Il fiore sabaudo

di Mrs Montgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'ombra del passato ***
Capitolo 3: *** Un incontro scoppiettante ***
Capitolo 4: *** Comportamenti molesti ***
Capitolo 5: *** L'inizio dell'avventura ***
Capitolo 6: *** Un fiore sabaudo ***
Capitolo 7: *** Letture e inviti ***
Capitolo 8: *** Insieme al ballo ***
Capitolo 9: *** Tenera ed Impetuosa ***
Capitolo 10: *** Il suggellamento di questo sentimento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Il fiore sabaudo



Prologo

 





1778 - Piemonte
Era una giornata maestosa.
Il cielo era completamente limpido, senza alcuna nuvola ad osteggiare ciò che sembrava una grande tela azzurra. I giardinieri si bearono di quella brezza primaverile mentre le cameriere canticchiavano allegramente in cucina. La primavera era finalmente giunta, rallegrando tutti quanti, persino i più scansafatiche del castello.
Quella era la giornata ideale per fare una passeggiata oppure organizzare un pic-nic, invece il marchese Pietro Guerra preferì rimanere nel suo studio in balia dei suoi pensieri. Comodamente seduto sulla poltrona, si massaggiava il mento ispido in continuazione e ogni tanto sbuffava. Era in quella posizione da quasi due ore, non trovando altra occupazione. Beh… in realtà c’era molto di cui mettersi a capo, ma in quel momento non aveva proprio la testa. Improvvisamente udì bussare. Ringhiò arrabbiato, aveva dato precise disposizioni.
«Ho chiesto di essere lasciato solo!»
Usare quel tono sgarbato non gli servì ad un bel niente. La persona che lo stava cercando, entrò nello studio con molta tranquillità e lo raggiunse, mettendosi proprio di fronte a lui.
«Ah! Siete voi, Elena».
La donna si spostò al suo fianco e posò una mano sulla sua spalla.
«Mio caro, è da una settimana che vi chiudete dentro a questo studio e non ci uscite prima che si faccia sera. Che cosa vi da tanto pensiero?»
«Non lo immaginate mia cara?»
Elena sospirò miseramente, annuendo. «Si tratta di vostra figlia».
«La mia unica figlia».
«Per ora» precisò la donna, sorridendo raggiante. «Tra poche settimane ci sposeremo e non vedo l’ora di darvi dei figli. Abbiamo aspettato per così tanto tempo… quando arriverà il momento saremo felicissimi».
«Ma io sono già felice, mia cara».
Il marchese si alzò e prese la mano della sua promessa sposa, per condurla sul balcone, dal quale potevano ammirare il parco della tenuta e parte delle sue terre. Quell’immensità gli dava spesso a pensare e ogni volta lo riportava al ricordo di sua figlia Giulia, concepita con la prima moglie, che da tempo risiedeva dai nonni materni a Verona. Pietro Guerra era un uomo molto orgoglioso e mai avrebbe confessato di aver commesso un errore, ma la sua coscienza spesso lo tormentava.
Il ritorno della figlia gli recava gioia, ma anche preoccupazione. Era stata l’ostilità nei confronti di Elena ad obbligarlo a mandarla via, fino a quando non fosse maturata e avesse accettato la sua unione con la donna. In verità non sapeva se Giulia fosse bendisposta a quel matrimonio. Il marchese ed Elena erano fidanzati da quasi tre anni, un tempo decisamente troppo lungo, ed era giunto il momento di andare all’altare.
«Presto tutto questo sarà vostro e degli eredi che mi darai. Parte dell’eredità andrà anche a Giulia, naturalmente».
«E giustamente» asserì Elena.
«Spero che la permanenza a Verona l’abbia aiutata ad accettare le nostre nozze e a mutare qualche sua bislacca opinione».
Elena gli prese entrambe le mani e lo fece voltare per guardarlo negli occhi. Risultava incredibile, eppure la loro unione non aveva alcuno scopo sociale, era l’amore a condurli all’altare. Entrambi erano rimasti vedovi, perdendo non solo la persona amata ma anche una parte di sé. Insieme trovarono la gioia di trascorrere il resto della loro vita con qualcuno che comprendeva il significato di portare ogni giorno una ferita dolorosa.
«Giulia manca ormai da tre anni. Scommetto che le sarà mancata casa sua e anche voi. Inoltre ha l’età giusta per comprendere ciò che è veramente importante e non solo per la sua famiglia, ma anche per sé stessa».
«Intendete dire che deve trovare marito? Seriamente volete organizzare un altro matrimonio?» domandò Pietro.
Elena scoppiò a ridere, infestando l’atmosfera attorno a loro con la sua spensieratezza. Si scostò dal marito e andò ad appoggiarsi alla balaustra in cemento. «Sono talmente felice per le nostre nozze che mi sento piena di energia! Potrei organizzare tre… anzi no, ben cinque matrimoni!»
Il marchese Pietro rise, contagiato dalla sua promessa sposa. «Calma, mia cara. Non vorrei mai che arrivaste esausta alla prima notte di nozze».
«Pietro, vi prego!» sbottò Elena arrossendo vistosamente.
«Non fate così» rise l’uomo, avvicinandosi lentamente a colei che amava. «Non sarebbe la prima volta per entrambi, o sbaglio?»
«No, non sbagliate. Vi rimprovero che non si dovrebbe parlare così apertamente di quelle faccende intime».
Pietro le rivolse un sorriso dolce e allungò una mano per carezzarle le guance imporporate. Apprezzava quella sua genuinità, così lontana dalla falsità e dall’ambiguità di cui erano tinti i volti delle gran dame di corte e dei loro mariti.
Il marchese non aveva mai apprezzato frequentare la capitale e né tantomeno i suoi altolocati residenti. Ecco perché preferiva rimanere nella tenuta di campagna a curare i suoi affari e a dedicarsi ai suoi affetti. Raramente aveva messo piede a Torino o alla sua corte, sebbene una di quelle poche volte gli portò fortuna, siccome ebbe il piacere di conoscere Elena.
La donna non era di nobili origini, apparteneva all’alta borghesia essendo la figlia di un importante banchiere. Fu la sua semplicità, oltre che alla delicata bellezza, a far capitolare Pietro. La loro unione avrebbe portato vantaggi ad entrambi, il marchese si sarebbe arricchito ed Elena avrebbe ottenuto il titolo di marchesa, eppure a nessuno dei due importava questa convenienza. Il loro unico desiderio era quello di poter finalmente vivere insieme come marito e moglie, spinti dal sentimento più forte.
«Che bello vedervi con quell’espressione serena dipinta in volto» mormorò Elena.
«È merito vostro se ho ritrovato la felicità, dopo l’infausta morte di mia moglie. Siete stata capace di ricucire una ferita che pensavo mai si sarebbe rimarginata» cominciò Pietro, afferrandola per la vita e avvicinandola a sé. «Grazie a voi, sono riuscito ad assaporare i momenti bella della vita. Voi mi avete fatto tornare a vivere!»
Inclinò il capo per porre un dolce bacio sulle rosee labbra di Elena. Quella donna gli aveva proprio toccato il cuore, ne era completamente infatuato e gli era impossibile nascondere la gioia immensa che provava nello sposarla. Eppure c’era ancora un’ombra che oscurava parte della sua felicità.
«State pensando a Giulia, vero?» domandò Elena, osservando come il suo viso si rabbuiò velocemente.
«Non posso farne a meno, ve lo confesso. Detesto pensare che lei possa rovinare questo momento felice, lo ha già fatto e… e non riuscirei a sopportare tutto nuovamente!»
«Pietro, mio caro, Giulia è cresciuta. Non è più la ragazzina capricciosa di tre anni fa» Elena tentò di rincuorarlo. «Eravamo entrambi d’accordo di aspettare, di far passare del tempo da quello spiacevole episodio, sperando che vostra figlia cambiasse idea su di me. Sapete bene che, da parte mia, non è mai stato un problema attendere così a lungo per sposarci. Ho perso mia madre da bambina, esattamente come vostra figlia, e credo che anche io avrei fatto fatica ad accettare un’altra donna nella mia vita».
Il marchese sospirò pesantemente. Affrontare l’argomento non gli era mai garbato, in quei tre anni lo evitò sempre. Il ritorno di Giulia, però, gli riportò alla mente il motivo che l’aveva spinto ad allontanarla e questo lo rendeva molto nervoso.
«Siete una donna incredibile. Proprio voi l’avete sempre difesa, nonostante la grande ostilità che vi ha dimostrato. Possedete un cuore nobile e gentile».
«Vi ringrazio, ma qua non si tratta solo di aver cuore» disse Elena mantenendo la sua serietà. «Io capisco vostra figlia e capisco anche la vostra apprensione. Perciò vi dico di provare a pensare positivo e non perdere la calma prima del tempo. Sono certa che non ci sia nulla che impedisca a Giulia di essere felice per noi. Credo che questi tre anni l’abbiamo aiutata a maturare. Credete a me, dopo il suo ritorno diventeremo la famiglia che avete sempre desiderato che diventassimo!»
Pietro abbassò il capo, riflettendo sulle parole della sua futura moglie. Probabilmente era diventato troppo paranoico sulla questione. Come sempre, solamente Elena gli fece ritrovare la calma, mostrando persino coraggio nell’affrontare l’argomento senza timore che lui si potesse arrabbiare. Il marchese era conscio di non possedere un carattere docile, spesso si dava del burbero da solo… insomma sapeva come era fatto e lo sapeva anche Elena. Nonostante mostrasse più spesso il suo caratteraccio, invece che i suoi pregi, Elena lo amava incondizionatamente.
Era forse quello l’amore? Accettare la parte più oscura del proprio compagno?
Il rumore della porta che si aprì fece voltare entrambi.
«Signor marchese!»
«Che cosa c’è, Beniamino?»
«È arrivato il duca Pietrarossa. Ho fatto scaricare i bagagli e detto di metterli nella sua stanza, come avevate ordinato».
«Molto bene!» asserì il marchese con voce tonante, come si rivolgeva ai suoi servitori. «Riceveremo immediatamente il nostro ospite».
Pietro mostrò il gomito ad Elena, segno di lasciarsi accompagnare, insieme rientrarono nel castello per uscire dallo studio e percorrere il corridoio che li conduceva dritti al salotto dove li attendeva il loro ospite. Come se non fosse abbastanza preoccupato dell’arrivo imminente dell’esuberante figlia, il marchese Guerra doveva concentrarsi sugli affari che lo legavano al duca Pietrarossa. L’uomo sarebbe stato suo ospite per molto tempo, dal momento che la sua tenuta di campagna era troppo lontana e inoltre entrambi desideravano concludere in fretta le trattative.
«Vedrete che vi piacerà. È molto serio per quanto riguarda gli affari ed è sempre onesto su ciò che vuole» disse Elena che già conosceva l’uomo che stavano per ricevere.
«Me lo auguro, dal momento che ho altri pensieri».
«Secondo me andrete molto d’accordo».
«Lo credete o lo sperate?»
Elena rise spensieratamente, comprendo che le fosse impossibile nascondergli i suoi pensieri. «Ammetto che ci spero. Lo conosco da tanti anni, per via dell’amicizia che legava i nostri padri. Andrea era presente al funerale della mia povera madre e io non sono potuta mancare a quello recente di suo padre».
«Andrea? Lo chiamate per nome?» chiese Pietro con una punta di fastidio nella sua voce.
«Non siatene geloso. È un amico di famiglia, nulla di più».
«Lo spero vivamente».
La facoltosa coppia entrò nell’ampio salotto luminoso. Il loro ospite li attese in piedi con la compostezza di una guardia reale. Si avvicinò facendo la riverenza al padrone di casa e subito dopo baciando la mano della sua signora.
«Benvenuto, duca Pietrarossa» lo accolse il marchese Guerra contraccambiando la riverenza.
«È un piacere rivedervi, Andrea» aggiunse Elena.
«Il piacere è mio e vi ringrazio fin da ora per l’ospitalità. Posso assicurarvi che non mi tratterrò più del dovuto. Giusto il tempo di concludere i nostri affari che, in ogni caso, non richiederanno molto» mise subito il chiaro il duca con una serietà degna di nota e guardando sempre negli occhi il suo interlocutore. Il suo comportamento colpì il marchese. «Sono al corrente che siete nei preparativi delle vostre nozze, di cui mi congratulo, e quindi sarebbe davvero maleducato da parte mia trattenermi troppo a lungo, abusando della vostra generosità».
«Mi compiaccio del vostro modo spiccio» ammise Pietro, guardandolo anch’egli dritto negli occhi. «Credo che andremo molto d’accordo. So che siete un amico di famiglia della signorina Elena».
Il duca Pietrarossa annuì, abbozzando un sorriso. «Le nostre famiglie si conoscono, e rispettano, da tempo immemore. Posso domandare se il signor Rossini è qui?»
«Sfortunatamente mio padre è stato trattenuto da alcune questioni a Torino. Gli è dispiaciuto molto non essere qui per incontrarvi il giorno del vostro arrivo» rispose Elena.
«Non preoccupatevi, cara. Sono certo che avrò modo di incontrarlo, quando giungerà il momento più opportuno».
«Vogliamo accomodarci?» invitò il marchese Guerra indicando i divanetti in stile rococò, che aveva fatto giungere dalla Francia pur di esibirli nel suo salotto.
Quell’aneddoto saltò fuori nelle loro chiacchiere, dopo aver trattato dei dettagli per l’affare che li coinvolgeva. Trascorsero il pomeriggio a dilettarsi riguardo i propri trascorsi. Pietro fu veramente allietato dalle chiacchiere di quell’uomo, che considerava affascinante non solo nell’aspetto, ma anche nelle parole: infondeva una certa fiducia.
Per Elena fu una gioia veder il caro amico di famiglia andar d’accordo con colui che sarebbe presto diventato suo marito. Le piaceva quel clima di tranquilla e spensieratezza, che sperava sarebbe durato per sempre nella sua casa. C’era stata tanta sofferenza nella sua vita, con la morte della madre quando era poco più di una bambina, quella di suo marito dopo neanche un anno di matrimonio. La donna passò gran parte della sua vita a fare da seconda madre al suo scapestrato fratello e ad appoggiare suo padre nei momenti in cui la fiducia gli veniva meno. Non aveva mai pensato a sé stessa, nel suo cuore non c’era neanche un briciolo di egoismo o presunzione, aveva accettato ciò che il Cielo le aveva imposto. Quando Pietro comparve nella sua vita, Elena vide in lui la sua seconda possibilità, il suo riscatto per raggiungere la felicità.
Il marchese le avrebbe dato tutto ciò che aveva sempre sognato. Una casa, una famiglia, ma soprattutto… amore. Era quel sentimento a governare la mente e l’anima della donna, sebbene vivessero in un’epoca in cui l’intelletto dominava le menti di molti.
Alla loro compagnia si unì Adriano Rossini, fratello minore di Elena, baldo giovane che era rientrato dalla caccia e che fu lieto di riabbracciare l’amico d’infanzia.
«Da dove fate ritorno? Quale magnifica città avete visitato questa volta?» domandò con fare entusiasta, prima di voltarsi verso suo cognato. «Sapete marchese, il mio amico qui è un vero giramondo!»
«Ma di quale giramondo state parlando, Adriano? A malapena ho visitato qualche città europea!»
«Sì, ma intanto hai frequentato tutte le più importanti corti della penisola. Chissà quante donne avrai avuto il piacere di conoscere e di…»
«Adriano, non fate l’impertinente!» lo rimproverò sua sorella Elena. «Duca, vi prego di perdonare l’insolenza di mio fratello. È un giovane uomo che ancora non ha compreso quando deve tenere a freno la sua linguaccia».
Il giovanotto rise fragorosamente, prima di dare un buffetto sulla guancia dell’amata sorella. «Suvvia! Dico solo ciò che è giusto e vero. Comprendo, però, che una mente candida come la vostra possa offendersi, udendo discorsi così volgari».
«Non burlatevi di me, caro fratello».
«Non lo farei mai, dolce sorella» rispose l’altro con un sorriso tutt’altro che ingenuo.
Il marchese Pietro alzò gli occhi al cielo, stufo di quel teatrino. Non gli piacevano simili comportamenti di fronte ad un ospite, benché meno se costui era in trattativa con lui. Comprendeva la confidenza che intercorreva tra Adriano e il duca Pietrarossa, ma preferiva che il suo futuro cognato si trattenesse dal mostrarsi un fanfarone. Il marchese Guerra tentò di nascondere il suo nervosismo rivolgendo falsi sorrisi di pura convenienza.
«Dunque vi piace viaggiare?» intervenne il padrone della tenuta, rivolgendo la sua attenzione al duca.
«Non ho fatto altro nell’ultimo decennio. Amo vedere come procede il mondo negli altri regni. C’è così tanta bellezza là fuori e ancora tanta da scoprire. Se mi tocca essere onesto, non mi dispiacerebbe un viaggio nel Nuovo Mondo, ma per ora credo che mi limiterò a rimanere nella mia terra natia» ammise l’uomo con una punta di malinconia nella sua voce, sebbene questo non lo portò a scomporsi. «Mio padre è venuto a mancare da qualche tempo e questo mi porta ad occuparmi degli affari lasciati in sospeso, come il vostro. Non ho intenzione di ripartire fino a quando non avrò sistemato ogni cosa».
«Questo vi fa molto onore, duca. Vostro padre ne sarebbe pienamente orgoglioso» affermò sinceramente il marchese Guerra.
«E fino a quando vi tratterrete a casa nostra… ehm, a casa del mio futuro cognato?» chiese Adriano con quell’impetuosità che caratterizzava ogni sua mossa.
«Fino a quando l’affare non sarà concluso, dopodichè toglierò il disturbo» rispose mostrando un sorriso simpatico che contagiò tutti.
«Nessun disturbo, credete».
«Andrea, caro, mi auguro che non ripartirete prima delle nostre nozze. L’invito vi è certamente arrivato e sarei davvero contenta se partecipaste» s’intromise Elena, con lo sguardo colmo di speranza.
Il duca era uno di quei pochi nobili, la cui compagnia non la metteva in imbarazzo per via della sua posizione sociale. Era una borghese e molti aristocratici non apprezzavano la gente che apparteneva a quel ramo sociale. Li consideravano degli arricchiti senza arte né parte, quando invece si poteva affermare il contrario.
Il matrimonio tra Elena e Pietro era uno di quelli considerati “misti”, in cui da una parte c’era la nobiltà e dall’altra la borghesia. Non andava contro le leggi, ma non era neanche ben visto dalle persone di alto rango. Per questo Elena apprezzava la persona del duca Andrea Pietrarossa, il quale possedeva tutto ciò che un uomo poteva desiderare. Egli aveva un corpo prestate, possedeva infinite ricchezze e un titolo che gli procurava molti vantaggi.
Agli occhi romantici di Elena, gli mancava una moglie. Tra fierezza e uno spiccato senso di ribellione, Andrea non aveva mai cercato moglie di propria volontà, nonostante gli fossero giunte numerose richieste. Proprio per la stanchezza causata dai nobili dei dintorni, i quali persistevano nel presentargli le loro figlie, decise di partire per vedere il mondo al di fuori del Piemonte e vivere pienamente il dono più grande di un uomo: la vita. Fu accolto nelle più importanti corti d’Europa e assaggiò la libertà. Senza dubbio non sarebbe mai tornato nella sua terra, se non fosse stato per la morte del padre.
«Ho letto il vostro invito e ve ne sono grato» disse l’affascinante duca, rivolgendo un sorriso cortese alla coppia. «Sfortunatamente non sarò presente, per via del mio prossimo viaggio».
«E non potete proprio rimandare?» chiese Elena.
«Mi rincresce tanto, ma non posso proprio».
«E quale sarebbe la vostra prossima meta?»
«Napoli. Devo raggiungere un mio caro amico».
«Capisco» affermò Elena, con aria desolata. Mostrò un sorriso gentile, solamente per non farlo stare in pena, non le piaceva far leva sui sensi di colpa altrui. «Vi auguro un piacevole soggiorno qui in Piemonte, la vostra terra, cosicché quando la lascerete porterete un bel ricordo di essa».
«Mai potrei scordare questa terra, sebbene appaia che io non ci sia affatto legato».
«Non dovete giustificarvi se possedete uno spirito libero» rise il marchese Pietro alleggerendo l’atmosfera.
Il quartetto rimase a chiacchierare per un’altra mezzora circa, dopodichè fecero accompagnare il duca nelle proprie stanze. Adriano insistette per condurlo, in questo modo avrebbe approfittato per farsi raccontare la sua ultima avventura. Prevedendo quella mossa, sua sorella Elena gli ribadì di non seccare il loro ospite, avrebbero avuto tempo di conversare nei prossimi giorni e che probabilmente il duca avrebbe preferito riposare che continuare futili chiacchiere.
Stranamente il giovane Rossini obbedì e si limitò a raccontare all’amico qualche aneddoto sul castello del marchese Guerra. Fortunatamente per le orecchie di Andrea, non dovettero attraversare mezza tenuta per giungere al corridoio che lo portava dritto alla sua stanza personale.
«Conoscendo il marchese, vi avranno sicuramente dato la camera più grande e meglio arredata. Uhm… forse la seconda. Sì, credo proprio che la più grande sia quella della marchesina Giulia».
«La figlia del marchese Guerra?»
«E figliastra della mia dolce sorella».
«Quindi sarà per voi una nipote acquisita?»
«Esattamente! Giulia sarà di ritorno in Piemonte tra pochi giorni».
«Dove è andata?»
«Non ha proprio fatto un viaggio. La ragazza è stata via per tre anni a Verona, dai suoi nonni materni, siccome la convivenza qui non era delle migliori» raccontò Adriano camminando lentamente affianco al duca, di cui aveva tutta l’attenzione. «Mi credete se vi dico che non va d’accordo con quell’anima candida di mia sorella? Vi chiedo la cortesia di non rivelare che ve l’ho raccontato io, ma è stata allontanata da suo padre perché era troppo ostile nei confronti di Elena».
«Davvero? E quanti anni avrebbe la signorina?»
«Diciotto, se la memoria non mi inganna».
La fronte del duca Pietrarossa si accigliò. «Uhm, credevo più piccola! In quel caso, forse, la sua ostilità poteva esser giustificata dalla mancanza della madre biologica, ma a diciotto anni è quasi una donna e non dovrebbe comportarsi in maniera capricciosa. Senza contare che non conosco persona più buona di Elena. Dubito che vostra sorella l’abbia mai trattata male».
«È più facile vedere un asino volare, piuttosto che vedere mia sorella trattar male qualcuno» rise Adriano, facendo rimbombare la sua voce per tutto il corridoio. «Elena l’ha sempre difesa e questo la rende ancor più immeritevole del disprezzo di quella piccola bisbetica. Mi auguro per la felicità di mia sorella che la sua figliastra abbia trovato il lume della ragione e me lo auguro anche per Giulia stessa. Se ne combinerà una delle sue, potrebbe persino finire in convento».
«È così tremenda?»
«Diciamo che si inventerebbe qualsiasi cosa per causare disagio. Magari è cambiata. L'aver trascorso tre anni lontano da casa devono esserle serviti a qualcosa».
«Lo spero per Elena. Si merita tutta la gioia di questo mondo».
«Siete molto caro a parlare così di mia sorella. Quella donna merita il vostro affetto e quello di chiunque a questo mondo» disse Adriano battendogli una pacca sulla spalla, poco prima di finire proprio di fronte alla stanza del duca. «Eccovi arrivato! Vi auguro un buon soggiorno, amico mio».
Il nobile lo ringraziò e gli mostrò un cenno del capo, prima di ritirarsi nella sua camera. I servitori avevano già provveduto a portare lì i suoi bagagli e a disfarli. Riposero le camice di lino nei cassetti del comò mentre le eleganti giacche, i raffinati panciotti, le scarpe e gli stivali finirono nel grande armadio di noce.
Andrea si guardò attorno, osservando l’arredamento che era stato scelto per quella stanza, totalmente in stile rococò. Non era sfuggito alla sua attenzione che anche molti mobili del salotto appartenessero a quella raffinatezza introdotta dai francesi. Quell’arte rendeva tutto più arioso e luminoso, senza contare che si distinse dagli altri stili, per via della sfarzosità degli ornamenti. Fu una vera rivoluzione non solo nel campo dell’arredamento, ma anche nell’architettura e nella moda. Il duca Pietrarossa aveva già ammirato quello stile, nella sua ultima visita al palazzo di Versailles, culla del Rococò. Andrea si buttò sul letto, dove aveva intenzione di riposare fino a quando non sarebbe giunta l’ora di cena. Per quanto ci fossero bei ricordi che lo legassero al Piemonte, non vedeva l’ora di tornare a Napoli. Calcolò se ne sarebbe andato dal castello della famiglia Guerra e dalla sua terra d’origine entro fine mese. Chiaramente non poteva immaginare che la sua permanenza in Piemonte avrebbe avuto una durata più lunga del previsto.



Mrs. Montgomery
Buongiorno a tutti!
Inizio col ringraziarvi per aver letto il prologo. Se spinti dalla curiosità andrete avanti ne sarò felice, in caso contrario vi ringrazio ugualmente perché avete speso il vostro tempo dedicandolo a questa mia nuova storia. Per chi mi segue su facebook sa che covavo questa storia da molto tempo e finalmente eccomi qui a pubblicarla. Non intendo intrattenervi oltre, grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
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-Baci

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Capitolo 2
*** L'ombra del passato ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 1
L'ombra del passato

 

Il piccolo borgo piemontese pullulava di persone comuni. Ognuno era indaffarato nel proprio compito. Alcune donne stavano prendendo l’acqua dal pozzo, tre bambini giocavano a schizzarsi addosso l’acqua della fontana e i servitori entravano e uscivano dalle botteghe rifornendosi di ciò che necessitavano.
L’arrivo della primavera aveva reso allegri anche loro, sebbene vivessero in condizioni modeste e il denaro non pareva bastare mai. Tuttavia un evento insolito attirò gli sguardi dei paesani che si presero una pausa dai loro compiti. Questo evento entrò nel borgo a suon di zoccoli e dello scricchiolio di una gran carrozza in movimento. Era certamente insolito osservare un mezzo così lussuoso, che solamente i nobili dei dintorni possedevano. Il quesito di molti fu il seguente: Chi poteva mai scendere tra la povera gente?
Domanda lecita.
D’altronde i nobili che frequentavano l’osteria giungevano a cavallo. Coloro che desideravano far visita ai marchesi Guerra non si sarebbero mai presi la briga di far attraversare la propria carrozza in mezzo agli straccioni, piuttosto prendevano la strada più lunga. Eppure qualcuno era lì.
Il serio cocchiere arrestò la carrozza vicino alla piazzetta, in un piccolo spiazzo, dove le grida felici dei bambini infestavano l’atmosfera del borgo. Il paggio si sistemò velocemente la livrea e scese dal mezzo per andare ad aprire la portiera e ad abbassare il gradino mobile, cosicché la sua padrona non scivolasse durante la propria scesa. Le porse le mano aiutandola e così tutti videro chi era quella nobile che desiderò passare per il borgo.
Inutile aggiungere che le pettegole del paese cominciarono a bisbigliare, mentre i loro sguardi attenti erano fissi sulla sua minuta figura. La nobile sospirò non appena i suoi piedi toccarono il suolo. Trascorse i primi brevi istanti a bearsi di quell’aria fresca, che le carezzava la pelle chiara come per darle il bentornato nella sua terra. Credeva a stento di essere veramente tornata a casa.
«Mia signora, desiderate essere accompagnata?»
«No, aspettatemi qui».
La giovane iniziò ad incamminarsi all’interno del borgo, osservandone ogni angolo e sorridendo a coloro che le mostravano una riverenza in segno di rispetto. Sebbene non molti riconobbero la sua vera identità, bastava vedere come fosse agghindata per capire a che rango appartenesse. La ragazza non si stava muovendo alla cieca, c’era un luogo ben preciso in cui desiderava recarsi e un fatto a lei gradito fu di non notare alcun cambiamento dall’ultima volta in cui v’era stata.
L’unica tappa imprevista fu al carretto di un panettiere, dove comprò qualche panino ancora caldo e poi riprese la sua passeggiata.
Non si curava minimamente del fatto che il suo abito stesse strascicando sul suolo non poi così lindo. Molti suoi pari avrebbero avuto da ridire.
La nobile fanciulla si fermò di fronte alla bottega del fabbro. Un ampio sorriso si formò sulle sue labbra, nel momento esatto in cui i suoi occhi si posarono su un giovane che stava battendo il ferro caldo. Nonostante gli anni trascorsi separati, vide che non era cambiato di una virgola. Giacomo Crespi, il suo più caro e umile amico d’infanzia, era molto concentrato nel suo lavoro.
«La tua dedizione è da ammirare».
Giacomo corrugò la fronte, udendo quella voce forte e familiare. Credette di sbagliarsi e che la stanchezza causata dal duro lavoro iniziasse a giocargli brutti scherzi. Si passò una mano sulla fronte sudata e prese un lungo respiro prima di continuare a battere il ferro caldo.
La nobile, dal canto suo, pensò di non essersi fatta udire abbastanza e quindi ideò un altro modo per attirare l’attenzione del giovanotto. Si avvicinò a passo felpato, posizionandosi alle sue spalle, e poi gli circondò la vita con le sue braccia.
Giacomo sobbalzò, per via di quella mossa improvvisa, e fece cadere gli attrezzi da lavoro. Si voltò rapidamente, pronto a dirne quattro a chiunque gli avesse fatto quello scherzo idiota, ma si bloccò all’istante quando vide di chi si trattava. Spalancò la bocca dalla meravigliosa sorpresa e boccheggiò indicandola.
“Si tratta forse di un miraggio?” si domandò prima di allungare una mano e sfiorare quel ricciolo castano che ricadeva elegantemente sulla spalla della ragazza. No, non si trattava affatto di un miraggio. La marchesa Giulia Guerra era proprio di fronte a lui.
«Se non chiudi la bocca ti entreranno le mosche» disse lei, lasciandosi andare ad una risata divertita.
Giacomo sembrò ricomporsi e mostrò un largo sorriso. «Sei veramente tornata? Ehm… scusate, sono un po’ emozionato. Intendevo dire… siete veramente tornata?»
«Che tu mi dia del “voi” o del “tu” non cambia la realtà. Sì, sono tornata» rispose Giulia, mostrandogli uno dei suoi sorrisi più dolci e commossi. Non era l’unico ad aver sofferto la lontananza. «Posso averlo un abbraccio?»
Giacomo fece per allungare le braccia, ma poi si fermò di colpo e le ritrasse.
«Io… ho le mani sporche e non profumo di lavanda. Sapete, il lavoro…»
L’imbarazzo del giovane fabbro sembrò intristire Giulia, che mai aveva mostrato sdegno per le sue umili condizioni. Sebbene la nobile amasse il lusso in cui era nata, evitava di esibire la sua superiorità sociale. Era stata sua madre ad insegnarle che bisognava sempre trattar con gentilezza le persone meno abbienti, dimostrando loro rispetto, nonostante non avessero le loro stesse mani levigate. La defunta marchesa Guerra era stata molto amata dalla servitù, proprio perché credeva che la nobiltà d’animo potesse provenire anche da un garzone o da un contadino.
«Ho trascorso gli ultimi tre anni lontana da qui, eppure ti posso giurare che nulla è mutato. All’epoca ero sempre vestita con abiti sfarzosi e tu non sempre profumavi di rose, ma ciò non impediva a nessuno dei due di mostrare il giusto affetto che provavamo l’uno per l’altra» sussurrò, credendo fermamente in ciò che stava dicendo.
Lo sguardo di Giacomo gliene diede conferma e questo la fece sorridere.
«Bene! Ora che abbiamo messo in chiaro la faccenda, che cosa stai aspettando? Vuoi abbracciarmi o devo ordinartelo?»
Giacomo scoppiò a ridere e si lanciò su di lei, stringendola tra le sue braccia. Entrambi cedettero all’impulsività e alla troppa gioia, fortunatamente erano abbastanza riparati da sguardi indiscreti. Tali carinerie erano assolutamente da evitare in pubblico, specialmente per la diversa posizione sociale che li contraddistingueva. Quell’abbraccio avrebbe potuto alzare un polverone, minando la vita sia di Giacomo che di Giulia. La loro amicizia era più che sconveniente.
«Guarda un po’ cosa ti ho portato!»
Giacomo osservò il sacchetto, che lei gli mise sotto al naso, e sbirciò al suo interno. Rimase un po’ perplesso. «Mi avete portato del pane?»
«Pane appena sfornato» lo corresse Giulia. «Ho immaginato che a quest’ora saresti stato in pieno lavoro e forse ti sarebbe venuta fame. Conoscendoti non avresti messo niente sotto i denti, fino all’ora di cena».
«Mi conoscete bene!» esclamò il ragazzo addentando bruscamente il panino e sentendosi in imbarazzo solo pochi istanti dopo, quando si accorse che le sue maniere non erano state molto raffinate. «Scusate, io…»
La fanciulla alzò una mano, segno che non doveva porsi alcun problema, e gli sorrise intenerita. «Ti ringrazio per il rispetto che mi porti, ma ti prego di darmi del “tu” quando siamo da soli».
«Ma…»
«Lo esigo!» esclamò Giulia alzando l’indice e facendosi scappare una risata divertita.
Giacomo venne contagiato dalla sua allegria e annuì. Sarebbe stato inutile insistere, non conosceva persona più testarda di quella ragazza.
«D’accordo. Ehm… quando sei tornata?»
«Proprio in questo momento! C’è la carrozza ad attendermi in piazzetta».
«Che cosa?! Siete… cioè, sei passata qui invece di andare direttamente al castello? Oh, Giulia… tuo padre sarà certamente in collera».
«Che si arrabbi pure! Sai quanto potrebbe importarmene».
«Credevo che fossi tornata perché le cose si erano sistemate».
Giulia corrucciò la fronte e scosse il capo. «Niente affatto! Il signor marchese, mio padre, mi ha fatta tornare perché ha deciso di sposarsi con quella borghese da quattro soldi e a quanto pare insiste per avermi presente!»
«Credo sia normale, sei sua figlia. E se me lo consenti, quella donna non è proprio “da quattro soldi”. Il padre della signorina Elena è un banchiere molto importante della capitale e l’unione con il marchese arricchirà il nobile casato dei Guerra».
«E quella slavata donnicciola diventerà marchesa, che gioia!» esclamò sarcastica Giulia, lasciandosi cadere su una sedia.
Poggiò il gomito sul ginocchio e il capo sul palmo della mano, pensando a ciò che l’avrebbe aspettata nel suo soggiorno in Piemonte. Ritrovare Giacomo era l’unica cosa che le dava un minimo d’allegria. Qualsiasi altra persona sarebbe stata più che raggiante nel tornare nella propria terra, invece Giulia era il ritratto della tristezza e della solitudine.
Accorgendosene, Giacomo attirò a sé una sedia con la punta della scarpa e poi ci si sedette sopra a cavalcioni.
«So che sei preoccupata, ma forse la situazione è cambiata e non avrai alcun problema. Magari scoprirai di trovarti bene e vorrai restare… in tal caso, sappi che io ne sarei più che felice».
«Lo sarei anche io» confessò Giulia, abbozzando un mesto sorriso. «Ho pensato spesso a questa terra mentre risiedevo a Verona. Questa è casa mia e mentirei se ti dicessi che non mi è mancata. E più ci pensavo, più mi arrabbiavo per ciò che mi è stato fatto. Non potrò mai dimenticarlo, Giacomo, mai!»
Chiuse le mani a pugno, stringendo la stoffa dell’abito con gran forza. Il suo sguardo, dapprima scoraggiato, era mutato improvvisamente. Man mano che i ricordi, i più dolorosi del suo passato, si facevano vividi nella sua mente, un’incandescente rabbia cresceva dentro di lei, non lasciando spazio a nessun’altra emozione.
Per Giacomo fu una tortura vederla in quella condizione, specialmente perché aveva tutt’altri ricordi di Giulia. Una volta sul suo viso non c’era altro che dolcezza e i suoi occhi smeraldini brillavano, mentre in quel momento non riusciva a captare nulla di tutto ciò. Se ne accorse dall’abbraccio che si scambiarono. Quel gesto non aveva posseduto nemmeno un quarto del vero calore che Giulia era solita emanare. Per Giacomo fu impossibile non compatirla, soprattutto perché conosceva ciò che stravolse il suo mondo.
«Puoi ancora contare su di me, per qualsiasi cosa» si sentì di dirle, posando una mano sulle sue. Lo sguardo del giovane s’incupì, la sua mente era dominata dalla rabbia. «Giulia, ascoltami… io ti giuro, su ciò che ho di più caro, che non gli permetterò di farti del male di nuovo. Se si azzarderà anche solo a sfiorarti, lo ucciderò. Sono un fabbro, ho a mia disposizione tante spade e un’infinità di coltelli, direi che i mezzi li ho per difenderti!»
«Giacomo, basta» lo supplicò, carezzandogli il viso corrugato dall’odio. «Vederti sulla forca non fa parte dei miei desideri. E non stare in pensiero per me, in un modo o nell’altro riuscirò a uscire indenne da queste settimane. Sono tornata solo per il matrimonio di mio padre, farò conto di tornare a Verona al più presto possibile».
«Non sai che rabbia mi sale a sentirti parlar così! Il tuo posto non è a Verona!»
Si alzò impetuoso e fece cadere violentemente la sedia. Ricordava bene il giorno in cui Giulia partì, lasciando la tenuta, lasciando il Piemonte e lasciando anche lui. Giacomo aveva pregato ogni giorno per il suo ritorno, in tre anni non perse mai la speranza di poterla rivedere e ora che era tornata non avrebbe sopportato di vederla andar via nuovamente.
Lui poteva proteggerla e l’avrebbe fatto al massimo delle sue possibilità. Si passò una mano sulle mani, in fondo tutta quella tensione che iniziava a farsi sentire era causata da un individuo. Un individuo che era la sorgente di tutto il male causato alla sua amica d’infanzia. Un male che un giorno sarebbe stato estirpato da quella terra e, se non se ne sarebbe occupata la giustizia, avrebbe rimediato lui stesso. Lo giurò il giorno in cui osservò, con gli occhi colmi di lacrime, Giulia salire sulla carrozza e andar via dalla tenuta.
«Io non posso restare qui».
Giacomo si voltò e scrutò quel viso affranto. «Il tuo posto è qui… con me».
«Non posso stare sotto lo stesso tetto di chi mi vuole male».
«E se andassi a stare da tua nonna Adelaide? Lei abita a Torino o sbaglio? Saresti lontano da chi ti vuole male e vicino a chi ti vuole bene… ovvero io!» esclamò Giacomo indicandosi con i pollici.
«Non è così semplice. Per quanto io ami questa terra e chi ci vive, non mi stabilirei mai nella tana del lupo. A Verona sono riuscita a ritrovare quel minimo di serenità che spinge una persona a non lasciarsi andare alla disfatta». Giulia faticava ad esprimere tali parole. Le ricordavano i giorni più bui che avesse mai vissuto. Una lacrima solitaria le rigò la guancia, ma la cancellò con una veloce passata di mano. «Il mio futuro è a Verona. Lì c’è chi si prenderà cura di me e mi proteggerà».
La sicurezza di Giulia fece ben sperare il giovane fabbro, il quale desiderava solamente il suo bene. Era naturale che volesse il suo completo stabilimento in Piemonte, la voleva al suo fianco più di ogni altra cosa, ma i suoi desideri non potevano sovrastare ciò che era giusto e meglio per lei. Ed era meglio averla lontana e al sicuro, piuttosto che vicina ma nelle mani di quel malevolo.
A Giacomo saliva una rabbia incandescente, quando pensava o vedeva nei dintorni quel brutto ceffo. Per quanto potesse sentirsi al settimo Cielo del ritorno di Giulia, al contempo non poteva far altro che preoccuparsi per lei. Stava veramente tornando nella tana del lupo, un lupo molto feroce.
«Ora sarà meglio che io vada» disse Giulia alzandosi e mettendosi apposto velocemente le pieghe dell’abito. «Scusa se ti ho fatto perdere tempo. Immagino che il lavoro sia tanto».
«Non molto in realtà. E comunque non preoccuparti, torna quando vuoi… anzi, torna il prima possibile! Almeno avrò la certezza che stai bene» la seguì Giacomo sempre con quel suo genuino sorriso sulle labbra sottili, sebbene una velo di preoccupazione lo circondava. «Mi raccomando, per qualunque cosa, avvertimi e sarò da te».
«Sei così caro» disse Giulia posando sul suo viso un’ultima carezza.
Giacomo le prese la mano, per porvi sopra il baciamano. «Mia signora!»
La ragazza gli rivolse un sorriso e poi uscì dalla bottega, tornando a passo svelto alla sua carrozza. In attesa del suo ritorno, il cocchiere e il paggio si erano seduti comodamente su una panca, vicino alla fontana. Si ricomposero immediatamente nel vederla ricomparire. Giulia consegnò loro gli altri due panini che aveva comprato poco prima, immaginando che il viaggio non era stato stancante solo per lei. I due servitori ringraziarono dignitosamente, senza però stupirsi di quel gesto cortese.
Ripresero il viaggio pochi attimi più tardi, la stessa Giulia disse di non aver fretta. Temporeggiò come possibile, ma alla fine avrebbe dovuto affrontare le sue paure.
Il tragitto dal borgo al castello non era lungo, in poco tempo oltrepassarono il cancello aperto e giunsero di fronte all’ingresso della tenuta. Giulia si portò le mani al petto e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino, dal quale vide che all’entrata si erano presentati alcuni membri della servitù. Mettendo a fuoco i loro visi, notò che erano tutte facce conosciute. Era un sollievo saperli ancora al servizio della sua famiglia.
Il cocchiere fermò la carrozza di fronte all’ingresso padronale, il paggio si adoperò subito per far scendere la sua padrona mentre i servitori avrebbero scaricato tutti i bagagli. Giulia lanciò uno sguardo al castello, ricordandosi perfettamente della sua imponenza circondata dalla meravigliosa natura. L’ampio giardino e la boscaglia che circondava la tenuta, erano fra le poche cose che le mancarono durante la sua permanenza a Verona. Il ritmo della vita della città era nettamente diverso da quello di campagna, ecco perché non avrebbe rimpianto il traffico urbano.
«Marchesina Giulia! Non sapete che gioia!»
Gertrude, la prima balia dei Guerra, non riuscì proprio a contenere le sue emozioni. Approfittò dell’assenza del suo padrone per riabbracciare la fanciulla che aveva visto crescere, così come aveva visto crescere sua madre. Fu la defunta marchesa Guerra a portarla con sé al castello, in seguito al matrimonio con Pietro, e non era l’unico membro della servitù della signora.
«Abbiamo atteso il vostro ritorno con trepidazione. Era ora che l’erede dei Guerra facesse ritorno alla tenuta».
Giulia le sorrise dolce, lasciandosi carezzare il viso. «Gertrude cara, la tua bontà è rimasta integra. Ho sentito molto la tua… la vostra mancanza» disse posando lo sguardo su chi stava lì attorno.
Gli altri servitori lì presenti, si avvicinarono uno ad uno, per mostrare la loro contentezza nel vederla. La giovane marchesa li accolse dimostrando la medesima gentilezza che utilizzò con Gertrude. Tutti constatarono la somiglianza che legava Giulia a Francesca, sua madre, per quei modi garbati che non riservava solo ai suoi pari. La loro padroncina, però, non era il riflesso della defunta signora. In Giulia spiccavano altri tratti caratteriali, ereditati per lo più da un altro membro della sua famiglia.
«Figlia!»
La fanciulla si voltò verso l’ingresso, dal quale vide uscire suo padre a braccetto della sua futura sposa. Il sorriso di Giulia si spense immediatamente e i suoi occhi grandi si assottigliarono lievemente. Gli umili servitori si ricomposero e salutarono i loro padroni, chinando il capo.
Il marchese Pietro si prese un attimo per osservare la figura della figlia. I lineamenti erano mutati, indurendosi e portando via i tratti innocenti, che fin dalla nascita sembravano esser stati dipinti sul viso ovale di Giulia. L’acconciatura alta con le uniche due ciocche arricciate, che le ricadevano sulla spalle, le davano un tocco da vera nobildonna. Era evidente, anche dall’abito che indossava, che i suoi nonni materni si erano degnamente occupati di lei. Non che il marchese Pietro si aspettasse diversamente. La bassa statura era l’unico dettaglio del suo corpo a non essere variato e dubitava potesse variare in futuro, anche la madre non spiccava per l’altezza.
«Bentornata a casa».
A Giulia ribolliva il sangue doversi chinare di fronte a Elena. Quella donna non significava niente per lei, non le avrebbe mai mostrato rispetto e né tantomeno affetto. Era stata Elena a convincere il padre ad allontanarla e questo non l’avrebbe mai dimenticato. Detestava l’ipocrisia più di ogni altra cosa e non avrebbe mai finto che quei tre anni avessero cambiato la sua ostilità nei confronti della matrigna. Nonostante fosse difficile per via della sua scarsa diplomazia, avrebbe cercato di evitare di attaccare verbalmente la borghese. Tutto in nome del buon quieto vivere.
«Spero che abbiate fatto buon viaggio».
La borghese aveva parlato, mostrando quel suo dolce sorriso che Giulia poco sopportava.
«Vi ringrazio per la vostra premura» disse rivolgendosi a lei con freddezza, degnandola di una veloce occhiata.
Era impaziente di ritirarsi in camera sua o in qualsiasi stanza avessero deciso che avrebbe soggiornato. Da una parte, desiderava che il giorno delle nozze giungesse in fretta, siccome con esso sarebbe giunto anche il suo ritorno a Verona. Giulia era certa che suo padre l’avrebbe mandata via di nuovo, quando si sarebbe accorto che il suo rancore verso Elena era ancora vivo.
«In effetti è stato un viaggio faticoso e necessito di coricarmi».
«Naturalmente! La vostra camera da letto è rimasta immutata. Come se il tempo si fosse fermato. Non un singolo mobile è stato spostato, vero caro?»
Il marchese Pietro annuì. «Non vedrei motivo contrario».
Giulia rimase leggermente sorpresa, ma cercò di non far trasparire quell’emozione. Chinò il capo in segno di gratitudine e li seguì all’interno del castello.
Camminando tra i corridoi della tenuta, non le sfuggì che la disposizione della mobilia era cambiata. Evitò di far domande, ma ciò non frenò Elena dal prodigarsi nel raccontare di come le sue idee avessero migliorato l’arredamento e l’andamento del castello.
In quello sproloquio alquanto noioso, Giulia non mise becco e tirò un sospiro di sollievo quando finalmente giunsero alla sua stanza, almeno non l’avrebbe più sentita blaterare.
Quando entrò nella sua vecchia camera da letto, osservò che veramente non era stata fatta alcuna modifica e ne fu contenta. Nonostante volesse andarsene al più presto possibile, le sarebbe dispiaciuto notare lo spostamento dei mobili, la mancanza di alcuni effetti personali - che tempo addietro non riuscì a portarsi a Verona - o che addirittura avessero trasformato la sua stanza personale in una semplice camera da letto per gli ospiti.
Giulia possedeva tanti bei ricordi di quella stanza. Il suo letto a baldacchino possedeva lo stesso copriletto smeraldino, lì aveva udito molte favole raccontate da sua madre. La cassettiera era ancora ai piedi del letto, quello era stato il suo posto preferito quando giocava a nascondino o quando voleva fuggire dalle lezioni dell’istitutrice.
«Credi di riuscire a prepararti in tempo per cena?»
In realtà Giulia avrebbe preferito passare l’intera durata della sua permanenza chiusa in camera sua. In questo modo sarebbe stata lontana dai pericoli… da quel pericolo.
«Se non vi offendo, preferirei riposare. È stato veramente un lungo viaggio e la stanchezza mi renderebbe poco presentabile».
«Non riesci a fare uno sforzo? Si da il caso che io abbia un ospite molto importante, che è a conoscenza del tuo ritorno, e potrebbe ritenere scortese la tua assenza» disse il marchese Pietro con fare scorbutico.
«Potrei fare questo sforzo e presentarmi… ma credo che troverebbe più scortese se poi la mia testa cadesse nello stufato».
Elena non riuscì a trattenere una risata divertita e cercò di contagiare anche il promesso sposo per alleggerire la tensione, ma l’uomo non sembrò affatto aver apprezzato l’ironia della figlia. La lunga occhiata torva che lanciò a Giulia, fu un segnale chiaro.
«Il nostro ospite si mostrerà comprensivo, ne sono più che sicura» prese la parola Elena, stringendosi al braccio del marchese. Percepiva che si era innervosito e tentò di portargli un po’ di pace. Se quello era l’inizio, non voleva immaginare come sarebbero stati i giorni a venire. «Giulia, cara, lei è Angela» disse poi per cambiare argomento.
Giulia si voltò, osservando la giovane cameriera, la quale la riverì con un lieve inchino.
«È nuova della servitù» constatò.
«Si tratta della tua cameriera. L’ha scelta Elena personalmente» disse suo padre.
«Credevo che Gertrude si sarebbe occupata di me. In fondo mi tratterrò fino al vostro matrimonio, che se non vado in errore si celebrerà tra un mese. Non mi serve una cameriera che non sa nulla sulle mie preferenze, per quanto io sia sicura che sia ben preparata» aggiunse per addolcire la pillola, sebbene non provasse alcuna fiducia nelle scelte di Elena.
Che cosa ne poteva sapere lei di come si sceglieva la servitù?
«Credo che ci sia un’incomprensione» cominciò il marchese Pietro, dopo essersi scambiato un’occhiata perplessa con Elena. «Sì, sei tornata qui per assistere alle nostre nozze, ma sei tornata in questa tenuta per restarci. La tua permanenza a Verona necessitava per farti riflettere sul tuo comportamento. Non era mia intenzione, né tantomeno quella di Elena, esiliarti per il resto della tua vita. Questa è casa tua e noi siamo la tua famiglia, era ovvio che presto o tardi saresti tornata».
Giulia si sentì un attimo confusa. Passò lo sguardo da suo padre ad Elena almeno un paio di volte, desiderava comprendere se avesse udito bene e sfortunatamente i suoi timpani non erano rotti.
«Quindi sarei tornata per restare?»
«Certamente! Come ha detto vostro padre, questa è casa vostra e non era nelle nostre intenzioni privarvene».
«Tre anni fa non la pensavate in questo modo. Vi ricordo che volevate mandarmi in convento di clausura. Bisogna ringraziare nonna Adelaide se sono andata a Verona e non sono diventata una novizia» borbottò Giulia, incrociando le braccia al petto e fissandoli entrambi intensamente.
A quanto pare la sua permanenza dai nonni materni non aveva addolcito il suo carattere deciso. Ciò non avrebbe portato alla pace a cui Elena auspicava. Ormai aveva imparato a conoscere colui che sarebbe diventato suo marito e - le dispiaceva ammettere - Pietro non era un pezzo di pane.
Con lei si era sempre comportato da vero signore, ma altri non avevano avuto la sua fortuna. Nonostante i loro lati positivi, Giulia e Pietro erano entrambi delle teste calde e questo tratto caratteriale non avrebbe portato altro che a vari scontri tra padre e figlia.
Elena prese in mano la conversazione, per evitare che si cominciasse già da quel pomeriggio. «Ne è passata di acqua sotto ai ponti ed è giusto che voi risiediate nella vostra casa. Tra poche settimane diventeremo una famiglia e mi piacerebbe che fossimo tutti uniti. Voi non desiderate lo stesso?»
Lo sguardo deciso di Giulia non mutò. «Desiderarlo non serve a molto, quando non tutto è chiaro».
Il marchese Pietro scosse il capo. Le sue speranze si sgretolarono rapidamente e le sue preoccupazioni presero vita. «Noto con grande dispiacere che la permanenza a Verona non ti ha cambiata minimamente. La tua sfacciataggine è rimasta intatta e questo mi delude molto, Giulia. Speravo che finalmente avessi capito…»
«Forse dovrei tornare a Verona».
«Questo no! Non tornerai a Verona, sennonché tu voglia far visita ai tuoi familiari. Non è mai stato mio desiderio esiliarti per il resto della tua vita. La verità è che speravo che in questi tre anni accettassi la mia unione con Elena, ma noto che non è così e mi dispiace per te» affermò severamente Pietro. «Tu rimarrai qui e sappi che ogni tuo comportamento avrà la sua giusta conseguenza. Il tempo della clemenza è terminato. Ormai sei una donna e verrai trattata come tale!»
«E va bene, padre. Dunque se mi toccherà rimanere qui, dovrò avere al mio servizio una cameriera degna del suo compito».
«E ne hai già una».
«Non mi sarei lamentata di questa ragazza, se il mio soggiorno avrebbe avuto breve durata. Gradirei essere io a scegliere la mia servitù. Rientra nei compiti di una nobildonna quale sono».
«Elena si è impegnata molto a…»
«Pietro, non importa» disse la donna, sfiorando il braccio del marito. Forse era un po’ ingenua, ma comprese perfettamente che la figliastra voleva cambiare la cameriera solo perché l’aveva scelta lei. Doveva aspettarselo che Giulia le avrebbe remato contro e lei doveva darle qualche battaglia vinta. Alimentare il fuoco dell’astio che intercorreva tra loro non avrebbe giovato a nessuno, soprattutto a Pietro. «Lasciate che Giulia scelga da sé chi sarà al suo servizio. È giusto così».
Il marchese sbuffò col naso, prima di voltarsi a guardare Elena. Tutto d’un tratto la furia nei suoi occhi svanì, lasciando spazio alla dolcezza che sempre accompagnava ogni suo gesto o sguardo verso la futura moglie. I suoi occhi non emanarono la stessa tenerezza, quando tornarono ad osservare il viso della figlia. In quella ragazza vedeva solamente la sua rovina.
«Ignori la tua fortuna» sibilò prima di abbandonare la stanza, seguito fedelmente da Elena.
Giulia si lasciò andare ad un respiro profondo e si passò una mano sul viso. Era andata meglio di quanto pensasse, se non contava che le avevano assicurato l’eterna durata della sua permanenza. Cercò di non farsi prendere dal panico, ma sapeva di dover fare assolutamente qualcosa per salvaguardarsi.
Prima di escogitare chissà quale piano, andò a prendere dal suo baule un sacchetto pieno di monete e poi lo mise tra le mani della cameriera scelta da Elena, che era stata inaspettatamente licenziata per un suo capriccio.
«Credimi se ti dico che non è stato niente di personale. Spero che questi ti possano essere d’aiuto».
La cameriera rimase completamente sbalordita da quel gesto. Sbattè le palpebre un paio di volte, guardando le monete che stavano all’interno del sacchetto di cuoio. Non ne aveva mai viste così tanto nelle sue mani. Certamente le sarebbero bastati per un mese intero. Alzò lo sguardo su Giulia che, fino a pochi minuti, prima aveva maledetto per la sua capricciosità e iniziò a ringraziarla in continuazione, poi uscì dalla stanza e lasciò la tenuta.
Fu Gertrude ad aiutare la giovane marchesa a disfare i bagagli. L’anziana balia sarebbe stata al suo servizio, fino a quando non sarebbe giunta la nuova cameriera.
«Lasciatemelo dire, marchesina, licenziare una domestica scelta dalla moglie di vostro padre…»
«Futura moglie» la corresse Giulia.
«Futura moglie, o meno, Elena è la padrona di questa casa da anni e vostro padre le porta un gran rispetto. Mostrare disapprovazione verso lei, o le sue scelte, non è il modo migliore di iniziare la vostra nuova vita qui».
«Sono una marchesa, non un’attrice. Non fingerò simpatia quando non ne provo alcuna».
«Siete testarda come vostro padre. Mannaggia!»
Giulia si lasciò scappare un sorriso. Teneva le orecchie ben drizzate per ascoltare i borbottii della balia, sebbene fosse comodamente seduta alla toletta, intenta scrivere una lettera.
«Marchesina, ascoltate questa vecchia serva, lo dico per il vostro bene» continuò Gertrude, intenta a riporre nell’armadio l’ennesimo abito della ragazza. «Sforzatevi di andar d’accordo con la signora Elena. Fatelo per vostro padre, per il benessere di questa famiglia… per il vostro di benessere! Vi giuro che il mio cuore ha pianto per tre anni. Non voglio che ve ne andiate nuovamente. Siete una Guerra e questa è la vostra casa, diamine!»
«Gertrude, non preoccuparti per me».
«Mi preoccupo eccome! Quando… quando vostra madre… beh… quando la signora marchesa si ammalò, le promisi che mi sarei occupata di voi e…»
«E lo hai fatto» disse Giulia, voltandosi verso la serva. «Ti sei occupata di me, come se foste lei. Sono certa che in qualunque posto mia madre si trovi, lei è fiera del tuo lavoro. Chiaramente non è colpa tuo se quell’asino, che mi tocca avere come padre, mi ha mandata via».
«Marchesina non si dicono queste cose! Non potete dare dell’asino a vostro padre. Dovete portargli rispetto!»
«Mia madre mi ha insegnato a portar rispetto a chi me lo porta a sua volta».
«Si può dire molto sul signor marchese, ma che sia irrispettoso…»
«Gertrude, il tuo caro signor marchese è stato irrispettoso nei miei confronti. Ha preferito credere a quella donnicciola, invece che a sua figlia!» sbottò Giulia, completamente fuori di sé. Un suo gran difetto era proprio quello di faticare a trattenere la calma. Una caratteristica ereditata dal padre e chi meglio dell’anziana servitrice poteva riconoscerlo. «Quell’uomo non riceverà niente da me, se non ostilità nel caso in cui dovesse impormi qualcosa a me non gradito. So che è mio padre e ha pieno potere su di me. La legge gli da il diritto di trattarmi a suo piacimento e questa è la mia disgrazia. La mia unica speranza è di tornare a Verona il più in fretta possibile».
«Marchesina, avete sentito vostro padre. La vostra permanenza qui è definitiva».
«La situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. Tutto sta nella provvidenza e spero che ella mi sorriderà» disse Giulia tornando a posare lo sguardo sulla lettera che concluse di scrivere qualche attimo più tardi.
Uscire da quell’incubo sarebbe stato assai arduo, ciò che si poteva permettere era di impegnarsi a trarre il maggior vantaggio dalla situazione. Giulia non avrebbe cominciato a piangersi addosso perché la sorte aveva deciso di esserle avversa.
Gli anni trascorsi dai suoi nonni materni non le erano serviti solo a continuare la sua educazione da nobildonna, a Giulia fu insegnato di affrontare ogni occasione, che fosse buona o cattiva, con saggezza e lucidità. Cedere alle proprie emozioni sarebbe stato come saltare nel vuoto.
Promise a sé stessa che non avrebbe commesso gli stessi errori del passato. La sua fiducia non sarebbe stata riposta in nessuno. Nella realtà in cui era costretta a vivere, ognuno seguiva il proprio interesse e di conseguenza doveva far anche lei. Era cresciuta e l’ingenuità di cui era stata vestita un tempo se ne era andata.
Quella sera decise di cenare nella sua stanza da sola, utilizzando la scusa della stanchezza del lungo viaggio per non far innervosire suo padre. Di scontri tra loro ce ne sarebbero stati, solamente uno sciocco avrebbe pensato il contrario, ma se Giulia poteva diminuirne il numero, l’avrebbe fatto volentieri. Litigare non le era mai piaciuto, soprattutto se con quell’uomo faticava a trovare dei punti in comune.
Dopo la cena, Gertrude le preparò un bagno caldo. L’unica decisione positiva del marchese Pietro fu di assegnare l’anziana serva alla scapestrata figlia, in attesa della cameriera personale che Giulia era intenzionata di scegliersi. Almeno era certo che la giovane avrebbe obbedito alla sua vecchia balia, della quale nutriva un profondo rispetto.
«Buonanotte marchesina Giulia e ricordatevi di spegnere la candela quando finite di leggere».
«Buonanotte a te e… grazie per tutto quanto».
Gertrude abbozzò un sorriso materno, prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciare la sua piccolina alla lettura serale. Per Giulia non c’era momento migliore nella giornata che non fosse quello legato ad un sano libro. Sebbene amasse i romanzi cavallereschi, la giovane marchesa s’interessava alle letture dei filosofi del suo tempo. Qualche volta non ne condivideva pienamente le idee, ma trovava affascinante come esponevano con nitidezza - ed una rigorosa logica - i loro pensieri.
Fu un toccasana concludere quella giornata tediosa immergendosi nel poemetto “Il Giorno” di Giuseppe Parini, del quale aveva concluso la prima parte. Era meraviglioso osservare come quel poeta fosse riuscito a mostrare la realtà della nobiltà, attraverso un’ironia che Giulia trovò piuttosto pungente e divertente.
«Sarebbe una delizia incontrare e stringere la mano a questo incantevole artista» mormorò Giulia tra sé e sé, voltando una pagina.
«Se pendessi dalle mie labbra come fai per questo incantevole artista, credimi, sarei l'uomo più felice del mondo».
La voce tagliente di quell'uomo fece raggelare le mani della giovane marchesa. Le parole del poemetto di Parini si dissolsero in un’immaginaria foschia e Giulia dovette sbattere le palpebre un paio di volte per rendersi conto della realtà.
Iniziò a sudare, il cuore cominciò a palpitare forte e deglutì, prima di alzare lentamente il capo e vedere che a pochi metri, appoggiato alla porta della sua stanza, stava la persona che aveva dominato i suoi incubi per settimane. Giulia non avrebbe mai potuto dimenticare quel sorriso, che seppur appena accennato aveva un tocco malevolo, e quello sguardo colmo di ogni perversione.
Non avendo mai ricevuto sue notizie, Giulia aveva sperato di non ritrovarlo alla tenuta. Erano passati tre anni e poteva essersi sposato. Andava bene anche se fosse celibe, l'importante era di non stare sotto lo stesso tetto. Giulia aveva pregato e sperato, ma la cruda realtà era proprio di fronte a lei e improvvisamente sentì di esser inghiottita nuovamente in quell'incubo da cui non si sarebbe risvegliata con il levare del sole.
«Non sembri felice di rivedermi. Questo mi spezza il cuore».
Giulia saltò giù dal letto e si schiantò contro la parete, non appena lo vide avvicinarsi lentamente. «Stai lontano da me!»
«Sei impazzita?! Non urlare!» sibilò a bassa voce quell'altro.
«Stai lontano da me!»
«Oppure? Gridare aiuto non ti è servito l’ultima volta».
La ragazza sgranò gli occhi e li ridusse a due fessure un attimo più tardi. Balzò verso il letto e da sotto il cuscino estrasse uno stiletto e lo puntò all'uomo.
«L'ultima volta non t'è bastato?»
«Non puoi uccidermi» ribattè l'altro con molta tranquillità. «Se lo facessi, tuo padre ti rinchiuderebbe in un convento come desiderava un tempo, te lo ricordi? In realtà credo che se mi uccidessi, Pietro sarebbe capace di denunciarti e spedirti sulla forca per aver ammazzato il fratello della sua amata Elena».
«Non ho mai parlato di ucciderti. Magari potrei solamente sfregiarti il viso» replicò Giulia, mantenendo lo sguardo visivo con quell'infame. «Quale donna ti vorrebbe al suo fianco? Il tuo viso sfregiato rifletterebbe la tua anima nera e il mondo dovrebbe essermi grato per aver svelato la tua natura maligna».
«Non c'è male nella passione per una donna».
«La tua passione è malata, Adriano. E una passione violenta otterrà solo una fine violenta».
«Allora chiamiamolo amore» disse l'uomo avvicinandosi lentamente a lei. La sua voce era più tranquilla e meno minacciosa. Questo non bastò a far cadere la guardia alla ragazza che non abbassò la mano che impugnava lo stiletto contro di lui. Adriano si arrestò e non tentò di avvicinarsi oltre. «Mi hai colpito dal primo momento che ti ho vista. Fu dal primo momento che desiderai averti mia e soltanto mia. Gli anni a Verona ti hanno resa ancora più bella… ormai sei una donna, sei ancora più desiderabile».
«Mi fai ribrezzo! Tu non puoi nemmeno nominarla la parola "amore", perchè se tu mi amassi veramente, non avresti provato a farmi del male».
«Che cosa c'è di male nell'unirsi alla persona amata?»
«C'è di male nel prenderla con la forza, come hai provato tu!»
«Sei talmente sciocca da credere che io sia un mostro mentre il mondo è pieno di gentiluomini che aspetterebbero i tuoi comodi?»
«Non osare voltare le carte in tavola e addossare la colpa a me!» scalpitò Giulia, rimanendo ferma nella sua posizione e ricordando bene come si svolse l'increscioso fatto di tre anni prima. «Non eravamo sposati, né tantomeno promessi sposi. Non eravamo niente! Capito, Adriano? Non eravamo niente. Sei tu con la tua mente perversa che mi hai attirata a fare una passeggiata nei boschi, dove in seguito hai tentato di approfittarti di me. Tu volevi abusare di me e questo non è amore. Sono più giovane, ma non più stupida!»
Fino a quel momento il volto di Adriano aveva dominato una sfrontata sicurezza che svanì in un lampo, non appena le parole di Giulia arrivarono alle sue orecchie. In quelle parole c'era la verità delle sue azioni e la coscienza di Adriano premette nella sua testa per fargliela accettare, esattamente come doveva accettare quel profondo disprezzo che Giulia covava nei suoi confronti e che era riflesso nitidamente dai suoi grandi occhi.
L'uomo arretrò di qualche passo, come se fosse stato colpito. Si sentì nuovamente respinto e avrebbe mentito a se stesso, se avesse affermato che la verità non gli bruciasse nel petto.
«Ti sarà arduo trovare qualcuno che provi ciò che provo io e che sia disposto a fare ciò che io farei per te!»
Quelle parole non scomposero minimamente Giulia. «Un giorno mi sposerò e chiunque sarà quell'uomo, ti assicuro che avrà tutto il mio rispetto solamente perchè mi avrà liberata da quell'ombra oscura che sei tu».
«E chi ti dice che ti libererai di me? Che cosa ti fa essere così certa che il tuo futuro marito non potrei essere io?»
«Mio padre può essere un ottuso, ma gli interessano il denaro e il potere, ragion per cui non avrebbe alcun senso unire le nostre famiglie dal momento che si uniranno in ogni caso con il matrimonio tra lui e tua sorella» rispose Giulia, non riponendo alcun dubbio per le parole di Adriano. «Io sono di alto rango e tu sei un borghese. Sei figlio di un banchiere, ma rimani un borghese. Se mio padre non è diventato un completo idiota negli ultimi anni, fatto di cui non mi stupirei visto chi frequenta, mi prometterà in sposa a qualche nobile di alto lignaggio».
«Scoppierò a ridere se sarà un vecchio!» sbottò sfrontato Adriano.
«Chiunque sarà meglio di te».
Adriano ringhiò e scosse il capo lentamente, fissando con astio la giovane nobile.
«Non è finita qui. Stanne certa» sibilò puntandole il dito contro. «Sarò sempre la tua ombra. Un giorno diverrai mia».
E con quelle ultime parole sospirate, che sigillavano una promessa maledetta, l'uomo abbandonò velocemente la stanza.
Giulia rimase immobile per qualche attimo, quasi aspettandosi che ritornasse, ma poi abbassò la mano che impugnava lo stiletto e si portò l'altra al petto. Prese un lungo respiro profondo, liberandosi di tutta la tensione che aveva in corpo.
A passi rapidi si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave. Premette entrambe le mani contro la porta, mentre in lei si faceva largo la certezza che non era assolutamente finita.
Per quanto avesse dimostrato sicurezza in quell'incontro, Giulia nutriva un forte timore di Adriano. Era stato per quell’orribile fatto a farla trasferire a Verona. Ricordava ancora com'era impaurita dopo che Adriano aveva tentato di violentarla. Nel tentativo di liberarsi lo aveva ferito alla spalla e poi fuggì da lui. Passò la maggior parte della giornata da Giacomo, a cui raccontò ogni cosa, e quella buon'anima la consolò come meglio potè. Il giovane fabbro la convinse a raccontare la verità a suo padre e la riaccompagnò alla tenuta. Giulia prese tutto il coraggio che poteva avere una ragazzina di quindici anni e varcò le porte dell'ufficio del marchese Pietro, dove a fatica raccontò l'accaduto e fu un'amara sorpresa vedere che suo padre non credette ad una singola parola.
Adriano aveva giocato d'anticipo e raccontò una versione completamente differente, in cui era stata Giulia a volersi unire carnalmente a lui e lo colpì con il suo pugnale dopo aver ricevuto il rifiuto dell’uomo.
In quel momento Giulia vide il suo mondo sgretolarsi di fronte ai suoi occhi. Non le era importato niente della falsità di Adriano, bensì era stata l'incredulità di suo padre a ferirla.
L’unico genitore che le era rimasto, la persona che l’aveva vista crescere e che non avrebbe dovuto avere dubbi sulla sua onestà. E invece la tradì.
Il marchese Pietro ed Elena le diedero della mendace. Dissero che voleva solamente far del male alla loro famiglia e minare la felicità per l’imminente matrimonio. Giulia era certa che fosse stato Adriano a manipolare le loro menti e a mettere in bocca quelle parole tanto crudeli.
Rimase sbalordita da quel suo potere. Era riuscito a soggiogare due persone adulte. La marchesina non avrebbe mai potuto dimenticare i loro sguardi e le loro parole. Fu Elena, su suggerimento di Adriano, a proporre di mandarla in convento e da quel momento nacque l’odio di Giulia nei suoi confronti.
Ironico che inizialmente fosse nato un buon rapporto tra le due e che la fanciulla non l’avesse mai disprezzata perché - ipoteticamente - non voleva che nessuna donna rimpiazzasse sua madre. La fortuna di Giulia fu…
«Nonna Adelaide» sussurrò ripensando al passato.
La marchesina si sedette rapidamente alla toletta, afferrò dal cassetto carta e piuma. In fretta e furia cominciò a scrivere una lettera.



Mrs.Montgomery:
Buongiorno lettori e lettrici!
Questo capitolo fa luce sul passato di Giulia e della sua famiglia. Le azioni di Adriano, che lui è riuscito a nascondere e camuffare, gireranno attorno alla storia per molto tempo.
Preparatevi per il prossimo capitolo che mostra il primo incontro tra i nostri protagonisti, Giulia e Andrea.
Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

 

 

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Capitolo 3
*** Un incontro scoppiettante ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 2
Un incontro scoppiettante

 

BAM!
Uno sparo e gli uccellini, che stavano appollaiati sul ramo dell'alto albero, volarono via. La marchesina Giulia abbassò il fucile e aprì bene gli occhi per osservare la preda abbattuta. Malauguratamente per lei e fortunatamente per quella balzante lepre, il proiettile colpì una grossa radice che sbucava dal terreno.
«Maledizione!»
Giulia alzò gli occhi al cielo e si preparò per cacciare la sua prossima preda. Se c'era una passione che era nata in lei, proprio durante la permanenza a Verona, era la caccia. Quel divertimento, che per eccellenza dominava nelle corti più sfarzose e nelle famiglie nobili, l'aveva aiutata a superare un momento che aveva sempre creduto insormontabile. La morte della madre, la tentata violenza da parte di Adriano e la seguente sfiducia da parte di suo padre fecero sì che quella fanciulla di quattordici anni si chiuse in se stessa.
Il trasferimento non le giovò immediatamente. Durante i primi giorni si espresse a monosillabi e di un sorriso non se ne vide l'ombra per mesi. Il barone Piacentini e sua moglie furono costernati dal comportamento della nipote e immensamente dispiaciuti. Tentarono di coccolarla, non facendole mancare un'ottima educazione, e sebbene i risultati di Giulia fossero buoni, c'era qualcosa che non andava nel suo animo. Nessuna festa, nessun ricevimento, nessuna nuova conoscenza riuscirono in qualche modo a placare ciò che d’infausto albergava nella giovane.
Incredibile come quella situazione cambiò in uno dei giorni in cui Giulia accompagnò suo nonno a caccia, dopo essersi ritirati nella tenuta di campagna. Fu in quell'occasione che, presa alla curiosità, Giulia afferrò uno dei tanti fucili del nonno e provò a sparare. La sua preda non fu un animale indifeso, a lei non era mai piaciuto far loro del male, semplicemente voleva vedere cosa si provava a tener una grossa arma in mano e premerne il grilletto. La sensazione che provò fu estasiante e non perchè in realtà nascondeva un animo sadico, bensì perchè di fronte a sè immaginò che fosse apparso Adriano, il dominatore degli incubi che le impedivano di dormire serenamente.
Giulia lo uccise.
Nella sua immaginazione uccise Adriano e questo, seppur fosse stato tutto frutto della sua mente, sembrò risvegliarla. Non ebbe più alcun incubo e persino i suoi nonni notarono un cambiamento positivo nel suo comportamento. Il vecchio barone credette che l'arte della nobile caccia avesse risvegliato il leone dal letargo e per questo portò sempre con sè la nipote. Le insegnò ad utilizzare il fucile e fu impressionato di come Giulia imparasse in fretta, per quanto non furono poi così molte le prede che abbatté.
La caccia l’aveva aiutata ad allontanare le sue paure, specialmente perché ogni volta che colpiva un animale, pensava che quell’animale fosse Adriano. Era più che intenzionata a passare gran parte delle sue giornate in quella maniera o a cavalcare per le radure.
Avrebbe soggiornato alla tenuta il minor tempo possibile. Almeno all’aria aperta poteva sfogarsi e sentirsi un po’ più libera, sebbene era come se fosse legata con una catena a quel luogo che le toccava chiamare “casa”.
«Eccoti» mormorò Giulia osservando la lepre che lentamente si fermava vicino ad un cespuglio di bacche.
Levò il fucile all’altezza della sua spalla, inclinò il capo e ridusse lo sguardo, prese le mira e si preparò a premere il grilletto. Stava per abbattere l’animale e in quel momento accadde… Giulia udì uno sparo che non apparteneva al suo fucile. Sbuffò col naso e alzò immediatamente il capo, scorgendo una presenza avvicinarsi a quella che doveva essere la sua preda.
Il viso di quel guastafeste era ignoto. Giulia vide solo delle spalle vigorose e dei capelli scuri legati blandamente da un fiocco. La giovane nobile lo fulminò con lo sguardo, afferrò un lembo della sua gonna e camminò velocemente verso quell’individuo. Era pronta a dirgliene quattro!
Quell’uomo si voltò non appena sentì le foglie esser calpestate da un passo assai pesante. Egli corrugò la fronte, probabilmente indispettito quanto lei per esser stato disturbato, ma quell’espressione corrucciata mutò non appena i suoi occhi si posarono sul viso fanciullesco della ragazza.
«Grazie tante! Avete fatto fuggire la mia preda!»
«Senti, senti, che carattere!» esclamò lo sconosciuto, mostrando un sorriso divertito. «Perdonate, ma non siete un po’ troppo femminile per andare a caccia? Non sarebbe meglio se fosse un uomo ad occuparsi di procurare cibo alla vostra famiglia?»
Giulia strizzò gli talmente tanto che presero la forma di due strette fessure. «Non sono certa se ad offendermi sia la vostra misoginia, oppure il fatto che mi avete scambiato per una volgare serva della gleba!»
«Mi volete far credere che siete veramente una nobile?» domandò lo sconosciuto non riuscendo proprio a trattenere una risata divertita che imbestialì Giulia. La permalosità spiccava come tratto caratteriale. Capì subito che quell’altro era uno dei classici nobili sbruffoni e ciò le provocava talmente tanto nervoso che la fronte le si riempì di rughe. Quella reazione fece capire all’uomo che si era decisamente sbagliato. «Scusate se vi ho offeso, signorina. È che… il vostro aspetto non pare proprio quello di una dolce nobildonna».
Lì Giulia non potè proprio ribattere, per com’era conciata, chiunque avrebbe potuto scambiarla per una popolana. Innanzitutto i suoi abiti erano semplici e tutt’altro che sfarzosi, del resto non poteva cacciare nei boschi rischiando di rovinare pezzi d’abito che valevano quanto un cavallo purosangue. Immaginava che i suoi capelli non fossero ordinati, non si sarebbe stupita se quando si sarebbe mirata allo specchio avrebbe trovato qualche foglia incastonata fra i suoi ricci.
«Molto bene!» esclamò la giovane, mettendosi in spalla il fucile. «Ora che abbiamo asserito che io sono una nobile e voi un chiacchierone, direi che possiamo anche andarcene ognuno per la propria strada. Addio!»
«Aspettate! Non mi volete nemmeno dire chi siete?»
«Scordatevelo! Ho già commesso un errore parlandovi, poiché siete uno sconosciuto, figurarsi se vi rivelerò il mio nome!»
«Dunque permettetemi di presentarmi, così non saremo più degli sconosciuti» disse parandosi di fronte a lei. «Sono il duca Andrea Pietrarossa, al vostro servizio» continuò prendendole la mano per porvi il galante baciamano. Non scostò mai lo sguardo da quei grandi occhi verdi.
«Grazie per avermi rivelato il vostro nome. Vi siete mostrato molto cordiale» disse la ragazza utilizzando una sfacciata ironia e poi lo sorpassò con molta naturalezza.
Andrea rimase attonito. Solitamente quella era una tattica di cui profittavano le donne di corte per attirare l’attenzione di un uomo, ma il duca non faticò a capire che, il comportamento della donzella, appena conosciuta, non faceva parte di alcuna tattica e nonostante ciò qualcosa in lui si destò. Iniziò a seguirla passo dopo passo.
«E voi non avete intenzione di presentarvi? Erano questi i patti, mi pare».
«Di quali patti state chiacchierando? Voi avete voluto presentarvi, ma ciò non implicava che io avrei fatto lo stesso».
«Si tratta di buona cortesia, mia signora».
Giulia lo ignorò deliberatamente e continuò a camminare in direzione del suo cavallo. I pochi minuti trascorsi con quel tizio le avevano fatto passare la voglia di continuare la caccia.
«Sapete, non ho mai incontrato una giovine con un tale caratteraccio! Vi costa tanto presentarvi come farebbe qualsiasi nobildonna che si rispetti?»
«Intendete dire, qualsiasi nobildonna che vorreste ai vostri piedi» replicò la marchesina.
«Siete veramente insolente! Povero l’uomo che vi sposerà!»
Giulia si voltò con espressione esterrefatta, per quell’affermazione veramente poco educata. «Come vi permettete? E voi vi riterreste un gentiluomo? Povera vostra moglie… sempre se siete riuscito a rimediarvene una».
«Ecco l’unica cosa su cui avete ragione, non ho moglie!»
«E chissà perché non riesco a stupirmi» mormorò Giulia tra sé e sé.
Il duca Pietrarossa rimase a fissarla con quei suoi occhi, talmente chiari da sembrar trasparenti, che Giulia preferì evitar di guardare. La mettevano abbastanza in soggezione. Le pareva di essere sotto tiro e che, da un momento all’altro, da quelle pagliuzze chiare sarebbero usciti dei colpi da fuoco.
Tentò di mantenere il contatto visivo per impedirgli di credere che fosse il genere di ragazza che cedesse. Giulia detestava far credere di essere debole. Non avrebbe mai più permesso a nessuno di abbatterla, anche se si trattava di un battibecco.
«Avete altro da dirmi o mi state seguendo unicamente per recarmi fastidio?»
«È proprio vero che non bisogna credere alle apparenze» replicò l’uomo mentre Giulia era intenta a sciogliere la corda che teneva il suo destriero legato ad un albero. «Apparite così innocua e invece avete la lingua più lunga di un venditore ambulante».
«Sono emozionata da tutti questi bei complimenti. Ne avete altri?»
«No».
«Bene! Dunque non abbiamo più nulla da dirci» gli sorrise furbamente Giulia. «Addio… mi auguro».
La marchesina Giulia salì sul suo destriero e con un colpo di tacco lo incitò a partire. Desiderava allontanarsi il prima possibile da quel luogo e soprattutto da quell'arrogante uomo!
Era tornata da neanche un giorno e non ne poteva più di stare in Piemonte. Per quanto avesse sempre amato immergersi nella natura e bearsi della tranquillità della campagna, iniziava veramente a sentire la mancanza del frastuono della città.
Non l'avrebbe mai pensato, ma le mancava udire il rumore delle carrozze che passavano in strada, le grida dei venditori ambulanti e le risate dei bambini che scappavano dalle loro balie. Insomma, uno dei pochi lati positivi del suo ritorno era svanito!
Sbuffò sonoramente, ripensando a quell'incontro sfortunato che le rovinò un momento in cui tentò di scaricare la tensione. Lanciò una serie di appellativi poco gentili nei confronti di quel pomposo nobile.
«Dannato sia lui e il suo cavallo! Guarda un po' se doveva rovinarmi la caccia. E come si è permesso di parlami in quel modo? Che razza di stolto! Non è affatto un gentiluomo, questo è certo!»
Il cavallo di Giulia galoppava sempre più velocemente, attraversando la radura che apparteneva alla famiglia Guerra da generazioni. La nobile indirizzò il suo destriero verso un sentiero che non l'avrebbe riportata alla tenuta, bensì al borgo che distava pochi minuti da lì. C’era solo un posto in cui nessuno l'avrebbe mai disturbata o infastidita ed era proprio lì che si stava recando.
«Giulia» sussurrò Giacomo non appena aprì la porta di casa sua.
«Posso entrare?»
Il giovane fabbro sorrise teneramente e annuì facendosi da parte per sbloccarle la via.
«Non dovresti nemmeno porre una simile domanda. Lo sai bene che mi fa sempre piacere ricevere una tua visita» disse lui chiudendo la porta e raggiungendola per abbracciarla. Alquanto scandaloso che una nobile del rango di Giulia fosse in un luogo non alla sua portata, con una persona altrettanto non degna delle sue attenzioni.
La dimora della famiglia di Giacomo non era paragonabile alla tenuta di campagna dei marchesi Guerra. Per cominciare non aveva tutte quelle stanze, era già tanto se ne avevano due. I Crespi erano persone comuni, da sempre una famiglia di modesti fabbri.
Giovanna Crespi, madre del ragazzo, era abile nel cucito e ogni tanto ricavava qualche moneta cucendo tende per le famiglie dei borghesi dei dintorni, ma ciò chiaramente non permetteva loro di fare grandi spese. Era già tanto se riuscivano a mettere sotto i denti qualcosa di caldo.
L’enorme differenza sociale che li contraddistingueva era nulla paragonato al profondo affetto che intercorreva tra Giulia e Giacomo. Il passato sembrava essere ciò che sanciva il loro legame, in realtà erano il presente e il futuro che li avrebbero tenuti uniti fino a quando non avrebbero esalato il loro ultimo respiro.
«Posso offrirti…» stava per domandare il giovane Giacomo, ma si fermò.
Che cosa mai poteva offrire ad una nobile, la quale era abituata a qualcosa di meglio che vino scadente e pane nero?
«Ehm… s-siediti pure qui» le disse frettolosamente, indicandole una sedia sulla quale ci poggiò sopra un panno pulito.
Giulia gli sorrise cortesemente. Era sempre stato premuroso nei suoi confronti e, per quanto la riguardava, rispettava fin troppo il protocollo, ma ella non obiettava mai più del dovuto. La ragazza sapeva che per Giacomo alcuni atteggiamenti erano importanti e ne conosceva i motivi.
«Giacomo, potresti offrirmi un pezzetto di pane?»
Il palato di Giulia era abituato a tutt’altro cibo o se proprio il pane era sempre fresco e caldo, ma in quell’occasione non era stata la fame ad averla spinta a porgli quella richiesta. Era solamente un gesto gentile che rendeva felice Giacomo.
Il fatto che lei gli domandasse un pezzo di pane, era come chiedergli qualcosa che concretamente poteva donarle. Strano e insensato, avrebbero affermato in molti, eppure Giulia otteneva sempre una conferma di quella sua teoria quando vedeva il sorriso di Giacomo allargarsi sempre di più.
«Posso domandarti come è stato il tuo rientro a casa?»
Erano seduti a tavola da qualche minuto, rimanendo sempre in silenzio, quando Giacomo le porse quel quesito. Giulia si pulì le mani sul suo fazzoletto e alzò lo sguardo sul ragazzo.
«Ho ricevuto la magnifica notizia che la mia permanenza qui sarà più lunga del previsto».
«Più lunga? E di quanto?»
«Diciamo… per sempre».
«Questo è meraviglioso!» esclamò Giacomo, prima di accorgersi quanto egoisticamente fosse stata la sua gioia. «Perdonami, io non intendevo…» sospirò sentendosi un emerito idiota. «Il rapporto con tuo padre non è migliorato, vero?»
«Poche ore non possono cancellare ciò che è successo in passato e comunque non credo di essergli mancata in questi tre anni. Potrei affermare con certezza che preferirebbe tenermi lontana da lui e dalla sua borghesotta. Ecco perché non capisco la mia presenza qui… o meglio, capisco che devo partecipare al loro matrimonio per salvare le apparenza, ma perché non mi può rispedire a Verona subito dopo la cerimonia?!» scalpitò la giovane nobile.
Era perennemente imbronciata.
«Il marchese Pietro ti vuole qui perchè sei sua figlia. Nonostante tutto ciò che è accaduto, desidero credere che ti vuole bene e… e forse ha pensato a lungo in questi anni. Magari sa di aver commesso un errore, però l’orgoglio gli impedisce di ammetterlo» tentò di farla ragionare Giacomo, credendo in ciò che stava proferendo e anche Giulia notò la sua sincerità. «Io penso che un uomo possa sbagliare molte volte e in tanti modi diversi, ma che per chiunque arriva il momento in cui si rende conto dei propri errori e si tenta di rimediarvi. Tuo padre non sarà l’uomo più caloroso di questo mondo, ma tu sei sua figlia e avrai sempre uno spazio nel suo cuore».
«Giacomo, detto con molta onestà, a me sembra che tu stia parlando di te stesso» affermò Giulia senza esitazione, fissandolo in quegli occhi buoni e pieni d’amore. «Tu sei un ragazzo buono, con dei valori e dei principi forti. Mio padre non ha esitato a credere alla sua concubina, invece che a sua figlia. Ricordo bene il suo sguardo in quel giorno a me tanto infausto e non c’era alcun dubbio sulla verità. Lui credeva che una fanciulla di quindici anni era stata dominata dalla lussuria. Io che non ho mai dimostrato malizia in nulla. Quell’uomo è un ottuso e un ignorante! Ha soppiantato quel minimo d’affetto che provava per me perché lui è dominato dalla lussuria per quella donnetta!»
Giacomo si lascio andare contro lo schienale della sedia e si passò entrambe le mani sul volto. Ogni parola di Giulia era stata accompagnata da una cieca rabbia e dal dolore di una ferita che non si sarebbe rimarginata mai. Ogni parola aveva colpito Giacomo dritto nel petto, scavandogli una fossa in cui erano immersi tutti i suoi sensi di colpa. Se avesse domandato per un posto di lavoro alla tenuta, tutto ciò non sarebbe successo.
«Non importa che lui sia mio padre. Non si comporta come tale. Al potente marchese Pietro non interessano i legami di sangue e tu dovresti saperlo bene, Giacomo».
Il ragazzo sospirò e non replicò. «Adriano è alla tenuta?»
«Sì e ieri sera è venuto nella mia stanza» rispose Giulia con tono di voce spento.
«Che cosa?!» Giacomo scattò sull’in piedi, facendo scivolare indietro la sedia. Battè ferocemente un pugno sul piano del tavolo. «Quel malfattore! Io... io lo sapevo che dovevo domandare servizio alla tenuta del marchese. Se io fossi lì, ti assicuro che quel bifolco non si avvicinerebbe nemmeno di mezzo passo. Perché non mi hai detto immediatamente cos’era accaduto ieri sera?!»
«Proprio per questa tua reazione» rispose Giulia alzando la voce. Non ricordava il carattere peperino del ragazzo, ma del resto la mela non cadeva lontana dall’albero. «Giacomo, non puoi lasciare la tua famiglia. Tuo padre ha bisogno di te e un giorno sarai tu a prendere le redini della vostra bottega, che seppur piccola vi rende abbastanza per campare».
«Io… io potrei prendere un salario maggiore da tuo padre e continuerei ad aiutare i miei genitori».
«Senza di te, tuo padre dovrebbe assumere un aiuto e i tuoi soldi finirebbero lì. La situazione non cambierebbe, anzi potrebbe peggiorare, dal momento che non li rivedresti così spesso e tu sai quanto ti vogliono bene».
«Questo sì, ma... ci sono cose più importanti. Come credi che io stia sapendo che vivi sotto lo stesso tetto di quell'animale?»
«Giacomo, anche se fossi lì, non potresti far niente contro di lui. Non rientra tra i miei desideri vederti sulla forca».
«Andrei al patibolo a testa alta, se il mio peccato servisse a renderti libera. Non hai idea di quante volte mi sia sfiorata l'idea di punirlo, per ciò che ti ha fatto, ogni volta che mi passava sotto al naso. Lui si aggira per il borgo credendosi il padrone di queste terre. Si pavoneggia nemmeno ne fosse il re!»
«Voglio credere che persone del genere, prima o poi, verranno ripagate di tutto il male che hanno fatto. La resa dei conti arriva per chiunque. È solo questione di tempo, ma arriva» disse Giulia con una tranquillità che sembrò calmare l’animo ruggente del giovane fabbro.
«La permanenza a Verona ti ha resa saggia».
«In realtà mi ha fatto sognare e al tempo stesso mi ha illusa che avrei potuto avere una vita diversa e lontana da qui» disse Giulia abbassando lo sguardo e osservando le sue mani congiunte. «L’unica possibilità che ho per salvarmi è quella di trovare un marito. Il matrimonio può proteggermi e allontanarmi per sempre da Adriano. A Verona c’era un pretendente perfetto, ma come al solito i miei piani vanno sempre in fumo».
Giacomo assottigliò lo sguardo e mise le mani sui fianchi. «E chi era questo pretendente?»
«Non mi vorrai far credere che sei geloso?» sorrise divertita Giulia. «Era un giovane Conte molto affabile, che mi avrebbe trattata bene e non mi avrebbe mai fatto mancare niente».
«E non c’è alcun modo di contattarlo?»
«Onestamente, Giacomo, credo che tutto ciò che ho lasciato a Verona rimarrà a Verona».
Qualcosa sembrò accendersi nel ragazzo. Alzò la sedia da terra e vi si sedette sopra. Era più calmo di prima e un leggero entusiasmo albergava nei suoi occhi.
«Non è detto che ciò che hai lasciato non tornerà! In fondo ciò che hai lasciato in Piemonte è tornato… beh tu sei tornata… uhm sai cosa intendo dire. Potresti scrivere a questo Conte e mantenere una corrispondenza. Se sei sicura che sia la persona giusta per tenerti al sicuro, sappi che ti sosterrò!»
Giulia sorrise raggiante e allungò una mano per carezzargli la guancia. «Sei così caro e sei l’unica persona che sono stata contenta di riabbracciare al mio ritorno».
Giacomo prese la sua mano e la baciò. «Non ti abbandonerò mai, Giulietta» sussurrò utilizzando quel nomignolo che le aveva affibbiato ancora quando erano bambini «e non lascerò mai che qualcuno ti faccia nuovamente del male. Parola mia!»
«Credo che tu sia il regalo più grande che mi sia mai stato donato in tutta la mia vita. Non voglio più separarmi da te».
«E neanche io da te. Rimarremo sempre uniti, me lo prometti?»        
«Lo prometto» sorrise Giulia.
La porta della casupola si aprì proprio in quel momento, ma non c’era nulla di cui preoccuparsi. La madre di Giacomo si mostrò felice nel riveder la figlia nel nobile di quelle terre. Giovanna era una donna che mostrava ancora fascino, nonostante la sua condizione sociale le permetteva poco di sfoggiarlo. In molti al borgo credevano che fosse la sua bontà d’animo a rendere affascinante il suo viso, ormai alterato dal passare degli anni.
«Marchesa Giulia, è un piacere rivedervi!» la donna l’accolse con uno dei suoi più sinceri sorrisi. «Giacomo ci aveva avvertiti del vostro ritorno. Credo che possiate immaginare la gioia del mio giovanotto al sapervi nuovamente a casa. Glielo si leggeva in faccia» ridacchiò mentre Giacomo arrossì di colpo.
«Madre!»
Giulia scoppiò a ridere, vedendolo imbarazzato. «Credetemi Giovanna, anche io condivido la stessa felicità di vostro figlio per essermi potuta ricongiungere alle persone care».
«Vi credo bene» disse la donna passando lo sguardo da Giacomo a Giulia. Era certa che nei precedenti tre anni, il figlio non avesse mai sfoggiato un sorriso così radioso. «Noto dal vostro abbigliamento che siete andata a cavalcare, marchesa».
«Proprio così! Sono uscita dopo pranzo per trascorrere il pomeriggio nella foresta. Mi sono data alla caccia e stavo per catturare una bella lepre, fino a quando un insopportabile duca di non-so-cosa mi ha battuta sul tempo!» sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Rifletté un momento più tardi che la sua palese lamentela era un po’ fuori luogo. Lagnarsi perché un suo passatempo non l’aveva entusiasmata poteva rivelarsi offensivo per coloro che non potevano permettersi passatempi. Giulia avrebbe voluto sbattere la testa sul tavolo per via della sua scemenza.
«Dall’espressione sul tuo viso sembra proprio che ti abbia fatta arrabbiare» la canzonò Giacomo.
«Non hai idea di quanto sia stato irritante. È una di quelle persone che sa farmi andare in bestia rivolgendomi poche parole!»
«Se posso permettermi, marchesina, direi che il vostro caratterino non è variato minimamente» rise genuinamente Giovanna, poggiando sul tavolo il cestino con dentro il cibo che aveva appena comprato. «Mi ricordate tanto qualcuno di mia conoscenza che quando si imbufalisce non sente ragioni».
«Madre! Io ragiono quando sono arrabbiato!» scalpitò Giacomo, mettendo il broncio.
Giovanna si voltò, continuando a sorridere divertita, e osservò i due giovani che stavano di fronte a lei. Rimase un bell’attimo a guardarli in silenzio e il suo sguardo divenne presto lucido.
«Se poteste guardarvi ad uno specchio notereste quanto vi somigliate» sospirò tornando a svuotare il cestino.
La marchesina Giulia e Giacomo si scambiarono uno sguardo nello stesso momento. Le loro espressioni imbronciante si dissolsero, lasciando spazio ad un sentimento dolce che al contempo portò un po’ di malinconia. Entrambi compresero il significato delle parole di Giovanna.
«Credo che si stia facendo tardi. Dovrei tornare alla tenuta» disse velocemente Giulia, recuperando i suoi guanti posati sul tavolo. «Vi ringrazio per l’ospitalità e spero di potervi far visita nuovamente».«Sai di poter venir qui tutte le volte che lo desideri» affermò Giacomo, seguendo ogni suo passo con lo sguardo.
Giovanna si pulì le mani sul grembiule e sorrise alla sua ospite. «È stato un piacere ricevere la vostra visita. Sappiate che Giacomo ha ragione, potete tornare qualvolta voi lo desiderate».
Giulia strinse premurosamente le mani della donna e le rivolse un sorriso grato. «Vi prego di porgere i miei saluti a vostro marito. Spero nella prossima visita di poterlo fare di persona».
«Ne sarà lieto».
«Ti accompagno» disse Giacomo, scortando la giovane nobile alla porta.
Uscirono insieme e scesero le scale, l’abitazione del fabbro stava sopra la loro bottega. Giacomo la fece uscire dal retro, esattamente da dove era entrata, cosicché nessuno poteva vederla e gridare allo scandalo.
«Dove hai lasciato il tuo cavallo?»
«Ho pagato un uomo che sta all’inizio del paese perché lo possa curare e rimanere in silenzio» rispose la ragazza.
«Hai fatto bene» Giacomo diede un’occhiata fuori dalla porta e aspetto che la via fosse vuota per farla uscire. «Mi raccomando, se succede qualcosa, non importa se è notte fonda, ti prego di avvertirmi» sibilò prendendole la mano.
«Giacomo…»
«Giulia, non chiedermi di fartelo promettere!»
Lei sospirò, arrendendosi alla testardaggine del ragazzo. «D’accordo. Tu, però, resta fuori dai guai».
«Io sto sempre fuori dai guai!»
«Mio caro, in questi anni sembra che tu abbia sviluppato una bella testa matta» lo prese in giro Giulia. «Vorrei solamente che non facessi niente di stupido a causa mia».
«Niente è stupido se la causa è buona».
Giulia si arrese e sospirò profondamente. Il coraggio e la buona fede di Giacomo erano da lei tanto ammirate, eppure quel briciolo di paura non parve dissolversi.
«A presto» lo salutò.
«A presto» Giacomo posò un veloce bacio sul dorso della mano della nobile, prima di lasciarla andare.
La marchesina Giulia uscì dal retro bottega e proseguì per il vuoto vicolo, fino a quando non svoltò all’angolo che portava fuori dal borgo, dove l’attendeva l’uomo a cui aveva affidato il suo cavallo. Gli diede altre monete per comprare il suo silenzio e poi montò a cavallo per tornare alla tenuta. Mancavano poche ore al crepuscolo e doveva ancora prepararsi per la cena.
Il giorno prima era riuscita a scamparla utilizzando la scusa della stanchezza per il lungo viaggio, poi riuscì a svincolarsi dal pranzo solamente perché suo padre era uscito per affari, ma alla cena di quella sera non poteva sottrarsi.
Suo padre era rientrato nel pomeriggio e inoltre avevano un ospite alla tenuta, che a quanto pare sembrava molto importante per gli affari del signor marchese.
Per fortuna c’era Gertrude che, al suo ritorno, le fece trovare la vasca piena di acqua calda e sul letto era steso l’abito per la serata. La vecchia balia avrebbe continuato a occuparsi di Giulia fino all’arrivo della cameriera, che la giovane marchesa aveva fatto chiamare da Verona.
«Ha un anno in meno di me ed è molto sveglia» raccontò Giulia, mentre Gertrude l’aiutava a vestirsi. «Possiede un’allegria infinita, sono sicura che illuminerà un po’ questa casa che, detto fra noi, si è spenta da molto tempo».
«L’importante è che questa fanciulla sappia fare il suo dovere».
«Certamente! È più che qualificata, non a caso è stata al mio servizio negli ultimi tre anni. I miei nonni materni l’hanno presa a servizio ancora quando era bambina. Poverina… sai… lei è orfana. Il padre non l’ha mai conosciuto e sua madre, invece, era una delle cuoche del palazzo dei miei nonni ed è morta quando Rosalina aveva dieci anni».
Giulia si intristiva sempre quando ripensava alla storia della sua giovane cameriera. Era certa che fosse per quell’empatia che instaurarono fin da subito, soprattutto per via della perdita della madre e un rapporto assente con il padre. Forse Rosalina era più sfortunata perché non lo conosceva e Giulia si domandava sempre cosa fosse peggio: non conoscere il proprio padre o conoscerlo e avere un rapporto pessimo?
Dal canto suo, la giovane marchesa preferiva la prima possibilità. Lei personalmente avrebbe preferito perdere anche suo padre, piuttosto che avere un legame - se così ancora si poteva definire - come quello che condividevano. Per Giulia era stata una tremenda delusione scoprire che riponeva maggior fiducia in delle persone conosciute da poco, piuttosto che in sua figlia.
«E quando arriverà il nuovo membro di questo castello?»
«Se tutto va bene, entro un paio di giorni. Ho spedito immediatamente la lettera ai miei nonni e mi auguro che provvederanno il prima possibile» rispose Giulia mentre infilava le braccia nelle maniche dell’abito smeraldino. «Non l’ho portata prima con me perché credevo che mio padre avrebbe rimesso te al mio servizio e inoltre temevo che portando subito qui Rosalina, quell’asino, si sarebbe intestardito e l’avrebbe mandata via malamente. Mai vorrei che qualcuno trattasse male la mia Rosalina, specialmente lui!»
«Marchesina, vi prego, non date dell’asino a vostro padre. Se vi sentisse!»
«Io non avrei problemi a dirglielo in faccia, ma non lo farò siccome sono una signora!»
«Naturalmente» le diede corda Gertrude, passando le mani sulla gonna così da darle l’ultima sistemata. «Ecco, siete pronta!»
«Che gioia!» commentò Giulia con tanta ironia.
«Cercate di essere cortese e vedrete che la vostra permanenza sarà più piacevole» le consigliò l’anziana balia, sebbene immaginasse che era come ordinare ad un toro imbufalito di calmarsi. «L’ospite di vostro padre è un signore a modo. Credo che troverete buona la sua compagnia. Con noi servitori si è sempre comportato con molta cortesia, a differenza di altri…»
«Dì pure che Adriano non vi tratta con gentilezza e non è neanche il padrone».
Gertrude preferì tacere. Camminò attorno alla ragazza per vedere se era pronta per lasciare la sua stanza e, dopo un’attenta visione, annuì seriamente. Giulia la ringraziò e poi uscì dalla sua camera da letto. Percorse il corridoio e scese le scale molto nervosamente. Sperava tanto che quella cena durasse poco. Andarsene per prima sarebbe apparso da maleducata, ma forse per seconda nessuno avrebbe ribattuto su nulla. Fece un lungo respiro profondo prima di entrare nella saletta che precedeva la sala da pranzo. Era usanza ritrovarsi tutti lì e poi andare ad accomodarsi a tavola.
Non appena entrò scorse subito la figura esile di Elena, la quale era impegnata a chiacchierare con suo padre. Loro furono i primi ad accorgersi della sua presenza.
«Buonasera Giulia!» la salutò la sua futura matrigna, mostrandogli un gran sorriso. «Vi ricordate di mio padre?»
Il signor Rossini era un uomo in su con l’età, un po’ robusto e non molto alto. Pochi erano i suoi capelli ormai bianchi, ma in compenso teneva una barba che gli copriva tutta la mandibola. Giulia non possedeva un ricordo negativo del banchiere, anzi rammentava che, durante le sue visite, era solito portarle qualche dono.
Nonostante era poco più di una bambina, la giovane marchesa era certa che quei regali non fossero i soliti contentini per ingraziarsela. Nel signor Rossini non scorgeva alcuna malizia, al contrario del figlio.
«Marchesina Giulia, è un vero piacere rivedervi» la salutò con un veloce baciamano. «L’ultima volta che vi ho vista eravate una bambina molto cresciuta e ora… ora siete una donna in procinto di sbocciare».
«Vi ringrazio, signor Rossini» gli rivolse un leggero sorriso. «Avremo il piacere di ospitarvi per qualche giorno?»
«Sfortunatamente no, mia cara. Gli affari mi tengono costantemente occupato!» sospirò pesantemente l’anziano signore. «Partirò domani mattina all’alba. Pensate che, per esser qui stasera, ho dovuto fare i salti mortali, ma del resto non potevo permettere di attendere le nozze di vostro padre per salutarvi!»
Perché i suoi figli non avevano ereditato la spiccata personalità di quell’uomo? si domandò Giulia. In realtà, tra i due, era Elena ad aver acquisito maggiori qualità. Disgraziatamente la scaltrezza non era fra queste!
«Oh! Giulia, eccovi qua!» esclamò il marchese Pietro, abbandonando Adriano e l’ospite che lo seguirono a ruota.
«Marchesina Giulia, siete veramente elegante» disse Adriano, lanciandole uno sguardo languido.
«Vi ringrazio» si sforzò di rispondere gentilmente lei.
Per fortuna suo padre si inserì tra loro e con uno strano sorriso disse: «Mia cara, permettimi di presentarti al nostro illustrissimo ospite!»
La persona in questione avanzò, mostrandosi sotto la luce delle candele, e scaturendo una reazione piuttosto sbalordita nella giovane fanciulla. La marchesina Giulia sgranò lentamente gli occhi, mettendo a fuoco il viso di quell’uomo tanto elegante quanto prestante, e socchiuse la bocca per via della grande sorpresa. Davanti a sé non aveva nient’altri che il pomposo nobile che quel mattino aveva disturbato la sua caccia. Costui non era meno sbalordito di lei, però dopo il primo impatto si formò un sorriso divertito sulle sue labbra sottili.
«Vi siete già incontrati?» domandò Elena, notando quello scambio di sguardi che stava durando più a lungo del previsto.
Fu quell’aitante duca a prendere la parola.
«No. Con tutto il rispetto per vossignoria, non dimenticherei mai un viso delicato come quello di vostra figlia».
La giovane marchesa risultò ancor più sorpresa dal favore che quello sbruffone le fece, fingendo di non riconoscerla. Si era già immaginata di dover discutere animatamente con suo padre e di sopportare le malignità di Adriano.
«Duca Andrea Pietrarossa, mi onora fare la vostra conoscenza» si presentò baciandole la mano.
«Marchesa Giulia Guerra» ricambiò.
«Eccellente! Ora che sono state fatte le dovute presentazioni, possiamo spostarci nella sala da pranzo» annunciò il marchese Pietro, indicando la via con un braccio. «Mia cara, mi accompagnate?» domandò alla sua futura moglie che subito si avvinghiò al suo braccio.
Giulia ebbe paura che Adriano le avrebbe fatto la medesima richiesta. Il solo breve contatto con quell’infame le faceva accapponare la pelle. La buona sorte sembrò sorriderle nuovamente quella sera e, prima che Adriano le rivolgesse parola, il duca Andrea Pietrarossa le sorrise amabilmente, concedendole di passar loro davanti.
La ragazza si ritrovò un po’ scombussolata dalla presenza di quell’uomo alla tenuta. Presto o tardi avrebbero parlato del loro primo vero incontro, che non fu dei migliori, proprio per questo non capiva perché si stesse comportando con così tanta gentilezza. Naturalmente non si fidava di lui. Era curiosa di scoprire quale sarebbe stata la sua prossima mossa.




Mrs. Montgomery
Chiedo venia per il ritardo con cui pubblico questo capitolo.
Pian piano si fa sul personaggio di Giulia, su alcuni suoi comportamenti e su ciò che ha passato a causa di Adriano. L'incontro con il bel duchino è stato incisivo e pieno di battibecchi, che non mancheranno nemmeno in futuro. Sia Andrea e sia Giulia hanno delle personalità forti e sono entrambi molto orgogliosi, vedrete come ciò inciderà su molte situazioni.
Per ora non intendo anticiparvi nulla, solamente che... ne vedrete delle belle tra quelle due teste matte!

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

 



 

 

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Capitolo 4
*** Comportamenti molesti ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 3
Comportamenti molesti

 

Una giornata, per cominciare bene, doveva iniziare sempre con un buon libro e la marchesina Giulia ne era pienamente convinta!
La nobile piemontese si rifugiava a leggere ogni mattina dopo essersi svegliata e ogni sera prima di addormentarsi. Era un’abitudine che si trascinava dietro fin da quando era bambina, tramandatale dalla sua defunta madre che era una divoratrice di libri.
Il libro preferito della precedente marchesa Guerra era “Romeo e Giulietta”, famosa tragedia Shakespeariana ambientata proprio nella sua città natale e da cui poi trasse ispirazione per nominare la sua bambina. La giovane Giulia era a conoscenza di questo fatto, specialmente perché, prima della sua dipartita, la Marchesa affidò la sua copia personale alla bambina, scrivendole una dedica nell’ultima pagina.

                                   

“Quando il coraggio ti verrà a mancare, rileggi questa storia e ricorda di questi due giovani innamorati che sono andati ognuno contro la propria famiglia - ciò di cui nulla è più sacro - per far valere loro stessi e il loro amore”


La defunta marchesa Francesca era sempre stata una sognatrice e un’inguaribile romantica. Amata dalla sua servitù per la gentilezza del suo cuore e amata dalla sua famiglia per la passione che metteva nel curarsi di loro. Giulia non dubitava che sarebbe rimasta a lungo nei ricordi di chi le aveva voluto bene e non metteva neanche in dubbio che il burbero marchese la ricordasse con estremo affetto.
Il loro era stato un matrimonio di convenienza, come la maggior parte di quelli nobiliari, eppure riuscirono a stringere un rapporto amichevole e di gran fiducia. Forse Giulia era troppo piccola per ricordarsene, ma le persone attorno a loro ne erano state testimoni.
Tornando nel suo incubo peggiore, Giulia doveva pensare ogni giorno al coraggio dei protagonisti appartenenti al libro preferito di sua madre e lo fece, domandandosi anche come poteva una tragedia ispirarle coraggio. La storia di Romeo e Giulietta non possedeva alcun lieto fine e nessuna speranza.
L’opinione di Giulia era che la pace sancita dalle loro famiglie era stata raggiunta troppo tardi e ad un caro prezzo. La fanciulla era commossa dall’amore puro di quei due sfortunati innamorati, ma non le ispirava alcun coraggio. Nonostante ciò rilesse quella tragedia molte e molte volte ancora, siccome attraverso quel libro si sentiva più vicina alla sua defunta madre; era intenzionata a dedicargli quella mattinata.
Con il libro sottobraccio e una leggera brezza che carezzava i capelli scuri, Giulia scese la scalinata esterna che conduceva al gazebo. Sperava che nessuno l’avrebbe disturbata, detestava quando qualcuno interrompeva la sua lettura, ma non riuscì nemmeno a scendere l’ultimo gradino di pietra che sulla sua strada s’imbatté in un individuo non più sconosciuto.
Se la sera precedente il duca parve molto formale ed educato, quel mattino sembrò esser la stessa persona fastidiosa che interruppe la sua caccia. Non appena la vide scendere le scale, si fermò di colpo e cambiò la sua rotta. Si passò le mani sul panciotto azzurro, avvicinandosi a passo svelto, per poi appoggiarsi alla balaustra di marmo.
«Marchesina Giulia, buongiorno!»
«Buongiorno a voi».
«Duca Pietrarossa» le suggerì.
«Sì, me lo ricordo il vostro nome» rispose pungente Giulia.
L’uomo abbozzò un sorriso divertito e si morse il labbro. «Io e voi abbiamo una conversazione in sospeso, mi pare».
«A quale conversazione vi riferite?»
«A quella nel bosco, luogo del nostro primo vero incontro» sussurrò il duca, avvicinando il suo viso.
«Quella conversazione era finita». Giulia si lasciò scappare una risata divertita, ricordando il loro lungo battibecco nella foresta, in cui lei credette di esserne uscita più che vincitrice. «A proposito di questo, io... io volevo ringraziarvi per averlo omesso l'altra sera. Siete stato molto gentile».
«Non dovete ringraziarmi. Per quale motivo avrei dovuto mettervi in imbarazzo di fronte alla vostra famiglia?»
«Be'... non sono stata molto cordiale con voi. Potevate farmela pagare e affondare il colpo».
«E rischiare di litigare con vostro padre, mandando all'aria i nostri affari, perchè ho osato battibeccare con sua figlia?»
Giulia alzò le sopracciglia, abbozzando un sorriso ironico e amaro. «Credetemi, non sareste stato voi a litigare con lui».
«Marchesina Guerra, non è cosa da me gradita il mettere nei guai graziose donzelle» continuò il duca, tamburellando le dita sulla balaustra in pietra e rivolgendole uno sguardo furbo «anche se devo ammettere che la prima volta che vi ho visto sembravate una selvaggia. I vostri abiti non erano affatto eleganti e, non so se ve ne eravate accorta, ma tra i vostri capelli c’erano molte foglie…» 
«Mi avete appena chiamata selvaggia?» rise Giulia, non riuscendo nemmeno a fingere il broncio.
«Dovete ammettere che ne avevate tutto l’aspetto. Ora, invece, siete decisamente più presentabile» disse il duca  facendo scorrere lo sguardo sulla figura della nobile piemontese.
Ella era come baciata dai raggi del sole e i suoi grandi occhi brillavano come preziosi smeraldi. Andrea dovette ammettere che era molto graziosa, tanto quando Elena o quel briccone di Adriano le dissero, eppure la marchesina Guerra non era proprio come se l’era immaginata.
Dalle voci di corridoio credeva che si sarebbe trovato una bambolina, in grado di parlare quando le veniva chiesto e tacere quando era dovuto, invece proprio il loro primo incontro dimostrò l’esatto opposto. Giulia si era mostrata sfrontata, impertinente e attorno a lei pareva arieggiare un pizzico di superbia. Dannazione, quanto le era apparsa insopportabile!
Insopportabile, ma almeno non noiosa quanto altre oche giulive che incontrò nelle più famose corti d’Europa. Molto probabilmente il duca Pietrarossa si sarebbe divertito in quel suo breve soggiorno in Piemonte, stuzzicando quella che pareva essere come un cane che abbaiava facilmente.
«Questa mattina avevate intenzione di leggere?» continuò l’uomo, lanciando un’occhiata al libro che Giulia teneva sotto braccio.
«In realtà HO intenzione di leggere».
«Ne siete sicura?»
La nobile fanciulla corrugò la fronte e si strinse il libro al petto, fissandolo confusa. «Che cosa vi da a credere che io abbia cambiato i miei piani mattutini?»
«Be’… la mia presenza, ovviamente» rispose Andrea, facendo un passo in avanti. «Questa tenuta è casa vostra, oltre che vostro padre, e quindi sono anche un vostro ospite. Non credete di avere dei doveri nei miei confronti?»
«Assolutamente no!» Giulia arrossì violentemente, mentre la sua mente partorì pensieri poco pudichi e decisamente non appropriati.
Il duca scoppiò a ridere, avendo la conferma tangibile certezza che Giulia avesse capito esattamente ciò che lui voleva che capisse. “Sì, sicuramente sarà un soggiorno più piacevole del previsto” si ritrovò a pensare Andrea.
«Che cosa avete capito, marchesina?» si finse ingenuo, assorbendo tutto l’imbarazzo creatosi. «Intendevo dire che potevate tenermi compagnia. Potremmo passeggiare per il vostro delizioso giardino, è così immenso che ci vorrà una giornata intera per visitare ogni suo angolo recondito… ma potremmo cominciare da questa mattina, volete?» le propose, mostrandole il braccio e accompagnando il gesto con un sorriso sornione.
La marchesina Giulia si prese un momento per osservarlo. Non era incantata dal suo aspetto, sebbene le toccasse ammettere che vide ben pochi nobiluomini che apparivano prestanti quanto lui. A farla tentennare era il comportamento ambiguo del duca, che la incuriosiva tanto quanto la irritava. Una passeggiata, però, non poteva rifiutargliela, non dopo che l’aveva coperta con suo padre.
«Sarà un piacere passeggiare al vostro fianco» rispose cortesemente Giulia, poggiando la sua mano sul braccio del duca.
Egli sorrise soddisfatto e cominciarono a camminare lentamente sul bel prato verde, raggiungendo le siepi tagliate accuratamente e passando accanto alle primule da poco sbocciate.
Guardandosi attorno, Giulia si rese conto della bellezza di quell’immensa terra, della quale vergognosamente si dimenticò durante il suo soggiorno a Verona. Tentando di rimuovere i brutti ricordi, eliminò anche quelli belli. Ripercorrendo quella terra, il passato le si scagliò addosso.
Alla mente le tornarono i ricordi di quando era bambina e correva spensierata tra le siepi e gli arbusti, giocando o nascondendosi dalla sua balia. Raccoglieva sempre fiori per sua madre, la quale passava gran parte del suo tempo sotto il gazebo a leggere, mentre la nobildonna alzava gli occhi dalle pagine unicamente per osservare sua figlia, che scorrazzava trasmettendo allegria ovunque passasse.
Rammentare quei momenti era una gioia e al contempo un dolore, perché nulla di simile sarebbe accaduto nuovamente. Per quanto quel giardino fosse ancora maestoso, con gli alberi di ciliegio e i cespugli di fiori, mancava di qualcosa.
«Marchesina, mi state ascoltato?»
Giulia volse lo sguardo al duca. Non si era proprio accorta che avesse aperto bocca. «Perdonatemi, ero sovrappensiero. Stavate dicendo?»
«Vi ho domandato che libro eravate intenzionata a leggere» ripetè l’uomo spazientito.
«Oh! “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, lo conoscete?»
«Ah, la famosa tragedia!» esclamò il duca con fare eclatante. «Sì… credo di averci buttato un occhio qualche anno fa. Tratta della storia di quei due innamorati che vennero ostacolati dalle rispettive famiglie, dico bene? Non fu ambientato nella stessa città da cui avete appena fatto ritorno?»
La marchesina annuì.
«Francamente, mia signora, non ho trovato niente di così speciale in quel romanzo tanto decantato. Naturalmente è un mio personale parere, da non amante di quel genere di romanzo. Il romanticismo, sebbene in questo caso sia tragico, non fa per me. So invece che fa sognare le giovani fanciulle, come voi, o sbaglio?»
«Ebbene sbagliate».
«Davvero? Non desiderate una storia romantica come quella della fanciulla che condivide con voi il medesimo nome?»
«Oh sì, chi non desidera morire suicida?» replicò Giulia alquanto ironica.
«Dante scrisse che l’amor è ciò che move il sole e l’altre stelle» recitò il duca poco prima di pararsi di fronte alla fanciulla. «Non credete che la passione spinga le persone a compiere gesti estremi?»
«Una passione violenta conduce solamente ad una fine violenta» rispose la ragazza, lanciandogli uno sguardo di sfida. Pochi minuti di cortesia avevano rigenerato il botta e risposta che li unì la prima volta. «Spero di non recarvi offesa, ma non mi sembrate un uomo che sa parlar d’amore».
«E perché mai?»      
«Avete appena detto che non amate il romanticismo e non siete nemmeno sposato».
«Non serve amare il romanticismo per essere dei buoni amanti. Se capite cosa intendo dire…» disse il duca Andrea lanciandole un’occhiata poco casta, che fece arrossire violentemente la nobile piemontese. «Inoltre vi sono molti matrimoni fondati sul nulla, se non su convenienze dettate dal protocollo. Che cosa vi fa credere che una persona sa parlar d’amore solamente se unita in matrimonio?» la prese in contropiede il bel duca e in effetti non aveva tutti i torti.
Per la prima volta, Giulia si sentì fortemente in imbarazzo. Quella domanda retorica l’aveva scossa molto di più che l’allusione poco casta di qualche attimo prima. Era ben conscia che i nobili del suo rango non si sposavano per amore, però credeva che tra i due ci fosse almeno un minimo d’affetto.
«Vi prego di perdonarmi, mia signora. Lungi da me mettervi a disagio in casa vostra. Il vostro peccato è la giovane età. Col tempo imparerete molte nozioni di vita. Chissà che non vi farete un’idea più sicura dell’amore e della passione che può legare due persone».
A Giulia toccò incassare il colpo. Per quanto la sua lingua potesse allungarsi a dismisura in varie discussioni, il duca le bloccò ogni possibilità di rivalsa e, poiché la nobile non era poi così sciocca, rifletté che stare in silenzio era il comportamento migliore, sennonché quello più intelligente.
«Trattando sempre di letteratura, posso sapere quali sono i romanzi o i poemi che vi hanno maggiormente colpito?»
«La scorsa estate mia nonna mi ha regalato “L’orlando innamorato”. È un romanzo cavalleresco di Matteo Boiardo… un genere che mi piace molto, sebbene l’epoca in cui viviamo segue la corrente degli illuministi» rispose la marchesina Giulia con molta spensieratezza e riprese a passeggiare al fianco dell’affascinante duca Pietrarossa. «Condivido parte degli ideali dei grandi luminari, infatti sto leggendo il poemetto di Parini. Esso da una buona rappresentazione di quanto noi aristocratici sappiamo essere superficiali. Basta pensare che la nostra colazione è formata da almeno due briosche, un piatto pieno di biscottini e di pasticcini, tè caldo, pane fresco, marmellate… e passiamo le giornate a passeggiare, leggere, cantare, suonare. Per carità, alcun si occupano dei propri affari, ma ci sono persone che si spaccano la schiena dall’alba al tramonto e ciò che noi mangiamo a colazione, loro non lo mangiano neanche in una giornata intera. Credo che questa disuguaglianza sia troppo forte!»
Trattando di quell’argomento, Giulia rivolse i suoi pensieri al caro Giacomo.
Loro erano un chiaro esempio di quella situazione che da una parte vedeva la nobildonna cresciuta nella bambagia, servita e riverita, e dall’altra un semplice fabbro che fin da piccolo lavorava al fianco del padre per tutto il giorno.
Il ragazzo aveva piccoli momenti di pausa, quando il lavoro non era troppo, e Giulia ne approfittava per fargli una visita, in realtà non si faceva riguardi nemmeno quando lavorava. Non che lo volesse distogliere dai suoi doveri, alla nobile fanciulla bastava anche starsene seduta in un angolo ad osservarlo.
Si conoscevano da quando erano bambini, dal momento che la madre se lo trascinava dietro quando doveva consegnare qualche stoffa ricamata alla defunta marchesa Francesca, ed erano soliti giocare in giardino. Giulia gli era veramente affezionata e gli dispiaceva vedere quanto fossero diverse le loro vite.
C’era un mondo intero a dividerli. Quando andava a trovarlo gli portava sempre qualcosa da mangiare, cercando di non farla sembrare un atto di pietà e non lo era davvero. La rendeva appagata poterlo aiutare e miglioragli la giornata.
Se Giulia avesse potuto cambiare il passato, non ci avrebbe meditato due volte. Ma quella era un’altra storia.
«Si tratta di gerarchia sociale, marchesina. Non tutti possiamo essere uguali, perché non tutti possiamo ricoprire lo stesso ruolo nel mondo» affermò il duca spostando il suo sguardo sulla natura circostante. «Provate a pensarci. Ognuno al suo posto. I contadini lavorano la terra, dedicano la loro vita a coltivare qualche ortaggio, qualche vigna o qualcos’altro e potrebbero vivere di ciò che producono, ma dubito che siano in grado di vestirsi con il cibo, lo trovo anche piuttosto disgustoso. Come i contadini, che lavorano la terra, ci sono i tessitori che fanno il loro dignitoso mestiere, così come ci sono i pastori che portano al pascolo il bestiame e così via…» lasciò scialacquare il discorso con un gesto della mano.
La marchesina Giulia era molto attenta alle sue parole e intuì dove aveva intenzione di arrivare.
«La storia dell’uomo ha origini antiche. Se l’avete studiata con la dovuta attenzione, ricorderete che un tempo eravamo suddivisi in caste. I nostri avi facevano parte di una casta superiore per diritto divino e non possiamo farcene una colpa per questo» continuò il duca Pietrarossa con molta naturalezza.
Traspariva una profonda sicurezza dal sagace tono di voce, dal capo che teneva sempre alta e ritta, e dalle occhiate che ogni tanto - durante il suo discorso - le rifilava. Il duca Andrea Pietrarossa sapeva in fatto suo!
«Nell’antica Roma la nobiltà di fatto era legata all’amministrazione del potere per conto del sovrano, or dunque non si intrallazzava nella bambagia, seppur non nego che possedevano dei privilegi. Nei secoli precedenti al nostro la nobiltà divenne un po’ più di diritto che di fatto. Solamente gli aristocratici poterono divenir soldati oppure iscriversi ai collegi più importanti per acculturarsi e chissà, magari scoprire qualcosa di utile all’umanità. A proposito di questo, è stato lo scorso autunno che quel tale… ehm  Alessandro Volta, mi pare… ha scoperto un nuovo tipo di aria infiammabile?».
«Ehm… sì, mi pare» gli diede corda Giulia, anche se non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando. Non aveva mai prestato chissà quale grande intenzione agli inventori o scopritori scientifici. La baronessa Piacentini, sua nonna materna e grande sostenitrice degli Illuministi, le ripeteva spesso che sarebbe dovuta nascere nel Rinascimento vista il suo interesse per l’arte e la letteratura.
Il duca Pietrarossa si voltò e le mostrò un gran sorriso, parendo quasi aver intuito il suo disinteresse, ma non fece alcun commento a riguardo. C’era tutt’altro di cui dibattere. «Il punto, mia cara marchesina, è che ognuno ha il suo posto fin dai tempi più antichi e nulla potrà mai cambiarlo, che voi lo vogliate o meno. Si tratta di puro equilibrio».
«Forse avete ragione...»
«Non forse. Io HO ragione!»
Giulia inarcò un sopracciglio, di fronte a quella sua arroganza che non tardava mai troppo a manifestarsi, e gli lanciò un’occhiata alquanto stranita.
«A voi non garba il vostro ruolo nella società? Vivere di privilegi, non avere alcuna preoccupazione sul futuro perché a voi penserà sempre vostro marito?» continuò l’uomo.
«Certamente, sperando che non mi capiti un marito deplorevolmente negato negli affari» rise Giulia, contagiando quella sua ironia anche lo scaltro duca.
«Mi auguro per voi non sarà così! Vostro padre vi ha già sottoposto qualche possibile candidato?»
«Nessuno. Non che io sappia».
«Dovete sbrigarvi, marchesina. Ormai siete in età da marito e il tempo scorre in fretta».
«Non troppo se voi siete ancora scapolo» gli rispose a tono Giulia.
Non fu una provocazione voluta, ma una semplice battuta amichevole che il duca incassò con divertimento. Si scambiarono un sorriso e continuarono a camminare per il giardino della tenuta.
Il pensiero che sfiorò la mente di entrambi fu che la persona che, in quel momento, stava al proprio fianco non era di spiacevole compagnia. Battibeccavano un minuto sì e l’altro pure, ma almeno non potevano affermare di annoiarsi, anzi le risate sembravano assicurate.
Attorno a loro si creò un’atmosfera soave e allegra.
Non passarono inosservati né ai giardinieri impegnati a tagliare le siepi e né alle domestiche, che non sembravano poi così tanto indaffarate nel loro mestiere. Non v’era niente di compromettente o malizioso, era solamente una scena spensierata a cui non erano più abituati.
Solitamente assistevano al pavoneggiarsi  di Adriano e raramente si vedevano Elena e il marchese Pietro a passeggio, per via della cagionevole salute della donna che non le permetteva di trattenersi troppo all’aria aperta.
Il duca Andrea e la marchesina Giulia si trattennero per un bel po’ a chiacchierare, toccando vari argomenti contemporanei, e pur non trovandosi spesso sulla stessa linea d’onda, riuscirono a continuare a vivere quella passeggiata in armonia.
Per star più comodi ad argomentare i loro punti di vista, andarono a sedersi sotto il gazebo e molto probabilmente avrebbe passato lì l’intera mattinata, se non fosse stato per un ostacolo.
«Andrea! Giulia!»
Il sorriso di Giulia si spense non appena vide la sua dolce matrigna camminare nella loro direzione, con un gran bel sorriso stampato in faccia.
«Buongiorno Elena! Siete uscita anche voi per una passeggiata?» domandò il duca, ricambiando lo stesso sorriso gentile.
«Mio caro amico, sapete bene che non posso intrattenermi troppo qua fuori quando c’è anche solo un filo di aria fresca» rispose la donna, sedendosi sul divanetto opposto a quello dei primi arrivati. «Sono uscita perché vi ho visto dal balcone e siccome mio marito… ehm… intendevo dire, il mio futuro marito è fuori per affari, pensavo di stare in vostra compagnia».
«Il marchese è partito alla buon’ora?» chiese il duca Andrea.
«Sì. È partito con mio padre, ricordate che ieri sera disse che la sua visita era di breve durata».
«Certamente! Ora si giustifica il forte nitrito dei cavalli che ho sentito stamane all’alba».
Per Giulia era qualcosa d’insopportabile rimanere ad ascoltare quella donna anche solamente per due minuti. Non le interessava quanti bei sorrisi le rivolgesse, quanto mostrasse affetto per suo padre o in che buoni rapporti fosse con il duca Pietrarossa.
La marchesina non era solita dimenticare, a meno che non avesse ricevuto delle scuse ufficiali e di ciò dubitava fortemente, dal momento che la sua verità era stata ritenuta una farsa.
«Se volete scusarmi, credo che mi ritirerò» disse alzandosi dal divanetto senza troppa non-chalance. «Duca, vi ringrazio per la vostra compagnia e mi auguro che il vostro soggiorno continui ad essere piacevole».
«È mio dovere ringraziare voi per la compagnia, non il contrario» replicò l’uomo alzandosi a sua volta «e sono certo che l’ospitalità che voi e la vostra famiglia mi state offrendo sia, e continuerà ad essere, la migliore» poi le prese la mano e vi porse sopra un veloce bacio, come volevano le regole. Senza mai staccare gli occhi da quelli smeraldini della fanciulla sussurrò: «Vi auguro una piacevole giornata, marchesina».
Lei sorrise per cortesia e poi, senza proferir parola alcuna, girò sui tacchi per andarsene. Il saluto che negò ad Elena non passò inosservato.
«Vi prego di non farci caso. Io… io non le piaccio» anticipò la donna, con tristezza nella sua voce.
«Non ne capisco veramente il motivo» commentò burbero Andrea, risiedendosi sul divanetto. «Forse non dovreste farci caso voi. In fondo è molto giovane e questo può giustificare la sua infantilità, ma dubito che possa provare chissà quale rancore verso la vostra persona. Sarò sincero Elena, visto che ti conosco da quando eravamo dei ragazzini, voi siete la donna che possiede più gentilezza e generosità del Regno di Sardegna!»
«Io riservo una buona gentilezza verso quella fanciulla. Le voglio bene come se fosse mia figlia, credetemi, e desidero solamente il meglio per lei. Certo… non posso negare che abbia un animo fiero ed è una caratteristica che ammiro profondamente» affermò Elena, portandosi una mano al petto e guardando negli occhi il suo amico d’infanzia. «La verità è che credo che non abbia ancora superato il lutto per sua madre. È rimasta orfana quando aveva dieci anni e non nego che Pietro possa averla trascurata perché era più concentrato sugli affari della tenuta. Sappiamo bene ciò che significa, giusto?»
«Be’ io mia madre non l’ho nemmeno conosciuta e mio padre… anche lui era impegnato nei suoi affari, ma trovava sempre un po’ di tempo da dedicarmi e mi è bastato».
Parlare del suo passato non gli portava alcun piacere. Solitamente cambiava argomento, ma conosceva Elena da molti anni e con lei faceva meno fatica ad aprirsi.
«Giulia era molto affezionata a sua madre e probabilmente non vorrebbe che nessuno la sostituisca» continuò Elena.
«La marchesina non vi ha mai dimostrato affetto?»
«Oh no! Un tempo eravamo riuscite a stringere un buon rapporto!» esclamò la donna con entusiasmo.
I suoi occhi grigi si illuminarono, come se avesse visto qualcosa che le piaceva e invece fu un ricordo a provocarle quell’emozione commossa.
«Rammento ancora il primo giorno in cui la incontrai. Aveva compiuto da poco quindici anni e indossava un abito azzurro. Tra i suoi capelli c’erano dei fiori appena raccolti, probabilmente era appena stata a giocare con qualche figlio della servitù. Sapete lei era una bambina davvero molto umile. Una volta tentò di convincere una cameriera a farsi aiutare a portare i panni puliti in camera sua perché secondo lei avrebbe riposato di più».
Raccontando quell’aneddoto, era ben visibile la contentezza sul viso di Elena. L’affetto che provava per quella bambina, ormai cresciuta, era sincero o perlomeno Andrea ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Il duca non stentava nemmeno a credere alle parole dell’amica, notò fin da subito che Giulia non era come alcune nobili viziate. Non era riuscito ad inquadrarla ancora per bene e per questo si mostrava incuriosito ad ogni parola che Elena proferiva sulla figliastra.
«La ricordo come una bambina molto dolce. Mi portava sempre un mazzolino di fiori quando mi ammalavo e dovevo starmene a letto. A descriverla così sembrava un vero angioletto, però ti dirò che già a quell’età dimostrò di avere un bel caratterino. Avresti dovuto vederla quando si impuntava su qualcosa, nessuno era in grado di farle cambiare idea».
«In realtà, se me lo permettete, credo che possegga ancora quel bel caratterino. Non pensate male, è sempre stata molto educata nei miei riguardi» eccetto forse nel bosco, ma il duca decise di omettere quella parte. «È ancora molto giovane, ma sembra avere un’ottima strada di fronte a sé. Trovarle marito non sarà un’impresa ardua».
«Vi state proponendo?» lo prese in giro Elena.
Andrea rise di gusto e scosse il capo. «Assolutamente no. Nulla a togliere alla vostra figliastra, ma mi conoscete fin troppo bene e sapete che sono uno spirito libero».
«Non siete così diversi» commentò a bassa voce la donna e probabilmente l’amico non udì quelle parole, in caso contrario avrebbe certamente commentato. «Giulia è tornata da pochi giorni, ma non sembra che la permanenza a Verona abbia soppresso la sua indole ribelle».
«Indole ribelle? È per questa ragione che l’avete mandata via?»
Naturalmente Elena non gli avrebbe raccontato ciò che, secondo lei e il marchese Pietro, era accaduto tre anni prima. Per quanto fosse affezionata ad Andrea, non poteva rivelargli fatti intimi accaduti in casa sua.
«Diciamo che Giulia ha subìto un repentino cambiamento da quando sono entrata nella sua vita» rispose Elena, tentando di rimanere sul vago. «È vero che inizialmente sembravamo aver stretto un buon rapporto, ma in seguito credo che la sua gelosia sia fuoriuscita e ha cominciato a detestarmi. La decisione di allontanarla è stata sofferta, ma necessaria per la sua educazione e per alleviare quel rancore che sembra ancor portar nei miei confronti. Farla tornare in procinto delle mie nozze con Pietro è stata una mia decisione. Credevo che sarebbe stato un modo gentile per riavvicinarla alla sua terra Natale e inoltre scoprire della nostra unione tramite una lettera poteva solamente aumentare la sua rabbia. Nonostante tutto io le voglio molto bene».
«Ne sono più che certo, Elena» disse il duca Andrea, sorridendole amabilmente. «Mi dispiace vedervi in difficoltà e confido che la vostra buona fede riuscirà a ricucire questo sgradevole drappo nella vostra famiglia. Magari ci vorrà del tempo. Quando si spargono buoni semi, non si può far altro che attendere buoni frutti!»
«Quanto vorrei avere il vostro ottimismo, caro amico».
«Il vostro comportamento nei suoi confronti di Giulia è impeccabile. La vostra figliastra sarebbe una gran stupida a non apprezzarvi. Forse non sarete nobile dalla nascita, ma credetemi mia signora, avete un animo più nobile di tanti miei simili».
Le labbra di Elena s’incresparono verso l’alto, formando il primo sorriso sincero da quando era scesa in giardino. L’ostilità di Giulia dava un grande peso al suo animo e fece calare un’ombra oscura sulla sua vita - fino ad allora - radiosa.
La donna posò le sue mani sopra quelle dell’amico.
«Vi ringrazio per il supporto. Qualche volta avrei proprio bisogno di queste parole».
«Dunque sarà mio compito ripetervele ogni giorno, fino a quando sarò ospite nella vostra dimora» rise allegro Andrea.
Ad interrompere il loro tenero momento d’amicizia sincera venne interrotto da alcune cameriere che necessitano di Elena. In assenza del marchese Pietro, era lei la padrona della tenuta e solamente lei poteva dare disposizioni. La donna si scusò con l’amico, ringraziandolo nuovamente per la premura mostrata nelle sue parole, e lo abbandonò a bearsi di quella bella giornata. Il duca non si trattenne molto tempo sotto il gazebo, preferì passeggiare  un altro po’ per poi tornarsene all’interno della tenuta.
Fu proprio sulla strada del ritorno che s’imbatté in qualcosa, che lui trovò piuttosto strano. Stava voltando l’angolo per raggiungere l’entrata principale del grande maniero, quando vide la marchesina Giulia intenta a discutere con Adriano.
Andrea non li spiò di proposito, poco gli importava del rapporto che intercorreva tra quei due. S’insospettì, quando notò il cambiamento del suo amico d’infanzia, non appena furono soli, senza neanche un membro della servitù.
Un attimo prima Adriano pareva l’incarnazione della cortesia e subito dopo afferrò la marchesina per un braccio.
Dall’espressione sofferta sul viso della fanciulla, non serviva possedere chissà quale acuto intelletto per capire che l’uomo le stava facendo male. Il duca vide Giulia respingerlo con tutta la forza che possedeva, ma era ben visibile chi fosse il più forte.
La giovane marchesina non si arrese e tentò in ogni modo di fuggire dalle grinfie di Adriano, sbattendogli ripetutamente il libro in testa. Lui le stava rivolgendo una serie di parole incomprensibili alle orecchie di Andrea, che era troppo lontano per udirle nitidamente.
Di lì a poco il duca sarebbe intervenuto, ai suoi occhi era una scena raccapricciante oltre che sleale, e invece bastò un semplice stalliere che passando di lì interruppe quella diatriba senza far alcunché.
Era chiaro che Adriano si comportasse in maniera totalmente diversa quando c’era qualcuno presente, pur trattandosi solamente di un servitore. La marchesina Giulia riuscì a fuggire da lui e rifugiarsi all’interno della tenuta, dove forse sarebbe stata al sicuro.
Ma per quanto ancora lo sarebbe stata?



 





Mrs. Montgomery
Pian piano il duca Pietrarossa e la nostra Giulia imparano a conoscersi. Ci vorrà un po' prima che scocchi la scintilla e ancora di più prima che lo ammetterano.
Insomma si andrà per gradi com'è giusto che sia.
Qualcosa nell'aria sta già girando. Nell'ultima scena Andrea inizia ad insospettirsi, ma scoprire cosa accadde tre anni prima non sarà molto facile.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** L'inizio dell'avventura ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 4
L'inizio dell'avventura

 

 

«E quanto s’intratterrà il duca Pietrablu?»
«Pietrarossa» lo corresse Giulia. «Uhm... credo che soggiornerà alla tenuta per ancora due settimane. Non ho idea di che trattative lo legano a mio padre, ma paiono andar per le lunghe» continuò, posando gli occhi sugli oggetti della seguente bancarella e sorridendo ai commercianti che erano lì a lavorare dall'alba. «È stata proprio un'ottima idea venire al mercato di buon mattino! Tu compri quello di cui i tuoi genitori hanno bisogno e io sto lontana da quella gabbia di matti. Senza contare che almeno possiamo passare un po’ di tempo insieme».
La fanciulla non poteva essere più raggiante in sua compagnia. Non lo prese a braccetto e non gli carezzò il braccio, unicamente perché si trovavano in mezzo al borgo e le persone potevano pensar male. L’apparenza ingannava spesso e con troppa facilità, specialmente se la verità era celata.
«Tuo padre lo sa che sei scesa a trovare la plebaglia?» chiese Giacomo.
«Potrebbe anche esserne a conoscenza, dubito fortemente di ricevere una strigliata al mio ritorno. Il marchese mio padre preferisce avermi lontana da lui e dalla borghesotta. Infatti credo che ultimamente ceniamo tutti insieme solamente perchè abbiamo un ospite. Scommetterei tutti i miei abiti che, appena il duca si toglierà dai piedi, vedrò mio padre e quell'insulsa donna ancor meno di adesso... e ciò non mi dispiacerebbe affatto!»
Giacomo scosse il capo e alzò gli occhi al cielo. La sua cara amica d'infanzia possedeva una bella lingua lunga e sperava la tenesse a freno nei momenti opportuni, magari di fronte al padre, altrimenti si sarebbe cacciata presto nei guai.
Si spostarono alla bancarella della frutta, dove la marchesina riempì la metà del cesto per cederla poi a Giacomo. Il ragazzo tentò di ribellarsi a quel dono offerto da un affetto incondizionato, ma fu tutto inutile e doveva aspettarselo. Sapeva perché Giulia desiderava occuparsi di alcune questioni lo riguardassero e, per quanto ne avessero discusso a lungo, quando la marchesina si ficcava qualcosa in testa era praticamente impossibile dissuaderla. Nonostante ciò Giacomo non le lasciava carta bianca su ogni cosa, detestava che si potesse affermare che si stava viscidamente approfittando della buona fede della fanciulla.
«E com’è questo duca Pietraverde?»
«Pietrarossa» lo corresse nuovamente Giulia.
«Quello che è!»
«Il duca sembra un uomo da bene, molto rispettoso delle nostre abitudini e non è uno di quegli arroganti che tratta la servitù come se fossero panni sporchi» continuò la fanciulla, passeggiando affianco all’amico. «In realtà la prima volta che lo incontrai nel bosco pensai che fosse un pomposo idiota. Be’… è proprio vero che la prima impressione non è sempre corretta».
«Aspetta… l’hai incontrato nel bosco? Era lui quello che disturbò la tua caccia?»
«Esattamente!»
«E ora è entrato nelle tue simpatie?» domandò Giacomo piuttosto stranito.
«Entrato nelle simpatie è affermare qualcosa di grosso. Diciamo che non mi dispiace come compagnia» rispose Giulia spensieratamente.
Il duca Andrea Pietrarossa non soggiornava presso la sua famiglia per sollazzarsi, quindi erano rari i momenti in cui potessero passeggiare, parlare di letteratura o quant’altro, ma quelle rare volte erano state piacevoli.
«La sua unica immensa pecca è di tener su un piedistallo la borghesotta e quell’essere infame di Adriano. Davvero non concepisco cosa possa legare un uomo rispettabile come il duca a quel pazzo!»
«Giulia sei sicura che questo duca sia un uomo da bene come credi? Quello che intendo dire è che se è amico di Adriano forse sono simili di… di carattere e questo non sarebbe affatto una buona cosa. Questo duca Pietragialla ti ha mai carezzato in maniera non consona oppure…»
«Duca Pietrarossa!» rise sonoramente Giulia. Era la terza volta che sbagliava il nome del suo ospite, pareva proprio avere poca memoria. «Innanzi tutto non mi accarezza e non fa nulla per cui tu debba scaldarti. Il duca è una persona scherzosa e nobile nel vero senso della parola. Non si comporta minimamente come Adriano».
«Prima di quello spiacevole fatto Adriano ti sembrava un uomo da bene. Che cosa ti fa pensare che questo duca Pietra-qualcosa non sia uguale?» Giacomo la prese delicatamente per un braccio, fermandola. Divenne serio in viso, spezzando ogni possibile momento di spensieratezza perché voleva che lei lo ascoltasse. «Mi dispiace se ti sembro paranoico. È solo che ogni giorno mi sveglio preoccupato che quel mostro ti possa far del male. Tu stessa mi hai detto che ti provoca di continuo, soprattutto quando non c’è nessuno in giro. Alle volte preferirei che tu non venissi a trovarmi per paura che quell’infame ti possa seguire e… hai capito».
«Forse non dovrei dirti cosa accade dentro quelle mura».
«E invece devi! Nascondermi la verità non ti aiuta. Ti conosco e mi basta solo guardarti in viso per capire quando c’è qualcosa che non va per il verso giusto». Giacomo alzò una mano per carezzarle il viso, ma la riabbassò ricordandosi che non era il luogo adatto. Sospirò miseramente, prima che la rabbia non si impossessasse del suo animo. «Mi domando perché non se ne sta in città con suo padre! Perché deve vivere alla tenuta? È sua sorella che si sposa il marchese, non lui!»
«È stata Elena a chiedere a mio padre di farlo venire a stare da noi. Ancora tre anni orsono disse che in città non c’era nessuno ad occuparsi di lui, siccome suo padre è sempre ad occuparsi degli affari di famiglia e sua sorella ormai era qui» spiegò Giulia, riprendendo a camminare per le strade del borgo.
«Non potrà stare alla tenuta per il resto della sua vita!»
«Onestamente spero di andarmene io via prima. L’unica soluzione è trovarmi un marito e alla svelta! Magari tra gli invitati al matrimonio incontrerò l’uomo della mia vita».
«Per quanto io ti desideri lontano da lì, e lo desidero tanto, non agire impulsivamente. Adriano è un mostro, ma possono essercene tanti come lui travestiti da agnelli. Giulia… non mi permetterei mai di dirti cosa devi fare… ma fai attenzione dannazione!».
La marchesina gli sorrise amorevolmente. Nei suoi occhi riusciva a vedere il bene che le voleva e non era poco. Era certa che fosse costantemente preoccupato per lei e da una parte era dispiaciuta perché non desiderava farlo stare in pena.
«Tenterò di non cacciarmi nei guai. Se ti può consolare, sono sicura che il mio possibile marito dovrà essere approvato da mia nonna e credimi è meravigliosamente terribile» mostrò un largo sorriso nel ricordare quella gran donna, che aveva fatto tanto per lei. «Devo ringraziare lei se sono finita a Verona e non in un convento. Se la conoscessi, sono sicura che ti piacerebbe molto. Ha la sua veneranda età, ma è capace di mettere in ginocchio chiunque».
«Perdonami, lei non sarebbe capace di far qualcosa contro Adriano?»
«Ci sto lavorando» rispose Giulia facendogli l’occhiolino.
A Giacomo scappò un sorriso divertito. Sperò tanto che trovassero una maniera per allontanare per sempre Adriano dalla vita di Giulia. Se quel giorno fosse arrivato, avrebbe fatto festa per un anno intero!
«Ogni giorno prego perché tu possa liberarti di questo incubo, ora più che mai».
«Sei molto caro, Giacomo, e mi auguro che le tue preghiere vengano ascoltate… ma ora basta parlare di questo. Direi che dedichiamo fin troppo fiato a quell’essere ignobile. Perché non parliamo un po’ di te?»
«Di me?»
«Sì, mio caro».
«E di che cosa dovremmo parlare riguardo me?» domandò Giacomo un po’ confuso.
«Sei un bel giovanotto, anzi sei praticamente un uomo… un uomo bello e non sono affatto di parte!» continuò Giulia con una spiccata serietà. «Sono alquanto sicura che avrai qualche bella donzella che ti fa la corte o magari sei tu a fare la corte a qualcuna» concluse guardandolo con la coda dell’occhio. Sembrava molto curiosa e divertita riguardo l’argomento.
Giacomo non potè far a meno di ridere. «Non c’è nessuna donzella».
«Uhm… stento a crederci. Sei così bello e presto o tardi dovrai accasarti. Non vuoi una famiglia?»
«Sì, certamente. Arriverà il momento quando… quando arriverà, ecco!»
La marchesina sembrò rassegnarsi. «Be’ mi auguro che tu non voglia attendere fino a quando i tuoi capelli diverranno grigi e ti cadrà qualche dente. Sai… penso proprio che non saresti così affascinante».
Per Giacomo fu un sollievo vederla allegra di buon mattino. Era sincero quando disse che nutriva preoccupazione nei suoi confronti. Ricordava ancora com’era triste il suo visino il giorno in cui tornò in Piemonte e credeva che quell’umore si sarebbe protratto per parecchio tempo. In tal caso sarebbe stato tremendo. Giacomo era alquanto certo che all’interno della tenuta non si aggirasse un aria tranquilla e non avrebbe sopportato all’idea che nemmeno la sua compagnia avesse potuto rallegrarla. Sebbene fosse migliore di quanto si fosse immaginato, a lui era piuttosto evidente che negli occhi di Giulia non c’era quella stessa luce di tre anni prima.
«Oh guarda!»
L’attenzione di Giacomo venne attirata da un cesto di fiori posto sul basso davanzale di una casupola. Erano piccoli, tantissimi e di un colore pervinca davvero adorabile. Il ragazzo si avvicinò e poi si guardò attorno prima di sfilarne un paio.
«Giacomo! Non puoi rubare i fiori alle persone che abitano vicino a te!»
Il fabbro la ignorò deliberatamente, era troppo intento a legare tra di loro i lunghi steli. Nonostante il suo lavoro richiedesse una buona forza bruta, la delicatezza di Giacomo rimase intatta. Osservando i movimenti delle dita, Giulia ricordò di quando erano bambini e lui era solito costruirle delle piccole corone di fiori. La marchesina lo considerava un talento e lei era consapevole di esserne completamente negata, sebbene Giacomo provò ad insegnarle numerose volte.
«Ecco qui» mormorò il ragazzo, mettendole sotto al naso quei tre fiori che riuscì ad unire.
Giulia prese in mano la sua piccola creazione e la fissò a lungo. Nella sua mente vennero a galla parecchi bei momenti legati alla sua infanzia e in tutti c’era la presenza di un bambino dalla dolcezza infinita. La fanciulla alzò lo sguardo e guardando Giacomo si rese conto che quel bambino era cambiato, era cresciuto, egli divenne un uomo, ma la purezza del suo cuore non mutò minimamente.
«Potresti… potresti mettermeli tra i capelli, come quando eravamo bambini?»
La strada non era affollata. Erano arrivati in un vicolo che conduceva alla bottega del fabbro e non c’erano anime oltre alle loro. Potevo approfittare di quel momento.
«Certo» rispose Giacomo e inserì quel minuscolo mazzolino pervinca tra i capelli scuri della marchesina, poco sopra l’orecchio sinistro, senza scombinare la sua acconciatura.
La mano del ragazzo carezzò teneramente la guancia di Giulia. Lei vi poggiò la sua mano sopra e rimase in quella posizione per qualche attimo. Giacomo era l’unica persona da cui poteva trarre un affetto incondizionato, avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo la sua lealtà e aggrapparsi al loro legame era l’unico modo per sopportare le angherie di Adriano.
Entrambi si sorrisero, sicuri che non ci sarebbe stato nulla a poter mai spezzare ciò che li univa.
«Grazie».
«Di nulla… Giulietta» le fece l’occhiolino Giacomo.
Quel nomignolo la faceva sempre sorridere. Era anche come la chiamava sua madre e ciò non le dava tristezza. Le persone più importanti della sua vita, senza mettersi d’accordo chiaramente, avevano scelto di mostrarle affetto anche in quella maniera.
«Ora devo andare al lavoro o mio padre inizierà a brontolare dicendo che scorrazzo troppo, invece che pensare ai miei doveri. Potremmo vederci tra qualche giorno, ma se avrai bisogno di me prima…»
«Non angustiarti troppo per me».
«Sai che non smetterò mai di farlo».
Giulia rise e annuì.
«Ti auguro una buona giornata» lo salutò lei, dandogli un veloce bacio sulla guancia.
Giacomo l’avvicinò a sé e ne posò uno più lungo sulla fronte. Salutarla era la parte più difficile della giornata, perché sapeva dove lei sarebbe tornata e chi avrebbe incontrato.
Le loro strade si divisero. Il giovane fabbro entrò nella bottega di suo padre e la marchesina proseguì lungo la via che l’avrebbe portata al suo cavallo. Difficilmente utilizzava la carrozza per scendere al borgo, non le piaceva creare troppo ingorgo. Al massimo faceva preparare il calesse, ma amava andare a cavallo e quindi ogni scusa era buona per approfittarsene.
Giulia si trovava a poca distanza dal suo destriero, tenuto occupato da un contadino che naturalmente aveva pagato, quando qualcosa - o per meglio dire qualcuno - fermò la sua camminata.
«Marchesina Guerra!»
La fanciulla aggrottò la fronte e si voltò nella direzione in cui proveniva quella suadente voce. Appena uscito dalla locanda non c’era niente poco di meno dell’uomo che stava soggiornando in casa sua.
«Duca Pietrarossa, buongiorno».
L’uomo non traboccava della sua solita eleganza, ma non ci si poteva aspettare niente di diverso visto il posto da cui era uscito. Il duca si avvicinò a lei a passo felpato, abbottonandosi la camicia non più tanto linda e provò a nasconderla con la pervinca redingote.
«Siete molto mattiniera, mia signora».
«Al contrario di voi, a quanto pare» rispose Giulia, lanciandogli una lunga occhiata. «Sapete… i vostri scarmigliati capelli potrebbero lanciare una nuova moda».
«Come siete simpatica! Il buon umore si vede dal mattino, vero?» rise sardonico il duca Andrea.
«In realtà ho passato una magnifica mattinata, sempre al contrario di voi che probabilmente preferivate continuare ciò che ieri sera vi ha tenuto alquanto impegnato».
Il duca strabuzzò gli occhi e si sporse in avanti, fissandola in maniera sgomenta. Fu tentato di pulirsi le orecchie seduta stante, magari aveva udito male, ma voleva preservare quell’eleganza che lo caratterizzava e che in quel momento pareva essersi smarrita.
«Siete veramente impunita! Ho passato qualche tempo a Verona e sono alquanto certo che nessuna giovane nobildonna si permetterebbe mai di proferire una tale…»
«Verità?» suggerì Giulia.
Andrea mise le braccia conserte e assottigliò lo sguardo. «Alla presenza di vostro padre non vi permettete di esprimervi con una simile superbia».
«Be’ non sono così sciocca».
Giulia mostrò un gran sorriso, non uno di quelli furbi, ma uno di quelli che mostravano il suo genuino divertimento. Ciò bastò a sciogliere il duca che si lasciò andare al medesimo sorriso. Solamente che il suo era uno di quelli che si mostrava quando si era colpiti da qualcosa. Ebbene sì, Andrea Pietrarossa venne colpito da quella fanciulla che un attimo prima pareva prendersi gioco di lui, irritandolo con le sue aspre parole, e un attimo dopo gli riservava il sorriso che mostravano i bambini quando intendevano farsi perdonare per qualche marachella.
«Siete scesa al borgo in carrozza?»
«Assolutamente no. È una bella giornata di sole e ho pensato che uscire a cavallo sarebbe stato opportuno sia per me che per il traffico mattutino».
«Vi piace andare a cavallo e cacciare. Siete proprio una campagnola!»
«Touchè» Giulia la prese sul ridere. «Stavo per far ritorno alla tenuta. Voi intendete fermarvi alla locanda o fate ritorno con me?»
«Siete gentile, marchesina. E se invece di tornare alla tenuta non facessimo un giro per il borgo, potreste farmi da guida cosicché io possa intrattenermi in altri luoghi invece che alla locanda, e poi potremmo far ritorno insieme. Che cosa ne pensate?».
«Certo».
Il duca Andrea si avvicinò repentinamente, facendola leggermente sussultare. Fu un attimo stranito da quella reazione. Nei suoi occhi sembrava risiederci il timore, lo stesso di quando Adriano le si avvicinava e non ne capiva il motivo. «Sareste così gentile da mostrarmi la via?»
«Oh! Sì, certo. Ehm… da questa parte».
La marchesina Giulia e il duca Andrea passeggiarono per il borgo osservati dalle persone attorno a loro. La gente comune non era abituata a vedere i nobili di quelle terre aggirarsi tranquillamente in mezzo a loro. Infatti il marchese Guerra non si scorgeva da decenni ed Elena non vi aveva mai messo piede, solamente Adriano si aggirava come se tutto gli fosse dovuto.
Un tempo non era affatto così. Erano in molti a dire che da quando la marchesa Francesca passò a miglior vita le cose erano cambiate e non solo all’interno della tenuta.
La madre di Giulia era di origini nobili ed era abituata alla città, eppure si interessava sinceramente alle persone che si occupavano delle terre di suo marito. La marchesa Francesca si aggirava per il borgo senza ostentare la sua superiorità sociale. La figlia non sembrava da meno, per questo la gente comune non faceva caso se la fanciulla si intratteneva a chiacchierare con Giacomo o altre persone.
«Marchesina Giulia, buongiorno! È un enorme piacere vedervi passeggiare per il borgo».
«Buongiorno Beatrice! Come mai siete lì? Mi pare di ricordare che lavoravate nell’emporio di vostro padre» disse Giulia fermandosi di fronte ad una bancarella piena zeppa di stoffe.
«Ricordate bene, mia signora! Il fatto è che mi sono sposata con Geremia e come membro della famiglia Allevi devo dare il mio contributo. Da qualche mese ho cominciato a vendere questi modesti tessuti fabbricati dalla mia buona suocera o almeno ci provo. Sapete… si fa quel che si può» rispose la giovane donna molto allegramente.
«Vi siete sposata? Oh, congratulazioni!»
«Vi ringrazio e sono lieta di annunciarvi che presto arriverà anche un piccolo Allevi» disse posandosi la mano sul ventre.
Sul viso di Beatrice era dipinta un’espressione raggiante. Era l’incarnazione della vivida felicità, come ogni donna in procinto di diventare madre. La marchesina Giulia si commosse e tentò di nasconderlo per non attirare le frecciatine del suo accompagnatore.
«Porgete le mie felicitazioni anche a vostro marito. Spero che i vostri affari procedano bene».
«Purtroppo non tanto, mia signora. Un tempo le vendite di queste stoffe erano più che buone, ma i tempi stanno cambiando e la gente fatica a procurarsi il cibo in tavola, figurarsi se spende per comprare stoffe» rispose Beatrice con tono desolato. Poi però ispirò profondamente e mostrò un bel sorriso. «In ogni caso io sto qui e tento di vendere qualcosa. Questa mattina ne hanno comprate due di quelle piccole e mi ritengo già molto soddisfatta».
Giulia le sorrise per cortesia, non volendo mostrare la sua tristezza per la situazione. Parlando con Giacomo, era a conoscenza delle condizioni della povera gente e non stentava a credere che si premunissero di comprarsi il pane invece che i tessuti. Avrebbe tanto voluto esser d’aiuto. Le bastarono pochi attimi, intenti ad osservare quelle stoffe, che le venne in mente un’idea brillante.
«Osservando le stoffe cucite da vostra suocera… ehm… sì… credo di aver bisogno di questa stoffa» disse indicandone una di color rosa sbiadito  «e di quella, e quella lassù… oh e anche di quella là!»
Beatrice rimase attonita per qualche attimo. Non era sicura di aver capito bene. Lanciò uno sguardo dubbioso al duca Pietrarossa, che sembrava stranito tanto quanto lei.
«Credo che facendo un veloce calcolo… uhm… dovrebbero bastare, giusto?» continuò Giulia passando alla donna un sacchetto mezzo pieno di monete.
«Mia signora io… io non s-so cosa dire».
«Lo so, sono tante stoffe e io sono qui a cavallo. Lasciatemi pensare un attimo» disse attirando ancor di più gli sguardi confusi di Beatrice e del duca Andrea. «Ci sono! Potreste mettere via queste stoffe e oggi pomeriggio manderò un mio attendente a ritirarle. È un problema o credete che si possa fare?»
«N-no, no… cioè sì… insomma… è perfetto. Grazie, grazie, marchesina!»
«Dunque siamo d’accordo. Bene, ora farò ritorno alla tenuta. Porgete i miei saluti alla vostra famiglia e ancora felicitazioni per il vostro matrimonio e per il piccolo o piccola in arrivo. Andiamo duca Pietrarossa?»
L’uomo annuì, era ancora un po’ stranito, e seguì la giovane marchesina. Quella fanciulla riservava una sorpresa dietro l’altra. Entrambi raggiunsero i propri destrieri, alla fine del borgo, e montarono in sella cominciando a percorrere la via che conduceva  alla tenuta del marchese Pietro.
«Non credevo che vi piacessero le stoffe di quella bancarella. Con tutto il rispetto, credo siano un po’ troppo modeste per il vostro rango e per quello di chiunque» esordì il duca.
«Infatti non mi piacciono».
«E dunque perché le volete indossare?»
Giulia si trattenne dal ridere. «Io non le indosserò affatto».
«Credo di essere un po’ confuso. Le avete comprate. A che cosa potrebbero mai servirvi?»
«Credete veramente che siano per me?»
«Per chi, altrimenti?»
La marchesina scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, stupita che non avesse capito il perché del suo acquisto. «Se volete proprio che vi confessi la verità… a me dispiaceva per quella famiglia e per quella di tanti altri chiaramente. Ho avuto l’occasione di dar loro una mano e l’ho fatto comprando quelle stoffe. Posso sempre usarle per la mia cameriera personale o per chi ne avrà bisogno e le farò cucire da qualche serva capace».
«Siete molto generosa».
«Vi ringrazio» sorrise Giulia, non riuscendo a nascondere un po’ di stupore. «Sapete… credo che questo sia il primo vero complimento che mi fate».
Il duca Andrea bofonchiò una risatina divertita e volse lo sguardo sulla boscaglia attorno a loro, prima di posare nuovamente i suoi chiari occhi sul viso della fanciulla.
«Sarò sincero con voi, marchesina. Ammiro la generosità ed è raro vederlo in una nobildonna di alto rango, quindi credetemi se vi dico che provo una certa stima nei vostri confronti. Ciò però mi confonde sul vostro comportamento nei confronti di Elena».
Se inizialmente Giulia aveva mostrato gioia per il bel complimento ricevuto, ci volle un solo nome per innervosirla.
«Che cosa intendete dire?»
«Ho notato che non sembra scorrere buon sangue tra voi due e ne sono alquanto perplesso. Conosco Elena da moltissimi anni. Mio padre ha interpellato il suo per gran parte dei suoi affari e questo mi ha permesso di frequentare il salotto della sua dimora. So bene che donna sia e quanta bontà d’animo possegga…» parlò Andrea senza alcuna riserva mentre Giulia si stava innervosendo ad ogni lode che lui tesseva nei confronti della matrigna. «Ho passato poco tempo con voi, ma non sembrate una fanciulla senza giudizio. Forse peccate di troppa giovinezza, ciò non significa per forza che siate una sciocca. Quindi mi è davvero difficile comprendere il vostro rapporto. Perdonate se mi mostro leggermente titubante verso la questione. Mi pare strano che qualcuno possa prendere in antipatia la mia cara amica».
Inutile dire che alla marchesina stava letteralmente ribollendo il sangue. Quante ne avrebbe volute dire per smontare la figura candida di Elena, come quella di rinchiudere una ragazzina in un convento di clausura. Era chiaro che non potesse dire la verità.
L’ultima volta chi le aveva creduto?
Inoltre il duca Pietrarossa era davvero in buoni rapporti con la sua cara matrigna e ciò portava a non averlo dalla sua parte.
«È semplice, duca. Esistono fatti di cui voi non siete a conoscenza e dubito che ne sarete mai per certo, dunque vi chiedo la cortesia di non impicciarvi!»
Era stata tagliente e nella sua voce si percepiva un forte astio. Il duca aveva notato la tensione che le scorreva in corpo e non ci teneva minimamente a rovinare quella mattinata con una discussione. Non erano affari suoi. Tentò di capirci sentendo anche l’altra campana della vicenda, ma trovandosi un muro davanti niente lo obbligava a valicarlo.
La questione era chiusa lì.
Lui e Giulia non si rivolsero parola per tutta la durata del tragitto. La marchesina si era irrigidita immediatamente e non gli riservò più nemmeno uno sguardo. Accelerò persino l’andatura del suo cavallo, per raggiungere la tenuta al più presto possibile.
Affrontare quel discorso la metteva di pessimo umore e le rovinava l’intera giornata. Senza dubbio avrebbe trascorso il resto di quel giorno rinchiusa in camera sua, probabilmente a leggere.
«Marchesa Giulia! Mia signora! Marchesa!» urlò una voce femminile, non appena la ragazza e il suo ospite approdarono, scendendo da cavallo.
All’ingresso della tenuta stava una giovane cameriera che sfoggiava un largo sorriso. I suoi occhi blu brillavano alla luce del sole, tanto quanto quelli di Giulia quando si rese conto di chi si trattasse.
«Rosalina!»
La marchesina si fece aiutare da un servitore a scendere da cavallo e, senza minimamente calcolare la presenza del duca Pietrarossa, le andò incontro mentre il suo cuore scoppiava di felicità.
«Gertrude mi aveva detto che eravate fuori a cavallo e infatti speravo di farvi una sorpresa facendomi trovare in camera vostra. A tal proposito devo confessarvi che quella che avete qui è più piccola di quella di Verona…» l’allegra cameriera aveva cominciato a parlare senza sosta e con il suo spiccato accento veronese. «Sono arrivata stamattina presto e la vostra vecchia balia… non intendo vecchia d’età, cioè sì è anziana, ma intendo dire che era la vostra balia… be’ comunque Gertrude mi ha messo subito al lavoro. Ho messo in ordine la vostra camera da letto e ho tentato di infilare gli abiti, che mi avete chiesto di portarvi da Verona, nella cabina armadio, ma senza offesa è troppo piccola».
La marchesina rise, osservando quell’animo spensierato di Rosalina. Le era mancata davvero tanto in quei giorni. L’arrivo della sua cameriera personale le migliorò notevolmente la giornata.
Perfino il duca Andrea se ne accorse, egli abbandonò la scena entrando nella tenuta e ancora una volta si stupì di come quella che appariva come una viziata ragazzina trattava una sua serva come se fosse la sua più cara amica.
Chiaramente il duca non poteva essere al corrente del rapporto che intercorreva tra la piccola marchesa Guerra e la cameriera veronese.
Il suo stupore era più che legittimo. Da quando i nobili diventavano amici dei servi?
Era utopia pura e decisamente andava contro le regole. In un certo senso, la marchesina Giulia e Rosalina non contravvenivano al protocollo sociale. La cameriera le dava del “voi”, si occupava di ogni suo ordine o capriccio, le preparava il bagno caldo, l’aiutava a vestirsi e ad agghindarsi… insomma tutto ciò di cui si occupava abitualmente una servitrice.
Rosalina era più piccola di un solo anno e fu messa immediatamente al servizio della nobile quando ella arrivò a Verona. Trascorsero inseparabilmente i tre anni della sua permanenza e Giulia ricordava perfettamente come quella giovane cameriera si era presa cura di lei.
Rosalina non si era limitata a comportarsi come un’umile servitrice, lei stava sinceramente in pena ogni qualvolta che Giulia non dormiva la notte, causa i suoi terribili incubi.
Alle volte si nascondeva a dormire dietro al paravento su un tappeto, in attesa che la marchesina si svegliasse di soprassalto per accorrerle subito e tranquillizzarla. Rosalina le era molto affezionata e il sentimento era ricambiato dalla sua padrona.
«Mi auguro che l’arrivar qui non sia stato un sacrificio troppo enorme» disse Giulia.
«Sapete bene che non ho famiglia. Mio padre non l’ho mai conosciuto e ho perso mia madre anni orsono. Certamente mi è dispiaciuto lasciare Verona, ma ormai non avevo più alcuno scopo al palazzo dei baroni Piacentini» affermò Rosalina, ostentando tranquillità. Non sembrava affatto demoralizzata dal trasferimento. «Inoltre mi aspettavo di seguirvi dal giorno in cui avete ricevuto la lettera di vostro padre. Quindi è un piacere esser riuscita a raggiungervi ora».
«La tua soddisfazione non può che rendermi orgogliosa. Forza, ora rientriamo. Ho un po’ di novità da raccontarti…»
«Sarà un piacere ascoltarvi, mia signora. Oh! Prima devo riferirvi ciò che mi ha detto vostro padre poco fa» la fermò l’allegra cameriera veronese. «Lui e la… la signora Elena hanno anticipato la loro partenza per la capitale a qualche ora fa, anziché partire dopo pranzo. Mi hanno riferito che dovrebbero far ritorno in pochi giorni… e so che con loro è andato anche Adriano».
«E di questo ringrazio il cielo!» sospirò sollevata Giulia. «Sarebbe stato terribile rimanere sola con quel mostro, sebbene abbiamo un ospite».
«A proposito del duca, vostro padre si raccomanda di mantenere alto il nome di famiglia e quindi di comportarvi come una buona padrona di casa. Ha detto che è vostro compito intrattenerlo e possibilmente condividere i pasti insieme…»
«Sì, sì… ho capito» rispose Giulia, accompagnando le sue parole con un annoiato gesto della mano.
Ci mancava appena quella!
La marchesina immaginò che sarebbero state delle cene alquanto silenziose.
Di che cosa mai avrebbero potuto argomentare?
Giulia sperava solamente che il duca Andrea non si impicciasse nuovamente dei suoi affari. Si domandò perché quel damerino non fosse partito anch’egli per la capitale e poi si ricordò che la notte precedente l’aveva passata con donne di facili costumi. Quindi poverino sarebbe stata troppo dura alzarsi di buon ora, dopo la lunga notte impegnativa.
Sbuffò salendo le scale che portavano al piano della sua camera da letto e mentre pensava a quell’uomo con cui si sarebbe trovata quella sera a cena. Per lo meno l’euforia di aver al suo fianco Rosalina non la buttò completamente a terra. Passò tutta la giornata assieme a lei, raccontandole ciò che era accaduto mentre erano state separate, comprese le provocazioni di Adriano.
La giovane cameriera era una delle poche persone al corrente dei loro trascorsi. Giulia vuotò il sacco su quel terribile accaduto dopo che Rosalina le domandò chi fosse la persona che la perseguitava nei suoi incubi.
Rosalina non fece affatto fatica a crederle, lo vedeva nei suoi occhi ancora spaventati. Ciò faceva riflettere Giulia. Una semplice cameriera che la conosceva da poco più di tre mesi le aveva creduto, al contrario di suo padre.
Era credenza comune che il passato dovesse rimanere nel passato, eppure per Giulia non c’era nulla di passato. La sua lotta era ancora viva e chi aveva commesso un errore doveva ancora pagare. Auspicava nel fatto che alla fine il conto arrivasse per tutti.
«Il duca è una persona piacevole?»
La voce di Rosalina la allontanò dai suoi pensieri.
«Dipende dai suoi discorsi. Se intende elogiare ancora Elena, troverà una cattiva compagnia in me».
La cameriera alzò le spalle. Tirò fuori da un cassettino un paio di orecchini azzurri dalla forma rotonda, che si intonavano all’abito che insieme avevano scelto per la serata.
«Se permettete di darvi un consiglio. Per qualsiasi parola spiacevole che il duca dovesse dire, voi dovreste farvela entrare da un orecchio e farvela uscire dall’altro».
La marchesina abbozzò un sorriso divertito. «Tenterò, sebbene è difficile che io riesca a starmene completamente zitta».
«Oh lo so piuttosto bene! Marchesa, voi lo sapete che a me piace quando tirate fuori gli artigli, ma forse con il duca dovreste trattenervi. È un ospite importante per vostro padre e non sia mai che qualche affare possa andare storto per causa vostra. Da come lo avete descritto, credo proprio che il signor Marchese non vi darebbe tregua».
«Senza dubbio!»
«Questo pomeriggio ho avuto occasione di incontrare questo duca Pietrarossa e… non so se posso dirlo… ma è veramente un bell’uomo».
«Rosalina!» scoppiò a ridere Giulia.
La cameriera divenne tutta rossa in viso e abbassò il capo. «Ecco, lo sapevo che dovevo starmene zitta. Maledetta me e la mia linguaccia!»
La marchesina si alzò dalla toletta e si mise di fronte a lei, guardandola con dolcezza. «Se ti può far sentire meglio, credo anche io che sia un uomo affascinante… ma ciò non toglie che sia un’idiota. Domani ti racconterò di come è stato il nostro primo incontro, sfortunatamente oggi non c’è stato tempo a sufficienza. Credimi, mi mancava poco per tirargli il fucile in testa».
«Marchesa!»
«Non l’ho fatto!»
Rosalina le lanciò un’occhiata d’ammonimento. Con quella testa matta che si ritrovava, presto o tardi si sarebbe cacciata in guai seri.
«Scendete in sala da pranzo, mia signora, o farete aspettare troppo il duca».
«Come se aspettare gli richiedesse un grande sforzo» commentò Giulia ironicamente.
Salutò la sua cameriera e uscì dalla sua camera da letto, prendendosi tutta la calma necessaria. Era certa che sarebbe stata una lunga e noiosa serata. Quando raggiunse la sala da pranzo, vide che il duca Pietrarossa la stava aspettando con aria piuttosto spazientita e ciò non la toccò minimamente.
Fu attirata più dal suo abbigliamento che dal suo viso. Per quella sera, il duca decise di indossare un paio di calzoni scuri, un panciotto rosso con ornamenti floreali e la redingote era del medesimo colore.
«Buonasera, marchesina» la salutò porgendole un veloce baciamano. «Meraviglioso l’abito che indossate. Peccato che stoni con ciò che ho scelto io per l’occasione. Sarebbe stata una serata perfetta trovarsi in simbiosi, non credete?»
Giulia non era certa se stesse parlando seriamente o il suo era il classico atteggiamento di chi si stava prendendo gioco della persona che aveva davanti a sé. Osservando il sorriso sornione, optò per la seconda ipotesi.
«Sì, un vero peccato! La prossima volta che ci toccherà cenare insieme, mandatemi una missiva. In questo modo saprò adeguarmi al meglio».
La marchesina si trattenne dallo scoppiare a ridere, quando vide l’espressione stizzita del duca. Il caro signor idiota non era affatto abituato a esser contro-ribattuto. Per Giulia quel momento fu sensazionale. Lasciarlo a bocca aperta sarebbe stato il suo nuovo divertimento.
«Vogliamo accomodarci?»      
«Volentieri» rispose il duca a denti stretti.
Tentando di non ostentar troppo il suo divertimento, Giulia prese posto a tavola e cominciò a tastare ciò che dalle cucine avevano portato.
La loro cena cominciò con la zuppa di pomodoro, che il duca Andrea non finì perché secondo lui era troppo salata. Seguì l’arrosto di tacchino che l’ospite sembrò gradir molto, la marchesina si sarebbe stupita del contrario, dal momento che nemmeno a Verona aveva mai assaggiato un arrosto così delizioso.
La loro cuoca aveva dei problemi a preparare una buona zuppa, alle volte era troppo calda, alle volte troppo fredda, tanto salata o insipida, ma se c’era un piatto che le riusciva sempre eccellentemente era la carne.
Il marchese Pietro non ribatteva mai sul mancato buon risultato della zuppa, siccome era stata scelta dalla sua fidanzata e guai a sottolineare un errore della futura marchesa Guerra.
Trascorsero gran parte della cena in silenzio, l’unico rumore era quello dei piatti che venivano posati sul tavolo dalle cameriere oppure quello del vino che veniva rovesciato nei calici di cristallo.
Stavano assaggiando il dolce da pochi minuti, quando ad un tratto il duca Andrea sbattè il tovagliolo sul tavolo.
«Posso sapere che cosa ho fatto di così terribile per indisporvi nei miei confronti?»
«Che cosa intendete dire, duca?»
«Mi pareva che avessimo raggiunto una buona intesa e ora non mi rivolgete neanche uno sguardo. Sono confuso».
La marchesina alzò lo sguardo su di lui - in effetti - per la prima volta da quando si erano seduti a tavola. «Confuso perché non sono come le altre donne a cui siete abituato o perché non apprezzo la vostra Elena come vorreste?»
«Siete gelosa di Elena?»
«Come se ci fosse qualcosa per cui esserne gelosa!» esclamò lei sollevando le posate e guardando verso l’alto. Iniziava a dubitare della sanità mentale di quell’uomo. Sospirò e tornò a mangiare la torta di mele.
«Forse temete che possa rubarvi l’affetto di vostro padre?»
L’accidentale stridio del coltello sul suo piatto infastidì Giulia, ma non più di quella domanda.
«Su questo proprio non ho alcun timore» e riprese a mangiare.
«E dunque che cosa ha fatto per meritare il vostro astio?»
La marchesina sospirò nervosa e alzò il capo, lanciandogli un’occhiata fulminea. «Non avevamo detto che questa conversazione era conclusa?»
«In realtà l’avete detto voi, non io» replicò il duca Andrea, con tanto di ghigno furbo stampato sul viso e che la fanciulla detestava amaramente.
«Non è che forse siete voi geloso di Elena? Questo spiegherebbe il perché siete così dannatamente insistente sulla questione» lo provocò Giulia, fissandolo in maniera piuttosto caparbia.
«No» rispose Andrea.
Il suo sguardo quasi la intimidì, che si fosse offeso per quell’allusione?
«Conosco Elena da quando ero un ragazzo…»
«Sì, questo me lo avete già detto».
«Potreste non interrompermi? Mi da fastidio quando qualcuno non mi lascia finire di parlare» disse stizzito il duca Pietrarossa.
La marchesina deglutì il boccone di torta, poggiò la forchetta con delicatezza e poi si mise composta. «Prego, siete libero di continuare».
Andrea sospirò pesantemente. Lo irritava quel suo comportamento presuntuoso. Forse perché non gli permetteva di ribattere o forse perché iniziava a capire che condividevano la stessa presunzione.
«Stavo dicendo… no, sapete una cosa? A voi non interessa ciò che dirò su Elena, come non vi interessa se compirà mai un gesto gentile nei vostri confronti. Non potete soffrirla e dovrò farmene una ragione. Lei è una mia cara amica e perdonate se ho tentato di capire ciò che non funziona tra di voi per potervi aiutare… per aiutare Elena».
«La volevate aiutare perché credete che meriti il meglio» asserì Giulia, arrivata ormai al punto del suo discorso.
«Ovviamente».
«Be’… non posso che ammirare la vostra bontà nei suoi confronti» ed era sincera nel proferir tali parole. La marchesina poteva dargli contro su molte sue affermazioni, ma le era impossibile negare la buona fede dietro a tutto ciò. L’ipocrisia non faceva parte di lei, tanto quanto la falsità. Peccava d’istintività, su quello non c’era alcun dubbio. «Credo… credo che siate un buon amico. Una fortuna di madame Elena è di avervi al suo fianco».
Gli angoli della bocca di Andrea si levarono verso l’alto. «Ora siete voi che mi rivolgete il primo vero complimento, sin da quando ci siamo conosciuti».
Giulia non riuscì a far a meno di sorridere. Era un sorriso timido che fece tenerezza al duca e lo mandava anche in confusione. Un attimo prima sembrava tanto una leonessa inferocita e subito dopo un innocuo gattino. Quella confusione lo intrigava.
«Avete mai visto il corridoio del terzo piano nell’ala ovest?»
«Non credo. C’è qualcosa di interessante là?»
«Mi seguireste per scoprirlo?»
«Vi seguirei in ogni caso».
Giulia era talmente stupita da rimanere a bocca aperta. Dovette riflettere per qualche attimo sulle sue parole, per esser sicura di aver udito bene. Sorrise divertita alzandosi dalla sedia.
«Ottima risposta, duca» affermò la marchesina non sapendo veramente cos’altro potesse dirgli.
«Andrea» disse l’uomo alzandosi a sua volta, pronto a seguirla, «Vi prego, chiamatemi Andrea».
«D’accordo… Andrea».
«E potrei io chiamarvi Giulia?»
«Certamente» gli rispose lei uscendo dalla sala da pranzo.
«Ho chiesto il vostro permesso, perché non sia mai che io possa infastidirvi con i miei modi…»
Giulia si voltò, gli lanciò un’occhiata stranita e si capiva che stava trattenendosi dal ridere. Non gli disse nulla, si girò nuovamente e tornò a camminare con il duca che la raggiunse al suo fianco. La sala da pranzo non era lontana dal terzo piano dell’ala ovest e infatti la raggiunsero abbastanza in fretta.
Ciò che la marchesina voleva mostrargli era una serie di quadri appartenente ai suoi antenati e ognuno di loro aveva un aneddoto personale che veniva raccontato alle generazioni successive. Il fatto che questi aneddoti fossero veri o meno, era tutt’altra questione.
«Lui è Marco Guerra. Ha combattuto al fianco di Federico I di Saluzzo, per riprendersi il marchesato usurpato dal fratellastro Manfredo. Grazie al suo grande sostegno, che aiutò a raggiungere la vittoria, Federico riuscì a fargli ottenere l’appezzamento di terra dove oggi è costruito questo castello» raccontò Giulia ferratissima sulla storia della sua famiglia. «Pare che durante la guerra venne ferito gravemente e riuscì a sopravvivere per l’amore che provava verso l donna che lo attendeva a casa».
«Oh, molto romantico» disse Andrea osservando il quadro assieme a lei.
«Non tanto in realtà. Quando tornò a casa scoprì che lei si stava per sposare con un altro» rivelò Giulia alzando le spalle. «Suppongo sia stata la sua fortuna, visto che questa donna pareva avere un naso enorme. Pensate se quel naso lo avessi ereditato io!»
Il duca scoppiò a ridere e camminò lungo il corrodo, raggiungendo il prossimo quadro. «E lui?»
«Guglielmo Guerra II, primogenito di Marco. Fu lui a far finire di costruire questa tenuta».
«Come ha perso l’occhio?» domandò Andrea indicando la benda nera sull’occhio sinistro.
«Oh, non l’ha perso veramente! Era un burlone e decise di farsi ritrarre in quel modo per far credere di aver vinto chissà quale duello. Vi prego, non domandatemi la sua versione dei fatti di questo fantomatico duello. È estenuante, lunga e troppo inverosimile» spiegò Giulia, lanciandogli un’occhiata d’intesa e facendosi scappare una risatina. «Più interessante la storia di Amedeo e Desdemona. Erano fratelli gemelli e ne combinarono parecchie ai loro tempi. Secondo la storia che so io, entrambi riuscirono a sposarsi delle persone influenti del regno. Uhm… se non ricordo male Amedeo sposò la cugina di quarto o quinto grado del re, mentre Desdemona sposò il consigliere di Sua Maestà. Se non erano matrimoni di interesse quelli…»
«Alquanto ambiziosi».

«Parecchio. Le mali lingue affermavano che tra Amedeo e Desdemona vi fosse una relazione incestuosa, ma nessuna prova diede fondamento a quelle voci».
«Voi che cosa ne pensate?» domandò Andrea con un certo interesse.
Giulia ammiccò un sorriso malizioso e proseguì verso il prossimo parente.
Al duca Pietrarossa parve interessare molto gli aneddoti che Giulia gli stava raccontando. Non si perdeva nemmeno una parola e mentre l’ascoltava, i suoi occhi erano fissi sul viso spensierato della ragazza. Era divertita dalle vicende che avevano coinvolto i suoi antenati e allo stesso tempo fiera delle loro prodezze o mattanze.
Andrea la seguiva passo passo e ogni tanto le rivolgeva qualche domanda. Non si fingeva interessato, lo era veramente. Gli piaceva sentirla parlare, così come il suo orecchio si stava abituando alla sua risata allegra e non troppo pimpante.
Fu un momento che entrambi trascorsero con molto piacere e la sintonia, che parvero scoprire giorni prima, tornò a galla. I loro botta e risposta ne facevano parte, ad essere onesti era ciò che di più apprezzavano. Andrea e Giulia si mostravano esattamente per quello che erano e con sincerità si rispondevano senza esitazione. Era come se l’uno accettasse l’altra. Erano pieni di vita e liberi, questo era ciò che li accomunava sopra ogni cosa.
«È stato un piacere e un onore conoscere la storia della vostra famiglia. Devo ammettere che siete delle persone che si danno un gran da fare per vivere questa vita al meglio!» rise Andrea.
Giulia lo seguì a ruota. «Sì, non ci facciamo mancare niente».
«E voi cosa farete per essere ricordata dai vostri figli, nipoti… insomma… dalle generazioni future?»
Ecco qualcosa a cui non aveva mai pensato.
«Vi ho presa in contropiede, marchesina?»
«Ad essere onesta, sì» rise imbarazzata. «N-non so che cosa combinerò per essere ricordata. Forse avrò una vita normale, monotona e piatta, e verrò ricordata per questo. Magari mi soprannomineranno “la tranquilla Giulia”!»
«Senza offesa, ma tranquilla non è l’aggettivo che più vi si addice».
«E quale aggettivo mi definirebbe meglio?»
Andrea mostrò un sorriso sghembo e poi le mostrò il braccio. «Avreste il desiderio di fare una passeggiata al chiaro di luna? Ciò mi ispirerebbe a trovare l’aggettivo corretto».
«Come potrei mai rifiutare il vostro invito?»
La marchesina posò la sua mano sul braccio dell’uomo e, con un sorriso piacevole sul viso, lo seguì. Scesero le ampie scalinate e dovettero attraversare qualche corridoio per raggiungere la terrazza che dava sul giardino. Era l’unica zona del maniero ad essere illuminata dalle torce accese.
Alzando lo sguardo verso il cielo, quella passeggiata sarebbe stata poco la chiaro di luna, dal momento che essa era parzialmente nasconda da grandi nubi. Poche erano le stelle visibili. Pareva proprio essere una notte oscura.
Le aspettative infrante non rovinarono la passeggiata di Andrea e Giulia.
«Quindi vi piace danzare?»
«E molto anche! Ho perso il conto a quanti ricevimenti ho partecipato quando ero a Verona» rise la marchesina.
«Certamente la vita di città è più vivace di quella di campagna. Io lo so bene. Negli ultimi anni ho trascorso il mio tempo soggiornando a Venezia, poi sono stato a Milano, a Napoli e persino a Versailles...»
La marchesina Giulia arrestò la loro passeggiata e si voltò a guardarlo con occhi sognanti. «Siete stato alla corte di Francia?»
Se il suo sguardo era già carico di ammirazione per quella famosa e splendente reggia, figurarsi come sarebbe stato se un giorno avesse avuto la fortuna di metterci piede. Andrea rimase in silenzio per qualche attimo, osservando quella che era una ragazza desiderosa non solo della libertà, ma anche della bellezza e dello sfarzo che aleggiava attorno alla corte francese.
duca non riusciva ad immaginarla in quel covo si serpi. Sì, sebbene la reggia di Versailles fosse meravigliosa per la sua immensità e per la sua sontuosità, le persone che la vivevano erano invischiate in intrighi per ottenere il favore della famiglia reale, il che poteva dirsi per ogni corte al mondo, eppure Versailles sembrava qualcosa di più grande.
«La corte di Francia ha il suo fascino, lo ammetto» continuò il duca, appoggiandosi alla balaustra della terrazza «ma, se me lo permettere, credo che per voi sarebbe più adatta la tranquilla corte di Napoli. Oltre ad essere ricca di artisti e di accademici, è un vero gioiello. I ricevimenti non saranno sfarzosi come quelli di Versailles, ma possiede una bellezza che oserei definire brillante. Direi che vi si addice molto di più della corte di Francia e sicuramente più della vita di campagna».
Giulia inarcò le sopracciglia, era incuriosita da quel suo pensiero. «Voi dite? Che cosa c’è di male nel vivere in campagna?»
«Oh, assolutamente nulla. Credo solamente che non faccia per voi. Vi ho osservata e a voi piacciono le cose belle, come le grandi feste, magari amate i balli in maschera con il lusso e quell’alone di mistero» affermò Andrea, guardandola dritta negli occhi e scorgendo che aveva colpito nel punto giusto. Se fosse stata una di quelle giovani ingenue, avrebbe peso dalle sue labbra, invece Giulia preservò la sua caparbietà e semplicemente lo ascoltava con attenzione. «Non nego che la natura circostante abbia il suo fascino, ma non adatta a tutti».
«E voi credete che non sia adatta a per me».
«Negate che preferite Verona?»
«No, non lo nego…» ma non per i motivi che pensava il duca. «Se volessi vivere in città potrei andarmene a stare a Torino da mia nonna. Quale miglior posto se non la capitale per partecipare ai ricevimenti?»
«Ottima deduzione, marchesina! Non sono mai stato a palazzo reale e voi?»
«Sfortunatamente no».
«Dunque potremmo recarcisi insieme, magari per uno dei ricevimenti».
Giulia tentennò per qualche attimo e rifletté sulle sue parole, infine scoppiò a ridere. «Mi state prendendo in giro?»
«Potrei mai permettermi?» il duca si mise sulla difensiva, ma lo sguardo d’intesa della fanciulla lo scompose. «D’accordo. Ammetto che provo un dolce divertimento a stuzzicarvi. Ad ogni modo ero alquanto serio».
«Ma non bisogna essere fidanzati per partecipare ad un ricevimento insieme?»
«Potremmo recarsi separatamente e poi, come per volere del destino, incontrarci casualmente» suggerì Andrea con fare poetico, rendendo la situazione per la marchesina ancor più divertente. «Almeno al matrimonio di vostro padre mi concederete un ballo, così da ricordarmi di voi quando tornerò a Napoli».
«Tornerete a Napoli?» Giulia era confusa. «Pensavo che per via degli affari in sospeso del vostro defunto padre, voi sareste rimasto».
«Infatti l’affare con vostro padre è l’ultimo… ed è anche il più lungo per le trattazioni. La tenuta di famiglia non la venderò per rispetto alla mia stirpe. Ad ogni modo è sempre stata mia intenzione andarmene non appena avessi concluso le mie faccende. Non c’è nulla che mi trattiene qui».
«E invece a Napoli qualcosa vi trattiene?»
Sul viso di Andrea apparve un ghigno furbo. Si sporse verso Giulia e disse: «Siete curiosa o temete che mi attenda una bella fanciulla?»
«Fatemi il piacere, duca! La mia è pura curiosità» la fanciulla non riuscì a trattenere una risata divertita.
«In questa maniera mi spezzate il cuore. E io che credevo di avervi conquistata» si finse addolorato.
«Oh sì a forza di battibecchi ce l’avreste fatta sicuramente!»
«Touchè!» esclamò Andrea mostrandole un sorriso radioso. «La verità è che Napoli è il posto che più preferisco al mondo, complice la presenza del mio migliore amico. Se posso confessarvi un segreto, amo starmene per ore a fissare l’orizzonte, oltre il mare, e immaginare che cosa ci sia aldilà…»
«Il Nuovo Mondo?» tentò Giulia, come se fosse ovvio.
«So bene che c’è il Nuovo Mondo… provate ad essere più poetica!»
«C’è l’avventura» affermò subito la fanciulla e quella risposta gli piacque maggiormente.
«Che genere d’avventura?»
«Di ogni tipo! Forse non pari all’Odissea, ma qualcosa di emozionante e che alla fine lascia senza fiato».
«E voi desiderate l’avventura?»    
Giulia sorrise, stava per rispondergli, tuttavia qualcuno lo impedì.
«Passeggiata romantica al chiaro di luna?»
Entrambi si voltarono, osservando la figura altezzosa di Adriano uscire dal buio e mostrarsi lentamente alla luce delle torce. Il cuore di Giulia cominciò a palpitare velocemente. Andò nel panico immediatamente. Credeva che quell’essere mostruoso fosse partito per la capitale assieme a suo padre e ad Elena.
Per quale dannata ragione era lì?
«Amico mio, lo sai che non sono un romantico… non seriamente» rise Andrea.
«Magari il fascino della mia nipotina aveva cambiato il tuo animo bruto».
«Non sono vostra nipote e non è di certo il duca ad avere l’animo bruto» replicò Giulia, fissandolo con astio, come sempre.
Quell’espressione spavalda non scomparve dal viso di Adriano. Si divertiva troppo a vederla in difficoltà e la sua voce, come un ruggito, fermentava la sua passione maledetta. La guardava con un malizioso sbrilluccichio negli occhi blu, lo stesso desiderio con cui la osservava da quando l’ha incontrò.
«Perché siete qui?»
«Vi state domandando perché non sono partito con vostro padre, marchesina?» domandò retorico Adriano. «In realtà ero partito, ma poi la preoccupazione mi stava facendo impazzire. Come potevo lasciavi tutta soletta alla tenuta? Chissà in quali pericoli potevate incappare…»
«Non ero da sola».
«Infatti. Grazie per esservi ricordato di me, amico» aggiunse il duca Pietrarossa, guardandolo con un sopracciglio inarcato.
«Nulla a togliervi, ma io e la mia famiglia non ce la sentivamo di darvi questo peso».
«La marchesina Guerra non è affatto un peso, anzi la sua compagnia mi allieta» la guardò, rivolgendole un sorriso gentile «e se vi fosse stato anche il minimo pericolo, credetemi, l’avrei protetta. È questo che fanno i gentiluomini».
«E voi lo siete, non ho il minimo dubbio. Malgrado ciò, tentate di capirmi, esporvi ad un qualsiasi pericolo sarebbe stato…»
«Il pericolo fa parte dell’avventura, non credete?»
Quella domanda non era rivolta ad Adriano. Lo sguardo di Andrea era completamente rivolto alla marchesina Giulia. Lei era  giovane, non molto in confronto a lui, eppure il suo viso non possedeva l’ingenuità che doveva appartenere ad una fanciulla della sua età.
Era come se fosse capace di vedere oltre il suo naso. Scaltrezza e la volontà ferrea, forse era quello il segreto del suo successo. L’aveva capito fin dal loro primo incontro che non era una bambolina. Possedeva grazia ed eleganza, ma c’era ben altro in lei. Andrea trovò che fosse un peccato che Giulia non ricambiasse il suo sguardo.
La marchesa era fissa su Adriano e viceversa, eppure le espressioni sui loro visi erano completamente diverse e il duca se ne accorse. Giulia era tesa, con lo sguardo duro tentava di non scomporsi, ma aveva paura.
Quell’arrogante di Adriano stava godendo delle sue emozioni. Tra quei due non scorreva proprio buon sangue. Il duca ricordò ancora quel mattino in cui vide il suo amico trattar male la fanciulla mentre non c’era nessuno.
«Perdonatemi, signori. Credo che mi ritirerò nelle mie stanze. Sono un poco stanca».
La marchesina mostrò un leggero inchino ad entrambi e poi fece per andarsene. Adriano si sporse, intenzionato a chiederle di poterla accompagnare. A scongiurare il suo colpo fu l’arrivo dell’allegra Rosalina, cameriera personale di Giulia, che si mise al immediatamente al seguito della sua signora. Non appena furono all’interno del palazzo, Giulia si strinse all’unica alleata che aveva là dentro.
«Grazie».
«Direi che si tratta di dovere, ma non è solo questo marchesa» rispose la bionda veronese. «Ostacolerò come potrò quel farabutto».
«Pare proprio che il numero di partecipanti a quest’avventura sia in crescita».
«Quale avventura, mia signora?»
Giulia non potè far a meno di sorridere.



Mrs. Montgomery
Scusate la mia lunga assenza!
La situazione inizia ad evolversi, sebbene per la nostra Giulia ci siano sempre le malefatte di Adriano ad attenderla.
Il suo peggior nemico è il suo più grande ostacolo.
Quando riesce a fare un passo avanti con il duca, ecco subito che ne compiono due indietro.
Per quanto Giulia riesca a tenergli testa, Adriano è sempre più ostinato e arriverà anche a compiere più di un gesto estremo.
Per il momento, Andrea è uno spettatore di questa faida e per le più curiose rispondo subito che presto si metterà anche lui in gioco.
Bisogna avere un po' di pazienza, ma tutto arriverà.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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Capitolo 6
*** Un fiore sabaudo ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 5
Un fiore sabaudo

 

 

L’odore pungente del tè e quello dolce dei pasticcini stava inebriando l’aria fresca sotto al gazebo. Con l’arrivo della Primavera la maggior parte delle giornate erano soleggiate e calde. Un tempo più che ideale per organizzare una merenda e lasciarsi andare alle chiacchiere più leggere.
La marchesina Giulia avrebbe trascorso in quella maniera tutti i pomeriggi, dal momento che sua nonna Adelaide era giunta da Torino per sostenerla. La signora era al corrente della verità sulla vicenda che legava sua nipote a quel malfattore di Adriano.
Era stata l’unica a credere a quella povera fanciulla che piangeva disperata per la violenza sfiorata e fu per grazie a lei se Giulia non finì in un convento di clausura. L’anziana marchesa esercitò tutto il suo potere sul figlio e alla fine riuscì a convincerlo che un trasferimento era più opportuno.
Utilizzò astutamente il ricordo della defunta moglie, l’affetto per quella che era solo una ragazzina, inoltre lo minacciò con il vile denaro, l’arma che mette in ginocchio qualsiasi debole uomo. In quel periodo, suo figlio aveva dei grossi debiti, dovuti ad una carestia che aveva colpito le sue terre, e la signora sfruttò la situazione a proprio vantaggio.
«Il clima qui è veramente estasiante. V'è quest'aria così delicata e fresca... un vero tocca sana! In città è tutto così caotico e questa pace è inesistente…»
«Nonna, veramente siete interessata al clima? È per questo che passiamo l’intera giornata qui?» domandò Giulia indicando il gazebo con un cenno del capo.
«Be’ a cavallo non possiamo andare. A meno che non vuoi che la tua povera nonna si rompa qualche arto!» borbottò l’anziana signora, poggiando la tazzina di tè sul tavolino di fronte a loro. «Passiamo le giornate qui perché è l’unico modo per parlare senza che spunti qualche intruso o qualche servo impiccione. Sono qui da qualche giorno e Adriano è sull'attenti. Sa bene che non mi piace. Lo trovo irritante e troppo vanesio di ciò che non ha, il che è da sciocchi!»
«Adriano è molto scaltro» disse Giulia.
«È un parassita» replicò la marchesa Adelaide. «Mia cara, ho intenzione di fermarmi fino al matrimonio di quell’inetto di mio figlio. In questo lasso di tempo tenterò di liberarti da questo flagello umano. Non ci restano che poche settimane per trovare una soluzione. È importante che tu segua esattamente tutto ciò che ti dirò. Mi hai capita, bene?»
«Sì, nonna».
«In gioventù ho spostato mari e monti per ottenere ciò che volevo. Ti meraviglieresti di ciò che ero capace di fare» sibilò l’anziana signora con lo sguardo carico di determinazione. Passò i seguenti attimi in silenzio, guardava in alto e ogni tanto sospirava prima di sorridere soddisfatta. «Ora sono anziana, ma posseggo ancora la forza necessaria per raggiungere i miei scopi. Giulia, tu sei sangue del mio sangue, anche tu hai la stoffa giusta, devi solo imparare qualche segreto per sopravvivere quando un branco di lupi affamati non vogliono altro che vederti cadere per sbranarti».
«Vi riferite di Adriano? È lui il lupo?»
«Mi riferisco a qualunque persona che nel corso della tua vita tenterà di rovinarti. Se carpirai i segreti del successo, riuscirai ad uscirne sempre vincitrice».
«Mia signora, mia signora!» urlò un giovane paggio che le avvistò in lontananza e cominciò a correre per raggiungerle il più velocemente possibile. «Buongiorno, marchesa Adelaide e buongiorno anche a voi marchesina Giulia!»
«Mattia caro, perché hai corso così velocemente? Ora hai il fiatone!»
«Per portarvi il vostro scialle, signora marchesa. Si sta alzando un'aria più fredda e potreste prendere un malanno» disse il servo poggiandole l'indumento elegante sulle spalle.
«Hai paura che questa vecchia tiri le cuoia?»
«Marchesa Guerra, non sarà un semplice raffreddore a demolire una roccia come voi».
Adelaide scoppiò a ridere e carezzò la mano del giovane, sorridendole materna. Conosceva Mattia da quando era un bambino, la sorte non gli fu tanto cara quando gli portò via entrambi i genitori. Fortunatamente la signora Marchesa lo prese in simpatia e lo prese con sé, facendolo divenir il miglior paggio di Torino.
«È un piacere rivederti da queste parti, Mattia» gli disse Giulia.
«Il piacere è ricambiato, marchesina Giulia. Ci siete mancata molto. Vostra nonna era pronta a raggiungervi da quando ha saputo che sareste tornata».
«Peccato che quell'asino di mio figlio non mi abbia avvertita o sarei stata qui ancor prima di te, dolce nipotina».
«Evidentemente è ancora sotto l’incantesimo di quella strega, come molti di mia conoscenza» e storcendo il naso, Giulia non potè fare a meno di pensare al duca Pietrarossa.
Non che fosse gelosa, che motivo avrebbe avuto di esserlo?
Quella insipida biondina sorrideva e pareva aver il mondo ai suoi piedi, ne avrebbe ammirato la strategia se non la considerasse la falsità in persona. Elena pareva ricca di bontà dalla testa ai piedi, ma non aveva esitato due secondi a voler mandare una bambina lontana da tutto e da tutti.
«Signore, vi state godendo la giornata luminosa?»
Giulia alzò lo sguardo e vide l’affascinante duca salutarle con un cenno del capo. Era letteralmente baciato da sole. I suoi occhi azzurri, glaciali e curiosi, dal taglio affilato, si posarono in fretta sulla figura della marchesina, la quale gli riservo un timido sorriso.
«Duca Andrea, volete unirvi a noi per questa deliziosa merenda?» lo invitò Adelaide.
«Volentieri!» L’uomo mostrò un largo sorriso e si sedette sulla poltroncina lì vicina. «Mi auguro di non aver interrotto le vostre chiacchiere».
«Niente affatto. Stavo per raccontare a mia nipote dell’ultimo ricevimento a cui ho partecipato» cominciò l’anziana marchesa, cercando quale pasticcino poteva gustarsi. «La famiglia Malvolti non ha dato il meglio di sé. La musica era così monotona, non c’era neanche una persona illustre… è stata di una noia mortale. L’unica cosa che mi ha fatto un po’ divertire è stata la nuora del conte Gentelli. Indossava un abito completamente fuori luogo, scollato quanto quelle delle sgualdrine di basso borgo, e a fine serata si è ubriacata. Che scena patetica!»
«Però vi ha divertita» disse Giulia, trattenendo un sorrisetto.
«Certamente! Sembrava di essere intrattenuta da un giullare! Sarà l’episodio altrui più imbarazzante che ricorderò fino alla fine dei miei giorni».
Il duca scoppiò in una fragorosa risata e battè le mani. «Mia signora siete dilettevole. Mi ricordate una nobildonna francese che esprimeva a gran voce ogni nefandezza che osservava a corte e, per questo, tutti erano al suo seguito. Ascoltarla era un vero piacere per chiunque fosse intenzionato di udire la pura verità».
«Avreste trovato un’amica, cara nonna» affermò Giulia.
«Può essere, oppure una certa nemica. Si sa, d’altra parte, che troppa sincerità porta ad essere esclusi. La coda di paglia è ciò che fa scappare uomini e donne a cui viene sbattuta in faccia la cruda realtà dei fatti».
«Esprimete il vostro pensiero con molta sicurezza, marchesa Guerra. Non posso che ammirarvi per questo. Mi ricordate molto qualcuno» aggiunse l’uomo, lanciando una lunga occhiata alla persona che sedeva di fronte a sè.
L’anziana marchesa intuì il soggetto della sua frase. «Questa perla di ragazza fa bene a dire ciò che pensa, sebbene debba curarne i modi, almeno fino a quando non sarà andante con l’età e incolperanno quella per la sua lingua lunga!»
«Be’ ora ho la giovane età a pararmi le spalle» continuò Giulia, portandosi alle labbra la tazzina colma di tè caldo, e nascondendo il suo furbo sorriso. «Scommetto però che eravate più soddisfatta del ricevimento dei Sorbelloni a Verona».
«Oh beata ragazza, perché me l’ha fatto tornare in mente?»
«Dovete sapere, duca, che in quell’occasione versarono un’intera caraffa di vino addosso al prezioso abito della mia signora nonna» iniziò a raccontare Giulia, tentando in vano di nascondere le grosse risate che si fece anche quel giorno. «La colpa fu di un litigio tra due fidanzati. La ragazza aveva appena scoperto che il suo futuro sposo aveva trascorso la precedente notte in un bordello. Lo affrontò e lui chiese dove fosse il problema, che probabilmente sarebbe potuto ricapitare, e si era infuriata talmente tanto che… be’ il finale lo già svelato».
Andrea si immaginò perfettamente la scena, siccome era stato spettatore di una simile alla corte napoletana, e non potè far a meno di unirsi alle risate di Giulia. In quel momento si rese conto che mai l’aveva vista ridere spontaneamente. Una risata bella, forse un tantino tonante, ma era sincera e questa era la sua vera bellezza.
«Senza offesa, ma voi donne vi infuriate per un nonnulla. Quel povero ragazzo ha passato una notte di divertimento, non è stato il primo e non sarà l’ultimo» commentò Andrea, attirando la particolare attenzione di Giulia riguardo l’argomento. «Molti uomini prima del matrimonio passano le loro serate al bordello e accade anche dopo essersi sposati. Quella giovane ha sprecato dell’ottimo vino e rovinato un vestito per niente».
«Be’ io avrei fatto di peggio dal momento che era fidanzato» replicò Giulia, poggiando con gran forza la tazzina sul tavolino e fissando l’uomo con aria di sfida.
«Chissà perché non ne avevo alcun dubbio!»
«Quando ci si fidanza si prende un impegno, mio caro duca».
«Sì, un impegno economico».
«E d'amore, in teoria. Nonna, qual è il vostro pensiero a riguardo?»
«Oh, preferisco rimanere fuori da questo dibattito e ascoltarvi. Sarà interessante, non credi Mattia?»
«Certamente, signora marchesa!»
La marchesa Adelaide stava nascondendo un sorriso dietro alla tazzina del tè. Ogni tanto lanciava uno sguardo al suo paggio, il quale la conosceva fin troppo bene e capiva il perché del suo divertimento.
«Sapete, marchesina, credo che leggiate troppi romanzi d'amore e questo vi ha portata ad aspettative eccessivamente alte sul matrimonio»  ricominciò il duca Andrea. Allungò una mano sul vassoio ancora colmo di pasticcini. Erano una prelibatezza a cui non avrebbe potuto rinunciare. «La maggior parte dei matrimoni fra nobili avviene solamente per convenienza per le due famiglie. Sposarsi per amore fa tanto vita di provincia... è così sconveniente. Si contano sulle dita di una mano i matrimoni per amore».
«Intanto alcuni esistono».
«Pochi».
«Pochi ma buoni» sorrise sfrontata Giulia.
«Siete una sognatrice».
«E voi... voi… voi siete il contrario!».
La goffaggine di Giulia nel replicare una sua affermazione, diede al duca una tale soddisfazione che credeva non ci fosse altro a dilettarlo. Forse poteva essere medesimamente soddisfacente l’espressione irritata della marchesina. Trovava divertente come tentasse di rimanere composta, sebbene era certo che avrebbe voluto tirargli addosso il vassoio dei pasticcini.
Andrea l’aveva osservata bene e, ogni volta che qualcuno la infastidiva, Giulia si ripeteva: arricciava le labbra e seguiva ogni sua mossa, fissandolo con sospetto.
«Mi dispiace, marchesina. Dovete incassare il colpo, questo dibattito l'ho vinto io!»
«Siete sciocco se credete che vi darò vittoria facile».
Andrea sorrise, immaginando che sarebbe stato arduo concludere così in fretta. Non gli importava quanto ne avessero parlato. Trovava emozionante dibattere con quell'ostinata giovane nobile.
Nel frattempo l'anziana marchesa Adelaide si alzò dal divanetto. «Miei cari, vi lascio alle vostre divertenti chiacchiere. Credo che andrò a riposare un po'».
«Vi accompagno?»  domandarono all'unisono il duca e la marchesina. Si scambiarono rapidamente uno sguardo curioso.
La marchesa Adelaide spostò lo sguardo dalla nipote all’uomo e viceversa. Abbassò il capo sogghignando e poi si appoggiò al braccio del prode Mattia. «Mi compiaccio della vostra gentilezza, miei cari. Sarà il mio fidato paggio a prendersi la briga di condurmi nelle mie stanze. Auguro ad entrambi una buona giornata. Potreste approfittare di questo meraviglioso tempo per una passeggiata. Se possedessi le vostre stesse forze, non me la lascerei sfuggire» e dette quelle ultime parole si incamminò lentamente verso la tenuta.
Il duca Pietrarossa e la marchesina Guerra rimasero qualche attimo in silenzio e osservarono l'anziana marchesa, la quale si stava già intrattenendo con qualche chiacchiera assieme al suo servitore. Dalle risate che si stavano facendo, doveva trattarsi di qualcosa di spassoso.
«È una donna di piacevole compagnia» ammise Andrea, attirando l’attenzione di Giulia su di sé «e deve avere una forte tempra morale. Una nobildonna come lei deve aver fatto capitolare molti uomini ai suoi piedi».
«Le vostre parole nascondono una cotta segreta per la mia nonnina? Non credevo che il vostro interesse mirasse alle signore d’elevata età».
Giulia era riuscita a nascondere talmente bene la sua beffardaggine che il duca Andrea aveva creduto alla sua serietà. Il viso dell’uomo si era imbarazzo e irrigidito a tal punto che la ragazza non riuscì a trattenere una fragorosa risata. Il divertimento prese il sopravvento e le impedì di mantenere un comportamento da signorina beneducata. Batteva le mani e se la godeva come se avesse assistito ad una delle più esilaranti commedie.  
«Vi burlate di me? Questo… questo vi piace? Vi piace burlarvi di me, marchesina?»
«Non avevamo deciso di chiamarci per nome?» lo incalzò lei.
«Touchè, Giulia».
La nobile piemontese si ricompose e gli rivolse un sorriso genuino. «Parlando seriamente di mia nonna, credetemi, lei è la colonna portante di questa famiglia. Io le sono molto affezionata».
«E lei a voi, senza dubbio. Ho notato la forte intesa che condividete. Solo uno sciocco non se ne accorgerebbe».
«Giusto per tornare all’argomento di prima…»
«Quale?» finse di non ricordarsi, ma Giulia non ci cascò e gli lanciò un’occhiataccia. «Oh, il matrimonio. Che noia! Ho intuito tutto. Voi volete sposarvi per amore e invecchiare al fianco di quell’uomo che sarà l’altra metà della mela. Be’ vi auguro di trovarlo. Se non sarò troppo occupato, potrei presenziare al vostro matrimonio».
«Sarete il primo che inviterò, statene certo» disse Giulia e gli rivolse un sorriso beffardo. «Posso domandarvi perché non siete sposato?»
«Lo trovate tanto insolito?»
«Ho conosciuto molti nobili più giovani di voi che sono già sposati».
«Mia madre è morta dandomi alla luce e mio padre mi ha sempre dato libero arbitrio nelle mie scelte. Sosteneva che questo mi avrebbe insegnato la vera vita, siccome gli errori sarebbero stati solo miei e tutto doveva essere dipeso dalla mia volontà».
«Era un uomo saggio».
Giulia lo guardò con dolcezza e non con pietà. Questo fu apprezzato dal duca.
«Lo era davvero e anche molto buono»  disse Andrea corrugando la fronte. Chiaramente non gli piaceva parlarne. La sofferenza era ancora troppo vivida in lui e Giulia poteva comprenderlo molto bene. «Non mi sono sposato perché non è mia intenzione avere doveri di quel genere. Amo essere libero e un matrimonio è tutto fuorché libertà. Ci sono obblighi e doveri. Io non sono il genere d’uomo che ne vuole».
«Non desiderate nemmeno dare un erede alla vostra stirpe?»
«So di avere dei parenti da qualche parte. Sarà un loro compito. Io desidero solo essere libero».
«Mi auguro che non tutti i Pietrarossa la pensino così, altrimenti pochi anni e sarete estinti».
Andrea abbozzò un sorriso, poi i suoi pensieri si spostarono altrove. «Credo di essere un maleducato».
«Un maleducato? E perché dite questo?»
«Marchesina, non vi ho ringraziato per la deliziosa serata di qualche giorno fa. Peccato essere stati interrotti dal mio amico Adriano».
Giulia finse non aver udito le ultime parole e sorrise cordiale. «Dovere, mio signore».
«Dovere, dite? Mi volete far credere che non vi piaccio nemmeno un po’?»
Che razza di domanda era?
«Dipende da cosa intendete».
«Voi cosa intendereste?» chiese il duca sporgendosi in avanti e guardandola compiaciuto.
«Che siete molto furbo» rise spensieratamente Giulia.
Non gli avrebbe mai dato il piacere di vederla cascare ai suoi piedi ed era certa che non sarebbe mai accaduto.
Per quanto fosse di bell’aspetto, attraente e possedesse quegli occhi ammalianti, non era l’uomo adatto per lei. Giulia desiderava sposarsi con qualcuno che fosse in grado di provvedere a ciò di cui aveva bisogno. Sapeva bene che trovare l’amore in quell’epoca era facile quanto trovare un ago in una balla di fieno, infatti non si aspettava veramente di trovarlo. Non sapeva nemmeno cosa fosse l’amore.
Nei libri veniva descritto come quel sentimento in grado di abbattere ogni difficoltà e di sacrificarsi per la persona amata. Ma quelli erano solo libri, come molte volte le ricordava sua nonna Adelaide. L’anziana marchesa premeva per farle trovare un pretendente non solo per accasarla, anche per allontanarla dalla minaccia di Adriano.
Un marito l’avrebbe protetta da quel mostro, quindi Giulia sapeva che doveva approfittarsi della prima occasione per scamparla per sempre.
Osservando il duca Pietrarossa, per quanto lo trovasse - alle volte - irritabile, pensò che lui sarebbe stato un buon pretendente, peccato che la vita che Giulia desiderava era discordante a quella di Andrea. Tra i desideri della ragazza c’era quello di formare una famiglia. Un desiderio piuttosto comune a tutte le nobildonne della società.
«Ammetto che la vostra compagnia non mi dispiace. Siete un uomo che riesce ad adattarsi a qualunque argomento ed esponete la vostra opinione con rispetto» aggiunse la marchesina poco dopo.
«È un piacere udire tali vostre parole gentili nei miei confronti».
«Sì, l’avevo intuito che siete un vanesio».
Andrea sbarrò gli occhi e scoppiò a ridere. «Non resistete proprio a prendervi gioco di me».
«Perché non ammettete che vi piace essere preso in giro da me?»
«Non vi darò mai questo piacere» sussurrò il duca, prima di farle l’occhiolino.
Giulia voltò il capo dall’altra parte, divertita da quella sua impudenza. La trattava come se fossero amici da tempo immemore, quando invece si conoscevano solo da poco più di una settimana. Non che le dispiacesse. Se le toccava essere sincera, il duca era l’unica buona e nobile compagnia in quel freddo maniero.
Improvvisamente Andrea si alzò dal divanetto, scese i gradini del gazebo e si avvicinò ad una cameriera, la quale pendeva letteralmente dalle sue labbra. Giulia lo vide tornare un attimo più tardi con un Fiordaliso tra le dita. Il duca annusò il profumo di quel fiore delicato e poi lo porse alla fanciulla.
«Oh, Giulia, perché sei tu Giulia?»
«Un gesto molto gentile, vi ringrazio». La marchesina accettò quel dono e lo osservò per qualche attimo, prima di alzare lo sguardo su Andrea. «Mi dispiace correggervi, ma la formula corretta era “Romeo, oh Romeo, perché sei tu Romeo?”».
«Lo so bene, ma voi non potete essere Romeo».
«Non posso che darvi ragione!»
Andrea rise assieme a lei e si creò proprio un bel momento. Il duca era galante e audace, qualunque donna avrebbe fatto carte false per rimanere da sola in sua compagnia e Giulia non stentava a crederci. Più passava il tempo con quell’uomo e più si sentiva a suo agio.
Per quanto si mostrasse sprezzante nei suoi confronti, lo reputava una persona intelligente. Lo dimostrava il fatto che aveva smesso di tessere le lodi di Elena o di Adriano in sua presenza. La marchesina azzardava a pensare che avrebbe sentito la sua mancanza.
«Giulia, conoscete la storia di questo fiore?»
«Qualcuno ha piantato il seme e poi è cresciuto il fiore?» tirò ad indovinare con molta ironia beccandosi un’occhiataccia da parte dell’uomo. «Voi possedete una teoria migliore?»
«Cyanus segetum. Questo è il nome che un botanico inglese diede a questa pianta, avvalendosi di due episodi della mitologia romana» rispose prontamente il duca Pietrarossa, catturando in maniera impressionante l’attenzione di Giulia. Ella adorava le storie antiche e Andrea non faticò a capirlo dal suo sguardo adorante. «La prima leggenda narra della dea Flora. Lei si innamorò di un giovanotto di nome Ciano e quando lo trovò morto disteso in un campo di bellissimi fiordalisi, decise di dare il nome del suo amato a quei fiori. Tragico e iconico al tempo stesso, non trovate? Il genere di storia che vi appassiona».
«E l’altro episodio?»
«Un centauro, chiamato Chirone, rimase ferito al piede da una freccia avvelenata e si curò con il succo tratto da questo fiore. Fine della storia» raccontò Andrea con fare annoiato. «Francamente mia cara, credo che abbiate gradito la prima storia».
«Iniziate a conoscermi bene».
Sì, il duca Pietrarossa le sarebbe mancato.
«Marchesa Giulia!»
Rosalina li raggiunse in fretta. Mostrò la riverenza ad entrambi e poi si rivolse alla sua padrona: «Marchesa, necessito di voi per una faccenda».
«Certamente» rispose la nobile. Si alzò dal divanetto e si voltò verso Andrea. «Ora tocca a me ringraziarvi per la compagnia».
«Credo che ormai abbiate capito che vi trovo deliziosa».
«Deliziosa? State parlando con una nobile o con un pasticcino?»
«Perdonatemi. Sarà il vostro fascino a rendermi goffo ai vostri occhi» continuò l’uomo con tono affabile.
«Senza dubbio alcuno!»
Giulia rimase al gioco.
Il duca le baciò la mano e rivolgendosi un ultimo sguardo d’intesa, si salutarono. La guardò camminare tra le siepi, intenta a raggiungere l’ingresso della tenuta.
Attese di vederla voltarsi e solamente quando stava per perdere le speranze, l’intemperante marchesina inclinò il capo e gli lanciò un’occhiata accompagnata da un sorriso radioso. Quel sorriso lo contagiò immediatamente. Andrea che aveva sempre la risposta pronta, non si stava nemmeno accorgendo di quanto quella fanciulla gli facesse un buon effetto. Il duca Pietrarossa provava un’insolita felicità quando la marchesina stava nei suoi dintorni.
«Andrea, amico mio!» esclamò Adriano, spuntando alle sue spalle.
«Buongiorno. Stai andando a fare una cavalcata?»
«Si nota così tanto?» domandò quell’altro facendo una giravolta. «Vieni con me?»
«Con piacere!»
«Ottimo!» Adriano gli battè una pacca sulla spalla e al suo fianco cominciò a camminare verso le stalle. «È un vero peccato che tra meno di due settimane te ne andrai. Quando ho saputo del tuo ritorno credevo che avremmo potuto passare un po’ di tempo insieme, come ai vecchi tempi».
Andrea ricordava bene di quando erano due ragazzini che andavano a caccia la mattina e alla sera si rifugiavano all’osteria. A quel tempo Adriano viveva ancora a Torino, con suo padre e sua sorella, mentre Andrea bazzicava tra la tenuta di campagna e gli appartamenti che suo padre possedeva al palazzo reale.
«Se non avessi venduto le tue stanze a corte, avremmo potuto divertirci a qualche ricevimento. In questo periodo ne organizzano talmente tanti. Potevamo fare come una volta, io che fingevo di essere un tuo servitore per parteciparvi e tu che ti trastullavi da una fanciulla all’altra».
«E mio padre che alla fine ci riportava in camera tirando le nostre orecchie» rise Andrea, scuotendo il capo. «Erano bei tempi! Ora siamo un tantino cresciuti».
«Sì, siamo cresciuti, ciò non toglie che possiamo ancora divertirci o hai forse deciso di sistemarti?»
«Lo sai che mi piace vivere alla giornata. Mostrò molta serietà negli affari, essere corretto e ricevere correttezza è fondamentale per me. Tuttavia mi risulta difficile e non appartenente alla mia persona dovermi impegnare per un lasso di tempo infinito ad una persona».
«Eppure il tuo sguardo… sì, il tuo sguardo mi inganna. Che cosa mi nascondi?» chiese Adriano più curioso di una pettegola del borgo.
«Io non nascondo nulla, però… però credo che mi sia passata la fretta di partire».
«Che cosa odono le mie orecchie! Sei serio o ti stai beffando di me?»
Andrea gli lanciò un’occhiata furtiva. «Mai stato più serio. L’idea di partire e tornare a Napoli, per quanto io sia molto affezionato a quella città, muta ogni giorno che trascorro in mezzo a cotanta beltà».
«Be’… capisco, naturalmente. Forse ti eri scordato della bellezza del Piemonte».
«Diciamo che ne ho scoperta di nuova» affermò il duca, alzando lo sguardo sulla tenuta. Sicuramente la marchesina era là dentro a scorrazzare nei corridoi o a spettegolare assieme alla sua cameriera.
«Quindi rimarrai?»
«Può darsi. Chiaramente non rimarrei ospite del marchese Guerra, per quanto io mi senta quasi come a casa».
«Eh lo so! L’aria di questa tenuta farebbe resuscitare persino una mummia» rise Adriano.
«Sì, l’aria».
Andrea non ne era molto convinto e abbozzò un sorriso divertito.
«A parte l’aria della tenuta, c’è qualcos’altro che ti ha fatto cambiare idea?»
«Un fiore».
«Un fiore?!» sbottò confuso Adriano e di fronte alla serietà di Andrea fu ancora più confuso. «I fiori mi dice… i fiori… e che genere di fiori?»
«In realtà ho detto un fiore» preciso il duca, prima di mostrare un sorriso sprezzante «si tratta proprio di un fiore sabaudo».
Adriano inarcò un sopracciglio. L’amico si stava comportando in maniera alquanto strana e non era la prima volta da quando aveva fatto ritorno in patria. Manteneva sempre la sua compostezza, eppure ogni tanto si lasciava andare ad un’inspiegabile euforia.
«E che genere di fiore sabaudo?»
Il duca si voltò e lo fissò con aria divertita per qualche istante, tant’è che Adriano si aspettò una battuta scherzosa e invece le sue aspettative stavano per essere infrante. Andrea mostrò un largo sorriso e gli battè una pacca sulla spalla.
«Uno pungente. Sai bene che ti pungerà, ma sai anche che non puoi farne a meno».
Adriano si ritrovò più confuso di prima e questo scatenò la risata del duca, il quale aumentò il passo e cominciò a canticchiare raggiungendo le stalle.
Gli stallieri si misero subito a loro disposizione e prepararono i cavalli. Un servitore portò i guanti ad Andrea. Lui e Adriano montarono immediatamente sui loro destrieri.
Il duca Pietrarossa volse un ultimo sguardo alle grandi finestre della tenuta. Lo stesso pensiero di poco prima inebriò la sua mente, facendo scaturire i più dolci dei suoi sorrisi.
«Andiamo!» urlò e con un colpo di tacco incitò il cavallo.



 

Mrs. Montgomery
Ne avete sentito parlare fin dall'arrivo di Giulia e finalmente eccola entrare in scena.
La marchesa Adelaide, nonna di Giulia, ci farà compagnia per un bel po' di tempo e sarà una presenza che non passerà inosservata. Avrete già intuito che ha un temperamento più forte di quello del figlio Pietro, ma avrete modo di conoscere la matriarca della famiglia e l'influenza che avrà su sua nipote.
Andrea e Giulia hanno fatto un altro passo avanti. Stanno ingranando, man mano il loro percorso insieme va in salita, anche se questo non significa che per forza sarà tutto rose e fiori.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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Capitolo 7
*** Letture e inviti ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 6
Letture e inviti

 

«Ti hanno dato proprio una bella stanza, non c’è che dire! Non ero mai entrato qua dentro a dare una sbirciatina, ma immaginavo che fosse una delle migliori. Mio cognato… ehm… il mio futuro cognato non bada a spese con te».
Adriano se ne stava comodamente spaparanzato sul letto del duca Pietrarossa. Fissava il soffitto e rideva tra sé e sé mentre l’amico finiva di vestirsi nascosto dal separé. Il giovane borghese era piombato nella sua camera da letto alla buon’ora, gli aveva portato la colazione e ne usufruì piacevolmente.
I loro programmi per la prima parte della mattinata erano di andare a caccia e trascorrere il pomeriggio - e probabilmente anche la notte - alla locanda. Era stato Adriano a definire la loro giornata, approfittando che l’amico fosse libero dagli impegni con il marchese Pietro.
«Il marchese sa come trattare i suoi ospiti».
«
Intendi dire che sa come arruffianarseli».
Andrea rise uscendo dal separé e avvicinandosi allo specchio per annodarsi i capelli con un fiocco scuro. «Sai bene che io non sono il genere d’uomo che concede favori facilmente. Inoltre essere adulato troppo a lungo mi infastidisce. Se un uomo vuole ottenere qualcosa, deve dimostrare quanto ci tiene utilizzando il metodo più difficile che esista al mondo… la verità!»
«
Quanto sei saggio… e anche noioso» sbuffò Adriano tirandosi a sedere e fissandolo dubbioso. «Mi vuoi far credere veramente che non hai mai arruffiano qualcuno per ottenere qualcosa?»
«
Al contrario di te, caro amico, vado sempre dritto al sodo».
«
Anche con le donne?»
«
Specialmente con le donne. Amano il mio carisma e il mio fascino».
«
Il tuo fascino non durerà in eterno, sfortunatamente per te».
«Oh non temere, mi servirà per qualche tempo ancora».
Andrea abbassò il capo e sorrise per qualche attimo. Si ricompose prima che Adriano fiutasse qualcosa di strano nel suo comportamento. Si avvicinò al comodino e afferrò i guanti. Li sbattè scherzosamente sulla guancia del ragazzo dicendo: «Dunque è tutto pronto per la nostra caccia?».
Adriano balzò giù dal letto e lo seguì pimpante quanto una campana che suonava le nozze dei monarca. «Certamente! I servi ci stanno aspettando dabbasso. Pare proprio di esser tornati a rivivere i buoni e cari vecchi tempi».
«Lo dici ogni volta che organizziamo qualcosa insieme»
«Naturalmente! Mi sei mancato in questi anni in cui sei stato ovunque tranne che a Torino» continuò il borghese lanciandogli un’occhiataccia. «Quando il vostro povero padre era ancora in vita, soggiornavate tutto l’anno in città e vi recavate qui in campagna solo per poche settimane. Praticamente io, te ed Elena siamo cresciuti insieme. Non per marcare il territorio, ma abbiamo passato più tempo tu ed io» e gli lanciò un’occhiata d’intesa.
In effetti non si poteva dire che avevano passato poco tempo insieme. Andrea ricordava bene che in gioventù erano pappa e ciccia e smisero solamente quando il duca decise di viaggiare per scoprire le terre all’infuori del Piemonte. Cominciò dal Ducato di Milano, la visitò per poche settimane, era troppo noiosa per i suoi gusti.
Al contrario si stabilì a Venezia per due anni, trascorse qualche mese a Vienna e qualche a Versailles. I suoi ultimi quattro anni li passò a Napoli, dove si beò in una delle corti più maestose della penisola e conobbe il suo più fidato amico.
Nella città marittima comprò un palazzo e questo perché ormai aveva stabilito lì il suo futuro. La morte di suo padre e il dover occuparsi degli affari in sospeso dovevano essere solo una parentesi, eppure c’era ben altro a tenerlo ancora legato in Piemonte e chissà per quanto tempo ancora.
«Mi rallegra che finalmente abbiamo trovato una mattina per andare a caccia insieme!» esclamò Adriano facendolo tornare alla realtà.
«Posso ricordarti che sono qui per occuparmi degli affari con il marchese Guerra e non per gingillarmi?»
«Questo lo so, amico mio, eppure mi pare che non passate ogni pomeriggio a firmare carte o ad esaminare i terreni».
«Io e il tuo futuro cognato desideriamo ottenere un buon risultato. Motivo per cui prestiamo molta attenzione ai particolari di questo lungo accordo. Ammetto, però, che mi sto abituando all’aria di questa terra».
Adriano non si mostrò stupito. In fondo le sue parole non suonavano come una novità. «La tua idea di rimanere ha fissato i piedi a terra?»
«Può essere».
«Se così fosse, sappi che ne sarei felice. Quanto dista la tua tenuta da qui?»
«All'incirca un'ora al galoppo. Per questo il marchese Pietro ha insistito per rendermi suo ospite. Mi vuole concentrato e reperibile in ogni momento. Senza contare che è più facile mettersi d'accordo su chi debba andare in città per incontrare il notaio».
«Gli stai vendendo l'appezzamento di terra vicino alle cascate giusto?»
«Sì».
«E ci vuole quasi un mese per concludere questa trattativa?»
«Non è semplice come sembra. Ha scelto lui stesso quell'appezzamento dopo che gliene ho mostrati altri durante la prima settimana del mio piacevole soggiorno. Ho mostrato al marchese ben cinque appezzamenti e lui ha favorito quello là».
Andrea svoltò l’angolo del corridoio e iniziò a scendere le scale con molta fretta.
«Dopo domani porteremo i documenti dal notaio. Se tutto va secondo i piani, entro la fine della settimana prossima sarò libero di tornarmene a Napoli».
«Ma non avevi detto che intendevi restare?»
«Devo valutare un paio di faccende. Se si riveleranno buone, credo proprio che rimarrò».
«E potrei sapere di che faccende si tratta? E non rifilarmi ancora la storia del fiorellino» disse Adriano ammonendolo con lo sguardo.
Andrea scoppiò in una fragorosa risata, balzando giù dall’ultimo gradino. Non gli diede alcuna risposta, preferiva decisamente lasciarlo in preda alla curiosità, senza contare che era un uomo riservato e non gli avrebbe mai confidato i suoi più profondi pensieri.
«Tu sei con tue bellezze uniche e sole splendor di queste piagge, egli di quelle. Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo. E ben saran tra voi conformi voglie: dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante, ei de l'insegne tue, de le tue spoglie l'aurora vestirà nel suo levante…»
La voce di Giulia arrestò l’intenzione del duca di uscire dalla tenuta e lo spinse a raggiungere a passo felpato il salotto. Ignorò i lamenti di Adriano e si fermò ad osservare. La luce fioca che entrava dalle vetrate pareva appoggiarsi al viso roseo della nobile fanciulla, intenta a leggere un libro a sua nonna che le sedeva affianco sul divano beige.
Le piaceva leggere, si notava, Giulia ci metteva passione, pareva vivere le stesse emozioni dei protagonisti. Ogni tanto si fermava, prendeva una piccola pausa e sorrideva a sua nonna.
La marchesa Adelaide scomponeva leggermente quell’aria da grande matrona quando stava in compagnia della sua pupilla. Era innegabile l’affetto che provavano l’una per l’altra e Andrea quasi ne fu commosso. Lo considerava un quadro tenero.
«Pare che abbiamo ospiti».
Lo sguardo da falco della marchesa Adelaide saettò sul duca Pietrarossa e poi su Adriano, il quale li fece scoprire colpendo sbadatamente la porta. Andrea chinò subito il capo in segno di rispetto.
«Signore, vi date alla lettura mattutina?». domandò Adriano entrando nella stanza mostrando un sorriso sfrontato.
«Udire mia nipote leggere è inebriante. Ha una voce melodica e mi suscita molta tranquillità… al contrario di altre persone».
«Perdonate l’interruzione, marchesa Giulia” Andrea si fece avanti, con le mani dietro alla schiena e lo sguardo intenso. «Vostra nonna tesse le vostre lodi ed ha una valida ragione. I miei complimenti più sinceri, leggete magnificamente».
Giulia abbozzò un sorriso timido e lo avrebbe ringraziato se Adriano non si fosse messo in mezzo alla conversazione.
«Be’ non è che si ha qualche talento particolare nel leggere. Chiunque sia alfabetizzato lo sa fare!»
Non fu strano che dopo tale affermazione, Adriano ebbe tre sguardi straniti che lo fissavano. La marchesa Adelaide fu la prima a distogliere i suoi occhi da quel mezzo uomo - come lo considerava lei - e si rifiutò di commentare la sua stupidità. Giulia era indecisa su quale insulto gli si accostava meglio, ma di certo non gliel’avrebbe esposto in quel momento, non con il duca presente. Fu Andrea ad interrompere quel silenzio imbarazzante, sperando che Adriano non ne avrebbe provocati altri.
«Posso domandare che cosa stavate leggendo? Le poche righe che ho udito suonano nuove alle mie orecchie»
«Si tratta de "L’Adone" di Giovan Battista Marino» rispose Giulia molto seriamente, spostando lo sguardo dall’infimo Adriano al cortese duca Pietrarossa. «Narra le vicende amorose di Adone e Venere. È un poema alquanto lungo, sebbene superi di pochissimo "l’Orlando Furioso"…»
«Il vostro libro preferito» affermò Andrea.
Lo sguardo di Giulia si illuminò. La sorprese. «Ve lo ricordate?»
«Mi domando perché quel tono sorpreso» sorrise l’uomo.
«Io mi domando perché non siamo ancora fuori per andare a caccia» intervenne Adriano.
«E io invece mi domando perché non sto più udendo le parole di questo poema!» la voce della marchesa Adelaide riportò l’ordine nel salotto. «Prego, Giulia, continua pure».
«Potremmo restare ad ascoltare?»
La richiesta inaspettata di Andrea destò distinte emozioni in ogni suo spettatore. Adriano era bloccato, con le sopracciglia inarcate e le labbra socchiuse, visibilmente scioccato. La giovane Giulia lo stava studiando con curiosità e non trattenne un sorriso lieto.
«Magnifico! Dolce nipote, sembra proprio che tu abbia acquisito un ammiratore della tua voce» disse la marchesa Adelaide aprendo il grande ventaglio porpora e nascondendo dietro il suo largo sorriso. «Duca Pietrarossa, credo che Giulia sarà lieta di rendervi partecipe della sua lettura ed io sono contenta di condividerla. Prego sedete».
Andrea prese posto sul divano di fronte e si stupì quando vide che Adriano non fece lo stesso.
«Voi non rimanete, Rossini?» chiese riprendendo l’uso del “voi” essendo assieme ad altre persone.
«Avrei preferito passare la mattinata in maniera completamente diversa, ma… perché no?!» esclamò Adriano, lanciando un’occhiata a Giulia prima di sedersi accanto all’amico. «Oh su, nipotina. Intrattienici con la tua soave voce».
La fanciulla gli mostrò un sorriso beffardo e voltò pagina di scatto. Gli augurò di non interrompere nuovamente la sua lettura o gli sarebbe volato qualcosa sulla testa. Giulia prese un respiro profondo e ricominciò a leggere, distaccando completamente la mente da ciò che la circondava per tuffarsi in quelle pagine.
La narrazione delle vicende tra Adone e Venere le fecero dimenticare la presenza di Adriano in quel salotto e le impedirono di accorgersi che l’affascinante Andrea non le staccava mai gli occhi di dosso, in tal caso il suo visino sarebbe diventato rosso come un peperone. Se la giovane nobile non se ne accorse, ciò non potè verificarsi per sua nonna e Adriano.
Il borghese era talmente annoiato dalla lettura che tra i suoi numerosi sbadigli si voltò verso l’amico, nella speranza che avesse la sua stessa reazione e invece lo ritrovò beato ad osservare l’oggetto del loro comune desiderio. No… non condividevano lo stesso desiderio. Adriano voleva Giulia spinto dalla passione, dalla lussuria, la voleva sua per non esser riuscito nell’intento di tre anni prima e perché ai suoi occhi era una preda ancor più prelibata. La permanenza a Verona sembrò giovarle e non solo culturalmente.
Andrea, invece, gradiva la compagnia di Giulia, lo divertivano le provocazioni che si lanciavano e più imparava a conoscerla più rimaneva affascinato da un nuovo lato di lei. Era partito con una serie di informazioni sul suo conto che iniziavano a sgretolarsi man mano che la conosceva. Possedeva un bel caratterino, su quello non poteva discutere, ma presa con le buone maniera Giulia era capace di donare gentilezza e generosità.
«Vi state dedicando alla lettura?»
Elena entrò nel salotto con il solito leggero sorriso sulle labbra e naturalmente infastidì Giulia per l'interruzione.
«Perdonate se vi disturbo…»
«Oh non vi preoccupate, ormai mi sono abituata a questa vostra scortesia» rispose la marchesina sbuffando col naso.
La docile Elena non rispose alla sua provocazione, preferì essere superiore e continuò a mostrarle gentilezza.
«Giulia cara, vostro padre mi ha mandata a chiedervi se questa sera potreste recarvi al ricevimento della contessa Novellis. Sfortunatamente Pietro è stato colpito dal raffreddore e non se la sente di parteciparvi. Io... io chiaramente non ne ho ancora il titolo, dunque…» era evidente la difficoltà di Elena.
Né la marchesa Adelaide e né tantomeno Giulia sembrarono volerla aiutare, questo infastidì Andrea che non trovava motivazione a tale astio. Il duca credeva che si trattasse della semplice e orrida superiorità che molti nobili provavano per chi non fosse nato nella loro stessa condizione.
Le vere motivazioni erano a lui nascoste. L’unico strumento per emettere un giudizio era la sua vista e in quel momento non metteva in buona luce la fanciulla.
«La contessa Novellis è una cara amica di vostro padre e sarebbe un peccato che nemmeno un membro della famiglia presenziasse…»
«Lasciatemi indovinare» la interruppe Giulia. Chiuse il libro, lo appoggiò sul tavolino di fianco a lei e poi alzò il capo sulla donna. «Voi volete che sia io a partecipare al ricevimento della contessa in vostra vece. Sembra che ora vi torni comodo ricordare che anche io faccio parte di questa famiglia. Non sono troppo spregiudicata per mostrarmi pubblicamente?»
«Siete la prima figlia di vostro padre e, per ora, siete l’immagine del futuro di questa famiglia».
«Se il Cielo lo vorrà sarò l’unica figlia e l’unica immagine del futuro della mia famiglia. Io sono la marchesa Giulia Guerra».
«E allora comportatevi come tale!»
Quella fu la prima volta in cui la signorina Elena Rossini sbottò. Giulia non si trovò minimamente offesa, anzi era compiaciuta di esser riuscita a dimostrare che le dava ai nervi e le erano bastati solamente cinque minuti. La nobile si alzò, ritrovandosi viso a viso con la futura matrigna.
Lo sguardo di sfida che lanciò riuscì a far abbassare lo sguardo alla donna. In fin dei conti Elena non aveva abbastanza tempra per tener testa a Giulia, sebbene ella fosse una ragazzina. Era qualcosa di impossibile, nemmeno un miracolo sarebbe stato in grado di far ribellare Elena. La sua debolezza era proporzionale alla sua bontà d’animo e Giulia la rendeva un’arma a suo vantaggio.
«E che cosa ne potete sapere voi di come si comporta una marchesa?»
«Giulia, ora stai esagerando! Tornatene qui a sedere» l'ammonì sua nonna e la ragazza tacque immediatamente, facendo esattamente come le era stato ordinato. «Elena, vi prego di perdonare l'animo incosciente di mia nipote. Non ha ancora compreso quando è il momento di esprimersi in tutto il suo ardore e quando invece tacere per il buon quieto vivere».
«Che saggezza, marchesa!» esordì Adriano con sorriso smagliante. «Si sente la vostra forte presenza in questa casa».
La marchesa lo degnò di una fugace occhiata e tornò ad osservare Elena. «Giulia sarà lieta di fare le veci di suo padre, sa bene che è un suo dovere. Questa fanciulla ha ereditato la bellezza delicata di sua madre e possiede una grazia invidiabile, certamente vi farà ottenere un'ottima figura con la società».
«
Non l'avrei mai messo in dubbio, signora Marchesa» sussurrò Elena.
«Certamente no o sareste stata una sciocca!»
«Bisogna sperare che vostra nipote non esponga poco velatamente le sue opinione a tutti gli invitati» borbottò il duca Pietrarossa, attirando subito lo sguardo fulmineo della giovane.
«Adriano potrebbe occuparsene»  suggerì Elena.
Giulia si voltò immediatamente e sgranò gli occhi. «Che cosa intendete dire?»
«Non potete presenziare da sola, avete bisogno di un accompagnatore e chi meglio di mio fratello…»
«Lui non…»
«Siete stata gentile a pensare a questo particolare» intervenne la marchesa Adelaide con molta pacatezza. «Mi auguro che vostro fratello sia all’altezza di accompagnare una fanciulla del rango di mia nipote. State pur certa che se Giulia commetterà qualche passo falso, vi riterrò responsabili entrambi. Voi Elena perché dimostrate di sopravvalutare chi avete affianco e voi Adriano perché… credo che possiate immaginare la ragione».
Il ragazzo era confuso e tentò di nascondere quell’emozione lanciando un cenno d’intesa all’anziana signora. Giulia, invece, stentava a credere alle sue orecchie. Sua nonna aveva perso il senno? Certamente lo sguardo della ragazza lasciava trasparire quel suo pensiero.
«Quindi ho il vostro permesso per accompagnare la marchesina Giulia?»
«Il mio permesso non vi serve a niente. È necessario quello di mio figlio e pare che l’abbiate, dunque tutte queste chiacchiere e interruzioni della mia lettura sono state inutili!»
La marchesa Adelaide si alzò dal divano e con un gesto blando della mano fermò l’avvicinamento di quel ruffiano di Adriano. Fece cenno a sua nipote di accompagnarla e Giulia obbedì. Intendeva chiederle spiegazioni, le pretendeva!
Le nobili Guerra attesero di allontanarsi dal salotto e da orecchie indiscrete. Andarono nella stanza della musica, una piccola sala dalle pareti bianche e dagli ornamenti floreali rosa.
Un delizioso clavicembalo era posizionato in fondo alla parete, la defunta marchesa Francesca lo suonava per allietare le amiche che venivano a farle visita o divertire la sua bimba. In quel momento Giulia necessitava proprio di una dolce sinfonia per placare il suo animo fumentino.
«Si può sapere che cos’è questa storia? Desiderate veramente che quell’essere ignobile mi accompagni ad un ricevimento che si tiene di tardo pomeriggio. Vi rendete conto che dovrò condividere la carrozza con lui?»
Giulia cominciò a camminare rapidamente per tutta la stanza mentre sua nonna s’accomodò ad una poltrona. La marchesa Adelaide ostentava pacatezza, non una singola ruga di preoccupazione solcava il suo viso non più tanto giovane. Al contrario sua nipote era sul punto di strapparsi i capelli.
«Mi auguro che voi abbiate qualcosa in mente per far saltare questo ricevimento a me o a quel bifolco!»
«Giulia, smettila di girare che mi fai venire solamente il mal di testa» commentò Adelaide portandosi due dita alla tempia.
«E indovinate chi l’ha provocato a me?» continuò Giulia, era un’anima in pena.
Allentò il passo dopo aver lanciato un’occhiata a sua nonna. Fece due respiri profondi per riacquistare la calma, ma la tensione che le scorreva in corpo le manteneva i nervi tesi.
«Nonna, cortesemente mi spiegate come fate a stare così quieta? Non vi importa più di me? Non vi ricordate ciò che quel mostro voleva e vuole tutt’ora farmi? Per caso vi ha plagiato la mente come con vostro figlio?»
«Giulia, Giulia, Giulia, ora sono le tue urla ad aumentare la mia emicrania».
«Io non urlo. Posseggo semplicemente un alto tono di voce L’ho ereditata da vostro figlio e voi dovreste saperlo bene».
«Riguardo al ballo non c’era nulla che io potessi fare. Se Pietro vuole che tu sia presente a quel ricevimento, è tuo dovere recarcisi» riprese la marchesa Adelaide utilizzando un tono stanco. «Bambina mia, sono giunta qui per proteggerti da quell’uomo, ma non posso contestare il volere di tuo padre».
«Non vi ho chiesto di contestare vostro figlio. Vi ho chiesto come avete potuto permettere che Adriano fosse il mio accompagnatore? Non potreste essere voi? Il protocollo ve lo consente in quanto siete una mia parente».
«I ricevimenti a cui partecipo a Torino sono vicini al mio palazzo e lo stesso quando trascorrevo qualche settimana a Verona per venir a trovarti. La contessa Novellis ospita il suo ricevimento nella sua villa di campagna e la strada non è delle migliori sia per la lunghezza sia per il suo stato».
«Quindi non c’è nulla che io possa fare per evitarlo?»
«Tu? No».
Giulia abbassò il capo sentendosi arresa allo stremo. Trovava incredibile che sua nonna la stesse abbandonando al suo destino. L’anziana marchesa era la seconda persona al mondo che più odiava Adriano e il suo comportamento in quel momento non poteva che lasciarla basita. Sospirò lasciandosi scivolare tutta la negatività in fondo ai piedi.
La nobile lasciò la stanza senza aggiungere parola, nella sua testa non ne circolavano di buone.
In quel castello non c’era nulla e nessuno in grado di tranquillizzarla, inoltre se avesse incontrato Adriano con quella sua faccia gongolante, quella sarebbe stata la volta buona che gli tirava uno schiaffo. Ragion per cui Giulia salì rapidamente nella sua stanza, disse a Rosalina che avrebbe trascorso il resto della mattinata fuori, prese i suoi guanti e si diresse nelle scuderie, dove si fece preparare un cavallo.
Galoppando velocemente per le strade dei boschi, la ribelle marchesina poteva dirigersi solamente da una persona. Quando il giovane fabbro del borgo la vide, con un’espressione turbata sulla soglia della sua bottega, capii che qualcosa era accaduto e nulla di lieto.
Giulia dovette attendere che finisse di battere il ferro caldo, prima di poter star in sua compagnia. Lei lo mise in conto ancor prima di partire ed era disposta ad aspettare tutto il tempo necessario. Per sua fortuna Giacomo terminò in poco tempo, poi insieme si rifugiarono alla riva del fiume che attraversava il bosco.
Il rumore dell’acqua era in grado di rilassare chiunque fosse in cerca di pace, per di più era una zona tranquilla e nascosta, perfetta per i loro incontri e per le loro riservate confidenze.
«No, Giulia! Tu non puoi assolutamente andare a quella festa insieme a quell’animale!» Giacomo l’aveva presa peggio della ragazza stessa. Il suo viso ero contratto in una smorfia furente, lo sguardo era fisso altrove e serrò le mani a pugno. «Bisogna impedire la tua partecipazione o la sua! Potremmo farlo cadere dalle scale... o potrei farlo io, sai che non mi dispiacerebbe affatto!»
«Sfortunatamente lo so» Giulia lo ammonì con lo sguardo. «Ascoltami, Giacomo, non voglio che tu finisca nei guai per colpa mia. Non faremo niente contro Adriano. Sembra che non si possa fare niente contro quel miserabile. Ha l’appoggio di mio padre e questo gli permette di muoversi a suo piacimento».
«E tua nonna? Credevo che in poco tempo l’avrebbe allontanato».
«Mia nonna mi ha dato un grande aiuto in passato e credevo anche io che si sarebbe liberata di Adriano a breve, invece sembra essersi consumata. Forse sono un’illusa, ma credevo veramente di aver le spalle parate da lei»  disse con tono sconsolato.
«Senza offesa, ma magari è solo vecchia».
Giulia alzò lo sguardo sul giovane fabbro e scoppiò a ridere. Era inevitabile. Giacomo aveva sussurrato quelle ultime parole per non offenderla e sul suo viso sudato era apparsa un’espressione tenera, sebbene la rabbia fosse ancora vivida in lui. Era un peccato che Giulia non riuscisse a destare il suo animo quanto, invece, per lei bastava la presenza del ragazzo.
«Mio caro» mormorò carezzandogli una guancia.
«Non tentare di incantarmi con quei occhietti da furba» replicò Giacomo facendola sorridere «se tua nonna non è in grado di tener lontano Adriano da te, dovrò pensarci io. Allontanerò il pensiero di spaccargli le gambe, le braccia o qualsiasi altro pezzo del suo corpo da pusillanime, però farò in modo che non ti tocchi nemmeno con un dito!»
Il ragazzo si alzò in piedi, con lo sguardo di Giulia che seguiva ogni suo movimento, e si mise a fissare le acque del fiume. Vide la sua immagine riflessa, ed era quella di uno sporco fabbro. Era quello che era. Apparteneva alla classe dei lavoratori, quelli che si spaccano la schiena per ottenere il minimo del salario.
Non era nobile come Giulia e nemmeno borghese come Adriano, ciò non toglieva che fosse colmo di coraggio e di determinazione. Volse lo sguardo verso l’unica persona per la quale avrebbe rischiato la sua stessa vita.
La vide seduta sul prato, intenta a guardarlo a sua volta, rivestita da un abito verde che metteva in risalto i suoi grandi occhi e i lunghi capelli sciolti che le incorniciavano il viso.
Per Giacomo era la creatura più innocente della terra, per questo e per altre ragioni lui sentiva di doverla proteggerla. Le dedicò un dolce sorriso, prima di inginocchiarsi e posarle un bacio sulla fronte.
«Ti voglio bene, Giulietta».
«Te ne voglio anche io».
Giacomo si rimise a sedere e poggiò la testa sulla sua casacca a terra. «Posso chiederti di quel conte di Verona?»
«Il mio amico intendi? Raffaello?»
«Sì, lui».
«Che cosa vuoi sapere?»
«Sbaglio o è lui che vuole sposarti?»
A Giulia scappò un sorriso divertito. Le parole del suo caro amico non erano del tutto errate, eppure non era tutto limpido come poteva sembrare.
«Raffaello è un ragazzo che definirei unico nel suo genere. È colto, è gentile, è molto bello… dico davvero, sembra più giovane della sua età fisicamente, però ha una testa niente male».
«Lui ti piace» tagliò corto Giacomo.
«Mi piace la sua compagnia. Sai è stato il mio primo amico a Verona e mi conosce piuttosto bene» continuò Giulia con aria spensierata. Raccolse una margherita e la portò al naso per sentirne l’odore delicato. Paragonava una margherita a Raffaello per la medesima delicatezza. «Credo che se vi conosceste, andreste molto d’accordo. Entrambi provate molto affetto per me, tanto quanto io ne provo per voi due».
«Non dire sciocchezze! Il mio affetto è più grande del tuo» replicò Giacomo facendole la linguaccia.
«Sei tu quello che dice sciocchezze» rise Giulia strappando i fili d’erba e lanciandoglieli addosso.
«Oh sì, con quelli mi hai fatto davvero male!»
«Te ne farò di più quando ti lancerò la scarpa».
Giacomo si tirò a sedere e si portò una mano al petto. «Sono sconcertato! Una marchesa del vostro rango che osa lanciare una scarpa ad un povero ragazzo come me? Signora, voi non conoscete alcuna bontà!»
Giulia applaudì la sua eccellente interpretazione drammatica e poi si buttò a terra, tenendosi la pancia dal ridere.
Quella fu una delle numerose occasioni in cui non sapeva come sarebbe andata la sua vita senza di lui. La luminosità che Giacomo elargiva riusciva ad offuscare ogni sua nube interiore.
«Vorrei vederti più spesso così».
«Così come?» domandò Giulia tirandosi su i gomiti.
«Gioiosa. Non ti sentivo ridere così forte da tanto tempo e quasi avevo dimenticato quanto fosse bella la tua risata» disse Giacomo spostandole dietro l’orecchio una ciocca di capelli. «Vedrai che la situazione migliorerà. Io sono sempre con te».«Lo so» rispose la marchesina prendendogli la mano e carezzandola tra le sue.
Giacomo l’ascoltava sempre, rideva con lei e la consolava. Di lui era certa di potersi fidare.
«Mi spiace, ma credo di dover far ritorno alla bottega» disse il ragazzo alzandosi e aiutando Giulia a sua volta. «Ti riaccompagno io alla tenuta. Non mi piace farti tornare da sola».
«Come se fosse la prima volta» commentò Giulia, con ironia.
«Sì, ma ora… ora non voglio correre rischi. Preferisco accompagnarti io. Posso lasciarti al cancello, non mi vedrà nessuno».
Giulia annuì, acconsentendo al suo volere. Saltarono entrambi sul cavallo della marchesina e si diressero alla tenuta, dividendosi al cancello.
Giacomo tornò al borgo a piedi, svincolandosi tra i vari sentieri che tagliarono gran parte del percorso, e Giulia si ritirò in camera sua, fingendo di nulla come al solito.
Doveva prepararsi per il ricevimento di quella sera, il suo primo ricevimento da quando aveva fatto ritorno in Piemonte. Gli occhi dei più pettegoli sarebbero ricaduti su di lei e sull’abito che indossava, ragion per cui necessitava di qualcosa di sobrio e al tempo stesso raffinato ed elegante.
La scelta cadde su un abito che le avevano regalato i suoi nonni materni. Era della stessa tonalità della lavanda, le decorazioni orientaleggiante erano poco più scure, possedeva una scollatura quadrata e le maniche erano strette, lunghe fino al gomito.
Come sempre Rosalina l’aiutò a vestirsi, a pettinarsi, ad agghindarsi e a questa serie di compiti aggiunse anche qualche consiglio per accecare quel disgraziato di Adriano se avesse commesso qualche mossa azzardata. Anche la cameriera era tesa per quella sera, Giulia lo percepì quando l’aiutò ad acconciarsi i capelli. Rosalina era una perfezionista riguardo le pettinature e sbagliò tre volte prima di azzeccare la forma corretta.
«Andrà tutto bene. Se è furbo come fa credere di essere, non mi torcerà un capello» disse la marchesina, tranquillizzando la sua cameriera. «Non dubito che mi infastidirà con le sue parole, ma non si spingerà oltre. Almeno lo spero».
«Oh, marchesa! Starò in pena per voi. Vi aspetterò alzata. Non chiuderò occhio fino a quando non farete ritorno».
«E invece dovresti andare a riposare. È stata una giornata stancante» continuò Giulia carezzandole una guancia.
«Assolutamente no signora! Sarà stata una giornata stancante, ma non più di altre… non intendo certo dire che voi mi date dei compiti stancanti, siete molto buona e vi voglio bene…» ogni tanto si impappinava nei suoi discorsi, eppure riusciva a ricomporsi e a trasmettere sicurezza. «Fino a quando i vostri piedi non toccheranno il pavimento di questa stanza, io non andrà a dormire. Potreste tornare anche all’alba, io non mi muovo!»
La sua testardaggine poteva gareggiare contro quella di Giacomo.
«Ti do carta bianca. Non posso fare altro» disse arrendevole Giulia «ci vediamo al mio ritorno».
Rosalina prese la sua mantella e gliela poggiò sulle spalle. «Buona fortuna, signora».
«Grazie» e con quel sussurro uscì dalla sua camera.
La marchesina camminava lentamente. Era decisamente poca la voglia di recarsi a quel ricevimento, soprattutto se Adriano era il suo accompagnatore. La certezza di dover passare gran parte della serata al fianco di quell’uomo ignobile le provocava a nausea. Pochi attimi prima aveva rincuorato Rosalina, ma la verità era che temeva che Adriano combinasse qualcosa a suo danno. Era il suo scopo.
«Sarò sempre la tua ombra. Un giorno diverrai mia».
Le parole che Adriano rivolse a Giulia, la sera del suo ritorno, erano una promessa solenne. Sancivano quell’incubo da cui pareva non esserci via di fuga. La marchesina nutriva una forte paura, ma ciò non leniva la sua tenacia e la determinazione nel raggiungere la libertà che tanto auspicava.
I ricevimenti pullulavano di nobili, molti di loro anche scapoli. Quella poteva essere la sua occasione per trovare un corteggiatore e dunque un papabile marito. Il matrimonio era la sua unica possibilità.
«Sei splendida».
Adriano le si avvinghiò al braccio.
«Toglimi le mani di dosso!»
«Perché devi essere sempre scontrosa? Faticherai a trovare un buon partito se continui con questi modi da contadina e non trovando marito non te ne andrai mai da qui… e da me» continuò Adriano divertendosi. Le stava a stretto contatto e la scortò alla carrozza che li attendeva all’ingresso esterno. «Molti uomini preferiscono una moglie silenziosa, accondiscendente e servizievole. Tu, mia cara Giulia, non sei nulla di tutto ciò. Tu possiedi un’anima infuocata e non sei facile da gestire. Lo sappiamo tutti. Quale nobile vorrebbe una donna del genere al suo fianco? Una che potrebbe sfigurarlo in società?»
Giulia lo strattonò con forza e si parò di fronte a lui. «Sei una serpe, Adriano. Tu sibili malignità per confondere le menti altrui, ma ti voglio ricordare che io non sono mio padre e nemmeno tua sorella. So bene chi sono, di certo non il genere di donna che si lascia manipolare da un essere infido come te. Sì, ho l’anima infuocata e con questo fuoco ho intenzione di bruciarti».
Lo guardava con una fermezza disarmante. Spesse volte persino lei si stupiva di ciò che riusciva a tirar fuori. Era come se la paura fosse stata abbattuta da un grosso macigno, composta dal profondo odio che provava per Adriano. Ne era contenta. Non si stava lasciando sopraffare dalla paura, come invece credeva che sarebbe accaduto.
Era fiera di sé stessa.

«Questa tua sicurezza è affascinante… e provoca in me una certa tenerezza».
«Sei ridicolo, Adriano».
«E tu un’illusa. Non ti libererai mai di me. Questa serata non è una prova sufficiente?»
«Di che prova cianci? Mio padre ha il raffreddore, tua sorella non è ancora sua moglie per farne le veci e mia nonna ha una fastidiosa emicrania» gli ricordò seccata Giulia. «Non c’è alcuna prova, ma solo sfortuna… la mia! Ora se permetti, saliamo sulla carrozza e partiamo. Non desidero arrivare in ritardo a causa tua».
La marchesina lo sorpassò, colpendolo malamente con la spalla.
«In realtà tuo padre non ha alcun raffreddore».
«Come?» si voltò Giulia.
«Il mio caro cognato Pietro non ha alcun raffreddore» ripetè Adriano esibendo la sua soddisfazione e riavvicinandosi a lei a passo felpato. «L’invito dei conti Novellis era rivolto a tuo padre e a te. Come altri nobili, hanno saputo del tuo ritorno e desideravano che fossi presente. Immagino sia stato per la curiosità e per spettegolare sul perché sei stata via per tre anni. Vedrai quante domande ti rivolgeranno stasera, sarà terribilmente entusiasmante e sono curioso di vedere come ti destreggerai tra le nobili di campagna. In fondo se sei sopravvissuta alle serpi di città, queste dovranno sembrarti topi in confronto, no?»
«Quello che dici non ha alcun senso».
«A proposito delle…»
«A proposito che mio padre non ha realmente il raffreddore. Spiegati!»
Adriano si stirò il panciotto con le mani e poi gonfiò il petto. Un’espressione maliziosa si dipinse sul suo viso. «Non sei stata attenta, mia cara Giulia. Ho detto che l’invito era rivolto a tuo padre e a te, solo a voi due, non v’era scritto il nome di mia sorella. Ragion per cui ho consigliato al marchese Pietro di non recare quest’umiliazione a Elena e fingere una leggera influenza. Sappiamo tutti quanto la mia povera sorella soffrirebbe al pensiero che non l’hanno invitata per via della sua attuale condizione sociale».
«Non dovrebbe esserne stupita. I nobili non apprezzano voi borghesi e non tutti aprono le loro porte, specialmente alle feste».
«Eppure stasera io ti accompagnerò».
«Emozionato per il tuo primo e ultimo ricevimento?» lo provocò Giulia.
Adriano digrignò i denti e quel suo maledetto sorriso scomparve. L’afferrò sgarbatamente per il gomito, trascinandola alla carrozza. In quel rapido momento, Giulia intravide Giacomo. Indossava gli abiti di un paggio, teneva i capelli scuri legati da un fiocco e sul suo capo posava il tricorno, un capello a falda larga e fermato in tre punti.
Era certa che fosse lui, sebbene non si spiegasse che cosa ci facesse lì e soprattutto vestito in quella maniera. Il fabbro toccò la punta del cappello, lanciandole un’occhiata intensa.
Improvvisamente fu tutto più chiaro. Giacomo si era camuffato per accompagnarla al ricevimento e proteggerla. In effetti Giulia si sentì più tranquilla, sapendo di averlo vicino, sebbene temesse che presto o tardi si sarebbe cacciato nei guai a causa sua.
«Eccovi!»
Adriano e Giulia si voltarono e con gran sorpresa videro il duca Pietrarossa uscire dalla tenuta. Indossava una redingote nera dalle decorazioni in ocra, abbinati ai calzoni, e un panciotto azzurro in perfetta tinta con i suoi occhi. Vestiva troppo elegantemente per una passeggiata, era chiaro dove intendesse recarsi.
«Adriano credo che per stasera ti toccherà stare qui».
«Come… come dite, duca?» chiese confuso.
«Sarò io ad accompagnare la marchesina Guerra. Vostro cognato, oh pardon! Il vostro futuro cognato mi ha domandato questo favore e mi stupisco di essermi preparato in tempo» spiegò rapidamente Andrea, mostrando un largo sorriso al ragazzo e schioccando un’occhiata a Giulia. «Sapete, ho proprio voglia di dilettarmi e per di più adoro le feste! Sono stato lontano da balli e ricevimenti troppo a lungo. In fondo il favore del marchese non mi dispiace affatto».
Adriano era piuttosto contrariato.
Il duca Pietrarossa gli sorrise, dandogli una leggerla pacca sul viso. «Non dolerti, Adriano. So bene che piuttosto di andare a questi pomposi ricevimenti, preferisci recarti alla locanda. Eccoti accontentato! Ti dispenso da far da balia a questa graziosa fanciulla e ti prometto che la proteggerò meglio di quanto fanno le guardie con il re».
«Non credo che tu possa autoinvitarti» replicò il borghese.
«Io non mi sto autoinvitando. Conosco Filippo Novellis da prima di conoscere te e sapendo del mio ritorno mi ha invitato una settimana fa» rispose prontamente Andrea. Lo scrutò per qualche attimo. «Non dirmi che desideravi veramente andare a questo ricevimento?»
«Affatto!»
Adriano tentò di nascondere il suo fastidio, ma con scarsi risultati.
«Se permetti, ora partiamo. Ti auguro una buona serata. Divertiti!» esclamò Andrea facendogli l’occhiolino e poi porse la mano a Giulia per aiutarla a salire sulla carrozza. «Dopo di voi marchesina».


 

Mrs. Montgomery
E ora che cosa accadrà al ricevimento dei conti Novellis?
Sicuramente è un occasione in cui Giulia e Andrea impareranno a conoscersi, ma ci saranno altri personaggi ad attirare la vostra attenzione e che potrete rivedere col tempo.
Nella conversazione tra Giulia e Giacomo è uscito il nome di Raffaello. Costui è un amico stretto di Giulia. Lo sentirete ancora nominare e poi... poi entrerà in scena e lo farà con stile.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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Capitolo 8
*** Insieme al ballo ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 7
Insieme al ballo

 

 

La tenuta di campagna dei conti Novellis sorgeva alla sommità di una collina e le sue terre confinavano con il torrente Orco. Si trattava di un castello antico, edificato attorno al dodicesimo secolo, che si presentava su una pianta rettangolare e come molti era un ampliamento delle torri massicce. Per oltrepassare le mura, le carrozze degli invitati dovevano attraversare il ponte levatoio, dopodichè si ritrovavano nell’immenso cortile interno dal quale si accedeva al salone d’ingresso.
Giulia sapeva che in origine apparteneva ad una ricca famiglia di Milano, ma furono obbligati a venderla a causa dei debiti di gioco di un parente acquisito. Il vizio dell’azzardo era uno dei peccati più grandi dell’uomo, ad opinione di sua nonna non v’era alcuna cura e portava solamente alla rovina. Fortunatamente nella famiglia Guerra nessuno ne soffriva, nonostante ciò erano altri i mali al suo interno.
La marchesina si stava recando lì per la prima volta. Rammentava di aver conosciuto i padroni del castello quando era piccola, per la precisazione ad un ricevimento che aveva organizzato sua madre, ma era passato talmente tanto tempo che nemmeno ricordava i loro visi. Naturalmente se gliel’avessero domandato avrebbe mentito.
Era così che si viveva in società, fare sempre buon viso a cattivo gioco. Sua nonna Adelaide ne era un’esperta e le aveva insegnato qualche trucchetto, il problema di Giulia era che inevitabilmente si percepivano i suoi pensieri dall’espressioni del suo viso. Pur desiderandolo, faticava a non manifestare i suoi reali pensieri. 
«Siamo arrivati!»
Il duca Pietrarossa scese dalla carrozza con un balzo e dopodichè allungò una mano per aiutare Giulia a scendere dal mezzo.
La giovane gli rivolse un leggero sorriso, prima di alzare lo sguardo sul castello e ammirarne la facciata. Il suo primo pensiero capitolò su quella serata che era stata salvata quando ormai credeva che non ci fosse più alcuna speranza. Sicuramente non poteva andar peggio come nel caso in cui ci sarebbe stato Adriano.
«Andiamo?» la esortò Andrea mostrandole il braccio.
Giulia si lasciò accompagnare, ma prima volse uno sguardo alle sue spalle. Esattamente come immaginava, Giacomo la stava osservando e sul suo viso non v’era un’espressione tranquilla. Le circostanze impedivano loro di poter comunicare verbalmente.
La marchesina riuscì a mostrargli un cenno per fargli capire che non c’era alcun pericolo, sebbene sapesse che non sarebbe servito a rincuorare il giovane fabbro in incognito. Giacomo era alquanto possessivo nei suoi confronti. Non era propriamente geloso, ma molto protettivo. Ciò l’avrebbe fatto rimanere in pena per tutta la serata.
Nel frattempo Andrea la condusse all’interno del castello, dove incontrarono immediatamente i padroni di casa. Il conte era un uomo tutto d’un pezzo, con la scura barba incolta e i occhi grandi innocenti. Sua moglie la si poteva riconoscere ovunque per il volume dei capelli ramati.
Ella si stringeva al suo braccio e amava nascondere le sue labbra carnose dal grande ventaglio che impugnava con fermezza. I suoi occhi furbi saettarono subito sulle figure distinte di Andrea e Giulia. Congedò in fretta gli ospiti da poco accolti e si tuffò a sussurrare qualcosa all’orecchio del marito.
«Buonasera, miei cari!» esclamò allegra la signora contessa, prima di salutarsi secondo le buone regole.
«Andrea, è un piacere rivedervi» disse il conte rivolgendogli un sorriso cortese «vi ringraziamo per aver accettato l’invito. Inizialmente pensavamo di esserci comportati da stolti. Avete affrontato un grave lutto e forse siamo stati irrispettosi nei vostri confronti…»
«Non temete, Armando. Nessuno offesa mi è stata arrecata» rispose il duca Pietrarossa con gentilezza. «Mio padre è morto da mesi e indubbiamente sarà una ferita sempre aperta, ma la vita continua e noi che abitiamo ancora questa terra  non possiamo far altro che proseguire con la nostra vita».
«Parole sagge e coraggiose».                                                 
«Meraviglioso» sospirò la contessa, sventolando candidamente il suo ventaglio. «È una rarità trovare uomini con un animo ardito come il vostro. La fanciulla al vostro fianco ne andrà fiera, vero… ehm… chi avete detto di essere?» domandò rivolgendosi a Giulia.
«Marchesa Giulia Guerra».
La contessa strabuzzò gli occhi, incantata da quella rivelazione. «Siete la figlia di Francesca e di Pietro! Oh certo, mi avevano avvertita del vostro ritorno e infatti non potevo sottrarmi dall’invitarvi. Mi onora la vostra presenza marchesina. Si tratta del vostro primo ricevimento in Piemonte e il Cielo solo sa quanto sono elettrizzata!»
Sorridere a quella reazione fu inevitabile. La signora contessa esprimeva una gioia contagiosa. Per la prima volta chiuse il suo ventaglio e lo diede in mano al marito per poi avvicinarsi alla giovane nobile.
«Vorrei che sapeste che ricordo con affetto vostra madre. Poter vedere sua figlia varcare la soglia di questa casa, che ha udito le risate di una donna perbene, mi rende immensamente felice».
Quelle parole proferite con una sincerità disarmante, resero Giulia infinitamente fiera. Qualunque persona che nominasse sua madre con affetto otteneva immediatamente il suo rispetto e un minimo di riconoscenza per ricordarla ancora.
«Bentornata a casa, marchesina» le disse la contessa dandole un bacio sulla guancia. «Sapete che conosco il vostro accompagnatore da talmente tanti anni che ho smesso di contarli? Credo che la vostra rete ha pescato un pesce grosso e sfizioso».
«Clara, per cortesia! Non cominciate!» l’ammonì suo marito.
La donna riprese il suo ventaglio e scoppiò a ridere, lanciando varie occhiate ai suoi ospiti.
«Mi duole sciogliere il vostro divertimento, signora, ma non è come credete» prese in mano la situazione Andrea. «Accompagno la marchesina Guerra perché suo padre non era nelle condizioni ideali per partecipare al vostro ricevimento».
«E posso domandare il motivo della vostra generosità?» continuò a stuzzicarlo la contessa.
Andrea mostrò un sorriso di pura cortesia. «Cara Clara, se mi conosceste bene come alludete, dovreste sapere cosa spinge tale generosità».
Giulia non riuscì a seguire quel loro scambio di battute. Non era semplice come appariva. Si guardavano come se avessero intuito tutto mentre quel tutto sfuggiva alla giovane marchesina. Preferì non domandarsi niente e mantenere il suo sorriso di cortesia.
«Sì e spesse volte finisce con un cuore infranto».
«Chi può dire che continuerà ad essere così? Forse sarò io ad uscirne col cuore spezzato».
«Avvertimi in quel caso, mon ami, si tratterebbe di un evento a cui voglio proprio assistere» lo punzecchiò la contessa Novellis.
«Sarai la prima».                                                                                                 

«Lo spero bene».
Andrea mostrò un’espressione divertita. «Nel caso mi dovessi sposare, ti consegnerei l’invito di persona giusto per vedere la vostra espressione sbalordita».
«Voi che vi sposate? Il vostro matrimonio diverrebbe l’evento della stagione… ma che dico… diverrebbe l’evento dell’anno!»
«Non potrebbe essere diversamente trattandosi di me».
«Mia cara, vi tocca battere in ritirata» rise il signor conte. «Duca, marchesina, entrate pure in salone e divertitevi».
«Certamente sarà così» rispose Andrea, prima di sorpassarli tenendo stretta la mano della sua dama.
I conti Novellis erano molto simpatici, accoglievano ogni singolo ospite con dei bei sorrisi e non quelli comunemente di convenienza. I loro ricevimenti distavano di somiglianza a quelli di molti altri nobili piemontesi. Prima di tutto nessuno, proprio nessuno, si annoiava ed era un caso insolito che accadessero liti o risse causate dal troppo alcol.
Entrare nella loro sala dei ricevimenti era come entrare in un mondo composto unicamente dall’allegria e dal buon senso. C’era chi danzava, chi si estraniava nel salotto adiacente e giocava a carte, oppure chi si ingozzava con i pasticcini.
Chiaramente non poteva essere tutto rose e fiori. Erano presenti le classiche nobili, alcune erano pure zitelle, che si impicciavano delle questioni altrui o si impegnavano a metter bocca su ciò che affatto non concerneva loro. Ma se uno era sufficientemente furbo non si lasciava rovinare la serata dalle loro mali lingue.
Un servitore tolse il mantello di Giulia poco prima di lasciarle sorpassare la soglia che divideva il salottino dalla grande sala dove si stava svolgendo il ricevimento.
«Ottima scelta, se me lo concedete» disse Andrea osservando lo sfarzoso abito color lavanda. «Non banale e con un tocco raffinè. Scommetto che proviene dalla Francia, o sbaglio?»
«Vi piace vincere con facilità, duca. Siete stato in Francia abbastanza per riconoscerne lo stile».
«Non scommetto mai su qualcosa che so di perdere».
«Impressionante» commentò Giulia, sebbene l’espressione sul suo viso non lo manifestava. «Trasmettete sempre molta sicurezza duca. Credo che sia questo a rendervi affascinante agli occhi di… be’ praticamente chiunque vi incontri».
L’uomo assunse un’espressione furba e maliziosa. «Oh, quindi mi ritenete affascinante?»
«Perché dovete sempre giocare con le mie parole?»
«Perché è divertente vedervi irritata».
«Siete un vero gentiluomo» lo fulminò Giulia.
«Lo so».
La marchesina roteò gli occhi e sospirò pesantemente. Lui si allietava parecchio a punzecchiarla. Giulia non ebbe dubbio che si sarebbe durante quella serata si sarebbe svagato. Decise di allontanare i pensieri da quello sfacciato e osservò le coppie che stavano danzando al centro della sala.
Le scappò da sorridere al ricordo dei ricevimenti a cui partecipò a Verona assieme al suo amico Raffaello. Egli fu il suo primo amico e la prima persona che le strappò un sorriso sincero in terra straniera. Da quando era tornata in Piemonte mantenevano una corrispondenza. Giulia sperava che ben presto si potessero rivedere, gli mancava più di quanto immaginasse.
«Questo è il vostro primo ballo vero?» attirò la sua attenzione Andrea. «Credo che dovreste condividerlo con una persona di un certo spessore. Dubito che vogliate sfigurare alla prima entrata in scena nella vostra terra natìa».
«Su questo non posso che darvi ragione, duca. E quale tra questi gentiluomini mi consigliate? Quale di loro ha questo certo spessore?»
«Parlavo di me, marchesina».
Lei lo fissò dubbiosa. «Voi sareste la scelta migliore?»
«Naturalmente».
Al loro cospetto giunse un nobile alto e dall’ampia fronte. Mostrò una leggera riverenza al duca Pietrarossa e baciò la mano alla marchesina, presentandosi.
«Buonasera. Sono il barone Ezio Mancini e vorrei domandare il permesso di poter ballare con codesta fanciulla».
«Volentieri!» esclamò Giulia e, prima che il suo caro duca potesse replicare, si lasciò condurre dal giovane nobile.
Andrea la osservò per tutta la durata del ballo e per quelli successivi con gli altri blasonati. Tal volta si unì anch’egli alle danze, ma i suoi occhi guardinghi erano rivolti ad un’unica dama in quella sala e lei non se ne accorse minimamente.
La marchesina era troppo impegnata a sorridere ai suoi partner di ballo o a ringraziare qualora la complimentassero. Giulia desiderava farsi largo nella società, quello era il suo posto, senza contare che la caccia al pretendente ideale sarebbe stata più facile. Pareva ignorare che il suo accompagnatore fosse uno degli uomini più avvenenti presenti a quel ricevimento e invece ne era ben consapevole!
Solamente una sciocca o una cieca poteva non accorgersi dell’affabilità del duca Andrea. Giulia non dubitava che molte donne si stavano mangiando le mani desiderose di essere al suo posto e probabilmente avrebbe reagito alla stessa maniera.
Il suo atteggiamento fintamente indifferente era collegato al fatto che non voleva darsi false speranze per un uomo che se ne sarebbe andato di lì a poco. Inoltre era chiara l’intenzione del duca di non sposarsi.
Dopo quattro balli la marchesina venne trascinata in un circolo ristretto di nobildonne che tra un pasticcino e l’altro chiacchieravano nel tranquillo salottino adiacente.
«Non vedo l’ora che si completi quel teatro di Milano… uhm… come hanno deciso di chiamarlo?»
«La Scala, mi pare».
«Oh, sì! Ora ricordo. Prende il nome da quella chiesetta che hanno abbattuto, giusto? Quella vicina al palazzo reale?»
«Chiesetta non direi proprio» commentò una donna dal pomposo abito vermiglio. «Mia cara Anna, si ben comprende che non siete mai stata a Milano. La chiesa di Santa Maria della Scala è una collegiata e non una semplice chiesetta».
Non potendo ribattere, l’altra nobile sviò il discorso. «Mi auguro che metteranno in scena delle opere dilettevoli come quelle di Goldoni. Personalmente lo trovo celeberrimo! Ho adorato “La Casa Nova”…»
«OH! Una storia di borghesi… dobbiamo sorbirci pure le loro storie a teatro!» commentò sdegnata una nobile dal lungo collo che Giulia ricordò essere la marchesa Bramini. «Questi nuovi ricchi che si atteggiano come nobili quando invece… non dovrei nemmeno spendere fiato per quelli!»
«E dunque non fatelo, Priscilla. Ormai dobbiamo convincere con queste persone che… che fanno quel che fanno».
«Acquisire titoli nobili quando non hanno il sangue giusto, ecco quello che fanno!»
Giulia non potè che pensare ad Elena, che sposando suo padre avrebbe acquisito il titolo di marchesa, ma non proferì parola.
«Priscilla, calmatevi».
La marchesa Bramini mugugnò qualche parola incomprensibile e cominciò a sventolare il suo ventaglio.
«Tornando a parlare del teatro, spero che il nostro amico Vittorio riesca a mettere in scena una delle sue opere» continuò la donna dall’abito vermiglio. «Qualcuna di voi ricorderà certamente “Antonio e Cleopatra”… un vero successo!»
«Oh sì, un vero successo!» la seguì la baronessa Morali.
«A palazzo Carignano… chi se lo può scordare!» commentò poi la marchesa Priscilla Bramini.
«E voi Giulia?» la incalzò la contessa Vintani. «Siete certamente la più giovane fra noi, ma abbiamo saputo che la vostra permanenza a Verona vi ha dato un’ottima base culturale. Avete assistito a qualche commedia?»
«Ahimè poche» rispose Giulia assumendo una posizione composta. «Ho assistito a varie opere liriche al teatro filarmonico. Numerosi artisti di fama internazionale ne sono stati ospiti. Personalmente ho apprezzato “la contessina” di Piccinni…»
«Niccolò! E l’avete conosciuto di persona?» balzò la marchesa Bramini.
«Un breve scambio di parole».
«Pensate marchesina che io l’ho conosciuto a Parigi, dove era stato invitato dall’attuale regina di Francia».
Tutte le nobildonne presenti alzarono gli occhi al cielo e sospirarono attendendo di udire per l’ennesima volta la storia della loro amica.
«Chiaramente non potete esserne a conoscenza siccome mi avete conosciuta stasera, ma ho risieduto a Parigi per un decennio assieme al mio primo marito… oh il mio François. Ho persino assistito al matrimonio di Maria Antonietta, quella piccola austriaca che ora fa parecchio parlar di sé, ma questa è tutt’altra storia. Stavamo parlando di Niccolò, giusto? Ebbene quell’uomo è uno dei migliori compositori che io abbia mai conosciuto!»
«Per forza, non ne ha conosciuti altri» ridacchiò a bassa voce la baronessa Morali.
«Marchesina, ora che siete tornata in Piemonte, vedrete che assisterete a molti spettacoli teatrali e ai nostri ricevimenti. Il prossimo mese ne terrò uno io nel mio palazzo a Torino e voi e il duca Pietrarossa sarete invitati!»
«Costanza, che cosa dite? State insinuando che tra questa graziosa fanciulla e il bell’Andrea ci sia del tenero?» la riprese bruscamente la contessa Vintani.
«Oh non v’è niente tra loro! Mon Dieu, perdonatemi marchesina» s’apprestò la spigliata marchesa Bramini. «Perdonatemi veramente. Il fatto è che non ho mai visto Andrea accompagnare una dama ad un ricevimento, nemmeno quando risiedeva a Versailles».
«Veramente?» domandò la baronessa Morali, essendone meravigliata. «Credevo che avesse avuto una storia con una qualche duchessa».
«Se parli della duchessa d’Ambroise, confermo. Ma si trattava di qualcosa di fugace e senza importanza».
«Come tutte le sue liaisons» commentò la contessa Vintani.
«Se parlate così di lui farete credere alla nostra nuova amica che Andrea sia un donnaiolo» le fermò Priscilla.
La baronessa Morali aprì bruscamente il ventaglio. «E lo è! Mia nipote Claudia non ha accettato il fidanzamento con lui perché ha saputo che corteggiava sua cugina Clelia!»
«Oh smettetela Enrichetta! Lo sappiamo tutti quanti che è stato Andrea a rifiutare vostra nipote perché era troppo asfissiante nelle sue lettere. Nemmeno la stava corteggiando, così come non stava corteggiando Clelia» replicò duramente Priscilla Bramini, mettendo a tacere l’amica seduta sul divanetto opposto al suo. «Andrea è un uomo da bene. Ha avuto qualche storia senza importanza, come tutti gli uomini, ma non si è mai fidanzato. È furbo. Sa che essere un uomo gli da una sconfinata libertà e può scegliere con chi dover passare tutta la sua vita. Siccome è economicamente stabile, credo che se nell’improbabile caso in cui si accaserà sarà per… quasi mi scappa da ridere, ma è così… per amore».
Un coro di sospiri si levò nel loro circolo ristretto.
«Amore, amore… che cosa sarà mai? Esisterà veramente?»
«Chi può dirlo, mie care amiche?» mormorò la marchesa Bramini, prima di bersi un sorso di vino. «Io so di esser stata felice con il mio primo marito, François. Lo conoscevo fin da bambina e sono stata fortunata che i miei genitori scelsero lui. Furono i suoi numerosi possedimenti e la ricchezza della mia famiglia, eppure gli volevo uno strano affetto prima del matrimonio, durante e dopo la sua dipartita».
«Perché lo definite strano affetto, marchesa? Se posso domandarlo?» incalzò Giulia curiosa.
Priscilla sorrise dolcemente. «Fin da bambini trascorrevamo le estati sempre insieme per via della mia e sua residenza estiva a Nizza. Nei suoi confronti provavo lo stesso affetto che provavo per mio fratello, eppure c’erano cose che ero disposta a fare per François e non per mio fratello».
«E noi tutte immaginiamo bene che genere di cose» sibilò divertiva la baronessa Bramini.
«Non solamente» ci rise sopra la marchesa Priscilla. «Per François avrei fatto qualsiasi cosa immaginabile. È stato un matrimonio felice, poi mi è stato portato via da un tremendo male. C’è voluto del tempo per uscire dal lutto e la mia decisione di risposarmi non è stata dovuta ai soldi o al potere. Il mio attuale marito, quell’uomo che potete vedere laggiù» disse indicando con il capo un nobile dai tratti mediterranei e dal gran sorriso «è stato l’unico a cancellare ogni emozione negativa e ora sono più serena. Non so se tra noi c’è quell’amore di cui scrivono i poeti, però posso affermare di essere felice».
Cadde il silenzio fra le nobildonne. Priscilla manteneva il suo sorriso, sebbene fosse palese che il ricordo del defunto marito fece calare su di lei la malinconia. Le sue amiche - e lo erano veramente - mostrarono la loro comprensione. Per quanto ognuna potesse essere superficiale, arrampicatrice sociale, un po’ pettegola o solamente annoiata, tutto si dissolveva di fronte ad un’amica in difficoltà. Giulia mostrò la sua comprensione a sua volta e ricordò una delle perle di saggezza di sua nonna Adelaide: «Gli uomini si credono superiori e sono più liberi delle donne, ignorano che le donne sono più pericolose. Una donna può essere nemica di un’altra donna e si distruggeranno a vicenda, ma quando le donne si uniscono sono indistruttibili e si trasformano nell’arma armi più potente di questa terra».
Ed era così che stava osservando quella scena e le venne spontaneo pensare a quelle parole. Trascorse il tempo sufficiente con quelle signore per capire che erano le tipiche nobili leggermente pettegole e interessate ad osservare le vite altrui, ma che mettevano da parte ciò che la società voleva che fossero per sostenere una loro pari e non burlarsi di un suo personale momento di tristezza. Un lieve attimo di silenzio e poi cominciarono a parlare degli eventi della stagione in arrivo.
Giulia rimase con loro per un’ora o poco più, poi uscì in giardino in cerca di Giacomo. Voleva rassicurarlo che era sana e salva e che nessuno aveva allungato troppo le mani. In realtà c’era stato un barone in su con l’età, che sputacchiava quando parlava e desiderava invitarla a ballare, ma fortunatamente venne salvata dal duca Pietrarossa che la trascinò in salotto e le presentò le tre nobildonne. Giulia non riuscì nemmeno a mettere piede in giardino che il suo salvatore le sbarrò la strada.
«Vi siete divertita con il trio delle meraviglie?»
«Sono donne di piacevole compagnia».
«Immaginavo vi sarebbero piaciute, marchesina. D’altronde sono anche le più simpatiche… uhm forse la baronessa Morali non spende belle parole sulla mia persona, ma ha le sue buone qualità».
«Sì, mi è giunta voce delle vostre marachelle!» esclamò Giulia ridendogli in faccia.
«Per esempio?»
«La baronessa dice che avete spezzato il cuore di sua nipote e che in Francia vi siate divertito parecchio. Non che mi aspettassi nulla di diverso, in fondo siete talmente affascinante che ogni donna cadrebbe ai vostri piedi».
Andrea corrugò la fronte e inarcò le sopracciglia. Non capì se lo stava insultando, lusingando o si prendesse gioco di lui. Riflettendo sulla loro breve, ma trasparente, conoscenza optò rapidamente per la terza possibilità.
«La vostra gentilezza mi colpisce sempre».
Giulia mostrò un sorriso beffardo.
«Ad ogni modo sono qui per aiutarvi».
«Aiutarmi?»
«A sdebitarvi, marchesina».
«A sdebitarmi?»
«Vi state burlando di me o è una nuova consuetudine ripetere ciò che dico?»
«Se foste più chiaro, io sarei meno confusa!» replicò Giulia, mettendo le braccia conserte e guardandolo storto.
L’uomo sbuffò e roteò gli occhi. Detestava quando quella fanciulla riusciva a disarmarlo verbalmente. Lo detestava e lo adorava allo stesso tempo. Andrea non comprendeva il proprio cambio repentino di emozioni. Forse stava diventando pazzo.
«Ricordate che prima vi ho salvato da quel vecchio nobile, portandovi a conoscere il trio delle meraviglie?»
«Sì, e quindi?»
«E quindi direi che potreste sdebitarvi offrendomi un ballo. Direi che me lo sono ampiamente meritato» affermò Andrea gonfiando il petto. «Immaginate l’invidia che provocherete mentre vi stringerò tra le mie braccia».
«Onestamente ne dubito dal momento che avete già danzato con altre nobili».
«Oh, siete forse gelosa?» la provocò Andrea, avvicinando il suo viso e guardandola fisso negli occhi.
«Io? Di voi? Sognate fantasticherie!»
Il duca battè in ritirata, ma conservò il suo sorriso furbo. «Un solo ballo».
«Se questo servirà a farvi tacere, acconsento».
Andrea gongolò mentre la marchesina mise la mano nella sua. La condusse al centro della sala, dove le coppie stavano prendendo posto nella propria fila. I gentiluomini a destra e le signore a sinistra. Giulia notò come la loro presenza attirò non pochi sguardi, era come se attendessero il loro primo ballo, come se incredibilmente fossero diventati lo spettacolo di punta di quella serata.
Ciò la mise leggermente in imbarazzo. Se avesse pestato i piedi al suo partner o se sarebbe scivolata a terra, le burle su di lei avrebbero avuto la durata di un’intera stagione. Per molti il pettegolezzo era il pane quotidiano.
I musicisti iniziarono a suonare, per fortuna di Giulia non si trattava di una danza dai passi rapidi. Si iniziò con la riverenza e poi ogni coppia si unì. Trascorsero in silenzio il primo giro di danza e poi l’affascinante duca parve in vena di far due chiacchiere.
«Sono piacevolmente stupito. Tenete il ritmo e non sbagliate un passo!»
«Le vostre parole recano a me stupore, duca. Sì… mi stupisce che voi avreste invitato una dama della quale dubitavate la capacità di danzare e che vi avrebbe portato ad ottenere una pessima figura».
«In realtà ne sarei stato deluso. Marchesina, se non si tiene conto della vostra natura intemperante, siete molto aggraziata. Dunque non potreste mai farmi sfigurare».
«Se proprio ci tenete a conversare, prendo lezioni di danza da quando avevo otto anni. E se mi tocca essere onestà, sperando di non pentirmene, affermo che siete il miglior partner di danza di questa sera».
Andrea sorrise sornione. Amava essere adulato, ancor di più da Giulia perché era ben conscio di recarle un leggero fastidio nell’ammetterlo.
«Solo di questa sera» precisò nuovamente la fanciulla.
«E se non vi sembro impertinente, chi mai mi supera?»
«Un amico».
«Un amico? Solo amico?»
Giulia soffocò una risata divertita. «Ora siete voi il geloso?»
«E chi sarebbe costui?» sviò la domanda.
«Un giovane nobile di Verona, con cui mantengo una corrispondenza in quanto condividiamo un’amicizia sincera e senza secondi fini» rispose Giulia con pacatezza. Gli mancava veramente molto e si poteva capire dall’espressione del suo viso che, dapprima molto allegra, scese di tono sfiorando la malinconia.
«Non vi siete ancora abituata ad esser tornata qui, vero?»
«Che cosa ve lo fa credere?»
«È un impressione personale. Potrei sbagliarmi».
«Be’ non vi sbagliate e lo sapete» rispose Giulia, inclinando il capo per lanciargli un’occhiata d’intesa.
Lo conosceva sufficientemente per affermare che il duca non parlava se non era certo delle sue constatazioni. Proferiva anche delle supposizioni, ma esse erano ben ponderate. Non era il tipo d’uomo che dava aria alla bocca e questo lei lo apprezzava parecchio.
«Ho lasciato molte persone care a Verona. Ormai quella era diventata la mia casa e… e non mi dispiacerebbe farvi ritorno».
«Siete molto dura, marchesina. Ma immagino abbiate le vostre ragioni» s’arrese Andrea.
«Senza dubbio» rispose lei risoluta.
Piombò il silenzio e continuarono a seguire la danza, volteggiando tra le varie coppie, scostandosi e riprendendosi. Giulia immaginava che il duca avrebbe ripreso quella conversazione, spinto dalla sua curiosità, e siccome si era aperta fin troppo per i suoi standard, decise di prendere in mano la situazione e proseguire con argomenti più futili.
«La marchesa Bramini ha figli?»
Era la prima cosa che le saltò in mente. Forse non la più geniale, ma l’unica che potesse sviare il discorso.
«Quattro. La primogenita vive in Francia con il marito e il fratello. Il terzo figlio credo sia a Venezia e l’ultimo abita con lei a Torino» rispose Andrea che li conosceva tutti quanti. «Sono delle brave persone, come Priscilla del resto».
«Avete anche conosciuto il primo marito?»
L’uomo annuì e prendendole la mano le fece fare una giravolta. «Ho conosciuto François quando ho soggiornato a Parigi. La maggior parte del tempo lo trascorrevo con loro e mi hanno aiutato a inserirmi nella società francese. Se sono riuscito a soggiornare a Versailles è stato soprattutto grazie a François e Priscilla. C’è stato un periodo in cui volevano fidanzarmi con Brigitte».
«La primogenita. E che cosa andò storto, se posso permettermi?»
«Ero troppo giovane per… per stabilirmi, impegnarmi… quelle cose là!»
«Dovevo supporlo» commentò Giulia con una punta di tristezza, chiedendosi subito dopo perché mai avrebbe dovuto essere malinconica per via di quell’uomo.
Nutriva nei suoi confronti una simpatia, nulla di più! Aveva compreso da tempo che non poteva aspettarsi niente che una battibeccante amicizia e le bastava.
Lo trovava bello e audace? Certamente, eppure aveva le redini ben salde su se stessa e non si sarebbe lasciata trascinare dall’avvenenza del duca. Se la sua vita non stesse percorrendo una via tortuosa e piena di insidie, forse si sarebbe sbilanciata dalla sua ferrea convinzione di non farsi abbindolare da quell’uomo.
Era naturale provare attrazione per il duca Andrea Pietrarossa e Giulia ammetteva liberamente a se stessa che non le era affatto indifferente. Peccato che i loro obiettivi fossero completamente opposti. Andrea amava essere libero da ogni responsabilità e Giulia desiderava accasarsi per allontanare una costante ombra che la perseguitava. Non c’era nulla che poteva unirli, bisognava accettarlo.
Quando la musica termino, Giulia fece la riverenza di fine ballo e poi gli voltò le spalle, intenzionata più che mai ad uscire in giardino.
«Dove andate?» Andrea la raggiunse rapidamente.
«A prendere una boccata d’aria».
«Ballare con me vi ha mozzato il fiato, marchesina?»
La marchesina si voltò per lanciargli un’occhiata poco gentile. «Siete veramente uno sfacciato!» esclamò e poi camminò rapidamente verso la sua meta, ma non fu abbastanza lontano per sentire la risata divertita di Andrea.
Decise di non ribattere e continuare per la sua strada. Raggiunse il giardino con non poca difficoltà, si perse almeno per tre volte, sbagliando l’uscita e scambiando un corridoio per un altro. Solitamente non era imprecisa a seguire le indicazioni, ma nonostante avesse chiesto a ben tre ospiti che le diedero le stesse informazioni, riuscì a perdersi. Quando arrivò a destinazione, si accorse che dal salone avrebbe potuto uscire sulla terrazza e poi scendere una rampa di scale.
«Che diamine mi prende stasera?» borbottò tra sé e sé e si passò una mano sul viso.
Sbuffò sonoramente e si sedette su una panchina di marmo. Le facevano male i piedi e iniziava a sentirsi un po’ stanca. Non era più abituata ai ricevimenti. L’ultimo a cui partecipò fu a Febbraio, un ballo in maschera nel palazzo del suo amico Raffaello. Era già arrivata la missiva di suo padre, avvertendola che sarebbe dovuta tornare in Piemonte, e il buon Raffaello volle dedicarle una festa.
«Non è un addio. Solamente un modo per ricordarti che Verona attenderà il tuo ritorno» le disse quella sera.
«E si spera di tornare» mormorò Giulia, seduta su quella panchina, a troppa strada di distanza da Verona. Improvvisamente sentì dei rumori provenire alle sue spalle. Si voltò e vide qualcosa muoversi nella siepe. S’alzò in piedi con un balzo e col cuore palpitante dalla paura disse: «Chi va là?»
«Giulietta, sono io. Sono Giacomo» disse il giovane fabbro spuntando fuori dalla siepe.
Era coperto di foglie e i suoi capelli scuri erano più disordinati del solito. Questo fece scoppiare a ridere Giulia, che lentamente si stava tranquillizzando.
«Si può sapere perché eri dentro ad una siepe?»
«Stavo per raggiungerti, ma è passato un tizio e istintivamente mi sono nascosto nel posto più vicino» rispose Giacomo scrollandosi di dosso le foglie e cacciando un ragno che si era appoggiato alla sua spalla.
Giulia gli si avvicinò per metterlo in ordine o più che un paggio sarebbe apparso come un pazzo disperso.
«Volevo raggiungerti il prima possibile…»
«Non preoccuparti, sto bene» lo rassicuro dolcemente Giulia, intenta a sistemargli il cappello. «È stato un colpo di fortuna che il duca Pietrarossa abbia preso il posto di Adriano. Per una volta mio padre ha fatto la scelta giusta e la più sensata. Ad ogni modo, e mi rendo conto di quanto sia sciocco domandartelo, perché sei qui? Anzi dove hai preso i vestiti da paggio e perché sei qui? Hai idea del rischio che stai correndo?!»
«No, guarda, agisco senza pensare» commentò ironico lui.
Giulia lo fulminò con lo sguardo, corrucciando la fronte. Non era proprio il momento di scherzare. «Alle volte mi sembra che sia così. Ascolta, capisco perfettamente che tu voglia proteggermi e, credimi, questo mi tiene lontana dall’impazzire mentre sto in quella tenuta, ma preferirei che tu non corra pericoli per me. Lungi da me passare per un’eroina, però dico sul serio Giacomo».
«Sprechi fiato, Giulietta» rispose lui con non-chalance. «Lo sai che non ti darò retta e non intendo nemmeno cominciare il discorso. Non ho voglia di discutere».
«Nemmeno io. Mettiti però nei miei panni. Tu vuoi proteggere me e credi che io non farei lo stesso?»
Giacomo rimase in silenzio. Abbassò lo sguardo e tirò un calcio al sassolino che stava a terra. Erano eguali in molti aspetti e certamente possedevano la stessa testardaggine. Il ragazzo non poteva farla sentire in colpa per qualcosa che condivideva, ma neppure avrebbe smesso di guardarle le spalle!
«Quindi che si fa? Continueremo a rischiare l’uno per l’altra?»
«Senza dubbio» rispose Giulia con molta sicurezza.
Giacomo alzò lo sguardo e vide la tenacia della marchesina impressa nel suo sguardo. Gli scappò un sorriso, sebbene li dividessero pochi anni di differenza, Giulia sapeva il fatto suo e non si lasciava intimidire facilmente. Nonostante questo Giacomo non avrebbe mai smesso di vegliare su di lei, nemmeno se fosse diventata la miglior spadaccina d’Europa. Per quanto determinata e autorevole potesse essere, Giacomo l’avrebbe sempre vista come quella bambina per la quale realizzava corone di fiori.
«Lui ti tratta bene?»
«Lui chi?»
«Il duca».
«Oh! Sì, Andrea è un vero gentiluomo. Direi più di Adriano, ma chiunque può esserlo».
«Ma non avevi detto di non sopportare quell’uomo?»
Giulia ridacchiò, ricordando le innumerevoli volte in cui si era lamentata della sfacciataggine di Andrea e di come pareva provasse piacere ad irritarla.
«Infatti non lo sopporto».
«Guarda che a me non la dai  mica a bere, sai Giulietta?»
«Che cosa non ti darei a bere?»
Giacomo si avvicinò, scrutandola con attenzione. La marchesina era sempre stata un libro aperto e crescendo quella sua caratteristica non mutò. Solitamente quando non apprezzava una persona aggrottava la fronte mentre quando provava simpatia abbozzava un sorriso imbarazzato. Osservandola cercava di scorgere un’emozione più nitida e la trovò. Fu qualcosa di piuttosto evidente.
«Non è che ti piace un po’ questo duca?»
«Che cosa stai dicendo?»
«Potrebbe essere una mia supposizione completamente sbagliata» disse Giacomo alzando le mani «oppure vuoi negare l’evidenza… con scarsi risultati».
Giulia lo fissò per qualche istante, in cerca delle parole giuste per deviarlo da quell’idea non tanto assurda. Per quanto avesse a disposizione una bella lingua lunga, in quel momento le parole parevano proprio mancarle. Giacomo si mise una mano sulla bocca, trattenendo a stento le risate e la sua reazione la mise ancor di più in difficoltà.
«D’accordo. Mi piace la compagnia del duca Pietrarossa. È un uomo divertente, gentile e fin troppo furbo. Provo la stessa simpatia che provo per te o per il mio amico Raffaello. Nulla di più» disse la nobile e Giacomo sentì l’odore della vittoria. «Non gongolare troppo. Rimane sempre uno sfacciato».
Si godettero quel breve momento d’ilarità e poi ad interromperlo furono dei passi.
«Sta arrivando qualcuno! Torna alla carrozza e cerca di non finire nuovamente in una siepe».
«Agli ordini, mia signora» sussurrò Giacomo, toccandosi il cappello e fuggendo via.
La marchesina si ricompose e fece per tornare indietro, verso il salone da ballo, quando si accorse di chi stava per scoprire lei e Giacomo.
«Oh siete voi, duca!»
«Vi ho spaventata, marchesina?» domandò gentile.
«No, ho sentito il rumore dei vostri passi» rispose la fanciulla, mostrando una sincera tranquillità. «È ora di tornare alla tenuta?»
Andrea scosse il capo. «Perché lo pensate?»
«Dunque perché siete qui?»
«Mi mancavate».
Giulia inarcò un sopracciglio e si trattenne dallo scoppiare a ridere. «Davvero volete farmelo credere? Con tutte le belle donne che ci sono in sala?»
«Visto? Ammettetelo che siete gelosa di questo aitante duca» la punzecchiò Andrea indicandosi con un cenno della mano.
«Sognate sempre troppo, duca».
«Punti di vista differenti, suppongo».
«Se proprio volete conversare, avreste voglia di raccontarmi com’è la Francia, com’è realmente?»
Il duca rimase un po’ spiazzato da quella domanda. Non comprese immediatamente l’interesse di Giulia per lo stato confinante o per la sua corte. Alzò le spalle e si sedette alla panchina di marmo, facendole poi segno di raggiungerlo. Notò come la reale attenzione della marchesina fosse incentrata su di lui e ciò bastava ad incitarlo nel racconto. Detestava chi tirava fuori argomenti giusto per conversare, invece Giulia era interessata alla situazione della Francia.
«Mi sono recato alla corte di Francia innumerevoli volte. Solitamente andavo nella stagione mondana, quando accadeva sempre qualcosa, ma tanto da quando è salita al trono Maria Antonietta non ci si annoia mai» cominciò Andrea, conoscendo bene cosa capitava a corte e fuori. «Il popolo non la ama e non solo perché è austriaca. Quella donna sperpera il denaro per una quantità immensurabile di abiti, gioielli o parrucche. Per quanto io sostenga che sia
necessario circondarsi di nuovi effetti personali, dubito fortemente che ne avesse tutta questa gran necessità!»
«Forse la giudicate con troppa severità. Se fossi ricca quanto lei, anche io farei confezionare ogni mese un abito nuovo».
«Un abito nuovo al mese, credo sia passabile. Uno al giorno, non tanto. Sua Maestà Maria Antonietta si fa confezionare almeno trecento abiti all’anno!»
Giulia sgranò gli occhi, immaginandosi la montagna di abiti che doveva possedere quella donna e la grande stanza in cui li riponeva. Sua nonna Adelaide, che era una grande amante di vestiti sfarzosi, ne confezionava almeno due a stagione e di certo non si avvicinava minimamente alla cifra della regina di Francia. Quella donna era proprio una spendacciona!
«Pensate, marchesina, che ogni abito aveva abbinato proprio un paio di scarpe. Aggiungete che oltre all’abbigliamento ha comprato anche numerosi gioielli, potete immaginare in quanto tempo si svuoteranno le casse del regno se suo marito non si sveglia e la ferma in tempo».
«Sì, mi pare di aver sentito dire che lui le lascia fare ciò che vuole».
«Ve lo dico anche io. Se quell’uomo governerà la Francia, come governa sua moglie, allora posso solo dispiacermi per il popolo francese che andrà in contro alla rovina» commentò Andrea, senza mostrare troppo stupore. «Sapete, la regina Maria Antonietta non è nemmeno così detestabile. È troppo infantile per i miei gusti, però non la considero d’animo malvagio. Deve solo crescere e spero per lei e per la Francia che accada in fretta».
«Se devo essere sincera mi fa un po’ di tenerezza» ammise Giulia dopo averlo ascoltato con attenzione.
«E perché mai?»
«So che ha lasciato il suo Paese a quattordici anni per sposare un ragazzo non tanto… ehm… affascinante?» azzardò la marchesina, proferendo solo ciò che aveva udito negli anni e Andrea annuiva quando diceva informazioni limpide come le acque di un lago. «Immagino che la figlia di una monarca debba sempre essere pronta al cambiamento, specialmente se si tratta di alleanze politiche, però questi francesi potevano trattarla con più gentilezza! È vero o no che l’hanno sempre chiamata “l’Austriaca”? Insomma… non mi pare molto gentile. È come se io andassi nel regno di Napoli e mi chiamassero “la Piemontese”. Capisco che tra Francia e Austria i rapporti sono sempre stati alquanto tesi, ma ciò non giustifica un tale comportamento. Lo trovo quantomeno assurdo e irrispettoso!»
«Ora che ci penso, la Francia sarebbe stata meno fortunata ad avere voi come Regina. Con il vostro carattere, credo fermamente che avreste ribaltato l’equilibrio di Versailles» commentò Andrea con una sottile ironia, sebbene apprezzasse il suo fervore.
«Potete scommetterci!»
«In effetti non hanno trattato quella ragazza al meglio. È come un uccellino in gabbia che tenta di scappare in qualsiasi modo».
«Quindi non la biasimate totalmente?»
Andrea sbuffò e incrociò le braccia al petto. «Non la biasimo e non la difendo. Se usasse un minimo di giudizio otterrebbe ciò che vuole senza destar troppi scandali, senza umiliare se stessa e la Francia».
«Non sono mai stata in Francia, quindi mi affido alle vostre parole».
«E dove siete stata?» domandò Andrea, voltandosi a guardarla e notò subito un barlume di confusione nei suoi occhi.
«Perdonatemi, non vi capisco».
«Oltre a Verona, che ritengo essere davvero bella come città, avrete visitato qualche altro luogo oppure mi sbaglio?»
La marchesina rise piuttosto imbarazzata. Non era mai stata da nessuna parte e, sebbene fosse curiosa di vedere cosa ci fosse al di fuori della sua terra, faticava a vedersi in viaggio oppure completamente da sola in un posto straniero.
«Scusate se vi ho messa a disagio. È stato un mio errore. Davo per scontato che chiunque avesse un animo libero, come il mio, avesse avuto l’occasione di poter cambiar aria, per così dire».
Giulia mostrò un’espressione stupita. Le aveva fatto un complimento e non da poco, visto che era accostato alla sua modesta persona. La marchesina decise di non replicare con nessuna battuta ironica. Desiderò mostrarsi amichevole e continuò il discorso: «Magari un giorno avrò la vostra stessa fortuna e viaggerò, sperando di trovare un marito che segua il mio passo».
«Ragion per cui, e lo sottolineerò tutte le volte che sarà necessario, voi non siete fatta per vivere in campagna. Giulia, dovreste vivere in città, frequentare la corte e conoscere persone influenti, che provengono da altri paesi e che possono invitarvi nella loro zona».
«Come fate voi?»
«Esattamente!»
«Dimenticate che voi siete un uomo e questo basta a rendervi molto più libero di me».
«E voi dimenticate che sono un vostro amico e, se solo lo voleste, vi porterei ovunque».
La marchesina inarcò un sopracciglio. A parte il sorriso furbo, che lo dominava per la maggior parte del tempo, pareva piuttosto serio, eppure lei non ne era affatto convinta. Mise le braccia conserte e lo fissò a lungo, aspettandosi una battuta sardonica o qualcosa che lo scomponesse.
«E sentiamo, dove mi portereste?» gli diede corda.
«Dovunque voi vogliate».
«Spagna?»
«È in lista da visitare. Dicono che sia una terra calda e molto ricca. Il mio amico Ferdinando è stato là per quasi un anno».
«E che mi dite dell’Inghilterra?»
«Uhm… ci sono stato la scorsa estate e l’ho amata, quasi più della Francia. Dovrei proprio portarvi, marchesina».
Era libero, lo era veramente. Giulia sentì un’irrefrenabile desiderio di poter vestire i suoi panni per almeno una settimana. Giusto il tempo di poter saggiare la sua fortuna. Lo invidiava parecchio, nonostante non lo avrebbe mai ammesso e - di certo - non a lui.
«Mi auguro un giorno di poterci andare veramente» sussurrò volgendo lo sguardo al cielo costellato da numerose stelle.
«E ci andrete se tanto lo desiderate. Magari non con me, ma con vostro marito».
«Chissà!» esclamò spensierata la marchesina. «Magari un giorno vi chiederò consiglio sui luoghi da visitare o verrò a trovarvi ovunque voi sarete. Sempre se mio marito non sarà un nobile di campagna e se amerà viaggiare. In quel caso fortuito potrei saggiare un po’ della vostra libertà».
«Ve lo auguro, Giulia, ve lo auguro di cuore. Ricordatevi di non dimenticare il vostro amico Andrea e invitatemi alle nozze. Desidero personalmente stringere la mano a quel sant’uomo che sarà legato a voi finchè morte non vi separi!»
«Siete sempre così dannatamente sfacciato!»  esclamò Giulia cominciando a dargli, a raffica, sberle scherzose sulla spalla e facendolo ridere di gusto.
Era inutile sottolineare quanto gli piacesse trascorrere del tempo con lei. Giulia elargiva allegria pura, bastava toccare le corde giuste e faceva cadere quel velo di presunzione, per mostrare la sua dolcezza che non scalfiva la sua autorevolezza.
Andrea l’afferrò rapidamente per un polso. Riuscì a catturare il suo sguardo e ci si specchiò al suo interno. Si sentiva bloccato.
Era letteralmente immobilizzato, come se quei grandi occhi smeraldini lo avessero incatenato a quella panchina, a quel polso, a quella fanciulla.
Iniziò a domandarsi perché si trovasse lì quella sera. Il marchese Guerra glielo aveva domandato come cortesia personale per non far sfigurare la figlia, ma in realtà Andrea aveva in programma una cena a Torino con dei vecchi amici. Mandò a monte una serata di tutt’altro divertimento per Giulia.
Il motivo? Forse dopo due settimane stava cominciando a comprenderlo.
Lasciò andare lentamente il suo polso. Fece scivolare la sua mano su quella di Giulia, carezzandola delicatamente.
«Siete una dama impetuosa e questo vi rende affascinante. Chiunque diverrà vostro marito, mi auguro che vi tratterrà come meritate o sarà un vero inetto».
Per la prima volta il duca non usò un tono ironico, quelle parole le aveva proferite con sincerità e a cuore aperto. Giulia gli sorrise riconoscente e non gli era riconoscente solo per quello che le disse. Gli era grata perché senza rendersene conto l’aveva salvata da quel mostro di Adriano.
Inoltre apprezzava la sua compagnia, nonostante la indispettisse la maggior parte del tempo. In quel momento, Giulia comprese che gli sarebbe mancato quell’impertinente duca. Mancavano pochi giorni alla sua partenza ed era certa che, se si fosse fermato per più tempo, sarebbero potuti diventare buoni amici.
«Torniamo dentro per goderci le ultime danze? Ormai la serata è agli sgoccioli» disse Andrea alzandosi dalla panchina e tendendole la mano.
Giulia si alzò a sua volta e si lasciò condurre. «Oh intendo godermi questa serata fino all’ultimo secondo!»
«Questo è lo spirito giusto, mia cara!»
Il ricevimento si prolungò per due ore o poco più. Il duca e la marchesina furono tra gli ultimi a lasciare il castello dei conti Novellis. Durante il viaggio di ritorno Giulia cedette alla stanchezza e non accorgendosene si addormentò sulla spalla del suo accompagnatore. Andrea non ebbe coraggio a spostarla, con il rischio di svegliarla, e la lasciò sonnecchiare mentre lui la osservava.

Ogni tanto farfugliava qualcosa di incomprensibile e aggrottava la fronte, probabilmente non stava sognando niente di bello. Spontaneamente le carezzò una guancia, ai suoi occhi era tenera, sembrava un angioletto che lui doveva custodire.
Giunsero alla tenuta a pochi minuti dal levare del sole. Giulia dormiva serenamente e per Andrea fu un colpo al cuore doverla svegliare.
Per il duca avrebbero potuto dormire lì, l’uno vicino all’altra, fino a quando non si fossero riposati a sufficienza, ma dubitava che il marchese avrebbe approvato. Inoltre, in quel caso, Giulia gli avrebbe tirato una sberla vera. Quella testa matta avrebbe sicuramente pensato male di lui e Andrea non voleva che capitasse.
Cominciava a prendere in gran considerazione le sue opinioni, soprattutto sulla sua persona e gli sarebbe dispiaciuto che lo prendesse in antipatia per un nonnulla. Quella fanciulla cominciava ad essere importante. Lo capii da quando si sentiva strano in sua presenza, quasi nervoso ma al tempo stesso felice.
«Sveglia, Giulietta» le sussurrò all’orecchio.
La fanciulla corrugò la fronte e si strofinò gli occhi, svegliandosi lentamente. Aprì leggermente le palpebre, notando dopo qualche attimo su chi si era riposata nell’ultima ora. Inizialmente sorrise, credeva si trattasse di un sogno, uno di quelli belli che non faceva da tempo. Quando invece capì che era la realtà, sgranò gli occhi di colpo e si allontanò di scatto.
«Ben svegliata, marchesina» la salutò Andrea con un sorriso sornione.
«Non cominciate a burlarvi di me, ti prego» borbottò Giulia, tentando di riprendersi dal suo pisolino.
La marchesina scese in fretta dalla carrozza. Volse uno sguardo al cielo; era di un blu sbiadito, segno che mancava poco al levar del sole. Inclinò leggermente il capo per vedere se Giacomo se ne fosse già andato e - per fortuna - così era stato. Nessuno doveva sapere che aveva preso il posto del paggio, specialmente suo padre.
«Abbiamo proprio fatto mattina, eh?» notò il duca.
«A quanto pare».
«Siete stanca?»
«Un poco».
«Anche dopo aver riposato per tutto il tragitto, sulla mia comodissima spalla?» la canzonò Andrea.
La fanciulla alzò gli occhi al cielo. «Mi prenderete in giro fino a quando non partirete, nevvero?»
«Lo potete giurare!» esclamò, mostrandole uno dei suoi ghigni. Rivolse una breve occhiata al cielo, prima di tornare a osservare il viso della marchesina. «A occhio e croce, mancheranno pochi minuti all’alba. Che ne dite se andassimo sulla torre più alta per ammirarla?»
«Dite sul serio?»
«Io sono sempre serio».
«Fatemi il piacere! Lo sarete con altri, mentre con me siete alquanto impertinente e scherzoso» rise Giulia.
«Be’ ma questo perché voi siete speciale».
«Rifilate a qualcun'altra le vostre lusinghe e sbrighiamoci a raggiungere la torre dell’ala ovest o arriveremo tardi!»
Andrea si mostrò impressionata da quella sua presa di posizione e le cedette il passo. La marchesina prese il lembo del suo abito e s’addentrò all’interno della tenuta con una gran fretta.
Ogni volta che il duca tentava di conversare, lei lo rimproverava immediatamente perché non avevano tempo da perdere. Temendo di far tardi, Giulia utilizzò un passaggio segreto per accorciare la via e raggiungere rapidamente la torre ovest.
Agli occhi di Andrea traboccava di intraprendenza, invece la sua era solamente fretta e quella sua fretta era giustificata dal fatto che mai aveva assistito al levar del sole. Il suo sguardo s’illuminò quando Andrea le propose di assistere alla nascita del nuovo giorno.
Spalancarono la porta della torre al momento giusto. Dalle alte colline, oltre la radura, cominciava a sprigionarsi una flebile luce che andava a sfumare il colore del cielo. Lentamente, come per farsi attendere in adorazione, si levò l’alba che irradiò quella terra con la sua luminosità. Il silenzio accompagnava il suo crescere. Il cielo si riempì di colori caldi, lasciando poi spazio al pallido azzurro del mattino. Era tempo per la natura di risvegliarsi.
Era uno spettacolo mozzafiato.   
Giulia chiuse gli occhi, lasciandosi baciare dai raggi di quel nuovo giorno, e provò un senso si sollievo. L’avvolse una pace interiore che le permise di distrarsi da ogni pensiero.
Fu una sensazione magnifica.Nonostante per Andrea non fosse la prima alba che ammirava, trascorse quel trepidante momento provando un emozione che gli scaldava il cuore.
«È meraviglioso» mormorò il duca, poggiandosi al muretto.
«Lo è» condivise Giulia con un sospiro. «È la prima volta che assisto ad uno spettacolo che lascia veramente senza fiato».
«Prima volta eh? Io la starò ammirando per l’ottantesima volta, se non di più, eppure è stato sorprendente».
«Se non ve ne vanterete per un decennio, posso confessarvi che sono contenta di aver trascorso questo momento con voi».
«Ogni donna lo è stata».
Giulia si voltò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. «Siete veramente… bah! Non so che termine quantomeno educato utilizzare per definirmi, onestamente dubito ci sia…»
«Io ne ho uno per voi, marchesina. Siete una credulona e non riconoscete l’ironia» affermò prontamente il bel duca, guardandola tutto gongolante «e se me lo permettete siete anche permalosa!»
«Avete altri complimenti per me?»
Andrea si limitò a fissarla e a rimanere in silenzio. Di veri complimenti ne aveva tantissimi, eccome se ne aveva. La marchesina era spiritosa. I suoi occhi erano dolci, sebbene trasparisse la sua evidente furbizia. La sua risata era forte e contagiosa. Il suo atteggiamento era aggraziato. La sua caparbietà si accostava perfettamente alla sua tenacia. Era una ragazza splendida. Era semplicemente… Giulia.
«È un onore essere qui con voi» affermò l’uomo, prima di tornare a mirare l’alba.
La marchesina non replicò. In un primo momento tentò di riflettere su ciò che poteva barcollare nella testa di quel nobile. Alle volte non riusciva proprio a capirlo. Non provò nemmeno a chiedere spiegazioni. In certi casi - e soprattutto CON certi casi - preferiva rimanere nell’ignoto. Lo imitò e volse il capo verso lo spettacolo più bello a cui avesse mai assistito.
Si fermarono ad ammirare il paesaggio per ancora qualche istante e poi fecero ritorno ognuno nelle proprie stanze. Senza dubbio avrebbero avuto bisogno di molto riposo.
Non appena Giulia varcò la soglia della sua stanza, incontrò Rosalina.
«Marchesa, ero giusto appena arrivata per vedere se stavate dormendo…» disse la cameriera, calando il tono della voce quando notò che la sua signora indossava ancora gli abiti della festa. «Siete appena tornata!»
«Sì».
«E da dove sbucate fuori che sono appena salita e non vi ho incontrata? La carrozza non è nemmeno all’ingresso... uhm… mi sto confondendo io, forse…»
«No, invece sei lucidissima» tagliò corto Giulia, mostrandole un sorriso benevolo. «Sarò arrivata circa mezz’ora fa, ma io e il duca siamo saliti sulla torre ad ammirare l’alba. Oh, Rosalina è stato meraviglioso!»
«Vi credo bene, marchesa! È anche un bell’uomo, se posso permettermi».
«Di che cosa stai parlando?»
«Del duca Pietrarossa, ovviamente. Marchesa, avete appena detto che è stato meraviglioso».
Rosalina iniziava a credere che la sua padrona fosse talmente stanca da non ricordare ciò che aveva detto un istante prima. Ipotizzò anche che avesse alzato il gomito, il viso della nobile era rosso come un peperoncino e sprizzava una gran euforia. Non l’aveva mai vista in quello stato. Doveva essere stato per forza il vino!
«Oh, no! Intendevo dire che ammirare l’alba è stato meraviglioso».
«Con il duca. Avete ammirato l’alba con il duca».
«Esatto».
Rosalina era abbastanza pensierosa, ma scosse in fretta il capo. «Vi siete divertita al ricevimento?»
«Moltissimo! Ho conosciuto un po’ di persone e ho ballato per quasi tutta la notte. Mi ha ricordato quando mi recavo ai ricevimenti di Raffaello e ammetto di aver sentito la sua mancanza…» poi sospirò spensierata. Sembrò riprendersi da quella leggera malinconia. Sorrise e prese la sua cameriera per le mani, facendole fare una giravolta. «È stata una serata meravigliosa!»
«Come l’alba. Certo. Marchesa, senza offesa, ma è stato il vino a farvi così felice?» azzardò Rosalina osservando la nobile con lieve preoccupazione. «Non che io vi stia dando dell’ubriacona. Non mi permetterei mai. Vi rispetto e vi voglio bene, però…»
Giulia rise, lasciandola andare e cominciò a volteggiare per la stanza. Non si era mai sentita così euforica e Rosalina iniziava veramente a credere alla sua ipotesi.
«C’è da ammettere che vostra nonna è stata geniale!»
«Come, scusa?» domandò la marchesina fermandosi.
«Ieri sera, poco dopo che siete andata via, Mattia mi ha riferito che la marchesa Adelaide ha consigliato vostro padre di chiedere al duca di accompagnarvi al ricevimento. Non lo sapevate?»
«No. Ciò però non mi sorprende. È un comportamento tipico di mia nonna. Gli intrighi sono sempre stati il suo forte» rispose sinceramente e non ne sembrava affatto dispiaciuta. «Quando era giovane ne ha combinate parecchie. So qualche storia, narratomi da lei stessa, che ti lascerebbero spiazzata. È una donna che non si lascia sopraffare dalla negatività e tenta sempre di raggiungere il suo scopo. Raramente fallisce. Onestamente, credevo che fosse troppo anziana per continuare nelle sue macchinazioni, specialmente dopo che non la vidi batter ciglio nel sapere che Adriano doveva accompagnarmi ad un ricevimento. E invece non si è smentita minimamente. Mi ha fatto proprio una bella sorpresa».
«Bella sorpresa, eh?»
«Sì, il duca non è una compagnia spiacevole».
«Ho notato che vi piace la sua compagnia. Oramai non vi infastidisce più come tempo addietro» continuò Rosalina, utilizzando una velata ironia e una punta di malizia. Un comportamento che solitamente una cameriera dovrebbe astenersi di fronte alla propria padrona, ma il rapporto costruito con quella ragazza le permetteva di essere più confidenziale del dovuto. Ovviamente tutto ciò avveniva quando erano in privato.
«Credo che sia un brav’uomo» affermò Giulia.
«Senza dubbio».
«E partirà tra pochi giorni».
«O forse no» canticchiò Rosalina, attirando la curiosità della nobile. «Sapete… io e Mattia abbiamo sentito che forse vuole fermarsi. Non qui alla tenuta ovviamente, ma in Piemonte».
«Davvero?» chiese Giulia speranzosa.
La cameriera annuì.
«Mi suona un po’ strano, sebbene non nascondo la mia contentezza. Be’ sarà per qualche affare».
«Forse un affare di cuore».
Sulle labbra di Giulia si dipinse un sorriso divertito. «Rosalina, stai diventando davvero impertinente!»
«Oh lo sono sempre stata, mia signora».
«Uhm… sì, concordo. Diciamo, quindi, che stai aumentando in larga misura questa tua caratteristica».
«Ed è un sommo piacere! Parlando del duca…»
Un cenno della mano di Giulia la bloccò.
«Rosalina, è mattina e ho bisogno di un giorno di riposo per riprendermi dalla bellissima serata. Prometto che ne riparleremo, ma tra un bel po’ di ore».
«Avete ragione» reputò la cameriera.
Rosalina l’aiutò a svestirsi e ad indossare la vestaglia di lino bianco per mettersi a letto. Serrò le tende, le rimboccò le coperte e notò che Morfeo l’aveva già accolta tra le sue braccia.
La cameriera notò un’espressione serena sul viso di Giulia. Era tranquilla e gioiosa. Non la vedeva in quello stato da quando entrambe risiedevano a Verona. Rosalina non poteva che esserne sollevata. Quella nobile non era solamente la sua padrona. Era una ragazza, per la quale provava un vero rispetto e un sincero affetto.

 

 

Mrs. Montgomery
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è stato molto incentrato sui personaggi di Giulia e Andrea, sulle loro somiglianze e sul rapporto che stanno condividendo.
Man mano sentono che si stanno legando, ma questo non significa che si riscopriranno follemente innamorati. Il loro percorso sta andando in salita a piccoli passi.
Spendendo qualche parola per Giacomo, che tra l'altro è uno dei miei preferiti, posso dirvi che lo vedrete ancora rischiare per Giulia e questo perché condividono un rapporto speciale che in un capitolo futuro sarà completamente svelato.  Inoltre l'impulsività che ha in comune con Giulia lo porterà a rischiare veramente grosso.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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Capitolo 9
*** Tenera ed Impetuosa ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 8
Tenera ed Impetuosa

 


«Non ci posso credere!»
Giulia cominciò a saltare sul posto in preda alla gioia. Tra le mani aveva l’ultima lettera di Raffaello, il suo leale amico di Verona. I suoi occhi sbarrati e raggianti scorrevano nuovamente sulle parole. Girava per la sua camera gridacchiando e sbottando con esclamazioni allegre, mentre Rosalina era indaffarata a sistemare i suoi abiti nella cabina armadio.
«Al posto di urlare come un’infante, potresti renderci partecipe di ciò che sembra renderti tanto euforica?» chiese la marchesa Adelaide, seduta comodamente su una poltroncina.
«Ricordate che in questo periodo Raffaello aveva in programma un viaggio a Berlino? Ecco… è riuscito ad incontrare Goethe, il suo scrittore preferito! Mi scrive che è stato estasiante e un vero colpo di fortuna!»
«Uhm… non credevo che al giovane conte Ferrari interessasse la letteratura. Non era l’arte la sua passione?»
«Certamente, ma dubito possa incontrare il suo pittore preferito dal momento che Da Vinci è morto».
«Acuta osservazione, Giulia» ammise sua nonna, prima di emettere un forte sospiro. «E ti ha raccontato altro del suo viaggio a Berlino?»
«La maggior parte della lettera è incentrata su Goethe e lo comprendo» sorrise dolcemente Giulia, mirando ancora una volta la lettera, prima di poggiarla sulla toletta. «Credo che proverei la medesima letizia se incontrassi Parini. Spero di esser baciata dalla sua stessa sorte. Voi, nonna, non avete mai incontrato una persona che ammiravate?»
«La mia ammirazione è per pochi, mia cara».
«Capisco».
«Parliamo di qualcosa di maggiormente interessante e proficuo per noi» continuò la marchesa Adelaide, chiudendo di scatto il ventaglio. «Da quel che ho potuto sapere, sia dall’interno di questa tenuta e sia dalle mie confidenti della società, so per certo che hai scosso successo al ricevimento dei conti Novellis. Hai fatto la conoscenza delle tre grazie dell’alta società. Parlo della baronessa Morali, la contessa Vicenti e la marchesa Bramini. Tienitele buone quelle tre e se riesci stringi un’amicizia con Priscilla Bramini, lei è una persona alquanto influente. Questo non è tutto ciò che è arrivato alle mie orecchie. So che hai un’intesa con il duca Pietrarossa. Andate d’accordo?»
«Abbastanza, sì» confermò Giulia.
La marchesa Adelaide le fece cenno di sedersi sull’altra poltrona, così da stare di fronte a lei.
«Giulia, sei in età da marito. Ora che abbiamo la certezza che tuo padre ti vuole qui in Piemonte, dobbiamo muoverci in fretta e prestare cautela» iniziò il discorso, fissando la nipote dritta negli occhi. Era chiaro che avesse già qualcosa in mente e bisognava stupirsene in caso contrario. «Il duca Pietrarossa è un uomo molto ricco. Non ha molti anni in più di te, però mi sembra piuttosto accorto su ciò che vuole e non è uno stolto. Non è nemmeno spiacevole come uomo. Quindi direi di prenderlo in alta considerazione, soprattutto se rientri nei suoi favori…»
«Aspettate, nonna» la bloccò Giulia, presa alla sprovvista. Non si aspettava che il discorso sarebbe finito lì. «Non ho idea di cosa abbiate udito su di me e sul duca, e in ogni caso non conta. Io so bene come sta la situazione e il duca non ha la minima intenzione di sposarsi. È un uomo che ama la propria libertà e corrergli dietro mi pare tempo sprecato!»
Dalla cabina armadio si udì Rosalina sbuffare.
«Con quanta passione parli di lui» constatò divertita l’anziana marchesa. «Posso ben comprenderlo, si tratta di un uomo affascinante e con un sicuro avvenire. Non mi sembra affatto uno sprovveduto».
«Mi avete ascoltata? Lui non ha intenzione di sposarsi».
«E noi gli faremo cambiare idea» affermò Adelaide come se fosse ovvio.
«Come se ci volesse tanto» borbottò Rosalina passando per la stanza.
Credette di non essersi fatta udire, ma Adelaide godeva di un udito ancora molto fine e prendeva atto di ogni cosa.
«Nonna, Andrea partirà tra quattro giorni. Per quanto potere voi abbiate, e ne avete molto, non c’è niente da fare».
«Da quando sei così negativa, nipotina?» la canzonò l’anziana marchesa e all’assenza di risposta di Giulia, decise di cambiare strategia. «Rosalina, vieni qui!»
La ragazza di origini veronesi giunse in fretta dalle nobili e mostrò una riverenza.
«Per essere una cameriera mi sembri una ragazza alquanto sveglia e so che sei affezionata alla mia Giulia» andò dritta al punto, come sempre. «C’è qualcosa che vorresti dire riguardo questa faccenda? E non fingere di non sapere perché so che stavi origliando, come so che mia nipote si confida con te riguardo ogni cosa. Dimmi pure la tua più sincera opinione. Avrai una testa pensante, spero».
Rosalina spostava lo sguardo dalla marchesa Adelaide a Giulia, da quest’ultima si aspettava un segnale. Se doveva essere onesta, l’anziana nobile la metteva parecchio in soggezione. Non era certa se fosse il suo gelido sguardo, la sua compostezza d’acciaio o il fatto che esprimesse ogni suo pensiero con molta schiettezza. Giulia le fece cenno di parlare liberamente.
Supportata dalla sua padrona, parlò: «In questa tenuta girava la voce che il duca intendeva fermarsi in Piemonte e non partire per Napoli come inizialmente aveva in programma. Personalmente credo che debba avere un valido motivo e forse non si tratta d’affari, altrimenti avrebbe potuto dirlo… credo».
«Brillante! Visto Giulia, se lo capisce la tua cameriera, perché tu invece sei testarda come un mulo?»
«Sono realista».
«Davvero?» domandò sua nonna con tono di sfida. «Quindi sai che se non ti sposi al più presto, o prima che io passi a miglior vita, sarai condannata? Non ti libererai mai di Adriano. Non intendo sopravvalutarlo ma nemmeno sottovalutarlo. Mai sottovalutare il proprio nemico. Potrebbe essere un errore fatale».
«Credetemi, nonna, ho imparato questa lezione».
«Me lo auguro per te! Tornando al discorso di poco fa, mi pare che sia nostro dovere giocarci bene la simpatia che il duca prova per te. Se giocheremo tutte le carte a nostra disposizione, prevedo il matrimonio entro Settembre».
«Vorrei tanto avere la vostra sicurezza» sospirò Giulia, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona.
«Non puoi. È solamente la mia lunga esperienza a rendermi poco dubbiosa sulle vicende che mi circondano» rispose risoluta l’anziana marchesa e non la si poteva contestare «ma non temere. Te l’ho sempre detto che hai stoffa. Devi impratichirti e ciò accadrà solamente nel corso degli anni».
Giulia ne prese atto, anche se dubitava che la sua vita sarebbe stata rocambolesca quanto quella di sua nonna. Quella donna ne aveva combinate tante quanto ne aveva passate.
La marchesa era solita a raccontarle qualche aneddoto della sua lunga e florida vita. Dal matrimonio combinato con Armando Guerra, a quando rimase vedova e con l’unico figlio ed erede della casata da crescere. Fin dall’inizio si rimboccò le maniche per far sì che nessuno si approfittasse delle loro ricchezze e soprattutto di lei che non volle risposarsi.
Era nata come Adelaide Roccaforti, era diventata Adelaide Guerra tramite il matrimonio e intendeva morire come una Guerra.
Ciò non toglieva che avesse avuto molti amanti, dai quali ottenne sempre qualcosa in cambio e chiunque avesse tentato di metterle i bastoni tra le ruote non l’aveva passata liscia.
Giulia non sapeva se sua nonna aveva conosciuto l’amore, non gliel’aveva mai domandato e - per il momento - preferiva tenersi il dubbio. Ciò di cui andava certa era che le grandi responsabilità che le pesarono sulle spalle, la portarono ad essere la donna che era.
Indomabile. Determinata. Puro acciaio.
Credeva che nessuno l’avesse mai piegata e se fosse accaduto, sicuramente Adelaide non l’aveva gridato ai quattro venti. La marchesa sosteneva che la discrezione non era solo un atteggiamento consono ad una nobildonna, ma salvava tante situazioni che facilmente possono scivolare dalle mani. Giulia non poteva ancora capire cosa significavano quelle parole. Un giorno non molto lontano, però, le sarebbero state impartite lezioni che avrebbero mutato il suo essere. Sua nonna lo sosteneva sempre: erano le esperienze a cambiare una persona, non il semplice passare degli anni.
«Perdonate il disturbo!» esclamò Mattia, servitore della marchesa, che a fatica tentò di entrare nella stanza. Saltò subito all’occhio il grande pacco che teneva tra le braccia. «Questo è per voi, marchesina Giulia».
«Per me?»
Rosalina s’affrettò ad aiutarlo e lo posarono sul letto, in attesa che Giulia lo aprisse. All’interno di quel bel pacco v’era una tenuta da amazzone color fiordaliso. Gli occhi della marchesina sgranarono dalla sorpresa. Non era solo un bel completo per andare a galoppare, ma era stato realizzato nel suo colore preferito.
«Nonna! Non dovevate» disse immediatamente, rivolgendosi a lei con gratitudine.
«E tu non devi ringraziarmi».
«È bellissimo. Come non posso ringraziarvi?»
«Per il semplice fatto che non è un mio regalo».
Giulia aggrottò immediatamente la fronte. «Come?»
Mattia si schiarì la voce e, ottenendo l’attenzione della marchesina, le passò un biglietto.

 

Mi auguro che questo dono non vi offenda e che lo accettiate in nome della nostra amicizia.
Forse con questo completo sarà più facile capire che sei una nobildonna.
Vostro,
duca Andrea Pietrarossa

Il duca le aveva regalato un abito. Era ciò che meno si sarebbe aspettata e che la lasciò completamente senza parole. Senza contare che era un regalo importante. Non tutti i nobiluomini regalavano un abito “per semplice amicizia”. Il suo più caro amico in tre anni d’amicizia le regalò qualche disegno, realizzato da lui, e una collana poco vistosa.
Andrea, invece, che conosceva da un mese e, con il quale inizialmente non aveva condiviso un buon rapporto, le aveva regalato un abito che di certo non era costato poco. Il problema non era nemmeno il costo chiaramente. Il problema, se così si poteva definirlo tale, era… perché? Perché le aveva fatto quel regalo?
Era una domanda sciocca. Giulia sapeva quanto la risposta fosse ovvia, eppure pareva non accettarlo, pareva non crederci. Non sapeva perché. Era piuttosto confusa. Non riusciva a ragionare. Quel regalo l’aveva lasciata spiazzata.
«È da parte sua, vero?»
Giulia annuì.
«Meglio di quanto potessi prevedere» affermò soddisfatta la marchesa. «È una tenuta da amazzone, giusto? Sarebbe cortese da parte tua invitarlo a fare una cavalcata».
«Dite che dovrei?»
Adelaide abbozzò un sorriso furbo e si voltò verso Rosalina. «Cara, vai immediatamente dal duca Pietrarossa e digli che la tua padrona, per ringraziarlo del magnifico dono, lo invita ad una galoppata».
La marchesa non riuscì nemmeno a terminare l’ordine che la cameriera era già corsa fuori dalla stanza.
«La tua cameriera ha un bel temperamento!» se la rise.
Non attesero molto per la risposta e non fu neanche una gran sorpresa , il duca accettò.
L’indomani pomeriggio si trovarono davanti all’ingresso, con i cavalli sellati e pronti a partire. Naturalmente Giulia indossò la bellissima tenuta da amazzone, formata da una camicia bianca che la copriva fino al mento e adornava da eleganti fazzolettini.
Il panciotto azzurro era nascosto dall’attillata blusa di velluto perfettamente in tinta con la lunga gonna, realizzata finemente nel medesimo tessuto.
Il tocco personale di Giulia fu l’abbinamento di un capellino di piume nere, comprato quando risiedeva a Verona e che non aveva ancora avuto l’occasione di sfoggiare.
Sua nonna Adelaide le fornì non pochi consigli per la giornata. Tutti discreti e che non andavano ad intaccare la moralità che una signorina a modo come Giulia possedeva. L’unica cosa di cui si dispiaceva la fanciulla era di dover cavalcare all’amazzone e non come era solita.
Scendendo le scale si ripassò tutto ciò che le disse Adelaide e ricordò che la invitò ad essere se stessa, dal momento che era per la sua forte personalità che era nata quella simpatia. Giulia sorrise pensando che era un suo personale comportamento galoppare esattamente come faceva un uomo, quindi così avrebbe fatto. Soddisfatta di esser giunta a quella conclusione, raggiunse il suo destriero e aspettò a montarlo, notando che il duca non era ancora arrivato.
«Lasciami indovinare. Esci per una cavalcata?»
Ecco giungere il mostro del castello.
«La tua perspicacia mi commuove, Adriano».
«E chi è il fortunato?»
«Di che cosa stai parlando?»
«Per la cavalcata» rispose Adriano con una conseguente imitazione poco appropriata.
Giulia inorridì. La mente di quel ragazzo era dominata da una malizia peccaminosa. Doveva esserne abituata ormai, eppure ogni parola che proferiva le suonava sporca e una continua offesa alla sua persona. Era la tattica di Adriano. Turbare la sua mente per renderla fragile, ma gli opponeva resistenza.
«Sei disgustoso».
«Adriano! Marchesina Giulia!»
Il duca Pietrarossa arrivò giusto in tempo e rivolse a loro un cenno del capo per salutarli. Saltò subito all’occhio di Adriano che l’amico stava tenendo per le redini il suo cavallo e la situazione gli fu chiara.
«Voi due state andando a fare una passeggiata?»
«Esattamente» rispose prontamente Andrea, rivolgendosi poi alla nobile. «Perdonate il ritardo, marchesina. Non riuscivo a trovare i miei guanti. È evidente che la trepidante emozione ti poter stare al vostro fianco, rendendomi sbadato».
Giulia inclinò il capo, inarcando le sopracciglia. «Desiderate una risposta sincera?»
Andrea allargò il suo sorriso e le lanciò un’occhiata d’intesa. «Non mi aspettavo una reazione migliore. Mia cara, posso aiutarvi a salire sul vostro destriero o penserete che si tratti di un gesto adulatorio?»
«Accetto solo perché state imparando a conoscermi bene».
Si scambiarono un sorriso complice e Giulia quasi dimenticò la presenza del suo temibile nemico. S’accorse che era l’atmosfera che si creava quando stava dinnanzi al duca. Tutto ciò che le stava attorno si offuscava e c’era solo Andrea. Andrea con il suo portamento calmo, il sorriso luminoso, lo sguardo accorto e dall’occhiata vispa.
Era il prescelto di sua nonna per divenir suo marito, poiché aveva tutte le carte in regola. E di certo a Giulia non sarebbe dispiaciuto divenir la futura duchessa Pietrarossa. Questo non aveva niente a che fare con un titolo più prestigioso, molta più ricchezza e iniziava a credere che poco centrasse la salvaguardia da Adriano.
Era ciò che provava in presenza di Andrea. Lui la continuava a mettere in discussione con se stessa. La sfidava, la rispettava e le teneva testa in un modo brioso.
«Potrei unirmi a voi?»
Ed ecco come in poche parole, il sorriso di Giulia si spense.
«Ho l’intero pomeriggio libero e mi stavo giusto domandando come potevo impegnarlo» continuò Adriano.
«Spero di non offenderti, ma…» e Andrea gli posò una mano sulla spalla «preferisco stare da solo in compagnia della donzella. Non temere per l’incolumità della tua futura nipotina. La difenderò se incapperemo in qualche pericolo, sebbene io ne dubiti. Se è tornata sana e salva dal ricevimento dei Novellis, dubito non torni dopo una passeggiata a cavallo».
Il duca Pietrarossa salì sul suo destriero e rivolse un sorriso a Giulia. Lanciò una rapida occhiata ad Adriano e, nonostante lui stesse cercando di nasconderlo, notò il suo fastidio.
«Eh su! Sorridi! È una giornata radiosa, dovremmo esserlo tutti» affermò tutto contento e come poteva non esserlo. «Partiamo, mia cara?»
Giulia annuì, sorridendo soddisfatta per lo scacco matto che subì Adriano.
I due nobili colpirono il proprio cavallo con il tacco dello stivale e partirono insieme, dirigendosi verso la radura, dove i loro cavalli si sarebbero felicemente sgranchiti.
Il clima mite e il cielo sereno furono elementi del tempo che andarono a loro favore. Troppa brezza avrebbe potuto causar loro un malanno e troppo caldo avrebbe potuto stancarli in fretta. E invece furono fortunati!
Galopparono l’uno affianco all’altra, attraversando le dolci colline e gli ampi poderi appartenenti alla famiglia Guerra. Si sfidarono a chi fosse arrivato prima alle cascate e cominciarono, quindi, a divincolasi tra gli ulivi secolari e a cercare una via secondaria per tagliare la strada e vincere.
Fu la marchesina Giulia a vincere. Naturale, la lontananza dalla propria terra non gliel’aveva fatta dimenticare. Aspettò il bel duca, seduta su una roccia, dopo aver legato il suo destriero ad un albero. Gli mostrò un gran sorriso che certamente lo fece rodere non poco.
«Pare proprio che vi siate dimenticato i sentieri di questa foresta. Confina con la vostra o sbaglio?»
«O forse desideravo lasciarvi vincere» tentò Andrea, ancorando il suo cavallo all’albero.
«Inventatevene un’altra».
Il duca doveva sbandierare bandiera bianca. Alzò le mani e le mostrò un sorriso amichevole, avvicinandosi. In effetti i suoi numerosi viaggi gli offuscarono la memoria e fece non poca fatica ad orientarsi. Gli serviva qualche minuto per ricordare dove proseguisse una via.
«Voi, invece, sembrate conoscere questa terra come il palmo della vostra mano».
«Non crediate che i primi giorni sia stato semplice» disse Giulia, scendendo dalla grande roccia. «Mi ci è voluto un po’ per mettere a fuoco la mia memoria. Io trascorro ogni possibile momento libero fuori dalla tenuta per immergermi nella natura selvaggia, se così posso chiamarla. Quindi è stata la pratica di questo ultimo mese a segnare il vantaggio tra voi e me».
«Amate trascorrere più tempo qui, libera da ogni convenienza e dal protocollo. Vi posso capire» sospirò Andrea ammirando la natura circostante. La piccola cascata era nascosta dagli alti alberi del bosco e faceva nascere un piccolo e limpido lago. «Questo luogo è incantevole. Trasmette una gran calma. Sembra che tutti i nostri tormenti svaniscano, nevvero?»
«In un certo senso, sì. È piacevole».
«Quando mio padre era in vita e abitavo presso la nostra tenuta di campagna, adoravo rifugiarmi nella foresta e… correre, passeggiare, cavalcare, andare a caccia… ogni cosa andava bene invece che studiare».
A Giulia scappò una risatina divertita. Le sarebbe piaciuto vedere un duca più giovane e sbarazzino, che scappava dai precettori e si nascondeva nei boschi. Non era una visione così insolita. In fondo era ancora uno sbarazzino.
«Per me era impossibile scappare, dal momento che ero controllata a vista dalla mia balia».
«Lo ero anche io, però correvo più veloce!» esclamò facendo scoppiare a ridere entrambi.
Era proprio nato e cresciuto con un animo ribelle. Chissà quante ne aveva combinate, si ritrovò a pensare Giulia mentre lo fissava e osservava quel suo sorriso genuino. Non lo infastidiva ricordare la sua infanzia. Lo notava da come brillava il suo sguardo e dalla pacatezza con cui ne parlava.
«Eravate sfacciato sin da bambino» gli sorrise Giulia.
«In realtà da bambino ero piuttosto tranquillo. Diciamo che crescendo sono diventato più…»
«Monello?»
«Non ero monello! Ero vivace!» protestò Andrea.
La marchesina gliela diede vinta e alzò le mani in segno di resa, sebbene rimanesse della sua opinione.
«E voi, invece?»
«Io? Che cosa?»
«Com’eravate nella vostra infanzia?»
Felice. Sì, Giulia avrebbe voluto rispondere “felice”, perché lo era stata veramente e questo perché sua madre era ancora in vita e il rapporto con suo padre non era male.
In quegli anni non si svegliava con la paura che potesse accaderle qualcosa di male. Non doveva trascorrere la giornata guardandosi le spalle oppure ideando un piano per salvaguardarsi dal mostro che risiedeva nella sua stessa casa.
Ogni giorno era pieno di sorrisi e di risate, perché sua madre era uno spirito gioviale, mentre ormai non passava giorno che sul viso di Giulia non comparisse un’espressione malinconica o una arrabbiata.
La morte della marchesa Francesca non si portò via solamente una madre e una moglie, ma la luce e la pura felicità che si assaporava alla tenuta.
Nulla sarebbe mai tornato come prima.
«La mia infanzia non è stata diversa da quelle delle altre bambine nobili» si limitò a rispondere. «Non è uguale per tutti noi di sangue aristocratico?»
«Credo che le basi siano uguali per tutti. Eppure alcuni evadono e proseguono secondo il proprio criterio».
«Esattamente come avete fatto voi viaggiando. Non siete stato alle regole del protocollo che impongono di trovarsi una moglie, possibilmente di ricca famiglia, che possa dare un erede al proprio casato» disse Giulia, con molta naturalezza, del resto era la verità. «Sotto un certo punto di vista, siete ammirevole».
«E sotto un altro punto di vista?»
«Be’ avere una famiglia da la sicurezza che non saremmo mai soli».
«Non sempre però è una fortuna».
E lì Giulia non potè ribattere. Poteva contare sulle dita di una mano i familiari per i quali provava simpatia.
«La verità è che sono un uomo orgoglioso e che va sempre dritto al punto. Odio tergiversare. E non è facile per una donna stare al mio fianco senza lamentarsi».
«Oh, ne siete consapevole allora!» esclamò ironica Giulia, contagiandolo con la sua allegria.
«Una volta ho incontrato una donna impertinente quanto lo siete voi» disse Andrea, appoggiandosi al tronco di un albero. «Credo si trattasse del mio ultimo viaggio a Londra. Ricordo che suo marito era l’opposto di lei. Un uomo pacato e silenzioso. Conversando mi raccontava che le permetteva di disporre della sua vita come preferiva. Scommetto che la riterrai una donna fortunata».
«Naturalmente! Quando capita l’occasione di sposarsi per dovere e trovare un uomo che ti permette di essere libera?»
«Accade quando un uomo ama incondizionatamente la donna che ha al suo fianco».
E Andrea avrebbe mai amato così ardentemente una donna?
Giulia si pose spontaneamente quella domanda. Era incuriosita e interessata. In fondo non era diversa da altre fanciulle che erano rimaste colpite da lui, sebbene più di una volta avesse tentato di nasconderlo.
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse che lo sguardo di Andrea la stava scrutando. Forse era in attesa di sentire la sua opinione, ma Giulia non aveva prestato ascolto a ciò che disse dopo e quindi reagì d’istinto, parlando della prima cosa che gli passasse per la mente.
«Mi auguro che quella donna si sia resa conto della fortuna che possiede e non mi riferisco certamente al denaro».
«Voi ve ne accorgereste?»
«Credo di sì» rispose Giulia, non apparendo molto convinta e non lo era nemmeno con sé stessa.
Era stordita dallo sguardo intenso del duca. Le sembrava di esser tornata al ricevimento dei conti Novellis. Si sentiva costantemente sotto osservazione e questo la metteva in imbarazzo. Imbarazzo e non disagio. C’era della sostanziale differenza, perché in presenza di Andrea si sentiva serena e in pace, eppure provava un tenero imbarazzo che mai prima d’allora si verificò.
Il duca abbozzò un sorriso furbo e, per qualche attimo, spostò lo sguardo sulle cascate, alle spalle di Giulia. Lo riportò in fretta sul viso della nobile, inevitabilmente attirato.
«La tenuta da amazzone vi sta molto bene, non che avessi qualche dubbio» disse il duca, scorrendo lo sguardo sul suo corpo e scioccandole un’occhiata sulle sue parole finali. «Ero indeciso se farlo realizzare verde smeraldo, come il colore dei vostri occhi, ma poi ho rimembrato che il vostro colore preferito è l’azzurro, come il fiordaliso».
Se lo ricordava veramente?
Erano passate due settimane da quando le donò quel fiore colto dal cestino di una cameriera. Giulia non riuscì a nascondere la sua meraviglia, era sempre stata un libro aperto per chiunque, e ciò soddisfò Andrea.
«È stato un regalo bellissimo e forse immeritato» sentì di dirgli, a costo di sembrar maleducata.
Ma del resto era la verità, che cosa aveva mai potuto aver fatto per meritarsi un abito realizzato appositamente per lei? Lo sguardo affilato di Giulia capitolò sugli occhi decisi del duca. Attendeva una spiegazione per quel gesto. Dentro di sé, la marchesina sperava che fosse un segno del suo interesse, come poi credeva sua nonna Adelaide. Volendo, però, lasciar da parte sua nonna e tutti i vantaggi che otterrebbe nell’esser al centro dell’interesse del ricco e avvenente duca, Giulia pretendeva una spiegazione per se stessa. La desiderava più di ogni altra cosa e ne conosceva la ragione.
Andrea si scostò dall’albero e si avvicinò lentamente a Giulia, fissandola negli occhi e manifestando le sue emozioni ancor prima che la sua bocca potesse proferir parola.
«Non è immeritato e nel profondo lo sapete anche voi».
«So che cosa?» lo spronò Giulia, avida della verità.
Il duca le si parò davanti, incastrandola tra lui e il grosso masso alle sue spalle. Nei suoi occhi affilato v’era una luce di tenerezza e il suo sorriso, dapprima immagine della sua furbizia, era appena accennato, pareva timido. Andrea arrossì lievemente e in quell’istante tutte le difese di Giulia caddero. Ogni scudo di protezione di sgretolò. La vicinanza del duca non la impauriva, come invece accadeva con altri uomini. Da quando aveva sfiorato la violenza di Adriano, ogni contatto da persone estranee le provocava un fastidio rivoltante. Ciò non accadde con Andrea. Non quando ballarono insieme e nemmeno lì, mentre erano da soli nel bosco e qualunque cosa poteva accadere. Giulia poteva essere messa alle strette o braccata come un animale, invece non poteva sentirsi più al sicuro. Solamente la vicinanza di Giacomo poteva prevalere su quella del duca ed era piuttosto normale, eppure non era la stessa cosa. Non provava le stesse emozioni.
«I miei bagagli sono pronti. Dopodomani firmerò l’accordo di cessione con vostro padre e me ne andrò dalla tenuta» mormorò Andrea, lasciando Giulia col fiato sospeso. «Non faccio però conto di andarmene dal Piemonte. Risiederò nella mia tenuta di campagna per un po’».
«Non ve ne andate più?»
«No».
«State rimandando il vostro ritorno a Napoli?»
«Non penso di tornare a Napoli, non nell’immediato».
«È lecito domandarne la motivazione?»
Il duca ammiccò un sorriso e poi le carezzò una guancia con il dorso della mano. I suoi occhi scesero a guardare le labbra leggermente schiuse di Giulia. Andrea chiuse gli occhi e la baciò.
Accadde così in fretta che, per i primi istanti, Giulia nemmeno se ne accorse.
Fu inaspettato. Fu lento. Fu dolce.
Giulia non aveva mai baciato molti uomini, anzi non ne aveva mai baciato nessuno di sua spontanea volontà e quindi si sentì incapace di far qualche paragone sul piano emozionale. Senza dubbio il bacio scambiato con il duca Pietrarossa le piacque e molto se doveva essere onesta. Il suo cuore palpitava ad una velocità impressionante e sentiva la sua pelle in fiamme. Le sue guance si imporporarono vistosamente quando percepì la mano di Andrea, premerle la schiena, la stava avvicinando a lui e la schiacciava contro il suo petto. Giulia poteva sentire i battiti accelerati del duca. Non poteva crederci che fosse emozionato quanto lei e lo era veramente!
In tutti i suoi viaggi, Andrea aveva conosciuto numerose donne.
Donne incastrate in un matrimonio infelice, donne che si sono rovinate con le loro stesse mani, donne libere e devote a loro stesse, donne desiderose della passione e del proibito, donne che non si accontentavano mai e donne che semplicemente si accontentavano di ciò che era stato loro imposto.
L’affascinante duca era stato legato a qualche donna per una sola notte o per una fugace passione. Nessuna gli fu in grado di rapirgli la ragione e nemmeno di fargli perdere il controllo delle sue emozioni.
Giulia lo confondeva. Lo metteva in gioco, tanto quando lui inconsapevolmente metteva in gioco lei. Erano come due strade inizialmente separate e che lentamente si avvicinavano fino ad unirsi.
«Marchesina Giulia! Marchesina Giulia!»
Udendosi chiamata, Giulia staccò immediatamente le sue labbra da quelle del duca. Guardò oltre le spalle dell’uomo e qualche istante dopo vide Mattia, servitore di sua nonna, giungere di corsa.
«Oh, marchesina! Finalmente vi ho trovata!»
«Mattia, riprendi fiato» disse dolcemente Giulia, posandogli una mano sulla spalla. «Qual è la causa del tuo affanno?»
«I-io… sono stato… stato mandato da Rosalina. È successa una cosa che…» tentò di dire Mattia, mentre lentamente cercava di riprendere fiato. «Io non lo so bene, ma Ros-Rosalina ha detto che voi dovevate tornare s-subito!»
Istintivamente Giulia lanciò un’occhiata preoccupata al duca, il quale prese la situazione in mano.
«Sei venuto qua a piedi?»
«Ehm… no, ho preso un cavallo da…»
«Perfetto!» esclamò subito Andrea, senza perdere ulteriore tempo. «Torneremo tutti alla tenuta e vedremo cosa sta preoccupando tanto la nostra Rosalina».
Per quanto avesse già saggiato la gentilezza dell’uomo, Giulia fu piacevolmente colpita dalla sensibilità rivolta a persone comuni come Mattia e Rosalina. Questo sarebbe indubbiamente rientrato fra le sue nobili qualità.
Rapidamente raggiunsero ognuno il proprio destriero e tornarono alla tenuta il più in fretta possibile. Al loro arrivo, Giulia individuò all'istante la presenza instabile di Rosalina, alla quale si illuminò il viso non appena vide la sua padrona. La cameriera attese che la nobile scendesse da cavallo, aiutata dal duca Pietrarossa, per poterla raggiungere. Mostrò una riverenza ad entrambi e poi afferrò il polso della marchesina trascinandola all’interno del palazzo, senza che nessuno riuscì ad impedirglielo.
«Perdonate se ho disturbato il vostro pomeriggio assieme al duca, ma… ma voi dovete sapere che cosa sta accadendo in questa casa!» sbottò Rosalina, nervosa come mai Giulia l’aveva vista. «Io non potevo crederci. Veramente, marchesa, è qualcosa di inaudito e ho la presunzione di dirlo io stessa!»
«Rosalina, ti vuoi fermare e dirmi cortesemente che cosa è inaudito?»
La cameriera non la stava a sentire. Continuava a tirarla per i corridoi del castello, in attesa di arrivare dove solo lei poteva sapere. Giulia, però, che non era dotata di pazienza, la strattonò, portandola ad esserle di fronte.
«Ora, fammi la cortesia di calmarti» le ordinò secca, fissandola dritta negli occhi. Intendeva farle capire che non era proprio il momento di perdersi in ciance. «Che cosa sta succedendo?»
Rosalina si mostrò sofferente. Nonostante non avesse nulla a che fare con la situazione, non poteva che dispiacersi.
«Rosalina, lo vorrei sapere prima di domattina!»
«E va bene, marchesa» sospirò la cameriera con fare arrendendole. «Poco dopo la vostra partenza… ehm sì, dopo che siete andata via con il duca, è stata aperta la stanza della vostra defunta madre e tutto ciò che v’era al suo interno è stato spostato».
Giulia sgranò gli occhi.
«Che cosa? Chi… chi ha osato?!»
«Io questo non-non lo so».
La marchesina afferrò i lembi del suo abito e cominciò a correre per raggiungere in fretta la stanza da letto della madre. Rosalina le stava dietro, tentando di calmarla, ma Giulia era sorda a qualsiasi voce. In lei scorrevano una miriade di emozioni burrascose.
Voleva sapere chi avesse dato l’ordine di spostare gli effetti personali della madre e perché. Senza dubbio quella persona avrebbe subìto la sua ira, chiunque egli o ella fosse. Non le importava affatto contro chi si sarebbe messa contro. Nessuno aveva il diritto di commettere quel gesto meschino.
Quando giunse al piano dove stava la stanza da letto, che nessuno mai aprì da quando la marchesa morì, e vide i servitori spostare i bauli, i candelabri, i quadri, i portagioie e lo specchio.
Era tutto vero. Non che avesse messo in dubbio la parola di Rosalina, da sempre sua fedele servitrice, ma almeno sperava che avesse capito male. E invece la verità le stava letteralmente scorrendo di fronte agli occhi.
Afferrò malamente il primo servitore che gli capitò a tiro.
«Che cosa diamine state facendo?! Dove state portando gli effetti di mia madre?!»
«Marchesina, vi prego…» tentò di calmarla nuovamente Rosalina.
Giulia la scostò bruscamente da sé e continuò a fissare l’uomo.
«Rispondimi!»
«Marchesina… io… be’ noi…» il servitore era in evidente difficoltà, ma la nobile fanciulla non demorse. Dire la verità fu inevitabile. «Sono ordini della signorina Elena».
Lo sguardo di Giulia divenne di ghiaccio e s’assottigliò lentamente, mentre nella sua mente rimbombavano le parole di quel servitore. Restò in silenzio un minuto, in cui non mollò la presa sul braccio dell’uomo, che per quanto fosse più grosso e robusto della marchesina, non si mosse di un centimetro.
«Che cosa avete detto?»
«La signorina ha detto che dovevamo portare tutta la roba della marchesa Francesca all’ingresso. Un carro sta portando tutto via…»
«Via dove?»
«Questo… questo non lo so».
Alle spalle di Giulia, Rosalina stava pregando per far si che la sua padrona mantenesse i nervi saldi. Se Giulia non avesse avuto un temperamento caldo e alquanto irruento, forse sarebbe stata in grado di mantenere la calma e agire con coscienza. Ma Giulia era istintiva e aggressiva quando si toccava un suo punto debole. Neanche con tutta la buona volontà, avrebbe potuto star calma in quella situazione.
«Marchesa! Marchesa dove andate?» le corse nuovamente dietro Rosalina.
La sua padrona era una furia. Non la riconosceva più. Tentava di starle dietro, ma faticava in quanto Giulia era più veloce di una saetta.
Era dominata dalla rabbia e nessuno l’avrebbe fermata. Nessuno ne aveva quel potere. Chiunque avesse provato a mettersi in mezzo, sarebbe stato travolto dalla sua collera.
La mente della ragazza era bloccata da una fitta nebbia di emozioni negative che raramente aveva provato così intensamente. Il suo unico desiderio era quello di mettere le mani attorno al collo di quella slavata bionda borghese. Elena non valeva nemmeno un capello di sua madre. Sentiva le mani pruderle da quanto avrebbe voluto mettere in faccia a quella donna.
In quel momento, Giulia stava mandando all’aria anni di educazione per diventare una dama piena di grazia e di classe. Non le importava se sarebbe apparsa come una fanciulla senza creanza. Voleva solo stritolare quel collo da gallina!
Non appena giunse all’ingresso la vide. Quel pomeriggio Elena indossava un abito arancione, dai ricami color ocra, e una collana di perle. Il pensiero di Giulia fu che poteva indossare qualunque cosa, persino l’abito della Regina, ma ciò non l’avrebbe mai resa una di loro. Era ciò che pensava sempre quando la vedeva più elegante del solito.
Quel breve momento non bastò a distoglierla dalle sue reali intenzioni. Giulia era lì per affrontarla e non per giudicare il suo abbigliamento.
Riprendendo con foga la sua camminata spedita, le andò in contro e, quando giunse al suo cospetto, la spintonò attirando dunque la sua piena attenzione.
«Tu, maledetta! Che intenzioni hai? Perché tutti gli effetti personali di mia madre sono stati spostati e ora sono su quel carro?!»
«Giulia!» si voltò Elena, guardandola con occhi sbarrati. «Avete perso il senno?»
«Rispondi!»
«Questa conversazione dovrebbe seguire le convenienze e in base al rango che rivestiamo dovremmo…»
«Lasciamo da parte le stupide convenienze, Elena! Che io mi rivolga a te dandoti del “voi” o del “tu” non cambierà l’esito di questa discussione».
«Molto bene» s’arrese Elena. La donna fece un lungo respiro profondo, perfettamente conscia in quale condizione si stava imbattendo. «La pura verità è che trovo quantomeno inutile vivere nel passato. Bisogna andare avanti con la propria vita, anche se persone care ci hanno lasciato. Io stessa ho perso una madre…»
«Dunque puoi capire cosa significano per me i suoi oggetti. Perché l’hai fatto?» domandò Giulia supplichevole. In lei si accese una luce di speranza. Sperava che ci fosse una spiegazione logica e sensata a quel gesto o sarebbe stata la fine.
«È nostro dovere rispettare il passato, ma non possiamo ancorarci ad esso. Tua madre è morta e conservare tutti quegli oggetti è uno spreco di spazio».
«Stai dicendo che mia madre è… è uno spreco di spazio?»
Elena sospirò e mise le mani avanti. «No. Giulia, credimi, le mie intenzioni sono oneste. Non desidero ferirti, solamente aiutarti a lasciare il passato alle spalle. Dobbiamo almeno provarci per andare avanti».
«Ed era necessario spostare… ma dove stanno andando tutti quegli oggetti?»
«In beneficienza. Il ricavo aiuterà un’associazione per…»
«Non dovevi» la zittì Giulia, mentre la rabbia tornava a tormentare il suo animo. I suoi occhi smeraldini divennero lucidi in fretta, ma non avrebbe pianto. Non una lacrima le rigò le guance. «Erano l’unico ricordo che avevo di lei. Erano le uniche cose che me la facevano sentir vicina… e tu hai distrutto ogni cosa».
«No. No, Giulia. Non dire così» tentò di avvicinarsi Elena, ma la ragazza l’allontanò bruscamente. «Che tu ci creda o no, non era mia intenzione ferirti. Tuo padre era d’accordo…»
«Ma certo!» esclamò Giulia senza batter ciglio. «Lui pende dalle tue labbra. Ogni tuo desiderio è un ordine».
«Giulia, per favore…»
La nobile non aveva intenzione di lasciarla parlare. Detestava sentire quella voce delicata, che incantava chiunque eccetto che lei. Elena non l’avrebbe conquistata e, dopo quell’ultimo affronto, mai ci sarebbe riuscita.
«Non avevi il diritto di fare tutto questo. Sarei curiosa del motivo. Siete forse intimidita dal ricordo di mia madre? Vi sentite inferiore?»
«Non parlarmi in questo modo, Giulia» s’infervorò Elena, puntandole il dito contro. «È da quando sei tornata che non mi dai modo di avvicinarmi a te. Mi attacchi sempre, anche quando tento di esserti amica. Tu mi disprezzi dopo tutto ciò che ho fatto per te!»
«Ciò che hai fatto per me?» ripetè la nobile, fissandola con astio. «Tu sei la causa della mia rovina. Forse la memoria ti inganna e non ricordi che volevi mandarmi in un convento di clausura! Volevi sbarazzarti di me!»
«Questo perché perdesti la ragione e hai tentato di… di… oh! Lo sai che cosa avevi intenzione di fare».
«Tutte menzogne. Solo menzogne» sibilò Giulia. «Sei una stupida, Elena. Ti sei fatta imbambolare da tuo fratello. Sei schiava della sua furbizia e meschinità!»
«Non parlare in questo modo di Adriano!»
«Credimi, è la maniera più gentile con cui posso parlare di quell’infame. All’inferno tu e lui!»
Elena stava per tirarle uno schiaffo, ma Giulia le bloccò il polso e sbilanciandosi finirono entrambe nella fontana. La donna riuscì ad afferrare la marchesina per un braccio e le tirò una sberla. Per la prima volta in vita sua, Elena alzò le mani su una persona. Nessuno mai l’aveva fatta innervosire tanto da arrivare a quel punto. Quella ragazzina si era spinta troppo oltre, insultando la sua famiglia e gettando malignità dove non ne vedeva alcuna.
Giulia la prese per il collo e la gettò nuovamente in acqua, strattonandola con forza. Quello schiaffo l’avrebbe spinta oltre il limite. Ormai era incontrollabile.
«Siete una strega, una meretrice! Avete venduto gli oggetti di mia madre! Strega! Ve la farò pagare per tutto questo male!»
La rabbia dava una forza incredibile a Giulia, che ricambiò “la gentilezza” della matrigna. La picchiò tirandola per i capelli, dandole calci, schiaffeggiandola. Le urla di Elena fecero accorrere non poche persone.
I primi furono la marchesa Adelaide, seguita dal prode Mattia, e Adriano. Rimasero spiazzati da quella scena.
«Vai! Che cosa fai lì impalato? Tira fuori mia nipote dalla fontana!» ordinò Adelaide a gran voce.
Mattia raggiunse in fretta la fontana e vi piombò dentro, tentando di prendere Giulia, e lo stesso fece Adriano. I due giovanotti tentarono di dividerle in ogni modo… o per meglio dire, tentarono di staccare Elena dalle grinfie di Giulia.
Adriano afferrò la marchesina per i fianchi, un gesto che la immobilizzò per qualche istante, il tempo di rendersene conto, poi si voltò e lo fissò con astio, prima di tirargli un pugno sul naso.
Il fratello di Elena si portò subito una mano sotto al naso, dal quale uscì qualche goccia di sangue. Per un soffio, Adriano non le fu nuovamente addosso e tutto grazie a Rosalina. La cameriera balzò all’interno della fontana per accorrere Giulia e tentare inutilmente di calmarla. Non le importava quante volte nel corso dell’ultima ora avesse fallito, voleva bene alla sua padrona e non poteva abbandonarla proprio in un momento del genere.
Il caos creatosi s’accentuò all’arrivo del marchese Pietro e del duca Pietrarossa. Il padre di Giulia divenne rosso dalla rabbia. Era sconvolto da ciò che i suoi occhi gli stavano mostrando. Senza perder tempo s’avvicinò alla fontana.
«Pazza!» urlò Elena.
«Tu sei una pazza e una meretrice!» replicò Giulia.
Il marchese Pietro entrò a sua volta nella fontana e si frappose tra le due, riuscendo finalmente a dividerle. Aiutò Elena a rialzarsi e le prese il viso tra le mani, assicurandosi che stesse bene. La donna piangeva disperata e aveva una guancia tutta arrossata. La poverina biascicava parole incomprensibili e puntava continuamente il dito contro Giulia.
«Ha cominciato lei!» urlò la marchesina, ancora in preda alla rabbia. «Mi ha tirato uno schiaffo e… e non prova alcun rimorso per aver fatto portar via gli oggetti di mia madre. Come avete potuto permetterglielo?!»
«Taci, pazza!» gridò Elena.
Giulia tentò nuovamente di avventarsi sulla matrigna, ma suo padre le diede uno spintone talmente forte da farla scivolare e cadere. Attutito il colpo, venne aiutata a rialzarsi da Mattia e Rosalina.
«Perché lo avete fatto? Perché mi avete fatto questo? Mi odiate a tal punto?»
«Nessuno ti odia, Giulia. È frutto della tua fantasia» ribattè secco il marchese Pietro. «Sei tu la causa del tuo stesso male. Elena ha sacrificato tre anni della sua vita per te. Ha voluto aspettare che tu mutassi opinione nei suoi confronti per potermi sposare e diventar finalmente una famiglia. Se in questi tre anni non ci siamo sposati è stato per causa tua, egoista che non sei altro!»
«Causa mia?! Io non ho chiesto di andare a Verona e né di tornare!»
Mattia provò a mettersi in mezzo per non farla continuare, ma ormai era tutto inutile. Giulia non sarebbe stata zitta.
«Per quanto mi riguarda potevate sposarvi il giorno stesso della mia partenza e potevate lasciarmi a Verona! Io stavo bene dai nonni. Loro sono la mia vera famiglia. Loro mi vogliono bene, non voi!»
«Se non ti volessimo bene, ora non saresti qui».
«Arrivati a questo punto preferirei vivere in una stalla che con voi».
Il marchese Pietro sbuffò sonoramente. Era evidente che si stava trattenendo dall’aggredire la figlia. C’era qualcosa oltre la sua compostezza di ghiaccio, oltre il suo sguardo scuro e oltre l’apparente indifferenza per Giulia.
«A discapito di ciò che credi, cara la mia figliola, io ed Elena vogliamo solamente il meglio per te. Sei tu che ci ostacoli in tutte le maniere. Da quando sei tornata ti abbiamo trattata con rispetto e non mi pare che tu sia stata tanto disponibile da ricambiare o sono in errore?»
«Rispetto? Ciò che avete appena commesso credete faccia parte del rispetto?» chiese Giulia con una poca velata ironia. «Sapete quanto ho sofferto per la morte di mia madre e non avete esitato un secondo a portar via tutti i suoi ricordi».
«I ricordi vivono nelle nostre menti e non in degli oggetti».
«Gli oggetti ci permettono di ricordare. Voi li avete portati via e non ve lo perdonerò mai».
Pietro si prese qualche attimo per osservare la figlia e infine scosse il capo amareggiato.
«Sei ridicola, Giulia».
«Prendete sempre le sue difese, sempre! Non importa se sbaglia. Non conta niente ciò che dico io che sono vostra figlia, sangue del vostro sangue! Quella volgare plebea verrà sempre prima di me in ogni caso!» gridò Giulia fissandolo con astio suo padre ed Elena, che avrebbe continuato a considerare la causa del suo male assieme al fratello. Non c’era alcun rimedio a quella deplorevole situazione.
Il marchese le tirò un sonoro schiaffo. Rosalina sussultò, portandosi le mani alla bocca. Mattia lanciò un’occhiata alla marchesa Adelaide, che non era intervenuta per quel minimo di rispetto che provava per il figlio e che dopo quel gesto si sarebbe annullato. Chiunque assistette a quella scena, rimase di sasso. Alcuni rimasero sconvolti dalla durezza del marchese e altri provavano una profonda pena per Giulia. In quel momento era una povera ragazza abbandonata da tutti. Era infradiciata dalla testa ai piedi e stava inerme di fronte all’unica persona che per l’ennesima volta la tradì.
In tutta quella diatriba, Andrea fu uno spettatore inerme. Quando arrivò era già tutto cominciato e dunque non sapeva bene come si erano svolti i fatti. Si sentì diviso. Da una parte c’era la sua amica d’infanzia, una persona che conosceva piuttosto bene, che non avrebbe mai fatto del male ad una mosca. E dall’altra parte c’era una fanciulla che mostrò un’aggressività guidata non tanto dalla cattiveria, bensì dalla sofferenza. Si percepiva quello se la si guardava negli occhi. Giulia non avrebbe mai pianto di fronte a tutti, era troppo orgogliosa per farlo. Ciò non escludeva che prima di sera sarebbe crollata.
La marchesina si portò una mano alla guancia e la sentì bruciare.
«Voi non mi credete mai» sussurrò in direzione di suo padre. Nel suo sguardo c’era un’amara certezza e non rabbia. «Non l’avete mai fatto e non lo farete mai».
Giulia sollevò il suo fradicio abito, per poter uscire dalla fontana. Rosalina fu subito pronta ad aiutarla. La cameriera veronese provava una gran pena per la sua padrona, perché sapeva che non era cattiva come stava tentando di dipingerla. La sua unica colpa fu quella di cadere nella ceca rabbia.
Passando di fronte a tutti, Giulia non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo su Andrea. Lo aveva intravisto durante la discussione con suo padre e non sapeva con che occhi la stesse guardando. Per paura di un suo giudizio negativo, preferì evitarlo e rientrare in silenzio.
«Elena, sarà meglio che vi cambiate d’abito o vi prenderete un malanno» disse la marchesa Adelaide, spezzando l’assordante silenzio venutosi a creare. «Adriano, dovreste accompagnare vostra sorella, e voi duca… a voi chiedo cortesemente di lasciarmi da sola con mio figlio».
Le parole calme della gran signora smossero la situazione. Tutti fecero come era stato cortesemente ordinato e la marchesa non proferì parola fino a quando, all’ingresso della tenuta, non rimasero solamente lei e il figlio.
«Madre immagino che…»
«Sta zitto e ascoltami!» esclamò la signora, piuttosto alterata. «Tua figlia è una testa matta. I suoi modi sono completamente sbagliati, sia per il rango a cui appartiene sia per il quieto vivere di questa tenuta. Eppure non è nell’errato».
«Siete di parte, cara madre. Non tentate di farmi passare per fesso. L’avete sempre difesa!»
«È naturale, caro figlio, dal momento che nessuno in questa casa lo fa! Dovresti dar più retta a quella scapestrata di tua figlia, invece che prestar ascolto a chi ti lecca i piedi dalla mattina alla sera solo per ottenere in silenzio ciò che vuole!»
«Madre non vi permetto!»
«Sei uno sciocco, Pietro. E vedrai che un giorno ti pentirai di tutto questo» disse Adelaide sventolando una mano, poi fece cenno a Mattia di avvicinarsi e insieme rientrarono nella tenuta.

 

Mrs. Montgomery
Sono tornata con un capitolo bomba!
Eh lo so. Sono proprio cattiva con Andrea e Giulia, non li lascio godere nememno un po' di pace... ma ehi, a mia discolpa posso dirvi che il loro percorso tortuoso renderà il loro legame più forte.
Al contrario, il rapporto tra Giulia e suo padre ha perso anche l'ultima briciola di speranza di potersi ricostruire.
L'aver scelto un'altra volta Elena al posto suo, ha fatto sì che Giulia chiudesse definitivamente. Non che entrambi si fossero impegnati a riavvicinarsi, Giulia nemmeno ci ha provato, ma se in un ipotetico futuro poteva esserci speranza... be' ora non c'è più neanche quella.
Preparatevi per il prossimo capitolo. Sarà uno di quelli che vi lascerà col fiato sospeso.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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Capitolo 10
*** Il suggellamento di questo sentimento ***


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Il fiore sabaudo



Capitolo 9
Il suggellamento di questo sentimento


Faustina e Giuseppe erano rispettivamente cuoca e garzone al servizio della nobile famiglia dei marchesi Guerra.
Entrambi sulla trentina erano molto dediti al loro lavoro. Raramente, anzi praticamente mai, si distraevano in futili chiacchiere, ma quando calava la notte e non avevano mansioni di cui occuparsi, sgattaiolavano in giardino e s’incontravano di nascosto. Nessuno sapeva che tra loro intercorreva una relazione, nemmeno la più pettegola delle cameriere. Nessuno, fatta eccezione per la marchesina Giulia.
Erano un paio di sere che la nobile fanciulla si affacciava alla finestra della sua stanza, rimanendo ad osservare l’ambiente circostante, e fu in una di quelle occasioni che scoprì Faustina e Giuseppe ad amoreggiare. Giulia notò che la coppia s’incontrava puntualmente ogni sera, appena calato il crepuscolo, e si nascondevano dietro ad un’alta siepe.
Ogni volta che la nobile fanciulla si alzava dalla toletta, dopo che Rosalina terminava di spazzolarle i capelli, e si affacciava alla finestra, li vedeva intenti a scambiarsi qualche carezza o sussurri alle orecchie. E ogni volta non poteva che pensare al momento che trascorse assieme al duca Pietrarossa.
Ricordava ancora i suoi occhi osservarla in continuazione e il suo largo sorriso, molto diverso dal solito ghigno furbo. Ricordava il suo profumo. E naturalmente, ricordava il loro bacio.
Le emozioni di quell’intimo gesto da parte del duca, e che lei aveva ricambiato con estrema tenerezza, erano ancora vive e scalpitanti. Il sol pensiero le faceva battere il cuore. Non si era mai sentita in quel modo, per lei strano e al tempo stesso incredibile. Sorrideva quando ripensava a quel dolce bacio e alle mani di Andrea che le scorrevano lungo la schiena. Si era sentita desiderata e azzardava a dire… amata. Veniva travolta da una un’infinita gioia e da un calore improvviso.
È questo che si prova quando si possiedono dei sentimenti per un uomo? finì per domandarsi.
Provava un briciolo d’invidia per Faustina e Giuseppe. Per loro sembrava tutto molto semplice mentre per lei non lo era affatto. Da quando litigò furiosamente con Elena, non erano solamente peggiorati i rapporti con suo padre, con il quale neanche si rivolgevano il saluto, ma anche il duca Pietrarossa parve distaccarsi e ciò peggiorò notevolmente il suo umore.
«Buonasera, signora marchesa!»
Giulia si voltò, dopo aver udito la voce della sua cameriera personale, e vide sua nonna entrare nella sua stanza. Adelaide fece cenno a Rosalina di lasciarle sole e la cameriera obbedì senza remore .
«Salve, nonna».
«È la terza cena a cui non sei presente. La tua assenza inizia a pesare eccessivamente l’aria del pasto serale» sibilò la matriarca della nobile famiglia Guerra.
I suoi occhi fissavano intensamente il viso della nipote, che trasudava di un nervosismo piuttosto evidente.
«Perché vi stupite tanto, cara nonna? O forse non vi siete accorti della mia assenza anche nei precedenti tre pranzi?»
«Ora non fare l’impertinente! Mi dispiace dirtelo, ma te la sei cercata. Dovevi proprio buttarla nella fontana?»
Giulia non battè ciglio e la marchesa Adelaide sospirò, pensando che in fondo era ancora molto giovane. Era in preda al rancore e al suo istinto, una miscela che poteva portarla alla distruzione di sé e di ciò che la circondava.
«Bambina mia, capisco la tua collera nei confronti di Elena e di quell’imbecille di mio figlio, la capisco veramente, ma non posso giustificarla. Giulia, sei una signora! Non puoi metterti ad urlare come se fossi una volgare lavandaia! Sei proprio necessiti di sfogare la rabbia, ti consiglio di prendere un fucile e andare a caccia… e non di Elena».
Giulia bofonchiò una risata divertita. Comprendeva che sua nonna era lì per farla ragionare e consigliarla, come al suo solito, e le era molto grata. Rimuginando su quanto accaduto, comprese che i suoi modi troppo irruenti peggiorarono una situazione già di per sé sempre più in rotta di collisione. La verità era che nonostante ciò, non se ne pentì. Non provava un briciolo di pentimento. Credeva che Elena meritasse quel trattamento, dopo l’affronto che le inflisse. Dare via tutti gli oggetti di sua madre… lo trovò indecente e irrispettoso non solo verso di lei, ma anche verso la memoria della defunta marchesa. Il peggio era che suo padre non aveva battuto ciglio e Giulia si sentì tradita per l’ennesima volta.
«Giulia, non pensarci» le disse dolcemente sua nonna, come se avesse carpito i suoi pensieri. «Viviamo in un mondo difficile, dove fidarsi è pericoloso e la sopravvivenza è necessaria. E tu sai di cosa hai bisogno per sopravvivere».
«Un matrimonio».
«E il duca si è allontanato da te o sbaglio?»
Giulia sospirò pesantemente. Quella domanda retorica era come un coltello che s’infilzava in una ferita aperta. Più che il dispiacere, le saliva una grande rabbia. Per una volta le stava accadendo qualcosa di bello ed era riuscita a rovinarlo.
«No, non sbagliate. L’interesse di And-… ehm, volevo dire, del duca Pietrarossa sembra essersi dissolto. Evidentemente è stato più importante il trattamento che ho riservato ad Elena, piuttosto che all’apparente affetto che pareva provar per me».
«Le tue parole sono molto dure, Giulia. Chiunque esprima un pensiero con quel tono dimostra quanto fosse coinvolto nell’affaire».
«Per caso desiderate una confessione a cuore aperto?»
«Non ce n’è la necessità, mia cara. Al contrario, ho bisogno che tu smetti di farti controllare dalle tue emozioni e agisci con giudizio. Rifletti, nipote! Che cosa hai ottenuto con la tua sceneggiata?» le domandò l’anziana marchesa con voce calma, ma severa. «Il drappo, nel rapporto con tuo padre, si è allargato e chissà mai quando si ricucirà. Con molta probabilità Elena smetterà di trattarti con gentilezza, o almeno lo farà se non è ancor più sciocca di quanto già non appaia. Adriano sicuramente godrà della tua scomoda posizione. E fatto ben peggiore, hai perso la tua unica opportunità di essere libera».
«Unica non credo proprio. Posso ricordarvi che il nostro piano di riserva è ancora attuabile?»
«No, perché lo ricordo piuttosto bene. Sono anziana, non demente… per disgrazia dei miei nemici!»
«Dunque non serve essere tanto preoccupate».
«Lo credi veramente?»
«C’è qualcosa che vi fa credere il contrario?» replicò Giulia.
La marchesa la scrutò per qualche attimo. Non era impassibile. Nei suoi occhi di ghiaccio, c’era una luce misteriosa che trasse la curiosità di Giulia.
La ragazza non capì su cosa fosse tanto concentrata e non ebbe nemmeno tempo di domandarle che sua nonna riprese il discorso: «Ho preso le tue difese. L’ho fatto quando tuo padre voleva mandarti in convento e l’ho fatto anche questa volta, ma non potrò proteggerti per sempre».
Adelaide si avvicinò e le carezzò i capelli amorevolmente. Adorava quella ragazza, più di quanto avesse mai adorato suo figlio. Pietro era stata la sua più grande delusione e faticava ad ammetterlo, perché nel profondo se ne incolpava. La grande marchesa Guerra aveva trascorso gran parte della sua vita ad arricchirsi e a raggiungere il potere, trascurando senza rendersene conto il suo più grande tesoro. Freddo, testardo e superbo; Pietro divenne l’uomo che era a causa sua.
In Giulia aveva sempre visto una seconda possibilità. Era la sua occasione per riscattarsi. La prima volta che la prese tra le sue braccia, giurò a se stessa che avrebbe vegliato su di lei. Era la sua bambina e dopo tanto tempo era l’unica che poteva tirarle fuori un po’ di dolcezza.
«La mia piccola Giulia. Posso sapere perché hai quest’espressione triste? E non osare farmi credere che sia solo perché tu e tuo padre non vi rivolgete la parola».
Ovviamente non era per quello.
«Ha a che fare con il nostro bel duchino?»
Giulia era un libro aperto. Pur non volendolo, manifestava ogni suo pensiero o emozione attraverso il suo viso. La fanciulla era con le spalle al muro, tanto valeva raccontarle cos’era accaduto.

Intenta ad osservare il viso stanco allo specchio della toletta, Giulia era intenta a scrivere al suo amico Raffaello. Desiderava raccontargli ciò che era accaduto quel pomeriggio e sentiva l’estremo bisogno di leggere qualche sua riga. Il nobile giovanotto trovava sempre qualche maniera per farla sorridere.
Improvvisamente, la porta della sua stanza venne aperta bruscamente. La marchesina sospirò profondamente, immaginando fossero sua nonna o suo padre che volevano farle la ramanzina. Era un’ipotesi piuttosto valida. In seguito la litigata con Elena, si rifugiò in camera sua e non rivolse parola a nessuno eccetto Rosalina.
Giulia lanciò un’occhiata allo specchio della toletta e sbarrò gli occhi quando vide riflesso la figura del duca Pietrarossa.
Che diamine ci faceva in camera sua?!
Era giunto in un orario poco conveniente e in un momento altrettanto sconveniente dal momento che aveva indosso unicamente la chemise e la vestaglia. La nobile non riuscì nemmeno a proferir parola che l’intemperanza di Andrea prese il sopravvento.
«Avete una vaga idea di come vi siete comportata oggi? Credo che una bambina viziata abbia più coscienza di voi» l’attaccò bruscamente, mentre lei lo osservava confusa dallo specchio. «Vi siete comportata come una pazza. Avete persino alzato le mani su quell’anima candida di Elena, dovreste vergognarvi!»
In quel momento giunse Rosalina, che sobbalzò alla vista dell’uomo.
«Tu, vattene! Voglio parlare da solo con la tua padrona!»
La cameriera evitò di fulminarlo con lo sguardo solo per dovuto rispetto, ma trovò quel comportamento arrogante e dispotico. Ad ogni modo non si mosse dal suo posto. Spostò lo sguardo su Giulia, attendendo un comando unicamente da lei. La marchesina annuì, facendole segno di lasciare la stanza. Rosalina fece la riverenza e inevitabilmente lanciò un’occhiataccia al duca, prima di lasciare la stanza.
Giulia si alzò lentamente dalla toletta e tentò di coprirsi meglio con la vestaglia.
«Permettetemi di farvi presente quanto il vostro comportamento sia poco adeguato, esattamente come il vostro tono di voce. Inoltre vi rendete conto dell’ora che si è fatta?» lo riprese senza alcuna riserva. «Sono una nobildonna e mi dovete rispetto. Non potete presentarvi qui mentre sono in abiti poco consoni».
«Francamente, non me ne potrebbe importare di meno! Sono qui perché voglio esprimervi il mio parere su tutto il caos che voi avete causato con la vostra irruenza».
«Io?»
«Sì, voi!»
«Ora comprendo la vostra presenza qui. Vi ha mandato mio padre o la plebea piagnucolona?»
«Non parlate così di Elena!»
«Altrimenti?» lo sfidò Giulia, avvicinandosi tanto da stargli ad un palmo dal viso.
Lo fissava intensamente negli occhi. Voleva fargli capire che niente di ciò che era successo tra loro poche ore prima, avrebbe mutato il suo atteggiamento. Lei non si sarebbe mai piegata e non avrebbe permesso a nessuno di abbatterla.
«La vostra cara amica ha venduto tutti gli effetti personali di mia madre e avete anche il coraggio di difenderla? Siete un’idiota».
«Come mi avete chiamato?»
«Avete udito perfettamente. Non siete diverso da mio padre e potrei dispiacermene, ma non lo farò».
Giulia mise le braccia conserte e stava tenendo una compostezza d’acciaio. Niente sembrava poterla scuotere minimamente. Andrea ne rimase colpito e non piacevolmente. Gli sembrava di aver di fronte a sé un’altra persona, non era la stessa fanciulla con la quale aveva trascorso il pomeriggio. Era diversa. Era puro ghiaccio.
«Quindi è così?»
«È così che cosa?»
Andrea la fissò per qualche istante ancora. Nei suoi occhi sembrò spegnersi la speranza di… be’ solo lui sapeva che cosa stava cercando in lei e lo perse… la perse.
«Bene!» sbottò l’uomo, voltandole le spalle e uscendo dalla sua camera in fretta e furia.
Giulia sobbalzò quando sentì la porta sbattere. Improvvisamente tutta la tensione di quel giorno le piombò addosso e la fece cadere… letteralmente. La fanciulla si inginocchiò a terra e scoppiò a piangere, tenendosi le mani al petto. Sentii di aver perso qualcosa, sebbene nemmeno lei comprendesse che cosa fosse. Doveva essere qualcosa di importante, altrimenti non si spiegava quella morsa al petto.

Adelaide scosse il capo, abbozzando un sorriso ironico. «Vi siete proprio trovati, non c’è che dire. Due teste matte!»
«Chi si somiglia, si piglia!»
Rosalina e Mattia balzarono nella stanza, dopo aver evidentemente origliato alla porta. Sbarrarono gli occhi e fissarono le nobili, attendendo un severo ammonimento. Tirarono un sospiro di sollievo quando la marchesa Adelaide scoppiò a ridere. Segno evidente che erano scampati da una grossa ramanzina.
«La tua cameriera ha ragione. Tuttavia temo che la tua sceneggiata l’abbia allontanato. Peccato!»
«Se man de ladro no prende, canton de casa rende» si lasciò scappare Rosalina, attirando lo sguardo perplesso dei presenti e intuì la motivazione. «È un proverbio di noi veronesi. Lo usiamo quando si smarrisce qualcosa. Significa che si ritrova solo se non è stata rubata e, se vossignorie me lo permettono, non penso che l’interesse del duca lo sia».
«Sai qualcosa che a noi è ignoto?» domandò Adelaide.
Rosalina spostò lo sguardo da Mattia, alla marchesina Giulia e infine sull’anziana marchesa, tentando di trattenere le sue emozioni.
«Ieri pomeriggio l’ho sentito parlare con quel mona dell’Adriano e sono alquanto sicura che il duca Pietrarossa abbia detto: “Mi manca Napoli, ciò nonostante credo che mi tratterrò in Piemonte per qualche tempo. Ci sono sfide che intendo vincere”».
«Uhm… dunque forse non è tutto perduto!» esclamò Mattia in un impeto di entusiasmo.
La marchesa Adelaide parve piuttosto pensierosa. «Sicuramente l’interesse del duca non sembra affatto essersi totalmente dissipato. Nonostante ciò non sarei troppo speranzosa. Mi è parso alquanto orgoglioso».
«Orgoglioso o meno, non m’importa di lui!» sbottò Giulia voltando loro le spalle e andando alla finestra. Mise le braccia conserte e fissò il cielo oscuro, mentre nella sua mente navigavano pensieri che preferiva tenere per sé. «E non dovrebbe importare neanche a voi. Se il suo interesse non si fosse dissipato, in questi giorni si sarebbe potuto avvicinare, ma non l’ha fatto! E per quanto io potrei essere coinvolta, ho altro a cui pensare, ovvero me stessa! Devo proteggermi da Adriano e provare a…»
«Questo è il primo pensiero saggio che sento da te da quando sono entrata nella tua stanza» affermò la marchesa Adelaide. «Rosalina, non avresti un detto nel tuo divertente dialetto? Iniziano molto a piacermi. Com’era quello di prima?»
«Se man de…»
«No, no, cara. Traducimelo per bene».
«Oh, certamente! Se la mano del ladro non prende, l'angolo di casa restituisce».
«Se la mano del ladro non prende, l'angolo di casa restituisce» ripetè Adelaide con tono allegro. «Mi piace. Nipote cara, perché tu non conosci questi proverbi seppur hai vissuto in quella splendida città?»
«Li conosco, nonna cara, ma Rosalina è più brava di me a dirli al momento opportuno» disse voltandosi e andando vicino alla sua cameriera, con la quale si scambiò un sorriso complice.
Improvvisamente la porta venne spalancata.
«Mia signora e mia signora» le salutò un servitore, piuttosto affannato «la tenuta è stata assaltata da alcuni briganti mal intenzionati. Il marchese Pietro ha ordinato di rifugiarsi nell’ala est del castello, immediatamente!»
Senza perder tempo, uscirono dalla camera da letto di Giulia. Il servitore venne raggiunto da altri due garzoni e insieme illuminarono il percorso. Mattia teneva stretto a sé l’anziana marchesa Adelaide, l’avrebbe scortata per tutto il percorso, in modo da poterla proteggere in caso di pericolo, mentre Giulia e Rosalina erano subito dietro.
Solitamente ad assaltare il castello erano bande di briganti nomadi, che attraversavano la zona e nel cuore della notte si addentravano della residenza di un nobile per derubarne gli oggetti più preziosi. In passato, alla tenuta di campagna della famiglia Guerra era già accaduto un episodio simile. Al tempo Giulia era una bambina e ricordava che si erano recati tutti in un salotto dell’ala est, da cui si poteva accedere ad un passaggio segreto se ce ne fosse stata la necessità, mentre a difendere la tenuta e a cacciare via i briganti se ne occupavano i servitori.
Non c’era nulla da temere. Presto sarebbero giunti al luogo sicuro e anche gli ultimi ad arrivare, in quanto la stanza privata della marchesina Giulia era la più distante.
Camminando per il corridoio, apparì un brigante che spinse a terra Rosalina e afferrò Giulia per la vita. I servitori, compreso Mattia, fecero per intervenire e quel brigante puntò loro addosso la sua pistola, prima di puntarla immediatamente alla tempia della marchesina.
Dalle labbra di Giulia uscì un gridolino di pura paura. Stava sfiorando la morte. La sua vita dipendeva da un uomo sconosciuto, a cui non aveva fatto nulla di male, eppure egli la detestava con tutta l’anima. Lo percepiva dalla forza bruta con cui la stava tenendo. Il brigante imprecò contro i servitori e minacciò più volte la vita della marchesina.
«Lasciate andare la ragazza!» inveì la marchesa Adelaide, facendosi avanti senza paura. «Non fatele alcun male. Sono disposta a rendervi i miei gioielli in cambio della sua vita».
«Non sarà così semplice, signora» rispose quell’altro sprezzante. «La ragazza verrà con me, ma non vi preoccupate avrete sue notizie. Ci faremo sentire per pattuire il prezzo da pagare».
«Ditemi ora il prezzo da pagare. Sono disposta a rendervi qualsiasi cifra».
L’uomo scosse il capo.
«Prendete me al suo posto».
«E che cosa me ne farei di una vecchia? Oh no… è la carne fresca che ci interessa».
Giulia sussultò di scatto.
La marchesa Adelaide tentò di non scomporsi. Nella sua lunga vita aveva imparato che mai bisognava mostrare paura o il nemico ne avrebbe fatto un’arma a proprio vantaggio. Ragion per cui non spostò mai lo sguardo sugli occhi di Giulia. Adelaide immaginava che nulla e nessuno sarebbe stato in grado di trattenerla.
«Se oserete sfiorarla anche solo con un dito, ve lo giuro sul mio nome, morirete in preda a mille sofferenze».
Il brigante le rise in faccia, prima di strattonare Giulia e tirarle uno schiaffo in pieno viso. La marchesina cadde a terra, tenendosi la guancia arrossata, e Mattia si prodigò per aiutarla a rialzarsi, ma il brigante gli puntò subito la pistola contro.
«Eccovi mostrata l’importanza della vostra minaccia» disse rivolgendosi alla marchesa Adelaide, che nel contempo era livida di rabbia.
«Siete un uomo morto».
Il brigante afferrò Giulia per un braccio e la rialzò bruscamente. «Salutate la vostra nonnina, perché non la rivedrete per un lungo periodo» e poi le schioccò un bacio sulla guancia.
Giulia rabbrividì e le tornarono alla mente i gesti languidi e i baci saffici che Adriano le strappò, quando tentò di farle violenza. Era quello che le aspettava quella notte. Le intenzioni di quell’infimo uomo erano chiare. Ormai era in trappola. Si sentiva come quelle lepri che finivano nella rete del cacciatore e la cui fine era stata segnata.
La marchesina venne strattonata bruscamente, trascinata nel buio più totale, e l’ultima immagine impressa nella sua mente furono gli occhi terrorizzati di sua nonna.
Giulia cominciò a gridare aiuto, ma quell’uomo le tappò in fretta la bocca con la sua grossa mano. Durante il tragitto per uscire dalla tenuta le mise un sacco in testa e questo le impedì di capire dove la stesse portando.
La marchesina tentò di dimenarsi e opporre resistenza, ma fu tutto inutile. La sua forza era nulla in confronto a quella del suo assalitore. Giulia muoveva la testa in continuazione e per un fortuito caso fu capace di liberarsi dal sacco e notò di trovarsi nel parco della tenuta.
«Tu mi farai diventare molto ricco, sai?»
L’alito di quell’uomo puzzava di alcol e il suo fetore era immane.
«Sei proprio la mia gallina dalle uova d’oro!»
Giulia gli tirò una gomitata nello stomaco. In una veloce mossa, il brigante le mise un coltello alla gola e poi scoppiò a ridere.
«Non provarci, gallinella!»
Era veramente finita? La sua vita si sarebbe conclusa in quella maniera tanto crudele?
Oh sì, Giulia mise in conto che poteva andare incontro a morte certa. Aveva udito tante storie di giovani nobili rapite per essere abusate, torturate mentre i propri familiari si premunivano di trovare il denaro per pagarne il riscatto. In quel momento di pura paura si domandò se suo padre era disposto a sborsare un’enorme cifra per salvarle la vita.
Ogni passo che compiva l’allontanava dalla tenuta e l’avvicinava alla certezza che suo padre avrebbe colto l’occasione per abbandonarla.
In fin dei conti gli sarebbe convenuto perderla per sempre e non rivederla mai più. La sua vita con Elena sarebbe proseguita verso la felicità e senza alcun intoppo. Pubblicamente poteva mostrarsi costernato per la sua morte e non rivelare a nessuno com’era veramente finita.
La vita della marchesina Giulia Guerra si sarebbe spenta in silenzio, lontana da tutto e da tutti. Se quelle sue paure si fossero rivelate fondate, Giulia sperava almeno di poter raggiungere il luogo in cui l’anima di sua madre risiedeva. Quello fu il suo ultimo pensiero, prima che…
«Lasciala andare!»
Il brigante si voltò di scatto, trascinandosi anche Giulia. Il cuore della ragazza fece un balzo non appena lo vide. Proprio lui. Stava a pochi metri da loro e aveva in pugno una pistola. Lo sguardo timoroso e rabbioso del duca Pietrarossa era fisso sul brigante.
«Lasciala andare o sei finito!»
«Credete che le vostre minacce mi spaventino? Tzk!» replicò il brigante, sputando a terra. «Abbassate immediatamente la pistola o mi toccherà far del male alla vostra marchesina e, credetemi, non voglio proprio farlo. Questa ragazza mi frutterà molto, soprattutto stanotte! Non gradisco una donna agonizzante, mentre sto…»
«Non osate farle del male, bifolco» sibilò lento Andrea.
«Le vostre minacce sono inutili. State sprecando fiato».
«Non mi ripeterò un’altra volta. Lasciatela andare, subito!»
Il brigante scosse la testa e rimasero ancora qualche istante a fissarsi. Andrea non accennava ad abbassare la pistola. Non poteva farlo. Non poteva lasciare che quell’uomo se la portasse via.
Chissà in quale sudicio luogo l’avrebbe portata e, sopra ogni cosa, chissà che cosa le avrebbe fatto. Dalle smorfie che gli stava mostrando, non fu difficile immaginarlo per Andrea e ciò non fece altro che accrescere la sua rabbia. Nessuno doveva osare toccarla. Andrea gliel’avrebbe impedito a qualunque costo.
Il duca serrò maggiormente la presa sulla pistola. Era nervoso, come non esserlo? La ragazza per cui provava dei forti sentimenti, che stupidamente aveva tentato di negare a se stesso e di combatterli specialmente negli ultimi giorni, era in serio pericolo.
«Ti prego, lasciala andare. Ti prego».
I suoi occhi si scontrarono per una frazione di secondo con quelli di Giulia. Fu un breve attimo, ma così intenso che non sfuggì nemmeno a quel buzzurro brigante.
«Oh! Vedo che tenete in maniera particolare a questa ragazza. Questo non fa altro che facilitare il mio compito. Richiederò molto più denaro e il mio divertimento sarà più intenso!»
«Siete un maledetto! Un uomo senza onore!»
«Fatevi da parte o comincerò fin da ora a farle del male… proprio di fronte ai vostri occhi».
«Se oserete, vi ucciderò con le mie stesse mani».
«A quanto pare siete benvoluta» sussurrò all’orecchio di Giulia. Le carezzò una guancia con la punta della pistola, la fece scorrere lungo il collo e raggiunse l’incavo del seno. «Questa serata si preannuncia fin troppo interessante».
Il limite di sopportazione di Andrea era stato varcato. Per il duca era il momento di agire. Serrò bene la mano attorno alla pistola e prese la mira e mentre il brigante scoppiò in una fragorosa risata, Andrea premette sul grilletto.
Fu un gesto azzardato, dettato dalla paura e forse dal troppo istinto, tuttavia ebbe la gran fortuna di colpire la mano del brigante.
Il duca non avrebbe detto di esser stato baciato dalla buona sorte, ma semplicemente era stato in grado di calcolare tutto. Colpendolo alla mano, il brigante avrebbe mollato la presa su Giulia e infatti così accadde.
La marchesina sobbalzò e, rendendosi conto rapidamente di ciò che era appena accaduto, sfilò di mano la pistola del brigante e lo colpì in testa con essa. Fu Andrea a dargli il colpo di grazia, sparandogli in pieno petto. Il brigante sbarrò gli occhi ed esalando il suo ultimo sospiro cadde a terra.
Quella rapida sequenza di eventi scorse sotto gli occhi di Giulia. E quando realizzò che tutto era finito, corse immediatamente da Andrea, che l’accolse tra le sue braccia senza alcuna esitazione.
Un senso di gran sollievo avvolse il cuore del duca, perché la sua amata era sana e salva. Il duca fece cadere la sua pistola a terra e strinse a sé la giovane nobile. Non aveva intenzione di lasciarla neanche per un minuto. Finchè avrebbe potuto, non si sarebbe mai scostato. Percepiva un senso di calma ad averla vicino a sé e non solo perché l’aveva salvata, era semplicemente l’effetto che Giulia gli provocava.
Non gli importava quanto gli desse ai nervi quando mostrava disprezzo per Elena o quanto la situazione lo avesse spinto ad allontanarsi. Che poi, se doveva essere sincero, per quanto avesse tentato di allontanarsi sentiva che qualcosa lo teneva costantemente legato a lei.
Non sapeva se fosse dovuto al fatto che momentaneamente vivessero sotto lo stesso tetto. Aveva provato a pensare alla sua vita a Napoli, città a lui molto cara dove possedeva un palazzo e molti amici, ma ogni volta che portava là la mente sentiva la malinconia avvolgerlo.
Giulia aveva il capo poggiato sul suo petto ed era in grado di sentire il suo cuore battere velocemente. Il suo tentato rapimento aveva risvegliato una forte preoccupazione in Andrea, che aveva pure aveva rischiato la vita per salvarla.
«Ho temuto di non rivederti mai più e non me lo sarei mai perdonato» le sussurrò ad un orecchio. Era talmente frastornato da tutto ciò che era appena accaduto, che si dimenticò completamente delle conveniente e se ne infischiò di utilizzare il “voi”. Poco gli interessava in quel momento. «Oh, Giulia. Non avrei mai permesso che ti portasse via».
In preda all’agitazione per quel tentativo di rapimento e per le parole dolci che Andrea le aveva appena rivolto, Giulia scoppiò a piangere in silenzio. Gli circondò la schiena con le sue braccia e desiderava rimanerci avvinghiata per tutta la notte, se non per sempre. Tra le braccia di Andrea si sentiva al sicuro, più di quanto gli fosse mai capitato con Giacomo, con Raffaello o con sua nonna.
«Vieni. Ti porto dentro» mormorò il duca, scostandosi leggermente e sfiorandole il braccio, fino a finir per prendere la sua mano con delicatezza.
«Aspetta».
Giulia lo fermò tenendolo per mano. Non sapeva nemmeno lei cosa dirgli. Gli era grata senza dubbio e ormai era in debito, ma ovviamente non si trattava solo di quello. Dentro la giovane c’erano una miriade di emozioni che scalpitavano, come un puledro imbizzarrito, per uscire e gridare con la grinta di un leone quanto desiderasse tornare tra le sue braccia, anche solo per un minuto. Oh, Giulia desiderava più di ogni altra cosa che quelle forti braccia la strinsero nuovamente. Desiderava sentire il suo odore intenso e di cui non poteva più farne a meno. Eppure dalle sue labbra non uscì nessuna parola che potesse fargli capire ciò che ardeva in lei.
«No, niente. Rientriamo» riuscì solamente a dire.
Andrea le lanciò un’occhiata fugace e poi s’avvicinò per prenderla in braccio, stupendola con quel repentino gesto. Le guance di Giulia s’imporporino lievemente. Non era abituata a quel contatto con un uomo. Abbassò gli occhi e riuscì solamente ad abbozzare un sorriso imbarazzato.
C’era da dire che il duca se la prese con una gran calma e a Giulia non dispiacque affatto. L’indomani mattina se ne sarebbe andato e per questo aveva tutta l’intenzione di godersi quel momento… entrambi desideravano godersi il momento. E lo fecero fino a quando non raggiunsero il salotto dove si erano nascosti gli altri membri della famiglia Guerra.
La marchesa Adelaide fu la prima ad andar loro incontro.
«Bambina mia! Sei salva!»
La strinse forte a sé. Il timore di averla perduta le avrebbe fatto divenire tutti i capelli grigi se già la sua folta chioma non avesse perso colore anni orsono.
«Siete stato voi a salvarla, duca. A voi pongo tutta la mia riconoscenza e la mia fiducia. Tengo un grosso debito nei vostri confronti».
«Nessuno debito, milady. Mai avrei lasciato che a vostra nipote fosse torto anche un sol capello».
«Oh, ne sono certa» rispose la marchesa Adelaide con tono forte.
«Siete stato così coraggioso, Andrea» avanzò Elena, lasciandosi andare ad un lungo sospiro melenso.
S’avvicinarono tutti per porgere parole d’ammirazione al duca Pietrarossa. Si premunirono maggiormente di adularlo, invece che mostrare anche solo una sottile preoccupazione per Giulia. Nemmeno Adriano le rivolse una parola di conforto e, se le toccava essere onesta, lo preferì.
Solamente la marchesa Adelaide era sinceramente preoccupata per la nipote e ordinò immediatamente a Mattia di riaccompagnarla nella sua stanza.
Giulia era ancora molto scossa, ma si rendeva ben conto di ciò che le stava accadendo attorno e per quanto strano potesse sembrare - o forse non più di tanto - non la toccava il disinteresse di Elena, né quello di Adriano e tantomeno quello di suo padre.
Non desiderava le loro attenzioni. Ancora anni orsono aveva messo in conto di esser stata abbandonata. Ciò doveva farle constatare che si trovava sola al mondo e invece non era così. Non era sola.
Giulia aveva al suo fianco persone di cui si fidava ciecamente e che più volte dimostrarono di tenere a lei. C’era sua nonna Adelaide, la donna che vegliò su di lei dal suo primo vagito.
C’era la dolce Rosalina, senza la quale presenza allegra si sentirebbe sconfortata ogni giorno. C’era il caro Raffaello che sebbene fosse lontano, lo sentiva vicino al suo cuore. C’era Giacomo, lui non l’avrebbe mai lasciata, non aveva alcun dubbio. E poi… poi c’era Andrea. Mai avrebbe pensato che quell’uomo sarebbe diventato tanto importante.
Il cuore della nobile fanciulla era certo dei sentimenti e delle incontrastate emozioni che ella provava. Non era sicura di poterlo definire amore. Attrazione, gratitudine, simpatia… provava delle emozioni più che positive, ma doveva definire il tutto con quella parola tanto importante?
Che cos’era l’amore in fin dei conti?
Un sentimento che legava il cuore e le anime di due persone. Shakespeare credeva che l’amore non mutasse quando l’altro si allontanava. L’amore non è in grado di vacillare o svanire, sempre se si tratta d’amor vero, e può durare fino al proprio ultimo respiro.
Be’… Giulia non possedeva questa certezza su se stessa o sul duca Pietrarossa.
Ciò che credeva era che intercorresse dell’affetto, ma chissà se sarebbe mai potuto mutare in altro. Non nascondeva che ci sperava. Sperava che lui potesse ricambiare più di quanto sperava che suo padre potesse tornare ad amarla come un tempo. E con questo ultimo pensiero lasciò il salotto, dedicando il suo ultimo sguardo all’uomo che l’aveva salvata da un destino infausto.


Svegliarsi al mattino seguente non fu affatto difficile.
La paura che qualcuno potesse rapirla nel sonno, le mise talmente tanta angoscia da non farle chiudere occhio per l’intera nottata. I capelli scuri che sciolti si stendevano sulla sua schiena e con la flebile luce del mattino ad illuminarle la pelle chiara, questa fu l’immagine che si presentò di fronte agli occhi di Rosalina, quando entrò nella sua stanza a portarle la colazione. La sua padrona era intenta ad osservare qualcosa alla finestra e nemmeno il rumore del vassoio d’argento che s’appoggiava al tavolo riuscì a destare la sua attenzione.
«Marchesa, vi ho portato la colazione».
Giulia tentennò qualche attimo, dandole le spalle, poi si voltò e scosse il capo.
«Scusa, ma non ho fame».
«Non avete dormito stanotte».
«Se ti fa star meglio, posso dirti che ho provato».
Rosalina le lanciò un’occhiataccia e sospirò pesantemente.
«Hanno già portato i suoi bagagli dabbasso» continuò Giulia.
«Se desiderato saperlo, il duca non è ancora sceso dalla sua stanza. Potreste ancora andare a salutarlo».
«Forse è meglio che tutta questa storia si sia chiusa la scorsa notte. È un perfetto finale!»
«Scusatemi fin da subito per l’impertinenza, signora, ma perché? Perché deve essere la fine?!» sbuffò esausta e abbandonando la sua compostezza da cameriera, si mise di fronte alla nobile come se fosse una sua pari. «Da quando quell’uomo è entrato nella vostra vita siete raggiante. Risplendete come solo il sole può fare e sarebbe un terribile sbaglio lasciar tutto andare per orgoglio o che so io! Sarò anche una serva ignorante, ma riconosco la gioia sul viso di una persona a me cara e voi possedete quella gioia quando il duca è attorno a voi o quando semplicemente pensate a lui. Perché non lottate, Giulia?»
«Lottare? Non c’è niente che io possa fare».
«Se ora andaste da lui forse… forse non partirebbe più!»
«E se non mi volesse quanto io voglio lui?»
«Sciocchezze!» esclamò Rosalina, sventolando una mano. «Dovete fare un tentativo. Lo dovete a voi stessa!»
La sua cameriera sapeva essere piuttosto convincente. Giulia comprese che in una situazione rovesciata, si sarebbe data il medesimo consiglio.
Per Rosalina era chiaro, come che esistesse il sole, che la sua padrona fosse infelice a causa della partenza del bel duca e lei ne era infelice a sua volta. Le voleva bene e aveva notato quanto il duca fosse una costante positiva nella vita della nobile. Non l’aveva mai vista così raggiante nemmeno quando risiedevano a Verona. Tra le sue preghiere, prima di andare a dormire, rientrava anche la felicità che spettava a Giulia e per Rosalina era accanto ad Andrea Pietrarossa!
«Andate da lui. Andate».
Giulia s’avvicinò rapidamente alla ragazza e le prese entrambe le mani. Si scambiarono un sorriso, l’unico vero gesto che poteva dar forza alla nobile, la quale si volatilizzò fuori dalla sua camera in un battito di ciglia.
Era uscita con un tale impeto da non essersi resa conto di com’era conciata. Secondo il protocollo non era affatto conveniente che una nobil fanciulla si mostrasse con i capelli sciolti e non perfettamente agghindata si mostrasse ad un uomo che non fosse il marito. Tantomeno era conveniente che una donna si presentasse in camera sua. Giulia, però, non era solita rispettare pienamente il protocollo. Lei agiva d’impulso, era solita seguire il cuore e il cuore la stava portando da Andrea Pietrarossa.
Camminava svelta lungo i corridoi con l’intenzione di raggiungerlo in fretta e parlargli. C’erano una miriade di cose che desiderava dirgli, ma avrebbe cominciato ringraziandolo per averle salvato la vita. Con un sorriso teso sulle labbra compì l’ultimo passo.
Ormai era lì.
Era giunta di fronte alla porta della camera da letto del duca Pietrarossa. Giulia prese un respiro profondo e senza esitazione bussò tre volte. Magari il destino avrebbe fatto sì che non ci fosse e quindi si sarebbe risparmiata di vederlo, probabilmente per l’ultima volta. Desiderava incontrarlo, tanto quanto in realtà non volesse vederlo e salutarlo. Stava iniziando a dare di matto nel momento meno opportuno. Forse aveva reagito troppo d’istinto…
«Avanti!»
A quanto pare il destino voleva regalar loro un ultimo momento insieme. Doveva cogliere quell’opportunità. Giulia chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, per calmarsi e tirar fuori il suo coraggio. Quando li riaprì fu pronta a girare la manopola della porta, non l’aprì del tutto, ma il giusto per mostrare la sua presenza.
«Posso?»
Il duca Pietrarossa era intento ad abbottonarsi il panciotto vermiglio, mirandosi allo specchio. Lo vide voltarsi con aria sorpresa, ma lieta, e annuire.
Il sorriso di Giulia perse quella tensione del momento precedente. Si rilassò ed entrando velocemente nella stanza, si richiuse la porta alle spalle. Nella sua mente stava ripetendo il discorso che si era ben preparata. Eppure quando gli fu di fronte, con quegli occhi limpidi che la osservavano con dolcezza, dimenticò ogni parola che aveva scelto accuratamente e lasciò il comando alle sue emozioni.
«Qual buon vento vi porta qui, marchesina?»
La fanciulla scosse il capo e abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Era intenzionata a combattere le sue emozioni e a mantenere un comportamento composto e serio.
«Desideravo salutarvi… salutarvi e ringraziarvi per avermi salvato la vita, la scorsa notte. Non c’è dubbio che se non foste intervenuto… be’ sicuramente non sarei qui e chissà cosa mi sarebbe capitato durante la notte».
Non potè vederlo, ma Andrea abbozzò un sorriso premuroso. Smise di allacciarsi il panciotto e si avvicinò a lei. Non resisteva a starle lontano, avendola così vicina e soprattutto non arrabbiata con lui. Desiderava abbracciarla come aveva fatto qualche ora prima. Fu obbligato a reprimere quel suo desiderio, che scalpitava dentro di sé assieme alla voglia di baciarla.
Sentendolo vicino, Giulia alzò immediatamente lo sguardo, scontrandosi direttamente con quei grandi occhi luminosi che furono attirati dal suo viso stanco.
«Non avete dormito stanotte» constatò, osservando le leggere occhiaie e sfiorandole delicatamente con il pollice. «È comprensibile, ma non dovete pensarci più. Dimenticate questo brutto episodio».
«Tenterò».
«Ce la farete. Siete una ragazza forte, Giulia».
«E molto intemperante» disse lanciandogli un’occhiata.
Andrea capì subito a cosa si stava riferendo.
«So che non dovevo sgridarvi per la discussione con Elena. Io non dovevo permettermi di piombare nella vostra camera e…»
«Dimenticate quell’episodio. Non ha alcuna importanza».
«Il fatto è che, quando vi ho vista litigare con Elena, mi sembravate completamente un’altra persona e non ho compreso le vostre ragioni. Non le comprendo nemmeno tutt’ora, ma del resto non sono affari che mi concernano».
“Comprensibile, tu non sai tutta la verità” pensò Giulia.
«Grazie per tutto, specialmente per la vostra gentilezza» mormorò la marchesina, prendendogli istintivamente una mano. «So di non essere una persona facile da comprendere, però mi auguro che conserverete un bel ricordo di me».
«Non potrebbe essere diversamente, credetemi».
Andrea alzò l’altra mano sul viso pallido della fanciulla. Se si fosse fermato a pensare che era stato ad un soffio dal perderla seriamente, l’angoscia che lo attanagliò per l’intera notte sarebbe risalita in superficie. Per quanto potesse avergli dato fastidio il suo comportamento verso Elena non poteva reprimere ciò che sentiva per Giulia. Il problema era che non riusciva a capirla fino in fondo e lo detestava. Detestava quando le cose non gli risultavano chiare quanto un cristallo. Lo mandavano in confusione e lo rendevano troppo pensieroso e irritabile.
«Sono felice che siate qui».
«Sono qui solo per ringraziarvi» gli rispose Giulia.
«E per salutarmi» aggiunse lui, avvicinando le sue labbra a quelle della ragazza.
«Quindi… grazie» lo bloccò la marchesina, soffocando una risata divertita.
Andrea mostrò un’espressione perplessa e di fronte al divertimento genuino di Giulia, non trattenne un sorriso.
«Grazie? Come grazie? Con un semplice grazie mi ringraziate?»
Quel gioco di parole sancì l’armonia fra loro.
«Suppongo che quella parola sia stata inventata, per l’appunto, ringraziare una persona».
«Quindi grazie e basta?» ritentò Andrea.
Giulia lo osservò per qualche minuto. «L’ho sempre detto che voi sotto quell’aspetto da affascinante gentiluomo, siete un gran furbastro».
«Ah… dunque credete che io sia un affascinante gentiluomo» il duca si divertì a stuzzicarla.
«E un gran furbo!»
«Sì, ma sono comunque molto bello. Anzi, credo che la mia scaltrezza aumenti il mio fascino» si pavoneggiò Andrea, gonfiando il petto orgoglioso e tenendo stretta a sé la sua marchesina.
«Quanta modestia mi tocca udire. Desiderate proprio che io vi dica quanto siete bello?»
«Non è per farmi contento. So bene di esserlo».
«La vostra modestia continua a colpirmi, duca. Come farò senza di voi?» commentò ironica.
In una veloce mossa, Andrea le afferrò entrambe le mani e gliele mise dietro la schiena, così da averla ancora più vicina. Le mostrò un gran sorriso, quando si ritrovarono i visi piuttosto vicini.
«In effetti… come potrete continuare a vivere senza la mia nobile presenza?»
«Magari al prossimo ricevimento mi trovo un corteggiatore» lo provocò lei, lanciandogli un’occhiata furba. «Dai conti Novellis ho riscosso abbastanza successo. Ricordate?»
«Sì» gli toccò ammettere.
«Credo che uno di quei giovani rampolli mi volesse scrivere».
«Dunque mantenete una corrispondenza con altri?»
«No… per ora no. Dipenderà dagli eventi, suppongo».
«Quali eventi?»
«Da chi arriva per primo».
Senza rendersene conto, Giulia stava giocando e metteva in pratica uno dei consigli di sua nonna per capire l’interesse di un uomo. Fu spontaneo. Assolutamente non calcolato o previsto. La marchesina credeva che lo avrebbe semplicemente salutato e ringraziato, invece era ancora lì, praticamente tra le sue braccia. Era molto meglio di quanto avesse immaginato.
«A me pare che qualcuno sia arrivato per primo» ribattè Andrea.
«Chi?»
«Io!»
E la baciò. La baciò con bramosia. La baciò come avrebbe dovuto fare negli ultimi giorni.
Ah! Maledetto sia il suo orgoglio che lo tenne distante da quella giovane impetuosa, impetuosa quanto lui. Giulia era fuoco vivo. Un fuoco pronto a divampare quando in gioco c’erano i suoi sentimenti e Andrea ormai era certo che fossero gli stessi che provava lui. Se ne infischiava delle parole di Adriano, che come un serpente aveva sibilato cattiverie all’orecchio del duca, e se ne infischiava anche del rapporto disastroso che Giulia condivideva con Elena. Per quanto fosse dispiaciuto per la sua amica d’infanzia, Andrea non vedeva alcuna cattiveria nella sua innamorata.
Forse parlar d’amore era troppo presto, ma provava qualcosa di grande per quella ribelle marchesina e quel bacio lo suggellava.

 

Mrs. Montgomery
Andrea e Giulia non fanno altro che avvicinarsi, allontanarsi e poi avvicinarsi ancora. Questa è la storia del loro amore e di come cambierà le loro vite. In molte occasioni sarà proprio il forte sentimento che provano l'uno per l'altra a mutare una situazione o a capovolgerla del tutto, come è successo in questo capitolo.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

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