Love doesn't look your face

di Mella Ryuzaki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hello, I am Shim Changmin ***
Capitolo 2: *** A new beginning ***
Capitolo 3: *** Choi ***
Capitolo 4: *** Let me go ***
Capitolo 5: *** Who are you? ***
Capitolo 6: *** Nightmare ***



Capitolo 1
*** Hello, I am Shim Changmin ***


Come si inizia una storia?

Ah, non ne ho mai letto una che avesse un inizio fantastico o anche un inizio tragico, insomma so poche storie se non quelle insegnate a scuola, dove Re, imperatori e altri sovrani, lottavano per avere un pezzetto di terra che ora nemmeno li appartengono.

Tutta fatica sprecata, eh?

La storia spesso insegna che le persone non si accontentano mai, che l'uomo non si accontenta di quello che ha, soprattutto chi ha molto di più che solo l'essenziale per vivere, o meglio, sopravvivere.

Penso che se hai già di che mangiare, vestire e anche dove dormire, questo ti renda già ricco, ma soprattutto se hai una famiglia che si prende cura di te, un rifugio.

Per una persona si va sempre contro il bene delle altre persone, portandole verso la stessa rovina con cui si scava il proprio fosso ed é così la mia vita: un fosso profondo scavato da mia madre.

Penso che sarei maleducato a cominciare a parlare di lei senza essermi prima presentato.

Hello, I am Shim Changmin o, come mi chiamano a scuola, il Dumbo dalle lunghe zampe posteriori. 
Sono un ragazzo di diciasette anni e frequento il quarto anno del liceo a Seoul.

Di sicuro penserete che viva la mia vita come ogni ragazzo della mia età con amici, amiche, fidanzata del banco accanto e forse anche studente modello.

No, sbagliato.

Vi devo ricordare il paragone storico citato sopra?

Ma comunque, torniamo a noi.. a me e a mia madre.

Sono nato in questa grande città, da una donna ancora giovane che però non aveva un marito e nemmeno dei genitori ( appena seppero di me, quelli che dovevano essere i miei nonni, la cacciarono di casa, verso il suo oppa che però non ne voleva sapere. )

La cosa saggia che fece questa sedicenne, fu quella di tenere il bambino, di tenermi e crescermi per nove mesi, ma la cosa non saggia, fu quella di non darmi almeno in affidamento a qualcuno che sarebbe stato capace di mantenermi e magari lei poteva anche riavere il perdono dei suoi genitori e ritornare a fare la sua bella vita, ma non lo fece.

Spesso penso che ho ereditato questo "dono" da lei, quello di cercare sempre di fare di testa mia e di non ascoltare spesso gli altri, ma lei lo rinfaccia sempre che questo mio carattere era del gene di quel maiale di mio padre.

Sarò onesto, non ho mai visto mio padre e nemmeno nessun altro parente che sia a stretto contatto con noi.

Lei mi allevò, mi mantenne anche se diverse volte, gli assistenti sociali vennero a casa nostra per quei vestiti che indossavo e anche per i pianti che lasciavo quando lei andava a lavorare o portava il lavoro a casa, facendo entrare diverse persone e spesso anche losche che mi facevano paura.

Riuscite a capire che lavoro faceva e fa mia madre per mantenerci?

Comunque.. con il passare del tempo cominciai a crescere e crescendo cominciava a vedere molte uguaglianze con mio padre, tanto che spesso finivo anche con il dormire davanti alla porta di casa, quando tornava a casa ubriaca o fatta ( perché solo all'età di tredici anni, ebbi la prima visione della famosa polverina che mostrava le stelle ogni volta che ne prendeva un po' sul tavolino con il naso da quella cannuccia o quel pezzo di carta ), perché vedeva mio padre davanti a lei e non lo tollerava.

La verità è che penso che, a mia madre, piaccia ancora lui, che mai lo aveva dimenticato anche per quello che ci ha fatto, rifiutandoci.

Ma ora vi dirò perché paragono mia madre come quei cari imperatori e quelli che si scavavano da solo la fossa per poi trascinare chiunque dentro: i debiti.

I debiti sono un'altra scusante sul fatto di dovermi mantenere e pagare quella baracca che chiama casa e dove porta il suo lavoro anche se ci sono anche io.

Ma in realtà i debiti erano per la magica polverina e le sue precauzioni.

« Capirai anche tu quando sarai grande. »

Me lo dice sempre, anche quando ormai il padrone di casa vedeva che l'affitto non arrivava, con due mesi di arretrati e con il rischio, per noi, di finire in mezzo alla strada, visto che di appartamenti economici ne esistevano davvero pochi.

Di sicuro sarei finito anche io nel suo stesso fosso, ma non potevo permetterlo.

A differenza di molti, sarei riuscito a salvarmi.
A trovare da solo la mia ancora di salvezza, la mia parte di vita onesta che mi avrebbe permesso di vivere ( o sopravvivere ) e di finire anche i miei studi e questo inizia proprio in un internet cafè al centro di Seoul, in una delle tante pagine dove si cercava e si offriva lavoro.

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Capitolo 2
*** A new beginning ***


« Stai ancora guardando quel sito ragazzo? Guarda che devi dare posto agli altri. »

Sollevai lo sguardo dallo schermo del mio portatile, guardando la signora con la sua brocca di caffè in mano, dopo aver servito alcuni nuovi clienti. 
Quella mattina non ero nemmeno rimasto tanto, almeno così mi sembrava.

Guardai l'ora sul tavolino dove ero seduto, la mia tazza di caffè ormai vuota accanto.

15:57.

Ero entrato alle 11:20 e mi ero messo a cercare nei vari siti qualche lavoro.
A casa non avevo la connessione " troppo cara ed inutile " per quella donna che era mia madre.

« No, stavo finendo la mia ricerca. Giusto qualche minuto. »

Le sorrisi e lei sospirò, andando a servire gli altri studenti che erano entrati nel cafè.

Tornai nuovamente con lo sguardo sullo schermo, scorrendo le varie offerte di lavoro.
Molti erano per laureati o richiedevano qualcuno di giovane, ma con esperienza.

« Dove la trovo l'esperienza, se nemmeno la date? »

Lo pensai ad alta voce, scorrendo ancora fino alla fine e fermandomi in un annuncio dato da un privato.

Cliccai ben due volte e si aprì un'altra finestra che mi porto in una pagina web dove si richiedeva personale per le mansioni domestiche in alcune famiglie.

C'erano persone anziane che richiedevano assistenza per essere badate, genitori che cercavano babysitter per i figli piccoli, troppo impegnati a guadagnare che vedere quei marmocchi e domestici per grandi ville in modo da pulire e sistemare la casa, offerte data da persone sempre anziane, soprattutto vecchie vedove.

Molti di questi annunci erano solo per metà della mattinata o anche a chiamata nel pomeriggio. Non mi avrebbe garantito molto sostegno alla fine.

Continuai sempre cercando in quella pagina web, fermandomi ad un annuncio di non molte ore fa con tanto di disegno della casa.

Casa.

Era una reggia

Era una reggia.

Osservai la " casa " e lessi anche ciò di cui avevano bisogno, l'offerta.

„ Cerchiamo qualcuno che possa prendersi cura della casa e anche della famiglia. A parte la paga mensile, offriamo anche vitto ed alloggio. Richiediamo qualcuno che abbia un po' di esperienza e che sia giovane, non ha importanza del sesso. Se siete interessati, contattate l'email (......) "

Anche qui richiedevano qualche esperienza. Sapevo fare tante cose in casa e riuscivo anche a cucinare. 
Ma era l'unico annuncio che offriva vitto ed alloggio e io volevo andarmene via da quella casa.

Il prima possibile.

Copiai l'email, andando nella mia casella postale e cominciai a scrivere, mandando anche il magro curriculum che avevo fatto tempo fa a casa.
Lasciai anche il numero di cellulare e sperai che qualche telefonata potesse volgere al meglio quella mia vita.

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« Mi dici dove sei stato, se non a scuola?? Ti sto pagando quella merda di scuola per darti un futuro migliore, ma tu sembri come quel maiale di tuo padre! »

Aveva bevuto di nuovo e ora stava solo mettendo in atto una delle sue scenate.
La scenata della buona mamma che si preoccupava del figlio.

« Avevo delle cose da finire.  Per un giorno non succede nulla. »

La mia scuola era anche abbastanza severa, tanto da chiamare i genitori se i figli si assentavano dalla scuola.

« Bugiardo! Sei andato da qualche parte con dei ragazzacci! Torna qui brutto.. »

Ebbi il tempo di prendere il cellulare e il portatile, scappando in camera mia, prima che lei possa alzare le mani.

Mi chiusi in camera a chiave e la sentì ancora gridare e dire tutte le parole belle che sapeva, finché non la sentì nuovamente allontanarsi, andare forse a prendere un'altra bottiglia di birra da bere.

Posai lo zaino sul letto sfatto e misi il cellulare insieme al portatile sulla scrivania.

Tolsi la giacca e la posai sulla sedia, accendendo nuovamente il computer, giusto per giocare a solitario e tenendo il cellulare vicino ad esso.

Lo guardavo più volte, sperando in una chiamata e riponendo le mie speranze in quel annuncio.

Erano ormai le 20:00 passate e avevo mangiato diverse barrette al cioccolato, la mia cena, quando il mio cellulare squillò.

Lo presi, vedendo un numero a me sconosciuto e pensai subito che potesse essere quella chiamata. La chiamata che avrebbe cambiato la mia vita.

« Pronto? »

Dall'altra parte della chiamata sentì una voce femminile, probabilmente una donna non molto giovane.

« Pronto, buonasera. Parlo con il signor Shim Changmin? »

Il mio cuore prese a battere e la mente si deconcentrò dal ultimo pezzo di berretta rimasto.

« Si, sono io. Con chi parlo? »

« Ancora buonasera. Ho ricevuto la sua candidatura all'offerta di lavoro che ho messo nel sito. È stato uno dei primi, quindi mi era sembrato giusto chiamare prima lei. »

La voce della signora sembrava davvero dolce, sentita da lì e il cuore riprendeva a battere per l'emozione. Sperai solo che mia madre non sentisse nulla.

« Uno dei primi.. si, sono io. »

Sentì una bella risata, per nulla cattiva, dall'altra parte del cellulare.

« Lo so che è lei. La chiamavo per fissare un appuntamento e parlare del lavoro che le interessava. Quando le è possibile venire? »

« Domani andrebbe bene? »

Non riflettei molto, dando quella giornata via. Due giorni di scuola persi non sarebbe stata la fine del mondo.

« Perfetto, domani sia. Ha un orario particolare in cui è libero? »

« Va bene anche la mattina? »

« Certamente, per le nove, visto che dopo avrei una riunione per le undici. »

« Perfetto. Mi va bene come orario. »

« Ho letto che è uno studente. Non avrà problemi a saltare la scuola? »

Una domanda che avrei temuto di sentire. Magari avrebbe anche chiesto di mia madre, data la mia età.

« No, domani non ho lezione. Ecco perché ho pensato sia giusto vederci domani. »

« Oh, giusto, giusto. Ahah! Allora domani la attendo a casa nostra. La via è quella che la invierò tramite SMS. Non l'ho specificato per non avere visite inaspettate. La ringrazio per aver risposto al nostro annuncio e a domani signorino Shim. »

« La ringrazio infinitamente per la chiamata signora.. »

« Signora Choi. Nemmeno quello era specificato. Ahah! Che sbadata che sono! »

« La ringrazio infinitamente signora Choi. Allora a domani. »

« A domani, signorino Shim e porti pure ancora il suo curriculum cartaceo. Ci servirà. Buona serata! »

L'allegra voce riattaccò e lasciò il silenzio dietro quel ricevitore.

Mi sentì davvero fortunato e, se non fosse che mia madre era in casa, avrei urlato per la felicità e la sorpresa.

Ora avevo un lavoro.

Ora potevo riprendere in mano la mia vita.

Ora potevo vivere.

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Capitolo 3
*** Choi ***


Quella mattina ero davvero agitato. Erano ben due volte che passavano davanti allo specchio per sistemare le capelli che, quel giorno, avevano deciso di essere totalmente ribelli.
Tra un cambio e l'altro, avevo perso solo tempo ed ora avevo messo gli stessi vestiti di sempre: un paio di jeans e una maglia bianca con una felpa anch'essa bianca.

« Presentabile come sempre.. »

Commentai osservandomi e dando un tocco di profumo al collo e alla camicia. 
Presi lo zaino dove avevo messo una bottiglietta d'acqua e il mio curriculum cartaceo, intascando le chiavi di casa ed il cellulare, dove avevo anche la via mandata dalla signora Choi.

Ero molto pensieroso che non avevo nemmeno badato a quanto tempo stava passando durante quel tragitto, osservando lo scorrere delle persone, delle auto e degli edifici durante quel percorso con l'autobus che passava solo ogni mezz'ora per quella strada.

Lentamente la città venne abbandonata e lasciò spazio al verde e a delle villette a schiera, spesso piccole ed altre imponenti.
Mi domandavo se, in quel quartiere, ci vivessero solo persone benestanti.
Non ero abituato a tutto quell'ordine, a quei colori dati dai giardini in fioritura ed a quell'aria che sapeva di.. pulito.

Ero cresciuto in un ambiente ben diverso e con persone diverse, cominciando da mia madre, da cui volevo assolutamente allontanarmi.

Il mezzo si fermò proprio ad una fermata nascosta da un grosso albero che faceva da ombra ai raggi del sole autunnale.
Mi sembrava di essere sceso su un altro pianeta e, sistemato lo zaino in spalla, guardai il cellulare dove tenevo la via.

La gente lì sembrava davvero cordiale e non lo dico per la bellezza dei loro giardini e delle loro case, ma dal modo in cui mi salutavano senza nemmeno conoscermi.
Era il tipico pezzo dove la vita sembrava una favola.

I miei passi mi portarono, infine, davanti al cancello della villa che avevo visto nella foto sul sito e, a darmi conferma, fu il nome sul campanello dorato e ben lucidato. 
La villa era circondato da un giardino curato e con alcune foglie ingiallite lungo il sentiero che collegava il cancello alla porta di casa, separato da alcuni gradini.

Suonai al campanello, attendendo che qualcuno aprisse i cancelli e, nemmeno una manciata di minuti, si aprono automaticamente. Notai allora una telecamera puntata davanti all'entrata e non c'era nemmeno bisogno di sapere chi fosse tramite la voce.

Cominciai ad avanzare, osservando quel giardino che, nelle stagioni primaverili, avrebbe dato i suoi frutti e colori.

Ad attendermi davanti alla porta, c'era una signora con un sorriso gentile ed un abito elegante, di un rosso intenso. I capelli erano sistemati in una coda castana che ricadeva sulla spalla destra ed era anche molto giovane, almeno dal mio punto di vista.

« Il signorino Shim? »

Mi domandò, quando arrivai vicino alla piccola scalinata che mi separava dalla porta socchiusa della villa.
Guardai la signora e, dalla sua voce, riconobbi quella al cellulare. Era dunque lei la padrona di casa?

« Oh.. si, sono io, signora Choi. Sono Shim Changmin. »

La donna sorrise e si spostò per invitarmi ad entrare.

« Sei davvero molto giovane. Prego, entra pure. »

La gentilezza della padrona di casa mi diede uno strano calore al petto. Forse era davvero un'opportunità per andarmene via da quella casa e dalla donna che era mia madre.

Salì i gradini, seguendola verso l'interno dell'abitazione e lì, una volta dentro, rimasi sorpreso come un bambino davanti ad una giostra colorata: l'ingresso era davvero enorme. Ai lati c'erano due rampe di scale eleganti e ben lucidi, con le pareti bianche e dai motivi floreali leggeri e poco vistosi. C'erano diverse foto che non riuscivo a vedere da ben lontano, ma che dedussi, fossero i componenti di quella famiglia. I mobili erano di un elegante e fine mogano, ma anche moderni e non era poi così adorna e confusionale. Davanti a me, poi, si apriva un corridoio che portava poi magari alle altre stanze del piano terra. Quella casa era davvero enorme.

« Non ti spaventare caro. Non dovrai pulire tutto per bene in un solo giorno! »

La signora mi riportò con i piedi per terra e spostai lo sguardo sulla sua figura divertita.

« Vieni nello studio prima, così possiamo parlare. »

« Si.. certamente.. »

La seguì, anche se notai che qualcuno mi stava osservando dalle scale, ben nascosto. 
Percorsi quel ingresso, stando dietro alla signora Choi ed arriviamo ad una porta che aprì e rivelò essere un grande studio con una grande scrivania ordinata e varie librerie dove, non solo c'erano altre foto e libri, ma anche alcune pile di documenti ed un piccolo mobiletto con degli alcolici. Storsi appena il naso a quella vista, senza farmi vedere dalla donna che mi fece accomodare e mi invitò a sedermi di fronte a lei,prendendo posto dopo di me.

« Solitamente è mio marito che si occupa di tutto, ma lavorando tanto sono diventata il secondo capo della casa. » scherzò come sempre la donna, osservandomi bene.

« Vorresti bere o mangiare qualcosa? Avrai fatto sicuramente un bel viaggetto. »

« No, la ringrazio, signora Choi.. » ricambiai quei sorrisi, posando lo zaino sulle gambe ed aprendolo per prendere il curriculum cartaceo, prima che me lo chiedesse lei e lo posai sulla scrivania.

« Grazie caro.. » la signora lo prese e cominciò a leggerlo, sollevando di tanto in tanto lo sguardo su di me.
Non capivo perché cominciai a sentire uno strano gelo, come se quel pezzo di carta ora non la soddisfacesse.

« Quindi è davvero un ragazzo delle superiori, vero signor Shim? »

« Si, sono al quarto anno delle superiori, signora Choi. »

« E vive da solo o con qualche parente? »

Ecco la domanda che temevo di ricevere. Non sapevo se mentire o meno, ma sicuramente qualcosa dovevo dire.

« Vivo da solo. » mentì, guardandola e lei mi osservò attentamente, come se capisse che stessi mentendo, ma..

« Oh, bene! Allora mi dica dove abita? In un appartamento singolo? È raro che i giovani della tua età vivano da soli, ma se non vuole parlarne.. »

« I miei vivono fuori città e, la scuola che volevo fare si trova proprio al centro di Seoul. »

« Oooh, capito! Però questo la fa davvero un ragazzo responsabile! » mi sorrise nuovamente e mi ritrovai a ricambiare l'ennesimo sorriso con una strana sensazione allo stomaco per poi tornare a leggere il mio curriculum. Le mie orecchie però, captarono un rumore, la porta che si apriva piano ed infatti, la signora Choi sollevò nuovamente lo sguardo dal foglio, guardando la porta.

« Jiwon Choi, quante volte ti ho detto che non devi spiare? »

Mi voltai anche io, verso quella porta socchiusa che venne poi aperta mostrando il viso di una ragazza dai capelli lunghi e dagli occhi grandi, quasi simili ai miei.
Indossava un abito bianco con dei fiori blu a mezze maniche, entrando nello studio con le mani portate dietro la schiena, ma non nascondendo un sorriso imbarazzato.

« Scusami, mamma.. ma ero..  »

« Curiosa, lo so. Hai preso tutto da tuo padre. »

La signora Choi le sorrise e spostò lo sguardo su di me, guardandomi con lo stesso sorriso.

« Lei è Jiwon Choi, mia figlia minore. Jiwon, ora che sei qui è educazione salutare. »

La giovane ragazza mi venne incontrò e mi alzai educato per porgerle la mano che lei strinse dopo un piccolo inchino. So che è così da noi, ma in quel momento non seppi nemmeno perché le diedi la mano.

« Sei molto giovane! Quanti anni hai? » mi chiesi dopo aver lasciato quella calorosa stretta e con gli occhi che mostravano maggior curiosità.

« Jiwon Choi.. » la donna sembrava arrendersi, ma in modo dolce. Non era come mia madre, era ben diversa.

« Sono uno studente delle superiori.. studio nel centro di Seoul e sono al quarto anno. »

« Oh, io sono all'ultimo anno e studio anche io in centro città, ma in una scuola ben diversa. »

Ci toglievamo solo un anno, da ciò che avevo capito, anche se sembrava molto più grande, forse data dalla sua altezza.

« Allora ti vedrò spesso qui e spero che ti piacerà la casa. Potremo anche studiare insieme qualche giorno e magari ti potrò... »

Si interruppe, quando la signora Choi le si avvicinò, posando una mano su quelle labbra che non smettevano mai di parlare e che trovavo però divertente.

« Jiwon, andiamo piano. È il suo primo giorno ed è un colloquio. Rischi di spaventarlo. » ma le due donne risero e mi ritrovai a ridere anche io, contagiato da quel clima.

« Comunque, se non è un problema, tra tre giorni potrà iniziare con il lavoro, signorino Shim. Ha tempo per preparare tutto il necessario e dovrò anche parlare con mio figlio per l'auto con cui la verremo a prendere. Ha molte cose con sé? »

« La ringrazio, signora Choi. E no, non molto, ma posso lasciarlo nell'appartamento dove vivo. Però non serve, potrei venire in.. »

« Oh, no, no, no. Non se ne parla. Vorremo venire noi a prenderla e   così può anche mostrarci dove studia. Rimarrà qui, ma la scuola sarà lì, signorino. »

Jiwon non disse nulla, limitandosi a rimanere con il sorriso sulle labbra e la donna mi posò una mano sulla spalla, guardandomi con occhi materni.

« Il posto è suo, signorino Shim. Quindi domani le manderò un messaggio con l'orario di quando la verremo a prendere. Se solo trovassi mio figlio. » sospirò, scuotendo la testa e Jiwon mi salutò, prima di sparire dietro la porta dopo aver sentito lo squillo del telefono e con un " a presto! " socchiuse la porta.
Quella famiglia aveva quindi due figli e mi incuriosi sapere chi era, o meglio, com'era il figlio di casa, ma non dissi nulla. 
Lo avrei scoperto tra tre giorni e forse era anche uno di quei ragazzi sempre impegnati con il lavoro, visto che i due uomini non erano a casa o magari con l'università. Non sapevo nemmeno quanti anni avesse, ma pensai a come potevano essere i restanti componenti di quella casa, mentre la signora Choi mi accompagnò alla porta parlando e chiedendomi se avessi voluto essere accompagnato in auto fino a casa, ma rifiutai gentilmente.

Avevo bisogno di pensare, ora, a come dire a mia madre che me ne sarei andato via da quella casa, ma soprattutto a non dire dove sarei andato.

Angolo autore.


Chiedo scusa a tutti per la mia sparizione e per non aver aggiornato nessuna fanfiction.
Ma in questo periodo provederò a continuarne una delle tante che sto scrivendo, lasciandovi un altro capitolo di questa piccola ff. <3
Grazie a tutti quelli che leggono le mie fanfiction. <3

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Capitolo 4
*** Let me go ***


Il mio unico pensiero in quel momento era sulle parole da dire alla donna che, di li a poco, avrebbe varcato la soglia di quella porta.

Inizialmente, mentre preparavo i bagagli, pensai solo di scappare via senza lasciare nulla, nemmeno un biglietto.
Quella donna non si poteva definire madre, alcolizzata e strafatta ogni volta.

Non ho ricordi di lei come madre, a dire il vero, non mi ha mai trattato come un figlio, continuando a ripetermi che ero simile a mio padre e che dovevo pensare da sempre di farmi un futuro con quei soldi che spendeva sulla mia istruzione.

" Non puoi prendere parte a questo evento, costa troppo. "

" Non pensi di prosciugarmi già abbastanza?? Hai già una buona istruzione così senza dover partecipare a questi corsi. Non ho altri soldi da spendere. "

Per lei, l'istruzione, era solo quello dato dalla scuola, da quelle quattro mura in cui solo pochi emergevano.

Durante la mia vita, ho sempre cercato di essere il primo della classe, studiando ed impegnandomi più del dovuto, tutto pur di uscire fuori da quella casa. Perché me lo ripeteva sempre lei che sarei potuto andarmene solo se avessi sgobbato sui libri.
Ma quando sei piccolo credi che basti solo questo, finché non cominci a sviluppare una tua intelligenza e ad aprirti nuove vie di fuga. Via che trovai su internet con quell'annuncio di lavoro.

Ero seduto sul divano di casa, ancora vestito, la valigia nascosta nella mia camera e guardavo la porta, aspettando che entrasse.
Erano le nove di sera, sarebbe dovuta tornare di lì a momenti e più le lancette dei secondi si muovevano, più sentivo la gola secca ed il cuore battere velocemente nel petto.

In quel momento un altro ricordo affiorò nella mia mente, di quando aspettavo l'arrivo di mio padre in quella stessa posizione ogni notte, ma trovavo solo mia madre in casa che mi urlava di andare a dormire e che quel "bastardo di tuo padre " non sarebbe mai tornato. 
Non sapevo bene perché ci lasciò, né tanto meno che faccia avesse, ma per quanto lei mi ripetesse che ero come lui, probabilmente aveva il mio viso.

Ritornai con la mente al presente nel momento in cui sentì la serratura scattare e la porta aprirsi, alzandomi dal divano automaticamente per vedere comparire la figura di mia madre con in mano una bottiglia di vodka ed il trucco un po' sfatto.

« Questa gente che non sa nemmeno trattare una signora...! »

Era entrata senza accorgersi che la osservavo, mentre si toglieva le scarpe con quei tacchi alti e le lasciava abbandonate davanti alla porta di casa, avanzando barcollando verso il piccolo soggiorno poco illuminato.

« Mamma... » pronunciai piano quella parola, notandola avanzare verso il punto in cui ero, ma in cui faceva anche finta di non vedermi.

Alla mia voce si fermò e tenendo la sua bottiglia in mano, mi rivolse un enorme sorriso. Quei sorrisi che ti facevano fare l'alcol senza che ne sei al corrente.

« Changmin! Oh, sei venuto a prendere la tua mamma? Che bravo cavaliere... Ti ho davvero cresciuto bene! »

Si era avvicinata a me, l'odore di vodka che investii il mio viso facendomi quasi rivoltare lo stomaco, mentre la reggevo.

« Mamma, non sono venuto a prenderti... Sei a casa e hai nuovamente bevuto. »

« Se non bevi, credi alla mamma, non sopravviveresti con quella gentaglia. Ma bere fa sempre bene alla mamma! Se non sei venuto a prendermi, allora perché non sei già a letto? Aaah, sei tornato anche tu ora, piccolo mascalzone? »

Continuava a parlarmi davanti al viso e dovevo trattenere il respiro ad ogni sua parola.

« No... Non è come credi. Io... Ti volevo parlare. »

Sentivo una strana morsa allo stomaco, quando lei si spostò da me per guardarmi sotto quelle lunghe ciglia finte.

« Di cosa? Hai per caso messo incinta una? »

Ora sembrava davvero che l'alcol l'avesse lasciata, lasciata per prendere un briciolo di lucidità mentre i suoi occhi fissavano il mio volto.

Sapevo che quelle parole avrebbero dato delle brutte ripercussioni su di me, ma dovevo farlo ora.

" O ora, o mai più. " pensai, stringendo la stoffa della mia camicia e trovando finalmente il coraggio di parlare.

« Me ne vado di casa, mamma. »

Avevo fatto appello a tutta la mia forza per reggere quegli occhi che, da allegri per la vodka come quel sorriso stampato sul suo volto, ora sembravano prendere un colore ed una piega ben diversa. Il sorriso scomparve ed il suo sguardo aveva una strana luce, misto tra il sorpreso, arrabbiato, furioso e non so quanto altro.
Lasciò cadere la bottiglia a terra e questa si frantumò in tanti piccoli pezzi, finendo anche sotto il divano e lasciando espandere quel poco di contenuto che aveva.

« ...tu cosa? » domandò, avvicinandosi nuovamente al mio viso, la furia balenare sul suo suo sguardo.

« io... Io me ne vado. Ho trovato chi mi ospiterà, ma non ti è dato sapere. Sono abbastanza grande per andarmene, mamma. »

« Andartene, eh...? È così che mi ripaghi? È così che tratti tua madre?? »

Lo schiaffo che venne dalla sua mano non mi diede il tempo di parlare, di reagire. Ho sempre pensato che non bisogna mai alzare le mani su una donna, nemmeno se questa donna è la madre che ti ha sempre reso inferiore e ti ha sempre abbassato. 
Ne susseguirono altri quattro e sentii i cocci della bottiglia frantumarsi maggiormente sotto il peso dei miei passi.

« NON USCIRAI DA QUESTA CASA! NON FINCHÉ NON MI AVRAI RIPAGATA DI TUTTO! NON FARAI COME QUEL BASTARDO DI TUO PADRE. »

Non mi potevo aspettare di certo che mi avrebbe fermato perché ero suo figlio, o magari perché non volesse che me ne andassi di casa a quest'età e che avrebbe provveduto per me, mettendosi la testa a posto, ma era solo una lontana utopia, quei pensieri.
Mi spinse, facendomi cadere e continuò a picchiarmi, a calciarmi urlandomi contro quelle parole. Non poteva continuare, non dovevo lasciarglielo fare.

Schivai un suo calcio, rotolando di lato e sollevandomi velocemente anche se avevo schiacciato con il palmo della mano alcuni cocci di vetro, ferendomi.

« TORNA QUI, BASTARDO! »

Dovevo fermarla o fare l'unica cosa senza reagire: scappare velocemente.

Superai il tavolino del salotto disordinato e mi fiondai nel punto in cui avevo nascosto la valigia, prendendolo velocemente per dirigermi alla porta, ma lei afferrò il trolley e cercò di strapparmelo dalle mani e fermarmi nel raggiungere la porta.

« Lasciami mamma! »

« NO. NON USCIRAI DI QUI! NON TE LO LASCERÒ FARE. »

Continuai a divincolarmi e tirai troppo forte, perché lei cadde all'indietro, imprecando dandomi quel lasso di tempo per aprire la porta e correre via, lontano da quella casa, lontano da lei.

Era tardi e non potevo sicuramente andare dai signori Choi e, in quel momento, pensai quanto fossi stato stupido a dirlo quella sera stessa a mia madre, trovandomi ora molto lontano dall'appartamento e davanti alla stazione ferroviaria.

Faceva freddo e la mano cominciava a prudermi e a farmi male. Dovevo assolutamente lavarla e fasciarla, ma soprattutto dovevo trovare un posto per passare la notte.

« Non mi rimane che questa stazione... » avevo poco con me e per prenotare in una piccola stanza i prezzi erano abbastanza alti, almeno per ciò che tenevo in mano.

La stazione, di notte, non era così affollata ed aveva una strana atmosfera. I pochi viaggianti camminavano velocemente senza badare ai barboni che entravano per nascondersi all'interno dei bagni e riposare senza farsi vedere dai sorveglianti. 

Due passanti osservarono il mio viso che abbassai, trascinando il trolley e dirigendomi in un bagno non molto distante dall'uscita d'emergenza. Entrai velocemente, dopo aver constato che non fosse occupato da nessuno e mi rinchiusi dentro, tirando un sospiro. Ero davvero caduto così in basso? Lasciai il trolley e mi diressi verso i lavandini, osservando il mio riflesso allo specchio e sussultando quando capì com'era messo il mio viso: era rosso e c'erano ancora i segni delle mani di mia madre, per non parlare dell'evidente graffio lasciato da una delle sue unghia all'altezza della gote destra. Gli occhi leggermente gonfi.

Aprii il rubinetto lasciando scorrere un po' l'acqua ed attendendo che arrivasse quella calda, ma evidentemente in quelle ore non era disponibile. Dovetti lavarmi delicatamente il palmo della mano con l'acqua gelida, ringraziando che non avessi cocci di vetro nella mano e così anche il viso, asciugandomi delicatamente per quanto mi faceva male al minimo tocco.

  « C'è qualcuno lì dentro? »

Sobbalzai sentendo quella voce dietro la porta e richiusi subito il rubinetto, stando in silenzio.

  « Se c'è qualcuno, apra la porta. »

Non sembrava la voce di uno dei sorvegliati, tanto era confusa e quasi da assonnato, ma non rimase nemmeno lì per molto. Perché dopo una piccola imprecazione, corse via e capii il motivo che mi portò ad avvicinarmi piano all'interruttore della luce per spegnerlo. 

Stavolta erano passi lenti e sicuri e stavolta era davvero il sorvegliante che si fermò davanti alla porta del bagno senza provare ad aprirla. Restai seduto in un angolo, vicino al trolley ad osservare quell'ombra immobile sotto la fessura della porta e pregai che non provasse minimamente ad aprirla. 

Non ricordai per quanto rimasi ad osservarlo, ma lentamente tutto divenne buio, lasciando spazio alla stanchezza ed al sonno che quel piccolo angolo buio del bagno aveva calato sul mio corpo.  

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Capitolo 5
*** Who are you? ***


Era stato fin troppo scomodo stare seduto in quel bagno e dormire. 
Non ricordai nemmeno quante volte aprì gli occhi per spostarlo alla piccola finestra rettangolare che dava sulla strada, sperando di scorgere i primi raggi del sole.

Raggi che arrivarono dopo un bel po', accompagnati dai primi movimenti delle auto e delle persone che andavano e venivano.
Mi diedi una rinfrescata veloce, lavandomi piano il viso con la mano senza ferita e controllando l'altra, cambiando il bendaggio provvisorio fatto di carta igienica.

Aprì la porta, uscendo dal bagno con il trolley come se niente fosse, come se non avessi passato la notte dentro quelle quattro e piccole mura poco igieniche e sperando che il mio volto non venga fissato per quel gonfiore e quel graffio sulla guancia dato da quegli schiaffi, ma non ne ero poi così sicuro, scorgendo come quelle poche persone fatte di gente che andava al lavoro e studenti a scuola, che davano veloci occhiate verso la mia direzione.

Arrivai ad una macchinetta per le bevande e presi velocemente un caffè lungo per poi mettermi in cammino verso la fermata dell'autobus che mi avrebbe portato a casa dei signori Choi.

Una volta salito sul mezzo portai il trolley accanto a me e presi il cellulare per mettere la musica ed immergermi, momentaneamente, in quel mio angolo, ma la sfortuna era dalla mia parte perché non solo trovai diverse chiamate di mia madre ed alcuni messaggi, ma anche che avevo il 10% di batteria.

« Perfetto... » mormorai, rimettendo via le cuffiette e tornando a guardare fuori, ad osservare nuovamente quel panorama che avevo visto scorrere il giorno prima.

Doveva essere un momento di liberazione e, effettivamente, lo era, ma qualcosa mi tormentava: il fatto che sarei dovuto vivere sotto il tetto dei miei datori di lavoro.

Avevo solo conosciuto le due donne della casa, ma non il signore e l'altro componente della famiglia e probabilmente quel giorno avrei conosciuto entrambi. O forse no.

Il bus si fermò davanti alla mia fermata e scesi, tenendo il trolley al mio fianco, osservando il sentiero che mi avrebbe condotto alla villa dei Choi.

« Oh... Maledizione... » mi ricordai solo allora che dovevo essere lì tra tre due giorni e non oggi. E non avevo nemmeno avvertito i signori Choi del mio improvviso arrivo.

Avevo pochissima batteria, ma forse sarei riuscito a fare una chiamata veloce alla signora e così, rimanendo fermo a quella fermata, ripresi il cellulare e cercai il suo numero, ma il destino non girava nel verso giusto. Lo schermo divenne improvvisamente nero e si spense, lasciandomi davvero senza un minimo di batteria.

« Perfetto... Davvero... » sospirai, pensando che fosse il caso di andare direttamente da loro, ma mentre attraversavo la strada, un auto troppo veloce freno in tempo, facendomi sobbalzare sul proprio posto e guardando l'auto, una Porsche nera ben lucida, i vetri oscurati per non mostrare chi ci fosse dentro.

« Stia attento a dove va! » dissi, stando ancora in mezzo alla strada, ma questo mi superò senza nemmeno abbassare i finestrini e si riprese la sua strada, lasciandomi del tutto allibito. Forse non era poi così diverso da dove vivevo io con mia madre, ma non rimasi a lungo in quella strada, cominciando a camminare ed arrivare, a tre minuti di cammino, davanti alla residenza dei Choi.

Mi fermai e suonai al pulsante vicino al cancello, cercando anche le parole adatte nella mia mente per scusarmi di essere arrivato prima ed anche di non aver avvisato, ma i miei occhi caddero verso un auto non molto distante dai gradini della porta, la Porsche nera che mi aveva quasi investito.

« Signorino Shim? È già qui? » mi ripresi quando sentì la voce della signora Choi dietro al citofono e sollevai il viso verso la videocamera per accennarle un sorriso prima di rispondere.

« Le chiedo scusa per la mia improvvisa comparsa, ma... »

Non mi diede il tempo di finire che i cancelli si aprirono e potei fare un sospiro di sollievo. Almeno non mi aveva rimandato indietro.

Percorsi il sentiero che separava il cancello dall'entrata della lussuosa abitazione, tenendo gli occhi sulla Porsche e memorizzando anche la targa.

« Signorino Shim, è arrivato prima del previsto. »

Spostai lo sguardo in avanti vedendo la signora Choi aprire la porta ed affacciarsi, elegante in quel completo beige e i capelli raccolti in una treccia, un rossetto rosso non troppo marcato sulle labbra.

Forse stava per uscire o quello che lo stava per investire era il signor Choi?

« Le chiedo davvero scusa... Volevo avvisarla, ma purtroppo il cellulare mi ha abbandonato... » mi fermai davanti alla scalinata, facendo un inchino davanti alla donna e scusandomi per essere fiondato lì senza pensare e senza nemmeno un preavviso.

Tenni ancora il viso rivolto verso terra e l'inchino, finché non mi posò una mano sulla spalla, invitandomi a rialzarmi.

« Non si preoccupi. Mi dispiace solo che non ci abbia dato modo di venire a prenderla. Mio figlio avrebbe davvero provveduto a farle avere questo piccolo servizio. »

« Non si preoccupi, signora Choi. Anzi ringrazio lei per avermi perdonato per questa improvvisa comparsa. » mi affrettai a dirle. Certo che non si dimenticava nulla ed era ancora fissata di venirmi a prendere. Una vera fortuna che non abbia atteso e nemmeno aspettato.

Mia madre avrebbe osservato da cima a fondo quelle persone e dove c'era grana, c'era anche altro per lei.

« Prego, si accomodi. Le faccio portare il trolley dentro. I suoi averi verranno qui presto o...? »

Mi ero dimenticato di tutto il resto che lei mi fece notare, ma cosa altro potevo avere in quella casa ormai non più mia? Tutto il necessario era lì, insieme allo zaino piegato dentro il grande trolley.

« Oh, no. Ho pensato di lasciare le cose lì, visto che un mio amico si stava trasferendo e ho fatto il passaggio dell'affitto con lui. E non serve signora, posso portarlo. »

« É davvero un ragazzo di buon cuore. Allora venga. Le mostrerò la sua stanza e potrà riposarsi sia oggi che domani, dato che il suo arrivo era previsto per dopodomani. Così potrà fare un giretto della casa e memorizzare le varie stanze. »

Mi sorrise e mi invitò ad entrare. Finalmente ero dentro e finalmente ero anche al caldo, le mani che dolevano per quel cambio di piacevole di temperatura come anche le orecchie.

« La ringrazio ancora signora Choi. » non potevo smettere di ringraziarla e mi condusse ai piani superiori, facendo le scale.
Come avevo immaginato, le camere si trovavano lì ed era anche quello spazio abbastanza grande con diversi mobili di valore ed alcune foto della famiglia con i figli in tenera età ed alcuni eventi dove avevano preso parte.

« Oh... Ti dispiace se vai a vedere tu la tua stanza? Purtroppo devo scendere velocemente in studio. Mio marito ha bisogno di un documento urgentemente e devo inviarglielo tramite fax. Comunque è la porta in fondo a destra. Spero ti piaccia e mi scusi ancora. »

Le era arrivato un messaggio, dato che sentì il suo cellulare squillare.

« Non si preoccupi e va bene, signora Choi. » le dissi con un piccolo sorriso, ricambiando l'inchino che mi fece e lasciandola andare.

Il corridoio del piano superiore era abbastanza lungo e largo e cominciai a camminare, trascinando il trolley con me su quel tappeto pulito e beige. Era tutto così pulito ed ordinato e mi ritrovai a chiedermi se ci fossero altri dipendenti nella casa o forse era solo la signora e sua figlia ad occuparsene.

« In fondo al corridoio e a sinistra. » mi fermai davanti alla porta, con accanto un'ampia finestra che dava alla piazzola d'entrata ed al giardino. Era bellissima la visuale da là su e mi fermai a pensare come fosse nella bella stagione primaverile, ritrovandomi a sorridere pensando a quegli alberi ora spogli rigogliosi ed i cespugli carichi di fiori.

Tornai a guardare la porta, facendo un profondo respiro e posando la mano sulla maniglia.

La mia nuova casa, la mia nuova stanza, la mia nuova vita iniziava da lì.

Abbassai la maniglia, spalancando la porta con il profumo della camera che sembrava invitarmi ad entrare e finalmente l'avevo ormai aperta del tutto quando mi raggelai, sgranando gli occhi e socchiudendo le labbra sorprese.

Non era la bellezza della camera ad avermi colpito con la libreria ordinata, la scrivania con vari fogli ed un portatile chiuso, il comodino con alcune cose posate sopra ed il letto enorme a due piazze e mezzo che era vicino ad una grande finestra dalle tende rosse di seta spostate che lasciavano filtrare tanta luce, ma da quella schiena e quelle spalle nude di un ragazzo che era di spalle, i jeans addosso per fortuna e che si stava scervellando ( forse ) a scegliere la camicia adatta che sarebbe andato su quei jeans.

Erano delle spalle davvero ampie e la muscolatura perfetta, come anche la pelle e le braccia.

« Signora, cosa pensa possa andarmi bene? Questo o questo? »

Aveva preso le due camicie dal letto, una in ogni mano, voltandosi verso di me che ero ancora imbambolato davanti a quella visione e rimasi ancora più imbambolato quando riuscì a scorgere il suo volto: un viso maturo, ma anche dolce con quel sorriso, la fronte larga e gli occhi di una luce che mi attraeva.

« Mi scusi. Ragazzo, mi scusi. »

Si stava rivolgendo a me e dovetti riprendermi, quando mi sentì nuovamente chiamare e ritornai sul pianeta Terra, gli occhi su quel viso ora serio che mi scrutavano.

« O-oh... Mi scusi. Pensavo fosse... »

« Mi scusi, ma... Chi è lei? » mi domandò con occhi indagatori, tornando a scrutarmi dall'alto verso il basso. Mi sentì abbastanza infastidito da quello sguardo e mi rannicchiai quasi per nascondere qualcosa che nemmeno sapevo.

« Lei chi è, piuttosto. E, se permetti, non dovresti nemmeno scrutare le persone in questo modo. »

« Sei quel ragazzo della strada? »

Ecco chi era! Il conducente che per poco mi stava per investire.

« Io son-... »

« Siwon, vedo che hai conosciuto il nostro nuovo domestico! » mi interruppe la voce della donna che arrivò in quel preciso momento dietro di me, sorridendo ampiamente al ragazzo davanti a noi e poi a me.

« Signorino Shim, ha sbagliato porta. È la destra, camera sua. Ma direi che è anche un buon modo per conoscere l'altro membro della nostra famiglia, mio figlio Siwon Choi. »

Stavo guardando la signora, mentre parlava e, quando sentì chi avevo davanti e a chi avevo anche rivolto quelle parole, tornai a guardare quel ragazzo che ora aveva indossato una semplice camicia bianca dal collo alto, i capelli del tutto fuori posto, mentre tenevo gli occhi puntati sulla sua figura seria e la bocca aperta per la sorpresa.

Il conducente pazzo non era altri che il figlio maggiore della famiglia.

Alla domanda che gli stavo per fare ebbi ora la risposta: Siwon Choi.



Spazio autrice

Ecco arrivati al quinto capitolo, dove finalmente Changmin incontra Siwon. Cosa pensate potrà accadere ora? 
Vi ringrazio per le letture che questa fanfiction sta ricevendo e spero che anche #Slave vi piaccia.

Buon sabato cari. <3

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Capitolo 6
*** Nightmare ***


Tenevo lo sguardo sul soffitto, disteso sul grosso letto della mia camera.

Non mi ero minimamente fermato ad osservare quanto fosse grande e quante cose avesse quel mio angolino, ma ero entrato in camera dopo che la signora me lo indicò, richiudendo la porta e lasciando il trolley al centro della stanza.

Stavo ancora pensando a quel ragazzo, il figlio maggiore dei Choi e a quei suoi occhi. Occhi che lo stavano scrutando con una certa aria da spavalderia.

« Min, dovresti smetterla di pensarci. Non tutti sono "normali", no? » si trova a pensare a voce bassa, guardando continuamente quel soffitto e tirandosi seduto sul letto, osservando ora la sua camera.

Era spaziosa e c'erano due librerie abbastanza grandi che poteva riempire con i libri scolastici ed alcune foto, se ne avessi portate qualcuna.

Avevo lasciato velocemente quella casa e in malo modo e ciò che avevo era per la scuola ed i pochi vestiti che erano riusciti ad entrare nel trolley.

Avrei comprato altro con la mia prima paga in quella casa.

Non potevo stare tutto il tempo lì imbambolato ed iniziai allora a svuotare il trolley e sistemare le mie cose in quegli spazi che erano ormai miei.

Spostai la tenda, così grande che nascondeva una finestra altrettanto enorme, affacciata al giardino che dava anche ad un piccolo angolo con alcune panchine. Probabilmente era lì che la famiglia Choi passava le giornate di primavere ed estive in tutta tranquillità.

Mi piaceva come ambiente, tralasciando quel ragazzo mal conosciuto quel giorno.

Tornai verso l'armadio dove riposi la giacca e presi delle scarpe comode che mi ero portato dietro, pronto ad uscire dalla camera. Non potevo stare a lungo lì e dovevo conoscere bene quel luogo, come anche quella famiglia di cui mi sarei dovuto prendere cura.

Aprì la porta, ma sussultai quando mi ritrovai il figlio maggiore dei Choi davanti a me con quello sguardo che, se non fosse il figlio del datore del mio lavoro, avrei preso volentieri a schiaffi.

« Ti stai sistemando bene? Ti piace la tua... Camera? » domandò con uno strano sorriso sulle labbra, tanto da fargli comparire una fossetta sulla guancia destra. Era abbastanza alto, ma più con un fisico da palestrato, anche se i muscoli non erano così enormi da poter scoppiare sotto la sua pelle.

« Si, è molto bella e luminosa. Voleva sapere se stessi bene nella stanza assegnata, signor Choi? » risposi, mantenendo stranamente un tono quasi simile al suo, di stesso grado.

« Lo so, dato che molte delle stanze di questa casa sono pressoché simili. Ma ricorda dove si trova. Potresti entrare in camera mia in momenti poco piacevoli e non mi farebbe piacere, lo sai? »

« Se intende per quello che è successo poco fa, le chiedo scusa. Avevo capito male ciò che aveva detto la sign-... » le parole mi morirono sulle labbra, quando vidi la sua mano appoggiarsi allo stipite della porta ed avvicinarsi a me, guardandomi negli occhi.

Non cedetti al suo sguardo, ma sentivo le gambe tremarmi, stranamente. Era vicino, forse fin troppo per i miei gusti, mentre scrutava i miei occhi per poi abbassare lo sguardo sulle mie labbra e tornare nuovamente sui miei occhi.

« Chiamami Siwon e... Cerca di medicarti quel labbro. Non ha un bel vedere su questo viso da bambino. » 

Si spostò, tenendo quel suo sorriso sulle labbra che sembrava quasi scemo, lasciandomi così lì, ancora senza parole per quella vicinanza.

Non sono uno che trova gli uomini attraenti, sotto quel punto di vista, ma quel ragazzo aveva avuto uno strano effetto su di me.

Mi ripresi, dandomi alcuni colpi sulla fronte e chiusi la porta, andando al piano inferiore per cercare la signora Choi e magari fare un tour della casa in cui da domani avrei prestato servizio.

Scesi le scale, osservando nuovamente quel meraviglioso ingresso con i vari mobili moderni che però davano un senso di lusso antico e pregiato, accarezzando con le dita la balaustra di legno lucido e sentendo quanto fosse liscio al tatto.

« Oh, si è già cambiato, signorino Shim? » a risvegliarmi da quel magico momento fu la figlia dei signori, Jiwon, che stava salendo le scale in quel momento.

« Si, ho appena finito di sistemare le mie cose e stavo scendendo per... »

« Oh, cielo... Il suo labbro. » anche lei si era accorta di quel mio labbro e, prendendomi per mano, mi portò giù, verso quello che era il bagno della casa.

Era gradissimo, con due vasche ( esattamente una era una vasca idromassaggio ) tutto interamente di marmo pregiato con due lavandini ed un grande specchio con due lampadine che illuminava il bagno nelle ore buie. Era bello spazioso e Jiwon lasciò la mia mano per dirigersi verso un mobiletto basso bianco, da cui prese un piccolo kit di medicazione e lo posò sul ripiano del lavandino.

« Siete caduto? » domandò lei, mentre io ero ancora imbambolato davanti all'entrata di quel posto. 
Quella casa era il quadruplo di dove vivevo con mia madre.

« Si, mentre stavo venendo qui sono inciampato e... Beh, lo vede anche lei. » le sorrisi e mi sedetti dove mi indicò, lasciando che guardasse com'ero conciato. Fu delicata, cominciando a ripulire l'angolo e poi il labbro con le dita leggere, mentre io la osservavo.

Era uguale a suo fratello, solo con il viso più gentile e delicato, gli stessi grandi occhi profondi.

« Ecco, ora penso sia a posto. »

Ripresi contatto con la realtà dopo le sue parole e la guardai spaesato, posando le dita sul labbro che aveva medicato.

« La ringrazio... »

« Si figuri... E... Posso chiederle una cosa? » domandò lei, dandomi le spalle per sistemare al suo posto quel kit di medicazione al suo posto.

« certo... Mi dica pure. » risposi, alzandomi dal bordo dove mi ero  seduto.

« Siamo della stessa età... Pensavo, perché non darmi del tu? Non mi piace molto il "lei" e, come ho detto, siamo coetanei. » tornò a guardarmi e sorrise con dolcezza, facendomi arrossire come un perfetto idiota.

« Se... Se vuoi, certo... »

« Perfetto allora. Ricorda di medicarlo anche stasera, Changmin oppa. Sai dove trovare il kit ora. »

« ah... Ah, si... Grazie ancora, Jiwon. »

« Ancora di nulla. Ora vado nella biblioteca. Dopo dovrebbe arrivare il professore di pianoforte. Fai pure il giro della casa e riposati oggi. A dopo, oppa. »

Lei uscì, lasciandomi ancora imbambolato per quelle parole.

« Oppa... »

Mi piaceva essere chiamato così, soprattutto da lei che si era anche dimostrata molto gentile. Sorrisi come un abete, uscendo dal bagno e tornando nuovamente al piano inferiore, alla ricerca della signora Choi.

Non era poi iniziata così male, quell' giornata.

Passai davanti allo studio dove andai per il colloquio e bussai, sicuro di trovare la signora lì.

« Avanti! » ed infatti era lì dentro, seduta dietro la scrivania di suo marito con il portatile acceso davanti a sé, gli occhiali sul viso e quel sorriso caloroso sulle labbra.

« Non si sta riposando, signor Shim? »

« Si, lo sto facendo signora. Volevo solo, ecco... Volevo poter fare una visita della residenza, così da poter cominciare domani senza problemi. Potrebbe farmi da, ehm... Guida? » chiesi, rimanendo sulla soglia della porta.

« Certo, caro. Ma... Purtroppo dovrei finire alcune cose al computer. Magari puoi... Aspetta. »

Spostò lo sguardo sul cordless che prese, premendo un tasto. Attese un bel po', prima di cominciare a parlare, facendomi cenno di attendere.

« Tesoro, so che sei tornato da poco, ma sono occupata con alcune pratiche di tuo padre. Potresti accompagnare il signor Shim per fare il giro della casa? Va bene, grazie tesoro. Ok, glielo dirò. » spostò il cordless dall'orecchio e mi guardò, accennando un sorriso.

« La accompagnerà mio figlio. Mi ha detto di dirle che la attende nella piccola palestra di casa che si trova esattamente... Fuori dallo studio, tre porte a destra del corridoio. »

« Suo... Figlio? » tutto ma non lui. Avrei voluto trovare una scusa per non fare quel giro con lui, ma era inutile e la signora avrebbe pensato davvero che non volessi trovarmi con uno dei componenti della famiglia. 

« Si, lui caro. Perché? » mi domandò, tornando però con lo sguardo sullo schermo del portatile e cominciando a scrivere.

« No... Non volevo disturbare il signor Choi, dato che è appena tornato.. »

« Non ti preoccupare, caro. A lui farebbe anche bene camminare un po' per la casa e parlare con qualcuno con un'aria giovane come la sua. Su, ora lo raggiunga e spero che le mostri tutta la casa. »

Annuì, facendo un piccolo inchino per poi richiudere la porta e sospirare.

" Non lui... "

Ma ormai era fatta e dovevo solo dirigermi verso la piccola palestra della casa, seguendo le indicazioni che mi diede la signora.

Tre porte a destra. 
Sentì qualcuno in quella stanza e sapevo chi fosse, mentre bussavo per farmi sentire, ma senza ricevere risposta.

Allora aprì la porta e me lo ritrovai con un maglia senza maniche bianca e dei pantaloni della tuta neri, davanti ad un ampio specchio a sollevare pesi. Quella stanza era abbastanza grande, tanto da avere molte delle attrezzature essenziali per fare palestra.

Rimasi ad osservare quelle braccia muscolose che si contraevano ad ogni sforzo che faceva. Sembrava anche che non si fosse accorto della mia presenza, continuando a sollevare quei due pesi con le braccia.

Schiarì la voce e bussai un'altra volta sulla porta, ricevendo allora l'attenzione del tipo, che mi fisso con uno sguardo ben diverso attraverso lo specchio, uno sguardo che non sapevo se interpretarlo come un " sparisci " o come " dammi tempo o ti tiro addosso i due pesi ", ma mi ero ricordato che aveva accettato di farmi fare quel tour, forse controvoglia.

Si allontanò dalla sua postazione, andando a posare i pesetti per terra in un angolo e prendere un asciugamano rosso con cui si asciugò il viso.

« Andiamo a fare questo giro della casa, signorino. » furono le parole che mi rivolse, superandomi e camminando verso il corridoio.

Quanto mi stava antipatico, tralasciando il fatto che mi stava anche per investire.

Chiusi velocemente la porta della "palestra" e lo seguì dietro, allungando i passi per stargli dietro e raggiungendolo.

« Se non volevate accompagnarmi, bastava dire di no. » azzardai, dicendogli quelle parole e tenendo il passo con lui.

Il tipo accennò una mezza risata e continuò a camminare, tenendo l'asciugamano sulle spalle.

« Pensi che non voglia? Sarai qui per molto e poi sono il figlio della donna che ti ha assunto. Sarei maleducato a dire di no ad un favore che mi chiede mia madre, non pensi? »

« Penso solo che si può anche dire di no a qualcosa che non si vuole fare. Sennò lo si fa solo con controvoglia. »

Lui sì fermò, prendendomi un polso e fermandomi.

Non potete immaginare la mia sorpresa ed anche la paura di quella stretta attorno al mio polso esile. La sua mano era davvero enorme e calda e mi ritrovai a guardarlo negli occhi, deglutendo.

« Penso che, d'ora in poi, in questa casa, dovrai imparare a dire di sì. Lo sai, signorino Shim? » disse, avvicinandosi al mio viso e guardandomi negli occhi.

" Ma cosa diavolo stava facendo? " pensai, rimanendo fermo e guardandolo avvicinarsi sempre di più al mio viso, le sue labbra che sfiorarono il livido sul mio labbro, facendomi stingere le mani a pugno.

« No...ma cosa sta facendo?? » non so dove trovai la forza per allontanarmi, ma lo feci, guardandolo con gli occhi sgranati per la paura e la sorpresa di quel gesto.

" Che gli piacciano gli uomini...? "
Non avevo nulla contro chi amava il suo stesso sesso, ma non io. Non volevo essere di quella sponda e nemmeno volevo qualcuno che pensasse che lo fossi.

In tutta risposta, lui mollò la presa, scoppiando a ridere e superandomi per riprendere a camminare.

« Volevo solo vedere se ti avessero sistemato bene quella ferita sul labbro. E devo dire che Jiwon ha fatto un bel lavoro. »

Sì fermò, leccandosi le labbra, tornando a ridere nuovamente con quella sua faccia che avrei davvero preso a schiaffi, ma che dovetti anche reprimere quell'impulso.

« Avanti, non ho tutto il giorno a disposizione. »

Mi lasciò lì, camminando via e portai una mano sulle labbra, rabbrividendo.

Qualcosa mi diceva che sarebbe stato il mio incubo in quel piccolo angolo di salvezza e paradiso.

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