Fire Of The Sea

di Aliaaara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Giorno_Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Primo Giorno_Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Secondo Giorno ***
Capitolo 4: *** Terzo Giorno_Parte 1 ***
Capitolo 5: *** Terzo Giorno_Parte 2 ***
Capitolo 6: *** Quarto Giorno ***
Capitolo 7: *** Quinto Giorno_ Parte 1 ***
Capitolo 8: *** Quinto Giorno_ Parte 2 ***
Capitolo 9: *** Sesto Giorno ***
Capitolo 10: *** Settimo Giorno ***



Capitolo 1
*** Primo Giorno_Parte 1 ***


 
 
 
 
 
 

 
 
Fire Of The Sea
 
 
 
 
 
 Primo Giorno_ Parte 1
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Allontanatevi tutti, subito!” gridai mentre il tornado si abbatteva a pochi metri da noi “Tutti dentro, ora!” aggiunsi in modo autoritario.
“Ma capitano…” sentii dire alle mie spalle dal mio vice.
Mi voltai su di lui, lanciandogli uno sguardo truce “È un ordine! Vi voglio tutti dentro il sottomarino, adesso!” affermai e l’orso non se lo fece ripetere due volte, correndo verso la destinazione.
Prima di raggiungere anch’io il mezzo mi assicurai che tutti i miei uomini fossero arrivati a bordo per poi precipitarmi verso di esso “Si sbrighi capitano!” mi urlava contro Penguin dal portone mentre il sottomarino stava per immergersi.
Riuscivo a sentire alle mie spalle il tornado che si avvicinava, cercando di attrarmi verso il suo turbine con la sua forza.
“Prendi!” gridai lanciandogli la mia Nodachi che afferrò al volo, cercando così di velocizzarmi. Sarebbe bastato usare i miei poteri per velocizzarmi e rientrare nel sottomarino ma dopo lo scontro avevo prosciugato tutto il mio potere e la ferita che mi avevano inferto mi doleva ad ogni respiro mentre correvo.
Ad un tratto una raffica di vento mi investì.
“Capitano!” sentii urlare mentre venivo sbalzato via e risucchiato dal vortice.
Mi sentii in balia della corrente mentre stringevo gli occhi e venivo catapultato lontano. Poi uno schianto contro qualcosa, infine caddi in acqua. Sentii le forze venirmi a meno e pian piano persi i sensi, lasciandomi sprofondare nel buio.
 
 
 


 
Quando riaprii gli occhi avevo un mal di testa pazzesco, mi uscii un mugolio di lamento mentre cercavo di capire dove fossi. Sopra di me c’era un soffitto in legno, quindi presumibilmente non ero morto ma in una stanza, sentendo poi il lontano suono delle onde che si infrangevano contro una parete, potevo dire all’interno di una nave. Sì, ma dove?
Ricordai quella strana isola, l’attacco da parte di quei pirati a sorpresa e il tornado che si era abbattuto su di noi poco dopo.
La mia ciurma.
Mi alzai seduto di scatto, e subito sentii una fitta alla testa che mi fece piegare in due. Portai una mano tra i capelli e sentii una consistenza familiare. Una garza medica.
“Finalmente ti sei svegliato” sentii dire da qualche parte nella stanza, mi voltai e vidi un ragazzo di circa la mia età che trafficava con delle fialette di medicinali mentre mi osservava ogni tanto con un sorriso appena accennato.
“Dove sono?” chiesi diretto. Non volevo giri di parole, presentazioni, ringraziamenti o tant’altro. Dovevo sapere se la mia ciurma stesse bene, se erano riusciti ad immergersi prima di essere presi in pieno e che non fossero stati così stupidi dal tornare fuori a cercarmi.
Il ragazzo si voltò verso di me sorridendo “Su una nave” mi rispose ovvio “Ti abbiamo trovato su degli scogli sta mattina, eri svenuto e abbastanza mal messo. Ti ho dato una sistemata alle ferite se non ti dispiace” affermò poi osservandomi mentre con del disinfettante si puliva le mani.
Ripensai alla garza che avevo sentito sulla mia testa, sovrappensiero la sfiorai, poi posai lo sguardo sul mio petto, trovandolo nudo e con altrettante bende sopra la ferita che mi ero inferto  appena sotto la clavicola. Indossavo sempre i miei pantaloni, leggermente malmessi e rotti su alcuni punti, per il resto sentivo l’odore di disinfettante in tutto il corpo, e notai come fossero state curate anche le altre lesioni e lividi che mi ero inferto per il corpo.
Anche se mi seccava ammetterlo, aveva fatto un egregio lavoro.
Ma non lo avrei ringraziato, no, questo mai.
“Tranquillo, qui sei al sicuro ora” sentii continuare dire dal presunto dottore affianco a me “Qualsiasi cosa ti sia successa, ora non hai da che preoccuparti” aggiunse.
Non risposi, non ne avevo l’intenzione. Alzai lo sguardo su il mio interlocutore, non accennando neppure ad un misero sorriso.
“Non c’era nessun altro?” domandai.
L’altro assunse una faccia confusa “Cosa?” domandò.
Cercai di non sospirargli davanti e mantenere l’irritazione che si stava facendo largo in me dettata dal nervosismo “Quando mi avete trovato, non c’era nessun’altro lì intorno? Qualcuno o i resti di qualcosa?” domandai alzando leggermente la voce, facendo risultare la mia voce grave.
Mi osservò un attimo, inespressivo, per niente stupito o infastidito dal mio comportamento, poi scosse la testa “No, c’eri solo tu. Nell’acqua c’era qualche pezzo di legno ma nient’altro” rispose.
Sospirai, almeno una buona notizia. O il mio equipaggio era riuscito a salvarsi oppure erano affondati, in ogni caso i pezzi di legno erano della nave dell’altro equipaggio che ci aveva attaccati.
“C’era qualcun altro con te?” provò a domandarmi il ragazzo.
“Non sono cose che ti riguardano” risposi freddamente. Salvato o no, erano affari miei quelli. E se avevo imparato qualcosa nella vita, era di non fidarsi mai troppo. Certa gente ti aiutava per i suoi scopi, altri ti sfruttavano, a nessuno poteva interessare di te. Beh, qualcuno forse c’era stato ma ormai era morto.
Lo vidi annuire, totalmente tranquillo “Meglio che vada a dire al capitano che ti sei svegliato. Era abbastanza preoccupato quando ti abbiamo trovato” spiegò.
A quelle parole tornai con l’attenzione sul dottore che stava uscendo dalla stanza. Della marina non lo era, almeno, altrimenti avrebbe portato qualcosa di formale con il loro logo. Quegli stracci che indossava erano più comodi che eleganti, semplici e abbastanza appariscenti che mi facevano pensare ad un tipo qualunque ma intravedevo il marchio di un tatuaggio, nascosto dalla manica della maglia.
In quel momento sperai davvero che fosse una nave da carichi perché con l'idea che mi ero fatto di quel tipo, mi aveva fatto presupporre altro. E qualcosa che proprio non mi piaceva.
 
 
Qualche minuto dopo il dottore tornò, ed era da solo. Aveva in mano un vassoio di cibo, da lontano intravidi del pane su di esso e trattenni una smorfia.
“Scusa se ci ho messo troppo, ti ho preso anche qualcosa da mangiare” spiegò porgendo il vassoio su un alto del mio letto sopra un ripiano  “Il capitano si è addormentato, ho riferito agli altri di dirgli di venire giù non appena si sveglia ma ci vorrà un po’. Quindi non appena hai finito qui se ti senti meglio possiamo salire sul ponte” mi disse per poi spiegare “Non hai riportato gravi danni o lesioni. La più seria è la botta che hai dato in testa ma non è nulla di preoccupante. Se riesci a reggerti in piedi puoi anche alzarti dal letto”
Non avevo bisogno di una spiegazione sulle mie condizioni, riuscivo a darmela da solo percependo i miei stessi sintomi, ma non ribattei dicendogli che ero un dottore anch’io e che poteva risparmiarsi i dettagli, mi limitai a stare zitto e a prendere il cibo che mi era stato offerto, dato che avevo fame. Evitai con cura il pane per poi mangiare tutto quello che stava sul piatto, palle di riso comprese.
“Che ore sono?” chiesi tra un boccone e l’altro mentre il dottorino mi osservava mangiare in modo compiaciuto.
“Le due” rispose.
“Insolito dormire alle due del pomeriggio per un capitano” commentai con ironia, non riuscendo a farne a meno.
Una risata lasciò le labbra del ragazzo “Il nostro è un eccezione. Non puoi mai sapere quando si metterà a dormire, è del tutto improvviso” aggiunse in modo divertito.
E un dubbio mi venne in testa “Narcolessia” affermai, un sopracciglio mi si inarcò leggermente “Mi stupisco che abbiate scelto qualcuno che soffre di un tale disturbo come capitano” aggiunsi ignorando il suo cipiglio sorpreso che aveva assunto quando avevo azzeccato la diagnosi.
Si riprese però e fece come se nulla fosse “Beh, è molto capace. Ci si può fidare di lui” affermò sicuro delle sue parole.
Sarà, ma io non avrei mai affidato la mia vita ad un tizio che potrebbe addormentarsi in qualsiasi momento.
Finii di mangiare e spostai la coperta del letto, tirando fuori i piedi e alzandomi, mi venne un capogiro e cercai di mantenere l’equilibrio finché non sentii il dottore prendermi il braccio per aiutarmi “Ehi, con calma. Non c’è alcuna fretta” affermò, lui non poteva sapere che io l’avevo invece.
Mi spostai dalla sua presa, reggendomi in piedi da solo “Ce la faccio” affermai brusco per poi voltarmi alla ricerca di qualcosa che trovai poco dopo su un altro lettino.
Feci due passi e presi la mia felpa gialla per poi indossarla. Mi guardai attorno, come se attendessi di vedere qualcosa che però non trovavo, solo dopo ricordai che la Nodachi l'avevo tirata a Penguin prima dell’immersione. Avrei voluto maledirmi di essermene separato ma probabilmente a quest’ora se non lo avessi fatto sarebbe andata persa in acqua. Al contrario però non  riuscivo a vedere da nessuna parte il mio cappello bianco.
Mi voltai verso il ragazzo “Avevo un cappello” affermai spiegando cosa cercassi.
Lui aprì leggermente la bocca a forma di ‘o’ comprendendo per poi rispondere “Penso ce l’abbia qualcuno di sopra. Devo averlo visto quando ti portavano qui di sotto”
Perfetto. Qualcuno mi aveva pure fottuto il berretto.
Senza aspettare che mi disse niente mi incamminai verso la porta “Ehi dove vai??” mi domandò il dottore.
“A cercare il mio cappello” risposi piatto mentre finivo nel corridoio del sottocoperta della nave, guardandomi attorno cercando le scale che mi avrebbero portato di sopra.
Nessuno toccava il mio cappello, punto.
Lo sentii raggiungermi alle mie spalle “Aspetta almeno che ti mostri dove andare, se hai così tanta fretta.” mi disse e mi feci da un parte, facendolo passare.
Mi guardò come se lo divertisse il mio atteggiamento scontroso ma non commentò e si limitò a farmi strada verso il ponte.
Quando arrivammo in cima venni accecato dalla luce ma cercai di non farci caso, ero troppo concentrato a vedermi attorno. La nave era abbastanza grande, di legno e su quel ponte dovevano esserci più di trenta persone al momento.
Osservai il dottore di bordo farsi avanti tra la gente, dirigendosi con un sorriso verso un tizio in particolare che non curai. Mi limitai a fare l’indifferente scrutando attorno i soggetti attorno a me, non trovando nessuno degno di essere classificato come soggetto normale. Pian piano si stavano voltando tutti verso di me, osservandomi sorpresi o incuriositi, non ricambiai nessuno sguardo, mi limitai a guardare in alto e strizzare leggermente gli occhi per vedere la bandiera che spiccava sull’albero maestro.
Riconobbi il nero e il teschio immediatamente.
Merda.
“Ehi capitano, ti sei svegliato finalmente” affermò il dottorino davanti a me, facendomi abbassare lo sguardo per osservare questo fantomatico uomo.
L’unica cosa che vidi fu un cappello arancione con delle perle, capelli neri, spalle toniche e muscolose con al collo un'altra collana di perle, era a torso nudo e metteva in mostra un tatuaggio con una scritta su il braccio sinistro, pantaloncini tenuti su da una cintura abbastanza appariscente e scarponcini.
Quello che però svettava su di tutto era il tatuaggio sulla schiena, grande e imponente, che ritraeva lo stemma della bandiera che svettava in alto. Un logo che avrei riconosciuto tra mille, quello di un imperatore. E non uno qualsiasi, ma Barbabianca.
“Mhm?” sentii dire dal soggetto mentre si voltava con un sopracciglio alzato per poi sorridere al dottore “Ron! Spero tu abbia buone notizie per me, perché mi sono appena svegliato con un bernoccolo sulla testa” commentò il soggetto.
Aveva sul viso una spruzzata di lentiggini, i capelli neri gli cadevano morbidi sul viso, la pelle leggermente sudata risplendeva sotto il sole ed era pallida e per nulla scottata, occhi neri come la pece e un sorriso che abbagliava più di qualsiasi altra luce. Certo, possedeva dei addominali niente male, ma doveva essere più giovane di me di qualche anno. Forse anche troppo giovane data la carica che investiva.
“Certo” rispose il dottore, Ron a quanto pare, che rise “Ti ho portato il nostro ospite. Aveva una certa fretta di venire fin quassù per incontrarti” commentò poi lanciandomi uno sguardo ghignante.
Gli riservai un occhiataccia, pensando che questo fosse il suo modo di vendicarsi per come lo avevo trattato fino a poco prima, e stetti per dirgli qualcosa di velenoso. Lo stavo per fare, quando però notai lo sguardo del capitano spostarsi su di me e lì mi dimenticai cosa stessi per dire. Quando incrociai i suoi occhi, lo vidi sgranarli un poco sorpreso alla mia vista, ma allo stesso tempo il sorriso che gli increspò le labbra lo illuminò fino agli occhi, facendoli brillare come il fuoco scoppiettante.
Mi passò un brivido per tutta la schiena, e non seppi dirmi il perché. Sapevo solo che la mia attenzione era tutta su quel tipo, che fosse perché mi incuriosiva o perché irradiava calore ovunque quando io ero abituato al gelo, non mi importava francamente. Sarei rimasto lì anche ore ad osservarlo se anche avessi voluto, ma avevo una certa fretta e uno scopo da mandare a termine, quindi non c’era spazio per tutto quello.
“Ah ma davvero?” affermò leggermente divertito il ragazzo, anzi compiaciuto della cosa.
Questa gente iniziava ad irritarmi, pirati o meno, di un imperatore o di un senzatetto, mi irritavano.
“Rivoglio il mio cappello” decisi di dire alla fine, con tono piatto, serio, nessuna emozione trasmessa, col solo intento di essere il meno possibile prevedibili i miei pensieri.
Una piccola risata generale coinvolse l’equipaggio quando il capitano fece un “Oh” leggermente spiazzato dalle mie parole ma che poi tornò allegro a sorridermi, facendo qualche passo avanti “Non penso sia un grosso problema” affermò distogliendo finalmente lo sguardo da me e puntarlo intorno, mi sentii come se avessi tenuto trattenuto il respiro fino a quel momento “Chi possiede il cappello del nostro naufrago?” domandò ai suoi uomini.
Si levarono un paio di voci fin quando un tizio dai capelli rossi si fece avanti “E va bene e va bene, ce l’ho io” affermò questo avvicinandosi a me con in mano il mio cappello “Tieni, amico” disse e me lo porse.
Lo afferrai e me lo rigirai tra le mani osservandolo, come se tutto si fosse aggiustato con quel semplice gesto, notando che non si era rotto su nessun punto fortunatamente, era tutto intero.
“Tranquillo non c’ho fatto niente, fratello” affermò ancora il rosso, dandomi una pacca sulla spalla come se ci conoscessimo da una vita.
Qualcuno ridacchiò ma io mi limitai a sospirare mentre mi mettevo in testa il berretto facendo attenzione alla garza medica, posando il mio sguardo sul rosso “Non sono tuo amico” ribattei per quello che aveva detto poco prima “Né tanto meno tuo fratello” affermai gelido.
Il tizio sobbalzò appena, guardandomi leggermente intimorito “Qualcuno qui è leggermente irritabile” disse qualcuno della ciurma lì presente.
Sentii ridere e mi voltai, per vedere il capitano afferrare per le spalle il dottore “Già, che gli hai fatto per renderlo così scontroso?” scherzò verso l’amico “Lo avrai fatto dannare!”.
L’altro rise “Assolutamente nulla credimi, è così da quando si è svegliato” spiegò.
“Ohh…” rispose allora il capitano tornando a guardare me con aria divertita “Quindi sei suscettibile per natura” affermò.
Io? Suscettibile di natura? Ma quando? Mi stavano sul cazzo gli idioti, era diverso.
Si staccò dal dottore e fece i passi che gli bastavano per trovarsi a meno di un metro da me, e lì notai che lo superavo di qualche centimetro in altezza “Comunque io sono Portuguese D. Ace il capitano della seconda flotta di Barbabianca e questi sono miei uomini.” affermò sorridente mentre si presentava, tirandosi leggermente indietro la visiera del cappello.
Anche lui..., pensai cercando di non mostrare la mia sorpresa quando scopri che anche lui aveva la D nel nome.
Era un bel ragazzo certo, ma come mai l’Imperatore lo avesse scelto per una carica così importante lo trovavo un mistero. Non lo conoscevo neppure, mai sentito in giro, ma comunque ero nuovo nel campo della pirateria e c’erano ancora tante cose che dovevo ancora imparare. Questo non voleva dire che mi sarei fatto mettere sotto i piedi da un Imperatore, certo, ma dovevo rimanere prudente.
“Tu sei?” chiese vedendo che non accennavo a dire nulla.
“Water” risposi solo, non volendomi sbilanciare al nome completo per sicurezza “Solo Water” aggiunsi.
Vidi sul suo viso comparire un sorrisetto per aver ottenuto quella piccola vittoria “Bene, Water. Benvenuto a bordo” Mi fece “Sono contento di sapere che sei tutto intero, non avevi una bella cera quando ti abbiamo ripescato. A proposito, ma che ti era successo?” domandò poi facendosi più serio.
Mi ripassò per la mente tutto quello che mi era successo il giorno prima e mi sentii stanco in poco tempo senza neppure averne parlato “Un  tornado mi ha sbalzato via” risposi semplicemente, omettendo dettagli.
Qualcuno si sorprese, altri furono scettici, Ace davanti a me sembrò prenderla abbastanza seriamente e annuì appena “Sei stato fortunato allora” affermò infatti “Non è cosa da tutti uscirne illesi come te” aggiunse poi sospirando appena prima di riportare lo sguardo su di me “C’era qualcun altro con te? Non so, amici, famiglia, compagni…” iniziò ad elencare ma io decisi di cogliere la palla al balzo e lo interruppi.
“Avreste un lumacofono? Dovrei provare a contattare qualcuno” dissi, quasi con pretesa.
Ace sembrò star per dire qualcosa ma la voce di un uomo dell’equipaggio lo sovrastò “Non ti sembra di esagerare?” domandò questo ma non mi voltai verso di lui, reputandolo superfluo “Ti sembra il modo di rivolgerti al nostro capitano? Portagli rispetto. Dovresti ringraziarlo, è per lui se tu adesso sei ancora vivo” affermò.
Il suo capitano si voltò verso il suo uomo “Tranquillo, Jura. È tutto a posto” provò a dirgli.
“Non è tutto a posto, ma lo hai sentit…” provò ad insistere ma sta volta fui io ad interromperlo.
“Non ho nessuna intenzione di ringraziare né lui né nessun’altro” affermai freddo voltandomi a guardare quell’uomo di mezza età.
“Che?” fece questo incredulo.
Continuai ad ignorarlo “Non ho chiesto a nessuno di essere salvato, è stata una vostra scelta, non di sicuro mia. E dato che non ho fatto questa richiesta non è un mio obbligo ringraziare. Soprattutto per qualcosa che non ho preteso” spiegai.
L’uomo diventò leggermente rosso in viso alle mie parole, probabilmente incazzato “Tu bastardo…” affermò “Non si parla di cosa si ha chiesto o meno ma di educazione!”
Innalzai leggermente gli angolini della bocca verso l’alto, osservandolo divertito mentre davo sfoggio del mio impareggiabile ghigno bastardo “Strano sentir parlare di educazione da un pirata” commentai con ironia.
Fece un passo avanti “Maledetto…” diceva, quasi pronto a venirmi a picchiare.
Ridicolo.
“Andiamo Jura, calmo” sentii dire da Ace davanti a me quando lo vidi fare qualche passo avanti.
 “Capitano…” provò a controbattere l’uomo.
Il capitano insistette “Tranquillo, non ha importanza se mi ringrazia o meno. A me non fa nessuna differenza, davvero” affermò scrollandosi le spalle e sorridendo di striscio al suo equipaggio, come se la cosa non lo riguardasse.
L’uomo di mezza età provò ancora ad insistere “Ma…”
Ed io ormai irritato mi ritrovai a rispondergli “Penso che Capitano-ya ti abbia appena dato una disposizione, non è rispettoso nei suoi confronti ignorarlo” affermai con una striscia di ironia verso quell’uomo che diventò rosso dalla rabbia.
“Tu taci prima che ti venga a dare una lezione!” mi minacciò infatti.
Ghignai “Non vedo l’ora di assisterla”
Stette per dire qualcos’altro quel tipo ma il suono della risata del capitano gli fece richiudere la bocca. Mi voltai verso Ace, trovandolo parecchio divertito da quella situazione.
“Andiamo, ti procuro un lumacofono” mi fece poi facendosi largo tra il proprio equipaggio verso la sua cabina. Prima di seguirlo lanciai un ultimo sguardo all’uomo di prima, alzai un angolino della bocca in un piccolo sorrisetto, per poi seguire il capitano della seconda flotta dell’uomo più potente al mondo.

 
 

 
 
“Ecco, è questo qui” affermò una volta dentro una cabina con un semplice letto e una scrivania con qualche scartoffia, tirando fuori poi il lumacofono per poi indicarmelo.
Osservai il ragazzo che mi sorrideva, per poi fissare  il lumacofono e fare qualche passo avanti.
Alzai la ricetrasmittente e prima di segnare il numero mi voltai verso il capitano che mi squadrava da capo a piedi non perdendosi un mio minimo movimento “Ti dispiacerebbe Capitano-ya?” chiesi, un velo di acidità nella mia voce.
Alzò le mani in segno di resa “Come vuoi” affermò prima di darmi le spalle muscolose e uscire dalla stanza chiudendosi dietro la porta.
Sospirai e composi il numero d’emergenza del lumacofono che tenevo nel sottomarino in caso si presentassero situazioni di questo genere e avessi bisogno di contattarli. Mi era tornato utile alla fine, e loro che dicevano che ero troppo paranoico.
Dall’altra parte la mia ciurma rispose subito, inutile dire che fecero un baccano dell’altro mondo quando gli dissi che ero io e che ero sano e salvo. A quanto pare non avevano avuto problemi quando si erano inabissati ma subito dopo essersi assicurati che il tornado si fosse placato erano tornati in superficie e si erano preoccupati nel non riuscire a trovare il mio corpo e almeno i miei resti. Gli diedi brevemente le mie disposizioni, gli dissi di venirmi a prendere usando la Vivre Card e di darsi una mossa, anche se non avevo idea di dov’erano loro e tantomeno dove fossi io. Poi riagganciai.
Stavo facendo mente locale fissando il lumacofono davanti a me, pensando alla mia prossima mossa su quella nave, cosa sarebbe stato meglio fare per permettermi la sopravvivenza fino l’arrivo della mia ciurma, quando sentii una voce alle mie spalle.
“Quindi sei un pirata anche tu, come immaginavo”
Mi girai e lo vidi sulla porta, la spalla appoggiata all’anta di legno, le bracciai incorniciate davanti il petto muscoloso. Di sicuro quel tipo non era male, aveva un po’ la faccia da ragazzino arrogante, ma in fondo ci stava anche bene.
Ghignai, pensando che dovevo immaginarmi che sarebbe rimasto ad ascoltare, d’altra parte ero sulla sua nave, e anch’io al suo posto lo avrei fatto.
“Cosa te lo fa pensare Capitano-ya?” domandai con un velo di sarcasmo, mettendomi nei panni del finto innocente.
Si staccò dall’alta e districò le braccia, avvicinandosi a me con passo lento “Non chiamarmi così, non sono il tuo capitano. Anche se mi piacerebbe…” affermò quando fu di fronte a me, a molto meno di un metro, passando gli occhi su tutto il mio corpo dal basso verso l’alto e viceversa.
“Ma davvero?” domandai divertito da quel comportamento così audace per un ragazzino.
Ricambiò il mio ghigno, guardandomi negli occhi, mentre poi con una mano mi afferrò il braccio e mi scoprì in parte il braccio dalla manica della felpa gialla rovinata “Questi me lo hanno fatto pensare fin da subito” disse alzandomelo all’altezza del viso lanciando un occhiata ai tatuaggi che, in effetti, non mi davano l’aria da bravo ragazzo di campagna.
Stranamente di solito ad un contatto così diretto mi sarei ritratto e avrei usato parole non propriamente gentili verso il mio interlocutore ma sta volta non lo feci. La sua mano stringeva con decisione attorno il mio braccio ma non con forza, come per paura di farmi male. La sua pelle scottava, mi sembrava bruciasse e non riuscivo a capire se me lo stessi immaginando o meno.
“E poco fa me lo hai confermato” finì di dire, mollando la mia mano, distogliendo lo sguardo dal mio e voltandosi per andare verso il tavolo a trafficare in cerca di qualcosa.
Trovò una bottiglia di vino, si girò verso di me e mi fece gesto se ne volevo un po’, negai col capo e lui fece spallucce, dirigendosi verso il proprio letto mentre la stappava e ne beveva un lungo sorso.
“Potrei sempre essere un tipo con molti amici e amante dei tatuaggi” cercai di contraddirlo. Non tanto per negare cosa in effetti ero davvero, piuttosto per vedere fino a che punto potessi spingermi con lui, comprendere come potessi giocarmelo a mio favore in modo tale da avere la garanzia di non venir buttato fuori bordo.
Si sedette sul suo letto, mi lanciò un'altra occhiata per intero e bevve un altro sorso dalla bottiglia “Sai, la tua sfrontatezza può essere vista in due modi” disse alla fine.
“Illuminami” gli feci.
Non se lo fece ripetere due volte “O sei troppo stupido per capire dove ti trovi” iniziò col dire lasciando la frase in sospeso per lasciarsi andare ad un leggero sorriso appena accentuato “Oppure sei perfettamente conscio di questo e abbastanza furbo da sapere che limiti non devi varcare per non finire nei guai” affermò infine.
“E tu quale delle due pensi io sia, Portuguese-ya?” gli chiesi, appoggiandomi indietro contro il tavolo e mettendo le gambe a riposo.
“Quando mi sei presentato davanti ero certo della prima, ora invece sono assolutamente sicuro della seconda” affermò scrutandomi bene in viso, aspettando una mia reazione che non vide arrivare ma che non ne fu sorpreso.
Incrociai le braccia davanti al petto “Questo mi mette in una buona o cattiva posizione ai tuoi occhi?” chiesi allora.
“Possiamo dire…” affermò e bevve, tornando poi a incrociare il mio sguardo “Più che buona” rispose infine, e calò un attimo il silenzio tra di noi, in cui ci limitammo a scrutarci, lui stesso però lo ruppe domandandomi “Allora, cosa ha detto che farà la tua ciurma?”
Inarcai leggermente un sopracciglio, facendomi serio “Pensavo avessi sentito tutto” affermai.
“No. Mi è bastato sentire le grida di felicità che provenivano da quell’aggeggio. Mi stupirei se il resto della nave non avesse sentito” rispose in maniera ironica “Allora?” insistette poi.
Lo guardai un attimo indeciso su cosa dire, mentre lui in un sorso trangugiava tutto il resto della bottiglia “Dipende quali sono le tue intenzioni con me Portuguese-ya” decisi di dire alla fine.
Lo vidi sogghignare “Beh, ovviamente non ucciderti, altrimenti lo avrei già fatto” fece “Potrei sempre venderti al mercato come schiavo, sono certo che potrei ricavarci qualcosa con te” aggiunse poi, lo sguardo scintillante e giocoso.
“Dubito che ricaveresti molto. Vista la mia costituzione non sarò il più ricercato per fare lavori forzati” cercai di farlo ragionare sulla cosa. Non avevo idea se la sua era ironia o meno, ma non volevo di certo scoprirlo.
“E chi parlava di lavori forzati?” chiese lui con un cipiglio divertito alzato “Io intendevo un altro tipo di lavori, magari più semplici da svolgere ma che fanno sudare in ugual modo” aggiunse poi, sporgendosi in avanti da seduto sul letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e ghignando.
Compresi velocemente cosa intendesse e non potei che rimanermene sorpreso e incuriosito da tanta audacia.
Quel tizio era davvero…
“Non dovrebbe pensare a certe cose un ragazzino come te, sei ancora piccolo” lo ribeccai mentre sul mio volto si intravedeva un accenno del mio ghigno.
Stava giocando, questo mi poteva permettere di girare la situazione a mio favore. Sapevo esattamente come fare.
Lo vidi fare una smorfia al mio nomignolo “Oh andiamo, avrai, quanto, ventidue anni? Due o tre più di me comunque…” affermò infatti leggermente infastidito.
“Ventiquattro a dire il vero” lo corressi, divertendomi a stuzzicarlo.
“Non cambia la cosa” rispose infatti schietto.
Si guardò la bottiglia di vetro vuota in mano “Quindi, che farai con me?” decisi di domandare alla fine.
“Navigherai con noi per ora” affermò dopo un po’, si rimise in piedi per poi darmi le spalle “Per il resto vedremo” aggiunse mentre si dirigeva alla porta “Forza andiamo” mi incentivò.
Sorrisi soddisfatto “A quanto pare sarò in debito con te Portuguese-ya” dissi.
“Puoi sempre pagarlo in natura se vuoi” mi propose lui, voltando la testa per lanciarmi un sorrisetto malizioso.
“Con tutto il rispetto, ma non me la faccio con i ragazzini” ribattei.
“Ah no? Eppure la faccia da psicopatico ce l’hai” mi contraddisse “Hai pure le occhiaie”
Sbuffai una risata “Almeno io non vado in giro a torso nudo sventolando la mia ninfomania in faccia a chiunque”
Sul suo viso si formò un caloroso sorriso “Un vero peccato, lo apprezzerei” affermò prima di ridarmi le spalle ed uscire.
Che tipo. Ma davvero un soggetto simile era il secondo uomo più fidato di un Imperatore?

 




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'Autrice:

Ciao a tutti, spero che questa storia possa interessarvi. Ci sono molto legata e ultimamente l'ho portata a termine e ho deciso di postarla.
Sinceramente non è una coppia di cui sono molto fan, infatti è stato un po' complicato scrivere di loro due. Però dopo la saga di Dressrosa mi sono fatta due domande, e mi sono chiesta se Ace e Law si fossero mai incontrati e se sì in che modo potesse essere avvenuto. Sono i miei personaggi preferiti e devo ammettere che sotto certi versi durante questa storia ho notato che sono molto simili. Vedrete poi se siete d'accordo con me o no.
Per quanto riguarda questo capitolo, Ace è un arrogante presuntuoso, lo sappiamo tutti (io lo adoro per questo), quindi penso sia un tipo abbastanza diretto a dire certe cose, se vede qualcuno che gli piace per me glielo dice e basta. Vedremo se Law sopravvivrà a questa vacanza forzata e come andrà finire.
Spero vi sia piaciuto, se volete fatemi sapere, l'importante è che leggete!
Al prossimo capitolo, a presto!
Bye-bye



 

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Capitolo 2
*** Primo Giorno_Parte 2 ***







 
Fire Of The Sea
 



Primo Giorno_ Parte 2
 
















Feci una smorfia quando andò a premere sulla ferita sopra la clavicola con il cotone disinfettato. Ma era davvero necessario che me ne stessi a torso nudo in infermeria mentre quel… Ron mi torturava con la sua incompetenza medica?
“Mhpf…” non riuscii a trattenere un lamento quando tamponò la parte della ferita più esposta all’esterno e cercai di scansarlo, con pochi risultati.
“Sta fermo” mi ammonì lui continuando il suo lavoro.
Era fottutamente umiliante.
Io, Trafalgar D. Water Law, il Chirurgo della Morte, che mi facevo medicare da un inetto che aveva avuto difficoltà perfino a capire quale fosse il disinfettante.
Come c’ero finito lì? Ah, già un tornado, vero. Un fottuto tornado che non aveva avuto un cazzo da fare in quel momento che passare per quell’isola proprio durante il momento dello scontro con quel pirata da quattro soldi.
“Avevo detto che non ce n’era bisogno” mi sentii in dovere di ricordare.
Non era ancora passata la giornata, ed ero di nuovo lì dentro con quel tizio, quando avrei potuto andare fuori e seguire in giro capitano. Ovviamente per assicurarmi della mia stabile posizione su quella nave, mica per altri scopi.
“Certo” mi rispose Ron continuando mentre imbeveva ancora il cotone “Ma se non tieni pulita quella ferita, finirà per infettarsi. E tu non vuoi questo, no?” mi chiese. Non era del tutto ironico, ma neppure acido nella voce. Era una mescolanza strana tra le due cose.
Stette per avvicinarsi ancora a me ma glielo impedii alzando una mano “So benissimo cosa farà, non ho certo bisogno che me lo dica tu” feci in modo acido. Le sue conoscenze erano basilari, quasi superficiali, sulla materia. Questo mi infastidiva. Ero sempre stato del parere che per la medicina ci si dovesse interessare per impararla, altrimenti lasciala stare e basta.
Mi guardò serio in volto e stette per dire qualcosa ma inarcò un sopracciglio e domandò “Cosa sei, una specie di dottore anche tu?” e, anche se avrei voluto rispondergli che a differenza sua io ero un vero dottore, rimasi zitto, tanto che lui lasciò perdere a cosa per poter dire “Se lo sai allora vedi di non fare tante storie, ne hai bisogno”
Si avvicinò di nuovo ma io lo evitai ancora, facendogli segno di non avvicinarsi ancora a me “Non ho detto di non averne bisogno” lo corressi educatamente “Ho detto che non ce n’era bisogno del tuo aiuto”
Lo vidi lasciarsi andare in un sorrisetto “Per essere uno sempre zitto e impassibile sei parecchio arrogante, te l’hanno mai detto?” mi domandò.
Ghignai “In un certo senso, sì”
“Lo immaginavo” sbuffò stanco “Comunque… anche con tutta la forza di volontà che disponi, in una posizione simile ti è scomodo automedicarti” ragionò il ragazzo. Aveva ragione, certo, ma per quanto fossi caduto in basso in una situazione simile, avevo ancora il mio orgoglio.
“Non è un problema” insistetti, spostando per l’ultima volta quel batuffolo di disinfettante da me.
Ron alzò le mani in segno di resa “Come vuoi” fece posando al loro posto gli attrezzi per poi uscire dall’infermeria a passo spedito, probabilmente irritato dalla mia mancanza di rispetto e tatto. Ma tanto non me ne fregava niente.
Mi alzai dal lettino e presi gli attrezzi che mi servivano per medicarmi. Buttai il cotone e ne presi uno nuovo con le pinzette, lo bagnai nel disinfettante e lo applicai sulla ferita con lentezza, stringendo i denti quando la sentii bruciare “Merda, che male…” mormorai nella stanza tra me e me.


Sentii la porta aprirsi e non mi voltai a guardare chi fosse, già immaginandomelo “Ho visto uscire Ron borbottando qualcosa su come tu gli stia simpatico” disse Ace infatti con tono divertito “Ma che gli hai fatto?” domandò avvicinandosi.
“Gli ho solo detto che potevo fare da solo” mi difesi, mentre mettevo a posto gli attrezzi. Guardai la garza da una parte, indeciso se usarla. Non vedevo bene la mia ferita dato che era praticamente sotto il mio collo ma aveva smesso di sanguinare, probabilmente lasciandola all’aria fresca si sarebbe cicatrizzata prima dandomi meno noie. Anche se ora come ora mi bruciava parecchio, tirandomi i muscoli, forse era meglio prendere qualcosa per il dolore.
“Fare il dottore è il suo lavoro” ribatté lui.
Voltai lo sguardo e lo vidi nell’intento ti osservarmi il petto scoperto, un accenno di un sorriso di compiacimento in viso. Era proprio senza pudore.
Mi voltai verso la credenza e trafficai in cerca di qualcosa che potesse tornarmi utile “Le sue competenze mediche sono abbastanza basilari per essere il medico di bordo di una delle flotte di un Imperatore” commentai con ironia.
Lo sentii ridere alle mie spalle mentre io trovavo ciò che cercavo e lo prendevo “E allora?” chiese divertito “Deve saper chiudere qualche ferita, il resto non serve” commentò e questa volta non potei trattenermi io  dallo sorridere.
“E poi vengo accusato io di essere l’arrogante” affermai, ghignando mentre mescolavo le erbe in una ciotola, macinandole. Per essere superficiale quel medico, aveva un infermeria ben organizzata con tutto. Un vero spreco.
Guardai dietro di me con la coda dell’occhio e lo vidi nell’intento di squadrarmi il culo. Inarcai un sopracciglio a quella sfrontatezza e lui alzò lo sguardo, notando che lo avevo beccato e cercò di sorridermi in modo innocente, come una bambino. Oh, era pure arrossito. Quest’uomo le aveva tutte, non c’è che dire.
“La mia non è arroganza, è…” cercò di parlare ma si bloccò, probabilmente perché finalmente aveva notato che stessi trafficando con attrezzi di medicina “Sei un dottore per caso?” mi domandò, cambiando tono, l’imbarazzo del tutto sparito, rimpiazzato dalla curiosità.
Presi da un cassetto una siringa, la disinfettai per sicurezza per poi riempirla del liquido che avevo preparato “Cosa te lo fa pensare Portuguese-ya?” domandai con ironia.
“Sembri nel tuo habitat naturale” rispose.
Sorrisi di striscio, girando il braccio sinistro per indirizzare la parte interna verso l’alto “Dovrebbe essere un complimento?” chiesi provocatorio per poi iniettarmi quella roba.
Mi sentii subito meglio. Mossi appena il collo e sentii il dolore pian piano sparire, fino completamente. Avvertivo una certa stanchezza ma tutto sommato era appagante non sentire più quell’odioso bruciore. La medicina era magica, l’adoravo proprio.
“Una specie” rispose il tizio dietro di me.
Mi voltai allora verso di lui, l’accenno di un sorriso in volto “Parecchio scadente allora” lo presi in giro, per poi appoggiarmi con la schiena al ripiano medico, avendo bisogno di un sostegno.
Lo vidi sorridermi “Posso sempre fare di meglio” annunciò.
“Ad esempio?” lo istigai a continuare.
Ace si avvicinò a me “Ad esempio…” iniziò, facendo passare il proprio sguardo dal basso verso l’alto su di me per poi posarsi sui miei occhi, erano pieni di malizia i suoi, lascivi, luminosi e sì, parecchio intriganti.
Sentii le sue dita posarsi sul mio petto, non distolsi lo sguardo dal suo per vedere dove ma ero certo stessero tracciando il mio tatuaggio sul torace “Potrei cominciare da questi tatuaggi che ti adornano il corpo rendendoti incredibilmente sexy” finì di dire.
Era incredibile come il suo senso del pudore fosse inesistente “Come siamo espliciti, Capitano-ya” lo presi in giro, sapendo che non gli piacesse quel nomignolo.
“Ti ho detto di non chiamarmi così” si lamentò infatti, facendo una piccola smorfia contrariata, quando staccò le sue mani da me mi sembrò notare solo in quel momento quando fossero calde e roventi in effetti.
“Non lo neghi neanche un po’?” mi ritrovai a chiedergli, troppo impuntato per permettergli di cambiare argomento così.
Inarcò un sopracciglio “Cosa, il fatto che sei sexy? No, affatto. E dubito fortemente che tu ne sia inconsapevole” rispose, l’ironia nel suo tono di voce abbastanza presente per farmi sorridere.
“Parlavo del tuo modo spudorato di provarci con un altro uomo, Portuguese-ya”
Lo vidi sorridere ampiamente “Perché dovrei? Se la cosa ti da fastidio basta dirlo, tolgo subito il disturbo” si affrettò a dire per poi guardarmi con divertimento “Anche se, con la lingua che ti ritrovi, penso che se ti avesse dato fastidio lo avresti già fatto. O sbaglio?” mi chiese mentre si avvicinava ancor di più al mio viso  col suo.
Osservai le sue iridi nere splendere, sembravano due braci infuocate.
“No” risposi, sincero “Continua. Vediamo dove riesci ad arrivare” aggiunsi, con tono di sfida e un ghigno in volto.
Lui ricambiò il sorriso con uno di malizia “Oppure…” disse appoggiando una mano sul banco dietro di me, tenendo il braccio accanto alla mia vita, con uno spazio minimo tra le sue dita e il mio corpo in cui ci sfioravamo, mi sembrava di sentire quel calore affianco a me, così vicino, così allettante “Potremmo passare semplicemente al sodo, se preferisci” finì di dire, il suo respiro caldo sbatteva contro di me, i suoi occhi fissi nei miei, mentre una della sue gambe si insinuava tra le mie sfiorandomi il cavallo e bloccandomi totalmente contro quel ripiano.
“Capitano!” sentii urlare da fuori appena in tempo e Ace sbuffò infastidito prima di staccarsi da me, lasciandomi al freddo, come se il fuoco se ne fosse appena andato.
“Meglio che torni sul ponte” affermò mentre si sistemava il cappello in testa e si avviava verso la porta, non prima di avermi lanciato uno sguardo dicendo “La mia proposta rimane sempre valida” ed allontanandosi.
“Proposta?” ripetei, prima che uscisse “Pensavo di non avere diritti in quanto tuo schiavo” affermai.
Lui alzò un braccio, poi lo lasciò cadere sull’anta di legno della porta, come se stesse pensando sul da farsi “Ospite” mi corresse, voltò la testa su di me, accennando un sorriso “E… puoi rimanere a bordo fin quanto lo desideri, non ti obbligherà nessuno” affermò infine prima di sparire oltre la porta.
Rimasi un attimo a riflettere da solo, chiedendomi cosa sarebbe successo se ci avessero interrotti, se fossi andato fino in fondo. Non ne avevo idea, probabilmente no.
Nonostante ciò però mi ritrovai a sorridere.
Tutto stava andando come desideravo.



 


Guardai con un sopracciglio inarcato il viso del moro sprofondato in parte dentro il piatto, le punte dei capelli erano completamente inzuppate di brodo e il rumore di un russare abbastanza alto mi arrivò alle orecchie. Non pensavo che sarei vissuto abbastanza per assistere ad una scena simile. Vedere un narcolettico svenirti davanti non era roba di tutti i giorni.
“Succede spesso?” domandai. Attorno a me il resto degli uomini al tavolo sembravano abbastanza tranquilli della cosa.
Ron fu l’unico a degnarsi di darmi la sua attenzione “Mentre mangia sì, tutte le volte” rispose.
Osservai con attenzione il ragazzo addormentato nel posto a tavola di fronte a me, lo stesso che un ora prima aveva insistito come se ne valesse della sua vita che mi sedessi lì con loro per cenare.
“Quanto dura?” domandai allora. Qualcosa mi diceva che su quella nave non erano dei gran timidoni, visto il capitano, il leggero silenzio che aleggiava nell’aria doveva essersi creato per via della mia presenza.
Non che me ne fregasse, intendiamoci, ma d’altra parte non potevano sul serio credere che non me ne fossi accorto quanto entrai nella sala da pranzo e tutti si erano voltati verso di me zittendosi.
“Varia. Dai quindici minuti alle due ore” mi rispose sempre il presunto medico di bordo mentre masticava il suo sandwich.
Pane. La mia attenzione cadde su di questo. Era ovunque sopra il tavolo. C’era troppo pane.
“Allora Water…” sentii dire da qualcuno accanto a me “Eri per mare quando ti ha colpito il tornado?” domandò.
Presi una forchettata della mia carne e me la portai alla bocca “Ero su un isola” lo corressi, il tono piatto.
“Oh, che isola?” domandò interessato il mio interlocutore, sembrava attivo e emozionato nel parlarne, come se fosse una sua passione.
“Non lo so” risposi io monotono “Era deserta” aggiunsi masticando.
Il tipo al mio fianco si fece pensieroso da come lo sentii verseggiare mugolii “Che ci facevi su un isola disabitata?” domandò voltandosi verso di me.
Non mi voltai e non risposi poiché qualcuno lo fece per me “Glielo chiedi pure, Jack?” gli domandò qualcuno con tono irritato di cui riconobbi la voce grossa e bassa.
Alzai lo sguardo sul presunto ‘Jack’ e notai quanto fosse giovane anche lui. Sedici anni gli avrei dato, forse il più piccolo lì dentro. Capelli biondo cenere, occhi scuri, viso a punta e orecchie a sventola, nulla di che, roba già vista e rivista.
“Gli si legge in faccia che è un pirata anche lui, mi stupisco tu non ci sia già arrivato” continuò quella voce che avevo subito collegato all’uomo a cui stavo molto simpatico, Jura.
Quindi Portuguese-ya se n’era stato zitto. Mi stupì che non avesse dato la notizia subito non appena lo avesse scoperto, anche al resto della ciurma, sembrava che il fattore che anch’io fossi della pirateria non lo importasse o riguardasse neppure. Cosa strana, io almeno avrei tenuto la guardia alzata al posto suo, invece lui sembrava a dir poco tranquillo.
Jack mi guardò sorpreso “Sei un pirata?” domandò.
Mi limitai a face un cenno d’assenso al ragazzino, per poi tornare a mangiare “Non lo neghi neanche?” mi arrivò all’orecchio la domanda dell’uomo, aspra e dura.
“Perché dovrei farlo?” ribattei con un'altra domanda, mangiando un altro boccone e riempiendomi la bocca “Non ho mai avuto l’intenzione di nasconderlo” aggiunsi poi dopo alzando lo sguardo sull’uomo tre posti alla mia sinistra e dall’altra parte del tavolo, i miei occhi inespressivi si incontrarono con quelli scuri ed irritati di Jura che non sembrò soddisfatto della mia risposta. Un problema suo, non mio.
“Grande!” sentii dire dal ragazzino al mio fianco “Di che ciurma fai parte?” mi domandò tutto euforico.
“Jack…” fece qualcuno con il tono esasperato.
“Che c’è? Sono curioso” si difese questo verso quella persona.
“Non te lo dirà mai” voltai lo sguardo su Jura che ghignava “Perché è un bastardo” aggiunse e si levò in sala una piccola risata generale, lui era grosso e tozzo con qualche accenno di barba e pochi capelli neri in testa “Che c’è non dici niente?” mi domandò poi con tono di sfida “Andiamo, Water. Facci divertire, dì qualcosa…” aggiunse.
Riportai il mio sguardo sul piatto, affettandomi la carne “Non ho bisogno di dire qualcosa, non ho da dimostrare niente a nessuno” affermai “Mi abbasserei soltanto al tuo livello rispondendoti” aggiunsi duro.
“Abbassarti al mio livello?” ripeté disgustato Jura “Woah, scendi dal piedistallo pivello. Sei solo un ragazzino che ha preso il mare troppo presto” affermò con acidità, il sorriso scomparso dalla sua bocca.
Mi fermai “Ragazzino?” ripetei io freddo. Non era la prima volta che per mare mi avevano chiamato così, affatto, erano innumerevoli, ma non so come il tono che usò mi fece portare a galla ricordi spiacevoli.
“Il tuo capitano ha meno dei miei anni e tu sottostai ai suoi ordini” aggiunsi alzando lo sguardo sull’uomo “Chi è il pivello ora?” domandai.
Jack di fianco a me soffocò una risata, sotto l’occhiataccia di Jura “Attento a come parli” affermò questo infatti prendendo un coltello e puntandolo verso la mia direzione “Mi dispiacerebbe sfigurarti quel bel visino che ti ritrovi” minacciò.
Lo guardai con autosufficienza, mentre la grassa risata di qualcuno echeggiò nell’aria “Zeahahahah, mantieni la calma Jura. Ace non vuole che lo si sfiori con un dito il ragazzo.” affermò un uomo di grossa stazza in fondo alla tavola con barba ispida, capelli ricci mentre mangiava una crostata.
“Fatti i cazzi tuoi Teach, torna a mangiare” ribatté Jura verso il compagno che per tutta risposta rise ancora “Questo è un problema tra me e questo figlio di una cagna” aggiunse ancora l’uomo tornando a guardarmi male.
Iniziava a rompermi davvero “Tu lo chiami problema. Io lo chiamo complesso di inferiorità nei miei confronti” replicai.
“Inferiore io, a te?Ah!” domandò con incredulità Jura forzando una risata amara per poi farsi serio e sporgersi sopra il tavolo “Sentimi bene, idiota. Fammi il favore di toglierti dalle palle il prima possibile, mi sembra che tu stia già meglio infatti”
Mangiai un boccone “Il tuo capitano mi ha detto che posso rimanere fino a quanto lo desidero” gli dissi.
“Perché dovresti rimanere qui più del dovuto? A cosa punti?” mi domandò con leggera rabbia “Soldi? Non ne abbiamo, tutto quello che arraffiamo lo spendiamo per sfamare quel pozzo senza fondo” affermò indicando il capitano ancora addormentato sopra la sua ciotola che non accennava a riprendersi, in effetti prima che perdesse i sensi avevo notato il suo notevole appetito, chissà quanto spesso dovevano fermarsi a fare scorte.
“L’oro è l’ultimo dei miei pensieri” feci notare con tono piatto, annoiato.
“La fama allora” insistette.
“Neppure”
“Si come no. Tu vuoi un nome. Ti ho cercato sui manifesti e lì non risulta nessun Water” replicò quell’uomo con un tono sempre più accusatorio, di cosa non ne avevo idea.
Tanto che mi stancò, la fame mi era passata, abbassai le posate e alzai lo sguardo sul mio interlocutore “Dove vuoi andare a parare?” domandai alla fine, senza giri di parole o giochetti stupidi, volevo la verità schietta e cruda sul tavolo, subito.
Tutti erano zittiti ad ascoltare quella conversazione di botta e risposta come se fosse lo spettacolo della serata mentre Jura mi osservava con due occhi furenti e accusatori. Mi stava palesemente stancando. Prima mi insultava poi tergiversava su qualcosa di probabilmente insensato sul mio conto. Non vedevo l’ora di sapere cosa.
Quando aprì bocca praticamente ringhiò come un cane “Tu vuoi la testa del babbo, punti a quello” accusò e nella sala si alzò un mormorio lieve.
Come previsto, la cosa più insensata del mondo “Che?” affermai inarcando un sopracciglio scettico.
Lui andò avanti convinto “Pensi che rimanendo a bordo prima o poi ci riuniremo con lui. Pensi di poter arrivare alla testa del babbo con facilità e di farti un nome in un batter d’occhio” spiegò con disprezzo nella voce.
A me sembrava assurdo, ma così assurdo che sentivo che se mi sarei buttato a terra a morir dalle risate non mi sarei neppure accorto di starlo facendo. Certo, se io fossi uno che ride spesso.
Lo sembrò anche per il resto dell’equipaggio perché più voci contemporaneamente si elevarono “Oh, andiamo Jura, non è tanto sciocco da farlo” riuscii a distinguere tra esse quella di Ron.
“Io penso di sì” ribatté prontamente l’uomo non staccando lo sguardo da me “Per me è soltanto un ragazzino che ha preso il mare tanto per fare un dispetto ai propri genitori e che non ha idea di come giri il mondo, per questo tiene così alta la testa”
Sentii un formicolio lungo la schiena. Fu come un flash continuo di immagini, mi passò tutto davanti agli occhi di nuovo. Tutto quello che avevo passato, provato, era tutto lì, appena sotto la superficie e che si faceva sentire ancora vivo, come se quelle ferite bruciassero ancora nonostante fossero passati anni da allora.
Abbassai la testa, usai una mano per sistemarmi il cappello, abbassandolo leggermente sugli occhi. Per fortuna che avevo lasciato la spada al mio equipaggio, se fosse stata con me in quel momento non potevo essere certo che non ne avrei abusato.
Mentre gli altri cercavano di far ragionare l’uomo di quanto fosse ridicolo quello che aveva appena affermato aprii bocca “Non ho nulla di personale contro di te, gradirei tu dosassi le parole per non farmi ricredere di ciò” affermai freddo, gelido, duro, ma dal tono di voce era difficile capire cosa mi stesse frullando nella mia testa.
Certo, perché ero io. Parlavo con tono tranquillo e pacato di chi non poteva fregarsene di nulla mentre la tensione che emanavo sembrava quella di un congegno meccanico pronto ad esplodere. Era questo l’effetto che facevo quando la gente varcava il limite, quello di un mietitore che osserva la sua vittima con assoluta calma, indeciso su come spazzare via la sua anima.
Lo sentii ridere in mezzo la sala di nuovo zittita “Perché ci ho azzeccato?” domandò con tono derisorio “Altrimenti che mi fai? Mi colpisci col cappello?” domandò ridacchiando, una o due risate si aggiunsero.
Fanculo a tutto, non mi sarei fatto mettere i piedi in testa da nessuno.
“Jura adesso basta” sentii dire.
“Calmo Ron, voglio solo fare due chiacchiere” rispose l’energumeno.
“No, lo stai attaccando” ribatté Ron “Non mi sembra il caso di…” ma lo interruppi.
“Tranquillo Dottore-ya, è tutto a posto” intervenni “Ha solo espresso la sua opinione, io lo faccio sempre, è più che giusto che lui faccia lo stesso” risposi.
Sentii Jura sogghignare “Visto?” affermò ridendo verso il suo compagno “Sono solo due chiacchiere”
Sospirai “Che delusione. Questi sono gli uomini di un Imperatore? Siete molto sopravvalutati fuori di qui. Tuttavia…” affermai alzando lo sguardo glaciale sullo stronzo che lo vidi rabbrividire “…per il resto sembra che le voci siano vere. Il vecchio Barbabianca non si regge più in piedi tanto da passare il suo tempo nel tranquillo Mare Orientale a girovagare in attesa che giunga la sua ora”
“Prova a ripeterlo se hai il coraggio!” sentii urlare da qualcuno n sala.
Jura mi lanciò uno sguardo assassino “Attento a quello che dici bastardo” affermò a denti stretti “Una cosa è se te la prendi con me, un'altra con il babbo. Non sei nel posto giusto per lasciare certi commenti” mi fece notare.
Lo ignorai, sentivo le mani prudermi e la voglia di alzarmi e la voglia di stuzzicarlo era tanta “Tsk, babbo?” ripetei facendo una smorfia “Lo consideri un padre un codardo che scappa dalle stregue del Nuovo Mondo?” domandai.
Mi raggiunse subito e si sporse sul tavolo per afferrarmi per il colletto della felpa, più di una persona si alzò da tavola per intervenire “Credi di essere spiritoso?!” mi urlò in faccia digrignando tra denti.
Io ero calmissimo “Sto cercando di esprimere la mia opinione sui fatti” feci in tono innocente per poi aggiungere in tono più duro “E poi stai ben certo, che l’ultima cosa a cui punto è la decrepita testa di un vecchio smemorato. L’unica testa che poteri volere al momento è la tua”
Non appena finii di parlare il pugno che mi arrivò mi fece ritrovare a terra. Portai una mano alla guancia, passandomela fino alla bocca per poi osservarla se ci fossero tracce di sangue e ne trovai un poco. L’ultima volta che avevo preso a cazzotti qualcuno risaliva alla mia adolescenza, in quel momento avrei voluto la mia Nodachi insieme a me certo, ma non mi sarei tirato indietro a una scazzottata. Soprattutto con quell’energumeno del cazzo.
“Ora basta mi hai stancato!” stava dicendo l’uomo su di me pronto a riversarmi contro un altro colpo.
Era il doppio della mia stazza, dovevo inventarmi qualcosa.
“Jura, fermo!” urlò qualcuno quando questo caricò e scagliò il colpo.
“Vediamo adesso se fai ancora lo spiritoso!” disse e prima che il pugno mi colpisse mi spostai di lato, lasciandolo colpire il pavimento in legno che si incrinò, per poi rialzarmi in piedi facendo un passo indietro per tenermelo ad una certa distanza “Tutto qui?” mi domandò derisorio.
Per tutta risposta gli mostrai un sorriso sfrontato e questo bastò per farlo arrabbiare e fiondarsi su di me. Deviai il primo colpo e per un pelo anche il secondo, poi lo colpii nella bocca dello stomaco ma lo feci soltanto sobbalzare dalla sorpresa, che non appena si riprese mi assestò un pugno in faccia e mi spaccò così il labbro inferiore a destra. Ricambiai il gancio, e gliene diedi tre, che lui però contraccambiò con uno alla spalla che non deviai in tempo ma comunque mi allontanò abbastanza da lui da rifilargli un calcio nello stomaco e farlo finire a terra.
Approfittai dell’attimo per pulirmi il labbro sporco di sangue, perfetto, altre ferite da disinfettare, che rottura. Mi passai una mano sulla spalla colpita, la ferita sulla clavicola aveva iniziato a bruciarmi, doveva essersi riaperta.
Vidi Jura alzarsi da terra in fretta ma io non mi preparai a difendermi, sicuro che lo scontro fosse finito lì, dato che i suoi compagni avevano approfittato del momento per tenerlo fermo e bloccarlo.
“Jura basta!” gli gridò un uomo afferrandolo per le braccia.
“Lasciatemi! Voglio solo dargli una lezione” affermò arrabbiato “Deve imparare a stare al suo posto il moccioso!” aggiunse e per poco il povero Jack che provava a tenerlo bloccato per l’addome per poco fu sbalzato via.
“Ma che diavolo ti prende?!” urlò Ron, accanto a lui che assisteva alla scena, arrabbiato.
Jura posò gli occhi su di lui, furente “Mi prende che stiamo ospitando sulla nave un bastardo simile mentre dovremmo buttarlo in mare!” dichiarò esplicitamente “Non posso crederci che voi vi facciate fottere da questo qui con tanta facilità!” aggiunse.
Non mi trattenni dal commentare “Perché tu sei un esperto in materia, dico bene?” chiesi con un ghigno.
Gli vidi il viso prendere un colorito rosso “Bastardo!” gridò cercando di avanzare verso di me ma venne trattenuto “Vieni qui! Te lo tolgo io quel sorrisetto dal viso!” gridò.
“Basta Jura!” provò ad ordinargli Ron “Fermati!”
Fu inutile perché si liberò dalla stretta dei tre uomini che lo tenevano e venne verso di me “Lo uccido io questo qui” affermò e per poco cadde scivolando sulla birra versata a terra di prima “Prendi questo!” mi urlò contro scagliandomi l’ennesimo pugno.
Lo schivai con facilità “Non riesci neppure a stare in piedi, come pensi di farlo?” gli domandai rifilandogli poi un pugno in viso con tutta la forza che avevo.
Venne sbalzato indietro e fu costretto a mettersi una mano davanti al viso per i fiotti di sangue che uscivano dal naso, mi sa che glielo avevo rotto.
Guardò le sue condizioni e poi guardò me furioso “Mi hai rotto il cazzo marmocchio” affermò tornando alla carica mentre cercavano di bloccarlo ancora.
Però io ero stufo.
Ora basta, pensai. E unii le dita pronto a formare una Room, deciso una volta per tutte di sbarazzarmi di quel tipo che si avvicinava a gran velocità verso di me.
“Fermi subito! È un ordine!” risuonò nella stanza una voce autoritaria e immediatamente sia io che l’energumeno ci fermammo, voltandoci entrambi verso la figura del bel addormentato che si era svegliato.
“Capitano…” disse Jura come per voler dire qualcosa. Io rimasi semplicemente zitto e fermo, serio ed immobile sul posto, osservando Portuguese serio come non avevo mai visto.
“Cosa cazzo sta succedendo qui?” chiese infatti, duro e serio guardandoci entrambi uno a uno, aspettando che uno dei due rispondesse.
Jura saltò subito su “Non è come crede capitano, ha iniziato lui! Mi ha provocato ed ha insultato il babbo!” mi accusò guardandomi in cagnesco. Patetico.
“Non è vero, hai iniziato tu!” mi difese il dottore accanto a lui beccandosi uno sguardo omicida dal compagno.
“Taci Ron!”
“Taci tu! Stai dicendo un mare di cazzate per girare la situazione a tuo favore!” lo accusò, alterato anche lui.
“Ha insultato il babbo, lo avete sentito tutti” ribatté Jura guardando il resto degli uomini che rimasero zitti.
Ron provò lo stesso a contestare “Ma sei tu ch…” ma non finì di parlare che il capitano lo interruppe.
“Ho sentito abbastanza” decretò Portuguese, voltando poi lo sguardo su di me facendo così incrociare i nostri occhi “Tu hai qualcosa da aggiungere?” mi domandò.
Lo scrutai per un attimo, rimanendo in silenzio a ragionare per un secondo quale fosse la scelta migliore per il momento. Non era passata neppure una giornata che aveva già un tipo contro, di sicuro non ispiravo simpatia a tutti e al momento a parte il dottore e il capitano (forse anche il fantomatico Jack) nessuno era dalla mia parte. E nonostante questo, non avevo idea di quanto ci avrebbero messo i miei uomini ad arrivare.
“Ha ragione” affermai alla fine in tono sicuro “Ho detto ciò che non dovevo dire” aggiunsi “Non ero lucido, mi scuso con voi per il mio comportamento. Se vi ho offeso, non era mia intenzione”
Ci fu un attimo di silenzio, in cui tutti mi guardavano attoniti, come non si aspettassero per niente che mi autoaccusassi, anche Ace mi guardò con stupore e un sopracciglio inarcato, come se non riuscisse ad inquadrarmi o capire cosa mi frullasse in testa. Che ci provasse a capirmi, nessuno ci riusciva tanto.
“No tranquillo…” fece Jack spezzando il silenzio, in mia direzione “Non ce la siamo presa, non devi scusarti…” affermò.
Stette per dire qualcosa Ace ma Jura parlò prima di lui “Meglio che si scusi. Anzi, è già tanto se le accetteremo” volle precisare, la mano ancora sul naso sanguinante.
Voltai il mio sguardo verso di lui, e lo guardai nel modo più duro e freddo possibile “A dire il vero stavo parlando col resto dell’equipaggio”  gli feci notare “Con te non mi scuso affatto” aggiunsi.
Lo vidi digrignare i denti e guardarmi male “Bastardo…” mi chiamò.
“Quello che ho detto su di te, lo penso davvero. Ogni cosa” Aggiunsi con voce pacata, dosata e fredda per poi voltare il mio sguardo attorno a me, notando il tavolo dove prima mangiavo rovesciato a terra “A meno che abbiate ancora bisogno di me, mi ritirerei nella mia stanza. Ho finito di mangiare e sono stanco” affermai poi facendo qualche passo nella stanza verso la porta, affiancando così il capitano della nave “Portuguese-ya” salutai con un cenno della testa, appena ricambiato, superandolo e dirigendomi verso l’uscita dalla porta.
Sentii appena qualche urla in mia direzione da parte di Jura ma non me ne curai, perché venne soppresso subito dalla voce ferma e decisa del capitano. Apprezzai questa sua versione più decisa e responsabile, mi fece intendere che almeno sotto quella superficie da spavaldo pieno di sé, un capitano con le potenzialità giuste ci fosse.
Imboccai il sottocoperta e mi diressi in infermeria, dove mi distesi sul letto in cerca di un poco di pace. Mi passai la mano sulla bocca, per togliere le ultime tracce di sangue dal viso, poi posai le braccia dietro la testa e cercai di dormire. Era stata una giornata abbastanza pesante, per essere stata solo la prima.













Note dell’Autrice:

Ciao a tutti! Grazie infinite per aver letto e soprattutto chi ha recensito, sono contenta che la storia piaccia e spero tanto che continui a piacere. Fatemi sapere comunque, eh.
In questo capitolo le cose si sono fatte movimentare, a parte l’assenza del pudore di Ace abbiamo un Trafalgar esasperato dalle accuse, spero vi abbia fatto piacere. Voglio metterlo subito in chiaro: Non sono per nulla d’accordo con quello che dice Law sugli uomini di Barbabianca. Noi sappiamo poco di questa ciurma, troppo poco (troppo poco perfino su Ace)  ma durante Marineford ci è stato chiaro che non vengono visti bene perché Barbabianca è vecchio, non mira allo One Piece nonostante abbia tutte le qualifiche per trovarlo e piuttosto allarga la sua famiglia navigando nel Mar Orientale che è quello più tranquillo tanto da far credere di star perdendo colpi. Per quanto io lo adori per questi suoi principi, per chiunque altro personaggio in One Piece non è normale che un pirata faccia così. Non ho idea se Law sia dello stesso parere come tutti gli altri (per me non se ne è mai interessato e basta) oppure no, comunque sia se sapete qual è il passato di Trafalgar sapete che lanciargli certe accuse non deve fargli piacere e l’unico modo per ferire nell’orgoglio un uomo di Barbabianca è quello di insultare il capitano, di cui vanno immensamente fieri. Quindi vi prego, non insultatemi :)
Per chi volesse sapere come continuerà la difficile e complicata convivenza, ci vediamo la prossima settimana con il prossimo capitolo! Grazie ancora, alla prossima.
Bye-bye




 

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Capitolo 3
*** Secondo Giorno ***













 
Fire Of The Sea




 
Secondo Giorno 




















Mi svegliai che dovevano essere le undici di mattina, mi tirai su dal letto sentendomi stranamente stanco. L’effetto dell’antidolorifico doveva esser finito lasciandomi le forze prosciugate, avrei dovuto ritornare a letto e riposare ma al momento non ebbi voglia. Preferii alzarmi e andare a cercare in un ripiano della credenza dell’infermeria il disinfettante. La ferita sotto al collo aveva iniziato di nuovo a bruciarmi, probabilmente il piccolo scontro della sera prima non gli aveva fatto bene.
Trovai quello che cercavo e immersi nel liquido un cotone con le pinzette per poi provare ad applicarmelo sopra la ferita, andando a tatto dato che non riuscivo a vederla. Cosa scomoda, sbuffai mentre cercai nella credenza qualcosa che potesse aiutarmi. Guardai tra gli attrezzi da odontotecnico, di solito si teneva sempre uno specchietto, trovai quello che  cercavo e anche se era molto piccolo mi accontentai e cercai di manovrare le pinzette per disinfettarmi.
“Che seccatura…” commentai mentre a fatica mi tamponavo il taglio. Non era poi così profonda come ferita, era spessa, questo sì e per questo faceva male,  come profondità sarebbe bastato un po’ meno di un mese e si sarebbe completamente rimarginata.
Mentre ero nell’intento di prestarmi le adeguate cure sentii bussare alla porta “Avanti” feci, ma sapevo già chi avrebbe varcato quella porta, data l’insistenza di una certa persona.
Infatti non alzai lo sguardo quando questa si aprì facendo sbucare all’interno della stanza la testa di Ace “Sono venuto a dirti che abbiamo avvistato un isola. Tra un ora sbarcheremo per fare provviste” affermò facendosi avanti ed appoggiando qualcosa su un ripiano “Ti ho portato anche dei vestiti puliti, credo siano della tua taglia, più o meno” aggiunse.
“Grazie, Portuguese-ya” dissi solo, concentrato com’ero con lo specchietto a disinfettarmi.
Lo sentii ridacchiare, probabilmente guardandomi in quella situazione “Vuoi una mano?” domandò.
“Non ne ho bisogno” risposi subito.
Sentii la porta chiudersi e successivamente dei passi avvicinarsi “Dai qua, faccio io” sentii dire poco prima che mi venisse strappato dalle mani le pinzette e il disinfettante.
Alzai lo sguardo, scontrandomi col suo divertito concentrato a immergere il cotone nel liquido, come alzò gli occhi e vide il mio sguardo provò a farmi uno dei suoi sorrisetti che risposi solo fulminandolo per avermi disubbidito “Non ho bisogno d’aiuto” feci.
“Certo, certo… e ora lasciami fare” affermò e iniziò a tamponarmi la ferita, mentre io continuavo a guardarlo come se volessi ucciderlo con lo sguardo. Ma chi si credeva di essere questo?
“Sai, mi hai stupito ieri sera” lo sentii dire d’un tratto, attirando la mia attenzione su di lui, che si fece poco più vicino a me per lavorare meglio.
Il suo sguardo era concentrato sulla mia pelle e le sue dita non mi sfioravano ma ero certo che in quel punto stessi bruciando, anche se ero certo non fosse la ferita questa volta. Era sorprendente il calore che emanava quel tipo, non doveva essere normale, un corpo non poteva emanare una temperatura così elevata, doveva essere di sicuro uno scherzo, una mia assurda impressione. Ma se era una mia impressione, qualcosa che mi stavo immaginando, come mai avevo questo effetto nei riguardi di un ragazzino?
“In senso buono o cattivo?” mi ritrovai a domandargli, non che mi interessasse, per carità, le mie domande puntavano tutte ad assicurarmi l’alloggio su quella nave.
“Chiunque riesca a tenere testa a Jura è visto più che bene da me” scherzò lanciandomi una breve occhiata in faccia prima di tornare a guardare il suo lavoro.
Sentivo come una scossa tutte le volte che osservavo quei occhi. Erano neri e profondi, così color pece che a malapena si trasmetteva su di essi il riflesso della luce. Ma nonostante questo mi sembrava di scorgere come una fiamma, due braci che sembravano tener testa alla temperatura del suo corpo.
“Basta così poco per entrare nelle tue grazie?” domandai, schernendolo. Non riuscivo a farne a meno, provocarlo era così facile, me le serviva su un piatto d’argento e per me era impossibile non approfittarne.
Lo vidi innalzare un angolino della bocca verso l’alto, in quello che doveva essere un sorriso malizioso mentre alzava gli occhi e incrociava i miei “Oh, no. Per quello ci vuole qualcosa di meglio” affermò, e per un attimo sentii un brivido freddo passarmi dietro la nuca, probabilmente perché ero a petto nudo e la stanza era fredda.
Era strano come mi incatenavo in quegli occhi, sembrava un gioco al quale non potevo sottrarmi. Provocarlo così ampiamente, quelle frasi di doppiofondo, ero certo che lo facessi in automatico per garantirmi la permanenza lì, ma iniziavo ad avere dei dubbi a riguardo, e se non fosse stato così? Forse lo facevo per mio divertimento personale, anzi ne ero certo. Stuzzicare Ace mi divertiva.
“Ad esempio?” volli chiedere.
“Come mai ti interessa?” mi incalzò pronto, come se se lo aspettasse, ed appoggiò gli attrezzi sul banco, concentrandosi interamente su di me.
Spostai lo sguardo attorno a me, facendo volontariamente il vago “Più che un interesse, la definirei una curiosità personale” ci tenni nel precisare.
“Curiosità personale…” lo sentii ripetere e tornando a guardarlo mi parve divertito della situazione “Penso tu abbia già un idea di cosa ci voglia per entrare nelle mie grazie” mi fece notare avvicinandosi un po’ troppo, tanto che in quella vicinanza sentivo il suo fiato caldo addosso.
Feci spallucce, imponendomi di mostrarmi indifferente a quella vicinanza “Dipende se quello che stai pensando tu, equivale a quello che penso io, Portuguese-ya”  affermai con ovvietà, accennando ad un mezzo sorriso divertito.
Si avvicinò ancora e questa volta i nostri petti si sfioravano, in quel momento potei sentire con certezza quel calore che irradiava, trovandolo allettante e invitante.
Si porse leggermente in avanti con la testa tanto che il suo respiro caldo mi sbatté contro il collo “Io dico che stiamo pensando alla stessa cosa” affermò con voce bassa, più roca, al mio orecchio.
Ghignai a quella spudoratezza, consapevole che non mi avrebbe visto, inspirai sentendo un odore forte imperniarmi le narici. Odorava di bruciato, un odore che di solito non gradivo ma che mi piacque stranamente su di lui, mischiato di salsedine e di mare. Rabbrividii, e la cosa mi irritò.
“Dovrei prepararmi per sbarcare, Portuguese-ya” affermai a quel punto, chiudendo gli occhi un attimo per riacquistare la lucidità che stavo perdendo.
Si allontanò di colpo da me, e come al solito mi lasciò una sensazione di gelo il suo allontanamento, ed alzò le mani un attimo “Ti lascio ai tuoi affari allora” affermò facendo un passo indietro, poi si voltò e si avviò  alla porta, arrestandosi solo una volta raggiunta, rimanendo un attimo in silenzio, come se indeciso se parlare o meno “Hai… già deciso cosa fare?” domandò, voltandosi un attimo verso di me, non era più divertito “Nel senso, rimarrai sulla nave o… sull’isola?” aggiunse.
Aveva una strana espressione, come se la cosa lo turbasse, e aspettare una risposta lo innervosisse “Non l’ho ancora deciso per il momento, a dire il vero” decisi di dire, sinceramente “Sbarcherò e deciderò  dopo aver visto la situazione. In ogni caso verrò a comunicarti la mia decisione, non scomparirò” affermai in noto tranquillo.
Lo vidi inspirare sollevato, ed accennare un sorriso, forse più sereno a quella mia risposta “Bene. A dopo allora” affermò e si voltò definitivamente allontanandosi  e chiudendo la porta dietro di sé.
Osservai quella parete scura senza dire nulla, pensieroso. Non seppi bene cosa stessi pensando esattamente ma quello che era avvenuto mi stava lasciando abbastanza interdetto. Che stessi perdendo il controllo della situazione? No, impossibile, ero Trafalgar Law, non perdevo mai il controllo di niente io. Anche se lo avessi perso, sarebbe stata per mia scelta e per una ragione ben specifica o un piano ben pensato. Ma quello non faceva parte del mio piano. O forse sì?


 



“Room”
Spostarsi grazie al mio potere era il modo più comodo per viaggiare. Mi ritrovai nel porto della cittadina senza alcun bisogno di dover fare il giro della nave per uscire sotto lo sguardo di tutti. Avevo delle cose personali da fare poi, non avevo alcuna intenzione di venir seguito o tenuto d’occhio dai componenti di quella ciurma. Con tutto il rispetto, che mi avessero aiutato o meno, facevano comunque parte della concorrenza.
I vestiti con cui mi ero cambiato mi andavano leggermente larghi, ma non era esattamente per quello che li odiavo. Dovevano essere di Jack, probabilmente, sembrava l’unico con la mia corporatura stretta, ci avrei messo la mano sul fuoco che fossero suoi dato la scritta gialla sopra la maglietta blu “I’m Happy!” e i pantaloni neri stretti in modo assurdo; mi immaginavo già Ace sul ponte della nave che se la rideva sotto i baffi non vedendo l’ora di vedermi conciato così. Mentirei se dicessi di non avevo usato i miei poteri anche per togliergli quella soddisfazione di dosso.
Mi incamminai per le strade della cittadina affollata, quel mattino il mercato era pieno di persone, si stava bene, era un giorno abbastanza soleggiato e tirava una piacevole arietta fresca.
Camminai per le strade tenendo a mente dove passavo, osservando le vetrine dei negozi per notare e cercare cosa avessi bisogno. Finalmente trovai una cartografia, e mi recai al suo interno. Era un negozio poco illuminato, pieno di scaffali, pile di libri e pergamene ovunque, c’era un buon odore di carta e inchiostro che ispirai bene mentre mi dirigevo al banco.
Dietro di questo c’era un ometto basso, leggermente tordo, pochi capelli in testa e un paio di occhiali sulla punta del naso “Oh, buongiorno signore!” fece notandomi, fermandosi un attimo dalla sua lettura “Come posso aiutarla?” mi domandò.
“Avrei bisogno di consultare una mappa nautica di queste acque” affermai con professionalità.
“Certamente” fece lui richiudendo il libro ed uscendo da dietro il bancone per poi dirigersi dietro a degli scaffali, lo seguii finché non arrivò a destinazione e prese una pergamena, che aprì e stese su un tavoli lì accanto “Ecco qui” affermò in tono allegro.
“Grazie” ringraziai educatamente, ed attesi che l’uomo si allontanasse per tornare alla sua postazione prima di avvicinarmi alla carta e scrutarla attentamente.
La osservai per diversi minuti, in cerca dell’isola in cui il tornado ci aveva colpiti, doveva essere lì da qualche parte in quelle acque probabilmente, non potevo essere stato portato via troppo lontano dalla corrente e la nave su cui viaggiavo non era velocissima. Era molto accurata, mi faceva sempre uno strano effetto vedere una mappa ben disegnata ma d’altra parte grazie alla mia esperienza con le carte nautiche di Bepo potevo orientarmi con qualsiasi altra, dato che peggio delle sue difficilmente ne avrei trovate.
Trovai l’isola che cercavo e, tenendo conto di quella segnata che diceva fossi io in quel momento, contai la distanza che le separavano “Se rimanessi qui, impiegherebbero due settimane a raggiungermi…” riflettei scocciato da tale situazione, ragionando “Ma se la rotta della nave continua verso ovest, come ha fatto fino a questo momento… potremmo incontrarci a metà strada, fra sei giorni…” ragionai tracciando due linee col dito fino ad intersecarle “Esattamente qui”.
L’idea era buona, ma anche rischiosa. Non avevo idea cosa mi potesse portare stare ancora sulla nave di Portuguese-ya, nelle peggiori delle ipotesi avrebbero cercato di sbarazzarsi di me per esasperazione e non ero certo di potermela vedere con cinquanta uomini di un imperatore in una volta, soprattutto senza la mia amata spada. D’altra parte però, aspettare più di una settimana in quel posto era un azzardo ben maggiore. Non conoscevo il luogo, tanto per cominciare, e se qualcuno mi avesse riconosciuto e chiamato la Marina avrei dovuto abbandonare l’isola prendendo un passaggio da un’altra nave che mi avrebbe allontanato dalla rotta, e quest’ultima poteva essere molto meno disposta a darmi un passaggio, bisognava tenere conto che per il momento grazie a Portuguese-ya avevo una certa immunità sulla sua nave, non ero dell’idea che qualcun altro fosse della sua stessa opinione e non credevo nella buona sorte tanto da sperare che mi capitasse un altro ninfomane.
“Facendo in questo modo potremmo riprendere il viaggio e proseguire sulla nostra rotta” ragionai poi.
Dovevo pensarci bene, e per farlo avevo tutta la giornata quindi non era un problema. Ripiegai la cartina nautica e la rimisi al suo posto, poi feci per uscire da dietro gli scaffali quando però sentii il suono della porta aprirsi seguita dall’entrata di due persone che stavano discutendo tra loro a voce molto elevata.
“Datti una mossa Buffalo, non abbiamo tempo da perdere” disse una voce femminile.
Un dubbio mi si insinuò nella mente mentre mi mettevo dietro lo scaffale immobile in silenzio ad ascoltare la conversazione ed accertarmi dei miei presentimenti.
“Se tu non ti fossi fermata da quel tipo non saremmo in ritardo coi tempi” replicò l’uomo.
Cera qualcosa di assurdamente familiare in tutto quello, ma non poteva essere. Su tutte le isole della rotta maggiore perché propri lì, in quella cartografia?
“Aveva bisogno di me”  replicò la donna con voce indolcita.
Mi sporsi leggermente dallo scaffale per guardare le due figure e non appena intravidi la ragazza in divisa da cameriera che fumava e l’uomo di grossa stazza li riconobbi subito. Erano passati molti anni dall’ultima volta, erano cresciuti ma ero certo che fossero loro.
Imprecai mentre tornai con la testa dietro la libreria per non farmi beccare, se mi avessero visto sarei stato in grossi guai, proprio lì li dovevo rincontrare?
“Forza uomo, dacci la mappa del posto, non abbiamo tempo da perdere!” esclamò d’un tratto la donna e dal suono sembrò che avesse caricato una pistola o un fucile, probabilmente stava minacciando il negoziante.
“Certo, certo!” affermò l’uomo velocemente, intimorito prima di dirigersi dalla mia parte in gran fretta “Arrivo subito” affermò venendo nella mia direzione e io mi feci indietro istintivamente, sperando che i due non lo seguissero, come voltò l’angolo sobbalzò nel vedermi lì a spiarli e stette per dire qualcosa ma io mi portai un dito alla bocca in segno di far silenzio.
“Qualche problema?!” sentii urlare dalla ragazza, seguito dal suono di qualche passo.
L’uomo sobbalzò a quell’urlo “No, no! Sto arrivando!” esclamò e prese una pergamena in tutta fretta mentre i passi dei due si avvicinarono, immediatamente abbassai il cappello sul viso e mi appiattii contro la libreria il più possibile, sperando che questo sarebbe bastato, anche se dentro di me stavo già elaborando ad un piano nel caso fossi stato visto.
“Eccomi qui!” affermò di gran fretta l’uomo andandogli incontro velocemente ed impedendo loro di voltare l’angolo e notarmi, sospirai mentre sentivo i due afferrare la pergamena e allontanarsi verso la porta.
“Ottimo, andiamo Baby 5. Dobbiamo sbrigarci e tornare a Dressrosa” affermò Buffalo.
Dressrosa…, ripetei più volte nella mia testa.
Uscii da dietro la libreria, in tempo per vederli uscire da dietro la porta. Il mio cervello lavorava in fretta, anche troppo, tanto che agii subito senza neppure fermarmi a rifletterci troppo. Dovevo sbrigarmi.
“Mi dispiace per quello che è successo” feci all’uomo, alla fine, mi aveva fatto un favore.
Cercò di sorridermi, ma sembrava ancora agitato “Nessun problema, a volte succede” affermò.
“Ancora grazie” mi limitai a dire prima di dargli le spalle ed uscire in fretta dal negozio. Osservai attorno a me finché non riuscii a notare le due figure in lontananza e mi affrettai a seguirle con molta attenzione a non farmi vedere.
Non avevo idea di cosa ci facessero dall’altra parte della Red Line, ma avevo tutta l’intenzione di scoprirlo.


 



Camminavo con passo lento verso il porto, pensieroso. La mia mente elaborava tutto quello appreso in quella giornata, memorizzandolo e immagazzinandolo, sicuro che mi sarebbe tornato utile per il futuro quello che avevo compreso quel giorno. Un tassello in più si era aggiunto nella mia mente per formare il mio piano di vendetta che avevo intenzione di portare a compimento di lì a qualche anno. Non avevo ancora bene in mente esattamente come fare, ma pian piano un idea si stava formando nella mia testa e con le informazioni che avevo acquisito dai due prima che se ne andassero dall’isola ero certo che avrei dovuto indagare ancora un po’ prima di mettermi all’azione.
Avevo preso il mare per il mio piano, pensavo che in pochi mesi avrei raggiunto l’obbiettivo ma mi sbagliavo, c’erano ancora molte cose che era meglio che indagassi e che scoprissi, altre mosse da fare e soprattutto da pianificare. Avevo ben compreso che non era ancora giunto il momento per la mia vendetta, avrei dovuto attendere, prendermela con più calma e fare tutto per bene, perché niente doveva andare storto, e da quello che avevo capito quel giorno le cose erano un po’ più impegnative del previsto.
Arrivai nei pressi della nave ancora attraccata in porto, quando fui abbastanza vicino stetti per usare i miei poteri per teletrasportarmi al suo interno quando sentii delle grida.
“È arrivato, capitano!” sentii urlare da là sopra. Sentendo altre urla, predetti che erano più persone sul ponte ad avermi adocchiato lì, di conseguenza sparire sotto i loro occhi per evitarli non sarebbe servito a nulla.
Sospirai mentre mi diressi verso la passerella e la risalii a passo lento sotto lo sguardo non tanto simpatico di qualcuno dell’equipaggio. Vidi tra di loro un cappello arancione farsi largo fino al parapetto e poco dopo incrociai due occhi neri attenti.
Ace mi sembrò rassicurarsi come mi vide e lasciarsi andare a un grosso sospiro “Iniziavo a preoccuparmi” disse in mia direzione mentre si appoggiava con le braccia sul parapetto e mi osservava “Ti aspettiamo da più di un ora” mi volle informare.
Non era un problema mio comunque “Ti avevo detto che mi sarei fatto vivo” gli ricordai.
Lo vidi sorridere appoggiato sul parapetto “Questo prima che scomparissi nel nulla” ribatté prontamente, quasi divertito “Nessuno ti ha visto scendere dalla nave” affermò, una ovvia domanda indiretta nei miei confronti.
Interiormente sorrisi ma non lo diedi a vedere  “So essere discreto” affermai una volta arrivato in cima alla passerella, per poi lasciarmi cadere sul ponte di legno.
“Lo abbiamo notato” affermò Ron, il tono vagamente irritato, come chi ne avesse passate di ogni fino ad un attimo prima.
Lo ignorai e mi concentrai sulla figura del capitano che mi aveva raggiunto affianco “Allora” disse e io mi voltai verso di lui “Cosa hai deciso?” domandò, leggermente più serio.
A dire il vero, dopo tutto quello che era successo avevo pensato poco o nulla su cosa fare in quel momento, ero stato troppo concentrato con la storia di Buffalo e Baby 5, così risposi d’istinto.
“Se non reco problemi, gradirei poter fare un altro tratto di strada sulla nave” affermai allora e nello stesso momento in cui lo dissi un sorriso si formò sul viso del moro che sembrava cercasse di soffocare il più possibile ma riuscendoci poco.
“Cosa?!” sentii dire da alcuni, la voce più grossa provenne da Jura. Di sicuro era il più felice della mia decisione.
“Sei giorni precisamente, comprendendo oggi.” specificai “Non un giorno di più” puntualizzai, il mio sguardo era sempre rivolto al capitano, perché sapevo che era lui che avrebbe preso la decisione alla fine.
Lo osservai sistemarsi il cappello sulla testa, alzando la visiera un po’ più in alto, sorridendo “E sia” affermò per poi voltarsi verso i suoi uomini “Salpiamo ciurma, tutti ai vostri posti” affermò carico, i suoi sottoposti risposero e pian piano si dispersero nel ponte andando al propri posti.
Osservai la scena di Ace che fletteva il torace sgranchiendosi la schiena, mi soffermai un attimo sull’addome allenato e forse un po’ troppo sulla muscolatura delle braccia; fui riportato alla realtà, fortunatamente o meno non ne ero sicuro, da un braccio che mi prese per le spalle.
Mi irrigidii sul posto mentre sentivo Jack stringermi le spalle contro di lui prendendosi tutta quella confidenza non autorizzata “Sì!! Sarai ancora insieme a noi, Water!” esultò, probabilmente l’unico entusiasta di tutta quella situazione su tutta la nave.
“Non mi toccare” ordinai di colpo, un sibilo freddo che fece immediatamente staccare da me il ragazzo di colpo.


 



Diedi notizia che non mi sarei presentato a cena quella sera in mensa, ero troppo impegnato a riflettere e mettere appunto il mio piano per vendicarmi di Doflamingo più che stare in mensa a sentire le lamentele nei miei confronti dell’equipaggio, d’altra parte gli avrei fatto solo un favore, avrei evitato che si zittissero tutti per la mia presenza e magari avrebbero dimenticato la mia esistenza su quella nave per almeno il resto della giornata.
Prevedibilmente mentre stavo steso sul letto dell’infermeria con le braccia dietro la testa a guardare il soffitto, sentii qualcuno alla porta bussare e non mi trattenni dal sorridere “Sempre tempo da perdere, vedo” affermai provocatorio.
Sentii la porta aprirsi e non il suono della voce che mi aspettavo giungermi alle orecchie “A dire il vero questa è l’infermeria, luogo in cui in teoria dovrei stare in quanto dottore” sentii dire e come voltai lo sguardo vidi Ron che si chiudeva alle spalle la porta prima di avvicinarsi a me con un vassoio in mano.
“Pensavo fosse qualcun altro” affermai tornando serio.
“E posso anche immaginare chi” rispose lui allora “Ma al momento la situazione non è delle migliori così ha mandato me, voleva ti portassi questo” affermò poi posando il vassoio sul tavolo.
Voltai lo sguardo sul vassoio il piatto pieno di cibo e ammisi che in effetti avevo fame, non mangiavo qualcosa dal giorno prima, tutto quel girare mi aveva fatto dimenticare di nutrirmi e le informazioni di quel giorno mi avevano chiuso lo stomaco.
Mi raddrizzai sul letto “Che genere di problemi?” provai a chiedere.
Non che mi interessasse davvero, a meno che non stessimo affondando la cosa non mi riguardava direttamente ma avevo imparato con gli anni che la conoscenza era l’arma più grande e se potevo arricchire i mio sapere, non mi sarei di certo tirato indietro.
Ron si lasciò cadere su una sedia alla scrivania da medico ed aprì un libro velocemente come se controllasse qualcosa “Non tutti sulla nave sono felici di averti qui e il capitano si sta trovando sotto l’accusa di preferenzialismo nei tuoi confronti dato il suo interesse per te” mi spiegò mentre mi alzavo dal letto e mi dirigevo al tavolo per prendere qualcosa da mangiare.
Feci una leggera smorfia con la bocca “Mi sembra esagerato chiamarlo preferenzialismo” discussi mentre afferravo una palla di riso “Non ricevo poi tutte queste attenzioni” marcai bene, trovando più che sciocche affermazioni simili. Essere su quella nave era come essere su una nave piena di bambini che si fanno i dispetti a vicenda e si lamentano dei giocattoli altrui, che fosse per quel motivo che Barbabianca si facesse chiamare padre e chiamasse i suoi sottoposti figli? L’idea forse meritava di essere presa in considerazione.
“Water, ti abbiamo aspettato quattro ore” disse d’un tratto Ron, facendomi alzare lo sguardo dal cibo che stavo addentando “La ciurma voleva partire ma Ace ha insistito per aspettare ancora” aggiunse e dallo sguardo che aveva in volto, capii la sua irritazione quando ero salito a bordo prima, non doveva essere stata facile la situazione sul ponte durante la mia assenza per tutto quel tempo.
Ace era davvero disposto a tanto pur di avere una scopata? Abbassai lo sguardo sul piatto, afferrando un'altra palla di riso. Mi chiesi se avesse fatto la stessa cosa se quella mattina non lo avessi fermato. Probabilmente no, non vedendomi arrivare si sarebbe limitato a partire. Questo significava che la mia presenza su quella nave era determinata all’astinenza sessuale del capitano, se non gli avrei dato ciò che voleva potevo considerarmi ancora un ospite ben voluto.
“Non lo immaginavo” affermai pensieroso addentando il cibo. Dovevo stare più vigile allora, e giocarmi bene le mie carte.
“Tranquillo, non è colpa tua” lo sentii dire e se fossi stato dell’umore giusto avrei riso per quella insinuazione.
“Non l’ho pensato” affermai sicuro, tranquillo.
Non c’era nessuna ragione perché io lo fossi, per carità, per cosa poi, perché il loro capitano non riusciva a togliersi dalla testa l’idea del mio fondoschiena? Oh, andiamo, era un ragazzino arrapato e arrogante, per quanto mi divertisse dargli corda non potevo non trovare stupida quella sua immaturità. Era un ragazzino superbo, per quale assurda ragione Barbabianca avrebbe dovuto metterlo a capo di una sua corazzata?
Lo vidi sorridere e scossare la testa in modo rassegnato, come se lo divertisse in qualche modo la mia sfrontatezza “Certi non hanno apprezzato la scelta del babbo come Ace capitano data la sua età, la maggior parte era d’accordo ma qualcuno aveva dei dubbi. Stanno approfittando della tua presenza qui per creare noie” spiegò formalmente “Altri invece non ti sopportano e basta, come Jura” concluse poi.
Alzai lo sguardo inespressivo dal piatto, mandando giù il boccone prima di parlare “Ma non mi dire” affermai in tono piatto “E io che pensavo di stargli simpatico” affermai con fredda ironia, mandai giù un altro boccone e mi stravaccai meglio sulla sedia facendo aderire la schiena con lo schienale “E tu, Ron-ya?“ domandai “Non dirmi che ti sto simpatico, non ti crederei” affermai con sicurezza.
Mi guardò un attimo in silenzio prima di sbuffare “Io faccio ciò che mi dice il mio capitano” rispose e subito credei fosse la classica risposta evasiva ma aggiunse con mia sorpresa “È testardo, col tempo ho capito che andargli contro è solo fiato sprecato” affermava “Quindi se lui ti vuole qui, farò come richiesto”
Lo osservai per un attimo, scannerizzandolo bene da capo a piedi, concentrandomi sul suo sguardo “Un sottoposto fedele, non c’è che dire” commentai solo, sistemandomi il cappello sulla testa, abbassandolo appena sul viso “Mi chiedo se questa fiducia venga ricambiata” aggiunsi.
“Ace si fida cecamente dei suoi uomini” affermò in tono duro Ron, quasi come se lo avessi pizzicato con le mie supposizioni.
“Ma da quel che ho capito, non tutti confidano in lui” feci notare.
“Non tutti sono convinti che sia giusta la sua carica” mi corresse, quasi infastidito “Ma è una decisione di Barbabianca, nessuno lo contraddirà” aggiunse poi, col fare più sereno “Però possono contraddire le sue scelte, come la tua presenza qui” si alzò in piedi “Ti consiglio di non dire o fare cose che potrebbero mettere in cattiva luce te…” continuò “…o il capitano”
Non feci a meno che ghignare “Sei preoccupato per me, Ron-ya?” lo sfottei.
“Non per te. Per il capitano” ribatté in modo scontroso “La scelta di salvarti è stata anche mia e non me lo perdonerei se si mettesse nei guai per questo”
Guardai attorno nella stanza, avevo perso l’appetito  “Puoi stare sereno. Non ho nessuna intenzione di screditarlo” volli mettere in chiaro “Rimango pur sempre in debito con lui” feci ovvio.
Lo sentii allontanarsi verso la porta ma non lo osservai varcarla mentre parlava “Meglio che vada, buona serata Water”
Non risposi, sentii la porta chiudersi e rimasi a fissare il niente.



























Note dell'Autrice:


Ciao a tutti, come state? Io sommersa dai libri, grazie.
Per quanto riguarda il capitolo, a parte scusarmi per il ritardo (libri, troppi libri), vorrei limitarmi a dire poco.
Il secondo giorno è riassunto in un solo capitolo perché non succede molto, è più una giornata di transito e di stallo, in cui si prendono decisioni e si fa il punto della situazione. Non ho approfondito troppo sulla storia di Baby 5 e Buffalo perché non serviva, ad ogni modo Law ci mise due anni come pirata prima di darsi alla sua vendetta, il tutto per pianificare nei minimi dettagli il piano, comprendere la situazione, e agire di conseguenza (per me per questo era nella casa d'aste all'arcipelago Sabaody dato che era di Doflamingo il posto) quindi da qualche parte deve aver sentito parlare di Dressrosa e dei traffici del fenicottero e io l'ho messo qui, che succede prima del suo sbargo sull'Arcipelago. Per quanto riguarda la discussione con Ron, per me non tutti gli uomini della ciurma dovevano essere convinti della scelta di Ace come capitano (è un ragazzino gente, ha 20 anni alla fine) ma ovviamente nessuno dei fedeli uomini disobbedisce agli ordini di Barbabianca così mi immagino che si limito a punzecchiarlo nelle sue decisioni, e qui la sua decisione è Law. Quindi attenzione, in questa storia non voglio insinuare che qualcuno sulla nave di Ace non lo voglia come capitano (mi sembra fosse abbastanza amato da tutti, sono andati in guerra per lui) ma che hanno dei dubbi per le sue decisioni dato che è giovane, e qui riguarda il tenere sulla nave Law che, essendo un pirata nemico neanche tanto poco sospetto, lascia perplessi tutti :)
Detto questo non ho altro da aggiungere, se volete altri chiarimenti posso darveli con piacere o se volete farmi notare qualcosa, esprimere il vostro parere anche in disaccodo, fatemi sapere mi raccomando, sono molto curiosa di cosa pensate. 
Ma sorpattutto, secondo voi resisterà Law al fascino di Ace :)? Se no, quanto ci vorrà che ceda considerati i sette giorni? Si accettano scommesse.
Ci sentiamo alla prossima, 
Bye-bye













 

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Capitolo 4
*** Terzo Giorno_Parte 1 ***








 

Fire Of The Sea




 
Terzo Giorno_ Parte 1
 



























Mi svegliai di soprassalto quando mi giunsero alle orecchie degli spari di cannone, ritrovandomi ad osservare la stanza tremare ogni tanto al suono di ogni boato. Imprecai, dormivo già poco la notte, in più il sonno mi veniva dimezzato per cose simili. Dire che fossi irritato era un eufemismo.
Mi alzai dal letto e osservai la stanza tramare all’ennesimo sparo “Che diavolo stanno combinando” dissi mentre mi dirigevo verso il ponte della nave.
Come uscii fuori notai il via vai di uomini da una parte all’altra del ponte, in gran fermento.
“Capitano, cosa facciamo?” sentii uno degli uomini chiedere.
Mi guardai attorno finché non notai la figura di Ace poco lontana da me che guardava divertito il mare all’orizzonte “Risponderemo col fuoco” affermò con sicurezza, poi il suo sguardo si posò su di me e si stupì di vedermi lì “Oh, ciao Water. Ti unisci all’arrembaggio?” mi chiese, come se fosse la cosa più allettante che potesse mai proporre.
Corrucciai lo sguardo “Che sta succedendo?” domandai.
 “Abbiamo tre navi della Marina alle calcagna” mi spiegò “Ci stanno attaccando” affermò e io feci qualche passo verso il parapetto per osservare la situazione e le vidi.
Tre navi della marina ci avevano presi di mira e sparavano dai cannoni nell’intento di affondarci.
“Capitano!” sentii urlare da Jack che comparve su un lato “Quando dice –Risponderemo col fuoco-, di che fuoco parla?” domandò.
Ma che domanda è?
Vidi Ace ghignare “Ci penserò io” affermò avviandosi verso il parapetto “Riposo, uomini” ordinò prima di salire in piedi sul parapetto e buttarsi di sotto.
Mi sporsi dal parapetto confuso e poco dopo lo vidi su una piccola imbarcazione che andava direttamente incontro alle navi della marina completamente solo.
Se cercava di fare l’arrogante, ci stava riuscendo perfettamente.
Gli diedi dell’incosciente finché non lo notai caricare un pugno a qualche metro da una nave, che avvolse di fuoco, e che scagliandolo le distrusse in meno di qualche secondo. Osservai stupito come si fece avvolgere dalle fiamme diventando un tutt’uno con esse e come si sbarazzò con qualche facile colpo anche delle altre due navi.
Era un Rogia. Non c’era da stupirsi che fosse tanto sicuro di sé allora, per non parlare della sua testardaggine e che girasse praticamente nudo. Pensandoci bene, molte cose quadrarono in quel momento.
Quando delle navi non rimase niente se non un ammasso di legno bruciato Ace tornò indietro a bordo di quella strana imbarcazione che sembrava essere alimentata dal suo stesso fuoco. Quando arrivò alla nave potei notare il sorriso vittorioso che aveva in volto mentre i suoi uomini si congratulavano con lui tessendogli le lodi, rendendo ancora più smisurato il suo ego già sproporzionato.
Infatti mi cercò con lo sguardo mentre affiancava la nave e mi sorrise ampiamente “Non è stato difficile” affermò in tono superbo.
Ghignai mentre mi lasciavo cadere con i gomiti sul parapetto “Ora inizio a capire perché ti hanno dato questa carica” affermai divertito “Tutto acquisisce un senso”
Arricciò il naso per un attimo, in un espressione che non gli avevo ancora visto fare “Dubitavi delle mie capacità?” mi chiese, il tono da finto offeso.
“Dubitavo di te in generale” lo corressi non nascondendo il mio divertimento.
Sul suo viso si formò un ghigno “Non cred…” non finì di parlare che si udì un altro sparo. Si voltò verso il mare e io feci lo stesso, notando altre due navi della marina avvicinarsi.
“Certo che non mollano” sentii commentare Jack.
“Meglio andare e basta” propose Ron al mio fianco, diretto al capitano “Se gli diamo corda ne arriveranno altre e ci circonderanno” fece notare, e mi sentii sollevato al pensiero che qualcuno lì sopra si intendesse di strategie in mare.
Sentii un tonfo e voltando lo sguardo notai Ace accucciato sulle proprie ginocchia sul parapetto con l’aria pensierosa mentre si sistemava il cappello “Già” affermò anche se non sembrava convinto del tutto “Forse è meglio”.
“Perché non ci pensa Water?” sentii dire, mi voltai, come tutti gli altri, verso la fonte e notai Jura che mi guardava col fare altezzoso “Rimarrà sulla nostra nave per un po’, meglio che si renda utile” affermò con ovvietà “O sei uno di quelli che scrocca in giro, Water?” mi chiese con evidente ironia.
Lo guardai col peggior sguardo del mio repertorio. Un soggetto del genere lo avrei già fatto a fette da un pezzo, per sua fortuna quella non era la mia nave e non potevo farlo. Questo però non mi negava di guardarlo col mio sguardo omicida come chiaro segno di tenere a freno la lingua perché altrimenti sarebbe stato lui a fare una brutta fine e non i marines.
Ace ricadde sul ponte della nave e fece qualche passo aventi “Jura, non c’è bisogno che Water faccia qualcosa. L’ho accolto sulla nave in quanto ospite e come tale non è tenuto a farlo, così ho deciso” affermò estremamente serio in volto mentre guardava il suo sottopoto.
Ad un tratto fu come se le parole di Ron della sera prima mi tornassero a ronzare nelle orecchie in modo insistente, snervandomi, e come vidi l’espressione del dottore in questione mentre Jura era pronto a ribattere seccato dalle parole del suo capitano, capii che non potevo semplicemente starmene zitto. Non almeno questa volta, non avevo nessuna intenzione di essere la causa di un dramma di ciurma.
“Non è un problema, Portuguese-ya” parlai “Sarei più che felice nel dare una mano” aggiunsi, mostrandomi il più calmo e rilassato possibile anche se avrei preferito strappare la lingua a quel tipo e gettarlo in mare.
Il moro fu abbastanza sorpreso dalle mie parole “Oh” affermò un attimo attonito “Ehm... va bene” affermò poi, sembrava leggermente a disagio della cosa, sembrava che tutto a un tratto avesse perso la sua spavalderia e mi divertii la cosa, quindi decisi di approfittarne.
Sorrisi appena divertito “Ordinami cosa fare Portuguese-ya e lo farò” affermai “Tutto quello che vuoi” aggiunsi, lasciando percepire il doppio senso delle mie parole.
Ebbi il risultato sperato, Ace divenne leggermente rosso in viso “Oh ecco, ehm…” iniziò a dire, era così raro vederlo in imbarazzo che mi beai di ogni attimo del suo disagio “Ti puoi sbarazzare di quelle navi..?” mi domandò incerto, tanto che mi intenerì quasi. Quasi.
“Come desideri” risposi, decidendo di lasciarlo un attimo sbollire mentre osservavo le navi in avvicinamento e pensando a come prima togliermele dai piedi. Veloce e indolore o lento e agonizzante?
“Non basta” sentii dire da Jura e voltandomi assottigliai leggermente gli occhi in sua direzione “È troppo semplice” affermò non contento.
Stavo pensando ad una risposta convincente per deriderlo ma intervenne Ron “Cosa vorresti fargli fare ancora?” domandò più che irritato che insistesse “Saltare dentro un cerchio di fuoco?” domandò sarcastico.
Mi dava l’idea che avesse apprezzato il mio intervento il dottore, e che dall’altra parte non riusciva a sopportare il fatto che Jura però si mostrasse incontentabile.
“Magari” affermò divertito l’uomo verso il compagno per poi spostare lo sguardo su di me “Ma non penso che ne sia in grado” affermò in modo strafottente, irritandomi “Che ne dici se portasse la testa del capitano della Marina?” propose.
Che la cosa fosse un assurdità era palese, e forse anche un po’ a tutti lì. Ma Jura non puntava a infastidire me, mi era ben troppo chiaro, puntava a dimostrare agli altri componenti della ciurma che qualsiasi cosa mi avrebbe detto contro, Ace mi avrebbe difeso, e la cosa mi faceva più che irritare.
Non sarei stato il tramite per gli scopi di nessuno, che fosse chiaro.
Vidi Ace inarcare un sopracciglio “Non credo che…” stette per dire, rendendo palese il pensiero di tutti ma lo interruppi perché stava per difendermi ancora, divertendo solo di più Jura in quella già più che spiacevole situazione.
“E va bene, accetto” affermai di colpo, zittendolo, d’altra parte ormai era diventata una questione tra me e Jura e se serviva per farlo stare zitto lo avrei fatto più che volentieri “Ma avrò bisogno di una lama” aggiunsi poi.
Tra la folla qualcuno lanciò un pugnale ai miei piedi, scatenando qualche risatina e quella chiassosa di Jura stesso “Oh andiamo!” fece Ron con voce esasperata “Siete seri??” domandò incredulo che arrivassero a tanto.
Che mi tocca fare…
Mi abbassai e raccolsi l’arma che mi era stata gentilmente data, mostrandomi calmo “Andrà bene” affermai “Un chirurgo usa un semplice bisturi come arma, un pugnale sarà più che sufficiente”
“Water non devi farlo per forza” affermò Ace facendo uno o due passi in mia direzione, sembrava dispiaciuto che mi fossi dovuto abbassare a tanto per fare stare zitto quello ma a quel punto non potevo tirarmi indietro.
“Lo faro, davvero” risposi sicuro “Nessun problema” insistetti e poi mi sistemai il cappello sulla testa mentre mi lasciavo andare ad un sospiro di seccatura “Sarà meglio che mi metta all’opera”
“Aspetta, ti accompagno alla nave” affermò il capitano facendo qualche passo verso il parapetto ma lo fermai.
“Grazie ma non serve” feci in tono annoiato “Vado a piedi” decretai creando molte facce confuse attorno a me.
“Come fai ad andare a piedi?” fece Jack non capendo cosa stessi dicendo, come tutti in fondo.
“Ho i miei mezzi” risposi solo e mentre con la mano sinistra impugnavo il pugnare con la destra unii le dita “Room” feci mentre le separavo e creai un campo attorno a me abbastanza grande da finire sulla nave più vicina possibile, roteai le dita “Shambles” aggiunsi e sparii da quel ponte lasciando al mio posto un cappello di un marines.
Comparvi sopra uno dei soldati, circondato da altrettanti marines increduli nel vedermi lì in mezzo a loro sulla loro nave “Mi dispiace, a volte sbaglio l’oggetto con cui scambiarmi, non è stato molto educato da parte mia” affermai in quel silenzio generale.
“Ma da dove…” affermò qualcuno mentre io osservavo attorno a me dove fosse il capitano del vascello, non trovandolo.
“Lui è…” affermò invece uno degli uomini, riconoscendomi “Un ricercato!” affermò e molti iniziarono a puntarmi le loro armi contro pronti a fare fuoco.
“Capitano!” urlò qualcuno attirando la mia attenzione quando un uomo alto con le spalline si fece avanti.
“Chi osa salire sulla mia nave?!” affermò in modo sdegnato l’uomo col cappellino da marines, probabilmente era lui il mio obbiettivo.
“Trafalgar Law, signore!” rispose chi mi aveva riconosciuto “Il novellino” specificò.
Feci una smorfia a quella connotazione “Novellino?” ripetei seccato “Dovrei sentirmi offeso?” domandai.
“Prendetelo!” ordinò il comandante e immediatamente i marines iniziarono ad attaccarmi.
“Room” feci e con una mossa rispedii i proiettili ai loro mittenti, facendoli cadere a terra feriti “A dire il vero non ho tempo per giocare con tutti voi” affermai in tono irritato, guardando solo il capitano “Sono qui solo per te” decretai, ed impugnai il pugnale con la mano destra scagliando poi un fendente.


 



Comparvi di nuovo sulla nave al posto del cappello del marines che aveva preso in mano qualcuno dell’equipaggio confuso, facendogli prendere un colpo ed urlare attirando l’attenzione di tutti “Scusate l’attesa” affermai mentre palleggiavo sul palmo della mano la testa del capitano della Marina.
“Fermo!!” gridava la testa mentre girava su e giù “Come capitano della Marina ti ordino di smetterla!” urlò arrabbiato al vento “Ridammi il mio corpo, pirata da strapazzo!!” gridò.
Mi limitai a guardarmi attorno mentre mi guardavano increduli “Ma come… come hai fatto?” fece Jack osservando la testa che continuava a lamentarsi dell’emicrania e che al momento era l’unico suono che si sentiva sulla nave.
“Un frutto del diavolo” risposi ovvio e mi voltai verso Jura, lanciandogli la testa “Tieni, ecco la testa che volevi” feci e lui la prese al volo d’istinto ma poco dopo la mollò inorridito lasciandola rotolare a terra.
“Ehi attento!” si lamentò la testa a terra “Mi hai fatto male!”
“Incredibile” commentò Ron inginocchiandosi di fronte alla testa parlante “È ancora vivo” affermò incredulo.
La testa gli lanciò un occhiataccia “Ehi, che hai da guardare, pirata?!”
“Dov’è il copro?” sentii domandare da qualcuno che non mi preoccupai di identificare.
“Da qualche parte sulla loro nave che corre spaventato” risposi annoiato.
La mia attenzione era tutta sua Ace, che aveva guardato prima con incredulità la testa e che adesso mi osservava con un sorrisetto compiaciuto di chi non si potesse aspettare di meglio “E io che ti credevo innocuo” affermò divertito.
Ghignai a quelle parole “Non capisco come tu abbia avuto quest’impressione” ribattei.
Fece spallucce “Ora non lo capisco neppure io” rispose sincero.
“Non ha fatto nulla di che, ha solo tagliato una testa” sentii dire da Jura, dopo che si era ripreso dalla shock della testa mozzata parlante “Ehi, Water. Penso tu ti sia dimenticato di qualcosa” aggiunse facendo un cenno verso le navi della Marina che si stavano avvicinando.
“Non ho dimenticato nulla” ribattei piccato “Room” rifeci e creai il mio campo, abbastanza grande da prendere una delle due navi, chiusi il pugno destro, tendendo un dito verso la nave che pian piano alzai “Tact” ordinai e questa pian piano si sollevò dall’acqua, seguendo la traiettorie del mio dito, una volta abbastanza in alto posizionai la nave sopra l’altra, per poi far cadere di colpo verso il basso il dito, lasciando che la nave si schiantasse verso il basso contro la nave alleata, distruggendo entrambe.
“Fatto” decretai voltandomi verso Ace che stava guardando lo scenario sbalordito “Come sono andato Portuguese-ya?” domandai, non che ce ne fosse bisogno.
Il capitano si riprese e si voltò verso di me, un radioso sorriso sulle labbra “Sei promosso a pieni voti!”
“Lo sospettavo”


 



Dopo la simpatica impresa di quella mattina, ci avviammo in mensa per il pranzo, dato che si era fatta l’ora di mangiare. Per la strada Portuguese-ya si addormentò cadendo giù dalle scale e nessuno si preoccupò più di tanto della cosa dato che, da quello che diceva il Ron-ya, quel ragazzo mangiava più di loro tutti messi insieme ed era una buona cosa che noi iniziassimo a mangiare prima che questo si unisse.
Così non replicai seguendo tutti di sotto e una volta preso il mio patto mi sedetti ad un tavolo a mangiare per conto mio, sentendo ancora quel picchiettio di chiacchiere in quel silenzio generale della mensa dovuto alla mia presenza lì. Certo, almeno questa volta un leggero brusio riempiva l’aria, ma non mi sembrava di aver fatto esattamente dei progressi lì dentro.
In ogni caso, comunque, non mi importava e mi limitai a mangiare, pensando piuttosto sul da farsi. Avevo mostrato i miei poteri, questo non implicava un cambio di programma dei miei piani, tanto meno il mio riconoscimento tra le taglie, e anche se quest’ultimo fosse avvenuto non penso che avrebbe cambiato molto, alla fine in una ciurma di uomini di un imperatore si suppone che tutti abbiano una cifra pari la mia come minimo come taglia.
“Ora sei più sospetto di prima” sentii dire da Ron quando mi si sedette di fronte nel tavolo.
Alzai lo sguardo solo una volta aver inghiottito un boccone dei miei spaghetti di riso “Pensavo di calmare le acque” affermai io, e lanciai un occhiata attorno a me nella direzione il cui il dottore stava guardando, notando la figura di Jura squadrarmi mentre diceva qualcosa agli uomini al suo tavolo.
“Se mai, le hai agitate” ribatté lui mentre si metteva in bocca un sandwich e tornava a guardare me.
Usai le bacchette nella mia mano per far girare un po’ gli spaghetti nella mia ciotola, pensoso “Ho finito le idee allora” risposi quindi “Qualche proposta?” feci con sarcasmo leggero.
Qualsiasi cosa avessi fatto su quella nave non sarebbe stata vista bene, tanto valeva rassegnarsi all’idea.
Ron mandò giù un boccone per poi inarcare un sopracciglio e guardarmi confuso “Me lo stai chiedendo davvero?” affermò forse più sorpreso che stranito “Come mai? Non ti facevo il tipo che si interessasse del pensiero altrui” mi prese in giro e io bacchettai la tazza col fare stizzito “Comunque fra qualche giorno te ne vai, no?” lo sentii aggiungere e stranamente sentire quella parole non mi diede la sensazione di rilassatezza che mi sarei aspettato.
“Giusto” affermai senza neppure pensarci, immergendomi nei miei pensieri, non avevo idea perché la cosa non mi recasse gioia come credevo, forse c’era ancora qualcosa che dovevo fare e non avevo capito ancora cosa “Non mi importa infatti” mi sentii in dovere di precisare, stranamente il mio piatto non mi faceva più voglia, avevo riperso l’appetito “Volevo solo evitarmi seccature per i prossimi giorni” finii col dire, e mi ripetei in testa che fosse solo per quello, che le miei erano paranoie visionarie dovute al fatto che non avevo dormito le mie cinque ore la notte come al solito.
“Ehi!” sentii esclamare e come voltai lo sguardo vidi Ace avvicinarsi a noi col suo piatto e un enorme sorriso in volto “Grazie tante per avermi abbandonato giù dalle scale” ringraziò e si sedette senza tante cerimonie accanto a me, così tanto vicino che si sfiorarono le nostre spalle e io mi spostai leggermente verso sinistra per mantenere il mio spazio personale “Siete diventati amici voi due, da quando?” domandò, la cosa sembra renderlo molto contento.
“Non siamo amici” rispondemmo sia io che Ron-ya all’unisono.
Ace alzò le mani in modo innocente “Come non detto” affermò lasciandosi andare a una risatina prima di iniziare a mangiare con una fame degna di un branco di lupi “Mhmm… che Frutto del Diavolo hai mangiato?” mi domandò a bocca piena, era già tanto se capii cosa mi avesse chiesto.
“Ope-Ope, tipo Paramisha” risposi tranquillamente.
“Trovo interessante il tuo potere” mi fece sapere senza smettere di abbuffarsi “Il mio è un Rogia, Foco-Foco” spiegò poi.
Innalzai un angolino della bocca “Avrei dovuto immaginarlo dal tuo temperamento” commentai.
“Perché? Che temperamento avrei?” domandò di rimando lui, alzando lo sguardo dal piatto per puntare i suoi occhi su di me ed accennare ad un sorrisetto.
Feci il vago mentre con una mano mi sistemavo il cappello sulla testa “Beh, rilasci un certo ardore ovviamente. La temperatura del tuo corpo è più alta del normale”
Sembrò divertito dalle mie parole, tanto che smise per un attimo di mangiare “Controlli sempre la temperatura del corpo delle persone quando le conosci?” mi chiese con evidente ironia, col solo scopo di stuzzicarmi.
Stetti al gioco, ribaltando la situazione “Di solito no” iniziai con l’ammettere “Ma quando vieni bloccato contro un tavolo da una stufa vivente, è difficile non notarlo” lo sfottei e per tutta risposta non perse il suo sorriso, anzi mi sembrò pure vedere i suoi occhi accendersi di quella fiammella divertita che gli avevo già visto.
Stette per dire qualcosa ma Ron-ya tossì volontariamente “Starei mangiando io, se permettete” replicò.
Sinceramente non me ne poteva fregare nulla di sbandierare certe cose davanti alle persone. Chi, come o in che modo finivo a letto erano solo affari miei, se qualcuno avesse scoperto qualcosa non mi avrebbe affatto toccato.
“Ha ragione” concordò annuendo Ace mentre tornava a mangiare la sua carne “Ne possiamo parlare più tardi nella mia cabina” aggiunse poi.
Non potei fare a meno che socchiudere appena gli occhi mentre lo osservavo “Facciamo in un posto all’aperto. Tipo sul ponte” proposi invece io “Fa bene prendere un po’ d’aria ogni tanto”
Voltò il viso verso di me, inarcando un sopracciglio scettico mentre masticava “Paura di qualcosa, Water?” mi provocò.
“Di un ragazzino?” feci ironico “Non farmi ridere”
“Sai ridere?” chiese di conseguenza il moro guardandomi con finto stupore.
Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo e mi limitai a innalzare un angolino della bocca col fare divertito “Oh, sì. E nei momenti più impensabili” affermai in modo che leggesse il senso di doppiofondo.
Dal sorrisetto malizioso che gli spuntò sul viso, potei scommettere che lo avesse colto “Ma davvero? Adesso sono curioso” affermò divertito.
“Ragazzi…” sospirò Ron posando le bacchette al lato del piatto per un attimo “Vi prego” aggiunse “Non mi sembra né il posto né il momento”
Mi feci serio “Ron-ya ha ragione” concordai, in effetti la prospettiva di peggiorare la mia situazione col far sapere a tutti lo strano rapporto tra me e il capitano non mi andava.
“Come mai?” chiese Ace confuso guardandoci tutti e due stranito, palesemente non si era reso conto di nulla.
Ron per tutta risposta riprese in mano le bacchette e voltò il viso verso Jura alla sua destra verso il suo tavolo, facendo un cenno con la testa in sua direzione “Per me cospira qualcosa” confessò.
Ace si voltò dove gli era stato indicato “Chi Jura?” fece tranquillo “Nah, è innocuo”
Sinceramente non ero d’accordo con nessuno dei due. A mio parere Jura non era una minaccia, figuriamoci, non lo sarebbe mai potuto essere, affermare che cospirasse qualcosa era esagerato, al massimo si divertiva a creare zizzania ma non mi pareva avesse le palle per intralciarmi direttamente. D’altra parte però bisognava tenerlo d’occhio per sicurezza, in fondo mi aveva sempre pur spaccato il labbro.
Vidi il moro voltarsi su di me “Non ti toccherà più” affermò, e mi sembrò una promessa, lo sguardo serio concentrato sul mio labbro inferiore dove stava la ferita, forse anche un po’ troppo concentrato.
“Anche se lo facesse non avrei problemi” volli precisare. Non avevo di certo bisogno della badante.
Sorrise appena “Giusto. Ci sai fare” rispose lui.
Non indagai se la sua fosse stata una frase di doppio senso o chissà cosa, dato che Ron aveva avuto la decenza di cambiare il discorso “Come vanno le ferite?” mi domandò.
“Bene” risposi breve.
“Ti danno problemi?” domandò, insistendo “Posso passare a dare un occhiata se vuoi” propose.
“Non ce n’è bisogno, le tengo d’occhio da solo” risposi seccato.
Alzò lo sguardo dal piatto e mi guardò accigliato “Almeno lasciami dare un occhiata alla ferita sotto al collo, non deve essere facile lavorare da solo lì” insistette ancora.
“Non ce n’è bisogno” ribattei duro.
“Tranquillo Ron, l’ho aiutato io” intervenne di punto in bianco Ace.
Ci voltammo entrambi verso di lui, io tra l’esasperazione e l’incredulità mentre il dottore era solo confuso, lo guardai male indeciso su cosa dire.
Se ne accorse infatti mi guardò innocente “Che c’è?” mi chiese “È vero” disse tranquillamente.
Forse esattamente non si era reso conto di aver appena affermato che eravamo stati in infermeria, noi due da soli, con me probabilmente senza la felpa. Chiunque sarebbe andato a pensare che ci fosse stata qualcosa in quell’asso di tempo, solo Ace sembrava non capirlo, e dire che andava in giro a dire cose simili come se niente fosse senza accorgersene.
“Portuguese-ya, una curiosità” affermai “Tu pensi prima di aprire bocca o non colleghi il cervello?” domandai, sinceramente incuriosito.
Lui masticò un altro pezzo del suo pranzo “A dire il vero agisco e basta, pensare non è il mio forte” confessò con la bocca piena.
“Lo sospettavo” risposi e mi alzai dal tavolo subito dopo “Ho finito, vi auguro una buona giornata” affermai.
“Dopo passo da te a controllare le ferite” sentì dire da Ron mentre mi giravo.
“Non ne ho bisogno”
“Mi troverai in infermeria” insisté, e seguì la risatina allegra di Ace.
Sbuffai e mi allontanai verso l’uscita, senza avere la forza di dire qualcosa.






















Note dell’autrice:

Suppongo che scusarmi di questo periodo di assenza o inventarmi scuse patetiche sia inutile, posso solo dirvi che sono dispiaciutissima e vedrò di non farlo più.
Per il capitolo, ho dato alla ciurma una dimostrazione che Law ci sa fare, se ne ha voglia, non mi sono sbilanciata molto sui suoi poteri per non voler strafare, alla fine del Law prima dei due anni non sappiamo molto sulle sue capacità, lo abbaiamo visto in azione di più a Punk Hazard  quindi mi sono limitata a rappresentare l’essenziale: Le room, il tagliuzzamento di corpi con il miscuglio, e alzare le cose con il dito (solo alzare, non ribaltare come fa invece alla nave di Smoker dopo i due anni); dato che prima dei due anni doveva pur essere un po’… più inesperto, ho limitato i poteri, anche sul fatto che si sbaglia con il suo spostamento e finisce col scambiarsi con un cappello e colpire lo sfortunato uomo (ho ipotizzato che non si spostasse due anni fa a grandi distanze e che provarci non gli da il pieno controllo). Insomma, questo è come l’ho pensata io e volevo spiegarvelo in caso qualcuno se lo chiedesse. Per i poteri di Ace invece, era da routine che se ne occupasse da solo di dar fuoco navi, questo è certo e non lo invento.
Per il resto, Ace e Law mi divertono troppo con le battute col doppio senso, e mi sono pure affezionata al povero Ron che sopporta tutti.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di sentirvi presto e che mi perdoniate per l’assenza.
Ci vediamo alla prossima, presto
Bye-bye





 

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Capitolo 5
*** Terzo Giorno_Parte 2 ***







 
Fire Of The Sea



 
Terzo Giorno_ Parte 2
 




















Stavo girando per la nave con la sola scusa di perdere tempo per irritare ulteriormente Ron-ya. Passavo la maggior parte del tempo nella mia cabina, tutto il tempo anzi, e sapevo benissimo che una volta arrivato in infermeria e costatato che io non ci fossi ne sarebbe rimasto seccato, sapendo che avrebbe dovuto aspettarmi a lungo. Era quello che si meritava per sottovalutare le mie competenze mediche, così la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di venire a disturbarmi.
Quindi eccomi lì a girovagare per i corridoi, in cerca di uno stimolo o di qualsiasi cosa per passare il tempo, approfittando del fatto che avrei visto come fosse la nave di un imperatore, da quel che sapevo tutte le navi della sua flotta erano una produzione più piccola dell’originale, quindi anche l’interno doveva essere strutturato similmente almeno.
“Cerchi qualcosa?” sentii chiedermi da una voce femminile, mi voltai e vidi una ragazza poco più grande di me con più di una pistola in vita guardarmi tranquilla.
“Mhm no” decisi di dire “Facevo un giro, stare in cabina mi annoia” ammisi poi.
La vidi aggrottare le sopracciglia e inclinare la testa di lato, tra il divertito e il confuso “Puoi sempre andare dal capitano e chiedergli di trovarti qualcosa da fare” propose, sistemandosi con una mano la treccia castana di capelli dietro le spalle.
Valutai l’idea di andare a infastidire il suddetto stesso, compiacendomi dentro di come avrei potuto stuzzicarlo “Proverò. Da che parte è la sua cabina?” chiesi allora, dato che non ricordavo ancora da che parte fosse nonostante ci fossi già entrato il primo giorno. A dire il vero, il primo giorno ero così impegnato a capire la situazione in cui mi ero cacciato che avevo badato poco o nulla a registrare le informazioni attorno a me, praticamente non avevo ricordi dettagliatissimi nonostante fossero passati due notti da allora.
“Di là” rispose lei tranquillamente indicandomi un corridoio “In fondo sali le scale ed è a destra” spiegò.
“Ti ringrazio” feci cortesemente prima di avviarmi verso la parte indicatomi. Era una delle poche persone che si era degnata di un minimo di cortesia nei miei confronti, mi sembrava ovvio doverla ringraziare per la sua gentilezza.
Seguii le sue indicazioni con attenzione ad memorizzare questa volta il posto e il luogo in cui stesse, sapendo bene che la cabina di Ace sarebbe stata una meta a me molto usata nella mia permanenza lì. Arrivato alla porta stetti per bussare quando notai la porta socchiusa e una voce arrivarmi alle orecchie, riconoscendola subito “Non è sicuro per la nave, Capitano” diceva questa.
Mi arrestai “Decido io cosa è sicuro o meno qui” sentii ribattere il capitano con fermezza, tanto che non mi sembrò lui.
“Ma è un pirata” sentii insistere la voce grossa, in tono di replica.
“Water non è una minaccia, Jura” insistette Ace, e così ebbi la conferma della mia supposizione che io fossi al centro della loro discussione.
“Stiamo tornando dal babbo, capitano. Non vorrai portarti appresso quel tipo” sentii ribattere ancora l’uomo ed io mi posizionai alla sinistra della porta, dando le spalle al muro ed appoggiandomi ad esso “Potrebbe essere il suo obbiettivo dall’inizio”
Sentii uno sbuffo divertito provenire da Ace “Water è subdolo e furbo, te lo concedo,  ma dubito che sia così stupido da avvicinarsi al babbo. È troppo razionale per un azzardo simile” provò a farlo ragionare, mostrando con ovvietà la situazione, tanto che accennai ad un sorrisetto, perché anche se ero lì da poco il capitano mi aveva già inquadrato bene “E poi lo hai sentito anche tu, fra quattro giorni non sarà più qui” aggiunse.
“E tu gli credi?” replicò immediatamente Jura “Ho chiesto a Fen, a quattro giorni di distanza esattamente su questa rotta, a questo ritmo, non c’è assolutamente nulla. Con una semplice scusa ce lo porteremo appresso per tutto il viaggio” fece notare con irritazione “Quell’uomo non ci dice qualcosa, lo so”
“Tutti abbiamo segreti” disse Ace, il tono calmo ma sicuro “Anche se si rivelasse vero, non sarebbe un problema”
Appoggiai la testa al muro ed alzai lo sguardo in alto sul soffitto di legno. Era lodevole come mi difendesse Portuguese-ya ma nonostante apprezzassi la cosa non riuscivo a non pensare a come sembrasse ragazzino con questo suo atteggiamento. Mettersi contro i propri uomini e compagni, mandare all’aria una fiducia di magari anni, per un estraneo piombato sulla nave per mero caso? Nessuno lo avrebbe mai fatto, era da irresponsabili, da sciocchi, da ragazzini.
“Ma capitano, se si rivelasse una minaccia…” stette per dire Jura ma Ace lo interruppe.
“Se Water si presentasse una minaccia, sarò io personalmente ad occuparmene”
Eppure la sua voce era decisa, certa, sicura e schietta, tanto da sembrare quella di un bambino capriccioso un secondo prima e quella di un mercenario in quello dopo. Per non parlare delle sue capacità sul campo, aveva una tale forza che non mi sorprendeva che tutti si fidassero di lui, anche io dovevo dargliene atto, eppure guardandolo dare fuoco navi della marina con quel sorriso di un bambino con il suo giocattolo mi faceva ripensare che fosse ancora troppo ragazzino.
La cosa mi confondeva, parecchio.
Jura provò lo stesso ad insistere “Non sappiamo cosa stia macchinando…”
“Jura” lo riprese Ace, la voce dura, e per la prima volta mi sembrò fredda “Non ti fidi del tuo capitano?” gli domandò.
Ci fu un attimo di silenzio, tanto che respiravo così impercettibilmente che smisi nel timore di essere sentito lo stesso “Mi fido” lo sentii dire infine, ma non so quanto potesse essere vero data la sua esitazione, forse era proprio Jura stesso in prima persona ad essere più confuso “Con permesso” aggiunse e sentii dei passi dirigersi verso la porta.
Incrociai le braccia al petto ed abbassai la testa rimanendo immobile quando Jura uscì dalla stanza ed imboccò di gran fretta un corridoio dandomi le spalle, senza neppure accorgersi della mia presenza lì, e non potei non pensare che fosse meglio così.
Quando vidi il grosso uomo sparire sentii il rumore di un tonfo, seguito poi dal rumore di oggetti che si frantumavano a pezzi per terra. Mi avvicinai alla soglia e mi appoggiai all’anta di legno della porta osservando con le bracciai incrociate al petto un Ace che con il respiro pesante e con delle lingue di fuoco che scoppiettavano qua e là lungo il corpo, di fronte ad una scrivania rovesciata e pezzi di bottiglie a terra.
“Se continui così finirai per far prendere fuoco la tua cabina” mi sentii in dovere di dirgli.
Lui si voltò di scatto in mia direzione sorpreso, il respiro ancora veloce “Che ci fai qui?” domandò.
“Ero venuto a chiedere se c’era qualcosa che potessi fare per intrattenere il tempo ma…” iniziai col dire, guardando la stanza disordinata con fare calmo “A questo punto, se provassi a far qualcosa potrei solo peggiorare la situazione” valutai infine. Ed era vero, mettermi a dare un mano, anche solo per ammainare le vele, sarebbe visto male su quella nave.
Lo vidi drizzare la schiena e calmarsi mentre si tamponava la fiamme sulla pelle per farle spegnere “Hai sentito?” fece, ma era più una domanda retorica.
Risposi lo stesso “L’ultima parte del discorso. Ma posso immaginare il resto” chiarii.
Si tolse il cappello e si passò una mano tra i capelli mentre buttava l’oggetto sul letto “La tua presenza qui mi sta creando più di un problema” sembrò ammettere, come se fino a quel punto non lo avesse ancora detto ad alta voce e si sentisse schiacciato da quelle sue stesse parole, sembrava scocciato.
Lo fissai serio “Vuoi che me ne vada?” domandai, diretto e impassibile.
Alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi nei miei, reggendolo a lungo prima di aprire bocca “No” rispose “Non lascerò che le paranoie di Jura influiscano sulla rotta”
“Come mai?” chiesi di colpo, senza neppure pensarci.
Si sedette in fondo al letto e si piegò leggermente avanti, sulle proprie ginocchia, sembrava stanco di colpo “Ho una cosa da fare per il babbo prima di tornare dal lui e siamo già in ritardo con i tempi, non posso permettermelo” spiegò, non capendo la mia domanda.
Sorrisi appena “No, la mia domanda era… come mai insisti tanto nel volermi qui?” domandai.
Mi osservò per un attimo attentamente, senza dir nulla “Voglio darti una mano” rispose poi.
Mi raddrizzai, staccandomi dall’anta “Eppure…” iniziai col dire mentre camminavo lentamente verso di lui “Sai che sono un pirata, che ho una ciurma, hai visto cosa sono capace di fare con i miei poteri e tu stesso mi hai definito furbo e subdolo” mi fermai a un metro da lui, guardando in basso dritto nei suoi occhi che non si erano spostati da me neppure per un secondo “Quindi perché insisti, quando ogni logica ti direbbe di gettarmi in mare?” conclusi.
Mi osservò in silenzio, stranamente serio nonostante la mia domanda avesse un tono canzonatorio e mi sarei aspettato l’ennesima provocazione “So cosa significa prendere il mare ed avere la possibilità di affermare la propria libertà” fece infine “Non sono nessuno per togliere a qualcun altro questa possibilità”
Sta volta fui io a osservarlo in silenzio, finché non piegai la bocca divertito “Ti comporti sempre così con i tuoi avversari? Risparmi chiunque ti si pari di fronte?” lo beffai.
Lo vidi ghignare, e stranamente vederlo come al solito e non con quella faccia seria mi rasserenò “Se mettersi contro di me è una loro scelta non sono tenuto a preoccuparmi di essere clemente” affermò in tono divertito “Il caso ti ha portato qui, questo ti rende un eccezione” aggiunse poi, allungò un mano e prese tra le dita un lembo della mia felpa, giocandoci col tatto.
“E così, io sarei un eccezione?” domandai inarcando un sopracciglio.
Abbassò un attimo lo sguardo, solo per posarlo sulla mia felpa che teneva tra le dita prima di tornare sul viso “Possiamo dire di sì” confermò.
“E in che posizione mi mette, questo” aggiunsi, replicando quello che gli dissi il primo giorno sempre in quella cabina.
“Più che buona” rispose anche lui come quella volta e poco dopo sentii le sue dita insinuarsi sotto la mia felpa e sfiorarmi la pelle, e comunque riuscii a sentire quel calore che sprigionava la sua pelle, rendendo così piacevole quel contatto quando si posò su di me e così invitante che per un attimo considerai l’idea di mettere da parte i miei piani per concedermi un attimo di piacere.
Ma il mio cervello ragionava ancora e posai una mano sul suo braccio “Fermo” affermai, cercando di farlo risultare un ordine, perché sapevo, ero consapevole che se avessi abbassato la guarda, se avessi permesso che succedesse quello, sarebbe finita male.
Eppure in quell’attimo riuscii solo a pensare alla sua pelle sotto il mio palmo della mano, il braccio muscoloso, così caldo, la sua pelle così morbida e piacevole al contatto. Respirai a fondo mentre non perdevo neppure per un secondo lo sguardo dai suoi occhi, sembrava un assurdo gioco in cui chi avrebbe ceduto avrebbe potuto ammettere qualcosa.
Forse si aspettava continuassi o insistessi ma non lo feci e fu probabilmente questo mio silenzio a fargli muovere ancora, incerto, le dita sulla mia pelle, come se si aspettasse di essere scacciato da un momento all’altro. Volevo, o meglio, continuavo a ripetermi di farlo, ma semplicemente non lo feci, non seppi perché, e questo lo vide come un invito per infilare l’intera mano sotto la felpa per accarezzarmi il fianco.
Rabbrividii per come fosse calda la sua pelle, era sorprendente la temperatura che sprigionasse il suo corpo e, per quanto mi seccasse la cosa, questo mi rendeva difficile sottrarmi a quel contatto, ero come bloccato.
Sentii l’altra sua mano posarsi anche sull’altro fianco fortunatamente sui vestiti, altrimenti non ero certo di cosa avrei potuto fare, e mi fece una leggera pressione per farmi avvicinare a lui facendo qualche passo avanti.
“Ti ho detto di fermarti” ribadii ma non feci nulla lo stesso.
Ero concentrato a fissarlo, era come se fossi assorto “Se davvero lo volessi, ti saresti allontanato” provò a farmi notare lui, la voce bassa, calda, tanto che non mi sentii neppure di ribattere ma non mi andava di essere l’unico ad essere sottoposto a quel supplizio così mi apprestai a fare altrettanto.
Mi limitai ad alleggerire la mia mano sul suo braccio, a sfregare la sua pelle liscia con il pollice, beandomi di quel contatto mentre spostavo la mano, accarezzandogli la spalla e risalendo  fino al collo, fino a farlo rabbrividire.
“Hai le mani fredde” commentò.
“È la tua temperatura che è troppo alta” gli feci notare.
Gli uscii dalle labbra una risata bassa, roca “Forse” ammise.
Continuai a far vagare la mia mano, accarezzandogli il collo con le dita, sfiorandogli il lobo dell’orecchio mentre accarezzavo una ciocca di quei capelli ondulati.
“Sei solo un ragazzino con gli ormoni a mille” mi sentii di commentare.
“Posso dimostrarti il contrario” ribatté subito dopo, lo sguardo che mi guardava ma sembrava più concentrato alla sensazione dalla mia mano che gli sfiorava la pelle e giocava con i suoi capelli.
La cosa mi divertì e passai la mano dietro la sua nuca mentre affondavo le dita tra i suoi capelli, morbidi e soffici, e li afferrai tirando appena verso il basso per fargli alzare la testa e andare incontro al mio viso che si abbassava su di lui. Mi avvicinai con lentezza al suo viso, trovandomi sempre più vicino a lui, tanto che potevo sentire il suo respiro sbattermi contro. Vidi il suo sguardo spostarsi sulle mia labbra per un secondo e quando fui così vicino da sfiorarlo socchiuse gli occhi e schiuse le labbra proprio quando furono a pochi centimetri dalle mie.
Mi arrestai di colpo, osservandolo divertito sorrisi “Continuo ad essere della mia idea” affermai, staccandomi da lui con tranquillità, togliendo ogni contatto ed allontanandomi verso la porta con totale calma. Avevo bisogno di fargli capire che avevo tutto sotto controllo, che ero io lì a dettare le regole, ero lì a decidere come e quando, non di certo lui, non di certo un ragazzino.
Prima di varcare la porta però mi sentii afferrare per il braccio, come previsto “Basta con questi giochetti mentali” lo sentii dire prima di voltarmi a forza e spingermi contro la parete della stanza prima di congiungere con impeto le nostre bocche.
Prevedibile, pensai divertito mentre sorridevo contro le sue labbra e ricambiavo con altrettanto ardore. Mi strinse per la vita quando le nostre bocche ansanti si staccarono un attimo per prendere fiato, come per evitare che sfuggissi ancora, mantenendo una distanza minima tra le nostre labbra.
Non potei fare a meno che ghignare “Hai confermato le mie ipotesi” affermai vittorioso.
“Non mi sembra che il ragazzino ti dispiaccia più di tanto” ribatté, con quella punta di arroganza che solo un ragazzino come lui poteva avere.
“Te ne do atto” gli concessi e posai le mani sul suo petto, solo per spingerlo indietro ed allontanarlo da me, cosa che lui non oppose nessuna resistenza “Meglio che vada. Ron-ya mi sta aspettando per un controllo” affermai mentre lo superavo verso la porta.
Lo vidi di sfuggita leccarsi le labbra un attimo prima di sorridere con presunzione “Ti farà una visita completa?” domandò.
Uscii dalla porta “Geloso?” lo punzecchiai andandomene.
“Non sai quanto” mi arrivò la risposta seguita da una risata bassa mentre mi dirigevo verso l’infermeria con una strana sensazione di spensieratezza in corpo.


 



“Puoi rivestirti” mi disse e non me lo feci ripetere due volte.
Presi i vestiti che avevo depositato in fondo al letto e iniziai a mettermeli con calma, riflettendo su quanto fossero orrendi quegli indumenti ma data la situazione, e il fatto che i miei fossero da lavare e aggiustare, non mi lamentavo. Non a parole ovviamente, mentalmente sì.
“Te lo avevo detto che non ce n’era il bisogno” non riuscii a trattenermi dal stuzzicare quel ragazzo.
“Volevo solo esserne sicuro” rispose questo “Pensavo che la tua fosse solo arroganza ma a quanto pare sei davvero un medico” aggiunse poi mentre trafficava nell’infermeria mettendo a posto la sua roba.
Non ero così idiota da non curarmi, la mia stanza al momento era l’infermeria e tanto valeva prestarmi le dovute medicazioni dato che passavo tutto il tempo lì dentro, non mi sarei mai permesso di indebolirmi inutilmente.
Mi tirai su i pantaloni “Da cosa lo deduci?” chiesi.
Lo sentii ridere, una risata molto da ragazzino che faceva da contrasto a Ron che sembrava molto maturo e più grande “Un lavoro simile su una tale ferita deve essere per forza opera di qualcuno con delle conoscenze mediche approfondite” commentò in tono divertito “Altrimenti non mi spiegherei come la tua ferita possa già iniziare a rimarginarsi dopo appena tre giorni che non la guardo neppure” spiegò poi.
“Diciamo che ho i miei metodi” mi limitai ad affermare e mi voltai una volta vestito a guardarmi attorno.
“Certo” fece lui sarcastico e io mi voltai per guardarlo, notando il suo sguardo divertito mentre ripuliva la sua attrezzatura. Alla fine non era male come medico, molto superficiale, e poche conoscenze, troppe poche, ma alla fine se la cavava, aveva buon intuito e riusciva a ragionare mettendo in pratica quel poco che conosceva per fare un buon lavoro.
“Dove posso lavarmi?” gli chiesi di colpo, facendo voltare i suoi occhi chiari su di me “Ne avrei bisogno” aggiunsi, ed era vero.
Annuì “Vieni, te lo mostro” e mise giù i suoi attrezzi, uscendo dalla stanza e imboccando un corridoio, io lo seguii finché non arrivammo di fronte una porta “Quando hai finito vieni per la cena” mi raccomandò.
“Va bene” risposi prima di entrare dalla porta e chiudermela alle spalle.


 



Quando mi fui lavato e rivestito tornai in infermeria per appoggiare il mio cappello, avevo i capelli bagnati e dovevo andare a mangiare prima che il capitano ingerisse tutto il cibo, così mi diressi verso la mensa col fare tranquillo finché non trovandomi di fronte alla suddetta porta non mi giunge alle orecchie una voce per me abbastanza molesta.
“Stai meglio senza cappello” disse questa.
Mi voltai e notai Ace avvicinarsi a me, sempre cappello e cintura arancione incorporati, sempre a petto nudo, sempre con quel sorrisetto infantile che gli dava un aria arrogante, come se avesse vinto chissà quale battaglia “Strano, pensavo fossi già dentro a strafogarti di cibo” volli commentare allo stesso tono.
Fece qualche passo avanti finché non fummo a poca distanza “Ero impegnato, doveri da capitano” semplificò e si prese la libertà di alzare una mano e passarmela tra i capelli col fare attento, lo lasciai fare anche se mostrai in faccia il mio disappunto “Anche bagnati ti stanno bene. Ti sei lavato? Avresti potuto dirmelo, ti avrei fatto volentieri compagnia” affermò divertito, se dalla sua frase o dalla mia espressione non so, facendomi un sorrisetto prima di staccarsi e aprire la porta della mensa, facendomi segno di entrare.
Ghignai a quel comportamento, sembrava proprio un ragazzino “Come sei premuroso Portuguese-ya” affermai, riferendomi sia alla frase che al gesto.
“È nella mia natura” rispose lui in tono fiero, e decisi di non ribattere e entrare finché non aggiunse “Ti ho già detto che così vestito stai bene? Quei pantaloni ti esaltano molto bene il fondoschiena”
Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffai mentre entravo in mensa sotto il suo ghigno divertito “E fin lì, nessuno aveva dei dubbi” concordai sulla sua affermazione e dubitando fortemente che quel tipo potesse cambiare in qualche modo.
















Note dell’Autrice:


Ciao a tutti! Come è stato il capitolo? Piaciuto?
Finalmente li ho fatti baciare questi dueeee… soddisfazioni infinite, non sapete quanto. Per il resto, non ho molto da dire. Qui si vede molto il pensiero di Law su come Ace sia una persona abbastanza complessa: troppo maturo per la sua età e nonostante questo si comporta a volte come un ragazzino. Ace in effetti così se ci avete mai fatto caso, ha la stessa ingenuità e idiozia di Rufy, è presuntuoso e sicuro delle proprie capacità, eppure è buono come il pane e sicuro di sé quando serve, perfino duro e severo. Penso sia normale visto il suo passato (avete visto quanto era musone da piccolo quando era solo? Poverinooo, e dire che adesso ride/rideva sempre).
Comunque non ho altro da aggiungere, vedremo come si evolveranno le cose (io lo so già, ahah, okay non fa ridere)
Grazie a tutti, chi recensisce e chi legge, alla prossima.
Bye-Bye




 

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Capitolo 6
*** Quarto Giorno ***




 
Fire Of The Sea



 
Quarto Giorno


















 
 
Dire che non riuscii a chiudere occhio è un eufemismo.
Ero andato a letto presto e nonostante la voglia che avessi di dormire non ci riuscii. Non sapevo neppure dire per cosa mi fu dovuto, d’altra parte non era la prima volta e probabilmente non sarebbe stata l’ultima. Ero abituato a non dormire la notte, avevo preso la consuetudine da piccolo dopo avere perso i miei, neanche prima ero un gran dormiglione ma avevo completamente smesso una volta che dovetti iniziare a cavarmela da solo per sopravvivere con le mie sole forze. Le uniche volte che riuscivo a dormire, quelle rare, erano per lo più tempestate da incubi. Come quella notte.
Immagini infinite mi passarono per la testa mentre mi svegliavo con il fiatone e mi mettevo seduto sul lettino dell’infermeria cercando di calmarmi. Continuavo a vedere il sangue, sentire le urla, quegli spari continuavano a ripetersi nelle mie orecchie all’infinito. Chiusi gli occhi, inspirai forte per calmarmi.
Avevo bisogno di dormire, così riprovai più volte a chiudere gli occhi per provarci ma era inutile, i miei pensieri erano stati invasi dai ricordi del passato e mi stavano risucchiando in quel vortice oscuro di rancore che continuava mostrarmi quei momenti davanti agli occhi, sia felici che tristi che avevo vissuto, non lasciandomi più rilassare abbastanza per cadere ancora nel sonno.
Così lasciai perdere. Era una sfida persa in partenza e feci quello che facevo di solito, mi alzai e andai sul ponte, appoggiandomi a un parapetto coi gomiti e fissare il mare, lasciando che il vento freddo mi soffiasse addosso penetrandomi tra i vestiti e che i ricordi mi avvolgessero completamente lasciandomi in balia di quelle sensazioni a me ormai conosciute.
 
Passò diverso tempo, non lo seppi con certezza, sapevo solo che ad un certo punto il sole era alto sul mare che ancora fissavo e attorno a me c’erano voci e suoni di lavori, con uomini che giravano da una parte all’altra del ponte per svolgere le loro mansioni. Ma non mi mossi mai di lì, non ne avevo la forza ne emotiva ne fisica, ed ero ancora avvolto da tutte quelle emozioni per riuscire a risalire a galla.
I miei sottoposti c’erano abituati, lo sapevano bene, quando ero così mi lasciavano stare, nessuno mi veniva a chiamare o provava a parlarmi perché sapevano che era inutile. Una volta preso dai ricordi ero in totale balia di me stesso.
“Hai intenzione di stare lì ancora per molto?” sentii dire alle mie spalle.
Lo riconobbi dalla voce, dalla sua presenza,  sapevo che era lui ma non mi poteva importare. Ero distante con la testa e desideravo restarci, perché quei ricordi erano tutto ciò che mi rimaneva della mia vecchia vita e non riuscivo a farne a meno.
Non distolsi lo sguardo dal mare ma risposi lo stesso “Non avrei molto da fare in ogni caso, quindi perché no” con tono freddo, piatto, distaccato, lontano. Volevo chiudere subito il discorso.
D’un tratto sentii come se parole di undici anni prima mi rimbombassero nell’orecchie, facendomi riflettere sul perché io fossi finito lì, proprio su quella nave. Era davvero il caso?
“L’uomo di vedetta ha detto che sei qui da stanotte” lo sentii insistere, forse non accettando il fatto che volessi stare per conto mio.
“Mi ha tenuto d’occhio bene” feci con fiacco sarcasmo “Sperava che ponessi fine alla mia vita?” continuai.
“Mi sembra eccessivo” replicò lui.
“Non sarebbe il primo e probabilmente neppure l’ultimo” mi ritrovai ad affermare, con voce più bassa.
Sentii un rumore, come se si fosse spostato appena con i piedi “Ha solo visto un uomo fissare il mare per ore e me lo ha riferito, tutto qui” cercò di dire, sembrava volesse evidenziare l’ovvio e mi diede fastidio, ero io l’uomo di logica lì, ero io che evidenziavo l’ovvio, nessuno poteva ribeccarmi.
“Avrà fatto bene il suo lavoro allora se ha tenuto d’occhio me per tutto il tempo” commentai acido.
“Fa sempre parte del suo compito” insistette e poi lo sentii sospirare appena “Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda” mi volle far notare, irritandomi.
“Devo riferirti ogni mio spostamento ora?” chiesi.
“No ma…”
Lo interruppi “Allora non dovrebbe interessarti”
Davvero non comprendevo che strano gioco stesse giocando il destino con me. Sembravo una pallina nella mani di qualcuno più grande di me che si divertiva a farmi cozzare da tutte le parti a suo piacimento. Mi sembrava una presa in giro. Prima i miei, poi Doflamingo, Corazon e adesso… lui.
Cosa avevo fatto di male?
“Ma che hai oggi?” mi domandò, mi parve di sentire una punta di esasperazione ma ero concentrato su altro per rispondergli “Ehi” insistette ma non mi mossi “Ehi Water” mi richiamò e sentii una mano posarsi sulla mia spalla che mi spinse in modo tale da farmi girare verso di lui.
Notai la sua espressione farsi seria, serrare leggermente la mascella nello scrutarmi, come se avesse visto chissà cosa, cose se avesse capito tutto. Ma non aveva capito nulla.
Lo guardavo impassibile, facendomi domande sul perché di quella scelta, perché proprio tra tutti i posti del mondo fossi finito proprio lì, su quella nave, da quell’uomo. Perché lui.
Era una presa in giro, più lo guardavo più ne ero sicuro, mentre immagini infinite di quel giorno di tanti anni fa mi tornavano alla mente, stordendomi con quelle parole che ancora mi rimbombavano nelle orecchie “Portuguese D Ace” sussurrai calcando tra le labbra quella D che aveva anche lui.
Non è un caso, mi dissi con certezza. Nulla lo era e nulla lo dimostrava ma in ogni caso in quella scacchiera in cui tutti partecipavamo nella mani di chissà chi, io e lui eravamo legati in qualche modo.
Chissà se era questo quello a cui si riferiva Corazon, chissà a cosa alludeva e chissà se avesse avuto ragione cosa sarebbe successo.
“Water… hey, Wate…” la voce mi arrivò alle orecchie e sentì la mia spalla esser scossa “Hey, mi ascolti?” chiedeva il moro davanti a me e mi sentii come se lo avessi solo in quel momento visualizzato di fronte a me.
Sbattei le palpebre e mi scrostai dal suo tocco, sentendo bruciare la spalla nel punto in cui mi aveva tenuto “Hai detto qualcosa?” domandai calmo, non guardandolo direttamente e spostando spesso lo sguardo attorno a me mentre cercavo di tornare in me, di riprendermi.
Lo vidi di striscio stringere appena le labbra tra loro “Dovresti riposare, hai una faccia” affermò.
Mi passai una mano tra i capelli, togliendomi un attimo il cappello per poi rimetterlo “Sto bene” replicai.
“Perché non provi ad andare a riposarti un po’?” insistette lui lo stesso.
Lo guardai in faccia, mi sembrava preoccupato dallo sguardo ma non avrei potuto dirlo con certezza “Non riuscirei a chiudere occhio lo stesso” affermai allora, sentivo in parte di doverglielo “Soffro d’insonnia”
“Da quanto?” mi chiese.
Ripensai al me bambino che si trascinava tra le macerie “Anni” risposi “Da sempre praticamente”
“Questo spiega le occhiaie” commentò solo e apprezzai che non indagò più affondo alla cosa “Hai anche degli incubi?” mi domandò invece.
Strinsi appena le braccia mentre voltavo lo sguardo di nuovo verso l’acqua del mare “A volte”
“Tipo stanotte” fece lui.
Mi sentii infastidito, mi sentivo come se si fosse avvicinato troppo a me nonostante fosse rimasto fermo “A che punto siamo con la navigazione?” domandai allora, rendendo chiaro il mio intento di cambiare discorso e non voler approfondire la questione.
Lo guardai di sottecchi, sembrò rimanerci male, non mi importò “Domani dovremmo arrivare su un isola. Devo svolgere un compito per il babbo, ci fermeremo solo per qualche ora” spiegò cercando di sembrare tranquillo.
“Il magnetismo?” chiesi allora.
“Non ne possiede uno” mi spiegò lui “Non appena avrò svolto il compito ripartiremo subito” affermò con certezza.
Mi rassicurò la cosa ed annuii “Bene, buono a sapersi” feci e esitai prima di continuare “Avrei bisogno di contattare i miei… compagni. Per sapere se sta andando tutto bene”
Annuì, lo sguardo basso a terra “Certo” affermò “Vuoi pranzare prima?” mi chiese poi tornando a guardarmi “Non hai ancora mangiato”
“Non ho fame” risposi, ed era vero “È ancora presto” aggiunsi.
“Water, sono le due di pomeriggio” fece lui d’un tratto a voce bassa, lo sguardo serio mentre stingeva la mascella e mi guadava.
Non me n’ero accorto e dovette vedersi perché lo guardai stranito, non mi ero affatto reso conto di come il tempo fosse passato in fretta “Prima non ti ho voluto disturbare ma ho detto di lasciarti qualcosa nel caso…” continuò a dire, non finì la frase forse per come mi vide perso nei miei pensieri, non volendo infierire “Ho iniziato a preoccuparmi e sono venuto a vedere cosa avessi. Ron minacciava di intervenire lui se non ti fossi schiodato di qui” continuò a riferirmi, lasciandomi sempre più confuso.
Questa volta ero stato risucchiato davvero a fondo, tanto da non accorgermi per nulla di quello che mi succedeva attorno “Non ho fame comunque” decisi di dire solo, la voce bassa e piatta, calma.
Lo vidi annuire anche se non sembrava convinto “Vieni, ti do il lumacofono” affermò e mi fece strada.


 



Contattai Bepo e mi assicurai che stessero seguendo la rotta correttamente seguendo la Vivre Card senza avere avuto intoppi. Sentii una strana sensazione di mancanza nel risentire la sua voce con quell’inconfondibile suono di sottofondo della sala macchine del mio sottomarino. Ne avevo la nostalgia, lo ammetto, e in quel momento avevo desiderato essere lì. Risentire una voce a me cara mi aveva fatto riemergere da tutti quei ricordi che mi avevano assalito dalla sera prima e finalmente mi potei sentire più libero, rilassato quasi dopo una tranquilla discussione con il mio orso.
Riposi a posto l’oggetto e rimasi in silenzio mentre pensavo a come dovessero essere in giro per il sottomarino a fare gli scalmanati sentendosi persi senza il sottoscritto. Ci avrei scommesso che al mio ritorno avrei trovato cartacce ovunque.
“Come ti troveranno?” sentii chiedere alle mie spalle.
“Ascolti le mie conversazioni, Portuguese-ya?” domandai di rimando.
“Sei sempre sulla mia nave” mi fece notare lui “Nella mia cabina” aggiunse. Il tono era piatto, praticamente quieto, quasi distaccato, e potei benissimo capire il perché dato il mio comportamento di prima. Non ero stato Mister Simpatia, lo ammetto, a volte parevo essere insopportabile, ma non gli avrei dato spiegazioni o chiesto scusa, no, non era nella mia natura. Al contrario essere freddo lo era perfettamente, quindi non ce n’era neppure bisogno.
Decisi di comportarmi come al solito “Hanno una mia Vivre Card” gli concedetti.
“Capisco…” affermò e voltando il viso in sua direzione lo trovai a scrutarmi con assoluta pacatezza, tanto che per un attimo non mi sembrò più lui “E la tua ciurma riesce lo stesso a navigare senza un capitano?” mi domandò.
Inarcai un sopracciglio “Cosa ti fa pensare che sia io il capitano?” provai a stuzzicarlo, per vedere la sua reazione.
Sorrise, come volevo “Non mi sembri il tipo che sottosta agli ordini degli altri” affermò in tono provocatorio “Mi sbaglio?” domandò retoricamente.
Gli diedi comunque la risposta “No” risposi “Non sbagli”
“Immagino quindi che tu abbia fretta di tornare sulla tua nave” continuò lui.
Rimasi un attimo ad osservarlo, l’espressione tranquilla e la mascella tesa che stonava, cercando di capire cosa stesse pensando “Sembra che la cosa ti dispiaccia” buttai lì, provando a indovinare.
Sbuffò una risata e si tolse il cappello per passare una mano tra i capelli prima di rimetterselo “In un certo senso, sì” ammise, sorprendendomi ma non lo diedi a vedere.
“Come mai?” indagai, e lo chiesi solo per vedere la sua reazione.
Mi guardò intensamente “Me lo stai davvero chiedendo?” domandò, la voce bassa mentre faceva pochi passi avanti, raggiungendomi e finendo di fronte a me “Hai bisogno che ti risponda per capirlo?” insistette nel volere una risposta. Era più basso di me di qualche centimetro eppure fronteggiarmi non recava il minimo timore, neppure la più piccola esitazione.
Non staccai gli occhi dai suoi, non spezzai neppure per un attimo il contatto visivo “No” risposi.
Quando sentii le sue mani su di me non mi mossi, non mi opposi neppure. Non sapevo come ma ero arrivato ad un certo punto che quel contatto che lui cercava con cotanta insistenza, lo volevo anch’io. Non si trattava più di lavorarmelo per mantenere una certa garanzia di stare su quella nave, c’era qualcosa che mi attirava verso quel ragazzino ma non sapevo cosa potesse essere. Forse il suo nome, forse il suo calore, forse però era semplice attrazione.
Quindi trovai snervante la lentezza con cui percepii le sue dita accarezzarmi la pelle del viso, mi sentivo perforare da parte a parte mentre passava la mano dietro la mia testa e mi accarezzasse i capelli prima di unire le nostra labbra in un bacio lento, ad occhi socchiusi, come se fossimo incerti entrambi su quello che stessimo facendo e ci aspettassimo che uno dei due si tirasse indietro, che ci aspettassimo entrambi che io mi tirassi indietro.
Ma non lo feci. Quando ci staccammo lasciai che le nostre labbra si cercassero ancora per un bacio più spinto, più desideroso. Mi afferrò i fianchi mentre mi teneva contro di lui, tanto che posai una mano sul suo petto d’istinto, per accarezzarlo, toccarlo, provocarlo. I movimenti si fecero più veloci, i baci più violenti mentre andavo ad incastrare le dita tra quei capelli ondulati e tirarli solo per prendere il controllo sul bacio e prendere il sopravvento. Gli solleticai con la lingua il palato facendo poi scontrare le nostre lingue dopo quel continuo cercarsi. Sentii il suo bacino scontrarsi col mio e percepii chiaramente l’erezione che pulsava anche con sopra i pantaloni, mi sentii un idiota in quel momento perché mi resi conto che anch’io iniziavo a presentare lo stesso problema tra le gambe.
Il ragazzino mi eccitava, e tanto. E nonostante continuassi a pensare che fosse meglio fermarsi prima di provocare qualcosa di irreparabile, il mio cervello sembrava spento e non riuscii ad evitare di assecondare i movimenti di Ace quando posando le mani sul mio fondoschiena mi alzò per farmi sedere sopra il tavolo alle mie spalle, allargando le mie gambe per posizionarsi tra di esse per poter approfondire ancor di più il bacio.
Si staccò dalla sua bocca sotto mia protesta data da un suono soffocato quando iniziò a succhiare con forza il mio collo. Arrivò perfino a morderlo e quando aprii bocca per fare un verso mi trattenni per non far uscire un suono, per non dargli la soddisfazione di avermi in pugno. Doveva essere il contrario e dovevo dimostrarglielo, tanto che gli afferrai i capelli e lo tirai indietro per farlo staccare da me solo per baciarlo con forza, mordendogli il labbro inferiore con i denti nel gesto facendogli uscire un verso basso e roco.  Non seppi se apprezzò o meno la cosa, dato che fece scontrare i nostri bacini tra loro facendomi staccare da lui quando non riuscii a trattenere un gemito, permettendogli così di tornare a baciare il mio collo fino alla mia clavicola e morderla.
Sentii la sua risata roca contro la pelle “Certo che per essere un taciturno, fai dei suoni parecchio interessanti” affermò rialzando il viso per mostrarmi il sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Lo baciai, solo per togliergli quell’espressione di trionfo dalla faccia, e ci misi così tanta pressione con la lingua che ad un certo punto si staccò per primo lui da me non riuscendo più a trattenere il fiato “Non fare tanto il presuntuoso con me, sei solo un ragazzino” lo provocai “Finirai per pentirtene” aggiunsi.
Legai le mie gambe attorno alla sua schiena, obbligandolo ad avvicinarsi a me e facendo sbattere ancora i nostri bacini e non riuscì a trattenersi dal gemere visto la sorpresa del mio gesto.
“Davvero?” mi domandò lui, lasciandosi andare in un ghigno mentre mi sfilava la maglia e io lo lasciai fare, mi guardò il petto e notai ancora quello strano luccichio passargli negli occhi prima di rialzarli e posarli su di me “Sicuro di voler andare fino in fondo?” mi domandò, cercò di farlo sembrare una domanda presuntuosa ma capii lo stesso che voleva che fossi accondiscendente per davvero.
Ghignai “Sicuro di non venire subito, ragazzino?” lo sfottei di rimando calcando l’ultima parola.
Per tutta risposta mi alzò di peso dal tavolo e si incamminò verso il letto senza staccarsi di un millimetro da me “Adesso sei tu che ti pentirai delle tue parole” minacciò.
E non potei trattenermi dal ridere, per la prima volta dopo anni, mentre mi stendeva sul letto seguendomi e concludemmo quello che avevamo iniziato e che, per motivi ovvi e personali, non mi sbilancio a  raccontare. Non vorrei mettere in imbarazzo Portuguese-ya nel farlo.


 



Aprii gli occhi stupendomi di essere riuscito ad addormentarmi. Li richiusi un attimo, sentendo ancora la stanchezza addosso e finendo in uno stato di dormiveglia in cui ero certo di essere sveglio ma continuavo ad insistere nel voler tornare a dormire data la piacevole sensazione di tempore che provavo.
Provai a riaprire gli occhi, chissà quanti minuti dopo, notando che fossi steso su un fianco, nudo, sotto una coperta, una mia mano era appoggiata sul cuscino e divideva me e il moro dall’altra parte del letto, anche lui su un fianco ma sveglio, concentrato ad osservare il mio tatuaggio sul dorso della mano e a tracciarne i contorni con le dita.
Inspirai a fondo, mi sentivo piacevolmente rilassato, ancora stanco e assonnato ma tranquillo e la sensazione di quelle dita che si muovevano sulla mia mano chissà come mi rasserenavano “Quanti ne hai?” sentii chiedere in un sussurro dal ragazzo accanto a me.
Chiusi un attimo gli occhi “Nove” risposi a bassa voce “Quanto ho dormito?” domandai.
“Abbastanza” mi rispose Ace “Hai recuperato un po’ di sonno arretrato. È sera” mi informò.
Aprii gli occhi ed incrociai i suoi che mi osservavano nonostante non si fosse fermato dall’accarezzarmi la mano. Avevo dormito bene infatti e mi chiesi come mai, forse era dovuto alla stanchezza, ore di insonnia e il sesso mi avevano sfinito.
“Non hai ancora mangiato oggi” affermò lui di colpo, e intesi la domanda indiretta che mi aveva posto.
“Non ho fame” risposi, chiusi ancora gli occhi, sentendo le palpebre pesanti, ero ancora assonnato e desideravo non uscire da quello stato “E sto bene qui, non voglio alzarmi”
Dal suono che sentii dovette aver sorriso, infatti riaprii un attimo gli occhi per vederlo divertito osservarmi “Non dobbiamo per forza” fece, e non mi sorpresi che avesse usato il plurale con un certo compiacimento.
Richiusi gli occhi, sentendo la stanchezza avvolgermi, sentii uno spostamento e un calore, comprendendo che dovette essersi avvicinato di più a me.
Le dita sul palmo della mia mano non c’erano più, al suo posto aveva iniziato ad accarezzarmi il fianco “Possiamo rimanere qui” mi rassicurò, la voce più bassa.
Cercai di sopraffare il sonno e di rimanere sveglio e socchiusi gli occhi, trovandolo vicinissimo a me “Faranno domande” gli feci notare.
“Che le facciano” rispose tranquillo.
Sentii una mano che mi stava accarezzando i capelli e cercai di resistere alla tentazione di lasciarmi cadere nel sonno per tenere la conversazione “Gireranno delle voci” insistetti, la mia voce era stanca.
“Lasciali parlare” mi contraddette.
Non avevo neppure più la forza per controbatterlo, chiusi gli occhi “Sono stanco” ammisi alla fine.
“Dormi” lo sentii replicare.
“E lasciarmi in balia di un pervertito?” riuscii a trovare la forza di stuzzicarlo.
Lo feci ridere “Smettila di lamentarti e fallo” mi ordinò, e per la prima volta in vita mia fui contento che mi fosse stato impartito un ordine.
Decisi di fregarmene almeno per il momento, di non fare a caso alla strana situazione creatosi, di fare finta di nulla, dato che per una volta tanto sarei riuscito a dormire come si deve.
Mi lasciai cadere nel sonno e, probabilmente mi sbaglio e me lo immaginai solo ma, mi sembrò di sentirlo parlare con tono dolce poco prima di addormentarmi “Tranquillo, gli incubi questa volta non ti tormenteranno”.















 
 
Note dell’Autrice:

Daaadaaannn! Come è stato? Troppo? Vi prego, ditemi se sono uscita troppo dal personaggio e mi sono sbilanciata, ne ho bisogno. Questa è la parte in cui neppure l’autore sa più cosa sta scrivendo quindi ho bisogno di sostegno morale! Non ho idea cosa ho scritto, ma spero vada bene.
Per me Law è un personaggio abbastanza complesso, per quanto lo ami, è difficile da comprendere anche per se stesso, perché è buono, buonissimo, ha un cuore d’oro, ma non lo vuol dare a vedere a nessuno, è stato ferito troppe volte in passato e si è creato una corazza indistruttibile (posso perfettamente capirlo, forse per questo sono così legata a lui) che anche se a volte cede, rimane sempre in guardia.
Qui ad esempio ho rappresentato quanto può essere freddo e cerchi di tagliare ogni singolo rapporto sociale, butto sempre ricordi del passato per far capire che mentalmente Law è fragile anche se vuole dimostrarsi sempre forte, Ace si preoccupa per lui, alla fine Law cede e… beh, avete letto.
Io sono del parere che Law abbia scoperto in tutto questo tempo in cui ha pianificato la sua vendetta qualcosa riguardo la storia della D, un po’ avrà indagato in giro, infatti ne è abbastanza ossessionato nella saga di Dressrosa e mi piace pensare che se si fosse incontrato davvero con Ace una volta, abbia pensato fosse stato destino, almeno un po’.
Fatemi sapere che ne pensate, se vi è piaciuto, se non siate d’accordo oppure sì, come volete, accetto tutto.

Grazie infinite per tutto e ci vediamo la prossima volta, a presto.
Bye-bye













 

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Capitolo 7
*** Quinto Giorno_ Parte 1 ***




 
Fire Of The Sea


 
Quinto Giorno_ Parte 1
 































Quando mi svegliai mi sentii stranamente bene. Mi sentivo rilassato, come in quelle poche volte che riuscivo a chiudere occhio la notte. Non capivo perché questa volta fossi riuscito a dormire, probabilmente era il sonno arretrato che stava diventando troppo da reggere per il mio corpo. Oppure era per dove avessi dormito e con chi?
Voltai il viso sulla mia sinistra, notando i capelli arruffati sul cuscino accanto a me, mori che ricadevano irregolarmente su quel viso lentigginoso ancora bambino. Russava un po’, e perdeva anche della bava, ma in un certo senso era quasi tenero per l’espressione serena che aveva.
Chi lo avrebbe mai detto che uno dei uomini più fidati di un imperatore potesse essere così pacifico mentre dormiva, uno si sarebbe aspettato un tipo reattivo, del genere che al minimo movimento o respiro si svegliasse puntandoti contro un’arma, ma qualcosa mi diceva che al ragazzino accanto a me avrei potuto urlare contro o anche prenderlo a botte ma avrebbe continuato a fare il suo pisolino indisturbato. La cosa era alquanto ironica.
Abbassai lo sguardo e vidi che la coperta lo copriva appena, era spavaldamente nudo e tranquillo. Collegai in quel momento quello che era successo. Mi maledii mentalmente.
“Come pensavo… la D porta sempre guai” affermai con voce rotta, ancora impastata dal sonno, mentre mi passavo una mano tra i capelli cercando di riflettere su cosa potessi fare.
Avevo ceduto all’istinto. Era umiliante ammetterlo, ma era stato così. Avevo lasciato che l’astinenza dettasse le regole e scombinasse i miei piani. Dovevo ufficialmente ricominciare da capo a riflettere, sperando nel frattempo che le mie supposizioni su Ace fossero giuste e che non fosse il tipo da scopare e sbarazzarsi subito dopo della persona, altrimenti sarebbe stato seccante cercare un altro passaggio per tornare dai miei uomini.
Iniziai a pensare che era un buon inizio alzarmi di lì, così lo feci, uscii dal letto con noncuranza, senza degnarmi di non far rumore o altro e mi rivestii. Come immaginavo, Ace continuò a dormire tranquillamente come un ghiro.
Finalmente trovai il mio cappello e me lo misi in testa, diedi un altro sguardo al ragazzo sul letto, osservandolo appena, per poi attraversare la porta e chiuderla dietro di me, dirigendomi verso il ponte. Non avevo idea se Ron o qualcun altro avesse notato la mia assenza per quella notte in infermeria ma non avevo intenzione di scoprire sorprese, soprattutto in quel momento che avevo disperato bisogno di stare per conto mio a riflettere.
Arrivai sul ponte e venni deliberatamente ignorato dal traffico di uomini che si aggirava su di esso, passai stranamente inosservato mentre mi dirigevo verso il parapetto  per vedere l’acqua del mare. Mi appoggiai ad esso e mi lasciai trasportare dai miei pensieri che mi portarono lontano. Avevo bisogno di riflettere un attimo sul mio obbiettivo, il perché fossi rimasto su quella nave, perché dovevo tornare al più presto dai miei uomini, il motivo per cui raccoglievo quelle informazioni su ogni isola, il vero scopo che volevo raggiungere per il quale avevo preso il mare.
Sì, non dovevo dimenticarlo. Cose superflue come lasciarmi andare alle emozioni, non dovevano succedere, dovevo rimanere lucido e controllarmi. Non potevo permettermi sbagli proprio in quel momento.
Chiusi gli occhi, lasciandomi andare ad un leggero sospiro. E soprattutto dovevo tenere a mente che mancavano due giorni su quella nave e non avrei più rivisto quegli uomini, né Jura, né Ron, né Ace. Non avrei più rivisto Ace.
“Ehi Water” mi sentii chiamare, voltai appena il viso, guardando con la cosa dell’occhio Ron che guardava nella mia direzione mentre era nell’intento di legarsi una bandana rossa sopra i biondi capelli “Di sotto c’è da mangiare se vuoi” mi informò.
In effetti, non mangiavo da un po’ “Va bene, grazie” risposi semplicemente, e lui proseguì per la sua strada andando dall’altra parte del ponte a parlare con chissà chi.
Mi staccai dalla mia posizione e mi diressi verso la mensa che era praticamente vuota. A parte qualche ritardatario era vuota, faceva quasi impressione, si vedeva perfino il fondo. Andai al bancone dove uscivano i cuochi e presi un piatto di cibo per poi andare a sedermi in un tavolo vuoto, isolato da tutti, iniziando a mangiare con calma.
Svariati minuti dopo fece il suo ingresso il capitano Portuguese, sempre con i suoi calzoncini, sempre a petto nudo, sempre quell’orribile cappello, mentre sbadigliava senza pudore stiracchiandosi beatamente. Istintivamente innalzai un angolino della bocca, trovandomi a scossare la testa a quella scena infantile, rendendomene poi conto solo un secondo dopo.
Che cazzo mi sta succedendo, mi chiesi, accigliando lo sguardo mentre fissavo sul mio piatto. Mi stavo rincretinendo o cosa? Oppure era Ace a rincretinire me? Non pensavo che l’idiozia fosse una malattia contagiosa ma al momento non avevo altre spiegazioni plausibili da darmi.
“Ah eccoti!” lo sentii dire e subito dopo entrò nella mia visuale un altro piatto di cibo, stracolmo, che veniva posizionato sul mio stesso tavolo, di fronte a me “Speravo di svegliarmi con te affianco sta mattina” aggiunse poi mentre prendeva posto ed iniziava a mangiare.
Presi un altro boccone dal mio piatto, imponendomi di tenere lo sguardo basso e fare l’indifferente “Non sono un tipo romantico” replicai mentre masticavo.
“Speravo in una scopata mattutina a dire il vero” ammise lui sbuffando una risata divertita.
Scossi appena la testa, divertito dal suo atteggiamento, come faceva ed essere così spudoratamente schietto nel dire quello che gli passava per la testa “Sei insaziabile” commentai.
“Non lo nego” affermò lui tra un boccone e l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio in cui entrambi mangiammo, alzai solo poco dopo lo sguardo, osservandolo strafogarsi, per poi prendere il mio bicchiere di liquore e portarmelo alle labbra “Quando arriviamo sull’isola dove hai quella commissione?” domandai, ovviamente per essere informato sui tempi mica perché volevo conversare.
Mandò giù prima di dire”Domani mattina credo” e aggiungere, alzando lo sguardo su di me “Tu…” ma esitò un attimo, come se non sapesse se chiedermelo oppure no “Quando vai via?”.
Incrociai per un attimo il suo sguardo, solo per un attimo che lo dovetti riportare sul piatto per l’intensità che mi emanò il sol sfiorarlo. Mi diedi dell’idiota  mentalmente in quel secondo, in quell’attimo fui certo che tutto mi era sfuggito di mano.
Ogni cosa.
Credevo di avere tutto sotto controllo eppure forse non lo avevo mai avuto. Pensavo solo a giocarmela a mio favore, cercando di mantenere le distanze per evitare di fargli ottenere ciò che voleva per tenerlo in pugno e fargli fare indirettamente ciò che volevo io, e io stupidamente credevo che mi avrebbe fatto  finire fuori dalla nave quando era palese che in realtà tenendo la distanza avessi avuto l’effetto contrario, quello indesiderato, quello imprevedibile. Avevo creato un legame, e per quanto io in quel secondo mi stessi maledicendo per non essermene accorto, ormai lo avevo fatto, e purtroppo c’ero dentro fino al collo.
“Se tutto va bene, dopodomani in mattinata” risposi alla fine, parendo quieto mentre lo dicevo, praticamente indifferente alla cosa.
Ed osservavo la sua reazione di sottecchi mentre mi portavo il liquore alle labbra, osservandolo mangiare in silenzio con la fronte leggermente corrugata, come se stesse pensando chissà a cosa che lo tormentasse, dispiacendomi in parte, sapendo che quel pensiero ero io. Ne ero certo.
“Trova il lato positivo” cercai di rassicurarlo dopo aver deglutito “Con me fuori dai piedi non avrai più sciocchi problemi con i tuoi uomini” affermai in tono sarcastico, sdrammatizzando un po’ quell’aria secca che si era creata tra noi.
Mi piacevano le situazioni di tensione, ma solo se ero io a crearle. Se non ne avevo il controllo, mi sentivo completamente in balia delle parole degli altri e la cosa non mi andava a genio.
Alzò lo sguardo su di me, ma mi parve tutto fuorché rincuorato dalle mie parole “Pensi che la cosa possa farmi gioire?” mi domandò, stringendo poi leggermente le labbra come se si pentisse in parte di aver confermato il mio pensiero su cosa stesse riflettendo, ed abbassò lo sguardo sul piatto senza toccarlo “Ti sbagli” aggiunse, più sicuro.
Ace mi aveva fatto vedere più di una volta il suo comportarsi da moccioso, e dopo averlo visto all’opera nelle sua serie di vesti avevo capito che c’era anche un aspetto maturo e responsabile da qualche parte sotto quegli infiniti strati di arroganza, ma in quel momento mi sembrò ancora peggio di un moccioso. Sembrava un bambino capriccioso e, per quanto mi seccasse avere spesso a che fare con questa sua parte infantile, una parte di me, profonda e segregata in chissà quale bivio della mia anima, provava la stessa cosa e così lo comprendevo.
“Non posso rimanere qui per sempre, Portuguese-ya” gli feci notare, osservandolo giocare con il cibo nel suo piatto.
“Lo so ma…” intervenne e si interruppe non trovando le parole adatte “Avrei voluto più tempo” concluse.
Buttai lì un sorriso sarcastico per alleggerire la situazione “Non pensavo di avere speciali prestazioni a letto” feci sarcasticamente, un po’ anche per vedere cosa mi avrebbe risposto.
“Per conoscerti” ribatté subito, alzando lo sguardo stranamente serio su di me, sicuro. Mi diede la conferma su quello che pensavo, che tra di noi si fosse formato davvero un qualche tipo di legame, anche se non sapevo bene di che tipo.
Ci osservammo un po’ in silenzio.
E dire che fin dall’inizio avevo avuto un piano e fino a qualche giorno prima lo stavo seguendo alla lettera, stava andando tutto come avevo previsto. Cos’era cambiato? Cosa era successo al mio piano? Cosa avevo sbagliato? Più guardavo lo sguardo deciso del ragazzo di fronte a me più mi si riempiva la mente di domande. Nel mio piano non avevo previsto molte cose.
Non avevo previsto tutto quell’attaccamento tra di noi nonostante la distanza che avevo cercato di tenere, non avevo previsto la mia non indifferenza nei suoi confronti.  Ma più di tutto non avevo previsto Portuguese D Ace.
“Credo che sia giusto che vada a finire così” affermai infine, non sapendo esattamente cosa dire “Ognuno ha la sua strada da intraprendere” continuai, leggermente vago guardando un attimo il tavolo “Tu segui fedelmente un imperatore ed io…”
…mi devo vendicare.
“Devi viaggiare con la tua ciurma verso lo One Piece” annuì con falso assenso il moro di fronte a me, come se avesse sentito quella storia già svariate volte.
“Già” concordai sovrappensiero, mentendo anche se non in modo diretto e preferii cambiando discorso cogliendo la palla al balzo “Parlavi di libertà ieri, eppure sei il primo ad esserti piegato ad un Imperatore” affermai di colpo.
Era una decisione che io non avrei mai preso, personalmente. In passato avevo già provato a sottomettermi sotto un altro pirata, non era andata granché bene con Doflamingo. Avevo già deciso a priori che nella mia entrata nel Nuovo Mondo non mi sarei piegato a nessuno di esso, se tutto andava bene, mi sarei alleato con qualcun altro e in qualche modo sarei sopravvissuto fino a compiere la mia vendetta. Ma era ancora tutto da organizzare, e di tempo ne avevo.
“Io sono libero” affermò certo Ace, sorridendo finalmente “Grazie a Barbabianca io sono finalmente libero” confermò, aveva un’intensa luce negli occhi mentre ne parlava, come se gli fosse molto devoto, si vedeva che ci teneva, sembrava prendere vita quando parlava di lui “Gli devo molto” concluse, sistemandosi un attimo il cappello.
Sembrava quasi una ragazzina alle prese con la sua prima cotta  per il suo idolo.
La cosa mi fece leggermente sorridere “Per questo giri a petto nudo sbandierando il suo Jolly Roger sulla tua schiena?” domandai tra il divertito e lo sfottente.
“È il simbolo della mia libertà” replicò col fare ovvio.
La cosa mi incuriosì “E non rimpiangi niente?” domandai “Non hai un sogno da raggiungere?”
Per tutta risposta mi sorrise ampiamente “Ho un sogno” affermò “Non ho nessun rimpianto” aggiunse poi “Inseguirò il mio sogno finché non lo avrò raggiunto e se per farlo dovessi morire, lo farei col sorriso sulle labbra”
La sua risposta mi spiazzò, tanto che non seppi cosa dirgli. Aveva parlato con una tale convinzione nello sguardo che mi fece dire con sicurezza che lo avrebbe fatto davvero. Era davvero certo in quello che diceva.
Il ragazzino continuava a sorprendermi, questo era poco ma sicuro, e la cosa non so se mi confondesse o mi divertisse, in entrambi i casi quella si era rivelata un avvenimento inaspettato molto gradito dato che avevo fatto la conoscenza di un soggetto simile.
Abbassai il capello sugli occhi “Sei davvero una persona strana, Portuguese-ya” affermai infine “Tutta da scoprire”
Lo vidi ghignare, uno di quei suoi sorrisetti che facevano da preavviso ad una battuta con doppio senso in arrivo “Beh, potresti scoprirmi se ci tieni tant…” ma non finì mai la frase che la sua testa cadde addormentata sul piatto di carne.
Lo guardai interdetto per un attimo, e poi sbuffai una risata osservandolo da sopra il tavolo “Proprio strano…” concordai, soffermandomi un po’ più del dovuto su quel viso addormentato sopra il piatto.
Mi alzai di colpo, e uscii da lì. Avevo bisogno di cambiare aria.


 



Tornai in infermeria e mi diedi un occhiata alle ferite, tanto per tenerle sotto controllo, anche se non ce n’era più bisogno dato che grazie a me si erano risanate quasi del tutto. Quando ebbi finito tornai sul ponte, tanto non avevo nient’altro da fare, in più in quel momento sarebbero stati tutti a pranzo, un motivo in più per approfittarne.
Sul mio sottomarino ero solito nelle belle giornate di navigazione a riemergere solo per poter stare steso sul ponte a rilassarmi, godermi il sole, il rumore del mare e la tranquillità della navigazione senza essere disturbato. Ne sentivo la necessità, soprattutto in quei giorni di duro stress.
Così salito sul ponte mi beai del fatto che non ci fosse nessuno in giro come immaginavo e mi sedetti da una parte, appoggiando la schiena al parapetto della nave e tenendo piegata una gamba mentre appoggiavo anche la testa, tenendo lo sguardo verso l’alto e chiudendo un attimo gli occhi.
Questa sì che è pace…, pensai in assoluta tranquillità. Sentivo solo il rumore del mare, dei gabbiani, il profumo del sale nelle narici, il sole che batteva sul viso, anche le risate degli uomini erano troppo lontane per potermi disturbare. Si stava così bene in quel momento, avrei voluto rimanere così tutta la giornata. Mentre i minuti passavano per un attimo mi persi anche, non ero più sulla nave di un imperatore, ma sul mio sottomarino, quelli che sentivo non erano rumori della chiglia di legno su cui sbattevano le onde ma il suono dei sistemi di motorizzazione del sommergibile, le risate in sottofondo non erano di pirati volgari e indisciplinati che schiamazzavano ma di Bepo che gridava scuse inutili a Sachi e Penguin per chissà quale sciocchezza, la porta che si apriva non scricchiolava o cigolava per quanto fosse vecchia ma emetteva il suono metallico di un portellone che si apriva.
Per un attimo mi sentii… bene.
“Ehi Water”
Purtroppo però quella non era la voce dispiaciuta del mio navigatore peloso ma di un ragazzino con la voce molto più acuta che destabilizzava il mio piccolo momento di relax, già microscopico, riportandomi alla cruda realtà problematica e complessa.
Aprii un occhio, solo per guardare con noia Jack davanti a me che mi guardava con insistenza “Non vieni a mangiare?” mi domandò.
Chiusi gli occhi e sospirai appena “Ho già mangiato grazie” risposi, sperando che se ne andasse.
Però i passi che sentii furono di avvicinamento, non di sicuro quelli di qualcuno che se ne stava andando “Ehi, ma è vero quello che si dice in giro?” mi domandò ad un tratto, più a bassa voce, come se stesse bisbigliando.
Infatti come aprii gli occhi seccato ebbi davanti a me il ragazzino con una mano accanto alla bocca nell’intento di non farsi sentire dagli altri e che si guardava attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno.
Lo guardai in silenzio, facendogli capire che dovesse spiegarsi meglio “Che… beh… tu e il capitano avete… fatto… cosacce?” mi domandò.
Non sono certo di quello che mi rese più perplesso, se l’espressione con cui si riferì al sesso Jack o della frase che ne seguì dopo.
“Jack ti conviene andare a mangiare prima di vedermi fare cosacce” affermò facendo la sua comparsa il portentoso e talentuoso Ace comparendo nella mia visuale in quel momento.
Jack sobbalzò nel vedere il suo superiore lì “Capitano!” affermò, diventando subito dopo rosso in viso e accennare ad un inchino col capo prima in sua e poi in mia direzione “Scusate” e si dileguò più in fretta di Penguin quando vede qualche bella donna nei paraggi.
Quando sparì oltre la porta il moro sghignazzò divertito, per poi avvicinansi a me e posizionarsi accanto, guardando oltre la balaustra il mare.
“Vuoi fare cosacce sul ponte?” gli domandai divertito.
“Era l’unico modo per allontanarlo” fece spallucce, poi mi lanciò un’occhiata, accennando a un ghigno “Ma se vuoi, io non mi tiro affatto indietro” puntualizzò.
Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo, era ovvio che avrebbe detto così “Mi segui un po’ troppo” preferii dire, facendoglielo notare.
“Presto non sarai più qui. Voglio godermi la tua compagnia più che posso” mi spiegò con un leggero sorriso prima di tornare a guardare l’orizzonte.
Calò il silenzio e fui tentato di tornare nel mio momento di pace assoluta ma non riuscivo a staccare gli occhi dalla sua figura, essendo così vicino a me e illuminata dal sole era un po’ impossibile non soffermarsi a guardarlo.
Posai il mio sguardo sul suo tatuaggio “Come mai la S sbarrata?” domandai “Chi te lo ha fatto non sapeva neppure come si scrive il tuo nome” commentai.
Lui guardò per un attimo il proprio braccio e sorrise “No, ha un significato” mi corresse e fece una leggera pausa, diventando pensieroso “Ho perso mio fratello diversi anni fa.” aggiunse poi “L’ho fatto in suo onore” mi spiegò “Ha sempre voluto andare per mare”
Aveva il sorriso malinconico di chi ne avesse passate di ogni e che stesse vedendo la propria vita passargli davanti. Non era triste però, sembrava semplicemente lontano, non fisicamente lì.
Per un attimo mi parve quasi un’altra persona.
“Qual è la tua storia?”
Socchiuse appena gli occhi sistemandosi il cappello sulla testa osservando sempre il mare “Non ti piacerebbe sentirla” rispose.
“Come mai?” chiesi, volendo insistere “I tuoi non volevano che prendessi il mare?” ipotizzai.
“Sono morti” rispose, semplice, schietto, tranquillo, il tono di chi lo ripeteva da una vita, lo sguardo perso nell’acqua come se vedesse qualcosa tra le onde “Niente di interessante o di tragico, solo un ragazzino che è cresciuto da solo” voltò lo sguardo su di me e mi lanciò un leggero sorriso, che aveva un non so cosa di malinconico.
Lo osservai per un attimo, non sembrava neppure più lui. Ero forse arrivato a conclusioni affrettate con Portuguese-ya, non era infantile come pensavo, forse era un aspetto che era emerso solo in quel periodo della sua vita dato che gli era mancato qualcuno con cui essere bambino da piccolo. Mi ricordava me sotto un certo aspetto, forse perché mi era successa la stessa cosa anche a me.
Nonostante si mostrasse un ragazzino, era maturo. Per questo lo avevano messo a quella carica, non solo per il potere che possedeva naturalmente.
Questo mi portò a guardarlo in modo diverso “Non lo avrei mai detto” ammisi pacato “Per essere uno che ambisce al titolo di Re dei Pirati sei uno molto riservato che non fa trapelare nulla” commentai poi.
“Non voglio che sia il passato a rendermi ciò che sono” mi rispose dandomi un occhiata, e anche se giurassi che non sapesse chi fossi, quella aveva tutta l’aria di una frecciatina “Ad ogni modo voglio solo farmi un nome, non ambisco a quel titolo. Sarebbe inutile, è già prenotato a qualcun altro” aggiunse poi con un sorriso più radioso verso il mare.
Inarcai un sopracciglio “Chi?”
Sorrise ancora “Il mio fratellino” rispose con un certo orgoglio.
“Hai un altro fratello?”
Annuì “Ha preso il mare da poco ma è in gamba, sono certo che ci riuscirà” affermò, mentre parlava aveva gli occhi che gli brillavano, sembrava fiero di lui “Quando si mette in testa qualcosa, nessuno è in grado di fargli cambiare idea. Punterei tutto su di lui” confermò.
“Sembra tu ci sia molto legato” notai.
Lo osservai mentre guardava il mare, sempre con quel sorriso radioso e quei occhi che ardevano “Ho promesso di proteggerlo. Mi è rimasto solo lui ormai, darei la vita se fosse necessario” confermò le mie ipotesi, e in quel momento capii che era serio.
Sorrisi appena mentre abbassavo lo sguardo e tornavo a guardare davanti a me il ponte, mi sistemai meglio contro la parete in legno per stare più comodo e abbassai il mio cappello sugli occhi “Devo ammettere di averti sottovalutato Portuguese-ya”
“Davvero?” mi chiese e potei scommettere che stesse ghignando.
“Sì, ti facevo molto più irresponsabile e infantile” confessai, solo per punzecchiarlo.
“Devo sentirmi offeso?” chiese infatti.
“Mi sono ricreduto” mi difesi.
Vidi con la coda dell’occhio le sue gambe voltarsi nella mia stessa direzione e indietreggiare per permettere al corpo di appoggiarsi al parapetto, e dallo sfregamento intuii che avesse incrociato le braccia al petto “Dimmi di te adesso”  lo sentii dire.
Riflettei un attimo su cosa dire, per un attimo il pensiero di parlare mi attraversò la mente ma fu come sbloccare una porta chiusa da undici anni. Ed una volta aperta, ecco tutti i ricordi assalirmi di colpo uno dopo l’altro, passandomi davanti agli occhi quelle scene infinite a ripetizione, quel tempo andato via che non avrei mai più potuto avere ancora.
Strinsi la mascella “Nulla degno di nota” risposi con freddezza, ancora assorto nei miei pensieri.
Non mi mossi, neppure ci provai. Non mi importava neppure di passare per stronzo o chissà che altro, non me ne fregava, l’opinione altrui non faceva per me, soprattutto la sua non mi interessava. Non ne avevo mai parlato con nessuno, non dovevo di certo iniziare con lui.
Sentii il suo sguardo su di me ma non feci nulla, si susseguì un minuto di silenzio prima di sentirgli dire “Capisco. È meglio che vada, ho delle cose da fare”  prima di allontanarsi “A dopo” aggiunse in tono piatto.
Feci finta di niente e fissai il vuoto in silenzio, ispirando forte mentre cercavo di fermare i miei pensieri  e di rilassarmi, tornando a chiudere gli occhi ed ascoltare il mare, sperando mi portasse lontano da quei ricordi.











 
Note dell’Autrice:

Non uccidetemi. Prima di tutto, sono credibili? Ho bisogno di un parere, please, non so dove sto portando questa storia. In realtà, credo che non potessi fare meglio di così. Ace e Law io li vedo uguali, per questo li adoro entrambi, con l’unica differenza che ognuno è cresciuto consolidando un carattere diverso dall’altro. Ace è stato aiutato, ma se non avesse mai incontrato Sabo, Rufy e successivamente Barbabianca, sarebbe divenuto come Law che è dovuto crescere da solo affrontando i suoi stessi incubi. Infatti quest’ultimo non racconta di sé, per me non ne è in grado; se nella saga di Dressrosa lo ha fatto con Rufy per me è perché dopo 20 capitoli in cui scorrazzava sulla schiena del Cappellaio in manette, sapendo di stare andando in contro alla morte, un paio di pensieri te li fai e io credo che prima di allora non avesse raccontato quella storia a nessuno.  Comunque sono convinta che se si fossero incontrati davvero lui e Ace in One Piece, avrebbero avuto un bel legame, perché entrambi si sarebbero ritrovati un po’ nell’altro.
Spero che possiate capire il mio parere e che vi sia piaciuto il capitolo.
Ci sentiamo presto,
Bye-bye











 

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Capitolo 8
*** Quinto Giorno_ Parte 2 ***






 
Fire Of The Sea


 
Quinto Giorno_ Parte 2
 




















“Vieni dai” affermò in modo insistente il ragazzino di fronte a me con largo sorriso, vedendo che non gli stavo dietro con il mio passo agiato provò a prendermi la mani e tirarmi in un altro corridoio “Forza, Water!” insistette Jack.
Mi scrostai dalla sua presa “Non mi toccare” feci secco, infastidito.
Lui sembrò non curarsene e continuò a farmi strada, come stava facendo da quando mi aveva tirato fuori dall’infermeria e che non mi mollava un secondo “Dai, forza” continuava a dire esaltato.
“Che sta succedendo?” chiesi, quando mi accorsi che eravamo diretti verso la mensa e che da essa proveniva un certo baccano.
“Stiamo festeggiando. Sono arrivate le nuove taglie, quella del capitano è salita ancora. Bisogna festeggiare!” esclamò col fare ovvio.
“E c’è bisogno di me?” domandai seccato.
Non mi erano mai piaciute le taglie, non mi è mai fregato della somma sulla mia testa, la trovavo una cosa superflua che su di me non influiva. Ricercato ero, ricercato sarei rimasto, non importa quanto valessi. Quelli del governo mondiale potevano fare come gli pareva, a me non sarebbe importato.
“Ovvio!” mi rispose “Tutti dobbiamo festeggiare!” insistette ed aprì la porta della mensa, facendomi cenno ad entrare.
Fui riluttante ma mi giunse una voce alle spalle “Andiamo Water, non ti fa male stare in compagnia per un po’” fece Ron divertito spingendomi per le spalle per farmi entrare nella sala contro la mia volontà.
“E va bene ma non mi toccare!” ribattei mentre rinunciavo ad oppormi.
In poco tempo mi ritrovai ad un tavolo a bere di tanto in tanto e rifiutare cibo che continuavano a propormi ma che non volevo perché non avevo fame. Intorno a me sembravano festeggiare come pazzi, ridevano, scherzavano, c’era un rumore assordante e tutti sembravano divertirsi come non mai. Ace era in mezzo i suoi uomini che se la rideva, che mangiava sereno e si divertiva come non mai. In quel momento non sembrava neppure che ci fossero dei problemi con i suoi sottoposti, sembravano piuttosto una grande famiglia felice e unita.
“Un brindisi al capitano!” urlò ad un certo punto una voce in sala, sovrastando tutte le altre “Che continua a dare del filo da torcere a quei cani del Governo!” esclamò, e tutti presero i calici alzandoli e scontrandoli tra loro mentre urlavano, per poi bere.
Ace sorrise e fece lo stesso. Lo vidi spostare lo sguardo sull’intera sala, sorvolando su tutto fino a fermarsi sulla mia figura ed incrociare il mio sguardo. Innalzai leggermente verso l’alto un angolo della bocca, per poi alzare appena la mano con il mio bicchiere come segno di brindisi, facendolo sorridere, per poi portarmelo alla bocca.
Alla fine a parte qualcuno che provò a convincermi ad unirmi ai festeggiamenti invano, la serata proseguì serenamente e in un certo senso mi fece anche bene, facendo scomparire per un attimo quei ricordi dolorosi che durante la giornata avevano continuato a perseguitarmi. Qualche volta Ace si addormentò pure, ma scatenando solo le risate generali di tutti e non impedendo nessuno di continuare a divertirsi.
Poi, quando pensai che la serata fosse conclusa e che potevo ritirarmi senza essere notato troppo da qualcuno sentii Jura urlare dall’altra parte della stanza “Capitano!” chiamava mentre gli si avvicinava “Capitano!” e tutti iniziarono a voltarsi verso di lui e ad abbassare la voce per vedere il perché fosse così irrequieto e perché avesse una faccia così tesa.
“Che hai Jura?” gli chiese qualcuno “Andiamo, vieni a festeggiare!” gli disse qualcun altro.
Ma Jura li ignorò ed arrivò da Ace che vedendo il suo sguardo severo gli domandò “Tutto bene?”
“L’ho trovato, capitano” annunciò l’uomo facendo corrugare le sopracciglia ad Ace e che quindi tirò fuori un foglio stringendolo stretto tra le dita “Avevo ragione quando dicevo che nascondeva qualcosa” aggiunse gonfiando il petto in modo risoluto.
Ace si accigliò ancora di più “Di che parli?” chiese, serio.
Capii che si sarebbe trasformata in una spiacevole serata quando vidi Jura aprire il foglio e mostrare un manifesto di taglia con sopra la mia faccia. Mi irrigidii leggermente ma non mi mossi, non accennai al minimo movimento.
“Trafalgar Law, per questo non trovavo nessun Water” spiegò in tono vittorioso l’uomo “Chirurgo della Morte, è un novellino con una taglia di duecentoventimilioni di berry!” esclamò con irritazione, scatenando un brusio di sottofondo nella sala “Ci ha presi per il culo fino adesso!” affermò per poi voltarsi su di me e riservarmi un’occhiata di pieno astio.
Non mostrai nessun cambiamento di espressione, con totale indifferenza appoggiai sul tavolo il mio bicchiere, prevedendo guai.  Non mi importò affatto che la mia taglia si fosse alzata ancora, neppure dell’umore generale di quei uomini a tale scoperta, la sola cosa che mi interessò in quel momento fu di osservare la reazione di Ace quando avrebbe incrociato il mio sguardo.
Dopo aver guardato il manifesto per bene si voltò su di me e mi guardò negli occhi, aveva un espressione illeggibile. Sembrava stranito, confuso, forse anche un po’ arrabbiato e qualcos’altro che non sapevo intendere. Lo vidi stringere la mascella e non so come per un attimo sentii una strana sensazione allo stomaco.
“Se ci ha mentito su questo, su cos’altro ci avrà mentito?” domandò Jura in tono accusatorio nei miei confronti “Va gettato in mare subito!” continuò.
Un mormorio di parole si levò, esprimendo il parere di tutti, chi era d’accordo e chi era titubante su tutto questo e chiedeva cos’avrebbe fatto il capitano che non rispondeva. Ace stava zitto e mi osservava in silenzio come se aspettasse che intervenissi e cercassi di difendermi. Ma stetti zitto. Zitto e in silenzio. Ad aspettare. Lo guardavo inespressivo aspettando la sua risposta, non concedendogli la mia.
“Non siamo frettolosi” sentivo dire da Ron che cercava di farsi sentire “Manteniamo la calma” provò a intervenire per placare le urla.
“Tu da che parte stai Ron?!”
“Questo dovrei chiedertelo io, Jura!” gli urlò contro infuriato
Altre voci si levarono e in un attimo le grida generali impregnarono l’aria, creando un assordante rumore.
“Silenzio!” gridò Ace al di sopra di tutti, facendoli zittire “Calmatevi” li ammonì con sguardo severo “Per ora non succederà niente di niente” affermò poi “Dopodomani se ne andrà, questo è certo. Fino ad allora non voglio più sentire lamentele sue questo proposito!” ordinò duro.
“Ma capitano…”
“Ho detto che non voglio più sentire lamentele!” ribatté intimorendo tutti, aveva lo sguardo severo e duro di chi avrebbe incenerito tutto.
Si voltò e si diresse verso l’uscita “Dove vai?” gli chiese qualcuno.
“Via” rispose solo in tono irritato, si voltò di scattò e i suoi occhi si posarono su di me “E Wat… qualsiasi sia il tuo nome, seguimi . Subito” mi ordinò, il tono di chi non ammetteva repliche.
Normalmente avrei protestato. Mi sarei rifiutato di sottostare agli ordini di qualcuno, soprattutto i suoi. Ma in quel momento era lui quello con il coltello dalla parte del manico, e sinceramente ero certo che in quell’attimo sarei stato più al sicuro con lui che con quelli lì dentro.
Mi alzai calmo e mi diressi verso il punto in cui era sparito Ace con tranquillità, senza fretta e non mostrando nessun tipo di disagio o preoccupazione. Passai in mezzo a tutti, nel silenzio assoluto della sala, passando davanti a molti che mi guardarono sospettosi.
Stetti per uscire quando alla mia destra Jura mi prese per il colletto della felpa avvicinando il suo viso al mio “Tu piccolo bastardo…” abbaiò, furioso.
Lo guardai impassibile, quasi sfidandolo con lo sguardo a colpirmi, non mi sarei tirato indietro a combattere, affatto. Se le cose si fossero messe male, avrei combattuto, non volevo arrivare a tanto ma avevo anche escogitato un piano di fuga fin dal primo giorno in caso la situazione si fosse rivolta a mio sfavore.
“Jura!” lo riprese in modo irritato Ace, e Jura mi mollò subito permettendomi di proseguire, seguendo nella nave il capitano.
Lo seguii fuori su ponte, l’aria fredda mi investì il viso ma quasi non ci feci caso, c’ero già abituato. Era completamente vuoto e per un attimo mi chiesi se qualcuno stesse sorvegliando a vedetta o almeno qualcuno al timone stesse seguendo la rotta, ma in quel buio era difficile vederci qualcosa.
Ace arrestò la sua camminata di colpo, facendo fermare anche me, e nello stesso attimo si voltò a guardarmi con il viso contratto, appena visibile dalla luce della torcia sopra le cabine “Tu…” affermò guardandomi male, sembrava quasi frustrato “Sei incredibile!” sbottò rivoltandosi di colpo, e irritato si appoggiò con le braccia sopra il parapetto, cercando di calmarsi.
Lo sentii borbottare tra sé e sé “Suppongo non sia un complimento” smorzai il silenzio.
“Supponi bene!” replicò, voltandosi e riservandomi un occhiata tagliente “Ti rendi conto della situazione?” mi porse la domanda “Già non è delle migliori per sé, in più decidi di mentire sulla tua identità” valutò in modo agitato “Ti dovrei buttare in mare!” aggiunse poi, rivoltandosi e dando un colpo sulla balaustra con un pugno come per calmarsi. Sembrava in conflitto.
Ma non lo farai…, mi ritrovai a pensare sapendolo. Mi sentivo alquanto strano, non mi pentivo di ciò che avevo fatto, affatto, ma c’era qualcosa, nel vederlo così, che mi faceva tentennare.
Mi portai una mano tra i capelli, osservandolo “Pensavo sarebbe stato più sicuro se non fossi stato riconosciuto” affermai, in un certo senso sentivo di dovergli una spiegazione.
Si voltò e mi fronteggiò a testa alta “In che modo? Mentendo?” mi chiese con sarcasmo “Davvero un’ottima idea quella di rendermi ancor più difficili le cose!”
“Stai urlando” volli fargli notare.
“Mi sembra ovvio, sono arrabbiato!” ribatté sempre in tono alto, non curandosi di chi lo avrebbe sentito.
Strinsi appena gli occhi non capendo “Perché ho nascosto il mio nome?”
“Perché mi fidavo di te e tu mi hai mentito” mi corresse in tono duro, lasciandomi per un attimo interdetto e sgranare appena gli occhi.
Ad un tratto guardandolo dritto negli occhi capii. L’espressione che aveva negli occhi, mi lasciò interdetto, quasi infastidendomi che fosse in grado di provarla.
Delusione.
Mi infastidì il fatto che lo fosse e non seppi spiegarmelo.  Sentivo solo il gran bisogno di togliergli quell’espressione dalla faccia, non sentimi più qui occhi accusatori addosso.
E ad un certo punto mi venne voglia di spiegare, di tentate di fargli capire, qualcosa che neppure io capivo “Non l’ho fatto” ribattei prontamente “Non ti ho mai mentito” dissi con certezza.
Mi guardò scettico, facendo appena una smorfia “Oh ma dacci un taglio. La farsa è finita, Chirurgo della Morte”
“Non ho messo su nessuna farsa” ribattei scandendo meglio le parole, cercando di farmi credere.
Per un attimo mi sorpresi da solo. Sul momento non avevo idea del perché cercassi di insistere tanto, perché ci tenessi tanto fargli cambiare idea. Il parere degli altri non mi era mai interessato, lo avevo sempre evitato, con lui non sarebbe dovuto essere diverso, no?
“Sono sempre stato sincero con te, fin dall’inizio” decretai, non sapendo come feci.
Mi diedi dello stupido quando mi accorsi di aver fatto un passo in avanti verso di lui. Mi sentivo un idiota, mi sentivo impotente, mi sentivo improvvisamente solo; e nonostante avessi passato la mia vita da solo, in quel momento temetti la solitudine.
Mi osservò per un attimo in silenzio, con amarezza “Non mi hai neppure detto il tuo vero nome”  affermò in tono basso, lieve, quasi arrendevole mentre si voltava verso il mare in cerca di conforto.
Sentii male all’altezza del petto. E questo, il fatto che ci tenessi, che nonostante tutto fossi legato a lui, mi diede fastidio, e mi odiai per essermi fatto coinvolgere troppo quando da anni mi imponevo che non avrei mai più creato nessun legame con nessuno dopo quella fatidica notte di undici anni prima.
Mi ero rovinato la vita, tutto girava attorno a quello scopo, tutta la mia esistenza girava attorno a quell’assurda mia determinazione di portare avanti quello che Corazon aveva iniziato. Ma in quel momento, in quell’istante, in quella nave, tutto era come sparito.
Non pensavo più alla risata di Doflamingo, al desiderio di vendetta, alla mia città in fiamme coperta di cadaveri, al segreto che si cela dietro la D, a mia sorella nel letto che soffriva, a Rocinante steso sulla neve che perdeva sangue.
In quel momento, c’era solo Ace davanti a me.
E mi accorsi, che in undici anni non avevo mai detto a nessuno quello che era successo quel giorno, che non avevo più cercato di riportare il passato a galla e che da allora non mi ero più fidato di nessuno a tal punto di condividere la mia esperienza. Perché non avrebbero capito, non avrebbero compreso cosa aveva significato per me passare tutto quello.
Nessuno poteva. Però lui sì.
Non era stato il caso a portarmi lì, e se davvero c’era un piano del destino dietro al clan della D, allora io in quel momento stavo seguendo i comandi di qualcuno.
Perché tra tutte le navi che potevo finire, ero finito sulla sua. Lui, che ne aveva passate tante come me, lui che mi assomigliava tanto ma che era il mio opposto. Lui che sembrava capire quello che io faticavo tanto a comprendere.
Strinsi appena i pugni lungo i fianchi nel silenzio della sera, accompagnato solo da qualche rumore di sottofondo del mare. Chiusi un attimo gli occhi quando mi sembrò di rivedere ancora quelle scene passarmi davanti e inspirai forte, spingendole lontano da me e controllandole.
“Trafalgar D Water Law” dissi ad un tratto, spezzando il silenzio “È il mio nome completo. Avevo promesso che non lo avrei mai detto a nessuno”
“E pensi che io adesso ti creda?” lo sentii dire con scetticismo.
“No” risposi sinceramente “Ma è la verità”
“Non posso crederti” lo sentii ribattere “Non so nulla di te e quel poco che credevo di sapere ormai non ne sono più tanto sicuro”
Aspettai un po’, respirando l’aria fredda attorno a me.
Non posso credere che lo sto per fare davvero.
Inspirai forte, guardando sopra di me il buio della notte cercando un appiglio “I miei sono morti quando ero piccolo” affermai di colpo, osservando il cielo scuro in cui a malapena si intravedeva qualche stella, sembrava inghiottirle “A dire il vero, tutta la mia città morì. Non si salvò nessuno, li vidi morire uno dopo l’altro davanti a me. E nonostante i miei sforzi persi anche mia sorella, alla quale tenevo molto” iniziai a raccontare, fermandomi un attimo quando l’immagine di lei che mi sorrideva mi parve davanti.
Ace si voltò verso di me, inespressivo, ed io abbassai lo sguardo su di lui distogliendolo dal cielo “Sarei morto anch’io a breve e la cosa non mi interessava. Mi salvò una persona a me cara e  tengo tutt’ora a lei, ma mi è stata portata via. E da allora sono dovuto crescere da solo, cavarmela da solo, sopravvivere con le mie sole forze” spiegai, dal suo sguardo però non vidi trapelare nulla “A quella persona promisi  di non dire il mio nome per intero a nessuno” continuai, e sospirai appena guardandomi attorno “Water è il cognome di mia madre. Non so dirti il perché vi ho detto quel nome. Forse semplicemente erano da troppi anni che non mi sentivo chiamare in quel modo, tanto da pensare di non averlo mai avuto”
E lo compresi in quel momento che in effetti era così. Dopo undici anni necessitavo di sentirmi chiamare ancora Water, di sentirmi ancora parte di quella famiglia che perse la vita in quella città bianca che aveva trovato una fine misera.
Stranamente dopo avergli detto così, mi sentii meglio. Non bene, ma meglio. E pensai che comunque sarebbe andata con Ace, non mi sarei pentito di avergli raccontato questo, che mi avesse creduto o meno. Ne avevo avuto bisogno, e per un certo senso ero felice di ciò.
Per un po’ tra noi non si udì un suono, ci guardammo in silenzio mentre il rumore delle onde riempiva l’aria.
“E allora a cosa punti?” lo sentii dire ad un tratto, rompendo il silenzio “Se non è per farti un nome, per cosa viaggi? Cosa cerchi?” mi domandò serio.
Nella mia testa si ripeté all’infinito il nome di quella persona, che per undici anni era diventata la mia ossessione.
Attesi prima di spezzare un ultima volta quel silenzio incessante “Vendetta”
 










 
Note dell’Autrice:

Scrivere questa storia sta diventando complicato, e lo so, neanche per voi che leggete deve essere facile.
Non mi sbilancio molto e mi limito a dire che sì, non potevamo sperare che più di cinquanta pirati si facessero fregare da Law sul nascondere il suo nome, e che no, non c’era altro modo di affrontare la questione del “litigio” tra Law e Ace. Per me Law a Dressrosa ha raccontato a Rufy del suo passato per un bisogno personale, probabilmente perché non lo aveva mai fatto con nessuno. Per me però, se davvero avesse conosciuto una volta Ace, sentendo la sua storia, gli avrebbe almeno accennato la sua, perché come ho già detto come personaggi sono molto simili, hanno avuto lo stesso passato e stessa sorte anche se in contesti diversi e anche se hanno affrontato in seguito la vita in modo diverso. Tutto qui, di conseguenza ho fatto così il capitolo, e spero vi sia piaciuto, e incuriosito per come si evolverà di qui in poi.
Ci vediamo la prossima, grazie infinite per star leggendo la storia o anche sono queste stupide note.
Grazie ancora,
Bye-bye











 

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Capitolo 9
*** Sesto Giorno ***





 
Fire Of The Sea
 


Sesto Giorno
























Mi passai una mano tra i capelli prima di posarci sopra il cappello mentre percorrevo il corridoio che portava alla mensa. Stavo pensando alla sera prima, di come Ace mi aveva lasciato sul ponte facendo il distaccato dopo la conversazione che avevamo avuto. Poi non lo avevo più rivisto, quella mattina aveva detto che sarebbe stato a fare quella missione per il suo capitano, quindi lui e qualcuno dei suoi uomini mancava.
Mi chiedevo se una volta tornato mi avrebbe rivolto ancora parola o si sarebbe limitato ad ignorarmi fino la mattina dopo quando sarei partito.
Di colpo davanti a me si pararono cinque figure a me sconosciute, che di sicuro facevano parte dell’equipaggio ma che mi rivolgevano uno sguardo per nulla amichevole e sembravano del tutto intenzionati a non farmi passare.
Mi arrestai a poco più di un metro da loro “Cosa volete?” gli domandai.
Due di loro sorrise a quella domanda e dietro di me sentii la presenza di altri. Voltandomi notai altri uomini bloccarmi anche la via da dove ero venuto.
“Tu adesso vieni con noi” disse uno di loro.
Non replicai, li seguii attento guardandomi attorno, memorizzando la strada mentre mi portavano nella stiva della nave. Quando raggiungemmo il suo interno, notai altri uomini già lì ad aspettarci, tra cui Jura, in tutto dovevano essere più di una decina e sembravano tutti avere qualche antipatia nei miei confronti. Non che la cosa mi stupisse.
Rimasi calmo “Lo ripeterò, cosa volete?” domandai ancora, leggermente seccato.
Jura si fece avanti, prevedibilmente “Siamo stanchi di te, Trafalgar” affermò “Non ti vogliamo più tra i piedi. Hai deriso troppo noi, ti sei preso gioco dei pirati di Barbabianca e non possiamo chiudere un occhio per questo” dichiarò severo, e gli altri sembravano tutti della stessa idea.
“Te ne devi andare” disse qualcuno lì dentro.
Mi guardai attorno con la coda del’occhio, valutando la situazione “E se non avessi intenzione di farlo?” domandai col fare provocatorio, mostrando che non ero affatto intimidito.
“Ne pagherai le conseguenze” rispose Jura, stringendo i pugni tra loro.
Capii subito che non c’era modo di evitarlo, così non mi trattenni dal dire “Sono curioso come”
Subito Jura si fiondò su di me, cercando di colpirmi e lo evitai senza problemi due suoi colpi. Non potevo contrattaccare o nel torto ci sarei andato io. Non ero un idiota, sapevo cosa volevano fare quelli.
Avevano deciso di usare la stiva dove nessuno ci avrebbe visto, sapevano che sapevo combattere e difendermi e probabilmente speravano in una mia reazione proprio per poter dare una scusa agli altri sulla nave per dovermi cacciare. A dire il vero quella situazione mi aveva snervato, sarei sceso di lì di mia spontanea volontà su quella nave ed avrei aspettato piuttosto un giorno in più l’arrivo della mia ciurma ma ormai si trattava di orgoglio, e non avrei permesso di darla vinta a Jura, non volevo dargli quella soddisfazione. Mi aveva irritato troppo per  poter lasciare le cose succedere e basta.
Così quando arrivarono tutti a colpirmi, parai solo i colpi. Ero abbastanza bravo nella lotta corpo a corpo da riuscire a difendermi abbastanza da non dover contrattaccare.
Però le cose si fecero complicate. Prima presi un pugno, evitai un calcio in viso col risultato di prendere un pugno in un occhio e poi mi ritrovai a parare una raffica di colpi all’addome.
“Codardo” mi insultò qualcuno quando parai l’ennesimo colpo, subito dopo però me ne arrivò un altro in viso.
Strabuzzai un attimo gli occhi tenendomi in piedi e parai altri tre colpi, spingendo indietro cinque di loro e facendoli cadere a terra. Diedi così le spalle a due di loro che mi presero per le braccia, cercando di tenermi fermo mentre altri mi riempivano di pugni.
Strinsi i denti con forza, reprimendo la voglia di urlare quando un grosso affondo prese la bocca dello stomaco “La tua taglia non è conforme alla tua persona, sei solo un ragazzino sopravvalutato” mi derise uno e presi un altro colpo in faccia.
Sentii la rabbia invadermi “Room” affermai e con le dita creai una sfera attorno a noi, abbastanza da attraversare la parete dietro di noi.
Pensai ad un milione di modi per  attaccarli e fargliela pagare, ma non potevo. Non solo perché gli avrei dato quel che volevano, ma anche perché avevo dato troppi problemi ad Ace fino a quel momento.
Feci un verso frustrato mentre mi costringevo a dire “Shambles” per essere teletrasportato via di lì.
Mi ritrovai in un altro corridoio con il fiatone. Cercai regolarizzare il respiro mentre stavo attento ai suoni dietro di me e mi assicuravo che i tizi che stavano partendo alla mia ricerca non venissero lì.
Solo quando non udii altri suoni mi diressi verso l’infermeria, dove mi tolsi i vestiti e li buttai da una parte, preferendo rimetterei i miei che il giorno prima Ron mi aveva portato dopo che li era riuscito ad rattoppare nei buchi. Mi diedi una ripulita veloce e provai a fare qualcosa per i lividi che sapevo che sarebbero comparsi entro l’indomani.
Infine mi buttai a letto, cercando di chiudere occhio e sperando che nessuno mi venisse a disturbare o cercare perché non ero certo che questa volta sarei riuscito a trattenermi di tagliarli in pezzi con un bisturi a due metri da me.
 


Facendo così passarono tre ore, ma quando mi svegliai mi sentii ancora più stanco di prima e la testa girarmi. Mi preparai qualcosa per farmelo passare e cercai di medicarmi come meglio potevo. Quando poi presi un attrezzo per guardare i denti e lo usai come specchio per vedermi il viso imprecai ad alta voce nel vedere i lividi che si stavano formando.
Sentii bussare alla porta in quel momento e sperai non fosse Ron a rompere il cazzo come al solito “Avanti” feci a malavoglia.
Sentii la porta aprirsi esitante “Sono io” sentii dire e riconobbi subito la voce di Ace, sorprendendomi dato che non me lo aspettavo dopo quello che era successo il giorno prima.
Continuai a dargli le spalle, sapendo di non poter farmi vedere così “Non credevo che mi avresti rivolto ancora la parola” affermai incerto sul cosa dire.
Sistemavo l’attrezzatura medica, preparando poi un intruglio per le nuove ferite, cercando in ogni caso di darmi da fare per avere una scusa per non dovermi voltare verso di lui. Perché ero certo, che nessuno sapesse cosa era successo prima nella stiva, dato che l’intento di Jura era fallito e l’unico che ci avrebbe rimesso a quel punto sarebbe stato lui. Ma non volevo girare le cose a mio favore, perché avrebbe fatto sì che Ace prendesse le mie difese, mettendosi ancora contro la sua ciurma per colpa mia.
“Ho solo dovuto pensare e riflettere per conto mio” rispose lui.
“E a che conclusione sei giunto?” domandai, davvero interessato. Forse alla fine, averlo allontanato, a quel punto era stata la scelta migliore.
Ci fu un attimo in cui non disse nulla “Ti credo” disse di colpo e io mi fermai un attimo sgranando gli occhi nel sentirgli dire quelle parole “Continuo a crederti. Non mi importa se sto facendo la figura dell’idiota o del ragazzino, voglio crederti” affermò sicuro.
“Perché?” non riuscii a trattenermi di chiedergli, oscurando gli occhi sotto la visiera del cappello “Perché continui ad insistere?” domandai non comprendendolo.
Tutto, qualsiasi logica, qualsiasi ragionamento di senso compiuto sarebbe stato contro. Eppure lui continuava a fare di testa sua, a insistere, a cercare in qualche modo di tenersi legato a me e non capivo come poteva farlo, non dopo tutto quello.
“Perché per la prima volta in vita mia sento che qualcuno è come me” rispose senza esitare immediatamente, serrai la mandibola mentre pensavo che probabilmente era lo stesso che pensavo anch’io ma che non glielo avrei detto “Per quanto la cosa sembri assurda so che è così. E nello stesso modo so che anche tu sei dello stesso parere anche se non lo ammetteresti mai” continuò a dire.
Osservai gli oggetti tra le mie mani senza vederli “E se ti dicessi che non è così? Che sbagli?”
“Non ti crederei” rispose lui tranquillo e lo sentii fare un passo avanti “Non sei il tipo che parla di sé con tutti, ma lo hai fatto con me. Lo hai fatto per farmi vedere quanto siamo simili”
“Potrei aver mentito” ipotizzai “Di nuovo”
“E saresti arrivato fino a tanto solo per assicurarti un posto sicuro sulla nave?”  ribatté lui, il tono ironico “Ti avevo già assicurato che saresti comunque rimasto a bordo, non avevi bisogno di arrivare fino a tanto” continuò e il tono mi sembrò divertito.
Innalzai un angolino della bocca “Te n’eri accordo allora” affermai, non credendo che le mie intenzioni fossero tanto leggibili a lui.
Lo sentii ridacchiare “Non sono tanto stupido”
Calò un attimo il silenzio e tornai serio mentre pensavo ad un modo per mandarlo via di lì, un altro “Forse allora è meglio che la chiudiamo qui, non credi? Domani mattina i miei uomini saranno qui, non c’è bisogno di salutarci ancora”
Ci fu un attimo di silenzio come se non sapesse come rispondere alle mie  improvvise parole distaccate “Hai già i tuoi vestiti”  era un affermazione, li aveva notati solo in quel momento “Posso sempre tenerti compagnia per oggi e poi domani mattina ci s…”
Lo interruppi “Preferirei  di no Portuguese-ya. Vorrei che si salutassimo qui e ora” ribattei.
“E… mi liquidi così? Senza neppure guardami in faccia?” mi domandò, il tono piatto e leggermente incredulo, sembrava quasi arrabbiato.
“Non sono mai stato bravo con gli addii” mi giustificai.
“Mi stai prendendo in giro, Water?”
Chiusi un attimo gli occhi, godendomi il modo in cui mi aveva chiamato, sentendo la nostalgia che mi invadeva e che in effetti mi era mancato sentire. Mi faceva piacere sentirmi chiamare ancora così.
“Voltati e ripetilo se ne hai il coraggio” lo sentii dire, irritato dal mio comportamento, facendomi capire che non ne sarei uscito questa volta “Voltati, è un ordine” insistette.
Sospirai, in qualche modo sapevo che sarebbe stato inutile provare a nasconderglielo fino ala mattina dopo, ed appoggiai la roba sul ripiano prima di voltarmi con calma verso di lui.
Incrociai il suo sguardo corrucciato che in poco tempo si tese, diventando sorpreso. Sobbalzò appena poco prima di avvicinarsi a me e guardarmi più da vicino il viso.
“Come…” provò a dire, confuso, corrucciò lo sguardo mentre mi osservava “Chi te li ha fatti?” domandò poi più diretto alzando una mano.
Sfiorò appena la mia guancia, la sentii bruciare e mi scrostai appena sentendo che mi faceva male “Nulla di importante” risposi.
Lui però continuò “Quando è stato? Stamattina?” chiedeva “Quando non c’ero?” ma io non gli rispondevo “Chi è stato?” mi chiese ma rimasi ancora zitto mentre continuava a guardami negli occhi in cerca di risposte “È stato Jura e i suoi, vero?” domandò poi, aggrottando le sopracciglia irritato e io non risposi ancora “Per questo mi stavi dicendo quelle stronzate” affermò poi collegando tutto.
Sembrava arrabbiato e ne ebbi la conferma quando mi parve che la stanza si fosse fatta più calda, segno che aveva alzato la temperatura del suo corpo, lo vidi voltarsi di scatto ed andare verso la porta “Fermo, non ce n’è bisogno” gli dissi, facendolo arrestare “Non ne vale la pena”
Si voltò a guardarmi “Non ce né bisogno? Hai visto cosa ti hanno fatto??” mi domandò con rabbia.
Certo che aveva un bel temperamento. Si arrabbiava facilmente.
 “Rifletti” ribattei “Vorresti punirli per aver toccato il giocattolino sessuale del loro capitano?” lo sfottei, cercando di farlo ragionare.
“No” ribatté “Per aver disubbidito ai miei ordini” mi corresse, e fece per andarsene.
Lo seguii e chiusi la porta con una mano prima che lui potesse varcarla “Lascia perdere, domani a pranzo non sarò neppure più qui. Se li punirai ti metterai contro i tuoi stessi uomini per niente, è questo che vuoi?” gli domandai.
“Che ci provino, li rimetterò in riga uno ad uno” controbatté con arroganza.
“Sei un ragazzino presuntuoso se pensi che certe cose si possano risolvere con i pugni. A volte devi usare la testa” gli spiegai “Non tutte le battaglie si vincono con la forza” insistetti.
Mi guardò dritto negli occhi, ancora furente “Credi davvero che ti darò ascolto?” mi sfidò.
“No” ammisi e mi piegai in basso avvicinando il mio viso sul suo per poter congiungere le nostre labbra e coinvolgerlo in un bacio con trasporto.
Quando ci staccammo sembrò accigliato “Credi di potermi distrarre in questo modo?” mi domandò.
Ghignai, come solo io potevo fare “No, io so di poterti distrarre in questo modo” ribattei prima di baciarlo ancora obbligandolo a togliere le mani dalla porta per potermi afferrare e portarmi nel lettino dell’infermeria dove mi adagiò per poi iniziare a spogliarmi, tornando sempre a far combaciare le nostre labbra.
“La cosa non finisce qui” insistette lui dopo aver buttato a terra la mia maglia pulita e mettendosi sopra di me, tornando a baciarmi.
Strinsi le gambe che avvolgevano la sua vita per spingerlo di più contro di me “Certo, ripetilo dopo” lo sfidai, prendendo il cappello sopra la sua testa e facendolo cadere a terra per potergli stringere i capelli tra le dita.
Mi baciò con foga, stringendosi a me, facendomi sentire quanto il suo corpo fosse eccessivamente caldo, e mi tolse i vestiti senza staccarsi da me. Quando lo fece e mi guardò il corpo notò qualche livido nel basso ventre, immediatamente si staccò da me e fece per andare via, ancora arrabbiato ma lo afferrai in tempo prevedendolo, obbligandolo ad abbassarsi su di me e baciarmi, pretendendolo.
“Sei proprio un ragazzino maleducato. Nessuno ti ha mai insegnato che le cose che si iniziano si devono portare a termine?” domandai con ironia quando staccò le sue labbra dalle mie.
Mi baciò ancora passando le mani sui miei fianchi per far scontrare la mia erezione contro la sua, gemetti appena “Tu devi proprio avere qualche strano squilibrio al cervello” commentò tra il divertito e il sarcastico “Sono certo che avresti potuto benissimo evitare di farti conciare così, o sbaglio?” mi domandò, posando le sue labbra calde sul mio colpo e succhiarlo forte.
Feci finta di pensarci “Mhm, chissà… forse” feci vago.
Sentii la sua risata contro la pelle “Sei un pazzo masochista”
“Meglio masochista e pazzo che essere narcolettico” replicai.
Rise ancora “Forse hai ragione” e stette per dire qualcos’altro ma gli tappai la bocca, preferendo che si affrettasse ed arrivasse al più presto al sodo.


 



“Potresti sempre unirti a Barbabianca” lo sentii dire.
Sorrisi appena mentre alzavo la testa da sopra il suo petto per guardarlo in faccia “Non mi sottometto a nessuno, Portuguese-ya”
“Puoi sempre cambiare idea, chissà” affermò in tono innocuo “Anch’io dicevo così prima di conoscere il vecchio, magari ti sta simpatico” provò ad insistere.
“Oppure” lo bloccai, tracciano appena la sua clavicola con le dita “Lascia la tua ciurma e vieni con me”
Mi guardò un attimo senza dire nulla, stringendo appena le labbra tra loro “Non posso” rispose infine.
Sospirai e mi sostai da sopra di lui, lasciandomi cadere al suo fianco e mettendomi a pancia in alto sul letto anch’io “Allora credo che non ci siano soluzioni” decretai.
Calò il silenzio tra noi, nessuno di noi due disse più nulla mentre guardavamo il soffitto  “Water” chiamò ad un tratto, a voce bassa , mi voltai verso di lui col viso notando che stesse ancora guardando in alto “Questa vendetta che devi fare…” iniziò col dire, esitante “Sopravivrai?”
Lo osservai un attimo “Chi lo sa” risposi “Adesso è presto per dirlo”
“Devi proprio?” provò a chiedere.
Tornai a guardare davanti a me senza vedere davvero qualcosa “Non posso tirarmi indietro” affermai “Non ora” e chiusi un attimo gli occhi, cercando la pace da quelle immagini che mi riempivano la testa..
“Perché?” lo sentii insistere.
Non esitai “Perché glielo devo” ammisi con tono basso e lento “Se non fosse per merito suo non mi sarei salvato, e proverei ancora odio verso tutto”
Evitò di ribattere su questo e lo sentii dire “È successo anche a me” facendomi aprire gli occhi e voltarmi per poterlo guardare “Odiare tutto” diceva mentre guardava sempre il soffitto con aria persa “Ma ho trovato chi mi ha allontanato da tutto questo” aggiunse voltandosi poi verso di me col viso, mi osservò un attimo prima di continuare “Non sarebbe meglio se anche tu vivessi libero e basta?”
Lo osservai in silenzio, quell’opzione era talmente lontana dalla mia mente che non riuscivo neppure a prenderla in considerazione “Non sarò mai libero finché i ricordi continueranno a tormentarmi” spiegai, senza staccare i miei occhi dai suoi.
Si voltò verso di me col corpo, girandosi sul fianco destro “E se una volta raggiunto il tuo scopo non sparissero?” provò a chiedermi “Cosa farai una volta che sarà finito tutto?”
Rimasi in silenzio, senza sapere che dire. Non avrei saputo cosa rispondere, non ci avevo neanche mai pensato. Ero sempre stato così concentrato sul mio piano, su quello che avrei dovuto fare, chiedendomi a volte se sarei riuscito a farcela, tanto da non pensare minimamente a cosa avrei fatto dopo. Non l’avevo mai considerato, di sopravvivere, di andare avanti, perché era un idea troppo lontana, troppo incerta e troppo insicura.
“Credo… che ci penserò una volta che sarà giunto il momento” affermai allora, incerto su cosa dire.
Mi osservò un attimo facendo una strana espressione, forse aspettandosi una risposta diversa, poi sul suo viso comparve uno dei suoi soliti sorrisetti “Puoi sempre rivalutare la mia proposta di unirti a noi a quel punto” propose.
Mi ritrovai a contraccambiare quel sorriso “Non cambierò idea neanche allora Portuguese-ya, non ti illudere” ribattei, per poi girarmi dall’altra parte e dandogli le spalle “E adesso dormi, hai avuto una giornata impegnativa, mi stupisco tu non si già crollato” conclusi quella conversazione, già troppo strana per i miei gusti.
Calò il silenzio e io mi sistemai meglio sperando per quella notte di riuscire a dormire almeno un po’, quando poi mi sentii stringere da dietro e percepii il naso di lui che mi sfiorava il collo, la sua mano calda che gli stringeva  il fianco.
Avevo riflettuto molto su quel calore che mi investiva ogni volta che stavo con lui, quel tempore che rilasciava dal suo corpo, dovuto al suo frutto. Ace era come la personificazione del fuoco, sprizzava energia ovunque, riscaldava qualsiasi cosa anche solo con la sua presenza, vaneggiava di libertà illimitata nel mare, tanto che ero arrivato a pensare che se per davvero il mare avesse avuto un fuoco, una fonte di alimentazione, questo sarebbe stato lui. Non avevo un modo migliore per descriverlo.
Ace era il fuoco del mare.
Libero, più di chiunque altro.
“Water…” mi richiamò ad un tratto nel buio della stanza “Sopravvivi”
Guardai il vuoto per interminabili minuti, riflettendo su cosa mi avesse chiesto con quelle parole. Mi persi in una miriade di immagini, tanto che arrivai a chiedermi per la prima volta se una volta fossi riuscito a compiere il mio piano cosa ne sarebbe rimasto di me, cosa sarei diventato, dove sarei finito.
Sfiorai appena con la mia mano la sua, un gesto inconscio che feci quando sentii il suo respiro appesantirsi fino ad addormentarsi alle mie spalle, ancora attaccato a me.
“Ci proverò” risposi, forse più a me stesso, nel buio della stanza.
 
 








Nota  dell’Autrice:
Non uccidetemi, vi prego. È vero ho fatto un po’ pestare Law, ma l’ho motivato bene, è stata una sua scelta non reagire, ha preferito vincere d’astuzia anche se avrebbe tanto voluto farli a pezzi nel suo lato sadico. L’ho fatto molto schivare, alla fine non ne ha prese molto, solo che sono un poco evidenti. E dato che Law ragiona, cerca di far ragionare Ace quando vuole seguire l’istinto bestiale, facendogli seguire quello sessuale (Law sa bene come lavorarsi Ace ù.ù) Li ho fatti un po’ parlare, e sì sono d’accordo sul fatto che Law gli mancasse il suo nome completo, che in qualche modo sentisse il bisogno di risentirselo dire per realizzare che non fosse solo la sua immaginazione da bambino, e sono anche convinta della sua affinità con Ace nel potersi comprendere a vicenda.
Per quanto riguarda l’ultima parte, voi ci avete mai pensato?
Io molto, davvero tanto, durante tutta Dressrosa ci ho pensato a cosa ne sarebbe rimasto di Law dopo aver sconfitto Doflamingo. Era il suo obbiettivo, la sua ossessione, ed era certo di morire, e gli andava pure bene. Ora però è vivo, Corazon è stato vendicato e lui non sa più cosa fare della sua vita dopo aver conosciuto solo la vendetta. Quindi boh, ho voluto che almeno una volta lui abbia provato a pensarci, poi ovviamente ha rimandato la cosa a più avanti, ma un po’ deve averci pensato in tutti quei anni di macchinazione di vendetta.
Questo è il mio parere almeno, ci sentiamo alla prossima con l’ultimo capitolo della storia, grazie infinite a chi è arrivato fino a qui ;)
Alla prossima,
Bye-bye








 

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Capitolo 10
*** Settimo Giorno ***







 

Fire Of The Sea



 
Settimo Giorno






























Guardavo l’acqua in attesa che sbucasse qualcosa dal suo interno.
Il ponte era vuoto, era ancora molto presto. Uno o due uomini si aggiravano e sembravano limitarsi ad ignorarmi e a fare da vedetta.
Mi ero rimesso i miei vestiti, avevo il mio cappello in testa ed aspettavo con impazienza. Non avevo svegliato Ace quando mi ero alzato quella mattina, non avevo avuto l’intenzione di farlo fin dall’inizio. Non sapevo perché ma non volevo che mi vedesse andare via, non volevo vederlo mentre mi vedeva andare via.
Così attesi per interminabili minuti che i miei uomini arrivassero, e dovetti aspettare per più di un’ora mentre l’aria fredda di quel mattino mi tempestava il viso.
Quando il sottomarino comparve, la prima cosa che feci fu sorridere, sentendomi felice al pensiero che sarei tornato a navigare per la mia strada con i miei uomini.
L’uomo di vedetta gridò l’avvistamento del mio mezzo e quelle poche persone sul ponte si sporsero per vedere il mio sottomarino giallo emergere del tutto e trasformarsi, issando in alto le vele nere con il mio stemma, in una nave.
Poco dopo il portellone di metallo si aprì, rivelando la figura del mio orso “Capitano!!!” gridò euforico vedendomi, iniziando a sbracciarsi in mia direzione con le lacrime agli occhi.
Subito vidi gli altri miei uomini uscire, anche loro iniziarono a chiamarmi a gran voce, facendomi sorridere “Meno baccano” li ammonii ma non severamente “Vengo” aggiunsi.
Li vidi drizzarsi e subito Penguin urlare “La passerella, presto!” e tutti si mossero per prendere la trave di legno che spostarono in gruppo per collegare le due navi. Non che ce ne fosse bisogno, con i miei poteri avrei potuto fare benissimo da solo, ma apprezzai il loro gesto di premura nei miei confronti e salii sul parapetto della nave per salire sulla passerella.
Feci appena due passi che sentii la sua voce alle mie spalle “Te ne vai senza salutare?” mi chiese Ace.
Mi voltai, guardandolo appoggiato alle cabine con la schiena, le braccia incrociate al petto muscoloso, il cappello arancione in testa e un leggero sorriso in volto.
“Non mentivo quando ho detto che non sono mai stato bravo con gli addii” risposi, in tono mesto.
Incurvò per un attimo le labbra “Non deve per forza essere un addio” ribatté.
Lo osservai per un attimo senza dire nulla, pensando che sarebbe così che me lo sarei ricordato “Devo ammettere che alla fine non sei un pessimo capitano, Portuguese-ya” ammisi, in qualche modo glielo dovevo.
Sorrise “Presumo che da te questo sia un complimento” fece.
“Presumi bene” risposi allo stesso modo.
Sembrava solo il giorno prima che ero finito su quella nave e noi due ci fossimo scambiate quelle battute, eppure era passata una settimana da allora.
“E io devo ammettere che non sei un freddo calcolatore come ti ostini a voler far credere” affermò lui sistemandosi il cappello, lanciandomi uno sguardo che voleva intendere qualcosa.
Feci una leggera smorfia, mi voltai e proseguii sulla passerella, dirigendomi verso il mio equipaggio “Buona fortuna per il tuo obbiettivo” mi sentii dire.
“Lo stesso anche per te” risposi.
Misi piedi sul ponte della mia nave venendo subito circondato dai miei uomini, felici di riavermi tra loro “Capitano, questa è sua” affermò Bepo passandomi la mia Nodachi.
Sorrisi prendendola e mi rivolsi a tutti “Rimandiamo i festeggiamenti a dopo, preparatevi per l’immersione” ordinai e loro gridarono festosi iniziando a muoversi sul ponte per riprendere la passerella e tornando dentro.
Mentre il suono inconfondibile della sirena per l’immersione iniziò a espandersi, mi voltai verso l’altra nave, e tra la gente che aveva iniziato a radunarsi per vedere cosa succedeva incrociai lo sguardo di Ace che con una mano alta sopra il suo cappello mi fece un cenno di saluto prima di voltarsi e dirigersi all’interno della sua nave.
“Portuguese-ya” lo richiamai, prima di rendermene conto.
Si voltò stupito in mia direzione “Sono in debito con te. Vedrò di ricambiare al più presto il favore”  affermai con un leggero sorriso sul viso.
Sul suo viso si formò uno dei suoi soliti sorrisi prima che io gli dessi le spalle, alzando un braccio in segno di saluto, e sparissi oltre il portellone d’ingresso del sottomarino poco prima che si immergesse.
Quello non sarebbe stato un addio e forse un giorno, magari presto, ci saremmo rincontrati.


 



Uno dei miei uomini mi passò il disinfettante sull’ultima ferita “Com’è possibile che in una settimana i lividi che si è procurato nell’incidente col tornado, non sono spariti?” si domandava da solo.
Feci spallucce mentre mi rimettevo i pantaloni “Chi lo sa” risposi enigmatico, ma dal suo sguardo potevo ben capire che non credeva per nulla a quello che gli avevo detto ma ringraziai che non insistette nel voler sapere cosa era successo su quella nave in quei sette giorni.
Mi ricordai una cosa “Ah, dimenticavo…” affermai, facendolo voltare verso di me “Vorrei un altro tatuaggio” affermai.
Sbatté le ciglia lui “Un altro capitano?” fece, tra il basito e lo sconcertato “Beh, certo…” rispose poi “Dove lo vuole?”
Un ricordo mi passò in mente “Sulla schiena” risposi “Voglio il mio Jolly Roger su tutta la schiena”
Il mio subordinato si sorprese mentre io mi sdraiavo sul lettino a pancia in basso “Tutta la schiena…” ripeté mentre prendeva i suoi attrezzi “Come mai, capitano? Se posso chiedere”
Sorrisi appena appoggiando il mento sulle braccia incrociate “Niente di particolare” risposi “Sarà il simbolo della mia libertà” mi limitai a dire.
Lo sentii sbuffare una risata e sono certo che scosse la testa divertito mentre si metteva all’opera “Come vuole”


 



Sono arrivato tardi, pensai.
Sul momento non ci pensai neppure molto, avevo impartito ordini senza dare alcuna spiegazione ed avevo agito. Ancora adesso, mi chiedo cosa davvero mi avesse spinto a comparire sulla baia di Marineford nel momento di maggior tensione della guerra.
Uscii dal portellone seguito dai miei uomini “Presto, porta Mugiwara-ya quaggiù!” gridai al pagliaccio che volava in alto in nostra direzione. Facendo così rilevai la nostra posizione a chiunque fosse nei dintorni.
“Eh?! Chi diamine sei tu, ragazzino?!” mi chiese il tipo dal naso rosso, guardandomi male.
“Mugiwara-ya potrebbe diventare un mio nemico un giorno. Ma benché si tratti di relazioni di inimicizia, rimangono sempre relazioni!” spiegai brevemente, avendo fretta di levarmi di lì in mezzo il più presto possibile “Mi dispiacerebbe se finisse col morire qui!” gridai, sperando che mi ascoltasse.
Per chi lo stavo facendo? In quel momento, mentre tutta la Marina iniziava a vedermi come una potenziale minaccia da dover eliminare per evitare che portassi via la loro preda, me lo chiesi.
Mi chiesi perché diavolo non ero rimasto all’Arcipelago a guardare dal monitor quello che stava succedendo, mi chiesi come mai avevo avuto tutta questa fretta di raggiungere la guerra quando avevo visto Ace libero che cercava di scappare dalla Marina, mi chiesi perché mi ero sentito così male quando avevo capito che ero arrivato in ritardo e che l’unico ancora in vita rimaneva Cappello di Paglia.
Per chi lo facevo? Per me, era un mio capriccio personale? Per Corazon, per dimostrargli che aveva fatto bene a salvarmi? Per la D, per mantenere in vita quel clan del quale non avevo idea quale fosse il segreto che nascondeva? O per Ace?
“E dovrei fidarmi?!” mi gridò contro lui.
Strinsi i denti mentre le navi iniziarono a colpirci con i cannoni “Affidalo a me per il momento, mi assicurerò che scappi!” promisi “Sono un dottore!”
Stette per ribattere ma venne quasi colpito da un Ammiraglio così fece come gli avevo chiesto “Tieni!” gridò lanciando in nostra direzione i due feriti.
“Jean Beat!” gridai.
“Li pendo io!” affermò l’uomo, prendendoli al volo.
Feci cenno ai miei uomini “Presto portateli a bordo! Immersione! Subito!” ordinai.
“Agli ordini!!” esclamarono rientrando.
Fui l’ultimo a entrare, ma prima di varcare quella porta sentii il bisogno di voltarmi ancora una volta su quel campo di battaglia, solo per rivederlo un ultima volta.
 


 
-Non ho nessun rimpianto-



 
In mezzo al nulla, steso a terra a pancia in basso, il viso rivolto verso il mare, sempre a petto scoperto, sempre i suoi vestiti, graffiato su più punti, la voragine che lo aveva trapassato svettava sulla schiena rovinando il tatuaggio di cui andava tanto fiero.
Eppure sorrideva.
I capelli scompigliati e sporchi, il viso graffiato cosparso di lentiggini, e le labbra innalzate in quello che doveva essere il sorriso di chi non aveva perso neppure contro la morte.



 
-Inseguirò il mio sogno finché non lo avrò raggiunto e se per farlo dovessi morire, lo farei col sorriso sulle labbra-
 


 
“Ho pagato il mio debito, Portuguese-ya” dissi a bassa voce, osservando ancora la sua figura, consapevole che quello sarebbe stato un addio.
“Capitano, chiuda il portellone!” m sentii dire dai miei uomini.
Mi costrinsi a voltarmi e rientrare, stetti per chiudere le porte quando mi lanciarono il cappello di Mugiwara-ya. Solo dopo averlo afferrato chiusi lo sportello, dirigendomi con una leggera fretta verso la sala operatoria.
Avevo il fratello di Ace da salvare, la sua volontà da mantenere viva.

















 
Nota finale dell’Autrice:
Mi viene da piangereeeeee. Odio la scena di Ace che muore, non la sopporto, scoppio tutte le volte a piangere. Spero di non avervi intristito troppo con questo finale ma era inevitabile. Alla fine l’idea di questa storia mi è nata riguardando la scena di Law che salva a Marineford Rufy, e mi son chiesta se magari lo avesse fatto per qualcuno, e se questo fosse stato Ace in caso si fossero conosciuti; quindi ecco la storia. Sinceramente non ho idea del perché Law lo abbia salvato, boh, dopo due anni disse che fu per un suo “capriccio personale” ma ne dubito fortemente, Law è come Corazon infondo, e come disse Sengoku a Law riguardo a Corazon “Non provare a trovare giustificazione a un atto di buon cuore, Law” che è adatto a spiegare perfettamente le azioni di Traffy.
Per il resto, il saluto, non ho voluto dettagliarlo troppo, non mi sembrano tipi da smancerie, neppure da uscite ad effetto teatrali. Mentre per il tatuaggio sulla schiena di Law… magari prima dei due anni lo aveva già eh, chi lo sa non lo abbiamo visto, io ho voluto che gli venisse l’idea da Ace.
Grazie per aver letto la storia, per averla seguita fino a qui, mi ha fatto molto piacere, spero con tutto il cuore che a qualcuno sia piaciuta o che l’abbia apprezzata.
Ci si sente in giro,
Bye-bye





 

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