Wanderlust

di _laragazzadicarta_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo. ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


Wanderlust.

Capitolo primo.

Può una semplice fotografia dirti più di quanto il volto stesso di una persona possa realmente fare? Può una foto rovinata e ingiallita trovata per caso in un cassetto abbandonato della dimora della propria zia mostrarti l'amore, quello vero intendo, che si cela dietro una posa forse troppo intima? Se la fotografia ritrae l'oggetto del desiderio di un fotografo, allora la fotografia assume un significato personale. Molti lo chiamano amore, altri ispirazione. Un fotografo nel suo tempo libero ritrae solo ciò che è degno di essere tramandato.
La fotografia che la giovane Pattie Boyd stringeva tra le sue mani risaliva sicuramente a più di mezzo secolo prima e benché l'identità del giovane uomo ritratto le fosse ignota, se ne innamorò. Non di quell'amore fisico, ma di quell'amore che ogni scrittrice prova verso il protagonista della sua storia. Quell'uomo dalle folte ciglia e le labbra carnose divenne la sua Musa. Non conosceva la sua storia e non intendeva conoscerla, ne avrebbe semplicemente creata una. Pattie Boyd, ragazza incantevole ma ingenua, raccontò a chiunque le avvincenti sventure del suo “William Stuart Campbell ” [1], l’uomo del ritratto, finché la storia non interessò un'anziana madama dai vispi occhi color ghiaccio.
L'anziana donna gemette alla vista di quella fotografia e si sfilò il guanto dalla mano destra per delineare il contorno di quelle labbra eteree.
« Vorresti conoscere la vera storia del tuo Billy Boy? » chiese la donna sorridendo e sedendosi su una poltrona color avorio.
« Cosa? » chiese confusa Pattie « Voi lo avete conosciuto, madame Asher? »
« Il suo nome è Paul, James Paul McCartney. »

Era il tardo inverno dell'anno domini 1890. L'Irlanda era in preda a rappresaglie e disordini : il popolo aveva fame.
Gli irlandesi amavano la loro terra, quella terra rossa e argillosa che donava vita, ma erano anche esausti di subire le angherie dei grandi latifondisti. L'inverno che portava terribili malattie e desolazione era alle porta e la paga non bastava nemmeno a comprare un tozzo di pane duro e nero come il catrame. Figuriamoci dei vestiti invernali.
Anche James Paul McCartney, come ogni irlandese che si rispetti, amava la sua terra, ma in modo diverso. Sin dalla più tenera età gli era stato insegnato a ricavare il più possibile dai campi e i rispettivi lavoratori, anche se ciò significava sfruttare la povera gente.
Paul, primogenito dei McCartney della montuosa contea di Wicklow, era un ragazzo vivace che amava trascorrere le giornate cavalcando la sua amatissima Martha, la puledra color della notte regalatagli da suo padre al compimento dei sedici anni. Quel giorno il sole era alto e il vento caldo, un giorno perfetto per cavalcare sino al lago che confinava con la tenuta dei McCartney, ma i piani del capofamiglia, James, erano ben diversi: quello era un giorno speciale.
« Signorino Paul, suo padre la attende in salotto per l'ora di cena, ci saranno gli Eastman . » sussurró la giovane cameriera osservandolo un'ultima volta prima di svanire lungo il corridoio, sembrava quasi dispiaciuta.
Paul, gli occhi lucidi e il volto corrugato, annuí.
Il ventiduenne si sentiva così stupido in quel vestito color crema. Sembrava un bignè, pensò guardando il suo riflesso allo specchio.
I McCartney, malgrado le apparenze, non erano ricchi, anzi rischiavano la bancarotta se Paul non avesse sposato la secondogenita di Lord Lee Eastman. Linda era il nome della giovane dal temperamento ribelle. In paese si diceva che fosse stata guastata da un soldato, tale Joseph Melville See. Quindi il giovane Paul era condannato, per salvare le sorti della sua famiglia, a sposare una donna che non amava e che non avrebbe mai amato.
Improvvisamente un rumore fece fremere il giovane dagli occhi color nocciola, qualcuno bussava alla sua finestra. Velocemente Paul aprì la grande finestra accanto al suo letto e trovò ad attenderlo un giovane dalla corporatura estremamente gracile .
« George che ci fai qui? » sussurrò sorpreso Paul .
George Harrison era il figlio dello stalliere nonché l’ unico amico sincero che Paul avesse mai avuto. George benché avesse una corporatura molto gracile era dotato di una notevole forza che gli permetteva di addomesticare anche lo stallone più ribelle.
« Ti porto via, amico. » sorrise George mostrando la sua dentatura imperfetta e lanciando a Paul una veste femminile «.. è un vestito di mia madre.»
Paul arrossì intuendo ciò che l'amico aveva in mente. Lo aveva fatto tante volte da bambino per sfuggire a stupidi pranzi formali, uscire dalla tenuta di famiglia vestito da serva, ma ormai era troppo grande per continuare a scappare dalle sue responsabilità.
« Paulie, non abbiamo tutto il giorno. » incalzò George sedendosi sul cornicione della finestra «...la nave parte tra meno di un'ora. »
« Non vado da nessuna parte. » disse il maggiore voltandosi .
« Paul, non essere stupido. » obbiettò il minore tirando l'altro per un braccio «..se resti non sarai mai felice. »
« Non so nemmeno cos'è la felicità.. » affermò ridendo amaramente e guardando il vestito tra le sue mani.
Com'è che si dice? Chi scappa una volta lo fa per tutta la vita.
Il giovane McCartney s’infilò velocemente il vestito grigio e logoro, legò i lunghi capelli corvini in una cuffia e mise un po’ di belletto[2] portatogli da George sulle gote per renderle più rosee. I lineamenti femminili di Paul ereditati dalla madre in questo caso erano di notevole aiuto.
« Se non ti conoscessi ti strapperei un bacio. » rise George .
« E ti guadagneresti anche una ginocchiata lì dove non batte il sole! Sono una ragazza per bene, io! » rise Paul « .. dici che sono credibile? »
George annuì, meditando sulle conseguenze di quell’ azioni, probabilmente erano due pazzi, ma era in gioco la felicità di Paul e George avrebbe fatto di tutto per renderlo felice.
« Scendiamo dalla finestra? » chiese Paul.
« Scendi da solo, io resto qui. Cercherò di rallentare le ricerche quando tuo padre scoprirà che sei scappato. »
« George, no. Mio padre ti farà del male… »
« Ma almeno tu sarai in salvo. » sorrise George accarezzando il volto di Paul con il dorso della mano e asciugando una lacrima ribelle che inquinava quel volto innocente. Nulla corrode l’animo umano quanto le lacrime, è come l'acqua sul ferro.
Paul posò la sua mano delicata su quella ruvida ed abituata al lavoro di George per poi portarla alla bocca e stamparvi un tenero bacio.
« Su, vai. Giù c’é un calesse, ti porterà al porto. »
« Occupati di Martha, curatevi a videnda. »
George annuì e Paul si calò giù dalla finestra e dall'albero adiacente ad essa.
Il giovane si voltò un’ ultima volta verso la finestra e salutò George con la mano.
George ripensò molto a quella sera chiedendosi cosa sarebbe successo se quel giorno avesse seguito Paul in quel viaggio verso l’ignoto. Ma il destino di Paul era già stato deciso dalle Moire e il filo della sua vita vagava inesorabile verso l’inizio della fine.

[1] Non ho potuto resistere ad un toccò di humor. William Stuart Campbell, per altri William Sheppard, è il nome che chi crede al PID attribuisce a Faul.
[2] Trucco.

ANGOLO DELLA PSICOPATICA:
Se avete letto fino a qui vi ringrazio, spero di non avervi annoiato.
Spero di ricevere i vostri pareri, sono qui per migliorare il mio rozzo modo di scrivere e spero anche di intrattenervi.
Spero di aggiornare mercoledì, se non arriva, siete liberi di lapidarmi su twitter. ( Sono @thedarkerdaisy)
Un Macka petaloso,
Vit.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


Wanderlust.

Capitolo secondo.

« Allora che si fa? »
Il suono arrivò ovattato alle orecchie di Paul. Il giovane era intento ad osservare avidamente l'orizzonte per catturare ogni sfaccettatura di quella sua amata Irlanda dove probabilmente non sarebbe mai più tornato. Osservò il cielo far l'amore col mare e tingerlo di rosso. In quel momento scoprì che il sole tramonta sempre allo stesso modo, anche nei giorni più nefasti.
« Allora che si fa? » ripeté il barrocciao[1] insistente « … signorina! La nave non aspetta lei per salpare! »
« Mi scusi... » sussurrò Paul affandondo nervosamente una mano tra i capelli corvini e scendendo dal calesse prese dalla tasca un guaina[2] in cui aveva pochi risparmi « ...quanto le devo? »
Il barrocciaio scosse la testa.
« Ci ha già pensato il suo fidanzato, inoltre mi ha pregato di consegnarle questo.» riprese l'uomo estraendo una lettera dal taschino della giacca color cenere.
Paul sorrise educatamente e malinconicamente si allontanò.
I pescatori rientravano dalle mogli impazienti dopo una giornata di duro lavoro, i bambini riversi in strada tornavano dalle madri premurose, ma Paul? Cosa ne sarebbe stato di lui? Non aveva nessuno che lo aspettasse in nessun luogo e forse non lo avrebbe mai avuto.
Il nostro infelice si diresse verso l’imbarco della grande nave che lo avrebbe condotto in quell'America accogliente e piena di speranzosi sogni armato solo di un biglietto vinto da George al tavolo da gioco. Eppure, nonostante la meta fosse la chiave della felicità per molti lavoratori, quel viaggio per Paul rappresentava un tristo[3] esilio.
Salito sull’imbarcazione Paul si sistemò sul ponte intento ad osservare gli altri passeggeri salutare gli amici e i parenti rimasti sulla terraferma.
Erano tutti così piccoli da lassù, privi di difetti, tutti esattamente uguali . L'essere più turbe era solo uno dei tanti e il principe più illustre sembrava simile al calzolaio.
« Tu non hai nessuno da salutare? » chiese sornione un ragazzo aspirando del tabacco da un’usurata pipa di legno d'olivo. Il ragazzo dall'aspetto trasandato indossava una camicia troppo larga che lasciava trasparire della delicate clavicole e il petto che si alzava dolcemente ad ogni sospiro.
« A quanto pare nemmeno voi se perdete tempo ad osservare me.. » rispose civettuolo Paul voltandosi e tornando ad osservare gli altri passeggeri.
« Io sono solo per scelta, mentre tu.. » disse il giovane inumidendosi le labbra alla vista del collo delicato del nostro caro Paul.
« Mentre io? » ripeté Paul infastidito senza distogliere lo sguardo dalla folla« Sapete non si da del tu alle ragazze per bene! »
« E le ragazze per bene non viaggiano da sole. » insistè il giovane sconosciuto ritando a sé il volto di Paul.
Paul si sentì intimidito da quell’ eccessiva vicinanza e il cuore sembrò volergli sfuggire dal petto. Così da vicino riusciva a notare ogni dettaglio dello sconosciuto: i capelli dello stesso colore del manto di una volpe, il naso aquilino eccessivamente sporgente e sgraziato, le labbra serrate in un sorriso beffardo, le sopracciglia folte e gli occhi scuri come la notte che stava calando sopra le loro teste.
« Credo sarà un lungo viaggio, signorina. » sussurrò sensualmemte il giovane uomo all'orecchio dell'altro prima di scomparire tra la folla. Paul si sentì così piccolo e vulnerabile.
Inquieto Paul si diresse verso la sua cabina in terza classe. Si liberò degli abiti femminili e rimase in una più comoda sottoveste di lino. Non aveva né un pigiama, né abiti maschili per i giorni seguenti. A fargli compagnia solo una vecchia lampada ad olio che creava temibili ombre in quella suducia cabina. Rimase per vari istanti a guardare il soffitto interrogandosi sull’oscuro destino che lo attendeva una volta giunto nella sconoscita Philadelphia.
Prese la lettera di George che aveva nascosto nel corpetto, vicino al cuore.

“ Caro Paulie,
quando leggerai questa lettera sarai ormai lontano da me e dal mio affetto. Probabilmente non rivedrò la luce del giorno, conosci tuo padre, non mi lascerà vivere con la colpa di averti sottratto ad un avvenire a te tanto spiacevole ed anch'io preferisco morire piuttosto che vivere su questa terra senza averti al mio fianco. Morirò felice perché tu sei al sicuro. Morirò cullato dal ricordo di quel pomeriggio di mezza estate in cui ci giurammo amore eterno in una piccola capanna, pioveva ricordi? Ti piacciono così tanto i giorni di pioggia.
Paul, mio Paul trova la felicità, sii felice per entrambi.
Nella busta troverai dei risparmi, non è molto ma è tutto quello che ho.
Per sempre tuo,
George. ”

Paul rilesse più volte quelle righe. Più e più lacrime bagnarono quell’umile foglio di cotone durante quella lunga notte. “ Vigliacco ”, urlò più volte a se stesso. Non era stato capace di affrontare il suo destino, era lui a meritare la morte non George che era più uomo di quanto lui sarebbe mai potuto essere.
Paul si addormentò piangendo quella notte e le notti a seguire. Non uscì dalla cabina se non per consumare pasti veloci e ritornare a piangere sul sudicio letto della cabina. Era un fantasma.
Eppure quella figura priva di emozioni che camminava con gli occhi bassi attirò l'attenzione di un ragazzo sfacciato ed indisponente che la osservava divertito.
I giorni passarono veloci e il viaggio fu tranquillo, il ragazzo non vide più Paul, ma non si dimenticò mai di quello strano incontro avvenuto sul ponte. Fino a quel momento, almeno.
La nave, prima di arrivare a Philadelphia, si fermò a Boston per riparare un piccolo guasto. Era presto e il sole aveva appena fatto capolino oltre le montagne biancheggianti. L'autunno aveva lasciato spazio al più duro degli inverni.
Due uomini distinti discutevano preoccupati delle notizie appena apprese un città. Il telegrafo aveva trasmesso notizie preoccupanti dalla lontana Irlanda: un giovane, lontano nipote della regina Vittoria, era scapato di casa e si era imbarcato proprio su quella nave, “ La provvidenza ”. Certo, il nome della nave doveva già essere un monito! Oltre che omonima della famosa nave del romanzo I Malavoglia di Verga pubblicato dell'anno 81 del secolo corrente, ne ereditò anche la stessa sorte poiché affondò pochi anni dopo dell'Atlantico. Ma ciò ora non è importante, era stato diffuso un identikit del giovane fuggitivo e due servitori della patria vagavano tra le cabine cercandolo. La descrizione del giovane dai lunghi capelli e dalle labbra carnose raggiunsero le orecchie giuste in tempo, per fortuna. Il giovane uomo dal grosso naso aquilino irruppe nella sudicia cabina dove aveva più volte visto Paul ritirarsi ed iniziò a bussare freneticamente sperando non fosse troppo tardi. Per fortuna i militari non avevano ancora raggiunto quel lato della nave, il giovane aprì confuso la porta coprendosi il petto piatto per nasconderlo.
Lo sconosciuto entrò senza troppi preamboli e chiuse la porta dieto di sé.
« Raccogli le tue cose, devi andartene! » sentenziò il maggiore. Non notando movimenti da parte del minore proseguì « So chi sei... James Paul McCartney. »
« Cosa volete? Uscite da qui o url.. »
Paul tentò di urlare, ma l'altro gli tappò la bocca con una mano.
« Il tuo vecchio ha denunciato la tua scomparsa alla polizia, devi andartene! Ti stanno cercando. »
Il maggiore gli porse dei vestiti femminili puliti.
«Con questo darai meno nell'occhio.» commentò il maggiore.
Paul fece segno all'altro di voltarsi e l'altro ubbidí sbuffando.
« So com'è fatto un corpo maschile. » ribadì il maggiore. Questa volta fu Paul a sbuffare.
Il minore indossò quello straccio e nascose la lettera di George nella guaina con i risparmi . Poi aprì la porta della cabina e si diresse verso il ponte della nave.
Il maggiore lo seguì perplesso.
Paul si arrampicò oltre la ringhiera della nave sotto lo sguardo perplesso dei presenti.
« Cosa diavolo vuoi fare? Almeno sai nuotare? » urlò lo sconosciuto raggiungendo Paul. Il minore fece segno di “no” con la testa. « … perfetto. » sussurrò il maggiore sarcasticamente .
« Nessuno ti ha chiesto di seguirmi. » ribadí Paul.
« Fermi lì. Signorina, non si lanci. » urlarono i soldati mirando a quei due scellerati.
« Io salto, tu salti. Okay? » disse il maggiore tendendo la mano al minore.
I soldati esplosero due colpi per intimidirli, si unirono gli urli delle signore strette al petto dei mariti.
Gli occhi nocciola del minore incontrarono quelli scuri del maggiore e poi fu come volare.
Gli uomini sono uccelli con una sola ala, solo restando abbracciati si riesce a volare.


[1] Colui che guida il calesse.
[2] Astuccio abitualmente di pelle animale.
[3] Solitario.
ANGOLO DELLA PSICOPATICA DI TURNO:
Come promesso eccomi, spero di non avervi deluso, diciamo che è un capitolo corridoio.
Ringrazio Marti e Ale per avermi lasciato un loro parere e tutti voi che leggere♡
Se arrivo a tre recensioni pubblico il prima possibile ☆
Un abbraccio,
Vit

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


Wanderlust.

Capitolo terzo.

Ci avete mai fatto caso? I soldati si mettono in ginocchio quando sparano, forse per chiedere perdono della vita che stanno per prendere; chiudono gli occhi perché a nessuno piace guardare la morte in faccia.
« Chissà cosa avevano in mente quei due sciagurati... » singhiozzò un'anziana portandosi un fazzoletto di seta alla fronte.
« Non lo sapremo mai. Qualunque cosa fosse, li ha seguiti nella tomba. » sentenziò l'ispettore Sutcliffe gettando il mozzicone di sigaretta che aveva tra le labbra nelle gelide acque dell'Atlantico.
Stuart Sutcliffe era un giovane di bell'aspetto, ma aveva qualcosa di disturbante nel suo sguardo perso nel vuoto. Stuart era figlio di immigranti inglesi morti in circostanze misteriose quando lui era ancora in fasce. Dopo la morte dei genitori era stato affidato ad un orfanotrofio di Philadelphia dove aveva subito per anni le violenze e i soprusi di padre McKenzie, il prete a cui erano affidati tutti i bambini abbandonati. Erano molti i bambini che alloggiavano in quel posto dimenticato da Dio. Tra loro solo una bambina, Astrid, era riuscita a far sentire Stuart meno solo. Si curavano a vicenda e riuscivano a colmare il vuoto che giorno dopo giorno ci creava intorno a loro in quel luogo così poco ospitale. Eppure un giorno Astrid si ammalò di un terribile male, il male dei polmoni[1] e poco dopo quella dolce bambina dai capelli color granl morì lasciando Stuart solo, di nuovo. La morte di Astrid turbò molto il già fragile animo del ragazzo che iniziò a mostrare i primi segni di squilibrio mentale, lacerando i corpi di piccoli felini . Stuart scoprì gusto nel vedere il sangue scorrere e ciò lo eccitava in modo malsano. Fu anche per questo che decise di entrare in polizia.
Stuart si avvicinò alla prua della barca cercando i corpi dei due giovani suicidi, si bagnò le labbra immaginando di delineare i contorni del petto dei due ragazzi appena inghiottiti dell'oceano con il suo coltellino svizzero e sentire il loro sangue scorrere sulle sue mani.
Una goccia d'acqua bagnò le labbra dell'ispettore e ciò lo fece ritornare alla realtà. Iniziò a piovere e i passeggeri della nave tornarono sotto coperta.

Avete mai sentito un uomo annegare? Non lo fa in silenzio. Si aggrappa alla vita, scalcia, lotta. Poi capisce che è tutto inutile e si lascia andare: il buio lo avvolge.
Eppure quando sei dentro al buio, non ti fa così paura. Impari a desiderarlo, a farci l'amore. Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro e scopri che non è così diverso da te.

Paul McCartney si trovava in una piccola capanna maleodorante, giaceva nudo e immobile in posizione fetale, privo dei completi color crema che lo rendevano simile ad un bignè, privo di ogni maschera o protezione. Il corpo infreddolito gemeva e trovava pace solo cullato dal tenue fuocherello a lui adiacente. Le labbra gonfie si tinsero di blu e anche la pelle bagnata assunse la stessa tonalità.
Paul era in un sonno frenetico che spesso s'interrompeva bruscamente lasciando spazio al delirio.
Sognava George, di stringerlo tra le due braccia, lo bramava, ma era troppo lontano. Allungava le sue braccia albine verso il torace ossuto dello stalliere, ma era inesorabilmente troppo lontano. Un urlo e poi il buio, a cullarlo solo il suono delle onde dell'oceano che s'infrangevano sugli scogli.
Questa sequenza si ripeteva all'infinito nella testa del giovane McCartney e non gli dava pace. A vegliare il sonno di Paul l'uomo che lo aveva salvato due volte da morte certa in meno di ventiquattro ore.
Dopo l'ennesimo urlo Paul aprì gli occhi gonfi e lo sconosciuto subito corse ad accertarsi delle condizioni del malato.
« Cazzo scotti. » disse il maggiore portando sulla fronte di Paul la sua ruvida mano.
Paul tentò di proferir parola ma fu fermato dallo sconosciuto che gli sussurrò «...cerca di rimanere vivo, okay? Io torno subito » prima di sparire oltre la porta della capanna.
Paul rimase solo per pochi attimi, ma gli parvero eterni. Ricadde in quel sonno frenetico causato dalla febbre alta. La pioggia battente era accompagnata da luminosi lampi e rumorosi tuoni che faceva gemere l'uomo nel suo stato d'incoscienza.
Vide ancora una volta George ed urlò il suo nome, ma George sembrava non sentirlo. Iniziò a sentire caldo, troppo caldo. Il respiro si fece sempre più affannoso, probabilmente sarebbe morto di lí a pochi istanti. La morte non doveva essere poi così brutta, pensò.
Improvvisamente qualcosa di estremamente freddo bagnò il capo di Paul e sembrò spegnere quel fuoco che l'aveva invaso. Paul aprì gli occhi ed incrociò forse gli occhi più belli che avesse mai visto nei suoi ventitré anni di vita, erano color speranza ed estremamente buffi. Il minore sorrise prima di richiudere gli occhi.
Lo sconosciuto era tornato con delle coperte rubate al vicino lupanare [2] ed un po' d'aceto misto ad acqua.
Il maggiore si era strappato un lembo della camicia lasciando scoperto il muscoloso bicipite e lo intrise con quel composto maleodorante iniziando a bagnare la fronte del minore.
« Questo non sarà piacevole per te e né tantomeno per me, ma è necessario. »
Iniziò a bagnare le guance rosse come pomodori maturi del minore, poi scese verso la mandibola dal disegno delicato, in seguito fu il turno delle clavicole magre e ossute.
« Sai, hai dormito per un giorno e mezzo. Credevo ci lasciassi le penne, amico. » sussurrò il maggiore iniziando a bagnare il petto puerile del minore.
Paul socchiuse le labbra tentando di dire qualcosa che suonava vagamente simile ad un "grazie". Il maggiore sorrise appoggiando lo straccio sulla fronte del minore e avvolgendolo con quelle coperte che, anche non avendo un bell'aspetto, lo avrebbero tenuto al caldo.
« Temo che queste coperte abbiano visto più sperma che sapone, ma sua altezza dovrà accontentarsi.» sorrise il maggiore tornando dall'altro lato del fuocherello.
« Mi hai salvato la vita due volte e...non so nemmeno i tuo nome. » sussurrò Paul faticosamente.
« Ci sarà tempo...ora riposa.»

Paul si svegliò alle prime ore dell'alba e trovò lo sconosciuto ad osservarlo proprio dove lo aveva lasciato la notte precedente. Il minore sorrise mettendosi a sedere e tirando a sé le coperte. Si sentiva meglio, la febbre doveva essere scesa, ma era ancora debole, non mangiava da diversi giorni.
Il maggiore lo scrutava da lontano gustandosi la sua sigaretta, poi ruppe l'imbarazzante silenzio.
« John Winston Lennon. »
« Cosa? » chiese Paul alzando i grandi occhi color nocciola e sbattendo confuso le folte ciglia.
John pensò che che i grandi occhi nocciola di quel ragazzo irlandese fossero incredibilmente belli. « Il mio nome, ieri me lo hai domandato. Parlavi anche di un certo George mentre dormivi. » disse ammiccando il maggiore.
Lo sguardo di Paul s'incupí improvvisamente.
« Non devi mica dirmi chi è, se non vuoi. » John alzandosi e dirigendosi verso la porta.
« Dove vai? » chiese Paul alzandosi istintivamente in piedi, ma fu colto da un improvviso capogiro .
« Piano, piano » sussurrò John cingendo il ventre del minore per impedire una dolorosa caduta. Il volto del minore si colorò di porpora per l'eccessiva vicinanza.
«... vado a cercare qualcosa da mangiare. » continuò il maggiore.
Paul annuì .
« Quando ti sarai rimesso riprenderò il mio cammino e tu il tuo, qualunque esso sia, Macka. »

[1] Mi riferisco alla tisi, tubercolosi.
[2] Lupanare: Bordello, casa di piacere.

Angolo della dysagyatahh:
Sono tornata dopo secoli, ma sono tornata. Spero che a qualcuno faccia ancora piacere leggere questa strana cosa che esce dalla mia strana mente.
Vi invito a recensire perché ooops voglio pareri, anche negativi se necessario!
Un bacione!
- Vit

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto. ***


Wanderlust.

Capitolo quarto.

Mentre Paul dormiva beatamente in quella capanna che diventava sempre più intima ed accogliente, la situazione in Irlanda peggiorava. Ma facciamo un passo indietro, torniamo alla sera della fuga del nostro giovane protagonista.
George era tornato nella sua umile dimora e si era barricato nella sua piccola stanza dal soffitto basso con diverse bottiglie di whisky. Forse l'alcool non avrebbe colmato il vuoto, ma di certo lo avrebbe riscaldato in quella fredda serata. Fredda si, estremamente fredda. Così fredda da riuscire a gelare perfino il rumore.
La vita, a George, faceva semplicemente orrore. Era terrorizzato dall'impietosa fine che lo attendeva, doveva solo aspettare. Aspettare che la fine lo venisse a cercare. Così si mise sul letto a bere. Quando bevi il mondo è sempre lì fuori che ti aspetta, ma per un po’ almeno non ti prende alla gola.
Portò le ginocchia al petto e scoppiò in un pianto isterico. Nemmeno l'alcool riusciva a fargli dimenticare quei lunghi capelli corvini e quelle labbra eteree. Lanciò un urlo, ma nessuno lo sentì. Come per tutte le persone sole, non importa quanto urli, scalci, piangi tutti faranno finta di non sentirti e ti lasceranno marcire nel tuo dolore. George lanciò con foga la bottiglia di whisky ormai vuota contro la parete e chiuse gli occhi. Vivere è più semplice se hai gli occhi chiusi.
Un urlo destò lo stalliere dai suoi pensieri, era la voce di una delle domestiche dei McCartney, Olivia, doveva aver notato l'assenza di Paul.
George si precipitò fuori di casa e il gelo lo fece tremare, non aveva nulla con cui ripararsi dal freddo, come tutti gli umili come lui. Benché infreddolito continuò la sua marcia e fu lì che capì. Non si erano accorti dell'assenza di Paul, stava succedendo qualcosa di molto più atroce. Un gruppo di contadini, stanchi dei continui soprusi messi in atto dal padrone di casa si erano stancati ed avevano deciso di armarsi di torce e forconi e ribellarsi. Tra la folla George riconobbe suo fratello, Harry, che proprio in quel momento, insieme ad altri giovani, stavano gettando della benzina sulla casa dei McCartney. Infine Colin, il figlio del pastore Smith, gettò un fiammifero sulla benzina. Seguí un forte scoppio e la ricchezza accumolata in generazione e generazioni di sfruttamento svanì in un istante. La signorina Eastman lanciò un urlo rifugiandosi tra le braccia del padre che indignato svanì nel suo calesse promettendo di non fare più ritorno. James e Michael McCartney erano stati denudati e legati al centro della piazza e a turno i contadini sfilavano per sputare sui loro volti.
« Dov'è Paul, dov'è mio figlio! Cosa gli avete fatto! » continuó a dimenarsi James osservando la casa bruciare.
George distolse lo sguardo e si allontanò da quella macabra scena. James McCartney non era certo noto per la sua gentilezza o predisposizione a fare del bene, in realtà era un vero pezzo di merda, ma a George la violenza non piaceva anche quando necessaria.
James scoppiò in lacrime immaginando la terribile sorte che era toccata al suo figlio maggiore.
« Vi maledico tutti, possano le vostre anime bruciare all'inferno per ciò che avete fatto a Paul. »
« Lasciamolo in pace, ha già avuto la sua punizione. » sussurrò una donna prima che la folla si disperdesse .
La folla, forse la cosa più pericolosa che esista, pensò George. Quando si è una moltitudine ci si sente forti, invincibili e si fanno azioni inimmaginabilmente stupide. Si sarebbe potuto aprire un dialogo, ma l'uomo, animale infido, preferisce la violenza alla più civile parola.
George si avvicinò alle due figure infreddolite, divertente come, primi dei loro sfarzosi abiti, i nobili siano così simili a dei contadini.
Lo stalliere in silenzio iniziò a slegare Michael e poi tentò di fare lo stesso con il capofamiglia, ma questi glielo impedì.
« Ragazzo, lasciami qui a morire. Me lo merito. Inoltre voglio riunirmi alla mia dolce Mary e a mio figlio. Mi sono comportato aspramente e merito la morte.»
George esitò, poi prese coraggio.
« Paul è vivo. È partito sull'ultima nave. »

« Come hai potuto tenermelo nascosto! »
« Ma Jane, cara dolce Jane, è così un bel ragazzo. Non ha un posto dove stare e io, che ho un cuore così grande, non ho potuto non ospitarlo.»
« Oltre che il cuore hai anche qualcos'altro di grande e accogliente, Cynthia. »

« Madame Asher, ma voi come conoscete tutti questi dettagli? » chiese Pattie Boyd incrociando i suoi grandi occhi blu con quelli dell'anziana.
« Perché ero lì, cara.»
Pattie strizzó varie volte i suoi grandi occhi stupefatta.
«Certo per te, Pattie[1], che sei una ragazza altolocata e di buona famiglia quello potrà sembrare un luogo di perdizione, ma un bordello non è poi così diverso dai galá organizzati dalla regina Elisabetta II. » spiegò Madama Asher sorseggiando il suo tè nero «..ora però torniamo alla storia. »

Tutto era iniziato quella mattina, John stufo di restare nello squallore di quella capanna aveva proposto a Paul di chiedere asilo al vicino bordello dove aveva delle "conoscenze".
« Oh no, stupido Lennon. Io non vado a vivere in un fottuto bordello.» fu l'educata risposta di Paul.
« E dai Macka, sai che non abbiamo altra scelta! Qui si muore di freddo, mentre lì ci sono camini, coperte ed anche grossi seni rosei tra cui rifugiarsi.» disse John alzando più volte le sopracciglia come segno d'intesa «...e poi alla tua età avevo già frequentato tutti i bordelli e le bettole della vecchia cara Inghilterra. »
« Sei proprio un maiale. » rise Paul « .. però mi hai convinto con le parole "camini" e "coperte". »
« Ah...ho detto loro che...beh...eri mia sorella. Quindi mettiti una gonna, tanto ci sei abituato, principessa. »

« Era necessario indossare le mutande? Mi segano il culo. » sbuffó il minore.
« Certamente se non vuoi che ti entri qualche uccello in culo, Rita.» disse il maggiore dando una pacca sul sedere del minore «... anche se credo non ti dispiacerebbe.»
« Ti ho già detto di non chiamarmi, Rita
« Quindi non neghi che ti potrebbe piacere. »
« John! » prima che Paul potesse rispondere alla provocazione una donna che aveva un innaturale biondo platino sui capelli, era una bella ragazza, ma troppo civetta per i gusti di Paul.
« Tu devi essere la piccola Lennon, sei adorabile! » affermò la donna prendendo Paul sotto braccio « spero diventeremo amiche! »
Paul si guardò intorno, era un luogo ben arredato, forse troppo pacchiano e per certi aspetti di dubbio gusto, ma comunque era accogliente. Ma la situazione continuava ad essere completamente demenziale. Paul vestito da donna, con una gonna rosa di dubbio gusto, restava l'essere più femminile in quella stanza. Anche perché la metà delle donne lì dentro aveva più peli del vecchio colonnello McCartney.
Finché una ragazza non catturò la sua attenzione, aveva lunghi capelli rossi e degli occhi bellissimi, si avvicinò a loro.
« Jane, loro sono i ragazzi di cui discutevamo stamattina. » disse Cynthia sperando che l'amica avesse cambiato idea dalla discussione di quella mattina .
Jane osservò con sguardo inquisitore Paul e l'uomo arrossí.
« La ragazza potrebbe fare qualche marchet...»
« Io la zoccola non la faccio, Jo.. » sussurrò Paul disperato all'orecchio del maggiore, ma si fermò quando si sentì osservato «.. senza offesa. »
« Fammi vedere le gambe. » affermò decisa Cynthia.
« Cos..»
« Non essere così frigida, Rita. » sorrise John, Paul gli lanciò uno sguardo aspro e si alzò la gonna.
« Sai ballare? Parlo di burlesque.»
« Non credo riuscirebbe a far eccitare un uomo... » affermò dubbioso John.
« Ne sei certo? » disse Paul mordendosi il labbro inferiore.
«... e comunque non se ne parla. » disse John «.. lì c'è un piano, lei sa suonare ed io potrei... cantare..? »
« Dobbiamo parlarne ad Epstein. » sentenziò la ragazza dai lunghi capelli rossi.

[1] Ricordate che la storia è pur sempre raccontata da Madama Jane Asher alla giovane Pattie che vuole conoscere la storia della fotografia. Quindi a volte tornerò al '900, dov'è iniziata la storia.

ANGOLO DI @thedarkerdaisy:
Sono tornata stranamente preso, spero di non avervi deluso. Vi ringrazio moltissimo per le recensioni che mi sono arrivate!
Un abbraccio,
- Vit

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto. ***


Wanderlust.

Capitolo quinto.

Paul si svegliò improvvisamente nel cuore della notte buia come la pece . Il cuore sembrava essersi fermato, sudava freddo e tremava. Quel dannato incubo era tornato a tormentarlo, ancora ed ancora. Paul portò le ginocchia al petto in posizione fetale ed iniziò a singhiozzare finché la gola non iniziò a far male e la vista non gli si annebbiò.
Aveva sempre pensato che nulla fosse peggiore della morte, ma ora capiva: il vero castigo era la vita.
« Cos'ha da piangere la mia principessa? »
Una voce impastata dal sonno fece capolino dal freddo pavimento di legno che puzza di marcio. Paul si accovacciò dando le spalle al maggiore e rimanendo in silenzio in un piccolo angolino, mentre si asciugava le lacrime che copiose gli scendevano dai grandi occhi color nocciola.
John silenziosamente abbandonò il suo scomodo giaciglio e s'intrufolò sotto le coperte di Paul. Avvicinò la mano al viso del minore, ma ritrasse subito la mano, quasi per paura di sciupare quella pelle che pareva seta pregiata.
John rimase fermo ad osservare la sagoma delle larghe spalle di Paul al buio, poi ruppe quel pesante silenzio.
« Vuoi una sigaretta, Macka? » chiese il maggiore frugandosi nelle tasche e, una volta trovato il pacchetto di sigarette e la scatola di fiammiferi, face scintillare il flebile fuoco del fiammifero davanti il suo grosso naso aquilino.
« Non fumo. » rispose a tono il minore.
« Forse è giunto il momento di iniziare. » disse John porgendo la sigaretta che aveva tra le secche labbra al minore.
« Non credo sia molto igienico.. » contestò Paul. Inutile.
« Zitto e ispira. » ordinò John.
Paul ubbidì titubante. Il primo tiro fu tragico. Iniziò a tossire, il fumo sembrava volergli uscire fuori dalle orbite.
John gli strappò la sigaretta dalle lunghe dita affusolate e la portò alla sua bocca, poi accese la piccola lampada ad olio che era sul comodino alla sua destra.
John prese la sigaretta tra le mani ed inumidì le secche e sottili labbra prima di riportare la sigaretta dov'era.
Paul si domandò che sapore avessero quelle labbra, probabilmente fumo e alcool. « Osserva.. » sussurrò il maggiore prendendo un tiro e ispirando prima di buttare fuori il fumo in un modo che Paul trovò dannatamente sfacciato ed eccitante «...ora prova tu »
Il secondo tiro di Paul fu impacciato, ma nettamente migliore del primo. Il terzo fu paradiso, si sentì la mente svuotata.
« Ora racconta cos'è successo.»disse John appoggiando la schiena alla testata del letto. Paul annuì.
« Ho avuto un incubo. Anzi, li ho così spesso che dovrei essermi abituato a loro, ormai. Ma non lo sono.»
« Nessuno si abitua mai davvero agli incubi. » rispose John prendendo un ultimo tiro e gettando la sigaretta in un bicchiere adibito a posacenere. Poi spense la lampada.
Rimasero seduti in silenzio sul letto di quella stanza buia e priva di finestre a guardare il vuoto, immobili. Riprendere sonno era impossibile, anche perché le ragazze nelle stanze accanto si stavano dando da fare con vecchi con le tasche piene di contanti e le braghe sul comodino.
I muri di cartongesso fremevano ad ogni spinta, ogni gemito.
« Cazzo, cazzo, cazzo. » iniziò a sussurrare esasperato John cercando di calmare le sue viscere che pulsavano insistentemente nella mutande «... se non la smettono io..»
« Cosa fai Johnny?! È un bordello, che ti aspettavi? » rise Paul «... su dormi..»
John si sdraiò, ma il minore lo spinse sul pavimento.
« Non vorrei trovarmi "per sbaglio" il tuo cazzo nel culo.» mimò teatralmente il minore.
« Quindi fai il passivello, eh! » rise John sistemandosi l'unico misero cuscino che aveva sotto il capo. Paul rise, ma non rispose.
« Mi lasci il beneficio del dubbio. » sospirò John prima che la notte lo accogliesse sotto il suo manto stellato e lo facesse scivolare in un sogno beato.

« Cazzo John! Chiudi la porta quando vai al cesso! »
« Su Cyn non vorrai farmi credere che è il primo cazzo che vedi. » rimproverò ironicamente John rialzandosi i pantaloni grigio fumo e abbottonandoli.
« Rita, tieni a bada tuo fratello. Sta molestando le mie ragazze! » sorrise Jane vedendo Paul uscire dalla sua stanza, poi si allontanò.
« Jane aspetta... » affermò Paul fermando la ragazza per il braccio e attirandola a sé. I grandi occhi tristi color nocciola del giovane incontrarono quelli tristi color ghiaccio di lei. Mai prima di quel momento Jane era stata così a disagio, mai uno sguardo così puro l'aveva attraversata. Chiuse gli occhi beandosi del caldo respiro del giovane sul suo collo, poi riaprì gli occhi. Nemmeno sua madre l'aveva mai guardata così. Imbarazzata distolse lo sguardo.
« Hai parlato con il signor Epstein? Possiamo restare? » chiese speranzoso il giovane. Certo, era un bordello ma sempre meglio di un' angusta capanna, aveva meditato Paul la notte precedente .
Jane annuì distrattamente con lo sguardo basso «.. solo se stasera fate un bel lavoro e riuscite ad animare il pubblico. Sono un po' mosci da quando Pete Best, il nuovo pianista, è arrivato.»
« Magari riuscite a toglierci quel manichino ingessato dai piedi. » rise sventolando teatralmente il suo ventaglio Karen, una delle intrattenitrici più anziane del bordello. « Beh...se sono mosci lì sotto, una professionista come te sarà come rimediare.» ammiccò John agitando la mano su e giù. Jane alzò gli occhi al cielo e si allontanò.
« Bel culo, eh. » rise il maggiore guardando andare via Jane, ma anche Paul si allontanò sbuffando «...ma scherzavo! Nessuno ha un fondoschiena come il tuo, Rita.»

Paul scese in salone e si avvicinò al piccolo organetto posizionato in un angolo buio e intimo. Non suonava da quando aveva quattordici anni, da quando quel brutto male aveva portato via troppo presto sua madre. Era stata lei ad insegnargli a suonare. Paul prese uno sgabello e si sedette. Appoggiò la mano destra sulla liscia successione di tasti, ma ebbe timore a pigiarli. Sospirò chiudendo gli occhi e poi fece partire una dolce melodia. La suonò lentamente, pregustando ogni sfumatura di suono. Sol, do diesis, mi. Sol, do diesis, mi. Adagio, seguendo il ritmo del suo cuore. La sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore di Beethoven, la preferita di sua madre. Si isolò dal mondo, Paul non seppe mai con esattezza quanto restò seduto lì, il tempo sembrò seguire il ritmo dettato dalle sue mani sui freddi tasti bianchi e neri dell'organetto. Si fermò quando una lacrima bagnò i tasti dell'organetto. Cos'era quel sentimento? Dolore per la perdita di sua madre? Gioia per aver finalmente ritrovato il coraggio di suonare? Nostalgia della sua amata Irlanda? O si sentiva colpevole della morte della persona che per anni era stata la sua ancora? Beethoven era questo: un unico grande caotico sentimento. Una figura si avvicinò e si sedette accanto a lui. Paul si asciugò gli occhi e proseguì la sonata con un dolce sorriso sulle labbra. E ora? Qual era il sentimento che provava ora? Cos'era quel batticuore? Terminò con un semplice arpeggio e infine riaprí gli occhi, al suo fianco John lo osservava stupefatto, timoroso di rompere quella magia. Paul deglutì, poi parlò sorridendo timidamente.
«Beethoven la dedicò alla sua alunna prediletta, la Contessa Giulietta Guicciardi, di cui lui era follemente innamorato... » disse cercando lo sguardo del maggiore «...lui era più grande, lei poco più di una ragazzina...credo lei fosse un po' a disagio con un tale spasimante ai suoi piedi.»
« È bellissima. » sentenziò John «...sfiora da pedofilia, ma è bellissima.»
« Bella o no, ci serve qualcosa di più vivace!» ammiccò Annabeth.
« Se volevano sentire questa roba, i nostri ricchi deputati restavano a casa con le mogli. » rise Jane sorseggiando un whiskey.
« Ma cosa ne capite voi di musica! » sbuffò John «.. e poi sono le 10 del mattino Jane, non dovresti bere. Dà qua. » disse John strappandole il whiskey di mano e bevendolo tutto d'un fiato.
«...ma. » tentò di dire Jane.
« Via! Tutte di sopra! Qui qualcuno vuole lavorare. » ordinò John imbracciando un banjo e osservando Paul pensieroso.
« Cosa c'è? » chiese il minore.
« Il tuo Ludovico Van è fantastico, ma ci serve qualcosa di più vivace! » John prese un ditale[1] dalla tua tasca e lo mise sul pollice «... può andare come plettro.» disse tra sè e sè.
« Hai proprio tutto in quelle tasche, eh! » rise Paul.
« È un regalò di mia "nonna". » ammiccò John, poi iniziò ad agitare le corde del banjo che aveva trovato dietro una tenda del salone.
« Oh dirty Maggie Mae they have taken her away and she never walk down Lime Street any more. Oh the judge he guilty found her for robbing a homeward bounder that dirty no good robbin' Maggie Mae. To the port of Liverpool they returned me to two pounds ten a week, that was my pay. »
« Chi era Maggie Mae? » chiese Paul .
« Una puttana, una delle tante puttane di Liverpool.» sospirò John «.. nulla di romantico come il tuo Beethoven, ma agli uomini nei bordelli piace questa roba.»
« Ora capisco quell'accento strano! Sei inglese. » rise Paul «... aspetta, com'è che sai tutte queste cose sui bordelli? »
« Ne ho girati molti...non mi va di parlarne. » deglutì il maggiore. Paul prese una sigaretta dal pacchetto di John e se la accese.
« Impari in fretta. » rise soddisfatto John, ma il suo sguardo era ancora cupo. Non gli piaceva parlare della sua infanzia trascorsa a Liverpool e tantomeno dei bordelli che aveva girato alla ricerca di quella madre che non aveva mai conosciuto.
«Qualcosa non va? » chiese Paul appoggiando le spalle al muro e ispirando il tabacco della sigaretta a pieni polmoni.
« Lavorare qui ci paga una zuppa calda e una sudicia stanza, ma se vogliamo vivere il sogno Americano dobbiamo mettere sui dei soldi. »
« E cosa ci faresti con quei soldi? »
« Non sono mica venuto in America per salvarti per sempre il culo, McCartney. Io ho una visione.» disse John con lo sguardo volto all'infinito.
« E quale sarebbe la tua visione?! »
« Oklahoma. » disse il maggiore mimando in maniera teatrale «...il Sud! Terra buona da coltivare, campi immensi. »
« Dai John, non scherzare. Non avrai mai i soldi per comprarti nemmeno un paio di mutande nuove, figuriamoci un appezzamento di terreno! »
« E sentiamo, tu cos'è che vuoi fare della tua vita?! Piangere per quella checca che ti ha mollato? Io almeno una visione ce l'ho. » urlò John alzandosi dallo sgabello e calciandolo via.
« Credi di conoscermi, eh ?!Tu non sai nulla né di me e né tantomeno di George. Non ti azzardare mai più a nominarlo nominarlo. » rispose Paul prendendo il maggiore per il collo della camicia.
« Sennò che fai, checca? Mi dai un pugni? Su, dammi un pugno! Non ne hai il coraggio! »
Eppure il pugno sorprese John in piena faccia e un rivolo di sangue gli bagnò le labbra. John stava per rispondere al colpo, ma dei passi gli fecero abbandonare l'intento.
« Niente male. » commentò Jane scendendo le scale e vedendo il naso gonfio di John «... però litigando non arriverete da nessuna parte. »
Paul si sistemò la sottoveste imbarazzato e guardò in cagnesco John, il maggiore strinse i denti e sorrise falsamente a Jane. Se Jane fosse arrivata un attimo prima avrebbe sicuramente mandato a puttane la loro copertura.
« Scusate, ma io ora vado. » disse il maggiore dirigendosi verso le scale.
« Fermo ragazzone. I problemi tra te e tua sorella vanno tenuti fuori dal lavoro o ve ne tornate in quella putrida capanna, d'accordo?»
John si riaccomodò e Paul iniziò a fissare il vuoto mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
«Rita, hai mai sentito parlare di Cakewalk? È un nuovo genere molto in voga a Parigi. Magari potreste creare qualcosa del genere. » disse la ragazza dai lunghi capelli rossi sedendosi su una sedia ed incrociando lentamente le gambe con eleganza. La vestaglia che aveva in dosso le scendeva morbida sul bacino lasciando scoperte le lunghe gambe. Chiuse gli occhi iniziando a scioccare le dita della mano destra e tenendo il ritmo iniziò a battere l'altra mano sul ventre piatto. Poi iniziò a canticchiare un motivetto che gli sembrava familiare. Poi a Paul arrivò l'illuminazione.
« È qualcosa di molto simile al Rondò, senti questo. »
Paul iniziò a suonare il Rondò in La minore K 511 per pianoforte di Mozart, ma John lo stoppò prendendogli il braccio. Paul sussultò a quel contatto rimanendone sorpreso, deglutì. John immediatamente spostò la mano sull'organetto.
« Nella parte centrale potresti usare un ritmo binario sincopato e magari potremmo aggiungere degli accordi di banjo. » disse il maggiore imbracciando il banjo e invitando Paul a strimpellare qualcosa sull'organetto. Paul annuì distrattamente. Jane aveva ragione, quello era il lavoro, John e Paul si sarebbero spaccati la faccia in un altro momento, ora l'importante era convincere questo Epstein. Continuarono così per ore, finché non crearono qualcosa di straordinario e unico.

Brian Epstein era un uomo prossimo alla quarantina, di bassa statura e con un inquietante sorriso allusivo. Jane si chiese più volte durante la sua permanenza al bordello quale fosse il significato di quel sorriso, ma non giunse mai ad una soluzione al suo interrogativo.
« Quindi questi sono i ragazzi di cui mi parlavi, Jane. » disse l'uomo di origini ebraiche, Jane annuì.
« La ragazza è carina, potremmo tenerla per fare qualche marchetta o anche qualche semplice lavoro di bocca. » propose Brian accarezzando la guancia a Paul, ma lui subito si ritrasse «...non è poi così male, guadagneresti qualcosa per toglierti degli sfizi...magari un capellino nuovo. » continuò Epstein riavvicinandosi al volto del minore, ma questa volta fu John a fermare le maniere insistenti del padrone di casa.
« Credo che mia sorella sia stata abbastanza chiara.» disse fermamente John mettendosi davanti a Paul «..se non le serve un nuovo pianista, possiamo andare altrove, anche se non credo che le convenga. Quello che suoniamo noi riuscirebbe a farlo rizzare anche ad un morto. »
« Se ne sei tanto sicuro, ragazzo. » disse il signor Epstein allontanandosi con Jane.
« Perché mi hai difeso? Credevo fossi arrabbiato. » sussurró Paul guardando timidamente John negli occhi. Il maggiore deglutì sfiorando la guancia dove prima si era posata la mano di quel minuto giudeo.
« Non mi piace quel tizio. » sussurró «.. e poi tutti credono che io sia tuo fratello e che fratello sarei se non difendessi la mia sorellina? »
Paul abbassò lo sguardo imbarazzato. John si prese una sigaretta e la accese. La sala inizió a riempirsi di ricchi signorotti che credevano di poter comprare l'amore con qualche spiccio. Eppure non sono quelle fredde carezze offerte in cambio di soldi che li riscalderanno quando il tristo mietitore verrà a prendere la loro avida anima.
« Guarda che voglio ancora spaccarti la faccia, solo che non mi sembra il momento giusto. Dobbiamo prima far ballare questi vecchietti come non hanno mai fatto in vita loro.» sorrise John imbracciando il banjo e facendo l'occhiolino a Paul, il minore sorrise sistemandosi i vaporoso cappello prestatogli da Jane e poi posò le sue mani sui tasti dell'organetto.
La serata fu lunga e delle vesciche comparvero sulle lunghe dita affusolate di John a furia di scoccare le dure corde del banjo. Tutti sembrarono divertirsi e gli ospiti più giovani improvvisarono perfino qualcosa di molto simile a quello che più tardi sarebbe stato denominato charleston. In un angolo del bar, mentre Jane affogava il suo vuoto nell'alcool qualcuno la osservava sorridendo.
« Brutta giornata, signorina?» chiese l'ispettore Sutcliffe avvicinandosi alla ragazza.
« Perché esistono giornate belle? » rispose annoiata Jane giocando con l'orlo del vestito.
« Sa dirmi chi sono quei due? » chiese l'ispettore indicando Paul e John che suonavano il loro strano sound.
« Chiunque siano, non credo siano affari suoi. » disse altezzosa Jane legando i lunghi capelli rossi in una coda e mettendo in vista il lungo collo bianco come il latte «...se non vuole compagnia, può anche andare. »
« Si potrebbe avere la compagnia della giovane che suona l'organetto?»

Paul era seduto in quella stanza buia tutto solo, non riusciva a prendere sonno. Ci sono due tipologie di pensieri che possono vorticare nella testa di una persona, che come Paul, era sveglia a quell'ora : quelli che si protendono nei progetti o nelle aspettative del futuro e quelli che si perdono nei ricordi del passato. I secondi sono sicuramente i più scomodi. Inoltre più tenti di tenerli lontano e più ti si fissano nella testa, ritornando continuamente, nonostante il tuo sforzo mentale di deviarli, costringendoti a pensare a tutt’altro. E Paul, come tutti, non riusciva ad evitare quest'ultimi pensieri. Magari se non fosse stato solo, magari se ci fosse stato John, magari non sarebbe stato così impegnato a pensare a George. Eppure John non c'era, era con chissà quale ragazza a "divertirsi", era il suo modo per farla pagare a Paul. Dannato John Winston Lennon.
Improvvisamente un rumore destò Paul dai suoi pensieri, finalmente John era tornato. Eppure quando si trovò quella figura davanti a sé rimase senza parole. No, non era John.

[1] Solitamente in ferro, è usato per ricamare.

ANGOLO DI @thedarkerdaisy:
Hello there!
Sono tornata a rompere e spero di non aver fatto un casino come faccio sempre! Ringrazio tutte voi personcine che mi supportate! Vi prego di lasciarmi parere perché sono davvero importanti per me🌸 Un bacione,
- Vit

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto. ***


Wanderlust.

Capitolo sesto.

« Cosa ci fai qui! » urlacchiò Paul coprendo velocemente il suo nudo busto con il vecchio lenzuolo di cotone che giaceva sul letto.
« Rita, ingenua adorabile Rita. » sorrise Jane barcollando lungo il perimetro di quell'umido giaciglio chiamato letto. I lunghi capelli rossi le scendevano lungo il suo busto e coprendo i seni floridi lasciati scoperti dalla vestaglia di seta lasciata leggermente aperta.
« Sei fottutamente ubriaca, Jane.» sospirò Paul facendole spazio tra le coperte giusto in tempo prima di vederla crollare su di lui. Paul ringrazio l'ora tarda e il buio che ne derivava per aver celato il rossore che era comparso sulle sue gote altrimenti evidente. La giovane si era accovacciata in parte a lui ed aveva iniziato ad accarezzargli le clavicole prima di rompere il silenzio con la sua voce alcolica «...sai ci sono tanti modi per divertirsi tra ragazze.»
Jane iniziò a lasciargli umidi baci sulla mandibola e sul collo, scendendo poi sul torace. Allora Paul si allontanò violentemente e cadde violentemente sul duro pavimento di legno, accortosi di indossare solo un paio di braghe attrasse velocemente a se il lenzuolo, ma evidentemente era troppo tardi. Jane sbottò in una grossa risata isterica.
« Sono così ubriaca che ti vedo con il corpo di un uomo, forse è meglio che io vada. » sentenziò la giovane alzandosi in piedi, Paul fece lo stesso bloccandola sull'uscio.
«...o forse sei troppo poco ubriaca per vedermi come una donna. »
Le labbra dei due giovani si trovarono a pochi centimetri di distanza, i petti premuti l'uno su quello dell'altra. I respiri si fecero irregolari e le gambe di Jane cedettero facendola crollare al suolo. La ragazza si portò le mani al volto come se volesse nascondersi, scomparire. Paul tentò di sedersi accanto a lei, ma fu respinto.
« So che è demenziale, ma...»
«...ma cosa? Ma sei uno schifoso pervertito con tendenze sodomiti con lo strano hobby di vestirsi come se fosse una volgare prostituta?» sbottò Jane tutto d'un fiato. « Cosa? No. » disse confuso Paul.
« Ah.. sono sollevata.» sospirò Jane lasciandosi scivolare contro il letto e iniziando ad osservare il vuoto .
Paul rimase con lo sguardo basso a guardarsi le lunghe dita affusolate indeciso sul da farsi, nel dubbio si accese una sigaretta iniziando a boccheggiare.
« Scappare mi è sempre riuscito bene, lo faccio da tutta la vita. » disse Paul rompendo il silenzio. Jane lo guardò confusa.
«Mio padre voleva farmi sposare una donna che non amavo e sono scappato, come un codardo... » Paul cominciò a raccontare la sua storia fino a quando le luci dell'alba non baciarono le iridi dei due giovani.
« Lo dirai alle altre? » chiese infine cercando lo sguardo della ragazza.
« Non è una storia poi così interessante. » sorrise Jane appoggiandosi al torace di Paul e sprofondando in un sonno ristoratore, Paul le lasciò un dolce bacio fraterno sulla fronte e chiuse gli occhi raggiungendola nello spensierata mondo dei sogni. Fu la prima è l'ultima volta che Jane dormí con un uomo nel senso più puro e casto della parola.

« Signora Asher si è fatto tardi, dobbiamo andare. » annunciò il cocchiere della donna interrompendo il suo racconto. La donna sospirò prendendo la sua borsa e sistemandosi sul capo l'adorabile capellino grigio abbinato al colore dei suoi occhi. « Il tempo è passato così in fretta signora Asher... » disse Pattie alzandosi anche lei dalla comoda poltrona del salone per accompagnare la sua ospite alla porta. «Il tempo passa, dici? Ah, no! Ahimè, il tempo resta, noi passiamo.» disse l'anziana regalando a Pattie un sorriso gentile.
« Dickens? » chiese la giovane dai grandi occhi blu come un mare in tempesta nel più gelido giorno di gennaio.
« No, Henry Austin Dobson. Strano come venga sottovalutato, è un ottimo autore...» rispose Jane «... cara, perché domani non vieni da me? Così continuiamo il nostro discorso.» fece un occhiolino alla giovane e scomparve dietro il suo cocchiere.

Pattie quasi non chiuse occhio tutta la notte, ansiosa di scoprire le sorti del protagonista del surreale racconto di quella bislacca signora la cui vivace bellezza era ormai stata consumata dal passare del tempo. L'indomani la giovane si svegliò di buon'ora e con un roseo colorito sulle guance, simbolo di salute, si diresse sulla sua carrozza trainata da due bellissimi cavalli bianchi al di là dei campi di fragole che tingevano di rosso la periferia di Londra. La carrozza si fermò davanti ad una maestosa villa in stile barocco con un curatissimo giardino anteriore. Pattie scese dalla carrozza e bussò sul batacchio[1] in ferro battuto del portone in legno. Mentre il maggiordomo accorreva ad accertarsi sull'identità di chi bussasse a quell'ora, Pattie era impressionata nell'osservare ogni particolare del batacchio a forma di leone nel quale erano intrecciate le sue mani.
« Una bella ragazza come lei non dovrebbe rovinare delle mani così delicate toccando un batacchio arrugginito come questo. Dovrebbe far sporcare le mani ad uomo dotato di un certo carisma e forza fisicamente.»
« Peccato che non ne vedo qui intorno. » disse con finto dispiacere Pattie facendo rimanere di stucco l'uomo di nanzi a lei. L'uomo accennò un sorriso mordendosi le labbra.
« Caro, non è un po' presto per provarci con la nostra ospite? Non vorrai spaventarla prima di pranzo. » canzonò la signora Asher al di là dell'uscio a braccia conserte.
Pattie accennò un sorriso osservando l'uomo dalla folta barba al suo fianco che la invitava ad entrare con un inchino, non poteva negare che fosse incredibilmente affascinante per quanti sfacciato e impudente.
« Purtroppo hai già fatto la conoscenza di mio nipote, somiglia tanto al mio defunto marito, cara. » sospirò Jane guidando la giovane dai lunghi capelli color grano verso il salone grande «...come lui preferisce i tavoli da gioco alle compagnie femminili, vero Eric? »
« Cara nonnina, siete gentile come sempre. » disse falsamente Eric sedendosi di fronte a Pattie ed accanto a sua nonna. Pattie si sentì fuori luogo in quel battibecco intimo e familiare, accavallò le gambe e rimase in silenzio.
« Potresti lasciarci sole, caro? » disse Jane dando una leggera pacca sulla spalla al nipote.
« Signorina Boyd, spero di vederla più spesso in queste quattro inospitali mura. » ammiccò Eric cercando lo sguardo della giovane ed abbandonando la sala con un formale inchino.
« É sempre così impudente? » chiese Pattie arrossendo alle sue stesse parole.
« Solo quando nota qualcosa degno d'interesse. » sorrise l'anziana «... dov'eravamo rimaste? »

« Cyn, devo andare. » sbuffò John cercando di riabbottonarsi la camicia mentre la ragazza gli lasciava baci in zone inappropriate del suo corpo « Paul si starà preoccupando... »
« Paul ? » ripeté Cynthia allontanandosi sospettosa.
« Paul? Ho detto Paul? » disse nervoso John avvampando « Si! Certo, Paul! Il mio amico Paul, Paul il ... barcaiolo! È appena tornato dall'Ir...India.»
« Dovrei crederti? Perché se mi stai mentendo...» disse allusiva la ragazza dalle carnose labbra osservando il rigonfiamento tra i pantaloni color cipria di John «...il tuo amichetto potrebbe risentirne. »
« E noi non vogliamo che ne risenta » farfugliò John imponendosi a cavalcioni sulla ragazza «...forse Paul può aspettare altri cinque minuti. »


[1] battiporta, picchiotto.

Angolo di @thedarkerdaisy:
Hello popolo!
Sono un po' influenza, quindi ho del tempo e BOOOM. Ecco un altro dei miei folli aggiornamenti improvvisi. Spero di non avervi deluso, ringrazio tutti coloro che hanno recensito, mi rendete tanto tanto felice!
Un bacione,
Vit!🌸

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo. ***


Wanderlust.

Capitolo settimo.

«"Chi punge un occhio lo fa lacrimare, chi punge un cuore ne scopre il sentimento..."[1]» la signora Asher si fermò per un istante e con lo sguardo perso nel vuoto ispirò da una vecchia pipa in legno «...non fraintendermi, cara. Non credo nel Dio che i cristiani venerano sopra ogni cosa, né tantomeno in quell'usurato cumolo di vecchie pagine ingiallite chiamato Bibbia. Eppure questa citazione, nascosta tra il serpente parlante e la vergine gravida, esprime pienamente i fatti accaduti nel primo giorno di primavera dell'Anno Domini 1891.»

Era uno di quei giorni di marzo quando il sole splende caldo e il vento soffia freddo: quando è estate nella luce, e inverno nell’ombra. Paul si era appisolato sotto un melo, che dopo mesi di freddo invernale si era ricoperto di una cascata di stelle odorose. Oltre i verdi cespugli si potevano scrutare le limpide onde spumose infrangersi contro gli scogli, era un passaggio incantato. Eppure per John lo spettacolo più grande restava quel timido irlandese dai lunghi capelli corvini e la pelle di porcellana. L'inglese era lì, fermo ad osservare l'oggetto del suo desiderio. Poteva negarlo a chiunque, ma non a se stesso, sarebbe stato da stupidi. Paul gli aveva rubato l'anima giorno dopo giorno, tramite quei piccoli gesti bislacchi che lo caratterizzavano.
" È così bello." pensò John mordendosi il labbro inferiore " Forse se lo bacio mentre dorme non se ne accorgerà. " rise al solo pensiero.
Il maggiore a volte dimenticava che il minore, sotto gli adorabili vestitini color pastello e i vistosi capelli, nascondeva le fattezze di un uomo. Ma non era forse questo l'amore più puro? Quello che mette in discussione le certezze stesse? Secondo il pensiero del vostro umile narratore, l'accettazione di un sentimento così grande e intenso verso una persona del vostro stesso sesso dimostra la veridicità di questo sentimento che ha la meglio sulla tradizione e la mentalità bigotta della gente. Chi siamo noi per imporci inutili etichette? Ma ovviamente questo è solo il pensiero di un narratore troppo ubriaco e troppo stanco per non credere alla sua visione utopistica. Ma torniamo alla nostra storia.
« Vorrei poterti amare come meriti. » sussurró John sentendosi morire le parole tra le labbra. Rimase per attimi interminabili a guardare Paul dormire, incurante del tempo che gli scorreva via dalle mani. I minuti parvero secondi e le ore minuti.
« Quanto ho dormito? » chiese infine Paul riaprendo i grandi occhi color nocciola mentre la luce lasciava la sua postazione per far posto al buio.
« Non ne ho idea. » rispose John gettando l'ennesimo mozzicone di sigaretta.
« E tu cos'hai fatto tutto questo tempo? » chiese Paul mettendosi a sedere «...oltre che fumare. » rise il moro cercando lo sguardo dell'altro.
« Che sia per un ora o per un giorno, resterò sempre a vegliare il tuo sonno. » disse John prima di alzarsi ed incamminarsi verso il bordello.
Tornarono al bordello quando la luna era già alta e il cielo stellato faceva l'amore col mare. Non si parlarono più durante il tragitto, ci fu solo una serie interminabile di sorrisi sinceri. A che serve parlare se si possono dire così tante cose con gli occhi?
« John, posso parlarti? » chiese Jane appena vide John varcare la porta dell'edificio color porpora.
« Non dirmi che ho ingravidato una delle tue ragazze.» scherzò John, Paul roteò gli occhi e si diresse verso la sua stanza, odiava quando John faceva il piacione. In realtà non sapeva nemmeno perché gli desse così tanto fastidio, non era sua madre, né tantomeno la sorella che attestava di essere o...il suo fidanzato.
Jane portò John in disparte.
« Riguarda Paul » disse la ragazza, John impallidì quando udì quel nome pronunciato da Jane. Che il loro segreto fosse in pericolo?
« Tranquillo, il suo segreto è al sicuro con me, forse perché sono troppo ubriaca per capire qualcosa del grosso casino che avete inscenato.»
« E allora cosa devi dirmi? » disse sospettoso il maggiore.
« Non qui. » sentenziò Jane prendendo il braccio di John e guidandolo sul retro dell'edificio.
« C'è un tipo strano, è una specie di ispettore. Viene spesso qui e fa molte domande su voi due, in particolare su Paul.» sussurró Jane implorando con i suoi grandi occhi limpidi John di trovare una soluzione « Quel tipo, l'ispettore Sutcliffe, non mi piace. Ha uno sguardo che mi fa gelare il sangue, brr. » Jane deglutì al ricordo e si rifugiò tra le braccia di John che rimase in silenzio, come pietrificato.
Non conosceva quel nome, eppure ebbe una sensazione di vuoto quando lo sentì.
« John, proteggi Paul...non potrei sopportare che...» Jane fu interrotta da grosse lacrime salate che le riempirono il volto in pochi istanti «...promettimi di proteggerlo.» sussurró tra i singhiozzi.
« Fosse l'ultima cosa che faccio. Te lo prometto. »

« Ragazze! » urlò Fiona stappando l'ennesima bottiglia di Chardonnay «...ho parlato con Brian, presto ci sarà una nuova festa in maschera»
Le ragazze, piene di gioia, emisero gemiti e risate.
« Questo può voler dire solo una cosa...» continuò Fiona scandendo ogni sillaba, ogni vocale «...faremo sol-di a pa-la-te!»
« Potrei comprare una culla per mio figlio, così non dovrà più dormire in un cassetto del mio armadio. » sorrise Taylor.
«Io potrei comprarmi un capello vistoso che faccia morire d' invidia tutte le ragazze del paese.» immaginò Clodette. Tutte le ragazze esternarono i loro desideri e gioirono per la "festa".

« Andiamo in giardino, cara. Le mie vecchie ossa hanno bisogno di essere riscaldate dal caldo sole che splende.» disse l'anziana alzandosi dalla sua poltrona e prendendo il suo bastone da passeggio «...ti auguro di non invecchiare mai, Pattie. Invecchiando perdi molte cose che, prima, ignoravi perfino di avere.» « Io credo che la vecchiaia sia un privilegio, molti ne sono privati. » rispose Pattie, poi cadde il silenzio.
Le due donne erano sedute in un gazebo circondato da fiori di ogni specie e colore.
« Sembra divertente una festa del genere. » sorrise garbatamente Pattie interrompendo il silenzio.
« Divertente, ma anche letale. Ricorda che eravamo in un bordello, eravamo solo l'oggetto sessuale di uomini infelici. Eravamo giovani e belle, la maggior parte di loro invece era vecchia e raggrinzita. Come sono io ora.» sospirò Jane cercando di rimembrare la sensazione dell'essere giovani.
« Perché " divertente, ma anche letale"? » chiese Pattie confusa.
« Perché quello fu l'inizio della fine.»

« Paulie, indovina che giorno è oggi. » sorrise gioiosamente Jane giocherellando con le mani di Paul «... è il giorno della festa in maschera.»
Il ragazzo non prestò molta attenzione a quelle parole, non aveva chiuso occhio, aveva un brutto presentimento...e probabilmente aveva ragione.
« Paul, non puoi rimanere chiuso in camera. Non saranno certo queste quattro mura maleodoranti a fermare il destino. »
« È in momenti come questi che vorrei che George fosse qui con me. » una lacrima rigò il volto del giovane.
« Paulie... » sospirò Jane abbracciando il ragazzo e lasciandogli un dolce bacio sulla guancia «...ci sono io, ci sono le ragazze... c'è John. »
« John? Dov'è John? A far arieggiare il suo fottuto cazzo? »
« E se anche fosse? Non è mica veramente tuo fratello... » rise Jane «...forse dovresti fare lo stesso. » ammiccò Jane iniziando a sbottonare il corsetto di Paul, ma lui la fermò. Jane lo guardò confusa.
« Senti Jane, io ti voglio bene, tanto. Ma di quel bene che si vuole ad una sorella. » cercò di dire Paul nel modo più gentile possibile. Jane si alzò mordendosi il labbro confusa, scrollò le spalle ed uscì dalla stanza.
Paul deglutì e si stese sul letto a guardare il soffitto.

« Dovremmo andare anche noi a quella festa. » affermò John abbottonandosi la camicia « ...Maka, cos'hai? »
John si sedette accanto a Paul, il minore portò le ginocchia al petto.
« Non voglio andarci. » disse mordendosi il labbro inferiore nervosamente.
« Ai suoi ordini, principessa. » disse John uscendo dalla porta e salutando Paul con la mano.
Paul rimase solo in quella sudicia stanza cullato solo dal fuoco della lampadina ad olio sul comodino.
« Jane ha ragione, non saranno queste quattro mura a fermare il destino. » sentenziò Paul.

La festa in maschera era qualcosa di raro al casino. Tutte le ragazze indossava una maschera sul volto ed erano vestite solo delle loro pelle albina. Gli uomini, anch'essi celati da maschere, erano rigorosamente coperti da un mantello scuro.
Gli uomini erano tenuti a pagare una somma d'ingresso pari a 250 sterline odierne. Insomma, solo persone di un certo calibro erano ammesse. In disparte c'era un gruppo di uomini mascherati e vestiti con completi eleganti che si occupava di servire le bevande e di adempiere ai desideri più stravaganti dei clienti. Non c'erano regole, tutto era ammesso. Anche le fantasie sessuali più eccentriche. Quella era la notte della perdizione.
Paul non avrebbe mai immaginato di trovare il salone stracolmo di gente. Il ragazzo indossare un elegante completo scuro di John che gli calzava un po' largo, forse era l'ora di veder andar via qualche chiletto. Paul si appoggiò ad una tenda e rimase in disparte ad osservare le figure che si muovevano meccanicamente in quella notte scura come la pece.
« Alla fine sei venuto. » disse una voce suadente all'orecchio di Paul.
« A quanto pare...» sussurró Paul senza voltarsi verso l'uomo alle sue spalle.
« Che tenero, ti mancavo. » rise John «... ora porta questo alla stanza 19. Quel tipo ha chiesto un cetriolo, mi chiedo a cosa possa servirgli.»
« Non credo voglia mangiarlo. » ammiccò Paul prima di caricarsi il vassoio sul palmo della mano e sparire dietro la miriade di uomini in cerca di affetto o anche solo di liberare il proprio istinto. Paul stava camminando verso la stanza 19 quando improvvisamente qualcuno lo spinse in un angolo buio. Il vassoio cadde per terra emettendo un suono sordo e ovattato.
« Ormai riconosco il tuo odore.» disse la figura leccando la guancia di Paul. Benché spaventato, Paul tentò di rimanere calmo.
« Vi state confondendo con qualcun altro.» sussurró Paul con voce tremante cercando di divincolarsi da quella stretta feroce. Paul era come la gazzella nelle mani del leone.
« Io non credo. » affermò l'uomo estraendolo un coltello e dopo averlo bagnato con la sua lingua lo premette contro il collo del giovane «...mi sono sempre chiesto di che colore fosse il sangue di un nobile, McCartney.»

[1](Siracide 22:19)

Angolo di @thedarkerdaisy:
Sono tornata presto, yup! Anche se non so se ciò possa essere positivo HAHAHA
Ringrazio tutti voi che leggete, recensite, amate, odiate, la mia storia. SPERO CHE DOPO QUESTO FINALE NON MI VERRETE A CERCARE SOTTO CASA.
Anyway,
un bacione, - Vit🌸

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo. ***


Wanderlust.

Capitolo ottavo.

« Il rosso è il colore della vita. Il rosso è il colore dell’amore. Il cuore che pulsa e le labbra affamate. E’ la passione, la rabbia, il sangue. Il sangue che scese lentamente sul collo albino di Paul, inquinandolo » .
« È pronto il pranzo, signora Asher » incalzò il maggiordomo entrando nel gazebo ed interrompendo la narrazione.
« Signora, la prego non mi lasci così. Non mi lasci in questo limbo d'inquietudine » supplicò Pattie. Si stava affezionando a quella storia surreale, non avrebbe sopportato un così aspro destino per il suo protagonista.
« Alfred... » chiamò la signora Asher « ... servici qui il pranzo. Il sole ristora le mie piaghe e a quanto vedo la signorina non può attendere oltre ». Pattie ringraziò la signora con un dolce sorriso. « Allora? Cosa successe a Paul ? » chiese la ragazza dai vispi occhi color cielo.
« Non posso risponderti con precisione. Come avrai capito ero impegnata in atti di cui in parte mi vergogno. Quando giunsi in quel luogo buio trovai solo John con gli abiti intrisi di sangue ed un corpo esanime steso sul pavimento tinto di quello stesso rosso. Non vidi mai più quel ragazzo irlandese se non nei miei ricordi più intimi ».
Pattie si portò le piccole mani alla bocca immaginando quell'orrore.
« Non può essere morto, non in un modo così atroce » sussurrò Pattie con gli occhi pieni di lacrime. Strano come gli esseri umani si affezionino così velocemente. Eppure la giovane sentiva un forte legame con quel ragazzo dai capelli corvini.
« Non ho mai detto che il corpo disteso sul pavimento apparteneva a Paul, cara » sorrise l'anziana «... John arrivò poco prima che l'ispettore Sutcliffe potesse portare a termine il suo malsano piano. Prese un coltello dal vassoio che aveva in mano e glielo conficcò nello stomaco », Pattie tirò un sospiro di sollievo «... Paul scappò via, quale altra scelta aveva? John affermò che il suo gesto era dettato dalla legittima difesa e grazie alle mie conoscenze il caso di archiviato »
« Scappato via? Non sa dove? E John? Non l'ha seguito? »
« Purtroppo l'età m'impedisce di ricordare con precisione degli eventi che mi hanno arrecato così tanto dolore. Paul si rifugiò per alcuni giorni in quella capanna dove tutto era cominciato, John li andò a trovare per alcuni giorni, forse per curargli la ferita alla giugulare. Non so cosa successe in seguito, un giorno John tornò in lacrime e non fece più ritorno alla capanna »
« Dov'è John ora? »
« È rimasto con noi al casino, poi è andato via. Aveva la sua visione da portare a termine » sorrise madame Asher sorseggiando del vino.

Pattie intrattenne un forte legame d'amicizia con la signora Asher, quest'ultima riconosceva nella giovane la figlia che non aveva mai avuto, finché un giorno d'inverno l'anziana, ormai provata dagli anni, non spirò serenamente nella sua dimora londinese. Il nome del giovane l'irlandese tornò più volte nelle loro conversazione e l'anziana non mancava di raccontare alla giovane dolci aneddoti dei mesi che aveva passato con lui. Eppure nulla riusciva sedare la sete di conoscenza che Pattie nutriva nei confronti di quella storia così avvincente.

Era un freddo giorno d'inverno, Pattie si recò alla dimora della sua cara amica e ancora una volta si trovò ad osservare il batacchio che ritraeva del leone così maestoso. Bussato alla porta, i grandi occhi della giovane incontrarono i tristi occhi del nipote di madame Asher. In alcuni casi le parole sono superflue, gli occhi possono dire molto di più. Pattie si rifugiò tra le braccia di Eric e lui la strinse aggrappandosi a lei come l'ancora fa con gli abissi del mare.

Era tornata l'estate a Londra e il rapporto tra Eric e Pattie era diventato sempre più forte. Che i due giovani si amassero era evidente anche ad un cieco e i continui battibecchi tra i due finivano sempre con una dolce riconciliazione.
« Pattie, sai ieri frugavo tra le cose della nonna... » sorrise il giovane Clapton.
« Cercavi altri denari da sperperare? » rise la ragazza ben consapevole dei vizi del suo amato.
« Non è importante. Credo che la nonna ti nascondesse qualcosa »
Pattie non capì subito a cosa alludesse Eric mentre sventolava una lettera con un francobollo d'oltreoceano.
« Questa lettera è stata spedita sei mesi fa da un paesino dell'Oklahoma »
« Tu non hai parenti in Oklahoma » affermò la giovane rizzando la schiena.
« Appunto ».


L'ANGOLO DELL'AUTRICE DEMENZIALE:
Spero non vi siate dimenticati di me! Rieccomi con questo capitolo abbastanza inutile, però necessario. Questo capitolo sancisce la fine della prima parte della storia. E ben venga la seconda parte. Come sempre se avrò un paio di recensioncine aggiornerò!
A presto,
-Vit

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Capitolo 9
*** Capitolo nono. ***


Wanderlust.

Capitolo nono.

Cosa ho fatto? Cosa.
Il respiro di John divenne affannoso, i battiti del suo cuore irregolari e la vista gli si annebbiò mentre osservava le sue mani tinte di vermiglio. Cosa lo rendeva migliore di quell'uomo che ora giaceva accanto a lui senza vita? Era forse diverso il sangue sulle sue mani da quello che macchiava quelle dell'ispettore? Non siamo forse tutti uguali davanti alla morte?

John si svegliò agitato e intriso dell'agre odore di sudore. Non riusciva a controllarsi durante il sonno, tornava sempre a quella notte. Tornava ad avere le mani sporche di sangue e il respiro affannoso. Tornava e riviveva quella folle paura di perdere il suo Paul che lo aveva spinto a quel terribile gesto. Si rigirò nel suo scomodo giaciglio e tremò non sentendo il gracile corpo del minore al suo fianco. Poi ricordò quello che era accaduto quella notte dopo la terribile festa al lupanare.
Aveva detto a Paul di raggiungere la loro capanna e di attenderlo lì, eppure stremato dell'interrogatorio John era crollato sul letto dimenticando di recarsi dal minore. Il ragazzo si alzò di scatto ed infilò il primo paio di calzoni che trovò sul pavimento. L'entrata della sua camera era sorvegliata da una guardia, doveva uscire in un altro modo. Dalla finestra sporgeva il ramo di un albero abbastanza robusto, “perfetto” pensò John aprendo la finestra pronto a calarsi da quell'albero.
Presto fatto, scese dall'albero e si disperse tra la buia brughiera. Arrivò alla capanna e rimase sorpreso nel notare la luce di una candela ancora accesa a quella tarda ora. Sorrise immaginando Paul ancora sveglio ad aspettarlo, non indugiò oltre ed entrò.
Sentendo scattare la serratura della porta di legno Paul s'irrigidi, ma appena vide far capolino quella familiare chioma rossastra si sentì il cuore in gola.
« Temevo non venissi più! » sussurrò il minore saltando tra le braccia del maggiore.
« Non potrei mai separarmi da te di mia volontà » sorrise sornione John e staccandosi da quell'abbraccio impacciato posò il suo sguardo sul collo ferito di Paul «...che bastardo ».
« John, mi hai salvato la vita così tante volte che non potrei ripagarti nemmeno nella prossima vita ».
« Non ti ho mai chiesto nulla in cambio » rispose John avvicinandosi alla finestra e dando le spalle al minore.
« Forse avresti dovuto » sussurrò Paul posando le sue labbra eteree sul collo del maggiore «... ti ho sentito l'altro giorno sotto il melo. Sappi che non merito di essere amato in nessun modo che non sia il tuo ».
Il minore fece vagare le labbra lungo la mandibola di John e il maggiore reclinò la testa per facilitare le azioni di Paul.
« Piccolo sfacciato » mugugnò il ragazzo dai capelli ramati quando il minore iniziò a vagare con le sue mani sul suo petto e poi più in basso verso i suoi pantaloni. Li sbottonò, John si voltò di scatto e bloccò le mani di Paul tra le sue. Il ramato iniziò a mangiucchiare il labbro inferiore del corvino finchè le labbra dei sue non si unirono in qualcosa di estremamente dolce.
« Non così in fretta, ragazzino » rise il maggiore spingendo Paul sul pavimento. Si sfilarono i vestiti con estrema lentezza, osservano l'uno ogni centimetro della pelle dell'altro. Baciando, graffiando, succhiando ogni stralcio di pelle.
Per nessuno dei due era la prima volta, eppure sembrò quasi che lo fosse. Erano impacciati, ridevano nervosamente, si guardavano curiosi. Liberatisi anche della biancheria, John divaricò delicatamente le gambe del minore e le posizionò sulle sue spalle. Lo penetrò con estrema lentezza, cosicché entrambi potessero sentire ogni centimetro delle loro membra combaciare. Fare l'amore è innaffiare il volto di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di racconti, di sogni, di fantasia. Fare l'amore è provare un turbinio di emozioni tutte insieme e non rendersene nemmeno conto. Non ci furono molte parole quella notte, erano superflue, bastavano le carezze e i baci celati dal tetro buio. Ma soprattutto bastavano gli sguardi, ogni volta che si guardavano nascevano l'uno negli occhi dell'altro.

« Se non conosci nessuno in Oklahoma, allora chi è che ha scritto quella lettera a tua nonna? » domandò Pattie inumidendosi le carnose labbra vermiglie.
« Il mittente è un certo Richard Starkey » rispose Erik dubbioso.
« Richard Starkey, eh? » chiese la Boyd strizzando gli occhi «...non mi dice nulla questo nome. E comunque non dovremmo infrangere la privacy di tua nonna » .
« Peccato che l'ho già fatto » sorrise sornione il giovane « ...e non guardarmi in quel modo. Non dirmi che non eri curiosa quanto me! »
« A quanto pare il signor Starkey è un editore statunitense, una vecchia conoscenza della mia famiglia. Non so come, ma è riuscito a rintracciare una donna, Yoko Ano...o Ono, il nome non è importante, e a seguito di alcune confidenze della donna ha scritto un libro ».
« Non capisco il punto, Ricky ».
« Non così in fretta, passerottino ».
« Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo » rispose stizzita la ragazza facendo finta di adirarsi.
« Il libro ha come protagonisti proprio l'irlandese e l'inglese della storia della nonna! »
« Dimmi che hai una copia di quel libro » urlò Pattie sorridendo e saltando su dalla sedia in giardino. Eric iniziò a sventolare un manoscritto ingiallito. « Manoscritto privo di censure del bestseller "in my arms he was always Rita" ».
« Eric Patrick Clapton, sei il mio angelo salvatore! » sorrise Pattie gettando letteralmente le mani al collo del suo amato.
« Questo dovrebbe essere un si alla mia proposta? »
« Forse ».

Pattie osservava l'ammasso di scartoffie ingiallite sulla scrivania della sua camera. Bramava la fine di quella storia da ormai un anno e quando finalmente poteva conoscerla, la temeva. Aveva immaginato un molteplice numero di finali diversi per quella storia, alcuni felici e altri tristi, ora era finalmente giunto il momento di conoscere la verità oltre quella moltitudine di storie diverse che aveva ipotizzato.


TAN TAN TAAAAAAAAN LA PSICOPATICA IS BACK, BACK AGAIN:
Rieccomi, incredibilmente presto wowowo. Non so cosa sia esattamente questo capitolo, beh dal prossimo torniamo col movimiento chicas .
Vorrei ringraziare tutti voi che recensite e leggete il mio aborto letterario.
Un bacione!
-Vit

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