Lo Stato della Solitudine

di Asimov4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io e Talia ***
Capitolo 2: *** Il mio malessere ***
Capitolo 3: *** Pensieri Sparsi ***
Capitolo 4: *** Il Soffitto ***
Capitolo 5: *** L'incontro con Andrea ***
Capitolo 6: *** Finalmente un qualcosa... ***
Capitolo 7: *** TRASLOCO. AMORE. RISSA ***



Capitolo 1
*** Io e Talia ***


Ciao a tutti. Questa è la prima storia che pubblico e sono molto teso a riguardo. Spero tanto che vi piaccia e spero di leggere le vostre recensioni e opinioni. Buona lettura a tutti :3

-Non capisco perché quando mi vieni a trovare di domenica devi restartene sul divano a guardare la corsa delle macchine!- Talia era arrabbiata con me, ma da quando sono nato non ricordo di aver perso una gara in vita mia.
-Ascolta amore, non è una gara qualsiasi, è una di quelle importanti che decidono il campionato, vedrai che presto sarà finita- bugia, mancava ancora una buona mezz'ora, senza interventi della Safety Car, e di certo non decideva il campionato, eravamo a nemmeno metà stagione.
-Alessandro così mi fai incazzare però, presto torneranno i miei e non avremo più il tempo per farlo.-
-Per fare cosa?- la stuzzicai, sapevo che intendeva fare l'amore, ma in questo periodo era molto timida e pensare che all'inizio ero io quello che si vergognava di chiedere di fare cose.
-Lo sai benissimo.- ma che broncio che ha, la bacio, lei mi spinge via -Eh no, non volevi guardare la gara?- come sei bella Talia, come sono fortunato, mi avvicinai di nuovo e la bacai ancora, le sue labbra sono soffici, è così bello baciarla, lo farei per ore. Ad un certo punto lei infila una mano nei miei pantaloni e mi stringe forte il pacco, mi sorride, la guardo e le sussurro che l'amo e lei fa lo stesso. Facciamo l'amore. Hamilton sbanda e prende una barriera, addio vittoria per lui, ciao vittoria per me.
-Ma perché sei così bravo, ma come fai? Non ho mai scopato uno così bravo- ridevo, me lo diceva sempre, forse per alzarmi l'autostima oppure era sincera o magari era tutto così bello perché ci amavamo
-Chissà, magari faccio il pornostar e te non lo sai.-
-Ma dove vai? Non hai l'attrezzatura per fare quel tipo di lavoro-
-Ma grazie!- dissi un po' incazzato.
-Non te la prendere amore, solo che per fare quel lavoro hai bisogno di una proboscide. E poi sappi che alle ragazze non piace così grande. Meglio una cosa normale.-
-Beh allora viva la normalità!- ci abbracciamo e ci baciammo, era bella, bellissima, non ho mai provato nulla del genere per qualcuno. Era piccolina, ma aveva un corpo grazioso, dei bellissimi seni e una pelle morbida e setosa. Talia da piccola aveva i capelli biondi, ma con la pubertà divennero castani. A tredici anni si fece le punte viola e da allora non smise mai di farsi la tinta. Non la vidi mai con il suo colore di capelli originale, se non quando aveva la ricrescita, che appena diventava più vistosa veniva tinta. Oggi aveva i capelli rossi, in questo periodo vanno molto di moda. I maschi sono alla ricerca della ragazza rossa con gli occhi azzurri e le lentiggini. Lei invece era tinta e aveva gli occhi color nocciola. Non era come mi immaginavo il mio grande amore da adolescente, ma era reale, viva, vera, e non potevo desiderare di meglio.

Quella sera poi siamo usciti, non ci andava di restare a casa con i suoi. Ci preparammo, una doccia veloce per me, mentre lei si truccava appena un po' senza esagerare. Mangiava sempre le unghie e quindi non metteva mai lo smalto, e di certo non si faceva mettere quella roba finta sulle dita. Era bella anche così, senza curarsi troppo del suo aspetto. Io indossavo una felpa nera e un paio di jeans, mentre lei aveva una camicia di flanella verde e nera e un paio di jeans neri. Sembravamo usciti dagli anni 90 in pena era Grunge. Non avevo la macchina, e quindi ci toccava uscire un'ora prima per raggiungere il centro con i mezzi pubblici. Preso il 20 ci sedemmo dietro dove non c'era nessuno e guardavamo i palazzi.
-Io non voglio vivere in un palazzo- dissi.
-E dove vuoi vivere?-
-Voglio una casa di proprietà con tanto di giardino,dove i miei figli possono giocare a palla. In un bel quartiere-
-Ma come fai? In città non esiste un posto del genere, qui vivono tutti nei palazzi. Al massimo possiamo trovarci un appartamento con una bella terrazza-
-Possiamo? E chi ti dice che me la trovo con te la casa?- Talia si arrabbiò più di quanto può nuocere una battuta di questo tipo. Mi fece il dito medio e guardò fuori dai finestrini del bus. -Dai amore stavo scherzando, non lo sai che per me sei l'amore della mia vita? Sposerò te e avremo tanto piccoli Alessandro e Talia che corrono in casa-
-Forse non possiamo avere figli, lo sai.- in realtà ne poteva avere, ma era nata con un problema cardiaco che non le permetteva di fare grandi sforzi e ovviamente questo prevedeva anche un eventuale parto. Questo la deprimeva molto, amava molto i bambini, ogni volta che ne vedeva uno me lo indicava, se fosse per lei ne avrebbe avuti dieci e ad ognuno avrebbe cantato una ninna nanna diversa.
Arrivammo in centro, senza una meta precisa, girovagammo un po' a caso, seguivamo i turisti che ci facevano esplorare le zone più belle della città. Fontane, palazzi e opere architettonica di ogni tipo, Roma è una città immensa. Intanto lei ancora non  parlava molto, mi stringeva la mano timidamente e aveva la testa china e pensava e pensava, quanto pensava.
-Ma sei reale?- dissi.
-Che vuoi dire?- rispose
-Sai...a volte quando non sto con te non mi sembri reale, come se te fossi frutto della mia immaginazione, come se quando parliamo al telefono è il mio cervello ad immaginarsi una voce.-
-E invece i soldi che consumi per chiamarmi sono reali- mi fece ridere.
-Senti, se dovessimo morire domani, cosa vorresti fare ora?-  chiesi e lei ci pensò un po' su, non mi diede immediatamente una risposta, ma poi alzò la testa e disse
-Vorrei sposarti, andare ad un fast food e mangiare patatine, fare l'amore con te e poi sarei pronta per morire.-
-Va bene, allora se per volere divino uno di noi sarà condannato dagli dei allora faremo così.- ci stringemmo la mano come due uomini d'affari e poi trovammo una pizzeria e continuavamo a parlare di cose di poco senso.
 
P.s. Ho un canale gaming su Youtube. Se siete interessati e curiosi potete trovarmi qui, grazie:
https://www.youtube.com/channel/UCvkpPeA-HstCI1IVRhQaxkQ  

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Capitolo 2
*** Il mio malessere ***


Questo è il secondo capitolo. Sarà molto più corposo del primo, che in realtà vedo più come un'introduzione. Spero vi piaccia e vi invito a lasciare recensioni e opinioni. Buona lettura a tutti. (A fine capitolo lascio il brano che mi ha ispirato ad ogni capitolo)

Durante i corsi universitari mi sento solo, i miei compagni di corso chiacchierano, ma di quel che discutono non mi interessa. Sono bravi ragazzi, ma con loro non riuscivo a connettermi, colpa del mio animo solitario. Il professore spiegava la lezione, ma ad ascoltarlo c'erano solo quelli delle prime file. Io, per esempio, per quanto mi possa interessare un argomento non siederei mai in prima fila. Non tanto per la timidezza, ma per le persone con cui poi dovrei condividere il mio spazio, meglio starsene soli nelle retrovie. Nella mia facoltà capita spesso che se il professore è un maschio, con il fascino di Richard Gere o un vecchio decrepito, le ragazze si siedono in prima fila, pronte a sfoggiare le loro scollature e le loro gambe, seguono interessate la spiegazione, senza capirne il reale significato, ma a loro poco importa. In fondo conta soltanto il voto finale e la laurea, e perciò l'attenzione del professore. Ammiccano, sorridono, chiedono delucidazioni, fanno finta di capire e poi chiedono ai compagni di corso di lasciargli copiare gli appunti. Dopotutto li hanno persi perché erano troppo impegnate a sedurre il tipo dietro la cattedra. Gira tutto intorno il soft porno qui in Italia. Basta accendere la TV e ci accorgiamo a quanti riferimenti sessuali ogni giorno veniamo sottoposti. Alle inutili vallette nei programmi di calcio che mostrano le loro gambe, indossando minigonne e abiti succinti, che mantengono incollati alla televisione i poveri quarantenni sfigati che vivono a casa di mamma e papà. Sono certo che sbaverebbero ai loro tacchi per un po' di carne. Per non parlare dei programmi dove ballerini e cantanti con ciuffi e l'aria da dannato inebriano centinai di ragazzine, che poi vanno nelle loro camerette a masturbarsi. Il soft porno è ovunque, nelle scuole, a casa, persino in chiesa. Almeno una volta ho pensato di farmi una suora carina o la mamma del chierichetto, ma magari sono uno squilibrato che per fortuna non va più in chiesa da una vita. Il sesso è il chiodo fisso degli esseri umani, ed ecco la nostra somiglianza ai primati. Alla fine dei conti siamo solo dei gorilla più evoluti, ma ugualmente superficiali e con istinti animaleschi. Questo tipo di pensiero lo facevo spesso, soprattutto quando non c'era Talia. Non facevo sesso e capitava di sentirmi frustato, un po' come chiunque, a meno che non si abbia una volontà di ferro, cosa che a me è sempre mancata, anche io sono un gorilla dopotutto. Prima di lei le mie giornate erano piuttosto vuote e sotto l'occhio di un terzo potevano sembrare molto deprimenti, ma che dico, erano molto deprimenti. Mi svegliavo piuttosto presto, verso le sette e mezza e poi giravo i canali televisivi mentre facevo colazione. Ascoltavo per lo più i canali di notizie, che servono a ricordarci quanto sia triste e miserabile questo mondo. Il trucco è non pensarci affatto e concentrarsi solo ed esclusivamente sulle notizie degli animali. Come per esempio “Delfino salva Cane” o “Gatto salva la padrona ottantenne chiamando l'ambulanza” e cavolate varie. Io adoro gli animali, ho avuto cani, gatti, canarini però certe notizie servono soltanto ad addolcire la pillola. Poi la giornata proseguiva con una doccia, studi e videogiochi. Credo che i videogiochi siano i miei migliori amici, so quanto sia da sfigati ammetterlo apertamente, ma tante volte ho combattuta la tristezza con loro. Con Talia, poi, li ho abbandonati un po', non c'era tempo, messaggiavamo e mi distraevo, non riuscivo a concentrarmi al cento per cento. Lei mi definiva un nerd, però era lei quella che aveva letto e visti tutti i libri e i film di Harry Potter. Ricordava ogni cosa, ogni personaggio, la loro descrizione nei minimi dettagli ed era incredibile, io invece sono il tipo di persona che dopo aver letto un libro dimentico tutto dopo nemmeno una settimana. Lei era cresciuta con quella saga, ricordo che mi disse che un giorno dovevamo guardare tutti i film, in fila nello stesso giorno, ma non è mai successo. Come ogni film tratto da un libro le cose non erano completamente uguali, e come ogni fan incallito lei si lamentava di questo. Ma sono necessità delle case cinematografiche, e ovvio che i protagonisti saranno tutti belli e bellissimi, così sarà più semplice attirare il pubblico ed ognuno di noi potrà immedesimarsi in uno dei personaggi. Ricordo che una volta parlammo di questa cosa, era inverno ed eravamo seduti in un piccolo pub, io bevevo caffè e lei cioccolata calda.

-Secondo te che attori dovrebbero interpretarci se dovessero fare un film su di noi?- le chiesi, mentre portavo caffè verso il mio naso, odorandone l'essenza, ne berrei a centinaia.

-E perché mai dovrebbero fare un film su di noi? Non abbiamo niente di speciale.-

-Ma dai non è vero, siamo la coppia più bella e innamorata del mondo.-

-E quindi? Che se ne fa la gente di una storia del genere? Non c'è tragicità, mistero, tradimenti e così via. Le persone hanno bisogno di esprimere la loro opinione, di giudicare e schierarsi. Con noi sarebbe solo “Ah ok, sono una coppia”. Quindi no, non faranno mai un film su di noi, mi dispiace.-

-Beh si...hai ragione. Fatto sta che io sarei interpretato da Ryan Gosling o qualche altro figo di Hollywood.- rideva mentre giocava con il cucchiaio nella sua tazzona di cioccolata calda.

-Al massimo Danny De Vito.- disse.

-Ma che cattiva! Non sono mica basso e grasso io! Certo sono grosso, ma almeno sono alto, sei te quella minuta.-

-E con ciò? Non lo sai che le ragazze piccole negli uomini ispirano un qualcosa da proteggere? Non c'è niente di male nel essere piccole.- le ragazze basse erano il mio debole e lei lo sapeva bene.

-Anche la mia ex ragazza era bassa e magra.-

-E piatta.- rispose acidamente

-Che c'è? Per caso sei gelosa?- dissi

-Ma quale gelosa? Di “Faccia da Gufo”? E poi io posso avere chiunque, dovresti essere te quello geloso.- e lo sono. Sono gelosissimo di lei, mi da fastidio quando parla di altri uomini o quando qualcuno la guarda, ma questa mia gelosia non eccedeva mai. Non ero uno di quei psicopatici che picchia la moglie solo perché ha parlato con il commesso di un negozio, quel tipo di persone non le capirò mai, che siano dannate, brucino all'inferno.

Finì il mio caffè e mi infilai il mio capello di lana, era rosso, o meglio, era bordeaux, ma per me i colori erano pochi e si suddividevano in quelli più chiari e quelli più scuri. Lei invece li sapeva tutti, dopotutto affiancava i suoi studi da architetta al hobby di dipingere. Non era certo bravissima, anzi, però i suoi disegni su tela aveva un non so che, un significato, raccontavano di lei, della sua vita e soprattutto della sua infanzia.

-Sai da piccolo il mio colore preferito era l'acqua marino.- dissi.

-E perché?- chiese con un sorriso.

-Magari ora crederai che sono uno stupido, però per me era un colore diverso. Ricordo che da piccolo avevo questo astuccio pieni di colori che mia madre mi comprò per il primo giorno di scuola. Era suddiviso in diversi reparti. Uno per le penne, le matite, le gomme da cancellare e così via e un altro invece era composto solo dai colori. Quest'ultimo divideva a seconda della tonalità e così via e tra il blu e il verde c'era questa matita acqua marino. Non so perché ma mi affascinò. Non era né blu, né verde. Era diverso, e quindi lo presi subito in simpatia.-

-Hai preso un colore in simpatia?- disse un po' sorpresa, ma senza deridermi.

-Beh si, lo trovavo diverso. Hai presente quando sei al liceo e non riesci ad integrarti con nessuno? Non sei né un secchione, né uno di quelli fighi, né quelli che si fumano canne durante l'intervallo...insomma sei la classica di mezzo, né sei carne né pesce, sei acqua marino. Io mi sentivo proprio come quel colore.-

-Si ti capisco, e ora? È ancora il tuo colore preferito?-

-No, non credo di averne. Mi piace il colore del mio capello di lana, ma solo perché mi sta bene. Insomma mi piace un colore se si abbina al mio stato d'animo o a come si abbina ai miei occhi azzurri.-

-Sei tenero- disse con una voce che mi scaldò il cuore e che mi fece arrossire.

-Perché?-chiesi.

-Sin da piccolo ti piacevano le cose diverse, sei una persona buona. Non ti fai problemi con le diversità, e non lo fai per moda. Sei così e basta, sei una persona buona.- Mi alzai e la bacai, lei non finì la cioccolata. Ci eravamo salutati calorosamente, io me ne sarei tornato nel mio paesino e prima di poter tornare da lei avrei dovuto racimolare un po' di soldi per il biglietto del treno, era dura essere uno studente e avere una relazione a distanza. Questa volta non mi accompagnò fino a Termini, diceva che la stazione le metteva tristezza e che preferiva salutarmi così, come se fossimo una coppia normale come tante altre. Salutarci era di certo la parte più difficile, mi mancava terribilmente ogni volta che partivo, non riuscivo proprio ad abituarmici e non appena usciva dalla mia vista le scrivevo un messaggino al cellulare. Talia era diventata la mia droga, di cui avevo necessariamente bisogno. L'indomani, a Napoli, avrei sostenuto un colloquio di lavoro.

Ero in stazione, pronto a prendere la metropolitana per raggiungere la sede in cui avrei sostenuto il mio colloquio con una piccola casa editrice. L'appuntamento era alle 12 ed ero in largo anticipo. Non avevo bisogno di un lavoro, alla fine dei conti i miei mi pagavano gli studi e tutto quello di cui avevo bisogno, però guadagnare un po' per conto mio mi avrebbe dato un senso di completezza che mi mancava e soprattutto mi avrebbe dato la possibilità di vedere Talia quando volevo, senza dover elemosinare dai miei. Ero un adulto di ventidue anni e come minimo mi toccava studiare ancora due anni per laurearmi. E in ogni caso la laurea non mi garantiva un impiego fisso. Prima di conoscere Talia, capitava spesso, che non riuscivo ad addormentarmi, restavo con gli occhi aperti a fissare il soffitto di camera mia, che veniva illuminata da un filo di luce che entrava dalle vecchie persiane della finestra. Ancora oggi mi capita, ma di rado. Nonostante il futuro mi angosci, sento che lei è un qualcosa nella mia vita, un traguardo raggiunto, l'unica mia certezza. Anche ora mi stavo angosciando , avevo ansia e non avevo voglia di andare al colloquio. Quella piccola casa editrice cercava qualcuno che facesse il lavoro sporco. Fotocopie, cambiare il toner alla stampante, portare il caffè, sollevare cose pesanti. Era schiavitù part-time con uno stipendio da niente . Ero sicuro che non mi avrebbero assunto. Opteranno per una bella ragazza senza un'opinione. Ma perché ho questa considerazione delle donne? Dovrei smetterla di pensarlo di qualunque ragazza di bel aspetto.

La metropolitana arrivò, ma non la presi. Presi il treno che portava a Sorrento, volevo andare alla spiaggia, ci avevo portato Talia una volta. Mi sono seduto in un vagone che era quasi vuoto.

C'era una donna con quel che sembrava essere la figlia, la bambina disegnava su un quaderno. Poi c'era un anziano e due ragazzine che probabilmente avevano fatto sega a scuola. Ero seduto vicino al finestrino mi sentivo come Jim Carrey in Se mi lasci ti cancello. Il treno partì con dieci minuti di ritardo e il vecchietto borbottava qualcosa lamentandosi dei ritardi e della politica in generale. C'era un periodo, appena iscritto alla facoltà di giurisprudenza, in cui ero molto interessato alla politica. Ero una matricola piena d'entusiasmo, volevo partecipare allo lotta e a alle altre stupidaggini che si fanno quando si è illusi di poter cambiare effettivamente qualcosa urlando e sventolando bandiere per strada. Se mi sentisse Talia, mi prenderebbe in giro per tutto il giorno, parlo come un quarantenne, ha ragione quando dice che sono nato vecchio. Comunque rimasi deluso da tutte quelle organizzazioni studentesche e mi defilai subito, nessuno era in linea con le mie opinioni. Erano dei piccoli politici in erba. Avevano tutte le caratteristiche per diventare dei politici per mestiere. Ipocriti e falsi. Tutto questo mi annoiava oltre a disgustarmi, non ci andai più e smisi di frequentare quella cerchia di persone.

 

Intanto sentivo ridacchiare le due ragazzine. Erano entrambe more, avevano un bel viso e probabilmente avevano tra i 16 e i 18 anni. Ogni tanto una di loro si girava verso di me, scrutandomi, cercando di non farsi notare, ma il vagone era troppo vuoto per non notarlo, il che mi faceva dubitare della loro intelligenza. La bambina si era addormentata e il vecchietto anche. Io guardavo fuori dal finestrino e vedevo un paesaggio di campagna e natura che mi ricordava di casa mia, dov'ero cresciuto. Era dicembre e adoravo questo clima mite, il freddo, il vento e persino la pioggia e se solo avesse nevicato sarei stato la persona più felice del mondo, ma qui non nevica mai. Tolsi i guanti, erano quelli che non coprono tutte le mani, ma lasciano scoperte le punta delle dita, poi per un po' guardai le mie mani. Erano ruvide e le unghia erano tagliate male. Talia mi diceva che erano ruvide perché bevevo poco, quindi guardarle mi ricordava di fare un sorso di tanto in tanto. Aprii la tracollo e presi una bottiglietta di plastica che avevo riempito varie volte, l'etichetta gliela avevo staccata tempo fa, lo facevo con tutte le etichette e a casa puntualmente mio padre mi sgridava, problemi suoi. Adesso avevo anche un po' fame, ma in questi treni non c'è un distributore, mi sarei fermato dopo in qualche bar e avrei comprato una barretta di cioccolata. Ad un certo punto le due adolescenti si alzarono e si diressero verso di me, con calma e timidezza si sedettero vicino a me, dall'altro lato del treno. Io le guardai un po' perplesso. Non so perché, ma gli adolescenti mi fan sempre un po' paura.

-Ehi tu conosci qualche bel posto per trascorrere la mattinata?- chiese la ragazza più alta e meno carina.

-Beh potreste farvi una passeggiata sul lungo mare oppure andare al cinema. Qui c'è ne uno che è aperto anche di mattina.- l'unico cinema che era aperta di mattina era uno che trasmetteva solo film a luci rosse. Ci andai una volta con degli amici per rincuorare un ragazzo che da poco si era lasciato con la sua ragazza, un'esperienza strana.

-Ah si? Grazie.- disse e poi aggiunse -Io sono Sara.- aveva la faccia da una che si chiama Sara. -E lei è Beatrice- che nome insolito pensai. Mi presentai anche io.

-Mi chiamo Alessandro.-

-Ma come mai sei su questo treno?- chiese Sara.

-E voi come mai avete gli zaini e non siete a scuola?- risposi.

-Perché avevamo il compito di matematica e non eravamo preparate- quanti ricordi sentirmi dire questa risposta.

-Sentite.- dissi -che volete da me?-

-Beatrice pensa che tu abbia degli occhi stupendi.- l'altra ragazza arrossì e diede un cazzotto all'altra come per dirle che non doveva dirlo.

-Beh ringrazia Beatrice, ma io ho la ragazza e se lo venisse a sapere spezzerebbe prima le gambe a voi e poi a me. E poi sono troppo vecchio per te Beatrice- come mi fa strano dire quel nome, suona bizzarramente nella mia bocca -Sei una ragazza carina avrai di sicuro un sacco di tipi che ti vanno dietro.- e poi per la prima volta anche lei aprì bocca.

-Ma sono tutti così infantili.- disse.

-Quanti anni avete?- chiesi.

-Ne abbiamo quindici- ma come fanno ad avere quindici anni queste, sembrano coetanee di Talia!

-Senti che c'è di male che sono infantili? E poi siete giovani anche voi, godetevi il periodo e io sono decisamente troppo vecchio. Ho ventidue anni, qui mi arrestano.- dissi scherzosamente e loro risero un po'. Si arresero e mi salutarono, non credevo di ispirare tanto fascino in delle ragazze così giovani, devo farmi ricrescere la barba.

Finalmente il treno arrivò a destinazione. La stazione aveva un distributore e comprai lì la mia barretta di cioccolata evitando del inutile contatto umano. Il mare era poco lontano, potevo arrivarci tranquillamente aspettando l'autobus oppure potevo camminare per un chilometri. Preferii la seconda opzione. Qualche tempo fa ero molto pigro, ero ingrassato e non avevo voglia di muovermi. Ora invece mi piaceva molto camminare e ne approfittavo per tenermi in forma. Non c'era vento e quindi passeggiare era molto bello. La spiaggia era molto bella e ogni tanto c'erano quelle piccole barche da pescatore che sembrano scialuppe, e quindi mi sedetti la dentro. Tirava una leggere brezza marina e faceva freddo . C'erano sia gabbiani che piccioni, che si dividevano la spiaggia, come due gang rivali che controllano i loro territori di spaccio, solo che questi erano uccelli il cui unico scopo era sopravvivere, che poi anche tutti noi viviamo solo per quello. Il colore predominante in questo paesaggio era il grigio, forse per colpa delle nuvole, il vento iniziava a tirava più forte in. Infilai le mani nel capotto, ma non prima di essermi tirato su il colletto. Guardai l'orizzonte, un po' come si fa nei film e nei libri.

Ero solo in spiaggia.. Una sensazione di angoscia e paura invase il mio corpo, iniziai persino a piangere senza una vera ragione, mi coprii il viso cercando di trattenermi, ma non ci riuscivo. Mi sento solo. Ma perché? Perché mi sento solo? Talia è così lontana da me e per quanto ne so potrebbe anche non esistere, ma che dico? Cerco di trattenermi, mi calmo. Siamo soli al mondo. Riesco a pensare solo a questo, a questa semplicissima frase, mi spaventa a morte, ma da quanto ho tanta paura della solitudine? Allora iniziai a pensare e giunsi alla conclusione che lei, Talia, mi aveva sconvolto l'esistenza. Prima di lei non c'era nessuno a cui io dovevo dare conto, prima le mie priorità erano soltanto non dare insoddisfazioni alla mia famiglia, e non lo facevo. Andavo bene all'università e mi comportavo bene, quindi non c'era da preoccuparsi. Ora c'è un'altra persona a cui io devo dare conto, un'altra persona da non deludere. L'amore, l'ho cercato per tutto questo tempo e ora mi spaventa a morte. Mio fratello una volta mi disse che dovevo essere più egoista, pensare soltanto a me stesso, ma fino ad oggi ogni cosa che ho fatto l'ho fatto per accontentare e compiacere gli altri. Qui all'improvviso su questa spiaggia vuota, la mia mente mi attanaglia con centinaia di domande, ma di risposte non ne trovo. Penso alla libertà. Cos'è in realtà la libertà? Non mi sono mai sentito libero in, un vecchio detto Buddista recita “Non avere nulla. Se incontri un Buddha, uccidilo; se incontri un tuo antenato, uccidilo. Non avere legami. Non essere schiavo di nessuno. Vivi semplicemente per la tua vita. ”. Ho pensato spesso a questa massima, non ricordo nemmeno dove l'abbia sentita, però vorrei vivere così, ma non ci riuscivo. Non riesco a staccarmi dai legami che ho, dalle persone a me care, non voglio deluderle e in cambio rinuncio alla mia felicità. A volte desidero la solitudine. Nel senso che non debba dar conto a nessuno se non a me stesso, proprio come recita il detto buddista, ma non ci riesco, no, non ci riesco. Sentii un brivido freddo per tutta la schiena, guardai l'orologio, era mezzogiorno, tra un po' avrei dovuto chiamare i miei e dirgli che il colloquio non era andato bene e dovevo chiamare anche Talia, perché anche lei voleva sapere com'era andata, avrei mentito anche a lei? Non lo so, attualmente non so nulla di quel che mi passa per la testa.

Come promesso ecco il brano. System of a Down - Lonely Day
https://www.youtube.com/watch?v=DnGdoEa1tPg
 

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Capitolo 3
*** Pensieri Sparsi ***


Questo è il terzo capitolo. In realtà la prima parte del romanzo volevo dividerla diversamente, ma non mi andava di farvi leggere un blocco di trenta pagine tutte d'un fiato.
P.s. Probabilmente c'è qualcosa da cambiare sia grammaticalmente che strutturalmente, ma mi piacerebbe molto sapere cosa pensate della trama e dei personaggi fin ora. Grazie e buona lettura  :D


Ero a casa di Talia e come spesso accade i suoi genitori non c'erano. Le era venuto il ciclo e quindi questa volta niente sesso. Non so perché ma ultimamente ci pensavo spesso al sesso, farlo con lei mi piaceva molto. Era come un'esperienza mistica che andava oltre al bisogno fisico e emotivo, non sapevo come descriverlo se non bellissimo. Ogni tanto pensavo alle mie esperienze sessuali passate e ricordo che non mi soddisfacevano affatto paragonandoli a quelle che ho con Talia.

Raccontai che il colloquio era andato male, però di quel che era successo in spiaggia non le dissi nulla e nemmeno di come mi sentivo in questo periodo, dell'angoscia con cui convivo e delle mie innumerevoli turbe psicologiche ingiustificate. Feci finta di star male per come era finita al colloquio e lei mi rincuorò, fu buona e questo mi fece sentire in colpa. Siamo di poche parole ed entrambi guardiamo i nostri smartphone, siamo a letto e lei poggia le sue gambe sulle mie, era un gesto naturale che mi fa sentire un benissimo. Ogni tanto quando la guardavo, mi sembrava di venerarla, come una creatura mistica e incredibilmente rara. Mi aveva cambiato la vita in meglio, certo volte capitava che ci si annoiava e si litigava, ma nulla di clamoroso. Quando era così tranquilla e rilassata era stupenda. Empaticamente riusciva a trasmettere quella calma anche a me, io che di calma avevo solo quella apparente e non riuscivo mai a smettere di pensare. Poi i miei pensieri volarono a quella ragazzina, Beatrice.

-Senti un po', ma perché ultimamente le ragazze sviluppano così rapidamente?-

-Moda- disse lei senza girarci tanto intorno.

-Moda cosa? Dipende tutto dalla moda?-

-Si. Basta pensare agli anni novanta. All'epoca le ragazze andavano in giro più coperte, quindi lo sviluppo del corpo lo notavi di meno, poi dalle Spice Girls in poi tutto è cambiato. Io lo chiamo l'effetto Spice Girls.- scoppiai a ridere.

-Effetto Spice Girls? Ma che vuol dire?- chiesi mentre ancora ridevo.

-Diciamo che loro sono state le prime a portare in auge questo tipo di moda. Si certo prima c'era Madonna e così via, ma quelle erano naturali, lo facevano per provocare, non era una mossa studiato a tavolino come per le Spice Girls. Da allora un sacco di personaggi famosi, ma soprattutto cantanti pop hanno iniziato a denudarsi e ad essere provocanti. Siamo passate dalle Spice Girls a donne che sculettano in diretta internazionale e vengono persino definite artiste.-

-Sei proprio una femminista te.-

-Ma no, è una questione di principio. Le ragazze hanno questi cattivi esempi e sembra che ormai è diventata una gara a chi è più provocante e appariscente. Tra un po' sarà una gara a chi scopa più ragazzi.-

-Beh a noi maschi non va mica male- dissi ridendo

-Tu per prima cosa sei monogamo perché lo devi fare soltanto con me e seconda cosa se lo fai con un'altra spero che ti becchi una malattia venerea.- l'effetto Spice Girls, più ci penso e più mi veniva da ridere. -Che hai da ridere, se lo fai te lo meriti!- disse

-Ma no, rido per l'effetto Spice Girls, non potevi dargli un altro nome?-

-E quale? Effetto “Ragazze Speziate”?- ridevamo entrambi e poi ci siamo baciati, tornando ai nostri telefoni, da li a poco Beatrice divenne solo un nome che non mi ricordava più nulla.

Ricordo di averle regalato un libro di Murakami, Norwegian Wood, quel libro me lo avevano criticato tutti. E ci sono troppi suicidi, è assurda la storia dell'insegnate di pianoforte, e così via tante critiche che non mi hanno fatto dubitare minimamente della qualità del libro. Avevo diciassette anni quando l'ho letto la prima volta, mi scombussolò un po' la vita. Lo stile di scrittura di Murakami non mi piaceva particolarmente, forse perché la traduzione letterale dal giapponese all'italiano era difficile da riprodurre. Però ciò che raccontava, mi piaceva da matti. Provavo le stesse cose dei suoi personaggi e si sa che quel che provano i personaggi spesso rispecchia ciò che gli scrittori provano, allora mi sentivo connesso a lui, a Murakami, come se avessimo delle cose in comune e lui fosse la a raccontarmi la sua storia, come per consigliarmi e aiutarmi, per dirmi che non sono il solo. Comunque anche a lei piacque il libro, se non per la storia dei suicidi.

Che stupido suicidarsi, eppure l'idea del suicidio a vole mi sfiorava la mente. Alla fine dei conti è una decisione che prendiamo noi. Tre cose sono sicure nella vita, nascere, pagare le tasse e morire. E allora perché non deciderne almeno una? Se fossi un malato terminale mi ucciderei, non aspetterei che sia la malattia a portarmi via. Ma credo che non sia tanto semplice, alla prova dei fatti mi tirerei indietro. Conoscevo un uomo che viveva non lontano da casa mia, era amico di mio padre. Erano entrambi immigrati in Germania per lavoro, dove si sono sposati con altre italiane anche loro immigrate, ed entrambi poi sono tornati a vivere in Italia. Quest'uomo si è ucciso, il cui nome mi sfugge, si impiccò nel fienile. Non ha lasciato nessuna lettera, niente. Quindi tutt'ora il motivo per cui l'ha fatto è un mistero, anche se in molti una causa sembrano averla trovata. Litigava spesso con sua moglie e con i figli, litigi forti, piatti spaccati, urla che sentivo persino da casa mia e poi per disperazione si è ucciso, così un po' all'improvviso, senza che nessuno potesse sospettare. Le depressione è una malattia silenziosa e invisibile, non si starnutisce, non si vomita, non si cade a terra e non si sviene, avviene tutto nella nostra mente. Fatto sta che nella notte in cui l'ha fatto all'improvviso ho sentito le urla della moglie, gridava il suo nome, lo gridava in ripetizione, ma ormai era troppo tardi. Quelle grida mi spaventarono più del gesto stesso, il dolore che si provoca alle persone care. Ma lei doveva sapere, doveva accorgersene, conoscendo il marito doveva evitare che succedeva lui commettesse quel gesto. In quei momenti pensai che essere soli a volte può essere una benedizione, perché qualsiasi cosa tu faccia non recherai danno a nessuno se non a te stesso.

Ecco il brano che mi ha ispirato a scrivere questo e il successivo capitolo:
MUSE - Hyper Chondriac Music
https://www.youtube.com/watch?v=qVCh78aybUQ

P.P.s A chi interessa ho anche un canale gaming, se vi interessa potete seguirmi qui :D
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Capitolo 4
*** Il Soffitto ***


Amici questo è il quarto capitolo. Credo che per alcuni lo svolgimento delle vicende può sembrare lento, ma è il mio modo di scrivere. Vorrei sinceramente sapere cosa ne pensate, sareste gentilissimi a darmi una valutazione. Buona lettura a tutti voi, con amore il vostro Asimov4.

Era arrivato il giorno della viglia di Natale e come ogni anno avrei trascorso questa festività a casa con i miei. Mi mancava Talia, non ci vedevamo da due settimana e quindi ci sentivamo spesso a telefono. Anche lei trascorrerà le festività con i parenti. Avevamo scambiato i regali di Natale al nostro ultimo incontro, non aspettammo la notte del venticinque per aprirli. Le regalai un ciondolo molto grazioso a forma di cuore che le piacque molto, era di argento con delle piccole pietre incastonate, avevo speso i miei ultimi risparmi per quel ciondolo. Lei invece mi regalò dei fumetti, mi conosce proprio bene quella ragazza. La vigilia trascorse tranquillamente anche se ì mia madre invitò sua sorella a cena con noi, insieme a mia cugina. La cena filava liscia, si chiacchierava del più e del meno, di attualità e di quant'altro, finché ad un certo punto mia zia si rivolse a me

-Stai ancora con quella ragazza, Alessandro?- il suo tono era arrogante

-Si.- risposi freddamente senza rivolgerle lo sguardo

-Che risposta fredda. Per caso le cose non vanno bene?- non capivo. Questa davvero voleva accendere la miccia e litigare?

-No, le cose vanno bene zia. Solo che di solito non mi hai chiesto mai nulla. Probabilmente non sai nemmeno quanti anni ho, eppure ti interessa questo. Sei una ficcanaso, tutto qui.-

-Alessandro comportati bene con la zia.- disse mia madre, sempre pronta a mantenere la facciata, ma anche a lei non piaceva Talia.

-Ma no, era per chiedere, che ti credi? Non mi interessa mica se hai la ragazza o meno.- disse allora mia zia cercando di sembrare vaga e indifferente.

-E allora perché me lo chiedi? Comunque son cose che non ti riguardano.- e la discussione finì lì. Mia zia, che donna, nel senso negativo. Sarà per questo che ho una brutta considerazione delle donne. Fatto sta che con la mia cara zia, la signora Elisabetta, non ci sono mai andato d'accordo. Non ho mai avuto del affetto da parte dei miei parenti, se non nelle rare occasioni in cui ci scappava qualche regalino, ma nulla di eclatante. Così almeno non devo angosciarmi anche per loro. Elisabetta aveva una sola figlia, mia cugina Lina. È rimasta incinta a sedici anni, e il figlio era di un uomo di venticinque. Non proprio una storia d'amore da romanzo o sceneggiato televisivo. Si sono sposati prima che lei partorisse, anche perché mio zio lo aveva minacciato. Il matrimonio non è stato dei migliori, lui la picchiava e lei si lasciava picchiare dal marito. Qualche anno dopo hanno divorziato, lui si è risposato, con una ragazza giovanissima, invece mia cugina ha avuto uomini qua e la, niente di serio. Ma dei drammi famigliari e baggianate varie non mi sono mai interessato molto, il più delle volte mi davano noia e non vedevo nessun guadagno nel sapere con quanti uomini è stata a letto mia cugina. Per quanto mi riguarda ognuno è libero di vivere la propria vita come meglio crede. La cena finisce come i gamberi nella salsa cocktail, me ne mangerei a centinaia. A mezzanotte, i miei con mia zia e mia cugina vanno in chiesa. Io e mio fratello restiamo a casa. Mangiucchio qualche avanzo qua e la, ordino un po' la cucina e scrivo a Talia, dice che sta bene e che la madre le ha regalato un orologio. Ho un orologio da polso, ma anche uno tascabile, sono oggetti affascinanti e pensavo che in età più avanzata mi sarei interessato alla orologeria. Anche i miei, insieme a mio fratello, mi avevano fatto un regalo. Un braccialetto di argento con il cinturino di pelle nero, era molto bello. Vado a letto, sono stanco e non aspetto nessuno alzato.

A volte mi capita di pensare alle prime uscite con Talia. Non potevo sapere se ne ero davvero innamorato, mi piaceva perché mi dava attenzioni, mi coccolava, mi faceva sentire importante, il che mi rendeva molto felice e bene con me stesso. Non mi ero mai sentito prima così. Di me non ho mai avuto una grande considerazione. Questo mi fa ritornare in mente il periodo quando andavo a scuola e frequentavo il liceo. Ero un ragazzo solitario, insomma un ragazzo acqua marino. Di amici ne avevo e anche con i miei compagni di classe parlavo, ci andavo persino d'accordo. Però quella amicizia...speciale, non l'ho mai avuto. C'era un ragazzo in classe mia che spesso si confidava con me, probabilmente per lui rappresentavo quel tipo di amico o semplicemente gli sembravo la persone più ragionevole in quella classe di matti. Mi parlava di ragazze, dei suoi sentimenti, di cosa voleva fare nella vita e così via. E quando lo chiedeva a me restavo sempre un po' vago, lo lasciavo sempre con un risposta definitiva. Credo che anche per questo lui con il tempo si sia allontanato, ma davvero non sapevo cosa fare della mia vita e ancora oggi non lo so. Un giorno venne da me, e mi diede il suo quaderno. Era pieno di disegni strani e confusi, mi disse che ogni tanto scarabocchiava su, così tanto per, ma lo faceva soprattutto quando si sentiva confuso. Erano disegni in penna nera, non c'era nessuna forma artistica però erano davvero macabri. Era un aspetto di lui che non avevo mai immaginato potesse avere, allora gli chiesi perché disegnava così e lui rispose così -Perché a volte vorrei vedere queste cose succedere...per sentirmi vivo- la cosa mi affascinò più di quanto dovesse, in realtà una cosa del genere avrebbe dovuto spaventarmi, invece la sua deviazione lo rese una persona più interessante. Qualche giorno dopo mi invitò a casa sua, una villetta che si trovava ancora più in campagna della mia. Suo padre e suo nonno facevano i contadini e avevano aperto un'azienda agricola. Quando mi presentai a casa sua fu sua madre ad aprirmi. Una signora un po' bassa e goffa, che rientrava perfettamente nello stereotipo di una donna che lavora in campagna, che era invecchiata troppo in fretta. Ricordo che indossava un grembiule bianco, sporco di sangue. Lei si giustificò immediatamente raccontandomi che avevano ucciso due conigli e che quello era il loro sangue, allora chiamò suo figlio -Rocco!- urlò e la una testa sbucò da un capanno in legno ormai marcito.

-Alessandro vieni!- senza dire nulla andai nella sua direzione, l'ambiente mi ricordava qualche film horror e ora mi aspettavo il padre o il fratello pazzo uscire da un cespuglio con una motosega in mano intento a farmi a pezzi. Entrai nel capanno, era molto polveroso, al suo interno era parcheggiato un vecchio trattore e diversa attrezzatura per la campagna, ma a terra notai anche una scia di sangue. Mi fece avvicinare e quel che vidi dopo fu qualcosa di totalmente inaspettato e inquietante. Era la pelliccia di coniglio cucita insieme a tutta quella carne che del animale si butta, persino i testicoli, mi venne da vomitare, ancora oggi non so come ci sono riuscito. Non credevo ai miei occhi che un ragazzo che mi parlava di cotte e sentimenti da tipico adolescente potesse trovare affascinante qualcosa di così macabro. Lo guardai un po' esterrefatto e lui quasi se ne stupì.

-Ma pensavo che anche a te certe cose piacevano.- disse

-E da cosa te lo avrei fatto capire? Rocco...questo è disgustoso, hai cucito questo cadavere e ti aspettavi che mi piacesse?- mi guardò alquanto arrabbiato, tant'è che mi fece spavento.

-Avevi detto che i miei disegni ti piacevano- disse con un tono molto serio

-Certo che mi piacciono, però un conto sono i disegni e un conto è questo. Io non so che pensare...perché me lo hai fatto vedere?-

-Volevo farlo insieme a te-

-No...non mi interessa- e dopo queste parole uscii dal capanno e me ne tornai a casa senza aggiungere altro. Il giorno dopo a scuola era come se nulla fosse accaduto, ci pensai un po' la notte. Ma se lui si divertiva a cucire animali morti non era un problema mio, non ne parlai mai a nessuna se non a Talia che rideva, dicendomi che ho rischiato la vita, che è un potenziale serial killer e così via. Dopo il liceo non l'ho più sentito, ma so che ora fa il contadino insieme al padre ,dopo essersi laureato in agraria. Fatto sta che per quanto una persona ti possa raccontare di se non la conoscerai mai perfettamente, così come Rocco, anche di Talia non sapevo tutto e quel che non sapevo lo volevo sapere.

La mattina dopo la vigilia chiamai Talia

-Ehi...Buon Natale- dissi a telefono

-Grazie Babbo Natale, mi è piaciuto il tuo regalo- rispose lei

-Menomale. Sai a chi ho pensato? A quel psicopatico di Rocco- rideva a telefono

-E perché ci hai pensato? Volevi fartelo ammosciare perché lo avevi duro in chiesa?-

-Innanzitutto non sono andato in chiesa a sentirmi un sermone inutile di un tipo in tunica mentre muoio di freddo. E poi ci ho pensato perché di te non so tutto-

-Anche io di te non so tutto. Ci sono dei segreti, è normale, ogni persona ha dei segreti-

-Lo so, però di te voglio sapere proprio tutto tutto, ogni cosa, ogni minimo dettaglio anche quello meno rilevante-

-Non lo so Alessandro, magari è meglio che ogni persona questi segreti li conservi nel proprio animo. Io non sono obbligata a raccontarti tutti e nemmeno tu lo sei. Se voglio raccontarti qualcosa, lo faccio altrimenti no-

-Va bene- dissi

-Senti ora devo andare ad aiutare a mia madre, altrimenti quella mi spara, la conosci. A dopo amore-

-Ciao- risposi e mi attaccò il telefono. Quella riposta un po' mi deluse, il senso di angoscia, del non conoscere mi turbava nuovamente. Questa volta non fu come in spiaggia dove non riuscivo a controllare il respiro, ma mi sentivo ugualmente male. Quel giorno di Natale l'ho trascorso pensando alla vita. Agli obbiettivi che mi ero posto e che non avevo raggiunto. Mi sentii un fallito e un buono a nulla. Alla mia età non avevo concluso nulla e questo mi rodeva dentro, volevo realizzarmi il più presto possibile, ma ci voleva tempo e non avevo voglia di aspettare. Dopo una partita a briscola con i miei e mio fratello, tornai in camera mia. Talia mi aveva scritto, le risposi. Mi collegai ad internet e sul pc guardai affitti e case in città, ne trovai un sacco, ma non avevo denaro per realizzare niente di quel che volessi, quindi niente casa. Mestamente mi allungai sul letto fissando ancora una volta il soffitto, mi accarezzai la barba che intanto era cresciuta qualche millimetro, a Talia non piacerà, ma intanto sono ancora qui a fissare il soffitto.

P.S. La canzone di questo capitolo è la stessa del terzo.Scrissi entrambi ascoltando uno dei miei pezzi preferiti dei MUSE.

Ripropongo il mio canale Youtube di Gaming. Dattegli un'occhiata :)

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Capitolo 5
*** L'incontro con Andrea ***


Questo capitolo è il più lungo fino ad ora. Alessandro continua a vivere con i suoi demoni e tenta di tenerli a freno. Ripeto per l'ennesima volta (mi rendo conto di essere noioso LOL) ma mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni su questa storia. Grazie a chi mi segue, buona lettura :)

-Non capisco come fanno certe persone a credere a tutto ciò che vedono.- dissi incazzato a mio fratello, mentre mandavano in un onda l'onda l'ennesima madonna di marmo che sanguinava dagli occhi.

-Perché è più semplice credere che esista un Dio, piuttosto che credere che non ci sia. È facile non credi?- rispose.

-Si certo, però se Dio esistesse quale ragione avrebbe di far sanguinare una statua della madonna in culo al mondo? Cioè è palesemente finto e invece stanno tutti la a gridare al miracolo.-

-Ma saranno problemi loro, no? A te che importa? Ognuno dovrebbe essere libero di credere ciò che vuole, l'importante è non invadere la libertà altrui.-

-Importa perché respirano il mio stesso ossigeno e non ne sono degni- mi guardava un po' male, queste battute da generazione del nuovo millennio non lo facevano ridere affatto, cambiò canale. Intanto Talia mi accusava di non essere per niente romantico e non aveva torto. Ma io in certe cose ero una frana, per non parlare del fatto che le mie precedenti relazioni sono finite a schifo. C'era “Faccia da Gufo”, ho tenuto a lei per circa due settimane, ma poi iniziava ad annoiarmi. Lei non era come immaginavo e dopo due mesi ci siamo lasciati. Non era una cattiva ragazza, magari era un po' puttana, però sarebbe stata perfetta come amica lesbica se solo non fosse stata etero e volesse succhiarmelo. Dopo di lei c'è stata qualche infatuazione, come piace definirle mia madre. Per il resto niente di serio prima di Talia. Ricordo una volta che eravamo a casa sua, soli, di sera. Era accesa solo una lampada che illuminava il salotto, mi alzai e la strinsi tra le mie braccia. Iniziamno a ballare un lento, senza musica, ci accompagnava soltanto il fastidioso rumore della televisione. All'inizio mi guardò un po' strano, ma poi si strinse a me e ad un certo punto iniziai a canticchiare con la mia voce stonata You are my Sunshine, non sono bravo come Johnny Cash però lei pianse e mi strinse ancora più forte. È uno dei momenti più belli che ho condiviso con lei, ci sussurrammo ti amo e se chiudo gli occhi ancora riesco a vederla, a sentirne l'odore, nel suo pigiamino grigio e i seni sul mio petto. Per me erano queste le cose romantiche, di cose clamorose non sono capace. Lei mi raccontava di come il fidanzato della sorella gli regalava rose e così via, ma le rose appassiscono, i momenti resteranno indelebili nella nostra memoria.

-Kurt Cobain è davvero un gran pezzo di merda- e così mio fratello interruppe il mio flusso di ricordi.

-Ma come ti viene?- gli dissi

-Non lo so, voglio solo farti incazzare-

-E perché?-

-Mi annoio-

-Beh comunque non sono più un diciassettenne, quindi non me ne può fregare di meno della tua opinione su Kurt Cobain.- presi le chiavi e uscii di casa. I miei non c'erano, erano in giro a vivere la loro noiosa vita, o magari era noiosa solo sotto il mio punto di vista. Forse a loro piaceva essere come sono, due persone in pensione che si danno al giardinaggio. Non lo so, non voglio essere così, a volte credo che vorrei bruciare subito, vivere la mia vita intensamente e poi spegnermi in una grossa vampata. Altre invece vorrei vivere fino a novant'anni, avere un sacco di nipoti e spaventarli infilandomi arance in bocca come Il padrino. C'è una convinzione che ho da quando ho sei anni. Corre l'anno non mi ricordo, gli anni in cui le cineprese erano ancora grosse e la gente si vestiva male, con un naturale color seppia che invade tutte le vecchie pellicole fatte in casa. È la comunione o il battesimo di non so chi, a casa nostra c'è tanta gente. Io sono vestito bene, indosso un piccolo gilet che mi fa sembrare un cameriere con problemi di crescita uscito da qualche cartone animato. Sono tutti felici e contenti, però io sono stanco. Mi allungo sul divano marroncino di camoscio e mi addormento. Credo ancora di dormire, penso che tutto questo in realtà sia soltanto un sogno. Che magari il destino ha voluto che io fossi allarmato di ciò che sarebbe stato la mia vita. Io sono ancora un bambino di sei anni addormentato sul divano che aspetta di essere portato a letto dal padre, tra le sue braccia, al sicuro. È un'idea che non riesco a togliermi dalla testa, forse perché tutto questo, la mia vita, non è come io desidero, forse perché io voglio altro da questa dannata vita.

Intanto raggiungo il parco, con me ho una copia di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, non sento Talia da questa mattina, abbiamo litigato, una ragione vera non c'è, perché non mi si può accusare di non essere romantico e poi prendersela tanto. Era un litigio che era nell'aria da tanto. Dopo un pò tante piccole non si possono più nascondere sotto il tappetto. Mi manca da morire, mi manca sempre lei, in ogni istante. Sulla panchina opposta alla mia sono seduti due slavi, saranno russi o serbi? Non ne ho idea, c'è qualche ragazzino con la bici, vanno su e giù da una piccola discesa che si trova alle mie spalle. Oggi non è proprio il giorno migliore per leggere tranquillamente. Mi metto in piedi e inizio a passeggiare, vedo il mio riflesso in una pozzanghera, ho la barba incolta e sto iniziando a stempiarmi, domani mi raserò la testa. Cammino ancora , incontro persone che conosco di vista, non le saluto e loro ricambiano ignorandomi a loro volta. Il paese è piccolo, si conoscono più o meno tutti, ora vorrei essere in città, da Talia, scusarmi anche se non ho fatto nulla, baciarla. Ad un certo punto sento un grossa mano appoggiarsi sulla mia spalla destra, è Andrea.

-Madonna Alessandro quanto sei brutto- bel modo per salutarmi amicone.

-Senti chi parla, non hai certo il fascino di James Bond.-

-Ma che ci fai qui, sapevo che studiavi.-

-Beh in effetti sto studiando.- Andrea è il mio vecchio compagno di banco dai tempi delle scuole medie, avevamo entrambi la passione per il wrestling americano, tant'è che noi invece del fantacalcio organizzavamo il fantawrestling -e ti che ci fai? Mi avevano detto che facevi il volontario non so dove in Sud America-

-Sono tornato da un mese, amico. Dobbiamo farci un birra, vieni offri te-

-Ma non ho il portafoglio con me-

-Allora troviamo qualcuno che ce la offre-

Arriviamo al bar, a quest'ora del pomeriggio ci sono solo vecchi, anzi questo bar è solo frequentato da vecchi. Andrea ha la fortuna di conoscere davvero tutti in questo paese dimenticato da Dio, e senza problemi trova il fesso che ci offre due birre. Ci sediamo ad un tavolino appena fuori dall'ingresso, avrei preferito bere dentro, la birra è ghiacciata, ma pazienza.

-Ma allora dimmi...dimmi qualcosa, sono anni che non ci vediamo.- me lo disse con un grosso sorriso che fece sorridere anche me, ultimamente era solo Talia a riuscirci.

-Beh che devo dirti? Sei tu quello che è stato in Sud America, racconta tu.-

-No basta ti prego. È da quando sono tornato che tutti mi chiedono del Sud America, della Colombia e compagnia cantando. Ti dico solo che la cocaina la sotto è fantastica- ridevamo, non sapevo che era un tipo da cocaina, ma sono fatti suoi.

-Rischio di essere arrestato? Non è che sei diventato un narcotrafficante?-

-Ma no scemo, mai tirato in vita mia. Dai dimmi di te! Cavolo quella tua faccia di merda mi è mancata-

-Allora da dove iniziare? Sto studiando per diventare avvocato, e si lo so che penserai, ma no. Non sono un venduto o roba del genere. E poi...beh in realtà non ho fatto gran che-

-Ce l'hai la ragazza?-

-Ah si quella si-

-Non sarà mica “Faccia da Gufo”?-

-No, no. Con lei è finita da tanto-

-Bravo! Era un po' puttana lei, senza offesa ma lasciatelo dire. E chi è questa nuova?-

-Si chiama Talia, un giorno te la presento se non parti all'improvviso per la Cambogia-

-Non parto più, mi sono trovato un lavoro al porto inizio fra due giorni. Lontano da qui, lontano dagli affetti e dai amici, me ne vado a Civitavecchia-

Parlammo ancora per un'oretta, e mi raccontò anche delle sue avventura da missionario. Di come avevano aiutato dei ragazzi a disintossicarsi e di come insegnavano ai bambini a leggere e così via. A lui non pensavo davvero da tanto, e lo ammiro. Ha fatto qualcosa della sua vita, è una persona indipendente ora, che bada a se stesso. Ha tutte quelle cose che io non ho, mi pento di non essere andato a quel colloquio di lavoro. Dopo un po' chiamai Talia -Ehi amore, sei ancora arrabbiata con me?-

-No.- rispose freddamente.

-Mi manchi tanto.-

-Allora vieni qui- disse lei, sapeva che in questo periodo non potevo venire perché dovevo studiare per superare gli esami, ma nonostante ciò me lo chiedeva. Non con cattiveria o per mettermi alla prova, ma perché gli mancavo e lei a me.

-Non posso, lo sai, ma verrò presto-.

-Ok.- ora era triste

-Non sai chi ho incontrato.- dissi per farle pensare ad altro

-Chi?- chiese

-Andrea, il mio vecchio compagno di classe e di banco ai tempi delle scuole medie. Non sai quante me ne ha raccontate. Ha fatto il missionario nel Sud America e ora è tornato da un mese. Tra qualche giorno lavorerà su da te, al porto, farà quella roba con le gru e i container-

-Ah si? Davvero?-

-Talia...- dissi con tono cupo -lo invidio a morte-

-Come mai? È carino questo, che ha che a te manca?-

-È una persona realizzata. Ha fatto esperienze incredibili, ha un lavoro, degli amici, andrà a vivere da solo, lui non dipende da nessuno. E tutto questo lo ha fatto senza una laurea, ma solo con la sua volontà. Che me ne faccio di una laurea? Non so nemmeno se voglio diventare un avvocato! Avvocato io poi...sono troppo buono per farlo, non ho il carattere e poi non è nemmeno quello che voglio fare-

-E allora perché lo fai?- una domanda semplice a cui io non sapevo rispondere.

-Ormai ho iniziato e finirò- che risposta stupida.

-È per risposte come queste che io a volte ti odio. Devi fare ciò che vuoi , non quel che devi. Mi hai capito? Altrimenti non sarai mai felice.- ha ragione, perfettamente ragione. Ma come faccio io a dire ai miei che non voglio più studiare? Che voglio partire, andarmene e fare le mie esperienze? Come faccio io? Ho impegni, doveri da rispettare, non posso semplicemente buttarmi nella nebbia senza sapere a cosa vado incontro, non ne sono capace. Non sono fatto così io.

-Lo so, lo so...ti richiamo dopo, sono in giro ora. Ero uscito a farmi una passeggiata. Ciao amore, stai tranquillo dai.-

-Ciao amore, fatti sentire- quella sera andai a letto presto, senza dormire, fissai ancora il soffitto, più di prima.

 

 

Il mattino seguente ero stanco e avevo un forte mal di testa, non avevo dormito molto. Mi svegliò mia madre verso le nove e mezza, mi ripeteva sempre di dover studiare, ma non ne avevo proprio voglia. Presi un'aspirina e in silenzio, senza pensare a nulla, aspettavo che mi passasse il mal di testa. Ho sempre avuto problemi con l'emicrania, capitava da quando avevo quindici anni, ogni tanto mi svegliavo con un forte mal di testa e obbligavo i miei a non mandarmi a scuola. Durante il terzo liceo feci tantissime assenze, tant'è che rischiai la bocciatura, me la cavai con due debiti, in matematica e fisica. Eppure la fisica mi piaceva, però sbagliavo sempre i calcoli matematici, quindi mi ritrovavo con un quattro fisso nel registro della professoressa “Mano Morta”. Non era una cattiva insegnante, anzi, però aveva cinquanta anni e ne dimostrava come minimo settanta, a volte sembra che questi paesini invece di farci stare meglio, ci fa invecchiare prima. Guardando i miei professori scolastici non potevo credere che potevano essersi laureati, erano talmente imbecilli che mi sembrava assurdo. Certo non tutti, ma buona parte. A volte immagino di tornare a scuola dopo tanti anni, dopo che mi sono laureato e realizzato. Torno con una grossa macchina tedesca, con gli occhiali da sole e un bel vestito. Nessuno mi riconosce, nessuno si ricorda di me, tutti mi guardano con la bocca aperta mentre mi ammirano e invidiano, vado dalla mia professoressa di italiano. Eccola, piccola e raggrinzita, ancora nella sua aula, incapace. E poi che le sbatto in faccia il mio successo. Sono io, Alessandro, grandissima stronza, hai visto che alla fine ci sono riuscito, hai visto che sono diventato un uomo di successo e realizzato! Ma tutto questo non succederà, perché non guiderò mai una grossa macchina tedesca, non avrò mai un bel vestito grigio che mi calza a pennello, e soprattutto non farei mai una pagliacciata del genere. Al massimo se vorrò vendicarmi di lei, sputerò sulla sua tomba quando sarà morta.

Talia è il mio chiodo fisso, a lei penso sempre, in ogni momento della mia giornata. Ai miei non piace, per nessun motivo in particolare. Mi criticano perché viviamo lontani, perché lei è di Roma e io di un paesino sperduto nella campagna campana. Se fossi come Andrea che lavora al porto di Civitavecchia non avrei tanti problemi, quanto vorrei essere lui in questo momento. Altre volte invece penso di non amarla davvero. Che in realtà sia solo una infatuazione, una storiella a caso. Ma allora perché mi manca così tanto? Sono solo a casa, i miei non ci sono, mio fratello lavora. Accendo lo stereo e ci infilo dentro un cd degli Who, parte Baba O'Riley, sono di nuovo un adolescente che si sente racchiuso in una grossa trappola, piango. Ho di nuovo un crollo nervoso, ma non devo, non dovrei, devo respirare, controllarmi. La musica entra nelle mie orecchie e io mi accascio a terra, mi chiudo come un riccio, i gomiti sui fianchi e le ginocchia che spingono sulla pancia. Faccio fatica a respirare, spero che nessuno rientri in casa. Dopo due canzoni mi riprendo, sono stato minuti a terra, faticavo a respirare. Devo iniziare a preoccuparmi, non è normale, non può succedere di continuo e soprattutto non deve succedermi se mi trovo in compagnia di qualcuno. Faccio qualche ricerca su internet, ma trovo nulla che mi possa soddisfare, leggo dei nomi di disturbi psichiatrici, ma io non sono pazzo, o almeno non ancora.

 

Due settimane prima dell'esame passo un fine settimana da Talia, questa sera andiamo in un ristorante che ci ha consigliato il padre, la cena è servita buffet e ha un prezzo fisso. Non proprio il mio tipo di ristorante, onestamente i ristoranti non mi piacciono affatto. C'è troppo casino, troppo mormorio e poi non si mangia affatto così bene.

-Questo posto, com'è? Ci sei mai stata?- chiesi a Talia mentre si passa la piastra sui suoi capelli.

-Insomma, ci sono stato un paio di volte. Onestamente non è niente di che, più che mangiare bene, si mangia tanto.-

-Ah insomma ci mettiamo all'ingrasso?-

-Te non ne hai bisogno, io forse si.-

-Ma no. Pensi di essere troppo magra?- Talia intanto aveva smesso di aggiustarsi i capelli, si guardava allo specchio e non era molto soddisfatta. Le donne non sono mai contente con il loro aspetto, si lasciano sempre influenzare troppo da queste modelle che non rappresentano assolutamente nulla. Ma quale belle? Come quella con i denti storti e le orecchie a sventola che viene definita bellezza italiana, la bellezza dev'essere soltanto qualcosa di soggettivo.

-Sono brutta?- mi chiede con una voce un po' rotta.

-No, sei bellissima.- le dico

-Non ci credo, tu non puoi dirmi che sono brutta. Sono la tua ragazza.-

-Sarà anche così, ma io con le ragazze che non mi piacciono non ci sto, lo sai.-

-Sei un maschilista, una persona orribile.-rido, e lei ride con me.

Dopo che ci siamo preparati finalmente usciamo, prima di raggiungere il ristorante facciamo una passeggiata e osserviamo le altre coppie in cerca di qualcuno con cui si possa stringere amicizia. Individuiamo un ragazzo con una barbetta corta e non curata che cammina con una ragazza bassa in felpa, sembrano la nostra fotocopia. Loro si siedono su una panchina sotto ad un pino e non su un muretto di fronte, ma abbastanza lontano da non sembrare troppo strani e sospettosi.

-Guarda che carina che è lei.- dice Talia

-Per me sei più bella te.- faccio un po' il lecchino che con le ragazze non guasta mai, ma sono sincero.

-Ancora? Basta leccarmi il culo, è altro che devi leccarmi-

-Ehi!- dico con un sorrisetto – Come mai sei tanto volgare? Hai voglia?-

-Di te sempre, lo sai. Ma ora andiamo a mangiare fino a scoppiare e poi se c'è ancora spazio, ci mangiamo che il dolce.-

-Ma non dovevamo fare amicizia con quelli?-

-Se tu ci riesci, lo sai che io sono troppo sociofobica.-

-Beh lo sono anche io...- dopo qualche secondo di silenzio, ridiamo come quelle coppie delle sit-com americane, le do un bacio e raggiungiamo il ristorante.

C'è davvero tanta gente, una fila disordinata si accalca davanti all'ingresso, mentre i camerieri mettono ancora in ordine. C'è un tipo con dei lunghi capelli bianchi che gli arrivano fin sulle spalle, Talia mi dice che lui è il proprietario, discute con una ragazza che ha in mano un grosso registro in cui probabilmente c'è una lista di nomi per la cena di questa sera. Mai visto un ristorante così selvaggio, sembra di essere in una giungla, i buffet cacciano solo il peggio dalle persone. Noi italiani e il cibo, a volte sembra che conti solo quello. Finalmente si inizia ad entrare, noi siamo lontani dalla massa di persone, aspettiamo tranquillamente finché non è il nostro turno. C'è una signora davanti a noi che cerca di chiamare la figlia al cellulare, ma non le risponde, lei si incazza e lascia perdere. È il nostro turno, abbiamo prenotato un tavolo per due a mio nome, all'inizio la tipa sembra non trovarlo e già inizio ad andare in ansia, ma poi finalmente lo trovo e ci fanno accomodare ad un tavolino per due persone. La prima bevanda è gratis, ordino una birra e lei dell'acqua. La portano con un bicchiere che si può trovare in un discount e una bottiglietta di plastica, la birra invece è troppo calda per essere bevuta con gusto. Talia nota il mio disagio, non parliamo, allunga una mano e stringe la mia. Non capisco perché mi faccia mettere in soggezione da un posto come questo, ma il mormorio delle persone mi da fastidio. Ci alziamo e andiamo al buffet, prendiamo del cibo in direzioni diverse, prendo delle piccole pizzette e me ne riempio il piatto e poi torno a sedermi prima di lei. Talia torna e io già sto mangiando, fa una battuta, ma io non la sento e tra di noi cala il silenzio. Ad un certo punto ad un tavolo non lontano dal nostro una signora inizia ad alzare la voce -Sei come tuo padre!- grida ad un certo punto e batte la bottiglia dell'acqua sul tavolino attirando l'attenzione di tutto il ristorante. Tutti nel ristorante si girano verso di loro. Un'altra donna, in loro compagnia, cerca di calmarla, ma quella signora non si calma affatto. Prende un piatto e lo sbatte a terra e poi ancora un bicchiere, corre fuori dal locale in lacrime. C'è un silenzio che fa sentire tutti inconfortevoli , l'uomo a cui la donna si riferiva è rosso in faccia. Un cameriere si avvicina e inizia a pulire, il proprietario tranquillizza gli ospiti e invita tutti di continuare a cenare. Poi il proprietario inizia a parlare con l'uomo incriminato da quella signora di essere come suo marito, parlano, ma non sento che si dicono, probabilmente discutono dei danni e della somma da pagare. Intanto rientra un bambino che era seduta a quel tavolo, era uscito un attimo con quel che penso sia stata la madre, non sanno che è successo, non capiscono. Gli spiegano la situazione e quando al bambino viene detto che la cena è finita e che si torna a casa lui scoppia in lacrime. Se hanno dei problemi, devono discuterne in privato, non possono permettersi di rovinare la serata a chiunque. Un'altra donna di un altro tavolo si alza, con il suo cocktail in mano -Festeggiamo!- dice ai suoi ospiti -oggi è il mio compleanno!- e tutti quelli seduti a quel tavolo brindano.

-Povero bambino- dico a Talia

-Si...mi dispiace per lui. Ma tu hai capito che ha detto quella prima di farsi prendere da un attacco isterico?-

-Mi sembra gli abbia detto qualcosa come “Sei come tuo padre”, secondo te che voleva dire- ci pensò per un po' e poi mi diede una risposta.

-Forse ha messo le corna alla figlia e di conseguenza ha rovinato un matrimonio, proprio come ha fatto il padre. Oppure è uno che spaccia che è tornato nel giro, quindi la madre pensa che finirà in galera come il marito. In realtà può essere di tutto...andiamo via Ale, non mi sento a mio agio e mi è passato l'appetito- anche io non ero a mio agio e volevo andarmene. Mi avvicinai alla cassa e pagai, uscimmo dal locale in cui c'era ancora quella famiglia che discuteva, ma questa volta con un tono moderato, almeno il bambino non piangeva più. Erano circa mezzanotte e all'improvviso ci tornò la fame. Quindi entrammo in uno di quelle bettole che fanno solo patatine fritte, quei locali dove la puzza della frittura si sente da un miglio di distanza. Ce le mangiammo con gusto, mentre il nostro fegato implorava pietà. Poi tornammo a casa, dove i suoi non ci aspettavano alzati.

-Guarda un po' chi mi ha scritto- dissi a Talia

-Andrea? Che vuole?-

-Mi ha invitato a casa sua, a Civitavecchia-

-E che ci fa lui la?-

-Non te l'ho detto? Lavoro con le gru e i container. A quanto pare lo zio ci lavora o lo ha aiutato ad entrare, per quanto possa essere raccomandato sono contento che lavori.-

-Andrai a trovarlo amore?-

-Si-

Due giorni più tardi lasciai Roma. Il resto del fine settimana filò liscio, io e Talia ce la spassammo alla grande. Tornai a casa, nel mio paesino nella sperduta provincia di Avellino, tra le montagne e le foreste, e i cacciatori di cinghiali. Pensavo che rilassarmi qualche giorno con Talia mi avrebbe fatto bene, che io una volta a casa non avrei avuto problemi per studiare, ma proprio non mi andava.

 

Avevo i libri aperti, ma pensavo ad altro, come era il mio solito fare. Ormai da un po' non avevo più attacchi e la cosa mi tranquillizzava. Chiusi il libro e trovai dei riassunti su internet, e iniziai a studiare da quelli, non avrei preso trenta, ma per me l'importante era passare. Qualche giorno dopo mi presentai all'esame, c'erano una quarantina di ragazzi, tutti che ripetevano e io invece non sapevo assolutamente nulla. Il professore era abbastanza severo, infatti chi mi precedeva e sembrava più preparato di me veniva bocciato o passava con un diciotto. Era il mio turno, e onestamente non so con quale coraggio mi presentai lì.

-Parlami di...Santi Romano- disse il professore. Sapevo chi era è cosa volevo dire, ma all'improvviso mi sentii come in spiaggia e in camera mia. Inizio a respirare in maniera affannata, cerco disperatamente di trattenermi, scatto in piedi -Cosa c'è? Sta poco bene?- dice il professore, esco di corsa dall'aula, senza nemmeno prendere la mia roba, corro ed entro in bagno. Per fortuna non c'è nessuno, riesco a calmarmi, bevo dell'acqua dal rubinetto, sa di cloro. Riesco finalmente a calmarmi. Cazzo, ma che ho combinato? Cazzo, cazzo, cazzo! Tiro un pugno al muro, cade una piastrella, la nocche mi fanno male. Rimango ancora in bagno, e guardo il mio riflesso allo specchio sporco pieno di scritte. Entra un tipo, piscia ed esce senza lavarsi le mani. Guardo l'ora, è passata un'ora e sono ancora in bagno, finalmente decido di uscire. L'aula ormai è vuoto, l'esame è finito, ma non trovo il mio zaino. Saranno stati così stronzi da rubarmelo?

-Per caso cerchi questo?- dai banchi lontani si alza una ragazza, si avvicina a me con lo zaino. Me lo da, la ringrazio -Ti succede spesso?- mi chiede.

-Guarda, grazie per aver dato un'occhiata allo zaino, ma davvero...non ho voglia di parlare. Ho fatto una grossa figura di merda e voglio soltanto sotterrare la mia testa nel cuscino di casa mia- le dissi mentre stavo per andarmene, ma poi le aggiunse qualcosa.

-Capita anche a me di avere certi attacchi, quante volte ti è capitato?- non avevo davvero voglia di parlare, ma andarmene così senza dire nulla mi sembrava un gesto da maleducati.

-Questa è la terza volta, ma la prima in pubblico.-

-Sei fortunato, a me è successo un casino di volte e in momenti più imbarazzanti, fidati. Ho capito che non ti va di parlare, ho scritto il mio numero sul quaderno dove hai disegnato quella scimmietta in copertina, se ti va puoi scrivermi e possiamo parlarne.- quella scimmietta non l'ho disegnata io, ma Talia. Comunque lei se ne andò, e io feci lo stesso. Le luci nell'aula rimasero accese. Durante il tragitto per tornare a casa non pensai a quella ragazza, ma nel modo in cui dovevo giustificare ai miei il fatto che non avevo passato l'esame. Mi avrebbero sicuramente fatto una testa grossa quanto un cocomero, mi avrebbero insultato e dato del buono a nulla e come ciliegina sulla torta mi avrebbero detto che Talia mi distraeva dagli studi. Presi il treno che mi avrebbe portato in un paese vicino al mio, e da lì in poi sarebbe venuto mio padre a prendermi. Nel treno guardavo il disegno della scimmietta disegnata da Talia, assomigliava a quelle stupide che sono sui telefonini, l'emoticon. E intanto mi toccavo la testa e i capelli, che ancora non avevo rasato, ma avevo ancora intenzione di farlo. Anche la barba era cresciuta, insomma facevo di tutto per non pensare all'attacco d'isteria che i miei avrebbero avuto nel momento in cui gli raccontavo dell'esame. E poi c'era il numero di quella ragazza, che tanto mi sembrava di presa in giro, ma io soffro di manie di persecuzioni. Non aveva lasciato nemmeno il nome, soltanto il numero, anche se volessi chiamarla per farmi dare qualche consiglio sulla mia condizione, non saprei come fare, ma tanto nemmeno lo farei. Poi ho deciso che invece di aspettare la sceneggiata, mando un messaggio ai miei e così gli dico che questo cavolo di esame è andato male, dopo un po' arriva la risposta, che è corta e significativa, “ok”. Bene, sono nella merda. Non avevo voglia di litigare. Sono una persona che cerca la pace, la calma e la tranquillità e qui torna il discorso sul perché mai una persona come me debba fare l'avvocato? Beh male che va faccio il notaio. Finalmente arrivo, esco dalla piccola stazione che sembra essere uscita da un film western e mi dirigo verso la macchina di mio padre. Ci salutiamo e poi più nulla, non vola una mosca. Non ho un cattivo rapporto con lui, solo che non parliamo molto, o meglio non parliamo mai di cose importanti. Parliamo spesso in realtà di cose molto futili, argomenti come il calcio e la politica, ma non abbiamo mai avuto quei discorsi padre e figlio, di cui i film americani vanno tanto fieri. In realtà non so nemmeno se esistono in altre famiglie, considerando che non mi sono mai paragonato su questo argomento con i miei amici e Talia non ha fratelli. Arriviamo a casa, parcheggiamo la macchina nel garage, accarezzo il gatto che dorme beatamente e raggiungo la cucina dove mia madre mi aspetta con un piatto di pasta e patate. Vado a lavarmi le mani e normalmente non dovrei avere paura di tornare a casa o di sentirmi urlare addosso da lei, ma di lei in questi contesti ho avuto sempre soggezione. Appena torno in cucina è lei la prima ad estrarre la pistola

-Allora? Cos'è successo- mi dice con un tono molto severo, non ho voglia di dirle che ho avuto un attacco di panico

-Niente...semplicemente mi ha bocciato- le dico con tutta la calma del mondo

-E come mai?- secondo te? Vorrei dirle con il tono più sarcastico possibile

-Non ti preoccupare, lo recupero presto questo esame, nella prossima sessione di studio-

-È colpa di quella ragazza!- mi aspettavo che lo dicesse.

-Ma no! Che ti salta in mente? Non c'entra niente lei, sono io che ho preso sotto gamba questo esame, succede a volte. Non è la prima volta che non supero un esame, non facciamo drammi- lo sapeva benissimo che non mi sono fatto distrarre da Talia, anzi in questo periodo ci siamo sentiti davvero poco, era altro. Qualcosa a cui pensavo, ma a cui non sapevo dare una risposta precisa

-Tu devi pensare a studiare, mi hai capito?- certo che ti ho capito, che ti credi che voglio prendermi la pensione in quella università ammuffita?

-So che devo studiare, anzi non vedo l'ora di togliermela di mezzo l'università. Ma non è colpa mia se giurisprudenza prevede cinque anni di studio-

-Allora vedi la strada che devi prendere- la discussione finì qui, niente di speciale, nessuno dramma, ma comunque una discussione che mi dava fastidio. È ovvio che io voglia finire, non c'è bisogno che me lo ripeta anche lei, a volte vorrei che per certe cose ci fosse più affetto. Il suo affetto non mi è mai mancato, ha sempre pensato a me e vuole solo il mio bene. E a volte, mi sembra, che lei abbia un rapporto troppo morboso con me, come se dovesse tenermi sotto controllo e mai lasciarmi andare, come se dovessi fare solo ed esclusivamente quel che lei mi ordina. Io le voglio bene, tanto bene, ma sono un uomo di ventitré anni, sono un adulto che deve camminare sulle sue gambe. Mangiai il pranzo, per quanto sia un piatto povero, adoro pasta e patate. Poi preparai il caffè che beviamo solo io e i miei, considerando che a mio fratello non piaccia molto.

Ripropongo come sempre il mio canale Youtube, mi fa piacere se gli date un'occhiata :D
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Capitolo 6
*** Finalmente un qualcosa... ***


Noto con piacere che c'è qualcuno che segue la mia storia, e vi ringrazio. In questo capitolo Alessandro finalmente si fa coraggio e prende in mano le redini della sua vita, dal prossimo capitolo la storia cambierà totalmente. Se potrò caricherò in giornata. Ancora grazie a chi mi segue (FATEVI VEDERE XD) e buona lettura a tutti :3

Dopo scrissi a Talia, a cui raccontai tutto, tranne dell'attacco. Mi disse che non dovevo preoccuparmi e che non dovevo farmi problemi per l'esame. Lei aveva molta fiducia nelle mie capacità e questo mi stupiva, ero abituato a non credere in me stesso. Infatti non ho concluso nulla di importante nella mia vita. Mi sento un normalissimo giovane, ma per lei ero incredibile, un supereroe. Mi fa sentire importante e bene con me stesso. Nonostante ciò non le raccontai del mio crollo nervoso, era una cosa mia, che non avevo intenzione di condividere. Dopotutto era lei che diceva che certi segreti devono restare tali. Non le parlai nemmeno di quella ragazza, quella che mi aveva lasciato il suo numero. Ci mancava soltanto un inutile scenata di gelosia. Il pomeriggio l'ho trascorsi a letto a leccandomi le ferite. Mi vergognavo terribilmente per quel che era successo durante l'esame, la figura di merda che ho fatto, e la mano che mi faceva ancora male per il pugno sferrato alle vecchie mattonelle del cesso universitario. Ascoltai della musica, roba sconosciuta trovata su YouTube. La musica faceva da sottofondo ai miei pensieri, ai miei pensieri di morte e a tute le cose peggiori. Guardo le mie mani, lo faccio così spesso, ho un vuoto e cerco di stringere qualcosa. Che significato ha la mia esistenza e qual è mio ruolo nel mondo? Ma che diavolo ci faccio qui? Apro la finestra, ma non volo via, resta qui nella mia camera mentre guardo il sole tramontare. Pensieri sparsi di un giorno come tanti. Mi infliggo del dolore per vedere se sono vivo, forse questa è la risposta ai miei attacchi. Oggi non avevo paura di non passare l'esame, era altro. Era l'idea di passarlo in quel modo che mi terrorizzava, l'idea di cosa io possa diventare. Un giorno potrei essere un avvocato con il bel vestito, un uomo senza scrupoli che difende assassini e uomini che in realtà detesta. La giustizia è solo un'invenzione umana, non esiste nessuna giustizia in questo mondo. Le cose succedono e poi non si può più rimediare. Su internet guardo cose a caso, ad un certo punto apro la pagina Wikipedia di Giles Corey, leggo la sua storia. Siamo negli Stati Uniti, Massachusetts, è l'età della caccia delle streghe, un periodo in cui se qualcuno ti stava sulle palle bastava accusarlo di stregoneria e gli avrebbero messo a fuoco sul rogo. Insomma c'era questo tipo, e lo avevano accusato di essere un mago e utilizzare la stregoneria, invocare demoni e robaccia varia. Lui ovviamente dice che non è vero, si difende da queste cose assurde e si proclama innocente. Però, a quanto pare, all'epoca vigeva ancora la tortura e quindi iniziarono a torturarlo. Avevano preparato una di quelle macchine da tortura dove ti legano mani e i piedi ed iniziano a tirarti contemporaneamente ad entrambe le estremità, ma per rincarare la dose gli hanno messo anche un grosso masso di pietra sull'addome, insomma non proprio un percorso alla Spa. Continuano a torturarlo, ma lui niente, non confessa, non cede di una virgola, fino a quando non muore schiacciato dopo che gli hanno messo un secondo sasso sulla pancia. Fatto sta che la leggenda racconta che le sue ultime parole furono una battuta sarcastica rivolta ai suoi torturatori “Forza mettetemi un altro peso sulla pancia”. La storia di Giles Corey mi fece ridere e allo stesso tempo intristire. Un uomo viene accusato falsamente, e nonostante la sua innocenza, muore. Che bel posto è il mondo. Odiavo casa mia, odiavo la mia camera, le quattro mura che mi circondavano, odiavo me stesso, odiavo il mondo, odio le mie mani, la mia faccia, odio Talia, odio mia madre, odio dover dare conto alle persone, odio dover raccontare bugie per far stare meglio gli altri, odio Andrea che mi invita a casa sua, odio di non volerci andare, odio odiare, odio i miei attacchi di ansia, odio il rumore che fanno i miei vicini, odio il mio gatto, il professore, Santi Romano, giurisprudenza, le responsabilità, odio tutto il peso che devo sorreggere, odio il fatto di essere debole, odio di essere felice e poi triste, l'odio è l'unica cosa vera che provo. Perché devo essere così depresso, perché devo farmi tanti problemi e non posso semplicemente fregarmene come fanno un po' tutti, devo uscire. Ma dove vado? Non ho nessun posto dove andare, non ho nessun luogo dove possa rifugiarmi, respiro affannosamente, mi chiude in me stesso, la porta è chiusa, alzo il volume della musica per non farmi sentire, cado sul letto e cerco di dormire.

 

Ormai è febbraio, fa ancora freddo e per le strade si sente l'odore di dolci mentre passo vicino alla pasticceria. C'è un telefono a gettoni, che nostalgia, un'opera d'arte ormai. Mi guardo in giro mentre penso un po' a me stesso e un po' a Talia. Sono uscito di casa senza un motivo in particolare e Andrea mi ha scritto ancora, mi aspetta impaziente. Chissà che effetto gli ho fatto per reagire con tanto affetto, chissà perché vuole tanto vedermi. Magari sarà perché gli ho ricordato i tempi in cui eravamo innocenti e dove tanti problemi non esistevano, forse è per questo. Oggi sono nostalgico e vivo nel passato, c'è una panchina che mi ricorda il primo anno di liceo e un'altra che mi ricorda un giorno a scuola saltato perché scendeva la neve. Eravamo seduti su quella panchina io, Chiara e Roberto. Loro parlavano, io non ascoltavo, avevamo fatto filone a scuola e ce ne stavamo lì ad aspettare che il tempo passasse, guardavo il cielo cupo e triste di dicembre e all'improvviso dal nulla un fiocco di neve si poggia sulla mia guancia e poi inizia delicatamente a nevicare. Chiara e Roberto ridono, sono contenti, la neve gli rende felici, io caccio la lingua e aspetto che un fiocco si posi su di essa. La neve rende felice anche me, ma mi ricorda anche di quando è morto mio nonno. Ma questa è la vita e le persone a cui più o meno vogliamo bene prima o poi muoiono. Talia mi manca e oggi la amo più del solito, questa mattina siamo stati a telefono e glielo ho detto che l'amo da impazzire e che senza lei non ci posso stare. Che bello se adesso fosse qui con me, che bello se ora ci fossimo solo io e lei, come due pesci rossi in una boccia di vetro. Sto pensando di lasciare l'università, ne sono davvero convinto, da quando ci penso non ho più attacchi, ma non saprei come dirlo ai miei. Alla fine dei conti mi manca solo un anno e mezzo e sarebbe un peccato lasciarla così, diciamo che mi ci vorrebbe più che altro un anno di riflessione, un anno in cui devo occuparmi solo di me stesso e non di stupidi esami. Ci sono i Joy Division nelle mie cuffie, le ho comprate dal cinese, l'audio è distorto, come il mio umore, mi piace. La società sa essere così brutale, non ci da secondo possibilità. Uno studente fuori corso viene bollato come nullafacente, ad un criminale invece viene giustificato anche un omicidio. Se il tipo ha ammazzato qualcuno perché aveva un disturbo è ok, se invece il ragazzo non studia perché ha ansia è un debole, ipocriti. Chiamo Andrea, vedo che ha da dirmi. Compongo il suo numero e mi risponde

-Pronto...chi è?- dice con una voce assonnata

-Idiota non guardi chi ti chiama prima di rispondere? Sono Alessandro.-

-Ah...Alessandro, scusa ma dormivo.-

-Scusa tu se ti ho svegliato, non devi lavorare oggi?-

-No, sono in malattia.-

-Già ti sei preso qualche giorno di riposo? Ma questo lavoro non te lo vuoi tenere?-

-Nah...non mi piace, si sgobba troppo. Allora Ale dimmi, quando mi vieni a trovare? Mi sento solo qui, pensa che con questi ancora non sono riuscito a fare amicizia.-

-Di un po', ma te hai spazio la per un coinquilino?-

-OH!- urlò spaccandomi i timpani -Vuoi venire a vivere qui?! Cazzo si che c'è spazio amico!-

-Bene...beh non ne sono sicuro, solo che ci sto pensando, va bene? Quindi non farti prendere troppo dall'entusiasmo, sarebbe solo un pit stop. Perché diciamocelo francamente, che cavolo ci farei io a Civitavecchia?-

-Ma noi andiamo a Roma, amico o che ne so a Milano, Napoli, Trieste o dove ti pare che questo posto nemmeno a me piace. Non fraintendermi, è carino, ma no.-

-Va bene, allora ti tengo aggiornato- ci salutammo, stavo davvero pensando di mollare l'università per per cazzeggiare inutilmente? E con quali soldi poi? I miei sicuramente non avrebbero finanziato in questa “avventura”. Avevo bisogno di parlarne, anche con Talia e con mio fratello.

Tornai a casa e mio fratello lavorava al pc, lo fissai per un po' mentre mi mettevo la tuta per stare più comodo. Lui è una persona molto importante nella mia vita, un punto di riferimento, ci portiamo quasi otto anni, ma nonostante ciò abbiamo giocato e avuto una infanzia insieme. Smanettava qualcosa alla tastiera, mentre si dannava l'anima per risolvere non so quale problema

-Senti...ma tu la faresti una cosa per te che allo stesso tempo fa stare male gli altri?-

-Che hai combinato?- dice lui subito

-No, niente. Però rispondi alla domanda.- gli dico

-Hmmm...- fa lui, mentre io mi sfilo le scarpe e mi infilo le pantofole da pensionato color marrone -Non è facile rispondere- dice – Dipende, c'è cosa e cosa. Se tu per stare bene devi lasciare una persona, ma allo stesso tempo fai soffrire la persona che lasci non c'è niente di male, dopotutto le relazioni hanno un inizio e una fine. Se invece per un tuo capriccio, totalmente futile, tu debba far star male le persone a cui tieni, evidentemente non ci tieni poi più di tanto. Ma che vuoi che ti dica? Un uomo deve far quel che si sente di fare, prendere una decisione e fare ciò che ritiene più opportuno. Detto questo torno a smadonnare per l'antivirus.- risposta chiara, era quel che cercavo, ora toccava a me pensarci e avrei voluto sentire anche l'opinione di Talia. Questa sera l'avrei chiamata. Pensai al discorso di mio fratello, alla questione dell'uomo che deve fare ciò che per lui è giusto, pensai anche al dolore che avrei dato, ma che dico, alla fine dei conti era solo una pausa universitaria, mica mi arruolavo per andare in Iraq.

Eravamo a tavola, era ora di cena, e io cercavo il momento esatto per parlare della mia decisione di prendere una pausa, mangiavamo affettati mentre in televisione c'era l'ennesimo game show condotto da qualche mummia. Mi spaventava da morire spiegare ai miei la mia decisione, mi spaventava la loro reazione, ma soprattutto la delusione nei loro occhi. Ma io non ero intenzionato ad abbandonare completamente l'università e non sapevo se si trattasse di un anno sabbatico, magari era una cosa di qualche mese e poi me ne sarei tornato con la testa sui libri, però ora avevo bisogno di trovare qualcosa nella mia vita, e quindi presi parola

-Mamma...Papà....ho deciso di prendermi una pausa dall'università- dissi, ma lo dissi davvero convinto, con un tono di voce così convincente che sorprese persino me

-Cosa?- rispose sconvolta mia madre, mentre mio padre incrinò le sopracciglia

-Avete capito bene...voglio prendermi una pausa. Voglio fare altro oltre studiare, voglio stare per conto mio e vedere cose. So che suona stupido ma voglio fare qualcosa di spirituale.- mio fratello non disse una parola, continuava tranquillamente a mangiare.

-E questa cosa come ti è venuta in mente, dimmi?- disse sarcasticamente mio padre

-Non lo so, è solo che sono tanto confuso in questo periodo.- gli parlavo con il cuore in mano, come non facevo da tantissimo tempo -ho pensato di vivere un po' insieme ad Andrea, trovarmi un lavoretto, una cosa qualsiasi e poi vedere che succede.-

-E l'università? Sono soldi buttati quelli che abbiamo spesi per libri e tasse?- aggiunse mia madre.

-Ma certo che no. Ho ancora intenzione di finirla, è qualcosa che ho cominciato e mi sento in dovere di finire, per me e per il rispetto che ho per voi.-

-Se ci rispettavi non ci dicevi questo.- mi fece male sentire queste parole uscire dalla bocca di mio padre.

-E invece vi rispetto, perché non vi prendo in giro. Non ho mai fatto cazzate, non ho mai fatto nulla che vi abbia fatto pensare che io sia un irresponsabile, sono una brava persona e un ragazzo con la testa sulle spalle. Avrò anche io miei problemi, le mie fobie e così via, però ci ho pensato a lungo e questa è una cosa che davvero voglio fare.- i miei volevano rispondere quando vennero interrotti da mio fratello.

-Se è questo quel che desidera davvero...dovete lasciarglielo fare, è un uomo adulto e ha deciso di fare così. Ci sarà un motivo, ed è giusto che lo faccia.- poi ci fu un silenzio, mia madre era arrabbiata, glielo leggevo nell'espressione, mio padre ero più tranquillo e fu lui a prendere la parola

-Va bene...sappi che noi non siamo d'accordo e che non ti appoggiamo in questa scelta. Per noi la cosa più giusta è che continui l'università. Se vuoi fare questo, bene, ma da noi non avrai un soldo, dovrai cavartela da solo e ricorda quello che ci hai detto ovvero che l'università non è abbandonata, questa è solo una pausa momentanea.- l'aria si ammorbidì, non c'era rabbia, certo della frustrazione da parte dei miei, ma ero contento che mi avessero capito.

-Grazie- gli dissi -non vi chiederò nulla, se ho capito di aver fatto una cavolata, tornerò qui immediatamente e tornerò a studiare, ma grazie per avermi capito.-

La sera stessa chiamai Talia, in preda a un po' di euforia e un po' di spavento, ero in camera mia sul letto e non fissavo con gli occhi vuoti il soffitto.

-Talia ho una grossa novità.-

-Che succede?-

-Verrò a vivere a Roma per un periodo con Andrea.-

-Come?- disse sorpresa, quasi non ci credeva e poi -Quando? Perché? I tuoi ti lasciano venire? E quella storia delle responsabilità e i doveri? Mi stai prendendo per il culo?-

-No no, sono serio! In questi giorni ci ho pensato su un sacco, anzi in realtà sono mesi che ci penso. Ho deciso di prendermi una pausa dagli studi, diciamo che andrò alla ricerca del mio vero io, so che suona come una stronzata, però per me ha senso. Cioè all'inizio non erano d'accordo con me, ma poi mio fratello ha fatto un discorso sulle decisione e sull'essere uomo e bla bla bla...e niente si sono ammorbiditi ed eccomi qua.-

-E con i soldi come fai? Ti daranno qualcosa?-

-No, niente, nemmeno una lira. Infatti prima di venire devo trovarmi un lavoro altrimenti il progetto va a farsi benedire.- e poi per tutta la serata abbiamo parlato e parlato, dei nostri progetti e dei nostri sogni, abbiamo parlato così tanto che era davvero tanto che non mi sentivo così bene, era come se fossi un ragazzo che ha appena compiuto diciotto anni. Era un passo di maturazione, che ormai dovevo fare tanto tempo fa.

Vi linko come sempre il mio canale gaming. Sono arrivato a 20 iscritti (pochini), spero di vedervi anche su Youtube :)
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Capitolo 7
*** TRASLOCO. AMORE. RISSA ***


Ciao a tutti! Vi lascio solo questo breve saluto, perché se siete arrivati fino a questo capitolo sicuramente volete solo leggere quindi...BUONA LETTURA!

Andrea poco dopo lasciò il posto di lavoro al porto. Eravamo in comune accordo per trovarci un appartamento a Roma. Spinsi Andrea di andare a Roma soprattutto per Talia, era la sua città, era lì che viveva e finalmente avremmo potuto vederci di più, se non addirittura tutti i giorni. Non ho una grande considerazione delle grandi città. Certo sono affascinanti, interessanti e piene di opportunità, però il mio provincialismo me le facevano un po' disgustare. Andrea non aveva problemi di soldi, e con quello avremmo pagato parte dell'affitto per circa due mesi, però avevamo bisogno di un lavoro. Cercai su internet, e mi candidai a centinai di annunci, ma è difficile quando non si hanno esperienze pregresse e un titolo di studio universitario. Quindi decisi di mentire un po'. Scrissi di qualche esperienza da cameriere e robetta varia, nel vano tentativo di aumentare la mie possibilità di trovare qualcosa. Prima che Andrea lasciasse il suo appartamento a Civitavecchia, andai da lui per un fine settimana. Mi fece accomodare a casa sua, un grazioso monolocale, tutto disordinato, con tazze di caffè sporche e bicchieri di plastica un po' ovunque, un soppalco dove c'era il letto e un piccola televisione di quelle ancora con il tubo catodico. Mi offrì una birra e poi iniziammo a parlare.

-Allora...mio zio mi ha trovato un lavoro.- disse con un po' di imbarazzo

-Ma chi è tuo zio?-

-Fa il sindacalista, sa il fatto suo. Non ha problemi a trovarmi un posto, in molti gli devono...favori. Però gli ho chiesto anche di te e mi ha detto che...non può fare nulla. Devi fare da te, amico-

-Ma non te lo avevo nemmeno chiesto!- dissi arrabbiato -Non me ne vado da un posto, per poi dipendere da un'altra persona, devo fare solo. È per questo che faccio tutto questo, per essere una persona autosufficiente.-

-Bene, meglio così allora! Quindi...hai inviato qualche curriculum?-

-Si, soprattutto roba di call center, se non mi prendono nemmeno la sto messo male. Dovrei smettere prima di iniziare.-

-Beh non è detto. Comunque domani andiamo in città e cerchiamo qualche appartamento, ho già visto qualche annuncio su internet. Ho chiamato i proprietari e ci orientiamo un po', vediamo se troviamo il posto giusto. Posso anticiparti parte dei soldi, ma poi, come dici tu amico, devi cavartela sulle tue gambe...e voglio rivedere la grana.-

-Ma tu perché sei tornato?- uscii completamente dal discorso, era da un po' che ci pensavo. Da quando era tornato non cercava che la mia compagnia, aveva problemi a farsi amici e non gli piaceva il lavoro.

-Bella domanda. Ti dico la verità Ale...mi sono rotto il cazzo laggiù. Dopo un po' non ti senti a tuo agio, hai nostalgia di casa e poi odio lo spagnolo. Sono brave persone, ma volevo sentirmi a casa. Prima volevo restare al paese, ma sentivo che non avrei potuto fare molto da noi, quindi sono venuto qui ma...mi sento solo, cioè vedi casa? È un bordello, è sporca, sembra la casa di un depresso e io non sono così. Magari la grande città mi da un po' di vita, riesco a riprendermi. Non so se sono riuscito a spiegarmi- fu chiaro, chiarissimo. Chissà se anche io avrei avuto nostalgia di casa.

 

Il giorno dopo a Roma girava in macchina per strade che non conoscevamo in cerca degli appartamenti che Andrea aveva contattato. Il traffico creava qualche problema ad Andrea, era abituato a guidare su strade semi vuote, ma per fortuna ci sapeva fare con la sua vecchia Ford Fiesta color bordeaux. Il primo, dei cinque padroni di casa, ci diede buca. Non un gran inizio. Il secondo ci fece vedere una casa nel quartiere di Tor Vergata, ma era decisamente troppo lontana dal centro. Il terzo ci fece vedere un bilocale, ma non avevo assolutamente voglia di dormire nella stessa stanza con quella betoniera del mio amico. Per andare a vedere il quarto appartamento dovevamo aspettare ancora un'oretta e quindi parcheggiammo la macchina. Chiamai Talia che era appena uscita dall'università, ci avrebbe raggiunto presto. Lei e Andrea si sarebbero incontrati per la prima volta.

-Ma poi che lavoro ti ha trovato tuo zio? Ero così preso di venire qua che nemmeno te l'ho chiesto.- chiesi ad Andrea mentre bevevo una tazza di caffè americano e i vecchietti del posto, affezionati al loro caro espresso, mi guardarono male quando lo ordinai. Come se avessi insultato l'onore degli italiani.

-Farò lo spazzino nella sede di un giornale.-

-Mica male, che giornale?-

-Ma uno sul gossip, forse si chiama proprio gossip credo. Non ne ho idea in realtà, ho l'indirizzo, vado la e pulisco, mi passano novecento euro al mese più buoni pasto e fine della storia. Tu? Ti ha chiamato qualcuno?-

-No, ancora nessuno. Per fortuna i miei non sono stati così spietati da mandarmi qui senza nulla. Spero che mi chiamino presto. Ma dov'è il posto in cui dobbiamo vedere il prossimo appartamento?-

-San Giovanni. Ci vivono anche gli studenti. E quindi anche carne fresca, se capisci quel che intendo.- disse maliziosamente mentre beveva la sua diet coke.

-Questa è una battuta da b-movie americano-

-Sei tu che hai la ragazza, io voglio divertirmi. Voglio...scopare- ridevamo. Ero stranamente tranquillo e i miei attacchi d'ansia, o non so come definirli, sembravano solo un brutto ricordo. Poi finalmente vidi Talia e il mio cuore si scaldò alla sua presenza.

-Ciao amore- mi diede un bacio sfiorandomi appena le labbra. Probabilmente era un po' imbarazzata dalla presenza di Andrea -Tu devi essere Andrea, il nipote del sindacalista.- bel modo di farsi un amico, ma me lo sarei dovuto aspettare da lei.

-Ehi! Parla solo male di me quando siete soli?- rispose Andrea, dopo qualche frase di circostanza e una battuta per sciogliere il ghiaccio partimmo per andare a vedere il quarto appartamento. La zona di San Giovanni, mi piaceva, era un quartiere molto carino tutto sommato, senza troppo fronzoli e si respirava un'aria giovanile. Ci presentammo con qualche minuto di anticipo davanti al palazzo in cui si trovava l'appartamento, un piccolo trilocale diceva Andrea. Era un palazzo che dava l'idea di essere da poco restaurato, anche se aveva un aspetto signorile e rinascimentale. Talia poi mi raccontò che nelle vicinanze c'era la Basilica di San Giovanni. Insomma il quartiere mi piaceva molto e se magari anche l'appartamento fosse stato di mio gradimento avremmo fatto centro. Finalmente si presentò il proprietario, anzi la proprietaria. Una piccola vecchietta che appena ci vide, sorrise. L'appartamento si trovava al terzo piano e non c'era l'ascensore. Talia fece un po' di fatica per quella rampa di scale, le ha sempre odiate le scale lei. In apparenza poteva sembrare pigra, ma in realtà, nonostante i suoi problemi, aveva la forza di un leone. La vecchietta ci aprì la porta e davanti a noi c'era una grossa finestra, la stanza era abbastanza ampia, o almeno dava l'idea di esserlo, comprendeva di un piccolo angolo cottura e un frigorifero. Poi c'erano tre porte, due sul lato sinistro di quella stanza e una sul lato destro. Una di quelle del lato sinistro era il bagno, aveva una il minimo indispensabile, una doccia, ma non una vasca, ma pazienza non credo che io e Andrea ne avremmo avuto bisogno. L'altra camera sul lato sinistro invece, era una piccola cameretta, in cui al massimo ci si poteva piazzare un letto matrimoniale e un comodino, ma poi la vecchietta ci mostrò che non aveva bisogno di un armadio in quanto disponeva di una piccola cabina armadio. L'altra camera sul lato destro invece era più grande, aveva una bella finestra che faceva entrare tanta luce. Tutte le stanze avevano una bella vista, si affacciava su un piccolo parco, inoltre era una zona poco trafficata, il che era ottimo, soprattutto per uno come me che odiava sentire rumori mentre dormiva. Purtroppo non c'erano mobili, il che complicava le cose, soprattutto perché avevamo davvero pochi soldi a disposizione.

-Allora- dissi- Quanto vuole di affitto, signora?-

-Chiamami Bettina, non signora. Sembro troppo vecchia altrimenti- Bettina rise e noi anche, perché quella tenera vecchia ispirava tanta simpatia e poi il suo marcato accento romano la rendeva una persona alla mano.

-Non chiedo molto.- disse – Settecento e condominio compreso. Quattro per la stanza grande e trecento per quella più piccola- io e Andrea ci guardammo immediatamente l'un l'altro, la casa era bellissima ed entrambi la volevamo -Se volete vi lascio un po' soli così ne parlate- disse Betta, ma Andrea la interruppe subito

-No Betta...la prendiamo!- e fu così che stringemmo la mano alla cara Betta, l'indomani avrebbe preparato il contratto e ci avrebbe consegnato le chiavi. Questo fu il primo passo ufficiale verso un'indipendenza, la mia.

Due giorni dopo aver versato la caparra, iniziammo il trasloco. Portammo quel che potevamo portare da Civitavecchia a Roma, sul tettuccio della macchina un materasso vecchio e logoro, onestamente non so perché Andrea si trascinasse indietro quel coso pieno di batteri. La prima cosa che facemmo fu sistemare le cose di Andrea, con noi c'era anche Talia, che ci dava una mano a pulire e sistemare. Posizionammo la televisione a terra, un tavolino dell'ikea pieghevole al centro della stanza e due sedie. Il materasso a terra nella sua camera e le lenzuola di mia madre nella mia. Le due valigie che avevo con me erano all'ingresso, Talia fece un piccolo sforzo e le portò in camera mia. Poi Andrea appesa un poster di Vasco Rossi nella stanza principale, glielo feci immediatamente togliere. Finimmo di sistemare quel poco che avevamo, la casa era ancora vuota, ma sembrava un luogo accogliente, almeno per noi tre. Erano le sei di sera e Talia tornò a casa dei suoi, che in realtà era abbastanza lontana da qui, però questo non ci avrebbe fermato di vederci più spesso, dopotutto prima una distanza molto più grande separava il nostro amore. La prima notte mi arrangiai su un materassino gonfiabile, di quelli che si usano in spiaggia, me lo aveva prestato Andrea. E il cibo non mancava in quanto i miei mi riempirono di formaggi e pelati, come nei più stupidi stereotipi possibili, ma era bello sapere che nonostante tutto loro ci sarebbero sempre stati. Io e Andrea cenammo con una spaghettata aglio e olio, era il mio cibo preferito se cucinato a dovere. Il tutto accompagnato da una bottiglia di vino comprata in un discount, per un euro e ottanta. Questa è la pace.

-Ale...raccontami di Talia, non ne so praticamente nulla- perché fa sempre pausa mentre parla Andrea?

-Che vuoi sapere?-

-Tutto quello che vuoi dirmi.- disse

-Beh, è una ragazza speciale. Dopotutto ama un disadattato come me e poi come hai visto è bellissima. Però penso che tu voglia sapere altro, tipo...come ci siamo conosciuti?-

-Esatto, come vi siete conosciuti?- disse mentre ingoiava gli spaghetti

-Ci siamo conosciuti circa un anno fa, anzi no...ormai è un anno e mezzo. Era estate, luglio, avevo appena finito un esame e purtroppo il treno aveva cinquanta minuti di ritardo. Allora me ne andavo a zonzo nella stazione, presi un pezzo di pizza e una birra e mangiai tranquillamente su una panchina, fino a quando non si avvicina questa ragazza. Parlava un romano, ma che te lo dico a fare, sembrava la versione femminile di Totti...e niente questa mi chiede dove ho preso la pizza, e io gli indico il posto, ma insieme a lei c'era anche Talia. La romanaccia la chiama e le urla “anamo!” e lei segue a ruota trascinando con se una grossa valigia gialla. E io la guardo, lei mi ringrazia e indovina che le dico io?-

-Cosa?-

-La pizza è buona.- Andrea scoppia in una fragorosa risata, si ingozza con lo spaghetto che sembra uscirgli dal naso. Ci facciamo un bicchiere di vino e continuo la mia storia.

-Beh si, insomma...questa mi guarda e ride. A questo punto pensavo che le mie chance erano finite, ma invece dopo un po' tornano e lei si siede vicino a me. Lì per lì, mi dicevo come fosse possibile, sai quanto sono imbranato con le ragazze, giusto?-

-No. Non lo so, non abbiamo fatto il liceo insieme. L'unica ragazza che avevamo alle medie era la nostra mano destra.-

-Allora ora sai che sono un imbranato con le ragazze...e quindi questa si siede vicino a me e mi dice “onestamente ne ho mangiate di pizze più buone” e allora abbiamo iniziato a parlare...di pizze. Aspettavamo ognuno il nostro treno e discutevamo su qual fosse la pizza più buona e infine le ho chiesto il numero. Il resto lo puoi immaginare, abbiamo iniziato a scriverci e da cosa nasce cosa.-

-Bella storia, una di quelle da raccontare ai nipotini...a quando il matrimonio?-

-Sai...quei giorni erano così colorati, vivi. Davvero belli da vivere...un anno e mezzo fa stavo davvero bene sai, è un peccato che poi sia diventato tutto più grigio.-

-E come mai è diventato tutto più grigio?-

-Non lo so, ma adesso il mondo sta prendendo colore di nuovo.-

-E allora beviamo altro vino che di colore ne vedrai tanti, anche quelli che non hai mai visto.- quella sera finimmo due bottiglie di vino. Eravamo felici e spensierati, se ci ripenso sorrido ancora, se ci ripenso in quel momento non mancava nulla.

Qualche giorno dopo finalmente ricevetti una chiamata per un lavoro, il commesso in un piccolo negozietto . Certo non era un lavoro che ti realizzava, ma meglio di niente. La paga era buona, novecento euro e per iniziare mi andava più che bene. Era un lavoro a tempo pieno, due turni. Uno mattiniero dalle sette alle tredici e un altro dalle tredici alle sette di sera. Non mi lasciavano chiudere la cassa, in quanto mi mancava l'esperienza, ma meglio così. Oltre a fare il lavoro di cassiere dovevo mettere anche i vari prodotti in ordine negli scaffali del supermercato, non era lontano, a circa venti minuti, di solito ci andavo a piedi, ma poi comprai una vecchia bici usata. Era una bici bianca, lo stesso colore della bici con cui imparai a pedalare. Io e Talia ci vedevamo sempre più spesso. Quando Andrea non c'era facevamo l'amore sul pavimento della camera principale, a terra solo una coperta. Dopo il primo stipendio comprai un materasso, di quelli grossi, un matrimoniale. Lo buttai a terra, in camera mia, non c'era la rete, ma in certi momenti non pensi al mal di schiena, ma dopo aver dormito per quindici giorni su un materassino gonfiabile quello era oro. Inoltre comprai anche una sedia rossa, da aggiungere a tavola, sarebbe stata la sedia di Talia. Poi un giorno il nostro vicino di casa decise di disfarsi del suo vecchio divano, io e Andrea ce lo comprammo per soli settanta euro. Diavolo quanto era scomodo. Le giornata trascorrevano così, con spensieratezza. Il mio nuovo materasso la prima sera fu inaugurato da me e Talia, e quella sera dormì anche da me per la prima volta, dopo che i suoi le diedero il permesso. Mangiammo pizza e bevemmo birra, lei fumava e guardava fuori dalla finestra, io le scattai una foto, lei si incazzò, facemmo l'amore, la sigaretta spenta sul cartone della pizza, la crosta me la mangerò poi.

-Perché mi ami?- mi chiese dopo aver fatto l'amore.

-Perché sei brava a letto- le dissi.

-Dai sono seria, perché mi ami?-

-Ci deve essere una ragione per cui si ama una persona? Io non credo. Penso sia un insieme di fattori, per questo ti amo.- lei sembrava non soddisfatta della risposta, aveva uno sguardo spento mentre mi accarezzava il peli sul petto.

-E se tu mi lasciassi?- mi chiese.

-Perché dovrei lasciarti? Non c'è una ragione, sto così bene con te.-

-Ma magari stai meglio con un'altra. Magari ti trovi qualcuna che sta simpatica a tua madre.-

-Ma che mi importa di che pensa mia madre? Io amo solo te Talia, sei la parte di me che mi mancava. È come se tu mi avessi completato, sei...non lo so. Non riesco a trovare parole, vorrei dirti qualcosa di fantastico che ti faccia capire quanto ti amo, ma l'unica cosa che riesco a dirti è che mi completi...con te non mi sento più solo.- mi abbracciò forte, la baciai sulla fronte e ci addormentammo così.

 

Era il ventitré di Marzo, il mio compleanno, evviva! Il ventitré compio ventitré anni, beh prima o poi doveva capitare. Talia e Andrea volevano organizzare qualcosa di speciale, ma l'unica cosa che abbiamo fatto è stato aspettare la mezzanotte mentre si mangiava kebab e si guardava la trilogia dei Signore degli Anelli, la mattina dopo fui il primo a svegliarmi. Preparai il caffè per me e Andrea, e del tè al limone per Talia. Era una mattina fredda, accesi il riscaldamento, di solito cercavamo di arrangiarci, però faceva davvero freddo. Per colazione c'erano dei biscotti. Qualche minuto più tardi si alzò anche Talia, mi diede un bacio e poi si sedette sulla sedia rossa che aveva preso per lei.

-Non ti ho dato il regalo ieri sera.- mi disse.

-Mi hai fatto un regalo? Non dovevi, mi basta che tu sia qui.-

-Ruffiano...dai prendi- mi diede un piccolo pacchetto verde, lo aprì e al suo interno c'era una piccola collanina a forma di Triforza quella della saga di Zelda. Ne fui felicissimo, era un regalo fantastico.

-Mi hai fatto un regalo da vero nerd.- e ridevamo, poi venne Andrea che si lamentava che lo avevamo svegliato con le risate. Mentre facevamo colazione, decidemmo di uscire quella sera, per festeggiare ancora i miei inutili ventitré anni.

Era un sabato sera come tanti. Per me i compleanni non hanno nessun significato se non quello di ricordarti che l'infanzia è sempre più lontana. Da bambino giocavo tantissimo con i Lego, ma soprattutto con i Playmobil. Erano piccole action figure di diverso genere. C'erano i pirati, i maghi, i cavalieri, ma quelli con cui giocavo di più erano i cowboy. Con questi piccoli ometti di plastica inventavo le storie più assurde, era divertente essere così spensierati e dimenticarsi del mondo che mi girava intorno. Giungemmo in un pub molto affollato, erano le nove di sera e non avevo voglia di stare in giro, ma Talia e Andrea ci tenevo davvero tanto di passare una bella serata. Trovammo un tavolino, era un posto per quattro, la cameriera arrivò e tolse il quarto sgabello, mentre lo faceva Andrea fece una faccia strana, come se volesse che qualcuno sedesse al quel posto insieme a lui. Ma lo posso capire, non è facile convivere con me che ho sempre la ragazza in casa. Allora appena lui si allontanò per andare in bagno dissi a Talia di tenere gli occhi aperti, che questa sera dovevamo cercare una ragazza ad Andrea. Il pub era davvero bello, avevo uno stile americano, il bancone di legno e le targhe degli Stati Uniti appese su un muro. Certo non era un'idea innovativa, però ti faceva sentire come se tu fossi davvero in America, inoltre avevano messo su un disco di Bruce Springsteen. Poco dopo Andrea tornò, quasi in contemporanea con la cameriera che ci portò tre boccali colmi di birra. Dopo un brindisi a me per il mio compleanno e a tutti noi per la vita, iniziammo a bere. La birra era gustosa, fredda ed era dissetante. Vedevo che a Talia non piaceva molto, non era un'amante dell'alcol, ma faceva uno piccolo sforzo per me. Poco dopo ordinammo anche da mangiare, tre hamburger un mix di patatine e anelli di cipolle per tutti e tre. Da quando vivevo solo non mangiavo più nulla di sano. Io e Andrea finimmo subito le birre e ne ordinammo altra, mentre Talia non era nemmeno a metà, quindi ordinai anche una bottiglietta d'acqua frizzante per lei. Ad una certa ora entrò una comitiva di turisti già ubriaca, non capivo la lingua, ma probabilmente erano dell'est Europa, forse dalla Repubblica Ceca o forse erano olandesi, non sono il massimo nel capire la nazionalità delle persone. Uno di loro urlava qualcosa di incomprensibile, ma non ci davo peso, era il mio compleanno e finimmo un'altra birra. Andrea allora decise di esagerare e di farci portare a tavola una bottiglia di rum. Talia non ne era tanto felice, sapeva che da ubriaco ero un po' una testa di cazzo, ma fece finta di nulla per farmi felice. E così bevevamo e iniziavo a sentirmi la testa girare, andai in bagno perché con tutte quella birra era difficile trattenerla. Al bagno c'era anche il tipo olandese che urlava, a questo punto ero sicuro fosse olandese, era un altissimo ragazzo biondo che parlava una lingua mostruosa, dev'essere olandese. Mi guarda e inizia a dirmi qualcosa, io gli faccio ok con le mani e lui sorride. Il fatto che sorridesse mi dava immensamente fastidio, avevo la sensazione che ridesse di me. Allora pisciai in fretta e lasciai quel lurido bagno. Per tornare al mio tavolo feci a spallate con qualcuno che era in piedi, il pub era affollatissimo. Finalmente giunsi al mio tavolo e mi feci un altro sorso di rum e allora Talia per farmi smettere di bere disse-Guarda un po' quella.- mi indicò una ragazza, avevo la vista un po' annebbiata, l'unica cosa che vedevo era la sagoma di una donna.

-Non la vedo- le dissi

-Quella con la camicia bianca e i capelli neri, magari potrebbe andare bene ad Andrea- Andrea intanto aveva la testa sul tavolino, sembrava dormisse. Gli diedi una pacca sulla spalla e gli feci segno mostrandogli quella ragazza.

-Ti piace?- gli chiesi

-In queste condizioni mi piaceresti anche tu se avessi un paio di tette- rispose così e poggiò di nuovo la testa sul tavolo. Era troppo ubriaco e il nostro piano andò a farsi benedire. Talia poi mi baciò e disse -Sai di alcol, che schifo amore.- si, non deve essere piacevole immaginai. Erano mezzanotte e avevo voglia di farmi passare questa piccola sbronza. Quindi accompagnammo Andrea nell'appartamento, perché lui proprio non si reggeva più in piedi. Per fortuna era un ragazzo un basso e magrolino, quindi non comportava un problema trascinarselo dietro. Affrontare la rampa di scale con lui che non collaborava fu l'impresa più ardua, ma poi dopo qualche peripezia eravamo a casa nostra, lo accompagnai in camera, gli tolse le scarpe e lo buttai sul letto poggiato su un fianco. Talia intanto era andata in bagno, per lavarsi le mani e sciacquarsi il viso.

-Vuoi ancora uscire?- mi chiese.

-Si dai, io sto bene, non ho bevuto molto. Usciamo, facciamo una passeggiata e prendiamo un caffè. Se per te va bene o sei troppo stanca?- a volte mi dimenticavo fosse una persona con problemi cardiaci, per quanto siano poco lievi, lei si stancava prima delle altre persone.

-No, sto benissimo. Su forza andiamo.-

Uscimmo e si passeggiava tranquilli nella notte, mano nella mano, da quando ci vedevamo più spesso eravamo meno appiccicosi, ma più riflessivi. Si parlava davvero tanto, e questo a me piaceva tantissimo di lei. Una volta mi raccontò di una sua amica che stava con un più grande di lei di dodici anni, questo era un uomo di successo. Lavorava in qualche ufficio e guadagnava abbastanza per permettersi una BMW, insomma uno di quelle persone che odi soltanto perché lo invidi. Lei non era una ragazza molto sveglia, le piaceva come veniva trattata da lui, il fatto di ricevere tanti regali e di andare a cena in bei ristoranti. Quel che non sapeva era che lui aveva moglie e una figlia. Se solo ci avesse pensato su avrebbe immediatamente capito che veniva trattata come un'amante, ma a lei non interessava, raccontava Talia. Per quanto fosse ingenua sapeva che lui era sposato, lo sentiva e poi lo scoprii, ma non le interessava. Continuava a stare con lui, ad aspettarlo ad orari assurdi, andare negli alberghi, dove puntualmente veniva guardata con un po' di gratuita cattiveria da chi lavorava lì. Lei diceva di amarlo, ma per Talia si trattava di una forma di sindrome di Stoccolma. Non era una relazione sana, ma chi siamo noi per dire di cosa ha bisogno una persona? Ognuno di noi, nella propria intimità sa di cosa ha bisogno. Mentre passeggiavamo Talia mi sembrava un po' distante, stranamente non parlavamo.

-Ma quella tua amica che stava con quello con la BMW, che fine ha fatto?- gli chiesi per rompere il ghiaccio che si era creato tra di noi.

-Se ne sono scappati insieme.- disse.

-Cosa?- risposi io sorpreso da quella notizia.

-Non si trattava di una sindrome di Stoccolma, si amavano davvero. Sono contenta per lei, non credo che la rivedrò più, ma sono contenta che sia felice con lui.-

-E la bambina di lui?-

-Non lo so, l'avrà abbandonata...a volte fanno così le persone. Iniziano qualcosa e poi le abbandonano...- Talia non stava bene, pensava a qualcosa, quando fa così non mi piace. Non si confida con me, resta sola con se stessa, in certi momenti sembriamo due estranei.

-Che c'è?- le chiesi.

-Niente Alessandro, sto bene davvero.- no, non stai bene. Quando stai bene mi giri intorno come un cagnolino che scodinzola.

-Non è vero...ti conosco, cosa c'è?- le chiesi nuovamente.

-Senti...è una cosa che voglio dirti da un po', ma non ne ho il coraggio.-

-Allora trova questo coraggio è dimmelo.- ci fermammo sotto un albero, c'era una panchina e ci sedemmo. Non stavamo più mano nella mano, ma seduti e rivolti faccia a faccia. Lei mi guardò con i suoi grossi occhi color nocciola e poi disse l'impensabile.

-Forse dobbiamo prenderci una pausa.- non credevo a ciò che avevo sentito, così dal nulla, non potevo crederci.

-E perché?- dissi -Perché dobbiamo prenderci una pausa? Per quale assurda ragione, spiegami.-

-Io sto bene con te, davvero, ma ho bisogno di pensare alla mia vita. Proprio come stai facendo tu ora...non ho intenzione di lasciarti, ma voglio solo vedere come stiamo se ci allontaniamo.-

-Ma perché?- dissi.

-Te l'ho detto, ho bisogno di stare un po' con me. Da sola, non voglio vedere nessuno, stare con nessuno e non dare conto a nessuno. Voglio stare sola, sola. Ti prego...tanto prima o poi tornerò da te, perché ti amo.- non capivo, ero basito.

-Ho fatto qualcosa di sbagliato?-

-No Alessandro! Non hai fatto niente di sbagliato, tu sei qui con me. Nonostante i miei capricci e i miei problemi, tu sei fantastico, una persona stupenda. Te l'ho detto che non ci stiamo lasciando, è solo una pausa...magari tra due giorni me ne pento e ti richiamo. È solo questo fidati, ti prego fidati di me.-

-E ora che facciamo?- dissi senza alcuna emozione nella mia voce.

-Adesso ci salutiamo. Io prendo un taxi e me ne torno a casa e tu fai lo stesso, va bene?- certo come vuoi tu...ci salutammo soltanto con un ciao, nessun bacio, né un abbraccio, nulla. Mi chiese di non scriverle. Aspettai finché non arrivò il taxi, non sapevo nemmeno se aveva i soldi per pagarselo. Glielo avrei offerto io se solo ci avessi pensato. Tornai a sedermi sulla panchina e iniziai a pensare ai miei errori. Lo faccio sempre quando mi succede qualcosa di inaspettato e qualcosa che mi ferisce nel profondo. Talia era andata via, le sue parole non erano una vera risposta alle mie domande. Mi sentivo male, il battito cardiaco aumentava e iniziavo ad respirare affannosamente. Dovevo stare calmo, io e lei non ci eravamo lasciati, era una pausa...per vedere come si sta quando si è soli. Ma io sono stato solo tutta la vita, lo so come ci si sente, lo so com'è, non ho bisogno di una pausa per saperlo! Avevo un estremo bisogno di lei, erano le due di notte e non avevo voglia di tornare a casa. Allora iniziai a camminare senza una meta precisa, camminando il respiro tornò normale, riuscii a combattere l'attacco di ansia. Nella mia testa c'erano centinai di domande che volevo farle. Non la capivo, non capivo come una persona potesse fare con te l'amore e il giorno dopo abbandonarti per strada. Perché lei deve essere così imprevedibile, perché lei dev'essere così...vorrei fosse normale a volte, semplice e persino stupida, come sono le ragazze di oggi, così superficiali, ma che stanno con maschi altrettanto superficiali. Dovevo essere così io, una persona per niente riflessiva che viveva alla giornata senza farsi troppi problemi e poi la mia vita era un sogno. No, ma cosa dico? Di che sto blaterando? Io ho bisogno dell'amore di Talia come il sole, ho bisogno di lei perché con lei sto bene. Ripensai a quel che le dissi quando mi chiese per quale ragione l'amassi, magari la mia risposta non le era sembrata sincera oppure non n'è rimasta soddisfatta. Avevo mal di testa, dovevo dormirci su, stare tranquillo e non pensarci. Mentre tornavo a casa incontrai ancora quei olandesi, erano ancora in giro, non so come facciano a stare in piedi con tutto quel alcol in corpo. C'era anche quel tipo grosso e biondo che avevo incontrato nel bagno, mi riconosce e punta il dito. Dice qualcosa, non ho idea di che si tratti, e tutti ridono. Questo no, non lo posso accettare ora

-Che problemi avete? Stronzi! Perché non ve ne andate a fare in culo?- una ragazza del gruppo mi urla “Fuck You” e poi anche quello grosso, quello mi sta proprio sulle palle. Ora potrei stenderlo, non si regge in piedi, è ubriaco fradicio

-Tu!- puntandogli il dito -Vuoi fare a botte con me?- gli fece i segni dei pugni e lui grida “Yes”. Si avvicina, gli altri lo incitano, non ho idea di che stia facendo. Non ho mai fatto a pugni, Talia mi ha mandato in bestia, sono arrabbiato e voglio sfogarmi. Appena si avvicina mi lancio addosso a lui, finiamo entrambi a terra, lui non capisce niente, l'alcol mi sta aiutando e anche l'adrenalina che ho in corpo. Gli tiro un pugno, lui sviene al primo colpo. È già finita, gli olandesi non urlano più si avvicinano al loro amico e cercano di svegliarlo. Io me ne vado, senza dire nulla, senza fare nulla, del destino di quel bifolco non mi interessa più. Dopo dieci passi sento la sua voce. Mi fermo in istante, mi accascio a terra, inizio a sudare, inizio a respirare affannosamente, ancora, ma perché? Io sto bene, non è vero? Non è vero che sto bene? Mi giro verso gli olandesi, mi vedono in difficoltà e scappano via dalla paura, per ultimo scappa quello grosso. Che mi succede? Io sto bene. Io sto bene, mi ripeto, lo ripeto nella mia testa, lo dico a a voce. Mi si stringe il petto, mi fa male, un male cane e non respiro. Sarà un infarto? No...io devo reagire provo a rialzarmi, non ce la faccio, cado a terra come un corpo senza vita.

QUI IL MIO CANALE GAMING. MI RACCOMANDO ISCRIVETEVI IN TANTI, GRAZIE :)
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