Imperfait

di Akai Hasu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


IMPERFEAIT

 

Mi ero trasferito da poco da Toronto in una piccola villa, soprannominata  Saphir vicino al lago Huron, in una zona particolarmente solitaria e pianeggiante. Avevo bisogno di stare solo, o almeno era quello di cui credevo di aver bisogno dopo aver perso la grande opportunità di trovare moglie, e le sponde del lago Huron, con la loro tranquillità non più presente nelle grandi città come Toronto o Ottawa, facevano al caso mio.

Io non sono mai stato un uomo particolarmente… bravo a relazionarsi con le donne. Durante l’estate passata a Québec avevo conosciuto una dolce e giovane nobile austriaca arrivata in Canada con il padre per motivi commerciali. Non ha mai voluto dirmi il suo cognome, ma mi ricordo il suo nome, tanto particolare quanto la sua bellezza: Sierra. Tra noi ci fu una storia breve ma intensa, ma lei se ne andò al cominciare dell’autunno pensando che io non l’avessi mai amata. Dimostrare i miei sentimenti non è mai stata una mia qualità.

Avevo già assunto delle cameriere e delle domestiche che rimettessero a posto la villa prima del mio arrivo, e degli uomini che si occupassero del giardino e della stalla. Le avevo chiamate da una settimana e pagate in anticipo, quindi supponevo che avessero rimesso la villa in ordine e con ogni comodità, ma decisi comunque di lasciar loro un’altra giornata per finire, in modo che io potessi anche andare a far visita al proprietario di casa mia.

Lui e la sua famiglia erano le uniche persone vicino a me nel raggio di svariati chilometri, e nemmeno loro erano molto vicini: a cavallo era un’ora di cammino, e, con tutta la neve che era caduta durante la settimana, probabilmente sarebbero diventate due. Non avevo la minima idea di chi fosse quell’individue, e ne sapevo ancor meno della sua storia. L’unica cosa di cui ero a conoscenza, era che abitava in un’antica casa che col tempo assunse il nome di Imperfait, e che era abbastanza ricco da potersi permettere di comprare un’abitazione decisamente migliore.

 

Arrivai all’Imperfait più tardi di quanto avevo calcolato, dato che era la prima volta che percorrevo quella strada e mi ero perso parecchie volte: era pomeriggio inoltrato quando intravidi la piccola casa. Mi avviai ai cancelli chiamando a gran voce l’uomo che vedevo nel giardino, che mi raggiunse sbuffando dopo cinque minuti buoni che mi ignorava. L’uomo doveva aver avuto una sessantina d’anni, occhi piccoli e neri e qualche ciocca di quel colore in mezzo ai capelli grigi. Era vestito con pantaloni e camicia marrone chiaro, molto logori, e si reggeva con un bastone. Mi squadrò da capo a piedi.

“Cosa vuole un signore come lei in una catapecchia come questa?” disse sarcastico. Mi stava chiaramente schernendo per il mio abbigliamento, che faceva notare il mio alto posto sociale. Ero, infatti, colui che regolava gli scambi commerciali tra il mio paese e le Americhe. Era un posto molto importante, considerando che l’America del Nord era il nostro maggior alleato commerciale. In quanto a soldi, me la cavavo decisamente bene.

“Sono Anderson, Cody Anderson. Ho preso in affitto per un anno la villa sulla riva occidentale del lago Huron venduta dal vostro padrone. Pensavo di venire a fargli una visita per conoscerlo e pagargli il mese in anticipo” gli dissi calmo.

“Il mio padrone? Ah, padrone! Un tempo non era il ‘mio padrone’!” esclamò l’uomo “Lei sa chi sono io? Lo sa? Ovvio che no, eh? Troppo giovane, lei! Quanti anni ha lei, venti? Ne avrebbe dovuto avere minimo quaranta per conoscermi bene!”

Le frasi dell’anziano mi lasciarono interdetto, soprattutto perché non ero abituato a sentire servi o contadini urlare contro persone di un certo grado, soprattutto se avevano la sua età, e mi azzardai a chiedergli chi fosse, il che lo fece infuriare di più.

“Io sono Chris, Chris McLean! Dove ha vissuto fino ad ora? Tutti mi conoscono, o mi conoscevano a quanto pare! Ero un grande attore, il migliore nel mondo del teatro! Ah, ma ho dovuto smettere: riuscivo perfettamente ad alternare la mia carriera da attore con la servitù della famiglia Wellington, che è una tradizione che la famiglia McLean ha da quando loro facevano i nobili inglesi, ma ho dovuto smettere per i capricci del mio attuale padrone!” si lamentò McLean, aumentando la mia curiosità verso questo padrone. Aveva fatto interrompere la carriera al proprio dipendente per tenerlo disponibile per lui ogni volta che gli servisse, o l’ha fatto per fargli un torto? Perché non ne ha approfittato per licenziare un servitore così anziano?

L’anziano mi aprì il cancello, mi condusse alla porta ed entrò per annunciarmi. Poco dopo mi fece entrare nel salotto, dove, seduto su una poltrona di fronte al fuoco, si trovava un uomo sui quarant’anni, dai capelli neri più o meno lunghi e gli occhi color cobalto. Aveva dei lineamenti ben marcati, delle spalle larghe e supposi che doveva avere un fisico ben allenato. La sala, invece, aveva le pareti colorate di bordeaux, che creava un ambiente a primo impatto confortevole unito al tepore delle fiamme del camino, ma nonostante questo aveva un aspetto piuttosto squallido. Tempo prima doveva esser stata una bella villa, ma ora sembrava non ricevere più le attenzioni necessarie.

“Signor Anderson?” mi chiamò. Aveva una voce roca, sembrava che aprisse bocca per la prima volta dopo anni.

“Sì, sono il signor Cody Anderson. Lei è il signor Wellington? Potrei sapere il suo nome?” chiesi cortesemente, aspettandomi che mi invitasse a sedermi con lui nell’altra poltrona, cosa che non fece.

“Signor Duncan” disse secco, contraddicendomi.

“Signor Duncan Wellington? È il figlio di Mr. Wellington?”

“Solo Duncan” rispose deciso, ignorando la mia ultima domanda.

“Accidenti LeShawna! Ti ho chiamato mezz’ora fa per attizzare il fuoco, si può sapere perché non ti sei ancora mossa?” sbraitò poi contro la cucina, dalla quale uscì una donna di colore molto in carne, con addosso un grembiule bianco e in mano un cucchiaio di legno.

“Ero troppo impegnata a cucinare la cena per Vostra Maestà” rispose lei schernendolo “E comunque lo aveva ordinato a Chris” aggiunse prima di tornare all’interno della stanza, prima di sentire il signor Duncan bestemmiare contro di loro.

“Ah, che il diavolo ti porti! Sarai la mia rovina!” si lamentò il servitore, mentre si chinava a riaccendere il fuoco tra altri borbottii. Il signor Duncan si rigirò verso di me.

“Ma lei è pazzo a venire qui a quest’ora? Il sole è ormai tramontato, tornare indietro con questa neve sarà un vero suicidio!” Mi urlò contro, lasciandomi ulteriormente sorpreso.

“Il viaggio è stato più lungo del previsto, avevo programmato di arrivare qui per le tre del pomeriggio. Posso chiederle il favore di risparmiarmi il viaggio e di lasciarmi soggiornare qui per una notte?” chiesi speranzoso. L’uomo rise amaro.

“Ah, Anderson, lo farei se solo non mi interessasse la sua vita come mi interessa quella dei miei servi” disse. La sua indifferenza e la sua maleducazione mi lasciavano senza parole, non era certo come me lo ero immaginato: un uomo che cercava la solitudine ma dolce, un po’

“Potrebbe almeno, quindi, offrirmi uno dei suoi servi che mi accompagneranno a casa?” dissi al limite della mia pazienza. Il padrone di casa rise ancora e diede un calcio ad un cane nero che dormiva di fronte alla porta della cucina. L’animale si sveglio ringhiando e puntò subito il suo sguardo pieno di rabbia verso di me. Appena cominciò a venirmi incontro uscii di corsa, diretto al mio cavallo. Nonostante la mia velocità, il cane mi raggiunse e mi azzannò un lembo dei pantaloni, facendomi inciampare. Steso a terra, lui mi saltò addosso, cominciando a mordermi e strapparmi i vestiti cercando di raggiungere la mia pelle. Intanto, di sottofondo, sentivo le risate di Duncan e del suo servo.

“Oh, Santo Cielo!” sentì urlare dalla cuoca, che avevo capito si chiamasse LeShawna. Prese una scopa e cominciò a colpire la bestia fino a quando non scappò dentro casa ed io fui libero. Provai ad alzarmi in piedi, ma gemetti di dolore e mi accorsi che era riuscito a mordermi una caviglia.

“Oh, trattare così un ospite…!” Mormorò aiutandomi a stare in piedi. Mi disse che a prima vista il morso era superficiale e non c’era bisogno di allarmarsi. Poi, quando i due uomini furono tornati in casa, mi ricondusse all’interno passando dalla porta che portava alla cucina. Poco prima di entrare mi accorsi che un ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdi portava nella stalla il mio cavallo.

 

La cuoca mi condusse in una stanza che sembrava essere una biblioteca, per quanto fosse piena di libri.

“Il padrone ha dei riguardi speciali verso questa stanza, non so bene il perché. Non permette a nessuno di entrarci, ma credo che per una volta possiamo fare un’eccezione. Là c’è il letto, già fatto” mi disse lei prima di lasciarmi solo.

Mi sedetti e mi guardai attorno: tutta la camera era coperta di libri che erano stati messi a terra, gli unici mobili che si potevano vedere erano un armadio nero e il letto. Presi, per curiosità, un mucchio di libri, li appoggiai sul letto e mi soffermai solo a guardare il nome del proprietario:

Courtney Wellington

Gwen

Courtney Tremblay

Gwen Tremblay

Tutto i libri che avevo trovato portavano questi nomi, tranne un’eccezione, Trent Wellington.

Aprì uno dei libri di Courtney Wellington, e notai che ogni spazio bianco di ogni pagina era stato riempito da frasi scritte a mano, probabilmente dalla stessa Courtney. Sfoglia il volume, fino ad arrivare alla fine e trovare una pagina, che un tempo dovette essere stata completamente vuota. La scrittura era grande e insicura, probabilmente era l’opera di un bambino. Non potei fare a meno di immaginare una piccola bambina senza volto chiamata Courtney che sorrideva felice nel trovare un intera pagina vuota dove scrivere i suoi pensieri.

Ne lessi un pezzo:

Chris ha chiuso me e Duncan nella stalla per punizione, e mio fratello glielo ha lasciato fare! Pensavo che mi volesse bene, e invece da quando è tornato mi tratta come se fossi una serva qualunque! Pure Dawn viene trattata meglio di me! Una volta mi ha detto che se passavo il tempo con la serva e con lo schiavo non potevo che essere trattata che in questo modo. Non capisco perché lo chiami schiavo, papà lo ha sempre trattato come se fosse uno dei suoi figli, o forse anche meglio. In ogni caso, chiuderci con i cavalli senza nemmeno darci la cena è stato troppo crudele. Ho pianto tutte le lacrime che potevo piangere, ma è stata quella vipera di sua moglie ad accompagnarci, e lei e Chris sono totalmente insensibili alle mie preghiere. Bene! Se mi hanno chiuso qui per non vedermi sta sera, allora non mi vedranno per una settimana.

Duncan ha trovato una via di uscita, ma dovremmo arrampicarci sulle travi del soffitto e poi buttarci giù dal tetto. Lui dice che è sicuro e che lo ha sempre fatto, quando lo chiudevano là e sapeva che io volevo vederlo. Abbiamo in programma di correre fino al giardino dei Tremblay e stare lì per tutta la settimana. Tanto hanno un giardino così grande, e non escono mai di casa! Come potrebbero accorgersi di noi? Quando i signori non saranno in casa, entreremo noi per prendere qualcosa da mangiare, e se i loro figli ci scoprono, so che non parleranno mai, per quanta paura hanno di Duncan e del mio potere sui loro genitori! Nessuno penserà mai di venirci a cercare dai Tremblay. Sanno che li odiamo, e non penserebbero che ci siamo nascosti a casa loro. Ora devo smettere di scrivere, Duncan è già sulle travi e mi aspetta impazientemente!”

Speravo di trovare un altro pezzo, per sapere come la loro avventura fosse andata, ma quel libro non aveva più pagine, e se cominciavo a cercare il libro usato dopo quello, ci avrei messo tutta la notte.

Sfogliai altri libri di Courtney Wellington, e notai che in ogni singola nota era menzionato Duncan. Mi venne il sospetto che fosse lo stesso Duncan che avevo conosciuto quel giorno, ma l’omonimo ragazzo menzionato da Courtney mostrava un carattere decisamente diverso da quello che oggi aveva dimostrato a me.

Assonnato, decisi di coricarmi, nonostante sospettassi non fossero ancora le otto.

Non so se fosse stata la mia mente che cercava di mandarmi un messaggio, se quella casa fosse infestato da un fantasma o fosse stata sempre la mia mente che continuava a pensare a Courtney Wellington. Fatto sta che quella notte mi mandò un incubo.

 

Nel sogno ero sempre in quella stanza, sdraiato sul letto, mentre sfogliavo dei libri di Courtney Wellington. Si sentiva qualcosa bussare alla finestra, ma io decidevo di ignorarlo. Ogni volta che cambiamo libro, il bussare sulla finestra si faceva sempre più insistente, ed appena decisi di prenderne uno di Courtney Tremblay, si sentì un urlo sovrannaturale provenire fuori da casa. A quel punto mi alzai e mi diressi al varco, guardando fuori. Appoggiata con le mani ai vetri, si trovava il fantasma di una donna. Il corpo era opalescente, e di lei si distinguevano dei capelli legati in un chignon e occhi neri. Ora che ero di fronte a lei, smise di bussare.

“Fammi entrare…” disse sussurrando. Io rifiutai, e lei ricominciò a picchiare sul vetro.

“Sono ormai venti anni… fammi entrare!” disse ancora. Cominciò a sbattere i pugni sul vetro urlando. Tappandomi le orecchie, aprì la finestra per dirle di fare silenzio, o avrebbe svegliato il padrone. Il fantasma, sentendo il nome di Duncan, si calmò, e con tono lamentevole, mi supplicò di invitarla all’interno e condurla da lui. Mi rifiutai un’altra volta, facendola arrabbiare. Mi serrò le dita attorno al collo tirandomi a sé, ed urlò, un’ultima volta.

 

Mi svegliai urlando. Avevo ancora impresso nelle palpebre  la sagoma della donna e, soprattutto, i suoi occhi. Non concordavano affatto con l’atteggiamento assunto alla fine. Sembravano sofferenti, chiedevano pietà, supplicavano. Probabilmente, se fosse comparsa in quel momento, chiunque si sarebbe impietosito.

E chi era, la donna? Era forse la Courtney di cui avevo letto così tanto ed al cui carattere mi ero affezionato? Mi obbligai a pensare il contrario. Una parte di me ne era sicura, l’altra si rifiutava di credere che Courtney fosse diventata un fantasma.

“Che cosa è successo qui?” chiese a voce alta il padrone di casa, entrato in quel momento. Probabilmente il mio urlo lo aveva svegliato.

“Nulla, signore, ho avuto un incubo che mi ha svegliato, e pensando che fosse realtà avrò urlato” spiegai, ma lui sembrava non ascoltarmi.

“Chi l’ha mandata a dormire qua?” disse avvicinandosi alla finestra.

“La vostra domestica, LeShawna” risposi. Poi gli accennai il fantasma visto in sogno, e, dato che non sembrava né irritato né interessato alle mie parole, gli raccontai tutto.

“E come ha detto che li aveva questi occhi?” mormorò sedendosi sul letto.

“Neri o mori, ma non come il carbone, piuttosto come il cioccolato fondente. Erano disperati, ma ripensare a loro mi riscalda il cuore” risposi sovrappensiero. Era vero: nonostante la loro malinconia, erano  lo stesso molto caldi. Chiunque li avrebbe potuti vedere si sarebbe sentito a casa. Duncan rimase in silenzio, per poi ordinarmi di andarmene. Non osai ribattere ed uscì.

Appena fuori, però, lo sentì parlare.  Mi affacciai alla porta e lo vidi di fronte alla finestra.

“Ti prego…” diceva con tono supplichevole “Ti prego, mostrati anche a me! Lasciami vedere il tuo viso un’ultima volta, ti prego!”

Decisi di andarmene, per paura che si arrabbiasse se mi avesse scoperto ad origliare. Lo sentì, un’ultima volta.

“Se non vuoi farti vedere, allora uccidimi e portami con te! Morirei comunque, se non riuscissi a vederti ancora!”

Ma così come ogni fantasma quando viene chiamato, non lo ascoltò.


ANGOLO ME
salve!
So che dovrei  prima finire l'interattiva ma... l'impulso era troppo forte.
Allora, cominciamo col dire che qesta storia è ispirata a Cime Tempestose, quindi, così come il titolo dell'opera è tratto dal nome della casa, la Tempestosa, e dalle situazioni  che là si creano, il mio titolo è sempre riconducibile alla casa e al carattere dei protagonisti.
poi, altre cose:
1- no, Cody non c'entra quasi niente in questa storia
2- i personaggi non sono solo quelli che ho messo nella descrizione, ma molti di più. Volete che li riporti tutti nel secondo capitolo?
3- la storia è ispirata al libro, quindi prendo solo il filo principale. Non sto facendo copia e incolla da un file con il libro. Tanto per chiarire.
Eee niente, spero vi piaccia e che qualcuno abbia letto quel fantastico libro.
-Vampy
P.s. Ho messo l'avvertimento OOc... non si sa mai

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

 

Passai il resto della notte nel salotto, dormendo sulla poltrona di fronte al camino. Immaginavo che il padrone fosse rimasto nella stanza dove conobbi Courtney Wellington, e non sapevo dove cercare altre stanze senza sembrare inopportuno. Inoltre, non avevo intenzione di cercare e svegliare la serva, LeShawna: non volevo scomodarla ulteriormente.

Per mia fortuna, la donna fantasma non invase nuovamente i miei sogni, e dormì le ore restanti in pace. Il mio risveglio non fu, però, altrettanto pacifico.

Quando aprì gli occhi, alle prime luci dell’alba, comparve di fronte a me una donna molto giovane, dalla pelle bianca come la neve, capelli neri e occhi del medesimo colore. Indossava un abito che toccava il pavimento, con le maniche lunghe, senza nessun tipo di decorazione o ricamo, color blu notte. Ammisi di non aver fatto una bella figura con lei: pensando di essere ancora in sogno e di trovarmi davanti un altro dei fantasmi della stanza di Courtney Wellington, scattai in piedi, allontanandomi. Lei, dal canto suo, non smetteva di guardarmi in modo truce e spregevole, anche se notavo nella sua espressione qualcosa che avevo già visto in occhi altrui.

 La corvina sbuffò e roteò gli occhi.

“È ospite di Duncan?” disse annoiata, poi si girò verso il camino e prese dei contenitori in ceramica che si trovavano sopra una mensola  “È stato invitato per il the?”

Aveva un portamento molto aggraziato e elegante, con quel tono che si sforzava di apparire educato, cosa che avevo notato spesso nel comportamento di giovani ragazze nobili. Quelle nobili che avevano passato la loro vita convinte di aver fatto e visto ogni cosa possibile a loro, per poi essersi accorte che le contadine avevano più libertà. Il suo vestito troppo semplice per un’aristocratica e l’irritazione con cui aveva pronunciato il nome del padrone, senza chiamarlo nemmeno “Signore”, mi facevano pensare che fosse una cameriera. Rimasi un po’ di tempo in silenzio, ragionando su chi fosse e, di conseguenza, su come trattarla.

Mi accorsi di non avere ancora risposto quando la vidi prendere un respiro profondo e appoggiare i contenitori, per poi ripetermi con tono sottile e irritato la stessa domanda. Intuì che non avesse molta pazienza.

“In realtà non sono stato invitato per il the o per il pranzo. Venni a trovare il signore ieri e rimasi qui una notte, dato che il percorso di ritorno è molto innevato e io non conosco ancora bene la strada. Un the sarebbe comunque gradito, se non le è di disturbo” mi spiegai invano, dato che dopo la prima frase la giovane aveva già riposto i recipienti sul ripiano, preso un libro da esso e si era seduta sulla poltrona dove poco prima dormivo io, per leggere.

La osservai incuriosito per un po’, constatando che un ragazza che si prendeva tutte le sue comodità senza preoccuparsi di un ospite non potesse essere una cameriera o una cuoca.

Mi girai con l’intento di uscire nel giardino e nella stalla per trovare il mio cavallo e un ragazzo che mi aiutasse a tornare alla mia villa, ma venni bloccato dalla cuoca che mi aveva soccorso la notte prima.

“Mi spiace, ma mi rifiuto di farla uscire. Ieri non ha cenato e insisto che rimanga a pranzo qua, non vorrei che rischiasse di arrivare a casa sua e non trovare il pranzo pronto” disse facendomi accomodare su una sedia. Guardò la giovane ragazza pallida, come se volesse rimproverarla per la sua scortesia nel non cedermi il suo posto, ma ella la ignorò.

Appena LeShawna sparì in cucina, dalle scale scese il signor Duncan. La testa china e i capelli lunghi più spettinati del giorno prima mi impedivano di vedergli l’espressione, di conseguenza non sapevo se potevo rivolgergli la parola senza farlo innervosire. Mi limitai ad alzarmi, nel caso volesse sedersi.

“Alzati, e torna in cucina a preparare il the” disse  alla ragazza sulla poltrona, che non alzò nemmeno lo sguardo.

“Non sono una serva, tanto meno la tua” disse con tono apatico, girando una pagina del suo libro. Lui non sembrò gradire questa risposta.

Appoggiò una mano allo schienale della poltrona, mentre si avvicinava a lei.

“Cos’hai detto?” disse lentamente, guardandola negli occhi con odio e rabbia. Con mia sorpresa, lei sostenne il suo sguardo, fissandolo con lo stesso astio.

 “Non sono la tua schiava, Duncan” sussurrò con fare provocatorio.

L’uomo perse la pazienza, e la afferrò per i capelli, facendola urlare di sorpresa. La fece alzare dalla sedia e avvicinare al suo volto, mentre lei provava a graffiargli con le unghie la mano che la teneva. L’urlo richiamò la cuoca, che strinse adirata il mestolo che aveva in mano, Chris, che guardava con soddisfazione la scena, e il ragazzo con gli occhi verdi della notte prima, che guardava la ragazza con preoccupazione.

“Finché tu abiterai a casa mia e io sarò in vita, sì, sei la mia schiava” le disse con tono minaccioso. Lasciò la presa sui suoi capelli, spingendola a terra, per poi andarsene.

Appena non fu più in vista, il ragazzo dagli occhi verdi si precipitò al suo fianco. Come con la la ragazza, guardandolo non capivo se fosse un ragazzo di rilievo o un semplice contadino.

“Gwen… Gwendoline… Stai bene?” disse inchinandosi al suo fianco e offrendole una mano. La signorina Gwendoline si era messa seduta, alzandosi con l’aiuto di un braccio, mentre la mano dell’altra era tra i suoi capelli, nel punto in cui l’uomo l’aveva presa.

I suoi occhi mostravano la tristezza e la rabbia che quella imposizione su di lei le aveva causato, ma quando guardò il giovane cambiarono: vidi riflesso nel suo volto delusione e disperazione.

“Mi chiedo perché dovrebbe interessarti, Trent” sussurrò a bassa voce, alzandosi “Tu, dopotutto, sei dalla sua parte, no?” aggiunse, per poi guardarlo con la stessa espressione, e andarsene.

LeShawna osservava il tutto con disappunto.

“Mi spiace che lei debba continuare ad assistere a scene del genere” mi disse, mentre Trent se ne andava “Questa non è una casa molto tranquilla, come ha notato”

“Non si preoccupi” risposi con un sorriso, ma pensavo di dovermene andare dalla loro casa il prima possibile.

 

Riuscì a convincere la donna a lasciarmi andare dopo una buona mezz’ora, assicurandole che le mie cameriere avevano sicuramente preparato ogni cosa. Quando le dissi il nome di una di loro, la donna che si occupava esclusivamente di me mentre dava ordini alle altre ragazze affinché ordinassero la villa come si deve, si convinse a lasciarmi nelle sue mani. Dedussi che le due si conoscessero già.

Arrivai con meno fatica e in meno tempo del pomeriggio prima. Entrai dal cancello, nel mio vasto giardino: era completamente coperto dalla neve, e vi si trovavano numerosi alberi ormai spogli. Immaginai che d’estate e in primavera fosse una meraviglia, con i fiori che fiorivano tra le aiuole e i frutti che pendevano dagli alberi.

Mentre percorrevo il sentiero ghiaioso che conduceva alla mia entrata, non potevo fare a meno di pensare alla giovane Gwendoline. Non doveva avere più di venti anni, anzi, sospettavo ne avesse ancora diciassette o diciotto. Aveva una bellezza particolare, che mi ricordava vagamente quella del fantasma, ma che allo stesso tempo era completamente diversa. Immaginai che fosse la “Gwen” che avevo trovato nei libri, e, forse, anche “Gwen Tremblay”. Nei suoi libri non c’erano scritte a mano, come in quello dell’altra: i bordi delle pagine erano stati, però, strappati. Mi chiesi come mai avesse rovinato i libri in quel modo. Magari per noia, o forse per usarli come biglietti. Che avesse, o avesse avuto, un corrispondente segreto? Pensai che fosse il ragazzo dagli occhi verdi, Trent. Chissà invece qual era la sua storia. Potrebbe essere il figlio del signor Duncan, se fosse un nobile. O magari un semplice cameriere o contadino. Sarebbe stata una storia d’amore struggente, se il giovane non fosse ricco e fosse il corrispondente segreto della donna.

Arrivai alle porte della mia villa e scesi da cavallo, che il mio stalliere prese, mentre un altro ragazzo avvertiva una delle cameriere del mio arrivo. Appena entrai, lei, che non doveva avere più di tredici anni, e sua madre mi vennero incontro, prendendo la mia giacca bagnata per la neve e offrendomi una coperta, mentre vedevo una terza donna attizzare il fuoco nel camino.

“Signor Anderson! Pensavamo fosse disperso, eravamo preoccupati per lei” disse ella, con un tono di voce molto calmo e venendomi incontro. Era molto minuta, aveva la pelle bianca, capelli biondo chiaro e occhi color cobalto. La sua espressione era molto dolce e tranquilla, anche se si notava un accenno di preoccupazione nei suoi occhi. Indossava un abito lungo, molto simile a quello di Gwendoline, ma il suo era di un colore azzurro-grigio, sporco di cenere e rattoppato in alcuni punti.

“Dovete scusarmi, Dawn” dissi sorridendole “Ieri pomeriggio decisi di andare a vedere chi abitava quella casa di cui tutti parlano, l’Imperfait, e dove abita il proprietario di casa mia, ma non conoscevo bene la strada, perciò quando arrivai era ormai notte e rimasi a dormire lì.”

Lei sembrò stupita dalla mia affermazione, e aggrottò la fronte.

“Lei ha incontrato il signor Duncan?” domandò, avviandosi verso la cucina, supposi per riscaldarmi il pranzo.

“Sì, lei lo conosce?” chiesi a mia volta.

“Signor Anderson, insisto perché lei mi dia del ‘tu’” mi ammonì “E, sì, conosco il padrone. In realtà, io ho vissuto con lui e la famiglia Wellington: mia madre, a quei tempi, era la loro cameriera e noi abitavamo con loro. All’età di otto anni cominciai a lavorare anch’io, anche se mi era permesso molta libertà, visto che ero piccola, e perché il signor Wellington insisteva perché io giocassi con i suoi figli. Lavorai per loro per tutta la mia vita, fino a poco tempo fa. Così, posso dire di essere tra le poche persone che conoscono la famiglia Wellington così come si mostrava all’interno delle mura di casa.” Rispose con semplicità e un po’ di orgoglio.

La guardai mentre accendeva il fuoco dei fornelli. Doveva avere la stessa età del padrone di casa, ma non li dimostrava affatto.

“Potrei chiederti un favore, cara Dawn?” dissi sedendomi alla tavola, mentre lei versava in un piatto la minestra calda da lei preparata. Mi guardò accigliata ed annuì.

“Vorrei che lei mi raccontasse di loro: vorrei sapere del signor Duncan, di quella donna, Courtney, che la notte precedente cercava di richiamare dall’aldilà e della giovane Gwendoline, che sembra così infelice in quella casa.”

La bionda si sedette di fronte a me, appoggiò il mento al palmo della mano e guardò il soffitto pensierosa.

“Padrone, io posso dirle tutto quello che vuole sapere del signor Duncan tranne da chi è nato e come ha guadagnato i primi soldi” rispose con voce sommessa “sarebbe un piacere raccontarle questa bella, seppur drammatica, storia. Ma mi permetto di rimandare a questa sera, dato che dovrò comunque svolgere i miei abituali lavori. Le porterò la cena in camera sua, e, se vorrà ancora sentirmi, sarò a vostra disposizione”

Detto questo, si alzò con un inchino e se andò al piano di sopra, seguita dalla bambina che prima mi aveva portato una coperta.

 

Passai le seguenti ore leggendo vari contratti commerciali che mi ero portato dalla mia casa a Toronto. Erano una delle poche cose che avevo portato con me, mentre il resto delle mie ricchezze venivano portati a me da alcuni fidati lavoratori. Non potevo aspettare il loro arrivo per rimettermi a lavoro.

Nonostante cercassi con tutta la mia volontà di concentrarmi su quei fogli, la mia mente era altrove, trasportata dalla curiosità per il sentire la storia, e mi rendeva difficile capire certe frasi. Ci misi parecchie ore prima di  finire di leggere e scrivere delle lettere in cui spiegavo ciò che andava cambiato nei contratti, e con mio grande piacere era ormai sera. Non sarei comunque riuscito a lavorare di più, con il pensiero della storia di Courtney che mi perseguitava.

Appena scoccarono le sette, mi recai in camera mia, dove trovai un vassoio con la cena di quel giorno sopra un comodino. Mi sedetti sul morbido letto, cominciando a mangiare e aspettando Dawn. Arrivò poco dopo, con sé una sedia.

“Mi chiedevo quando saresti arrivata. La curiosità mi consuma e non riesco a pensare ad altro” le dissi, mentre si sedeva. Lei sorrise.

“Non so se la storia sarebbe di vostro gradimento, ma se insistete cercherò di ricordare quanti più particolari possibili”

Mi misi comodo e le sorrisi dicendole di cominciare. Lei prese la tazza di the in più che aveva appoggiato insieme alla mia cena, e cominciò.

“Come le ho già detto, ho vissuto con la famiglia Wellington per quasi tutta la mia vita.

Il padrone di casa, a quei tempi, era il Signor Wellington, l’ultimo della sua famiglia che nacque in Inghilterra. Devon Joseph Wellington era uno degli uomini più magnanimi e giusti che io abbia mai avuto l’onore di conoscere: era un importante uomo d’affari, ma nonostante questo non si comportava come un uomo superiore, ed era solito aiutare le persone meno fortunate di lui. Mi ritengo molto fortunata ad essere cresciuta con il Signor Wellington, che mi trattava come se fossi sua nipote. Un’altra caratteristica importante del padrone era che amava i suoi figli come amò la sua defunta moglie, e questo affetto non cambiò mai nel tempo.

Egli aveva due figli: Courtney e Alejandro Wellington.

Alejandro aveva due anni in più di me e sua sorella, e si comportava già come un principe. Aveva una bella carnagione abbronzata, occhi scuri e teneva i capelli mori più lunghi di quanto fossero soliti fare i suoi coetanei. Si era sempre comportato in modo piuttosto egocentrico, elegante e superiore, come vedeva fare dagli amici del padre che venivano spesso a trovarlo. Era un ragazzo orgoglioso e consapevole del potere che la sua famiglia aveva. Si sentiva in diritto di poter fare ogni cosa, ma lo faceva con cautela. Una sua caratteristica che sfruttava sin da bambino era la furbizia: riusciva a fare ogni cosa volesse di nascosto, riusciva a convincere e ricattare chiunque in poco tempo. Era un ragazzo molto persuasivo, e sapeva di certo giocare le sue carte.

Courtney, da bambina, non era così. Il suo aspetto ricordava molto quello del fratello, se non per alcune lentiggini e i capelli un po’ più chiari. Lei, al contrario suo, preferiva tenerli corti, anche se non è una capigliatura usata dalle ragazze di un certo rilievo. Possiamo dire che non c’era cattiveria nel suo cuore. Mi permetto di dire che era semplicemente stata viziata, ma all’inizio, Anderson, la piccola Courtney sembrava tutto tranne che una piccola nobile. Si divertiva a giocare con me nei giardini, non preoccupandosi della fine che facevano i suoi abiti, imparò in poco tempo a scavalcare le mura e se gliel’avesse chiesto qualcuno, lei avrebbe offerto volentieri il suo aiuto.

 

Un giorno, quando la moglie era ormai defunta da tempo, il signor Wellington tornò da un viaggio di due settimane nella capitale.

Io e i due bambini lo aspettavamo al cancello, ansiosi, e quando scese dalla sua carrozza, con il suo solito sorriso bonario in volto, i due bambini gli corsero incontro, abbracciandolo e frugando nelle sue tasche sperando di trovare qualche giocattolo.

Loro padre si inchinò al loro livello e diede loro i loro regali per calmarli, per poi dire a qualcuno che era nella carrozza di scendere.

Si affiancò a lui un bambino che avrà avuto l’età di Alejandro, con la pelle pallida, gli occhi verdi e i capelli neri. Non apriva bocca e teneva lo sguardo puntato a terra.

“L’ho trovato durante il viaggio di ritorno. È orfano ed è senza nome. D’ora in poi lui resterà con noi ed esigo che voi lo trattiate come un fratello.” Ci disse lui.

Courtney fu la prima ad avvicinarsi. Lo salutò allegramente, ottenendo che lui alzasse lo sguardo verso di lei.

“Si chiamerà Duncan” aggiunse il Signor Wellington. Courtney sorrise nuovamente, mentre io e Alejandro restavamo in disparte, lui guardandolo in modo truce.

Wellington tornò in casa accompagnato da due cameriere, mentre uno stalliere si occupava del cavallo che trainava la carrozza, e noi rimanemmo soli con Duncan.

 

ANGOLO ME

E niente, torno a caso dopo 5 mesi.

Spero vi piaccia.

-Akai Hasu

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