L’Oasi delle Meraviglie

di Dark Lady 88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Il sole era un occhio arancione che si specchiava al centro di un deserto senza fine. Era uno scenario surreale: le dune si rincorrevano a perdita d’occhio, immerse in una polvere dorata; l'aria era calda, bruciava nella gola ogni volta che l'uomo respirava.
Camminava senza sosta da giorni, ormai: aveva mani e piedi screpolati, le labbra aride, la gola arsa. E quell'occhio arancione, il suo unico punto di riferimento, fisso nel cielo, segnava il suo orizzonte. La sua era una presenza insopportabile: bruciava fisso ed immobile, senza accennare a muoversi.  Eppure l’uomo temeva il momento in cui il grande occhio arancione si sarebbe inabissato all’orizzonte: lo scendere della notte significava la scomparsa di ogni fonte di calore. L’aria, da insopportabilmente calda, si sarebbe fatta fredda e pungente, tanto che avrebbe potuto ucciderlo se non avesse avuto la tenda che si portava sulle spalle: ad ogni passo gli sembrava più pesante, e la tentazione di scrollarsela di dosso per sentirsi più leggero, anche solo di un grammo, era forte. Ma sapeva che se l’avesse fatto, non avrebbe avuto scampo.
Anche la borraccia che portava a tracolla era una presenza viva, un’altra tentazione che lo chiamava. Ma l’uomo sapeva che se avesse ceduto alle lusinghe dell’acqua, se avesse osato bagnare le proprie labbra secche, il suo corpo stanco non ne avrebbe giovato, prosciugando subito i pochi liquidi che gli rimanevano. Avrebbe dovuto attendere il freddo della notte per rifocillarsi.

Le polveri danzavano nell'aria cangiante del tramonto, assumendo tante sfumature di colore, quanti erano i pensieri che si rincorrevano nella sua mente. Lei lo osservava immobile, con lo sguardo privo di ogni emozione. In un primo momento pensò ad un miraggio: si confondeva nel paesaggio arancione con la pelliccia dello stesso colore. Anche le iridi erano arancioni, ma di una sfumatura più brillante, mentre le pupille, nere e ferine, scintillavano pericolose. La tigre sembrava sul punto di saltargli alla gola. L'uomo sollevò piano il fucile, senza staccare gli occhi da quelli dell'animale. La tigre lo ignorò. Non si mosse, mentre l'uomo avanzava. 
“E sia”, pensò lui, abbassando infine il fucile, “Se è così che devo morire, sarà questo il mio destino”.
Ma la tigre non gli saltò addosso. Nel momento in cui si trovarono l'uno di fronte all'altra, la bestia si alzò, fiera: "Ti stavo aspettando", sussurrò una voce nella testa dell'uomo. O forse era stato solo il fruscio dell'animale che si era mosso? Adesso la tigre gli dava le spalle. Voltò appena la testa, come per essere sicura che lui la seguisse. E lui la seguì. Non aveva altra scelta. La mappa con la quale aveva iniziato il viaggio era risultata inutile. La consultava ancora ogni notte, cercando di orientarsi con le stelle, prima di ritirarsi a dormire. Sceglieva con cura il percorso da seguire, ma durante il giorno perdeva le speranze. L'unica cosa che vedeva da una settimana era sabbia arancione, dune e dune di sabbia che si ripetevano all'infinito, segnando il suo cammino. Rivedeva la sabbia anche quando chiudeva gli occhi, nei suoi sogni. Percorreva lo stesso identico sentiero ogni giorno, scorgendo di tanto in tanto una vegetazione arida che tentava di prendere come punto di riferimento. 
Certo, lo avevano avvertito quando aveva deciso di intraprendere quell’avventura: nessuno era mai tornato indietro dal Grande Deserto.
“Qualcuno sarà certamente morto durante il cammino, ma altri sono giunti a destinazione. E per questo non sono tornati: una volta raggiunta l’Oasi, solo un pazzo desidererebbe lasciarla”.
Solo leggende, avevano ribattuto tutti: se nessuno è mai tornato indietro, chi lo sa cosa può esserci al di là del deserto? Chi lo sa cosa esiste oltre l’orizzonte conosciuto? Potrebbe esserci perfino il nulla, la fine del mondo, o l’inizio di un inferno senza fine dal quale è impossibile uscire. Se nessuno è mai tornato a casa per narrare di questa incredibile Oasi delle Meraviglie, come fai a sapere che esiste? Invenzioni, fantasie, sogni. Ecco cosa sosteneva la gente.
Di tanto in tanto, nel silenzio della sua tenda di notte, l’uomo sentiva il vento sussurrare attraverso le fessure; in quel sibilo sommesso, gli sembrava di sentire il pianto di sua madre, che si appellava agli dei: “Perché non mi avete dato un figlio normale? Un figlio devoto alla famiglia, alla preghiera, un brav’uomo in cerca di una brava donna e di nipotini per rallegrare la mia vecchiaia?”
Aveva tentato di farsi bastare il piccolo mondo nel quale era nato. La sua città era sporca ma piena di vita. Ne avrebbe conservato per sempre il ricordo: fango, bambini dai grandi occhi neri che allungavano la mano ai passanti, in cerca di cibo e di speranza; il chiacchiericcio delle donne al mercato, il profumo della carne e delle spezie, il richiamo dei venditori ambulanti. Il silenzio ammutolito della gente del popolo, al passaggio della famiglia reale: oro luccicante, la pelle bruna e lo sguardo serio dello sceicco, con le sue donne avvolte nelle sete colorate che lo seguivano con gli occhi bassi. Molti li invidiavano: quella ricchezza, la leggerezza di vivere senza la preoccupazione di portare a casa il pane, ogni giorno. Lui però era diverso: il palazzo reale gli sembrava una bellissima gabbia dorata, mentre lui sognava la libertà.
Lui sognava di giungere là, dove nessun uomo era mai stato prima: le leggende sull’Oasi delle Meraviglie ed i racconti sui terribili pericoli del Grande Deserto, erano l’unica cosa che gli accendeva il sangue nelle vene. Si era comportato da bravo figlio, osservando le regole degli dei, finché un giorno, essendo abbastanza grande, aveva deciso che era giunta l’ora di cercare la sua strada.
C’era una donna, nella sua vita. Una donna che lo amava e che avrebbe voluto sposarlo. Avrebbe reso felice la sua famiglia, scegliendo il percorso che i suoi genitori avevano tracciato per lui: ma ne sarebbe stato davvero appagato? Era quello il suo destino? Una vita felice, ricca di soddisfazione e sudore, fatica ma anche amore, la gioia di avere figli, accompagnarli nella crescita così come suo padre e sua madre avevano accompagnato lui. Gli sarebbe bastato? Sua madre gli ripeteva che non c’è mediocrità nella felicità. Che vivere una vita onesta, dà più gioia di qualsiasi conquista: saggio è colui che sa riconoscere la grandezza delle gioie semplici. Quello era l’insegnamento più grande che gli era stato donato dalla sua famiglia.
Eppure lui aveva scelto diversamente: “Il cammino mi chiama. Non posso essere felice sapendo che esistono ancora orizzonti inesplorati. Non posso dedicarmi a te come meriteresti se prima non affronto il mio destino. Mi rimarrebbe un dubbio, che mi roderebbe la mente come un tarlo per il resto dei miei giorni, e non sarei un buon marito. Andrò ai confini del mondo, ed entrerò nell’Oasi delle Meraviglie. Coglierò per te un fiore bagnato da quelle acque miracolose. Tornerò indietro: sarò io il primo uomo. Ti porterò quel fiore e finalmente ti sposerò”.
La donna aveva un’espressione scettica stampata in volto. Lo avrebbe aspettato davvero? Aveva gli occhi umidi ma non versò una lacrima: “Se davvero mi amassi, non partiresti”.
Lo lasciò andare rassegnata, con una promessa: non lo avrebbe aspettato.
“Tornerò lo stesso”, gridò lui alla porta chiusa.
Non seppe mai se lei lo avesse sentito.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Il sole era tramontato, la luce arancione aveva lasciato il posto all’azzurro della sera ed infine al buio. L’uomo aveva acceso un fuoco, mangiato quel poco che gli restava delle provviste con le quali si era incamminato, ed aperto la mappa per fare il punto della situazione. La tigre era rimasta in silenzio, poco lontana da lui, ad osservarlo attraverso le fiamme.
“A domani”, aveva sussurrato più a se stesso che a lei prima di ritirarsi nella tenda.
Il giorno dopo la tigre era ancora lì, nella stessa posizione nella quale l’aveva lasciata, vigile. Poteva sembrare che non si fosse mossa affatto, ma come scoprì una volta uscito dalla tenda, la bestia vegliava davvero su di lui. Trovò ai suoi piedi la carcassa di un piccolo animale: carne fresca che gli avrebbe salvato la vita. La tigre aveva cacciato per lui, durante la notte.
Forse era davvero quello il suo destino: gli dei desideravano che trovasse l’oasi. La gente del suo popolo si era sbagliata, e le lacrime di sua madre erano state vane.
Camminarono così per altri giorni: la tigre lo precedeva di una decina di passi, di tanto in tanto confondendosi tra le dune del deserto, ma riaffiorando dalla sabbia prima che l’uomo si abbandonasse al panico di averla persa. L’animale non si avvicinò mai al suo compagno umano, se non in un’occasione: stremato, l’uomo non stava più attento a dove metteva i piedi; la tigre si lanciò in un balzo, e lui fece appena in tempo a scansarsi, terrorizzato. Poi si accorse che la bestia aveva appoggiato la zampa possente su un serpente che si contorceva furioso: una vipera gialla che si era mimetizzata nella sabbia. La tigre spezzò il collo del serpente tra le fauci, scrollando la testa con un colpo secco. Aspettò quindi che l’uomo si rimettesse in piedi per proseguire il viaggio: ancora una volta lo aveva salvato.
 
Non sapeva quanto tempo era passato: fatto sta che l’uomo e la tigre erano ormai compagni inseparabili, tanto che lui non avrebbe potuto immaginare di proseguire il suo cammino da solo. Controllava ancora la mappa, per scrupolo. Scrutava il cielo ogni notte, studiando le stelle per orientarsi e cominciava a riconoscere i segni giusti: oltrepassato il Grande Teschio Rosso – un’enorme roccia arenaria dall’inquietante forma di teschio umano – mancava poco alla meta. Era quasi giunto nelle terre mai esplorate dall’uomo, e quindi la mappa poteva portarlo solo fino ad un certo punto. Dopodiché, sarebbe stato totalmente in balia di se stesso, e della tigre. Ormai l’uomo si fidava ciecamente dell’animale, convinto che fosse una guida inviatogli dagli dei.
Giunsero quindi al confine del mondo conosciuto, e la sabbia lasciò il posto ad un terriccio arido, di colore rosso. Soffiava un vento caldo, sollevando la polvere che gli offuscava la vista. La tigre era una sagoma scura nell’orizzonte di fuoco. Passarono altri giorni, e l’uomo non aveva più né cibo né acqua con cui rifocillarsi. La tigre continuava a cacciare durante la notte, portando al compagno delle piccole prede, che lui puliva e spezzava in due, in modo che anche lei potesse nutrirsi. Ma ormai i suoi piedi non lo reggevano più; costretto ad appoggiarsi all’animale, i due compagni avanzavano in quell’inferno senza fine.
Fu proprio quando cominciava a perdere le speranze, che la tigre si fermò. L’uomo sollevò piano la testa ed il suo cuore ebbe un sussulto: la terra davanti a lui non era più arida, ma viva. Terriccio marrone, cosparso da erba leggera, umidità nell’aria. L’acqua era vicina. Si vergognò dei suoi pensieri: erano giorni che aveva cominciato a pentirsi di essere partito, di non essersi accontentato di quella vita semplice ma felice, di quella donna che lo amava, di quella promessa di una vecchiaia serena.
La tigre lo lasciò scivolare a terra e ricominciò ad avanzare con passo lento.
Aspettami, avrebbe voluto gridarle l’uomo, ma dalla gola non uscì che un verso strozzato. Sollevò una mano per intimarle di aspettare, ma la tigre lo ignorò.
“E’ tempo che ti rialzi e concluda il tuo cammino, uomo”, sembrava dirle il fiero animale.
Ma l’uomo non riusciva ad alzarsi. Prese a strisciare, nel tentativo disperato di mantenere il passo della tigre. Lei però aveva preso a correre, sempre più veloce. Gattonando come un bambino, l’uomo la seguiva, finché la vegetazione, che si faceva sempre più fitta, non la inghiottì.
Allora l’uomo si aggrappò ai rami e ai tronchi delle palme, riuscendo a malapena a reggersi in piedi. Esausto, seguì passo passo il percorso della tigre ed infine raggiunse la sua meta.
Sentì lo scrosciare dell’acqua: seguì quel rumore, finché giunse alla cascata. Qui, nella luce che si rifletteva intensa, si stagliava una figura, che inizialmente gli sembrò la sagoma della sua compagna tigre. Poi, mano a mano che si avvicinava, riconobbe una donna. Lei uscì dall’acqua e gli sorrise: gli occhi illuminati dal sole sembravano gialli, come quelli dell’animale che lo aveva accompagnato fin lì… poi la donna si fermò all’ombra di una palma e le iridi divennero scure.
“Te l’avevo detto che non ti avrei aspettato”, gli disse.
Lui annuì, sentendosi improvvisamente uno sciocco. Le gambe cedettero, e la donna – la donna che lo aveva amato da sempre – lo sostenne, accompagnandolo alla cascata. L’uomo si immerse nelle acque fresche e rigeneranti. Bevve avidamente, sentendo finalmente il suo corpo che si scrollava di dosso tutta la stanchezza e la calura di quei giorni infernali.
Lei gli teneva ancora le mani: era come se non le avesse mai lasciate, per tutto quel tempo. Quando lui riemerse, insieme si guardarono attorno.
La bellezza di quel luogo era indescrivibile: da lì sembrava nascere ogni forma di vita conosciuta e sconosciuta, lì tutto cominciava e tutto finiva.
Mano nella mano, l’uomo e la donna uscirono dalla sorgente, guardandosi intorno. Nei giorni seguenti incontrarono altra gente: viaggiatori che, come loro, si erano incamminati alla ricerca dell’Oasi delle Meraviglie. Tutti vivevano in pace, come se si conoscessero e si amassero da una vita; gli animali scorrazzavano liberi e senza paura, perché gli uomini non sentivano la fame e non avevano bisogno di cacciarli.
L’uomo e la donna esplorarono l’oasi in lungo ed in largo, chiedendo alla gente: “Fin dove si estende questo posto paradiso?”, “Fin dove arriva lo sguardo ed oltre”, rispondevano tutti.
Finché non incontrarono il vecchio dalla lunga barba bianca. Aveva la pelle color cuoio, gli occhi chiari circondati da una ragnatela di piccole rughe. Teneva i piedi a mollo nella sorgente, che sembrava infinita.
“Fin dove si estende questo posto paradiso?”, chiese ancora una volta l’uomo.
Stava cominciando a crederci davvero, che l’Oasi non avesse fine. Che quella felicità sarebbe durata per sempre.
“Ci sarà sempre un nuovo confine da valicare, una nuova terra da scoprire, altri orizzonti da esplorare”, rispose il vecchio “per chi li cercherà”.
Alzò una mano ed indicò un punto in lontananza, dove il sole sorgeva come un occhio arancione all’orizzonte.

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