sentenza di morte

di ChiaraBJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ‘padri’ a confronto ***
Capitolo 2: *** i fratelli Raisser ***
Capitolo 3: *** l’abito non fa il monaco ***
Capitolo 4: *** le ali della libertà ***
Capitolo 5: *** aiuti, bugie e molto altro. ***
Capitolo 6: *** morire, dormire, forse sognare ***
Capitolo 7: *** ricerche ***
Capitolo 8: *** rabbia e disperazione ***
Capitolo 9: *** flebili speranze ***
Capitolo 10: *** guardie e ladri ***
Capitolo 11: *** braccato ***
Capitolo 12: *** il maestro e l’allievo ***
Capitolo 13: *** Semir e Ben: uno contro l’altro ***
Capitolo 14: *** ‘quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura’ ***
Capitolo 15: *** gli angeli di Ben ***



Capitolo 1
*** ‘padri’ a confronto ***


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‘Padri’ a confronto

Quella mattina Semir si svegliò di buon umore. 
Era una stupenda giornata di fine settembre e lui e il suo socio erano in ferie per un’intera settimana. Fischiettando il piccolo ispettore scese le scale, mise la caffettiera sul fuoco, andò in bagno, si lavò, si vestì e appena sentì l’aroma del caffè diffondersi per la casa, ritornò in cucina.
Andrea e le figlie erano in vacanza in una località balneare italiana ospiti in una delle case che la famiglia Jager possedeva, Semir le avrebbe raggiunte di lì a poche ore.
Stava per versarsi il caffè in una tazza quando sentì suonare il campanello di casa.
Subito pensò a Ben, l’unica persona che poteva quel giorno venirlo a trovare, ma poi si ricordò che il ragazzo aveva deciso di trascorrere la settimana con Livyana in campeggio, un vero campeggio, lontano da gente pericolosa e armata.
Mentre si avvicinava alla porta per vedere chi era, pensò a tutti gli scocciatori che poteva trovare sull'uscio: venditori porta a porta di qualche aspirapolvere superaccessoriato di ultima generazione, persone che chiedevano informazioni se era in vendita qualche casa nei dintorni, oppure uomini e donne che annunciavano l’imminente fine del mondo. Con la tipica espressione di chi sta per dire ‘non voglio e non compro nulla, grazie, ma non sono interessato’ Semir aprì la porta restando letteralmente di sale.
Davanti a lui c’era Konrad Jager ed era visibilmente sconvolto.
Il padre di Ben era l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere alla sua porta,  troppi dissapori passati e presenti li dividevano, primo fra tutti il fatto che lui fosse il miglior amico di suo figlio, oltretutto poliziotto.
Semir avrebbe voluto mandarlo via, aggredirlo domandandogli cosa ci facesse davanti a casa sua, ma il piccolo ispettore si impose di seppellire temporaneamente l’ascia di guerra: se Konrad Jager era lì, un motivo c’era e riguardava senz’altro Ben.
Un strana sensazione come di un blocco allo stomaco lo invase.
“Ben sta bene?” chiese preoccupato Semir a Konrad senza nemmeno salutarlo.
“Me lo dica lei” rispose a tono il padre di Ben.
“Io?” chiese serio e alquanto perplesso Semir.
“Sì non sarebbe la prima volta che Ben lascia Livyana qualche giorno a casa nostra a Düsseldorf per qualche vostro…lavoretto sotto copertura” sbottò Konrad Jager.
“Signor Jager” ribatté Semir sempre sulla soglia della porta “Le posso assicurare che Ben non ha in corso nessun incarico sotto copertura, lo saprei”
“Lo saprebbe…ne sarebbe a conoscenza?” ringhiò “Certo, come quella volta che Ben quasi ci rimise la pelle e finì in galera? Lei ce lo mandò!” gli ricordò maligno l’imprenditore puntandogli contro un dito.
Semir ricordava benissimo quell’episodio, era passato un sacco di tempo, e malgrado tutto fosse tornato come prima ancora si sentiva in colpa.
Aveva personalmente ammanettato e picchiato Ben, gli aveva addirittura sparato due volte credendolo una spia al servizio del governo cinese.
“Senta forse è meglio se si accomoda e ne parliamo con calma” propose Semir riacquistando lucidità.

Konrad Jager entrò in casa del piccolo ispettore che fece cenno all’anziano imprenditore di sedersi sul divano.
“Allora ricapitoliamo” cominciò Semir “Ben …” ma fu interrotto da Konrad.
“Mio figlio” e sottolineò con la voce la parola ‘mio’ come per far capire che Ben era suo figlio e di nessun altro checché ne pensasse Semir “Doveva venire questa mattina presto a prendere Livyana per andare in campeggio e non si è presentato. Quando si tratta di lei…Ben avrebbe chiamato anche se avesse tardato un paio di minuti”
Semir a quelle parole prese il cellulare, stava già componendo il numero del suo socio.
“L’ho chiamato in continuazione e il cellulare squilla fino a quando non si attacca la segreteria” lo ragguagliò il vecchio imprenditore.
Semir chiuse la comunicazione, Konrad aveva ragione.
“Sono passato a casa sua prima di venire qui, ho suonato diverse volte e non mi ha risposto…ovviamente non sono passato per il vostro comando…” continuò il padre di Ben.
“Ovviamente, ci mancherebbe” ribatté acido Semir, prendendo le chiavi della BMW e quelle dell’appartamento di Ben “Andiamo a casa sua, sicuramente sarà ancora così addormentato da non sentire nemmeno le cannonate”
“E se non fosse così?” replicò Konrad .
“In quel caso come prima cosa telefonerò al comando, così capirà che tra me e Ben, non ci sono più segreti” concluse Semir.
“Sì come no, come quella volta!” sbottò sarcastico l’imprenditore.
“Soprattutto dopo quella volta” rimbeccò Semir.

Per tutto il tragitto Semir si arrovellò la mente con le più semplici e le più complicate ipotesi.
Scartò subito quella dell’essere sotto copertura senza averlo messo al corrente.
Ogni volta che lo aveva fatto per poco il ragazzo non ci aveva rimesso la pelle.
Continuava a pensare che sia lui che Konrad si stavano allarmando per niente, Ben sicuramente non aver sentito la sveglia, come al solito, visto che l’unica che riusciva ad alzarlo dal letto in orario, Livyana, era da tutt’altra parte.
Forse Ben si era dimenticato di passare a prendere Livyana, magari era in dolce compagnia, ma lui lo avrebbe saputo, quando il suo socio era innamorato si comportava in maniera diversa, insolita e Livyana lo avrebbe percepito subito e glielo avrebbe riferito.
Ben che, alzato dal letto, aveva avuto un capogiro cadendo aveva battuto la testa ed  ora era agonizzante in mezzo alla camera da letto.
Ben rapito da qualche serial killer le cui vittime prescelte sono persone atletiche, giovani ed attraenti.
Ben ucciso per vendetta da qualcuno che aveva messo in prigione.
Ben vittima questa volta veramente e non per coprire la sua scomparsa come in passato gli avevano fatto credere, della cosiddetta ‘sindrome del burnout’ , il ragazzo poteva essere caduto in depressione, nessuno se ne sarebbe accorto e ora in preda ad un fortissimo esaurimento nervoso, era andato completamente in ‘corto circuito’ e aver fatto qualche sciocchezza…fatale.
Ben che era scappato perché…perché boh, ma era scappato chissà dove, anche se pensandoci bene ne dubitava, non avrebbe mai abbandonato Livyana, di questo Semir ne era più che certo.
Ben rapito dagli alieni che ora stavano facendo strani esperimenti su di lui.
Ben che aveva avuto un colpo di sonno tornando da un concerto con la sua band, aveva avuto un incidente ed era finito giù per una scarpata ed ora era moribondo se non morto.

Finalmente davanti a lui apparve il lussuoso palazzo dove viveva il ragazzo.
Semir accostò l’auto vicino al muro di cinta e sia lui che Konrad scesero dal mezzo.
“Come entriamo?” chiese il vecchio.
“Con queste” rispose Semir, quasi compiaciuto, mentre dalla tasca estraeva un mazzo di chiavi.
Konrad divenne per un attimo rosso dalla rabbia.
Lui, in quanto padre, avrebbe dovuto avere le chiavi dell’appartamento del figlio, cosa che invece aveva il suo collega poliziotto.
Semir notò subito l’espressione dell’uomo, ma non voleva essere cattivo e rimarcare cosa era lui per il ragazzo, in fondo Ben voleva bene al padre e non gli sarebbe piaciuto vedere che Semir non lo trattasse con il dovuto rispetto, specie in quella situazione.
“Lei abita a Düsseldorf…se Ben restasse chiuso fuori…insomma io abito più vicino”
“Apprezzo la diplomazia, ispettore, ma sappiamo entrambi…” e volutamente non concluse la frase.
Con il cuore in gola entrambi gli uomini salirono al piano dove era situato l’appartamento di Ben, poi come in apnea Semir aprì la porta d’entrata.

L’abitazione era in ordine, sul tavolo del salotto c’erano le chiavi di casa, quelle della macchina e il cellulare.
“Dove sarà andato, senza questi” chiese Semir più a se stesso che a Konrad che stava dietro di lui.
Il vecchio seguì Semir in camera, il letto era sfatto, la fondina con la pistola d’ordinanza stava sopra il comodino; l’espressione di Semir era più che eloquente: sentiva che a Ben era accaduto qualcosa.

Passarono alcuni secondi quando il cellulare sopra al tavolo suonò.
Semir come un fulmine ritornò in sala e diede una veloce occhiata al display prima di rispondere.
“Dottoressa Kladden” esordì Semir.
“Ispettore Gerkhan???” il tono della voce della giovane psicologa di Livyana era alquanto perplesso.
“Sì sono io “ rispose il piccolo ispettore.
“Cercavo Ben…cioè l’ispettore Jager, doveva passare da me questa mattina presto, dovevo consegnargli dei documenti, prima di partire per le vacanze, ma non si è visto…così ho pensato di telefonargli”
“Dottoressa…ecco…Ben…ha avuto un contrattempo” rispose Semir, poi dopo averla velocemente salutata riagganciò senza tanti convenevoli e rivolgendosi al padre di Ben concluse:
“Chiamo subito la scientifica, Ben non se ne è andato di sua spontanea volontà, Ben è stato rapito”
“Cosa le fa credere che sia stato rapito” chiese spaventato al solo pensiero Konrad.
“Quella” e indicò la porta finestra con evidenti segni di effrazione.
“Potrebbe essersi introdotto un ladro…lui potrebbe essere…con un’amica” ora anche Konrad Jager cominciava a preoccuparsi, cercava altre ipotesi, come se volesse scacciare dalla mente quella che sembrava la più evidente.
“No, si sarebbe portato via le chiavi, il cellulare, avrebbe messo via la pistola, non l’avrebbe mai lasciata così in bella mostra…e guardi…è tutto in ordine, troppo…”
E poi quel brutto presentimento che gli bloccò di nuovo lo stomaco.
“Mi creda…volevano Ben”

Nel medesimo istante in cui Semir era nell’appartamento del suo socio, un ragazzo alto, coi capelli scuri e profondi occhi castani si svegliava in una cella del carcere di massima sicurezza di Colonia.
Il ragazzo cercò di sedersi sulla scomoda brandina, ma aveva male dappertutto, soprattutto le costole che gli dolevano ogni volta che respirava. Aveva un mal di testa allucinante, e anche la vista un po’ offuscata.
“Ma come sono finito qua?” si chiese il ragazzo, stropicciandosi gli occhi e cercando di mettere a fuoco l’ambiente in cui si trovava, ma la domanda che si fece subito dopo e che restò anche questa senza risposta fu più terribile:
“E io chi sono?”

Angolino musicale e N.D.A. Ed eccomi qua con una nuova storiellina…Sentenza di morte o, come ironicamente ho ribattezzato io ‘Lo smemorato di Colonia’, forse la più ‘grimildosa’ FF che abbia mai pubblicato. Ovviamente come sempre, sarete voi lettori e recensori, a stabilire se è così o meno...
Gary Barlow & Robbie Williams ‘Shame’ (Che peccato)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=tv49bC5xGVY
 
Bene, ci sono tre versioni di questa storia. La mia, la tua e la verità. E possiamo attribuirla al caso, alla nostra infanzia o alla nostra giovinezza. Al di là di qualche guadagno sentimentale, volevo che tu sentissi il mio dolore, ma tornava sempre indietro al mittente. Ho letto nella tua mente e ho provato a mettermi in contatto…Che peccato non aver mai ascoltato…Le parole vengono fuori facilmente quando sono sincere…






 

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Capitolo 2
*** i fratelli Raisser ***


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I fratelli Raisser

Semir si aggirava per l’appartamento di Ben come un leone in gabbia, aveva telefonato al distretto, parlato direttamente con il commissario Kruger per avere l’assoluta certezza che Ben non stesse svolgendo qualche missione sotto copertura.
Kim Kruger gli aveva assicurato che era così, Semir le aveva creduto, la sentiva preoccupata.
Fu proprio lei a sollecitare l’immediato invio della squadra della scientifica, dopo che Semir le aveva detto della porta forzata che dava sulla grande terrazza.
Nel frattempo il padre di Ben se ne stava immobile in piedi in mezzo al grande salone.
In quell’appartamento Konrad aveva la sensazione di sentirsi quasi un estraneo.
Appese alla parete c’erano chitarre di tutti i tipi, e il vecchio riconobbe subito tra esse quella che sua moglie Elizabeth aveva regalato al figlio quando aveva pochi anni.
Sopra ad un modernissimo mobile foto che ritraevano Ben in vari momenti della sua vita: mentre suonava con la band, testimone al matrimonio della sorella, da piccolo con la madre ed Helga, in compagnia dell’intera famiglia Gerkhan, il giorno in cui si diplomò all’accademia di polizia, abbracciato ad una sorridente Livyana.
Ma di lui con Ben, nessuna foto.
Sembrava che nella vita del ragazzo lui non esistesse.
Semir si avvicinò al vecchio imprenditore, notando che Konrad aveva gli occhi lucidi.
Gli mise quindi una mano sulla spalla.
“Per Ben non esisto, lo vedo dalle foto” disse con un filo di voce.
“Non è vero, Ben le vuole bene, solo che entrambi avete un modo un po’…contorto per dimostrarvi affetto” lo rincuorò Semir.
“Apprezzo la sua diplomazia, ispettore” rispose il vecchio asciugandosi furtivamente una lacrima.
“Vedrà lo troveremo, fosse l’ultima cosa che faccio al mondo… lo troverò…”
Il vecchio tentò di abbozzare un piccolo sorriso di gratitudine.

Pochi minuti dopo si presentò nell’appartamento di Ben la polizia scientifica, capitanata da Hartmut Freund.
“Ciao Einstein” lo accolse Semir “Dai entra”
“Ciao Semir” rispose con fare professionale il tecnico della scientifica. Indossava già la tuta bianca, gli occhiali protettivi, i guanti e le sovra scarpe.
“Sai quello che devi fare, io accompagno a casa il padre di Ben. Spero di non aver ‘inquinato’ la scena del crimine…io e il signor Jager non potevamo immaginare che…sì insomma…” Semir non voleva far preoccupare ulteriormente il padre di Ben, ma la faccia del vecchio imprenditore era a dir poco spaventata “Comunque torno dopo, per le prime…” ma fu interrotto da Hartmut.
“Semir ci vuole tempo per queste cose lo sai…” puntualizzò il tecnico con fare professionale come al suo solito.
Ma questa volta fu il padre di Ben a spiazzare tutti.
“Non so se mio figlio abbia tutto questo tempo, non sappiamo se si sia allontanato di sua spontanea volontà e qualcuno poi si sia intrufolato nell’appartamento o se invece…” e il vecchio non osò nemmeno formulare l’ipotesi “La prego signor Einstein faccia il possibile per scoprire cosa è successo a Ben”
Hartmut avrebbe voluto dirgli che il suo cognome era ben altro ed ‘Einstein’ era il nomignolo che i suoi amici ispettori gli avevano affibbiato anni or sono, ma capendo lo stato in cui versava Konrad Jager si limitò a dire:
“Le prometto che faremo il possibile signor Jager” lo rassicurò Hartmut vedendo la disperazione negli occhi del vecchio.
“Signor Jager, lei ha l’auto a casa mia, ma se vuole la riaccompagno alla villa…” si preoccupò Semir scendendo con l’ascensore, al piano terra.
“No grazie, guidare mi rilassa e mi aiuta a pensare. Quando mi vedrà Livyana vorrà sapere perché Ben non è venuto a prenderla, devo studiare cosa dirle, come rassicurarla. Non posso raccontarle bugie, sa che il lavoro di Ben a volte è pericoloso”
Semir si aspettava la solita ramanzina da parte di Konrad sul motivo per cui Ben avesse scelto di diventare poliziotto, ma questa volta non ci fu nessun rimprovero da parte del vecchio imprenditore, forse l’uomo aveva capito finalmente che malgrado tutto quella era la vita che si era scelto il figlio e cascasse il mondo lui non avrebbe mai potuto fargli cambiare idea.

Mentre il piccolo ispettore accompagnava a casa sua Konrad Jager la squadra della scientifica si mise a perlustrare minuziosamente l’appartamento di Ben.
Pennellini per rilevare impronte, lampade speciali, vetrini, ogni cosa stava passando sotto lo sguardo attento e professionale della squadra del KTU.

Un’ora dopo Semir fece ritorno nell’appartamento dell’amico, mentre Konrad di ritorno alla villa avrebbe dovuto affrontare Livyana e spiegarle che la sua tanto desiderata settimana di campeggio con Ben era stata rinviata a data da destinarsi a causa di forze, purtroppo decisamente, maggiori.
Konrad Jager non lo avrebbe ammesso mai, ma la ragazzina stava con la sua dolcezza, innocenza e semplicità avvicinando lui al figlio, come fosse l’anello di congiunzione tra due mondi opposti, certo le foto che aveva visto a casa di Ben sembravano dire altro, ma chissà magari col tempo…ma forse ora era troppo tardi.
Appena Livyana udì arrivare la Jaguar del padre di Ben subito corse giù per la grande scalinata che abbelliva l’entrata della lussuosa villa.
La ragazzina non aveva dato nessun soprannome al vecchio imprenditore, nessun zio Konrad meno che meno nonno, per lei era soltanto e semplicemente Konrad.
“Konrad, notizie di Ben?” chiese preoccupata, vedendolo scendere dall’auto solo mentre dietro di lei Helga scendeva le scale per sapere in tempo reale perché Ben quella mattina non si fosse presentato alla villa.
“Purtroppo Ben…ecco…” farfugliò il vecchio.
“Purtroppo cosa?” chiese spaventata.
“Ben è scomparso” rispose laconico, senza tanti giri di parole.
Livyana restò come pietrificata, alle sue spalle le sembrò di sentire Helga che soffocava un gemito portandosi una mano alla bocca.
“Ma l’ispettore Gerkhan lo sta cercando…” cercò di dire Konrad, ma sentendo la sua voce incrinarsi si bloccò.
La ragazzina, se anche avesse avuto il coraggio di dirle altro, non gli lasciò finire la frase, di corsa e in lacrime risalì le scale per andare a sfogare tutto il suo dolore nella sua cameretta.
“Livyana aspetta” cercò di richiamarla l’imprenditore, purtroppo la ragazzina era già lontana.
“Povera piccola” replicò sconsolato Konrad.
“Signor Jager” si preoccupò Helga “Cosa è accaduto al ragazzo?”
“Non lo so, proprio non lo so” rispose triste l’uomo.
Dopo poco la governante raggiunse la stanza di Livyana.
La ragazzina stava piangendo disperata e quando sentì la porta aprirsi capì subito che era la governante.
“Non lo rivedrò più, Helga…lui dice di essere ‘maledetto’ invece sono io che gli porto sfortuna…da quando mi ha conosciuta…”
“Coraggio piccola, devi essere forte e coraggiosa, Semir lo troverà” cercò di confortarla, di rassicurarla, ma la cosa in quel momento era quasi impossibile.
“Mi dite sempre la stessa cosa, di essere forte e coraggiosa, ma io non lo sono…” singhiozzò con la testa sotto il cuscino come se dovesse proteggersi da qualcosa o qualcuno.
“Ben dice di sì, vedrai Semir lo troverà…” le ripeté la donna sedendosi accanto.
“Lo so zio Semir lo trova sempre, ma come? E in che condizioni??? E ogni volta è…è sempre peggio”
Helga la lasciò sfogare, non sapeva nemmeno cosa dirle per confortarla, amaramente pensò che al momento l’unica cosa che potevano fare era pregare ed aspettare.

Intanto Hartmut sollecitato da Semir stava ricavando dai rilievi i primi risultati.
“Allora nell’appartamento ci sono tracce lasciate dai dermatoglifi…” cominciò lezioso Hartmut.
“Hartmut…è così banale dire impronte digitali?” sbroccò Semir alzando gli occhi al cielo.
“Uff” sbottò il giovane tecnico “Comunque ci sono tracce di Ben e della ragazzina che ha in affido, tue, del signor Jager e di una donna, credo che Ben ecco…insomma…” tergiversò Hartmut.
“Scusa dove vuoi arrivare?” lo sollecitò Semir.
“Dicevo che molte tracce della stessa persona sono presenti in svariati documenti che riguardano l’affido della ragazzina, sono presenti in ogni stanza dell’appartamento, anche…beh ecco…sì insomma sul comodino, la testiera del letto…e in cucina. Nell’acquaio ci sono due bicchieri sporchi di vino rosso e uno con tracce di un tenue lucidalabbra” concluse una punta di malizia Hartmut.
“Scusa un attimo” lo interruppe Semir “Mi stai dicendo che Ben e la Kladden…questa poi…me ne sarei accorto. Pazzesco Ben è riuscito a tenermi nascosto…chissà se pure la piccola…” Semir era sbigottito, ma poi tornò coi piedi per terra richiamato dal tecnico.
“Dicevo” continuò Hartmut “La cosa più interessante e più strana è che ho un riscontro su un capello che non è di nessuna delle persone che ho citato prima, il DNA è presente nei nostri data base, o meglio qualcosa di molto simile ti ricordi di Steffen e Thorben Raisser?”
Semir sbiancò.
“Ma i due fratelli sono in carcere, li abbiamo arrestati entrambi, ti ricordi? Il caso è quello in cui misero me e Ben uno contro l’altro. Avrei dovuto ucciderlo per avere salva la vita della mia famiglia. E in ogni caso adesso che ci penso bene uno è morto due anni fa, in seguito ad una rissa in carcere e l’altro vittima di un infarto sempre durante la detenzione…”
“Sì, ma non il terzo fratello…Horst Raisser”
“Cosa? Mi stai dicendo che c’è un terzo fratello? Cavoli e come mai non ne sapevo niente?”
“Veramente sono più di tre…sono quattro” sentenziò Hartmut.
“Ma porca miseria…devo…dobbiamo rintracciali subito, tutti…”

Intanto nel carcere di massima sicurezza di Colonia un giovane uomo si stava chiedendo come e perché fosse rinchiuso in una cella di tre metri quadrati, quando la porta della cella si aprì automaticamente.
Il ragazzo a fatica si mise in piedi avvicinandosi alla soglia della cella, si teneva un braccio attorno allo stomaco e dal dolore camminava curvo, strascicando i piedi. Aveva la testa che gli pulsava dal male e le orecchie che gli fischiavano da renderlo quasi sordo. Davanti a lui, come fossero in processione, decine di uomini vestiti tutti con la tenuta da carcerato, la stessa che indossava lui, si stavano dirigendo verso quella che al ragazzo sembrò l’uscita per il cortile.
“Ehi galeotto, ti vuoi sbrigare, l’ora d’aria è di sessanta minuti…dai mettiti in fila e segui gli altri” gli urlò sprezzante una guardia vedendolo imbambolato sulla soglia della cella.
Il ragazzo si avviò verso l’uscita, obbedendo al comando non tanto perché aveva capito cosa gli aveva detto il secondino, ma per come aveva accompagnato la frase con gesti ed espressioni del viso alquanto eloquenti.
Stava quasi per raggiungere il cortile quando qualcuno lo prese per le spalle scaraventandolo a terra.
“Ma guarda chi si vede, Jager lo sbirro che mi ha sbattuto in galera” e detto ciò cominciò a colpirlo ripetutamente con dei calci violenti alle costole già malconce.

Nel frattempo Semir nell’appartamento di Ben si stava riprendendo dallo shock dopo che Hartmut gli aveva detto che molto probabilmente in casa di Ben era entrato un membro della famiglia Raisser.
I due fratelli Raisser avevano letteralmente giocato con la vita dell’intera famiglia Gerkhan. A quanto pare non era bastato consegnarne due alla giustizia. Morti Steffen e Thorben, Semir pensava che ora tutto fosse finito, ma forse non era così.
Un turbinio di pensieri cominciarono a tormentarlo.
Possibile che i restanti due fratelli rimasti in vita volessero vendetta?
E se fosse così, si erano vendicati di lui tramite Ben, come avevano fatto gli altri due?
Ma in che modo stavolta?
Conoscendo i fratelli morti, non certo con una semplice esecuzione, se quella che cercavano e volevano era vendetta sarebbe stata terribile.

Intanto lo spirito di conservazione di Ben ebbe il sopravvento.
Anche se a terra e con le costole che chiedevano quasi pietà, il ragazzo afferrò il piede dell’uomo che lo stava picchiando prima dell’ennesimo calcio. Lo scaraventò a terra e come una furia gli si avventò contro cominciando a sua volta a colpirlo. Ne seguì una lotta furibonda che alla fine portò il giovane poliziotto ad avere la meglio.
“Ehi tu mani in alto o sparo” urlò un agente alle sue spalle, mentre due agenti aiutavano l’uomo che aveva picchiato Ben ad alzarsi e altre guardie facevano uscire velocemente nel cortile tutti i detenuti che si erano fermati a guardare i due che si prendevano ferocemente a pugni.
Ben alzò le mani in segno di resa voltandosi lentamente. Non riusciva a stare dritto i colpi presi lo avevano ulteriormente debilitato, il ragazzo non sapeva bene il perché, ma sentiva che poteva fidarsi di un uomo in uniforme.
“Senta agente, mi deve aiutare” supplicò Ben ansimando, si sentiva confuso, la testa continuava a fargli male, le orecchie continuavano a ronzare da rendere tutto così maledettamente difficile, anche il più semplice discorso “Non so come sono finito qua, non ricordo chi sono…quell’uomo che mi ha aggredito…mi ha chiamato Jaser, Leder…non ho capito bene…ha detto che sono uno sbirro…io non capisco…la prego… mi aiuti…”
“Senti avanzo di galera, se stai cercando rogne…” l’agente si avvicinò minaccioso sventolandogli in faccia il manganello.
“Non sto cercando di prenderla in giro…non mi ricordo chi sono, la prego mi aiuti…le chiedo solo di aiutarmi a capire come sono arrivato qui…” Ben era disperato soprattutto perché quello che stava dicendo al secondino era vero: non si ricordava nulla, nemmeno il suo nome.
L’agente lo guardò torvo, ma poi cambiò espressione.
“Vieni con me, ma prima è meglio se ti porto in infermeria e ti faccia medicare, vedo che ti stai tenendo il costato, hai uno zigomo che sanguina, Traber ti ha picchiato duro, ma vedo che anche tu non scherzi, visto che lo hai steso. Poi ti porterò da chi di dovere, va bene?”
“Grazie agente…” il ragazzo lasciò in sospeso la frase per sapere con chi stava parlando.
“Raisser” rispose l’agente accennando un mezzo sorriso “Horst Raisser”
 
Angolino musicale dalla padella alla brace direi…brutti sogni, anzi incubi per tutti, nessuno escluso…attendo le vostre impressioni.
Grazie a tutti e un abbraccio speciale ai miei recensori.
Metallica ‘Enter Sandman’ (entra l’uomo del sonno)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=CD-E-LDc384
Dì le tue preghiere, piccolo Non dimenticare, figliolo Di includere tutti Ti rimbocco le coperte, così starai al caldo E non peccherai Fino all’arrivo dell’uomo del sonno Dormi tenendo aperto un occhio Stringi forte il tuo cuscino La luce scompare Arriva la notte Prendi la mia mano Andiamo nel paese immaginario Qualcosa non va, spegni la luce Stanotte farai pensieri gravi Non penserai a Biancaneve Ma sognerai la guerra, sognerai le menzogne Sognerai il fuoco del drago E cose che mordono Ora vado a letto e cerco di dormire Prega che Dio custodisca la mia anima Se dovessi morire prima del mio risveglio Prega che Dio si prenda la mia anima Non parlare piccolino, non fiatare E non fare a caso al rumore che odi È solo l’Orco che giace sotto il letto, dentro il tuo armadio, dentro la tua testa…
 

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Capitolo 3
*** l’abito non fa il monaco ***


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L’abito non fa il monaco

Mentre Ben chiedeva disperatamente aiuto all’agente del penitenziario Horst Raisser, Semir stava mettendo al corrente l’intero comando della scomparsa del suo socio e delle tracce di DNA trovate a casa sua.
“Susanne” intervenne il commissario Kruger “Cosa può dirci dei due fratelli rimasti ancora in vita?”
“Dunque i fratelli sono due” delucidò l’efficiente e sempre precisa segretaria “Karla dopo l’arresto dei fratelli si è trasferita a Berlino. E’ sposata, senza figli fa l’insegnante in una scuola elementare. Non è mai andata a trovare i fratelli, quando erano in carcere, né ha mai voluto contattarli, direi che ha preso decisamente  le distanze da loro”
“Dubito che possa organizzare un rapimento…” ragionò Dieter.
“Una donna che cerca vendetta è capace di tutto” rimbeccò Jenny.
“Questo è vero, ma sembra che non volesse più aver a che fare coi fratelli criminali, direi comunque di farla rintracciare, tanto per toglierla dalla lista dei sospettati” propose Semir.
“Sì” convenne Kim “Bonrath si informi subito, chieda la collaborazione della polizia locale” poi rivolgendosi di nuovo alla segretaria “Susanne per favore prosegua, cosa sappiamo del quarto fratello?”
“Il quarto fratello si chiama Horst ed è in forza alla polizia penitenziaria, attualmente lavora nel carcere di massima sicurezza qui a Colonia” rispose con la solita professionalità la segretaria.
“Caspita, un poliziotto che ha per fratelli due criminali, credo che non ne sapevamo niente anche lui avrà fatto di tutto per prendere le distanze da loro” replicò Jenny.
“Potrei andare a casa sua e interrogarlo, così tanto per farci due chiacchiere e comunque non dimentichiamo che le tracce di DNA trovate a casa di Ben sono riconducibili a lui…” ma Semir fu interrotto subito dal commissario.
“Gerkhan, le tracce di DNA potrebbero appartenere a qualcun altro…magari qualche figlio o parente sconosciuto” ipotizzò Kim.
“Se fossi sicuro che servisse a trovare Ben interrogherei ogni singolo abitante di questa città…purtroppo abbiamo solo questa pista. Andrò a fare quattro chiacchiere con questo terzo fratello” quindi rivolgendosi a Susanne le chiese l’indirizzo di Horst Raisser.
“Ci metterai un po’ ad arrivare, Horst e la famiglia abitano a Düsseldorf” lo informò la segretaria.
“Allora è meglio se telefoniamo…magari è di turno al carcere di Colonia sarebbe tempo guadagnato” consigliò Semir.
“Gerkhan” lo chiamò Kim prima che uscisse dal distretto “Porti con lei Bonrath o Jenny” poi vedendo l’espressione contrariata di Semir “La prego, una mano in queste situazioni è sempre utile…”
“Capo, Ben e solo Ben è il mio partner” replicò laconico, di fatto interrompendola.
“Lo so, ma…” la donna ora era preoccupata anche per ciò che poteva fare l’altro ispettore.
Quando uno dei due era in pericolo, le regole non esistevano proprio e i colpi di testa erano sempre in agguato e la lucidità poteva venir meno.
“Gerkhan…” provò a farlo ragionare il commissario.
“Senta capo, capisco la sua preoccupazione, davvero, ma le ripeto che Ben Jager è il mio partner e fino a prova contraria lo è ancora…devo solo trovarlo” e detto questo prima che il commissario potesse ribattere qualcosa uscì di corsa dal distretto.

Intanto Ben stava percorrendo un lungo corridoio camminando davanti all’agente che lo aveva preso in custodia.
“Ecco entra qua, fra un po’ ti mando l’infermiera” lo informò Horst Raisser indicandogli una porta semiaperta.
“Ma questa non è l’infermeria…”  constatò Ben restando titubante sulla soglia di un grande stanzone.
“Esatto” rispose l’agente, dandogli una forte spinta che lo fece cadere sul pavimento della stanza.
Ben si alzò a fatica, avrebbe voluto uscire, ma la porta si chiuse nel medesimo istante in cui toccò terra.
Subito dopo il classico rumore delle mandate all’interno della toppa.
“Ehi…apri!!!…ehi…” picchiò Ben alla porta una volta rialzatosi.
“E’ inutile che gridi, tanto non ti sentirà nessuno e nessuno verrà ad aprirti, ho io le chiavi” e dietro a Ben comparve un uomo con lo sguardo decisamente minaccioso che brandiva un coltello a serramanico, che fece scattare non appena il ragazzo si voltò verso di lui.
“E’ bello rivederti…” disse l’uomo avvicinandosi pericolosamente.
“Chi sei? E tu…tu sai chi sono io?” chiese stupito Ben.
Era incredibile, in quel posto tutti sapevano chi era, tranne lui.
“Sono Hektor Preuss e so benissimo chi sei tu, ma a quanto vedo Raisser non mentiva, non ti ricordi proprio niente” sogghignò beffardo “Sai in fondo mi dispiace, avrei voluto che sapessi che alla fine ti avrei ammazzato…” e come una furia si avventò su Ben.
Ancora una volta Ben cercò di salvarsi la vita, vicino a lui non c’era niente con cui cercare di difendersi, solo la forza della disperazione,  e l’uomo che aveva davanti era alto e robusto quanto lui, però decisamente più in forze.
Ben riuscì a schivare alcuni colpi, poi due andarono a segno ferendolo di striscio al petto e ad un braccio.
Il ragazzo ebbe la sensazione di essere stato accoltellato direttamente al cuore, dolori atroci si irradiarono su tutto il suo corpo.
Preuss quindi ne approfittò per assestargli un paio di pugni allo stomaco e alle costole sempre più dolenti.
Stremato Ben cadde in ginocchio senza fiato, voleva svenire, almeno i dolori sarebbero cessati, pregando di morire il più velocemente possibile.
Preuss lo prese per i capelli e con violenza gli tirò indietro la testa “Ti taglierò la gola sbirro…” gli urlò beffardo.

Ben pensò che ormai era finita, la sua vita sarebbe cessata da lì a pochi minuti.
Triste pensò che magari fuori da quella prigione da qualche parte c’era qualcuno che lo stava aspettando e, perché no, cercando.
Chiuse gli occhi aspettando che quel maledetto individuo, che sapeva il suo nome, ponesse fine alla sua giovane vita.
Ma qualcosa nella sua testa lo fece sorprendentemente reagire, nella sua mente riecheggiò l’allegra risata di una ragazzina.
“Vai all’inferno!” sibilò Preuss alzando il braccio per sferrare il colpo finale.
“Dovrai sudare ancora lurido bastardo” replicò Ben riuscendo a fermare con entrambe le mani quella armata di Preuss e con le ultime forze che gli restavano si alzò in piedi, deviò il colpo, facendo cambiare la traiettoria al braccio dell’avversario.
Preuss sbarrò gli occhi, per un secondo guardarono Ben, poi si poggiarono sul suo busto, pochi attimi dopo cadde a terra senza vita con il coltello conficcato in mezzo petto.

Il giovane poliziotto, esausto fece qualche passo indietro, finché non si ritrovò con la schiena poggiata contro il muro. Lentamente scivolò fino a sedersi a terra; non ne poteva più respirava a fatica, era stanco e senza un briciolo di forze, ferito, aveva male ovunque. Di una cosa però era certo.
“Non resterò un minuto di più qui, anche se sono un criminale, non sono stato condannato a morte e qui non morirò…”
E Ben cominciò a pensare guardandosi attorno.
Non poteva chiedere aiuto ad altri poliziotti; visti i precedenti chissà quanti altri di loro lo volevano morto.
Per non parlare dei detenuti, forse  quello che aveva appena ucciso non era l’unico che lo volesse eliminare.
“Cosa darei per sapere chi sono...questo maledetto bastardo lo sapeva, maledizione” imprecò alzando gli occhi verso il soffitto della stanza.
Fu in quel momento che il suo sguardo fu attratto dal sistema antincendio, pochi secondi dopo ebbe una folgorazione.
“Ecco la mia evasione, sarà in grande stile…se non posso uscire e chiamare aiuto…l’aiuto arriverà dall’esterno. Devo solo pregare di avere fortuna”
Lentamente e con non poca fatica si issò in piedi, per prima cosa però doveva tamponare le ferite al petto e al braccio infertegli da Preuss.
L’agente Raisser lo aveva rinchiuso dentro ad uno stanzone dove vi era custodito tutto il necessario per le pulizie dell’intero edificio.
Sulle scansie che Ben si mise a rovistare trovò di tutto, stracci, con i quali alla meno peggio si fasciò le ferite, detersivi di ogni genere, spugne, secchi e nascosto dietro ad uno di essi un pacchetto aperto di sigarette.
“Grande, ma non mi sembra di aver mai fumato in vita mia…almeno credo” si ritrovò a pensare ad alta voce  “Certo che se qualcuno volesse farlo di nascosto qui in santa pace…con cosa le accende?” e lì gli venne il dubbio che il sistema antincendio fosse disinserito.
“Speriamo solo che sia attivo, altrimenti sono fregato e addio sogni di fuga” malgrado la situazione fosse decisamente drammatica il ragazzo aveva la forza di fare battute anche stupide con il solo scopo di infondersi coraggio.
Cominciò a rovistare in ogni angolo della stanza e finalmente trovò una scatoletta di fiammiferi.
Col cuore in gola l’aprì, all’interno solo tre.
Con mano quasi tremante fregò il primo cerino avvicinandosi il più possibile ad un secchio al cui interno aveva messo un mix di stracci e liquido altamente infiammabile.
Il fiammifero fece una piccola scintilla per poi smorzarsi subito.
“Maledizione!” imprecò il giovane.
Gli restavano solo due tentativi.
Fortunatamente gliene bastò uno; gli stracci presero subito fuoco.
Soddisfatto del suo lavoro avvicinò il secchio al sensore dell’antincendio, da esso si stava alzando un bel po’ di fumo.
Pochi secondi dopo per il carcere risuonò l’allarme antincendio.
Ben depose quindi il secchio, prese le chiavi dal cadavere di Preuss, aprendo la porta e dopo essersi assicurato che per il corridoio non ci fosse nessuno prima di uscire dallo stanzone alimentò il piccolo incendio con altri stracci, altro liquido infiammabile e delle bombolette spray, sicuro che da lì a poco ci sarebbe stata una discreta esplosione.
Poi velocemente per quanto gli fosse possibile farlo visto come era stato picchiato e ferito si allontanò percorrendo la strada che aveva fatto con l’agente Raisser.
Si ritrovò  di nuovo tra la folla dei detenuti, che spintonati dagli agenti si stavano tutti radunando nel cortile interno.
Fortunatamente complice la confusione che si stava creando nessuno fece caso a lui.
Ma il suo scopo non era raggiungere il punto di raccolta.
Ben cercava una via d’uscita alternativa, un’uscita che lo conducesse all’esterno del carcere. La sua intenzione era quella di evadere e cascasse il mondo ci sarebbe riuscito.

Poi una violentissima esplosione risuonò per tutto l’edificio, creando il panico generale tra i detenuti e le guardie.
Un carcerato si diresse subito verso un agente che stava di guardia all’ingresso del cortile.
“Ehi” lo bloccò l’agente “Dove credi di andare” e alzando il manganello lo minacciò “Ti do un secondo per tornare in cortile…altrimenti”
“Altrimenti cosa?” rispose il detenuto che non avendo nulla da perdere si scagliò contro l’agente.
Il poliziotto cercò di reagire , ma fu messo subito al tappeto.
Altri agenti assistendo alla scena cercarono di accorrere in suo aiuto, ma i detenuti erano troppi e i secondini troppo pochi.
“Prendiamo possesso del carcere” urlò un detenuto “Facciamo vedere chi comanda qui, spacchiamo tutto” e come un fiume in piena tutti i detenuti si riversarono di nuovo all’interno dell’edificio.
Le poche guardie scampate alla furia dei detenuti si rifugiarono dentro ad un locale protetto, da lì chiesero il tempestivo intervento delle squadre di soccorso, dei vigili del fuoco e delle squadra speciale del nucleo antisommossa. 

Intanto Ben, tra la confusione generale che si era creata cercò di raggiungere in qualche maniera l’uscita principale del carcere. Appena i mezzi dei vigili del fuoco si fossero presentati alla porta avrebbe tentato la fuga.
Il ragazzo stava percorrendo un piccolo corridoio quando passando davanti alla porta aperta dell’infermeria sentì una persona gridare.
“No...no…lasciami…” urlava terrorizzata una voce femminile.
Ben avrebbe voluto proseguire, fregarsene delle invocazioni d’aiuto, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che non poteva passare oltre senza aiutare chi ne aveva bisogno, nell’animo si sentiva diverso da tutti coloro che indossavano la sua stessa divisa da carcerato.
Entrò piano nella stanza, davanti a lui di spalle un detenuto puntava una forbice al collo di una giovane donna.
Dal camice ne dedusse che era l’infermiera di cui l’agente Raisser gli aveva parlato.
“Aprì  quel mobiletto” ordinò l’uomo sbattendola violentemente contro un armadio.
“Ci sono solo medicinali…” il tono dell’infermiera era a dir poco terrorizzato.
“Apri ti ho detto” le intimò ancora l’uomo, sbattendola ancora contro l’armadio,  non accorgendosi di Ben che avvicinandosi a lui, gli fracassò sulla schiena una sedia di legno tramortendolo.
Purtroppo lo sforzo nel compiere quel gesto gli provocò dei dolori allucinanti al torace e Ben cadde carponi.

La ragazza corse subito verso un cassetto della scrivania ed estrasse uno di quei congegni elettrici atti per stordire le persone.
Si stava per avvicinare a Ben per metterlo definitivamente al tappeto quando i loro occhi si incontrarono.
“La prego, non voglio farle del male, la scongiuro mi deve credere…” le disse con un filo di voce alzando il braccio sanguinante come in segno di resa.
Per un attimo l’infermiera restò come imbambolata davanti al ragazzo, con il teaser in mano sospeso a mezz’aria, poi gli passò accanto e dirigendosi verso la porta  la chiuse a chiave “Almeno per un po’ saremo al sicuro, spero”
“Le giuro che non voglio farle del male” disse di nuovo Ben, aveva paura che la ragazza volesse stordirlo e metterlo definitivamente fuori combattimento.
“Lo penso anche io, altrimenti non mi avrebbe salvata…”
L’infermiera si avvicinò poi al giovane e lo aiutò ad alzarsi, ma nella mano teneva sempre il teaser.
“Certo che è conciato davvero male, dovrebbe andare…”
Ma fu interrotta da Ben “Sì dovrei andare in infermeria, ma come vede ci sono già…e sarebbe  meglio se legassimo quello prima che si svegli” poi traendo un profondo respiro che gli provocò ulteriori dolori le chiese quasi ansimando.
“Senta per caso ha un computer qui dentro?”
“Certo perché?” l’infermiera divenne sospettosa dopo aver sentito la strana richiesta di Ben.
“Deve dirmi chi sono!”
“Scusi?” la donna aggrottò la fronte.
“Sì ha capito bene…non mi ricordo chi sono, da dove vengo, perché sono qui, niente di niente”

L’infermiera lo accontentò avvicinandosi al computer  presente nell’infermeria.  
Purtroppo Ben addosso non aveva niente che potesse essere utile per risalire alla sua identità, nessun bracciale, nessun numero stampato sulla divisa da carcerato, niente.
“Si ricorda in che cella era…il numero, qualcosa che mi possa servire per…identificarla?” chiese la donna.
“No…l’unica cosa che so è che questa mattina mi sono svegliato e mi sono ritrovato qui…”
La ragazza lo guardò ancora più perplessa e il giovane se ne accorse.
“Senta, lo so che le può sembrare assurdo lo è anche per me mi creda, ma la prego mi aiuti…mi aiuti a capire chi sono…perché sono qui…” supplicò Ben.
“Provo a guardare gli ultimi arrivi”
L’infermiera  si mise a picchiettare velocemente sulla tastiera, Ben se ne restò in piedi davanti a lei però a debita distanza. La ragazza avrebbe potuto spaventarsi e in mano teneva sempre il teaser. Il ragazzo si mise ad osservarla, la vista di quelle mani che letteralmente volavano sui tasti gli sembrava una cosa quasi familiare, chissà dove l’aveva visto fare  e chissà se mai se lo sarebbe ricordato.
“Ecco negli ultimi due giorni è registrato solo un arrivo…Felix Winterberg, 37 anni, potrebbe essere lei” ma poi la donna si rabbuiò e brandì di nuovo il teaser.
“Che altro c’è?” chiese Ben preoccupato alzando di nuovo le mani in segno di resa, l’ultima cosa che voleva in quel momento era finire steso a terra senza sensi.
“Qui c’è scritto che è qui perché ha ucciso un uomo….un collega poliziotto…”

Ben si sentì cadere il mondo addosso.
“Mi dispiace…” disse la ragazza, in fondo quel ragazzo le sembrava diverso, i suoi occhi erano diversi, erano buoni e di fatto le aveva salvato la vita.
“Mi dica che è un incubo…sto vivendo un bruttissimo sogno” farfugliò Ben, sentendo che le gambe da lì a poco non sarebbero più riuscite a sorreggerlo.
“Purtroppo no…” l’infermiera era costernata, quel ragazzo in fondo le faceva pena nel vederlo soffrire così.
“Certo che è strano…” disse con gli occhi lucidi Ben sedendosi su una brandina posta dietro di lui “Un poliziotto mi ha letteralmente buttato tra le braccia di un detenuto che voleva ammazzarmi, questo detenuto mi ha chiamato con un nome che mi sembra diverso da quello che dice il computer…mi ha dato dello sbirro, ma questo non fa che confermare ciò che ha appena letto…gli ex poliziotti in carcere hanno vita dura. Parte dei detenuti qui presenti potrei averli messi in galera io”
“Come l’hanno chiamata?” chiese l’infermiera.
“Jader…Lager…non ricordo bene le stavo prendendo, non ci ho fatto molto caso” cercò di sdrammatizzare il ragazzo vedendo che la ragazza si era ulteriormente preoccupata per lui “E poi ho questa emicrania che mi sta facendo letteralmente scoppiare la testa …mi sembra di non sentirci bene, mi fischiano le orecchie…”
“Comunque è meglio se c’è ne andiamo, qui non siamo al sicuro” propose la ragazza.
“Concordo pienamente, comunque che lei mi lasci o no, cercherò di evadere, qui tutti mi vogliono morto e per quel che mi ricordo in Germania non esiste la pena di morte” replicò risoluto Ben alzandosi faticosamente in piedi.
“L’aiuterò ad evadere” rispose seria la ragazza.
“Non se ne parla proprio, così si metterà nei guai, sarà complice di un assassino in fuga…se ne rende conto?”
“Sarà, ma io non ho mai visto assassini con quegli occhi e mi creda di gente cattiva stando qui dentro ne ho vista parecchia”
“Ci rifletta” le consigliò Ben.
“Il fatto che non sappia chi è lei…” tentò di ribattere la ragazza.
“Potrei averle mentito…”
“Non credo, mia nonna diceva sempre che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E comunque nemmeno io sono al sicuro qui dentro quindi basta chiacchiere. E’ ora di agire” confermò risoluta e con questo zittì il giovane.

Angolino musicale: Ben ha trovato un’alleata…forse…e se pensate che questo capitolo sia stato ‘perfido’…aspettate il prossimo!!!
The Script ‘The End Where I Begin’ (la fine dove inizio)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=O7aNnatPpsI
A volte le lacrime dicono tutto ciò che c'è da dire a volte le tue prime cicatrici non saneranno mai hai provato a spezzarmi il cuore beh, si è spezzato hai provato ad appendermi in alto beh sono strozzato volevi la pioggia su di me beh sono bagnato fradicio inzuppato nella pelle è la fine dove inizio a volte non impariamo dai nostri errori a volte non abbiamo scelta se non quella di andarcene…quel che non uccide un cuore può solo renderti più forte…



 

 

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Capitolo 4
*** le ali della libertà ***


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Le ali della libertà

Mentre uno smemorato Ben cercava di capire chi fosse e perché si trovasse nel carcere di massima sicurezza di Colonia, al distretto della CID Susanne stava rintracciando il terzo fratello Raisser.
“Pronto???” rispose una voce femminile all’efficiente segretaria.
“Buon giorno signora Raisser sono Susanne Konig della polizia autostradale di Colonia, sto cercando suo marito Horst, è in casa?  Avremmo urge...”
“Mio marito non vuole avere niente a che fare con voi…” la interruppe acida la donna memore di quanto era accaduto in passato ai suoi due cognati.
“Senta, lo so, ma abbiamo urgenza di parlare con lui la prego ci dica dove possiamo trovarlo è nel suo interesse” ribatté a tono Susanne.
“Le ripeto che non vogliamo avere niente a che fare con voi dell’autostradale” replicò furiosa la donna.
Seguirono altri accesi scambi di battute, ma poi dopo le insistenze di Susanne alla fine la donna capitolò.
La segretaria quindi telefonò subito a Semir informandolo che Horst Raisser in quel momento e nelle prossime ore era in servizio nel carcere di massima sicurezza di Colonia.

Semir non se lo fece ripetere due volte, accese i lampeggianti e a sirene spiegate si diresse verso il penitenziario.
Stava quasi per arrivare a destinazione quando dietro di lui sentì le sirene dei mezzi dei vigili del fuoco.
Lesto si spostò sulla destra della careggiata per agevolare il loro passaggio.
Subito i mezzi gli impedirono la visuale poi, quando si furono allontanati, a Semir apparve in lontananza l’imponente struttura del carcere di massima sicurezza di Colonia.
“Ma che diavolo sta succedendo???” esclamò sbalordito.
Dall’edificio si alzava una densa colonna di fumo e decine di vigili del fuoco erano in attesa nel piazzale antistante al penitenziario; in funzione c’erano solo le autobotti provviste di scale.
I pompieri cercavano di domare l’incendio agendo solo dall’alto.
Semir scese dall’auto si qualificò e avvicinandosi a colui che sembrava il capo della squadra dei vigili del fuoco chiese alcune informazioni.
“Ispettore Gerkhan, polizia autostradale…scusi la domanda, ma perché nessuno entra? La situazione è così grave? Insomma vista da qui…” chiese alquanto perplesso il piccolo ispettore.
“Salve ispettore, sono il capitano Fuser” si presentò l’uomo “La sua è una domanda più che lecita, purtroppo a causa di una esplosione e del conseguente incendio che si è sviluppato all’interno del carcere si è innescata una rivolta tra i detenuti. Stiamo aspettando la SEK per poter intervenire all’interno del carcere, se i miei uomini entrassero potrebbero essere aggrediti come lo sono state le guardie del penitenziario”
“O porca miseria e mi dica di loro…si sa qualcosa? Come stanno?” chiese preoccupato Semir.
“Ci hanno riferito che hanno trovato riparo in un locale protetto, hanno richiesto il nostro intervento e quello della SEK” rispose il capitano.
“Quindi non ci resta che aspettare” ragionò Semir.
“Purtroppo è così” replicò l’altro.
A Semir non restò altro da fare che attendere.
Passarono una decina di minuti poi nel cielo comparvero due elicotteri della SEK. Anche i mezzi di terra cominciarono ad affluire e in pochi minuti anche il parcheggio antistante al carcere fu letteralmente invaso dai veicoli dei reparti speciali.
Se non fosse stato per la drammaticità della situazione, Semir avrebbe assistito alle operazioni come se fosse al cinema.
Decine di uomini si calarono dagli elicotteri e altrettanti agenti vestiti di tutto punto fecero irruzione nello stabile.

Intanto all’interno della struttura Ben e l’infermiera si stavano preparando per uscire dall’infermeria e raggiungere un’uscita che li conducesse fuori dal carcere.
“Si metta questa” disse la ragazza porgendogli degli abiti.
“Ma questa è una uniforme da infermiere” replicò Ben spiegando l’indumento.
“Sarà più facile scappare, passeremo inosservati, ha sentito le sirene in lontananza?” lo ragguagliò la ragazza.
“Senta il fatto che non ricordi niente…le ripeto potrei essere un assassino…”
A Ben l’idea che la donna potesse avere in qualche modo delle conseguenze penali per averlo aiutato, proprio non andava giù.
“Anche io glielo ripeto non con quegl’occhi” replicò seria.
“Gli occhi a volte mentono…” rimarcò Ben.
“Non nel suo caso, ne sono quasi sicura, in caso contrario se mi sbaglierò, la verrò a cercare”
“Lo sa che rischia molto…e non solo la sua carriera” Ben cercava in ogni maniera di farla desistere.
“Allora sarò sua complice”
“Non sa neppure il mio nome…chi sono” il ragazzo non voleva metterla nei guai, ma l’infermiera era senza dubbio determinata.
“Neanche lei sa il mio nome e glielo dirò quando lei sarà certo del suo. Ora si vesta dobbiamo evadere, ma prima di uscire da qui e tentare la fuga è meglio che le fasci quel braccio e le metta una benda sul petto, sta parecchio sanguinando”
Mentre Ben con cautela si toglieva la maglia decisamente zuppa di sangue l’infermiera prese tutto l’occorrente per medicarlo.
“Non è un bello spettacolo” quasi si scusò Ben vedendola avvicinarsi.
“Ho visto di peggio” lo rassicurò lei abbozzando un mezzo sorriso “Mi spiace solo che le farò male, per quanto dicano che i disinfettanti non brucino…”
“Non si preoccupi non potrà mai essere peggio…” le parole che avrebbe usato Ben per concludere la frase gli morirono in gola, l’infermiera aveva cominciato a medicarlo, ma dalla bocca del ragazzo non uscì un solo lamento.
L’infermiera non osò nemmeno guardarlo in faccia, sicuramente il dolore che provava in quel momento era qualcosa d’indescrivibile, ma il ragazzo lo sopportava stoicamente.
Ben fece appello a tutte le sue forze, chiuse gli occhi, stringendo i denti, cercando di reprimere per quanto fosse possibile le lacrime che minacciavano di bagnarli il volto, eppure malgrado il dolore fosse quasi al limite dello svenimento Ben considerò quel contatto quasi ‘dolce’, in fondo colei che lo stava medicando era l’unica persona che si era avvicinata a lui senza picchiarlo.
L’infermiera medicò le ferite che Preuss gli aveva inferto, uno zigomo, un labbro e altre profonde lacerazioni che aveva alle mani; inoltre lo rassicurò che le sue costole per quanto fossero malconce, erano ancora tutte intere.
L’infermiera si soffermò per un attimo sui tatuaggi quindi sull’incavo del braccio appena fasciato.
“Qualcosa non va?” chiese Ben preoccupato.
“Qualcuno le ha fatto un’iniezione o se l’è fatta lei?” chiese mostrandogli il piccolo forellino che aveva sul braccio.
“Vorrei risponderle, ma…non me lo ricordo” rispose accennando un sorriso.
“Vero, le chiedo scusa”
“Non si preoccupi, capita” rispose, poi riprese “Senta secondo lei potrebbe essere la causa della mia amnesia?”
“Beh esistono alcune sostanze create in laboratorio, che causano amnesia momentanea” rispose seria l’infermiera “Ovviamente non sono reperibili facilmente, se è quello che vuol sapere. Ne sono a conoscenza perché alcuni mesi fa lessi in un articolo di una rivista specializzata di un medico che fu radiato perché voleva sperimentarlo su cavie umane, a scopo terapeutico, ma gli effetti collaterali…l’articolo diceva che erano devastanti. Comunque il dottore si giustificò dicendo che il suo scopo era di far dimenticare alle persone fatti spiacevoli, specie ai bambini”
“Pensi se venisse somministrato a testimoni di qualche delitto” la interruppe Ben che malgrado tutto non aveva perso il suo acume.
“Secondo me lei ha a che fare in qualche modo con la giustizia…io avevo pensato più a reduci di guerre o violenze. Comunque in questo momento non ricordo il nome di questo medico, ma non so se gioverebbe al suo caso” concluse il discorso la donna.
“Quindi potrei essere stato…indotto a dimenticare” si chiese alquanto sbigottito Ben.
“Tecnicamente è possibile, resta da capire il perché e da chi” asserì l’infermiera.
“Coraggio dobbiamo uscire di qui…lei mi stia dietro” Ben prese in mano le redini della situazione.
“Tenga questo” l’infermiera gli consegnò il teaser.
Ben era incerto se prenderlo o meno.
“Lo prenda” insistette la ragazza “Sento che di lei mi posso fidare”
Ben non disse nulla aprì piano la porta e sbirciò fuori dando una veloce occhiata a destra e a sinistra.
“Via libera” disse ed entrambi uscirono dall’infermeria; davanti a loro un lunghissimo corridoio.
“Ehi” chiamò l’infermiera attirando l’attenzione del ragazzo “Dietro a quella porta…ci sono le stanze in cui i detenuti fanno i colloqui con i parenti. Dobbiamo solo raggiungerla, aprirla e scavalcare i divisori, poi il corridoio porta all’esterno”
“Perfetto” disse risoluto Ben “Certo che detta così sembra una sciocchezza, ma non abbiamo la chiave e sfondarla…a spallate non penso di farcela…”
“Beh potremmo usare queste” e la donna dalla tasca del camice estrasse due grosse graffette.
“Lei è piena di risorse” constatò Ben.
“Già sono come MacGyver, però al femminile” sogghignò la ragazza.
“Chi?” Ben aggrottò la fronte.
“Lasci stare, perché abbiamo un altro problema, lui le sapeva usare, io no. Vuol provare lei?” replicò porgendole le graffette.
“Vedo che non ho molta scelta” replicò prendendole dalle mani della ragazza “Lei mi guardi le spalle e prenda il teaser, potrebbe servirle”
Ben si mise ad armeggiare la serratura e sorprendentemente l’aprì dopo pochi tentativi.
“Wow” esclamò la ragazza sentendola scattare “Ma chi è lei? Parente di MacGyver?”
“Mi creda vorrei tanto sapere chi sono, e comunque non so davvero chi sia questo MacGyver”
I due raggiunsero la stanza dei colloqui in quel momento vuota, nessun detenuto aveva avuto la loro stessa idea per evadere.
Immediatamente raggiunsero l’uscita del locale addentrandosi verso un altro corridoio.
“Guardi” fece notare l’infermiera “Sul cartello c’è scritto ‘uscita visitatori’ siamo quasi arrivati”
 Il cuore dei due ragazzi cominciò a battere furiosamente, ormai erano vicini all’uscita, pochi metri e sarebbero stati salvi, liberi.
Stavano quasi per uscire quando davanti a loro si presentarono due uomini con delle uniformi completamente nere.
Imbracciavano entrambi una mitraglietta ed erano protetti da giubbotti antiproiettile e caschetti con la visiera.
Sia Ben che l’infermiera alzarono le mani, ma la ragazza senza farsi prendere dal panico esibì il cartellino che attestava la sua identità.
“Sono l’infermi…” ma l’uomo della SEK si portò un dito alla bocca nell’inequivocabile gesto di tacere.
Gli agenti non si preoccuparono di verificare anche l’identità di Ben e fecero segno ai due di proseguire per il corridoio.
“Arriverete all’uscita, all’aperto, uscite piano con le mani alzate ed esibite il tesserino così nessuno vi sparerà contro” bisbigliò all’orecchio della ragazza uno dei due agenti.
Ben e l’infermiera fecero come aveva detto loro l’uomo della SEK e dopo cinque interminabili minuti i due uscirono dal carcere.
Entrambi furono quasi accecati dalla luce del sole, in particolare Ben.
“Che farà ora?” gli chiese l’infermiera.
“Devo cercare di capire chi sono…e qui non posso stare…” replicò con un filo di voce il giovane.
La ragazza lo guardò negli occhi “Se un giorno si ricorderà chi è me lo faccia sapere…sono sicura che non sia quello che il computer dice che sia”
“Lo scoprirò e appena saprò chi sono…” il ragazzo si bloccò si stava emozionando. “Grazie, non scorderò mai quello che ha fatto per me”
“Nemmeno io dimenticherò quello che ha fatto lei per me, addio e buona fortuna”
“Ne avrò bisogno” e detto questo Ben si allontanò cercando di raggiungere il bosco limitrofo ed addentrarsi possibilmente senza essere visto.
Il ragazzo non avrebbe mai saputo che a poche centinaia di metri da lui c’era l’unica persona che in mezzo a tanta gente lo avrebbe riconosciuto subito, anche solo vedendolo di spalle, purtroppo Semir in quel frangente stava parlando al telefono con il commissario Kruger per informarla di come si stava evolvendo la situazione, purtroppo entrambi si davano spalle.

Pochi istanti dopo da un’altra uscita del penitenziario uscirono alcuni agenti scortati dai colleghi della SEK e tra loro c’era anche Horst Raisser.
L’agente subito si guardò attorno e la sua attenzione fu subito catturata da un uomo che si addentrava nel bosco con passo decisamente incerto.
Immediatamente si mise all’inseguimento, sicuro che il ragazzo non avrebbe potuto andare molto lontano visto che lo vedeva zoppicare vistosamente tenendosi le braccia attorno al costato.
“Maledetto sbirro, hai sette vite come i gatti, ma questa volta ti ammazzo io...fosse l’ultima cosa che faccio in questa vita. Lo giuro!!!” imprecò Raisser.

Ben non sapeva bene dove stava andando, ma cercò di addentrarsi sempre più nel bosco, doveva trovare un riparo per riposarsi almeno un po’, ormai le gambe gli sembravano che avessero una propria volontà,  trascinandolo di qua e di là senza una precisa meta.
Era completamente in affanno, doveva fare molte soste per riprendere fiato, aveva sempre quel maledetto mal di testa e le ferite cominciavano a farsi sentire sempre di più, aveva la sensazione che da lì a poco sarebbe stramazzato al suolo senza vita.
Ma quando stava per desistere arrivò alla fine del bosco.
Ciò che gli apparve dinanzi lo lasciò di stucco.
Davanti a lui c’era un’enorme diga.
Il giovane scese la piccola scarpata ritrovandosi sopra la strada che costeggiava l’enorme costruzione.
Il paesaggio che gli si presentò fu da mozzare il fiato.
Attorno a lui come una specie di anfiteatro naturale si ergevano stupende montagne innevate.
Senza rendersene nemmeno conto, ignorando tutti i segnali di dolore che gli ‘urlava’ il suo corpo Ben si issò sopra al parapetto in cemento.
Sotto di lui uno stupendo lago artificiale color smeraldo e in lontananza sulle sue sponde una deliziosa casetta in legno con un piccolo pontile a cui era attraccata una piccola imbarcazione.
Era così assorto nel contemplare quel paesaggio che per alcuni minuti gli sembrò che tutti i suoi dolori fisici e non si fossero magicamente azzerati.
In piedi sopra la balaustra allargò le braccia come fosse un angelo che da lì a poco potesse spiccare il volo, chiuse gli occhi cominciando a respirare come se fosse appena uscito dall’acqua dopo esservi restato immerso per svariati secondi, l’aria frizzantina che entrava nei suoi polmoni gli trasmise una piacevole sensazione, Ben in quel momento stava riassaporando il profumo della libertà.
Sentì a malapena il colpo di pistola prima che una forza tremenda e un dolore acutissimo alla spalla lo facessero partecipare dentro quel meraviglioso lago che  pochi attimi prima lo aveva fatto rasserenare almeno un po’.
E in quei ultimi pochi istanti di lucidità nella sua mente riecheggiò nuovamente l’allegra risata di una bambina.
Poi un impatto violentissimo con quel meraviglioso specchio d’acqua e per Ben fu tutto buio.

“Adesso sì che abbiamo avuto vendetta, un giorno forse ripescheranno il tuo cadavere, maledetto sbirro” pensò tra sé un soddisfatto Raisser soffiando con un sguardo diabolico sopra la canna della pistola, poi la rimise nella fondina, facendo ritorno al carcere.

(Il titolo del capitolo è una sorta di omaggio personale ad uno dei miei autori preferiti, Stephen King)
Angolino musicale: Come nell’episodio ‘il dossier’…ma proprio sopra il muretto della diga dovevi andare??? ‘Sacranon’ avrebbe detto mia nonna!!!
Comunque con questo capitolo potrei aver messo la parola fine a tante cose…Ben, la serie con Livyana…la coppia d’oro…attendo curiosa i vostri commenti, positivi, negativi, minacce varie…
Robbie Williams ‘Advertising Space’(spazio pubblicitario)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=AHU-8yb11CQ
Non c’è un modo sulla terra per sapere cosa c’era nel tuo cuore nel momento in cui ha smesso di battere l’intero mondo si impressionò una tempesta stava scatenandosi a causa tua…tutti attorno a te erano corrotti dicevano qualcosa Non c’è dignità nella morte per vendere al mondo il tuo ultimo respiro stanno ancora lottando per quello che hai lasciato…Attraverso i tuoi occhi il mondo stava bruciando per piacere sii gentile sto ancora imparando tu sembri dire come se ci tenevi a sorprendere Ho visto tua figlia amico, è davvero carina ero spaventato ma volevo avvicinarmi amico, lei ti assomiglia tantissimo.

 

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Capitolo 5
*** aiuti, bugie e molto altro. ***


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Aiuti, bugie e molto altro.

Isaac Heineken era un uomo che aveva superato i sessant’anni da un po’, alto, robusto e malgrado l’età una persona ancora molto piacente. Era in pensione, o meglio si era ritirato dalla professione di medico un paio d’anni prima quando, accorso sul luogo di un delitto con l’ambulanza, aveva dovuto riconoscere il cadavere di suo figlio Joachim.
Il ragazzo poco più che trentenne era stato freddato da un collega poliziotto: Felix Winterberg.
Ora l’uomo oltretutto vedovo e senza alcun parente in vita, viveva in una casetta di legno situata sulle rive del lago artificiale non molto lontano dal carcere di massima sicurezza di Colonia.
Aveva deciso di vivere come un eremita, del mondo esterno non voleva più saperne niente.
Poche persone sapevano che si era ritirato in quel posto sperduto.
La sua nuova abitazione aveva tutti i confort necessari, acqua potabile e corrente elettrica, una piccola, ma funzionale cucina con un caminetto, un piccolo bagno con doccia, e altre due piccole stanze che lui aveva trasformato in una camera da letto e l’altra in una specie di sala lettura dove vi aveva posto un divano letto. Per le emergenze aveva installato un vecchio telefono a disco, ma niente tv o connessione internet, per lui erano sufficienti i libri che aveva portato con se dopo aver lasciato per sempre il lussuoso appartamento che aveva in centro a Colonia. Aveva una vecchia Passat che usava poco e solo per andare a fare la spesa di tanto in tanto nel paesino che distava a una decina di chilometri. Amava pescare, il lago era pieno di ottimo pesce e d’estate coltivava un discreto orticello. Della sua vita passata non gli mancava niente, ciò che aveva ora era più che sufficiente.
Quel giorno si stava stiracchiando sorseggiando un caffè sulla riva del lago, quando alzando lo sguardo verso l’enorme diga gli parve di vedere la sagoma di un uomo precipitare in quel bellissimo specchio d’acqua color smeraldo.

Intanto nel grande piazzale antistante la prigione Semir, gli agenti della SEK, le guardie della polizia penitenziale con il direttore Koller, stavano facendo la conta dei danni.
Tutti i detenuti erano stati fatti uscire dalla struttura, seduti a terra erano sorvegliati a vista dalle varie forze di polizia accorse in aiuto. Buona parte del carcere era stato dichiarato inagibile e per un po’ quasi tutti i detenuti sarebbero stati momentaneamente trasferiti in altre strutture carcerarie.
Semir si avvicinò ad una guardia che stava facendo una specie di relazione al suo diretto superiore.
“Direttore Koller purtroppo dobbiamo registrare quattro decessi tra i detenuti: Preuss, Volge, Lehmann e Schmidt. Fortunatamente nessun nostro agente, ma tre colleghi feriti che saranno presto accompagnati al pronto soccorso. Purtroppo ci sono tre evasi… Junker, Zimmer e Winterberg”
 “Maledizione, Winterberg …come avete fatto a farvelo scappare!” imprecò il direttore Koller.
“Chi è questo Winterberg?” chiese Semir intromettendosi nel discorso “E’ un soggetto molto pericoloso?”
“Qui ci sono solo soggetti pericolosi, è un carcere di massima sicurezza” sbottò quasi infastidito dall’interferenza il direttore.
“Chiedo scusa non era mia intenzione” si giustificò Semir. A toglierlo da quel momento di imbarazzo ci pensò un altro secondino.
“Strano che non se lo ricordi” disse un agente alle sue spalle “Anni fa il commissario Felix Winterberg uccise un nostro collega…Joachim Heineken”
“Se stiamo parlando della stessa persona… mi ricordavo fosse rinchiuso a Berlino” replicò il piccolo ispettore.
“E’ stato trasferito qui da noi, è arrivato ieri” lo anticipò il direttore Koller.
“Comunque” continuò Semir “Stavo cercando un vostro agente…Horst Raisser”
“Posso sapere il motivo?” chiese sospettoso Koller.
“Mi spiace, ma per il momento non posso dirglielo” replicò secco Semir.
“Senta so benissimo chi è lei ispettore e chi erano i fratelli di Raisser…posso assicurarle che Horst non è come loro …comunque eccolo là…” indicò il direttore del penitenziario.

Horst Raisser appena uscito dal bosco limitrofo si stava avvicinando al punto di raccolta.
Semir gli andò incontro con passo svelto.
“Ispettore Gerkhan” lo salutò con tono sorpreso l’agente Raisser.
“Vedo che si ricorda di me” rispose duro Semir.
“Come potrei averla dimenticata, ha sbattuto in galera i miei fratelli…lei e il suo collega Jager” rispose a tono l’agente.
“Mi scusi l’ironia, ma i suoi fratelli non erano dei ‘stinchi di santo’ comunque” continuò l’ispettore “Dovrei farle alcune domande se non le dispiace”
“Non mi sembra il momento giusto ispettore, qui come vede abbiamo un po’ da fare…” tergiversò l’agente.
“Allora sarò costretto a convocarla urgentemente al distretto” replicò acido Semir.
“Scusi non capisco” chiosò alquanto perplesso l’agente.
“Il mio collega è scomparso e nel suo appartamento sono state trovate tracce riconducibili a lei”
“Scomparso?” chiese attonito Raisser.
“Sì, ha capito bene scomparso!” puntualizzò Semir.
“Ah certo…come no…io sono il terzo fratello…magari avete pure arrestato mia sorella!” sbottò furioso Raisser “Noi con quella storia non c’entravamo niente e nemmeno adesso e se ora vuol scusarmi avrei da fare”
Ma Semir non si fece intimorire prendendolo per un braccio prima ancora che Raisser riuscisse a fare un passo nell’intento di allontanarsi.
“Allora mi dica cosa ci faceva a casa del mio collega”
“Non sono affari che la riguardano” ribatté l’uomo che si stava visibilmente scaldando.
“Se non me lo dice sarò costretto a trattenerla, è nel suo interesse collaborare” rimarcò il piccolo ispettore.
“Scusi, ma in quanto suo partner dovrebbe saperlo… sono stato a casa sua tre giorni fa”
Semir fece un rapido conto, secondo le sue informazioni Ben era scomparso due giorni prima.
“Scusi, ma non la seguo” replicò acido Semir “Prima mi dice che non sono affari miei e poi che dovrei sapere cosa ci faceva a casa di Ben? Senta se mi sta prendendo in giro sappia che non sono dell’umore giusto”
“Le ripeto che non ho niente da dirle, se vuole mi trovo un avvocato e…” ma fu interrotto da Semir.
“Senta non complichi la cosa, se lei dice di non essere come i suoi fratelli si scagioni del tutto ora, mi dica che ci faceva a casa del mio collega e visto che ci siamo se ha un alibi per questi due giorni. Se le sue risposte mi soddisferanno riterrò la faccenda chiusa” propose il piccolo ispettore, anche se il primo a non credere nella completa estraneità dei fatti di Horst Raisser era proprio lui, ma Semir non voleva perdere tempo con avvocati, carte bollate, telefonate e burocrazia.
Raisser alzò gli occhi al cielo “In questi due giorni sono stato a casa mia o qui al lavoro, controlli le timbrature, chieda al direttore Koller o a mia moglie”
“E a casa del mio collega che ci faceva?” Semir era deciso a non mollare.
“Volevo scusarmi”
“Scusarsi?” chiese sbigottito Semir.
“Sì scusarmi…dico è sordo?” sbottò l’agente.
“E scusarsi di cosa?”
“So cosa pensa la gente di me e di mia sorella, siete diventati famosi dopo quella volta. Lei che spara per finta al suo collega, in diretta TV, uno contro l’altro, per tutta la notte i telegiornali non parlarono d’altro. Mia sorella ha dovuto trasferirsi a Berlino per poter insegnare, qui nessuno la voleva più tra le file degli insegnanti”
“Continui” incalzò Semir.
“Ecco sono andato da Jager dopo il lavoro, era sera, volevo scusarmi per quello che vi avevano fatto i miei fratelli. Mia sorella vorrebbe tornare a Colonia, se voi due pubblicamente confermaste la nostra estraneità ai fatti…potremmo continuare a vivere in questa città senza doverci nascondere”
Semir ascoltava silenzioso, anche lui aveva parenti con la fedina penale non proprio immacolata, quindi perché non ritenere i restanti fratelli Raisser diversi da Steffen e Thorben?
Intanto Horst Raisser continuava il suo racconto “Sono passato prima da lui perché tra i due mi sembrava, come dire, il meno coinvolto viste le circostanze, l’ho pregato di parlarle, così per sapere se lei sarebbe stato disposto ad ascoltarmi, a considerarci non come loro”
“Lui non mi ha parlato di questo vostro incontro” replicò quasi infastidito Semir.
“Ha detto che lo avrebbe fatto e mi sono fidato, ha detto che mi avrebbe fatto sapere”
Semir sapeva del buon cuore di Ben, ma anche quanto quell’intera faccenda lo avesse turbato.

“Non è una bella sensazione trovarsi di fronte il tuo migliore amico e vederlo mentre ti punta contro la pistola e spara, anche se sai che l’arma è caricata a salve” gli aveva confidato Ben “Anzi se devo essere sincero ho avuto paura, magari senza volerlo nella foga del momento avevi preso la pistola sbagliata, e in quei momenti la lucidità viene meno…avresti potuto uccidermi davvero. Sinceramente ho avuto gli incubi per diverso tempo

“Che ore erano?”  chiese Semir.
“Era sera, dopocena, ma nessuno potrà confermaglielo, a parte l’ispettore Jager” disse sarcastico.
Purtroppo Raisser aveva ragione da cinque giorni Livyana era a ‘villa Jager’ e quindi nessuno poteva confermare la visita di Raisser a casa di Ben.
“Comunque si tenga a disposizione…” concluse il piccolo ispettore. Purtroppo in mano non aveva niente, anche se il suo istinto gli urlava che Raisser in qualche modo era coinvolto nella sparizione di Ben.
“Sa dove trovarmi ispettore” rispose a tono l’agente.
A Semir non restò altro da fare che rientrare al comando, doveva trovare Ben, ma in mano non aveva niente che lo potesse aiutare.
Il piccolo ispettore per strada non si dava pace, ogni tanto guardava il posto del passeggero vuoto di fianco a lui; la radio era spenta perché era sempre Ben che appena salito sulla sua BMW l’accendeva, nessuno che sgranocchiava patatine, noccioline o pistacchi, nessuno che chitarra in mano suonasse qualcosa, un assordante silenzio che lo stava rodendo dentro e poi quella bruttissima sensazione di essere vicino e nel medesimo istante lontanissimo da una soluzione.
Il resto della giornata Semir lo passò al distretto guardando foto e reperti raccolti della scientifica, purtroppo in casa di Ben non fu trovato niente che lo portasse a qualcosa di concreto.
Il piccolo ispettore cercò di convincere il commissario Kruger nel far sorvegliare Raisser, ma purtroppo la cosa gli fu negata, in mano non avevano nulla e la procuratrice Schrankmann non avrebbe mai dato il suo consenso.
Verso sera telefonò anche Helga la governante di casa Jager, lei, Konrad e soprattutto la piccola Livyana erano disperati nel non avere notizie di Ben.

“Gerkhan vada a casa a riposare, ormai è sera” suggerì Kim passando accanto all’ufficio dei suoi ispettori.
“Non dormirei…” rispose con voce stanca stropicciandosi gli occhi il piccolo ispettore distogliendo lo sguardo dal computer.
“Lo so, ma anche la sua famiglia ha bisogno di lei…” replicò con tono quasi materno il commissario.
“La mia famiglia è in villeggiatura, non sa niente, non ho avuto nemmeno il coraggio di informare Andrea”
“Comunque vada a riposare, per il suo bene” replicò comprensiva Kim.
“Cinque minuti e poi vado…promesso…”
Kim Kruger non obiettò nulla e uscì dal distretto.

Il commissario stava per salire sulla sua auto quando sul piazzale vide una giovane donna che indecisa non sapeva se entrare o no al distretto.
“Posso esserle utile?” chiese cortesemente Kim.
“Beh ecco, mi chiamo Elise Kladden…volevo sapere…ecco l’ispettore Jager…”
Pochi minuti dopo la giovane psicologa era nell’ufficio dei due ispettori seduta nel posto di solito occupato da Ben.
“Purtroppo non sappiamo nulla, Ben è scomparso da due giorni forse tre” la informò Semir con aria costernata “L’ultima persona che l’ha visto è stato un agente della polizia penitenziale  la sera di tre giorni fa a casa di Ben”
Elise Kladden si meravigliò diventando visibilmente rossa in volto.
“Mi scusi ispettore, ma…ecco…è impossibile” rispose decisamente imbarazzata.
In suo aiuto arrivò il commissario Kruger.
“Signorina Kladden…vuole dirci qualcosa? Senta se sa…potrebbe essere importante”
“Ecco volevamo che nessuno lo sapesse, come sapete sono la psicologa che segue la ragazzina che Ben ha in affido…volevamo tenere la nostra relazione segreta, anche per l’interesse di Livyana…”
“Scusi” intervenne Semir che stava già formulando ipotesi “Mi sta dicendo che lei ha visto Ben…”
“Non proprio, quello che le sto dicendo è che la sera di tre giorni fa quell’uomo non poteva essere a casa di Ben, perché Ben era a casa mia”
“Potrebbe essere stato che Raisser smontasse dal turno e passando sotto casa di Jager l’ha visto rincasare…” ragionò Kim guardando Semir.
“Sì potrebbe essere” replicò l’ispettore facendo spallucce.
“Impossibile Ben ha passato tutta la notte con me! A casa sua vi è tornato la sera del giorno dopo”

Era notte fonda e la luna si specchiava sul grande lago artificiale creato dalla diga vicino al carcere di Colonia.
Nella casetta di legno Isaac Heineken si stava prendendo cura di Ben.
Il vecchio era riuscito a salvarlo appena in tempo, prima che morisse annegato o dissanguato, le ferite alla spalla, al braccio e al torace avevano ricominciato a sanguinare dopo il violentissimo impatto con lo specchio d’acqua.
Ben si stava lentamente svegliando, vicino a lui sopra un comodino una piccola lampada con una luce soffusa.
“Vedo che ti sei svegliato” esordì il vecchio tastandogli la fronte calda e cambiando la pezza che aveva sulla fronte “Come ti senti?”
Ben mugugnò qualcosa.
“Avrei bisogno di sapere dove hai male, insomma per curarti meglio” continuò l’uomo rimettendogli la pezza fresca sulla fronte.
“Credo che farei prima a dirle dove non sento dolore. Ho male ovunque e la testa mi sembra stia per esplodere da un momento all’altro” rispose con un tono biascicato Ben e mentre parlava cercò di alzarsi, ma subito ricadde sul letto.
“Calma giovanotto, dove credi di andare?” rispose il vecchio sistemandogli di nuovo la pezza sulla fronte.
“Dove sono? Come sono finito qui e lei chi è?” balbettò confuso Ben.
“Quante domande nelle tue condizioni devi stare tranquillo…”
Il vecchio parlava con calma, quasi affettuosamente. Se Ben si fosse ricordato di Helga avrebbe pensato di avere di fronte la versione maschile della sua governante.
“Devo sapere” supplicò Ben con gli occhi lucidi “La prego”
“Ti ho visto precipitare dal parapetto della diga, immediatamente ho pensato a un tentativo di suicidio, ho preso subito la mia piccola barca e ti ho portato a riva, poi ho visto la spalla… sembra che ti abbiano sparato”
“Sì…mi sembra di sì…” rispose titubante. L’ultima cosa che ricordava era un dolore acutissimo alla spalla e la risata di una bambina mentre precipitava.
“Ma perché…perché non ha chiamato i soccorsi…” chiese Ben con un filo di voce.
“Stavo per farlo, ma quando hai sentito che quella era la mia intenzione hai cominciato a urlare…anche se eri a mio parere moribondo, continuavi a ripetere che tutti volevano ucciderti di lasciarti andare…che non eri sicuro in nessun luogo… mi supplicavi…dicevi che preferivi morire piuttosto che farti aiutare da qualcuno”
“Non ha pensato che fossi un pazzo?” chiese malinconico.
“Ti confesso una cosa giovanotto, sono qui perché mi sto in un certo senso…nascondendo. Quindi ti ho curato io, sono un medico in pensione, casi come il tuo ne ho visti parecchi, sapevo come agire…se ti avessi portato all’ospedale o chiamato i soccorsi avrei dovuto ritornare alla civiltà, rivedere i miei ex colleghi, dare spiegazioni e non mi va, inoltre se ti avessi portato al pronto soccorso…come ti sei procurato quella ferita?” chiese indicandogli la spalla “E’ sicuramente un colpo di pistola,  devono essere denunciati…senza contare che hai ferite da arma da taglio sul braccio, le mani, sul petto, le costole incrinate, un zigomo rotto…le nocche di una persona che ha fatto a pugni…” ora il vecchio era curioso.
“Se glielo raccontassi…non mi crederebbe…” e una lacrima gli rigò una guancia.
“Riposa, ti metto del tè sul comodino, me lo racconterai quando ti riprenderai, qui sei al sicuro, nessuno verrà a cercarti” lo rincuorò alzandosi dalla sedia.
“Potrei essere…un delinquente…” gli confidò sottovoce Ben, mentre lo vedeva avviarsi verso l’uscita della stanza. Quel vecchio gli era simpatico, lo aveva salvato da morte certa e ora si stava prendendo cura di lui, non voleva causargli guai.
“Non con quegl’occhi…riposa” gli rispose Isaac con tono calmo e accennando un sorriso, poi uscì dalla piccola stanza, lasciando la porta semiaperta.
Ben quindi si ritrovò di nuovo solo, con i suoi pochi ricordi e tristi pensieri.
“Chissà cosa hanno di speciale i miei occhi, anche l’infermiera ha detto la stessa cosa” pensò Ben tra sé, poi esausto e senza forze cadde in un sonno profondo.

Angolino musicale: la prima stesura di questo capitolo non prevedeva nessuna notizia di Ben, ma visto che il Natale si avvicina…e poi mi rifarò più avanti. Ed ecco un nuovo ‘angelo’ per lo ‘smemorato di Colonia’…io lo immagino come Otto visto che lo ha ripescato…e anche Isaac come l’infermiera ‘senza nome’ (così ribattezzata da voi stupendi recensori) ha notato qualcosa in Ben. Gli occhi nel bene o nel male protagonisti di questo capitolo…ma alcuni possono mentire senza ritegno.
Behind Blue Eyes Limp Bizkit (Dietro gli occhi azzurri)
Piccola nota il titolo è una specie di gioco di parole: blue può riferirsi sia al colore blu/azzurro, sia alla tristezza, in questo caso è un aggettivo messo vicino alla parola occhi quindi ha duplice significato: “uomo triste dietro occhi tristi di colore azzurro"
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=gOzc8JGkg0o
Nessuno sa come ci si sente Ad essere l'uomo cattivo Ad essere l'uomo triste Dietro gli occhi azzurri. E nessuno sa Come ci si sente ad essere odiato Ad essere accusato di dire solo bugie. Ma i miei sogni non sono così vuoti Come sembra essere la mia coscienza. Ho ore, in totale solitudine Il mio amore è una vendetta Che non è mai libera. Nessuno sa come ci si sente A provare questi sentimenti Come faccio io, e me la prendo con voi! Nessuno si trattiene così tanto dal ribattere Alla loro rabbia. Nessuno dei miei dolori Può trasparire. Nessuno sa come ci si sente Ad essere maltrattato, ad essere sconfitto Dietro gli occhi azzurri. Nessuno sa come dire che è dispiaciuto e non ti preoccupare, non dico bugie.





 

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Capitolo 6
*** morire, dormire, forse sognare ***


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Morire, dormire, forse sognare

Mentre Isaac Heineken nella sua casetta in riva al lago si prendeva cura di Ben, a Colonia nella sede della CID, Elise Kladden aveva appena informato Semir e il commissario Kruger che Horst Raisser non poteva aver visto il giovane ispettore a casa sua e di averci addirittura parlato.
Nell’ufficio dei due ispettori, dopo quella rivelazione, calò il gelo.
Fu Kim Kruger dopo pochi istanti a rompere quel momentaneo sbigottimento generale:
“Scusi la domanda, ma ne è sicura? Insomma lei e l’ispettore Jager…”
“Commissario, so benissimo cosa vuole dire e posso assicurarle che tre sere fa e il giorno dopo io e Ben siamo stati insieme. Il mattino dopo siamo andati a fare colazione da ‘Schröder’, Kai-Uwe glielo può confermare”
“Va bene e poi?” incalzò Semir.
“Lui e Livyana dovevano partire per il campeggio, siamo andati a fare compere. Sono stata in compagnia di Ben tutta la giornata. Poi l’ho rivisto ieri sera a casa sua. Non ci saremmo visti per una settimana, volevamo stare qualche ora insieme. Abbiamo cenato e verso le undici sono tornata a casa mia. Il mattino dopo Ben doveva alzarsi presto, voleva presentarsi puntuale a casa di suo padre a Düsseldorf, ma come le ho detto al telefono prima doveva passare a prendere alcuni documenti da me…quando non si è presentato mi sono allarmata, quindi gli ho telefonato…e mi ha risposto lei”
Poi la ragazza si bloccò per alcuni istanti, la voce cominciava a incrinarsi “Sono stata l’ultima persona a vederlo vero? Ben è scomparso tra la mia uscita da casa sua e stamattina giusto?”
Semir e Kim non dissero nulla, ma il loro silenzio per la giovane psicologa fu una conferma.
“Livyana sarà preoccupatissima, ora è dal padre di Ben. La ragazzina durante le nostre sedute dice che si trova bene con loro. Helga e il signor Jager le vogliono bene, ma nessuno dei due è Ben…e se Ben…”
Elise Kladden scoppiò a piangere, anche lei voleva molto bene a Ben, anzi ne era, ricambiata, innamorata.
“Gerkhan, se…” ma fu interrotta dal suo ispettore.
“Sì ho capito” confermò Semir.
“Cosa farete? Sapete dove possa essere?” chiese piena di speranza Elise.
“Oggi l’ispettore Gerkhan ha interrogato un uomo, ha detto che tre sere fa è stato a casa di Ben”
“Ma è impossibile…come le ho già detto Ben era con me” sentenziò la Kladden.
“Infatti, convochiamo subito Raisser” replicò decisa Kim.
“Capo vado immediatamente a casa sua. Avrà diverse cose da spiegarci, prima fra tutte dovrà dirmi dove è Ben”

Come un fulmine Semir prese la chiavi della sua BMW e si catapultò fuori dal distretto.
Mille pensieri gli frullavano in quel momento nella testa.
Il suo socio contattato da Horst Raisser che voleva chiedergli scusa…la storia gli era subito apparsa assurda, ora alla luce dei fatti gli sembrava una menzogna bella e buona.
“Che idiota, idiota, idiota!!!” Semir batté violentemente e ripetutamente le mani sullo sterzo “Ma come ho fatto a bermi una cretinata del genere, se Ben per colpa mia…” 
Semir per tutto il tragitto non si diede pace, come aveva fatto il suo istinto, la sua logica a farsi prendere in giro come fosse un novellino alle prime armi?
Ora il terrore si impadronì di lui.
Ormai non aveva più dubbi Ben era stato rapito.
Rapito da Horst Raisser  per portare a termine la vendetta dei suoi fratelli Steffen e Thorben.

Mezz’ora dopo Semir era con il dito letteralmente incollato al campanello dell’abitazione di Horst Raisser, contemporaneamente prendeva a pugni  il portone di casa.
“Aprite o butto giù la porta” urlò il piccolo ispettore picchiando sempre più forte l’uscio.
Non gli importava che fosse sera tardi, che il vicinato potesse sentirlo urlare mentre chiedeva che gli venisse aperto, né che le famiglie che abitavano lì vicino fossero a cena, a letto o comodamente sedute nel divano a guardare la televisione.
“Sai socio, la Kruger ha ragione quando dice che diamo di matto quando…” una voce dentro la sua testa, quella di Ben.
“Sì” gli rispose col pensiero Semir quasi interrompendo quella voce “Quando uno della famiglia, quando tu scompari o peggio ancora vieni rapito, io do decisamente di matto…”
Pochi minuti dopo, in vestaglia venne ad aprigli la moglie di Horst Raisser.
“Ispettore, come si permette?” la donna era visibilmente alterata “Oltretutto sta svegliando tutto il vicinato”
“Me ne frego, può chiamare la polizia se vuole…dov’è suo marito? E’ in casa?” quasi l’aggredì verbalmente.
“No, non lo è” rispose a tono la donna sbarrandogli la strada.
“Le conviene dirmi la verità…” replicò puntandole addosso il dito indice.
“Perché dovrei mentirle? Noi non abbiamo fatto niente…” rimbeccò la moglie.
“Allora mi dica dov’è suo marito” sibilò Semir.
“Al lavoro, dopo quello che è successo…il direttore ha chiesto a tutti gli straordinari” sbottò la donna.
“Se non è così giuro che ritornerò e la sbatterò in galera per complicità in rapimento”
“Rapimento? E di chi?” chiese perplessa la donna.
“Arrivederci signora” la salutò e senza risponderle se ne andò.
Semir telefonò subito al distretto chiedendo che per ogni evenienza la casa di Raisser fosse messa sotto sorveglianza indipendentemente che la Schrankmann desse il consenso o no, poi si diresse verso il carcere dove prestava servizio l’uomo.
Purtroppo quando arrivò al penitenziario il direttore Koller lo informò che Horst Raisser quel giorno non si era presentato al lavoro.
Il piccolo ispettore si sentì cadere il mondo addosso.
Il suo istinto quel giorno lo aveva ‘tradito’ e forse Horst Raisser era riuscito dove i suoi due fratelli avevano fallito, era riuscito a portare a termine la loro vendetta.
Horst Raisser aveva messo la parola fine alla vita di Ben.
 
Un paio di giorni dopo, nella casetta di Isaac Heineken Ben cercò di alzarsi dal letto, dopo qualche tentativo con fatica riuscì a mettersi in piedi.
Respirava a fatica, le costole malconce e le ferite ancora aperte gli provocavano forti dolori ad ogni respiro o movimento, la memoria era sempre assente, ma almeno il mal di testa sembrava passato e le orecchie non fischiavano più.
Appoggiati su una sedia trovò un paio di calzini, una maglietta, un paio di boxer, una tuta da ginnastica con lo stemma della polizia di stato e ai piedi del letto un paio di pantofole.
“Che ironia” pensò tra se il giovane “Passo da una divisa all’altra…prima quella da carcerato, poi quella da infermiere e ora pure la tuta da ginnastica con lo stemma della polizia”
Lentamente si vestì poi con calma raggiunse il piccolo bagno, voleva trovare uno specchio, voleva vedere il suo volto visto che non ricordava nemmeno che aspetto avesse e soprattutto voleva vedere cosa avevano di tanto speciale i suoi occhi.
Allo specchio apparve il volto di un uomo con il viso decisamente malconcio, aveva un vistoso cerotto su uno zigomo, uno labbro gonfio, la barba decisamente incolta.
Aveva i capelli castani, come pure gli occhi.
Già gli occhi per l’anziano che lo aveva salvato e per l’infermiera erano speciali, ma a lui sembravano solo sofferenti e tremendamente tristi.
A fatica appoggiandosi in continuazione alle pareti delle stanze, strascicando un po’ i piedi Ben raggiunse la piccola cucina dove Isaac Heineken stava preparando la colazione.
Ad accoglierlo un delizioso profumo di pane tostato.
“Salve ragazzo vedo che hai trovato la forza per alzarti, non ci siamo ancora presentati, mi chiamo Isaac Heineken” si presentò appena lo vide Isaac, purtroppo il resto della frase gli morì in gola.
Per un attimo si bloccò, gli occhi gli divennero lucidi, resosi conto poi che si stava per emozionare ritornò a preparare la colazione voltando di nuovo le spalle a Ben “Siediti ragazzo, faremo colazione, poi mi racconterai di te”
“Grazie” fu tutto quello che riuscì a dire Ben, che faticosamente si sedette al tavolo.
Davanti a lui un libro che sfogliò curioso, l’Amleto di William Shakespeare.

Essere o non essere…” lesse sottovoce Ben “Questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine?...Morire, dormire. Dormire, forse sognare”

“Amleto spirito inquieto” gli rispose sentendolo Isaac “Colui che non si rassegna, colui che non trova pace…”
“Un po’ come me…forse…” rispose malinconico il ragazzo chiudendo il libro.
Mentre aspettava che l’anziano medico gli servisse la colazione Ben si guardò un po’ attorno.
La casa era tutta in legno, abbastanza spoglia, ma pulita e ordinata, non c’era traccia di tecnologia, ma l’uomo, a quanto sembrava, non ne sentiva minimamente la mancanza.
Lo sguardo poi si soffermò su una foto, ritraeva un giovane ragazzo in divisa da poliziotto.
“Quello era mio figlio” delucidò Isaac mettendogli davanti del pane tostato, della marmellata e una tazza fumante di tè.
“Era?” sapendo benissimo che se il vecchio aveva coniugato il verbo al passato…
“Sì, è morto tempo fa” rispose l’anziano sedendosi a tavola di fronte al ragazzo.
“Quindi i vestiti che indosso erano i suoi, prima quando mi ha visto entrare in cucina devo averglielo ricordato, mi dispiace” Ben si sentì tremendamente in colpa.
“Non preoccuparti, tu in un certo senso me lo ricordi molto e non solo perché da come noto eravate della stessa taglia”
“Come è successo…se posso…” chiese quasi con reverenza.
“Mio figlio era un poliziotto, lo hanno ucciso…io sono accorso sul posto, ero reperibile…purtroppo sono arrivato tardi e sono stato costretto a identificare il…”
L’anziano non ebbe il coraggio di dire la parola ‘cadavere’ , la ferita per la perdita era ancora aperta.
“Non volevo farle ricordare…se l’avessi saputo” si scusò Ben.
“Sai la cosa che più mi  ha ferito è che l’assassino di mio figlio era un suo collega…lui  e Felix erano non solo partner, erano amici”
“Felix?” chiese Ben e il terrore si impadronì di lui.
“Sì Felix Winterberg…perché lo conosci?” chiese curioso il vecchio.
“No…no…” rispose scrollando leggermente la testa Ben.
“Sai questo Winterberg non saprei nemmeno che faccia ha ora. L’ho visto una volta sola, era la prima udienza del processo, aveva una faccia…non si è mai pentito…un essere spregevole, mostruoso. Penso che sia un bene che non ricordi il suo volto, se me lo trovassi davanti…non sono sicuro che potrei fare fede al giuramento di Ippocrate. Forse è anche per quello che ho mollato la professione”
Ben ascoltava quello sfogo in silenzio.
L’infermiera aveva letto nel computer lo stesso nome.
Lui poteva essere l’assassino del figlio dell’uomo che gli aveva salvato la vita.
Un invisibile pugno allo stomaco gli fece quasi mancare l’aria per un secondo.
“Allora come sei finito nel lago?” chiese Isaac riportandolo alla realtà “Mi dicevi che era una storia incredibile”
“Sì…” balbettò Ben, ritrovando un po’ di lucidità.

Ben gli raccontò di essersi svegliato in una cella del carcere e che, molto probabilmente,  per portarlo lì dovevano averlo picchiato visto che al risveglio aveva già male in diversi punti del corpo.
Successivamente dopo esser stato coinvolto in una piccola rissa tra detenuti aveva chiesto aiuto ad un poliziotto, che però lo aveva messo tra le mani di un altro carcerato che lo aveva quasi ucciso, di averne avuto la meglio e con l’aiuto di una infermiera di essere evaso.
Volutamente tralasciò il fatto che il suo nome poteva essere Felix Winterberg.
“Ecco perché avevi la divisa da infermiere, comunque …caspita, la tua è una storia incredibile” sentenziò il vecchio.
“Beh mica tanto, qualcuno mi ha sparato mentre ero di spalle sopra il parapetto della diga…”
“Beh giovanotto sei ancora vivo…” il signor Heineken gli stava chiedendo il nome, ma fu anticipato da Ben.
“Vivo? I vivi hanno i ricordi, la memoria…io purtroppo non ricordo nemmeno il mio nome” e mostrando il piccolo foro nell’incavo del braccio continuò “E forse la causa della mia amnesia potrebbe essere questo”
“Ho come l’impressione che quando riuscirai a reggerti in piedi senza fatica, andrai alla ricerca di te stesso” replicò comprensivo il vecchio.
“Lei non lo farebbe?” chiese serio.
“La verità, i ricordi, la memoria…potrebbero non piacerti” replicò altrettanto serio Isaac.
“Sa che cos’è l’unica cosa che ricordo…la risata allegra di una bambina. Alla notte mi sembra addirittura di sognarla, che mi chiami per nome, di vedere il suo volto, ma quando mi sveglio…niente…per quanto mi sforzi non ricordo assolutamente niente”
“Beh, i bambini, i figli…fanno far miracoli, ma quando li perdi” replicò triste il medico.
“Spero allora di non arrivare tardi” sentenziò Ben.
“Te lo auguro ragazzo”
Ben guardò negli occhi Isaac poi li distolse, mettendosi a fare colazione, in silenzio.
Isaac lo guardò con curiosità, quel ragazzo gli faceva una pena enorme.
Era triste, malinconico, gli occhi poi gli facevano quasi paura, secondo lui occhi di un uomo al limite della disperazione.
“Sembra che tu abbia un peso…”  gli disse benevolo “Non ci vuole molto a capirlo, non sono un psicologo, ma se vuoi sfogarti, sono qui ad ascoltarti” cercò di sdrammatizzare Isaac e al contempo rincuorarlo.
“Se fossi davvero un criminale…potrei aver ucciso…magari qualcuno che conosce…”
“Darei asilo ad un criminale…è questo che stai cercando di dirmi?” replicò con tono calmo l’anziano.
“Sì, potrei senza volerlo metterla seriamente nei guai”
In quel momento Ben si sentiva in lotta con se stesso, voleva dirgli chi era e un secondo dopo no, temendo la reazione che avrebbe avuto l’anziano.
“Tu…” Isaac cercò le parole giuste “Ti senti un criminale?”
“Che importanza ha... se fossi…” stava per dirgli chi pensava di essere, ma Isaac non gli lasciò il tempo.
“Non mi importa chi tu sia stato, quello che posso dirti è che l’amnesia ti potrebbe dare la possibilità di ricominciare da capo, di essere migliore”
“Però evadendo non avrei fatto …come dire… i conti con la giustizia, non avrei pagato per ciò che ho fatto”
“Una persona cattiva non parlerebbe così, né si farebbe tutti i sensi di colpa che ti stai facendo tu, ragazzo credi a me… tu sei nato buono. Forse non eri nel posto giusto”
Ben non riuscì a replicare, pensò solo che, appena ne avesse avuto la forza, sarebbe andato via da quel luogo sicuro e se un giorno avesse davvero scoperto di essere Winterberg si sarebbe costituito non prima di essere ritornato da Isaac.
E se il vecchio dalla disperazione gli avesse augurato di morire, di essersi amaramente pentito di avergli salvato la vita, che mai e poi mai lo avrebbe perdonato per aver ucciso suo figlio, in quel caso sarebbe stato Ben stesso a porre  fine alla propria vita.

Angolino musicale: i commenti li lascio a voi…Sting ‘Fragile’(Fragili)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=lB6a-iD6ZOY
Se il sangue scorrerà, quando la spada incontrerà la carne seccandosi al sole della sera, la pioggia di domani laverà via le macchie Ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti Forse questo ultimo atto è destinato a ribadire una fondamentale verità: che dalla violenza non può e non è mai potuto nascere nulla Per tutti quelli nati sotto una stella arrabbiata per paura che ci dimentichiamo quanto siamo fragili La pioggia continuerà a cadere su di noi come lacrime da una stella, La pioggia continuerà a dirci quanto siamo fragili,




 
 

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Capitolo 7
*** ricerche ***


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Ricerche

Erano passati quattro giorni dalla scomparsa di Ben e al distretto della polizia autostradale Semir non si dava pace. 
Si aggirava per gli uffici come un leone in gabbia, passando continuamente in rassegna i computer presenti sulle scrivanie dei colleghi nella vana speranza che qualcuno potesse fornirgli anche una minima pista per poter rintracciare Horst Raisser, ora ufficialmente ricercato per il rapimento di Ben.
Anche i notiziari e i giornali locali avevano dato grande risalto alla notizia, purtroppo questa collaborazione aveva innescato una serie infinita di segnalazioni.
“Susanne tutto bene?” Bonrath si avvicinò alla ragazza appoggiando sulla scrivania una tazza di caffè.
“Grazie Dieter ” replicò la segretaria sorseggiando la bevanda “Ci voleva proprio”
“Sai stavo pensando che non è stata un’ottima idea informare la stampa…” replicò amareggiato l’agente.
“So cosa intendi…alcuni minuti fa un uomo mi ha telefonato dicendomi di aver visto Ben a Francoforte e un attimo dopo una signora è sicurissima di avergli parlato in una piazza a Norimberga”
“Le due città distano tra loro circa duecento chilometri…dubito che Ben abbia il dono dell’ubiquità” sentenziò Bonrath, nella voce non c’era nessuna nota sarcastica, solo tanta delusione, il giovane ispettore mancava a tutti “Comunque anche io ho avuto telefonate simili; Raisser avvistato al confine con l’Olanda e a Bonn. I colleghi ci inoltrano tutte le segnalazioni, i nostri centralini di questo passo andranno in tilt”
“Ho appena mandato Jenny e Muller nei pressi del Duomo” intervenne il commissario passando accanto alla scrivania di Susanne, anche nella voce di Kim traspariva l’amarezza, era delusa quanto i suoi agenti “Purtroppo anche questa segnalazione si è rivelata un buco nell’acqua”
“Speriamo almeno che il fermo della moglie di Horst Raisser ci porti a qualcosa di concreto” e detto questo Susanne tornò al lavoro.

Era notte fonda, Martha Raisser era stata arrestata da alcune ore ed ora si trovava in custodia cautelare in una cella della sede della polizia autostradale.
Fu Kim Kruger ad interrogarla, mentre Semir seguì l’interrogatorio dietro il grande specchio presente nella stanza.
“Signora Raisser, ci dica dov’è suo marito” chiese per l’ennesima volta il commissario.
“Come le ho già detto è al lavoro, al carcere di Colonia, il direttore ha chiesto gli straordinari” replicò acida la donna.
“Il direttore Koller ci ha detto che non si è presentato, che non lo vede da giorni, si è dato per malato” replicò Kim.
“Allora non lo so”
“Le conviene collaborare, suo marito è accusato di aver rapito un poliziotto” incalzò Kim.
“Voi avete sbattuto in prigione i miei cognati…e adesso ve la state prendendo con mio marito…” sbottò la donna “Non dirò nulla se non in presenza di un avvocato”
“Senta” il commissario cercò una mediazione “Se ci dice dove possiamo trovare suo marito, se troviamo lui e di conseguenza il nostro collega vivo…le garantisco che ne terremo conto”
“Voglio un avvocato” sibilò la donna “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”
“Come vuole, la farò riaccompagnare in cella, caso mai fra qualche ora se cambierà idea…”

La ricerca di Horst Raisser proseguì per quasi una settimana e si estese a tutto il territorio tedesco.
I giorni che seguirono furono giorni difficili per tutti.
Soprattutto per Semir che aveva quasi dimenticato di avere una famiglia, una casa, un posto dove andare a dormire.
Tutti gli dicevano che doveva concedersi un po’ di riposo, almeno una pausa, ma la risposta era sempre la solita.
Ben per lui avrebbe fatto la stessa cosa. Si sarebbe fermato solo quando avesse trovato il suo collega, vivo o morto.
Furono giornate tristi anche per Andrea, che messa al corrente dell’accaduto cercava di consolare le figlie terrorizzate all’idea di perdere il loro ‘zio’ preferito.
Giorni di turni interminabili per Susanne, Dieter, Jenny, Kim e gli altri colleghi del distretto che assieme ad Hartmut e alla sua squadra della scientifica vagliarono centinaia e centinaia di fotogrammi e segnalazioni.
Furono giorni difficili per la piccola Livyana che malgrado avesse promesso a tutti di essere coraggiosa e forte come avrebbe voluto il ‘suo’ Ben passava intere giornate a piangere la scomparsa di colui che ormai considerava un padre.
Giornate piene di apprensione per Helga, per Julia e Konrad Jager che ancora una volta malediceva quel mestiere così pericoloso che il figlio aveva scelto di fare.
Giorni difficili anche per Elise Kladden da qualche mese fidanzata di Ben.
La psicologa avrebbe dovuto continuare il suo lavoro con la piccola Livyana, le sarebbe toccato il difficile compito di consolarla, senza poterle confessare che proprio grazie alla ragazzina aveva incontrato l’amore, purtroppo nessuno avrebbe consolato lei, in quanto nessuno sapeva che Ben era da tempo il suo fidanzato.
Furono giorni difficili anche per Ben che malgrado si sentisse abbastanza sicuro nella casetta di Isaac Heineken era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto andarsene, conscio di non aver più un passato e forse nemmeno un futuro. Oltretutto la sua presenza avrebbe potuto mettere Isaac in pericolo e Ben non voleva assolutamente che al vecchio potesse accadere qualcosa di spiacevole, anche se pensandoci bene se lui era veramente Felix Winterberg qualcosa di terribile glielo aveva già fatto uccidendogli il figlio.

Con il passare dei giorni Ben recuperò un po’ le forze, riuscendo anche a riparare l’auto del signor Heineken che da un paio di giorni non dava segnali di voler partire.
“Sei stato bravo ragazzo” gli disse Isaac sentendo rombare il motore della vecchia Passat “Sembra che tu te ne intenda, ti osservavo, sapevi, forse inconsciamente, dove mettere le mani”
“Chissà, magari ero un meccanico…” replicò Ben pulendosi le mani sporche d’olio “E comunque se io rattoppo bene le auto, lei i malcapitati che ripesca dal lago”
“Sai mi piacerebbe anche …che tu cercassi di ricucire anche il tuo cuore” gli disse bonario Isaac.
“Lei non può nemmeno immaginare cosa…” ma Ben lasciò cadere il discorso, voltandogli le spalle in modo che il medico non potesse vedere che una lacrima gli stava rigando il volto.
“Cosa ti tormenta?” quella di Isaac non era una domanda vera e propria, ma quasi una affermazione “Penso di saperlo, o forse posso immaginarlo, quello che mi auguro è che questa cosa…insomma ti sta uccidendo dentro”
“Sì ha ragione, mi sento…un morto che cammina” replicò Ben senza voltarsi.
“Ma cosa è peggio…i sensi di colpa che ti stanno devastando o il fatto di non avere ricordi?” chiese serio l’anziano.
Per Ben quella frase fu troppo e adducendo come scusa che aveva bisogno di farsi una doccia rientrò in casa.
Da quel momento Isaac decise che non avrebbe più affrontato con il suo giovane ospite quel tipo di argomento.

Durante i giorni che restò ospite del signor Heineken Ben costruì addirittura un’amaca.
Nella piccola rimessa aveva trovato metri e metri di fune.
“E’ lì da quando mi sono trasferito” delucidò il vecchio ‘E’ in buono stato e quindi non l’ho mai gettata, magari un giorno potrebbe servirmi”
“Che ne dice se costruisco un’amaca? La posso fissare a quei due magnifici pini che stanno vicino alla casetta” propose Ben, sfoderando forse l’unico sorriso che Isaac Heineken riuscì a vedere sul volto del giovane.
Il vecchio gli aveva consigliato di lasciar perdere, sarebbe stato bello avere un’amaca, ma con le ferite che si trovava al braccio e alle mani ci avrebbe messo un’eternità a costruirla.
“Se lei mi dà il permesso la costruisco” fu la lapidaria risposta di Ben.
“Sei uno che non molla, ragazzo” rispose sorridendo il medico.
“Forse sono quel genere di persona che quando si mette in testa qualcosa niente e nessuno può fargli cambiare idea” replicò serio Ben “E poi devo fare un po’ di forza, rigenerare i muscoli, in quanto a spaccare legna per il caminetto… lei si fa arrivare dalla città i ciocchi già tagliati…”  
Detto questo si mise subito all’opera, sotto lo sguardo divertito di Isaac, che giorno dopo giorno scorgeva in Ben atteggiamenti, movenze e molto altro del figlio morto.
Isaac si stava davvero affezionando a quel ragazzo, per lui avrebbe voluto fare qualcosa, purtroppo cosa non lo sapeva nemmeno lui.

Intanto nella sede della scientifica Hartmut e la sua squadra continuavano a visionare i filmati delle telecamere dell’intero stato.
“Ehi Harty, vieni qui, subito” chiamò Rob serio.
“Che c’è?” rispose quasi controvoglia Hartmut.
“Secondo me è lui, il programma potrebbe anche sbagliarsi, ma guarda…e poi osserva come si muove, come si guarda in giro. Per me è lui!”

Era quasi mezzogiorno quando Hartmut telefonò a Semir che si trovava nei pressi della stazione ferroviaria di Colonia.
“Dimmi Einstein” rispose di malavoglia Semir stropicciandosi gli occhi sorseggiando un caffè al bar della stazione.
Ormai nemmeno dormiva più, si concedeva al massimo un paio d’ore per notte.
“L’abbiamo trovato…” esordì euforico il tecnico.
“Ben???” i battiti cardiaci di Semir ebbero una notevole impennata.
“No Semir, mi spiace” si scusò Hartmut maledicendosi di aver illuso anche per un solo attimo Semir “Ma abbiamo trovato Horst Raisser attraverso le telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Francoforte, si stava imbarcando con un passaporto falso. I colleghi lo hanno arrestato, lo porteranno qui al nostro distretto”
“Non è Ben, ma almeno abbiamo trovato il suo rapitore” pensò tra se il piccolo ispettore “Einstein” domandò di seguito Semir uscendo dal bar dirigendosi di corsa verso la sua auto di servizio “A che ora è previsto il suo arrivo al comando?”
“Penso fra un ora…”
“Okay arrivo immediatamente, Ben deve essere a casa per l’ora di cena…” Semir non vedeva l’ora di interrogare Raisser. Lo avrebbe ‘torchiato’ fino a che non fosse arrivato alla verità.
Fino a che non fosse arrivato a Ben.

Con le manette ai polsi Horst Raisser fu condotto nella stanza degli interrogatori del distretto della CID.
Davanti a lui c’era solo Semir pronto a inchiodarlo per il rapimento del suo collega e con tutta la voglia e la speranza di riportare Ben a casa al più presto.
Il poliziotto era stato caldamente invitato dal commissario Kruger a rispettare tutte le regole e il protocollo.
Sapeva benissimo, Kim, che difficilmente il suo ispettore avrebbe tenuto a bada la sua rabbia e per questo si mise dietro al grande specchio ad assistere all’interrogatorio, nel caso fosse stato necessario un tempestivo intervento da parte sua.
“Allora Raisser, dov’è Ben?” chiese per l’ennesima volta Semir.
“Senta, come le ho già detto…” rispose Horst alzando gli occhi al cielo.
“Non dica idiozie!” sbottò Semir alzandosi in piedi e puntandogli il dito contro “Lei la sera che dice di essere stato da Ben non c’era…abbiamo un testimone che lo può confermare”
“Sì come no, voi volete un capro espiatorio, un colpevole, ma io non lo sono e glielo ripeto non so dove sia il suo collega” sibilò Raisser.
“Senta perché non la pianta…se collabora le prometto che ne terremo conto…” propose Semir.
“Ma certo, come no …conosco i vostri trucchetti” ribatté deciso Raisser.
“Ascolti bene, lei non si è più presentato al lavoro dopo il nostro colloquio, sono stato da sua moglie, mi ha mentito per coprirla, siete entrambi inguaiati fino al collo. Rapimento di un poliziotto…”
“In mano non avete nulla, stavo andando da mia sorella a Berlino…” lo interruppe Raisser.
“Con un passaporto falso!” urlò Semir sbattendo violentemente  la mano sul tavolo “Chi vuole prendere in giro? Lei stava scappando!”
Semir stava veramente perdendo la pazienza, si impose un difficilissimo autocontrollo, sentiva il sangue ribollire nelle vene.

A salvare l’arrestato prima che l’ira di Semir si abbattesse su di lui fu il bussare alla porta.
“Che c’è?” sbottò Semir, poi resosi conto di aver esagerato e di aver risposto in maniera maleducata uscì dalla saletta degli interrogatori.
“Scusa Susanne non volevo…”
Ma la segretaria comprese appieno lo stato d’animo del piccolo ispettore.
“Non ti preoccupare, so quanto ti manchi Ben, e non solo a te. Comunque” continuò l’efficiente segretaria “Andiamo dal commissario ci aspetta nel suo ufficio ho raccolto alcune informazioni che mi sembrano molto importanti”

“Allora” cominciò la segretaria “A quanto mi risulta Raisser aveva prenotato un volo di sola andata per Berlino”
“Lì abita la sorella se non sbaglio” l’anticipò Kim.
“Esattamente, ma c’è di più, ho fatto alcuni controlli incrociati, conti in banca, insomma le solite cose e ne è venuta fuori una cosa interessante”
Semir e Kim pendevano letteralmente dalle sue labbra.
“La sorella di Raisser ha avuto numerosi bonifici in questi ultimi tempi e così pure la moglie di Horst che ha un conto separato dal marito, inoltre presso le isole Cayman, che sappiamo essere un paradiso fiscale, Horst  Raisser ha un conto a suo nome”
“Scusate un momento” rifletté Semir “Mettiamo che Horst Raisser volesse portare a termine la vendetta dei fratelli, quindi perché rapire Ben? Bastava aspettare il momento giusto, un agguato o un incidente sarebbe stato…meno pericoloso, invece Raisser è andato a casa sua”
“Però ciò che non capisco sono tutti questi movimenti di denaro sui conti delle due donne e di Raisser” rifletté Kim.
Semir fece spallucce.
“Comunque” continuò la segretaria “Forse riesco a risalire al nome di chi ha fatto i vari bonifici, sarà un po’ complicato, troppi intoppi burocratici, ma Hartmut mi ha assicurato che con l’aiuto di un suo amico hacker, che ovviamente resterà anonimo, cercherà di aiutarci”
“Quanto ci impiegherà” chiese Semir.
“Non lo so dobbiamo solo aspettare” replicò costernata Susanne.
“Purtroppo non ci resta che aspettare, intanto Raisser resterà là dentro buono buono…magari abbassiamo pure il riscaldamento…fuori la colonnina del termometro si sta abbassando” concluse Semir.
“Gerkhan, le sembra…” ma Kim lasciò subito perdere il discorso non se la sentiva di fare la ramanzina al suo collaboratore, capiva benissimo il suo stato d’animo.

Passarono alcune ore, l’attesa si faceva sempre più spasmodica e Semir era andato, con scarso successo a interrogare di nuovo Raisser, che manco a dirlo aveva chiesto la presenza di un avvocato.
Sempre più amareggiato il piccolo ispettore decise di uscire a prendere una boccata d’aria.
Semir alzò gli occhi al cielo, ormai era sera, c’era una bellissima stellata, ma quel meraviglioso spettacolo non sollevò minimamente il suo animo pesante.
“Dove sei Ben?” continuava a ripetersi come fosse un disco rotto.
Sconsolato dopo qualche minuto decise di  rientrare in ufficio, lì fuori cominciava a fare davvero freddo.
Si stava avviando verso l’ingresso quando vide un’auto fermarsi nel posto occupato solitamente dalla Mercedes di Ben.
“Ma dico io…non l’ ha visto il cartello ‘riservato’?” sbottò Semir “E poi quello è ancora il posto del mio ragazzo. Adesso quando scende mi sente”

Dall’auto scese una ragazza, portava una giacca aperta che permise a Semir di notare che indossava una divisa da infermiera.  
La donna aveva l’aria preoccupata, si guardava attorno come in cerca di qualcosa o di qualcuno e quindi Semir decise di rimandare le sue proteste per aver occupato il posto del suo socio.
“Signorina…ha bisogno?” si avvicinò il piccolo ispettore.
“Salve vorrei parlare con qualcuno che conosce l’ispettore Ben Jager è importante…credo” chiese gentilmente.
Semir si sentì per un attimo mancare il fiato.
“Mi chiamo Semir, Semir Gerkhan… sono il collega di Ben…ha sue notizie? Sa dov’è?” una flebile speranza di trovare il suo socio si fece strada dentro di lui.
“Ecco non so dove sia ora, ma so dov’era circa  una settimana fa” rispose decisa.
“Davvero e dov’era?” chiese ansioso Semir.
“Nel carcere di massima sicurezza di Colonia” replicò seria l’infermiera.
“Scusi???” replicò attonito Semir, la risposta della donna gli sembrava alquanto bizzarra “Ma ne è sicura??? Ben…un secondino?” incalzò il piccolo ispettore.
“No…come detenuto”
Quella rivelazione fu per Semir pari a una pugnalata al cuore.
 
Angolino musicale:
Coldplay ‘Talk’ (Parliamo)
Per ascoltarla https://www.youtube.com/watch?v=EH9meoWmAOM
Oh amico io non riesco, non riesco ad andare avanti ho provato così duramente a raggiungerti perché non so cosa fare oh amico io non riesco a credere che sia vero, sono così spaventato per il futuro e voglio parlare con te; ti senti perso o incompleto? ti senti come un puzzle dove non riesci a trovare il pezzo mancante? dimmi, come ti senti? beh io mi sento come se gli altri stessero parlando una lingua che non parlo e stanno parlando a me…





 
 

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Capitolo 8
*** rabbia e disperazione ***


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Rabbia e disperazione

“Si sente bene?” chiese preoccupata l’infermiera vedendo Semir sbiancare.
“Sì…sì…penso di sì” quasi balbettò il piccolo ispettore, riprendendosi dallo shock dopo aver appreso dalla giovane infermiera la notizia che Ben si trovava, fino ad una settimana prima, nel carcere di massima sicurezza di Colonia.
Per alcuni secondi era restato a bocca aperta, immobile, forse senza nemmeno respirare, come fosse una statua di cera.
Ma in che modo c’era finito Ben in carcere e, cosa ancora più assurda, come detenuto?
Il panico si impadronì di lui, un brivido corse lungo la schiena da fargli accapponare la pelle;
Semir si ritrovò a pensare al ‘suo’ ragazzo, rinchiuso in un luogo dove la maggior parte delle persone che vi soggiornavano erano criminali che loro stessi avevano messo dietro le sbarre.

L’infermiera capì subito che tra l’uomo che le aveva salvato la vita in carcere e quello che aveva davanti c’era molto di più di una semplice collaborazione, lo aveva visto impallidire, balbettare, nella sua voce traspariva terrore puro.
“In ogni caso…il suo collega…adesso non si trova più là” l’infermiera cercò in qualche maniera di consolarlo, ma non poteva omettere certe informazioni e  quindi continuò “E so che quello che le sto per dire la farà preoccupare ancora di più. Mi ha detto che ha perso la memoria, non si ricorda nemmeno il suo nome, né come sia finito in carcere. E devo confessarle che anche io a stento l’ho riconosciuto nelle foto che sono state pubblicate nei giornali. Sa ritengo che sia una cosa positiva… il suo collega ha gli occhi che parlano da soli…” e nel dire quest’ultima frase arrossì un po’.
“Come scusi? Gli occhi?” Semir era ancora un po’confuso.
“Lasci stare …” replicò la donna intuendo che la notizia era abbastanza sconvolgente per il piccolo ispettore e forse certi dettagli non li avrebbe capiti appieno.
“Senta, le va di entrare? Parleremo con calma, nel mio ufficio…devo essere sicuro che stiamo parlando della stessa persona” chiese Semir imponendosi di ritrovare un minimo di lucidità.
“Certamente” replicò decisa la ragazza.

Poco dopo Semir fece accomodare l’infermiera nel suo ufficio, le mostrò la scrivania di Ben e successivamente una foto che lo ritraeva con le sue figlie e Livyana.
“E’ lui?” chiese Semir quasi in apnea.
La donna guardò con attenzione la foto;
Ben era sorridente, circondato da tre bambine.
“E’ lui ne sono sicura” rispose puntando il dito sulla foto per confermare ulteriormente la sua risposta.
“Ne è assolutamente certa?  La prego guardi bene è importante…” Semir aveva la voce tremolante.
“Sì gli occhi…difficile dimenticarli. Il suo collega in carcere…portava la barba di qualche giorno, ma i lineamenti del volto, il colore dei capelli, degli occhi, il fisico” poi avvicinando di più il viso alla foto “Sì è lui, ne sono più che sicura…i tatuaggi, sono gli stessi…” asserì la donna.
“C’è altro?” chiese Semir vedendo che l’infermiera era un po’ restia a continuare la frase.
“Beh, ecco non vorrei allarmarla ulteriormente, ma quando l’ho visto…prima che riuscissimo ad uscire dal carcere…lo hanno picchiato… insomma può immaginare, non sono andati per il sottile” e quell’ultima frase la pronunciò quasi sottovoce, vedendo l’espressione sconvolta dell’ispettore.
L’infermiera quindi preferì non scendere in ulteriori particolari, omettendo volutamente che Ben presentava alcune profonde ferite infertegli con un coltello.

Semir dovette respirare a fondo, a stento riuscì a trattenere la nausea, si immaginò Ben picchiato da detenuti che lui stesso aveva messo in carcere, persone che trovandoselo di fronte avrebbero presentato un conto a dir poco salato, il giovane ispettore non avrebbe saputo il perché di tanta crudeltà nei suoi confronti, cosa che invece sapevano benissimo i suoi aguzzini che sicuramente di lui non avrebbero avuto nessuna pietà.
Stava per rivolgere alla ragazza un’altra  domanda quando un dubbio si insinuò in lui; era venuto a conoscenza che Hector Preuss era morto in carcere durante la rivolta, ma se invece fosse stato ucciso da Ben?
Sicuramente quel criminale non si sarebbe fatto scappare un’altra occasione per uccidere almeno uno di loro, il ‘suo’ ragazzo avrebbe solo agito per legittima difesa, di questo Semir era più che certo.
L’unico pensiero che lo rincuorò un po’ era che almeno Ben era evaso, ma ora dov’era?
Il piccolo ispettore si mise a respirare a fondo, doveva farsi coraggio, lì fuori da qualche parte c’era Ben, doveva trovarlo e al più presto.
“Senta…” solo in quel momento Semir si accorse di non averle nemmeno chiesto il nome.
“Flammy Hamilton” si presentò la giovane intuendo la domanda di Semir.
“Io sono l’ispettore Semir Gerkhan, ma mi sembrava di averglielo già detto…mi scusi, ma sono un po’ in tilt in questo momento, Ben è molto di più di un collega per me…”
“L’avevo capito ispettore” replicò comprensiva la donna.
“Mi aiuti a capire…come l’ha conosciuto e quando l’ha visto l’ultima volta dove eravate?” chiese Semir cercando di riordinare le idee e i spostamenti del suo socio.
L’infermiera iniziò il suo racconto: 
“Ecco al carcere era scoppiata una rivolta, io ero in pericolo un detenuto in infermeria mi stava minacciando con una forbice, lui è sbucato dal nulla e mi ha salvata, ha rischiato la sua vita per salvare la mia”
“Tipico di Ben” pensò a voce alta Semir.
“Sì, lo penso anche io, comunque ha voluto sapere chi era, come le ho già detto ha perso la memoria. Attraverso il database del computer del carcere siamo risaliti ad un nome: Felix Winterberg”
“Winterberg??? Porca miseria…quell’assassino…” Semir era sempre più sconvolto “Poi?”
“Poi siamo riusciti ad evadere dal carcere. Pensandoci bene come si muoveva per i corridoi, come è riuscito ad aprire le porte chiuse a chiave con due semplici graffette, si vedeva che sapeva il fatto suo”
“Sì Ben è un poliziotto eccezionale…” confermò l’ispettore accennando un lieve sorriso.
“Comunque prima di tentare di uscire dal penitenziario l’ho medicato, gli ho fatto indossare una divisa da infermiere, per passare inosservato, io ero sicura che lui…insomma non poteva essere un criminale”
Semir non disse nulla, continuava a pensare a Ben, solo in balia di decine di criminali, solo contro tutti.
“Lungo i corridoi abbiamo incontrato i vostri colleghi accorsi per sedare la rivolta” continuò la ragazza “Fortunatamente nessuno ha fatto domande, avevo il tesserino di riconoscimento e ho garantito anche per lui. Il suo collega scappava da qualcuno o forse da qualcosa di questo sono certa…diceva che non poteva fidarsi di nessuno, che tutti lo volevano morto, penso si sia fidato di me perché…”
“Perché?” Semir capì che la ragazza era un po’ restia a continuare “Me lo dica… perché?”
“Beh sono stata l’unica persona che si è avvicinata a lui senza picchiarlo, questo non me lo ha detto apertamente, ma…non dimenticherò mai i suoi occhi, parlavano per lui”

Semir sentì di non poterne più, ma nello stesso istante pensò che non poteva lasciarsi andare a isterismi o altro.
“Ha idea di dove possa essere andato? Non so…ha detto qualcosa che potrebbe essermi d’aiuto…la prego ci pensi…anche una stupidaggine, potrebbe essere importante” Semir era in quel momento più teso di una corda di violino.
“So solo che appena siamo usciti dalla struttura si è accertato che nessuno facesse caso a lui  e se ne è andato  via inoltrandosi nei boschi. Un agente del carcere deve averlo visto perché poco dopo lo ha rincorso, ma quando è tornato un altro secondino gli ha chiesto perché arrivasse dal bosco e questi gli ha risposto che gli sembrava di aver visto uno dei detenuti fuggire, ma si sbagliava”

Subito Semir fu preso dal panico, cominciò quasi a sudare freddo…e poi quell’orribile sensazione da bloccargli quasi il fiato: prese da una cartellina una foto e la mostrò all’infermiera.
“E’ lui l’uomo? Quello che inseguiva Ben?” la mano che reggeva la foto segnaletica di Raisser quasi tremava.
L’infermiera guardò attentamente la foto “Oddio potrebbe essere lui”
“Guardi attentamente” chiese deciso Semir.
“Aspetti… se le può interessare il secondino…quello che lo ha visto tornare dal bosco lo ha chiamato con un nome che a me ha rammentato un faraone egizio…Ramses…”
“Potrebbe essere Raisser?” chiese quasi sottovoce Semir.
“Sì, direi di sì” rispose determinata Flammy Hamilton.

Semir non volle ascoltare altro, per lui quell’informazione era abbastanza; come una furia si catapultò nella sala degli interrogatori spalancando violentemente la porta che sbattè contro il muro.
Il rumore fece sobbalzare tutti i presenti in quel momento al distretto.
“Maledetto bastardo” urlò Semir prendendo per il bavero Raisser  e colpendolo violentemente con un pugno. 
L’uomo che in quel momento era seduto sulla sedia cadde a terra con un labbro sanguinante.
“Gerkhan!” urlò dietro di lui Kim Kruger richiamata dalle urla di Semir  “La smetta, questo non è il modo…” ma venne bruscamente interrotta.
“Questo bastardo ha visto Ben in carcere. Che gli hai fatto maledetto, parla!”
“Come sarebbe a dire in carcere?” Kim era ovviamente all’oscuro di tutto.
Semir strattonò nuovamente Raisser che continuò a proclamarsi innocente.
“Glielo ho già detto, non so niente…” replicò il secondino.
“Una testimone ti ha visto…lo hai inseguito…che gli hai fatto, dov’è Ben? Parla verme schifoso!”
“Ora basta Gerkhan le ripeto che questo non è il modo…” quasi urlò il commissario che forse cominciava a intuire qualcosa.
Semir stava per risponderle a tono, quando nella sala interrogatori fece capolino Susanne.
“Semir, capo…ho delle notizie che dovete assolutamente sentire…”
“Dieter, per favore chiudi la porta a chiave e lascia pure quel bastardo a terra, se vuole può alzarsi da solo” ordinò Semir, poi con il commissario Kruger uscì dalla stanza per dirigersi verso la scrivania di Susanne.
“Gerkhan si può sapere che le è preso? Non può avventarsi…” ma fu interrotta dal suo ispettore.
“Quel bastardo ha riconosciuto Ben…lo ha visto nel carcere di Colonia” sbottò.
“Cosa?” il commissario era a dir poco sconvolta, Semir quindi le riferì cosa aveva detto e visto l’infermiera.
Anche Susanne ascoltò il racconto di Semir.

“Susanne” chiese Kim “Ci dica cosa ha scoperto, a Raisser penseremo dopo”
“Dunque vi chiedo solo di non chiedermi come, ma sono risalita al nome dell’uomo che ha in un certo senso finanziato Horst Raisser per attuare la sua vendetta, l’uomo si chiama Matthäus Strume”
“Dai Susanne non tenerci sulle spine chi è…” chiese Semir.
“Era un ricco imprenditore, con i suoi affari finanziava atti criminosi, riciclava denaro sporco, corrompeva politici. Una sola persona riuscì a tenergli testa e a smascherare i suoi traffici, e indovinate chi? Konrad Jager!”
“Il padre di Ben…o porca miseria…” Semir si sedette sulla scrivania e lo stomacò gli si bloccò nuovamente.
“Adesso è agli arresti domiciliari per ragioni di salute, è vecchio e malato. Gli ultimi sette anni li ha trascorsi nella prigione di massima sicurezza di Colonia” continuò la segretaria.
“Ipotizziamo che questo Strume abbia conosciuto Horst Raisser in carcere...viene a sapere che io e Ben abbiamo sbattuto in galera i suoi due fratelli…” cominciò a ragionare Semir.
“Quindi è logico supporre che siamo in presenza di due criminali che vogliono vendicarsi di due componenti della stessa famiglia…” ma Kim fu educatamente interrotta da Susanne.
“Capo, scusi, ma c’è dell’altro” continuò Susanne “Il figlio di Strume morì in un incidente in autostrada, sbandando con la sua auto finì giù per una scarpata. Non si fermò ad un posto di blocco, in macchina aveva una valigetta con tre chili di cocaina purissima, era inseguito da una nostra volante, ritengo che abbiate capito di chi sto parlando…”
“Ben?” Semir fece quella domanda quasi in apnea.
“Esatto” confermò Susanne.
“Signori qui stiamo parlando di un complotto ai danni dei Jager…da una parte Raisser che vuole vendicare i fratelli, dall’altra Strume che vuole vendicarsi di Jager padre e figlio” ragionò Kim.
“Ma perché non rapire anche me…” chiese Semir “Insomma Raisser avrebbe potuto riservare lo stesso trattamento a me, perché prendersela solo con Ben?”
“E’ orribile solo pensarlo, ma uccidendo Ben…si vendicherebbero anche di lei. Tutti sanno quanto voi due siate uniti” replicò Kim.
“Ha ragione il capo, questa volta morirei di crepacuore” pensò Semir “Prima André, poi Tom, Chris…se succedesse qualcosa al ragazzo…”
“Comunque ora abbiamo le prove per incastrare Raisser” concluse Susanne “E’ sul libro paga di un criminale agli arresti domiciliari, e implicate ci sono anche altre tre persone che lavorano nello stesso carcere, a loro nome ci sono bonifici e…”
La segretaria non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase, Semir si precipitò di nuovo nella stanza degli interrogatori.

Spalancò la porta e si avventò su Raisser, lo alzò di peso dalla sedia sbattendolo contro il muro.
“Adesso abbiamo le prove, maledetto bastardo!”
Semir gli urlava in faccia come fosse un indemoniato “Matthäus Strume ti ha pagato per rapire Ben e metterlo in galera tra quelli che aveva arrestato. Che avevi in mente? Volevi che morisse soffrendo le pene dell’inferno? Lo hai consegnato a qualcuno che ha arrestato? Magari Preuss?” Semir sbattè nuovamente Raisser contro il muro “Ma qualcosa è andato storto e il mio collega è evaso…ma ti giuro, che se non lo ritrovo vivo farò in modo che tu faccia la stessa fine. Ti farò rinchiudere in quello stesso carcere , farò in modo che le guardie , i detenuti, tutti riservino a te lo stesso trattamento che hai riservato a Ben…ti ammazzeranno brutto figlio…” e colpì di nuovo Raisser buttandolo di nuovo a terra.
“Non avete prove…lei sta solo bluffando”  Raisser rise con un sorriso beffardo,  asciugandosi con la manica della camicia il sangue che gli colava dal naso.
“Certo che le abbiamo, ti abbiamo inchiodato maledetto bastardo e faremo in modo che tua moglie, tua sorella vengano condannate duramente per complicità in un rapimento…e se per caso Ben non tornasse a casa vivo sarete tutti complici in un omicidio”
“Voi avete ucciso mia cognata, suo figlio, i miei fratelli sono morti in carcere…Jager ha avuto ciò che meritava” cominciò ad urlare Raisser “E c’è di più” continuò spavaldo, voleva vedere Semir soffrire, preoccuparsi, disperarsi per il suo collega “Un dottore ha trovato una specie di siero che cancella la memoria, non si sa bene che effetti abbia sull’uomo, lui lo voleva testare, io gli ho consegnato Jager, voleva sapere se era letale. Lo sbirro non è morto, quindi l’ho portato al carcere, sarebbe morto in ogni caso”
“Maledetto che gli hai fatto???” urlò nuovamente Semir prendendolo per il bavero.
Raisser continuava a ridere, alimentando la collera che si stava impadronendo sempre più di Semir.
“Sa una cosa Gerkhan, avrebbe continuato a cercare il suo amichetto per il mondo intero. So benissimo che lei non avrebbe trovato pace fino a che non lo avesse ritrovato, vivo o morto. Forse un giorno, da qualche atollo sperduto avrei potuto dirle dov’era, che fine aveva fatto. Se lo immagina? Il suo collega…lontano pochi chilometri da lei, ma contemporaneamente lontano anni luce. Avrebbe saputo che Jager è stato ucciso in carcere, dopo essere stato picchiato a morte, seppellito senza onore, senza nessuno che lo accompagnasse al cimitero se non i becchini, e con il nome di un assassino di sbirri inciso sulla bara”
“Maledetto bastardo, ti ammazzo…ora…” Semir scrollava Raisser come fosse un fantoccio di pezza, dietro di lui comparve Kim che però non fermò questa volta il suo ispettore.
 “Jager è morto, gli ho sparato io, alle spalle” continuò beffardo “Non lo troverà  mai, nemmeno il suo cadavere. Stava sopra il muretto della diga vicino al carcere, sono certo che neanche avrà sentito il colpo…ridotto com’era…era già mezzo morto…in fondo gli ho fatto un piacere ho messo fine alla sua agonia” Raisser rideva beffardo anche se l’ispettore continuava a scuoterlo sempre di più.
“Sei un verme schifoso…” gli rispose Semir ed estraendo la pistola gliela puntò sulla fronte.
“Gerkhan!” tuonò questa volta la Kruger “Non così, Raisser avrà quello che si merita, ma non così…”
“L’ha ucciso…questo bastardo…ha ucciso Ben…” e levò la sicura alla pistola.
Kim Kruger si avvicinò al suo ispettore.
“Semir, la prego…” le disse appoggiando la mano sulla sua spalla “Ben non vorrebbe vendetta…vorrebbe giustizia, ma non così…”
“Me ne frego di quello che avrebbe voluto…questo bastardo l’ha ucciso…il mio ragazzo…” continuava  a ripetere Semir, il dito indeciso sul grilletto.
“Non è vero, Semir, sai benissimo che Ben sarebbe il primo a dirti di non diventare come lui, tu non sei un assassino”
Kim Kruger usò tutta la dolcezza e fermezza di cui in quel momento era capace di infondere, al suo ispettore.
Anche lei era disperata quanto Semir per aver appreso la notizia della morte di Ben, purtroppo per il ruolo che ricopriva doveva agire diversamente anche se sarebbe stata proprio lei la prima a piantare un colpo in testa a Raisser.
Quel bastardo aveva oltretutto sparato alle spalle ad un uomo disarmato e per di più ferito, per lei una cosa odiosa quanto inconcepibile.
Semir uscì dalla stanza in lacrime, ma prima si prese la piccola soddisfazione di colpire in pieno volto con il calcio della pistola Raisser.

“Maledetto sbirro mi hai rotto uno zigomo” urlò inviperito Raisser al commissario “Ha visto??? Mi ha colpito!”
“A me è sembrato che lei sia inciampato e abbia battuto contro lo stipite della porta…se fosse stato Gerkhan le avrebbe come minimo sparato” poi rivolgendosi a Dieter che aspettava fuori dalla stanza “Bonrath lo chiuda in cella, io nel frattempo avviso la procuratrice Schrankmann, questo individuo non merita la permanenza nelle nostre comode celle, chiederemo subito il trasferimento in una struttura più adeguata a lui” poi parlò a Raisser “Spero che marcisca in prigione e che le diano l’isolamento a vita. Lei è un bastardo, spero che l’inferno esista, lei merita quello”
La prima a rendersi conto delle dure parole che aveva appena pronunciato fu proprio Kim, ma quando incrociò lo sguardo di Dieter dall’alto agente non ebbe nessuna nota di rimprovero.
Quello che aveva fatto Raisser nei confronto di Ben era qualcosa di mostruoso.
Detto questo uscì dalla stanza.

Angolino musicale: Aspetto i vostri pareri, splendidi recensori…
P.S. se vi state chiedendo dove ho pescato il nome per l’infermiera…pensate a Candy Candy…
Vasco Rossi ‘Il mondo che vorrei’
Per ascoltarla https://www.youtube.com/watch?v=BXfq0e9vRY8
Ed è proprio quello che non si potrebbe che vorrei ed è sempre quello che non si farebbe che farei ed è come quello che non si direbbe che direi quando dico che non è così il mondo che vorrei Non si può sorvolare le montagne non puoi andare dove vorresti andare. Sai cosa c'è ogni cosa resta qui. Qui si può solo piangere... e alla fine non si piange neanche più… Non si può fare quello che si vuole non si può spingere solo l'acceleratore. Guarda un po’ ci si deve accontentare. Qui si può solo perdere...e alla fine non si perde neanche più
 

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Capitolo 9
*** flebili speranze ***


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Flebili speranze

Alle prime luci dell’alba Semir decise di recarsi alla diga dove Horst Raisser aveva detto di aver sparato a Ben.
Nessuno al distretto aveva ancora informato i parenti del ragazzo e il solo pensiero di dover mettere al corrente Konrad Jager che suo figlio era morto fece venire a Semir quasi la nausea.
Immaginava già quale sarebbe stata la reazione che avrebbe avuto il padre di Ben, come la disperazione di Helga, della sorella Julia, dei ragazzi della band e di Elise, ma quella della piccola…ciò che forse lo spaventava di più era come avrebbe affrontato la notizia Livyana.
Solo una flebile speranza aleggiava nell’animo di Semir, Raisser aveva già mentito una volta, perché non farlo di nuovo?

Dopo la confessione del ormai ex secondino il commissario Kruger aveva fatto richiesta del nucleo dei sommozzatori.
Appena sorto il sole la squadra sarebbe giunta sulle sponde del lago artificiale per cominciare le operazioni di recupero del corpo di Ben.
Semir aveva trascorso tutta la notte in ufficio chiuso nel suo dolore, non aveva voluto vedere né parlare con nessuno, nemmeno con sua moglie; aveva addirittura preso in mano la chitarra di Ben, e seduto alla sua scrivania aveva tentato di tirarne fuori qualche accordo, ma con scarsissimo successo.
Ben la sapeva suonare, lui decisamente no.
Solo Kim era riuscita a strappare un ‘grazie’ a Semir, quando, poco dopo l’alba gli aveva portato una tazza fumante di caffè.

Erano passate da poco le otto di mattina, Semir era arrivato subito dopo il nucleo dei sommozzatori nel luogo dove Raisser aveva confessato di aver sparato al suo socio.
Per un po’ rimase fermo sulla riva, il vento soffiava gelido dando al lago un’aurea quasi spettrale.
Piccole onde si increspavano in mezzo allo specchio d’acqua per infrangersi contro il piccolo pontile.
Pensava in continuazione a Ben, a quanto gli mancavano le sue fragorose risate, le sue insulse battutine sulle sue origini, le loro, a volte accese, discussioni, il lavoro fianco a fianco, Raisser con un colpo di pistola forse aveva messo definitivamente la parola fine alla ‘coppia d’oro della CID’.
L’ispettore era afflitto da sentimenti contrastanti, non sapeva bene se fosse una cosa positiva o negativa che i sommozzatori non avessero ancora trovato il corpo di Ben o qualcosa riconducibile a lui.
Decise quindi di stemperare la tensione facendo un giro attorno al lago, l’attesa lo stava letteralmente facendo impazzire.
Continuava ad andare avanti e indietro lungo la riva quando notò un vecchio che usciva dalla casetta di legno poco distante, aveva un libro in mano e si stava dirigendo verso un’amaca sospesa tra due maestosi pini.
I loro sguardi si incontrarono e Semir decise di andargli incontro.
“Salve” esordì l’ispettore.
“Buon giorno” rispose cortesemente il vecchio appoggiando il libro sopra l’amaca, poi dopo aver dato una rapida occhiata al lago domandò “E’ successo qualcosa? Come mai è arrivata la squadra dei sommozzatori? Qualcuno si è buttato dalla diga? Purtroppo non sarebbe la prima volta”

Ma Semir non sentì nemmeno il saluto, né la domanda, la sua attenzione fu letteralmente rapita da alcuni strani nodi presenti sugli alberi che reggevano l’amaca.
“Sono gli stessi nodi che uso quando fisso le corde alla cassa della chitarra…” una voce dentro la sua testa, quella di Ben.
“Mi scusi la domanda strana, ma l’ha costruita lei questa amaca?” chiese come in trance Semir senza scollare gli occhi dai nodi.
“Come prego?” tergiversò il vecchio.
Semir non voleva farsi illusioni, ma la sua mente e soprattutto il suo cuore in qualche modo gli confermarono che Ben era stato lì e forse poteva essere ancora vivo.
Quando Semir era poco più di un ragazzino suo nonno Erdogan gli aveva insegnato a costruire un’amaca e lui a distanza di anni l’aveva insegnato a Ben.
Il suo socio poi ne aveva fabbricata una da mettere nella grande terrazza del suo appartamento, abbellendola con dei nodi particolari, gli stessi che usava per fissare le corde della chitarra.
Nessuno li avrebbe mai fatti proprio perché erano nodi più che altro per rendere più bella l’opera.
“Ben è qui?” chiese Semir senza nemmeno presentarsi e tornando a guardare il vecchio.
“Scusi, ma temo di non capire…” rispose con sguardo bonario l’anziano.

Ben si trovava in mezzo al bosco a poche centinaia di metri dal lago, si era alzato di buon mattino e dopo aver fatto colazione con Isaac  aveva deciso di andare a fare una piccola passeggiata per vedere se riusciva a camminare per almeno mezz’ora senza doversi fermare in continuazione.
Voleva fare un po’ di fiato, era un uomo in fuga e quindi doveva tenersi in allenamento in caso di necessità.
Quella mattina Ben indossava ancora la tuta da ginnastica del figlio di Isaac e un paio di scarpe da ginnastica che il vecchio gli aveva prestato, entrambi avevano lo stesso numero, un po’ di fortuna in mezzo a tanta sfortuna.
Stava quasi uscendo dal bosco, quando dall’alto della collinetta vide un piccolo uomo che parlava con il signor Heineken.
Il vecchio scrollava la testa deciso, poi allargava le braccia.
Fu in quel momento che a Ben sembrò che il piccolo uomo portasse una fondina con una pistola, mentre dalla tasca posteriore dei jeans estraeva qualcosa.
Il panico si impadronì di lui, chi lo voleva morto lo aveva forse trovato?
Ma come era stato possibile? Nessuno sapeva che era lì.
Ben era sicuro che Isaac non poteva sapere chi era e se anche avesse avuto qualche sospetto sulla sua identità, il medico avrebbe aspettato una sua confessione e questo per il ragazzo era peggio di una pugnalata dritta al cuore.
Un’ulteriore mazzata alla sua anima già martoriata dai sensi di colpa.
Ora era seriamente preoccupato mentre lo osservava , era certo che Isaac mai e poi mai lo avrebbe dato ‘in pasto’ a qualche aguzzino, non dopo i discorsi che si erano scambiati nei giorni passati.
Ben era indeciso se intervenire o meno aveva paura che a causa sua Isaac fosse in pericolo, in fondo l’uomo con cui stava parlando il medico era armato; già si sentiva responsabile della morte del figlio, non voleva esserlo anche del padre.
Decise quindi di attendere l’evoluzione dei fatti, tenendosi sempre a debita distanza dai due uomini, nascondendosi dietro ad un grosso tronco di un maestoso pino.

“Mi scusi non mi sono ancora presentato, mi chiamo Semir Gerkhan sono un ispettore della polizia autostradale di Colonia. Sto cercando un uomo, ha 37 anni, si chiama Ben Jager. E’ il mio collega, alto, con occhi e capelli scuri,” disse tutto d’un fiato Semir esibendo il tesserino.
“Mi spiace, ma non conosco nessun Ben Jager” e in un certo senso Isaac non gli stava mentendo.
“Guardi…le mostro delle foto…è importante…la prego…” e con mano tremante estrasse il portafoglio dalla tasca dai jeans.
Semir gli mostrò alcune foto, alla fine il vecchio si soffermò per qualche istante su quella che ritraeva Ben con la piccola Livyana.
“Lo ha visto?” insistette Semir notando come cambiò l’espressione del vecchio.
“No…no…” ma a Semir non sfuggì il filo di incertezza nella voce del medico.
“Senta la prego, se l’ha visto me lo dica…un uomo gli ha sparato alle spalle, dice che l’ha ucciso, dice che sicuramente troverò il suo cadavere nel lago…ma quei nodi” e con una mano indicò l’amaca “Solo…solo il mio ragazzo li avrebbe fatti, non servono a reggere l’amaca…” la voce rasentava la disperazione.

A malincuore Ben diede per l’ultima volta un’occhiata al lago, alla casetta in legno e per un impercettibile attimo forse incrociò lo sguardo di Isaac.
Lo reputò non in pericolo, in fondo l’anziano non sapeva il suo nome e attorno o in casa non c’era niente riconducibile a lui.
“Addio signor Heineken, vorrei poterla ringraziare un giorno, ma visto cosa ho fatto a suo figlio…spero possa perdonarmi, quando prima di costituirmi verrò da lei e se scoprirò di essere davvero l’assassino…” nemmeno con la mente riuscì a terminare la frase.

Si voltò anche Semir, vedendo che il vecchio aveva distolto lo sguardo fissando un punto lontano dietro alle sue spalle, ma non vide nulla.
Ben era già sparito.
 
Isaac Heineken non voleva tradire il ragazzo, lo riteneva una brava persona, i suoi occhi glielo avevano confermato più di una volta, ma anche gli occhi preoccupati che aveva davanti gli sembravano sinceri, e l’espressione che usò Semir, quel ‘il mio ragazzo’ lo colpì come un pugno dritto allo stomaco.
Una persona che non volesse il bene del suo ospite non lo avrebbe apostrofato in quel modo.
“Chi è la piccola?” chiese Isaac Heineken tornado a guardare il poliziotto.
“Scusi?” stavolta fu Semir a non capire la domanda.
“La bambina con il ragazzo…chi è?” insistette il vecchio prendendo dalle mani di Semir la foto.
“E’ la ragazzina che Ben ha in affido da alcuni anni, potrei dirle che è come una figlia per lui. Si chiama Livyana ha perso i genitori e se dovesse perdere anche Ben…”
“Posso solo dirle che è ancora vivo…” disse guardando la foto, il ragazzo era sorridente, felice come la bambina della foto.

Quella rivelazione fu una liberazione per Semir, il suo socio, il suo migliore amico era ancora vivo, ora doveva solo trovarlo.
Gli occhi gli divennero lucidi, ma cercò di ricacciare indietro le lacrime, non c’era tempo per lasciarsi prendere dalle emozioni.
“Ben…sta tornando qui?” chiese speranzoso Semir.
“No, credo di no…diceva che doveva scoprire chi era, chi lo voleva morto e perché. Mi ha detto che un giorno se ne sarebbe andato, senza salutare, senza preavviso, sarebbe tornato solo quando avesse scoperto la sua vera identità”
“Scusi...non capisco…” replicò Semir.
“Ecco…il ragazzo non sa chi è, ha perso la memoria. Penso che l’unica cosa che lo colleghi al passato sia questa ragazzina” indicando Livyana sorridente nella foto “Un giorno mi ha detto che mentre lo stavano picchiando in carcere…lo aveva salvato il ricordo della sua allegra risata, non sapendo però a chi appartenesse…”
“Quindi è ancora…smemorato?” chiese sempre più in apprensione il piccolo ispettore.
“Sì, purtroppo è così” confermò il vecchio.
“A questo punto Ben vorrà sapere chi è la bambina e soprattutto chi è lui…” concluse amaro Semir “Anche se in carcere gli hanno fatto credere di essere Felix Winterberg un assassino che tempo addietro…” ma Semir non concluse la frase notando come cambiò l’espressione del vecchio dopo che ebbe udito quel nome.
“Santo cielo…ecco il perché di quello sguardo, quegli occhi perennemente tristi…davo per scontato che fosse perché l’amnesia lo aveva privato dei ricordi, di se stesso, invece…” il vecchio si portò una mano all’altezza del petto.
Semir lo guardò voleva ulteriori spiegazioni e così il vecchio proseguì:
“Mio figlio era un poliziotto è stato ucciso da un suo collega…l’assassino si chiama Felix Winterberg. Voleva dirmelo, ne sono sicuro, ma forse non ne ha mai avuto il coraggio. E questo lo sta uccidendo dentro. Povero ragazzo…”
“Oh porca miseria” esclamò Semir portandosi una mano sulla fronte “Se non lo uccideranno quelli che lo vogliono morto…” ma fu interrotto da Heineken.
“Lo uccideranno i sensi di colpa, lo stanno devastando…” concluse il vecchio.
“Senta quando se ne è andato…in che condizioni era?”
“E’ uscito stamattina, dopo colazione, non penso possa correre ha delle ferite ancora aperte, alcune costole incrinate, è stato picchiato molto duramente, ma ha una forza d’animo incredibile. Dopo due giorni era già in piedi, la disperazione a volte ti rende insensibile al dolore, te ne accorgi purtroppo quando…”
“Quando è troppo tardi e stramazzi al suolo” concluse la frase per lui Semir “Da quanto se ne è andato?” chiese ancora il piccolo ispettore.
“E’ uscito un’ora fa…di solito non sta fuori più di tre quarti d’ora, penso che non tornerà più qui, penso che quel giorno sia arrivato. Ispettore, la prego…quando lo troverà, me lo faccia sapere, quel ragazzo… sembrava il mio Joachim. Faccia in modo che non gli capiti nulla, anche se da come la vedo preoccupata…non serve che glielo dica io”
“Non si preoccupi signor…”
“Isaac, Isaac Heineken” si presentò il vecchio.
“Signor Heineken” continuò Semir appoggiando affettuosamente una mano sul braccio del vecchio “Sono io che devo ringraziarla, ha salvato la vita del mio ragazzo”

Semir salutò il vecchio lasciandogli il suo numero di telefono nel caso Ben avesse fatto ritorno alla casetta, poi chiamò il comando.
La notizia che molto probabilmente Ben era ancora vivo fu accolta come il classico raggio di sole dopo l’uragano,
Semir e l’intero distretto tirarono un sospiro di sollievo, ora la priorità era trovarlo al più presto.
Il piccolo ispettore aveva una paura folle che gli uomini di Strume lo stessero cercando anche se gli sembrava quasi impossibile visto che Raisser era certo di averlo ucciso e sicuramente aveva avvisato i mandanti.
Decise quindi di fare un giro attorno ai boschi per vedere se attorno ci fossero tracce del passaggio di Ben, purtroppo quella zona e soprattutto i sentieri erano molto battuti, trovare tracce del suo socio sarebbe stato quasi impossibile.

Dopo mezz’ora che girovagava per il bosco Semir decise di far ritorno alla piazzola situata sopra la diga dove aveva parcheggiato l’auto, in quel momento non sapeva come agire, sicuramente quando si sarebbe un po’ emotivamente calmato avrebbe avuto qualche idea su come muoversi.
Ma quando arrivò sul posto dove aveva parcheggiato l’auto, ebbe una sgradita sorpresa.
“Ma porca miseria…ma guarda tu…” imprecò.
La sua BMW era sparita.
“Sta cercando la sua auto immagino” disse un ragazzo avvicinandosi.
“Sì…” rispose Semir.
“Mi spiace , ma non ho potuto fare molto, ero troppo distante e chi le ha rubato l’auto ha fatto in fretta…” si scusò il giovane.
“Un ragazzo alto, moro…” lo descrisse Semir.
“Sì indossava una tuta da ginnastica, con il gomito ha rotto il vetro e …sa come nei film, penso abbia staccato qualche filo e via, non pensavo fosse possibile farlo, così velocemente poi”
“Grazie dell’informazione…”  ringraziò Semir.
Il ragazzo quindi si allontanò.
 
Scrollando la testa e con un impercettibile sorriso sulle labbra, Semir attraverso il cellulare chiamò il comando.
“Dimmi Semir” rispose la segretaria.
“Susanne rintraccia subito la mia auto, sono più che sicuro che Ben me l’abbia appena rubata…”
“Cosa???” chiese quasi sconcertata la ragazza.
Mai poi la tremenda sorpresa.
“Lascia perdere c’è la scatolina del GPS qui a terra, non si ricorderà chi è, ma sa come muoversi e agire…sarà un bel problema trovarlo…” continuò sconsolato.
“Ti mando qualcuno a prenderti” replicò la segretaria.
“Grazie, ah Susanne …vedi se riesci a contattarlo alla radio, ma conoscendolo avrà staccato anche quella…o non risponderà, ma se riesci a parlargli…”
“Mi attivo subito” detto questo la ragazza concluse la telefonata.

Semir si sedette sul muretto della diga, se l’era fatto scappare per un soffio.
“Quando lo riprendo, giuro che lo strozzo, sa che non voglio che guidi la mia auto…se solo ci fa uno striscio…un graffio. Il finestrino rotto! Mi ha sfondato…quando lo prendo…lo uccido!!!” ma in cuor suo pensava l’esatto opposto, Semir non vedeva l’ora di rivedere il suo ragazzo, abbracciarlo, stringerlo forte e constatare che era veramente vivo.
Con il cuore in parte sollevato, il piccolo poliziotto alzò gli occhi al cielo, e finalmente poté piangere.
In quel modo sfogò parte della tensione che aveva accumulato in quei giorni.
Nell’attesa che qualcuno venisse a prenderlo si mise a pensare a Ben, lo immaginava seduto al volante della sua auto, come al solito avrà avuto da ridire sul sedile troppo avanti, ma almeno lì era al sicuro, finché non fosse sceso per sparire un’altra volta.
Magari per sempre.

Angolino musicale: i commenti li lascio a voi, io mi limito a ringraziare tutti i lettori (siete tantissimi, grazie di cuore!), i recensori (fantastici!), e la mia Beta Reader Maty (trovi sempre tempo per me…TVB)
Lukas Graham  You're Not There (Non sei qui)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=IC-bSbXZBcU
Ti ho solo nelle mie storie E sai che le racconterò bene Penso a noi due, quando sono sveglio la notte Quindi lascia perdere la gloria perduta Non ho mai potuto dirti addio Avrei voluto avere solo un po' più di tempo Ogni passo che facevo, tu mi mostravi la strada Ora sono terrificato di affrontare tutto da solo Non sei qui A celebrare l'uomo che hai fatto Non sei qui A condividere i miei successi e i miei errori Tutto questo è giusto?
 
 

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Capitolo 10
*** guardie e ladri ***


10
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Guardie e ladri

Mentre Semir aspettava che qualcuno lo venisse a prendere per riportarlo al distretto, Ben si stava dirigendo verso Colonia.
“Cosa darei per sapere chi sono” continuava a ripetersi guidando la BMW del socio “Faccio saltare gli edifici, apro porte chiuse con un paio di graffette, aggiusto auto, costruisco amache, sfondo i finestrini delle auto e in un attimo schizzo via al volante…” poi sogghignando tra sé si corresse “In un attimo per modo di dire… chi guida solitamente quest’auto deve essere proprio un nano…”
Improvvisamente sentì un brivido correre lungo la schiena.
Subito non ci aveva fatto caso, salendo in fretta e spostando il sedile un bel po’ indietro.
“Cavoli sono salito sull’auto dell’uomo che parlava con Isaac” e immediatamente il suo sguardo si soffermò per un attimo sulla radio di servizio.
“Questa non è una radio normale, per la miseria devo staccarla, potrebbero  rintracciarmi, anche se ne dubito, ma meglio non rischiare, col GPS è stato facile, ma questa…”
Ben accostò sul ciglio della strada e velocemente si mise a rovistare sotto il cruscotto dell’auto.
Inevitabilmente notò ciò che vi era per terra e in modo particolare sotto il sedile del passeggero.
“Ma guarda che indecenza…patatine, gusci di pistacchi, cartine di caramelle, ma i passeggeri di quest’auto sono dei…bleah che schifo, trattare così una macchina” e, mentre formulava quel pensiero, con una mano seguì i fili che partivano dalla radio, poi aiutandosi con l’altra diede un deciso strattone staccandola dalla batteria; non contento di questo con un altro brusco strappo la fece uscire dalla sua sede e senza che nessuno lo vedesse la gettò fuori dal finestrino.
“Quando ritroveranno quest’auto la rottameranno, fili staccati, senza radio, sporca, sembra un porcile su quattro ruote. Chissà se ne ho mai posseduta una anche io… non certo una BMW, mi vedo più un tipo da Mercedes…”
Stava per ripartire quando la sua attenzione fu attratta da uno strano manico che usciva dalla tasca laterale della portiera del passeggero.
Curioso lo sfilò.
“Wow una paletta per intimare l’alt”
Successivamente notò anche i lampeggianti fissi sul cruscotto.
“Ma guarda che sfortuna” imprecò il giovane “Adesso sì che sono sicuro! Ho rubato l’auto al nanerottolo che parlava con Isaac…è proprio un poliziotto, un altro ancora! Comincio ad essere allergico agli sbirri. Che idiota nella foga non ho nemmeno notato i lampeggianti fissi sul cruscotto. Vabbè male che vada se dovessero inseguirmi…sicuramente quest’auto sarà pure truccata” e dopo una ulteriore rapida occhiata all’interno della macchina  Ben ripartì alla volta di Colonia.
Appena arrivato in città sarebbe andato alla ricerca di un Internet Point, preferibilmente lontano dal centro, lì avrebbe avuto accesso ad un computer.
Voleva  raccogliere più informazioni possibili su Felix Winterberg, sapere dove abitava, chi era stato prima di finire in carcere e capire se poteva essere veramente lui.
Spesso durante le notti si era svegliato di soprassalto, tormentato dagli incubi.
Durante il sonno, che Isaac gli aveva confidato che era stato sempre agitato,  gli sembrava di vivere azioni come fosse un poliziotto ancora  in servizio. Eseguiva arresti, faceva inseguimenti a velocità folle in macchina, sparatorie.
Non era mai solo di questo era certo;  aveva sempre un uomo al suo fianco che lo chiamava spesso per nome, purtroppo quando si svegliava non ricordava quel nome e nemmeno il volto di colui che poteva essere un suo collega.
Mentre percorreva le strade cittadine Ben cercò di concentrarsi per capire se rivedendo certi luoghi potesse anche ricordare qualcosa del suo passato.
Lesse insegne di vie, di negozi, segnali stradali con le varie indicazioni, e sebbene non volesse recarsi in centro, la ricerca di un Internet Point lo portò nei pressi dell’enorme Duomo.
Passò anche vicino al ponte di Hohenzollern, luogo dove un paio d’anni prima erano stati uccisi i genitori di Livyana.
Un semaforo pedonale lo costrinse a fermarsi e il suo sguardo si posò proprio sul quel ponte.
Improvvisamente nella sua testa riecheggiarono alcuni colpi di pistola e urla di puro terrore.

“NOOOOOOOO !!!”
“Che hai fatto???”
“Non avevo scelta, ti avrebbe ucciso”


A riportarlo alla realtà un colpo di clacson, il semaforo era diventato verde e l’automobilista che aveva dietro glielo fece capire.
“Sì, sì, parto e che cavolo un po’ di pazienza, non siamo mica al circuito del Nurburgring ”  replicò il ragazzo inserendo la marcia, purtroppo i suoi ricordi erano ancora immersi nella nebbia più fitta.
Fermò l’auto in mezzo ad un affollatissimo parcheggio vicino ad un centro commerciale, non c’era posto migliore per nascondere un’auto se non  in mezzo a centinaia di vetture.
Poco distante l’insegna di un Internet Point.
Rovistò nel cassettino portaoggetti della BMW trovandovi fortunatamente qualche euro, con quelli avrebbe avuto la possibilità di accedere ad un pc.
Una volta entrato nel locale cercò un posto abbastanza defilato, subito avviò le sue ricerche.
Digitò ‘Felix Winterberg’.
Si stupì della velocità con cui digitava i tasti della tastiera, come se fosse abituato a scriverci sopra da sempre, ma poi ragionando arrivò alla conclusione che se era veramente Felix Winterberg…
“Che cosa noiosa deve essere redigere rapporti, credo che non mi ricordo, scrivere resoconti, fatto questo, fatto quello, bla bla bla…questo non mi manca davvero” pensò tra sé.
Sullo schermo dopo pochi istanti apparvero i primi risultati, perlopiù articoli di giornali.
Decise di leggere quelli più recenti.

Nel frattempo Semir a bordo di una volante della polizia locale stava facendo ritorno al commissariato.
In comune accordo con il commissario Kruger aveva preferito non diramare subito il furto della propria auto di servizio. Isaac Heineken gli aveva riferito che Ben una volta riacquistate le forze sarebbe andato alla ricerca del suo passato, quindi molto probabilmente si sarebbe recato nei luoghi in cui era nato e vissuto Felix Winterberg prima di trasformarsi in un assassino e questi posti erano tutti situati nella città di Colonia.
Mentre aspettava la volante vicino alla diga Semir aveva chiesto a Susanne di raccogliere informazioni su Felix Winterberg e anche lei era arrivata alla stessa conclusione; Colonia era l’unica città in cui aveva vissuto l’assassino di Joachim Heineken.
Con un po’ di fortuna Semir o i suoi colleghi del distretto avrebbero potuto veder girare per la città la sagoma grigia della sua BMW.
C’era solo da sperare che Ben non se ne sbarazzasse appena giunto a Colonia.
Era quasi arrivato al distretto quando lo chiamò il tecnico della scientifica.
“Dimmi Ein…”  ma Semir fu interrotto da un agitatissimo Hartmut.
“Semir, l’ho trovato!!!” esordì felicissimo senza nemmeno salutare “Il software basato sul riconoscimento facciale collegato a tutte le telecamere della città hanno avuto un riscontro, certo l’uomo ha la barba lunga, ma sono sicuro che è Ben”
“Dove?” chiese Semir.
“L’ho visto entrare ad un Internet Point…sulla Severinstraße al numero 73, pochi minuti fa…che faccio chiamo il titolare?” domandò Hartmut.
“Non lo so…Ben potrebbe sentirsi osservato, braccato, se vede che qualcuno telefona, lo fissa…mangerà la foglia e scapperà di nuovo…devo arrivare prima che se ne vada. Einstein riesci a tener d’occhio l’entrata?” domandò il piccolo ispettore.
“Sì certo, se esce le telecamere lo vedranno” confermò il tecnico.
“Perfetto Einstein, la vita di Ben è nelle tue mani” e detto questo concluse la telefonata, poi rivolgendosi all’agente che lo stava riaccompagnando al distretto diede nuove istruzioni, tra cui quella di accelerare.

Intanto nell’Internet Point Ben stava spulciando gli articoli riguardanti Felix Winterberg.
Clamorosa evasione” recitava un articolo “Felix Winterberg…con l’aiuto di alcuni complici esterni è riuscito ad evadere segando le sbarre…eludendo la sorveglianza e calandosi con un lenzuolo dal secondo piano...”
“Dilettanti” esclamò Ben “Io ho fatto saltare mezzo penitenziario” poi ragionò “Dunque sono evaso una prima volta, quindi mi hanno ripreso e forse per evitare altre evasioni sono finito in un carcere di massima sicurezza”
Purtroppo l’articolo non era accompagnato da foto e neppure gli altri articoli. Ma continuando le ricerche  Ben trovò qualcosa di interessante.
La casa a Colonia dove abitava Winterberg prima di finire in carcere a Berlino era appena stata messa in vendita.
Decise quindi dopo aver ricavato l’indirizzo da un sito di agenzie immobiliari di andare a fare un sopraluogo, magari vedere posti familiari gli avrebbe fatto ricordare qualcosa.
“Prima cercherò di ricordare qualcosa qui a Colonia, caso mai prenderò l’auto e andrò a Berlino…già, ma con quali soldi? Sono un uomo in fuga, sicuramente mi staranno cercando tutti…sbirri compresi. Assassino, ladro di auto, non voglio aggiungere al curriculum anche rapinatore”
Ben malgrado le considerazioni non proprio rosee, trovò la forza e il coraggio di alzarsi, stava per avviarsi verso la porta principale dell’Internet Point, quando vide lo stesso piccolo individuo che aveva visto a casa di Isaac Heineken che esibendo un tesserino chiedeva informazioni a quello che sembrava il titolare del locale.
“Cavoli, ma come ha fatto?” si chiese Ben cominciando a sudare freddo “Forse il titolare mi ha riconosciuto. Accidenti devo stare più attento, altrimenti la mia fuga sarà ricordata come la più breve della storia” e senza dare troppo nell’occhio il giovane ritornò sui suoi passi.
Si guardò un po’ attorno “La toilette, perfetto, speriamo solo che non sia un vicolo cieco”
Fortuna volle che in quel momento dentro al piccolo bagno non ci fosse nessuno, inoltre la toilette aveva una finestrella senza sbarre che dava su un piccolo cortile.
A fatica riuscì a passarci attraverso ritrovandosi all’aperto.
Restò per qualche istante fermo contro il muro del locale, lo sforzo gli aveva acutizzato il dolore alla spalla.
Respirò profondamente malgrado le costole ancora malconce, poi si dileguò.

“Sì” disse l’uomo a Semir “E’ seduto laggiù” ma poi indicando la postazione la vide vuota “Era lì…le giuro che due minuti fa era lì…”
Semir diede una veloce occhiata in giro, poi entrò nel piccolo bagno.
“Ma porca miseria Ben!” imprecò il piccolo ispettore “E’ come giocare a guardie e ladri, ma con un esperto, anzi con me stesso, ti muovi nella stessa maniera in cui mi muoverei io…accidenti!”
‘Tutto quello che so l’ho imparato da te’
Le parole della canzone che Ben aveva scritto per lui in quel momento gli risuonarono nella mente come fossero quasi una presa in giro.
Semir però non si diede per vinto, forse il ragazzo non aveva avuto il tempo, né l’accortezza  di cancellare la cronologia; una veloce occhiata al pc, poi telefonò al distretto.
“Dimmi Semir” lo anticipò l’efficiente segretaria riconoscendo il numero.
“Susanne sto andando in quella che era l’abitazione di Winterberg, darò un’occhiata in giro, ma per favore mandami qualcuno del distretto, magari Dieter o Jenny con la Mercedes di Ben, così mi libero dell’agente che mi ha accompagnato, una volante con la scritta ‘polizia’ sulla fiancata da troppo nell’occhio…ah falli venire in borghese, e sbrigatevi, Ben deve avere in mente una specie di tabella di marcia dei luoghi da visitare, o almeno credo. Avvisa anche Hartmut, digli che Ben mi è sfuggito di nuovo…ho bisogno che lo trovi”

Intanto Ben era risalito sull’auto di Semir, dirigendosi verso la casa di Winterberg e ancora una volta si sorprese di sè stesso “Che strano non mi ricordo nemmeno il nome o la faccia che ho, ma le strade…è come se avessi un navigatore satellitare in testa…magari in una vita passata ho fatto il tassista “ ma poi riflettendoci un po’ su  “Un poliziotto le strade le deve conoscere bene, anche se non è della stradale, presumo”
Anche questa volta parcheggiò l’auto a debita distanza dalla casa, quindi dopo una furtiva occhiata attorno al perimetro Ben decise di entrare dalla porta che dava sul retro.
Con cautela scavalcò una piccola staccionata ritrovandosi davanti ad una porta a vetri, gli bastò sfondare il vetro con una grossa pietra per entrare all’interno dell’abitazione.
La casa aveva tutte le imposte abbassate, ovviamente non c’era elettricità, quindi aprì un po’ la finestra che avrebbe dato meno nell’occhio.
La poca luce che filtrava gli mostrò una casa che sembrava essere stata abbandonata da poco.
I mobili, le sedie, i divani e i lampadari erano stati coperti con dei lenzuoli bianchi. Aprì credenze e cassetti, ma come era logico aspettarsi erano tutti vuoti.
Si sedette su una poltrona cominciando a guardarsi intorno.
Purtroppo quella casa non gli ricordava niente.
Chiuse gli occhi, era stanco e le ferite gli dolevano sempre più, soprattutto quella alla spalla; pochi istanti dopo esausto si appisolò.

“Svegliati, dai… farò tardi a scuola! Ieri sera hai detto che mi accompagnavi, uffa lo dicevo che era meglio se prendevo l’autobus, sei sempre il solito…se non ci fossi io che ti butto giù dal letto con le mie speciali suonerie”

E di nuovo nella sua testa riecheggiò l’allegra risata di una bambina, e sul volto di Ben apparve un impercettibile sorriso che durò solo qualche istante.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto un lieve rumore proveniente dalla porta d’entrata lo allarmò.

Semir aprì la porta con i piccoli attrezzi da scasso, stava per chiamare l’amico, il suo sesto senso gli diceva, anzi gli urlava che era là dentro quando da dietro la porta alle sue spalle sbucò Ben.
Stava per chiamarlo per nome, dirgli chi era, ma il giovane non gliene diede nemmeno il tempo.
Ben lo prese alle spalle, avvolse il braccio che gli faceva meno male attorno al collo di Semir e facendo pressione sull’arteria carotidea esterna lo tramortì.
Il ragazzo lo accompagnò a terra, l’ultima cosa che voleva era fare del male a qualcuno e forse aveva ragione il signor Heineken, forse l’amnesia lo aveva cambiato, in meglio.
Molto probabilmente colui che in quel momento giaceva svenuto per terra non avrebbe agito nella sua stessa maniera, ma lui, dopo il suo terrificante risveglio in carcere si sentiva diverso.
Ben gli frugò le tasche trovando un cellulare, le chiavi di una BMW e il tesserino di riconoscimento.
“Ed ecco qui la conferma, sei uno sbirro, accidenti! Semir Gerkhan, polizia autostradale, ispettore capo” lesse Ben “Quindi sono un tuo superiore, mi sembrava di aver letto di essere commissario, certo che considerata l’età potresti esserlo anche tu, o almeno vicecommissario…in fondo non mi sembri un pivello, anzi. Mi stai sempre alle costole. Starai antipatico al procuratore”
Estrasse anche il portafoglio, ma purtroppo non lo visionò, prese solo il contante e le poche monete che aveva in tasca. “Magari un giorno te li restituirò, con gli interessi…collega. Non volevo trasformarmi in un rapinatore, ma devo…”
Si bloccò quando scorse l’arma d’ordinanza.
La sfilò dalla fondina stava per portarla via con se quando cambiò idea, le tolse il caricatore buttandolo sotto un mobile, poi  lasciò l’arma vicino al corpo di Semir.
Il ragazzo poi uscì dal retro della casa e si avviò verso la BMW di Semir.
Stava salendo sull’auto, quando sentì sulla nuca la fredda canna di una pistola.

Angolino musicale: dunque come vi dicevo Ben è sempre Ben, nel bene e nel male…stavolta ha messo ‘al tappetto’ Semir…Spero di riuscire a pubblicare un altro capitolo prima di Natale…se così non fosse vi faccio i più sinceri e affettuosi auguri. Bacio enorme. Infine per Ben in versione sognatore:
Raf ‘sogni’
Per ascoltarlahttps://www.youtube.com/watch?v=ss34Ff3lcKk
Sogni è tutto quello che c'è, sono dei frammenti di te, sono come un piccolo popolo, un oracolo, parlano la vita com'è. Sogni se non ce la fai più, ali che ti portano su, uomini combattono altri che si abbracciano, sogni della gente qua giù. Sognala una vita che vuoi, non smettere mai, fai che sia infinita e così, tu digli di sì. Sognami almeno una volta se non ci si incontra nei sogni... Sogni. È tutto quello che c'è..
 

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Capitolo 11
*** braccato ***


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Braccato

“Si inginocchi lentamente con le mani sopra la testa”
Ben sentì una voce dietro le spalle.
Il tono usato non ammetteva repliche.
Il ragazzo non si mosse nemmeno, il cuore cominciò a battere all’impazzata “E’ finita, sono morto” pensò tra sé e sé.
“Le ho detto di inginocchiarsi e di mettere le mani sopra la testa”
E ruotando leggermente il capo Ben con la coda dell’occhio intravide un’uniforme.
“Un altro sbirro!” imprecò col pensiero, poi cercando di prendere tempo per escogitare una via di fuga disse “Scusi, ma non capisco…e se non sbaglio dovrebbe legittimarsi”
“Senta l’alternativa è che le pianti una pallottola in testa, che dice?” sibilò l’uomo premendo leggermente la canna della pistola sulla nuca di Ben.
“Dico che vorrei sapere chi è lei, ne ho diritto” replicò spavaldo Ben.
“Sono l’agente Alex Bayer e lei è in arresto” sentenziò il poliziotto.
“In arresto? Scusi, ma c’è un errore” rispose deciso Ben ostentando calma e sicurezza nella voce.
“Non penso proprio, la nostra centrale ha avuto una segnalazione qualche minuto fa, un uomo entrava dalla porta principale di quella casa in vendita…” lo informò Bayer.
“Le posso assicurare che non ero io…” confutò Ben cercando di essere il più convincente possibile.
“Dicono tutti così, comunque io l’ho vista uscire dal retro, stava scavalcando la staccionata” ribatté acido l’agente “Ora si inginocchi e metta le mani sopra la testa, non glielo ripeterò un’altra volta”
“Come vuole, però se non le dispiace metto le mani dietro alla schiena, ho qualche difficoltà ad alzare la spalla…” propose Ben.
“Zitto e faccia come le ho detto!”  e colpendolo dietro le ginocchia Ben cadde su di esse.
Con uno strattone l’agente gli girò il braccio ferito dietro alla schiena e con alcuni rapidi movimenti lo ammanettò.
La violenta torsione gli provocò un dolore acutissimo alla spalla a cui avevano sparato; a Ben vennero quasi le lacrime agli occhi, ma dalla sua bocca non uscì un solo lamento.
Di seguito Bayer lo alzò di peso cominciando a perquisirlo.
“Vedo che con se non ha nessun documento, chiavi, cellulare…come si chiama?” chiese con fare arrogante “E non mi dica che è appena uscito di casa per fare jogging”
“Mi chiamo…” Ben cercò di inventarsi un nome su due piedi, il suo sguardo cadde su un cartellone che pubblicizzava una nota marca di birra, decidendo di abbinarla ad un nome abbastanza diffuso in Germania.
“Tom Beck” disse serio.
“Non faccia lo spiritoso con me, potrei arrestarla anche per oltraggio a pubblico ufficiale” sbottò l’agente.
“Senta mi deve credere è vero” replicò serissimo Ben “Che cosa c’è che non va nel mio nome…mezza popolazione tedesca si chiama Tom e lei cos’è astemio?”
“Continui pure a fare lo spiritoso” lo strattonò l’agente, conducendolo verso la sua volante “In fondo non mi importa un accidenti chi è lei. Vedrà che in una cella del mio commissariato la sua voglia di fare battute idiote le passerà, questo glielo posso assicurare, i miei capi detestano le persone arroganti come lei. Forza entri nell’auto e stia attento a non sbattere la testa, potrebbe perdere la memoria” lo sfotté l’agente Bayer.
Ben fu fatto salire nei sedili posteriori, mentre il poliziotto in piedi prendeva il microfono della radio di servizio per mettersi in contatto con la sua sede operativa per comunicare l’arresto del ragazzo.
Intanto il giovane ispettore si stava già ‘attivando’, continuava a guardare l’interno della volante, cercando una possibile via di fuga, nello stesso tempo ebbe anche una strana sensazione, quella di essere in un luogo tutto sommato sicuro, solo nei sedili sbagliati.
“Se mi portano al commissariato per me è davvero finita” rifletté Ben “Devo trovare il modo per svignarmela, prima che questo sbirro mi porti in cella”
Pochi minuti dopo l’agente salì e partì.

Mentre Alex Bayer faceva ritorno alla sua centrale operativa, Semir si stava lentamente riprendendo.
Ben lo aveva stordito con una mossa da maestro, ma non gli aveva fatto del male anzi il piccolo ispettore era quasi sicuro che il suo ‘ragazzo’ lo avesse accompagnato a terra senza farlo sbattere da nessuna parte.
Semir ancora un po’ frastornato raccolse il tesserino e la pistola, cercò il caricatore trovandolo pochi istanti dopo sotto ad un mobile “Almeno non sei armato, anche se vedo che sai difenderti bene lo stesso, socio” pensò ad alta voce.
Mentre raccoglieva il portafogli gli scappò un’imprecazione “Ma guarda questo... è ricco sfondato e mi ruba i soldi…metto in conto tutto ragazzo, altro che…” diede anche un’occhiata al posto dove custodiva le foto della sua famiglia “Peccato, se fossi stato curioso avresti visto le foto che ti ritraggono con me, con la mia famiglia, con Livyana…”
Semir uscì dalla casa, dopo averla perlustrata velocemente, più che altro per scrupolo, sicuro che Ben ormai non fosse più lì.
Poco dopo vide spuntare la sagoma della Mercedes di Ben, e per un attimo al piccolo ispettore mancò quasi il fiato. Purtroppo alla guida non c’era il suo socio, ma Dieter.
“Allora?” chiese l’agente accostando.
Dieter non ebbe bisogno di risposta, gli bastò vedere lo sguardo avvilito di Semir  “Ti riporto al distretto, magari Hartmut lo trova un’altra volta” cercò di consolarlo Bonrath.
Semir sempre più sconfortato fece ritorno al distretto, una volta arrivato alla sede della CID avrebbe dovuto informare il commissario di come Ben gli era sfuggito per un soffio un’altra volta.
“E con questa sono quattro, porca miseria!” imprecò Semir sfogandosi con Dieter “Al carcere di Colonia, la casetta vicino alla diga, l’internet caffè, la casa di Winterberg… arrivo sempre troppo tardi, maledizione!”
“Coraggio Semir vedrai la prossima volta andrà meglio” replicò l’agente, poggiandogli affettuosamente una mano sulla spalla.
“Spero ci sia davvero una prossima volta, Dieter. Ben è inafferrabile, e non ti nascondo che ho paura…ho paura di perderlo per sempre”
Bonrath non riuscì a controbattere, anche lui come Semir era decisamente preoccupato per le sorti del suo giovane amico e collega.

“Jager è un ottimo poliziotto, non sarò certo io a ricordarglielo Gerkhan…” esordì Kim Kruger dopo il racconto di Semir.
“Già e adesso mi fa paura. E’ logico, razionale, scaltro, un’autentica macchina da guerra, fredda e calcolatrice, mi ricorda Matt Damon quando impersona Jason Bourne. Ben mi ha sempre detto che adora quel personaggio, purtroppo si è calato fin anche troppo bene nella parte” sentenziò Semir.
“In fondo Jager lo ha forgiato lei” replicò con fare quasi affettuoso Kim “Dovrebbe andarne fiero, ricorda quella volta che le disse che tutto quello che sa lo ha imparato da lei?”
“Non me lo ricordi, sto già male abbastanza, senza volerlo ho creato…un ‘mostro’. Sembra prevedere ogni mia mossa, sempre un passo avanti…”
“Ora però il punto è un altro, cosa farebbe al suo posto?” chiese Kim.
“Non lo so, mi sembra che stia in qualche modo cercando il suo passato, da come ho visto all’Internet Point, ha fatto una lista dei luoghi che hanno segnato la vita di Winterberg. Vedendoli di persona penserà di ricordarsi qualcosa del suo passato”
Susanne bussò alla porta dell’ufficio di Kim entrando senza tanti convenevoli.
“Scusate, ma ho fatto delle ricerche su Felix Winterberg, come mi avevi chiesto tu Semir” esordì la segretaria “Alcuni giorni fa è stato chiesto il trasferimento di Winterberg dal carcere di Berlino a quello di massima sicurezza di Colonia, il direttore del carcere, Koller è presente nella famosa lista dei bonifici. Hartmut e il suo amico hacker sono risaliti a lui…”
“Manderemo la lista completa alla Schrankmann, dobbiamo far arrestare tutti coloro che stanno complottando ai danni della famiglia Jager” propose Semir.
“Sono d’accordo” replicò Kim alzando la cornetta del telefono.
“Commissario, forse è meglio se ascolta anche il resto” la bloccò gentilmente Susanne “Il trasferimento di Winterberg era stato programmato per il giorno prima della scomparsa di Ben. Inoltre ieri è stato rinvenuto un cadavere poco fuori Berlino. Era carbonizzato, irriconoscibile, nascosto tra le sterpaglie di un bosco, lo ha trovato il cane di un cacciatore. Secondo i primi rilievi della scientifica risulta essere Felix Winterberg. Sono risaliti a lui dalle impronte dei denti, a dire la verità i pochi che gli hanno lasciato, chi lo ha ucciso sapeva come renderlo irriconoscibile”
“Scusa, ma questi criminali fanno evadere un assassino diretto qui, sostituendolo con Ben? Macchinoso, ma geniale” sentenziò Kim.
“Poi c’è dell’altro” continuò Susanne “Flammy Hamilton l’infermiera che ha aiutato Ben ad evadere dal carcere, si ricorda di un medico, un tale Frank Erger ora radiato dall’albo. L’uomo aveva scoperto una tossina che azzera la memoria, non si sa bene gli effetti che possa avere sull’uomo non essendo mai stata testata…nella lista c’è anche lui”
“Aspetta un attimo, ma quante persone sono coinvolte?” domandò sempre più sconvolto Semir  interrompendo di fatto la segretaria “Questo è un complotto di immani proporzioni ai danni di Ben”
“Non solo Gerkhan, si ricordi che Strume è stato denunciato dal padre di Jager” lo ragguagliò il commissario “Comunque meglio se chiamo subito la procuratrice Schrankmann. Inoltre convocheremo qui in commissariato il dottor Frank Erger. Lo faremo confessare se non vuole finire la sua vita in galera per complicità in un rapimento di un poliziotto, dovrà fare i nomi di coloro a cui ha fornito la tossina, gli proporremo un scambio, nomi in cambio di uno sconto di pena”
“Purtroppo non è finita” Jenny fece capolino nell’ufficio del capo.
”Che c’è ancora” Semir cominciava a pensare che al peggio non c’era mai fine.
“Un uomo è stato arrestato dopo la tua incursione a casa di Winterberg”
“Dimmi che è Ben, che lo stanno portando in qualche commissariato…” lo interruppe il piccolo ispettore alzandosi di scatto dalla sedia.
“Dalla descrizione che ha fatto l’agente direi di sì, purtroppo quando la volante si è fermata ad un semaforo il prigioniero è riuscito a sfondare la portiera ed si è dileguato” concluse Susanne.
“Ma porca miseria, ma di chi stiamo parlando? Cavoli Ben non è Houdini…” sbottò Semir colpendo violentemente il muro con un pugno.
“In questo nutro qualche dubbio” ribadì secca Jenny.
“Si spieghi” chiese accigliata Kim Kruger.
“Ha lasciato nei sedili le manette…aperte…” chiosò la giovane poliziotta.
“Quando l’allievo supera il maestro” replicò il commissario.
“Dannazione, come faccio a prendere uno così?” Semir era a dir poco sconsolato e decisamente preoccupato.
“Signori” disse senza mezzi termini Kim “Purtroppo non mi resta altro da fare che spiccare un ordine d’arresto per l’ispettore Jager”

E dopo quelle parole nella stanza calò il gelo.

“Ben???” domandò conferma Susanne.
“Commissario…non può farlo…” farfugliò confuso Semir dopo qualche secondo.
“Mi spiace Gerkhan, ma non ho scelta, Jager le ha rubato l’auto, l’ha aggredita…”
“Non ha fatto del male a nessuno” sbottò Semir “Commissario la prego, Ben avrebbe potuto prendermi la pistola, ma non lo ha fatto, mi ha addirittura accompagnato a terra quando mi ha tramortito. Questo significherà qualcosa, nessuno sarebbe in pericolo se si trovasse Ben davanti”
“Sono contenta che lei la pensi così, ma avrebbe potuto andare diversamente” ribadì secca Kim “Jager è fuori controllo, chi le assicura che la prossima volta non si comporti in maniera diversa. E poi ragioni…Hector Preuss è stato ucciso in carcere…molto probabilmente da Jager che…”
“Capo per favore” replicò Semir “Preuss sicuramente si sarà trovato davanti Ben, servito su un piatto d’argento. Per quell’assassino una ghiotta occasione per vendicarsi. Già una volta Ben ha rischiato di essere accoltellato per mano degli uomini di Preuss”
“Gerkhan cerchi di essere obiettivo Jager potrebbe essere pericoloso per chiunque, anche per lei” cercò di replicare Kim.
“Ben non mi farebbe mai del male…” ribatté tentando l’ultima carta.
“Jager che le piaccia o no non sa nemmeno chi è lui, figuriamoci se può riconoscere lei…”
“Capo tra me e Ben…” Semir avrebbe voluto dirle che li legava qualcosa di speciale, una strana alchimia, forse addirittura qualcosa di magico, ma il capo non l’avrebbe capito e lui in quel momento non riusciva a trovare le parole giuste per spiegarsi meglio.
“Commissario” intervenne Susanne intuendo lo stato d’animo di Semir “Ben è disperato, è un uomo in fuga da tutto e da tutti, senza memoria, ha bisogno d’aiuto. Sa di essere un ricercato. E’ a Colonia per cercare di ricordare, se si sente braccato, se vede poliziotti che cercano in tutti i modi di arrestarlo, corriamo il rischio che sparisca nel nulla…pensi a cosa ha passato…chi gli hanno fatto credere di essere”
“Ben non ha bisogno di avere tutta la polizia tedesca addosso…” concluse Semir ringraziando mentalmente il buon senso e le belle parole della segretaria.
“Signori il mio terrore è che la procuratrice Schrankmann non approvi il nostro modo di gestire l’intera faccenda. Non so se capirebbe le nostre ragioni o meglio ancora le nostre preoccupazioni. Pensate un solo istante se il caso venisse affidato ad un altro commissariato, secondo voi altri colleghi si farebbero gli stessi scrupoli che ci stiamo facendo noi?” incalzò Kim.
Semir pensò subito al commissario André Bohm.
Sicuramente il caso non verrebbe affidato a lui, ma il solo pensiero gli fece quasi venire la nausea.
I due ispettori dell’autostradale avevano diversi conti aperti con l’arrogante commissario dell’LKA e l’ultima cosa che voleva Semir era qualcuno che non volesse il bene di Ben quanto lo volevano loro.
“Non vedo altra soluzione” pensò alla fine un amareggiato Semir.
“Avvertirò tutti di agire con estrema cautela, nell’interesse di Jager, anzi farò in modo che nessuno intervenga, ma di avvisarci in caso venga avvistato da qualcuno, di più non posso fare. Mi dispiace Gerkhan, ma per come la vedo io non abbiamo molta scelta”
“Grazie capo” ugualmente ringraziò il piccolo ispettore, quel compromesso era sempre meglio che avere a che fare con il commissario Bohm.
“Gerkhan faccia in modo di trovarlo prima lei, Ben…Ben è uno di noi, della famiglia…”

Tutti i presenti notarono quel ‘Ben’ ripetuto per ben due volte.
Raramente Kim chiamava i suoi collaboratori per nome, lo faceva nelle occasioni speciali e quel momento era uno di quelli.
“Lo troverò, fosse l’ultima cosa che faccio” le rispose avviandosi verso l’uscita dell’ufficio.
“Ah Semir…” lo chiamò ancora Susanne.
“Che c’è ancora” Semir sentiva di non poterne più.
“Poco distante alla casa di Winterberg, hanno trovato la tua auto”
“Grazie Susanne, fai stimare i danni, quando ritroverò Ben, e state sicuri che lo troverò, noi due faremo i conti!”  detto ciò uscì dalla stanza.
Semir salì sulla Mercedes di Ben e come il suo socio mise mano al sedile del guidatore.
Ben era ancora a Colonia, ma per quanto ancora?
“Ti troverò socio” pensò mentre avviava l’auto “Ma tu fatti trovare, non sono pronto e non ho voglia di cambiare partner…e poi hai una ‘figlia’ e una famiglia che ti aspetta”

Angolino musicale: AUGURI a voi tutti !!! Passate un sereno e felice Natale !!!
Dunque ritornando a noi…un altro ‘BJ’ si aggiunge alla lista, dopo Ben Jager e James Bond pure Jason Bourne…divagazioni a parte direi che è iniziata una caccia all’uomo.
Voi penserete ‘Povero Ben’…io dico ‘Povero Semir’.
P.S. prima che (giustamente) summer_moon mi ‘bacchetti’…sono a conoscenza che la marca della birra si scrive con la ‘s finale…ma per la ‘battutaccia’ mi serviva senza!

Roxette ‘Listen to your heart’ (Ascolta Il Tuo Cuore)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=yCC_b5WHLX0
Ascolta il tuo cuore quando ti sta chiamando ascolta il tuo cuore non c'è nient'altro che puoi fare non so dove stai andando e non so perché, ma ascolta il tuo cuore prima di dirgli addio A volte ti chiedi se questa lotta è utile I momenti preziosi sono tutti persi nella marea Sono stati spazzati via e niente è come sembra il sentimento di appartenenza ai tuoi sogni E ci sono voci che vogliono essere ascoltate Così tanto da dire, ma non riesci a trovare le parole…
 

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Capitolo 12
*** il maestro e l’allievo ***


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Il maestro e l’allievo

Percorrendo le vie di Colonia Semir pensava a come avrebbe agito ora Ben; il ragazzo era sì in fuga, ma probabilmente non avrebbe lasciato la città, almeno per un paio di giorni. La città in qualche modo rappresentava il suo passato, i luoghi in cui aveva vissuto Felix Winterberg prima di finire in una prigione a Berlino.
Il piccolo ispettore continuava a perlustrare ogni angolo della città, ogni tanto attraverso l’auricolare che gli aveva fornito il commissario Kruger si metteva in contatto col distretto per informarli della sua attuale posizione o per sapere se qualche altro collega aveva avvistato il suo giovane socio.

Nel frattempo Ben vagabondava per la città; fortunatamente l’agente che lo aveva arrestato non aveva trovato il denaro che il ragazzo aveva prelevato dal portafoglio di Semir  e ora seduto su una panchina di un parco pubblico, si stava concedendo un po’ di riposo mangiando e bevendo qualcosa. Era sempre più stanco, il respiro sempre più affannoso e il dolore alla spalla a cui avevano sparato cominciava a farsi insopportabile. Sapeva che rischiava di stramazzare al suolo da un momento all’altro, ma ciononostante decise che avrebbe proseguito con la sua tabella di marcia.
I giornali, nei loro titoloni esposti fuori dalle edicole, non parlavano più dei detenuti evasi dal carcere di massima sicurezza e questo per Ben era da considerarsi un punto a suo favore, forse avrebbe potuto girare per la città abbastanza indisturbato.
Una piccola conferma l’ebbe dalle persone che gli passavano accanto, nessuno sembrava fare molto caso a lui malgrado facesse decisamente freddo e vestisse solamente una tuta da ginnastica.
Solo una vecchietta si era avvicinata a Ben per chiedergli se si sentisse bene. L’anziana gli aveva fatto notare che era pallidissimo e che probabilmente aveva l’influenza. Imperterrita gli aveva anche consigliato un ostello cittadino, dove trovare un caldo pasto e un riparo per la notte, nel caso fosse un senzatetto o qualcosa di simile.
Ben cortesemente le aveva risposto che non aveva bisogno d’aiuto, stava solo aspettando un amico che di lì a poco sarebbe venuto a prenderlo e accompagnarlo a casa. L’anziana quindi un po’ rassicurata dal giovane se ne era andata, non prima di avergli raccomandato di badare meglio a se stesso, con quel freddo uscire di casa con una semplice tuta era stato decisamente un azzardo.

Mentre osservava la vecchietta che si allontanava e che ogni tanto si voltava a guardarlo, Ben ripensò a quello che aveva letto nel computer dell’Internet Point.
Felix Winterberg si era diplomato con i massimi voti all’accademia di polizia di Colonia, entrato nelle fila dell’LKA aveva fatto subito carriera. Nel giro di un paio d’anni passò dal grado di ispettore a quello di commissario. Avrebbe fatto un ulteriore balzo di grado se un suo collega, tale Joachim Heineken, non avesse messo in dubbio le sue qualità e molto altro.
Joachim Heineken, insospettito da queste  veloci promozioni, aveva cominciato ad indagare, scoprendo che dietro a tutto c’erano dei favori che Winterberg aveva fatto ad una persona di nome Dennis Strume, un imprenditore di dubbia moralità che però aveva gli agganci giusti nelle alte sfere della politica e non solo.
Winterberg quindi per evitare di essere smascherato, eliminò Joachim Heineken.
Gli tese un’imboscata in una stradina poco illuminata della città, uccidendolo con un colpo di pistola dritto al cuore. L’assassino però non si accorse di un testimone che aveva assistito all’omicidio e per questo Winterberg fu immediatamente arrestato e condannato.
Winterberg patteggiò la pena, facendo il nome di Dennis Strume.
Purtroppo a suo carico non furono trovate prove.
L’imprenditore finì comunque in carcere alcuni mesi dopo grazie alla collaborazione di un altro uomo d’affari: Konrad Jager.
Jager con l’aiuto di altri piccoli imprenditori, fornì diverse prove che fecero arrestare Strume. Appalti truccati, mazzette, minacce alle piccole imprese, evasione fiscale, questi erano alcuni capi d’accusa pendenti sulla testa dell’imprenditore.
Ma la detenzione nel carcere di massima sicurezza di Colonia di Strume durò pochi anni, per gravi problemi di salute gli furono accordati gli arresti domiciliari.

“Winterberg…non posso essere io…sono diverso, a meno che l’amnesia non mi abbia fatto cambiare…” e una fitta allo stomaco gli fece mancare il fiato per alcuni istanti.
Ben chiuse gli occhi cercando di trattenere per quanto fosse possibile le lacrime che prepotentemente minacciavano di bagnarli il volto, poi dentro la sua testa risuonò di nuovo la risata allegra di una bambina e forse anche la sua voce.

“Hai visto, ci sono riuscita…in fondo hai ragione non è poi un accordo così difficile…basta provare” cinguettò la ragazzina “Hai proprio ragione quando dici Chi dice che una cosa è impossibile, non dovrebbe disturbare chi la sta facendo’”

“Chissà chi è, magari se la trovo…lei potrebbe dirmi chi sono”
Il ragazzo riaprì gli occhi, lentamente si alzò dalla panchina asciugandosi una lacrima che non era riuscito a trattenere e che gli rigò il viso.
“Vediamo di continuare l’itinerario” si disse facendosi forza e coraggio “Dunque se non ricordo male da queste parti c’è la via dove è stato ucciso il figlio di Isaac. Forse  se do un’occhiata…”
Il luogo dove era stato assassinato Joachim Heineken si trovava vicino ad una piazza dove in quel momento si stava svolgendo il mercato rionale.

Anche Semir stava seguendo una tabella di marcia.
L’aveva stilata  basandosi sulla cronologia lasciata sul computer dell’Internet Point da Ben.
Il piccolo ispettore quindi aveva fatto un sopralluogo alla scuola di polizia dove si era diplomato Winterberg e alla sede dell’LKA. Avvicinarsi per Ben sarebbe stato un azzardo, troppo pericoloso, troppi poliziotti, ma ciò non voleva dire che almeno un’occhiata poteva darla.
Non molto distante alla sede dell’LKA c’era il cimitero cittadino, lì vi era sepolto Joachim Heineken; Semir vi stava entrando a piedi quando ricevette una telefonata.
“Arriva subito al sodo Einstein” rispose il piccolo ispettore non appena vide il numero di Hartmut nel display.
“Ho trovato Ben con il riconoscimento facciale!” quasi urlò il tecnico.
“Dove?” Semir stava già correndo verso la sua auto.
“Vicino al Mediapark, ma devi fare in fretta, potrebbe sfuggirti di nuovo nella piazza antistante si sta svolgendo il mercato rionale, c’è molta gente e le telecamere non coprono tutta la zona…”
“Cerca di non perderlo, io mi precipito subito” ordinò Semir.
“Ricevuto” fu la lapidaria risposta del tecnico “Staremo in contatto attraverso l’auricolare, cercherò di condurti da lui”

Con il cuore in gola il piccolo ispettore si diresse verso il luogo comunicatogli da Hartmut.
Semir mentalmente benedisse il ragazzo dai capelli rossi che grazie alle sue tecnologie, o diavolerie come le chiamava lui, era riuscito ancora una volta ad essere d’aiuto se non fondamentale nella ricerca di Ben.
Il ragazzo gli era sfuggito già quattro volte, scendendo dall’auto pensò che non c’è ne sarebbe stata una quinta.
Costasse ciò che costasse.
Senza dare l’impressione di essere alla ricerca di qualcuno, il piccolo ispettore si addentrò tra le decine e decine di persone che affollavano la piazza, cercando attraverso l’auricolare di farsi guidare da Hartmut, purtroppo non essendo molto alto la sua visuale era abbastanza limitata.
Poteva vedere bene solo le persone che incrociava.
“Semir non lo vedo più l’ho perso, c’è troppa gente” gli comunicò Hartmut con voce roca “Deve essere nei paraggi, se esce dalla folla… forse lo posso rintracciare di nuovo”
“Ricevuto” rispose Semir “Io continuo a cercarlo tra la gente, magari ho fortuna” e fu così che decise di salire sopra una panchina sperando di scorgerlo tra la folla naturalmente senza essere visto.

Dopo cinque minuti di appostamento Semir vide Ben in mezzo alla piazza.
Non voleva credere ai suoi occhi, ma anche se era pallido, il passo incerto, la barba lunga, come non l’aveva mai vista Semir non ebbe dubbi; lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad un milione di persone, oltretutto gli sembrava che indossasse una tuta da ginnastica quasi familiare.
I loro sguardi per un attimo si incrociarono, immediatamente Ben gli voltò le spalle, cercando di allontanarsi dalla piazza sempre più gremita.
“Maledizione, ancora quel nanerottolo alle calcagna, sembra che preveda ogni mia mossa” imprecò Ben.
Semir scese immediatamente dalla panchina facendosi largo tra la folla, rincorrendolo, purtroppo Ben aveva già superato gran parte delle persone che affollavano il mercato.
Ma il piccolo ispettore non era disposto a farselo scappare, molto probabilmente ora il giovane vedeva in ogni poliziotto un potenziale suo assassino.
Ben continuò per quanto il suo fisico glielo permettesse a camminare velocemente, dirigendosi verso un enorme parcheggio “Devo seminarlo” sbottò mentalmente, ma voltandosi vide che a qualche centinaia di metri da lui il piccolo ispettore lo stava ancora seguendo, facendosi largo tra la folla che affollava il mercato.
Finalmente una volta uscito dalla piazza Semir ebbe la possibilità di correre, gridò qualcosa all’indirizzo di Ben, ma i suoi richiami non arrivarono neppure alle orecchie del ragazzo, coperti dalla musica diffusa da alcuni altoparlanti di una bancarella a pochi metri dal ragazzo.
Anche Ben cercò di correre, ma ora cominciava a essere veramente stanco e debole e il piccolo ispettore guadagnò presto metri.
Ormai li divideva solo una cinquantina di metri.
“Ormai non mi scappi più socio” pensò tra se Semir.

“Mi scusi” chiese un uomo a Ben abbassando il finestrino vedendolo entrare nel grande parcheggio “Sta andando via? Va a prendere l’auto? Il parcheggio è pieno se mi dice dove tiene l’auto la seguo…”
Ben non ci pensò due volte, mai avrebbe voluto arrivare a tanto, ma in quel momento non vide un’alternativa, aprì la portiera e senza tanti convenevoli fece scendere l’uomo.
“Ehi, ma…che sta facendo?” tergiversò l’uomo e prima ancora che potesse rendersene conto Ben prese il suo posto alla guida dell’auto e con una sgommata cercò di dileguarsi nuovamente.
Tutto questo accadeva sotto gli occhi di Semir.
“No Ben!!! Ma porca miseria non di nuovo…” imprecò fermandosi  di colpo in mezzo alla strada, mentre il collega sfrecciava via a tutta velocità.
Dietro di lui subito si sentì un forte stridore di freni.
Semir si girò di scatto e dall’auto che si era fermata a pochi centimetri da lui scese un uomo a dir poco inviperito.
“Ma dico è matto? Attraversare la strada senza guardare e fermarsi in mezzo…a momenti la investivo razza di incosciente…”
Semir si diresse subito verso l’uomo, non lasciandogli nemmeno il tempo di finire la ramanzina.
“Gerkhan polizia autostradale, le requisisco l’auto” e anche lui senza tanti convenevoli fece scendere il guidatore partendo all’inseguimento di Ben.
“Questa volta non mi sfuggirai...questa volta il maestro non verrà superato dall’allievo, non di nuovo cascasse il mondo!”

Ben e Semir quindi ingaggiarono un inseguimento per le vie della città.
“Cavoli Ben” esclamò Semir dopo alcuni chilometri in cui il ragazzo aveva dato sfoggio delle sue abilità al volante  “Avrai perso la memoria, ma non la maestria nel guidare”
“Miseria ladra” pensò dal canto suo Ben  guardando in continuazione lo specchietto retrovisore della sua auto “Ho la versione nana di Schumacher che mi insegue! Ma puoi star certo che venderò cara la pelle…”

Pochi istanti dopo attraverso l’auricolare Kim si mise in contatto con Semir.
“Gerkhan…” la voce del commissario.
“Che c’è capo?” rispose Semir azionando l’auricolare “Le assicuro che questo non è un buon momento per conversare. Sto inseguendo Ben per le strade cittadine”
“Quindi i pazzi scriteriati  che stanno seminando il terrore per le vie del centro di Colonia siete voi due???” chiese conferma Kim, tenendosi per sé la considerazione che la cosa non l’aveva sorpresa più di tanto.
 “Purtroppo sì capo e Ben…sì insomma lo sa anche lei…sa guidare” confermò Semir.
“Cerchi di fermarlo” fu l’ordine perentorio del commissario.
“Sono assolutamente d’accordo con lei capo, ma l’unico modo per fermarlo in questo momento sarebbe…sì insomma non me la sento di sparagli, potrebbe sbandare, cappottare…corro il rischio di farlo ammazzare. La mia unica speranza è che esca dal centro città, poi un modo lo troverò”

Mentre guidava Ben cercò di fare meno danni possibili, esibendosi in sorpassi al limite dell’impossibile, affrontando curve a velocità folle, riuscendo a non travolgere biciclette, motorini, ignari pedoni o bancarelle.
La fortuna però sembrò schierarsi dalla parte di Semir, Ben stava imboccando la tangenziale.
“Il radiatore. Se riesco ad affiancarmi…potrei fermarlo…” ragionò Semir e in contemporanea pigiò di più il piede sull’acceleratore.
La lancetta del tachimetro si impennò drasticamente, la sua auto era decisamente più potente di quella di Ben e Semir per qualche istante riuscì ad affiancarsi al ragazzo.
Per una frazione di secondo il loro sguardi si incrociarono.
Prepotentemente a Semir vennero in mente i concitati momenti in cui si vide costretto alcuni anni prima ad inseguire Ben in auto sempre lungo le strade di Colonia.
E anche in quell’occasione c’entravano i fratelli Raisser.
Quella volta l’inseguimento finì davanti ad un enorme edificio, proseguendo a piedi lunghe le vie della città.  Alla fine Ben salì le lunghe scalinate di un palazzo arrivando fino in cima al tetto.
Lì ci fu il drammatico epilogo che portò alla finta morte di Ben per mano di Semir.
“O la va’ o la spacca. Socio, che tu possa un giorno perdonami, ma non vedo altra alternativa”

A malincuore e pieno di dubbi Semir estrasse la pistola, accelerò quel poco per trovarsi un po’ più avanti dell’auto di Ben dopo di che sparò verso il cofano.
Ben intuendo la mossa del piccolo ispettore frenò di colpo, purtroppo il proiettile colpì in pieno una gomma dell’auto che sbandò finendo giù per una piccola scarpata.
“BEN NO!” urlò Semir assistendo alla scena.
Resosi conto dell’accaduto il piccolo poliziotto cercò di frenare immediatamente, purtroppo a causa della folle velocità l’auto proseguì la sua corsa per alcune centinaia di metri. Fortunatamente quella brusca frenata non ebbe conseguenze né per Semir, né per gli ignari automobilisti che in quel momento percorrevano la tangenziale.
Il piccolo ispettore quindi accostò l’auto sulla corsia d’emergenza, scese dirigendosi di corsa verso il punto in cui aveva visto l’auto di Ben sbandare.
Si fermò nel luogo esatto in cui l’auto era uscita di strada, scendendo si avvicinò alla carcassa.
La portiera del guidatore era spalancata e Semir  ebbe l’ennesima amara sorpresa.
Ben era riuscito a sfuggirgli un’altra volta dileguandosi nel fittissimo bosco limitrofo all’autostrada.
“No! No! No! Maledizione Ben!” urlò Semir dalla rabbia prendendo a calci la portiera dell’auto, inoltrarsi nella vegetazione senza l’aiuto di un’unità cinofila sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.
Oltretutto ora aveva anche il timore che se si fosse trovato Ben alle spalle, chissà se avrebbe di nuovo reagito come a casa di Winterberg.
Da questo punto di vista il commissario gli aveva messo davvero un enorme dubbio in testa.
Appena smaltita la collera Semir decise ugualmente di dare un’occhiata all’interno dell’auto, tutti gli airbag erano esplosi  e quello dalla parte del passeggero presentava alcune tracce di sangue.
“Magari hai sbattuto la testa” si ritrovò a pensare ironico “Magari ti torna la memoria”
Un ultimo sguardo all’auto poi risalì sul ciglio della strada.
Stanco come non mai si sedette su una pietra miliare e ancora una volta il piccolo ispettore si mise a piangere dando sfogo a tutta la sua frustrazione.
Ben gli era sfuggito per la quinta volta.
Al distretto ricadde nuovamente il gelo, tutti pensavano che ormai era fatta, Semir avrebbe riportato a casa il loro collega, purtroppo attraverso l’auricolare ancora acceso tutti sentirono il pianto disperato del piccolo ispettore.
Tutti i colleghi furono consapevoli che purtroppo quel momento non era ancora giunto.

Angolino musicale: questa storiella è nata come una sorta di sequel di ‘uno contro l’altro’...state già pensando alla scena in cui Semir spara a Ben??? Ah però...
Concludo augurandovi un felice e sereno 2017… ci sentiamo per la Befana (sperando che l’Epifania la coppia d’oro non ci porti via…).
Bacioni a tutti… un particolare ringraziamento a Liviana, Elisa & Summer (siete dei recensori stupendi) e un abbraccio enorme a Maty (tu sai, io so. TVB).
Vi lascio con l’ultima colonna sonora dell’anno…Semir ha tutte le ragioni per essere inc…arrabbiato!
Hooverphonic ‘Anger never die’ (la rabbia non muore mai)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=2P78nxoE_JY
Non è bello provarci e fallire La rabbia non muore mai E’ parte della vita E’ parte di te La fine spegnerà il fuoco E ci farà accettare Cosa siamo propensi a perdere Guarda come cadono le lacrime Coprendo la convinzione con vuoti giuramenti Come prova di ciò che è stato e ciò che sarà Non è bello provarci e fallire…



 

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Capitolo 13
*** Semir e Ben: uno contro l’altro ***


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Semir e Ben: uno contro l’altro

Un ammaccato, ma ancora vivo Ben si aggirava nuovamente per la periferia di Colonia; ormai aveva preso la sua decisione, avrebbe lasciato la città, diventata troppo pericolosa. E per la sua fuga avrebbe scelto un mezzo alternativo, magari qualcosa di meno ‘vistoso’.
All’inizio pensò di prendere un autobus di linea con destinazione Berlino, poi passando accanto ad una stazione di servizio, vide diversi autoarticolati.
Alcuni avevano i cassoni coperti solo da teli, si sarebbe nascosto all’interno di uno di quelli, al momento la meta era irrilevante per ora la priorità era lasciare la città e far perdere per quanto fosse possibile le sue tracce.
Prima di partire si recò alla toilette della stazione di servizio. Lo aspettava un lungo viaggio, oltretutto voleva per quanto fosse possibile medicarsi alla meno peggio il piccolo taglio che aveva sulla fronte che si era procurato sbattendo la testa, mentre con la macchina finiva giù per la piccola scarpata.
Entrando incrociò alcuni camionisti, ma nessuno di essi gli rivolse la parola. Si avvicinò ad uno specchio, guardandosi la piccola lacerazione sulla fronte.
“Beh dopo quello che ho passato questo è un taglietto insignificante” e prendendo alcune salviettine di carta dopo averle imbevute d’acqua si mise a tamponarlo.
Istintivamente chiuse gli occhi la ferita bruciava un po’,e ancora una volta nella sua testa risuonarono sprazzi di ricordi appartenenti al suo passato.
Qualcuno lo inseguiva a piedi, forse chiamandolo per nome.
Spari, urla, il rombare di un motore di un elicottero sopra di lui.
“Dai collega adesso basta, facciamola finita” la voce sembrava la sua.
Subito dopo l’urlo di una donna che gridava un nome…uno strano nome.
Forse turco? Tedesco no di certo.
Mi dispiace…” ma questa volta non era lui a parlare.
Altre urla, altri spari, immediatamente percepì un fitto dolore al petto che svanì per fortuna dopo pochi istanti.
Di colpo riaprì gli occhi, la fronte imperlata di sudore, una mano sul petto, sopra la ferita.
“Ecco ci mancherebbe solo questo… un infarto” pensò preoccupato.
A riportarlo alla realtà la porta della toilette che si apriva, qualcuno entrava e salutava, riflessa nello specchio un’altra uniforme.
Cercando di restare il più calmo possibile Ben si asciugò la fronte, si lavò le mani e senza guardare nessuno negli occhi si avviò verso l’uscita, sotto lo sguardo curioso dell’agente.
“Signore si sente bene?” chiese gentilmente il poliziotto, ma Ben non gli rispose uscendo senza degnarlo né di uno sguardo, né di una parola.
 
Intanto Semir si stava lentamente riprendendo dallo sconforto. Salì nuovamente sull’auto per far ritorno in città.
Lungo la strada pensava se Ben a questo punto avrebbe rischiato di ritornare a Colonia per fare un ultimo tentativo nella speranza di ricordare qualcosa o se invece avrebbe lasciato la città per sempre.
“Maledetti Raisser”  inveì Semir “Alla fine siete riusciti a distruggerci, a dividerci. Razza di bastardi…” il resto della frase gli morì in gola.
Stava passando vicino ad un’area di servizio, quando la sua attenzione fu letteralmente rapita da un uomo e ancora una volta il suo cuore ebbe un sussulto.
Furtivamente per il parcheggio si aggirava il suo ‘ragazzo’, camminava curvo, zoppicando vistosamente.
Senza dare troppo nell’occhio Semir entrò nell’area di servizio.
Stava per scendere dall’auto quando fu notato da Ben.
 “Ancora lui? Ma che ho addosso? Un GPS?” imprecò Ben e aumentando il passo si addentrò nel parcheggio limitrofo alla stazione in quel momento piena di TIR in sosta.
“Stavolta non ci sono boschi, ti prenderò socio, giuro che lo farò anche a costo di spararti” pensò il piccolo ispettore inseguendolo.
Mentre cercava di nascondersi tra i vari mezzi Ben ebbe un’idea. Se fosse riuscito a prenderlo, a disarmarlo, forse avrebbe potuto sapere davvero se era Winterberg.
Purtroppo il suo passo era decisamente lento, e salire in fretta su qualche TIR sarebbe stato impossibile.
“Ben! Ben!” urlò Semir.
Il ragazzo era a una ventina di metri da lui, ma non dava segnali di volersi fermare, come era logico aspettarsi.
Fu allora che Semir fece l’unica cosa che in quel momento gli sembrava più saggia da fare estrasse la pistola esplodendo un colpo in aria.
Ma nonostante questo Ben non si fermò, voleva arrivagli in qualche modo alle spalle, forse sarebbe riuscito a sorprenderlo di nuovo.
Semir si ritrovò a dover decidere in una frazione di secondo.
Non voleva che Ben gli sfuggisse per l’ennesima volta,  conscio che se questa volta non lo avesse fermato il  ragazzo molto probabilmente sarebbe scomparso per sempre.
Fu così che a malincuore, non trovando altra soluzione mirò e sparò un colpo ad altezza ‘uomo’, colpendo una catasta di bancali di legno nel medesimo istante in cui Ben gli passò accanto. Alcune schegge colpirono al viso il ragazzo costringendolo a fermarsi di colpo.
Gli spari riecheggiarono nell’aria giungendo alle orecchie del poliziotto che alcuni minuti prima era entrato nella toilette dell’area di servizio.
Ben alzò le mani in segno di resa, pensò che ormai era finita, stavolta niente e nessuno lo avrebbe più salvato. Lentamente si girò e i suoi occhi incrociarono di nuovo quelli di Semir.
Semir ebbe un tuffo al cuore, gli sembrava che il ragazzo stesse in piedi per puro miracolo, aveva il respiro affannoso, lo vedeva provato, sembrava che stesse tremando, in fondo cominciava a fare freddo e Ben era vestito solo con una tuta da ginnastica, ma quel che contava di più in quel momento era che finalmente lo aveva lì davanti a lui.

Purtroppo quello che uscì dalla bocca di Ben per Semir fu pari ad una stilettata al cuore.
“Se come i suoi colleghi vuole uccidermi lo faccia pure, almeno troverò un po’ di pace. Mi spari, facciamola finita, sono stanco di scappare, le chiedo solo di avere pietà…di fare in fretta”
La frase sembrò una supplica alle orecchie di Semir e quel ‘facciamola finita’ suonò come un macabro déjà-vu.
“Ben non ti voglio…” gli rispose scrollando la testa, ma il resto gli morì in gola; chissà quante ne aveva passate, quanto dolore per supplicarlo in quel modo, si chiese cosa gli avevano fatto in carcere per desiderare la morte.
Una morte veloce e possibilmente indolore.
Prepotente gli venne in mente il ricordo di quella volta che nel bosco vicino all’autostrada Semir gli aveva puntato una pistola contro. Anche allora Ben era evaso da una prigione in cui lui stesso lo aveva mandato pensando fosse una spia.
“Allora se non è sua intenzione uccidermi mi lasci andare…” supplicò ancora Ben.
“No, non ti lascerò andare, non adesso che ti ho trovato” replicò Semir.
“Se lo può scordare, non verrò con lei, se è quello che vuole” fu la secca risposta del ragazzo.
Semir era disperato, non sapeva come convincerlo a fidarsi di lui, e ancora più male gli fece quel ‘lei’, il piccolo turco si rese conto che in quel momento per Ben era un perfetto estraneo. Oltretutto se avesse abbassato la pistola il ragazzo sarebbe fuggito di nuovo, quindi non ripose l’arma tenendola sempre puntata verso Ben che stava a una decina di metri da lui sempre con le mani alzate.
“Ben…” farfugliò Semir non sapendo bene cosa dirgli.
“Perché mi chiama così…io non la conosco…non mi ricordo di lei” gli urlò contro con voce rabbiosa.
“Il tuo nome è Ben Jager, sei un poliziotto, non sei Felix Winterberg, sei il mio socio, il mio partner, il mio migliore amico da più di sei anni…” replicò deciso Semir.
“Mi spiace, ma non ho nessun ricordo di lei e ora come ora non posso permettermi di fidarmi di nessuno. Mi sono fidato di un suo collega sicuramente lo stesso che mi ha sparato alle spalle facendomi finire nel lago…nemmeno il mio cadavere volete che trovino…mi chiedo cosa ho fatto per meritare questo…” gli occhi di Ben divennero lucidi e per Semir fu un altro colpo al cuore.
“Non hai fatto niente di male, Ben questo te lo posso assicurare. E’ per questo che ti sto cercando da giorni, voglio che tu smetta di scappare…ti hanno fatto credere di essere un’altra persona” cercò di convincerlo Semir  “E chi ti ha sparato…non è un mio collega. Tu sei il mio collega”
“Colleghi??? Cosa ne sa lei??? Felix Winterberg era il collega di Joachim Heineken …e lo ha ucciso senza pietà” rimbeccò Ben, con tono che rasentava la disperazione, ma fu interrotto da Semir, che ancora una volta cercava di farlo ragionare, di farlo convinto.
“Ben lo so cosa ti è successo, prima che evadessi dal carcere, dopo…conosco la storia, ma ora devi fidarti…” ma anche lui fu interrotto da Ben.
“Fidarmi? Lei mi parla di fiducia? L’ultima volta che mi sono fidato di un poliziotto sono quasi morto! E poi chi mi assicura che lei non stia trovando una scusa per portarmi chissà dove per uccidermi…senza testimoni…qui siamo in un luogo pubblico…”
“Ben ti prego…” Semir non sapeva più cosa fare o dire, ma ciononostante teneva sempre la pistola dritta davanti a lui.
“Sa una cosa?” proseguì il ragazzo “Un vecchio mi ha salvato la vita, suo figlio è morto, ucciso da un poliziotto che potrei essere io” ora Ben aveva le lacrime agli occhi.
“Ben posso capire che sei confuso, disperato, arrabbiato, ma ti prego…” ma fu interrotto nuovamente da Ben.
“Confuso, arrabbiato? Maledizione tutti mi vogliono morto, non posso permettermi di fidarmi di nessuno, perché …perché nemmeno so perché mi vogliono morto e soprattutto chi mi vuole morto”

Semir non sapeva davvero più cosa fare.
Triste pensò che una volta Ben gli aveva confidato che lui era l’unica persona di cui si fidava ciecamente, purtroppo ‘quel Ben’ non c’era più, l’amnesia lo aveva spazzato via.
“Senti facciamo così” propose Semir “Io abbasso la pistola, ti faccio vedere delle foto, sono io con te…la mia famiglia…ne ho una in cui ci sei tu con Livyana”
“Chi è Livyana?” chiese Ben non sapendo neanche il motivo per cui voleva saperlo.
Semir tentò il tutto per tutto.
“Livyana è tua figlia, è disperata, piange sempre…ti riporto da lei…dai vieni con me”
Ben ebbe un tuffo al cuore, l’unica cosa che ricordava del suo passato era l’allegra risata di una bambina.
Semir lentamente ripose la pistola nella fondina inserendo la sicura, notando come cambiò l’espressione di Ben dopo che gli aveva detto di Livyana.
Il giovane ispettore lentamente abbassò le mani.
“Avvicinati, adesso ti faccio vedere le foto” propose ancora Semir.
Il ragazzo con enorme cautela si avvicinò, Semir estrasse lentamente il portafoglio prendendo una foto, la stava per consegnare a Ben quando questi lo prese alla sprovvista.
Come un fulmine gli sfilò la pistola dalla fondina fece qualche passo indietro e togliendole la sicura la puntò contro Semir.
In quei gesti il piccolo ispettore vide il ‘vecchio’ Ben, un poliziotto attento, scaltro e soprattutto veloce.

“Ben…non fare stupidaggini” disse Semir senza nemmeno alzare le mani.
“Non ho intenzione di spararle, a meno che non ne sia costretto, quindi giri i tacchi e se ne vada…” la voce di Ben era dura, decisa come pure lo sguardo.
“Dovrai spararmi, perché non me ne andrò…” altrettanto decisa e dura fu la risposta di Semir.
Ben aveva il dito sul grilletto, guardava dritto negli occhi quello che era da anni il suo migliore amico.
Semir tentò di fare un passo verso il ragazzo, muovendosi lentamente, con molta cautela.
“Ben ascoltami…” cominciò a parlare tendendo la mano come per farsi restituire l’arma.
Il ragazzo non gli lasciò il tempo di finire la frase, premendo il grilletto.

Il proiettile si piantò nel terreno a pochi centimetri dai piedi di Semir che nemmeno si scompose.
“Un altro passo e giuro che le sparo di nuovo, come vede non ho niente da perdere. La prossima volta non mirerò ai piedi”
In quei concitati istanti nella mente di Semir risuonarono le parole dette da Kim alcune ore prima:
“Jager è fuori controllo, chi le assicura che la prossima volta non si comporti in maniera diversa…cerchi di essere obiettivo Jager potrebbe essere pericoloso per chiunque, anche per lei…Jager che le piaccia o no non sa nemmeno chi è lui, figuriamoci se può riconoscere lei…”
“No” le rispose mentalmente Semir “In qualche remoto angolo della testa, del suo cuore Ben sa chi sono io, sa cosa è lui per me e io per lui. L’amnesia ha spazzato via i suoi ricordi, ma il Ben che conosco…c’è ancora…Ben non mi farà del male”
Incurante del pericolo il piccolo ispettore fece un altro passo verso Ben.
“Ben…” fu l’ultima parola di Semir.
Poi nell’aria riecheggiò uno altro colpo di pistola.

Angolino musicale: Dunque tanto per cambiare finisco un capitolo con il ‘mio classico’ colpo di pistola (paragonarlo alle ‘stelle’ di Dante sarebbe un azzardo e il Sommo Poeta giustamente verrebbe a tirarmi le gambe, ma concedetemi questa similitudine…). Ora: Grimilde con l’aiuto di Ben ha fatto fuori Semir? Un altro colpo ai piedi del turchino? Nessuna delle due ipotesi? Allora che è successo? Tutto e molto ancora nel prossimo capitolo…
Alex Band ‘Last Goodbye’ (ultimo addio).
Per ascoltarla:  https://www.youtube.com/watch?v=F-Sc1Y4Mj3Y
Volto pagina La mia storia finisce Dico addio a tutti i miei amici So che sta diventando tardi Ora la luce è sul mio volto Ho girato gli orologi di nuovo indietro E chiesto perdono per i miei peccati Perché’ non so dove andrò Bene, questo è tutto quello che so veramente…Ho le cicatrici che lo provano Bene so che la strada è lunga Ma sarò forte Non piangere Perché’ questo non è il mio ultimo addio Sto scoprendo il modo più difficile di fare le cose S’impara prima di perdere la grazia di Dio Possiamo crescere nelle ombre Noi siamo i semi che seminiamo Attraverso ogni singola ora che si spegne Dalla sabbia alla pietra, dalla roccia all’argilla Questa sinfonia è dolce e amara Godi del dono che hanno donato a te e a me

 

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Capitolo 14
*** ‘quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura’ ***


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‘Quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura’

Mentre si accasciava al suolo, nella testa di Ben riecheggiarono nuovamente frammenti del suo passato.
“Dai collega adesso basta, facciamola finita” la voce era la sua.
Subito dopo l’urlo di una giovane ragazza che gridava un nome.
“SEMIR!!!”
Mi dispiace Ben” la voce era uguale a quella del poliziotto che lo aveva braccato per giorni.

“BEN!” Semir urlò con tutto il fiato che aveva vedendo il ragazzo crollare a terra a pochi passi da lui.
“Ben…o mio Dio Ben…” il piccolo ispettore rimase per qualche istante immobile sul posto.
Subito si avvicinò un poliziotto, lo stesso che minuti prima aveva sentito gli spari, con un calcio allontanò la pistola dal corpo di Ben.
“Ispettore Gerkhan sta bene?” chiese l’agente avendo riconosciuto il poliziotto dell’autostradale “Ho visto che quest’uomo la minacciava …” ma l’agente non riuscì a finire la frase.
L’ispettore come una furia si avventò su di lui scaraventandolo a terra.
“Hai sparato ad un collega…il mio collega!” gli ringhiò contro con le lacrime agli occhi, poi si inginocchiò accanto a Ben e prendendo il cellulare sollecitò i soccorsi.
“Ben, ehi amico…ho chiamato l’ambulanza, sarà qui a momenti…” gli disse sollevandogli la testa e appoggiandola sulle sue ginocchia, accarezzandogli le guance, la fronte.
“Almeno ora …non dovrò più scappare…spero solo che lassù ci sia qualcuno, qualcuno che abbia pietà di me…” disse con voce flebile e un impercettibile sorriso apparve sul volto del ragazzo.
“Ben resisti, dai non mi lasciare, non adesso che ti ho trovato…” ma Ben non lo sentì nemmeno. In quel momento si sentiva in pace, vedeva la sagoma di una donna con le braccia protese, come se stesse aspettando che il ragazzo si alzasse da terra per abbracciarla e andare via con lei.
Ben era estasiato, era bellissima con lunghi capelli neri, aveva i suoi stessi occhi, forse lui aveva anche il suo stesso sorriso.
“Mamma sei tu?”  chiese cercando di protendere a sua volta un braccio e quelle furono le sue ultime parole prima di chiudere gli occhi e accasciarsi tra le braccia di Semir.
“No…no…Ben apri gli occhi…ti prego resta con me” urlò l’amico sapendo cosa si dice delle persone che vedono i propri familiari morti mentre stanno per morire a loro volta.
Il poliziotto che aveva sparato a Ben assisteva alla scena esterrefatto , gli sembrava di aver salvato la vita a quel piccolo ispettore, invece piangeva il ragazzo a terra.
 
Semir scortò l’ambulanza che trasportava il suo migliore amico; lungo il tragitto telefonò al padre di Ben per rassicurarlo che finalmente era riuscito a ritrovare il figlio. Subito il vecchio imprenditore avrebbe voluto correre all’ospedale, ma Semir, considerata anche l’età gli consigliò di rimanere a casa. Ben sarebbe stato operato di lì a poco e date le circostanze il signor Jager avrebbe dovuto aspettare molto prima di poter vedere il figlio. Semir prima di concludere la conversazione gli promise che lo avrebbe aggiornato costantemente sulle sue condizioni.
Konrad quindi ringraziò l’ispettore, ripose il telefono poi diede sfogo a tutta la tensione accumulata in quei terribili giorni lasciandosi andare a un pianto disperato quanto liberatorio.
“Konrad…Ben?” Livyana comparve sulla soglia dello studio, accanto a lei c’era Helga.
“Ben…Gerkhan lo ha trovato…adesso è in sala operatoria…lo stanno operando…” Konrad Jager, singhiozzava mentre parlava.
Livyana si avvicinò al vecchio, e inaspettatamente, senza tanto pensarci, lo abbracciò. Entrambi avevano bisogno di farsi coraggio, di confortarsi.
“Vedrai si sistemerà tutto…Ben guarirà, non ci lascerà soli” cercò di consolarlo “Ci riesce sempre…lui è un guerriero, è forte”
“Lo so, piccola” rispose il vecchio accarezzandole la testa. 
Livyana vedendo Konrad piangere non  riuscì a trattenersi, abbracciandolo ancora più forte. Tutto questo avveniva sotto lo sguardo tenero e materno di Helga, ora anche lei in lacrime.
 
Alcune ore dopo, a notte fonda, Semir entrò silenzioso nella stanza d’ospedale dove era stato ricoverato Ben. 
Aveva chiesto al medico di turno di poterlo vedere solo un minuto, voleva sincerarsi che stesse tutto sommato bene, che fosse vivo.
La stanza era immersa nella penombra, le uniche fonti di luce erano una piccola lampada sul comodino accanto al letto e le varie spie dei monitor di sorveglianza che lanciavano i loro fastidiosi, ma confortanti segnali ripetitivi.
“Almeno sei vivo” sospirò Semir avvicinandosi al letto e sedendosi sulla poltroncina.
I medici gli avevano assicurato che tutto sommato Ben era da considerarsi non in pericolo di vita e che con il passare del tempo molto probabilmente avrebbe riacquistato la memoria, non sapendo però esattamente quando.
Alla vista dell’amico Semir fu quasi costretto a trattenere la nausea, quello che vide lo gettò nello sconforto più assoluto, avrebbe voluto stringergli la mano, accarezzarlo, ma aveva quasi paura che toccandolo potesse fargli del male visto in che condizioni erano le sue mani. Eppure non era la prima volta che Semir vedeva il suo socio in quello stato, ma questa volta gli pareva che la situazione fosse più critica del solito.
Il tatuaggio sul braccio sinistro gli confermava che era lui, se non fosse stato per quello forse avrebbe messo più tempo a capire che quello davanti a lui disteso sul letto era il suo migliore amico, il suo inseparabile collega da più di sei anni.
 
Ben aveva ancora ben visibili i segni di quello che gli avevano fatto in carcere; uno zigomo rotto, come pure un labbro, vistose abrasioni sulle nocche delle mani a confermare che il giovane poliziotto aveva disperatamente cercato di difendersi, enormi bende sul torace e una sul braccio, un numero che a Semir risultò impressionante di fili e tubicini che lo collegavano alle macchine, senza contare che era diventato magrissimo, quasi scheletrico e pallido come un cadavere.
Dormiva, ma il suo era un sonno agitato. Come se tutto questo non bastasse i medici avevano consigliato di immobilizzarlo con delle cinghie di sicurezza al letto. Appena si fosse svegliato, senza memoria come era lecito aspettarsi, avrebbe sicuramente tentato la fuga mettendo in pericolo la sua stessa vita, visto che ora si ritrovava anche un’altra ferita d’arma da fuoco al fianco destro. Ben non avrebbe potuto sapere che tutte le persone che avevano voluto la sua morte ora erano in carcere, senza ricordi aveva fatto capire in più di una occasione che non si fidava di nessuno e niente per il momento avrebbe potuto fargli cambiare idea. Semir sospirò profondamente, aveva sempre considerato Ben un ragazzo tutto d’un pezzo, forte, coraggioso, niente e nessuno avrebbe potuto ‘frenare’ quella vitalità e quell’allegria che irradiava eppure ora vederlo steso su quel letto inerme ferito nel corpo e nell’animo gli faceva male, ora lo vedeva fragile come fosse un fiore di cristallo.
“A meno che…” Semir decise che sarebbe tornato l’indomani, ma non sarebbe stato solo.

Il giorno dopo Livyana entrò silenziosamente nella stanza di Ben. 
Semir, prima di chiederle se voleva andare a trovare il suo amico, aveva proposto l’idea ad Elise Kladden e dopo il parere positivo della psicologa ne aveva parlato anche con il medico che aveva in cura Ben.
Elise aveva quindi informato la ragazzina delle reali condizioni di Ben, che se si fosse svegliato lui sicuramente non l’ avrebbe riconosciuta, magari le avrebbe fatto un sacco di domande, in ogni caso se non se la sentiva di stare dentro da sola in quella stanza con Ben avrebbe potuto uscire quando ne avesse sentito il bisogno.

Livyana varcando la soglia della stanza, respirò a fondo, poi si avvicinò al letto prendendo delicatamente una mano di Ben tra le sue.
“Sempre con le mani fredde…e mai che qui dentro ti mettano un pigiama, una coperta…” la piccola aveva in se la stessa forza di sdrammatizzare che aveva Ben.
Il giovane si svegliò quasi immediatamente, dando un forte strattone alle cinghie che lo tenevano immobilizzato al letto, spalancando gli occhi come se invece di una carezza avesse ricevuto una coltellata in pieno petto.
“Tranquillo Ben non voglio farti del male” cercò di rassicurarlo la ragazzina parlandogli quasi sottovoce; e in quel medesimo istante a Livyana venne in mente una frase che una volta sentì pronunciare da Helga quando trovarono nel giardino di villa Jager un gattino impaurito:
Quando si ricevono solo schiaffi, anche le carezze fanno sempre un po’ paura”
Dopo l’iniziale spavento Ben guardò il visetto della ragazzina che aveva davanti.
Anche Livyana si era spaventata un po’ assistendo al brusco risveglio dell’amico, ma cercò di non darlo a vedere.
“Ciao Ben” gli disse; voleva sembrare tranquilla, confortarlo.
“Ciao” rispose lui con un filo di voce, la ragazzina lo aveva chiamato con lo stesso nome con cui lo aveva chiamato il piccolo poliziotto.
Poi vedendo che era immobilizzato al letto le chiese “Non hai paura di me?”
“Che stupida domanda perché dovrei?” rispose aggrottando la fronte.
“Beh potrei essere…insomma non so ancora bene chi sono” rispose triste il ragazzo.
“Ma io so benissimo chi sei tu e ti assicuro che questo basta e avanza” replicò decisa “Tu mi hai salvato la vita più di una volta, anche a costo di mettere fine alla tua. E sai che si dice vero? Se salvi la vita a qualcuno ne diventi responsabile”
“Suona bene come risposta…” sussurrò Ben cercando di abbozzare un sorriso, poi vedendo che armeggiava con le cinghie di sicurezza le disse “Ti prego…non farlo…io…se mi hanno immobilizzato…un motivo deve esserci. Non voglio metterti nei guai o peggio ancora farti del male…” supplicò il giovane, ma la piccola non fece caso a quello che le diceva Ben.
“Adesso ti slego, so che non mi farai del male, né scapperai…di me ti puoi fidare perché io mi sono sempre fidata di te…anche quando avevo paura che ci sparassero e tu mi dicesti di trattenere il fiato…ci siamo buttati giù da un dirupo e siamo finiti nel lago. E ti dirò di più quando zio Semir parla di te dice che sei il mio ‘angelo custode terreno’ ”
“Mi spiace, ma non me lo ricordo, vorrei tanto…” le disse mentre la guardava scioglierli le cinghie.
“Non fa niente, per adesso basta che lo sappia io e che tu ti renda conto cosa sei per me” replicò con quell’innocenza tipica dei bambini.
“Come ti chiami?” chiese il ragazzo “E quanti anni hai?”
“Mi chiamo Livyana, Livyana Karpov…” rispose prontamente “E il primo di Agosto ho compiuto tredici anni”
“Hai un bel nome…” replicò il giovane.
“Sì lo so e il cognome di un giocatore di scacchi russo” concluse stampandosi un enorme sorriso sul volto.
La ragazzina cercava di essere la solita Livyana, anche se sapeva benissimo che davanti a lei, purtroppo, non c’era il solito Ben.
“Senti, quello che io chiamo zio Semir…” continuò a parlare tornando seria.
“Quello che dice di essere il mio collega?” domandò Ben.
“Sì lui…ecco dice che…” Livyana si bloccò, troppo emozionata per continuare.
“Dice cosa?” la incoraggiò.
La ragazzina fece appello a tutte le sue forze, facendo un profondo respiro poi continuò:
“Dice che a causa della tua memoria non ti ricordi niente e quindi non ti fidi di nessuno…”
“Non è stato un bel periodo, te lo assicuro” e al solo pensiero Ben sentì una fitta allo stomaco che per qualche istante gli fece quasi mancare il respiro. Di colpo gli occhi del ragazzo divennero lucidi.
Non aveva nessun ricordo della sua vita passata e le uniche cose che ricordava in quel momento era l’essersi svegliato in un carcere dove era stato ripetutamente picchiato, come se tutto questo non bastasse era precipitato dal parapetto di una diga finendo nel lago sottostante dopo che gli avevano sparato, tratto in salvo credendolo un criminale gli avevano sparato di nuovo.
Livyana come se avesse captato quel triste pensiero cercò di nuovo la sua mano stringendola delicatamente tra le sue. Ben quindi come confortato dal quel gesto proseguì il suo discorso.
“Forse potrei fidarmi di te, mi hai slegato, sei qui da sola, non hai paura…io al posto tuo ne avrei, a meno che tu non sia…”
Ma anche il ragazzo si bloccò.
Quanto avrebbe voluto che Livyana fosse…
Forse l’allegra risata e la voce che sentiva quando chiudeva gli occhi, nel sonno, era la sua.
La ragazzina era decisa ,sicura , si fidava e non aveva paura di lui, anche se lui non aveva la più pallida idea di chi fosse. Il ragazzo aveva un’impellente domanda da farle, ma allo stesso tempo aveva paura di porla.
E ancora una volta quel legame speciale che li univa venne prepotentemente a galla:
“Mi volevi chiedere se sei il mio papà?” anche lei aveva timore nel fare quella domanda, magari al ‘nuovo’ Ben non sarebbe piaciuto avere una ‘figlia’.
“Già” rispose in apnea il giovane.
“Beh non proprio, ma di fatto…sì”
Un piccolo sorriso comparve sul volto del giovane e di conseguenza anche su quello della ragazzina.
“Mi hai preso con te dopo la morte dei miei genitori” spiegò Livyana “Ed è per questo che devi fidarti di me, io al posto tuo lo farei e comincerei a fidarmi anche di Semir, lui ti ha cercato, ti ha trovato”
“Sai penso che quel piccolo ometto non mi avrebbe lasciato andare…neanche se gli avessi sparato…” sentenziò Ben.
“Certo tu per lui sei come un figlio. Zio Semir è quello che prenderebbe una pallottola per te…e tu per lui”
A quelle parole Ben rimase come di sale.
Ecco perché quella disperazione, quella determinazione nel cercarlo, nel non volerlo lasciare andare. E in cuor suo Ben sapeva che mai e poi mai avrebbe sparato a quel piccolo ometto, piuttosto sarebbe morto lui e la cosa non gli sembrò così strana…chissà cosa avevano fatto in passato insieme, che tipo di legame c’era tra loro.
“Senti facciamo così” continuò Livyana “Tu fidati di noi due intanto, e poi con me accanto sarai e ti sentirai al sicuro come lo sono sempre stata io con te.  Inoltre dove abiti tu c’è un posto magico…io lo chiamo il ‘tranquillometroquadrato’ quel posto fa miracoli, quindi vedi di rimetterti in forze che poi ce ne torniamo a casa nostra”
Ben non ebbe il coraggio di dire niente, tentò di abbozzare un sorriso, ma purtroppo non ci riuscì, in quel momento si sentiva moralmente e fisicamente a pezzi.
Livyana gli strinse delicatamente la mano.
“Adesso che ne dici di dormire un po’? Io resto a farti compagnia, nessuno qui ti farà del male, né fuori. Ora è tutto finito, lo ha detto anche zio Semir. E poi devi riposare domani verrà a trovarti tuo padre, tua sorella ed Helga”
“E mia madre?” chiese Ben prima di chiudere gli occhi.
“No…purtroppo non c’è più” rispose triste la ragazzina, ma Ben non sentì nemmeno la risposta, era di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Livyana quindi si sistemò meglio la sedia lasciando per un attimo la mano di Ben.
“Livy non andare, ti prego resta con me” la voce impastata dal sonno.
La ragazzina ebbe un tuffo al cuore, Ben l’aveva chiamata con il suo diminutivo.
“Tranquillo non me ne vado, promesso…mi sistemo meglio” rispose, quindi avvicinò la sedia riprendendo il suo posto accanto al letto di colui che considerava alla stregua di un papà.

Due settimane dopo verso il tardo pomeriggio Ben venne dimesso dall’ospedale, ma quello che uscì dal nosocomio non era il solito Ben.
Il ragazzo era ancora molto diffidente specie nei confronti di coloro che per mestiere lavoravano in polizia. Tutti i colleghi del distretto durante la degenza erano andati spesso a trovarlo e sebbene vestissero sempre in borghese quando si presentavano nella sua stanza Ben si metteva sempre sulla difensiva.
In quelle occasioni non era mai solo, a fargli compagnia c’era sempre Livyana o Semir gli unici che già dal primo giorno dopo il suo risveglio all’ospedale erano riusciti a conquistare la sua fiducia.
Tra i vari amici e colleghi che andarono a fargli visita anche Dieter, colui che assieme a Semir conosceva Ben da quando mise piede al distretto. L’alto agente, dopo la breve visita uscì dalla stanza deluso, con la sensazione di essere per il ragazzo un perfetto estraneo, ma consapevole che quell’orribile esperienza aveva lasciato nell’animo di Ben dei pesantissimi e dolorosissimi strascichi.
“Vedrai Bonrath” lo consolò Semir accompagnandolo fuori dalla stanza “E’ solo questione di tempo…lo ha detto anche il dottore. E’ successa la stessa cosa anche col padre, con la sorella, con Helga”
“Lo so, ma vederlo così…aveva paura di me. Pensare che se non fosse per lui, per te…sarei morto” e con il dorso della mano si asciugò una lacrima che minacciava di rigargli il volto.
Al rientro nella stanza Ben si era scusato con Semir per come reagiva ogni volta che qualcuno che non era lui o Livyana andava a fargli visita.
“Per certi versi ho paura della mia stessa ombra, mi dispiace. Tutti vi state preoccupando …ma è più forte di me…non riesco a controllarmi, anche se mi impongo di restare calmo, di respirare piano e profondamente come dicono i dottori…”
Semir si era quindi avvicinato a Ben cercando di confortarlo, i sensi di colpa lo stavano nuovamente torturando.
“E’ normale Ben, quello che ti è successo, non puoi pretendere da te stesso che tutto possa passare da un giorno all’altro, i colleghi, i tuoi amici lo capiscono”

“Eccoci arrivati a casa” disse un’allegra Livyana entrando nel lussuoso appartamento di Ben.
Con i due anche l’amico Semir, che per ogni evenienza aveva deciso di trascorrere la notte con loro.
Ben entrò dopo la ragazzina fermandosi in mezzo al grande salone. Semir entrato per ultimo si mise a osservare Ben, si guardava attorno, come se quell’appartamento invece di essere casa sua fosse di qualcun altro.
“Quante chitarre ci sono sopra a quel mobile” si stupì Ben.
“Già e come le sai suonare bene” confermò la ragazzina.
Ben si avvicinò toccandone una, ritirando velocemente la mano, la sensazione che ebbe fu come se avesse preso la scossa.
Livyana notò subito la cosa che invece sfuggì a Semir, ma la ragazzina sapeva cosa rappresentava quel preciso strumento per Ben.
Tra tutte le chitarre che c’erano in quella stanza lui era stato attratto da quella all’apparenza più insignificante. Non era di qualche famosa marca, né tantomeno aveva una cassa armonica speciale, nessun autografo o dedica, anzi in alcuni punti era addirittura scheggiata. Era però la chitarra con cui aveva imparato a suonare, la prima a possedere ed era un regalo di sua madre.
“Io andrei a distendermi, sono stanco” disse laconico il giovane.
Livyana e Semir si guardarono, poi assecondarono Ben accompagnandolo nella sua camera da letto. Il ragazzo era ancora molto provato.
Il resto della serata passò tranquilla con Semir che di tanto in tanto andava a guardare come stava il suo amico che appena si era disteso sul letto si era subito addormentato.
I due per cena ordinarono una pizza, mangiando in silenzio, ed entrambi ne avanzarono metà. Ben era a casa, questo era vero, ma quello che dormiva nella camera da letto non era ancora il Ben che avevano conosciuto e questo in parte aveva tolto loro l’appetito.
La ragazzina dopocena decise di andare a letto, la stanchezza cominciava a farsi sentire, le settimane trascorse dentro e fuori all’ospedale l’avevano decisamente stancata.
La mattina era andata a scuola, aveva studiato qualche ora a casa della famiglia Gerkhan, dopo di che era andata a trovare Ben. Lì gli aveva raccontato tanti episodi della sua vita, dopo che lo aveva conosciuto e Ben più di una volta si era commosso.
“Mi sembra incredibile di aver fatto tutte queste cose” le aveva detto un giorno.
“Sì tu per me sei il migliore dei super eroi”

“Chiudo le imposte…fra un po’ andrò a letto pure io” disse Semir accompagnando con lo sguardo la ragazzina che dopo essere uscita dalla stanza di Ben  si avviava verso la sua cameretta.
“Sì, ma per favore lascia aperta quella davanti alla porta finestra che dà sulla grande terrazza”
“Perché?” chiese curioso Semir.
“Perché Ben me la lascia sempre aperta…davanti c’è il ‘tranquillometroquadrato’”
“Il che?”
“Notte zio ci vediamo domani” e con questa risposta troncò ogni discorso, ora era davvero stanca e andare a letto le sembrava la cosa più sensata da fare.
Verso mezzanotte anche Semir andò a letto.
 
Erano le tre di notte quando Livyana si alzò, aveva bisogno del ‘tranquillometroquadrato’.
Silenziosa si mise una coperta sulle spalle, le ciabatte e si avviò verso la porta finestra che dava sulla grande terrazza. Lì si sarebbe seduta per un po’ sopra il grande tappeto persiano appoggiando la schiena allo schienale del divano, ammirando le luci della città e l’imponete sagoma del duomo di Colonia.
Strascicando un po’ i piedi sì avvicinò al divano, lo superò, stava per sedersi sul tappeto quando fece un’incredibile scoperta: seduto nello stesso modo in cui si sarebbe seduta lei c’era Ben.
“Ciao” disse il ragazzo vedendola arrivare.
“Sempre il solito…boxer , canotta e naturalmente  scalzo…capisco che ti piace fare…insomma sai che intendo…” scherzò ragazzina “Ma ti faccio notare che lì fuori c’è la neve” e scrollando la testa si sedette accanto a Ben mettendogli parte della coperta sulle spalle.
“Sì la neve rende il paesaggio magico…e comunque so anche che saresti arrivata…”
“Davvero?” chiese stupefatta.
“Sai mi sono ricordato di una cosa, quando ti portai a casa…due o tre notti dopo…”
“Ben…tu ricordi???” la ragazzina restò a bocca aperta.
“Aspetta, lasciami finire…” poi continuò “Una notte ti trovai qui, avevo paura che fossi scappata…”
“Sì l’ho fatto più di una volta in passato” ammise la ragazzina.
“Sì me lo ricordo…o almeno mi pare, e so per certo che Semir ti avrebbe sculacciata volentieri” sogghignò Ben.
“Ehi, ma come ti permetti, tu devi difendermi…sono scappata…per te” il tono della piccola era allegro, spensierato.
“Beh, ma quando è troppo è troppo e Semir comincia ad essere vecchio”
“Se zio Semir ti sente ti spella vivo…” sghignazzò la ragazzina e a Ben venne il magone nell’udire l’inconfondibile, stupenda e allegra risata di Livyana.
Ben non ebbe il coraggio di dirglielo, magari l’avrebbe informata un giorno, ma non in quel momento, troppo dolore.
Quell’allegra risata lo aveva aiutato a restare in vita.
“Comunque” continuò il ragazzo tornado serio “Mi dicevi che davanti a questo stupendo paesaggio trovavi la pace e la serenità…addirittura ti sembrava di vedere i tuoi genitori e di parlare con loro…così mi sono alzato e sono venuto qui. Mi sono ricordato di una signora, aveva lunghi capelli neri, gli occhi castani…e uno strano ciondolo al collo…”
“La tua mamma” suppose Livyana.
“Sicuramente” replicò Ben.
 
Nessuno fece caso a Semir che sulla soglia della camera degli ospiti, non lontano da loro, ma nascosto dal divano stava ascoltando la conversazione.
Il suo amico stava ricordando qualcosa, forse tutto sarebbe tornato come prima e ancora una volta Semir si rese conto che Livyana era il pezzo mancante nella vita di Ben, tra loro c’era un rapporto speciale, il suo punto di riferimento…avrebbe quasi voluto esserne geloso, ma alla fine ciò che gli importava veramente era che il suo ragazzo si stava riprendendo. Quando poi lo sentì ridere, Semir non c’è la fece più, rientrò nella sua stanza e pianse, ma il suo non era un pianto triste o disperato come lo era stato nei giorni scorsi, finalmente quello era un pianto liberatorio, di gioia. Ora ne era certo tutto sarebbe tornato come prima.
Bastava solo avere pazienza.
 
Angolino musicale: direi che tutto sommato i nostri protagonisti stanno abbastanza bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è uscito così…di getto. Sono consapevole che di azione e di Cobra 11 forse ha poco o niente, ma a volte Grimilde viene sopraffatta da Smielilde.
Ci risentiamo al prossimo e ultimo capito.
Buon rientro.
CBJ.
Evanescence - Bring Me To Life (Riportami In Vita)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=3YxaaGgTQYM
Come fai a vedere dentro i miei occhi come se fossero porte aperte? arrivando nelle profondità del mio corpo, dove sto diventando ghiacciato. Senza un'anima il mio spirito sta dormendo in qualche luogo freddo fino a che non la ritroverai e la riporterai a casa. Svegliami. Svegliami dentro. Non riesco a svegliarmi. Salvami. Chiama il mio nome e salvami dalle tenebre. Svegliami. Ordina al mio sangue di scorrere. Non riesco a svegliarmi. Prima che io venga distrutto. Salvami. Salvami dal nulla che sto diventando. Ora che so cosa mi manca non puoi lasciarmi. Respira in me e rendimi vero Riportami in vita. Ho vissuto nella menzogna, non c'era niente dentro…Riportami in vita…

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Capitolo 15
*** gli angeli di Ben ***


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Gli angeli di Ben

Era una stupenda domenica di sole quando le note di ‘One love’ di Tom Beck si diffusero per il lussuoso appartamento di Ben, annunciando l’alba di un nuovo giorno.
Erano passati quasi tre mesi da quando Ben era stato rapito e rinchiuso nel carcere di Colonia.
Il ragazzo aveva riacquistato la memoria quasi completamente, aveva ancora qualche vuoto, ma ormai era solo questione di tempo.
Il farmaco che il dottor Erger gli aveva iniettato in carcere la sera in cui arrivò, aveva avuto su di lui solo conseguenze di tipo mnemonico.

Quel giorno assieme a Livyana Ben aveva deciso di andare a trovare dopo l’infermiera che lo aveva aiutato ad evadere dal carcere, un altro ‘vecchio’ amico.
Mentre si preparava Ben ripensò alla recente visita che aveva fatto la settimana prima proprio a Flammy Hamilton, nome che aveva scoperto grazie ovviamente all’aiuto di Semir e di Susanne che gli aveva anche fornito l’indirizzo per andare a trovarla.
L’infermiera Hamilton abitava a pochi passi dalla stazione dei treni di Colonia in una graziosa casetta.
Attorno un piccolo giardino con uno scivolo e un’altalena penzolante dal ramo di un albero.
Ben si recò da lei un sabato pomeriggio.
Stava per suonare il campanello quando due bambini, un maschietto e una femminuccia uscirono dalla porta di casa.
“Dai facciamo un pagliaccio di neve” propose il maschietto.
“Semmai sarà un pupazzo!” lo ragguagliò la femminuccia.
“Le solite ‘donnine’ saccenti e puntigliose” pensò divertito Ben.
“Bambini, mi raccomando, se sentite freddo o vi bagnate tornate dentro a cambiarvi, stasera è il compleanno di papà, mi spiacerebbe dover restare a casa con un vostro mega raffreddore invece di andare a cena tutti insieme…”
La ragazza si bloccò, avvicinandosi al cancelletto “Ma lei è…” domandò titubante.
“Salve...mi chiamo Ben, Ben Jager” si presentò il giovane ispettore porgendole la mano.
L’infermiera aprì il cancello e stringendo la mano rispose “Piacere sono Flammy Hamilton. Mi deve scusare, ma c’è voluto qualche secondo per riconoscerla, senza i cerotti, la barba appena accennata…poi ho visto gli occhi, difficile dimenticarli”
Ben arrossì un po’.
L’infermiera lo notò “Ispettore vero?” chiese per toglierlo da quel momentaneo imbarazzo.
“Sì della polizia autostradale” asserì lui.
“Già, dovevo arrivarci subito, lei sapeva come muoversi per quei corridoi, altro che MacGyver”
“A proposito, adesso so chi è” replicò sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi.
L’infermiera lo guardò, in carcere non lo aveva mai visto sorridere, sicuramente un’arma ‘micidiale’ per ogni individuo di sesso femminile.
“Senta perché non entra in casa? Le offro una cioccolata calda, con questa neve…”
“Non vorrei disturbare…” tergiversò il giovane.
“Non si preoccupi, i bambini poi quando rientreranno la vorranno”
“Sono i suoi immagino, la sentivo prima parlare con loro mentre scendevo dall’auto”
“Sì” rispose orgogliosa.
Ben entrando in casa non poté non notare una stupenda foto che ritraeva la donna nel giorno del suo matrimonio appesa ad una parete dell’entrata. Entrambi gli sposi avevano in braccio un bambino.
“Che foto stupenda” esordì Ben per rompere un po’ il ghiaccio.
“Sì, io e mio marito ci siamo sposati dopo la nascita dei gemelli...lei è?” lasciando volutamente in sospeso la frase.
“No, non ancora, ma chissà forse un giorno, sa...mi sono ricordato di avere una fidanzata, una ‘quasi’ figlia e una famiglia ‘allargata’ meravigliosa”
“Che ne dici se ci diamo del tu?” propose l’infermiera “Insomma mi hai salvato la vita…”
“Beh anche tu l’hai salvata a me…” replicò il ragazzo.
Ben passò un paio d’ore in compagnia della donna, raccontandole di Livyana, di Elise e di Semir, il collega, ma soprattutto l’amico che non si sarebbe mai rassegnato all’idea di perderlo.
Poi venne il momento di far rientro a casa.
“Spero di rivederti, magari con la tua famiglia, torna a trovarmi quando vuoi”
“Certo e grazie ancora” replicò Ben uscendo da cancelletto.
Durante il tragitto continuava a pensare a ciò che gli aveva detto Flammy.
“Sei una persona speciale e questo ti rende anche ‘fortunato’, sei circondato da persone che ti vogliono bene. Posso giurarti che non dimenticherò mai che, rischiando la tua vita, hai salvato la mia da quell’aggressione in carcere, come non dimenticherò mai il volto del tuo collega quando seppe di te. Sarà difficile che dimentichi l’espressione che gli si stampò in viso quando gli dissi che avevi perso la memoria ed eri stato picchiato. Ciò che vi lega va oltre il limite della ragione, della logica, ciò che vi unisce è qualcosa di speciale ed indissolubile”

“Sarà felice di vederci il signor Heineken?” chiese Livyana riportandolo alla realtà “Ehi Ben? Mi stai ascoltando?”
“Sì, sì…penso di sì…o almeno credo…anzi sono sicuro che gli piacerà sapere che sono vivo e adesso so chi sono. Semir mi disse che era preoccupato quanto lui, anche se ne dubito, questa volta Semir ha rischiato davvero di morire di crepacuore”
“Gli porterai anche la tuta…quella che ti aveva prestato? Mi ricordo che facesti il diavolo a quattro con il personale medico, anche se tutta tagliata non volevi che la buttassero… ”
“Sì anche se purtroppo è decisamente rovinata, ma gli farà piacere riaverla o almeno vedere che ho mantenuto la promessa che gliela avrei restituita, era del figlio, gliene porterò anche una nuova di zecca della sua taglia e anche un paio di scarpe, mi prestò anche quelle, purtroppo le sue sono andate. Sai mi ricorda molto Otto…tu non lo hai conosciuto, era un collega speciale, come Isaac mi ripescò da un lago in cui ero precipitato…e morì per salvare la mia vita” Ben si rattristò a quel pensiero.
“Vabbè dai parliamo d’altro, oggi deve essere una bella giornata spensierata” concluse sospirando.
“Senti perché non hai chiesto anche ad Elise di venire con noi?” chiese maliziosa Livyana.
“Scusa…perché???” tergiversò Ben.
“Strano…vedo che tra voi due…insomma non sono fatti miei, ma mi sembra che…anche prima che tu perdessi la memoria…”
“Possiamo parlare d’altro?” propose Ben visibilmente imbarazzato.
“Ah…quindi è vero…tu e lei…” incalzò la ragazzina.
“Se anche fosse…” cercò di ribattere Ben, ma venne interrotto da un’imperterrita Livyana.
“Lo è!”
“Beh se anche fosse” ribatté sorridendo “Non sono fatti tuoi”
“Wow le farò da damigella…” esultò la ragazzina.
“Piantala Livyana” scherzò Ben facendo il finto arrabbiato e scompigliandole i capelli.
 “Ok, ma ti avverto che lo prendo come un sì”

Un paio d’ore dopo Ben bussò alla porta della piccola casetta in legno di Isaac Heineken.
“Chi è?” chiese una voce all’interno.
Ben stava per rispondergli chi era, ma al vecchio quel nome forse non gli avrebbe detto nulla.
Lo smemorato di Colonia” rispose con un sorriso sulle labbra.
Livyana lo guardò storto “Vedrai lui capirà” le disse piano.
Subito dopo si aprì l’uscio.
“Ragazzo, che piacere vederti…e questa bella ragazzina chi è?” chiese quasi euforico il vecchio. Rivedere il ragazzo era veramente una bella sorpresa.
“Questa è Livyana, la ‘mia’ bambina” la presentò orgoglioso Ben “E io sono…”
Stava per dire il suo nome quando Isaac lo anticipò.
“Ben Jager ispettore capo della polizia autostradale di Colonia” sciolinò il vecchio.
“Esatto e lei come ne è venuto a conoscenza?” chiese stupito Ben “Aspetti Semir…sicuramente quando venne in cerca di me…” continuò schioccando le dita, ma fu interrotto dal signor Heineken.
“Diciamo che sono un po’ tornato a comunicare con il mondo esterno, ero in pena per te, quindi ogni giorno andavo a prendere il giornale”
“Ottimo, la Passat quindi…” si sincerò il ragazzo.
“Cammina ancora” asserì Isaac “Comunque giustamente come hai detto tu il tuo collega, l’ispettore Gerkhan, quando venne qui, mi disse il tuo nome” poi aggrottando un po’ la fronte continuò “Quindi lo vedesti anche tu dalla collina”
“Sì, purtroppo non sapendo chi era, ho preferito scappare, dopo essermi sincerato che non le avrebbe fatto nulla…se mi avesse trovato in casa, magari mi sarei risparmiato una pallottola sul fianco e molto altro” sentenziò Ben.
“Già…quel giorno lui mi disse chi eri, ma tu eri già andato via. Io l’ho sempre saputo, o meglio erano i tuoi occhi, le tue parole a dirmi che potevo fidarmi di te, che in fondo eri una brava persona…”
“Sa a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se le avessi detto che mi avevano fatto credere di essere l’assassino di suo figlio…”
“Quel pensiero ti tormentava allora, e mi sembra ancora adesso” replicò bonario il medico.
“Le assicuro che per me è stato un incubo…un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi…”
“Posso immaginarlo, nel sonno spesso ti ho sentito piangere, ma comunque è stato meglio così lasciandomi all’oscuro della tua ‘presunta’ identità non hai solo salvato la tua vita, ma anche la mia, avrei potuto commettere l’errore più grande della mia vita”
“Lo sa che è morto?” chiese Ben diventando di colpo serissimo.
“Sì mi hanno informato, forse dovrei dire che mi dispiace…in fondo anche se un assassino Winterberg era sempre un essere umano” replicò triste il medico.
Ben accennò un sorriso “Sa conoscendola credo che…insomma se le avessi detto chi credevo di essere, mi avrebbe cacciato, ma non avrebbe fatto mai niente da doversene pentire per il resto della vita”
“Chissà, ma ora ci penserà qualcun altro a giudicarlo” sentenziò Isaac alzando il dito indice al cielo.
“Creda a me, signor Heineken lei è una brava persona”
“Comunque alcuni giorni dopo tra i ricordi di mio figlio ho trovato…ma entrate su…stiamo parlando sulla porta…”
Isaac fece accomodare i suoi ospiti in casa, da un cassetto tirò fuori una foto che ritraeva Ben, Semir e alcune giovani reclute.
“Tieni guarda se riconosci qualcuno” disse porgendogli una foto.
“Ma quello sei tu…e anche zio Semir…che giovani” intervenne Livyana.
“Non è di molti anni fa, Ben è sempre lo stesso, forse i capelli sono più corti” replicò divertito il medico rivolgendosi alla ragazzina.
“Suo figlio ha fatto il corso di guida sicura con me…non lo sapevo…”  Ben era sbigottito.
“Mio figlio mi parlò di quel corso, di te e dell’ispettore Gerkhan…voleva avere la fortuna di trovare un collega per formare una coppia come la vostra…purtroppo…”
Ben non sapeva cosa dire, fortunatamente il vecchio cambiò discorso e guardando Livyana disse:
“Ti va di andare a fare un giro in barca? Però facciamo remare lui…”
“Certo che mi va signor Heineken” cinguettò lei.
“Isaac, chiamami Isaac…puoi darmi del tu se vuoi”
La giornata trascorse serena, Ben aveva anche portato il pranzo e i tre passarono ore piacevolissime.
Verso sera arrivò il momento di far ritorno a casa.
“Passate a trovarmi quando volete…e se vorrete potete venire a trascorrere anche qualche giorno qui, adesso le giornate si stanno allungando e qui attorno ci sono passeggiate bellissime in mezzo a posti incantevoli”
“Certo, verremo volentieri Isaac” rispose felice Livyana.
“Grazie di tutto” salutò Ben porgendogli la mano.
“E di cosa, te lo avevo detto che con quegl’occhi non potevi essere un delinquente, ma una persona speciale e adesso so che lo pensava anche mio figlio”
Ben abbracciò il vecchio, poi salì sulla Mercedes e insieme a Livyana fece ritorno a Colonia.
“Ben lo sai cosa penso?” esordì la ragazzina dopo qualche secondo.
“Dimmi” rispose curioso il giovane.
“Isaac sembra la versione maschile di Helga”
“Già anche io lo penso, chissà magari potremmo farli conoscere” sogghignò il ragazzo.

Il giorno dopo Semir passò a prendere Ben, finalmente riprendevano a lavorare fianco a fianco, la coppia d’oro della CID era tornata.
Il ragazzo lo aspettava sotto casa sua con quella solita aria scanzonata.
Appena lo vide Semir ebbe un tuffo al cuore, quanto gli era mancato il ‘vecchio’ Ben.
E ancora una volta si stupì nel vederlo così allegro; si chiese quanta forza di volontà avesse, paragonandolo ad un’Araba Fenice, il ragazzo riusciva sempre a rinascere dalle sue stesse ceneri;
Semir in quel momento non si capacitava, con tutto quello che gli era capitato Ben era uscito da quell’incubo più forte di prima.
“Ciao socio, posso salire?” chiese Ben aprendo la portiera sfoderando il suo solito magnifico sorriso.
“Sì certo, altrimenti saresti capace di sfondarmi il vetro” ripose con faccia seria Semir, ma si vedeva lontano un miglio che stava scherzando.
“Ed dai socio ti ho già detto che mi dispiace…mica te la sarai presa? Dai non ero io…” fece con fare da cucciolo smarrito Ben sbattendo in maniera civettuola gli occhi.
“Ah proposito, mi devi ancora 47 euro e spiccioli…” gli rammentò Semir “Anzi facciamo 50 conto tondo ci sono anche le monetine che stavano nel cassettino dell’auto”
“Sì scusa, mi farò perdonare…però devi essere sincero, non ti ho fatto cadere di peso facendoti sbattere la testa quando ti ho tramortito…” stava per continuare il discorso, ma venne anticipato da Semir.
“Non avevo dubbi in merito, l’amnesia ti aveva privato dei ricordi, ma eri sempre il ‘solito’ Ben”
Semir avrebbe voluto dire ‘il mio ragazzo’, ma preferì lasciar perdere, non voleva che i discorsi si incanalassero su un binario troppo serio.
Ma Ben aveva l’impellente bisogno di togliersi un peso.
“Aspetta lasciami finire” si fece serio il giovane salendo sull’auto e chiudendo la portiera “Scusami se ti ho puntato la pistola contro, so cosa significa…e so anche quanto ti arrabbiasti quella volta, mi ripromisi di non farlo più invece…”
Ben si stava riferendo a quell’episodio che vide suo padre Konrad accusato di omicidio. Semir per evitare che scappasse puntò la pistola contro l’imprenditore e Ben, arrivato anche lui sul posto si sentì quasi costretto a puntare l’arma contro l’amico. I due vennero quasi alle mani e in seguito, se Ben non fosse tempestivamente intervenuto Semir sarebbe morto carbonizzato.
“Ehi ragazzo” questa volta Semir non riuscì a trattenersi “Non mi hai sparato cosa che invece ho fatto io e più di una volta”
“Beh questo non è vero, ti ho sparato ai piedi e se l’agente non mi avesse fermato chissà come sarebbe finita…”
Ben si sentiva come sempre in colpa e Semir non voleva che il collega vivesse con quel peso addosso.
“Hai cercato di spaventarmi, volevi che me ne andassi, sono sicuro che mai lo avresti fatto…perché…” Semir cercò con cura le parole “Perché una parte di me era, è e resterà sempre con te”
“Astuto mi stai scagionando usando le parole della canzone che ho scritto per te” sogghignò Ben.
“Quello che hai scritto ricalca la realtà, socio” sentenziò il piccolo ispettore.
“Comunque se alla stazione di sevizio non mi avessi sparato per fermarmi sarei scappato…” ribatté deciso Ben “Non avrei più una vita, una memoria, una famiglia, un lavoro che malgrado tutto amo e un amico sincero e leale come te”
Semir sentì prepotenti salire le lacrime, quel ragazzo era veramente incredibile, aveva una scusante per tutto, ma non per se stesso. Di seguito fece un profondo respiro, scrollando la testa. Aveva sempre desiderato un figlio maschio e in fondo forse qualcosa di simile lo aveva accanto a se in quel momento.
“Dai coraggio pigrone ci aspetta una giornata di asfalto e benzina”
Semir cercò di alleggerire l’atmosfera e Ben capì al volo, anche lui aveva voglia di metterci la classica pietra sopra.
“Sì basta fare gli sfaticati, meglio muoverci altrimenti la Kruger questo giro ci manda a dirigere il traffico in qualche isoletta sperduta nel mare del Nord” poi indeciso se allacciarsi la cintura di sicurezza o no propose: “Semir mi fai guidare la tua auto? Ma prima sposto il sedile, non sono un nanerottolo come te, cavoli quando sono salito…in velocità…a momenti mi spaccavo i denti con le mie stesse ginocchia”
“Spiritoso…comunque scordatelo di guidare la mia macchina…non se ne parla nemmeno…”
“Ed dai, tu hai guidato la mia…”
“NO!”
“Guarda stacco i fili…ci metto un secondo…”
“Guai a te se tocchi la mia auto…tieni giù quelle manacce…”
“Ahia!”
“Comando a Cobra 11” li interruppe Susanne attraverso la radio.
“Cobra 11? E che è?” rispose serio Ben prendendo il microfono.
“Come che è?” replicò la ragazza.
“Tranquilla” ribatté Semir con un sorrisone prendendo lui il microfono “Ben sta scherzando, il ragazzo è tornato!”
“Sì me ne sono accorta…comunque c’è stato un assalto ad un portavalori al chilometro 46 dell’A1 direzione Colonia”
“Ok Susanne, vado a salvare il mondo” rispose Semir “Vieni con me socio?”
“Certo come no, pitone 13 …” ma fu interrotto dal piccolo ispettore.
“Come pitone…” replicò il piccolo ispettore.
“Ah vipera…”
“Cobra, Cobra 11 !!!” ribadì Semir.
“Scusa…ho sbagliato rettile” ridacchiò Ben allacciando la cintura di sicurezza “Ho qualche vuoto di memoria ultimamente, prometto che me lo ricorderò…Cobra 11!”
FINE.

Angolino musicale e piccole note…e anche questa volta i nostri due ispettori, sono arrivati vivi alla fine della storia. Che poi detta tra noi non potrei mai ‘seppellire’ uno dei due, insomma mi diverto troppo a maltrattarli, uno in particolare, ma a quanto leggo nelle recensioni/messaggi privati la cosa non vi dispiace, anzi.Agatha Christie ‘eliminò’ Hercule Poirot, ma io non sono lei e almeno per ora non ho intenzione di accoppare nessuno dei due.  Una piccola pausa poi seguirà un’altra storia frutto di una sfida tra me e Maty (in anticipo chiedo già scusa…per accontentare lei ho dovuto fare una cosa per me inconcepibile…capirete e vi spiegherò in seguito…).
Ultima cosa Felix Winterberg è il nome del personaggio interpretato da Tom Beck nella serie ‘Einstein’.
Ringraziamenti:
Un grazie immenso a tutti i lettori e a coloro che hanno inserito questa storia in una delle liste.
Ai recensori che con le loro lunghissime, profonde, accurate e divertenti recensioni hanno dato vita inconsapevolmente a cinque capitoli che nella prima stesura manco c’erano… e mi hanno riempito di immeritati complimenti.
Grazie di cuore a Liviana, Elisa & Summer.
Grazie a Popsi e amarzenta.
Grazie a Maty mia stupenda Beta Reader, consigliera, grande Amica e molto altro.
A presto ChiaraBJ.
Vi lascio con l’ultima canzone…
Ben alla fine ha voluto ricordarsi di tutti i suoi angeli e la canzone che mi è subito balenata per la testa è stata questa…
Nickelback If today was your last day (se oggi fosse il tuo ultimo giorno)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=lrXIQQ8PeRs
Il mio migliore amico mi ha dato il miglior consiglio Ha detto ‘ogni giorno è un dono e un diritto’ Non lasciare nessuna pietra non smossa, lascia indietro le tue paure E cerca di prendere la strada meno battuta Quel primo passo che fai è il passo più lungo…Vale sempre la pena lottare per ciò che ha valore…Se oggi fosse il tuo ultimo giorno E domani fosse troppo tardi Diresti addio al ieri? Vivresti ogni momento come il tuo ultimo? Lasceresti le vecchie foto nel passato? Doneresti ogni centesimo che hai? Chiameresti vecchi amici che non vedi mai? Rievocheresti vecchi ricordi? Perdoneresti i tuoi nemici? Troveresti quella che sogni? Giureresti e spergiureresti a Dio lassù Che finalmente ti innamorerai? Se oggi fosse il tuo ultimo giorno Lasceresti il tuo segno curando un cuore spezzato? Sai che non è mai troppo tardi per dare il tuo massimo Indipendentemente da chi sei Perciò fai tutto ciò che è necessario Perché non puoi riavvolgere un momento in questa vita Non lasciare che niente si metta nella tua strada Perché le mani del tempo non sono mai dalla tua parte…

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