Il sicario che voleva diventare uno scrittore

di violaserena
(/viewuser.php?uid=256192)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un incarico importante ***
Capitolo 3: *** La scia rossa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Non si può scegliere il modo di morire. O il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.
John Baez

 
Il cielo era grigio.
Le persone correvano da un lato all’altro della strada.
A ogni angolo spuntava qualcuno che vendeva ombrelli.
Stava piovendo.
Un ragazzo, seduto da solo in un piccolo bar del centro cittadino, leggeva con attenzione.
«Leggi sempre quel libro, ragazzo? È così interessante?» domandò un uomo sulla quarantina con uno strano cappello a cilindro.
«Lo è. L’ho già letto tantissime volte» rispose educatamente il giovane.
«Ci sono molte storie nel mondo che sono di gran lunga più interessanti di quella. Comunque, dov’è la terza parte?».
«Non ce l’ho. L’ho cercata e ricercata, ma non l’ho mai trovata».
«Ora torna tutto. La terza parte di quella storia è il peggio del peggio. Dovresti considerarti soddisfatto con solo le prime due parti. Lo dico per il tuo bene».
Il ragazzo guardò stupito l’uomo e poi scosse la testa: «Temo di non poterlo fare».
«Allora scrivila tu».
«Scriverla io?».
«È l’unico modo per preservare la perfezione di quella storia. Scrivere una storia significa scrivere di una persona e di come quella persona dovrebbe vivere e morire. Da quello che ho visto, hai i requisiti adatti per farlo».
«Tu chi sei?» domandò con una strana punta di interesse. Quell’uomo sconosciuto aveva risvegliato in lui qualcosa, anche se non sapeva cosa.
«Io? Il mio nome è…».
Aprì gli occhi.
Si alzò lentamente dal letto e guardò l’orologio. Erano le 8:30.
Ripensò a quello che aveva appena sognato o sarebbe meglio dire ricordato. Erano passati dieci anni da quel giorno. All’epoca aveva solo ventidue anni. Il tempo era passato davvero in fretta.
Non aveva più rivisto quell’uomo, ma le sue parole si erano impresse per sempre nel suo cuore. Non avrebbe mai più potuto cancellarle. Mai.
Si portò le mani alla testa.
Come si chiamava quell’uomo?
Cercò di far riaffiorare i suoi ricordi, ma per quanto si sforzasse proprio non riusciva a ricordare il suo nome.
Forse non era quello il momento giusto.
Si lavò e si vestì rapidamente, poi uscì.
Notò con piacere che dopo una intensa settimana di pioggia era finalmente uscito il sole. La temperatura era più alta del solito, tanto che non sembrava di essere a fine novembre.
Comprò il giornale e dopo aver letto rapidamente i titoli – dalla morte di Fidel Castro alle discussioni sul referendum alla vittoria del Torino sul Chievo – guardò le pagine dedicate alla cronaca cittadina. In particolare fu attratto da un articolo, quello riguardante l’inabissamento del battello Valentina.
Forse era stata la parola “sognare” riportata nel titolo a spingerlo a leggerlo:
A prima vista, ormeggiata ai Murazzi, Valentina strappava un sorriso, per via di quei cartelli piantati sul molo in pieno stile burocratese GTT che te la facevano equiparare a un qualsiasi autobus terrestre. Ma con tutta evidenza, chi prendeva Valentina non doveva né voleva andare da nessuna parte: sperava solo di perdersi in un’avventura urbana, cullato dalla corrente. Perché alla fine il miracolo consisteva in questo: potersi immaginare la realtà quotidiana da un altro punto di vista che solo il fiume ti consente, con la sua lentezza e la sua alterità rispetto al ritmo metropolitano. In questa chiave, il naufragio dei battelli per la navigazione sul Po assomiglia alla cancellazione di un sogno o quantomeno della possibilità di sognare. Chissà cosa stabilirà l’inchiesta: se si appurerà una colpa specifica o se si ascriverà il disastro all’ineluttabilità delle forze naturali. Ma in fondo non importa. Comunque sia, sarà la sanzione di una sconfitta. Ci è stato tolto uno strumento di fantasticazione, la chance di una fuga innocente. Oppure, se vogliamo questo evento come una metafora, le implicazioni sono ancora più inquietanti. […] Naturalmente le metafore sono immagini da interpretare. Questa città (chiunque la governi) ha le risorse per venire fuori dalla sua crisi. Ma sembra evidente che un ciclo nella storia di Torino si è chiuso. E la fine sta lì, nella fotografia di quella barca a pancia all’aria che prima si è ribellata alle ancore che la trattenevano; poi a chi la voleva ingabbiare in un salvataggio mal congegnato; e che infine ha sceso libera il fiume, valicando quel limite che non le era mai stato consentito oltrepassare. Un naufragio che è anche un gesto di ribellione. E in questo senso la metafora diventa anche l’ipotesi di un’utopia liberatoria. Forse anche noi, prima o poi, dobbiamo strappare gli ormeggi. Arrivederci, Valentina. E grazie.
Finito di leggere l’articolo, provò una strana sensazione, uno strano senso di identificazione con Valentina. Forse, dopo tanto tempo, era arrivato il suo momento. Forse anche lui sarebbe stato libero.
Proprio in quell’istante suonò il cellulare. Guardò il numero e subito l’euforia che aveva provato si spense.
Voleva bene a quella persona. Era probabilmente uno dei pochi amici che aveva. Ma era anche l’incarnazione della sua prigionia, il simbolo di quella realtà da cui voleva allontanarsi per poter essere quello che – dall’incontro avvenuto dieci anni prima con quell’uomo – aveva desiderato diventare: uno scrittore.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un incarico importante ***


UN INCARICO IMPORTANTE
 

Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa.
Luigi Pirandello

 

Era calata la sera su quella città attraversata dal fiume.
Era calata la sera quando era entrato in quel locale semivuoto.
Era calata la sera quando si era seduto accanto al suo amico.
«Sei in ritardo, Sandro» sorrise quest’ultimo.
«Scusami, non ero certo di voler venire».
«Schietto come sempre, eh?».
Lui fece spallucce.
«Lo sai che oggi c’è stata una sparatoria? Stavo trafficando armi in un magazzino con una banda vivace che aveva un bel furgone dotato di mitra» gli spiegò senza curarsi del cameriere che stava servendo loro del brandy nel bicchiere.
«Ti hanno ferito, a quanto vedo».
«In realtà no. Nel bel mezzo dell’azione ho avuto bisogno del bagno, ma sono caduto per sbaglio in un fosso. Sai, andavo di fretta».
«Capisco. Quando hai fretta è difficile evitare certe cose».
«Già. Comunque alla fine sono scappati piangendo. Erano un gruppo come tanti altri, utili come una moneta da cinquanta centesimi. Per colpa loro, ancora una volta, ho sprecato il mio tempo».
Sandro posò il bicchiere e guardò l’amico. Non aveva l’aspetto di una persona crudele o particolarmente forte, ma l’apparenza poteva trarre in inganno. Tutti, all’interno dell’organizzazione, sapevano che la più grande sfortuna dei nemici di Daniele era essere suoi nemici.
La lista delle sue gesta, stilata col sangue nelle tenebre, avrebbe potuto far impallidire qualsiasi altra banda criminale.
«Guarda guarda chi si vede» si alzò all’improvviso Daniele.
Sandro si voltò e con sua sorpresa vide arrivare Angelo, uno degli agenti segreti dell’organizzazione.
«Ho avuto da fare. Ho perso molto tempo per comprare degli articoli di contrabbando. Non ho ottenuto molto però, a parte un orologio d’epoca» sospirò questi, mostrando il contenuto della sua valigetta e sedendosi accanto a loro.
«Non è andata poi così male, in fondo» sorrise Daniele. «Invece tu Sandro che cosa hai fatto?» domandò curioso.
«Ho punito un ragazzino che stava cercando di rubare delle brioches da un supermercato. Ho fatto da mediatore tra l’amante e la moglie di un dirigente di una delle nostre società di copertura e per finire mi sono occupato di una bomba inesplosa, trovata davanti a uno dei nostri magazzini» spiegò senza tanto entusiasmo.
«Ehi Sandro, scambiamoci il lavoro. Voglio occuparmi anch’io delle bombe inesplose!» esclamò euforico Daniele.
«Non sapresti cosa fare. Probabilmente esploderesti».
«Concordo» annuì Angelo.
«Siete crudeli».
«Dici? A me non sembra. Comunque, come mai siete qui?» domandò Angelo.
«Per nessun motivo in particolare. Avevo solo voglia di venire qui».
Sandro per poco non rovesciò il bicchiere. Il suo amico l’aveva fatto andare lì per nulla?
«Ho avuto la sensazione che se non fossi venuto me ne sarei pentito per il resto della mia vita» proseguì Daniele.
Stava forse per succedere qualcosa?
Stava per cambiare qualcosa?
Stava forse per ottenere la sua libertà?
Tutte queste domande affollarono la mente di Sandro e lo fecero vacillare.
Il suo cuore cominciò a battere più forte.
Bevve un sorso di brandy e cercò di calmarsi. Non doveva avere fretta, altrimenti sarebbe caduto e non sarebbe mai più riuscito ad alzarsi.
Doveva attendere. Non era ancora arrivato il momento.
Quel momento però era in agguato e sarebbe arrivato prima di quanto potesse pensare.
 

*
 

Un suono di passi risuonava per un lungo corridoio. Inizialmente erano veloci, poi piano piano divennero sempre più lenti. Poi, d’un tratto, non si udì più nulla.
Qualcuno sospirò e bussò.
Nessuno rispose, ma quella persona entrò lo stesso perché sapeva che lo stavano aspettando.
Due uomini con i fucili puntati gli sbarrarono il cammino. A un cenno, però, abbassarono le armi e lo lasciarono proseguire.
«Perché mi ha chiamato?» domandò Sandro alla figura seduta dietro una scrivania finemente ornata.
«Devi trovare una persona» rispose questi sorridendo ambiguamente.
Era il capo dell’organizzazione di cui faceva parte. Un uomo losco, infido, dotato di un’intelligenza al di sopra della media: solo così si poteva avere successo nel mondo della criminalità.
«Non vorrei sembrarle scortese, ma ci sono persone di grado più elevato che normalmente si occupano di queste cose».
«Lo so, però ho sentito parlare bene di te, per cui voglio che sia tu a occuparti di questo incarico. E poi la persona scomparsa è una persona che conosci bene».
Fece una breve pausa per poi proseguire dicendo: «Si tratta di Angelo Salanto».
Sandro rimase senza parole.
«È scomparso ieri notte. Non è tornato a casa. Potrebbe aver deciso volontariamente di scomparire o magari è stato rapito» spiegò il capo.
«E lei vuole che io scopra quale delle due opzioni è corretta, dico bene?».
L’uomo sorrise, ma non rispose alla sua domanda. Posò la penna che aveva in mano e disse: «Come sai Angelo è un membro dei servizi segreti della nostra organizzazione. Conosce una miriade di segreti che potrebbero condurre alla nostra rovina. Pertanto è essenziale ritrovarlo. Ma non credere che sia solo per questo. Angelo è un membro prezioso per me, per cui voglio aiutarlo».
Aiutarlo a rimanere in silenzio pensò Sandro.
«Prendi questo. Mostrandolo potrai avere accesso ovunque e potrai dare ordini anche ai dirigenti» gli porse un foglio.
Lui lo prese con riluttanza.
«Un’ultima cosa. Si dice che tu non abbia mai ucciso nessuno con quella pistola. Perché?» gli chiese facendo cenno all’arma che teneva nascosta sotto la giacca.
«Preferisco non rispondere».
Non poteva spiegare una cosa così importante a qualcuno come lui. Non avrebbe capito.
«Come vuoi. A ogni modo non credo che rimarrà inutilizzata ancora per molto».
«Come?» sibilò con una punta di rabbia.
«Penso che tu abbia capito perfettamente. Se davvero non volessi uccidere nessuno, non porteresti con te una pistola. Convincerti che è solo per autodifesa o per disarmare l’avversario non cambierà le cose. Tu sei un sicario e non potrai mai fare nulla per cambiare la tua condizione».
Sandro rimase immobile, come stordito.
Quello che aveva detto non poteva essere vero. Stava solo cercando di confonderlo per i suoi loschi fini. Allora, perché si sentiva in quel modo? Perché quelle parole l’avevano ferito così tanto?
«Aspetto buone notizie» sorrise il capo, guardandolo attentamente.
Sandro si accomiatò e con passo svelto uscì da quel luogo tetro.
Tornato all’aria aperta alzò lo sguardo verso il cielo e stringendo i pugni si incamminò verso una meta sconosciuta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La scia rossa ***


LA SCIA ROSSA
 

Cosa cerchi?
Cerco un attimo che valga una vita.

Casanova

 

Un lieve vento autunnale muoveva le foglie degli alberi. Le anatre nuotavano felici e, di tanto in tanto, alzavano la testa verso l’alto, sperando che qualcuno buttasse loro qualcosa da mangiare.
Le rive del Po erano tranquille. Qualche pescatore sedeva in attesa che qualche raro pesce abboccasse.
Fu proprio uno dei pescatori a notare qualcosa di insolito. Le acque del fiume si erano inspiegabilmente tinte di rosso. In un primo momento l’uomo pensò che si trattasse di vernice, ma poi si rese conto che era sangue.
Erano innumerevoli le storie che raccontavano della presenza di cadaveri sul letto del Po e di conseguenza questo significava che qualcuno ce li aveva portati.
In preda al panico, il pescatore cadde dalla sedia. Si rialzò tremante e sistemò in fretta e furia la sua roba e poi si allontanò, cellulare in mano. Per un attimo gli sembrò di vedere delle figure vestite di nero, ma la paura era troppa per permettergli di distinguere la realtà dalla fantasia.
Così partì alla ricerca di un poliziotto, senza avvedersi di quello che stava realmente accadendo.
Poco più in là, infatti, vi erano quattro persone effettivamente vestite di nero che osservavano con attenzione due cadaveri.
«Le guardie del magazzino sono state uccise. Era da un po’ che qualcuno non si dimostrava così incosciente da assaltare uno dei nostri depositi» disse uno.
«Guardandoli, direi che sono morti sul colpo dopo essere stati colpiti da una ventina di proiettili da nove millimetri» sentenziò l’uomo più anziano.
«Hanno rubato niente?» chiese Daniele, arrivato in quel momento.
«Alcuni fucili, per il resto non manca nulla».
Daniele si avvicinò ai corpi senza vita e rimase per qualche secondo a osservarli. «Gli aggressori devono essere piuttosto abili. La cosa si fa interessante» sorrise, per poi domandare: «Abbiamo dei video delle telecamere del deposito?».
L’uomo anziano gli passò alcune fotografie.
«Sembrano dei semplici vagabondi, però… Gregorio, sai che pistola è questa?» esclamò Daniele, visibilmente incuriosito.
«È una Grau Geist, una vecchia pistola in uso parecchi anni fa».
«Due sere fa ho visto questa pistola. Questo significa che hanno attaccato me, prima di colpire il deposito. Dev’essere stato un diversivo» sospirò. «Sono un gruppetto meno insignificante di quanto pensassi».
Gregorio rimase in silenzio.
«Hanno colpito uno dei nostri miglior depositi e per entrare hanno usato il codice ufficiale che solo i membri più importanti della nostra organizzazione conoscono. Questo significa che potrebbe esserci un traditore tra noi» continuò Daniele.
«I miei sottoposti hanno torturato un ostaggio per farlo parlare, ma non è servito. Il prigioniero si è suicidato, ingerendo un veleno che teneva nascosto in una tasca segreta».
«E voi vi siete lasciati sfuggire un dettaglio così importante?».
L’uomo anziano non rispose.
«A ogni modo, non ha importanza. Sono sicuro che li rincontreremo presto».
 

*
 

Sandro si lasciò cadere frustrato sul divano. Aveva passato gli ultimi due giorni a cercare qualche indizio che potesse rivelare qualcosa sulla scomparsa di Angelo, ma non era riuscito a trovare niente.
Aveva setacciato tutto il suo appartamento, ma non sembrava esserci nulla.
Sbuffò, visibilmente arrabbiato.
Era arrabbiato perché non era riuscito a trovare un indizio, era arrabbiato perché il suo amico era stato rapito e lui non sapeva cosa fare, era arrabbiato con il suo capo per quello che aveva osato dirgli. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto spaccare tutto.
Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro: sei tu quello che viene bruciato.
All’improvviso, gli tornarono alla mente le parole dell’uomo con il cappello a cilindro che aveva conosciuto dieci anni prima.
Stava davvero sbagliando a tenersi tutto dentro?
Stava… In quel momento si rese conto di un particolare che non aveva notato: l’appartamento di Angelo era perfettamente in ordine quando era arrivato. Questo significava che quando era stato rapito non era in casa o che conosceva i suoi presunti sequestratori.
«Angelo Salanto, membro dei servizi segreti e intellettuale misterioso che nessuno conosce davvero» bisbigliò, guardando il lampadario.
Senza sapere bene perché si protese verso di esso e tirò. Ci fu un breve scricchiolio e poi il lampadario scomparve all’interno del soffitto rivelando un’apertura.
Sandro prese una sedia, ci salì sopra e si mise a frugare all’interno di quel luogo nascosto.
Trovò una scatoletta. La tirò giù e poi si buttò a terra prima che un proiettile lo colpisse.
Qualcuno stava controllando la casa di Angelo.
Vide un uomo incappucciato scappare e subito decise di inseguirlo.
Non poteva lasciarsi scappare una simile occasione, poteva non averne un’altra.
Corsero senza sosta per una decina di minuti, fin quando lo sconosciuto che gli aveva sparato imboccò un vicolo cieco.
Sandro estrasse la pistola e gliela puntò contro.
L’uomo sorrise e gli fece cenno di guardare alle sue spalle. C’era un altro uomo, sempre incappucciato, con la pistola puntata.
Era una trappola.
«Abbassati Sandro!» gridò d’un tratto una voce.
Un improvviso bagliore illuminò il vicolo e quando scomparve i due cecchini erano a terra, morti.
«Sei davvero un piantagrane, lo sai? Avresti potuto ucciderli facilmente in un solo istante se avessi voluto» gli porse una mano Daniele, aiutandolo a rialzarsi.
«Grazie, sarei morto se non fossi arrivato tu».
«Solo perché ti rifiuti di uccidere, qualunque siano le circostanze. Sei un sicario eccellente, eppure, per questa tua strana decisione, l’organizzazione ti affida gli incarichi più stupidi».
«Non mi interessa. Piuttosto, hai scoperto chi sono?» domandò indicando i due uomini.
«Vedi la pistola che hanno tentato di usare? È una vecchia pistola a bassa gittata. C’è solo un’organizzazione che fa uso di questi vecchi modelli. Hai capito a chi mi riferisco?».
«Può darsi» sospirò, mostrando la scatola che aveva recuperato. «Era nascosta nella casa di Angelo».
Sollevò lentamente il coperchio e rimase paralizzato. Anche Daniele sembrava spiacevolmente sorpreso.
Dentro la scatola c’era quella stessa pistola.
«Se Angelo ha questa, significa che…» tentò di dire, ma Daniele lo interruppe. «Questa di per sé non significa nulla. Angelo potrebbe semplicemente avergliela sottratta o loro potrebbero averla messa lì per incastrarlo, in fondo la scatola non era chiusa a chiave».
«Hai ragione».
«Però, quando eravamo al locale, ho notato una cosa. Angelo ha detto che era di ritorno da una contrattazione, ma probabilmente stava mentendo. Hai visto cosa c’era dentro la sua borsa oltre l’orologio d’epoca, no?».
«Un ombrello».
«Esatto, ma quel giorno non ha piovuto. Se ci hai fatto caso, l’ombrello era bagnato. E questo è molto strano perché, anche se fosse andato in un paese qui vicino dove magari pioveva, le sue scarpe non erano bagnate. Quindi io penso che sia andato da qualche parte qui vicino, abbia parlato con qualcuno sotto la pioggia e poi abbia fatto passare un po’ di tempo prima di tornare».
«E anche se fosse? Angelo è un agente dei servizi segreti! È logico che non ce ne abbia parlato».
«Poteva semplicemente dirci che non poteva parlarne, nessuno di noi due gli avrebbe chiesto più nulla».
«Può darsi, però…».
«Trovalo, solo così sapremo la verità».
Daniele sembrava essere molto preoccupato. Era raro vederlo così.
«Lo troverò» sorrise.




Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Scusate se aggiorno così tardi, ma sono stata molto impegnata negli ultimi tempi (e sarà così ancora per un po').
Comunque, che ne pensate di questo capitolo?
Che cosa è successo veramente ad Angelo? Chi è questa misteriosa organizzazione?
Spero di avervi incuriosito.
A presto,
Violaserena. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3584571