Completamente connessi

di semolina
(/viewuser.php?uid=60365)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


“ Allora….” Gabby la stava guardando incuriosita mentre riforniva l’ambulanza, sapeva che anche se stava cercando di fare la disinvolta non avrebbe resistito  a lungo sotto lo sguardo indagatore della collega.

“Allora...cosa?”

“ Come cosa?! non hai niente da raccontarmi ?”

“ raccontarti?! No, non mi pare...no”

“ Non fare la finta tonta…. Anche se Hermann non mi avesse detto che vi ha visti ieri sera al Molly’s la tua faccia ti avrebbe tradito comunque…”

Sylvie si immobilizzò, rimanendo con in mano un pacco di garze sollevato a mezz’aria, maledicendo Hermann per la sua lingua lunga e la sua faccia per essere così rivelatrice; con il volto in fiamme guardò Gabby imbarazzata.

“ Non so cosa ti abbia detto Hermann ma non è successo proprio niente ieri sera al Molly’s!”

“oh davvero?! quindi non hai avuto un appuntamento con mio fratello eh…”

“ un appuntamento?! ma no! mi ha solo offerto da bere… e solo dopo il mio discorso…”

Gabby rimase in silenzio in attesa che la bionda continuasse a parlare.

“ ehm, beh.. ho… diciamo che ho seguito il tuo consiglio e ho ribattuto alle motivazioni che mi aveva dato in caserma l’altro giorno, secondo le quali non potevamo uscire insieme….” disse tutto d’un fiato senza mai alzare la testa dal pannello che stava riordinando. L’altra sorrise di sottecchi e alzando un sopracciglio chiese:

“ e….gli hai fatto cambiare idea?”

Sylivie alzò le spalle e inarcò un lato della bocca in una smorfia confusa

“ Non saprei… mi è sembrato, almeno per un momento…. infatti mi ha chiesto se poteva offrirmi da bere...”

Spostando la smorfia da un lato all’altro della bocca lasciò cadere il discorso a metà.

“ Ti ha offerto da bere e se n’è andato?” Chiese Gabriella ironica.

“ no, no..certo che no. Abbiamo passato la serata insieme, chiaccherando… del lavoro, degli hobby… insomma del più e del meno. è stato...bello. O almeno così la penso io.”

“ e poi…” Era snervante, le doveva cavare le parole di bocca una ad una.

“e poi niente.” finì la bionda un po’ delusa.

Gabby stava per chiedere delucidazioni riguardo a quel “niente” ma l’altoparlante della caserma le interruppe.

Incidente stradale multiplo. Vicino al ponte. Erano richiesti tutti: ambulanza, camion, squadra e il capo. Entrambe scattarono e in pochi secondi stavano già sfrecciando sulla strada.

 

Durante il ritorno dall’ospedale, dove avevano accompagnato il conducente di una delle auto coinvolte con una brutta contusione alla testa, Gabriella tentò di riportare la conversazione al punto dove l’avevano interrotta in caserma.

“ Quindi… tornando a noi… dopo le chiacchere al bar… cosa avete fatto?”

“ niente.” Rispose Brett asciutta.

“niente. Niente di niente…” Era decisamente perplessa da quella risposta. Certo non si aspettava una proposta di matrimonio ma qualcosa di più di semplici chiacchere sul tempo, quello sì.

“ Quindi vi siete dati la buonanotte e …” insistè

“ Uno a destra, uno a sinistra ce ne siamo tornati alle nostre auto. Sono tornata a casa e sono andata a dormire. Tutto qui. Niente, quindi.”

“ Non ci credo… mi vorresti dire che nessuno dei due ha accennato ad una nuova uscita o ad una cena...qualcosa…”

“ no..” Sylvie sospirò rumorosamente “ evidentemente non è interessato...come aveva detto.”

Gabriella decise di non insistere oltre vedendo la delusione sul volto della collega; si ripropose però di parlare con Antonio appena possibile per capire cos’era successo visto che la storia del “non sono interessato” non reggeva affatto.

Per il resto del tragitto rimasero in silenzio, attente soltanto ai loro pensieri.

 

Parcheggiata l’ambulanza al solito posto le due ragazze si diressero verso l’interno della caserma per mangiare qualcosa e rilassarsi un minuto ma appena varcata la porta Connie si affacciò nella stanza comune annunciando perentoria:

“ Dawson. tuo fratello al telefono. sembra urgente.”

Gabriella si guardò intorno come per chiedere se qualcuno sapesse qualcosa in più ma ricevendo soltanto sguardi confusi si mosse veloce verso l’ufficio di Connie. Sylvie dal canto suo era rimasta immobile vicino alla porta d’ingresso con lo sguardo fisso verso il punto dove Gabby era appena sparita; Stella attirò la sua attenzione:

“Brett! Ehi Brett...cos’è successo? sai qualcosa?”

“No..non so niente. Siamo appena tornate dal Med.”

“Oh, ok! Forse non è niente...è solo che, quando Antonio chiama ho sempre un tuffo al cuore”

“Già...a chi lo dici.” Sospirò mentre si accomodava sulla sedia di fronte a Stella e si allungava a prendere il giornale.

Dopo qualche minuto Gabriella entrò nella stanza col volto scuro, senza guardare nessuno in particolare chiese dove fosse Casey; Otis, guardandola preoccupato, la informò che era appena uscito e che probabilmente lo avrebbe trovato vicino al camion 81. Ringraziato Otis, uscì veloce come il vento chiudendosi la porta alle spalle lasciando i suoi colleghi in un’atmosfera gelida. Brett e Kidd con un’occhiata d’intesa si alzarono contemporaneamente dai loro posti e la seguirono all’esterno senza fiatare; la trovarono che parlava con il compagno vicino al camion, rimasero in disparte per tutta la durata della conversazione e si avvicinarono solo alla sua conclusione.

“Gabby, tutto ok? Cos’è successo?” chieste Stella

“ Se possiamo fare qualcosa...”continuò Sylvie.

“Ehm.. no, grazie ragazze. Non c’è bisogno. Devo solo passare al distretto a prendere mio nipote… dovrà stare da me per qualche tempo..” rispose in tono tranquillo.

Dopo aver udito quelle parole le altre due sorrisero sollevate che non si trattasse di qualcosa di più preoccupante.

“ Ok, bene. Da come sei uscita dall’ufficio sembrava grave…” sospirò Stella.

“ Come mai dovrà stare da voi?” chiese Brett all’amica.

“ Laura non c’è in questi giorni e Antonio..beh… pare che gli abbiano affidato una missione sotto copertura..” Spiegò Gabby. Nel frattempo Matt le raggiunse e appoggiando una mano sulla schiena della fidanzata le disse:

“ Ho parlato con Boden al telefono. Puoi andare anche adesso a prendere Diego. Mancano solo due ore alla fine del tuo turno e pare che Taylor abbia acconsentito ad anticipare il suo turno per coprirti.”

“Fantastico. Allora scappo subito a prenderlo. Così eviterà di vedere suo padre andarsene di nuovo…”

Stampò un bacio sulla guancia del tenente, un cenno alle ragazze e corse via.

I colleghi la guardarono entrare in caserma di fretta, il silenzio fu rotto da Casey che con un cipiglio preoccupato si rivolse a Sylvie.

“ Brett...tutto ok? sembri scossa”

“ Ehm...sì, sì, certamente. é che Gabby mi è sembrata davvero turbata, nonostante cercasse di apparire serena..” balbettò la bionda.

“ é preoccupata per Diego.. l’ultima volta che ha visto Antonio partire sotto copertura non è stato facile…” Le spiegò Matt gentilmente.

“ Lo credo bene..” concluse.

 

Le due ore successive passarono lentamente nella più assoluta tranquillità, caso raro alla caserma 51;finito il turno Sylvie raccolse le sue cose e salutati tutti salì in auto per andarsene a casa.

 

Arrivata davanti al suo appartamento notò un uomo seduto sui gradini davanti alla porta. Lo riconobbe all’istante. I jeans scuri, la maglietta grigia aderente e il giacchetto di pelle erano inconfondibili. Come anche i suoi capelli scuri pettinati all’indietro e il suo modo di tenere le braccia appoggiate sulle ginocchia.

Il cuore, fatta una capriola, accelerò il suo battito, sentì lo stomaco attorcigliarsi e le gambe farsi molli. Inspirò e espirò profondamente aria dal naso, deglutì e scese dall’auto.

“ Ehi… ciao” disse, con una voce che tradiva il suo imbarazzo, appena si trovò ai piedi dei gradini dove era seduto il detective.

“ che ci fai qui?”

“ Ehi.. ciao. Ehm… volevo parlarti un attimo se non ti disturbo…” rispose, anche lui un po’ impacciato.

“ Certo… non disturbi affatto… vuoi… vuoi salire?”

Lui alzò lo sguardo sulla bionda e con un mezzo sorriso accettò l’invito.

Sylvie sentì una vampata di calore salirle al volto appena gli occhi del poliziotto incrociarono i suoi. Distolse lo sguardo prima che la sua faccia tradisse definitivamente la sua agitazione e si concentrò sulla ricerca delle chiavi.

Una volta trovate le afferrò decisa, con un gesto veloce le estrasse dalla borsa e le sollevò in alto come un atleta che alza la coppa sul podio.

“ Trovate!!” esclamò alzando anche la testa. Nello stesso momento Antonio si alzò in piedi e si ritrovarono faccia a faccia. Lui serio e composto. Lei con il braccio alzato e uno sguardo di trionfo un po’ ebete stampato sul viso.

Sylvie abbassò svelta la mano con le chiavi e si perse negli occhi scuri e profondi di Antonio. Fu un attimo. Le sembrò di sprofondare. Involontariamente sorrise, timida. Sbattendo le palpebre interruppe quel contatto così magnetico, si morse le labbra, salì gli ultimi due gradini e infilò le chiavi nella serratura. Entrò per prima tenendo poi aperta la porta, come ad invitarlo ad entrare. Il poliziotto si strinse nelle spalle e la oltrepassò. Per un secondo le parve che lui sorridesse di nascosto.

 

Una volta entrati nell’appartamento Sylvie chiuse la porta dietro di sé e appoggiò la borsa sul mobile vicino all’appendiabiti dove aveva già agganciato il suo cappotto.

Fece strada verso il soggiorno e con un gesto delicato della mano invitò Antonio a sedersi, mentre lei si diresse verso la cucina domandando:

“ Posso offrirti qualcosa? una birra, una soda o… semplicemente dell’acqua..”

“ No grazie, sono a posto così…” rispose l’uomo mentre si guardava intorno.

Era sicura che l’agitazione che provava in quel momento fosse talmente palese che si rifugiò con la testa dentro al mobile dove teneva i bicchieri, così da voltargli le spalle e poter riprendere il controllo di se stessa. Prese due bicchieri e li appoggiò sul tavolo. Antonio guardava ogni movimento della ragazza, notò che,nonostante avesse rifiutato una qualsiasi bevanda, lei stava sistemando sul tavolo due bicchieri, una bottiglia di acqua e un paio di birre. Si ritrovò a sorridere del tentativo della bella paramedico di nascondere l’imbarazzo che invece le si leggeva perfettamente sulle guance, divenute di un bel rosa acceso. Cercò di metterla a suo agio facendo qualche osservazione riguardo l’appartamento.

“ Carina la casa… anche il quartiere non sembra male..”

“ Grazie.. è piccola ma è pur sempre casa! Il quartiere me lo aveva consigliato Gabby. é abbastanza vicino alla caserma e sembra decisamente tranquillo.” rispose ringraziandolo mentalmente per aver interrotto quel silenzio pesante.

“ Quindi… cosa ti ha portato fino agli scalini del mio palazzo?” azzardò.

“ Beh.. ecco.. volevo solo dirti che… dovrò andare sotto copertura per un po’...” in quel momento era lui ad essere in imbarazzo

“ Infatti Gabby e Matt dovranno tenere Diego per qualche giorno…”

“ Sì, lo so. Me lo ha detto…. è una missione pericolosa?” i suoi occhi non erano più abbassati sulle mani che tenevano il bicchiere ma erano piantati dritti in quelli del detective. Azzurri come il cielo senza nuvole, come l’acqua di un mare tropicale. Continuò a guardarla, dimentico quasi della domanda che lei gli aveva rivolto, notando ogni sfumatura di quegli occhi così magnetici e dolci. Non riuscendo più a sostenere il suo sguardo Sylvie si voltò per guardare fuori dalla finestra, cercando di far decelerare il suo battito cardiaco e di non pensare che Antonio era ancora lì, di fronte a lei.

“ Non più pericolosa di altre…” si riscosse distogliendo lo sguardo da lei. “ ma non potrò mettermi in contatto con nessuno al di fuori degli altri dell’intelligence”

“ Lo immaginavo… e per quanto tempo dovrai rimanere sotto copertura?”

“ Dipende…pochi giorni, poche settimane...dipende da quanto sono veloce a trovare prove o altro..” il suo tono mutò in favore di uno professionale e distaccato.

“ Capisco… non deve essere facile allontanarsi così da tuo figlio..o da Gabby. Posso solo immaginare come ci si possa sentire..” Sorrise dolcemente.

“ No, non è facile per niente. Anche per chi rimane a casa.” i loro occhi si incrociarono di nuovo, il silenzio calò pesantemente nel piccolo appartamento. Lei vide chiaramente quanto fosse gravato dal peso di questa nuova missione, comprese la preoccupazione che si era dipinta sul viso della collega quando aveva ricevuto la notizia per telefono e provò un dolore sordo al cuore.

“ Per questo non ti ho chiesto di uscire insieme di nuovo…” sussurrò Antonio guardandola dolcemente “ non so quando potrò…”

“ Oh, certo. Non preoccuparti per questo, non ci pensare” lo rassicurò la ragazza posandogli una mano sul braccio appoggiato al tavolo.

“ Ci penso invece…” coprì la piccola mano con la sua, calda e ruvida. “ Non voglio tu pensi, anche lontanamente, che ieri sera non sia stato benissimo con te… è stata una serata adorabile.” continuò senza lasciarle la mano.

“ Non voglio che tu pensi che non sono interessato..” Sylvie trattenne il fiato.

“ Perchè lo sono.. al cento per cento”.

 

Chiuse la porta e vi si appoggiò contro sospirando, un sorriso raggiante le si dipinse sul volto, gli occhi brillavano sognanti; rimase con la schiena e le braccia a contatto con la porta chiusa per un tempo indefinito, ripensando alle parole di Antonio le sembrò che il petto si riempisse di gioia fino a scoppiare, quella sensazione si diffondeva lungo tutto il suo corpo, nelle braccia, nelle gambe facendola tremare.

“Perchè lo sono.. al cento per cento”.

Non faceva che sentire quelle parole nella sua testa, continuamente, non riusciva a pensare ad altro, solo quelle poche parole le riecheggiavano nella mente. Cercò di rivivere quel momento: ogni respiro, ogni sguardo, la sensazione della sua mano sull’avanbraccio del poliziotto, il calore della sua mano ruvida sopra la propria, il modo in cui la stringeva come ad enfatizzare quelle parole, come ad assicurarle quanto quello che stava dicendo fosse vero, la sua voce profonda, il silenzio che ne era seguito, la felicità che l’aveva invasa. Ne era sicura; quel momento l’aveva fatta sentire davvero felice, quel momento, lo sapeva, le avrebbe alleggerito ogni giornata pesante soltanto ricordandolo, quel momento le avrebbe tenuto compagnia ogni volta si fosse sentita sola. Quel momento sarebbe stato suo per sempre.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Ecco qua il secondo capitolo. Non credevo di essere capace di scrivere tanto e così velocemente ma mi sento decisamente ispirata. Spero di appassionare qualcuno con questa fan fiction e di ricevere qualche recensione con suggerimenti o critiche in modo da migliorarmi. Beh..buona lettura.

___________________________________________________________________

 

Era stata una settimana davvero stressante per tutti, lunga e pesante come ce ne sono poche; i volti provati dei suoi colleghi ne erano la prova inconfutabile. L’ultima chiamata poi era stata davvero dura. Quell’incendio mostruoso vicino alla scuola elementare aveva coinvolto almeno quattro ragazzini; la squadra di Severide era stata fantastica ed era riuscita a tirarli fuori dalle fiamme tutti quanti ma David, il bambino con la felpa a righe verdi e blu, era davvero messo male. Quando il tenente era uscito dall’edificio con il bimbo in braccio tutti si erano accorti di quanto fossero gravi le sue ustioni. Gabriella era corsa verso di lui e, insieme a Sylvie, si era subito messa a lavoro; velocemente lo avevano caricato sull’ambulanza, la bionda era salita con lui mentre l’altra si era messa al volante e come un fulmine si era diretta verso l’ospedale. Una volta arrivate, Maggie, informata delle condizioni del paziente, le aveva condotte al letto numero tre, dove il Dott. Halstead e il Dott.Choi le stavano già aspettando. Una volta lasciato il bambino nelle mani esperte dei medici, Brett e Dawson erano riuscite a respirare di nuovo.

Quando rientrarono in caserma Boden e tutti gli altri chiesero notizie.
“ è messo davvero male… lo abbiamo affidato a Will ed Ethan..ma nessuno dei due si è sbilanciato in previsioni rosee” informò Gabby, gettandosi sul divano a fianco di Matt che le passò un braccio intorno alle spalle. Sembrava esausta. Sylvie con il volto tirato si versò una tazza di tè e a sua volta si sedette completamente priva di energie. Mouch le diede una pacca d’incoraggiamento sulle spalle e si sedette vicino a lei, un silenzio stanco calò in tutta la caserma. Il turno di quel giorno finì senza altre chiamate e alle 18:00 piano piano iniziarono tutti a defluire verso l’uscita. Sylvie decise di farsi una doccia prima di andare a casa, così da non portarsi dietro quella brutta giornata; nello spogliatoio trovò Stella.
“ Ehi..finalmente è finita!”
“ Già! finalmente! Sembrava non volesse finire questa giornata maledetta..” le rispose la bionda mentre apriva l’armadietto per prendere l’occorrente per la doccia
“ Maledetta è dire poco… novità sul ragazzino di oggi?”
Sylvie scosse la testa rassegnata. Si sentiva uno straccio.
“ Ancora no. Ma Will è stato piuttosto chiaro… ci sono poche speranze che recuperi al 100%..” Spiegò all’altra che si stava infilando il cappotto.
“ Mi dispiace. Davvero… so quanto prendi a cuore i casi come questo…” Stella le posò una mano sulla spalla cercando di confortarla.
“ Grazie… Sto ancora cercando di imparare a rimanere distaccata...per fortuna che c’è Gabby…” Si passò una mano tra i capelli e iniziò a sciogliere la treccia che li teneva in ordine. La collega sorrise:
“ Già, Gabby è davvero forte….comunque, prima ha detto che oggi sei stata tu la superstar. Ha detto che sei stata fenomenale con quel ragazzino e che se è ancora vivo è solo merito tuo…” Sylvie la guardò riconoscente e sentì le guance colorarsi.
“ Troppo buona..”
“ Prendi il complimento e basta Brett!” la rimproverò dolcemente il pompiere. Strinse un po’ la sua spalla, le fece l’occhiolino e se ne andò.

Sylvie rimase ancora qualche secondo seduta sulla panca davanti al suo armadietto pensierosa poi entrò sotto la doccia. Entrata sotto il getto dell’acqua calda sentì lo stress accumulato sulle spalle sciogliersi, farsi meno pesante ed opprimente; alzò la testa per ricevere il getto direttamente sul viso, sperando che cancellasse le immagini di quel bambino straziato dal fuoco come le onde cancellano le orme sulla sabbia. Lentamente si distrasse dagli eventi della giornata e i suoi pensieri corsero subito a quella sera, ormai lontana due settimane; la malinconica stanchezza sembrò abbandonarla, lasciando il posto ad una tranquilla sensazione di pace interiore. Respirò profondamente come si fa in alta montagna dopo aver passato mesi interi nel traffico intenso della città, per purificare i polmoni e anche la mente.
Una volta completata la doccia si asciugò accuratamente i lunghi capelli biondi e li raccolse in uno chignon disordinato, mise tutte le sue cose al loro posto e si vestì per uscire. Salutò i colleghi del turno successivo al suo, si strinse nella sciarpa di leggero cotone e tornò a casa. Durante il tragitto in auto però cambiò idea sulla destinazione; svoltò a destra dopo il semaforo e dopo una decina di minuti alla guida si concentrò nella ricerca di un parcheggio.

Una folata di aria calda, carica di profumi dei cocktail, le investì le narici appena aperta la porta del locale; una miriade di luci gialle illuminavano il soffitto rendendo l’atmosfera accogliente e rilassante; era stata un’ottima idea fermarsi al Molly’s per una bevuta. Si diresse verso il bancone dietro il quale Otis ed Hermann stavano già discutendo su chi di loro avrebbe dovuto mettere a posto il macello che si stava già accumulando nel retro, tra bottiglie vuote, bicchieri sporchi e altro, una scena che fece ridere Sylvie e la fece sentire a casa; infatti, ormai, aveva imparato che quei battibecchi tra loro facevano parte della quotidianità della caserma 51 e di conseguenza del locale da loro gestito. Sylvie si sedette su di uno sgabello e rimase in silenzio ad ascoltarli divertita, fino a quando Otis non la notò:
“ Ehi Brett!! Ciao! Scusaci, è tanto che aspetti?” chiese allegro il pompiere con i baffi.
“ Non molto. Però è stato divertente guardarvi bisticciare come una vecchia coppia!” Rise di gusto, mentre Otis ed Hermann la guardavano un po’ contrariati.
“ Ok… mi sa tanto che stasera Brett non abbia voglia di bere niente…” annunciò Otis sarcastico con un tono di voce talmente alto che sembrava volesse rendere partecipe dello scherzo tutti i presenti.
“ Ok, ok, ok! La smetto!! che permaloso che sei..” Sylvie alzò le mani per arrendersi, dipingendosi sulla faccia un’espressione finta colpevole.
“ E va bene… sei perdonata. Ma solo perchè sei tu. Cosa ti porto da bere?” disse Hermann con lo straccio sulla spalla come d’abitudine.
“ mmmm… prenderò una birra.”
“ Bene, arriva subito.”
Mentre il ragazzo coi baffi pronunciava queste parole Stella e Kim entrarono nel locale portandosi dietro un soffio d’aria fresca.
“ Salve ragazze, che vi porto?!” Le salutò Brian da dietro il bancone con il suo solito sorriso che metteva in mostra tutti i denti.
“ Ciao Otis! Per me una birra, per te Kim?” rispose Stella accomodandosi ad un tavolo libero.
“ Birra anche per me grazie! Ehi Sylvie ti unisci a noi?!” disse la poliziotta.
“ Ciao ragazze! Sì, volentieri.” Si alzò dal suo posto per sedersi insieme alle altre due donne che subito chiesero entrambe notizie del bambino rimasto gravemente ustionato quel pomeriggio.
“ Ancora non so niente. Will mi aveva detto che se c’erano novità mi avrebbe tenuta informata, quindi mi immagino che sia ancora in terapia intensiva..”
“ Speriamo si riprenda… comunque non parliamo di cose tristi… parliamo d’altro..”
In questo modo Stella deviò la conversazione su altri argomenti e le tre iniziarono a parlare tra loro amabilmente. Dopo un’ora di chiacchere Sylvie si scoprì assonnata e decise che era arrivato il momento di andarsene a casa, salutò le amiche, i due barman e uscì. Salita in macchina si ricordò di non avere più caffè in casa e che si era dimenticata di comprarlo la mattina al supermarket, si colpì la fronte col palmo della mano e dandosi della svampita guidò in cerca di un negozio ancora aperto. Lo trovò dopo quindici minuti buoni, scese di nuovo dall’auto e si diresse verso il negozio, il quale, notò la ragazza, si trovava in una parte della città che non visitava molto spesso.

Quando aprì la porta del piccolo locale, dei campanelli tintinnarono per annunciarla e un uomo pelato e sudato spuntò da sotto il banco dove era appoggiata una vecchia cassa e un mucchio di cianfrusaglie canterine, che saltavano e giravano su se stesse. Sylvie venne squadrata da capo a piedi e si sentì in imbarazzo per il modo in cui quell’uomo la stava guardando, come se le stesse facendo una radiografia approfondita.
“ Buonasera, avete del caffè in grani?” chiese gentilmente come suo solito.
“ Sì, lo trova in fondo al corridoio vicino alle barrette di cioccolato” rispose il commesso con voce roca, la bionda ringraziò e andò a cercare il caffè che le serviva. Mentre stava osservando gli scaffali alla ricerca dell’oggetto sentì i campanelli tintinnare nuovamente, qualcuno aveva aperto la porta e stava chiedendo qualcosa all’uomo pelato. Alzando un poco lo sguardo, vide un uomo biondo, con una barba folta, anch’essa bionda tendente però, al contrario dei capelli, al rossiccio avvicinarsi al bancone; l’uomo indossava un paio di jeans chiari, strappati al livello delle ginocchia, degli stivaletti di pelle nera, che portava slacciati come se se li fosse infilati al volo e non avesse avuto tempo di legarli. Sylvie staccò gli occhi dallo sconosciuto e tornò a cercare il caffè percorrendo lo scaffale fino in fondo al negozio. Dopo un attimo, proprio vicino alle barrette di cioccolato, scorse le varie scatole, si mise ad osservare il ripiano con attenzione, muovendosi di lato lentamente, scorrendo le dita sulle varie etichette, cercando di scegliere. Improvvisamente sbattè contro qualcuno che evidentemente stava cammiando senza guardare come lei.
“ Oh! Scusi tanto..non stavo guardando!” si scusò prontamente, certa di essere nel torto; contemporaneamente anche l’altra persona pronunciò delle scuse:
“ Oh..mi scusi non l’avev…” la frase non fu completata a causa della sorpresa che provò appena si accorse chi era la ragazza contro la quale aveva sbattuto; a lei erano bastate quelle quattro parole per riconoscere il proprietario di quella voce, anche senza alzare gli occhi per guardarlo.
“ Antonio..” sussurrò trattenendo il respiro. Lo guardò, sorpresa di trovarlo lì, come se fossero passati anni, come se volesse assicurarsi che fosse sempre lui, nonostante  i capelli pettinati in altro modo e con indosso abiti diversi dal solito. Si sorprese a sorridere quando realizzò che non era cambiato affatto.
“ Sssh!” Il poliziotto le intimò di fare silenzio appoggiandosi l’indice sulle labbra e le indicò di allontanarsi ancora un po’ dall’entrata del negozio in modo da non essere visti parlare. La sospinse dietro una piramide fatta con le scatole dei cereali da colazione in offerta e parlò a voce bassa:
“ Ciao… cosa ci fai qui?”
“ Mi manca il caffè a casa...tu, piuttosto, cosa ci fai?”chiese di rimando.
“ Al mio amico..beh, amico non è proprio la parola giusta...mancavano le sigarette ed eravamo nei paraggi..non posso dirti molto di più..”
“ Oh, ok.. come stai?” il fatto di averlo così vicino non aiutava certo la respirazione a tornare normale ma si sforzò di sembrare tranquilla.
“ Direi bene…” Entrambi non riuscivano ad aggiungere altro. Lo sguardo di Antonio era così penetrante che Sylvie si sentì completamente in balia di lui; in quel preciso istante avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa e lei avrebbe accettato senza pensarci su. Rimasero con gli occhi incatenati gli uni agli altri per qualche secondo poi, sempre sussurrando, l’uomo le disse:
“ Ora devo andare… Se tu potessi dire a Gabby che mi hai visto e che sto bene mi faresti un favore..”
“ Certo! Certo che glielo dirò…” Il momento di congedarsi era arrivato e qualcosa le morì dentro.
“ Grazie….ora devo proprio andare.. ciao..” Antonio uscì da dietro la piramide di cereali per tornare al bancone dove il suo “amico” stava pagando le sigarette, Sylvie restò dov’era cercando di riprendere fiato. Chiuse gli occhi per concentrarsi sul ritmo del suo cuore, che sembrava avesse deciso di uscirle dal petto; quando li riaprì vide che lui stava tornando indietro, verso di lei. Le sfuggì un sorriso di bambina.
Era tornato indietro perchè non poteva andarsene senza dirle quanto, vederla, avesse reso quell’inferno che era la sua vita nelle ultime settimane un po’ più sopportabile.
“ è stato bello vederti..” mormorò semplicemente il poliziotto, a pochi centimetri dal suo viso, sorridendo dolcemente, non riuscendo ad esprimere a parole tutte le sensazioni che si stavano facendo spazio nel suo petto.
Erano così vicini che potè sentire il suo fiato sulla guancia, assaporarne il calore, osservare ogni linea del suo volto, perdendo completamente la nozione di tempo e spazio.
Erano così vicini che i loro nasi avrebbero potuto toccarsi in qualsiasi momento e questa consapevolezza rendeva così difficile allontanarsi da lei per tornare al suo lavoro da fargli desiderare di mandare tutto all’aria; ma il terrore che, in qualche modo, quell’uomo che aveva accompagnato a comprare le sigarette potesse accorgersi di lei, collegarla a lui  e potesse farle del male gli diede la forza per allontanarsi dal quel viso d’angelo, da quegli occhi color cielo di primavera che nelle ultime due settimane avevano monopolizzato i suoi pensieri e i suoi sogni.
Sylvie ancora con i pensieri confusi, il battito accelerato e il respiro corto guardò il detective allontanarsi e uscire dal negozio; ripreso il controllo del proprio corpo afferrò un pacchetto di caffè, pescando a casaccio sul ripiano dello scaffale, pagò e tornò alla sua auto. Per quasi tutta la notte non fece altro che pensare a quell’incontro, a quell’uomo che aveva il potere di renderla incapace di intendere e di volere solamente avvicinandosi, alle sensazioni che aveva provato quando aveva riconosciuto la sua voce, alla bellezza dei suoi occhi scuri.

Aggiunse quel “ è stato bello vederti” alla lista delle cose che la rendevano felice davvero.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Stavano rientrando in caserma dopo una chiamata semplice; una donna anziana era caduta nella doccia e si era fratturata un braccio, quando Gabby, sempre con gli occhi fissi sulla strada, le chiese:
“ Sei più riuscita a vedere Antonio?”
“ No, mi dispiace. Dopo quella sera al negozio, non l’ho più visto..sinceramente non saprei neanche dove trovarlo..” rispose un po’ sconsolata l’altra.
“ Dio...sono quasi tre settimane…” parlando più a se stessa che alla collega.
“ Già.. è bella lunga questa missione, non ti sembra?”
“ Troppo lunga. Non era mai stato lontano così a lungo...devo confessarti che comincio a preoccuparmi sul serio.” Sylvie aveva notato ormai da diversi giorni lo stato d’animo dell’amica ma non aveva mai approfondito, sapendo che quando avrebbe avuto voglia o bisogno di parlare con lei, Gabby lo avrebbe fatto da sola.
“ Mi immagino.. ma Lindsay non ti ha fatto sapere niente di nuovo?”
“ L’ho chiamata ieri sera, dice sempre la stessa cosa: che si è messo in contatto con loro e che sta bene. Ma questa volta non mi è sembrata tranquilla nemmeno lei… Ho provato a insistere ma non ho cavato un ragno dal buco.” Con una mano si sistemò il ciuffo sulla fronte, nervosa, a Brett sembrò di vedere gli occhi dell’altra riempirsi di lacrime; si sentì inutile come non mai, con malinconia e rassegnazione si appoggiò allo schienale del sedile e guardò fuori dal finestrino. Non sapeva proprio come fare a consolare Gabriella, non riusciva a nascondere la sua di preoccupazione figurarsi trovare parole di conforto per lei. Lasciò che il silenzio invadesse l’abitacolo dell’ambulanza fino all’arrivo alla 51. Scesero dal veicolo e raggiunsero gli altri nella sala.
“ Gabby.. tutto ok?” Chiese Matt alla fidanzata appena varcò la soglia, visibilmente preoccupato.
“ Sì, una chiamata semplice. Un’anziana signora con un braccio fratturato.” rispose andando a sederglisi vicino. Il tenente stava per aggiungere qualcos’altro ma la voce metallica dell’altoparlante lo anticipò.

Ambulanza 61, camion 81, squadra 3, Battaglione capo. Auto in fiamme a seguito di una sparatoria con la polizia.

Tutti si prepararono velocemente a rispondere alla chiamata e dopo poco ogni mezzo chiamato in causa stava sfrecciando per le vie di Chicago. Arrivati sul luogo Boden iniziò ad impartire ordini deciso e ognuno di loro iniziò a lavorare secondo le sue direttive. Si resero subito conto di non essere le sole ad essere state chiamate; altre due ambulanze erano già arrivate e i paramedici erano già a lavoro. Gabby si diresse verso uno di loro per chiedere a che punto fosse la situazione e cosa avrebbero dovuto fare per agire più velocemente e senza intralciare chi già stava lavorando.
“Ehi! Salve ragazze.” le salutò cordiale “ Allora, la situazione è questa: i più gravi sono già stati portati all’ospedale più vicino e quelli che sono rimasti o sono morti oppure hanno per lo più ferite superficiali… Potreste occuparvi del lato est, laggiù.” Spiegò loro indicando con un cenno della testa a cosa si stava riferendo.
“ Certo! ok, ci pensiamo noi, grazie John.” Risposero quasi in coro.
“ Date un’occhiata anche agli agenti. Fanno i duri ma sicuramente in mezzo a questo macello sarà rimasto ferito anche qualcuno di loro…” Concluse il paramedico senza smettere di prendersi cura della gamba di una donna in evidente stato di shock.
Dawson e Brett si avvicinarono alla zona indicata loro e subito notarono il detective Olinsky, piegato sulle ginocchia, una mano all’altezza del petto e una smorfia di dolore dipinta sul volto; l’agente Ruzek gli era di fianco, ancora con l’arma in pugno, intento ad assicurarsi che stesse bene.
“ Detective, è ferito?” Chiese la mora.
“ Ehi! Dawson, Brett...grazie! Per favore date un’occhiata ad Alvin. Quello stronzo lo ha preso in pieno!!” Spiegò loro, visibilmente preoccupato ed ancora pieno d’adrenalina.
“ Ci pensiamo noi adesso! Tranquillo.” lo rassicurò Sylvie mentre si chinava sul poliziotto insieme alla collega, che gli stava dicendo:
“ Ok, adesso ci sediamo un attimo..ok, piano.. e ti diamo una controllata”
“ Non importa, sto bene. Per fortuna avevo il giubbotto antiproiettile, mi ha salvato la pelle..” ribattè Olinsky prima di emettere un gemito di dolore quando Gabby gli  tastò il costato.
“ Già..per fortuna! Ma questo non significa che non ci sia la possibilità che tu ti sia rotto una costola. Dobbiamo portarti al MED, c’è bisogno di una radiografia.”
“ Ok...ok...Prima però date una controllata anche agli altri qui, io posso aspettare..”

Passò almeno un’ora, durante la quale controllarono ogni ferita, ogni contusione, ogni minimo graffio di ognuno dei poliziotti che erano rimasti coinvolti nella sparatoria, accertandosi di non tralasciare niente, prima di tornare dal detective per accompagnarlo al più vicino ospedale,visto che, alla fine, Olinsky, era risultato il più ammaccato. Mentre si dirigevano verso l’ambulanza assistettero al macabro scenario degli agenti della scientifica che portavano via i corpi senza vita dalla strada, improvvisamente Sylvie si immobilizzò: gli occhi sgranati in un’espressione impaurita, rivolti verso uno dei corpi riversi.
“ Brett! Che stai facendo?... Ehi! Sylvie!!” Gabby la chiamò decisa, scuotendola per un braccio. La ragazza non si mosse, lo sguardo ancora fisso sul corpo di un uomo biondo, con una barba folta, rossiccia.
“Sylvie! Cosa succede?” chiese apprensiva “ Per l’amor del cielo, Brett, dimmi qualcosa!”
“ Quell’uomo…” Balbettò la bionda con un filo di voce “ quell’uomo...io...io...lo conosco…”
“ Conosci chi? Quale uomo?” La mora si guardò intorno perplessa.
“ Quello lì….quello a terra…” indicò il corpo dell’uomo biondo a poca distanza da loro. “ jeans strappati e scarponcini slacciati…” precisò.
Gabby e Olinsky guardarono nella direzione indicata dalla ragazza, cercando di capire a chi si riferisse. Immediatamente il detective la interrogò bruscamente.
“ Lo conoscevi? In che modo?”
“ Io… io.. non lo conoscevo… l’ho visto soltanto una volta..” precisò.
“ Si tratta dell’uomo che era con Antonio…” Il resto delle parole le morirono sulle labbra.
Gli altri due si irrigidirono, sorpresi e increduli; Olinsky trattenne a stento una smorfia di panico, afferrò Brett per le braccia con entrambe le mani, la voltò verso di sè per guardarla dritta negli occhi.
“ Hai visto Antonio? Ne sei sicura?” la sua voce adesso era fredda e dura.
“ Sì…” Deglutì e cacciò via le lacrime che minacciavano di scenderle sul viso.
“ Dove? Quando? Sei sicura che fosse con quest’uomo?” La incalzò, stringendole le braccia sempre più forte.
“ In un negozio...sulla S. ..la settimana scorsa… venerdì… e sì, sì,era con quell’uomo..” Rispose pianissimo, iniziando a tremare come se la temperatura, improvvisamente, fosse scesa sotto lo zero; non riuscendo più a trattenere le lacrime, che ormai le stavano rigando le guance, chiese:
“ Lui dov’è?” il detective allentò la presa su di lei.
“ Antonio dov’è?”

Il distretto 21 era piuttosto affaollato quando Sylvie e Gabby arrivarono; un via vai di gente entrava e usciva dalle varie stanze, una fila di persone, che aspettavano, visibilmente annoiate, di essere ricevute, si allungava nella piccola sala d’attesa, altra gente invece era intenta a contestare qualcosa con i poliziotti, vicino alla porta d’entrata. Le due si guardarono intorno un po’ smarrite ma subito vennero chiamate dal sergente Platt, che si trovava al suo posto dietro il desk.
“ Salite pure al piano di sopra. Ho già avvisato i ragazzi del vostro arrivo.” Le informò la donna.
“ Grazie Trudy.” Risposero all’unisono.
Salirono le scale che portavano agli uffici dell’intelligence senza fiatare; il silenzio regnava sovrano al piano superiore, interrotto soltanto dal ticchettio delle dita sui tasti dei computer e dai passi agitati del detective Halstead che percorreva la stanza avanti e indietro, una mano sul fianco e una dietro la nuca, pensieroso; la porta dell’ufficio di Voight invece era chiusa. Appena salirono l’ultimo gradino, le ragazze si trovarono al centro dell’attenzione di tutti gli agenti, i quali smisero di fare ciò che li stava occupando fino a quel momento. Sguardi preoccupati, mormorii di saluto, cenni d’intesa accolsero i due paramedici; Erin Lindsay si alzò veloce dalla scrivania ed andrò dritta da Gabby, abbracciandola stretta, salutò anche l’altra e con un sorriso tirato fece loro strada verso una stanza con al centro un tavolo con delle sedie, passando vicino alla lavagna, incrociò lo sguardo con il fidanzato. Una volta dentro, invitò le due a sedersi e chiuse la porta dietro di sé.
“ Eccoci qua..” Si sedette anche lei al tavolo,di fronte a loro. 
“ Dunque.. Olinsky mi ha già detto della vostra conversazione,Sylvie.. Adesso però, avrei bisogno che tu mi raccontassi, molto attentamente, tutto ciò che è successo quella sera, quando hai incontrato Antonio. Dove ti trovavi, l’orario, in che modo vi siete incontrati, con chi era, eccetera. Ok? Non tralasciare niente.”
“ ok. Certo.” rispose, poi abbassando un po’ gli occhi iniziò a raccontare per filo e per segno il suo incontro col detective Dawson. Erin la guardava attenta a  non perdersi neanche una parola, interrompendola ogni tanto per chiedere precisazioni.
“ Questo è tutto. Mi dispiace di non essere venuta subito qui ad informarvi, ma non mi era sembrata una cosa così importante da riferirvela.. mi dispiace così tanto!” Appoggiò la testa tra le mani, mortificata; Gabby le passò un braccio sulle spalle consolatoria.
“ Non essere sciocca! Non era certo una conversazione tale da doverla riferire alla polizia..Tranquilla! Non hai fatto niente di sbagliato” la rassicurò la detective dolcemente; Gabby invece si irrigidì e decisa chiese:
“ Perchè, invece, adesso è così importante?”
Lindsay abbassò lo sguardo colpevole.
“ Abbiamo perso i contatti con Antonio…” confessò.
Entrambe ebbero un tremito; Gabby, evidentemente terrorizzata, sbarrò gli occhi rimanendo come pietrificata, Sylvie alzò la testa dalle mani di scatto, mostrando gli occhi arrossati.
“ Come è potuto succedere?” Il tono della Dawson era duro.
“ Gabby.. ascolta.. non è raro che si perdano i contatti con un agente sotto copertura. Vedi, solo loro possono mettersi in contatto con noi.. Noi non siamo in grado di farlo. Se Antonio non si sta facendo sentire, molto probabilmente, è perchè non ha modo di chiamare senza destare sospetti o far saltare la copertura.” Spiegò pacatamente. “ Antonio è un detective straordinario.. Questo silenzio radio non vuol dire che sia in pericolo.”
“ Da quanto tempo?” Gabby non era persuasa a lasciar correre. Sylvie, completamente nel panico, intuì che la risposta di Erin sarebbe stata un colpo durissimo per entrambe. La poliziotta sospirò affranta.
“ L’ultima volta che si è fatto vivo con noi è stato domenica scorsa…”
“ Forse è per questo che mi ha chiesto di dirti che stava bene..perchè sapeva già che non avrebbe potuto darti sue notizie per un po’..” disse Sylvie, cercando di sembrare più convincente possibile; Erin la ringraziò con un’occhiata riconoscente. Aveva mentito alla sorella del detective per tutta la settimana, dicendole che avevano avuto notizie del fratello quando non era vero, ma sperava di rimettersi in contatto con lui al più presto, senza dover aggiungere altre preoccupazioni alla sua famiglia.
“ Dovete trovarlo.” sentenziò con un groppo alla gola la Dawson. “ in qualunque modo.”
La poliziotta strinse le mani della ragazza con decisione.
“ Lo troveremo. Questa è una promessa.”
La determinazione nell’espressione di Erin era talmente palese che impedì alle altre due di dubitare di lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Et voilà, il quarto capitolo è completo. Spero vi piaccia.

 

Erano stati quattro giorni d’inferno per Sylvie; dopo il colloquio con Erin Lindsay non era più riuscita a non pensare alla scomparsa di Antonio; perché fondamentalmente era di questo che si trattava: era scomparso. Lasciando Sylvie in preda al panico. Era consapevole di non avere un ruolo nella vita del detective, non era sua sorella, né tanto meno sua moglie, ma si sentiva ugualmente partecipe del dolore di Gabby. Era perennemente in uno stato di angoscia, si trovava spesso ad asciugarsi le lacrime quando pensava a lui, la paura di non vederlo mai più le attanagliava lo stomaco fino a piegarla in due dalla sofferenza; era triste, inconsolabile, per la maggior parte del tempo, anche i colleghi si erano accorti del suo stato d’animo e dopo i primi momenti, durante i quali avevano provato a consolarla si erano arresi a vederla con il volto pallido e gli occhi arrossati, impotenti. Riusciva ad uscire dal suo triste torpore soltanto quando lavorava; quando la voce metallica all’altoparlante annunciava del lavoro per l’ambulanza 61, facendosi coraggio e una leggera violenza psicologica, svuotava la mente da tutti i pensieri riguardanti Antonio Dawson, riuscendo così a concentrarsi per aiutare le persone in difficoltà, risultando agli occhi della gente professionale, appassionata, gentile e preparata come suo solito. Questo solo fino a quando la porta della caserma si chiudeva dietro di lei, chiudendosi dietro anche tutta la professionalità e l’autocontrollo, sprofondando in uno sconforto così profondo da lasciarla senza forze. Non riusciva a fare nient’altro se non lavorare; in quei quattro giorni non aveva scherzato con i colleghi, non aveva praticamente mai parlato con loro, non era mai andata al Molly’s la sera per svagarsi un po’, non aveva scritto neanche una parola del libro del quale era coautrice con Mouch; niente di niente. Non era nemmeno andata a trovare Gabby, alla quale Boden, visto la situazione, aveva accordato dei giorni di permesso. Non avrebbe saputo cosa dirle e sicuramente sarebbe scoppiata a piangere, rendendo tutto più penoso; dopotutto chi era lei per Antonio?

 

Scese dall’ambulanza e si diresse lentamente verso l’interno della caserma; il suo turno era finito, poteva tornarsene a casa. Silenziosa oltrepassò la sala e andò dritta negli spogliatoi per spogliarsi della divisa, indossare i suoi abiti e andarsene. Aprì la porta e trovò Stella seduta sulla panca, intenta ad allacciarsi le scarpe.

“ Ehi… ciao.” la salutò piano la donna. “ Com’è andata l’ultima chiamata?”

“ Ciao.. Bene. Grazie.”

Si stava già allontanando quando l’altra proseguì:

“ Ehi Sylvie. Vuoi dirmi cos’è che ti turba tanto?”

“ Niente, davvero.” Trattenne il fiato e le le lacrime che già minacciavano di scenderle sul volto.

“ Dev’essere un niente davvero tremendo se ti lascia in questo stato.” Ironizzò Stella.

“ Forse parlarne con qualcuno ti farebbe bene… Non credi?”

“ Non saprei..” le parole uscirono in un sussurro appena udibile “.. da dove iniziare.”

“ Che ne dici di iniziare dal soggetto?” la mora si voltò verso di lei, mettendosi a cavalcioni della panca. “ Antonio.” la anticipò.

Sylvie sgranò gli occhioni azzurri per la sorpresa, guardò il pompiere, ma non riuscì a formulare nessuna frase.

“ Credi che non lo sappia? Mi ero già accorta che c’era qualcosa tra voi quando, quella volta al distretto, lui mi chiese come stavi…” Chiarì pacata.

“ Non c’è niente tra noi, Stella. Cosa ti viene in mente..” Provò a ribattere.

“ Davvero? Ma non siete usciti insieme?”

“ Non…. mi ha soltanto offerto da bere, una volta.” Affermò sconsolata.

Stella capì che stava dicendo la verità, e quanto questa verità la rendesse triste.

“ Ma per te è stato qualcosa di più, giusto? E adesso sei preoccupata...beh, forse preoccupata è un eufemismo..”

Sylvie non rispose. Deglutì, cercando di trattenere il fiume di lacrime e si sedette vicino all’altra.

“ Ehi… Non tenerti tutto dentro.. Parlami… Non ce la faccio a vederti in questo stato!” La donna avvicinò il viso a quello dell’amica, provando a guardarla negli occhi. Le scostò una ciocca ribelle, che era sfuggita alla coda di cavallo, mettendogliela dietro l’orecchio. Sylvie non ce la fece a trattenersi oltre e scoppiò in un pianto disperato ma composto; il volto coperto dalle mani, china sulle ginocchia.

Stella la prese tra le braccia come si fa con i bambini ed iniziò a cullarla dolcemente, lisciandole i capelli con una mano, nel tentativo di calmarla.

“ Tesoro… va tutto bene! è un uomo grande e grosso, vedrai che sta bene..”

La bionda tra un singhiozzo e l’altro le raccontò dei loro due incontri, quello a casa sua e quello nel piccolo market, e cercò di farle capire quanto si sentisse colpevole.

“ Stai scherzando spero?! Non puoi incolparti! Come puoi anche minimamente pensare una cosa del genere?!” Le asciugò le lacrime con una mano, cercando di ricomporla.

“ Ascoltami bene.. Non hai fatto niente di cui incolparti.. Chiaro? E non credere che, siccome non hai legami di parentela con lui, non ti sia concesso essere spaventata, o preoccupata… Capito?!”

“ Ok…” sussurrò piano.

“ Sono sicura che anche Gabby la pensa esattamente come me…” Si alzò dalla panca per andare a prendere un pezzo di carta per darla alla bionda, in modo che potesse asciugarsi meglio la faccia e magari soffiarsi il naso.

“ Adesso ti alzi,” le disse porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. “ ti cambi, magari ti fai una bella doccia calda e vai da Gabby. Così parlate. E chissà che non abbia già delle buone notizie. Che ne dici?”

Per tutta risposta Sylvie l’abbracciò stretta, lasciando che il gesto parlasse al suo posto.


Seguì i consigli della collega e dopo essersi cambiata uscì, decisa ad andare da Gabriella. Lungo il tragitto però dovette cambiare strada, visto che la B. era chiusa per lavori straordinari, e si ritrovò a vagare per le vie di Chicago, persa. Maledì la sua scarsa conoscenza della città e si concentrò nella guida, guardandosi a destra e a sinistra alla ricerca di un luogo conosciuto in modo da raccapezzarsi. Dopo venti minuti abbondanti, rassegnata, si fermò sul lato della carreggiata; aveva intenzione di utilizzare il gps sul cellulare così da non vagare ancora a casaccio per la città, rischiando di fare troppo tardi. Spense il motore e frugò nella borsa alla ricerca del cellulare; trovatolo, tornò a sedersi composta sul sedile dell’auto. Un’insegna luminosa attirò la sua attenzione. Era l’insegna di un piccolo market, molto simile a quello dove aveva incontrato Antonio qualche settimana prima. Un’idea le attraversò la mente come un fulmine. Cancellò l’indirizzo che aveva appena iniziato a scrivere e ne digitò un altro, una volta caricato il percorso, mise in moto e guidò spedita secondo le indicazioni del navigatore. Si ritrovò davanti al Molly’s, ma non si fermò, non era quella la sua destinazione. Cercò di tornare con la memoria a quel venerdì sera, impegnandosi a ricordare la strada che aveva percorso per arrivare al negozio dove aveva comprato il caffè. Dopo un paio di tentativi lo trovò.

Aprì la porta, il tintinnio dei campanelli le diede il benvenuto, dietro alla cassa vide l’uomo pelato che, stavolta, non la degnò d'uno sguardo. Sollevata, richiuse la porta dietro di sé e si diresse verso lo scaffale del caffè, una volta raggiunto si guardò intorno speranzosa. Rimase per un attimo ferma davanti alla piramide fatta con le scatole di cereali da colazione, con il cuore che batteva forte, nervosa come se stesse per debuttare a Broadway, le mani leggermente sudate. Sbirciò dietro la costruzione di cartone sentendo i suoi battiti cardiaci rimbombarle nel petto. Non c’era niente; e tantomeno nessuno. Sospirò delusa; chissà poi cosa credeva di trovarci là dietro. Si sentì una sciocca. Restò ancora qualche minuto a fissare il vuoto davanti a se, tormentandosi un labbro con i denti. Quando sentì dei rumori alle sue spalle; si voltò piena di aspettativa. Vide però l’uomo pelato che stava rifornendo un ripiano dello scaffale, estraendo da una scatola dei piccoli oggetti rettangolari; camminava lentamente nella sua direzione, borbottando perplesso:

“ Io vorrei sapere che gli danno a ‘sti giovani… questa è già la seconda che becco imbambolata davanti allo scaffale...ma badate che gente!” parlava sottovoce, tra sé e sé, scuotendo la testa rassegnato. Sylvie arrossì di colpo, intuendo di essere il soggetto del suo bofonchiare; poi una lampadina si accese nella sua testa. Fece dei passi in direzione del commesso e titubante cercò di attirarne l’attenzione.

“ Ehm.. mi scusi, posso chiederle se per caso… un uomo… coi capelli scuri..in questi giorni.. magari è passato di qui..” balbettava imbarazzatissima.

“ Ma sentite questa...ma che domande sono?! come se ne venisse solo uno di uomo con i capelli scuri in questo negozio…” Commentò l’uomo irritato, guardandola con disgusto. “ Vorrei  tanto sapere che ci mettono nel caffè oggigiorno!” Esclamò come conclusione, ritirandosi velocemente verso l’entrata del negozio, come se avesse paura di essere contagiato dalla ragazza. Sylvie, confusa, lo osservò mentre si allontanava, tornando al suo posto; non credeva che una semplice domanda, anche se stupida, ammise, e balbettata, potesse scatenare una reazione del genere. Buttò fuori l’aria rassegnata e mosse dei passi in direzione dell’uscita, quando le cadde l’occhio sulle confezioni di caffè. Subito le parole del commesso le risuonarono in testa:
“ Vorrei tanto sapere che ci mettono nel caffè oggigiorno!”

Si avvicinò allo scaffale e si concentrò sui vari pacchetti, studiandoli a fondo, non sapendo neanche esattamente cosa cercasse o sperasse di trovare. Con disappunto non notò niente di particolarmente interessante, fino a che, distrattamente, non spostò la prima confezione della fila. Dietro di essa un piccolo foglietto bianco spuntava timido da sotto un altro pacchetto di caffè.

Guardò quel pezzo di carta come se fosse un forziere pirata pieno di pietre preziose e dobloni d’oro; sentiva una sensazione dolce e calda invaderle tutto il corpo, un timido sorriso allargarsi sulle labbra. Non lo aveva ancora toccato, né tanto meno letto, ma era fermamente convinta che fosse un messaggio lasciato da Antonio; e ciò significava che lui stava bene, era vivo, da qualche parte. E allora perché esitava così? Un maledettissimo dubbio si insinuò nella sua mente:

“ E se fosse soltanto un foglio bianco qualsiasi? oppure uno scontrino dimenticato?o semplicemente una cartaccia?”

Ritirò la mano che aveva allungato per prenderlo verso il proprio corpo, titubante; infine, dandosi della stupida fifona si decise ad afferrarlo. Osservò a lungo le due file di numeri, vergate con una grafia frettolosa sul pezzo di carta. Non le dicevano assolutamente niente, per lei erano solo cifre a caso messe una vicina all’altra per pura combinazione. Provò una delusione cocente, fino a quando non abbassò gli occhi sul fondo del biglietto. Là vide due lettere scritte in maiuscolo:
“AD”.

Esultò mentalmente e percepì una gioia incontenibile farsi largo nel suo petto. Era lui. Era sicuramente stato lui a scrivere quelle cifre, e questo significava che era stato lì, e stava bene. Non riuscendo più a controllarsi scoppiò in una risata liberatoria e strinse forte quel pezzetto di carta tra le dita come se fosse la cosa più importante che esistesse. Calmato lo scoppio di risa, si ricompose e si affrettò ad uscire dal negozio, non prima però di aver salutato l’uomo pelato ed averlo informato di quanto amasse il suo negozio, ricevendo così un’occhiata tra il confuso e il disorientato. Saltò in auto e senza allentare mai la presa sul suo tesoro, si precipitò in direzione del distretto 21.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Ecco qua anche il quinto capitolo, un po’ in ritardo ma non è stato facile da scrivere. Come sempre, spero vi piaccia.

 

Aveva trascorso le ultime due ore al primo piano del distretto, negli uffici dell’intelligence, dove aveva portato il pezzo di carta scritto da Antonio, e mostrato a Lindsay, spiegandole come e dove l’avesse trovato, facendole, prima inarcare le sopracciglia con fare confuso, poi spalancare gli occhi dalla sorpresa. Dopo essersi fatta raccontare da capo tutto nuovamente ed aver coinvolto anche gli altri agenti, si era alzata di scatto dalla sedia ed aveva spalancato la porta dell’ufficio di Voight decisa, senza bussare.

“Hank. Abbiamo notizie di Antonio.” Annunciò lapidaria.

Da quel momento in poi l’ufficio si era animato, tutti i membri della squadra si erano messi a trafficare con i computer, i telefoni e con pile di cartelle cartacee alte fin quasi al soffitto, mettendola in disarte. Sylvie rimase a fissare, intimidita e preoccupata, il loro frenetico operare per un bel po’, dopo di che cercò di attirare l’attenzione della detective Lindsay.

“ Ehm.. Erin..scusami.” provò con voce titubante.

“Sì, dimmi.” la incoraggiò l’altra senza staccare gli occhi dallo schermo del pc che aveva davanti.

“ Forse sarebbe il caso di avvertire Gabby, non credi?”

“Oh certo! Hai perfettamente ragione.” si riscosse. “ Ruzek! avverti Gabriella, la sorella di Antonio.” alzò la voce per superare il brusio e farsi sentire dal collega intento a scrivere qualcosa sulla lavagna in fondo alla stanza.

“Ricevuto!” Rispose l’agente, chiudendo la cartellina che aveva in mano, riponendo il pennarello col quale stava scrivendo e precipitandosi verso il telefono sulla sua scrivania. A quel punto Sylvie si ritirò in un angolo, in disparte, cercando di non intralciare i poliziotti che lavoravano, ma soprattutto cercando di capire come riprendere il controllo del suo stesso corpo. Ruzek attaccò la cornetta con un gesto veloce e rivolto ad Erin esclamò:

“ Sta venendo qui. ok?!”

La detective annuì soddisfatta e si immerse di nuovo nel suo lavoro. La bionda, non avendo ricevuto da nessuno una qualche informazione riguardo al biglietto, o al suo contenuto nè tantomeno sul diretto interessato, si impensierì ancora di più. Non sapeva cosa avessero voluto dire quelle cifre sul foglio che aveva trovato, non sapeva se fossero portatrici di buone notizie, non sapeva neanche se fossero utili al ritrovamento del detective scomparso ormai da tre settimane. Non sapeva niente di niente. E questo suo non sapere l’angosciava.

Accorgendosi, probabilmente, del suo stato d’animo, Ruzek si appoggiò allo schienale della sedia e tenendosi con le mani alla scrivania si inclinò al’indietro verso di lei, in bilico sulle gambe posteriori della sedia.

“ Sei stata grande.” Quelle parole, detto con tono calmo, dolce e rassicurante, accompagnato da un occhiolino complice e un sorriso sincero, fecero stringere nelle spalle la bionda; in fondo, sentiva di non meritarsi quel complimento, non aveva fatto altro che recapitare loro il piccolo pezzo di carta.

Attese l’arrivo di Gabby torcendosi le dita e torturandosi le labbra in preda all’ansia; quando l’altra arrivò, in compagnia del fidanzato, sembrava che un tram l’avesse investita: scarmigliata, col volto grigio segnato da occhiaie scure, si stringeva nel piumino, come se fosse il suo salvagente. La oltrepassò veloce come un fulmine e si diresse verso il sergente Voight con passo marziale. Il tenente Casey, anch’esso con l’aria stravolta, ma più controllato, salutò tutti con un gesto timido della mano e un sorriso tirato, poi andò a sistemarsi a fianco di Sylvie, abbracciandola piano, consolatorio. Passarono le ore e i due componenti della caserma 51 non si mossero dalla loro posizione in disparte,continuando, entrambi, a sbirciare l’operato dei poliziotti e cercando, seppur inutilmente, di captare qualche informazione. Dopo un po’, l’agente Ruzek si avvicinò loro con un sorriso tirato e due tazze fumanti in mano.

“ Ehi.. caffè?” chiese premuroso.

“ Sì, grazie.” rispose MAtt con un tono stanco ma allo stesso tempo gentile come suo solito. Entrambi si voltarono in direzione del paramedico in attesa di una risposta all’offerta di Adam.

“ Sylvie.” La chiamò delicatamente Casey, distogliendola dai suoi pensieri.

“ Ehi, vuoi del caffè?” ripetè l’offerta.

“ Oh, no.Grazie.” rispose piano, scuotendo la testa come per svegliarsi da un lungo sonno.

“ Senza offesa, ma, hai un aspetto terribile. Dovresti andare a casa a riposarti..” disse placido l’agente, sfoderando un mezzo sorriso dolcissimo.

“ Ne avremo per tutta la notte qui..forse anche tutto il giorno domani… Dammi retta. Vai a casa. Fatti una bella dormita.”Si era avvicinato lentamente,come se avesse paura di spaventarla ancora di più; le pose una mano sulla spalla e cercò lo sguardo del tenente per ricevere supporto.

“ Sì, ha ragione. Se ci dovessero essere delle novità ti chiamiamo noi. Te lo prometto.” Aggiunse Casey, anche lui bisognoso di dormire un po’, ma consapevole che Gabby, mai e poi mai, si sarebbe allontanata dal distretto.

Si fece convincere dai due uomini, così, dopo aver salutato tutti timidamente, e incrociato lo sguardo con Gabby, cercando di farle capire quanto e fosse solidale, se ne andò a casa, passando una nottata d’inferno, agitata dagli incubi.

 

Quando la sveglia, crudele ed insensibile alla sua spossatezza, trillò prepotente, le sembrò che quel suono le perforasse i timpani e le facesse scoppiare la testa in mille pezzi. Sospirando rumorosamente, si alzò svogliata dal letto, e guardandosi riflessa nello specchio constatò quanto fosse pessimo il suo aspetto: gli occhi rossi e gonfi per il mancato riposo, i lunghi capelli arruffati e due occhiaie scure come la notte dipinte sotto gli occhi. Si sentì uno schifo.

Cercò di rendersi il più presentabile possibile, si vestì, mangiò due biscotti controvoglia e si diresse al lavoro.

Il turno di quel giorno le sembrò il più lungo, il più stancante che avesse mai affrontato, complice anche a testa che non ne voleva sapere di smettere di farle male. Era seduta sul divano, vicino a Mouch, che stava leggendo il giornale tranquillo, con gli occhi chiusi e la testa reclinata sullo schienale, cercando di far rallentare il martellamento che aveva in testa, quando la voce metallica informò l’intera caserma che ogni mezzo era richiesto come supporto alla polizia. Brett sgranò gli occhi e fissò atterrita Mouch accanto a sè.

 

Scendendo dall’ambulanza passò in rassegna la scena che le si presentò davanti: una miriade di poliziotti, armati fino ai denti, si stava muovendo in ogni direzione, gli agenti erano impegnati a sfilarsi l’equipaggiamento o a parlottare tra loro; facce sfinite e sudate sfilavano lungo la strada. Sylvie continuava a guardarsi intorno, con occhi attenti e imploranti, cercando di individuare qualche volto conosciuto, quando il suo collega la chiamò insistente.

“ Brett! Che stai facendo? Datti una mossa!”

Sentendosi richiamare all’ordine distolse l’attenzione dalla sua ricerca ed andò a raggiungere l’altro paramedico, mettendosi a sua volta a lavoro; lavoro dal quale era stata travolta così tanto che non aveva più avuto modo di guardarsi intorno. Non aveva avuto modo di vedere arrivare Gabby, nè vederla fiondarsi verso alcuni membri dell’intelligence che stavano uscendo da un edificio di circa otto piani, che si trovava esattamente dalla parte opposta della strada. Ma quando la Dawson urlò forte il nome del fratello, che stava avanzando verso di lei,illeso, insieme agli altri agenti, se ne accorse. Alzò gli occhi e si voltò rapida in direzione della voce dell’amica e ciò che vide le fece tremare letteralmente le gambe, costringendola ad afferrarsi con una mano al portellone dell’ambulanza per non cadere. Gabby corse tra le braccia del fratello, trattenendo a stento le lacrime; si abbracciarono stretti, rassicurandosi a vicenda.

Sylvie ancora con le gambe di gelatina, li osservò immobile e piano piano sentì il sollievo farsi spazio nel suo petto; le sembrò che il tempo si fosse cristallizzato in quel momento: Gabby tra le braccia del detective, con indosso i suoi soliti jeans scuri, e lei, con il respiro strozzato, gli occhi umidi fissi su di loro, in piedi soltanto grazie allo sportello dell’ambulanza, al quale era aggrappata con tutte le sue forze. Il suo cervello formulò solamente un pensiero: lui stava bene.

I loro occhi si incrociarono.

 

Gabby lo travolse, come un’onda travolge gli scogli durante una burrasca; nonostante lo stesse strizzando a sè, non riusciva a ad allontanare la paura.

“ Non hai idea di quanto mi hai spaventata. Non ne hai idea.” Continuava a ripetergli con la voce soffocata, mentre il fratello continuava a tenerla serrata in un abbraccio talmente stretto che sembrava la volesse sbriciolare,come un pezzo di pane secco, ripetendole, come una ninnananna, che stava bene, che era tutto finito. Improvvisamente lo sentì alzare la testa ed immobilizzarsi, farsi rigido contraendo i muscoli delle braccia e del torace; confusa, Gabby lo guardò in faccia, per capire cosa avesse provocato quella reazione; gli occhi ancorati a qualcosa oltre la sua schiena, spalancati e lucidi di commozione, le labbra leggermente dischiuse in quello che le sembrò un sorriso. Si voltò, seguendo lo sguardo del fratello e vide.

Dall’altra parte della strada Sylvie Brett si teneva salda alla portiera dell’ambulanza, il volto stravolto; si stavano guardando così intensamente che si sentì in mezzo.

“ Va’ da lei.” Gli sussurrò complice.

Antonio si liberò dell’abbraccio della sorella e, senza distogliere gli occhi da Sylvie, col suo solito passo lento e sicuro, le mani infilate nelle tasche anteriori dei jeans, avanzò verso di lei deciso, come se non esistesse nient’altro: solo lei. Solo lei, impalata dall’altra parte della strada, non vedeva più nessun’altro, solo lei. Man mano che si avvicinava, Sylvie sentì il cuore accelerare sempre di più, il respiro morirle sulle labbra e lo stomaco stringersi in una morsa; non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Le stava camminando incontro, apparentemente calmo, come se non fosse successo niente, ed era sano e salvo. Ed era bello da mozzarle il fiato.

“ Stai bene..” Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, in un soffio, quando lui le si parò davanti, una mano ancora aggrappata alla sua ‘stampella’ e l’altra lungo il fianco tremante.

“ Sì, sto bene..” Rispose il detective guardandola così intensamente che avrebbe potuto trapassarle la testa con gli occhi.

“ Sto bene...grazie a te..”

Sylvie si perse in quegli occhi scuri e profondi per un tempo che le sembrò infinito, con le lacrime che le pungevano gli occhi, le gambe molli e decisamente inadatte a mantenerla in posizione verticale. Il cuore perse un battito mentre il macigno, che l’aveva oppressa per tutta quella interminabile settimana, sembrò sollevarsi, lasciando che una sensazione di conforto e sollievo le invadesse il petto, come un fiume in piena; in un batter di ciglia, Sylvie colmò la distanza che era rimasta tra di loro e gettò le braccia collo del poliziotto, stringendolo talmente forte da lasciarlo senza respiro, sollevandosi sulla punta di piedi. Colto alla sprovvista da quel gesto caloroso e intimo della ragazza, Antonio vacillò sui piedi, allargando le braccia, oltre che per la sorpresa, per mantenersi in equilibrio. Un secondo dopo le circondò la vita con le sue braccia muscolose, stringendola al petto con forza,sollevandola da terra, senza curarsi minimamente degli occhi che aveva puntati addosso. Senza allentare la presa su di lei, portò una mano ad accarezzarle la testa, saggiando con le dita la consistenza dei suoi capelli, lisci e morbidi come la seta. Potè sentire il suo respiro rotto da singhiozzi silenziosi nell’incavo del suo collo, dove lei aveva nascosto la testa, capendo così, quanto fosse stata spaventata. Quell’abbraccio stretto, quel suo dolce profumo, gli fecero sciogliere il cuore, allontanarono tutti i brutti pensieri; sentirla stretta tra le sue braccia lo fece sentire a casa.

Riuscì soltanto a dirle, sottovoce:

“ Lo sapevo che mi avresti trovato.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Finalmente posto il sesto! Vi accorgerete subito che non succedono molte cose in questo capitolo, ma ho cercato di descrivere le sensazioni dei due protagonisti dopo essersi riabbracciati. Spero tanto che non vi risulti noioso..aspetto con ansia le vostre recensioni con consigli e critiche! Buona lettura.

 

“ Lo sapevo che mi avresti trovato”

Sylvie allentò la presa su di lui e si voltò a guardarlo perplessa e, al tempo stesso, lusingata. Avrebbe voluto chiedergli tante cose: avrebbe voluto chiedergli come mai fosse così sicuro che lei lo avrebbe trovato, se in quelle settimane l’avesse mai pensata, se anche lui avesse sentito la sua mancanza. Avrebbe voluto dire tante cose.

“ Brett! Ti vuoi muovere?” l’apostrofò il paramedico che intanto aveva sistemato la barella sull’ambulanza e si apprestava a salire al posto del guidatore. Quelle parole, urlate senza nessuna delicatezza, la riportarono alla realtà, interrompendo la magia che quell’abbraccio aveva creato. Si staccarono l’uno dall’altro, improvvisamente imbarazzati, mettendo tra loro una distanza educata. Sylvie abbassò gli occhi sulle proprie mani, a disagio; si era appena resa conto che si era gettata tra le sue braccia senza esitare, senza pensarci un attimo, d’istinto. Quella consapevolezza le aveva arrossato le guance e l’aveva messa a disagio talmente tanto da renderle impossibile guardarlo ancora negli occhi.

“ Devo proprio andare..il lavoro mi chiama..” farfugliò impacciata, guardandosi attorno e indicando il collega che la stava aspettando impaziente. Antonio, anche lui in imbarazzo per via della foga con cui era avvenuto il loro contatto poco prima, tornando ad infilare le mani in tasca dei pantaloni, stringendosi nelle spalle, annuì comprensivo, spaziando con lo sguardo, per non dover incrociare gli occhi con la bionda.

“ Ok. Beh.. anche io devo andare. Ho un bel po’ di scartoffie che mi aspettano...credo che ce ne avrò per due anni..” Scherzò il detective per allentare la tensione che si era creata tra loro. Risero piano entrambi a quella battuta. Facendo un respiro profondo e stringendo le labbra, Sylvie lo salutò con un cenno della mano, ruotò sui talloni e iniziò ad allontanarsi. Si arrestò però, praticamente subito.

“ Che ne diresti di uscire a bere qualcosa insieme una di queste sere?” Soffiò fuori la proposta senza voltarsi, tenendo gli occhi chiusi e i pugni serrati, pronta a ricevere una batosta bella forte, sicura di ricevere una risposta negativa.

“ Mi sembra un’ottima idea.” Rispose Antonio di slancio, sorprendendola non poco. Sylvie sbatté le palpebre incredula, lasciò che un sorriso enorme si disegnasse sulle sue labbra e le illuminasse il volto, poi si voltò appena per guardarlo in viso. Era ancora lì, con le mani in tasca, le spalle alzate, un sorrisetto impacciato sulla bocca, stava spostando il peso da un piede all’altro, in evidente stato nervoso.

“ Bene.” Concluse la bionda, soddisfatta della risposta e della reazione imbarazzata che aveva provocato la sua domanda. Si voltò di nuovo e si allontanò da lui, col cuore colmo di gioia. Il detective continuò a guardarla ancora qualche secondo, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso; era bellissima. Anche con la divisa scura da paramedico, che era tutto tranne che femminile e sexy. Era bellissima anche con i guanti azzurri di lattice alle mani, con i capelli raccolti in una coda disordinata e la faccia stanca. Sorrise tra sé, pensando a quanto fosse meravigliosa e sorprendente quella donna. Timida ed impacciata per la maggior parte del tempo, riusciva però a stupirlo ogni volta, quando trovava il coraggio e la determinazione per farsi le sue ragioni, sia sul piano lavorativo sia su quello personale. Ripensò al loro incontro al Molly’s: quando lei,come un fiume in piena, gli aveva elencato una serie di motivazioni per convincerlo a chiederle di uscire. Era stata talmente dolce che il muro, che si era costruito come difesa personale, si era sgretolato, aveva tolto pietra dopo pietra, ad ogni sua parola, e lo aveva lasciato indifeso, totalmente in balia di lei. Da quel momento la sua testa non aveva fatto altro che pensare a lei, giorno e notte, facendogli provare sensazioni ormai dimenticate, facendolo sentire come un'adolescente alla prima cotta. A lei, con la sua camicetta nera scollata, con i suoi bei capelli biondi sciolti in morbide onde sulle spalle, alla sua voce calma e delicata, alla sua espressione colpevole di quando aveva ammesso di aver mentito riguardo alla pizza al microonde, facendolo sorridere come un'ebete.

Stava ancora guardando verso il punto da dove l’ambulanza 61 era partita, immerso nei suoi pensieri, quando Lindsay gli si avvicinò e posandogli una mano sulla spalla lo chiamò piano.

“ Antonio… dobbiamo andare.”

“ Sì. Sono pronto..” rispose il poliziotto trasognato. Ma, voltatosi verso la collega e osservata la sua espressione, chiese confuso:

“ Che c’è?”

“ Niente.” disse prontamente lei, ma il sorriso sornione che le si era stampato in faccia sembrava voler dire l’esatto contrario. Antonio alzò le sopracciglia con un piglio indagatore.

“ Niente.. stavo valutando fino a che punto ci sei dentro..” rispose alla sua domanda silenziosa; il detective però non cambiò la sua faccia interrogativa, consapevole che la collega non gli avesse ancora detto tutto.

“..e devo dire che ci sei dentro fino al collo, amico!” Concluse maliziosa Erin, dandogli una pacca sulla spalla e dirigendosi verso l’auto, ghignando divertita, senza dargli modo di replicare. Antonio, con gli occhi sbarrati per la sorpresa, rimase immobile per un attimo, prima di decidersi a seguirla.

 

Quella notte Sylvie era riuscita finalmente a dormire profondamente, senza essere tormentata dagli incubi; era stata una notte tranquilla, pacifica, riposante, e quando la sveglia era suonata e aveva aperto gli occhi, le era sembrato di essere piena di energie, di vita, di gioia. Arrivò alla caserma 51 raggiante, un sorriso enorme che le metteva in mostra tutti i denti; canticchiava tra sé allegra. Tutti la guardarono entrare e dispensare gioiosi ‘buongiorno’ a destra e a manca, senza proferire parola, leggermente incuriositi dal cambiamento d'umore subito dalla ragazza da un giorno ad un altro. Stella, con una smorfia divertita dipinta in faccia, si avvicinò alla ragazza mentre si stava servendo una tazza di caffè.

“ Quindi.. a cosa dobbiamo questa tua nuova gioia di vivere?” domandò, appoggiandosi con i gomiti al tavolo, dove si trovava l’altra.

“ O meglio.. a CHI.. la dobbiamo?” concluse, sottolineando la parola CHI, con fare complice. Sylvie la guardò sorridendo, con gli occhi luccicanti di felicità.

“ è tornato. Ieri. E sta bene..” parlò con voce emozionata.

“ L’ho visto anche io.. ed ho anche visto il vostro….mmm.. come posso definirlo?!.. incontro romantico e strappalacrime?! che dici..si addice?” Scherzò.

Sylvie arrossì violentemente, si guardò intorno allarmata, verificando che nessuno le stesse ascoltando, mentre con la mano intimava all’amica di abbassare la voce.

“ Tranquilla! erano tutti piuttosto occupati per accorgersi di voi..se si escludono Gabby e il resto dell’intelligence..” La bionda, travolta dalla dichiarazione di Stella, si accasciò sulla sedia, sbuffando sonoramente.

“ Non sono riuscita a trattenermi..” confessò Brett.

“ L’ho notato..ti sei letteralmente buttata tra le sue braccia..” disse, deridendola un po’

“ Non che a lui sia dispiaciuto eh..non mi fraintendere..”

“ Lo credi davvero?” la interrogò speranzosa, alzando gli occhi su di lei.

“ Scherzi?! Credevo ti volesse sbriciolare con quell’abbraccio!” esclamò la Kidd

Sylvie sospirò rincuorata, arrossendo nuovamente.

“ Quando mi ha detto che se stava bene era solo per merito mio non c’ho visto più..per un secondo mi è sembrato che anche lui, in tutti quei giorni, avesse pensato a me..fin a lasciare quel biglietto per me..”

“ Credo proprio che sia andata così, in effetti” analizzò la donna.

“ Poi, beh.. gli ho chiesto di uscire.. e lui ha accettato.”

Stella Kidd spalancò gli occhi per la sorpresa; mai avrebbe creduto che la dolce e timida Sylvie Brett, avrebbe avuto il coraggio di chiedere di nuovo un appuntamento ad Antonio Dawson. Evidentemente si sbagliava di grosso. Sorrise compiaciuta.

“ E quando uscirete?” chiese accomodandosi vicino alla bionda.

“ Non so, non abbiamo parlato di un giorno preciso..” Stella la guardò con aria di rimprovero.

“ Ti ricordo il casino che c’era ieri in quel posto..e io stavo lavorando..” cercò di giustificarsi la bionda, la faccia dell’altra però non mutò espressione.

“ Anche lui stava lavorando.. e sicuramente avrà da fare per un bel po’, considerando quanto è stato via.” Continuò Sylvie, cercando negli occhi della collega un accenno di comprensione, che non trovò.

“ Inoltre vorrà passare qualche giorno con la sua famiglia, sai..Gabby, i suoi due figli..” era la sua ultima chance di convincere la Kidd, che invece non accennava a smettere di rimproverarla con gli occhi.

“ OK! Gli chiederò di uscire, specificando una data precisa...per la seconda volta..” Sbottò infine.

Stella a quelle parole rilassò il viso e si allungò sulla sedia soddisfatta.

“ La prima volta non conta. Se non si concorda una data e un orario non conta certo come un appuntamento.” Concluse la donna, prendendo il giornale ed iniziando a sfogliarlo con aria trionfante. La bionda sbuffò rumorosamente e si concentrò sulla sua tazza di caffè; con la coda dell’occhio dette un’ultima occhiata alla collega e la vide sorridere compiaciuta, lo vide distintamente. Alzò gli occhi al cielo rassegnata e tornò alla sua bevanda calda.

 

Aveva appena parcheggiato vicino a Molly’s, rimase ancora qualche momento seduta in auto pensierosa; la conversazione avuta quella mattina con Stella le riecheggiava ancora nella mente. Avrebbe chiesto nuovamente al detective di uscire, questo era sicuro, ma non quella sera. Lo avrebbe fatto, ma fra un paio di giorni. Cercava di convincersi che lo stava facendo per lui, per dargli un po’ di spazio, per lasciargli godere della famiglia, alla quale era stato lontano per diverse settimane, in realtà, lo stava facendo perché aveva una fifa blu. Aveva paura che, con una scusa o un’altra, Antonio avrebbe rimandato, rimandato, per poi non farne più di nulla. Scosse la testa per allontanare tutti i pensieri e scese dal veicolo. Quella sera non ci avrebbe più pensato.

Non aveva ancora aperto la porta completamente che la sentì. Forte e chiara, inconfondibile. La sua voce profonda, roca e mascolina. La sua risata di gola. Ebbe un tuffo al cuore; Antonio Dawson era lì nel locale. Deglutì per farsi coraggio ed entrò. Il locale era affollato, voci e risate si mescolavano alle luci e al tintinnio dei bicchieri; Sylvie riconobbe molti poliziotti del distretto 21, stavano facendo capannello intorno ad un tavolo, dove Olinsky e Halstead stavano tenendo banco, raccontando qualcosa di divertente, considerando le risate che fuoriuscivano dalle bocche dei colleghi che li stavano ascoltando. Sembravano divertirsi molto. Lo notò subito: era in piedi vicino ad Alvin, una mano appoggiata sullo schienale della sedia del collega mentre nell’altra teneva una bottiglia di birra, rideva di gusto alla storia che stavano raccontando i due, i soliti jeans scuri a fasciargli le gambe, una leggera maglietta rossa scura modellava la sua figura atletica e muscolosa, le maniche lunghe arrotolate sopra ai gomiti mettevano in mostra il tatuaggio sul braccio sinistro. Sylvie si ritrovò a pensare a quanto fosse bello, i capelli scuri pettinati all’indietro come suo solito, gli occhi neri, profondi come un pozzo, di solito seri esprimevano tutta la gioia di quel momento. Senza smettere di osservarlo, si avvicinò al bancone dove Otis, allegro e giocherellone come sempre le chiese cosa desiderasse da bere. Ordinò un cocktail e si sedette, gli occhi ancora puntati su di lui.

“ Era un bel po’ che non vedevo Gabby così felice..” commentò Otis, servendole il drink. Sylvie si accorse di non aver neanche visto l’amica, seduta accanto ad Olinsky, proprio davanti al fratello.

“ Già! Hai ragione!” Confermò al ragazzo, cercando di mascherare il fatto che lei, neanche si era accorta della presenza dell’amica. Si sentì terribilmente in colpa verso di lei. Proprio in quell’istante i suoi occhi incrociarono quelli di Antonio, che ridendo aveva alzato lo sguardo dal tavolo. Sylvie sentì il cuore fermarsi, il respiro rallentare e un leggero rossore colorarle le guance. Si trovò ad annaspare, persa nelle iridi scure del poliziotto. Sorrise appena.

Antonio, appena intrecciò lo sguardo con la bionda, cessò di ridere rumorosamente, lasciando che un sorriso sereno e dolcissimo si facesse spazio sul suo volto. I suoi occhi osservarono attentamente ogni linea del viso della ragazza, ogni dettaglio: gli occhi azzurrissimi, così espressivi che gli sembrò di leggerle l’anima, la sua pelle chiara e luminosa, da sembrare dipinta da un maestro d’arte italiano, i capelli biondi, lucenti e soffici, sciolti sulle spalle. Sembrava un angelo. La osservò così minuziosamente come per imprimersi nella mente ogni particolare di quel viso,che lo rendeva così felice, per non dimenticarlo mai più. Senza distogliere gli occhi da lei, appoggiò la birra sul tavolo davanti a sé, e facendosi spazio tra i colleghi si mosse nella sua direzione. Sylvie si morse le labbra, e trattenne il fiato fino a quando lui non le fu a pochi centimetri di distanza.

“ Ciao..” Esclamarono insieme, entrambi trattenendo a stento l’emozione di trovarsi di nuovo così vicini.

“ Vedo che state festeggiando…” commentò lei per rompere il ghiaccio.

“ Sì, più o meno… alla fine la mia missione ha portato degli ottimi risultati..” spiegò.

“ Io credo che stiano festeggiando te...non la missione..” azzardò Sylvie. Antonio distolse lo sguardo lusingato, non sapendo come continuare. Quella ragazza lo faceva rimanere senza parole continuamente, e questa sua caratteristica lo fece sorridere beffardo. La bionda sentì il suo imbarazzo crescere man mano che il silenzio tra loro si prolungava, cercò un modo per interrompere quel mutismo.

“ Che ne dici..di uscire venerdì sera?!” La anticipò il detective, intrecciando di nuovo lo sguardo con il suo. Sorrise spiazzata dall’audacia di quella proposta inaspettata.

“ E io che credevo di dovertelo chiedere due volte…” lo canzonò maliziosa.

“ Non ho intenzione di farmelo ripetere due volte, questo giro..” Rispose sicuro Antonio. Non ci fu bisogno di altre parole, i loro occhi parlarono per loro. Chiunque avrebbe potuto leggere la risposta affermativa negli occhi di Sylvie, come chiunque avrebbe potuto leggere la gioia, che quella risposta affermativa suscitava negli occhi di Antonio. Chiunque.

Gabby, ancora seduta al tavolo, accanto ad Olinsky, li vide fissarsi dolcemente negli occhi, e capì che il gioco era fatto. Finalmente il fratello aveva smesso di accampare scuse ridicole, ed aveva abbassato le difese con la bella bionda. Sorrise appagata della vista di quei due persi l’uno negli occhi dell’altro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Salve a tutti! Mi scuso per il ritardo ma come potrete vedere, il capitolo è piuttosto lungo, quindi tra  scriverlo, correggerlo e rivederlo...insomma ci siamo capiti. Siamo arrivati al dunque: il primo appuntamento di Brett e Antonio. Spero sia di vostro gradimento, aspetto con ansia le vostre recensioni. Come sempre, buona lettura.

 

“ Stai scherzando?” sbraitò Sylvie in preda ad un attacco di panico.

“ Non posso presentarmi con i jeans e una maglietta qualsiasi!!”

“ Sì, stavo scherzando! Calmati Brett!” le rispose Stella afferrandola per le spalle e guardandola dritta in faccia.

“ Stai delirando...non so più come aiutarti! Devi darti una calmata.”

“ Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Ma non so dove ha prenotato… se in un posto elegante o in un fast food..” piagnucolò affranta.

“ Stai parlando di Antonio, non ti porterebbe mai in un fast food…” la corresse Stella.

Sylvie si accasciò sul letto, ricoperto da una montagna di vestiti, probabilmente su quel letto ci era stato rovesciato l’intero contenuto del suo armadio. Improvvisamente il suono del campanello le rimbombò nelle orecchie.

“ Cosa?! Che ore sono?!” domandò allarmata.

“ Sono le sei… Oddio, devi assolutamente darti una calmata o ti esploderà la testa!” Rispose la donna avviandosi verso la porta ad aprire. Gabriella, con Louie in braccio e una pesante borsa sulle spalle, entrò decisa nell’appartamento.

“ Dov’è?” Interrogò la mora.

“ Se non si è gettata dalla finestra dovrebbe essere in camera..” Ironizzò il pompiere, prendendo il bambino dalle braccia della madre per baciarlo.

“ Oh bene, siamo a questi livelli?!”

“ I passeggeri del Titanic in confronto hanno fatto una passeggiata di salute...te l’assicuro!”

Ridendo entrambe della situazione, raggiunsero la bionda, la quale si trovava ancora seduta sul letto, sepolta dai vestiti.

“ Gabby? che ci fai qui?” Chiese dubbiosa.

“ Kidd mi ha mandato un SOS… e vedo che ha fatto bene. Che tipo di bomba è esplosa in questa stanza?” rispose guardandosi intorno con aria curiosa.

Sylvie sbuffò e ricadde distesa sul letto, ormai scoraggiata.

“ Non ho niente di adatto da mettermi…” sussurrò affranta.

Gabby, sopracciglia alzate in un’espressione confusa ma divertita, esaminò con cura la faccia dell’amica e il caos che regnava sovrano in quella stanza, Represse la risata che le stava uscendo dalla bocca, vedendo la bionda agitata come se dovesse affrontare un processo; intuendo che Sylvie più di ogni altra cosa, in quel momento, aveva bisogno di sicurezza, prese in mano la situazione.

“ Il vestito blu cobalto. Quello a mezze maniche, con lo scollo tondo e la gonna morbida. Le scarpe alte e il cappotto nero lungo.” Decretò seria e risoluta la Dawson, afferrando il vestito da sotto una pila incredibilmente alta di altri indumenti. Sylvie la scrutò titubante, non capendo cosa ci trovasse in quel vestito, lei lo aveva scartato quasi subito, definendolo insulso. Gabby afferrò subito ciò che la bionda le stava comunicando silenziosamente e le motivò la sua scelta.

“ Andrà bene ovunque ti porti, perchè è liscio e senza fronzoli, non è appariscente o inadeguato per un posto elegante, soprattutto abbinato al cappotto lungo e alle décolleté. Ha la mezza manica che lo rende sportivo e dinamico, nel caso ti porti in un fast food. Cosa che escludo, ma non si sa mai.”

La bionda ammirò la capacità dell’amica di analizzare ogni opzione, rimanendone piacevolmente colpita.

“ è blu.” continuò la mora. “ Metterà in risalto gli occhi, che sono sicura Antonio adora. Inoltre ti sta da dio... sottolinea la tua vita sottile e le tue belle gambe, che sono più che convinta mio fratello non ha ancora avuto l’occasione di ammirare..”

Sylvie avvampò immediatamente, mentre Stella ridacchiava sulla porta, con ancora Louie in braccio.

“ Mille punti per Gabby!” Esclamò la Kidd, spassandosela un sacco.

“ Non mi sembra sia stato così difficile..” disse fingendosi modesta l’altra.

“ Perchè non l’hai vista in versione indemoniata!” continuò la ricciola.

Le due donne scoppiarono a ridere senza ritegno, lasciando che l’altra le osservasse confusa e un po’ imbarazzata.

“ Io non ero riuscita a vederci niente di speciale in questo..” disse colpevole alzando il vestito e appoggiandoselo a dosso, per vedere come le stava.

“ Perchè sei troppo nervosa. Ha ragione Stella, devi darti una calmata.” La consolò Gabby, dando un’occhiata all’altra, in cerca di supporto; Stella, annuì.

“ Mio fratello è completamente cotto..non hai niente di cui preoccuparti.”

Le parole rassicuranti dell’amica, la fecero sospirare e rilassare un po’, si guardò allo specchio, sorrise alle due amiche, dette un bacio al bambino, e si diresse verso il bagno per cambiarsi.

“ Crisi arginata.” Esclamò la Dawson alzando una mano per battere il cinque con l’amica.

 

Quando il campanello suonò, puntuale, Sylvie era già pronta. Si dette un’ultima occhiata allo specchio, fece un profondo respiro per calmarsi,guardò le altre due donne in cerca di approvazione, si infilò il cappotto e uscì salutando nervosa le amiche. Quando aprì il portone esterno vide il detective misurare il marciapiede con passi irrequieti, strusciando i palmi delle mani come per riscaldarle. L’elegante cappotto grigio piombo, indossato aperto, lasciava intravedere l’abito nero al di sotto e la camicia bianca, non portava la cravatta; Sylvie ebbe l’impressione che Gabby avesse dato qualche consiglio anche a lui riguardo l’abbigliamento. Lo guardò solo un attimo prima che lui si voltasse verso di lei, ma le era bastato per constatare quanto fosse affascinante; non l’aveva mai visto con un abito elegante e dovette ammettere che gli donava moltissimo.

Antonio, piuttosto teso, quando vide la figura della ragazza stagliarsi nel vano della porta, non potè fare a meno di squadrarla da capo a piedi, con gli occhi spalancati per la meraviglia; con la gola secca, la osservò, facendo scorrere il suo sguardo dai suoi piedi, che calzavano un paio di scarpe dal tacco alto e sottile, lungo le belle gambe snelle, lasciate scoperte dal vestito, fino al suo viso. Anche se il cappotto della ragazza, abbottonato fino alla gola, gli precludeva la vista del suo corpo per intero, rimase letteralmente abbagliato dalla sua bellezza. Deglutì e abbozzò un sorriso beato, lasciò che i suoi occhi si deliziassero ancora un momento di quella vista, mentre Sylvie, scendendo i pochi gradini, radiosa, si avvicinava a lui sempre di più. Le tese una mano per aiutarla a scendere l’ultimo scalino, e il contatto con la sua piccola mano delicata gli provocò un brivido di piacere; quando lei gli fu davanti, osservò rapito il suo volto: l’incarnato luminoso faceva sembrare la sua pelle vellutata, la bocca, coperta da un filo di rossetto rosa, aperta in un sorriso smagliante. Notò che si era truccata gli occhi, infatti una sottile riga nera disegnava il contorno delle palpebre mobili, mettendo in risalto i suoi formidabili occhi azzurri, rendendoli magnetici e aggiungendo profondità allo sguardo, le ciglia, dipinte col mascara, sembravano non avere mai fine. Pensò che fosse un incanto. La guardò un’ultima volta estasiato prima di riuscire a dire qualcosa in risposta al ‘Ciao’ di lei.

“ Sei bellissima.” Disse di slancio, e non mentiva. Non conosceva una parola più adatta di quella per descriverla; era semplicemente bellissima.

“ Grazie, anche tu stai molto bene..” rispose Sylvie, gli occhi colmi di felicità, un po’ per il complimento così spontaneo ma soprattutto per lo sguardo sognante che il poliziotto le aveva riservato.

“ Vogliamo andare?” Propose lui, indicandole l’auto parcheggiata. Senza lasciarle la mano, la accompagnò fino alla vettura, le aprì lo sportello galante e l’aiutò a salire. La osservò di nuovo, soffermandosi su ogni particolare della sua figura, poi richiuse la portiera e, facendo il giro della macchina, lanciò un’occhiata alla finestra illuminata, sorridendo malizioso.

“ Merda! Mi sa che Antonio ci ha viste!” esclamò Stella allontanandosi dalla finestra cercando di nascondersi.

“ Ci ha viste appena ci siamo avvicinate alla finestra… da bravo detective.” Rispose Gabby divertita. Stella scoppiò a ridere, consapevole del fatto di esser stata beccata a spiare a coppietta, e l’altra la seguì a ruota. Finito il momento di ilarità la Kidd commentò:

“ Hai fatto un ottimo lavoro con Brett, stava da dio! e tuo fratello sembrava se la volesse mangiare con gli occhi..”

“ Avrebbe potuto presentarsi coperta da un sacco nero e lui l’avrebbe guardata comunque in quel modo...dammi retta!” le rispose mentre aiutava il piccolo Louie ad indossare il giubbotto.

“ é proprio cotto eh?!”

Gabriella annuì decisa, sorridendo all’amica. Sì, suo fratello era davvero cotto.

 

Il viaggio in macchina fu per lo più silenzioso, tranne per qualche accenno di conversazione sul tempo e sul traffico; il nervosismo di entrambi era palpabile e rendeva l’aria nell’abitacolo elettrica. Antonio si stava arrovellando il cervello per trovare qualcosa da dire che non risultasse stupida, ma tutto quello a cui riusciva a pensare, era a quanto fosse bella Sylvie quella sera;sbirciò con la coda dell’occhio la ragazza, che gli sedeva di fianco, stava guardando fuori dal finestrino, sembrava calma e tranquilla, immersa in chissà quali pensieri; soltanto il movimento nervoso delle dita, che tamburellavano irrequiete sulla borsetta, tradiva il suo reale stato d’animo. Il fatto che anche lei fosse agitata, tranquillizzò il detective, che allentò la presa sul volante, che fino a quell’istante era stata ferrea, e dette voce ai suoi pensieri.

“ Prima dicevo sul serio..sei davvero bellissima stasera.” La vide arrossire mentre pronunciava quelle parole, e le vide un sorriso lusingato sulle labbra. Sylvie non potè non notare lo sguardo adorante di Antonio; non poteva ignorare il modo in cui la stava guardando. I suoi occhi erano incollati su di lei, continuavano a percorrerle tutto il corpo. Si sentì desiderata. Si sentì bella. Capì che lui la desiderava, e non solo in maniera fisica. Tra loro due, lo percepiva, non era solo una questione fisica. Il cuore le si gonfiò di gioia, il nervosismo scomparve e con un gesto naturale posò la sua mano su quella del detective; come se fosse un gesto quotidiano, un gesto familiare, come se lo avesse fatto centinaia di volte. Sentì la pelle di Antonio fremere ed andare a fuoco sotto il suo tocco, vide i suoi occhi neri addolcirsi e le labbra piegarsi in un sorriso, sentì l’uomo sospirare e riprendere la normale respirazione, lo sentì rilassarsi e intuì che, anche lui, provava le stesse sue sensazioni. Antonio intrecciò le dita con quelle della ragazza, rendendosi conto che tenerla per mano, sfiorarla, lo faceva stare bene; nient’altro contava. Solo lei, la mano stretta nella sua, le loro pelli a contatto, i loro battiti sincronizzati. Erano secoli, per non dire millenni, che non si sentiva così leggero e felice.

Parcheggiò l’auto e si premurò di aprire lo sportello a Sylvie, porgendole la mano per aiutarla a scendere.

“ Wow, che cavaliere..” esclamò la ragazza piacevolmente impressionata, riuscendo a far colorare leggermente le guance del poliziotto.

“ Lindsay mi ha consigliato questo ristorante...pare sia uno dei più apprezzati in città..” le spiegò Antonio, guidandola verso il locale.

Entrarono e Sylvie rimase di stucco; una bellissima sala rotonda, circondata da ampie vetrate, attraverso le quali si poteva godere della vista della città illuminata, era costellata di tavoli, per lo più occupati da coppie di innamorati, elegantemente apparecchiati con candide tovaglie bianche, una candela e una rosa rossa su ogni tavolo, luci soffuse e calde rendevano il locale intimo, accogliente e romantico. Era perfetto per un primo appuntamento. Mentre la ragazza si osservava estasiata intorno, Antonio si presentò al maitre, il quale, dopo avergli riservato un educato benvenuto, chiese se poteva occuparsi dei loro soprabiti. Il detective, da vero gentiluomo, aiutò Sylvie con il cappotto. Quando la vide, rimase letteralmente sbalordito. Un semplice vestito blu le aderiva fino ai fianchi come un guanto, sottolineando il suo sottile girovita e la forma dei seni, la gonna scendeva morbida, creando morbide pieghe che come onde sulla battigia, si infrangevano a contatto con le sue gambe nude. Notò come lo scollo rotondo le valorizzasse il collo e il volto, si perse nel magnifico contrasto dei suoi capelli biondi sul tessuto blu; non indossava nessun tipo di gioiello, ad esclusione di un semplice braccialetto dorato con un ciondolo a forma di pesciolino. Si ritrovò a guardarla a bocca aperta, totalmente rapito, il cuore in tumulto, la salivazione azzerata. Sembrava brillasse di luce propria. Sbattè le palpebre più volte, per sincerarsi che fosse tutto vero, che non stesse soltanto sognando di essere lì, in un ristorante romantico, con la più splendida ragazza di Chicago.

“ Prego signori, da questa parte.” le parole del cameriere lo destarono.

Una volta accomodati al loro tavolo, i cameriere porse loro i menù e si congedò.

“ Ti piace?” domandò Antonio un po’ sulle spine. Sylvie si guardò ancora una volta intorno.

“ Lo adoro..” rispose, con gli occhi scintillanti. Il detective non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti, vedendola sorridere felice, come una bambina di sei anni davanti ad una montagna di regali. Non potè non pensare a quanto fosse fortunato quella sera.

 

La cena filò via liscia come l’olio: ormai dimenticato tutto il nervosismo, merito forse anche del vino, parlarono amabilmente durante tutto il tempo. Parlarono degli argomenti più svariati, cercando di conoscersi meglio, entrambi avidi di scoprirsi. Il lavoro, i colleghi, i casi più difficili e quelli più assurdi e buffi, i gusti musicali, i film preferiti, i libri, i luoghi. Si presero in giro per le loro differenze, per le rivelazioni più imbarazzanti, ridendo complici. Gli argomenti si susseguivano senza sosta, si riempirono di domande per scoprirsi ogni volta più simili, più compatibili, più vicini.  I loro occhi sembravano non stancarsi mai di osservarsi, i loro sguardi tornavano ad incrociarsi continuamente sopra i calici, attraverso la flebile fiammella della candela, sopra i profumi delle pietanze nei loro piatti. Le loro mani, quando non erano occupate con bicchieri o posate, si cercavano bramose, sfiorandosi ad ogni occasione. Il tempo sembrò volare. Quando il cameriere portò loro il conto, Antonio propose una passeggiata lungo il fiume, accettata di buon grado dalla ragazza, desiderosa quanto lui di prolungare la serata.

Passeggiarono a lungo, vicini, sfiorandosi talvolta le mani e le spalle. Parlarono della loro infanzia, della loro vita, di ciò che li aveva spinti a scegliere le rispettive carriere, dei loro progetti, dei loro sogni. La conversazione si fece via via più intima, più personale, ma nessuno dei due si tirò indietro. Entrambi si sentivano a loro agio, si sentivano al sicuro, protetti, capiti.

“ Non avevo mai raccontato così tanto della mia vita a nessuno…” disse ad un certo punto il detective, fermandosi vicino ad una balaustra, dove si appoggiò con le braccia, aspirando l’aria fresca della notte e osservando le luci della città.

“ Davvero?” chiese Sylvie, avvicinandosi per guardare nella sua stessa direzione. Lui annuì con la testa, un sorriso sghembo disegnato sulle labbra.

“ E… ti stai pentendo di averlo fatto?” continuò la bionda, voltandosi per osservare la sua reazione, un po’ preoccupata. Antonio distolse l’attenzione dal panorama della città e la fissò negli occhi. Il suo sguardo si fece dolcissimo, come anche il suo sorriso; osservò teneramente la ragazza e si rese conto del perchè si fosse sentito così a suo agio da riuscire a parlarle della sua vita. Desiderò toccarla, stringerla tra le sue braccia, carezzarle il viso delicato, saggiare la morbidezza dei suoi capelli. Sospirò, si morse leggermente il labbro inferiore e le rispose.

“ Nient’affatto. Sono contento di averti raccontato tutte quelle cose su di me…” fece una breve pausa, tornando ad ammirare lo skyline di Chicago.

“ Voglio che tu mi conosca. Che tu mi conosca sul serio…” Sylvie rimase a bocca aperta, stupita da quella dichiarazione, sentendo un brivido caldo scorrerle lungo tutta la colonna vertebrale. Non seppe cosa dire, così decise di non dire niente; si accostò ancora di più a lui, fino a che le loro spalle non si toccarono, prese la mano di Antonio tra le sue, stringendola affettuosamente, e poggiò la testa sulla sua spalla muscolosa, ascoltando il suo respiro regolare, inebriandosi del suo profumo legnoso. Il detective, si godette quel dolce contatto senza pronunciare una singola parola, muovendo le dita per intrecciarle con quelle della ragazza; quel gesto, quel loro stare vicini, aveva un significato, lui lo capì immediatamente. Non volle dargli un nome, per paura di essere precipitoso; ma sapeva benissimo ciò che il suo cuore provava.

 

Antonio fu un perfetto gentiluomo fino alla fine: aprendo lo sportello dell’auto a Sylvie sia per salire, sia per scendere. La accompagnò, su per i gradini, fino al portone del palazzo, dove la ragazza si fermò, improvvisamente impacciata. La vide mordersi le labbra e torturarsi le dita delle mani.

“ è stata una serata magnifica..” balbettò, tenendo gli occhi bassi.

“ Sì, decisamente…” confermò il detective, di punto in bianco a disagio. Non aveva idea di come comportarsi, non sapeva come avrebbe dovuto salutarla, se con un semplice sorriso e magari una richiesta per un nuovo appuntamento, o se con un bacio; come il suo cuore, il suo cervello, la sua pelle e tutto il resto di lui desiderava ardentemente. Cercò un indizio negli occhi della bionda.

“ Spero non tu voglia andar via senza baciarmi..” Le parole le uscirono di bocca d’un tratto, prima che fosse riuscita anche solo a pensarle. Sentì le guance avvampare, il cuore accelerare e il respiro mancarle. Non sapeva nemmeno lei dove avesse trovato il coraggio di dar voce ai suoi pensieri. Stava per rimangiarsi tutto, quando si soffermò ad osservare il poliziotto. Un’espressione sbalordita campeggiava sul suo volto, ma in un attimo venne sostituita da una sollevata, bramosa, avida; i suoi occhi scuri si fecero liquidi di desiderio, il suo battito accelerò minacciando di far uscire il cuore dal petto; senza esitare ulteriormente mormorò:

“ Non me lo farò ripetere questa volta…”

Il detective si avvicinò a lei e, prendendole il volto tra le mani, la baciò dolcemente. Sylvie, aggrappandosi alle spalle muscolose dell’uomo, rispose con entusiasmo; dischiudendo le labbra per permettere ad Antonio di approfondire il bacio. Piano piano, quel dolce e timido contatto delle loro labbra, si trasformò in un bacio ardente, travolgente, passionale. Il detective intrecciò una mano nei capelli soffici della bionda, attirandola a sè con sempre maggior foga; con l’altra mano le cinse la vita, stringendola in un abbraccio mozzafiato; Sylvie, sopraffatta dalle emozioni, allacciò le braccia al suo collo, insinuando le dita tra i suoi capelli folti, accarezzandogli il collo e il viso, tremando. Avrebbero potuto continuare a baciarsi per tutta la vita, se non fosse stato per il bisogno di respirare; si staccarono per prendere fiato, guardandosi negli occhi, desiderosi di riprendere da dove avevano interrotto. Si sorrisero a vicenda, maliziosi, complici. Tutto ad un tratto il suono di un cellulare spezzò l’incanto. Antonio, si frugò in tasca per rispondere; osservò il nome che compariva sullo schermo. Voight. Non poteva ignorare quella telefonata.

“ Devo andare…” sussurrò mortificato. Sylvie gli sorrise di nuovo, gli prese il viso tra le mani e posò le sue labbra morbide sulle sue; dolcemente, delicatamente. Il detective, riponendo il cellulare di nuovo in tasca del cappotto, le passò una mano dietro la nuca per rispondere al bacio con trasporto.

“ Adesso puoi andare..” bisbigliò la ragazza al suo orecchio, lasciandogli un ultimo bacio sulla guancia, staccandosi dal suo abbraccio. Antonio non lasciò che si allontanasse, circondandole ancora il girovita con un braccio; fece combaciare le loro fronti e fissò i suoi occhi scuri in quelli azzurro cielo di lei.

“ Non hai idea di quanto mi costi lasciarti in questo momento…” le mormorò sulle labbra.

“ Lo so…” rispose Sylvie, comprensiva. La baciò di nuovo, teneramente, prima di augurarle la buonanotte e salire in macchina per andarsene.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Ecco qua  anche l’ottavo capitolo.Spero vi piaccia. Aspetto come sempre le vostre opinioni. Buona lettura

 

Erano trascorsi otto giorni dal loro primo appuntamento. Otto giorni, durante i quali Sylvie e Antonio non fecero che pensarsi, sognarsi, chiamarsi ed inviarsi messaggi. Otto giorni molto impegnativi per quanto riguardava la loro vita lavorativa. Otto giorni durante i quali, a causa di turni massacranti e casi difficili, erano riusciti a vedersi sì e no un secondo. Nonostante tutto, i due sprizzavano felicità da tutti i pori, lasciando perplesso qualcuno, contagiando i più.

“ Oddio Brett...Sei quasi irritante!” esclamò Stella quando incontrò Sylvie, appena fuori dalla caserma, quella mattina.

“ Cosa? Perché?”domandò confusa la ragazza.

“ Stiamo facendo dei turni allucinanti in questi giorni, dormiamo per pura combinazione, abbiamo tutti delle facce da zombie e tu...tu sei raggiante! Sembri appena uscita da una Spa!!” Spiegò la Kidd, lamentandosi anche un po’. Sylvie sorrise lusingata, arrossendo leggermente. Sapeva esattamente cosa era che la rendeva così raggiante agli occhi della collega. Antonio Dawson.

“ Gabby, per favore, dille anche te che, per rispetto verso di noi, poveri umani stanchi morti, non dovrebbe essere così splendida di mattina presto!! Ti prego!”

“ In effetti non sei molto rispettosa nei nostri confronti, Sylvie!” La canzonò la Dawson, unendosi a loro proprio prima di entrare nell’edificio. Brett alzò gli occhi al cielo, fingendosi stufa di tutte le loro lamentele. Aprì loro la porta e le invitò ad entrare.

“ Io vi rispetto tantissimo invece… guardate, vi tengo anche la porta!” Scherzò, accettando le loro occhiate finto-risentite. Continuarono a prendersi in giro a vicenda, allegre, per tutto il giorno, fermandosi soltanto durante le chiamate. Ma fu una giornata lunga e faticosa, come tutte le altre quella settimana, e verso la fine erano tutti piuttosto stanchi e non molto propensi alle battute o agli scherzi; persino Otis e Cruz se ne stavano buoni buoni su divano, insieme a Mouch. Le tre ragazze erano sedute intorno al tavolo rotondo;chi leggeva il giornale, chi un libro e chi sfogliava una rivista, tutte e tre munite di una tazza enorme di caffè fumante. Stella lo aveva preparato molto forte, sperando così che la aiutasse a rimanere sveglia e concentrata; non importa dire che non stava funzionando un granchè. Improvvisamente, la porta d’ingresso si aprì, costringendo un po’ tutti a voltarsi per vedere chi fosse. Antonio Dawson, con i suoi soliti jeans scuri, un maglioncino rosso bordeaux con lo scollo a v e l’immancabile giubbotto di pelle, fece il suo ingresso nella stanza, con passo sicuro, con la sua aria da duro e la sua espressione seria; salutò tutti i presenti, chi con un semplice cenno, chi con un “cinque”, chi con un sincero abbraccio fraterno. Senza esitare si diresse verso il tavolo delle ragazze, e quando i suoi occhi incrociarono quelli di Sylvie, il suo volto si sciolse in una espressione dolcissima, illuminandosi di beatitudine, mostrando a tutti i presenti l’effetto che la ragazza aveva su di lui.

Sylvie non fu a di meno. Appena il detective entrò nel suo campo visivo si sentì pervasa da un piacevole calore, un senso di pace interiore, di sollievo,come se la sua sola presenza la liberasse di ogni fatica, di ogni preoccupazione. L’effetto ‘ Antonio Dawson’ su Sylvie Brett fu quello di cancellare ogni segno di stanchezza dal viso, distendendo i suoi lineamenti, rendendola, come le aveva fatto notare Stella quella mattina, raggiante.

“ Ehilà!” Esclamò entusiasta, raddrizzandosi sulla sedia, no riuscendo a trattenere un sorriso enorme.

“ Ciao!” rispose l’uomo, con la voce tremante per l’emozione di trovarsi così vicino a lei.

“ Che ci fai qui?” Chiese invece la sorella incuriosita

“ Ciao Gabby! Stella…” Salutò. “ beh, ero in zona e ho pensato di passare a salutare..” spiegò vagamente, senza allontanare lo sguardo da Sylvie, completamente perso nei suoi occhi.

“ Gentile da parte tua..” ironizzò Gabby, scambiandosi un’occhiata significativa con Stella, che sogghignava divertita dall’altra parte del tavolo.

“..Sylvie, possiamo parlare un attimo?” Domandò piano il poliziotto, squadrando le altre sue, con un’espressione contrariata, facendole sghignazzare ancora di più.

“ Certo!” Sylvie, con le guance di un bel rosso acceso, si alzò dal suo posto per guidare Antonio all’esterno.

Appena la porta si chiuse alle loro spalle, il detective si avventò sulle labbra della bionda, con necessità, stringendola forte contro il suo petto scolpito dai molti allenamenti in palestra. Sylvie, inizialmente sorpresa da quella sua irruenza, non tardò a ricambiare con foga il bacio, allacciando le braccia al suo collo, facendo scorrere le dita tra i capelli morbidi e folti; pressò le labbra carnose di Antonio contro le sue con sempre maggior fervore, accarezzando con sempre più trasporto il suo volto, il suo collo e le sue magnifiche spalle forti. Si baciarono a lungo, stringendosi convulsamente l’un l’altro, smaniosi di assaporarsi, di saggiarsi, di sentire i loro corpi fusi tra loro, i loro cuori palpitare ad ogni nuovo tocco. Si staccarono, controvoglia, solo quando i loro polmoni necessitarono di aria; entrambi cercarono di regolarizzare il proprio respiro, che quel bacio infuocato aveva reso affannoso e irregolare, sorrisero, in imbarazzo per aver lasciato che le emozioni avessero il sopravvento su di loro. Il sorriso di Sylvie, per Antonio, fu come ossigeno puro dopo una lunga apnea, fu come una ventata d’aria fresca dopo una giornata afosa. La guardò così intensamente che la ragazza si sentì trapassare da quello sguardo così profondo, ardente, pieno di desiderio;e non potè resistere oltre. Prese il suo viso tra le mani e lo baciò nuovamente, con trasporto,con tutta la dolcezza che la contraddistingueva. Il poliziotto, al colmo della felicità, la strinse in un abbraccio con delicatezza, facendo scorrere le dita lungo la sua schiena, facendole venire la pelle d’oca.

“ Ciao..” mormorò Sylvie con un filo di voce, scostandosi di pochi millimetri dalle sue labbra.

“ Ciao..” rispose sorridendo Antonio, lasciandole un bacio sulla guancia, carezzandole il volto.

“ Non resistevo più..dovevo assolutamente vederti..” continuò il detective sussurrando, mentre la guardava negli occhi con passione. La ragazza allargò il sorriso, mostrando i denti e facendo comparire due deliziose fossette agli angoli della bocca.

“ Usciamo stasera. Ignoriamo la stanchezza e usciamo..” la pregò addolcendo lo sguardo. Sylvie annuì senza esitare, il cuore pieno di felicità, e si mosse per baciarlo di nuovo ma la voce metallica richiamò la loro attenzione.

Ambulanza 61, malore, 61A Hastings Street.

Sylvie sbuffò sonoramente, lasciando cadere la testa contro il petto forte e muscoloso del detective, nuovamente stanca.

“ Questa giornata non ne vuole sapere di finire..” si lamentò. “..devo andare..”

“ Ci vediamo stasera. Niente scuse. Ti passo a prendere alle nove.” le ricordò Antonio, stringendola ancora tra le braccia.

“Ok.”confermò la ragazza, staccandosi a fatica dall’abbraccio.

In quel momento Gabby uscì dalla caserma, guardò maliziosa in direzione del fratello, il quale le restituì un mezzo sorriso complice, prima di tornare a concentrare la sua attenzione su Sylvie, che stava salendo sull’ambulanza.

“Quindi?” La interrogò Gabby, una volta salita a bordo.

“ Stasera usciamo. Mi passa a prendere alle nove..” spiegò, stringendosi nelle spalle, aprendosi in un ampio sorriso, che fece tenerezza alla collega.

 

Antonio, rimasto a fissare l’ambulanza 61 che se ne andava, sirene spiegate, fu riportato alla realtà da Matt Casey, il quale posò la mano sulla spalla del poliziotto per attirarne l’attenzione. Lo guardò con un misto di curiosità, divertimento e malizia; Antonio si sentì come scoperto, beccato, colto sul fatto; l’imbarazzo si fece evidente sul suo volto, facendo scoppiare in una risata argentina il tenente.

“ Ti va un caffè?” chiese Matt, ricomponendosi.

“ Perchè no!”

Entrarono nella sala mensa e Casey gli versò subito una bella tazza di liquido fumante e aromatico, gli accennò di accomodarsi e lo raggiunse, sedendosi di fronte a lui. Per i primi minuti rimasero in silenzio, godendosi il caffè, poi la curiosità del pompiere si fece incontenibile.

“ Allora...tu e Brett...uscite insieme eh?!” chiese sottovoce per non farsi sentire dagli altri. Antonio per poco non si strozzò con la bevanda calda, preso in contropiede dalla domanda diretta del tenente. Tossì appena, più per riprendere il controllo di sè che per il caffè di traverso.

“ Beh, sì...o meglio, siamo usciti una volta a cena, se non si conta la serata al Molly’s prima della mia missione sottocopertura...però, beh...sì. direi che usciamo insieme..” Matt lo guardò, divertito del suo impaccio e del suo imbarazzo, decisamente insoliti per il detective.

“Ti piace parecchio eh?!” domandò, curioso di verificare se le sue impressioni fossero giuste, incoraggiandolo con gli occhi a confessare. Lo sguardo di Antonio, fino a quel momento imbarazzato ed evasivo, si rischiarò e si addolcì, rispondendo da solo alla domanda di Casey.

“ Decisamente.” sussurrò, fissando il vuoto, perso nei suoi pensieri, nell’immagine della ragazza in questione, sorridendo beato.

“ è divertente, brillante, intelligente, timida...ma ti assicuro che sa farsi valere..” continuò ormai senza più freni.

“ Sì lo so. Gabby lo dice sempre!” confermò Matt.

“ è dolcissima… e ha quegli occhi azzurri che …”sospirò forte, non sapendo come descrivere ciò che provava. Il pompiere non fiatò, lasciandogli tutto il tempo per continuare.

“...mi tolgono il fiato...lei è..semplicemente meravigliosa..”

“ Detective!” esclamò fingendosi stupefatto Casey. “ non mi vorrà dire che si è innamorato di Sylvie Brett?!!” il tono volutamente ironico. Era sicuro di conoscere già la risposta, resa oltremodo evidente dall’espressione di Antonio, che non lasciava spazio a dubbi in merito. Il poliziotto sgranò gli occhi, sorpreso da quella domanda così diretta e sfacciata; incredulo, sentì il respiro mancargli e sentì le parole incastrate in gola, incapaci di uscire. Non ci fu tempo per altro, l’altoparlante richiamò l’attenzione di tutti.

Camion 81, squadra 3, battaglione capo, incendio dovuto ad esplosione, 61 Hastings Street

Il panico gelò il sangue nelle vene di Antonio. Si voltò verso il tenente.Quando vide la paura dipinta sul suo volto e nei suoi occhi si sentì morire. Si alzò di scatto come tutti gli altri e si precipitò verso la sua auto.

 

Quando arrivò all’indirizzo indicato, la paura si tramutò in puro terrore. Un incendio di dimensioni enormi stava divorando due abitazioni adiacenti. Il calore delle fiamme era insopportabile, il fumo e la cenere avevano già iniziato a viziare l’aria, rendendola pesante. Antonio si immobilizzò alla vista di quell’inferno. Il comandante Boden, con la sua voce possente, iniziò a gridare ordini, che venivano seguiti con zelo da tutti i pompieri; Severide e la sua squadra corsero sul retro dell’edificio per cercare un’entrata secondaria, mentre Casey, Hermann e Kidd, equipaggiati di tutto punto, entrarono dalla porta principale, scomparendo tra le fiamme e il fumo. La tensione era alle stelle, Boden continuava a gridare ordini e a parlare via radio con i due tenenti, mentre il detective, ancora impietrito, continuava a fissare le fiamme con il terrore negli occhi, incapace di muoversi e di parlare. Dopo lunghi minuti di angoscia e ansia, dalla porta d’ingresso fuoriuscirono i tre pompieri in compagnia di Gabriela. Il sangue di Antonio ricominciò a circolare e il cuore a battere. Si precipitò verso la sorella, abbracciandola forte appena le fu vicino. Entrambi ancora nel panico biascicarono parole confuse, stringendosi a vicenda. Ma dopo pochi secondi Gabby si staccò dal fratello per rivolgersi al fidanzato, con gli occhi pieni di paura.

“ Brett?! L’avete trovata??” Quelle parole ebbero la funzione di far nascere di nuovo il terrore nel cuore di Antonio, che smise di respirare, lo stomaco stretto in una morsa.

“ Non ancora…” rispose Casey piano. La ragazza ebbe un attimo di smarrimento, durante il quale non riuscì a non pensare a Shay. Leslie Shay, la sua migliore amica, ormai scomparsa. Un tremito incontrollabile si impadronì del suo corpo e le lacrime sgorgarono copiose dai suoi occhi. Ebbe l’istinto di precipitarsi di nuovo dentro l’edificio ma Matt, pronto, la fermò, stringendola per le spalle e scuotendola forte.

“ Gabby! Non puoi tornare là dentro… Gabby!! ascoltami! La squadra sta cercando d entrare dal retro… devi dirmi dov’è Sylvie. Dov’era??” Non ci fu tempo per la risposta di Gabby, la radio del tenente sputò fuori la voce di Severide.

“ La scala sul retro è impraticabile...impossibile salire al primo piano...il fuoco sta divorando tutto...al piano terra nessuna vittima…” Quelle parole furono come un coltello infilato con forza nel cuore di Antonio e della sorella. Il gelo calò inesorabile tra tutti.

“ Eravamo...nell’edificio di destra...al primo piano, nella camera da letto...la donna aveva avuto un collasso...stavo scendendo le scale per andare a prendere qualcosa nell’ambulanza quando c’è stata l’esplosione….” gridò la donna, incapace di trattenere le lacrime.

“ Sylvie è rimasta con la vittima….la primo piano, lato ovest…” concluse.

“ Ok. Bene...Otis! la scala…” gridò l’ordine con necessità, lasciando Gabby alla custodia del fratello e al paramedico appena arrivato.

Antonio, sotto shock, seguì il lavoro frenetico dei pompieri senza fiatare,oppresso dalla paura. Solamente quando Boden si trovò poco distante da lui si riscosse.

“ Capo, se posso aiutare...in qualsiasi modo…” si offrì

“ Lasciali lavorare. La troveremo. Prenditi cura di Gabriela…” lo confortò, posandogli una pesante mano sulla spalla.

Nel mentre il tenente Severide, con al seguito Capp e Cruz, uscirono dal retro dell’edificio, correndo verso il comandante.

“Capo! La casa di sinistra sta per crollare…” annunciò Cruz, togliendosi la maschera.

“ Però... Abbiamo trovato Brett...è ancora con la vittima, si sono spostate nella stanza accanto alla camera da letto… lì c’è una finestra più grande, le possiamo far uscire da lì..” Spiegò Kelly, pulendosi la faccia dalla cenere. Antonio leggermente rincuorato sospirò, grato al tenente della squadra per quelle informazioni.

“ Otis è già pronto con la scala… guidalo tu.” Ordinò Boden risoluto, fiducioso.

I pompieri della caserma 51 non si fermarono un attimo, lavorarono sodo e poco tempo dopo, riuscirono ad entrare nella stanza al primo piano dove si trovavo Sylvie e la vittima. Antonio vide i due tenenti e Cruz scomparire nell’edificio ancora avvolto dalle fiamme, che non erano ancora state domate, e rimase con il fiato sospeso,insieme a Gabby e a Boden, a fissare la finestra da dove erano entrati. Dopo pochi attimi videro uscire Casey e Cruz, con una barella, sulla quale era adagiata la donna per la quale erano state chiamate le due paramedico. Gli altri si affrettarono a dar loro una mano, facendo in modo che la donna potesse essere portata in ospedale il più velocemente possibile. L’attenzione di Antonio invece era ancora fissa sulla finestra, la sua angoscia continuava a crescere ogni secondo di più, ogni secondo che passava senza vedere Sylvie uscire da quell’inferno di fuoco lo torturava, era talmente terrorizzato che non riusciva più a sentire nessuna voce, nessun suono, sentiva solo il crepitio del fuoco che, oltre a divorare l‘edificio, lo stava logorando internamente. Riuscì a respirare di nuovo solo quando Kelly Severide poggiò entrambi i piedi sulla scala, con Sylvie stretta tra le braccia. Sentì le energie, che fino a quel momento lo avevano tenuto in piedi, abbandonarlo. Sentì le ginocchia piegarsi sotto il suo stesso peso. Si ritrovò a barcollare, instabile sulle gambe, fino a che una recinzione non gli fornì un valido appoggio. Non vide sua sorella correre incontro a Kelly, strappandogli quasi la ragazza dalle braccia per abbracciarla. Non vide Sylvie ricambiare l’abbraccio dell’amica, ancora con la paura negli occhi. Non vide che lei stava bene, che stava in piedi con le sue gambe. Non vide i loro sorrisi sollevati. Era piegato su se stesso, una mano stretta alla recinzione che fungeva da stampella, l’altra poggiata sul petto, gli occhi serrati e il respiro accelerato; cercando di capire cosa gli stesse succedendo. Si accorse solo dopo qualche secondo che Boden era davanti a lui, che lo guardava spaventato; non aveva neanche sentito che gli stava chiedendo se stava bene.

“ Antonio! Tutto ok?” Lo sguardo fisso su di lui.

“ Sì...sì, certo.” farfugliò, risultando poco convincente. Cercò con tutte le forze di riprendere il controllo, prendendo grandi boccate d’aria.

Alzò lo sguardo e vide Gabby e Sylvie, seguite dal tenente Severide e dagli altri, dirigersi verso di loro. Solo allora si accorse che lei stava bene; che a parte la faccia nera di fumo, la treccia bionda sfatta e il passo ancora incerto, stava bene. Quando furono vicine, dimenticò tutto, la riservatezza, la compostezza e si precipitò a stringere la ragazza tra le sue braccia. Sylvie si ritrovò avvolta dalle forti braccia del poliziotto, stretta in un abbraccio serrato, che esprimeva tutto il sollievo, il conforto, la paura di non poterla più stringerla dell’uomo. Ricambiò con quanta più forza potè. Soltanto in quel momento si sentì davvero al sicuro.

“ è stata davvero in gamba…” le parole di Kelly ruppero l’incanto.

“ Bagnare quelle due coperte è stata davvero una mossa geniale…” Sorrise compiaciuto della mossa astuta della bionda.

“ sei stata davvero in gamba..” ripetè ammirato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Ed anche il nono è pronto. Avevo in mente questo capitolo da un po’, quindi l’ho scritto velocemente. Spero di aver reso al meglio le sensazioni di questi due personaggi, che, personalmente, amo sempre di più. Ovviamente la mia storia non seguirà esattamente quella dello show, che ha preso la sua strada, ma sicuramente ne sarà influenzata. Spero vi piaccia e attendo con gioia le vostre recensioni. Come sempre, buona lettura.

 
 

Erano ancora tutti nella sala d’attesa del Chicago Med, stravaccati sulle poltroncine, sporchi di fumo, di polvere, le facce stanche e provate; se ne stavano in silenzio, aspettando che le due ragazze facessero gli ultimi controlli. Casey, a differenza degli altri, era concentrato a guardare Antonio che parlava con il Dott. Charles in disparte, chiedendosi come mai lo stesse facendo. Fu l’ingresso della fidanzata a distrarlo. Le andò incontro, chiedendole come stesse e cosa avessero detto i dottori; Gabriela lo rassicurò sulla sua salute poi cercò con lo sguardo il fratello. Antonio, vista la sorella, si congedò dal Dott. Charles e si diresse verso di lei, rinnovando le domande di Matt.

“ Sto bene! Tranquillo.” Lo rassicurò, stringendogli una mano nelle sue.

“ Sylvie?” Chiese in pensiero.

Ma Gabby non fece in tempo a rispondere che la bionda entrò in sala d’attesa in compagnia del Dott. Choi. Le si fecero tutti intorno, impazienti di sapere il suo stato di salute direttamente dal dottore.

“ Come stai?” Le domandarono in molti.

“ Sta bene. Non preoccupatevi.” Rispose Etan al suo posto. “ Ha inalato un bel po’ di fumo, ma l’idea di coprirsi con la coperta bagnata l’ha protetta! Ora ha solo bisogno di riposare.. Vero?” Sorrise a Sylvie, che annuì, sorridendo di rimando. I volti di tutti i componenti della caserma si rilassarono definitivamente, rincuorati dalle parole del dottore, il quale venne ringraziato con pacche sulle spalle e strette di mano.

“ Ehi, ti accompagno io a casa, ok?” Le disse Antonio, passandole un braccio sulle spalle.

 

Gabby li stava guardando uscire dall’ospedale: il detective la stava tenendo stretta contro il proprio corpo, protettivo, e la ragazza aveva appoggiato la testa contro la sua spalla. Formavano una bella coppia, constatò la Dawson, e ne fu felice. Matt e il comandante Boden le si avvicinarono, con l‘espressione preoccupata.

“ Che c’è?” chiese allarmata dalle loro facce.

“ Gabby...credo che Antonio abbia avuto un attacco di panico oggi..” le spiegò Boden. Gabby, sorpresa e confusa guardò i due, non sapendo cosa dire.

“ L’ho visto sbiancare e barcollare. Gli ho chiesto se stava bene ma sembrava non sentirmi...respirava male e si teneva il petto…” continuò.

“ Poi, mentre eri ancora a fare gli accertamenti l’ho visto parlare con il dott. Charles…” si intromise Matt. “ Credo che sarebbe meglio tu gli parlassi.” Concluse.

“ Lo farà lui. Se stava parlando con il Dott. Charles, sono sicura che si sarà già accorto di ciò che gli è successo...” Rispose la ragazza, tornando a guardare la porta dell’ospedale, dalla quale era uscito il fratello poco prima.

“ Lo hai fatto spaventare a morte.” Disse Casey.

“ Non io. Questa volta non si è spaventato a causa mia.” Lo corresse.

 

Durante il viaggio in macchina non dissero una parola. Sylvie, stanchissima, guardava fuori dal finestrino, e Antonio guardava la strada, stringendo il volante un po’ troppo forte, facendo sbiancare le nocche delle mani, agitato. La ragazza si riscosse soltanto quando si accorse che il detective aveva tirato dritto all’incrocio che avrebbe portato a casa sua.

“ Antonio..dovevi girare lì..” disse confusa. Si voltò per guardarlo e notò la sua espressione dura, sembrava arrabbiato. RImase perplessa, non riuscendo a capire per quale motivo dovesse essere arrabbiato. Posò una mano sulla sua spalla, per richiamare la sua attenzione.

“ Ehi...dove stai andando?” chiese piano.

“ A casa mia. Non ti lascio da sola.” rispose freddo, senza distogliere gli occhi dalla strada. Sylvie ancora più confusa non seppe come interpretare quella risposta. Le sue parole erano affettuose, il fatto di non volerla lasciare sola dopo una giornata del genere era davvero un pensiero premuroso, ma il tono, l’espressione del suo volto, il suo sguardo fisso sulla strada, freddo e distaccato esprimevano l’esatto contrario. Lo guardò ancora qualche momento, aspettando che aggiungesse qualcos’altro, inutilmente. Si appoggiò di nuovo allo schienale del seggiolino, confusa e preoccupata, e lasciò che il silenzio tornasse padrone, sperando che fosse lui a romperlo, spiegando il perché di quel suo comportamento strano. Il detective invece non fiatò per tutto il resto del tragitto, immerso nei suoi pensieri; le parole del Dott. Charles che gli rimbombavano in testa, facendolo innervosire ancora di più. Non riusciva a credere di aver avuto un attacco di panico; lui, poliziotto da ormai un’infinità di tempo, detective che aveva assistito alla morte di colleghi e amici, quel giorno aveva perso completamente la padronanza di se stesso, affondando nella paura. Non riusciva a capacitarsi di come poteva essere successo.

Senza dire una sola parola, Antonio aprì la porta di casa, facendo entrare la ragazza. Lei, completamente in imbarazzo, rimase immobile al centro della stanza con gli occhi abbassati, mordendosi le labbra; l’uomo chiuse la porta alle sue spalle e sospirò rumorosamente, passandosi una mano sulla faccia e tra i capelli. Sylvie non riuscendo più a sostenere quel silenzio parlò per prima, dando voce alla sua preoccupazione.

“ Antonio...per favore, potresti dirmi cosa è successo?” Era stata diretta, esplicita, perché non aveva idea di come girarci intorno. Non sapeva come interpretare il mutismo del detective, il suo volto duro, gli occhi scuri così severi e arrabbiati. Si aspettava altro silenzio ma ciò che ricevette furono le sue urla.

“ Ho avuto un attacco di panico oggi!! Ecco cosa è successo!” Gridò facendola sobbalzare.

“ Sono un poliziotto da anni... ho visto di tutto, ho visto le cose più orribili, ho avuto a che fare con i peggiori criminali, ho fatto a botte, ho sfondato porte a calci..” le sue urla erano sempre più alte e Sylvie si ritrovò ad indietreggiare, impaurita.

“ Ho sparato, ho visto colleghi feriti, colleghi uccisi, ho ucciso io stesso…. sono stato ferito...hanno rapito mio figlio, minacciato mia sorella…” la rabbia nei suoi occhi si trasformò di nuovo in terrore, ricordando quei momenti di angoscia, facendo tremare la ragazza, che lo guardava sbigottita e atterrita da quello sfogo inaspettato.

“ ma mai...mai...mai nella mia vita ho avuto tanta paura come oggi….MAI.” Concluse ormai senza fiato, abbassando le braccia che fino a quel momento avevano gesticolato frenetiche; era ancora vicino alla porta, con il giubbotto di pelle ancora addosso, incapace di muovere un passo.

“ Mi dispiace..” sussurrò la ragazza con un filo di voce tremante. Ma quelle due parole non fecero che gettare altra legna sul fuoco.

“ Ti dispiace????” La incalzò Antonio, gridando di nuovo.

“ Quando Casey è uscito da quell’inferno senza di te ho creduto di impazzire!!! Non potevo fare niente per aiutarli, ero completamente inutile!!” La sua rabbia ormai incontenibile, spaventò ancora di più Sylvie, lasciandola immobile, stretta nelle spalle, con gli occhi sgranati; sentì le lacrime farsi strada nei suoi occhi, cercò di ricacciarle indietro inutilmente.

“ Mi dispiace….cos’altro potrei dire?” provò a giustificarsi.

“ ...... perchè sei così arrabbiato con me?” Gemette, pregandolo con lo sguardo di darle delle spiegazioni.

“ Non sono arrabbiato con te..” la corresse, gridando come un ossesso.

“ Ma continui ad urlarmi contro….” Mormorò Sylvie, ormai sull’orlo del pianto.

“ Mi sto innamorando di te dannazione!!” concluse Antonio, sovrastando le ultime parole della ragazza. Sylvie alzò lo sguardo di scatto, completamente sconvolta da quell’affermazione. Sentì il cuore farle una capriola nel petto, riprendendo a battere velocemente, minacciando di scoppiare. Smise di respirare, incapace di credere alle proprie orecchie.

“ Cosa?” Riuscì a balbettare, appena udibile.

“ Mi sto innamorando di te.” Ripetè il detective, abbandonando il tono furioso, tornando ad addolcire lo sguardo e i lineamenti del volto, come se si fosse liberato da un grosso peso.

“ C’ho messo tempo e fatica, tanta fatica, a costruire queste mura invalicabili intorno a me...per difendermi, per impedire ad altri di avvicinarsi, per impedire che altre persone potessero ferirmi come ha fatto Laura...e poi arrivi tu.. tu che in quanto? dieci minuti?! distruggi tutto.” Le parole fluivano fuori dalla sua bocca senza sosta, veloci, come una valanga.

“ Hai distrutto tutto ciò che avevo faticato a costruire..”

“ C-cosa?” Chiese stranita la bionda, che non riusciva a seguire quel fiume di accuse, all’apparenza insensate.

“ Tu. Con la tua dolcezza e la tua spontaneità, hai smantellato le mie difese… lasciandomi inerme, indifeso…”

Gli occhi di Sylvie furono attraversati dallo shock, impallidì non appena metabolizzò il significato delle parole di Antonio; rilassò i muscoli e lasciò che il sangue le affluisse alle guance, imporporandole appena. Con movimenti lenti si liberò della giacca, muovendosi lentamente verso Antonio, ancora immobile vicino alla porta, che continuava a parlare a ruota libera.

“ E oggi… quando ho realizzato cosa fosse successo, mi sono sentito morire...la sola idea di perderti...ho davvero creduto di morire..” La sua voce era ormai un sussurro disperato. Finalmente era riuscito a dare sfogo a tutta l’angoscia provata quel giorno e quando si trovò la ragazza a pochi centimetri di distanza lasciò che anche le ultime pietre delle sue mura difensive crollassero miseramente.

“ Mi sto innamorando di te, Sylvie Brett. Completamente. Profondamente.”

Sylvie, accecata dalla gioia, gli si gettò tra le braccia, baciandolo con impeto, facendosi trasportare dall’emozione. Antonio non esitò a stringerla forte, ricambiando il bacio con entusiasmo, tanto da sollevarla da terra. Ben presto quel contatto si fece più passionale, più intenso, più coinvolgente. I loro respiri si fecero affannosi, trasformandosi in ansimi; i loro corpi, stretti in un abbraccio serrato, sembravano volersi fondere l’uno con l’altro. Sylvie, senza staccare le labbra da quelle di Antonio, gli tolse la giacca di pelle, lasciandola cadere a terra e, avida di sentire la sua pelle calda, infilò le mani sotto il maglioncino leggero, godendo di quel contatto con i muscoli scolpiti della sua schiena. Il detective, travolto da brividi di piacere che quel tocco faceva nascere, abbandonò le labbra di Sylvie, per imprimere una scia di baci infuocati lungo il suo collo, facendole sfuggire un timido gemito. Incoraggiato da quel dolce suono, il detective le sfilò la maglietta blu della divisa da paramedico, ancora sporca di fuliggine, rimanendo di sasso davanti alla vista del corpo pallido della bionda.

“ Wow..” Mormorò, divorandola con gli occhi. Deglutendo la saliva che gli si stava accumulando in bocca, Antonio, con gli occhi fattisi liquidi di lussuria, tornò a baciarla smanioso, scendendo lungo la linea del collo. Si soffermò sulla sua spalla, scontrandosi con la spallina del reggiseno nero, che con mano tremante per l’eccitazione, abbassò, coprendo ogni centimetro quadrato della sua candida pelle con baci appassionati. Sylvie si abbandonò completamente a lui, rovesciando la testa all’indietro, consentendo ad Antonio di esplorare il suo décolleté, fino al solco tra i suoi seni. Ad un tratto prese il viso del detective tra le mani, riportandolo all’altezza del suo, osservandolo attentamente. I suoi occhi neri sembravano pieni di fuoco, sembravano lampeggiare di desiderio; dalle labbra gonfie uscivano sospiri eccitati e affannati, che facevano alzare e abbassare il suo petto muscoloso, come un mantice; sorrise provocante e non esitò oltre. Afferrò la stoffa rossa della maglietta di Antonio e la tirò verso l’alto, continuando a baciarlo con foga, fino a sfilargliela di dosso. Osservò il suo torace nudo, i suoi muscoli tonici e scolpiti, e pensò di trovarsi di fronte ad una statua di un dio greco, tanta era la perfezione del suo corpo. Concesse alle sue mani di percorrere ogni centimetro del suo torace, liscio e duro come il marmo, mentre sul volto le si dipingeva un timido sorriso. Sentì la pelle del bel poliziotto infuocarsi sotto le dita, facendole aumentare il battito cardiaco, trasformando ogni respiro in un gemito di piacere. Il detective, reso audace dallo sguardo seducente della ragazza, ma soprattutto dai suoi gesti e dai suoi baci voraci, l’afferrò per i glutei, staccandola da terra. Sylvie, affondando i suoi magnifici occhi azzurri in quelli neri e profondi di Antonio, si aggrappò alle sue spalle e allacciò le gambe intorno ai suoi fianchi, stringendosi sempre di più a quel corpo statuario, annullando ogni distanza tra loro, baciandolo appassionatamente sulle labbra, insinuando le dita nei suoi folti capelli scuri. Carico di quel dolce peso, Antonio la portò in camera da letto, senza mai smettere di baciarla, godendosi ogni secondo di quel contatto. La distese sul materasso, delicatamente, portandosi poi sopra di lei. La guardò dritta negli occhi, con tutto l’amore possibile, per imprimere nella memoria ogni istante di quel momento. Cercò in quel mare azzurro che erano i suoi occhi, il suo consenso, improvvisamente terrorizzato dall’idea di turbarla. Sylvie, devastata dalla dolcezza e dalla premura di quello sguardo, posò le sue labbra morbide su quelle del detective, cancellando ogni dubbio.

Né la stanchezza accumulata, né la paura provata quel giorno avrebbero potuto impedire loro di fare l’amore. Neanche l’odore di fumo che impregnava ancora i capelli di Sylvie, né le tracce di cenere sul suo volto, che non era riuscita a lavar via nel bagno dell’ospedale, avrebbero potuto impedire ai loro corpi di unirsi in quell’atto così intimo e dolce. Niente al mondo avrebbe potuto.

Fecero l’amore, inebriandosi l’uno dell’altro. Sentendosi per la prima volta completi.

Fecero l’amore dolcemente. Teneramente.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Quando mi sono decisa a scrivere questa fanfiction, mai avrei creduto che la mia mente potesse articolare una storia lunga più di tre pagine, e invece, eccoci qua al decimo, DECIMO, capitolo. Ed è tutto merito del vostro supporto, lettori di EFP; le recensioni, i messaggi o anche soltanto il numero crescente di visite ricevute, mi sprona a continuare a scrivere, a dare spazio alla mia immaginazione. Quindi grazie di cuore.

Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Buona lettura.

 

Un debole fascio di luce, penetrando nella stanza dalla finestra con le tapparelle alzate, si allungò sul volto di Antonio, che dormiva pacifico, sdraiato sulla schiena, una mano abbandonata sull’addome che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro profondo e regolare. Quel leggero bagliore, appartenente alle prime luci dell’alba, indugiando tra le ciglia del detective, accelerò il suo risveglio. Strinse gli occhi, leggermente infastidito e sbatté le palpebre più volte, cercando di capire per quale ragione ci fosse luce nella stanza; osservò la finestra e si accorse che le tapparelle erano stranamente aperte. Cercò di fare mente locale; per quale ragione lui, che non riusciva a dormire a meno che la stanza non fosse nella più completa oscurità, avrebbe dovuto lasciarle aperte? Questa domanda lo svegliò definitivamente. Soltanto allora si accorse di avere il braccio sinistro completamente addormentato, e soltanto in quel momento realizzò la presenza di un dolce peso sul suo petto.

Sylvie, accoccolata al suo fianco, con la testa nell’incavo del suo braccio e la mano poggiata sul suo petto, dormiva beata. Sul suo volto rilassato campeggiava un sorriso appena accennato, la sua piccola mano candida emanava un dolcissimo calore a contatto con il petto nudo di Antonio, mentre l’altra mano stringeva una cocca del lenzuolo bianco, facendola assomigliare ad una bambina che sogna un mondo fatto di giochi e zucchero filato, tenendo stretto il suo pupazzo. Il detective, osservandola, provò un’immensa tenerezza. Le circondò le spalle con il braccio, del quale aveva ripreso la totale sensibilità, e la attirò a sé ancora un po’. Un gesto premuroso e protettivo verso quella bionda creatura, simile ad un angelo, che aveva scaldato di nuovo il suo cuore indurito dalla vita e dal lavoro. Sylvie, continuando a dormire, rispose inconsciamente a quell’abbraccio allungando la sua mano fino alla spalla di Antonio, stringendolo a sua volta più saldamente, e allacciando la sua gamba snella a quella forte del detective. Il contrasto tra le loro pelli fece rabbrividire di piacere Antonio, il quale si lasciò cullare da quell’abbraccio; sospirò delicatamente, inebriandosi del dolce profumo fiorito che emanava il corpo della ragazza. L’odore di fumo, di cenere, di paura e angoscia, che aveva impregnato i suoi capelli e la sua persona in quella giornata infernale era svanito, probabilmente le era stato strappato di dosso con gli indumenti la sera precedente, da Antonio stesso. Il poliziotto chiuse gli occhi e appoggiò la guancia alla testa della fanciulla, rilassando ogni muscolo e ogni pensiero, fino a che non sprofondò di nuovo in un sonno profondo e costellato di deliziosi sogni. Il fatto che, generalmente, fosse incapace di dormire supino fu ignorato bellamente dal suo intero corpo, il quale si dimenticò anche il suo rifiuto a dormire con anche un misero filo di luce. La presenza di Sylvie tra le sue braccia, ancora nuda e calda, fece in modo che lui, Antonio Dawson, dormisse supino, in una stanza che pian piano, con l’avanzare del giorno, si riempiva di luce; fece in modo che dormisse un sonno tranquillo e profondo, come non succedeva da anni.

Si svegliò con il suono acuto della sveglia. Antonio, senza aprire gli occhi, allungò una mano verso il comodino e con un gesto secco spense la sveglia. Appena quel suono stridulo cessò di tormentare le sue orecchie, tornò a posizionare il braccio intorno al corpo di Sylvie che, infastidita dal trillo della sveglia, si stava muovendo lentamente, stiracchiandosi, cercando di riemergere dal sonno. Antonio allentò appena la stretta su di lei, per consentirle di allungarsi a suo piacimento; aprì svogliatamente gli occhi e si concentrò sul volto della ragazza che era a pochi centimetri di distanza dal suo, ritrovando quella pace interiore che il suono della sveglia aveva disturbato. La osservò mentre pian piano usciva dal torpore della notte, accarezzandole la schiena e i fianchi, godendo della sua pelle liscia e calda a contatto con la sua mano ruvida. Sylvie, come un gatto in cerca di coccole, si strinse ancora di più al corpo atletico del detective, intrecciando le gambe con le sue e trovando posto alla sua testa nell’incavo del collo dell’uomo, assaporando il suo profumo con respiri profondi.

“ Buongiorno..” mormorò la bionda, sfiorandogli il collo con il fiato caldo e con la punta del naso.

“ Buongiorno..” rispose Antonio, rabbrividendo a quel tocco delicato. Lei alzò leggermente gli occhi per guardarlo, maliziosa. Lui le sorrise dolcemente prima di baciarla teneramente sulle labbra, riaccendendo il fuoco che la sera precedente li aveva incendiati. La voglia di toccarsi e baciarsi fino a consumarsi prese il sopravvento; i loro corpi, bruciando di desiderio, si fusero ancora un volta lasciandoli senza fiato, appagati. Si accoccolarono sotto le lenzuola, ancora ansimanti, e restarono per un po’ abbracciati, accarezzandosi a vicenda.

“ è stato…..” accennò il detective, sorridendole.

“ Sì...decisamente…” Concordò Sylvie senza attendere che lui completasse la frase, capendo esattamente ciò che provava. La bionda lo baciò delicatamente sulle labbra, sulle guance e sul collo, inebriandosi dei suoi sospiri e dei suoi mugolii di piacere. Improvvisamente la sveglia suonò di nuovo. Antonio la spense, controllando l’ora.

“ Devo andare a lavoro…” Disse piano, guardando la bella bionda tra le sue braccia con malinconia. I suoi occhi esprimevano tutto il rammarico e la tristezza di porre fine a quei momenti paradisiaci; Sylvie, prendendogli il viso tra le mani, lo baciò ancora.

“ Ok….anche io dovrei andare…”

Antonio però, desiderando prolungare quell’insolito e piacevolissimo risveglio, l’attirò a sé per approfondire quel dolce contatto delle loro labbra. Si strinsero in un abbraccio serrato, facendo aderire perfettamente i loro corpi, continuando a baciarsi con fervore, rotolandosi tra le lenzuola.

“ Stasera.” Disse deciso il detective.

“ Stasera.” Ribadì la giovane, sorridendo gioiosa.

 

“ Detective! è in ritardo!” Trudy Platt lo accolse con queste parole quella mattina, senza neanche un buongiorno. Antonio un po’ sorpreso, guardò l’orologio alla parete, per controllare la veridicità dell’accusa del sergente, trovandosi invece di fronte al contrario: era in perfetto orario. Indicò l’orologio alla donna, facendole notare che si stava sbagliando, sorridendo sornione, senza aggiungere una sillaba. Salì al piano superiore velocemente, saltellando quasi sui gradini. Appena fu negli uffici dell’intelligence venne accolto da Erin, che con espressione sbigottita lo apostrofò con parole simili a quelle della Platt.

“ Ehi! Sei in ritardo..”

“ A dir la verità no…” La corresse Antonio.

“ Oh sì che lo sei…” Ribatté lei, accennando un sorriso derisorio, smettendo di scrivere al pc e lanciando un’occhiata complice a Jay.

“ Lindsay, dai un’occhiata all’orologio…. sono in PERFETTO orario!” Sottolineò con la voce l’aggettivo perfetto.

“ Ehilà Antonio! sei in ritardo stamani.” La testa arruffata di Adam sbucò dalla stanza dove si trovava la macchina del caffè; avendo sentito la voce del collega appena arrivato si era affacciato per salutarlo, ribadendo ancora una volta il suo presunto ritardo, con tono sorpreso.

“ Cosa?” Antonio era decisamente confuso. Guardò di nuovo in direzione di Erin, che gli riservò un’occhiata che sembrava voler dire ‘te l'avevo detto’, per poi spaziare per tutta la stanza, nella speranza di ricevere man forte dagli altri colleghi, o almeno qualche spiegazione. Non ricevette né l’una, né l’altra. Sconfitto e sempre più confuso si accomodò al suo posto, borbottando per ribadire ancora una volta il fatto di non essere in ritardo, e di avere l’affidabilità dell’orologio dalla sua.

“ Amico, sei arrivato persino dopo Ruzek!” Lo canzonò Jay, sogghignando divertito. Antonio alzò le mani in segno di resa. Era tempo perso discutere con loro quando si alleavano in quel modo.

“ Sei sempre il primo. La mattina di solito ti trovo già qui... sono arrivata anche a pensare che tu dormissi in ufficio! Invece stamani sei arrivato per ultimo.” Gli spiegò Erin.

“ Quindi sei decisamente in ritardo rispetto al tuo solito…” Il detective constatò la sensatezza di quel ragionamento e abbozzò un sorriso alla collega, facendole capire che aveva afferrato il punto.

“ Non credevo che dormendo un po’ di più vi avrei turbato così tanto!” Scherzò.

“ Tu dormi?! Questa è una novità!” Esclamò Jay ridendo alla sua stessa battuta.

Antonio lanciò una pallina di carta in testa al detective.

In quel momento Voight uscì con passo deciso dal suo ufficio.

“ Il  capitano mi ha informato che l’incendio in Hastings Street di ieri è stato scatenato da un esplosione di un laboratorio di metanfetamina, che si trovava nello scantinato di una delle due abitazioni.” Esordì con il solito tono duro della voce, tono che non ammetteva repliche o scherzi, ma solo completa attenzione.

“ Secondo la scientifica sembra che sia stato anche piuttosto grosso come laboratorio. La narcotici pensa che ci sia dietro Frank e chiede la nostra collaborazione.” Si avvicinò alla lavagna, dove attaccò la foto del trafficante noto come Frank.

“ Sapete cosa fare.” Concluse rivolgendo occhiate d’intesa a tutti gli agenti, che annuirono seri, iniziando a muoversi per iniziare una nuova indagine, una nuova giornata di lavoro. Antonio, facendo un cenno ad Olinsky, si alzò dalla sedia, afferrando il fedele giubbotto di pelle; avendo dei trascorsi nella narcotici era suo il compito di aggiornarsi con i colleghi di quella unità.

“ Ehi, Antonio” Lo richiamò Voight. “ Eri in ritardo stamattina..”

Il detective rimase per un attimo impietrito, sorpreso da quelle parole; non sapendo come rispondere rimase in silenzio. Quando il sergente si voltò per tornare nel suo ufficio, allargò le braccia confuso e incrociò lo sguardo con gli altri, che stavano trattenendo a stento le risa.

 

“ Sylvie!!” Era appena scesa dall’auto quando si sentì chiamare a gran voce da Gabby, che insieme a Matt si stava incamminando verso la caserma.

“ Buongiorno!” Rispose allegra, raggiungendoli velocemente.

“ Come stai?” si interessò sinceramente la mora.

“ Bene! Davvero..” Non fece in tempo ad aggiungere altro perchè, entrando nell’edificio, venne assalita dai colleghi che si premuravano di conoscere il suo stato di salute. Li tranquillizzò con parole e sorrisi, prima di cambiarsi ed intraprendere una nuova giornata di lavoro. La voce metallica non tardò molto a farsi sentire quel giorno, infatti dopo poco più di un’ora l’ambulanza 61 fu chiamata in causa. Sylvie e Gabby si diressero sul luogo indicato loro; un lussuoso Hotel vicino alla Civic Opera House, dove, chiedendo all’uomo elegante che le aspettava nella hall, scoprirono che la chiamata riguardava un ipotetico avvelenamento da cibo. Il direttore dell’hotel, mentre le accompagnava nella camera 203, spiegò loro l’accaduto per sommi capi.

“ Sicuramente la signora Thompson ha mangiato qualcosa fuori dall’hotel, perchè è impossibile che sia stata una nostra pietanza a farla stare male.” Concluse agitatissimo e preoccupato più per la cattiva pubblicità, che poteva uscire da quell’accaduto per il suo Hotel, che per la salute della sua ospite. Le due paramedico si scambiarono un’occhiata significativa e dribblando l’uomo, entrarono nella camera per prestare soccorso alla signora Thompson. Alla fine non risultò niente di grave, una leggera indisposizione, e quindi lasciarono l’hotel poco dopo tra i ringraziamenti della donna e quelli dell’elegante direttore, sollevato nel sentire che il malore non fosse stato colpa dei suoi chef.

“ Oddio...a quell’uomo non interessava affatto la salute di quella poveretta!!!” Sbuffò la bionda infastidita.

“ Gli importava solo delle recensioni negative! Che schifo..”

“ Non te la prendere...il mondo ne è pieno di gente così…”

“ Hai perfettamente ragione, non me la devo prendere...non mi farò rovinare questa splendida giornata da uno così!” Gabby la guardò allibita mentre stava salendo al suo posto sull’ambulanza.

“ Splendida giornata?! Brett...sta diluviando! Sembra l’apocalisse..” Non poteva credere che la bionda, che si intristiva in modo proporzionale al ingrigirsi del cielo che si annuvola, avesse definito quella giornata temporalesca splendida.

“ Tu che di solito ti metteresti a piangere quando piove… Cos’è che rende oggi splendido?” Domandò incuriosita Gabriela, osservando l’irrigidirsi della collega sul sedile.

“ Dopo lo spavento di ieri...sai, anche giornate come questa mi sembrano belle..” azzardò la risposta, credendoci poco anche lei. Non era sicura di voler dire alla sorella di Antonio ciò che era successo la notte precedente, le sembrava davvero strano parlarle di cose così personali adesso che riguardavano suo fratello. Sperò quindi che la ragazza si bevesse la scusa che aveva accampato malamente. Per fortuna per lei, un ingorgo gigantesco sulla strada attirò la completa attenzione della collega.

“ Guarda lì che casino!!! Come diavolo facciamo ad uscire adesso?” Sylvie si allungò verso il cruscotto per vedere meglio, constatando che erano rimaste imbottigliate bene bene sulla Wacker, e che probabilmente ci sarebbero volute ore per tornare in caserma. Sbuffò sonoramente e si accasciò sul sedile.

“ Speriamo di riuscire ad arrivare alla Van Buren..magari da li riusciamo ad aggirare questo casino..” disse Gabby, parlando più a se stessa che con la collega.

Impiegarono un bel po’ per tornare alla 51, e quando parcheggiarono al solito posto trovarono Severide e il resto della squadra che rientravano da una chiamata.

“ Tornate adesso? Era così grave?” Domandò il tenente, mentre si toglieva gli stivali.

“ A dir la verità siamo rimaste imbottigliate nel traffico.... sulla Wacker è il delirio.” Rispose Gabby. Proprio in quel momento, un uomo, che cercava di ripararsi dalla pioggia tenendo il giubbotto sopra la testa, arrivò di corsa nella loro direzione. Appena fu al riparo dall’acqua si rimise il giubbotto a posto, scoprendosi la testa.

“ Ehi! Sei più qui che al distretto ultimamente, non credi?!” Lo salutò Gabby con ironia non troppo velata.

“ Ciao anche a te, sorella!” Le rispose Antonio, cercando di asciugarsi un po’, passandosi le mani sulla faccia. Era completamente zuppo, sembrava avesse fatto un tuffo in piscina vestito. Sylvie vedendolo non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti.

“ Ciao! Non mi avevi detto che saresti passato..” lo salutò la bionda, avvicinandosi.

“ Ehi…” Il saluto del detective morì sulle sue labbra, quando si aprirono in un sorriso enorme. I loro occhi scintillavano di felicità; e tutti i presenti se ne accorsero.

“ Non sapevo che sarei passato. Devo chiedere una consulenza a Kelly…”

“ Volentieri!” disse Severide senza esitare.

“ Seguimi. Così ti dai anche un’asciugata…” Il tenente, osservando il suo stato pietoso con un’espressione piuttosto divertita, gli indicò con il pollice l’interno della caserma e si apprestò a fargli strada. Antonio, prima di seguirlo all’interno, si chinò a dare un piccolo bacio a Sylvie, che rimase sorpresa da quel gesto così inaspettato in quel luogo pieno di persone.

“ Ci vediamo dopo.” Le disse, facendole l’occhiolino, intanto che si allontanava dietro a Severide.

“ Ora capisco tutto…” Gabby non aspettò neanche che fossero sole per dar voce ai suoi pensieri.

Un’espressione allarmata si dipinse sul volto della bionda, mentre Cruz e il resto della squadra, che aveva assistito alla scena, la guardavano sbigottiti.

“ Tu e Antonio avete..”

“ Sshh!!” Sylvie zittì la collega e prendendola per un braccio la trascinò lontana dagli altri.

“ Sei stata da lui stanotte, dì la verità!” La punzecchiò Gabby, sorridendo maliziosa, mentre si faceva condurre dietro il camion 81; stentava a trattenere le risa.

“ Ehm...se magari tu smettessi di urlarlo ai quattro venti…” la riprese Sylvie, che nel frattempo aveva assunto una brillante tonalità di rosso. La ragazza, imbarazzatissima, si torturava le mani e si mordeva le labbra, evidentemente a disagio. Gabriela alzò le sopracciglia, assumendo un’aria interrogativa; era impaziente di sentire direttamente dalla bocca di Sylvie la conferma alla sua supposizione.

“ Beh...Sì.” Ammise infine.

“ Lo sapevo! E sei andata tu da lui?” Sylvie non si aspettava certo una reazione così interessata, e ne rimase basita. Sollevata, ma basita.

“ No…non mi ha neanche riaccompagnata a casa. Era un po’ scosso e non voleva lasciarmi sola…” iniziò a raccontare con voce incerta, immaginandosi che l’altra la fermasse da un momento all’altro, a disagio con il racconto. Inspiegabilmente non successe, così Sylvie continuò a raccontare della sera prima.

“ Siamo andati a casa sua e lui ha iniziato a sbraitare contro di me..”

“ Lo fa quando è spaventato a morte per qualcuno..” Gabby conosceva molto bene suo fratello; loro due avevano un legame molto forte e la descrizione della reazione violenta dopo la giornata precedente non la sorprese affatto. Aveva capito da tempo quello che Antonio provava per Sylvie, lo aveva capito molto prima di lui.

“ Sì, beh. Alla fine l’ho capito. Non è stato facile, tra le urla e le frasi senza senso..” Mentre parlava notò che la collega le sorrideva soddisfatta; bastò per farle capire che a lei stava bene.

“ Mi ha detto che si sta innamorando.” L’espressione sul volto di Sylvie si addolcì, il solo pensiero di quelle parole, pronunciate dal detective, le fece brillare gli occhi azzurri di una luce particolare. Fu sufficiente, per Gabby, per comprendere che i sentimenti del fratello erano ampiamente ricambiati. Sopraffatta dall’emozione, abbracciò Sylvie con slancio, sorprendendola; la bionda non tardò a ricambiare quell’abbraccio pieno di significato.

“ Benvenuta in famiglia, amica mia.” Le parole della Dawson, appena sussurrate, fecero riempire i suoi magnifici occhi azzurri di lacrime di gioia.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Finalmente ecco anche l’undicesimo capitolo. Scusate la lunga attesa ma è un periodo piuttosto intenso questo e il tempo a disposizione per scrivere non è molto.

Spero vi piaccia. Come sempre, buona lettura.

 

Severide accompagnò Antonio negli spogliatoi e, mentre lui frugava nell’armadietto alla ricerca di una maglietta asciutta da prestargli, il detective si spogliò degli abiti bagnati e si asciugò meglio che potè.

“ Tieni..metti questa.” Disse il pompiere lanciandogli una maglia blu scura a maniche lunghe, con la scritta ‘squad’ dietro le spalle.

“ Grazie Kelly.” Afferrò l’indumento al volo. “ Mi hai salvato..”

“ Per così poco!!” Severide gli sorrise.

“ Non parlo di questo..” chiarì Antonio accennando alla maglia che teneva ancora in mano.

“ Parlo di ieri, dell’incendio sulla Hastings.” Severide lo guardò confuso. Il detective si infilò l’indumento asciutto prima di continuare.

“ L’hai salvata. Sylvie, intendo.” Fece una breve pausa. “ Di conseguenza hai salvato me…”

Severide ricordò il giorno prima; l’incendio che aveva intrappolato Brett al primo piano di un’abitazione, l’ansia che aveva attanagliato tutti quando avevano scoperto che le scale all’interno erano inutilizzabili, il sollievo quando avevano sentito la voce della ragazza che chiedeva aiuto, tutte le manovre fatte per tirarla fuori da quell’inferno di fuoco. Si ricordò dello sguardo terrorizzato del detective, si ricordò dell’abbraccio con cui aveva stretto Brett una volta salva. Sorrise di nuovo verso Antonio, dandogli delle pacche amichevoli sulla spalla.

“ Quando vuoi!” Antonio ricambiò il sorriso, poi cambiò argomento.

“ Tornando a noi.. Avrei bisogno che tu dessi un’occhiata a delle foto dell’edificio che è bruciato ieri…” Il detective spiegò al tenente tutti i dettagli che riguardavano il caso dell’esplosione del laboratorio di metanfetamina e chiese il suo aiuto per stabilire se quell’esplosione era stata accidentale oppure intenzionale. Continuarono a parlare ed a visionare fotografie e fascicoli per un’ora abbondante.

“ Solo dalle foto e dai referti non riesco a dirti di più. Dovrei vedere di persona.” Disse il tenente concentrato a osservare per l’ennesima volta alcune foto.

“ Lo immaginavo. Informerò Voight e magari domani dopo il tuo turno ti accompagno a fare un sopralluogo. Che ne dici?”

“ Per me non ci sono problemi. Fammi sapere se devo venire al distretto o se ci troviamo direttamente sul luogo dell’incendio, ok?” Severide, alzandosi dalla scrivania, tese la mano ad Antonio, che la strinse con decisione, ringraziandolo ancora per la consulenza. Si salutarono da buoni amici e mentre Antonio si stava allontanando, Kelly richiamò la sua attenzione.

“ Ehi Antonio!” Il detective si voltò verso di lui. “ Sono felice per te e Brett..”

Sul suo volto si dipinse un’espressione di gratitudine e felicità che lasciava facilmente intuire quanto profondi fossero i suoi sentimenti per Sylvie.

 

Gabby e Sylvie stavano rifornendo l’ambulanza e controllando che tutto fosse in ordine quando Antonio uscì dalla caserma, dopo il colloquio con Severide. Si avvicinò alle due ragazze che chiaccheravano e ridevano tranquille; il suono di quelle risate sollevò il suo animo e lo fece sorridere amabilmente.

“ Cos’è che vi fa tanto ridere?” Chiese quando si affacciò dentro l’ambulanza.

“ Oh, Ehi!” Sylvie, riconosciuta la voce di Antonio, alzò lo sguardo e rimase senza fiato, come ogni volta che lo guardava.

“ Niente...Gabby mi stava raccontando di Casey che fa il verso dei dinosauri per Louie..” Spiegò la ragazza non riuscendo a smettere di ridere. Il detective si appoggiò con una spalla al portellone posteriore del mezzo, alzò le sopracciglia con fare curioso e divertito e rimase a guardarle ridere di gusto. Il volto di Sylvie, rischiarato da un magnifico sorriso, sembrava di porcellana tanto la sua pelle era chiara e liscia; gli occhi lucidi a causa del troppo ridere scintillavano di gioia, una gioia che riempì il cuore del poliziotto, facendogli desiderare di rimanere a guardarla ridere per ore. Calmate le risate, la bionda scese dall’ambulanza e si avvicinò per regalargli un bacio delicato sulle labbra.

“ E tu? Kelly ti è stato d’aiuto?” Chiese curiosa.

“ Sì e no…” Rispose evasivo.

“ Sai che non ti sopporto quando fai il bravo poliziotto?” Lo rimbeccò Gabby da dentro l’ambulanza. Antonio sbuffò in maniera teatrale, facendo alzare gli occhi al cielo alla sorella.

“ In che senso?” Chiese invece la bionda curiosa.

“ Gabby detesta che non mi sbottoni sui casi che seguo...anche se sa benissimo che non dovrei dire proprio niente!!” Le ultime parole le pronunciò con un tono piuttosto alto per farsi sentire dalla sorella, che stava trafficando con una busta contenente aghi di varie misure.

“ Come sei noioso!” Rispose Gabby.

“ Ok, devo proprio andare. Ceniamo insieme stasera?” Chiese a Sylvie mentre le posava un bacio sulla guancia.

“ Mi sembra un’ottima idea.” Rispose, baciandolo a sua volta. Si sorrisero complici, poi Antonio si allontanò verso la sua auto salutandole con la mano. Sylvie rimase ad osservarlo andar via, sospirando sognante. Gabby le lanciò un pacchetto di garze in testa per riportarla con i piedi per terra.

“ Ehi, ahi!” Si lamentò la bionda, raccogliendo il pacchetto da terra.

“ Siete vergognosamente sdolcinati…Disgustosi, direi..” Sylvie alzò le spalle, arrossendo un poco. Poi incrociando lo sguardo con l’amica si allargò in un sorriso smagliante.

“ Disgustosi ma carini” Concluse la Dawson piano.

 

La giornata passò lentamente, ma tutto sommato senza intoppi. Finito il turno Sylvie si cambiò velocemente e dopo una breve fermata al supermarket per prendere le ultime cose, si diresse a casa a preparare la cena. Era piuttosto brava in cucina, quindi l’idea di cucinare per Antonio non la preoccupava. Aveva deciso di preparare piatti semplici, senza esagerare; dopotutto non era un’occasione particolare e non voleva bruciarsi le carte migliori subito la prima volta che cucinava per lui. Quando il detective aveva accettato di buon grado l’idea di mangiare a casa sua e non al ristorante, Sylvie aveva fatto i salti di gioia; l’idea di cucinare per lui le piaceva davvero tanto. Le sembrò di fare un passo in avanti nella loro relazione; e questa sensazione le riempì il petto di un’infinità di emozioni. Erano una coppia. Una di quelle coppie che cenano insieme la sera, raccontandosi la giornata, che si rilassa sul divano, l’uno tra le braccia dell’altro.

Era ancora indaffarata ai fornelli quando Antonio suonò il campanello.

“ Sali! La porta è aperta.” Gli disse al citofono.

Dopo pochi minuti il detective varcò la soglia di casa; aveva l’aria stanca ed indossava ancora la maglia blu di Severide sotto la giacca di pelle.

“ Permesso..” Disse chiudendosi la porta alle spalle.

“ Entra, entra! Scusami se non ti ho accolto come si deve, ma non vorrei bruciare la cena!” rispose Sylvie, con voce allegra, dalla cucina. Il poliziotto si tolse la giacca, trovandole posto all’appendiabiti, e la raggiunse in cucina. Sylvie indossava un paio di jeans chiari e una semplice t-shirt verde, i bei capelli biondi erano raccolti in una crocchia disordinata, dalla quale uscivano ciuffi ribelli; ad Antonio sembrò bellissima, forse anche più del solito. La osservò compiaciuto per qualche secondo e sorrise divertito quando notò che indossava delle ciabatte/pantofole azzurre con su scritto ‘ Believe in unicorns’.

“ Calzature di classe..” Commentò ironico. Sylvie abbassò lo sguardo sui suoi piedi, poi, ridendo, si avvicinò a lui per baciarlo.

“ Sono le più eleganti che ho!” Rispose anche lei con una battuta. Il detective rise di gusto, poi la baciò con trasporto, stringendola a sè con un braccio.

“ Era tutto il giorno che desideravo farlo…” Sussurrò piano all’orecchio della ragazza, che lo guardò con i suoi occhioni azzurri pieni di felicità, prima di prendergli il viso tra le mani e baciarlo di nuovo, con un’intensità tale da lasciarli entrambi senza fiato.

“ Ok, adesso allontanati da me, se non vuoi mangiare solo carbone!” Gli disse spingendolo via con una mano. Antonio alzò le mani in segno di resa e si staccò da lei, sorridendo malizioso.

“ Accomodati sul divano, accendi la tv...insomma mettiti comodo. Ancora cinque minuti ed è pronto.” lo esortò Sylvie, tornando a trafficare con pentole e padelle.

“ No, niente tv. Non voglio sentire altra cronaca nera.” Rispose mentre si appoggiava allo stipite della porta della cucina.

“ Preferisco guardare te.” Concluse incrociando le braccia al petto e fissandola con uno sguardo dolcissimo che fece tremare le ginocchia a Sylvie, che sorrise appena, arrossendo come una bambina.

“ Raccontami la tua giornata…” Continuò Antonio. Dopo la prima volta che l‘aveva vista in azione in ambulanza, era rimasto totalmente affascinato dalla sua fredda professionalità ed era curioso di sapere quali altri miracoli aveva compiuto. La bionda alzò le spalle.

“ Oh beh, è stata una giornata tranquilla tutto sommato. Siamo state chiamate per un paio di cali di pressione, una caduta dallo scivolo e poco altro.”

“ Dallo scivolo?” Chiese perplesso Antonio.

“ Sì, un bambino mentre la mamma era distratta è salito sullo scivolo e si è lanciato al contrario, di testa. Immaginati la botta!” Spiegò mentre apriva il forno, dal quale fuoriuscì un profumo delizoso.

“ Mmmm… che buon profumo!” Notò subito il detective, sentendo anche lo stomaco brontolare.

La cena risultò squisita ed Antonio mangiò con gusto, mentre Sylvie raccontava ancora della sua giornata lavorativa e degli scherzi che Otis e Cruz avevano architettato per Hermann, facendolo ridere a crepapelle.

“ Sono tremendi quando ci si mettono!” Esclamò tra una risata e l’altra.

“ Non immagini quanto! E la tua giornata? com’è andata?” Chiese iniziando a sparecchiare.

“ Il solito…” Rispose evasivo, rimanendo poi in silenzio, pensieroso.

“ Ahn già, non puoi parlare dei casi in corso..” Si ricordò la ragazza.

“ Sylvie, ascolta..” Iniziò il detective con un tono di scuse.

“ Ehi! Lo so che non puoi parlare così liberamente del tuo lavoro.” Lo interruppe la ragazza.

“ Non ti preoccupare. Non ti chiederei mai di farlo.” Quelle parole fecero capire al poliziotto quanto straordinaria fosse la ragazza davanti ai suoi occhi. Lei riusciva a capirlo come nessuno mai aveva fatto; rispettava lui e il suo lavoro senza chiedere niente in cambio. E mai nella sua vita Antonio si era sentito libero di parlarle di tutto ciò che lo riguardava.

“ Invece voglio farlo.” Realizzò improvvisamente.

“ Voglio parlarti del mio lavoro, voglio che tu sappia sempre tutto.”

Sylvie lasciò perdere ciò che stava facendo ed uscì dalla cucina, asciugandosi le mani ad un asciugamano appeso sopra l’acquaio, raggiungendo Antonio, che nel frattempo si era alzato in piedi.

“ Voglio renderti partecipe di ogni aspetto della mia vita.” continuò avvicinandosi a lei, parlandole con un tono dolcissimo.

“ Questa...cosa...tra di noi.. è importante per me.” Sylvie, ascoltate quelle ultime parole sentì il cuore sciogliersi come neve al sole, le gambe tremare leggermente e sentì gli occhi riempirsi di un amore sconfinato per quell’uomo magnifico che aveva di fronte. Quell’uomo che, inaspettatamente, le stava aprendo il cuore, dichiarandole sentimenti molto profondi nei suoi confronti per la seconda volta in due giorni. Antonio le prese le mani tra le sue, delicatamente, e dopo una breve pausa parlò di nuovo.

“ Non voglio una storiella con te. Voglio costruire qualcosa di solido, di duraturo.” la sua voce era bassa e profonda, seducente come il canto di una sirena, dolce come il miele alle orecchie di Sylvie.

“ Lo so che è presto, che siamo usciti solo un paio di volte ma..”

Sylvie non lo lasciò finire; gli gettò le braccia al collo e stringendolo con tutte le sue forze, lo baciò sulle labbra con così tanto trasporto che Antonio capì che non c’era bisogno di dire altro; anche lei desiderava ciò che lui aveva appena avuto il coraggio di chiedere. Per un secondo, mentre parlava, aveva avuto paura che fosse davvero troppo presto per volere un certo tipo di relazione, e che Sylvie potesse spaventarsi; ma non poteva sbagliarsi di più. Brett non avrebbe mai immaginato, neanche lontanamente, che lui, Antonio Dawson, il detective tutto d’un pezzo, potesse essere affascinato da lei, una ragazza semplice e naif, tanto da desiderare di iniziare una relazione seria, con prospettive a lungo termine. Neanche nei suoi sogni ad occhi aperti aveva osato sperare in tanto.

“ Mi piaci davvero tanto..” Gli sussurrò piano, staccandosi a fatica dalle sue labbra. Antonio sorrise dolcemente, le accarezzò la guancia, sistemandole un ciuffo ribelle dietro l’orecchio.

“ Non hai idea di quanto mi piaci..” continuò la ragazza, affondando lo sguardo nei suoi profondi occhi scuri.

“ Mi piaci davvero tanto anche tu.” le disse il detective in un soffio prima di baciarla di nuovo sulle labbra, teneramente. A poco a poco i loro baci si fecero sempre più ardenti e passionali, costringendoli a stringersi in abbracci sempre più stretti e mozzafiato, infuocando di desiderio i loro cuori e le loro menti.

Fecero l’amore a lungo, scambiandosi effusioni e gesti dolci e premurosi, beandosi entrambi di quelle carezze. Passarono il resto della serata, e gran parte della notte, accoccolati l’uno nelle braccia dell’altro, sotto le coperte, in un’atmosfera idilliaca.

Antonio, come promesso, le raccontò la sua giornata nei minimi dettagli, spiegandole anche le dinamiche dei casi che stava seguendo, rendendola davvero partecipe di tutti gli aspetti della sua vita. Sylvie lo ascoltava rapita ma, ad un certo punto, lui credette di vedere un accenno di paura nei magnifici occhi azzurri della bionda.

“ Non voglio spaventarti raccontandoti ciò che faccio. Se preferisci che non dica più niente basta che me lo dici..”

“ No! Assolutamente no.” Esclamò Sylvie decisa.

“ Preferisco sapere di cosa aver paura che aver paura senza sapere niente..”

Antonio la strinse forte contro il suo petto, in un gesto protettivo; mai avrebbe voluto farle passare momenti di terrore come era successo a lui il giorno prima, durante l’incendio; ma sapeva benissimo quanto il lavoro del poliziotto fosse imprevedibile e molto spesso pericoloso. Averla tra le braccia gli fece capire che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tenerla al sicuro. Qualunque.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


 

Prima cosa da dire: BUON ANNO! Seconda cosa: PERDONO!

Mi scuso per il ritardo imperdonabile nel postare questo capitolo ma sembra proprio che il karma mi si sia rivoltato contro: il pc di punto in bianco mi ha piantato in asso, decidendo che era arrivata la sua ora; quindi non ho potuto scrivere (ho provato a scrivere su carta ma poi ho perso dei fogli [il karma, ancora] e dal cellulare non mi era possibile. Quindi...bando alle ciance. Ecco qua il nuovo capitolo: è corto ma è solo di “transizione”. Spero vi piaccia. Come sempre, buona lettura.

Erano passati cinque mesi da quella cena a casa di Sylvie, e tutte le promesse erano state mantenute. In quei mesi non si erano mai nascosti niente: Antonio aveva reso partecipe di tutto la bella paramedico, gettando così le basi per un rapporto solido e duraturo. Erano stati mesi felici e spensierati dal punto di vista della loro vita sentimentale; ogni giorno si scoprivano sempre più innamorati e complici, sempre più uniti e dipendenti l’uno dall’altro per essere completamente, profondamente, felici. Nonostante i turni di Sylvie e gli orari impossibili di Antonio trovavano sempre momenti da passare insieme, andando a cena fuori, al cinema, a fare passeggiate romantiche in giro per la città, piccole fughe d’amore in giro per l’america. Erano sempre insieme, inseparabili; non si erano però isolati dagli amici, come spesso accade alle neo coppie di innamorati. Continuavano a frequentare i colleghi e amici al Molly’s, Sylvie non aveva mai rinunciato alle serate con le amiche ed Antonio non aveva smesso di frequentare la sua palestra per allenarsi. Erano riusciti a trovare un equilibrio invidiabile, che li definiva come coppia ma non snaturava il loro essere se stessi. Dormivano tutte le notti insieme, a volte a casa di lei e certe volte da lui, cominciando così a sincronizzare le loro vite, come una coppia sposata da molti anni. Dopo un paio di mesi che si frequentavano, Sylvie aveva conosciuto ufficialmente i figli ed i genitori di Antonio e, dopo qualche momento di titubanza da parte dei ragazzi, era stata accolta definitivamente in famiglia. Dopo tutto, come le aveva ripetuto più volte il detective, come potevano non adorarla? Era una ragazza dolcissima, sincera, seria e divertente, impegnata in un lavoro importante per la comunità, capace di vedere il buono in qualsiasi persona e in qualsiasi situazione, ed era amata da tutti proprio per queste sue caratteristiche. Uscivano spesso in coppia con Gabriela e Matt, i quali, nonostante Gabby fosse ancora un po’ a disagio a vedere suo fratello e la sua amica in atteggiamenti intimi e sdolcinati, apprezzavano molto la loro compagnia; così come anche il piccolo Louie adorava giocare con la bionda e lo zio.

Quella mattina la sveglia suonò presto per la bella paramedico, che stiracchiandosi come un gatto, cercò con una mano il corpo di Antonio nel letto. Inaspettatamente non lo trovò al suo fianco. Aprì gli occhi disorientata per cercarlo con lo sguardo, oltre che con il tatto. Le bastò uno sguardo per constatare che se ne era già andato; la sedia, dove la sera prima aveva poggiato i suoi vestiti, era vuota e il distintivo non era più sul cassettone in fondo al letto. Si guardò un’altra volta intorno, fino a che non vide un post-it attaccato alla lampada sul comodino. Si allungò sul letto per afferrarlo.

“ Sono al distretto. Chiamata urgente, non ti ho voluto svegliare. Chiamami quando ti svegli. Un bacio”

Sorrise leggendo il biglietto e senza esitare oltre afferrò il telefono e chiamò Antonio. Dopo soltanto un paio di squilli la voce profonda del detective le arrivò all’orecchio.

“ Buongiorno tesoro.” La salutò gioioso.

“ Buongiorno a te, lavoratore instancabile… come mai così presto? Spero niente di preoccupante.”

“ Tranquilla, niente di preoccupante. Voight ha voluto che interrogassi un tizio con Al...Tu sei già a lavoro?”

“ No, mi sono appena svegliata… mi preparo e passo a prendere Gabby, visto che ha l’auto dal meccanico e Matt non è di turno.”

“ A proposito, ieri sera mi sono dimenticato di dirtelo: Domani i miei ci vogliono a cena da loro. Non sei mica di turno?”

“ No, sono libera. Qualche occasione particolare?”

“ No no. Ma sai com’è mia madre, se non ci vede per un po’...” Sylvie sorrise tra sè.

“ Ok! Adesso ti lascio lavorare, ci vediamo stasera. Ahn, ricordati che oggi è il compleanno di Erin, falle gli auguri anche da parte mia!” Gli ricordò Sylvie.

“ Certo! A stasera bella bionda!” La salutò ridacchiando. Lei rise di gusto, gli buttò un bacio attraverso il telefono e riagganciò. Restò qualche secondo seduta sul letto, sorridendo come un’ebete ripensando alla telefonata, poi si riscosse ed iniziò a prepararsi per andare, prima da Gabby e poi a lavoro.

 

Antonio riagganciò continuando a sorridere.

Notò che c’era un silenzio inusuale nell’ufficio e si voltò intorno per capire quale fosse il motivo; si accorse subito delle espressioni curiose e maliziose sui volti dei suoi colleghi, che lo stavano guardando silenziosi e che probabilmente avevano ascoltato tutta la telefonata con Sylvie.

“ Che c’è?” Chiese a Jay, che nel frattempo si era alzato dal suo posto e si era seduto sulla sua scrivania, sorridendo beffardo.

“ Quindi questa sarebbe la tua faccia felice, eh?!” Rispose il detective Halstead.

Antonio dette un pugno amichevole al braccio del detective e gli sorrise felice.

“ Lo prendo come un sì!” Disse allegro l’altro, scendendo dalla scrivania del collega per tornare al suo posto.

“ Ahn, visto che è il compleanno di Erin, stasera birra al Molly’s, ok? Vietato mancare.” Aggiunse, rivolgendosi a tutti i colleghi. Ricevette solo risposte positive da ognuno dei poliziotti presenti, così tornò a sedersi soddisfatto. L’ilarità del momento fu interrotta dal sergente Voight che, con passo deciso, entrò nella stanza monopolizzando l’attenzione di tutti.

“ Un altro incendio doloso. Sulla Jackson Boulevard. Stesse modalità dell’incendio di sei mesi fa sulla Hastings Street, solo che questa volta un paramedico ci ha rimesso la vita.” Disse secco il sergente.

Antonio, udite quelle parole, sbiancò di colpo; l’ansia gli attanagliò lo stomaco. Nonostante sapesse che Sylvie e Gabby erano al sicuro, sane e salve, non potè reprimere un senso di terrore. Voight si accorse del cambiamento avvenuto sul volto del collega e si premurò di specificare.

“ Nessuno della 51, ma è pur sempre un collega che muore. Sono mesi che seguiamo piste senza concludere niente. Adesso non c’è più tempo. Dobbiamo prendere i responsabili. Nessun altro deve perdere la vita.”

Tutti gli agenti annuirono con decisione; il sergente aveva ragione: non c’era più tempo, quei bastardi andavano presi.

 

Sylvie arrivò da Gabby puntuale come sempre, suonò il campanello e attese che l’amica le aprisse la porta.

“ Buongiorno! Vieni, entra.. mi metto le scarpe e la giacca e sono pronta!”

Sylvie la salutò a sua volta ed entrò in casa; Matt, che era ancora seduto al tavolo della cucina, intento a fare colazione, la salutò, gentile come suo solito e le chiese se poteva offrirle qualcosa. La bionda rifiutò, asserendo di aver già fatto colazione. Nel frattempo Gabby, indossate le scarpe e la giacca, si affacciò nella stanza e con Louie in braccio richiamò l’attenzione dell’amica.

“ Ehi Brett, ti dispiace se facciamo un salto da mia madre prima? Devo lasciarle un paio di cose.”  Chiese, lasciando il piccolo Louie camminare da solo.

“ Certo che no! Tanto siamo in anticipo.” Rispose, mentre si avvicinava per baciare il bimbo sulla guancia.

“ Ma come siamo belli stamani! Questa maglietta con i dinosauri è nuova?!” Chiese al bambino, facendo una vocetta stupida. In tutta risposta Louie le sorrise, mettendo in mostra la maglietta nuova, orgoglioso. Sylvie sorrise dolcemente, continuando a chiedergli dei dinosauri, conoscendo la sua adorazione per quegli animali ormai estinti. Mentre la bionda giocava con il bimbo, la collega salutò il fidanzato con un bacio e prese la borsa appesa all’appendiabiti.

“ Io sono pronta” Annunciò prima di baciare il figlio sulla fronte. “ Dai un bacio alla mamma… ci vediamo stasera ok? Fai il bravo!” Lo salutò affettuosa. Louie ricambiò il bacio di Gabby e muovendosi verso Casey le salutò.

“ Ciao mamma, ciao zia..”

Gabby, Sylvie e Matt si guardarono stupiti per qualche secondo; nessuno aveva mai detto al bimbo di chiamare Sylvie zia, eppure lo aveva appena fatto, facendo riempire gli occhi della bionda di lacrime di gioia.

 

“ Non riesco ancora a crederci..” Sospirò la bionda mentre accendeva l’auto.

“ Davvero non gli avete mai detto di chiamarmi zia?!”

“ No, non sapevamo se fossi d’accordo..sono solo pochi mesi che tu ed Antonio...Insomma, sembrava un pochino affrettato..e Louie deve ancora metabolizzare me..e Matt...e la casa…” Cercò di rispondere la mora a disagio.

“ Ehi...tranquilla! Lo capisco. E credo che abbiate fatto la scelta giusta.” La rassicurò l’amica sorridendole gentile. Gabby ricambiò il sorriso, sollevata che l’amica non fosse rimasta offesa.

“ Credo che ci sia arrivato da solo…” Commentò la Dawson.

“ Ti vede sempre con Antonio, che ha imparato a chiamare zio.. vi vede arrivare insieme, andare via insieme, vi vede baciarvi, scambiarvi carezze e moine..”

Sylvie arrossì visibilmente. Gabby rise di gusto.

“ è quello che vedono tutti… e Louie è davvero un bambino intelligente..” Concluse con il tono orgoglioso, che usano tutte le madri quando parlano dei propri figli.

“ Sì, hai ragione..” Constatò la bionda, concentrandosi sulla strada. Restarono un paio di minuti in silenzio ognuna delle due persa nei propri pensieri; ad un tratto Sylvie sospirò forte.

“ Credi che il fatto che mi abbia chiamato zia significhi che mi ha accettata in quel ruolo?” Chiese trattenendo il respiro, senza staccare gli occhi dalla strada. Gabby la guardò stupita ed incuriosita.

“ Immagino di sì…” Rispose sincera, continuando a fissare la ragazza al volante, che si mordeva le labbra agitata. Le posò una mano sul braccio con fare rassicurante.

“ Louie ti adora. Di questo sono più che certa.” Le disse piano. Sylvie abbozzò un sorriso e l’altra capì che c’era dell’altro che la preoccupava.

“ Brett..Cos’è che ti preoccupa?” La bionda sentendosi scoperta sputò il rospo.

“ Vorrei che anche Diego ed Eva mi accettassero come ha fatto Louie.” Gabriela rimase in silenzio, aspettando che l’amica desse sfogo ai suoi pensieri.

“ Non voglio certo prendere il posto della loro madre, ci mancherebbe… e non pretendo neanche di essere la loro migliore amica...ma vorrei...non so come spiegarlo.” Tacque qualche secondo, come per riordinare le idee.

“ Vorrei che non mi vedessero come una minaccia.. non voglio che pensino che allontanerò il padre da loro! Non lo farei mai..” Gabby, udite quelle parole, sentì l’affetto per l’amica crescere a dismisura, come anche la considerazione di lei. Aveva sempre saputo quanto Sylvie fosse una brava ragazza, piena di valori e principi, dolce e sincera, ma quella preoccupazione nei riguardi dei suoi nipoti, il suo evidente stato d’animo per quella situazione le fece capire quanto quella timida e impacciata ragazza bionda, arrivata dall’indiana, fosse perfetta per il fratello; non avrebbe potuto chiedere di meglio per Antonio.

“ Non so mai come comportarmi...se sono troppo invadente o troppo fredda..troppo presente e magari preferirebbero vedere Antonio da solo qualche volta in più.” Sembrava un fiume in piena; le parole le uscivano di getto, lasciandola senza fiato e confondendo sempre di più Gabby, che non riusciva più a starle dietro.

“ Calma calma! Rallenta un secondo!!” La interruppe la Dawson frastornata da quella raffica violenta di parole.

“ Non ho capito la metà delle cose che hai detto! Fai un bel respiro..” Sylvie, continuando a guardare la strada, prese un’enorme boccata d’aria, trattenendola qualche secondo nei polmoni per poi gettarla fuori lentamente.

“ Brava..e adesso..” Gabby si sistemò sul sedile e guardandola dolcemente le disse:

“ Sei magnifica con i ragazzi.” La bionda si voltò a guardare l’amica, sorpresa dall’incipit del suo discorso.

“ Dico sul serio. Ti stai comportando in maniera esemplare: non sei invadente o troppo presente e allo stesso tempo non sei fredda come un ghiacciolo. Sei spontanea, o almeno sembri spontanea, gentile e attenta. Dimostri un grande rispetto per la loro casa, i loro nonni, le loro abitudini...e loro lo notano. Come hanno notato la forza del legame tra te e Antonio.” Tacque un attimo per vedere la reazione di Sylvie a quelle parole; vide il suo volto rilassarsi leggermente e le mani allentare la presa sul volante.

“ Ho parlato con Eva l’ultima volta che siamo andati a pranzo da mia madre, quindi non mi sto inventando niente. Sono parole sue.”

“ Le hai chiesto di me?” Domandò sorpresa la bionda.

“ Le ho soltanto chiesto come stesse vivendo questa situazione, è stata lei poi a parlarmi di te.”

“ Davvero?!”

“ Sì, davvero. Mi ha detto che da quando ci sei Antonio è molto più felice, felice come non lo avevano mai visto. E questo le basta per far sì che ti voglia bene.” Concluse Gabby ricambiando il sorriso di Sylvie.

 

Arrivarono a casa dei genitori di Gabby dopo poco e Sylvie si concentrò per trovare un parcheggio, cosa che risultò molto difficoltosa e infine infruttuosa. Fecero un paio di giri dell’isolato, sperando di trovarne uno, ma fu tutto inutile.

“ Accidenti!!” Esclamò la bionda dopo l’ennesimo giro a vuoto.

“ Dai accosta qua.. scendo io, lascio questa roba a mia madre in un secondo e ce ne andiamo. è una cosa veloce ed è inutile star qui ad impazzire per il parcheggio.”

Sylvie seguì il suggerimento della mora e si fermò davanti all’abitazione in seconda fila, mise le quattro frecce e spense il motore. Si appoggiò allo schienale del sedile dell’auto e cambiando stazione radio per trovare qualcosa di suo gusto si apprestò ad aspettare il ritorno dell’amica. Dopo qualche minuto, con la coda dell’occhio, vide la porta di casa Dawson aprirsi e istintivamente portò le mani alle chiavi per rimettere in moto l’auto, certa che fosse Gabby ad uscire. Notò invece che ad uscire dalla casa dei genitori di Gabriela era una donna alta, con lunghi capelli mori che le ricadevano sulle spalle in morbide onde; la donna, notata la bionda seduta in auto, sorrise beffarda e si avvicinò decisa, scuotendo la folta chioma al vento.

“ Scusi, deve uscire con l’auto? Mi sposto subito..” Le disse Sylvie, certa che fosse quello il motivo del suo avvicinarsi.

“ No, non esattamente. Lei è Sylvie Brett, mi sbaglio?” Chiese con tono di sufficienza mal celato da gentilezza.

“ Sì, sono io…” Rispose la bionda, leggermente intimidita da quella donna bellissima ed elegante.

“ Piacere Laura, la moglie di Antonio.” Fu come un fulmine a ciel sereno. Sylvie si dette della stupida per non aver riconosciuto Laura fin da subito.

“ E a quanto pare lei è l’amante...beh, non si affezioni troppo. Così sarà meno doloroso quando Antonio la lascerà..” Quelle parole taglienti e crudeli le si piantarono dritte nel cuore, come un coltello affilatissimo, facendolo sanguinare. Sylvie restò a bocca aperta, incapace di ribattere o anche solamente di dire una parola, mentre osservava Laura allontanarsi con passo sicuro, un’aria soddisfatta dipinta sul volto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Ok, dire che sono stata latitante è un eufemismo bello e buono, ma, sapete com’è..l’ispirazione va viene e la mia era semplicemente andata. Mi ero addirittura dimenticata di questa FF, fino a quando pochi giorni fa non l’ho ritrovata tra i vari file sul pc e ho deciso di riprenderla. Confesso che avevo già scritto i capitoli 13 e 14, ma rileggendoli non mi piacevano un granchè, così ho deciso di modificarli e correggerli. Per adesso pubblico solo questo, ma spero di pubblicare anche i prossimi a breve.

Chissà se ci sarà ancora qualcuno che vorrà leggerli.


Quando Gabby salì a bordo dell’auto Sylvie aveva ancora un’espressione di shock dipinta in volto; l’amica si accorse subito che qualcosa non andava e senza preamboli andò dritta al sodo, sicura di sapere cos’era successo per lasciare la collega in quello stato.

“ Hai incontrato Laura, vero?”

“ Da cosa l’hai capito?” Chiese Sylvie voltandosi nella sua direzione.

“ Dalla tua faccia.” Sylvie abbassò lo sguardo, sentendosi scoperta.

“ Cosa ti ha detto?” 

“ Si è presentata...tutto qui.” Tacque, incerta se raccontare alla Dawson quello che la ex moglie del fratello le aveva detto, ma lo sguardo che ricevette da Gabby non le lasciò scampo.

“ Beh, si è presentata come la moglie di Antonio e mi ha definita...l’amante..” L’amica sbarrò gli occhi e spalancò la bocca per l’incredulità. 

“ Cosa???” Tuonò inorridita appena ebbe metabolizzato l’informazione.

“ Parole sue.” Sylvie mise in moto l’auto.

“ Ma è completamente fuori di testa...non ci credo..” 

“ Credo proprio che rivoglia indietro il marito…”sospirò affranta a bionda, cercando di concentrarsi sulla guida. Gabby, ancora sconvolta per le parole della ex cognata, si accasciò sul sedile, stranamente senza parole. Dopo qualche secondo di silenzio si voltò verso la bionda con aria preoccupata.

“ Oddio..è colpa mia..”

“ Come potrebbe essere colpa tua, scusa?” Chiese perplessa l’altra.

“ Quando sono entrata in casa da mia madre Laura stava uscendo… io per impedire che mia madre mi trattenesse troppo con i suoi soliti discorsi le ho detto che tu eri fuori e che non potevo farti aspettare troppo…Beh, mia madre si è lanciata in elogi verso di te; beh lo sai che mia madre ti adora, no?!”

“ Non capisco ancora come possa essere colpa tua..”

“ Laura deve aver sentito e si deve essere sentita..che so, minacciata?!”

Sylvie sorrise dolcemente.

“ Gabby, non è colpa tua se mi ha detto quelle cose così..crudeli..” Pronunciando quelle parole Sylvie rivide l’intera scena dell’incontro con la ex di Antonio e sentì nuovamente le parole che le aveva detto:una per una. 

Non si affezioni troppo. Così sarà meno doloroso quando Antonio la lascerà’.

Un dolore sordo si fece strada nel suo petto. Era stata così sicura di sè mentre pronunciava quelle parole da riuscire ad insinuare il dubbio nel suo cuore, dopo tutto lei conosceva Antonio da molto più tempo, avevano condiviso anni insieme, erano cresciuti insieme; il pensiero che forse Laura potesse aver ragione si fece largo nella sua testa facendola sprofondare in una tristezza ed in una insicurezza insopportabile. La voce di Gabby la fece riemergere dai suoi pensieri. Il senso di colpa che attanagliava la Dawson non accennava a diminuire e Sylvie si sentì invadere dall’affetto per la collega e amica così tanto che decise di nasconderle le ultime parole che Laura le aveva rivolto.

“ Gabby. Smetti di darti la colpa, perchè non lo è! Ti prego..”

“ Ok.” Sospirò rumorosamente continuando a guardare Sylvie con aria preoccupata.

“ Brett.” La richiamò gentilmente. “ Questa...cosa...Laura.. Non cambia ciò che Antonio prova per te. Lo sai, no?!”

Sylvie deglutì e mosse la testa per farle un cenno affermativo.

“ Per voi due non cambierà niente.” Il tono della mora era deciso e fermo, come lo era il suo sguardo. Sylvie le sorrise affettuosamente e la ringraziò per la sua premura; ma un pensiero fisso si stava impadronendo della sua testa:

Avrebbe cambiato tutto. Laura avrebbe cambiato tutto.

Si sentì morire. Non essendo certa di riuscire a parlare senza tradire il suo stato di angoscia, lasciò che il silenzio invadesse l’abitacolo. Un silenzio pesante e denso, interrotto soltanto dai rumori esterni che entravano ovattati dai finestrini chiusi, le accompagnò fino all’arrivo in caserma, dove, dopo aver parcheggiato e spento il motore, fu rotto da Sylvie che con voce tremante disse all’amica:

“ Non dire niente ad Antonio. Vorrei..vorrei farlo io.”

“ Ok. Sì certamente.” Rispose Gabby dolcemente, dopotutto non si aspettava niente di diverso.

“ Grazie.” Con quelle parole lasciarono che il lavoro occupasse le loro menti completamente, assorbendole nella quotidianità dei gesti. Nonostante evitasse l’argomento, Gabby notò il turbamento dell’amica, la quale non sfoggiava il suo solito sorriso smagliante che la faceva brillare di una felicità disarmante; maledisse la ex cognata per quel tiro mancino che aveva riservato alla sua amica e si prefisse di affrontarla faccia a faccia alla prima occasione utile. Dopotutto Sylvie le aveva chiesto di non parlarne al fratello, non a Laura; ed era esattamente ciò che aveva intenzione di fare.

 

Erano le diciotto passate ed Antonio Dawson era seduto alla sua scrivania, sembrava che un treno lo avesse investito in pieno e lo avesse risputato lì, di nuovo a quella scrivania, di nuovo a fissare il pc e la lavagna degli indizi, di nuovo con niente in mano. Si passò una mano tra i folti capelli neri per poi soffermarsi a massaggiarsi le tempie,sfinito; nella stanza regnava uno strano silenzio, ognuno di loro, ogni agente dell’intelligence, era seduto al suo posto, a fissare il pc o la massa di fogli sulla propria scrivania, con espressioni stanche e anche un po’ rassegnate dipinte in volto. Avevano seguito ogni pista che si era presentata loro davanti, avevano interrogato decine di persone: familiari, colleghi, amici o semplici conoscenti del paramedico rimasto ucciso nell’incendio sulla Jackson Boulevard e l’unica cosa che avevano scoperto era che non c’era nessun collegamento, tranne l’essere un paramedico, tra Joseph Darren e Sylvie o Gabby. Niente di niente. Nessuna persona in comune, nessun luogo frequentato in comune, nessun caso seguito insieme. Niente. E quel niente li stava annientando. Antonio continuava a pensare a cosa potesse essere sfuggito loro torturandosi senza tregua, ma le uniche cose che collegavano i due casi erano soltanto quelle di partenza: incendio doloso innescato da metanfetamina e i paramedici. Nient’altro combaciava. Dopo l’ennesima occhiata al rapporto di Kelly Severide sull’incendio di Hastings street  decise che era il momento di staccare un attimo la spina; si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso la stanza dove era la macchinetta del caffè. Passando tra le scrivanie dei colleghi chiese se qualcuno avesse bisogno di una tazza di liquido nero.

“ Io sì..ne ho decisamente bisogno.” Disse Ruzek alzandosi stancamente dalla sedia per raggiungere Antonio nell’altra stanza. Il detective aveva già preparato le due tazze e si accingeva a versare il caffè bollente; Adam camminò lentamente verso la finestra e rimase in silenzio ad osservare fuori attraverso di essa. Antonio, con le due tazze in mano, lo raggiunse e, porgendogliene una, voltò le spalle alla finestra, appoggiandosi con la schiena al muro adiacente; l’altro alzò la tazza come se volesse fare un brindisi, per ringraziarlo tacitamente. Restarono qualche minuto così: immersi nei loro pensieri e nell’aroma che il caffè stava esalando tutto intorno.

“ Ci deve essere qualcosa…” Disse Adam sottovoce, senza staccare gli occhi dal panorama al di fuori del distretto. Antonio non fiatò, abbassò soltanto gli occhi sulla tazza bianca che stava stringendo tra le mani; si sentiva sconfitto.

“ Una cazzo di cosa che colleghi quei due incendi. Ci deve essere.” Il tono di Ruzek era pieno di rabbia.

“ Che cosa ci sfugge Antonio? Che cosa abbiamo tralasciato?”

Il detective alzò lo sguardo sul collega e notò che anche lui aveva lo sguardo sconfitto e demoralizzato. Gli posò una mano su di una spalla, cercando di fargli coraggio e insieme dargli conforto. Sentì il ragazzo sospirare rumorosamente e si sentì impotente come mai prima di quel momento.

“ Lo troveremo quel dannato collegamento.” Fu ciò che la sua bocca sputò fuori con tono rabbioso. Adam per la prima volta staccò gli occhi dalla finestra e guardò il collega negli occhi.

“ Non so come ci riesci…” Iniziò lentamente.

“ A fare cosa?” 

“ A non farti sopraffare dal terrore.” Antonio trattenne il fiato qualche secondo.

“ Chi ti dice che non lo sono?” Disse infine,stringendo la tazza ancora di più. Ruzek lo guardò con stupore ed ammirazione insieme.

“ Di certo non lo dai a vedere..”

Olinsky entrò nella stanza silenzioso come suo solito ed avvicinandosi per prendere un caffè disse:

“ Ehi, Antonio…” richiamò l’attenzione del collega con voce bassa “ Trovato qualcosa?”

“ No.” Rispose il detective stringendo i denti dalla rabbia.

“ Qualche collegamento con...beh, Brett o Gabriela..” Continuò Olinsky sorseggiando la bevanda calda con aria distratta.

“ Niente. La vittima era nuovo qui a Chicago. Era il suo primo turno sull’ambulanza..” 

Olinsky si sedette e con gesti lenti e controllati poggiò la tazza di caffè sul tavolo, appoggiandosi con i gomiti, curvo come se un peso insopportabile gravasse sulle sue spalle.

“ Alvin.” Antonio richiamò l’attenzione del detective con freddezza. Aveva osservato ogni movimento del collega e aveva intuito che c’era qualcosa che non gli stava dicendo. Olinsky non fiatò, continuando a rigirarsi la tazza tra le mani e a tenere lo sguardo basso.

“ Alvin.” La voce di Antonio era bassa e dura. Ruzek, confuso, li stava guardando in silenzio, trattenendo il fiato; il tono di Dawson lo stava preoccupando.

“ Hai pensato che forse il collegamento potresti essere tu?” Il detective aveva parlato piano, senza alzare lo sguardo dalla tazza bianca che stava tenendo tra le mani. Adam si irrigidì nell’udire quelle parole e si voltò immediatamente verso Antonio, il quale era rimasto immobile, gli occhi puntati sul collega seduto al tavolo, il volto scuro e le labbra serrate; un silenzio di piombo calò nella stanza.

“ Forse qualcuno sta cercando di fartela pagare facendo del male alla tua ragazza o a tua sorella.” Continuò Olinsky mantenendo la voce bassa e gli occhi fissi sulle sue mani. Parlava lentamente e pacatamente come se cercasse di fare meno rumore possibile, come se parlare ad alta voce potesse ferire il collega come una lama affilata. Ruzek sbarrò gli occhi e  si fece scappare un’esclamazione di sgomento; immediatamente si afflosciò come un mucchio di stracci bagnati sulla sedia vicino al collega più anziano e alzò gli occhi verso Antonio. Il detective era ancora immobile contro il muro, vicino alla finestra dove poco prima aveva raggiunto Adam con il caffè, le nocche bianche a furia di stringere la tazza, la mascella serrata per la rabbia e il terrore che piano piano si stava facendo strada nei suoi occhi e nel suo petto. Sembrò che un vento gelido avesse abbassato la temperatura nella stanza fino allo zero, congelando i respiri e le parole.

Improvvisamente il detective Dawson si allontanò dalla finestra e, posando la tazza ancora colma della bevanda calda sul tavolo, con passo veloce e deciso uscì dalla stanza, raggiunse la sua postazione, afferrò il giubbotto di pelle e scese le scale, sbattendosi la porta alle spalle. Tutti avevano notato la fuga del poliziotto ma nessuno aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa fosse successo; l’uscita di Antonio aveva lasciato i colleghi confusi e preoccupati. Erin dopo aver scambiato sguardi confusi con gli altri si alzò dalla scrivania e afferrata la giacca si precipitò giù per le scale per raggiungere il collega; Olinsky chiuse gli occhi e sospirò stanco appoggiando la fronte alla mano sinistra mentre Ruzek gli posava una mano sulle spalle, sospirando.

 

Lindsay trovò Antonio poco lontano dal distretto, era in piedi con le mani strette al parapetto affacciato sul fiume, gli occhi fissi su di un punto lontano.La donna si avvicinò silenziosa e rimase immobile a guardare il fiume, vicino al collega; aveva intuito che c’era qualcosa che lo angosciava ma conosceva abbastanza Antonio da sapere che avrebbe parlato da solo, se avesse voluto.

“ Ci avevi pensato anche tu, vero?” Chiese il detective dopo qualche minuto in silenzio. Erin chiuse gli occhi sospirando. Il suo silenzio fu significativo ed Antonio capì quale sarebbe stata la risposta della collega al volo.

“ Potrebbero volerci mesi...MESI, prima di trovare il colpevole tra tutti quelli che potrebbero avercela con me.” Le parole gli uscirono come proiettili dalla bocca; era così lampante il dolore che stava provando che Erin si morse le labbra e chiuse gli occhi più fermamente.

“ Non abbiamo MESI di tempo Erin. Non ce li abbiamo.” Per la prima volta da quando era uscito dal distretto guardò la ragazza negli occhi, e lei vi lesse un tale sgomento da sentire lo strazio che stava provando il detective in quel momento.

“ Come faccio a tenerla al sicuro se non so neanche chi, o che cosa, la minaccia?!” Antonio, in uno scatto d’ira e di frustrazione, colpì il parapetto con tutta la forza che aveva, facendolo tremare per il gran colpo. Erin sussultò per lo spavento; lasciò che l’uomo si ricomponesse, poi gli posò una mano sul braccio, stringendolo forte, cercando di trasmettergli sicurezza e fiducia.

“ Sei il miglior poliziotto che conosco, una delle persone migliori che abbia mai incontrato…” gli disse con tono dolce ma deciso, guardandolo dritto negli occhi.

“ Sono sicura che la terrai al sicuro. Mi ci gioco la carriera.” Antonio le accennò un sorriso tirato.

“ Adesso però ho bisogno di te, Antonio. Ho bisogno del detective Dawson e del suo cervello. Da sola non posso farcela.” Il detective trattenne il fiato per qualche secondo, poi buttò fuori l’aria lentamente tornando a guardare oltre il parapetto.

“ Ho bisogno di un altro minuto.” Disse solamente.

“ Ok, un minuto ancora.” Rispose Erin, posizionandosi di fianco al collega e allungando lo sguardo oltre il fiume.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3567775