Non si è mai troppo consapevoli di ciò che si possiede.

di lasognatricenerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


1.
 
Non so se avete presente quel momento in cui arrivate totalmente al limite e capite che la vostra vita è finita, che la vostra fine è vicina e continuate a piangere, sicuri che prima o poi il dolore passi. Ma poi non passa e vi ritrovate ancora lì, a piangere, a scrivere, a fare qualcosa che vi fa stare meglio, ma niente, e ripeto, niente vi fa stare meglio, anzi, continuate ad assaporare quel grande vuoto dentro di voi e non ne capite il motivo. O meglio, non capite come poterlo mandare via, come poterlo scacciare e sentirvi una persona migliore, una persona nuova. E poi appena ci riuscite, con molta difficoltà, con molte sofferenze, vi promettete che non succederà più una cosa del genere, ma inesorabilmente la felicità si spezzerà ancora e voi vi troverete da punto a capo, come qualche giorno prima, o qualche settimana prima, quando vi eravate promessi che non sareste più caduti in un buco così profondo. Fa male, fa male ogni volta sempre di più ed anche se ci provate, tutte le volte è ancor peggio e vi sentite sempre al limite, ogni volta, ma poi non succede e vi chiedere il perché, il motivo. Quanto si può resistere prima di crollare? Quanto si può essere relativamente forti prima di avere un crollo nervoso e non alzarsi più? Una volta ero sicuro che la felicità si potesse provare, che potesse essere reale, ma poi mi sono reso conto che in realtà non è vero. La felicità non esiste, è solamente una stronzata che si inventano le tv, o le radio, o ancor peggio, i filosofi o gli scrittori. Dov’è la felicità? I fatti sono reali, sono quelli che fanno provare o sentire qualcosa di reale, ma la felicità non si può toccare, non la si può assaporare nemmeno lontanamente. E se pensate che la felicità esiste, beh, vi sbagliate di grosso. Posso assicurarvi che non è così. Per l’amor del cielo, non voglio inculcarvi sicuramente il mio pensiero, ma vorrei solo che ci pensiate un secondo. Ci sono momenti in cui siete stati davvero felici? Sì, io credo di sì. Ma poi che cosa è successo? In qualche modo si è spezzata, in qualche modo è stata tagliata via dalla vostra vita con delle grosse forbici ed è volata via come un foglio di carta. Vi ci ritrovate? Lo credo, ancora. Purtroppo non lo dice la scienza, né la filosofia, né la psicologia, né niente. Lo diciamo noi, le persone, il senso comune, i pessimisti. Che poi siamo davvero pessimisti o realisti? Perché c’è davvero una grande differenza. Vi faccio un esempio. Essere pessimisti è quando si prende un voto dal sei in su, in matematica, e si pensa “cazzo, che schifo, mi bocceranno”. Scherziamo?! Un sei un matematica? E’ meraviglioso, probabilmente un miracolo! Essere realisti è invece “Cazzo, ho preso 0 nel compito di matematica e siamo a giugno, mi bocceranno”. In quel caso, sì, probabilmente verrette bocciati seriamente. Ma come si dice in giro, la speranza è l’ultima a morire no? Che poi, anche questa stronzata, non fa un po’ schifo? Ci vendono la speranza alla tv, come se fosse nostro bisogno comprare una tv nuova, un cellulare nuovo, uno smalto per le unghie… Diamine, ma dove sono finiti i veri valori? S’intende, non che io sia un ragazzo al quale non brillano gli occhi quando vede un telefono, ma andiamo, ci sono cose più importanti nella vita! (Come ad esempio il bellissimo sei in matematica). Teoricamente avevo iniziato tutto questo prologo per dire qualcosa di importante, ma come al solito parlo un po’ troppo e mi perdo nei discorsi. Voglio farvi capire che cosa mi ha fatto credere che non possa esserci felicità nella vita, e vorrei ringraziare chi ascolterà con amore, e anche chi non apprezzerà quello che dirò, e ancor di più chi penserà che sia solamente un grande idiota. Ma io ero innamorato. Lo ero davvero tanto, ma poi è finita male.
 
--
 
Era il terzo sabato che non uscivo con Robert – il mio migliore amico – e gli altri miei amici e mi sentivo abbastanza in colpa, ma sinceramente non sapevo che cosa farci. Ero molto impegnato con lo studio, in casa non avevo una situazione ideale e preferivo chiudermi in casa piuttosto che uscire e non essere di compagnia. Odiavo, odiavo con tutto me stesso uscire e rendermi conto di non parlare mai o di non stare attento a quello che mi succedeva attorno. Lo odiavo. E’ solo che c’erano volte in cui davvero non volevo uscire ma mi costringevo a farlo perché non potevo chiudermi in una bolla di vetro dove non era possibile far entrare nessuno, nemmeno Robert. Solitamente con lui era molto facile, ma nei miei momenti di crisi sapevo bene quanto fosse difficile per lui comunicare con me, così mi allontanavo e facevo finta di niente, anche se lui stava male. Ed io stavo male. Se lo facevo stare di merda, io ci stavo ancor peggio. Lui era praticamente me, era la mia persona, il mio migliore amico da una vita – in realtà solo da cinque anni – ma era tutto, o quasi, almeno. Quando stavo male, andavo da lui. Quando ero felice, ero con lui. Quando qualcosa mi affliggeva, lui era il primo con il quale ne parlavo. Quando vedevo qualcosa di interessante, lui era il primo a saperlo. In poche parole eravamo sempre attaccati l’un l’altro ed era difficile separarci: nessuno lo avrebbe fatto.
Tante volte, chissà quante, un sacco di gente ci aveva chiesto se effettivamente stessimo insieme, ma io gli avevo riso in faccia: perché due amici non potevano essere COSI’ amici? Era assurdo che la gente pensasse subito al sesso o all’amore, solo perché eravamo così terribilmente affiatati. Io e lui non ci assomigliavamo per niente e non solo per quanto riguardava l’aspetto fisico, ma anche caratterialmente. Io ero biondo, lui era moro. Lui era una schiappa a scuola, io ero il più secchione. A lui poco importava se dava il via ad una litigata, io solitamente cercavo di evitare anche se significava stare male. La verità è che lui, con il passare degli anni, aveva preso qualcosa da me ed io avevo preso qualcosa da lui. Insieme ci eravamo trovati subito alla grande. Ancora ricordo come ci siamo conosciuti e a pensarci mi viene da ridere.
 
Eravamo finiti in classe insieme, alle superiori, dunque nuova scuola, nuovi insegnanti, nuovo ambiente. In pratica nuova vita. Io e lui eravamo vicini, ma non ci eravamo mai visti prima d’ora. Inizialmente nessuno dei due parlava, o guardava l’altro, come se ci schifassimo a vicenda. Personalmente potevo dire che mi vergognavo abbastanza da fare il primo passo, ma purtroppo non ero mai stato bravo a fare quel tipo di cose. Preferivo che fossero gli altri a farlo ed io agivo di conseguenza. Alla seconda ora era entrato il professore di Arte. O meglio, cercò di entrare perché ancor prima di farlo inciampò su qualcosa di inesistente e Robert esclamò una cosa come “Che coglione, manco ci fosse qualcuno che gli ha fatto lo sgambetto con il mantello invisibile” e lì fui davvero sicuro che lo disse per cercare di far colpo su qualcuno, perché non poteva davvero aver detto una cosa così stupida solamente per parlare da solo! Effettivamente fece colpo su di me. «Sembra quasi il professor Piton se lo si guarda di profilo, magari è stato Harry che gli ha fatto lo sgambetto» E se la situazione era ridicola prima, in quel momento lo fu ancor di più, ma Robert non si fece problemi perché mi rivolse un grande e grosso sorriso come se fosse la persona più felice del mondo.
 
E da lì cominciammo a parlare. In effetti come altro potrebbero conoscersi due nerd? Se non in questo meraviglioso modo? Diventammo subito amici, non ci prendemmo mai a parole, mai qualcosa di serio che andasse male e nessuno si mise fra di noi. Le cose andavano molto bene ed io ero felice di aver trovato qualcuno che fosse felice di stare effettivamente con me.
Non avevo avuto un passato facile, considerando che le medie erano state un inferno per me. Ero sempre quello isolato, sempre quello che se ne stava in disparte perché amava studiare. Grazie al cielo durarono solo tre anni, ma furono davvero una tragedia. Avevo sempre pensato che le superiori fossero meglio e non mi sbagliavo. Aver trovato Robert era la cosa migliore.
Continuammo così sempre, come al solito. Ed in effetti adoravo stare con lui. Ero geloso delle altre sue amicizie, come lui lo era delle mie, ma mai a nessuno dei due era venuto il dubbio che l’altro lo abbandonasse per qualcun altro. Eravamo così legati… Ed era come se fra di noi ci fosse un grosso filo rosso che segnava il nostro destino.
 
«Jo, che ne dici di uscire stasera?» Le parole del mio migliore amico mi destarono da quei pensieri così profondi, mentre fissavo la lampadina che ogni tanto tremolava. La odiavo! Odiavo quando le lampadine si accendevano e si spegnevano in continuazione, prima di non tremolare più ed un attimo dopo farlo di nuovo. In realtà odiavo tutto ciò che fosse ad intermittenza ed in effetti avevo un grande problema con le luci natalizie. Non le sopportavo.
Ogni Natale, per me, era sempre più orribile. Mia madre amava gli addobbi Natalizi, ed ogni anno era sempre peggio. Ne metteva sempre di più, pensando che io adorassi, ma ero sicuro che all’anno successivo le avrei detto molto delicatamente quanto invece mi stavano un po’ sulle palle e quanto mi dessero i nervi. Se non lo avesse capito, a quel punto ci sarei andato giù pensate. Volevo spegnerla, quella maledetta luce, ma se lo avessi fatto saremmo rimasti al buio e per quanto avrei voluto essere un gatto, purtroppo ero un essere umano che al buio pesto non si sarebbe mai abituato.
Quando notai lo sguardo di Robert, mi ricordai che effettivamente mi aveva fatto una domanda. Quella dannata lampadina avrebbe rovinato la mia sanità mentale! Non che non fosse già rovinata di suo, si intende…
«Che ti va di fare?» Come avevo già accennato prima, era già tre sabati che non uscivo con loro, con Robert, e odiavo dover dire di no ancora. Così mi sforzai di guardarlo in viso e sorridergli, ed essere interessato In realtà lo ero! Solo che avevo così tante cose da studiare che avevo paura di non riuscire ad arrivare al lunedì.
«Non lo so. Alastyn aveva pensato di andare al pub. Beviamo qualcosa e facciamo due chiacchiere.»
Okay, potevo farcela. Non doveva essere così difficile partecipare ad una conversazione se c’era Alastyn. Lui parlava in continuazione! Era il tipico ragazzo idiota che non faceva che parlare, e straparlare ancora, senza fermarsi un attimo. Lo adoravo. Nel senso che gli volevo bene, davvero bene e lui voleva bene a me. Quindi andavano molto d’accordo, anche se quando uscivamo solamente noi due, io rimanevo sempre in silenzio e ascoltavo. Dopotutto non mi dispiaceva, perché lui aveva sempre degli aneddoti divertenti da raccontare ed io mi divertivo un mondo.
Annuii e mi alzai dal letto per andare vicino all’armadio; okay, dovevo capire che cosa mettermi. Okay, sapevo benissimo che cosa mettermi: le prime cose che mi sarebbero capitate sotto mano.
Non mi era molto importato di come apparissi alla gente; mi mettevo le cose che mi facevano sentire a mio agio e bene con me stesso, perché alla fine di quello che pensavano di me, me ne importava ben poco, soprattutto se dovevano basarsi sul mio aspetto fisico e su quello che indossavo. Ero ancora assorto nei miei pensieri, quando Robert interruppe il silenzio con una domanda che non mi sarei mai aspettato. «Non ti va più di uscire con noi?» Una sola frase bastò per farmi male al cuore; io e lui eravamo molto amici e proprio per questo motivo eravamo sempre diretti l’uno l’altro, ma non mi aspettavo di certo che mi chiedesse se volessi ancora uscire con loro. Chissà a cosa stavano pensando. Effettivamente non avevo lasciato molti indizi e si sa che quando non si hanno abbastanza indizi, le ipotesi campavano un po’ in aria, ma non potevano essere fatte se non con ciò che si pensava. Mi morsi il labbro, e scossi il capo. «Non è questo. Mi sto concentrando tanto sulla scuola. Tutto qui, tranquillo.» Ed ero sincero: Robert sapeva quanto tenessi ad andare bene a scuola e quanto tenessi ai miei voti alti. Sapevo che non dovevo fare della scuola la mia vita, ma a volte era molto difficile, soprattutto quando vedevo qualcuno che non faceva niente dalla mattina alla sera e riusciva a prendere i miei stessi voti. Mi mettevo in testa che dovevo fare ancora di più, e mi ritrovavo chiuso in camera a studiare e studiare, ore ed ore, senza far caso a nessuno.
A volte, addirittura, mi dimenticavo di mangiare. Non era una cosa che facevo apposta, ma non riuscivo a controllarmi e la cosa era molto triste, vista da molti punti di vista. Triste per me, per i miei amici ed i miei genitori. Loro erano molto preoccupati da questo mio comportamento, ma gli facevo sempre notare che non c’era niente di male nel tenere a dei voti scolastici. Cercavo di farlo passare il meno possibile grave, anche se loro non erano certamente al corrente della mia ansia. E non gliel’avrei detto! Se mia madre l’avesse scoperto, avrebbe peggiorato solamente la situazione…
«D'accordo, ma cerca di lasciarti andare ogni tanto. Fallo soprattutto per te, okay?»
Sorrisi e le fossette, le sentivo, spuntarono ai lati delle mie labbra. Era sempre così e le odiavo! Mi facevano sembrare più piccolo del normale, anche se Robert diceva che mi donavano. Ma lui non c’entrava niente. Era di parte! Io le odiavo. Non c’era quasi niente che odiavo di me, ma le fossette era qualcosa che davvero non sopportavo. Avrei voluto strapparmele dalla carne, ma in quel caso mi sarei rovinato la faccia e non ero sicuro che fosse tanto conveniente per me.
Lo vidi ricambiare il sorriso. Per lui era così facile sorridere, a differenza mia. I veri sorrisi erano sempre e solo con lui. Era difficile che sorridessi nel modo in cui sorridevo con lui in presenza dei miei, o degli altri nostri amici. Non che mi facessero star male: solo che fra me e Robert c’era un’amicizia che non poteva essere comparata a nessun altra. Il nostro motto, per la precisione, era “se dobbiamo peccare, peccheremo insieme”. Ero sicuro di averlo letto in qualche libro, o forse qualche estratto, anche se non ricordavo bene dove. Ma era la nostra filosofia di vita! Nessuno dei due si sarebbe messo contro l’altro, anche se le motivazioni potevano sembrare le più stupide o le crudeli del mondo.
«Non è così semplice per me, lo sai... Ma cercherò di fare del mio meglio. E' solo che è un periodo un po' difficile a scuola. E sai quanto mi piaccia andar bene. Non lo faccio cer—»
«Ehy, lo so. Non devi metterti subito sulla difensiva. Dico solo che dovresti solamente un po' lasciarti andare e capire che la scuola non è tutto. Non dico di fare come me, ma almeno di pensarci un po' di meno! Forza, hai 18 anni non 34!»
«Perchè proprio 34?»
«In realtà non lo so, lo dice sempre mia madre...»
Scoppiai a ridere: non tanto per la frase senza senso, ma per il tono che aveva usato Robert, come se usare frasi di altri senza saperne il significato, fosse una mossa intelligente! Scossi il capo e finii di vestirmi, velocemente. Stranamente mi era venuta voglia di uscire, di mettere i piedi fuori casa e respirare un’aria diversa. Non sapevo che cosa fosse, ma ero sicuro che fosse una buona cosa! O almeno speravo che fosse così…
«Ehy, senti…»
Rob mi avrebbe ammazzato, ne ero certo. «Prima di andare al pub... Passiamo in libreria?» Lui, in tutta risposta, si portò una mano sulla fronte e sentenziò con un “lo sapevo!” Sapevo che aveva perso la speranza con me! Non c’era giorno della settimana in cui non avessi voglia di andare in libreria, ma mi trattenevo per svariati motivi. Il primo erano i soldi: se fossi entrato in libreria l’avrei completamente svaligiata, ma se ne sarebbero andati anche i soldi dal mio portafogli. Secondo: non sapevo più dove infilarmi i libri in casa. Avevo una libreria piena ed avevo cominciato ad infilarli sotto al letto, ma anche lo spazio lì stava finendo, quindi non avevo più idee… Terzo: lo studio. Per la maggior parte del tempo mi fermava lo studio che era sempre lì a chiamarmi e a dirmi che se fossi andato in libreria, avrei passato tutto il mio pomeriggio lì dentro invece di studiare!
«Va bene, però sbrigati e andiamo, Jordan!»




Ebbene, questa è una storia che ho iniziato esattamente il 30 dicembre dell'anno scorso! Come potete vedere già dalle prime righe, potete intuire il mio stato d'animo. AHHAHAHA. In realtà, poi, lo lasciai in sospeso e sono andata avanti solo tanto tempo dopo e poi ho ricominciato qualche settimana fa, nonostante i mille impegni. Non so bene se la continuerò, se avrò abbastanza ispirazione o cose di questo genere, però avevo voglia di pubblicarla e capire se potesse piacere a qualcuno! Grazie mille a tutti!

 
Jess.
 

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Capitolo 2
*** Due. ***


2.
 
Alla fine eravamo davvero andati in libreria! Prima di entrare, però, mi ero fermato con Robert ed avevo fatto incrociare i nostri mignoli, chiedendogli di farmi promettere che non avrei comprato nulla. E se all’inizio ne ero più che convinto, oltrepassando la soglia del negozio, mi resi conto che l’avrei infranta. L’odore dei libri mi chiamava, e così mi chiamavano anche le parole, le loro storie, le copertine, e così tante altre cose.
Salutai il commesso che oramai conosceva il mio aspetto a memoria. Ora eravamo passati ad un sorriso cordiale e ad una sua alzata di occhi ogni volta che mi vedeva entrare così sofferente. Non potevo farci niente! Avrei preferito nascere analfabeta e continuare la mia vita da analfabeta piuttosto che imparare a leggere, cominciare ad amare questa attività… Sarebbe stata la mia rovina, insomma! Non era qualcosa che controllavo, “purtroppo”. Io amavo leggere, ed i libri amavano me. Loro non deludevano mai, o quasi, e anche se l’avessero fatto, avrebbe fatto molto meno male di una persona. E poi loro erano sempre lì ad aspettarci e a farci stare meglio quando ne avevano più bisogno. Le persone andavano e venivano e la maggior parte delle volte non restavano nemmeno. Certo, non era il caso mio e di Robert… Eravamo solo adolescenti e lo sapevo, ma a parte questo, ero sicuro che la nostra amicizia sarebbe durata a lungo. 
 
°°°      
 
Il pub era come ogni sabato sera: pieno di ragazzi pronti ad ubriacarsi, odorante d'alcool e di fumo. Non c'era niente di diverso dagli altri sabati, anche se ne avevo saltati ben tre. Non c'era niente di nuovo se non la musica dal vivo: quella cambiava ogni volta che mettevo piede dentro a quel locale. Non era niente male. Era stato Robert a farmi amare la musica rock. Senza di lui probabilmente non mi sarei mai sognato di ascoltare un genere di musica così diverso da quello che ascoltavo solitamente. Mi ero abituato ad ascoltare ciò che ascoltava il mio migliore amico per poter capire se potessimo andare d'accordo anche su quello e alla fine avevo capito che era molto facile andare d'accordo con lui.
Mi passai una mano fra i capelli mentre scrutavo Alastyn al bancone che prendeva da bere insieme a Bobby e Ricky. Eravamo sempre noi cinque, anche se alcune volte invitavamo anche qualche altro amico loro, ma più che altro eravamo sempre abituati ad uscire fra di noi come facevamo da tempo. Tra di noi c’era chi era più legato a qualcuno, come io e Robert, ma eravamo tutti felici di poter stare insieme, perché fra di noi non c’erano mai stati diverbi troppo importanti ed avevamo idee molto comuni. E la loro compagnia era sempre fantastica! Io ero solitamente il più calmo della “band”, ma dovevo ammettere che quando c’erano loro attorno a me, mi lasciavo andare molto più liberamente.
Personalmente ero molto felice di aver incontrato tutti loro, uno ad uno, anche se per motivazioni molto molto diverse. Alastyn, per primo, era un ragazzo molto tranquillo – seppur parlasse a macchinetta – e come me adorava leggere e studiare, ma a differenza mia sapeva autoregolarsi e capire quando si arrivava ad un certo limite. Bobby e Ricky, invece, erano molto simili fra di loro ed erano gemelli. Passavano il loro tempo a non fare un bel niente, se non parlare fra di loro, cercare di rimorchiare qualche ragazza e chiacchierare di cose poco consone.  Ah, ed aveva un anno più grande di noi, perché in terza superiore erano stati bocciati per il troppo cazzeggiamento. E come biasimare i prof!
Nonostante questo, mi chiedevo tante volte come fossero riusciti ad arrivare all’ultimo anno, visto la loro poca voglia di studiare. Ma non volevo criticarli, piuttosto ero invidioso! Entrambi dicevano che non avrebbero mai frequentato l’Università ed il motivo era abbastanza ovvio, anche se a volte, Bobby ricordava a Ricky che all’Università c’erano tante belle ragazze con delle grandi tette. Ed in quel momento era come se il pensiero di entrambi potesse cambiare drasticamente, ma poi ritornavano alla realtà: anche se le ragazze erano importanti, non avrebbero mai fritto il loro cervello solamente per rimorchiare!
«Dillo che ti mancava uscire con noi, bello!»
Alastyn proferì con quella voce acuta verso di me, mentre mi porgeva il bicchiere stracolmo di birra. In realtà non mi piaceva troppo la birra, e infatti avevo chiesto della coca cola, ma sapevo che Alastyn voleva farmi bere a tutti i costi! Sorrisi e poi feci spallucce per non dargli soddisfazione e prenderlo in giro. Ma Al – ero abituato a chiamarlo in questo modo per evitare di recitare la divina commedia ogni volta che lo chiamavo – sembrò rimanerci così male da stare in silenzio e sedersi al mio fianco, abbassando lo sguardo verso il suo bicchiere. OH NO. Non potevo avere fatto davvero una cosa del genere…
DANNAZIONE.
«Ehy! Stavo scherzando. Ovvio che mi mancava, idiota!»
Cercai di rimediare, non volevo proprio che si sentisse male per uno scherzo!
«Non osare più chiamarmi i—»
«Okay, okay!»  esordì velocemente Ricky, piegandosi verso il tavolo per avvicinarsi a noi come se volesse confidarci un segreto. «Bobby sembra aver adocchiato una bella ragazza!» Tutti insieme fischiammo come ad un goal durante una partita di calcio.
«Chi è la fortunata?» Alastyn fischiò più forte degli altri mentre prendeva un grosso sorso di birra e se la scolava praticamente del tutto senza far conto di berla un po' alla volta per godersela meglio. Lui era così: voleva le cose subito. 
Bobby si girò ed indicò una ragazza seduta nell'angolo; era bionda, aveva un bel sorriso e sicuramente non era male. Fra loro era sempre così: adocchiavano una bella ragazza e facevano di tutto per portarsela a letto e poi, forse, iniziare una relazione. Feci un occhiolino al ragazzo per fargli capire che ero d'accordo con lui.
«Mica male» commentai: dovevo sembrare innocente, ma quella ragazza era davvero una—gnocca!
«E tu perchè non rimorchi qualcuno?»
Per un attimo rimasi in silenzio per capire se si stava DAVVERO riferendo a me. Quando mi resi conto che era proprio con me che stava parlando, scoppiai letteralmente a ridere, sbattendo una mano contro il tavolino. A ME. Io che rimorchiavo qualcuno—ma quando mai! Mi girai un attimo verso Robert sperando che mi desse una mano, ma lui alzò le proprie in segno d’arresa, come se in quel momento ce le avesse legate. Maledetto! «Non mi va. E non sono bravo a rimorchiare...»
Bobby sorrise.
«Robert, ma tu non insegni i tuoi trucchetti a Jordan? Non siete migliori amici?»

Un attimo, cosa, cosa, COSA?
Il mio sguardo si posò di nuovo verso Robert, un sopracciglio alzato per capire che cosa stesse succedendo. Di che trucchetti parlavano?
«Dai, ragazzi.»
Cominciavo a sentirmi escluso da quella conversazione: tutti sapevano di cosa si stava parlando, ed io no! Ma se si trattava di Robert dovevo assolutamente sapere di che cosa stesse parlando!
«Ma come? Non gli hai detto che sabato scorso hai rimorchiato quella ragazza? E' tutta la settimana che gli rompe il cazzo, ma lui cerca di scro—»
«Alastyn!»
Perché non ne sapevo niente?
«Che c'è?»
In un impeto di rabbia che non riuscii a controllare, mi alzai di scatto dalla mia sedia ed uscii dal locale. Odiavo sentirmi fuori luogo, soprattutto se era Robert a farmi sentire in quel modo. Personalmente sapevo di avere un sacco di problemi, ma odiavo dover urlare davanti a tutti. Ed odiavo quelle situazioni!
Robert aveva tutto il diritto di giacere con una ragazza quando voleva, senza chiederlo a me. Ma perché non me lo aveva detto? Ci saremmo fatti due risate, e magari avrei potuto aiutarlo a sbarazzarsi di quella ragazza, in qualche modo. Io ero molto bravo a fare l’asociale. Non ero il tipo di persona che usava mezzi termini: quando non mi trovavo bene con qualcuno, ero diretto. Diretto e sincero, perché ero convinto che una cruda verità fosse meglio di una lunga illusione.
Tirai fuori una sigaretta dalla tasca, com’ero abituato a fare ogni volta che uscivo, l’accesi e diedi una lunga tirata, per potermi riprendere da qualcosa di incredibilmente stupido—ero un idiota! Non avrei dovuto prendermela così poco… Robert, nonostante tutto, aveva la sua vita e nelle ultime settimane ero stato molto assente, quindi la colpa doveva essere mia, non sua. Forse aveva preferito non disturbarmi…
Quando eravamo insieme, avevo notato come più volte avesse tirato fuori il telefono, ma avevo pensato che fosse necessario e non ci avevo nemmeno fatto caso. Non ero andato a pensare a cose tanto critiche, né complicate. Ero sicuro che lui fosse sempre stato sincero con me… Ero sicuro che volesse condividere con me ogni cosa gli succedesse.

E se sono diventato solo un peso?
A volte ero molto pesante e lo sapevo. Non riuscivo a cambiare, non riuscivo ad essere diverso da com’ero! Per me la scuola era molto importante ed uscire con buoni voti, altrettanto. Non poteva andare a genio a tutti questa cosa, ma per me era… molto difficile trovare un’altra via. Non riuscivo proprio a mettermi in testa che la scuola non era tutto. Molte volte mi ero reso conto di essere nervoso solamente per gli insegnanti che da me volevano tanto solo perché erano abituati a vedermi sempre studioso ed io mi facevo condizionare senza stare troppo a pensarci, perché pensavo che cosi mi andasse bene. Non mi ero mai fermato a pensare che forse non lo era. Avevo tante di quelle crisi di pianto, che oramai avevo smesso di dirlo a Robert: odiavo farlo preoccupare.
«Jordan?»
Alzai lo sguardo e sorrisi a Ricky che era venuto verso di me con quell’aria preoccupata in viso. Oh no, oh no. OH NO. Avrebbe cominciato a chiedermi se qualcosa non andava ed io non ne volevo parlare. Con nessuno! Erano problemi miei, dovevo risolverli da solo. Nessuno mi sarebbe stato mai d’aiuto sulla componente “Jordan-carattere-di-merda”. Mi chiese con un gesto della mano se poteva fare un tiro e gli porsi la sigaretta, sorridendo.
«Qualcosa non va?»
«No, va tutto bene. Avevo bisogno di uscire un attimo...»
«Non siamo entrati da nemmeno venti minuti, Jordan.»
«Rick, per favore.»
Non volevo essere sgarbato proprio con lui, perché sapevo bene che voleva solamente aiutarmi—ma io non ero della stessa idea. Mi era difficile parlare dei miei problemi a qualcuno: avevo paura che li considerassero stupidi e ci sarei rimasto ancor più male. Non volevo che la gente pensasse che io mi facessi dei complessi inutili, ma non potevo farne a meno. Ero così. Ero nato con questo carattere che odiavo già da per me e non c’era bisogno che qualcuno me lo facesse notare.
Solo che mi sentivo in colpa: non volevo trattarlo male solamente perché qualcosa, dentro di me, era andato storto.
«Avrei preferito che me lo dicesse» dissi dopo un attimo di silenzio. Rick, dal canto suo, diede un tiro e poi mi porse di nuovo la sigaretta, guardandomi per un istante.
«Non so perché non te l'abbia detto, ma sono sicuro che non abbia cattive intenzioni. Sono sicuro che abbia i suoi motivi. Secondo me non voleva interrompere i tuoi studi matti e disperati, tipo Leopardi.»
«Allora qualcosa studi...»
«Ogni tanto!»
Sospirai e lo vidi indietreggiare di un passo. Poco dopo mi disse che sarebbe rientrato e che dovevo assolutamente fare lo stesso perché sentivano la mia mancanza. Risi e gli dissi che sarei entrato da lì a poco. Mi guardai di nuovo in giro e ricacciai indietro le lacrime. Non c’era motivo di sentirsi così e non c’era motivo di prendersela tanto per qualcosa che, ero sicuro, Robert non aveva fatto apposta. Dovevo solamente calmarmi.

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