L'esatta metà.

di Girasoleh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scoperta. ***
Capitolo 2: *** Svolte. ***
Capitolo 3: *** La trappola del signor Taisho. ***
Capitolo 4: *** Due settimane di tempo. ***
Capitolo 5: *** Togliere l'ancora e salpare. ***



Capitolo 1
*** La scoperta. ***


Un giorno come tanti altri, segnato da una sveglia gracchiante che, puntalmente, gli causava un forte mal di testa.
Allungò la mano, la spense e poi si girò dall'altra parte. I capelli argentei gli cadevano morbidi lungo le guance a segnare il profilo delle sue spalle per poi finire all'inizio del suo ombelico, le orecchie da cane poste proprio in cima alla sua folta capigliatura e gli occhi ambrati, vuoti ma così grandi da sembrare che volesse raccogliere tutte le cose belle del mondo ed incastonarsele dentro: queste erano le sole cose caretteristiche di Inuyasha.
Sbuffò appena, rendendosi conto di essere in ritardo, si alzò e si incamminò verso la doccia.
Casa sua non era di certo modesta, anzi: 100mq, marmo e parquet nelle stanze, due bagni, pareti decorate in oro, acquari con pesci esotici, un armadio da far invidia a chiunque... e nessuno con cui dividere tutto questo.
Si trovava da solo, a muovere passi in quella casa enorme situata ad Osaka, per un lavoro che neanche si era scelto: suo padre, un ricco imprenditore di Tokyo, aveva deciso che Inuyasha avrebbe dovuto aprire un altro showroom di auto, estendere quindi la catena familiare e far arrivare anche nella regione del Kensai il loro nome.
'Mio padre...' si ritrovava anche quella mattina a pensarci, a chiedersi il motivo per il quale un destino tale era toccato proprio a lui; finì di mettere bene la cravatta, scrollò le spalle per sentire meglio addosso la giacca e si toccò rapidamente le orecchie.
Quelle orecchie strane, che lo rendevano così amabile dalle donne, erano l'unico ricordo di sua madre, un lupo incarnatosi donna che aveva amato talmente tanto gli umani da desiderare di diventare parte della loro comunità.
Izayoi, era questo il nome che aveva scelto in seguito per vivere tra gli umani, incontrò Inu No Taisho, i due si innamorarono al punto da decidere, dopo pochi mesi, di sposarsi.
Da quell'unione dopo nove mesi nacqua un bambino, il piccolo Inuyasha; ma la comunità dei lupi non era clemente e la punizione per quell'affronto da parte di Izayoi, per essere scappata dalla sua stessa famiglia, fu quello di 'donare' al suo erede delle orecchie da cane, i loro più acerrimi nemici, e di lasciare che lei stessa morisse, agonizzante, poco dopo aver dato alla luce quel bambino.
Inuyasha aveva sentito molte volte quella storia, gliela raccontava il padre quando discutevano in modo troppo violento per ricordargli che la sua vita aveva sancito la morte della donna che amava più di ogni altra cosa ma che, nonostante questo e nonostante le sue orecchie strane, non l'avrebbe mai rinnegato.
Con il tempo le sue orecchie erano diventato argomento di conversazione fin troppo spesso, per cui era solito dire che semplicemente 'era nato così', come se fosse una malformazione: gli umani non avrebbero capito, tutta quella storia spesse volte sembrava irreale anche a lui, eppure il suo aspetto era lì, presente, a dirgli in modo silente che quel marchio era l'inconfutabile prova dell'esistenza di altri regni oltre quello umano.
Scese il piccolo scalino che lo separava dalla porta d'ingresso, si infilò i suoi mocassini neri e prese la porta, chiudendola dietro di se con un giro di chiave.
La macchina nera lo aspettava sotto il sole cocente, quella mattina era davvero una bella giornata ed il ragazzo sorrise poco convinto a quel bagliore, aprì la portiera dell'auto, inserì la chiave e partì, con una musica americana che passavano alla radio, il finestrino un poco aperto ed i capelli argentei lasciati a svolazzare sotto il flusso dell'aria che entrava prepotentemente.
Quando arrivò davanti al suo showroom lo attendeva una graziosa ragazza, dai capelli scuri e gli occhi scuri incorniciati da un volto dai lineamenti morbidi.
- Sei in ritardo! -, gli disse aggiustandosi gli occhiali sul naso.
- Io sono il capo e se decido che si apre dieci minuti più tardi non è mio dovere informarti -, rispose Inuyasha con un finto sorriso.
Si diedero un bacio ed entrarono insieme nell'edificio. Non appena entrambi presero a sedere nelle loro postazioni di lavoro, il ragazzo si rese conto che sulla sua scrivania, in bella vista, c'era una lettera ben chiusa, proveniente da uno studio legale di Tokyo ed indirizzata proprio a lui.
La aprì per curiosità, senza immaginarne il contenuto, lesse la prima riga e sgranò gli occhi con gioia. Gli sembrava assurdo. Tokyo.



-KAGOME SVEGLIATI!-
Un urlo in quel suo sonno perfetto interruppe i suoi sogni. Era proprio lì lì per baciare un ragazzo bellissimo, dalle fattezze così particolari... e niente, sua madre aveva dovuto svegliarla.
Regolare, d'altra parte, accadeva sempre.
Nella città di Londra, in un'elegante quartiere, c'era la piccola villetta a schiera di Kagome, una ragazza di 18 anni che frequentava l'università.
Quel nome così orientale l'aveva scelto sua madre, amante del Giappone da sempre non foss'altro per il fatto che a Tokyo aveva trascorso buona parte della sua infanzia, insieme alla sua famiglia adottiva; suo padre aveva subito accolto quel nome, senza chiedersi il motivo, pensando solo che Kagome era il suono perfetto da abbinare a quegli occhioni scuri che vedeva in sua figlia.
La ragazza si vestì di corsa, la sua divisa era perfettamente stirata ed era composta da una gonnellina verde abbinata ad una camicia bianca con il fiocco rosso proprio all'altezza del collo.
- Buongiorno a tutti, oggi è giorno di esami per me!-, cominciò lei elettrizzata -quindi... - proseguì, - stasera vorrei trovare il mio piatto preferito visto e considerato che tanto andrà tutto benissimo!- terminò allargando le braccia e mostrando un sorriso smagliante che contrastavano quei capelli così neri da far invidia alla notte.
Risero tutti, la madre disse di non preoccuparsi, avrebbe trovato una cena squisita e suo fratello che poco ne sapeva di esami e altro non capiva ancora perché ogni volta che Kagome ne aveva uno, al suo ritorno si dovesse festeggiare come se avesse vinto un oscar!
Uscì con lo zainetto in pelle sulle spalle, ripetendo a cantilena il programma che aveva meticolosamente studiato; camminava nel clima uggioso di Londra, evitando le piccole buche sulla stradina che portavano all'università: ormai le conosceva a memoria, andava spesso in biblioteca o semplicemente a cercare pace nelle aule vuote, per studiare tranquillamente e senza intralci.
Continuava così, a camminare, fino a che non inciampò in qualcosa.
Cadde rumorosamente, con il sedere perfettamente incollato sull'asfalto grigio e le mani poco dietro, rosse e un po' graffiate.
- S... S... Scusami!- balbettò qualcuno.
- Ma figurati, capitano queste cose-, disse Kagome mentre cercava di raccogliere alcuni fogli usciti fuori dallo zainetto.
-Piacere, mi chiamo Miroku, ti aiuto a rialzarti!- , il giovane le tese la mano e finalmente lei
lo vide un faccia: aveva dei bellissimi capelli neri che terminavano in un codino, occhi di un blu intenso, un fisico mozzafiato.
'Wow, deve essere la mia giornata fortunata!'
- Grazie mille, io mi chiamo Kagome.-, si aggiustò la gonna rifinendone le pieghe, - non era necessario che mi aiutassi! -
Lo guardò negli occhi, le sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma non ricordava assolutamente dove e più la sua mente si sforzava, più non collegava quel volto e quel nome a nessuna delle sue conoscenze.
- Stai andando da qualche parte? Hai un'aria molto impegnata! -
- In realtà sì, sto andando all'università, vedi? - indicò un edificio grande e quadrato poco davanti a loro, - è proprio quel cubettone triste!-
Il ragazzo rise di gusto.
- Ma dai,- aggiunse infine – è proprio la mia stessa università!-
Kagome si ritrovò quasi spaesata, ma felice perché ora sapeva dove poteva averlo visto: ovviamente a scuola!
Andarono insieme da quel punto in poi, decisero che giacché la fortuna li aveva fatti incontrare era tanto meglio approffitarne e vedere fin dove arrivare.
Per Kagome fu una scoperta piacevole: parlava senza freni, le sembrava di conoscerlo da sempre e più argomenti si affrontavano, più in lei cresceva la voglia di trovarne uno nuovo da intavolare.
Non importa che fossero fumetti, libri, credenze, sogni: le loro risposte coincidevano, scostandosi di tanto in tanto millimetricamente le une dalle altre, al punto che la ragazza quasi si chiese se non fosse Miroku la sua anima gemella.
Tornarono a casa con il cielo rosso, qualche sfumatura violacea qua e là.
- Allora ci vediamo domani, Kagome. Se vuoi passo a prenderti. - Miroku si sfiorava la nuca con una mano. Era visibilmente imbarazzato.
Non era mai stato così tranquillo davanti a qualcuno, generalmente le ragazze lo vedevano talmente irragiungibile che lui, negli anni, non aveva avuto modo di avvicinarsi davvero a nessuna e questa cosa aveva portato ad una timidezza quasi obbligata, che fondamentalmente non gli apparteneva.
- Sì. - disse sigura Kagome.
Un breve cenno con la mano e i due ragazzi si diedero le spalle, l'uno per tornare a casa propria, l'altra per andare a suonare il campanello, dove trovò il fratellino Sota tutto pimpante che saltellava sulla soglia chiedendogli come fosse andato l'esame.
'Già, l'esame.'
Kagome se ne era quasi dimenticata, ma sapeva di essere andata bene, come al solito.
Quel giorno l'avrebbe ricordato, ma non di certo per l'esame più importante affrontato fino ad ora, bensì per colpa di Miroku.
Sorrise e si toccò il sedere ancora un po' dolorante per la caduta sull'asfalto.
'A volte si cade ma è solo il modo più bello che ha la vita per farti andare un po' più in alto', pensò gettandosi sul letto.

 

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Capitolo 2
*** Svolte. ***


Sesshomaru aveva ben poco da spartire con gli altri membri della sua famiglia, nonostante questo però amava partecipare alle cene della domenica grazie alle quali poteva avere costantemente il resoconto di tutti quanti, compreso il suo fratellastro.
Non lo apprezzava né lo detestava, nutriva per lui un'indifferenza che culminava con il non voler coltivare nessun rapporto al di fuori di quello che si dedicavano nel fine settimana.
Sesshomaru abitava a Tokyo, fra il caos e la movida, non amava le cittadine né tanto meno stare in disparte: il suo stile di vita era quello di un playboy, non aveva interesse nel continuare una conoscenza con una donna, piuttosto si informava sul suo stato sentimentale e poi la portava nel suo letto.
Al mattino non si risvegliava mai con nessuno, era una cosa così assurda per lui convivere con una stessa persona per più di due ore che quasi rideva di quel suo fratellastro che nutriva un sentimento di amore così intenso da due anni per quella ragazza così dozzinale.
Si vestì di fronte allo specchio e poi si aggiustò la cravatta guardando la città dalla vetrata enorme del suo appartamento; il padre gli aveva chiesto di passare in ufficio per controllare delle carte e di certo non poteva tirarsi indietro.
'Magari è la volta buona che pensa a me e mi concede una promozione', pensò prendendo la valigetta e gli occhiali da sole.
Sesshomaru era il tipico ragazzo che faceva innamorare a priori: sguardo gelido, fisico asciutto, capelli argentei e due piccoli segni, uno per guancia, di color magenta e una mezzaluna al centro esatto della fronte. Niente di troppo vistoso, ma quei tatuaggi li aveva voluti fare in gioventù ed ora, seppur non se ne pentiva, pensava che non avrebbe mai rifatto un gesto del genere.
Non rideva mai e sorrideva raramente e questo suo modo di fare riscontrava successo nelle donne, tutte convinte di riuscirlo a cambiare, tutte così cocciute e sicure di essere diverse. Ma lui, in quelle ragazze, di volta in volta non trovava niente e rimaneva deluso dall'avere a che fare solo con contenitori vuoti, privi di interessi reali e di argomenti.
Arrivò davanti alla Taisho Company con non poco anticipo, sperando di concludere in fretta la revisione di quelle carte tanto importanti per il padre e tornare ai suoi affari.
Si tolse gli occhiali da sole ed imboccò la porta principale.
- E tu cosa ci fai qui? -
Silenzio.
Sesshomaru alzò lo sguardo.
- In realtà dovrei chiederlo io a te. Oggi ad Osaka non si apre? -
Inuyasha era lì, di fronte a lui, e proprio non si aspettava di trovarlo a Tokyo. Come minimo aveva compiuto un viaggio di sei ore e calcolando che erano appena le undici del mattino si era messo alla guida di notte.
- Papà mi ha fatto venire qui, ha pensato bene di mandarmi una lettera tre mesi fa, invece di chiamarmi – iniziò a dire il ragazzo, -Non ho detto niente durante le cene per tutto questo tempo perché ero convinto che dovesse parlarmi da solo, ma visto che sei qui credo di aver pensato male.- concluse.
Non capendo bene le intenzioni del padre, entrambi entrarono nel suo ufficio, sedendosi l'uno di fronte all'altra e guardandosi di tanto in tanto.
-Allora, - cominciò imbarazzato Inuyasha, - cosa racconti? Insomma, qualcosa di interessante giusto per passare il tempo... - lasciò la frase in sospeso, sperando che almeno fosse apprezzato lo sforzo.
- Niente che non abbia già detto tre giorni fa, alla cena. -
Fu talmente tanto secco nel pronunciare quella risposta che Inuyasha abbassò le orecchie e aprì uno dei libri che si trovavano sulla scrivania del padre.

Miroku non era uno che faceva chissà quali gesti romantici, ma nel suo piccolo rendeva felice Kagome.
Da quella mattina, da quello scontro involontario non si erano più lasciati e dopo qualche settimana di corteggiamenti vari, la ragazza era letteralmente caduta tra le sue braccia senza pensarci troppo.
Erano passati due mesi, nel frattempo.
Le lezioni volgevano al termine, ormai l'estate era vicina e Miroku programmava un viaggio da poter compiere insieme alla sua fidanzata. La ragazza, però, cambiava sempre discorso quando se ne parlava.
La sua università, il SOAS, dove si studiavano le lingue e le culture dell'Africa e del Medio Oriente, aveva proposto a tutti i ragazzi uno stage formativo di due mesi a scelta tra Tokyo, Shangai e Città del Capo: essendo considerata la migliore università anche dal governo Britannico doveva mantenere una certa facciata e quindi ad ogni studente del primo anno veniva proposto, alla fine dell'anno appena passato, la possibilità di effettuare uno stage. A breve Kagome avrebbe compiuto 19 anni, esattamente il 21 Settembre e questo generava in lei molta emozione: i compleanni erano per lei una cosa davvero importante, da festeggiare seriamente e con la famiglia. Quest'anno però avrebbe passato il giorno del suo compleanno a Tokyo, e niente e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Miroku era all'ultimo anno di università, quindi probabilmente aveva dimenticato questo evento così speciale.
Kagome non avrebbe mai osato chiedere alla sua famiglia di poter fare due viaggi, soprattutto perchè le condizioni economiche al momento non lo permettevano.
- Che ne dici se andiamo a Liverpool? - Miroku le accarezzava i capelli lunghi e neri, i due erano distesi sul letto, in casa del ragazzo. - E' a poche ore di distanza da Londra, potremmo fare una vacanza più lunga in questo modo. -
- Forse sì, - rispose lei distrattamente – ma forse ti sei dimenticato che questo è il mio primo anno di università. -
Miroku si girò guardandola con fare interrogativo.
- Mh? - si sforzò di mugugnare dopo qualche secondo di silenzio.
- Alla fine del primo anno gli studenti scelgono la tappa del loro stage... - Kagome non voleva dirglielo apertamente, temeva che lui le avrebbe chiesto di scegliere e quindi preferiva che il suo fidanzato ci arrivasse da solo.
- E quindi? - la incalzò lui, - È una cosa stupida, potremmo andare dove vuoi una volta che avrai terminato gli studi!-
Kagome si alzò di scatto e lo guardò intensamente con aria arrabbiata.
'Perché non capisce quanto è fondamentale per me? E' una cosa troppo importante, un viaggio unico in compagnia delle mie amiche che non potrò compiere mai più se non ora! Miroku sei uno stupido!'
Gli chiese se lui avesse fatto il suo viaggio o avesse rinunciato.
- Certo che l'ho fatto, anni fa c'erano altre mete ed io scelsi di andare a Nairobi. - rispose deciso lui.
- E perché io non dovrei andare? -
- Perché ora stai con me. E ci sono cose più importanti, non trovi? -
I due si guardavano, si sfidavano con gli occhi fin quando Kagome non esplose definitivamente.
- Sei uno stupido! Io voglio andarci, voglio andare a Tokyo, questo viaggio non me lo restituirà nessuno, neanche tu, e se mi amassi davvero non dovresti impedirmi di andare solo per fare una vacanza. Dove poi? A Liverpool. Sei serio? - Kagome ormai andava a ruota libera.
- Non mi sembra giusto, tu hai fatto il tuo percorso, io voglio fare il mio. Sei solo egoista, ecco tutto. -
Scese dal letto e si infilò le calze che aveva tolto poco prima per comodità, infilandosi quindi le scarpe.
Il ragazzo era interdetto, non sapeva minimamente cosa dire e la guardava, con gli occhi appena lucidi.
- Forse io... - provò a dire Miroku.
- No. Tu niente, - lo fermò decisa Kagome. - non siamo fatti per stare insieme. A fine Luglio partirò per Tokyo e festeggerò lì i miei 19 anni. - sentenziò alla fine.
- Questo è tutto. Addio Miroku. - Kagome imboccò la porta della camera per poi uscire dall'abitazione, il tutto sotto gli occhi increduli di Miroku che si sentiva distrutto ma che non aveva saputo fermarla.
Aveva le parole bloccate in gola, formavano un doppio nodo e non ne volevano sapere di uscire da lì. Non aveva detto niente, quindi, era rimasto con le labbra socchiuse e gli occhi fissi sulla figura della ragazza e solo quando lei uscì dalla porta una lacrima bagnò la sua guancia.
Kagome, invece, non si sentiva distrutta o particolarmente triste.
Camminava a schiena dritta e senza fermarsi, il vento le si scagliava in faccia prepotentemente ma lei continuava, senza neanche aggiustarsi la sciarpetta che aveva sul collo.
Quando entrò in casa erano ormai le sette di sera, la cena era sulla tavola ed era arrivata giusto in tempo.
- Mamma, papà, devo dirvi una cosa. Come sapete la mia scuola organizza degli stage, ed io a fine Luglio di quest'anno scolastico ho deciso di andare a Tokyo. Passerò lì i miei 19 anni. - non diede tempo a nessuno di capire cosa realmente stesse succedendo, era entrata e stava sparando a zero, talmente rossa in viso ed affannata che sua madre inizialmente aveva pensato che avesse preso la febbre.
- Va bene Kagome, se questo è il tuo desiderio non c'è assolutamente problema. - disse sua madre in modo dolce.Poi, quest'ultima, diede una sonora gomitata a suo marito, come a spronarlo a dire qualcosa.
- C... Certo. Siamo tutti d'accordo! - disse un po' stordito.
Kagome sorrise, corse ad abbracciare la sua famiglia e pianse, ringraziando per la comprensione dimostrata.
Quel momento era il più bello della sua vita, sarebbe andata a Tokyo e niente l'avrebbe fermata.

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Capitolo 3
*** La trappola del signor Taisho. ***


Ad Inuyasha vibrarono le orecchie non appena si accorse che qualcuno muoveva dei passi decisi in direzione dell'ufficio in cui si trovava insieme a Sesshomaru.
- E' papà, sta arrivando, - disse guardando verso il fratellastro – finalmente. -
Inu No Taisho: un uomo, una sicurezza.
Aveva creato successo dal nulla, investendo in un anonimo locale alla nascita di Sesshomaru, da cui poi ricavò uno showroom di automobili. Quella scelta era stata dettata dal voler un futuro più roseo per quel bambino che non lo faceva dormire la notte, per evitargli le sofferenze con cui troppe volte lui stesso aveva fatto i conti.
L'impero della Taisho Company ora si estendeva in più città del paese e non accennava minimamente a volersi fermare: in esattamente 28 anni, era riuscito a diventare un uomo di prestigio, non c'era nulla che non potesse permettersi o che non potesse dare ai suoi due figli.
- Inuyasha, Sesshomaru, - disse entrando dalla porta scorrevole, - buongiorno e grazie di essere qui. Puntuali come due orologi svizzeri a quanto pare!-
Si mise a sedere dietro la scrivania, sistemò la valigetta e ne tirò fuori dei documenti. Osservava i figli, non si capacitava fossero così diversi nel carattere ma così simili nell'aspetto e soprattutto faticava a comprendere l'indifferenza del suo figlio maggiore verso l'altro ragazzo, di appena 23 anni: non provava pietà per quel giovane uomo che aveva perso la madre e che fin da piccolo aveva dovuto far i conti con la sua diversità fisica. Sesshomaru questi problemi non li aveva mai avuti, sua madre era ancora in vita ma non gli aveva mai dedicato particolari attenzioni e forse era stato proprio questo atteggiamento, questo sentirsi rifiutato, ad aver generato in lui tanta freddezza nei confronti dei sentimenti più umani.
Nel frattempo anche i ragazzi si guardavano con aria interrogativa.
'Vorrei proprio capire le sue intenzioni. Sono già cinque minuti che finge di sistemare cose ininfluenti, che ci stia prendendo in giro?'
- Dunque? - Fu Sesshomaru a rompere il silenzio. Era poco paziente, ma mascherava bene il tutto grazie al suo atteggiamento di una compostezza quasi agghiacciante.
- Sì Papà, insomma, grazie dell'invito ma come sai ad Osaka io ho dovuto lasciare tutto in mano a Sango – proseguì Inuyasha, - non che sia incapace, ma sempre meglio gestire di persona che lasciare in gestione, lo sai. -
Il padre dei due sospirò, si lasciò sprofondare nella sedia in pelle e allungò le gambe poggiando i piedi sulla scrivania.
- Non vi ho chiamati qui entrambi solo per una visita forzata,- cominciò il signor Taisho con sicurezza – bensì per proporvi un nuovo progetto. -
Le orecchie di Inuyasha si alzarono, Sesshomaru si sistemò meglio sulla sua sedia e tutti e due si avvicinarono al padre inclinando la schiena, portando i gomiti sulle ginocchia e tenendo lo sguardo fisso su quella che improvvisamente sembrava essere la loro preda.
- Bene, vedo che questo vi interessa! - disse Inu No Taisho con un sorriso sprezzante.
- Certo, continua pure – lo incalzò Inuyasha.
- Vorrei affidarvi una nuova apertura. Ad Osaka manderò un'altra persona ed anche tu Sesshomaru sarai sollevato dal tuo attuale posto di lavoro per poterti dedicare a tempo pieno a questa nuova attività. - disse tutto d'un fiato.
Improvvisamente, la tensione era diventata palpabile e non aveva più quella sfumatura di 'piacevole sorpresa' ma di 'orrida consapevolezza'.
Una fragorosa risata spezzò quel silenzio, Sesshomaru era letteralmente sbracato sulla sua sedia e non sembrava voler terminare quello spettacolo, il tutto sotto lo sguardo di disapprovazione del padre.
- Cosa ci trovi da ridere? - Inuyasha si era alzato in piedi e lo guardava fisso negli occhi, si sentiva deluso da quella reazione, non capiva il motivo per il quale suo fratello maggiore rifiutava in modo così sfacciato una collaborazione con lui.
Sì, fratello, anche se Sesshomaru sottolineava sempre con cattiveria il fatto che fossero fratellastri, che avessero quindi lo stesso sangue, a metà però.
Forse si sentiva superiore, forse era per le sue orecchie da cane e per la storia di sua madre che era una creatura non umana.
Nonostante tutto questo, però, Inuyasha desiderava davvero avere un rapporto con lui: lo percepiva distante, come se quello proveniente da un altro pianeta fosse lui, così lontano ma scalfibile.
Per quanto allungasse la sua mano, non lo raggiungeva mai: Inuyasha ci provava, continuava a tenere i denti stretti, alle cene della domenica si sedeva di proposito davanti a lui per scrutarne i movimenti e capirne il senso, ma ai suoi occhi sembrava sempre che ci fosse un sottile velo tra loro. Un velo che non poteva essere alzato con troppa facilità.
- E me lo chiedi anche? - Sesshomaru tornò serio, lo guardava con sufficienza.
- Sì. Quindi? Cosa ridi? -
Il padre dei due ragazzi stava zitto, ad ascoltare e ad osservare il tutto, per capire fin dove sarebbero potuti arrivare.
- Rido, Inuyasha, perché una collaborazione fra me e te non potrà mai esistere. - a questo punto si alzò dalla sedia, la sua figura si stagliava di fronte la grande finestra dell'ufficio, proiettando una grande ombra di fianco a lui.
Si generò un lungo silenzio, durante il quale Sesshomaru continuava a guardare i grandi alberi che gli si ponevano davanti e Inuyasha digrignava i denti.
- Non mi sembra di aver chiesto consensi o pareri. -
Era Inu No Taisho a parlare ora, si era alzato dalla sedia per porsi nella parte anteriore della scrivania, appena appoggiato su quel legno finemente lavorato.
Teneva le braccia conserte e un'espressione seria che non lasciava modo di fraintendere i suoi pensieri.
- Voi due LAVORERETE insieme. - continuò – Non è una possibilità, non una scelta. E' una decisione. Mi serve qualcuno di cui fidarmi per poter aprire il nuovo showroom, è un locale di 400mq, non può gestirlo una sola persona. Io ho due figli, nessun altro potrebbe essere più adatto o all'altezza di voi due. - concluse infine.
Prese i documenti tolti poco prima dalla valigetta, afferrò due penne e ne portò una a ciascuno.
- Smettetela di fare i bambini, è ora di essere uomini. -
Sesshomaru sgranò gli occhi.
Aveva le mani in tasca, per fortuna, così poté stringerle in un pugno senza che nessuno se ne accorgesse.
Si girò verso il padre e lo guardò pieno di odio, come a chiedergli il motivo di quella scelta, ma non ricevette nulla indietro, né uno sguardo né una parola.
Inuyasha firmò il documento, nel quale sostanzialmente veniva chiesto ai due giovani di collaborare e di dedicarsi a questa nuova attività: quando quest'ultima sarebbe stata avviata ed in grado di essere gestita da chiunque altro, il contratto poteva definirsi terminato.
Una volta apposta la sua firma, lo consegnò al fratello; Sesshomaru firmò, con poca voglia e poca convinzione. Non poteva fare altro, ormai il padre aveva deciso e tanto valeva essere celeri nell'avviare l'attività al meglio.
- Grazie di essere stati così comprensivi. Il locale si trova a Ginza: come sapete è un quartiere esclusivo della nostra città, ci sono boutique e ristoranti di lusso, quindi anche il nostro nome deve apparire in quella zona. -
Indicò il punto sulla mappa, cerchiandolo di rosso con un pennarello.
'In questo modo dovrebbero avvicinarsi. Forse, anche se Sesshomaru lo rifiuta, potrà imparare qualcosa da questa vicinanza.
In più loro sanno di dover avviare l'attività, non sanno però il lavoro che dovranno fare per poter arrivare anche solo a metterci piede dentro.'
Il signor Taisho pensava questo, evitando di far trapelare qualsiasi informazione .
- Deciso allora, - disse risolutivo Sesshomaru – ti do due settimane di tempo per trasferirti ufficialmente a Tokyo, poi potremmo cominciare a lavorare. -
I due si scambiarono un'occhiata gelida.
- E provvedi a prendere una casa vicino Ginza, non voglio aspettare te che non sai muoverti per una metropoli come questa. -
Inuyasha si girò dall'altra parte, prese la giacca appoggiata sulla sedia e si accostò al padre.
- Grazie per l'opportunità, sai bene quanto volessi trasferirmi a Tokyo.-
- Non ringraziarmi. E' più grande l'opportunità che avete accordato di darvi tu e tuo fratello.-
- Fratellastro.- intervenne Sesshomaru.
'Di nuovo quella parola, questa distinzione netta tra me e lui.'
Senza pronunciarsi oltre, Inuyasha diede un breve abbraccio al padre e uscì dalla stanza, pronto a rimettersi in viaggio e dare la bella notizia a Sango.
Già, Sango.
Stavano 'insieme' da circa due anni, eppure spesso si sentiva solo e questa sua solitudine non aveva il desiderio di essere risolta da quella ragazza; non abitavano insieme, si vedevano al lavoro e di tanto in tanto uscivano per andare a bere qualcosa.
Forse lei sarebbe venuta con lui a Tokyo, se solo avesse provato a chiederglielo.
Si allentò la cravatta con il dito, respirò a pieni polmoni e si appoggiò senza un minimo di cura alla sua auto.
La cosa che più lo infastidiva era che credeva – o forse lo aveva solo sperato? - che il padre avesse un incarico solo per lui, che lo ritenesse abbastanza grande e formato per poter gestire liberamente una delle sue aziende a Tokyo.
Già aveva questo incarico, è vero, ma Osaka non aveva lo stesso pregio di una grande metropoli, men che meno di un quartiere come Ginza e se avesse avuto l'occasione di fare tutto da solo, avrebbe dimostrato di essere all'altezza di quell'incarico.
Entrò nella macchina e infilò le chiavi, fece inversione e in un attimo era di nuovo in viaggio, per altre sei lunghe ore.

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Capitolo 4
*** Due settimane di tempo. ***


Sango era una ragazza semplice, senza troppe pretese nei confronti della vita.
Aveva un fare sempre molto cortese, difficilmente alterava il suo tono e questo la rendeva ben vista da tutti, sia nell'azienda che al di fuori.
Lavorava al fianco di Inuyasha fin da quando la sede ad Osaka aveva aperto: cercavano una segretaria da formare, anche alla prima esperienza quindi, e lei, che aveva appena terminato un lavoro poco soddisfacente, si propose immediatamente.
All'epoca avevano entrambi 21 anni e se da prima erano diffidenti l'uno con l'altra, dopo qualche mese avevano cominciato a spalleggiarsi senza problemi.
Sango non era una semplice segretaria, lo sapeva bene: da circa due anni avevano questo 'tira e molla' amoroso, in cui lei si ritrovava difficilmente; una donna seria e composta come lei non poteva certo dire in casa o tra gli amici che aveva dei flirt e che veniva lasciata e ripresa ogni tot dallo stesso uomo.
Per questo motivo i due non abitavano insieme, non avevano atteggiamenti compromettenti sul posto di lavoro e organizzavano le loro uscite in zone distanti da quelle in cui sapevano di poter trovare occhi indiscreti.
Quella mattina Inuyasha le aveva lasciato un messaggio sulla segreteria, chiedendole di badare per mezza giornata all'azienda e poi di chiudere, intorno alle 13.
I clienti entravano ed uscivano, lei rimaneva seduta nell'ufficio con le tapparelle appena alzate per poter vedere i vari movimenti della clientela e nel frattempo si lisciava i capelli lunghi e castani fra due dita.
'Chissà cosa starà facendo. A Tokyo, poi.' se lo domandava e nel frattempo sbuffava, quasi le sarebbe dispiaciuto se il ragazzo si fosse allontanato da lei. Eppure non erano niente, fondamentalmente.
Il padre di Sango era morto in un incidente d'auto quando la ragazza aveva appena 16 anni.
Quella perdita fu talmente dolorosa per la giovane che da quel momento in poi ricercava negli uomini dei punti fermi, delle sicurezze, una casa sicura in cui rintanarsi nei momenti di solitudine. In Inuyasha, Sango, aveva trovato tutto questo ma il fatto che la cosa non venisse ufficializzata le creava non pochi problemi: forse lui aveva anche altre donne?
Spostò lo sguardo sulla scrivania e trovò la penna stilografica che lei le aveva regalato l'anno prima, per il suo compleanno. Conservava ogni regalo, ogni anno della sua vita da quando si conoscevano era rintracciabile attraverso oggetti sparsi qua e là per l'ufficio.
Li ritrovò tutti spostando lo sguardo in vari punti.
- Non ne porti nessuno a casa, perché Inuyasha... - disse sospirando.
Più volte i due si erano detti 'ti amo', Inuyasha più che altro aveva acconsentito esprimendosi in un 'anche io', ma anche quello era amore in fin dei conti, no?
L'una del pomeriggio arrivò in un attimo, sentì il rintoccare delle campane di una scuola non molto distante e indicò ad uno degli impiegati dell'azienda di chiudere i battenti e di ritirarsi a casa; dalla sua borsa tirò fuori il suo bentō e cominciò a mangiare gli onigiri.
Il ristorante da cui aveva ordinato il pranzo era uno dei suoi preferiti, si trovava all'angolo alla fine della strada, aveva una selezione di verdure cotte da rimanere a bocca aperta ed ogni volta che chiamava per scegliere cosa mangiare rimaneva ben cinque minuti al telefono a farsi elencare tutti i nuovi piatti del giorno per poi, puntualmente, scegliere sempre le solite alghe marinate accompagnate dallo zenzero in salamoia.
Terminò il pasto in un lampo e dopo essersi alzata cominciò a prendere tutte le sue cose per poter finalmente tornare a casa.
''La giornata si è svolta normalmente, tutto sotto controllo. A domani, Sango.''
Sms inviato.
Chiuse il suo smartphone e andò verso l'uscita dell'azienda.
Camminava con lo sguardo basso, aveva giusto notato che una calza le si era smagliata e già stava imprecando perchè avrebbe dovuto passare la giornata libera che le rimaneva al centro commerciale. Avrebbe solo voluto tornare a casa, mettersi dei vestiti comodi e guardare qualche serie tv.
- Nessun imprevisto? Allora sei brava come dirigente! -
Inuyasha era di fronte a lei, con un impeccabile camicia bianca e la giacca nera, la cravatta leggermente allentata e i suoi bellissimi capelli argentei a coprirgli appena l'occhio destro. Si spostò la ciocca fastidiosa e andò vicino alla ragazza.
- Volevo vederti, quindi dato che ero stanco ho chiesto a mio padre di mandarmi un jet privato per portarmi fin qui. -
Sango aprì la bocca in segno di stupore. Per lei, che di certo non era mai stata ricca e mai lo sarebbe stata, il fatto di prendere un aereo privato per semplice 'stanchezza' o, peggio, 'poca voglia', la lasciava allibita.
Era anche arrossita, ma tentava di nasconderlo sistemandosi nervosamente gli occhiali sul naso.
- Bentornato, hai letto il messaggio che ti ho inviato? - cominciò Sango. - Ho scritto che è tutto in ordine e tutto per...-
- Non mi interessa.- la fermò Inuyasha.
- C-cosa?-
- Vorrei passare del tempo con te, Sango. - disse lui mettendo le mani in tasca – ho una cosa importante da dirti... e da chiederti.-
La ragazza si trovò colta alla sprovvista, ma accettò l'invito.
- Mi accompagni prima a casa? Ho le calze rotte e vorrei mettermi comoda.-
- Certo. Andiamo, prendiamo una delle auto dello showroom.-
Casa di Sango si trovava in un appartamento nel quartiere di Kamagasaki., tipico posto ad Osaka in cui vivono principalmente i senzatetto e dove alloggiano i turisti attratti dai prezzi bassi.
Più volte Inuyasha le aveva chiesto di trasferirsi altrove, arrivando anche a dirle che avrebbe acquistato lui una casa dove farla vivere. Temeva che a Sango sarebbe potuto accadere qualcosa a forza di camminare ogni giorno tra quella gente, che potessero derubarla e nel farlo potessero farle male.
Ma Sango non cedeva, in quelle strade c'era nata e cresciuta, lì viveva anche suo fratello Kohaku e per evitare che finisse in guai seri doveva stargli dietro; questo Inuyasha non lo sapeva, non voleva la compassione di quello che ufficialmente era il suo datore di lavoro.
Avrebbe senza ombra di dubbio pensato che la sua era una famiglia di disadattati, 'Oh la povera Sango senza genitori e con il fratello delinquente', ecco cosa ad Inuyasha sarebbe venuto in mente.
Salirono le scale dell'appartamento e una volta nell'abitazione, la ragazza gli chiese di aspettarla in salone, avrebbe fatto subito.
Inuyasha sprofondò su quel divano in pelle logorata che conosceva bene, fece cadere la testa all'indietro e respirò profondamente. Non dormiva da molte ore, doveva darsi una calmata in generale con questi ritmi, non c'entrava il viaggio a Tokyo, ma di certo con questo nuovo progetto riguardante l'attività non poteva permettersi cedimenti.
Non certo di fronte a Sesshomaru.
Aveva pensato di far venire Sango con lui perché era l'unica di cui si fidasse veramente, aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i suoi stati d'animo e le sue insicurezze. Non lo dava a vedere, ma i suoi sentimenti nei confroni della giovane erano puliti e sinceri, vedeva in lei un punto di riferimento a cui ancorarsi quando tutto intorno sembrava crollare.
'Ma amare... ' pensava spesso il ragazzo quando era da solo 'Amare è un'altra cosa. Non è l'amore che mi lega a Sango, eppure almeno una volta a settimana ci ritroviamo a condividere lo stesso letto.' e se lo ripeteva di continuo, come a voler giustificare il suo atteggiamento e il suo bisogno fisico di stare con qualcuno.
No, non era l'amore a tenerlo in quella situazione ma la sua debolezza di uomo, la stessa debolezza che gli faceva avvertire quel senso di solitudine nel petto in qualsiasi circostanza e momento della giornata eccetto gli attimi passati con Sango: quando condividevano un letto non pensava a nulla, solo a dare e a ricevere a sua volta piacere, mentre quando erano in ufficio lei era la sua distrazione preferita, qualcuna con cui scambiare due chiacchiere più 'intime' rispetto a quelle che scambiava con tutti gli altri.
Fra questi pensieri e lo scrosciare dell'acqua proveniente dal bagno di Sango, Inuyasha si addormentò.

Le x sul calendario erano sempre più rosse. Kagome le marcava e le rimarcava, come a voler sottolineare a quell'oggetto inanimato la sua fretta nel far arrivare quei giorni.
Al suo viaggio in Giappone mancavano due mesi esatti. Essendo metà Maggio, la scuola ormai era agli sgoccioli ed essendo una tra le studentesse più brave della sua sezione aveva deciso di andare in modo altalenante alle lezioni, in modo da non perderle proprio tutte.
Miroku da quel giorno non l'aveva più sentito: si incrociavano per i corridoi della scuola, si guardavano e poi andavano in direzioni opposte. Kagome avrebbe voluto parlargli e raccontargli quella sua gioia per il viaggio e la tristezza di non poter condividere con lui quegli attimi, proprio lui che da principio era stato come il suo migliore amico.
- Un'empatia del genere non si trova tutti i giorni...-
- Che dici Kagome? - Eri, Yuka e Ayumi la guardavano con aria interrogativa.
- Niente, niente!- disse subito la ragazza per paura che potessero scoprire qualcosa.
- Ti manca Miroku? - Yuka le si era avvicinata e le aveva posto la domanda con fare dolce, quasi fosse sua sorella.
- No.- iniziò Kagome, - solo a volte, in realtà. Penso che un'empatia come quella che avevamo io e lui sia difficile da trovare altrove, ma non lo amavo – confessò infine.
La campanella suonò la fine delle lezioni e le ragazze si alzarono e si incamminarono verso casa.
- KAGOME! KAGOME! - una voce affannata ma familiare la chiamava da lontano.
- Allora noi andiamo, abbiamo fretta! A domani!-
Le sue amiche se l'erano data a gambe e Kagome si voltò per capire il motivo di tanta fretta.
Miroku arrivò a dieci centimetri da lei flettendosi in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia; era affannato, aveva corso per tutto il cortile della scuola per riuscire a trovarla.
- M-Miroku, ma perché corri?-
Dopo tre settimane erano tornati a rivolgersi la parola.
Era strano, ma bello.
- Partirò con te. - ansimò lui.
- Cosa?! -
- Mi hai sentita. Partirò con te. -
Il vento soffiò forte, gli alberi tutto intorno causarono un gran rumore muovendo le proprie fronde; il sole splendeva talmente tanto da far male agli occhi se solo si provava a guardare in cielo, le nuvole quel giorno si erano date appuntamento altrove, non certo al SOAS di Londra.
Miroku si alzo in posizione eretta e puntò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola di Kagome. Una goccia di sudore gli scendeva dalla tempia, era agitato, il respiro finalmente si era regolarizzato e lui prese un gran respiro e poi le sorrise.
Aveva la camicia bianca un po' stroppiciata, i capelli arruffati ed aveva un'espressione davvero buffa.
Kagome sorrise di rimando, ma poi si fece seria e abbassò lo sguardo.
- Scusa Miroku, ma che vuol dire che parti con me? Ci siamo lasciati.-
- Non importa. Le situazioni si recuperano, - Miroku sembrava davvero intenzionato a ricostruire un rapporto – e io sono stato uno stupido, per tenerti vicina rischiavo di farti perdere questo viaggio così importante! - lo disse quasi urlando.
- Sai, Kagome, tu mi hai insegnato a non essere egoista. Io non avevo mai avuto a che fare con le ragazze men che meno con una donna come te. Anche se sei giovane hai carattere e ti distingui dagli altri, sei unica in questo. Sai far sentire le persone al proprio posto, ed io ti sono immensamente grato per avermi fatto capire l'importanza dei sentimenti e delle scelte altrui. -
Prese una breve pausa, il cuore gli batteva all'impazzata nel petto, era visibilmente arrossato in volto; quelle parole gli stavano costando molto, Kagome se ne accorgeva ma non voleva interromperlo.
- Non avendo mai spartito niente con qualcuno a cui interessasse davvero condividere la propria vita con me, decidevo e facevo tutto in completa autonomia. Non ho mai chiesto pareri né li ho ascoltati se mi venivano dati. Invece tu sei diversa. E non ti sarò mai riconoscente abbastanza per avermi permesso di capire che, in qualsiasi momento della vita ci si trovi, si deve sempre avere qualcuno a cui prestare orecchio.-
Fu un attimo.
Kagome si ritrovò con le labbra di Miroku sulle sue, aveva gli occhi sgranati ma lentamente li socchiuse, abbandonandosi a quel bacio e concedendo al ragazzo anche un tenero abbraccio.
Avrebbe voluto spiegargli tante cose e la prima di tutte queste sarebbe senza dubbio stata il fatto che lei non lo amava. Ma come faceva a dirglielo?
Non poteva.
Si staccò lei per prima e le pose le mani sul petto.
- Grazie Miroku. Hai perfettamente capito il mio stato d'animo, ma... - le parole le si fermarono un attimo prima di esser pronunciate.
-... Ma? - la incalzò il ragazzo.
- Ma penso sia avventato ricominciare come se nulla fosse dopo tre settimane. Diamoci del tempo-
Il ragazzo annuì e senza dire altro i due si avviarono ognuno verso casa propria.
'Ad amare si impara. Chi sono io, a 18 anni, per decidere di non amare qualcuno?
Miroku è stato il primo ragazzo che si sia avvicinato così tanto a me, ho avuto storielle e baci di poco conto, e poi è arrivato lui a farmi sentire speciale. Quindi io non so in realtà cosa sia l'amore, se non l'ho mai provato forse è perché non so riconoscerlo.
Chi sono io per decidere di non amare? Se solo io mi impegnassi, se solo mi sforzassi, io potrei amarlo!'

Sdraiata sul letto, con questo pensiero fisso in testa. Erano appena le cinque del pomeriggio e la madre entrò in camera a portarle del thé.
- Tieni tesoro, ne vuoi? -
- Certo mamma, scendo a prenderlo con voi. -
Insieme scesero le scale e arrivarono in cucina.
Al tavolo c'era anche suo padre, che di solito non beveva thé e a quell'orario vedeva dei documentari sportivi.
- Come mai qui? Facciamo una riunione? - disse Kagome ridacchiando.
Prese dalla credenza lo zucchero e poi dal frigorifero del latte, compose il miscuglio e ripose tutto con cura.
Arrivò al tavolino con la sua tazza di thé fumante ed una volta messa a sedere annusò con soddisfazione la bevanda.
- Ecco Kagome, dobbiamo parlarti.-
Il sangue le si gelò nelle vene.
Che avessero deciso di non farla partire?
E cosa avrebbe fatto se così fosse stato deciso?
No, lei avrebbe spiegato l'importanza di tutto questo!
Senza dubbio!
I suoi genitori non potev...
- Vogliamo farti un regalo in anticipo, visto che non sarai qui per il tuo vero compleanno.-
Kagome si risvegliò dai suoi pensieri negativi, il suo volto assunse un'espressione tenera e dolce, non si aspettava un simile gesto dai suoi genitori in generale, men che meno da suo padre che, per la prima volta, aveva preso la parola senza che nessuno lo avesse costretto.
- E che regalo? E' già qui?!- cominciò a guardarsi intorno scrutando ogni angolo e anfratto in cui un dono potesse nascondersi, si alzò anche dalla sedia per controllare in posti ovvi come cassetti o ante di armadi.
- Bhè no, non è qui, ma è... -
- Oh caro, avanti! Faccio io! - la signora Higurashi, stanca dell'indecisione del marito aveva preso l'iniziativa, togliendogli da sotto il tavolo una busta.
- Questo è il regalo che io e tuo padre abbiamo deciso di farti!-
Sota, lì vicino, guardava incuriosito la scena.
Kagome aprì con cura la bustina rettangolare, dentro cui trovò un biglietto color cipria con sopra stampati dei graziosi cuoricini rossi.
'A conti fatti, il numero perfetto è il tre.' recitava il biglietto.
Kagome non capiva, fin quando, scuotendo bene sia la busta che il biglietto, da quest'ultimo cadde un altro pezzo di carta.
Un biglietto per Tokyo.
Datato 5 Giugno 2017. Un mese prima della sua partenza con la scuola.
Esattamente... fra due settimane?!
- Ma... Mamma, ma questo biglietto... io ho già i biglietti, la scuola, sai... - farfugliò parole alla rinfusa, in preda alla confusione e alla contentezza.
-Abbiamo avvertito la scuola che tu partirai prima, ma tornerai con loro. Questo è il nostro regalo, abbiamo voluto donarti la felicità del viaggiare verso una meta a cui aspiri da tanto. Per un mese esatto potrai vedere Tokyo da sola e per gli altri due potrai attenerti ai vari programmi stabiliti dal SOAS.-
La madre la guardava con gli occhi lucidi, probabilmente stava pensando che la sua bambina stava crescendo e che questo viaggio sanciva la sua libertà.
- Grazie. Grazie infinite!- urlò dalla gioia e si gettò tra le braccia dei suoi genitori, piangendo e singhiozzando e ripetendo 'grazie' ogni dieci secondi.
- Non ringraziarmi! Vai a fare le valige, altrimenti poi sull'aereo ti ricordi che ti manca questo o quello!-
- Corro! Vado ad avvertire tutti, volo a preparare le prime cose!-
Si affrettò verso le scale che portavano alla sua camera ma appena arrivata in cima scese di nuovo, lentamente, fino ad arrivare ad un'altezza dai quali potesse vedere i suoi genitori – ed essere vista –.
- Mamma, papà. - sibilò.
- Sì, tesoro? - tutti la guardavano.
- Vi voglio davvero bene. -
 

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Capitolo 5
*** Togliere l'ancora e salpare. ***


Il giorno della partenza arrivò in un attimo.
Per Kagome non era stato facile preparare tutto così velocemente ma, a conti fatti, aveva fatto subito una lista di cose che le sarebbero sicuramente servite: aveva creato due categorie, divise per importanza e all'interno di ognuna, di giorno in giorno, aggiungeva gli oggetti di cui si ricordava. Il giorno prima della partenza, con penna alla mano, la ragazza si era messa in piedi davanti a due valigie aperte ed enunciava ogni singola dicitura del foglio:
- Shampoo. - pronunciava.
- Shampoo, messo. - si faceva eco da sola, e così aveva continuato fino a riempire un'intera valigia, un beauty-case, una borsa da viaggio e uno zainetto per quando sarebbe uscita a visitare la città.
L'estate ancora non era ufficialmente entrata, era solo inizio Giugno, ma il clima faceva presagire una stagione abbastanza calda, per cui Kagome aveva riflettuto a lungo su quali abiti fosse giusto portare fino a che, semplicemente, non mise il suo armadio dentro una delle due valigie, quella destinata appunto agli abiti. Avrebbe voluto fare una cernita, ma non riusciva a decidersi né ad immaginare le occasioni che le si sarebbero potute presentare, per cui, per evitare di non avere 'il vestito giusto', portò tutto.
Quella sera dormì poco, si girava e si rigirava nel letto, era ansiosa ed eccitata, non sapeva decidere quale delle due emozioni prevaricasse sull'altra; in tutto questo Miroku era stato avvertito del cambio data della sua partenza, ma decise di andare con la scuola.
Fu grata al cielo per quella scelta: avrebbe voluto non dirglielo ma poi il rimorso di quell'atto cattivo aveva cominciato a fare capolino prima ancora che lei potesse realizzare la sua pensata. Per questo motivo lo prese da parte l'ultimo giorno di scuola, circa una settimana prima, e gli disse del regalo che i suoi genitori le avevano fatto.
Lui era rimasto perplesso ma poi, come se qualcuno gli avesse suggerito le parole, disse semplicemente che le avrebbe lasciato quel mese per riflettere e per capire se effettivamente lui le mancava, così che a Tokyo si sarebbero rincontrati come fidanzati, questa volta in modo ufficiale.
'Sono contenta che Miroku non parta con me, magari ha ragione lui, questa lontananza servirà ad entrambi e ci saprà svelare il nostro futuro.
Chissà che bella è Tokyo. I suoi colori, le case, i ciliegi in fiore... chissà se incontrerò qualcuno di interessante. Sarebbe bello se questo viaggio, con sé, porterà tante belle novità e cose buone...
E poi...'

Una tiepida luce, vagamente calda, entrava dalla finestra e si proiettava sulle sue gambe.
- Tesoro, alzati!- sua madre era entrata in camera.
L'ultima cosa che ricordava era di fantasticare su Tokyo e in generale sul viaggio, aveva anche degenerato pensando a qualche incontro interessante ma poi, alla fine, il sonno l'aveva vinta.
Si mise una mano davanti agli occhi, per coprirsi ed evitare che quella luce le entrasse dritta nelle iridi.
- Mamma, chiudi! - sbraitò portandosi le coperte sul capo.
- Oggi è il giorno... Ricordi? -
- Sì ma... - cominciò a dire Kagome e prima ancora di poter concludere la frase sgranò gli occhi e si girò in direzione della sveglia: segnava le 8:00.
- DIO, MAMMA! Ma ti pare questo l'orario a cui svegliarmi? Ho l'areo alle 11:00!- ormai era in piedi, aveva rifatto alla mala peggio il letto ed era volata in bagno per fare una bella doccia rinfrescante.
- Ah, questa figlia... - borbottò la madre mentre lei ormai era già lontana.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Kagome era in anticipo. Era già perfettamente lavata e profumata, mancavano solo i suoi lunghi capelli neri da asciugare e poi avrebbe potuto vestirsi.
Con lo spazzolino in bocca, guardandosi allo specchio, ripeteva tutte le cose che avrebbe dovuto portare per la permanenza in Giappone, ma più ci pensava e più i vari elementi le sfuggivano, per cui dopo circa cinque minuti aveva perso la speranza.
Accese il phon e lisciò la sua chioma corvina.
Per raggiungere l'aeroporto non ci voleva molto, ma non voleva avere fretta, voleva che tutto andasse liscio come l'olio e che non si creassero intoppi o problemi di qualche tipo.
- Eccomi! Allora, quando usciamo? -
Erano le 8: 45, era in piedi davanti la porta della cucina e suo padre non era neanche vestito.
- Almeno tra un'ora... - bofonchiò il signor Higurashi bevendo il suo caffé.
Kagome cambiò faccia, il suo entusiasmo venne meno, ma non si perse d'animo.
- Bene! Userò questo tempo per una nutriente colazione. - disse avvicinandosi alla credenza, - la colazione è importante, altrimenti un lungo viaggio come mai si potrebbe affrontare? - prese quindi i suoi cereali preferiti in una ciotola più larga del solito, del latte, i pancakes che la mamma aveva preparato come ogni mattina, lo sciroppo d'acero e anche del cioccolato.
- Colazione nutriente, sì... ma attenta che ti senti male sull'aereo! - il padre rise e la madre gli fece eco dallo stanzino adiacente alla cucina.
Mangiò tutto di gusto, si sarebbe anche preparata un pasto per affrontare tutte le dodici ore di aereo se non fosse che il personale di bordo provvedeva autonomamente a servire da mangiare a tutti i passeggeri.
Aveva scelto un volo diretto, senza aver mai preso un aereo, la cosa un po' la spaventava ma dall'altra parte la voglia di arrivare a destinazione era talmente alta che l'ansia, messa a confronto, sembrava solamente una piccola briciola in una grande tavolata bella pulita.
Senza che se ne accorgesse, tra i saluti e la tv che passava programmi di cucina già di prima mattina, passò l'ora che era necessaria aspettare e quindi, armata di valigie – una per mano – passò la soglia dell'ingresso principale, fino ad arrivare al cancelletto del loro giardino privato, che li separava dalla strada.
Si voltò appena, a guardare la sua casa, la mamma e Sota erano lì a salutarla e a farle gli auguri per quel viaggio.
- Chiama appena l'aereo parte!-
- Mamma, ma non posso, il telefono si deve tenere spento durante il viaggio! -
- Ah... - sospirò perplessa la signora – e allora chiama poco prima di salire! -
- D'accordo! E anche quando arrivo e per qualsiasi spostamento! - disse Kagome precedendo le intenzioni della madre.
- Bravissima. Buon viaggio amore, divertiti! -
E con un ultimo gesto della mano, entrò in macchina e, insieme al padre, si avviò all'aeroporto dove sarebbe cominciata la sua avventura.
Fu un viaggio stranamente taciturno, arrivarono a destinazione senza aver detto nulla e solo quando Kagome raggiunse il suo gate il padre si lasciò scivolare una lacrima sul volto.
- Papà che hai, non ti senti bene? -
- Ma no piccola, sono solo contento che tu stia crescendo. - disse sicuro – tuttavia... -
- Tuttavia? - lo incalzò Kagome.
- Tuttavia mi mancano molto i tempi in cui per fare un passo ti serviva la mia mano, altrimenti avevi paura di cadere. -
La ragazza si lasciò cadere di mano l'unica borsa che le era rimasta, visto che le altre erano state imbarcate, si lanciò al collo del padre e pianse anche lei.
- Papà, è solo un viaggio...Avrò sempre bisogno di te, lo sai! -
Lo guardò sorridendo e gli accarezzò il volto. - Ti voglio bene, papà. - scandì bene le parole, come se volesse che gli rimanessero impresse e che non facesse più brutti pensieri.
- Ora vai, altrimenti sarà stato inutile prendere dei biglietti un mese prima! - disse il signor Higurashi pulendosi il viso con il dorso della mano.
- Sì, vado. Saluta di nuovo tutti a casa da parte mia, appena torni. E dì alla mamma che mi hai vista salire sull'aereo ed è per questo che non l'ho chiamata. -
Si avvicinò un po' al suo orecchio, - non dirgli che abbiamo avuto quest'attimo di tenerezza o ne sarà gelosa! - strizzò l'occhio e salì sulla rampa.
In un attimo era nella pancia dell'aereo, cercava il suo posto vedendo il biglietto.
- Ah, eccolo. C5. -
Notò con piacere che era una seduta accanto al finestrino.
'Potrò godermi tutto il paesaggio da qui, che bellezza!', infilò gli auricolari per la musica e si accomodò per bene, trovando la giusta posizione per la testa su quel cuscino così morbido.
- Attenzione, allacciarsi le cinture di sicurezza. Siamo in partenza.-
Una voce femminile, stranamente metallica, avvertiva tutti di prendere posto e di non alzarsi durante il volo se non per andare in bagno. Spiegava le uscite di sicurezza, gli orari in cui sarebbero stati serviti i pasti e poi, finalmente, augurò un buon viaggio.
Pochi secondi dopo l'areo si muoveva, prese circa 900 metri di rincorsa e poi si alzò in volo.
Fu un attimo, Kagome cominciò a vedere la sua città farsi sempre più piccola, sorrideva come una bambina con la faccia schiacciata al vetro del finestrino.
Le case si facevano sempre più lontane ma lei si sentiva sempre più vicina alla sua amata Tokyo.
- Tra dodici ore sarà fatta – sibilò.
- Primo viaggio? - le chiese il suo vicino di posto, sorridendo.
- Sì, ma non ho paura. - rispose decisa.
 

Inscatolare tutta la vita di Osaka non era stato facile.
Quel giorno di qualche settimana prima, quando si era addormentato a casa di Sango fu svegliato da un bacio di lei, che gli chiese cosa ci fosse che non andava.
Inuyasha le disse tutto d'un fiato, senza dar modo a sé stesso di capire se quella era davvero la scelta giusta da fare: portare Sango con sé.
Lei aveva pianto dalla gioia, Tokyo era il suo sogno, anche se le metropoli la spaventavano per la loro grandezza. La ragazza gli chiese più volte se fosse davvero convinto di volerla portare in questa nuova avventura.
- Certo, da quando ho cominciato a lavorare qui sei stata la mia spalla e la mia unica certezza. Ho bisogno di te a Tokyo, non saprei dove sbattere la testa altrimenti. -
A quella risposta la ragazza aveva abbassato gli occhi, sorridendo ed arrossendo.
'Forse non è poi così necessario ufficializzare sempre tutto', aveva pensato.
Passarono il pomeriggio sul divano del piccolo appartamento di Sango, mangiando gelato e guardando la tv.
- Verrai a casa mia ad aiutarmi con gli scatoloni, da solo sarebbe una noia mortale – le aveva detto togliendosi la camicia per mettersi più comodo.
E così era stato.
Per la prima volta Sango si trovava in casa di Inuyasha. Non l'aveva mai vista, quando passavano la notte insieme Inuyasha preferiva stare da lei o in un albergo e, puntualmente, dopo aver finito e aver mangiato qualcosa, lui preferiva tornarsene a casa.
La ragazza era talmente abituata a quel gesto che era diventato una cosa naturale e normale, non si poneva più domande e accettava che, forse, l'intimità di condividere il letto per un notte per qualcosa che non fosse fare l'amore ancora non era un'azione che apparteneva alla loro coppia.
- Prego, prima tu. - disse Inuyasha aprendo la porta del suo attico.
Sango rimane a bocca aperta.
La vetrata enorme che dava sulla città se l'era ritrovata di fronte non appena varcata la sogli di casa e, con tutte le tende, filtrava una luce assoluta e calda. Non c'era neanche bisogno di accendere alcuna lampada, tutta la casa veniva illuminata da quella grande finestra centrale.
- Wow, molto bella... - si sentiva quasi in imbarazzo e non capiva perché, con una casa del genere, Inuyasha si ostinasse ad incontrarla in quella topaia di appartamento che si era trovata per pochi yen al mese.
Non c'era polvere né qualcosa fuori posto. I pavimenti brillavano ed ogni cosa era messa in una posizione specifica, quasi come non si potesse fare altrimenti, come se, fin dal principio, il posto che le era stato assegnato fosse stato conservato per quell'oggetto in particolare.
C'era anche qualche foto, qua e là, di una signora molto bella, con un viso etereo e dei lunghi capelli neri. Aveva il corpo avvolto da un kimono e sembrava appartenere ad un'altra epoca.
Sango non osò chiedere chi fosse.
- Fai come se fossi a casa tua, in quell'angolo – disse indicando una parte della casa, - c'è la cucina. Invece lì, - continuò spostando in dito – si trova il bagno.
Detto ciò, Inuyasha prese degli scatoloni da una stanza e senza troppa voglia cominciò a mettere dentro le cose più importanti.
- E con questa casa cosa ne farai? - disse Sango a voce alta dalla cucina.
- Ovviamente rimarrà mia, infatti per ora porto solo le cose fondamentali a Tokyo. I vestiti li comprerò lì, ad esempio. Non posso sempre fare avanti e indietro.
- Mhm...- rispose Sango.
- E in ogni caso, - continuò Inuyasha, a voce bassa – tornerò preso ad Osaka. -
Aveva gli occhi tristi e le orecchie basse.
I suoi occhi ambrati celavano qualcosa che teneva nascosto anche a sé stesso, ma che presto, con la continua vicinanza al fratello, sarebbe emersa travolgendo tutti. E lui sarebbe rimasto annegando da quell'onda di sentimenti, ne era convinto.
- Inuyasha, ma, ora che ci penso... - Sango faceva capolino nella stanza dove il ragazzo riordinava le varie cose.
- Sì? -
- Io non posso permettermi un affitto a Tokyo, se il mio stipendio rimane quello di ora.- abbassò lo sguardo. - Non fraintendermi, 250.000 yen al mese sono molte, ma come sai a Tokyo costa tutto di più... una casa, anche se malandata, costa il triplo di quella che pago ora. -
- Ah sì, ho dimenticato di dirtelo. - rispose prontamente Inuyasha con una mano tra i capelli e il viso palesemente imbarazzato – Ti ho comprato un appartamento. -
Sango sgranò gli occhi.
- Inuyasha ma cos... -
- Sango, tu hai fatto molto per me in questi anni. Soprattutto, accettare il mio carattere evasivo. Permettimi di ricambiare, a me non costa nulla, lo sai. -
Seppur imbronciata la ragazza in realtà era molto felice di quel gesto così spontaneo, ogni piccola cosa con Inuyasha era un enorme passo avanti e il cuore le traboccava di gioia.
- Grazie, davvero. - gli occhi le si stavano per riempire di lacrime, ma il ragazzo per evitare una scena in cui non sapeva bene che ruolo svolgere, le diede una sonora pacca sulla spalla e la invitò a non poltrire e ad aiutarlo con gli scatoloni.
Si scambiarono un amorevole sorriso e ricominciarono a mettere dentro oggetti e libri vari.
Finirono con il cielo tinto di rosso e arancio.
- Ti faccio riaccompagnare a casa. Domani chiama il signore che ti affitta casa e digli che non ne hai più bisogno. Per bagagli e scatoloni ti faccio arrivare una macchina intorno alle 10 di mattina e ci incontreremo poi direttamente per salire sul jet privato. -
- Uhm, d'accordo. - rispose Sango poco sicura.
Lo salutò ed uscì di casa accompagnata dall'autista che il giovane aveva predisposto per lei.
Non appena Sango chiuse la porta dietro di sé, Inuyasha tirò un sospiro di sollievo per essere riuscito a fare e dire tutto nel modo più giusto e senza impelagarsi troppo.
Soprattutto, senza avere paura di un rifiuto.
Si spogliò velocemente, chiamò il ristorante vicino al suo showroom e ordinò qualcosa da mangiare.
Aspettava sul divano, guardando distrattamente la tv.
Con Sango andava tutto bene, eppure... eppure non riusciva a sentirsi totalmente bene.
Scosse la testa, nel tentativo di scacciare quei pensieri e prese in mano la cartina che il padre gli aveva dato come riferimento.
Ginza, chissà che aria tirava da quelle parti.
- Inutile farsi troppe domande ora, - si disse a voce alta – domani vedrò con i miei occhi. -

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