La scacchiera incostante

di Nuel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non proprio un imprevisto ***
Capitolo 2: *** Capricci da piccola serpe ***
Capitolo 3: *** Nuove routine ***
Capitolo 4: *** Un boccino chiamato Hogsmeade ***
Capitolo 5: *** Una sortita da Malandrino ***
Capitolo 6: *** Il volo perfetto ***
Capitolo 7: *** La scacchiera incostante ***
Capitolo 8: *** Strategie di gioco ***
Capitolo 9: *** L'ultimo Natale in famiglia ***
Capitolo 10: *** La vita va avanti comunque ***
Capitolo 11: *** Gli incidenti succedono ***
Capitolo 12: *** Vecchie inimicizie ***
Capitolo 13: *** Impenetrabili segreti ***
Capitolo 14: *** La primavera dell'età ***
Capitolo 15: *** Al destino non si comanda ***
Capitolo 16: *** La fuga ***



Capitolo 1
*** Non proprio un imprevisto ***


Eccomi qui, finalmente, con il terzo capitolo della serie Imago Mundi. So di averci messo molto e spero che la storia sia di vostro gradimento.
Avevo in mente una premessa un po' più lunga di questa, ma visto che vi ho fatti aspettare tanto, non voglio dilungarmi. Solo una cosa: questa storia avrà uno spin-off. Al momento opportuno vi rivelerò perché come quando e dove. ^^
Buona lettura.
Nuel


1
Non proprio un imprevisto



 

Lily Potter non era neppure riuscita a dormire, la notte prima. Albus la guardava saltellare intorno a loro padre, emettendo strilletti entusiasti mentre James sbuffava quasi quanto il treno che stava per riportarli a Hogwarts.
Il binario 9 ¾ era affollato come ogni primo Settembre ma per la prima volta Lily non sarebbe rimasta sulla banchina assieme ai loro genitori, a salutarli con la mano. Aveva compiuto undici anni quell’estate e alla fine della giornata sarebbe stata, a tutti gli effetti, una allieva della più famosa scuola di magia e stregoneria del mondo.
Da quando erano andati a Diagon Alley per comprarle la bacchetta, Alloro e Crine di Unicorno, dieci pollici, flessibile, Lily non aveva smesso un momento di parlare di Hogwarts e degli incantesimi che avrebbe imparato a fare. Loro madre aveva dovuto toglierle la bacchetta di mano prima che, per pura casualità, riuscisse ad usarla, dando fuoco alla casa o avvelenando il pranzo.
Lungo la pensilina c’erano ragazzini che correvano da tutte le parti, genitori che si sperticavano nelle ultime raccomandazioni e animali nervosi chiusi dentro gabbie e ceste. I coniugi Potter, che sembravano più nervosi e preoccupati di tutti gli anni precedenti, cercavano i Weasley tra la folla, forse sperando che la loro irrequieta terzogenita, vedendo le spille appuntate sulle divise di Dominique e Louis, si sarebbe calmata.
    Quell’anno, il ruolo di Caposcuola era stato assegnato a Dominique e non ad Ausia. Scorpius aveva scritto ad Albus pochi giorni prima, raccontando che gli zii erano stati molto infastiditi per la mancata nomina della figlia e che Ausia aveva trascorso quasi tutta l’estate litigando furiosamente con la madre. Quando la nomina a Prefetto di Louis era arrivata, si trovavano tutti alla Tana per uno degli interminabili pranzi di nonna Molly. Zio Bill si era congratulato con lui e zia Fleur l’aveva baciato sulla guancia lasciandogli lo stampo del suo rossetto rosa. Zio George, invece, aveva guardato con orgoglio Fred e Roxanne e aveva esclamato: “Sono fiero che nessuno dei miei figli abbia ereditato quella spilla da Perfetto” e gli era comparso un luccichio negli occhi. Zio Percy si era inalberato in uno dei suoi lunghissimi e noiosi sermoni e, a quel punto, i ragazzi avevano deciso di sgattaiolare via.
    Quando riuscì a scorgere la testa rossa di Ron Weasley, sopra molte altre teste, la signora Potter alzò la mano, agitandola come un aquilone impazzito, fino a quando il fratello non la vide e rispose con un cenno. Anche loro cugino Hugo, il fratello minore di Rose, avrebbe cominciato Hogwarts quell’anno e l’eccitazione di Lily aveva contagiato anche lui, trascinandolo in una sorta di balletto fatto di saltelli e accompagnato da piccole grida acute e risate infantili. Albus e Rose si scambiarono uno sguardo esasperato e, assieme a James, si spostarono di qualche passo. «Avete visto Martin?», chiese loro Rose.
    «No, ma sarà qui da qualche parte», rispose James. «Quando saliremo sul treno lo troveremo di sicuro». Martin era un Corvonero nato Babbano con cui avevano fatto amicizia proprio sul treno, due anni prima. Lui e la sua gatta nera, Erintja, si erano conquistati un posto nella numerosa famiglia Potter-Weasley e durante l’estate si erano mantenuti in contatto scrivendosi almeno una volta alla settimana.
    «Non è Ausia, quella?», chiese Albus, indicando una ragazza che stava salendo su una carrozza un po’ più indietro.
    «Dove?», chiese Rose, girandosi per guardare nella direzione indicata dal ragazzo, ma riuscì a vedere solo Scorpius Malfoy e Lotus Zabini che salivano dietro di lei.
    «Andiamo a salutarli», propose James, ma venne trattenuto dal fratello minore.
    «Aspetta. Non sono da soli», disse Albus. In quel momento una donna alta e bionda si voltò verso di loro. Era Daphne Flint, la madre di Augustus e Ausia. I fratelli Potter l’avevano incontrata l’estate precedente, in occasione del compleanno di Scorpius. Albus le fece un cenno di saluto, ma la donna lo ignorò platealmente. Accanto a lei c’erano i signori Malfoy. Asteria Malfoy sollevò un sopracciglio e inclinò a malapena in capo in un gesto di saluto stentato, ben diverso dal sorriso caloroso che rivolse loro Blaise Zabini, che sollevò una mano per salutarli. Draco Malfoy guardò verso i loro genitori e poi rivolse un cenno di saluto ai ragazzi.
    «Quella gente mi mette i brividi», mormorò Rose.
    Pochi minuti dopo, mentre salivano sul treno e gli occhi di loro madre di riempivano di lacrime malcelate, Albus vide Martin cercare di aprire una breccia nel cordone di parenti degli studenti per arrivare al treno. Era solo, come al solito, dato che i suoi genitori erano molto impegnati col loro lavoro, ed era un po’ più alto e più magro di quanto era stato alla fine del precedente anno scolastico. «Papà», chiamò Albus, «Martin perderà il treno se non riesce a passare».
    Harry Potter tirò fuori la bacchetta, qualche sguardo si puntò su di lui riconoscendo il celebre non-più-tanto-Bambino Sopravvissuto, ormai Capo dell’Ufficio Auror, ma nessuno capì cosa stesse per fare fino a quando non scandì: «Obstacula locomotor». I corpi dei maghi e delle streghe si spostarono, si piegarono e si compressero istantaneamente, formando un corridoio attraverso il quale il ragazzo poté spingere avanti il suo carrello. «Grazie!», esclamò Martin, correndo verso il treno, mentre i parenti indignati dei ragazzi bisbigliavano e borbottavano.
    «Harry!», sibilò con rimprovero la signora Potter mentre Harry e Ron aiutavano Martin a caricare il baule e la cesta di Erintja proprio un attimo prima che il fischio del treno annunciasse la partenza.
    «Questa, domani la leggerete sulla Gazzetta del Profeta!», sghignazzò Ron, strizzando l’occhio a Rose mentre le porte del treno si chiudevano.
    L’ultima immagine che Albus vide, mentre il treno si allontanava dalla stazione di King’s Cross fu suo padre che alzava una mano per salutarli, mentre sua madre sembrava abbaiargli contro e il flash di una macchina fotografica dava ragione alle parole di zio Ron.
    «Dubito che l’abbiano presa bene», sbuffò James, «spostati come oggetti». Scosse il capo e spinse Lily verso il corridoio. «Andiamo a cercare un posto».
    Poco dopo trovarono uno scompartimento in cui sedersi tutti e sei. «Se non fosse stato per vostro padre, avrei perso il treno», disse Martin, ancora ansimante per la corsa, prima di lasciar uscire Erintja dalla cesta. La gatta saltò subito fuori, si stiracchiò dondolando la lunga coda sotto il naso di Martin e andò ad acciambellarsi sulle ginocchia di Albus. «Credo tu le sia mancato durante le vacanze», disse il Corvonero mentre Albus la grattava tra le orecchie. Erintja fissò Lily e Hugo per un istante, come se stesse registrando la presenza di qualcosa di nuovo e di nessun interesse, poi chiuse gli occhi e cominciò a fare le fusa.
    Lily e Hugo accarezzarono il mantello nero e setoso della gatta senza riuscire a ottenere uno sguardo da lei, quindi trascorsero un po’ di tempo guardando fuori dal finestrino, dove il paesaggio cambiava rapidamente, mano a mano che proseguivano verso nord e i prati lasciavano spazio ai boschi. Dominique e Louis passarono a salutarli e rimasero a pranzare con loro: nonna Molly aveva rifornito tutti di fette di torta di rabarbaro e la signora Potter aveva preparato panini in abbondanza, infilandoli nel baule di James. Zia Hermione aveva raccomandato ai ragazzi di non far mangiare a Hugo troppa cioccolata, ma quando arrivò il carrello delle vivande, comprarono tutti Cioccorane, Fildimenta interdentali e Api frizzole. Sembrava che un intero ripiano di Mielandia fosse stato spostato sull’espresso per Hogwarts e, ovviamente, a Hugo venne mal di pancia. Verso la metà del pomeriggio, Scorpius e Lotus li raggiunsero.
    «Avete fatto bene e non venire a cercarci», disse Scorpius, infilando una mano nel sacchetto di Gelatine Tuttigusti+1 che Rose gli offrì. «Ausia ha quasi affatturato vostra cugina, quando è passata davanti al nostro scompartimento».
    «Non l’ha affatto presa bene di non essere diventata Caposcuola», aggiunse Lotus, infilando in tasca una gelatina che, dal colore, doveva essere al gusto cerume.
    «Ma cosa le è successo?», chiese James. I due Serpeverde non avevano una risposta a quella domanda e si strinsero nelle spalle, preferendo chiacchierare d’altro. Scorpius raccontò che Augustus aveva fatto domanda per entrare all’Accademia per Auror e James per poco non si era strozzato con un’Ape Frizzola che gli era andata di traverso. Poco dopo, i due tornarono a fare compagnia alla cugina di Scorpius, “prima che andasse a cercarli”.
    Verso sera, Lily e Hugo sembrarono realizzare che non avrebbero più visto i loro genitori fino a Natale o, forse, iniziarono a sentire la stanchezza del viaggio o la pressione dell’imminente Smistamento. Avevano perso interesse per il paesaggio fuori dal finestrino da prima che diventasse buio e la voglia di sgranchirsi le gambe si stava facendo impellente. «Sarà meglio mettere le divise, adesso», annunciò Rose. A turno si alzarono per recuperare tuniche e mantelli dai bauli nello spazio angusto dello scompartimento. Rose aiutò Hugo, impacciato e ancora nauseato dai dolciumi che aveva mangiato, ad infilare la veste sopra gli abiti babbani che portava e Martin rinchiuse una poco collaborativa Erintja nella cesta di vimini da cui, ancora per un po’, arrivarono le sue proteste.
    «Mi raccomando, state vicino a Hagrid», disse James ai più piccoli prima di scendere dal treno: il mezzo gigante era lì, come ogni anno, con un lanterna in mano, a chiamare i primini. Albus rimase a guardare la sorella raggiungere il Custode delle chiavi e dei luoghi di Hogwarts per qualche momento e poi si diresse alle carrozze assieme agli altri.
    «Sarà bello avere Lily e Hugo con noi», disse Rose, accomodandosi in carrozza.
    «Sei sicura che verranno smistati a Grifonfondoro?», chiese Martin, prendendo posto accanto a lei.
    «Tutti i Weasley e tutti i Potter sono Grifondoro, da sempre», sorrise la ragazza e quando Albus chiuse lo sportello della carrozza dietro di sé, il viaggio verso il castello riprese.
    Era una nottata serena, con un cielo trapuntato di stelle che brillavano anche sul soffitto incantato della Sala Grande, che riproduceva la volta celeste al di sopra del castello. Potter e Weasley erano eccitati e orgogliosi: Lily e Hugo erano i più giovani della famiglia e gli ultimi della loro generazione ad entrare a Hogwarts. Tutti attendevano lo Smistamento per poter poi banchettare con le prelibatezze preparate dagli elfi domestici. Una porticina sul lato della Sala Grande si aprì e una fila di ragazzini impettiti iniziò a sfilare, in attesa di calzare in testa il Cappello Parlante. Il primo fu Mathias Burberry, un ragazzino col naso a patata che per poco non soffocò nel trattenere il fiato mentre il Cappello Parlante rifletteva. Per lui l’esito fu “Tassorosso!” e dal tavolo della sua Casa si alzò un’ovazione.
    Una trentina di nomi e di applausi dopo, il professor Sylla scandì: «Lily Luna Potter», e al tavolo di Grifondoro in molti si prepararono ad accogliere con un fragoroso battimano la figlia più giovane di Harry Potter. Lily aveva le guance velate di rosso e lo sguardo lucido quando si sedette sullo sgabello, forte e orgogliosa di una salda tradizione familiare. In pochi attimi, Albus la vide impallidire e stringere le dita sulla gonna. Lily aprì le labbra come per dire qualcosa, ma non fece in tempo: il Cappello Parlante scandì: “Serpeverde!”.
    La Sala Grande tacque.
    Lo sguardo incredulo di Sylla si fissò sulla ragazzina ancora seduta, come pietrificata.
    Al tavolo degli insegnanti, la sedia di Hagrid si spezzò con un ‘crack’ sordo che fece saltare, sulla sedia accanto, un ometto vestito di turchese. Il mezzo gigante finì col sedere a terra e si rialzò borbottando delle scuse imbarazzate.
    Il viso di Lily divenne di una tonalità di rosso più scura dei suoi capelli e tutta la Sala Grande poté sentire il suo singhiozzo echeggiare tra le pareti.
    Senza che nessuno badasse a lui, Scorpius Malfoy si alzò dal proprio posto, raggiunse Lily Potter e le tese la mano. «Vedrai che non è così male», le disse. Il professor Sylla, un po’ impacciato, le tolse il Cappello dalla testa. «Raggiunga il suo posto, signorina Potter», disse, facendo cenno a Scorpius di portarla con sé.
    Lily prese la mano di Scorpius e lo seguì, continuando a guardare verso i fratelli, con gli occhi nocciola sgranati e le guance rigate da due scie di lacrime. Lentamente, i suoi compagni di Casa iniziarono ad applaudire, anche loro troppo sconvolti, ancora, per accoglierla come avevano accolto tutti gli altri, fino a quel momento.
    Albus e James la guardarono sedersi accanto a Scorpius, scossi e ammutoliti. Rose si era portato una mano alla bocca e, quando era stato il turno di Hugo, aveva quasi stritolato la mano di Molly. Hugo era paonazzo quando si era seduto sullo sgabello, e Albus sarebbe stato pronto a giurare che non c’entrava più il mal di pancia, ma riprese colore quando fu smistato a Grifondoro. Rose lo abbracciò, sollevata, e Molly gli diede un buffetto sulla guancia. Lucy e Roxanne si alzarono dai loro posti per accoglierlo e poco dopo anche Dominique e Louis si complimentarono con lui. Solo Albus e James continuarono a tacere, per una volta esclusi dalla festa, non perché lo fossero, ma perché ci si sentivano, come loro sorella che, con ancora gli occhi umidi di pianto, guardava verso di loro senza toccare la cena.
    I piatti d’oro si erano riempiti di cibi prelibati, ma tutto aveva il sapore insipido della carta. Nemmeno Hugo riuscì a mangiare molto, quella sera, e allontanò il porridge al miele come se anche solo l’odore gli desse fastidio. Albus pensò che quello doveva essere ancora l’effetto del mal di pancia.
    Quando la cena finì, i Prefetti fecero mettere tutti in fila per condurli ai rispettivi dormitori. I primini stavano davanti per vedere bene la strada, anche se di certo si sarebbero persi almeno una volta, nei primi giorni, e per essere sicuri che fossero a portata d’orecchio quando avrebbero comunicato loro la parola d’ordine. Poco prima di uscire dalla Sala Grande, Scorpius attirò l’attenzione di Albus e James e mimò con le labbra: “Mi occupo io di lei”: lui e Lotus si erano messi ai due lati di Lily e sembravano decisi a scortarla come se fosse loro sorella.
    Albus si disse che, almeno, non era completamente da sola.

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Capitolo 2
*** Capricci da piccola serpe ***


2
Capricci da piccola serpe





Solo poche ore dopo lo “scandalo” dello Smistamento, la Sala Grande si riempì nuovamente di voci allegre e di risate. Che Lily Potter fosse una Serpeverde continuava ad essere una notizia più gettonata ma, mentre i Prefetti distribuivano gli orari delle lezioni ai loro compagni di Casa, molti studenti avevano iniziato a raccontare delle loro appena trascorse vacanze e persino al numero di Harry Potter del giorno prima. La Gazzetta del Profeta aveva dedicato la prima pagina all’intervento del Capo dell’Ufficio Auror, descrivendo la sua azione come esagerata e poco rispettosa dei maghi e delle streghe che erano stati spostati di forza per far passare uno studente in ritardo. Tra le righe, ma nemmeno troppo, si leggeva che Harry Potter ultimamente appariva stressato e piuttosto brusco. Forse, insinuava l’articolo, la promozione di un Auror tanto giovane al posto di comando era stata un po’ troppo avventata.
    Albus diede una rapida occhiata alla pergamena che Louis gli aveva porto e sospirò: l’anno procedente aveva scelto Antiche Rune e Aritmanzia e avrebbe frequentato entrambi i corsi con Martin e Rose. Ai suoi genitori era venuto un colpo quando l’avevano saputo, e lui non aveva saputo spiegare perché avesse scelto proprio quei corsi nonostante il fulgido esempio di James, che aveva scelto Babbanologia e Cura delle Creature Magiche e viveva di rendita per la prima e si applicava il minimo sindacale per la seconda. Si era solo sentito un po’ in colpa col professor Hagrid per non aver scelto di frequentare il suo corso, ma il mezzo gigante aveva sorriso, forse non proprio spontaneamente, e aveva risposto che non c’era problema. Poi gli aveva dato le spalle e si era soffiato rumorosamente il naso su un fazzoletto a scacchi bianchi e rossi, grande come una tovaglia.
    Quando un gruppetto di Serpeverde ritardatari attraversò il portone e corse a prendere posto al proprio tavolo, Albus alzò lo sguardo, cercando Lily: lei e Scorpius Malfoy non erano ancora scesi a fare colazione. Non vedendola neppure tra i nuovi arrivati, scambiò uno sguardo preoccupato con James e cercò di intercettare lo sguardo di Lotus, al tavolo Serpeverde, ma il ragazzo era completamente assorto da Ausia Flint, che continuava a parlare con le sopracciglia aggrottate, sminuzzando nervosamente una fetta di pane tostato che non avrebbe mai mangiato. Era dimagrita molto quell’estate, gli zigomi le tiravano la pelle sottile del volto, aveva occhiaie evidenti e gli occhi erano arrossati. Persino i capelli biondi di cui era sempre stata orgogliosa sembravano meno curati del solito.
    Qualcuno, alle loro spalle, si schiarì la voce e Albus e James si voltarono di scatto, incontrando lo sguardo bonario e il sorriso allegro, sotto i baffi da tricheco, del professor Serendip che sfoggiava l’abituale bombetta in testa. «James, Albus, la preside vuole che la raggiungeste nel suo ufficio», disse l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure. «La parola d’ordine è “Santa pazienza”».
    «È successo qualcosa a Lily?», chiese subito James, in preda all’ansia.
    Serendip scosse il capo. «Vi dirà tutto la preside».
    I fratelli Potter si alzarono subito dal tavolo, uscendo a passo svelto dalla Sala Grande per mettersi a correre una volta raggiunta la porta. Sfrecciarono davanti alle grandi clessidre ancora vuote e salirono le scale a perdifiato.
    Non fecero in tempo a vedere il gargoyle posto a guardia dell’ingresso, che entrambi dissero: «Santa pazienza!». Il gargoyle balzò di lato e la scala prese vita, un gradino dopo l’altro, sollevandosi come un’enorme colonna. Per fare prima, Albus e James corsero anche sui gradini mobili e, appena arrivarono, ansanti, davanti alla grande porta dell’ufficio, bussarono con un po’ troppa enfasi.
    La preside aprì dopo una manciata di secondi, facendoli entrare. «Avete fatto presto», li accolse. Era una strega alta e dritta come un fuso, nella sua veste di tweed color verde smeraldo, con i capelli completamente bianchi raccolti in uno chignon e il viso rugoso dietro gli occhiali che ingrandivano gli occhi intelligenti e severi. Bastava un suo sguardo a zittire qualunque studente di Hogwarts.
    «Come sta Lily?», chiese subito Albus.
    «Ci ha fatti chiamare per nostra sorella, vero?», chiese invece James.
    La preside alzò le mani facendo loro segno di pazientare e li fece accomodare nella grande sala ovale, ingombra di oggetti magici rari e strani. Lily Potter e Scorpius Malfoy erano lì, seduti su due poltroncine dall’aspetto comodo, e c’era anche Harry Potter.
    «Papà!», chiamarono i ragazzi, sorpresi, correndo verso di lui. Harry Potter aveva un ginocchio a terra e le mani sulle spalle di Lily che lo ascoltava a testa bassa. Rivolse ai figli un sorriso affettuoso, ma non si allontanò dalla figlia, le cui spalle sussultavano, scosse dai singhiozzi.
    «La preside McGranitt mi ha fatto venire in via del tutto straordinaria per tranquillizzare Lily», disse Harry. «Per dirle che non c’è nulla di male nell’essere stata smistata a Serpeverde». Uno dei quadri si schiarì la voce con tono arcigno: era il preside Piton, che aveva sempre qualcosa di ridire su tutto quello che accadeva a scuola e che aveva una sorta di vecchio rancore per loro padre. Ciò nonostante sembrava piuttosto incuriosito dalla giovane Potter smistata nella sua Casa. Harry non gli badò. «La preside mi ha detto che non sei andata a dormire, la notte scorsa, e che Scorpius è stato così gentile da tenerti compagnia fino a questa mattina».
    «Io voglio andare con Rose», piagnucolò Lily. Sull’altra poltroncina, Scorpius Malfoy aveva l’aria stanca e imbarazzata.
    «Sei stata smistata a Serpeverde, Lily», le disse Harry, accarezzandole i capelli. «Mamma e io siamo fieri di te. Siamo sicuri che sarai un’ottima studentessa e diventerai un’eccellente strega. Non ci importa che tu non sia una Grifondoro».
    Lily ricominciò a piagnucolare, si sporse e strinse le braccia intorno al collo del padre, che cominciò ad accarezzarle la schiena con infinita pazienza, sollevando uno sguardo angosciato verso la preside, che strinse la labbra in una linea dura.
    «Diteglielo anche voi», Harry invitò i figli a rassicurare la ragazzina e la fece girare verso di loro.
    «Certo che siamo orgogliosi di te», le disse subito Albus. Poteva capire la delusione di Lily e anche la sua paura: lui stesso aveva temuto di finire a Serpeverde. Ora che era più grande si rendeva conto di quanto fosse stato sciocco, del resto, Scorpius e Lotus erano Serpeverde ed erano tra i suoi migliori amici. Lui, però, era un Grifondoro, mentre Lily doveva fare i conti con tutte le storie passate, coi rancori tra antiche famiglie e i colori di una casa che portava con sé una ben triste fama.
    «Magari litigheremo per il campionato di Quidditch», ammiccò James, «ma va bene». James non era particolarmente bravo a mentire, era rimasto sinceramente scioccato dallo smistamento della sorella, ma si era sforzato di non farle pesare quello che era semplicemente capitato. Lui era stato il primo dei figli di Harry Potter ad andare a Hogwarts, il primo per il quale si erano accesi i riflettori, quindi anche lui doveva capire come si sentiva loro sorella.
    «Il preside Silente diceva che lo smistamento avviene troppo presto», intervenne la preside McGranit. «Essere stata smistata a Serpeverde non fa di lei una persona peggiore dei suoi familiari, signorina Potter, evidenzia soltanto alcuni tratti della sua intelligenza». Lily annuì, vagamente intimorita dal tono autoritario della preside. «Ora che suo padre e i suoi fratelli l’hanno tranquillizzata, mi auguro che vorrà frequentare le lezioni e relazionarsi coi suoi compagni di Casa come ci si aspetta da qualsiasi studente di questa scuola».
    Lily annuì di nuovo e Harry Potter le baciò la fronte, prima che i ragazzi venissero congedati. Sceso l’ultimo gradino, sul viso di Lily non c’era più traccia di lacrime e James chiese: «Come mai siete finiti dalla McGranitt?».
    «È stata Pikey», rispose Scorpius, «è venuta ad accendere il fuoco nel nostro dormitorio e ha trovato Lily e me sul divano, con lei che piangeva e io che non sapevo più cosa inventarmi per farla smettere».
    «Andiamo a fare colazione in cucina, così la ringrazieremo», propose allora Albus.
    «Noi abbiamo già fatto colazione», si intromise Lily, saltellando giù per un paio di gradini. «Pikey ci ha portato porridge e succo di zucca nell’ufficio della preside». Fece una piroetta con le braccia allargate e mostrò un gran sorriso ai tre ragazzi. «E poi, volevo che papà mi vedesse con la divisa della mia Casa!». Fece un urletto entusiasta e scese altri due o tre gradini prima di tornare a voltarsi verso di loro. Scorpius la guardò a bocca aperta.
    «Hai fatto apposta per…?», non riuscì nemmeno a terminare la frase.
    «Ora sai perché è stata smistata a Serpeverde», sospirò Albus, trattenendosi dall’insultarla, mentre James si lasciava cadere su un gradino.

Se Scorpius e Lotus si erano dimostrati comprensivi e avevano cercato di aiutare Lily ad ambientarsi sin da subito, non si poteva dire altrettanto di Ausia: la ragazza sembrava infastidita dall’avere tra i propri compagni di Casa la piccola Potter. Forse dipendeva solo dal fatto che Lily era per metà una Weasley, e i genitori di Ausia li consideravano ancora “traditori del loro sangue”, anche se si guardavano bene dal dirlo a voce alta in presenza di estranei o, forse, dipendeva dal fatto che fosse la cugina di Dominique. In ogni caso, quando Ausia seppe che Scorpius e Lily avevano perso la prima ora di lezione del primo giorno di scuola, non attese nemmeno di trovarsi nei sotterranei, dove si trovava la loro sala comune, per fare una ramanzina a Lily Potter. Lo fece durante il pranzo, in Sala Grande, davanti a tutta la scolaresca e agli insegnanti.
    «Se pensi di poter rovinare la media dei voti di Scorpius o che verrai trattata diversamente dagli altri studenti solo perché sei figlia di Harry Potter, puoi scordartelo!», sbottò, «E non pensare che siamo disposti a passare sopra ai tuoi capricci o a perdere punti a causa tua. Nessuno ti darà una mano se non ti impegnerai tu per prima!». Dato il tono che usò e il silenzio che era piombato nella sala, praticamente la sentirono tutti e tutti sapevano che, quello che Ausia stava realmente dicendo, era che, nonostante tutto, nessuno che si chiamasse Potter sarebbe mai stato il benvenuto a Serpeverde. Alcuni degli studenti di quella Casa avevano i nonni ad Azkaban, altri non li avevano mai conosciuti perché morti durante la guerra contro Voldemort, e Lily le stava di fronte, con gli occhi sgranati e le guance imporporate di vergogna, mentre Scorpius e Lotus, accanto a loro, sembravano voler essere da qualsiasi altra parte.
    Quel giorno, molti Grifondoro trovarono un motivo in più per detestare Ausia: se l’assegnazione di Lily alla Casa di Salazar l’aveva tolta al caldo abbraccio di Godric, non di meno il comportamento della Flint stava dimostrando che Serpeverde non si meritava la piccola Potter. In molti, in quel momento, ebbero il sospetto che Lily non si sarebbe ambientata tra quelle persone che avevano assistito composte, senza fare una piega ad una strigliata esagerata per una bambina di undici anni, al suo primo giorno lontano da casa.
    Quello che, ad Albus, parve strano fu che il professor Sylla non intervenne: per quanto non fosse un insegnante simpatico e nemmeno particolarmente giusto nei confronti degli studenti delle altre Case, Lily era una Serpeverde esattamente come Ausia e i Serpeverde lavavano i panni sporchi in casa, non davanti a tutti. Quando guardò verso il tavolo degli insegnanti, si accorse che più di un professore borbottava e qualcuno stava dando di gomito al responsabile della casa di Salazar per spronarlo a dire qualcosa, ma il professore di Trasfigurazione non alzò lo sguardo sdegnoso dal suo piatto di zuppa di funghi. Fu la preside a farsi sentire, interrompendo Ausia a metà dell’ennesima ammonizione preventiva: «Ora basta, signorina Flint», disse. «Sono sicura che la signorina Potter abbia compreso e che si dimostrerà all’altezza delle aspettative che Salazar Serpeverde nutriva verso i propri allievi, e persino delle sue».
    Ausia tacque e, dopo un istante di imbarazzo, raggiunse il proprio posto a sedere e cominciò a mangiare. A sorpresa, Lily alzò il faccino con fare altezzoso e si sedette al proprio posto. Non guardò verso i fratelli, ma si allungò per prendere il succo di zucca. La caraffa era troppo lontana e Scorpius la avvicinò per lei. Lily sorrise e lo ringraziò arricciando appena in naso in un abbozzo di civetteria che la famiglia Potter aveva visto venire alla luce, per la prima volta, nel corso dell’estate appena passata.
    
Dopo pranzo, prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane, Rose accompagnò Hugo in Infermeria: quella mattina, durante la prima lezione di Trasfigurazione, il professor Sylla aveva talmente spaventato il piccolo Weasley che gli era tornato il mal di pancia. Fu allora che incontrò Hannah, la moglie del professor Paciok, intenta a riordinare l’armadietto dei medicinali.
    «Signora Paciok! Cosa ci fa qui?», le chiese spingendo avanti Hugo.
    «Rose, Hugo», li salutò lei. «Sto dando una mano a Madama Chips e prendo confidenza con l’infermeria… Voi, piuttosto, cosa ci fate qui?».
    «Oh, Hugo ha mal di pancia, credo sia l’agitazione da primo giorno di scuola», rispose Rose, gonfiando le guance e alzando gli occhi al cielo in un gesto che spesso accompagnava al resoconto delle lezioni dell’insegnante che meno le piaceva.
    Hannah rise ed estrasse la bacchetta. «Sicuro che sia solo agitazione, Hugo?».
    Il ragazzino annuì, arrossendo di timidezza, ma la nuova infermiera mosse la bacchetta, recitando un rapido incantesimo e iniziò a passarla lentamente davanti a lui, che la seguiva con sguardo preoccupato. «È solo un po’ di mal di pancia», convenne Hannah dopo l’esame. Ripose la bacchetta all’interno della manica e prese dall’armadietto una bottiglietta di sciroppo. «Un cucchiaio adesso e uno prima di andare a letto. Domattina ti sentirai bene».
    Hugo la prese con entrambe le mani, farfugliando: «Grazie».
    «Verrà ad aiutare Madama Chips?», chiese Rose, «E chi si occuperà di Alice e Frank?»
    «Con l’inizio del prossimo anno, Madama Chips andrà in pensione; io la sostituirò», le spiegò Hannah. «Fino a gennaio verrò solo due volte alla settimana e i bambini staranno dai nonni, poi ci trasferiremo tutti: Neville ha acquistato un graziosissimo cottege in Woodcroft Street, nella parte più antica di Hogsmead. Appena ci saremo sistemati inviteremo tutti gli amici». Hannah sembrava radiosa e Rose sorrise, contenta per lei.
    «E chi gestirà il Paiolo Magico?», chiese ancora Rose.
    «Stiamo valutando alcune proposte. Non abbiamo ancora deciso se venderlo o affittarlo».
    «Capisco. Sarà strano non trovarla più al Paiolo, però il professor Paciok sarà felice!».
    Hannah sorrise a propria volta, e sì, il professor Paciok sarebbe stato davvero felice di avere la propria famiglia finalmente accanto.


 
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Ed ecco il secondo capitolo! Spero che ora sia chiaro perché Lily è finita a Serpeverde e che il capitolo vi sia piaciuto.
Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno letto il primo capitolo, l'hanno 'mipiaciato' e hanno persino già messo la storia tra le preferite! (Spero di meritarmelo!)
In partivolare a Moon95 e uwetta per aver commentato. ^^
Al prossimo capitolo! ^^
 

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Capitolo 3
*** Nuove routine ***


3
Nuove routine





Dopo due settimane dall’inizio della scuola, che Lily Potter fosse finita a Serpeverde non era più una notizia da prima pagina. Circa una settimana dopo l’inizio delle lezioni la notizia, chissà come, era finita sulla Gazzetta del Profeta: “La figlia di Harry Potter è una Serpeverde” aveva titolato il quotidiano, gettando altra benzina sul fuoco. Molti studente erano abbonati al giornale e lo ricevevano con la posta del mattino, così gli studenti, che avevano iniziato ad abituarsi all’idea, avevano ricominciato a guardare Lily con curiosità e sospetto. La preside McGranitt aveva mandato una strillettera alla redazione, minacciando di affatturare qualunque giornalista si fosse avvicinato alla scuola o avesse violato la privacy dei suoi studenti e turbato il regolare svolgimento delle lezioni con notiziole da imbrattacarte pettegolo.
    La notorietà, comunque, non sembrava dare fastidio a Lily che, dopo aver visto la propria foto sul giornale, mentre camminava per strada con una mano in quella del padre, aveva cominciato a camminare a testa alta per i corridoi, i talloni leggermente alzati per sembrare più alta, e aveva fatto amicizia con alcuni compagni di classe: i Serpeverde amavano chi dava lustro alla loro Casa. La faccenda era leggermente diversa quando si trattava delle ragazze più grandi: Ausia Flint aveva fatto terra bruciata intorno a lei e tutte le Serpeverde seguivano i suoi dettami senza fiatare.
    «Per me è invidiosa perché lei non è mai finita sulla prima pagina di niente», commentò Rose. Aveva le dita sporche di marmellata di ciliegie, le guardò un momento e poi, senza esitazione, le leccò.
    «Devo resistere solo un anno», disse Lily, arricciando appena il nasino. Aveva fatto merenda con i fratelli e Rose, vicino al lago, approfittando di un’ora buca coincidente con la loro, che aspettavano la fine della lezione di Cura delle Creature Magiche per ricongiungersi con Martin. «Ausia si diplomerà e l’anno prossimo nessuno penserà più a lei». Albus sperava che avesse ragione. «Adesso devo andare», si alzò, spazzando la tunica della divisa dai fili d’erba, «Lotus ha detto che mi insegnerà a giocare a scacchi».
    «Da quando ti interessi agli scacchi?», le chiese Rose, che aveva imparato a giocare dal padre e non era mai riuscita a convincere Lily a giocare con lei.
    Lily fece spallucce. «Tutti i Serpeverde giocano a scacchi!», rispose sollevando il mento con sufficienza in una grossolana imitazione del portamento di Ausia, e subito scoppiò a ridere.
    «Potrei insegnarti io», le disse James. Albus pensò che, in qualche modo, si stesse sentendo defraudato del suo ruolo di fratello maggiore, ma Lily scosse il capo, i capelli rossi le si arruffarono sul viso e lei li spostò con entrambe le mani.
    «No, non voglio imparare a giocare come un Grifondoro», rispose lei.
    «E come sarebbe giocare “come un Grifondoro”?», chiese James, accigliato.
    Lily gli fece una boccaccia e corse via senza rispondere.
    «Senza barare?», suggerì Rose.
    «Da perdente?», infierì Albus.
    James non barava di sicuro e qualche volta aveva perso, ma aveva sempre giocato al meglio delle sue possibilità, e non solo a scacchi. L’anno precedente si era guadagnato il ruolo di Cercatore nella squadra di Quidditch della sua Casa e quella sera avrebbe partecipato come titolare ai provini per rimpiazzare i giocatori che si erano diplomati. I M.A.G.O. si erano portati via un battitore e due cacciatori e James avrebbe voluto che uno di quei ruoli andasse a Louis, ma il cugino continuava a non sembrare interessato, tanto più che il ruolo di Prefetto stava già mettendo a dura prova la sua pazienza: detestava dover sgridare gli studenti più piccoli per qualche marachella o scherzo di troppo. Inoltre Dominique, come Caposcuola ed ex Prefetto, continuava a dargli “buoni consigli” di cui non aveva davvero bisogno.
Quella mattina, mentre scendevano le scale per andare a fare colazione, James gli aveva fatto notare che il Quidditch l’avrebbe aiutato a rilassarsi e Louis aveva sospirato.
    Dopo il termine delle lezioni, James, Roxanne e gli altri due membri rimasti della squadra si recarono al campo da Quidditch. Il sole non era ancora tramontato e diversi studenti erano andati a vedere la selezione dei nuovi giocatori. James cercò di individuare la chioma bionda del cugino da qualche parte, ma di lui non c’era traccia. In compenso, poco dopo, il professor Serendip arrivò canticchiando, l’eterno sorriso dietro i baffi da tricheco. Nonostante l’età e il fisico rilassato, l’insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure godeva di una salute invidiabile e di uno spirito eccezionale.
    «Affascinanti fanciulle, cari ragazzi, buonasera», esordì, strappando qualche risolino alle ragazze. C’era sempre qualche allieva del primo anno che arrossiva per i modi galanti del professore. «Come sapete, per uccidere una manticora, bisogna tagliarle la testa, ma perché decapitare una creatura che canta canzoni tanto graziose?». Qualcuno rise, qualcun altro si accigliò senza capire: il professor Serendip era solito raccontare storielle divertenti sulle creature che aveva affrontato e sui modi originali in cui le aveva sconfitte. L’insegnante sorrise, gli occhi vivaci osservarono gli studenti e quindi riprese: «A noi serve che la manticora sia viva e che sia intelligente e astuta se vogliamo cantare la canzone della vittoria!», proclamò a gran voce, alzando le braccia come un direttore d’orchestra. «Quindi, dopo aver parlato con la nostra stimatissima preside e aver ascoltato anche il signor Stretton, ho deciso che la testa sul corpo del leone deve essere quella della cara signorina Roxanne! Congratulazioni, capitano Weasley!». Tutti i Grifondoro se lo aspettavano, non di meno, le parole del professore li avevano tenuti col fiato sospeso e salutarono la nomina con grida e un lungo applauso. Bats, il battitore rimasto, abbracciò Roxanne e le diede un grosso bacio sulla guancia. Anche James abbracciò la cugina e Roxanne regalò a tutti un enorme sorriso candido.
    Le selezioni non rivelarono molte sorprese: alcuni candidati erano gli stessi che si erano presentati l’anno precedente, ma la vera scoperta fu un ragazzino del secondo anno, fisico tozzo e braccia robuste, che sembrava non avere paura di nulla, quando era su una scopa.
    «Si chiama Bastian Butler», disse Rose quando il ragazzino colpì il Bolide tanto forte da spedirlo nella metà campo avversaria, «l’anno scorso ha preso Desolante in tutte le materie nel primo trimestre. I Serpeverde lo prendevano in giro chiamandolo Magonò».
    «Come ha fatto ad essere promosso?», chiese Albus.
    «Ha fatto amicizia con alcuni ragazzi di Corvonero e ha cominciato a studiare con loro in biblioteca», spiegò la ragazza. «Tutti i giorni!», Rose sospirò. «Alla fine è stato promosso con una maggioranza di Accettabile, ma il professor Paciock gli ha dato Oltre Ogni Immaginazione. Credo per incoraggiarlo».
    Bastian Butler rimpiazzò Megan Smith e divenne il nuovo battitore della squadra. Anche Benedict Tinbridge, un compagno di James venne ammesso in squadra, ma poco prima della fine della selezione aveva cercato di intercettare una Pluffa colpita da Butler ed era caduto dalla scopa. James lo accompagnò in Infermeria, dove Madama Chips decise di trattenerlo per quella notte, anche se non si era fatto nulla di grave.
    James era ancora con lui quando, con un tonfo e uno sbuffo che riempì l’infermeria di fuliggine, Hannah Paciock sbucò tossendo dal camino. Madama Chips mosse rapidamente la bacchetta, aspirando la cenere che volteggiava nell’aria e, in meno di un minuto tutto tornò perfettamente in ordine e pulito, anche se Hannah tossicchiò ancora per un po’. «Hanno attivato il collegamento, vedo», commentò la vecchia infermiera.
    «Sì, ora sarà più facile andare e venire. Il camino di casa, però, ha bisogno di un po’ di manutenzione. Spero che Neville abbia il tempo di occuparsene nel fine settimana».
    Madama Chips annuì e si voltò verso i ragazzi. «Tutto bene, voi due?», chiese premurosa.
    «Sì, grazie», le rispose James, mentre Benedict annuiva. «Signora… Paciock», salutò poi Hannah, un po’ imbarazzato. Da piccolo, prima che nascesse Alice, lei coccolava lui e Albus e loro la chiamavano zia Hannah.
    Lei parve intuire e gli rivolse un sorriso caloroso. «Infermiera Hannah andrà più che bene, James», gli disse e lui annuì, un po’ più rilassato.
    Madama Chips la invitò a seguirla nello studio e la signora Paciock salutò i ragazzi con la mano, prima di seguire l’infermiera. James tornò alla torre di Grifondoro per festeggiare coi compagni l’ammissione in squadra di Bastian, Benedict e Cordelia Rosewood, una ragazza del quinto anno che non aveva mai mostrato interesse per il Quidditch prima di allora.
Il giorno successivo, la notizia che l’anziana infermiera sarebbe presto andata in pensione e che, al suo posto, sarebbe arrivata la signora Paciock fece il giro della scuola. «Benedict è un bravo ragazzo. Simpatico, gioca bene e tutto il resto, ma è una gran pettegola», sbuffò James all’ora di cena.
    «Non mi sorprenderebbe se fosse stato lui a informare il Profeta che Lily è stata smistata a Serpeverde», suggerì Louis.
    «Dici che ha venduto la notizia o qualcosa del genere?», chiese James. «Avrei scommesso che fosse stato un Serpeverde a fare la spia».
    Louis scosse la testa. «Niente del genere, ma credo che abbia un cugino che sta facendo praticantato al giornale. Magari gli ha chiesto di informarlo se a scuola succede qualcosa e lui l’ha fatto». Louis si servì un’abbondante porzione di pasticcio della Cornovaglia, poi scoccò un’occhiata nella direzione di Cordelia. «Piuttosto, com’è che Cordelia è entrata in squadra?».
    James fece spallucce. «Gioca discretamente», rispose, e Louis non chiese altro, mentre la curiosità per la moglie del professore di Erbologia divenne rapidamente il nuovo argomento sulla bocca degli studenti.
    Albus, che conosceva Hannah sin da piccolo, però, era molto più interessato al nuovo professore di Pozioni. L’anno precedente il professor Lumacorno era morto e, sebbene il suo trapasso fosse stato imputato all’età vetusta, il giovane Potter non dimenticava i sospetti che aveva condiviso con il fratello e gli amici sul ruolo che poteva aver avuto il professor Sylla sull’evento.
Al suo posto era stato assunto il professor Arsenic, molto amico del padre di Scorpius e da lui raccomandato per quella cattedra. Durante le prime lezioni, il professor Arsenic era sembrato competente, sebbene piuttosto soporifero: parlava con tono piatto, sempre uguale, che rendeva difficile rimanere concentrati su quello che diceva e preferiva dettare ingredienti e procedimenti a voce anziché scriverli alla lavagna.
Durante la prima lezione dell’anno, James si era distratto solo un momento e aveva prodotto una melassa densa e maleodorante che a fatica era riuscito a grattare via dal calderone. Ad altri era andata persino peggio.
    Quasi subito, le nuove materie si erano rivelate impegnative: c’erano moltissime cose da memorizzare e Martin suggerì loro di studiare assieme, così Albus cominciò a passare molto tempo in biblioteca con Rose, Martin e Scorpius.
    «I tuoi ti hanno firmato il permesso per andare a Hogsmeade?», chiese un pomeriggio Rose. Albus alzò lo sguardo dal libro di Antiche Rune senza capire, poi si meravigliò che Rose avesse ricordato che, l’anno prima, Martin aveva espresso dei dubbi in merito all’ottenere il permesso dei genitori ad uscire dalla scuola, e guardò l’amico che, con un dito alzato, chiedeva di attendere un attimo.
    «Sì», rispose il ragazzo, dopo qualche momento. «Ho detto loro che è importante per la mia formazione visitare una località abitata da altri maghi, così da vedere cosa fanno gli adulti, quali sono le prospettive lavorative e come conducono la loro quotidianità gli altri maghi».
    Albus e Rose lo fissarono interdetti per qualche momento, poi Rose scoppiò a ridere. Qualcuno sibilò per intimare il silenzio e lei si coprì la bocca con le mani. «Davvero hai detto loro queste cose?», chiese trattenendo ancora la risata, e Martin le sorrise.
    «No», sbuffò, «ho mostrato a mia madre la pergamena e le ho detto che mi serviva la sua autorizzazione per la gita scolastica». Scrollò le spalle. «Non mi aspettavo che fosse così semplice convincerla, ma sono diventato abbastanza bravo a spiegarle le cose “magiche”», disse piegando due dita ai lati del viso.
    Rose ridacchiò ancora per un po’ e Albus trovò la sua reazione esagerata, ma fu contento che Martin potesse andare con loro al villaggio, anche se forse non era contento quanto la cugina. Mancava ancora qualche giorno all’inizio di Ottobre, e la prima gita a Hogsmeade era lontana, ma la vista delle zucche nel campicello di Hagrid faceva sembrare l’autunno più vicino; le avevano viste formarsi, dopo la caduta dei fiori e, dalla finestra della torre di Grifondoro le vedevano crescere giorno per giorno. Erano ancora verdi e si confondevano con le foglie, ma sarebbero diventate presto abbastanza grandi da farci entrare gli studenti.

 
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Eccomi di nuovo a voi! ^^
So che questo capitolo potrebbe sembrare un po' di transizione, ma dovevo inserire delle piccole cose in vista del futuro. Spero vi sia piaciuto comunque.
Un grazie a uwetta per aver recensito il capitolo precedente e vi ricordo che potete trovarmi su FB, Twitter e Ask. Non siate timidi e fatevi sentire! ^^

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Capitolo 4
*** Un boccino chiamato Hogsmeade ***


4
Un boccino chiamato Hogsmeade

 


Quando le zucche di Hagrid divennero grosse quanto un pony e gialle come mele, arrivò il freddo. A scuola si iniziava a parlare di Halloween, degli scherzi che gli studenti si sarebbero fatti e della festa che la scuola avrebbe organizzato nella Sala Grande.
    Per Roxanne fu un periodo molto intenso: fino all’anno prima era stato suo fratello Fred ad informare amici e compagni dei nuovi prodotti dei Tiri Vispi Weasley e alla decima richiesta di consigli su cosa acquistare, da parte di un Tassorosso di cui non sapeva nemmeno il nome, Roxanne mandò un gufo al padre, chiedendo di inviarle qualche volantino del negozio. George Weasley fece di meglio: acquistò un’intera pagina della Gazzetta del Profeta per pubblicizzare la nuova collezione di Tiri Vispi di Halloween.
    Lily, come tutti gli alunni del primo anno, era particolarmente eccitata. «È vero che le zucche diventeranno grandi come carrozze?», chiese a James e Albus, «E ci saranno davvero dei pipistrelli veri nella Sala grande?». Quando le risposero affermativamente, i suoi occhi nocciola diventarono ancora più grandi e luminosi. Albus la vide mordersi il labbro inferiore per non strillare di gioia:  Ausia l’aveva ripresa qualche giorno prima dicendole che correre, saltare e gridare “non erano comportamenti adeguati a una Serpeverde”, e Lily faceva del proprio meglio per dimostrarle che era degna della sua Casa, ma era ancora una bambina e preferiva di gran lunga la compagnia di Lotus e di Scorpius a quella di Ausia che la richiamava di continuo.
    Era la terza settimana di Ottobre quando, durante la colazione, un grosso gufo planò verso il tavolo di Grifondoro. Dominique sussultò nel vederlo: era una surnia ulula dal piumaggio bruno scuro macchiettato di bianco e dall’aspetto arcigno, con le sopracciglia inarcate, e lei lo conosceva bene perché era il gufo di Augustus Flint.
    Il rapace, però, non era lì per lei. Volteggiò rapidamente sopra il tavolo e scese in picchiata di fronte a James, lasciando cadere una pergamena strettamente arrotolata. James la afferrò al volo, un attimo prima che la pergamena cadesse esattamente dentro il suo bicchiere di succo di zucca.
    «Chi ti scrive?», gli chiese Rose.
    «Non ne ho idea», rispose il ragazzo, sfilando il laccetto che la chiudeva. In meno che non si dica, Dominique era alle sue spalle.
    «È Augustus, vero?», chiese la ragazza, «Cosa vuole da te?».
    «Ehm», James alzò gli occhi sulla cugina, porgendole il foglio ancora arrotolato.
    «I gufi non sbagliano mai a consegnare la posta!», gli ricordò Dominique. «Leggila e dimmi cosa vuole!», ordinò. Lei e Flint avevano avuto una breve storia terminata alcuni mesi prima in modo poco amichevole.
    James si sentiva un po’ a disagio a leggere la posta con la cugina appostata alle sue spalle, ma lo fece comunque. Albus e Rose lo guardavano, anche loro in attesa di scoprire cosa volesse l’ex Serpeverde.
    Gli occhi di James si allargarono e la sua bocca formò una “O” perfetta, prima che gli si imporporasse il viso. «Ehm, parla di Quidditch», tagliò corto scorrendo rapidamente il breve messaggio del tutto inaspettato.
    Dominique parve delusa. «Non ha scritto nemmeno una parola su di me?», chiese, mordendosi poi il labbro inferiore. Anche se Augustus l’aveva trattata male ed era stato con lei solo perché l’essere stata punta dal Fuso delle Fate, due anni prima, l’aveva resa popolare a scuola, per un po’ si era illusa che la cosa potesse diventare seria.
    «No», sbuffò James, lasciando il tavolo senza aver terminato la colazione. Infilò la lettera in tasca e, durante le lezioni della mattina, non riuscì a pensare ad altro. Si sarebbe aspettato di tutto da Flint, tranne quello che aveva scritto su quel foglio: “Ehi, Potter, ho saputo della nomina a capitano della Weasley. Serendip non ha tutte le rotelle a posto, al suo posto io avrei scelto te. Ti consiglio di cominciare a pensare come un capitano perché quando la Weasley perderà il controllo della squadra, servirà qualcuno in grado di focalizzare gli obiettivi e prendere la guida in campo. Non basta essere un buon giocatore per diventare capitano.
    Mi dispiace che non potrò vedere la partita in cui mostrerai a tutti che tipo di leader sei, ma fino a quel giorno, Serpeverde continuerà a battervi.
    Quando ti sentirai pronto ad affrontarmi di nuovo, mandami un gufo, ti devo una rivincita.”

    All’ora di pranzo, James era insolitamente euforico: le parole di Flint gli ronzavano in testa, tanto che ormai conosceva il testo del messaggio a memoria. Non era d’accordo con lui su Roxanne, ma forse, quando lei si sarebbe diplomata, avrebbe potuto aspirare lui alla carica di capitano. Mangiò in fretta, senza nemmeno togliersi la borsa dei libri dalla spalla, occhieggiando il tavolo degli insegnanti, quasi si aspettasse che Serendip si alzasse e gli dicesse qualcosa, ma l’unico che si alzò dal tavolo fu proprio lui, quando gli altri erano ancora a metà del pasto.
    «Dove vai?», gli chiese Albus.
    «Devo fare una cosa», rispose James, scappando verso la guferia. Aveva deciso su due piedi, senza nemmeno rifletterci. Si sentiva pronto per una rivincita? Non aveva mai pensato di poter giocare di nuovo contro Flint, ma l’idea lo faceva sentire eccitato, più che per qualsiasi avesse giocato. Amava il Quidditch, ma dopo la sconfitta di Grifondoro, l’anno precedente, era cambiato qualcosa: non era più solo un gioco, voleva vincere. Aveva sempre voluto emulare sua madre e la zia Angelina, ma ogni volta che era salito sulla scopa, quell’estate, aveva pensato a Flint.
    Inconsapevolmente, aveva cercato di imitarlo, di volare come lui, come aveva fatto in quell’ultima partita, quando Augustus Flint, il giocatore più sleale della scuola, aveva vinto senza commettere nemmeno un fallo, dimostrando di essere davvero bravo. Era stato un buon capitano e un vero leader per la sua squadra e gli aveva scritto “servirà qualcuno in grado di focalizzare gli obiettivi e prendere la guida in campo”, lo aveva scritto a lui. James non avrebbe mai creduto che Flint potesse dire una cosa simile proprio di lui, ma del resto non lo aveva nemmeno creduto capace di giocare in modo corretto.
    Quell’estate James aveva giocato a Quidditch parecchie volte, praticamente ad ogni visita alla Tana, quando zii e cugini erano in numero sufficiente per formare due squadre. Avevano giocato genitori contro figli e maschi contro femmine e con squadre miste. Si era fatto insegnare alcune mosse dalla madre e dalla zia Angelina e aveva gareggiato col padre e con Albus. Era sicuro di essere migliorato come giocatore e voleva che Flint lo vedesse, voleva che gli dicesse che era una bravo giocatore.
    Quando raggiunse la cima della guferia, James si ritrovò a corto di parole, oltre che di fiato. Prese una pergamena e una piuma dalla propria borsa e osservò il foglio bianco senza sapere cosa scrivere. Si sentì sciocco, ma si disse che non poteva non rispondere. “Sono pronto”, scrisse solo. Gli batteva forte il cuore perché era la prima volta che si sentiva, in qualche modo, “grande”.
    Con un fischio chiamò a raccolta i gufi della scuola. Ne scelse uno a caso, quello che gli si avvicinò per primo e gli consegnò, ancora incredulo, la sua lettera di sfida.
    Augustus Flint, con grande sorpresa di James, rispose tre giorni dopo. Nei giorni precedenti, James era stato sulle spine, impaziente di ricevere una risposta e mano a mano più deluso dal non riceverla. Non aveva rivelato a nessuno la ragione del suo malumore, ma quando, durante la colazione, sentì Dominique commentare: «Quell’uccello vola come il suo padrone», alzò gli occhi in tempo per vedere l’ulula di Flint sfrecciare di nuovo verso di lui.
    Albus gli chiese: «Che sta succedendo con Flint?».
    «Niente», rispose James, afferrando la pergamena e mettendola in tasca ancora chiusa. Voleva leggerla lontano dagli sguardi di suo fratello e di Dominique e senza gli occhi di Ausia che sembravano trafiggerlo sin dall’altro lato della sala. «Solo qualche consiglio sul Quidditch».
    Albus si acciglio. «Da Flint?», chiese poco convinto.
    James scrollò le spalle. «C’eri anche tu all’ultima partita. Hai visto come ha giocato. È bravo».
Albus non rispose e James si sforzò di rimanere fino alla fine della colazione anche se fremeva dalla voglia di leggere il messaggio. Quando raggiunse l’aula di Babbanologia si sedette in ultima fila, così da poter srotolare la pergamena.
    “L’ultima domenica del mese sarò a Hogsmeade”.
    James rilesse quelle poche parole più volte. Non era quello che si aspettava. Non aveva idea di cosa significasse, né di come rispondere. Mancava poco più di una settimana all’ultima domenica del mese, in quel fine settimana i preparativi per Halloween avrebbero occupato insegnanti ed elfi domestici, ma James sarebbe stato a scuola, senza la possibilità di raggiungere Hogsmeade. Non avrebbe mai ottenuto un permesso dal professor Serendip per un motivo tanto futile e non c’era possibilità di convincere i suoi genitori a chiedere un permesso per lui, anzi, i suoi si sarebbero arrabbiati se lo avessero saputo.
    Eppure quel messaggio, quel “sarò a Hogsmeade” sembrava parte della sfida, era come se la partita, tra di loro, fosse già iniziata e Flint lo stesse sfidando a trovare un modo di raggiungerlo. Hogsmeade era il Boccino e lui doveva prenderlo.
    Dopo la guerra, Hogwarts era stata ricostruita esattamente come era prima degli incendi e della devastazione che i Mangiamorte avevano portato nel castello, ma i passaggi segreti che un tempo avevano condotto al villaggio non c’erano più. James ne aveva sentito parlare tante volte, quando era bambino, tanto che aveva impiegato tutto il primo anno a cercare di rintracciarli, ma aveva trovato soltanto solide mura e nuove statue che non nascondevano segreti. Non aveva alcuna possibilità di imitare le rocambolesche fughe del padre e degli zii. Quando aveva trafugato la Mappa del Malandrino dal baule del padre l’aveva studiata con estrema attenzione, in cerca di una porta, un passaggio, qualcosa che gli rivelasse un segreto della scuola che nessuno conosceva, ma non c’erano più passaggi segreti a Hogwarts.
    Col pensiero fisso di trovare un modo per raggiungere il villaggio, quella sera andò a letto prima del solito. Forse Flint aspettava una sua risposta, forse avrebbe contato i giorni come aveva fatto lui. Non gli aveva chiesto di incontrarlo a Hogsmede, non gli aveva scritto che gli avrebbe concesso la rivincita proprio quel giorno, ma James era sicuro che fosse quello il senso del suo messaggio. Gli aveva notificato che sarebbe stato al villaggio di lì a dieci giorni e non c’era altra ragione per cui avrebbe dovuto farlo. James non aveva idea di come avrebbe fatto ma seguì l’istinto: prese piuma e pergamena e scrisse “Ci sarò”. Poi la chiuse nella borsa pronta per la mattina dopo, perché, prima di inviarla, doveva capire come avrebbe fatto a mantenere la parola.

 
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Il titolo alternativo di questo capitolo potrebbe essere "Piccoli Potter Crescono". VI avviso già che i prossimi due capitoli saranno interamente dedicati a James. So che qualcuno ne sarà contento, spero che agli altri non dispiaccia.
Come sempre vi ringrazion per leggere questa storia, in particolare uwetta che ha recensito ogni capitolo, e vi invito a venirmi a trovare su FB, Twitter e Ask.
A presto! ^^

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Capitolo 5
*** Una sortita da Malandrino ***


5
Una sortita da Malandrino




I primi pacchetti provenienti dai Tiri Vispi Weasley avevano cominciato ad arrivare a scuola con la posta del mattino: i primi a fare gli ordini erano stati i Tassorosso, ma via via i gufi che portavano i pacchi contrassegnati dal logo del negozio cominciarono a raggiungere anche gli altri tavoli. I preparativi per Halloween non erano ancora ufficialmente cominciati, ma più o meno tutti tenevano d’occhio il campicello di Hagrid, commentando con entusiasmo la grandezza delle sue zucche, attendendo il momento in cui sarebbero state portate nella Sala Grande.
    Per James, intanto, trovare il modo di uscire dalla scuola era diventato un’idea fissa. Ci rimuginava tutti i giorni, tutto il giorno: non sapeva ancora Smaterializzarsi e, anche se avesse saputo farlo, non c’era modo di usare quell’incantesimo all’interno del perimetro scolastico.
Altrettanto impossibile era volare fuori dai cancelli di Hogwarts con la scopa: un incantesimo di allarme avrebbe avvisato gli insegnanti che il perimetro era stato violato e la sua fuga sarebbe durata molto poco.
Forse avrebbe potuto ripristinare il passaggio segreto sotto il Platano Picchiatore: era crollato, ma almeno nessuno si era preso la briga di murarlo. Se avesse avuto a disposizione qualche mese sarebbe stata una buona idea: il vecchio albero era rimasto seriamente danneggiato durante la battaglia di Hogwarts di tanti anni prima e non aveva più i riflessi di una volta.
A lui, però, serviva una soluzione più rapida.
    «Si può sapere che ti prende ultimamente?», gli chiese Albus, seduto accanto a lui nella Sala Comune di Grifondoro. Era passato un altro giorno senza che James avesse trovato una soluzione e, intanto, la pergamena nella sua borsa sembrava diventare ogni giorno più pesante.
    «Niente», rispose, per nulla convincente. In quel momento ci fu un rumore assordante e il fumo invase un angolo della Sala Comune. Alcuni ragazzi cominciarono a ridere; James, invece, sussultò, guardando attorno come se non avesse capito cosa fosse successo.
    «È solo un Detonatore Abbindolante», gli fece notare suo fratello, preoccupato.
    James si umettò le labbra, incerto, e si sporse verso Albus con fare cospiratorio. «Devo farti una domanda, Al, ma devi giurarmi di non dirlo a nessuno», gli sussurrò. Albus annuì, e James abbassò ancora di più la voce: «Se tu volessi uscire di nascosto da Hogwarts, come faresti?», gli chiese.
    Albus si accigliò. «Perché dovrei fare una cosa del genere?», domandò con la voce ridotta a un sussurro.
    «Rispondi e basta, Al!», lo riprese.
    Albus ci pensò un po’. «Cercherei di passare dal camino dell’ufficio della preside: sappiamo la parola per far spostare i Gargoilles, abbiamo il mantello di papà…».
    Mentre Albus parlava, James si illuminò. «Sei un genio!», gli disse.
    «Vuoi entrare di nascosto nell’ufficio della McGranitt?», chiese Albus, incredulo e anche un po’ preoccupato, ma James scosse il capo.
    «No, non farò nulla del genere», gli sorrise.
    «Allora perché me l’hai chiesto?», insistette Albus, alzando la voce.
    «Era solo una curiosità», lo tranquillizzò, ma il malumore era scomparso di colpo e difficilmente Albus avrebbe potuto credergli. Quella notte, James, dormì meglio di quanto avesse dormito nelle notti precedenti e, la mattina successiva, prima di colazione, inviò ad Augustus Flint il proprio messaggio. Si sentì leggero non appena vide il gufo a cui lo aveva affidato sparire tra le nuvole.
    Dopo colazione, mentre tutti gli studenti si avviavano alle aule per la prima lezione della giornata, James raggiunse Rose. «Rose, senti», la chiamò, «dove hai detto che si trasferiscono i Paciock?»
    Rose ci pensò un momento. «Mi sembra che zia… l’infermiera Hannah», si corresse, «abbia detto che hanno preso un cottege in Woodcroft Street. Perché?», chiese fermandosi fuori dall’aula. Albus scoccò loro un’occhiata in tralice.
    «Pensavo che sarebbe carino mandarle dei fiori o qualcosa del genere».
    «Alla zia sì, all’infermiera della scuola non lo so, James».
    «Lei non ci dà mica dei voti», protestò lui.
    «Ma suo marito sì», gli fece notare Rose. «Adesso scusa, ma devo andare e faresti bene ad andare anche tu, se non vuoi fare tardi a lezione».
    James mise il broncio come se stesse realmente riflettendo sull’opportunità o meno di un gesto carino, ma appena Rose gli diede le spalle, sorrise.
    Al termine delle lezioni del mattino, fece la strada verso la Sala Grande con Benedict. «Hai fatto gli esercizi per Trasfigurazione?», gli chiese, «Io non ho nemmeno aperto il libro».
    «Ai, la vedo brutta, amico», gli fece Tinbridge, «Sylla ci aveva chiesto di scrivere un tema di quattordici pollici sullo Scambio per oggi».
    James corrugò la fronte. «Come si fa a scrivere quattordici pollici di tema sullo Scambio?».
    Benedict scrollò le spalle. «Io ne ho scritti dodici scarsi e ho scritto in grande».
    «Non è che hai una Pasticca Vomitosa?», gli chiese James, con espressione disperata.
    Il nuovo Cacciatore di Grifondoro ridacchiò. «No, ma so a chi chiederla».
    
Dopo pranzo, prima di andare a lezione, James aveva la sua Pasticca Vomitosa. Per non insospettire Albus si era diretto verso l’aula, ma prima di entrare diede una gomitata a Benedict. «Sai cosa dire a Sylla, vero?».
    «Conta su di me», gli strizzò l’occhio l’amico.
    James corse fino all’Infermeria. Prima di entrare prese dalla tasca la Mappa del Malandrino, fece attenzione che non ci fossero fantasmi pettegoli in vista e quindi la colpì con la bacchetta. «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni», sussurrò. Madama Chips si stava aggirando per la grande sala dove numerosi letti erano divisi dai paravento, ma non c’erano studenti ricoverati. James sorrise e attese che l’infermiera entrasse nel suo ufficio.
    James spezzò la caramella, mettendo in tasca l’antidoto e si preparò a vomitare il pranzo. Non sarebbe stato piacevole. Inghiottì il dolcetto e nemmeno cinque secondi dopo sentì il primo conato. Fece in tempo ad aprire la porta prima di vomitare sul pavimento.
    Prima di arrivare alla porta dello studio di Madama Chips rigettò altre due volte e quando bussò, pallido e coi crampi allo stomaco, dovette retrocedere di un passo e girarsi per non prendere in pieno l’infermiera che aveva aperto.
    «Signor Potter?», chiese Madama Chips, estraendo immediatamente la bacchetta, ma James si piegò in avanti, rantolando, e barcollò all’interno della stanza. Aveva pochi attimi per individuare il contenitore della Polvere Volante. Sperava davvero l’anziana infermiera non lo avesse nascosto da qualche parte. La stanza era piccola, maniacalmente ordinata e pulita. C’era una stufa al posto del camino e delle mensole piene di libri alle pareti.
    «Signor Potter», lo richiamò lei, tornandogli di fronte e puntandogli la bacchetta contro, «ha mangiato qualcosa di indigesto, per caso?».
    «Una Pasticca…», cercò di resistere ad un nuovo conato, «credo». Non serviva che aggiungesse altro: era quasi Halloween e lui non era di sicuro il primo studente che avesse mangiato uno di quei dolcetti senza poi riuscire a prendere l’antidoto.
    L’infermiera sbuffò. «Venga, signor Potter. Non è nulla di grave». Madama Chips lo sospinse fuori dall’ufficio, ma James riuscì a dare un’altra occhiata: era lì per quello e non sarebbe stato un po’ di mal di pancia a fermarlo. C’era uno schedario dietro ad una scrivania, dove probabilmente erano contenute le cartelle cliniche degli studenti, e poi c’era un’altra porta che, probabilmente, conduceva alla camera della donna. James era sicuro che la Polvere Volante si trovasse lì, solo che non riusciva a vederla.
    Fu costretto a seguire Madama Chips nell’Infermeria e a bere uno sciroppo amaro che lo fece stare meglio in pochi minuti. «Molte grazie, Madama Chips», ringraziò, sdraiandosi su di un lettino. Lei gli porse un bicchiere d’acqua. «Stia attento a cosa mette in bocca, la prossima volta, giovanotto», lo rimbrottò bonariamente.
    James sospirò. «Non succederà più», promise.
    Chiuse gli occhi e riposò per un po’, cercando di visualizzare quello che aveva visto, cercando di individuare dove l’infermiera avrebbe potuto tenere il contenitore. A casa sua, il vaso della Polvere Volante si trovava sopra il camino, in alto, perché non fosse a portata di mano di Lily. Anche a casa di nonna Molly si trovava sopra il camino, ma nell’infermeria della scuola sarebbe stato avventato lasciarlo in bella vista, alla portata degli studenti, anche se il camino era collegato soltanto al San Mungo.
    Più ci pensava, e più James si convinceva che dovesse trovarsi nello studio della donna. Decise che, quella notte, sarebbe entrato di soppiatto e l’avrebbe cercato.
    
Dopo cena, attese nella Sala Comune di Grifondoro che la maggior parte dei suoi compagni andasse a letto. Non voleva far insospettire Albus, così trascorse la serata giocando a scacchi con Louis e, quando reputò che fosse abbastanza tardi, salì in camera. Si buttò sul letto, senza spogliarsi e tirò le tende, rimanendo al sicuro tra i paramenti mentre studiava la Mappa del Malandrino: ad eccezione dei Prefetti che svolgevano il turno di ronda, tutti gli studenti erano nelle sale comuni e gli insegnanti si trovavano nei loro alloggi.
    I fantasmi percorrevano pigramente i corridoi, ma si tenevano lontani dall’infermeria, come se l’essere morti rendesse quel luogo particolarmente fastidioso. James avrebbe dovuto fare attenzione a non incontrarli sulle scale, ma anche se fosse accaduto, si sarebbe trovato sotto il Mantello dell’Invisibilità.
    In Infermeria non c’era nessuno, mentre Madama Chips si trovava nelle stanza oltre l’ufficio. James immaginò che, a quell’ora, l’anziana donna stesse già dormendo. Sentì qualcuno camminare dietro la porta del dormitorio, parlottando piano e tese le orecchie. Sulla mappa comparvero i nomi di tre studenti del sesto anno, mentre quelli Albus e Rose erano ancora nella sala comune. Sospirò e ingannò l’attesa cercando un recipiente che facesse al caso suo, una fiala da pozioni, nuova, sarebbe andata bene: in fondo, non gli serviva una gran quantità di polvere, solo quanta sarebbe bastatga a farlo arrivare a casa Paciock e a farlo tornare indietro.
    Sperava che l’insegnante di Erbologia e la sua diletta consorte non avessero messo incantesimi protettivi sulla casa. Non se ne sarebbe accorto nessuno.
    Quando anche l’ultimo dei suoi compagni di dormitorio si fu messo a letto e non sentì più nessun rumore provenire dalla Sala Comune, James si mise in testa il Mantello dell’Invisibilità. Sentì il cuore accelerare e fece un respiro profondo per calmarsi. Sgusciò fuori dalle tende del baldacchino e camminò in punta di piedi fino alla porta, aprendola lentamente, con circospezione. Altrettanta attenzione mise nel chiuderla e nel scendere la scala a chiocciola. La Sala Comune era vuota e silenziosa, le ultime braci ardevano ancora nel camino, rischiarando appena la stanza.
James avrebbe voluto che ci fossero Albus e Rose, sotto al mantello, come avevano fatto quando erano entrati di soppiatto nella biblioteca, ma questa volta doveva contare soltanto su se stesso.
Si infilò nel buco che costituiva l’ingresso alla Casa di Grifondoro e il quadro della Signora Grassa si spostò. «Chi va là?», chiese la donna nel suo voluminoso abito rosa, ma non vide nessuno. Si schiarì la voce, richiuse il passaggio e si rimise a dormire.
James attese che chiudesse gli occhi prima di incamminarsi lungo il corridoio. Le scale cambiavano anche di notte, ma ormai non si lasciava più sorprendere dai loro spostamenti improvvisi, il castello era buio e spettrale, la luce pallida della luna entrava dalle rare finestre che davano sull’esterno e poche torce illuminavano brevi tratti di corridoi. A tratti, il russare di qualche personaggio di un quadro faceva trattenere il fiato a James, ma fu quando il vecchio Gazza e il fantasma di Mrs Purr comparvero vicino all’infermeria che si bloccò come se fosse stato impastoiato. Sperò con tutto se stesso che non fossero diretti da Madama Chips: Mastro Gazza tossiva violentemente e ormai lo si vedeva di rado nel castello, sempre più vecchio, acido e acciaccato.
    Quando poté ricominciare a respirare, a James parve di aver trattenuto il fiato per ore. Il vecchio custode aveva imboccato un corridoio laterale senza accorgersi di lui e la sua gatta l’aveva seguito come un’ombra. James raggiunse la porta dell’infermeria e controllò per l’ennesima volta la Mappa del Malandrino: la via era libera.
    Aprì la porta solo quanto bastava per farlo scivolare all’interno, lì le finestre erano grandi e la luce della luna gli permetteva di vedere a sufficienza per non andare a sbattere contro i letti allineati. Più sicuro su dove metteva i piedi, ma ancora più attento a non fare rumore, James attraversò la stanza, raggiungendo la porta dell’ufficio, ed estrasse la bacchetta. «Alohomora», bisbigliò col cuore che batteva più forte che mai.
    La serratura scattò e James si morse la lingua per non esultare. Controllò di nuovo la mappa per accertarsi che il rumore non avesse svegliato Madama Chips, ma il cartiglio col suo nome rimase al proprio posto e James aprì.
    La stanza era troppo buia per permettergli di muoversi liberamente. «Lumos», bisbigliò e la punta della sua bacchetta si accese quanto bastava per permettergli di aggirarsi tra i mobili che aveva visto quel pomeriggio. Avrebbe preferito sapere dove guardare, ma quel giorno era riuscito ad escludere solo alcune mensole e la scrivania, tuttavia non credeva che la Polvere Volante si trovasse sotto chiave: era già in una stanza chiusa, e non era un oggetto tanto prezioso da giustificare due serrature.
    In punta di piedi esaminò tutte le scaffalature, scoprendo libri di medicina e vecchie foto in cui l’infermiera era giovane, barattoli sinistri come quelli che si trovavano nell’aula di Pozioni e piccoli oggetti d’ottone di cui non avrebbe saputo dire nome o funzione.
    James si sentiva in colpa a ficcanasare in quel modo nella vita della strega, ma doveva trovare la Polvere Volante a qualsiasi costo.
    Alla fine la trovò: Madama Chips la teneva in un vaso di terracotta smaltato di rosa salmone e decorato con foglie bianche, sull’ultimo scaffale che esaminò. Lo smalto del coperchio era un po’ screpolato e un sottile strato di polvere rivelava quanto di rado venisse usato. James lo aprì e vi immerse una mano, prendendo una manciata di polvere verde, usò la mappa arrotolata come un improvvisato imbuto e riempì la boccetta.
    Prima di rimettere tutto a posto controllò che il cartiglio col nome della padrona della Polvere fosse ancora al suo posto e poi avvicinò la punta della bacchetta al pavimento per assicurarsi di non aver fatto cadere nemmeno un granello di quello che era andato a rubare.
    Quando si richiuse la porta dell’Infermeria alle spalle, sul viso di James comparve un sorriso felice, che però nessuno vide, dato che era ancora sotto il Mantello dell’Invisibilità.
    Fece a ritroso la strada che aveva percorso, evitando di incontrare Prefetti e fantasmi e quando sussurrò la parola segreta alla Signora Grassa, lei aprì il passaggio continuando a dormire. Una volta nel proprio letto, James scoprì che avrebbe potuto dormire ancora qualche ora.
    Si sentiva il degno nipote di quel nonno di cui portava il nome, mise la mappa sotto il cuscino e si addormentò con l’ampolla stretta in mano.

 
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Mentre la vista scolastica prosegue tranquilla, James sta seguendo le orme del nonno e del padre, ma ancora non sa cosa lo attende.
Ancora un capitolo di pazienza e lo scoprirete anche voi! ^^
Intanto, un grazie a tutti i lettori un po' troppo silenziosi di questa storia e un ringraziamento particolare a uwetta che non mi lascia sola a chiedermi cosa ne pensiate di questa nuova avventura, e vi invito a venirmi a trovare su FB, Twitter e Ask.
Al prossimo capitolo! ^^

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Capitolo 6
*** Il volo perfetto ***


6
Il volo perfetto





Finalmente arrivò domenica.
    James si era alzato si buon umore, convinto che sarebbe andato tutto bene. Aveva atteso che tutti i suoi compagni di stanza scendessero a fare colazione e aveva messo la sua scopa fuori dalla finestra: sarebbe stato scomodo muoversi per la scuola sotto il Mantello dell’Invisibilità portandosela dietro e se avesse fatto finta di voler andare a volare nel parco, qualcuno si sarebbe unito a lui.
Aveva anche piegato bene il mantello per farlo stare dentro una delle tasche interne della veste e la Mappa del Malandrino era al sicuro in tasca, così, prima di tornare a scuola, avrebbe potuto controllare che l’Infermeria fosse vuota.
    Se la prese comoda prima di scendere a colazione e, quando fu seduto accanto al fratello, fece un grande sbadiglio per convincere Albus di essere rimasto a letto fino a quel momento. Mangiò con appetito, sapendo che presto sarebbe arrivata la domanda di rito di Rose: «Cosa facciamo oggi?».
    Albus si strinse nelle spalle. «Oggi Hagrid raccoglierà le zucche e inizierà a intagliarle. Pensavo di andare a guardare».
    Rose ridacchiò. «Ti senti in colpa per non esserti iscritto al suo corso, vero?».
    «Un po’», ammise Albus, «ma è soprattutto per Lily: mi ha chiesto di andare a guardare l’intaglio delle zucche assieme».
    James si acciglio. «Perché l’ha chiesto a te e non a me?».
    Albus lo guardò inclinando un po’ il capo. «Perché non si sa dove hai la testa, ultimamente, James!», lo rimproverò.
    James doveva ammettere che fosse vero. Aveva continuato a pensare ai dettagli della fuga e alla sfida con Augustus Flint. «Beh, non mi interessano le zucche», rispose con noncuranza, «sono cose da bambini».
    «Per questo Lily vuole vederle», ribatté Albus.
    «Non litigate!», si intromise Rose, con un tono che ricordò loro zia Hermione. «Tu che programmi hai, James?».
    James sbuffò. «E tu, Rose?», chiese facendole il verso.
    «Chiederò a Martin di andare a vedere Hagrid che intaglia le zucche», rispose lei, a tono.
    James alzò gli occhi alla volta della sala: il soffitto mostrava un cielo terso e azzurro. Sarebbe stata una giornata splendida per volare. Il sorriso gli distese di nuovo le labbra. «Devo terminare i compiti per Incantesimi e per Babbanologia», rispose vago, mentre un gufo dell’ufficio postale atterrava davanti a lui, porgendogli la zampa. James prese la piccola pergamena e l’uccello volò via.
    «Chi ti scrive?», chiese Rose, ma James si alzò dal tavolo e le strizzò l’occhio. «Forse più tardi passo a vedere le zucche», disse in modo generico, prima di allontanarsi.
    Quando fu fuori dalla Sala Grande, srotolò la piccola pergamena, riconoscendo subito la grafia decisa e regolare di Augustus: “12:30, al larice in fondo alla strada che esce dal villaggio”. James respirò a fondo, incamminandosi verso il bagno da cui nessuno lo avrebbe visto uscire.
    Invisibile, attese nel bagno, controllando la mappa: non voleva correre rischi, quindi non voleva incontrare nessuno, e poi quell’attesa gli faceva battere forte il cuore. Si sentiva elettrizzato come mai in vita sua.
    Attese con lo stomaco in subbuglio che il corridoio fosse vuoto e si diresse in Infermeria. Nemmeno lì c’era nessuno, ma fece comunque attenzione nell’aprire la porta. La luce entrava dalle grandi finestre inondando la stanza, riflettendosi su coperte bianche e paravento bianchi, accecante, ma James non gettò nessuna ombra sul pavimento, mentre si dirigeva sicuro al camino.
    Prese un respiro profondo, il cuore gli batteva così forte che non riusciva a sentire nessun altro suono, ed entrò nel camino. «Cottege Paciock, Woodcroft Street», scandì e l’attimo dopo stava rotolando senza controllo nella Metropolvere.
    
Il professor Paciock non aveva ancora trovato il tempo di sistemare la canna fumaria del camino.
A giudicare dal caos in mezzo al quale James rotolò, tra cenere e fumo non aveva avuto nemmeno il tempo di aiutare la moglie a disimballare gli scatoloni del trasloco.
    Per alcuni momenti James non riuscì a smettere di tossire; gli lacrimavano gli occhi e anche se il mantello lo aveva protetto dalla caligine, si sentiva uno spazzacamino. In compenso, la stanza era annerita e fumosa e per un momento temette che Hannah avrebbe capito che qualcuno era penetrato in casa. Cercò di ricordare cosa il padre aveva detto una volta, riguardo alla Traccia e pregò Merlino che nessuno che nessuno si accorgesse che un minorenne stava facendo magia fuori dalla scuola. In ogni caso, non aveva alternative: estrasse la bacchetta es eseguì un paio di incantesimi di pulizia che non furono efficaci come quelli di nonna Molly, ma sperava bastassero a coprire le sue tracce. Poi usò di nuovo la magia per aprire la porta della casa; si ritrovò in un grazioso giardinetto che si affacciava su una via dalle case basse, dalle facciate antiche e un po’ logore, coi tetti di ardesia e le ringhiere di ferro battuto, e sorrise perché era arrivato a destinazione.
    Si guardò attorno per capire da che parte andare e poi si avviò per la vecchia Woodcroft Street. La strada scendeva e poi saliva, allontanandosi dal villaggio. Solo quando si fu lasciato alle spalle l’ultima casa di Hogsmeade, James tolse il mantello e respirò a pieni polmoni l’aria fresca. Dal punto in cui si trovava si godeva un’ottima vista su tutta la valle e sul lago. In lontananza si distingueva il castello di Hogwarts, stagliato contro le montagne, mentre sulla via che aveva percorso, scorse una figura piccola e solitaria che camminava verso di lui.
    Per ingannare l’attesa, James si sedette su un letto di aghi secchi, sotto il larice solitario che dominava la strada. Una brezza leggera faceva ondeggiare i rami e il sole strappava riflessi di un tenero verde dorato dagli aghi sottili attraverso cui James cercava di sbirciare il cielo. Il sole era tiepido e James appoggiò la schiena al tronco dell’albero, appisolandosi.
    «Niente scopa, Potter?».
    James sobbalzò. Flint era arrivato mentre lui sonnecchiava e lo fissava con aria perplessa, reggendo la propria scopa. Scattò in piedi e scoprì che anche l’altro era cresciuto, durante l’estate, anche se non quanto lui. Flint aveva i capelli molto corti e James ricordò che stava frequentando l’accademia per Auror.
    «Allora?», lo incalzò Augustus, e James si sentì il viso andare a fuoco.
    «Sì. Subito», rispose, un po’ rigido, mentre estraeva la bacchetta. «Accio, scopa!», ordinò. Flint si volse in direzione della scuola e non dovettero attendere tanto: la Firebolt2K di James volò spedita dalla torre di Grifondoro fino alla mano del suo padrone. James fu quasi sbalzato a terra dalla forza dell’impatto e Augustus scoppiò a ridere.
    «Bella presa, Potter», disse. «Ora vediamo come prendi questo». Tolse da una tasca interna della veste un vecchio boccino dalle ali stropicciate che, nel suo palmo, vibrò e si scosse, fino a quando Augustus non lo lanciò in aria e quello volò via. «Chi lo prende per primo, vince. Ci stai?».
    «Ci sto!», rispose James, pieno di entusiasmo.
    Salirono sulle scope e si levarono in aria. Dall’alto i boschi sembravano una distesa d’oro e rame, ma James guardava verso le nuvole: il boccino poteva essere ovunque e vederlo per primo era fondamentale.
    Flint, invece, volava piano, virando, girando, alzando il manico della scopa e poi abbassandolo, anche lui scrutava il cielo in cerca del boccino, ma non sembrava avere fretta. Quando James intravvide un luccichio, si piegò sulla scopa, dirigendosi verso il boccino e Flint gli fu subito accanto, un falco che piombava sulla preda. «Vuoi che finisca subito?», gli chiese con un sorriso sfacciato e James frenò.
    «Cosa vuoi dire?».
    «Uno di noi prende il boccino, sfida finita, tutti a casa», disse Augustus, «è questo che vuoi?».
    James scosse la testa. Non era sicuro di capire, ma non voleva tornare subito al castello.
    Augustus sorrise in tralice e gli fece cenno di seguirlo. Si piegò all’indietro e James trattenne il fiato aspettandosi di vederlo cadere, ma Flint non cadde: guidò la scopa in una girandola discendente e poi risalì. «Ti muovi, Potter?», lo incitò, volandogli accanto.
    James lo seguì, un’evoluzione dopo l’altra, una picchiata dopo l’altra, e poi di nuovo in alto, intersecando il percorso di James, e anche James cominciò a zigzagare intorno a lui, prendendo confidenza con quel modo di volare spericolato, prima piano, poi più veloce, mano a mano che si sentiva più sicuro.
    Quello non era giocare a Quidditch, e per la verità si era anche dimenticato del Boccino, Flint volava per il piacere di volare, con la leggerezza di una farfalla e la determinazione di un falco, e James si sentì leggero. Flint lo affiancò, prendendo il manico della scopa di James con una mano e James fu preso dal panico, la sua scopa sussultò e scartò, minacciando di farlo cadere, ma lui si resse e Flint non lasciò la presa. «È un fallo!», protestò James.
    «Prendi con una mano la mia scopa», gli rispose Augustus, come se non l’avesse sentito e James ubbidì. Lasciò con una mano il proprio manico e prese quello di Flint, e Flint cominciò a cadere, trascinandolo giù.
    James urlò, ma Flint non sembrava spaventato. Il cuore di James batteva come un tamburo e la sua mano stringeva la scopa di Flint tanto forte che sentì i muscoli del braccio fargli male e, prima che se ne potesse accorgere, la caduta era diventata uno scivolare seguendo la corrente d’aria.
    «Mantieni la distanza, impara quanto e come puoi avvicinarti a un avversario senza rischiare di finirgli addosso. Se tu sai cosa fai e lui si spaventa, sarà lui il primo a tirarsi indietro», disse Augustus. Le loro braccia erano intrecciate e le loro gambe erano tanto vicine che avrebbero potuto sfiorarsi, ma non accadde perché Flint mantenne una distanza costante e James si lasciò guidare da lui.
    Volarono con il vento nei capelli, senza più parlare, e anche quando Augustus lasciò la presa sulla Firebolt di James, James continuò a volargli accanto, a virare quando lui virava, a girare intorno a lui quando lui gli girava intorno. Il cuore di James cominciò a battere più lentamente, l’euforia sostituita da una quiete che lo faceva stare bene. Quel pomeriggio era perfetto, quel volo era perfetto.
    «Tra poco devo rientrare», disse Flint, all’improvviso.
    James capì all’istante e annuì. Il Boccino doveva essere lì, da qualche parte, e cominciò a osservare in ogni direzione. All’orizzonte il cielo cominciava a tingersi di arancio e l’aria stava diventando più fredda e fastidiosa per gli occhi, ma James vide per un momento uno scintillio e diresse la scopa nella sua direzione. Anche Flint lo vide o, forse, vide la direzione presa da James. Quel volo che era sembrato un corteggiamento divenne aggressivo e intimidatorio, ma James non si ritrasse. Il cuore gli balzò di nuovo in gola, ma sapeva che Flint non l’avrebbe urtato nemmeno per sbaglio e che nemmeno lui l’avrebbe fatto. Era la sfida che aveva aspettato per giorni, l’opportunità di mostrare all’ex capitano di Serpeverde i progressi che aveva fatto.
Si spinsero a vicenda, minacciosi e combattivi, adattandosi l’uno ai movimenti dell’altro come se l’avessero sempre fatto, come se conoscessero l’uno il modo di volare dell’altro e alla fine protesero la mano verso la pallina nello stesso momento. Il corpo di Flint nascose a James la vista del sole e quando le sue dita sfiorarono il Boccino, quelle di Augustus vi si serrarono.
    Flint aveva vinto di nuovo.
    L’entusiasmo venne meno e tutta la tensione accumulata pesò improvvisamente sul cuore di James mentre lentamente scendevano a terra.
    «Ce l’hai quasi fatta, Potter», disse Augustus riponendo il Boccino in tasca, mentre James lo guardava sparire, evidente negli occhi la cocente delusione di avere perso di nuovo. «L’ho preso per primo solo perché sono più alto di te», aggiunse, «continua ad allenarti, la prossima volta potresti battermi».
    «La prossima volta?», chiese James, le sue speranze nuovamente accese. Si sentì scaldare il viso e il cuore alla prospettiva di giocare di nuovo con Flint. «Quando?».
    Flint sorrise. «Vedremo». Gli mise un dito sotto il mento e si piegò verso di lui, sfiorandogli le labbra in un bacio lieve, che colse James del tutto impreparato.
    James rimase impietrito, gli occhi sgranati e il cuore in tumulto, mentre Flint gli voltava le spalle e se ne andava.


 
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Questo capitolo è dedicato a Ladyriddle, shipper ad oltranza della coppia James-Augustus.
A questo punto della storia, James ha circa 14 anni e mezzo, mentre Augustus ne ha 18 compiuti, quindi jo voluto che il primo bacio di James avesse ancora il sapore dell'infanzia.
Consideratelo un piccolo regalo di San Valentino e, sperando di farvi cosa gradita, domani (solo domani, 14 Febbraio), il mio libro Ultimo quarto di luna sarà in promozione gratuita. Se avete Kindle o un'app kindle potrete scaricarlo da Amazon.
Intanto ringrazio uwetta per aver recensito il capitolo precedente, e tutti i lettori silenzioni.
Vi aspetto su FB, Twitter e Ask.
Al prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 7
*** La scacchiera incostante ***


7
La scacchiera incostante





A metà novembre l’euforia per Halloween era stata sostituita dall’entusiasmo per la gita a Hogsmeade. Da giorni, ormai, era quello l’argomento preferito dagli studenti e il più entusiasta sembrava Martin: ormai aveva sentito parlare così tanto del villaggio che gli sembrava di conoscerlo, ma non vedeva l’ora di camminare per le strade innevate e visitare i negozi, fare qualche acquisto e vedere, finalmente, come vivevano i maghi al di fuori della realtà scolastica.
    «Voglio venire anch’io», piagnucolò Lily mentre Martin e Rose aspettavano Albus, nell’ingresso ormai quasi vuoto. Mastro Gazza tossiva e controllava la lista degli studenti che potevano uscire.
    «Tra due anni potrai venire anche tu», le rispose Rose, sfregando tra loro le mani: il portone era aperto e l’androne era freddo quanto l’esterno. Lotus aveva promesso che avrebbe portato a Lily dei dolci di Mielandia e Scorpius era arrivato a proporle di restare al castello con lei, pur di non vederla piangere, ma solo Ausia era riuscita a tacitare i suoi capricci. Le era bastato rivolgerle uno sguardo di ghiaccio e Lily aveva rifiutato la proposta del giovane Malfoy, invitandolo ad andare a divertirsi.
    Quando Albus raggiunse gli altri, scuro in volto e con la sciarpa bene annodata al collo, non era rimasto quasi più nessuno studente dal terzo anno in su, nel castello. «Non l’ho trovato», esordì. Aveva cercato James nel dormitorio, in biblioteca e in guferia. Aveva dato un’occhiata anche in Infermeria, ma del fratello non c’era traccia.
    «Aveva promesso di farci vedere dov’è quel negozio», si dispiacque Martin.
    «Lo troveremo da noi!», decise Albus.
    Rose si fece pensierosa. «Certo che James è strano ultimamente».
    «Forse non sta bene», si preoccupò Lily, ma Rose non sembrò convinta.
    «Come mai siete ancora qui?». La voce di Louis li colse di sorpresa. Il Prefetto stava scendendo gli ultimi gradini con l’aria infastidita.
    «Stavamo cercando James, ma non l’abbiamo trovato», rispose Martin e Louis fece spalluce.
    «Sarà già andato».
    «Aveva promesso di accompagnarci “Da Carabà, incanti e curiosità”», disse Martin, che aspettava sin dal primo anno di vedere il negozio dove Erintja andava a rifugiarsi quando sgattaiolava via da Hogwarts.
    «Vi ci porto io, se volete», si offrì Louis, voltandosi rapidamente verso le scale prima di fare loro cenno di avviarsi.
    Fino a quel momento, Albus, Rose e Martin avevano fatto il tragitto dalla stazione di Hogsmeade sulle carrozze trainate dai testral, i cavalli scheletrici che nessuno di loro era in grado di vedere, ma era la prima volta che la facevano a piedi.
    «Non mi ero mai accorta di quanto fosse lunga!», si lamentò Rose. La prima neve era scesa ed era gelata sulla strada, rendendola scivolosa. Ogni tanto vedevano qualcuno cadere e sentivano le risate degli amici; gli studenti formavano una lunga colonna sparpagliata e chiassosa, troppo allegra per risentire del freddo, ma quando arrivarono in vista del villaggio, Rose non si sentiva più le dita dei piedi. «Io suggerisco di andare a prendere una burrobirra», disse, il fiato le si condensò davanti al viso in una nuvoletta di vapore.
    «Magari dopo», rispose Martin. Si guardava attorno pieno di curiosità, affascinato da tutto quello che vedeva: dalle case, ai negozi, ai maghi che camminavano per strada. «È davvero incredibile!», mormorò mentre si addentravano per le vie del villaggio.
    «Però a Diagon Alley ci sei già stato, no?», chiese Louis, mentre Rose metteva il broncio.
    «Sì, ma è a Londra», rispose Martin, «è una metropoli: ci si aspetta di trovare di tutto».
    Rose sbuffò e Albus si strinse nelle spalle. «Potresti andare ai Tre Manici di Scopa. Noi ti raggiungiamo dopo», suggerì alla cugina.
    Rose mugugnò il suo malcontento, ma rabbrividì di nuovo e si si strinse nel mantello, guardandosi attorno: gli studenti avevano riempito le strade del piccolo centro e lei avrebbe voluto condividere il loro entusiasmo. Le sarebbe bastato scaldarsi un pochino e poi avrebbe fatto tutte quelle cose che aveva programmato da tempo di fare: sarebbe andata a comprare dolciumi da Mielandia, e avrebbe visitato Scrivenshaft per cercare una bella piuma da regalare alla madre per Natale. Voleva andare a vedere la Stamberga Strillante con Martin, e raccontargli la storia di quando i suoi genitori c’erano entrati, ma quando vide James allontanarsi tra la folla, tutto il resto passò in secondo piano. Guardò Albus e gli altri, che stavano ancora parlando di Carabà e strinse le labbra, prendendo la propria decisione. «Sì, ci vediamo dopo», disse loro, temendo di perdere di vista James.

Louis accompagnò Albus e Martin da Carabà, il negozio di chincaglierie magiche di cui era stato curioso Fred, due anni prima, quando aveva appena aperto.
Il negozio si trovava all’inizio di una via laterale, in un vecchio edificio dall’intonaco scrostato, poco lontano da una locanda che aveva per insegna una testa di cinghiale gocciolante sangue su un panno bianco. La vetrina era impolverata e opaca e all’interno si scorgevano oggetti alla rinfusa, dall’aspetto vecchio e malridotto come quello fabbricato.
    «Buongiorno», salutò Martin, entrando per primo. Un sonaglio appeso al soffitto, davanti alla porta, suonò, richiamando un vecchio mago dal retro del negozio. L’uomo era alto e curvo, magro e vestito di ogni colore male accostato che si potesse immaginare. Aveva capelli bianchi, radi e lunghi una spanna che svolazzavano intorno alle sue orecchie come due ali.
    «Buongiorno», rispose il bizzarro mago, «posso esservi d’aiuto?».
    Martin si avvicinò al bancone: c’era un cuscino morbido, rosso scuro, pieno di pelo nero. «Ecco, mi hanno detto che lei si occupa della mia gatta Erintja», disse Martin, un po’ imbarazzato. «Vorrei ringraziarla e, se ci sono delle spese, ecco io…».
    «Oh, no, no!», lo interruppe l’uomo che doveva essere Carabà. «Per me è un piacere occuparmi di lei. Non viene molta gente, qui; mi fa compagnia». C’era qualcosa di fastidioso nella voce del mago, ma Albus non avrebbe saputo dire cosa. Si guardò intorno, sentendosi tagliato fuori da quella conversazione: in effetti loro erano gli unici studenti presenti in tutta la via. Guardò fuori, qualche fiocco di neve stava cadendo, rado e lento, ma nel negozio si stava bene: faceva caldo e c’era un profumo dolciastro nell’aria, un misto di mele e caramello o forse qualche pozione sconosciuta. C’erano scaffali e armadi che contenevano un guazzabuglio di oggetti vecchi, alcuni rotti, altri impolverati, tutti sembrano i fondi di magazzino di Mondomago, non c’era da stupirsi che non ci fossero clienti.
    Albus si addentrò tra gli scaffali, girando intorno al bancone senza accorgersene e si ritrovò nel retrobottega. C’era una donna dai lunghi capelli neri, lì e lo sguardo di Albus fu calamitato da lei. Aveva un volto giovane e sereno, ma gli occhi sembravano sbagliati su di lei: erano neri e profondi, saggi come quelli di una vecchia e duri come quelli di un uomo. Imperscrutabili.
La donna gli sorrise quasi materna, nonostante la sua impostazione rigida, con la schiena dritta e le spalle aperte e gli indicò un tavolo con sopra una scacchiera.
    Albus si avvicinò e guardò: non ne aveva mai visto una scacchiera come quella: era più grande del normale, con molte più case, doveva avere quasi il doppio dei pezzi di tutte le scacchiere che aveva visto e con cui aveva giocato, e tutti i pezzi erano di vetro incolore. «Che cos’è?», chiese, sfiorando quella che sembrava una torre e subito tutti i pezzi disposti nella metà della scacchiera a cui la torre apparteneva si colorarono diventando rossi e bianchi, qualcuno era rosso con striature bianche, altri bianchi con striature rosse, alcuni erano metà di un colore e metà dell’altro, senza che uno avesse la stessa percentuale di rosso e di bianco di un altro. Albus tirò subito indietro la mano.
    «È la Scacchiera Incostante», rispose la donna, avvicinandosi fino a toccare un pezzo dalla parte opposta. Tutti gli scacchi della sua metà scacchiera divennero neri. «Ora possiamo giocare».
    Albus contò i pezzi schierati dal suo lato: erano ventotto. «Non ho mai visto una scacchiera con così tanti pezzi», disse, «come si gioca?».
    «Lentamente», rispose la donna, spostando la sedia sul proprio lato per accomodarsi. Sollevò una mano e cominciò ad indicare: «I rossi avanzano solo in coppia: se uno dei due è bloccato puoi muoverne uno solo, ma più si allontanano e più si colorano di bianco. I bianchi retrocedono. Quando un bianco retrocede, un nero avanza».
    «Cioè i neri avanzano solo quando i bianchi retrocedono?», chiese Albus, piuttosto confuso.
    «A volte i bianchi e i rossi diventano neri e vengono tolti dalla scacchiera».
    «Vuole dire che vengono mangiati?», chiese Albus, la cui confusione era destinata ad aumentare.
    «Possiamo dire così», convenne la donna.
    «E questi cosa sono?», chiese Albus, indicando una pedina dalla forma insolita. Ce n’erano due.
    «Quelle sono le Scale. Talvolta gli altri pezzi avanzano in coppia con loro».
    Albus guardò di nuovo la scacchiera. Cinquantasei pezzi, tre colori, Pedoni, Torri, Cavalli, Alfieri, Regina. Re e Scale. «Non avevo mai visto una scacchiera di questo tipo», disse continuando a guardarla.
    «Non ce ne sono molte», confermò la donna. Aveva una veste viola scuro e nero, mani sottili, dalle dita lunghe e affusolate e Albus sentì un brivido lungo la schiena nel guardarla. «Vuoi giocare?».
    «Non so giocare con così tanti pezzi».
    «Non è molto diverso dal giocare a scacchi magici, solo, ci vuole più tempo».
    Albus sorrise. «Studio a Hogwarts e tra poche ore dovrò tornare al castello. Se vuole fare una partita, può chiedere a mio cugino», Albus si volse a guardare verso il negozio, dove Louis e Martin parlavano ancora con Carabà. «Lui è molto più bravo di me».
    La donna scosse il capo e indicò un pedone rosso su cui stavano comparendo delle striature bianche. «La scacchiera ha scelto te».
    «Ma…», Albus guardò il pedone e si accigliò. «Perché cambia colore?».
    «Chi può dirlo», sorrise la donna. «Molte cose influenzano l’uomo: l’amore, la speranza, l’età, il dolore, la lontananza, il tradimento…».
    «Ma sono scacchi», contestò Albus.
    «Sono Scacchi Incostanti», lo corresse lei e indicò il Re e la Regina. «Anche loro stanno diventando bianchi».
    «Perché?», chiese di nuovo Albus, guardando i due pezzi più importanti, ormai quasi completamente color avorio.
    «Per scoprirlo devi giocare», insistette la sconosciuta. «Fai la tua mossa», lo incitò. «Apri la partita e prenditi il tempo che ti serve: ti manderò un gufo a Hogwarts per comunicarti la mia mossa e tu farai altrettanto».
    «Mi comunicherà anche i cambiamenti di colore?», chiese lui, intrigato da quel gioco.
    Lei sorrise, estrasse dalla manica una bacchetta lunga e sottile, priva di qualunque ornamento, di legno tanto scuro da sembrare nero, la agitò rapidamente e sul tavolo comparve una pergamena con disegnata la scacchiera. «Sai già come funziona, non è vero?», chiese lei e Albus si sentì a disagio.
    «I pezzi disegnati si spostano seguendo quelli sul tavoliere?», chiese guardingo.
    Lei annuì. «E così le sfumature di colore».
    Albus rifletté per qualche momento, poi mosse avanti un pedone. Il suo corrispettivo si spostò sul disegno e Albus piegò la pergamena, facendola scivolare in una tasca. «Come sa che so come funziona questa pergamena».
    «Ne vidi una molto simile, molto tempo fa, a Hogwarts», rispose lei, con un sorriso rassicurante.
    Albus non era convinto della sua risposta, ma c’era qualcosa, in lei, che lo attirava. Se avesse giocato quella partita, probabilmente, avrebbe capito di cosa si trattava. «A chi devo indirizzare la pergamena, quando avrò deciso la mia mossa?», chiese.
    «A Carabà».
    Albus voltò subito il capo in direzione del negozio, poi tornò a guardare la strega. «Io pensavo che fosse lui Carabà».
    «A volte un nome è solo un nome, altre volte è un titolo o una maschera. A volte è molte cose, altre volte nessuna».
    Albus si accigliò di nuovo: la risposta della strega sembrava un enigma. «Quanto tempo ho per decidere la mia mossa?».
    «Tutto quello che ti serve». La donna si alzò e gli fece segno di raggiungere i suoi amici. Un attimo dopo Martin lo chiamò.
    «Albus, andiamo?», chiamò il Corvonero e Albus salutò la donna con un cenno del capo, correndo fuori dal retrobottega. Prima di uscire, si volse per salutarla, ma lei non c’era più, come se non ci fosse mai stata. Albus raggiunse Martin e Louis e, insieme, si diressero ai Tre Manici di Scopa.


 
__________________

Nota:

Non ho mai imparato a giocare a scacchi, quindi non sarò in grado di raccontare una vera e propria partita, però, spulciando, ho trovato una storia interessante: gli scacchi come noi li conosciamo sarebbero l’evoluzione di un gioco chiamato chatarunga, nato tra il IV e il V secolo d.C., inventato (o perfezionato) da un ministro di nome Sassa.
Il chatarunga aveva 56 pezzi e ci sono tre storie sulla sua invenzione, che potete trovare qui: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/08/gli-scacchi-e-le-loro-origini-leggendarie/1146133/

Ve ne riporto una: nella prima storia il re indiano Kaid, sconfitti tutti i suoi nemici e riportata la pace nel regno, piombò nell’afflizione e nella noia. Per uscirne chiese aiuto al suo ministro Sassa, che gli parlò degli scacchi e lo invitò a provarli. Sassa, però, si rese conto che il gioco era troppo complicato, perciò lo semplificò, riducendo i pezzi in campo a 32. L’idea funzionò e, all’offerta di una ricompensa, Sassa rispose al re di non voler null’altro che un diram d’argento per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via fino alla sessantaquattresima. Kaid lo rimproverò per una così modesta pretesa, ma si dovette ricredere quando il tesoriere lo informò che tutti i diram del globo non sarebbero stati sufficienti ad accontentare Sassa: il sovrano avrebbe dovuto sborsarne 18 trilioni 446 biliardi 744 bilioni 73 miliardi 709 milioni 551mila 615 (18.446.744.073.709.551.615). Due gli epiloghi: in uno il re, colpito da tanta saggezza, offrì il regno all’alto dignitario, che però rifiutò; nell’altro, ritenutosi preso in giro da lui, lo fece mettere a morte.


• Prima di tutto, un avviso: molto probabilmente, la settimana prossima non aggiornerò. Spero di farcela per quella successiva, ma non vi posso promettere nulla, se non che non sparirò! Chi mi segue su FB già lo sa: da dieci giorni ho un braccio al collo e lunedì prossimo avrò il controllo. Con una mano sola non è propriamente facile scrivere, e il capitolo 8 è a metà.
Vi chiedo scusa, ma siate certi che preferirei di gran lunga stare bene -.-
La storia entra nel vivo con questo capitolo e spero che tutti ricordiate Carabà, altrimenti, ingannate l'attesa rileggendo Il fuso delle fate! ^^
E ora, un grazie a Uwetta e ai lettori silenziosi. Come sempre mi potete trovare su FB, Twitter e Ask, anche stavolta potrei starci un po' a rispondere. >.<

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Capitolo 8
*** Strategie di gioco ***


8
Strategie di gioco





La sorte era stata benevola con Grifondoro: quando erano stati sorteggiati gli abbinamenti per le partite del campionato scolastico di Quidditch, Grifondoro era finita nel secondo turno, contro Corvonero. La squadra rosso-oro aveva tirato un sospiro di sollievo: con tanti nuovi giocatori, aveva bisogno di un po’ più tempo del solito per trovare la giusta intesa e per provare gli schemi di gioco, individuare eventuali problemi e trovare delle soluzioni.
La prima partita del campionato si era tenuta due settimane prima: Serpeverde contro Tassorosso. Come previsto, Serpeverde aveva battuto Tassorosso.
    «Quindi, se vinceremo, dovremo giocare contro Serpeverde», sbuffò Roxanne, mentre pianificava gli allenamenti delle due settimane successive con la squadra. Avrebbero avuto più tempo, sì, ma il clima sarebbe stato impietoso: faceva freddo e aveva già nevicato un paio di volte. Prima della partita il tempo sarebbe peggiorato ancora e avrebbero dovuto giocare in condizioni tutt’altro che favorevoli. «James?», chiamò Roxanne, «James, sei con noi?».
    James alzò lo sguardo verso la cugina, mettendola a fuoco in quel momento. «Sì, scusa, mi ero distratto», rispose.
    Rose non lo perdeva di vista da quando erano tornati da Hogsmeade, vale a dire da una settimana. James era stato scostante e distratto, e Rose aveva iniziato a farlo notare ad Albus. Anche in quel momento gli diede una gomitata sul fianco.
    «Ai!», protestò Albus.
    «Non ti ho fatto male!», lo rimbeccò Rose e gli fece cenno di guardare James. Erano nella sala comune della loro Casa, la squadra di Quidditch si era ritagliata un angolo per discutere degli allenamenti, ma c’erano diversi Grifondoro che li ascoltavano. Albus guardò il fratello e si strinse nelle spalle. Aveva provato a parlargli, ma James non gli aveva detto nulla. Era da prima di Hogsmeade che era strano, ma nei primi giorni Rose non se ne era accorta. Albus, però, lo aveva visto stare sempre più in disparte e sospirare. Aveva preso l’abitudine di toccarsi le labbra e Albus aveva notato che ogni volta che lo faceva era come se fosse da un’altra parte.
    «Lascialo perdere», le disse. Anche lui era spesso distratto, ultimamente: ogni sera tirava fuori la pergamena e guardava insistentemente la scacchiera. In quei giorni la colorazione dei pezzi era cambiata anche se nessuno li aveva mossi, poi, una sera, il disegno era cambiato: un pedone si era spostato di lato. Il giorno successivo Carabà gli aveva mandato un gufo indicando la propria mossa. Albus non era ancora riuscito a decidere quale pezzo muovere. Avrebbe voluto chiedere consiglio a James ma, quando aveva provato a parlargli degli scacchi, lui gli aveva detto di non avere tempo. Allora aveva chiesto a Louis, che aveva osservato la scacchiera con grande curiosità, ma aveva finito col dire che era impossibile muovere due pezzi contemporaneamente e gli aveva suggerito di chiedere alla strega di inviargli le regole del gioco.
    Nemmeno quella sera decise la mossa da fare, ma si risolse a chiedere aiuto a Martin.
    Fu così che, il giorno successivo, quando si ritrovarono nel cortile, dopo pranzo, gli mostrò la pergamena. Anche Rose le diede un’occhiata: le piaceva giocare a scacchi magici, ma non era brava quanto il padre.
    «Devo aver letto da qualche parte di un gioco simile», disse Martin, osservando con attenzione il disegno, «una scacchiera con cinquantasei pezzi mmm», mugugnò, «però non ho idea di cosa significhino i colori e perché cambino». Che ne avesse già sentito parlare era, per Albus, già qualcosa. Probabilmente Martin si sarebbe chiuso in biblioteca a cercare un libro che parlasse di quel gioco, se fosse riuscito a coinvolgerlo abbastanza.
    Lily si alzò sulla punta dei piedi per guardare la pergamena. «Hai chiesto a James?», chiese, «Anche Lotus è molto bravo a scacchi magici».
    «Ma questi non sono scacchi magici», le rispose Albus, «sono Scacchi Incostanti», qualunque cosa volesse dire.
    Lily mise il broncio alla risposta brusca del fratello e Rose decise che era ora di cambiare argomento. «Io credo che James sia innamorato», disse a bruciapelo.
    Lily urlò e Albus e Martin la guardarono come se fosse un’estranea. «Di chi?», chiese Lily, gli occhi sgranati e un improvviso rossore a tingerle il viso.
    «Non ne sono sicura, ma a Hogsmeade l’ho visto parlare con Ausia Flint».
    «Cosa?», strillò Lily, scuotendo forte il capo. «No! No! No! Non è possibile!». I capelli le finirono davanti al viso e li tolse nervosamente con entrambe le mani.
    «L’hai solo visto parlare?», chiese Albus, «a Hogsmeade?».
    «L’ho visto mentre andavo ai Tre Manici di Scopa», disse Rose, «ho cercato di seguirlo, ma l’ho perso di vista dopo un po’, così sono andata a prendermi una burrobirra per scaldarmi, ma avete visto dove ero seduta. Guardavo fuori dalla finestra per vedervi arrivare, e ho visto James e Ausia. Lei aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto…».
    «In dormitorio ho sentito delle ragazze dire che Ausia piange quasi tutte le notti», bisbigliò Lily, attenta a non essere sentita da altri.
    Rose annuì e poi riprese: «Si sono fermati fuori, a parlare, poi sono entrati separatamente. Voi siete arrivati una decina di minuti dopo».
    «Questo non vuol dire che a James piaccia Ausia», commentò Martin, scettico e Albus annuì convinto.
    Rose scoccò loro un’occhiata infastidita, ma continuò a sostenere la propria teoria: «Io dico che è per questo che è sempre distratto. Molly mi ha detto che è stato sgridato dal professor Arsenic, l’altro giorno, perché non seguiva la lezione e poi le ha chiesto gli appunti perché non li aveva presi, e quando è seduto vicino alle finestre guarda sempre fuori…».
    «Starà pensando alla partita», suggerì Albus.
    «E pensa di baciare il boccino?», chiese Rose, esasperata dall’ottusità dei ragazzi, ma Lily, in quel momento, sgranò gli occhi nocciola e si portò una mano alle labbra. Rose annuì soddisfatta.
    «Allora è vero!», pigolò la ragazzina. Albus e Martin la guardarono senza capire, ma Lily e Rose si erano capite perfettamente. «Dovrò fare amicizia con Ausia!», piagnucolò.
    «Mi dispiace tanto, Lily», la compatì Rose, solidale con la cugina.
    Anche se Albus non credeva che suo fratello si fosse innamorato di Ausia Flint, cominciò ad osservarne il comportamento in presenza della ragazza.
    In Sala Grande, durante i pasti, lo sguardo di James vagava spesso dalle parti del tavolo di Serpeverde, ma Albus decise che, probabilmente, teneva d’occhio loro sorella. Quando, però, arrivò il giorno della partita e, al termine della colazione, lo vide correre per raggiungere Ausia all’uscita della sala, dovette ammettere che Lily non c’entrasse nulla. Rose gli diede un calcio sotto il tavolo e gli indicò la scena, come se lui non l’avesse già vista da sé. Ausia aveva fatto un passo indietro e aveva guardato verso il tavolo verde-argento come per assicurarsi che nessuno li stesse guardando.
    Albus avrebbe voluto avere delle Orecchie Oblunghe per sapere cosa si stavano dicendo, ma di qualunque cosa stessero parlando, la conversazione fu piuttosto breve. James dava le spalle alla sala, quindi Albus non avrebbe saputo dire quale fosse l’espressione del fratello, ma quella di Ausia rivelò subito fastidio e rabbia. Dal modo in cui le spalle di James si accasciarono e il mento di Ausia si alzò, Albus trasse la medesima conclusione a cui diede voce Rose: «Dubito che lei ricambi».
    Un’ora più tardi, tutti gli studenti erano seduti sulle gradinate intorno al campo da Quidditch. Era una giornata fredda e grigia e Albus sentì Louis commentare che non avrebbe voluto trovarsi su una scopa con quell’aria tagliente per nulla al mondo. Il cugino si era seduto nella fila davanti a loro, occupando tre posti accanto a sé. Anche Albus aveva tenuto occupati altri due posti e guardò verso le uscite in cerca di Rose e Martin. Quando li vide, alzò una mano perché si dirigessero verso di lui.
    «Allora», disse Martin mentre prendeva posto accanto a lui, «vediamo questa scacchiera».
    Albus annuì e prese dalla tasca la pergamena. «Devo decidermi a fare una mossa», disse mentre la distendeva a fatica, a causa dei guanti.
    «Per queste cose ci vuole tempo. Te l’ha detto anche lei di fare con calma, no?», ribatté Martin e Albus sbuffò, perché sì, gli aveva detto di prendersi tutto il tempo necessario, ma gli sembrava di stare abusando della sua pazienza.
    «Se i pezzi non possono scavalcare altri pezzi, puoi muovere soltanto un altro pedone», disse Martin.
    «Sì, ma quale?».
    Martin guardò di nuovo il disegno. «Non credo faccia molta differenza. Se non ti allarghi come ha fatto lei non avrai spazio per muovere nessun pezzo. Per ora puoi solo andare avanti».
    Albus non era particolarmente convinto, ma aveva seguito il consiglio di Louis e aveva mandato una lettera a Carabà chiedendole dove potesse trovare le regole complete del gioco, ma lei gli aveva risposto che non c’erano altre regole oltre a quelle che gli aveva già detto: i rossi avanzavano in coppia, i bianchi retrocedevano. Al retrocedere di un bianco corrispondeva l’avanzare di un nero.
    «Il pedone che ho mosso in avanti è bianco, quindi forse posso spostarlo indietro», ipotizzò Albus.
    Martin si grattò il mento, intanto le squadre di Grifondoro e Corvonero si erano schierate in campo e stavano salendo in groppa alle loro scope. «Sì, ma così faresti avanzare un nero», rispose.
    «Non dovresti essere coi tuoi compagni di Casa, tu?», chiese la voce di Lily, facendoli sobbalzare. Albus e Martin alzarono su di lei lo sguardo: la piccola di casa Potter li salutò con la mano e si sedette nella fila davanti a loro, tra Lotus e Scorpius.
    «Cos’è quello?», chiese Scorpius, giratosi verso di loro. Anche Lotus si girò a guardare.
    «Stiamo cercando di capire come si gioca a Scacchi Incostanti», rispose Albus.
    «Cosa sono?», chiese Scorpius, ma prima che Albus potesse rispondere, Lily gli aveva strappato di mano la pergamena.
    «Basta con questi scacchi!». Lotus si volse in avanti e si sporse a dire qualcosa all’orecchio di Louis. «Sono venuta qui per vedere James giocare a Quidditch e qualunque sia l’esito della partita, Martin, oggi questo non è il tuo posto!», disse con un tono che ricordava un po’ troppo quello di Ausia.
    Scorpius si mise a ridere, ma Albus si accigliò. «Chi sei tu? Dov’è mia sorella?», chiese mentre riprendeva la pergamena e la rimetteva in tasca. Anche Lily si mise a ridacchiare, ma forse non aveva tutti i torti: era una partita tra Grifonfondoro e Corvonero, e Martin avrebbe fatto meglio a tornare sugli spalti della sua squadra.
    Mentre Albus e i suoi amici stavano ancora battibeccando, la partita cominciò. Corvonero prese subito il controllo della Pluffa e Cordelia Rosewood rischiò di cadere dalla scopa per evitare un Bolide che le sfiorò un ginocchio. Louis saltò in piedi e si risedette solo quando la Cacciatrice riprese quota, facendo segno con una mano che stava bene. Sembrò che tutti i Grifondoro tirassero un sospiro di sollievo nello stesso momento.
    Anche Benedict Tinbridge aveva qualche problema: i battitori di Corvonero sembravano aver colto qualche sua incertezza in volo. Roxanne gridava ordini che da terra non si capivano, ma la sua voce portava via dall’aria arrivava sino agli spalti. Sembrava che i Grifondoro non riuscissero a coordinarsi seguendo gli schemi di gioco che avevano provato dozzine di volte nelle ultime settimane.
    All’improvviso lo speaker gridò che il cercatore Corvonero aveva avvistato il Boccino e un brivido passò tra la folla. Albus lo sentì distintamente mentre alzava gli occhi in cerca di James e lo vide appiattirsi sul manico della sua scopa per volare più veloce ce mai all’inseguimento del giocatore avversario.
    James raggiunse il cercatore Corvonero e iniziò a placcarlo più vicino di quanto avesse mai fatto, tanto che l’altro si scostò bruscamente per evitare la collisione. Il volo di James era più sicuro e temerario di quanto non fosse mai stato, tanto che l’avversario cominciò a cercare di distanziarlo più di quanto cercasse di raggiungere il Boccino.
    Quando James si distanziò dall’altro cercatore con un avvitamento improvviso qualcuno gridò. Per un attimo era parso che James stesse cadendo, ma non era così, sterzò bruscamente e impennò la scopa passando vicino a Tinbridge, facendolo spostare bruscamente, poi gridò qualcosa alla Rosewood e in meno che non si dicesse sembrava che la squadra avesse ritrovato l’assetto di gioco. Intanto il Boccino era ricomparso e James si allontanò dal centrocampo andando al suo inseguimento.
    «Ma cosa fa?», pigolò Lily.
    «Sembra quasi…», Scorpius esitò, «di vedere Augustus».
    Albus non riusciva a staccare gli occhi dal cielo: quel modo aggressivo di volare sembrava proprio quello di Augustus Flint. James non volava mai così, e sembrava che anche gli altri avessero notato il cambiamento. Si chiese se, per caso, James non lo stesse facendo per impressionare Ausia e guardò rapidamente verso il settore occupato da Serpeverde, ma non c’erano tracce della ragazza. Ausia non era andata a guardare la partita.
    Albus tornò a guardare in alto, ma gli faceva male il cuore al pensiero che il fratello stesse giocando a quel modo per la ragazza, anche se dovette ammettere che James stava volando bene, forse anche meglio del solito. Poteva sembrare pericoloso, ma Albus sentiva che James sapeva cosa stava facendo, a differenza sua, che non riusciva nemmeno a decidere come muovere un pedone su una scacchiera.

 
_______________________

Eccomi di nuovo qui! Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che spero che vi piaccia.
Il prossimo capitolo, non arrabbiatevi >.<, arriverà tra due settimane: tra pochi giorni scadrà un contest a cui sono iscritta, quindi la prossima settimana pubblicherò una piccola OS (forse la pubblicherò con qualche giorno d'anticipo, ma la segnalerò comunque sulla mia pagina FB lunedì).
All'incirca un paio disettimane fa avevo annunciato che sarei stata impegnata nella stesura di tre OS, una è quella in arrivo per il contest. Purtroppo sono riuscita a scriverne soltanto due. La scadenza per la consegna della terza è tra quattro giorni e non ce la farò a consegnarla. Con un po' di fortuna ci saranno altre occasioni.
Per ora, ringrazio chi segue questa storia, in particolare
uwetta e come al solito, vi aspetto sulle mie pagine. ^^
 

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Capitolo 9
*** L'ultimo Natale in famiglia ***


9
L’ultimo Natale in famiglia




L’antivigilia di Natale, l’espresso da Hogwarts arrivò alla stazione di King’s Cross, restituendo alle famiglie decine di giovani maghi. Il chiacchiericcio e l’entusiasmo erano gli stessi che, il primo Settembre, avevano accompagnato la partenza di quegli stessi ragazzi per la scuola.
    Albus e James avevano passato gli ultimi due Natali a scuola, ma quell’anno, con anche Lily a Hogwarts, avevano pensato che i loro genitori avrebbero sentito troppo la loro mancanza, se non fossero tornati a casa per le vacanze, e Lily, in particolare, che non vedeva l’ora di essere di nuovo a casa, si era appostata davanti alla porta del vagone prima che il treno facesse l’ultima curva per entrare in stazione, lasciando ai fratelli il proprio baule.
Le vacanze di Natale erano arrivate in men che non si dica, tra l’arrivo della neve e le verifiche di fine trimestre iniziate quando ancora l’argomento principale degli studenti era la partita di Quidditch tra Grifondoro e Corvonero.
    Quando Lily si gettò strillando tra le braccia del padre, mentre Albus le seguiva trascinando il proprio baule e James arrancava dietro di loro cercando di trascinarne due, non c’era nessuno che non avesse sentito parlare di come James avesse volato durante quella partita, di come avesse preso le redini della squadra al posto di Roxanne e che non avesse menzionato almeno una volta Augustus Flint per fare un paragone o per chiedere chi fosse.
    «Ho sentito che hai giocato alla grande», disse Harry Potter quando abbracciò il maggiore dei suoi figli, poi prese il baule della figlia e guidò i ragazzi verso l’uscita della stazione.
    «È stato incredibile!», cinguettò Lily, rispondendo al posto di James. La compostezza che aveva cercato di tenere a scuola era già stata soppiantata da una spontanea vivacità.
    La partita era durata settantaquattro minuti e James aveva preso il boccino ma, sulle prime, c’era stato più entusiasmo tra i Serpeverde che tra i Grifondoro: gli studenti sembravano turbati, in particolare i compagni di casa di James che avevano creduto di conoscere il ragazzo e che lo avevano visto volare come l’ex capitano di Serpeverde, che avevano sempre disprezzato per i numerosi falli e per il modo di volare pericoloso e aggressivo. James non aveva commesso falli e, a ben guardare, il suo gioco era stato entusiasmante, il suo volo aveva calamitato gli sguardi, eppure non si poteva fare a meno di chiedersi cosa l’avesse spinto a giocare in quel modo.
    La teoria di Rose sul fatto che James fosse innamorato di Ausia aveva convinto Lily, ma Albus continuava ad avere qualche riserva. Inoltre, il suo cruccio più grande era di non aver ancora spedito a Carabà la propria mossa. «Dov’è mamma?», chiese all’improvviso, come se avesse notato solo mentre il padre infilava i bauli nell’auto l’assenza della madre.
    Harry Potter si grattò la fronte e stiracchiò le labbra in un sorriso. «Vi aspetta a casa. Voleva prepararvi una cena degna di Hogwarts».
    Lily strillò e saltellò contenta, mentre James sghignazzò all’idea della madre ai fornelli, ma salirono in auto e trascorsero il viaggio raccontando al padre quello che era successo in quei mesi. Albus sapeva che, una volta a casa, avrebbe dovuto riascoltare per l’ennesima volta il resoconto della partita del fratello e, sospirando, cominciò a guardare fuori dal finestrino.
    Quando arrivarono a Godric’s Hollow era ormai buio pesto, Lily si era addormentata sul sedile davanti, ma appena la macchina si era fermata nel vialetto di casa, era saltata giù come una molla. La porta si aprì e Ginevra Potter spalancò le braccia per accogliere i suoi ragazzi. Il profumino che veniva dalla cucina faceva sospettare l’intervento di nonna Molly e la cena fu allegra, piena di chiacchiere e di entusiasmo.
    Nel salotto li aspettavano un abete la cui punta toccava quasi il soffitto, e uno scatolone colmo di palline e fili dorati. «Abbiamo aspettato voi per addobbarlo», disse Ginny.
    «Vuoi dire per schiavizzarci», borbottò James, ma Lily sembrava entusiasta all’idea di decorare l’albero di Natale tanto quando sembrava stanca.
    «Lo farete domani», intervenne Harry, facendo levitare i bauli su per le scale, «adesso tutti a dormire». L’indomani sarebbe stata una giornata lunga.
    
Il Natale era una di quelle occasioni in cui l’intera famiglia Weasley si riuniva alla Tana. Era una festa chiassosa e felice, colorata e piena di cibo. Quando erano piccoli, il rito dello scambio dei doni durava ore e i regali erano sempre meravigliosi, ma addobbare l’albero in salotto era qualcosa che riguardava unicamente la loro famiglia: loro padre li prendeva a turno sulle spalle perché potessero mettere le palline sui rami più alti e loro madre usava la magia per accendere mille piccole luci artificiali. Non erano come le fate che illuminavano gli abeti nella Sala Grande di Hogwarts, ma quando i loro vicini Babbani venivano per lo scambio degli auguri non destavano alcuna sorpresa.
    Quell’anno, James, Albus e Lily furono lasciati soli ad addobbare l’albero di Natale: loro madre era uscita per delle commissioni e loro padre aveva ricevuto una chiamata urgente dal Ministero. Lily aveva messo il broncio, ma James le aveva promesso che avrebbe messo lei la decorazione più importante: il puntale, e Albus era persino riuscito a dimenticare la partita a scacchi. Avevano fatto a gara su chi sarebbe riuscito a mettere il maggior numero di addobbi e Lily era salita su una sedia per mettere il puntale sulla cima, lamentandosi che fosse rosso e dorato, come il resto delle decorazioni. Piagnucolò e pestò i piedi fino a quando James non si arrese e, presa la bacchetta, cambiò il rosso in verde e l’oro in argento.
    «Così non si distingue dall’albero», si era lamentato Albus, ma Lily si era limitata a fulminarlo con lo sguardo e sollevare il mento con aria di sufficienza. Poi se ne era andata via camminando sulle punte dei piedi per sembrare più alta.
    La signora Potter rientrò dopo il tramonto, in tempo per andare con loro alla Tana, ma quando presero la Metropolvere per andare dai nonni, il signor Potter non era ancora rincasato. In passato, Albus aveva notato i segni della preoccupazione sul volto di loro madre, quando loro padre non tornava a casa al termine dell’orario di lavoro, quella sera, invece, gli parve che la donna fosse solo irritata.
    Loro padre arrivò alla Tana poco prima di cena, scusandosi per il ritardo. La casa dei nonni era calda, rumorosa e affollata e nonno Arthur, che non lavorava più al Ministero, lo prese subito da parte per sapere cosa fosse successo. La tavola era stata preparata con tovaglie diverse accostate e piatti spaiati e le sedie erano tanto vicine da sembrare incastrate. Nonna Molly aveva cominciato a cucinare giorni prima e le zie avevano portato i loro piatti migliori, col risultato che la cucina era stipata di cibo che, l’indomani si sarebbero scambiati e che avrebbe riempito le dispense per giorni.
    «Allora, ho sentito che hai giocato una splendida partita», disse zio Ron a James, non appena lo vide. Albus prese le distanze: non ne poteva più di sentire la stessa storia e probabilmente lo era anche Roxanne che, dalla partita, non aveva più parlato molto di Quidditch. Come capitano era stata poco incisiva, senza contare che non doveva aver apprezzato lo stile di volo di James.
    Lily si era appartata con Rose, Lucy e Molly, come se non le avesse viste per chissà quanto tempo, mentre Victoire e Ted erano stati sequestrati da zio Percy che, al solito, aveva le sue rimostranze sulle scelte che i membri più giovani e inesperti della famiglia avevano fatto quando avrebbero potuto avvalersi prima del suo consiglio. Louis e Fred si erano seduti su un gradino della scala che portava ai piani superiori e sembravano molto assorti dalla loro conversazione, così Albus si guardò attorno, notando che il padre non era più nella sala. Sbirciò in cucina, dove zia Fleur e zia Audrey ridacchiavano lontane dai mariti, e bussò alla porta del bagno riconoscendo la voce di zio Charlie che diceva “occupato”. Sua madre chiacchierava con zia Angelina e sembrava molto più rilassata di quanto non fosse stata prima della loro partenza.
    Sbuffò chiedendosi dove fosse andato suo padre, quando uno spiffero freddo gli fece notare che la porta d’ingresso era socchiusa. Stava nevicando e all’aperto si gelava. Si accostò per chiudere, ma scorse suo padre e zia Hermione che si stringevano nei mantelli a pochi passi di distanza.
    «… Non qui, Hermione. Non adesso. Non voglio rovinare il Natale a nessuno», sentì dire a suo padre con voce grave.
    «Sì, hai ragione», rispose la madre di Rose, «ne parleremo quando i ragazzi saranno tornati a scuola».
    «Albus! Che stai facendo?», chiamò nonno Arthur, e Albus si allontanò dalla porta, prima che suo padre potesse accorgersi che stava origliando.
    «A tavola!», ordinò nonna Molly in quel momento, avanzando con la bacchetta spianata mentre pentole e tegami fluttuavano davanti a lei.
    La cena continuò fino a mezzanotte, quando arrivò il momento di scartare i regali. Lily e Hugo si erano addormentati sul divano già da un’ora, ma vennero svegliati perché “aprire i regali la mattina di Natale è da bambini”, aveva sentenziato Lily poco dopo che si erano seduti a tavola. Albus registrò distrattamente che i suoi genitori non si erano scambiati una sola parola per tutta la durate della cena.
    Lasciare la Tana con la Metropolvere richiese tempo, tanto che anche Albus cominciò a sbadigliare. Non vedeva l’ora di tornare a casa e, non appena ci arrivò, salì lentamente le scale. Come toccò il cuscino si addormentò come un sasso.

Quando Albus si svegliò doveva essere mattina inoltrata, ma la casa era silenziosa come se ancora tutti dormissero. Guardando fuori dalla finestra, vide che non nevicava più: era una bella e gelida giornata con la neve dorata dal sole e il cielo terso come può esserlo sono in inverno. Si stiracchiò sotto le coperte e dopo un paio di minuti si alzò.
    Le porte delle camere erano chiuse, da dietro quella di James si sentiva un leggero russare che lo fece sorridere mentre andava in bagno. L’orologio della cucina batté l’ora e Albus contò i rintocchi: dieci. Non dormiva così tanto da quando era piccolo.
    Anche se non aveva fame dopo la cena della sera prima, decise di scendere, magari avrebbe potuto bere del succo di zucca e sfogliare il giornale del giorno prima. Quando arrivò in salotto, però, sentì un rumore. C’era qualcuno che russava sul divano e Albus si bloccò, rimpiangendo di aver lasciato la propria bacchetta in camera.
    Girò intorno al divano e trattenne il fiato: suo padre dormiva lì, gli occhiali storti sul naso e una coperta pesante caduta a terra per metà. «Papà?», chiamò piano, prima di avvicinarsi.
«Papà?», chiamò ancora, con voce un po’ più alta.
    Harry Potter arricciò il naso e sbadigliò, abbracciandosi nel sonno come a stringersi meglio addosso la coperta, ma un momento dopo i suoi occhi si aprirono, annebbiati dal sonno e angosciati.
«Albus?», chiamò piano, mettendosi a sedere. Aveva i capelli scompigliati e lo stampo del cuscino su una guancia. «Che ci fai qui?».
    «Sono le dieci», rispose Albus e Harry Potter si passò una mano sul viso e si raddrizzò gli occhiali con aria pensierosa. «Perché hai dormito sul divano?», chiese ma, in qualche modo, gli sembrava di conoscere già la risposta.
    «Ehm…», farfugliò suo padre, «è un po’ complicato», disse, tenendo gli occhi bassi mentre si stropicciava le mani.
    «Tu e la mamma avete litigato?», chiese Albus. Suo padre sospirò e lo guardò in faccia. Albus si accorse della sua aria sciupata, della barba che aveva un giorno di troppo e delle occhiaie sotto gli occhi.
    «Sarebbe meglio aspettare anche James e Lily per parlarne», rispose suo padre, ma Albus continuò a fissarlo, aspettando di sapere.
    Alla fine le spalle di suo padre si afflosciarono. «Mamma e io ci stiamo separando», gli disse.
    Albus non rimase sorpreso. Non gli sembrò nemmeno di restarci male. Annuì in silenzio mentre suo padre allungava una mano per accarezzargli il viso e Albus gli si buttò tra le braccia. Suo padre lo strinse e gli baciò la fronte.
    «Prepariamo la colazione per gli altri, ti va?», gli chiese suo padre, e Albus annuì.
    Probabilmente, i loro genitori avrebbero atteso dopo colazione per dare loro la notizia.

 
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Per primissima cosa: buon compleanno, Ladyriddle! ^^
La nostra Lady ha annunciato su FB il suo ritorno, domani, quindi aspettatevi il nuovo capitolo di "Vaiolo di Drago" e, se ancora non lo fate, seguitela su FB! ^^

Ora veniamo a noi! Aspettavo da un po' di scrivere questo capitolo e spero che vi sia piaciuto. Da qui o, meglio, dal prossimo capitolo, inizierà uno spin-off che mi porterà ad aggiornare alternativamente le due storie, anche se non in modo costante: lo spin-off avrà delle tappe precise che coincideranno con la storia principale, ma poi proseguirà come storia indipendente, così sarete liberi di leggerla o meno,  avostro piacimento.
Se vi state chiedendo che cavolo sto facendo, ricordate che questa storia fa parte di una seria intitolata "Imago mundi" e ogni diramazione era prevista da tempo... anche se ci sto mettendo più di quanto pensassi. >.<
Come sempre, ringrazio tutti i lettori silenziosi (guardate che se vi fate vivi non mi offendo mica! >.<) e uwetta, che invece commenta ogni capitolo. Grazie!
Alla settimana prossima, salvo imprevisti, col decimo capitolo di #LaScacchieraIncostante! ^^

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Capitolo 10
*** La vita va avanti comunque ***


 10
La vita va avanti comunque





Lily aveva pianto fino allo sfinimento e James si era chiuso in camera sbattendo la porta. Albus era rimasto seduto sul divano, davanti ai genitori, in silenzio. Suo padre sembrava distrutto, sua madre a disagio.
    “Abbiamo voluto aspettare fino a questo momento perché, per voi, fosse meno traumatico. Ora siete tutti e tre a scuola e…”, aveva iniziato loro padre.
    “Da quant’è che fate finta?”, aveva sbottato James, interrompendolo. Harry Potter si era stropicciato le mani, tenendo lo sguardo basso. Gli occhiali gli erano scivolati un po’ sul naso.
    “Da circa un anno”, aveva detto con un filo di voce.
    “Abbiamo aspettato che anche Lily iniziasse la scuola”, aveva spiegato loro madre, più decisa. Era stato in quel momento che Lily aveva cominciato a singhiozzare.
    “Per voi cambierà poco”, aveva cercato di tranquillizzarli loro padre, “starete a Hogwarts e durante le vacanze potrete venirmi a trovare…”.
    “Venirti a trovare dove?”, aveva chiesto Albus.
    Harry Potter aveva deglutito il magone e stirato le labbra in un sorriso falso come l’oro dei Lepricauni. “Mamma resterà qui e voi starete con lei, ma potrete venire da me a Grimmauld Place…”.
    “In quella topaia?”, aveva trasecolato James.
    “Non è più una topaia. Ci ho lavorato in questi ultimi mesi…”… era tutto vero, allora. I loro genitori si stavano separando e loro non potevano fare nulla per cambiare le cose.
    Lily si era buttata tra le braccia del padre, poi James aveva fatto la domanda che aveva fatto precipitare la situazione: «Vi state vedendo con qualcun altro?».
    Albus ricordava di aver sgranato gli occhi: nemmeno ora che sapeva, poteva immaginare qualcun altro accanto ai suoi genitori. Loro padre aveva assunto l’aria di un cane bastonato e allora avevano capito: loro madre aveva un altro.
    “Ne parleremo un’altra volta”, aveva tentato di svicolare Ginevra Potter, alzandosi dalla poltrona, ma James aveva insistito. Loro madre aveva trattenuto uno sbuffo. «Sì. Sto frequentando un altro uomo già da un po’. È per questo che sto lasciando vostro padre”, aveva detto schietta.
    Il resto delle vacanze era stato un disastro e Albus era contento di tornare a Hogwarts.
    Accolse con sollievo il fischio del treno. Martin era rimasto a scuola, come al solito, e Lily aveva trascinato Rose nello scompartimento di Scorpius e Lotus. Lui e James erano rimasti in silenzio per quasi tutto il viaggio, ma intorno a loro c’era il via vai degli studenti. Il treno era affollato quasi quanto lo era a settembre, ma l’aria cupa di James teneva gli altri fuori dal loro scompartimento. Albus quasi sobbalzò quando sentì la porta aprirsi e Roxanne si affacciò.
    «Posso parlarti, James?», chiese la ragazza. Aveva un tono di voce teso.
    James annuì e Roxanne entrò. «Devo lasciarvi soli?», chiese Albus.
    «No, rimani pure», gli sorrise Roxanne. «Vorrei solo… ecco…», sospirò, «vorrei solo dirti che se abbiamo vinto la partita, il mese scorso, è stato solo merito tuo».
    James parve un po’ imbarazzato, ma annuì. Albus si chiese per quanto, ancora, avrebbe dovuto sentir parlare di quella partita.
    «Mamma mi ha insegnato che essere un buon capitano significa anche riconoscere i meriti dei propri compagni di squadra e chiedere il loro aiuto per migliorare il rendimento generale». Fece una pausa, Albus non pensava di averla mai vista così in imbarazzo. «Senti, Jamens, a me non è piaciuto il tuo modo di volare: qualcuno avrebbe potuto farsi male…».
    «Sapevo cosa stavo facendo», la interruppe James.
    «Tu sì, ma gli altri no», ribatté Roxanne con decisione. «Quel modo di giocare può andare bene ad un certo livello, ma in una squadra studentesca non sono tutti così abili». James annuì. «Inoltre, in allenamento non avevi mai fatto nulla del genere. Ci hai presi alla sprovvista».
    James annuì di nuovo, poi disse: «Adesso la sapete».
    Fu il turno di Roxanne di annuire. Si passò la punta della lingua sulle labbra scure e poi aggiunse: «A parte questo, però, il modo in cui sei riuscito a spronare la Rosewood e a farti seguire da Tinbridge, ecco… avrei dovuto farlo io. Voglio dire, è a questo che serve un capitano».
    Albus e James la stavano ascoltando con attenzione adesso. «Per quest’anno farò del mio meglio per rafforzare la squadra e ti sarei grata se volessi aiutarmi, ma l’anno prossimo, se il professor Serendip vorrà confermarmi come capitano, ecco, io… rifiuterò…».
    «Aspetta…», provò ad interromperla James, ma Roxanne continuò.
    «… e gli dirò che dovresti essere tu il nuovo capitano del Grifondoro». A quel punto Roxanne fece un profondo sospirò e poi sorrise. «Non sai che sollievo essere riuscita a dirlo!», rise.
    James la guardava a bocca aperta. «Io… non so cosa dire…».
    «Non dire niente», Roxanne si alzò, «fare il capitano è una rogna, l’anno prossimo mi pregherai di riprendermi la carica!». Roxanne rise e se ne andò mentre James era ancora incredulo.
    Albus era contento per lui e gli diede un calcio leggero, tanto per fargli chiudere la bocca. James lo colpì allo stesso modo e si sorrisero. Era il primo sorriso sincero da quando avevano saputo che la loro famiglia stava andando in pezzi.

Quando scesero dalle carrozze trainate dai Testral, gli studenti si riversarono in Sala Grande. Era quasi ora di cena, ma quel giorno avrebbero mangiato un po’ prima, così da poter riposare dopo il viaggio ed essere pronti per l’inizio delle lezioni, il giorno successivo.
    Davanti alla porta del castello, Martin attendeva gli amici con un gran sorriso sulle labbra. «Ehi!», li chiamò appena li vide, «Come sono andate le vacanze?». Martin era all’oscuro di tutto: non gli avevano scritto in quelle due settimane. Non c’era ragione per rovinare il Natale anche a lui, le brutte notizie potevano aspettare.
    «Ne parliamo domani, ti dispiace?», rispose Albus, cercando di non apparire funereo.
    «Qualcosa non va?», chiese Martin, subito preoccupato, ma James scosse il capo e Albus ripeté: «Domani».
    La Sala Grande era stata addobbata a festa. I grandi abeti natalizi erano scomparsi, ma le fate erano rimaste e adornavano le volte della sala. Erano stati appesi gli stendardi della quattro Case e sui tavoli c’erano mazzolini di piccoli fiori bianchi. Albus sentì Gwen chiamarli “bucaneve”.     Probabilmente perché non era dell’umore giusto, ma lui non condivideva l’entusiasmo della ragazza per quei fiori. Prese posto al tavolo col fratello e gli amici e si guardò attorno cercando di capire cosa stesse capitando.
    Al tavolo degli insegnanti, la preside McGranitt si alzò, avvicinandosi al leggio. Le voci degli studenti si zittirono subito. «Bentornati», esordì l’anziana strega. «Come avrete capito, oggi non è un giorno come gli altri. Questa sera saluteremo Madama Chips, che ci lascia per tornare a casa propria. Madama Chips ha prestato servizio a Hogwarts per così tanti anni che non probabilmente non c’è un solo mago in Inghilterra che non sia stato curato da lei…», nella Sala Grande si sentirono diverse risate, «Poppy Chips è una cara amica, un membro della nostra famiglia e noi tutti ne sentiremo la mancanza», continuò la McGranitt, «ci mancherà, Madama Chips». La preside si scostò, iniziando ad applaudire e gli studenti la seguirono in uno scroscio di applausi.
    L’anziana infermiera aveva le lacrime agli occhi, ma sorrideva. Hagrid soffiò il naso nell’enorme fazzoletto a scacchi bianchi e rossi e anche altri insegnanti avevano lo sguardo lucido. Poi la McGranitt ricominciò a parlare: «La gestione dell’Infermeria, da oggi viene presa dalla signora Paciok, tuttavia, vi devo avvisare che la signora Paciok non risiederà al castello, anche se, in caso di necessità. Questo significa che l’assunzione volontaria di certi prodotti che sono certa tutti conosciate o l’uso di fatture su altri studenti dopo il termine delle lezioni pomeridiane verrà punito con un turno di lavoro come aiutanti di Mastro Gazza». Dal fondo della sala si sentì un colpo di  tosse che fece sobbalzare alcuni studenti. «E ora, buon appetito», concluse la McGranitt. Batté le mani e i piatti d’oro si riempirono di pietanze gustose, ma leggere, l’ideale dopo i bagordi natalizi.
    Ci fu un altro applauso e delle voci si alzarono gridando “Viva Madama Chips”. Prima di ritirarsi nei propri dormitori, alcuni studenti vollero andare a salutarla. Tra loro c’era anche James. Albus notò che il fratello era stranamente impettito. Le tese la mano e la ringraziò “per tutto”, tenendo gli occhi bassi.
    Quando si fu steso a letto, Albus sentì di essere molto più stanco di quando aveva creduto. Era contento di essere di nuovo a scuola, anche se si chiedeva cosa stessero facendo i suoi genitori. Per la prima volta, dopo quasi due settimane, prese la pergamena su cui era disegnata la scacchiera e la guardò con attenzione. Notò che il Re, che in precedenza erano stato striato di rosso, era diventato completamente bianco e si disse che non avrebbe mai imparato a giocare fino a quando non avesse cominciato. Probabilmente avrebbe sbagliato e avrebbe perso qualche pezzo, ma l’alternativa era rinunciare a giocare e, a quel punto, era troppo tardi per tirarsi indietro.
    Ripiegò la pergamena e la mise sotto il cuscino, dicendosi che, a qualunque costo, il giorno successivo avrebbe mandato la propria mossa a Carabà e si sarebbe scusato per averla fatta attendere così tanto. Chiuse gli occhi e si addormentò con in mente la mossa da fare.

 
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Note:
♦ Bucaneve: il bucaneve è un piccolo fiore bianco noto anche come “fiore di febbraio”, ma dato il riscaldamento globale, ormai lo si vede fiorito già a gennaio. È ritenuto simbolo di speranza e consolazione, di passaggio dal dolore a un nuovo inizio, ma nel linguaggio dei fiori è ambivalente: simpatia, ottimismo e virtù, ma anche ambiguità, cattivo auspicio, separazione da una persona amata, presagio di morte in quanto pianta erbacea piuttosto bassa, che quindi fiorisce vicino al terreno. Inoltre il fiore a forma di campanula si rivolge al terreno, e sboccia in un momento di transizione tra due stagioni.


Su questo capitolo si innesta lo spin-off. Troverete il primo capitolo la settimana prossima, col titolo "Niente è come prima". Ovviamente potete fare a meno di leggerlo in quanto non coinvolge Albus e compagni in modo diretto, ma se siete curiosi di sapere cosa volessero dirsi Harry e Hermione, fuori dalla porta della Tana, potreste trovare lì qualche risposta. ^^
L'aggiornamento non sarà regolare in quanto alomeno i primi capitoli dovranno coincidere con alcuni accadimenti de "La Scacchiera Incostante", ma vi avvertirò ogni volta che aggiungerò un capitolo qui, anche perché salterò l'aggiornamento settimanale qui.  ^^' Sì, avete capito bene: la settimana prossima Albus lascerà il posto al padre, per tornare tra quindici giorni col capitolo 11.
A presto e grazie a tutti per leggere e a
uwetta e megumi_1 per aver commentato. ^^ (Vi pregherei di notare che Megumi ha commentato ed è tuttora viva e gode di ottima salute u.u).
Vi aspetto sulla mia pagina FB, su Twitter e su Ask! ^^
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Gli incidenti succedono ***


11
Gli incidenti succedono





Albus si svegliò presto. Senza fare rumore uscì dalla stanza che divideva coi suoi compagni e scese in Sala Comune. Prese dallo zaino piuma e pergamena e scrisse la propria mossa.
Probabilmente Martin aveva ragione: far arretrare il pedone che aveva spostato in avanti era rischioso, ma sbagliare era normale, nel processo di apprendimento, e lui non avrebbe mai imparato a giocare se non si fosse mosso.
Qualcuno avrebbe potuto obiettare che riportare al punto di partenza il solo pedone che avesse mosso fino a quel momento non era “muoversi”, ma questa mossa gli avrebbe permesso di studiare  quella di Carabà.
    Quando ebbe finito, lasciò la torre di Grifondoro per raggiungere la guferia. Faceva freddo e i gradini più in alto della torre erano scivolosi per il gelo, oltre alla consueta cacca dei gufi.
La maggior parte degli uccelli lo ignorò, probabilmente a causa dell’ora, ma Albus non si arrese. «Ehm… devo inviare una lettera», si sentiva stupido a parlare a degli uccelli, «è un viaggio breve, fino a Hogsmeade». Ancora niente. «Devo mandare un messaggio a Carabà. Ci siete già stati…».
    Era sicuro che un vecchio gufo avesse chiuso gli occhi appena aveva nominato Carabà e che non fosse l’unico a fingere di dormire. «Chi consegnerà la lettera mangerà cibo per gufi di ottima qualità al suo ritorno». Sembrò funzionare: un giovane gufo saltellò fino a lui e gli porse la zampa. «Grazie». Il gufo partì e Albus rimase a guardarlo sparire tra le nuvole grigie che coprivano il cielo. Hogsmade era un puntino bianco sepolto dalla neve e dal ghiaccio, persino il lago era in parte ghiacciato.
    Facendo attenzione a non scivolare, tornò dentro al castello. Era intirizzito fino alle ossa e le uniche presenze che incontrò furono i fantasmi che si aggiravano per i corridoi. «Oh, buongiorno, Albus», salutò Sir Nicholas, il fantasma di Grifondoro, «piuttosto mattiniero, stamani. Qualcosa ti cruccia?».
    «Affatto, Sir Nicholas, dovevo inviare una lettera», rispose Albus, camminando verso la Sala Grande. Il fantasma sembrò trovare la sua risposta priva di interesse e si fermò nei pressi di un quadro in cui una vecchia strega russava con la testa ciondoloni. «Buongiorno, Violet, sveglia!». La strega sussultò e arretrò nella cornice, poi i suoi occhi misero a fuoco il fantasma e il suo volto assunse un’aria arcigna.
    Albus li lasciò ai loro battibecchi mattutini ed entrò nella Sala Grande. Il cielo era nuvoloso anche lì, ma almeno faceva caldo. Le quattro lunghe tavole degli studenti e quella degli insegnanti erano già apparecchiate, quindi prese posto e rimase ad aspettare. Entro pochi minuti la sala si sarebbe riempita di studenti chiassosi e il cibo sarebbe magicamente comparso sul tavolo.
    Come aveva previsto, non dovette attendere molto prima che gli altri studenti si accalcassero per fare colazione. Rose parlava fittamente con Molly e James sbadigliava ancora quando si lasciò cadere sulla panca, accanto a lui.
    Albus stava finendo il suo porridge al miele quando la fioca luce del sole che entrava dalla volta venne oscurata dalle ali dei gufi. La consueta consegna della posta non sorprendeva ormai nemmeno gli allievi del primo anno, ma più o meno tutti stavano col naso per aria ad aspettare che arrivasse qualcosa.
    Come faceva ogni giorno, Rose pagò uno zellino al gufo che le consegnava la sua copia della Gazzetta del Profeta e aprì il giornale per leggere i titoli in prima pagina. Una foto occupava il centro della pagina e Rose trattenne il fiato. Non fu l’unica ad essere sorpresa perché la Sala Grande si riempì di mormorii e varie copie del quotidiano passarono di mano in mano perché anche chi non lo comprava potesse vedere. Rose tirò una manica della veste di Albus e gli passò il giornale.
    Quando lo prese, Albus si paralizzò, gli occhi incollati alla foto dei suoi genitori sotto la scritta “Il divorzio del secolo”. James gli prese di mano il giornale per vedere a sua volta e appena l’ebbe fatto alzò lo sguardo per cercare Lily al tavolo di Serpeverde. La sorella sembrava sul punto di piangere, ma Scorpius e Lotus la abbracciarono e, poco dopo, uscirono con lei dalla Sala Grande.
A quanto diceva il giornale, i loro genitori avevano firmato i documenti il giorno prima. A parte questo, l’autore dell’articolo non sembrava molto informato: diceva che Harry Potter e Ginevra, di nuovo Weasley, si erano trincerati dietro al “no comment” e che la reporter sportiva sarebbe presto partita per un servizio all’estero; si chiedeva quali fossero le cause e insinuava che con ogni probabilità la causa della rottura tra l’ex Bambino Sopravvissuto e la moglie fosse un amante. Di chi dei due non era dato saperlo e si dilungava in una lunga serie di ipotesi che partivano dalla segretaria del Capo dell’Ufficio Auror e terminavano con l’ultimo campione di Quidditch intervistato da loro madre.
    «È solo ciarpame», pigolò Rose, «sono sicura che sono calunnie…», disse aggrappandosi al braccio di Albus.
    «No, è la verità», tagliò corto James, rendendole il giornale e alzandosi dal tavolo. Molti occhi lo seguirono mentre lasciava la Sala Grande.
    «Voi lo sapevate?», chiese Rose con tono incredulo e Albus si limitò ad annuire.
    «Scusa, Rose», fece poi, alzandosi a propria volta. Voleva restare un po’ da solo, prima dell’inizio delle lezioni.
    La sgradevole sensazione di essere al centro dell’attenzione non lo abbandonò per tutta la mattinata. Aveva l’impressione che i suoi compagni lo guardassero con commiserazione e che bisbigliassero non appena si allontanava da loro. Il divorzio non era una pratica comune, tra i maghi o, almeno, non tra quelli che godevano di una certa visibilità, ma anche se fosse stata cosa normale, suo padre era Harry Potter e nulla era normale quando si trattava di lui. Albus si ritrovò a pensare che non doveva essere facile essere suo padre, ma nemmeno essere la moglie di Harry Potter doveva essere una passeggiata.
    All’ora di pranzo, mentre si dirigeva di nuovo verso la Sala Grande, Martin lo raggiunse di corsa, afferrandolo per il mantello. «Ti va se prendiamo da mangiare in cucina e pranziamo per i fatti nostri?», chiese indicando le scale. Era l’idea migliore che Albus avesse sentito da quella mattina. Scesero in cucina e gli elfi domestici dettero loro rostbeaf e patate arrosto in quantità industriale. Gli elfi domestici erano troppo indaffarati a far comparire i piatti sulle tavole e far scomparire le stoviglie per badare ai loro discorsi, così decisero di rimanere lì e Albus tirò fuori il disegno della scacchiera.
    «Stamattina ho mandato la mia mossa a Carabà», disse Albus. Quando guardò il disegno, il pedone bianco era arretrato e quello nero che gli stava di fronte era avanzato.
    Martin si sporse verso di lui per guardare il foglio. «Hai fatto arretrare il pedone?», chiese deluso.
    «Sì, voglio vedere come si comporta Carabà».
    «Ma te lo aveva detto: se un pezzo arretra, uno nero avanza». Martin si mise in bocca un’enorme pezzo di patata e guardò ancora il disegno. «Per me…», iniziò con la bocca piena, «dovresti allargare la prima riga, in modo da non lasciare spazi aperti in cui i neri potrebbero infilarsi».
    «Ma non posso far avanzare tutti i pezzi assieme: ce ne saranno sempre di più avanzati e più arretrati».
    «Sì, ma se mantieni un muro davanti al re non potrà farti scacco, no?»
    Albus annuì. «Se fossero scacchi normali, non sono sicuro che sarebbe la mossa giusta da fare, ma in questo caso… credi che si possa spostare il pedone da I3 in L4?».
    Martin bevve un lungo sorso di succo si zucca e scrollò le spalle. «Tu prova. Se la mossa non è valida, te lo scriverà nella sua risposta, no?».
    Con la mossa successiva decisa, Albus e Martin lasciarono la cucina. Gli elfi domestici insistettero per dare loro qualche tramezzino, nel caso venisse loro fame, nel pomeriggio. Era alquanto improbabile, dato che si erano rimpinzati per bene, ma accettarono per non offenderli. Albus si sentiva decisamente meglio dopo aver trascorso un po’ di tempo senza pensare al divorzio dei suoi genitori ed era grato a Martin per non averne fatto parola.
    Martin si coprì per bene ed uscì dal castello per andare alla lezione di Cura delle Creature Magiche e Albus proseguì verso l’aula di Aritmanzia. Prima che facesse buio sarebbe andato a portare il cibo promesso al gufo e la giornata sarebbe finita in tranquillità se un incidente non avesse coinvolto una sua compagna di Casa.
    Gwen Sullivan frequentava le lezioni di Hagrid ed era proprio accanto a Martin, durante l’ora di Cura delle Creature Magiche. Ciò significava che solo per fortuna Martin non era rimasto coinvolto nell’incidente ma, quando incontrò Albus e gli altri, prima di cena, era ancora visibilmente scosso. Il professor Hagrid stava mostrando loro un Fiammagranchio, una sorta di tartaruga dal carapace incrostato di gemme preziose. Gli “ohhh” e gli “ahhh” si sprecavano sulle bocche meravigliate degli studenti, mentre la creatura si guardava attorno spaesata e infreddolita. Le ragazze, soprattutto, sembravano rapite dalla profusione di diamanti, rubini e smeraldi che rendevano il suo prezioso guscio luccicante.
    «Il professor Hagrid stava dicendo di non mettersi dietro il Fiammagranchio», raccontò loro,  «Quel cretino di Jaspert l’aveva toccato sulla testa e il Fiammagranchio si stava girando per difendersi. Non avete idea di quanto sia lento!
    «Il professor Hagrid l’ha preso il mano perché non attaccasse Jasper e l’ha sollevato, poi si è girato per rimproverare Jasper, ma anche noi ci stavamo spostando per non stargli dietro, solo che spostandosi anche il professore, Gwen si è trovata proprio dietro il Fiammagranchio quando ha scoreggiato», raccontò Martin, concitato. La voce dell’incidente si era sparsa tra gli studenti e un capannello di ragazzi di tutte le età si era formato intorno a loro per sentire come fosse andata da uno dei testimoni oculari.
    «Ha fatto cosa?», chiese Rose, imbarazzata.
    «Beh, non saprei come altro definirlo. Ha emesso… fuoco dal sedere. Una scoreggia incendiaria», spiegò Martin.
    «E Gwen come sta?», chiese Albus, in ansia. Rose e Gwen non facevano che litigare per ogni cosa e lui non trovava la ragazza particolarmente simpatica, ma non per questo le avrebbe augurato di venire colpita dalla fiammata posteriore di una creatura magica.
    «Il professor Hagrid l’ha portata di corsa in infermeria. L’infermiera Paciok le ha dato delle pozioni, ma Gwen urlava… è stato orribile!» Prese fiato e, con maggiore calma, continuò: «Sembra che ci vorrà qualche giorno prima che possa lasciare l’infermeria. Se fosse stata portata in un ospedale babbano, se anche l’avessero salvata, sarebbe rimasta sfigurata, invece, grazie alla magia, il professor Hagrid ha detto che tornerà come prima, senza nemmeno una cicatrice!».
    Rose era sbiancata e nemmeno Albus si sentiva tanto bene, invece sembrava che per Martin la cosa più scioccante fosse che Gwen non avrebbe riportato alcun danno permanente.
    «Speriamo non succeda nulla a Hagrad», disse James, incrociando le braccia sul petto. Aveva ancora l’aria imbronciata di quella mattina, e Albus si chiese se fosse stata sufficiente per tenere alla larga i loro compagni di scuola.
    «È stato un incidente», ribadì Martin.
    James scrollò le spalle. «A Hagrid gli incidenti capitano un po’ troppo spesso», rispose, e Albus e Rose furono costretti a convenire con lui. Martin li guardò senza capire, in attesa di una spiegazione.
    «Quando era studente, Hagrid venne accusato di aver provocato la morte di una studentessa e venne espulso. Aveva portato a scuola un’Acromantula e si pensò che fosse lei la responsabile, anche se, in realtà il ragno non c’entrava nulla. C’era un Basilisco, ma nessuno lo sapeva e quindi nessuno poté scagionarlo».
    «E quando nostro padre era studente, ottenne un uovo di drago di contrabbando e lo allevò a scuola. Ti immagini un drago qui a scuola?», aggiunse James.
    «E il padre di Scorpius venne ferito da un Ippogrifo durante una lezione, anche se in modo molto lieve», disse Albus, attingendo ai racconti dei loro genitori.
    «Il problema è che Hagrid non si rende conto della potenziale pericolosità di quelle creature», rincarò James e, senza aggiungere altro, si fece largo tra gli studenti per raggiungere la Sala Grande.
    Martin li ascoltò stupefatto, mentre altri studenti annuivano e borbottavano tra loro. In quegli anni, Hagrid era diventato un buon insegnante, nonostante la sua discutibile propensione a portare a scuola creature pericolose, ma molti studenti avevano sentito parlare dei suoi trascorsi da nonni e genitori e Albus si rese conto che era bastato ricordare loro quei fatti per accendere nei loro sguardi la luce di una rinnovata paura.
    «Speriamo non succeda nulla», disse stringendo le labbra e seguendo il fratello per andare a cena.

 
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• Potete trovare il Fiammagranchio qui

Per chi se lo fosse perso, ricordo che la settimana scorsa ho iniziato la pubblicazione dello spin-off: Niente è come prima.
Dato che lunedì prossimo è Pasquetta e probabilmente saremo tutti a zonzo o a smaltire il pranzo di Pasqua, vi faccio gli auguri e vi do appuntamento tra quindici giorni... lo so che questa storia prosegue a singhiozzo, ma abbiate fede: io inizio a vedere il finale! ^^
Intanto, un grazie a uwetta e a megumi_1 per aver commentato il capitolo precedente. ^^
Vi aspetto sulla mia pagina FB!

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Capitolo 12
*** Vecchie inimicizie ***


12
Vecchie inimicizie





In qualità di Caposcuola, Dominique era stata convocata dalla preside per essere informata sulle condizioni di Gwen. Al suo ritorno, disse ai Grifondoro che la ragazza sarebbe dovuta rimanere in Infermeria per due settimane, ma si sarebbe completamente ripresa. Fu come se un sospiro di sollievo collettivo avesse attraversato la Sala Comune e Albus si sentì particolarmente sollevato.
Non sapeva perché, ma quando aveva saputo dell’incidente capitato a Gwen era stato come se un macigno gli fosse precipitato sul cuore.
    «Ci saranno conseguenze per il professor Hagrid?», chiese Molly, che frequentava il corso di Cura delle Creature Magiche e che, l’anno precedente, aveva ottenuto una E in pagella, ed aveva strappato allo zio Charlie la promessa di portarla in Romania a vedere i Draghi se fosse riuscita a mantenere la media fino all’ultimo anno.
    «Ovviamente ci sarà un’inchiesta», rispose Dominique, «ma non dobbiamo preoccuparci: la preside ha detto di aver contattato personalmente zio Harry».
    Qualcuno annuì, qualcun altro sorrise soddisfatto: i Grifondoro avevano totale fiducia in Harry Potter, ma Albus e James si scambiarono uno sguardo; entrambi sapevano che non tutti nutrivano la stessa fiducia in loro padre. Attesero che l’attenzione si spostasse da Dominique e raggiunsero la cugina ai piedi della scale che conducevano al dormitorio femminile. «Papà verrà a scuola?», chiese Albus.
    Dominique annuì. Albus le lesse negli occhi che avrebbe voluto chiedere loro del divorzio o abbracciarli, ma che si tratteneva perché li conosceva abbastanza da sapere cosa le avrebbero risposto: “Non preoccuparti. Stiamo bene”.
    Quella notte, però, Albus non chiuse occhio. Non stava male, non quel tipo di male per cui avrebbe potuto andare in Infermeria a chiedere alla signora Paciok di dargli qualcosa, quindi non aveva senso dire il contrario. Prese la pergamena con la scacchiera disegnata e, alla luce della propria bacchetta, ricominciò a riflettere sulla prossima mossa.

Il mattino successivo, durante la colazione, lui e James continuavano a guardare alternativamente la porta della Sala Grande e il tavolo dei professori. La preside stava facendo colazione come al solito e Hagrid, con la testa china, spiluccava senza appetito dal proprio piatto. Era chiaro che loro padre non fosse ancora arrivato e Albus si chiese se sarebbero riusciti a vederlo prima dell’inizio delle lezioni.
    Ci stava proprio pensando quando, nei pressi della volta, ebbe luogo una zuffa tra gli uccelli che recapitavano la posta. Strida e piume che cadevano fluttuando sulle tavole obbligarono gli studenti ad alzare lo sguardo. I gufi avevano accerchiato un uccello e sembravano decisi a non lasciarlo avvicinare al suolo.
    Il professor Hagrid saltò giù dalla pedana rialzata su cui si trovava il tavolo degli insegnanti e si spostò al centro della sala, più o meno sotto alla posizione dell’uccello. La sua stazza faceva sembrare gli studenti seduti dei bambini piccoli, e divenne grottesca quando tutti gli occhi si spostarono su di lui, in attesa che facesse qualcosa, ma lui non fece nulla: si guardò intorno, spostando il peso del corpo da un piedone all’altro, come se non sapesse cosa fare.
    «Hagrid, faccia qualcosa!», gridò la preside per farsi sentire sopra il baccano degli uccelli e il mormorio degli studenti.
    L’insegnante parve riscuotersi e alzando le mani grandi come badili, le batté forte, mettendosi a fischiare: acuti richiami che sembrarono placare i gufi, che si dispersero e ripresero la consegna della posta. Qualche studente venne beccato e la colazione durò qualche minuto in più del solito: i gufi erano di pessimo umore, qualcuno arruffato, tutti imbronciati e sembravano intenzionati a rifarsi sugli studenti.
    L’uccello che era stato assalito era una macchia nera contro il cielo e si decise a scendere solo quando la consegna della posta fu terminata. Attraversò in picchiata la nuvola di gufi e atterrò di fronte ad Albus.
    Era un corvo. Un banalissimo corvo con qualche piuma in meno e diversi segni di beccata sul corpo.
    «Ehm, se non hai paura che ci faccio male anche a lui, ci penso io a rimetterlo in sesto», disse Hagrid, rivolgendosi ad Albus con lo sguardo basso.
    «Io…», Albus guardò il corvo, aveva una fascetta di metallo ad una zampa con una piccola pergamena arrotolata e l’aria davvero malconcia. Prese la missiva e, prima di guardare di chi fosse, annuì. «Sì, grazie Hagrid… Professore».
    Il corvo non fece storie quando venne preso dalle mani del mezzo gigante. Albus guardò meravigliato quanto quell’uomo tanto grande e tanto forte potesse essere delicato. Sul viso di Hagrid comparve un’espressione sollevata; probabilmente era solo contento di avere una scusa per lasciare la Sala Grande prima del tempo.
    «Chi ti scrive?», chiese Rose, e Albus srotolò la pergamena.
    «È Carabà», disse, «dice: “Ai gufi non piace avere a che fare con me. Lui è Scalawag, non farà storie». Albus guardò le espressioni perplesse sui volti di James e Rose. «Più tardi andrò da Hagrid per dirgli il nome del corvo».
    Rose arricciò il naso e le sue lentiggini parvero un’onda sulla sua pelle chiara. «Non è un nome molto rassicurante», disse, ma James rise e questo pose fine alla discussione.
    Le lezioni del mattino ebbero luogo senza imprevisti. Albus e James non avevano visto comparire loro padre come avevano sperato, e all’ora di pranzo si avviarono alla Sala Grande. Nella calca di studenti che affollavano le scale e l’ingresso, la voce di Lily li raggiunse per pura fortuna.
    «…ms, Albus!», stava chiamando la ragazza, sbracciandosi per richiamare la loro attenzione, quando James la vide e la indicò al fratello minore. «C’è papà!», saltellava Lily. Scorpius Malfoy, vicino a lei, indicò l’uscita e lui, Lily e Lotus Zabini raggiunsero il grande portone di quercia, sgusciando nel parco. Albus e James non ebbero bisogno di scambiarsi nemmeno una parola: li seguirono più rapidamente possibile, raggiungendo il prato all’esterno.
    Era una giornata fredda e limpida e non ci misero molto a raggiungere la casetta di Hagrid. La voce del mezzo gigante giungeva dal recinto sul retro. «Ci ho fatto attenzione, Harry, te lo giuro», si stava giustificando. «Non è una creatura pericolosa, lo vedi anche te».
    «A maggior ragione non ci sarebbero dovuti essere incidenti!», rispose la voce strascicata di Draco Malfoy. «Preside McGranitt, come rappresentante del Comitato di Amministrazione della scuola chiedo che l’indagine sia affidata a qualcun altro. Conosciamo tutti il legame tra Potter e Hagrid».
    «Signor Malfoy, mi rendo conto della ragione dei suoi dubbi, ma Harry Potter è il Capo dell’Ufficio Auror e…»
    «Ed è ora di piantarla, Malfoy», si intromise Harry.
    I ragazzi si nascosero dietro i cespugli più vicini per spiare la conversazione. Il fiammagranchio stava mangiando insalata, vicino ai piedi di Hagrid, del tutto disinteressato alla discussione da cui sarebbe dipeso, con ogni probabilità, il suo destino.
    «Il fiammagranchio è classificato “XXX”, pensavo che per le lezioni lo potevo usare», si giustificò Hagrid, guardando con occhi lucidi loro padre e la preside.
    «La tripla X indica creature adeguate a “maghi capaci”», precisò il padre di Scorpius, «dei ragazzini del terzo anno non sono “maghi capaci”!».
    «Mi ricordo un Serpeverde che faceva il gradasso con gli Ippogrifi, in effetti», sbottò Potter.
    «Io…».
    «Signor Potter! Signor Malfoy!», li riprese la preside McGranitt e i due uomini si zittirono come due studentelli. «Qui non si tratta di voi, ma della presenza a scuola di un animale che, in circostanze normali non rappresenterebbe un pericolo per nessuno… o quasi», la donna guardò Hagrid come se avesse potuto incenerirlo con uno sguardo. «Si è trattato di un tragico incidente, ma comunque di un incidente».
    Harry Potter si grattò la fronte, come faceva sempre quando era nervoso, poi mise le mani sui fianchi e trasse un respiro profondo. «Per quanto non mi faccia piacere essere d’accordo con Malfoy, Hagrid, i fiammagranchi sono sono animali protetti e non voglio sapere come te lo sei procurato…».
    «Ma, Harry…».
    «Taci, Hagrid!», alzò la voce il capo dell’Ufficio Auror. Sospirò e guardò la creatura che si spostava con lentezza verso una mela mezza marcia. «Se qualcuno di nostra conoscenza che lavorava all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche dovesse sapere dell’incidente, non te la caveresti con il sequestro dell’animale». Hagrid sembrava mortificato e Harry continuò: «Verrà rimandato alle isole Fiji, in una riserva protetta e nessuno gli farà del male. Puoi stare tranquillo per lui, Hagrid».
    «Ma era solo un ovetto quando…».
    La preside si schiarì la voce e Hagrid perse la voce. Dalla loro posizione, i ragazzi videro la strega agitare la bacchetta dietro la schiena. «Papà gli aveva detto che non voleva sapere come se l’era procurato», sussurrò James.
    «Hagrid è incapace di stare zitto», bisbigliò Lily, e Scorpius, vicino a lei, trattenne una risatina. La ragazza lo guardò storto e lui si ricompose.
    «Credo sia meglio tornare al castello», aggiunse Lotus e Albus annuì.
    «Li aspetteremo all’ingresso», concordò.
    Senza farsi scoprire, così come erano arrivati, si allontanarono dalla casa del guardiacaccia e tornarono al castello. Il pranzo era già cominciato e l’atrio era vuoto, non c’era traccia nemmeno dei fantasmi, così decisero di sedersi sui gradini della scala che portava ai piani superiori e attendere.
    «Come sapevate che papà era arrivato?», chiese Albus.
    «Stavo accompagnando Scorpius e Lotus a salutare il signor Malfoy e ho visto che c’era anche papà», spiegò Lily.
    «Mio padre mi ha scritto ieri per avvisarmi che sarebbe venuto oggi, intorno all’ora di pranzo», aggiunse Scorpius, «quando viene a Hogwarts mi avvisa sempre per potermi vedere». Si accigliò e disse: «Non penso sapesse che sarebbe venuto anche vostro padre».
    In effetti, tra loro padre e il padre di Scorpius non si poteva dire che ci fosse un buon rapporto. «È stata la preside a chiamare papà», commentò Albus, «lo ha detto ieri a Dominique, quando l’ha chiamata per farle sapere di Gwen».
    «E come sta Gwen?», chiese Lotus, dando loro il modo di trascorrere l’attesa conversando di qualcosa che non fosse la vecchia inimicizia tra Potter e Malfoy.
    In ogni caso, non dovettero aspettare tanto: la preside, Harry Potter e Draco Malfoy entrarono in un fruscio di mantelli e l’anziana donna li adocchiò subito. Non disse nulla, si limitò a proseguire verso la piccola stanza in cui i primini attendevano lo smistamento. Da lì avrebbe potuto raggiungere il tavolo degli insegnanti senza attraversare l’intera Sala Grande.
    Lily si gettò tra le braccia del padre prima ancora che la preside avesse richiuso la porta. Anche Scorpius raggiunse il padre e Albus li seguì a ruota. Harry Potter aveva gli occhi cerchiati e la barba di due giorni. Sembrava stare bene, ma Albus notò qualcosa di diverso in lui. Non avrebbe saputo dire cosa, probabilmente suo padre, come lui, non stava male nel modo che si poteva risolvere con una pozione. Lo abbracciò a propria volta e lui abbracciò entrambi.
    James era rimasto un po’ indietro, lui e Lotus parevano indecisi su cosa fare, ma il signor Malfoy, dopo aver abbracciato suo figlio, stese il braccio verso Lotus e lui si avvicinò, venendo accolto nell’abbraccio del suo padrino. James, invece, continuò a guardare il padre con espressione inquieta.
    «Capo Potter», chiese Lotus, gli occhi neri che sembravano più grandi del solito, «ha scoperto qualcosa?».
    Harry Potter guardò Lotus con la stessa pena che Albus aveva scorto negli occhi del fratello. «Mi dispiace, le indagini non sono ancora approdate a nulla, ma continuiamo ad indagare. Nessuno di noi vuole che la morte di tua madre resti impunita».
    Lotus annuì, ma distolse lo sguardo.
    «Perché non andate a mangiare, adesso?», propose loro il signor Malfoy. «Se fate in fretta riuscirete a mangiare almeno il dolce ed eviterete cali di zuccheri durante le lezioni del pomeriggio».
    «Sì, dovreste andare a mangiare qualcosa», concordò Harry stringendo Lily che non voleva lasciarlo.
    «Papà…», pigolò la ragazzina, «sul giornale hanno scritto…».
    «Lo so cos’hanno scritto, Lily», la confortò il padre con un sorriso stiracchiato, «ma non dovete credere a tutto quello che leggete sui giornali. La mamma e io vi vogliamo sempre bene e questa è la sola cosa che conta. D’accordo?».
    Quando Lily annuì, Harry Potter spostò lo sguardo su Albus, aspettando il suo assenso e poi su James, che si avvicinò strascicando i piedi. «Anche noi vi vogliamo bene», borbottò arrossendo un po’. Harry Potter gli scompigliò i capelli e James sbuffò infastidito.
    «Andate a pranzo adesso», li congedò l’Auror.
    Prima di entrare in Sala Grande, Albus si voltò di nuovo a guardare suo padre. Lui e il signor Malfoy stavano parlando, ma il brusio che proveniva dal refettorio copriva le loro voci. Il padre di Scorpius porse qualcosa al suo, sembrava un quadratino di carta. Harry Potter lo guardò perplesso e sembrò sul punto di renderlo, ma Malfoy alzò le spalle e suo padre lo infilò in tasca.


 
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Se vi state chiedendo cosa Draco abbia passato a Harry, spero di rispondervi la settimana prossima con il nuovo capitolo dello spin-off a loro dedicato: Niente è come prima.
Passo rapidamente ai ringraziamenti a uwettaMoon95 e ponickname per aver commentato il capitolo precedente e a tutti i lettori silenziosi.
Vi ricordo che potete seguirmi su FB e su Twitter e che potete trovarmi anche su Ask.
A presto! ^^

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Capitolo 13
*** Impenetrabili segreti ***


13
Impenetrabili segreti




Gwen era stata dimessa dall’Infermeria due settimane dopo. I suoi capelli neri erano una peluria alta un pollice sulla testa e il suo viso era ancora gonfio e rosso. La ragazza si vergognava e le battute di alcuni Serpeverde, al suo passaggio, l’avevano fatta piangere, ma poiché si era rifiutata di ripetere al professor Sylla quello che avevano detto, l’insegnante giudicò conclusa la faccenda.
Lo sdegno dei compagni di Gwen non servì a nulla.
    Il professor Hagrid, quando vide la Sullivan entrare in Sala Grande per la prima volta, sbiancò e non riuscì a mangiare nulla. Quando Gwen andò a dirgli che avrebbe lasciato il suo corso, Albus era presente: era andato a prendere Scalawag, ormai guarito e pronto a consegnare la sua nuova mossa a Carabà. Hagrid era mortalmente depresso e il fiammagranchio era stato portato via, lasciandolo con un’incombenza e un amico in meno. «Mi teneva compagnia», si lamentò con Albus, «e anche questo qua mica c’ho capito perché ai gufi non ci piace».
    Albus si sentì in colpa, ma aveva bisogno del corvo. «Devo mandare una lettera», disse al mezzo gigante, «ma dopo tornerà indietro e potrà stare con te». Hagrid aveva sorriso in mezzo ai peli arruffati della sua barba e Albus aveva lasciato la casa del guardiacaccia con il corvo.
Aveva deciso la mossa successiva: avrebbe spostato il pedone nella casa 3B alla 3A. Si trattava di un’altra mossa “esplorativa”, per vedere come avrebbe reagito Carabà, ma era convinto che fosse una buona mossa. Anche Martin gli aveva suggerito di “allargare” lo schieramento dei suoi pezzi.
    Il mattino successivo, Albus sentì battere al vetro della finestra della camera. Non era ancora l’alba e le piume nere di Scalawag lo rendevano tutt’uno con il buio. Il rumore si ripeté e Albus si alzò per aprire al corvo. Fissata all’anello alla zampa c’era una piccola pergamena arrotolata. Albus la prese. «Se non devi tornare dalla tua padrona, puoi stare da Hagrid», gli disse a voce bassa per non svegliare i suoi compagni di dormitorio, e Scalawag volò via.
    Carabà non aveva bisogno di mandargli per posta la propria mossa, dato che sarebbe comparsa autonomamente sulla pergamena, ma lo faceva comunque. Albus pensava che lo facesse per educazione. Si vestì e scese in Sala Comune, così da poter studiare la nuova disposizione dei pezzi stando davanti al fuoco, ma quando scese gli ultimi gradini, scoprì di non essere da solo.
«James», chiamò. La sua voce fece sussultare il fratello, che sollevò la testa di scatto.
    «Albus! Che ci fai qui?».
    «Che ci fai tu?», chiese Albus, andando a sedergli accanto. James teneva tra le mani la Mappa del Malandrino e Albus sbuffò mostrando la sua pergamena.
    James si rilassò e sorrise. «Come va la partita?», gli chiese piegando la Mappa e infilandola in tasca.
    «Prosegue lentamente», rispose Albus, e James annuì. Albus spiegò il messaggio di Carabà, che diceva “8B in 8A”. La mossa era già presente sulla pergamena con la scacchiera.
    “Si sta muovendo in modo speculare a quello che fai tu”, notò James.
    «Già», commentò Albus, pensieroso. «È come se… come se fossi io a determinare i suoi spostamenti, come se mi assecondasse invece di contrastarmi».
    «Se fosse così, tanto varrebbe giocare da soli», commentò James, scrollando le spalle. Suo fratello aveva ragione, ma Albus aveva una strana sensazione.
    «Chi stavi osservando sulla mappa?», chiese e James arrossì, distogliendo lo sguardo. James continuava ad avere la testa tra le nuvole, gli unici momenti in cui sembrava tornare coi piedi per terra era, paradossalmente, durante gli allenamenti di Quidditch. Continuava a volare come durante la partita contro Corvonero e tra i suoi compagni di squadra serpeggiava il malumore. Albus pensava che non si rendessero conto di quanto fossero migliorati in quei pochi mesi. Non sapeva se il merito fosse di James, ma quel che era certo era che, per evitare di essere sbalzati giù dalla scopa, dovevano adeguarsi al suo gioco aggressivo.
    James prese di nuovo la Mappa del Malandrino e la spiegò, mostrandola al fratello. Era quasi l’alba e non c’erano Prefetti in circolazione, gli unici cartigli che si muovevano erano quelli dei fantasmi e quello di… «Dove sta andando Ausia?», chiese Albus.
    James fece una smorfia. «Sta tornando al dormitorio», disse con tono avvilito.
    «Da dove?».
    James prese la bacchetta e sfiorò la pergamena. «Fatto il misfatto», disse. La mappa e tutti i cartigli scomparvero, lasciando una vecchia pagina ingiallita e spiegazzata nelle mani del ragazzo. Albus attese che il fratello parlasse, ma James si limitò a mettere la pergamena in tasca. Con il divorzio dei loro genitori, Albus aveva dimenticato la supposta cotta del fratello per Ausia.
    «James», provò a dirgli, «se…».
    «Buongiorno!», trillò in quel momento la voce di Dominique, e Albus non proseguì.
    Dominique scese le scale con un sorriso sulle labbra e si avvicinò ai cugini facendo una risatina. «Pronti per il week end a Hogsmeade?», chiese. «Roxanne ha un appuntamento con Bath», disse senza dare loro il tempo di rispondere. «E Cordelia mi ha chiesto di sondare il terreno con Louis», continuò. «Voi non sapete se a Louis piace qualcuno, vero?».
    Albus e James si scambiarono uno sguardo perplesso. Albus aveva dimenticato che presto sarebbe stato San Valentino, ma la tempistica sembrava deporre a favore della cotta del fratello per la Serpeverde. «Forse dovresti chiedere a Lily», disse a James, più tardi, quando furono i Sala Grande.
    «Che cosa?», chiese James.
    Albus ripensò alle parole usate da Dominique e fece una smorfia. «Di… sondare il terreno con Ausia».
    James arrossì e quasi si strozzò con la pancetta che stava mangiando. «Non mi piace Ausia!», bisbigliò, sporgendosi verso Albus per non farsi sentire, e arrossì fino alla punta delle orecchio. Albus non gli credette.

Per San Valentino, Gwen Sullivan si era ripresa del tutto. Il suo viso era di nuovo rosato e liscio e i suoi capelli erano cresciuti quanto bastava perché la sua testa non sembrasse più un porcospino. Le ragazze di Grifondoro avevano deciso di aiutarla a sembrare quanto più carina possibile, così che nessun Serpeverde potesse infierire su di lei. Anche Rose aveva contribuito, prestandole un cerchietto per i capelli particolarmente grazioso.
    La mattina dell’uscita a Hogsmeade, Gwen raggiunse il gruppo di Albus davanti alla porta del castello e chiese a Martin di andare al villaggio con lei. Martin balbettò qualche scusa, ma quando si accorse che alcuni ragazzi di Serpeverde stavano assistendo alla scena, accettò.
Rose, che non avrebbe mai ammesso di essere ferita, anche se aveva gli occhi lucidi, imprecò tanto contro Gwen che Albus credette le avrebbe strappato il cerchietto dalla testa, se fosse riuscita a metterci le mani.
    Lui e James cercarono di distrarla, ma la ragazza era troppo arrabbiata per pensare ad altro. «Martin è nostro amico!», insistette Rose. «Doveva passare la giornata con noi», continuava a ripetere, ma Albus iniziava a pensare che intendesse “con lei”. Rose si stava ancora lamentando quando Louis si sedette al loro tavolo, ai Tre manici di scopa. «E poi, quella lì l’ha invitato solo per farmi un dispetto!».
    Annoiato dal continuo brontolio di Rose, Albus non si accorse che un’altra ragazza si era avvicinata al loro tavolo. «Louis! Finalmente ti ho trovato!», disse Cordelia Rosewood. La cacciatrice della loro squadra di Quidditch era particolarmente carina: si era truccata e aveva sciolto i capelli, solitamente legati come richiesto da regolamento scolastico.
    «Che vuoi, Cordelia?», chiese Louis, con tono seccato, mentre sollevava il boccale di burrobirra.
    «Volevo chiederti se ti andava di andare da qualche parte assieme, ma non ti ho visto, all’ingresso. Ti ho aspettato, ma…».
    «In ogni caso ti avrei detto di no», tagliò corto Louis, senza guardarla. Il sorriso di Cordelia vacillò.
    «Ma io… io pensavo…».
    Louis si voltò a guardarla. «Hai pensato male», le disse con calma. «E ora, scusa, ma tra poco devo vedere qualcuno». Louis divenne subito l’eroe di Rose, anche se Cordelia se ne andò terribilmente imbarazzata e sull’orlo delle lacrime. Albus non capiva cosa facesse San Valentino alle ragazze.
    «È così che si fa! Martin è troppo gentile!», sentenziò Rose, mentre Louis passava qualcosa a James, sotto il tavolo.
    «Grazie», gli sussurrò, strizzandogli l’occhio e James sghignazzò.
    «Ma ti pare». James mise il Mantello dell’Invisibilità sulla panca, tra sé e il fratello.
    Albus passò lo sguardo tra i due. «Ti è improvvisamente venuta la Vista?», gli chiese ironico.
    Louis si strinse nelle spalle. «Me lo aspettavo: erano giorni che mi ronzava intorno e ieri sera Dominique mi ha avvertito».
    «Quindi non devi vedere nessuno?», chiese Rose.
    «Solo Lotus. Gli ho promesso che ci saremmo visti qui verso l’ora di pranzo».
    Verso l’ora di pranzo, la porta della locanda si aprì di nuovo, facendo entrare un gruppetto di Serpeverde. Lotus, Lily, Scorpius e Ausia erano tra loro. Subito, gli occhi di Albus si spostarono su James che aveva cominciato a mordersi il labbro inferiore occhieggiando verso i nuovi arrivati.
    Quando i tre Serpeverde più giovani si staccarono dal gruppetto, James cedette il posto a Lily. «Vado a prendere altre burrobirre», disse, dirigendosi verso il bancone, dove si era diretta anche Ausia.
    Albus decise rapidamente. «Coprimi», disse a Lily. Afferrò il mantello e scivolò sotto il tavolo. Carponi si fece strada tra le gambe degli altri e si raddrizzò quando fu fuori dal tavolo. «Si vede niente?», chiese a bassa voce.
    «Niente», garantì Lily, dopo aver sondato l’aria con lo sguardo.
    Senza dare spiegazioni, Albus si allontanò. Raggiunse James e si mise alle sue spalle, attento a non farsi scoprire.
    «Tu non molli mai, vero Potter?», stava dicendo Ausia, con aria annoiata.
    «Voglio solo sapere perché non è qui», rispose James, dal suo tono sembrava un ragazzino imbronciato.
    Ausia sorrise. «Magari voleva passare questo fine settimana con qualcuno», insinuò e nel farlo il suo sorriso si allargò. James arrossì e Ausia rise apertamente. «Oh, Potter!».
    James arrossì ancora di più. Alcuni studenti volsero lo sguardo verso di loro. «E tu, allora? Sguscerai fuori dal tuo dormitorio anche stanotte?».
    Albus trattenne il fiato, ma Ausia impallidì all’istante. Afferrò James per il braccio e lo guardò dritto negli occhi. «Tu che ne sai? È stata tua sorella a dirtelo?», sibilò piano. Albus l’aveva già vista arrabbiata, ma mai così e probabilmente anche James si sorprese nel vederla diventare così minacciosa.
    «No», disse. La sua sicurezza era sparita. «Lily non mi ha detto niente».
    La mano di Ausia si strinse sul suo braccio. «Stanne fuori, Potter», disse la ragazza, in tono gelido, e James ammutolì. Ausia si allontanò, raggiungendo altri Serpeverde ad un tavolo e James rimase a fissarla fino a quando Madama Rosmerta gli chiese cosa volesse ordinare.
    Albus tornò rapidamente al tavolo, prima che James si potesse accorgere della sua assenza. Lily stava raccontando a Rose le terribili battute che i suoi compagni avevano inventato per Gwen. Nonostante la cugina fosse stata tra i sostenitori morali della Sullivan, in quel momento ridacchiava alle sue spalle, ancora troppo offesa per il supposto torto subito.
    Quando riapparve, parenti e amici gli rivolsero un’espressione interrogativa, ma Albus si limitò a scuotere il capo. Non aveva idea di cosa James volesse da Ausia, ma era pressoché certo di essersi sbagliato: James non era innamorato di Ausia, ma forse lo era di qualcuno che lei conosceva e, inoltre, la ragazza aveva un segreto e sembrava che James l’avesse scoperto.

 
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Stavolta aggiorno per il rotto della cuffia. Sono stata impegnata con la chiusura di una storia originale e ora... beh, ora la lascio riposare per un po' e poi la riprenderò in mano. ^^
Grazie a 
uwetta e a megumi_1 per aver recensito il precedente capitolo. Spero che anche questo sia di vostro gradimento. Ovviamente ringrazio anche i lettori silenziosi, a cui non so se la storia stia piacendo, ma che la leggano ancora mi fa ben sperare. 
Come sempre vi aspetto su FB, Twitter e Ask
A presto! ^^
 
 
 

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Capitolo 14
*** La primavera dell'età ***


14
La primavera dell’età




Ausia Flint aveva ricevuto la visita di suo fratello maggiore una settimana prima dell’inizio delle vacanze di primavera.
    Lily l’aveva raccontato durante l’ora buca tra il pranzo e la ripresa delle lezioni e James era corso via. Albus non sapeva perché, ma quando lo rivide, James era scuro in volto e non aveva voglia di parlare. Il giorno successivo, però, il gufo di Augustus planò sul tavolo di Grifondoro e James recuperò il sorriso.
    Il buon umore di suo fratello, però, non era destinato a durare: non appena erano saliti sul treno che li avrebbe riportati a casa James si incupì. Anche Lily era tesa e Albus non poteva fingere che tutto andasse bene. Non aveva idea di come avrebbero trascorso quelle tre settimane di vacanze.
    «Avremmo dovuto rimanere a scuola anche noi», borbottò James. Dominique, Lucy e Louis erano rimasti a Hogwarts: gli esami si stavano avvicinando e avevano deciso di approfittare di quel periodo per portarsi avanti con lo studio. James non avrebbe passato molto tempo in biblioteca, ma dato che le giornate si stavano allungando e la temperatura si era alzata, probabilmente avrebbe passato molto tempo sulla scopa.
    «Io voglio stare con papà», replicò Lily. Albus guardò fuori dal finestrino: sarebbe stato difficile abituarsi alla separazione dei loro genitori.
    «James», chiamò all’improvviso, «Cosa ti ha scritto Flint?», chiese per non pensare a quello che avrebbero trovato una volta scesi dal treno.
    James arrossì e scrollò le spalle. «Niente», mentì. Albus era quasi certo che James fosse corso a cercare Augustus, il giorno in cui era tornato a Hogwarts per parlare con la sorella, ma non aveva idea del perché o di cosa fosse successo. Era sicuro, però, che c’entrasse con la conversazione che i due avevano avuto ai Tre Manici di Scopa.
    A King’s Cross trovarono loro padre ad attenderli e Lily gli si buttò tra le braccia. Harry Potter sorrise loro e li strinse in un abbraccio senza suscitare troppo interesse negli altri maghi: dopo la notizia sul divorzio non erano trapelate altre indiscrezioni sui Potter e la curiosità dei lettori della Gazzetta del Profeta si era sopita.
    Il padre era rimasto con loro sino a quando non erano andati a letto: avevano cenato assieme, con Lily che chiacchierava e James che guardava sospettosamente i genitori, in attesa di un segno rivelatore, forse, di qualcosa che tradisse quella situazione, rivelando che non erano più una famiglia.
    Quel qualcosa, però, non arrivò fino al giorno successivo: quando scesero a fare colazione, loro padre non c’era. Non era una novità: raramente riuscivano a fare colazione assieme dato Harry Potter si recava sempre al Ministero molto presto, ma quella mattina si svegliarono con la consapevolezza che loro padre non avesse dormito in casa.
    Mentre scendeva le scale, Albus sentì loro madre parlare con qualcuno, aveva l’impressione di aver già sentito quella voce maschile, ma non ricordava quando. Dal momento, però, che la conversazione finì prima che lui entrasse in cucina, preferì non pensarci e concentrarsi, piuttosto, sulla partita a scacchi incostanti, rimpiangendo di non aver con sé Scalawag. «Mamma, mi presti la tua civetta?», chiese quel pomeriggio, mentre lei e James parlavano di Quidditch.
    «A chi devi scrivere?», chiese Ginny.
    «A Martin», mentì Albus.
    Ginny lo guardò perplessa. «Vi siete visti ieri».
    «Ma ho dimenticato di dirgli una cosa», insistette Albus.
    Ginny sospirò, ma acconsentì. «Vieni anche tu a giocare con James e me, uno di questi giorni?», gli chiese prima che Albus si allontanasse.
    Il ragazzo scosse il capo. «No, grazie. Devo fare i compiti». I compiti erano sempre una scusa valida coi genitori, ma la verità era che Albus era troppo preso dalla sua partita per pensare ad altro.
    Scrisse la sua mossa, pedone da 2B a 3B, e arrotolò il foglio per poi inserirlo nella fascetta alla zampa della civetta della madre, ordinandole di recapitarla a Carabà, a Hogsmeade.
    Il fine settimana successivo, tuttavia, Albus dovette giocare a Quidditch: loro padre trascorse l’intero week-end con loro e Albus non poté rifiutare un due contro due, mentre Lily raccoglieva fiori campo vicino alla casa dei nonni. Si era sviluppata una strana routine in cui loro padre li raggiungeva ogni giorno, dopo il lavoro, cenavano assieme, e rimaneva fino a quando i figli non andavano a letto. Albus avrebbe voluto avere a portata di mano delle Orecchie Oblunghe per sentire cosa si dicevano quando non potevano sentirli.
    Visto che tutti avevano insistito perché giocasse, Albus fece squadra con loro padre e non poté dire di non essersi divertito: le partite in famiglia, senza Pluffe e senza Bolidi, somigliavano più a delle corse sulla scopa, col vento tra i capelli. La caccia al Boccino durò buona parte del pomeriggio fino a quando loro madre non vide la pallina dorata che volteggiava oltre le cime degli alberi e loro padre si lanciò all’inseguimento. Avevano volato assieme così tante volte che conoscevano perfettamente il modo di volare l’uno dell’altro e quando Albus vide il padre affiancare la madre non poté fare a meno di fermarsi e guardarli.
    Ginny Weasley si scansò quasi infastidita e fu in quel momento che Albus realizzò per davvero che i suoi genitori non stavano più assieme. Non lo aveva capito sul serio quanto aveva trovato il padre che dormiva sul divano e nemmeno quando aveva letto del divorzio sui giornali.
    Gli occhi gli si riempirono di lacrime e non vide l’attimo in cui James si inserì tra di loro. Ginny rischiò di cadere dalla scopa e Harry virò bruscamente per evitare l’impatto. James si impadronì del Boccino e lo tenne tra le dita, il braccio sollevato sopra la testa, dando loro le spalle.
    Albus pensò che anche suo fratello avesse capito cos’era successo tra i loro genitori e forse anche loro padre l’aveva realizzato davvero in quel momento, perché Albus non l’aveva mai sentito tanto arrabbiato quando urlò: «Sei impazzito, James?!».
    «Calmati, Harry», intervenne loro madre.
    «Calmarmi? Ti sembra il modo di volare? Poteva farsi male e tu sei quasi caduta!».
    «Non sono “quasi caduta”!», sbottò lei.
    «È giocando così che ho vinto la partita prima di Natale», rispose James. «È così che gioco adesso». Continuava a dare loro le spalle, gli occhi rivolti al tramonto che tingeva l’orizzonte di arancio.
    «Qualcuno potrebbe farsi male!», rimarcò Harry e James non rimase a sentirlo, scese a terra con ancora il Boccino in pugno.
    Anche Albus scese. La giornata era rovinata. Raggiunse Lily, che teneva lo sguardo rivolto verso di loro e, insieme, seguirono James in casa dei nonni mentre i loro genitori continuavano a litigare a cavallo delle scope.
    Quella sera, loro padre non rincasò con loro. Prima di andare a dormire, Albus controllò la pergamena, ma Carabà non aveva ancora fatto la sua mossa. Si era appena infilato a letto quando la porta della sua camera si aprì e Lily scivolò silenziosamente all’interno. Non aveva bisogno di parlare: Albus sapeva cosa c’era che non andava, e si alzò senza discutere, prendendola per mano come quando erano piccoli. Attraversarono insieme il corridoio e aprirono la porta della camera di James. Loro fratello era disteso sul letto, a guardare il soffitto con le braccia dietro la testa e, quando li vide, si spostò, mettendosi sul fianco, per lasciare spazio a Lily. 
    Erano diventati troppo grandi, ormai, per dormire tutti e tre nello stesso letto, ma quella sera non aveva importanza. Si strinsero l’uno all’altro, fino a quando James non cadde dal letto, nel cuore della notte.
    Quando Albus e Lily si svegliarono, il giorno dopo, nel letto di loro fratello, James non c’era. Lo trovarono in cucina con loro madre, a parlare di Quidditch.
    «… non era sbagliato, solo pericoloso», stava dicendo Ginny quando entrarono in cucina.
    «’Giorno», li salutò Albus.
    «Dormiglioni», li accolse loro madre, «dormito bene?».
    «Mh-uh», concesse Albus. «Da quant’è che sei in piedi?», chiese poi a James, che sembrava di umore migliore della sera precedente.
    «Da un po’», sorrise, «Mamma dice che potrei giocare da professionista». A James brillavano gli occhi quando parlava di Quidditch, così non si sorprese più di tanto quando loro madre confermò. Forse, si disse, Ginny sperava che almeno uno dei suoi figli seguisse le sue orme.
    «Però dovrai allenarti sul serio», disse versando la colazione nei piatti di Lily e Albus. «Non importa quanto tu sia sicuro di una manovra: non devi mai e ripeto: “mai”, mettere a rischio gli altri giocatori».
    James annuì e sembrava diverso dal giorno prima, diverso dal solito James: le sue spalle si rilassarono e, quando gli strizzò l’occhio, Albus fu sicuro che, se era quello che voleva, suo fratello sarebbe riuscito a diventare un giocatore professionista. Allo stesso tempo, però, realizzò che, prima o poi, se ne sarebbe andato e la loro famiglia sarebbe diventata ancora più frammentata.
    Albus non aveva mai pensato a cosa avrebbe fatto da grande, dopo Hogwarts, ma che James sembrasse sapere cosa fare della sua vita, lo spinse a chiedersi cosa avrebbe fatto della propria. Guardò Lily, che stava imburrando il pane e che non sembrava minimamente turbata dal pensiero dell’avvenire e rimpianse che la notte trascorsa tutti e tre assieme fosse già finita perché non ce ne sarebbero state altre.
    Qualche giorno dopo la partita di Quidditch, loro padre li portò a vedere la sua casa di Londra. Albus ricordava di esserci stato almeno una volta, da piccolo, ma non aveva alcun ricordo particolare di Grimmauld Place numero 12. Era una vecchia casa con vecchi mobili e vecchie tappezzerie, ma Harry Potter disse che l’avrebbe fatta sistemare, così, se avessero voluto, avrebbero potuto andare a dormire da lui, qualche volta. Persino Lily arricciò il naso a quella prospettiva, ma James chiese se l’Accademia per Auror fosse a Londra e quando loro padre gli disse di sì, quella casa e la città intera, cominciassero ad esercitare un fascino diverso su suo fratello.
    Forse, rifletté, anche loro padre sperava che almeno uno di loro avrebbe fatto il suo stesso lavoro, ma Albus dubitava che suo fratello avesse mai considerato di diventare un Auror. E lui? Non lo spaventava l’idea di combattere i maghi oscuri, né di stare lontano da casa per lunghi periodi, a patto che la sua famiglia fosse al sicuro… poi lo colse un pensiero a cui non volle dare voce. Era troppo giovane per pensare a certe cose.
    James compì quindici anni, quella settimana, e ad Albus parve che, all’improvviso, fosse diventato grande e che stesse andando molto lontano da lui.
    Carabà non fece alcuna mossa per tutta la durata delle vacanze.


 
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Uno dei capitoli più corti di questa storia, ma spero che lo apprezzerete comunque. 
Può non sembrare, ma Albus e James stanno crescendo e a volte sorprendono anche me. 
Su una pagina (credo fosse una Wiki di qualche genere) avevo trovato che James era nato lo stesso giorno del nonno James, quindi verso la fine di Marzo.
Questo significa anche che la storia si sta avvicinando alla fine: credo che ci vorranno ancora due capitoli per concludere la Scacchiera Incostante. Restate con me fino alla fine! ^^
Intanto, un grazie a uwetta per aver recensito il capitolo prevedente e ai lettori muti. Vi aspetto su FB!

 

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Capitolo 15
*** Al destino non si comanda ***


15
Al destino non si comanda

 
Albus non ricordava di aver atteso con tanta trepidazione di andare a scuola dal suo primo giorno a Hogwarts. Si era abituato alle nuove dinamiche della sua famiglia, ma non per questo doveva esserne contento. Stare al castello gli dava la possibilità di non pensare a sua madre a casa e a suo padre a Grimmauld Place, da solo. Poteva ancora illudersi che i suoi genitori stessero assieme.
    C’era stato qualcosa di diverso, però, in quel ritorno alla quotidianità: la preside McGranitt aveva preso la parola, prima della cena. La Sala Grande si era fatta silenziosa e tutti gli occhi si erano spostati sull’anziana strega. “Ben tornati”, aveva esordito lei, “mi auguro che durante le vacanze di primavera vi siate divertiti e riposati perché vi aspetta l’ultimo trimestre di quest’anno scolastico e per molti di voi gli esami sono ormai in vista. Da domani gli insegnanti del quinto e del settimo anno cominceranno a vagliare la vostra preparazione…”, si era alzato un brusio scontento dagli studenti che avrebbero sostenuto i G.U.F.O. e i M.A.G.O., ma la preside li aveva zittiti schiarendosi la voce. “Devo però fare alcune comunicazioni straordinarie…”.
    In quel momento Albus aveva infilato la mano nella tasca del mantello e la pergamena gli aveva punzecchiato un dito. L’aveva presa e sbirciata mentre la preside continuava a parlare. Non si accorse subito del pedone mosso, subito catturato da quello che era diventato completamento rosso, ma, quando lo vide, corrugò la fronte, poi il brusio degli studenti gli fece alzare lo sguardo. Ripose la pergamena in tasca e si guardò attorno. «Cosa è successo?», chiese a James.
    «Non ne ho idea, ma non ha senso», rispose suo fratello.
    «Sarà un problema per gli studenti che devono sostenere gli esami», commentò Rose.
    «Soprattutto quelli di Serpeverde», aggiunse Roxanne.
    Albus vide la testa di James scattare in direzione del tavolo di Serpeverde. «Dov’è Ausia?», chiese e Albus guardò a propria volta verso il tavolo verde-argento, ma della Flint non c’era traccia.
    «Fate silenzio, per favore», li richiamò all’attenzione la preside, «Non perderete ore di lezione e non rimarrete senza insegnante. Come potete immaginare, trattandosi di un accadimento del tutto inaspettato, non c’è stato modo di trovare un supplente che prenda il posto del professor Sylla, ma poiché ho insegnato Trasfigurazione per tanti anni, ritengo di poterlo sostituire in questi ultimi mesi prima delle vacanze estive. Mi auguro che sarete pazienti e mi darete modo di riprendere confidenza con l’insegnamento».
    «Non l’ha mai persa», bisbigliò Louis, sporgendosi verso i cugini. «Zio Harry non vi ha detto niente?».
    «Cosa avrebbe dovuto dirci?», sussurrò James reclinandosi un po’ all’indietro per andargli incontro.
    «Sono venuti due Auror a portare via il professor Sylla, quattro giorni fa».
    Albus e James si scambiarono uno sguardo.
    «Il ruolo di Capocasa, verrà temporaneamente ricoperto…», stava continuando la preside, ma l’interesse di Albus si era ormai spostato sull’apparente sequestro dell’insegnante di Trasfigurazione.
    Quella sera, prima dell’ora di andare a letto, le ragioni per cui il professor Sylla fosse stato portato via furono senza dubbio l’argomento più chiacchierato della scuola. Nella Sala Comune di Grifondoro, Dominique, Lucy e Louis cercavano di rispondere alle domande dei loro compagni con le poche informazioni di cui disponevano: quattro giorni prima, due Auror e un membro del Comitato di amministrazione della scuola erano andati a prelevarlo. Gli avevano dato il tempo di fare i bagagli e l’avevano scortato fuori da Hogwarts.
    «Allora non è in arresto», aveva commentato Benedict Tinbridge. «Se l’avessero arrestato, avrebbero messo i sigilli alle sue stanze per poi tornare a perquisirle», disse convinto. «L’ho visto il televisione, è così che fa la polizia!», spiegò. Albus rifletté che molti dei loro compagni non avevano idea di cosa fossero un televisore o un film. «Devono averlo scortato da qualche parte per tenerlo al sicuro!».
    Dal momento che nessuno sapeva cosa fosse successo per davvero, Albus prese per la manica James e gli fece segno di andare sulla scala che conduceva ai dormitori. Lo precedette salendo fino a quando non furono più in vista dei loro compagni. «Così evitiamo che qualcun altro ci chieda se papà ci ha detto qualcosa», disse, poi prese la pergamena. «E poi voglio farti vedere questa».
    James prese la pergamena e si sedette su un gradino. «Ha spostato il pedone da I9 a I7», notò subito, «ma può farlo? Può saltare così le case?».
    «Ogni colore ha le sue regole», rispose Albus, «e poi guarda», indicò, «il pedone in I3 è diventato completamente rosso. Cosa pensi che significhi?».
    James scosse la testa. «Non lo so», disse dopo qualche istante. «Forse ha deciso di non giocare più solo in risposte delle tue mosse».
    Albus annuì, ma non era del tutto contento. Ricordava che Carabà gli avesse detto che i pezzi rossi si muovevano in coppia, ma c’era un solo pedone rosso, non due e sentiva qualcosa di strano all’altezza dello stomaco, una sorta di ansia che non sapeva come scacciare. Si disse che non poteva farci niente, come per il divorzio dei suoi genitori e decise di andare a letto.

Il mattino successivo, Ausia Flint si presentò in Sala Grande per colazione come sempre. Alcuni dei suoi compagni di Casa la seguivano come una corte segue una regina e Albus si sorprese di vedere che di quella corte facesse parte anche Lily.
    «Ausia era la preferita di Sylla», commentò James, guardando i Serpeverde che si chiudevano intorno a lei come se volessero proteggerla.
    «Piantala di guardarla!», sbottò Roxanne. «Io non vi capisco proprio te e Fred! Ausia qua, Ausia là… come se non ci fossero altre ragazze in questa scuola!».
    Anziché risponderle, James addentò una fetta di pane tostato. Albus non sapeva perché suo fratello accettasse che tutti credessero che gli piacesse Ausia, ma sembrava che anche lui, come i Serpeverde, volesse proteggerla. O proteggere se stesso, rifletté, ma non sapeva da cosa.
    Prima di andare nelle rispettive classi per la prima ora, si accordarono per incontrarsi con Martin: anche lui era rimasto a scuola durante le vacanze e forse aveva qualche informazione in più o qualche teoria diversa da quelle proposte dai Grifondoro. Così, dopo pranzo, Albus e James si sedettero sulla scala che portava all’aula di Astrologia, dove avevano preso da tempo l’abitudine di incontrarsi, in attesa.
    Martin era in ritardo, così Rose andò a cercarlo. Non aveva ancora superato l’arrabbiatura per l’uscita dell’amico con Gwen Sullivan, a San Valentino, ma cercava di non darlo troppo a vedere. Quando un rumore di passi che salivano le scale si avvicinò, i fratelli Potter pensarono che si trattasse di Martin e Rose, ma si trovarono di fronte a Lotus e Ausia.
    «Eccoli», disse Lotus, facendo un passo indietro. James si alzò.
    «Potter, mi serve un favore», esordì Ausia. Era così strano che l’altera Serpeverde chiedesse qualcosa che Albus non seppe cosa dire.
    «Cosa ti serve?», chiese James, e Ausia lo guardò come se lo avesse notato solo in quel momento.
    «Non tu, Potter, tuo fratello», disse la ragazza. James strinse una mano a pugno, vicino al viso di Albus e lui la guardò. Gli occhi azzurri della Flint erano colmi di qualcosa che Albus non avrebbe saputo definire, ma che gli fece stringere lo stomaco come aveva fatto la pergamena, la sera prima.
    «Ti ascolto», le disse.
    «Mi serve che quel tuo corvo consegni un messaggio per me».
    «Perché?», chiese Albus. Lotus si guardò indietro, come se stesse controllando che nessuno li raggiungesse. Ausia si morse il labbro inferiore. «Devi dirmi di cosa si tratta se vuoi il mio aiuto», ribadì.
    Ausia respirò a fondo e serrò gli occhi per un momento. «Va bene. È giusto», disse. «Tutti sanno che quel corvo è tuo, così non sospetteranno che il messaggio che porta sia mio».
    Albus annuì. «E perché non si deve sapere che il messaggio è tuo?».
    «Perché lo intercetterebbero».
    Albus e James si scambiarono un’occhiata. «A chi devi mandare il messaggio?». Ausia ebbe un moto di stizza, ma Albus non perse la calma. «Se devo dire al corvo a chi consegnare il messaggio devo sapere di chi si tratta».
    La Serpeverde arrossì, Albus pensò che fosse rabbia o forse vergogna, strinse le labbra in una linea e poi tornò a sostenere il suo sguardo, più determinata che mai. «Al professor Sylla».
    James spalancò la bocca. Nemmeno Albus si aspettava quella risposta, ma per qualche ragione, non lo sorprese. «Ma è in arresto», protestò il maggiore dei Potter.
    «No, è solo stato sollevato dall’incarico. Ci sarà un’indagine sul suo conto, ma è a casa sua».
    «Va bene», disse Albus, alzandosi in piedi.
    «Ma non sai nemmeno se quel corvo è in gradi di farlo!», protestò James, «E poi, per cosa è indagato Sylla? Chi ci dice che non finiremo nei guai per averla aiutata?».
    «Scalawag consegnerà il messaggio», disse Albus, «ma i dubbi di James hanno senso: finiremo in qualche guaio?».
    L’espressione di Ausia era appena più serena di prima. Scosse la testa. «No, se nessuno saprà che avete inviato voi il messaggio», disse. «Meno ne sapete e meglio è, credetemi, ma comunque… lo saprete. A tempo debito saprete ogni cosa, ve lo garantisco». Albus era sicuro che fosse sincera, ma percepita anche un’insolita ostilità in James.
    «Perché dovremmo farlo?», chiese infatti suo fratello, e Albus non poté fare a meno di fargli notare che: «L’ha chiesto a me, James. Tu non devi fare nulla». James si sgonfiò come un palloncino, come se lo avesse preso a schiaffi, come loro padre quando loro madre si era scostata. Allora gli diede una gomitata amichevole, per scuoterlo. Lui non lo stava lasciando.
«James però ha ragione: non siamo amici e ci hai sempre trattati male. Perché dovrei aiutarti?».
    «Albus», si intromise Lotus, «per favore!». Lotus era un amico e Albus sapeva quanto fosse legato ad Ausia Flint.
    «Ho già detto che lo farò e non mi voglio tirare indietro», chiarì allora. Forse l’unica risposta che Ausia avrebbe potuto dare era che lui fosse un Grifondoro, e tutti sapevano che i Grifondoro erano di buon cuore, ma la ragazza lo sorprese.
    «Perché non ho alternative, Potter. Nessun altro mi può aiutare».
    «D’accordo», concluse Albus e Ausia sospirò di sollievo. Prese una pergamena dalla tasca, era chiusa e Albus la fece sparire all’interno del mantello. «Dopo le lezioni la darò a Scalawag».
    «Grazie, Potter».
    «È meglio andare», disse Lotus, guardando di nuovo alle loro spalle e Ausia annuì. Iniziò a scendere i gradini con lui e poi si voltò.
    «Mio fratello trascorrerà il mese di Luglio in Bulgaria, ma l’ultima settimana di Agosto sarà a Londra. Da solo», disse e l’ostilità di James nei suoi confronti scomparve. Il ragazzo annuì e le sorrise, ma Ausia si era già voltata di nuovo e scendeva di corsa le scale.
    I passi dei due Serpeverde non si sentivano più da poco quando le voci di Rose e Martin risalirono lungo la tromba delle scale. «Scusate il ritardo», li salutò Martin.
    «Abbiamo trovato Scorpius e Lily in fondo al corridoio e hanno voluto sapere anche loro di Sylla», spiegò Rose.
    «E voi cosa gli avete detto?», chiese Albus. La sorella e Scorpius, capì Albus, avevano fatto in modo che Rose e Martin non vedessero Ausia parlare con loro, quindi non potevamo riferire quello che la ragazza aveva rivelato sul professore. Non che ne sapessero molto più di prima, comunque: Ausia non aveva detto loro per quale ragione l’insegnante fosse stato sospeso o perché fosse indagato.
Una parte di lui avrebbe voluto aprire la lettera che custodiva nella tasca, ma non lo avrebbe fatto.
Ausia aveva detto che avrebbero saputo tutto, quindi doveva aspettare. Inoltre, Ausia aveva detto a James quando poter incontrare Augustus Flint, quindi davvero il ragazzo c’entrava qualcosa con suo fratello, ma ancora non sapeva di cosa si trattasse.
    Albus ascoltò Martin raccontare quello che era accaduto e quali fossero le teorie più accreditate tra i Corvonero, ma con la mente era già alla casa di Hagrid, ad affidare quel messaggio al corvo. Sentiva che era qualcosa di importante, qualcosa che doveva fare.

 
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Penultimo capitolo! ^^
Doppia uscita, per me, perché oggi è finalmente disponibile anche il cartaceo dell'antologia Storie di Gatti, tra i cui autori ci sono anche io e i cui proventi saranno interamente devoluti alla Croce Rossa Abruzzese in favore delle vittime del terremoto.
Insomma, nonostante il caldo mi stia uccidento, oggi sono contente. ^^
Passo rapidissimamente a ringraziare uwetta, che ieri ha compiuto gli anni, quindi, AUGURI!!! e Ladyriddle, finalmente tornata tra noi ^^ e tutti i lettori silenziosi e vi do appuntamento a prestissimo qui su EFP o sulla mia pagina FB! ^^

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Capitolo 16
*** La fuga ***


16
La fuga
 

Scalawag aveva consegnato tre messaggi per conto di Ausia, poi la corrispondenza tra lei e il professor Sylla si era interrotta e le giornate si erano susseguite tutte uguali tra lezioni e compiti. Faceva sempre più caldo. Albus aspettava ancora di sapere di quale losca faccenda fosse diventato complice, ma Ausia si teneva alla larga da lui e da James e Lily teneva la bocca insolitamente cucita. “Al momento giusto saprete tutto”, aveva detto giorni prima a lui e James, con espressione seria. Da quando era diventata amica di Ausia, Lily si era integrata molto meglio tra i Serpeverde, ma non era solo quello: sembrava che all’improvviso tutto quello che loro madre aveva inutilmente cercato di insegnarle sulle buone maniere le fosse entrato in testa.
     In realtà, Albus non aveva idea di “quando” o “come” o “perché” Lily fosse diventata amica della Flint, e gli mancava anche la sua sorellina chiassosa e spontanea, ma sospettava che quel cambiamento sarebbe giovato a Lily più della sua nostalgia.
     Un mattino Lucy disse: «Ho sentito dire che la commissione d’esame di quest’anno è particolarmente severa», e Dominique smise istantaneamente di mangiare.
     Albus alzò lo sguardo sulle cugine, mentre sentiva un ragazzo del quinto anno singhiozzare “Non posso farcela”, solo a qualche posto dal suo. La settimana degli esami era arrivata, le lezioni erano praticamente finite e c’era chi contava già i giorni per tornare a casa.
     «Andrà tutto bene», disse James a Lucy e la cugina lo guardò con volto cereo.
     «Voglio proprio vedere se l’anno prossimo sarai così rilassato!», sbottò la ragazza, alzandosi da tavola e andando via. James si strinse nelle spalle e scambiò uno sguardo con Albus. «Se divento così isterico, uccidimi», bisbigliò al fratello.
     «Non c’è pericolo che tu ti preoccupi tanto per la scuola», gli rispose Albus, a metà tra la presa in giro e l’incoraggiamento. Albus, però, era sicuro che James non si sarebbe mai dannato per gli esami: voleva giocare a Quidditch, non diventare un Guaritore o un Alchimista.
     Durante quella settimana, però, si imbatté in molte scene che non avrebbe mai creduto di vedere. Forse gli anni precedenti non ci aveva fatto caso o forse la commissione d'esame di quell’anno era davvero più severa.
     Quando andò ad incoraggiare Dominique, prima dell’ultima prova orale, incontrò Ausia assieme ad alcune sue compagne di classe. La maggior parte dei Serpeverde sembrava rilassata e sicura, ma era certo che si trattasse solo di una facciata. Non era così per la Flint, però: sembrava che ad Ausia non importasse affatto degli esami. I suoi voti erano stati altalenanti per buona parte dell’anno, la sua media non era buona come era stata in passato, eppure non le importava.
     Mentre Albus la superava, gli occhi azzurri di Ausia si spostarono rapidamente, incontrando i suo, il contatto durò un istante e in quell’istante Albus trattenne il fiato. Non sapeva di cosa si trattasse, ma fu certo che stesse per accadere qualcosa.
     La sensazione non lo lasciò nemmeno quando salì sul treno per tornare a casa.
     L’anno scolastico era finito, gli esami, per quanto fossero stati difficili, erano passati, e quasi tutti gli studenti, una volta saliti sul treno, non ci pensarono più. Persino Lucy aveva ritrovato il buon umore. Lungo il corridoio del treno c’erano primini che correvano e studenti dell’ultimo anno che si abbracciavano, promettendosi di rimanere in contatto. Senza le divise addosso non sembrava avere più importanza a quale casa appartenessero. Anche le loro divise erano nei bauli, ormai. Si erano cambiati a turno, liberandosi di mantelli e cravatte, aiutandosi a vicenda a rimettere poi i bagagli nelle bagagliere.
     «Io vado a cercare Dominique», disse Lily quando mancava poco all’arrivo del treno a Londra. Era stata tranquilla per tutta la durata del viaggio, accarezzando Erintja e ascoltando le chiacchiere di Rose e Martin.
     «Tra poco arriviamo, non puoi cercarla dopo?», chiese James.
     «No», Lily scosse la testa. «Devo dirle una cosa. Ci pensi tu al mio baule?». James fece una smorfia e Lily sorrise. «Grazie, fratellone», esclamò prima di uscire saltellando.
     «Ehi!», si lamentò James, «Io non ho detto di sì!», protestò il maggiore dei fratelli Potter e fu allora che la sensazione che Albus aveva provato incontrando Ausia tornò. Martin e Rose risero ed Erintja socchiuse gli occhi, sorniona.
     Il treno arrivò all’imbrunire, ma il binario 9 ¾ era illuminato dai vecchi lampioni, il fumo della locomotiva si sollevava e si disperdeva in una nebbia sottile che nascondeva la volta della stazione, ma rifletteva la luce artificiale come uno specchio opaco. Nello scompartimento, Albus e James cominciarono a tirare giù i bauli dai portabagagli e Martin chiuse Erintja nella cesta; nel corridoio il vociare degli studenti era aumentato. «Vado a cercare Hugo», disse Rose, uscendo prima che tutti i passeggeri si riversassero fuori dagli scompartimenti.
     Prima di uscire, Albus diede un ultimo sguardo alla pergamena che teneva in tasca e si sorprese nel vedere che un secondo pedone fosse diventato completamente rosso. Per qualche momento lo fissò rimpiangendo di non avere Scalawag con sé: voleva provare a muoverlo e vedere come si sarebbe spostato l’altro pedone rosso. Il treno però si fermò.
     «Al’, ti muovi?», lo chiamò James e lui si affrettò a rimettere il foglio in tasca. Le porte si aprirono e gli studenti cominciarono a scendere, stanchi ma felici, mentre i genitori li cercavano tra la consueta folla che riempiva la banchina ogni 30 Giugno come ogni Primo settembre.
     «Lì c’è zio Ron», disse James, individuando la testa rossa del padre di Rose e Hugo al di sopra dell’altezza media degli altri. «Andiamo».
     Avevano quasi raggiunto i Weasley quando loro padre li intercettò. «Dov’è Lily?», chiese Harry Potter, abbracciando i figli.
     «Con Dominique», gli rispose Albus, mentre si guardava attorno cercando di individuare la sorella, quando la voce di Dominique giunse alle loro spalle.
     «Zio Harry!», trillò la ragazza, «Che bello vederti!».
     Harry le sorrise. «Già… Lily è con te?», chiese il Capo Auror, salutando la nipote con un abbraccio.
     «No, non la vedo da stamattina», disse la ragazza.
     «Come?», chiese l’uomo, guardando i figli.
     «Aveva detto che veniva da te», rispose James. Albus avvertì l’ansia traboccare dal suo tono. Le prime famiglie ricongiunte si stavano allontanando e diventava più facile guardarsi intorno. Vide  Scorpius e Lotus raggiungere i loro padri, c’era anche la madre di Scorpius con loro, e la sorella di lei. Albus la guardò: l’aveva incontrata una volta, al compleanno di Scorpius. Se ricordava bene, il suo nome era Daphne, e Ausia le somigliava tantissimo. Anche Augustus aveva preso dalla madre, anche se aveva i capelli scuri del padre. L’uomo aveva un’espressione arcigna e si guardava intorno come stava facendo lui.
     «Eccola, è lì!», indicò James. Lily stava andando verso l’uscita assieme a una ragazza alta, dai capelli dorati, che sembrava in tutto e per tutto Dominique.
     «Restate qui!», ordinò loro padre, scattando verso la figlia. James e Albus gli corsero subito dietro.
     C’era ancora troppa gente per correre senza rischiare di travolgere qualcuno, ma quando riconoscevano Harry Potter e si accorgevano che teneva in mano la bacchetta, maghi e streghe si spostavano, lasciandolo passare. Probabilmente, pensò Albus, anche quella volta sarebbero finiti sui giornali, ma non gli importava perché Lily stava per passare nella parte babbana di King’s Cross tenendo per mano la sconosciuta.
     Attraversò il muro dietro a James e a loro padre, trovandosi nella stazione ancora più affollata.
     «Lily!», gridò loro padre, guardando freneticamente in ogni direzione. La gente li guardava, ma lui e James avevano tolto i mantelli sul treno e loro padre portava abiti babbani, anche se teneva in mano un bastoncino abbastanza bizzarro da ricordare una bacchetta magica.
     «È lì, papà!», la individuò di nuovo James, mettendosi a correre prima ancora del padre.
     Lily stava raggiungendo una delle uscite della stazione. Oltre quella soglia c’era tutta Londra. Loro padre la chiamò di nuovo e Lily si voltò. Anche l’altra ragazza si voltò. Indossava la cravatta di Grifondoro e somigliava davvero tanto a Dominique, ma i suoi occhi… «Ausia!», chiamò Albus.
     Ausia Flint sorrise e lasciò la mano di Lily. Si tolse la cravatta rosso-oro dal collo e la diede alla ragazza, dicendole qualcosa. Lily annuì, poi Ausia fece un cenno di saluto verso Albus e riprese a camminare verso la porta, il professor Sylla era lì. Albus non l’aveva quasi riconosciuto vestito come un eccentrico babbano. Uscirono dalla stazione nel momento in cui le braccia di Lily si chiusero intorno a loro padre.
     «Lasciala andare!», esclamò la più giovane di casa Potter. Lily aveva gli occhi umidi e loro padre mise un ginocchio a terra, guardandola senza capire. «Ausia non vuole più tornare a casa. È maggiorenne e non vuole sposare qualcuno scelto da suo padre». Tirò su col naso. «Tu non mi farai sposare con qualcuno che non voglio, vero, papà?».
     Harry Potter la strinse tra le braccia. «Certo che no!», le disse, baciandole la fronte.
     La Gazzetta del Profeta avrebbe riportato la notizia che Ausia Flint era scappata sotto il naso di Harry Potter e dei suoi genitori, probabilmente, ma Albus era sicuro che, per una volta, suo padre non ne sarebbe stato infastidito.
     Forse Lily sapeva qualcosa di più, forse sapeva dove il professor Sylla avrebbe portato Ausia, ma non lo disse. Albus guardò James, la sua espressione scura e preoccupata, e non seppe come interpretarla.
     «Andiamo a recuperare i bauli», disse loro padre, alzandosi in piedi e tenendo per mano Lily. «Di chi è quella cravatta?».
     Lily teneva ancora in mano la cravatta di Grifondoro che Ausia aveva tenuto al collo per completare il suo travestimento da Dominique Weasley. «Di Rose. L’ho nascosta in tasca quando ci siamo cambiate prima». Albus sbuffò al suo tono candido, trattenendo una risata e loro padre guardò in alto, respirando a fondo, prima di sgridarla. «L’ho solo presa in prestito», aggiunse lei e il padre la strinse un po’ più forte.
     I signori Flint erano ancora sul binario. La madre di Ausia sembrava preoccupata, il padre arrabbiato. Il signor Malfoy era ancora con loro e lui e loro padre si scambiarono uno sguardo.
     «Andate avanti, io devo parlare coi signori Flint», disse loro padre e Lily fu rapida a correre avanti, verso i bauli rimasti a terra, sulla pensilina. James la seguì esitante.
     «Cosa dirai?», chiese Albus.
     Harry Potter gli sorrise a forza. Aveva gli occhi cerchiati, Albus sapeva che non era felice ma che non voleva che loro si preoccupassero. «Che di sicuro avrà preso il massimo dei voti in Trasfigurazione», rispose suo padre e gli fece cenno di andare avanti.
     Albus ubbidì, scoccando un altro sguardo al gruppo di adulti a cui si stava avvicinando suo padre. Era sicuro che Ausia fosse ormai molto lontana da lì.
 
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Eccoci arrivati alla fine del terzo anno di Albus.
Con questo capitolo finisce "La scacchiera incostante" ma, come avrete capito, la partita tra Albus e Carabà è lungi dal finire e la ritroveremo prossimamente, nella nuova avventura di Albus Potter a Hogwarts.
Vi ringrazio tutti per aver letto anche se avrei preferito conoscere il vostro parere sulla storia che ho scritto. A tal proposito devo ringraziare più di chiunque altro uwetta che non ha tralasciato di commentare nemmeno un capitolo. Grazie anche a Ladyriddle, che nonostante gli impegni e i problemi di questi mesi mi ha sempre incitata ad andare avanti con questa storia e sta già chiedendo "quando" arriverà il seguito.
A questa domanda non posso rispondere adesso: ho una 'lista' di storie che aspettano. In ogni caso potete seguirmi su FB per non perdervi i miei prossimi aggiornamenti e sapere sempre cosa sto scrivendo!
Vi aspetto! ^^

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