Oltre i confini del tempo

di Miss Fayriteil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La fuga ***
Capitolo 3: *** Il laboratorio ***
Capitolo 4: *** Il primo viaggio ***
Capitolo 5: *** Medioevo? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

15 agosto 1993, Dullingham, Cambridgeshire

Billy Raymond quella mattina era uscito per andare a prendere sua moglie Patricia e sua figlia Abigail, nata la settimana prima, in ospedale, a Cambridge, e riportarle a casa. Era emozionato e avrebbe voluto che tutti conoscessero la sua bambina. Faceva caldo quel giorno e il sole splendeva meravigliosamente invitante, perciò invece di tornare subito a casa decisero di fare prima una passeggiata in paese.
  Mentre camminavano lungo la via principale incontrarono un'altra giovane coppia con un carrozzina. Con l'entusiasmo tipico dei neogenitori nell'incontrare dei loro simili, si fermarono per fare conoscenza.
  «Buongiorno!» esclamò Billy avanzando con quello che sperava fosse un sorriso amichevole e la mano tesa. «Sono William Raymond, Billy. Lei è mia moglie Patricia e nostra figlia, Abigail. È nata una settimana fa» aggiunse con leggero orgoglio.
  «Marcus Jones» rispose l'altro stringendogli la mano. Poi indicò la donna con un cenno della mano. «Mia moglie Annie e lì c'è nostro figlio Parker. Ha tre mesi».
Annie sorrise da dietro degli occhiali da sole squadrati. Aveva i capelli scuri tagliati corti appena sotto le orecchie e con l'abito bianco senza maniche e i sandali di cuoio dimostrava al massimo venticinque anni. Marcus aveva i capelli a spazzola biondo cenere e gli occhi blu come il cielo al crepuscolo. Indossava una camicia a fiori e un paio di bermuda beige con delle scarpe da ginnastica consumate; Pat registrò ogni dettaglio del loro abbigliamento con l'occhio allenato della sarta professionista.
  Lei aveva i capelli castani con sfumature ramate, lunghi e ricciuti che tagliava solo se era strettamente necessario. Gli occhi nocciola e alcune lentiggini sul naso completavano il suo viso che lei amava definire "autunnale". Billy invece aveva i capelli più neri e più lisci che lei avesse mai visto e gli occhi di un verde spettacolare:  non era solo perché era sua moglie che lo considerava incredibilmente bello.
 
 
Alla fine si congedarono da Marcus ed Annie e tornarono a casa.
  «Mi piacciono» fece Pat, mentre toglieva Abigail dalla carrozzina e la portava in casa. «Sarebbe bello continuare a vederci, così Abby e Parker potrebbero diventare amici». Guardò la figlia e le sorrise intenerita «Non è vero, tesoro?»
  Per tutta risposta Abigail si stirò pigramente e chiuse gli occhi. Billy e Pat la guardarono emozionati per un attimo, poi a lei cadde l'occhio sul tavolo del soggiorno, ingombro di carte piene di calcoli apparentemente senza senso, frutto del lavoro del marito, un meteorologo. Gli diede un leggero bacio sulle labbra e gli disse: «Credo sia ora che tu abbia il tuo famoso studio sotterraneo, Ray. Non voglio che la bambina abbia a portata di mano gli attrezzi che ogni tanto ti porti a casa dal lavoro. Potrebbe avere la tentazione di giocarci e non vorrei che si facesse del male».
  «Certo Pat» rispose lui. Era l'unica persona al mondo a poterlo chiamare Ray. In generale non amava i nomignoli derivati dal cognome. «Con uno studio sotterraneo potrò avere finalmente un po' di privacy per lavorare. Farei qualsiasi cosa per Abby e per te. Lo sai».
  «Lo so» sorrise Pat. «E sei fantastico a prenderti sempre cura di noi».
  Mentre andava a preparare il pranzo le capitò di guardare fuori dalla finestra della cucina. Sorrise senza credere ai suoi occhi: lì davanti a lei c'erano Marcus ed Annie che scendevano da una station-wagon carichi di valigie e quando la videro si misero a fare frenetici cenni con le braccia. Billy era in soggiorno e da lì quel lato della strada non si vedeva. Si affacciò sulla porta e lo chiamò.
  «Ray!» lui si voltò verso di lei con aria interrogativa. «Ci sono Marcus e Annie, credo che si stiano trasferendo nella casa di fronte ai Brown! Non è incredibile?»
  «Sì è davvero incredibile» fece Billy uscendo nel giardino inondato di sole. Marcus gli corse incontro mentre Annie portava Parker in casa. Alla fine quello che Pat sperava era successo davvero. Forse Abby e Parker sarebbero davvero diventati amici.

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Capitolo 2
*** La fuga ***


La fuga


 
 
Vigilia di Natale 2000, Dullingham, Cambridgeshire

Erano ormai lontani i tempi in cui Abigail Raymond era una neonata appena tornata a casa dall'ospedale. Ormai aveva sette anni ed era diventata una bella bambina con gli occhi nocciola e i capelli castano-ramati della madre sul viso dal profilo romano del padre. Cinque anni prima era anche nato Brian, il suo fratellino. Lei lo adorava anche se a volte le veniva voglia di fargli qualche dispetto, che però era permesso solo a lei. Guai se qualcuno provava a toccarlo o anche solo a guardarlo male.
  Come auspicato da Pat lei e Parker erano diventati grandi amici e ormai erano praticamente inseparabili, perciò era stato con molta difficoltà che giusto due settimane prima i Raymond avevano dovuto trasferirsi dall'altra parte del paese (che non era molto grande, ma comunque troppo perché due bambini di sette anni potessero incontrarsi da soli), a causa del lavoro di Billy.
  Abby era veramente furiosa con i genitori e nemmeno la promessa di un cucciolo, forse la cosa che desiderava di più in quel momento, come regalo di Natale era riuscita a calmarla.
  «Vi odio!» aveva urlato con quanto fiato aveva in gola e gli occhi pieni di lacrime mentre Pat, con aria supplichevole, cercava di portarla verso la macchina. «Siete i genitori peggiori del mondo! Non voglio venire con voi, voglio stare qui con Parker!» e intanto puntava i piedi sul terreno con i due lunghi codini ai lati del viso che le volavano davanti alla faccia. Parker, dal canto suo, aveva deciso che sarebbe andato con loro, tanto che Marcus quella mattina presto era dovuto andare a recuperarlo dall'automobile dei Raymond e nel pomeriggio lo teneva piangente per le braccia per impedirgli di rifarlo.
 
 
Era dunque la Vigilia di Natale e i Raymond avevano appena finito di cenare e ora Brian chiedeva a gran voce di aprire i regali. Si recarono quindi tutti e quattro in soggiorno, Abby ancora con la faccia scura. Oltre a essere ancora piuttosto arrabbiata con i genitori aveva anche quella particolare ostinazione infantile che le impediva di perdonarli. Il primo regalo era per lei, una scatola di cartone con dei fori. Lei la aprì senza riuscire del tutto a nascondere un sorrisetto di aspettativa all'angolo della bocca: era proprio quello che sperava, un cucciolo di cocker spaniel color caramello che saltò fuori e cercò di leccarle una guancia. Lei lo appoggiò a terra e guardò i genitori. All'inizio era accigliata, ma poi sorrise e corse ad abbracciarli. Il regalo successivo era per Brian, una macchinina telecomandata e lui si mise a saltare dalla gioia. Billy e Pat si guardarono sorridendo e sospirarono di sollievo: la tragedia era passata.
  O almeno, questo era quello che credevano loro.
  Il mattino dopo Brian corse in camera dei genitori, con aria terrorizzata. «Abby non c'è più!» gridò saltando sul letto. Billy e Pat si svegliarono di soprassalto.
  «Cosa, tesoro?» gli chiese lei. Il bambino le salì in grembo e le prese la faccia tra le manine. «Abby è andata via, mamma! Non c'è più! Il suo letto è vuoto!»
  A quelle parole Billy si alzò di scatto e corse in camera della figlia, seguito a ruota dalla moglie. «Ray! Cosa pensi che sia successo? Credi sia scappata? Che abbia cercato di andare da Parker?»
  «Ci metterei la mano sul fuoco» fece lui con aria cupa. Scosse la testa e tornò in camera da letto per vestirsi. «Vado a cercarla» disse. «Tu resta qui con Brian».
  «Io voglio venire con te, papà» protestò lui aggrappandosi alla gamba dei suoi pantaloni. «Per favore, posso venire?»
  Billy guardò Pat e alla fine decisero di andare tutti insieme. Uscirono a piedi per essere certi di guardare dappertutto. Billy faceva dei respiri profondi per cercare di calmarsi ed essere sicuro che non avrebbe aggredito la figlia una volta che l'avessero trovata. Pat invece cercava di non farsi prendere dal panico e Brian trotterellava qualche passo avanti a loro, chiamando Abby a gran voce.
  Fu lui a trovarla. Stavano passando accanto al parco giochi e lui corse dentro, dirigendosi subito alle casette giocattolo. «Brian non è il momento!» esclamò Pat, ma lui la ignorò e disse «Abby! Lo sapevo che eri qui!»
  In effetti all'alba Abby si era svegliata, si era vestita, aveva messo nel suo zaino di scuola dei vestiti, qualche snack e tutti i suoi risparmi ed era scappata di casa. Davanti al parco aveva incontrato Parker che aveva evidentemente avuto la sua stessa idea. Erano entrati nel parco e si erano nascosti lì, con l'idea di rimanerci per molto tempo.
  «Abby!» sentì la voce di suo padre e invece di uscire dalla casetta si rintanò nell'angolo più lontano. «Abby vieni qui!»
  «Non voglio tornare a casa, Parker» sussurrò lei. «Voglio solo stare con te». Parker la raggiunse nel suo angolo e si abbracciarono, con la speranza di rendersi invisibili. «Anche io voglio stare con te» le disse.
  «Abby... Parker... Eccovi finalmente» il volto irritato di Billy si affacciò dall'ingresso della casetta. La bambina sbuffò. «Perché non rispondevi, tesoro? Io, tua madre e tuo fratello eravamo preoccupati da impazzire».
  «Io non voglio tornare a casa, papà. Voglio stare qui con Parker» rispose lei, con aria arrabbiata. «Se non torniamo a essere vicini non tornerò mai più. Rimarrò qui per sempre e diventerò una bambina selvaggia».
  «Sei in città, Abby, per essere una bambina selvaggia dovresti andare nel bosco e non credo sia una buona idea» osservò Billy sedendosi per terra insieme ai due bambini. «Sai nei boschi ci sono molti fiori e non andrebbero bene per la tua allergia. Credo sia meglio se torni a casa con noi».
  «Ma siamo troppo lontani!» protestò Parker. In quel momento arrivò anche Annie che insieme al marito stavano a loro volta cercando il figlio, che ovviamente era scappato di casa. «Mamma, dobbiamo cambiare casa» esclamò lui quando la vide. «Io voglio stare con Abby».
  Alla fine Billy convinse i due bambini a uscire dalla casetta. Pat corse verso di loro e abbracciò stretta la sua bambina. Non riuscì nemmeno a sgridarla, tale era il sollievo di averla ritrovata sana e salva. I quattro adulti si guardarono e sospirarono in coro. Era chiaro che questa situazione non poteva continuare. Avrebbero fatto qualcosa.




NdA: Eccomi con il secondo capitolo! Il primo della storia vera, diciamo. Spero vi piaccia e spero di leggere qualche vostro commento. Buona lettura e, come sempre, have fun!

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Capitolo 3
*** Il laboratorio ***


Il laboratorio


 
 
Settembre 2008, casa di Abigail, Dullingham

Ormai Abigail Raymond e Parker Jones avevano compiuto quindici anni, adesso erano due adolescenti e nel corso del tempo la loro amicizia era gradualmente cresciuta, trasformandosi a poco a poco in un amore acerbo, ma profondo e nessuno era rimasto stupito da questa cosa. Nonostante entrambi avessero altri amici e amiche il loro rapporto era rimasto quello unico che avevano da bambini. Un mese dopo la fuga di casa dei due bambini i genitori avevano cercato una soluzione, così alla fine Marcus e Annie erano riusciti a trasferirsi nella casa accanto a quella dei Raymond senza che il loro lavoro di insegnanti, Marcus alle elementari e Annie alle superiori, ne risentisse. La decisione aveva tranquillizzato i due bambini che da quel momento erano sempre uno a casa dell’altra e la cosa non era cambiata per nulla con il passare degli anni.
  L’anno precedente, in occasione del compleanno di Abby, Parker le aveva chiesto di uscire ufficialmente per la prima volta e da allora le cose erano cambiate in maniera definitiva. Abby considerava ancora Parker il suo migliore amico, ma adesso era anche il suo ragazzo, il che le sembrava la naturale evoluzione del loro rapporto. E la stessa cosa valeva per Parker, naturalmente, ma anche per le loro famiglie.
 
 
  Quel pomeriggio Parker era andato a studiare a casa di Abby, ma erano talmente concentrati che dopo un’ora si trovavano in giardino a rincorrere Dolly, il cocker spaniel di Abby che aveva deciso che i due ragazzi potevano allenarsi tranquillamente per la corsa campestre. Brian era fuori con gli amici, mentre Billy e Pat avevano deciso di approfittare di quel sabato per fare la spesa. Prima che potessero fare qualsiasi cosa, Dolly aveva preso le scale esterne che portavano al sotterraneo; senza pensarci Abby la seguì di corsa con Parker alle calcagna. Fu quando si trovavano ormai sulla soglia dell’unica stanza che occupava il sotteraneo, che Abby si rese conto di quale fosse. Vedeva Dolly ferma in mezzo a un incredibile caos di attrezzi e strani congegni.
  «Oh no» mormorò lei fermandosi di colpo e arretrando di qualche passo. Parker la raggiunse e le mise delicatamente una mano sulla spalla.
  «Che ti prende?» le chiese. Lei si voltò verso di lui con aria preoccupata. «Questo è il laboratorio di papà. Non si può entrare» spiegò.
  «E perché no?» fece lui con aria perplessa. Scuotendo appena la testa fece per entrare, ma Abby lo bloccò con un braccio.
  «Ci sono degli attrezzi pericolosi. È tutto quello che so, infatti non ci sono mai entrata. E nemmeno tu dovresti. Non voglio finire nei guai» rispose. Lui le lanciò un sorrisetto ironico.
  «Andiamo, ora non sei più una bambina. Non credo che ti verrà in mente di giocare con qualcuno di questi aggeggi. E poi dobbiamo recuperare Dolly. Scommetto che se entriamo, prendiamo lei e usciamo subito non ci succederà niente. Tuo padre non saprà nemmeno che siamo stati qui». Allungò la mano, lei esitò, ma alla fine annuì e la prese. Parker entrò per primo con lei dietro, che chiuse gli occhi aspettandosi come minimo che il pavimento si sarebbe aperto sotto i loro piedi per inghiottirli.
  «Hai visto?» disse lui e Abby aprì gli occhi. Erano ancora entrambi tutti interi. «Te l’avevo detto. Non ci è successo niente». Parker aveva appena finito di parlare che si accorsero che Dolly aveva iniziato a giocare con uno degli arnesi di Billy appoggiati sul pavimento. Era una specie di antenna con una base piena di levette e pulsanti.
  Abby gli lanciò un'occhiataccia e si avvicinò a Dolly per recuperare l'antenna. «Stavi dicendo?» gli chiese sarcastica. Parker assunse un'aria leggermente colpevole, ma non aveva il coraggio di muoversi per paura di peggiorare la situazione. Dopo alcuni secondi di tira e molla con la cagnolina, Abby prese in mano l'antenna, con aria soddisfatta. Una volta che l'ebbe afferrata però non resistette alla curiosità e si mise a studiarla affascinata, avendo cura comunque di non toccare niente.
  Fu un attimo: Dolly si alzò sulle zampe per addentare l'antenna e Abby la alzò per allontanarla dalla sua portata, ma nel fare questo spostò inavvertitamente la levetta al centro e prima che uno di loro potesse fare qualsiasi cosa, sparì nel nulla. Parker corse verso il punto in cui si trovava fino a un secondo prima, ma lei non c'era più. Come se non fosse mai esistita.






NdA: Ecco il nuovo capitolo! Non aggiungo altro, se non fatemi sapere cosa ne pensate e have fun!
 
 

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Capitolo 4
*** Il primo viaggio ***


Il primo viaggio
 
Epoca passata, Madrid, Spagna

Abby si  guardò intorno. Mentre sbatteva le palpebre il paesaggio era cambiato. Non si trovava più nel laboratorio di suo padre, ma in mezzo a una strada, in una città che non aveva mai visto. Non era sicuramente Dullingham e nemmeno Cambridge, ma non poteva nemmeno essere una qualsiasi città della Gran Bretagna. Tutto, a partire dal sole era diverso. Era tutto troppo... caldo, troppo mediterraneo. Ad un certo punto notò un manifesto su un muro. C'era una frase sopra, in una lingua che non sapeva tradurre, ma che aveva già incontrato: spagnolo. "Sono in Spagna?" si chiese. "Che cosa accidenti ci faccio in Spagna?"
  Ad un'altra occhiata si rese conto che c'era anche qualcos'altro di strano. Le persone erano vestite con abiti decisamente fuori moda e le automobili sembravano uscite direttamente da un vecchio film in bianco e nero. Nessuno sembrava essersi accorto che una ragazzina vestita in maniera bizzarra fosse appena comparsa dal nulla.
  "Ma dove sono finita? Che cosa è successo nel laboratorio di papà?" in realtà sapeva benissimo che la domanda giusta non era dove, ma quando. In quel momento le cadde l'occhio su un orologio pubblico: erano le tre del pomeriggio. Una notizia interessante, ma non l'aiutava poi molto. Pochi passi più avanti c'era una panchina con sopra appoggiato quello che era inequivocabilmente un quotidiano. Lo prese e lesse la data in cima alla prima pagina: 13 aprile 1965.
  Dovette rileggere più volte per essere sicura di aver capito bene. 1965! Era consapevole di vivere nel 2008 e adesso era il 1965. Non ebbe neanche per un momento la sensazione di sbagliarsi o che tutta la situazione fosse un gigantesco scherzo. L'unica risposta sensata le saltò alla mente «Ho viaggiato nel tempo» mormorò a se stessa. «Quell'antenna che ho toccato poco fa deve rendere possibile il viaggio nel tempo in qualche modo. Non ci posso credere! Devo dirlo a Parker».
  Si paralizzò. Parker. Lui non c'era, ovviamente, non era venuto con lei, probabilmente era ancora nel laboratorio a chiedersi dove diavolo fosse finita. "Devo tornare indietro" decise. Ma come? Invece di farsi prendere dal panico si voltò verso il punto in cui immaginava di essere apparsa.
  E in effetti qualcosa c'era: una specie di tremolio nell'aria, come quando fa molto caldo. E sì faceva caldo, più di quanto fosse abituata, ma non fino a quel punto. Doveva essere quello, in qualche modo doveva essersi aperto un passaggio tra quell'epoca e la sua. Non sapeva se sarebbe rimasto aperto ancora per molto e non voleva certamente rimanere bloccata nel passato. Si avvicinò, infilò un braccio in quella specie di foschia e questo scomparve. Con crescente eccitazione capì di aver avuto ragione e al braccio fece seguire il resto del corpo. Il tempo di un battito di ciglia ed eccola di nuovo nel laboratorio, esattamente come lo aveva lasciato, Dolly sul pavimento, l'antenna lì accanto... Solo un particolare stonava: Parker. Lui era sparito e Abby in cuor suo sapeva che non era semplicemente andato a chiedere aiuto. L'antenna non era esattamente nello stesso punto.
 

 
Qualche minuto prima, laboratorio


Subito dopo aver visto Abby sparire, Parker attraversò varie fasi. In un primo momento pensò di tornare in giardino e chiamare i genitori di Abby, però ebbe paura di mancare il suo ritorno che, ne era certo, sarebbe avvenuto presto. E poi cosa poteva dire loro? «Scusate, signori Raymond, ma vostra figlia è sparita nel nulla». No, non poteva funzionare.
  Prese in braccio Dolly e la portò in cima alla scale e le raccomandò di restare in giardino o di tornare in casa, se voleva. Ma di non andare da nessun'altra parte. Sospirò, almeno lei era sistemata. Scese di nuovo i gradini e rientrò nel laboratorio. Si guardò intorno, sperando di veder riapparire Abby e ad un certo punto lo sguardo gli cadde involontariamente sull'antenna ancora appoggiata a terra. La prese in mano per esaminarla e istintivamente spostò la stessa levetta che aveva toccato Abigail poco prima. Sentì la terra mancargli sotto i piedi, ma solo per una frazione di secondo. E quando aprì gli occhi...




NdA: Eccomi con un nuovo capitolo! Vorrei tanto sapere cosa ne pensate... Grazie a tutti quelli che leggono e have fun!

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Capitolo 5
*** Medioevo? ***


Medioevo?
 


Altra epoca passata, Madrid, Spagna

Parker aprì gli occhi, ma quello che vide lo convinse che doveva riprovare. Perciò li richiuse e dopo circa dieci secondi li riaprì, ma il paesaggio non era cambiato. Il suo primo pensiero fu: "Sono su un set cinematografico?"
  Non stette neanche per un momento a rimuginare sull'assurdità della situazione: quando Abigail era sparita aveva subito capito di avere a che fare con qualcosa di soprannaturale. Ma in quell'istante aveva altro a cui pensare. Era circondato da gente vestita in abiti inequivocabilmente medievali e per quanto assurdo potesse sembrare scartò immediatamente la teoria del set: quelle corte tuniche e calzamaglie, oltre agli abiti lunghi e decorati delle donne avevano qualcosa di strano, di troppo realistico per essere semplici costumi. Le persone stesse decisamente non sembrava che stessero recitando. L'unica spiegazione sensata che gli saltò alla mente fu: ho viaggiato nel tempo? Anche a Abby è successa la stessa cosa? Il signor Raymond ha inventato il viaggio nel tempo?
  Si rese conto della verità di questo pensiero fin troppo presto: la sua comparsa non era passata inosservata come quella di Abigail. Un uomo vestito da soldato gli si avvicinò con fare minaccioso, brandendo una lunga lancia. Parker lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite: sì decisamente ce l'aveva con lui, era impazzito?
  «Quién sois, señor?» ruggì l'uomo. Parker, terrorizzato, alzò istintivamente le mani sopra la testa e balbettò: «M-mi dispiace! Non ho idea di d-dove mi trovo!»
  «Estranjero!» Per qualche ragione la sua frase sembrava aver fatto infuriare ancora di più l'uomo. «Enemigo, fuera!»
  Anche se non capiva lo spagnolo, il ragazzo intuì l'ordine e scappò a gambe levate verso il punto in cui era apparso. Non si era accorto del passaggio, o forse non vi aveva prestato attenzione, fatto sta che ancora correva quando improvvisamente si ritrovò nel laboratorio del padre di Abigail con lei al centro della stanza che lanciò un'esclamazione di sorpresa quando lo vide. «Parker!»
 

Lui senza credere ai propri occhi fece un enorme sorriso e le corse incontro: l'abbracciò stretta e le diede un bacio sulle labbra. Lei questa volta non arrossì come le altre in cui cercava di baciarla, era un'occasione speciale.
  «Ma dov'eri finito?» gli chiese. Lui scosse la testa, incredulo.
  «Tu dov'eri finita! Ti stavo cercando!» rispose. Lei lo guardò con un'aria allo stesso tempo spaventata e incredibilmente eccitata. Gli fece segno di avvicinarsi e gli sussurrò in un orecchio: «Parker, credo di aver viaggiato nel tempo. Anzi ne sono sicura. Ho toccato quell'aggeggio di papà e mi sono ritrovata in Spagna. Ma dico sul serio! In Spagna negli anni '60!»
  «Sì hai viaggiato nel tempo Abby. E anche io! Ma sai qual è la cosa più incredibile? Anche io ero in Spagna! Ma nel Medioevo! E sono quasi stato infilzato dalla lancia di un soldato in calzamaglia!»
  «Papà ha inventato il viaggio nel tempo?» fece Abby incredula. Lo guardò con i suoi grandi occhi nocciola. «Adesso che cosa facciamo?»
 

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