni.
La schiena toccò piano il freddo metallo di una panchina:
l’impeto iniziale aveva lasciato il posto alla gentilezza che
solo in quel momento si era resa conto mancarle più di
quanto avesse mai creduto possibile.
Quel calore. Quelle mani che l’accarezzavano, inarrestabili.
Quelle labbra che le torturavano il collo e la bocca. Quei capelli che
stringeva tra le dita.
Il respiro accelerò adeguandosi al battito cardiaco che
tuonava dentro il proprio petto, mentre infilava le dita fredde sotto
la sua maglietta e passava le unghie sul petto solido e gli addominali
scolpiti, lasciando scie bianche a marchiarlo. Lo sentì
tremare e trattenere il fiato tra i denti stretti su un lembo di pelle
della spalla – le avrebbe lasciato un bel segno che per
fortuna poteva nascondere sotto i vestiti.
Fu la sensazione di suscitargli quell’effetto, nonostante
tutto, ad appagarla più dei vestiti nuovi, più
dell’ennesimo paio di scarpe, più di un
trattamento completo dall’estetista, più di una
perfetta messa in piega, più dei ridicoli dispetti che amava
architettare ai danni di poveri innocenti o della sua vittima
preferita. Forse, in fondo, in un posto molto molto polveroso, umido,
freddo ed oscuro, chiuso a doppia mandata, Kentin le apparteneva
– lo sentiva a pelle, nel sangue, in
quell’attrazione che li aveva nuovamente piegati al suo
volere.
Ambra armeggiò con la cerniera del vestito indossato in occasione della partita di basket del liceo, ma non fece in tempo ad abbassarla che lo sentì allontanarsi bruscamente.
«Oh, no. No. No!» ansimò lui a corto di
fiato nel riprendere lucidità. «Non ci sto
cascando di nuovo!» Rise di se stesso con isterico sarcasmo,
passandosi una mano tra i capelli arruffati.
Ambra sorrise con malizia, compiaciuta per
quell’inconsapevole confessione, quella conferma che le
serviva. Si mise seduta e gli prese il viso tra i palmi, premendo poi
con fermezza le labbra sulle sue.
«È questo che vuoi. È questo che
voglio» gli sussurrò, sicura e finalmente sincera.
Socchiuse gli occhi, perdendosi nel verde liquido dei suoi.
«Adesso torniamo a quello che hai interrotto», si
morse il labbro inferiore ancora sorridente e salì a
cavalcioni sulle sue gambe.
Kentin la lasciò libera di prendere l’iniziativa,
addolcito dalla pioggia di baci che gli stava lasciando ovunque sul
volto. Il pensiero corse subito a quel pettegolo di Alexy che aveva
escogitato quel folle piano – a cui non aveva creduto neppure
per un secondo – di scatenare in Ambra un moto di gelosia e
tanto bastò a renderlo consapevole di un piccolo, non tanto
trascurabile, dettaglio.
«Gli altri mi staranno cercando»
brontolò con frustrazione.
Ambra aggrottò la fronte, incenerendolo con lo sguardo.
«Certo, Castiel si starà disperando»
ironizzò inviperita.
Kentin le lanciò uno sguardo di fuoco per quella triste
uscita, ma lei non ritrattò.
«A quello non fregherà un cazzo di me, ma Alexy
è un vero rompipalle» replicò lui.
La ragazza sbuffò di esasperazione e agì: dalla
tasca dei suoi pantaloni tirò fuori il cellulare –
tanto, presto gli sarebbe toccata quella sorte – e davanti i
suoi occhi increduli lo spense, gettandolo poi a terra con noncuranza.
Kentin la guardò a bocca aperta e fece per protestare, ma
lei fu svelta a distrarlo e zittire l’imprecazione sul
nascere. Il pensiero corse per l’ultima volta al povero
cellulare e all’amico – a cui doveva purtroppo una
pizza – e poi si lasciò travolgere dal suo
personale tornado biondo.
E questa è la fine, che ovviamente è solo l’inizio… Ancora ne hanno di strada da fare, ma per il momento è tutto ^^
Tirando un po’ le somme, è venuta fuori più come una raccolta che una long, ma vabbè! È stato più comodo e agevole per me strutturarla così. Magari al prossimo giro sarà una long long davvero, chissà ;)
E adesso è il momento dei RINGRAZIAMENTI!
Grazie a tutti per le letture (che non sono numeracci, ma ci sono e be’… per com'è questa storiella, per me è davvero wow), a chi l’ha messa tra i preferiti, a chi l’ha messa tra le ricordate, a chi l’ha messa tra le seguite e… per ultimi ma non ultimi, a chi ha speso il suo tempo per riempirmi di gioia con una recensione! Grazie infinite ♥♥♥
Passiamo ai credits. Come già qualcuno ha notato, il titolo è preso da My Songs Know What You Did In The Dark dei Fall Out Boy e, invece, i titoli dei capitoli provengono da Poison di Alice Cooper. Sia sempre ringraziata e venerata la musica nei secoli dei secoli.
Ed è finalmente svelato il mistero dell’introduzione! Non so se vi stavate chiedendo da dove fosse uscita fuori la citazione, ma… sì, dall’ultimo capitolo. Sì, sono strana. Sì, l’ho fatto apposta per accalappiarvi tutti e tenervi qui a leggere fino all’ultimo capitolo!! Muahahahahah… Sì, sto scherzando… Be’, semplicemente ho deciso così ;)
Un abbraccio a tutti e ancora grazie ♥
Calime
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