Συνευημερέω: passare giorni felici assieme

di juniper_goblinfly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ I ~ ***
Capitolo 2: *** ~ II ~ ***



Capitolo 1
*** ~ I ~ ***


Lo guardai, forse un po' troppo a lungo, perché si voltó dalla mia parte, accennando un sorriso. Distolsi immediatamente lo sguardo, arrossendo leggermente e spostando lo sguardo fuori dalle grandi finestre del bar. Imprecai tra me e me, mordendomi un labbro. 
Continuavo a ripetermi che non avrei avuto possibilità: lui era... LUI! E io troppo giovane, troppo insignificante. Eppure non potevo fare altro che pensarci. 
Mi grattai la punta del naso, come faccio sempre quando sono imbarazzata, mentre il cameriere veniva da me per prendere la tazza di cappuccino dal mio tavolo. Improvvisamente una lampadina mi si accese in testa e drizzai le spalle. 

- Pago io la colazione all'uomo del tavolino lá in fondo. - 

Feci un leggero cenno della testa verso l'uomo che stavo guardando prima, mentre porgevo il denaro al cameriere per pagare il conto di entrambi. Raccolsi le mie poche cose e mi assicurai al collo la macchina fotografica, sfiorandola con la punta delle dita. Era il mio piccolo tesoro quella macchina e da quando i miei genitori me l'avevano regalata non ero ancora riuscita a separarmene. 
Uscii dal locale, proprio mentre lo stesso cameriere di prima riferiva all'uomo che avevo già pagato tutto per lui. Non riuscii a godermi la sua faccia sorpresa, perché ero già fuori, e mi dirigevo verso la fermata più vicina della metropolitana. 

- Ehi, fermati! -

Cercai di ignorare la voce maschile che raggiunse le mie orecchie, una voce fin troppo conosciuta, una voce che avrei riconosciuto ovunque. Mi afferró per una spalla e, solo a quel punto, mi fermai. Per qualche secondo lo guardai negli occhi, ma duró poco, per colpa della mia timidezza. Strinsi le mani attorno alla tracolla della borsa.

- Non dovevi. - 

Mi rimproveró, lasciandosi però sfuggire una risatina subito dopo. 

- Cosa ti è saltato in mente? Non era necessario. - 

Mi strinsi nelle spalle. 

- Non sei di molte parole, vero? - 
- Ecco... N-no. Cioè! -

Mi sistemai il ciuffo, per sfuggire all'imbarazzo, suscitando l'ennesima risatina nell'uomo.

- Guarda che prendendomi in giro non mi aiuti... - 

Commentai, gonfiando le guance. Mi accorsi troppo tardi del mio commento e mi maledissi per averlo fatto. Eppure lui rise ancora, di gusto. 

- Mi conosci, vero? Lo hai fatto per quello. - 
- Ti conosco, si. Non di persona. - 

Mi guardó, alzando un sopracciglio. Sapevo esattamente cosa stava pensando.

- Ma non l'ho fatto perché sei tu. Non l'ho fatto perché sei un attore, perché sei Martin Freeman. - 

Mi suonó strano dire quelle cose a lui, in modo così naturale. Il biondo rilassó le spalle, assumendo un'espressione confusa. Allora sospirai, cercando di mantenere una calma che non avevo.

- L'ho fatto perché... Sinceramente un motivo non c'è. Diciamo che era una sorta di ringraziamento. -
- Ringraziamento per cosa? - 
- Per tutto quello che fai.- 

Indicai la fermata della metropolitana. 

- Dovrei... Dovrei andare. - 

Accennai. Lo vidi mettere una mano sul fianco e indicare con l'altro braccio la fermata. 

- Non credere di filartela così. Tanto devo prendere anche io la metro, potrai spiegarmi tutto durante il viaggio. - 

Maledizione. Lo avevo cercato per anni senza successo e ora non riuscivo a liberarmene? A dirla tutta non volevo esattamente che se ne andasse, ma era tutto così strano ed innaturale. Feci finta di essere scocciata, anche se probabilmente lui sapeva bene essere tutta una messa in scena. 

- Ok, mi arrendo! - 

Alzai le mani e mi incamminai giù dalle scale, con lui al mio fianco, che mi osservava come fossi un animale raro. Forse era abituato ad altro, forse ero solo patetica. 

- Ho passato un brutto periodo e il tuo lavoro mi ha aiutato parecchio. Si, storia banale, l'hai sentita da molte persone, lo so. - 

Gli confessai, in un sussurro, una volta seduti. Notai che alcune persone ci guardavano, per cui abbassai lo sguardo. 
Lui sembrava non curarsene. Inclinó la testa, cercando di guardarmi in viso. 

- Si, l'ho già sentita, ma mai detta sinceramente. - 

Sorrise e io alzai la testa, scossa improvvisamente da quelle parole. Balbettai qualcosa di incomprensibile, sempre più rossa. Martin poggió la schiena al sedile. 

- Brutto periodo in che senso? - 
- Depressione.- 

Risposi semplicemente. 

- Guardarti mi rendeva felice, insieme all'aiuto di un'amica. Siete state le due persone che mi hanno risollevata, ecco. -

Scossi la testa. 

- Ehi, dovresti almeno invitarmi a bere qualcosa prima di fare certe domande! -

Rise, mentre io mettevo il broncio. Ecco che succedeva ancora: quando mi imbarazzavo troppo finivo sempre per dire cose stupide per tirarmene fuori.

- Perché no? - 

Si giró verso di me, arricciando l'angolo destro della bocca. 

- Cosa?! -

Esclamai, facendo voltare altre persone nella nostra direzione. Mi schiarii la gola, facendo l'indifferente davanti a tutti quegli occhi. 

- Ma cosa dici? - 
- Lo hai detto tu, non guardarmi male ora! - 

Brontolai, mentre mi alzavo per scendere, notando che anche lui si stava alzando per seguirmi. Mi accorsi che tutte quelle attenzioni non mi dispiacevano, sopratutto perché le avevo tanto desiderate. 

- Ok, ti permetto di offrirmi un the. - 

Sorrisi, ritrovando un po' di sicurezza, mentre lo guardavo. Sorrise anche lui, quel sorriso che conoscevo bene e non avevo mai visto dal vivo. Si, era proprio bello... Decisi che se voleva seguirmi poteva farlo, se si fosse stancato avrebbe potuto andarsene tranquillamente, no?

- Sei una fotografa? -

Impiegai qualche secondo per capire, poi agitai una mano, mentre alzavo la macchina fotografica.

- No! Non professionista almeno. Mi piace fare foto e disegnare, ma niente di che. -

Storsi la bocca, facendogli segno di fermarsi e scattandogli una foto. 

- E questa è per tutte le domande che mi fai.- 

Ridacchiai. Mi fece il dito medio, ma dal sorriso che aveva in faccia non era veramente arrabbiato. Era proprio da lui fare certe cose. Almeno non aveva ancora imprecato. 

- Beh, mi piace conoscere le persone che mi offrono la colazione. - 
- Ah, lo fai con tutti, quindi? -

Mi sentii un po' delusa, delusione che scomparve quando lui scosse la testa. 

- No, in realtà sei la prima. - 

Disse mentre mi indicava la fermata a cui ero scesa. 

- Camden? - 
- Mi piacciono le cose particolari e la musica: non c'è posto migliore dove trovarle entrambi, no? - 

L'attore si illuminó improvvisamente quando pronunciai la parola musica. 

- Cosa ascolti? -

Ridacchiai, stringendomi nelle spalle.

- Beatles per primi. Poi adoro il jazz, il blues... Ma mi adatto molto facilmente. Se qualcosa mi piace lo ascolto. - 
- Oh, hai davvero buon gusto. - 

Mi fece l'occhiolino, cosa che mi indusse a distogliere lo sguardo e concentrarlo sulla prima bancarella di vinili che trovai.

- Direi sia stupido chiedere cosa piace a te. Più o meno lo so. -

Dissi a mezza voce, allungandogli un vinile piuttosto vecchio. Poteva piacergli, forse. Lo vidi con la coda dell'occhio figurarselo tra le mani, sfiorarlo come fosse un tesoro. Avevo fatto centro. Sorrisi sotto i baffi quando disse al negoziante di volerlo comprare. 

- Allora, cosa sai di me? - 

Mi chiese subito dopo aver pagato. 

- Le cose che sanno tutti, poi quello che riesco a capire dal tuo viso, dai gesti e dalle parole che usi. - 

Mi guardó un po' scettico. Dovevo sembrargli strana o suonargli incomprensibile. 

- Il mio corso di studi mi ha insegnato a leggere le persone, praticamente. Sai, è piuttosto utile... - 

Scattai un paio di foto alla via, poi più in particolare a tutti quei vinili, abbassandomi all'altezza della bancarella. Un paio di ragazze si avvicinarono a noi, approcciando timidamente l'uomo, che non poté continuare con le sue domande. Mi guardó di sfuggita, prima che le due lo tempestassero di domande e richieste di foto e autografi. 
Feci un passo indietro, osservando quella scena in silenzio. Gli feci un'altra foto, per poi voltarmi e allontanarmi, scomparendo nel mercato. Subito sentii la tristezza impossessarsi di me, come un vento gelido sotto i vestiti, ma ero consapevole del fatto che era la cosa giusta da fare. 
Mi dispiacque lasciarlo in quel modo, ma dovevo scomparire, come ero scomparsa dalla vita di tutti, scegliendo per mia volontà di diventare solo un ricordo per amici e parenti che non fossero i miei genitori e mia sorella. Era così da quando mi ero trasferita e mi andava bene: non volevo che nessuno sentisse la mia mancanza, anche se, in fondo, era per non provare nostalgia io stessa. 

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Capitolo 2
*** ~ II ~ ***


La mattina seguente mi recai allo stesso bar che frequentavo sempre, dove per puro caso avevo trovato anche lui, l'uomo che avevo tanto cercato e che poi avevo abbandonato. Chissà se si era arrabbiato o mi aveva già dimenticata. 
Increspai le labbra in un sorriso, rigirando il mio the nero con il cucchiaino, mentre rispondevo ad un paio di messaggi. 
Una mano si abbattè sul mio tavolino, così inaspettata che mi fece sobbalzare e tintinnare la tazza ancora piena.

- Che cazzo...?! -

Cominciai, per poi interrompermi quando incrociai lo sguardo della persona davanti a me. Martin era palesemente arrabbiato, con quella espressione un po' da bambino imbronciato. Lo guardai a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Mi sentivo in colpa, ora che lo vedevo; non credevo sarebbe tornato lì o che si ricordasse, nè che avesse la fortuna di trovarmi lì, azzeccando l'ora esatta. 

- Scusa... - 

Riuscii a sussurrare, mentre lui si sedeva davanti a me, probabilmente per non attirare troppo l'attenzione. 

- Un cazzo! Si può sapere perché lo hai fatto?! - 

Ringhió. Non credevo se la sarebbe presa tanto. Ero solo una delle tante, come quelle ragazze che lo avevano fermato. 

- I-io... - 

Balbettai, guardandomi attorno come un animale braccato. Ho sempre odiato sentire le perone alzare la voce, sopratutto se si trattava di persone a me care. Mi morsi forte un labbro, evitando di aggiungere altro che, con buona probabilità, sarebbero state stupidaggini. 
Il biondo assottiglió gli occhi piegandosi in avanti per studiarmi. 

- Maledizione, come fai a essere così? - 

Aveva perso il suo tono di rimprovero, espellendo tutta la rabbia con un sospiro. Tenni comunque la testa bassa, per la vergogna e i sensi di colpa. 

- Così come? - 

Mi aspettavo qualsiasi forma di insulto, che però non arrivó. 

- Riesci a farmi sentire in colpa anche se il casino lo hai combinato tu! - 

Sgranai gli occhi e mi voltai a guardarlo, stupita. La mia espressione cambió velocemente e nascosi la bocca con una mano, trattenendo una risata. Si, i miei genitori me lo dicevano spesso... 

- Scusami, è il mio superpotere. - 

Vidi che anche lui stava sorridendo, ma mi puntó comunque un dito contro.

- Sappi che non te la perdono! Non avevo finito con te! - 
- Con il tuo interrogatorio, vorrai dire. - 

Lo presi in giro, incrociando le braccia sotto il seno. 

- Sono curioso, cosa c'è di male? - 
- C'è di male che... - gonfiai le guance - sei famoso, io non sono nessuno; ti ho approcciato nel modo più sbagliato possibile e- -

Mi zittì subito con un gesto della mano. 

- Stronzate! Certe cose lasciale decidere a me! - 
- A volte mi chiedo se i personaggi che interpreti non siano in realtà parti di te... - 

Si ammutolì dopo quel commento, sorpreso. Non capivo se lo avesse preso come un complimento o no. 

- Ok, prendi le tue cose. E vedi di non scappare questa volta! Offro io oggi. - 
- Non ti azzardare, sai?! - 

Lo guardai male, afferrandogli istintivamente la mano. Persi un battito e gliela lasciai subito. Ma che diavolo stavo facendo? 

- Pago io, lascia stare. - 

Cercai di togliermi dall'imbarazzo con quella frase, ma lui si alzó, andando a pagare senza replicare o darmi modo di fermarlo veramente. Scossi la testa e presi le mie cose, aspettandolo appena fuori dalla porta, dopo aver bevuto d'un sorso il the. 

- Ti avevo detto che ti avrei offerto io la colazione. - 

Mi sorrise. 

- Beh, non credevo lo avresti fatto veramente! - 
- Perché no? Mantengo le promesse. Sempre. -

Mi incamminai al suo fianco, mettendomi meglio la sciarpa per proteggermi dal freddo della mattina. 

- Lo so, questo mi preoccupa, infatti. Nel senso che sapevo lo avresti fatto veramente e non volevo. - 
- Beh, è divertente vedere la faccia che fai quando ti contraddico. - 

Alzó il mento, scoppiando però a ridere quando lo guardai con le labbra strette e le sopracciglia corrugate. 

- Esattamente così! - 

Mi mise una mano sulla schiena, facendomi fermare mentre lui alzava un braccio e chiamava un taxi. Fremetti tra l'imbarazzo e l'improvviso calore che mi scoppió nel petto. Era così delicato e sicuro nei gesti, come avevo immaginato tempo addietro.
Mi portó a vedere alcuni posti caratteristici, dicendo che mi sarebbero piaciuti e che sarebbero stati buoni come soggetti per le mie foto. Purtroppo si accorse troppo tardi che con me non la avevo e, al suo posto, avevo portato nella poesia una matita e un blocco da disegno. 

- Quante cose sai fare... Aspetta, ma non mi hai ancora detto come ti chiami! - 

Sorrisi, interrompendomi per un attimo e alzando lo sguardo su di lui, lasciando la matita sul blocco e il disegno ancora da finire. 

- Per te Nihal. - 
- Non è il tuo vero nome! - 

Gli feci una linguaccia, frugando nella borsa e prendendo una penna. Sfogliai i disegni, fino ad un ritratto, che firmai con il mio vero nome e gli consegnai. Lo avevo fatto prima di trasferirmi e ne andavo molto fiera, ma mi ero ripromessa di darglielo se mai lo avessi incontrato.   

- Valentina? -

Annuii. 

- È un bel nome. - 
- È troppo lungo, avanti! - 
- Parli con uno che ha tre nomi! - 
- Giusto... -

Cercai di non ridere. 

- Scusa, mi fanno ridere le tue espressioni. - 
- Beh, far ridere una donna è sempre un bene. -

Mise via il mio disegno, piegandolo con cura e infilandolo nella tasca interna della giacca.  Mi chiesi a cosa stava pensando e, per quanto fossi brava a leggere le persone, non lo ero altrettanto a leggere la mente. Ripresi a disegnare, sorridendo felice. 

- Sei una piacevole compagnia, sai? - 

Gli dissi. 

- Non sei esattamente come mi immaginavo. Per esempio è stato bello vedere come ti brillavano gli occhi mentre guardavi quel vecchio vinile. - 

Questa volta fu lui a guardarsi intorno, imbarazzato dalla mia osservazione. Portai le mani alla bocca, soffiandoci per scaldarle. Si schiarì la gola.

- Davvero? Mi brillano gli occhi? -
- Assolutamente! Come un bambino con un gioco nuovo! - 
- Ti piace osservare, ma non sei brava con le persone, eh? - 

Alzai il mento, colpita un po' sul vivo. Abbassai però le spalle, in segno di resa.

- Già. Mi spiace, davvero. Sia perché non parlo e per quello che ho fatto ieri. C'è un motivo, non volevo certo abbandonarti. - 
- Allora spiega. Cazzo, mi sono sentito un fottuto idiota. - 
- Martin, mi spiace, davvero... - 

Sospirai, passandomi una mano tra i capelli. 

- Ok, - cominciai - l'ho fatto perché sono una delle tante, ok? Una delle tante fan che sperava di incontrarti, tutto qui. Sono come quelle due ragazze di ieri e nulla di più, nulla di speciale. - 

Dissi d'un fiato. Lui mi ascoltó in silenzio, guardandomi senza un'espressione che potessi identificare.

- Perché non lasci decidere a me? - 

Rispose semplicemente. 

- Cosa...? -

Lo guardai, impaurita e confusa. 

- Lascia decidere a me. Non sarei venuto a cercarti, no? Ti trovo interessante. -
- Avanti, smettila... -
- Dico sul serio! In qualche modo ti trovo diversa.- 
- Martin, per piacere... -

Misi via le mie cose, frettolosamente.
Alcuni fogli sfuggirono dal mio album. Lui si affrettó a raccoglierli e mentre me li passava li sfoglió. Per la maggior parte erano suoi ritratti, fatta eccezione per alcuni che ritraevano altre persone a me care. 
Li presi e li spinsi nella borsa, senza curarmi delle condizioni in cui avrei potuto trovarli successivamente. Diversa... Già, e per cosa? Forse ero particolarmente patetica. Non lo avrei mai saputo. Mi alzai e feci per allontanarmi con passo spedito, ma ricaddi sulla panchina, sentendomi tirare per la tracolla della borsa. 

- Non cercare di scappare ancora! Non te lo permetto! - 

Si piegó per guardami in viso, ma non glielo permisi. Mi sentivo così strana, così insignificante. 

- Sei brava a capire gli altri, ma quando parlano di te non ascolti proprio. Stai zitta e smettila. Non ti sto prendendo in giro e, sopratutto, non sottovalutarti così tanto. - 
Mi guardó serio, addolcendo poi la sua espressione e passandomi un braccio attorno alle spalle, notando che non rispondevo. 

- Fa freddo qui, cosa ne dici di fare un giro da qualche parte, al caldo? Cosa ti piace? Oltre a disegnare e le foto, ovviamente...  - 
- Mi... Mi piace leggere. E il teatro. Poi la musica e tante, troppe cose in realtà. - 

Ci pensai un attimo, poi lo guardai, incerta. 

- Ti va, ecco... - Mi tormentai le mani - di venire con me alla National Gallery? Ci sono stata un sacco di volte, ma in compagnia è diverso. Se ti annoi ce ne andiamo subito. - 
- I quadri non sono il mio forte, ma si può fare! - 

Mi sorrise, ridandomi un po' di sicurezza. Era così disponibile e comprensivo con me, senza un reale motivo, a esser sinceri. Era bello, mi faceva sentire bene. 
Uscimmo solo all'orario di chiusura. Avevo notato che mi ascoltava interessato mentre gli parlavo, sopratutto quando mi lasciai prendere osservando i Girasoli di Van Gogh. 
Si offrì di accompagnarmi a casa, dicendo che ero troppo giovane perché permettesse che me ne andassi da sola. Durante la strada del ritorno parló a lungo, dopo che anche io mi lasciai andare a qualche domanda su di lui e sul suo lavoro. Lo trovavo sempre più interessante e, purtroppo per me, affascinante. Era così dannatamente felice che riusciva a farmi ridere in ogni occasione. 
Una volta davanti alla porta del mio appartamento presi fuori le chiavi e mi fermai un attimo per salutarlo. 

- Grazie, per tutto, davvero. È stato bello: un sogno che si avvera. - 

Lui sorrise, inclinando la testa di lato. 

- Domani mattina sarai allo stesso bar? - 

Drizzai la schiena, guardandolo con occhi grandi. Diceva sul serio? 

- Si, ma domani dovrei assistere ad un paio di lezioni, e... Insomma... - 

Presi un respiro profondo, calmandomi. Lui mi guardava calmissimo, senza nessun giudizio negli occhi. 

- Sempre lo stesso bar, si. - 
- Perfetto. Potrei avere un contrattempo domani mattina, quindi... Dove hai le lezioni e a che ora? - 

Frugai nella borsa, tirandone fuori una minuscola agenda. Strappai la pagina con il posto e l'ora, mettendoglielo poi in mano. 

- Grazie. Allora passo a prenderti, che dici? - 

Infilai le chiavi nella porta, guardandolo per qualche secondo.

- Martin, non credo ti convenga... Ci saranno parecchi ragazzi e non vorrei crearti troppo disturbo. - 
- Non preoccuparti, ok? Ci penso io. - 
- Non mi fido molto. - 

Assunsi un'espressione scettica, che lo fece ridere di gusto. Farlo ridere era gratificante, in un certo senso. 

- Fai bene a non fidarti! Ci vediamo domani. - 

Mi fece l'occhiolino, allontanandosi.
 Mi sfiorai il petto, accorgendomi di avere il cuore che batteva a mille. Non potevo crederci, era tutto troppo surreale. Entrai in casa, con un largo sorriso sul viso.
 

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