I've been saving all my summers for you

di Milla Chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** From winter sun to summer snow ***
Capitolo 2: *** Sweet like honeysuckle late at night ***
Capitolo 3: *** Pick my petals off and make my heart explode ***



Capitolo 1
*** From winter sun to summer snow ***


From winter sun to summer snow

Kenma deve prendere un respiro profondo tutti i giorni, appena scende dal letto. Ogni mattino si dice che è il giorno giusto, quello buono, ma appena apre la finestra e sente il rumore della strada si blocca, la mente gli si affolla di tanti pensieri fastidiosi e finisce sempre col fare la stessa cosa: richiudere la finestra e tornare a letto, lontano da quei problemi e da se stesso, nel torpore del sonno.
Kenma è andato in università tre volte. Tre giorni, la prima settimana, ad aprile.
In quei tre giorni c’era stato un numero spropositato di persone che hanno tentato di approcciarsi a lui, di parlargli, dopo esserglisi sedute vicino. Ma Kenma si è chiuso a guscio, subito. Non voleva. Gli si attorcigliava lo stomaco. Non conosceva nessuno e avrebbe voluto che restasse così, ma gli altri non lo assecondavano, insistevano e l’idea di dover per forza fare amicizia con loro lo terrorizzava e lo terrorizza ancora.
Il quarto giorno era stato troppo: troppi rumori, troppe persone, troppe voci, troppe immagini. Gli sembrava di sentire tutto, anche il ticchettio delle lancette di ogni orologio al polso di ogni ragazzo. Aveva lasciato che il riso che aveva sollevato a mezz’aria ricadesse nel bento che stava mangiando e aveva appoggiato le bacchette sul tavolo. Lo stomaco gli si era chiuso perché anche solo l’attrito che le sue dita producevano contro il legno delle bacchette lo infastidiva.
Aveva preso lo zaino nel bel mezzo della pausa pranzo ed era strisciato via col cuore in gola e tutti i sensi troppo attenti ad ogni minimo stimolo proveniente dall’ambiente che lo circondava, i muscoli così tesi da essere doloranti.
Dopo quel giorno, vivere senza nessuno a prendersi cura di lui non l’ha aiutato a fare le decisioni migliori.

Non appena Kenma aveva finito il liceo, Kuroo gli aveva proposto di andare a vivere insieme a lui. Le loro università, tuttavia, sono davvero troppo, troppo distanti e Kenma, anche se aveva soppesato a lungo l’offerta, aveva infine detto di no.
Se ci ripensa ora, Kenma si pente tantissimo della sua scelta. Si dà dello stupido per aver osato pensare che il se stesso del futuro sarebbe stato diverso, che avrebbe davvero potuto sopportare l’assenza costante di Kuroo, la vita da solo.
L’ultimo anno di liceo era stato abbastanza terribile, senza Kuroo, ma perlomeno c’erano Taketora, e Lev, e tutti gli altri. Perlomeno viveva ancora a casa sua, col suo gatto, e i suoi genitori gli preparavano la cena, gli pulivano la casa, e Kuroo andava a trovarli non appena poteva.
Ora è diverso. Per la prima volta sono vite distinte, quelle di Kenma e Kuroo. Non ha nessuno che lo aspetti a casa. Non ha il suo gatto da coccolare, nessuno a coccolarlo.
Kenma si era sentito sprofondare in un buco nero man mano che si era reso conto che l’università impegnava Kuroo tanto quanto impegnava lui -o almeno, quanto avrebbe dovuto impegnarlo. I loro giorni liberi non sarebbero mai combaciati, ci sarebbe sempre stato qualcosa da fare e il contratto d’affitto per l’appartamento che aveva preso era annuale, quindi ormai era davvero troppo tardi per spostarsi da Kuroo, e troppo vergognoso e riprovevole tornare dai suoi genitori con la coda tra le gambe, soprattutto dopo che avevano costruito tante aspettative su di lui. Kuroo gli scrive sempre, appena può ma, semplicemente, non è la stessa cosa. Non lo è, e lui si sente solo e non lo credeva possibile.
 
La casa che ha preso in affitto è piccola e silenziosa, internet prende male e di cucinare proprio non ne ha voglia. Il ventolino è suo amico nei giorni afosi di quell’estate, almeno.
Anche se la città era sempre Tokyo, a Kenma sembra di essere dall’altra parte del mondo.
Ma ormai è agosto. Sono iniziate le vacanze estive e il bisogno di vedere Kuroo è diventato terrore, e se prima avrebbe pagato pur di vederlo, adesso preferirebbe congelare l’orologio e il calendario e sotterrarsi piuttosto che farsi vedere dopo tanti mesi in cui non ha fatto altro che vegetare e mentirgli.
 
Kuroo capisce presto che c’è qualcosa che non va: tutte le giustificazioni che Kenma trova per non incontrarsi con lui sono delle scuse. Non capisce il perché: hanno del tempo libero, finalmente; hanno due settimane da dedicare a loro stessi. Possono passare del tempo assieme dopo tanti mesi in cui si sono scritti e basta, perciò non riesce a trovare una logica in quel comportamento. Una settimana si brucia così, nei rimandi continui di un appuntamento che non arriva mai.
Kuroo inizia ad irritarsi.
Le risposte di Kenma sono criptiche e sibilline, ma Kuroo riesce ad estorcergli qualcosa. Qualcosa di non molto chiaro, ma che forse avrebbe preferito non sentire, o fingere di aver capito male.
Kenma non mette il naso fuori di casa da mesi.
Kuroo è incredulo quando lo scopre. Ma ora è libero, libero dall’università, e non ci pensa due volte ad affrontare quell’ora e mezza di viaggio che lo separa dall’appartamento di Kenma.
 
Kenma sente suonare il campanello e sobbalza, voltando la testa verso il videocitofono. Sbianca e si guarda attorno, e il cuore inizia a battergli forte mentre si alza e cammina su e giù per quei pochi metri quadrati, senza sapere cosa fare.
Non vuole farsi vedere in quello stato, con quelle occhiaie e quel pallore; e i polsi ossuti non avrebbero fatto altro che agitarlo ancora di più, e la casa è semplicemente un disastro.
Non gli apre ma Kuroo non demorde e il campanello continua a suonare.
Kenma guarda per qualche secondo il cellulare che si illumina per la chiamata in arrivo dal ragazzo in piedi sul marciapiede, qualche piano più in basso.
Kenma odia parlare al telefono. Ma glielo deve, forse. Glielo deve, quindi risponde, anche se ha già la gola chiusa.
La voce sorprendentemente pacata e apprensiva di Kuroo gli fa venire da piangere.
 
Kuroo gliel’aveva sempre detto, nel corso dell’anno precedente, glielo aveva ripetuto tante volte, ancora prima che iniziasse l’università: avrebbe dovuto sforzarsi di aprirsi, di trovare nuovi amici. Si era preoccupato fin da subito, Kuroo, perché sapeva com’era fatto Kenma e l’idea di non poterlo tenere sott’occhio lo agitava.
Scoprire che le sue paure si sono concretizzate lo fa sentire come se gli avessero aperto un buco nel cuore.

Kenma sente chiaramente il malcontento mascherato nella sua voce. Sente la frustrazione, lo sconforto, e si sente in colpa, tanto che vorrebbe che il pavimento si aprisse e lo inghiottisse per farlo sparire e per risparmiargli quella sensazione.
“Non so cosa dirti.” conclude Kuroo, all’altro capo del telefono, dopo che in realtà gli ha già detto troppo.
Kenma si nasconde il volto con una mano e stringe i denti per non singhiozzare, perché il senso di colpa si è acuito e gli trafigge il petto.
Sta facendo preoccupare Kuroo, gli sta procurando preoccupazioni che non avrebbe dovuto avere; sta perdendo tempo per lui, per cercare una soluzione e risolvere qualcosa a cui Kenma non voleva neanche pensare.
Kuroo avrebbe solamente dovuto continuare la sua vita, la sua università, non pensare a lui, continuare a studiare, perché lui è bravo e gli riesce bene: Kenma vuole dirglielo ma la voce non esce.
Si morde le labbra e chiude la chiamata, toglie il chiavistello, si fionda giù per le scale; salta l’ultimo gradino, si sente fluttuare nel vuoto cosmico quando tende istintivamente le braccia verso di lui.
Singhiozza mentre affonda la faccia nel suo petto ed è irreale, è sommerso dall’imbarazzo ma si lascia abbracciare.
Kuroo quasi lo stritola. Non vuole lasciarlo andare per niente al mondo.
 
I giorni successivi passano un po’ in silenzio, ma c’è Kuroo al suo fianco. Mette a posto casa sua, lo porta a fare la spesa, fa qualche lavatrice e lo butta sotto la doccia per tre ore. Lo coccola, gli riempie la fronte e le mani di baci rassicurati e anche se è agosto e fa caldo, dormire in due in quel letto non è poi così scomodo.
Non tira fuori la questione subito. Vuole solo tranquillizzarlo.
 
“Ti prego Kenma, prova ad andare ancora una volta.” dice, quasi sulla soglia della porta, perché l’indomani le lezioni sarebbero ricominciate e lui deve andarsene.
Una sanguinosa guerra è in corso nella testa di Kenma.
“Se non vuoi farlo per te, fallo… per me?” tenta Kuroo, sconfortato e incerto, perché non è sicuro che quelle siano le parole giuste da usare per convincerlo, ma non gli viene davvero in mente altro. Forse spera di convincerlo perché conosce Kenma meglio di chiunque altro e, magari, può sembrare la voce della sua coscienza.
Si è sempre preso cura di lui, vuole solo il suo bene ed è il suo migliore amico fin da quando erano bambini.
In realtà c’è molta confusione nelle loro teste, negli ultimi anni, perché nessuno dei due sa esattamente come catalogare quella loro relazione.
Qualcuno azzarderebbe a dire che il loro è un rapporto fraterno, ma questo non giustificherebbe i baci silenziosi e lenti dati a notte fonda, quando sembrava essere un’ottima idea. Sono rimasti sempre celati a tutti, e forse un po’ anche a loro stessi perché non sono mai riusciti a parlarne davvero.
Quei baci erano rimasti lì, vacanti, come spettri fluttuanti nell’oscurità. Sono iniziati con l’inizio del liceo e non sono mai smessi.
Forse si appartengono e basta. Forse sono tutto o forse sono niente, forse è giusto così, oppure no, ma non importa perché di certo testimoniano l’affetto che provano l’uno per l’altro e che è in assoluto uno dei fondamenti delle loro vite.
 
Kenma annuisce, totalmente assorto. Ecco, ora si sente come se stesse facendo un torto all’umanità intera.
Il sì che pronuncia subito dopo è flebile e tremante. Il bacio di Kuroo contro la sua tempia è dolce e lunghissimo, come il suo abbraccio, come se fosse un addio.
Chiude la porta e Kenma va ad abbandonarsi con un sospiro contro la sedia, la schiena curva e il capo chino.
Le lacrime e fermano la loro caduta sulle sue ginocchia e si allargano sulla stoffa fino a diventare piccole macchie bagnate. Si sfrega la faccia con un po’ troppa forza e gli angoli degli occhi ora gli bruciano. È doppiamente stupido.
Forse così fa più male, pensa Kenma. Forse era vero che era meglio non vederlo.
 
Lo scossone che gli ha dato Kuroo e la paura di deluderlo sono talmente forti che il giorno dopo, anche se con un nodo alla gola e la sensazione che il minimo movimento lo avrebbe fatto vomitare, scende davvero in strada per andare alla fermata. Forse è anche un po’ merito della casa pulita, che sembra quasi nuova, e gli dà una sensazione abbastanza piacevole, così come i vestiti freschi.
Anche il cielo sembra volerlo aiutare, perché è limpido e chiaro, ma Kenma non è propriamente di buon umore. Il bus ci sta mettendo troppo e l’attesa fa aumentare l’ansia.
Kenma guarda l’orologio: se il bus non arriva nei prossimi trenta secondi, torna in casa. È deciso. Gli sembra fattibile e sta per voltasi e scappare verso il portone del condominio, ma il rumore di un motore lo fa fermare e il sollievo che si era affacciato nel suo cuore crolla come una torre in rovina.
Lo stomaco gli si ribalta. Il bus è davvero arrivato in quel mezzo minuto e Kenma pensa che sia un pessimo scherzo del destino. Non ha il coraggio di scappare e tradire la parola data, perché è come avere Kuroo davanti agli occhi: la sua faccia rattristita, le sue mani che cercano di tranquillizzarlo accarezzandogli i capelli -oh, gli mancava, gli mancava tanto quel gesto.
Stringe i denti e sale sul mezzo, troppo pieno per i suoi gusti; infatti non vede un posto a sedere e deve stare in piedi.
Spaesato, resiste qualche fermata prima di sentire l’impellente bisogno di attaccarsi al telefono. Fruga nella tasca, il bus riparte improvvisamente e Kenma non fa in tempo ad aggrapparsi al sostegno.
Sgrana gli occhi e si sbilancia indietro, convinto che la magra colazione che ha fatto gli si ripresenterà sicuramente da un momento all’altro. Sbatte contro la schiena di qualcuno e si volta per chiedere scusa, spalanca la bocca, ma la sua faccia lo ammutolisce.
“Kozume?”
La voce di Akaashi gli arriva alle orecchie in tutta la sua tranquillità, vellutata ma anche piacevolmente sorpresa.
Lo guarda dritto negli occhi blu e pensa a come rispondere senza soccombere all’istinto di scappare via.
“Scusa.” si limita a dire, riferito all’urto di poco prima. Akaashi non ne sembra infastidito, anzi, ha un’espressione molto diversa da quella a cui è abituato.
“Non pensavo che ti avrei trovato qui. Vai all’università?”
Kenma annuisce e cerca di non pensare a cosa evochi quella parola nella sua mente.
Il bus rallenta e Akaashi raddrizza la testa per lanciare un’occhiata fuori dal finestrino. “Oh, scusa, devo scendere qui.”
“… Anche io.”
 
Akaashi lo guarda un attimo confuso, poi realizza, perché non ci sono altre spiegazioni.
Vanno alla stessa università e non lo sapeva? Eppure è settembre. L’università è iniziata da mesi e si chiede come abbia fatto a non averlo mai visto, e l’elevato numero degli studenti della loro classe non può essere una scusa.
 
Akaashi capisce che c’è qualcosa di strano non appena mettono piede in università: nessuno saluta Kenma, e lui tiene gli occhi fissi sulle piastrelle su cui cammina, le sopracciglia contratte. Gli si legge in faccia che vuole uscire il prima possibile da lì, che fatica a camminare e lo fa in modo macchinoso, irrequieto. Il suo viso sembra stanco ed è abbastanza sicuro che non abbia dormito abbastanza.
Più o meno sa che tipo di persona è Kenma: lo ha incontrato al liceo, hanno giocato parecchie partite insieme, c’è stata quella vena di sana competizione a far scattare tra loro qualche scintilla.
Lo conosce, certo, ma non davvero, non abbastanza bene da rimanere in contatto o mandarsi mail, o considerarlo un vero e proprio amico.
Sa invece che Kuroo e Bokuto sono buoni, ottimi amici e gli sembra davvero molto, molto strano che non avessero parlato dell’università in cui sarebbero andati i loro rispettivi palleggiatori o, se l’avevano fatto, che nessuno dei due avesse urlato con entusiasmo nel sapere che andavano nella stessa università.
È particolarmente curioso, ora, averlo così vicino in un contesto tanto diverso dal campo da pallavolo.
 
Anche Kenma è confuso e leggermente arrabbiato con Kuroo, perché lui sicuramente lo sapeva, di Akaashi. Bokuto non può non averglielo detto almeno un milione di volte, no? No, se l’avesse saputo gliel’avrebbe sicuramente riferito.
Nel frattempo, però, Kenma si sente anche abbastanza felice di poterlo seguire, perché non ha idea di quale sia l’aula in cui deve andare e, in aggiunta a ciò, il suo senso dell’orientamento è pessimo.
Inizia a sudare quando nota che Akaashi ha intenzione di sedersi vicino a lui -oppure è lui a doversi sedere vicino ad Akaashi, a questo punto?
Lo guarda con la coda dell’occhio, ma quando Akaashi se ne accorge e ricambia lo sguardo, lui torna ad abbassare la testa ed è contento che i suoi capelli coprano la visuale.
Il ricordo del caos del corridoio affollato che ha sperimentato poco prima lo disturba ancora, e gli sembra di dover ancora fare tante, troppe cose.
Si sforza di pensare positivo e pensa di essere abbastanza fortunato per il fatto che nessuno abbia ancora provato a parlargli. Nessuno a parte Akaashi, che ora si è definitivamente accomodato accanto a lui, ma è un ragazzo silenzioso e non gli trasmette troppa ansia, fortunatamente. Forse il fatto di conoscerlo, anche solo un minimo, contribuisce ad attenuare la sensazione di totale smarrimento.
Un po’ è dispiaciuto di non averlo incontrato subito, in quei primi giorni ad aprile, ma effettivamente sono davvero in molti a seguire quel corso e probabilmente Akaashi si era confuso tra la ressa e vederlo era stato impossibile.
 
La lezione inizia e lo stomaco gli fa male come se qualcuno gli stesse bucando le pareti interne. Non prende neanche un appunto, si limita solo a scarabocchiare qualcosa di insensato, di tanto in tanto, con la matita spuntata. Akaashi lo guarda incuriosito e impensierito, ma non dice nulla e Kenma gliene è grato.
Ma il silenzio dura solo fino alla fine di quelle tre ore.
“Ti senti bene?” chiede infatti Akaashi mentre si alza perché devono cambiare aula, cedendo alla preoccupazione.
“Sì.”
Kenma sale le scale perché anche Akaashi le sta salendo e sta mezzo passo dietro di lui.
Akaashi decide di glissare su quella risposta che suona tanto vuota e, di conseguenza, falsa.
“È strano, non ti ho mai visto qui.”
Kenma alza la testa e, oltre a rendersi conto di quanto è alto, capisce anche che non sembra uno che si accontenta di risposte mediocri. Quindi, piuttosto di dargliene un’altra, rimane in silenzio, anche se è imbarazzante.
 
“Non mangi?”
Ed eccola, altre due ore dopo: l’ora di pranzo, tanto attesa e temuta.
Kenma chiude gli occhi e prende un respiro profondo. La mensa è gremita e rumorosa, esattamente come se la ricordava. Scuote piano la testa e un leggero panico inizia a scorrergli lungo i muscoli, irrigidendoli.
Akaashi guarda il proprio cibo e poi di nuovo Kenma. Non ha parlato molto in quelle ore. Pensava fosse solo perché voleva seguire le lezioni, ma più passava il tempo più era chiaro che non era un atteggiamento molto normale.
“Non hai dietro niente?”
Kenma scuote ancora la testa, ma in realtà mente, perché ha qualcosa di preconfezionato sul fondo della tracolla. Non ha davvero intenzione di tirarlo fuori, però.
“Non puoi stare a digiuno…” gli fa notare Akaashi, spingendo piano il suo bento verso di lui. “Se c’è qualcosa che ti piace prendilo pure.”
Kenma allontana lo guardo e sente una fastidiosissima ondata di calore investirlo. Vorrebbe ringraziarlo per il gesto, ma anche spiegargli che ha la gola ridotta ad uno spillo e non riuscirebbe ad ingoiare neanche un granello di zucchero. È paralizzato e fa fatica anche solo a deglutire.
“No.” riesce a mormorare con uno sforzo immane, strozzato, e gli dispiace vedere che Akaashi storce la bocca un po’ dispiaciuto e torna a mangiare. Non voleva suonare scortese e ha paura di star rovinando tutto, e la voce di Kuroo sembra rimbombargli nella testa, dicendogli che non deve restare solo, che deve fare amicizia.
Non ce la fa. Sta in silenzio tutto il tempo e lo guarda mangiare.
Kenma si tende ogni volta che qualcuno che passa di lì per caso si ferma a parlare con Akaashi. Cerca di capire come faccia lui a rimanere così calmo e naturale anche quando gli si siedono accanto e gli sfiorano il gomito con il loro. Vuole carpirne i segreti.
Rimane comunque lì, immobile e silenzioso come un fantasma.
Rimane lì perché, in qualche modo, sente che Akaashi non è infastidito dalla sua presenza; neanche quando chi gli si siede vicino lancia a Kenma uno sguardo un po’ inquieto e interrogativo.

 
applepi>> Perché non mi hai detto che Akaashi Keiji fa la mia stessa università?
 
nuk-ur-o>> ? ? ? ? ? non fa la tua stessa università
 
applepi>> Sì Kuro. Sono stato con lui oggi.
 
nuk-ur-o>> ! ! ! !
 
nuk-ur-o >> bokuto mi aveva scritto un’altra uni. in effetti non l’avevo mai sentita nominare, magari è solo scemo e si è sbagliato? se è così lo picchio.
 
nuk-ur-o >> comunque
 
nuk-ur-o >> CE L’HAI FATTA ! sono così felice ! ! ! com’è andata?
 
applepi>> Mweh.
 
nuk-ur-o >> un mweh è meglio di tre puntini di sospensione o di nessuna risposta, quindi direi che è un buon inizio, eheh (^ e ω e ^ )
 
nuk-ur-o >> torno in aula, se hai voglia di raccontare o hai bisogno di aiuto o vuoi anche solo scrivermi sono sempre qui
 
nuk-ur-o>> dacci dentro~ ;3

 
Kenma blocca il telefono e sospira. È metà pomeriggio e la giornata in università è finita; ha ripreso il bus con Akaashi e l’ha salutato. Ora è a casa e può ricaricarsi, steso sul divano, rischiando però di addormentarsi.
Sente tutta la tensione sciogliersi, come se dei nodi alle braccia e alle gambe si slegassero. Lo stomaco brontola ferocemente e il rumore viene amplificato dal silenzio di quel monolocale.
Forse è arrivato il momento di mangiare il suo pranzo, anche se ormai è troppo tardi per poterlo chiamare così, ma ancora troppo presto per poterlo chiamare cena.
Come ha detto Kuroo, è un buon inizio.
Se non avesse incontrato Akaashi dubita che avrebbe anche solo pensato di tornare in università, l’indomani. Eppure è un’ipotesi che tiene in considerazione, anche se non ne è ancora sicuro, perché non lo alletta per niente l’idea di passare un’altra giornata all’insegna dell’ansia perenne e di una sensazione allo stomaco che è come provare fame e nausea contemporaneamente.
 
Infatti, il giorno dopo, quando sul bus non vede Akaashi, inizia immediatamente a fargli male la pancia. Si aggrappa al sostegno e fissa intensamente fuori dal finestrino con gli organi interni che si contorcono crudeli. Vorrebbe scendere alla fermata successiva e scappare a casa, anche a piedi, non importa, ma non lo fa solo perché c’è un acquazzone in corso e non ha un ombrello e la volontà di rimanere asciutto prevale.
Ed è una fortuna che non lo faccia, perché dopo aver cercato un tabellone con l’orario e aver trovato l’aula giusta, lo vede.
È là in fondo, tra le teste che si muovono per trovare un posto a sedere. È come un faro, una sicurezza. La sua unica e tangibile sicurezza.
Assottiglia lo sguardo per assicurarsi che sia davvero lui, poi torna a camminare a passo spedito per raggiungerlo.
“Oh…” Akaashi si gira e se lo trova davanti, e lo coglie un po’ alla sprovvista.
“Ciao.” aggiunge con un piccolo sorriso cortese. “Vuoi sederti qui?”
Kenma si umetta le labbra e annuisce.
Akaashi lo guarda interessato, ma l’espressione assume un’ombra un po’ triste. Si chiede se abbia degli amici, lì dentro, ma la risposta è molto probabilmente negativa se è venuto a cercarlo con tanta urgenza.
Si chiede perché, anche se forse non è difficilissimo intuirlo visti i suoi comportamenti, ma Akaashi pensa che per non trovare davvero nessuno con cui passare qualche ora ci si debba veramente sforzare.
 
Bokuto gli ha scritto, la sera prima. Gli ha chiesto di nuovo, con enfasi, in quale università andasse e Akaashi, per l’ennesima volta, gliel’aveva scritto. Bokuto gli aveva poi chiesto di scrivergli chiaramente come si leggeva e di mandargli un messaggio vocale, e la risposta era stata disperata.
Leggeva i kanji in modo sbagliato. Li confondeva con altri, li mischiava e così aveva detto a tutti i suoi amici che Akaashi studiava in una qualche misteriosa e sconosciuta università di Tokyo.
Akaashi si era messo le mani tra i capelli. Non ci credeva. Non credeva davvero di avere un fidanzato così scemo e non credeva di aver sempre e solo scritto il nome della sua università, senza mai dirlo ad alta voce. No, era impossibile. Probabilmente l’aveva detto più e più volte ma Bokuto se ne era dimenticato. Era possibile? No, non lo era affatto. Era inconcepibile.
 
“Non c’eri sul bus.” gli fa notare Kenma, senza disturbarsi ad alzare la testa dal suo astuccio mentre cerca una penna.
Akaashi smette un attimo di scrivere per rispondergli e Kenma sente il bisogno di voltarsi verso di lui come se fosse attratto da una calamita. Lo fa e deve concentrarsi sulle sue parole, perché rischia di perdersi tra i suoi pensieri, che si chiedono di che colore siano quegli occhi eleganti.
“Sono dovuto venire qui un’ora prima per mettermi d’accordo con dei ragazzi per un progetto.”
“Ah…” Kenma sente un leggero disagio, perché teme di essere suonato egoista, come se il mondo dovesse adattarsi ai suoi orari. Non ha tenuto in considerazione che un’altra persona potrebbe avere altre cose da fare, ma non l’ha fatto con cattiveria e spera che Akaashi non se la sia presa. In realtà il suo cervello sta decisamente esagerando la situazione, ma Kenma non può saperlo.
“Domani però ci sono.”
Kenma si riscuote subito e raddrizza un poco la schiena. “Anche io.”
Akaashi non può sapere quanto siano importanti quelle parole. Kenma lo dice come se fosse una promessa e per lui è come aver preso un impegno importante, un appuntamento a cui non può mancare, che non dovrà dipendere dalla sua ansia, perché non sarà lei a decidere cosa fargli fare. Lo farà e basta.
Anche quel giorno Kenma non mangia e l’ipotesi formulata da Akaashi, quella che fosse una semplice mancanza di appetito, inizia a vacillare. Gli offre ancora il suo cibo, ma la scena è identica a quella del giorno precedente.
 
Il giorno dopo Kenma è sul bus e ha un’aria vagamente orgogliosa, ma la giornata si svolge proprio come le altre.
Il giorno dopo ancora, invece, Kenma non c’è e Akaashi è un po’ deluso quando non lo vede salire.
 
Il weekend è umido e la pioggia e le nuvole si alternano come se avessero dei rigidi turni di lavoro da rispettare, ma Akaashi non ci dà troppo peso: la presenza familiare di Bokuto che lo trascina in giro per Tokyo al sabato sera gli fa compagnia. Forse dovrebbe dedicare un po’ più di tempo allo studio, ma stare in compagnia del suo ragazzo -il ragazzo più ingenuo, simpatico, dolce e fastidioso del mondo- in realtà è piacevole, ad Akaashi scalda il cuore e va bene così.
Bokuto non fa l’università. Studiare non è proprio cosa per lui, dopo il liceo ne ha avuto abbastanza, anche se con grande disappunto dei suoi genitori. Aveva trovato un lavoretto in un negozio di abbigliamento; niente di che, ma comunque qualcosa.
 
Lunedì Kenma non c’è, di nuovo.
Il martedì però appare e Akaashi è, per qualche motivo, sollevato.
Gli si avvicina -i posti a sedere sul bus sono sempre e perennemente occupati, sembrano troni irraggiungibili-, ma si accorge che sta piangendo in silenzio e rimane spiazzato.
“Che succede?” chiede preoccupato, e Kenma sobbalza perché non l’aveva visto avvicinarsi.
Scuote la testa e si sfrega frettolosamente gli occhi per asciugarli.
Akaashi gli appoggia una mano sulla schiena e Kenma sente una sensazione limpida, come se fosse stato toccato dalla luce. L’ultima persona che l’ha toccato è stato Kuroo e forse è per quello che gli fa mancare il respiro.
Sposta gli occhi sui suoi e li trova che lo scrutano a fondo. Non può sfuggirgli.
“Kenma, stai bene?” gli chiede ancora, più fermo, prendendosi la libertà di chiamarlo col suo nome, forse per sembrare più diretto, e Kenma torna a singhiozzare come se quella parola avesse innescato qualcosa di terribile dentro di lui.
Si copre la faccia perché si vergogna a morte e sente gli sguardi di tutti addosso, quando in realtà solo un paio di persone si sono voltate a guardare cosa stesse succedendo.
Akaashi gli passa lentamente la mano sulle spalle per calmarlo e quando scendono si affretta a trascinarlo su una panchina e farlo sedere. Non sono esattamente in anticipo, ma le lezioni possono aspettare.
Gli si siede accanto e Kenma è indeciso se guardarlo o no, quindi opta per una via di mezzo e si limita a fissare i pantaloni di Akaashi. Non piange più ma, come aveva già notato giorni prima, Akaashi non ha l’aria di uno che accetta risposte vuote, e il suo silenzio tombale è sicuramente classificabile come risposta vuota.
“Cosa succede? Non stai bene, Kozume, non pensare che non si noti.”
Kenma si prende qualche secondo per organizzare i pensieri ed essere il più chiaro possibile nell’esporli.
“Chiamami Kenma.” è la prima cosa che dice, ripensando alla sensazione che gli ha dato prima sul bus.
Akaashi gli fa capire con un gesto del capo che va bene, lo farà, e resta ad osservarlo attento, a mani congiunte.
Sono altri attimi di silenzio prima che qualcuno torni a parlare.
Kenma sembra congelato, ma si sblocca inclinando la testa da un lato e guardando il più lontano possibile da lui, le labbra che tremano perché la voce è incastrata nelle sue corde vocali, e gli sembra di avere un tappo in gola.
“Ho paura.” sibila staccandosi la pelle attorno alle unghie e sentendo caldo alle orecchie.
“Di cosa?” chiede subito Akaashi, pacato.
Kenma sente il cuore martellargli nel petto.
Di tutto, ha paura praticamente di tutto e non sa da dove iniziare a spiegarlo, ma il modo in cui l’ha detto Akaashi lo fa sentire come non ci fosse assolutamente nulla di cui aver paura, che sono tutti timori infondati, i suoi. E forse non sbaglia, ma non è così facile convincersene.
“Venire in università ti disturba così tanto?” continua il ragazzo seduto accanto a lui.
Gliel’aveva accennato Bokuto, a cui a sua volta l’aveva detto Kuroo, ovviamente.
Kenma lo intuisce e vuole lamentarsi pesantemente col suo migliore amico per essere andato in giro a dire una cosa del genere, ma poi capisce che forse non era poi questo gran segreto.
Annuisce.
“Per questo non c’eri, i giorni scorsi?”
Annuisce di nuovo.
“E perché? Scappare non risolve le cose.”
A questo Kenma non può rispondere. Se qualsiasi altra persona gli avesse detto una cosa del genere, Kenma se la sarebbe probabilmente data a gambe, ma Akaashi non è eccessivamente brusco nel dirlo e, anzi, gli dà modo di riflettere.
Akaashi non vuole farlo sentire a disagio più di quanto già non sia, perciò non infierisce. Prende un respiro profondo e si alza.
“Andiamo?”
La testa di Kenma inizia a macchinare cose strane, qualcosa sullo star facendo preoccupare inutilmente anche Akaashi, ma le scaccia via più in fretta che può per non rovinarsi anche quella giornata e lo segue con poche esitazioni.
 
Ancora non mangia.
Akaashi corruccia le sopracciglia e pensa a una soluzione concreta, perché gli dispiace vederlo in quello stato.
È così anche per i tre giorni successivi, ma ci sono anche delle novità, per di più piacevoli: parlano. Lo fanno sempre più spesso e Akaashi è soddisfatto di quel miglioramento, che rispetto alla settimana precedente è decisamente sostanziale.
Kenma sembra essersi aperto un po’ di più, commenta, fa domande, sembra essere un po’ più vigile durante le lezioni, e gli ricorda un piccolo meccanismo che riprende a muoversi in modo lento e un po’ stridente dopo un periodo di immobilità, facendo svolazzare la polvere attorno.
 
Kuroo è entusiasta, Kenma lo capisce dai suoi messaggi.
Anche se qualche volta le crisi si ripresentano, il suo primo pensiero non è quello di rannicchiarsi in casa e non uscire. È la prima reazione, certo, quella immediata, ma non l’unica: sa che sta provando a contrastarla, che non rinuncia al primo tentativo, che finalmente non si abbandona all’inerzia. A volte funziona e ne è fiero. Anche Kuroo lo è.
Kuroo è la persona più felice del mondo da quando sa che Akaashi è con lui, e passa assieme a lui le ore in università. Kenma ha qualcuno, qualcuno che, anche se poco, lo conosceva già, e sembra davvero essere il tipo di persona ideale per avere a che fare con lui.
Spesso scrive a Kenma che vorrebbe tornare indietro nel tempo e scoprire prima che era lì, Akaashi.
Per Kenma è lo stesso, e non sa neanche spiegare quanto.
 
Il martedì successivo Akaashi ha una sorpresa per lui.
All’ora di pranzo non si dirige verso la mensa e Kenma è disorientato.
“Dove vai?” chiede infatti, indicando con un braccio la dannata stanza da cui esce un forte brusio e rumori di piatti spostati, come a dire che è quella la direzione giusta, anche se la meno amabile.
Akaashi si gira a guardarlo e ha una vago compiacimento dipinto in volto. Lo invita a seguirlo con un gesto della mano e Kenma si fida di lui.
Entrano in un’aula deserta e Kenma si guarda attorno alla ricerca di un ipotetico qualcosa che in realtà non c’è.
Akaashi cammina tra i lunghi tavoli: la loro superficie prosegue ad angolo retto verso il basso, fino a terra.
“Sediamoci qui.” dice indicando un punto sul pavimento. La sua voce è serena e calma e a Kenma quell’intonazione piace in modo particolare, perché sembra avere il potere magico di rilassarlo.
Akaashi sposta due sedie e si siede per terra, sotto un tavolo, appoggiando la schiena al piano di legno finto perpendicolare alle piastrelle.
Kenma lo guarda stranito e vagamente divertito, perché Akaashi deve stare un po’ chino e non sembra molto comodo, però pochi secondi dopo si accomoda affianco a lui. Al contrario di Akaashi, ci sta perfettamente.
Akaashi tira fuori dalla tracolla due bento e gliene porge uno con un sorriso. Kenma è sinceramente stupito.
“Qui è abbastanza tranquillo per mangiare?” chiede mentre Kenma prende tra le mani la scatola, incredulo, gli occhi grandi. “Non fa bene saltare il pranzo.”
“Non dovevi.” mormora Kenma in imbarazzo, subito dopo aver stretto forte le labbra.
Abbassa la testa e i capelli gli ricadono ai lati della faccia. Apre il bento e i colori e i profumi lo colpiscono, facendogli brillare gli occhi.
Lì non c’è baccano. Non c’è nessuno a guardarlo, nessuno a mettergli fretta, nessuno a parlare. Sono sotto un tavolo, la testa e la schiena coperte e protette, lontani dalla porta.
È pace, e i muscoli si distendono contro la superficie dura alle sue spalle. Il suo stomaco gorgoglia e Akaashi ride.
È una risata leggera e bellissima e Kenma volta piano la testa per guardarlo. Non aveva ancora visto i suoi lineamenti piegarsi in quel modo e lo trova ipnotico. È come aver trovato un diamante tra la plastica
“Lo sapevo che avevi fame.” commenta Akaashi porgendogli le bacchette. “Spero sia buono. Buon appetito.”
Kenma freme e la luce sul suo viso, per Akaashi, vale più di qualsiasi risposta che avrebbe potuto ricevere.


_______________________

Angolo autrice
Buonasera! Ho passato novembre e dicembre a scrivere questa storia un po' particolare e finalmente mi sono decisa a pubblicarla.
I nostri bimbi sono cresciuti, vanno all'università e tutto quanto cambia, ma tutto quanto davvero, e che lo si voglia o no bisogna aver a che fare con questi cambiamenti.
Avrà solamente tre capitoli, tutti di questa lunghezza, e conto di aggiornare una volta a settimana -quindi non preoccupatevi, tra circa due settimane vi sarete già sbarazzati di me. O perlomeno di questa storia. Di me e della mia Tokyo Ghoul AU non ve ne sbarazzerete mai.

Informazione di servizio: il titolo della storia e i titoli dei capitoli sono frasi tratte dalla canzone Froot di Marina and the Diamonds.
Spero che vi piaccia o che  vi crei anche solo un qualche interesse. Fatemi sapere, ecco!~
A presto <3


 

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Capitolo 2
*** Sweet like honeysuckle late at night ***


Sweet like honeysuckle late at night
 
Il cibo preparato da Akaashi è la cosa più buona che esista. C’è un po’ di carne, riso, uova e tantissime verdure e, anche se non sono il suo alimento preferito, Kenma è felice di mangiarle. Come se non bastasse, è tutto cotto fin troppo bene e disposto in maniera spaventosamente appetitosa.
Akaashi tasta il terreno con qualche parola e riesce a farlo parlare, oltre che mangiare. È un ottimo risultato, ne è felice.
Kenma sente il cuore leggero quando delle risate deboli ma sincere escono dalla propria bocca piegata verso l’alto, anche se il pavimento è freddo e il legno finto duro.
È in grado di mangiare senza che la gola gli si chiuda o lo stomaco gli si attorcigli e può davvero affermare che a pancia piena si sta decisamente meglio, anche se dopo gli viene un po’ sonno.
 
Da quel giorno, la pausa pranzo l’hanno sempre passata in quell’aula vuota, anche se in teoria non si potrebbe. Kenma ha iniziato a portare il suo pranzo, ma Akaashi è rimasto scandalizzato dalla qualità di quello che poteva solamente chiamare come una sottospecie di cibo, e più di una volta gli ha personalmente preparato il bento, anche se Kenma ha spesso tentato di dissuaderlo dal farlo o ha inutilmente provato a rifiutare.
 
Stare con Akaashi è confortante e rilassante. Magari non lo capisce bene come Kuroo, al quale basta uno sguardo per leggerlo, ma il suo modo di approcciarsi con lui è quanto di più rassicurante gli sia mai capitato.
È calmo, lucido e deciso. Sembra avere tutto perfettamente sotto controllo e sembra sapere benissimo ciò che fa, ma non è frenetico, invadente o arrogante. La sua personalità non è ingombrante, non spicca; al contrario, è riservata e discreta, e il modo che ha di muoversi è fluido, esteticamente piacevole e delicato.  A Kenma dà una sicurezza e una sensazione di protezione spaventosamente rincuoranti; emette una bella aura, almeno per lui. Sente una chimica.
Solo guardarlo basta a fargli calmare il respiro e aumentare i battiti del cuore, ma in maniera gradevole. Sarà che è perfetto, con quelle mani curate e le labbra sottili che sembrano disegnate.
Kenma è un ragazzo intelligente. Akaashi l’aveva già capito bene negli anni precedenti, sul campo da pallavolo, ma non sapeva che ciò si applicasse in ambito accademico, perché sa che non è affatto scontato che le due cose siano collegate.
È solo pigro e poco incline ad impegnarsi, ma ci mette poco a capire e fissarsi in testa i concetti. Gli piace il modo che ha di ragionare e di esporre le cose, con una semplicità disarmante alla quale non si può quasi replicare. È chiaramente un ragazzo particolare, poco socievole, fortemente bisognoso di certezze granitiche e, forse proprio per questo, anche un po’ delicato.
Akaashi è abituato a trattare con persone un po’ problematiche -Bokuto non è proprio il miglior esempio di ragazzo emotivamente stabile- e quando tutti sembrano voler star loro lontano, qualcosa dentro di lui lo spinge naturalmente a prendersi cura di loro. Vuole capirli, anche se è difficile e spesso sembra insofferente e alcune volte, è vero, si chiede chi glielo faccia fare.
Eppure sente chiaramente che Kenma vuole essere capito, quindi stare con lui è una continua e interessate scoperta. È felice di essere riuscito a farlo aprire e, forse, di averlo aiutato e di starlo aiutando a superare o a tenere sotto controllo la sua ansia. Sente che sono affini, in qualche modo.
 
Le settimane successive passano così, con una spropositata quanto inarrestabile ascesa di emozioni fuori dal mondo e intense, per entrambi. Agosto è finito, settembre è iniziato e scorre, scorre senza fretta tra le foglie che iniziano a ingiallire sugli alberi e le brezza che si fa più fresca.
Man mano che la fiducia si rafforza, si raccontano di  sensazioni passate e profonde, cose che non hanno mai avuto il coraggio o le parole per raccontare a qualcun altro, o almeno non così presto, eppure sembra così naturale e le parole escono spontanee, anche se sono poche. Nessuno dei due è particolarmente loquace, in effetti, ed entrambi sono felici di poter anche solo stare in silenzio a godersi l’uno la presenza dell’altro, senza doversi sentire in imbarazzo o costretti ad avere una conversazione. Va bene anche solo stare vicini e continuare a fare ciò che stavano facendo, ed è incredibile e nuovo sia per Akaashi che per Kenma.
 
Akaashi ora lo capisce un pochino meglio. I loro toni sono calmi, ma a volte si fanno un po’ sarcastici e leggermente pungenti e così scopre anche nuovi lati di Kenma, quello più stizzito e permaloso e quello più testardo. Scopre i suoi bronci che spariscono in fretta, ma a quelli preferisce di gran lunga i suoi sorrisi e le sue risate, tanto rare e speciali e decisamente sconvolgenti, perché gli sollevano gli zigomi, e mostrano quegli yaeba troppo belli per essere veri, per i quali Akaashi un po’ muore.
Gli piace sentirlo parlare dei suoi videogiochi, tutto concentrato a spiegare, e Akaashi lo ascolta con attenzione e un sorriso vago in volto, perché non ci capisce assolutamente niente, lui. Vorrebbe davvero sapere un po’ di più a riguardo solo ed esclusivamente per vedere più spesso quelle iridi di ambra brillare quando parlano di un gioco nuovo o di DLC che deve assolutamente avere o di quanto diavolo sarà bello il Nintendo Switch.
Akaashi non può far altro che annuire, versarsi altro tè dal thermos e godersi quei momenti sempre troppo brevi in cui Kenma dimostra chiaramente di avere qualcosa che lo appassiona.
Kenma un giorno gli dice che può solamente sognare di cucinare come lui, e ad Akaashi si accende una lampadina in testa.
“Vieni da me.” gli propone mentre si avviano verso l’uscita dell’università per andare alla fermata del bus, un giorno che non devono stare anche al pomeriggio.
Kenma avvampa e Akaashi si affretta a spiegare che vorrebbe insegnargli a preparare qualcosa di semplice, almeno per iniziare, perché non sopporta davvero di vederlo mangiare solo cose strane e dall’odore non proprio invitante.
Kenma accetta e così scopre che la casa di Akaashi è a soli dieci minuti di bus dalla sua, tre fermate più in là.
Anche lui vive in un monolocale, ma è decisamente più grande e più luminoso, soprattutto per i gusti di Kenma, che è abituato a mobili impiccati in pochi metri quadrati con una finestra affacciata su un altro palazzo.
 
Akaashi è ai fornelli e sta preparando quella che probabilmente sarà la cena di Kenma.
Kenma, alla fine del pomeriggio, si rende conto che non ha imparato molto, impegnato com’era a fissare lui invece del cibo. Ci ha provato, davvero, ma è stato più forte di lui.
Kenma si sente cullato, lì dentro, e non vuole andare via, anche perché sta facendo buio e fuori sicuramente farà freddo. Ma è inevitabile.
 
Per la sua gioia, Akaashi lo invita ancora, qualche giorno dopo. Prova anche a farlo cucinare, ma tutto si risolve con il fornello sporco e un dito scottato.
Ci ridono sopra mentre Akaashi guida la sua mano sotto l’acqua fredda e Kenma pensa che quel contatto fisico non sia necessario, ma non gli dispiace per niente.
Lo invita di nuovo, la settimana successiva, e mentre Kenma è davanti alle pentole sul fuoco, Akaashi sta in piedi dietro di lui per controllare bene cosa sta facendo, sporgendo la testa oltre la sua spalla.
Quando Kenma si accorge che sono vicini, tanto vicini, e il suo petto quasi aderisce alla propria schiena, si distrae rischia di scottarsi di nuovo. Ci pensa uno schizzo d’olio a fargli ritrarre la mano e a farlo indietreggiare per riflesso. Gli sbatte contro, ma il rumore della stoffa è morbido e l’urto attutito.
Akaashi gli appoggia le mani sui fianchi per tenerlo in equilibrio e Kenma volta la testa indietro. Ogni suono si sospende, loro si guardano e le loro espressioni si fanno un po’ agitate, un po’ titubanti. Si allontanano senza dire niente, ma Kenma ha il cuore in gola.
Le lezioni di cucina diventano presto inviti a cena, e poi film visti assieme sul divano col computer collegato alla televisione, e poi entrambi, magari contemporaneamente.
Settembre scorre, passa, e ottobre inizia, e gli alberi sono quasi tutti spogli, ormai.
Per Akaashi quella diventa routine infrasettimanale, e per Kenma un angolo di paradiso.
 
A volte, quando sono a lezione e Kenma non capisce qualcosa -ed è comprensibile, visto che non ha frequentato per quattro mesi-, si volta verso Akaashi e gli parla sottovoce.
Akaashi si è riscoperto ad aspettare con impazienza il momento in cui lo fa, perché gli piace sentire la sua voce vicino all’orecchio, e il suo profumo si fa più intenso. Non riesce a non appoggiare casualmente una mano sulla parte alta della sua schiena mentre si china verso il suo foglio, per leggere meglio e capire cosa non gli è chiaro.
Kenma lo guarda con la coda dell’occhio e articolare le parole si fa un po’ più difficile.
Akaashi non sa quanto quel gesto irradi Kenma di una sensazione liquida e dolce, ma sa bene cosa suscita in sé, sentire le loro guance così vicine. Vorrebbe che non gli piacesse così tanto, vorrebbe potersi fermare, ma è come percorrere una discesa senza freni e il senso di colpa inizia a stendersi sulle sue spalle, leggero come un sottile velo, ogni volta che si allontanano e la sua testa gli permette di pensare razionalmente.
 
Un campanello di allarme suona insistentemente nella testa di Akaashi proprio quando si accorge che il bisogno di toccarlo si fa più insistente quando lui e Kenma sono insieme.
È orribile perché gli sembra terribilmente sbagliato quando è con Bokuto, Bokuto che è il suo sole, che lo illumina e gli dà tutto, che gli sorride ed è la creatura più dolce che esista; lo ama.
Quando è con Kenma, però, sembra impossibile trattenersi, e non sa quali siano i suoi veri pensieri. Ma ci deve essere qualcosa di vero, uno dei due sentimenti deve essere quello reale, e ci dev’essere un modo per capirlo.
 
È metà ottobre. Per il compleanno di Kenma, che cade di domenica, Kuroo riesce ad organizzare una piccola festa nel suo appartamento, che è abbastanza grande, e per fortuna il suo coinquilino sarà via per tutto il giorno.
Kenma non è molto d’accordo, soprattutto all’inizio, ma non glielo impedisce: non ama essere al centro dell’attenzione, ma è davvero felice di poter rivedere Kuroo e di sapere che è disposto a cancellare tutti i suoi impegni per passare finalmente del tempo con lui.
Ci mette un’ora e mezza per arrivare al suo condominio.
Lo abbraccia a lungo prima che arrivino gli altri ospiti e si gode tutto quel contatto fisico, così caloroso e dal sapore un po’ malinconico. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe mancato tanto, forse non gli era mai passato per la testa che un giorno non lo avrebbe più avuto a due passi da casa.
“Mi sei mancato.” mormora Kuroo con la guancia contro i suoi capelli, e Kenma si scioglie in un sorriso perché, sì, anche lui gli è mancato.
Poi però cala il silenzio e le dita di Kuroo passano dalla sua schiena al suo viso, e lo avvolgono dolcemente, perché è talmente piccolo da starci quasi perfettamente tra le sue mani.
Kenma non fa in tempo a collegare che si ritrova nel mezzo di uno di quei baci fantasma che però lo fanno sentire la persona più amata del mondo. Non si allontana, e anzi ricambia, ma sente una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Per qualche motivo il suo cervello inizia a fare collegamenti ad una velocità impressionante, collegamenti che terminano con la figura di Akaashi e una voce che sembra sussurrargli che c’è qualcosa di sbagliato, che sta prendendo in giro qualcuno.
Quando si allontana il campanello della porta suona, e lui non ha tempo per pensare come avrebbe voluto a quello che è appena successo, ma il sapore di Kuroo gli rimane sulle labbra.
 
Quel pomeriggio ci sono i loro vecchi compagni di squadra del liceo, il piccoletto della Karasuno, Bokuto e Akaashi; il salotto non è enorme ma si sta bene comunque.
 
Kuroo rimane a parlare con Bokuto per un tempo infinito: sono ottimi amici fin dal liceo, sono chiaramente sulla stessa lunghezza d’onda, ma insieme diventano i ragazzi più scemi dell’universo e star loro dietro è sfiancante e le loro risate sguaiate attirano decisamente troppo l’attenzione.
Kuroo cambia radicalmente quando inizia a ringraziare Akaashi per tutto quello che ha fatto e che sta facendo con Kenma: ora sembra un ragazzo rispettoso e responsabile, qualcosa tipo il gemello buono della persona di pochi minuti prima.
Kenma li guarda sospettoso. È abbastanza sicuro che Kuroo stia dando ad Akaashi dritte su come trattarlo e a dir la verità vorrebbe andare lì e tappargli la bocca con una manciata di patatine.
Akaashi, però, sembra apprezzare: inizia ad annuire e a lanciare qualche raro sorrisetto dopo un’iniziale espressione tra l’infastidito e l’annoiato, che in realtà non è altro che la sua espressione di dafault. Kenma l’ha definita più di una volta resting bitch face e Akaashi l’ha sempre guardato storto, ma è perfettamente consapevole di averla e, forse, a volte la sfrutta un po’ troppo.
 
Kenma però nota anche che Akaashi evita di guardarlo negli occhi, e si accorge che c’è qualcosa di strano nella sua voce, un’inclinazione che non gli appartiene. Akaashi non sembra del tutto a suo agio.
Sente il cuore scivolargli sotto i piedi quando vede il modo in cui Bokuto gli accarezza la mano e gli riempie la guancia di baci quando rimangono da soli in cucina.
Ah, certo, è logico. Mancava solamente quel passaggio logico.
Dischiude le labbra e si sente investito da un’ondata di quella che potrebbe essere gelosia, o angoscia, o entrambe. Disincanto, forse.
Improvvisamente si sente un illuso inconcludente e non sente neanche un briciolo di volontà di riscattarsi, forse perché lasciarsi scivolare in un vortice di indolenza è molto più facile.
 
Tutti parlano e ridono e mangiano le patatine facendosi passare il sacchetto, perché Kuroo non ha trovato una ciotola pulita in cui metterle.
Kuroo sta tornando in salotto quando vede Kenma seduto un po’ in disparte sul divano, con lo sguardo perso e un braccio sul cuscino, piegato a sostenersi la testa. Gli si siede accanto e gli appoggia una mano sulla gamba mentre si sporge a guardarlo con preoccupazione.
“Kenma?”
“Voglio andare a casa.”
Con Kuroo, Kenma fa scivolare fuori dalla bocca i pensieri direttamente partoriti dal suo cervello, quelli più veri, più grezzi e senza filtro, spesso. Eppure, quelle parole gli costano tanto. Si pente immediatamente di averlo dette.
Vede gli occhi neri di Kuroo farsi grandi e poi socchiudersi nel tentativo di nascondere il dispiacere.
Kuroo gli passa un braccio attorno alle spalle e Kenma ama sentire quel calore, certo, ma per qualche motivo sente lo stesso fastidio di prima che si acuisce.
Si accoccola contro il suo petto nella speranza che passi, assieme alla forte sensazione di essere di troppo, anche se quella è la sua festa di compleanno -ma Kenma sa che quel di troppo, la sua testa lo sta associando agli occhi blu di Akaashi.
 
Akaashi li guarda appoggiato allo stipite della porta e si tormenta le dita con fare nervoso. Vorrebbe fare qualcosa ma si sente bloccato, e quella scena gli fa realizzare qualcosa che avrebbe preferito non germogliasse mai.
Lui e Kenma hanno provato a fare finta di niente, durante i giorni successivi, ma è tutto così finto, così recitato, così chiaramente rivolto in una sola direzione che diventa una farsa insopportabile.
Sia Kenma che Akaashi sono un po’ impacciati e le parole si fanno più di convenienza, più modulate e calibrate. C’è della tensione tra loro due ed è brutto per entrambi.
Kenma non osa chiedere di poter andare di nuovo da lui, non ne ha il coraggio, anche se vorrebbe tantissimo perché vuole ancora toccarlo casualmente nel calore di quelle quattro mura profumate. Forse, però è meglio così, no? Deve abituarsi, vero? Aveva davvero troppe aspettative, non è così?
 
Kenma però non riesce davvero a nascondere l’entusiasmo e l’ansia che si mischiano sul suo volto quando Akaashi lo trattiene, stringendogli il braccio mentre sta scendendo alla sua fermata.
Non fa domande, Kenma. Aspetta, guarda il fondo del bus, e stranamente non sente nulla di significativo, nessun dolore alla testa, o al petto, o allo stomaco -sì, forse quello un po’, ma è costante da tutto il giorno e tutti i giorni, ormai, non è nulla di importante.
A dir la verità, forse, gli viene quasi da sorridere nel capire che è davvero stupido mentire a se stessi.
 
Akaashi sembra essere giù di morale, oppure solo molto, molto combattuto: appena entrato in casa, lascia la tracolla a terra e si siede al tavolo come se fosse un naufrago che ha trovato un pezzo di legno a cui aggrapparsi in mezzo al mare.
La faccia di Kenma si contrae in una smorfia. Non vuole più sentirlo così distante, soprattutto ora che sono a casa; ne ha avuto abbastanza. Vuole che sia il suo amico, quello di sempre, che l’ha aiutato così tanto anche se l’ha fatto innamorare, stupidamente.
Si avvicina da dietro a passi leggeri e appoggia le dita sulle sua spalle.
“Akaashi.” lo chiama, e non sa perché ma le braccia scivolano in avanti, e si avvolgono attorno alle sue spalle, fino a sfiorargli le clavicole e lo scollo del maglioncino di lana grigia. Vorrebbe farlo sentire protetto e consolarlo come Akaashi fa con lui, ma non sa come fare e l’unico modo che gli viene in mente è quello, è abbracciarlo, perché non è bravo con le parole e sa di non avere la sua stessa aura ristoratrice. A dir la verità non è bravo neanche con il contatto fisico, ma spera che Akaashi sia comprensivo.
“Cos’hai?” gli sussurra vicino all’orecchio.
 
Akaashi finalmente capisce perché, ogni volta che aveva rivolto a qualcuno quella domanda, che fosse a Bokuto o a Kenma, aveva sempre ricevuto risposte confuse. Non è facile da spiegare.
“Tu, invece, cos’hai?”
Akaashi ha rigirato la domanda e Kenma pensa che sia una mossa subdola e ingiusta.
“L’ho chiesto prima io.” mormora avvicinandosi ai suoi capelli neri e un po’ mossi, e più sente il suo profumo, più l’istinto è quello di chiudere gli occhi e inebriarsene e stringerlo più forte.
L’altro sorride impercettibilmente e raggiunge le mani di Kenma con le proprie, gli sfiora le nocche con le dita affusolate.
“Ma io voglio saperlo di più.”
Sente Kenma imbronciarsi contro la sua nuca. “Non è vero.” ribatte in un borbottio, permaloso e adorabile.
Il broncio si sfrega tra i suoi capelli, più in basso, vicino al collo, e Akaashi si morde le labbra.
“Vuoi baciarmi, vero?”
 
L’aria lascia i polmoni di Kenma ad una velocità impressionante. La gola si secca e lui si congela.
Sì. In realtà lo sta già praticamente facendo, ma sentirlo dire forte e chiaro direttamente dalla bocca di Akaashi lo uccide.
È irreale: la luce che entra dalle finestre è strana, quel contesto è strano, quello che stanno facendo è strano e forse non si può tornare indietro perché non c’è un modo per spegnere il gioco senza salvare.
 
“Solo uno, va bene?” continua Akaashi in un sussurro roco,  perché non ha ricevuto una risposta, e con i polpastrelli carezza il dorso delle sue mani, che sono ancora lì attorno alle spalle.
 
Kenma deglutisce a vuoto. È come se gli leggesse nella testa, e fino ad allora è sempre stata una prerogativa di Kuroo, perciò lo spiazza, ma non può nascondersi e non riesce a trattenersi.
“Solo uno.” ripete Kenma, piano, in trance, come se non sapesse che uno non gli sarebbe mai bastato.
Forse fare finta di potersi saziare con uno e un solo bacio, fare finta che qualcosa di così fugace non avrebbe avuto conseguenze è la bugia migliore che possa dirsi per godere di quel momento.
Chiude gli occhi e appoggia le labbra sulla porzione di pelle più vicina, sul suo collo che sembra -ed è- così morbido e bianco.
Gli deve così tanto che un bacio sembra indecente.
Anche Akaashi chiude gli occhi. Inclina il collo e trattiene il respiro, le mani che ora stringono i suoi avambracci.
 
Kenma si allontana con uno schiocco dopo secondi lunghissimi.
Solo allora il cuore inizia a battere furiosamente e Akaashi lo sente attraverso la sua schiena. Vorrebbe dirgli che non è niente, ma sa anche lui che non è vero, e anche il suo batte forte, e i suoi occhi ora sono spalancati e le pupille grandi.
Si lasciano lentamente andare.
Kenma sta fermo con le mani sullo schienale della sedia -è l’unico modo per sostenersi- finché il nodo alla gola non si fa insopportabile e gli ingranaggi nel suo cervello non diventano incandescenti, tanto girano veloci.
Vuole parlare e ci prova più volte, ma Akaashi e il suo silenzio non lo aiutano, quindi apre la bocca solo per richiuderla subito dopo.
 
Akaashi non riesce neanche a guardarlo in faccia. Nella sua testa ha ben chiara la scena di lui che si alza in piedi e lo bacia, ma le gambe sono di pietra e rimangono cementate lì, le ginocchia piegate piegate, i piedi ben fissi per terra. Gli tremano le labbra, perché, ecco, è successo. Sta cedendo.
Si sente come se avesse compiuto il più grave dei peccati, il più vergognoso, e forse lo è davvero.
Non può permettere che rimanga così, però. Deve cambiarlo. Ribaltare quella sensazione, rigirarla, in qualche modo.
Si alza in piedi, finalmente; gira su se stesso. Lo guarda dall’alto, poi appoggia la fronte contro la sua, inspirando a fondo.
“Akaashi.”
Kenma lo chiama ancora, perché ama il suono del suo nome.
È il momento fatidico e Kenma si sente come se l’avessero appena lanciato in una gabbia piena di leoni.
“… Non possiamo.” sussurra piano.
 
Kenma ha ripensato tanto a Kuroo e a Bokuto, nei giorni scorsi. Non sa quale dei due lo abbia frenato di più, chi lo abbia ostacolato maggiormente, quale dei due ragazzi gli stesse impedendo di appagare quel bisogno viscerale. In quel momento pensarci è più difficile. È come se tra lui e loro ci fosse un grosso vetro al di là del quale non si sentono le grida.

Akaashi lo sa fin troppo bene.
Ha raffinato quel pensiero che è sbocciato il giorno del suo compleanno, lo ha smerigliato, lo ha lustrato per capirsi al meglio.
Si è analizzato a fondo e si è reso conto che i suoi dubbi non riguardano cosa prova per Bokuto, ma cosa prova per Kenma. Sembra poco, detto così, ma in realtà è un grande passo.
Non sente qualcosa in meno nei confronti di Bokuto, e se da un lato ciò lo rincuora -non sopporterebbe davvero di rendersi conto che il suo amore per lui si è esaurito-, dall’altro lo turba, perché non sembra avere un senso: non credeva fosse possibile provare qualcosa di così grande per due persone distinte.
Non sa dove li tenesse, tutti quei sentimenti -esiste davvero una cisterna misurata in cui tenerli e conservarli, poi?
Sarebbe molto, molto più facile se l’attrazione che prova per Kenma fosse solamente fisica, ma sa che non è così e fa fatica a distinguere ciò che prova per lui e ciò che prova per il suo ragazzo. È difficile spiegarlo, sono due cose diverse, ma anche uguali, insomma, è così poco logico da fargli scoppiare la testa.
 
Tutto il bruciore che Kenma sente sotto la pelle passa da eccitante ad asfissiante quando Akaashi si allontana. Un attimo dopo, però, ha le sue dita sulle sue labbra.
Alza gli occhi sui suoi, confuso ed emozionato, e la serietà di Akaashi lo colpisce.
“Shh.” lo invita a fare silenzio, a buttare via i pensieri, con la fronte leggermente contratta e il capo che lentamente si china da un lato. Kenma gli dà retta, ma non sa se inconsciamente o meno. Forse il solo fatto di domandarselo lo rende conscio? Non sa rispondersi.
Le mani di Akaashi passano tra i suoi capelli, tirandoglieli indietro, liberando completamente quel piccolo volto.

Kenma chiude gli occhi, perché non riesce più a reggere la pressione di quegli occhi, e assume un’espressione quasi addolorata. Vorrebbe, vorrebbe tantissimo, ma dentro di lui si sente dilaniato e non sa quale voce ascoltare, quale pulsione seguire.
“Ti prego non farlo.” mormora in un ultimo tentativo.
Sta parlando più a se stesso, in realtà; lo fa per sospendere il tempo, per convincersi una volta per tutte a smetterla subito, ma le sue labbra sono così vicine che può già sentirle sulle proprie, le sta sfiorando. La voce si è fermata contro di esse e sa che ormai è troppo tardi.
Ha le mani sul suo petto, ma sta stringendo la stoffa per avvicinarlo piuttosto che per spingerlo via.
 
Akaashi però si irrigidisce, a quelle parole.
“Kuroo-san non vorrebbe?” riesce a dire, sempre a voce bassa, sempre con un tono roco che scatena una serie di brividi lungo la schiena di Kenma.
È troppo vicino, non può vedere i suoi occhi, ma la sua voce gli solletica la bocca socchiusa.
“Kuroo non…” inizia Kenma, con un velo di sdegno. “Tu, piuttosto.” sibila tra i denti con qualcosa che sembra rabbia.
Forse non avrebbe dovuto suonare così accusatorio, perché Akaashi sembra starci male. Sembra essere già abbastanza consapevole, e vorrebbe tanto che gli spiegasse cosa gli sta passando per la testa.
Le mani di Akaashi corrono lungo il suo giubbotto. Kenma non si ricordava di averlo ancora addosso, ma quando si accorge che gli sta slacciando i bottoni la sua testa smette di funzionare.
Non sa cosa sia Kuroo, per lui. Non ne ha idea. Non lo sa, davvero, non lo pensa solo perché il momento è equivoco; ma Bokuto, oh, Bokuto è chiaro chi sia, è palese e indubbio.
Si umetta le labbra perché il giubbotto gli scivola giù dalle spalle e Akaashi sta premendo le labbra sulla sua tempia, proprio dove sente la testa spaccarsi a metà.
“Tu…” riprende Kenma, e l’indignazione si fa sentire un po’ di più, ma la voce è impercettibile e sembra che dalla sua gola esca solo aria, senza suono. Sente il quel bacio un altro invito, un po’ più disperato, a stare in silenzio, e non lo sopporta, perché sa che gli darà ragione ancora una volta.

Andiamo, non lo saprebbero.
La voce nella testa di Kenma è talmente improvvisa, maligna e maliziosa da farlo sussultare. Il cuore gli batte incredibilmente forte e le mani sono ancora strette alla maglia di Akaashi.
Con quelle quattro parole si conclude il discorso. È come chiudere un enorme portone, sbattendolo.
Distruggerebbe tutto, il mondo esploderebbe, lo sa, lo sa che sarebbe devastante. Ma non vuole essere ragionevole, non più; è stanco di esserlo: si lascia inghiottire.
 
Le mani di Akaashi scivolano sulla schiena di Kenma, sotto le scapole, un po’ più in basso rispetto a quando lo toccava a lezione.
Kenma ha come la sensazione che non avrebbero più parlato.
Socchiude le palpebre e appoggia delicatamente una mano dietro il suo collo, sfiorando i capelli neri.
Si alza sulle punte dei piedi, si tende verso l’alto con quella che sembra indolenza, tanto è lento, ma la distanza non è molta perché Akaashi si è chinato verso di lui.
Trattiene il respiro quando finalmente appoggia le labbra piene sulle sue, più sottili e morbide.
È dolce e calmo, è atteso. È segreto e silenzioso, in quello spazio ristretto.
 
Akaashi lo insegue per mezzo secondo mentre Kenma torna alla sua altezza.
Anche lui ha gli occhi chiusi e il cuore batte furiosamente.
Sente tutti i pensieri rimasti venire sommersi dal mare oscuro che gli sta allagando la mente.
Inspira e se lo porta contro di nuovo, e Kenma si lascia sfuggire un debole gemito mentre inclina la testa verso l’alto e ricattura la sua bocca, questa volta in modo meno innocente.
 
Si abbracciano, le mani si accarezzano, si accarezzano i palmi morbidi, il dorso un po’ secco per il freddo. Le dita si intrecciano e corrono lungo la vita, il petto trepidante, il collo in tensione, il viso. Si sbilanciano, le labbra si dischiudono un po’ di più ad ogni bacio.
 
Qualcosa scatta nella testa di Kenma, come un interruttore, e all’improvviso si rende conto che lo vuole troppo ed è felice di star facendo quel che sta facendo.
Quel profumo lo uccide, lo sviscera, gli fa rimbombare il cervello. Quei capelli scombinati sono morbidi come cotone.
Si sente avvolto nel calore, ed è morbido, morbido come il materasso su cui si siede, e poi si sdraia, sotto la spinta di Akaashi che in realtà è solo una lieve pressione.
Strizza gli occhi e un altro verso esce dalla sua gola mentre si aggrappa alla sua schiena, perché i baci si fanno più profondi e uno un particolare lo fa tremare, tanto è intenso il brivido che gli causa al basso ventre.
Akaashi passa a baciare la sua guancia e Kenma si scioglie. Scende alla mandibola, poi fino al colletto della maglietta. Kenma si solleva sui gomiti e Akaashi si allontana per guardarlo e capire come sta, cosa pensa, cosa dovrebbe fare, ora, se può continuare, se devono continuare.
Hanno il respiro affannato e Kenma non riesce a staccare gli occhi dalle sue labbra, che ora sono più rosse, e più umide, e gonfie e dischiuse.
Allunga una mano e gliele sfiora col pollice, appoggiando le altre dita sulla sua guancia, e la testa si fa tanto leggera quando Akaashi piega il collo per rincorrerle con un’espressione serena e persa.
Si lascia ricadere sul materasso mentre se lo riporta vicino, e giura di aver intravisto un sorriso aleggiare sulla bocca di Akaashi.
 
Per Kenma è così strano. Così strana, quella sensazione, in cui tutto quel contatto non è casuale ma voluto, anzi, necessario.
Non gli sembra vero che lui possa piacere a qualcuno, non così tanto, specialmente in quel senso e tanto meno a qualcuno di così perfetto come Akaashi.
Con Kuroo è diverso, con Kuroo c’è un affetto costruito in anni e anni di sostegno reciproco e non nega di provare qualcosa nei suoi confronti; ma quella carica così forte da sembrare elettrica, quell’attrazione così prepotente, così sessuale, semplicemente, risulta nuova e al limite dell’inconcepibile.
Non sa come abbia fatto, ma se in quel momento è sotto Akaashi ed è sul suo letto a strusciarglisi addosso con la sua lingua in bocca, allora deve aver fatto qualcosa di veramente incredibile di cui non si è affatto accorto.
Sussulta quando sente la mano di Akaashi sfiorarlo sotto la maglia. I suoi polpastrelli sono più freddi di quel che ricordava, ma le tracce che lasciano dietro di loro sembrano di fuoco, turbinii caldi che gli scombinano tutto quanto fin sotto la pelle. Il verso che esce dalla sua gola è soffocato, zittito da un altro bacio.
Kenma afferra i suoi avambracci e lo guarda negli occhi mentre rotola sopra di lui e si siede sul suo bacino, il respiro corto e le guance arrossate perché, ah, lo sente e pensare che è per lui lo emoziona.
Ha gli occhi di Akaashi puntati addosso e quando se ne accorge è compiaciuto, piuttosto che imbarazzato, e anche quella è una sorpresa, qualcosa di nuovo.
Si china in avanti e i capelli scivolano in basso fino a solleticare il volto di Akaashi. Lo sfiora con la punta del naso e questa volta è Akaashi ad emettere un lamento, accompagnato da un sospiro pesante e un movimento del bacino.
Akaashi appoggia le mani sui suoi fianchi, e poi di nuovo sotto la stoffa, e apre ancora la bocca perché non ne ha davvero abbastanza.
Le mani di Kenma vagano sul suo viso e non sanno dove fermarsi, forse perché un po’ tremano, o forse perché le loro teste continuano a inclinarsi e avvicinarsi e allontanarsi, e ancora ad avvicinarsi -i baci che si danno non sembrano avere più alcun senso.
 
Kenma si ferma qualche secondo per riprendere aria e sfrega la bocca umida contro la sua guancia, le palpebre chiuse che fremono appena.
Ansima vicino al suo orecchio. Akaashi è convinto che quel suono sia mortale e si tira a sedere con un gesto improvviso, cogliendolo di sorpresa, tanto che Kenma si deve aggrappare alle sue spalle per non cadere indietro.
Rimane seduto su di lui, le ginocchia piegate sul letto e le braccia attorno al suo collo mentre Akaashi lo tiene vicino, stringendolo più forte nell’abbraccio più frettoloso e contemporaneamente tenero che potesse rivolgergli.
Appoggia la fronte contro il suo collo, inspirando a fondo e sorridendo con un po’ di stanchezza, sentendo la testa girare come se fosse ubriaco.
L’aria attorno a loro è calda e i due ragazzi, ansanti, rimangono stretti l’uno all’altro ad occhi chiusi.
Più lo abbraccia, più Kenma sente la felicità spargersi nel suo corpo.
 
Potrebbero fermarsi lì, non andare fino in fondo.
Non è il caso, forse, perché dopotutto si sono baciati per la prima volta solo qualche minuto prima, e magari accelerare le cose non sarebbe la prassi corretta. Akaashi, poi, è solito abituare gradualmente e con calma gli altri ad ogni singola cosa, quindi Kenma non se ne sorprenderebbe se lo facesse.
A dir la verità, però, ne sarebbe indispettito. Anzi, di più, sarebbe arrabbiato. Sarebbe furioso, perché in quel momento sta letteralmente andando a fuoco e Akaashi non può lasciarlo così, non dopo quei baci. Non vuole interrompere proprio un bel niente e per un attimo si chiede dove sia finita la sua natura timida e ansiosa.
Lo pensa con intensità e spera che Akaashi lo senta, gli legga nella mente e faccia qualcosa, o in caso contrario sarà lui a rovesciarlo sul materasso in una manciata di secondi, perché davvero non ce la fa a tenere tutto sotto controllo. 



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Angolo autrice
Oh no, capitolo arancione intenso- ho dovuto tagliarlo malamente a metà per questioni di lunghezza, non odiatemi, consideratelo un cliffhanger at its finest.
Chiedo scusa per il ritardo, ma l'università mi ha davvero risucchiata, anzi, non sono riuscita neanche a rileggere il capitolo prima di pubblicarlo quindi spero che non ci siano gravi errori.
Ovviamente spero anche che possiate apprezzare ancora la storia nonostante la piega che ha preso, so che non è ciò che tutti vi aspettavate... Ma c'è ancora un capitolo lungo con cose che devono succedere, quindi rimanete sintonizzati~
Per il terzo ed ultimo capitolo dovrete aspettare ancora una settimana!
A presto!

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Capitolo 3
*** Pick my petals off and make my heart explode ***


Pick my petals off and make my heart explode
 
Kenma si gode ogni attimo delle carezze che gli vengono posate lungo la colonna vertebrale con la punta delle dita e dei leggeri tremori che gli procurano.
I loro bacini sono vicini, li sente, e vorrebbe mordersi le labbra e sprofondare sottoterra perché ora è tutto così lento, e lui si sente così irrequieto, senza un briciolo di pazienza rimasta.
Sembra passare un’eternità prima che Akaashi gli sollevi la maglietta, e Kenma strizza gli occhi e alza le braccia per aiutarlo a toglierla.
Segue un’altra scia di baci, e dei leggerissimi morsi che lo fanno trasalire di tanto in tanto. Il cuore gli uscirà dal petto da un momento all’altro, lo sa.
Tira il maglione di Akaashi per fargli capire che deve sbrigarsi a spogliarsi, perché non è giusto che lui sia l’unico a rimanere così esposto all’aria non troppo calda.
Akaashi lo accontenta, ma quasi non fa in tempo a lasciar cadere la maglia a terra che Kenma sta già trafficando coi suoi jeans.
“Ah…”
Ad Akaashi manca il fiato e le sue guance rosse sono puro oro per gli occhi di Kenma.
“Hai fretta?” chiede a voce bassa e vagamente provocatoria, fermando Kenma e spingendolo ancora indietro.
 
Sì, sì, ha fretta e vuole solo che gli metta le mani addosso, ma non glielo dice sia perché sa che è imbarazzante, sia perché il cervello e la bocca sono assolutamente scollegati, e sincronizzarli impiegherebbe troppe energie.
La schiena nuda di Kenma si adagia sulla coperta e Akaashi fa scorrere le mani lungo le sue braccia, sollevandole in alto e accarezzandogli la pelle bianchissima e liscia in un gesto di apprezzamento.
Slaccia i pantaloni di Kenma e li abbassa fino alle ginocchia, per poi liberarsi dei propri. Kenma allunga le braccia verso di lui ma Akaashi è veloce a bloccarlo di nuovo, e questa volta tiene fermamente una mano sui suoi polsi uniti sopra la sua testa.
Kenma lo guarda con livore e stringe nervosamente le labbra, ma un secondo dopo vengono baciate da Akaashi e non può davvero fingere di essere arrabbiato adesso, non quando gli piace così tanto.
Kenma fa una smorfia e calcia via i pantaloni con piccoli versi infastiditi, sotto lo sguardo divertito di Akaashi.
Allaccia le gambe attorno ai suoi fianchi e il divertimento sul volto di Akaashi diventa sincera sorpresa.
Il sangue ha decisamente abbandonato il cervello per affluire verso altri posti.
 
Kenma non sa come è finito ad avere le sue dita in bocca, ma gli piace.
Akaashi non ha idea di quando la mano di Kenma si sia appoggiata sui suoi boxer o quando i suoi respiri pesanti si siano uniti ai leggeri versi che provengono dalla gola di Kenma.
Il tempo sembra scorrere in modo totalmente diverso e Kenma arriva ad un punto in cui si accorge che i suoi versi sono diventati gemiti, ed è completamente nudo, e non capisce dov’è orientato nello spazio. Anche Akaashi è nudo. Non sa quando è successo, non gli importa, ormai si parla solo di pezzi di stoffa buttati a terra e non è importante, anzi, è meglio così, molto meglio.
La mano libera di Akaashi  preme all’interno della sua coscia, la stringe, e un attimo dopo scorre più in basso, tra le gambe.
Il caldo lo investe come un’onda ed allora, ecco, allora è davvero troppo tardi per provare una qualsiasi forma di imbarazzo.
Si porta un avambraccio sugli occhi e sospira attorno alle dita di Akaashi, che scivolano tra le sue labbra.
Ci mette qualche secondo prima che il suo cervello riesca a dare alla mano l’ordine di muoversi e raggiungere quella di Akaashi tra le sue cosce.
 
Akaashi si sente attraversare da una scossa elettrica quando le dita di Kenma lo sfiorano, perché sono leggere e inaspettatamente decise. Deve concentrarsi per mantenere il controllo, deve concentrarsi sul ritmo del suo cuore, e del suo polso, e dei respiri affannati. Le sue gambe sembrano essere sul punto di cedere, e poco dopo lo fanno davvero: è puntellato sulle ginocchia e non è molto stavile, perciò finisce col sedersi sui talloni con un sospiro pesante. Ha davvero troppe cose a cui prestare attenzione, e quei tocchi lo distruggono.
Kenma non ce la fa a non guardarlo. Con la testa reclinata sul materasso, si bea di quella vista, di quell’angolazione: ancora si stupisce della forma di quegli occhi, e di quel colore e di quelle ciglia, di ogni dettaglio sul suo volto. Non se ne capacita, e se lascia scivolare lo sguardo più in basso non può che chiedersi dalle mani di quali angeli sia uscito.
 
I bacini sono vicini e si strusciano, le mani anche, e si intrecciano.
Akaashi sente le cosce tremare. Vorrebbe rimanere lucido, ma il volto di Kenma, arrossato e totalmente perso, non gli facilita il compito.
Deve chiudere gli occhi, o non ce la farà mai a restare in forma solida.
Più i secondi passano e più l’ossigeno sembra sparire dalla stanza. Gli fa girare la testa in modo tremendamente gradevole, sente un caldo anomalo ma familiare, una sorta di formicolio impaziente sul fondo dello stomaco.
Toglie la mano dalle labbra di Kenma con l’intenzione di appoggiarla al materasso e sostenersi, ma Kenma la intercetta e solleva le ginocchia e il bacino, e con un verso basso e eloquente la porta più in basso.
Il respiro di Akaashi si blocca per un attimo, ma subito dopo si china avanti per trovare una posizione più comoda e assecondare quella richiesta silenziosa ma chiara. La sua espressione, le labbra che sembrano quasi tremare e le iridi lucide e liquide mandano in corto circuito il cervello di Kenma; ancora di più quando le dita umide di Akaashi vanno esattamente dove voleva che andassero e lui si ritrova ad essere un gomitolo di mugolii indecenti.
Sfrega la testa contro la coperta sotto di sé con un sussulto sordo e soddisfatto quando il ritmo si stabilizza. Tutto profuma di lui.
 
Sono sudati, non stanno fermi, l’ossigeno  attorno scarseggia, esaurito da gemiti strascicati e senza filtri che non fanno altro che aumentare quel caldo che sentono solo loro.
Il ritmo accelera e i versi si fanno più pieni, più disperati.
Kenma lo sente, e sente le sue mani, e tutte quelle sensazioni contemporaneamente, ed è tutto troppo.
Il respiro si spezza e sussurra il suo nome, più di una volta, forse, non lo sa, non lo sa perché la voce esce dalle sue labbra dischiuse senza che lui possa avere alcun controllo. Strizza gli occhi e artiglia con la mano libera la coscia di Akaashi con uno spasmo, e i muscoli ci contraggono e la bocca si apre un po’ di più. Akaashi emette un verso strozzato che lo asseconda, decisamente. Forse anche per lui quello è il limite e vedere la scena dall’alto non dev’essere per niente male -ma ecco, ecco, i versi di Akaashi ora sono più bassi e gocce calde gli sporcano le mani.
Venire per qualcosa che sta succedendo realmente su di lui, sul suo corpo, per una situazione reale, e non per una fantasia, è nuovo e quasi sconvolgente, per Kenma.
Non ha dovuto pensare a nulla, solo lasciarsi trascinare -è Akaashi che lo tocca, è lui, è in casa sua, sul suo letto, è lui che vuole ed è nudo e mormora il suo nome con le guance rosse.
Se quello è il risultato allora, davvero, non ha intenzione di schiodarsi da lì.
 
Distende finalmente le gambe lungo il materasso con un sospiro liberatorio. Muove piano la mano che ha tra le gambe e la sente appiccicosa, e non riesce a non storcere il naso quando le dita di Akaashi escono da lui, anche se non poteva aspettarsi molto altro.
Il petto si alza e si abbassa furiosamente e non ha la forza di fare nulla tranne aprire gli occhi.
Anche Akaashi è stravolto e notarlo lo rincuora.
Akaashi risponde allo sguardo, il respiro irregolare, le labbra leggermente aperte e le palpebre socchiuse.
Kenma deglutisce e appoggia una mano sul suo fianco proprio mentre si sta chinando su di lui. La mano scivola sulla sua schiena e si ritrova a stringerlo contro di sé con un braccio mentre lo bacia ancora, e questa volta c’è un trasporto diverso, una nota di dolcezza decisamente più marcata e, forse, un po’ inaspettata.
Akaashi si stende affianco a lui con un debole lamento.
Non riescono a parlare. Non saprebbero neanche cosa dire, forse, quindi è meglio stare in quel modo, in silenzio, con le gambe intrecciate, a sfiorarsi la pelle sudata come se avessero paura di farsi male.
 
Akaashi insiste perché faccia una doccia da lui e resti a mangiare, e Kenma non può rifiutare, anche se è strano, dopo quello che è successo, ed era pronto a sbattersi fuori di casa.
In effetti c’è un po’ troppo silenzio, ma la televisione accesa parla per loro.
Ad un certo punto Akaashi commenta qualcosa che passa sullo schermo e Kenma ride, e col retro della mano si copre la bocca piena di riso saltato e verdure. Le verdure un po’ le odia, ma ha imparato a mangiarle, forse grazie a lui, perché come le fa lui non sono poi tanto male. Akaashi lo guarda dall’altra parte del tavolo, sorride placido e torna a mangiare.
 
Stare a cena da Akaashi dà sempre una sensazione di sollievo. Sarà la luce calda, o il fatto che le sedie sono imbottite e sente di avere la libertà di starsene comodo, non proprio perfettamente composto, un po’ girato di lato per guardare la televisione.
Sembra quasi che non sia successo nulla, ma Kenma lo sente, lo sente e lo vede che i suoi sguardi sono diversi, ma non ne parlano, non lo tocca, non lo bacia, nemmeno, per tutto il resto della serata. A dir la verità, gli dispiace.
 
Kenma non si sente in colpa quando rimette piede nel suo appartamento, quella sera tardi. Un po’ se ne sorprende, ma ne è anche felice.
Il riscaldamento in casa sua finalmente funziona, quindi non fa neanche più freddo come prima: finalmente, pensa dando un’occhiata al calendario, perché ormai ottobre sta finendo.
Lo sguardo cade per caso sulla minuscola torta di compleanno disegnata sul 16 ottobre, e il vago sorriso che si era aperto sul suo volto sparisce tutto d’un colpo ripensando al suo compleanno, e a quello che aveva visto, e provato. A Kuroo, e al suo bacio profondo, Bokuto e il suo sorriso radioso, i suoi baci sulle guance morbide di Akaashi.
Scuote la testa per scacciare via i pensieri e si preme i palmi delle mani sugli occhi. Ha bisogno di dormire e di non pensarci -non pensarci e scappare, come sempre, non è vero?
Quelle parole lo scuotono e il cuore gli balza in gola. Quasi immediatamente si fionda sul divano letto e cerca il pigiama in quel casino di coperte e lenzuola.
 
La mattina, la sensazione che ha addosso è decisamente diversa dalla levità della sera prima. Si sente pesante come un macigno e per lunghissimi minuti contempla l’idea di non alzarsi dal letto. Non è sicuro di voler vedere un altro essere umano.
Si porta le mani alla testa e respirare si fa un po’ più difficile. Si chiede cos’ha fatto e si sente, semplicemente, uno schifo.
Sa che, dentro di sé, qualcosa vuole che parli con Kuroo: “non lo sapranno” un cavolo, non può vivere con quel masso sullo stomaco e si chiede che razza di persona fosse il se stesso del giorno prima.
Ma si vergogna troppo a chiamarlo o scrivergli. Si mordicchia le labbra, pensoso. Guarda le persiane chiuse e si rigira dall’altra parte, nel letto.
Passano minuti lunghissimi ma alla fine, con uno sforzo enorme con cui stupisce anche se stesso, sposta quelle lenzuola e si alza.
 
È difficile ingranare, iniziare la giornata, attivarsi. La situazione però cambia non appena vede Akaashi in università -quella mattina Kenma ha perso il bus che prendevano di solito insieme, solo perché ci ha messo troppo a trovare la voglia di vivere.
Il disagio e il senso di colpa gli scivola via di dosso come se gli occhi allungati e limpidi di Akaashi fossero miracolosi, purificanti. Improvvisamente ha altro a cui pensare, non ha più niente di significativo da dire nonostante avesse iniziato ad assemblare un discorso nella sua mente.
 
Continua così per due o tre giorni. Non ne parlano, non per imbarazzo ma perché sanno benissimo che non saprebbero cosa dirsi. Nell’aria che c’è qualcosa di diverso, come un’attrazione più forte, come un compiacimento reciproco, perché loro lo sanno, cos’è successo.
È il loro segreto e condividerlo ha un che di intimo, un germoglio che pianta le radici più a fondo ad ogni sguardo che si scambiano. Allunga le proprie propaggini sotto la loro pelle fino ad estinguere definitivamente il dubbio che quello che era successo quel pomeriggio fosse stato frutto di qualcosa di totalmente irragionevole e, soprattutto, fermo nel tempo.
Non era vero che sarebbe stata una frazione di tempo imprigionata in quella stanza e nei loro ricordi.
Non era vero che non avrebbero più fatto qualcosa del genere.
 
“Hai le mani gelide.” mormora Kenma con gli occhi ancora chiusi, mentre qualche ciocca di capelli biondi gli scivola sul viso.
È nel suo letto. Potrebbe aver fatto un incantesimo ad Akaashi o, più semplicemente, si sono lasciati andare, hanno sciolto le catene educate e posate con cui si erano legati nei giorni precedenti.
Cerca di calmare il petto nudo e sudato, steso su un fianco. Non vede Akaashi in faccia ma ha le sue braccia avvolte attorno al busto, le sue dita appoggiate morbidamente sullo sterno. Kenma le intreccia con le sue e ci gioca.
Questa volta è stato diverso, rispetto a quella precedente. È stato meno spensierato e un po’ più disperato. C’è stato lubrificante, e preservativi, e i gemiti soffocati nel cuscino.
Kenma avrebbe voluto tuffarsi e annegare in quel sesso, e dimenticarsi di quello che faceva, ma Akaashi è troppo dolce e l’ha tenuto a galla, lo tiene a galla e continuerà a farlo. Un po’ lo odia perché non lo lascia affogare.
Kenma ha sentito che quel sesso non era fine a se stesso in ogni spinta, in ogni cigolio del materasso, in ogni grinza della coperta che aveva stretto convulsamente tra le mani. Forse avrebbe voluto che fossero solo corpi vuoti, mero piacere: sarebbe stato molto, molto più facile così avere a che fare con le sue emozioni. Ma la verità è che quel sentimento di affetto gli scalda il cuore.
“Scusami.”
La voce di Akaashi vibra attraverso di lui e raddrizza la testa nel rendersi conto che anche la sua sembra vuota, impensierita. Forse è solo stanco.
Kenma è così sovrappensiero che ci mette un po’ a capire che si sta scusando perché ha le mani fredde, e si ricorda che ha una conversazione da mandare avanti.
“Anche le mie sono gelide.” continua Kenma, con un velo di malinconia, nascondendosi come può e prendendo coraggio perché quel discorso, nato in quei giorni dalla moralità che alberga nella sua testa, più finalmente riaffiorare, anche se forse non è il momento perfetto.
“Due persone con le mani gelide non posso stare insieme, Akaashi.”
Cala il silenzio, ma Akaashi non allontana le mani da quelle di Kenma, anzi, continua ad accarezzarle come se niente fosse.
“Qualcuno con le mani fredde dovrebbe avere qualcuno che gli scaldi le mani.”
“Per favore…” lo interrompe Akaashi mettendogli una mano sulla bocca, leggero. “Basta.”
Kenma socchiude gli occhi e vorrebbe sprofondare per l’imbarazzo.
“Se devi dirmi qualcosa dillo, Kenma. Dimmi a cosa pensi.”
Kenma deve deglutire e prendere un respiro veloce per parlare, perché si sente come se qualcuno gli avesse spremuto i polmoni. Per un attimo crede addirittura di essersi dimenticato come si parla, e i pensieri nella sua testa vorticano freneticamente, disordinati. Riesce a parlare anche con le sue dita davanti alle labbra, perché in realtà non premono, sono solo appoggiate.
“È che non può andare avanti per sempre così e io… Io non lo so.”
C’è un lungo momento di silenzio prima che Kenma torni a dar voce ai suoi pensieri.
“Non posso sopportare l’idea che tu stia tradendo Bokuto con me, non se lo merita, non trattarlo così. Non volevo che succedesse. A me piaci, ma…”
Un’altra pausa, questa decisamente più densa della precedente.
“Non ti appartengo davvero, e mi dà fastidio, ma d’altro canto vorrei non creare nessun problema, e poi c’è Kuroo e... Davvero, non lo so.”
Ecco, il suo cuore esplode. È stata una cascata di mormorii rochi e improvvisati, ma le parole sono state incredibilmente efficaci e crede di aver detto esattamente ciò che aveva in testa, anche se in maniera terribilmente riduttiva e forse un po’ confusionaria.
 
Akaashi sta in silenzio e Kenma ha paura della sua reazione, anche se sa benissimo che non dovrebbe averne, perché Akaashi non farebbe nulla per farlo sentire male. O almeno lo spera. Spera che continui ad essere gentile con lui anche se quello che ha appena detto è patetico.
“Cosa ne pensi del poliamore?”
Akaashi sembra esitante e un po’ teso, e Kenma corruga le sopracciglia con una smorfia. Sta per chiedergli cosa significhi quella parola, cosa intenda, ma con uno sforzo cerca di ricavarne l’etimologia da solo. Ci riesce e rimane a pensarci per una manciata di secondi, la fronte corrucciata per il lavorio mentale.
Si tira a sedere e si volta indietro, verso di lui.
 
La faccia che vede Akaashi è incredula e contratta, e sente un tuffo al cuore.
“Akaashi.” inizia Kenma, un po’ duro. “Siamo solo due idioti che non sanno prendere decisioni o fare scelte…”
La sua voce scema un po’ e l’espressione si fa vagamente addolorata e persa quando si rende conto di cosa sta dicendo.  “…Non è amore.”
Questa volta la mano sulla sua bocca è più decisa, decisamente meno leggera. Preme forte e Kenma si sente morire nel vedere le labbra di Akaashi che tremano. Non ha il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
“Lo è.” mormora Akaashi dopo secondi infiniti di silenzio pesante, mentre allontana di nuovo la mano e la fa scivolare sul suo collo.
Kenma si sente andare a fuoco.
Lo è. Non voleva sentirlo, ma dentro di sé lo sapeva già, è solo difficile da spiegare: sa come si sono sentiti in quei mesi l’uno nei confronti dell’altro, sente il tipo di chimica che c’è tra loro due ed è innegabile, e inestinguibile; non può essere nascosta sotto un tappeto come polvere.
Continua a non avere la forza di guardarlo, e cerca a tentoni la sua faccia con il capo chino. Si morde le labbra nervoso e passa i pollici sotto i suoi occhi, e sugli zigomi, e quando sente il bagnato delle lacrime serra le palpebre e si odia per essere stato brusco e impulsivo.
“Oh, no, no…”
Se lo porta contro e lo stringe forte. Akaashi non trema, non fa rumore, non singhiozza, ma ricambia l’abbraccio e affonda la faccia nell’incavo del suo collo con un’intensità emotiva che investe Kenma come un’onda gigantesca.
Accarezza piano i capelli di Akaashi e stringe le labbra.
“Akaashi, non intendevo…” mormora col tono più dolce che riesce ad assumere. “Ci hai pensato tanto, vero?”
Akaashi annuisce senza dire una parola e Kenma capisce di essere stato uno stupido a non aver dato il giusto peso alle sue parole, ad aver smontato tutto con una semplice frase non ragionata.
Gli fa una certa impressione vederlo in quello stato, e non pensava che sarebbe bastato così poco per renderlo così, ma non era sua intenzione.
“Pensi che sia sbagliato?” chiede cauto Akaashi, e la sua voce non vacilla.
“No, no, non lo è, è tutto a posto.” si affretta a rispondere Kenma, ma nella sua testa ci sono più domande che risposte. Appoggia la guancia contro i suoi capelli e si imbroncia appena, un po’ triste di non saper essere incoraggiante quanto lui.
“Bokuto sa di noi due?”
Akaashi aspetta un po’ prima di annuire di nuovo e Kenma è profondamente sorpreso e scosso da quella rivelazione. Sembra rendersi conto solo in quel momento di essere nudo nel suo letto, sotto le lenzuola e le coperte spesse.
“Sì? Cosa? Quando gliel’hai detto?”
Si sente un ladro, un ladro un po’ tradito perché era convinto che fossero solo loro due e il loro segreto.
Akaashi è serio e stupito dall’atteggiamento apprensivo di Kenma, ma lo capisce e gli deve delle spiegazioni.
“Ieri notte.”
 
Non era davvero riuscito a stare in silenzio con Bokuto, a non dirgli nulla: non poteva tenerlo all’oscuro di una cosa così importante. Akaashi ha sempre preferito le cose trasparenti e cristalline.
Aveva dovuto farlo smettere di piangere, perché aveva pianto tanto, tantissimo a dirotto, disperato: era stata la sua reazione immediata, assieme ai lunghi lamenti autocommiseratori. Aveva dovuto consolarlo, assicurargli che non lo avrebbe lasciato per nulla al mondo -ed era vero, non poteva, non voleva. Baciandogli piano la fronte e gli aveva spiegato con calma tutto quello che sentiva, tutto quello che Kenma era per lui, che Bokuto era per lui, i suoi timori, le sue certezze. Si era analizzato abbastanza a fondo per farlo, anche se le sue sicurezze erano come fragili e radi pilastri di vetro a sostenere una grande, enorme impalcatura sperimentale.
Gli aveva chiesto scusa per aver fatto ciò che aveva fatto.
La paura gli stringeva lo stomaco, il terrore di non essere capito e di essere frainteso era troppo grande per non fargli vibrare la voce, ma se amava Bokuto c’era un motivo, e quel motivo Bokuto l’aveva dimostrato ancora una volta in un modo semplicissimo e al contempo arduo: lo aveva capito. Forse non a pieno, ma si era sforzato di farlo.
Quando lo aveva scusato, Akaashi aveva pensato che fosse davvero troppo buono per esistere. Con un qualsiasi altra persona non sarebbe stato così semplice, lo sapeva benissimo e ringraziava il cielo per avergli donato proprio lui.
Certo non si era convinto subito, Bokuto: il dubbio gli scavava grosse rughe sul volto, ma non aveva mai lasciato andare le sue mani. Il suo modo di fare un po’ immaturo si era temperato e aveva ascoltato attentamente ogni sua singola parola.
Alla fine, Akaashi aveva ricevuto una risposta comprensibile: era abbastanza difficile metabolizzare l’idea che amasse (amasse, era proprio quello il termine, e un po’ gli faceva male) qualcuno che non fosse lui, ma riponeva in lui tutta la sua fiducia e avrebbero potuto fare una sorta di periodo di prova per capire cosa fare.
Quell’espressione non era piaciuta particolarmente ad Akaashi, ma capiva bene il suo impegno e apprezzava enormemente quegli sforzi che, lo capiva, non dovevano essere semplici. Lo aveva ringraziato con grossi baci sulle guance e il cuore sollevato, promettendogli che sarebbe andato tutto bene.
 
Akaashi è nel suo letto ora, è insieme a Kenma, eppure gli sembra ancora di avere Bokuto vicino. Rivivere la conversazione della sera prima è un’esperienza piacevole e incoraggiante per il discorso che sta affrontando.
“È vero che abbiamo le mani fredde, ma Bokuto le ha calde, e Kuroo-san le ha calde. So che per te è difficile, ma vorrei davvero che conoscessi Bokuto. Vorrei davvero che uscissimo tutti e quattro insieme, un giorno. Solo uscire. Ne sarei davvero felice e penso che sarebbe piacevole per tutti e quattro.”
Kenma lo guarda con le labbra socchiuse e si sente perso. “Perché metti in mezzo anche Kuro?”
“Perché so quanto tieni a lui, e credo di aver capito quanto lui tiene a te. E lui e Bokuto si conoscono così bene, potrebbe essere divertente passare un pomeriggio insieme.”
Kenma è stranito. Gli sembra quasi di avere davanti un nuovo lato di Akaashi. Non l’aveva ancora visto e lo sorprende. Ha una luce negli occhi, è pieno di aspettativa e speranza e Kenma si chiede disperatamente quanto debba aver pensato a tutte quelle cose, come abbia fatto a processarle tutte e quando.
“Non mi piacciono le cose complicate…” mormora incassandosi un po’ nelle proprie spalle e guardando altrove.
“Non lo è.” lo incalza Akaashi, col chiaro intento di tranquillizzarlo e convincerlo a fidarsi di lui. “Lo so che lo sembra, ma è molto più semplice di come appare nella tua testa, davvero.” gli sorride debolmente e intreccia le dita con le sue con lentezza.
“Non provi… gelosia, o qualcosa del genere. Tipo, non lo so, possesso? Nei confronti di Bokuto, intendo.” chiede titubante. “…O nei miei.” aggiunge alla fine, con un soffio.
Akaashi si porta le sue mani alle labbra e ne bacia il palmi. Non lo guarda negli occhi, forse perché un po’ fremono per l’agitazione di star tirando fuori tutto quello che sente dentro, finalmente, una volta per tutte.
“Voglio solo stare con le persone a cui voglio bene e voglio che anche voi stiate bene, e se so che insieme potreste andare d’accordo, allora perché non dovrei essere felice di vedervi vicini? Questo non significa che io non vi voglia per me, comunque.”
 
Kenma si scioglie davanti a quella limpidezza. Per l’ennesima volta in quei mesi, si chiede se Akaashi Keiji sia davvero umano, se non sia disceso dal cielo, plasmato da qualche entità ultraterrena. Se lo chiede perché non sembra possibile, non sembra vera, tutta quella perfezione.
All’inizio una parte di lui pensava che gli stesse nascondendo qualcosa, ma più passava il tempo più capiva che era davvero così, era davvero altruista e bellissimo e bravo in ogni cosa, e l’unico difetto che aveva visto in lui era quello di essere, a volte, particolarmente schietto, rischiando così di risultare un po’ troppo severo e rude.
Ma in quel momento davanti a lui c’è solo luce.
Stringe le sue spalle e si sporge per baciarlo.
Avranno anche le mani fredde, ma le coperte sono calde e i brividi sono così intensi da essere piacevoli.
 
Le nuvole vaporose si appoggiano sul cielo scuro come se fossero adagiate su un ripiano di vetro. L’aria è frizzante e pizzica il naso, l’asfalto del marciapiede sembra ancora più grigio e le luci dei negozi sono l’unica nota piacevole in quella sera di autunno inoltrato.
Kuroo deve strizzare un paio di volte gli occhi per assicurarsi che quello davanti a sé non sia un miraggio.
“Kenma!”
Kenma, avvolto in una sciarpa enorme, è davanti al portone del suo condominio, con un dito sul citofono. Volta la testa e i suoi occhi ambrati, nei quali si riflettono i lampioni gialli, si fanno grandi e sorpresi.
Le nuvolette create dal respiro condensato gli svolazzano attorno alla faccia e al naso arrossato, e Kuroo affretta il passo per andargli incontro e travolgerlo con un abbraccio.
“Cosa ci fai qui? È tardissimo!”
“Kuro-”
Kenma quasi ansima e appoggia le mani sui suoi avambracci, e sembra che abbia l’impellente bisogno di dire qualcosa di urgente.
Kuroo sprofonda in quelle pupille dilatate ed è confuso da quella premura, quell’agitazione. Pensa che sia successo qualcosa di grave, di terribile.
“Cosa siamo?”
La voce di Kenma lo punge proprio come sta facendo il gelo, lo colpisce inaspettatamente come farebbe uno schiaffo.
Per un attimo rimangono avvolti solo dai loro respiri condensati.
 
“Cosa?”
“Io e te.” continua Kenma, e ora guardarlo negli occhi è difficile, ma non abbandona il contatto fisico. “Che cosa siamo io e te?”
Kuroo corruga la fronte e si umetta le labbra guardandosi velocemente attorno.
“Vieni.” lo sprona ad entrare, posandogli una mano sulla schiena. Prendono l’ascensore e entrano nel suo appartamento, silenziosi ma con una certa fretta.
Kuroo chiude la porta della sua stanza dietro di lui, lasciando i coinquilini a parlare in salotto.
“Sei venuto fin qui per chiedermi questo?” chiede con un tono che Kenma non sa decifrare. Si avvicina a Kenma, già seduto sul suo letto, e si accovaccia davanti a lui prendendo le sue mani nelle proprie.
Kenma annuisce e gli stringe le dita. Akaashi ha ragione, Kuroo ha le mani calde e vorrebbe tanto buttargli le braccia al collo e abbracciarlo.
“Kenma, io… non lo so. Lo sai benissimo anche tu.” inizia con una mezza risata, nervosa. Ripercorre mentalmente tutti gli attimi passati accanto a lui, anche se sembra impossibile. Forse sta per morire e la sua vita gli sta passando davanti. “Siamo solo… noi. È molto più facile non dargli un nome, non trovi?”
“No, non lo è.”
Le parole di Kenma lo spiazzano. Sono sicure e dirette e per un attimo gli sembra di avere davanti un’altra persona.
“Te l’ho voluto chiedere perché…” Kenma si interrompe e boccheggia un attimo, perché quelle parole sembrano così imbarazzanti, ora, anche se se le era ripetute in testa per tutto il viaggio. “Perché…”
Kuroo lo guarda con attenzione e si siede accanto a lui, aspetta paziente, all’erta.
“È successo qualcosa tra me e Akaashi. C’è qualcosa ma è una situazione strana e non so neanche spiegartelo come si deve, e tu mi dai...” sussurra poi, come se la voce bassa rendesse meno doloroso dirlo. “Tu mi dai per scontato, non è vero?”
Kuroo rimane una statua di pietra per una manciata di secondi.
Kenma è convinto che il sorriso teso che gli si scolpisce in faccia subito dopo basterebbe a farlo sgretolare, tanto è forzato. Poi la sua guancia di ritrova appoggiata al palmo di Kuroo e non può non inclinare la testa per inseguire la carezza.
“Siamo qualsiasi cosa ti renda felice.”
Gli occhi di Kuroo sono più dolci, ora. Forse doveva solamente incassare il colpo? No, Kenma non ci casca.
“No.”
Kenma si incupisce e Kuroo sussulta.
“No, smettetela di dire solo cose per far stare bene me. Io voglio che voi stiate bene, e che siate felici, e che mi diciate cosa sentite davvero. Sacrificate tutto quanto per me e non capite che questo mi fa sentire molto, molto peggio, perché non capisco assolutamente niente e fluttuo in una massa informe di opinioni vaghe.”
Si alza in piedi e prende il viso di Kuroo tra le mani, deciso, guardandolo fisso negli occhi.
Deve sapere cosa prova Kuroo per lui, cosa sono quei baci, se non semplice divertimento o tutto quell’affetto è vero, se tutti gli anni passati assieme sono stati le fondamenta su cui costruire un rapporto veramente simbiotico e indissolubile. Kenma spera sia così, lo spera con tutto il cuore perché non riesce ad immaginare il dolore che proverebbe nel sentirsi dire da Kuroo che non è speciale, ma è pronto a qualsiasi risposta, vuole solo spazzare via ogni supposizione opaca.
“Dimmi cosa sono per te. Cosa sono davvero, Tetsurou.”
Questa volta è Kuroo ad essere spaesato e vagamente impaurito, e Kenma è sicuro che si ricorderà l’espressione di quegli occhi per tantissimo tempo.
La risposta di Kuroo, mormorata, lo spiazza e gli fa saltare qualche battito anche se si era preparato al peggio. Lo fa sentire come se fosse appena esplosa una bomba accanto a loro, e un fischio nelle orecchie gli attraversa insistentemente il cervello.
“Sei tutto.”
 
Kenma non sa perché Bokuto gli abbia portato un’enorme scatola di cioccolatini. Non lo sa davvero, e neanche Kuroo lo sa, e nemmeno Akaashi; ma perlomeno Akaashi non ne è sorpreso.
Kenma prende la scatola tra le mani e se la porta davanti alla faccia per nascondersi da quel sorriso enorme e gentile che Bokuto sta rivolgendo proprio a lui. Appoggia la fronte contro il coperchio e il suono sordo e talmente carino da far morire un po’ dentro gli altri tre ragazzi.
Sono in un bar, domenica pomeriggio, tutti e quattro. Kenma era un po’ agitato all’idea di andarci; aveva tante aspettative, pensava che anche gli altri ne avessero altrettante nei suoi confronti, ma in realtà è tutto rilassato e tranquillo.
Nessuno lo sforza a fare nulla e nessuno si sforza di fare nulla. Parlano, e ridono, e tra le lamentele di Bokuto mangiano i cioccolatini che in teoria sarebbero dovuti essere solamente di Kenma.
Kenma vede che Akaashi è felice, e lo è davvero tanto, più di quanto lo abbia mai visto.
Gli si riempie il cuore di gioia a sua volta, ed è sicuro che non si sentirebbe così completo se non ci fosse anche Kuroo, lì con lui, e Bokuto, così rilassato e cordiale -temeva che lo avrebbe odiato, sapendo quello che era successo con Akaashi, ma invece è così radioso!
Si sente un po’ più tranquillo nel sapere che tutti sanno tutto. Sa che Kuroo ha parlato sia con Bokuto che con Akaashi e non gli sembra vero che nessuno abbia litigato, che tutto sia ancora lì, integro, e tutti siano pronti e aperti a provare qualcosa che Kenma spera con tutto il cuore vada a buon fine. Sembra un’utopia, in effetti, ma c’è una possibile serie di incastri perfetti che, effettivamente, non aveva mai considerato.
Si chiede perché non abbiano mai pensato di fare una cosa del genere, perché non siano mai usciti tutti insieme, perché non abbiano mai deciso di conoscersi meglio l’un l’altro, tutti e quattro.
Sente la potenzialità di un equilibrio incredibile, ma non vuole giungere a conclusioni affrettate. Sa solo che la sua ansia sembra svanita nel nulla, in quel momento, e lo stomaco non gli fa male, non è chiuso. Fino a pochi mesi prima non avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo.
Si sente cresciuto, si sente meglio. Si chiede se sarà permanente, e non lo sa, ma Kuroo c’è. Akaashi c’è. Bokuto gli ha appena regalato dei cioccolatini e sembra avere tutte le buone intenzioni del mondo e la volontà di conoscerlo di più, a giudicare dalla quantità di domande che gli sta rivolgendo -senza contare che lui e i suoi capelli stupidi e il suo tono enfatico stanno attirando l’attenzione su di lui, e non su Kenma, il che è ottimo.
 
Vagamente, sì, si sente in imbarazzo, ma si sente anche avvolto in un enorme abbraccio e vorrebbe davvero ringraziare Akaashi per aver innescato tutto quel meccanismo, per aver iniziato quella svolta, per averlo instradato in quella direzione, perché da solo mai e poi mai si sarebbe avventurato in quella giungla, iniziata con il semplice mettere piede in università e terminata con la concezione della possibilità di avere tre fidanzati.
Non pensava di essere capace di fare tanto. Gli viene un po’ da piangere, ma sono lacrime felici.
Non si sente obbligato a dover rinunciare a qualcuno e per questo la vita sembra un po’ migliore; e anche se l’inverno è alle porte, ci sono mani calde e mani fredde appoggiate al tavolino, assieme alle sue.
Non c’è più niente di insormontabile perché non è da solo, e l’estate è un ricordo paradossalmente gelido e desolato come un ghiacciaio.

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Angolo autrice
Eccomi! L'ultimo capitolo! Da dove inizio?
Prima di tutto mi scuso per l'immenso, disumano, tremendo ritardo: sono successe molte cose, e poi gli esami, tutta la sessione invernale, e quando poi finalmente è finita e avevo intenzione di pubblicare... puff, non ho più internet da pc. Quindi ora sto sfruttando i quattro giga gentilmente regalati da Vodafone per la festa della donna (a proposito, auguri donzelle! <3)
Passando alla storia: spero di non aver deluso nessuno, so che è una situazione non convenzionale e non tutti possono apprezzare a pieno, ma sarei felice di sapere che almeno un po' vi sia piaciuta!
Spero anche che il finale non vi sembri troppo raffazzonato, mi rendo conto che possa risultare un po' veloce e semplificato, quindi se lo avete odiato perdonatemi e vedetela come una scelta stilistica: ho preferito tenere le cose semplici e lineari, per quanto possibile.
Era nata come AkaKen ma il mio amore per Kuroo e Bokuto, oltre che per i due palleggiatori, è troppo grande e non ce l'ho fatta a finirla senza lasciare uno spiraglio di speranza per la mia OT4... pace e bene, sorelle. Tenere la mente aperta alle possibilità è cosa buona e giusta. Also, polyamorous Akaashi is my shit 100/100 *eyes emoji* (ma in realtà polyamorous tutti e quattro, oh, solo che Akaashi ha una self-awareness da far spavento)
Comunque, ecco che il titolo della storia ora assume un senso: il "you" che Kenma ha aspettato per tutte le estati si riferisce a tutti e tre i ragazzi, e la sua ultima, gelida estate è ormai solo qualcosa da lasciarsi alle spalle.
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno seguito la storia e che l'hanno recensita, spero che continuerete a seguirmi (e prima o poi risponderò a tutti i vostri messaggi lo giuro)!
Un bacio!
 

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