The Sound of Dreams

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** Benvenuti a Vienna ***
Capitolo 4: *** Parliamoci chiaro ***
Capitolo 5: *** Prove ***
Capitolo 6: *** Concerto ***
Capitolo 7: *** Dolci risvegli ***
Capitolo 8: *** Giro turistico ***
Capitolo 9: *** Prime valutazioni ***
Capitolo 10: *** Lettere ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 13: *** Altre partenze ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



The Sound of Dreams



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La musica! Una magia al di là di tutto ciò che facciamo
 - Albus Silente


Prologo


15 Agosto 2017


Londra era illuminata da una luce inusuale, se paragonata all clima rigido e al cielo grigio e nuvoloso al quale i londinesi erano ormai abituati.


Non c’era quindi da stupirsi, se le strade della capitale erano gremite di turisti e di residenti che si godevano quella giornata soleggiata e calda… eppure sembrava che non tutti volessero approfittare del bel tempo: a Portobello Road una ragazza era chiusa nella sua camera, gli occhi fissi su uno spartito e il suo più vecchio amico, il suo violino, stretto in mano.


La finestra era aperta, lasciando alla luce e al lieve tepore di entrare nella stanza… e allo stesso tempo alla musica di uscire, giungendo alle orecchie dei passanti per il quartiere della città.


Le note prodotte dallo sfregamento dell’archetto sulle corde del violino erano senza dubbio familiari a chiunque le udisse, tanto il brano era famoso… l’unica a quasi non sentire quelle note rapidissime era la stessa violinista, troppo concentrata sullo spartito per sentire la melodia che lei stessa stava producendo.


Inclinò leggermente il capo, appoggiando meglio il violino sull’incavo del collo e stringendo al contempo la presa sull’archetto: le dita le facevano male, e anche la spalla… ma doveva finire il pezzo, non si sarebbe fermata per niente al mondo.

Le note dell’Estate, in particolare dell’ultimo frammento della Tempesta, scivolavano fuori dal violino mentre la giovane suonatrice le mimava quasi senza rendersene conto con le labbra, suonando il pezzo per forse la centesima volta.


Eppure, non era ancora convinta… e l’Estate continuava a risuonare dentro quella stanza, ancora e ancora.

Di certo l’indomani si sarebbe svegliata con un torcicollo in piena regola, ma non le importava: le note s’infrangevano sulle pareti della stanza o uscivano dalla finestra aperta ormai da ore, e non aveva il tempo di fermarsi: lo spartito non gliene dava modo, e nemmeno la sua acuta determinazione.

La Tempesta non aspettava che la mano smettesse di farle male per lo sforzo di produrre suoni puramente perfetti… e anche se ci avrebbe messo giorni, ci sarebbe arrivata, lo sapeva.


Più veloce, più piano, più adagio, più decisa… ancora e ancora, finché non le sembrò di sentire le note rimbombarle nella testa, anche senza suonare.

Le faceva male il polso a furia di inclinare l’archetto, ma sentiva quasi di non avere il tempo di riposarsi: in fin dei conti mancavano solo due settimane… il 1° Settembre avrebbe lasciato l’Inghilterra in compagnia del suo violino, non aveva tempo o voglia di prendersi una pausa.


Da quando aveva saputo di aver superato le selezioni preliminari, una settimana prima, non aveva praticamente smesso di suonare neanche per un attimo: Vienna non aspettava… e nemmeno le rapide note dell’Estate lo facevano, inghiottendo lei stessa e la stanza in un vortice di suoni che le impedivano di pensare a qualunque altra cosa.


Quello era il suo sogno da anni, dopotutto… e non aveva nessuna intenzione di lasciarselo sfuggire tra le dita, non quando era così vicina dal stringerlo.









……………………………………………………………………………………………

Angolo Autrice:


Buon salve!

Prima di tutto, tengo a sottolineare una cosa: se per caso qualcuno che sta leggendo si era iscritto o aveva anche solo letto la storia di Slytherin2806 “House of Memories”, donde evitare accuse di “plagio” o di aver “rubato l’idea”, sappiate che la sopracitata autrice mi ha dato il benestare per inziare questa storia.


Detto ciò, eccomi con un’altra Interattiva, incentrata su un tema dove non mi ero ancora cimentata… Spero di fare un bel lavoro e che il Prologo vi sia piaciuto, anche se breve.


Regole per partecipare:


  • Se siete interessati, recensite il Prologo sottolineando il numero di OC che intendete propormi, età, strumento che suona, sesso e nazionalità
  • Massimo 2 OC a testa, ma devono essere di nazionalità differenti

  • Siate coerenti con la nazionalità che scegliete… e intendo anche i nomi: nessun studente di Hogwarts con nomi come Mario, per favore

  • L’età degli OC deve essere compresa tra i 19 e i 25 anni

  • Come ho già scritto nell’Introduzione, gli OC possono provenire dalle tre scuole europee… non mandatemi tutti Corvonero e Serpeverde, per favore.

  • Mandate le schede dopo la mia conferma, avete tempo di mandarmi fino alle 19 del 19, e se le inviate dopo questa scadenza non verranno considerate

  • Ultima, ma probabilmente una tra le più importanti: se sparite per tre capitoli di seguito o non rispondete ripetutamente a mie eventuali domande il vostro OC verrà eliminato dalla storia. E vi assicuro che tengo fede a questo punto, non lo dico tanto per dire.



Prima di mettere la scheda, faccio una precisazione per quanto riguarda gli strumenti.

Potete scegliere tra:

  • Pianoforte

  • Violino

  • Flauto traverso

  • Clarinetto


Vi chiedo inoltre di dare un’occhiata alle recensioni, priva di lasciare la vostra, per evitare di ricevere tutti ex studenti di Hogwarts che suonano il piano… lo dico anche nel vostro interesse, perché di certo non sceglierò tutti OC con stessa nazionalità e stesso strumento.

Nella scheda dovrete anche indicarmi due o tre brani che il vostro personaggio presenterà al concorso… non vi metto paletti sui compositori, avete libera scelta su questo punto.


Ecco la scheda da compilare: (tutti i punti sono obbligatori, eccetto per quelli con l’*)


Nome:

Secondo nome:*

Soprannome:*

Età:*

Nazionalità:

Ex Scuola:

Ex Casa:

Aspetto:

Prestavolto:

Descrizione psicologica:

Strumento:

Brani:

Che cosa fa nella vita, oltre a suonare?

Famiglia:

Passioni/talenti:

Fobie/debolezze:

Amicizie/Inamicizie:

Bacchetta:

Descrivere brevemente il suo percorso a scuola:

Perché vuole vincere?

Relazione:

Patronus:*

Molliccio:*

Amortentia:*

Animale:* (accetto di tutto, anche creature magiche)

Altro:*


Infine, ecco la mia OC:


Rebecca Anne Crawley, inglese, ex Serpeverde, Violinista, 21 anni

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Non mi sembra di avere altro da sottolineare, quindi dopo questo Angolo Autrice praticamente infinito vi saluto… spero che parteciperete in tanti!


Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Scelta OC ***


Scelta OC   
  
1º Settembre
   
       
Le Passaporte si sono attivate, dovrebbero arrivare tutti entro un'ora.” 
     
“Lo spero. Ma non tutti vengono qui con le Passaporte, ormai lo sappiamo bene.” 
 

Alexander Koller alzò lo sguardo sulla donna che era seduta davanti a lui, oltre la sua scrivania. L'ex compagna di scuola e pianista gli rivolse un lieve sorriso, ricordando i tanti ritardatari che entrambi avevano visto nel corso degli anni, arrivati tardi al primo incontro a causa di treni, metropolitana o aerei.

“Ad ognuno il suo modo preferito di muoversi Alex, molti di noi usano mezzi Babbani... solo perché tu hai paura di prendere l'aereo non vuol dire che siano tutti come te.” 

Il direttore d’orchestra fulminò la donna con lo sguardo, che sorrise angelicamente mentre impilava con nonchalance il plico di fascicoli dei ragazzi che stavano aspettando, i partecipanti all’edizione di quell'anno. 

“Evita di ricordarmelo ogni anno, Christina. È successo dieci anni fa! E comunque... sai che odio i ritardi, quindi spero per loro che siano tutti nella hall alle 15, come avevamo stabilito.” 

“Non terrorizzarli al primo giorno, però. Lasciali vivere nella loro beatitudine almeno, che so, fino a domani sera.” 
  
Koller si alzò dalla sedia ma Christina non si mosse, ormai abituata all’incapacità del collega di stare fermo per dieci minuti... lo seguì con lo sguardo, osservandolo avvicinarsi alla finestra per scrutare una Vienna illuminata dal sole del primo pomeriggio.  
Non lo poteva vedere in faccia, ma sapeva per certo che stava sorridendo leggermente, gli occhi chiarissimi luccicanti di divertimento: 
   
“Facciamo fino a stasera... poverini, si sentono già arrivati al traguardo. Non hanno idea che la fatica comincia ora che sono qui.”  
  
    

 


 



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Salve! 
In genere non pubblico una semplice “lista” degli OC scelti ma scrivo anche una loro piccola presentazione nel primo capitolo... tuttavia temo di averci messo un po’ a decidermi al 100% con questi benedetti personaggi e non volendo farvi aspettare altri due giorni ho deciso di aggiornare oggi ugualmente, anche senza aver scritto nulla.  

Grazie ovviamente a tutti per esservi iscritti, mi ha fatto davvero piacere tanto interesse... A chi invece non mi ha mandato le schede, perché come sempre con qualcuno è successo, consiglio di quanto meno avvisare la prossima volta.  

Mi spiace per chi non è stato scelto, ma ho ricevuto una trentina di schede e ho dovuto scartarne non poche per forza... alcuni mi piacevano ma non mi convincevano del tutto, e preferisco non scegliere OC di cui non sono proprio sicurissima piuttosto che metterli in un angolo durante la stesura della storia.
 
  
Ecco gli OC scelti:

 
Eleanor Isabelle Hall, 21 anni, ex Tassorosso, Pianista
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Maya Eva Von der Brelje, 20 anni, ex allieva di Durmstrang, clarinettista

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Cal Jordan, 22 anni, ex allieva di Durmstrang, pianista 
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Irina Kathrina Volkova, 19 anni, ex allieva di Durmstrang, clarinettista 
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Helene Anouk Bergsma, 19 anni, ex allieva di Beauxbatons, flautista 
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Gaetana Pontmercy, 19 anni, ex allieva di Beauxbatons, flautista 

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Gabriel Morgan Undersee, 19 anni, ex Corvonero, violinista 
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Emil Bach, 22 anni, ex Tassorosso, violinista 
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Lysandre Zacharie Chevalier, 24 anni, ex allievo di Beauxbatons, flautista
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Sebastien Philippe Lacroix, 23 anni, ex allievo di Beauxbatons, pianista 

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Pawel Juraszek, 20 anni, ex allievo di Durmstrang, violinista
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Ivan Petrov, 21 anni, ex allievo di Durmstrang, pianista 

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Inoltre, vi prego già da ora di non sparire per non farmi fare una mezza carneficina, per chi è stato scelto.

Una piccola nota, prima di chiudere: ora, non so se chiunque sia stato stia leggendo ovviamente, ma se così fosse consiglierei a chiunque ha segnalato questa storia per plagio di LEGGERE la storia che si ha intenzione di segnalare prima di farlo... Si dia il caso che io non abbia mai negato di aver preso ispirazione da un’altra storia, e l'ho chiaramente scritto nel Prologo. 
Ultima cosa... domandina! Si, comincio già a disturbarvi: come arriva il vostro OC a Vienna?
Detto ciò, ci sentiamo in settimana con il primo capitolo! 

 
Signorina Granger 

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Capitolo 3
*** Benvenuti a Vienna ***


Capitolo 1: Benvenuti a Vienna 

 
San Pietroburgo, 1º Settembre


Scese le scale in fretta, con la valigia che svolazzava a mezz'aria dietro di lui.
Ivan lanciò un’occhiata all’orologio, sollevato di essere in perfetto orario... o almeno fino a quel momento, era praticamente pronto per andare.

Quasi, però: c'era ancora una cosa che mancava...

Il giovane pianista lasciò che il suo bagaglio planasse accanto a lui, sul pavimento del salotto... e si voltò quasi con un gesto automatico verso il pianoforte a coda posto davanti alla libreria, il suo più vecchio amico.

Il ragazzo sospirò leggermente, guardando quasi con aria esasperata il gatto maculato che si era accucciato, come al solito, sopra il suo prezioso strumento. 

“Che cosa ci fai lì? Dobbiamo andare!” 

Ivan si avvicinò al suo gatto, appellando al contempo la sua gabbia con tutta l'intenzione di infilarci Sergej dentro, ma il felino sembrò intuire cosa stesse pensando il padrone e finì con soffiargli contro con irritazione.

“Non fare storie! Puoi venire con me, ma devi stare qui dentro per un po’. Non fare lo schizzinoso.” 

Senza tanti preamboli il ragazzo allungò la mano sul gatto del Bengala, che lo guardò con gli occhi verdissimi lampeggianti di minacce mentre cercava di dimenarsi. 
Ormai però Ivan ci era abituato e infilò il micio nella gabbia, sorridendogli quasi con aria beffarda:

“Scusa. A breve sarai libero di gironzolare come fai sempre, vedrai.”

Probabilmente se avesse potuto parlare Sergej lo avrebbe preso a parolacce a giudicare dal suo sguardo torvo, ma Ivan non ebbe tempo di prestare ulteriore attenzione al gatto, mentre un rumore familiare lo faceva voltare.

Il camino non era più spento, e delle fiamme decisamente poco naturali anticiparono la comparsa di un ragazzo dai lisci capelli biondi, che rivolse un lieve sorriso al padrone di casa mentre si spolverava con nonchalance della cenere dalla spalla della giacca.

“Ciao... strano, sei in orario.” 

“Ciao Pawel. Certo che sono in orario, sono due settimane che mi scrivi minacciandomi su questa storia... io e Sergej arriviamo subito.” 

“Non mi sembra molto allegro... ciao bello!” 

Pawel rivolse un lieve sorriso al gatto, che però soffiò anche contro di lui prima di girarsi con aria offesa, dando le spalle ad entrambi.

“Gli passerà.” 

Ivan si voltò, distogliendo lo sguardo dall’amico ed ex compagno di scuola per lanciare un’occhiata al suo amato pianoforte. I tasti erano ancora scoperti da quando aveva suonato fino a tardi la sera prima, cercando di rilassarsi senza però ottenere grandi risultati.

Il biondo si avvicinò di un passo al pianoforte e si limitò a coprire i lucidi tasti in ebano su cui si era allenato per anni prima di voltarsi di nuovo verso Pawel, che lo stava osservando senza dire niente.

“Ok, pronto. Possiamo andare... a che ora parte a Passaporta?”

“Tra due minuti... Quindi ti consiglio di prendere valigia e gatto e di venire qui.” 

Il polacco sollevò il giornale che teneva in mano, facendo cenno all'amico di avvicinarsi.
Pawel detestava arrivare in ritardo in generale, figuriamoci in un’occasione come quella: aveva la netta sensazione che quel giorno i ritardatari non sarebbero stati visti di buon occhio.   


                                                                             *


“Ok... ora dobbiamo solo prendere i bagagli, poi possiamo andare! Grazie al cielo, se posso dirlo, sull’aereo stavo per morire di fame! Chissà come si mangia in Austria...” 

Lysandre Chevalier assunse un’espressione pensierosa, parlando a mezza voce quasi da solo mentre, davanti a lui, il nastro trasportatore faceva scivolare le valigie davanti ai passeggeri.

“È la prima volta che vengo qui. Tu ne sai qualcos- Bash?” 

Il francese si accigliò di colpo nel non trovarsi l'amico e compagno di viaggio di fianco: strano, eppure l'aveva visto solo un minuto prima! 
Anche se in effetti era la prima volta in vita sua che Sebastien prendeva l'aereo... e curioso com'era aveva passato la giornata a fargli domande, guardandosi intorno e sorridendo come un bambino.

“Bash? Ma dove... BASH!” 

“Che c'è? Hai detto che dobbiamo prendere la valigia, no?” 

Lysandre si trattenne dal mettersi una mano nella sua chioma di ricci rossi fuoco, chiedendosi che cosa avesse per la testa il suo amico mentre lo guardava camminare con nonchalance sul nastro scuro, come se fosse una cosa normalissima. 

In effetti non sapeva se ridere o prenderlo e trascinarlo via a forza... ma come gli era venuto in mente?

“Si ma... devi aspettare che ti passi davanti! Sebastien, scendi da lì, sono abbastanza sicuro che non sia permesso!” 

“Quante storie... però è divertente! Avrei dovuto prendere l'aereo anni fa!” 

Sebastien sorrise, continuando a fare lo slalom tra i bagagli mentre cercava la sua valigia, con il resto dei passeggeri del volo Parigi – Vienna che assistevano alla scena a metà tra il divertito e il seccato, osservando quel ragazzo dai capelli castani che sorrideva allegramente mentre camminava sul nastro.

“Ehi Lys, ho trovato la tua! Te la lancio?” 

 “NO! Passamela con delicatezza! E scendi, finirai per ammazzarti... o per farti arrestare! Scusatelo, ehm... è la prima volta che vola!” 

Lysandre rivolse un sorriso quasi colpevole agli ex compagni di volo, che si rivolsero con aria accigliata al ragazzo come sempre vestito alla dandy, con camicia bianca, pantaloni neri e papillon abbinato alle bretelle, con fantasia grigia e nera.

“Alla sua età? Strano.” 

“Si, beh, soffre un po’ di vertigini e ci ho messo un po’ a convincerlo... ma ora dobbiamo andare! Bash, smettila di fare il funambolo o faremo tardi!” 

“Non so cosa sia un funambolo, ma ti seguo!” 

Sebastien sorrise, saltando giù dal nastro con una cuccetta in mano e il borsone in spalla mentre Lysandre recuperava la custodia del suo amato flauto quasi con un sospiro di sollievo: l'aveva incantato prima di partire affinché non si rovinasse, ma non si poteva mai sapere con gli aerei.


                                                                               *


“Lo sapevo, non avrei dovuto accettare. Perché mi sono fatta convincere? Tutto questo non ha senso!” 

“In effetti non posso negare che questa cartina sia un po’ confusionaria... mmh... CREDO che la nostra fermata sia quella segnata in arancione!” 

Rebecca roteò gli occhi, continuando a stringere quasi convulsamente il palo grigio accanto a lei, la custodia del violino fissa in spalla mentre la valigia era abbandonata ai suoi piedi. La ragazza lanciò un’occhiata scettica al punto dove, almeno in teoria, c'era la cuccia del suo cane... ma aveva dovuto incantarla e far sì che non si potesse vedere ad occhio nudo, nella metropolitana. 

Accanto a lei la sua compagna di viaggio aveva la faccia nascosta da una cartina, che stava osservando con aria dubbiosa prima di sorridere, alzando gli occhi scurissimi sull’amica:

“Si, ne sono sicura al 65%!” 

“Non è molto confortante...” 

“Andiamo Becky, rilassati! Sull'aereo eri pallida come un cadavere e ora sei nervosissima..
 Tranquilla, tra poco usciremo da qui, la metropolitana è molto più rapida del treno. In effetti lo hai preso diverse volte, perché sei così terrorizzata?” 

“Perché l’Espresso per Hogwarts non viaggia... sottoterra! Insomma, prima mi hai trascinata a chissà quanti metri, poi sottoterra... insomma, per me nello stesso giorno è troppo.” 

Eleanor ridacchiò di fronte al tono nervoso di Rebecca, che la fulminò con lo sguardo, giurandole silenziosamente che al ritorno lei NON avrebbe messo piede su quella “strana cosa sotterranea”. 


L’ex Tassorosso invece sorrise mentre riponeva la cartina nella tasca della giacca, osservando l'amica restare perfettamente immobile e con lo sguardo fisso davanti a se.

“Rilassati Becky, tra poco saremo arrivate! Non vedo l'ora di arrivare all’hotel, sono stanca morta... e ho fame!” 

“Anche io. E Cinnamon continua ad agitarsi... spero che non combini pasticci.” 

L’ex Serpeverde lanciò un’occhiata preoccupata alla cuccia invisibile, pregando che Cinnamon non trovasse il modo di uscire mentre Eleanor puntava gli occhi neri sulla valigia dell’amica, rendendosi improvvisamente conto che qualcosa non quadrava: da quando Rebecca Crawley viaggiava così leggera?” 

“Becky?” 

“Si?” 

“Staremo via quasi quattro mesi, se le cose andranno bene... dove sono le tue otto valige?” 

“Tranquilla, ho incantato la valigia, è piena fino ad esplodere.”  Per la prima volta da quando erano salite sulla metropolitana Rebecca sorrise leggermente, divertita al solo immaginare se stessa che non si portava tutte le sue scarpe dietro.

“Ah ecco, ora si spiega tutto... ehy, la prossima è la nostra! Stai per rivedere la luce, Rebecca Crawley!” 

“Lo sai che è quello che si dice quando qualcuno sta per morire, vero?” 


                                                                             *


Cal distolse lo sguardo dalle due ragazze che, a qualche metro da lei, erano in piedi circondate dai loro bagagli e stavano parlottando animatamente in inglese.

Gli occhi della ragazza andarono a finire su qualcosa vicino ai piedi di una delle due inglesi... e un lieve sorriso le comparve sul volto, rendendosi conto che una delle due aveva fatto al suo animale il suo stesso incantesimo. Quindi erano streghe, proprio come lei.

Chissà se erano lì per il suo stesso motivo... avevano circa la sua età, poteva anche essere, specialmente per via del violino che una delle due, quella apparentemente più nervosa, teneva in spalla. 
Ma Cal non si alzò e non attaccò bottone, limitandosi ad abbassare lo sguardo sul suo cane che stava probabilmente sonnecchiando con il muso appoggiato sulle sue gambe. 

Avrebbe voluto accarezzarla, ma una vecchietta la stava osservando e non aveva nessuna voglia di fare la figura della mezza pazza che accarezzava il nulla o parlava da sola... così Cal restò immobile, spostando gli occhi sull’ampio finestrino. Non vedeva ovviamente niente, solo il buio più totale... ma non vedeva l'ora di poter ammirare il centro della Città, visto che fino a quel momento aveva solo visto l’aeroporto prima di scendere nella metropolitana. 

Cal iniziò a dondolare leggermente una gamba, impaziente... aveva aspettato tanto, e quelle settimane le erano sembrate orribilmente lente, passate quasi ininterrottamente a suonare il piano, forse più per distrarsi in qualche modo che per allenarsi effettivamente.

Sorrise leggermente, felice di essere arrivata a quello che già considerava un traguardo... ora doveva solo arrivare all’ultimo gradino, e di certo avrebbe fatto il possibile per farlo prima degli altri.


                                                                         *


Maya era seduta accanto alla finestra, osservando il panorama di cui poteva disporre dalla sua camera. 
Era arrivata a Vienna con largo anticipo, prendendo l’aereo da Oslo un paio di giorni prima... l'ultima cosa che voleva era fare tardi all’incontro, e andando prima in Austria aveva potuto rilassarsi, cercare in qualche modo di placare  la sua solita ansia e suonare un po’ in santa pace... e assicurarsi che niente sarebbe andato storto, che non ci sarebbe stato alcun imprevisto. 

Il suo clarinetto era appoggiato sul letto matrimoniale dopo essere stato usato per gran parte della mattina, abbandonato sul copriletto color avorio con dei ricami bianchi e perfettamente piegato e lisciato sul materasso. 
Probabilmente non aveva mai dormito su un letto così comodo... purtroppo però aveva la sensazione che dal giorno seguente non avrebbe potuto più attardarsi sotto le coperte al mattino.

Gli occhi chiarissimi di Maya si posarono sul suo orologio da polso perfettamente sincronizzato, sorridendo lievemente: erano le 13:30... mancava solo un'ora e mezza, alle 15 esatte avrebbero dovuto incontrarsi tutti nella Hall del Park Hyatt, nel pieno Quartiere Dorato di Vienna.

Poteva anche scorgere il Danubio, dalla sua finestra, anche se la distanza lo faceva sembrare solo una striscia abbastanza sottile, luccicante sotto il sole che stava illuminando la Capitale in quella giornata estiva.

La ragazza pensò ai suoi ex compagni di scuola che, già lo sapeva, avrebbero preso parte all’evento... un lieve sorriso le increspò le labbra come sempre dipinte di rosso, pensando a Pawel: di certo sarebbe arrivato in perfetto orario, spaccando il secondo... era sempre stato molto preciso, a Durmstrang loro erano sempre i primi ad arrivare in classe.

Non lo vedeva dal Diploma, ma si erano scritti spesso dalla Germania alla Norvegia... chissà se era cambiato. 
Un lieve miagolio attiro la sua attenzione e Maya abbassò gli occhi sulla sua gatta bianchissima, che era appena saltata a sua volta sulla rientranza della finestra, strofinando il muso sulla sua gamba per richiamare la sua attenzione.

“Cosa c'è? Sei impaziente anche tu Lady? Non sai quanto lo sono io.” 

Sua madre la guardava spesso come se fosse un caso senza speranza, quando la coglieva a rivolgersi alla sua amata gatta... ma spesso e volentieri, vivendo da sola, era l'unica con cui potesse parlare. 

Maya sorrise, allungando una mano per accarezzarle il morbido pelo bianco... no, forse infondo era una domanda sciocca.


                                                                                  *


Gae si sistemò la cinghia della borsa sulla spalla, allontanandosi dal treno dal quale era appena scesa per uscire dalla stazione. 
Teneva in mano il manico di una gabbia, e lanciò un’occhiata quasi di rimprovero al suo animale da compagnia, che non la smetteva un attimo di dimenarsi... come se avesse potuto farla uscire, probabilmente avrebbe fatto prendere qualche infarto a diversi Babbano. 

“Stai buona, non è il momento!” 

Fortunatamente aveva incantato la gabbia, e agli occhi dei Babbani quella ragazza dai lunghi capelli color turchese raccolti in una treccia stava semplicemente trasportando una gabbia con dentro un tenero coniglietto... e non una piccola fenice.

Se non altro Endjoras non aveva ancora raggiunto l'età adulta di quel ciclo, quindi tenerla buona non era esageratamente difficile... aveva insistito per portarla con se in Austria, anche se i genitori avevano provato a farla demordere.
 
Era sicura che avrebbe avuto bisogno di un’amica... oltre ad Helene ovviamente, che però aveva optato per l'aereo anziché il treno. 
Sorrise leggermente, chiedendosi se lei fosse già arrivata... conoscendola aveva passato tutta la durata del volo sorridendo a destra e a sinistra, guardando fuori dal finestrino di continuo e continuando a pensare alla sua meta, carica d’emozione.

In realtà Gae era lontana dalla sua casa, il Belgio, già da qualche tempo... non appena aveva saputo di essere passata aveva preso Endjoras ed era quasi cosa in Germania, sostenendo che doveva assolutamente migliorare il suo tedesco che, non aveva problemi ad ammetterlo, non era decisamente un granché.

Gae continuò a camminare, tenendo la gabbia con una mano e la cinghia della borsa, che conteneva magicamente di tutto, con l'altra... beh, se non altro era riuscita a prendere il treno giusto ed era finalmente arrivata a Vienna. 
Il suo tedesco forse non faceva poi così schifo, se era arrivata fin lì.


                                                                           *


Passeggiava con calma, le mani sprofondate nelle tasche mentre si guardava intorno con gli occhi luccicanti e l'aria curiosa: non era mai stato a Vienna, e forse un po’ gli dispiaceva non potersi fermare a dare un’occhiata in giro...  ma sperava di averne la possibilità, in quelle settimane.

Emil Bach era appena uscito dalla Metropolitana, in procinto di raggiungere la sua meta... i genitori gli avevano chiesto perché non avesse voluto prendere una semplice Passaporta, ma lui aveva insistito per prendere l'aereo, godendosi così ogni minuto possibile di quell’esperienza.
Si trascinava dietro la valigia quasi senza pensarci, portandola come se fosse un sacchetto pieno di caramelle. 
A proposito di caramelle... non mangiava da un po’, anche se sua madre gli aveva rifilato una quantità non ben definita di panini. 

Una lampadina si accese nella mente del Tassorosso quando un profumo familiare e molto piacevole gli invase le narici, facendolo fermare di botto sul marciapiede... menomale che nessuno stava camminando dietro di lui, perché altrimenti il povero malcapitato sarebbe andato a sbattere sulla sua schiena. 

Le opzioni erano due: o la fame lo stava prendendo in giro, oppure c'era davvero quel profumo nell'aria... e Emil si voltò di colpo, sorridendo nel vedere una vetrina dall’altra parte della strada.
Una quantità indefinita di dolci sembravano quasi chiamarlo a gran voce da dentro quella pasticceria... in effetti quella era la patria della Sacher. Doveva assaggiarla, no? 

Dai, solo un minuto...
No, farai tardi! 
Ma ho fame! 
Mangerai dopo! 
Magari potrei appellare qualcosa...
Sarebbe disonesto! 


 Emil sbuffo, scuotendo leggermente il capo mentre prendeva una sofferta decisione: tirare dritto.
Del resto non poteva fare tardi, non quel giorno... lui non era un gran sostenitore di quella teoria, ma dicevano che la prima impressione conta sempre moltissimo, e non voleva fare una figuraccia già al primo giorno.

No, infondo aveva quasi quattro mesi per farne.


                                                                               *


Uscendo dal vicolo infilò una mano nella tasca del cappotto, mentre con l'altra teneva saldamente il manico del bagaglio. Lanciò un’occhiata al cane accanto a lei, sorridendo leggermente all’akita che si voltò verso di lei quasi sentendo il suo sguardo addosso.

“Fai la brava, ok? Odi il guinzaglio, ma se combini qualche pasticcio sarò costretta a mettertelo.” 

Lena continuò a guardarla con aria allegra, come se fosse a sua volta felice di essere in un posto del tutto nuovo... e ad Irina non restò che sorridere al cane, allungando una mano per accarezzarle il muso prima di farle un cenno, intimandole di seguirla.

In effetti, appena prima di prendere la Passaporta suo padre le aveva fatto notare una cosa, chiedendole con un tono vagamente scettico se all’Hotel Babbano dove avrebbe alloggiato... beh, accettavano i cani.
In fin dei conti però sapeva che Maya si era portata dietro Lady, la sua gatta... quindi non dovevano essere intolleranti verso gli animali... o almeno lo sperava, se l'avesse rimandata a casa Lena le avrebbe tenuto il muso per secoli. 

Irina guardò l'ora, sorridendo nel vedere che era in perfetto orario... mancavano circa cinque minuti alle 15, se non altro si era risparmiata l'imbarazzo di arrivare per ultima prendendo una Passaporta.
In effetti la precisione quasi snervante era una caratteristica comune a molti musicisti... e qualcosa le diceva che valeva anche per i suoi nuovi esaminatori.


                                                                            *


“Lys?” 

“Se devi raccontarmi una barzelletta aspetta un attimo, sto cercando di orientarmi... questa città è troppo grande, possibile che un Quartiere sia più grande di Beauxbatons?” 

“Lys... credo che QUELLO sia l’hotel.” 

Lysandre alzò gli occhi di colpo dalla cartina che stava per bruciare dal nervosismo, finendo col sorridere quasi con sollievo nel constatare che Sebastien aveva ragione, strano a dirsi: sull’imponente edificio infondo al viale c'era chiaramente scritto “Park Hyatt Hotel”. 

“Non ci credo... hanno ascoltato le nostre preghiere! Su, andiamo... non possiamo arrivare in ritardo. Se mia zia lo venisse a sapere mi prenderebbe a mattarellate in testa urlando che ho “disonorato la Francia”.” 

“Ma lei ti prendo spesso e volentieri a mattarellate Lys... come quando rubi i dolci alla sua pasticceria.”

“Dettagli. Ora andiamo Bash! E tieni buona la tua fidanzata quando la libererai, mi odia!” 

Lysandre partì alla volta dell’hotel, lanciando al contempo uno sguardo dubbioso alla cuccetta che l'amico teneva in mano... non aveva nessuna voglia di subire l’attacco di una palla pelosa irritabile.

“Sei tu che sei prevenuto nei suoi confronti! Selene è dolcissima! Non dice sul serio tesoro, sei adorabile, non preoccuparti.” 

Sebastien sorrise dolcemente alla gabbietta, che si mosse leggermente mentre Lysandre roteava gli occhi, guardando di nuovo dritto davanti a se e decidendo saggiamente di lasciar perdere: quando si trattava di Selene, parlare con il suo amico era impossibile.

I due erano quasi arrivati al piazzale che precedeva l’imponente edificio quando una voce li costrinse a fermarsi e a voltarsi verso la direzione opposta:

“Ehy! Sono due ore che vi inseguo! Lo fate apposta ad ignorarmi?” 

Una ragazza dai lunghi capelli rossi si fermò davanti a loro, con il fiatone e una valigia stretta in mano, oltre ad una gabbia dove faceva capolino il barbagianni della ragazza, Piotr e la custodia del suo flauto.

“In realtà non ti abbiamo sentita, scusa Helene... eravamo troppo occupati a cercare di trovare questo posto. Come sei arrivata?” 

Sebastien sorrise alla rossa, avvicinandosi di un passo per darle un bacio sulla guancia, come faceva sempre ogni volta in cui salutava qualcuno.
Helene sorrise ai due, sollevata di averli incontrati prima di entrare nell’hotel: non li vedeva da quando, circa due mesi  prima, tutti e tre si erano presentati alla selezione. In effetti si erano conosciuti proprio in quell’occasione, visto che Lysandre e Sebastien avevano qualche anno più di lei e a scuola non si erano mai parlati. Aveva praticamente implorato Gae di prendere l'aereo con lei, ma l’ex compagna di scuola aveva insistito, sostenendo di voler raggiungere Vienna in treno, il suo mezzo preferito. 

“Aereo. Voi due?” 

“Si, anche noi... strano, non ti abbiamo vista in aeroporto... anche se io ero troppo occupato a controllare lui, probabilmente.” 

Lysandre provò a fingersi scocciato, ma il sorriso allegro di Sebastien lo fece sorridere a sua volta come sempre, mentre quest’ultimo prendeva Helene sottobraccio, iniziando a parlare:

“Era la prima volta che ci salivo, è stato divertentissimo! Avrei dovuto farlo prima... ma tu lo sapevi che non si può salire su quella cosa strana che porta le valigie?” 

“Intendi... il nastro? Beh... si! Come tutti.” 

“Tutti eccetto Lacroix, a quanto pare.” 


                                                                         *


“Aspetta! Guarda!” 

“Cosa c'è? Cosa hai visto?” 

Eleanor inchiodò di colpo, facendo retromarcia per tornare accanto all'amica e guardarsi  intorno con attenzione, quasi sperando che Rebecca stesse indicando un enorme cartello con scritto “Ehy, l’Hotel è di qua!” 

“Becky? Perché hai quella faccia? ... Hai visto DiCaprio?” 

“Non so chi sia, ma guarda! È lui!”  Eleanor guardò l'amica con lieve preoccupazione, chiedendosi se la Metropolitana non l'avesse traumatizzata a tale punto... Rebecca sorrideva con un’allegria e una spontaneità che era raro vederle in viso, mentre indicava qualcosa davanti a loro. Eleanor seguì il suo sguardo, gemendo con esasperazione quando capi a COSA si stava riferendo l'amica:

“Avrei dovuto immaginarlo. Scordatelo, non possiamo andarci... dobbiamo trovare quel posto lì, il Park qualcosa o come si chiama! Cinnamon, vieni anche tu!” 

Eleanor prese Rebecca per un braccio con tutta l'intenzione di trascinarla via, mentre Cinnamon, il Setter Inglese dell’ex Serpeverde, stranamente per una volta obbediva e le trotterellava accanto, felice di non essere più in gabbia e poter camminare dopo ore.

“Ma... ma... ma dobbiamo andarci! Aspetta! È dove è nata la Sacher, dobbiamo assaggiarla!” 

“Mi dici come fai a sapere queste cose quando invece non sai chi è DiCaprio?! Anzi, che dico, conoscendoti ti sarai informata prima di venire...” 

Eleanor roteò gli occhi, evitando di far notare che anche lei moriva dalla voglia di entrare all’Hotel Sacher e fare indigestione di dolci... ma dovevano assolutamente trovare un altro Hotel, e in fretta.


                                                                          *


Aveva gli occhi azzurri fissi sull’orologio, facendo dondolare leggermente la gamba... solo dopo qualche istante si rese conto che lo stava facendo al ritmo costante della lancetta dei secondi, che ticchettava nel Hall poco affollata e abbastanza silenziosa. 

Mancavano circa venti minuti alle 15... presto li avrebbe visti in carne ed ossa per la prima volta: ad esaminare i candidati per il primo turno di selezione non era stato lui e nemmeno Christina, bensì i loro colleghi del consiglio, disseminati per l’Europa. 

Li aveva visti solo in foto, quando un paio di settimane prima erano arrivati tutti i loro fascicoli... Ed era molto curioso, proprio come tre anni prima e nell’edizione precedente ancora, da quando aveva iniziato ad occuparsi dell’evento. 

“So a cosa stai pensando. Sei impaziente di vederli entrare... e allo stesso tempo quasi speri che qualcuno arrivi in ritardo per poterlo bacchettare per bene.” 

“Mi fa piacere che tu abbia sempre un’opinione così positiva di me.” 

“È solo che ti conosco.” Christina, seduta su una poltroncina accanto a lui, sorrise al collega nonché ex compagno di scuola, osservandolo con gli occhi azzurri quasi luccicanti di divertimento: un po’ gli era mancato in realtà, ma non glie l'avrebbe detto oppure lui si sarebbe messo a borbottare cose sconnesse per poi non dire più una parola per mezz'ora.

“Si, beh, non sto aspettando solo loro. Dove diamine si è cacciato Zimmer? Noi siamo qui da giorni, possibile che debba sempre farsi pregare?” 

“Ho una teoria sul suo ritardo.” 

Il tono di Christina era così serio che attirò subito l'attenzione di Alexander, che si sporse leggerete verso di lei, guardandola con aria sorpresa:

“Davvero? Dimmi allora, che aspetti!” 

Christian lo assecondò, avviandosi a sua volta prima di parlare a bassa voce, come se gli stesse per rivelare un segreto di vitale importanza:

“Ok... secondo me arriva sempre all'ultimo perché non vuole sopportarti più del dovuto.” 

“E io che pensavo che per una volta fossi seria.” 

Alexander sbuffò leggermente, rivolgendole un’occhiata torva mentre si appoggiava di nuovo allo schienale imbottito della poltroncina rosso Tiziano. La donna invece sorrise leggermente, ma poi si voltò verso l'ingresso della Hall... e le sue labbra si distesero in un sorriso ancora più largo:

“Parli del diavolo... Jerry!” 

Christina si alzò, avvicinandosi in fretta all'uomo che aveva appena fatto il suo ingresso nell’albergo.
Alexander roteò gli occhi chiari per un attimo prima di alzarsi, avvicinandosi ai due mentre Christina correva ad abbracciare il collega, che rise con aria divertita:

“Ciao Tina... come stai? Fa piacere ricevere un’accoglienza così... ciao Alex!” 

“Jarrod. Vedo che come al solito te la sei presa comoda.” 

“Si, beh, uno di noi deve portare un po’ di relax qui dentro... sono arrivato prima dei ragazzi?” 

“Si, non preoccuparti.” 

Christina sorrise al collega, intuendo già dallo sguardo torvo di Alexander che avrebbe dovuto correre dietro ad entrambi per evitare di farli litigare, come sempre... ma ormai lo faceva da anni, ci era abituata.


Il colloquio  venne però interrotto da qualcuno che, alle spalle di Jarrod, si schiarì la voce per attirare la loro attenzione. E voltandosi i tre si trovarono davanti a due ragazzi, entrambi dai capelli biondi. 

Uno dei due, quello che probabilmente si era schiarito la voce, sfoggiò un lieve sorriso nervoso prima di parlare in tedesco:

“Salve. Credo che ci stiate aspettando. Sono Pawel Juraskev, lui è Ivan Petrov.” 


“Pazzesco Jarrod, questa volta sei quasi arrivato dopo dei ragazzi... hai battuto il record dell'anno scorso.” 


                                                                      *


Probabilmente stava facendo mentalmente il giro di tutte le parolacce che conosceva, non solo in inglese, ma anche in turco, mentre praticamente correva verso quel dannato Hotel.

Aveva avuto la brillante idea di perdere l'aereo, quella mattina... e di conseguenza si era azionato una specie di circolo vizioso che l'aveva portato ad essere in ritardo. 

Grande Gabriel, ottimo inizio! 

Gabriel Undersee correva, e si chiese per un attimo se gli austriaci fossero fissati con la puntualità come i tedeschi... beh, non ne aveva idea, ma probabilmente stava per scoprirlo. 
Appena uscito dall’aeroporto si era Smaterializzato dritto nel Quartiere Dorato, non avendo alcuna intenzione di perdere ulteriore tempo. 
La sua civetta Talia in effetti non sembrava molto felice, mentre veniva sballottata nella gabbia dal padrone, portandola a stridere con irritazione.
Il ragazzo abbassò lo sguardo su di lei, sbuffando e guardandola quasi a mo’ di scuse:

“Lo so, mi dispiace! Ma non ti ci mettere anche tu!” 

Si fermò davanti all’alta porta a doppia anta dell'ingresso, deglutendo leggermente mentre il portiere spalancava una delle ante per farlo passare... si passò per un attimo una mano tra i capelli scuri, quasi a volerli mettere in ordine all'ultimo, prima di entrare... pronto alla strigliata. 

In realtà non aveva tardato troppo, per sua fortuna... neanche venti minuti. 
Ma a giudicare dall’occhiata omicida che gli rivolse quello che, vista la sua fortuna ne era assolutamente sicuro, era proprio Alexander Koller, forse quei diciassette minuti non erano PROPRIO insignificanti.

“Ah, ecco. Abbiamo trovato il fuggiasco, Gabriel Undersee ha deciso di mostrarsi.” 

“Poverino... lo salviamo?” 

Jarrod sorrise, abbassando lo sguardo su Christina. La donna esitò prima di scuotere leggermente il capo, guardando il nuovo arrivato quasi con lieve compassione mentre Gabriel si trascinava verso i compagni borbottando delle scuse sommesse.


“No, lasciamo che Alex si diverti, almeno questa volta... così magari riesco a tenerlo buono per un po’.” 







 


















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Angolo Autrice:

Buonasera! Eccomi finalmente con questo benedetto capitolo, avrei voluto pubblicarlo prima ma mi sono presa indietro tra le altre storie e lo studio... pardon! 

Naturalmente spero che vi sia piaciuto, se il mondo in cui ho rappresentato il vostro OC vi ha fatto schifo siete naturalmente invitati a farmelo sapere... e anche questa volta, ahimè, ho una domandina per voi ^.^:

Avrei bisogno che mi inviaste la foto o la descrizione di un vestito per il vostro OC...  vi chiedo gentilmente di mandarmi qualcosa di NERO (per i maschi... non è ovviamente necessario che il competo sia tutto nero).
Si lo so fa un po’ funerale, mi spiace, ma il dress code per i concerti è sempre questo, quindi per le ragazze solo abiti neri, corti e possibilmente niente di troppo sbrillucicoso o cosparso di Paillettes stile “Siamo noi le Winx” perché il contesto è di un certo tipo.

Scusate, magari più avanti non vi metterò questi paletti XD 

Detto ciò... prima di dileguarmi vi metto i PV dei nostri esaminatori:


Alexander Koller, 31 anni, ex flautista e e direttore d’Orchestra
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Christina Sørensen, 31 anni, pianista 
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Jarrod Zimmer, 32 anni, violinista 
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È tutto... buonanotte, a presto! 

Signorina Granger 

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Capitolo 4
*** Parliamoci chiaro ***


Capitolo 2: Parliamoci chiaro 




Gabriel Undersee sbattè le palpebre un paio di volte, ancora vagamente schioccato: possibile che se la fosse davvero cavata con solo un paio di frecciatine? 

E dire che lui, mentre correva per arrivare all’Hotel, si era già immaginato una punizione come pulire i leggii e gli strumenti di tutto il gruppo... o magari direttamente i piatti in cucina. 

Così, mentre tutti i suoi compagni si disperdevano nella Hall per andare alla reception e registrarsi, l’ex Corvonero rimase immobile e interdetto per un attimo, stupito da tanta fortuna.

O magari c'era sotto la fregatura... si, probabilmente le cose stavano così. 

Il ragazzo sbuffò debolmente, ridestandosi prima di girare sui tacchi per andare a registrarsi insieme ai compagni, come Alexander aveva detto loro di fare prima di sparire insieme agli altri due esaminatori.

Talia attirò la sua attenzione stridendo leggermente, e il padrone le lanciò un'occhiata vagamente torva, come a volerle dire di stare zitta e di non prenderlo in giro: altro che prima impressione positiva... ma aveva sempre diverse settimane per riscattarsi, se non altro.

  
Il ragazzo si bloccò di colpo, fermandosi nel bel mezzo della grande e luminosa stanza per evitare di finire travolto da una ragazza che lo aveva superato quasi correndo e parlando a gran voce:

“Vichingo!” 

“Pulcino!” 

Gabriel inarcò un sopracciglio, voltandosi nel sentire la sua lingua... in effetti aveva già visto alle selezioni sia la ragazza che lo aveva quasi investito che il ragazzo biondo e dalla corporatura piuttosto imponente che l'aveva appena abbracciata, sollevandola anche da terra.

Gabriel si voltò con un sorrisetto verso l'unica altra britannica del gruppo, ricordando distintamente che fosse amica dell’altra ragazza:

“Amici tuoi?” 

“Chi, loro? No, mai visti prima.” 

Il tono neutro e carico di nonchalance fecero quasi ridere Gabriel mentre Rebecca faceva per avvicinarsi al banco della reception... ma la voce di Emil, che l'aveva appena notata e aveva rimesso Eleanor a terra, la fece quasi sobbalzare:

“Ciao Rebecca! Vieni a salutarmi!” 

“Scusa Bach, ma ho una certa fretta...” 

Rebecca provò come da manuale a filarsela ma Emil sfortunatamente per lei la raggiunse in un batter d’occhio, sorridendole allegramente come suo solito prima di sopraffare anche lei con uno dei suoi abbracci.

“Emil, sai che non lo sopporto... Elly, perché non mi aiuti invece di ridere?” 

Rebecca sospirò, cercando di allontanarsi dall’ex Tassorosso ma senza successo, fulminando al contempo la sua amica e giurandole silenziosamente vendetta, mentre invece Eleanor assisteva alla scena senza muovere un dito e sorridendo con aria divertita. 

Del resto Eleanor aveva capito molto tempo prima che Emil importunava apposta le persone che, lo sapeva, non amavano il contatto fisico... ma fortunatamente per lui Rebecca ancora non l'aveva capito, altrimenti il biondo si sarebbe ritrovato tramutato in un colibrì nel giro di poco.




“Tutto sistemato... che cosa stai guardando?” 

Lysandre fece roteare la chiave della sua camera su un dito mentre si fermava accanto a Sebastien, che aveva assunto un’espressione vagamente perplessa mentre osservava un ragazzo inglese che stritolava una compagna, con un’altra che sghignazzava leggermente di fronte alla scena.

“Strano. Non dicevano che gli inglesi sono affettivamente stitici?”

“Tutti pregiudizi... insomma, secondo il resto del mondo noi francesi siamo un branco di snob che mangiano formaggio e lumache dalla mattina alla sera...” 

“Già. E tutti pensano che noi russi siamo tutti cattivi e mafiosi... stupidi stereotipi.” 

Un borbottio sommesso e decisamente seccato fece voltare entrambi i ragazzi, che si ritrovarono a sorridere ad un ragazzo alto e biondo che si portava la gabbietta di un gatto appresso.

“Beh, in effetti... Piacere, Sebastien Lacroix!” 

Come suo solito Bash sorrise, senza esitare minimamente a fare le presentazioni... e il biondo esitò per un attimo prima di ricambiare la stretta di mano, osservandoli con lieve perplessità negli occhi azzurri:

“Ivan. Credo che il tuo animale domestico stia per radere al suolo la cuccia, onestamente.” 

“Si, ehm... non ama viaggiare. Anche se è strano che ci abbiano permesso di tenere animali... anche perché il mio è vagamente fuori dalla norma per i Babbani, temo.” 

Il tono dubbioso di Sebastien fecero roteare gli occhi a Lysandre, che scoccò all'amico un’occhiata puramente scettica: Selene era decisamente fuori dalla norma per i Babbani. 

Ivan inarcò un sopracciglio, improvvisamente carico di curiosità. Fece per chiedere al francese di che razza di animale si trattasse ma venne interrotto da Pawel, che era appena ricomparso accanto a lui con la chiave della sua stanza in mano:

“Visto che sei lento come l'anno della fame ho preso anche la tua... tieni Petrov.” 

“Ah, grazie... la tua pazienza è sempre molto limitata, noto. C'è Maya, comunque.” 

Pawel si voltò di riflesso per rivolgere un sorriso all’ex compagna di scuola che gli si stava effettivamente avvicinando per salutarlo, mentre invece Ivan rivolse un lieve cenno a Lysandre e a Sebastien prima di dileguarsi in fretta, con un Sergej visibilmente scocciato appresso. 



“Ciao! Come stai?” 

Maya sorrise al biondo, alzandosi in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia mentre Lysandre spingeva Bash verso la reception, sostenendo che non avevano tempo di chiacchierare con tutti: conoscendo l'amico, sarebbe stato capacissimo di andare a presentarsi e attaccare bottone anche con le vecchiette che erano appena entrare nella Hall.

“Bene, specialmente ora che sono qui... non vedo l'ora di iniziare. Da quanto sei qui?” 

“Un paio di giorni. Come sta Veronika?” 

Ancora una volta Maya si ritrovò a stupirsi leggermente di come l'amico sembrasse quasi illuminarsi ogni volta in cui sentiva quel nome o lo pronunciava: la sua espressione solitamente piuttosto impassibile cedeva il posto ad un sorriso allegro che non gli vedeva poi così spesso stampato sul bel volto.

“Bene, anche se non era del tutto felice della mia partenza... saranno settimane molto lunghe senza di lei.” 

“È normale. Piuttosto, perché Ivan si è dileguato alla velocità della luce?” 

Maya inarcò un sopracciglio con aria scettica, facendo sbuffare leggermente l'amico: Pawel scosse il capo, come se ormai avesse perso le speranze sull’argomento:

“Ha la tendenza a socializzare di un animale in letargo, lo sai. E credo che lo imiterò e andrò a sistemare le mie cose, non voglio arrivare tardi alla riunione... ci vediamo dopo.” 

Pawel le rivolse un debole sorriso prima di girare sui tacchi, seguendo la traiettoria dell'amico e dirigendosi verso la rampa di marmo. 
La bionda lo seguì per un attimo con lo sguardo, trattenendosi dal ridacchiare: figurarsi se Pawel arrivava in ritardo... ma in fin dei conti lei non poteva dirgli di niente, erano abbastanza simili.

“Eccoti finalmente. Dove ti eri nascosta?” 

Una voce decisamente familiare la distolse dai quei pensieri, facendola voltare prima di sorridere d’istinto nel trovarsi davanti una ragazza dai capelli rossi, che aveva una chiave in mano più valigia e cane appresso.

“Non mi ero nascosta, solo che probabilmente eri troppo occupata ad ascoltare Koller per accorgerti della mia presenza... e poi siamo in tanti. Ma mi fa piacere vederti!” 

Maya sorrise e Irina roteò gli occhi, guardandola quasi con aria esasperata prima di parlare di nuovo:

“Mi spieghi perché diamine sei venuta qui persino in anticipo? È abbastanza da te, ma non capirò mai queste manie di organizzare e tenere sotto controllo tutto.” 

“È solo che odio gli imprevisti, ed è sempre meglio prevenire... insomma, penso che sarei sprofondata al posto del ragazzo che è arrivato in ritardo.” 

Maya si lasciò sfuggire un lieve sorrisetto, ricordando la faccia decisamente torva di Alexander... aveva invece visto distintamente gli altri due esaminatori trattenersi dal sghignazzare di fronte alla scena, come se avessero già previsto tutto. 
Anche Irina sorrise, annuendo prima di avvicinarsi all’amica e prendendola sottobraccio:

“Ti conosco abbastanza da dire che ti sarebbe venuto un infarto. Poverino, non l’ho proprio invidiato... ecco perché ho preso una Passaporta, con i mezzi Babbani non si può mai sapere. E poi mi mette ansia l'idea di salire su quella strana cosa volante...” 

“Aereo Ina, aereo.” 

“Si, insomma, quello! Dai, andiamo a cercare la mia camera... visto che tu sei qui da due giorni immagino che ti offrirai di aiutarmi a disfare i bagagli! Lena, vieni!” 


                                                                                      *


“Grande, abbiamo le camere adiacenti! Sono sicura che ci divertiremo un sacco qui... Piotr smettila di agitarti, cominci già a fare baccano?” 

Helene lanciò un’occhiata esasperata in direzione del suo barbagianni mentre faceva avanti e indietro per la stanza, mettendo in ordine le sue cose. 
Allo stesso tempo la flautista continuava a parlare, un po’ rivolta a se stessa e un po’ alla ragazza che era nella stanza accanto... ma che non dava segni di sentire la sua voce.

Chiedendosi se per caso l'amica non fosse evaporata Helene si avvicinò alla doppia porta aperta che separava le loro camere, mettendo la testa nella stanza di Gae per controllare che non fosse uscita... e invece l’ex compagna di scuola era proprio lì, intenta ad accarezzare distrattamente le piume fosse, oro e arancio di Endjoras, che se ne stava appollaiata sul trespolo vicino alla finestra e sembrava molto felice di non essere più in gabbia.

“Gae! Mi stai ascoltando?” 

“Mh?” 

Gae si voltò verso l'amica, guardandola per un attimo con aria spaesata prima di rivolgerle un lieve sorriso, quasi colpevole, e annuire con un cenno del capo:

“Certo.” 

Helene roteò gli occhi ma non replicò, entrando nella camera per avvicinarsi alla fenice e all'amica. 

Del resto ormai la conosceva da anni, sapeva che spesso e volentieri Gae aveva la testa tra le nuvole, persa nei suoi stessi pensieri.
La rossa allungò una mano per accarezzare a sua volta le piume colorate della fenice, che non si scostò e la lasciò fare mentre Gae finalmente parlava, osservando la fenice quasi distrattamente, come se in realtà non la vedesse e stesse pensando a tutt’altro:

“Chissà che cosa ci diranno, dopo...” 

“Chi può dirlo... magari ci daranno le “istruzioni”. O magari ci vogliono avvisare che saranno delle settimane degne della parola “tortura” e che dovremo alzarci all’alba ogni giorno...” 

Helene si strinse nelle spalle, parlando con un tono vago piuttosto studiato che fece sgranare per un attimo gli occhi dell’amica, che si voltò anche verso di lei con aria allarmata... ma duro solo per un attimo, poi scorse il sorrisetto sul volto della rossa e tornò ad essere la solita Gae calmissima e rilassata di sempre:

“Vedo che non perdi il vizio.” 

“Di fare cosa tesoro?”

“Di fare la catastrofica di proposito per fare preoccupare gli altri... all'ultimo anno andasti in giro per la scuola per una settimana intera, sostenendo che gli esami sarebbero stati orribilmente duri e difficili e che saremmo stati tutti bocciati.” 

“Ah si, che bei momenti... ma alla fine siamo tutti passati, magari alla fin fine le mie predizioni portano fortuna? Vedi, Endjoras è d'accordo con me, sembra annuire.” 

“Ma fammi il favore... vai a mettere a posto i bagagli Helene, non voglio vederti correre da una parte all'altra in panico perché siamo in ritardo. Allora SÌ che dovremmo svegliarci all’alba per punizione, temo.” 

Gae fece cenno all'amica di tornare in camera sua e la rossa ridacchiando obbedì, rivolgendo alla fenice un cenno di saluto prima di tornare in camera sua, dove il suo barbagianni omonimo del suo compositore prediletto la fissava con aria torva, quasi a volerla accusare di trascurarlo.


                                                                                  *


“Credo di avere una costola incrinata...” 

“La solita melodrammatica.” 

“Grazie tante, come sempre vedo che mi appoggi in tutto.” 

Rebecca scoccò uno sguardo torvo in direzione di Eleanor, che le rivolse un sorriso angelico mentre le due percorrevano l'ennesimo corridoio dalle pareti color crema e il pavimento in lucidissimo parquet chiaro. Cinnamon trotterellava allegramente accanto ad Emil, cercando di saltargli intorno per attirare la sua attenzione per avere qualche carezza... il biondo sorrise al cane e le grattò le orecchie prima di parlare, puntando gli allegri occhi chiari sull’ex Serpeverde:

“Tanto lo so che mi vuoi bene Rebecca!” 

“No non è vero.”

“Si invece...” 

“Come fai a dirlo?” 

“Che domande, io vedo e so tutto!” 

“Cosa sei, una novella Cooman?” 

“No, io sono molto più carino di lei... insomma, non mi metterei mai quegli scialle, sai che caldo?” 

Rebecca fece per sottolineare la repulsione che aveva sempre provato verso quella donna ma non ne ebbe il tempo, perché Eleanor si fermò bruscamente davanti a lei, facendola andare a sbattere dritta contro l'amica.

“Elly, non inchiodare così! EMIL, CHE CAVOLO RIDI?” 


Rebecca sbuffò mentre si sfiorava il naso dolorante, fulminando il ragazzo che stava sghignazzando accanto a lei mentre Eleanor si voltava verso l'amica, indicando la porta davanti alla quale si era fermata:

“Scusa Becky... ma è la 102, è la mia camera! La tua è la 103 mi pare... Emil, tu dove sei stato sistemato?” 

“Ci hanno messi tutti vicini, io ho la 107... credo che siamo tutti sullo stesso piano, in effetti.” 

Emil continuò a sorridere, felice che tutto il gruppo fosse stato sistemato praticamente insieme: la prospettiva di passare quei mesi in solitudine non lo allettava per niente e anzi moriva dalla voglia di fare amicizia.

“Grande, così tutti vedranno la mia faccia orribile da appena sveglia ogni mattina...” 

“Bene ragazze, ci vediamo dopo... vado a sistemare le mie cose!”  Emil ignorò il borbottio cupo di Rebecca, assestando due sonore pacche sulle spalle di entrambe prima di superarle... rischiando così di smuovere le ossa sia della Tassorosso che della Serpeverde, che se ne uscì con un lieve gemito mente il biondo si allontanava lungo il corridoio illuminato:

“Di questo passo non arriverò viva a Natale... dici che lo fa apposta o non si rende conto che ci spezza le ossa ogni volta?” 

“Becky, parliamo di Emil Bach. Ovvio che lo fa apposta!” 


                                                                               *


“Selene! Torna subito qui!” 

Lysandre stava impilando ordinatamente gli spartiti sulla scrivania della sua stanza quando dalla porta semiaperta spuntò trotterellando la “palla di pelo”  con cui era in conflitto da anni: secondo il rosso gli animali nutrivano una specie di avversione contro di lui, tanto che aveva sempre avuto una sfiga immensa con ogni genere di animale domestico... incluso quello del suo amico.
Aveva quasi sperato che Sebastien non potesse portare Selene... ma disgraziatamente il direttore dell’Hotel a quanto sembrava era un mago, e conosceva anche molto bene i loro esaminatori, tanto da permettere ai ragazzi di portarsi dietro i rispettivi animali domestici, purché facessero attenzione con gli altri ospiti. 


“Ah, ciao.” 

Il ragazzo rivolse alla volpe un saluto tetro, che venne ricambiato da uno sguardo torvo... poi l'animale gli diede le spalle quasi con aria sdegnosa prima di tornare dal padrone, che era comparso a sua volta sulla soglia della camera dell’amico:

“Eccoti qua, ti cercavo!” 

“Ma dove pensavi che fossi se non in camera?” 

“Non dicevo a te, non fare l'egocentrico Lys!” 


Lysandre si trattenne dal sbattere la testa contro il vetro della finestra mentre Selene, la volpe nera e grigia di Sebastien, strofinava il muso sulla gamba del padrone con il suo atteggiamento “da ruffiana”, come era solito sostenere il rosso.

“Lasciamo stare... andiamo piuttosto, ci aspettano di sotto... per caso ti ricordi in che sala hanno detto di trovarci?” 

“Onestamente no. Ma la troveremo, non preoccuparti. Su, andiamo in avanscoperta!” 

Con il suo solito sorriso allegro Sebastien uscì dalla camera con l'amico e la volpe alle calcagna, e Lys si ritrovò a sospirare mentre si chiudeva la porta alle spalle, seguendo l'amico con lo sguardo:

“Bash.” 

“Che c'è?” 

“Le scale sono di là.”

“Ops... mi sa che ho bisogno di una cartina. Dici che le danno alla reception?” 

“Si.” 

“Davvero?” 

“No!” 


                                                                                *


“Ok, io vado... non fare pasticci.” 

Ivan si voltò, dando le spalle a Sergej per un attimo prima di voltarsi di nuovo verso il gatto, osservandolo con aria dubbiosa. Il micio era immobile, seduto sulla poltrona accanto al camino elettrico, e lo stava guardando quasi con aria di sfida, muovendo la coda maculata in onde quasi ritmiche.

“Non fare quella faccia. Non puoi venire di sotto con me adesso... ma avrai modo di curiosare, te lo prometto.” 

Per tutta risposta il gatto del Bengala soffiò con aria irritata, sentendosi offeso e abbandonato mentre saltava dalla poltrona per andare ad acciambellarsi sul letto matrimoniale.

“Inutile che fai la prima donna, a me non la dai a bere... e quello è il mio letto, non pensare di occuparlo!” 

Il biondo roteò gli occhi, già intuendo che si sarebbe ritrovato a fare la guerra con il suo gatto, che di sicuro avrebbe tentato di dormire insieme a lui.
In realtà da una parte si stava quasi pentendo di averlo portato con se... ma dall'altra gli era troppo affezionato per lasciarlo a casa per tutte quelle settimane, e sfortunatamente il suo altezzoso gatto lo sapeva anche troppo bene. 


“So che sei molto impegnato a conversare con il tuo fidanzato... ma muovi il regale posteriore Petrov, dobbiamo andare.” 

Il timbro decisamente sarcastico di Pawel fece voltare Ivan, che come da manuale lo fulminò con lo sguardo prima di seguirlo:

“Piantala di prendermi in giro... e se anche arriviamo a pelo pace e bene, non dobbiamo certo presentarci al cospetto della Regina d’Inghilterra!” 

“Scusa, tu sai che c’è  la Regina in Inghilterra? E da quando? I Purosangue solitamente non snobbano i Babbani?”

“Non siamo tutti uguali Pash...” 


                                                                                *


Irina aprì la porta lentamente, quasi temendo di trovare già tutti gli altri all’interno della sala. Un sorriso invece le illuminò il volto quando si accorse di essere la prima ad essere arrivata, in compagnia di Maya.

“Siamo le prime, incredibile!” 

“Scommetto che ora la smetterai di prendermi in giro perché sono arrivata qui in anticipo. Se fosse stato per TE ora saremmo nelle cucine, probabilmente!”

“Non è colpa mia, questo posto è più grande di Durmstrang! Dai, andiamo a sederci.” 

La rossa trotterellò verso le file ordinate di sedie color ciliegia, sistemate davanti ad un piano rialzato che fungeva quasi da piccolo palco. Maya non disse niente e si limitò a seguire l'amica, prendendo posto accanto a lei in seconda fila.

“Secondo te di cosa vogliono parlarci?” 

“Credo di saperlo già. Ma non te lo dico.” 

“Grazie tante... dai, dimmelo!” 

Irina sorrise all'amica che però rimase impassibile, trattenendosi dal ridere di fronte alla faccia implorante della rossa, che sbuffò e incrocio le braccia al petto con aria offesa quando si rese conto che non avrebbe parlato.

“Bell’amica!” 

“Si Ina, anche tu mi sei mancata durante l’estate!” 

Maya le sorrise e Irina si limitò a farle la linguaccia mentre, chiacchierando, entravano anche altre due ragazze, dall’accento indubbiamente di Beauxbatons. 

Gae e Helene vennero immediatamente seguite da Gabriel, che tirò una specie di sospirò di sollievo quando si rese conto di non essere in ritardo: probabilmente la sua testa sarebbe stata la portata principale della cena se avesse tardato due volte nello stesso giorno. 

Il ragazzo sfoggiò un sorriso improvvisamente soddisfatto e si avvicinò allegramente alle sedie, rivolgendo un sorriso alle quattro ragazze già presenti che, ad occhio, dovevano avere praticamente la sua età. 


L’ex Corvonero venne presto seguito da due ragazzi di Beauxbatons, che chiacchierando andarono a sedersi proprio accanto a lui.

“Ciao! Sei quello che è arrivato in ritardo, vero?” 

“Si, in persona.” 

Gabriel roteò gli occhi scuri, arrendendosi all'idea di essere già “famoso” mentre si sistemava distrattamente la montatura nera degli occhiali. Il francese che aveva davanti però gli tese allegramente la mano, come se non avesse assolutamente voluto offenderlo o deriderlo:

“Non fartene un cruccio, di sicuro prima o poi succederà a tutti... Sebastien, lui è Lysandre.” 

“E sono anche vagamente mortificato per la lingua esageratamente lunga del mio amico, perdonalo.” 

Sebastien sembrò ignorare deliberatamente le parole dell’amico, accavallando invece le gambe con un movimento fluido e intrecciando le dita delle mani mentre, con un lieve sorriso stampato in volto, spostava gli occhi dritti davanti a sè, quasi in attesa di iniziare... in effetti, non vedeva l'ora. 

Gabriel sorrise leggermente, come a voler dire che non c'era alcun problema e che non se l'era presa... il ragazzo si appuntò invece mentalmente di non dire neanche sotto tortura a suo padre di essere arrivato in ritardo sl primo giorno: chi l'avrebbe sentito, in quel caso? 

 
Il ragazzo iniziò a tamburellare leggermente sul bracciolo della poltroncina rossa dove si era seduto, in attesa: moriva dalla voglia di sapere per filo e per segno come avevano scandito quelle settimane che li aspettavano... e si stava iniziando a chiedere con stupore perché nessuno tra i loro esaminatori fosse ancora arrivato: ma non dovevano essere loro, quelli fissati con la puntualità? 

Per un attimo il ragazzo si chiese se non stessero piazzando qualche trappola davanti alla sua porta... ma poi si costrinse a darsi dell’idiota e ad imporsi che no, non era possibile.

O almeno, lo sperava. 


                                                                                         *


“Jerry! L'hai trovato?” 

Christina sospirò, quasi correndo lungo il corridoio per andare incontro al collega, che le si avvicinò scuotendo leggermente il capo con seria piuttosto contrariata:

“No, chissà dove si è andato a cacciare... assurdo. In genere è più puntuale di un dannato orologio svizzero!” 

Christina si morse il labbro, evitando di suggerire che il problema era proprio quello: lui era sempre in perfetto orario... non era mai un buon segno, se le cose andavano diversamente.

“Si, beh... meglio trovarlo in fretta, i ragazzi ci staranno aspettando. A volte è peggio di un bambin-“ 

“Sono qui, Tina.” 

La bionda quasi sobbalzò nel sentire la familiare e pacata voce di Alexander proprio accanto a lei.
E voltandosi la donna si rese conto che in effetti il collega le era appena comparso affianco. 

 “Dove diamine ti eri nascosto? ... e da dove arrivi?” 

Christina inarcò un sopracciglio, sbirciando alle spalle dell’amico come se si aspettasse davvero di vedere una specie di passaggio segreto chiudersi... ma Alexander si limitò a metterle una mano sulla spalla, invitandola a seguirlo lungo il corridoio deserto mentre parlava con tono vago:

“Questo Hotel nasconde dei segreti...” 

“Piantala Alex, non mi fa paura con le tue stupide storie dell’orrore come quando avevamo 17 anni!” 

“Sarà, ma una volta ti ho convinto che qui dentro ci fossero i fantasmi...” 

Alexander sorrise, e Jarrod lo imitò sghignazzando al ricordo mentre Christina linciava entrambi con lo sguardo, minacciandoli di prenderli per le orecchie e di trascinarli con se se non avessero camminato con le loro gambe. 


                                                                                        *


Cal Jordan sorrise, anche se molto probabilmente fu l'unica in tutta la stanza che lei e i suoi futuri “colleghi” avevano occupato: stavano tutti ascoltando in religioso silenzio le parole di Alexander, che parlava con un tono calmo ma talmente serio che nessuno avrebbe osato mettere in discussione le sue parole.

Christina e Jarrod erano seduti accanto a lui, e anche se di tanto in tanto si scambiavano qualche occhiata nessuno dei due lo interrompeva, come se ormai fossero abituati a sentire quel discorso è non avessero nessuna voglia di mettergli i bastoni tra le ruote.


“... è un mondo difficile, preciso, alle volte molto faticoso e altre davvero spietato. Naturalmente siete qui perché ve lo siete guadagnato, ma da qui in avanti dovrete solo impegnarvi più di prima e faticare il doppio, nient’altro. Vi valuteremo ogni settimana, se prendete due insufficienze siete fuori... e a noi non importa come vi chiamate di cognome, tanto perché sia chiaro. Potete esercitarvi quando volete fino alle 19 di sera, qui dentro... per i turni, accordatevi tra di voi. Non sempre, ma nel pomeriggio verremo a sentirvi, e tenete a mente che non siete già arrivati alla fine della corsa, siete qui per imparare qualcosa. Jarrod.” 

Alexander rivolse un cenno col capo al collega, quasi a volergli passare il testimone mentre qualche borbottio sommesso si diffondeva nella stanza: probabilmente a diversi la parte della doppia insufficienza non piaceva neanche un po’... ma Cal non si scompose troppo, continuando a far dondolare leggermente una gamba mentre, seduta da sola, osservava Jarrod dal planare dei fogli – degli spartiti – verso ognuno di loro.

“Domani sera dovrete suonare, tutti insieme, ad un concerto che si terrà qui... consideratela una specie di “prova d’ingresso”. I brani li abbiamo già scelti noi, ma negli altri test sarete voi a portare dei brani, o almeno quasi sempre... fatevi trovare nella Hall alle 20, e questa volta credo che chi arriverà in ritardo si ritroverà nella lista nera di Koller. E vi assicuro che non è un bel posto.” 

Jarrod sfoggiò un debole sorrisetto che fece sorridere anche Christina, ma la bionda si affrettò a schiarirsi la voce e tornare seria di fronte all’occhiata torva di Alexander, rivolgendogli invece un sorrisino a mo’ di scuse. 

Cal abbassò gli occhi sugli spartiti, rabbrividendo di fronte ai brani che avrebbe dovuto suonare... e ovviamente erano tutti pezzi che conosceva ma che non suonava da una vita.
Grandioso... quello successivo sarebbe stato senza dubbio un giorno molto rilassante e pieno di svago.

“Oh, ma che strano, sono tutti pezzi austriaci... evviva l’etnocentrismo.”* 


Il mormorio di Ivan fece sorridere leggermente Pawel, anche se il biondo lanciò comunque un’occhiata all'amico per suggerirgli silenziosamente di tacere... 

“Oh, ma andiamo... io volevo visitare la Città domani! Per la barba di Merlino... e chi se la ricorda la Marcia di Radetzky?” 

Emil sgranò gli occhi, guardando il suddetto spartito con orrore: a saperlo, si sarebbe ripassato tutto il repertorio austriaco prima di partire... forse in effetti avrebbe dovuto aspettarselo, ma a giudicare dalle facce che lo circondavano non era l'unico.

Rebecca se ne uscì anche con un “uffa, volevo andare a mangiare la Sacher” mentre Christina, a qualche metro di distanza, si sporgeva leggermente verso Alexander per parlargli a bassa voce:

“Dimmi un po'... hai messo anche il valzer?” 

“Naturale Tina... Che ripassino Strauss, male non potrà fargli. Non sentì anche tu che ci divertiremo?”

Alexander sorrise, strizzandole anche l'occhio prima di alzarsi e allontanarsi con nonchalance, lasciando che il gruppo continuasse a consultarsi nervosamente, mentre tutti volevano assicurarsi di non essere gli unici a dover fare un arduo ripasso il giorno successivo.


“Già prevedo le corse per accaparrarsi la sala domani mattina...”   Irina roteò gli occhi, immaginando già di dover fare una specie di gara di velocità per riuscire a suonare in santa pace il giorno successivo... ma nel non udire risposta si voltò verso Maya con aria accigliata, osservando la bionda seduta accanto a lei:

“Maya? ... ti prego, non cominc-“ 

“Per Morgana, me lo sentivo che qualcosa sarebbe andato storto! Ma perché non me ne va mai una giusta? Sapevo del concerto, ma non ripasso Strauss da... beh, da mesi.” 

La bionda sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli: era cominciata da quanto, un'ora e mezza? E le stava già salendo l'ansia... meraviglioso.
Alle sue spalle però qualcuno le rivolse un sorriso mentre si sporgeva verso di lei, e Pawel diede all'amica una leggera pacca sulla spalla, guardandola quasi con aria divertita:

“Rilassati Maya... del resto siamo solo all'inizio.” 

“Lo sai che così non mi aiuti neanche un po’, vero?” 










*: tendenza a considerare la propria cultura migliore rispetto alle altre 




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Angolo Autrice:

Buonasera! Si lo so, sono in ritardo... mi dispiace, ma sto avendo un periodo un po’ ‘no’ per quanto riguarda la scrittura. Nel senso che le idee le ho anche, solo che faccio fatica a trovare il tempo o scrivo qualcosa che non mi convince e riscrivo tutto anche per tre volte...

Va beh, spero di metterci meno per il prossimo, ma intanto grazie a chi mi ha inviato quanto ho chiesto e consiglio a chi non l’ha ancora fatto di provvedere, altrimenti mando il vostro OC a suonare... beh, in mutande. 
Chissà come la prenderà Alex... mah. 

Ultima cosa prima di levare il disturbo: faccio sempre un po' ‘fatica’ quando inizio una nuova storia, chi mi conosce da tempo magari già lo sa... diciamo che vi chiedo scusa in anticipo per eventuali ritardi vergognosi o per far emergere poco qualche OC in alcuni capitoli, almeno all'inizio... diciamo che devo prenderci la mano avendo un mucchio di personaggi che devo imparare a conoscere io per prima per mostrarli a voi. 

Detto ciò, vi saluto e vi auguro una buonanotte... non ho idea di quando aggiornerò, ho davanti giorni un po’ neri, ma spero che succeda presto. 

Signorina Granger 



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Capitolo 5
*** Prove ***


Capitolo 3: Prove 

 
2 Settembre, 7:30 


Sollevò l’orlo del copriletto color crema: niente.
Possibile che la sua scarpa si fosse volatilizzata? 
Rebecca sbuffò, rimettendosi dritta: sotto al letto non c'era.

La ragazza si guardò intorno con attenzione, cercando lo stivale perduto... e gli occhi della violinista si catalizzarono sul cane che si era seminascosto dietro la poltrona, evidentemente pensando che lei non la vedesse anche se la coda di Cinnamon spuntava da dietro il mobile.

“Cinnamon! Guarda che ti vedo... ridammi la scarpa, mi serve! Se vuoi rosicchiare qualcosa, prendi le ciabatte dell’albergo!” 

Rebecca sbuffò e una volta alzata si avvicinò alla poltrona a passo di marcia, tenendo la suddetta pantofola in mano mentre Cinnamon alzava gli occhi su di lei, un laccio dello stivaletto tenuto tra i denti mentre guardava la padrona con gli occhioni colpevoli.

“Molla l'osso. Tieni, prendi questa.” 

Rebecca porse la ciabatta al cane, che però sembro disdegnare il baratto e se ne andò, trotterellando verso il letto.

“Cinnamon, non farmi usare la magia... mi serve la scarpa!” 

La ragazza sospirò mentre si avvicinava di nuovo al cane, pregando affinché non distruggesse la scarpa mentre la custodia del violino era abbandonata sul letto, pronta per essere portata di sotto.

E lei che aveva deciso di alzarsi presto per riuscire a suonare... di quel passo sarebbe uscita dalla camera all’ora di pranzo.

“Bene, come vuoi tu. Accio.” 

L’ex Serpeverde mosse pigramente la bacchetta e lo stivale planò dritto verso di lei, mentre il Setter guaiva con aria offesa, guardandola come a volerla accusare di essere senza cuore ad averle tolto il suo giocattolo.

“Non guardarmi così... tieni, rosicchia questa.” Rebecca le porse la ciabatta e subito lei l’addentò, permettendole finalmente di infilarsi al volo la scarpa perduta prima di prendere il violino e uscire dalla stanza. 
Non si curò neanche di controllare se Eleanor stesse dormendo nella stanza adiacente alla sua... conosceva l'amica abbastanza bene da sapere che se si metteva riusciva a dormire per 13 ore di fila, e di sicuro non si sarebbe alzata prima delle nove.

Lei, invece... beh, non aveva nessuna voglia di perdere tempo.


                                                                              *

Aveva appena messo piede nella sala quando piegò le labbra in una lieve smorfia: a quanto sembrava era stato battuto sul tempo.
Pawel sbuffò debolmente, tenendo il manico della custodia del violino in mano e gli spartiti nell’altra mentre non gli restava che andare a sedersi su una delle poltroncine rosse imbottite: se non altro era arrivato per secondo, doveva solo aspettare che la ragazza finisse e poi avrebbe potuto suonare.

Aveva provato, quando era uscito dalla sua stanza, a chiedere a Ivan se voleva scendere insieme a lui... ma il russo aveva borbottato qualcosa nella sua lingua madre che, anche se Pawel non parlava il russo, era chiaramente un invito ad andarsene e lasciarlo dormire in pace. 

Il polacco appoggiò violino e spartiti sulla poltrona accanto a lui, puntando gli occhi sulla ragazza che suonava e che non aveva dato segno di essersi accorta della sua presenza. Magari era troppo concentrata sulla musica, o forse semplicemente non le interessava.

A pensarci bene non era una cattiva idea, infondo... era un modo per ascoltare e osservare gli altri, in particolare quelli che suonavano il violino come lui. 
Non aveva mai amato gli imprevisti o quando qualcosa non andava come aveva pianificato, ma forse l'essere stato battuto sul tempo da una degli inglesi poteva avere un risvolto positivo. 

“Chissà perché immaginavo di trovarti qui.” 

La voce familiare di Maya lo fece voltare, stringendosi nelle spalle mentre la ragazza prendeva posto a sua volta, la custodia del suo clarinetto in mano:

“Anche io mi chiedevo quando saresti arrivata. La tua amica?”

“Dorme. Immagino che scenderà più tardi, come gli altri.” 

Pawel riportò gli occhi su Rebecca, ascoltando quasi con le orecchie tese Sul Bel Danubio Blu riempire la stanza. 

"È brava. Non me ne intendo molto di violino, ovviamente. Ma è brava.” 

“Si, non è male...” 

“Ma tu di più, ovviamente.”  Pawel fulminò l'amica, lanciandole un’occhiata torva dopo essere stato scimmiottato da Maya, che sorrise con aria divertita e gli diede una leggera gomitata:

“Il solito permaloso. Lo sai che per me sei bravissimo.”  

Pawel sfoggiò un lieve sorriso compiaciuto ma non disse niente, continuando a tenere le gambe accavallate e le mani intrecciate mentre osservava Rebecca più che ascoltarla, studiando i movimenti della dita sulle corde o dell’archetto. 
Era seduta davanti al leggio, e dal modo in cui teneva la mascella serrata si capiva che si stesse sforzando per non muovere capo e spalle mentre suonava... del resto lo sparava anche lui, che suonare da seduti era più difficile, così come non muoversi quando di suonava il violino, farlo risultava quasi naturale. 

Intanto anche qualcun altro aveva fatto la sua comparsa nella sala... non tanto perché volesse essere tra i primi a suonare, più che altro Emil voleva ascoltare i compagni.
Rivolse un sorriso e un cenno con la mano in direzione di Rebecca mentre andava a sedersi e la ragazza, non volendo interrompere il brano oltre la metà, gli indirizzò un cenno col capo.


Finito il valzer Rebecca allontanò il violino dalla sua spalla, muovendola leggermente per farle ritrovare sensibilità mentre puntava gli occhi sull’altro spartito: se l'era lasciata per ultima, ma sfortunatamente doveva proprio provare anche quella.
Sbuffò sommessamente ma poi sistemò il violino e appoggiò l’archetto sulle corde, sperando di ricordarla anche se non la suonava da qualche anno. 

“Credo che la Marcia sia uno dei pochi brani che abbiamo tutti... a parte forse i pianisti. Meglio ripassarla per bene, dopo...” 

Maya si accigliò leggermente mentre osservava lo spartito, con Pawel che accanto a lei muoveva distrattamente il piede a ritmo della musica, ripetendosi le note mentalmente.

“Si sarà meglio. Non mi va di pensare a cosa succederà se stasera non suoniamo come si deve...” 

 
                                                                                        *


Eleanor versò del thè nella tazza prima di metterci dentro due cucchiai di zucchero, guardandosi leggermente intorno nella grande sala piena di tavoli rotondi apparecchiati per la colazione, con tovaglie bianche bordate d’oro e tazze abbinate. 

Quando si era svegliata Rebecca era già uscita, ma di sicuro sarebbe comparsa a momenti reclamando qualcosa da mangiare.
Intanto la pianista stava occupando il tempo guardandosi intorno, scorgendo molti tra i suoi “colleghi” seduti nei tavoli che la circondavano.

Gli unici che non vedeva, in effetti, erano proprio Emil e Rebecca. 
Eleanor iniziò a mescolare distrattamente il thè affinché lo zucchero si sciogliesse, continuando a guardarsi intorno e cercando di ricordare qualche nome... sentiva anche una voce stranamente simile a quella della sua amica suggerirle di muovere il posteriore e andare ad attaccare bottone... ma Eleanor ne era difficilmente in grado, lo sapevano entrambe, piuttosto timida com'era. 


Un sorriso però comparve sul volto dell’ex Tassorosso quando vide due figure decisamente familiari comparire sulla soglia della stanza, piuttosto contrastanti visti l'uno accanto all'altra vista la differenza d'altezza e intenti a confabulare. 

Eleanor alzò una mano per rivolgere un cenno ai due e attirare la loro attenzione, e mentre Emil le sorrise allegramente come suo solito Rebecca aveva già puntato gli occhi altrove, dritti sul suo obbiettivo.

Assestò una gomitata al biondo e accennò in direzione del tavolo ricoperto di ogni genere di alimento e Eleanor si trattenne dal ridere, immaginando che cosa avesse visto l'amica. 

Non per niente due secondi dopo entrambi avevano puntato in quella direzione, e quando andarono a sedersi di fronte a lei avevano un piatto ciascuno con una fetta di torta. 

“Finalmente! Ciao Elly... dopo vieni con noi a provare? Fortunatamente mi sono alzata presto e sono riuscita ad arrivare per prima.” 

“Si, dopo colazione verrò anche io. Hai già suonato anche tu Vichingo?” 

“Si pulcino, ma solo la Marcia. Ho convinto Rebecca a provarla insieme, visto che suoniamo entrambi il violino... anzi, devo trovare un soprannome anche a te...” 

Emil si voltò verso Rebecca, osservandola con attenzione mentre l’ex Serpeverde roteava gli occhi, borbottando che ne avrebbe volentieri fatto a meno mentre si dedicava allegramente alla torta che si era finalmente accaparrata.

“Beh, mi verrà in mente qualcosa, non preoccuparti.” 

“Oh, se fossi più calma di così sarei in coma...” 




“’Giorno... fammi indovinare, ti sei svegliata all’alba.” 

“No... alle sette in realtà.”

Maya si strinse nelle spalle mentre spalmava della marmellata su una fetta di pane. Irina sedette accanto a lei e roteò gli occhi prima di parlare di nuovo:

“Hai già suonato?” 

“No, ma non appena avrò finito di fare colazione corro di là e provo qualcosa... sono scesa verso le 7:30 ma la colazione la servono dalle 8, così ho aspettato che finissero di provare due ragazzi inglesi. Poi tocca a Pawel e poi finalmente è il mio turno... possiamo provare insieme, se vuoi.” 

Irina annuì mentre tamburellava le dita sul tavolo, guardandosi distrattamente intorno nella sala dove praticamente c'era soltanto il gruppo di giovani musicisti... probabilmente gran parte degli altri ospiti stavano ancora dormendo, ma quel giorno tutto loro avevano una gran fretta. 

“Figuriamoci. Prima c'è Pawel...” 

“Lo so che non ti piace, ma davvero, basta conoscerlo meglio.” 

“Certo, tu eri in classe con lui, mentre io non lo conosco molto bene... ma a scuola non mi ispirava molta simpatia, se devo essere sincera. Insomma, ha la tendenza ad ignorare spesso le persone... il mondo non è degno della sua attenzione?” 

“Beh, in effetti è abbastanza... selettivo con le amicizie. Ma lo sei anche tu.”  Maya sorrise debolmente prima di bere un sorso di thè, mentre la rossa esitava per un attimo prima di annuire, sorridendo come se gliela stesse dando vinta:

“Touchè...” 




“Se avete finito di abbuffarvi, magari potremmo andare.” 

Helene inarcò un sopracciglio, trattenendosi dal ridere mentre, seduti di fronte a lei, Lysandre e Sebastien alzavano lo sguardo all’unisono, smettendo improvvisamente di rimpinzarsi di dolci.

“La colazione è il pasto più importante della giornata, non te l'hanno detto? Però hai ragione, sarà meglio andare.”

Sebastien sorrise leggermente ripiegando il tovagliolo e lasciandolo sul tavolo prima di alzarsi con il suo solito modo di fare disinvolto ed elegante.
Helene si voltò verso Gae, seduta accanto a lei e gli occhi puntati distrattamente sul tavolo, l’aria assorta che spesso la contraddistingueva stampata sul volto. Conoscendola, Helene era sicura che stesse pensando ai brani che doveva preparare e a quella sera... in effetti non sapeva se era per la sua indole piuttosto timida o per quei pensieri che la ragazza non aveva quasi emesso un suono durante la colazione, lasciando che ad animare la situazione fosse più che altro Sebastien. 
Lys invece imitò l'amico, borbottando che avrebbe voluto alzarsi più tardi e dormire mentre prendeva la custodia del flauto, imitato da Helene che passò anche a Gae la sua, guadagnandosi un lieve sorriso dall’amica:

“Grazie. Ti va se proviamo insieme? Risparmieremmo anche tempo, così facendo.” 

“Si, è una buona idea... sei nervosa per stasera?” 

Gae si strinse nelle spalle mentre si avviava insieme alla rossa fuori dalla sala, pochi passi dietro a Lysandre e Sebastien intenti come loro solito a chiacchierare.

“Beh, un po’, come sempre del resto. Ormai dovremmo averci fatto l'abitudine, non pensi?” 

“Immagino di si... ci aspettano settimane piene di valutazioni e prove, se ci lasciamo sopraffare dall’ansia non arriveremo vive a Dicembre.” 

Helene sorrise e, presa l'amica sottobraccio, la spinse a seguirla verso la sala prove, ansiosa di suonare insieme a lei.


                                                                                *


Christina Sørensen era seduta nell'ultima fila si poltroncine della Sala, gli occhi azzurri fissi sulle due ragazze che stavano suonando il clarinetto in sincro. 

“Onestamente pensavo che sarebbero andati un po’ nel panico... ma direi che se la stanno cavando bene per essere il primo giorno, no?” 

Quando non ottenne alcuna risposta la donna sbuffò, voltandosi prima alla sua destra e poi alla sua sinistra: i due “scimmioni” che la circondavano, come li chiamava ormai da diversi anni, sembravano non averla sentita dato che Jarrod stava scrivendo una lettera e Alexander leggeva il giornale.

“A volte mi sembra di lavorare da sola... sveglia!” 

La bionda schioccò le dita di entrambe le mani, ognuna davanti al viso dei due colleghi per catalizzare su di sè la loro attenzione. Jarrod sussultò appena mentre invece Alexander si limitò ad alzare gli occhi azzurri dal giornale per puntarli su di lui, senza abbandonare come suo solito la sua impassibile faccia di bronzo:

“Io sono sveglissimo, Christina. Naturalmente non so dirti per quanto riguarda Zimmer, io ripeto dai tempi della scuola che sia un po’ lento a volte...” 

“Io sarò anche lento, ma tu sei acido come una donna con le sue cose.” 

“Non fare discorsi da maschilista Jerry! E tu, Capitan Ovvio, ascolta i ragazzi invece di leggere... stasera li dovrai dirigere per la prima volta, ti sarà utile. Ma non dovrei dirtelo io...” 

Christina sospirò, passandosi una mano tra i capelli e sentendosi più che mai una specie di baby sister con due bambini piccoli a cui badare. 
Se non altro ormai ci era abituata, visto che conosceva entrambi dai tempi della scuola e lei e Alexander erano amici sin da ragazzini.  Non si accorse però del sorrisetto divertito che era comparso per un attimo sul volto di Alexander, che però tornò immediatamente serio quando fu Jarrod a parlare: 

“Cosa vuoi farci Tina, Koller fa sempre e comunque di testa sua, ormai purtroppo lo sappiamo.” 

“Il toro che dice cornuto all’asino.”

“Finitela voi due, altrimenti vi divido!” 


                                                                                  *


Ivan teneva gli occhi chiari puntati sulle due ragazze che stavano suonando il clarinetto quando vide con la coda dell'occhio qualcuno sedersi accanto a lui.
Il ragazzo non si voltò e per un attimo tra i due nessuno parlò, finché Cal non ruppe il silenzio:

“Trovarti senza il tuo fidanzato è strano, devo dirlo.” 

“Anche trovare te senza il tuo strano umorismo... ciao Cal, ieri non abbiamo avuto modo di salutarci.” 

Ivan continuò a non voltarsi, ascoltando la melodia ormai decisamente familiare mentre accanto a lui Cal sorrideva, guardandolo con aria divertita:

“Seriamente... che fine ha fatto il tuo simpaticissimo amico?” 

“Ha detto che andava in camera sua per suonare ancora... ma a me non dispiace ascoltare gli altri, farsi un’idea di come suonino. E smettila di lanciare frecciatine a Pawel, capisco che non possiate andare molto d'accordo visto che siete molto diversi, ma lascialo stare.” 

Ivan roteò gli occhi e Cal sorrise leggermente, trattenendosi dal dirgli che si divertiva sempre moltissimo a prendere un po’ in giro Pawel: il russo aveva indubbiamente ragione, erano davvero troppo diversi per poter andare d'accordo, lui piuttosto introverso e rigido e lei più socievole ed estroversa. 

“Cercherò di farlo, ma non ti prometto nulla. Piuttosto... qui c'è un solo pianoforte Petrov, immagino che dovremmo giocarcelo... oppure suoniamo a quattro mani.” 

“Stasera dovremo farlo, quindi perché no? Io sto a destra.” 

“Volevo starci io a desta!” 

“Troppo tardi Jordan, l'ho detto prima io... e non provare a tirare fuori la scusa che tu sei più vecchia! Sai che differenza, per un anno...” 

Il biondo sbuffò leggermente, ricordando tutte le volte in cui l’ex compagna di scuola aveva usato quella scusa in un mucchio di situazioni. La bionda ridacchiò con aria divertita prima di concentrarsi a sua volta sulle due ragazze che suonavano, riconoscendole entrambe come vecchie compagne di scuola... ma proprio non ricordava come si chiamassero.

“Tu ricordi come si chiamano? Le facce mi sono familiari, ma credo che siamo entrambe più piccole di me di un paio d'anni...” 

“La bionda ha l'età di Pawel, si chiama Maya... sono molto amici in effetti, ma non la conosco bene.” 

“Oh povera Santa.” 

“Cal... l’altra mi sembra si chiami Irina, ma ha un paio d'anni meno di me. Cal, sei la vecchietta del gruppo!” 

Questa volta fu il turno di Ivan di sghignazzare alle spalle della bionda, che gli fece anche la linguaccia prima di mandarlo allegramente a quel paese in lituano, tanto che Ivan le chiese che cosa gli avesse detto:

“Se aspetti che te lo dico mio caro, puoi anche stare qui fino a Capodanno...” 


                                                                                    *


“Maya, vedo da un miglio che sei nervosa. Rilassati.” 

Quante volte aveva detto quella parola riferendosi alla stessa persona? In effetti aveva perso il conto definitivamente, ma Irina continuava comunque a provarci, a tranquillizzare l'amica da sempre di indole piuttosto ansiosa.

Maya infatti sospirò mentre sistemava con delicatezza il clarinetto nella custodia, infilandoci dentro anche gli spartiti prima di chiuderla:

“Si, ci provo... ma non sono del tutto convinta, magari suonerò un po’ anche in camera, anche se qui l'acustica è decisamente migliore.” 

“Andrai bene, non preoccuparti. E poi sarai seduta vicino a me, non sei da sola.” La rossa sorrise all'amica, dandole una pacca incoraggiante sulla spalla prima di tornare a sedersi, volendo finire di ascoltare anche gli altri prima di tornare in camera sua. 
Maya annuì, forse non del tutto convinta, e non replicò mentre seguiva l'amica, prendendo di nuovo posto accanto a lei. 

“Credimi, vorrei tanto non essere così ansiosa. Dai, parliamo d'altro, così magari non ci penso... dimmi, come vanno le cose su quella... cosa?” 

Maya inarcò un sopracciglio, puntando gli occhi azzurrissimi e tendenti al grigio sull’amica, stando piuttosto attenta a girarci intorno e a non nominare la parola che ormai era praticamente diventata tabù. 
Irina sbuffò sommessamente, stringendosi nelle spalle con aria torva prima di borbottare a mezza voce:

“Niente di nuovo... del resto sai perché sono qui. Più che vincere, voglio cercare di rimandare il più possibile l'inevitabile.” 

“Così fa tanto pena di morte...” 

“Per il mio punto di vista ci si avvicina, sotto una certa luce. Se non altro ora sono qui, per un po’ eviterò di pensarci magari.” 

“Potresti sempre dartela a gambe... insomma, io in un certo senso l’ho fatto, vivo da sola non potendo più sopportare mia madre.” 

Irina quasi rise a quella parole, mentre due ragazzi si sistemavano davanti al pianoforte per suonare a quattro mani:

“Sai, qualche volta ci ho anche pensato... ma forse queste cose succedono solo nei libri.” 

“In genere si, ma magari a volte la vita ci riserva qualche sorpresa... non gettare definitivamente la spugna Ina.” 

                                                                              *


Due ragazzi, di sicuro entrambi ex allievi di Durmstrang a giudicare dagli accenti, erano appena scesi dal palco dopo aver suonato a quattro mani quando Eleanor prese il loro posto, salendo i pochi gradini con gli spartiti in mano. 

Il pianoforte a coda lucido e nero non era poi così diverso da quello a cui era abituata, ma l’ex Tassorosso avrebbe comunque preferito poter continuare a suonare il suo... un vero peccato non potersi portare dietro il piano come tutti gli altri. 

“Ciao. Ti va di suonare a quattro mani? Così risparmiamo tempo e anche gli altri potranno esercitarsi.” 

La ragazza si voltò, ritrovandosi a guardare un ragazzo alto e magro dai capelli castani avvicinarlesi... francese, a giudicare dall’accento.
L’ex Tassorosso esitò, leggermente combattuta: già l'idea di suonare davanti a molte persone le metteva sempre un po’ di apprensione... ma farlo con una persona che neanche conosceva? 

Forse avrebbe gentilmente declinato, ma con la coda dell'occhio scorse un paio di persone che, sedute vicine, le fecero cenno di accettare. 
Probabilmente se avesse detto di no avrebbe dovuto sentire la ramanzina di Rebecca sul smettere di fare l’istrice... 

Così Eleanor annuì e sorrise debolmente:

“Si, certo. Piacere, sono Eleanor.” 

“Bash. Con cosa vuoi iniziare?”    Sebastien le rivolse un sorriso allegro, avvicinandosi al pianoforte e riuscendo in breve, con il suo brio, a mettere piuttosto a suo agio la ragazza. 



“Poverina, non la invidio... la inonderà di chiacchiere, se arriva viva alla fine del brano andrò a farle i complimenti.” 

Lysandre si passò una mano tra i capelli rossi, guardando il duo di pianisti quasi con rammarico nei confronti di Eleanor, mentre invece Gabriel, seduto accanto a lui, rideva leggermente:

“A me sembra simpatico, a primo impatto.” 

“Infatti lo è... in genere piace molto a chiunque lo conosca, ma a volte la sua vivacità può mettere in difficoltà, se non si è socievoli come lo è lui.” 

Lys fece spallucce, ascoltando piacevolmente il suono del pianoforte mentre Gabriel, seduto accanto a lui, continuava a tamburellarsi l’archetto sulle ginocchia o a sistemarsi la montatura degli occhiali neri, tradendo un po’ di impazienza. 
In effetti non vedeva l'ora sia di provare e sia che arrivasse la sera... aveva anche ascoltato suonare gli altri violinisti con attenzione, giusto per rendersi conto di con cosa avrebbe dovuto confrontarsi nelle settimane successive... ben due tra gli altri inglesi suonavano il suo stesso strumento in effetti, e poi c'era la ragazza che stava suonando il pianoforte insieme a Sebastien. 

Erano davvero tutti molto bravi... era ovviamente molto felice e soddisfatto di essere arrivato a quel punto, ma aveva la sensazione che arrivare fino in fondo e vincere non sarebbe stato facile, magari non ci sarebbe riuscito... ma almeno ci avrebbe provato, forse più per dimostrare a suo padre che era in grado di combinare qualcosa che per orgoglio strettamente personale o anche solo per passione, era piuttosto sicuro che non sarebbe stata quella, la sua strada. 

L’ex Corvonero si sistemò il violino sulle ginocchia, ansioso che arrivasse finalmente anche il suo turno: non aveva proprio nessuna voglia di sfigurare, quella sera. Anzi, dopo quello che era successo il giorno prima si sarebbe solo impegnato ancora di più. 















......................................................................................................
Angolo Autrice:

Buonasera!
 Spero che il capitolo non faccia schifo, avendolo scritto abbastanza di getto non sono molto sicura del risultato...

In ogni caso nel prossimo ci sarà ovviamente il primo concerto dei ragazzi... e rinnovo la mia predizione sul suonare in mutande o quant’altro, vedete voi insomma. 
Prima di chiudere vi metto le immagini dei cari animaletti dei ragazzi...  


Sergej (Ivan) 
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Lena (Irina) 
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Talia (Gabriel) 
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Cinnamon (Rebecca) 
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Piotr (Helene)
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Selene (Sebastien) 
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Lady (Maya) 
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Alaska (Cal) 
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Ci sentiamo in settimana con il seguito, buonanotte! 

Signorina Granger 

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Capitolo 6
*** Concerto ***


Capitolo 4: Concerto 
 
2 Settembre, 20:30


“Senti. Siamo sinceri, io non ho tempo da perdere… e neanche tu. Quindi ridammelo! Ed è inutile che fai quella faccia, dove l’hai nascosto?” 

Lysandre Chevalier aveva avuto parecchie disavventure nei suoi 24 anni di vita… specialmente quando di mezzo c'era qualche animale. 
Non aveva tuttavia mai pensato che un giorno sarebbe finito a fare trattative con un quadrupede… specialmente se il suddetto animale non era nemmeno suo, ma del suo migliore amico.

Il rosso sbuffò leggermente, chiedendosi perché non aveva convinto Sebastien a lasciare Selene a casa… anzi, difficilmente ci sarebbe riuscito riflettendoci. 
Il francese si appuntò mentalmente di comprare un repellente anti-volpi viziate e pestifere mentre incrociava le braccia al petto, gli occhi fissi sulla cucciola che era acciambellata sul pavimento davanti a lui, rosicchiando un pupazzetto a forma di coniglio.

Si, Sebastien aveva indubbiamente un gran senso dell'umorismo nel comprare i giochi alla sua amatissima volpe…

In effetti il rosso si stava chiedendo come accidenti avesse fatto l'animale a sgattaiolare in camera sua quando mosse qualche passo verso Selene, certo che avesse rubato il suo papillon e lo avesse nascosto da qualche parte.
Bah sosteneva che era una giocherellona, ma Lys sapeva per certo che la volpe lo odiava a morte e lo faceva apposta.

“Sei una gran rompiscatole, sai? Smettila di ignorarmi!” 

Lys sbuffò, allungando una mano per rubare il peluche dai denti della volpe, che lo fulminò con lo sguardo come a volergli dire che ricambiava totalmente.

“Prima o poi ti faccio arrosto, sappilo...” 


“Lys, hai visto Selene? Non la trovo… tesoro, eccoti! Vieni da papà!” 

Come al solito Sebastien scelse il momento più sbagliato per entrare nella camera, sorridendo con sollievo nel vedere la volpe acciambellata sul tappeto. Selene però non si mosse, lanciando al padrone un’occhiata malinconica.

“Strano, ha l'aria triste… Lys, cosa le hai fatto?”   Il francese spostò lo sguardo dall’animale per posare gli occhi sull’amico, osservandolo con aria accusatoria e facendolo sbuffare di conseguenza:

“Ma perché dai sempre la colpa a me? È colpa sua, mi ruba sempre le cose… dovresti educarla un po’. Oppure lo fa solo con me?” 

“Credo la seconda... Ma perché non hai ancora il cravattino? Tra poco dobbiamo andare, che aspetti?” 

“Chiedilo alla tua fidanzata, Lacroix.” 

"Ma scusa, perché non usi la magia?”  Sebastien inarcò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo e osservando l’amico con espressione dubbiosa, come se non capisse quale fosse il problema: infondo erano pur sempre maghi, che cosa ci voleva ad appellare il papillon perduto?

“LO FAREI, MA MI HA NASCOSTO ANCHE LA BACCHETTA!” 


                                                                                 *


“Elly! Torna qui, non ho finito!”
Rebecca Crawley sbuffò, continuando ad inseguire l'amica con tacchi ai piedi, palette e pennello in mano… il tutto mentre Eleanor cercava di seminarla, spostandosi avanti e indietro dalla sua camera a quella dell'amica attraverso la doppia porta che le collegava. 
In effetti vista da fuori quella scena doveva essere abbastanza divertente, visto che a completare la processione c'era Cinnamon, che trotterellava dietro alla padrona… forse voleva qualcosa da mangiare, o forse pensava che stessero giocando.

“Ma come fai ad essere così veloce con i tacchi?”
“Pratica. Eleanor Isabelle Hall, non puoi lasciare tutto a metà dell'opera… SEDUTA!”

“Guarda che non sono un cane!” 

La Tassorosso sbuffò ma sedette sul suo letto per infilarsi le scarpe a sua volta… e permettendo così ad una Rebecca soddisfatta di sistemarle l’ombretto, sorridendo come se si stesse divertendo un mondo: 

“Brava ragazza. Come premio ti darò un biscotto!”
“Smettila di prendermi in giro! … però un biscotto lo mangerei… ne abbiamo?” 


                                                                                   *


Ivan sbuffò leggermente, sistemandosi il fermacravatta d'argento mentre scendeva le scale… non stava neanche guardando dove andava in effetti, non era da escludere che andasse a sbattere contro qualcuno o finisse con l’inciampare.

D'altra parte però non voleva fermarsi e fare tardi, visto che voleva passato venti minuti a ripetere incessantemente le note delle varie melodie che avrebbe dovuto suonare. Non era sicuro di dover suonare a memoria o con lo spartito in effetti, ma era sempre meglio prevenire.

“Ciao!” 

Il ragazzo si sentì prendere sottobraccio e alzò lo sguardo, incontrando il sorriso rilassato di Cal:

“Ah, ciao. Come mai sei così tranquilla?”
“È la prima sera Ivan, se comincio ad essere nervosa ora non arriverò sana di mente alla fine del concorso… Ma come siamo eleganti, non dovevi farti così bello per me!”

“Lo so. Infatti non è per te.”  Il biondo inarcò leggermente un sopracciglio, parlando con un tono ovvio che non fece battere ciglio alla ragazza, che si limitò a sorridere allegramente all’amico mentre lo trascinava verso la sala dove avrebbero dovuto suonare, con già diversi ospiti che li stavano imitando per andare a prendere posto. 

“Dimenticavo, sarà per il tuo amico per la pelle… Coraggio, andiamo a socializzare!” 
Inutile dire che alla parola “socializzare” Ivan fece per inchiodare e scappare dell'amica… ma la presa di Cal sul suo braccio si fece ferrea e la ragazza ignorò la sua espressione allarmata, come sempre vagamente divertita da quanto fossero diversi:

“Non fare quella faccia Petrov… sono piuttosto sicura che agli studenti di Hogwarts e di Beauxbatons non insegnino a mordere gli sconosciuti. Anzi, tecnicamente siamo noi quelli più potenzialmente pericolosi…”

“Ma veramente io dovevo andare in bagn-“

“Te lo incipri dopo il naso biondino, ora andiamo a fare qualche nuova conoscenza! Il bello di queste occasioni è anche questo, non trovi?”
“Onestamente no.”

Ivan sospirò, sapendo che se Cal Jordan aveva deciso di voler fare due chiacchiere con i loro “colleghi” non sarebbe riuscito a sfuggirle. La ragazza gli sorrise mentre entravano nella sala già abbastanza affollata, districandosi tra ospiti e poltroncine per raggiungere il retro del palco già allestito con sedie e leggii.
 


                                                                                     *


Mentre faceva lo slalom tra un mare di volti nuovi e conosciuti, Christina Sørensen era piuttosto sicura che alla fine della serata avrebbe continuato a sorridere come un’idiota per qualche ora: non erano neanche le 21 e sentiva già i muscoli facciali indolenzirsi a furia di rivolgere sorrisi di cortesia a destra e a sinistra, insieme a saluti e strette di mano.

Moriva dalla voglia di andare a nascondersi dietro il palco, ma allo stesso tempo sapeva che almeno uno tra i tre doveva comportarsi da persona matura ed intelligente e salutare gli ospiti, i proprietari dell’albergo, giornalisti e ovviamente anche i finanziatori di tutto il progetto, nonché quelli che li pagavano.

Peccato che Jarrod stesse, probabilmente, facendo il galletto a destra e a sinistra e Alexander se ne stava in un angolo a rigirarsi la bacchetta tra le dita, riprendendosi mentalmente le note per la centesima volta.
Christina sollevò una mano, sforzandosi una guancia indolenzita mentre si avvicinava al collega, trovandolo in piedi accanto al muro e tenendo la bacchetta in una mano e un bicchiere nell'altra, gli occhi azzurri vagamente vacui come sempre quando ripeteva mentalmente una canzone.

“Ciao… nervoso?”
“No. Sono brano che dirigo da anni, dopotutto.” 

Alexander si strinse nelle spalle, riscuotendosi leggermente nel sentire la voce della collega. La bionda inarcò un sopracciglio e fu tentata, per un attimo, di fargli notare che lo conosceva molto bene e che non le sembrava poi così indifferente… ma proprio perché sapeva com'era fatto e quanto fosse orgoglioso tenne la bocca chiusa, guardandolo svuotare il bicchiere, cambiando argomento:

“Come vuoi… hai visto Jerry?”
“Non passiamo esattamente il tempo libero insieme, Tina… no, ma immagino che sia qui in giro, da qualche parte. Salterà fuori, vedrai.”

Alexander si strinse nelle spalle con noncuranza prima di muovere il braccio e lasciare il calice ormai vuoto sul vassoio portato dal cameriere che gli passò accanto e rivolgere un lieve sorriso all'amica:

“Devo andare… ci vediamo dopo, tu intanto continua a incantare gli altri con il tuo sorriso.”
“Certo… buona fortuna.” 

Christina annuì, dando una lieve pacca sulla spalla del collega prima che Alexander sbuffasse con leggero divertimento e superandola: 

“Grazie, ma non mi serve.”
“Il solito modesto…”


                                                                                *


Era in piedi, in un angolo, tenendo il violino e l’archetto con una mano mentre continuava a guardarsi intorno con l'aria più rilassata del mondo, senza che il suo tipico sorriso gli sparisse dal volto.
Non era nervoso, in effetti… dopotutto amava suonare. Che cosa poteva andare storto, se faceva qualcosa che gli piaceva tanto e che, almeno in genere, gli veniva anche piuttosto bene?

Il fatto che fosse quasi interamente circondato da persone che non conosceva lo rendeva ancora meno incline a preoccuparsi troppo per il concerto che sarebbe iniziato di lì a breve: si stava concentrando più che altro su quello che vedeva intorno a lui.

Così tante personalità differenti, emozioni variegate, sentimenti diversi… tutto raccolto in una sola stanza, traducendosi ai suoi occhi in una specie di cascata di colori piena di sfumature diverse.

Probabilmente avrebbe dovuto andare a sedersi, ma era troppo occupato a studiare i suoi compagni, che lo circondavano: in piedi riusciva a vederli praticamente tutti, anche i pianisti resi seminascosti agli occhi degli spettatori. 

Anche se, a proposito di pianisti… ne mancava una all’appello che conosceva piuttosto bene. 
Si stava giusto chiedendo dove fosse finito il “dinamico duo” quando intravide Eleanor avvicinarsi al palco parlando con Rebecca, che teneva la custodia del violino in mano.

“Ah, eccovi qua! Credo che siate le ultime. Ma come siete carine!” 

“È colpa di Elly, non voleva farsi spiegarne il trucco… EMIL METTIMI SUBITO A TERRA, SOFFRO DI VERTIGINI!”

Rebecca sgranò gli occhi castano-verdi mentre lanciava un’occhiata al pavimento improvvisamente abbastanza lontano, mentre Emil aveva abbracciato sia lei che la Tassorosso e sollevate entrambe da terra. 

Eleanor si limitò invece a roteare gli occhi mentre il ragazzo ridacchiava, obbedendo e rimettendole a terra senza smettere di sorridere allegramente:

“Non sei felice di aver visto com’è il mondo con una prospettiva dall'alto, Becky?”
“In realtà preferisco restare con i piedi per terra, se devo essere sincera… coraggio, andiamo a sederci.” Rebecca diede un colpetto sul braccio del biondo, invitandolo a seguirla e prendere posto mentre Eleanor annuiva con lieve nervosismo, lanciando un’occhiata scettica al pubblico prima di parlare:

“Vado anche io al mio posto… auguri! Ma ora siediti Marcantonio, copri la visuale a tutti.”

“Chi è questo Marcantonio? Becky, tu lo sai?”
“No, non ne ho idea, dopo glielo chiediamo…”

La Serpeverde fece spallucce prima di andare a sedersi ad un violinista biondo di Durmstrang, imitata da Emil sempre super rilassato. Il ragazzo sistemò con cura gli spartiti sul leggio sotto lo sguardo scettico dell’ex compagna di scuola, che si chiese come facesse a sorridere sempre:

“Emil… per caso ti sei tipo plastificato il sorriso sulla faccia? Come fai a sorridere sempre?”
“No, è una mia caratteristica naturale… in effetti dovresti sorridere di più, così.”

Il sorriso sornione del ragazzo si allargò, consapevole che a molti irritasse il suo essere perennemente rilassato, sorridente e apparentemente tranquillo. Allungò anche le mani verso il volto di Rebecca dopo essersi sistemato il violino sulle ginocchia per piegarle le labbra in un sorriso, facendola scostare e sbuffare leggermente:

“Sto bene così, grazie.” 

“Musona!”
“Smettila!”


                                                                                *


“Ciao, piacere di conoscervi… siete di Durmstrang, vero? Io sono Sebastien.”

Un sorriso allegro illumino il volto di Cal mentre il francese le stringeva energicamente la mano, improvvisamente piuttosto felice di aver trovato qualcuno con cui chiacchierare:

“Cal, piacere. Quello musone è Ivan, in realtà è simpatico ma è un po’ asociale.”

“Grazie tante… sarà una lunga serata…” Il russo sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi mentre lanciava un’occhiata vagamente preoccupata in direzione di Cal e Sebastien, che stavano ancora chiacchierando allegramente mentre sistemano gli spartiti sui due piani che avevano a disposizioni, entrambi di ebano e sistemati uno accanto a all’altro.

Il ragazzo, già seduto davanti ad uno dei due strumenti, alzò lo sguardo sulla ragazza che era appena arrivata, quella inglese che ricordava di aver sentito suonare proprio poche ore prima. Il biondo inarcò leggermente un sopracciglio, osservandola per un istante con aria dubbiosa prima di parlare:

“Eleanor, vero?”

“Si… ciao.”

“Per caso sei una chiacchierona cronica anche tu?”

La Tassorosso esitò per un attimo, accigliandosi leggermente di fronte a quella domanda vagamente insolita prima di scuotere il capo:

“Beh, non proprio…”
“Fantastico. Sai Cal, questa ragazza mi sta già tremendamente simpatica… penso che suonerò con lei. Ti dispiace?”

Ivan rivolse un sorriso ad Eleanor, che si affrettò a scuotere il capo mentre alle spalle del ragazzo la bionda sbuffava, accusandolo di averla “abbandonata”. Il russo però non sembrò farci molto caso, limitandosi a stiracchiare le braccia mentre Eleanor prendeva posto accanto a lui, stirandosi le dita ad una ad una mentre abbassava lo sguardo sugli spartiti:

“D'accordo, allora… cominciamo.” 


                                                                              *

“Sta per venirmi un crampo al dito. Secondo te è possibile?”
“Non saprei, ma penso di sì.” 

Maya sorrise, parlando quasi senza muovere le labbra mentre apriva e chiudeva la mano sinistra leggermente dolorante, ben lieta di poter fare una brevissima pausa dopo aver suonato la Marcia di Radetzky. 
Gli occhi chiarissimi della ragazza erano fissi su Alexander, in piedi davanti a loro, gli occhi fissi sullo spartito e la bacchetta in mano mentre gli applausi del pubblico alle sue spalle si spegnevano lentamente.

“Che c'è ora? Sempre Strauss?”
“Valzer.” 

Irina fece per voltarsi verso l'amica e chiederle perché cavolo stessero parlando in quel modo, ma poi Alexander si mosse, dando un paio di colpetti al suo leggio con la bacchetta… e in un men che non si dica la voglia di parlare passò a tutti i giovani musicisti, che si affrettarono a sistemare lo spartito del brano successivo. 

Prima di riprendere a suonare la rossa lanciò un'occhiata alla ragazza che era seduta accanto a lei, sollevata che Maya si fosse vagamente rilassata… ormai la conosceva a aveva rinunciato a tentare di farle passare l'ansia cronica pre-esibizione ma accorgersi di come, una volta sul palco e con il clarinetto in mano, si rilassasse leggermente era sempre un sollievo. 

“Mi fa piacere vedere che non hai più la faccia di una che ha visto una Chimera, Maya…”
“Risparmia il fiato per suonare invece di prendere in giro.”

Irina fece per replicare che era serissima e che non la stava affatto prendendo in giro, ma un movimento da parte del direttore d’Orchestra non gliene diede il tempo, e la rossa si affrettò a concentrarsi di nuovo su di lui e sul clarinetto che teneva in mano. 

L'ultima cosa che voleva era stonare o andare disgraziatamente fuori tempo proprio quella sera, all’apertura della competizione.


                                                                              *


Sebastien Lacroix sorrise, sollevato di poter fare una pausa mentre i suoi compagni erano impegnati a suonare “Sul Bel Danubio Blu”. In effetti gli era sempre piaciuto moltissimo quel valzer ed era ben felice di poter ascoltare ancora una volta…

Gli occhi del ragazzo andarono a finire su Lysandre, seduto accanto ad Helene. Un lieve sorriso divertito comparve sul volto del francese nel rendersi conto che i flautisti erano assolutamente impossibili da non notare: tra i capelli rossi di Lys e Helene e quelli turchesi di Gae… se non altro erano vestiti di nero, ma confondersi risultava comunque piuttosto difficile per loro. 

Lysandre teneva gli occhi fissi sul suo spartito e non si accorse dello sguardo dell'amico e nemmeno del suo sorriso quando gli occhi caddero sul suo collo, notando l'assenza di qualcosa… del papillon. Chissà dove l'aveva nascosto Selene… probabilmente l'indomani avrebbero rivoltato le camere di entrambi per trovarlo. 

“Bello, vero? Non so perché, ma quando lo sento mi viene quasi voglia di alzarmi e mettermi a ballare.”

Sebastien sfoggiò un lieve sorriso, parlando con un filo di voce per farsi sentire soltanto da Cal, seduta accanto a lui. La bionda ricambiò il sorriso, provando ad immaginare la scena… si chiese anche che cosa sarebbe successo se l'avesse fatto LEI.

Probabilmente Alexander l'avrebbe presa per un orecchio… il tutto mentre Pawel sghignazzava e Ivan si scavava la fossa negando di conoscerla. 
Già, probabilmente sarebbe andata così.

Ma almeno era finita a suonare con un ragazzo simpatico… aveva temuto di ritrovarsi seduta accanto a qualcuno completamente taciturno e introverso, persone con cui faticava leggermente a relazionarsi… anche se, alla fine, Cal Jordan riusciva sempre a trovare il modo si legare praticamente con chiunque. 

La ragazza si voltò verso il pianoforte accanto, sorridendo leggermente in direzione di Ivan: in effetti considerava l'essere riuscita a diventare amica dell”orso” una specie di grande conquista… chissà, magari in quelle settimane ne avrebbe guadagnate altre.


                                                                             *


Anche questa è fatta 

Pawel allontanò l’archetto dalle corde del violino con lieve sollievo, cercando al contempo di ricordare qualche fosse il brano successivo… Si chiese, in effetti, perché Strauss avesse deciso di comporre un Valzer così lungo per far soffrire tutti i musicisti futuri. Forse era sadico…

Sorrise quando sistemò lo spartito di “Alla Turca” sul leggio, consapevole che fosse un brano dedicato più che altro al pianoforte… almeno avrebbero potuto riposarsi brevemente.
Il biondo lanciò infatti un’occhiata in direzione di Ivan, guardandolo stirarsi le dita con la sua solita lentezza snervante come faceva sempre prima di suonare, gli occhi grigio-azzurri fissi sullo spartito.

Non sembrava essere l'unico a conoscere, ormai, il gesto quasi scaramantico dell’amico: vide Cal Jordan lanciare un’occhiata quasi esasperata in direzione del biondo, come se il rumore delle ossa desse vagamente fastidio anche a lei.
Poi però la bionda si voltò e finí col puntare gli occhi proprio su di lui, limitandosi a rivolgergli un cenno prima di abbassare lo sguardo sul pianoforte, concentrandosi sullo spartito.

Cal Jordan di solito attaccava bottone praticamente con tutti, finendo con l'avere molti amici, anche molto diversi da lei. Eppure, loro due non l'avevano mai trovato, un punto d'incontro.
Abbastanza ironico, visto che Cal era amica sia di Ivan che di Veronika, la sua fidanzata… quella che Maya era solita definire “la Santa che ti ama per quello che sei e ti sopporta”.


“Sono l'unico che non si sente più la spalla?”

Una voce accanto a lui lo fece tornare bruscamente alla realtà, smettendo di concentrarsi sui suoi ex compagni di scuola per voltarsi verso il ragazzo che era seduto accanto a lui, probabilmente di un anno più giovane o della sua stessa età.

“A me più che altro fanno male le dita… dopo la Marcia di Mozart cosa c'è?”
“Penso il suo Concerto per Clarinetto.”


Pawel sorrise prima di mettersi ad ascoltare la musica che, per il momento, usciva solo dai due piani… finalmente anche Maya avrebbe faticato un po', se non altro.
Si appuntò però di non renderle noti quei pensieri, altrimenti probabilmente gli avrebbe rifilato il clarinetto in testa.


“Eleanor è nervosa. Ma gli altri pianisti non tanto.”   Emil inarcò un sopracciglio, parlando con un filo di voce e continuando a tenere violino e archetti sistemati sulle sue gambe mentre Rebecca si accigliava, voltandosi verso l'amica: 

“Come fai a saperlo?”
“Te l'ho detto Becky, io vedo tutto!”

Emil si strinse nelle spalle prima di, manco a dirlo, sorriderle come faceva sempre. E Rebecca lo guardò di rimando, ancora una volta sinceramente combattuta: non sapeva se credergli e chiedergli spiegazioni o se pensare che la stesse prendendo in giro e mandarlo a quel paese.

“So a cosa stai pensando… non ti prendo in giro, te l’assicuro!”

“Scusate, uno di voi due può sedersi al mio posto? Stare seduta vicino ad Emil Bach è più sfiancate di suonare tre Valzer di seguito.”

Rebecca si sporse leggermente verso Pawel e Gabriel, che sfoggiò un sorriso vagamente divertito mentre invece Emil sorrideva, continuando a gongolare con l'aria di chi la sa lunga:

“Tanto lo so che mi vuoi bene…”
“Ecco, appunto.”


                                                                                   *


“Finalmente… dopo tre ore non ne potevo più. E abbiamo anche dovuto sistemare tutto, perdendo un'altra mezz'ora…”

Helene piegò le labbra in una lieve smorfia mentre si sfilava le scarpe, camminando lungo il corridoio scarsamente illuminato accanto a Gae, che la imitò prima si stringersi nelle spalle:

“Suppongo che dovremmo abituarcisi… ma credo che sia andata bene.”
“Lo spero. Ma Koller sembrava soddisfatto, quindi pensiamo positivo. Intanto, domani nessuno mi alzerà dal letto prima delle 9, poco ma sicuro.”

Un sorriso sollevato comparve sul volto della rosa mentre teneva la custodia del flauto in mano, non vedendo l'ora di andare finalmente a dormire dopo aver suonato, sistemato il palco e salutato un numero indefinito di persone. 

“Non sarò io a provarci, non vorrei finire a testa in giù. Che cos'è questo rumore?”
“A che ti riferisc-“

Helene però non finì la frase, bloccandosi nel bel mezzo del corridoio e tendendo le orecchie: Gae non le rispose, restando in ascolto a sua volta visto che di sicuro anche l'amica l'aveva sentito benissimo. 

“Ehm… credo che sia Piotr. Forse non è molto contento di restare in camera da solo…”
“Anche Endjoras. Forse dovremmo insonorizzare le camere, che dici?”

“Se non vogliamo svegliare tutto il piano sì, direi di sì.”

Sbuffando, Helene superò l'amica per entrare in camera sua, tenendo la carta magnetica in mano. In effetti ci aveva messo un secolo a capire come funzionasse quel rettangolo lucido, ma non era stata di certo l'unica: anche Gae aveva armeggiato con la maniglia per un bel po’ prima di capire come funzionasse, il tutto ovviamente sotto le risate di Lysandre e di tutti gli altri che sapevano a cosa servissero le carte. 

“Ma perché i Babbani si complicano la vita? Non possono usare chiavi normali come tutti i comuni mortali?”
“In realtà credo che per loro queste siano una specie di comodità, se devo essere onesta… Helene, la tieni per il verso sbagliato.”

“Ah, ecco perché…” La rossa di illuminò quando finalmente riuscì ad attivare la carta e ad entrare in camera sua, correndo dal suo amato barbagianni che, di lì a breve, avrebbe svegliato tutto l’Hotel probabilmente.


                                                                                         *


“Dai, ci sei quasi… fuochino.”
“Potresti anche darmi una mano invece di sghignazzare in un angolo…”

Pawel sorrise con aria divertita, appoggiato alla sua porta mentre osservava Ivan imprecare contro la porta. In effetti era abbastanza sicuro che il russo, impaziente com'era, di lì a poco avrebbe tirato fuori la bacchetta e sfondato direttamente la porta. 

“Scherzi? È così divertente… coraggio Ivan, ci è riuscita anche la Jordan. E anche Maya!”

Ivan borbottò qualcosa di incomprensibile prima di strisciare la carta per la terza volta, stranamente nel modo giusto… e sorrise nel sentire la serratura scattare, rivolgendo all'amico un’occhiata soddisfatta:

“Chissà, magari a fine mese sarò riuscito a farlo al primo tentativo.”
“Oh, spero tanto di no. Vederti inveire contro una porta è davvero spassoso! Dai, non fare quella faccia… ok ho capito, vado in camera mia, buonanotte!”

Cogliendo l'espressione torva dell'amico Pawel si affrettò ad entrare in camera sua, sparendo dalla visuale del russo. Ivan sbuffò prima di entrare in camera a sua volta, chiedendosi come accidenti avesse fatto il polacco ad entrare alla velocità della luce quando lui ci aveva messo quasi venti minuti.
















…………...........................................................................................
Angolo Autrice:

Buongiorno! Scusate il ritardo, ma ho passato più di qualche giorno con il capitolo lasciato a metà senza mai riuscire a finirlo… Con il prossimo dovrei farvi aspettare meno :)

Vi metto qui sotto le immagini dei vestiti:


Ivan 
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Gabriel 
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Emil
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Pawel
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Sebastien 
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Irina 
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Maya 
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Rebecca 
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Eleanor 
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Gae 
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Helene 
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Cal 
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Spero che vi sia piaciuto, dovrei aggiornare nel weekend o lunedì, salvo imprevisti… 
A presto! 

Signorina Granger 

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Capitolo 7
*** Dolci risvegli ***


Vorrei dedicare questo capitolo ad _Among_the_lines,
che dal 15/01 quando mi vede invece di chiedere "come stai" mi chiede "quando aggiorni?". 
E poi perchè ho preso ispirazione da te per questo capitolo, grazie cara <3

Capitolo 5: Dolci risvegli

    Martedì 4 Settembre

 

Si fermò praticamente a metà del lungo corridoio dalle pareti color crema, facendo comparire dal nulla una sedia dallo schienale imbottito per poi sistemarla accanto a sé.

Un lieve sorriso divertito gli comparve sul volto mentre si sedeva, sistemandosi al contempo il violino nell’incavo del collo e sollevando il prezioso archetto per sfiorare le corde con il crine.

 

Rimase perfettamente immobile per qualche istante, gli occhi azzurri fissi sul tappeto color avorio che ricopriva parte del pavimento in parquet per tutta la lunghezza del piano.

Si chiese che cosa suonare per un attimo prima di sorridere, optando per qualcosa di “allegro”. Se non altro, si sarebbero svegliati subito.

 

                                                                      *

 

In un primo momento tirò un sospiro di sollievo nell’essersi svegliata, visto il sogno orribile che l’aveva tormentata fino a poco prima.

 

Quella sensazione però ebbe vita molto breve, perché subito dopo qualcuno iniziò ad abbaiare, saltando anche sopra il letto.

Irina si chiese chi diamine si fosse messo a suonare il violino alle 8 del mattino, forse qualcuno con istinti suicidi… Sbuffando la rossa allungò una mano per dare un colpetto al muso di Lena, invitandola a smettere di abbaiare:

 

“Lena. Piantala, sono sveglia, ho capito.”

 

Cercò anche di spingere il cane giù dal letto, ma disgraziatamente era molto più forte di lei e sembrava avere molta voglia di giocare, tanto da leccarle allegramente la faccia prima di riprendere ad abbaiare.

In effetti non sapeva se stava abbaiando a lei per dirle di alzarsi o a chiunque stesse suonando, fuori dalla sua porta.

 

“E io che volevo dormire stamattina…” 

Irina sbuffò, scalciando le coperte e rotolando giù dal letto con rassegnazione, mentre Lena saltava a sua volta sul pavimento e iniziava a girare su se stessa per mordersi la coda, come faceva spesso e volentieri.

 

Irina si trascinò verso la porta, appuntandosi di ringraziare chiunque stesse suonando sia per averla svegliata che per aver reso esagitata Lena… mise la mano sulla maniglia d’orata e esitò per un attimo, riuscendo quasi a sentire la voce di sua madre nelle orecchie che le diceva che “una signorina non va in giro in pigiama e spettinata di prima mattina!”

 

Infondo però sua madre non c’era, era piuttosto lontana da Vienna, in Bielorussia…

E per una volta, Irina adottò la filosofia del “chissenefrega” e aprì la porta.

 

                                                                                   *

 

Maya Von der Brelje aveva sempre avuto la fama di essere una ragazza tranquilla, timida… anzi, molti la reputavano persino fragile proprio per il suo essere riservata e silenziosa con chi non conosceva.

Quel mattino però, quando spalancò gli occhi quasi sobbalzando sul letto, l’idea che le attraversò la mente era piuttosto cruenta e molto poco rilassata.

 

Ci mise qualche secondo che c’era qualcuno che suonava, apparentemente fuori dalla sua porta.

Che strumento era? Violino, senza dubbio.

 

La bionda sbuffò, tirandosi a sedere sul materasso e passandosi una mano tra i lisci capelli chiarissimi. Gli occhi azzurri della ragazza andarono a finire su una delle poltroncine di pelle bianche, dove la sua gatta Lady quasi si mimetizzava mentre sonnecchiava tranquillamente.

 

“Se è Pawel, ti assicuro che lo faccio a fette.”

 

Scalciando le coperte la ragazza si alzò, avvicinandosi alla porta con tutta l’intenzione di strigliare per bene il suo amico se si fosse rivelato la causa del suo risveglio fin troppo mattiniero... ovviamente Maya non sapeva che dall’altra parte del corridoio il suddetto ragazzo era nelle sue stesse condizioni.

 

                                                                               *

 

Sbuffò, stringendo il cuscino tra le braccia senza accennare a volersi alzare.

Peccato che qualcun altro nella sua camera fosse perfettamente sveglio e non la smetteva di stridere fastidiosamente…

“Piotr… smettila!” 

 

Era meglio di una sveglia personale…

Helene sbuffò, prendendo un cuscino e lanciandolo quasi a caso alle sue spalle, sperando di far tacere il barbagianni.

Avevano insonorizzato tutto il piano, così ognuno di loro avrebbe potuto suonare nelle rispettive camere senza infastidire gli altri ospiti… peccato che dal corridoio si sentisse perfettamente il suono del violino. E per quanto il brano fosse orecchiabile, le note erano un po’ troppo rapide per le 8 del mattino.

 

“Povero Piotr, come lo maltratti.”

 

Helene sbuffò, rigirandosi per posare gli occhi sulla ragazza che se ne stava appollaiata vicino alla finestra, in pigiama ma perfettamente sveglia e i capelli color turchese legati come sempre in una treccia che le ricadeva sulla spalla:

 

“Io non lo maltratto! Sbaglio o c’è qualcuno che suona in corridoio?”   La rossa si tirò a sedere sul letto, passandosi una mano tra i lunghi capelli lisci e lanciando un’occhiata scettica in direzione della porta.

Gae si strinse nelle spalle, annuendo mentre allungava una mano per sfiorare la gabbia del barbagianni che aveva finalmente smesso di stridere, anche se sembrava piuttosto offeso dal cuscino che lo aveva sfiorato.

 

“In effetti sì… Però è bravo, chiunque sia.”

“Già, peccato per l’orario…”   Helene si alzò controvoglia dal letto, sapendo che non sarebbe più riuscita a dormire con il suono del violino nelle orecchie.

Lanciò invece un’occhiata incerta all’amica, chiedendosi ancora una volta come facesse a stare così calma mentre probabilmente tutti gli altri stavano sbuffando e inveendo contro quell’insolita sveglia.

“Un giorno o l’altro mi spiegherai come ci riesci.”

“A fare cosa?”

 

Gae si voltò verso l’amica, inarcando leggermente un sopracciglio come se non avesse capito le sue parole, parlando con un tono pacato, composto e quasi delicato che fece solo annuire l’amica, a conferma delle sue parole:

 

“Niente, lascia stare… Ma tu la perdi mai, la calma?”

“No, in effetti no.”    Gae sfoggiò un debole sorriso, scendendo dal suo giaciglio e avvicinandosi alla rossa camminando a piedi nudi sul parquet chiaro e con il pigiama color carta da zucchero praticamente abbinato ai suoi capelli.

Helene rimase ad osservarla con aria vagamente accigliata mentre teneva ancora la mano sulla maniglia, guardandola avvicinarsi e chiedendosi come potesse avere un’aria composta e quasi elegante con il pigiama addosso, alle 8 del mattino.

Lei invece… beh, non osava neanche guardarsi allo specchio.

 

“Va bene, vorrà dire che quando perderai la tua faccina rilassata e tranquilla e quel tono trasognante e composto me lo segnerò sul calendario. Ora vediamo chi ha avuto la brillante idea di svegliare sia noi che Piotr.”

“Sai, credo che ti sia ancora guardando male.”

“Pazienza, gli passerà, dopo gli darò un biscotto per gufi e mi perdonerà.”   Helene si strinse nelle spalle prima di aprire la porta della sua camera con l’amica ancora accanto, mettendo la testa fuori dall’uscio per poter vedere la loro nuova sveglia personale e rimanendo vagamente di stucco.

 

                                                                                 *

 

Per lei svegliarsi, anche presto, non era mai stato un grande problema.

Ciò non impedì però a Rebecca Crawley di chiedersi chi avesse avuto la brillante idea di mettersi a suonare alle otto del mattino. Per quanto amasse Paganini, quella non era la sua sveglia ideale.

 

Rimase per qualche secondo con la faccia profondata nel cuscino di piume prima di sollevare lentamente il capo, voltandosi verso la porta chiusa.

Veniva proprio dal corridoio… e lei a suonare di certo non era, quindi non rimanevano molte altre opzioni.

 

Sbuffando la ragazza si alzò, schivando l’assalto di Cinnamon che voleva le coccole prima di infilarsi le pantofole e ciabattare verso la porta che collegava la camera con quella di Eleanor.

Chissà se la sua amica era sveglia…

 

“Elly?”   L’ex Serpeverde aprì la porta e una risata mista ad uno sbuffo risuonò nella camera quando puntò gli occhi sulla figura rintanata sotto le coperte, impossibile da scorgere dalla sua prospettiva.

 

“Figuriamoci…”

 

La ragazza si avvicinò al letto dell’amica, prendendola per le spalle e scrollandola leggermente: ormai sapeva per esperienza che provare a svegliarla con delicatezza era impossibile.

 

“Elly dai, svegliati!”

“Mmh… no, resterò qui. Smettila di suonare!”

MA NON SONO IO! E ti assicuro che se scopro che è Bach, è la volta buona che lo riduco male. Coraggio… non vuoi fare colazione?”

 

Rebecca sfoggiò il suo sorriso migliore, sperando che con l’espediente della colazione sarebbe riuscita a smuoverla dal letto… in effetti Eleanor sembrò annuire da sotto il copriletto, sollevando una mano e mostrandole il pollice:

 

“Si grazie, portami qualcosa con molto cioccolato. E un thè. Senza limone e con lo zucchero per favore.”

Mi hai preso per il servizio in camera? Coraggio, su! Ho promesso a tua zia che ti avrei impedito di dormire ogni giorno fino all’ora di pranzo.”

 

Finalmente la testa di Eleanor spuntò da sotto le coperte, ma solo fino al naso: le ragazza puntò gli occhi neri sull’amica, guardandola con aria torva prima di borbottare qualcosa:

 

Lo sapevo… sospetto da anni che tu e mia zia complottiate alle mie spalle.”

“Si, beh, in ogni caso alzati. E io non ti porterò la colazione, quindi dovrai scendere. Muoviti!”

 

Rebecca sorrise prima di girare sui tacchi e trotterellare verso la sua camera, mentre Eleanor sbuffava e tornava sotto le coperte in stato comatoso.

 

                                                                                            *

 

Sbadigliando rotolò quasi giù dal letto e puntò gli occhi sul soffitto della stanza, perdendosi per qualche secondo in quegli intricati ghirigori. Dopo qualche istante però sbattè le palpebre e sollevò una mano per tastare il comodino alla ricerca dei suoi occhiali neri, infilandoseli prima di voltarsi verso la porta:

 

Paganini, Campanella.

Beh, questo spiegava perché nella parte finale del suo sogno aveva sentito proprio quel brano.

 

Si alzò lentamente, ancora vagamente in trance come sempre quando era appena sveglio, prima di avvicinarsi alla porta. In effetti rischiò un paio di volte di inciampare nel tappeto o nei suoi stessi piedi, ma gli capitava così spesso che ormai sua madre aveva smesso di chiedergli come si era fatto quel qualche livido o di fare domande quando sentiva un capitombolo.

 

Gabriel sbuffò leggermente e aprì la porta, mettendo il naso fuori e chiedendosi perché qualcuno avesse già iniziato a suonare… per quanto amasse il violino, nemmeno lui si sarebbe mai messo a suonare appena sveglio.

 

“Ma che cavolo…”

In effetti non seppe se andare a complimentarsi con Jarrod Zimmer o se mandarlo a quel paese e tornare a dormire.

 

                                                                                       *

 

Aprì gli occhi e dopo un attimo di esitazione sorrise, riconoscendo allegramente la melodia che proveniva dal corridoio.

Senza esitare neanche per un attimo si alzò, trotterellando allegramente verso la porta con tutta l’intenzione di andare a complimentarsi con chiunque stesse suonando così bene.

Emil aprì la porta della sua camera, accorgendosi di non essere l’unico in piedi sulla propria soglia: la porta accanto si aprì e spuntò il pianista francese di cui non ricordava il nome, ma a differenza di praticamente tutti gli altri sorrise allegramente:

 

“Che brano è?”

“Campanella di Paganini. Ma perché hanno tutti delle facce da funerale?”

 

Emil inarcò un sopracciglio, facendo vagare lo sguardo sui ragazzi che erano nella sua stessa situazione… peccato che fosse praticamente l’unico apparentemente allegro, mentre il biondo davanti a lui, Pawel stava guardando Jarrod Zimmer con cipiglio assassino. Tanto per citarne uno, ovviamente.

 

“Non saprei… è una gran bella sveglia! Sebastien, piacere.”

 

Il rancese sorrise, sporgendosi leggermente verso di lui per porgergli la mano. Emil ricambiò il sorriso e la strinse prima di abbassare lo sguardo su una palla di pelo scura che era appena comparsa accanto a Sebastien, puntando i magnetici occhi castani sul violinista che aveva svegliato tutto il gruppo.

 

“Ma è una volpe! … Posso abbracciarla?”

“Se a lei va bene, certo che sì.”

 

Sebastien si strinse nelle spalle, passandosi una mano tra i capelli castani un po’ arruffati mentre Emil sfoggiava un sorriso a trentadue denti, chinandosi per prendere l’animale tra le braccia e accarezzarle il pelo scuro.

 

“Che bella… come si chiama?”

“Selene.”  

Sebastien inarcò un sopracciglio, osservando la volpe fare quasi le fusa. Strano, eppure con Lys non si lasciava neanche avvicinare…

 

Il rosso, che era appena comparso sulla soglia della sua camera, sembrò pensare lo stesso e scoccò un’occhiata torva in direzione della volpe, che invece non lo degnò di uno sguardo e si lasciò coccolare bellamente da Emil mentre Jarrod interrompeva il brano, staccando l’archetto dalle corde e sorridendo dalla sua comoda sedia, osservando i ragazzi con aria piuttosto divertita:

 

“Beh, credo che ormai vi siate svegliati tutti… Ci avete messo un po’, forse la prossima volta userò note più alte…”

 

“O anche no…”

 

“Suvvia, non fate quelle facce, è una così bella giornata… sarebbe stato un vero peccato sprecarla a letto, non trovate?”   Il biondo sorrise, alzandosi prima di far sparire la sedia così come era apparsa prima di girare sui tacchi e allontanarsi lungo il corridoio, augurando al contempo una buona giornata ai ragazzi.

 

“E io che pensavo fosse Juraszek! Beh, ti sei risparmiato una fattura!”

 

Cal sfoggiò un sorriso, rivolgendosi a Pawel prima di tornare in camera per cambiarsi mentre il polacco sbuffava, inarcando un sopracciglio:

 

“Maya mi ha detto praticamente la stessa cosa. Perché avete pensato a me?”

“Oh, così, non c’è un motivo particolare… Ma Ivan, invece?”

 

I due si voltarono in perfetta sincronia verso la porta dell’amico, trovandola ancora chiusa… in effetti era l’unico a non essere spuntato fuori dalla propria camera.

Pawel però non sembrò darci troppo peso, limitandosi a fare un gesto sbrigativo con la mano prima di tornare in camera e cambiarsi:

 

“Probabilmente lui è già in piedi da parecchio…”

“Che intendi?”

 

                                                                                           *

 

Entrò nell’enorme e sfarzosa Hall senza curarsi minimamente delle occhiate che qualche ospite dell’albergo gli lanciò: era perfettamente consapevole di stonare parecchio in quella sala dove c’erano solo persone piuttosto eleganti, con la maglietta grigia e i pantaloni della tuta… ma non ci badò e si limitò a rivolgere un debole sorriso al concierge che gli rivolse di rimando un’occhiata torva mentre il ragazzo attraversava la sala per andare a fare, finalmente, colazione.

 

Entrando nella Sala da Pranzo si stupì nel trovarci praticamente tutti i suoi compagni… e gli occhi chiari di Ivan andarono a finire sulla figura familiare di Cal, che sorrideva e chiacchierava come suo solito con Maya e Irina.

Se la conosceva, probabilmente aveva già iniziato a fare amicizia a destra e a sinistra, insistendo per conoscere praticamente tutti gli altri.

 

Ivan puntò dritto verso l’amica, che quasi percependo la sua presenza si voltò e gli rivolse un sorriso mentre prendeva una brioches dal cestino:

 

“Ah, ciao! A che ora ti sei alzato?”

“Alle 7… Come mai siete già tutti qui?”

“Zimmer ci ha buttati giù dal letto mezz’ora fa.” 

 

Maya e Irina sbuffarono leggermente, parlando in perfetta sincronia mentre Ivan invece sorrideva con una punta di divertimento, immaginando l’irritazione di Cal nell’essere stata svegliata a forza.

 

“Suvvia Cal, non ti farà male esserti svegliata presto… io lo faccio sempre.”

“E infatti tu non sei normale. Come si fa ad avere la forza di andare a correre all’alba?”

“Non definirei le sette “alba”, in realtà.”

“Per me lo è.”    Cal si strinse nelle spalle e fece per dire qualcos’altro, ma Ivan la precedette rubandole la brioches dalle mani prima di allontanarsi dal tavolo:

 

“EHY! Quella è mia!”     La bionda si voltò per fulminare l’amico con lo sguardo prima di voltarsi di nuovo verso il tavolo e prendersi un’altra brioches… ma due secondi dopo sorrise con lieve soddisfazione nel trovarsi di nuovo Ivan davanti:

 

“Ah ecco… Hai deciso di fare il bravo gentiluomo e mi restituirai la mia colazione?”

“Si, ma solo perché ha la marmellataCioccolato? Grazie!”   Ivan sorrise, prendendo la seconda brioches dalle mani dell’amica prima di restituirle quella che le aveva “rubato” e darsela definitivamente a gambe per tornare in camera sua e farsi la doccia.

 

“Ma… LADRO! Quanto a voi due… NON RIDETE.”

 

Cal sbuffò, ripromettendosi di vendicarsi del torto subito all’ora di pranzo mentre Maya e Irina sorridevano leggermente, entrambe scuotendo il capo come a voler dire che mai si sarebbero permesse di farlo.

 

                                                                                *

 

“Ho sonno…”

“Elly, non riesco a mangiare così!”     Rebecca sospirò, chiedendosi DOVE esattamente avesse trovato quell’amica. Eleanor, che sembrava morire dalla voglia di tornare a letto, se ne stava con gli occhi chiusi appoggiata su di lei, la testa sulla sua spalle e le braccia che la cingevano, usandola quasi come cuscino.

 

“Posso farvi una foto? Ti prego…”

“Non ci pensare nemmeno!”   Rebecca scoccò un’occhiata eloquente in direzione di Emil, ordinandogli di non fotografarle mentre il biondo se la rideva, tenendo un piatto pieno di biscotti in mano mentre andava a sedersi accanto a Sebastien, Gabriel e Lysandre.

 

“Sorride sempre. Perché sorride sempre? E’ l’incarnazione vivente del Mattino di Grieg!”

“Becky fa’ silenzio, ho sonno!”

“Come sono finita ad essere sfruttata come cuscino? Non ti addormentare Elly, oggi andiamo a visitare la città!”

“Io pensavo di visitare la piscina, veramente… E non ti prometto nulla, del resto mi sono dovuta alzare all’alba.”

“Alle 8.”

“E io che ho detto?”

 

                                                                                  *

 

Dopo aver finalmente individuato sia Jarrod che Alexander Christina si avvicinò ai due, sfoggiando un sorriso mentre prendeva posto accanto a loro:

 

“Buongiorno! … Come mai sono già tutti qui? E’ strano, sono solo le otto e mezza…”

La bionda inarcò un sopracciglio, guardandosi intorno con aria dubbiosa prima di voltarsi verso i due colleghi, che fecero finta di niente mentre invece la pianista sbuffò, guardandoli con aria accusatoria:

 

“ANCORA? Avevamo detto niente più sveglie!”

“Ma Tina, è la parte più divertente… non puoi togliercela! Domani è il turno di Alex!”

 

I due ridacchiarono, ma tornarono improvvisamente seri di fronte alla faccia torva di Christina, che li guardò come se li ritenesse senza speranza.

La bionda esitò ma poi si strinse nelle spalle, allungando una mano per prendere la zuccheriera dal centro del tavolo:

 

“Beh, come volete. Divertitevi pure alle loro spalle… magari lo farò anche io.”

“Vuoi dire che contribuirai?”

“No Jerry, voglio dire che MAGARI uno di questi giorni potreste essere svegliati dal suono esasperante di un brano a vostra volta… pensavo alla Marcia Funebre di Chopin. Che ne pensate?”

 

Christina sorrise dolcemente come faceva sempre mentre zuccherava il suo caffè, anche se ormai entrambi i colleghi avevano imparato a coglierne le diverse sfumature.

I due si scambiarono un’occhiata incerta prima di Alexander parlasse, inarcando un sopracciglio:

 

“Non oseresti. E poi come faresti, trascineresti il pianoforte fino alle nostre camere?”

“Ti assicuro che troverei il modo, volendo… Piuttosto, chi di voi si offre gentilmente di accompagnarmi in centro, oggi pomeriggio?”

 

“Io ho molto da fare, mi spiace. Ma Jarrod è libero.”

“Tu che ne sai? Anche io sono molto impegnato!”

 

“Cosa dovete fare, stirarvi i capelli?”   Christina inarcò un sopracciglio con evidente scetticismo, mentre invece Jarrod sbuffò leggermente, guardandola con cipiglio seccato:

 

“Ma non dire assurdità, Tina! … Io ho i capelli lisci per natura, non mi serve quella cosa incandescente che usava mia madre!”

“Oh, ti ci vedo proprio a farti la piastra… Tina, tu che pensi?”

 

Christina si accigliò leggermente con la tazza a mezz’aria, immaginandosi improvvisamente Jarrod e Alexander che si facevano la piastra a vicenda o si mettevano i bigodini.

Non rispose, ma seppellì la faccia nella tazza di caffè per evitare di scoppiare fragorosamente e molto poco elegantemente a ridere.

 

                                                                                *

 

“Ah, eccoti qua… Ti sei perso la Campanella come sveglia, stamattina.”

“La Campanella?” 

Ivan inarcò un sopracciglio ma Pawel roteò gli occhi, facendogli cenno di lasciar perdere:

 

“Lascia stare. Piuttosto, che si fa oggi pomeriggio?”

“Che domande fai Pawel… andiamo in avanscoperta!”

 

Mentre si tamponava i capelli biondi con l’asciugamano Ivan sfoggiò un sorriso, che si allargò ancora di più di fronte all’espressione accigliata dell’amico, che alzò gli occhi dalla lettera che stava scrivendo alla fidanzata per posarli su di lui:

 

“Il tuo tono non mi piace per niente. E neanche quel sorriso.”

“Temo che dovrai fartelo piacere.”

 

................................................................................................................................................

Angolo Autrice:

Buongiorno! 

Allora... questa volta ho ben due domande da farvi, per la vostra gioia. Cercate di rispondere appena potete per favore perchè la prima mi serve per il prossimo capitolo!

1. Che cosa vorrebbe andare a vedere il vostro OC a Vienna? (Non servono indicazioni di luoghi in specifico per forza, basta anche qualcosa di generico)

2. Potreste farmi sapere VIA MP le vostre preferenze per quanto riguarda una possibile coppia del vostro OC dandomi uno o due nomi? Così comincio a pensare anche a questo... tengo a sottolineare comunque che non è detto che io vi assecondi, anche perchè c'è una lieve disparità tra ragazzi e ragazze e non potrò far finire tutti felici e contenti. Ricordo inoltre che Pawel è impegnato.

Quest'ultima non mi serve necessariamente nell'immediato, comunque... ma prima mi inviate il tutto e meglio è.

A presto!

Signorina Granger

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Capitolo 8
*** Giro turistico ***


Capitolo 6: Giro turistico

 

“Non fare quella faccia… non è poi la fine del mondo! Insomma, con la Metropolitana ci si sposta molto più rapidamente che usando i taxi.” 

Maya sorrise dolcemente in direzione di Irina, che inarcò un sopracciglio e la guardò con espressione interrogativa, come a volerle chiedere COSA fossero i taxi. 
La rossa era seduta di fronte a Maya e la bionda si era dovuta trattenere dal ridere quando erano scesi nella Metropolitana e l'amica era momentaneamente diventata dello stesso colore dei suoi capelli, probabilmente pensando a cosa avrebbe detto o pensato la sua famiglia se l'avesse vista utilizzare un mezzo Babbano.

“È vero, così non si rischia di restare imbottigliati nel traffico… ma perché non ho portato la macchina fotografica, potevo fare una foto ad Ivan che prende la Metro!” 

Cal sbuffò, appuntandosi mentalmente di fare qualche foto all'amico in modo da poterlo prendere in giro in futuro… ma il biondo non battè ciglio, continuando a scarabocchiare distrattamente qualcosa sul suo quadernino, seduto sul sedile accanto ad Irina. 

“Io non ho alcun problema ad entrare in contatto con la cultura Babbana Cal… la mia unica perplessità è quanto sia grande la rete di questo treno.” 

Ivan continuò a tenere gli occhi azzurri fissi sulla carta mentre parlava, ricordando quando si era fermato davanti alla mappa della Metropolitana e si era trovato davanti a decine di linee diverse. 

“Rilassati, basta avere un minimo di senso dell’orientamento… per fortuna il ruolo di guida non ce l'ha Jordan.”

“Scusa, cosa stai insinuando?”  Cal inarcò un sopracciglio, sporgendosi leggermente per guardare in faccia Pawel oltre Maya, che aveva avuto la saggia – o forse no – idea di sedersi in mezzo ai due durante il tragitto. 

La bionda infatti sospirò, lanciando un’occhiata a Pawel per chiedergli di non lanciare frecciatine ma senza ottenere gran considerazione, visto che il polacco si strinse nelle spalle prima di parlare di nuovo:

“Nulla… dico solo che anche se Petrov fa sempre l’uccellaccio del malaugurio, con un minimo di senso dell'orientamento non ci perderemo. Basta seguire le cartine, non è difficile.” 

Pawel si strinse nelle spalle e un piccolo sorriso increspò il volto di Ivan, mentre Irina si sporgeva leggermente per leggere quello che stava scrivendo, tanto per smetterla di pensare all’infarto che avrebbe colpito sua madre se l'avesse vista lì.

“Che cosa scrivi?” 

“Quello che sta dicendo Pash da dieci minuti… così quando ci saremo effettivamente persi potrò rinfacciarglielo.” 


Il russo sorrise con sincero divertimento, chiudendo il piccolo quaderno e infilandolo di nuovo nella tasca dei pantaloni, come se la prospettiva di perdersi non lo spaventasse neanche un po’.

“Dici che ci perderemo?”
“No, ne sono sicuro al 100%, visto che Cal e Pawel saranno impegnati a discutere per metà del tempo e di conseguenza non faranno attenzione alle fermate.” 


                                                                                       *



“Non capisco proprio perché prima di venire qui non mi era mai passato per la testa di salire su questa Metroqualcosa, è davvero divertente!” 

Emil sfoggiò un sorriso allegro mentre quasi saltellava sul suo sedile, con accanto a lui una Eleanor altrettanto sorridente:

“Sai, ho cercato spesso di convincere Becky ad usarla, a Londra… ma non ne ha mai voluto sentir ragioni. Hai cambiato idea ora, tesoro?” 

I due Tassorosso si voltarono verso il sedile di fronte, occupato da una Rebecca praticamente nascosta dalla cartina della Metropolitana mentre cercava di capirci qualcosa, limitandosi a borbottare che continuava a preferire la Metropolvere.

“Come no… tutto orgoglio, secondo me alla fine del concorso ci sarà così abituata che la userà anche a casa. Piuttosto, quando scendiamo? Non vedo l'ora di arrivare!” 


Eleanor sorrise mentre Rebecca abbassava la cartina per poter guardare i due ex compagni di scuola:

“Tra tre fermate dovremmo scendere, credo… piuttosto, vi siete finalmente messi d'accordo per l'itinerario?” 

“Si. Emil vuole vedere quel museo dal nome impronunciabile, quindi dopo essere andati ad Innere Stadt per vedere quel museo dal nome impossibile andremo alla Reggia, a Hietzing.” 

“Il Kunsthistorisches Elly, non è poi così difficile! Vero Rebecca?” 

“Ehm… si… certo. Ho capito solo Kun, in effetti.” 

Rebeca sfoggiò un piccolo sorriso mentre Emil sbuffava, roteando gli occhi mentre invece Eleanor sorrideva quasi a voler dire “visto?” e la Metropolitana si fermava. 

“Tu vuoi andare da qualche parte in particolare Becky?” 

L’ex Serpeverde scosse il capo, appoggiandosi allo schienale del sedile e spostando lo sguardo fuori dal finestrino prima di parlare in tono neutro:

“No, è uguale… è stato già difficile mettere d'accordo voi due, dopotutto.”
“Beh, non è colpa mia! Emil voleva andare in pasticceria! Lì ci andremo dopo, PRIMA si visita!” 

Eleanor sfoggiò un sorriso allegro mentre invece Emil sbuffava, borbottando che tecnicamente anche le pasticcerie potevano essere considerate luoghi “da visitare” e Rebecca guardava i due con rassegnazione: aveva la netta sensazione che avrebbe passato la giornata ad assicurarsi che non combinassero catastrofi… o forse i successivi tre mesi e mezzo.


                                                                               *



“Helene, muoviti!” 

“Un secondo, voglio fare qualche foto!” 

Gae roteò gli occhi mentre Helene trotterellava alle sue spalle, continuando a sorridere allegramente e tenendo la sua macchina fotografica stretta in mano. 

Le due amiche avevano passato quasi un'ora a discutere su dove andare quel giorno visto che ciascuna voleva vedere circa 10 posti diversi… così alla fine si erano messe d'accordo per scegliere due destinazioni ciascuna, e la prima per la rossa era stato il Donaupark, per fare finalmente una passeggiata in mezzo al verde dopo tre giorni passati chiusa in hotel e scattare qualche foto al Danubio. 

Anzi, più che qualche forse ne aveva già scattate 20. 

“Credo che tu abbia fatto più foto al Danubio che qualunque altro turista… ma il rullino non finisce mai?” 

“Si, ma ne ho portati altri due per sicurezza.” 

Helene sfoggiò un sorriso quasi soddisfatto mentre a Gae non restava che roteare gli occhi, sperando che a breve l'amica si sarebbe decisa ad uscire dal parco per andare a vedere il Museumsquartier dove, conoscendo sia la rossa che se stessa, sarebbero rimaste per diverse ore. 

“Avrei dovuto intuirlo, probabilmente… dai, andiamo, abbiamo un sacco di cose da vedere oggi!” 

Helene sbuffò ma annuì e seguì l'amica per raggiungere finalmente l'uscita del parco, borbottando che Gae voleva vedere talmente tante cose da non lasciarle neanche il tempo di respirare.


                                                                                         *


Sebastien Lacroix sfoggiò un sorriso a trentadue denti quando si rese finalmente conto di aver tenuto la cartina al contrario per dieci minuti: insomma, ovviamente non parlava e neanche comprendeva mezza parola di tedesco,  ma improvvisamente sulla cartina gli era smembrato tutto in cirillico…

“Ah, ecco… RAGAZZI, HO CAPITO DOVE SIA- ma dove sono andati?” 

Sebastien inarcò un sopracciglio, voltandosi a destra e a sinistra prima di sospirare e alzarsi dalla panchina, chiedendosi dove si fossero cacciati Lysandre e Gabriel. 

Fortunatamente gli occhi del ragazzo caddero su una vetrina piuttosto riconoscibile e Bash sorrise, avvicinandosi in fretta e aprendo la porta con il suo solito modo di fare quasi teatrale.
Mettendo la testa dentro la pasticceria non si stupì neanche un po’ nel vedere l’inconfondibile chioma di Lysandre, ma sbuffò comunque mentre si avvicinava ai due ragazzi che, seduti ad un tavolo rotondo, si stavano sbafando praticamente di tutto.

“Eh, eccovi qui. Si può sapere perché non mi avete detto che venivate qui?”

“Avremmo voluto, ma eri così concentrato sulla cartina… alla fine hai capito che era storta?” 

I due sghignazzarono e Sebastien si trattenne dal prendere una delle fette di torta a tre strati per smaltarla elegantemente sulle loro facce, decidendo invece di sedersi accanto a loro e rubare un’eclair al cioccolato da sotto al naso di Gabriel.

“Si, simpaticoni. E ditemi quando avrete finito di abbuffarvi, così possiamo andare a vedere qualche museo dopo che Gabriel è rimasto chiuso in libreria per un'ora.” 

“Ehy, dovevo fare scorta di libri!” 

“Ma se sono in tedesco! Non si capisce nulla!” 

“Un ottimo modo per imparare qualche parola di una lingua nuova, allora.” 


                                                                                              *


Avrebbe dovuto immaginarlo 

Rebecca Crawley sbuffò mentre camminava sul tappeto rosso quasi a passo di marcia: li aveva persi di vista per cinque minuti e pouf, ecco che Emil ed Eleanor erano scomparsi nel nulla. 

Dopo aver visitato due musei sotto volere del ragazzo, Eleanor aveva insistito per andare a vedere la Reggia… ed ecco che dopo dieci minuti li aveva persi di vista entrambi. 


La ragazza aveva appena imboccato la Gran Galleria quando andò a sbattere contro qualcuno, imprecando a mezza voce mentre si portava una mano al naso dolorante:

“Ahia! Guarda dove cammi-“

“Becky! Eccoti qui… che fai, giochi a nascondino?” 

Rebecca dovette alzare lo sguardo visto che davanti a lei c'era solo il petto e non il viso del suo interlocutore… che come da manuale le sorrise allegramente, con una nota piuttosto divertita negli occhi chiari:

“Emil! È da un'ora che vi cerco… dove ti eri cacciato?” 

“Ero qui in giro… ma ho perso Eleanor, temo. Tranquilla Becky, la ritroviamo in un batter d'occhio. Ora però tienimi per mano così non ti perdi di nuovo, ok piccoletta?” 

Il biondo si trattenne dal ridere mentre allungava una mano per spettinare la ragazza con una manata, facendola sibilare pericolosamente a mezza voce:

“Emil. Non parlarmi come una bambina!” 

“Beh, tecnicamente sei più piccola di me…” 

“Solo di un anno!” 

“Come sei pignola… va bene, lasciamo perdere. Coraggio, andiamo a cercare Elly, scommetto che sta ammirando qualche dipinto da qualche parte!” 

Emil sorrise e, presa effettivamente Rebecca per mano, iniziò a trainarla lungo tutta la Galleria. Incrociarono anche qualche viso familiare, tanto che una ragazza bionda alzò gli occhi dalla piantina e smise di litigare con un ragazzo per sorridere al duo:

“Ciao! Anche voi qui?” 

“Ciao… Cal, vero? In effetti stiamo cercando la nostra amica, Eleanor… l'avete vista?” 

“Temo di non avercela perfettamente presente…” 

"Meno male, c'è qualcosa che non sai… no, mi spiace, non l'ho vista. Ma se la incontro le dirò che la cercate. Ora, scusate, ma per caso sapete da che parte è la Cappella?” 

“Di la, ci sono appena stata.” Rebecca non battè ciglio, indicando a destra e facendo sorridere la bionda quasi con aria vittoriosa, lanciando un’occhiata soddisfatta in direzione di Pawel: 

“Com’era prevedibile, avevo ragione io. Coraggio ciurma, andiamo di la!” 

“Si può sapere di chi è stata l'idea di farle fare da guida?”   Pawel sospirò con aria grave mentre la bionda stava già trotterellando in quella direzione e Ivan alle sue spalle sorrideva:

“Nessuno. Credo che si sia semplicemente auto-proclamata tale… Andiamo ragazze, seguiamo Cal o ci seminerà.” 

Ivan prese sia Maya che Irina sottobraccio per condurle dietro a Cal, mentre Pawel roteò gli occhi ma non aggiunse altro, limitandosi a seguire l’amico. 

“C'è una Cappella? VOGLIO ANDARE A VEDERLA!” 

“FERMO! Non resto da sola in questa reggia mastodontica un'altra volta!”   Rebecca sbuffò, afferrando prontamente Emil per un braccio e impedendogli la fuga… o meglio, forse il biondo ebbe solo l’accortezza di bloccarsi per evitare di trascinarla letteralmente sul pavimento.  

“Ma Becky!” 

“Prima troviamo Elly!” 

“Dai, solo una sbirciatina…” 

"Cuccia!” 


                                                                                       *



“Come mai Pawel sembra leggermente… nervoso? Maya continua a sorridere con l'aria di chi la sa lunga, in effetti, ma non mi ha detto niente.” 

“Credo sia un po’ nervoso per una cosa che dovrebbe fare.” 

Ivan sorrise appena, lanciando un’occhiata quasi divertita all'amico mentre camminava accanto ad Irina, tenendosi alla larga da Cal e Pawel per non entrare nella loro Guerra per la Piantina. 

La rossa inarcò un sopracciglio, voltandosi verso il ragazzo per chiedergli di spiegarsi meglio… e il russo fece per dire qualcos’altro, ma una guida turistica suggerì al gruppo di fare silenzio, facendolo sbuffare prima di voltarsi nella sua direzione:

“Non c'è scritto da nessuna parte di non parlare!” 

“Sai, non credo che qui siano in molti a parlare la tua lingua.”  Irina sfoggiò un piccolo sorriso, chiedendosi come fosse per un esterno vedere un ragazzo voltarsi e borbottare qualcosa in una lingua sconosciuta a molto. 

“È la parte più divertente in realtà, puoi dire assolutamente quello che vuoi, tanto il russo lo parliamo praticamente solo noi…” 

“Più la sottoscritta. Quindi se mai dovessi sparlare di me, non farlo nella tua lingua madre perché probabilmente lo capirei.” 


Irina era seria ma Ivan rise lo stesso, annuendo e appuntandoselo mentalmente prima di ringraziarla per avergli evitato di fare qualche gaffe in futuro. 


                                                                                     *


“Ehy, guarda! Questa era la camera di Francesco Giuseppe!” 

“CHI?” 

“… Di Franz.” 

“…” 

“Il marito di Sissi.” 

“Ahhh! Ho capito. … chi è Sissi?” 


Lysandre sospirò, trattenendosi dal mettersi una mano tra i capelli prima di entrare nella camera con Sebastien al seguito, che si voltò verso Gabriel per chiedere a lui chi fosse quella fantomatica Sissi. 

“Bash, leggi nella piantina.” Gabriel passò al compagno la piantina prima di seguire Lysandre dentro la sfarzosa camera, borbottando che lui avrebbe preferito gironzolare tra le vie della città piuttosto che andare a vedere la Reggia. 

“Lo so, ma non si può venire a Vienna senza venire qui… E poi tu da dove arrivi? Non eri al piano di sotto?” 

Lysandre inarcò un sopracciglio ma Gabriel si limitò a stringersi nelle spalle e a sorridere, sostenendo di essere “onnipresente” e di avere il dono di comparire dal nulla.

“Ok, lasciamo perdere… coraggio, dopo di questa dobbiamo vedere la camera di Maria Antonietta!”

Lysandre sfoggiò un sorriso allegro, dando a Gabriel una pacca consolatoria sulla spalla mentre invece Sebastien sbuffava, cercando di stare al passo con tutti quei nomi che lui non aveva mai sentito in vita sua: 

“Sissi, Maria Antonietta, Francesco Giuseppe… ma che razza di nomi danno i Babbani ai loro figli?” 


                                                                                              *


“La vedi?” 

“No. È pieno di cinesi!” (Scusate non potevo non metterli… Nda) 

Emil sbuffò, guardandosi intorno mentre lui e Rebecca erano in piedi nel bel mezzo del corridoio e della calca, con la ragazza in piedi accanto alla sua nuova vedetta personale. 

“Chissà dove è andata a cacciarsi… spero non nei giardini! Magari potrei Appellarla, che dici?” 

“E poi come lo spieghiamo ai Babbani? Lasciamo stare… però potremmo sempre andare fuori a dare un’occhiata, dobbiamo approfittare del nel tempo visto che tra poco comincerà a fare freddo!” 

Emil sorrise allegramente, continuando a divertirsi ad osservare tutte quelle persone che gli stavano intorno: vedere tutte quelle emozioni, quei sentimenti diversi era piuttosto divertente… intorno a lui c'era una specie di arcobaleno che nessun altro poteva vedere. 


“Ma i giardini sono immensi Emil, non la troveremo mai… Aspetta un secondo. Sai per caso se qui c'è un negozio di souvenir?” 

Emil si voltò verso la ragazza e fece per dirle che forse non era proprio il momento giusto per prendere una cartolina o un magnete per il frigo, ma Rebecca sembrava così seria che all'ultimo cambiò idea, limitandosi ad annuire:

“Benissimo. Andiamo allora, scommetto 10 galeoni che è lì.” 

“Aggiudicato.” 


                                                                                     *


“Allora… siamo state nella Biblioteca Nazionale e a Santo Stefano… cosa manca dalla tua lista?” 

Helene inarcò un sopracciglio, chiedendosi cosa volesse vedere ancora la sua amica: Gae era seduta di fronte a lei in Metropolitana e sorrideva quasi come una bambina a cui hanno appena dato un mucchio di caramelle. 
In effetti sembrava che volesse visitare mezza città in un giorno solo, tante erano le cose che avrebbe voluto vedere. 

“Che domande Helene… il motivo per cui tutti siamo qui. Voglio vedere il Teatro dell’Opera.” 


                                                                                          *



“Allora… dopo un giro turistico di tre ore solo per la Reggia, direi che abbiamo seriamente bisogno di una pausa. Chi è d'accordo con me?” 

Cal tirò un sospiro di sollievo nel vedere tutti i compagni alzare una mano senza sollevare obiezioni… fatta eccezione per Pawel, che si passò nervosamente una mano tra i capelli prima di schiarirsi la voce e parlare:

“In realtà…” 

“Lo sapevo, era troppo bello per essere vero.” 

“In realtà, voi andate pure, io devo fare una cosa.” Pawel decise di ignorare le parole della bionda, per una volta, lasciandola quasi di stucco mentre invece Maya lanciò all’amico un’occhiata vagamente confusa prima di sorridere, gli occhi chiarissimi improvvisamente luccicanti mentre gli si avvicinava:

“Ti accompagno!” 

Maya prese l'amico sottobraccio e gli rivolse un sorriso allegro, mentre invece Ivan tirava quasi un sospiro di sollievo: meno male, aveva temuto di doverlo accompagnare LUI… 

“Che cosa deve fare Juraszek?”     Cal inarcò un sopracciglio, guardando Pawel e Maya allontanarsi quasi con aria sospettosa mentre Ivan sospirava, prendendo sottobraccio sia lei che Irina per allontanarsi:

“Non sono affari tuoi Cal, quindi non serve che tu lo sappia. E non sono nemmeno affari miei, quindi non sta a me dirtelo… ergo, lascia perdere e cerchiamo una pasticceria piuttosto, ho fame.” 

“Ottima idea! Ma sono un po' curiosa anche io… chissà che cosa stanno tramando lui e Maya…” 

Irina si accigliò leggermente, voltandosi verso l'amica e chiedendosi che cosa dovesse fare insieme a Pawel… in effetti la bionda non le aveva detto proprio niente, ma solo perché riguardava quello che loro conoscevano come “argomento tabù”. 


                                                                                            *


“Eleanor Isabelle Hall! Sei stata qui fino ad ora?” 

“Ehm… si. Forse ho leggermente perso la cognizione del tempo…” 

Eleanor sfoggiò un sorriso angelico che venne ricambiato con un sospiro da parte di Rebecca, che prese l'amica per le spalle per trascinarla di nuovo da Emil, che le aspettava poco più indietro con le mani in tasca e la sua perenne aria rilassata. 

“Bach, trovata. Mi devi dieci galeoni.” 

“Triste, ma vero. Elly, che hai comprato di bello?” 


Emil sorrise all’ex compagna di Casa, che come da manuale iniziò subito a fargli vedere le migliaia di cose che aveva preso a tema “Sissi” mentre Rebecca seguiva la scena non sapendo se ridere o se scuotere il capo. Inutile dire che pochi minuti dopo Emil sembrò ricordarsi di una cosa, puntando di nuovo gli occhi sull’ex Serpeverde:

“Ora che ci penso… Non siamo ancora andati ad abbuffarsi di dolci ragazze, dobbiamo rimediare seduta stante!” 

“Sapevo che l'avresti detto, stavo quasi contando i minuti... Comunque sono d'accordo con te Emil, andiamo ad ingrassare come se non ci fosse un domani.” 


                                                                                             *


“Spettacolare, vero?” 

Helene sorrise, osservando il palcoscenico mentre Gae, seduta accanto a lei, aveva gli occhi puntati sul soffitto dell’enorme sala da concerti. 
“Si, è bellissimo.” 


Gae si passò una mano sulla lunga treccia color turchese prima di puntare di nuovo gli occhi sul palco, stendendo a sua volta le labbra in un sorriso carico d’emozione:

“Non e strano pensare che potremmo davvero suonare qui, se le cose andranno bene, tra qualche settimana?” 

“Un po’. Ma è uno dei più importanti teatri del mondo… prima o poi mi esibirò qui dentro, poco ma sicuro. E tu Fata Turchina, non vai sul palco a farmi sentire qualcosa?” 

“Onestamente non credo sia permesso, Helene… e poi non ho il flauto a portata di mano.” 

“Lo so, ma io mi riferivo alla tua voce. Non ti piacerebbe cantare qui, prima o poi?” 

Gae sorrise, limitandosi ad annuire mentre nella sua testa l'immagine già iniziava a prendere forma: naturale… certo che le sarebbe piaciuto. E magari prima o poi l'avrebbe fatto davvero, con un po’ di fortuna. 


                                                                                             *


“Me ne dai un pezzettino?” 

“No.” 

“Per favore… e poi mi devi ancora la brioche che mi hai egoisticamente rubato stamattina!”   Cal sfoggiò la sua versione personale degli occhioni da cucciolo affamato, facendo sbuffare Ivan. Il biondo borbottò qualcosa sulle amiche scroccone prima di cedere, dandole un pezzo dell’enorme krapfen che stava mangiando in Metropolitana. 

“Oh, grazie biondino! Sapete, Ivan fa tanto l’orso, ma in realtà ha un cuore d'oro.” 

“Cal, piantala.” 

Il russo lanciò un’occhiata torva all’amica, intimandole di stare zitta mentre la bionda invece ridacchiava, imitata da tutti gli altri. 

“Oh, finitela di ridere! Piuttosto, avete una vaga idea di DOVE siamo? Non vorrei restare qui sotto in eterno, se devo essere sincero…” 

“Beh, veramente…” 

Cal e Pawel, che per tutta la mattina aveva discusso per fare da “guida”, si scambiarono un’occhiata incerta che fece roteare gli occhi a Maya, tanto che la bionda si mise una mano sul viso, preparandosi mentre invece il russo sgranava improvvisamente gli occhi azzurri:

“Aspettate. Mi state dicendo che ci siamo persi?” 

“Non direi propriamente persi, no… però non siamo sicurissimi della linea da prendere in tutta sincerità.” 

“Irina, tieni un attimo per favore. Ma non mangiarlo.” Ivan passò il dolce nelle mani della rossa, che intuendo cosa stesse per succedere sorrise mentre il biondo tirava fuori il suo piccolo quaderno, con Cal e Pawel che avevano ripreso a parlottare tra di loro, entrambi addossandosi la colpa come da manuale. 

“Forse dovrei dividerli come i bambini….”  Maya inarcò un sopracciglio, parlando con un tono sinceramente dubbioso mentre Ivan alzava leggermente una mano come a voler richiede silenzio dai due, prima di leggere qualcosa che aveva scritto qualche ora prima con un tono piuttosto teatrale:

“4 Settembre, 9:30. Pawel: dico solo che anche se Petrov fa sempre l’uccellaccio del malaugurio, con un minimo di senso dell'orientamento non ci perderemo. Basta seguire le cartine, non è difficile... Scusa Pash, dicevi sul sapere esattamente dove andare? Oh, non fate quelle facce, è da tutto il giorno che sogno di dirlo!” 



















…...................................................................................................................
Angolo Autrice:

Buonasera e… scusate il ritardo, ma dopo che finalmente mi sono arrivate tutte le risposte mi sono beccata l’influenza e non sono riuscita a scrivere nulla di decente per qualche giorno. 
Comunque sia… possibile che tra OC così diversi ci sia un punto comune praticamente a tutti? Tutti  in pasticceria, insomma XD Beh, però fanno bene… 

Non ho mandato gli OC a vedere tutti i posti che mi avevate suggerito, ma ci saranno altri capitoli di questo capitolo quindi non preoccupatevi, avrò modo di farli andare dappertutto.

Questa volta non ho domande per voi, quindi vi saluto… buonanotte! 

Signorina Granger 

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Capitolo 9
*** Prime valutazioni ***


 Capitolo 7: Prime valutazioni
 
Sabato 8 Settembre 
 

Aveva ancora il viso sprofondato nel cuscino di piume quando, emettendo un lieve sbuffo, allungò il braccio e con un gesto automatico e secco spense la sveglia.
 
Il suono però non cessò comunque e si ritrovò a sollevare il capo di controvoglia, lanciando un’occhiata confusa alla sveglia appoggiata sul comodino.
In effetti ci mise qualche secondo a realizzare che quello che sentiva non era affatto il suono della sua sveglia… e probabilmente nemmeno quella di chiunque altro essere umano normale. 
 
Si diede mentalmente dell’idiota per non aver riconosciuto subito il motivo e si alzò, scalciando il copriletto e avvicinandosi alla porta della suite con i capelli completamente spettinati e solo i pantaloni del pigiama addosso. Aveva già una vaga idea di chi avrebbe trovato in corridoio e spalancò la porta, rivolgendo una delle sue famose occhiate assassine alle casse lasciate sul tappeto color avorio, esattamente tra la porta della sua camera e quella affianco, che si aprì quasi nello stesso istante per rivelare un Jarrod altrettanto spettinato, irritato e svestito.
 
“KOLLER. Che cavolo stai combinando?”
“IO? Idiota, non vedi che mi sono appena svegliato?”
 
I due si scambiarono un’occhiata torva, e probabilmente Jarrod stava per proporre di distruggere le casse con la magia… ma un rumore di passi attirò la loro attenzione, portandoli a voltarsi per guardare un sorriso allegro e soddisfatto posto su un volto molto più radioso e riposato dei loro.
 
“Buongiorno! Ben svegliati, vedo che il mio metodo funziona.”
 
“TINA. Spegni subito questa roba! Odio Chopin!”
“Di prima mattina sei persino più irritabile del solito Alex… Non fate quelle facce, ve l’avevo detto infondo! E visto che non potevo spostare qui il pianoforte, ho pensato che registrarmi fosse una buona idea. Non trovate anche voi?”
 
Il sorriso di Christina non vacillò neanche per un attimo, nemmeno di fronte alle facce torve dei due vecchi compagni di scuola e ormai storici amici. 
 
“Oh sì, un’ottima idea.”   Il tono di Alexander era puramente sarcastico, ma probabilmente Tina decise di ignorarlo, senza comunque accennare a voler spegnere le casse.
“Lo so, ti ringrazio. Ho appena fatto colazione, e penso che dovreste fare lo stesso… Oggi dobbiamo sentire i ragazzi, dopotutto! Io vado a preparare il pianoforte, voi raggiungetemi… Ma prima rendetevi presentabili.”
“EHY! Non le spegni?”
“No, arrangiatevi.”
 
La bionda sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi, rivolgendo ai due solo un cenno di saluto mentre continuava a trattenersi dal ridere. 
Alexander e Jarrod si scambiarono un’occhiata incerta prima di guardare le casse, entrambi chiedendosi come si spegnessero.
 
“Emh… Tu sai come si spegne?”
“No. E tu?”
“Nemmeno… ok, prendo la bacchetta.”
 
                                                                            *
 
“Maya… sei nervosa?”
“Un pochino. Si vede?”
 
“Beh, smettila di torturare la tovaglia, di questo passo sarà tutta sfilacciata entro dieci minuti!”
 
Irina roteò gli occhi, allungandosi per togliere il lembo ricamato della tovaglia bianca dalle mani pallide dell’amica, che invece sospirò prima di abbassare gli occhi chiarissimi sul suo piatto.
 
“Non fare quella faccia, non è la fine del mondo… E siamo abituate a persone che ci ascoltano e che ci giudicano, no?”
“Certo. Ma è la prima volta che LORO mi sentono suonare da sola… e l’idea di fare una pessima figura mi fa venire voglia di seppellirmi.”
“Rilassati, andrai bene. Se sei qui c’è un motivo, dopotutto.”
 
Irina le rivolse un sorriso incoraggiante che la bionda si sforzò di ricambiare, decidendo di smetterla di pensarci e di cambiare argomento:
 
“Tu invece? Sei nervosa?”
“Un po’, più che altro perché DEVE andare bene. Deve per forza… non ho la benché minima intenzione di tornare a casa dopo una settimana. No, io da qui non me ne vado prima del 21 Dicembre.”
 
La rossa sfoggiò una lieve smorfia mentre si versava un po’ di caffè nella tazza, facendo sorridere l’amica con fare consolatoria.
 
“Beh, se non altro hai un’ottima… spinta per impegnarti. Qualche mese fa eri già felicissima solo per aver convinto tuo padre a farti provare a partecipare.”
“Per mia fortuna so quali tasti toccare. Figuriamoci, avrebbe mai perso l’occasione di mettermi e quindi mettersi in mostra ancora una volta?”  
 
Irina roteò gli occhi e Maya sorrise appena, immaginandosi l’amica che perseguitava il padre parlando solo ed esclusivamente di quel concorso per convincerlo a farle fare le selezioni. Se non altro, alla fine l’aveva avuta vinta. 
 
“Per fortuna no, ma questa volta è stato un bene. Anche mio padre è felice che io sia qui, in effetti… in genere non apprezza molto questa mia passione, ma stranamente questa volta è andata diversamente.”
 
Questa volta il turno di sfoggiare un tono seccato fu della tedesca, che si portò la tazza alle labbra mentre ricordava ancora una volta quando le era arrivata la lettera, qualche settimana prima, che l’informava che aveva passato anche il secondo turno di selezioni. Si, suo padre l’aveva presa molto bene. 
 
“E tua madre? Lei cosa ne pensa?”
“Lei preferirebbe che io mi concentrassi di più sullo studio, in realtà. Ma forse non m’importa più di tanto, se me ne sono andata di casa è perché non sopportavo più di vivere con lei.”
 
Maya fu quasi attraversata da un brivido nel ricordare quando viveva con sua madre… non era passato molto tempo in realtà, ma ora era tutto così diverso che le sembrava fossero passati anni. 
 
“Quando mi hai detto che saresti andata a vivere da sola ho pensato a come sarebbe stato per me… e la cosa peggiore è stata realizzare che a me non succederà mai.”
“Se vuoi puoi sempre dartela a gambe e nasconderti da me… Fonderemo il club “scappiamo dalla nostra famiglia”.”
“Grazie per l’offerta, ci penserò.”
Irina sorrise, appoggiando una mano sul braccio dell’amica con sincera gratitudine mentre qualcuno si avvicinava e prendeva posto accanto a Maya:
 
“Buongiorno… Maya, sei tranquilla o sei già un fascio di nervi?”
“Sai Juraszek, ho la vaga sensazione che così non l’aiuti… e non aiuti nemmeno me a cercare di tranquillizzarla!”
 
Irina rivolse un’occhiata leggermente torva al biondo, che invece sorrise quasi a mo’ di scuse prima di sporgersi verso la bionda per darle un colpetto affettuoso sulla spalla:
“Coraggio biondina, te la caverai egregiamente! Certo, magari non quanto me, ma…”
 
“Oh Pawel, sei sempre così di conforto… Ora che vivo ad Oslo e ci vediamo poco sento tremendamente la mancanza delle tue perle di saggezza.”
“Lo so, lo so… non serve che mi ricordi quanto tu mi voglia bene, tranquilla.”
 
                                                                                   *
 
“Ciao! Posso sedermi?”
 
Di fronte al sorriso e al cenno di assenso di Rebecca Cal prese posto accanto a lei, accigliandosi leggermente nel non vedere Eleanor:
 
“Dov’è Eleanor?”
“Immagino che sia ancora rintanata a letto… Ho provato a svegliarla, ma mi ha rimproverato perché nel suo sogno stava sposando Ryan Gosling e a quanto pare ho interrotto la cerimonia. Non so nemmeno chi sia… Tu per caso lo sai?”
“Temo proprio di no… Dopo glielo chiederemo.”
 
Cal si strinse nelle spalle e Rebecca annuì, bevendo un sorso di thè mentre faceva guardare lo sguardo nella sala gremita tra ospiti e i loro compagni. 
“Chissà se oggi butteranno fuori qualcuno.”
“Beh, comunque vada spero che non tocchi a me… tu sei nervosa?”
 
Rebecca esitò ma poi annuì, anche se in effetti dalla sua espressione non traspariva alcun nervosismo. 
 
“Un po’, ma immagino che sia normale… e spero che con il trascorrere delle settimane passi. Anzi, forse dovrei andare a provare… vieni con me?”
“Aspetto che Ivan torni, ma poi ti raggiungo.”
La bionda sorrise a Rebecca, che ricambiò prima di alzarsi:
“D’accordo… ci vediamo dopo!”    La Serpeverde le rivolse un cenno prima di allontanarsi, lasciando Cal da sola al tavolo. La bionda aveva appena allungato la mano per prendere un paio di biscotti quando un’altra gliene prese uno, facendola sbuffare:
 
“In questa stanza c’è abbastanza cibo da sfamare qualche Paese del Terzo Mondo. Devi proprio prendere i miei biscotti?”
“Così è più divertente.”  Gli dava le spalle e non lo vide in faccia, ma Cal avrebbe potuto scommettere un bel po’ di Galeoni che in quel momento Ivan si stesse trattenendo dal ridere mentre le teneva ancora una mano sulla spalla.
 
Infatti quando la bionda si voltò lo trovò piuttosto sorridente, guardandola con aria divertita prima di prendere posto accanto a lei.
 
“Naturalmente… Allora Petrov, sei tranquillo come tuo solito?”
“Io non sono per niente ansioso, lo sai. Ma spero davvero che vada bene anche a te Cal, mi dispiacerebbe vederti andare via.”
“Tranquillo, non ho nessuna intenzione di farmi sbattere fuori. No, ho intenzione di contendermi il podio con te fino alla fine.”      Cal sorrise di rimando all’amico con la stessa nota di sfida, facendogli scuotere il capo leggermente:
 
“Povera illusa, tra i due il pianista migliore sono io.”
“Non credo proprio. E vai a farti una doccia invece di pavoneggiarti, non vorrai presentarti e suonare dopo aver corso!”
 
                                                                                    *

“Si può sapere che cosa stai facendo? Stai usando quella… cosa strana da un'ora!”
“Si chiama computer Elin. Ripeti con me: computer.”
“Lo so come si pronuncia! Dai, fammi vedere.” Helene sbuffò e si sporse per prendere il computer di Gae e ruotarlo, in modo da vedere cosa stesse guardando l'amica. Gae non battè ciglio e si limitò a bere un sorso d'acqua, mentre la rossa invece sgranava gli occhi:
“Andras Pandy? Il serial killer? Gae, ancora?” 
“Non fare quella faccia… tu la pensi diversamente magari, ma è interessante capire queste persone. Era belga, credo di aver letto di lui da qualche parte a casa, prima di venire qui.”
Gae si strinse nelle spalle e riprese il computer con nonchalance, mentre Helene si limitava a roteare gli occhi e decidere di cambiare argomento:
“Ok… senti, non mi va di parlare di un mostro che avrà ammazzato chissà quante persone…”
“A quanto pare moglie e figli. Poverini…”
“Ok, lasciamo stare, sto facendo colazione e non mi va di pensarci. Piuttosto, che cosa suonerai oggi, Fata Turchina?”
“Non chiamarmi così Elin… quanto a cosa suonerò, penso il Capriccio nº 24. Accidenti, ho letto male!”
“Vuoi dire che in realtà NON ha ucciso i figli? Menomale…”  Helene sorrise con aria sollevata ma Gae scosse il capo, affrettandosi a correggersi: 
“No, in realtà ha ucciso entrambe le mogli. E a quanto sembra ha usato come complice l'unica figlia che non ha ucciso...” 

Helene represse la tentazione di sbattere la testa contro il tavolo ma Gae non sembrò farci caso, continuando ad osservare lo schermo illuminato con la fronte corrugata: 
“Che razza di storie… perché non cerchi mai informazioni su cose carine invece che serial killer? Tipo non so, unicorni?”
“No grazie, li abbiamo già studiati a scuola. Mi passi il succo d’arancia, per favore?”
Helene obbedì e passò la caraffa all'amica, che si versò nel calice un po’ di succo senza neanche staccare gli occhi dallo schermo.
La rossa stava spalmando della marmellata su una fetta di pane quando Gae parlò di nuovo, facendola quasi raggelare:
“Ma tu guarda. La suddetta figlia è stata anche sua amante…”
“Gae! Piantala, mi mette i brividi!”

                                                                              *
 
Emil continuava a tamburellare le dita sul bracciolo della poltroncina dov’era seduto, gli occhi chiari che vagavano sui compagni che lo circondavano, disseminati tra le file di poltrone cremisi con i rispettivi strumenti e spartiti accanto.
Jarrod, Alexander e Christina erano seduti in prima fila e ogni tanto li vedeva sporgersi l’uno verso l’altro per consultarsi.
 
L’ex Tassorosso spostò gli occhi dai tre esaminatori per concentrarsi sui suoi compagni, riuscendo come sempre a cogliere una gran quantità di emozioni intorno a lui. A volte ci provava ad evitarlo, cercava di non sentire o vedere nulla… ma erano sempre lì, che lui lo volesse o no: quei flussi nebulosi e colorati che sembravano quasi fili di nebbia che circondavano, avvolgevano le persone quando le guardava. 
E in quel momento Emil poteva dire che praticamente tutti i suoi compagni erano nervosi, o almeno quelli che dovevano ancora suonare. In quel momento c'era Eleanor sotto i riflettori, e poteva vedere benissimo quanto la sua amica fosse concentrata, forse un po’ nervosa, ma comunque determinata.
Sentendo dei passi che gli si avvicinavano si voltò, ritrovandosi a guardare Rebecca che si muoveva silenziosamente tra i sedili per non disturbare e sedeva nella fila posteriore alla sua.
“Ti sei persa l'inizio di Elly…” 
“Ci ho messo più del dovuto ad accordare il violino.”  La ragazza lasciò lo strumento sul sedile accanto a lei e si sporse leggermente in avanti per avvicinarsi a lui:
“Come sta andando?” 
“Non sono un’esperto di piano, ma penso bene… Elly è molto brava.”  Emil sorrise quasi con aria orgogliosa mentre Rebecca annuiva, sorridendo a sua volta mentre osservava l'amica suonare il Notturno di Chopin.
“Si, lo è. Piuttosto… tu cosa suonerai?” 
“La Moonlight sonata... tu invece?” 
“L’Estate.”   Rebecca riportò gli occhi su Eleanor prima di spostarli sugli esaminatori, ascoltando distrattamente la melodia di Chopin mentre si chiedeva cosa stessero pensando o scrivendo i tre. 
“Sei nervosa Becky?”
“Solo un po’. Tu invece mi sembri sempre allegro e sorridente.”   Rebecca si accigliò leggermente, chiedendosi come facesse mentre Emil le rivolgeva un sorriso, trattenendosi dal farle notare che vedeva benissimo quanto in realtà fosse nervosa. 
A volte gli piaceva vedere qualcosa che gli altri non coglievano, anche se certe volte si ritrovava a considerare quel “dono” quasi una specie di maledizione.
“Certo! Ci vuole ben altro per demoralizzarmi…” 
Non glielo disse, ma forse per quel motivo Rebecca un po’ lo invidiò… rimasero però in silenzio mentre ascoltavano Eleanor finire il brano, prima che Emil si alzasse per avvicinarsi all'amica. 
La Tassorosso ebbe infatti appena il tempo di mettere piede giù dalla pedana prima di ritrovarsi stritolata da uno dei soliti abbracci travolgenti di Emil, che sorrise prima di complimentarsi allegramente con l'amica:
“Pulcino, sei stata bravissima!” 
“Grazie Emil… ma le braccia mi servono per suonare, non spezzarmele!” 
Il ragazzo obbedì e la rimise anche con i piedi per terra, guadagnandosi un suo sorriso prima che l’ex compagna di Casa si avvicinasse silenziosamente anche a Rebecca, sedendosi accanto a lei.
“Ciao Becky… come sono andata?” 
“Tranquilla Elly, Bach ha ragione: hai suonato molto bene… però ho una domanda da farti, prima che chiamino me: chi cavolo è questo Ryan Gosling?” 

                                                                                 *

Maya sfoggiò un sorriso sinceramente sollevato mentre tornava a sedersi, il clarinetto in una mano e lo spartito di L’aria sulla quarta corda nell'altra. Irina le rivolse un'occhiata da “te l'avevo detto” mentre la superava per andare a suonare a sua volta, lasciando l'amica a sedersi accanto a Pawel. 
“Come sempre sei andata bene Maya… visto? Non c'era bisogno di preoccuparsi!”
“Beh, immagino di poter fare meglio… ma anche peggio. Anche tu hai suonato bene Pash, anche se conoscendoti non c'è bisogno che io te lo dica.” 
Maya rivolse un debole sorriso all'amico, che ricambiò come a volerla ringraziare.
“Figuriamoci. Sa benissimo di aver suonato bene.”
“Petrov, nessuno ti ha interpellato.” Pawel rivolse un'occhiata torva all’amico, che invece sorrise con fare angelico mentre anche Maya sorrideva, osservando i due con cipiglio divertito:
“Nonostante tutto voi due continuate ad essere divertenti. Ve l'hanno mai detto?”
“Oh si, Veronika me lo ripete almeno due volte alla settimana.” 

                                                                               *

Stavano ascoltando in silenzio Rebecca suonare quando Eleanor disse qualcosa a bassa voce senza staccare gli occhi dell'amica, attirando l'attenzione di Emil:
“Tu non sei nervoso? Non hai paura che tutto questo possa già finire?”
“Lo sai, io preferisco pensare sempre in positivo… dovresti farlo anche tu, Elly. Siamo qui per metterci alla prova, per vincere, ma prima di tutto per fare qualcosa che amiamo. È un’esperienza che va vissuta per il meglio, non credi anche tu?”
Emil le sorrise e Elly non riuscì a non ricambiare, annuendo leggermente prima di voltarsi verso di lui e guardarlo con affetto:
“Sai Emil… credo di invidiarti. Riesci sempre a vedere tutto positivamente. È per questo che le persone ti adorano, immagino… anche se i tuoi abbracci dovrebbero essere vietati per legge perché pericolosi.” 
“Magari non sempre, ma in genere lo faccio. E comunque i miei abbracci non sono pericolosi, sono solo affettuosi.”
“Si, beh, soprassedendo sui tuoi abbracci… non è da tutti affrontare tutto così.” 
Eleanor riportò gli occhi scuri su Rebecca senza aggiungere altro, dopo aver parlato con un filo di voce e una nota di amarezza. Emil magari avrebbe voluto chiederle se c'era qualcosa che non andava, ma cogliendo il suo umore decise di lasciar perdere e tornare a concentrarsi sul suono del violino che riempiva la sala. Solitamente era piuttosto ficcanaso, ma aveva anche abbastanza sensibilità da intuire quando era il momento di non fare troppe domande. 

                                                                                   *

“Ti posso assicurare che se non la smetti di ripetere le note a bassa voce, ti colpisco in testa con l’archetto. Non riesco a pensare!”    Gabriel sbuffò, roteando gli occhi scuri mentre si sistemava la montatura degli occhiali neri e accanto a lui Sebastien faceva spallucce: 
“Capirai, sai che dolore… non è fatto di crine di cavallo?”
“Certo, ma l'altra parte no. E ti colpirei con quella.” 
Gabriel impugnò l’archetto con fare minaccioso e Bash si ritrovò a sbuffare, borbottando che non si poteva nemmeno più ripassare le note mentre invece Lys sghignazzava accanto a lui. 
“Lys, non ridere o ti colpirò a mia volta con l’archetto di Gabriel. Comunque va bene, ho capito, starò zitto.” 
Sebastien incrociò le braccia al petto e si cucì la bocca, restando in completo silenzio e perfettamente immobile mentre osservava Ivan suonare il Can Can. Lysandre invece inarcò un sopracciglio e gli rivolse un’occhiata incerta, assolutamente certo che l'amico non avrebbe retto nemmeno dieci minuti senza proferire parola. 
Gabriel sembrò pensare lo stesso perché lanciò a sua volta un’occhiata scettica al francese, che sembrò non farci affatto caso mentre teneva con ostinazione gli occhi castano-verdi sul pianista. 
 “… Anche se, ad essere onesto, forse Ivan tiene la schiena troppo rigida…”
“Ci avrei scommesso.” 

                                                                               *

“Ehy, mi hai aspettata! Come sono andata?”
“Naturalmente non bene quanto me… ma anche tu te la sei cavata.”  Helene sorrise a Gae, che tornò a sedersi accanto a lei, dietro a Lys, Sebastien e Gabriel anche se il violinista si era appena alzato visto che era arrivato il suo turno per suonare. 
“Grazie, gentilissima.”
La belga roteò gli occhi ma Helene le sorrise comunque, mentre invece Sebastien si voltava verso di lei per complimentarsi vivacemente.
“Grazie Sebastien… fortunatamente qualcuno che fa complimenti è rimasto.”
“Non fare la permalosa, su. Tieni, ecco il tuo computer, così puoi continuare a fare ricerche assurde.”
La rossa roteò gli occhi e passò all'amica il suo PC, facendola sorridere allegramente mentre Sebastien domandava a Lysandre cosa fosse quella “strana cosa sottile che si illumina” e il rosso gli rispondeva brevemente di lasciar perdere, forse per non dover subire milioni di domande dal curiosissimo amico. 
“Beh, chiederò a Gae allora… a cosa serve?”
“Beh, ad un sacco di cose… dai Bash, siediti vicino a me, così te lo spiego.”
La ragazza rivolse un cenno al francese, che senza farselo ripetere due volte si alzò per raggiungerla. Helene invece sperò ardentemente che Gae non coinvolgesse anche lui in quelle dannate ricerche assurde, perché difficilmente avrebbe retto. 
“Ho la sensazione che qui andrà per le lunghe… Lys, posso sedermi vicino a te finché non arriva il tuo turno?”
“Certo, vieni pure, mal che vada possiamo provare a fingere di non conoscerli…”
“Lys, sono qui e ti sento perfettamente!”
“Tanto meglio allora…” 

                                                                                   *

Fino a dieci minuti prima in quella sala non c'era stato quasi neanche un attimo di silenzio per un bel po’, mentre ad uno ad uno tutti avevano preso in mano spartito e strumento e avevano presentato un brano.
Ormai in effetti la sala oltre che silenziosa era anche deserta, visto che quando avevano finito e avevano saputo le rispettive valutazioni tutti erano usciti per sfruttare il tempo libero.
Ivan invece era ancora seduto, le gambe accavallate e gli occhi chiari fissi su un punto indefinito davanti a sé mentre rifletteva con un gomito appoggiato al bracciolo della poltroncina e la mano che sorreggeva il mento.
Sentendo dei passi però il biondo venne riportato alla realtà e voltandosi sfoggiò un lieve sorriso, guardando Cal che gli si avvicinava e sorrideva di rimando:
“Ciao… ancora qui?”
“Ti ho aspettata. Allora Jordan… valutazione?”
“85 su 100. Tu invece?” La bionda inarcò un sopracciglio mentre sedeva di nuovo accanto a lui, godendosi quasi con sollievo il silenzio che li circondava:
“90.”  Ivan sfoggiò un sorrisetto soddisfatto che fece sbuffare l'amica, borbottando che la settimana successiva avrebbe di sicuro preso più di lui.
“Non prendertela Cal, magari la settimana prossima mi supererai. O forse quella dopo ancora…”
“Piantala. Comunque… sono felice che sia andata bene, sia a me che a te. Sai Ivan, sono davvero felice che tu sia qui.” 
Cal sorrise, per una volta senza alcuna ironia come era solita fare quando si rivolgeva a lui, appoggiando anche il capo sulla sua spalla. Ivan invece si limitò ad annuire senza dire niente per qualche istante, tenendo ancora gli occhi fissi davanti a sé e parlando con tono quasi pensieroso:
“Si… anche io sono felice di essere qui.”
“Oh, andiamo! Avresti dovuto dire “si Cal, ti voglio bene, anche io sono felice che tu sia qui insieme a me, sei la mia migliore amica!” e non qualcosa come “ti sto onorando della mia presenza”.”
Cal sbuffò, lanciandogli un’occhiata torva e quasi offesa che lo fece sorridere, guardandola con affetto:
“Ehy, non ho detto niente del genere. Lo sai che ti voglio bene, no?” 
“Si, beh… ormai ci conosciamo da tanto, ho imparato ad accettarti con i tuoi mille difetti. Non so come, ma ci sono riuscita.”
Cal si strinse nelle spalle e si alzò, imitata dall'amico che la seguì con un sorriso divertito stampato in faccia mentre le metteva un braccio intorno alle spalle e si incamminavano verso l’uscita della sala:
“Potrei dire lo stesso di te. Povera, piccola Cal, ti senti offesa perché non ti dimostro affetto?” 
“Piccola un corno, io sono più grande di te! E smettila di dire cretinate!” 
Cal sbuffò, provando a guardarlo male ma senza riuscire comunque a staccarsi dall’abbraccio dell'amico, che si limitò a ridere senza replicare, per una volta.

                                                                              *

“Abbiamo persino preso lo stesso punteggio… sarà destino.”
“Già… beh, sarai sollevata immagino. Per questa settimana sei salva!”  Maya sorrise mentre, stesa sul suo letto, accarezzava distrattamente il pelo bianco di Lady, la sua gatta. 
Irina si era sistemata accanto a lei nel grande letto matrimoniale e annuì, gli occhi fissi sul soffitto della stanza decorato con ghirigori color oro e avorio.
“Molto sollevata. Ma mai quanto te, quando sei tornata a sederti stavi praticamente svolazzando.”
Irina sorrise mentre Lady sgusciava dal braccio della padrona e si avvicinava a lei per avere altre coccole, guadagnandosi un’occhiata torva da parte della bionda.
“La tua gattina è così carina! Ma devo fare in modo che Lena non mi veda tenerla in braccio, altrimenti poi si ingelosisce.” 
Irina sorrise mentre Maya annuì, sperando vivamente che il cane dell'amica non usasse la sua gatta come cena o pranzo entro la fine del concorso. 
“Si, forse sarebbe meglio. Piuttosto, abbiamo un paio d'ore prima di cena… e credo che da qualche parte ci sia una piscina coperta. Andiamo a cercarla?”
“C'è l’idromassaggio?” 
“Immagino di si.”
“Ok, andiamoci subito.” 





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Angolo Autrice:
Buonasera! Mi spiace metterci sempre un po’ ad aggiornare, ma o ho l'influenza io o voi ci mettete un po’ a recensire/mandarmi le risposte… non volevo però farvi aspettare ancora e alla fine ho deciso di aggiornare lo stesso oggi. 
Detto ciò… stavolta ho una domanda: compleanno del vostro OC? 
Non ho idea di quando aggiornerò, magari il prossimo weekend… ma presto, spero.
Signorina Granger 

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Capitolo 10
*** Lettere ***


 Capitolo 8: Lettere 

 
“Mamma?”  
“Mamma, domani parto… sono venuta a salutarti.”

 
Alzò gli occhi dalle sue mani per puntarli sulla donna seduta su una sedia accanto alla finestra, a pochi metri da lei. Non incontrò lo sguardo di sua madre, che come sempre si ostinava a tenere gli occhi fissi sul vetro della finestra, senza dare molta importanza alla presenza della figlia. 
 
“Mamma… so che puoi sentirmi. Perché fai così?”   
 
Sospirò, continuando a destreggiarsi in un monologo che andava avanti ormai da tempo. Man mano che le sue visite aumentavano e sua madre continuava ad ignorarla, Eleanor si accorgeva di diventare sempre più simile a lei: il tempo passava, e la sua rabbia svaniva, insieme all’amarezza. Il tempo passava e non provava quasi più niente. 
Ormai non si arrabbiava neanche più: le aveva urlato contro più di una volta, altre aveva finito col piangere, pregandola di guardarla.
Ma qualunque cosa facesse, continuava a non girarsi nemmeno. 
 
A volte, sua zia le chiedeva perché si ostinasse a farle visita… e quasi sempre Eleanor rimaneva in silenzio, senza sapere cosa dire. 
 
Si alzò, sapendo che non sarebbe cambiato niente e che non valeva la pena di restare ancora in quella stanza così staticamente bianca. 
 
“Si, beh… ci vediamo a Natale, suppongo.”    Le rivolse un’ultima occhiata prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle senza voltarsi indietro. 
 
                                                                           *
 
Mercoledì 12 Settembre 
 
Rebecca aprì la porta il più piano possibile, mettendo la testa dentro la camera di Eleanor ripetendosi di non fare rumore per non svegliarla nel caso fosse ancora addormentata.
Avrebbe scommesso di trovarla sotto le coperte come al solito, ma con suo sommo stupore si ritrovò a guardare l’amica appollaiata accanto ad una finestra, il capo appoggiato contro il vetro mentre teneva in mano una penna e un piccolo quaderno. 
 
“Ehy… Già sveglia?”
“Si, pare che io sia uscita dal letargo prima del tempo oggi.”
 
Elly si strinse nelle spalle e Rebecca le si avvicinò, con Cinnamon che spuntò a sua volta nella camera per trotterellare verso la Tassorosso e farsi coccolare. Il cane le appoggiò il muso su una gamba e istintivamente Elly le accarezzò il pelo senza staccare gli occhi dalla pagina dove stava scrivendo qualcosa in fretta. 
 
“Che cosa scrivi?”
“Niente di che… sai, stanotte ho sognato mia madre. Quando sono andata a salutarla prima di partire per venire qui.”    Rebecca si sistemò sul lato opposto della finestra per leggere senza dire niente, lasciando che l’amica continuasse. 
Se non altro si spiegava il suo aver dormito meno rispetto al solito. 
 
“Non mi avevi detto di esserci andata.”
“Non fa mai molta differenza, si comporta come se non mi vedesse o sentisse. Secondo te si rende conto della mia presenza? A volte mi sorge davvero il dubbio…”
 
“Beh, non è sorda e nemmeno cieca, quindi credo di sì… Ma chissà, forse è in un mondo tutto suo dove davvero non ti sente. O forse non riesce semplicemente a parlarti.” 
 
Rebecca accennò un sorriso, allungando una mano per sfiorare il braccio dell’amica. Elly non disse niente per qualche istante prima di alzare gli occhi scuri dal suo quadernetto e puntarli sull’amica, limitandosi ad annuire:
 
“Si, beh, lasciamo perdere. Sono a Vienna, lontana centinaia di km da Londra e da mia madre… e non devo pensare a lei mentre sono qui. Coraggio, andiamo a fare colazione, ho fame.”
 
La Tassorosso abbozzò un sorriso e, lasciato carta e penna sul sottile materassino color oro, si alzò per andare a vestirsi. 
Rebecca non disse niente, seguendola con lo sguardo per un attimo prima di abbassare gli occhi sul quaderno dell’amica, chiedendosi come sempre che cosa scrivesse. 
Glielo chiedeva spesso in realtà, ma ad Eleanor non piaceva molto far leggere quello che scriveva nei suoi momenti di riflessione. 
 
Gli occhi castano-verdi della Serpeverde saettarono dall’oggetto a Cinnamon, che la stava fissando accucciata accanto a lei.
“Che c’è? Non fare quella faccia, è inutile che mi guardi così… non sbirceremo, faremo le riservate come è giusto che sia! Su, andiamo a vestirci, non scendo a fare colazione in un hotel a 5 stelle in pigiama.”
 
                                                                           *
 
“Secondo voi qui cosa c’è? …. NO! Hanno la piscina sul tetto?”
 
La mascella di Cal sfiorò quasi il pavimento mentre leggeva uno dei tanto cartellini patinati grigi che popullavano i corridoi dell’albergo. 
“E pensare che ce n’è anche una coperta… non si fanno mancare proprio niente. Coraggio, andiamo a dare un’occhiata!”   Irina sorrise e iniziò quasi a spingere Maya e Cal verso le scale per salire ulteriormente, morendo dalla voglia di godersi una delle ultime giornate di sole e sufficientemente calde per fare il bagno all’aperto. 
 
“Ottima idea… ma dove sono finiti Pawel e Ivan?”
“Ivan sarà andato a correre come sempre, probabilmente più tardi spunterà da qualche parte… quanto al tuo amico Maya, non ne ho idea. Ma almeno senza quei due potrò passare un’ora senza nessuna frecciatina trasudante sarcasmo!”
 
Cal sorrise quasi con sollievo mentre saliva le scale alla velocità della luce, animata più che altro dall’idea della piscina che aveva in testa. 
Stava giusto pensando che di certo Ivan sarebbe stato molto fiero di lei nel vederla salire le scale così in fretta quando si rese conto di non avere più Alaska, il suo cane, accanto. Chissà dov’era finita… forse sarebbe dovuta andare a cercarla, ma non voleva sprecare la mattinata… insomma, dopotutto che danni poteva provocare?
 
                                                                         *
 
“Senti, facciamo così. Tu mi sposti e mi fai passare, io non ti affatturo… e magari lui non mi deturperà a vita una spalla, che cosa ne pensi?”
 
Ivan Petrov inarcò un sopracciglio, osservando dall’alto in basso il cane nero che gli stava davanti, fissando il gatto che, manco a dirlo, non appena aveva visto Alaska gli era saltato sulle spalle, artigliandogliele. 
In genere Alaska gli ronzava intorno per giocare e farsi coccolare, ma sfortunatamente in quel momento stava puntando il gatto del Bengala che il biondo teneva con una mano, mentre il felino osservava di rimando il cane con aria vagamente preoccupata. 
 
“Andiamo Alaska, non sarebbe granché come colazione… anche se è così rompiscatole che da una parte te lo lascerei volentieri.”
 
Ivan maledisse la sua migliore amica per aver lasciato il suo amato cane a piede libero per l’hotel, consapevole che sarebbe toccato a lui il compito di riportarla nella camera di Cal. 
 
Stava giusto pensando a come darsela a gambe con il gatto ancora integro quando un paio di voci attirarono la sua attenzione…e due istanti dopo si ritrovò davanti a due ragazze. 
 
“Ciao Ivan! Ehy, ma quello non è il cane di C- GATTO!”
 
Il sorriso di Eleanor svanì non appena la ragazza si accorse della presenza di Sergej, bloccandosi d’istinto e usando quasi Rebecca come scudo umano nonostante fosse più bassa di lei di qualche centimetro. 
 
“Salve ragazze… sì, è il cane di Jordan che al momento è scomparsa nel nulla. Sei allergica ai gatti, Eleanor?”
 
“No, ne è semplicemente terrorizzata per motivi sconosciuti. Elly, piantala una buona volta, non ti mangia!”  
Rebecca sbuffò, lanciando un’occhiata esasperata in direzione dell’amica. La Tassorosso lanciò un’occhiata sospettosa al gatto, osservandolo come se temesse che potesse saltarle addosso e graffiarla da un momento all’altro:
 
“Si, beh… come si chiama?”
“Sergej.”
“Bello, come Rachmaninov! Ma tienilo lontano da me comunque, ti prego.”
“Lo farò, non preoccuparti. Piuttosto… sapete per caso dove potrebbe essere Cal?”
 
“Credo che volesse cercare la piscina sul tetto questa mattina…” 
 
Rebecca indirizzò un sorriso ad Alaska mentre parlava, allungando una mano per accarezzarle il lucido pelo nero. 
 
“Ah, è così? Io faccio il dog-sitter e lei va in piscina… Bene! Ci vediamo dopo ragazze, vado a cercare Jordan. Vieni Alaska, ti porto in camera sua prima.”
 
Ivan rivolse un cenno al cane che lo seguì senza fare storie, continuando a fissare pericolosamente il povero Sergej. 
 
“Elly?”
“Mh?”
“Il gatto è lontano, credo che ora tu possa smetterla di usarmi come scudo umano…”
“Ah, è vero… scusa!”
 
                                                                              *

“Ok… ti ricordi tutto quello che ti ho detto?” 
“Penso di sì…” 
“Ok, allora prova.” Gae rivolse un cenno e Bash, anche se con un po’ di titubanza, allungò una mano verso la tastiera per muovere il cursore. 
I due si erano sistemati su un tavolo, seduti uno accanto all'altra con il computer della ragazza davanti… e dietro di loro c'erano Helene e Lysandre, entrambi impegnati a lucidare i rispettivi flauti. 

“Finirà male, me lo sento.” 
“Non me ne parlare… ho paura che possa esplodere tutto da un momento all'altro!” 
I due parlavano a bassa voce per non farsi sentire dagli amici, ma Gae sembrava tranquillissima mentre i rossi sembravano prepararsi all'arrivo di un bombardamento imminente.
“Ehy, ce l'ho fatta!” 
“Oh no…” 
“Sono riuscito ad accenderlo e ad entrare in quella cosa con il nome colorato… com’è che si chiama…” 
“Google, Bash, Google. Hai visto, non è poi così difficile!”  Gae sorrise allegramente al pianista, che ricambiò prima di voltarsi verso Lys e rivolgergli un'occhiata soddisfatta, quasi come a volergli dire “alla faccia tua”. 
“E pensare che qualcuno credeva che non ci sarei mai riuscito…” 
“Zitto e presta attenzione Bash, sei ancora in tempo per provocare danni.” 

                                                                                            *

"Coraggio, entra." Ivan tenne la porta aperta, facendo un cenno ad Alaska e suggerendole di entrare nella camera della padrona. Fortunatamente il cane obbedì e lo superò senza farsi pregare, mentre Sergej allentava finalmente la presa delle unghie sulle sue spalle. 
Il ragazzo fece per chiudere la porta e andarsene, ma i suoi occhi chiari andarono irrimediabilmente a finire sul cumulo di pergamena che occupava la scrivania. 
Così, mentre Alaska andava a cercare la sua corda per giocare, Ivan si avvicinò alla scrivania, causando qualche miagolio di protesta da parte del gatto che gli stava ancora ancorato addosso.

“Piantala, restiamo olio cinque minuti e poi ce ne andiamo, così riporto in camera anche te.” 
Ivan abbassò lo sguardo sul tavolo, ritrovandosi a guardare delle lettere che non erano state nemmeno aperte, tutte con il sigillo di ceralacca intatto.
Non era tipo da farsi gli affari altrui in realtà… ma si trattava pur sempre di Cal e incapace di resistere Ivan allungò la mano per prenderne una, girarla per leggere il nome del mittente. 
Nel leggere quel nome intuì che molto probabilmente era lo stesso delle altre… e non si stupì di averle trovate tutte ancora chiuse. Anche se era strano che Cal le tenesse invece di buttarle, se comunque non aveva intenzione di leggerle. 
Lasciò la lettera sul tavolo, rivolgendo un’ultima occhiata alla scrivania prima di grave sui tacchi, rifiutandosi categoricamente di aprirne, leggerne qualcuna e invadere così la privacy della sua amica.  Anche se molto probabilmente le avrebbe chiesto qualche delucidazione a riguardo.

                                                                                        *
 
“Che fate, vi abbronzate?”
“Se non altro ci proviamo.”    Maya sbuffò sommessamente, restando ferma a rosolare sotto il sole nella vana speranza di smorzare un po’ il suo ormai tipico pallore. Accanto a lei Irina borbottò qualcosa di simile mentre invece Pawel sorrideva, seduto su una sdraio accanto a loro e osservando le tre con cipiglio divertito. 
 
Stava prendendo in considerazione l’idea di fare uno scherzo alle ragazze usando un secchio d'acqua quando una voce piuttosto familiare attirò la sua attenzione, portandolo a voltarsi verso la porta metallica che collegava il tetto con le scale. 
“Jordan! Il tuo cane si è quasi sbafata il mio gatto mezz’ora fa!” 
“Ah, quindi hai trovato Alaska… scusa, l'ho persa di vista venendo qui. Ma rilassati Ivan, fatti una nuotata e non stressarmi.” 
La bionda di sistemò pigramente gli occhiali da sole mentre l'amico si fermava davanti a lei, osservandola con la fronte leggermente corrugata, come se fosse indeciso sul da farsi. 
Dopo un attimo di esitazione però il ragazzo sfoggiò un sorriso e annuì, chinandosi leggermente per poterla sollevare di peso:
“Hai ragione, una nuotata ê quello che ci vuole! Prego, comincia tu.” 
“IVAN! Mettimi subito…” 
Cal però non ebbe la possibilità di finire la frase visto che l'amico la scaraventò in acqua senza tante cerimonie, causando un sonoro attacco di ilarità a Pawel. Il polacco si stava quasi rotolando dal ridere sulla sdraio mentre Cal riemergeva con la testa, rivolgendo al russo qualche minaccia mentre Irina non riusciva a non sorridere a sua volta:

“Io se fossi in te me ne andrei Ivan… non vorrei trovarmi sulla sua strada quando uscirà dalla piscina.” 
“Oh beh… se anche fosse, sono molto più veloce di lei.”    Ivan si strinse nelle spalle e sorrise alle due ragazze mentre Pawel ancora sghignazzava, già sapendo che avrebbe rinfacciato quel momento a Cal fino alla fine della competizione. 
“Vi lascio alla vostra abbronzatura, io me ne torno di sotto…” 
“Il solito orso asociale…” 
“Piantala Pawel, voglio solo suonare.” 

Ivan rivolse un’occhiata leggermente torva all'amico prima di allontanarsi, un po’ perché voleva effettivamente suonare e un po’ per sfuggire all’ira di Cal, che arrancò sulla scaletta con uno sguardo vagamente omicida:
“Scappa pure, caro, a pranzo ti strozzo con il pane! E voi tre, smettetela di ridere! Non è affatto divertente!” 

*

“Maledizione, questo posto è più incasinato di Hogwarts! Per lo meno le scale non cambiano qui… a che piano siamo?” 
“Credo al quinto.”  Emil si strinse nelle spalle, continuando a salire le scale come se niente fosse anche se ormai lui e Gabriel erano arrivati alla nona rampa. 
“Ma non potevamo prendere l’ascensore?” 
“Quella strana cosa che si muove senza un apparente senso mi rende nervoso, preferisco le scale… coraggio, siamo arrivati ormai!” 
Emil sorrise e assestò una sonora pacca sulla schiena di Gabriel, rischiando di fargli perdere l'equilibrio e quindi ruzzolare dalle scale. Pochi se ne rendevano conto, ma il Tassorosso rideva interiormente ogni volta in cui rischiava di ammazzare qualcuno con un abbraccio o con una manata, facendolo decisamente apposta… specialmente con chi sapeva non amare il contatto fisico, non per niente il giorno prima aveva inseguito una Rebecca infuriata per tutta la hall dell’albergo, o almeno finché la ragazza non aveva minacciato di defenestrarlo. 
“Lo spero, o arriverò in piscina già stanco!” 
“Siete tutti dei pigroni da queste parti… ogni volta in cui chiedo a Elly o a Becky di andare a fare una passeggiata mi rispondono con “ho sonno”, “ho fame”, “sto leggendo” o “devo suonare”!” 

                                                                                      *

Le sue dita si muovevano sulla tastiera bianca quasi come se fossero animate di vita propria, mentre lui si limitava a fissarle senza pensare a quello che stava suonando. 
In effetti forse si era ritrovato a suonare inconsapevolmente Alla Turca mentre la sua mente era altrove. 
Un lieve rumore di passi gli suggerì che qualcuno gli si stava avvicinando, e anche se aveva una vaga idea di chi si trattasse non si mosse, continuando a tenere gli occhi chiari suo tasti d’ebano che le sue lunghe dita affusolate accarezzavano.
“Sai, come minimo dovrei venire qui armata di un secchio d'acqua gelida.” 
“Fallo, allora.” 
“No, ma solo perché sono superiore a te… che ci fai nascosto qui?”  Cal salì i gradini e andò a sedersi accanto a lui, tenendo le braccia conserte senza iniziare a suonare insieme a lui. 
“Perché pensate sempre tutti che io mi nasconda? Non sono un ricercato, mi risulta! Volevo solo suonare… mi piace farlo quando non c'è nessuno.”
“Si, lo so.” 
Per qualche minuto nessuno dei due parlò, mentre Cal ascoltava la musica senza dire niente, aspettando che il brano finisse. In realtà le era sempre piaciuto molto ascoltarlo suonare, ma probabilmente non glie l'avrebbe detto neanche sotto tortura. 
“Sono andato in camera tua per riportarci Alaska, prima di venire in piscina.”
“Poverina, si sentirà sola chiusa in camera!” 
“Almeno così non mangerà qualche gatto…” Ivan allontanò le mani dalla tastiera prima di voltarsi verso la bionda, osservandola attentamente:
“Perché tieni quelle lettere se non le apri?” 
“C'era da immaginarmelo, figuriamoci se non curiosavi!” Cal sbuffò, lanciandogli un’occhiata torva che però non sembrò scalfirlo per nulla:
“Non ho curiosato Cal… infatti non le avrei mai aperte. Mi chiedo solo che senso ha tenerle.” 
“Non lo so…  a volte penso che prima o poi metterò da parte l'orgoglio e le leggerò. Tu cosa faresti?”
“Non sei obbligata a risponderle ovviamente, ma io almeno le aprirei. Giusto per sapere cosa vuole…” 
Cal esitò ma poi annuì prima di sorridergli, dandogli una leggera pacca sulla spalla:
“A volte fai l’idiota che mi butta in piscina e mi ruba la colazione, altre diventi una specie di consigliere perfetto… ammettilo, hai una doppia personalità.” 
“No Cal, io sono sempre assolutamente perfetto.” 

                                                                                 *

“Quindi questo sarebbe Ryan Gosling?” 
“Si.”
“Capisco…beh, ora si spiega perché ce l'avevi con me per aver interrotto la cerimonia.” 
Rebecca annuì, continuando a mangiare pop corno mentre accanto a lei Eleanor non la imitava, limitandosi a tenere gli occhi scuri fissi sullo schermo con aria vacua, come se non stesse neanche seguendo il film. 
“Elly? Ci sei? E piuttosto strano non vederti mangiare pop corn… stai ancora pensando a tua madre?” 
“Tu non conosci i giri di parole, vero?” 
“No. Senti Elly, lo so che ti fa stare male… ma ormai hai imparato a conviverci, no? E tua zia ti adora, lo sai anche tu. Coraggio, mangia, ti farà bene.” 
Rebecca sfoggiò un sorriso e le mise tra le mani la scodella senza tante cerimonie, facendo sorridere l'amica a sua volta:
“Grazie Becky… lo sai, a volte sei proprio carina!” 
“Finiscila! Basta già il tuo amico Bach per farmi innervosire.” Rebecca sbuffò, cogliendo il tono ironico dell'amica e facendola ridacchiare di conseguenza, proprio mentre un certo ragazzo dai capelli biondi compariva dietro al divano e si inginocchiava per essere alla stessa altezza delle due:

“Ciao! Parlate di me? Cose belle spero!” 
“Forse si, forse no. Che hai fatto questa mattina?” 
“Sono stato in piscina… vi chiederei di venire con me, ma l'ultima volta siete rimaste su quelle cavolo di sdraio per due ore intere senza muovere un singolo muscolo.” 
“Non dire sciocchezze Bach, io e Elly muoviamo di continuo i muscoli facciali per chiacchierare… ma ora fate silenzio, devo concentrarmi sul film!” 

Rebecca fece un movimento sbrigativo con la mano come a voler dire ai due di non distrarla, continuando a concentrarsi sul film mentre Elly sorrideva e Emil puntava gli occhi chiari sullo schermo, osservandolo con aria vagamente accigliata:

“Devo ancora capire per bene come funziona quella roba…” 
“Anche io, ma è divertente!” 

                                                                                          *

“Siamo semplicemente ridicole, lo sai?” 
“Si, lo so. Dobbiamo aprirle.” 
“Assolutamente. Non sarà poi la fine del mondo dopotutto…”. Maya inarcò un sopracciglio, continuando ad osservare con scetticismo e lieve preoccupazione la lettera che era appoggiata davanti a lei. Irina era impegnata nella stessa operazione ma alla fine sbuffò, allungando una mano per prendere la lettera che le era arrivata quella mattina da casa, borbottando che non aveva senso nascondersi in eterno. 
Maya la imitò e aprì la lettera della madre con lieve perplessità: non si sarebbe di certo aspettata di ricevere sue notizie… aveva passato anni a dirle di non pensare alla musica e ora le scriveva mentre era a Vienna per suonare?
Per un paio di minuti tra le due calò il silenzio, mentre entrambe erano impegnate a leggere e a decifrare le calligrafie delle rispettive madri. O almeno finché, sbuffando leggermente, Maya non parlò:
“Ok… Che dice la tua?”   
“La Signora Volkova si augura che io non stia mettendo in cattiva luce me stessa o la famiglia… ah, e ovviamente tiene a ricordarmi che sono sul punto di fissare la data delle mie nozze. Questa storia sta cominciando a diventare una vera e propria persecuzione, stanotte ho sognato di morire strangolata da un abito da sposa incantato!” 
“Magari è un sogno premonitore e tua madre, prevedendo la tua scarsa collaboratività, incanterà il vestito in modo che ti si infili da solo…” 
“Grazie Maya, sei di grande conforto. La tua che dice?” 
Irina sbuffò, ripiegando la sua lettera senza volerci più pensare mentre la bionda si stringeva nelle spalle, parlando con un tono piuttosto piatto:
“Niente di che, le solite cose… grazie al cielo lei non mi ha già organizzato il matrimonio. Sai Irina, credo di non essere mai stata grata a mio padre come quando mi ha regalato l'appartamento ad Oslo. Odio dipendere da lui e i suoi regali, ma almeno non devo più vedere mia madre ogni giorno. E ti ripeto che se vuoi nasconderti da me in Norvegia sei liberissima di farlo!” 

“Certo, così poi la mia famiglia metterà in moto tutta la Bielorussa per trovarmi… a volte rimpiango di non essere una Nata Babbana. Diffindo.” 
Con un pigro colpo di bacchetta la rossa ridusse in un mucchio di pezzettini la l'etera della madre, mentre Maya sgranava gli occhi chiarissimi alle parole dell'amica, guardandola con una teatrale espressione sconvolta:

“Irina, se tua madre ti sentisse ti chiuderebbe in camera tua per un mese!” 
“Oh beh, qui non può sentirmi mi risulta! A meno che non abbia mandato qualcuno per spiarmi, certo. Dici che lo potrebbe fare?” 
“Ne dubito… lo spero, almeno. Ma basta pensare alle nostre madri, andiamo a suonare un po’ per farci tornare il buonumore!” Maya sorrise e spinse l'amica verso le scale per tornare alle rispettive camere e recuperare i clarinetti. Irina non si oppose minimamente, forse perché sapeva che la bionda aveva ragione e che avevano bisogno di non pensare alla loro vita vera per un po’. 
Specialmente lei. 

                                                                                       *

“Senti Becky… ora che Elly non c'è, mi dici che cos’ha? È tutta oggi che è triste e di pessimo umore!” 
Emil si voltò verso Rebecca, seduta accanto a lui e impegnata a leggere mentre Eleanor era tornata in camera sua, sostenendo di voler scrivere a sua zia. Forse in un'altra circostanza la ragazza gli avrebbe risposto sbrigativamente e chiedendogli di lasciarla leggere, ma trattandosi della sua migliore amica la Serpeverde smise di leggere, voltandosi verso di lui:

“Ti ha mai parlato di sua madre?” 
“No, non credo. Perché?” 
“Lei vive con sua zia. Sua madre non sta bene, non è in grado di occuparsi di lei da anni.” 
“Che cos’ha?” 
“Non saprei con precisione, non ne parla volentieri. Ma non ha un problema fisico, più che altro ha una grave forma di depressione, credo.” 
Avrebbe potuto dirgli a cosa era dovuta, ma preferì non concludere la frase per evitare di invadere la privacy dell’amica. Emil rimase in silenzio per qualche istante prima che Rebecca si voltasse di nuovo verso di lui, raccomandandogli di non farne parole con la loro amica.
“Becky, ma cosa vai a pensare? Sono una persona estremamente sensibile e riservata!” 
“Ma smettila, sei impiccione almeno quanto me… e poi con te non si può mai sapere, credo che ad Hogwarts sia diventata Leggenda di quando ti sei messo a discutere con la McGranitt di educazione sessuale.” 
Nonostante il tono seccato Rebecca sorrise appena, ricordando quando la mascella dell’ormai ex Preside aveva sfiorato il pavimento dell’Ingresso di fronte a quel discorso a dir poco insolito e tutti gli studenti presenti si erano dovuti trattenere per non ridere eccessivamente fragorosamente. 
“Non capisco perché tutti ne abbiano fatto un dramma! Soprattutto la McGranitt, mi ha praticamente preso a calci prima di togliermi punti e dirmi di non prenderla in giro! Ma io non la stavo prendendo in giro, ero serio!”
“Non credo l'abbia capito. Ma dico sul serio Emil, non farne parola con Elly. Se sapesse che te l'ho detto prima mi ucciderebbe, occulterebbe il cadavere e poi non si farebbe vedere per una settimana intera.” 
“Se può farti sentire meglio capirei subito se dovesse averti uccisa…” 
“Ora si che sono sollevata!” 

                                                                                         *

Mentre sistemava gli spartiti, l'occhio le cadde irrimediabilmente sulle lettere lasciate sulla scrivania. 
Rimase per qualche istante ad osservarle senza muovere un muscolo, mentre Alaska le saltellava intorno tenendo una ciabatta tra i denti. 
Odiava ammetterlo, ma forse Ivan aveva ragione infondo. Poteva non risponderle certo, ma forse doveva almeno leggerle. 
Sbuffò e si lasciò cadere sulla sedia prima di allungare una mano e prendere la prima, chiedendosi che cosa le avesse scritto sua madre. Che cosa poteva volerle dire dopo averla lasciata praticamente a se stessa per anni? 

                                                                                       *

"Forse sono paranoico, ma la cosa mi preoccupa. Che cosa staranno guardando?” 
Lysandre inarcò un sopracciglio, parlando a voce bassissima mentre si rivolgeva ad Helene, ancora seduta accanto a lui. In effetti Gae e Bash erano in perfetto silenzio da un bel po’, cosa molto strana trattandosi del francese.. entrambi tenevano gli occhi fissi sullo schermo illuminato del computer guardando chissà cosa, tanto che Lysandre aveva quasi paura a chiedere di cosa si trattasse.
“Non lo so, ma Gae si diverte a fare ricerche sui serial killer… magari si tratta di quello. Tu che ne dici?” 
La rossa di voltò verso Gabriel, comodamente seduto accanto a lei dopo essere tornato dalla piscina. Il ragazzo sembrò come risvegliarsi nel sentire la voce della ragazza, uscendo dal suo sogno ad occhi aperti prima di voltarsi verso Helene:
“Come?” 
“Dicevo… che cosa stanno facendo Bash e Gae secondo te? Questo silenzio mi preoccupa.” 
“Beh, andiamo a scoprirlo!” Gabriel fece spallucce e senza tante cerimonie si alzò, avvicinandosi ai due ragazzi che gli davano le spalle e chinandosi leggermente per avere la testa alla loro stessa altezza:
“Che fate?” 
Sia Bash che Gae quasi sobbalzarono prima di voltarsi di scatto verso l'inglese e Sebastien sfoggiò un sorriso a trentadue denti:
“Gae mi sta facendo vedere un film! Con queste cose che si mettono nelle orecchie dal nome strano...” 
“Cuffie, Bash.’ 
“Appunto! Insomma, perché diamine si chiamano così? Non ha senso!” 
Sebastien si voltò verso Lys e Helene per avere delucidazioni, ma entrambi si limitarono a stringersi nelle spalle:
“Non guardarci così, non abbiamo deciso noi il nome!” 

                                                                                      *

“Che cosa fai?” 
“Ho una penna in mano e un pezzo di carta nell'altra… che cosa starò mai facendo?” 
Pawel inarcò un sopracciglio, voltandosi verso Ivan che invece sbuffò e andò a sedersi accanto a lui borbottando qualcosa di poco comprensibile… ma l'amico riuscì a carpire qualcosa come “come fa Veronika a sopportarti”.

“Smettila di ripeterlo Ivan, infondo mi sopporti anche tu, no?”
“Hai ragione, dovrebbero darmi un riconoscimento solo per questo. Stai scrivendo alla tua fidanzata, forse l'unica persona al mondo con cui ti comporti in modo carino?” 
Ivan allungò una mano e rubò il foglio dalle mani dell'amica, che sbuffò e si sporse subito per riprenderselo:
“Ma non eri tu quello riservato? Ridammela, devo finire la lettera!” 
“Certo che sono riservato, ma se mi si presenta l'occasione di prenderti in giro la colgo! Ok piccolo innamorato, tieni.” 
Ivan sorrise e restituì la lettera al proprietario, che sbuffò prima di riprendere a scrivere e borbottare che anche lui era difficile da sopportare. 
“Sai, forse è per questo che siamo amici! Ci sopportiamo a vicenda! Anche se tu sei molto più irritante di me, naturalmente. Se non ci credi chiedi a Maya, lei sarà di sicuro d'accordo con me.” 
“Ma piantala Petrov, lo che infondo ci tieni a me… e Maya mi adora, per inciso!”
“Povera ragazza…” 

Ivan prese uno degli spartiti che Pawel aveva lasciato sul tavolino accanto al divano per vedere di cosa si trattasse, facendolo sbuffare:
“Ivan, ma riesci a non mettermi sempre in disordine le cose?” 
“Scusa, dimenticavo che sei fissato con l'ordine. Sia mai che qualcosa non sia al suo posto…”
Il russo roteò gli occhi ma Pawel non sembrò farci caso, continuando a scrivere prima di cambiare argomento:
“Invece di parlare di me, che fine ha fatto la tua amica Jordan? Si è più vendicata?” 
“No… in compenso, l’ho mandata ad affrontare i suoi demoni.”

                                                                                       




………………..................................................................................
Angolo Autrice:
Buongiorno! Mi spiace se il capitolo non è il massimo ma sono in procinto di partire e l'ho scritto abbastanza di corsa… ne approfitto per dirvi che in settimana sarò all'estero e non credo di riuscire ad aggiornare, mal che vada ci sentiamo nel prossimo weekend :) 
Buona domenica! 
Signorina Granger 



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Capitolo 11
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Lunedì 17 Settembre
 

“Strano, come mai mancano in così tanti? In genere io mi sveglio sempre per ultimo…” 
Gabriel si guardò intorno con sincera sorpresa, ormai poco abituato ad essere tra i primi a scendere per fare colazione. Rebecca, seduta accanto a lui con uno spartito in mano, si limitò a stringersi nelle spalle, suggerendo che probabilmente sarebbero arrivati tutti a momenti. 
Stava rileggendo le note tracciate sul pentagramma per l'ennesima volta quando un paio di voci piuttosto familiari attirarono la sua attenzione, portandola a sollevare lo sguardo. 
Indirizzò un lieve sorriso ad Eleanor e ad Emil, che stavano parlottando animatamente mentre la raggiungevano.
Strano, sembrava quasi che stessero discutendo... o meglio, lui ridacchiava e lei sbuffava. 
“Ciao… di cosa state parlando?” 
“Ciao ragazzi… Niente, lasciamo perdere.” Eleanor roteò gli occhi mentre prendeva posto accanto all'amica, con Emil che non la smetteva di ridacchiare con aria piuttosto divertita:
“Dai, Elly… Vedi Becky, è un po’ amareggiata perché non vuole ammettere che il mio fondoschiena è più bello del suo.” 
“Ma non è affatto vero, razza di vanesio!”  Eleanor sbuffò e lo colpì leggermente sulla spalla, sapendo che difficilmente avrebbe anche sentito lontanamente il colpo.
Gabriel e Rebecca invece rimasero in silenzio per qualche secondo, limitandosi ad osservare i due prima che il Corvonero parlasse:
“Ma voi parlate davvero di queste cose?” 
“Non c'è da stupirsi, Bach non ha assolutamente peli sulla lingua…” 
“Ah si, ho sentito qualcosa riguardo la McGranitt… davvero un giorno ti sei messo a discutere con lei, chiedendole perché ad Hogwarts non facciano educazione sessuale?”

Emil annuì e Gabriel scoppiò a ridere, immaginandosi fin troppo chiaramente la donna che sbraitava al Tassorosso di non prenderla in giro prima di togliergli punti. Stava quasi cominciando a lacrimare dalle risate quando Emil sbuffò, borbottando qualcosa sul fatto che a volte nessuno lo prendesse sul serio.  
“Non pensavo fosse vero… negli ultimi tempi è diventata una specie di leggenda metropolitana.” 
Gabriel continuò a sghignazzare, finendo col far sorridere anche Rebecca ed Eleanor prima che Emil sbuffasse, facendo un gesto con la mano come a voler liquidare il discorso prima di sporgersi leggermente verso i due:

“Lasciamo perdere… piuttosto, dite anche voi ad Elly che ho ragione io!” 
“Ma non è vero, finiscila!” 
Eleanor roteò gli occhi scuri prima di puntarli a sua volta su Rebecca e Gabriel, quasi aspettando un verdetto mentre i due si limitavano a scambiarsi un’occhiata prima di alzarsi contemporaneamente, annunciando che dovevano assolutamente andare a provare Paganini. 

“Che? Vigliacchi!” 
Emil sbuffò mentre lanciava un’occhiata ai due che stavano uscendo dalla sala trattenendosi dal ridere e rifiutandosi di darla vinta a lui o ad Elly.
“Si, beh… tanto ho ragione io Elly.” 

                                                                                       *

“Ciao! Come mai non sei andato a correre stamattina?” 
“Quando normo poco non riesco proprio ad alzarmi presto…” Ivan sbuffò, passandosi stancamente una mano tra i capelli biondi mentre osservava la tovaglia bianca quasi in stato di trance, mezzo sveglio e mezzo addormentato. 
Pawel, seduto accanto a lui, trattenne a stento una risata mentre Cal spostava lo sguardo dall'uno all'altro con curiosità: 
“Che è successo?” 
“Un emerito idiota polacco di cui non farò il nome ma che sto guardando adesso ha pensato bene di impedirmi di dormire decentemente, continuando a bussare alla mia porta.” 
“Non è colpa mia, avevo finito l’inchiostro… e anche la pergamena. E poi avevo voglia di chiacchierare.”  
“E non potevi chiedere a Maya?” 
“No… disturbare te è più gratificante.”    Pawel sorrise e Ivan si trattenne dal rovesciargli in testa la brocca d'acqua mentre Maya si avvicinava al tavolo, sorridendo:

“Ciao! Credo d'aver sentito il mio nome, sbaglio?” 
“No, stavo dicendo a Pawel la prossima volta dovrebbe venire a chiedere a te un centinaio di cose alle due del mattino.” 
Maya si accigliò leggermente, guardando l'amico con espressione confusa mentre il polacco invece sorrideva. La bionda decise saggiamente dj non indagare a fondo ma lanciò comunque un’occhiata scettica all'amico, suggerendogli di “fare il bravo”. 

“Io l'ho sempre detto che è un gran rompipalle…” 
“Nessuno ti ha interpellato Jordan!” 
“Non ho bisogno di essere interpellata per ridere alle tue spalle! E poi non sono l'unica a pensarlo… giusto?” 
Cal si voltò verso Irina, che fece spallucce mentre mescolava con nonchalance il suo caffè:
“Io non c'entro, ne rimango fuori… anche se devo dire di figurarmi perfettamente Pawel che disturba di proposito Ivan in piena notte. Fammi indovinare, magari in realtà l’inchiostro nemmeno ti serviva.’ 
“Oh, ci scommetto il mio pianoforte che in realtà ne aveva…”  

                                                                                                   *

“Sai una cosa? Mi sto decisamente pentendo di come abbiamo formulato il regolamento… l'anno prossimo scriverò a caratteri cubitali “niente animali”.” 
Alexander sbuffò, camminando con un voluminoso mucchio di spartiti tra le mani accanto a Christina, che si voltò verso il collega e sorrise sinceramente:
“Non ha a che fare con la volpe che stamattina si è infilata in camera tua e ti ha messo tutto in disordine, vero?” 
“Certo che si! I miei poveri spartiti, li avevo messi in ordine alfabetico per autore e titolo…” 
Alexander si incupì per un attimo mentre la bionda si sforzava per non ridere, cecando di non immaginarmi di nuovo l'amico che si svegliava e trovava la sua stanza in completo disordine con spartiti disseminati ovunque sul pavimento, magari anche rovinati… 
Alexander Vs Volpe, quello sì che sarebbe stato uno scontro divertente a cui assistere. 
“Consolati Alex, tra poco potrai divertirti ascoltando i ragazzi e torturandoli come solo tu sai fare.” 
“Ah già… hai ragione Tina. Come mi conosci bene!” 

Alexander sorrise, ignorando deliberatamente il tono ironico della collega che annuì, parlando a mezza voce e con tono quasi rassegnato:
“Già… Dopo tutto questo tempo sarebbe impossibile il contrario.” 

                                                                               * 

Sbuffò, guardando lo spartito con sguardo omicida, come se fosse tutta colpa sua se non riusciva a non stonare un passaggio.
Abbassò gli occhi per posarli sul flauto, chiedendosi cosa avesse mentre qualcuno alle sue spalle le dava una pacca consolatoria sulla spalla:
“Se ti può consolare nemmeno a me riesce mai bene quel pezzo… Preferisco ascoltare il Valzer dei Fiori piuttosto che suonarlo.” 
“Si, lo so, ma a me generalmente riesce bene… forse avrei dovuto allenarmi di più ieri… perché procrastino sempre? Sono un caso perso…” 
Helene si trattenne dal cominciare a sbattere ripetutamente la testa contro il leggio mentre Gae invece sfoggiava un piccolo sorriso, guardando l'amica con un po’ di compassione ma allo stesso tempo con divertimento: in fin dei conti nessuno ricordava meglio di lei quando ogni anno, nel periodo degli esami, Helene si trovava sempre a dover studiare tutto all'ultimo e arrivava a destreggiarsi in 8 ore di studio consecutive. 
“Beh, forse sei un po’ pigra a volte… ma io ti voglio bene lo stesso!” 
“Grazie. Che consolazione.” 
“Non fare la musona, non è la fine del mondo. Sabato sei andata bene, l'importante è questo.” 

Gae sorrise e Helene la fulminò con lo sguardo, indecisa sé volerle bene o odiarla per la sua calma perenne: ma come faceva ad esser sempre tranquilla, a parlare con quel tono calmo e quasi trasognato? 
“Il tuo positivismo a volte mi sconcerta, ma grazie per l'incoraggiamento. Ora… credo che sia meglio cambiare brano, questo Valzer mi ha stufata.” 
“Come vuoi. Se vuoi possiamo suonare qualcosa di Piotr insieme…”
Come sempre Gae vide il volto della rossa illuminarsi nel sentir nominare il suo compositore preferito… e con gran probabilità Helene avrebbe accettato la proposta di buon grado, ma quando vide qualcuno entrare nella Sala impallidì di colpo, imprecando a mezza voce prima di iniziare a raccogliere gli spartiti:
“Come non detto… io me la filo.” 
“Ehm… mi sono persa un pezzo? Che succede?” 
Gae inarcò un sopracciglio, chiedendosi se l'amica non fosse diventata improvvisate parecchio lunatica prima di posare a sua volta gli occhi su chi era appena entrato, finendo col capire a cosa si stesse riferendo Helene:
“Scherzi? Alexander Koller suona il flauto traverso da più di vent’anni, scommetto che muore dalla voglia di ridurci a pezzi… lasciamo che lo faccia con qualcun altro. Possiamo sempre suonare in camera.” 
Gae avrebbe voluto farle notare che lí dentro l’acustica era decisamente migliore ma non ne ebbe il tempo, la rossa l'aveva già presa per le spalle e la stava spingendo verso le scale per scendere dalla pedana. 
“Ehi! Dove andate?” 
“Ehm… ci siamo ricordate di avere una cosa da fare. La pedana è tutta tua!” 
Helene rivolse un sorriso a Sebastien e, prima di dare il tempo al ragazzo o a Gae di iniziare a chiacchierare, fece in modo di trascinare l'amica verso le poltroncine rosse. 
Il francese le seguì con lo sguardo e l'aria un po’ perplessa, chiedendosi che cosa avessero… aveva appena salito le scale e puntato gli occhi sulla “platea” quando capì.
Certo, con Alexander e Christina – specialmente il primo – seduti in prima fila, tutto aveva senso. 
Peccato che lui ormai avesse messo piede sulla pedana e proprio non poteva darsela a gambe… Si limitò a raggiungere il pianoforte, fulminando con lo sguardo Gabriel e Lysandre che avevano iniziato a sghignazzare allegramente.

                                                                                *

“Cal.” 
Mentre usciva dalla Sala Prove rivolse un piccolo sorriso ad Ivan, che invece camminava nella direzione opposta e sembrava avesse intenzione di entrare anche se si fermò davanti a lei per parlarle. 
“Ciao… Il piano è libero, puoi suonare se vuoi. Anche se c’è Koller che ti gira intorno come un terrificante avvoltoio aspettando il minimo errore…” 
“Correrò il rischio. Piuttosto, volevo chiederti… hai risposto a tua madre?” 
“No, non cosa dirle. Mi hai consigliato di leggere le sue lettere e l'ho fatto, ma non credo le risponderò.” 
La bionda di strinse nelle spalle, evitando di guardarlo e sperando che non le facesse la predica.
Con sua somma sorpresa però Ivan non disse nulla, esitando per un attimo prima di annuire con un cenno del capo:
“Come preferisci… devi decidere tu, dopotutto. Vado, prima che qualcuno arrivi a soffiarmi il posto… ci vediamo dopo Jordan.” 
Il biondo la superò senza aggiungere altro, lasciando l'amica vagamente perplessa: si voltò verso di lui e lo seguì con lo sguardo, chiedendosi perché non le avesse suggerito di provare a relazionarsi di più con sua madre come spesso faceva. 
Forse aveva deciso di lasciar perdere? Strano, era sempre stato piuttosto testardo… almeno quanto lei. 
Quando però vide l'amico sparire dietro la porta Cal decise di lasciar perdere e smetterla di pensarci, dicendosi che era una giornata troppo bella per sprecarla in quel modo. 

                                                                                     *

Riaffiorando con la testa dall'acqua si era avvicinando al bordo della piscina, posando gli occhi sulle due ragazze che stavano stese sulle sdraio da mezz'ora, una intenta a leggere e l'altra a scrivere distrattamente.

“Andiamo ragazze… venite a fare una nuotata!” 
“Shh, sto leggendo la parte clou!” 

Rebecca non accennò a voler riaffiorare dal libro, facendolo sbuffare leggermente: in realtà volendo avrebbe potuto benissimo caricarsele in spalla entrambe e buttarle in acqua… ma insomma, lui era pur sempre un gentiluomo. Circa.

“Roba da matti, avete una piscina coperta a disposizione e non la sfruttate! E non approfittate nemmeno della mia compagnia!” 
Il Tassorosso scosse il capo come se proprio non le capisse prima di uscire dalla vasca e avvicinarsi alle due, mentre entrambe continuavano ad ignorarlo bellamente.
“Ce ne faremo una ragione. Sai, quella faccia non mi piace neanche un po’. Qualunque cosa tu stia pensando non la fare.” 

Rebecca gli rivolse un’occhiata carica di sospetti molto fondati, proprio mentre Emil sorrideva bonariamente e faceva comparire dal nulla un secchio. 
“No, non penso che lo farò.” 
“Becky, fossi in te io mi allontanerei…” 

“Emil, non ti permettere…. MALEDETTO DI UN DANESE!” 

Rebecca sbuffò, imprecando a mezza voce mentre Eleanor invece ridacchiava, guardandola lasciare il libro ormai zuppo sul tavolino prima di alzarsi, fulminando con lo sguardo un Emil piuttosto sorridente:
“Ops.” 
“Imbecille! Dammi qua!” 

Rebecca si sporse e gli prese dalle mano il secchio che le aveva rovesciato gentilmente addosso, usando a sua volta la magia per riempirlo prima di investire Emil con un’ondata d'acqua. 
Il tutto mentre Eleanor continuava a ridere, facendo voltare entrambi verso di lei.
“Hai poco da ridere tesoro… tieni, qui c'è acqua per tutti.”   Rebecca sorrise prima di ripetere il gesto anche con l’amica, che sgranò gli occhi con puro orrore quando si mise a sedere di colpo, guardando il piccolo quaderno che teneva tra le mano.
“Becky! Il mio quaderno!” 
“Se è per questo anche il mio libro è zuppo… pazienza, lì asciugheremo con la magia. Emil dove pensi di andare? Non ho ancora finito di prenderti a secchiate d'acqua!”    
Eleanor rimase appollaiata sulla sua sdraio, spostando gli occhi sui due che si tiravano acqua a vicenda. Sorrise mentre guardava i suoi amici, conscia che a casa, senza di loro, non avrebbe mai riso tanto.

                                                                                          *

“Ciao. Come mai ve la siete date a gambe prima?” 
Helene quasi sobbalzò, voltandosi e lanciando un’occhiata perplessa in direzione di Gabriel, chiedendosi che cosa ci facesse davanti a lei:
“Ma tu non eri di sopra cinque minuti fa?” 
“Si, beh, ora sono qui.” 
 
Fece per chiedergli come riuscisse ad essere sempre ovunque e in ogni momento, ma alla fine decise di lasciar perdere e di tornare a concentrarsi sulla lettera che stava finendo di scrivere.
“Diciamo che suonare con Koller che ti osserva mette soggezione… o almeno a me. E visto che lui suona il flauto, suppongo che con chi lo suoni sia ancora più pignolo.”
“Può essere… io per fortuna mi sono esercitato prima che arrivasse. Ma forse la presenza di Christina lo tempra un po’, chissà.” 
Gabriel si strinse nelle spalle prima di sedersi accanto a lei, lanciando un’occhiata carica di curiosità alla lettera che stava scrivendo:
“A chi scrivi?” 
“Mia nonna. È convinta che finirò col combinare disastri e cacciarmi nei guai, meglio tranquillizzarla…” 
Gabriel annuì senza dire nulla, pensando che era passato un po’ dall'ultima volta in cui aveva scritto a sua madre… forse avrebbe dovuto rimediare in fretta. 

“Mia madre si è abituata ai pasticci che combino… ormai non mi chiede più neanche spiegazioni.” Il ragazzo si strinse nelle spalle con noncuranza, ripensando a tutte le volte in cui a casa scivolava, faceva cadere qualcosa e finiva con l’imprecare a mezza voce. Ormai sua madre dal piano di sotto o sopra che fosse non chiedeva neanche più cosa avesse combinato. 
Helene si lasciò sfuggire una piccola risata al sentire quelle parole, pensando a sua nonna. No, lei non aveva mai smesso di preoccuparsi per lei… in effetti a volte si sentiva quasi in colpa per essere partita, lasciandola da sola. 

“Hai un foglio in più? Forse vorrei scrivere anche io a mia madre… assicurarle che nonostante la mia presenza l’Hotel è ancora perfettamente in piedi.” 
“Certo, tieni.” 

Helene sorrise, porgendogli un foglio di pergamena prima di riprendere a scrivere. Gabriel esitò per un attimo ma poi si decise ad imitarla, dicendosi che visto quanto amasse scrivere era impossibile che non riuscisse a comunicare qualcosa a sua madre… a parole o a gesti non era mai stato bravo a dimostrarle affetto, magari con la parola scritta avrebbe avuto più fortuna. 

                                                                                 *

“Io non sono un’esperta di piano, certo… ma non è vagamente doloroso suonare in quel modo?”
Maya inarcò un sopracciglio, osservando Ivan suonare in Can Can con gli occhi fissi sulla tastiera e la mascella serrata. 
Irina annuì, sorridendo debolmente:
“Togli pure il vagamente…” 

“Vedi che ora stai perfettamente dritto… chissà che così tu non impari a stare con la schiena più rilassata quando suoni.” 
Dalle labbra di Ivan uscirono un paio di parole sussurrate in russo che fecero quasi scoppiare fragorosamente a ridere Irina, mentre Maya si voltava verso di lei con aria accigliata:
“Cosa ha detto?” 
“Credo che lo abbia appena mandato in un bel posto…” 

Fortunatamente Alexander Koller non parlava il russo, ma si voltò comunque verso il ragazzo, fermandosi accanto a lui e osservandolo con un sopracciglio pericolosamente inarcato, restando perfettamente impassibile:
“Hai detto qualcosa Petrov?” 
“Niente Maestro… solo che ha ragione.” 
Anche il biondo non battè ciglio, lanciandogli una fugace occhiata torva prima di continuare a fissare i tasti bianchissimi, chiedendosi quando sarebbe finita quella dannata tortura. 
Quando Koller lo aveva interrotto sostenendo che aveva bisogno di un “rinforzo negativo” per imparare a suonare con la schiena meno tesa non aveva chiaramente capito a cosa si riferisse… peccato che due minuti dopo si era ritrovato a suonare con una specie di trave infilata sotto i gomiti e che quindi lo costringeva a tenere la schiena rigidissima… e le sue braccia stavano ormai chiedendo umilmente pietà, ma di sicuro non poteva interrompere il brano.

No, lui non si arrendeva mai… tanto meno quando facendolo l'avrebbe data vinta a qualcuno. 
Ivan lanciò un’occhiata in direzione di Irina e Maya, chiedendosi cosa ci trovassero di divertente in quella tortura mentre Alexander non la smetteva di sorridere leggermente, camminandogli intorno e mormorando le note a bassa voce.

Ivan stava per chiedersi se le sue spalle avrebbero retto per altri tre minuti quando una voce lo fece voltare di scatto, provando allo stesso tempo un gran moto di sollievo: 

Grazie al cielo…

“Alexander! COSA-STAI-FACENDO?” 
“Ciao Tina… beh, ho pensato di fargli finalmente capire dove sbaglia.”
“Ma non COSÌ! Mi assento per cinque minuti e guarda cosa combini… Ivan, fermati.” 
“Meno male…” Ivan sorrise, sollevando le mani dalla tastiera e tirando un sospiro di sollievo, specialmente quando Christina sbuffò e gli sfilò quella dannata trave dalla schiena. 
“Ivan, facciamo cosi… so quanto questo qui sappia essere borioso, ma d'ora in poi ascolta me e basta. TU, pensa ai flautisti e non ai miei pianisti!” 
Christina rivolse un’occhiata decisamente minacciosa in direzione del collega, che sbuffò e borbottò qualcosa su come l'amica fosse esageratemente permalosa e la facesse sempre troppo lunga… 
Ivan invece ne approfittò per togliere il disturbo e alzarsi, tenendo ancora le braccia piegate e i gomiti più indietro rispetto alla colonna vertebrale… gli si erano forse addormentati i muscoli?
Il ragazzo scese le scale e fulminò con lo sguardo le due ragazze che se la ridevano sommessamente, borbottando che non era affatto divertente:
“Avete poco da ridere, avrei voluto vedervi al mio posto… non riesco più a tenere le braccia normali! La mia schiena non è più la stessa…” 
Il biondo sospirò, cercando di muovere dolorosamente un braccio mentre sulla pedana Christina stava ancora strigliando Alexander, dimostrando quanto fosse in grado di metterlo in riga in quelle rare occasioni in cui si arrabbiava. 
Chissà, forse non era la prima volta in cui succedeva una cosa del genere… 
“Scusa Ivan, ma dovevi vedere la tua faccia… e quella di Koller quando è arrivata Christina!” 

Irina continuò a ridacchiare e il russo roteò gli occhi, borbottando che per quel giorno aveva suonato abbastanza e che sarebbe andato a cercare Pawel… o a consolarsi con qualcosa di buono da mangiare. 
“Dici che dovremmo andare noi adesso?” 
“Ma che dici Maya? Godiamoci lo spettacolo di Christina che striglia il Maestro… Queste occasioni non vanno sprecate, dopo suoneremo.” 
Irina sorrise, mettendosi comoda sulla poltroncina e intrecciando le dita, puntando gli occhi chiari sulla pedana senza accennare a voler perdersi lo spettacolo: probabilmente non sarebbe ricapitato di vedere Alexander nella stessa condizione in cui lui metteva loro praticamente ogni giorno. 
Tanto valeva approfittarne. 






………..................................................................................................
Angolo Autrice:
Buongiorno! Scusate se la settimana scorsa non ho pubblicato nulla, ma non sono riuscita a scrivere granché in quei giorni… 
Comunque sia, grazie come sempre per le recensioni…. E scusate se non vi ho risposto! 
A presto :) 
Signorina Granger







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Capitolo 12
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Domenica 23 Settembre




"Stai per farmi un discorso su quanto sia stato severo con le valutazioni ieri?"
"No... insomma, non posso. Sarebbe ipocrita."

Christina smise di guardare fuori dalla finestra per voltarsi verso Alexander e Jarrod, entrambi seduti davanti a lei e il biondo impegnato a lucidare distrattamente il suo violino.

"Si, probabilmente lo sarebbe. Ma è pur sempre una competizione, e di conseguenza ogni errore può essere fatale."

Christina raggiunse i due colleghi per sedersi sulla terza poltrona, pensando a quanto era successo il giorno prima, quando avevano valutato i ragazzi.

"Per una volta siamo d'accordo, incredibile... pensate che ne dovremmo buttare fuori altri prima della fine?"
"Scommetto che Alex muore dalla voglia di mietere vittime, ma io spero di no."
"Perchè io finisco sempre col passare come il cattivo della situazione? Non c'è niente di male ad essere precisi..."

Nè Christina nè Jarrod dissero niente a quelle parole, limitandosi a scambiarsi un'occhiata piuttosto eloquente che fece solo sbuffare Alexander:

"So a cosa state pensando anche se non parlate, ci conosciamo da vent'anni!"
"Già, quando eri il ragazzino di 11 anni più rompiscatole del mondo...  non sei cambiato molto."
"Nemmeno tu Jarrod, hai ancora un taglio di capelli molto discutibile..."

Christina sospirò e si affrettò ad alzarsi, 
intuendo che i due stessero per iniziare a discutere per l'ennesima volta:

"Io vado a fare colazione... penso solo che la vera domanda sia: com'è possibile che non abbia ancora avuto una crisi di nervi, avendo a che fare con voi due?"


                                                                                                  *


“Perciò… ora abbiamo due avversari in meno.” 
“Ne sei felice?” 
“Un po’ mi dispiace, se devo essere sincera… insomma, Sebastien era davvero simpatico. Ma sono pur sempre due avversari in meno, come ho detto.”
Maya si strinse nelle spalle mentre Irina, seduta davanti a lei su un divanetto, stava leggendo un libro. La bionda di accigliò leggermente dopo aver parlato, rendendosi conto che era esattamente il genere di cose che avrebbe detto Pawel. Non è che stesse diventando uguale all'amico?
“Maya. Sembri Juraszek.
“Lo so! Fingi di non aver sentito…”   Maya liquidò il discorso con la mano e Irina annuì, sorridendo con aria divertita prima di  rivolgersi poi verso qualcuno che se ne stava praticamente nascosto dietro al divano imbottito color rosso e oro, dove si era sistemata per leggere:

“Cal… mi spieghi che cosa fai qui dietro?”
“Mi nascondo, che domande! Maya, mi si vede per caso? Non ho mai odiato tanto l'essere piuttosto alta…”
Cal sbuffò da dietro al divano, cercando di piegare le gambe per stare nello spazio tra il mobile e il muro… forse non sarebbe stato male seguire un corso di contorsionismo. O al limite fare la ballerina come sua madre… peccato che non la sua altezza sarebbe stato molto difficile in ogni caso.
“No tranquilla, non molto. Ma si può sapere da chi ti nascondi?”  Maya inarcò un sopracciglio mentre lucidava il suo clarinetto dopo aver suonato per gran parte della mattinata, guardando con aria confusa in direzione della voce della bionda, che sbuffò leggermente:
“Che domande, da Ivan!” 
“E perché, di grazia? Stamattina non avete nemmeno battibeccato, incredibilmente.”  Irina si voltò verso la ragazza con aria interrogativa, ottenendo una risposta parecchio trova subito dopo:
“E lui che provoca sempre, mi ruba sempre la colazione, maledetto di un russo… e comunque mi nascondo perché ieri la Russia ha stracciato la Lituania a Quidditch, ora mi prenderà in giro fino alla fine dei tempi!”
“Ah ecco, stamattina mi sembrava molto allegro infatti…” Irina annuì prima di tornare a leggere, anche se si appuntò mentalmente di assistere al momento in cui Ivan avrebbe scovato l'amica e l'avrebbe presa in giro. Giusto per vedere la bionda infuriarsi e rispondergli per le rime, dando vita ad una specie di lotta verbale che finiva sempre con Pawel che si metteva in mezzo, esclamando che erano dannosi alla quiete pubblica e che dovevano finirla di fare i bambini. 

“Oh, capisco… si tratta di Quidditch.” 
Maya roteò gli occhi come se non capisse tutta l'importanza che veniva data a quello sport, e probabilmente Cal avrebbe anche iniziato un discorso molto articolato su quanto fosse divertente e appassionante… ma una voce fin troppo nota la precedette oltre a farla raggelare:

“Posso capire tutto… ma nascondersi dietro al divano? E io che pensavo di conoscerti, ormai!” 

Cal sbuffò e si voltò a fatica per incontrare lo sguardo divertito del suo migliore amico, che le rivolse persino un cenno con la mano mentre se ne stava appoggiato al muro:

“Maledizione! Ragazze, perché non mi avete detto che era qui?” 
“Ehm… io stavo leggendo.” 
“Lascia stare Cal, il nascondiglio non era neanche male, ma il tuo essere decisamente loquace ti frega sempre. Dai, ti do una mano ad uscire.” 
“Non mi serve, faccio da sola!” Cal lo fulminò con lo sguardo, ordinandogli di allontanare la mano che le aveva porto per uscire da sé dal suo giaciglio improvvisato. Ancora una volta Irina e Maya si ritrovarono a trattenersi dal ridere e ad assistere al cabaret dei due, mentre Ivan osservava l'amica tentare di rialzarsi con aria accigliata.

“Maledizione, mi sono incastrata! Petrov che fai lì impalato, dammi una mano!” 
“Ma se mi hai appena detto…”
“Coraggio, fai il gentiluomo una volta tanto!” 

Ivan roteò gli occhi ma obbedì senza dire nulla, decidendo saggiamente di non fare obiezioni mentre aiutava Cal a scavalcare il divano.
“Finalmente, non mi sento più le ginocchia…” 
“Non ti ha detto nessuno di piazzarti là dietro… anzi, perché eri lì?”
“Io… avevo perso un orecchino.”   Cal si strinse nelle spalle, lanciando un’occhiata piuttosto significativa ad Irina e a Maya mentre Ivan sorrideva leggermente: 
“Non ha a che fare con il giornale di stamattina che riportava l'esito della partita di ieri, vero Jordan?”
“Che dici… anzi, non so di che parli, non l'ho nemmeno letto, il giornale. Comunque sia devo andare, devo dare da mangiare ad Alaska…” 
“Allora lascia che ti aggiorni io… ricordi quando hai detto che la Russia non avrebbe MAI E POI MAI battuto la Lituania?” 
“Io? Mai detto.”   Cal si strinse nelle spalle con il tono più indifferente che aveva… ma finí col sbuffare quando vide Ivan tirare fuori il suo maledetto quadernino. L'aveva visto farlo così tante volte che già sapeva cosa stava per leggere:

“12 Agosto, ore 20:30… Cal: ma non farmi ridere, è assolutamente impossibile che la Russia batta la Litua-“
“Si si, ok, va bene, abbiamo afferrato il concetto. LA FINITE DI RIDERE VOI DUE? È così divertente?”
Cal sbuffò, rivolgendo un’occhiata vagamente torna alle due ragazze che stavano ridacchiando mentre anche Ivan sorrideva con aria piuttosto allegra, come sempre ben lieto di poter prendere in giro l'amica. 
“Prima o poi vi immortaleremo, così potrai darti una risposta.”
“Si beh, in ogni caso… Ivan, non provare nemmeno a rinfacciarmi questa storia fino a Natale, capita a tutti di sbagliarsi di tanto in tanto… e come ho detto io devo assolutamente dare da mangiare ad Alaska, quindi ci vediamo dopo!”
Cal assestò una pacca sulla spalla di Ivan prima di darsela a gambe, lasciandolo vagamente deluso: peccato, aveva appena cominciato a divertirsi. 

“Una fuga coi fiocchi, non c'è che dire… pazienza, continuerò a prenderla in giro più tardi. Maya, per caso hai visto Pawel?” 
“Per qualche strano motivo tutti mi prendono per la sua balia… ma no, non l'ho visto.” 

La bionda di strinse nelle spalle, continuando a pulire il suo clarinetto come se niente fosse anche se in realtà aveva un'idea piuttosto chiara di dove potesse trovarsi l'amico, immaginandoselo perfettamente a godersi un po’ di pace nell’idromassaggio.
“Ti prendiamo tutti per la sua balia perché qui sei l'unica a cui da un minimo di retta!” 
“Irina ha ragione, almeno ti ascolta… quando io gli dico qualcosa finge persino di non sentirmi! Vado a cercare Mr Perfezione, ci vediamo dopo!” 


                                                                                     *

Aveva continuato a ripetersi che prima o poi, di chiunque si trattasse, si sarebbe stancato di bussare alla sua porta e se ne sarebbe andato.
E quando ottenne finalmente il silenzio tirò un sospiro di sollievo, sistemandosi più comodamente tra i cuscini di piume e continuando a sonnecchiare piacevolmente. Non aveva mai amato dormire fino a tardi, considerandolo quasi una perdita di tempo, ma di tanto in tanto finiva col passare diverse ore sotto le coperte… sembrava però che quella mattina non fosse proprio destino, visto che la pace durò solo per un paio di secondi: poi il rumore riprese, solo che questa volta proveniva dalla porta che collegava la sua camera con quella di Eleanor. 

Rebecca sbuffò, sollevando la testa e guardando la suddetta porta come se fosse tutta colpa sua prima di alzarsi e raggiungerla quasi a passo di marcia prima di spalancarla con un gesto secco:

“Che cosa c’- TU?” 
“Finalmente, busso alla tua porta da venti minuti! Hai il sonno pesante?”
“No, ti ignoravo di proposito. Che cosa ci fai qui?”
“Beh, ho bussato alla tua porta ma tu non davi segni di vita, così sono andato alla porta di Elly e lei mi ha aperto, e sapendo che avresti aperto pensando che fosse lei ho bussato da qui…” 
“Sì, sì va bene, ho afferrato il concetto… questa parte mi era già chiara, intendevo perché mi cercavi.”
Rebecca sollevò un sopracciglio, guardando Emil con aria torva e morendo dalla voglia di buttarlo fuori dalla stanza e toglierli quel sorrisetto irritante dalla faccia. O almeno, quel sorriso era così perenne che lei aveva finito col trovarlo irritante.
 
Emil però non disse nulla per qualche istante, mentre alle sue spalle Eleanor seguiva la scena con una tazza in mano e l'aria di chi si sta divertendo, chiedendosi quanto ci avrebbe messo l'amica a chiedergli gentilmente di uscire dalla sua camera.
Rebecca aveva iniziato a tamburellare le dita sullo stipite della porta, osservando il ragazzo che le stava davanti e continuava a non dire niente con cipiglio sempre più irritato man mano che i secondi passavano:
BACH, SEI VENUTO QUI PER FARE IL GIOCO DEL SILENZIO PER CASO?” 
“Ah no scusa, volevo chiederti se mi potresti prestare gli spartiti dei Capricci… temo di averne lasciati un paio a casa. Sai, stavo solo pensando che è la prima volta in cui non ti vedo perfettamente sistemata e con i capelli in disordine!” 

Eleanor soffocò una risata nella sua tazza di tè, seduta comodamente sul suo letto con Cinnamon acciambellata accanto, chiedendosi se l'amico fosse consapevole di scavarsi una fossa sempre più profonda.
Con sua somma sorpresa però Rebecca non esplose e non lo prese nemmeno a ciabattate in testa, rimanendo impassibile mentre girava sui tacchi, prendeva gli spartiti e li lasciava nelle mani del Tassorosso senza dire una parola:

“Ecco Bach, tieni e vai.” 
Emil la guardò con aria sorpresa per un istante, trovando piuttosto strano che non gli avesse ancora lanciato contro una maledizione… peccato, così no che non si divertiva.
“Grazie! Ehi, è da tanto che non ti vedevo senza quei trampoli addosso… sei più bassa di quanto ricordassi!” 
Il sorriso a trentadue denti del biondo si allargò nel cogliere l’irritazione sempre più lampante della ragazza che gli stava di fronte, che contrasse pericolosamente la mascella mentre teneva gli occhi eterocromatici fissi su di lui:
“Grazie per quest’informazione molto utile, non ne avevo assolutamente idea. Hai altro da dirmi o posso andare adesso?” 
“No tranquilla, non ho altro da dirti… ma non lo vuoi, un abbraccio?”
 
Emil sorrise, riuscendo a vedere perfettamente l'orrore dipinto sul volto della ragazza prima che Rebecca facesse istintivamente un passo indietro, scuotendo il capo con veemenza:
“No, grazie, non mi va di finire stritolata da te ancora una volta… Bach, vai ad importunare qualcun altro!” 
“Ma farlo con Elly non è altrettanto divertente! Anche se sono stupito, pensavo che mi avresti preso come minimo a maledizioni…” 
Stai per essere accontentato, tranquillo. Elly, smettila di ridere!”
Rebecca sbuffò, lanciando all'amica un’occhiata eloquente prima di girare sui tacchi e affrettarsi a tornare in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle per evitare di ricevere uno dei soffocanti abbracci di Emil Bach.

“Sai Emil, non capirò mai perché provi tanto divertimento ad irritare le persone di proposito…” 
“È una specie di dote naturale Elly… vado a provare i Capricci, l'ultima cosa che voglio è farmi buttare fuori. Ci vediamo dopo!” 

Emil rivolse un sorriso all'amica, che annuì e lo guardò uscire dalla sua camera prima di alzarsi dal letto e raggiungere Rebecca, che si era affrettata a chiudere la porta della sua camera.
“Posso entrare? Sono io, non preoccuparti.” 
Elly sorrise all'amica, avvicinandolesi e guardandola con cipiglio piuttosto divertito.

“Spero vivamente che non abbia intenzione di farmi uno scherzo e appostarsi davanti alla porta come l'altro giorno…” 
“Tranquilla, penso che abbia imparato la lezione dopo la ciabatta che gli hai lanciato colpendolo in testa… ottima mira.” 
“Ho anni di esperienza alle spalle. Notizie da casa? Come sta tua madre?” 

“Mia zia odia andarla a trovare, ma in mia assenza deve farlo per forza… bene, immagino. Sempre la stessa storia… almeno so che non ignora soltanto me. Sai che credo di averla sentita parlare si e no dieci volte da quando è lì dentro? A volte sembra quasi che sia diventata muta.”
Eleanor si strinse nelle spalle, disegnando ghirigori sul copriletto color avorio mentre Rebecca era seduta davanti a lei, con Cinnamon che le aveva raggiunte e si era sistemata accanto alla padrona.
“Lo so che è difficile… sei davvero brava a gestirlo, io non ce la farei. Te lo immagini?” 
Rebecca sorrise e Eleanor ricambiò, immaginandosi chiaramente la sua amica nella sua stessa situazione… di sicuro non si sarebbe comportata allo stesso modo.
“Perfettamente. Riesco chiaramente a vederti perdere la pazienza e iniziare a scagliar oggetti a destra e a sinistra non sopportando di essere completamente ignorata. Fortunatamente, o sfortunatamente, io non sono come te. Dici che lanciandole una ciabatta contro mi considererebbe?” 
“Potresti sempre provare… chiamami, se hai bisogno.” 
“Lo farò. Piuttosto, sia io che Emil siamo rimasti decisamente sorpresi dalla tua pazienza! Ero convinta che lo avresti buttato fuori a calci già quando ti ha fatto notare la cosa dell’altezza.”
Eleanor sorrise mentre Rebecca si strinse nelle spalle, sporgendosi verso il comodino per prendere il listino del servizio in camera:
“Con certe persone ho imparato ad essere paziente, se crede che non abbia capito che lo fa di proposito si sbaglia di grosso. Mi passi quella cosa che squilla per favore, così ci prendiamo qualcosa da mangiare per colazione?”
“Telefono! Non è difficile!” 
“Non fare la saputella, non è colpa mia se non ho nessun parente Babbano, a differenza tua!”

                                                                                   *

“Andiamo, tra poco comincerà a fare freddo sul serio, dobbiamo approfittare del bel tempo.” 
Gae sorrise, continuando a tenere Helene sottobraccio e a costringerla a camminarle accanto. La rossa però sbuffò, continuando ad avere un’espressione piuttosto tetra stampata in faccia:

“Lo so… ma è così ingiusto! Insomma, forse dovrei esserne felice, ma mi dispiace moltissimo. Penso che mi mancheranno…”
“Già, anche a me. Ma guarda il lato positivo Elin, noi siamo ancora qui… e non abbiamo intenzione di farci buttare fuori, dico bene? E poi se Lys se n’è andato, siamo rimaste solo noi due tra i flautisti… c'è da chiedersi chi tra noi due la spunterà.” 
“O magari nessuna delle due vincerà…”
“Non essere sempre negativa! Oggi ci siamo ripromesse di non suonare e si non pensare alla competizione… perciò, che cosa vuoi fare? Qualcosa che non sia scattare foto ad ogni cosa o persona che vedi, per favore.”
“Che guastafeste… ok, andiamo a Museumsquartier, così visitiamo qualche museo… e li farò un sacco di foto!” 
“Prima o poi te la sequestro, quella macchina maledetta.”  
Gae sbuffò, roteando gli occhi mentre l'amica invece le sorrideva, prendendola sottobraccio per raggiungere la fermata più vicina della Metropolitana:
“Non lamentarti… a me piace fare foto, a te cercare notizie sui serial killer… ad ognuno i suoi passatempi, non trovi fata turchina?” 
“Ti prego, non chiamarmi in quel modo…” 


                                                                                   *

“Qualcuno mi spiega che cos’è questa roba? Io non mi fido…”  
Ivan prese il suo piatto e lo sollevò leggermente, chiedendosi che accidenti avesse ordinato. Forse doveva fare un corso di tedesco…
“Dall’odore è decisamente carne.” 
“No, è pesce.” 
“Ma devi sempre fare obiezioni su quello che dico? Dillo che lo fai apposta!”
Cal sbuffò, fulminando Pawel con lo sguardo mentre Ivan continuava ad osservare il suo piatto con aria sospettosa. C'era qualcosa che proprio non gli piaceva in quell’odore.
“Che dici Jordan, non lo faccio di proposito… ma mi piace essere preciso.” 
“Secondo me ti piace anche fare il rompicoglio-“
“E fatela finita, voi due! Irina, tu che capisci il tedesco, per favore dimmi che cos’è… ovviamente nei menù il russo non c'è neanche a pagar l’oro.”  Ivan sbuffò e passò il menù alla rossa, che lo aprì mentre osservava il piatto del biondo con espressione vagamente scettica:
“Ok… nome?” 
“Non saprei, lungo… con la L…” 
“Leberknödelsuppe?”  

Irina inarcò un sopracciglio, quasi sperando che Ivan non avesse ordinato quello… ma il ragazzo schioccò le dita e annuì, guardandola quasi in attesa.
“Sì, quello.”   
“Ah… certo. Beh, credo che siano gnocchi in brodo a base di… fegato.”  Irina sfoggiò un sorriso tirato, guardando Ivan sgranare gli occhi con orrore al sentire l'ultima parola, abbassando lo sguardo sul piatto e tenendo la forchetta ferma a mezz'aria:
“Fegato? Io non lo mangio…”
“Alla faccia tua Juraszek, è carne!”
“Smettetela di fare i bambini… tieni Cal, mangia il fegato.”
Ignorando deliberatamente le proteste della bionda Ivan travasò il contenuto del suo piatto su quello dell'amica prima di sorridere in direzione di Irina, porgendole nuovamente il menù:

“Facciamo così Irina… Visto che tu parli il tedesco e io poco e niente, ti nomino ufficialmente mia traduttrice ufficiale.” 
“Che bello, grazie, non vedevo l'ora…”

                                                                                        *

“Eccoti finalmente! Cominciavo a darti per dispersa… ci hai messo un po’!” 
Gabriel sorrise, accarezzando le piume candide della civetta che si era appena appollaiata sul trespolo, guardandolo come se si sentisse offesa. 
“Come sei permalosa Talia… va bene, scusa.”  
Il ragazzo le accarezzò il capo prima di slegare la lettera che la civetta teneva legata alla zampa e andare a sedersi nuovamente sulla poltrona di pelle bianca, mentre Gae era comodamente stesa su un divantetto con il suo computer sulle ginocchia e Helene stava disegnando, tenendo la macchina fotografica accanto a sé.
Non lesse nemmeno il nome del mittente, non ce n'era bisogno, e sorrise istintivamente nel vedere la familiare calligrafia di sua madre. 
“Tua madre?” 
“Sì… credo sia stata felice di ricevere la mia lettera. Ad Hogwarts non le scrivevo molto spesso…” 

Helene non sollevò nemmeno lo sguardo dal foglio che teneva in mano, continuando a disegnare quello che aveva fotografato qualche ora prima mentre sorrideva:
“Nemmeno io scrivo molto ai miei genitori. Mi risulta molto più facile scrivere a mia nonna… Allora,  che cosa dice tua madre?”
“Spera che io mi diverta ma che non combini troppi disastri… le ho detto di essere arrivato in ritardo al primo giorno e dice che non si sarebbe aspettata nient'altro da me. È un insulto o un complimento?” 
“Non saprei, non conoscendola… ma è tua madre, spetta a te dirlo.” 

Gabriel esitò, pensando a sua madre e immaginandola mentre pronunciava quelle parole… probabilmente aveva riso leggendo quella parte, mentre suo padre si sarebbe di certo passato una mano sul viso con esasperazione e avrebbe iniziato ad elencare tutto quello che non andava ne, figlio, compresa la sua goffaggine e la tendenza ad essere tutto, fuorché perfetto.
“Probabilmente si è fatta qualche risata… lo spero, almeno.” 

Gabriel sorrise, ripiegando la lettera e ripensando a quando era tornato a casa dopo essere stato in Turchia, pochi mesi prima.
Sua madre Theresa era andata a prenderlo all’aeroporto e gli aveva sorriso… e anche se lui aveva passato tutto il volo a ripetersi di essere più gentile e affettuoso nei suoi confronti, ancora una volta non era riuscito ad abbracciarla o a manifestarle il suo affetto. 
Si era limitato a sorriderle e, un po’ a disagio, le aveva porto una rosa.
Ma lei non se l'era presa, prendendolo sottobraccio e asserendo che sì, era proprio un artista nato. 

Gabriel sprofondò nel comodo schienale imbottito della poltrona, rabbrividendo al pensiero di un’altra settimana che stava per iniziare… gli sembrava di essere a Vienna da mesi quando invece aveva ancora moltissima strada da fare.
Di sicuro però il fatto che Lysandre e Sebastien avessero dovuto lasciare l’hotel e quindi la competizione gli aveva accesso come un campanello d’allarme in testa, spingendolo ancora di più a volersi impegnare e arrivare fino alla fine.
Forse non avrebbe vinto, ma di sicuro sarebbe rimasto sotto quel tetto fino al Solstizio d’Inverno. Voleva vedere sua madre sorridergli e dirgli che era fiera di lui… e sbattere quel risultato dritto in faccia a suo padre.















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Angolo Autrice:

E cominciamo a mietere OC... era troppo bello per essere vero arrivare ad 11 capitoli con ancora tutti i personaggi, ma spero che Lysandre e Sebastien siano i primi come gli ultimi per questa storia, anche perchè così mi mandate in frantumi i progetti per le coppie... ma pazienza.

Ci sentiamo presto con il seguito,
Signorina Granger

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Capitolo 13
*** Altre partenze ***


Come avevo detto, alla fine dello scorso capitolo? Spero che Lysandre e Sebastien siano i primi come gli ultimi... o forse no.

Capitolo 11:  Altre partenze

 

 

Domenica 30 Settembre

 

 

“Mi mancherai.” 

“Lo so.” 

“Scrivimi ogni tanto.” 

“Ovviamente.” 

“E non fare il tifo per Juraszek, devi tifare per me, sia chiaro.” 

 

Maya sorrise, annuendo mentre Irina le passava la gabbietta dove erano riuscite ad infilare Lady, la gatta della bionda, con non pochi sforzi mezz'ora prima. 

“Lo terrò a mente, lo prometto… temo che dovrò essere imparziale, però.” 

 

Maya inclinò le labbra dipinte come sempre di rosso in un sorriso mentre Irina sbuffava e allargava leggermente le braccia, facendo cenno all'amica di abbracciarla. 

“Potrei sempre venire a sentirvi alla chiusura, nonché alla premiazione… cercate di non farvi buttare fuori.” 

 

“Non ti preoccupare, non ne ho nessuna intenzione… e per una volta, penso di parlare anche a nome suo.”  

Irina accennò a Pawel con un cenno del capo, che annuì prima di rivolgere un sorriso sincero – nonché abbastanza raro - all'amica e abbracciarla, mormorandole qualcosa all'orecchio:

 

“Mi mancherai Maya… insomma, eri quella più normale. Ora dovrò sopportare Ivan e Cal senza il tuo supporto.” 

“Ti ricordo che non solo siamo entrambi qui, ma non abbiamo nemmeno problemi di udito!” 

 

“In realtà io non ho capito nulla, parlava in tedesco… cosa ha detto?” 

 

Ivan si rivolse ad Irina con aria vagamente accigliata, mentre la rossa roteava gli occhi chiari prima di rispondergli con tono sbrigativo:

 

“Dice che Maya gli mancherà molto perché era l'unica normale del gruppo e ora dovrà sopportare te e Cal senza di lei…” 

 

“Come sarebbe a dire? Io sono normalissimo!” 

“Ah davvero? Sai che scriversi le frasi parola per parola citando anche la data e l'ora è vagamente da malati di mente?” 

 

“…. Beh, a parte quello sono perfettamente normale.” 

 

Ivan fece spallucce mentre Maya ridacchiava, abbracciando anche Cal. Per un attimo Ivan pensò a quanto fosse strano vedere la sua amica che abbracciava qualcuno senza opporre la minima protesta… solitamente Cal non concedeva molti abbracci, a parte casi eccezionali e con determinate persone.

 

“Non ti preoccupare Maya, farò in modo che Pawel non si annoi… gli romperò le scatole per settimane e sarà molto divertente batterlo.” 

“Aspetta a parlare, io non ho nessuna intenzione di perdere.” 

 

Pawel sbuffò sommessamente e rivolse un’occhiata torva in direzione di Cal, che ricambio mentre invece la tedesca sfoggiò un sorriso:

 

“Devo dire che mi mancheranno i vostri teatrini… speriamo solo che Irina e Ivan vi impediscano di distruggere l’hotel con le vostre mani.” 

 

“Io non assicuro niente, ma farò il possibile.” 

 

 

                                                                                       *

 

 

“Fermi tutti! Qualcuno sta andando via!” 

 

Gabriel si protese verso la finestra per sbirciare oltre il vetro leggermente appannato a causa dall’improvviso cambio di temperatura: se fino a pochi giorni prima il clima era abbastanza mite e piacevole, nell’arco di poco a Vienna era calato il freddo. 

 

“COME? Chi?” 

“Aspetta, voglio vedere anche io!” 

 

In men che non si dica Helene comparve accanto a lui insieme ad Eleanor, mentre Emil non si disturbò nemmeno a cercare di superare nessuno, fermandosi semplicemente alle spalle dell’ex Corvonero: dopotutto riusciva perfettamente a guardare comunque fuori dalla finestra, visto che era il più alto del gruppo.

 

“Credo che sia Maya. Peccato, era così carina!” 

“Ma sei sicura che sia Maya?” 

“Non lo so, penso di sì!” 

“Becky, tu che ne dici? Becky?” 

 

Eleanor si guardò intorno con aria leggermente spaesata nel non trovare la sua amica accanto a sé, trovandola ancora seduta sul divanetto, esattamente nella stessa posizione di pochi attimi prima, in compagnia di Gae e impegnata a leggere.

 

“Beh, qualcuno se ne sta andando in ogni caso… a noi fa comodo, in fin dei conti.” 

“Quando parli così mi ricordo della Casa dove sei stata Smistata.” 

 

Eleanor scosse il capo quasi con disapprovazione, mentre l’amica si limitò a rivolgerle un sorrisetto:

 

“Lo sai Elly, io gioco sempre per vincere.”

“Oh, lo so benissimo…. In ogni caso sì, penso che sia Maya. Strano, non ci hanno informati questa volta.”

 

“Beh, la settimana scorsa se ne sono andati i due, oggi fuori un altro… di questo passo arriveremo dimezzati alla premiazione, direi.”     Il commento di Gae fece quasi rabbrividire tutti i presenti, mentre la belga se ne stava comodamente seduta su una poltrona con un libro tra le mani.

 

“Non dirlo, non ci voglio pensare!”

“La mia è solo una considerazione…”
“MA PERCHE’ E’ SEMPRE COSI’ RILASSATA?”

 

Gabriel inarcò un sopracciglio, parlando a bassa voce mentre si rivolgeva ad Helene, che si limitò a roteare gli occhi e a scuotere il capo:

 

“Cerco di capirlo da anni, ma ormai ho deciso di lasciar perdere.”

“Essere sempre tranquilli è un’arte… prendete esempio da me!”

“Piantala Emil, il tuo perenne sorriso allegro e rilassato fa venire voglia di prenderti a schiaffi! Nel periodo dei tuoi M.A.G.O. eri l’unico che passeggiava tranquillamente per i corridoi mentre tutti i tuoi compagni si uccidevano di studio, domandando persino a destra e a sinistra il perché di quelle facce poco allegre… è strano che in quei giorni nessuno abbia tentato di ammazzarti!”

 

Eleanor rivolse all’amico un’occhiata scettica, ma Emil continuò a sorridere mentre le metteva un braccio sulle spalle per tornare nuovamente a sedersi:

“Ci avranno anche provato… ma io sono indistruttibile!”

“Triste ma vero, una volta ho provato a dargli una sberla e mi sono fatta male da sola alla mano…”

 

Rebecca sbuffò sommessamente prima di tornare a concentrarsi sul suo libro, mentre Helene sedeva nuovamente accanto a Gae, lanciando un’occhiata scettica alla sua lettura:

 

“Cosa leggi?”

“Niente che a te possa piacere, credo…”

“Beh, dimmelo almeno!”

“Il libro su btk…”

Btk? Sembra una catena di fast food…”

 

Gabriel si accigliò leggermente mentre Gae invece scosse leggermente il capo, sorridendo come se fosse divertita dalle sue parole:

 

“Temo di no… E’ il soprannome che hanno dato a Dennis Rader.”

E chi è?”

 

“Ci risiamo…”   Helene sospirò, passandosi una mano tra i lunghi capelli rossi e guardando Eleanor come a volerle chiedere perché avesse fatto quella domanda.

Non sapeva chi fosse in realtà, ma poteva tranquillamente immaginarlo…

 

“Un serial killer. Btk sta per…”

“NON LO VOGLIAMO SAPERE.”

 

“Ma sì invece! Parla pure Gae.”      Emil sorrise in direzione di Gae, mentre Helene moriva dalla voglia di nascondersi da qualche parte.

 

Bind, torture e kill.”

“Wow, che allegria. Ma ti prego, risparmiaci i dettagli delle tecniche che utilizzava… non lo voglio sapere.”

 

Helene sfoggiò una smorfia e scosse il capo, chiedendosi eprchè la sua amica non leggesse romanzi rosa invece di appassionarsi di criminologia e della psicologia dei serial killer.

“La solita delicata.”

“Non sono delicata, ma mi fa venire l’ansia! Come di quella volta in cui mi hai raccontato di quello che portava nel bosco le vittime ferite e le costringeva a scappare, per poi inseguirle uccidendole con un fucile come se stesse andando a caccia. Non metterò mai più piede in un bosco…“

 

“Ma a Beaxbatons vi insegnano queste cose?”

“No Gabriel, in genere impariamo ad usare la magia invece che i modi peggiori per uccidere qualcuno.”

 

                                                                                *

 

Sbuffò sommessamente, continuando a tenere gli occhi fissi su Cal che stava suonando il piano. In realtà non stava ascoltando il brano con estrema attenzione, ma dopo aver provato per mezz’ora a suonare qualcosa senza risultati era tornata a sedersi, capendo che non era proprio giornata per provare.

 

Pensò a Maya, che di certo era già tornata a casa, ad Oslo… in quell’appartamento che da una parte odiava visto che rappresentava l’ennesimo regalo di un padre sempre stato assente e che dall’altra era stata la sua ancora di salvezza per allontanarsi da sua madre.

 

Ripensò a tutte le volte in cui aveva sentito la sua amica dire di non voler tornare a casa, manifestare tutta l’ansia e la preoccupazione che la caratterizzavano da sempre. Buffo, a dirle di stare tranquilla era stata proprio lei.

 

Continuò a tamburellare nervosamente le dita sul bracciolo della poltroncina, gli occhi chiari fissi su Cal ma senza sentire davvero il brano.

Le dispiaceva per Maya, molto… le sarebbe piaciuto che vincesse lei.

 

Quanto a lei, non era andata a Vienna per vincere, quanto più per ritardare il più possibile il matrimonio che i suoi genitori avevano pianificato per lei. Ma Maya no, lei ce l’aveva sempre messa tutta, vedendo il suo clarinetto come una specie di via di fuga dai suoi genitori, anche se questi non avevano mai preso molto sul serio la sua passione, sostenendo che era solo una perdita di tempo.

 

Invece, nel suo caso, era stata proprio sua madre ad indirizzarla a suonare… le piaceva, sì, ma nemmeno quella era stata una sua scelta.

 

“Ciao… ne vuoi un po’?”

Irina uscì dalla bolla di pensieri dove galleggiava da tutta la mattina, voltandosi nel sentire una voce accanto a sé.

 

“Sicuro che non ci sia del fegato dentro?”

“Si, sicuro. In realtà non so di preciso cosa sia… ma è buono. Se c'è il cioccolato si va sul sicuro.”

 

Ivan si strinse nelle spalle prima di porgerle il piatto che teneva in mano e Irina, dopo aver esitato per un attimo, allungò una mano per prendere uno dei dolcetti.

 

“Grazie. E’ brava.”   Irina si voltò nuovamente verso Cal, iniziando a sentirla suonare per davvero mentre Ivan annuiva, sedendosi accanto a lei per ascoltare l’amica.

“Sì, è brava… Lo siamo tutti, in realtà. Ma qui il margine d’errore concesso è davvero molto basso.”

 

“Immagino di sì. Mi dispiace per Maya, ma a questo punto sono ancora più determinata a non tornare a casa prima del dovuto… Tu no?”

 

“A me piace vincere, da sempre. E immagino che nemmeno io sarei molto felice di dover tornare a casa… Forse l’unico che lo sarebbe, da un certo punto di vista, è Pawel.”

Ivan sorrise leggermente, pensando a tutte le lettere che l’amico scriveva e riceveva da quando erano arrivati a Vienna… di certo Pawel voleva vincere, ma non poteva nemmeno negare che Veronika gli mancasse.

 

“E Cal?”

“Cal non se ne andrebbe nemmeno se la minacciassero di morte, probabilmente. E’ abbastanza testarda…”

Ivan sorrise leggermente, guardando l’amica suonare e rendendosi conto di non aver praticamente ancora assistito ad uno dei suoi sbalzi radicali di umore da quando erano arrivati a Vienna… probabilmente doveva iniziare a prepararsi psicologicamente per starle vicino quando sarebbe successo.

 

“Nemmeno io voglio tornare a casa. Stare qui è molto più facile.”

“Probabilmente sì.”

 

                                                                                          *

 

“Ciao! Volevi parlarmi?”

 

Rebecca sussultò, voltandosi di scatto e facendo immediatamente cenno ad Emil di parlare a bassa voce:

 

“Parla piano!”

“Perché?”

“Elly è di là… credo che dovresti parlarle.”

 

“Perché io?”

“Perché sì, perché ti adora e dice sempre che parlare con te la fa sentire meglio perché la capisci… io faccio schifo a consolare le persone, quindi ti cedo l’onere.”

“Che cos’ha?”

 

Emil inarcò un sopracciglio, mettendo la mano sulla maniglia della porta mentre si voltava verso Rebecca. La ragazza però si limitò ad accennare la porta con il capo, stringendosi nelle spalle:

 

“Vai a scoprirlo.”

 

 

Emil bussò prima di aprire la porta della camera dell’amica, stampandosi il suo sorriso più consolatorio sulla faccia prima di entrare appena nella stanza:

 

“Elly? Posso entrare?”

“Da quando chiedi il permesso?”

“Che dici, sono un gentiluomo io…”

 

Aveva appena finito di parlare quando una specie di risatina arrivò alle sue orecchie… ma voltandosi verso Rebecca ottenne solo un sorriso angelico, prima che la violinista girasse sui tacchi per tornare nella propria camera a sua volta.

 

Emil decise di lasciar perdere e si rivolse nuovamente all’amica, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi al divanetto dove l’ex compagna di Casa si era sistemata, tenendo il suo quadernino sulle ginocchia.

 

“Che cosa scrivi?”

“Niente…”

 

Eleanor sbuffò e lo chiuse, lasciandolo sul tavolino accanto a sé mentre continuava a guardarsi i piedi con aria vagamente malinconica.

“Che cosa c’è, pulcino? Sei triste?”

 

In realtà non aveva bisogno di domandarlo, riusciva chiaramente a cogliere le emozioni della sua amica… non era esattamente triste, quanto più preoccupata… forse malinconica, più che altro.

“No… non lo so. So solo che non voglio tornare a casa.”

 

“Lo so pulcino, nemmeno io vorrei privarmi della mia compagnia! Non ti preoccupare, sei bravissima… non tornerai a casa. Ma scusa, tua zia è così pessima?”

Eleanor emise uno sbuffo misto ad una risata, scuotendo leggermente il capo:

 

“No… le voglio bene. Ma sai, stare qui è molto più semplice… è come trovarsi momentaneamente in una magnifica bolla scintillante, senza pensieri tristi o preoccupazioni. Quando sono a casa una parte di me pensa sempre a mia madre, qui invece sento quasi di non dovermene preoccupare.”

 

“Lo immagino. So che non è facile da gestire, ma perlomeno non sei sola, tua zia ti vuole molto bene… e poi hai Emil, cosa puoi desiderare di più dalla vita?”

 

Emil sorrise e Eleanor finalmente lo imitò, sporgendosi leggermente per abbracciarlo.

“Hai ragione, per fortuna ci sei tu. Sai, a volte penso che forse nemmeno ti rendi conto di quanto tu sia in grado di aiutare le persone.”

“Mi piace vedere le persone sorridere… Ma so anche che tutti, in misure diverse, abbiamo problemi a cui pensare. Io cerco sempre di pensare e vedere il positivo in tutto, ma anche per me a volte risulta difficile.”

 

“Davvero? Credo di non averti mai visto giù di morale.”

 

Emil si strinse nelle spalle, sapendo che l’amica avesse perfettamente ragione: in effetti si faceva prendere dallo sconforto solo quando era solo, il più delle volte. Ma non mentiva, anche lui non era sempre sorridente e c’erano momenti in cui faticava a sua volta a trovare il lato positivo di qualcosa… il più delle volte quando rifletteva sul suo “dono”, ossia riuscire a vedere tutte le emozioni, i sentimenti, quello che le persone provavano nei suoi confronti… quando stavano bene e quando c’era qualcosa che non andava nel loro corpo, riusciva a vederlo ancor prima che le persone stesse se ne accorgessero e non sempre era piacevole.

 

Molti consideravano Emil Bach una specie di pilastro inaffondabile, qualcuno su cui poter contare sempre e comunque, in ogni momento… Eleanor Hall lo sapeva, ma sapeva anche che il suo spontaneo, sorridente e vivace amico spesso non se ne rendeva nemmeno conto.

 

“Oh, come siete carini, quasi mi commuovo…”

“Rebecca, smettila!”   

 

Eleanor sbuffò e, preso un cuscino, lo lanciò contro l’amica con tutta l’intenzione di centrarla… ma disgraziatamente non aveva la sua stessa mira e la mancò di qualche centimetro, facendola sorridere.

 

“Mancata, dovresti allenarti un po’…”

“Elly, non avercela con Becky, fa la ficcanaso solo perché è invidiosa e vuole un abbraccio anche lei.”

 

Emil rivolse un sorrisetto in direzione della Serpeverde, che fece quasi un passo indietro di riflesso mentre Cinnamon compariva scodinzolando accanto a lei prima di puntare Emil, raggiungendolo in fretta e furia.

 

“Ciao, bellissima! Vuoi le coccole dallo zio Emil?”

 

Emil sorrise e accarezzò il muso della cagnolina mentre questa cercava di sollevarsi per leccargli la faccia.

 

“Becky, il tuo cane mi adora! Anzi, in effetti tutti gli animali mi adorano…”

“Ma come siamo modesti… Ma almeno Elly non fa più la musona.” 

 

Rebecca si avvicinò al divano per sedersi sul bracciolo e si sporse leggermente verso l’amica, abbracciandola lievemente mentre Cinnamon continuava a fare le feste al ragazzo.

 

“Rebecca! Mi stai forse abbracciando?”

“E’ un riflesso momentaneo, goditelo finché dura.”

 

                                                                                     *

 

“E’ bello vederti dimostrare sensibilità, di tanto in tanto.”

“Parli come se di solito fossi una specie di pezzo di ghiaccio…”

“No, non dico questo. Ma so che le vuoi bene e so che ti dispiace, anche se forse ammetterlo ti costa.”

 

Pawel sbuffò leggermente, forse non tanto perché le parole di Ivan lo infastidivano ma perché sapeva che l’amico aveva perfettamente ragione.

Il russo infatti continuò a sorridere, guardandolo quasi con aria divertita:

 

“Ho ragione?”

“Diciamo di sì… Suppongo che dovrebbe farmi piacere avere un avversario in meno, ma trattandosi di Maya non è così semplice. Mi dispiace per lei, ci teneva molto a dimostrare qualcosa alla sua famiglia.”

 

“Come molti di noi, suppongo.”

Ivan annuì distrattamente mentre continuava ad accarezzare il pelo maculato di Sergej, che si era appollaiato accanto a lui sul divano.

 

 

“Oh, beh… vorrà dire che ti batterò anche per lei.”

“Ci puoi sempre provare. Ma cambiando argomento, Pash… dimmi, a che punto sei con l’altra questione?”

 

Le labbra di Ivan si inclinarono in un lieve sorrisetto mentre invece l’amico sbuffò quasi con aria grave:

 

“Ecco, appunto… un altro motivo per cui mi dispiace che Maya se ne sia andata. E ora chi mi darà una mano?”

“Fa sempre piacere ricevere tanta considerazione da te…”

“Oh, andiamo! TU? Non ti ci vedo proprio, ma se ci tieni mi puoi accompagnare. Anzi no, ripensandoci è meglio di no, penserebbero che siamo gay.”

 

“Hai ragione, arrangiati.”

 

                                                                                     *

 

Helene aveva sorriso quasi Piotr le aveva lasciato una lettera tra le mani… un po’ le dispiaceva di aver lasciato sua nonna da sola come quando andava a Beauxbatons e voleva sapere come stesse.

 

Quando però lesse il nome del mittente sgranò gli occhi e piegò le labbra quasi in una smorfia prima di afferrare con decisione la busta da entrambi i lati e strapparla a metà con un gesto secco, riducendola in fretta in tanti pezzettini.

 

“Però, che energia… Come mai tanto astio?”

La rossa sbuffò alle parole di Gae prima di voltarsi e raggiungerla di nuovo, lasciandosi cadere sul divano davanti a lei con un’espressione piuttosto torva.

 

“Indovina.”

“A giudicare dalla faccia direi che non era di tua nonna… Perché non hai usato la magia per distruggerla?”

“Sono del parere che dia molta più soddisfazione farlo manualmente… E poi lo sai come si dice, no? Io sono la “Babbana mancata”.”

 

Gae sollevò gli occhi per posarli sull’amica, sbuffando leggermente e guardandola quasi con aria da rimprovero:

 

“Non dire così… Ormai è passata, giusto? La scuola è finita.”

“Grazie al cielo. Da un certo punto di vista non ce la facevo più.”

 

Helene sbuffò mentre sprofondava ancora di più nel divano, ripensando con irritazione al periodo passato a scuola mentre invece l’amica le rivolse il suo sorriso gentile che le riservava spesso:

“Sicura di non voler leggere la lettera? Possiamo sempre riparlarla usando la magia…”
“Sicura Gae. Non mi importa niente di quello che possono volermi dire i miei genitori… il treno è passato ormai, l’hanno perso già da tempo.”

 

 

 

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Angolo Autrice:

Buongiorno! 

Ebbene sì, a quanto pare la mietitura continua... ma almeno questa volta non si tratta di un ragazzo visto che me ne sono rimasti piuttosto pochi. 

Non mi dilungo con la solita solfa, ormai il mio PC potrebbe scriverla da solo a memoria, mi limito ad avvisarvi che il 6 parto e starò via una settimana, nel caso non dovessi riuscire ad aggiornare prima di sabato prossimo, ma farò il possibile.

A presto!

Signorina Granger

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Venerdì 5 Ottobre 


Quando quella mattina Ivan le aveva detto che nel pomeriggio sarebbe andato a fare un giro nel centro di Vienna, gli aveva subito chiesto se potesse accompagnarlo... e ovviamente quando l'amico aveva glissato frettolosamente la proposta aveva subito intuito che ci fosse sotto qualcosa di strano. 

Quando poi aveva visto Ivan e Pawel parlottare a bassa voce a pranzo la sua curiosità era cresciuta notevolmente: che cosa stavano architettando quei due? 
Conoscendo Pawel non era molto tranquilla... e sapeva benissimo quanto Ivan, volendo, potesse essere tremendo se si impegnava. 


"Cal, secondo me ti stai fasciando la testa per niente..." 
"Fidati, c'è sotto qualcosa... Ivan si è cucito la bocca alla velocità della luce quando gli ho chiesto cosa dovesse fare in centro! Ok, è abbastanza riservato di suo, ma riconosco quando cerca accuratamente di evitare un discorso." 

La bionda sbuffò, continuando a camminare e tenendo gli occhi incollati ai due ragazzi biondi che camminavano uno affianco all'altro diversi metri più avanti, mentre accanto a lei Irina si limitò a scuotere leggermente il capo, tenendo Lena al guinzaglio. 

"Beh, lo conosci sicuramente meglio di me... ma come hai fatto a convincermi a venire..." 
"So essere molto persuasiva, lo so. Ricordi quando Pawel e Maya andarono a fare chissà-cosa qualche tempo fa? Anche in quell'occasione Ivan non disse niente... secondo me è tutto collegato!" 
"Cal, so che Pawel non ti va molto a genio, ma da qui a pensare che stia architettando un piano per fare non si sa cosa..." 
"Bah, non si sa mai, meglio prevenire che curare! E poi se dovesse trattarsi di qualcosa di ridicolo avrei l'opportunità di prenderli in giro a vita, due piccioni con una fava." 

Cal sorrise quasi allegramente, stringendosi nelle spalle mentre continuava a camminare, seguendo i due ex compagni di scuola a debita distanza. Era sicura che se Ivan si fosse accorto che li stava pedinando l'avrebbe presa in giro fino alla tomba... ma voleva rischiare, per una volta.


                                                                   *


"Non so se è una buona idea... non è il genere di cose per cui mi sento particolarmente adatto, francamente." 
"Beh, non puoi avere un gusto COSÍ pessimo, no? E poi in assenza di Maya mi devo accontentare..." 

"Oh, grazie mille." 

"Non c'è di che... dai, andiamo di qua." 

Pawel accennò ad una via stracolma di turisti e di vetrine lucide e scintillanti, mentre l'amico sbuffò leggermente prima di seguirlo, continuando a sentirsi molto poco a suo agio: no, forse non era una grande idea. 

"Come preferisci, ma ricorda che me lo hai chiesto tu... quindi non cominciare a contestare tutti i miei giudizi!" 
"Ma che dici, non faccio mai cose di questo genere!" 
"Pawel, in hotel ho circa 70 annotazioni che dimostrano perfettamente il contrario..." 

Ivan rivolse un'occhiata in tralice all'amico, che invece sbuffò e fece un gesto sbrigativo con la mano, come a voler liquidare il discorso mentre continuava a guardarsi intorno con lieve nervosismo:

"Ok, lasciamo perdere. Io comunque non ti ho obbligato ad accompagnarmi... anche se probabilmente hai ragione, ci scambieranno per una coppia gay. Ma ho bisogno di supporto morale, non lo posso fare da solo!" 
"E io che pensavo di essere venuto qui per suonare... rimpiango ogni giorno di più la partenza di Maya." 


Ivan sospirò, intuendo che quelle che aveva davanti a sè sarebbero state settimane davvero molto lunghe... probabilmente la avrebbe passate ad impedire che i suoi migliori amici si uccidessero a vicenda. 


                                                                     *


"Ma non dovremmo provare? Insomma, domani è sabato, quindi verremo valutati e non sono molto sicura su Per Elisa oltre che per..." 
"Elly, rilassati. Ti ho costretto ad uscire proprio perché la smettessi di suonare, provare all'infinito non aiuta." 

Eleanor sospirò, non terminando nemmeno la frase e lanciando un'occhiata in tralice all'amica che le camminava accanto, tenendola a braccetto. In effetti un po' forse la invidiava, lei tendeva sempre a preoccuparsi un po' per tutto... o forse infondo lo faceva anche Rebecca, solo che non lo dava a vedere. 

"Se lo dici tu..." 
"Si, fidati, finiresti per andare in paranoia e trovare qualcosa che non va in tutto... Uscire é molto meglio, non credi?" 

Rebecca sfoggiò un sorriso allegro mentre la Tassorosso si limitò a roteare gli occhi, guardandola con esasperazione: 

"Ma non farmi ridere, tu non sei certo tipo che ama stare all'aria aperta... volevi solo fare shopping!" 
"Che dici, non è affatto vero." 
"Ah no? E le scarpe nuove dove le hai trovate, su un lampione?" 

"Le scarpe sono un diritto umano inalienabile." 

Rebecca si limitò a fare spallucce, guardandosi intorno con nonchalance mentre accanto a lei Eleanor si voltò leggermente verso qualcuno che camminava appena dietro di loro:

"E... posso sapere perché stai usando il povero Emil come facchino?" 
"Non lo sto sfruttando, si è offerto lui di portarmi le borse! Vero Emil?" 

Rebecca si voltò verso il ragazzo, sfoggiando un sorriso a trentadue denti mentre il biondo si limitò ad annuire, stringendosi nelle spalle e assicurando ad Eleanor che non era un problema:

"Tranquilla pulcino, non mi da fastidio... però possiamo fermarci a fare merenda?" 


                                                              *


"Secondo voi qui cosa c'è?" 
"Non ne ho idea... non si apre?" 
"No..."

Gabriel si accigliò leggermente, osservando la porta chiusa che gli stava davanti. Probabilmente Helene stava per proporre di aprirla usando la magia, ma una voce piuttosto nota la precedette, giungendo alle loro spalle:

"Non ci metterei la mano sul fuoco in effetti, ma ho come la sensazione che se la porta è chiusa e c'è scritto "privato" non si dovrebbe aprire." 

"Gae, non fare la pignola... ci stiamo annoiando e questo posto è enorme, tanto vale curiosare! Sembra quasi di essere tornate al primo anno di scuola." 
"Elin, tu hai quasi odiato Beauxbatons." 
"Solo per le persone che c'erano dentro, curiosare era divertente." 

Helene sorrise all'amica, che si limitò a roteare gli occhi con lieve esasperazione, rassegnandosi al non poterle impedire di ficcanasare in giro per l'enorme hotel. 

"Potremmo sempre usare la magia e aprire la porta!" 
"Se ci scopre Koller ci uccide, anzi ci appende direttamente al prezioso lampadario della Hall." 
"Non metto in dubbio che ne sarebbe capace, ma per fortuna nemmeno lui può essere in più posti contemporaneamente! Anche se ancora non mi spiego come tu faccia, Gabriel, a comparire praticamente ovunque." 

Helene tirò fuori la bacchetta, rivolgendo un'occhiata perplessa in direzione dell'amico che però si strinse semplicemente nelle spalle, senza dare spiegazioni... una volta gli aveva anche chiesto se usasse la Smaterializzazione, ma per qualche arcano motivo Gabriel Undersee sembrava riuscire ad essere ovunque anche senza usare la magia. 

"Fatemi indovinare, suppongo che ora mi chiederete di fare da palo mentre voi vi addentrate per chissà qualche motivo in qualche stanza riservata al personale... ma cosa pensate di trovare, poi, oltre a stracci e detersivo?" 
"Non lo so, ma tanto vale scoprirlo... tu chiamaci se arriva qualcuno, ok?" 

Helene sorrise all'amica, che si limitò ad annuire restando pressoché impassibile come suo solito, ma la rossa la conosceva abbastanza bene da cogliere comunque una leggera nota di esasperazione nella sua espressione. 
In effetti sembrava quasi di essere tornate a Beauxbatons, quando Gae setacciava mezza scuola per cercare l'amica e finiva col trovarla molto spesso chiusa in un'aula deserta, impegnata a disegnare, suonare o ballare lontana dagli sguardi dei loro compagni.


A Gae non restò che appoggiarsi al muro accanto alla porta, parlando con un tono leggermente più alto in modo da farsi sentire dai due:

"Vi ricordate che domani è sabato, giusto? E che ci valuteranno..." 
"Come dimenticarlo, l'idea mi terrorizza ogni settimana!" 

Gae sorrise appena, ricordando come molto spesso la sua amica tendesse a svignarsela quando Koller era nei paraggi, sostenendo che suonare in sua presenza la metteva in considerevole agitazione. Ormai però la conosceva abbastanza bene da sapere quanto fosse brava a procrastinare, di sicuro quella sera sarebbe entrata nel panico per non aver provato abbastanza e avrebbe passato buona parte della notte a provare per recuperare... tenendo così svegli sia lei che il povero Piotr.

"Allora, sentiamo, che avete trovato di tanto interessante?" 

"Solo roba per pulire... però c'è un'altra porta, apriamo anche questa?" 

Alle parole di Gabriel Gae sospirò, passandosi distrattamente una mano sulla treccia turchese che le ricadeva su una spalla, chiedendosi perché non fosse andata a provare invece di seguire e dare corda a quei due. 


                                                               *

"Che fine ha fatto Emil?" 

Eleanor si fermò davanti al tavolo, posando gli occhi scuri sulla sedia dove fino a prima di andare in bagno vi era seduto Emil. Rebecca si limitò a stringersi nelle spalle, continuando a bere il suo thè prima di accennare con il capo alle pareti di vetro della pasticceria dove il danese aveva insistito perché si fermassero:

"Credo che sia andato fuori ad attaccare bottone con qualche musicista di strada." 

Per un attimo Eleanor osservo l'amica, cercando di capire se fosse ironica e stesse parlando seriamente... ma dal tono sembrava seria e la Tassorosso si voltò verso la parete a sua volta, cercando l'amico con lo sguardo: in effetti era proprio il genere di cosa che Emil Bach avrebbe fatto, riflettendoci. 

"In tal caso, vado a recuperarlo..." 

"Buona fortuna allora... anche se mi domando dove tenesse il violino, se devo essere sincera." 
Rebecca si accigliò leggermente prima di fare spallucce e approfittare dell'assenza del ragazzo per rubare uno dei dolcetti di Emil, mentre Eleanor sgranava gli occhi:

"Come? Si è messo a suonare?" 
"Credo di sì." 

"... vado a vedere dove si è cacciato, anche se sarà difficile riportarlo indietro se si sta divertendo..." 
"Digli che se non la fa non troverà niente da mangiare al suo ritorno, penso funzionerà.  


                                                           *

Ivan si fermò sul marciapiede, guardandosi intorno con attenzione: strano, si sentiva vagamente osservato da quando era uscito insieme a Pawel dall'Hotel... anche se forse non era neanche poi così strano, se conosceva bene come credeva una certa ragazza. 

"Jordan? Lo so che sei qui in giro..." 

Il russo sbuffò leggermente, continuando a cercare l'amica con lo sguardo... non la trovò, ma ebbe comunque fortuna: pochi attimi dopo vide un cane decisamente familiare avvicinarglisi quasi di corsa e si ritrovò a sorridere, chinandosi leggermente per accarezzarle il muso:

"Ma guarda chi si vede... ciao. Ne deduco che Cal ha coinvolto anche Irina in uno dei suoi piani geniali..." 

"Lena! Dove vai? Ti poteva investire una di quelle cose strane con le ruote!" 

Irina sospirò, spuntando dal nulla accanto a loro e fulminando il cane con lo sguardo, tenendo il guinzaglio in mano. 

"Credo che si chiamino macchine, o una cosa del genere..." 
"Poco male, tanto dubito fortemente che ci metterò mai piede." 

Irina si strinse nelle spalle mentre riallacciava il guinzaglio al collare della fuggitiva e Ivan sorrideva leggermente, chiedendosi quanto ci avrebbe messo una certa ragazza a manifestare la sua presenza:

"Cal dove si è nascosta?" 

Irina non disse niente, limitandosi a lanciare un'occhiata ad un punto oltre la spalla del ragazzo che non fece nemmeno in tempi a voltarsi, la voce piuttosto nota di Cal lo precedette:

"Io non mi nascondo, Ivan! Passavamo per caso da queste parti..." 
"Certo, e io sono il pronipote dell'ultimo zar... Insomma, so che mi adori, ma eri così triste all'idea che non potessi passare il pomeriggio con te?" 

Cal sbuffò di fronte al sorriso dell'amico, guardandolo con aria torva e affrettandosi a correggerlo:
"No, ero solo curiosa di vedere che cosa dovete fare tu e Juraszek di tanto urgente. Se è qualcosa che potrei sfruttare per deriderlo, non posso farmelo scappare!" 


Per un attimo Ivan si chiese come avrebbe reagito l'amica sapendo cosa stava facendo Pawel in quel momento... non sapeva se avrebbe riso o se le sarebbe venuto un colpo. Non fece però in tempo a manifestare a voce alta i suoi pensieri perché una porta si aprì alle sue spalle e la voce piuttosto seccata del polacco giunse alle sue orecchie:

"Ivan, che cosa stai facendo qui fuori, raccogli margheritine? ... che ci fate voi qui?" 

Gli occhi chiari di Pawel saettarono immediatamente sulle due ragazze, che si scambiarono un'occhiata prima di rispondere in sincronia:

"Portavamo Lena a spasso." 

"Davvero? E che ne hai fatto del tuo cagnolino?"

"Alaska è una femmina, cerebroleso... l'ho lasciata in Hotel, l'ho già portata fuori stamattina. Tu piuttosto, che fai da queste parti?" 

Cal sfoggiò un sorriso, parlando con il tono più innocente che le riuscì prima che i suoi occhi si spostassero, per la prima volta, sulla scritta bianca che quasi scintillava sulla vetrina. 

"Oh, ma andiamo! Tutta questa suspence per nulla, io speravo in qualche losco segreto da sventare... e invece vuoi solo il parere di Ivan per fare un regalo ala tua ragazza. E comunque non ti affidare a lui, io non lo farei." 
"Grazie Cal..." 

Ivan sbuffò, fulminandola con lo sguardo mentre Pawel invece non disse niente per un attimo, limitandosi ad abbassare lo sguardo come se fosse in imbarazzo prima di borbottare a mezza voce che non doveva farle propriamente un regalo. 

Cal si accigliò leggermente, spostando gli occhi su Ivan per chiedergli silenziosamente che cosa volesse dire il polacco con quelle parole... Irina invece capí e roteò gli occhi, sbuffando prima di borbottare a bassa voce che era una vera e propria persecuzione. 

Quando la lampadina si accese anche nella testa di Cal la bionda sgranò gli occhi, voltandosi nuovamente verso Pawel prima di scoppiare a ridere, mentre Ivan non sapeva se imitarla o suggerirle di smetterla per evitare la vendetta del suo amico:

"Non ci credo! TU! Tu che ti sposi, non mi sembra vero... questa non me la voglio perdere, quando glielo chiederai fammi un fischio, mi raccomando!" 

La bionda continuò a sghignazzare allegramente, mentre Pawel le rivolse un'occhiata quasi omicida e Ivan sospirò, suggerendo a mezza voce all'amica di smetterla per evitare che Pawel la Schiantasse proprio nel bel mezzo della strada. 
Quanto ad Irina, l'idea di Pawel che si sposava e la risata di Cal la fecero quasi sorridere a sua volta, ma ebbe il buon senso di non darlo particolarmente a vedere.

"Irina, fammi un favore, portala altrove o qui Pawel la uccide... e poi dovremo obliviare mezzo quartiere. Cal, finiscila di ridere... anche io ho riso all'inizio, ma essendo suo amico ci può anche passare sopra, con te no." 

Ivan sbuffò e diede all'amica una leggera gomitata, suggerendole di cercare di far cessare l'attacco di ilarità che l'aveva colpita mentre la bionda scuoteva leggermente la testa:

"Scusa, la smetto... ma dai, ce lo vedi, lui che si sposa? Ok, la smetto, va bene. Pawel, sono felice per te... forse un po' meno per la povera Veronika, in effetti. Dai, non fare quella faccia, sto scherzando! Perché nessuno capisce l'umorismo da queste parti?" 


                                                           *


Gae alzò gli occhi dagli spartiti che stava sistemando, sorridendo ad Helene quando l'amica sedette accanto a lei, sul suo letto:

"Ciao... finita l'esplorazione?" 
"Già... e abbiamo anche trovato una stanza enorme dove fanno i massaggi, roba da non credere. Tu hai suonato?" 
"Un po'... speriamo che domani vada bene." 

Helene annuì, sorridendo all'amica con l'intento di rassicurarla, anche se in realtà nemmeno lei era particolarmente rilassata dopo le settimane precedenti. 

Gae appoggiò gli spartiti sul copriletto e rivolse un'occhiata in tralice alla rossa, che stava osservando distrattamente Endjoras sonnecchiare sopra al suo trespolo. 

"A cosa stai pensando?" 
"Che tra non molto è il mio compleanno... Ho passato tutti gli ultimi sempre fuori casa, in effetti, è da quando ero bambina che non lo passo a casa, con mia nonna." 

"Beh, se non ricordo male ti scrive sempre un papiro per farti gli auguri." 

Helene annuì, pensando anche all'altra lettera che riceveva puntualmente ogni anno... e veniva cestinata altrettanto puntualmente.

"Sì, certo. É anche uno dei pochi giorni all'anno in cui i mie genitori mi scrivono... ma saranno anni che non leggo neanche una riga." 

Helene si strinse nelle spalle mentre Gae restò in silenzio, astenendosi dal dirle per l'ennesima volta di dare una possibilità ai suoi genitori. Ci aveva già provato e conosceva la risposta, Helene rispondeva sempre allo stesso modo. 

"Nemmeno una?" 
"Spesso e volentieri nemmeno le apro... non mi interessa granché di quello che possono volermi dire. Hanno preferito girare il mondo cercando animali invece che prendersi cura della loro unico figlia... ma forse è meglio così, adoro mia nonna. Anche se avendomi cresciuta quasi come una Babbana a Beauxbatons non mi sono trovata granché bene, certo..." 

Helene si alzò dal letto, avvicinandosi ad Endjoras per accarezzarle le piume scarlatte mentre l'amica la seguiva con lo sguardo, esitando prima di parlare di nuovo:

"È mia nonna che mi ha indirizzata alla musica... e anche al mio amore per la letteratura. Nonostante questo non avrò mai il rapporto che tu hai con tua nonna, la mia è molto più rigida... ma ho un bel rapporto con mio padre, per esempio. Magari avresti potuto averlo anche tu." 
"Si, forse... Ma sai, a volte mi sembra che siano quasi dei lontani parenti più che i miei genitori... ogni volta in cui li vedo non riesco a non chiedermi perché avere una figlia se poi la devi lasciare nelle mani di un'altra persona. Tutto qui." 


                                                                 *


Le labbra di Emil Bach si distesero in un largo sorriso mentre leggeva la lettera che teneva in mano, osservando la calligrafia quasi illeggibile con cui era stata scritta. 

Ce lo vedeva proprio, suo fratello, a sforzarsi di scrivere decentemente solo per farsi capire da lui...  in fin dei conti aveva contribuito molto per insegnargli a scrivere, l'anno prima. 
Quando ebbe finito la lettera la ripiegò con cura prima di infilarla nuovamente nella busta... tirò fuori, al suo posto, la fotografia che si portava perennemente appresso e che lo ritraeva un paio d'anni prima, tenendo per mano un bambino biondo che sorrideva all'obiettivo. 

"Ciao! Che fai?" 

Qualcuno scavalcò lo schienale del divanetto e Emil si ritrovò improvvisamente seduto accanto a Rebecca, sorridendole prima di accennare alla foto:

"Niente... guardavo solo una foto." 
"Tuo fratello?" 
"Sì... si chiama Sebastian." 

Emil sorrise, guardando la foto che teneva tra le dita quasi con una nota d'orgoglio nella voce, mentre Rebecca si sporgeva leggermente per guardarla a sua volta:

"Bel nome." 
"Lo so, l'ho scelto io." 
"Com'è carino... quanti anni ha?" 
"7, adesso... qui ne ha aveva 5, credo. E comunque certo che è carino, è mio fratello!" 

"Non vuol dire nulla, tra fratelli non ci si deve somigliare per forza!" 

"Tu hai fratelli?" 

"Sì. Anche se, devo dirlo, vi somigliate. Magari non di carattere... anche lui sorride sempre?" 
"Ovviamente, lo sto tirando su bene... pensa che sa già suonare." 

Emil sorrise quasi con fare compiaciuto, lanciando un'ultima occhiata al fratellino prima di ripiegare la foto, pensando ancora una volta a come si fosse avvicinato, anni prima, alla musica: proprio quando era nato Sebastian, in effetti. 

"Davvero? Allora ne deduco che tra una decina d'anni anche lui si fermerà per suonare insieme agli artisti di strada..." 
"Mi stavo divertendo! Poi Elly è venuta a dirmi che una certa Serpeverde mi stava rubando il cibo e sono tornato indietro." 

Emil sbuffò mentre Rebecca invece sorrise prima di alzarsi, stringendosi nelle spalle: 

"Non so perché ma ero sicura che il quel modo saresti tornato indietro alla velocità della luce... che vuoi farci, sono meglio della Cooman." 

"Può essere... anche se non pensavo che apprezzasi tanto la mia compagnia da "farmi tornare indietro alla velocità della luce"!" 

Emil sorrise, alzandosi a sua volta mentre Rebecca invece sbuffò, borbottandogli di non dire assurdità prima di allontanarsi.









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Angolo Autrice:

Salve! Chiedo scusa se ci sono molti errori ma proprio non sono riuscita a rileggerlo...
E perdonatemi se non è il massimo ma abbiate pietà, ho scritto 7 capitoli in una settimana e il mio cervello sta andando in fusione... 

Ci sentiamo la settimana prossima con il seguito, a presto! 

Signorina Granger

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Capitolo 15
*** Capitolo 13 ***


Buonasera! Scusate il ritardo, ma da quando sono tornata non ho avuto molto tempo per scrivere... spero di rifarmi la settimana prossima. 

Buona lettura



Capitolo 13

 
Martedì 9 Ottobre 


Per poco non sobbalzò quando, aprendo gli occhi, sentí il bussare vagamente insistente alla porta. Le ci volle un attimo per identificare il rumore e poi sbuffò leggermente, rigirandosi sotto le coperte per mettersi più comoda sul materasso. 

Chiunque stesse bussando doveva avere tutta l'intenzione di vederla perché non si arrese, continuando con determinazione mentre la ragazza sospirava, avendo una vaga idea di chi si trattasse. 
Riaprì gli occhi azzurri, consapevole di non poter ignorare ancora a lungo quel rumore, e si alzó mentre dal suo trespolo Endjoras la guardava con aria torva, come a volerla rimproverare per la sua maleducazione. 

"Non guardarmi così... sto andando, non vedi?" 

Gae, nel suo pigiama in tinta con occhi e capelli, superò la fenice per raggiungere la porta, aprendola e ritrovandosi così davanti alla sua migliore amica, che bloccò la mano a mezz'aria prima di sfoggiare un largo sorriso:

"Alla buon'ora! Cominciavo a pensare che fossi entrata in letargo." 
"Sono stata sveglia fino a tardi a leggere, tutto qui." 

La belga si strinse nelle spalle con noncuranza e stava per invitare l'amica ad entrare nella sua camera quando Helene, senza darle neanche il tempo di muoversi, la stritolò in un abbraccio:  
 
"Beh, buon compleanno comunque!"

Come da manuale Gae non si mosse neanche di un millimetro, restando perfettamente rigida e limitandosi a sbattere le palpebre, ricordandosi che era il suo compleanno... e non osando chiedere all'amica di sciogliere quell'abbraccio.

Fortunatamente Helene ci pensò da sè e si allontanò dopo qualche breve istante, rivolgendole un sorriso piuttosto allegro:

"Tranquilla, so che non ti piace che ti tocchino... ma che compleanno sarebbe senza un abbraccio?" 
"Elin, ti ricordo che tu passi parte del tuo compleanno in un angolo, da sola, a fare la musona." 

Helene rimase in silenzio per un attimo, limitandosi ad osservare di rimando l'amica e chiedendosi, ancora una volta, come riuscisse a parlare sempre con quel tono pacato, come se stesse dicendo perennemente qualcosa di assolutamente ovvio. 

"... già, ma non siamo tutti uguali. Sei ancora in pigiama?" 
"Stavo dormendo in effetti, ma poi una certa olandese ha bussato alla mia porta così forte che pensavo fosse arrivato un terremoto..." 

"Dettagli, ora vai a vestirti... e poi facciamo colazione, ho fame." 


Helene sorrise e quasi spinse l'amica di nuovo dentro la sua camera, invitandola calorosamente a darsi una mossa.

"Perché tu sembri più felice di me?" 
"Non saprei dirti, penso che essendo tua amica sia giusto che io oggi sia di buon umore."

Helene si lasciò cadere sul letto sfatto dell'amica, prendendo uno dei tanti libri abbandonati ai suoi piedi prima di iniziare a sfogliarlo.

Gae, infatti, quando dieci minuti dopo uscì dal bagno la trovò comodamente stesa sul suo letto con uno dei suoi libri sul linguaggio dei fiori in mano.

"Non capisco come fa a piacerti tanto leggere queste cose... non è noioso?" 
"No, a me piace... il mio letto è comodo?"

"Si, molto... anzi, se devo essere sincera la tua camera è molto più luminosa della mia, ti spiacerebbe fare cambio? Ok, ho capito, andiamo." 


                                                                     *

Ivan si fermò davanti alla porta bianca e sollevò una mano per bussare, continuando a ripetersi di restare calmissimo e di contare fino a 100, se necessario. 

Non ottenne, in effetti, una risposta vera e propria... più che altro sentì una specie di sbuffo sommesso che gli fece roteare gli occhi azzurri, intuendo cosa stesse succedendo dall'altra parte della porta:

"Andiamo, sono io... non vuoi fare colazione?" 

"No..." 
 
Ivan bussò di nuovo, senza sentire quasi nessun rumore provenire dall'interno della stanza... l'aveva immaginato non appena aveva messo il naso fuori dall'Hotel, accorgendosi così della forte umidità e del lieve caldo. 
Quando, poi, non l'aveva trovata a fare colazione dopo la sua solita corsa, aveva raggiunto la sua camera senza neanche pensarci, certo di trovarla lì. 

"Coraggio, non fare i capricci Jordan. Vuoi forse che Koller venga qui a prenderti per i capelli? Ti ricordo che stamattina dobbiamo suonare..." 

Ancora una volta Ivan non ottenne risposta e a quel punto sospirò, iniziando a contare mentalmente prima di puntare la bacchetta contro la serratura della porta, facendola così scattare. 

"Come preferisci, vorrà dire che entrerò lo stesso." 

Non appena mise piede nella stanza dell'amica il ragazzo venne quasi investito da Alaska, il Golden Retriever di Cal. Della bionda, invece, nessuna traccia... o almeno finché gli occhi grigi di Ivan non finirono sul letto matrimoniale, trovandola seduta contro la testiera con aria imbronciata. 

"Si può sapere che ci fai ancora qui?" 
"Lasciami stare Ivan, voglio stare sola." 

"Te l'ho sentito dire almeno 1000 volte... avrei dovuto aspettarmelo visto quanto sei meteoropatica. Tieni, ti ho portato questo." 

Ivan si avvicinò al letto quasi senza battere ciglio, come se fosse abituato a quelle situazioni, e porgendo all'amica un sacchetto. Cal non disse niente ma lo prese, affrettandosi a sbirciarne l'interno prima di sbuffare:

"È un muffin!" 
"Fino a ieri ti piacevano..." 
"Si, ma io lo volevo con il cioccolato, non con i mirtilli!" 


Conta Ivan, conta...  


Il russo si sforzò di non battere ciglio, limitandosi a guardare l'amica mentre restava in piedi accanto al letto e Alaska raggiungeva la padrona, acciambellandosi accanto a lei.

"Cal... perché sei sempre intrattabile quando c'è questo tempo?" 
"Non lo so... a me piace il freddo, lo sai. Anche se non sono pazza come te, che vai in giro con solo la camicia addosso quando fanno 10º." 

"Questione di punti di vista... in ogni caso, ora devi alzarti. Dobbiamo suonare a quattro mani, non puoi darmi buca." 

"Sei un gran rompiscatole Ivan... Juraszek ti sta influenzando negativamente." 

Cal scoccò un'occhiata torva all'amico, che si limitò ad inarcare un sopracciglio prima di parlare nuovamente, mantenendo un tono perfettamente pacato:

"Sì, sei veramente intrattabile. Ma non c'entra solo il tempo, vero? Che cosa è successo?" 

"Questo."    Cal sbuffò e, preso qualcosa dal comodino, lo sventolò davanti al volto di Ivan, che prese la lettera con aria scettica... o almeno prima di leggere il nome del mittente. 

"Perché tua madre ti ha scritto?" 
"Non ne ho idea, forse si è ricordata di aver messo al mondo una figlia 22 anni fa... chissà, magari tra uno spettacolo e una bottiglia di vino e l'altra se n'era dimenticata. Non mi va neanche di risponderle." 

Cal sbuffò, puntando gli occhi sulla finestra dall'altra parte della stanza e osservando il vetro con cipiglio torvo mentre Ivan invece roteava gli occhi, lasciando nuovamente la lettera sul comodino:

"Come preferisci... nessuno ti obbliga, dopotutto. Ma non farti rovinare la giornata in questo modo... anche perché non mi va di sopportare il tuo brutto carattere per le prossime 12 ore." 
"Tante grazie."

"Non c'è di che. Ora pensi di andare a vestirti o scenderai così è suonerai davanti a tutti come uno spaventapasseri?" 

Ivan sorrise mentre invece l'espressione di Cal si fece ancora più cupa mentre si votava di scatto verso di lui, afferrando un cuscino per lanciarglielo contro e fulminandolo con lo sguardo:

"Ha parlato Mr Universo! Sparisci dalla mia vista, maleducato... E portami un muffin al cioccolato!" 


                                                             *


"Elly, mi presti quella cosa che liscia i capelli?" 

Rebecca, con i capelli fradici e l'accappatoio dell'Hotel addosso, aprì la porta che collegava la sua camera con quella dell'amica, senza però trovare traccia della Tassorosso. Fece per chiamarla nuovamente ma una voce la interruppe, proprio alle sue spalle:

"Piastra, si chiama piastra." 

"Vero, graz- CHE CI FAI TU QUA?" 

La Serpeverde si voltò e sbarrò gli occhi nel trovarsi davanti Emil, che le sorrise e fece per dire qualcos'altro, ma la ciabatta che lo colpì in piena faccia glielo impedì, portandolo invece ad imprecare a mezza voce:

"Ma allora è un vizio... il mio povero naso..." 

"Ops... scusa, ti ho fatto male? Cioè, volevo dire, così impari ad entrare di soppiatto nelle camere altru, potevo anche essere in biancheria intima!" 
"Non sono entrato di soppiatto, mi ha fatto entrare Elly... abbiamo preso il thè, ora si sta lavando i denti." 

Emil si sfiorò il naso dolorante con le dita mentre Rebecca si ri-infilava la ciabatta al piede con noncuranza, facendo spallucce:

"Beh, in tal caso scusa... e grazie per avermi coinvolta, tra parentesi." 
"Sei stata in apnea sotto la doccia per un'ora, e penso che se avessi messo piede in bagno più che una ciabatta mi avresti lanciato contro direttamente il lavandino." 

"Probabile. Come mai avete trasformato la camera di Elly in una sala da thè, comunque?" 
"Mi ha detto che aveva voglia di fare due chiacchiere... e le persone adorano parlare con me, modestia a parte. Sai, non ho proprio il coraggio di farle domande su sua madre... eppure vedo sempre che ci pensa, almeno un po'." 

"In che senso "vedo"?"   Rebecca inarcò un sopracciglio, osservandolo con espressione dubbiosa prima che il Tassorosso si stringesse nelle spalle:

"Nel senso che... si vede, ecco. Con te ne parla?" 
"Non spesso, no. Abbiamo tutti qualcosa di cui non amiamo parlare, no?" 

Emil non riuscì a non annuire, pensando che avesse ragione... in fin dei conti lui per primo non amava parlare di quella specie di "dono", di come riuscisse a vedere le emozioni altrui. 
Non era spiacevole, ma a volte si era chiesto come sarebbe stato vivere senza... com'era guardare una persona senza vedere quello che provava, anche nei suoi confronti? 

"Immagino di sì. Ma probabilmente il contrario le farebbe bene... parla con sua zia?" 
"Sì, si telefonano spesso. Non preoccuparti Emil, Eleanor non è sola.... e ora vado a sistemarmi i capelli, ti lascio al tuo thé." 

"Tranquilla, lo so, ha pur sempre la sua amica irritabile e finta dura come il marmo che lancia pantofole." 

"Oltre allo spilungone dissemina abbracci non richiesti e sorrisi perenni..." 
"Ehy, io porto gioia e affetto nel mondo, non dimenticarlo!" 


Rebecca fece per dirgli che non l'avrebbe potuto dimenticare in nessun caso, non dopo l'abbraccio soffocante e che l'aveva fatta sbiancare un paio di giorni prima, quando il Tassorosso l'aveva incastrata senza via di fuga, stritolandola perché, a detta sua, "l'aveva vista giù di morale e doveva consolarla"... poi però cambiò idea e non disse niente, limitandosi a voltarsi e uscire dalla stanza dopo aver Appellato la piastra dell'amica.

"Beh, in ogni caso ci vediamo in sala prove..." 
"Certo scricciolo!" 
"Non chiamarmi così. Ne abbiamo già parlato!" 

"Scordatelo, è il tuo nuovo soprannome e non ho intenzione di cambiarlo." 


Rebecca sbuffò ma decise saggiamente di lasciar perdere, proprio mentre la porta del bagno si apriva e Eleanor faceva la sua comparsa, sorridendo nel trovarsi entrambi davanti:

"Ciao Becky... come mai qui?" 
"Prendo in prestito questa... piastra. Tu continua pure a prendere il thè col vichingo, ci vediamo dopo." 


"Ciao scricciolo!" 

Emil sfoggiò un ultimo sorriso, rivolgendo alla ragazza persino un cenno prima che questa tornasse in camera sua, non prima ovviamente di averlo fulminato con lo sguardo. 
Solo quando furono nuovamente soli Eleanor si voltò verso di lui, osservandolo con aria divertita:

"Non so se ad irritarla di più saranno gli abbracci o quel soprannome... ma tanto so che il tuo obbiettivo è proprio di irritare il prossimo il più possibile." 
"Non il prossimo in generale, solo le persone che non mi somigliano per niente, come lei. Comunque non saprei, ma punto sui primi... l'altro giorno quando l'ho abbracciata sembrava volesse scappare dall'altra parte di Vienna. Perché le da così fastidio che la tocchino?" 

"Non ne ho idea, glie l'ho già chiesto ma lei stessa sostiene di non saperlo con precisione... in ogni caso, che cosa mi stavi raccontando su tua madre?" 


                                                               *


"Sai, sono davvero sollevata che tu non abbia provato ad abbracciarmi... dire alle persone di non farlo non mi piace, mi sembra di essere maleducata." 

"Non lo sei, se ti da fastidio fai bene a dirlo... e poi nemmeno io manifesto molto affetto." 

Gabriel si strinse nelle spalle mentre entrava insieme a Gae in sala prove, con Helene che trotterellava davanti a loro con il flauto sottobraccio e gli spartiti stretti nell'altra mano. 
La rossa tese il collo per sbirciare la prima fila di poltroncine, quasi pregando affinché un certo esaminatore non fosse presente... e invece, disgraziatamente, i capelli castani di Alexander fecero capolino in mezzo alle due teste bionde di Christina e Jarrod. 

 "Speravo che oggi si fosse preso una vacanza... magari quando verrà il mio compleanno potrei chiedergli di non ascoltarmi!" 
"Piano infallibile, sono sicuro che lo farà." 

"Dici?"   Helene sfoggiò un sorriso mentre si voltava verso Gabriel, che scosse il capo e le diede una pacca sulla spalla prima di superarla:

"Assolutamente no. Coraggio, andiamo... Non dirmi che scapperai anche oggi?" 
"Io non scappo! Quella dell'altra volta era una... ritirata strategica." 

"Chiamala come ti pare, per me era una fuga bella e buona." 

Helene sbuffò e si voltò verso Gae come a volerle chiedere cosa ne pensasse... ma la festeggiata si limitò a sorriderle appena prima di accelerare il passo e seguire il violinista verso il palco, facendo esasperare ancora di più la rossa:

"Ma perché nessuno mi capisce?" 


"Se può consolarti, io volevo restare a dormire ma un rompiscatole mi ha trascinata a forza fuori dalla mia camera..." 

Cal passò accanto all'olandese sbuffando leggermente, camminando un paio di passi dietro ad un Ivan che sembrava, invece, piuttosto soddisfatto mentre raggiungeva Pawel.

"Mi chiedevo, in effetti, dove ti fossi cacciato... non ti vedo da ieri sera." 
"Sono andato a correre e quando sono tornato ho impiegato un'eternità a far uscire Cal dal letargo." 

"Non che qualcuno avrebbe sentito la sua mancanza, in effetti..." 
"Taci, Juraszek. E ti informo che per colpa tua Ivan sta diventando insopportabile." 

Cal fulminò il biondo con lo sguardo e lo superò in fretta per andare a sedersi accanto ad Eleanor e chiederle se volesse suonare a quattro mani con lei.

"E io che le ho persino portato un muffin... la gentilezza non viene più riconosciuta." 

Ivan scosse leggermente il capo prima di rivolgersi nuovamente all'amico, che invece sfoggiò un sorrisetto e si strinse nelle spalle, suggerendogli di lasciar perdere la ragazza:

"Lascia perdere... anche se, in effetti, non la facevo così lunatica." 
"È meteoropatica." 
"Davvero? Strano, eppure oggi c'è bel tempo." 
"Sì, ma lei diventa intrattabile quando fa caldo, non viceversa... che vuoi farci, è strana fino in fondo." 

Ivan roteò gli occhi ma non disse altro, forse anche perché Cal gli fece notare che sentiva perfettamente quello che stava dicendo, prima di andare a sedersi in fretta e furia a causa dell'occhiata gelida che Alexander aveva lanciato nella loro direzione, intimando silenziosamente di smetterla di fare salotto e di iniziare.

"Ciao... come mai Cal è di pessimo umore? Le hai fatto qualcosa?" 
"No, è solo Cal... le passerà presto, o almeno lo spero." 

"Discutete per la maggior parte del tempo, ma sono sicura che se uno dei due venisse eliminato sentireste l'uno la mancanza dell'altro... in effetti siete uno spettacolo divertente, quindi dispiacerebbe anche a me." 

"Glielo dirò, sarà felice di essere spunto di risate insieme a me..." 

Ivan sbuffò mentre si appoggiava meglio allo schienale della poltrona, chiedendosi mentalmente chi sarebbe stato il povero malcapitato a dover iniziare mentre Pawel, accanto a lui, rileggeva mentalmente le note del Capriccio nº 24 e dall'altra parte Irina sorrideva, rigirandosi il clarinetto tra le mani e tenendo gli spartiti sulle ginocchia, prima di rendersi conto che Ivan non aveva proprio niente in mano:

"Hai dimenticato gli spartiti?”
"No, non li uso quasi mai... memoria fotografica." 

La rossa fece per sbuffare e dirgli quanto fosse fortunato, ma Pawel la battè sul tempo e parlò senza nemmeno alzare gli occhi chiari dallo spartito:

"Attenta Irina, ora comincerà a decantare le sue doti mnemoniche, ricordando a noi comuni mortali che per lui non serve eseguire un brano decine di volte per impararlo a memoria..." 
"Smettila Pawel, ti ricordo che tra noi due quello insopportabile non sono io." 

Pawel non disse nulla, limitandosi a scoccare un'occhiata torva in direzione dell'amico prima di tornare alle note di Paganini, lasciando che Irina continuasse a parlare, rivolgendosi al russo: 

"Beh... ma non hai comunque il timore di sbagliare nota o di scordarne una?" 
"No... in genere sono piuttosto rilassato." 
"Fortunato. E forse un po' superbo... ma almeno ora si spiega perché ricordi sempre cosa le persone dicono, parola per parola." 

"Che ci vuoi fare, è un talento naturale... tu parli un mucchio di lingue, io ho una memoria quasi eidetica." 
"E allora com'è che non sei bravo con le lingue?" 
"Non lo so, non ci sono mai andato d'accordo... sono l'unica cosa che non riesco ad imparare." 


"Certo, l'unica cosa, come no..." 
"Pawel, smettila, sei come un corvo irritante appollaiato sulla mia spalla!" 


Ivan fulminò l'amico con lo sguardo forse per la decima volta da quando si erano visti pochi minuti prima, mentre Gae ed Helene si apprestavano a salire sulla pedana e Irina sorrideva leggermente, non osando informare Ivan che formava un duo comico non solo con Cal, ma anche con Pawel.

                                                                 *


Gabriel cercò, invano, di soffocare una risata mentre teneva gli occhi scuri fissi sulle due ragazze che aveva davanti, una perfettamente rilassata e apparentemente a suo agio e l'altra che sembrava sul patibolo.

Gli dispiaceva e sapeva che Helene lo avrebbe preso a maledizioni una volta terminato il suo turno, ma non riusciva proprio a non ridacchiare mentre guardava la sua faccia piuttosto preoccupata: stava suonando, sì, ma continuava a lanciare occhiate ansiose in direzione di Alexander, come a volerlo implorare di starle alla larga e di non fermarsi proprio accanto a lei, osservandola mentre suonava. 

Il direttore d'orchestra aveva, in effetti, la pessima abitudine di gironzolare tra i musicisti mentre questi eseguivano un brano... cosa che, ovviamente, li metteva perennemente a disagio.


"Guardalo... è lì che ride sotto i baffi." 

Christina sospirò, guardando il collega quasi con aria esasperata mentre accanto a lei Jarrod invece sorrideva, quasi come se si stesse divertendo a sua volta:

"Si diverte a tormentarli, non c'è che dire... però bisogna lasciargli atto che ci riesce perfettamente. Tu invece finisci sempre per diventare la preferita dai ragazzi, sarà che sei la più gentile..." 
"Scusa se non trovo divertimento nel torturare il prossimo, non sono sadica come Alex." 

Christina sbuffò, tenendo gli occhi azzurri fissi sul collega e chiedendogli silenziosamente di smetterla e di scendere dalla pedana, anche se ovviamente Alexander la ignorò deliberatamente e continuò a passare accanto a Gae e ad Helene, che probabilmente lo stava maledicendo mentalmente sia in fiammingo, che in francese che in inglese. 


"Ok... direi che può bastare. Vorrei sentire i pianisti adesso, per favore." 

La voce di Christina fece interrompere bruscamente il suono dei due clarinetti e Helene guardò la donna con tanto d'occhio, forse chiedendosi se non potesse andare ad abbracciarla e ringraziarla a gran voce. Non per niente la rossa sfoggiò un largo sorriso e si alzò quasi allegramente, affrettandosi a scendere dalla pedana per cedere il suo posto. 

Alexander invece rivolse alla bionda un'occhiata torva, come a volerla accusare di avergli rovinato tutto il divertimento... ma Christina si limitò a sorridergli, suggerendogli che non ammetteva repliche. 


Non per niente Ivan salì sulla pedana con un sorriso rilassato stampato in faccia, forse ringraziando mentalmente la sua esaminatrice per aver fatto scendere Alexander dalla pedana: non aveva nessuna voglia di suonare di nuovo con una trave a bloccargli la schiena. 


Helene, invece, tornò al suo posto e colpì sonoramente Gabriel con i suoi spartiti sul braccio, mentre il violinista continuava a ridacchiare sommessamente:

"La prossima volta ti farò un filmato, dovevi vedere la tua faccia!" 
"Non provarci neanche a farmi video mentre suono, Gabriel, altrimenti brucerò il tuo prezioso cappello!" 

Il ragazzo smise immediatamente di ridere e si portò istintivamente le mani alle testa, dove come sempre faceva capolino il suo amato berretto di lana bordeaux... e quasi come se avesse sentito la conversazione, cosa probabile visto il soggetto, una voce interruppe Ivan ancor prima che il ragazzo desse vita a Per Elisa:

"Undersee, via quel cappello, non siamo all'osteria!" 
"Si Maestro..." 

Gabriel sbuffò e, di controvoglia, obbedì e si sfilò il berretto mentre il turno di sorridere passava ad Helene, che ripose il flauto nella custodia prima di rivolgere la sua completa attenzione al suono del pianoforte. 


                                                          *


"Ehy, Petrov." 

Ivan si fermò prima di uscire dalla sala ormai praticamente deserta, voltandosi e guardando Cal con aria vagamente sorpresa, come se non si sarebbe aspettato di sentirsi chiamare da lei. 

"Sì?" 

Per un attimo si chiese se non volesse rimproverarlo, come aveva fatto per gran parte della giornata, ma dall'espressione della ragazza capì che non l'avrebbe fatto. Cal invece gli si avvicinò e sfoggiò un debole sorriso prima di parlare nuovamente, tormentandosi leggermente le mani:

"Scusa per come mi comporto a volte... lo sai che divento insopportabile in certi momenti." 
"Non preoccuparti, ormai ci ho fatto l'abitudine... ma non tormentarti le mani Cal, non ti hanno detto che sono la nostra più grande ricchezza?" 

"Sì, beh... comunque grazie per sopportarmi sempre." 

Cal si sporse verso di lui e lo abbracciò, facendogli roteare gli occhi: quella era la ciliegina sulla torta, quando Cal finiva col sfogare quel bisogno represso di contatto fisico che di rado aveva ricevuto.
Forse in un altro momento avrebbe fatto uso, come suo solito, di una buona dose d'ironia e le avrebbe detto che sì, la sopportava fin troppo e che avrebbero dovuto santificarlo... ma Ivan decise di non farlo, limitandosi a ricambiare l'abbraccio.

"Figurati... lo sai che ti voglio bene." 
"Anche io." 

La bionda sciolse l'abbraccio e rivolse all'amico un lieve sorriso, quasi speranzoso e che fece suonare una specie di campanello d'allarme nella testa del ragazzo:

"Senti, Ivan... non è che ora me lo andresti a prendere, un muffin al cioccolato?" 

"Sei proprio impossibile." 
                                                                   

                                                             *

            
"Quindi... come funziona questa cosa?" 
"In teoria bisogna cambiare canale con i bottoni con i numeri... ma forse ci sta sfuggendo qualcosa." 

Irina si accigliò leggermente, osservando il telecomando che teneva in mano mentre Emil, accanto a lei, osservava le immagini colorate susseguirsi sull'enorme schermo quasi con aria sognante. 

"Beh, anche se non si sente niente è comunque incredibile... ma come ci sono riusciti, i Babbani, a creare questa cosa senza magia?" 
"Non ne ho la più pallida idea... maledizione, Pawel mi ha mostrato come si faceva ieri e me lo sono già scordata! Dov'è Ivan? Ho bisogno della sua memoria a lungo termine. Gabriel, puoi darci una mano?" 

La ragazza si voltò verso l'inglese quasi con aria speranzosa, ma Gabriel si limitò a sorridere mentre continuava a scrivere sul suo quaderno come se nulla fosse, osservando i due seduti sul divano quasi con aria divertita:

"Scusa, ma preferisco godermi lo spettacolo ancora per un po'." 

"Ti ringrazio sentitamente... ma come accidenti si fa a mettere il volume in questa telequalcosa?" 

"Prova ad usare il teleromanzo!" 
"Grazie Emil, a questo ci ero arrivata... e poi non si chiamava telecomando?" 
"Dici? Non so, non ricordo di preciso..." 

Emil si accigliò leggermente, cercando di ricordare il nome corretto mentre Irina continuava a litigare con il telecomando, che aveva fin troppi tasti per i suoi gusti. 
Stava giusto pensando a cosa avrebbe detto suo padre nel vederla armeggiare con un oggetto puramente Babbana quando qualcuno fece il suo ingresso nella stanza, facendola sorridere di sollievo di conseguenza:

"Meno male... ci dai una mano, per favore? Anzi, dove ti eri cacciato?" 
"Ho fatto il giro del globo per portare a Cal un dannato dolcetto, ma sorvoliamo... ma non potevi chiedere a Gabriel?" 

"L'ho fatto."   Irina fulminò l'inglese con lo sguardo, parlando con un tono vagamente seccato mentre Ivan raggiungeva lei ed Emil e le sfilava il telecomando dalle mani, mentre Gabriel le sorrideva e sfoggiava un'espressione angelica:

"Ma Mr Galanteria preferisce divertirsi alle nostre spalle... come hai fatto!?"
"Beh... basta premere qui a dire il vero... Ma ti consiglio di non dire a Pawel che non sei riuscita a rimettere il volume alla TV con il telecomando, probabilmente ti prenderebbe in giro fino alla fine della competizione." 

"Me lo segno... anche se non letteralmente come fai tu. Ora, già che ci sei ci diresti come si va nella home?" 

Sia Irina che Emil sfoggiarono due larghi sorrisi mentre la ragazza porgeva nuovamente il telecomando ad Ivan, che annuì prima di prenderlo con l'aria di chi si è appena arreso:

"Io speravo di andare a fare una passeggiata, ma evidentemente oggi non è destino...
 Vada per la lezione di Babbanologia allora." 


                                                              *

"Ti posso chiedere una cosa?" 
"Certo... anche se visto che me lo hai chiesto penso di dovermi preoccupare." 

Eleanor inarcò un sopracciglio, continuando ad accarezzare distrattamente il pelo di Cinnamon mentre era stesa sul letto di Rebecca con l'amica accanto, con i piedi di una accanto alla testa dell'altra.

"Non devi rispondermi per forza, se non vuoi..." 
"Sì, devo preoccuparmi. Avanti, non girarci intorno." 

Eleanor sorrise appena, quasi riuscendo ad intuire che cosa stesse per chiederle Rebecca... la Serpeverde esitò per un attimo ma poi parlò di nuovo, ponendole finalmente la domanda che aveva in testa da tempo:

"Non mi hai mai detto... che cosa è successo per ridurre tua madre in quello stato?" 

"Mi chiedevo quando me l'avresti chiesto, in effetti." 

Eleanor puntò gli occhi neri sul soffitto della camera, continuando a grattare le orecchie di Cinnamon e esitando leggermente prima di rispondere, pensando a quando aveva pronunciato quelle parole ad alta voce l'ultima volta. 
Forse quella era, in effetti, la prima volta in cui lo diceva ad una persona che non fosse sua zia. 

"Non si è più ripresa da quando mio padre è morto. Sicuramente sarebbe stato un brutto colpo per chiunque, ma lei ne è uscita veramente distrutta... forse era troppo fragile." 

"Non usare il passato... è viva, no?" 
"In teoria sì, ma penso che se la vedessi cambieresti idea."

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Capitolo 16
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14 
 
Giovedì 25 Ottobre 


Sorrise, allungando le mani per prendere quel bellissimo, scintillante trofeo che aveva davanti agli occhi... stava per prenderlo ed esultare per la vittoria quando un rumore piuttosto fastidioso la riportò bruscamente alla realtà, facendole sollevare la testa di scatto. 

Rimase perfettamente immobile per qualche istante, cercando di capire dove si trovasse e cosa stesse succedendo prima di focalizzare la sua attenzione sul rumore, ricordandosi di essere a Vienna e in un costosissimo hotel... in effetti aveva appena sognato di vincere la competizione, ma qualcuno aveva interrotto la sua premiazione. 

Helene si voltò verso la finestra, fulminando la causa con lo sguardo: era vagamente tentata di non aprire la finestra e lasciare Piotr sul davanzale, ma il rapace la stava fissando con aria piuttosto contrariata e la padrona sospirò, alzandosi dal letto di controvoglia per raggiungere la finestra:

"Molte grazie per la delicatezza... ti pare il mondo di svegliare la tua adorata Elin il giorno del suo compleanno?" 

La rossa guardò il barbagianni planare verso la scrivania e appollaiarsi sulla sua sedia, limitandosi ad osservarla mentre aspettava che lei prendesse la lettera che le aveva portato, oltre al suo premio.

"Tieni, razza di materialista!"    Helene sbuffò, dandogli uno dei biscottini che teneva chiusi nella scatola di latta che, una volta associato il contenitore ai biscotti, Piotr aveva tentato varie volte di scoperchiare con il becco. 

Helene appoggiò la scatola sulla scrivania e slegò la lettera dalla zampa del barbagianni, sorridendo nel vedere la calligrafia di sua nonna. In realtà spesso e volentieri parlavano per telefono, ma la donna aveva preso l'abitudine di scriverle il giorno del suo compleanno invece di chiamarla. 

La ragazza sedette sulla sedia quasi senza rendersene conto, leggendo la lettera in fretta e furia e perdendo così di vista Piotr, che si tuffò allegramente sulla scatola e la fece così finire sul pavimento, disperdendo biscotti sul parquet. 

"PIOTR! Ma che fai, razza di ingordo... ti devo mettere a dieta quando torniamo ad Amsterdam!" 


                                                               *


Mezz'ora dopo Helene mise piede nel corridoio con un gran sorriso sulle labbra, di ottimo umore dopo aver letto la lettera di sua nonna e aver parlato al telefono con le amiche Babbane con cui viveva ad Amsterdam, Linnea e Marlies.

L'olandese fece per raggiungere le scale quando si voltò, sentendosi chiamare e sorridendo a Gae:

"Ciao turchina!" 
"Ciao... non chiamarmi così. Stavo per venire a bussare da te, ma vedo che sei già sveglia!" 
"Sì, mi ha svegliato Piotr, non preoccuparti." 

Helene fece spallucce mentre la belga si fermava davanti a lei, sorridendole leggermente:

"Beh, allora buon compleanno Elin... chissà quanto durerà il tuo buonumore oggi." 
"Moltissimo, se non riceverò nessuna lettera indesiderata." 

Helene roteò gli occhi, chiedendosi se i suoi genitori le avrebbero scritto come ogni anno invece di degnarsi di farsi vivi... ma il flusso di pensieri venne bruscamente interrotto quando la rossa strabuzzò gli occhi, rendendosi conto che Gae le si era avvicinata maggiormente e la stava abbracciando, in un certo senso.

"GAE? Mi stai abbracciando?" 
"Beh, almeno ci provo..." 

"Come sei carina, grazie!"   Helene sorrise e ricambiò la stretta in modo decisamente più energico rispetto all'amica, facendo comparire una lievissima smorfia sul voltò della ragazza... ma Gae si sforzò di restare immobile e di non allontanarsi, ripentendosi che era la sua migliore amica ed era il suo compleanno. Doveva pur sempre fare uno sforzo, di tanto in tanto. 

Probabilmente però Helene colse il suo lieve nervosismo e si affrettò a staccarsi, rivolgendole un sorriso prima di prenderla sottobraccio:

"Visto? Non è poi così difficile... coraggio, andiamo a fare colazione, pretendo una gigantesca fetta di Sacher." 

"Allora muoviamoci, con Emil nei dintorni non so se ne troverai tracce..." 


                                                                  *


Emil Bach continuava a guardarsi intorno, sentendo decisamente l'assenza di qualcuno. 
Era piuttosto strano, in effetti, che Rebecca ed Eleanor non fossero ancora scese per fare colazione... in effetti la seconda era piuttosto pigra e poco incline ad alzarsi prima delle 10, ma solitamente la prima la trascinava fuori dal letto fino al piano terra. 

"Gabriel, per caso hai visto Elly e Becky?" 
"No, non stamattina..." 

Gabriel scosse il capo mentre, seduto accanto al biondo, aspettava pazientemente che Gae ed Helene facessero la loro comparsa per fare gli auguri alla rossa... nel frattempo si era già sbafato un quintale di roba, ovviamente, insieme ad Emil, giusto per ammazzare il tempo.

"Strano. Magari Eleanor si è presa a letto..."

Emil si accigliò leggermente, immaginandosi l'amica che si riufiutava di alzarsi mentre Rebecca cercava di trascinarla fuori dal letto. 
Il ragazzo allungò distrattaemtenla mano per prrendere l'ennesimo biscotto quando sorrise, vedendo finalmente Eleanor avvicinarglisi:

"Buongiorno pulcino... hai dormito come al solito fino a tardi? E Rebecca che fine ha fatto?" 
"Per tua informazione questa mattina mi sono svegliata all'alba, ossia alle 8."
"Oh sì... alba." 
"Non fare commenti Gabriel, anche tu dormi sempre fino a tardi! Comunque sia... Rebecca è di sopra, non sta molto bene e le ho detto di restare a letto stamattina." 

Eleanor aveva appena preso posto quando Emil invece scattò in piedi, parlando frettolosamente:

"Becky sta male? Vado a vedere come sta... ma porto i biscotti con me per corromperla." 
Emil sorrise e prese il piatto pieno di cookies prima di avviarsi con la sua solita aria allegra verso l'uscita della sala, ignorando i tentativi di Eleanor di fermarlo e rivolgendo dei sentiti auguri ad Helene quando le passò accanto. In effetti lasciò momentaneamente i biscotti in mano a Gae per stritolare la rossa in un abbraccio, facendola quasi finire sul pavimento mentre la belga assisteva alla scena con quasi la pelle d'oca, chiedendosi cosa avrebbe fatto in una situazione simile... probabilmente avrebbe avuto direttamente un attacco di panico. 

"Grazie Emil." 

Helene sorrise al biondo mentre questi prendeva nuovamente i biscotti, sorridendo ad entrambe prima di superarle con aria rilassata, con l'olandese a seguirlo con lo sguardo:

"Sai, in un certo senso vi somigliate... anche tu sei sempre calmissima." 
"Già, ma io a differenza sua non amo stritolare a tradimento le persone... c'è Gabriel." 

Gae rivolse un cenno al ragazzo mentre Helene si voltava vera di lui, sorridendogli prima di avvicinarsi al tavolo:

"Ciao! ... ma te lo togli mai, quel berretto?" 
"No, quasi mai. Buon compleanno!" 

L'inglese sorrise e si alzò per abbracciarla mentre Gae si lasciava scivolare su una sedia, osservando l'amica di sottecchi e chiedendosi se non dovesse intercettare la lettera dei suoi genitori ed evitare di fargliela vedere... ogni anno bastava una semplice busta a renderla piuttosto scontrosa, e preferiva vederla di buon umore il giorno del suo compleanno. 

"Grazie... me lo presti?" 

Helene sciolse l'abbraccio e sfilò il berretto dalla testa di Gabriel prima di infilarselo, entro il ragazzo la osservava con aria critica:

"Non è il tuo colore, sta malissimo con i tuoi capelli..." 
"Tante grazie! Gae, provalo anche tu." 
"Non penso che con i capelli color turchese stia molto bene a dire il vero... ok, come vuoi." 

Gae sospirò e obbedì, guardando l'amica con aria scettica mentre Helene invece rise, guardandola con sincero affetto: 

"Ma che carina, sembri un Puffo!" 
"UN PUFFO? Me lo levo subito." 
"In senso buono ovviamente! Hai anche i capelli azzurri!" 

"Non metterò mai più un berretto in vita mia, ho capito. Tieni Gabriel, è tutto tuo." 


                                                         *


Rebecca sorrise con sincero sollievo, lieta di essere finalmente sola e senza un'apprensiva Eleanor che le saltellava intorno chiedendole come stesse ogni secondo che passava. In realtà la prospettiva di restare ore chiusa in una stanza non era molto allettante, ma almeno se ne sarebbe potuta stare in pace per un po'. 

Aveva appena sistemato i cuscini per stare più comoda quando la porta si spalancò, facendola voltare di scatto verso l'uscio della stanza e sgranando gli occhi nel trovarsi davanti un ragazzo biondo piuttosto familiare ed imponente:

"Emil? Che ci fai qui?" 
"Sono venuto a vedere come stai... ti ho anche portato dei biscotti." 

Emil sorrise, lanciando al contempo un'occhiata al pavimento intorno al letto per assicurarsi che le ciabatte non fossero a portata di mano della ragazza, che lo osservò con tanto d'occhio avvicinarsi al letto e lasciare il vassoio sul comodino prima di sedersi sulla sedia che, fino a poco prima, aveva occupato Eleanor. 

"Grazie... ti manda Elly per caso?" 
"No, sono venuto per conto mio. Non preoccuparti Becky, sono bravissimo a prendermi cura delle persone." 

Emil sorrise allegramente e Rebecca annuì, osservandolo con aria pensierosa mentre si metteva a sedere sul letto:

"Sì, in effetti ho un vago ricordo di te che gironzoli per l'Infermeria stressando Madama Chips..." 
"Già, alla fine l'ho esaurita a tal punto che mi ha praticamente assunto come suo assistente... rilassati, ora ci penso io a te." 
"Mai stata così rilassata in vita mia... a cosa sono quei biscotti?" 
"Cioccolato." 

"In tal caso, sei ammesso." 


                                                                *


"Sai che ti dico? Potrei prendere in considerazione l'idea di piantare le tende qui... chi non vorrebbe vivere in un posto così?" 

Cal sorrise, facendo vagare lo sguardo sull'enorme stanza sotterranea che ospitava la magnifica piscina, chiedendosi se dopo quell'esperienza le sarebbe più capitato di alloggiare in un posto simile... no, probabilmente no. 
Ergo, era piuttosto decisa a godersi quell'occasione, usufruendo della piscina e dell'idromassaggio coperti. 

"Solo un pazzo... di sopra c'è persino una stanza dove fanno i massaggi. Anche se non fanno per me, mi sono quasi addormentato quando ci ho provato." 

"Questo perché tu sei una specie di iperattivo che ama fare cose come correre, stare all'aria aperta... bleah. Meglio una bella piscina coperta! Si sta molto meglio qui dentro che fuori, la temperatura è praticamente calata a picco di recente." 

Ivan, seduto sulla sdraio accanto a lei, si strinse nelle spalle come se per lui non facesse alcuna differenza, abituato com'era a temperature effettivamente molto basse. 

"Se non altro il freddo comporta una Cal normale e rilassata... o almeno, quanto più normale possibile trattandosi di te." 

Ivan sorrise all'amica, guadagnandosi un'occhiata torva mentre la bionda allungava una mano per prendere il bicchiere colmo di succo... in realtà aveva cercato tracce di succo di zucca per tutto l'hotel, ma alla fine si era dovuta arrendere all'idea che i Babbani non lo bevessero... poco male, si sarebbe accontentata di banale succo d'arancia.

"Simpatico come sempre. Io sono normalissima! Ho solo qualche problema con il clima... ma abbiamo tutti le nostre stranezze, no?" 
"Può essere. La mia qual è?" 
"Tu ti svegli prestissimo ogni giorno per andare a correre al freddo e ti vesti leggerissimo quando fanno 10 gradi... ti basta come risposta?" 

"A casa mia fa molto più freddo Cal, quante volte devo ripeterlo?" 

Ivan sbuffò prima di lanciare un'occhiata all'orologio, alzandosi mentre s'infilava nuovamente la camicia e lanciava all'amica la sua:

"Coraggio, andiamo... dobbiamo ancora provare il Rondò alla Turca a quattro mani, e tu continui a pestarmi i piedi." 
"Non è colpa mia, non lo faccio apposta... scambio i tuoi piedi con i pedali." 

Cal sfoggiò un sorriso angelico mentre si alzava a sua volta dalla sdraio, lanciando un'occhiata malinconica alla piscina turchese dove moriva dalla voglia di tuffarsi. 

"Certo, lo immagino. Andiamo Jordan, muoviti." 
"Ma voglio fare un ultimo tuffo!" 

"Bene, allora ci vediamo di sopra." 

Ivan roteò gli occhi grigi prima di girare sui tacchi per uscire dalla piscina, ma Cal lo seguì e sorrise prima di dargli una leggera spinta, facendolo finire dritto in piscina. 

"Ops... scusa, sono scivolata sul pavimento bagnato." 

Ivan riemerse e si passò una mano tra i capelli chiari per allontanarli dagli occhi, fulminandola con lo sguardo mentre la bionda ridacchiava e si allontanava, camminando sul marmo verso l'uscita.

"Non volevi fare un ultimo tuffo?" 
"Ho cambiato idea, credo che assistere al tuo mi sia bastato." 


                                                         *


Helene, che aveva iniziato a pregare mentalmente già quando era uscita dalla sala da pranzo dopo colazione, si alzò in punta di piedi per sbirciare la prima fila di poltroncine, pregando di non vedere una determinata persona. 

Scorse Christina e Jarrod seduti vicini e intenti a parlare a bassa voce, mentre lui sembrava accennare a qualcosa che teneva in mano... ma accanto a loro non c'era traccia del direttore d'orchestra.
Un moto di sollievo invase l'olandese, che sollevò lo sguardo sulla pedana, pregando di non vederlo... quando si rese conto che c'erano solo Pawel, Cal, Irina ed Eleanor impegnati a sistemare gli strumenti e i leggii, si trattenne dall'iniziale a saltare a metro metro da terra lanciando coriandoli. 

Sembrava che, per una volta, qualcosa le fosse andato per il verso giusto.

"Non ci credo... NON C'È! Per una volta sono stata fortunata, miracolo!" 

Helene si voltò verso Gabriel e Gae con un sorriso a trentadue denti, ignorando le loro espressioni perplesse prima di avvicinarsi all'amica e stritolarla in un abbraccio, facendo irrigidire Gae come il tronco di un albero:

"Elin..." 

"Oh scusa, me n'ero scordata. Allora abbraccio Gabry!" 

Helene mollò la presa sull'amica e, senza smettere di sorridere con sincero sollievo, abbracciò il ragazzo che la guardò con espressione confusa:

"Come mi hai chiamato?" 


Intanto Ivan, che era appena entrato nella sala, superò il trio quasi di corsa, passandosi nervosamente una mano tra i capelli biondi piuttosto umidi e lanciando un'occhiata perplessa ai tre, chiedendosi perché sembrasse che in quell'hotel sembrassero tutti fissati con gli abbracci... bastava pensare ad Emil e alla sua mania di stritolare il prossimo senza motivo, ridacchiando e trovando particolarmente divertente le reazioni perplesse o irritate a seconda dei vasi. 

Il ragazzo scosse il capo, dicendosi che ci avrebbe pensato più tardi mente si avvicinava alla pedana, salendo i gradini frettolosamente e affrettandosi a prendere posto tra Irina e Pawel.

"Ah, eccoti qui... ho chiesto a Cal dove fossi, ma mi risposto in modo strano... come mai hai i capelli bagnati?" 

Irina si accigliò leggermente, allungando una mano per sfiorare i capelli del ragazzo mentre Ivan sbuffava, tirando fuori la bacchetta e asciugandosi i capelli:

"Perché la mia migliore amica ha un pessimo senso dell'umorismo." 
"Ti ha buttato in piscina? Peccato, per una volta che avrei trovato un'idea di Jordan buona me la sono persa..." 

Pawel scosse il capo, parlando con un tono sinceramente dispiaciuto che gli fece guadagnare un'occhiata torva da parte dell'amico, mentre Cal passò accanto al trio per andare a sedersi con un sorriso sulle labbra:

"Che dici Ivan, il mio senso dell'humor è ottimo. Persino Pawel lo pensa, per una volta... il che é tutto dire." 

"Penso ancora che tu sia una gran rompiscatole Jordan, non farti strane idee." 

Cal sorrise al polacco come a volergli dire che la cosa era perfettamente reciproca mentre Irina si limitava a sospirare, sentendo più che mai la mancanza di Maya e della sua capacità di tenere Pawel sotto controllo. 

"Credo che quando tutto questo sarà finito non sopporterò più nessuno dei due..." 

Al borbottio di Ivan Irina annuì, come a volergli dire che era d'accordo e che lo capiva mentre Jarrod si era alzato, piazzandosi davanti alla pedana e facendo vagare lo sguardo sui ragazzi con aria confusa:

"Dove sono finiti i violinisti?" 

"Qui." 

Gabriel sorrise, sollevando leggermente una mano per attirare l'attenzione del violinista mentre Pawel, seduto davanti a lui, faceva lo stesso.

"Dove sono Bach e Crawley?' 
"Rebecca non sta molto bene signore..." 


La voce di Eleanor giunse quasi timidamente alle orecchie di Jarrod, che inarcò un sopracciglio e parlò di nuovo:

"E Bach?" 

"Ehm..." Eleanor lanciò un'occhiata incerta in direzione di Gabriel, come se non sapesse cosa rispondere a quella domanda... ma per fortuna ci pensò il ragazzo, che abbozzò un sorriso mentre si voltava nuovamente verso l'esaminatore:

"Diciamo che le fa assistenza medica." 

"Capisco... beh, per vostra fortuna oggi Koller deve dirigere a Innsbruck, quindi ci siamo solo io e Tina... e siamo molto meno pignoli di lui. Ora, archi davanti e fiati dietro, voglio sentire il Valzer di Strauss... oggi suonerete insieme." 


                                                          *


"Ma non puoi buttare quella carta!" 
"Come sarebbe a dire?" 

"Quello è un nove, tu avevi un sei... se sono diverse non puoi calare la carta di un altro colore." 
"Ok, va bene... allora eccoti un bel nove." 

Emil sorrise, posando sul mucchio una carta blu e facendo così sbuffare leggermente Rebecca, che calò subito dopo un'altra carta:

"Non provarci, a cambiare colore... rosso." 
"Ah si? Beccati questa allora. Blu." 

Emil sorrise con aria divertita di fronte allo stupore della ragazza, che alzò lo sguardo su di lui prima di parlare con un tono piuttosto amareggiato:

"Mi vuoi far pescare quattro carte?" 
"Esattamente... scusa." 

"No, scusami tu. Rosso, di nuovo." 

Rebecca sfoggiò lo stesso sorriso angelico del ragazzo mentre calava la sua stessa carta, facendogli sgranare gli occhi chiari con orrore:

"Come? Devo pescare otto carte?" 
"Esattamente... scusa." 

"Questo gioco comincia a non piacermi poi molto... i Babbani si divertono davvero così?" 
"A quanto pare... me l'ha insegnato Elly ieri. Ma se vuoi possiamo sempre giocare a scacchi... dopo che avrò vinto, certo." 

Rebecca sorrise mentre Emil sbuffava, pescando una ad una le otto carte che gli spettavano dal mucchio e ritrovandosi così con più di 15 carte in mano, che guardò con aria malinconica:

"Come faccio a liberarmi di tutte queste carte? Sei stata perfida." 
"Sei tu che hai piantato le tende qui per tenermi compagnia e mi hai chiesto di insegnarti a giocare a carte, no? E a me piace molto vincere." 

"Si, me ne sono accorto... tieni, pesca due carte." 


                                                               *


"Helene, si può sapere perché sorridi in quel modo? Mi fa piacere vederti così allegra, ma stai cominciando a somigliare allo Stregatto..." 
"Forse ha bevuto qualcosa di alcolico a colazione e non ce ne siamo accorti..." 

Gabriel inarcò un sopracciglio, voltandosi verso la flautista e lanciandole un'occhiata sospettosa mentre la rossa sbuffava, cercando nel raccoglitore lo spartito della Sinfonia nº 5 di Beethoven.

"Smettetela di borbottare... quando sono scorbutica non va bene, quando sorrido neanche... che cosa devo fare allora? Sono solo stupita della mia sfacciata fortuna, chi l'avrebbe detto?" 

"Attenta, potrebbe comparire da un momento all'altro." 

Gabriel le sorrise prima di voltarsi nuovamente, sistemandosi il violino sulla spalla mentre Helene sfoggiava una smorfia, rabbrividendo alla sola idea e dicendosi di non pensarci.

La giornata era andata, fino a quel momento, incredibilmente bene... ci mancava solo che Alexander comparisse dal nulla per rovinargliela.


"Se avete finito di fare salotto potremmo iniziare, signori... in do minore, prego." 


                                                             *


"È per me? Oh, non dovevi..." 

Ivan bloccò la mano che reggeva la forchetta a mezz'aria al sentire quella voce, prima che il piatto che aveva davanti sparisse insieme alla forchetta, portandosi così via la sua preziosa fetta di Sacher. 

"Ehy! Ma non puoi ordinartene una?" 

Ivan si voltò verso Cal, che gli sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi, limitandosi a sostenere che doveva consideralo un risarcimento per tutte le brioche si che le aveva rubati da sotto al naso da quando erano a Vienna. 

"Grandioso... forse dovrei cominciare a mangiare sempre in camera." 

Il russo sbuffò mentre si rimetteva dritto sulla sedia e Irina ridacchiava accanto a lui, facendo un cenno al cameriere più vicino perché portasse al ragazzo un'altra fetta di torta. 

"No, ti prego, mi priveresti di tutto il divertimento." 
"Non del piacere della mia compagnia?" 

"Anche... ma sopratutto del divertimento." 


Irina sorrise prima di spostare, per un momento, lo sguardo su Pawel. Il polacco era seduto a qualche tavolo di distanza, impegnato a leggere una delle diverse lettere che gli erano arrivate. 

"Juraszek riceve moltissima posta, o sbaglio?" 
"Sì... è piuttosto legato alla sua famiglia e ai suoi fratelli. E poi ovviamente ci sono Veronika e Maya." 

Ivan si strinse nelle spalle, tamburellando con le dita sul tavolo mentre riportava lo sguardo sulla ragazza che gli stava di fronte, abbozzando un sorriso:

"Sai, in fin dei conti non è come sembra... certo, è incredibilmente pignolo, ma non è così pieno di sè, credo che in realtà si sia sempre sentito un po' inferiore rispetto ai suoi brillanti fratelli maggiori, nonostante gli sia molto affezionato." 

"Anche io ho due fratelli più grandi... tu ne hai?" 
"Ho un fratello maggiore, sì." 

"Credo di non averti mai visto scrivere una lettera o riceverne una da quando siamo qui." 
"Non amo scrivere. E io e mio fratello non ci parliamo spesso." 

Irina inclinò leggermente il capo, studiandolo con attenzione prima di parlare di nuovo, sorridendo con amarezza:

"Mia madre mi scrive di tanto in tanto da quando sono qui... vuole tenersi aggiornata su come vanno le cose. Credo che sarebbe molto più felice di me se dovessi vincere... è stata lei a farmi iniziare a suonare." 
"Io ho iniziato con mio padre." 


Ivan si voltò di nuovo verso Pawel mentre si rigirava l'anello d'argento che portava ormai da anni, guardandolo leggere quelle lettere e provando a pensare all'ultima volta in cui si era ritrovato in quella stessa situazione. Molto tempo prima, in effetti. 

Suo fratello gli scriveva in realtà, di tanto in tanto... ma più che per chiedergli come stesse lo faceva per questioni burocratiche o economiche, spesso riguardanti la madre.


"Non è strano il modo in cui ci facciamo condizionare dalle nostre famiglie? Maya non sopporta i suoi genitori, che da sempre sono scettici sulla sua passione per la musica, che quasi non si parlano da anni... mentre sua madre la fa sentire perennemente inadeguata e suo padre la prende in considerazione solo quando c'è un successo da festeggiare. Pawel si sente inferiore rispetto ai suoi fratelli da quanto dici, e io sono qui perché mia madre mi ha fatto iniziare a suonare... e perché ho preferito filarmela piuttosto che affrontare quello che la mia famiglia ha scelto per me." 

"Se proprio devi fare una lista, Cal non ammetterebbe mai di avere un gran bisogno delle persone essendo cresciuta quasi da sola. Non conosce suo padre e sua madre non si è presa molto cura di lei... è convinta di poter fare tutto da sola, ma non è così. E Pawel infondo ha una gran paura di deludere le persone che tengono a lui, per questo non sopporta di sbagliare." 

"Quanta allegria racchiusa sotto lo stesso tetto... tu invece? Quale condanna ti ha inflitto la tua famiglia?" 

"Non saprei. Nessuna, spero." 


                                                             *


"È arrivata questa per te." 

Helene alzò lo sguardo e sorrise debolmente a Gabriel per ringraziarlo, prendendo la lettera che il ragazzo le porgeva e leggendo il nome del mittente con un nodo in gola, intuendo di chi si trattasse.

La ragazza sbuffò leggermente e lasciò la busta sul tavolino accanto alla poltrona dove si era seduta, mentre Gabriel prendeva posto di fronte a lei e la guardava con leggero stupire:

"Non la leggi?" 
"Me la mandano Willem e Susanna." 

Helene iniziò ad attorcigliarsi nervosamente una ciocca di capelli intorno ad un dito, senza accorgersi subito dell'espressione confusa di Gabriel. Quando se ne rese conto sospirò, facendo un lieve gesto con la mano prima di spiegarsi: era abituata a parlarne con Gae o con le sue amiche che già conoscevano la storia.

"I miei genitori." 
"Ah... li chiami per nome?" 

"Sì, in genere sì." 

Helene annuì, puntando lo sguardo su un punto indefinito del tappeto mentre Gabriel esitava prima di parlare a sua volta, fissando distrattamente un punto della finestra della grande sala:

"Sai... nemmeno io vado molto d'accordo con i miei genitori. O almeno, non con mio padre." 
"Come mai?" 

"I miei genitori sono Babbani. Mia madre è sempre stata piuttosto affascinata da me, da quello che so fare, dal mio mondo... ma non mio padre. Molti maghi accusano alcuni di noi per discriminazione contro i Babbani, ma credo che si stupirebbero di come possa accadere anche il contrario." 

"Tuo padre non accetta che tu sia un mago?" 
"No, non l'ha mai fatto... e non si impegna neanche a nasconderlo. È una persona piuttosto rigida, precisa, non sopporta che le sue idee non vengano accolte, che le sue regole non vengano rispettate. È abituato che tutti lo ascoltino e rispettino le sue regole, e sfortunatamente il suo unico figlio è molto diverso da lui... Disprezza il mio carattere estroverso, sognatore e un po' sulle nuvole, oltre al fatto che io sia... diverso da come si aspettava, in tutti i sensi." 

Gabriel sfoggiò un lieve sorriso, quasi tetro mentre si stringeva nelle spalle, ripensando a tutte le discussioni che aveva avuto con suo padre in passato... e anche sua madre, prima che Theresa prendesse il figlio e se ne andasse, sotto sollecitazione da parte del marito stesso. 

"Mi dispiace. I miei genitori sono magizoologhi, viaggiano perennemente da anni e io sono cresciuta con mia nonna. Lei è Babbana e mi ha cresciuta quasi come se fossi tale... ho davvero realizzato di essere una strega solo ad undici anni ma ancora oggi mi sembra quasi di essere divisa in due, buona parte della mia vita è legata al mondo Babbano." 

Helene abbassò lo sguardo sulla lettera dei suoi genitori, chiedendosi se quell'anno l'avrebbe aperta... solitamente finiva dritta nel cestino o nel caminetto a seconda dei così, e anche se Gae spesso le dicesse di almeno provare ad aprirle, era piuttosto sicura che non l'avrebbe fatto neanche quell'anno. 

Ogni tanto le capitava di chiedersi che cosa sarebbe successo se mai le fosse capitato di incrociare i suoi genitori in strada, su un marciapiede... l'avrebbero riconosciuta, almeno? Forse lei non avrebbe neanche fatto caso a loro, in effetti. 


"Beh... a volte le persone fanno davvero scelte pessime. Sia maghi che Babbani." 


                                                        *


Eleanor si chiuse la porta della sua camera alle spalle, lanciando un'occhiata alla porta bianca che collegava la sua stanza a quella di Rebecca, trovandola chiusa. 
Sentì distintamente la voce dell'amica, unita a quella di Emil... in effetti non si stupì per nulla, quando mai quei due stavano in silenzio?


L'ex Tassorosso si avvicinò alla porta e l'aprì leggermente, sorridendo nel vedere i due impegnati a giocare a scacchi sul letto di Rebecca, lui seduto su una sedia e lei sul materasso, sotto le coperte e con una tazza di thè in mano. 

"Ma Rebecca, non puoi andare a marcia indietro con la Torre!" 
"Dannazione, confondo sempre le mosse... oh, ciao Elly." 

"Ciao... Emil, sei ancora qui?" 

Eleanor sorrise e si avvicinò ai due, superando Cinnamon che era rannicchiata nella sua cuccia e stava masticando una pantofola 

"Certo, potevo forse lasciare Becky da sola? Avrebbe sentito indubbiamente la mia mancanza." 
"Beh..." 

Rebecca interruppe la frase sul nascere, sorridendo debolmente quando Emil si voltò di nuovo verso di lei con un sopracciglio inarcato. 
Il Tassorosso si trattenne dal far notare che riusciva chiaramente a vedere quanto 
 in realtà la sua presenza le faceva piacere visto il considerevole buon umore di Rebecca. 

"Scherzavo! Ho stracciato Bach a carte prima, vediamo ora con gli scacchi..." 
"Sciocchezze, ti ho fatto vincere perché sono un gentiluomo." 
"Non ci credo minimamente." 

"Io non mi pronuncio... ma c'è per caso del thè anche per me?" 
"Certo Elly, ne ho fatto a litri... non per vantarmi, ma sono bravissimo a fare il thè. Oltre che a consolare le persone, dare abbracci, coccolare gli animali e fare da infermiere." 

"In pratica, sei perfetto." 

Rebecca passò una tazza all'amica senza battere ciglio, osservando il ragazzo e guardandolo annuire, ignorando deliberatamente il suo tono sarcastico:

"Quasi Becky, ora non esagerare con i complimenti... se sapessi cosa vuol dire essere in imbarazzo, arrossirei." 
"Sul fatto che tu non conosca l'imbarazzo siamo tutti d'accordo... ma stavo scherzando!" 

"Certo, certo..." 






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Capitolo 17
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15 
 
Mercoledì 31 Ottobre, 2:00 


Si socchiuse la porta alle spalle, camminando in punta di piedi fino al letto e preparandosi al fiume di parolacce che, probabilmente, stava per investirla.

"Becky?"

Eleanor scrollò leggermente la spalla dell'amica, che si limitò a sbuffare e a girarsi dall'altra parte. La Tassorosso però non demorse e la chiamò di nuovo, scrollandola con maggior veemenza e facendo finalmente voltare l'amica verso di sè: Rebecca borbottò qualcosa di incomprensibile prima di sollevare con un gesto secco la mascherina che teneva gli occhi, fulminandola con lo sguardo:

"CHE C'È?" 
"Ehm... ho bisogno del tuo aiuto." 
"Sono le due, che cosa diamine devi fare a quest'ora?" 
"Credo che dovresti venire fuori..." 


Eleanor sfoggiò un sorriso tirato e Rebecca sospirò, alzandosi dal letto scalciando le coperte e infilandosi le ciabatte prima di seguirla fuori dalla sua camera:

"Ok, arrivo. Ma spero vivamente per te che sia qualcosa di grave!"


Pochi minuti dopo le due stavano percorrendo il corridoio a ritroso, mentre Eleanor teneva con una mano la bacchetta per fare un po' di luce mentre al contempo sorreggeva, con fatica, un Gabriel che non la smetteva di parlare. 

"Ma si può sapere come lo hai trovato?" 
"Mi sono svegliata e mi è sembrato di sentire un rumore, l'ho trovato in corridoio... era inciampato su un tavolino."
"Grandioso. Ma se non sta zitto ti giuro che lo Schianto... Gabriel, piantala di parlare!" 

Rebecca sbuffò, fulminando il ragazzo con lo sguardo e intimandogli di fare silenzio senza risultati, visto che Gabriel continuava a blaterare sconnessamente.

"Posso dargli un colpo in testa, secondo te?" 
"Meglio di no, domattina si sveglierà comunque con un mal di testa atroce.. meglio non mettere il dito nella piaga. Ok, qual è la sua camera?" 
"Lo chiedi a me? Gabriel, il numero della tua camera?" 

"Non mi hai appena detto di stare zitto?" 
"Hai ragione, dimmi il numero e poi starai zitto. Coraggio... la mia schiena si sta per spezzare in due. Ma dov'è Bach quando serve? Non potevi svegliare lui?" 

Eleanor sfoggiò un sorriso carico di scuse mentre Gabriel faceva vagare lo sguardo sul corridoio con aria vaga prima di borbottare un numero. E a quel punto entrambe pregarono che fosse quello giusto e di non capitare in camera di chissà chi. 

"Ok, andiamo allora... hai un alito che spaventa Undersee, ma perché devi bere così tanto? E sei stato di sotto fino ad ora?" 
"Mi sono addormentato su un divano e mi sono svegliato mezz'ora fa, sono tornato di sopra, ma non vedevo niente..." 
"E usare la magia per fare luce no, vero?" 
"Temo di aver lasciato la bacchetta in camera..." 

Rebecca roteò gli occhi e borbottò qualcosa come "e meno male che è Corvonero" mentre lo trascinava verso la porta giusta e Eleanor chiedeva gentilmente al ragazzo se avesse la chiave della stanza. 

"Tieni." Gabriel porse la tessera alla Tassorosso, che gli sorrise prima di aprire la porta ed entrare nella stanza, con Rebecca che sospirò di sollievo mentre lo faceva scivolare sul suo letto:

"Finalmente... bene, leviamogli le scarpe e poi ce ne torniamo a letto." 
"Forse dovremmo assicurarci che stia bene..." 
"Sto benissimo." 

Gabriel sbuffò, seppellendo la faccia nel cuscino e borbottando qualcosa di poco comprensibile mentre Eleanor lo guardava con espressione dubbiosa:

"Non ne sono poi così sicura... Coraggio, almeno togliti gli occhiali." 

Eleanor si avvicinò al ragazzo per rivoltarlo e sfilargli gli occhiali neri, sospirando quando si rese conto che si era già addormentato.

"Beh, almeno lui dorme... domani mattina tornerò a vedere come sta." 
"Spero solo che non ci sia un altro idiota che barcolla per l'hotel! E meno male che lo hai trovato, stava andando dritto verso gli alloggi degli esaminatori... volevo proprio vederla, la faccia di Koller svegliato a quest'ora da uno dei suoi ragazzi, specialmente se ubriaco." 


                                                                  *


La scrivania non era mai stata carica di lettere come quella mattina, probabilmente, da quando era arrivata a Vienna. 
Irina però, seduta sulla sedia di fronte al mobile, si limitò a frugare nel mucchio per cercare le poche che davvero le interessavano. 

Quando individuò la scrittura di Maya un sorriso le illuminò il volto, allungando una mano per prendere la busta e rompere la ceralacca con un gesto secco per leggere la lettera. 

Certo, aveva ricevuto frotte di lettere e regali da parte della sua famiglia, dai suoi genitori e dai suoi fratelli... ma quelle le avrebbe lette dopo, probabilmente. Di tutto quel mucchio, erano poche le lettere ad interessarle veramente. 


                                                               *


"Mi è sembrato di sentire delle voci in corridoio, ieri notte... voi ne sapete qualcosa?" 

Emil prese posto accanto ad Eleanor, che si limitò ad annuire:

"Diciamo che abbiamo dato una mano a Gabriel..." 
"Già. Sei andata a vedere come sta?" 
"Sì, prima di scendere. Non è al massimo della forma, probabilmente. Ma se ci pensi è un bene che si sia messo a bere sul tardi quando quasi tutti erano già saliti, altrimenti si sarebbe messo a provarci con tutte le ospiti dell'hotel!" 

"Sarebbe stato comico, però..." 

Rebecca si accigliò leggermente, immaginandosi la scena mentre anche Emil sorrideva, annuendo con gli occhi chiari luccicanti di divertimento:

"Pensate se si fosse messo a fare avances a Christina..." 
"O a Koller, meglio ancora!" 

Il Tassorosso e la Serpeverde iniziarono a ridacchiare, tornando però seri di fronte all'occhiata torva che rivolse loro Eleanor, che sbuffò prima di prendere la sua tazza:

"Non siete divertenti." 
"Dici? Secondo me invece lo siamo... tu che ne pensi, Emil?" 
"Sì, sono d'accordo."   Emil annuì e sorrise allegramente in direzione dell'ex compagna di Casa, che invece roteò gli occhi: 

"Sto cominciando a rendermi conto che voi due insieme potreste essere veramente un pericolo pubblico. E pensare che ho cercato di farvi diventare amici per anni, se doveste diventare pappa e ciccia forse dovrei migrare in un altro Paese." 

"Secondo te era un complimento o un insulto?" 
"Onestamente non saprei." 


                                                                  *


Smise di correre quando si fermò accanto ad una delle panchine che costeggiavano le ringhiere a cui i turisti si appoggiavano per fotografare il Danubio, mettendo una mano sullo schienale lucido e recentemente verniciato della panchina scura mentre regolarizzava il respiro, passandosi istintivamente una mano tra i capelli mossi. 

Ivan deglutì, esitando prima di iniziare a camminare, facendo vagare lo sguardo sulla strada praticamente deserta. Erano appena le 8 e il periodo per niente turistico, non c'era da stupirsi che non ci fosse praticamente anima viva in giro, se non qualche macchina che gli sfrecciava accanto. 

Con uno sbuffo prese il bavero della maglietta e lo tirò nervosamente, pensando con leggero divertimento a quello che avrebbe detto una bionda di sua conoscenza in quel momento se lo avesse visto in quelle condizioni: molto probabilmente Cal avrebbe iniziato a rimproveralo, infilandogli a forza un maglione e sostenendo che prima o poi si sarebbe preso una broncopolmonite a furia di sudare e di prendere freddo subito dopo. 

Poco male, a lui il freddo era sempre stato indifferente... anzi, per lui in quel periodo a Vienna la temperatura non era certo poi così bassa. 

Il ragazzo si incamminò per tornare all'Hotel e fare colazione, continuando a camminare accanto alla fila deserta di panchine mentre lanciava un'occhiata al cielo, trovandolo più grigio che mai. 


Percorreva la stessa strada da due mesi e ormai camminava quasi con movimenti automatici, ma il ragazzo si fermò piuttosto bruscamente quando i suoi occhi chiari si catalizzarono sull'unica figura che aveva preso posto su una delle panchine. 

C'era un ragazzo biondo seduto qualche metro davanti a lui, indossava una giacca scura e teneva gli occhi fissi davanti a sè, sul fiume, la schiena leggermente piegata in avanti e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. 
Come se stesse riflettendo... Ivan lo sapeva per certo. Quante volte lo aveva visto fermo in quella posizione?


Esitò, ma poi si mosse per raggiungerlo, lo stupore che aumentava ad ogni passo. Possibile che si stesse sbagliando? 
Quell’idea però lo abbandonò ben presto, più si avvicinava e più si rendeva conto di non essere affatto in torto... per una volta però non gli sarebbe dispiaciuto affatto non avere ragione. 

"Che cosa ci fai qui?" 

Ivan si fermò accanto alla panchina mentre il ragazzo sollevava lo sguardo su di lui, sorridendogli con una punta d'ironia:

"Anche per me è un piacere vederti, fratellino... sono venuto a fare il turista." 
"Dico sul serio... che cosa vuoi?" 

Ivan contrasse la mascella studiando il profilo del fratello maggiore quasi con odio mentre Dimitri sbuffava, sfilandosi qualcosa dalla tasca interna della giacca:

"Come sei suscettibile Ivan... credimi, avrei fatto a meno di venire, ma ho bisogno che tu faccia un paio di firme." 
Ivan allungò una mano e prese i fogli che il fratello gli porgeva, lanciandogli un'occhiata vagamente scettica:

"Come mi hai trovato, comunque?" 
"Sono andato all'Hotel e ho incrociato la tua amica... Cal, vero? Mi ha detto che eri andato a correre. Avrei dovuto aspettarmelo in effetti, ma avevo quasi scordato questa tua mania." 


Ivan non rispose e lesse rapidamente le prime righe del documento che il fratello gli aveva portato, sbuffando sommessamente:

"Non puoi firmare tu? Ho altro a cui pensare qui." 
"Pensi che io non abbia niente da fare, Ivan? Se potessi firmare io l'avrei fatto e non sarei certo venuto in Austria... ma sai come funziona, hai tu la procura durevole sulle questioni di salute e benessere. Ergo, solo tu puoi firmare perché i documenti siano validi." 

"D'accordo, allora... ripassa stasera e li avrai firmati, ok? Prima voglio leggere con calma." 

Ivan ripiegò nervosamente i fogli, avendo quasi timore di leggerli da cima a fondo mentre Dimitri annuiva, restando seduto sulla panchina prima di sfoggiare un debole sorrisetto:

"D'accordo. Mi offrirai la cena in quel posto da ricchi sfondati?" 
"Al massimo userei la pessima cucina austriaca per provocarti un'intossicazione alimentare. Se venire qui ti ha scomodato tanto non potevi spedirmi tutto via posta come facciamo di solito?" 
"Disgraziatamente hanno mandato tutto al tuo indirizzo, non sapevano certo che fossi qui... non ricevendo risposta hanno contattato me, pare che sia abbastanza urgente. E sappiamo entrambi che scrivendoti avresti potuto benissimo ignorare la mia lettera." 

"Come sei perspicace. Ci vediamo alle 6. E non farmi aspettare come tuo solito."
"D'accordo fratellino... ci vediamo dopo." 

Ivan si allontanò a passo svelto, udendo a malapena le parole del fratello che lo seguì brevemente con lo sguardo prima di sorridere, scuotendo leggermente il capo mentre riportava lo sguardo sul Danubio che scorreva davanti a lui. 


                                                               *

"Ehy! Buon compleanno!" 

Irina si voltò, sorridendo a Cal mentre la bionda prendeva posto accanto a lei, ricambiando il sorriso.

"Grazie. È strano festeggiare in un contesto così insolito, ma forse non mi dispiace avere respiro dalla mia famiglia, per una volta... anche se mi hanno scritto frotte di lettere, certo." 

"Tra poco ci sarà anche il compleanno di Ivan... anche se, conoscendolo, non ne farà parola neanche una volta e preferirebbe che nessuno se ne ricordasse."
"Non gli piace festeggiare?" 
"Non molto... non ama stare sotto i riflettori. Credo che non vada ad una di quelle feste da Purosangue dai tempi della scuola, in effetti." 

Cal fece spallucce mentre si sporgeva per prendere la marmellata, guardandosi comunque intorno per cercare tracce del suo amico: quando aveva visto Dimitri nella hall aveva pensato di essere nel pieno di un'allucinazione... da quanto non vedeva il fratello di Ivan? Probabilmente da quando si era diplomato... aveva solo un anno più di lei, quindi aveva avuto modo di conoscere anche lui oltre che il fratello minore... e sapeva quanto poco si sopportassero.

Perciò se Dimitri era lì, a Vienna, non era certo per salutare suo fratello... doveva esserci un motivo ben preciso. 
Cal si stampò un gran sorriso sulla faccia quando intravide finalmente l'amico, rivolgendogli un cenno con la mano e invitandoli ad avvicinarsi:

"Parli del lupo e spunta la coda... ciao, maratoneta. Fai colazione con noi?"

Cal studiò con attenzione il volto del ragazzo mentre Ivan si avvicinava alle due, restando perfettamente impassibile... non era un buon segno conoscendolo, proprio per niente. 
"Ciao ragazze... veramente non ho molta fame, credo che andrò di sopra. Ma buon compleanno, Irina." 

Ivan si sforzò di sorridere, chinandosi leggermente per dare un bacio sulla guancia della rossa mentre Cal sbuffava, fulminandolo con lo sguardo:

"Non puoi non fare colazione proprio oggi... non fare l'orso e siediti! Anzi, vai a lavarti, puzzi come una capra di montagna... ma poi torna qui." 
"Va bene, mamma." 

Ivan sbuffò, roteando gli occhi prima di allontanarsi mentre Irina ridacchiava e Cal gli raccomandava di darsi una mossa e di non metterci un'eternità.

"Fate così da sempre? Siete molto carini." 
"Infondo mi adora, lo so per certo... è il primo a prendermi in giro, ma c'è sempre per me, più di chiunque altro. In realtà è piuttosto dolce, ma non dirgli che l'ho detto, ho una reputazione da difendere." 

Cal si strinse nelle spalle e Irina sorrise, provando quasi una punta di invidia per il rapporto che i due avevano. Cal era molto estroversa in effetti, lei aveva sempre fatto molta più fatica ad aprirsi veramente con chi la circondava. 


La rossa però smise di pensarci quando qualcuno accanto a lei si schiarì leggermente la voce, e voltandosi si ritrovò davanti ad un cameriere che le stava porgendo un vassoio con una busta sopra. 

A quanto sembrava la posta per quel giorno non era ancora terminata... e quando Irina ebbe ringraziato il cameriere e voltò la busta una sensazione piuttosto spiacevole l'attraversò, nel leggere il nome del mittente. 

Certo, c'era da immaginarselo... probabilmente era buona educazione.

"Qualcosa non va?" 
Cal inarcò un sopracciglio, cogliendo la lieve smorfia che aveva inclinato le labbra della rossa. Ma Irina si limitò a scuotere il capo, appoggiando la busta sul tavolo senza nemmeno aprirla:

"Lettera di auguri, immagino. Solo che vengono da una persona che non mi piace molto." 
"Immagino che capiti a tutti... un parente poco simpatico?" 
"Non esattamente... in realtà è il mio fidanzato." 


Irina parlò con un tono piatto è piuttosto calmo, ma al contrario Cal sbarrò con gli occhi con evidente sorpresa, bloccando la mano a mezz'aria:

"Sei fidanzata, davvero? Non te l'avevo mai sentito dire prima!" 
"Diciamo di sì... è una lunga storia." 
"Oh beh, Ivan è lento come l'anno della fame a cambiarsi, abbiamo tutto il tempo del mondo!" 


                                                                   *


Venti minuti dopo Pawel Juraszek faceva vagare lo sguardo con perplessità da Irina ad Ivan che, seduti un di fronte all'altro, sfoggiavano due facce da funerale belle e buone. 

Si era perso qualcosa? Probabilmente sì. 
Lanciò un'occhiata incerta in direzione di Cal, ma la bionda si limitò a scuotere il caponcon un movimento appena percettibile, come a volergli suggerire di non fare domande... ma, tanto per cambiare, il polacco decise di fare di testa sua e si rivolse all'amico

"Ivan, che cos'hai? Pensavo che qui quella lunatica fosse Jordan." 
"Ma come ci riesci? Ogni volta in cui infili il mio nome in una frase diventa un insulto!" 

Cal sbuffò, appoggiandosi allo schienale della sedia e fulminando il polacco con lo sguardo, che però la ignorò deliberatamente e continuò a rivolgere la propria attenzione ad Ivan, aspettando che parlasse. Il russo esitò ma poi si voltò proprio verso l'amica, parlando con un tono neutro:

"Hai visto Dimitri stamattina?" 
"Io... sì. Vi siete incontrati?" 
"Sì, l'ho incrociato fuori." 

"Aspetta... tuo fratello è a Vienna? Perché?" 

Pawel si accigliò, guardando l'amico con stupore mentre Cal gli assestava un calcio sotto al tavolo, suggerendogli di tapparsi la bocca mentre Ivan sospirava, continuando a rigirarsi distrattamente l'anello d'argento che portava sempre:

"Aveva una cosa di cui parlarmi. E come al solito mi è bastato vederlo per dieci minuti per rovinarmi la giornata." 
"Se può farti sentire meglio a me è bastata una lettera." 

Irina sbuffò, laconica, fulminando la busta che giaceva ancora intoccata sul tavolo, accanto al suo piatto. Gli occhi chiari di Ivan si posarono sulla busta e, per un attimo, si chiese da chi provenisse... ma era, probabilmente, troppo discreto per chiederglielo direttamente. 

"Davvero? Mi ricordi qualcuno che è seduto a questo tavolo." 
"Ehy! Smettetela di parlare di me, qui si stava parlando di te Petrov. Che vuole Dimitri? Posso prenderlo a maledizioni io, se vuoi." 

"Grazie per la disponibilità, ma mi serve vivo e in salute, temo. Scusate, vado a suonare un po'... ho bisogno di rilassarmi." 

Ivan lasciò il tovagliolo sul tavolo prima di alzarsi sotto lo sguardo dei tre compagni. Si era appena allontanato quando Cal sbuffò, imitandolo e mormorando che sarebbe andata a parlare con lui. 

"Credo che andrò anche io... ho così tante lettere a cui rispondere che mi viene il mal di testa solo a pensarci." 

Irina quasi rabbrividì mentre si alzava, pensando già alla risposta che avrebbe rifilato a praticamente tutti i mittenti... disgraziatamente doveva anche leggere la lettera di Eleazar, chi avrebbe sentito i suoi genitori se non gli avesse risposto?



Rimasto solo Pawel sorrise appena, prendendo il bicchiere pieno di succo prima di berne un sorso:

"Già... pensavo davvero che quella lunatica fosse Jordan, ma forse mi sbagliavo." 


                                                        *

Uno sbuffo sommesso fuoriuscì dalle labbra di Gabriel Undersee mentre si rigirava sul materasso, maledicendo mentalmente la luce che filtrava dalla finestra.

Ma chi era l'idiota che l'aveva aperta?

"Alla buon'ora." 

Sentendo una voce Gabriel aprì gli occhi, mettendo là fuoco la figura che si era seduta accanto a lui prima di sobbalzare, mettendosi seduto di scatto:

"Che ci fai qui? Ahia..." 

Gabriel sollevò una mano per sfiorarsi la testa dolorante, mentre Helene si limitava a sorridergli:

"Sono venuta a vedere come stai... Rebecca e Eleanor mi hanno raccontato un aneddoto molto divertente su di te che barcolli alle due del mattino in corridoio. Speravo che avresti smesso di bere quando sono andata a dormire, ma temo che tu abbia continuato..." 
"Non ricordo granché... ti prego, dimmi che non ti ho detto qualche cretinata." 

"Oh, sì. Hai detto che mi adori, che mi trovi tremendamente bella oltre che simpatica ed intelligente... Gabriel rilassati, sto scherzando." 

Helene rise di fronte alla faccia allarmata del ragazzo, che tirò quasi un sospiro di sollievo:

"Meno male. Cioè, non che non pensi davvero quelle cose, ma... lascia perdere." 
Il Corvonero sbuffò e si limitò a scuotere il capo prima di abbandonarsi nuovamente sul materasso, sospirando. 

"Ogni volta dico che non berrò mai più niente in vita mia... ma non sono granché a mantenere la parola, temo." 
"Si può sapere perché bevi così tanto? Vuoi avere problemi di fegato a 25 anni?" 

"Ora sembri mia madre." 

Gabriel sorrise appena, ma tornò immediatamente serio di fronte alla faccia poco allegra di Helene, limitandosi a sospirare:

"Sto scherzando... e comunque, non lo so. Lo facevo anche a scuola, di nascosto." 

"Un modello di comportamento. Tieni, bevi." 

Helene gli porse un bicchiere d'acqua e il ragazzo lo prese, mormorando un ringraziamento prima di scolarselo.

"Ma mi adori lo stesso, vero Elin?" 
"Non usare il tono da marpione con me, Gabriel. Forse attaccava ad Hogwarts, ma con me no di certo." 

Helene provò a restare seria e a guardarlo male, ma finì col rilassarsi di fronte al sorriso che le rivolse Gabriel, guardandola con gli occhi scuri carichi di divertimento:

"Sarà, ma sei comunque qui a controllare che stia bene." 
"... odio ammetterlo, ma hai ragione questa volta." 


                                                                *


"Ti manca la tua famiglia?" 
"Abbastanza... ma sono abituato a stare parecchio via da casa, in effetti. A te manca tua zia?" 

Eleanor si limitò ad annuire mentre, seduta su un divano, continuava a scrivere distrattamente sul suo quaderno. Come al solito Emil moriva dalla voglia di sapere cosa scrivesse l'amica, ma probabilmente non avrebbe mai osato chiederglielo direttamente. 

"Un pochino. Non è strano per te lavorare in Danimarca ma vivere in Inghilterra?" 
"La mia famiglia si è trasferita in Inghilterra per il lavoro di mio padre quando ero piccolo... ho studiato in Gran Bretagna, ma amo la Danimarca. Non mi dispiace fare avanti e indietro, anche perché grazie al mio lavoro ho ottenuto una Passaporta personale che mi permette di viaggiare di continuo... non è poi così complicato." 

Emil si strinse nelle spalle mentre Eleanor invece continuò ad osservarlo, sorridendo lievemente:

"Sai... ti ci vedo proprio, a parlare e discutere con le persone. Sei sempre stato bravo a relazionarti con il prossimo." 
"Mi piace parlare con le persone e ascoltarle. Mia madre dice che è un talento naturale... ma immagino che il mio "dono" aiuti molto. Le persone rimangono spesso affascinate da quello che riesco a vedere." 
"Lo immagino. A volte vorrei vedere il mondo come lo vedi tu... magari capirei che cosa prova mia madre, finalmente. Com'è sapere sempre che cosa provano le persone, sapere anche che cosa provano per te?" 

"A volte piacevole, a volte un po' meno... se qualcuno mi disprezza lo capisco subito. Se tengo a qualcuno mi accorgo immediatamente se i miei sentimenti sono o meno ricambiati, o se magari una persona che prima teneva a me finisce col provare indifferenza." 

Emil si strinse nelle spalle e Eleanor gli sorrise con gentilezza, quasi a volerlo consolare mentre gli sfiorava un braccio con la mano:

"Beh, io ti voglio bene, lo sai no?" 
"Certo che lo so." 

Emil ricambiò il sorriso mentre l'amica lo guardava con affetto... e in ogni caso Emil vide comunque quanto fosse rilassata e di buon umore in quel momento a causa dei colori, dei fili dai rassicuranti colori caldi che la circondavano.

"Ti ricordi l'anno scorso, quando ti hanno chiesto di assistere a degli interrogatori degli Auror, a Londra? Il nostro Emil Bach è richiesto sia nel Regno Unito che in America, sono proprio orgogliosa di te. Anche se, prima o poi, andrò alla sala da thè di tua madre solo per vederti indossare un grembiule e aiutarla a servire." 

Eleanor ridacchiò e per tutta risposta il ragazzo la colpì con un cuscino, sbuffando leggermente:

"Non ridere, mi piace aiutare mia madre quando posso! E poi io sono bravissimo ai fornelli." 
"Lo so bene, la settimana scorsa quando Becky stava male ti sei infiltrato in cucina solo per prepararle il brodo... come sei carino." 
"Hai notato che non mi tira dietro una pantofola da più di due settimane? Sto facendo progressi... anche se farla irritare mi diverte, forse dopo andrò a prenderla un po' in giro. O magari potrei iniziare a farle complimenti così si imbarazzerà, adoro imbarazzare le persone." 

"Lo so bene, quando eravamo piccoli mi davi il tormento..." 
"Vero, diventavi cremisi quando ti facevo un complimento." 
"Sono timida, che posso farci?" 


                                                        *


Quando mise piede nella stanza Cal puntò dritta al pianoforte davanti al quale si era seduto Ivan, per una volta non si fermò nemmeno per un attimo ad ascoltare la musica e lo raggiunse in fretta, sedendosi accanto a lui senza tante cerimonie. 

Per un attimo rimase in silenzio, guardando le mani del ragazzo muoversi rapidamente sulla tastiera mentre Ivan non dava segno di essersi accorto della sua presenza, continuando a tenere il capo chino e gli occhi fissi sui tasti d'ebano.

"Riguarda tua madre?" 

Sentendo quelle parole le dita del ragazzo si bloccarono e per qualche secondo Ivan rimase perfettamente immobile e senza fiatare, per poi sospirare stancamente:

"Sì. Ma non l'ho ancora letto... non mi va di pensarci." 
"Ha bisogno di qualche firma, immagino... altrimenti non sarebbe venuto." 

"Forse avrei dovuto lasciare a Dimitri la procura sulle questioni di salute e prendermi quella per le faccende legali ed economiche... odio prendere decisioni sulla sua salute. Immagino che sia una cura da approvare, stasera passerà per prendere i documenti e poi se ne andrà, come sempre." 

Cal annuì, restando in silenzio per qualche istante prima di alzare lo sguardo dalle mani del ragazzo per guardarlo in faccia, sorridendogli:

"Sono sicura che prenderai la decisione giusta, come sempre. So che tu e Dimitri non andate d'accordo, ma fare uno sforzo per il bene di vostra madre è il minimo, non credi?" 
"Già... credo che lei sia l'unica cosa che ancora ci leghi in qualche modo." 

Cal sorrise all'amico prima di appoggiare una mano su quella del ragazzo, come a volerlo consolare:

"Lo so, è difficile... ma almeno non sei solo. Io ho un pessimo rapporto con mia madre, lo sai... e credo che nemmeno Irina se la passi molto bene." 
"Forse dovrei andare a scusarmi per come sono stato intrattabile a colazione..."

"Anche lei ha qualcosa a cui pensare, come tutti, sono sicura che capirebbe." 
"Che cos'aveva prima, in effetti? Ha a che fare con quella lettera?" 

"In un certo senso... le ha scritto il suo fidanzato e a quanto pare non moriva dalla voglia di avere sue notizie." 

Cal si strinse nelle spalle e fece per iniziare a suonare qualcosa a sua volta, mentre invece Ivan sgranava leggermente gli occhi grigi:

"Aspetta... Irina è fidanzata?"
"A quanto pare... sono rimasta sorpresa anche io, non glie l'avevo mai sentito dire prima. Perché quel tono?"  Cal gli rivolse un'occhiata incerta ma Ivan si limitò a stringersi nelle spalle, rimettendosi seduto dritto verso la tastiera:

"Niente... sono solo sorpreso, tutto qui. Dai, suoniamo qualcosa insieme... ma vedi di non pestarmi i piedi, Jordan." 


                                                                  *


Irina sbuffò debolmente, guardando la sua piuma muoversi magicamente sulla carta e scrivere l'ennesima risposta al biglietto di auguri di turno... se non altro aveva incantato la penna, così non avrebbe dovuto sopportare un crampo alla mano.

Moriva dalla voglia di finire quella noiosa procedura per andare a fare una passeggiata con Lena o magari suonare e rilassarsi un po'... ma il bussare alla porta la precedette e la ragazza si voltò verso l'uscio, guardando l’anta aprirsi.

"Ciao." 

Ivan abbozzò un sorriso, tenendo ancora la mano stretta sulla maniglia mentre la ragazza lo osservava con leggero stupore, chiedendosi che cosa ci facesse lì... ma la risposta arrivò ben presto, quando lui continuò a parlare:

"Ti va di andare fuori invece di marcire qui dentro? Credo di aver bisogno di distrarmi." 

Irina esitò ma poi ricambiò il sorriso, annuendo prima di alzarsi:

"Con piacere." 

Probabilmente aveva bisogno di distrarsi un po' anche lei, tanto che nell'arco di un attimo si era infilata scarpe e giacca, aveva preso il guinzaglio di Lena ed era uscita dalla stanza insieme al cane e ad Ivan, sorridendogli con sincera gratitudine. 


                                                                  *


"Che cosa stai mangiando?" 
"Sacher." 
"Ce n'è una fetta anche per me o l'hai già fatta sparire?" 

"Non farmi la predica, è Halloween... ergo, si mangiano dolci." 
"Allora per te ed Emil ogni giorno è Halloween..."

Eleanor rise sotto i baffi mentre guardava i due con aria divertita, uno seduto accanto all'altra sul divano e impegnati a sbafarsi un paio di fette di torta. 

"Sapete, se devo essere sincero sono un po' deluso... qui non c'è uno straccio di decorazione, rimpiango Hogwarts e il banchetto annuale..."  Emil sbuffò, guardandosi intorno nella stanza priva di decorazioni quasi con aria malinconica mente Rebecca si limitava a stringersi nelle spalle: 

"Si vede che in Austria non festeggiano granché Halloween... o forse più semplicemente in posti come questo non mettono decorazioni. Dopo che si fa, comunque?" 
"Che domande, guardiamo un film horror! 

"Un che?" 
"Un film che fa paura, Becky." 
"Ma neanche morta! Mi è bastato quello dell'altra sera, con il tizio che sorrideva in modo inquietante e inseguiva sua moglie con un'ascia!" 
"Tranquilla Becky, se hai paura puoi sempre abbracciare me!" 


                                                               *


"Come mai tu e tuo fratello non andate d'accordo?" 
"Siamo piuttosto diversi... se non fosse per mia madre credo che non ci parleremmo nemmeno." 

"Ed è qui, adesso?" 

Ivan annuì, continuando a tenere gli occhi fissi davanti a sè mente Irina camminava accanto a lui, tenendo il guinzaglio di Lena stretto in mano. 

"Sì. Ha bisogno di me per una cosa, diciamo. Tu vai d'accordo con i tuoi fratelli?" 
"Abbastanza, ma a volte non sopporto il non poter fare nulla se loro o mio padre non lo approvano... la condanna di essere la più piccola in famiglia, immagino." 

"Quindi di solito è la tua famiglia a prendere decisioni per te?" 
"A volte. Ma venire qui è stata una mia scelta, se non altro... anche se senza dubbio interessata, sono qui più che altro per non restare a casa con la mia famiglia e fare quello che vogliono loro." 

"Beh, io sono qui per rilassarmi, siamo nella stessa barca." 
"Non definirei una competizione "rilassante"."
"Forse, ma almeno qui non devo tenere in considerazione certe responsabilità... fino ad oggi almeno. Devo fare una cosa per mio fratello, e penso che quando lo farò mi sembrerà di essere di nuovo a casa..." 

"Stare qui è come essere dentro una bella bolla... o sotto una campana di vetro. Ma prima o poi si rompe... come oggi, quando ho avuto notizie da parte di alcune persone." 

Irina sbuffò debolmente e Ivan rimase in silenzio per un attimo, trattenendosi dall'indagare oltre e ripetendosi di non fare il ficcanaso, prima di parlare nuovamente, sorridendo leggermente:

"Sbaglio o oggi siamo particolarmente negativi? Dai, basta fare i musoni e andiamo a prenderti una fetta di torta... non è un compleanno senza una torta, no?" 
"D'accordo... ma voglio anche le candeline, sia chiaro!" 


                                                                 *

"Vi prego, ditemi che non lo fa..." 

Helene piegò le labbra in una smorfia mente continuava a prendere nervosamente pop corn dalla ciotola e a tenere gli occhi incollati al grande schermo della televisione, iniziando già a temere il peggio. 
Accanto a lei invece Gae sembrava divertirsi parecchio e seguiva le scene con interesse, incurante delle facce disgustate di alcuni tra i suoi compagni:

"Questo film è una gran figata... perché non l'avevo ancora visto?" 
"Io invece vorrei non averlo fatto..." 

Il sibilio dell'amica non sembrò scuotere per niente la belga, che continuò a mangiare tranquillamente i suoi pop corn mentre sull'altro divano Rebecca stava stritolando un cuscino, tenendolo stretto al petto come se volesse nascondercisi dietro mentre teneva gli occhi sgranati e incollati allo schermo, guardandolo con orrore crescente:

"No... no! Ma che fa? IDIOTA, non andare!" 
"Shh!" 
"Shh un cavolo, come si fa ad essere così stupidi? Un tizio strano con la faccia bianca e il naso rosso nascosto dentro un tombino ti dice di avere la tua barchetta e tu cosa fai? Ci vai dentro? No, scappi alla velocità della luce, ecco cosa fai! Ora se lo mangia, me lo sento." 

Rebecca scosse il capo, distogliendo lo sguardo dallo schermo illuminato per evitare di assistere alla scena e posando invece gli occhi sui suoi compagni, chiedendosi come accidenti riuscissero a mangiare mentre guardavano un film che parlava praticamente di cannibalismo. 

"Caspita, se l'è mangiato per davvero..." 

Emil si accigliò leggermente, chiedendosi come fosse venuta un'idea simile a qualcuno mentre se ne stava seduto accanto a Rebecca, occupando da solo praticamente tutto il divano mentre Eleanor si rivolgeva a Gabriel, sbuffando:

"Ma non potevi sceglierne un altro?"
"Beh, tu hai detto "horror"!" 
"Si, ma questo è rivoltante!" 

"A dir poco. Manca molto alla fine?" 
"Becky, è iniziato dieci minuti fa." 


                                                               *


"Ma perché i Babbani si vestono in questi modi assurdi?" 

"Chissà, magari è una strana usanza per Halloween..." 

Ivan si strinse nelle spalle mentre lui e Irina camminavano per tornare all'Hotel, guardandosi intorno verso il fiume di persone che indossava costumi piuttosto strani, più degli abiti che i Babbani erano soliti indossare.

"Può essere, sì. Allora... ora che torniamo indietro leggerai quello che ti ha portato tuo fratello?" 
"Immagino di doverlo fare... e tu risponderai a tutte le lettere?" 
"Devo! Coraggio, non sarà poi così male. Ah, e... grazie per avermi aiutata a distrarmi oggi."   Irina sorrise con sincera gratitudine al ragazzo, che per tutta risposta si limitò a stringersi nelle spalle, parlando con un tono piuttosto sbrigativo:

"Figurati, credo che sia servito a tutti e due." 

Di fronte a quella risposta e al tono del ragazzo il sorriso di Irina si allargò, guardandolo quasi con aria divertita: 

"Cal ha ragione, a volte fai davvero l'orso." 
"Non è affatto vero!" 
"... ma infondo sei piuttosto dolce."
"Non è vero neanche questo, che eresie dite alle mie spalle?" 


                                                          *


"Giuro che dopo aver visto quella roba non indosserò mai un impermeabile giallo..." 

"In effetti il giallo non è il tuo colore, decisamente." 

Gabriel osservò Helene con aria critica, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della rossa mentre Gae invece sorrideva, prendendo entrambi a braccetto con fare allegro:

"Non fare tragedie Elin, non era poi così male... hai visto quando la bambina si pettina i capelli e..." 
"Si Gae, splendido, non farmici ripensare." 

Helene sfoggiò una smorfia, rabbrividendo al solo pensiero e ringraziando mentalmente che il film fosse finito, appuntandosi al contempo di guardare un film a tema di unicorni arcobaleno e teneri orsacchiotti il giorno successivo. In realtà ci sarebbe stata anche la seconda parte da vedere, ma di sicuro non moriva dalla voglia di sapere come terminava la storia. 

"Che delicata..." 
"Zitto Gabriel, ho chiaramente visto la tua faccia schifata in certe scene... e domani si guarda qualcosa adatto ad una fascia d'età a bambini dell'asilo, chiaro?" 
"Tipo cosa, La spada nella roccia?" 
"Benissimo, approvato." 


                                                               *


Quando ebbe individuato la figura pressoché inconfondibile - nel bene e nel male - di suo fratello nella hall Ivan si affrettò a raggiungerlo, piazzandogli frettolosamente in mano i documenti che aveva firmato solo poco prima.

"Ecco, tieni... firmati, come hai chiesto. Vedi di portarli a destinazione, per favore." 
"Tranquillo, lo farò... se l'ospedale dovesse farsi sentire ti farò sapere, ti terrò aggiornato sui progressi, se ce ne saranno."

Dimitri rimise a posto documenti mentre il fratello minore sbuffava, liquidando il discorso con un gesto sbrigativo della mano:

"Non ce ne saranno, ho firmato solo perché altrimenti passeresti anni ad incolparmi di aver danneggiato la sua salute... e ora, gradirei non vederti più finchè mi trovo qui." 

"Come sei ottimista, fratellino." 
"Oh, no, sono solo realista. Non esiste una cura per tutto, lo sai anche tu... salutamela, quando la vedrai." 

Ivan rivolse un ultimo cenno al fratello prima di girare sui tacchi e allontanarsi, chiedendosi ancora una volta se avesse fatto la scelta giusta mentre sentiva la voce di Dimitri giungergli di nuovo alle orecchie, con quel tono sarcastico che tanto aveva imparato ad odiare nel corso del tempo:

"Certo... se si ricorderà di te." 








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Capitolo 18
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16



"Sei molto bravo." 

Ivan sollevò lo sguardo dalla tastiera del pianoforte per posarli sulla fonte della voce, indirizzando un lieve sorriso alla donna che aveva appena parlato, seduta su una poltrona con una tazza tra le mani:

"Grazie." 
"È bello ascoltare della musica, ogni tanto... mi è sempre piaciuto il pianoforte. Posso chiederti come mai ti vedo spesso da queste parti?" 

"Vengo a trovare mia madre." 
"Se suoni sempre per lei così allora è fortunata... sarà sempre felice di vederti, immagino." 

Gli sorrise e il ragazzo ricambiò, annuendo con un lieve cenno del capo mentre posava nuovamente gli occhi chiari sui tasti, le dita che li sfioravano:

"Ha qualche preferenza?" 
"Suoneresti di nuovo Per Elisa? È la mia preferita. Mio marito la suona spesso per me." 

Ivan annuì e sorrise appena prima di riprendere a suonare, ripetendo il brano dall'inizio senza riuscire a trattenersi dal mormorare qualcosa a bassa voce:

"Lo so." 


                                                               *


Sabato 10 Novembre 


"Già qui? Niente corsa stamattina?" 
 
Cal prese posto accanto ad Ivan con un sorriso stampato sul volto, di buon umore forse a causa del freddo mentre l'amico scuoteva il capo, limitandosi a ripiegare la lettera che teneva tra le mani e che aveva appena letto:

"No." 
"Ti sei finalmente reso conto che ti prenderai la polmonite correndo con questo clima senza coprirti adeguatamente? Sai, non ho voglia di venirti a trovare moribondo in ospedale!" 
"No Cal, volevo solo leggere questa con calma... è di Dimitri." 

Il ragazzo accennò alla lettera prima di sbuffare e lasciarla sul tavolo, guardando quel pezzo di pergamena con cipiglio torvo mentre Cal gli riempiva il piatto vuoto:

"E che dice Mr Simpatia? Tieni, mangia." 
"Non mangerò 4 muffin! Non sono denutrito!" 
"È da una settimana che mangi poco, devi recuperare... su, non fare storie." 

Cal fece spallucce e Ivan sospirò, chiedendosi a bassa voce quando la ragazza fosse diventata sua sorella maggiore mentre invece la bionda sorrideva con aria soddisfatta:

"Sai, di tanto in tanto è bello comandarti a bacchetta, in genere succede il contrario! Allora, che vuole tuo fratello?" 
"Niente, gli ho solo chiesto di tenermi aggiornato su nostra madre... pare che non ci sia niente di diverso dal solito." 

Si trattenne dal dire che, a differenza di suo fratello, aveva sempre saputo che non sarebbe mai cambiato poi molto, anche con quelle cure. Anche se le aveva approvate, non ci aveva mai riposto molta fiducia. 

"È difficile, posso immaginarlo. Ma non pensarci, ora sei qui con una delle persone che ami e soprattutto stimi di più al mondo, consolati pensando a questa fortuna." 
"Parli di Pawel, immagino." 
"No emerito idiota, parlavo di me!" 

Cal sbuffò, fulminando l'amico con lo sguardo mentre Ivan ridacchiava, o almeno finché non tornò improvvisamente serio prima di decretare che sarebbe andato a provare per un po' prima che arrivasse l'ora delle valutazioni. 

"Ma come, te ne vai?" 
"Beh, non voglio certo farmi sbattere fuori... ci vediamo dopo." 
"Aspetta, prendi almeno la colazione, non hai mangiato nulla!" 

Cal sbuffò e gli rifilò il piatto tra le mani, ordinandogli silenziosamente di mangiare mentre il biondo si limitava a roteare gli occhi prima di allontanarsi in fretta e furia sotto lo sguardo confuso dell'amica: la ragazza si stava giusto chiedendo perché se ne fosse andato così all'improvviso quando una voce attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi:

"Buongiorno. Come mai Ivan se n'è andato così presto?" 
"Onestamente, non ne ho idea." 

Cal si rimise dritta sulla sedia con aria accigliata, mentre Irina allungava una mano verso il cestino dei dolci per cercare un muffin ai mirtilli:

"Strano che non sia andato a correre, in effetti." 
"Già... diventa strano quando c'è suo fratello nei paraggi, e stamattina gli è arrivata una sua lettera." 

"Magari non ha voglia di parlarne, per questo è andato via così in fretta." 

La rossa si strinse nelle spalle ma Cal non sembrava del tutto convinta, limitandosi ad osservare la compagna con aria pensierosa, riflettendo sul comportamento del suo amico. 

"Già... forse. Sai, ora che ci penso ho scordato gli spartiti di sopra, vado a prenderli." 

"Ma come, te ne vai anche tu? Ma che avete tutti oggi? Ora dovrò fare colazione con Pawel... Eleanor, ti siedi vicino a me per favore?" 
 
La rossa rivolse un gran sorriso alla ragazza che le era appena passata accanto per andare a prendere posto, ricevendo con sollievo risposta affermativa:

"Certo. Come mai sei da sola?" 
"Non saprei, gli altri si sono dati alla fuga... e tu invece? Dove sono Rebecca ed Emil?" 

Eleanor prese posto di fronte alla ragazza roteando gli occhi, limitandosi ad accennare con il capo a qualcuno oltre la spalla di Irina, che quando si voltò si trovò davanti ad un Emil sorridente che teneva tra le mani un vassoio:

"Ciao Elly, Irina... posso sedermi qui con voi?" 
"Ovviamente. Ma perché hai tutta quella roba?" 
"Beh, la colazione è importante, e io ho bisogno di un mucchio di zuccheri..." 

Emil fece spallucce e cominciò a sistemare davanti a sè quello che si era accaparrato mentre Rebecca gli passava accanto, prendendogli un piatto dalle mani prima di sedersi accanto a lui:

"Questi sono per me? Oh, grazie Emil..." 
"Veramente...." 
"Gentilissimo." 

Rebecca gli sorrise dolcemente e al ragazzo non restò che sbuffare, cedendole così i macarons mentre Elly ridacchiava:

"Non hai diritto di replica Emil, deve ancora fartela pagare per lo scherzo che le hai fatto la settimana scorsa." 
"Ma era solo uno scherzo innocente!" 
"Innocente? Dopo quel maledetto film ti sei infilato in camera mia e ti sei seduto accanto al mio letto iniziando a fissarmi... mi sono svegliata e ho perso 10 anni di vita, credo." 

"Mi era sembrato di sentire parolacce con forte accento inglese in effetti..." 
 
Irina annuì con aria pensierosa mentre Eleanor continuava a ridere e Emil sorrideva a Rebecca:

"Scusa Becky... mi perdoni?" 
"Potrei, forse, un giorno..."


                                                             *


"Che cosa stai facendo?" 

"Sto camminando. Hai qualcosa in contrario, forse?" 

Cal rivolse un'occhiata torva in direzione di Pawel, continuando a guardarsi intorno con attenzione mentre il polacco la seguiva con visibile scetticismo, certo che avesse qualche malsana idea per la testa:

"Affatto. Ma sul serio, si vede che stai cercando qualcosa... o qualcuno. Hai visto Ivan per caso?" 
"No, in effetti sto cercando lui... c'è qualcosa che non mi convince." 
"Magari è solo giù di corda per via di sua madre." 
"Forse, ma non credo. Per questo lo sto cercando. Tu vai a fare colazione Pawel, io trovo Ivan."


Cal gli rivolse un cenno prima di accelerare il passo e allontanarsi, mentre il polacco rimase per qualche istante immobile nel bel mezzo del corridoio, limitandosi a seguirla con lo sguardo prima di girare sui tacchi a sua volta: non gli era mai piaciuta particolarmente, ma di sicuro Cal Jordan era molto testarda... se si era fissata su qualcosa, di certo avrebbe ottenuto quello che voleva. 

Non invidiava particolarmente il suo amico per l'interrogatorio che stava per subire.


                                                         * 


Scriveva così velocemente che la mano gli faceva quasi male ormai, ma ci era abituato e Gabriel continuava a tenere gli occhi scuri fissi sulla carta, continuando a scrivere quasi ininterrottamente. 
Era sabato, di lì a poche ore sarebbe stato valutato ancora una volta... ma non aveva voglia di pensarci, di preoccuparsene, o di provare. 

Gli piaceva suonare, ma aveva sempre preferito scrivere, dopotutto se aveva cominciato a suonare il violino era stato solo ed esclusivamente per accontentare suo padre. Scrivere invece era un'altra cosa, lo faceva da sempre espressamente per sè, per pura volontà personale... e ovviamente questo, a suo padre, non era mai piaciuto granché.

Aveva spesso scritto anche durante le lezioni, quando non aveva la testa tra le nuvole.

Improvvisamente la mano di Gabriel si fermò, mentre il ragazzo rileggeva le ultime righe che aveva scritto. E si ritrovò a sbuffare debolmente, passandosi una mano tra i capelli scuri mentre una figura prendeva forma nella sua mente, pensando a quello che aveva appena scritto: aveva, quasi senza volerlo, finito col descrivere ancora una volta una persona reale.
Lo faceva sempre, e non sapeva se la cosa gli piaceva o meno: forse avrebbe dovuto smetterla, lasciarsela definitivamente alle spalle. 

Gabriel Undersee aveva avuto una sola vera ragazza in tutta la sua vita e anche se ormai lui e Constance si erano lasciati da un anno continuava a infilarla da qualche parte in tutti i suoi racconti, descrivendo quasi senza volerlo una ragazza bionda e dalla carnagione molto chiara. 
Il suo esatto opposto, sia fisicamente che caratterialmente. Lui era disordinato, sbadato, estroverso, lei invece timida, discreta e molto precisa. 
Forse era stata proprio quella gran diversità a fargliela piacere... erano rimasti comunque amici e lui continuava a dedicarle gran parte di quello che scriveva, consapevole che probabilmente avrebbe dovuto smettere di farlo. 

Gabriel sbuffò mentre chiudeva il suo quaderno e lo lasciava sul comodino, alzandosi dal letto per recuperare violino e spariti e uscire finalmente dalla sua camera. Forse doveva solo smettere di pensarci e andare avanti. 

 
                                                                  *


"Ho la vaga sensazione che tu sia strano di recente." 
"Dici sul serio? È davvero buffo Cal, perché io ho la vaga sensazione che tu sia strana da quasi dieci anni." 

Cal sbuffò e allungò le mani per chiudere la tastiera con un gesto secco, osservando l'amico con aria torva:

"Appunto, dieci anni... pensi davvero che ancora non ti conosca, tutto questo tempo? Ho l'impressione che tu stia evitando accuratamente qualcosa. È qualcosa che non vuoi dirmi?" 

"No. Posso riprendere a suonare, adesso?"   Ivan fece per sollevare la copertura dei tasti ma Cal lo precedette, rimettendola al suo posto e facendolo sospirare di conseguenza con esasperazione. 

"No, ti sto parlando... dopo suonerai. Detesto quando qualcosa mi sfugge Ivan, lo sai." 

Cal continuò ad osservarlo, rimuginando mentre l'amico moriva dalla voglia di alzarsi e andarsene o, in alternativa, sbattere la testa contro il piano davanti al quale si era seduto.

"Quando l'avrai afferrato fammelo sapere, allora." 
"Non ci penso nemmeno, parliamo ora, altrimenti te la darai a gambe come stamattina." 

Cal esitò dopo aver parlato, riflettendo sulle sue stesse parole prima di sorridere allegramente, schioccando le dita:

"Ci sono..."
"Wow, che notizia." 
"Taci. Te la sei filata stamattina Ivan, ma stai evitando accuratamente non di parlare con me di tua madre, bensì Irina!" 


                                                                     * 


"Allora... da chi cominciamo?" 

"Se per voi va bene, vorrei sentire prima i violinisti. Koller, hai qualche obiezione?"
"No, fai pure." 

Alexander rivolse un cenno al collega e Jarrod sorrise appena, vagamente sorpreso di non sentire nessuna protesta mentre Christina, seduta come sempre in mezzo a loro, gli passava la tabella per le valutazioni, con annotati tutti punteggi settimanali dei ragazzi fino a quel giorno. 

"D'accordo, allora comincio io... partiamo in ordine alfabetico. Bach, vieni tu... suonami la Carmen." 


Emil non battè ciglio e si alzo con la sua solita aria rilassata, tenendo il violino e l'archetto in una mano.
Eleanor gli rivolse un sorriso mentre era seduta accanto a Rebecca, che invece teneva gli occhi fissi sullo spartito della Sinfonia nº 1 di Mozart, ripassando le note. 

"Detesto suonare a memoria." 
"Anche io, ma smettila di ripassare adesso, o quando sarai lí non ricorderai più nulla!" 

Eleanor sbuffò prima di sottrarre gli spartiti dalle mani mani dell'amica, ignorando le sue proteste e limitandosi a riportare l'attenzione su Emil.
Rebecca fece per ricordarle che era sempre la prima ad avere l'ansia da palcoscenico, ma all'ultimo decise di tacere e di limitarsi ad ascoltare la musica di Emil e le familiari note del brano. 

In effetti non lo invidiava per niente per essere il primo a dover suonare, ma apparentemente non sembrava che lui ne soffrisse. In effetti era piuttosto sicura di non averlo mai visto davvero giù di morale o nervoso, nemmeno per gli esami. 
Persino quando si erano presentati a Londra per le selezioni l'aveva visto allegro e sorridente mentre accordava il violino... mentre sia lei che Eleanor avevano dovuto combattere non poco contro l'ansia.

Quasi senza rendersene conto Rebecca iniziò a far dondolare leggermente un piede secondo il ritmo della melodia, ascoltandola distrattamente mentre teneva gli occhi fissi sul violinista.


                                                                      *


Pawel continuava a rigirarsi l'archetto tra le mani, tenendo gli occhi fissi su Rebecca mentre ripeteva mentalmente le note di buona parte delle melodie che conosceva, consapevole che dopo la ragazza sarebbe arrivato il suo turno.
La sua riflessione venne però interrotta da una voce visto che qualcuno, seduto dietro di lui, si era sporto leggermente in avanti per attirare la sua attenzione:

"Pawel?" 
"Che c'è?" 

Il biondo si voltò leggermente e rivolse un'occhiata perplessa in direzione di Irina, che esitò per un attimo prima di parlare:

"Ti devo chiedere una cosa." 
"Davvero? Tu che chiedi una cosa a me?" 
"Che c'è, non sono degna del tuo tempo?" 
"No, sono solo sorpreso... che c'è?" 
"Disgraziatamente devo chiederlo a te per forza. Sai per caso perché Ivan mi evita dal mio compleanno?" 

"Forse perché non ti sopporta?" 
"Non è vero che non mi sopporta! ... credo, almeno. A te non ha detto niente?" 
"No." 
 
Pawel scosse il capo, rimettendosi seduto dritto sulla poltroncina mentre alle sue spalle Irina sbuffava, arrovellandosi mentre lanciava un'occhiata in direzione del suddetto ragazzo, che era seduto accanto a Cal e stava parlando con lei a bassa voce quasi come se stessero discutendo. 

"Suppongo che tu voglia chiedermi di indagare." 
"Beh, se non ti reca disturbo..." 

Pawel ignorò deliberatamente il tono ironico della ragazza e si limitò ad annuire, rivolgendole invece un'occhiata quasi divertita:

"D'accordo, gli dirò che Irina Volkova vuole sapere perché viene evitata da lui." 
"Ma non così Pawel! Juraszek, quel sorrisetto non mi piace per niente." 


Pawel fece per replicare ma non ne ebbe il tempo: Rebecca venne mandata nuovamente a sedersi da Jarrod e quindi era arrivato il suo turno per suonare. 
Il ragazzo si alzò tenendo il violino in una mano e l'archetto nell'altra, rivolgendo alla rossa un ultimo sorrisetto prima di andare a sedersi davanti ad Alexander, Christina e Jarrod sulla pedana. 

Irina invece lo seguì con lo sguardo, certa che quel sorrisetto non le piacesse neanche un po'. 
Forse avrebbe dovuto parlarne con Cal in effetti, ma aveva la sensazione che lei non le avrebbe detto proprio nulla, anche se era certa che sapesse qualcosa.


                                                                *


"E anche per questa settimana siamo salve... perfetto, direi. Andiamo in piscina? Ho voglia di rilassarmi." 
 
"Disgraziatamente non posso. Ma tu vai pure, io andrò a rompere le scatole a Gabriel, magari." 

Helene sbuffò, parlando con un tono quasi funereo mentre Gae le dava una pacca consolatoria sulla spalla:

"Come vuoi. Complimenti comunque, hai suonato così bene che Koller non ha avuto nulla da ridire!" 
"Non proprio, credo che abbia detto qualcosa sulle mie dita che non erano piegate nel modo corretto..." 
"Al diavolo le dita, a chi importa? Hai preso 97 su 100 Elin, gioisci. Ci vediamo più tardi!" 

Gae sorrise all'amica prima di allontanarsi, dirigendosi verso le scale mentre invece Helene continuò lungo il corridoio per raggiungere Gabriel giusto per, come aveva detto all'amica, "rompergli le scatole" mentre scriveva. 


                                                                   *


"Ivan! Torna qui immediatamente, sei sleale!" 

Cal sbuffò, continuando a trotterellare dietro all'amico e maledicendolo mentalmente in tutte le lingue che conosceva: era decisamente scorretto da parte sua mettersi a correre per seminarla visto che era molto più veloce di lei.

Forse avrebbe dovuto iniziare a sua volta ad andare a correre tutte le mattine...

"Non è colpa mia se sei allenata come un vermicolo!" 
"Non cominciare Petrov, solo sentendo la parola "correre" comincio a sudare. E smettila di cercare di seminarmi! Sai che ho ragione!" 

Cal sbuffò, chiedendosi perché l'amico fosse più veloce di lei anche se stava semplicemente camminando... e pensare che non aveva le gambe poi così più lunghe delle sue, era piuttosto alta. 
 
"Non sto cercando di seminarti Cal, sto camminando. Ma se, come ho detto, hai l'allenamento di un..." 
"Si, ho capito, grazie per i complimenti. Ora ascoltami, però." 

Cal lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a fermarsi e a voltarsi verso di lei mentre il ragazzo la guardava con lieve esasperazione, chiedendole di lasciarlo in pace:

"Non fare quella faccia Ivan, un giorno mi ringrazierai." 
"Se ne sei convinta." 
"Sì, lo sono. Quando ci hanno congedato sei uscito da lì alla velocità della luce, ma ti conosco troppo bene ormai... e ora ci faremo una bella chiacchierata mio caro." 
"Ho un impegno." 

Ivan sfoggiò un'espressione quasi allarmata di fronte a quell'idea, ma l'amica si limitò ad annuire, sorridendo: 

"Certo, devi accompagnarmi a fare una passeggiata insieme ad Alaska." 

Cal sorrise mente lo prendeva sottobraccio, iniziando a trascinarlo verso la sua camera per recuperare il suo cane prima di uscire, così da poter parlare con lui senza nessuno a disturbarli o ad interromperli. Ivan non sembrava particolarmente entusiasta, ma Cal si impose di non farci caso. 


                                                             *



"Posso chiederti una cosa?" 
"Dimmi." 
"Come fai a camminare così velocemente? È piuttosto inverosimile, visto che sei più bassa di me, che tu cammini alla mia stessa velocità considerando che una mia falcata sono due tue!" 
 
Emil osservò Rebecca camminargli accanto con sincera perplessità, mentre la ragazza si limitava a stringersi nelle spalle, tenendo il guinzaglio di Cinnamon stretto in mano

"Non saprei, ho sempre camminato piuttosto velocemente..." 
"Immagino sia solo l'ennesima manifestazione di quanto tu detesti perdere tempo." 

Emil sorrise mentre la ragazza annuiva, camminando accanto a lui sul marciapiede. In effetti solitamente il ragazzo si ritrovava a superare chiunque camminasse accanto a lui, sia per le sue falcate sia perché non gli piaceva camminare troppo lentamente... come facesse a stargli dietro restava un mistero. 

"Posso tenere un po' Cinnamon?" 
"Certo... adori gli animali, vero?" 
"Già. Ho un cane che adoro a casa, si chiama Broncio... ma non ho potuto portarlo, purtroppo." 
"Come mai?"
"È un po'... ingombrante. È un cane da montagna dei Pirenei." 

Emil prese il guinzaglio del Setter dalle mani della ragazza quasi con una nota di malinconia nella voce, mentre invece Rebecca sfoggiò un lieve sorrisetto:

"Beh, sai come si dice... il cane somiglia al padrone." 
"Non ne sono poi così sicuro, Cinnamon è molto più affettuosa di te... anche se sicuramente è molto testarda, non ci sono dubbi. E poi mi adora, immagino che su questo vi somigliate... Becky?" 


Emil si fermò, smettendo anche di parlare nel rendersi conto che la Serpeverde non stava più camminando accanto a lui: il ragazzo si voltò e posò gli occhi chiari su Rebecca, che si era fermata un paio di metri dietro di lui e teneva gli occhi fissi su qualcosa. 

"Come mai ti sei fermata?"  
Emil inarcò un sopracciglio, osservando la ragazza con aria quasi preoccupata mentre Rebecca sollevava leggermente una mano, indicando qualcosa prima di parlare con un filo di voce:

"È... ce n'è uno." 
"Di che parli?" 

Emil si voltò nuovamente, scrutando la strada davanti a sè prima di stendere le labbra in un sorriso, capendo a cosa si stesse riferendo la compagna e rilassandosi:

"Ah, certo, intendi il clown! Si, è come quello del film... Becky, dove stai andando?!" 

Emil si accigliò quando, voltandosi di nuovo, non vide più la ragazza dietro di sè: Rebecca aveva fatto dietro front e si stava allontanando persino più rapidamente di quanto non avesse già camminato poco prima. 

"Becky! Andiamo, non è come quello del film!" 
"Beh, io di fianco a lui non ci passo lo stesso!" 
"Ma dove stai andando? Andiamo, non fare la vigliacca!" 

Emil alzò leggermente il tono di voce per farsi sentire dalla ragazza che si stava allontanando, che si limitò a sbuffare e a borbottare qualcosa in risposta, senza neanche voltarsi:

"Sono Serpeverde Emil Bach... sono una codarda per antonomasia. Ergo, fuggo!" 


Emil fece per ribattere ma decise di lasciar perdere, roteando gli occhi prima di affrettarsi a seguirla, con Cinnamon che gli trotterellava accanto:

"Certo che la tua padrona è proprio un tipo... ma come fa a muovere quelle gambette così velocemente? Becky, aspettami!" 
 

                                                                   *


"Chi è Constance?" 
"Come?" 

Gabriel sollevò lo sguardo dai disegni che stava guardando per posarlo su Helene che, seduta su una poltrona, teneva in mano il suo quaderno.

"Ho trovato questo nome un paio di volte... è una persona reale?" 
"Sì... è la mia ex ragazza." 

Gabriel annuì prima di riportare gli occhi sui disegni della ragazza che stava guardando, mentre lei al contrario stava leggendo alcuni dei suoi scritti.

"E la citi ancora così tanto?" 
"Non so perché lo faccio... le sono ancora piuttosto affezionato, credo, ma ci siamo lasciati dopo il diploma, siamo stati insieme un anno." 

Gabriel si strinse nelle spalle mentre Helene invece annuiva quasi distrattamente:

"Tu come hai vissuto la scuola? Io ero quella strana..." 
"Non sei strana... non sempre, almeno. Io invece ero quello con la testa tra le nuvole che in compenso aveva un mucchio di ragazze." 
"Non ti facevo così... marpione. Quindi avevi un sacco di ragazze ma poi ti sei innamorato di lei?" 

"Diciamo di sì. Ma è finita, ormai."
"Sicuro?" 
"Sicurissimo. Possiamo cambiare argomento, per favore?" 


Helene lo osservò con aria dubbiosa ma poi annuì, mentre Gabriel accennava ai suoi disegni:

"Bene. Ora, visto che mi hai fatto vedere tutti i disegni che hai fatto da quando siamo qui... un bel ritratto al caro Gabriel non lo faresti?" 
"Ma certo... 10 Galeoni." 
"Come sarebbe a dire? Sono io!"
"Appunto per questo. 10 Galeoni." 


                                                             *


"Ciao. Siete tornati in fretta." 

Eleanor alzò lo sguardo dal suo libro e sorrise in direzione di Emil e Rebecca, che erano appena entrati nella stanza con Cinnamon al seguito. Il cane andò subito verso di lei per sistemare il muso sulle sue ginocchia, mentre invece Emil sorrise e accennò a Rebecca:

"Diciamo che Becky aveva fretta di tornare." 
"Davvero? Che è successo?" 
"Niente." 

Rebecca sbuffò, borbottando qualcosa di poco comprensibile mentre si trascinava verso il divano, sedendosi accanto all'amica mentre Emil invece ridacchiava, occupando una poltrona:
 
"Ha incontrato un clown ed è corsa via alla velocità della luce!" 
"Un clown? Un? Aspetta, state dicendo che ce ne sono MOLTI ALTRI? Elly, perché ridi, è una faccenda seria! Brava, perfida Tassorosso, ridi, vedrai come riderò io la prossima volta in cui scapperai di fronte ad un gatto!" 


                                                                     *


"Immagino che ci vedremo presto." 
"Certo... quando tornerò a trovare mia madre." 

Ivan si costrinse a sorridere mentre si alzava, chiudendo i tasti del pianoforte. Fece per allontanarsi ma la voce della donna lo bloccò, chiedendogli come si chiamasse. 
"Ivan." 
"Davvero? È un gran bel nome... anche mio figlio si chiama così. Non saluti tua madre prima di andare?" 
"Temo che non possa vedermi, oggi... pazienza, tornerò presto." 

Sorrise e fece per allontanarsi, ma non aveva ancora imboccato il corridoio quando si bloccò nuovamente, incapace di fare diversamente:

"Ivan? Dì a tuo fratello che la cena è pronta." 

Contorse la mascella, sentendosi quasi raggelare mentre si ordinava mentalmente di non voltarsi, di continuare a camminare. 
Per un attimo ci aveva quasi sperato. 



 

"Non ti capisco proprio... perché reagisci così?" 
"Non posso farci niente, sono fatto così. E ti prego, stanne fuori." 

"D'accordo, ma... non ha senso. Perché evitarla come la peste se ti piace?" 

Cal guardò l'amico sbuffare prima di accelerare il passo, superandola e limitandosi a dire un'ultima cosa:

"Perché è fidanzata, Cal. Torno all'Hotel, ci vediamo dopo." 
"Ma Ivan, lei..." 

Cal dovette mordersi la lingua per evitare di finire la frase, ripetendosi che non erano affari suoi, che non spettava a lei dirlo... in fin dei conti lui le aveva detto di starne fuori. 
Ma mentre lo guardava allontanarsi con le mani sprofondate nelle tasche Cal si chiese se non sarebbe stato meglio evitare di farsi i fatti propri in quella storia. 


                                                                *


"Ricapitolando... Eleanor è terrorizzata dai gatti e a me inquietano quegli strani tizi con la faccia piena di gesso... tu invece? Che cosa ti spaventa? Sei sempre così rilassato e di buon umore." 


Emil prese posto accanto a Rebecca sul divano mentre lei si sistemava distrattamente il pail sulle ginocchia, osservandolo con curiosità: era difficile immaginarlo spaventato da qualcosa. 
 
"Tutti siamo spaventati da qualcosa... non saprei, comunque. Credo perdere qualcuno che amo e non poter fare nulla per lui. Guardarlo morire senza poterlo aiutare." 

Per un attimo Emil ripensò a quando gli era capitato di guardare un uomo e vedere così i flussi magici mortiferi aleggiargli intorno, cogliere il lento deterioramento di una persona senza avere il coraggio di dirgli che stava per morire, in un modo o nell'altro. 
Immaginò che gli succedesse una cosa del genere con suo fratello o con i suoi genitori e in un attimo gli venne la pelle d'oca. 

"Non si può essere sempre d'aiuto, no? E poi la morte non avvisa... a parte le malattie, certo." 

Lui sì, in un certo senso era avvisato eccome... lo vedeva, quando qualcuno stava per morire. Ma come poteva una persona avere il coraggio di dirlo ad alta voce al diretto interessato? Lui difficilmente ci sarebbe riuscito, lo sapeva. 

"Immagino che tu abbia ragione, ma mi spaventa comunque. Perché me lo chiedi? Vuoi sapere cosa mi spaventa per farmi uno scherzo?" 

"Non sono così subdola, era solo per chiedere! E poi con una paura del genere il massimo che potrei fare è fingere di essere sul letto di morte..." 
"Me ne renderei conto se stessi fingendo, mi spiace scricciolo. Io vedo sempre tutto!" 
"Lo dici sempre, ma devo ancora capire che vuol dire." 

 Rebecca inarcò un sopracciglio, guardandolo sorridere con aria scettica:

 "Quello che ho detto: capisco sempre cosa provano le persone. Per esempio, ora che ti sto toccando i capelli so che sei in imbarazzo." 
"Davvero? Vedi anche la formula dell'incantesimo che sto pensando di lanciarti?" 
 
"No, questo in effetti no... ma quello che ho detto sì!" 

Emil rise prima di ritrarre la mano e alzarsi di fronte all'occhiata torva che gli rivolse la ragazza, che però era comunque arrossita. 

"Ok, ho capito l'antifona... vado, ci vediamo dopo! Ecco, ti vedo già più triste ora che me ne vado." 
"Non penso proprio." 

Rebecca sbuffò, ma Emil indugiò comunque sulla soglia mentre la osservava per un istante, concentrandosi sui colori che gli facevano capire come si sentisse in quel momento. 

Per un attimo si soffermò, stupendosi, su un insolito arancione piuttosto scuro, ma poi girò sui tacchi e uscì dalla stanza, dicendosi di non farci troppo caso e di non pensarci. Peccato che fallì miseramente quel proposito nelle ore successive. 







................................................................................
Angolo Autrice:

Buongiorno (?)! O forse buonanotte, sono le due quindi non saprei proprio. 
Dunque... questa volta avrei bisogno di un piccolo contributo da parte vostra: mi serve che mi mandiate di nuovo la descrizione o una foto, quello che volete, di un vestito elegante per il vostro OC... e questa volta non metto paletti per il colore, fate voi! 

Buonanotte, 
Signorina Granger 




                          




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Capitolo 19
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17 

 
Venerdì 16 Novembre
 


Si morse nervosamente il labbro mentre si teneva le mani sui fianchi, ferma davanti allo specchio a figura intera e impegnata a studiare il proprio riflesso. 

"Secondo te come sto?" 

Il tono della ragazza non era particolarmente convinto, mentre la voce che le rispose senza la minima esitazione era piuttosto ferma e decisa:

"Sembri una fatina. L'azzurro così chiaro non è il tuo colore... toglietelo." 

"Ma devi essere sempre così diretta?" 

Eleanor sospirò, voltandosi verso Rebecca che invece le rivolse un sorriso angelico, comodamente seduta sul suo letto con Cinnamon acciambellata accanto a lei, impegnata a distruggere l'ennesima pantofola:

"Essendo una tua carissima amica mi sento in dovere di essere sincera... preferiresti forse che ti mentissi e non ti mandassi in giro al meglio? No, quindi toglietelo... ora ci penso io." 

Rebecca sorrise e si alzò dal letto prima di raggiungere l'armadio a muro dell'amica, che roteò gli occhi scuri ma non osò ribattere, certa che nelle ore successive l'amica si sarebbe divertita anche troppo ad usarla come bambola da agghindare. 



                                                                  *



"Odio i miei capelli! Quando torno a casa me li taglio da maschio, giuro!" 

Gae alzò gli occhi al cielo, dicendosi di ignorare l'amica e di continuare a spazzolarle i lunghi capelli rossi con pazienza infinita, cercando di non sentire i suoi borbottii contro i capelli che non ne volevano sapere di farsi sistemare. 

"Lo dici da quando avevamo 11 anni Elin, e ancora li hai lunghi..." 
"Sarà, ma li odio... mai una volta che stiano a posto. Se non altro hanno un colore decente... come me li sistemi?" 
"Ti tiro le ciocche superiori indietro sulla nuca e poi li lascio sciolti, ok?" 

Helene annuì, sorridendo allegramente all'amica mentre faticava a restare ferma, seduta sulla sedia davanti alla toeletta. 

"D'accordo, grazie Gae... non vedo l'ora che arrivi l'ora di andare. A che ora dobbiamo uscire dall'Hotel?"
"Credo che Koller abbia detto alle 8. Hai ricordato a Gabriel di essere puntuale questa volta? Ho come la sensazione che altrimenti si beccherà una Maledizione senza perdono." 
"Si, gli ho detto di non perdere troppo tempo a fantasticare come fa di solito... c'è da vedere se mi ascolterà." 

Helene si strinse nelle spalle prima di allungare una mano e prendere un orecchino, sistemandoselo davanti all'orecchio con aria critica, valutando se indossarlo o meno.

"Secondo te come mi sta?" 
"Bene, ma fossi in te sceglierei dopo aver messo il vestito... scusa Elin, ma perché stasera sei così attenta al tuo aspetto?" 

La belga guardò l'amica cercando di non ridacchiare, mentre invece la rossa si stringeva nelle spalle e sistemava nuovamente l'orecchio al suo posto:

"Per nessun motivo in particolare... di certo non ci tengo a fare brutta figura, ti pare? No Gae, non per il motivo che pensi tu!" 
"Non ho detto assolutamente nulla, infatti." 
"Certo, ma la tua faccia parla... ti conosco da 8 anni, ti ricordo." 

Gae sorrise, esitando prima di parlare nuovamente mentre continuava a pettinare i lisci capelli rossi dell'amica:

"Sai... non c'è niente di male ad ammetterlo, Elin." 
"Non c'è proprio niente da ammettere. E poi lui pensa ancora alla sua ex." 
"Temo che tu l'abbia appena ammesso, anche se indirettamente..." 

"Gaetana, con tutto questo spettegolare ti stai immedesimando troppo nel ruolo di parrucchiera... smettila di fare insinuazioni!" 
"COME MI HAI CHIAMATA? Attenta Elin, ricordati che sto maneggiando i tuoi capelli."



                                                                  *



Cal bussò alla porta con lieve impazienza, sistemandosi distrattamente il tessuto verde chiaro della gonna mentre aspettava che le aprisse. 
Quando l'anta si aprì la ragazza sfoggiò un largo sorriso, mentre a, contrario il ragazzo che le stava davanti le rivolse un'occhiata scettica:

"Ciao Cal... sei venuta a controllare che sia in orario?" 
"Più che altro sono venuta a controllare che tu venga davvero e non che mi dia buca. Ti sei fatto male il nodo, incompetente!" 

Ad Ivan non restò che sospirare e roteare gli occhi chiari mentre l'amica, sbuffando, gli sistemava rapidamente il nodo della cravatta blu notte:

"Ecco, ora va bene. Via quel muso lungo Ivan, oggi dovresti essere di buon umore!" 
Cal sorrise mentre prendeva l'amico sottobraccio, invitandolo a seguirla nel corridoio deserto per scendere al piano terra, nella hall, dove avrebbero dovuto incontrare gli altri.

"Se devo essere onesto stasera avrei preferito starmene tranquillo e in santa pace..." 
"Non fare l'orso, è il tuo compleanno! Non capisco perché non vuoi mai festeggiarlo... ma non preoccuparti, ti divertirai." 

Cal sorrise ma Ivan non la imitò, limitandosi a seguirla mentre la bionda lo osservava con aria pensierosa:

"Sai che con i tacchi ti supero, credo?" 
"Grazie per avermelo fatto notare... non è colpa mia se sei altissima!" 
"Lo so, infatti non mi piace mettere i trampoli perché divento alta quasi come Emil, ma non potevo venire in infradito stasera, ti pare?" 

"Perché? Sarebbe stato senza dubbio un gran tocco di classe..." 

Ivan rise e per tutta risposta l'amica lo colpì sul coppino, guardandolo con una punta di rimprovero:

"Come sei simpatico..." 
"Grazie, me lo dice sempre anche Pawel." 

"Un altro mostro di simpatia. Ora fermo, ti sistemo i capelli!" 
"Non pensarci nemmeno!" 



                                                             *



"Perché ho la sensazione di cadere tra esattamente due secondi?" 

"Pensi di farcela entro i prossimi Mondiali di Quidditch, tanto per chiedere? Mancano esattamente sette mesi, penso che potresti riuscire nell'impresa..." 

Rebecca inarcò un sopracciglio mentre se ne stava appoggiata al corrimano nel bel mezzo della rampa principale di scale, impegnata ad osservare distrattamente le sue unghie appena rifatte mentre qualche gradino sopra di lei Eleanor imprecava contro l'architetto per aver realizzato gli scalini in marmo:

"Non è colpa mia, su questo maledetto marmo si scivola! Ma non potevano farle di legno?" 
"Domani gli spedirai una lettera di protesta, ora sbrigati o Koller comincerà a farci la predica per il ritardo... e disgraziatamente non posso mandarlo a quel paese!" 

Rebecca sospirò, iniziando quasi a prendere in considerazione l'idea di usare la magia per spedire l'amica nella hall quando qualcuno comparve sulle scale, quasi saltellando giù per i gradini nella loro direzione, scendendone tre alla volta:

"Buonasera fanciulle... Elly, ti metti in mostra sulle scale per caso?" 

Emil si fermò accanto all'amica, sorridendole con fare allegro mentre invece lei lo fulminò con lo sguardo, maledicendolo mentalmente per il suo non dover indossare né una gonna lunga né i tacchi, abbinamento che di certo le avrebbe causato una rovinosa caduta entro la fine della serata:

"Ti odio." 

"Sei indubbiamente di umore non proprio ottimo al momento, ma so per certo che mi vuoi bene... sì, vedo un sacco di arancione, quindi mi vuoi bene. Vuoi una mano?" 

Il Tassorosso le sorrise e l'amica annuì, prendendo l'enorme mano del ragazzo per scendere le scale mentre Rebecca sorrideva all'amica, guardandola con aria divertita:

"Wow, ce l'hai fatta... e siamo ancora nel 2017! Ottimo lavoro." 
"Odio anche te." 

"Non preoccuparti, vuole bene anche a te. Becky, tu non la vuoi una mano?" 
"No grazie, ce la faccio da me." 
"La solita orgogliosa... comunque non preoccuparti, se cadi ti prendo al volo!" 

"Tranquillo, non cadrò... pensa ad Elly, piuttosto." 

Rebecca accennò col capo all'amica prima di voltarsi e riprendere a scendere i gradini, sollevando leggermente la gonna color malva per non scivolare. 


Emil la guardò scendere le scale, cogliendo nuovamente la stessa sfumatura che continuava a vedere da diversi giorni. Esitò per un attimo ma poi si voltò nuovamente verso Eleanor, sorridendole e invitandola a seguirlo. 


"Che cosa c'è Emil?" 
"Niente... coraggio, andiamo, Rebecca ha ragione quando dice che altrimenti ci sorbiremo una predica. 


                                                     *


Christina, fece vagare lo sguardo da Alexander, seduto accanto a lei mentre non la smetteva neanche per un attimo di tormentarsi il papillon nero con le dita e a tamburellare leggermente un piede sul tappeto, a Jarrod, che invece continuava a sistemarsi distrattamente i capelli biondi, gli occhi azzurri fissi su un punto imprecisato della parete opposta. 

"Non riuscite a stare fermi neanche per un attimo, vero? Alex, non disfare il nodo... e rilassatevi, ci dovremmo divertire questa sera, no?" 

La pianista roteò gli occhi mentre Alexander invece sbuffò sommessamente, borbottando che aveva il pessimo presentimento che qualcuno tra i ragazzi avrebbe fatto fare a tutti e tre una tremenda figuraccia.

"Il solito ottimista... sorridi, Alex. È da parecchio che non andiamo tutti e tre ad un concerto solo per ascoltare e non per suonare, dopotutto." 

"Già... l'ultima volta è stato quando Jarrod è ruzzolato dalle scale, se non ricordo male, l'anno scorso." 
"Sono caduto perché qualcuno stava in mezzo ai piedi come sempre." 

Il violinista rivolse al collega un'occhiata torva mentre Christina sospirava, chiedendosi mentalmente perché provasse da anni a fare conversazione con quei due quando finivano puntualmente per discutere. 

"A teatro vi sederete ai lati opposti della fila, spero, altrimenti darete più spettacolo voi dei musicisti..." 

                                        
I due le stavano assicurando che sì, molto probabilmente avrebbero fatto così posti permettendo, quando Christina rivolse un sorriso alle due ragazze che erano appena arrivate davanti a loro:

"Buonasera ragazze... siete decisamente in perfetto orario." 

Gae probabilmente avrebbe voluto dire che Helene l'aveva quasi costretta ad essere puntualissima per evitare di subire l'ira di un certo direttore d'orchestra, ma l'occhiata in tralice che ricevette dalla rossa la convinse a lasciar perdere, limitandosi ad annuire e ricambiare il sorriso della pianista:

"Beh... se c'è una cosa che abbiamo imparato in queste settimane è essere puntuali, dopotutto." 



                                                               *



Mentre scendeva frettolosamente le scale si sistemò le maniche della camicia, vagamente stupido di se stesso e soddisfatto di essere puntuale: del resto Helene glielo aveva ripetuto almeno tre volte da quando si era svegliato, sarebbe stato difficile dimenticarsene. 

Quando arrivò nella hall fece vagare lo sguardo sui compagni, cercando le inconfondibili chiome di Gae ed Helene. 
Emil, con indosso un completo blu e la camicia bianca, era a sua volta impossibile da non notare e stava parlando con Eleanor, mentre Ivan e Pawel discutevano in un angolo insieme a Cal. 

Gae ed Helene erano in piedi una accanto all'altra, la rossa teneva le braccia pallide consente mentre ascoltava l'amica, ma sentendosi osservata si voltò nella sua direzione e sorrise, facendogli cenno di avvicinarsi:

"Ciao... vedo che ce l'hai fatta, stai facendo progressi." 
"Trovi anche tu? Penso che all'ultima sera potrei anche arrivare per primo, che ne dici?" 

"Ora non esageriamo, forse è chiedere troppo." 
Helene sorrise mentre il ragazzo si fermava davanti a lei per darle un bacio su una guancia, mentre Gae seguiva la scena restando in silenzio e con aria quasi esasperata. 

La sua amica era testarda come un mulo, oltre che convinta che Gabriel pensasse ancora a Constance, e lui era, probabilmente, ottuso quanto lei. 

Gae li guardò parlare e sorridersi a vicenda prima di scuotere il capo, allontanandosi e borbottando che sarebbe andata in bagno prima di uscire dall'Hotel. 



                                                              *



"Cal, smettila di ridere." 
"Infatti, Jordan, non è divertente." 

"Ma come non è divertente? Guardatevi! Che carini, vi siete messi d'accordo?" 

Cal continuò a ridacchiare mentre guardava Ivan e Pawel con aria divertita, tentata di chiedere ai due se potesse fare una foto. 

"Assolutamente no, non ci teniamo a fare i gemellini! E comunque il blu sta molto meglio a me." 
"Certo, come no." 

Cal continuò a ridacchiare mentre i due amici si scambiavano occhiate torve a vicenda, entrambi vestiti di blu... senza contare che erano entrambi biondi e alti pressoché uguali. 
                                         
Probabilmente la bionda avrebbe continuato a deriderli, ma poi la sua attenzione venne catalizzata su una ragazza che era appena entrata nella hall... e immediatamente Cal si spostò nella sua direzione senza dare neanche una spiegazione ai due.

"Ma dove va adesso?" 

Pawel si accigliò leggermente, seguendo la ragazza con lo sguardo mentre anche Ivan si voltava, sospirando quando si rese conto chi stesse raggiungendo l'amica:

"Non importa... dai, andiamo, credo sia ora di uscire." 




Irina non fece in tempo a raggiungere i compagni che si ritrovò presa sottobraccio da Cal, guardando la bionda con leggera perplessità:

"Ciao Cal... bel vestito." 
"Grazie, anche il tuo. Tra poco dobbiamo uscire da qui per andare a teatro con la macchina... ti devo parlare, ergo siediti vicino a me." 

"D'accordo... aspetta, hai detto MACCHINA?" 
"Si, quelle cose Babbane con le ruote... tranquilla, sopravviverai." 


Irina non ne era poi così sicura, ma disgraziatamente non aveva altra scelta che seguire i compagni... e poi moriva dalla voglia di sapere che cosa Cal avesse da dirle.



                                                                *



"Ti devo parlare." 
"Ehm... ok. Non dovremmo aspettare Helene?" 
"No, andiamo a prendere i posti, voglio stare più vicina possibile al palco... vieni con me." 

Gae, senza tante cerimonie, prese Gabriel sottobraccio e lo costrinse a seguirla, camminando con il suo solito modo di fare silenzioso ed elegante persino con i tacchi ai piedi. 

"Ok..." 

Il ragazzo le rivolse un'occhiata vagamente perplessa, mentre Helene si era allontanata per andare in bagno, ma ancora non si erano seduti quando Gae riprese a parlare, usando un tono incredibilmente diverso da quello vago e rilassato che usava di solito:

"Senti Gabriel... devo dirti una cosa mentre Elin non c'è. La tua ex ragazza si chiama Constance, giusto?" 
"Sì... come lo sai?" 
"Me lo ha detto Elin... che domande fai, noi ci diciamo sempre tutto!" 
"Dimenticavo, scusa... dicevi?" 
"Ecco... da quello che ho capito la inserisci spesso nei tuoi scritti. E dopo averli letti Elin è convinta che tu pensi ancora a lei... vorrei sapere se è così." 

"Perché?"   Gabriel guardò la ragazza con aria stralunata, facendola sospirare mentre continuavano a zigzare tra la folla:

"Ma davvero non ci arrivi? Scusa, la tua Casa sbaglio o è quella dei tipi svegli?" 



                                                                 *



"Cal... la smetti di guardarti intorno e mi dici cosa sta succedendo?" 

Irina inarcò un sopracciglio mentre Cal, seduta accanto a lei su una delle poltroncine imbottite color cremisi, si guardava intorno con lieve nervosismo

"Scusa, sto controllando che Ivan non si renda conto che ti sto per spifferare tutto quanto... ma se non lo faccio temo che la situazione non si scollerà mai. Per fortuna è seduto nell'altra fila con Pawel..." 
"Quindi finalmente qualcuno mi dirà perché è diventato così freddo con me? Sarebbe anche ora..." 

Irina sorrise con aria sollevata mentre Cal si rimetteva dritta sulla sedia, sistemandosi distrattamente i capelli biondi intrecciati sulla nuca:

"Quando inizierà il concerto ci sara silenzio assoluto sulla platea, quindi te lo dico ora... ricordi quando, al tuo compleanno, mi hai detto di essere fidanzata e tutto il resto?" 
"Certo." 

Irina si accigliò leggermente mentre teneva gli occhi azzurri fissi sulla pianista, mentre un pessimo presentimento si insinuava dentro di lei:

"Potrei averlo... accidentalmente accennato ad Ivan, ma non pensavo certo che avrebbe reagito così!" 
"In effetti mi evita dal mio compleanno... quindi mi stai dicendo che lo fa per questo? Sei sicura?" 
"Assolutamente, in pratica me lo ha detto lui." 

Cal si strinse nelle spalle mentre Irina invece posò gli occhi sul palco, dove i musicisti stavano sistemando spartiti, leggii e strumenti, con la stessa espressione perplessa di pochi attimi precedenti:

"Quindi, se lo fa per questo..." 
"Fossi in te gli direi che è tutta una decisione della tua famiglia e non tua... e comunque sì, intendo esattamente quello a cui stai pensando." 

Cal le rivolse un sorrisetto mentre invece la rossa divenne praticamente dello stesso colore dei suoi capelli, non sapendo se essere grata alla bionda per averle detto come stavano le cose... avrebbe dovuto sentirsi meglio e in parte era così, ma d'altro canto forse l'aveva messa piuttosto in difficoltà. 

"Ah, quasi dimenticavo... c'è un'altra cosa, se devo essere onesta." 
"Ossia?" 
"Oggi é il suo compleanno." 



                                                        *

                                                            

"Che cosa stai guardando?" 

Pawel parlò senza nemmeno alzare lo sguardo dal "libretto", leggendo i titoli dire brani che stava per ascoltare mentre accanto a lui Ivan sbuffava, borbottando qualcosa a mezza voce mentre si rimetteva dritto sulla sedia:

"Cal che parla con Irina. Probabilmente dovrei preoccuparmi." 
"Beh, sai come la penso sulla sua amica... ma effettivamente Irina è venuta a parlare persino con me la settimana scorsa. Mi ha chiesto se avessi un'idea sul perché la eviti da qualche tempo." 
"E tu cosa le hai risposto?" 
"Che non ne sapevo niente... ed effettivamente è così. Perciò te lo chiedo Ivan, che cosa succede?" 

Il polacco posò gli occhi chiari sull'amico che invece osservava ostinatamente il palco, sbuffando leggermente e accennando alle luci che si stavano spegnendo prima sii parlare a mezza voce:

"Comincia... zitto e ascolta, Pawel." 
"Certamente, abbiamo la fortuna di essere qui e ascoltare un concerto importante con la scusa della competizione, non perdo l'occasione... ma avremo modo di parlare nella pausa, non preoccuparti." 


Pawel sfoggiò un lieve sorriso mentre accavallava distrattamente le gambe, posando poi a sua volta lo sguardo sul palco mentre accanto a lui Ivan sbuffava sommessamente, chiedendosi se non sarebbe riuscito a scomparire nel nulla durante gli intervalli. 


                                                                     *


“Posso sapere a cosa stai pensando?” 
“A niente… ascolto la musica, sai che amo farlo. Perché me lo chiedi?” 

Emil si voltò verso Eleanor, che lo guardò di rimando e gli sorrise leggermente, lisciandosi distrattamente la gonna chiara del vestito:

“Tu sei sempre il primo a chiedere agli altri come si sentono, il primo con il quale tutti si confidano… stasera però quello soprappensiero sembri tu. Che cosa c'è?”
“Buffo. Non dovrei essere io quello che vede come stanno e cosa provano le persone?” 

“Tu hai un dono particolare Emil, io ho una buona dose di empatia… e ti conosco. Infondo non c'è bisogno che ti dica quanto ti voglio bene, no? Lo vedi benissimo da solo.” 

Emil annuì, distogliendo lo sguardo dall’amica per posarlo sul pavimento in parquet scuro e trattenendosi dal dirle che ad occupare i suoi pensieri era proprio qualcosa che vedeva grazie al suo “dono”. 

“Già… vedo sempre un sacco di cose, forse a volte troppe.” 
“Si tratta di questo? Lo immaginavo… avanti, dimmi pure.” 
Eleanor gli sorrise dolcemente, approfittando della pausa per poter guardare l'amico in faccia: si era perfettamente accorta della sua lieve deconcentrazione… solitamente ascoltava la musica con molta attenzione, ma non quella sera.

Emil invece tentennò, evitando di risponder subito alla sua domanda:

“Sai Elly… non so se posso parlarne con te.” 
“Perché no?” 

Eleanor sgranò gli occhi scuri con sincera sorpresa, ma fortunatamente Emil non dovette rispondere a quella domanda, interrotto dalla familiare voce di Rebecca che li aveva nuovamente raggiunti ai loro posti. 

Mentre l'amica prendeva posto accanto a lei Eleanor indugiò per un attimo con gli occhi su Emil, che invece continuava a tenerli fissi davanti a sé, prima di voltarsi verso l'amica, ripromettendosi di andare a fondo una volta sola con l'amico. 


Perché non poteva parlarne proprio con lei, dopotutto? 


                                 
                                                                                              *



“Sbaglio o non ti stai godendo quasi per niente lo spettacolo?” 
“Non esattamente, continuo a rimuginare su quello che mi hai detto.”


Irina sbuffò, continuando ad arricciarsi nervosamente una ciocca di capelli ramati intorno ad un dito mentre accanto a lei Cal le sorrideva quasi con aria di scuse:

“Immagino… scusa.” 
“No, sono felice che tu me l'abbia detto… per fortuna l'hai fatto.” 

Irina si mosse nervosamente sulla poltroncina, faticando a restare ferma mentre non osava voltarsi in direzione di Ivan, temendo di diventare della stessa sfumatura delle suddette sedie se se ne fosse accorto. 

Dannato, stupido fidanzamento… del resto l'aveva sempre saputo, che non le avrebbe portato niente di buono, ma non pensava neanche fino a quel punto. 
Moriva dalla voglia di alzarsi e spiattellare ad un certo pianista che la decisione non era stata affatto sua, ma dei suoi genitori, che era fidanzata con un ragazzo che a malapena sopportava, un amico di suo fratello maggiore scelto dalla sua famiglia visto che i loro genitori erano soci in affari. 


Non faceva che pensarci da quando Cal le aveva detto quelle cose, si era persino fatta una mezza predica cognitiva, dicendosi di non farci troppo caso e di concentrarsi sulla musica, ma proprio non ci riusciva.

Dannato, stupido fidanzamento 


Quella sera era, tecnicamente, un modo per rendersi conto come avrebbe dovuto comportarsi e suonare un mese dopo, alla serata di chiusura, per capire che cosa si aspettavano da loro gli esaminatori… ma faticava davvero a concentrarsi. 


Dannato, stupido fidanzamento che non aveva scelto, su cui non aveva avuto alcuna voce in capitolo e che si era ritrovata ad acconsentire passivamente… ma probabilmente non aveva mai digerito del tutto quella storia, non l'aveva mai accettato e se era lì a Vienna, dopotutto, era solo per ritardarlo il più possibile. 

Ma già immaginava cosa sarebbe successo una volta a casa… il 22 Dicembre sarebbe tornata dalla sua famiglia, in Bielorussia, e sicuramente non appena le feste sarebbero finite avrebbero cominciato a parlarne di nuovo, ad affrettarsi per organizzarlo. 
Ed entro la fine dell’Inverno si sarebbe ritrovata sposata e accasata, probabilmente, a soli 19 anni. 


Certo, spesso i maghi si sposavano presto, ma quell’età era davvero TROPPO presto.
Irina piegò le labbra in una smorfia, ripensando alle svariate volte in cui le era capitato di sognare abiti da sposa orrendi che somigliavano a centrini, pieni di pizzi e merletti, che la inseguivano per strangolarla. 

Effettivamente da quando era lì aveva iniziato a pensarci un po’ meno… a volte quasi se ne dimenticava, che quello era forse il suo vero assaggio di libertà. 
Squagliarsela? Partire per Vienna e non tornare più? 
Ci aveva pensato, in effetti, ancor prima di arrivare in Austria… ma poi si era detta di smettere di voltare così in alto, che non sarebbe mai riuscita a cavarsela da sola. 

Certo, poteva sempre andare ad Oslo da Maya, ma non voleva neanche imporle la sua presenza per chissà quanto tempo, per quanto sapesse che l'amica sarebbe stata ben felice di accoglierla. 


Mancava poco più di un mese, poi sarebbe tornata a casa… più quella data si avvicinava e più riprendeva a pensarci, rendendosi conto di quanto non lo volesse. 
E probabilmente lo voleva ancor meno da qualche settimana, quando aveva iniziato a rendersi conto che qualcosa era cambiato… in effetti l'aveva capito, probabilmente, proprio quando Ivan aveva iniziato ad essere così distante nei suoi confronti.

Una reazione a catena a dir poco assurda… e a cui, sicuramente, voleva mettere fine. 



                                                                                            *



Non si era nemmeno goduto del tutto le stagioni di Vivaldi che in genere adorava, continuava invece a lanciare occhiate leggermente nervose alla ragazza che gli stava seduta accanto, tanto che ad un certo punto Helene gli aveva chiesto che cosa avesse. 

Gabriel si era limitato a scuotere il capo e a borbottare un “niente” in mezzo al buio e al silenzio che avvolgeva la platea, Elin era tornata a concentrarsi sulla musica ma lui non ci era riuscito continuando a muovere nervosamente un piede e a tormentarsi i capelli scuri con una mano. 

Quello che Gae gli aveva detto gli aveva come fatto accendere una lampadina, e anche se non sapeva se crederci o meno secondo la belga Helene era quasi “gelosa” di Constance. 
Probabilmente avrebbe dovuto dirle che non ce n'era alcun bisogno, ma si sentiva sprofondare alla sola idea di parlarle così apertamente… non era mai stato bravo a manifestare quello che provava dopotutto, faticava ad esprimere affetto persino a sua madre. 

Helene non ne aveva alcun bisogno, non solo perché Constance non gli interessava più da tempo ormai, ma anche perché si era reso conto che nei confronti di quella sorridente ed esuberante ragazza dai capelli rossi qualcosa era cambiato. 


Era sempre stato attirato da Constance per via della loro incredibile diversità, lei era semplicemente il suo opposto… Helene invece gli somigliava di più, a volte avevano entrambi la testa tra le nuvole, entrambi non avevano un rapporto facile con i rispettivi genitori, entrambi avevano una spiccata vena artistica.

Era molto più simile a lui di quanto Constance non lo fosse mai stata… e anche se aveva sempre pensato che a farlo innamorare di lei fosse stata quella diversità, forse in quel caso l'essere simili non era un fattore negativo. 


                            
Quasi senza volerlo lanciò un’ennesima occhiata in direzione della rossa, che sospirò prima di voltarsi verso di lui:

“Gabriel, ho un ragno nei capelli?” 
“No!”
“Allora mi trovi orribile con questo vestito?” 
“Neanche!” 

“E allora cosa c'è?” 
“Niente… scusa. Ignorami.” 

Gabriel si affrettò a voltarsi nuovamente verso il palco, lieto che il buio impedisse ad Helene di vedere che era appena arrossito leggermente, mentre la rossa lo imitava – chiedendosi sinceramente che cosa gli passasse per la testa –  e Gae, seduta alla sua sinistra, cercava di non ridere con scarsi risultati. 



                                                                                         *



Si era alzato dal suo posto sostenendo che sarebbe andato fuori a prendere una bocca d'aria e ora camminava sull’asfalto con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni scuri, cercando una panchina dove sedersi. 

In effetti era abbastanza sicuro di essere sfuggito per un pelo ad una specie di interrogatorio da parte di Pawel, che si era divertito anche troppo a metterlo sotto torchio già nella pausa più breve di mezz’ora prima. 
Ora però avrebbe avuto un intero quarto d'ora, e non aveva alcuna intenzione di concedergli tutto quel tempo per metterlo in difficoltà. 


Quando finalmente individuò una panchina ci si lasciò scivolare sopra, decisamente sollevato di essere finalmente solo. 
Era strano, in effetti, pensare che fosse il suo compleanno… ma era sempre stato il primo a non volerlo festeggiare quasi per niente, ormai si era abituato a passarlo come un giorno come tanti. 
Sua madre, dopotutto, probabilmente non riusciva a tenere il conto dei giorni già da tempo… e i momenti di lucidità in cui viveva effettivamente nel presente e non intrappolata nei ricordi erano diventati sempre più brevi e rari. 
No, non si era aspettato affatto una sua lettera di auguri, e di certo neanche da suo fratello. 


Ormai era autunno inoltrato e aveva iniziato a fare buio già diverse ore prima, ma alzando lo sguardo verso il cielo Ivan non scorse praticamente neanche una stella. 
Peccato… gli era sempre piaciuto guardarle, ma in quella città era impossibile, così come a casa sua, a San Pietroburgo.


“Ciao. Posso sedermi?” 


Sentendo quella voce familiare Ivan s’irrigidì, imprecando mentalmente – dopotutto se l'avesse fatto a voce alta lei l'avrebbe capito comunque – prima di voltarsi.
Non si era sbagliato e accanto alla panchina, davanti a lui, c'era proprio Irina. 

Fece per chiederle cosa ci facesse lì ma si limitò ad annuire, non osando rispondere negativamente a quella domanda.

“Grazie. Non hai freddo qui fuori, comunque? Che ci fai qui?” 
“No, io non ho mai freddo… volevo solo prendere un po' d'aria, tutto qui. Tu invece, che ci fai qui fuori?” 

“Volevo parlare con te. Ultimamente è diventato un po’ difficile, in effetti… spero che non scapperai adesso, perché inseguirti con queste scarpe sarebbe un po’ arduo.” 
“Non preoccuparti, non mi muovo da qui.” 


Ivan abbozzò un sorriso mentre si sfilava la giacca e la sistemava sulle spalle della ragazza, facendola sbuffare:

“Non voglio la tua giacca.” 
“Non mi interessa… questo vestito è molto carino e ti sta molto bene Irina, ma non so se con questo clima sia l'ideale.” 

Il russo si strinse nelle spalle e ad Irina non restò che sorridergli leggermente, ringraziandolo a mezza voce mentre una vocina nella sua testa le suggeriva che qualcun altro non avrebbe mai fatto un gesto così per lei… ma la scacciò in fretta, intimandole di starsene zitta per qualche minuto. 
Ivan aveva abbassato lo sguardo sulle proprie scarpe, chiedendosi che cosa volesse dirgli mentre Irina esitava per qualche istante prima di parlare:


“Cal mi ha detto che oggi è il tuo compleanno… non so perché tu non l'abbia detto a nessuno, ma volevo farti gli auguri.” 
“Grazie. Vuoi dirmi soltanto questo?” 

“No. Cal mi ha detto anche… che sai che sono fidanzata. È per questo che sei così distante?” 
Irina continuò a tenere gli occhi fissi sul ragazzo, guardandolo sospirare e passarmi nervosamente una mano tra i capelli biondi prima di annuire:

“Diciamo di sì.” 
“E perché?” 
“Perché… perché è meglio così, immagino. Non ha senso girare intorno ad una persona che non puoi avere.” 

Ivan si alzò, appuntandosi mentalmente di destinare la sua migliore amica ad una morte lenta e dolorosa mentre faceva per allontanarsi dalla panchina, con Irina che ancora lo seguiva con lo sguardo e lo stupore dipinto sul volto per quello che aveva appena sentito, anche se fortunatamente parlò prima che Ivan si allontanasse per più di tre passi:

“Non sono innamorata.” 
“Come?” 

Con suo sommo sollievo il ragazzo si fermò, voltandosi per guardarla con aria confusa mentre lei si affrettava a spiegarsi meglio, sentendo improvvisamente la gola piuttosto secca: 

“Non è una mia idea… è della mia famiglia. L'hanno deciso loro per me, ma non voglio farlo. Io voglio stare con te.”

Irina deglutì, pregando mentalmente di non essere diventata dello stesso colore dei suoi capelli con quelle parole mentre Ivan invece, dopo aver esitato per un attimo fissandola allibito, le si avvicinava e dopo essersi seduto nuovamente sulla panchina le prendeva il viso tra le mani per baciarla. 


Si, ormai su questo non aveva dubbi: non voleva affatto farlo. 


                                    
                                                                                  *



Pawel non battè ciglio quando Cal prese inaspettatamente posto accanto a lui, occupando la poltroncina dove fino a qualche minuto prima era seduto Ivan: 

“Ciao Juraszek.” 
“Ciao Jordan.” 

“Dove è andato Ivan?” 
“Ha detto che voleva prendere una boccata d'aria… e credo che anche Irina sia uscita.” 

Pawel si strinse nelle spalle, parlando con il suo solito tono neutro mentre invece Cal sfoggiò un largo sorriso, sostenendo che era “tutto merito suo” prima di alzarsi nuovamente, tornando al suo posto con aria trionfante. 
E al polacco non restò che seguirla con lo sguardo, certo che si sarebbe fatto tagliare la lingua piuttosto che dirle in faccia che aveva ragione e che era tutto merito suo. 




Un paio di file più indietro invece Helene aveva approfittato dell’assenza momentanea di Gabriel per sporgersi verso l'amica, sbuffando leggermente:

“Ma secondo te che gli succede?” 
“A che ti riferisci?” 
“Non lo so, mi sembra un po’ strano… a te ha detto niente?” 
“No Elin, niente di niente…” 

Se le sorrise con fare angelico, non convincendo per niente la rossa che la guardò con aria eloquente:

“… Tu gli hai detto qualcosa?” 
“Beh…” 
“BEH? Gae, parla. Ora.” 


         
La belga sorrise e non poté fare altro che dire all'amica di aver parlato a Gabriel di quello che pensava su di lui e e sulla sua ex ragazza… mentre Helene si metteva praticamente le mani nei capelli, desiderando di sparire:

“Non so se esserti grata o ucciderti… e ora come faccio?” 
“Beh, guarda il lato positivo, non hai detto che ti è sembrato strano? Io penso che si sia reso conto di qualcosa anche lui… non ringraziarmi, non serve, sono tua amica ed era mio dovere aiutarti.” 
“Forse prima avresti dovuto parlarmene, che dici? Comunque vedremo, ora come ora non so devo ringraziarti o ucciderti Gae.” 

         
                                                                                        *



“Sei sicura di non voler tornare dentro?” 
“Sicurissima. Non ho mai visto Vienna a quest’ora, dopotutto.” 


Irina sorrise, continuando a camminare sul marciapiede accanto ad Ivan tenendolo per mano e con la sua giacca sulle spalle. 
“Allora temo che ci perderemo un pezzo di concerto…” 
“Poco male, posso vederne altri… preferisco stare qui fuori, adesso.” 


Irina appoggiò la testa sulla sua spalla e Ivan mise il braccio sulle sue, esitando per un attimo prima di parlare:

“Cosa pensi di fare con la tua famiglia e tutto il resto?” 
“Onestamente non lo so… ma al momento nemmeno mi interessa.” 


                                                                                     *


“Ho come l’impressione che stasera avessero tutti la testa altrove… sbaglio?” 

“Non saprei, non ci ho fatto caso… perché lo pensi?” 

“Non lo so, ma c'è stato un gran andirivieni, scambio di posti, mormorii… non lo so, c'era qualcosa di strano nell'aria stasera.” 

Christina si strinse nelle spalle mentre attraversava la hall ormai deserta e buia insieme ad Alexander, che si limitò a stringersi nelle spalle:

“Può darsi… non sono particolarmente empatico, quindi non saprei.” 
“Tranquillo Alex, lo so benissimo, per fortuna io lo sono sempre stata per entrambi. Buonanotte, comunque, e complimenti a te e a Jarrod per esservi comportati da persone civili e adulte a teatro.” 

 
                                                                                    *


Dopo averle augurato la buonanotte Gabriel guardò Helene aprire la porta della sua camera prima di parlare nuovamente, attirando l'attenzione della ragazza:

“Elin… c'è una cosa che mi sono dimenticato di dirti.” 
“Ovvero?” 

La rossa alzò lo sguardo dalla porta per posare gli occhi chiari su di lui, guardandolo sorridere con curiosità:

“Sei davvero bellissima.” 

Helene rimase spiazzata per un attimo prima di sorridere a sua volta, mormorando un ringraziamento prima di entrare nella camera mentre, a qualche metro di distanza, Emil apriva la porta con la chiave magnetica a sua volta, morendo dalla voglia di togliersi la giacca e lasciarsi cadere sul letto. 

Si bloccò però sulla soglia della stanza dopo essersi chiuso la porta alle spalle, sgranando gli occhi nel trovare Eleanor seduta sul suo letto, tenendo i tacchi in mano

“Elly? Come sei entrata? … e quando l'hai fatto?” 
“Sono timida, non rimbambita! E queste stupide scarpe mi hanno deformato la pianta per sempre, ho idea… beh, in ogni caso sono qui per parlare con te. Ora siamo soli, voglio sapere perché non puoi parlare con me di questa cosa.” 

Il Tassorosso sospirò, avvicinandosi al suo letto e sedendo sul materasso accanto all'amica, tenendo gli occhi fissi sul muro:

“Riguarda qualcosa che hai visto?” 
“In un certo senso.” 
“E perché non puoi dirmelo? … aspetta, hai visto qualcosa di strano in ME?” 

Eleanor sgranò gli occhi, già pronta ad andare in paranoia mentre una sfilza infinita di malattie terminali iniziavano ad affollarle la mente, ma con suo sommo sollievo il ragazzo scosse il capo, sbuffando debolmente:

“No, Elly. Non riguarda te.” 
“Davvero? Grazie al cielo… e allora di che si tratta? Hai detto che non puoi parlarne con me…” 


Eleanor non finì la frase, interrompendosi mentre improvvisamente capiva:

“Si tratta di Becky, allora. Che cosa hai visto?” 
“Rilassati Elly, non sta morendo… non ti allarmare.” 
“Sei tu che mi fai allarmare, hai una faccia! Coraggio, dimmi che succede. Giuro che terrò la bocca cucita!” 












…………………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Immagino che leggerete il capitolo domani ormai, quindi buongiorno! 
Allora… grazie per le informazioni sui vestiti, qui sotto vi metto le foto (scusa Kyem ma non sono riuscita a trovarlo quello di Cal T.T):



Pawel 
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Helene 
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Ivan 
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Eleanor 
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Rebecca 
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Irina 
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Ci sentiamo presto con il seguito, spero che vi sia piaciuto! 

Signorina Granger 




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Capitolo 20
*** Capitolo 18 ***



Buona lettura!

Capitolo 18 
  

 
Mercoledì 21 Novembre
 
   
“È arrivata questa da tua zia… credo che sia importante. Magari riguarda tua madre.” 

Rebecca ruotò la busta per leggere il nome del mittente mentre entrava nella camera dell'amica, trovandola ancora profondamente addormentata. 

“Figuriamoci… Elly? Tra meno di un'ora devi suonare, dovresti alzarti.” 

Rebecca sospirò, avvicinandosi all'amica per scrollarla leggermente e senza ottenere alcun risultato, eccetto un borbottio sommesso della Tassorosso che le suggeriva di portarle la colazione in camera. 

“Te lo sogni, alza il nobile didietro e vai a vestirti… Stamattina non dovevi provare il Rondò con Christina?” 

Ormai abituata a quella scenetta Rebecca prese i lembi del copriletto e lo tirò con uno strattone, facendo sbuffare Eleanor. La Tassorosso però si limitò a girarsi dall'altra parte, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi mentre l'amica si appuntava mentalmente di regalarle un set di sveglie per Natale. 

“Come al solito… andiamo, lo faccio per te, non puoi arrivare tardi! Ma perché hai sempre sonno?” 
“È presto… sono in vacanza.” 
“Non siamo proprio in vacanza Elly… e poi sono le 8:30!” 
“Appunto, è presto!” 
“Non sei curiosa di sapere cosa dice tua zia?”  


Rebecca inarcò un sopracciglio, guardando l'amica con lieve esasperazione e senza ottenere alcuna risposta… probabilmente si era riaddormentata. 
L’ex Serpeverde sospirò e si voltò verso la porta che collegava la sua camera con quella dell'amica, sorridendo leggermente nel trovare il suo cane sulla soglia mentre un'idea si faceva strada nella sua testa. 
 
“Cinnamon? Vieni qui.”   

Il Setter trotterellò verso di lei e il sorriso di Rebecca si allargò, grattando le orecchie del cane prima di dire qualcosa a bassa voce:
  
“Scusami tesoro, non volermene… lo facciamo per la zia Elly.” 



Meno di cinque minuti dopo Rebecca Crawley uscì dalla camera dell'amica con un sorriso stampato sulla faccia, mentre un urlo squarciava il silenzio in cui il corridoio era avvolto. 


“Che cosa succede?” 
Helene sgranò gli occhi chiari, parlavano con un tono leggermente allarmato mentre aspettava Gae davanti alla sua porta, ma Rebecca si limitò a sorriderle mentre le camminava accanto:

“Oh, niente… sta benissimo. Vado a fare colazione, ci vediamo di sotto!”  

Helene annuì, seguendola con lo sguardo con espressione accigliata mentre accanto a lei la porta della camera di Gae si apriva e la belga faceva capolino nel corridoio, guardando l'amica con leggera preoccupazione:

 “Mi è parso di sentire urlare… è successo qualcosa?” 
 “Onestamente non saprei…”


                                                                                         *

   

Pawel sarebbe andato a sedersi accanto ad Ivan come al solito, ma due mani che lo afferrarono per le spalle lo costrinsero a cambiare rotta, facendolo voltare con lieve sorpresa verso la loro proprietaria:

“Che stai facendo Jordan?”  
 “Ti faccio prendere posto alla larga da Ivan, non si è capito?” 
“Se volevi fare colazione da sola con me bastava dirlo, anche se probabilmente avrei declinato l'invito.” 
 
Pawel prese posto ad un tavolo vuoto, rivolgendo un sorriso alla bionda che venne ricambiato con un’occhiata torva:

“Ivan dovrebbe farmi un monumento solo per questo… cosa non si fa per il proprio migliore amico? Si fa colazione con una persona insopportabile per lasciarlo da solo con Irina.” 
“Mi hai tolto le parole di bocca Jordan.” 
 

Pawel continuò a sorridere mentre Cal invece scosse il capo, guardandolo con aria esasperata:

“Scusa, ma tu non dovresti essere fidanzato? Non dovresti arrivarci da solo a lasciarli da soli? E a proposito… Veronika verrà a sentirci il 21 Dicembre?” 
“Sì. E non azzardarti a darle fastidio!” 

“Che dici, sono sicura che le sarei molto simpatica invece… io risulto sempre simpatica.”

Pawel roteò gli occhi mentre Cal invece sorrise, guardandolo sbuffare con cipiglio divertito:

“Sempre è una parola grossa… e ne hai la prova di fronte.” 


 
“Qualcosa non va?” 

Irina sorrise, parlando con il tono più gentile che le riuscì di fronte all’espressione torva di Ivan mentre piegava la lettera che aveva appena letto. Il ragazzo annuì distrattamente, continuando a fissare la teiera con aria pensierosa mentre parlava: 

“In un certo senso. È mio fratello.” 
“Se non vi sopportate perché vi scrivete? Non potete semplicemente ignorarvi?” 

Ivan annuì alle parole di Irina, sorridendo con leggera amarezza: 
 
“L'abbiamo fatto, per un po’. Ma da un paio d'anni siamo costretti a parlarci, temo… è per mia madre. Ci dobbiamo prendere cura di lei, la sua famiglia concretamente non muove un dito, si limita ad inviare valanghe di soldi.” 


Irina lo guardò versarsi del caffè nella tazza, ripensando a quando il ragazzo aveva precedentemente accennato a sua madre o a suo fratello… aveva fatto intendere che lui e Dimitri non andassero d'accordo, ma non si era mai soffermato troppo su sua madre. 

“Quindi le lettere che ti invia sono a proposito di tua madre?” 
“Sì. Se ne occuperebbe lui finché sono qui, ma non può. Lui ha la procura durevole per le questioni economiche, io per quelle sanitarie.  E disgraziatamente i suoi problemi riguardano più che altro le seconde.” 

Ivan si passò nervosamente una mano tra i capelli chiari, un po’ a disagio nel parlare di sua madre… ma allo stesso tempo, visto che non lo faceva mai, forse gli avrebbe fatto bene. 

“Mi dispiace. Non è giusto che ricada tutto su di voi.” 
 
Irina avrebbe voluto chiedergli di suo padre o che genere di problemi di salute avesse sua madre, ma proprio non se la sentì di fargli quelle domande in modo tanto diretto. 
Probabilmente però Ivan lo intuì, perché rialzò lo sguardo su di lei e sorrise appena: 

“È mia madre, chi dovrebbe preoccuparsi per lei se non io? E comunque… non è un problema Irina, puoi chiederlo.” 
“Non voglio invadere la tua privacy, è la tua famiglia.”   La rossa si affrettò a scuotere il capo ma Ivan ignorò le sue parole, limitandosi a sorriderle prima di continuare:  

“Mia madre ha l’Alzheimer… è una malattia che si verifica quando l’ippocampo, la sede della memoria, si danneggia. E in questo modo la memoria diventa molto… altalenante.” 
“Quindi non si ricorda di te, o di tuo fratello?” 

“Non esattamente. Nei momenti di lucidità è perfettamente cosciente, parlandoci sembra davvero una persona… normale. Ma i minuti in cui è lucida con il tempo diventano sempre più sporadici, per il resto è bloccata in un limbo circa quindici anni fa… non ha perso la memoria, sa di avere dei figli, ma rimane bloccata a quando eravamo piccoli. E quindi spesso quando ci vede non ha idea di chi siamo e non si rende conto di essere chiusa in una clinica.” 
 

“Capisco… e con la magia non si può curare?” 
“Credo che nessuno abbia ancora avuto il coraggio di mettere le mani sul cervello usando la magia… ma penso che nemmeno lo permetterei, non voglio neanche pensare agli ulteriori danni che potrebbe causare.” 

Ivan si strinse nelle spalle, esitando prima di rivolgersi nuovamente alla ragazza, desideroso di cambiare argomento:

“Visto che siamo in tema… dico davvero, che cosa pensi di fare con la tua, di famiglia?” 
“Beh, disgraziatamente la memoria di mio padre è perfettamente integra e non dimenticherebbe di avermi stilato un accordo prematrimoniale nemmeno se lo colpissi in testa con una zucca…” 
“Perché una zucca?” 
“Non lo so… mi piace Halloween, è anche il mio compleanno. Comunque, se devo essere onesta non so proprio dove sbattere la testa.” 
 
 
Irina sospirò, immaginandosi la reazione dei suoi genitori, e di suo padre nello specifico, sentendosi dire che si rifiutava di sposarsi perché si era innamorata. 
No, decisamente non avrebbero fatto i salti di gioia. 
 

“Lo so, non deve essere facile… del resto quando sei partita per venire qui dubito immaginassi che avresti conosciuto un ragazzo bello, intelligente e gentile come il sottoscritto.” 

Ivan sorrise e Irina lo imitò, colpendolo giocosamente sul braccio con il giornale:

“Soprattutto terribilmente modesto… ma anche se non avessi conosciuto te, mio caro, non ero comunque particolarmente entusiasta.”
“E chi lo sarebbe? Ma almeno è sopportabile, questo tizio?” 

“È un grandissimo amico di mio fratello, ma a me non è mai piaciuto granché… e ovviamente da quando i nostri genitori hanno cominciato ad accordarsi per il matrimonio mi è piaciuto ancora meno.” 

Ivan annuì, dondolandosi leggermente con la sedia mentre teneva gli occhi grigi fissi sul soffitto e le mani intrecciate come se stesse riflettendo: 

“Immagino… posso sempre passare a fare un saluto e parlarci io, se vuoi, so essere molto persuasivo.” 
“O anche no. Ci manca solo che tu cominci a chiacchierare con i miei fratelli… rabbrividisco all'idea.” 

“Come preferisci rossa… ma fidati di me, comunque vadano le cose tu l'anno prossimo non ti sposerai, te l’assicuro.” 
“E cosa pensi di fare genio, rapire mio padre e convincerlo che tu sei un partito migliore?”
 
Irina sorrise con aria divertita ma Ivan non la imitò, limitandosi ad annuire mentre continuava a fissare il soffitto e a dondolarsi distrattamente sulla sedia, restando perfettamente serio:
 
“No, ma il tuo fidanzato potrebbe anche sparire. Come hai detto che si chiama?” 

“Eleazar Filimon.” 
“Ma che razza di nome è?” 
“Beh, mio padre di certo non l'ha scelto per il nome! Anzi, in parte sì…” 

 
                                                                                       *


“Buongiorno.” 
Eleanor rivolse un sorriso ad Emil mentre prendeva posto accanto a lui, per poi mutare completamente espressione quando si rivolse a Rebecca, fulminandola con lo sguardo mentre la Serpeverde invece sorrideva leggermente:

“Con te non ci parlo.” 
“Che cosa hai fatto?” 

Emil inarcò un sopracciglio, rivolgendosi a Rebecca dopo aver colto una buona dose di cattivo umore nella sua ex compagna di casa. Lei però si strinse nelle spalle, facendo un gesto con la mano come se non fosse importante:

“Elly è solo la solita, esageratamente permalosa… te lo dico da sempre, la vita è molto più facile se la prendi con ironia.” 
“Quindi l'aver momentaneamente trasformato il tuo cane in un gatto e metterlo sul letto accanto a me per svegliarmi è un risultato del tuo conforto senso dell’umorismo?”  
 
“Dopo tutti questi anni dovresti conoscermi, no?” 

 
“Non voglio mettere il dito nella piaga Elly, ma sei effettivamente un po’ permalosa… un po' tanto forse…” 
Emil sfoggiò un sorriso a trentadue denti quando l'amica si voltò verso di lui, affrettandosi subito dopo a ripeterle quanto le volesse bene.

La Tassorosso roteò gli occhi, borbottando di quanto non fosse assolutamente permalosa mentre Emil si rivolgeva a Rebecca:
 
“Quindi hai trasformato Cinnamon in un gatto? Poverina.” 
“Tranquillo, a quest’ora sarà già tornata normale… in effetti non credo ne sia stata molto felice, ma vedrò di corromperla con dei biscotti per cani. Elly, la lettera di tua zia.” 

La Serpeverde porse la busta all'amica, che annuì e la prese, limitandosi ad osservarne il retro per qualche istante invece di aprirla. 

“Secondo te cosa dice?” 
“Non ne ho idea… come ho detto, magari riguarda tua madre. Dovresti leggerla.” 

Eleanor annuì ma invece di aprire la busta la piegò con cura a metà e se la mise in tasca, sostenendo che l'avrebbe letta più tardi. 

“Come preferisci, se vuoi leggerla quando sarai sola fa pure… ma non fare finta di leggerla, fallo sul serio!” 
“Sì, lo farò, te lo prometto… ora non passare la giornata a stressarmi. Ora, cambiando argomento… Emil, è rimasta un po’ di Sacher o te la sei mangiata tutta tu prima che io arrivassi?” 
 
“È finita, ma Becky ha contribuito.” 
“Non fare quella faccia Elly, erano rimaste solo due fette…”     


                                                                                     *
  

“Tu e Gabriel non avete ancora parlato, vero?” 
“Certo che parliamo, Gae. Parliamo tutti i giorni, se non te ne fossi accorta.” 

“Hai capito che voglio dire… siete veramente due mammalucchi.” 

Gae scosse il capo con disapprovazione mentre l'amica invece sbuffava, continuando a bere il suo thè. 
 
“Grazie tante.” 
“È la pura verità… te l'ho detto almeno dieci volte in cinque giorni Elin, a Gabriel non interessa la sua ex, me lo ha detto lui!” 
“D'accordo, il messaggio è chiaro, non serve continuare a ripeterlo!” 

“A quanto pare serve invece, perché non l'hai ancora recepito del tutto… ti voglio bene, ma sappi che sei testarda come un mulo.” 

“Lo so, me lo dice sempre anche mia nonna… ok, orastaarrivandoquindistaizittanondirecosestrane, ciao Gabriel!” 

Helene sfoggiò un largo sorriso quando Gabriel ebbe raggiunto lei e Gae, sorridendo a sua volta prima di prendere posto accanto a loro:
 
“Ciao ragazze… come mai avete smesso di parlare? Parlavate di me?” 
“Sì.” 
“No!” 

Helene si voltò di scatto verso Gae, fulminandola con lo sguardo mentre invece la belga continuò a fare colazione con nonchalance, dondolando distrattamente una gamba sotto al tavolo e ignorando l’occhiata truce dell'amica. 

“Forse dovreste mettervi d'accordo…” 
  
“Gae vaneggia… la teina ti fa male.” 
Helene si sporse verso l'amica e le prese la tazza dalle mani, facendola sbuffare leggermente mentre Gabriel invece sorrideva, guardandole con cipiglio divertito: 

“Dici? A te invece rende ottusa.”  
“No Gae, Elin è ottusa di suo, la teina non c'entra niente.” 

“Vi siete coalizzati contro di me stamattina? Se è così vado da Piotr, forse almeno lui non mi definirà “ottusa”.” 
Helene sbuffò e si alzò, portandosi la sua tazza di thè appresso mentre Gabriel sorrideva: 

“Solo perché non parla, Elin.” 

La rossa lo fulminò con lo sguardo prima di girare sui tacchi e andarsene, mentre Gae sospirava e si rivolgeva all’inglese:

“Non le hai ancora parlato, vero?” 
“No. E se mi assesta un due di picche?” 
 
“Lo vedi? Insieme siete perfetti, sei ottuso anche tu!” 


                                                                                        *


 
“Alla fine l'hai letta, quella lettera?” 
 
Eleanor alzò lo sguardo su Emil, che era steso su un divanetto intento a leggere, anche se non standoci le gambe penzolavano oltre il bracciolo.
La Tassorosso annuì, accarezzando con le dita la copertina scura del quadernetto dove scriveva in continuazione mentre l'amico, non udendo una risposta, si voltava verso di lei, guardandola in attesa.
 
“E? Puoi anche non parlare pulcino, sento comunque lo scricchiolio dei tuoi pensieri… e mi sembra come di cogliere una piccola nota di felicità, cosa alquanto insolito visto che stiamo parlando sicuramente di tua madre.” 

“Sei diventato il mio analista Emil? Se è così non disturbarti, ci sono già passata… comunque hai ragione, mia zia mi ha parlato di mia madre.” 

Eleanor chiuse il quaderno mentre Emil si metteva a sedere dritto sul divano, guardandola con un sopracciglio inarcato.

“E?” 
“Lei… pare che abbia chiesto di me. È la prima volta.  Forse allora non si è dimenticata di avere una figlia…” 
 
“Non credo se ne sia mai dimenticata, Elly… ma forse la tua assenza ha aiutato in qualche modo. Visto? Te l'ho sempre detto che le cose sarebbero migliorate, prima o poi. Forse sto diventando anche veggente…” 

“Dici? Allora senti la mia, di predizione: tra un mese torneremo a casa, e se per allora non avrai parlato con la mia migliore amica ti prenderò per le orecchie e ti trascinerò dalla Danimarca fino alla porta di casa sua.” 
 
Eleanor sfoggiò il suo solito sorriso dolce mentre Emil invece sbuffò, abbassando lo sguardo e borbottando qualcosa di poco comprensibile. La Tassorosso si alzò per andare a sedersi accanto a lui, guardandolo con aria quasi esasperata:

“Mi dici, una buona volta, perché fai così? Non sei per niente timido! Tu sei quello che l’imbarazzo non sa neanche dove sta di casa!” 
“È vero, ma questo è diverso.”  

“Scusa Emil, ma proprio non ti capisco… come puoi essere insicuro se riesci a vedere cosa provano le persone e quindi sai perfettamente di piacerle?” 
“È questo il punto. Io vedo perfettamente come si sentono le persone, ma anche che cosa provano nei miei confronti, mi basta guardarle mentre loro guardano me. E ti assicuro che non è affatto piacevole quando vuoi bene a qualcuno e ti accorgi che, con il tempo, una persona finisce col volertene meno.” 
 

“Da settimane mi ripeti di non buttarmi giù per la storia di mia madre, di cercare comunque di provare a starle vicino in qualche modo… non è facile, ma cerco comunque di farlo da quando mio padre non c'è più. Ora ascoltami tu Emil. I sentimenti delle persone cambiano, succede… ma se continui a preoccupartene e a fasciarti la testa prima di romperla non sarai mai felice.” 

“Ora sei tu che mi fai da analista…”  


“Ti restituisco il favore. Ma dicevo sul serio sul trascinarti dalla Danimarca fino a Londra.” 
“Guarda che in Danimarca ci sono nato, non ci vivo stabilmente ora!” 
“Tanto meglio allora, meno strada da fare.” 


                                                                                 *

 
Domenica 25 Novembre



“Che cosa fai?”
“Ho una penna in mano, dell’inchiostro e un foglio… Tu che ne pensi?” 

 
Pawel rivolse un’occhiata scettica in direzione di Ivan mentre l'amico sedeva accanto a lui, roteando gli occhi:

“Ok, scusa… era solo per chiedere. Scrivi a Veronika?” 
“No, a Maya. Mi ha scritto ieri, pare che sia felicissima per te e Irina. Ha accennato la questione alla sua famiglia o no?” 
 
“Sostiene che preferirebbe dirlo ai suoi genitori di persona e la capisco. Secondo te annulleranno il contratto?” 
“Lo spero per voi, magari inizialmente la prenderanno male ma poi cambieranno idea… chissà, del resto tu sei Purosangue e la tua famiglia è piena di soldi anche se ci hai un po' perso i contatti, poteva andargli peggio.” 
 
“Spero che la pensino allo stesso modo… della mia famiglia invece non mi importa, farò quello che voglio come sempre.” 

“Non li hai ancora perdonati, vero?”
“Quando mio padre se n’è andato non hanno mosso un dito. Poi è saltata fuori la malattia di mia madre e oltre a chiuderla dentro una clinica non hanno fatto altro… ci abbiamo dovuto pensare io e Dimitri e io ero appena maggiorenne. No, non mi importa di loro.” 


Pawel alzò lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo per guardare l'amico, esitando per un attimo prima di parlare:

“Sbaglio o qui hanno tutti problemi con i loro genitori o la loro famiglia a parte me?” 
“In pratica sì, ritieniti fortunato… anche se visto il tuo tremendo carattere è strano.” 

Ivan abbozzò un sorriso e Pawel ricambiò, prima di afferrare il calamaio e rovesciarlo addosso all'amico. 

“E andiamo, non l’inchiostro sulla camicia bianca!”   Ivan sbuffò, indietreggiando istintivamente con la sedia mentre tirava fuori la bacchetta e Pawel si stringeva nelle spalle prima di continuare a scrivere la lettera per Maya:

“Ops, mani di burro.” 

 
                                                                                        *
 
          
Eleanor teneva gli occhi scuri fissi sullo schermo della TV, guardando il film ma senza seguirlo per davvero. 
Continuava a pensare a sua madre che a quanto sembrava aveva chiesto di lei qualche giorno prima… era strano, considerando che non le aveva rivolto la parola per mesi. Quasi non ricordava nemmeno il suono della sua voce, ormai, quando andava a trovarla lei si limitava a restare in silenzio, seduta senza nemmeno guardarla o dare cenno di accorgersi della sua presenza. Quasi come se fosse invisibile. 

Ma forse non era davvero così… se si era resa conto della sua prolungata assenza allora si rendeva conto anche della sua presenza. 

Per la prima volta dopo un sacco di tempo pensando a sua madre non veniva travolta solo dalla malinconia… forse stava davvero migliorando, infondo. 
Eleanor distolse lo sguardo dallo schermo per posarlo su Rebecca, stravaccata sul divano accanto a lei e mezza addormentata. 
In effetti qualche minuto prima l'aveva sentita dire che film fosse noioso, ma non pensava fino a quel punto…

“Becky?” 

“…Becky? Svegliati!” 

“Mh? Che c'è? Sono morti?” 

Rebecca aprì pigramente gli occhi, sbuffando sonoramente quando guardando lo schermo si rese conto che il film non era ancora finito. 
“No, sono ancora tutti vivi, la nave non è ancora affondata.” 
 
“Allora ci sentiamo più tardi… ma quanto dura questo film, sono due ore e mezza che va avanti!” 

Rebecca fece per voltarsi verso lo schienale del divano e continuare a dormire, ma Eleanor la precedette e si affrettò a parlare di nuovo:

“Aspetta, ti voglio chiedere una cosa.”  

“Ok… che c'è?” 

Rebecca la guardò, in attesa, ed Eleanor inarcò leggermente un sopracciglio prima di porle la domanda:

“Ti volevo chiedere… che cosa provi per Emil?” 

Rebecca sgranò gli occhi, guardandola sorridere e mettendosi di scatto a sedere sul divano:

“Come?” 
“Ti ho chiesto…” 
“Sì, ho capito… ma perché me lo chiedi?” 
“Così, curiosità… anche se credo di conoscere già la risposta, ma vorrei sentirlo dire da te.” 

“Potevi anche non chiedermelo così direttamente!” 
“Ho avuto un’ottima maestra…” 


                                                                                      *
 

“Ciao… che muso lungo. Che cos’hai?” 
“Niente.” 

Cal si strinse nelle spalle, ma il tono che utilizzò e l'espressione cupa fecero solo aumentare la curiosità di Ivan, che le prese le mani per allontanarle dalla tastiera e avere la sua attenzione. 

“Sicura? Hai una faccia… strano, eppure il clima non è afoso, quindi il tempo non c'entra.” 
“No, non c'entra infatti… smettila di rivangare la questione della mia meteoropatia!” 

“Ok, scusa. Che cosa c'è allora?”    Ivan continuò a sorriderle e Cal sbuffò, certa che non sarebbe riuscita a fargli mollare l’osso, prima di borbottare qualcosa in risposta:
 
“Continuo a dirmi che dovrei rispondere alle lettere che mia madre mi ha scritto, ma quando prendo la penna non so mai come riempire il fogli0! Cosa dovrei farle, un disegnino?” 
“No, sei pessima a disegnare, non è una buona idea… non fare quella faccia, sto scherzando. Comunque… Cal, lo so che non hai mai avuto un rapporto facile con tua madre, so che ti ha lasciata a te stessa e che hai sempre dovuto arrangiarti…” 
“Già, lei era troppo impegnata a bere. O a fare la ballerina.” 

“Sono sicuro che nemmeno per lei è stato facile… si è ritrovata da sola e con una figlia, dopotutto. Non la voglio giustificare Cal, ma sono sicuro che ti vuole bene. Altrimenti non ti cercherebbe, giusto?” 

La ragazza non disse niente, limitandosi a fissare i tasti del pianoforte mentre rifletteva sulle parole dell'amico, che le rivolse un’occhiata incerta prima di parlare nuovamente, sospirando.
 
“Sai Cal… la maggior parte delle volte in cui vado da lei guardo mia madre e non riesco a riconoscerla. È lei, ha le sue fattezze… ma allo stesso tempo non lo è. Quasi sempre la guardo e so che non mi riconosce, che non ha idea di chi io sia.” 

“Lo so. Mi dispiace.” 

“E io so che sei così testarda, orgogliosa, determinata e abbastanza diffidente nell’avere legami veri con le persone per come sei cresciuta, con una madre così poco presente… ma sei fatta così, ormai che possiamo farci? Il danno è fatto, purtroppo.” 
Cal lo colpì con decisione sul braccio, facendolo ridacchiare. 

“Ecco, lo vedi? Ma davvero Cal… è tua madre. Tu le sei scivolata dalle mani anni fa, ora non fare lo stesso. Fallo per il tuo meraviglioso migliore amico.” 


                                                                                     *

 
Gabriel Undersee imprecò a mezza voce, continuando a camminare con lunghe e decise falcate lungo i corridoi, senza però trovare traccia del suo obbiettivo. 


Si chiedeva dove accidenti si fosse cacciata Helene Bergsma, per di più proprio quando aveva finalmente deciso di parlarci… in fin dei conti si ripeteva di farlo da giorni.
Il motivo di tutta quell’indecisione, in effetti, non gli era particolarmente chiaro: del resto non era mai stato per niente timido, nemmeno nei confronti del gentil sesso… anzi, non si era mai posto il minimo problema a farsi avanti.
 
E allora perché, con lei, tanta incertezza? Specialmente considerando che, a sentire Gae, era ricambiato. 

Quando finalmente sentì la voce della ragazza e il suo inconfondibile accento fiammingo Gabriel sorrise istintivamente, decisamente sollevato di aver trovato Helene. La rossa stava parlando con Gae, ma la belga si accorse per prima della sua presenza, sorridendo debolmente al ragazzo mentre si avvicinava. 

“Ciao… dov’eravate?” 
“Visto che fuori il tempo fa schifo e non possiamo uscire ci siamo fatte fare un massaggio. Ci cercavi?" 
“In effetti sì, cercavo te.” 

Alle parole del ragazzo Helene assunse un’espressione perplessa mentre invece Gae parve come illuminarsi, sorridendo quasi con sollievo:

“Beh, in tal caso io andrò… a dare da mangiare ad Endjoras. Ci vediamo dopo, e spero che per allora avrete messo da parte la vostra ottusaggine.” 

Gae diede una lieve pacca sulla spalla di Gabriel prima di superarlo e allontanarsi, mentre Helene la seguiva con lo sguardo con leggera confusione:

“E ora di che parla?” 
“Elin… Gae al concerto mi ha detto che secondo te io penso ancora a Constance. È così?” 

 
Helene sgranò gli occhi chiari e in un attimo il suo volto divenne quasi dello stesso colore dei suoi capelli, mentre Gabriel si limitava ad osservarla restando impassibile e lei farfugliava qualcosa in risposta:
 
“Io… insomma, in parte. Solo che dopo avertene sentito parlare e aver letto che a volte le dedichi quello che scrivi...” 
“Sì, ma non c'entra. Non mi interessa più, Elin, credimi. Dopotutto tra di noi è finita da più di un anno…” 

“D'accordo. Non devi darmi spiegazioni, sono affari tuoi.” 

Helene si strinse nelle spalle, sforzandosi di apparire noncurante mentre Gabriel invece sorrideva, sollevando una mano per prenderle il mento e assicurarsi che lo guardasse. 

“Ci tenevo a mettere in chiaro che ormai a Constance non penso più, Elin. In effetti da qualche tempo a questa parte penso parecchio a te.” 

“Davvero?” 


Helene lo guardò con leggera sorpresa e Gabriel annuì, continuando a sorridere:

“Certo… Gae ha proprio ragione, sei veramente ottusa.” 
“Ti vorrei ricordare che ha parlato al plurale poco fa.” 
“Sì, si riferiva anche a me… ma solo perché ci ho messo un sacco di tempo a fare questo.” 
 
Prima di darle il tempo di dire qualcosa Gabriel annullò la distanza che li separava e la baciò, gioendo interiormente mentre riusciva quasi a sentire un’ondata di sollievo pervaderlo quando lei non lo respinse, rispondendo invece al bacio.  
  
Forse, in fin dei conti, avrebbe dovuto dare ascolto a Gae dall’inizio.    













...................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera!
E anche in questo capitolo ho reso canon una coppia... anche se sinceramente non ricordo se gli avevate trovato un nome o meno. Inoltre,  vi comunico che, includendo l'Epilogo, alla fine della storia mancano 3 o 4 capitoli al massimo. 
Pertanto, ho una richiesta da farvi: ho bisogno che mi mandiate (via MP ovviamente) i nomi dei vostri tre OC preferiti, naturalmente non potete votare il vostro... e non serve che lo facciate mettendoli su una scaletta, mi bastano i tre nomi. 

Detto ciò ci sentiamo presto con il seguito! 
Signorina Granger 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
Lunedì 3 Dicembre 



Quando ebbe individuato Cal, seduta da sola ad un tavolo mentre faceva colazione, Irina si affrettò a raggiungerla, sorridendole mentre prendeva posto accanto a lei:

“Ciao Cal… Pawel e Ivan?” 
“Ciao Irina… sono andati a fare shopping, credo.” 


Cal parlò senza staccare gli occhi dal giornale, mentre la rossa la guardava con leggera confusione, non sapendo se prendere le sue parole seriamente o meno: non ce li vedeva particolarmente, quei due, a fare shopping insieme… probabilmente in quel caso avrebbero finito col litigare e far esplodere di conseguenza un negozio. 

“Dici sul serio?” 
“Oh, sì… Pawel si è trascinato Ivan con sé, credo che gli serva il suo parere per prendere qualcosa di scintillante per la sua fidanzata. Peccato, sarebbe stato divertente assistere, ma ho promesso che non sarei andata a ficcanasare, purtroppo.” 


Cal si strinse nelle spalle, parlando con un tono neutro mentre Irina invece sorrideva:

“Sono sicura che litigheranno per via delle loro opinioni assolutamente discordanti.” 
“Immagino che il fatto che siano entrambi insopportabilmente testardi non sia di grande aiuto… sai, da una parte sono quasi triste che tu e Ivan stiate insieme… ora non potrò più deriderli e chiamarli “fidanzatini”!” 

“Una vera disdetta.” 
“Sì, decisamente.” 

Cal annuì, non cogliendo o semplicemente ignorando l’ironia di Irina mentre tornava a concentrarsi sul giornale, chiedendosi quanto ci avrebbero messo i due: se avessero davvero iniziato a discutere non li avrebbe di certo visti per diverse ore. 


“Non vedo l'ora che arrivi l'ultima sera… non solo per il concerto e la premiazione, ma anche perché voglio proprio vedere Pawel Juraszek che chiede in ginocchio ad una ragazza di sposarlo. In effetti credo che Maya voglia venire solo per questo motivo.” 

“Non ha tutti i torti. Magari dovrei filmare la scena…” 

Irina si accigliò leggermente alle parole della ragazza, guardandola come a volerle chiedere cosa volesse dire “filmare” e ricevendo come risposta solo un cenno sbrigativo:

“Lascia perdere, non importa. Piuttosto, visto che siamo in tema… come va il tuo, di fidanzamento?” 
“Ho scritto a mia madre che quando tornerò a casa avrò alcune cose da dire a lei e a mio padre… ho iniziato ad “indorare” la pillola.”   La rossa si strinse leggermente nelle spalle, giocherellando distrattamente con il bordo della tovaglia mentre Cal si voltava verso di lei, osservandola con attenzione:

“Che cosa farai se non vorranno sciogliere l'accordo?” 

“Me lo ha chiesto anche Ivan… non lo so. Lui ha detto che potrei sempre sparire semplicemente e andare da lui in Russia.”    Irina sorrise quasi con aria divertita e Cal la imitò, ma quando parlò il suo tono non trasudava alcuna ironia:

“Se lo conosco almeno un po’ so che era perfettamente serio. Non sopporta di perdere qualcuno a cui tiene… credo proprio che non permetterà che tu ti sposi.” 


         
*


“Non prenderla male, ti voglio bene e lo sai… ma come aiutante fai proprio pena!” 
“Scusami tanto, ma scegliere anelli di fidanzamento non è il mio pane quotidiano…” 

“Credimi, se ci fosse Maya avrei portato lei, ma disgraziatamente non può aiutarmi in questo momento… e come ben sai mi taglierei una mano piuttosto che chiedere un consiglio a Cal Jordan.” 

Ivan annuì con fare sbrigativo, come a volergli dire che lo sapeva benissimo mentre i due erano fermi davanti ad una sfilza pressoché infinita di anelli… a detta del russo in effetti praticamente tutti uguali. 

“Senti, conosci Veronika da anni, saprai cosa le può piacere, no? E poi per me sono tutti identici…” 
“Sei pressoché inutile, in pratica… ma visto che non mi dai una mano a scegliere almeno fammi supporto morale… questo puoi farlo?” 
“Sì, penso di sì.” 

Ivan sorrise, appoggiandosi al bancone di vetro mentre quasi si spiaceva dell’assenza di Cal: sarebbe stato indubbiamente divertente vedere quei due azzannarsi sopra a degli anelli di fidanzamento.
Quanto ad Irina, Ivan aveva caldamente suggerito all'amico di lasciarla fuori, sostenendo che non avesse bisogno di preoccuparsi oltre di matrimoni al momento. 


“Ora che ci penso… c'è un altro problema.” 
“Ossia?” 
“La misura! Che accidenti di misura avranno le dita di Veronika?” 
“Beh, mi sembra che abbia le dita piuttosto affusolate… prendine una piccola, al limite lo farai allargare o stringere. Pawel, rilassati, non ho alcuna voglia di soccorrerti a causa di un attacco di cuore tra tre settimane.” 


                                                                                         *



“A chi stai scrivendo?” 
“A mia nonna… Koller ha detto che se vogliamo possiamo invitare una persona il 21 e ovviamente voglio chiederlo a lei.” 

Helene sfoggiò un sorriso allegro, decisamente felice all'idea di poter riabbracciare sua nonna mentre accanto a lei invece Gabriel si limitava ad annuire con un cenno del capo, senza dire niente mentre fissava la tovaglia con aria pensierosa.

“A cosa stai pensando?” 
“A chi vorrei invitare io… non so se scrivere o meno a mia madre.” 
“Dipende se la sua presenza ti renderebbe felice… se invece ti metterebbe solo agitazione lascia stare.” 
“Ci penserò, di sicuro non chiederò a mio padre di venire. Detesta i maghi, l'ultima cosa che vuole è trovarsi in mezzo a noi.” 
“Ma non sarebbe malaccio, no? Potremmo sempre dargli una… lezione collettiva per come si è comportato con te e tua madre.” 

Helene sorrise e per un attimo Gabriel ricambiò, immaginandosi chiaramente la ragazza che trasformava suo padre in un pipistrello. In effetti non era esattamente un’immagine spiacevole, anzi, ma non moriva neanche dalla voglia di vederlo o di fargli conoscere Helene. 


“Prima o poi sarò io a dargliela, una lezione. Non tanto per come si è comportato per me, ma per mia madre. Lei a differenza sua mi ha sempre appoggiato e difeso… e lui l'ha ripagata sbattendola fuori di casa.” 

“Sono sempre stata convinta di avere avuto dei genitori tremendi, ma dopo aver conosciuto te credo di aver cambiato idea. Dopotutto Willem e Susanna sono sempre stati assenti, ma almeno non mi disprezzano.” 
“Sai, è piuttosto triste sentirti chiamarli per nome.” 
“Lo dice sempre anche Gae… e anche mia nonna, ma non riesco a non farlo.” 


Helene si strinse nelle spalle prima di abbassare nuovamente lo sguardo sulla lettera e riprendere a scrivere, mentre dopo un minuto di silenzio Gabriel sorrise, parlando di nuovo:

“Sai, riflettendoci credo di sapere chi potrei invitare qui il 21.” 
“Ah sì? Chi?” 
“In effetti pensavo a Constance, che ne dici? Così te la presento.” 

Il sorrisetto di Gabriel non vacillò, o almeno finché la rossa non alzò nuovamente lo sguardo su di lui e gli rivolse un’occhiata piuttosto eloquente mentre si alzava, raccogliendo carta e penna:

“Oh sì, ottima idea.”   Il tono dell’olandese suonò piuttosto gelido mentre girava sui tacchi e si allontanava, con Gabriel che la seguiva con lo sguardo, accigliandosi leggermente:

“Elin, dove vai? Guarda che scherzavo, certo che non la inviterò! Che fine ha fatto il tuo senso dell’umorismo?” 


Il ragazzo sospirò, roteando gli occhi mentre si alzava per seguirla fuori dalla sala da pranzo, mentre Helene si allontanava senza neanche degnarsi di rispondergli. 


*



Gae sospirò, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di scagliare il flauto dall'altra parte della stanza: era ferma sullo stesso passo da quasi dieci minuti… possibile che non riuscisse a suonarlo decentemente? 
Tuttavia non era l'unica leggermente contrariata visto che Helene la raggiunse e, sedendosi accanto a lei, si limitò a salutarla a mezza voce mentre estraeva il flauto dalla custodia. 

“Ciao Elin… come mai quel muso lungo?” 
“Niente. Tu invece?” 
“Continuo a stonare, e in genere i Capricci di Paganini mi vengono bene… pensavo di portare il nº 24 all’ultima sera, non so che cosa mi prenda oggi. Suoni con me?” 
“Certo. Magari mi aiuti a scegliere che cosa suonare il 21, sono un po' indecisa…” 


Helene annuì, quasi sollevata che fatta eccezione per loro la stanza fosse vuota: provare sotto gli occhi di tutti non la metteva mai particolarmente a suo agio… probabilmente il 21 avrebbe avuto un mancamento davanti a mezza Vienna, ma non aveva ancora voglia di pensare a quel dettaglio.

“Con piacere. Ma perché hai quella faccia? In genere quando entri qui dentro e ti accorgi che Koller non c'è sprizzi felicità da tutti i pori.” 

Helene sbuffò, abbassando lo sguardo mentre borbottava sommessamente qualcosa… e l'unica parola che l'amica riuscì a capire fu “Gabriel”. 

“Che cosa avrà mai fatto il nostro povero british?” 
“Secondo te quando ha detto che avrebbe invitato Constance per l'ultima sera scherzava o era serio?” 
“Immagino la prima, anche perché bisognerebbe essere decisamente stupidi ad invitare la propria ex ad un evento dove è presente anche la ragazza attuale, non credi? Sono sicura che ti stesse prendendo in giro, razza di musona… che fine ha fatto il tuo senso dell’umorismo?” 
“Ti ci metti anche tu? Non lo so, oggi sarà in sciopero… dai, proviamo, è da secoli che non suono i Capricci.” 

Helene sistemò lo spartito sul leggio mentre accanto a lei Gae annuì, rivolgendole un’occhiata divertita prima di riprendere a suonare.


*


Rebecca teneva gli occhi fissi su Helene e Gae che, sedute una accanto all'altra sulla pedana, stavano suonando i Capricci di Paganini che ormai conosceva a memoria dopo averli suonati centinaia di volte nel corso degli anni. 

Eleanor era seduta accanto a lei ma sembrava che non stesse prestando particolare attenzione alla musica quanto più alla lettera che stava scrivendo, scarabocchiando frettolosamente su un foglio.

“A chi stai scrivendo?”
“Chiedo a mia zia se le va di venire a sentirci il 21… tu chi inviterai?” 

“Immagino che se tu non suonassi inviterei proprio te, quindi…” 

Rebecca si strinse nelle spalle, continuando a tenere gli occhi fissi davanti a sé mentre invece la Tassorosso si voltava verso di lei, sorridendole:

“Che carina, grazie!” 


La violinista ricambiò leggermente prima di voltarsi di nuovo verso le flautiste, facendo dondolare distrattamente un piede seguendo il ritmo della musica. 

“Ho deciso che brani presenterai il 21?” 
“Sono ancora in alto mare, a dire la verità… ma per fortuna mancano più di due settimane, ho tempo per decidere. Tu invece?” 
“Una delle stagioni di Vivaldi, credo… magari l’Inverno, visto che il concerto si tiene al Solstizio. Devo solo mettermi d'accordo con Gabriel, Pawel ed Emil per evitare di suonare tutti la stessa cosa, ovviamente.” 

“Immagino che lo farò anche io con Cal e Ivan… a proposito, visto che l'hai nominato, perché non parliamo un po’ dell’orso grizzly dispensa abbracci mentre aspettiamo che arrivi il nostro turno per provare?” 

Eleanor piegò le labbra in un sorriso mentre invece Rebecca, senza battere ciglio, si alzava tenendo il manico della custodia del violino:

“Ripensandoci, credo che andrò a chiedere a Gae ed Helene se posso suonare Paganini insieme a loro… sai che è uno dei miei preferiti.” 
“Si, lo so, ma non è un buon motivo per filarsela! BECKY! Sono giorni che eviti Emil, di questo passo attaccherà dei cartelli in giro per l’Hotel con la tua foto e sotto la scritta “Ricercata”!” 


Eleanor sbuffò, guardando l'amica allontanarsi che però non si voltò neanche:

“Beh, lascialo fare.” 



La pianista sospirò, appoggiandosi nuovamente allo schienale della poltroncina e osservando l'amica con esasperazione, chiedendosi perché non potesse essersi scelta dei migliori amici normali invece di quei due.


*




“Chi non muore si rivede… ci avete messo parecchio.” 

Irina sorrise mentre Ivan invece si lasciava cadere sul divano accanto a lei sospirando, sfilandosi la giacca.

“Fino ad oggi credevo che niente potesse essere peggio che accompagnare Cal Jordan a fare compere, ma ho avuto modo di capire che Pawel è peggio.” 
“Non vi ci vedo per niente a fare shopping insieme… com’è andata?” 

La rossa cercò di non ridere di fronte all’occhiata eloquente che le rivolse il ragazzo, come a volerle suggerire di non fare domande mentre appoggiava un braccio sulle sue spalle:

“Stendiamo un velo pietoso… ma la nota positiva è che alla fine l’anello lo ha preso, così non dovrò rifare il consulente un’altra volta. E le mie paure erano fondate, ci hanno seriamente presi per una coppia gay! Maya non mi era mai mancata come oggi, credo. Cosa c'è da ridere?” 

Il russo rivolse un’occhiata torva alla ragazza che invece era scoppiata allegramente a ridere alle sue parole, rammaricandosi di non aver assistito alla scena:

“Voi due… gay! Immagino le vostre facce… Pawel con gli occhi sbarrati e tu che muori dalla voglia di sotterrarti o di scappare!” 

“Si, sì, ridi pure simpaticona… non è stato divertente!” 
“Secondo me sì! Comunque grazie per aver nominato Maya, mi hai ricordato che devo scriverle e chiederle di venire il 21… sono sicura che le farà piacere, così vedrà anche Pawel.” 

“Non inviti qualcuno della tua famiglia?” 
“Neanche per idea, si presenterebbero con il metro da sarta per prendermi le misure del vestito!” 

Irina sgranò gli occhi azzurri con orrore a quell’immagine mentre invece fu Ivan a ridacchiare, guadagnandosi a sua volta un’occhiata torva:

“Ti diverte? Non dovrebbe!” 
“Sì invece, mi immagino tua madre che entra qui dentro e sguaina il metro come un'arma letale per prenderti le misure mentre suoni e tu che fuggi con Lena al seguito…” 

“Questa immagine non mi fa ridere, mi fa venire la pelle d'oca… idiota.” 

Irina sbuffò, incrociando le braccia al petto con stizza mentre Ivan smetteva di ridere, guardandola però sempre con aria divertita:

“Ok, ok, la smetto.” 

Ivan sfoggiò un sorriso angelico, sporgendosi per darle un bacio su una guancia prima di parlare di nuovo, questa volta con tono pensieroso:

“Anche se, riflettendoci… forse invece di Maya potresti invitare Come Si Chiama Filimon...” 

“Eleazar… non è difficile.” 
“Beh, è orrendo, Ivan è molto più bello!” 
“Non avevo dubbi che la pensassi così… ma seriamente, sei impazzito per caso? Perché accidenti dovrei invitare quello che da cui sto cercando di scappare da mesi?”

“Non saprei, potremmo sempre farlo sparire in qualche maniera…” 

Ivan inarcò un sopracciglio, tamburellando le dita su una gamba con aria pensierosa mentre Irina invece gli rivolgeva un’occhiata in tralice, indecisa se prenderlo seriamente o meno:

“Sei serio o stai scherzando?” 
“Non so, sto decidendo… non è male come idea…” 
“Io preferirei la strada diplomatica invece di quella “facciamo sparire il promesso sposo”.”
“Come ti pare, ma converrai che la seconda opzione sarebbe molto più facile e veloce! Ok, sto scherzando, non fare quella faccia! Comunque sia, per favore non dire a Cal di quello che è successo con Pash, mi prenderebbe in giro fino alla fine dei miei giorni.” 

Ivan sbuffò, ma aveva appena finito di parlare quando una voce piuttosto nota e dall’inclinazione divertita giunse alle sue orecchie, facendolo quasi sobbalzare:

“Che cosa non devo sapere?” 

Sia Ivan che Irina si voltarono, trovandosi così davanti una Cal piuttosto sorridente e appoggiata al divano dove si erano seduti, gli occhi fissi sul suo migliore amico mentre questi si affrettava ad alzarsi:

“Assolutamente niente… vado a mettere la giacca in camera, poi andrò a provare un po’.” 

Il ragazzo si allontanò in fretta e furia ma Cal lo seguì, camminando alle sue spalle tenendo le mani dietro la schiena e senza smettere di sorridere, mentre Irina si limitava a seguirli con lo sguardo e a ridere sotto baffi senza muovere un dito:

“Avanti, dimmelo! Riguarda Pawel vero?” 
“Cal, lasciami stare.” 

“Su dai, dimmi, voglio proprio farmi quattro risate alle spalle tue e di Juraszek…” 


*


Venerdì 14 Dicembre 


Eleanor teneva gli occhi chiusi mentre, stesa sul suo letto, ascoltava la musica a volume molto alto per coprire il suono del violino che proveniva dalla stanza accanto, mentre Rebecca era impegnata a provare. 

Nonostante la musica la Tassorosso sentì comunque la voce dell’amica, udendo distintamente un paio di parolacce che le fecero aprire gli occhi e stoppare la musica dell’iPod. 
Chiedendosi che cosa fosse successo Eleanor si alzò, camminando a piedi nudi sul pavimento riscaldato della stanza per aprire la porta che collegava le due camere:

“Becky… mi è parso di sentire i tuoi toni soavi, e non mi riferisco alla musica. Che succede?” 

La pianista puntò gli occhi scuri sull'amica, che se ne stava seduta sul suo letto a gambe incrociate e aveva un’espressione piuttosto seccata dipinta sul volto mentre accennava all’archetto, o quello che ne restava, che teneva in mano:

“L'ho rotto. Di nuovo!” 
“Beh, riparalo!” 
“È la terza volta che mi succede in un giorno, che accidenti ho che non va? O forse dovrei cambiare il crine…” 

La Serpeverde sbuffò, picchiettando la bacchetta sul crine di cavallo perché si rimettesse in sesto mentre Eleanor le si avvicinava:

“O forse dovresti semplicemente smettere di suonare… è anche ora di cena, andiamo di sotto?” 
“No grazie, non ho fame. Vai tu se vuoi.” 

Rebecca scosse il capo, lasciando l’archetto sul materasso per prendere gli spartiti sparsi sul letto. 


“Non mi va di lasciarti qua da sola! Ti farò compagnia, magari mi ordino qualcosa con il servizio in camera.” 
“Elly, ti voglio bene ma non ho cinque anni, credo di sopravvivere in una stanza da sola per un'ora.” 


Rebecca roteò gli occhi e Eleanor fece per replicare, ma l’attenzione dell’amica si catalizzò immediatamente su Cinnamon, che aveva preso l'archetto prima di trotterellare verso la sua cuccia. 

“Cinnamon, torna qui! Non è un bastone per giocare, mi serve… grande, ora pensa che sia un bastone da riporto.” 

La Serpeverde sospirò, lanciando un’occhiata esasperata al cane mentre Elly invece ridacchiava:

“Quel cane è disobbediente e testardo… si dice che i cani somiglino ai propri padroni, no?” 
“Brava Elly, i miei complimenti, hai fatto una battuta… sono fiera di te. Accio.” 

Con un cenno della bacchetta Rebecca fece nuovamente planare verso di sé l’archetto del violino, scatenando una reazione piuttosto offesa da parte di Cinnamon che andò ad accucciarsi dietro alla poltrona con aria sdegnata.

“Non fare la sostenuta Cinnamon, non è un gioco… tieni, prendi la tua corda.” 

“Povera Cinnamon, è così carina!” 
“Carina? Si, certo, ma è tremendamente dispettosa… si diverte sadicamente a distruggere tutte le mie scarpe, ci manca solo l'archetto. Bleah, è pieno di bava… Gratta e netta.” 

Rebecca sfoggiò una smorfia mentre si affretta a pulire magicamente l’archetto e Eleanor continuava a sorridere, girando sui tacchi per raggiungere la porta e uscire dalla stanza:

“Dispettosa, con una faccina da angioletto quando in realtà non lo è per niente… continua a ricordarmi qualcuno.” 
“Elly, smettila.” 


*



“Sto morendo di fame, ma non capisco un bel niente come al solito… questo che cosa vuol dire?” 

Ivan si rivolse ad Irina, sporgendosi leggermente verso di lei per farle vedere qualcosa sul menù… ma dalla faccia schifata che sfoggiò la ragazza il russo intuì che non era niente di molto appetitoso. 

“Ehm… lascia stare, io non lo mangerei.” 
“Ivan, mi spieghi come fai a non parlare minimamente il tedesco e a venire a Vienna?” 

“Juraszek, ti ricordo che io non vivo a Lipsia… e poi non mi risulta che tu parli russo.” 
“No, ma almeno io il tedesco li capisco anche se non è la mia lingua madre.” 

“Tanto qui parlano tutti inglese per la competizione, non è un grosso problema… tranne che per il cibo.” 
“Traduco io, ma ti prego non ordinare a caso come l'ultima volta, solo a vedere il fegato mi passa la fame.” 

Irina sospirò, prendendo il menù dalle mani del ragazzo per tradurgli i piatti mentre Ivan le sorrideva con gratitudine:

“Grazie Irina… a differenza di qualcuno tu si che sei gentile. Sai Pawel, tra una settimana tutto questo finirà e non credo mi mancherà averti intorno tutti i giorni tutto il giorno come quando eravamo a scuola.” 
“Già, ma io ti mancherò moltissimo, giusto?” 

Cal sfoggiò un largo sorriso, che però sparì quando non ricevette alcuna risposta da parte dell’amico:

“Grazie tante… ma seriamente, è davvero strano pensare che manchi così poco… non mi sembra vero, manca solo una settimana.” 
“Una vera gioia…” 

Il mormorio sommesso di Irina non sfuggi alle orecchie di Ivan, che le rivolse un’occhiata comprensiva mentre Pawel si stringeva nelle spalle, sostenendo che fosse felice di tornare a casa e rivedere la sua famiglia. 

“Credo che tu in questo tavolo sia l'unico che voglia rivedere la propria famiglia Pash. Io e Cal non abbiamo neanche invitato nessuno perché venga a sentirci.” 

“Secondo me avresti dovuto…” 
“E che avrei dovuto chiederlo? A Dimitri? Neanche morto. Per la tua gioia invece Irina ha chiesto a Maya di venire.” 

Ivan accennò alla rossa, che annuì e sorrise mentre Pawel per una volta la imitava:

“Non vedo l'ora di vederla, mi manca la biondina super ansiosa.” 

“Non che tu sia da meno Pawel, ora che manca solo una settimana probabilmente comincerai a passare ore su ore a provare e provare. Se ti conosco almeno un po’ arriverai all’ultimo giorno più ansioso che mai.” 

Ivan sorrise con aria divertita, immaginandosi chiaramente il nervosismo dell’amico che avrebbe iniziato a palesarsi di lì a pochi giorni. 
In realtà poter passare tutto il giorno con i suoi amici sarebbe mancato anche a lui, ma probabilmente non l'avrebbe mai ammesso apertamente, non davanti a loro. 



*


“Mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto… Rebecca non viene?” 
“Per il tuo dispiacere no, pare che non abbia fame… continua a suonare quasi ininterrottamente da qualche giorno, mi piace il violino ma comincio a non sopportare più Paganini.” 

“Beh, è piuttosto complesso, è normale che voglia esercitarsi…” 

Emil sorrise appena e l'amica lo fulminò con un’occhiata, guardandolo con sincera invidia:

“Scommetto che tu non sei per niente nervoso Emil…” 
“Io? No, in effetti no… e tu Elly?” 

“Certo che sì, mi conosci, l’ansia mi tiene compagnia praticamente sempre… e anche Becky è nervosa, solo che preferisce mascherarlo… penso che tra una settimana a quest’ora saremo entrambe piuttosto intrattabili e in preda all’ansia, mentre probabilmente tu ti aggirerai sorridendo come al solito e uscendotene con frasi come “che volete che sia, dobbiamo solo suonare all’Opera davanti a chissà quante persone”…” 

“L'ansia è uno dei peggiori nemici della serenità Elly, io ho la fortuna di non sentirne praticamente mai il peso.” 
“Sì, indubbiamente sei fortunato…”


Eleanor annuì, tamburellando le dita sul tavolo mentre osservava distrattamente un punto della tovaglia. Per qualche istante entrambi rimasero in silenzio, mentre Emil cercava qualche piatto che non contesse tracce di fegato, lingua et similia, finchè l’ex Tassorosso non parlò di nuovo, puntando gli occhi neri sull’amico:

“Emil… tu non sei per niente ansioso, e nemmeno incline ad imbarazzarsi.” 
“Sì… e?” 
“E allora, mi dici perché diamine giochi a nascondino con Rebecca? Parlatevi, maledizione! Non so chi dei due sia più cocciuto… avete qualcosa in comune, se non altro.” 
“Che la mia testa sia dura come il marmo pensavo l'avessi già appurato Elly…” 

“Dico sul serio. Non capisco, hai la rara fortuna di sapere per certo che cosa una persona prova per te e cosa fai? Ti nascondi? Ne ho parlato anche con lei.” 

“Davvero? E Rebecca che ha detto?” 
“Le ho detto quello che tu hai detto a me… quello che hai visto. Ovviamente è improvvisamente diventata cresimi e ha detto che si sarebbe scavata una fossa molto profonda, ma non pensavo ti avrebbe davvero evitato.” 

“E quindi secondo te che cosa dovrei fare?” 
“Non saprei, magari dovresti muovere quello che tu definisci il tuo “splendido posteriore” e andare a parlare con lei, no?” 

Eleanor inarcò un sopracciglio, guardando l'amico con esasperazione e chiedendosi se non avrebbe dovuto costringerli a parlarsi con l’inganno, prima o poi. Forse era più il genere di cose che avrebbe fatto Rebecca e non lei, ma a mali estremi...

Dopo un attimo di esitazione invece Emil annuì, stringendosi nelle spalle mentre si alzava:

“Ok.” 
“Ok?” 
“Va bene, vado a parlare con lei… ci vediamo dopo.” 

Eleanor sbattè le palpebre, guardandolo allontanarsi e chiedendosi perché fosse stato così facile… dopo settimane aveva pensato che sarebbe stato molto più arduo convincerlo. 


*



Era seduta sul balcone, ignorando il freddo e tenendo i piedi appoggiati pigramente alla ringhiera mentre teneva il violino sulla spalla, suonando distrattamente mentre osservava la città luccicante grazie ai numerosissimi lampioni. 

Quando stonò una nota smise di suonare per un attimo, abbassando lo sguardo sul violino e imprecando a mezza voce prima di sentirne un’altra alle sue spalle, quasi sussultando sulla sedia:

“Forse dovresti inclinare l’archetto di qualche grado in meno…” 

Rebecca si voltò, ritrovandosi con leggero stupore Emil davanti, appoggiato allo stipite della porta-finestra. 

“Sì, probabilmente hai ragione… che cosa ci fai qui?” 
“Volevo parlare con te, è da diverso tempo che non lo facciamo.” 

Emil si strinse nelle spalle mentre superava la ragazza per raggiungere la ringhiera del balcone, osservando a sua volta il panorama per qualche istante prima di voltarsi, appoggiandosi alla ringhiera con la schiena.

Probabilmente Rebecca avrebbe voluto chiedergli se l'aveva mandato Eleanor, ma decise di lasciar perdere e rimase in silenzio, limitandosi ad osservarlo tenendo il violino sulle ginocchia. 

“Becky… Perché mi eviti di recente?” 
“Lo sai perché… e poi mi risulta che tu abbia fatto pressappoco lo stesso.” 

Rebecca sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia mentre Emil annuiva, sorridendole leggermente:

“Sì, non lo nego… ma Elly infondo ha ragione, non ha senso. Non ha senso evitarci come la peste se so benissimo che cosa provi per me. Lo vedo anche ora, mi basta guardarti.” 
Emil sorrise mentre Rebecca invece lo fulminò con lo sguardo, quasi a volergli dire che così non l’aiutava per niente.

“Quindi vedi tutto quello che le persone provano?” 
“Diciamo di sì. Ma sono sincero Becky, tre mesi fa non mi sarei mai aspettato una simile “evoluzione” da parte tua.” 

Il sorriso di Emil non vacillò mentre il ragazzo si allontanava dalla ringhiera, sedendosi accanto a Rebecca mentre questi sbuffava, abbassando lo sguardo e borbottando qualcosa di poco comprensibile.

“Se sei venuto per prendermi in giro puoi anche girare al largo Emil.” 
“Non sono venuto per prenderti in giro Becky… ci ho messo tanto a venire da te perché, anche se so cosa provi, ho sempre avuto come freno la consapevolezza che un giorno potrei facilmente rendermi conto che i tuoi sentimenti sono mutati.” 

“Se ti fasci la testa prima di rompertela non sarai mai felice, Emil.” 
“Sì, Elly ha detto la stessa cosa. Non fa altro che dirmi di venire a parlare con te… tu perché non l'hai fatto?” 

“Perché TU saprai anche che cosa provo Bach, ma IO non ho la tua stessa capacità… e quando Elly me l'ha detto volevo scavarmi una fossa molto profonda e nascondermi lì fino alla fine della competizione.” 

La Serpeverde sbuffò, scuotendo leggermente il capo mentre continuava a tenere gli occhi fissi davanti a sé, osservando il buio avvolgere la capitale mentre Emil si voltava verso di lei, sorridendole:

“Beh, ormai non manca tantissimo… solo una settimana. Ci abbiamo messo parecchio, non trovi? Peccato che l'unica cosa che abbiamo in comune sia la testardaggine cronica... Comunque nascondersi non è affatto necessario Becky.” 

Emil abbassò lo sguardo sulla mano della ragazza, avendo quasi paura di toccarla e finire col subire una qualche maledizione… ma alla fine si decise e allungò la mano per stringere la sua, almeno tre volte più piccola, e per una volta Rebecca non si scostò, limitandosi invece a voltarsi verso di lui.

“Ah no?” 
“No.” 

Emil scosse il capo, sorridendole prima di avvicinarlesi ulteriormente e annullare la distanza che li divideva, appoggiando le labbra sulle sue. 
E per una volta in vita sua Rebecca Crawley non rifiutò affatto il contatto fisico. 



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Capitolo 22
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 
Venerdì 21 Dicembre 




Pawel era in piedi in un angolo dell’enorme Ingresso, illuminato dall’enorme lampadario appeso al soffitto. 
Tecnicamente sarebbe dovuto andare sul retro del palco per accordare il violino, ma da quando erano arrivati a Teatro si era piazzato lì, in attesa, controllando tutte le persone che stavano entrando nell’edificio. 


Un sorriso gli incurvò le labbra quando scorse finalmente chi stava cercando, facendo qualche passo avanti per raggiungere la ragazza che era appena entrata: Veronika si era fermata, guardandosi intorno come se anche lei lo stesse cercando, ma quando lo vide avvicinarlesi sorrise a sua volta, affrettandosi a raggiungerlo:

“Pash! Ciao!” 

Ignorando l’ingombro dei tacchi alti la ragazza quasi gli corse incontro, abbracciandolo mentre Pawel continuava a sorridere:

“Ciao… mi sei mancata. Sei bellissima, comunque.” 
“Grazie. È così bello vederti… ti sei comportato bene, vero?”       Veronika si allontanò leggermente dal ragazzo per poterlo guardare in faccia, prendendogli il viso tra le mani mentre gli rivolgeva un’occhiata scettica, facendolo sorridere con fare angelico: 

“Ovviamente, chiedi a Ivan.” 
“Oh, lo farò, stanne certo. Credo che dovrei andare a prendere posto, ma tu resta qui, mi è sembrato di vedere un’altra ragazza che vorrai sicuramente salutare mentre entravo.” 

La ragazza gli sorrise e fece per superarlo, ma il polacco la prese per un braccio, sostenendo che voleva stare con lei fino all’inizio del concerto. 


“Se non altro fa piacere sapere che ti sono mancata, Pash.” 
“È ovvio che mi sei mancata! Io ti sono mancato Vee?” 

Pawel le sorrise, mettendole un braccio intorno alla vita e dandole un bacio sulla tempia mentre lei annuiva leggermente:

“Indubbiamente… mi è mancato tremendamente avere sempre un pignolo, rompiscatole polacco intorno.” 
“Se sono così pieno di difetti perché stai con me da cinque anni?” 

“Bella domanda… guarda, c’è Maya!” 


Veronika sorrise, rivolgendo un cenno con la mano alla ragazza bionda che era appena entrata. Probabilmente Pawel sarebbe andato dall’amica per salutarla, ma venne battuto sul tempo da una familiare ragazza dai capelli rossi che li superò quasi di corsa per andare ad abbracciare l’amica.

“La saluterò dopo, Irina mi ha battuta sul tempo. A proposito, ti ho detto che lei e Ivan stanno insieme?” 
“NO!” 
“Sì!” 
“Il NOSTRO Ivan?” 
“Quanti altri ne conosciamo? Aspetta, ora ti racconto tutto…” 




“Perché ho la netta sensazione che Pawel stia spettegolando con Veronika su di me?” 

Ivan, in piedi accanto a Cal davanti alle scale, teneva gli occhi chiari fissi sull’amico mentre l’amica sorrise, osservando la coppia a sua volta:

“Cosa te li fa credere?” 
“Non so, ma lo conosco… quella faccia non mi convince.” 
“Se lo dici tu… quindi QUELLA è la famosa Veronika Hiddermann…” 
“Già. Ti prego, sii carina, è molto dolce.” 
“Io sono carina con tutti mio caro, tranne che con Pawel Juraszek. Dai, andiamo a salutare da brave persone educate.” 

La bionda sorrise e, preso l’amico sottobraccio, quasi lo trascinò vero i due, sorridendo amabilmente quando lo ebbe raggiunti. 

“Salve! Scusate l’intrusione, avrete sicuramente molto da dirvi, ma prima di iniziare volevo conoscere la famosa Veronika… molto piacere, sono Cal, la migliore amica di Ivan… si Pawel non illuderti, sono io la sua migliore amica, non tu.” 


Cal, senza smettere di sorridere, porse la mano a Veronika che la strinse senza esitazioni, trattenendosi dal ridere di fronte alla faccia cinerea del fidanzato:

“Naturalmente, mi hanno parlato molto di te… è bello conoscerti, finalmente.” 
“Suppongo che Pawel mi abbia descritta come una specie di mostro a tre teste, ma sorvoliamo. Per stasera ti perdono Juraszek, so che sei molto nervoso per dopo.” 

Il sorriso di Cal si allargò mentre il polacco la fulminava con lo sguardo, intimandole di tacere e Ivan roteava gli occhi, certo che l’amica stesse ridendo interiormente. 
Probabilmente sì pregustava quella conversazione da due mesi, conoscendola…



“Pawel si fa sempre prendere dall’ansia in certe occasioni… stai tranquillo, andrai benissimo.” 

Veronika sorrise, voltandosi verso il fidanzato e accarezzandogli dolcemente il braccio mentre Pawel si sforzava di sorridere e annuire, maledicendo mentalmente una certa bionda che quasi sghignazzava davanti a lui, sapendo che il ragazzo non fosse particolarmente nervoso per il concerto, ma per qualcosa altro.

“Lo spero.” 
“Vedi di rilassarti e di non farti venire il panico da palcoscenico Pash, ok?” 


Maya si avvicinò all’amico, sorridendogli prima di abbracciare Veronika. Irina invece si avvicinò ad Ivan, prendendolo sottobraccio per dirgli qualcosa a bassa voce:

“Cal lo sta già spennando?” 
“Forse dovremmo tenerla alla larga da Veronika, altrimenti passerebbe ore a fare allusioni sull’ansia di Pawel e su una “sorpresa” per lei.” 


Ivan annuì, sorridendo prima di parlare a voce più alta:

“D’accordo… è stato bello vedervi ma ora scusate, dobbiamo andare a sistemare gli strumenti. Cal, devi aiutarmi con il piano.”   Il russo rivolse un’occhiata eloquente all’amica, suggerendole di seguirlo mentre Cal annuiva senza smettere di sorridere, come se si stesse davvero divertendo:
“Ok, arrivo. Ci vediamo più tardi.”    

“Certo. Beh, allora in bocca al lu-“ 

“NO!” 

Veronika non finì la frase, interrotta bruscamente da tutti i presenti quasi con toni allarmati:

“Perché no?” 
“Non si dice mai “buona fortuna” o “in bocca al lupo” prima di salire sul palco, tesoro.” 

Alle parole del fidanzato Veronika si accigliò leggermente, guardandolo con aria confusa:

“Davvero?” 
“Davvero.” 
Confermò Maya. 
“Perché?” 
“Porta sfortuna.”  Cal annuì, mentre invece Veronika guardava il gruppo con sempre più perplessità:
“E allora che cosa dite?” 
“Merda.” 
Irina si strinse nelle spalle con nonchalance mentre accanto a lei Ivan annuì, afferrandosi a precisare:
“Sì, per tre volte.” 


“Ok, ho capito, grazie per la lezione di vita… ora andate, siete qui per suonare, non per fare conversazione.” 

Veronika fece cenno ai musicisti di raggiungere la platea per andare sul palco e Pawel le diede un bacio prima di seguire gli altri, sorridendole un’ultima volta per poi darle le spalle e raggiungere le scale. 

Rimasta sola con Maya Veronika parlò di nuovo, seguendo il gruppetto con lo sguardo con cipiglio assorto:
“Sai Maya, credevo che Pawel fosse un tipo particolare, ma ora credo che voi musicisti lo siate tutti.” 

La bionda rise prima di prenderla sottobraccio, annuendo con un cenno del capo:

“Sicuramente è così… dopotutto tutti gli artisti sono un po’ strani, non credi? Coraggio, andiamo a prendere posto.” 


*



Dopo aver accordato il suo violino Emil era sceso dal palco, piazzandosi accanto ad una delle file di scalini per cercare di individuare sua madre in mezzo al fiume di persone che stavano prendendo posto nell’enorme platea. 

“Possibile che non sia ancora arrivata? Becky, tu la vedi per caso?” 
“Tesoro, se non la vedi tu come potrei vederla io? Aspetta, hai la pochette messa male.” 


Rebecca, in piedi accanto a lui, si sporse leggermente per sistemargli il fazzoletto nel taschino mentre continuava a tenere in mano uno spartito, stringendolo quasi convulsamente. 

“Ah, siete qui… io sto cercando mia zia. Becky, stai distruggendo lo spartito un’altra volta!” 

Eleanor abbassò lo sguardo sulle mani dell’amica, parlando con un tono di rimprovero che la fece sbuffare leggermente:

“Non fare quella faccia Elly, sai che scarico così la tensione... e poi lo spartito non mi serve, dobbiamo suonare a memoria!” 

L’ex Serpeverde si strinse nelle spalle mentre Emil invece le sorrise, voltandosi verso di lei prima di stritolarla in un abbraccio:

“Non essere nervosa Becky! Dai, scarica la tensione in un abbraccio.” 
“Emil, lo sai che ti adoro, ma così la tensione me la fai aumentare!” 

Rebecca sospirò, roteando gli occhi con rassegnazione mentre restava rigida come un tronco senza ricambiare la stretta del ragazzo, che sbuffò:

“Andiamo, per una volta ricambia un benedetto abbraccio, vedrai che non morirai!” 

Rebecca fece per dirgli che se quell’abbraccio sarebbe durato altri dieci secondi probabilmente le sarebbe venuto un attacco di panico, ma venne interrotta sul nascere dalla voce di Eleanor, che sorrise prima di allontanarsi quasi di corsa:

“Zia Meggie!” 

“C’é la zia di Elly, andiamo a salutarla. Comunque va bene, questa volta hai vinto tu… ma vedrai, con il tempo ti farò abituare al contatto fisico.” 

Emil sorrise mentre la prendeva per mano per condurla verso la donna che Eleanor stava abbracciando a qualche metro di distanza, facendo sorridere leggermente Rebecca:

“Credimi, su questo non ho alcun dubbio. Anche se so che prima o poi mi romperai una costola.” 
“Non è colpa mia se sei così delicata, non lo faccio di proposito!” 

“Lo so Emil, lo so… senti, ma anche la tua famiglia è così… espansiva? In caso dimmelo, così mi preparo psicologicamente.” 


*


“Ciao… nervoso?” 

Gae si avvicinò a Gabriel con un sorriso stampato sul volto, guardandolo stringersi nelle spalle mentre teneva le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni neri:

“Un po’… dopotutto dobbiamo suonare da solisti davanti a tutte queste persone, sarebbe strano non esserlo. Tu sei nervosa?” 
“Giusto un po’, ma solitamente quando salgo sul palco mi passa… o almeno, lo spero. Dov’è Elin?” 

“È corsa via poco fa gridando “nonna”, presumo sia arrivata la sua parente preferita.” 
“Oh sì, l’adora. Andiamo, voglio salutarla anche io.” 

Gae prese il ragazzo sottobraccio per far sì che la seguisse, ignorando l’espressione incerta di Gabriel:

“Sei sicura? Magari vogliono stare un po’ da sole, non si vedono da tanto…” 
“Non fare il timido Gabriel, nonna Anneke non ti mangerà.” 

Gae quasi rise di fronte al lieve disagio dell’amico, che rivolse un’occhiata quasi preoccupata alla donna bionda che Helene stava abbracciando con affetto. 

“Dici?” 
“Tranquillo, è adorabile, sono certa che ti adorerà.” 


*


Dopo aver dispensato sorrisi, saluti e strette di mano per quasi venti minuti Christina tornò al suo posto, in prima fila, con un sorriso sollevato stampato sul volto che svanì non appena si ritrovò davanti a Jarrod e Alexander:

“CHE COSA STATE FACENDO?” 
“Mangiamo. Non abbiamo cenato.” 

Jarrod si strinse nelle spalle con nonchalance, invitandole con un cenno della mano a rilassarsi mentre la pianista guardava i due con gli occhi quasi fuori dalle orbite, incredula:

“Ma… ma non si può mangiare qui dentro!” 
“Vero, ma per una volta faremo uno strappo alla regola.”   Alexander si strinse nelle spalle mentre Christina sospirava, prendendo posto tra i due con aria rassegnata:

“Ma dove li avete presi i panini?” 
“Ce lì siamo portati dall’hotel.” 

“Vedo che per una volta siete riusciti ad accordarvi su qualcosa, non so se essere fiera di voi o sbattere la testa contro una colonna.” 
“Opterei per la prima, ti rovineresti l’acconciatura.” 

“Quindi avete rifilato a me il compito di salutare giornalisti e quant’altro perché dovevate mangiare? Passano gli anni, ma restate due veri esempi di galanteria.” 
“Andiamo Tina, sei solo arrabbiata perché non abbiamo portato un panino anche per te.” 

Jarrod sorrise e la pianista dovette ricordarsi che erano in un luogo pubblico molto affollato per evitare di prenderlo a sberle sul coppino, limitandosi a roteare gli occhi mentre incrociava le braccia al petto:

 “Effettivamente avreste anche potuto pensare a me, ma stendiamo un velo pietoso… è la serata di chiusura e voglio godermela. Non vedo l’ora di sentirli suonare.” 

Christina sfoggiò un sorriso allegro mentre si voltava verso il palco ancora deserto, aspettando con impazienza che arrivassero finalmente le nove mentre accanto a lei Alexander annuiva, rigirandosi la cravatta tra le dita con aria annoiata:

“Che disdetta, non passeremo una serata tutti insieme fino ad Agosto, quando ci saranno le selezioni per l’anno prossimo… la mia vita sarà vuota nei mesi di separazione.” 
“Lo sappiamo che ti mancheremo Alex, non preoccuparti.” 
“Al massimo mi mancherà Tina, non certo tu!” 

“Fate silenzio, comportatevi bene almeno stasera! E non si parla a bocca piena.” 


*


“Se devo essere onesta, non pensavo che fosse così… grande. Insomma, quante persone ci saranno?”   Irina rivolse un’occhiata quasi preoccupata alla platea, sbirciando dal sipario mentre alle sue spalle Pawel si affrettò a rispondere alla sua domanda:

“Stasera non lo so, ma in totale ha una capienza di 1.709 posti.” 

Irina si voltò verso il polacco con gli occhi azzurri sgranati con orrore, mentre accanto a lei Ivan rivolgeva un’occhiata torva all’amico, come a volergli suggerire di stare zitto.

“Ehm… penso. Non ne sono sicuro, forse meno… vado a prendere il violino, dopotutto cominciamo noi violinisti e io sono il terzo.” 

Pawel sfoggiò un sorriso prima di defilarsi rapidamente, mentre Ivan abbassava lo sguardo sulla rossa:

“Non pensare alle persone…” 
“Vuoi dire alle 1.709 che sono qui fuori? Una vera passeggiata.” 

La clarinettista sbuffò, roteando gli occhi mentre Ivan invece sorrideva, mettendole una mano sulla schiena e allentandola dal sipario:

“Effettivamente sono parecchie, ma a noi è di poche che deve importarci… ossia, la giuria. Fai finta che sia solo uno dei tanti giorni che abbiamo passato a suonare davanti a Christina, Jarrod e Alexander.” 
“Ci proverò, anche se credo di essermi appena dimenticata tutti i brani che devo suonare…” 
“Reazione da palcoscenico, quando verrà il tuo turno ti tornerà tutto in mente. E poi dobbiamo suonarne tre, sono sicuro che dopo il primo l’ansia diminuirà.” 

“Spero che tu abbia ragione. Per fortuna non sono la prima a dover suonare, credo che se fossi nei panni di Emil sarei già corsa a nascondermi in un angolo.” 
“Se non è nervoso buon per lui, no?” 

Ivan sorrise, accennando al ragazzo che a qualche metro di distanza teneva violino e archetto in mano, sorridendo con aria allegra e apparentemente rilassato:

“Davvero non sei per niente nervoso? Beh, buon per te. Ti farei gli auguri ma porta sfortuna, quindi starò zitta.” 
“Sono felice di essere il primo in realtà, così mi tolgo immediatamente il dente. Credo che tra poco mi chiameranno.” 

Il ragazzo si sporse leggermente per sbirciare il palcoscenico, aspettando con impazienza di dover finalmente suonare mentre accanto a lui Rebecca continuava a tormentarsi le mani, per nulla felice di dover essere la seconda ad esibirsi.

“Ok, vado… a dopo.” 

Emil sorrise e Eleanor ricambiò, dandogli una lieve pacca sul braccio mentre Rebecca gli dava un bacio su una guancia e si sforzava di sorridergli, cercando di mettere da parte il nervosismo. 


Poco dopo le note della Moonlight Sonata di Beethoven giunsero alle orecchie di tutti i presenti, mentre il silenzio era calato sulla platea insieme al buio e sul retro del palco Rebecca continuava a spostare nervosamente il peso da un piede all’altro, totalmente incapace di stare ferma. 

“Becky… guarda il lato positivo, tra poco sarà tutto finito. Almeno suonando tra i primi ti toglierai subito il peso, invece il Fato ha deciso che io debba tenermi l’ansia fino alla fine.” 

Eleanor sbuffò sommessamente mentre l’amica si rigirava l’archetto tra le dita, lo sguardo fisso su un punto indefinito del sipario mentre ascoltava la familiare melodia. 



“Ti vedo nervosetto… mi chiedo se abbia a che fare con il fatto che tra poco toccherà a te o altro.” 
“Cal, smettila di prendermi in giro!” 

Pawel sbuffò, rivolgendo alla bionda un’occhiata torva mentre ascoltava la musica, aspettando il proprio turno ormai piuttosto vicino. 

“Non guardare me, è Emil che mi ha detto che stai pensando a Veronika, poco fa. Non ti preoccupare Juraszek, per qualche arcano motivo ora che vi ho visti insieme ho la netta sensazione che ti dirà di sì. Insomma, dev’essere masochista per firmarsi una simile condanna a vita, ma contenta lei…” 

“Cal, eri quasi riuscita ad essere carina per un momento, ma come al solito hai rovinato tutto.” 


*


“Allora fanciulle… come sono andato?” 

“Benissimo, ho adorato la Danza della fata confetto… ma invece di parlare con noi dovresti guardare i punti che ti stanno assegnando!” 

Rebecca accennò con il capo alla giuria mentre Eleanor si voltava verso l’amica, sorridendole leggermente:

“Tra poco chiameranno te… sei pronta?” 
“Credo di sì, ma se anche così non fosse non avrei scelta, quindi… al diavolo l’ansia, se vinco bene, se non vinco andrà bene lo stesso.” 

La violinista si strinse nelle spalle mentre l’amica le sorrideva, facendole cenno di avvicinarsi al palco mentre Emil sorrideva con aria allegra:


“47 punti su 50, non pensavo di ricevere un punteggio tanto alto… beh, meglio così. Coraggio Becky, vai e stendili.” 

Il danese fece per sporgersi verso la ragazza e abbracciarla, ma Rebecca ebbe una prontezza di riflessi sufficiente per sgusciare dalla sua presa e affrettarsi a raggiungere i gradini che la separavano dal palco, sostenendo che non potesse perdere tempo ora che l’avevano chiamata. 

“Emil, so che hai le migliori intenzioni del mondo, ma credo che se l’avessi abbracciata ti avrebbe colpito in testa con il violino.” 
“Lo so bene, come sapevo che sarebbe corsa via… l’ho fatto di proposito, ma tu non dirglielo.” 


*


Quando ebbe preso posto sulla sedia che era stata sistemata sul perfetto centro del palco Pawel sistemò il violino sulla propria spalla, non potendo fare a meno di pensare a tutte le persone che gli stavano davanti e che tenevano gli occhi fissi su di lui.

Probabilmente avrebbe voluto cercare Veronika con lo sguardo, ma le luci gli impedivano di vedere la platea… anche se, in effetti, forse non vedere tutte quelle paia d’occhi non era un fattore negativo. 

Dopo quell’attimo di esitazione appoggiò l’archetto sulle corde tese del violino, chiudendo gli occhi prima di iniziare a suonare “Le Cygne”, dicendosi ancora una volta ci concentrarsi soltanto sulle note. 
Al resto, ci avrebbe pensato dopo. 


*


“Vedrai, andrai benissimo. Incassa un voto alto, torna a casa e poi sbattilo sulla faccia di tuo padre.” 

Nonostante il lieve nervosismo Gabriel non riuscì a non ridere mentre Helene, seduta accanto a lui, gli sorrideva e gli sfiorava un braccio un le dita:

“Io sono serissima… insomma, al tuo posto sono certa che lo farei.” 
“Lo terrò a mente Elin, grazie per il suggerimento. In effetti se sono venuto qui era per dimostrare a mio padre che valgo qualcosa, che non sono tutto fumo e niente arrosto come pensa da anni… ma a questo punto anche se dovessi prendere 10 su 50 sarei comunque felice di essere qui, almeno ho conosciuto te.” 

Gabriel ricambiò il sorriso della rossa mentre sul palco, a solo qualche metro di distanza, Pawel suonava il Capriccio nº 24 di Paganini. 

“Per fortuna che l’hai detto, stavo cominciando a preoccuparmi… a proposito, prima che tu salga sul palco, visto che questo è l’ultimo brano di Pawel, volevo dirti che mia nonna pensa che tu sia proprio un bel ragazzo." 

“Naturale Elin, io faccio sempre strage di cuori…” 

Gabriel sfoggiò un sorrisetto mentre Helene si limitò a roteare gli occhi, alzandosi dal divanetto visto che Pawel aveva smesso di suonare. 

“Certo Casanova, ma ora faresti meglio ad alzarti e pensare alla musica… Ti direi “buona fortuna”, ma non credo che sia il caso.” 
“No, decisamente.” 

Gabriel sorrise mentre tirava fuori il violino dalla sua custodia insieme all’archetto. Poco dopo Pawel tornò sul retro del palcoscenico con un’espressione piuttosto rilassata, guadagnandosi un sorriso e una pacca sulla spalla da parte di Ivan:

“44 Pash, bel lavoro... complimenti.” 
“Immagino che avrei anche potuto suonare meglio, ma grazie.” 

Pawel sorrise con visibile sollievo mentre Gabriel lo superava per prendere il suo posto sul palco e alle loro spalle Emil, comodamente seduto su una sedia con il violino riposto nella sua custodia accanto, facendo cenno a Rebecca di avvicinarglisi e sedersi sulle sue ginocchia:

“Ti vedo decisamente sollevata Becky… tu e Pawel avete anche ottenuto lo stesso punteggio, soddisfatta?” 
“Sì, ma sono comunque felice che sia finita, credo… hai presente quando tornavi al tuo posto dopo un’interrogazione con la McGranitt?” 

“Vuoi dire quel momento che tutti temevano quanto il Giudizio Universale? Sì, mi ricordo.” 
“Ecco, credo che in questo momento il mio sollievo sia pari a quando concludevo una sua interrogazione e mi sentivo al settimo cielo.” 


Rebecca sfoggiò un sorriso che Emil ricambiò, ridacchiando mentre alle loro spalle il turno per essere nervosa spettava ad Irina, con Ivan che cercava di tranquillizzarla prima della sua imminente esibizione:

“Irina, se ti agiti fai solo peggio… rilassati.” 
“Ivan, non si dice mai ad una persona nel panico “rilassati”, la fai soltanto stare peggio! Vorrei che Maya fosse qui, invece sono l’unica della mia sezione.” 

La rossa sospirò, appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo con aria malinconica mentre Ivan invece continuava a sorriderle, accarezzandole i capelli:

“Si tratta solo di tre brani, ergo meno di un quarto d’ora… passerà prima che tu te ne renda conto.”
“Sai, forse in realtà nemmeno voglio che finisca… non voglio pensare che domani torneremo a casa e dovrò affrontare i miei genitori. Non saranno per niente contenti.” 

“Ricordagli di quanto io sia adorabilmente intelligente, bello e soprattutto di quanto la mia famiglia sia ricca… magari aiuterà. Comunque, in caso la prendano male sul serio sei più che autorizzata a filartela da me.” 
“Bene, aspettami con la porta aperta allora.” 


*


Mentre sentiva Irina suonare il volo del Calabrone, che poco dopo avrebbe suonato anche lei, Helene continuava a dondolare un piede seguendo il ritmo della musica ripetendosi mentalmente le note del brano oltre a quelle dello Schiaccianoci e del Valzer dei Fiori. 

Gae era seduta accanto a lei, in perfetto silenzio e con il flauto in mano, probabilmente impegnata nella sua stessa operazione.
In quel momento Helene non riusciva a non invidiare profondamente Gabriel, che stava amabilmente chiacchierando con Emil e Pawel a solo qualche metro di distanza, perfettamente rilassato dopo aver suonato, ottenendo come punteggio un 42. 


“Ti ricordi quando siamo venute qui insieme? Eravamo appena arrivati a Vienna, credo fosse il 4 Settembre… sembra passata un’eternità.” 

Gae ruppe il silenzio, parlando con il suo solito tono vago e quasi trasognato mentre sorrideva leggermente, ricordando quando lei è l’amicasi erano sedute sulle poltrone rosse della platea, osservando il magnifico soffitto e pensando a quando avrebbero dovuto suonare lì. 

“Hai ragione, non mi sembra quasi vero che sia finita. Sarà strano tornare ad Amsterdam, anche se mia nonna mi mancava, e anche le mie amiche dell’Accademia d’Arte.” 
“Mi chiedo solo come farai senza avere ancora la tua Gae perennemente vicino… sembrava quasi di essere tornate a scuola, vivendo insieme.”

“Già, ma per quanto mi riguarda Koller era molto più terrificante di tutti i nostri insegnanti… anche se alla fin fine forse mi mancherà anche lui, pensa te.” 


Helene sorrise e Gae ridacchiò, ricordando tutte le smorfie che l’amica era solita fare quando il direttore d’orchestra era nei dintorni, pronto a far notare anche il minimo errore. 

“Beh, allora è davvero grave… ora vai sul palco e dimostragli quanto sei stata in grado di migliorare anche grazie a lui in queste settimane, Elin.” 

Helen si sforzò di sorridere mentre annuiva, alzandosi con il suo flauto ancora stretto in mano mentre, a giudicare dagli applausi che provenivano dalla platea, anche Irina aveva concluso il suo terzo ed ultimo brano. Ergo, era arrivato finalmente il suo turno. 

In effetti moriva dalla voglia di scappare, ma da una parte voleva andare sul palco e suonare, principalmente per sua nonna che era arrivata lì da Amsterdam solo per lei, per la donna che l’aveva cresciuta e rappresentava tutta la sua famiglia. 

In effetti era abbastanza sicura che si fosse rifiutata di salire sul palco sua nonna ce l’avrebbe portata personalmente, tirandola per un orecchio… infondo le voleva bene anche per quello. 

Quando passò accanto a Gabriel il ragazzo le sorrise, strizzandole l’occhio mentre Irina tornava dai compagni con aria visibilmente sollevata, andando subito da Ivan per abbracciarlo.

“Te l’avevo detto, non era poi la fine del mondo… quanto ti hanno dato?” 

“42. Poco male, del resto di vincere non mi è mai importato granché… spero che tu riesca a salire sul podio, invece.” 
“Temo che dovrai aspettare per sentire suonare me, sono l’ultimo.”   Ivan si strinse nelle spalle, apparentemente piuttosto rilassato al contrario di Cal, che continuava a tormentarsi una ciocca di capelli mentre sbuffava sommessamente.

“Ma perché siete tutti un fascio di nervi? Cal, rilassati, prima di te ci sono ancora tre persone.” 
“Ivan, potresti gentilmente trasmettermi un po’ della tua tranquillità? No? Beh, allora chiudi la bocca.” 


*


“Quanto le hanno dato?” 

Emil si sporse leggermente per cercare di vedere il palcoscenico, sbirciando il punteggio complessivo ricavato dai cinque voti espressi dalla giuria. 

“Credo 43.” 
“Beh, in tal caso sei ancora il primo in classifica.”   Rebecca abbassò lo sguardo sul ragazzo, sorridendogli mentre lui la teneva ancora sulle sue ginocchia:
“Non canto vittoria, ci sono ancora Cal e Ivan e sono entrambi molto bravi.” 

Emil si strinse nelle spalle, sorridendo quando Eleanor lì raggiunse con, a sua volta, un gran sorriso stampato sulle labbra:

“Allora? Com’è andata? 43?” 
“Sì, 43… peccato Becky, mi sarebbe tanto piaciuto batterti.” 
“A me sarebbe piaciuto sposare Ryan Gosling, ma non si può avere tutto dalla vita.” 

“Come scusa?” 
“Scherzavo, scherzavo, lo sai che tu il mio biondo preferito.” 

Rebecca rivolse un sorriso ad Emil mentre Cal, passandosi nervosamente una mano tra i capelli biondi, superava il trio per raggiungere il palco a sua volta. Eleanor le sorrise con fare incoraggiante mentre Ivan le assestò una pacca sul braccio quando gli passò accanto, sorridendo all’amica con affetto:

“Coraggio Cal… con quel muso lungo Pawel penserà che hai paura di perdere contro di lui.” 
“Sì certo, quando sarò morta. Vado a prendermi un posto sul podio, ci vediamo dopo.” 


*


Quando, circa un quarto d’ora dopo, Cal ebbe finito di suonare il “Nocturno” di Chopin Ivan, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare la musica ripetendosi le note di “Per Elisa”, del “Rondò alla Turca” e del “Can Can”, si alzò e si sistemò la cravatta nera con naturalezza, mentre Pawel gli rivolse un’occhiata scettica:

“Davvero non sei per niente nervoso?” 
“No, ho la fortuna di restare piuttosto calmo in queste situazioni. Anche se essere l’ultimo e dover ascoltare tutti prima del mio turno è stato un po’ snervante, lo confesso. Beh, vado.” 

“Ti farei gli auguri, ma cosa che cosa mi risponderesti…” 
“Che non mi servono? Mi conosco troppo bene.” 

Ivan rivolse un sorriso all’amico prima di superarlo, avvicinandosi al palco per aspettare che Cal scendesse e prendere il suo posto. 
Un istante dopo la bionda lì raggiunse con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, rivolgendo all’amico un’occhiata quasi trionfante:

“46 Petrov, ti sfido a fare di meglio.” 
“Se anche così non fosse, sono felice che tu sia sul podio Cal.” 

Ivan sorrise all’amica prima di superarla, salendo i quattro gradini che lo separavano dal palco per raggiungere il pianoforte a coda in ebano che lo aspettava. 

“Sono felice che tu sia sul podio? Pawel, che cosa gli è successo? Ero convinta che avrebbe risposto per le rime come al solito… chissà, forse state davvero crescendo.” 
“Fossi in te userei la prima persona plurale, Jordan… in ogni caso, complimenti per il punteggio.” 

Alle parole del polacco Cal sorrise con sincera gratitudine, guardandolo quasi con cipiglio soddisfatto:

“Si, ho ragione, ultimamente sei quasi più simpatico anche tu.” 


*



Dopo aver appreso il punteggio che aveva ottenuto Ivan attraversò il palco tra gli applausi e tornò tra i compagni, trovandoli in silenzio e impegnati ad osservarlo, in attesa di sapere l’esito. 

“Allora?” 

Alla domanda vagamente impaziente di Irina Ivan abbozzò un sorriso, stendendo il volto in un’espressione rilassata e soddisfatta:

“45. Sono sul podio, a quanto pare.” 

La rossa gli sorrise prima di abbracciarlo, mentre alle loro spalle la mascella di Emil si era praticamente snodata fino a toccare il pavimento, quasi stentando a credere di aver vinto. 

“Emil, che cos’è quella faccia? Su, alzati, devi tornare sul palco.” 

Ridendo, Rebecca lo prese per mano e lo costrinse ad alzarsi, guardandolo annuire con aria incredula mentre Cal lì superava quasi di corsa per raggiungere Ivan e abbracciarlo:

“Non ci credo, ho battuto te e Pawel nella stessa sera… devo segnarmi la data sul calendario. Coraggio, andiamo.” 

Senza smettere di sorridere la bionda prese l’amico per mano per condurlo con sé nuovamente sul palco, mentre Irina li seguiva con lo sguardo con soddisfazione:

“Sono davvero felice per loro… tu che dici, Pawel?” 
“Io? Onestamente, credo che potrò ufficialmente dire se avrò vinto o perso a seconda della risposta di Veronika. Per il resto, sono felice per loro ovviamente… ma non dirlo a Jordan, segnerebbe la fine dei miei giorni.” 




“Un po’ mi dispiace, ma sono davvero felice per lui… tu che ne pensi Becky? Detesti perdere.” 
“Vero, non amo perdere… mi piace vincere, ma credo che dovendo scegliere avrei voluto perdere contro te o Emil, sono felice per lui.” 

Rebecca si strinse nelle spalle mentre, sorridendo, guardava il ragazzo sul palco, impegnato a sorridere mentre stringeva mani e si faceva scattare fotografie insieme a Cal ed Ivan. 

“Davvero? Chi l’avrebbe detto. Attenzione, armadio a tre ante in arrivo e sta puntando te, credo che voglia abbracciarti.” 
“Oh Merlino… beh, ha appena vinto, non posso proprio filarmela questa volta.” 


Rebecca roteò gli occhi con rassegnazione prima che Emil la raggiungesse, stringendola in un abbraccio con tanta enfasi da sollevarla da terra mentre accanto a loro Eleanor si limitava a ridacchiare. 




“Sono un po’ delusa, lo ammetto, ma almeno ho ottenuto un punteggio decente, non mi posso lamentare. E poi non si può vincere sempre.” 

“Giusto… e comunque Koller ti ha dato 9 su 10, direi che è un gran risultato, no?” 

Gabriel sorrise mentre sistemava un braccio sulle spalle della ragazza, che annuì:


“Poco ma sicuro. A te ha dato comunque 8, considerando che ti ha puntato negativamente fin dall’inizio anche questo è un gran risultato.” 
“Per l’ultima volta, non è stata colpa mia… insomma, ho perso l’aereo, capita a tutti prima o poi!” 

Gabriel sbuffò, parlando quasi con tono seccato mentre Helene invece gli sorrise con aria divertita, allungando una mano per sfiorargli i capelli scuri:
“Francamente a me non è mai successo, ma sorvoliamo, ti adoro anche perché sei terribilmente sbadato.” 


*


“Posso chiederti che cos’hai? Sembri pensieroso… mi dispiace che tu non abbia vinto, spero che non ti butterai giù per questo.” 

Alle parole di Veronika Pawel si voltò verso di lei, sorridendole e affrettandosi a scuotere il capo mentre entravano nella hall dell’albergo. 

“Oh, no, non pensavo a quello… certo, un po’ mi dispiace, ma sono felice che Ivan abbia vinto.” 
“E allora cosa c’è? Conosco quella faccia Pash, stai pensando a qualcosa.” 

Veronika si fermò, osservandolo con attenzione mentre Pawel esitava, pensando ancora una volta alla piccola scatolina rivestita di velluto che teneva in tasca da tutta la sera, non facendo altro che chiedersi a quando chiederglielo. In caso di vittoria avrebbe voluto chiederglielo sul palco, la così non era stato… Pawel Juraszek non aveva mai amato gli imprevisti e dover modificare i suoi piani, ma in quell’occasione non ci badò incredibilmente più del dovuto. 

“Io… sì, in effetti sì, disgraziatamente mi conosci troppo bene.” 

Il polacco sorrise e, approfittando del fatto che la hall fosse completamente deserta a parte loro due, continuò a parlare senza dare alla fidanzata il tempo di interromperlo:

“Ci conosciamo da un sacco di tempo Vee, stiamo insieme da cinque anni e viviamo insieme da quasi due… e anche se siamo molto giovani credo, a questo punto, di sentirmi pronto per farlo.” 

La vide mutare rapidamente espressione mentre, sorridendo con leggero nervosismo, estraeva la scatolina dell’anello e si inginocchiava allo stesso tempo. 

“Lo so, non sono una persona facile, ma mi sopporti da cinque anni e ti amo tantissimo Veronika, quindi… ti vorrei chiedere di continuare a farlo ancora per molto tempo.” 

Senza staccare gli occhi dai suoi Pawel sollevò il coperchio della scatola, guardandola sorridere e annuire con gli occhi quasi lucidi:

“Ma certo… certo che sì, aveva anche dubbi in proposito?” 

“Beh, infondo non si sa mai, no?”    Pawel sorrise, affrettandosi a rialzarsi per infilarle l’anello con il diamante al dito prima di baciarla, ormai perfettamente consapevole di aver vinto, quella sera. 



*


Sabato 22 Dicembre 



“Coraggio, ci vedremo presto. E scrivimi, mi raccomando, voglio tenermi aggiornato.” 

Irina annuì alle parole di Ivan, che continuò a sorriderle mentre, in piedi nella hall, si salutavano circondati da Maya, Cal e due sorridenti Pawel e Veronika. 

“Lo farò. Sai, sarà strano non vederti più tutti i giorni.” 
“Lo so, la tua vita senza di me sara triste e vuota.” 
“No, non sarà vuota, sarà tremendamente impegnata per sciogliere quel dannato contratto.” 

La rossa sbuffò leggermente ma il sorriso di Ivan non vacillò, limitandosi a sistemarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio prima di parlare:

“In tale caso, prima di andare credo di doverti dire un’ultima cosa… se la tua famiglia non la prenderà bene, è molto probabilmente andrà così, dì a tuo padre che il cognome di mia madre è “Hendrik”, ok?” 
“D’accordo… pensi che farà la differenza?” 

“Non saprei, ma potrebbe darsi.” 

Ivan si limitò a sorridere di fronte all’espressione quasi confusa della ragazza prima di sporgersi e baciarla, mentre ai loro piedi Sergej soffiava con rabbia per essere finito di nuovo dentro la sua gabbietta e Lena lo studiava attentamente, immobile accanto alla padrona. 


“Maya, siamo circondate da coppiette che tubano, mi sta venendo il diabete…” 
“Piantala Jordan, sei arrivata seconda, giusto? Quindi smettila di brontolare!” 

“Pawel, nessuno ti ha interpellato, pensa alla tua fidanzata!” 


Come da manuale i due iniziarono a discutere mentre Maya e Veronika si limitarono a sospirare, scambiandosi un’occhiata scettica:

“Sono andati avanti così per tutto il tempo?” 
“Io me ne sono andata alla fine di Settembre, ma disgraziatamente per Irina e Ivan penso proprio di sì.” 


*



“Allora, ho preso tutte le mie scarpe, i vestiti, gli spartiti, il violino, Cinnamon, i libri… credo di non aver dimenticato nulla.” 

Rebecca camminava sul marciapiede accanto ad una Eleanor impegnata a sbuffare mentre studiava la piantina della città, cercando probabilmente la stazione più vicina della metropolitana. 

“Beh, visto che stamattina hai controllato la tua camera almeno tre volte penso proprio che tu abbia preso davvero tutto… possibile che dopo quattro mesi io non riesca ancora ad orientarmi in questa città?” 
“Ancora con quella cartina? Mettila via, tanto io in quel tubo sotterraneo non ci torno, ci Smaterializzeremo... erano questi i patti, no? All’andata andiamo alla Babbana, al ritorno facciamo come dico io.” 

“D’accordo, va bene… come vuoi. Ma visto che non abbiamo orari da seguire facciamo un’ultimo giro per il quartiere, chissà quando torneremo qui insieme. Ho anche detto a mia zia di tornare a casa da sola, volevo fare un’ultima passeggiata con te.” 

“Beh, dopo quasi quattro mesi direi che ne ho abbastanza per un po’ di questa città. Anche se credo che sarei rimasta volentieri qualche altro giorno, manca pochissimo a Natale…” 

Rebecca sfoggiò una smorfia ed Eleanor rise, prendendola sottobraccio mentre Cinnamon trotterellava accanto a loro, saltellando felicemente sulla neve fresca.

“Fammi indovinare, stai pianificando di darti malata?” 
“Potrei sempre dire di essermi presa un terribile virus qui in Austria, magari causato dal cibo… di certo non muoio dalla voglia di presentarmi dalla mia famiglia. Oppure potrei imbucarmi da te, che ne pensi?” 
“Per me non c’è problema. Ma non li vedi da settimane, non ti mancano?” 

“Immensamente… ce la faranno i Crawley a non pugnalarsi a vicenda a Natale? Ci vorrebbe un vero miracolo.” 

Rebecca scosse il capo quasi con disapprovazione mentre Eleanor invece sorrideva, stringendosi nelle spalle:

“Abbiamo entrambe due famiglie bislacche Becky… ma guarda il lato positivo, ci facciamo supporto morale a vicenda. Vienna è la Città dei Sogni, forse non posso dire che il mio si sia avverato, ma almeno ci siamo divertite, insieme, ancora una volta.” 













…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Il vostro preferito in assoluto è risultato essere Emil, nessuna sorpresa… Rassegnati Phebe, i tuoi OC fanno scintille. 

Infine, ecco Veronika:
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Ci sentiamo molto presto con l’Epilogo, buonanotte! 
Signorina Granger 

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

Londra

 

“Mi hanno detto che di recente mangi e parli di più… mi fa piacere sentire che stai meglio. Sei più uscita fuori? Credo che ti farebbe bene.” 

Eleanor sorrise leggermente, sfiorando con le dita le foglie della piantina sistemata sul davanzale della finestra davanti alla quale, come sempre, sua madre si era seduta. 

La donna non rispose ma almeno annuì con un lieve cenno del capo, continuando a tenere gli occhi puntati sul vetro della finestra, osservando la grande metropoli. 

 

“Se vuoi posso portarti a fare una passeggiata, credo che non ci sarebbero problemi. Può venire anche la zia, è proprio qui fuori.” 

 

Eleanor continuò a guardare la madre, osservandola attentamente per cercare una sua qualunque reazione: aveva passato molto tempo a parlare con lei senza ottenere il minimo feedback, ma almeno di recente aveva cominciato a dare segni di sentire quello che diceva. 

 

Sua madre guardava sempre fuori dalla finestra quando andava a trovarla, quasi come se fosse consapevole della vita che scorreva davanti a lei nella frenetica Londra, vita che lei si stava perdendo chiusa in quella stanza, seduta su quella sedia. 

Era la prima volta in cui andava a trovarla da quando era tornata in Inghilterra, aveva rimandato quel momento per alcuni giorni forse anche per paura, non sapendo che cosa sarebbe successo quando si sarebbero incontrate nuovamente: sua madre avrebbe continuato a non dare segni di accorgersi della sua presenza o finalmente si sarebbe ricordata di avere una figlia? 

 

Non ottenendo alcuna risposta l’ex Tassorosso sospirò e fece per allontanarsi dalla finestra e dalla madre, ma si bloccò quando sentì finalmente la sua voce:

 

“Sono felice di vederti. Sei stata via a lungo.” 

 

Le labbra di Eleanor si inclinarono in un sorriso sentendo la voce della donna, che si voltò anche verso di lei per guardarla finalmente in faccia. Era da molto tempo che non le si rivolgeva direttamente se non con qualche monosillabo appena borbottato. 

 

“Io… si, sono stata in Austria. Per suonare. È stato bello, ma sono felice di essere tornata. Vuoi che ti racconti com’è andata?” 

 

Quando la madre annuì la ragazza non se lo fece ripetere due volte, affrettandosi a sedersi di fronte a lei senza smettere di sorridere, trattenendosi dall’abbracciarla. 

Non ricordava nemmeno quando aveva avuto un vera conversazione con sua madre per l’ultima volta… forse stare via per qualche settimana era davvero servito ad entrambe. 

 

*
 

Lipsia

 

 

“A me piacciono i gigli bianchi… magari potrei farli inserire nel bouquet insieme alle rose. Tu che ne pensi?” 

 

Alla domanda di Veronika Pawel si limitò a roteare gli occhi, continuando a giocherellare con il tovagliolo mentre la fidanzata continuava a spostare l’attenzione da lui alla piccola agenda che teneva in mano:

“Sappiamo che in ogni caso alla fine sarai tu a decidere. Il bouquet è tuo, decidi tu.” 

“D’accordo, dopotutto abbiamo concordato che io scelgo i fiori e tu le bomboniere… ma visto che il matrimonio sarà tutto sul bianco e sul rosso non scegliere niente che abbia a che fare con altri colori, mi raccomando.” 

“Vee, mi stai davvero dicendo queste cose? Sono la persona più pignola del pianeta, faccio attenzione a queste cose… ma già che ci siamo, avrei qualcosa da ridire sulle partecipazioni.” 

 

“Ma le abbiamo scelte insieme giovedì,  cosa c’è che non va?”  La ragazza sospirò, guardandolo quasi con esasperazione mentre il polacco si stringeva nelle spalle: 

 

“Ci hai fatto aggiungere tutti quei fiorellini, e ghirigori… sembra l’invito al Ballo delle Debuttanti.” 

“Esagerato… ma va bene, vorrà dire che farò in modo che siano un po’ più “semplici”.” 

 

Veronika annuì e Pawel sorrise, quasi stupito di averla avuta vinta così facilmente… o almeno finché la fidanzata non parlò di nuovo, abbozzando un sorrisetto:

“Ma visto che siamo in tema di “veti”, potremmo sempre parlare dei centrotavola che hai scelto tu…” 

“Forse pensare di sposarsi è stata una pessima idea.” 

“Che dici, è stata l’idea migliore che tu abbia avuto da quando stiamo insieme, a parte forse quando mi hai chiesto di venire a vivere con te. Infondo me lo hai chiesto tu Pash e ora mi spiace deluderti, non ti puoi tirare indietro.  Guarda, che ne pensi di questa piccola modifica?” 

 

Veronika si alzò dalla sua sedia senza smettere di sorridere, facendo il giro del tavolo per sedersi sulle sue ginocchia. 

“Hai anche fatto il disegno? Fammi capire, ti sei già scritta quello che devi convincermi a cambiare?” 

“Circa… tanto alla fine l’ho sempre vinta io, no?” 

 

Veronika rise mentre lasciava il quadernetto sul tavolo per prendergli il viso tra le mani, guardandolo sbuffare leggermente e roteare gli occhi.

 

“Disgraziatamente…” 

 

“Oh, andiamo, non fare la vittima, non ho da ridire su tutto quello che piace a te… ad esempio la torta che hai scelto mi piace moltissimo. E anche il tuo vestito.” 

“Il mio vestito? Quando accidenti lo avresti visto, il mio vestito?” 

 

“Beh, ho dato una sbirciatina per assicurarmi che stesse bene accanto al mio.” 

 

Veronika sfoggiò un piccolo sorriso angelico per poi scoppiare a ridere di fronte alla faccia del fidanzato, dandogli una bacio a stampo sulle labbra:

 

“Non fare quella faccia… dopotutto tutto questo è soltanto la cornice, l’unica cosa davvero importante quel giorno saremo esclusivamente noi due.” 

 

*

 

San Pietroburgo 

 

“Mi dispiace che tu sia stato solo quella sera… avresti potuto scrivere a Dimitri.” 

“Non essere ridicola, sai che non l’avrei mai fatto. Non credo nemmeno che avrebbe accettato.” 

 

Ivan sbuffò leggermente alle parole della madre, che però non battè ciglio e non smise di sorridergli mentre, seduti uno di fronte all’altra, parlavano praticamente per la prima volta da quando il ragazzo era tornato in Russia. 

 

“Un vero peccato, mi sarebbe piaciuto venire ad ascoltarti… ma sono davvero orgogliosa di te.” 

“Sarebbe piaciuto anche a me, ma converrai che non sarebbe stato il caso di farti venire fino a Vienna.” 

“Il solito esagerato.” 

“Non sono esagerato mamma. E comunque non ero da solo, c’era Cal, Pawel e anche Irina.”

 

“Spero che stiano bene… Ma quando mi farai conoscere questa famosa ragazza?” 

“Presto. Ma non oggi.” 

 

La madre gli rivolse un’occjiata torva ma il figlio non battè ciglio, continuando a far dondolare leggermente una gamba mentre la madre beveva un altro sorso di thè. 

“Cambiando argomento… hai più sentito tuo nonno?” 

“No.” 

“Sono la tua famiglia, Ivan…” 

“Sono la tua famiglia mamma, non la mia.” 

 

La risposta pacata, quasi sbrigativa del figlio minore fece sorridere la donna, che appoggiò nuovamente la tazza sul piattono prima di parlare:

 

“Fa differenza? Forse sei troppo duro con loro, sei sempre stato molto testardo e poco incline a cambiare giudizio, tesoro. Infondo non sono così terribili, lo dice chi ci è crescita insieme. Del resto, anche tuo padre li detestava, tuo nonno non gli è mai piaciuto.” 

“Al nonno papà piaceva, però… credo, almeno.” 

“Gli piaceva solo perché per me era conveniente sposarlo. Penso solo che visto che tu e Dimitri non vi parlate, tuo padre non c’è più e io ho praticamente un piede nella tomba dovresti cercare di tenerti stretta la famiglia che ti resta.” 

 

“Mamma, non stai morendo.”   

“Fa differenza?”    La donna abbozzò un sorriso e il ragazzo sospirò, guardandola quasi con leggera esasperazione:

 

“Non cominciare, per favore. Sono settimane che non parliamo, non mi va di sentirti fare questi discorsi.” 

“Come preferisci… sono felice di averti visto. Ora scusa, ma tutti quei farmaci mi fanno stancare parecchio, credo che sia ora di andare a riposare per me.” 

 

Ivan annuì e si alzò per abbracciare la madre, che gli diede un bacio su una guancia prima di sorridergli.  

 

Il figlio si sforzò di ricambiare prima di lanciare un’occhiata all’orologio, non tanto per controllare che ore fossero ma per fare il conto di quanti minuti fosse durata la “lucidità” di sua madre. Era andato da lei per ben quattro volte da quando era tornato, ma ogni volta lei non era riuscita a riconoscerlo, prima di quel pomeriggio. 

 

Quindici minuti, sarebbe potuta andare peggio. 

Quando uscì dalla stanza della madre e tornò nell’atrio sorrise nel vedere una familiare figura dai capelli rossi seduta su una poltroncina, impegnata a leggere una rivista. 

 

“Ciao… grazie per avermi aspettato. Leggi?”  Ivan si fermò accanto a lei e le rivolse un lieve sorriso, guardandola dall’alto in basso e allungando una mano per sfiorarle i capelli: 

 

“Si, mantengo il mio russo in allenamento. Come sta?” 

“Bene. Almeno oggi era lucida. Mi dispiace non avertela ancora fatta conoscere, ma oggi volevo parlare un po’ con lei.” 

“Non preoccuparti, la prossima volta, magari.”  Irina sorrise prima di alzarsi, infilarsi il pesante cappotto e prenderlo sottobraccio:

 

“Ti proporrei di andare a fare una passeggiata ma siamo a Gennaio e fuori si gela, quindi ad andarmene in giro non ci penso nemmeno anche se vorrei visitare la città.” 

“Che deboluccia.” 

“Finiscila, magari prima o poi mi ci abituerò sul serio. Ora, prima di volare a casa mia e presentarti la mia meravigliosa famiglia che muore dalla voglia di conoscere la causa della rottura del loro contratto c’è qualcosa che vorresti fare? Come andare a scrivere il testamento, per esempio.” 

 

“No, grazie, andiamo subito, così mi tolgo anche questo dente. Sono sicuro che la tua famiglia non è molto peggio rispetto a quella di mia madre. A proposito, hai fatto come ti ho detto?” 

 

“Sì, ho detto che tua madre si chiama “Hendrik” di cognome… mio padre ha subito smesso di urlare e ha quasi cominciato a fare le fusa. In effetti aveva un suono familiare, ma non sapevo che foste così importanti da queste parti.” 

“Per una volta forse essere nipote di mio nonno avrà i suoi vantaggi, chissà.” 

 

*

 

Kaunas 

 

Era ferma, in piedi davanti a quella porta da quasi dieci minuti, eppure non aveva ancora trovato il coraggio di suonare un maledetto campanello. 

Cal sbuffò leggermente, continuando a tentennare mentre accanto a lei Alaska non faceva altro che girarle intorno e cercare di avvicinarsi alla porta. Probabilmente moriva dalla voglia di trattarla ma la padrona continuava a tirare il guinzaglio:

 

 “Alaska, smettila! Non so nemmeno se voglio entrare o meno, stai ferma.” 

Il cane le rivolse un’occhiata torva prima di accucciarsi obbedientemente sul pianerottolo, muovendo la coda nera con impazienza. 

 

La ragazza riportò gli occhi sulla porta, chiedendosi quanto fosse passato dall’ultima vola in cui aveva suonato quel campanello. Non sapeva nemmeno per certo se volesse effettivamente vederla, era uscita per fare una passeggiata con Alaska e si era ritornata dentro quell’edificio quasi senza rendersene conto. 

 

 

Fece per voltarsi e andarsene ma poi le parole di Ivan le tornarono in mente ancora una volta, ripensando a come l’amico le avesse consigliato di non tagliare sua madre completamente fuori dalla sua vita. Helena in effetti non si era mai curata particolarmente della figlia, crescendola da sola e alla meno peggio tra uno spettacolo e l’altro, senza mai parlarle accuratamente di suo padre… Cal sapeva solo che era inglese, probabilmente Purosangue, che si erano conosciuti proprio in Lituania, si erano sposati molto presto e lui se n’era andato dopo pochi mesi, quando la figlia nemmeno era nata. 

 

Non era colpa della madre, lo sapeva, ma non era mai riuscita a non pensare che avrebbe potuto comunque cercare di fare di meglio, di non lasciarla così spesso da sola, magari di bere anche meno. 

 

Cal sollevò una mano per suonare finalmente il campanello, ma sua madre sembrò prevederla e la porta si aprì. 

La pianista bloccò il braccio a mezz’aria mentre sua madre, che stava uscendo di casa, si bloccò sulla soglia nel trovarsi davanti la figlia, guardandola con evidente stupire:

 

“Cal? Cosa ci fai qui?” 

“Io… ciao. Volevo salutarti, ma se stai uscendo non fa niente, passo un’altra volta.” 

 

Cal abbassò la mano, sforzandosi di rivolgere alla donna un lieve sorriso mentre faceva un passo indietro. Fece per girare sui tacchi e andarsene ma la voce della madre la costrinse a fermarsi, chiamandola:

 

“Non importa, non è così urgente… vieni, entra pure. È tanto che non ci vediamo.” 

 

Cal si voltò, stupita, e Helena le suggerì con un cenno del capo di entrare in casa. Se la figlia indugiò per un attimo Alaska non se lo fece ripetere due volte, approfittando della distrazione della padrona per precipitarsi dentro l’appartamento. 

 

“Alaska!” 

 

La pianista sospirò prima di seguire il cane dentro casa, udendo la risata della madre prima che le chiudesse la porta alle spalle:

 

“Dimmi, com’è andata a Vienna? So soltanto che sei arrivata seconda.” 

 

In effetti Cal si chiedeva da quando era tornata se non avrebbe dovuto condividere con al madre i soldi della vincita, ma probabilmente lei avrebbe comunque rifiutato. 

 

“Bene. E… scusa se ci ho messo tanto a venire.” 

 

*

 

Copenaghen 

 

 

Si avvicinò alla porta color crema decorata con degli intagli floreali sperando che l’indirizzo fosse giusto e di non essersi sbagliata: non parlava nemmeno mezza parola di danese e chiedere indicazioni sarebbe stato vagamente problematico. 

 

Aprì la porta, facendo suonare la campanella, e si guardò intorno nella speranza di trovare Emil. Non ci mise poi molto ad individuarlo, in effetti era molto difficile non notarlo mentre svettava su tutti i presenti seduti sui tavolini rotondi, in piedi accanto ad un tavolo e impegnato a sorridere ad un paio di clienti. 

 

In effetti il dettaglio che più la colpì, e che quasi la costrinse ad uscire da lì alla velocità della luce per evitare di scoppiare a ridere davanti a tutti, fu il grembiule che il ragazzo si era allacciato in vita, con dei ricami floreali bianchi, lavanda e rosa antico. 

 

Rebecca, tuttavia, non ebbe il tempo di uscire per sfogare il suo attacco di ilarità perché una voce decisamente familiare la chiamò a gran voce, spezzando la piacevole quiete di quel posto che profumava di fiori, dolci e thè caldo. 

 

“Becky! Eccoti, finalmente!” 

Prima di darle il tempo di correre fuori dalla sala da thè Emil le corse incontro, praticamente scavalcando chiunque gli fosse d’intralcio per raggiungerla e stringerla in un abbraccio. 

“Sono felice di vederti… come stai?” 

“Bene… ora, scusa ma devo proprio chiedertelo Emil. Perché indossi un grembiule a fiori che su di te sembra quello di una bambola?” 

 

“Quando posso mi piace venire qui a dare una mano a mia madre, Becky. E non ridere del mio grembiule, mi dovrò pur calare nella parte, no?” 

 

Di fronte alla risatina della ragazza Dmil sbuffò, mettendosi le mani sui fianchi e facendola così ridere ulteriormente:

 

“Ora sembri mia madre quando è arrabbiata con me… non hai una macchina fotografica a portata di mano?” 

“No, so che vorresti immortalare la mia bellezza per poterla contemplare in ogni momento, ma ora non è quello per fare foto. Ti ho fatta venire qui per presentarti per bene mia madre, non per ridere di me.” 

 

Emil le mise una mano sulla schiena per spingerla verso un tavolo, facendola sorridere leggermente:

 

“Ok, va bene, non rido più. Bello, comunque, questo posto.” 

“Ti pareva se una piccola britannica non apprezza le sale da thè… anche se qui mia madre in realtà vende anche fiori.” 

 

Rebecca non si era ancora seduta quando qualcosa attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi verso l’enorme cane bianco che, accucciato in un angolo, teneva gli occhi fissi su di loro e la lingua penzolante. 

 

“Presumo che quello sia Broncio.” 

“Sì, è Bro… bello, vieni a salutare Becky. Ti avverto, ha la tendenza di saltare addosso alla gente pari alla mia.” 

 

In realtà Emil non aveva finito la frase quando Rebecca lo superò quasi di corsa per raggiungere l’enorme Cane da Montagna dei Pirenei, che si spanciò sul pavimento per farsi coccolare dalla ragazza. 

 

“Ma è bellissimo! Vieni tesoro, fatti abbracciare!” 

“EHY! Perché corri da lui a coccolarlo con gli occhi a cuoricino e io per ricevere un abbraccio ci ho messo settimane?” 

 

Emil sbuffo leggermente mentre guardava la ragazza inginocchiarsi sul pavimento e grattare le orecchie del cane, che aveva già iniziato a cercare di leccarle la faccia. 

 

“Non essere geloso Emil, hai visto quanto è adorabile?”    Rebecca sorrise, voltandosi nuovamente verso di lui mentre il ragazzo annuì, avvicinandosi ai due:

 

“Certo, è il mio cane. Ma ora vieni a sederti, così oltre ad innamorarti di Bro conosci anche mia madre, vado a dirle che sei qui. Bro, cuccia, non iniziare a cercare di rubarmi la ragazza con i tuoi occhioni dolci!” 

 

*

 

Amsterdam

 

Quando scese dal treno la prima cosa che fece fu guardarsi intorno nella stazione affollata, cercando tracce della sua migliore amica. 

Quando finalmente individuò una familiare e sorridente ragazza dai lunghi capelli rossi Gae sorrise, avvicinandolesi con la valigia stretta in mano:

 

“Ciao! Posso chiederti perché hai preso il treno invece di Smaterializzarti?” 

“Mi piace moltissimo il treno Elin, ne abbiamo parlato almeno cento volte… ma è bello vederti.” 

 

La belga sorrise all’amica prima di lasciare la valigia per terra e concederle uno dei suoi piuttosto rari abbracci, mentre Gabriel era in piedi accanto ad Helene, sorridendo a sua volta all’amica:

 

“Ho provato a spiegarle molte volte che i mezzi Babbani hanno il loro fascino, io adoro l’aereo, ma Helene è testarda come un mulo.” 

“Sta zitto Undersee.”   Al brontolio della rossa Gae sorrise, sciogliendo l’abbraccio per darne uno anche a Gabriel, prima che Helene parlasse nuovamente:

 

“Anzi, facciamo così… visto che qui non possiamo usare la magia direi che puoi renderti utile e prendere tu le cose di Gae, visto che starà da me per un po’.” 

“Cominci già a sfruttarmi come facchino? Buono a sapersi.” 

“Non lamentarti, è bello essere finalmente di nuovo tutto e tre insieme… portiamo le cose di Gae a casa e poi vi faccio vedere la città.” 

 

“Non ci trascinerai a vedere tutti i musei d’arte, vero?”   Gabriel prese la valigia di Gae con un’espressione vagamente preoccupata, mentre la rossa si strinse leggermente nelle spalle:

“Beh, c’è il Van Gogh Museum, e la casa di Rembrandt…” 

 

“Ho capito, sarà una giornata molto lunga…”   Gabriel sospirò, sistemandosi distrattamente il suo immancabile berretto bordeaux mentre Gae sorrideva, prendendolo sottobraccio mentre Helene continuava ad elencare gallerie e musei:

 

“Probabile. Ma le vogliamo bene comunque, no?” 









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Angolo Autrice:


Un ringraziamento speciale lo voglio rivolgere a Slytherin2806, grazie Erika per avermi permesso di scrivere questa storia. 
In secondo luogo ovviamente grazie a tutte voi per aver partecipato e seguito la storia:  Kyem13_7_3, Phebe Junivers, blackwhite_swan, Nene_92, Coco, DarkDemon e ovviamente a te, Mary.
Infine, ancora una volta grazie a Shiori Lily Chiara per aver seguito la storia anche se non vi ha preso parte, non so dove tu trovi la pazienza ma grazie davvero.

Spero che questo Epilogo vi sia piaciuto, così come tutta la storia in sè... e visto che praticamente tutte partecipate ad altre mie storie immagino che ci sentiremo presto. 
Signorina Granger 


 

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