Rinascita dalle ceneri

di piumetta8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La first lady di Forth Marshall ***
Capitolo 2: *** Dopo il temporale torna il sereno ***
Capitolo 3: *** Conoscenze in corsia ***
Capitolo 4: *** Nel limbo ***
Capitolo 5: *** Conoscersi ***



Capitolo 1
*** La first lady di Forth Marshall ***


Essere, in un certo senso, la first lady di Fort Marshall significava aver deposto sul capo una corona immaginaria tempestata da acutissime spine. Quando era diventata la moglie di Michael Holden ed era rimasta incinta era passata , senza batter ciglio, dalla giurisprudenza – e da una futura brillante carriera da avvocatessa harvardiana- a piantare orticelli di ravanelli e a servire tè e pasticcini nella loro casa di Charleston.

Claudia Joy molte volte si era finta radiosa, cercando un equilibrio quotidiano tra devozione e indipendenza. Alla fine, con tanti problemi di salute a tormentarla e la spina più grande della morte di sua figlia a gravarle suo cuore, ce l’aveva fatta.

Era orgogliosa che il suo ruolo non fosse più soltanto quello di tener caldo il cuscino a Michael e quando era stata invitata per un tour nelle basi militari americane stanziate in Germania era partita con la curiosità di una bambina.

Ad Ansbach era stata perfetta ospite e ambasciatrice quanto a Charleston era stata perfetta padrona di casa. Aveva trovato anche il tempo di rilassarsi in quella città della Franconia, nel nord della Baviera, tra antico e moderno.

Era rimasta affascinata dal Residenz , palazzo del tardo barocco ed antica residenza dei margravi e si era divertita, quei primi giorni di luglio, a partecipare al festival rococò e immergersi in quell’atmosfera da Sacro Romano Impero attraverso la rievocazione storica con nobili e cortigiane.


Il viaggio in Europa era stato proficuo ma altrettanto impegnativo tanto che, quell’ultima sera quando le valigie erano già state sistemate ai piedi del letto, al telefono a Michael non era sfuggita la voce stanca di sua moglie.

“Riguardati amore mio!”

“Credo che domani a quest’ora gli unici a dovervi guardare dalla mia furia da casalinga maniaca dell’ordine sarete tu ed Emmalynn, tesoro mio ! Non oso immaginare in che porcile abbiate trasformato la mia bella casetta!”

Aveva soprasseduto Claudia Joy per poi soffiare a Michael un bacio attraverso la cornetta, che superasse i continenti e gli oceani.

La mattina dopo aveva fatto colazione in hotel, poi aveva inforcato gli occhiali da sole e aveva aspettato il taxi che la portasse in aeroporto.


Il volo non sarebbe stato diretto ma erano previsti due scali: uno a Berlino, l’altro a Denver. La donna sperava soltanto che ciò non fosse causa di ulteriori ritardi e, allacciata la cintura, attese il decollo cercando di indovinare le vite dei passeggeri suoi vicini di posto.

Durante il volo transoceanico la stanchezza ebbe la meglio di lei e dormì per buona parte del viaggio. Era un po’ stordita quando atterrarono a Denver ma sorrise quando passò davanti ai murales e si ricordò di come alcune teorie cospiratorie vociassero che si trattasse di oscuri ed inquietanti segni massonici e azzardavano che in quell’aeroporto internazionale ci fossero corridoio che non portavano da nessuna parte.

La signora Holden, invece, pensò di approfittarne per una capatina in qualche duty-free shop per cercare un regalino consono per Emmalynn, che si stava facendo grande, bella e un po’ civettuola come sua sorella Amanda.

Claduia Joy sentì quella spina conficcarsi ancor di più nel suo cuore al pensiero della vita spezzata della sua primogenita.

Si trovava alla cassa a pagare quando non era riuscita più a capire cosa la commessa le stesse dicendo.

“Signora si sente bene?”

Lei aveva iniziato ad incespicare, ad avere le vertigini, farfugliava e poi la vista si era fatta offuscata ed annebbiata. Poi aveva visto tutto nero e aveva perso coscienza.

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Capitolo 2
*** Dopo il temporale torna il sereno ***


Dopo il temporale torna sempre il sereno

Nessun altro proverbio avrebbe potuto fotografare meglio il momento della famiglia Brown: dopo il lungo coma, la faticosa riabilitazione, il falso allarme e il grande sospiro di sollievo, finalmente le vite di Colin, di suo padre e dei suoi fratelli si erano calmate in una quotidianità confortante. Soltanto una cosa li faceva vivere ancora sul filo del rasoio: i periodici controlli a cui il primogenito di Andy doveva sottoporsi.

Quella mattina padre e figlio si erano recati insieme al Saint Joseph Hospital di Denver dove il dottore aveva lavorato per diversi anni e dove aveva passato i mesi più angoscianti della sua esistenza al capezzale di Colin.

Con il cuore stretto per quei ricordi dolorosi di appena un anno prima, aveva accompagnato con gli occhi tutti i movimenti di suo figlio, ridotto ad un filo e uno sguardo sperduto e attonito per l’angoscia crescente di quello che il checkup a cui si sarebbe sottoposto avrebbe potuto rivelare.

“È davvero necessario continuare questi pellegrinaggi a Denver?”

Aveva cercato di sottrarsi a quel fardello la sera prima: lui si sentiva ogni giorno meglio, i mal di testa si facevano sempre più rari, aveva ripreso ad andare a scuola con regolarità, ad andare al cinema con Amy e alle partite di basket con Bright, si proponeva addirittura per fare da babysitter a Delia o di dare supplementari lezioni di guida ad Ephram.

“Tesoro dopo tutto quello che hai passato hai davvero paura di qualche ago e di un po’ di rumore?”

Aveva minimizzato Andy mentre lavava i piatti dopo cena e suo figlio li asciugava

“Appunto perché è passato non voglio riviverlo!” “Vedrai che andrà tutto bene!”


Colin aveva sorriso nervoso a suo padre mentre lo aiutava ad allacciare il camice monouso e poi si era steso sul lettino e si era lasciato sistemare il poggiatesta per sottoporsi ad una TAC cerebrale, mentre il dottor Brown procedeva alla somministrazione del liquido di contrasto.

“Sentirai soltanto un po’ di caldo e poi un po’ di rumore quando il macchinario si metterà in moto. Cerca di restare immobile così otterremo immagini migliori. Sti tranquillo, durerà pochi minuti!”

Quindi il neurochirurgo aveva raggiunto il tecnico radiologo e soltanto a metà esame aveva preso il microfono per interagire con il ragazzo che, percepiva, quanto adesso fosse inquieto e spaventato.

“Ehi Colin lo sai che tuo fratello si è trovato la ragazza?”

Con la testa in quel tubo radiogeno, aveva fatto fatica a far risuonare la sua voce ferma e nitida.

“Ah sì è chi è? Una pronipote di Martha Angerich?”

Quello scambio di battute aveva sciolto la tensione in Colin e il suo sguardo aveva brillato di felicità pura quando suo padre gli aveva comunicato che la TAC era pulita.

“Adesso dobbiamo aspettare soltanto i risultati degli esami del sangue e poi ti ripoterò a casa e non di parlerò di ospedali per i prossimi due mesi! Intanto che ne dici se ti vizio un po’ portandoti a mangiare da McDonald’s?"

Colin si era stretto nelle spalle senza più perdere la spensieratezza ritrovata: adesso si sentiva come dopo le visite dal pediatra quando, se era stato particolarmente ubbidiente, gli davano in premio i lecca-lecca.

“Andiamo perché voglio proprio approfondire la questione dell’innamorata di Ephram. Un milkshake per me se ho indovinato che il mio fratellino non ti ha assolutamente detto nulla dei suoi tumulti di cuore: è un tipo riservato, lo sai bene papà!”

Lo apostrofò scherzosamente Colin, indeciso tra un frappè alla fragola e uno al cioccolato e sul fatto di mettere la pulce nell’orecchio ad Andy sulla vera ragazzina per cui suo fratello si era preso una cotta.


Si stavano avviando all’uscita allegramente quando, passando per il pronto soccorso, furono costretti a cedere il passo ad una barella con una donna sopra.

Il medico urgentista bloccò il Dottor Brown e non gli parve vero di averlo lì a portata di mano.

“Andy non riusciamo a rintracciare l’altro neurochirurgo perciò ci serve il tuo aiuto. Qui abbiamo tutti i sintomi di un ictus!”

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Capitolo 3
*** Conoscenze in corsia ***


Era stato il suo mentore, il dottor Douglas, ad insegnargli ad usare l’acronimo inglese FAST come guida per riconoscere uno stroke, ovvero un attacco cerebrale, e il Dottor Brown si era occupato immediatamente della sua paziente.

Aveva esaminato la debolezza facciale: Claudia Joy non era in grado di sorridere e i suoi occhi e la sua bocca erano cascanti.

Non era in grado di alzare un solo braccio, chiaramente non era in grado di parlare e non riusciva a capire le parole che le venivano dette.

Ogni volta che si trovava dinnanzi ad un caso simile non poteva evitare di paragonare molti sintomi allo stato di suo figlio appena era uscito dal coma e ringraziava il cielo di essere stato così fortunato perché quella condizione non era diventata permanente.

Aveva lasciato Colin in corridoio, assicurandogli che sarebbe venuta Nina a riprenderlo per portarlo a casa e poi era corso a svolgere il suo dovere.


Intanto a centochilometri di distanza, sull’autostrada, Michael Holden teneva lo sguardo fisso sulla strada mentre, sul sedile del passeggero accanto al suo, Emmalynn tremava tutta ma, da ragazzina coraggiosa, resisteva stoicamente a versare anche una sola lacrima.

Era così terrorizzata da quello che avrebbero potuto trovare al loro arrivo a Denver che, in una sciocca superstizione, si era messa a fare un gioco assurdo se non altro per tenere occupata la mente.

-Se il rosso non scatta prima di cinque secondi, allora la mamma ce la farà!

-Se il semaforo è verde al prossimo incrocio, allora arriveremo in tempo almeno per dirle addio!

-Se papà mi mette una mano sulla coscia e mi dice che andrà tutto bene…Allora sarà così! Papà non mente mai!

No, non è vero. Anche quando Amanda era in ospedale mi ha detto che l’avremmo riportata a casa invece è morta. Mia sorella è morta. Mia madre sta morendo…

“Mi sento come quel giorno. Come quando è morta Amanda!”

Alla fine Emmalynn aveva dato voce alle sue paure più recondite e Michael aveva avuto un brivido nel constatare come ci fossero molte coincidenze con quel dannato giorno. Grazie alla praticità di Denise, i due Holden erano riusciti a trovare un volo notturno Charleston-Colorado Springs, non ce n’erano di diretti per Denver, così al loro arrivo avevano noleggiato un auto per quell’ora di viaggio.

“Tua madre è una roccia, tesoro! Non ci lascerà…”

Non aveva aggiunto altro e aveva pigiato sull’acceleratore per fare più in fretta mentre, finalmente, Emmalynn cedeva ad un pianto di sfogo.


Nina era arrivata in ospedale insieme ad Ephram e a Colin, dopo quell’attesa trascorsa in compagnia di brutti pensieri, aveva fatto piacere avere con sé suo fratello. “Papà dovrà restare a lavoro per tutta la notte. Forse è il caso che andiamo a casa!”

Proprio in quel momento erano giunti, tutti trafelati, Michael Holden e sua figlia che, spaesati ed ansiosi, si erano fiondati alla reception a chiedere informazioni. “Vorremmo notizie su Claudia Joy Holden…Meade!”

Aveva ritenuto opportuno aggiungere suo marito non sapendo se fosse stata registrata con il suo cognome da nubile. L’identità era stata accertata dai documenti di riconoscimento che la donna teneva in borsa.

“Sì si è sentita male in aeroporto. Adesso il dottor Brown la sta visitando… È in ottime mani!”

L’infermiera receptionist aveva cercato di tranquillizzare, con un sorriso di circostanza, i parenti allarmati. Michael aveva preso per mano Emmalynn e l’aveva condotta a sedere vicino ad Ephram e a Colin.


Era soprattutto il primo ad essere rimasto colpito dall’espressione smarrita, attonita ed assente della giovane: non lo ricordava ma, probabilmente, anche lui aveva quell’espressione sconvolta ed inebetita il giorno del suo recital, il giorno dell’incidente. Quando ancora non sapeva che sua madre era morta e suo fratello in coma e il Dottor Abbott aveva cercato di confortarlo come meglio poteva, in quell’abisso di dolore profondo.

Aveva avvertito la mano di Colin posarsi sulla sua spalla.

“Va tutto bene?”

“Sì!”

Poi avevano fatto silenzio e udito le parole che Michael Holden rivolgeva alla ragazza.

“Aspettati qui tesoro. Io cerco di avere notizie più precise…Appena so qualcosa torno subito da te, promesso!”

Emmalynn sarebbe voluta essere l’ombra di suo padre ma non aveva la forza di muovere un muscolo per obiettare, così aveva annuito accondiscendente e si era rannicchiata sulla poltroncina della sala d’aspetto.

Ephram aveva fatto cenno a Colin ed entrambi avevano scalato i pochi posti vuoti che li separavano dalla graziosa sconosciuta. “Ciao!”

Emmalynn aveva levato, scettica, gli occhi su Ephram domandandosi probabilmente cosa diavolo volessero da lei.

“Non temere, prima l’infermiera ha detto la verità: tua madre è nelle mani migliori di Denver…anzi di tutto il Colorado!”

Aveva interferito Colin con un sorriso che l’aveva imbarazzata un po’. Lei aveva una certa urgenza e non sopportava più di restare nel dubbio, inoltre quei due sembravano essere piombati lì ad importunarla nel momento più inopportuno.

“Conoscete così bene questo dottor Brown?”

Fece sarcastica.

“Ha operato al cervello anche me l’anno scorso.”

Rivelò tranquillamente Colin. Ephram sospirò e, per assurdo, ad Emmalynn scappò da sorridere.

“E poi lo conosciamo da ben lunghissimi diciotto anni! È nostro padre!”

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Capitolo 4
*** Nel limbo ***


Claudia Joy era sempre stata scettica riguardo a quella luce bianca che, dicono, accompagni le persone in pericolo di vita.

Eppure dopo la tragedia dell'Hump Bur, nei giorni successivi alla deflagrazione di quel rudimentale ordigno che aveva sconvolto per sempre la sua vita, mentre lottava in ospedale, aveva vissuto una sorta di vita parallela.

E, adesso, eccola di nuovo alle prese con un'esperienza premorte...


Si trova nel giardino dietro casa, con in testa un cappello a falda larga e le mani che profumano di terra appena smossa mentre concima le sue ortensie apicali.

Una risata cristallina, giovane, allegra si propaga nell'aria profumandola di futuro e di speranza.

"Mamma vieni!"

La ragazza che le sta difronte, a piedi nudi sul prato, è bellissima: i lunghi capelli corvini sono sciolti sulle spalle nude, la gonna scampanata del floreale vestitino estivo le solletica le ginocchia, i denti brillano sul viso malizioso, i piedi scalzi danzano sull'erba.

"Amanda! Sei tornata per me?"

Claudia Joy la prende per mano e una felicità incommensurabile le invade il cuore a quella stretta calda e delicata che anela da tanto. Amanda continua a ridere come un folletto e la conduce vicino alla quercia dove, tanto tempo fa, Michael aveva montato su un'altalena per lei ed Emmalyn.

"No mamma, non è ancora arrivato il momento che tu mi segua. Il tuo posto è ancora qui, con papà e con Emmalynn. Con tutte le persone che ci vogliono bene!"

Aveva riaperto gli occhi faticosamente ma il ricordo delle parole della sua Amanda, adesso, erano uno scudo contro il dolore fisico mentre l'infermiera la accoglieva con un:

"Bentornata tra noi, signora Holden!"


Intanto, nel corridoio, Michael era impegnato con un colloquio chiarificante con il medico che aveva salvato sua moglie. Emmalynn stava accanto a suo padre, provata e attenta, decisa ad indagare ogni parola di quella diagnosi che veniva delucidata.

"“I sintomi dell’ictus variano in base alla localizzazione e all’estensione dell’area del cervello danneggiata. Di solito il disturbo interessa un solo lato del corpo, dalla parte opposta rispetto alla lesione cerebrale!”

Il Dottor Brown sembrava un'enciclopedia Treccani ma, vedendo lo smarrimento sui visi dei familiari della signora Holden, si ricordò di come fossero state le due parole più semplici a restargli impresse il giorno dell'incidente: Julia morta; Colin in coma.

Cambiò registro.

“Abbiamo eseguito una TAC cerebrale e la ripeteremo tra 48 ore. Abbiamo eseguito anche un elettrocardiogramma e, poiché si tratta di un ictus ischemico, abbiamo optato per una terapia farmacologica che consiste nella somministrazione , per via endovenosa, di un farmaco trombolitico che ha la capacità di sciogliere il trombo e ripristinare così il flusso di sangue nell’area interessata! Vostra moglie è in buone mani, generale Holden!"


Passato lo spavento, adesso che la situazione era più nitida, Emmalynn si concesse di accendere il suo cellulare e trovò le innumerevoli chiamate di Denise, Roxy, Pamela, Roland...Insomma dei loro amici e di tutti quelli che gli volevano bene.

Doveva riordinare le idee prima di rispondere a tutti...Anche perché zia Denise minacciava di prendere il primo aereo disponibile per raggiungerli!

Michale Holden, invece, si avvicinò con discrezione al Dottor Brown che stava per tornare dalla sua paziente.

"Dottore vorrei restare con mia moglie questa notte!"

"Non ci sono limitazioni di orario e non ci sono problemi!"

"Veramente io ho un problema: saprebbe indicarmi un posto dove far alloggiare mia figlia? Non mi va che resti tutta la notte su una panca della sala d'aspetto!"

Il Dottor Brown guardò la ragazza circondata, con discrezione, dai suoi due figli e non ci pensò due volte prima di rispondere:

"Se si fida abbastanza dell'uomo che ha curato sua moglie, posso prendermi cura anche di sua figlia!"

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Capitolo 5
*** Conoscersi ***


“Io sono Emmalyn e vengo da Charleston, nella Carolina del Sud!”

Seduta sul sedile posteriore dell’auto, soltanto quando Nina si era fermata ad una pompa di benzina per far rifornimento, finalmente la ragazzina smarrita si era resa conto di non essersi ancora presentata.

“Io sono Colin!”

Il primogenito dei Brown si era voltato verso di lei per stringerle la mano.

“E io Ephram!”

Anche il ragazzo che le sedeva vicino le aveva sorriso gentile rendendo meno forte l’imbarazzo di lei di trovarsi con dei perfetti sconosciuti.

“È un nome particolare!”

“La nostra famiglia è per metà ebrea! Una volta a casa conoscerai anche la nostra sorellina Delia!”

Emmalyn non sapeva cosa aggiungere : probabilmente in altre circostanze non le sarebbe dispiaciuto approfondire la conoscenza di quei ragazzi così cortesi e a modo con loro ma il pensiero della sua mamma e la situazione grottesca in cui era finita inibivano ogni tentativo di far conversazione.

A salvarla ci aveva pensato Nina.

“Io invece mi chiamo Nina. E sono la vicina di casa di questi veri gentiluomini! Vedrai che ti troverai bene con noi, tesoro!”


Non le aveva detto una bugia!

Emmalyn si era sentita davvero a casa, come se avesse fatto parte di Everwood da sempre, perché avevano cercato fin da subito di metterla a proprio agio e anche i piccoli Delia e Sam l’avevano coccolata come una sorella maggiore durante la cena imbastita in tutta fretta a casa Feeney, soprattutto dopo che Nina aveva spiegato loro che quella ragazza era tanto triste e aveva bisogno soprattutto di sorrisi.

Quando la stanchezza aveva avuto la meglio su tutti, i giovani Brown avevano portato la bella ospite a casa loro.

Con l’aiuto di Nina, i ragazzi avevano dato una sistemata alla camera degli ospiti ,che non veniva usata quasi mai, anche se Emmalyn aveva protestato dicendo che anche il divano le sarebbe andato bene. Tanto non sarebbe riuscita a chiudere occhio comunque!


Dopo che i fantasmi del passato erano tornati a bussare alla loro porta, Ephram e Colin non se l’erano sentita di restare da soli.

Da bravi fratelli maggiori avevano letto la favola della buonanotte a Delia e, quando la bambina si era addormentata, avevano deciso di aspettare insieme il ritorno del Dottor Brown.

“Posso appoggiarmi al tuo letto mentre aspettiamo che papà torni?”

Ephram non aveva avuto nulla in contrario ma, poiché Colin era il più provato da quella giornata, suo fratello si era presto addormentato sul suo letto.

Per lasciar riposare tranquillamente almeno lui, il secondogenito Brown era sceso in salotto.

Qui aveva sorpreso la loro ospite che aveva tirato fuori dalla borsa una foto e la stava letteralmente inondando di lacrime.

Erano lei e Claudia Joy che sorridevano felici all’obiettivo su una pista di ghiaccio e mostravano il segno di vittoria dopo un successo della squadra di hockey di Emmalyn.

Ephram non voleva disturbarla ma aveva fatto un movimento maldestro richiamando l’attenzione della ragazza.

“Scusa non volevo fare il ficcanaso! Se vuoi stare da sola me ne vado subito!”

“No, resta! Credo di aver bisogno di un po’ di compagnia dopo tutto quello che è successo nelle ultime ventiquattro ore!”


Ephram si era avvicinato cauto e si era seduto vicino a lei sul sedile imbottito del divano. Gli occhi gli erano caduti sulla foto.

“Lei è la tua mamma?”

Emmalyn aveva annuito e poi aveva intercettato la foto sul caminetto che ritraeva Julia bella, elegante, sorridente.

“E la tua mamma, invece, dov’è?”

Ephram aveva sorriso triste ma poi aveva risposto con quella sottile ironia che lo aveva contraddistinto sempre, anche nelle prove più dure.

“Se dovessi credere a quello che dice il reverendo Keys è in cielo! È morta lo scorso anno in un terribile incidente!”

La ragazza ne era sinceramente dispiaciuta ma non voleva usare le solite frasi scontate e banali. Capiva il dolore di quel quasi nuovo amico ma, allo stesso tempo, si sentiva incredibilmente fortunata perché la sua mamma era viva. Perché lei non avrebbe perso Claudia Joy!

“Tu sei una sportiva?”

Ephram aveva cambiato discorso, additandola nella foto dove indossava la divisa della squadra del suo liceo.

“Forse allora andrai più d’accordo con Colin che con me! Lui e i suoi amici hanno la fissa per il basket, il football e qualsiasi cosa in cui ci sia un pallone di mezzo! A me invece piace di più la musica!”

Emmalyn aveva allora notato il bel pianoforte in palissandro alla parete e si era ricordata anche delle parole con cui i due fratelli l’avevano convinta che il Dottor Brown fosse il meglio che potesse capitare agli Holden in quel di Denver.

“Perché il coperchio è chiuso? Deduco che non ti eserciti da un bel po’!”

“Colpevole! La verità è che l’ultimo è stato un anno terribile: mia madre è morta mentre veniva al mio recital. Colin era con lei ed è rimasto ferito gravemente!”

Emmalyn aveva sospirato poi, inaspettatamente, gli aveva preso una mano tra le sue.

“La conosco quella sensazione sai? Quel vuoto che ti lascia la scomparsa di una persona cara! Anche mia sorella Amanda è morta un paio di anni fa mentre nostra madre l’accompagnava al college con il bagagliaio dell’auto colmo di valigie e di sogni per il suo futuro. Non sono mai arrivate.

Si sono fermate ad un Bar di Charleston e lì un pazzo ha pensato bene di vendicarsi di sua moglie facendosi esplodere come un Kamikaze, incurante delle vittime innocenti che avrebbe provocato! Poteva essere una strage ma per fortuna molti se la sono cavata con delle ferite più o meno gravi. Amanda non ce l’ha fatta!”

Entrambi i ragazzi erano con gli occhi lucidi ma parlare così, a cuore aperto, delle loro esperienze li aveva in qualche modo aiutati a placare un po’ quel cumulo di dolore che portavano nel cuore.

Ephram le aveva allungato un fazzoletto.

“Basta piangere, su! Vedrai che ti troverai bene qui, ogni tanto penso che Everwood e tragedia siano sinonimi!”

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