Mysterious Boy and Shy Girl

di alovethatconsumesme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre anni? ***
Capitolo 2: *** Rossa. ***
Capitolo 3: *** Soluzione. ***



Capitolo 1
*** Tre anni? ***


Ambra si sistemò il rossetto nel finestrino dell’auto, era stata in giro tutta la giornata per completare il trasloco e non aveva avuto il tempo di truccarsi fino a quel momento; che poi definire “tempo” l’attesa del verde del semaforo spiegava quanto aveva dovuto correre fin dal mattino presto.

Aveva caricato la macchina all’alba con lo stretto necessario, suo padre le avrebbe portato il reso nei giorni successivi. Si era fermata in un bar a prendere un caffè veloce e a ricontrollare le carte per l’assunzione in ospedale; e poi di nuovo in macchina verso la sua nuova vita. Una vita da adulta.

Grazie alla sua abilità di perdersi anche in un bicchiere d’acqua ci mise più tempo del previsto per raggiungere la sua nuova casa. Sapeva che avrebbe vissuto con una ragazza di 28 anni di nome Sara, non poteva permettersi una casa tutta sua, non ancora almeno, quindi aveva cercato qualcuno che affittasse stanze come le era già capitato nel periodo dell’università. Era contenta che la sua coinquilina fosse più matura, almeno di età, di quelle con cui aveva avuto a che fare durante gli studi: sperava che questo significasse niente sbronze e ragazzi che entravano e uscivano alle 4 del mattino.

 

La Prima cosa che Ambra provò vedendo Sara fu gelosia, sembrava la ragazza perfetta: aveva delle gambe chilometriche ed abbronzate, che si potevano benissimo vedere grazie al vestito che arrivava a metà coscia; i suoi capelli erano corvini, arrivavano appena sopra le spalle e risaltavano i suoi grandi occhi verdi incorniciati dall’eyeliner che sembrava applicato con il righello.

Quando le sorrise si sentì sprofondare ancora di più, era bellissima. Nascose l’invidia provata in quell’istante dietro ad un sorriso.

“Sono Ambra.” Si presentò. “Tu devi essere Sara, la mia coinquilina.”

“Molto piacere.” Le rispose l’altra. “Ti faccio vedere la tua stanza.”

Dopo un veloce tour dell’appartamento Sara la salutò per andare a lavoro, e lei ebbe il tempo per sistemare i suoi bagagli.

La casa non era grande, ma aveva una stanza singola e questo le avrebbe permesso di mantenere comunque i suoi spazi. La sua stanza aveva un letto, un armadio in cui era riuscita a malapena ad infilare la sua roba, una scrivania e addirittura un piccolo televisore. Il piccolo balcone dava su un parco, e stando lì non le sembrava neanche di essere nel mezzo di una città, aveva già deciso che quello sarebbe stato il suo posto preferito in casa, considerando che non riusciva a togliersi il brutto vizio del fumo (sapeva anche che non era la migliore qualità per un’infermiera, ma si era ripromessa di non fumare mai a lavoro).

 

Il giorno successivo era il suo primo giorno di lavoro, a causa dell’agitazione si svegliò circa un’oretta prima del previsto. Non sapeva che lavoro facesse Sara, ma la sera prima era rientrata quando lei si trovava già tra le braccia di Morfeo, era sicura che in quel momento fosse in casa perché davanti all’ingresso erano posizionate le sue scarpe tacco 12.

Fece colazione con un caffè e una brioches confezionata, si riguardò i capelli almeno 12 volte prima di uscire di casa e controllò le carte ancora una volta. I suoi rossi ricci ribelli non stavano mai al loro posto, sicuramente i padroni della sua testa erano loro, non lei; quindi si dovette accontentare di una coda alta un po’ spettinata.

Mentre stava per uscire incrociò Sara che entrava in bagno.

“Buongiorno.” Mugugnò l’altra, probabilmente non era sveglia da neanche 10 minuti.

“Buongiorno Sara, io vado a lavoro.”

i">“Ciao.” Sentì dal fondo del corridoio e contestualmente sentì anche l’acqua della doccia scendere.

Non era ancora riuscita a capire se lei e la sua coinquilina avessero delle personalità compatibili.

Il viaggio in macchina le sembrò incredibilmente breve e sentì l’ansia prendere il sopravvento su di lei. – Dai Ambra calmati – si ripeté a bassa voce prima di scendere dall’auto ed entrare nell’edificio.

Doveva cercare la Dottoressa Lisandri, si era ripetuta quel nome un centinaio di volte prima di addormentarsi per il terrore di scordarselo. Raggiunse l’amministrazione e chiese della Dottoressa ad una signora sulla quarantina che aveva una faccia molto simpatica, la quale le indicò la strada per l’ufficio.

Prese un altro grande respiro prima di bussare alla porta.

“Prego.” La voce della donna sembrava sicura, e onestamente anche il suo aspetto austero le incuteva un po’ di terrore.

“Lei deve essere la signorina Ambra Barti. Si accomodi.”

“Salve.” Cercò di fermare il tremore nella voce, ma non era per niente sicura del risultato.

Quando la Dottoressa le sorrise, si sentì rassicurata. Forse non era così terrificante come aveva pensato inizialmente.

“Bene. Parliamo del suo nuovo incarico..”

 

Alla fine della conversazione con la Lisandri la dottoressa le aveva presentato il Dottor Carlo, e aveva dato a lui il compito di farle fare un giro del piano e incontrare quelli che da lì in avanti sarebbero stati i suoi pazienti.

Carlo le ispirava fiducia, si sentì subito a suo agio in compagnia del Dottore. Passarono insieme nella stanza di una signora anziana di nome Rosa, che sarebbe rimasta ancora per qualche giorno per un’operazione al fegato; incontrarono due signori, Giovanni e Andrea, in corridoio.

Poi arrivò un uomo che le sembrò enorme.

“Dottor Carlo, è arrivata un’ambulanza. Hanno bisogno di lei.” Sbraitò l’omone.

“Grazie Ulisse arrivo.” Rispose l’altro. “Ah, Toni.” Gridò verso un ragazzo che passava in lontananza.

Il ragazzo di avvicinò velocemente: aveva una camminata strana, i capelli ricci ed una faccia simpatica e giovane. Troppo giovane anche per essere un portantino, si trovò a pensare Ambra.

“Dimmi Carletto.” Esordì con un accento napoletano molto marcato.

“Lei è la nuova infermiera Ambra; mi hanno chiamato per un’emergenza. Falle fare un giro.”

“Comandi.” Esclamò il ragazzo e Ambra non trattenne un risolino.

Toni le presentò altri tre pazienti, a differenza di Carlo aggiunse qualche “gossip di corridoio” come li chiamava lui.

Era un ragazzo particolare, ma lei si trovò subito a suo agio in sua compagnia. La faceva ridere e sembrava molto contento del suo lavoro e molto affezionato a tutte le persone che stavano in ospedale.

“Ah guarda chi c’è…” Sentì bisbigliare Toni.

“Chi?” Chiese, ma il ragazzo aveva già raggiunto la porta di quella che a prima vista sembrava una palestra. C’era qualcuno dentro impegnato ad accordare un basso seduto su una sedia a rotelle, non riusciva a vedere il viso perché la testa era china.

Toni bussò sul vetro e scosse la mano in segno di saluto; il ragazzo che si trovava nella sala alzò la testa e lei finalmente potè vederlo.

Aveva un filo di barba e i capelli leggermente spettinati, che gli davano un’aria un po’ selvaggia. Quando sorrise al portantino il suo cuore salto un battito, era davvero bello.

Quando gli occhi del ragazzo misterioso si spostarono da Toni incrociarono i suoi, si sentì come intrappolata dal suo sguardo. Non riusciva a guardare da un’altra parte, era come se i loro occhi si fossero fusi. Poteva leggere la tristezza dentro quegli occhi scuri e profondi, e non riusciva a staccare lo sguardo.

Finchè lui le fece un occhiolino e lei abbassò la testa imbarazzata.

Appena si ricompose riuscì a seguire Toni per proseguire il tour.

“Chi era quello?” Gli chiese.

“Ah, lui è Ruggero. Sta qui da tre anni.”

Tre anni?

Era giovane, avrà avuto si e no la sua età. Tre anni erano un’eternità, doveva stare davvero male. Le tornarono in mente i suoi occhi e la sofferenza che era riuscita a leggerci dentro.

Provò molta empatia per quel ragazzo, e decise che doveva assolutamente saperne di più su di lui.

 


NDA

Salvee, questa storia è un po' un esperimento. Non ho mai scritto su braccialetti rossi, ma siccome sono molto incuriosita dal personaggio di Ruggero ho deciso di inventarmi qualcosa.

E' tutto molto in prova, quindi spero vi possa piacere anche per decidere se vale la pena continuare.

Ovviamente più avanti con la storia incontreremo anche il nostro Leo e gli altri braccialetti.

Spero di avere qualche vostro commentino, un bacio.

C. 

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Capitolo 2
*** Rossa. ***


Da quando aveva iniziato a lavorare la stavano riempiendo di scartoffie da compilare, in quel momento era impegnata ad ordinare delle vecchie cartelle cliniche che nessuno toccava da diverso tempo. Ovviamente essendo la nuova arrivata le toccavano i lavori più sgradevoli, avrebbe preferito perfino fare le lavatrici con Toni.
Concentrata nel capire quale fosse stava la data di ammissione di un certo Marco Galazzi, non si accorse di Ulisse che le era arrivato alle spalle e a malapena trattenne un urlò quando si sentì chiamare.
“Ti mando a fare qualcosa di utile. Un prelievo alla 23.” Esordì l’uomo.
“Si certo.” Bofonchiò lei, stava ancora cercando di riprendersi dallo spavento, non capiva come un omone grande e grosso fosse riuscito ad essere così silenzioso.
“La prossima volta cerco di fare più rumore.” Le disse porgendole una cartelletta.
“Grazie.” Gli rispose ridacchiando mentre se ne andava dall’ufficio.
Le risultava già più facile ambientarsi in ospedale e non ci mise molto, meno del previsto in ogni caso, a trovare la stanza numero 23.
Arrivata di fronte alla porta, però, si bloccò all’improvviso… Lei non aveva mai fatto un prelievo, non da sola almeno. Prese un respiro prima di entrare, ma non riuscì a fermare il tremore delle sue mani.
“Buongiorno.” Salutò, ancora concentrata sui respiri che stava prendendo.
“Buongiorno Rossa.”
Oddio. Era lui. Il ragazzo della sedia a rotelle. La sua voce era calda, pensò che forse la sensazione che aveva appena provato era quello che la gente intendeva con “farfalle nello stomaco”.
Guardò per la prima volta la cartelletta che le aveva dato Ulisse: “Ruggero De Poli” c’era scritto sulla prima pagina.
“Sono Ambra, la nuova infermiera.” Si presentò sforzando un sorriso.
“Rossa mi piace di più. Comunque io sono Ruggero.”
“Lo so.” Gli rispose. “Me l’ha detto Toni.” Aggiunse vedendo lo sguardo confuso del ragazzo.
“Toni è la seconda persona più informata dell’ospedale.”
“E chi sarebbe la prima?” Gli chiese scherzosamente.
“Io, ovviamente.” Le rispose lui con un uno sguardo che se voleva essere ammiccante, aveva pienamente soddisfatto l’intento.
“Devo farti un prelievo.” Gli disse tornando seria ed iniziò a sistemare tutto l’occorrente.
“Si però prima calmati Rossa.” Come aveva fatto a notare che era agitata? Aveva cercato di essere il più professionale possibile. “Dio, non dirmi che è il primo.” Commentò poi.
Spostò lo sguardo dagli aghi con un sorriso tirato.
“So come si fa.” Cercò di giustificarsi lei. “In teoria.” Aggiunse poi piano.
Ambra si guardò le mani, tremavano ancora leggermente; cercò di concentrarsi sui suoi respiri. Sentì una mano sul suo braccio.
Ruggero adesso era seduto sul letto e si stava allungando per toccarla.
“Sono sicura che sarai bravissima. Comunque prima stavo scherzando, puoi punzecchiarmi quanto vuoi, tanto non farai mai peggio di Ulisse.”
Non sapeva perché, ma si sentì subito rassicurata. Ce la poteva fare, era il suo lavoro.
Gli sorrise sinceramente, sperando che capisse che dietro al sorriso c’era anche un silenzioso ringraziamento. Lui si riappoggiò ai cuscini e le porse il braccio sinistro.
“Dissanguami Rossa.” La incitò con un occhiolino, e lei scosse la testa. Quel ragazzo era impossibile.
“Chiamami un’altra volta così e lo faccio davvero.” Gli rispose prima di legargli il braccio con un laccio emostatico.
Gli tastò l’interno gomito e si sentì soddisfatta di sé stessa quando riuscì subito a trovare una vena. Infilò l’ago e iniziò a prelevare la prima provetta.
“Sono stata brava, è?” Gli chiese ridacchiando.
“Io ne ero convinto.”
Stava riempendo l’ultima provetta quando vide il Dottor Carlo entrare dalla porta.
“Buongiorno.” Salutò il dottore.
“Ciao Carlo.” Rispose Ruggero, mentre lei lo aveva salutato con un “Salve.”
“Ambra, a che punto sei?” Le chiese.
“Ho appena finito.” Gli rispose mostrandogli l’ultima fialetta di sangue.
“Bene. Allora ho bisogno che passi un attimo da Laura in oncologia a portarle questi documenti. Gli esami di Ruggero li prendo io.”
Lei si limitò ad annuire e seguire le istruzioni.
“Grazie Ambra.” Le disse Carlo col suo solito tono gentile, diede un’ultima occhiata dentro la stanza e vide Ruggero salutarla con la mano, gli rispose con un sorriso.
Non seppe come ma nel chiudere la porta le finirono a terra un paio di fogli dalla cartella che le aveva dato Carlo. -Dio, sono un disastro- pensò per poi chinarsi per raccoglierli; nel frattempo sentì la voce del dottore provenire dalla stanza che si era appena lasciata alle spalle.
“Hai avuto ancora delle fitte?”
“Peggio di ieri.” Fu la risposta di Ruggero. Il suo tono era serio, non ironico come quello che aveva usato con lei.
“Aspettiamo l’esito degli esami. Nel frattempo ti do un antidolorifico.”
Sentì dei passi avvicinarsi all’uscita, era Carlo. Si diresse rapidamente verso l’ascensore, quasi di corsa.
 
L’ascensore fece una tappa e lei si ritrovò di fianco ad un carrello riempito di lenzuola, da cui riuscì a cogliere la faccia di Toni.
“Ciao Toni.” Lo salutò.
“Ciao Ambra, tu dove ti fermi?”
“Oncologia.”
“Ah, anche io devo passare di lì.”
Gli sorrise sinceramente, le piaceva passare del tempo con Toni: quel ragazzo le metteva allegria.
Nel frattempo arrivarono al piano e ci misero più tempo del necessario ad uscire dall’ascensore, considerando il carico del portantino. Quando finalmente riuscì a vedere qualcosa dietro la pila di lenzuola rimase sbalordita.
C’era un murales di un leone, lì in mezzo al reparto di oncologia. Quell’ospedale non finiva mai di stupirla.
“E quello?” Chiese al ragazzo di fianco a lei.
“Ah quello l’abbiamo fatto noi braccialetti. Per Leo quando doveva ricominciare la chemio.”
Era almeno la decima volta in tre giorni di lavoro che sentiva nominare questo Leo, in ospedale parlavano tutti di lui. Proprio quella mattina appena arrivata aveva sentito le sue colleghe infermiere ricordare qualche avvenimento passato il cui protagonista era ovviamente questo famoso Leo. Tutti sembravano volergli molto bene.
“Toni, ma chi è Leo?”
“Era un paziente, poi è guarito. Il leader dei braccialetti rossi.”
“I braccialetti rossi?” Gli chiese confusa, ci stava capendo sempre di meno.
“Adesso devo andare da Ulisse, se no…” Fece una faccia buffa che le fece intendere che era di fretta. “Un’altra volta ti spiego è.”
Lo salutò velocemente e raggiunse Laura per consegnarle i documenti che le aveva affidato Carlo.
 
Anche questa giornata lavorativa le era sembrata cortissima, e in men che non si dica erano già le sei e si era ritrovata a fare l’ultimo giro delle stanze dei pazienti prima della fine del suo turno.
Arrivata davanti alla stanza 23 trovò tutto spento, probabilmente Ruggero era a gironzolare per l’ospedale, anche gli altri giorni non l’aveva mai trovato in stanza alla fine del turno. Aprì la porta per controllare e si stupì nel vederlo addormentato con un tubicino attaccato al braccio.
Si fermò ad osservarlo per qualche istante. Senza quell’espressione ironica in volto sembrava molto più giovane, un ragazzino troppo piccolo per quello che gli stava succedendo.
Notò che un ciuffo di capelli ribelle era posizionato proprio sopra i suoi occhi, allora glielo spostò delicatamente con la mano. Gli sistemò le coperte e fece per andarsene per lasciarlo riposare.
“Non si saluta più, Rossa?” La sua voce era rauca.
Si voltò verso di lui e richiuse la porta che aveva appena spalancato.
“Vuoi un goccio d’acqua?”
Lo vide annuire senza aprire gli occhi, quando si avvicinò lo vide mentre cercava di sistemarsi meglio sul letto. Lo aiutò a posizionare i cuscini dietro la schiena e gli versò un bicchiere d’acqua.
“Mi hanno bombato per bene oggi. Mi sento ancora stordito.” Le spiegò dopo aver riappoggiato il bicchiere sul comodino.
“Ho visto.” Commentò lei.
Lui richiuse gli occhi e appoggiò la testa sui cuscini, sembrava veramente giù. E lei voleva distrarlo da qualunque cosa gli stesse passando per la mente.
“Toglimi una curiosità. Siccome sei la -persona più informata dell’ospedale-, sapresti dirmi chi è Leo? Qui le infermiere parlano tutto il giorno di lui: -Ti ricordi quando Leo ha fatto questo, ti ricordi quando ci faceva impazzire-. E ti giuro che vanno avanti tutto il giorno.”
Vide un sorriso formarsi sul suo volto. “Non so se sono in grado di descriverti Leo.” Le disse. “E’ una persona davvero speciale per tutti qui in ospedale, è stato qui un paio d’anni ed è riuscito a migliorare la vita di tutti.” Continuò poi.
“Anche la tua?” Gli chiese sedendosi in uno spazio libero del letto.
Lui annuì sempre col sorriso sulle labbra.
“Adesso è guarito comunque. E se vuoi tiratela un po’ con le altre infermiere potresti dire che sai che domani verrà in ospedale con il suo Leoncino”
“E tu come fai a saperlo?”
Prese il cellulare dal comodino e le mostrò l’ultimo messaggio ricevuto.
Leo: Ei fratello, domani passo in ospedale a trovarti. Voglio farti conoscere il mio Leoncino.
“Allora domani vedrò finalmente il famoso Leo.”
Si alzò dal letto per andarsene.
“Ci vediamo domani Rossa.”
“Ciao Ruggero.” Lo salutò chiudendosi la porta alle spalle.
Non riuscì a togliersi il sorriso dal volto per dieci minuti.
Prima di andare a casa però doveva fare un’ultima cosa: accese il computer sulla scrivania all’ingresso, digitò la password per entrare con l’account riservato agli infermieri e cercò la cartella clinica di Ruggero.
Sindrome di Guillain-Barrè.
 
 
Nda: Ciao a tutti, vi ringrazio molto per prima cosa. Spero di avervi tenuto un po' compagnia e spero che mi facciate sapere cosa ne pensate di questa storia-esperimento.
Grazie ancora a tutti, un bacione.

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Capitolo 3
*** Soluzione. ***


La sindrome di Guillain-Barré è una radicolo-polinevrite acuta che si manifesta con paralisi progressiva agli arti. Può causare complicanze potenzialmente letali, in particolare se vi è interessamento dei muscoli respiratori o un coinvolgimento del sistema nervoso autonomo.

Saltò delle pagine relative alla storia della malattia.

I primi sintomi che appaiono nella sindrome di Guillain-Barré sono l'intorpidimento, la parestesia e il dolore, da soli o in combinazione. Più della metà dei pazienti accusa sintomi di dolore, che includono mal di schiena, parestesia dolorosa, dolori muscolari, mal di testa e mal di collo, debolezza del sistema immunitario che si manifesta in una particolare sensibilità ad eventuali infezioni.

Chiuse il libro di medicina e tornò a concentrarsi sul panino che si ostinava a chiamare pranzo.

“Cosa ti turba così tanto?” Non aveva neanche notato la sua coinquilina entrare in cucina.

Riservò a Sara uno sguardo, era in tuta da ginnastica coi capelli legati eppure le sembrava ancora l’incarnazione di una dea. Lei conciata allo stesso modo sembrava appena uscita da un manicomio con i ciuffi di capelli rossi che non volevano restare dove li aveva piazzati.

“Lavoro.” Le rispose velocemente.

“Conosco quello sguardo. Decisamente non è lavoro, più un ragazzo direi.” La rincalzò l’altra sedendosi di fronte a lei e appoggiando i gomiti sul tavolo.

“Un ragazzo a lavoro.” Ammise Ambra sapendo che la coinquilina non avrebbe accettato un no per risposta.

“Ah, conosco il problema. Sono uscita con due ragazzi che facevano i modelli nella mia stessa agenzia, uno peggio dell’altro ti giuro.”

I modelli. Ovviamente Sara faceva la modella, si chiese per quale motivo non ci avesse pensato in precedenza.

“Non penso tu conosca il problema.” Dubitava seriamente che lei potesse capire cosa significasse Ruggero, non riusciva a capirlo nemmeno lei. Sapeva solo che era costantemente nella sua testa.

“Andiamo Ambra.” La incitò con un tono ammiccante. “Voglio i dettagli. Un infermiere?”

La ragazza scosse la testa.

“Ah ho capito, hai una tresca con un dottore sexy.”

“Effettivamente il cardiochirurgo è piuttosto sexy. Ma no, non ho nessuna tresca. Si tratta di un paziente, e non è successo nulla in ogni caso.”

“Ma stavi rimuginando su di lui.”

“Rimugino spesso su di lui.” Ammise e Sara le fece cenno di andare avanti. “Mi attira in un modo che non comprendo, ma mi trasmette tristezza e solitudine. Sorride sempre, ma so che è una facciata.”

“Sei cotta Ambra.”

“Non lo conosco neanche.”

“Ma lo capisci.”

Non riusciva a risponderle, perché in cuor suo sapeva che aveva ragione lei. Rispostò l’attenzione al panino.

“Bè, abbiamo tempo. Perché non mi racconti di quei modelli.”

 

Parlarono e risero tutta la sera, con una vaschetta di gelato davanti, sedute per terra d fronte alla televisione. Ambra trovò una consigliera ed un’amica in una ragazza per cui, fino a poche ore prima, aveva provato solo gelosia.

 

Ambra si convinse che la sua vita stava finalmente prendendo la piega giusta: amava il suo lavoro, aveva dei colleghi con cui si trovava bene (forse aveva riso di più in qualche settimana con Toni che in anni interi all’università), inoltre aveva anche legato con Sara.

Questi pensieri le passavano per la testa mentre percorreva il corridoio con un sorriso stampato in viso; un sorriso che si spense quando incrociò lo sguardo triste di un ragazzo seduto di fronte all’ufficio della Lisandri.

Era talmente immersa nella profondità di quello sguardo che notò soltanto dopo qualche secondo che il ragazzo teneva in braccio un bambino di pochi mesi, anche il giovane però non dimostrava più di vent’anni. Ma i suoi occhi raccontavano un’altra storia, le emozioni che le avevano trasmesso sembravano contenere una vita di esperienze.

“Qualcosa non va?” Gli chiese cercando di utilizzare il tono più gentile possibile.

Il ragazzo scosse la testa e un ciuffo di capelli scuri si spostò sopra i suoi occhi, il bimbo fu probabilmente catturato da quel movimento e si allungò per toccare il ciuffetto.

Gli occhi ora erano differenti, trasmettevano amore incondizionato. L’amore di un padre per suo figlio. Ambra sorrise di fronte a quella scena.

“Tu sei nuova vero? Perché io conosco tutti qui e non mi pare di averti mai vista.” Si sentì chiedere quando lui rispostò l’attenzione sulla rossa.

Annuì. “Mi chiamo Ambra. Sei sicuro di non voler parlare con me?”

Ci fu qualche istante di silenzio. Ambra fece per alzarsi, era chiaro che quel ragazzo non voleva parlare con nessuno, anche se era convinta che ne avesse un disperato bisogno.

“Sono venuto qui per chiedere ad un mio caro amico di fare da padrino a mio figlio, ero contento questa mattina. Poi sono arrivato e la Lisandri mi dice che lui non può andarsene dall’ospedale, neanche per una sera. Adesso non so cosa dirgli, non so come andare nella sua stanza e fare finta che vada tutto bene.”

Ambra mise una mano sulla sua spalla. Sapeva che c’era dell’altro e fece cenno al ragazzo di continuare.

“Sai, è una delle prime volte che entro qui dentro da guarito. Sentire la Lisandri dirmi ciò che il mio amico non può fare mi ha portato alla mente dei ricordi non tanto gradevoli.”

“Se la Dottoressa lo ha detto è soltanto per il bene del tuo amico.”

“Certo lo so. Io adoro quella donna, le devo la vita. Ho solo bisogno di qualche minuto per capire cosa dire.”

“Credo che il tuo amico preferisca la verità.” Gli suggerì.

“Grazie Ambra.” Le rispose lui con un sorriso, non potè fare a meno di sorridere in risposta; il ragazzo sembrava improvvisamente allegro e mentre se ne andava salutandola notò che non muoveva una gamba e tra il jeans e la scarpa scorse un pezzettino di metallo. Una protesi. Doveva davvero averne passate tante.

 

Aveva passato la pausa bevendo un caffè con Toni, il quale si era preoccupato di descriverne minuziosamente il gusto del vero caffè “quello che si trova soltanto a Napoli, fidati”; i momenti con quel ragazzo sembravano sempre troppo brevi: la faceva ridere e aveva una parola gentile per tutti.

“Devo andare, Ulisse mi ha detto di passare da Ruggero dopo la pausa.”

“Ah, vengo anch’io.” Le rispose lui. “Ci sta Leo oggi, mi ha detto che andava dallo strunz.. da Ruggero.”

Ambra trattenne una risatina, non è che Toni avesse poi tutti i torti.

Stava per bussare alla porta, ma il portantino la spalancò senza tanti complimenti.

“Ei Toni.” Sentì gridare da una voce che le sembrò familiare.

“Leo.” Urlò l’altro abbracciandolo, sembrava non si vedessero da millenni.

Leo. Il ragazzo di prima; era per quello che la voce le sembrava familiare. Il ragazzo con il bambino era il famigerato Leo.

Si diede della stupida per non averci pensato precedentemente.

Distolse lo sguardo dall’abbraccio dei due amici, che per i suoi gusti stava diventando perfino imbarazzante e i suoi occhi raggiunsero l’altro lato della stanza.

Ruggero era seduto sul letto, bello come sempre, con il neonato tra le braccia. Le sorrise sinceramente, sembrava meno cinico e più vero con i suoi amici intorno.

Ambra si avvicinò a lui, notò che con una mano si stava massaggiando una coscia, probabilmente aveva ancora dei dolori.

“Come va oggi?” Gli chiese cercando di nascondere la preoccupazione

“Al solito.” Rispose lui. “Andrebbe meglio se mi dessero il permesso di uscire almeno per il battesimo di questo ometto.”

Nel frattempo Leo e Toni si erano avvicinati al letto del loro amico.

“So che è difficile, ma il tuo sistema immunitario potrebbe non reggere ed è meglio evitare eventuali infezioni.”

“Si lo so.” Le rispose lui freddo. “Ma questa situazione fa comunque schifo.”

“Possiamo fare come per il funerale di Davide.” Suggerì Toni.

Ambra guardò confusa i ragazzi.

“Toni.” Lo riprese Leo. “Tu lavori in ospedale, non dovresti proporre queste cose. Non davanti a un’infermiera, anche se carina.” Leo le fece un occhiolino e lei arrossì, non era abituata a certi comportamenti e si sentiva in imbarazzo. “Comunque vengono anche la Lisandri e Alfredi, quindi niente evasione.. ci scoprirebbero.”

Lei sapeva che il problema principale erano le infezioni, l’ambiente fuori dall’ospedale non era sterilizzato e con un sistema immunitario come quello di Ruggero il rischio non era da escludere. “Complicanze potenzialmente letali” recitava il libro di medicina.

Certo, il rischio sarebbe potenzialmente nullo se l’ambiente fosse disinfettato e sterilizzato completamente.

I suoi pensieri furono interrotti quando vide la mano di Toni passarle davanti al viso.

“Rossa.” Ovviamente soltanto Lui la chiamava così. “Sei nel mondo dei sogni.”

“Stavo pensando.” Cercò di giustificarsi. “Forse ho la soluzione.”

I ragazzi la guardarono confusa.

“Mi baci, rompi l’incantesimo e divento il tuo principe con due gambe funzionanti.” Suggerì Ruggero con il tono malizioso che lei adorava.

“Idiota. Ero seria.”

“Anche io.” Le rispose lui, il suo sguardo sembrava davvero convinto. “Dai non farlo, avrai sulla coscienza la mia guarigione per tutta la vita.”

“Non ha tutti i torti.” Si intromise Leo ridacchiando. “Tanto non ti costa nulla.”

“Ti ci metti anche tu?” Rispose con un sorriso imbarazzato. In realtà l’idea non le dispiaceva affatto.

Ruggero le fece un occhiolino e lei credette di essere più rossa in viso che di capelli in quel momento.

“Dai Rossa, guariscimi.” La incitò facendo segno all’amico di prendere in braccio suo figlio.

Lei scosse la testa, ma poi si avvicinò.

Le loro labbra appena si sfiorarono, ma Ambra riuscì a percepire come una scossa elettrica attraversarle il corpo. Il cuore le batteva a mille e forse si trattennero leggermente più del dovuto in quella posizione.

Lei si allontanò.

“Allora, ti senti guarito?” Gli chiese cercando di riprendersi la sua sanità mentale.

“Purtroppo no, ma ne è valsa la pena.”

“Dai Leo, andiamo a parlare con la Dottoressa: forse ho la vera soluzione.” Annunciò mentre lasciava la stanza, sentiva che se fosse rimasta ancora qualche minuto lì dentro non avrebbe resistito a baciarlo di nuovo.

“Magari se avessi usato la lingua avrebbe funzionato.” Sentì gridare mentre si chiudeva la porta alle spalle. Leo, di fianco a lei, scoppiò in una fragorosa risata.

“E’ sempre il solito.” Commentò piano.

 

 

 

NDA

Eccoci qua, scusate il ritardo, ma questo periodo è un po' un disastro tra esami all'uni e gite fuori porta. Probabilmente sarò un po' incostante fino a fine gennaio.

 Detto questo vi ringrazio e spero che apprezziate questo altro capitolo (finalmente il primo bacino YEEEAAH).

Grazie mille a tutti e BUON ANNO.

Un bacio, C.

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