My Little Monster

di Sydrah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Begin ***
Capitolo 2: *** Monsters ***
Capitolo 3: *** Just a human ***
Capitolo 4: *** Run away (and never look again) ***
Capitolo 5: *** Walls ***
Capitolo 6: *** Scared and scarred ***
Capitolo 7: *** How to forget you (only for tonight) ***
Capitolo 8: *** Apathy ***
Capitolo 9: *** I hate you (or I hope so) ***
Capitolo 10: *** Dear rain (wash the pain away) ***
Capitolo 11: *** Paint it red ***



Capitolo 1
*** Begin ***


Ciao a tutti! Prima della lettura:
1)Hanno tutti la loro età attuale
2)Si, questa storia potrebbe ricordarvi una via di mezzo tra under the dome, xmen, romeo e giulietta e ??????? un misto di roba, perché io sono pazza e mischio tutte le mie idee insieme. Non la segno come crossover perché di fatto non è un crossover, ma è solo un po’ ispirata ad esse. Se a qualcuno da’ fastidio cercherò di rimediare ^^
La storia si costruirà poco a poco (LA DEVO ANCORA SCRIVERE TUTTA AHAHAHHAHAAH voglio morire) per questo i capitoli saranno postati MOOOOOOOOOOOOLTO lentamente ;w; perdonatemi. Prometto che cercherò di postare almeno una volta al mese.
Detto questo, buona lettura. Se avete dubbi non esitate a chiedere. Se volete piangere insieme a me sulla Jikook, vi attendo a braccia aperte.
Fatemi sapere cosa ne pensate! :3 i vostri pareri mi motivano a scrivere di più.
Sydrah~
 
 
 
 
 
 
 
 
-"Era l'anno 2041.
Il mondo era cambiato poco a poco e le tecnologie non si erano fatte pregare per avanzare. La Terra stava vivendo un impensabile periodo di pace, dopo che era stata colpita dalla Terza Guerra Mondiale.
Molto alleanze si erano rotte, e il sottile filo che teneva intatto l'equilibrio del mondo si era spezzato, creando il caos.
Russia e Stati Uniti erano ancora una volta le maggiori potenza che si scontrarono, cercando compagne per portare alla vittoria la propria fazione.
Attacchi di stato, stragi, avevano seminato la desolazione sul sempre più distrutto pianeta, il cui grido di dolore si faceva sempre più forte.
Fortunatamente la guerra terminò, lasciando dietro di sé una lunga scia di morte e odio. 
La popolazione si riprese lentamente, non poteva fare altrimenti, e un nuovo e florido apriva le sue porte, pronto ad accogliere innovazioni e felicità.
Filó tutto liscio  fino a quando, nel 24 novembre 2041, un'altra catastrofe avvenne. Chernobyl e Fukushima si ripeterono ancora una volta, ma qualcosa di nuovo accadde.
 
Seoul, capitale della Corea del Sud, era una giornata tranquilla, e mai nessuno si sarebbe aspettato che invece avrebbe portato ad un cambiamento irreversibile.
Nella centrale nucleare di Hanul si verificò  un danneggiamento nelle apparecchiature, che portò  all'esplosione dell'intero stabile.
Per anni si discusse se la catastrofe fosse effettivamente 'casuale' e 'un incidente' come le autorità proclamarono,  o se fosse tutto avvenuto per un motivo ben preciso, per un malato esperimento dei potenti, che avevano fatto il passo più lungo della loro gamba pensando di avere tutto sotto controllo. 
Sta di fatto che subito il governo si attivó, e decise che era necessario la zona venisse subito messa in quarantena, impedendo la diffusione dei gas tossici.
Fu questo il punto che suscitò  più rabbia e scalpore verso ‘l'alto': come fu possibile che gli scienziati avessero già trovato una soluzione per impedire che i gas fossero trasportati dall'aria senza sapere che un avvenimento del genere sarebbe accaduto?.
 Beh, sta di fatto che la popolazione fu messa a tacere, e nel giro di un paio di mesi le persone smisero di farsi domande, anche quelle che persero i loro cari in questo disastro. La zona fu chiusa da una cupola, costruita con leghe altamente resistenti, alcuni materiali utilizzati furono per esempio acciai whiskers, diamante e carbonio.
 La cupola fu tenuta coperta, impedendo alla popolazione al di fuori di essa di vedere cosa stesse accadendo al suo interno. Certo, questo metodo fu molto criticato, perché come ogni decisione aveva dei pregi e dei difetti.
 Grazie a questa cupola, che permise di bloccare la diffusione dei gas, tutta la popolazione rimasta all'esterno di essa sopravvisse, senza essere minimamente infettata o danneggiata, mentre quelli al suo interno perirono. 
Una realtà molto cruda, sì.
 
Il governo cercó di mostrare ovviamente di più i lati positivi, esaltando le favolose proprietà di questa cupola, che oltre a salvare l'80% della popolazione, una percentuale decisamente elevata, avrebbe addirittura permesso, col tempo, di purificare l'aria all'interno di essa, permettendo in un futuro di liberare nuovamente la zona.
Per anni la cupola rimase coperta, almeno, rimase coperta ai comuni cittadini, e avvicinarsi ad essa era proibito, tantomeno cercare di scalfirla, cosa impossibile, per entrarvi e trovare il cadavere di un caro ormai perso.
Ovviamente, però, per 'l'alto' non vigevano gli stessi divieti. Molti esperimenti furono condotti, e tutti furono tenuti segreti per moltissimi anni.
Si pensava che all'interno della cupola tutti fossero morti, ma ben presto anche la popolazione scoprí che non era così.
Una minima parte delle persone al suo interno riuscirono a sopravvivere, chiamati 'i pochi eletti', oppure semplicemente 'mutanti'. Il loro DNA, per riuscire a sopravvivere, si modificó, e gli eletti iniziarono a mostrare delle abilità.
La cupola fu scoperta solo nel 2061, ben venti anni dopo, e la reazione della popolazione fu per nulla positiva.
 Per anni, dopo che era stato confessato che all'interno vi erano sopravvissuti e che essi avevano mostrato delle abilità speciali, i media iniziarono a diffamare questi eletti, descrivendoli come persone ostili, pericolose e infette.
Negli 'esterni' crebbe un odio profondo ed ingiustificato verso i così detti 'mostri' e chiaramente questo odio era reciprocato.
Gli interni rimasero chiaramente più arretrati tecnologicamente, ma col passare degli anni si creó una vera e propria città all'interno della cupola.
L'alto cercó  chiaramente di sfruttare queste abilità, sottoponendo gli eletti a torture ed esperimenti disumani, che  accrebbero il loro astio.
Anche i mutanti trovarono un modo per uscire dalla cupola, compiendo massacri e distruggendo tutti gli spazi adiacenti alla cupola.
Il governo riuscì a placare gli attacchi, ma chiaramente per molti anni la visione che gli interni ed esterni avevano erano reciprocamente di odio, disgusto e disprezzo.
Fu emanata una legge inalienabile, secondo cui nessun esterno né  interno avrebbe MAI  più dovuto oltrepassare la cupola, per poter mantenere la pace, e così tutte le possibili entrate furono chiuse.
Chiaramente era una pace finta, con un'atmosfera terribile di sottofondo, ma da allora non ci furono più notizie di avvenimenti legati alla cupola.
La società al suo interno si fortificó sempre più e, seppure anche all'interno di essa si progredì, fu ovvio che le popolazioni  interne ed esterne avrebbero mostrato differenze sostanziali.
All'esterno la tecnologia, all'interno la 'magia'.
 
I 'mostri' vengono ancora definiti tutt’ora tali, e le famiglie leggono ai loro figli storie dove i lupi cattivi sono loro, e gli esterni sono tutti poveri cappuccetto rosso indifesi, e questo non aiutò sicuramente a migliorare i pregiudizi.
'Non guardare'  'smettila di sorridergli'  'sono mostri' 'non ti avvicinare' sono frasi molto comuni da sentire vicino ai margini della cupola, dove le differenze diventano ben visibili.
La paura, sì, la paura fu la causa di tutto questo. Paura del male subito, paura del diverso. E la paura è  ciò che ci rende, però, anche così tanto uguali"
 
*driiiiiiiiiiiiiin* 
 
-"Ragazzi, aspettate! Volevo solo concludere" disse il professore, allontanandosi dalla proiezione delle immagini "Per questo motivo- ah per carità, Jackson, rimani un attimo ancora seduto- per questo motivo non bisogna avere pregiudizi, perché tutti gli uomini, TUTTI, provano paura. Okay okay, va bene, potete andare, ci vediamo la prossima settimana".
 
Riposi nella borsa tutti i miei libri e quaderni per poi chiuderla  e metterla in spalle, dirigendomi  verso l'uscita dove Taehyung mi stava aspettando 
 
-"Sbrigati Jiminie!"
 
-"Arrivo arrivo. Aishh, sempre ad avere fretta"
 
Era l'ultima lezione della giornata, ci dirigemmo quindi fuori la struttura per andare nell'ala dei dormitori. 
Era una giornata primaverile, e la dolce brezza carezzava la pelle baciata dal sole. 
 
-"Non trovi sia incredibile??" Mi girai verso Tae  (il mio disgraziato migliore amico-mi domando tutt'ora come lo fosse diventato dal momento che, durante il nostro primo incontro, mi rovesció il suo 'tè  al gelsomino prego, non è  un tè  qualsiasi' addosso-ma beh...)
 
-"Che cosa?"
 
-"Beh, che tutto questo sia accaduto a mala pena una cinquantina di anni fa!"
 
-"Tae, cinquanta anni fa sono comunque cinquanta anni fa"
 
-"Ma se ci pensi in cinquanta anni sono successe tantissime cose!"
 
-"Anche in un anno succedono tantissime cose"
 
-"Jimin! Non è  questo il punto! È  che non avevo mai sentito esattamente come fosse andata la storia, quindi scusa se ho trovato questo corso illuminante" Alzai le sopracciglia 
 
-"Per la tua felicità questo corso durerà altre troppe lezioni. Lezioni inutili per di più"
 
-"Come puoi essere così disinvolto?! È  l'avvenimento contemporaneo più importante che sia successo a livello globale, che ha completamente stravolto il mondo, e tu consideri delle lezioni su di esso inutili??" Spalancò gli occhi e mi guardò con uno sguardo accusatorio, puntandomi il suo indice contro
 
-"Mi sono utili per trovare un lavoro e sopravvivere? Hmmm, no" Sbuffó e finse di essere indignato
 
-"Se la pensi così allora puoi continuare a seguire i tuoi noiosissimi corsi di giurisprudenza"
 
-"Lo farò, non ti preoccupare. E quando per sbaglio ucciderai una persona con la tua 'medicina' vai a cercarti un'altro avvocato, che magari sappia raccontarti tutto il disastro di Hanul cantando" Tae scoppió a ridere e mi tiró un pugno  (fin troppo forte) sulla spalla
 
-"Mi dispiace deluderti, ma non uccideró nessuno, nessuno a parte te per lo meno" Mi misi anche io a ridere questa volta, borbottando un 'come no'.
 
-"Comunque davvero, Jiminie, non sei curioso degli interni? Continuó il discorso non appena le risate si dissolsero, alzando la testa verso l'alto e mettendo la mano davanti agli occhi per impedire che i raggi del sole lo colpissero.
 
-"Non saprei...sarei curioso, ma è  meglio tenersi fuori dai casini, mi spiego? È  ancora una questione troppo recente, e ci sono troppe cose ancora tenute nascoste e...meno ci finisci in mezzo meglio è "  tenni lo sguardo dritto di fronte a me, ancora un paio di metri e saremmo arrivati ai dormitori. 
Tae annuí soltanto, dopotutto era lui lo spirito libero e creativo tra noi due, quello che voleva conoscere, che voleva l'avventura.
Io ero sempre stato quello tranquillo, quello più timido, quello che cercava la normalità. Ma cos'era la normalità a conti fatti?
La mia famiglia aveva sempre avuto una mentalità molto chiusa, e inevitabilmente ero cresciuto con molti stereotipi e pregiudizi in testa.
Essendo abbastanza benestante avrei dovuto scegliere anche io una buona carriera che mi avrebbe assicurato un posto di lavoro, e per questo decisi di fare della danza solo un hobby, ucciso dalle pressioni della mia famiglia, e intrapresi gli studi di giurisprudenza.
Me lo ricordo ancora, il loro volto sorridente quando glielo dissi, quanto furono soddisfatti di me,al punto di arrivare a fare una festa invitando tutti i loro amico schizzinosi e altolocati.
Le mie usurate all-star, che usavo sempre per ballare, furono lasciate per diverso tempo a prendere polvere al fondo dell'armadio, quasi come per nasconderle dalla vista: 'occhi non vedono cuore non duole' si dice, e si, abbandonare un sogno fa sempre male.
Avevo iniziato a ballare quando ero piccolissimo, da quando ne ho coscienza, negli stessi anni in cui mia madre mi tirava la mano quando guardavo la cupola, dicendomi di non fissare, che lì  c'erano le persone cattive, quelle che facevano male agli esterni. E io diligentemente ascoltavo. Ho sempre ascoltato. 
Per questo partire per il college fu una liberazione. Per questo conoscere persone come Taehyung mi cambiò  la vita: perché erano persone diverse, persone che non avevano paura di fare quello che volevano, persone che sapevano ribellarsi ed essere se stesse. 
Taehyung, Hoseok e  Namjoon divennero i miei nuovi migliori amici (non che ne avessi mai davvero avuti prima-dato che fino ad allora avevo dovuto frequentare i figli viziati degli amici dei miei genitori-sempre per farli felici), ed era come se li conoscessi da tutta la mia vita.
Uscito di casa potei riprendere ad essere me stesso, a ridere, ad essere felice, a ballare  pur continuando i miei studi di legge, e potei ritenermi soddisfatto di essere finalmente libero di vivere.
Arrivati nella nostra stanza (sì, oltre a dover stare praticamente sempre con lui ero stato incastrato anche a condividere la stanza con Taehyung-e vi assicuro, era un miracolo non fosse ancora esplosa), mi distesi sul letto in modo poco aggraziato.
 
-"Hoseokie dice che tra poco arriva qui" Tae ruppe il silenzio, mentre batteva freneticamente i pollici contro lo schermo della proiezione emessa dall’orologio . Io mi limitai ad emettere un suono, per fargli comprendere che avevo sentito
 
-"Dice di non addormentarti perché vuole andare al bar dove Namjoon lavora...Jimin...JIMIN" Mi scosse il braccio e io voltai la mia testa nella sua direzione, lanciandogli un'occhiataccia e dicendo qualcosa di molto simile a 'ma ho sonno' che purtroppo diventò un 'hmpf'.
 
-"Avrai tutto il tempo da morto per dormire hyung! Ora alzati" Mi schiacció col suo peso per immobilizzarmi  prima di iniziare a farmi il solletico. Mi dimenai senza alcun successo, prima di arrenderm. 
 
-"Okay okay! Va bene, come vuoi!" 
 
-"Vivi un po' Jimin! Sono due mesi che non metti piede fuori dal college. Sei sempre chiuso qui a studiare, e il tuo massimo di camminata è  dal tuo letto alla lavanderia dietro l'angolo"
 
-"Non è  vero!" Esclamai offeso "Arrivo fino all'ala est dove ci sono tutte le aule, tsk" Taehyung  giró  gli occhi al cielo, prima di aiutarmi ad alzare tirandomi per i polsi.
 
-"Sei anche dimagrito! Non ci credo che ti perdo d'occhio per un attimo e guarda in che condizioni ti riduci"
 
-"Grazie dottore, ora puoi anche smetterla di farmi la ramanzina dal momento che sono più grande!"
 
Per mia fortuna in quell'istante arrivó  Hoseok, che ci salutó con un sorriso smagliante.
Per mia sfortuna, invece, non aspettó due secondi prima di trascinarci fuori.
Effettivamente era un mese se non di più che non uscivo dal college, e l'asfalto sotto i  mie piedi, non appena varcammo la soglia, mi parve quasi sconosciuto.
Era più di un mese che non avevo contatti sociali col mondo esterno (non che ne avessi bisogno, le uniche persone a cui parlavo quotidianamente  erano sempre con me), ed era più di un mese che non contattavo la mia famiglia.
'Poco importa' mi dissi, fino a quando non chiamavano loro significava che la questione non era ancora grave, e poi erano molto propensi ed entusiasti al lasciarmi studiare in pace. 
Eravamo per strada verso il bar, quando una strana sensazione percosse il mio corpo.
Era una sensazione indescrivibile, non generata da fattori esterni, quasi come un sesto senso.
Era come se l'aria che intorno a me mi stesse sussurrando qualcosa, e sapevo che quel giorno sarebbe successo qualcosa di diverso.
Mi guardai intorno, ma non c'era nulla, nessuno. Cercai di non pensare a quella sensazione ed andai avanti.
Il bar dove lavorava Namjoon era situato vicino al confine con la cupola, e nonostante la zona non fosse troppo apprezzata per ovvi motivi, il bar era sempre molto popolato.
Tae mi ingozzó di diversi tipi di torte (devi rimetterti in salute Jimin!), e rimanemmo lì  fino alla fine del turno di Namjoon.
Si fece quasi sera, il cielo era ancora chiaro essendo primavera, e a quel punto tornammo indietro, percorrendo una strada diversa rispetto all'andata, una strada più vicina alla cupola.
Stavo parlando tranquillamente con gli altri quando quella sensazione mi colpì  di nuovo, e una voce nel mia mente disse 'girati!', e io mi girai.
Mi girai,e guardai dove i miei genitori mi avevano sempre impedito di guardare, guardai verso il posto che aveva sempre solleticato la mia curiosità, per la quale avevo ricevuto numerosi rimproveri.
E  voltarmi in quel momento, in quell'esatto giorno, mese, anno fu un errore terribile.
Seduto sotto un albero al margine interno della cupola c'era un ragazzo, che con occhi arrotondati e con una venatura di innocenza stava guardando fuori.
Alzò  lo sguardo, e per un breve intenso istante i nostri sguardi si incontrarono. I suoi infantili occhi da cerbiatto assunsero  un'aria più minacciosa, un misto tra rabbia e paura, la quale generava più rabbia. Distolsi subito lo sguardo, spaventato.
Quello....quello era un'interno...
Certo, non era il primo che avevo visto in tutta la mia vita. No, ne avevo visti diversi, ma era il primo che mi ero soffermato a guardare.
Gli altri li avevo sempre solo intravisti, terrorizzato dal rivolgergli le mie attenzioni, dopotutto erano dei mostri...e se mi avessero fatto del male? Erano mostri, mostri! Non dovevo guardarli.
Eppure, quel ragazzo seduto, non mi era sembrato un mostro.
Il suo viso era tondo, simbolo ancora di giovinezza, ma con una mascella ben definita da invidiare, la quale sott’intendeva che la pubertà lo aveva già colpito da tempo. Le labbra erano sottili e rosee, e gli occhi di un intenso color cioccolato. I capelli erano castani e leggermente scompigliati, il fisico asciutto, nascosto da vestiti abbastanza larghi.
Il suo aspetto poteva sembrare intimidatorio, ma allo stesso tempo innocente: era seduto con le ginocchia strette al petto, le braccia le stringevano e le mani erano celate dalle maniche della felpa.
Era così...innocente, così umano. Ma quello sguardo era tutt'altro che amichevole. Era ostile, era spaventato. Era lo sguardo di una persona che vorrebbe essere libera, ma che sa di non poterlo essere.
Era lo sguardo di un ragazzo, e io non potei fare a meno di distoglierlo. Perché avevo paura, e sapevo era sbagliato.

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Capitolo 2
*** Monsters ***


Mostri.
Questa è la parola che meglio avrebbe descritto quelle perone.
Sempre indaffarate sempre di fretta, a correre da una parte all’altra con quegli strani aggeggi.
Mi erano sconosciuti e la cosa, anche se avrei sempre cercato di nasconderla, mi incuriosiva parecchio.
Cosa erano, a cosa servivano? Perché noi non li avevamo?
Ero appena uscito di casa, mi sarei dovuto incontrare con Yoongi, ma all’ultimo mi aveva avvisato che sarebbe stato occupato col suo lavoro, quindi decisi di andarmene comunque di casa, per non dover badare alle lamentele dei miei genitori, che non esitavano nemmeno per un giorno a dirmi quanto fossi una delusione.
La piccola casa malandata si faceva sempre più piccola alle mie spalle, mentre precedevo con sicurezza, percorrendo la strada ormai familiare.
Dopotutto, passando diciannove anni sempre nella stessa zona ti permetteva di conoscerla molto bene.
Mi allontanai dalla zona battuta, deviando verso il ‘bosco’.
L’erba sotto i miei piedi era decisamente più morbida e soffice dell’asfalto, e il ‘cielo’ era coperto dalle ampie foglie degli alti alberi.
Procedetti nella stessa direzione per un altro paio di minuti, prima che i raggi del sole tornarono a colpirmi, ormai non più oscurati dalla vegetazione. Mi sedetti sotto un albero, collocato, secondo il gran intenditore me medesimo, nella posizione perfetta: non troppo esposto al caldo né troppo coperto dall’ombra.
Portai le ginocchia al petto, per poi iniziare a guardarmi intorno, e rimasi ancora una volta stupito da ciò che c’era fuori.
‘Chissà com’è?’  era una domanda che mi ponevo molto spesso: come doveva essere poter girare dove si vuole, poter salire su di un aereo. Doveva essere bello vedere tutto il mondo dall’alto, e poter volare al di sopra della cupola. I più fortunati tra di noi, a mio parere, avevano ricevuto in dono delle ali, forti e adornate di piume variopinte, di una morbidezza invidiabile. Certo, la loro crescita era stata raccontata come molto dolorosa, ma il poter spostarsi sopraelevati dal terreno come gli esterni doveva essere meraviglioso.
Peccato che fosse un’abilità limitata…
Mi sarebbe piaciuto poter partire e visitare il mondo, andare in America, magari in Francia, Germania a chissà dove altro.
Ma il mio era un mondo piccolo, come quello racchiuso in delle piccole palle di neve, solo che la neve non c’era mai da noi.
Diciannove anni e non avevo mai toccato quei candidi fiocchi bianchi, non avevo mai sentito il sole addosso senza che fosse bloccato dalla cupola, non avevo mai respirato l’aria esterna, non ero mai salito su uno dei loro veicoli, non avevo mai parlato con uno di loro, non avevo mai avuto la possibilità di vedere il mare, sentire il rumore delle onde e il retrogusto di sale in bocca.
Diciannove anni e non conoscevo nulla, vivevo le mie giornate una dopo l’altra, a scuola imparavo l’essenziale, e nel frattempo mi domandavo perché io fossi lì.
Certo, la storia la sapevo ormai a memoria, l’avrei saputa raccontare cantando, ma perché…perché?
Era ingiusto fossimo costretti lì dentro, tra quelle pareti infinite ma minuscole, soffocanti, perché eravamo chiusi come degli animali, quando era colpa degli esterni se eravamo diventati ciò che eravamo?
A scuola mi avevano sempre insegnato ad odiare gli esterni, e piuttosto che alla matematica o alle lingue (a cosa sarebbero servite, tanto?), ci insegnavano ad usare i nostri doni, che per me erano più come un peso, a controllarli e usarli a favore della nostra piccola società.
I doni si potevano manifestare ad ogni età, e potevano essere vari: alcuni nascevano fortunati, e possedevano abilità utili, come Seokjin e i suoi potevi curativi.
Beh, più che altro col suo tocco era capace di prelevare l’energia negativa all’interno dei corpi delle persone, eliminando completamente i problemi fisici. Purtroppo, però, l’abilità aveva sempre un effetto negativo su Jin, che dopo aver prelevato l’energia impiegava un giorno se non di più prima di scaricarla completamente,  tempo in cui era condannato a provare il malessere dell’altra persona.
Per questo le abilità erano sempre state considerate da me come fardelli, come dei tatuaggi indelebili che da sempre ci avevano marchiati e fatti definire ‘mostri ripugnanti’.
La mia abilità si era manifestata dopo l’età media: di solito ragazzini di 6 o 7 anni si divertivano già a sfoggiare le loro capacità nelle varie strade, ma io fui colpito all’età di 10 anni.
Per questo motivo da piccolo ero molto insicuro, non uscivo mai di casa perché avevo il terrore di essere considerato ancora più ‘diverso’ di quanto già non fossi agli occhi degli esterni. Essere diversi tra i diversi, anormale tra gli anormali, strano tra gli strani.
Gli altri bambini mi prendevano in giro, mi rincorrevano fino a casa, schernendomi quanto più possibile, infierendo quando le mie esili gambe non reggevano più la stanchezza e cedevano, affaticate, e a quel punto mi accerchiavano, mi tacciavano, chiamandomi con nomi, arrivando anche a picchiarmi. A scuola la questione non era più facile, per nulla, per questo motivo la fine del liceo era stata come una liberazione da un pesante fardello.
A casa, poi, era ancora peggio. I miei genitori mi guardavano sempre con disappunto quando tornavo a casa con le lacrime agli occhi ‘I ragazzi non piangono Jungkook’, e mia madre mi sgridava sempre quando premeva con fermezza un panno inumidito con disinfettante sui miei graffi sanguinanti o lividi.
Ero un disappunto: la mia manifestazione tardiva di poteri era sempre stato un problema per i miei genitori, sia perché dovettero spendere moltissimi soldi per visite e anche per medicinali, dal momento che il mio DNA non si era presentato abbastanza forte e resistente all’ambiente (motivo per cui le mie abilità furono tardive) e quindi ero di salute cagionevole. Inoltre, dal momento che non possedevo alcun effettivo potere non potei iniziare a lavorare subito da piccolo. La mia famiglia era, infatti, molto povera, e fu ancora più stremata dai folli costi medici e dalla mia non possibilità di aiutare, anche quando il mio dono si manifestò.
Acqua.
Semplice e maledetto dominio dell’acqua. Non era un’abilità che mi avrebbe permesso grandi cose, e ciò accrebbe ancora di più il disappunto di mio padre e madre.
Il mio potere era ancora più inutile dal momento che, chiuso all’interno di quel dannato carcere, non avrei neanche potuto sfruttare il vapore delle nuvole, e ogni santissimo giorno non potevo fare a meno di maledire il giorno in cui ero nato. Inutile….inutile!
Ma ehi, i ragazzi non piangono.
Raccolsi un sasso da per terra, di fianco a me, e lo scagliai con forza contro la parete trasparente ad appena un metro di distanza. L’impatto fu secco, e provocò un rumore grave, sempre però senza scalfirla minimamente. Era impossibile danneggiarla, giusto. Era impossibile uscirvi, impossibile.
Avrei vissuto tutti gli anni a venire rinchiuso in quel posto, come un animale da circo in gabbia, nato per essere osservato come forma di intrattenimento.
Non avrei mai visto il vero cielo in vita mia, non avrei mai visto il mare e non avrei mai potuto respirare l’aria fredda e pizzicante di montagna.
Avrei continuato a vivere sentendomi inadeguato, come un vagabondo senza casa e senza meta, rifiutato da tutti, costretto a camminare e camminare in eterno fino al triste giorno della sua morte solitaria.
Mi accorsi solo dopo qualche altro attimo che una lacrima stava bagnandomi la guancia. La raccolsi sul mio indice, osservandola, prima di farla fluttuare in aria, separandola in tante minuscole gocce, per poi farle cadere a terra come un’invisibile cascata, inumidendo appena l’erba.
Che bella abilità, pensai ironicamente tra me e me.
Strinsi le braccia attorno alle mie ginocchia, nascondendo le mani nelle maniche della felpa usurata e continuai a guardare il mondo esterno, quando mi sentii improvvisamente osservato.
Mi voltai di scatto e, dall’altro lato della cupola, vidi un gruppo di ragazzi, ma in particolare uno di essi attirò la mia attenzione.
Mi stava guardando con un misto di curiosità e paura, i suoi occhi scuri erano in contrasto rispetto all’argento dei capelli, che spiccava nettamente anche tra gli altri ragazzi.
Il contatto visivo durò appena un paio di secondi, prima che si voltasse continuando a parlare con i suoi amici.
Era quello ciò che veniva considerato normale? Poter girare e poter parlar con i propri amici liberamente, senza avere la consapevolezza di avere le ali tarpate.
Cosa avevo di normale quel ragazzo dai capelli argento che io non avevo? Come potevano trattarci come delle bestie?! Con quale coraggio ridevano con quella spensieratezza.
Guardai l’ora sul mio orologio, e mi resi conto che erano già le sei di sera, quindi decisi di tornare indietro passanso per la casa di Jin.
Seokjin e Yoongi erano da sempre i miei più cari ed unici amici.
Qualcuno avrebbe potuto trovare la nostra relazione come strana, dato che avevo cinque anni in meno di loro, ma quei due erano stati gli unici a non prendermi in giro quando ero piccolo e, anzi, furono i primi a rivolgermi un sorriso allungando una mano per soccorrermi.
Da quel momento diventarono tutto per me: i miei migliori amici, i miei secondi genitori, i miei consiglieri personali ed i miei psicologi, e sapevo che se mai avessi avuto dei problemi loro ci sarebbero sempre stati per me.
Eravamo cresciuti nello stesso vicinato, quindi ci incontravamo ogni giorno per giocare insieme.
Ora entrambi si erano trasferiti dalla casa dei genitori, ma avevano scelto di affittare degli appartamentini sempre nella stessa zona, per rimanere vicini a me.
Ripercorsi la strada a ritroso, fino a quando non mi trovai davanti alla porta marrone e vi bussai con fermezza.
Jin era un’insegnante delle elementari: da sempre gli piaceva stare a contatto con i bambini, e solitamente finiva di lavorare intorno alle quattro e mezza di pomeriggio.
Nell’arco di un paio di secondi la porta si aprì, e Jin mi accolse sorridente.
 
-“Allora Kookie, di che cosa ti sei venuto a lamentare oggi?” Io gli lanciai un’occhiataccia.
 
-“Allora, prima di tutto non chiamarmi Kookie”
 
-“Disse colui con non si degna di portarmi rispetto chiamandomi hyung”
 
-“COMUNQUE. Secondo, non è vero che mi lamento sempre”
 
-“Io non ho detto quello. Però ti senti preso in causa?”
 
-“KIM SEOKJIN. Non farmi pentire di essere venuto qui”
 
-“Va bene va bene, scusami…Kookie. E’ più forte di me” Gli sorrisi sconsolato, mentre mi guidava nel piccolo salone/sala da pranzo.
Mi accomodai sul vecchio divano rovinato, il cui blu aveva ormai perso di intensità da tempo. Mi lanciò un pacchetto di patatine prima di passarmi un bicchiere di tè freddo, poi si sedette vicino a me e iniziò a sfogliare distrattamente le pagine di un libro mentre, probabilmente, aspettava che mi decidessi a parlare.
Era incredibile il modo in cui ormai aveva imparato a leggermi, forse anche più di quanto ne fossi capace io stesso.
Passammo i minuti successivi in silenzio, ma non era pesante o imbarazzante, non dopo tutti gli anni che avevamo passato insieme, gli unici suoni nella stanza erano il rumore delle patatine e quello delle pagine che venivano sfogliate.
Fissai distrattamente il muro mentre mi decisi ad iniziare a parlare.
 
-“Jin?”
 
-“Jungkook?”
 
-“Tu…cosa sai degli esterni?”
 
-“Beh, allora. Era il 24 Novembre 2041 quando-“
 
-“Nonono, non voglio sapere ciò che già mi hanno ficcato in testa per tredici anni di scuola, voglio sapere cosa sai di…loro” Lui sembrò contemplare la mia domanda, sguardo concentrato verso il soffitto leggermente ingiallito a causa del tempo.
 
-“Beh, per esempio, loro ne hanno di molto più belle” disse indicando il ‘televisore’ poggiato su un tavolino di legno contro il muro. Era uno dei modelli vecchissimi, che resistevano da più di cento anni ormai, di quelli cubici, tozzi e pesanti, di quelli che fanno i capricci durante i programm, e devi sbatterci un pugno deciso sopra per farlo funzionare.
 
-“I loro sono così sottili che non si può neanche dire che sono spessi un millimetro. E pensa! Sono talmente in HD che non riesci a capire se stia accadendo davvero di fronte a te o se sia un programma. Poi…poi, hanno tutti quei veicoli volanti ormai! Gli hai visti?? E i palazzi sono così alti da superare la cupola in altezza e-e….Aspetta. Perché ti interessa?”
 
-“Nulla di che…stavo solo pensando”
 
-“A cosa?” rimasi in silezio.
 
-“A cosa, Kookie?”
 
-“A cosa hanno di diverso da noi”
 
-“Penso che tu sappia già la risposta. Loro non sono i grado di fare QUESTO” disse alzando il tono di voce, e rovesciandomi improvvisamente il bicchiere d’acqua che aveva al suo fianco addosso.
Nonostante fossi stato preso di sprovvista, portai velocemente le mani in avanti, bloccando l’acqua e trasformandola in una sorta di agglomerato fluttuante davanti a me.
Con ancora le mani protese in avanti mi girai a guardarlo con un’espressione ferita e stupita, come per fargli capire che la sua dimostrazione mi aveva ferito.
Mostrandomi le mia abilità durante questo preciso discorso mi aveva sbattuto il faccia la realtà, come per dire ‘perché beh, tu sei diverso da loro’, però non potevo neanche arrabbiarmi con lui, perché sapevo era dannatamente vero.
Che eravamo dannatamente diversi e dei dannati mostri.
Abbassai la mani stringendole a pugno, e la barriera d’acqua si trasformò in una piccola sfera, che iniziai a fissare con astio, poi mossi la mano destra lentamente e la spostai fino a farla scivolare nuovamente nel bicchiere, che Jin posò nuovamente sul tavolino per poi voltarsi verso me guardandomi con simpatia e tenerezza.
 
-“Kookie…questo non vuole dire che siamo sbagliati, o cattivi. Siamo semplicemente diversi, ma essere diversi non è un male okay?” Si sedette più vicino a me sul divano, allungando le mani per abbracciarmi. Mi strinse forte a sé ed io rimasi impassibile. Sarebbe stata dura da buttare giù.
 
 
 
 
Quella sera tornai a casa più sconsolato di prima.
Ero così scombussolato che passai oltre ai rimproveri di mia madre (‘Arrivi così tanto senza nemmeno avvisare’), ed andai subito in camera, buttandomi sul letto.
La stanza era buia e stranamente fredda. Rimasi disteso a pancia in su’, poggiando l’avambraccio sulla fronte guardando il soffitto, ascoltando l’orologio nella mia camera ticchettare.
Pensai molto quella sera.
Mi addormentai col pensiero che prima o poi avrei sentito il rumore delle onde del mare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ecco a voi il secondo capitolo. Lo so che è corto e le cose procedono lentamente ed è tutto noioso, ma pazientate :3
Grazie mille a tutti quelli che stanno leggendo la mia storia silenziosamente
Grazie a shirylen, ElisaPanthomive e Rozalin Kyouko per aver  recensita
A ElisaPhantoive per averla anche preferita e seguita.
A Rozalin Kyouko per averla anche lei seguita, e ringrazio anche slashell e Upei per averla seguita.
Siete davvero degli angeli ;w;
Grazie comunque a tutti e hey! Fatevi sentire ^^ mi farebbe piacere sentire i vostri pareri.
Al prossimo capitolo
Sydrah
 
 
 

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Capitolo 3
*** Just a human ***


Prima di iniziare: i vari personaggi/luoghi/avvenimenti/qualsiasi altra cosa verranno spiegati pian piano, però se davvero non capite qualcosa oppure ci sono parti che vi turbano ditemelo va bene ? ^^
 
 
 
 
 
 
 
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948:
-Articolo 1: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
-Articolo 3: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
-Articolo 5: Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.
 
 
-“Jiminie!!” Sussultai, la penna mi cadde in maniera drammatica dalla mano sbattendo contro il parquet chiaro della stanza,  girai di scatto la sedia a rotelle, finendo quasi per ribaltare anche me stesso sul pavimento (In maniera aggraziata, precisiamo).
Quella bestia di Taehyung era appena entrato nella stanza in modo a dir poco indelicato, sbattendo con così tanta forza la porta sul muro che anche il quadro appeso si era inclinato.
Lo vidi avanzare con decisione verso di me, sedendosi sulla sedia dell’altra scrivania, facendola poi scivolare sul pavimento fino a quando il suo schienale non si scontrò con la mia.
 
-“Tae, come vedi sto cercando di studiare. Ho un esame la prossima settimana, e qualsiasi cosa tu mi voglia dire non è importante quanto questo” dissi scontrosamente, esasperando la frase indicando con entrambe le mie mani il libro aperto davanti a me.
Vidi un broncio comparire sul suo viso, prima di essere sostituito da uno dei suoi caratteristici sorrisi ‘rettangolari’.
 
-“Jimin, Jimin. Mi fa piacere che tu ti stia impegnando così tanto, ma fidati, ti ruberò solo un paio di minuti” Sospirai, era impossibile controbattere con Tae. Gli feci cenno con la testa di andare avanti.
Lui premette affannosamente sullo schermo del suo orologio e dopo pochi istanti una proiezione ci apparve davanti.
Era un articolo di giornale, datato 13 Dicembre 2041.
 
-“Hai presente che ieri ti stavo dicendo che ero curioso riguardo gli interni?”
 
-“Tae, ti ho già detto che-“
 
-“Hyung, stai zitto!. Dicevo, ieri stavo navigando un po’ su internet, e guarda con po’ cosa ho trovato!” Alzai il sopracciglio e lo fissai, lui sbuffò mormorando un ‘dovresti leggere’, e io gli risposi con un delicatissimo ‘Non mi interessa’. Esasperato, riprese a parlare.
 
-“QUESTO, Jimin, è un articolo che era uscito poco dopo l’incidente. Praticamente, il presidente Lee Junghyun era stato incolpato di aver fatto manomettere volontariamente le apparecchiature dello stabile. Fu processato ma dichiarato innocente per mancanza di prove”
 
-“E con ciò? Se non avevano prove è ovvio sia andata così”
 
-“Pazienta un attimo per una volta, non ho ancora finito!” passò una mano di fronte alla proiezione, facendo comparire un nuovo articolo.
 
-“Questo è un articolo del 2052. Degli scienziati lo denunciarono, mandandolo nuovamente in tribunale. Gli scienziati, che erano dei ricercatori i quali erano stati mandati ad analizzare il territorio all’interno della cupola, avevano dichiarato che effettivamente avevano riscontrato che i macchinari della centrale erano stati manomessi, e trovarono inoltre delle tracce di idrossido di sodio e di GPL, che come ben dovresti sapere, sono sostanze infiammabili e corrosive. Gli scienziati incolparono Junghyun di aver assunto delle persone per rompere i macchinari, per poi spargere del GPL, ossia petrolio, nella zona di controllo, in modo da far sì che appena la corrosione causata dall’idrossido avesse raggiunto i cavi, le scintille si sarebbero ben presto trasformate in un grande incendio, che avrebbe subito colpito tutta la struttura” Trattenni il respiro. Iniziai a provare disgusto e stupore e, non sapendo molto bene come reagire rimasi in silenzio, aspettando il resto della storia, smettendo quasi da respirare da quanto ormai pendevo dalle sue labbra.
 
-“Ovviamente anche sta volta risultò non colpevole, e il gruppo di ricercatori fu messo a tacere. E non hai ancora sentito il meglio .Cioè ‘meglio’ si fa per dire. Non ci sono fonti del tutto attendibili, perché sai, è facile togliere la voce alle persone, inglobandole nella massa. Si vocifera, però, che lo scopo di questo incidente fosse proprio di quello di testare il DNA umano, per vedere se per sopravvivere esso di sarebbe mutato. Guarda, leggi qui”  Cambiò ancora una volta articolo, e alla vista delle foto che erano contenute in esso mi sentii male, nauseato.
Erano foto di corpi, tanti corpi.
Centinaia di persone morte, bruciate, decomposte, il loro sangue aveva decorato quasi permanentemente le strade di un porpora pallido.
Bambini morti stretti dalle braccia delle madri, in ultimo disperato segno di protezione.
Più in basso altre foto, dell’interno di un laboratorio. Due corpi senza vita erano distesi su lettini metallici. I loro busti erano aperti, mostrando tutti gli organi ormai non più funzionanti.
I loro corpi erano collegati attraverso tubi e ventose a diversi macchinari, e degli scienziati e medici stavano lavorando attorno ad essi.
 
-“Jimin, usarono quelle persone morte per degli esperimenti. Li dissezionarono, li studiarono. Cercarono di capire perché i sopravvissuti fossero una percentuale minima, e durante i vari esperimenti  uccisero anche molti di loro che erano ancora vivi, tutto a causa delle loro malate fantasie. Analizzarono il loro DNA, e crearono una sorta di virus da iniettare  in loro in modo che potessero continuare a sopravvivere, per usarli per i loro scopi. Li hanno creati loro, capisci? Iniettarono quel ‘virus’ anche nei nuovi nati, che pian piano aumentarono sempre più, fino a quando il loro DNA non si modificò irrimediabilmente. Ed eccoci arrivati ai nostri anni. 2093, e siamo ancora convinti che i mostri siano loro, ironico vero? E’ incredibile quanto le persone siano cieche. Adesso riesci a capire perché trovo sia un argomento da non prendere alla leggera?” Rimasi a fissare lo schermo, gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
Era terribile era INUMANO.
 Come potevano parlare di diritti alla vita universali quando non avevano neanche la dignità di rispettarli.
Come avevano potuto commettere delle atrocità simili, stringendo i cuori delle persone tra le loro infide mani, nascondendo i loro crimini dietro falsità e sorrisi.
Non sapevo davvero più cosa pensare. Zero. Bianco. Vuoto.
Ero nato e vissuto in una società che mi aveva preso in giro dal principio, che mi aveva plasmato la mente ingannandomi a suo piacimento, rigirandomi e piazzandomi proprio dove loro volevano, come d'altronde avevano fatto anche con tutte le altre persone.
Sentii una mano calda poggiarsi leggera come una foglia sulla mia spalla, smuovendola appena.
 
-"Jimin? Stai bene?" Annuii, perché in quel momento non mi fidavo della mia voce.
 
-" Ora mi credi? Capisci perché ero tanto curioso di sapere? Perché c'è  così tanto che ci nascondono ed è  una cosa orribile" 
 
-"Secondo te..." sussurrai a malapena "Secondo te come stanno?"
 
-"Non lo so sinceramente. Magari nel loro piccolo stanno bene. Ma penso che finché saranno lì  non saranno mai felici. Dopotutto penso non ci si possa mai abituare ad una vita del genere, chiusi in uno spazio piccolo e di tacciati giorno e notte.  Cos'è  un uomo senza libertà?" Non è  un uomo, avrei voluto rispondere.
 
 
Magna Charta, 1215:
-Articolo 39: Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del regno.
 
 
Anni ed anni di leggi, anni per costruire una società, anni a rincorrere una finta pace, un mondo ideale e utopico  per poi venire a scoprire che tutto è  una copertura.
Il mio treno di pensieri fu interrotto nuovamente da Taehyung.
 
-"Ah, Jimin hyung. Ora devo andare. Hobi mi ha chiesto se lo potevo raggiungere in libreria che gli serviva una mano su una cosa che, a detta sua ‘c'entra con la medicina’ per un istante mi dimenticai della precedente questione, e la parte più crudele della mia personalità accese il tasto 'molesta ed irrita' e lo attivó  a pieno regime.
 
-"Parli un sacco con Hoseok ultimamente. Lo vedi anche spesso hmm" quando vidi il suo viso e collo diventare di un colorito rossastro esultai internamente. Bingo. Non mi sfuggiva nulla di Tae. NULLA.
 
-"N-non è così, beh ci vediamo CIAO!" Corse fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. 
Io venni nuovamente inglobato dal silenzio. Sospirai e poggiai la nuca contro lo schienale della sedia.
Pensai tra me e me che i due avrebbero fatto una terribile ma allo stesso tempo tenera coppia. Due piccoli tornado di energia, coi sorrisi più luminosi che avessi mai visto.
Il primo incontro tra me e Tae era stato pessimo, mentre Hoseok e Namjoon li  incontrammo per caso il primo anno, quando noi due c'eravamo persi nel campus, alla disperata ricerca di un'aula misteriosa (che scoprii solo dopo che ci eravamo addirittura passati davanti diverse volte).
Hoseok e Namjoon erano entrambi di un anno più grandi di noi, ed i due stavano studiando rispettivamente biotecnologie ed ingegneria (anche se Namjoon era bravo in qualsiasi maledettissima materia. Al diamine lui ed il suo cervello sovrasviluppato).
Diventammo subito amici e insomma,  il resto è  storia (ed è  storia anche quella terribile-TERRIBILE- festa durante la quale mi fecero bere così tanto che mi misi a recitare tutto il Macbeth a memoria, per poi vomitare in un piccolo vaso di fiori).
Mi stiracchiai e ripresi la matita in mano, pronto per riprendere da dove ero stato interrotto, ma poco a poco i pensieri precedenti riemersero facendosi largo nella mia mente.
Chiusi il libro. Ormai era una giornata buttata, lo studio avrebbe potuto aspettare un altro paio di ore.
Inoltre, che senso aveva studiare parole di bugiardi, che per coprire la facciata di una società fittizia inventarono leggi che imprigionarono solamente gli uomini in una realtà triste.
Decisi di riposar i miei occhi chiudendoli per un istante ed improvvisamente grandi occhi cioccolato da cerbiatto apparvero nell’oscurità, bruciando l’interno delle palpebre e marchiando la loro forma su esse.
Chissà come stava quel ragazzo, cosa aveva vissuto, quali erano i suoi pensieri.
Avrei voluto conoscere i suoi più grandi desideri, i segreti più nascosti, domandargli se fosse felice, chiedergli come stava.
Capire quanti anni aveva e sapere della sua infanzia, farmi rivelare la sua abilità, sapere cosa provava riguardo ad essa.
Era mai stato preso di mira? Quanti altri esterni lo avevano visto giudicandolo come mostro?
Come sarebbe stato il suo carattere, e come avrebbe reagito se un ‘normale’ avesse provato ad avvicinarglisi?
Roteai rapidamente la sedia, e prima che potessi esattamente concepire cosa stava accadendo mi ritrovai a frugare nell’armadio, alla ricerca di una felpa da indossare velocemente.
Allacciai le scarpe, poi afferrai un pennarello indelebile che era poggiato sulla scrivania e senza pensarci lo afferrai (non sapevo bene il motivo ma qualcosa mi diceva mi sarebbe servito) ed uscii dalla stanza, attivando il blocco automatico passando il mio polso sul sensore.
Scioccamente mi domandai se anche gli interni fossero così tecnologici: se utilizzassero ancora le chiavi per aprire le porte di casa loro o i contanti per pagare.
Ormai era tutto letteralmente a portata di mano. Ad ogni persona veniva impiantato, raggiunti i sette anni, un micro chip nel polso che funzionava sia da sorta di documento per schedare e riconoscere la persona,  sia per caricare il proprio denaro e quindi come carta di credito che come chiave per aprire porte e quant’altro.
Bastava semplicemente scorrere il polso et voilà, tutto fatto.
Magari ‘loro’ lo avrebbero considerato strano, non naturale, una modo per controllare solo di più le persone (probabilmente era così, ma non volevo pensarci. Più cose avrei scoperto più il disgusto, la nausea sarebbero aumentate), un metodo per renderle più pigre, anche?
Attraversai la strada cautamente, un passo dopo l’altro. Avevo tremendamente paura di tornare lì, e non avevo neanche idea del perché lo stessi facendo: probabilmente quel ragazzo no sarebbe neanche stato lì, probabilmente era stato solo un caso, ma quella sensazione continuava a perseguitarmi a spingermi in quella direzione ed io la seguii, come se fossi un’ape attratta dal fiore più succulento dell’intero prato.
Non mi ero mai reso conto di quanto il mondo stesse diventando grigio, palazzi scuri in contrasto col cielo blu marino, dove le candide nuvole danzavano leggiadre, speranzose di attrarre gli sguardi dei mortali, ma deluse dell’insuccesso.
Chi mai più guardava il cielo? Ma soprattutto, quando era stata l’ultima volta che anche io mi ero soffermato a guardarlo?
Era talmente puro e trasmetteva libertà, la quale non era provabile stretti dalle opprimenti mura di palazzi troppo grandi, da strade troppo inquinate.
I miei piedi si fermarono, ogni mio muscolo smise di muoversi. Davanti a me, a meno di due metri si espandeva il divisore trasparente, il mio corpo posto esattamente davanti a dove avevo visto il ragazzo.
Dall’altro lato si apriva uno scenario completamente diverso. Il verde degli alberi era accesso, come un macchia di colore in un film in bianco e nero, i fiori adornavano sia il prato che alcuni fortunati alberi rendendo il tutto più delicato e estremamente fragile.
Chissà quanti alberi, quante delle loro case sarebbero riuscite a salvarsi da un terremoto, o come passavano il loro tempo là dentro.
Mi avvicinai ancora di più a passi lenti, l’atmosfera si fece più pesante, come se avessi effettivamente fatto il punto della situazione e mi fossi reso conto di dove mi trovassi.
Alzai con insicurezza il braccio, portando le mie dita tremanti ed il mio palmo a contatto con la cupola, sentendo il freddo di essa irradiarsi nel mio corpo, come se volesse congelare la mia anima e la mia felicità portandomele via per vendetta, per punizione da parte degli interni.
Una scossa percorse il mio corpo, consumando ancora di più il calore che il sole mi trasmetteva, e di scatto staccai la mano, spaventato.
Cosa era appena successo?
Non ebbi tempo per rifletterci ulteriormente perché in quel esatto momento comparve, facendosi largo tra gli alberi, una figura slanciata e dalle spalle larghe (o forse ero io che ero condizionato dalle mie fin troppo esili per appartenere ad un UOMO di 21 anni, e consideravo quelle di tutte le altre persone molto grandi).
Non parve subito accorgersi della mia presenza. Continuava ad avanzare, lo sguardo sempre puntato verso il cielo (magari anche a lui piaceva).
Io presi il mio tempo per cercare di scrutargli il viso, e solo dopo diversi secondi di analisi realizzai che era lui.
Il mio primo pensiero fu ‘Come può un ragazzo dal viso così dolce essere così dannatamente alto e oh…sono muscoli, dico MUSCOLI, quelli che i jeans (e probabilmente quella maglia) stanno nascondendo??’; il secondo era indubbiamente una conseguenza del primo ‘Come può un ragazzo così fottutamente bello essere chiuso lì dentro ed essere considerato un mostro?!’.
La sua pelle era pallida e candida, come se nessun altro prima l’avesse mai toccata e macchiata.
I capelli castano scuri cadevano delicati sulla fronte, i ciuffi leggermente separati da un lato ne lasciavano scoperto un frammento.
Le labbra rosee donavano colore alla figura, come anche le gote, e la totalità del suo viso delicato e ancora da ragazzo era in contrasto con il suo corpo.
Indossava una semplice maglia mezze maniche che gli lasciava scoperti gli avambracci percorsi da vene verdognole-bluastre, e che mostrava una piccola, piccola parte delle clavicole. Dei semplici jeans (che complimentavano seriamente al meglio il suo quadricipite e qualsiasi altro muscolo esistente e non)avvolgevano le sue gambe ed ai piedi portava degli stivali marroni.
Il suo sguardo si abbassò su di me, e lo vidi sussultare, come un cervo colto dal suo predatore.
I suoi già grandi occhi si spalancarono ancora di più e la sua titubanza fu quasi tangibile.
Mi contemplò un attimo, cercando probabilmente di capire se fossi una figura considerabile minacciosa o meno.
Feci un passo ancora in avanti, ormai a completo contatto con la cupola, e lui ne fece uno indietro.
Era così…spaventato.
Provai ad aprir bocca per parlargli, ma lui in un batter d’occhio scappò via, lasciando di fronte a me nuovamente una distesa di verde.
Rimasi piuttosto deluso, ma allo stesso tempo un velo di malinconia vi avvolse: era terribile che un ragazzo così giovane fosse spaventato a tal punto del mondo esterno.
Volevo dirgli che andava tutto bene, e avrei voluto porgli tutti i miei quesiti e conoscerlo, essere suo amico, perché a me quel ragazzo sembrava tutt’altro che un mostro. Era come una goccia di verità in un mare di bugie, come un fiore in mezzo ai grattacieli.
Misi le mani in tasca, osservando ormai solo più la freddezza di quella materia vitrea, e oh…
La mia mano toccò un piccolo oggetto cilindrico, ed in quel momento realizzai ‘il pennarello!’ ( forse  avrei dovuto iniziare a fidarmi più spesso del mio intuito).
Lo tirai fuori e gli tolsi il tappo con un rapido gesto. Poggiai la punta contro la superficie e feci del mio meglio per scrivere i caratteri al contrario (fu un’impresa per nulla semplice).
Richiusi il pennarello e lo riposi nella tasca, osservando la scritta con un lieve sorriso.
Mi allontanai dalla cupola, diretto nuovamente verso casa.
Fischiettai un motivo sconosciuto per tutto il tragitto, ma non mi importava, non quando la speranza colmava il mio cuore.
 
 
 
Incontriamoci qui domani alla stessa ora, ti prego.
 
 
 
 
 
 
Buongiorno a tutti ed ecco a voi il terzo capitolo, YEY
Grazie a shirylen, upei e rozalin kyouko per aver recensito, ve ne sono estremamente grata :3
Grazie a AuraNera_, Balla sulle nuvole e blackjacks forever per averla seguita
Grazie a Kim Iris e mina27 per averla preferita.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi ^^
Ditemi cosa ne pensate della storia fino ad adesso, mi motiverà molto di più a continuare a scriverla.
Al prossimo capitolo,
Sydrah

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Capitolo 4
*** Run away (and never look again) ***


SCAPPA,
fu il mio primo pensiero, e senza ascoltare ciò che il cuore mi stava dicendo  lo feci, senza voltarmi indietro.
Corsi come se stessi scappando dai miei incubi notturni, quelli che mi facevano svegliare con il cuore  in gola e le lacrime agli occhi. Quelli che si ripetevano ogni santissimo giorno sempre uguali, come un loop da cui era impossibile evadere.
Degli uomini.
Uomini con maschere nere, non riuscivo neanche a vedere il loro naso, la loro bocca, solo i loro occhi inespressivi e neri come il carbone. Mi inseguivano, io scappavo.
Le mie gambe scattavano il più velocemente possibile, ed ogni tanto potevo sentire il mio ginocchio cedere, il fiato farsi sempre più corto, più affannato.
L’aria fredda mi si scagliava addosso, come lame affilate che incidevano la mia pelle, ed era talmente fredda da inumidirmi la vista, piccole lacrime formate agli angoli degli occhi.
Era questione di tempo, erano ormai alle mie calcagna.
Gridavo aiuto, disperato, sperando che Yoongi e Seokjin spuntassero dal nulla per proteggermi, come quando eravamo  piccoli, ma nulla. Ero solo. Completamente solo.
Un mano fredda mi afferrava poi il polso, stringendolo così tanto da lasciare molto probabilmente dei segni.
Era finita.
Mi sentii davvero mancare il fiato, e collassai contro un albero, asciugando le lacrime isteriche che erano riuscite a liberarsi.
Poggiai una mano al di sopra del mio cuore, aggrappandomi alla maglia come per assicurarmi che andava tutto bene, che non era uno dei miei incubi.
La corteccia dell’albero era umida e ruvida, separata dalla mia pelle da solo un sottile strato di tessuto.
Ripresi fiato un attimo, rimanendo seduto immobile.
Era  di nuovo lui, lo stesso esterno. Lo stesso con cui avevo avuto contatto visivo.
Era tornato..per me?
Probabilmente voleva schernirmi, voleva deridermi, trattarmi come un mostro, usarmi per soffocare la tristezza, utilizzandomi come sacco per insulti.
Magari voleva rinfacciarmi la mia anormalità, mostrarmi il suo disgusto.
Più lacrime percorsero il mio viso, cadendo sulla mia maglia, bagnandola di miseria e vergogna. Nella mia mente sentii le parole dei miei genitori rimbombare e, per proteggermi, portai le mani ai lati dal mio viso tappandomi le orecchie,  stringendo ciocche di capelli tra le mie dita.
Silenzio, basta.
Eppure, il suo sguardo mi era sembrato così sincero e privo di malizia ( e forse era stato quel fattore a spaventarmi maggiormente).
I suoi capelli argentei scintillavano colpiti dal sole, brillando quasi di luce propria. Gli occhi scuri e profondi, invitanti ed ipnotizzanti, mi era parso mi stessero chiamando.
Anche la sua insicurezza era palese, ma io ero un vigliacco, lo ero sempre stato, per questo motivo l’opzione migliore per me era sempre stata quella di scappare via dai problemi.
Ripercossi la strada a  ritroso, magari non era più lì (o magari sì, ma forse non volevo ammettere che speravo di più in quest’ultima opzione), e mi sarei potuto godere la mia mattinata al sole.
Procedetti a passi cauti, nascondendomi tra gli alberi e affacciandomi di volta in volta, in allerta per qualsiasi  tipo di imboscata.
Sentii il mio cuore farsi un poco più pesante quando la vista che mi accolse fu la solita: strade affollate, palazzi, palazzi, palazzi; Niente più capelli argentei e dolci labbra carnose tinte lievemente di rosso, niente più occhi gentili  e brillanti come piccoli diamanti, o stelle-.
Niente più esterni, mostri crudeli che disprezzano noi, cercai di correggermi.
Ripetei a bassa voce tra me e me che no, non era possibile che uno di loro potesse essere buono o che volesse avere un contatto con noi senza un secondo fine. Gli esterni erano spietati, ce lo avevano sempre insegnato.
Durante tutti gli anni di scuola non avevo fatto altro che leggere pagine e pagine colme di dati, di storielle riguardo a come fossero andate le cose, ma nulla si poteva paragonare alla dura e cruda verità.
Persone all’interno erano impazzite, si erano uccise, erano state portate via a forza verso chissà dove. Il patto ‘nessuno entra e nessuno esce’ non era mai stato davvero rispettato.
Le macchie di sangue erano ancora appena visibili sull’asfalto, in particolar modo nei quartieri meno agiati come il mio, segno delle cattiverie che erano state commesse, segno delle persone che erano morte a causa di loro.
Loro che si credevano superiori, degli dei, che pensavano di poter giocare con gli umani piegandoli fino al punto di rottura, togliendoci tutto ciò che forse in un’altra vita ci avrebbe potuti rendere tali.
Erano il male, e avrei dovuto tenermi alla larga da loro.
Uscii dal mio nascondiglio e procedetti a passi decisi, ma qualcosa attirò la mia attenzione.
Sulla cupola vi erano dei caratteri, tondeggianti e morbidi,  ma i cui bordi erano anche leggermente tremolanti.
 
 
Incontriamoci qui domani alla stessa ora, ti prego.
 
 
Un appena accennato sorriso si fece largo sul mio viso, ma lo avrei negato per il resto della mia vita.
‘Il male Jungkook, il male’.
Voleva rivedermi, per quali motivi non ne ero  ancora a conoscenza, ma il semplice pensiero bastò per riempirmi l’animo di odio, di disprezzo.
Con che faccia tosta mi aveva chiesto di rincontrarlo, solo perché era un esterno e poteva fare quel che voleva e andare ovunque non significava che poteva aspettarsi che avrei seguito i suoi ordini e avrei risposto ai suoi desideri, come il giocattolo che credevano noi fossimo.
Come potevo, dopotutto, essere così speranzoso e volenteroso di incontrare un esterno, uno di loro.
Loro che ci trattavano come sporchi ed infetti ratti di fogna e  che ci avevano rinchiusi lì, ma lui mi pareva diverso, completamente innocuo, e c’era qualcosa in lui che semplicemente mi gridava ‘casa’, ma era ancora un sentimento assai lontano per poterlo comprendere, un sentimento che non volevo comprendere.
 
 
Ero ritornato in paese, spedito verso il rifugio che avevo costruito anni prima con i miei amici.
Era una piccola casa sull’albero situata in un modesto parco del nostro quartiere, protetta dagli sguardi e dalle infide mani degli altri bambini.
Ormai era diventata un po’ stretta per contenerci tutti e tre comodamente, ma spesso ci tornavamo ancora.
Poggiai la schiena contro le sottili pareti realizzate in compensato di scarto e tirai fuori da sotto un asse del ‘pavimento’ il mio quadernino per gli sketch.
Fin da piccolo disegnare era stata una delle mie più grandi passioni.
Quando avevo la mia matita in mano e un foglio davanti era come se potessi controllare tutto il mondo, e non solo.
Potevo creare il mio di mondo, plasmarlo come se fossi una forza superiore, crearlo perfetto, privo di dolore, un mondo dove potevo essere me stesso, dove ogni sorriso era sincero.
Il rumore della graffite sulla carta, vedere come da un piccolo punto delle linee si dipartissero in ogni direzione, ricreando immagini che la mia mente aveva precedente formato o che i miei occhi avevano visto, scattando una foto immaginaria per salvarla per sempre nella mia mente,
Avevo iniziato disegnando foglie, semplici e colorate foglie dalle forme più disparate.
Esili fogli aranciate, ormai troppo deboli per reggersi sui rami degli alberi, cadevano su ciuffi di erba verde.
Ma il mio colore preferito era sempre, in realtà, stato il rosso, quindi ben presto le foglie si trasformarono in piccole casette con tetti rosso acceso.
Man mano che crescevo la mia curiosità aumentava, e i miei occhi osservavano le cose sempre più nel minimo dettaglio, ogni curva, ogni spigolo.
Quando uscivo da scuola correvo spesso in posti nascosti, a copiare la prima cosa che catturava la mia attenzione: fiori, scoiattoli, ma anche semplici paesaggi, oggetti e ogni tanto persone.
Non importava cosa fosse il soggetto, perché ogni singola cosa per me era bellissima, e sarebbe stato un piacere imparare a conoscerla per poi riprodurla ad occhi chiusi, modificandola come più il mio estro desiderava.
Col passare del tempo la mia curiosità verso le persone si fece più grande. Studiare ogni piccola parte del corpo, i movimenti, le contrazioni dei muscoli, le espressioni. La parte più bella era cercare di ritrarre la personalità di quella persona sul foglio, disegnare la sua intimità, la sua parte più interiore e nascosta, quella che normalmente si cerca di nascondere.
Per questo motivo mi limitavo a ritrarre solitamente persone che conoscevo, perché non sarei riuscito a rappresentare le complessità dell’anima di un estraneo.
I miei soggetti preferiti erano, ovviamente, Jin e Yoongi e c’era stato un periodo, quando ero ancora al primo anno delle scuole superiori, in cui una ragazza mi si era confessata e io, insicuro di cosa risponderle e spaventato di farle male, avevo accettato il suo affetto.
Il nostro rapporto durò meno di un respiro, ma fin dall’inizio non era nato per durare, per esistere.
Beh, durante quei due mesi provai a ritrarre anche lei, ma non fui mai soddisfatto del risultato (forse perché in fondo sapevo che non doveva esserci lei su quella pagina precedentemente immacolata)
Fu una relazione caratterizzata da un primo bacio sfuggente, senza sentimenti reciproci, e da pochi altri che ne seguirono, niente di più. La separazione non fu dolorosa, perché entrambi sapevamo sarebbe dovuta avvenire inevitabilmente.
Durante gli altri anni ricevetti altre confessioni, ma non ne accettai più nessuna, perché avevo compreso che solo il ‘soggetto perfetto’ sarebbe stato adatto a me, senza sminuire tutte le altre persone.
Certo, mi era capitato di baciare altre ragazze, giusto per fare, ma nulla di più.
Ma io ero alla ricerca di qualcosa di più di una semplice persona.
Volevo qualcuno che non mi sarei mai stancato di ritrarre, pigre domeniche mattina e silenziose notti, qualcuno che avrebbe colorato la mia vita di rosso, come quei piccoli e distanti tetti.
Una figura sempre presente nella mia mente, la più bella di tutte, arrivando a conoscere appieno la sua anima.
 
-“Cosa stai facendo, Kookie?” Sussultai, la matita si bloccò di colpo e la punta si scheggiò quasi impercettibilmente, tracciando una linea più marcata. Ero così concentrato sul mio disegno da non essermi accorto che un’altra persona era entrata nella casetta, e che era attualmente seduta a gambe incrociate di fianco a me con la mano poggiata sulla mia spalla, per farmi uscire dalla trance.
Yoongi stava guardando curiosamente la pagina del mio taccuino, percorrendo ogni linea coi suoi occhi.
 
-“AH! Hyung, mi hai spaventato. Sii più delicato la prossima volta” socchiusi, imbarazzato, il quadernino, cercando di nascondere la mia ‘opera’ incompiuta.
 
-“Ti ho provato a chiamare diverse volte prima, ma quando disegni è sempre così” scosse le spalle per mostrare un finto disappunto, un live sorriso adornava il suo viso.
 
-“Cosa ci fai qui?”
 
-“Ho finito lavoro prima oggi, abbiamo concluso di murare la casa in fretta e allora sono passato. Immaginavo di trovarti qui. Jin mi ha detto che ieri gli eri parso un po’ giù”
 
-“Mhh, non è nulla” morsi l’interno della mia guancia, un tic che avevo sin da piccolo.
 
-“Sei sicuro? Mi ha anche detto che gli hai fatto delle domande…strane”
 
-“AISHH! Yoongie hyung, voi due dovreste smetterla di essere così in combutta fra di voi. Lo sapete, vero, che non siete seriamente i miei genitori?”
 
-“Ma se il piccolo Jungkookie ha dei problemi è ovvio che ci preoccupiamo” allungò la mano e mi pizzicò la guancia, ed io invano cercai di sfuggire dalla presa mortale.
 
-“Non c’è davvero nulla! Ero solo curioso va bene”gli colpii la mano, il mio viso imbronciato
 
-“Va bene, va bene….Cosa stavi disegnando?” Continuò con un sorrisetto malizioso
 
-“Nulla!” risposi affrettatamente
 
-“Se allora non è nulla posso vedere, hmm?” cercò di prendermi dalle mani il qudernino, ma io mi ci aggrappai come se la mia vita dipendesse da esso e, fortunatamente, col passare del tempo ero diventato più alto e più forte di lui, e quindi riuscii a recuperare il mio prezioso taccuino. Poteva essere ancora il più grande, ma avrebbe dovuto fare almeno cento flessioni al giorno per battermi (O semplicemente alzarsi dal divano e non sfruttare sempre la telecinesi per i suoi comodi).
 
-“Cosa ti danno da mangiare per averti fatto diventare così forte ugh. Sono ormai un uomo anziano, non puoi sfruttare le mie debolezze in questo modo!” mi misi a ridere
 
-“Così impari a voler ficcanasare nelle cose altrui”
 
-“Okay! Hai di nuovo vinto. Sei proprio una testa calda” incrociò le braccia davanti al petto e mi guardò con disappunto “Sappi che se però hai bisogno di parlare di qualcosa, qualsiasi cosa, io e Jin ci siamo e ci saremo sempre, d’accordo?”
 
-“D’accordo” sorridemmo entrambi e sigillammo la promessa incastrando i nostri mignoli insieme, come quando eravamo piccoli
 
-“Ora alzati, si è fatto tardi, ti offro la cena”
 
-“Non devi-“
 
-“Shhh, non contraddire tuo padre, piccoletto” si alzò faticosamente e poi mi porse la sua mano.
La afferrai con sicurezza.
Magari non ci sarebbe stato a salvarmi nei miei incubi, ma nella vita reale sapevo sarebbe sempre stato disponibile, e sentire il calore della sua mano a contatto con la mia mi tranquillizzò.
Era ruvida a causa del lavoro, qualche callo la rendeva ancora più dura, ma nel complesso era una mano familiare, una mano di un uomo che ha vissuto e si è guadagnato da vivere.
La presa era gentile a differenza di come ci si aspetterebbe, delicata. Era come se, indirettamente, mi stesse dicendo che quello che stavo facendo era giusto, e che non avrei mai dovuto aver paura di seguire il mio istinto.
Era bello sapere che qualcuno nella mia vita avrebbe sempre creduto in me.
 
 
Arrivai a casa tardi anche quella sera, e nuovamente mia madre mi diede addosso.
Mio padre era semplicemente seduto sulla poltrona beige rovinata, una tazza di caffè ed un giornale in mano, gli occhiali poggiati sulla punta del naso.
 
-”Cosa combini  fino a quest’ora fuori?! Ti vedi con qualcuno e non ce lo dici?? Oppure ti stai dando alla vita spericolata, eh?!”
 
-“Mamma…ero semplicemente fuori a disegnare, e poi Yoongi mi ha invitato a cena fuori” sbuffai, avevo diciannove anni per l’amor di Dio, ero un uomo forte e vaccinato ormai
 
-“Ancora a perdere il tuo tempo disegnando? Devi trovarti un lavoro Jeon Jungkook, UN LAVORO! Lo sai che le nostre condizioni economiche non sono per niente buone, non credi che darci una mano sarebbe utile? Dovresti seguire l’esempio di quei tuoi due amici: si sono subito dati da fare loro” abbassai la testa. Era sempre così, sempre. Mi facevano sentire sempre un peso, una nullità, un fallimento. Sapevo che avrei dovuto cercare un lavoro, che avrei dovuto aiutarli, ma cosa c’era di male nello sperare che questa carriera fosse collegata con la mia passione per l’arte?
Ma no, a loro non era mai andato bene. Avrei dovuto trovare qualcosa che mi permettesse di avere un guadagno sicuro immediato, e l’arte era troppo instabile, in continuo cambiamento.
Quella sera tornai in camera con le guance rosate per la vergogna.
Non c’era mai nulla che andasse bene in me, mai…
Mi sdraiai sul letto e aprii il taccuino che fino a quel momento avevo protetto stringendolo contro il mio petto.
Aprii la pagina del mio ultimo lavoro, e mi stupii io stesso di cosa avevo prodotto: Lui.
Guance morbide e labbra carnose appena socchiuse, occhi affilati e penetranti ed un piccolo naso leggermente a punta per completare.
 Una mascella tagliente ed una chioma di capelli leggermente disordinata.
Passai il dito delicatamente sopra il disegno, guardandolo con dolcezza.
Strano.
Non mi era mai capitato di riuscire a riprodurre un soggetto senza prima averlo studiato a lungo.
Osservai ogni singola linea che era stata tracciata con un’accuratezza che nemmeno io sapevo di possedere.
Immaginai come doveva essere quando sorrideva, come le sue guance sarebbero risultate ancora più adorabili, ma cercai di eliminare in fretta quei pensieri.
Era un esterno, doveva essere cattivo, per forza. Non mi sarei dovuto fare ingannare così facilmente, e mi faceva quasi ridere il modo in cui ero quasi già caduto e sprofondato nella sua trappola.
Immaginai che le sue mani sarebbero state sicuramente più morbide di quelle di Yoongi, grazie alla situazione di agio in cui doveva essere nato.
Immaginai che i suoi occhi dovevano essere ancora innocenti, ciechi della cattiveria che le persone come lui avevano causato.
Chiusi il quaderno e lo poggiai sul piccolo comodino di legno, coprendomi con le coperte e cambiando posizione sul letto, le sbarre metalliche emisero un cigolio stridulo.
Quella sera mi addormentai stranamente subito.
Un cielo argenteo ed un mare limpido e luccicante come delle stelle mi accolsero, ed avevo il presentimento che quella notte avrei dormito stranamente bene.
Nessun incubo, nessuna corsa, solo un piacevole calore ed una sensazione sconosciuta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Buonasera a tutti!
Eccoci qui con il quarto capitolo.
Queste settimane stanno essendo terribili, tra scuola (non ho un istante libero ;w;), e poi sto pure male quindi yey! Avrò forse tempo par scrivere e continuare a portarmi avanti a differenza delle settimane passate.
Qualche giorno fa ho visto per la terza volta ‘Your Name’, e mi è venuta in mente la malsana idea di nel futuro provarci a scrivere una storia con un au simile. Che ne dite?
Non abbiate paura di commentare, mi farebbe tantissimo piacere c:
Grazie comunque a tutti quelli che seguono la storia silenziosamente.
Grazie a Blu gioiel, DreamerSoul31, namelessanns, narixxx e stalkershawn per averla seguita.
Grazie a fallenangel23, Mik4n e Nico_Ackerman  per averla preferita.
Grazie a Sethmentecontorta e ElisaPhantomive per averla recensita.
Alla prossima :3
Sydrah~ 

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Capitolo 5
*** Walls ***


Ero in ansia, tanta ansia, troppa.
Più in ansa di quanto non fossi in ansia durante un pre-esame, più in ansia di quando avevo fatto coming-out a Taehyung, Hoseok e Namjoon (scoprendo che neanche loro, nonostante la modesta sfilza di relazioni etero passate, potevano definirsi solamente eterosessuali.)
Avevo sempre vissuto una vita semplice, non mi definivo una persona coraggiosa o spericolata, per nulla, e questo era il motivo per cui ogni singola cosa fuori dal mio controllo e fuori dalla mia piccola bolla protettiva mi mandava completamente in ansia.
Stavo dirigendomi con Tae  in lavanderia, una borsa di abiti da lavare in una mano ed un caffè bollente amaro nell’altra, un ottimo rimedio per lo stress, un ‘distendi nervi’ magico.
 
-“Tutto bene Jimin-ah? Ti vedo piuttosto silenzioso oggi” passò il polso sopra il sensore per aprire la porta della lavanderia, spingendola poi con la spalla e tenendomela aperta col piede.
 
-“Uh? Si. Ma parlando di altro, com’è andata lo studio ieri, con Hoseok? Aveva bisogno di aiuto per studiare il corpo umano?” Lo guardai con un sopracciglio alzato, per fargli intendere la malizia nella mia frase, anche se era probabilmente già ovvia di suo. Lui mi tirò un calcio sullo stinco ricevendo una smorfia da parte mia
 
-“No, idiota. Aveva solo bisogno perché non capiva- AAAAAH! Non devo giustificarmi, pensa quello che vuoi tch”
 
-“Non ti preoccupare, lo sto già facendo. Avete stabilito se sono più comodi i lettini dell’ospedale oppure i tavoli della biblioteca?”  lo continuai a stuzzicare
 
-“Ti detesto Jimin. N-non è come pensi”
 
-“Io penso che voi due abbiate un’enorme soffice cotta che ricambiate ma che siete troppo stupidi per rendervene conto”
 
-“Smettila, non è così, davvero”
 
-“Hmm. Come vuoi, ma quando vi sposerete non dimenticatevi di mandarmi l’invito” lo sentii mormorare un ‘non ti inviterei mai al mio matrimonio’, ma decisi di non controbattere, tanto sapevo che non era così.
Buttammo dentro le lavatrici i vestiti e dopo aver inserito il detersivo ed ammorbidente le azionammo, un’ora prima della fine.
 
-“Hei, questo pomeriggio ti va di uscire?” disse sorseggiando il suo caffè iper zuccherato con crema. Io deglutii.
 
-“Hmm no, questo pomeriggio non posso, scusa” cercai di evitare il contatto visivo, mai fare contatto visivo con Tae quando si vuole nascondere una cosa, MAI. Quel diavolo riusciva a fiutare menzogne e nervosismo a chilometri di distanza.
 
-“Come mai? Altri piani?” Vidi i suoi occhi illuminarsi di curiosità. Ero finito.
 
-“Devo solo andare in un posto” cercai di rimanere sul vago fingendo nonchalance (peccato sia un pessimo attore)
 
-“Ah si? Dove?”
 
-“Solo…a comprare delle cose” stavo già iniziando a sentire il rumore di unghie su vetri
 
-“Se vai da solo perché non ti posso accompagnare?” Quel maledetto. Potevo seriamente vedere il suo sorriso da diavolo crescere.
 
-“Voglio stare un po’ da solo”
 
-“Sei sempre da solo hyung”
 
-“Hei! Non ti permettere di rivolgerti così ad una persona più grande”
 
-“Sono a malapena due mesi di differenza, Jiminnie. Ma forse, il problema è che non ci vai da solo, hmm?” lo guardai. Mi aveva chiuso. Completamente. Game over.
Qual è la soluzione quando non sai affrontare una cosa durante la tua misera vita? Beh, una qualunque persona avrebbe detto ‘affrontarla e risolverla’ oppure ‘confessare e parlarne’ ma no, io Park Jimin, non ero mai stato una persona coraggiosa, quindi feci la prima cosa che mi venne in mente.
Scappare.
Voi tutti non concorderete con questa mia decisione ma sappiate, MAI dare informazioni a Taehyung, perché esse ti saranno usate contro quando meno ce lo se lo aspetta.
Corsi fuori dalla lavanderia, caffè mezzo pieno (o mezzo vuoto) ancora in mano.
Ringraziai il cielo che il continuo allenamento mi aveva donato dei polmoni ben funzionanti e appena arrivai nella mia camera scivolai contro la porta, rimanendo seduto sul parquet cercando di recuperare il fiato.
Già sapevo che era stata una pessima mossa, e quando lo schermo del mio orologio si illuminò, segnalando l’arrivo di un nuovo messaggio, sapevo che Tae non si sarebbe arreso lì.
 
 
Gotcha  ;)
 
Dovevo andarmene in fretta da quel posto, sapevo che altrimenti mi avrebbe raggiunto o, ancora peggio, mi avrebbe stalkerato, e non volevo assolutamente che scoprisse dove sarei dovuto andare quel pomeriggio.
Preparai quindi una borsa e ci infilai dentro dei libri per studiare (molto spesso preferivo le vecchie versioni cartacee rispetto a quelle digitali per studiare, era più comodo poter evidenziare inchiostro su penna piuttosto che su uno schermo), dei fogli ed il pennarello di ieri.
Ero un paio di ore in anticipo, ma decisi di uscire comunque.
Tutto pur di sfuggire a Tae, e poi così avrei anche avuto del tempo per studiare.
L’ansia dell’ipotetico incontro si sommò con la consapevolezza che, effettivamente, avevo solo un paio di giorni prima dell’esame.
 
 
 
Quando arrivai lì decisi di cancellare la frase. Avevo già commesso un errore scrivendola, e sarebbe stato un enorme problema se qualcuno l’avesse vista, ma fortunatamente era una zona poco frequentata.
Mi sedetti e tirai fuori il libro, iniziando a sfogliare le pagine, memorizzando articoli su articoli.
Più il tempo passava più cresceva in me la paura che il ragazzo non sarebbe tornato.
Magari non era neanche tornato indietro e non aveva letto la scritta, oppure magari non voleva  proprio rivedermi, schifato dal fatto che fossi uno di quegli esterni che gli avevano rovinato la vita.
E la cosa più brutta stava nel fatto che non avrei neanche potuto dargli torto, aveva ragione e tutto il diritto di essere spaventato e disgustato da me, un esterno.
Guardai di volta in volta l’ora, il lento trascorrere dei minuti che si facevano sempre più pesanti, la sciocca speranza del giorno prima sgretolarsi poco a poco.
Cosa mi aspettavo? Che una persona fosse disposta ad andare contro ogni morale, decidendo di incontrarmi totalmente a caso?.
Passò mezz’ora dall’orario ‘prestabilito’, ma non volevo ancora mollare.
Quando però un’ora trascorse le speranze morirono definitivamente. Non sarebbe venuto, lo sapevo.
Stavo alzandomi e recuperando le mie cose da per terra quando con la coda dell’occhi notai una persona che si stava timidamente avvicinando dall’altro lato.
Scattai su due piedi, mollando tutte le cose per terra e guardandolo con occhi spalancati.
Era lui, ommioddio,  non ci potevo credere.
Il mio cuore accelerò all’impazzata, felice del fatto che dopotutto le mie speranze non fossero state vane (o così mi dissi).
Vidi che il ragazzo era piuttosto spaventato, avanzava insicuro, braccia che gli circondavano il busto in segno di protezione e occhi vigili che sorvegliavano i dintorni.
Arrivò al margine della cupola, guardando oltre a me, scrutando se ci fosse qualcun altro dietro a me o nelle vicinanze, dopodiché i nostri sguardi si incrociarono.
Più il contatto durava più sentivo i mio corpo venire avvolto da un calore, sempre più caldo.
Era ancora più bello di quanto pensassi, sguardo innocente e atteggiamento quasi spavaldo, per non mostrare le sue insicurezze.
Mi fece un cenno col capo, ed io lo guardai perplesso, inclinando il viso. Lui ripeté il gesto, indicando verso la sua destra.
 
-“A-Ah! Vuoi che ti segua?” mi fissò per un attimo, attenzione concentrata sulla mie labbra, e io le sfiorai confuso, magari ero sporco e non me n’ero accorto?
Alzò lo sguardo sui mie occhi prima di indicare le sue orecchie e scuotere la nuca.
Oh, giusto, che sciocco…non poteva sentirmi.
Indicò nuovamente verso destra prima di iniziare a camminare, ed io ripresi a raccogliere velocemente le mie cose da terra prima di mettermi al passo con lui.
Lo osservai mentre camminava, andatura sicura mentre si muoveva guardandosi intorno, monitorando sempre i dintorni.
Ogni volta che lo guardavo mi mancava il respiro (Perché era un interno ovviamente, ed il fatto che stessi parlando con un interno era una cosa sconcertante. Mi diedi un pizzicotto, cercando di capire se stessi sognando o meno, e nulla. Era tutto vero).
Si girò verso di me e mi scoprì mentre lo stavo fissando.
Distolsi subito lo sguardo, schiarendomi la voce, occhi puntati verso il terreno.
La strada di fronte a me si trasformò in un piccolo parco, e allora capii che mi stava portando in una zona più coperta , lontana da sguardi indesiderati.
Arrivammo ad una parte nascosta del parco, dove vi erano fitti alberi sia da un lato che dall’altro, e a quel punto si fermò, sedendosi per terra a gambe incrociate, giocando con l’erba davanti a lui fissandola quasi in maniera maniacale per non guardarmi.
Io rimasi immobile per qualche istante, un po’ imbarazzato dalla situazione, non avevo calcolato che sarebbe andata così, non avevo tenuto in conto che dopo avergli chiesto di rivederlo probabilmente sarebbe dovuto succedere qualcos’altro dopo.
Mi sedetti anche io, poggiando la borsa di fronte a me, tirando fuori un foglio ed il pennarello, allora iniziai a scriverci sopra.
Alzai il foglio e aspettai che lo guardasse.
 
Come ti chiami?
 
Guardò il foglio incuriosito, mordendosi per un attimo il labbro inferiore, e io rimasi incantato da quanto fosse roseo , decisamente più carnoso di quello superiore, sottile e ben definito.
Sembrò contemplare la domanda, indeciso se darmi una risposta o meno, ancora timoroso che potessi fargli del male e che quella informazione rivelata lo avrebbe messo nei guai.
Poi puntò gli occhi sui miei, tutta l’insicurezza e innocenza scomparve in un solo istante, e in quelle orbite scure vidi tutt’altro che un ragazzo giovane e felice, vidi sofferenza e disgusto.
L’espressione era fredda, illeggibile e quasi disumana, ogni emozione abbandonata e pose in mezzo a noi un muro ancora più spesso di quello che già ci stava separando.
Sentii dei brividi percorrere tutto il mio corpo, una strana elettricità circondarmi.
Lo sguardo era carico di astio e negatività, e non potei fare a meno di vergognarmi di me stesso e di quello in cui avevo sperato fino a quel momento.
Seriamente, cosa mi stavo aspettando?
Lui alzò un sopracciglio, un mezzo sorriso di scherno sul volto, e quel punto sentii i miei occhi pizzicare, delle lacrime minacciavano di uscire ma io le trattenni.
Mi vergognai, mi sentii completamente fuori luogo, provai ciò che probabilmente lui provavo ogni giorno: la sensazione di essere indesiderato.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un piccolo taccuino ed una matita, e poi sfogliò le pagine fino a trovarne una bianca.
La matita rimase sospesa sopra al foglio per un paio di secondi, prima che si decise con un sospiro a poggiarla sopra, macchiando quella pagina della maledizione del nostro primo incontro, dell’inizio di un qualcosa di sconosciuto, misterioso ed illegale.
 
 
Perché dovrei dirlo a te
Il ‘te’ era maggiormente marcato, in tono dispregiativo.
Io cercai di non abbattermi e fingendo un sorriso provai ad andare avanti nel mio intento di conoscere il ragazzo, di scoprire chi si nascondesse dietro quel velo di paura ed odio
Ripresi il pennarello in mano, la mano mi tremava ma cercai di non farci caso.
Per una volta mi trovai costretto ad uscire fuori dalla mia bolla protettiva, dovetti essere coraggioso e fare qualcosa che andava contro la comodità della mia monotona vita quotidiana.
 
 
Io sono Park Jimin, piacere di conoscerti
Gli sorrisi ampiamente, cercando disperatamente di fargli capire che io non ero il cattivo e che non doveva temere la mia presenza.
 
Quanti anni hai?
Gli scrissi a fianco, sperando che facendo altre domande si sarebbe sciolto poco a poco, ma anche sta volta le cose non andarono come avrei sperato.
Lui mi fissò, sguardo distaccato e di superiorità sempre presente.
Scosse la testa in segno che non me lo voleva dire, ed io mi limitai a sospirare sconsolato dalla situazione.
Sarebbe stata più dura del previsto.
 
 
 Io ho vent’un anni. Tu mi sembri più giovane, in tal caso sarei tuo hyung
Scrissi con una faccina sorridente accanto, sperando di rendere l’atmosfera meno pesante.
Io, Park Jimin, mi ritrovavo ridotto a scrivere, seduto sull’erba, su dei fogli (da solo) ad un ragazzo che non avevo la minima idea di chi fosse.
Stavo a quel punto seriamente cercando di capire per quale motivo mi fossi messo in quella situazione, perché stessi ancora cercando di parlare con una persona che chiaramente non ricambiava il mio stesso desiderio e si mostrava scontrosa.
Nella mia mente cercavo di ripetermi che era normale si comportasse così, che ne aveva tutto il diritto, ma in fondo non potevo nascondere la delusione del mio insuccesso.
Strinsi la mascella, cercando di mantenere il sorriso, che si alterava sempre più, diventando una smorfia che cercava di copiare un sorriso.
Chi ero io per rimanere deluso da una persona, io che probabilmente avevo deluso tutte le persone che mi erano sempre state affianco.
Era un’altra persona vivente quella che avevo di fronte, un organismo che respira e vive, un essere umano datato di tante emozioni quanto le mie.
Ovviamente non avrebbe reagito come avrei voluto, non avevo il potere e né volevo avere il potere di controllarlo.
Non volevo ridurmi ad essere come tutti gli altri esterni superficiali, esseri che seguivano ciecamente una voce.
Avrei davvero voluto poter vedere il cuore del ragazzo che avevo di fronte e dirgli che io volevo imparare a comprenderlo, che io lo avrei ascoltato e non gli avrei voltato le spalle, perché non volevo più essere come gli altri, no.
E forse era proprio quello il motivo per cui ero ancora lì, seduto per terra su dell’erba umida, carta e pennarello in mano e un sorriso finto stampato sul viso.
Vidi le sue sopracciglia aggrottarsi, e un’ulteriore ombra di rabbia comparirgli sul viso.
Afferrò la matita e il taccuino che aveva poggiato di fianco a sè con un gesto veloce, e con foga premette la punta di graffite sul foglio.
 
Non ti chiamerò hyung
 
Fissai la scritta, il mio sorriso finto scomparve dal mio viso, sostituito da un’espressione di rassegnazione.
Taehyung avrebbe sicuramente saputo cosa dire.
Era lui quello estroverso, quello simpatico che piace alla gente, io ero solo un’ombra.
Una persona che cercava disperatamente di distinguersi dalla massa, speranzoso di essere ricordato dopo la sua misera morte, e non avevo la minima idea di cosa dire alla persona che avevo di fronte.
Non avevo neanche il diritto di dirgli qualcosa.
Mi ero sempre lamentato di tutto nella mia vita: genitori, scuola, sogni, amici, sesso.
Mi ero sempre lamentato di cose stupide, effimere, credendo di essere una povera anima vagante, ma non mi ero mai reso conto che a mezz’ora da dove dormivo e mi divertivo alle feste tenute da ragazzi del college, persone stavano vivendo, e avevano vissuto, situazioni terribili.
E io ne avevo proprio la prova davanti, sotto forma di un giovane ragazzo, probabilmente più giovane di me, che avrebbe dovuto anche lui passare le sue giornate ad ubriacarsi per poi disperarsi a causa dello studio arretrato, e invece era seduto dall’altro lato di una cupola che gli negava ogni opportunità.
Mi schiarii la voce e strinsi ancora di più il pennarello che avevo in mano, cercando di bloccare il tremolio incessante.
Sentii il mio orologio vibrare, e una proiezione di chiamata apparirmi davanti. Sussultai quando vidi chi fosse: Taehyung.
Accettai velocemente la chiamata, e la proiezione si fece più piccola e mi si spostò vicino all’orecchio.
 
-“Tae!” risposi, la mia voce si ruppe “Che piacere sentirti, sembra quasi un secolo”
 
-“Dove sei idiota?”
 
-“Assolutamente da nessuna parte” cercai di mantenere la calma, di non mostrare il sottile filo di tristezza nella mia voce (ma ero sicuro che mi avrebbe comunque letto con facilità).
 
-“Hyung, piantala! Non sei ai dormitori, non sei da nessuna parte in campus e ti sto cercando da ore. Namjoon ci vuole invitare a cena da lui stasera, quindi è meglio che smetti di copulare con chiunque tu sia e che tu corra subito qui, altrimenti giuro che obbligo Joonie a localizzarti e vengo a prelevarti con la forza”
 
-“Arrivo, uhmmm, dammi un paio di minuti. Diciamo mezz’ora, sì”
 
-“Spero almeno che tu sia riuscito a liberarti dello stress, facendoti qualcuno di estremamente fig-“
 
-“TAEHYUNG. STAI ZITTO. Arrivo” Chiusi subito la chiamata, impedendogli di dire qualsiasi altra cosa.
Guardai nuovamente verso Jungkook, che mi stava osservando incuriosito, completamente scioccato dalla proiezione e non potei fare a meno di trovare che fosse dannatamente adorabile, perché per un istante, un minuscolo istante, la maschera che stava indossando scomparve, mostrandomi di nuovo quel ragazzo innocente che avevo vista di sfuggita un paio di giorni prima.
Non potei che provare ancora più tristezza.
Afferrai nuovamente il foglio
 
Devo andare, ora
Forse lo immaginai soltanto, ma mi parve che a tale informazione la sua espressione cedette di nuovo per un secondo, ma non disse nè scrisse nulla, mi continuò semplicemente a scrutare, nuovamente privo di emozioni.
Ormai sapevo che non mi avrebbe risposto, che ogni tentativo sarebbe stato inutile.
Avrei voluto poter parlargli a voce, fargli dire qualcosa, qualsiasi cosa, mi morsi il labbro e raccolsi le mie cose mentre lui continuava ad analizzarmi. Non era possibile.
Mi voltai ancora un attimo nella sua direzione, combattuto se scrivere o meno la frase che continuava a rimbombarmi nella mente.
Alla fine cedetti, e portai nuovamente la punta del pennarello sopra il foglio.
 
Domani sarò di nuovo qui alla stessa ora
Mi pentii subito di averlo fatto, dopo che vidi il suo viso indurirsi ancora di più e la sua bocca contorcersi in un ghigno acido.
Sentii la mia gola stringersi.
Quanto ero stupido.
Gli sorrisi ancora una volta forzandomi come mai avevo fatto prima. Un sorriso piatto, che non raggiungeva neanche i miei occhi, che rimasero spenti e affaticati, e con un ultimo saluto con la mano mi voltai. Sapevo che non mi sarei dovuto girare. Sapevo che sarebbe stato ancora lì, gambe incrociate e una maschera ben indossata, e non sapevo se essere più triste per il mio sforzo o per l’impegno che ci stava mettendo lui per fingere.
Emozioni nascoste dietro alla spavalderia e desideri bloccati da un muro troppo spesso, un mondo troppo piccolo all’interno di uno a sua volta troppo stretto
L’avrei rivisto, forse, non sapevo neanche più se sperarci, ma tutto ciò che avrei dovuto fare in quel momento era non voltarmi.
Perché altrimenti avrei visto il dolore incarnato da una figura che cercava di imitare un ragazzo, e avrebbe fatto male capire che gli uomini erano tutti dei mostri, e io non volevo essere una persona sensibile, non volevo smettere di credere nel mondo.
Quando quella sera arrivai da Namjoon nessuno mi porse alcuna domanda, e ne fui estremamente grato.
Mi sedetti vicino ad Hoseok, che mi passò la ciotola di popcorn
 
-“Alla buon ora Jiminnie, Tae e Joon ti volevano mangiare tutta la pizza se non fossi arrivato in tempo alla consegna” Mi iniziai a lamentare dicendo che erano dei pessimi amici, sorrisi, ma continuò ad essere finto, forzato.
Come potevo ridere pensando a lui?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Buonasera a tutti :3 ecco a voi il quinto capitolo yeeeeeeey.
Spero di no star deludendo le vostre aspettative per questa storia ;w;
Ad ogni modo, perdonate sempre e comunque eventuali errori (sono terribile, lo so), e grazie mille a tutti quelli che la stanno ancora leggendo.
Mi farebbe tantissimo piacere sapere cosa ne pensate!
Grazie a Airachan e byunsluthyun per averla seguita.
Grazie a Kira Nikolaevic, lady94, Martinapellicane 99, Viola95 e Yokohomi29 per averla preferita.
Infine grazie mille a byunsluthyun e Mik4n per aver recensito, ho apprezzato davvero tanto ;w;
Al prossimo capitolo.
Sydrah~

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Capitolo 6
*** Scared and scarred ***


Park Jimin, Park Jimin.
Ripetei il nome in mente, immaginando come sarebbe potuto suonare nella realtà ma troppo orgoglioso per esperimentarlo.
Sospirai, poggiando il viso sulle mie ginocchia, stringendo i fili verdi d’erba tra le dita per strapparli successivamente, spezzandoli in tanti piccoli frammenti che si spargevano tra i ciuffi ancora intatti come coriandoli.
Avevo fatto la cosa giusta, non dovevo sentirmi in colpa, eppure non potevo fare a meno di pensare che avevo sbagliato.
Ma come era possibile sbagliare facendo la cosa giusta? Avevo fatto esattamente tutto ciò che mi avevano insegnato: tenermi fuori dai guai, respingere gli esterni, odiarli, eppure la sensazione non mi lasciava in pace e non potei fare a meno di provare rabbia verso le mie stesse emozioni contrastanti.
Mi alzai di scatto e diedi un pugno contro il fusto dell’albero più vicino, sentendo il rumore secco delle nocche che sbattevano contro il tronco, un perforante dolore percorrere i miei sensi, affogato dalla mia rabbia che mi aveva reso impassibile ed insensibile.
Allontanai il pugno per poi sferrarne un altro, mettendoci ancora più potenza, staccando un pezzo di corteccia dall’albero mal capitato.
Il sangue sgorgava dalle nocche scorticate e sfregiate, rosso come il mio colore preferito, rosso come il sangue che macchiava le strade dei quartieri dell’interno, lo stesso sangue di cui gli esterni si sporcavano per poi negarlo.
Tornai a casa, sbattendo la porta di ingresso alle mie spalle, e mia madre spuntò subito dalla cucina, sorpresa.
 
-“Ah, Jungkook, sei tu” disse con tono monotono, disinteressato, prima che i suoi occhi caddero sul sangue coagulato sulla mia mano
 
-“Santo cielo. In cosa ti sei cacciato questa volta?! Quando la smetterai di fare a botte con altri ragazzi? Hai diciannove anni Jungkook non puoi più comportarti come un adolescente” I suoi capelli cadevano disordinati sopra le spalle, le sopracciglia erano aggrottate e il suo sguardo era puntato su di me, pieno di disappunto mentre stava ferma in piedi con le mani poggiate sui fianchi.
Mia madre, Jisoo, era una donna sulla quarantina, consumata dal lavoro di un’intera vita faticosa, grandi occhiaie scure sotto gli occhi ormai privi di sogni.
Sarebbe stata considerata una donna molto bella, pelle immacolata e capelli corvini, ma nulla nel mondo interno era facile e dato per scontato solo perché si possedeva un bel viso o fisico.
 
-“Lo so che ho diciannove anni madre!” Le urlai addosso, stanco di dover subire sempre le sue lamentele, stanco di essere sempre sgridato e guardato dall’altro in basso “Non credi che proprio per questo potresti smetterla di trattarmi come un bambino?”
 
-“Smetterò di trattarti come un bambino quando maturerai un po’” Rispose lei a tutto tono, occhi spalancati e iniettati di rabbia. “Non permetterti di rivolgerti così a me. Se avessi davvero l’età che proclami di avere ci penseresti due volte prima di rispondermi in questo modo” Percepii la sua aura farsi più forte e un campo elettromagnetico formarsi attorno a lei, segno che la sua abilità si stava attivando.
Percepii delle lievi scosse sulla mia pelle, quasi impercettibili ma comunque presenti.
Morsi l’interno della mia guancia e la guardai, la guardai come lei aveva sempre guardato me.
 
-“Sai una cosa madre? Forse sarei maturato più in fretta o come volevi se anche solo una volta nella tua vita mi avessi trattato davvero come un figlio o almeno un essere umano e non come un fallimento” sentii il sangue venire pompato più velocemente, le vene farsi più evidenti e gonfie.
Lei parve sconvolta dal mio improvviso sfogo.
Riprese a parlare con voce più bassa, come se l'avessi colpita in un punto debole e scoperto.
Era ancora in collera, ma la sua voce prese una nota più malinconica 
 
-"Io ti ho sempre trattato come un figlio, altrimenti tutte le cure mediche-"
 
-"Sempre queste cure mediche. Sempre loro. È  sempre stata una questione di quanto abbiate investito in me, ma per essere genitori non bisogna solamente spendere soldi. Bisogna donare affetto, bisogna sinceramente preoccuparsi per il proprio figlio" anche la mia voce si fece straziata. La vidi guardarmi con la bocca appena dischiusa, gli occhi umidi e le guance rosse.
 
-"Ma va bene. Se è  sempre di soldi che si è  trattato va bene, mi troverò un lavoro e vi renderò così tanto fieri. Magari allora vi renderete conto della mia esistenza"
 
-"Non essere sciocco Jung-" girai sui tacchi e uscii subito di casa, non aspettando nemmeno che finisse di parlare.
Camminai con le mani nelle tasche della mia felpa, diretto verso il centro della cittadina. Stava andando tutto per il peggio.
Camminai per una decina di minuti, testa bassa e schiena incurvata.
Sicuramente non avrei trovato nulla di che, non ero abbastanza qualificato per trovare un'ottima occupazione: niente laurea e un diploma ottenuto coi minimi voti, però sapevo che  nel bar di fronte alla Piazza principale stavano cercando personale.
Nel bar ci lavorava un certo Eunwoo, un mio compagno del liceo.
Era un bar particolare, nulla di troppo stravagante, ma il personale veniva scelto soprattutto in base all'aspetto fisico, in modo da creare un'immagine gradevole che avrebbe attirato molti clienti.
Io non mi ero mai considerato un ragazzo particolarmente bello, ma Eunwoo una volta mi aveva proposto di provare a chiedere un posto di lavoro nel bar, dicendo che probabilmente mi avrebbero accettato.
Fu esattamente per questo motivo che mi trovai di fronte ad un porta di vetro, che spinsi, facendo tintinnare la campanella posta al di sopra di essa, segnalante il mio arrivo.
 
-"Buona sera, desidera accomodarsi?" Mi accolse una ragazza molto bella, dai lineamenti delicati ma allo stesso tempo anche duri, gli occhi curvati verso l'alto le donavano un aspetto  felino.
Lessi il nome sulla targhetta, per potermi rivolgere a lei
 
-"Buona sera-Seulgi- sono qui per parlare al suo capo" Cercai di risponderle col mio sorriso migliore
 
-"Oh! Sei qui per cercare un posto di lavoro?" Vidi i suoi occhi illuminarsi mentre si dirigeva alla porta situata dietro il bancone, dove probabilmente vi erano le cucine e altre stanze per il personale.
 
-"Uhm, si" Mi spettinai nervosamente i capelli, improvvisamente insicuro di ciò che stavo facendo. Un lavoro, diamine, non era cosa da poco.
 
-"Allora lo vado subito a chiamare, nel frattempo  accomodati pure" entrò  dentro la porta, la gonna a ruota ondeggiò rivelando una parte in più della sua pelle.
Era una bella ragazza, niente da dire o di cui lamentarsi, ma non potei fare a meno di provare disappunto perché sapevo che neanche lei era la persona giusta.
Mi misi a tamburellare il tavolo con i polpastrelli, aspettando che la porta verde acqua si aprisse nuovamente. 
Mi guardai intorno nel frattempo, il posto era modesto, realizzato in tinte tenui pastello creando così un'atmosfera serena e non troppo sofisticata.
I tavolini erano bianchi e le sedie di vari colori pastello, e su ogni tavolo vi erano poggiati dei fiori, tutti diversi.
Il bancone era anch'esso bianco, ed appeso al muro c'era una lavagnetta con sopra scritte le specialità del giorno.
Il resto delle pareti erano decorate con quadri, foto o postit dei clienti.
Non male, probabilmente non mi sarebbe dispiaciuto lavorare in un posto simile, quindi cercai di tranquillizzarmi, prima o poi sarebbe comunque dovuto succedere.
Dopo un paio di minuti la porta si aprí nuovamente, rivelando una nuova figura: un uomo sui trent'anni circa dall'aspetto giovanile ma serio, con un cordiale sorriso stampato in volto.
 
-"Buonasera..."
 
-"Jungkook" completai velocemente alzandomi in piedi per inchinarmi in segno di saluto e rispetto
 
-"Buonasera Jungkook. Veniamo subito al dunque, saremmo molti lieti di averti qui a lavorare come cameriere dal momento che abbiamo un posto vacante. Hai già qualche esperienza in questo ambito?"
 
-"Uhm, N-no è  la prima volta che cerco un lavoro in realtà" risposi imbarazzato. Ero quasi pronto a ricevere la fantomatica frase 'scusa cerchiamo qualcuno che abbia già esperienza' e nella mia mente stavo considerando altre opzioni di lavoro, speranza  distrutta.
 
-"Va bene, d'accordo. Allora avrai bisogno di qualcuno che ti spieghi tutto all'inizio" Alzai il volto di scatto, guardandolo con occhi spalancati. Avevo sentito bene?
 
-"Potrai iniziare a partire da domattina. Per la prima settimana lavorerai dalle 8 alle 14,va bene?"
Non ci potevo credere, non ci potevo credere. Mi trattenni dal fare un balletto della vittoria e semplicemente mi inchinai di nuovo, ringraziandolo almeno una decina di volte dicendo che andava benissimo.
Mentre stavo uscendo dal locale vidi Seulgi salutarmi nuovamente con un sorriso e un 'ci vediamo domani'.
Uscito tirai un pugno di vittoria un aria. Avevo un lavoro, ero un uomo cresciuto ormai, avrei portato dei soldi a casa e forse i miei genitori mi avrebbero iniziato ad apprezzare di più.
Presi una bella boccata d'aria, mentre scendevo la medesima strada percorsa all'andata, una sconosciuta melodia nella mia mente.
 
 
 
-"COSA?!"
 
-"Shh, hyung, non c'è bisogno di urlare, hai capito benissimo" ci trovavamo a casa di Seokjin insieme a Yoongi, tutti e tre sdraiati sul divano con una ciotola di noodles istantanei in mano.
Jin continuó a guardarmi incredulo, bocca ancora piena mentre cercava di mandare giù il boccone.
 
-"Congratulazioni Jungkook-ah, sono felice per te. Vedrai, all'inizio sarà un po' una scocciatura, ma poi diventerà una routine quasi rassicurante" disse Yoongi più pacatamente, mentre agitava le bacchette davanti a sé gesticolando
 
-"Lo so. Infatti sono al contempo eccitato al pensiero di iniziare ma anche abbastanza triste. Non avrò più tutto il tempo libero di cui ho disposto sino ad oggi" poggiai la ciotola sul tavolino di fronte e mi stiracchiai, testa inclinata indietro
 
-"Aish Kookie, mi rendi proprio fiero, sembra ieri che avevi iniziato il liceo e ora eccoti qui, con un lavoro" intervenne Jin dopo aver deglutito, dandomi delle pacche sulla spalla "che orari farai?"
 
-"Per ora dalle 8 alle 14, se poi andrà tutto bene mi inizierà a dare anche dei turni serali"
 
-"Sei stato pure fortunato. Quando ho iniziato a lavorare in nella mia agenzia di operai avevo dei turni infiniti dalle 8 alle 20 di sera"
 
-"Non che fosse un problema per te Yoongi, tanto te ne stai sempre seduto ad usare la telecinesi" lo scherní Jin
 
-"Non giudicarmi per la mia abilità. Non è  colpa mia se sono nato così, e dunque perché non dovrei approfittarne?"
 
-"Sei solo fortunato che non ha aspetti collaterali" i due continuarono per un altro po' di tempo con questo gioco di botta e risposta fino a quando non mi intromisi 
 
-"Okay okay. Abbiamo capito tutti quanti che avete delle meravigliose abilità, ora potete fare silenzio che sta per iniziare il mio cartone preferito?" Mi bloccai, telecomando in mano, quando mi resi conto delle strane espressioni che stavano mostrando "che c'è?"
 
-"Aw Kookie, tutto cresciuto ma poi ti guardi i cartoni" 
 
-"Stai zitto Jin che li guardi anche tu"
 
-"Non ti ho interpellato Yoongi!"
 
-"Ragazzi, vi prego" dissi disperato. I due erano da sempre stati migliori amici, e probabilmente proprio perché avevano raggiunto un tale livello di intimità che si mettevano ogni volta a discutere.
Fortunatamente subito dopo smisero di parlare, e io concentrai la mia attenzione sulla scatola cubica che fingeva di essere un televisore, che avevo di fronte.
Ramen non finito, dimenticato sul tavolino, e la luce del TV mi catturò pian piano. 
La stanza si fece silenziosa, qualche parola scambiata ogni tanto.
Quella sera ci addormentammo tutti e tre sul divano, arti incastrati come dei puzzle imperfetti.
Era scomodo, dal momento che eravamo tre uomini e non più bambini, ma era familiare e rassicurante, come se tutti e tre avessimo paura di perderci.
Come se tutti e tre avessimo percepito che qualcosa di strano sarebbe presto accaduto, e la necessità di tenerci stretti era elevata, un'unione solida che sarebbe sempre durata. 
 
 
 
Sentii bisbigliare il mio nome, dolcemente, una ninnananna che mi cullava, portandomi in un mondo lontano e sconosciuto.
Era una voce piacevole, dolce come il miele e soffice come un cuscino, la avrei voluta ascoltare tutte le sere, quando il sole non penetrava più per le finestre e la sera celava le vite delle persone all’interno delle loro piccole case.
Jungkook, continuava a dire come un mantra, e nella mia mente cercavo di capire disperatamente di chi potesse essere . Chi? Chi possedeva questa voce?
Non era familiare ma allo stesso tempo si, ma il candido bianco in cui era avvolto fino a quel momento si scurì, sporcando tutto di un cupo nero pece.
No, aspetta, cercai di dire per fermare la voce che si faceva sempre più flebile, ma appena cercai di aprire bocca fu come se dell’acqua stesse bloccando le mie vie respiratorie, ossigeno mancante.
Cercai affannosamente di prendere fiato, di calmarmi. Intorno era buio, freddo, non avevo mai provato così freddo.
Ero circondato da dell’acqua invisibile, e avevo paura, non riuscivo a respirare e l’acqua mi stava riempiendo i polmoni.
Avevo paura del mio stesso elemento, non riuscivo a controllarlo, invadeva il mio corpo prosciugandolo della sua vita.
Aiuto, ma  nulla, nessuno arrivava, e poi…
Un piccolo bagliore argentato, una flebile luce, una scintilla di salvezza.
Forse…Avrei dovuto raggiungerla.
 
-“JEON JUNGKOOK, GIURO CHE SE NON TI ALZI ALL’ISTANTE TI BUTTO FUORI DAL BALCONE” Sussultai, col cuore in gola sollevai il mio busto dal divano, rimanendo seduto e cercando di mettere a fuoco i dintorni.
Ero ancora a casa di Jin, Yoongi mi stava guardando da in piedi, braccia incrociate e capelli ancora arruffati a causa del sonno mentre dalla cucina proveniva odore di uova e bacon.
 
-“Sei in ritardo, sono le 7.30, tra mezz’ora devi essere a lavoro, quindi vedi di smuovere il tuo culo dal divano”
 
-“Non c’è bisogno di essere così scorbutico già di prima mattina” Sforzai la mia voce ancora rauca dal momento che mi ero letteralmente appena svegliato, e con un solo occhio aperto mi alzai a stento, trascinandomi fino al bagno e rubando una camicia bianca dall’armadio di Jin nel mentre mi ci stavo dirigendo, tanto ciò che era loro era anche mio e viceversa.
Mi lavai il volto con acqua gelata per cancellare ogni traccia di sonno e nell’arco di cinque minuti ero già pronto, seduto al piccolo tavolo di legno in cucina a mangiare velocemente la colazione che gentilmente Seokjin ci aveva preparato.
Con ancora l’ultimo boccone di uova in bocca salutai i due, sfrecciando fuori di casa, non potevo arrivare in ritardo il primo dannatissimo giorno.
Per mia fortuna riuscii a trovarmi di fronte al bar addirittura un paio di minuti prima, e mi accolse Eunwoo con un sorriso, felice che avessi preso la decisione di affiancarlo.
Mi fece strada nella stanza del personale, dove c’erano degli armadi in cui posare le proprie cose e dove mi porse un grembiule azzurro identico al suo e a quello di tutto il personale, con il logo del bar, caratterizzato da una piccola tazza di tè con all’interno un giglio bianco.
 
-“Ecco qui, questo è il tuo grembiule, e questo” disse afferrando una piccola targhetta “Beh, questo è il tuo nome, chiaramente. Ora seguimi che ti spiego un paio di cose” Mi portò dietro al bancone, spiegandomi come funzionava la cassa e poi mi porse il menù, dandomi consigli su come servire i clienti, quali piatti o bevande consigliare e come segnare le ordinazioni, oppure come preparare i caffè e altre bevande e così via.
 
-“Se poi hai bisogno di aiuto non esitare a chiedere. I primi giorni saranno ovviamente confusionari, ma non temere, ti ci abituerai presto” disse rassicurandomi con un ultimo sorriso, prima che entrasse il primo cliente della giornata, un uomo di mezz’età vestito di tutto punto, pronto per una dura mattinata di lavoro.
 
 
 
Collassai su una sedia non appena l’ultimo gruppo di ragazze lasciò il negozio.
 
-“Ah, Eunwoo, è sempre così faticoso?” mi asciugai una goccia di sudore che si era formata sulla mia fronte, e lui insieme a Seulgi  si misero a ridere
 
-“Di solito è anche più faticoso, dal momento che i turni finiscono molto più tardi, ma per essere il primo giorno sei andato bene”disse lui con un sorriso
 
-“Yep, vatti a riposare ora, non vorremmo ci morissi. Riponi il grembiule nell’armadio e ci vediamo domani alla stessa ora, va bene?” Ringraziai tutti e due e feci come mi era stato detto, per poi uscire dal negozio salutandoli un’ultima volta.
Era stata dura, per quanto possa essere dura fare il cameriere, ma il bar si era affollato subito dopo che il primo cliente era arrivato, e tutti i tavoli si erano riempiti in un batter d’occhio.
Grazie alla mia stamina non mi era stato troppo difficile correre da un tavolo all’altro cercando di mantenere in equilibrio i vari ordini, ma dopo sei ore di avanti ed indietro la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire.
Per un motivo o per un altro, però, per una volta non potevo fare a meno di sentirmi soddisfatto di me stesso.
Avevo un lavoro, uno che speravo di mantenere per almeno un anno o almeno finchè non avessi trovato nulla di meglio, e finalmente potevo dire che stavo facendo qualcosa della mia vita, qualcosa per la quale forse i miei genitori non avrebbero più potuto lamentarsi.
Sospirai, avevo ancora tutto il pomeriggio libero e proprio in quel momento ricordai.
Il giorno prima e questa mattinata erano stati frenetici, avevo a mala pena avuto il tempo di respirare, ma ora che la mia mente era nuovamente libera gli avvenimenti del giorno precedente iniziarono a riprendere forma nei miei pensieri.
Aveva detto che avrebbe voluto re-incontrarmi, oggi, un paio di ore da questo esatto momento.
Forse non sarei dovuto andare? No, decisamente non sarei dovuto andare, ma quella sensazione.
Quella maledetta sensazione, sì, continuava ad avvolgermi quando pensavo a quel Park Jimin, dissi nella mia mente il suo nome con disprezzo ed astio.
La stessa sensazione che avevo avuto nel sogno, protezione e familiarità, prima che ovviamente diventasse un incubo.
Ma quella luce, forse mi stava guidando da qualche parte, forse l’avrei dovuta seguire, e stranamente mi stava dicendo di andare, di provarci.
Provarci, perché dovrei?, pensai, perché dovevo provare a parlare di nuovo con un esterno?
Davanti  a me vi era casa mia o la strada che percorrevo sempre per andare al margine della cupola, la strada che mi era familiare da secoli ma che adesso avevo così tanto timore di attraversare.
 
Le voltai le spalle, ed entrai in casa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salveeeeee. Eccoci qui con il sesto capitolo e ARGH, mi dispiace di come sia interrotto ^^” MANNAGGIA A JUNGKOOK!
Ad ogni modo, spero che continuerete a seguire la  mia storia e che vi stia piacendo. Lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate ^^
(Il giglio bianco simboleggia nobiltà, regalità e purezza, se potrebbe interessarvi c: )
Grazie a Bipolardem on e Mrs_Ackerman per averla seguita ^^
Grazie  a VivyFede2002 per averla preferita.
Grazie mille a Mik4n, Rozalin Kyuoko e shirylen per averla recensita :3
Non abbiate paura a dirmi cosa ne pensate o a scrivermi!
Al prossimo capitolo
Sydrah~

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Capitolo 7
*** How to forget you (only for tonight) ***


Mantengo la concentrazione, è sempre la cosa più importante, il respiro poi deve essere stabile, respira col naso, va tutto bene.
Abbraccio la sensazione di bruciore dei muscoli, fanno male e so che se subito dopo non farò stretching domani avrò sicuramente dei problemi  nel muovermi, ma non importa.
Devo continuare, la il dolore non mi crea ormai problemi da anni, ho imparato ad apprezzarlo e ricercarlo, se fa male vuol dire che è fatto correttamente, se fa male vuol dire che mi sto allenando nel modo migliore.
Mantengo lo sguardo fisso sullo specchio a muro di fronte a me, che ricopre l’intera parete, osservo il mio corpo muoversi correggendo minuziosamente tutti gli impercettibili difetti che ritengo migliorabili.
Nella piccola stanza riecheggiano i bassi delle casse poste vicine alla parete, un’ennesima canzone pop con l’audio  impostato a massimo volume.
Le scarpe emettono dei cigolii strisciando sul pavimento e creando una frizione che sicuramente lascerà tracce di gomma.
La maglia è ormai incollata al mio corpo come una seconda pelle, il sudore ha completamente inzuppato la mia fronte, dove ciuffi di capelli si ribellano in direzioni diverse.
Con un ultimo energetico colpo la canzone giunge alla sua conclusione ed accanto a me un Hoseok altrettanto esausto ha le mani poggiate sulle ginocchia, busto leggermente flesso mentre tenta di riprendere fiato.
 
-“Per oggi direi che basta così, siamo qui dentro da quattro ore a ballare senza tregua” disse lui con la voce rauca per il mancato utilizzo nelle passate ore, ed io mormorai un ‘Okay’ altrettanto stanco, mentre mi diressi al fondo della stanza dove avevamo precedentemente buttato alla rinfusa le nostre borse, e dalla mia trassi fuori una bottiglietta d’acqua che non esitai a bere.
Hoseok fece lo stesso, sedendosi poi con la schiena poggiata contro il muro, capelli tirati dietro da un cappello.
 
-“Ah Jiminie, migliori sempre di più, sta iniziando a diventare difficile starti dietro” risi tenendo una mano poggiata sugli addominali per il dolore che mi provocò
 
-“Ma smettila Hobi che tu stai raggiungendo livelli mostruosi. Mi domando sempre più perché tu non abbia scelto di entrare all’accademia di danza”
 
-“Per il tuo stesso esatto motivo. Genitori, futuro, sai le solite cose” rispose con un’espressione sconsolata, bottiglia d’acqua ancora tra le sue mani “Avremmo potuto aprire una scuola insieme” continuò con una lieve malinconia.
 
-“Già. Ma pensa positivo, se non fossimo venuti qui non ci saremmo mai conosciuti” cercai di tirare su il morale, tirandogli una pacca sulla spalla. Lui ricambiò sorridendo, annuendo.
Rimanemmo in silenzio per il minuto successivo, fissando la parete di fronte a noi cercando ancora di eliminare completamente la stanchezza.
 
-“Allora” iniziai rompendo quel silenzio assordante che era il totale opposto dei forti bassi che fino a dieci minuti prima avevano riempito la stanza, facendoci ora fischiare le orecchie “Come va con Tae?” Lui si girò a guardarmi perplesso, colto alla sprovvista
 
-“Bene, credo. E’ successo qualcosa?”  Aveva le sopracciglia aggrottate me il velo di rossore che gli adornava le guance era ben visibile
 
-“No, era per chiedere, così. Sembrate molto…vicini ultimamente”
 
-“Tu dici?” Un sorriso timido si fece largo sul suo viso, sembrava compiaciuto dalla mia affermazione
 
-“Quindi?” Cercai di spingere il discorso, magari avrei ottenuto una confessione, o almeno era quello in cui speravo
 
-“Uh, nulla. So a che gioco stai giocando Jimin, ma non mi freghi. Non dopo che sparisci per un’intera giornata per chissà dove senza dirci niente. Allora, hmm, qualcosa da confessare?”
 
-“Stava essendo troppo bello per poter essere vero, vivere senza nessuna domanda da parte vostra, ma sapevo sarebbero arrivate” Sospirai, il giorno prima mi avevano graziato ma ora mi ritrovavo in una posizione piuttosto scomoda. Non potevo semplicemente dire ‘hey, si! Mi  sono incontrato con un interno ’, non tutti erano come Tae, disposti a cercare di capire come fosse andata seriamente la storia e a non considerarli mostri, io stesso non fosse stato per lui non me ne sarei interessato, continuando a vivere tranquillamente la mia vita como se il mondo fosse normale. Certo, conoscevo bene Hoseok e sapevo che era un ragazzo gentile, solare e aperto, ma i pregiudizi erano una brutta bestia, difficili da eliminare e cancellare quindi sarebbe stato meglio non rischiare, con nessuno. Non era una questione leggera, neanche per un ‘rivoluzionario’. C’era lo Stato di mezzo.
 
-“Riproporrò la tua stessa domanda, quindi?” sorrise maliziosamente lui, schernendomi. Io lo scansai, facendolo scivolare per terra ed entrambi ci mettemmo a ridere.
 
-“Non prendermi per il culo, stronzo” dissi incrociando le braccia facendo il finto offeso
 
-“Ecco, allora cerca meno di fare il genio estrapolatore la prossima volta. Se tu non parli io non parlo” Con Hoseok era sempre stato più semplice. Era una persona decisamente più ragionevole e meno impicciona di Taehyung, e capiva che nel mondo esistevano dei limiti oltre ai quali non tutte le persone erano a proprio agio ad oltrepassarli.
 
-“Va bene va bene, però so che c’è qualcosa tra di voi”
 
-“Ed io so che c’è qualcosa che ci stai nascondendo, dunque?”  ci guardammo, sguardo di sfida mentre continuavamo a sorridere
 
-“Idiota”
 
-“Scemo” Mi sentivo sempre a mio agio con lui. Era bello che potessi rivolgermi a lui informalmente, che mi sentissi così tanto a casa. Era come un fratello maggiore, una spalla su cui sempre poter contare. Un amico folle, fastidiosamente esuberante e sempre con un dannato sorriso stampato in faccia, come diamine poteva sorridere sempre?! Ma lo sapevo che era semplicemente il suo modo di affrontare le cose ‘Anche se si è tristi, perché bisogna smettere di sorridere? Tenere il broncio rende solo più brutti’, mi aveva spiegato una volta, quando a sua madre era stato diagnosticato un tumore (che poi si rivelò benigno, fortunatamente). Ero consapevole che quella volta tutto ciò che avrebbe voluto fare era piangere, testimonianza lo erano gli occhi lucidi, rossi a causa dello sforzo per trattenere le lacrime, ma lui aveva continuato a sorridere tutto il giorno, ad essere il se stesso che ci rallegrava sempre le giornate, lo ammiravo per questo, per la forza che mostrava sempre.
Si alzò, facendo per togliere la polvere dai pantaloni e per poi porgermi la mano
 
-“Su, alzati” ed io la afferrai.
 
 
Mi sentivo davvero uno stupido, un adolescente.
Ero dovuto sgattaiolare fuori dalla stanza nuovamente, prima che tornasse Taehyung per non creare sospetti (che tanto aveva già, e anzi, così ne avrebbe avuti solo di più), o almeno per non farmi cogliere in flagrante ed essere costretto a confessare davanti ad una luce accecante come nei film polizieschi.
Per questo motivo, zaino in spalla, mi ritrovavo ancora una volta a vagare per la stessa strada della città, una che fino ad un paio di giorni prima non avrei mai pensato di percorrere così tante volte nemmeno nel lungo arco di tutta la mia vita.
Continuai per la strada al lato della cupola, ritornando nella parte più appartata del parco, attraversandolo con una tale maestria di cui io stesso mi stupii dal momento che era solo la seconda volta che lo vedevo e percorrevo.
Mi sedetti nel medesimo posto, e tutto ciò che avvenne fu come un dannato dejà vu.
Ero stato un idiota, sinceramente, a tornare in quel posto, e tutta questa storia non stava né in cielo né in terra. Ripresi a studiare, il giorno seguente avrei avuto un esame ed era indispensabile che lo superassi.
Sottolineai righe su righe, pagine su pagine, riempiendo di colori pagine che prima erano solo bianche e nere, una lettera dopo l’altra affogata e sbiadita dal colore degli evidenziatori.
Il tempo passò, un minuto alla volta, un’attesa snervante.
Il sole iniziò a calare, nascondendosi dietro una cortina di nuvole e il vento si fece più freddo e pizzicante.
Controllai l’ora e sorrisi amaramente, lo sapevo.
Ero stato uno stupido, stupido.
Mi alzai in piedi, nascondendo le mani nelle maniche della felpa per proteggerle dal vento, le immagini del giorno precedente mi tornarono in mente, e fino all’ultimo istante sperai che anche oggi sarebbe spuntato improvvisamente dagli alberi, arrogante e freddo, non importava, ma sarebbe arrivato, forse anche lui con una piccola piccolissima punta di speranza e curiosità.
Ma non tutti, per l’appunto, erano disposti a lasciare andare i pregiudizi, a imparare a vedere le persone con una luce nuova, non quella che fino a quel momento ti avevano mostrato gli altri, e da quegli alberi nessuna figura si fece avanti.
Non un’ora dopo.
Neanche due.
Con un groppo alla gola tirai fuori un foglio, orgoglio ormai calpestato , vergogna ormai insignificante, e decisi di provarci ancora una volta, solo più una.
Scrissi sopra velocemente e poi tirai fuori un post-it, utilizzandolo per attaccare il foglio alla cupola.
 
“Ti aspetterò dopodomani, se neanche allora verrai potrò dire di aver capito- Jimin”
 
E mi voltai, tutte queste azioni ormai fin troppo familiari.
Camminai sconsolato fino al college, lo zaino sulle mie spalle improvvisamente più pesante.
 
 
 
Stavo morendo sul mio letto, avvolto in una coperta di disperazione e con la testa poggiata su un cuscino di solitudine quando la porta si aprì, e Tae entrò in stanza iniziando subito a fissarmi con lo sguardo.
 
-“Allora, dove sei stato anche oggi hmm? E cos’è con quell’espressione, c’è puzza di depressione. Cos’è, il tuo uomo immaginario ti ha lasciato?”
 
-“Primo, nessuno mi ha lasciato, secondo non è immaginario perché terzo, non esiste nessun uomo” dissi in tono scocciato, non avevo proprio voglia di interagire con nessuno.
Tae si sedette sul bordo del letto, buttando per terra lo zaino con poca cautela e continuando a fissarmi
 
-“Ci credo poco, ma per sta volta lascerò andare, solo perché al momento la tua tristezza è più importante, e nelle veci di migliore amico di trascinerò fuori da questo letto e stasera, hai capito bene, andremo ad una festa” Mi tirò via le coperte, gettandole per terra mettendosi poi a fare un balletto imbarazzante davanti a me. Mi trattenni dal ridere solo perché non volevo dargli il gusto di essere riuscito anche stavolta a rallegrarmi, e nascosi quindi la mia faccia nel cuscino, piegando le gambe e arricciandomi per mantenere il calore corporeo.
 
-“Non ho la minima intenzione di andare ad alcuna festa, mi dispiace. Divertiti” Tenni chiusi gli occhi, sperando che si arrendesse e se ne andasse, ma neanche un paio di secondi dopo sentii qualcosa di pesante sulla mia schiena, era quell’idiota che si era sdraiato su di me per poi iniziare a saltare sul letto, schiacciandomi ossa, cassa toracica, polmoni, cuore e quant’altro, rischiando seriamente di uccidermi volente o non.
La scena sarebbe sicuramente parsa ambigua, ma era di Taehyung di cui si stava parlando, e tutto con lui era ambiguo.
 
-“Tae-Hmpf-Ti..P-prego” cercai di dire tra un colpo ai reni e l’altro
 
-“A-ah, come si dice Minie?” bastardo…non c’era una parola migliore per descriverlo
 
-“Va bene, argh, basta che la smetti, mi stai facendo male” cercai di ribellarmi, di scansarlo e buttarlo giù, ma nonostante egli allenamenti quotidiani non riuscii a smuoverlo
 
-“Non basta!”
 
-“VERRO’. D’accordo, hai vinto, verrò alla festa,  ma ti prego, abbi pietà” lui si alzò subito, un sorriso enorme stampato in viso mentre si dirigeva verso l’armadio tirando fuori dei vestiti.
 
-“Ah che bello! Speravo lo avresti detto” lo odiavo “Questa sera dovrai fare colpo Jimin, per questo motivo” tirò fuori dei pantaloni aderenti neri ed una maglia nera senza maniche con un profondo scollo a v “Dovrai metterti in tiro e vestirti per uccidere” terminò lanciandomi i vestiti addosso “Preparati in fretta, la festa inizierà alle 21 e sono già le 20” io sbuffai e mi alzai dal letto, stringendo tra le mani l’outfit che aveva scelto per me e andai in bagno.
Indossai gli abiti e poi mi guardai allo specchio e quasi mi veniva da ridere. Come potevo seriamente andare ad una festa, ridere e scherzare come nulla fosse? Io non ero Hoseok, non era mai stato bravo a fare finta di nulla e continuare a vivere.
Chissà cosa stava facendo quel ragazzo, se era con degli amici. Era mai andato ad una festa? Dubitavo anche che andasse al college.
La maglia scopriva tutte le mie braccia e le clavicole e non potei fare a meno di provare disgusto per me stesso, per il mio corpo. Ero patetico, ero davvero come tutti gli altri, chi avevo cercato di prendere in giro, volenteroso di ripulirmi la coscienza.
Uscii dal bagno cercando di indossare un sorriso che potesse assomigliare ad uno vero.
Tae mi scompigliò un po’ i capelli e mi mise un filo di matita blaterando un ‘anche le persone non gay non potranno fare a meno di volerti’ e poi mi trascinò fuori dalla stanza.
Lui indossava dei pantaloni di pelle ed una camicia bianca, i capelli castani gli cadevano dolci sulla fronte e un alone di profumo lo avvolgeva.
Mi sorrise e mi strinse la mano per rassicurarmi, guidandomi appena fuori dal campus, dove alcuni degli studenti possedevano una casa in comune e dove era sicuramente più comodo tenere una festa piuttosto che nelle stanze doppie dei dormitori.
La porta di ingresso era aperta, e c’erano già numerose persone che affollavano sia il cortile che la casa , tutte ancora relativamente sobrie anche se per poco, contando i bicchieri che già tenevano in mano e quelli  che erano sparsi per la casa.
Il volume della musica era alto, proveniente da degli enormi autoparlanti sottili a muro, e all’interno le luci erano spente, ma per l’occasione il proprietario aveva allestito le stanze con luci stroboscopiche, accecanti e colorate.
Corpi si dimenavano al centro delle stanze al ritmo della musica, persone che muovevano il bacino sensualmente e sguardi predatori ovunque. L’aria era già pesante, un misto di alcolici, fumo e profumi, e per mio fortuna al momento erano mancanti quello acido di vomito, quello di sudore ed ormoni, probabilmente nessuno (o quasi, considerando le coppie che si erano già formate e che si stavano mangiando le facce su dei divanetti) aveva trovato qualcuno con cui divertirsi per la notte.
Mi sentivo quasi nauseato, ed era la prima volta che mi sentivo così. Solitamente mi piacevano le feste, ero il primo a tirare Tae al centro della pista, ballando fino alle 4 del mattino, alcol più presente nel mio corpo che l’acqua che lo compone e un ragazzo sexy al mio fianco, che fossi io a dominarlo o meno non mi importava, ciò che contava era avere compagnia  e una persona nel mio letto durante la notte, corpi sudati e respiri affannosi, piacere che colmava la stanza.
Ma ora tutto mi disgustava, il pensiero di avere delle mani bramose addosso o di toccare qualcuno, di vedere i loro occhi dilatati e consumati dal desiderio, sentire il loro alito che sapeva di tequila bom bom, vodka lemon, rum e coca o quant’altro.
La musica era troppo forte, le luci mi stavano dando alla testa, ma la presa di Taehyung non mollava, e mi stava trascinando in cucina, porgendomi un bicchiere pieno di chissà quale alcolico.
Mi fissò mentre esitavo a berlo, e per farlo felice lo mandai giù, naso tappato e occhi chiusi, sentii il caldo liquido percorrere la mia gola mandando il mio stomaco in fiamme. La sensazione mi nauseò, il sapore era troppo forte, troppo amaro.
Ma non importava, volevo solo smetterla di sentirmi così, svegliarmi la mattina e dimenticare tutto.
Dimenticare quegli occhi da cerbiatto spaesato, quelle sottili labbra rosee, e non potevo fare a meno di sentirmi ancora più un coglione, perché per quale motivo mi sentivo così attaccato e disperato per un ragazzo che non era nessuno per me?
Riempii di nuovo il mio bicchiere, di che cosa non mi importava e allora Tae iniziò a sorridere, scontrando il suo mezzo piano col mio, brindando, un ‘Divertiti Jimin’ detto all’orecchio a causa della musica troppo assordante ed io annuii. Forse aveva ragione, forse per una notte avrei dovuto smettere di pensare.
Ed è per questo che due bicchieri divennero cinque, dieci, ed i freni inibitori erano completamente andati.
Tutto era sfocato intorno a me, ed ero premuto tra altri corpi sudati che si muovevano, ballavano e saltavano a tempo con la musica (o ci provavano considerando che anche loro non erano in uno stato che gli permettesse di capire cosa stesse accadendo).
Tenere gli occhi aperti faceva male, chiuderli pure. C’erano troppe persone troppe luci, troppe…cose.
Il gusto di alcolico era impresso sotto la mia lingua, in tutta la bocca, e ben presto tutto divenne buio.
Calma.
Finalmente un po’ di calma, finalmente la testa aveva smesso di far male, girare, rimbombare.
Non c’erano più odori sgradevoli intorno a me, solo calma piatta, confortevole.
Sentì un qualcosa sfiorarmi la fronte, come se fosse una mano invisibile leggera come un soffio di vento caldo. Cercai di inseguire quel tocco, disperato di ricevere ancora un po’ di calore, di affetto.
Ma nulla.
Improvvisamente, però, apparve una flebile luce.
Cercai di raggiungerla, ma sentivo le braccia e le gambe pesanti, quasi come se fossero fatte di piombo ‘Aspetta’, urlai diverse volte, ma la luce si fece sempre più piccola fino a scomparire del tutto.
Mi alzai di soprassalto, il mio cuore batteva al’impazzata e l’emicrania mi colpì nuovamente, era un dolore acuto, terribile. ‘Cazzo’, mormorai, stringendo la testa tra le mie mani, cercando di calmarlo e di capire dove mi trovassi.
Il mio letto, oh, almeno non ero chissà dove e, ancora meglio, ero vestito e non c’era nessuno accanto a me.
Almeno non avevo fatto nulla.
Improvvisamente sentii salire la nausea, e nonostante non avessi ancora minimamente riacquistato l’equilibrio ed ogni singola parte del mio corpo mi facesse dannatamente male, corsi in bagno a vomitare.
Sentii qualcuno entrare a in bagno, sbattendo e facendo cadere qualcosa, ma ero troppo impegnato a svuotare tutto il contenuto del mio stomaco per preoccuparmi di controllare chi fosse, ma quando sentii una mano fredda poggiarsi sulla mia fronte e un’altra tirarmi indietro la frangia capii che era Taehyung.
Scivolai sul muro, completamente distrutto, poggiando la fronte contro le piastrelle fredde alla ricerca di sollievo, mentre ora mi stava accarezzando la schiena, mormorando dei ‘Coraggio, hyung’, lo sentii alzarsi e poco dopo mi porse un panno bagnato, con cui tamponai la fronte e con cui mi pulii la bocca.
Poi cercai di alzarmi, barcollante sulle mie gambe e mi andai a lavare i denti, il sapore di vomito troppo forte,
Dopo tre lavaggi  anche il malditesta si era leggermente calmato, ed a quel punto ero di nuovo seduto sul letto, vicino a Tae, mentre entrambi stavamo bevendo acqua e limone per la nausea.
Rimanemmo entrambi in silenzio, ancora devastati.
 
-“Mi hai riportato tu ieri?” chiesi
 
-“Si” si limitò a rispondere lui
 
-“Grazie”
 
-“Nulla. Forse non è stato il modo migliore per farti divertire, ma beh. Ci ho provato” io sorrisi, lo odiavo, sì, ma era pur sempre il mio stupido migliore amico “Hey Jimin” disse dopo un attimo di pausa
 
-“Hmm” Feci io, occhi già chiusi e pronto per addormentarmi, cercando di riprendermi
 
-“Il tuo esame non era oggi?” mi alzai di scatto, dolori vari completamente dimenticati.
 
-“CAZZO” gridai, saltando giù dal letto.
Beh, forse dopo quel giorno non lo sarebbe più stato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ecco il settimo capitolo yey!
Per ora posterò una volta ogni due settimane, durante il weekend ^^
Spero vi stia ancora piacendo, e vi prego, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate ;-;
Ad ogni modo, grazie a Yi_Le e pjiminuna per averla seguita, a pansy_laugh e xting per averla preferita e soprattutto grazie a Mik4n e Rozalin Kyouko per averla recensita.
Davvero, apprezzerei tantissimo se mi lasciaste un vostro parere, anche negativo che fosse ^^
Alla prossima~ Sydrah

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Capitolo 8
*** Apathy ***


Salve a tutti! Scusate per questa parentesi prima del capitolo, ma prometto che sarò breve.
Ultimamente ho riflettuto molto su questa storia, e penso che per un po’ di tempo la lascerò in pausa.
Mi occupa molto tempo scriverla, tempo che da ora in avanti probabilmente sarà molto limitato.
Oltre ad essere una questione di tempo, ultimamente sono piuttosto demotivata. Come avevo già accennato, è un tipo di storia che non ho mai provato a scrivere, e mi sarebbe piaciuto molto ricevere un paio di pareri (negativi o positivi che fossero) a riguardo, per capire come migliorarla e che direzione far prendere alla trama.
Dunque, non è detto che tra due settimane pubblicherò il nono capitolo. Mi serve un po’di tempo per riflettere e vedere se ha un senso mandarla avanti e in caso come mandarla avanti.
Ad ogni modo, grazie a Mik4n e Rozalin Kyouko per aver recensito lo scorso capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate a riguardo, ogni pensiero potrebbe motivarmi ad andare avanti.
Con affetto, Sydrah~
 
 
 
 
 
 
Mi  alzai dal letto di scatto, un altro incubo.
Ormai era diventata una consuetudine avere incubi tutte le notti, svegliarsi col cuore in gola ed il terrore negli occhi.
Quando ero piccolo mi mettevo sempre a piangere, gridavo e chiamavo mia madre, che arrivava in camera, stanca a causa di tutte le volte che lo facevo, e con un’espressione un po’ scocciata mi abbracciava, carezzandomi i capelli per tranquillizzarmi.
Aveva smesso da quando avevo compiuto dieci anni, considerandomi ormai un bambino grande, che non aveva più bisogno della mamma, ed io avevo imparato a soffocare le urla nel cuscino, così come le lacrime ed i singhiozzi.
A quindici anni avevo semplicemente smesso. Niente più nulla, mi svegliavo, calmavo il mio cuore e iniziavo la mia routine, era tutto normale, il solito.
Mi scompigliai i capelli mentre slanciavo le gambe, piantando i piedi sul pavimento.
Il letto cigolò come al solito, così come il parquet a contatto con i miei piedi. Sospirai, perché tutto doveva essere così dannatamente rotto?
Camera mia era un buco: un letto ormai troppo piccolo per la mia altezza, un armadio dalle dimensioni discutibili ed una scrivania in legno con una sedia nera vicina, non intonata al resto ‘dell’arredamento’ se così si poteva definire.
Le pareti erano di un rosso ormai rovinato, diverse crepe lo percorrevano e disegni vari erano appesi con un pezzo di scotch, insieme ad un paio di foto e basta.
Era vuota, era priva di personalità, ma non mi interessava curarla, tanto il mio obiettivo era andarmene dal quel posto il prima possibile.
Mi diressi verso la cucina, dove mio padre stava legandosi la cravatta prima di andare a lavoro e mia madre stava lavando i piatti della colazione, una piccola ciotola con kimchi e riso poggiata sul tavolo.
Mi avvicinai in silenzio, cercando di non attirare la loro attenzione, spostai la sedia e mi ci sedetti, prendendo in mano le bacchette e avvicinandomi la misera ciotola.
Ero intento a masticare il primo boccone quando mio padre, soddisfatto del nodo, si voltó  verso di me augurandomi buongiorno con un sorriso. Era sempre così  maledettamente allegro e sereno, nonostante facesse turni improponibili in azienda e tornasse a casa sempre più  stanco, una pila di fogli su cui lavorare ancora sottobraccio, però  era costretto a farlo per cercare di mantenere la famiglia e non far accumulare troppe bollette.
A quel punto anche mia madre chiuse il rubinetto d'acqua, asciugandosi le mani sul grembiule, slegando poi il fiocco che lo teneva stretto in vita
 
-"Buongiorno Jungkook" disse con un tono freddo e monotono. Sapevo che era ancora arrabbiata dal giorno prima, anche durante la cena mi aveva tenuto il muso tutto il tempo, e non avevo ancora avuto occasione di dirle che ero riuscito a trovare un lavoro. Mi dispiaceva fosse arrabbiata con me, ma anche questo era una consuetudine, e non potevo che essere offeso a mia volta dal momento che la sua incazzatura era ingiustificata, era lei nel torto. Era lei stavolta, come moltissime altre volte (così  tante che avevo smesso di contarle dopo la 173esima) che aveva sbagliato, era lei che era sempre stata una madre troppo fredda, distaccata. La sua presenza intangibile, come quella di mio padre il cui tempo libero era stato completamente eliminato, ricordi di un'effettiva  infanzia mai avuti.
Continuai a mangiare, se la guerra fredda voleva la guerra fredda avrebbe avuto, non sarei stato io il primo a scusarmi sicuramente.
L’atmosfera era tangibilmente tesa, e mio padre continuava a far saltare il suo sguardo tra me e mia madre. Mi pulii la bocca con un tovagliolo e posai la ciotola nel lavandino, presi poi la felpa e chiusi la porta di casa alle mie spalle.
Il giorno due di lavoro stava per avere inizio.
Con le mani in tasca mi diressi verso il locale, cappuccio tirato su e sguardo rivolto verso l’alto, mentre osservavo il movimento delle nuvole.
Aprii la porta di ingresso ed il tintinnio della campanella mi accolse, probabilmente prima o poi lo avrei iniziato a considerare familiare e non potevo che sorridere al pensiero.
Salutai Eunwoo, che era già dietro al bancone ad organizzare le torte del giorno, con un cenno della mano e subito andai nella stanza del personale, stringendo il grembiule in vita con un nodo.
 
-“Jungkook!” entrò Seulgi, salutandomi con un sorriso smagliante, come diamine facevano le persone ad essere così attive e felici la mattina non ne avevo idea. Si legò anche lei il grembiule, con un fiocco e poi riprese a parlare “Vieni in cucina, ti presento il cuoco”, aprì la porta scorrevole e mi fece segno di varcarla per seguirmi subito dopo.
“Ti sembrerà un po’…distaccato, ma presto capirai che è in realtà un bravo ragazzo, non temere. E’ solo timido” io mi limitai ad annuire, curioso di chi potesse essere questo fantomatico cuoco (che dovevo ammettere, preparava dei muffin ai mirtilli favolosi).
 
-“Ehi Taekwoon! Ti presento Jungkook, il nuovo arrivato” Un ragazzo decisamente alto e muscoloso dai capelli neri come il carbone stava tagliando dei pezzi di fragola su un tagliere di plastica bianca.
La sua schiena era molto ampia e sotto il sottile strato della maglia bianca che indossava potei intravedere la definizione dei suoi muscoli.
Posò il coltello vicino al tagliere, voltandosi verso di noi, occhi sottili per nulla amichevoli, ma allo stesso tempo neanche ostili, semplicemente sembravano privi di emozioni.
Mi inchinai subito, non volendo essere scortese e col tono di voce più sicuro che potei mi presentai.
Sentii un ‘piacere’ bisbigliato, la sua voce dolce completamente diversa da ciò che ci si poteva aspettare dall’apparenza, ma in un attimo fui di nuovo accolto dalla vista della sua schiena fredda, la stanza nuovamente silenziosa.
Seulgi mi sfiorò la spalla, catturando così la mia attenzione, facendomi poi segno di uscire dalla stanza.
 
-“Come ti avevo detto, non ti preoccupare, presto diventerà meno timido” io annuii, ringraziandola, mettendomi poi subito al lavoro.
Gli ordini arrivavano uno dopo l’altro, un caffè dopo caffè. Per mia fortuna non mi ero ancora mai imbattuto in clienti troppo esigenti, e gli ordini erano sempre stati relativamente semplici da eseguire.
Stavo cercando di creare una forma di un cuore con la schiuma quanto sentii delle risatine provenire da uno dei tavoli. Alzai lo sguardo dalla tazza e notai che al tavolo era seduto un gruppo di quattro ragazze, presumibilmente più grandi di me, che mi stavano fissando, scambiandosi parole nascoste dalle mani poste davanti alle loro labbra.
Arrossii leggermente, ma sorrisi comunque al gruppo, ricevendo un’altra serie di risatine.
Non ero certamente un pudico, ma ricevere l’attenzione di delle ragazze mi lasciava sempre un attimo imbarazzato.
Neanche loro pensai con un sospiro.
 
 
Uscii dal lavoro con un buco allo stomaco, avendo a malapena mangiato un tramezzino, ma non avevo la minima intenzione di tornare a casa. Andare da Yoongi o Jin non era neanche un’opzione, essendo che a quell’ora stavano ancora lavorando, quindi decisi di fare un giro per la città, ora pullulante di vita dal momento che era l’ora di uscita dalle scuole,e studenti affollavano le strade riempiendole di rumore e risate.
Tagliai per una strada meno frequentata, dove l’asfalto era dissestato, i muri pieni di scritte, gli intonachi rovinati ed alcune finestre erano rotte, tutti elementi che segnalavano l’ingresso nella zona più povera e malfamata, che però io non temevo di dover percorrere dato che mi era comunque familiare, avendoci speso molti dei miei pomeriggi a giocare a nascondino con i miei due amici, da piccolo.
C’era solo un posto in cui sarei voluto andare, ma pian piano che mi ci avvicinavo non potevo che sentire il battito del mio cuore accelerare.
E se?
L’asfalto fu sostituito dalla soffice erba, il solito, il sole venne nuovamente filtrato dai folti rami degli alberi.
Provai confusione, e non potevo che esserne indispettito.
Perché il giorno prima non ero riuscito ad andare? Perché c’era quello stupido ragazzo, cercai di ragionare con me stesso, ma perché ero così spaventato di incontrarlo? Non ero spaventato, ero disgustato perché lui era un esterno. Ma a me non aveva mai causato alcun male, perché dovevo essere arrabbiato proprio con lui? Perché lui o un altro dei suoi non faceva differenza, erano tutti sporchi assassini.
Quando però arrivai davanti alla cupola mi sentii stranamente freddo. La vista che mi accolse era la stessa di sempre, che fino ad un paio di giorni fa avevo sempre amato e che non vedevo l'ora  di ammirare, eppure ora mi sembrava così  vuota, come se mancasse un piccolo pezzo di un enorme puzzle, che però  faceva sì  che senza esso sembrasse insensato.
Come un testo di una canzone senza parole, una melodia incompleta, come un'estate senza sole, vento gelido e piogge ghiacciate.
Un unico piccolo foglietto attaccato mi teneva compagnia, ed i caratteri marcati sopra non facevano altro che tormentare ancora di più  la mia anima.
Due poli opposti che si scontravano, come dell'acqua che cerca di calmare un incendio incontrollabile, o come una piccola fiamma che cerca di scaldare un corpo ibernato.
La promessa di un possibile nuovo incontro per il giorno seguente stava leggermente colmando il mio cuore, ridonando colori più  vivaci al paesaggio che avevo  intorno.
Non ci andrai, tanto, il mio cervello continuava a ripetermi, non dovresti, non devi. 
Però se nessuno lo avesse saputo? Se avessi buttato solo un'ultima volta l'occhio, solo per memorizzare il suo viso e poi basta? Come quando inizi a leggere un libro e arso dalla curiosità  leggi l'ultima  parola con cui la storia si conclude e niente più. Un piccolo spoiler, innocuo.
Non avrei dovuto, ma forse una sola volta sarebbe andata bene.
 
No?
 
 
 
Il giorno seguente vi fu la solita routine, mi svegliai in preda ad un altro attacco, soffocando le urla in gola, negando alle lacrime una via d’uscita.
Mi feci velocemente una doccia, passando il sapone su ogni centimetro della mia pelle, strofinando con foga, sempre di più, quasi a voler cancellare il peccato che era la mia esistenza, riempiendo la mia pelle di tanti piccoli graffi bianchi, che poco a poco si arrossavano per poi scomparire, ma non bastava, non mi sentivo comunque pulito.
L’acqua mi era familiare, essendo il mio elemento, mi sentivo a mio agio a contatto con essa. Era come se ogni piccola goccia che percorreva il mio corpo, seguendo le rientranze e sporgenze dei muscoli, fosse viva, come se ogni singola una possedesse un anima, una personalità, era come se le conoscessi tutte una per una, le avrei potute distinguere tutte, chiamarle per nome come fossero mie amiche.
Però, nonostante fosse il mio elemento, non potevo che sentire freddo sotto quel getto, sebbene fosse bollente, non era ancora abbastanza per scaldarmi.
Normalmente quando ero a contatto con fonti d’acqua mi sentivo più forte, energico, ma ora mi sentivo solamente spento, appesantito.
 Il  riflesso allo specchio era ciò che mai sarei voluto diventare, una persona vuota, monotona, grigia, una fra una marea di altre uguali.
Indossai una semplice maglia bianca, coprendo la mia pelle dall’aria fredda mattutina, infilandomi poi anche una felpa nera e dei jeans.
Andai in cucina, di mio padre stamattina non c’erra traccia, e mia madre si stava preparando anche lei per andare a lavorare: faceva la commessa in un supermercato, nulla di più nulla di meno.
Notò la presenza quando spostai la sedia del tavolo per accomodarmici, la sua espressione era impassibile come al solito, dovevo aver imparato da qualcuno dopotutto.
 
-“Dove stai andando tutte le mattine?” disse in tono accusatorio, neanche un saluto, neanche un buongiorno.
 
-“Cosa ti importa, tanto che mi droghi, faccia botte o che vada a salvare gattini ed aiutare anziani sempre un nessuno rimango, no?”
 
-“Ancora con sta storia Jungkook?!” il suo tono di voce si alterò subito “Ti ho fatto una domanda, sarebbe educato che tu rispondessi” schioccai la lingua continuando a mangiare, e notai che il suo sguardo si scurì, atmosfera sempre più tesa
 
-“Jungkook, non è il modo di comportarsi”
 
-“E quale sarebbe, mamma? Non mi pare che ti sia mai presa la briga di insegnarmi qualcosa a parte che vi sono debitore a vita”
 
-“Sei incredibile” arrivò quasi ad urlare “Ora stai seriamente sfociando nel ridicolo, capisco che tu possa avere tutte le crisi adolescenziali del mondo, ma tutto ha un limite” mi bloccai per un instante, sorpreso dalla sua voce dura e severa (non che non vi fossi abituato, ma ogni volta aveva effetto).
Abbassai lo sguardo e continuai a masticare, il riso improvvisamente amaro in bocca, le lacrime di anni di solitudine stavano bruciando ai lati degli occhi e mi stavano pregando di lasciarle andare.
Deglutii, mandando giù quel boccone acido, parlando a bassa voce, improvvisamente debole, più di quanto fossi mai stato consapevole di essere.
 
-“…A lavoro” probabilmente nessun’altra persona avrebbe colto le mie parole da quanto a bassa voce le avevo mormorate, ma lei le percepì, il rossore che aveva in volto a causa della rabbia scomparve, venendo sotituito di nuovo dal suo pallido incarnato.
 
-“Lavoro?” Disse con voce altrettanto bassa, e io mi limitai ad annuire, non guardandola mai direttamente, tenendo gli occhi puntati sulla misera ciotola di fronte a me.
Sentii rumore di passi, il famigliare ticchettio delle sue scarpe avvicinarsi, e poi sentii delle mani calde prendermi il viso, con una delicatezza che mai nessuno mi aveva mostrato precedentemente nei miei confronti.
Fece in modo che la guardassi in viso e poi mi sorrise.
 
-“Scusa Jungkook” mi disse con una sincerità che mai avevo pensato potesse rivolgermi “Scusami se ho mai dubitato di te e se sono stata troppo severa. Lo so che ho sbagliato molte cose nel crescerti, ma spero che un giorno capirai. Non è mai stata solo questione di soldi, ma quando si è adulti spesso si dimentica delle cose a cui si dovrebbe davvero dare importanza. Lo sai vero che io e appa ti vogliamo bene vero?” Si fermò, cercando la risposta nei miei occhi ormai lucidi, ma lottai per non far scendere le lacrime, diavolo se lottai “Lascia andare Kookie” E a quel punto non ci fu più bisogno di lottare, almeno per un paio di minuti. Poggiai il mio viso sul suo morbido petto, sentendo il suo dolce profumo di lavanda invadere i miei sensi, il cotone rovinato della sua maglia solleticarmi la pelle, e una confortevole serenità pervase i miei sensi. “Sono fiera di te” mormorò al mio orecchio, carezzandomi i capelli come tanto avevo desiderato fin da quando ero piccolo.
Andava tutto bene.
 
 
(Ma non sarebbe potuto sempre andare bene)
 
 
 
 
A lavoro fu tutto come al solito (seppur fosse solo il mio terzo giorno), stavo ormai iniziando a capire come le varie cose andassero fatte, e tutto scorreva liscio.
Stavo pulendo un tavolo, poco prima della fine del mio turno quando una ragazza mi si avvicinò.
Era molto carina, bassa, lunghi capelli castani che parevano essere seta, e una frangetta che le copriva anche le sopracciglia, grandi occhi a mandorla e labbra sottili. Era carina, decisamente, e quando mi sorrise non potei fare a meno di arrossire.
Sembrava essere piuttosto insicura ma si decise comunque a parlare.
-“Hmm, oppa…” (avrei voluto controbattere, dirle che, nonostante fosse carina e tutto, era chiaramente più grande di me, e che quindi non doveva chiamarmi oppa, ma mi trattenni, sembrava essere un momento piuttosto difficile per lei) “Tieni” mi passò un tovagliolo, ed io rimasi un attimo perplesso, osservai l’oggetto come se no ne avessi mai visto uno prima in tutta la mia vita, ma poi scorsi dei piccoli numeri scritti sul lato.
Oh.
Diciamo che noi interni non possedevamo orologi con strane proiezioni come gli esterni, e mai avevo visto la loro tecnologia da vicino prima del giorno in cui il certo ‘Jimin’ ricevette una chiamata, però anche noi avevamo dei telefoni. Certo, non tutti ne avevano uno, e probabilmente erano dei modelli molto, troppo arretrati, inoltre  le persone lo usavano di rado rispetto ai mostri là fuori, molti infatti si limitavano ad avere un telefono di casa e basta.
Io ne avevo ricevuto uno il giorno del mio sedicesimo compleanno, uno di quelli che devi rompere lo schermo con i polpastrelli per far ricevere gli impulsi al touchscreen, ma era addirittura uno dei modelli più buoni, sempre meglio di quei carrarmati con i tasti. Comunque non lo usavo praticamente mai, rimaneva quasi sempre a prendere polvere in camera mia, dopotutto chi avrei mai dovuto contattare? I miei genitori si erano rassegnati e non volevano più sapere che cosa facevo della mia vita(circa), e per parlare con Yoongi o Jin preferivo mille volte andare a cercarli di persona, in uno modo o nell’altro riuscivamo comunque sempre a trovarci.
Una delle leggi tra il patto tra interni ed esterni era che non saremmo mai dovuti entrare in contatto attraverso essi, quindi possedevamo delle reti diverse, numeri difficilmente rintracciabili da ambo i lati, e ogni contatto era impossibile.
Continuai a fissare quei numeri scritti con cura, curve e linee che li componevano tracciate con accuratezza.
Alzai lo sguardo sulla ragazza, che probabilmente stava aspettando una reazione, ma dal momento che ero un ragazzo esteriormente terribilmente apatico, il suo sorriso scomparve poco a poco.
Cercai di forzare un sorriso, non sapendo che altro fare, e un’espressione soddisfatta tornò sul suo volto.
 
-“Chiamami, oppa” disse facendo un occhiolino, e mi trattenni dal non sbuffare, ‘oppa a chi?’, poi uscì dal locale insieme alle sue amiche, con cui iniziò a parlare a sottovoce, mentre loro le davano delle pacche sulla spalla, ridendo.
Misi il tovagliolo in tasca, dove probabilmente sarebbe restato, e dove si sarebbe frantumato quando avrei lavato quel paio di jeans. Era carina, niente da dire, ma ancora nulla, il mio cuore era freddo come sempre.
Stavo iniziando a diventare addirittura infastidito dal fatto, perché diamine non riuscivo a sentire nulla per nessuno?! Se fossi andato a chiedere aiuto a Jin probabilmente mi avrebbe detto qualcosa di estremamente poetico del tipo ‘ Tutto a tempo debito’, ma io ero stanco di sentirmi così freddo,  dannatamente vuoto.
Incrociai le braccia ed aggrottai le sopracciglia, infastidito da me stesso, un essere umano mal funzionante, dove diamine erano le mie emozioni?!
 
-“Smettila di fare il broncio, che poi diventi brutto e saremo costretti a licenziarti” Eunwoo mi pizzicò la guancia, mentre stava passando con un vassoio in mano “Il tuo turno è finito, puoi andare, ci vediamo domani Jungkook-ah”.
Lo ringraziai ed andai a posare il grembiule, afferrando lo zaino che mi ero portato dietro, uscendo poi dal locale salutando tutti.
Era ancora presto, troppo presto, per andare nel posto, ma non avevo nulla di meglio da fare o nessun’altra persona con cui intrattenermi per perdere un po’ di tempo, dunque presi una bella boccata d’aria, mi armai di coraggio  e mi ci diressi, curioso di come le cose sarebbero andate.
(e forse anche curioso di rivedere quel viso dagli occhi incredibilmente dolci, ma questo non lo avrei mai ammesso).
 
 

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Capitolo 9
*** I hate you (or I hope so) ***


A differenza dei precedenti capitoli che sono sempre stati alternati, anche questo capito è dal punto di vista di Jungkook, perché mi sono resa conto che non ho mai effettivamente descritto un loro incontro dai suoi occhi. Fatemi sapere quale punto di vista preferite comunque, e se secondo voi dovrei concentrarmi maggiormente su uno oppure se vi piace che si vedano entrambi c:
 
 
Erano a mala pena le 14.30 quando arrivai al punto d’incontro, e avevo come minimo ancora due ore di tempo prima del suo arrivo.
Due ore per decidere se alzarmi e andarmene, dimenticando completamente l’esistenza di tale ragazzo, oppure di restare, mettendomi indiscutibilmente in grossi guai.
Tirai fuori dalla borsa un panino che mi ero procurato sul luogo di lavoro e gli diedi un morso, masticandolo lentamente, nella speranza di farlo durare più a lungo. Taekwoon riusciva sempre a preparare cibi deliziosi, e, preparati da lui, anche dei semplici panini sembravano dei piatti cucinati da chef stellati.
Guardai nervosamente il foglio che era ancora incollato al vetro della cupola, probabilmente non era stata una scelta sicura lasciarlo lì, ma che altro avrebbe potuto fare? Non cercarci e farsi i cazzi suoi, commentò la parte più acida della mia mente, e probabilmente aveva ragione, che gli fosse saltato in mente non lo riuscivo ancora a capire.
Finito il panino mi sdraiai sull’erba, osservando tra gli spiragli dei rami il cielo, così lontano, così puro. Per perdere un po’ di tempo mi misi ad immaginare che cosa potessero rappresentare le varie nuvole che lo attraversavano come delle barche in un mare color cobalto.
Socchiusi gli occhi, godendomi la tranquillità che mi trasmetteva quel luogo e mi concentrai sul fruscio delle foglie, smosse con premura dal vento emettevano dei bisbigli, come se si stessero  confidando dei segreti, e cullato dalle loro parole incomprensibili mi addormentai.
 
Ce la puoi fare
 
Hm? A fare cosa
 
Ce la puoi fare, Jungkook, ci sono io con te
Tu chi? Cosa posso riuscire a fare? Era la stessa voce, familiare e calda. Una voce delicata, amichevole, rassicurante.
 
Rispondimi. Ma nulla, la voce non diceva più nulla, la stessa atmosfera bianca, luminosa, mi circondava.
 
Ti prego, rispondimi. Come l’ultima volta il bianco si macchiò poco a poco di gocce scure come l’inchoistro, le macchie si ampliavano ovunque, ed il silenzio venne sostituito da un rumore fastidioso, sempre più forte, riempiva ogni mio senso.
Cercai di bloccarlo, ma anche sta volta mi sentivo completamente paralizzato, ospite all’interno di un corpo che non mi apparteneva. Un sapore acido mi riempì la bocca, e volevo disperatamente prendere una boccata d’aria, ma ero di nuovo immerso in dell’acqua gelida. Cercai di dimenarmi, di controllarla, ma non mi rispondeva. Era come se mi stesse schernendo, prendendo in giro i miei futili tentativi.
No, non poteva voltarmi anche lei le spalle, non poteva farlo anche l’unica cosa su cui avevo del potere. La mia gola iniziò a bruciare. Avevo bisogno di aria. Aria.
Mi svegliai di soprassalto, i dintorni mi parvero estranei per i primi secondi, come colori mischiati su una tavolozza, che si fondono insieme talmente tanto da non riuscire poi più a separarli.
Cercai di calmare il mio respiro affannoso, i miei occhi erano spalancati e le mie mani si aggrappavano all’erba, tirandola così forte da rischiare di strapparla, facendo finire piccole tracce di terra sotto le mie corte unghie, spesso masticate a causa del nervosismo.
Il mio primo pensiero fu quello di controllare l’ora, ed inaspettatamente erano già le 16.30. Cercai di ricompormi, passando una mano tra i capelli per aggiustarli e sistemando la maglia stropicciata.
Probabilmente sarebbe arrivato da un momento all’altro, e ora questo incontro mi sembrava molto più ‘vero’, perché diamine, stavo per farlo, stavo per re incontrarmi con lui, alla fine avevo deciso di non scappare.
Mi diedi mentalmente una pacca sulla spalla, congratulandomi per il coraggio, ma non potevo negare i brividi che percorrevano il mio corpo come tante piccole ed impercettibili scosse elettriche.
Decisi che non volevo farmi cogliere impreparato, e pensai che sarebbe stato meglio se fosse arrivato mentre facevo qualcosa, almeno non avrebbe creduto che fossi disperato di vederlo e che ero lì da ore ad aspettarlo (cosa che, per chiarirci, non era assolutamente vera).
Tirai fuori il mio sketchbook ed una matita, che faticai a tenere in mano a causa dei tremolii. Mi rimproverai, cosa cazzo mi stava prendendo? Da quando tremavo a causa di una persona qualsiasi?
Indignato col mio stesso corpo iniziai a sfogliare con  furia le pagine, cercandone una pulita su cui riversare le mie emozioni, sporcando una precedente candida pagina di me: una persona lurida, vile.
Stavo tracciando affannosamente delle righe sulla pagina, cercando di ricreare un piccolo orso quando notai un ombra muoversi. Con timore alzai lo sguardo, per trovare davanti a me la tanto temuta persona che stava adagiando la tracolla per terra, sedendosi dopodiché a gambe incrociate.
Notai che le sue guance erano lievemente arrossate e che, nonostante stesse tenendo la testa rivolta verso il basso, un piccolo ed innocente sorriso stava cercando di farsi largo sul suo volto, il quale stava però venendo trattenuto perché probabilmente temeva la mia reazione riguardo ad esso.
La frangia cadeva delicata sulla sua fronte ed i suoi capelli splendevano sempre di un bel argento freddo, che riusciva però a donargli comunque una dolcezza incredibile.
Presi un bel respiro, potevo farcela.
Decisi comunque che non volevo dargli troppe speranze (perché le speranze distruggono sempre le persone), e quindi non avrei mai fatto io il primo passo di scrivere.
Attesi, giocherellando con la stoffa strappata dei jeans  su una delle mie ginocchia.
Non passò molto tempo prima che lo vidi frugare nella tracolla, da cui tirò fuori fogli ed un pennarello.
 
Ehi, sei venuto
Vi era scritto con caratteri curati ed aggraziati.
Gli risposi con un cenno. ‘Bravo Jungkook, niente speranze. Niente. Speranze.’
 
Volevo scusarmi per la scorsa volta, forse sono stato troppo invasivo
Sollevò con insicurezza il foglio, sguardo mai puntato verso di me, alla ricerca di un appoggio che non avrebbe mai ricevuto.
 
Forse.
Lui parve contemplare la mia risposta, quasi come se anziché una semplice parola avessi scritto una complicatissima formula matematica di cui stava cercando la soluzione.
 
Vuoi ri iniziare daccapo?
Mi limitai ad inclinare la testa, facendogli intendere che non avevo capito cosa intendesse
 
Sono Park Jimin, piacere di conoscerti. Potresti dirmi il tuo nome?
Oh. Portai un dito alla bocca, mordendo un un’unghia ormai già quasi inesistente, contemplando ciò che avrei dovuto fare.
Era solo un nome, cosa sarebbe potuto accadere di male?
Solo un nome…
 
Jeon Jungkook
I suoi occhi si spalancarono quando lessero la mia risposta, colto alla sprovvista dall’averne ricevuta una.
Mi parve di leggere il mio nome sulle sue labbra, come se l’avesse appena ripetuto per gustare le lettere una ad una, ma anziché ritornare serrate, le sue labbra disegnarono un sorriso sul suo volto.
Era caldo, dolce come la cioccolata con panna, se avessi dovuto descriverlo, un po’ di piccante ma appena un tocco, come se ci avessero dato una spolverata di cannella per terminare la presentazione.
Le sue labbra sembravano morbide, illegalmente morbide, e mi venne improvvisamente voglia di morderle per testarne la consistenza, di sfiorarle mentre ripeteva ancora una volta il mio nome, percependo concretamente come si articolavano per pronunciare le lettere.
Avrei voluto poter sentire se la sua voce fosse altrettanto dolce quanto il suo sorriso e se la sua pelle rosa, se le sue guance piene fossero morbide come parevano.
Mi sarebbe piaciuto poter delineare le fattezze del suo viso con i miei polpastrelli, studiando ogni centimetro della sua pelle, disegnandone i contorni, passando un dito sulla sua palpebra, contando le fini ciglia che la adornavano.
Avrei voluto disegnarlo. Disegnarlo fino a saperlo a memoria, come se fosse il mio personaggio preferito di una storia, il protagonista di un’avventura fuori dalle regole.
Deglutii, era sbagliato, troppo sbagliato. Non avrei dovuto avere pensieri del genere, era troppo pericoloso, ero sicuro non avrebbero portato a nulla di bene.
Cercai di ripetermi che andava tutto bene, che non significava nulla la mia improvvisa curiosità, era semplicemente curiosità sì, niente più. Era solo colpa di come guardavo io il mondo, con ‘l’occhio critico di un artista’ provai a dirmi scherzando, recitando le parole che pronunciava sempre Jin per prendermi in giro a causa della mia mania di osservare i minimi dettagli.
(Ma in fondo non potevo che avere paura, ma per il momento decisi di prendere quei sentimenti e spingerli lontani, in fondo alla mia mente ed al mio cuore, dove non avrei potuto vederli).
 
Piacere di conoscerti Jungkook, quanti anni hai?
Era tutto così fottutamente sbagliato, ma ormai la punta della mia matita era già sul foglio, e senza che io lo volessi si muoveva velocemente da sola per rispondere alla domanda
 
19
 
Ah! Sei così giovane…Io ne ho 21. Vai a scuola?
Non sapevo bene fino a dove si sarebbe voluto spingere, cosa voleva sapere di me, cosa avrebbe voluto ottenere dalle mie risposte, ma non potevo fare a meno di provare paura. E se ci avessero scoperti, e se da un momento all’altro fosse spuntato qualcuno che ci avrebbe catturati e poi uccisi come tutti gli altri che avevano sgarrato, oltrepassato i limiti?
Ma accanto alla paura, un altro sentimento stava lottando conquistando sempre più spazio all’interno di me. Euforia, eccitazione, l’adrenalina che si prova quando si trasgrediscono le regole, cuore pulsante e battito frenetico, tutte le azioni che accadono in un rapido succedersi in cui si è appesi ad un sottile filo: un minimo errore e tutto è finito.
Un sentimento quasi malsano, probabilmente simile alle emozioni che provano gli assassini, che architettano al minimo dettagli il loro delitto, sfuggendo dagli occhi del giudizio.
 
No. Tu?
Era la prima domanda che gli ponevo a mia volta, e tutto ci che avrei voluto fare era abbassare il foglio e bruciare la pagina, eliminando ogni traccia.
 
Vado al college, studio giurisprudenza. Ieri ho avuto un esame, e per questo non sono venuto. Dal momento che non vai più a scuola lavori?
Ci impiegò un po’ più tempo a mostrarmi la scritta, ma quando lo fece notai che sul suo viso vi era ormai un permanente sorriso sereno che avrei voluto continuare ad ammirare, ma che gli avrei anche voluto strappare. Non c’era motivo per essere felice, non c’era nullo di bello nel fare ciò che stavamo facendo, ma forse lui non se ne stava rendendo conto. Gli esterni erano sempre ciechi, sempre così spericolati. Non badavano mai , MAI alle conseguenze, facevano tutto quello che gli passava per la mente, solo perché erano liberi o per meglio dire, si credevano liberi.
Però, in realtà erano ancora più soggetti alla schiavitù di quanto non lo fossimo noi, ed i potenti gli avevano creato attorno una prigione immaginaria fatta di controllo, ancora più potente della cupola che ci separava.
 
Si, ho iniziato un paio di giorni fa
 
Wow! Davvero? Cosa fai? Se posso chiedere. Scusa tutte le domande, non voglio farti sentire a disagio…
Ipocrita fare le domande e poi dire di non voler far sentire l’altra persona a disagio, solo un modo per levarsi la colpa di dosso, per fingere educazione. Cercai di mantenere pensieri negativi, non lasciandomi influenzare dal fatto che il ragazzo di fronte a me sembrava essere la persona più gentile che avessi mai incontrato, cercai di non far cadere il mio sguardo su quegli occhi così luminosi e scuri che parevano contenere tutto l’universo.
 
Come mai mi fai tutte queste domande?
Decisi di non rispondergli, rivolgendomi anzi a lui con un’altra domanda.
Lui parve essere colto di sorpresa, la sua bocca formò una ‘o’  mentre le sue mani strinsero con più forza i fogli che stavano tenendo.
 
Scusami…In effetti è strano che uno come me abbia voluto parlarti vero? Io…Vorrei solo conoscerti
Si scompigliò nervosamente i capelli sulla nuca, e anche se non potevo sentirlo ero sicuro che la risata che uscì dalla sua bocca non era naturale, era nervosa e forzata, come se lo avessi incolpato di qualcosa (come probabilmente avevo fatto).
 
Perché vuoi conoscere me?
Spinsi ancora di più la domanda, la mia curiosità mi stava uccidendo. Volevo sapere, dovevo sapere cosa avesse visto in me, quali fossero le sue intenzioni. Non volevo illudermi di qualcosa che poi mi avrebbe ferito, la mia intenzione non era quella di montare ponti e castelli che poi sarebbero crollati, uccisi da una menzogna che mi avrebbe ferito più di quanto avrei mai ammesso.
Era difficile fare costantemente finta di essere forti, mostrare un’apparenza che non rispecchiava più di tanto la realtà. Inoltre, era ancora più brutto rendersi conto di perché si era arrivati a costruirsi un’immagine: per nascondere le terribili imperfezioni e lacune di noi stessi. Miserabili esseri, nullità senza un proprio volto, alla continua ricerca di un appagamento.
Temevo la sua risposta, ma volevo che le cose fossero ben chiare.
 
Non lo so bene, so solo che dalla prima volta che ti ho visto è come se avessi sentito il bisogno di conoscerti. Lo so che sembrerà ipocrita e stupido un discorso simile ma, davvero, voglio solo sapere chi sei senza secondi fini. Voglio poter diventare tuo amico, anche se probabilmente tu non lo vorresti, voglio poterti fare capire che non voglio farti del male, voglio solo…Vorrei solo mostrarti che non siamo tutte cattive persone. Scusami, lo so che probabilmente sto oltrepassando i limiti
Si morse il labbro nervosamente, sguardo di nuovo puntato verso il basso mentre reggeva con mani tremanti il foglio.
Il mio cuore aveva ripreso a battere stranamente forte e nel mio stomaco si formarono dei nodi strani, quasi dolorosi, ma allo stesso tempo caldi. Un calore che si fece largo per tutto il mio corpo, arrampicandosi fino in gola, solleticandomela, fino alle guance, infiammandomele.
Avevo paura, tremendamente. Diciannove anni ed era la prima volta che provavo sentimenti del genere, diciannove anni e mi sentivo come un bambino di cinque, innocente ed ignaro di tutto.
Un bambino a cui viene detto che per cena gli verrà preparato il suo piatto preferito, rendendolo più felice che mai, per poi scoprire che era solo una bugia per farlo stare zitto, per farlo smettere di piangere.
Mi sentivo in pericolo, come se tutti i miei sforzi di essere una persona forte stessero per distruggersi, per questo motivo mi appesi con tutta la mia forza alla parte più stoica di me.
Alla parte più fredda.
Più apatica.
 
Quindi sono solo un oggetto per pulirti la coscienza? Per farti sentire in pace con te stesso, ripulito dallo schifo che avete fatto, dalla merda che siete?
Sapevo che ciò che avevo scritto era crudele (e non vero), e sentii una fitta al cuore per ogni parola che intagliai in quella pagina, ma era l’unico modo per proteggermi. Quelle parole, si…avevano creato in me speranze che non avrei dovuto avere.
Era ingiusto il fatto che avrei voluto dargli ragione, che avrei voluto conoscerlo e capire fino a che punto era la persona che mi ero immaginato fosse, ma che allo stesso tempo non avrei mai potuto. Perché?
Perché lui era lì, ed io…ero qui. Come al solito, come ci ero stato per tutti i 6935 giorni della mia inutile, fottuta vita.
Potevo sentire ancora una volta le lacrime bruciarmi gli occhi, lì lì pronte per scivolare via come l’acqua corrente di un fiume, ma non potevo ammettere le mie emozioni , non volevo, perché faceva dannatamente male.
Ed il dolore fa paura, cavolo se ne fa. Perché il dolore ti segna, ti marchia a vita e ti cambia, ti fa diventare una persona diversa, un’imitazione di  te stesso.
Ma chi volevo prendere in giro? Lo ero già, tanto…
E probabilmente provai più dolore a vedere la tristezza sul suo volto, le sue guance arrossarsi per la vergogna, i suoi occhi spegnersi, venire svuotati da tutte le stelle, galassie e quant’altro, di quando non ne avrei provato se qualcuno mi avesse pugnalato.
 
Scusami…
Era tutto ciò che vi era scritto. Una sola parola, i contorni tremolati. Niente più frasi lunghe, niente più domande e cavolo se speravo che riprendesse quel dannato pennarello, che cercasse di contraddirmi dicendomi che ‘No’, non era vero ciò che avevo insinuato.
Ma nulla.
Ero sempre stato bravo a distruggere tutto, ma non ero mai stato capace di costruire nulla.
Avrei voluto picchiarmi, avrei davvero voluto che qualcuno mi pugnalasse, avrei preferito provare dolore fisico, sarebbe stato mille volte meglio se fossi stato l’unico a soffrire.
Strinsi la matita in mano fino a che le nocche non diventarono bianche per la forza che stavo usando, eppure non riuscivo a scrivere nulla, non sapevo cosa scrivere.
Lo vidi passarsi una manica della felpa sugli occhi, sfregando con forza, per poi afferrare di nuovo il pennarello, con un’insicurezza tale che avrei voluto potergli dire che andava tutto bene, che ero uno stronzo , che aveva tutto il diritto di odiarmi e che ero io ad aver sbagliato, ma non lo avrei mai fatto (Anche se avrei voluto).
 
Io vorrei davvero solo poterti conoscere, ti prego
Un paio di lettere erano leggermente sciolte a causa di una lacrima solitaria che era scappata, ed io mi sentii ancora più una merda perché ero la causa di essa.
Mi sentii sciogliere poco a poco, e nella mia testa era tutto in confusione.
Vi erano pensieri su pensieri, voci che si sovrapponevano a voci, e tutto ciò che avrei voluto era un po’ di silenzio, un po’ di pace.
Perché non potevo dargli la possibilità di dimostrarmi che era una brava persona? Perché dovevo sempre essere così…me stesso?
Presi un bel respiro, cercando di ricompormi. Se pensavo di aver sbagliato fino a quel momento, allora quello che stavo per fare avrebbe completamente stravolto la mia vita.
In meglio, in peggio non lo sapevo ( ma forse semplicemente non mi importava).
 
Cameriere
I suoi occhi sconsolati si incrociarono coi miei, ed io mantenni il contatto, catturato da essi come se fossimo i due poli opposti di due calamite.
Inclinò leggermente la testa, confuso.
 
Il mio lavoro, faccio il cameriere in un bar
Di colpo mi sembrò notte di nuovo, perché i suoi occhi tornarono a riflettere tutto l’universo, ed era meraviglioso come in una stessa persona il giorno e la notte si unissero, perché oltre che a brillare come le stelle in un cielo notturno, brillava anche più del Sole d’estate, ed il suo sorriso sarebbe stato in grado di bruciare tutto il pianeta, e neanche la mia acqua sarebbe riuscita a calmare il divampare delle fiamme.
Era il sorriso più sincero che avessi mai visto su una persona, perché non stava cercando di nascondere la sua malinconia, stava semplicemente sorridendo per la felicità, per il sollievo.
Stava sorridendo realmente, e la mia mano pizzicò dal volerlo rappresentare su mille fogli bianchi, per imprimerlo nella memoria.
Mi ero messo in un guaio bello grosso, perché non si trattava più di sola e semplice speranza.
Ma per ora (ancora per un po’), decisi che non l’avrei ammesso.
 
 
 
Tornai a casa a mala pena un’oretta dopo, era dovuto andarsene ancora una volta a causa di una chiamata.
Lasciò in me una strana sensazione di vuoto, ma per la prima volta nella mia vita mi sentivo anche pieno, pieno di emozioni, così tante che probabilmente sarebbero presto traboccate.
La sensazione di farfalle allo stomaco era ancora presente, ed a cena non riuscii a mangiare.
Quella sera avrei voluto disegnarlo, ma mi trattenni dal farlo, perché sapevo che altrimenti sarebbe tutto diventato più reale.
Troppo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EEEEEEE, eccoci qui con il nono capitolo. Prima di tutto vorrei ringraziare tutti i lettori che mi hanno incoraggiata e spronata ad andare avanti. Non avete la minima idea di quanto mi avete resa felice, tipo che asdfghjkl posso morire felice e siete tutti troppo gentili con me ;-;
Allora, spero che il capitolo non sia stato troppo incasinato e con riflessioni inutili (filosofia fa male al mio cervello )e spero che non ci siano troppi errori e che abbia almeno pocopocopoco soddisfatto le vostre aspettative.
Il prossimo capitolo forse arriverà con più calma hah….hah…hah… ma per il fatto che ho finito i capitoli preparati ugh. Dunque, spero continuerete ad essere pazienti con me.
Fatemi sapere le vostre osservazioni sul capitolo ^^
Grazie a Mik4n per motivarmi sempre tantissimo e per sopportare le mie patetiche crisi da “scrittrice” fallita.
Grazie a daenarys97, Yokohomi29, Bipolardemon, Sethmentecontorta, Anastasiamilo, Rozalin Kyouko e Andtellmeyouloveme  per aver recensito. Siete davvero delle bellissime, BeLLISSIME persone!
Detto questo, al prossimo capitolo
Sydrah~

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Capitolo 10
*** Dear rain (wash the pain away) ***


Ciao a tutti!! Scusate per il ritardo di questo capitolo, Questi ultimi giorni di scuola sono stra stressanti e faticosi uff (è illegale dover fare scuola lavoro anche il sabato pomeriggio e sera e quasi tutta la domenica ;-;)
Ad ogni modo, ecco il nuovo capitolo YEY. So che non è nulla di emozionante, ma è difficile scrivere e trovare ispirazione con tutto sto da fare.
Volevo solo comunicarvi che prima della fine della scuola, o almeno, prima della fine delle prima settimana di giugno non pubblicherò nulla perché non ce la faccio logisticamente, ma cercherò di farmi perdonare con un bel capitolo 11 d’accordo??
Un ultimo appunto prima di lasciarvi leggere, mi farebbe piacere se ascoltaste questa canzone :3 fatemi sapere cosa ne pensate se la sentite.
https://www.youtube.com/watch?v=fSySE1bNFTk
(Al fondo più note)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stavo ripassando gli ultimi argomenti per un ennesimo esame quando sentii qualcosa, o meglio qualcuno, respirarmi sul collo.
 
Non me ne ero accorto prima dal momento che avevo le cuffie ben piantate nell’orecchio e la musica era a dir poco alta, ma Tae era alle mie spalle, a fissarmi con un sorriso sospetto, molto sospetto.
 
Lo salutai con un cenno, tornando a puntare lo sguardo sulle scritte della pagina, così piccole e fitte da far sembrare che fosse tutta colorata d’inchiostro.
 
Non gli diedi altre attenzioni, perché già sapevo che quel sorriso non preannunciava nulla di buono. Tutte le volte accadeva qualcosa di terribile, come quando mi aveva costretto ad accompagnarlo ad una festa per poi abbandonarmi nel bel mezzo di essa per andare a pomiciare con qualche ragazza, o quando mi aveva costretto ad andare ad un appuntamento al buio dato che secondo lui, testuali parole “Non c’è azione nella tua vita da troppo tempo Minnie, lo sai che le calorie si possono bruciare in altro modo oltre che ballando vero?”. E si, era stato l’appuntamento più terribile della mia intera maledettissima vita, l’altro ragazzo (di cui ho completamente rimosso il nome dalla memoria per la mia salute mentale) aveva fatto allusioni sessuali per tutta la serata, per poi trascinarmi nel bagno del ristorante, mettendomi le mani addosso, ed ero dovuto letteralmente correre via dal locale, dimenticando anche la mia preziosissima giacca bomber della Saint Laurent.
 
Sentii una mano poggiarsi sgraziatamente sulla mia spalla, e a quel punto presi un bel respiro.
 
 
 
-“Jiminnie~” il suo tono di voce era troppo acuto e costruito, nulla di buono, infatti “E’ da ieri che non smetti di sorridere, e mi stavo chiedendo, ti è per caso successo qualcosa di bello che vorresti condividere con me, sai, Taehyungie, il tuo migliore amico, BFF e tutta quella roba lì”
 
 
 
-“A-ah. Particolarmente sorridente dici? Nessun motivo particolare, sarà la primavera”
 
 
 
-“Eppure… ultimamente esci spesso, e sempre alla stessa ora. Dove vai di bello?” continuò lui, ora aveva messo la sedia di fianco alla mia, il suo gomito era poggiato sulla scrivania e la mano gli sosteneva il viso, ciocche di capelli castani disordinati gli ricadevano sugli occhi scuri ed indagatori.
Tae era il ragazzo piú  particolare che avessi mai avuto la disgrazia di conoscere. Era stato graziato da Dio in tutti i campi, dotato di un'intelligenza non da poco e una bellezza intrigante, misteriosa e quasi intimidatoria.
Era quel tipo di persona di cui non penseresti mai di diventare amico, ma che nell'arco di due giorni sarà già il tuo migliore ed unico. Una persona a cui non si può dire di no,a cui più resisti più vieni attratto.
Socievole come una farfalla, amico o conoscente di tutti, ma solo poche erano le persone che riteneva veramente importanti ( e io avrei potuto vantarmi di essere una di esse).
Purtroppo, la simpatia non era la sua unica caratteristica: il suo sesto senso, si, il suo sesto senso era estremamente acuto.
Certo, c'erano state occasioni in cui ci aveva portati sulla cattiva strada, ma la maggior parte di quelle volte era offuscato dall'alcol, e quindi erano errori comprensibili).
Ma ora non era ubriaco, e i suoi occhi erano puntati fissi su di me, scuri e profondi come un vortice, come un buco nero da cui non poter uscire, dove ogni segreto viene risucchiato e tenuto stretto al suo interno.
Ogni movimento, ogni piccola distrazione, una singola parola anche, avrebbe potuto farmi beccare, e proprio per questo motivo del sudore freddo stava iniziando a crearsi sulle mie mani , e conscio di ciò le portai ai pantaloni, sfregando via la fastidiosa umidità.
 
-"Vado solo a studiare al parco, mi rilassa" non era del tutto una bugia, ma vidi comunque il suo sopracciglio sollevarsi drammaticamente.
 
-"Jimin. O mi dici che stai facendo, e giuro che la prossima volta ti pedino"
Sbuffai e cercai di allontanarmi da lui, alzandomi dalla sedia e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza, passando la mano tra i capelli. Forse avrei potuto dirglielo, almeno a Tae. 
Mi era sembrato piuttosto comprensivo verso l'argomento 'interni' e magari mi avrebbe anche potuto capire ed aiutare.
Dopotutto, stava diventando un peso anche per me questo enorme segreto, e non sapevo cosa farci. Non sapevo cosa sarebbe accaduto da ora in avanti ora che quel ragazzo, Jungkook, aveva acconsentito a parlarmi.
Cosa avrei dovuto fare? Come avrei potuto aiutarlo? Avrebbe mai voluto che lo aiutassi? 
Mi girai in definitiva verso Tae, mani sui fianchi e petto gonfiato, come se una posizione piú stabile avrebbe potuto trasmettermi maggiore sicurezza.
 
-"Okay" iniziai, cercando di mettere in ordine i mille pensieri che avevo per la mente "Okay, allora. Come potrei dire...hmmm...si, sto vedendo qualcuno" un sorriso da stregatto comparve sul volto di Taehyung, che mi puntò poi un dito addosso gridando un 'HAH. Lo sapevo' prima di ricomporsi e farmi cenno col capo di andare avanti.
-"È’ un ragazzo...due anni piú giovane di me"
 
-"E...?? State giá insieme? Avete giá  fatto-"
 
-"Tae! Non rendere tutto piú difficile di quanto giá non lo sia" mi fece la linguaccia,  sedendosi poi a gambe incrociate, mani poggiate sul grembo. Presi un bel respiro prima di ricominciare a parlare "No, non stiamo insieme, è un miracolo se siamo conoscenti" vidi le sue sopracciglia aggrottarsi, e la sua espressione mutare da una di eccitazione a una di confusione.
"Vedi, c'è  un piccolo problema, peró devi promettere che non ti metterai ad urlare o sclerare e che non andrai a dirlo a nessuno"
 
-"Sisi Jimin hyung, tutto quello che vuoi, basta che me lo dici subito ti prego"
 
-"Si chiama Jungkook" mi guardò esasperato, come se mi stesse mentalmente dicendo 'se non la pianti di creare tutta sta suspance ti vengo a tirare un pugno in faccia', ma le parole stavano uscendo a fatica dalle mie labbra, e ogni singola vocale e consonante lottava con tutte le sue forze per non essere pronunciata.
Non c'erano mezzi termini per descrivere quello che stavo provando in quel momento: paura. 
Non avevo idea di come avrebbe potuto reagire,se sarebbe rimasto di sasso o schifato o quant'altro.
Il mio cuore batteva a mille, mentre nella mia mente venivano riprodotti infiniti scenari su come le cose sarebbero potute andare se avessi finito quel discorso, uno peggiore dell’altro.
Come sarebbe potuto scappare da quella stanza,e in attimo mille voci sarebbero girate e puff, un giorno e sarei potuto essere mandato in prigione, dove mi avrebbero fatto parlare a forza.
Dopotutto i diritti erano solo buoni se scritti su un pezzo di carta,falsi sorrisi e sicurezze, ma il mondo non portava alcuna concretezza a quegli articoli. Diritti di persone dimenticati, uomini trasformati in misere bestie.
La cosa peggiore, però,è  che sapevo che non ci sarei andato di mezzo solo io, ma anche se non soprattutto Jungkook, e sicuramente essere trattato ancora di più come un reietto non era ciò di cui aveva bisogno.
Non era ciò  di cui nessun diciannovenne aveva bisogno.
La gola era estremamente secca, ma Taehyung era ancora seduto lì, bocca appena aperta,occhi grandi che scrutavano nei miei, non piú  indagatori ma gentili, come se avesse percepito quanto fosse difficile per me parlarne e stesse cercando di rassicurarmi.
Come se stesse dicendo che potevo fidarmi di lui, non di 'Kim Taehyung il ragazzo che tutti conoscono', ma del mio migliore amico, ed a quel punto  ogni insicurezza scomparve.
Come avevo potuto anche solo pensare che avrebbe potuto tradirmi?
Recuperai il restante coraggio che mi rimaneva.
 
-"Jungkook...è un interno"
 
La sua bocca si spalancò completamente, e per qualche istante ci fu silenzio totale, Taehyung rimase completamente immobile.
Mi iniziai a mordere il labbro inferiore nervosamente, spostando le mani dai fianchi e iniziando a giocare col lembo della felpa per distrarmi, monitorando sempre il suo viso, e l'assenza di disgusto mi rasserenò un minimo.
 
-"Fammi capire un attimo" si spostò ancora sulla sedia, piegando le gambe e portando le ginocchia al petto, per poi piegare leggermente lo schienale "Tu per tutti i giorni passati, sempre alla stessa ora, sei uscito per incontrare...un interno?" Non c'era malizia nel suo tono di voce, o rabbia o qualsiasi altra emozione negativa.
Io annuii, andando a sedermi sul letto, poggiando la schiena contro il muro.
-"Non tutti i giorni l'ho visto però"
 
Parve contemplare la mia risposta, facendo girare la sedia un paio di volte
 
-"Questo Jungkook...come l'hai conosciuto, come- come lo incontri?"
 
-"L’ho visto la prima volta circa una settimana fa, quando eravamo andati a trovare Namjoon hyung, e lo so che ti sembrerà assurdo, ma avevo come percepito una strana connessione? Non ne ho idea, semplicemente...era come se avessi bisogno di rivederlo. Sono poi tornato allo stesso posto dove l'avevo visto la prima volta e... c'era  di nuovo, però scappò subito via. Gli lasciai un biglietto- no Tae non mi guardare così, lo so che sono  stato stupido ed é stato rischioso. Da quella volta ci siamo visti un paio di volte, e solo ieri mi ha davvero parlato...beh...non parlato, ci scriviamo, ed ha solo ieri iniziato a dire qualcosa anche lui"
 
"Jiminnie..." si alzò dalla sedia, venendo a sedersi vicino a me, facendo sprofondare un poco il materasso.
Mi prese la mano e la strinse tra le sue.
-"Come fai a sapere che non...beh...che non é  pericoloso?" Liberai la mia mano dalla sua presa e mi passai le mani tra i capelli.
 
-"L'hai detto pure tu, Tae!" Alzai la voce, senza neanche rendermene conto, ma la necessità di proteggere Jungkook dai cattivi pregiudizi delle persone era stranamente forte "Che non sono loro in torto, che non sono loro i cattivi! Te lo giuro Tae, se lo vedessi capiresti. È  solo un ragazzino, non ha mai fatto nulla di male, ed è  costretto a stare lì. Non la pensavi anche tu così?!" Lo guardai, occhi umidi e rossi  a causa di un'improvvisa rabbia. Come potevano tutti essere davvero così ciechi?
La rabbia diminuì poco a poco, affogata da un calore accogliente.
Solo quando il suo caratteristico profumo di menta e limone pervase i miei sensi, e sentii i suoi capelli solleticarmi il viso realizzai che mi stava abbracciando.
Avvolsi le sue spalle con le mie braccia, e mi aggrappai alla sua maglia, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, facendomi calmare dal calore della sua pelle.
 
-"Non volevo giudicare nessuno hyung. Sono solo preoccupato per te, tutto qua. Io credo in ciò che mi dici, e sono sicuro che questo Jungkook sia un bravo ragazzo. Solo...fai attenzione d'accordo?" Mormorò le parole contro la mia fronte.
Mi sentii completamente rilassato e contento, aveva capito e non era contro ciò che avevo scelto di fare, aveva capito ed era tutto quel che avrei mai potuto desiderare.
Tae era sempre stato uno spirito libero, aveva sempre avuto una mente aperta, ed era una persona senza peli sulla lingua, sempre pronto a dire quello che pensava, brutto o bello che fosse. Non aveva mai avuto neanche problemi a manifestare l'affetto che provava, ed in questo momento non potevo che esserne grato, e mi gustai gli ultimi attimi dell'abbraccio.
Era il migliore amico che avrei mai potuto chiedere, e non importa se sarei potuto essere considerato fin troppo emotivo e sensibile per 'essere un ragazzo', perché al diamine quello che pensavano gli altri, fino a quando avevo intorno a me persone che mi accettavano cosí  per com'ero sarebbe andato tutto  bene.
Dopo qualche altro attimo ci separammo, lasciando che il silenzio ci avvolgesse con tutta la sua calma e quiete, l’unico suono nella stanza quello dei nostri respiri.
 
-“Allora” iniziò lui dopo poco “Pensi che me lo farai mai conoscere questo tuo ‘non ragazzo’”
 
-“Kim TAehyung! Quante volte te lo devo dire, non è il mio-“
 
-“Ragazzo, blablabla. Certo Jimin, certo. Però riconosco quando il mio migliore amico è interessato a qualcuno”
 
-“Esatto!” dissi esasperato “Parola chiave ‘interessato’. Non significa che mi piace o che vorrei starci insieme, no ew! Non è per nulla il mio tipo” Mi parve quasi strano pronunciare quelle parole, ma cercai di eliminare l’amaro retrogusto di menzogna dalla mia bocca, dopotutto era vero che non provavo nulla “E’ troppo freddo, troppo faccia tenera e occhi dolci e personalità ruvida e aggressiva. Nah. Per nulla il mio tipo, e- e poi è piccolo. Emana odore di latte anche se non lo posso sentire pff. Facciata da duro e niente più!” Stranamente non riuscii a fermare le parole che continuavano ad uscire dalla mia bocca come una cascata, e non sapevo neppure perché le stessi dicendo, ma sentivo la necessità di dovermi giustificare, di negare…qualcosa. Forse per me stesso, per assicurarmi che non avrei fatto altri danni rispetto a quelli che avevo già causato.
(Quasi come se stessi già preparando ulteriori barriere invisibili tra me e Jungkook, barriere che forse si sarebbero spezzate con un urto troppo forte, ma volevo illudermi che avrebbero retto, che mi avrebbero protetto dal dolore).
Cercai di serrare le mie labbra in modo che nessun’altra cavolata potesse uscirvi, e solo allora notai il sorriso malizioso che si curvava sulle labbra di Taehyung.
 
-“Eppure lo reputi interessante Jiminnie” Cantilenò lui.
Gli tirai un colpo sulla nuca, succedendo nello zittirlo.
Interessante, solo interessante! Non voleva dire nient’altro.
Ogni persona al mondo può essere considerata interessante, anche un libro è interessante. Anche Jungkook, dunque poteva essere interessante, ma perché? Il perché era la domanda che più mi affliggeva, perché era interessante…
 
Perché?
 
-“Comunque, quando lo potrò conoscere hmm??”
 
-“Non lo so Tae, non lo voglio spaventare o preoccupare, e lo sappiamo entrambi che tu sai essere particolarmente inquietante” mi si sdraiò addosso, iniziando a emettere dei lamenti
 
-“Perché devi sempre essere così cattivo con me?? Ti prego Jiminnie~ Ti prego ti prego ti prego ti pre-“
 
-“AH OKAY OKAY! Glielo proverò a chiedere più avanti d’accordo?! Sei felice? Ma non ti assicuro nulla, come ti ho detto non voglio creargli alcuna pressione o spaventarlo in alcun modo” lui annuì.
 
Farlo conoscere…Chissà, magari sarebbe stato possibile un giorno.
Magari un giorno avrebbe iniziato a fidarsi di me per davvero.
 
Magari…
 
 
 
 
 
Il giorno dopo mi ritrovai comunque ad uscire dal college, non più col terrore di essere scoperto da Tae, ma comunque con l’opprimente consapevolezza delle mie azioni che mi accompagnava durante tutto il tragitto, eppure nemmeno per un istante, nemmeno per un passo mi pentii di esse.
 
L’erba era umida, la sera precedente aveva piovuto, e da tutti gli alberi cadevano delle piccole gocce, in un ticchettio infinito.
Jungkook era già lì quando arrivai, espressione seria e concentrata mentre stava schizzando qualcosa su di un quadernino.
Mi sedetti per terra, poggiando la giacca che mi ero portato dietro sotto di me in modo da non sporcarmi a causa del fango, ed aspettai che finalmente notasse la mia presenza. Probabilmente percepì uno spostamento di luce, e dopo appena un paio di secondi mi guardò, trattenendo un sorriso per cui solo gli angoli della bocca si curvarono appena.
Ripensai alle parole che avevo detto il giorno prima a Tae, ed eppure più guardavo Jungkook più non potevo fare a meno di trovare adorabile la sua freddezza, il suo tentativo di mostrarsi completamente stoico, indifferente rispetto alla mia presenza, come se non volesse ammettere che ne era almeno un minimo contento.
Era, certo, un atteggiamento quasi infantile, lo avrei addirittura definito da ‘tipico adolescente emo’, però tutto ciò non lo rendeva meno adorabile.
Non importa  quanto cercasse di nascondersi, i suoi occhi brillavano sempre di un innocenza e curiosità tale che non potevo fare a meno che ammirarlo, che provare adorazione nei suoi confronti.
Interessante si…Perché lo vedevo come una sorta di persona da proteggere, come se lo dovessi nascondere da tutti i mali nonostante ne aveva sicuramente vissuti più di me.
Come un fratello più piccolo, si…(Certo, un fratello più piccolo. Ma non potevo fare a meno di rendermi conto  che la sensazione che mi trasmetteva fosse diversa rispetto a quella che provavo per il mio effettivo fratello. Ma cercai di non badare nemmeno a questo).
 
Com’è la pioggia, Jimin?
Mi chiese dopo un po’ di altre parole che ci scambiammo
 
Prima di tutto, è ‘hyung’, ragazzino e poi, da voi non piove mai? Cioè, come fate a mantenere la vegetazione così fitta e verde?
 
Come potrebbe piovere?...Sei stupido
Lo guardai incredulo. Voleva proprio sfidare la mia pazienza. Stavo per rispondergli in maniera altrettanto brusca quando scoppiò a ridere di fronte a me.
I suoi occhi si socchiusero in delle mezze lune, agli angoli si formarono alcune pieghe, e la sua bocca…Rimasi ad osservarla per un paio di secondi, incantato  da quanto fosse tenero il suo sorriso. Somigliava ad un piccolo coniglio, i suoi denti frontali leggermente sporgenti, e avrei voluto semplicemente urlargli addosso che non si poteva permettere di comportarsi da gradasso quando in realtà era semplicemente un bambino. Si. Un feto per l’esattezza, un feto sin troppo cresciuto. Certo, le sue vene del braccio (che, diamine, oggi erano particolarmente in bella vista), o quella che percorreva il profilo del suo collo che si evidenziò ancora di più quando inclinò in suo collo all’indietro o la sua mascella prominente o quei dannatissimi bicipiti per poi non parlare- Beh! Diciamo che non mi importava se aveva una muscolatura ben impostata, era un ragazzino okay?
 
Scusami, hai fatto un’espressione meravigliosa. Comunque no, non piove mai perché non può piovere.
Si fermò un attimo prima di mostrarmi questa frase, quasi come volesse aggiungere altro ma poi si fosse trattenuto
 
E come fate allora?
Si iniziò a mordere il labbro nervosamente
 
Lo sai che abbiamo delle abilità…secondo te come facciamo?
Oh.
Beh…si, era logico.
Era però la prima volta che Jungkook accennava anche solo lontanamente alle loro abilità, e le sue parole mi avevano colto di sorpresa. Improvvisamente nacque in me il desiderio di sapere quale fosse la sua, ma non sapevo se azzardarmi a chiedere quale fosse o meno: non avrei mai e poi mai voluto metterlo a disagio.
 
Allora, com’è la pioggia?
Continuò lui, non permettendomi di pensare a come avrei potuto porgli la domanda.
Riflettei un attimo su come avrei potuto rispondergli, e poi strinsi forte il pennarello nella mia mano, scrivendo con cura carattere per carattere.
Non aveva mai provato la pioggia, e non ero sicuro che avrebbe mai potuto provarla, quindi volevo potergli trasmettere al meglio che sensazione faceva provare
 
La pioggia…hmmm…Beh, la pioggia può piacere o meno. Sai, capita spesso inaspettata e non la si può controllare, non si può dire che deve fermarsi. E’ travolgente e fredda, ti scivola addosso percorrendo la pelle millimetro per millimetro, infradiciandoti completamente i vestiti e scompigliandoti i capelli nei modi più imbarazzanti possibili. Può essere una pioggia lieve, piacevole, che ti inumidisce appena o può essere un fitto temporale, che lava via ogni cosa. La pioggia la devi comunque sempre abbracciare, devi farti trasportare da essa, perché no ha senso arrabbiarsi con lei. Hai presente la sensazione di quando sei sotto la doccia,con l’acqua che ti colpisce ogni parte del corpo, spazzando via anche solo per un istante tutte le preoccupazioni? Beh, è simile, solo che porta con sé una lieve malinconia. Non lascia calore laddove passa, ma lascia freddo e solitudine, crea brividi e non risparmia mai nessuno. Però non è cattiva, perché allo stesso tempo porta via tutte le lacrime. E poi beh… il suo  odore. Non si può spiegare, ma è talmente caratteristico, trasportato dal vento, che appena lo senti non puoi fare a meno di capire che sta per arrivare. E’ il suo modo per farti capire che hai tempo di scappare, per farti compiere la tua scelta se stare con lei o scappare da lei. Lo so… può sembrare una spiegazione sciocca, ma spero di averti reso l’idea.
Girai il foglio estremamente imbarazzato di quello che avevo scritto, ed aspettai che finisse di leggere, monitorando la sua espressione.
Stupore e…non ne ero sicuro  ma potevo anche cogliere un velo di malinconia e di nostalgia? Quasi come se in un certo senso avesse davvero capito ciò che avevo scritto, come se avesse capito la sensazione che si doveva provare sul serio, come se già in un certo senso la conoscesse e gli mancasse? Era strano, era un misto tra felicità e tristezza.
 
E tu di solito scappi dalla pioggia, hyung?
Confuso aspettai un attimo prima di rispondere, pensandoci davvero
 
No. Mi piace la pioggia. Penso che sia la sensazione più bella essere avvolto dall’acqua
La sua bocca cercò ancora una volta di nascondere un sorriso, ma anche sta volta la curvatura degli angoli lo tradì, e la sua espressione parve quasi soddisfatta, addirittura fiera, e la osservai incuriosito.
Interessante.
 
Lo penso anch’io
 
Decisamente interessante.
 
 
 
 
Fine capitolo!
Grazie mille per aver letto e per star ancora continuando la storia.
(Perdonate ogni errore).
Grazie a Kim Iris, Andtellmeyouloveme, Rozalin Kyouko, rosalalla, Yokohomi29, daenarys97 e Mik4n per aver recensito!! Davvero, siete gentilissime ;w;
Grazie anche a chi l’ha seguita e messa nei preferiti o nelle ricordate. Grazie infinitamente.
Al prossimo capitolo!~

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Capitolo 11
*** Paint it red ***


SAAAAALVE A TUTTI * parte long time no see long time no see di TOP in doom dada*
Bene, hem, come giustificare la mia assenza? In nessun modo ;-; sono una pessima persona che perde tempo nella vita e procastina al massimo.
MA HEI, non abbandonerò questa storia ok? La scriverò solo con molta calma, quindi perdonatemi, PERDONATEMI TANTO e spero sarete molto pazienti con me uff.
Ad ogni modo, se siete comunque qui a leggere la mia storia, vi ringrazio di cuore, apprezzo tantissimo il vostro sostegno.
Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo oki?
Vorre in particolar modo ringraziare una cara amica che nell’ultimo periodo mi ha ispirata un sacco ad andare avanti (e questa meravigliosa personcina sta realizzando anche un trailer video per la mia storia, QUANTO LA ADORO ASDFGHJKL. Quindi appena sarà finito state ben pronti a guardarlo oki?? GRAZIE KOKO~)
Se volete vedere altri suoi video (BELLISSIMI TRALALTRO, soprattutto se vi piace la jikook), cercatela su youtube, si chiama JJUNGKOKO.
Se volete sapere a che punto sono più o meno dei capitoli cercatemi su twitter (ANCHE Se NON LO USO PRATICAMente MAI HAHAHA, ma ho deciso che ogni tanto posterò qualcosa da ora in avanti) con il nome di @Sydrah00
Ad ogni modo, grazie ad Anastasiamilo, Yokohomi29 e Mik4n per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie davvero :3
Sono sempre qui pronta a ricevere opinioni, critiche e consigli ok?
Alla prossima
Sydrah~
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Domenica.
Prima sarebbe stato per me un giorno qualsiasi, ma adesso significava ‘unico giorno completamente ed effettivamente libero’.
Era passata ormai più di una settimana intera di lavoro, ed il capo mi aveva modificato ed aumentato gli orari: adesso il lunedì era fino all’ora di chiusura, così come anche il mercoledì ed il giovedì, mentre il martedì il venerdì ed il sabato facevo solo il turno della mattina, e la domenica era interamente libera.
Non potevo lamentarmi, essendo anche la paga piuttosto buona, ma dovevo comunque ammettere che mi mancava il dolce far nulla, il poter uscire quando volevo per fare una passeggiata, io con la sola compagnia del mio sketchbook.
Nell’ultimo paio di giorni avevo riflettuto molto sulle parole di Jimin, e anche sulla mia abilità.
Per me l’acqua era stata da sempre familiare, confortevole, rassicurante, era come se fosse casa mia, ovunque c’era lei era il mio piccolo posto sereno e sicuro.
Però, mai nessuno avrebbe pensato la stessa cosa della mia abilità, per questo avrei dovuto imparare a controllarla. Volevo che la gente smettesse di pensare a me come ad un mostro, anche se non sarebbe mai avvenuto, volevo che anche loro si sentissero meravigliati dall’acqua, volevo che capissero quanto potesse essere gentile.
L’acqua non uccide se sai aprire le tue braccia a lei, l’acqua non ti affoga se provi ad accettarla, può diventare una parte di te, farti fluttuare anche se non sei in cielo. Ti può cullare dolcemente, facendoti dimenticare tutti i problemi, perché essa è la madre di tutti e come tale è l’unica che sa davvero amarti, senza chiedere nulla in cambio, dando tutta se stessa incondizionatamente anche se le provi a fare del male, dandoti il bene più prezioso ossia la vita.
Proprio per questo motivo mi trovavo alle dieci e mezza di mattina al parco, vicino alla nostra casa in legno sull’albero, insieme a Jin e Yoongi.
 
-“Jungkook! Santoddio, quante altre volte te lo devo dire che la respirazione è importantissima per riuscire a controllare il tuo potere?!” I due erano seduti sull’erba all’ombra mentre io mi trovavo ad un paio di passi distante da loro. Yoongi era completamente ed indubbiamente disperato ed era a due secondi dal urlarmi in faccia, e per trattenersi si stava pinzando in setto nasale tra il suo pollice ed indice, al contrario Jin continuava a mantenere un sorriso sul viso nel tentativo di incoraggiarmi, ma iniziavo a vedere anche nella sua espressione i primi segni di cedimento.
Eravamo al parco da ormai un ora e mezza, ed il sole (nonostante fosse filtrato dalla cupola e dagli alberi) batteva su di noi senza alcuno scrupolo.
Mi asciugai il sudore sulla fronte poggiando poi le mani sulle ginocchia per riuscire a sostenermi, era estremamente faticoso cercare di controllare la propria abilità, soprattutto dopo che l’avevi lasciata libera  da ogni restrizione per tutti i passati diciannove anni di vita. Certo, fare fluttuare le gocce d’acqua in aria e giocarci un po’ era già qualcosa, ma quelle volte avevo sempre usato fonti d’acqua già presenti, mentre riuscire a prendere l’acqua dal terreno, o controllare le minuscole particelle che c’erano in aria era tutta un’altra storia.
 
-“Te ne prego Jungkook, ripetimi ancora una volta perché siamo qui ad ustionarci da quasi due ore”  sbottò Yoongi.
Mi tirai su in piedi di nuovo, camminando verso di loro.
-“Perché chiaramente dovete aiutarmi a controllare la mia abilità, hyung”
-“Ma perchè?”
-“Avanti Yoongi, non essere così duro con lui, è normale che voglia imparare di più della sua abilità! Fino ad un paio di anni fa eri tu quello che aveva rischiato di ucciderci con un divano quando avevi deciso di iniziare a spostare oggetti più pesanti” lui parve arrossire dall’imbarazzo al ricordo e subito si zittì, facendomi poi segno di tornare di nuovo in postazione.
Jin si alzò e camminò fino ad arrivare di fianco a me, poggiandomi una mano sulla spalla
 
-“Hei Kookie, sono molto fiero del fatto che tu voglia finalmente imparare a controllare la tua abilità. Non ascoltare quel finto nonno di un Yoongi, io capisco. Cioè, in realtà l’ho intuito da un po’ che c’è un motivo per cui tu voglia cambiare, anzi per cui tu stai pian piano cambiando”
 
-“Non ti seguo hyung..”
 
-“ C’è qualcuno, non è così? Qualcuno che ti interessa, o- se posso azzardare- qualcuno che ti piace”
Sgranai gli occhi, guardandolo incredulo, fino a quando le parole nella mia gola non riuscirono a fare a meno che uscire
 
-“COSA?”
 
-“Shhh, calmati. Non è nulla di grave, cioè è normalissimo, sapevamo che prima o poi ti saresti innamorato, a dirla tutta era l’ora, dopo quella storia con quella tipa pensavamo che fossi diventato completamente asessuato ma-“
 
-“Kim Seokjin, va bene così grazie, ti stai sbagliando e anche alla grande” lo bloccai subito, distogliendo lo sguardo. Di cosa diamine stava parlando?! A me, PIACERE QUALCUNO? No, mai.
Non c’era nessuno da cui mi sentivo minimamente attratto, quindi non riuscivo proprio a capacitarmi da dove potesse arrivare una tale considerazione.
 
-“Ma Jungkook-“
 
-“Hyung, davvero. No. Nessuno okay? Voglio solo imparare a controllarlo, per me, d’accordo” (forse effettivamente però non era solo per me, no. Era per rivendicare la mia persona, era per dimostrare agli altri che si sbagliavano…Ma perché all’improvviso mi importava così tanto di ciò che pensavano gli altri? Una piccola voce nel cervello continuava a sussurrarmi ‘è Jimin, non è così? Quell’esterno vorrebbe tirare fuori il meglio di te hmm?’, ma non volevo permettermi di ascoltarla, perchè avevo paura. Avevo paura di qualcuno che potesse credere in me, di qualcuno che riuscisse a vedere del buono in me, quello stesso buono che io non avevo  mai trovato, che avevo sempre nascosto dietro l’indifferenza)
 
-“Va bene, scusami”
 
-“Tranquillo, ora…tornerei a provare” lui fece cenno di sì ed incrociò le braccia, allontanandosi un poco
 
-“Però Jungkook” mi voltai di nuovo verso di lui “Un giorno…presentacela okay?”
Quanto avrei voluto dirgli che si sbagliava, dirgli che non esisteva nessuna lei e che forse non ci sarebbe mai stata, dirgli che era solo uno scemo, che leggeva male tra le righe, ma non lo dissi. Chiusi gli occhi e presi un bel respiro, dopotutto la respirazione era importante, no? Cercai di immaginarmi la sensazione che mi faceva provare l’acqua, la stessa sicurezza, lo stesso calore accompagnato da quei dolci brividi che ti baciano la pelle millimetro per millimetro. Cercai di perdermi nei miei pensieri, nella mia mente, viaggiando tra i colori e le forme che si creavano dietro le mie palpebre. Provai ad ascoltare il mio battito cardiaco, che si faceva più stabile e sereno più mi tranquillizzavo, ed il mio respiro.
Cercai di immaginare di poter controllare tutta l’acqua intorno a me, non tanto per forzarla e sottometterla ma come se fosse una parte di me, come se stessi semplicemente cercando di alzare un braccio o di muovere una gamba. Volevo che l’acqua diventasse come un prolungamento del mio corpo, come se fosse fatta di filamenti che proseguivano dalle punta delle mie dita.
Sentii una scossa percorrere il mio corpo, diramarsi in tutti i vasi sanguigni del mio corpo, entrare in circolo nel mio sangue, e preso da una fitta fortissima spalancai gli occhi.
La prima cosa che feci fu voltarmi verso Jin e Yoongi, e notai le loro espressioni stupite ed i loro sguardi fissi su di un punto, incuriosito mi volsi nuovamente di fronte a me e rimasi non meno sorpreso di loro.
Proprio come avevo immaginato davanti a me si era formata una bolla d’acqua dai riflessi cangianti, la quale era collegata con delle piccole gocce alle mie dita. Deglutii, e lentamente provai a piegare le dita, muovendo le mie mani poco a poco, vedendo come il più piccolo spostamento faceva deformare tutte le piccole gocce, che si andavano ad unire tra di loro, inglobandosi fino a formare degli esili filamenti che andavano a controllare la bolla, la quale rimaneva sospesa a mezz’aria appena sopra il terreno.
Rivolsi il palmo in alto e piegai le dita, guardando con  meraviglia come gli stessi filamenti si formavano dalla bolla verso il terreno, e come la bolla-come se stesse succhiando altra acqua, altra vita al terreno- si  stesse ingrandendo sempre più.
Rimasi completamente ipnotizzato dalla vista: tutto ciò che avevo sempre immaginato era di fronte a me, pareva che l’acqua stesse prendendo forma, come se volesse comunicare con me non più soltanto attraverso sensazioni ed emozioni, ma come se volesse davvero entrare in me, stringermi dall’esterno all’interno in una morsa terribilmente pericolosa, ma che volevo, e la volevo perché mi avrebbe fatto provare sicurezza.
Vidi i filamenti passare attraverso le punta delle mie dita, entrare nelle mie vene, che sui polsi e poi lungo gli avambracci si facevano più evidenti, e sentii il mio sangue pulsare più forte, i sensi appannarsi  e i suoni esterni farsi sempre più ovattati, fino a quando l’unico che rimase chiaro era il dolce scroscio della pioggia, il delicato tira e molla-che tanto avrei voluto sentire- delle onde del mare.
Una sensazione di gelò arrivò al mio cuore, accompagnata dal sentimento di solitudine ed inadeguatezza, e percepii tutte queste sensazioni iniziare a consumarmi dall’interno, divorando avidamente tutti i miei organi, la mia pelle, ed avevo paura. Avevo di nuovo paura di affogare in esse, di non riuscire più a tornare indietro, a galla.
Ma allo stesso tempo…volevo davvero tornare indietro?
Cosa c’era di tanto importante da non poterlo abbandonare?
Argento, un fascio di luce color argento. Era chiaro, troppo chiaro e mi fece male agli occhi, però era così luminoso e abbagliante…
Così…
 
 
-“JUNGKOOK” sentii un qualcosa premere violentemente contro le mie spalle, spingendomi verso il terreno, ma l’impatto non arrivò, e tutto ciò che poco dopo sentii fu l’umidità dell’erba a contatto con le mie braccia scoperte, e di fronte  a me vi erano i visi preoccupati di Jin e Yoongi.
 
-“Perché mi state fissando?” cercai di dire, ma le parole uscirono più soffocate ed incomprensibili dalla mia bocca rispetto a quel che avrei voluto
 
-“Stai bene?” sentii Yoongi chiedermi mentre mi passava una mano sulla fronte, la sua voce ancora un po’ ovattata, ed il suono di essa accompagnato da un fastidioso fischio nelle mie orecchie.
 
-“Si…credo” dissi tentativamente, schiarendomi la voce e tirandomi su’ con le braccia “Cosa è successo?”
 
-“Nulla di troppo grave fortunatamente. Però penso che per oggi l’allenamento possa bastare. Ti sei sforzato troppo e l’abilità stava avendo la meglio su di te, quindi è meglio che ti riposi, va bene?” intervenne Jin, ed io mi limitai ad annuire e deglutire, cercando di mandare giù il nodo che avevo in gola, accompagnato da una sensazione di inquietudine per niente piacevole.
Dopo quello mi accompagnarono a casa, e il cammino di ritorno fu caratterizzato da un silenzio non comune tra di noi. Era come se volessero dire qualcosa, della quale erano però troppo spaventati e si erano quindi accordati per un silenzio assordate ed un’atmosfera tesa.
Non feci domande, probabilmente perché ero ancora scosso da quello che era successo, e forse spaventato da quello che sarebbe potuto succedere se non mi avessero fatto rinvenire prima.
Li salutai con un cenno del capo, e chiusi la porta alle me spalle, il rumore della serratura che si bloccava troppo forte, anche se era appena percettibile.
Presi un bel respiro, era tutto okay.
Si, tutto okay.
Stranamente l’unica cosa che riuscì a calmarmi almeno un poco era quel fascio di luce argentata, abbagliante e caldo rispetto al gelo che fino a poco prima si stava impossessando del mio corpo.
Il mio cervello rimbombava di pensieri , passo per passo che compievo per dirigermi alla mia stanza, e tra essi ne spiccò uno: per caso…anche Jimin si sarebbe preoccupato per me? Oppure si sarebbe spaventato del mio potere?
Jimin…
La sensazione di vuoto che provocava al mio cuore il solo pensiero di lui mi lasciava interdetto e spiazzato. Perché? Perché non vedevo l’ora di poterlo vedere? Perché i miei occhi caddero sul piccolo orologio malconcio appeso, e soprattutto perché il mio cuore sembrò essere quasi rassicurato quando lessi che mancavano solo un paio di ore?
Solo un paio di ore, si…avrei solo chiuso gli occhi un attimo, e poi sarebbe andato tutto bene.
 
Non appena lo avrei rivisto.
 
 
Mi svegliai stranamente bene un’ora e mezza dopo circa, nessun incubo, nulla di nulla, neanche il minimo accenno ad un sogno.
Era come se per l’ora e mezza passata avessi completamente smesso di vivere, immerso in un alone di vuoto e pace per una volta.
Mancava ancora un poco, ma decisi comunque di alzarmi ed uscire di nuovo di casa, godendomi i raggi del sole che ora battevano con meno fermezza sulla mia pelle pallida.
Mi sedetti al solito posto, guardando come le familiari foglie facevano trapelare piccoli riflessi del Sole.
Tirai fuori il mio quaderno e delle matite colorate che questa volta avevo portato con me , ed iniziai a cercare di riportare sul foglio le diverse tonalità di verde che avevano preso le foglie.
In certi punti erano di un giallo acceso, a sprazzi quasi bianco, parti completamente immerse nella luce, all’ombra invece erano di un verde scuro, cupo e malinconico, un verde intenso come quello dei meandri più profondi di una foresta.
Non so per quanto tempo mi persi nella realizzazione del disegno, so soltanto che ad un certo punto alzai i miei occhi e lui era già lì, intendo a fissarmi con uno sguardo pieno di dolcezza (e…era per caso interesse ed ammirazione quell’altra scintilla che vedevo?), con le gote leggermente arrossate- probabilmente anche a causa del caldo-  ed i capelli portati all’indietro da una mano precedentemente passata fra le varie ciocche.
I nostri sguardi si incrociarono, e la parte più coraggiosa di me potrebbe giurare che per un attimo- solo per un attimo- il mio cuore si sentì pieno. Di che cosa non lo so bene, ma era pieno, finalmente pieno.
Mi salutò con un sorriso ed un cenno di mano, ed io ricambiai il secondo, nascondendo poi velocemente il mio disegno.
Lo vidi cercare con foga dentro la sua borsa, e dopo appena un istante tirò fuori da essa la solita risma di fogli ed un pennarello nero indelebile.
 
Sei bravissimo a disegnare!
Ci mancò poco che arrossii per l’imbarazzo (e se lo feci era- anche per me- a causa del caldo!): non accadeva spesso che qualcuno mi facesse dei complimenti, più che altro perché non permettevo quasi a nessuno di guardare i miei disegni. Ero sempre stato piuttosto insicuro, anche se riconoscevo di non essere- almeno in quello- un totale fallimento.
Non avevo idea di come reagire: normalmente probabilmente mi sarei arrabbiato per il fatto che qualcuno avesse sbirciato un mio schizzo senza il mio consenso, e avrei probabilmente mandato l’altra persona a farsi fottere, ma con lui stranamente non ero infastidito, solo imbarazzato e forse, solo forse, un poco orgoglioso per il fatto che gli piacesse.
Gli risposi con un timido grazie, e poi tenni il capo abbassato, per non doverlo guardare in faccia (e per non guardare il suo stupido e bellissimo sorriso).
 
Hei, lo so che probabilmente te lo chiedono in tanti e che deve pure essere una cosa fastidiosa ma…mi potresti fare un ritratto? Sei libero di dire di no se non vuoi, ok?
Rilessi la frase diverse volte, cercando di capire se avevo sbagliato a leggere qualcosa o se avevo frainteso alcune parole, ma nulla, il significato rimaneva sempre lo stesso.
Jimin, la persona che avevo appena davanti, l’esterno che avevo conosciuto da appena poco tempo e che avevo odiato fino a poco prima, voleva un disegno- no no un ritratto di sé- per di più fatto da me. Me inteso come io, io nel senso della mia persona, Jeon Jungkook 19 anni, ragazzo fallito e nato con il solo obiettivo di deludere la gente.
Qualcosa non tornava.
Primo, come poteva essere che LUI volesse che gli facessi un ritratto.
Secondo, come, COME avrei dovuto fargli un ritratto?
Io odiavo dover disegnare le persone, lo detestavo. Nessuno era mai abbastanza, nessuno mi interessava davvero, nessuno era un soggetto bello, ma Jimin?
Lo sarebbe stato Jimin? Dopotutto lo avevo già disegnato una volta e non ero stato disgustato dal farlo, per nulla, piuttosto meravigliato, però non potevo fare a meno di provare paura.
E se poi fossi rimasto deluso anche di lui? Se poi mi fossi accorto che neanche lui era adatto, che neanche lui era abbastanza per la mia mente da sociopatico?
 
Non lo so…
Lui parve contemplare la mia risposta, guardandola con il labbro inferiore sporgente in un’espressione di tristezza. Poi il suo viso si illuminò ed i suoi occhi si spalancarono.
 
Facciamo un patto, disegnare è la tua passione più grande?
 
Si, perché..?
 
La mia è ballare. Quindi, che ne diresti di fare uno scambio? Se tu ora mi fai un ritratto io un giorno, quando vorrai tu, ballerò per te
A quella proposta sentii il mio cuore esplodere in tanti piccoli pezzi e il mio viso andare a fuoco, la mia mente colmarsi di ipotetici scenari in cui Jimin avrebbe potuto ballare per me, e purtroppo una buona parte di essi erano R18.
Le cose che mi eccitarono di più erano sia il fatto che non avevo mai visto davvero una persona sotto questa prospettiva, e che purtroppo ora avevo seriamente voglia di ritrarlo.
Acconsentii con un cenno del capo e lui mi ringraziò con un sorriso smagliante, e forse mi sarebbe anche solo bastato quello, nessun ballo e pensiero impudico, solo il suo sorriso e la sua calda presenza.
Aprii il quadernino su di una pagina pulita e aspettai che si mettesse in una posizione comoda. Si sedette a gambe incrociate, col le mani poggiate sulle cosce, l’espressione seria ma serena e i suoi occhi puntati su di me.
Presi la matita il mano e tracciai la prima linea, e dopo di essa fu tutto un turbinio di emozioni che si susseguirono una dopo l’altra. Divorai con avidità la sua figura, studiando tutti i suoi contorni. La forma del suo viso, le ombre che si creavano tra il collo e le clavicole, la forma delle sue spalle, la rigidità elegante del suo busto, la morbidezza delle sue cosce toniche (ecco spiegato perché erano così muscolose).
Poi mi concentrai sui dettagli. Le sue piccole mani curate, i suoi occhi mori profondi, le sue labbra carnose, tutto, tutto.
Le linee si tracciavano da sole, tutto ciò che sentivo era la graffite che si imprimeva sul foglio, consumandosi poco a poco.
Nell’arco di una quindicina di minuti avevo già finito, e segnato l’ultimo punto guardai sorpreso ciò che avevo fatto.
Era stato…intenso.
Faci passare l’occhio su ogni linea, e seppure non mi dispiacesse il risultato finale non potevo fare a meno di pensare che non rappresentasse abbastanza bene la bellezza di Jimin, e che l’avrei voluto rifare, rifare e rifare all’infinito, cercando sempre più di avvicinarmi alla sua perfezione, nonostante fosse probabilmente impossibile.
Presi un bel respiro, cercando di calmare tutte quelle emozioni, e con le mani tremanti rivolsi il disegno verso gli occhi di Jimin, che subito furono catturati da esso.
I miei, invece, si posarono ancora una volta sulla figura, parevano non essere ancora stanchi di osservarla, anzi erano solo più catturati da essa.
Era bello, si…era bello vedere la sua espressione, la sua felicità, la sua meraviglia e stupore.
Avrei voluto poter catturare anche quelle ed incorniciare ogni schizzo di lui per scoprirne tutte le sfaccettature e tutte le sfumature più impercettibili della sua personalità, della sua essenza più profonda.
Voleva disegnare lui, ma non solo il lui esterno, volevo imparare a conoscerlo completamente, e poi rappresentare la sua anima.
 
Grazie Jungkook…E’ davvero bellissimo…davvero. Sei bravissimo e non sto scherzando, hai talento da vendere ragazzino. Posso chiederti una cosa?
Gli risposi di continuare
 
Quando ci vedremo…potrai regalarmelo?
‘Quando ci vedremo’, ma quando sarebbe stato quel quando? O soprattutto, ci sarebbe mai stato? Ci poteva davvero essere la possibilità di vederlo senza la cupola a separarci?
La precedente atmosfera di euforia fu sostituita da una più malinconica, e una domanda aleggiava tra di noi ‘Quando?’.
Però decisi di giocare al suo gioco, decisi per un attimo di essere egoista (e probabilmente masochista), scelsi di cadere fino in fondo e di accettare il futuro dolore che sicuramente avrei provato.
Scelsi di gustarmi questa piccola scintilla di un dolce sogno, di una fantasia , di una magia che si sarebbe per forza dovuta spezzare.
Ma per ora non importava, per ora andava bene così. Mi sarei continuato a farmi illudere da i suoi dolci sorrisi, e la notte sarei andato a dormire nella speranza di rivederlo, e un giorno di poterlo davvero vedere.
Quando?
Non lo sapevo, ma quando non importava fino a quando mi avrebbe guardato.
 
Va bene
 
 
 
 
Prima di tornare a casa quel giorno passai nel negozio di articoli per la casa.
Comprai un nuovo colore per ritinteggiare la stanza, insieme a dei teli per coprire i mobili.
Il cammino di ritorno a casa fu decisamente più faticoso, ma non ero in grado di percepire la fatica fisica in quel momento, perché? Perché il mio cuore era pieno, e nonostante la sensazione mi spaventasse era bella. Era una dolce illusione, come tutto ciò che riguardava Jimin, dopotutto.
Entrai a casa e mia madre guardò con aria interrogativa le taniche di colore che portavo in mano,  ma io mi limitai semplicemente a dirle di non preoccuparsi.
In camera coprii tutti i mobili, e poi aprii i colori.
Presi un grosso rullo ed iniziai a macchiare le pareti della nuova tinta.
Mi lasciai trasportare , osservai come la parete mutava poco a poco .
Alla fine posai il rullo per terra e immersi la mia mano nel colore, per tirarla fuori grondante di esso.
Posai la mano sul cuore, macchiando in prossimità di esso la maglia precedentemente bianca immacolata.
Rosso.
Rosso, come il primo colore che mi era piaciuto.
Come i tetti delle case nei miei disegni di bambino, ma soprattutto, rosso come il cuore.
Come il sangue che scorre nelle vene, caldo e denso che viene pompato fino al cuore.
Rosso come la vita, e la sensazione di vivere che finalmente mi stava facendo provare Jimin.
Perché per la prima volta nella mia vita non ero vuoto, e anche se mi faceva paura, non mi importava.
 

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