Richard Castle una volta aveva letto una frase che gli era sembrata bellissima: “Ama il tuo sogno seppur ti tormenta”. 

Era stato qualche anno prima, quando ancora si dilettava a leggere letteratura straniera per puro piacere personale. L’aveva trovata immediatamente adatta. Forse perchè la persona che l’aveva scritta chiamava la donna che lo ispirava la sua “musa”, o forse perché aveva sempre sperato che il sogno che tanto lo tormentava, prima o poi, sarebbe divenuto la sua realtà. 

Quel giorno, però, aveva detto basta. 

Basta ai sogni.

Basta ai tormenti.

Basta alla sua musa. 

Non riusciva ad andare oltre. Non riusciva a rimanerle a fianco, impotente, amandola non corrisposto mentre la vedeva distruggersi con le sue stesse mani. 

Impossibilitato a bloccarla, a fermare quelle azioni che presto l’avrebbero fatta annegare nel  suo stesso sangue, avrebbe dovuto assistere di nuovo a quelle scene strazianti, come meno di un anno prima. 

Per cosa, poi? Per nulla. Per un mucchio di bugie. 

Credeva fermamente in quello che le aveva confessato, credeva in quel ti amo che aveva pronunciato disperato e credeva ancora di più in quello arrabbiato che le aveva detto quello stesso giorno. Anche adesso, dopo le parole che erano state dette, per lui non era cambiato nulla. La amava, ma nonostante lei già lo sapesse, aveva fatto finta di niente. Era sparita prima, tornata poi.

Si sentiva illuso da quel qualcosa che aveva colto in lei, come un tentativo di avvicinamento, un suo provare a cambiare le cose tra loro, ma alla fine erano sempre lì, con lei bloccata dalle sue ossessioni. Più importanti di tutti, anche della sua stessa vita, e sicuramente più importanti di lui.

Castle sapeva di non poter fermare le sue mani, eppure lo avrebbe tanto voluto fare. Gliele avrebbe volute bloccare contro il muro attorcigliandole alle sue, tanto più grandi, e baciandola per farle capire che quel ti amo era vero e autentico, era reale. 

Ma ora non poteva più restare a guardarla, attendere oltre, perchè non avrebbe retto all’essere di nuovo lì con lei senza riuscire a salvarla. I miracoli non accadono mai più di una volta e lui era convinto che lei il suo bonus l’avesse già giocato. 

Le aveva detto addio, quindi. 

Le aveva detto che l’amava e poi le aveva detto addio. Ed era stato straziante, perché era convinto che non l’avrebbe più rivista. 

Ora sarebbe stato il suo ricordo a tormentarlo, perché sapeva che lui, Kate Beckett, non l’avrebbe mai potuta dimenticare. Poteva cancellare tutte le sue foto, tutti i file che la riguardavano, ma la damnatio memoriae con lei non funzionava: anche eliminando tutte le tracce fisiche, non sarebbe mai riuscito a cancellarla dalla sua mente. 

Su questo si era rassegnato nell’attimo stesso in cui era uscito da quella casa ma si era imposto di non cedere. 

Per questo non aveva risposto alla sua chiamata, prima di andare alla cerimonia di Alexis. E poi nemmeno alle altre che aveva continuato a ricevere una volta tornato a casa e, rimasto solo, aveva cercato di togliere ogni traccia visibile di lei dalla sua vita. 

Aveva tolto la suoneria al cellulare buttandolo chissà dove. Se le avesse parlato, non sarebbe riuscito a dirle addio di nuovo. 

Ma, se le tracce visibili erano facili da cancellare, quelle interiori era impossibile eliminarle. Rimanevano ben marcate anche dopo svariati bicchieri di scotch.

Sentì bussare alla porta e decise di ignorare chiunque fosse. Non voleva vedere nessuno ma i colpi non smettevano, era un bussare insistente. Si alzò dal divano, deciso a mandare al diavolo chiunque fosse. 

Aprì la porta e rimase di stucco vedendo chi si parava davanti a lui. 

Javier Esposito aveva il volto stravolto ed era bagnato fradicio: solo in quel momento Rick realizzò che fuori stava piovendo da parecchio tempo e che nè il rumore incessante del temporale che si stava abbattendo su New York, nè i lampi che rischiaravano il loft semibuio avevano attirato la sua attenzione.

- Castle… - il detective ispanico era sulla porta e Rick fece meccanicamente un passo di lato per lasciarlo passare, così questo avanzò, entrando nel loft. Non gli ci volle molto a capire, leggendo le pieghe del viso dell’amico, cosa fosse successo.

- Si tratta di Beckett, vero? - disse solamente Castle, addolorato, rassegnato. 

Sapeva che sarebbe andata così, ma non pensava sarebbe successo così presto. Si passò una mano tra i capelli.

- Sì. È grave Rick. Molto grave.

- Perché sei qui da me, Javier? Non ti ha detto niente Beckett?

- Sì. Però credo tu debba sapere. - Prese dalla tasca un cellulare e glielo diede. Il cellulare di Beckett. 

Era sporco di sangue e con il vetro spaccato. Si vedeva appena lo schermo. 

- Sei stata l’ultima persona che ha chiamato quando è stata  ferita. Ha provato a chiamare te, Castle! - Gli urlò Esposito tra le lacrime - Non ha chiamato i soccorsi, ha chiamato te!

Mentre gli parlava lo spinse, posando le mani sul suo petto e facendolo indietreggiare inerme, forse per spronarlo a reagire ma anche e soprattutto per sfogarsi. 

-Poi visto che tu non le hai risposto ha anche provato a scriverti un messaggio. Guardalo, Castle. Guarda l’ultima cosa che ha scritto Kate! Guarda con cosa l’ho trovata in mano! Perchè non le hai risposto Castle? Perchè!? 

- Chi mi ha chiamato fino a poco fa con il suo telefono? 

- Io! Con il suo, con il mio, dal distretto. Non hai mai risposto!

- Glielo avevo detto. Ho chiuso. 

- Cosa le hai fatto Castle? Perché Kate è stata così imprudente? Eh! Rispondimi!

- Io… Javier non credo che… - Provava a giustificarsi. Non era colpa sua, si ripeteva senza troppa convinzione mentre subiva le urla del detective, che non lo lasciava parlare.

- Leggi cosa ha scritto su quel telefono, Castle. Leggi l’ultimo messaggio che non ha potuto inviare,perchè non ce l’ha fatta! - Javier era un fascio di nervi, Castle, invece, un uomo senza volontà. Gli tremavano le mani. Deglutì, dopo aver visto cosa campeggiava sullo schermo. “Anche io ti amo Castle”.

- Chi altri lo ha visto?

- Solo io. 

- Non dirlo mai, mai, mai a nessuno. Ok? Nè cosa hai letto, nè cosa ho letto io.

- Perché, Castle?

- Non c’è un perché. Tu fallo e basta. Dov’è?

- Al Presbyterian.

Castle uscì di casa con Esposito. Tutte le barriere che si era costruito quel pomeriggio erano crollate in un attimo.

- Cosa le è successo?

Javier guidava con gli occhi lucidi

- Metti fuori la sirena, Castle. - Rick eseguì meccanicamente, pensando a quante volte aveva voluto fere quella stessa azione quando era in auto con Kate, solo per farla arrabbiare. 

-L’hanno pugnalata nello stesso vicolo dove hanno pugnalato sua madre, Johanna. E L’hanno lasciata lì... L’ha trovata un ragazzo che lavorava nel ristorante all’angolo, quando è andato a buttare la spazzatura. Era lì da un po' e quasi esangue, quando è arrivata l’ambulanza. C’era ancora battito ma le lesioni sono gravi. Se solo l’avessero trovata prima sarebbe stato tutto più facile.

Castle sapeva che Esposito stava implicitamente dando la colpa a lui, che non le aveva risposto. Quanto prima lo aveva chiamato? Quanto era stata agonizzante prima di perdere i sensi? E cosa aveva pensato in quei momenti? Lo aveva odiato? Sicuramente. Meno, però, di quanto si stesse odiando lui in quel momento.

- Glielo avevo detto che non le avrebbero dato tregua. Che era un bersaglio, che si sarebbe fatta ammazzare!

- Non lo dire Castle! Non. Lo. dire.

Non si parlarono più per il resto del tragitto. Arrivati in ospedale, Rick lo seguì in quei corridoi asettici e vuoti, riusciva  a mala pena a tenere il passo svelto del detective. 

Poi li vide, svoltato l’ultimo angolo, e loro videro lui. Erano tutti voltati in quella direzione, attirati dal rumore dei loro passi che rimbombava nel silenzio assoluto che sembrava regnare in quel reparto. C’era Ryan, appoggiato al muro con la cravatta allentata e con Jenny stretta a lui. C’era Lanie, sola su una panchina che scuoteva la testa. C’era Victoria Gates, in piedi con lo sguardo fisso in avanti ed il cellulare in mano. 

E c’era Jim Beckett, seduto con la testa tra le mani.

Esposito avanzò, mentre Castle rimase pietrificato, impossibilitato ad avanzare dal peso della colpa che lui stesso si addossava e che era convinto anche gli altri gli dessero, per non averle risposto al telefono. 

Javier si voltò a guardarlo, invitandolo a farsi avanti. Si sedette vicino a Jim, poggiandogli una mano sulla spalla. Solo in quel momento l’uomo alzò la testa per guardarlo e Castle capì l’esatto significato di maschera di dolore.

- La stanno ancora operando - disse la Gates aggiornandoli. Tra tutti i presenti era quella più lucida, forse perchè era quella che conosceva Kate da meno tempo, o forse solo perchè era quello che il suo ruolo le imponeva - non sappiamo nulla.

- Da quanto? - Chiese Castle

- Più di tre ore.

A quelle tre ore se ne aggiunsero altrettante, fatte di silenzi, sospiri e preghiere, per chi credeva ancora in qualcosa. Tre ore fatte di singhiozzi trattenuti, lacrime mute. 

Tre ore che, per Castle, si composero di ricordi e rabbia. Sentimenti che andavano a mescolarsi a quell’amore che provava e che era  talmente forte che lo scorrere lento del tempo era pura agonia. Era esattamente questa la situazione che non voleva più patire. Quel messaggio non aveva cambiato il suo stato d’animo, anzi lo aveva fatto arrabbiare maggiormente.

Tre ore fatte di domande, chiedendosi perché era dovuta arrivare al limite prima di poterlo ammettere,  perché non poteva averlo fatto prima? Si sarebbero risparmiati tutto questo, tutti loro. 

Era un pensiero egoista, lo sapeva, ma quel messaggio gli aveva fatto scattare dentro qualcosa che non sapeva nemmeno lui decifrare. Era quello che aveva sempre voluto sentirsi dire, ma non così e non in quel modo. Non avrebbe dovuto pensarci, ma non poteva fare a meno di rivedere nella sua mente quelle poche parole scritte su un cellulare dal vetro sporco di sangue, il sangue di Kate. 

Quelle cinque parole rimanevano impresse davanti ai suoi occhi e non poteva nemmeno pensare alla possibilità che quelle fossero l’unica testimonianza di un loro “noi” mai esistito, se qualcosa non fosse andato per il verso giusto. 

Perché quel loro amore doveva intrecciarsi sempre con lo spettro della morte?

Non si era nemmeno accorto che, in preda ai suoi pensieri, non era più vicino a Jim. Senza nemmeno rendersene conto aveva preso a camminare su e giù per il corridoio come un’anima in pena, fino a quando non sbattè un pugno sul muro con troppa forza, attirando gli sguardi di tutti. Si scusò con un gesto rassicurando che era tutto ok, anche se non era vero. 

Non era per niente ok. Niente. 

Desiderava tremendamente che qualcuno uscisse da quella maledetta porta e gli dicesse che era andato tutto bene, che Beckett era fuori pericolo e che si sarebbe svegliata presto così avrebbe potuto incazzarsi direttamente con lei, chiederle spiegazioni, urlarle che lui lo sapeva e che lei era una stupida. Che avrebbe dovuto pensare a tutte le persone che aveva fatto stare male con i suoi comportamenti. 

E che la amava. Solo a pensarlo sentiva come se gli stessero strappando la carne viva dal corpo. Poteva non rivederla più e tutto quello che le aveva detto era che era finita ed era stanco. Era vero, era finita e lui era molto stanco di tutta quella situazione, ma non doveva finire così. Non poteva.

Era notte fonda. Non si era mosso nessuno. Nessuno aveva parlato. Sembravano statue di un presepe tragico. Si aprì una porta ed una luce fredda invase il corridoio. Ne uscì un medico che sembrava avere intorno un alone mistico, ma erano solo gli occhi troppo affaticati nella penombra del corridoio che non riuscivano a mettere bene a fuoco la figura che avanzava. Si tolse la mascherina che ancora gli ciondolava a lato del viso, il camice macchiato di chiazze scure, la fronte sudata sotto la cuffia.

- C’è qualche parente della detective Beckett?

Jim, che era scattato in piedi appena la porta si era aperta, si avvicinò prima che finisse di parlare. Castle, di contro, era indietreggiato di qualche passo. Poteva vigliaccamente andarsene il più velocemente  possibile, in caso di notizie spiacevoli, ma era comunque abbastanza vicino per sentire tutto. 

Non sapeva bene come questo lo facesse sentire ma Beckett era ancora viva. L’intervento era stato molto complesso, non riusci a processare mentalmente tutta la parte dei tecnicismi medici che il dottore descrisse, capì solo era che era viva per miracolo, ancora una volta. 

Il suo cuore, però, era debole per tutto quanto accaduto negli ultimi mesi e non potevano sbilanciarsi. Su niente.

Ci fu un espressione di tirato sollievo nei volti di tutti, ma nessuno riuscì a sorridere o a gioire a causa delle parole successive del dottore. Fu Esposito a fare l’ingenua domanda.

-Tra quanto si rimetterà questa volta?

La risposta del medico gelò tutti.

-In questo momento non posso dirle nemmeno se lo farà, detective.

Li lasciò lì sospesi in quella bolla di indefinito, mentre Jim fintamente calmo gli chiedeva cose molto più semplici: dove fosse e quando avrebbe potuto vederla. Arrivò un altro medico che rispose alle domande dell’uomo.

- La porteranno in terapia intensiva. - disse poi a tutti gli altri - Credo che per ora, non possiate più fare niente qui.

Non li stava mandando via, ma veramente Jim sapeva che continuarla a vegliare era inutile per tutti. Ci era già passato, sapeva come andavano quelle cose. 

- Dai Castle, ti riporto a casa - Gli disse Esposito mentre gli altri si allontanavano dopo aver salutato Jim ed essersi fatti promettere che li avrebbe avvertiti in caso di novità. Rick rimase interdetto davanti a quelle parole. Non sarebbe andato a casa, ma non sapeva a che titolo poteva rimanere con Jim.

- Ecco, io… - balbettò lo scrittore

- Ok, Castle. Avvisaci se ci sono cambiamenti. - Esposito aveva capito. Quel messaggio gli aveva fatto ricostruire una storia in testa tra i due, che non sapeva quanto fosse reale, ma che per ora gli bastava.

- Al sesto piano - Disse Jim a Castle vedendolo seduto in disparte. Rick alzò la testa come ridestato da quelle parole. - La terapia intensiva è al sesto piano. Andiamo?

Percorsero il corridoio fino all’ascensore. Salirono lentamente fino al sesto piano condividendo quel piccolo spazio e lo stesso imbarazzo nel trovarsi lì senza sapere cosa dire.

- Katie non è una persona facile. - Disse Jim rompendo ogni barriera che c’era tra loro, compresa quella del silenzio, dell’imbarazzo e dei loro rapporti. - Non si apre facilmente con gli altri. Ha paura di essere ferita.

- Visti gli eventi dell’ultimo anno, dovrebbe temere anche gli altri tipi di ferite. - Rick non voleva essere così duro con Jim. Non era colpa sua e stava già soffrendo abbastanza senza bisogno della sua ironia nera e becera.

- Quelle ferite le teme sempre di meno - disse l’uomo rassegnato. - Richard, io so che Katie ci tiene a te.

- Lo so anche io questo signor Beckett…

- Perché sei qui?

- Perché se non ci fossi stato mi sarei chiesto perché non ero qui.

- Sei bravo con le parole, Castle. Per questo saresti piaciuto tanto anche a mia moglie.

Avrebbe voluto avere spiegazioni su quel “anche”, ma il sobbalzare dell’ascensore che segnalava l’arrivo al piano e l’apertura delle porte lo fecero rimanere in silenzio, a crogiolarsi nei suoi timori.

Nel silenzio della notte, i rumori dei macchinari erano l’unico suono che, intermittente, teneva in vita quei corridoi, dove vita e morte si rincorrevano. Il cigolio delle ruote di un carrello, spinto da un’infermiera stanca, interruppe la monotonia del silenzio.
Seduti in una sala d’attesa, Jim Beckett e Castle erano uno davanti all’altro e guardavano entrambi il pavimento in mezzo ai loro piedi.
A vederli da fuori non potevano sembrare due persone più diverse: Castle era uno scrittore di successo, un playboy con due divorzi alle spalle, eccentrico e mondano. Jim era un avvocato la cui vita era stata distrutta dalla morte dell’unica amatissima moglie, riservato e composto.
Solo le parole li univano, ma ne facevano usi diversi. Anche se, in fondo, l’obiettivo di entrambi era di inventare storie credibili e convincenti.
Ancora una volta, tornava in ballo la differenza. Le storie di Castle erano come un gioco per lui, non gli sembravano nemmeno un lavoro e per il suo pubblico erano svago e divertimento. Le storie di Jim erano di vita reale e dalle sue parole dipendeva il futuro dei suoi clienti. Lui prendeva tutto con estrema serietà.
Eppure erano lì, insieme, a fissare le stesse mattonelle consumate dal tempo che avevano raccolto infinite lacrime e passi striscianti di dolore. Jim ogni tanto alzava lo sguardo scrutando Castle.
Si erano trovati, ancora sconosciuti uno all’altro, nella stessa situazione pochi -troppo pochi- mesi prima: anche quella volta Rick era rimasto lì con lui, aspettando notizie su Kate con il volto segnato dalla disperazione e dal senso di colpa per non essersi accorto un attimo prima del cecchino, per non essere riuscito a metterla in salvo. Era stato lì fin quando Kate non si era ripresa, malgrado Josh e le sue continue occhiate di sfida. Il dottore di certo non aveva fatto nulla per nascondere al mondo che quella era la sua ragazza, sottolineandolo sempre quando era sicuro che Castle potesse sentirlo. E Rick incassava, senza dire nulla, senza reagire alle sue provocazioni e non si allontanava mai. Fino a quella visita e alla fuga di Kate da tutto e tutti, per rifugiarsi con Jim in montagna, per staccare dal suo mondo e non pensare a nulla.
Ora Jim lo guardava, ed era diverso dall’ultima volta. Che fosse preoccupato era fuori dubbio, ma c’era dell’altro: era teso, arrabbiato.

- Cosa è successo tra te e Katie? - Chiese a Castle, che aveva alzato lo sguardo verso di lui non appena aveva sentito la voce dell’uomo. Rick tremava, forse di rabbia, ma non solo. 

Come poteva spiegare al padre di Kate quanto era accaduto? Come poteva dirgli quello che c’era stato o, meglio, quello che non c’era stato tra loro e che lo aveva portato ad allontanarsi da lei in modo repentino? Poi c’era tutta la questione dell’omicidio di Johanna, di Montgomery e la faccenda di Smith. Castle non sapeva se Kate ne avesse mai parlato con il padre e se fosse giusto dirglielo, ma gli occhi di Jim non si staccavano da lui, in attesa di una risposta che Rick in cuor suo sapeva di dovergli. 

- È complicato signor Beckett. Ed è una lunga storia… - Rick prese tempo. Sapeva che questo non sarebbe bastato per interrompere la necessità di sapere dell’uomo davanti a lui, ma serviva a lui per ricomporre le idee e capire cosa era giusto dirgli e cosa no.

- Non mi sorprende che lo sia, visto che riguarda Katie. E se è una lunga storia, abbiamo tempo, purtroppo. A meno che tu non debba andare…

Caste scosse la testa sussurrando un no. Si stropicciò le mani e poi se le passò sul viso. Raccontò a Jim dei documenti, di quella che lui aveva chiamato l’assicurazione sulla vita di Kate, a patto che lei smettesse di indagare. Gli spiegò di come lui era stato contattato per far in modo che lei non proseguisse nelle sue ricerche. Gli disse anche di Montgomery e Smith, della litigata con Kate, di averla pregata di rinunciare, di pensare alla sua vita, di come lei lo aveva attaccato e di come lui se n’era andato, perchè non poteva sopportare di vederla distruggersi.
Non gli disse niente, invece, della sua finta amnesia, di quello che lui le aveva confessato quasi un anno fa e ripetuto poche ore prima. Di come lei lo avesse cercato una volta ferita, di quello che le aveva scritto.
Jim rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse metabolizzando quelle informazioni. 

-Però ora sei qui. Proprio dove non volevi essere… - la frase dell’uomo lo spiazzò: era quello che Rick aveva cercato di non dirsi da quando era arrivato Esposito a prenderlo a casa. Era esattamente dove non voleva essere, nella situazione che aveva temuto e per cui se n’era andato da casa di Kate sbattendo la porta. Il motivo per il quale si trovava in quel luogo era lo stesso per il quale non aveva voluto rispondere alle sue chiamate. 

La risposta di Rick fu un sospiro rassegnato. Non riusciva a dare una risposta nemmeno a sè stesso, figurarsi al padre di Beckett. 

Ma Jim non aspettava una risposta, non ne aveva bisogno. La sua era una semplice constatazione dei fatti. C’era un limite invalicabile che non aveva mai osato superare, ed era quello delle relazioni affettive della figlia. Ne aveva viste di più o meno sbagliate, qualcuna anche inutile. Ma non aveva mai messo bocca su nessuna di queste, almeno non dopo la morte di sua moglie, che gli aveva riconsegnato una figlia matura e responsabile, a volte anche più di lui, che invece si era lasciato sprofondare nell’abisso dell’alcol. Non era più la sua Katie sedicenne, in cerca di avventure ribelli. Era una donna che condensava tutta la sua irresponsabilità nel suo lavoro, lasciando la propria vita privata al di fuori di ogni sfera emotiva. Sembrava un paradosso, ma Jim aveva capito bene quello che Kate faceva da oltre dieci anni.
Non poteva permettersi di giudicarla, al massimo avrebbe potuto consigliarla se mai lei glielo avesse chiesto, ma non lo aveva mai fatto.
Negli anni aveva velatamente espresso più o meno simpatia per questo o quel fidanzato e Kate non gli aveva mai accennato nulla su una possibile relazione con Castle. Nonostante questo, lui aveva capito che, da come lei gliene parlava, lui era una persona importante nella sua vita.
Jim era convinto che fosse esattamente quello il motivo per cui lo teneva a distanza più di quanto avrebbe dovuto, più di quanto avrebbe voluto.

Un medico li chiamò e li invitò a seguirlo lungo un corridoio vicino, fatto di porte e vetrate con le tende abbassate. Stanza numero 173. Si fermò lì e loro con lui. Le solite raccomandazioni del caso: uno alla volta, non di più, non per molto tempo.
Non era cosciente, li aveva avvisati, non lo sarebbe stata per un po'. Le tempistiche dipendevano dal suo fisico, da come avrebbe reagito. Il “se” avesse reagito, il medico se lo fece morire in gola dopo uno sguardo ai due uomini davanti a lui.

- Vai tu Richard, così puoi tornare a casa da tua madre e tua figlia, saranno preoccupate.- Jim invitò Castle ad andare per primo da Kate. Lui avrebbe voluto tanto, davvero tanto poter accettare ma, pur non essendoci Josh a fare il cane da guardia e a tenerlo a distanza, stavolta era lui che non riusciva ad entrare da lei. 

Non si sentiva pronto. A che titolo ci sarebbe entrato? “Ciao, sono quello che di te non ne vuole sapere più niente, che non ti ha risposto al telefono quando rischiavi di morire, ma che ora si dispera perché tu ti possa salvare. Ah sì, anche quello che ti ama ma non può stare a guardare mentre ti distruggi e quindi se ne va”.

- Non mi aspetta nessuno, Alexis e Martha sono fuori. Vai da lei Jim, aspetto qui…

Vide Jim abbassare la maniglia ed aprire la porta, il suono dei macchinari della camera di Kate gli arrivò più netto, assieme alla luce fredda che illuminava la stanza. Chiuse gli occhi per resistere alla tentazione di sbirciare dentro.
Era passato meno di un anno ed era di nuovo lì, a provare la stessa sensazione di freddo dentro, lo stesso dolore che sembrava volergli prendere lo stomaco in una morsa e non lo lasciarlo più. Quante altre volte sarebbe accaduto ancora? Quante volte avrebbe rischiato di morire prima di soccombere? Quante telefonate e visite come quella di Esposito avrebbe dovuto ricevere prima di sentire la notizia che gli sembrava sempre più inevitabile?
Non avrebbe potuto reggere. Non sarebbe riuscito a passare ancora altre serate del genere, fatte di dolore e paura mischiati in un cocktail micidiale che rischiava di uccidere anche lui, sopraffatto da un amore così grande da non poter essere gestito.
Beckett era un poliziotto, lo sapeva. Sapeva che rischiava la vita ogni giorno e si erano trovati decine di volte in pericolo uscendone più o meno malconci. Ma non si trattava di questo, non era il rischio implicito del suo ambito lavorativo a preoccuparlo, quello lo avrebbe capito.
Quello che non poteva combattere per lei erano le sue ossessioni, e non poteva rimanere a guardare mentre lo faceva da sola: il suo animo melodrammatico urlava a gran voce che sarebbe stata solo questione di tempo prima che accadesse l’inevitabile.Lui non era in grado di accettarlo niente di tutto ciò.
Tutti questi discorsi erano giusti, sacrosanti, ma erano da fare dopo.
Non ora.
Dopo.
Ci avrebbe pensato dopo.
Quando lei fosse stata bene, allora avrebbe potuto permettersi di pensarci, di arrabbiarsi ancora. Quando la morsa allo stomaco si sarebbe sciolta. Non ora.
Sentì i bip bip più forti e poi il rumore della porta richiudersi piano, facendo tornare i rumori dei macchinari ad un lieve suono attutito di sottofondo.
Dalla stanza uscì un Jim molto provato e questo non aiutò Castle nei suoi propositi. Gli chiese se avesse bisogno di qualcosa e si preparò a ricevere una risposta del tipo “che mia figlia stia bene, grazie”. Ma Jim era troppo educato per rispondergli una cosa del genere.

-Un caffè. Credo che mi andrò a prendere un caffè.

Jim lo superò e si avviò verso la sala d’attesa dove erano rimasti ad aspettare notizie fino a pochi minuti prima, abbandonandolo davanti alla porta chiusa della stanza di Kate.
Stava a lui decidere cosa fare e non appena Jim svoltò l’angolo, Castle si fiondò sulla maniglia, entrando. A pochi metri di distanza, Jim Beckett si appoggiò al muro del corridoio, ascoltando il rumore della porta che veniva prima aperta e poi subito richiusa.

Bianco.
Freddo.
Bianche le lenzuola, fredda la luce.
Bianca e fredda anche Kate, distesa sul letto davanti a lui. Ecco quello che vedeva e sentiva Rick.
Capì perché Jim era uscito così provato, stava facendo fatica anche lui a guardarla.
Era Kate, lo sapeva perchè c’era il suo nome scritto sulla fascetta al suo polso, ma stentava comunque a riconoscerne i tratti sul viso tumefatto e ferito, nei lineamenti alterati dall’essere intubata, nel pallore estremo.
È perchè ha perso molto sangue, si disse.
Non era il momento di arrabbiarsi con lei, adesso. Eppure, a vederla là distesa, Castle avrebbe solo voluto scuoterla e chiederle perchè aveva fatto questo a sè stessa, perchè lo stava rifacendo a lui. Perché stava facendo questo a “loro”.
Ma un loro non c’era mai stato e forse non ci sarebbe stato mai.
Si sentiva la testa scoppiare, era come se tutto il sangue del suo corpo fosse affluito al cervello e aveva gli occhi che pizzicavano. Era stanco, era solo stanchezza, mentì a se stesso.
Le accarezzò prima il dorso della mano, facendo  uno slalom con le dita tra gli aghi e le sonde, poi si concesse di fare lo stesso sulla sua fronte, una delle poche porzioni del viso che sembrava ancora sana.
“A domani Beckett” le sussurrò uscendo. 

Domani era già oggi.
Si addormentarono qualche ora sulle sedie della sala d’attesa, fino a quando il via vai di persone non si intensificò, svegliandoli. Rick, in bagno, fissò a lungo la sua immagine allo specchio: era quella di uno che aveva perso le sue certezze.
Diceva di voler fare una cosa ma infine ne faceva un’altra. Perché era incapace di andarsene da lì? Prese il telefono di Beckett, che ancora teneva in tasca, e rilesse quel messaggio sentendosì ancora più vincolato a rimanere lì. Era dove doveva essere.
Esposito e Ryan arrivarono mentre Rick era in bagno e quando uscì li trovò a parlare con Jim, convinti che lui non ci fosse. Fu Ryan il primo a notarlo e, vedendo la sua faccia stanca, i capelli spettinati e i vestiti sgualciti dal giorno prima capì subito che aveva trascorso anche lui la notte in ospedale.
Esposito gli si avvicinò, mentre il suo collega rimase con il padre di Beckett

- Allora, cosa pensi di fare? - gli chiese l’ispanico portandolo dietro l’angolo con fare minaccioso.

- Starò qui fino a quando Kate non sarà fuori pericolo - ripose Rick stanco, più di quanto riuscisse a rendersene conto.

- E poi cosa farai eh, Castle? Sparirai salvo poi riapparire quando a Kate accadrà qualcosa? Perchè lo sai anche tu che succederà di nuovo. Nessuno di noi potrà impedirglielo. Tu sparirai e poi? cosa farai? Continuerai a tenerti informato sui suoi movimenti per essere sicuro di essere il primo ad arrivare? - Esposito era furioso con lui e Rick non capiva il motivo di tanto astio nei suoi confronti. 

Non era lui il cattivo della storia, come lo voleva far passare. Non secondo la sua versione dei fatti, almeno. - Ti ritroveremo qui, a fare la parte dell’uomo disperato per una donna che non è la tua, quando magari fino a poche ore prima te la spassavi con qualche hostess rimorchiata chissà dove?

- Javier, non ti permetto…

- Cosa, Castle? Di dirti come stanno le cose? Non è quello che fai abitualmente? Magari poi potresti non avere più il diritto di stare qui a disperarti... Magari vicino a lei ci potrebbe essere qualcuno che non si diverte con le bionde siliconate prima di preoccuparsi per lei. Ci hai pensato a questo? 

- Le auguro di trovare qualcuno che la ami e sia disposto di restarle accanto mentre lei si autodistrugge.

- Avrebbe bisogno di qualcuno che la convinca a non autodistruggersi, allora! 

- Ci ho provato Javier, non è servito.

- Beh, allora non ci hai provato abbastanza, amico mio.

Dopo la discussione con Esposito, Castle era rimasto nel corridoio adiacente a quello della sala d’attesa. Appoggiato con la schiena al muro, le mani in tasca, si teneva in piedi per forza di inerzia.
Si sentiva svuotato, fisicamente ed emotivamente, perso nella più vecchia delle battaglie dell’animo umano, quella tra ragione ed sentimento. Aveva preso una decisione ed intendeva rispettarla.
Ne avrebbe dovuto parlare con Kevin e Javier, spiegando quello che sapeva come nè aveva parlato con Kate.
Li aveva sentiti parlare con Jim, avevano spiegato che non avevano piste da seguire e che quanto rilevato dalla scientifica sul luogo non aveva portato a nulla. Non sapevano nemmeno loro da dove iniziare o cosa cercare, in realtà.
Stava giusto per andare da loro, quando un uomo interruppe li interruppe. Si presentò come un loro collega, tale Detective Nicholas Pierce, del quinto distretto. Comunicò che ora il caso dell’aggressione al detective Beckett era passato di loro competenza e che la omicidi, vista la mancanza di un cadavere, non c’entrava più nulla.
A nulla valsero le proteste di Esposito che fu trattenuto da Kevin e calmato da Jim. Tutta la documentazione era già stata inviata al quinto e i due detective, Jim e chiunque altro immischiato nel caso, avrebbero dovuto essere interrogati da loro.
Castle si ricompose e li raggiunse proprio mentre Pierce se ne stava andando. Aveva voluto vederlo in faccia prima che se ne andasse, ma già dalla voce e dal tono non gli stava minimamente simpatico. Diede così un volto a quella voce saccente e presuntuosa e si trovò davanti un giovane detective. Poteva avere all’incirca l’età di Kate ed era di bell’aspetto. Aveva un fisico alto e slanciato, messo in risalto dal bavero stretto della sua giacca, sicuramente cucita a mano. A Castle non passò inosservato questo particolare, era vestito elegante, con abiti fin troppo ricercati per un detective della polizia.
Si scambiarono un paio di occhiate studiandosi a vicenda. 

-D’Amico? - Chiese Castle con un tono di sfida, facendo ricorso alle ultime forze mentali che gli erano rimaste.

- Come dice, scusi? - Gli rispose il detective

- Dicevo se il suo completo era stato cucito dalla sartoria D’Amico, oppure dalla Bastiani, perché a vedere il taglio ed il tessuto mi sembrano di mano italiana, non certo inglese. Sbaglio?

- D’Amico, sì… non sbaglia- disse l’uomo imbarazzato

- Ottima scelta, detective. Anche io qualche volta mi concedo lo sfizio di un abito su misura - lo rintuzzò Castle

- Sì, bene. - rispose il detective, in modo sbrigativo - non sono qui per parlare del mio abbigliamento e nemmeno per parlare con lei, signor Castle. 

- Oh, ma lei parte avvantaggiato. Sa chi sono io ed io non so chi è lei. È un’amico di Beckett? - Castle continuava a recitare la parte che si era imposto, mentre Esposito, Ryan e Jim lo guardavano senza interromperlo.

- Detective Price, mi occupo del caso. Lei ha qualche informazione utile? So che con la detective vi vedevate spesso.

- Certo, ogni volta c’era un caso interessante. Ma purtroppo quel giorno avevo un impegno di famiglia molto importante e non ero con lei. Quindi no, non le posso essere d’aiuto.

- D’accordo - disse l’uomo, facendo di nuovo per andarsene -vi chiamerò io, quando sarà necessario. Se intanto trovate qualcosa tra le carte di Beckett, avvisatemi.

Rick aspettò che se ne andasse, poi lasciò che il sorriso falso che aveva indossato per quella breve visita scivolasse via dal suo volto, lasciandosi cadere su una sedia. 

- Non piace nemmeno a te eh, Castle?- chiese Ryan.

- Un detective con un vestito che costa almeno quanto quattro mesi del vostro stipendio? No, non mi piace. Puoi anche immaginare il perchè…

Kevin e Javier rimasero in silenzio davanti alle affermazioni di Castle. Se si trattava di un poliziotto corrotto allora potevano esser certi che l’indagine sarebbe stata insabbiata.

- Vi devo parlare. - aggiunse poi Rick - Ma non qui, e nemmeno al distretto. Vediamoci da me. 

I due detective si guardarono

- Oggi pomeriggio quando stacchiamo, se non ci sono casi particolari. Per te va bene? - chiese Esposito a Castle

- Va bene. 

Rick e Jim rimasero di nuovo da soli. Castle convinse Jim ad andare a casa a farsi una doccia e a bere un caffè decente. Sarebbe rimasto lui lì, fino a quando non fosse tornato. L’uomo accettò con un po' di ritrosia, sapendo che era la cosa giusta da fare ma restio a separarsi dalla figlia.
Ebbe il permesso per entrare di nuovo nella stanza di Kate, se lo voleva. Accettò subito.
Non era molto diversa dalla notte appena scorsa e in fondo erano passate solo poche ore dalla sua ultima visita. Rimase in piedi a fissarla finché glielo permisero e, prima di uscire, osservò bene quella stanza così triste e impersonale. Nessuno sarebbe potuto guarire in un ambiente così triste ed impersonale dove tutto era così... ospedaliero.
Uscendo dalla stanza venne fermato da un medico, che gli chiese se fosse un parente della detective. No, non lo era. Gli disse che era il suo partner, rimanendo volutamente ambiguo e lasciando che fosse lui ad interpretarlo come meglio credeva, lui non aveva mentito. Chiese quindi nuove informazioni e gli spiegarono che per il momento i parametri vitali erano buoni, in linea con le aspettative.
Aveva superato le prime ore post intervento, quelle più critiche, senza complicazioni. Il suo cuore, però, era ancora debole.
Il medico gli spiegò anche che le ferite avrebbero potuto essere tutte potenzialmente mortali se fossero andate a ledere gli organi interni, causando una morte rapida. Invece erano state procurate in modo tale che questo non avvenisse, lasciando che la vittima si dissanguasse lentamente. Sembrava quasi ci fosse uno schema dietro ad ogni colpo, non era casuale.
Rick fece molte domande ed il medico fu accondiscendente, rispondendo a tutto. Non gli voleva creare false aspettative dipingendo una situazione troppo rosea, benché Kate stesse reagendo bene, il quadro clinico era serio. Quando era arrivata era in fin di vita e con una grave emorragia, poi, durante l’operazione, aveva avuto un arresto cardiaco. Tutto questo andava a sommarsi alla sua situazione precedente e rendeva d’obbligo andare con i piedi di piombo in ogni valutazione. Non sarebbero stati in grado di valutare se aveva subito danni permanenti fino a che non si fosse svegliata.

- Signor Castle- Venne richiamato da un medico, dopo diverso tempo passato  a fare avanti e indietro lungo il corridoio - Sarà meglio che si vada a riposare. Se continua così non sarà di nessun aiuto alla sua partner. Di certo quando si sveglierà la vorrà vedere in forma. Accennò un sorriso e un ringraziamento e si lasciò cadere su una sedia, in attesa del ritorno di Jim.

Quando arrivò all’ingresso del loft salutò con un cenno James, il portiere. Era sceso dal taxi pagando più del dovuto e, appena aveva messo piede fuori dal veicolo, era finito dentro una pozzanghera, ricordo del temporale della notte precedente. Ora il cielo era azzurro e limpido, non c’era più nemmeno una nuvola. Si concesse qualche istante per osservarlo meglio, prima di varcare la soglia e dirigersi stancamente verso l’ascensore.
Il tragitto fino al suo piano sembrò durare un’eternità. Aprì con qualche difficoltà la porta di casa e prima che se ne potesse rendere conto, due paia di occhi azzurri gli si fecero incontro.
- Papà!
- Richard!
Quando Alexis e Martha erano rientrate avevano trovato la bottiglia di scotch praticamente vuota sopra al tavolo del soggiorno e fogli sparsi per tutto lo studio. Inutile dire che si erano immediatamente preoccupate, non sapendo dove fosse finito Castle.
- Richard, si può sapere cosa è successo qui? - chiese la donna più anziana, indicandolo lo studio del figlio ed il caos che ci regnava - E tu, sembri uscito da un rave party adolescenziale!

- Sono stato in ospedale, mamma. Beckett è stata ferita. È molto grave.

- E tu? Eri con lei?

- Era sola. È successo durante la cerimonia di Alexis, più o meno.

- Oh papà, mi dispiace così tanto! - disse la più giovane delle due.

- Già, anche a me. Ora scusate ma devo andare a riposare un po'.

Entrò nella sua stanza chiudendo la porta a chiave alle sue spalle. Non lo faceva mai, ma doveva avere la certezza di rimanere solo e di non essere disturbato.
Si buttò sul letto, togliendosi il più rapidamente possibile i vestiti. Appena chiuse gli occhi la sua mente ripercorse rapida tutti gli eventi delle ultime 24 ore, con le emozioni che si accavallavano una sull’altra senza lasciargli il tempo per respirare. Alla fine cedette e si lasciò andare ad un pianto muto, con le lacrime che gli rigavano il volto.
Si sentiva impotente nei confronti di se stesso. Tutto quello che aveva deciso meno di 24 ore prima, lasciando che il suo cuore si frantumasse per istinto di sopravvivenza, lo aveva disatteso poche ore dopo, alla prima occasione.
Non era un evento normale, certo, ma era proprio il tipo di evento da cui razionalmente aveva cercato di prendere le distanze, non riuscendo però a farlo.
Che senso aveva avuto, allora, tutto quello che aveva fatto? Perché cercare di chiudere con lei per non vederla distruggersi, quando poi era stato a vegliarla tutta la notte appena era successo qualcosa?
Quanto era da masochisti accettare di prendere da quella relazione a senso unico solo quello da cui voleva fuggire?
Eppure sentiva di non poter fare altrimenti. Il suo pensiero non si scollava da lì, da lei. Era inutile che se lo nascondesse, quelle parole sul display, quella disperata richiesta di aiuto diretta proprio a lui, avevano incrinato le sue certezze e le sue decisioni.
Perchè Kate aveva provato a chiamare lui, ripetutamente, prima di chiedere aiuto? Perchè non aveva prima pensato a mettersi in salvo?
Non aveva voluto salvarsi?
Questo dubbio lo assaliva, lo tormentava e non aveva il coraggio di dirlo a nessuno.
Il momento in cui biasimava di più Beckett per le sue scelte suicide però, era anche quello in cui la comprendeva di più. Così come lei aveva la sua ossessione, lui aveva la sua: lei.
Altrettanto pericolosa, magari non per l’incolumità fisica ma quanto piuttosto per quella mentale ed emozionale. Era un qualcosa che sapeva gli avrebbe fatto male, eppure non riusciva a staccarsene, non del tutto.
Cercava di darsi alibi e giustificazioni per il suo comportamento, ma forse erano solo illusioni. Rimaneva aggrappato con tutta la sua forza a quel messaggio mai inviato, sentendo in cuor suo come dovesse darle una opportunità, quantomeno per ricevere spiegazioni. Era questa la giustificazione che dava alle sue ultime azioni, al perché era rimasto in ospedale e al perché ci sarebbe tornato presto.
Chiuse gli occhi stanchi ed arrossati e una volta addormentato riuscì a dormire per qualche ora. Purtroppo non fu un sonno ristoratore, anzi, fu pieno di incubi e paure. Davanti a lui si trovavano Jim, Esposito, Ryan, Lanie la Gates e dietro a loro c’erano tutti gli altri del distretto. Avanzavano verso di lui gridandogli contro ed incolpandolo di quanto accaduto. Era colpa sua se Kate era morta, perché lui aveva insistito anni prima per indagare e riaprire il caso. Era stato lui che le aveva tenuto tutto nascosto, mettendola poi al corrente di Smith e spingendola ad agire da sola. E, soprattutto, abbandonandola quando non aveva risposto alle sue richieste d’aiuto.
Si svegliò destato dai colpi alla porta della camera e dalle urla di sua figlia che lo invitavano ad aprire la porta. Si alzò come un automa e andò ad aprire ad Alexis che quando lo vide trasalì nel constatare come fosse trasfigurato: sul volto tirato e sudato erano ancora vivi i segni di quell’incubo.

- Papà, stai bene? Stavi urlando… - chiese preoccupata

- Sì, solo un brutto sogno… un brutto sogno… - rispose mestamente.

- Beckett… - disse la ragazza

- Cosa?

- Era il suo nome quello che urlavi

- Beh sì… probabile… non era un bel sogno Pumpkin 

- È molto grave?

- Lo è, ma è forte no? Si riprenderà. Ora vado a farmi una doccia, più tardi verranno Javier e Kevin.

- Io sarò fuori a cena con le mie amiche. Mi raccomando papà…

- Stai tranquilla Al… E comunque queste cose le dovrei dire io a te! - abbozzò un sorriso, presto ricambiato dalla ragazza. La baciò dolcemente su una guancia e la lasciò tornare alle sue faccende, mentre lui si dirigeva barcollando verso il bagno. Si sentiva ancora più stanco di quando si era messo a letto.

Sotto il forte getto dell’acqua gelida riuscì a recuperare un po' di forze e a non pensare per qualche minuto, anestetizzandosi grazie all’acqua fredda che gli scorreva sulla pelle.
Quando uscì, si sentiva stranamente meglio, più lucido. Doveva lasciare da parte i discorsi fatti tra sè e sè prima e concentrare le sue attenzioni sul resto. Ora dovevano capire chi aveva aggredito Kate e perché lo aveva fatto in quel modo.
Si asciugò rapidamente lasciando che i capelli rimanessero spettinati e la barba incolta. Una volta vestito decise di prendere un paio di analgesici per placare il mal di testa che lo aveva raggiunto improvvisamente. Probabilmente quella era solo la prima parte del conto che il suo organismo gli avrebbe presentato.

Era quasi sera ed aveva da poco finito di aggiornare la sua lavagna digitale sul caso che era ormai più incentrato su Kate, che non su Johanna. Era riuscito a recuperare tutti i file che aveva eliminato in un gesto di rabbia la sera prima e aveva ricomposto tutti gli indizi su cui poteva contare.
I due detective arrivarono puntuali all’appuntamento.

- Se la Gates ci scopre ci manda a dirigere il traffico - Lo salutò Ryan, preoccupato.

- Dubito che la Gates verrà a casa mia, oggi. - gli rispose Castle facendo strada verso il suo studio, dove avrebbero trascorso buona parte delle prossime ore.

- Allora, Detective Esposito... Come avete fatto lei e il suo collega ad arrivare sulla scena del ferimento della Detective Beckett prima di ogni altra squadra in zona?

- Eravamo da quelle parti. Quando poi abbiamo sentito le richieste di soccorso per un agente ferito ed il numero di matricola abbiamo capito subito che si trattava di lei.

- Ha notato niente di strano?

- No, nulla. Insieme a noi sono arrivati i paramedici che hanno subito preso e trasportato Beckett in ospedale.

- Avete fatto i rilievi, niente armi, niente impronte…- Price lanciò il fascicolo sulla scrivania a cui era seduto Esposito, sembrava stessero giocando a carte e nessuno dei due aveva intenzione di cedere.

- È scritto tutto lì. - Disse indicando con un gesto della mano il fascicolo.

- Gli effetti personali di Beckett ci sono tutti, manca solo il cellulare. Una rapina che finisce male, prendono la prima cosa a disposizione e scappano.- Sentenziò Price.

- Beh mi sembra una conclusione affrettata, in una rapina finita male nessuno pensa a cancellare le impronte! E poi il luogo non è casuale… - Ringhiò Esposito che aveva perso tutta la sua, poca, aplomb.

- Passate troppo tempo con lo scrittore, voi del dodicesimo. Non sempre ci sono storie interessanti, la verità è spesso banale… 

- Beh, in questo caso sarà solo questione di tempo, sapremo da Beckett come sono andate le cose.

Javier si alzò e stava per andarsene, quando Price lo richiamò 

- Quando pensa che potrò interrogarla?

- Vi avviseremo.

Le porte dell’ascensore si chiusero e Javier premette compulsivamente il tasto del piano terra. Fuori dal quinto lo stava aspettando Ryan, in macchina.

- Allora?

- Aveva ragione il tuo amico. Non ha nessuna intenzione di indagare in altre direzioni. Una rapina finita male, capisci? Si stanno prendendo gioco di noi apertamente, maledizione! 

Castle era tornato in ospedale da Beckett. Era ancora intubata e non poteva parlare ma lo sguardo che gli regalò quando lo vide era il miglior saluto in cui potesse sperare. Rick mantenne la sua promessa di non parlarle fino a quando non avesse potuto farlo anche lei, e Dio solo sapeva quanto gli stesse costando tenersi tutto dentro.
Gli erano state fatte delle concessioni particolari, per lasciarlo stare lì. All’inizio non ne aveva avuto il permesso, ma quando aveva ricordato alla dirigenza dell’ospedale la sua ultima generosa donazione, oltre alle varie feste di beneficenza a favore dell’ospedale a cui negli anni aveva partecipato offrendo numerosi premi per le raccolte fondi, erano diventati tutti decisamente più accondiscendenti. Naturalmente, speravano si ricordasse che di lì a poco ci sarebbe stato l’annuale cena per i benefattori dell’ospedale e confidavano sarebbe stato anche quest’anno un loro gradito ospite.
Per quanto lo riguardava, bastava gli permettessero di stare con Kate. Sarebbe andato a qualunque cena, magari perfino con lei, si ritrovò a pensare in uno slancio di ottimismo.
Quando si sedette vicino a lei, la vide allungare la mano cercando la sua. La prese tra le proprie, accarezzando le dita sottili, ancora troppo bianche. Le accarezzò poi la fronte ed una guancia e lei provò a muoversi per accentuare il contatto. Avrebbe voluto dirgli molte cose, avrebbe voluto scusarsi e confessargli tutto, dargli quelle spiegazioni che tanto meritava, ma non poteva parlare e lo trovava assolutamente frustrante.
Provò ad allungarsi ancora verso di lui, lo voleva toccare, voleva ricambiare quelle carezze, ma Castle sembrava non capirlo e prese di nuovo la sua mano. Kate emise un lamento ed un mugolio di disappunto, provando a togliere la mano dalla sua presa. Lui la lasciò subito, appena la sentì agitarsi, e lei riuscì solo ad indicare il suo volto. Rick capì, avvicinandosi di più e portando le dita di lei sulla sua guancia, dove le mosse dolcemente.
Nessuno dei due si chiese cosa volesse dire tutto quello, quei contatti silenziosi che mai erano stati così intimi come in quei momenti. Castle non si accorse nemmeno di come era volato via il tempo, quando l’infermiera Cerbero gli disse che adesso doveva proprio uscire, quasi provasse un gran fastidio ad averlo lì. Diede un bacio sulla fronte a Beckett, promettendole che sarebbe tornato il giorno dopo ed uscì. Vide in fondo al corridoio Jim Beckett discutere animatamente con un medico, senza però riuscire a sentire cosa si stessero dicendo.

- Ciao Jim, ci sono problemi per Kate? - Gli chiese preoccupato

- Domani la dovranno trasferire. - Sospirò l’uomo.

- Come? Perché? Sta male? Sono stato con lei fino ad ora, mi sembrava stesse un po’ meglio…

- No, no. Solo che l’anno scorso dopo la sparatoria… Beh, la sua assicurazione le ha sospeso una parte della copertura e non intende coprire queste spese mediche. Mi hanno detto che la porteranno in un altro ospedale, convenzionato con la polizia, dove continueranno le cure.

- Kate non verrà trasferita da nessuna parte. Non ti preoccupare, Jim.

- Cosa vuoi dire?

- L’amministratore delegato è un mio amico. Ci parlerò io e sistemeremo la questione. Mi raccomando, Jim, stai tranquillo e non dire nulla a Kate. Si preoccuperebbe senza motivo.

Rick salì fino all’ultimo piano, dove si trovavano gli uffici amministrativi.

- Buonasera, Signor Castle. Come la possiamo aiutare?

- Devo regolarizzare la situazione del detective Beckett.

La donna, che lo aveva accolto con un sorriso cordiale, fece una ricerca al computer.

- Mi dispiace, Signor Castle, ma la sua assicurazione copre solo i familiari.

- Questa copre tutti - rispose, passando alla donna la sua carta di credito nera e sorridendole.

- Ma certo - disse lei, prendendola. La strisciò e poi gliela rese.

- Immagino che adesso sia tutto ok, non è vero? - Si assicurò Rick

- Sì, assolutamente. 

- Bene. Vorrei solo assicurarmi che nessuno parli di questo con la diretta interessata o i suoi familiari.

- Certamente Signor Castle.

Si scambiarono ancora un sorriso di cortesia e Rick fece per andarsene, ma dalle porte dell’ascensore stava uscendo Steven Corwin, l’amministratore delegato del Presbiterian. Più che essere un suo amico, lo era del sindaco Weldon, che lo aveva portato ogni tanto alle partite di poker a casa sua. Sapeva della presenza del detective Beckett tra i loro pazienti e conosceva anche il rapporto che li legava, era stato lo stesso Weldon ad avvisarlo.
Rassicurò Rick, dicendogli che si sarebbe assicurato di persona che Kate ricevesse le migliori cure possibili e che poteva andare e venire quando voleva. Addirittura, lo riaccompagnò personalmente in reparto, per comunicarlo all’infermiera. Con sua grande soddisfazione, Castle rimase a guardare mentre Cerbero annotava la cosa sulla cartella di Beckett. Sapeva che ora Jim era con lei e non voleva disturbarli perciò tornò a casa.
Durante il percorso chiamò Weldon per ringraziarlo di aver parlato con Corwin e lui gli disse che si sarebbe sdebitato organizzando una nuova partita a poker. Aveva un amico, un pezzo grosso di Washington, amante del poker e suo fan, che nei prossimi giorni sarebbe stato in città. Voleva far in modo che si divertisse un po’.
Rick era abbastanza riluttante perché non si sentiva nelle condizioni di essere un perfetto padrone di casa, nè una buona compagnia, ma Bob insistette così tanto che alla fine accettò e si misero d’accordo per organizzarsi per due giorni dopo.
Appena rientrato a casa il suo telefono aveva squillato con insistenza e, nonostante non avesse avuto intenzione di rispondere, si trovò obbligato a farlo. Era il detective Price e voleva parlare con lui il prima possibile, così Rick gli disse di aspettarlo e che sarebbe andato da lui subito.
Il quinto distretto non era poi molto diverso dal dodicesimo. Certo, loro non avevano una macchina del caffè come quella che lui aveva regalato ai loro, e quello che Price gli offrì durante quella che aveva definito come “solo una conversazione amichevole”, faceva schifo tanto quanto quello che aveva bevuto nei primi tempi assieme a Kate. Sorrise al ricordo ed il detective male interpretò quel sorriso.

- La diverte la situazione, signor Castle? - Gli chiese, mentre anche lui beveva una tazza di caffè.

- Oh no, ma sa... Il sapore di questo caffè mi ha riportato alla memoria dei ricordi piacevoli di qualche anno fa.

- È alla ricerca del tempo perduto e questa tazza è la sua madeleine, Signor Castle?

- Non proprio… - disse sorridendo Rick, facendo ruotare la tazza con lo stemma della polizia sul piano del tavolo - … pensavo che in tutti i distretti il caffè sa di urina di scimmia con acido di batteria.

- E questo lo trova divertente? - Rispose seccato Price, bevendone un altro sorso

- No, gliel’ho detto. Lo trovo solo un bel ricordo. Sa, detective, il caffè è un rituale importante, se il caffè è quello giusto… - Castle allontanò la tazza da sè ed osservò l’uomo che gli sedeva davanti. Anche oggi aveva un vestito di pregiata fattura, non quanto quello con ci l’aveva visto la scorsa volta, ma comunque di ottima qualità, così come la cravatta, che riconobbe di fattura importante.

- Deve essere frustrante per lei, detective, venire al lavoro indossando una cravatta di Hermes da 300 dollari senza che nessuno ne riconosca la qualità. Eppure quella maglia di seta dev’essere morbidissima, si vede ad occhio nudo. Oppure è proprio questo quello che vuole? Poter sfoggiare i suoi abiti pregiati in un contesto dove nessuno le dirà nulla, dove passerà inosservato e nessuno si chiederà come lei possa spendere una cifra del genere per una misera, anonima cravatta marrone.

Price si toccò la cravatta imbarazzato.

- È un esperto, signor Castle, complimenti.

- Beh, anche a me piace vestire con cose belle e  di qualità superiore. Vede Price, da quando sono diventato uno scrittore di successo ho tanti sfizi da potermi togliere, cravatte di Hermes incluse.

- Non potrò togliermeli mai quanto lei, ma i bei vestiti sono il mio unico vizio. C’è chi fuma, chi gioca d’azzardo, chi beve vini pregiati o va ogni settimane alle partite di baseball o di football. Io invece preferisco comprarmi un capo di Hermes, di Gucci o di Prada. Ma non siamo qui per parlare di questo… 

- Giusto, ma per cosa sono qui? Io non ero con la detective Beckett quando è stata ferita.

- Già, non era con lei… Come mai, visto che state sempre insieme ad indagare da… - controllò il fascicolo di Kate - quattro anni? È tanto tempo per un hobby e per fare delle ricerche per scrivere dei romanzetti gialli per intrattenere casalinghe annoiate.

- Mi piace essere accurato quando faccio le mie ricerche. Anche se lei non apprezza i miei libri, c’è chi lo fa, e se posso allietare le giornate di qualche casalinga che si annoia, non lo prendo certo come una critica.

- Perché proprio quel giorno non era con la detective Beckett? Non è strano? L’unica volta che lei non c’è, quasi la uccidono. 

- Come le ho già detto, avevo un importante evento familiare, la consegna dei diplomi di mia figlia. Può controllare, se crede. Pensa che mi serva un alibi? - I due si parlavano in tono di sfida ma nessuno sembrava cedere.

- No, signor Castle. Lei pensa che le possa servire?

- No, detective Price. Non mi serve. Comunque, purtroppo, Kate è stata in pericolo di vita in altre occasioni, in passato, anche in mia presenza. A quanto pare, non sono determinante come spauracchio, per intimidire possibili killer.

- Cosa le fa pensare che sia stato un killer anche questa volta? Tutto fa pensare ad una rapina finita male.

- Tutto cosa, detective? La modalità del ferimento, come quello di Johanna Beckett? Il luogo del ferimento, dove è stato ritrovato il cadavere di Johanna Beckett? L’averla abbandonata sopra dei sacchi della spazzatura, come il corpo di Johanna Beckett? - Lo incalzò Castle - Sì, in fondo anche quello di Johanna Beckett qualche suo collega lo ha catalogato come rapina finita male, immagino per questo anche il ferimento di Kate Beckett, che per pura coincidenza è sua figlia, venga considerato allo stesso modo. Il resto sono solo coincidenze, immagino.

- Non capisco dove vuole arrivare, signor Castle, con le sue insinuazioni.

- Io voglio arrivare solo alla verità. E mi creda, Price, ci arriverò. In un modo o in un altro.

- Stia attento, Castle. Lei è uno scrittore, non un poliziotto. 

- Mi sta minacciando, Price?

- No, le ricordavo solo la sua posizione, non vorrei che a frequentare troppo la detective lei si fosse convinto di essere qualcosa che non è.

- Altre domande, detective Price?

- Per ora no, signor Castle. Ma si tenga a disposizione.

Quella sera Ryan ed Esposito tornarono al loft di Castle, chiudendosi nuovamente nel suo studio per esaminare ancora, sullo schermo luminoso, tutti i collegamenti del caso di Kate/Johanna. Avevano potuto aggiungere ben pochi nuovi dettagli, anche se Rick aveva creato una nuova finestra con la faccia di Price ed un grande punto interrogativo sopra.

- Andiamo Castle! - Esclamò Ryan - Non crederai che Price sia coinvolto con il ferimento di Kate.

- Non lo so Kevin, ma dopo avergli parlato oggi, sono sicuro che lui è dentro a questa storia con tutte le sue costosissime scarpe.

- E pensi questo solo per come è vestito? Dai andiamo, fratello! - Continuò l’irlandese - Non piace nemmeno a me, ma così è troppo. 

- Non è solo per quello. Io non so se sia responsabile del suo ferimento, ma sono sicuro che farà di tutto per non farci scoprire chi è.

- Ti sei esposto troppo oggi, Castle - lo ammonì Esposito - Hai scoperto le tue carte e se è vero quello che dici ora ti terrà d’occhio ancora di più. 

- Ma tu non hai modo di contattare questo Smith, quello dei documenti? - Chiese Kevin

- No, è lui che mi ha sempre contattato. Io non potrei farlo in nessun modo. 

Ci fu qualche momento di sconforto e rabbia. Esposito battè i pugni sulla scrivania di Castle.

- Non abbiamo niente! Chi ha ferito Kate è ancora là fuori. Chi ci dice che non ci proverà ancora, eh? E per colpa di quel detective. non possiamo fare nulla. Abbiamo le mani legate!

- Calmati, fratello. - Gli disse Ryan 

- No, Kevin, Javier ha ragione. Chi voleva uccidere Kate è libero e potrebbe riprovarci in ogni momento senza che lei possa difendersi o chiedere aiuto. Ora non è come dopo il funerale di Montgomery. Se l’hanno attaccata di nuovo vuol dire che quel patto non c’è più, che non la possono più proteggere. Beckett è un bersaglio, un bersaglio troppo facile…

Quel pensiero lo devastò. Vedeva Kate in quel letto, silenziosa mentre gli tendeva la mano, e quel contatto era il loro unico modo di comunicare. Era fragile ed indifesa come mai lo era stata.

Aveva passato tutta la notte a pensare. Immaginare Kate, sola in ospedale in balia degli eventi, non lo aveva fatto dormire.
Era mattina presto quando, cercando nella rubrica del suo telefono, trovò il numero che cercava. Era salvato sotto un nome inequivocabile: “Big R”, dove R stava per Russel. Non sapeva nemmeno se fosse il nome o il cognome, tutti però lo chiamavano Big R. Ed a ragione, visto che era veramente grosso ed alto. Era stata la sua guardia del corpo durante uno degli ultimi eventi ai quali aveva partecipato, più per scena che per necessità, come aveva sostenuto Gina, visto che al massimo, quando non era con la detective, chi lo assaliva era qualche ragazza un po’ troppo calda.
Mettersi d’accordo con Big R non fu difficile. Lui aveva sempre voluto definirsi come un freelance, e quindi senza un padrone a cui dover far riferimento. Era solo una questione di soldi e Rick lo avrebbe pagato bene, e non solo a lui. Gli aveva chiesto di trovare altri “come lui” per poter organizzare una sorveglianza h24 fuori dalla stanza di Kate. Big R gli disse che non doveva preoccuparsi. Pagando, lui ne avrebbe trovati quanti ne voleva. Castle si fidò, e lasciò tutta l’organizzazione in mano a lui, non voleva sprecare energie per preoccuparsi di cose così materiali. Avvisò solo Corwin, che subito provvide ad autorizzare la presenza degli uomini di sicurezza nel reparto.
Big R lo richiamò appena ebbe preso posizione e gli assicurò che almeno due uomini si sarebbero alternati in tre turni giornalieri. Tutte persone fidate, aveva sottolineato. Amici suoi, gente d’onore, e nel suo gergo voleva dire che non si sarebbe dovuto preoccupare della loro fedeltà alla causa.
Castle non si sentiva più sicuro. Qualunque cosa ci fosse dietro a tutto questo, era terribilmente grande e potente e non sarebbero state due guardie fuori dalla porta a fermare un ulteriore tentativo di aggressione. Ma era l’unica cosa pratica che poteva fare per lei, per sentirsi meno inutile.

Dopo qualche ora lo chiamò Jim. Era appena stato in ospedale e gli avevano confermato che Kate avrebbe potuto rimanere lì per tutto il tempo in cui avrebbe necessitato delle cure ospedaliere.
Lo ringraziò per il suo interessamento, dicendosi molto sollevato che la figlia potesse continuare a ricevere le ottime cure del Presbyterian senza essere spostata altrove. La sua situazione era ancora molto grave ed i tempi e i modi di recupero ancora incerti. Per quanto Castle cercasse di dimenticarselo, la situazione di Kate era quella. Era grave, anche se ogni volta che la vedeva lui si sforzava di cercare dei piccoli miglioramenti, fossero anche solo la maggior forza con la quale stringeva la sua mano.
Passò in ospedale tutto il pomeriggio e rimase più del solito, sempre in silenzio, spiegandole che aveva corrotto tutte infermiere per concedergli di passare più tempo con lei. Quando Beckett roteò gli occhi verso l’alto Rick si lasciò andare in un gran sorriso. Certe cose forse non sarebbero mai cambiate.

—

Esposito e Ryan passarono da Castle appena usciti dal distretto.
Nessuna novità. Ancora nessuna novità.
Ripercorrevano incessantemente le ultime tracce lasciate da Kate nella sua folle ricerca, ma niente.
“Nessuna novità”. Queste due parole stavano facendo impazzire Castle.
In compenso, i due detective avevano condiviso la sua decisione di far proteggere Kate, per quel poco che gli era possibile, mentre era in ospedale. Erano gli unici a saperlo, oltre al personale del Presbyterian. Non voleva pubblicizzare troppo la cosa, per vari motivi. Primo fra tutti, non volevano dare a vedere quanto fossero ancora preoccupati per la situazione. In secondo luogo, perché Kate sarebbe stata la prima a non apprezzare il gesto e poi spiegarglielo avrebbe voluto dire ammettere troppe cose.
Stavano aspettando l’ascensore al piano di Castle quando videro uscire il sindaco, accompagnato da un distinto signore vestito in modo elegante. Salutarono il primo cittadino rispettosamente ed il suo amico con un segno del capo, convinti che fosse una faccia già conosciuta, ma non ci prestarono troppa attenzione. Dopodichè presero l’ascensore ed andarono via, proprio mentre quest’ultimi suonavano al campanello di Castle.

- Ciao Bob! Sei il primo ad arrivare, come sempre! - Lo salutò Rick invitandolo ad entrare.

- Ciao Rick! Ti presento il mio amico, il senatore William Bracken. - L’uomo sorrise a Rick, allungando la mano per stringergliela calorosamente.

- Richard Castle, è un piacere conoscerla! Ho letto tutti i suoi libri e devo dire che sono un’ottima compagnia durante i miei vari spostamenti.

- È un onore, senatore Bracken! 

- Oh, ma chiamami pure Will - Disse Bracken, dandogli una pacca sulla spalla

- Allora tu chiamami Rick! - Castle li invitò ad entrare, facendoli accomodare in sala in attesa che arrivassero gli altri giocatori della serata. Versò ai due ospiti un bicchiere di un pregiato e ricercato whisky giapponese e ne prese uno per se, sedendosi con loro. Il senatore Bracken bevve un sorso del liquore e fece roteare il bicchiere tra le mani, osservandone il colore dorato mentre ne assaporava il sapore aromatico con le note speziate.

- Una scelta veramente particolare, Rick - si complimentò il senatore mentre sul suo palato sentiva ancora il retrogusto dell’arancio e dei chiodi di garofano

- Grazie Will. - rispose Castle, bevendone a sua volta un sorso - È stato un amico a consigliarmelo e ne sono rimasto entusiasta. Così ho deciso di aggiungerlo in pianta stabile alla mia collezione.

- Sai, Will - li interruppe il sindaco - le serate a casa di Castle oltre che per le partite a poker sono famose anche per le sue ottime degustazioni di liquori. Ogni volta ce ne presenta uno nuovo.

- Solo il meglio per i miei ospiti, Bob, lo sai! - Disse Rick alzando il bicchiere ed invitando i due ad un brindisi.

- Allora Rick, a quando il tuo prossimo libro? Questa nuova saga sulla detective la trovo veramente molto interessante e lei è un gran bel personaggio!

- Beh, Will, Nikki Heat è un bel personaggio, ma il Detective Beckett è sicuramente molto più interessante, vero Rick? A proposito, come sta? So che ha avuto una brutta disavventura con quella rapina. 

Alle parole del sindaco, Castle strinse il bicchiere più forte tra le mani. Non poteva credere che anche il sindaco credesse a quella storia.

- Non bene purtroppo Bob, non possono ancora sciogliere la prognosi. Ma, detto tra noi, non credo sia stata una rapina.

- No? Cosa te lo fa pensare Rick?

- Troppe casualità che non possono essere tali. Ma parliamo d’altro non vorrei annoiarvi con questi discorsi. - Cercò di tagliare corto Castle.

- Devi essere molto affezionato alla detective, da come ne parli. - Intervenne Bracken.

- Sì, è una mia cara amica. Oltre che la mia partner da più di quattro anni, ormai.

- Certo, immagino sia una pena vedere un’amica coinvolta in certe situazioni. Purtroppo la violenza sta dilagando nelle nostre strade. Portare sicurezza a tutti i cittadini è uno dei miei obiettivi principali - Spiegò il senatore osservando attentamente Rick

- Andiamo Will, non vorrai mica fare anche qui da Castle la tua campagna elettorale! Hai già un bel comitato che si occupa di questo, ormai sei in tv continuamente! Ti vedo più adesso di quando andavamo a giocare a golf insieme! - Rise Weldon, facendo sorridere anche gli altri due.

- Quindi nessuna anticipazione, Rick, sui tuoi prossimi lavori? - Insistette Bracken e Rick sorrise facendogli il segno della bocca cucita facendo ridere ancora gli altri due.

Il giudice Markway ed il capo della polizia arrivarono dopo poco. Bevvero qualcosa tutti insieme e poi Rick li invitò a raggiungerlo in cucina, dove aveva già preparato una degustazione di salumi e formaggi in abbinamento vari tipi di vino. Quelle serate che passavano tra gioco, sigari e buon cibo erano sempre molto apprezzate dagli amici di Castle ed anche Bracken sembrò apprezzare molto la ricercatezza delle scelte dello scrittore, rimanendone sorpreso.
Mentre stavano mangiando, il cellulare di Bracken iniziò a squillare ed il senatore chiese a Rick se poteva andare in un posto più riservato per poter parlare tranquillamente e lo scrittore lo invitò ad andare nel suo studio.
Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, Bracken ascoltò il suo interlocutore annuendo solamente, in quella che più che una conversazione sembrava essere un resoconto di qualche attività. Prese a giochicchiare con alcuni degli oggetti sulla scrivania di Castle, provando anche a sbirciare alla ricerca di qualche bozza del suo nuovo romanzo abbandonata in giro per lo studio, fino a quando non urtò un telecomando, accendendo involontariamente lo schermo e rivelando lo schema delle indagini su Kate.
Lo osservò attentamente, prestando sempre meno attenzione alle parole del suo interlocutore, che alla fine liquidò dicendogli che si sarebbero aggiornati il giorno dopo. Un sorriso apparve sul suo volto, spense quindi lo schermo e raggiunse gli altri in zona giorno.

Castle quella sera non era molto concentrato, nè sul gioco nè sulle chiacchiere. Cercò comunque di essere il più affabile possibile con i suoi ospiti che, per una volta, lo stavano letteralmente spennando al tavolo verde. Come ormai era consuetudine parlarono di politica, cibo, vino e belle donne, ma Rick sembrava poco interessato a tutto, proprio lui che solitamente era il primo ad avere la battuta pronta ed a mostrarsi esperto conoscitore di quegli argomenti.
Ma la sua testa quella sera era altrove, in una stanza del Presbyterian occupata da una persona che in quello stesso momento stava anche lei pensando a lui.

Kate passava sempre meno tempo a dormire, man mano che le diminuivano le dosi di antidolorifici e tranquillanti. Era frustrante non poter parlare, non potersi muovere, non poter comunicare in nessun modo.
Non poteva far altro che pensare ed anche quello era una tortura. Il dolore che la teneva sveglia sembrava aumentare seguendo i percorsi tortuosi della sua immaginazione, che la portavano lontano da lì fino a raggiungere il loft di Castle, dove avrebbe voluto essere.
Da quando si era svegliata in ospedale avevano passato ore a guardarsi, accarezzandosi la mano in silenzio. Ed era così strano non sentire Castle parlare, visto che al distretto non riusciva a stare più di dieci minuti senza iniziare un nuovo discorso! Avrebbe sorriso al pensiero, se avesse potuto.
Si chiedeva perché lui venisse da lei, quanto sapesse di cosa era accaduto, quanto ne sapessero gli altri.
Ricordava, adesso nitidamente, ogni singolo momento di quell’agonia. Prima c’era stata una telefonata, che le aveva dato appuntamento nel vicolo dove era stata uccisa sua madre, poi quell’uomo in fondo alla penombra l’aveva derisa, prendendosi gioco di lei e di quanto fosse stato facile attirarla lì.
Le aveva detto che l’avrebbe uccisa e c’era stato un momento in cui lei gli aveva creduto. Le bastava chiudere gli occhi per sentire nuovamente le braccia che l’avevano immobilizzata, la sensazione della lama fredda che affondava nella sua pelle, lacerandola più volte. Il sorriso beffardo dello sconosciuto le ripeteva che sua madre aveva provato le stesse sensazioni, ma che lei sarebbe morta molto più lentamente. Avrebbe avuto il tempo di pensare a quanto era stata stupida.
Ricordava di aver sentito la vita sfuggirle di mano, il sangue scivolarle via senza poterlo fermare, i disperati tentativi di chiamare Castle, che non le rispondeva mai, e alla fine quel messaggio, che non sapeva nemmeno se era riuscita ad inviare.
Castle lo sapeva? Forse per quello andava lì, ogni giorno...
Ormai non era più solo un visitatore di passaggio, era una presenza costante. In quei giorni Kate viveva aspettando il momento in cui lui avrebbe varcato di nuovo la porta della sua stanza, per poter sentire la sua mano sulla sua.
Era proprio perchè aveva ricevuto il suo messaggio che aspettava che anche lei fosse in grado di parlare prima di dire qualunque altra cosa?
Provò la tentazione di strappare tutti quei tubi e macchinari che aveva addosso.
Avrebbe voluto parlargli.
Subito.
Avrebbe voluto dirgli con la sua voce quello che già gli aveva scritto. Come aveva fatto lui.
Perché ora non aveva più dubbi, voleva lui.
Lo aveva sempre voluto ed ora aveva avuto il coraggio di ammetterlo. Quelle lunghe ore in ospedale che si susseguivano tutte uguali le avevano dato modo di pensare a lui, a lei, a loro, sempre che poter parlare di un “noi” fosse ancora possibile.
Ma se uscita da lì avesse dovuto combattere per qualcosa, lo avrebbe fatto per questo, per darsi una possibilità e rendere un ipotetico “noi” una cosa reale. Voleva assolutamente recuperare quello che aveva distrutto, raccogliendo i pezzi di quel cuore che sapeva aver infranto e provando poi a ricomporlo.
Temeva solo fosse troppo tardi, ma lui andava lì, da lei, ogni giorno. E questo le dava speranza.

Era notte fonda.
Al buio, in un ufficio del quinto distretto illuminato solo dalla luce blu di un monitor, un uomo stava parlando al cellulare, guardando distrattamente le luci dei fari delle auto che scorrevano sotto di lui fuori dalla finestra.
- Va bene capo. Faremo tutto il possibile per accelerare i tempi. Il mio uomo sa come muoversi, ma quei due detective e lo scrittore si stanno mettendo in mezzo. Povero illuso, ha messo degli uomini di guardia davanti alla camera della detective, come se questo potesse bastare per fermarci.
- Ti ricordo che lei dirà come sono andate le cose, riuscirà a gestire la cosa, il tuo uomo?
- Lui ha i suoi mezzi, li userà.
- Fate attenzione. Lo scrittore è più pericoloso dei detective, perché si muoverà su campi diversi e non è uno stupido.

—

Castle aveva perso una discreta somma di denaro la sera precedente. Si era guadagnato gli sberleffi dei suoi compagni di poker su come la sua fortuna sfacciata per una volta lo avesse abbandonato, ma non aveva avuto nemmeno troppa voglia di riderci su.
Aveva aspettato la mattina successiva girandosi e rigirandosi nel letto, dormendo poco e male, fino a quando non si era alzato per andare a studiare di nuovo gli appunti sulla lavagna. Dove era quel particolare che sfuggiva a tutti loro?

Attraversò i corridoi dell’ospedale che ormai aveva imparato a memoria, salutò i due uomini di guardia fuori dalla porta e, senza bussare, entrò in camera di Kate. Rimase imbambolato quando vide che seduto sulla sedia vicino al suo letto c’era Josh.
Nel suo posto.
La sua mente tornò ad un anno prima. Perché lui era lì? Perché era vicino a lei e le teneva la mano? Si stava illudendo ancora?
Stava per andarsene, quando sentì il rumore della sedia e la voce di Josh.

- Devo tornare a lavoro. Ci vediamo, Kate. - Le diede un bacio sulla fronte ed uscì passandogli accanto senza dire nulla.

Kate sembrava avere uno sguardo colpevole mentre allungava una mano come a chiedergli di raggiungerla. Ricacciò indietro l’amaro che aveva in bocca, assieme ad un pezzetto della sua dignità, avvicinandosi a lei. 

- Castle… - Solo quando lei pronunciò con voce rauca il suo nome realizzò che non era più intubata.

La sua bocca era libera e poteva vedere le labbra screpolate e secche sulle quali, nonostante tutto, si sarebbe perso molto volentieri. Scacciò quei pensieri dalla mente.
Stava meglio, quindi. Era quello l’importante.

- Ciao, Beckett. - Le rispose in tono asciutto. 

Non riuscì nemmeno a prenderle la mano. Sembrava che ora che potevano parlarsi, quell’intimità raggiunta nel silenzio comunicando solo con il tatto fosse svanita.
Kate sospirò guardandolo, voleva fortemente parlargli, dirgli tante cose.
Aveva pensato ad un lungo discorso da fargli ma non riusciva ancora a parlare bene e ogni volta che si sforzava di farlo sentiva come una manciata di aghi trafiggerle la gola.
Non voleva creare fraintendimenti non riuscendo poi a spiegarsi per poter chiarire.

- Grazie - Gli disse alla fine, sforzandosi.

- E di cosa? - Rick provò a sorridere, ma gli venne fuori solo uno di quei sorrisi forzati che odiava anche lui.

- Sei qui. - Sussurrò con un filo di voce.

- Sì, Beckett. Sono qui. - Non poté resistere, però, dal toglierle quella ciocca di capelli davanti agli occhi e lei gli fermò la mano mentre stava per ritrarsi. Kate provò a schiarirsi nuovamente la voce ma riuscì solo a provocarsi altro dolore, in aggiunta a quello che sentiva già un po’ ovunque e fece un sospiro carico di frustrazione.

- Non ti affaticare. Avremo tempo per parlare, ok? Non me ne vado. - Sollevò la sua mano per darle un bacio, rendendosi conto dopo che forse aveva osato troppo per il punto in cui erano. Ma in effetti qual era di preciso la loro situazione? Come si potevano considerare due persone che si erano dette “ti amo” in tempi diversi, urlando, piangendo, senza sapere se l’altro l’avrebbe mai saputo? 

- Questo era esattamente quello che non volevo, Beckett. Lo capisci?

Kate fece cenno di sì con la testa, stringendo la sua mano di più. Rick avrebbe voluto dirle altro, ma non sarebbe stato giusto non poter ascoltare la sua risposta. Le sorrise quindi, di nuovo, questa volta in modo più sincero.
Quando arrivarono i medici per la visita di routine, Castle lasciò la stanza dirigendosi verso i distributori automatici per prendere uno di quegli schifosi caffè, il meglio che quel luogo avesse da offrire. Si ripropose di parlare con Corwin, facendogli presente che per quello che costava quella struttura, si aspettava un caffè decisamente migliore.
Sentì una mano stringerlo sulla spalla bloccando i suoi passi. Quando si voltò si trovò faccia a faccia con Josh.

- È colpa tua anche questa volta, Castle?

- Non credo sia più affar tuo, Josh. 

- Lei non è mai stata affar tuo, eppure sei sempre in mezzo ai piedi.

I due si guardarono con aria di sfida, poi Castle continuò sui suoi passi per andare a prendere quel maledetto caffè e lasciò il dottore là con la sua rabbia.

Seduto sulle sedie metalliche dell’ennesima sala d’attesa, si rigirava la tazza calda tra le mani, facendo attenzione che il via vai di gente che andava alle macchinette automatiche non lo urtasse facendogli cadere il contenuto del bicchiere. Poco male, se anche gli fosse caduto il caffè: non ne aveva bevuto nemmeno un sorso, il solo odore lo nauseava, solo voleva evitare di sporcarsi.
Avrebbe voluto uno di quei caffè che prendeva alla caffetteria vicino al dodicesimo. Uno di quelli che da quattro anni portava ogni mattina a Kate e che bevevano insieme alla sua scrivania, quando lei si raccomandava di non sporcare nulla e non fare disordine.
Quello era il miglior caffè della giornata e l’unico ingrediente speciale era la sua compagnia. Ripensò alla parole di Josh. Lei non era mai stata affar suo, aveva ragione lui. Loro erano stati cosa? Partner? Amici? E cosa sarebbero stati adesso? Ora sapevano entrambi e come avrebbero potuto fare finta di nulla? Eppure, per lui, Kate Beckett era dannatamente affar suo.
Talmente tanto da non poter fare a meno di essere lì.
Aveva ragione Martha, da quando era diventato così pavido da non affrontare direttamente i suoi sentimenti? Da quando aveva cominciato a tergiversare nei confronti di una donna?
Facile, da quando si trattava di Kate Beckett. Lei era l’unica che riusciva a fargli mettere in dubbio tutte le sue certezze, rendendolo al pari di un ragazzino alla sua prima cotta che non sa come chiedere alla più carina della scuola di andare al ballo con lui.
Prima di conoscerla lui non sapeva nemmeno cosa volessero dire, quei timori. Non aveva mai avuto di questi problemi, si era sempre buttato senza paracadute con chiunque, senza paura di farsi male.
Ecco la differenza.
Con lei aveva sempre avuto una paura fottuta di farsi male, di farle male, di rompere quel precario equilibrio che avevano. Ora però avevano perso quella stabilità, stavano fluttuando sospesi nel vuoto quasi come se fossero in assenza di gravità.
Ma appena fossero tornati in uno stato atmosferico normale cosa sarebbe accaduto? Sarebbero caduti rovinosamente a terra o avrebbero aperto quel paracadute che tenevano nascosto dietro le loro paure? Lui voleva che Kate Beckett fosse affar suo. Lo voleva tremendamente.
Si alzò di scatto, urtando una donna di una certa età che non aveva proprio visto e scusandosi frettolosamente mentre scappava via. Si era quasi rovesciato addosso quell’imbevibile caffè.
Raggiunse il primo bagno disponibile, dove svuotò nel lavandino il contenuto della tazza, buttando il tutto nel cestino prima di darsi una sciacquata al viso. Si guardò attentamente allo specchio, quasi a volersi auto-convincere. Era giusto. Era quello che voleva. Ce la poteva fare. Ce la doveva fare.
Tornando verso la stanza di Kate non fece spiacevoli incontri di dottori motociclisti, incrociò solo Cerbero che, avendo ultimamente ritrovato un minimo di umanità ed empatia, lo informò sullo stato di saluto di Kate.
Ebbe la tentazione di ordinare agli uomini della security di non far più entrare Josh nella stanza di Kate, ma si trattenne sforzandosi.
Quando entrò vide che Kate aveva la testa voltata verso il muro e gli occhi chiusi. Dal volto sembrava molto sofferente ma notò che le avevano tolto qualche altro tubicino.
Doveva essere un buon segno, si ripeté.
Nel mentre, tutto il coraggio che aveva trovato pochi momenti prima era svanito. Lei riusciva a paralizzare la sua spavalderia. 

Kate sentì il suo profumo, prima ancora di sentire i suoi passi. Quel profumo che, negli ultimi anni, aveva cercato negli uomini con cui era uscita, prima di arrendersi all’evidenza. Non era un profumo, ma il suo odore. Era lui.
Aprì gli occhi cercando di dissimulare il dolore.
- Ho sete - sospirò a fatica.

- Non puoi bere, lo sai! - La riprese. - Me lo ha detto Cerbero, l’infermiera. Ora è un po’ più buona con me, da quando l’ho sedotta con il mio rude fascino. Sai, Beckett... Di solito le donne le conquisto molto velocemente, la maggior parte almeno…- Riuscì a farla sorridere almeno un po’. Prese uno dei fazzoletti sul comodino, lo bagnò con l’acqua della bottiglietta e, avvicinandosi piano a Kate, come per chiederle l’autorizzazione, le passò la stoffa bagnata sulle labbra con la massima delicatezza.
Kate sembrò apprezzare quel gesto, rubando qualche gocciolina d’acqua con la lingua. Così Rick ripeté il gesto più volte, sempre con la stessa attenzione. Si sarebbe preso cura di lei per sempre, se solo glielo avesse permesso. L’avrebbe portata via da lì, appena sarebbe potuta uscire. Desiderava solo tenerla al sicuro, in qualsiasi modo, fino a che quella storia non si fosse conclusa in qualche modo. Qualunque cosa, pur di non vederla più lì così.
Bussarono di nuovo alla porta, stavolta però non era nessun medico o infermiera ma Rick si alzò ugualmente, come se così avesse potuto proteggere Kate dall’estraneo appena entrato.

- Signor Castle, credo che lei saprà sicuramente spiegarmi la presenza di quei due energumeni qui fuori? 

Price, seguito da due dei suoi, era entrato senza presentarsi e senza troppi convenevoli. Kate spostava lo sguardo dall’uomo sconosciuto a Rick, che le dava le spalle e non poteva vederla

- Detective Price, in realtà non le devo spiegare proprio nulla. Non c’è niente che lei debba sapere. - Rispose calmo Castle

- No? - Chiese stupito il detective

- No.

- Quindi per lei è normale che ci sia della sicurezza che chiede le generalità a chi vuole entrare in una stanza di ospedale?

- Viste le circostanze e visto che voi non fate niente, sì. - Sottolineò la parola “voi” con molta enfasi. Castle non avrebbe voluto far sapere a Kate degli uomini di sicurezza, ma l’intervento di Price aveva mandato al diavolo i suoi piani di riservatezza. Sperò che in fondo riuscisse a capirlo.

- Devo interrogare la detective Beckett, può lasciarci soli?

- Direi di no. La detective non può parlare, ancora. - Castle gli bloccò letteralmente la strada mentre si avvicinava a Kate.

- Adesso, signor Castle, è anche medico? Vedo che non è più intubata, quindi… - Price lo scostò con forza, aiutato da uno dei suoi che lo prese. Rick fu così faccia a faccia con Kate che lo guardava perplessa mentre ascoltava distrattamente Price presentarsi.

- Allora, detective Beckett, come sono andate le cose? È stata una rapina? - Alle parole del detective Kate sbarrò gli occhi e cercò aiuto nello sguardo di Castle, che si avvicinò.

- No… no… no… - la sua voce rauca era appena un sussurro graffiante. Si stava agitando e uno dei macchinari a cui era collegata cominciò a suonare. Immediatamente entrò il personale dell’ospedale invitando tutti ad uscire.

- Complimenti, detective! Non è necessario essere medici per capire che una persona nello stato di Kate non può subire un interrogatorio! - Castle era furioso. Furioso e preoccupato.

- Quindi, vediamo... Oltre che medico è anche poliziotto signor Castle? Forse stare tutti questi anni al 12° le ha confuso le idee. Mi pare di ricordare che lei sia solo uno scrittore e non capisco a che titolo lei sia ancora qui con il detective Beckett ad occuparsi di questioni che non la riguardano.

- Questo non credo sia affar suo, detective.

Un medico, appena uscito dalla camera di Kate, raggiunse Price dicendogli che la paziente non era ancora in grado nè di poter parlare nè di sostenere un interrogatorio. Poi si rivolse a Castle, spiegando che aveva chiesto di lui.
Non si congedò nemmeno dai due, ma si precipitò da lei che, anche se era sdraiata, era visibilmente affaticata.
Appena lo vide lo fulminò con una delle sue occhiate. Rick sorrise, non si aspettava nulla di diverso, forse addirittura sperava in quella reazione un tempo così normale.

- Ok, Beckett… Ti devo spiegare un po’ di cose, però tu non ti arrabbiare e non ti agitare, ok?

Lei sospirò rassegnata. Sapeva che non avrebbe potuto fargli una delle sue solite ramanzine, così lasciò che le prendesse la mano e cominciasse a raccontarle tutto quello che non sapeva di quei giorni.

Rick decise di raccontarle tutto, o quasi. Le spiegò chi fosse Price, delle sue teorie di rapina finita male, di come avessero tolto il caso al loro distretto e come lui e i Bro avessero poi iniziato ad indagare privatamente.
Visto come si era messa la situazione le spiegò anche di come aveva ritenuto prudente assumere un servizio di sicurezza privata, dato che Price non credeva al collegamento con il caso di sua madre ed al fatto che lei fosse ancora un bersaglio.
Kate reagì con rabbia, delusione e disappunto alle parole di Rick. Non voleva che lui si mettesse ancora più in mezzo a quella storia. Era pericolosa, più di quanto lui pensasse ed anche più di quanto lo avesse ritenuto lei, ma la situazione in cui si trovava ed il suo stato di salute attuale ne erano le prove.
Doveva fare in modo di parlare con il detective, dargli la sua versione e far finalmente prendere alle indagini la giusta strada, fare in modo che se ne occupasse la polizia e non Castle. Sapeva però che non poteva dirgli tutto, quella storia di poliziotti corrotti era pericolosa e non sapeva di chi poteva fidarsi.

- Stanne fuori, Castle - mormorò a fatica

- No, non posso starne fuori. - Protestò lui.

- Te ne sei andato - sussurrò Kate spostando lo sguardo altrove.

A castle sembrò di essere investito da un treno. Quelle parole, uscite con fatica dalla bocca di Kate, facevano male ad entrambi, più del dolore fisico che lei aveva provato per pronunciarle. Era doloroso il loro ricordo, il motivo, il pensare a quel giorno e a quella folle discussione.

- Ehi… - Si voltò a guardarlo, richiamata dal tono molto più dolce e dalle sue dita che le sfioravano il dorso della mano - Ora sono qui… Sono il tuo partner... o mi hai già sostituito?

Kate sorrise e scosse il capo.

- Ok, allora riprendo ufficialmente il mio ruolo.

- Dobbiamo parlare. - Castle capì quello che le stava dicendo più dal suo labiale, che dalla voce flebile.

- Beckett, non mi pare che tu sia in grado di parlare molto, per adesso… - Il suo tono sarcastico lo aiutò a dissimulare la paura di quel confronto. Lei lo guardò truce sbuffando. - Devi solo pensare a recuperare, adesso. Anche la voce. Mi mancano le tue minacce, Beckett.

Lui le avrebbe potuto dire di più, lei ci aveva sperato. Ma Castle sentiva ancora dentro di sè quel blocco che lo fermava ogni volta che c’erano di mezzo due fattori: i suoi sentimenti e Kate.
Così, tutti i suoi propositi di lasciarsi andare e fare quello che da mesi (o anni?) avrebbe voluto, naufragarono.
Rick non voleva considerare come una dichiarazione quella che le aveva fatto quando credeva stesse morendo e nemmeno quella nel bel mezzo di una litigata. Voleva dire a Kate che l’amava, con tutto quello che avrebbe comportato, in altro modo. Era un tradizionalista, almeno in questo. Aveva sperato che quel messaggio mai inviato gli avrebbe dato maggiore coraggio e più consapevolezza, invece servì solo ad aumentare le sue paure di un rifiuto. Senza nemmeno accorgersene aveva cominciato ad illudersi su un futuro dove lui e lei diventavano loro: ma se invece lei lo aveva scritto solo dettata dal momento ed ora a mente fredda ci aveva ripensato?
Arrivarono Javier e Kevin ad alleggerire la situazione ed allentare i pensieri di Rick. Come nelle visite dei giorni precedenti, i due non parlarono delle indagini o del distretto ma Beckett si scambiò un paio di occhiate con Castle, che li avvisò che ora Kate sapeva tutto, almeno tutto quello che sapeva anche Ryan.
Esposito e lo scrittore si guardarono per un po’, mentre Kevin provava a dare a Kate notizie positive, anche se inesistenti. Dalle sue parole Beckett capì che Price non piaceva a nessuno dei tre, in modo particolare a Castle.

- Chissà chi avrà preso il tuo cellulare, Beckett! - Sbuffò Ryan - Sicuramente qualche sbandato mentre eri senza sensi. Il ragazzo che ti ha trovato ha detto di non averlo visto.

Rick abbassò la testa non riuscendo a guardare nè Esposito, che aveva paura lo tradisse da un momento all’altro, nè il suo collega e ancora meno Beckett.

- Signori, mi dispiace interrompervi, ma dovreste lasciarci sole con la detective - Le due infermiere che erano entrate li avevano invitati ad andarsene in modo molto cortese.

Dopo che Esposito e Ryan ebbero salutato Kate, fu il turno di Castle, ed ogni volta era maledettamente più difficile.

- Ci vediamo domani Beckett. Decidi tu se è una promessa o una minaccia... - Le sorrise accarezzandole la mano, gesto che non passò inosservato ai due detective che lo stavano aspettando.

Castle sapeva che, da come lo stava guardando Kate, voleva fosse una promessa.
Ryan li aveva lasciati appena arrivati nel parcheggio, era stato chiamato da Jenny per un’emergenza sulla scelta di qualche cosa imprescindibile per la loro casa e, sotto lo sguardo allibito di Esposito, era corso a raggiungere la moglie.

- Non ti preoccupare Javier, con le mogli è sempre così, soprattutto per il primo matrimonio. - Sdrammatizzò Rick.

- Non è divertente, amico. Perché non hai detto a Beckett che hai tu il telefono? - Lo riprese con tono serio.

- Perché non le hai detto tu che lo hai trovato? Io… cosa dovevo dirle adesso? Che mi avevi portato il suo telefono perché avevi visto quello che aveva scritto? E poi cosa avrei dovuto dirle?

- Sì, esatto dovevi dirle proprio così. E quello che le avresti detto dopo... Beh, non è qualcosa che ti posso suggerire io.

- Non sono i tuoi sentimenti ad essere in mezzo a tutta questa storia, Javier!

- Sto mentendo al mio compagno per questa cosa, Castle. E, peggio ancora, sto mentendo a Beckett. Ero venuto da te perché credevo fosse giusto che tu sapessi, perché non volevo che qualcuno mettesse la sua vita privata nero su bianco su qualche rapporto che ora sarebbe forse tra le mani di Price o di non so chi altri.

- Allora torna su, vai da Kate e dille tutto! - Lo sfidò Rick

- Non spetta a me farlo, non più adesso. Castle, lo sai che se Ryan, o chiunque altro, fa una ricerca sul telefono di Kate vedrà che gli ultimi movimenti lo danno a casa tua, vero? Fai quello che vuoi amico, però ti avverto, non far soffrire ancora Beckett.

- È l’ultima cosa che voglio, Javier.

- Me lo auguro Castle.

Rick vide l’ispanico allontanarsi a piedi, lui e Ryan erano venuti con la stessa auto ed ora era costretto a cercare un taxi per tornare al distretto. Castle si accostò con la macchina vicino a lui e lo invitò ad entrare senza notare la berlina grigia che stava seguendo ogni sua mossa.

Le infermiere l’avevano lasciata sola e dolorante, con quelle ferite che faceva ancora fatica anche solo a guardare. Sentiva quei tagli come se le arrivassero fino all’anima, lasciandola strappata, lacerata.
Stava vivendo di nuovo con il suo incubo di essere un corpo in mano agli altri, una delle cose che l’avevano più toccata nella sua precedente esperienza ospedaliera. Le mani di medici ed infermieri la facevano sentire solo come un pezzo di carne esposto e non poteva nemmeno ribellarsi o esternare il suo disappunto. Le era stato detto dal medico, durante l’ultima visita, che meno sforzava le sue corde vocali, infiammate e stressate dalle procedure di emergenza per intubarla, e prima avrebbe potuto ricominciare a parlare normalmente. Doveva avere ancora qualche giorno di pazienza, ma lei la pazienza l’aveva finita da tempo.
Quando vide l’ennesimo camice fare il suo ingresso in camera, stava per avere una crisi di nervi. Quando alzò lo sguardo, però, vide il sorriso di Josh accogliere la sua espressione contrariata, che si trasformò in una stupita nel chiedersi perché fosse ancora lì.

- Il tuo cardiochirurgo, il dottor Morgan, è partito oggi per una serie di convegni in Canada. Così lo sostituirò io. - Le spiegò con tono quasi divertito mentre esaminava la sua cartella clinica in fondo al letto.

Lo sguardo di Beckett diventò immediatamente serio e sospirò rassegnata. Josh posò i fogli che stava leggendo e le si avvicinò - Kate, so che la situazione ti imbarazza e magari ti potrà anche dare fastidio, ma so separare le questioni personali da quelle professionali. Sarò solo il tuo medico, se è quello che vorrai. Lei annuì e non nascose una smorfia di dolore per una di quelle fitte che sempre più spesso sembravano toglierle il fiato. Josh controllò i suoi valori nel monitor e poi aumentò il dosaggio degli antidolorifici nella flebo.

- Così sentirai meno dolore, tra poco faranno effetto. - Le spostò i capelli dalla fronte, in quel gesto che ormai era così abituata a veder compiere a Castle e notò subito come il tocco di Josh non le provocasse quella sensazione di leggerezza che le mani di Rick le donavano appena la sfiorava. Voleva dire qualcosa? Necessitava veramente di altre conferme, oltre il bisogno della sua presenza che sentiva anche adesso che era passato così poco tempo da quando se n’era andato?

Josh le prese la mano, ma lei si ritrasse, quello non era un contatto necessario, non era un contatto da medico.

- Il tuo scrittore è geloso, Kate? State insieme o qualcosa del genere? Ha trovato finalmente il coraggio di dichiararsi? O lo hai fatto tu?

C’era del risentimento nelle sue parole, mascherato nel sarcasmo. Lei gli riservò una delle sue occhiate più taglienti, ma lui o non la vide o non la capì.
Lui non l’aveva mai capita, non aveva saputo leggere i suoi sguardi e i suoi silenzi e non poteva sapere quando lei era a disagio, quando mentiva o quando pensava ad altro. Non lo aveva mai fatto e nemmeno ci sarebbe potuto riuscire mai. Lui non sapeva leggerla dentro, non era Castle.
Rick era stato tutta la sera a pensare alle parole di Esposito. “Non farla soffrire ancora”. Perché quell’ancora? Quando aveva sofferto per causa sua? Era lui quello che aveva sofferto, per lei, per le sue fughe e i suoi rifiuti, per le sue menzogne e le sue finte amnesie. Le avrebbe parlato il giorno seguente ed anche se lei non avesse potuto rispondergli o dire qualcosa non importava.
Fare finta di nulla non era più possibile.
Si presentò in ospedale più tardi di quanto avesse mai fatto nei giorni precedenti. Quando entrò Kate lo accolse con un sorriso luminoso. Era felice di vederlo e sollevata che fosse arrivato.

- Ehi Castle… - Provò a sollevarsi senza riuscirci un granché ma Rick fu felice di sentire qualcosa che cominciava ad assomigliare alla sua voce.

- Ciao, Beckett… È bello sentirti, letteralmente sentirti - Era agitato e rischiava di far cadere i pacchetti che aveva tra le mani mentre sentiva il suo sguardo curioso addosso. - Ehm… sono delle cose per te. Prima questo.

Le diede un cellulare, nuovo e di ultima generazione come il suo, per il quale lei lo aveva ripetutamente preso in giro sottolineando come lui non si facesse mai sfuggire quegli aggeggi così da nerd. Castle lo aveva preso come un complimento.

- È per te, c’è il tuo numero. Ci hanno pensato Kevin e Javier io ho solo preso il giocattolino. Così se non puoi parlare, puoi almeno comunicare scrivendo.

- Posso parlare. - Si sforzò per farlo tacere - almeno un po’

- Bene, allora potrai chiamarmi quando vorrai, cioè, potrai chiamare chi vuoi. Non necessariamente me, era per dire.

- Ho capito, Castle.

- Ok… poi c’è questo…

Rick le diede un pacchetto quadrato e l’aiutò a scartarlo. Era un libro. Kate lo sfogliò. Era un libro per bambini: “Il più grande fiore del mondo”.

- Avrei voluto portarti un mazzo di fiori, di solito si usa così. Certo, l’ultima volta che ti ho portato dei fiori in ospedale non è andata benissimo… Ma qui non vogliono che si portino fiori, forse è meglio così... Avevo pensato ad un mazzo di fiori con i palloncini, ma mi hanno bocciato anche quelli... Ho iniziato a pensare che fosse una congiura contro di me! - Kate sorrideva nel vederlo tergiversare ed intrigarsi con parole e discorsi. Era divertente, considerando che lui con le parole ci lavorava ed era sempre così abile a scegliere quelle migliori - Ecco, sì insomma… niente fiori quindi… Però oggi era un’occasione da fiori o almeno da cioccolatini, ma tu non li puoi magiare, e mi sembrava una cattiveria. Così ho trovato questo e mi sembrava adatto. È la storia di un bambino che si allontana da casa va oltre i confini del suo giardino e trova un fiore. È un fiore malandato, quasi appassito, ma il bambino decide di prendersene cura, di annaffiarlo e donargli affetto e grazie alle sue attenzioni il fiore riprende vita. Non so come va a finire la favola, non l’ho letta tutta. Lascio che sia tu a scoprire il finale.

Kate si morse il labbro e i suoi occhi luccicavano con la luce fredda della stanza che rifletteva sulle lacrime che stavano nascendo.

- È tutto più difficile, perché forse dovremmo parlare ed invece parlo solo io, e non di quello di cui dovremmo chiarire. Però… io… vorrei essere come quel bambino… - Rick le accarezzò la fronte senza staccare gli occhi dai suoi e Kate si sentì invasa dal quel senso di leggerezza e benessere che solo il suo tocco era capace di darle. Chiuse gli occhi per trattenere il più possibile le lacrime.

- Sono abbastanza malandata? - Gli chiese con un filo di voce.

- Niente di irrecuperabile, Kate…

- Per questo sei qui? - Gli chiese Kate dopo un po’ che non parlavano e comunicavano solo con gli sguardi.

- Per prendermi cura di te? Sì. So quello che ti ho detto l’altro giorno, ed è vero. Non voglio stare a guardare mentre getti via la tua vita e non sai quanto mi fa male vederti così. So che non ho fatto abbastanza per impedirtelo. Avrei dovuto fare di più, in tutti i modi. Non posso fare finta di nulla. Tu sei… sei importante, per me.

Rick prese fiato. Cercò di trovare le parole giuste ma in quel momento non gli veniva in mente nulla di abbastanza incisivo.

- Kate, vale la pena tutto questo? Vale la pena rischiare la vita ogni volta? Non voglio che tu ti arrenda, che rinunci alla verità. Però, Kate, ti prego... Devi combattere in modo diverso, così non otterrai nulla. - Rick la vide agitarsi e voltarsi dalla parte opposta. Le prese la mano e continuò a parlare. - Sì, ti sto dicendo adesso tutto questo perché non potrai interrompermi ed urlare e dirmi che non sono nessuno. Lo so già che non sono nessuno per dirti cosa fare della tua vita. Non devi arrenderti nemmeno a te stessa, non devi rinunciare alla tua vita perché… possono accadere ancora molte cose. Possono accadere cose belle, se tu lo vuoi.

Beckett tornò a guardarlo. Il viso di Castle era incredibilmente vicino al suo, non se ne era accorta fino a quando non aveva riaperto gli occhi, trovando i suoi di un azzurro intenso a guardarla. Luccicavano di emozione e speranza. Provò a poggiare la mano sulla guancia di lui, ma i fili che tiravano le permisero di sfiorarlo solo con la punta delle dita, fino a quando non fu Castle ad avvicinarsi di più, per avere un pieno contatto con la mano di lei. Era fresca, quasi fredda, ma a Rick sembrò bruciare sulla pelle, come se lo stesse attraversando una scarica elettrica. Kate lo voleva. Voleva tutto quello che di bello poteva accadere e voleva che qualunque cosa fosse, accadesse con lui.

- Scusate, ho interrotto qualcosa? - Non si erano nemmeno accorti che Josh era entrato nella stanza fino a quando non si era schiarito la voce con un colpo di tosse, facendoli sussultare e distruggendo quel momento nel quale c’erano solo loro due, persi nello sguardo reciproco. Avrebbero potuto essere in qualsiasi parte del mondo lontano da lì, sarebbe stata la stessa cosa. Non ci avrebbero fatto caso, perché tutto quello che avevano intorno era solo un contorno al loro mondo.

Rick guardò Josh con lo stesso sguardo di un bambino che guarda il bullo che gli fa scoppiare il palloncino appena comprato al Luna Park. Era indeciso se picchiarlo o mettersi a piangere. In realtà non si mosse, trattenuto da Kate.

- Immagino che lo scrittore non sappia la novità, sono il medico di Kate, almeno per le prossime settimane, visto che il suo cardiochirurgo è all’estero. - Spiegò il dottore a Castle

- Che fortunata coincidenza, eh! - Disse sardonico Rick tra i denti.

- Se preferisci, Castle, chiederò che sia un tirocinante ad occuparsi di Kate. - Lui non rispose e Josh si sentì in posizione di netta superiorità nel chiedergli se poteva uscire dalla stanza perché doveva visitare la paziente. Avrebbe voluto dirgli di no ed ancora di più avrebbe voluto che lo facesse Kate. Non sapeva con quale diritto si immaginava una situazione del genere, ma ci sperò fino a quando non si chiuse la porta dietro le spalle. Sobbalzò, di nuovo, trovandosi Jim davanti. Erano un paio di giorni che non si vedevano, anche se si erano tenuti costantemente in contatto telefonico, aggiornandosi a vicenda sulle condizioni di Beckett.

- Tutto bene, Rick? - Gli chiese l’avvocato, vedendolo evidentemente scosso da tutto quello che stava accadendo in quella stanza.

- Sì è solo che Josh, il dottor Davidson… Non mi evoca bei ricordi… - Si tenne sul vago

- Già, stavate per fare a pugni in un corridoio come questo… - Jim vide Castle scurirsi ancora di più a quel ricordo - Sappi che non ho mai pensato che fosse colpa tua. Anche se è vero, hai spinto tu Katie ad indagare, so che fino a quando mia figlia non metterà la parola fine su questa vicenda non sarà mai libera e per tanti anni non l’ha ammesso, ma non ha nemmeno vissuto.

- Però l’ho resa un bersaglio. Ed ha rischiato di morire due volte in meno di un anno per questo e sta ancora lottando. Fa finta di nulla, ma la vedo... E’ sofferente più di quanto non voglia ammettere.

- Josh ha detto che è fuori pericolo, la fase critica è passata. Temevano soprattutto per il suo cuore, ma sta reagendo bene. Ha detto che Kate ha un cuore forte. - Provò a rassicurarlo Jim.

- Questa è un’ottima notizia, la migliore da giorni, veramente. - Sorrise Castle, sollevato.

- Cosa farai ora, Rick? Te ne andrai come avevi detto? - Jim si era fatto più serio e Rick si chiese se sapesse qualcosa di tutta quella vicenda.

- Oh… beh… io… no… se Kate mi vuole, io non me ne andrò… - balbettò

- Credo che se dipenderà solo da Katie potrai restare, allora - Sorrise Jim, dandogli una pacca sulla spalla.

Quando uscì, Josh lasciò che fosse suo padre ad entrare.
Castle fremeva per vederla ancora, ma era giusto così. Maledì l’appuntamento che aveva con Gina per discutere del nuovo libro e che lo avrebbe costretto ad andare prima di quanto avrebbe voluto.
Appena rientrato nella sua camera comunicò a Kate che avrebbe dovuto andarsene di lì a poco e vide il suo volto intristirsi. Avrebbe voluto mandare al diavolo Gina, la Black Pawn, l’illustratore e tutti gli altri.

- Dobbiamo decidere la copertina del libro ed altre cose. Non vorrei ma… Non posso non andare. - Kate capì che era sincero, aveva quello sguardo da bambino che gli veniva fuori ogni volta che doveva fare qualcosa controvoglia. Gli sorrise.

- Vai. Non ti preoccupare. - Sussurrò.

- Non posso non preoccuparmi. Guarda qui cosa succede, come me ne vado arriva il dottor motocicletta e… - Vuole prendere il mio posto. Avrebbe continuato così, ma si morse la lingua.

- È solo il mio medico - si sforzò di dirgli Kate e Rick le fece scorrere un dito sulle labbra, per farla tacere.

- Hai le labbra secche, Beckett… - Così Castle ripeté la stessa operazione del giorno precedente, bagnandole con il fazzoletto intriso d’acqua e Kate ne ebbe ancora enorme sollievo.

Riuscì a salutarla a fatica, promettendole che se la riunione fosse finita presto sarebbe tornato ancora, quella sera. Le avrebbe scritto, in ogni caso. Potevano comunicare così, almeno. L’avrebbe fatta sentire meno sola.
Appena Rick chiuse la porta alle sue spalle, Kate cercò non senza sforzi di prendere il cellulare ed il biglietto da visita che le aveva lasciato il giorno prima il detective Price. “Venga il prima possibile. Det. Beckett” Avrebbero comunicato, in qualche modo, ma doveva riprendere le fila della storia. Quella non era stata una rapina finita male.
Price arrivò presto, da solo. Questa volta Kate ebbe modo di studiarlo meglio e, se non lo avesse già visto prima, avrebbe avuto difficoltà a inquadrarlo come un suo collega: a prima vista le sembrava più un figlio di papà che si gode la vita con i soldi di famiglia che non un poliziotto. Abbigliamento elegante, aspetto impeccabile, si chiese se avesse mai dovuto rincorrere qualche malvivente o se nel buttare giù una porta si fosse mai preoccupato delle costose scarpe verniciate. Magari era uno di quelli che si scrollava la polvere dalle spalle della giacca ed entrava solo a cose fatte, d’altronde il giubbotto antiproiettile avrebbe sgualcito il suo vestito.

- Detective Beckett…

- Detective Price… - si salutarono cortesemente mentre lui prese posto sulla sedia vicino al suo letto, dopo averle chiesto il permesso con un gesto della mano e lei accordato con un cenno del capo.

- La trovo meglio, è un buon segno credo.

- Non posso… parlare molto… - Cercava di essere una paziente diligente, anche se era difficile, ma non voleva peggiorare la situazione.

- Non si preoccupi, ci capiremo, ne sono certo. - Le sorrise affabile. A Kate sembrò molto più disponibile e cortese di quanto non gli era apparso nel breve confronto precedente con Castle presente. Era evidente che tra i due non corresse buon sangue e non faticò a capire i motivi. - Cosa è successo Detective? Si ricorda della sua aggressione?

Price era venuto subito al punto. Non c’era motivo, infatti di tergiversare oltre, era lì per quello.

- Non è stata una rapina. - Era la cosa più importante, la prima da dirgli, per mettere in chiaro le cose.

- Ne è sicura? - Chiese Price dubbioso e già solo questo bastò per farle ritirare mentalmente le cose positive che aveva pensato di lui. Annuì con forza.

- Non è stata una rapina - Disse ancora facendo appiglio a tutta la voce che aveva. - Mi hanno fatto andare lì. Sapevano che stavo indagando.

Kate parlava lentamente e a fatica e le sembrava che quegli sforzi non venissero nè apprezzati nè capiti dal suo interlocutore che invece la guardava con sufficienza.

- Vede, Detective Beckett… In quella zona ci sono state molte altre rapine violente, alcune purtroppo anche finite molto male. Non può essere che visto il luogo i suoi ricordi si siano sovrapposti con la realtà facendole vivere uno scenario diverso? Ho letto della storia di sua madre, della quale mi dispiace molto, e della sua ricerca di giustizia dopo tutti questi anni. Non crede che in quei momenti così difficili possa aver confuso quello che le stava accadendo con quello che pensa sia accaduto a sua madre? - La voce di Price era calma e pacata, non la stava incalzando ma sembrava quasi volesse convincerla. Kate lo squadrò scuotendo la testa con fermezza.

- No. Nessuna. Confusione.

Continuarono a “parlare”. Kate gli scriveva le sue obiezioni e Price rispondeva. Era una conversazione abbastanza strana, interrotta oltretutto ogni tanto dai messaggi di Castle che le diceva quanto si stava annoiando, quanto le mancava e quanto avrebbe voluto essere lì. Lei ogni volta doveva fare il possibile per non sorridere come una bambina cercando di far smettere lo svolazzamento di farfalle nel suo stomaco.

A Kate non piaceva stare dall’altra parte, essere quella incalzata dalle domande ed essere messa in dubbio. Stava avendo un non facile scambio di opinioni con Price, in cui gli suggeriva di vedere la cosa da un altro punto di vista, ma si trovava a scontrarsi contro un muro di certezze che non riusciva a scalfire. Le disse che comunque avrebbe tenuto presente il suo punto di vista e segnalato la sua testimonianza e si sarebbero rivisti quando avesse potuto parlare liberamente.
Alla fine non fu così scortese, se non era per il fatto che non credeva a quello che diceva e la voleva far passare per una che si inventava le cose per qualche strano scherzo della mente.
Era frustrata.
Avrebbe voluto poter dire tutto a Castle, ma sapeva che lui si sarebbe arrabbiato per la sua decisione di parlare con Price, soprattutto senza suo padre. Le aveva consigliato di avere presente un avvocato quando lo avesse incontrato. “Non ci si può mai fidare di certi sbirri” le aveva detto, guadagnandosi un’occhiataccia ed un buffetto sul braccio.
Le venne una crisi di pianto e Josh la trovò così quando entrò nella sua stanza per chiederle se avesse bisogno di qualcosa. Aveva appena finito un’operazione d’urgenza e stava per andarsene.

- Dimmi che non è colpa dello scrittore… - Le disse il dottore con tono accusatorio e Kate scosse la testa con decisione. A Josh sembrò dispiacere, quella smentita. Si era avvicinato per provare a confortarla ma la vide sempre più chiusa in se stessa, la sentì più distante di quanto non era mai stata. Era solo il suo medico, si ripeteva, eppure era difficile. Spostò la sua attenzione sui macchinari, controllò i tracciati e poi la cartella clinica.

- Stai andando alla grande, Kate. Il tuo cuore ha reagito bene, ancora una volta.

Lo guardò asciugandosi le lacrime ed accennando un sorriso.

- Ora comincia la parte più difficile, quella nella quale devi avere pazienza e non devi strafare. Ma dirlo a te è quasi inutile - Sorrise anche lui. Le controllò il dosaggio degli antidolorifici e le preannunciò che dal giorno dopo avrebbe potuto cominciare a bere di nuovo: era un primo piccolo passo.

Quando fu di nuovo sola scrisse un messaggio a Rick e ci pensò molto prima di inviarlo, attanagliata in quella paura di vivere che la bruciava dentro, più delle ferite.
Scrisse e cancellò molte volte ed alla fine digitò solo un semplice “A domani scrittore” e la sua risposta non si fece attendere: “A domani detective”.
Chiamò un’infermiera e chiese qualcosa per dormire. Voleva che quel domani arrivasse il prima possibile.

Rick aveva detestato quel pomeriggio, aveva odiato Gina ed anche lo stupido grafico che doveva sottoporgli le bozze per le copertine. Non ce n’era una che gli piacesse. Erano tutte sbagliate, soprattutto nei colori. Frozen Heat, doveva essere blu, non accettava altre opzioni. E non gli importava che Gina gli dicesse che così non avrebbe colpito, che doveva essere più accattivante, più incisiva. Il grafico suggeriva un colore più caldo, era evidente che non sapeva di cosa stava parlando, probabilmente non aveva nemmeno letto le sue bozze ma solo seguito le indicazioni di Gina. Le sue copertine precedenti erano state tutte sulle gradazioni di rosso o giallo e per la sua editrice doveva continuare così.
Il grafico provò a venirgli incontro, proponendogli dei gialli più acidi, meno caldi ma lui non voleva sentire ragioni. Frozen Heat doveva essere blu, azzurro al massimo. Doveva essere freddo. Dare la sensazione di qualcosa di realmente gelido. Come si era sentito lui. Il freddo che aveva provato quando era entrato nella stanza di ospedale di Kate.
Alla fine la spuntò. Dopo aver fatto varie simulazioni e prove avevano trovato un punto d’incontro anche sulla sagoma di Nikki in copertina, meno visibile delle altre. A Kate non piaceva che fosse troppo “esposta” la sua alter ego nuda. Sperò che quell’accorgimento le facesse piacere.
Intanto però era passato tutto il pomeriggio e non sarebbe riuscito a passare da lei di nuovo.
Le aveva scritto ogni qual volta si prendevano una pausa o Gina riceveva una telefonata. Alla fine aveva anche declinato l’invito della sua ex moglie di cenare insieme: “solo una cena di lavoro”, ci tenne a precisare ma Rick non ne aveva voglia e si congedò lasciandola all’uscita della Black Pawn, mentre saliva su un taxi per tornare al loft. Il messaggio di Kate nel quale gli dava appuntamento al giorno successivo era stata la cosa più bella della serata.

- Ehi… - “Ciao Kate, mi sei mancata terribilmente questa notte, avrei voluto solo poter stare vicino a te.” Le avrebbe voluto dire - Come ti senti?

Fu molto più diplomatico dei suoi pensieri

- Indolenzita, annoiata, frustrata... Inutile.

Rick ne fu spiazzato, non si era mentalmente preparato a dover interagire con una Beckett così.

- Però parli molto meglio, cioè mi sembra così. - Con lei metteva sempre le mani avanti, anche quando provava a cercare il lato positivo delle cose.

- Sì. È vero… - Ammise con poca convinzione

- Bene. E’ positivo, no? Sì, insomma è un piccolo passo…

Lo guardò irritata ma incontrò i suoi occhi fin troppo comprensibili nei suoi confronti. Lui era venuto lì, era stato lì con lei in quei giorni sopportando i suoi silenzi senza fare nulla e lei ora stava gli stava riversando addosso la sua frustrazione.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non era questo che voleva, non era questo che aveva voluto per giorni, con lui. Non doveva fare lo stesso errore di sempre, darlo per scontato, usarlo solo per sfogare le sue negatività. Lo guardò di nuovo.

- Sono felice che sei qui - Gli disse cambiando completamente tono e sguardo. Rick fu preso in contropiede, non era capace di rapportarsi con quel lato di Kate.

- Sono felice che sei felice - sorrise lui genuinamente ed un po' imbarazzato - E sono felice di essere qui, con te. No, aspetta, non sono felice che tu sia qui, sono solo felice di poterti stare vicino anche se qui, non che tu sia in ospedale.

- Castle, ho capito. - Gli bloccò il polso della mano che si agitava, ma non fu un gesto brusco, non ne sarebbe stata in grado, nè fisicamente nè emotivamente. Si stava imponendo di non fare nessun gesto che potesse ferirlo, non più. - Ti ricordavo più bravo con le parole…

Si sorrisero entrambi di nuovo, imbarazzati. Entrambi si sarebbero voluti dire di più, nessuno aveva il coraggio di farlo.

- Beckett…

- Castle…

Parlarono contemporaneamente con quella sincronia che gli veniva sempre naturale e il sorriso non sparì dai loro volti.
Fu Rick il più veloce a parlare dei due, facendo quella domanda che si portava dentro da giorni.

- Perché hai chiamato me? In quel momento, Kate, perché hai chiamato me, perché non il 911, il distretto, tuo padre…

Kate temeva quella domanda, sapeva che gliel’avrebbe fatta. Aveva provato a trovare una risposta ma non c’era nulla che potesse dire diverso dalla realtà.

- Perché pensavo a te… non potevo morire senza averti detto… che sei importante per me… avrei dovuto dirtelo nel mio appartamento… non… non lasciarti andare. - La sua voce si era andata ad abbassare man mano che parlava, sia per la difficoltà fisica che emotiva.

- Kate, cosa vuol dire questo per te? - Si era azzardato a chiamarla di nuovo per nome, le parole di Beckett lo avevano emozionato fino a fargli tremare la voce.

Rick non aveva mai avuto paura di amare. Si era sposato due volte, aveva avuto molte donne, aveva amato, pensava. Fisicamente di sicuro, molto. Si era divertito e non poteva negarlo.
Ora però aveva paura, tremendamente paura di amare, paura di amare e di essere amato. Aveva paura di quello che gli avrebbe potuto dire Kate.
Se non gli avesse detto nulla avrebbe avuto paura di averla persa, forse per sempre, non avrebbe sopportato di rimanere ancora lì in un angolo, ma se gli avesse confermato quanto scritto in quel messaggio avrebbe avuto ancora di più paura. Paura per lui, paura per lei, paura per loro. Loro. Poteva esistere un loro? Se ci pensava sentiva già battere il cuore fin fuori dalla cassa toracica. Si abbassò a vedere se si notava.
Non aveva ancora quell’amore ed aveva già paura di perderlo. Si chiese se allora avesse mai amato in vita sua, gli sembrava impossibile in quel momento amare senza aver paura. Aveva paura di tutto in quel momento. Anche di se stesso e delle sue reazioni, delle mani che sudavano, della gola secca e del battito accelerato.

- Che mi dispiace Castle. Mi dispiace tanto, per tutto. Per tutto quello che ti ho detto e per tutto quello che non ti ho detto… Castle… Rick… io credo di averti scritto un messaggio prima di… di perdere conoscenza… - Kate abbassò lo sguardo. Castle guardò dritto davanti a se, il muro bianco.

- No, Kate… non ho mai ricevuto nulla. - Non riuscì a dirle che aveva lui il suo telefono, che aveva letto, che sapeva. Si chiese perché lo stesse facendo, perché mentirle?

Ripicca per fare come aveva fatto lei un anno prima? Si morse la guancia mentre lei alzava lo sguardo a cercare il suo.
Provò ad alzarsi, tirandosi un po' su da quella posizione che la costringeva sdraiata. Non ce la fece ma sentì due mani andarle incontro e sostenerla con forza e delicatezza. Erano le sue mani. Perché lui era questo, quello che la sosteneva, la tirava su. Fisicamente e non solo.

- Era importante? - Quello sì a Castle importava. Voleva sapere che valore dava a quelle parole.

- È qualcosa che mi spaventa… Io… ti amo… Ti amo, Rick. Ed ho paura. - Le lacrime solcavano il viso di Kate, vinta dalle emozioni contrastanti.

- Anche io, Kate.

- Sì, tu me lo hai già detto Rick…

- No Kate, anche io ho paura…

Castle le asciugò le lacrime e lei bloccò la sua mano sul volto lasciando che quel contatto si prolungasse.

- Sai, avevo immaginato che adesso ti avrei baciata… Ma immagino che non si possa…

- No… Ma avrebbe dovuto essere così…

- Già… - Rick le prese la mano e cominciò ad accarezzarla. - Fai conto che questa stretta di mano siano le mie labbra sulle tue e che ti stringo a me e che ti sto baciando, dolcemente…

Kate ascoltò le sue parole mordendosi il labbro con gli occhi chiusi lasciando che la sua voce, bassa e profonda, la rapisse. Anche lei accarezzava la sua mano, come se stesse effettivamente rispondendo al suo bacio e Rick sorrise a sentire il suo tocco.

- Sai Beckett, baci bene… - lei aprì gli occhi e gli sorrise tra le lacrime che ancora scendevano, guardando le loro mani accarezzarsi - … non adesso, parlavo dell’altra volta, quando ci siamo baciati veramente!

Rick rise nel vedere il suo imbarazzo. Si erano baciati più di un anno prima, un bacio vero, passionale, sottocopertura certo, ma un vero bacio anche se lei non lo avrebbe mai ammesso. Non ne avevano mai parlato ma lui quel bacio e quelle labbra non le avrebbe mai potete dimenticare ed adesso non vedeva l’ora si assaggiarle di nuovo. Fremeva come un bambino che aspetta la mezzanotte del giorno di Natale per scartare i regali e lei era il suo regalo più bello di sempre.

- Non era un vero bacio, Castle! - provò a rimproverarlo, ma non ci riuscì molto bene.

- Beh allora sono ancora più impaziente di provarne uno vero, detective, se quello non lo era!

Riuscì a farla imbarazzare ancora e si chiese dove fosse in quel momento la Beckett che lo stuzzicava e provocava con allusioni e frasi ambigue, ma gli bastò guardarla un po' più in profondità per capirlo. Non c’era. Ora davanti a lui c’era solo Kate e se possibile l’amava ancora di più. Le sorrise teneramente.
Gli sembrava tutto così irreale, assurdo, che non sapeva cosa fare. Nella sua natura l’avrebbe presa con foga ed abbracciata e baciata fino a consumarle le labbra ed invece doveva rimanere lì e soffocarsi e non sapendo cosa dirle, sembrava tutto scontato e banale.

- Sai, Kate, mi sembra di essere tornato tredicenne… - cominciò lui, molto più serio di quanto lei potesse capire.

- Rick, ho sempre pensato che tu avessi nove anni, se ne hai tredici sei cresciuto! - Lo prese in giro con così tanta dolcezza che non continuò il battibecco.

- Intendevo a quando avevo veramente tredici anni. C’era una ragazzina, bellissima, aveva gli occhi verdi ed i capelli castani…

- Casualmente, vero, Castle? - Lo interruppe ancora Beckett

- Li aveva così! Sul serio! Comunque mi piaceva molto ma io all’epoca non ero uno scrittore di successo irresistibile dal fascino rude a cui nessuna donna può dire di no.

- Nei tuoi sogni, Castle! - lo schernì ancora.

- No, anche nella mia realtà. Almeno quella che mi interessa. - le rispose languidamente avvicinando le loro mani alla bocca per baciarle il dorso, quel contatto almeno era concesso

- Mi fai finire il mio racconto? Dicevo… a lei piaceva leggere ed anche a me, diceva che ero l’unico che preferiva un libro al baseball e così passavamo molto tempo libero insieme. Un pomeriggio eravamo seduti su una panchina davanti a scuola, io aspettavo mia madre che mi venisse a prendere ma era in ritardo come al solito e lei, che abitava lì vicino, era rimasta a farmi compagnia. Le chiesi se voleva essere la mia ragazza e lei mi disse di sì. Le diedi un bacio sulla guancia poi ci tenemmo per mano senza dirci più niente fino a che non arrivò mia madre. Nessuno dei due sapeva cosa fare. Ecco, oggi dopo più di trent’anni mi sento come quel ragazzino alla sua prima cotta: tengo per mano una ragazza bellissima e non so cosa fare nè cosa dire…

- E lo scrittore dal fascino rude a cui nessuna può dire di no dove lo hai messo, Castle?

- Lo preferiresti?

- No, il ragazzino tredicenne mi va benissimo. - Kate glielo disse con una luce negli occhi ed un sorriso che lo fece sciogliere. Quello sguardo non si fermava sulla pelle, gli entrava dentro e lo rapiva e non riusciva a trattenere le emozioni che quella mattinata avevano preso una strada che non si sarebbe mai immaginato quando era entrato lì.

Era successo tutto rapidamente, in modo inusuale, e non aveva ancora nemmeno capito cosa fosse veramente successo. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come a voler parlare ma non emise suoni. Stava ancora razionalizzando la situazione.

- Ti amo Kate e non vedo l’ora di potertelo dimostrare come vorrei, come ho sempre voluto. - Sì chinò su di lei lasciandole un bacio sulla fronte, poggiando appena le labbra sulla sua pelle ancora segnata. Se avesse avuto tra le mani chi le aveva fatto questo, sarebbe stato capace di ucciderlo personalmente e senza rimpianti.

- Lo stai già facendo, Rick…

Rick non poteva negare di aver immaginato tante volte quel momento, quello in cui si sarebbero detti “ti amo” consapevolmente, quello in cui diventavano qualcosa in più. Non sapeva ancora cosa stavano diventando, poteva dire che al momento erano due persone innamorate che avevano avuto il coraggio di dirselo dopo tanto tempo, era già un bel passo avanti per loro. Aveva fantasticato su come sarebbe stato dirle ti amo, senza urla, senza discussioni e soprattutto senza la paura che poteva essere l’ultima cosa che le avrebbe detto. Tutti gli scenari che la sua mente di scrittore aveva elaborato erano stati fantasiosi, intensi, carichi di passione e romanticismo. Alcune volte aveva pensato che avrebbe costruito una situazione perfetta per rendere tutto indimenticabile altre volte era convinto che sarebbe accaduto dopo qualche loro caso in qualche situazione dove l’adrenalina avrebbe avuto la meglio anche sui loro freni inibitori. Aveva immaginato che l’avrebbe stretta a se e l’avrebbe baciata con passione come sognava da tempo di fare di nuovo, di perdersi nelle sue labbra, inebriarsi del suo profumo, affondare le mani tra i suoi capelli. E poi l’avrebbe amata, in tutti i modi possibili. Aveva immaginato le mani di lei su di lui, il corpo di Kate che si sarebbe adattato perfettamente al suo, perché non sarebbe mai potuto essere diversamente, perché lo erano fatti per stare insieme, lui lo aveva sempre saputo. Immaginava che avrebbe messo in pratica tutte quelle cose con le quali lo aveva provocato fino allo sfinimento tante volte nel corso degli anni e se ne sarebbe compiaciuto lasciando che lei disponesse di lui in ogni modo ritenesse di voler fare.
La realtà, però, era stata diversa da ogni sua immaginazione, non si era mai nemmeno avvicinato ad una situazione del genere anche perché si era ripromesso di non trovarsi più così a vederla combattere in un letto di ospedale dopo aver rischiato la vita inutilmente per rincorrere le sue ossessioni. Non c’era stato nulla di quello che aveva pensato e sognato ma non era stato peggiore, era stato solo diverso. Aveva passato un tempo infinitamente lungo in silenzio con lei ed anche adesso che potevano parlare preferivano non farlo. Lei riusciva a riempire i suoi silenzi e mai con nessuna gli era accaduto di percepirla solo con la presenza. Le avrebbe voluto dire molte cose, aveva anni di cose arretrate da dirle, tutte quelle che si era tenuto dentro in tanti momenti in cui parlare avrebbe voluto dire mettere le carte in tavola e non poteva permetterselo, perché non era pronto ad un rifiuto e a non avere più la possibilità di averla anche solo come partner.
Le emozioni che lo stavano attraversando in quei momenti erano per Castle del tutto inedite. Sarebbe voluto uscire e gridare a tutto il mondo che lei lo amava, glielo aveva detto, non era solo un messaggio mai inviato, ed allo stesso tempo avrebbe voluto chiudere a chiave la porta di quella stanza, rimanere solo loro due chiusi là dentro soli, senza permettere a nessuno di avvicinarsi, per proteggere quella cosa così piccola e fragile che era appena nata, quel “noi” che lui avrebbe voluto difendere dal mondo che vedeva tutto come una minaccia. Ed era impaziente di baciarla ed abbracciarla, bisognoso del sentirla sua ma riusciva a tranquillizzarsi sentendo il suo tocco fresco e delicato sulla sua mano. Non si guardavano nemmeno, si sfioravano solamente, ognuno perso nei suoi pensieri metabolizzando quella situazione.
Kate guardava il soffitto, senza vedere nulla in realtà se non le proiezioni della sua mente. Tutto questo non lo aveva mai calcolato. Anche lei aveva pensato a come sarebbe stato con Castle, più di una volta e non era riuscita nemmeno a negarlo a Lanie che per quello scrittore provava qualcosa in più. Aspettava il momento giusto, sperando che arrivasse presto o forse che non arrivasse mai perché tutto quello le faceva paura, troppa paura. Si era sempre immaginata prendere lei l’iniziativa, perché era convinta che lui non lo avrebbe mai fatto, preoccupato di non essere quello che doveva al momento giusto. Pensava che quando sarebbe stato il momento avrebbe lasciato che fossero le sue azioni a parlare per lei, perché lei era una che agiva, non parlava. Lui era quello bravo con le parole, lei con i fatti. Non aveva mai immaginato di vivere un momento come quello, dove c’erano solo silenzio e tocchi delicati, dove avrebbe dovuto fare i conti con se stessa prima ancora di quanto immaginasse, dove non c’era modo si stordire i sensi con il piacere e la frenesia dell’amarsi reciprocamente fisicamente, con i gesti che avrebbero spiegato quello che era racchiuso in lei e che faceva fatica anche a dire a se stessa. Lei era una donna d’azione costretta invece alla riflessione e temeva quel mettersi a confronto con i suoi pensieri perché pensare troppo la faceva solo arrovellare di più. Aveva pensato tanto in quei giorni, a lui a se stessa e a loro, lo poteva dire adesso. Loro. Ed ogni pensiero l’aveva portata a quel punto, a dirgli “Ti amo” e a volerlo fare, voler credere che “loro” potessero esistere, che era giusto darsi una possibilità di felicità, perché sapeva che con lui poteva essere felice, questo lo aveva sempre saputo, perché l’aveva sempre fatta sentire più leggera ed aveva reso il suo mondo più facile: non c’era mai riuscito nessuno prima di lui.
Si voltò per osservarlo e lo vide serio e pensieroso, non si accorse nemmeno che lo stava fissando. Non glielo avrebbe mai detto per non dare ancora più corpo al suo ego smisurato, ma era bello: non era perfetto, ma per lei era perfetto così. Si sentì improvvisamente leggera nel pensare che lui fosse quel qualcosa in più a cui non sapeva dare un nome, ma, qualunque cosa fosse, era suo. 

- Sto sentendo il rumore dei tuoi pensieri Castle… - gli disse richiamando la sua attenzione. Rick piegò la testa di lato per guardarla con quell’aria che lei giudicò fin troppo seria. - … a cosa stai pensando? 

Beckett aveva bisogno di saperlo, aveva forse qualche ripensamento? Lei in quel momento sentiva di essersi già spinta verso un punto dal quale le sarebbe stato impossibile tornare indietro e questa era la sua paura più grande, lasciarsi andare e poi di rimanere sola: lei che non aveva mai avuto paura della solitudine che negli anni l’aveva ricercata e difesa come una barriera contro tutti i dolori del mondo, con due parole, con due semplici parole aveva ribaltato il suo mondo ed ora l’idea della solitudine le faceva paura perché voleva dire senza Castle. Lui era quello che aveva interrotto la sua solitudine, non perché l’aveva strappata via dal suo mondo, ma perché era rimasto seduto accanto a lei nella sua solitudine, proprio come stava facendo adesso. 

- A noi. Cioè a me e a te… - Era adorabile quando era impacciato ed aveva paura a parla temendo di dire qualcosa che potesse essere troppo.

- A noi, quindi. - Lo ripetè anche lei, per renderlo più vero e per tranquillarlo. Aveva bisogno di dirlo e di sentirselo dire.

- Sì a noi… - disse ancora Rick come se ogni volta che lo dicevano lo rendessero più reale. - Sei bellissima Kate…

- Sei un gran bugiardo Castle! - gli sorrise imbarazzata

- Non mentirei mai su questo.

- Sei sicuro di avermi vista bene questi giorni Rick? C’è un buon reparto di oculista in questo ospedale…

- Credimi, ti ho vista benissimo. Ho passato le ore a guardarti. Non c’è livido o ferita che potranno cambiare le cose. - Beckett abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore accarezzandosi poi il superiore con la punta della lingua in un gesto del tutto istintivo e privo di ogni malizia, facendo però andare totalmente fuori di testa Rick: ogni volta che la vedeva fare così, quando si imbarazzava o stava semplicemente pensando a qualcosa, sentiva il sul stomaco fare le capriole ed ora lo stava facendo ancora a pochi centimetri da lui e se avesse potuto l’avrebbe baciata per ore, adesso che era sua. - Però non fare mai più così…Quella cosa con le labbra… Perché non so quanto posso resisterti Kate… Non più adesso che insomma… Noi… Capisci? 

Rick sbuffò perché non riusciva a spiegarsi, sembrava aver perso le sue capacità oratorie.

- A cosa pensavi di “noi”? - Gli chiese sinceramente curiosa

- Che non avrei mai immaginato che sarebbe successo così. 

- Ah quindi tu immaginavi che sarebbe successo in qualche modo?

- Ecco io… sai io… immagino cose per lavoro, quindi…

- E cosa immaginavi?

Kate si distese con la testa sul braccio di Rick che, appoggiato sul letto, le accarezzava il volto e i capelli. Le raccontò tutti  gli scenari che aveva ipotizzato, dalla dichiarazione sulla scena di un crimine al noleggiare un aereo e farlo mentre sorvolavano New York, facendola sorridere per la sua infinita fantasia.

Avevano passato così tutti i giorni seguenti. Parlando, fantasticando, scherzando e ridendo per quanto gli fosse possibile. Non avevano detto a nessuno nulla, perché nemmeno loro sapevano cosa ci fosse da dire. Avevano deciso che ne avrebbero riparlato poi, quando lei sarebbe stata meglio. Lo aveva deciso lei, in realtà, perché Rick le aveva detto più volte che per lui non cambiava nulla, voleva solo starle vicino.
Avevano avuto anche la loro prima discussione, quando Kate gli aveva rivelato che aveva parlato con Price. Aveva sfogato con lui la sua frustrazione per non essere stata creduta ed aveva dovuto dirgli che era stato lì in ospedale. Castle si era arrabbiato perché non avrebbe dovuto parlarci da sola con uno così, doveva dire a suo padre di assisterla, come suo avvocato. Kate ci rimase male, perché sperava di ricevere da lui quel conforto che cercava e che invece non trovò. Lei rimaneva fortemente convinta che Rick esagerasse nei confronti di Price, anche se le divergenze tra lei ed il detective del quinto erano evidenti non pensava fosse in malafede, solo molto limitato nel valutare il quadro complessivo e stesse subendo pressioni per chiudere presto la questione. I toni fin troppo accesi richiamarono anche le infermiere di turno che invitarono prima gentilmente i due a darsi una regolata e poi, vedendo Beckett provata dalla discussione, Castle ad uscire. E lui lo fece, senza opporsi cosa che lasciò ancora più amareggiata Kate che si aspettava che volesse chiarire quella situazione degenerata per nulla. Era uscito e se ne era andato come quel giorno da casa sua ed il vuoto che aveva sentito dentro era ancora maggiore, perché si era fidata quando le aveva detto che non sarebbe più andato via, che sarebbe rimasto: ci aveva creduto. Castle, dal canto suo, aveva visto quella cosa come l’ennesimo tentativo di Kate di fare le cose solo di testa sua, senza ascoltare i consigli degli altri. Non le era bastato nemmeno rischiare ancora di morire per cominciare a dare ascolto alle persone che le volevano bene e si preoccupavano per lei. Glielo aveva detto lui ed anche Javier e Kevin di diffidare di Price e lei lo invitava in ospedale per parlarci, si era anche sforzata per farlo e che cosa aveva ottenuto in cambio? Qualcuno che le dava anche della visionaria e parlava di allucinazioni. Era arrabbiato con lei e con quel detective, certo, ma quello sguardo che aveva scorto mentre usciva dalla stanza lo scavava dentro. Tornò dopo qualche ora, più calmo e colmo di sensi di colpa per averla lasciata sola. “Abbiamo un record Beckett… abbiamo litigato prima ancora di esserci baciati!” fu così che ruppe la tensione di quel momento e lei non riuscì ad essere arrabbiata con lui per troppo tempo. Si chiarirono ed usarono quello che era accaduto per cominciare a confidarsi le rispettive paure. E se sotto certi aspetti si conoscevano alla perfezione, per molte altre cose ancora dovevano scoprirsi, come tutti. Era una ventata di normalità strana per loro, in quella situazione che di normale aveva ben poco.

In quei giorni era passata a trovarla anche il capitano Gates che le aveva assicurato che stava facendo il possibile per farsi riassegnare il caso. Lo faceva per Beckett, ovviamente, ma non solo. Odiava essere scavalcata e che qualcuno interferisse con il lavoro suo e della sua squadra e quella l’aveva vista come una prevaricazione bella e buona. Aveva chiesto spiegazioni ai piani alti più volte di quello, ma la rimandavano da un responsabile della decisione ad un altro, senza che nessuno se ne facesse carico. Era palese che qualcuno volesse interferire con le indagini allontanandole il più possibile dal suo distretto che aveva validissimi motivi per non lasciare il caso irrisolto e da quando aveva collegato tutti i pezzi del puzzle, capendo anche del coinvolgimento di Montgomery, molte cose le erano più chiare, anche del comportamento dei suoi detective. Ammirava la loro devozione all’ex capitano e provava anche una punta di invidia per questo. Ora però la sua migliore detective era stata quasi uccisa ed era palese a tutti, anche al più inesperto dei detective che era stato un agguato organizzato, a tutti tranne che a chi si doveva occupare delle indagini. Avrebbero insabbiato tutto e non lo poteva permettere.
Kate, comunque, continuò a ricevere le visite di Price in ospedale, sempre quando Rick non c’era, perché era convinta che la presenza di entrambi contemporaneamente non sarebbe stata produttiva. I due detective si confrontavano sul caso, rimanendo ognuno sulle proprie posizioni, Kate più di una volta perse anche la pazienza, accusando direttamente Price di fare di tutto per chiudere solo il caso, senza voler sapere cosa effettivamente fosse accaduto. Cominciò a pensare che Rick potesse aver ragione, che parlare con lui era solo tempo perso e la sua frustrazione aumentò a dismisura insieme all’insofferenza per quel posto che aumentava.
Finalmente, però, un pomeriggio Josh le disse che il giorno dopo l’avrebbero trasferita in un altro reparto. La sua situazione era ormai totalmente sotto controllo e poteva cominciare la seconda fase del suo recupero. In quel momento lo vide come un piccolo raggio di sole.

Kate aveva passato molto tempo, fin troppo secondo i medici, a discutere con Kevin, Javier e Rick del caso. Era chiaro a tutti loro come l’assenza di alcun tipo di prova era al momento la prova più grande. In nessun caso una banale aggressione, per quanto violenta, avrebbe lasciato uno scenario del genere, nessun teppista si sarebbe preoccupato di ripulire tutta la zona da impronte o indizi e di stare sempre bene attento a non farsi inquadrare in viso da nessuna delle telecamere poste in quella zona. Avrebbero insistito su questi elementi con Price. Castle aveva prestato molta più attenzione a Beckett che alle chiacchiere sul caso dei detective ed aveva dovuto ammettere che occuparsi in qualche modo del suo lavoro, anche se riguardava se stessa, la aiutava più di ogni altra cosa, aveva rivisto per qualche istante il suo sguardo vivo ed attento, anche se offuscato dalla stanchezza che inevitabilmente aveva, anche se voleva dissimularla ad ogni costo. Si sforzò di non prenderle la mano mentre parlava, cosa che gli veniva adesso fin troppo naturale ed aveva notato che Ryan più di una volta lo aveva osservato a lungo e gli aveva chiesto anche come mai fosse così silenzioso e poco propenso a riempirli delle sue teorie. Si inventò qualche scusa sul fatto che aveva dormito poco e la casa editrice lo stava stressando per i suoi prossimi impegni e tour promozionali, mentre ancora doveva rivedere gli ultimi capitoli di Frozen Heat per la versione definitiva e dare l’ok alla stampa. In parte tutto ciò era vero, ma aveva anche detto chiaramente a Gina che non si sarebbe spostato da New York a tempo indeterminato e poteva pensare ad un viaggio solo se lo avessero chiamato a Stoccolma per ritirare il Nobel alla letteratura, visto che i Pulitzer si tenevano a New York. Gina non la prese bene, per niente, anzi lo accusò che se non si fosse concentrato sul suo lavoro, non solo non avrebbe mai vinto nessun riconoscimento, ma i suoi libri futuri sarebbero stati un flop: a Castle sembrò quasi che se lo augurasse anche se non capiva il perché, dato che ci avrebbe rimesso molto anche lei.  

Il ciclone Lanie entrò nella stanza portando la sua consueta ventata di buonumore: Kate era sempre felice di vedere la sua amica. Chiacchierarono un po’ tutti insieme come se invece che in una stanza di ospedale fossero seduti ad un tavolo all’Old Haunt. Rick se ne andò con i ragazzi, lasciando le due amiche sole per chiacchiere da donne, come disse la dottoressa. Castle e Beckett si scambiarono un lungo sguardo, dopo un saluto piuttosto formale davanti a tutti gli altri, lo scrittore era certo che a Lanie non fosse sfuggito e ne ebbe la conferma la sera stessa, quando Kate al telefono gli raccontò che la dottoressa le aveva fatto il terzo grado convinta che le nascondesse qualcosa su loro due. Avevano deciso di non dire niente a nessuno, almeno per il momento, almeno fino a quando Kate fosse rimasta in ospedale, fino a quando anche loro stessi non avessero fatto chiarezza sulla loro situazione. Rick non aveva problemi a non dire nulla alla sua famiglia, Alexis era partita da qualche giorno per un lungo viaggio in Europa con le sue amiche e Martha era impegnata in un percorso rigenerante in un centro benessere prima di partire per una breve tournée estiva con la sua giovane compagnia. Contava che, per quando le sue due donne sarebbero tornate a casa, la loro situazione sarebbe stata definita e non ci sarebbe stato nulla da tenere nascosto.

Si sentivano tutte le sere dopo che Rick era tornato a casa ed accadeva sempre più tardi, visto che rimaneva lì fin quanto glielo consentivano riuscendo a strappare sempre qualche minuto in più al controllo delle infermiere, decisamente più tolleranti in quel reparto.

Appena finita la telefonata con Kate, Castle andò nel suo studio per mettersi a scrivere. Aveva cancellato tutto quello che aveva scritto subito dopo il ferimento di Kate sotto il nome di Final Heat, non ci sarebbe stato nessun atto finale. Aveva scritto appena qualche battuta quando il telefono squillò di nuovo, era convinto che fosse Kate ancora una volta ed un sorriso spontaneo nacque sul suo volto, ma il numero anonimo attirò la sua attenzione e lo fece diventare serio.

- Castle! - Rispose deciso

- Buonasera signor Castle, sono Mr Smith. - Rick rimase in silenzio stringendo il telefono con forza - Io non posso più fare nulla per la detective Beckett, il patto è saltato, non posso più proteggerla. Loro sanno tutto, che state indagando ed anche del suo coinvolgimento diciamo personale. Incontriamoci domani sera allo stesso parcheggio. Le darò la copia dei documenti in mio possesso poi io sparirò per sempre e non avrò più nulla a che fare con questa storia. Sempre che lei voglia quei documenti, poi sarà lei a decidere cosa farne.

- Certo che li voglio.

- Domani sera alle 21:00. La aspetto signor Castle, poi non ci vedremo nè ci sentiremo mai più.

La telefonata con Smith gli lasciò un certo senso di inquietudine dentro. Era palese che l’accordo fosse saltato almeno da quando Kate era stata ferita di nuovo ma questo ora lo metteva davanti ad una nuova prospettiva. Cosa avrebbe fatto quando avrebbe avuto i documenti? Li avrebbe dati a Kate così appena fosse stata in grado di muoversi sarebbe andata a farsi uccidere buttandosi come un kamikaze verso chi c’era dietro tutto questo? Li avrebbe portati alla polizia, sperando che ci fossero elementi a sufficienza per poter far nascere un’indagine ed arrestare i colpevoli, tutti i colpevoli, qualsiasi cosa ci fosse stata dietro? Li avrebbe tenuti per se provando a fare lui stesso da mediatore cercando di ottenere l’unica cosa che gli importava, che lasciassero stare Kate. Era un discorso egoistico, certo, sapeva che lei lo avrebbe odiato per questo, ma la giustizia e la verità per lui adesso sparivano davanti alla concreta opportunità di salvarle la vita. Beckett avrebbe visto tutto questo come un tradimento verso sua madre, ma lui, da padre, era certo, invece, che Johanna Beckett gli avrebbe dato ragione ed avrebbe voluto, prima di ogni altra cosa, che sua figlia fosse al sicuro, è insito nella natura dei genitori preoccuparsi prima dei figli e poi di se stessi.

Chiuse il notebook e si appoggiò stancamente con i gomiti sul legno della scrivania, passandosi le mani tra i capelli più volte. Sapeva come avrebbe reagito Kate se avesse scoperto quello che stava per fare, lo aveva già subìto una volta, ma non poteva dirglielo, non poteva farla stare in apprensione per lui, non adesso. L’orologio sulla scrivania diceva che erano nel 22 passate da un po’, decise comunque di fare un tentativo e chiamò Esposito.

Il detective era chino su un corpo ad esaminare insieme a Lanie quei due colpi d’arma da fuoco che lo avevano privato della vita quando sentì suonare il cellulare. Si rialzò allontanandosi di qualche passo dalla scena del crimine, mentre la dottoressa dava l’ok per rimuovere il cadavere.

- Castle, cosa succede?

- Scusa per il disturbo e per l’orario Esposito…

- Tranquillo, siamo in compagnia di un cadavere in un parco vicino alla Lexington

- Ho bisogno di parlare con te e con Ryan e non per telefono.

- Torniamo in centrale, compiliamo il rapporto e siamo da te, se non è un problema l’orario.

- Quando volete. È importante.

- Allora come è andata la chiacchierata tra donne? - Castle aveva raggiunto Kate come ogni mattina e l’aveva trovata di umore decisamente migliore. Aveva anche accettato come saluto un leggero bacio sulle labbra, quando nei giorni precedenti ogni volta che ci aveva provato aveva sempre voltato la testa finendo per farsi baciare la guancia.

- Bene, anche se, come ti ho detto, credo che Lanie abbia capito tutto quello che sta succedendo tra di noi.

- Beata lei! Dovrò andarla a trovare così magari lo può spiegare anche a me!

- Non ti azzardare Castle! - Lo rimproverò sorridendo.

- Me lo spieghi tu allora?

- Dai Rick! Cosa ti devo spiegare? - Sbuffò Kate che in realtà non sapeva nemmeno lei definire la situazione. Lui la guardò inclinando la testa. Nonostante tutto trovava adorabili quei loro battibecchi parlando di loro. - Ci frequentiamo?

- Quello in realtà lo facciamo da qualche anno. 

- Ci frequentiamo in modo diverso. - Puntualizzò Beckett

- Vero, prima andavamo sulle scene del crimine e ad arrestare i cattivi, ora ti vengo a trovare in ospedale e chiacchieriamo. - Rick gesticolava molto mentre stava parlando, segno che non era tranquillo. Kate aveva imparato a riconoscere quei piccoli gesti, quel suo parlare troppo a sproposito, non era solo lui che aveva passato tanto tempo ad osservarla.

- Non sei di aiuto a ricordarmelo eh! - Sottolineò aggrottando la fronte solo per qualche istante fingendosi arrabbiata, ma lui cambiò espressione, facendosi più serio.

- Cosa pensi di fare quando uscirai da qui? - Castle lo disse con estrema leggerezza mentre Beckett subì quella frase come un peso da una tonnellata che le gravava addosso. Stava già facendo progetti per il dopo? Era Castle ovvio che sì! Come minimo aveva già immaginato e programmato le loro vite fino a quando sarebbero stati in una casa di riposo. Insieme, aggiunse ai suoi pensieri e la cosa si stupì che non la spaventava nemmeno così tanto. 

- Un lungo bagno, Castle. Vorrei fare un lungo bagno con tanta schiuma. E un bicchiere di vino rosso. E un libro da leggere. 

- A casa mia c’è una vasca enorme e la selezione di vini è di prima qualità. I libri, beh, non mancano… 

- Andrà più che bene quella del mio appartamento, ma grazie lo stesso. - Si morse la lingua un attimo dopo aver parlato appena vide i suoi occhi rabbuiarsi. Gli poggiò una mano sul braccio, alla ricerca di un contatto e poi continuò più dolcemente - Ma potrei aver bisogno di qualcuno che mi aiuti ad insaponarmi la schiena. Conosci qualcuno che potrebbe essere così gentile da prestarsi?

Il sorriso tirato che Castle le diede in risposta non era mai un buon segno. 

- Cosa c’è Rick?

- Niente… 

- Sai che di solito sono le donne a rispondere così quando non vogliono dire cosa le turba? - Lo prese in giro Kate cercando di alleggerire la situazione

- Allora è il mio lato femminile che parla. 

- Castle, ascoltami… Non riesco a dare un nome a quello che sta succedendo tra di noi e pensare a quello che accadrà quando uscirò di qui mi spaventa, non sono preparata. Però so cosa sta succedendo a me, mi sono innamorata di te, anche del tuo lato femminile, e spero che questo per ora ti possa bastare.

- Voglio che tu esca di qui, il prima possibile, e cominciare quello che tu vorrai, insieme. Voglio che tu sia al sicuro Kate e farò di tutto perché accada. - Gli rispose lui serio e lei non poté non notare quell’espressione così greve sul suo volto, molto di più di quanto la situazione non richiedesse. Stavano pur sempre parlando di loro, con leggerezza.

- Cosa mi stai nascondendo Castle? Cosa succede?

- Non succede nulla Kate, stai tranquilla.

- Lo sai vero che questo è il modo migliore per farmi preoccupare? Anche io voglio che tu sia al sicuro soprattutto non voglio che fai cose stupide.

- Lo sai che le persone innamorate fanno sempre cose stupide e poi se non facessi cose stupide non sarei io

- Rick, ti prego… 

- Beckett, tu dei solo pensare a te, a rimetterti il prima possibile.

- Sto pensando a me, Castle. Essere in pensiero per te, non sapendo cosa stai tramando, non mi farà stare bene, lo capisci? Non posso stare bene se non sono sicura che anche tu stia bene.

Rick sorrise e le accarezzò una guancia e lei si appoggiò sulla sua mano, prolungando il contatto

- Sai, quando sei preoccupata ti vengono due rughette proprio qui - le disse Castle poi sfiorandole un punto al centro della fronte - Non te l’ho mai detto, ma le adoro… Così come adoro i tuoi occhi, sempre, ma ora li adoro di più, perché mi guardi e vedo le stesse cose che provo io per te… Ti amo Kate. Ora capisci come mi sento io ogni volta che tu fai qualche cosa folle di testa tua? Quando ami qualcuno la sua sicurezza è più importante della tua e sapere che la persona che ami è in pericolo ti fa andare fuori di testa e ti fa dire anche cose che non pensi, come che non ne vuoi sapere più nulla di lei e ti fa fare stupidaggini, come andartene, anche se non la vorresti mai lasciare. Però, veramente Kate, non ti preoccupare, non c’è niente di cui preoccuparsi adesso.

- Ti amo Castle, so che non è vero quello che stai dicendo, però ti prego, non fare cose stupide.

- Non farò nulla di stupido, te lo prometto. Perché tutte le cose stupide che posso fare, le voglio fare solo con te, insieme a te.

Castle era rimasto con Beckett tutto il giorno. Avevano camminato per i corridoi dell’ospedale sempre seguiti dalle due guardie di turno che, pur a distanza di qualche metro, non li lasciavano mai soli. Kate sembrava visibilmente a disagio dalla loro presenza, voltandosi spesso a guardare per controllarli e più di una volta aveva chiesto a Rick era proprio necessario che fossero lì ottenendo solo come risposta un “Assolutamente”: non era necessario chiedergli se fosse sì o no. I progressi di Kate erano lenti ma costanti, i medici erano contenti del suo decorso e di come si stava evolvendo il suo quadro clinico, soprattutto viste le condizioni iniziali nelle quali era arrivata. Un dottore non molto empatico, vicino alla pensione e con poca voglia di interagire con i pazienti, quel pomeriggio stanco di sentirsi chiedere da Beckett quando sarebbe stata dimessa, le disse che doveva ritenersi fortunata ad essere ancora in vita e che doveva fare poche storie. Glielo disse in modo così crudo che Rick vedendo Kate rimanere a bocca aperta senza capacità di replicare o dire altro, avrebbe voluto prendere l’uomo per il camice e sbatterlo al muro. Si limitò, invece a guardarlo uscire dalla stanza e poi ad abbracciarla più stretta che poteva senza causarle dolore, lasciando che sfogasse la sua frustrazione. Anche lui avrebbe voluto dirle che doveva essere paziente, ma sapeva che questo avrebbe creato in Kate solo maggiore avvilimento, così tutto quello che le ripeteva mentre le accarezzava la schiena e i capelli, era che non l’avrebbe lasciata sola e che avrebbero affrontato tutto insieme. 

Riuscì a renderla felice quando, durante una delle sue visite di controllo, uscì da lì e poi tornò con una tazza di caffè fumante preso alla caffetteria vicina l’ospedale: il sorriso che gli fece vedendole portare la sua bevanda preferita, che poteva assaporare dopo tanto tempo, era quanto di più bello vedeva da troppo tempo, così come la beatitudine che leggeva sul suo volto mentre ne beveva qualche sorso. Pochi, era già uno strappo alla regola, ma furono sufficienti per migliorare di molto la sua giornata e non era solo il caffè in se, era il caffè che lui le aveva portato, solo l’ennesimo di quegli anni per farla sorridere e c’era riuscito ancora. Rick fu scosso da un brivido quando Kate per ringraziarlo sfiorò le sue labbra con le proprie e potè sentire su di lei il sapore del caffè. Avrebbe voluto assaporare quel gusto più a fondo, ma lei si allontanò subito, appoggiandosi alla sua spalla e lasciandosi cullare da lui. Stava così bene tra le sue braccia che per qualche minuto riusciva a dimenticare tutto, dove si trovava, in quale situazione era e quei dolori che non la abbandonavano mai. Gli abbracci di Richard Castle li avrebbero dovuti brevettare se a tutti facevano l’effetto suo.

Rick l’aveva chiamata poi prima di uscire di casa. Era nervoso e non riusciva a nasconderglielo. Lei lo capì ma fece finta di nulla, anche se prima di chiudere la telefonata si raccomandò ancora di fare attenzione, qualunque cosa stesse per fare. Kate era rimasta a lungo con il telefono in mano stretto con la tentazione di chiamarlo ancora, nella speranza che fino a quando fosse stato al telefono con lei, sarebbe stato al sicuro. Qualcosa le diceva che stava facendo qualcosa di tremendamente stupido ed aveva una morsa allo stomaco che non era di certo legata alle ferite, era qualcosa di diverso, qualcosa che veniva dalla paura che gli potesse accadere qualcosa. Si morse il labbro pensando a quanto era già diventato importante nella sua vita. Era così, era importante, ma lo era sempre stato, solo adesso aveva il coraggio di ammetterselo senza trovare giustificazioni a se stessa sul perché e sul quanto. Ora non si poteva ingannare più, La paura provata quando era ostaggio nella banca ed il terrore al momento dell’esplosione fino a quando non aveva sentito la sua voce e visto i suoi occhi erano già allora molto di più di quello che ammetteva a se stessa. Ma adesso Kate era lì, in ospedale, senza poter fare nulla per lui, dovendosi fidare delle sue parole, sapendo però che le mentiva. Era questo quello che provava lui ogni volta per lei? Era questo il rovescio della medaglia di essere innamorati, la paura costante per l’altro?

—

Le 21 erano passate da qualche minuto. Castle controllava compulsivamente l’orario nel cellulare e lo schermo che si illuminava era l’unica luce in quel parcheggio oscuro con poche macchine ferme e tutte lontano da dove era lui, vicino ad un pilone non distante dalla luce verde dell’uscita d’emergenza.

Quel ritardo, anche se minimo, di Smith lo stava innervosendo. Ripensava alle parole di Kate, “non fare nulla di stupido”, e non sapeva se quello che faceva era stupido oppure no. Sussultava ad ogni rumore, anche quando un uomo di mezza età andò a riprendere la sua auto, trattenne il respiro quando gli sfilò vicino prima di uscire. Forse lo aveva scambiato per un maniaco o qualcosa del genere mentre camminava avanti e indietro con le mani sprofondate nelle tasche di quella giacca decisamente fuori stagione. Pensava ormai che Smith non sarebbe più arrivato, stava per andarsene, deluso e preoccupato di cosa potesse essere accaduto per avergli fatto saltare il loro incontro senza preavviso, sicuramente non era qualcosa di positivo, quando sentì il rumore di ruote che stridevano sull’asfalto e fu improvvisamente abbagliato dal faro di una moto che sfrecciava verso di lui ad alta velocità. Non fece nemmeno in tempo a mettersi le mani davanti agli occhi per evitare di essere accecato quando sentì il rumore di copi d’arma da fuoco: fu un attimo e ne fu investito. Sentì l’impatto dei proiettili addosso, perse l’equilibrio e cadde a terra, mentre percepiva altri colpi che venivano esplosi insieme ad altri rumori che non riusciva più a decifrare, gli fischiavano le orecchie e girava la testa. Poi sentì la moto allontanarsi e tutto tornò buio senza quel faro impazzito che squarciava la notte.

- Castle! Castle! - Esposito e Ryan stavano correndo verso di lui che era a terra confuso. Aveva sbattuto la testa quando aveva perso l’equilibrio. 

Per fortuna aveva indossato il giubbotto antiproiettile come suggerito da Javier, per scrupolo aveva detto lui ma gli aveva salvato la vita. Sentiva un gran dolore al petto mentre Kevin lo aiutava ad alzarsi. Provò a fare dei respiri profondi con scarso successo, appoggiato ad una delle auto ferme, mentre indolenzito si sfilava la giacca ed il giubbotto.

Esposito era poco distante da loro, chino a terra su quello che ora lo vedeva, era un corpo senza vita. Aveva già chiamato la centrale per avere una squadra lì, ma gli dissero che doveva aspettare, gli uomini erano fuori perché era andato pochi minuti prima, un appartamento a pochi isolati da dove si trovavano loro. 

Rick si teneva la testa tra le mani, indolenzita e non solo per la botta. Sembrava che girasse tutto il mondo intorno a lui e non riusciva a concentrarsi. Chi erano quei due? Chi era quello a terra, morto? Cosa era accaduto a Smith? Si avvicinò barcollando a Javier, chinandosi per vedere la vittima. Stavano illuminando tutto con i cellulari ma quel volto non diceva niente a nessuno e i documenti ovviamente non c’erano. La sua pistola era a poca distanza dal corpo, Esposito la osservò era un’arma usata nei corpi speciali, ma non gli diceva nulla di più.

- Pensi che Smith ti abbia teso una trappola? - Gli chiese Ryan, ma Castle scosse la testa fin troppo rapidamente e ricominciò a girare tutto.

- No, lo escludo, perché avrebbe dovuto? Smith voleva tirarsene fuori e lasciarmi i documenti, perché avrebbe dovuto uccidermi? Io non so niente di lui.

- Beh, magari ha deciso di lavorare per chi c’è dietro tutto questo ed eliminare te era il primo passo.

- No… non credo… - Non aveva un motivo specifico per non crederci, ma sentiva che quell’uomo non gli aveva mentito. - Però se c’è qualcuno che vuole far fuori me, sicuramente vuole far fare la stessa fine a Kate.

- Questa sera mi fate fare gli straordinari - Disse Lanie appena arrivata a Esposito e Ryan poi si chinò sul cadavere mentre due agenti illuminavano la zona. - Ah per fortuna solo colpi di arma da fuoco. Avete trovato l’arma del delitto? 

- La mia o quella di Ryan, o tutte e due - Disse Javier alla dottoressa che alzò lo sguardo e solo in quel momento vide Castle piuttosto malconcio appoggiato ad un’auto. 

- Ehy Castle! Cosa ci fai tu qui? 

- Una lunga storia Lanie… - tagliò corto lo scrittore

- Javier, gli avete sparato voi? - L’ispanico annuì mentre Lanie si rialzava - Ok, ragazzi, portatelo in obitorio insieme all’altro cotto a puntino. Come si chiama lo sapete? - Chiese di nuovo ai detective che però scossero la testa negando. - Allora questa sera abbiamo Mister X e Mister Smith.

- Come hai detto Lanie? Smith? - Disse Castle alzandosi velocemente ed andando verso di lei

- Sì… Michael Smith, perché? - Lo guardò perplessa

- Dai fratello, sarà un omonimo! - Cercò di tranquillizzarlo Esposito vedendo la sua agitazione.

- Non è un caso Javier! Non è una coincidenza! Dov’è l’appartamento di Smith? - Chiese a Lanie che guardò i due detective. Esposito e Ryan si scambiarono un’occhiata e poi un cenno di assenso. Kevin tirò fuori dalla tasca il taccuino e scrisse l’indirizzo che gli aveva dettato Lanie. 

- Andiamo Castle! - Disse Esposito e i tre salirono nell’auto dei detective

Arrivarono sotto al palazzo. Guardarono in alto e si vedeva ancora un filo di fumo nero uscire da dove ci dovevano essere le finestre. C’era un’agente  fuori che li aggiornò sulla situazione: c’era stata un’esplosione, nessun altro appartamento coinvolto, era stato tutto circoscritto all’abitazione di Smith. Castle pensò che doveva essere il lavoro di uno molto esperto per calcolare perfettamente la quantità di esplosivo per un’esplosione così distruttiva e circoscritta allo stesso tempo. Salirono fino al piano ed entrarono passando oltre i sigilli che avevano messo i loro colleghi. La puzza di bruciato rendeva difficile respirare lì dentro e si coprirono naso e bocca con della stoffa. Girarono per la varie stanze della casa dove ben poco era rimasto intatto, fino a quando Castle non vide in quello che poteva essere lo studio di Smith una cassaforte dietro i resti di quello che doveva essere un quadro dalla cornice molto importante. Richiamò a gran voce i due detective, aveva provato a toccare il metallo dello sportello ma era ancora caldo. Se Smith aveva in casa una copia dei documenti dovevano essere lì.

- Castle, lo sai che potrebbe essere uno Smith qualsiasi questo, vero? Oppure il tuo amico potrebbe averti dato un nome finto - Gli chiese Ryan

- Non è mio amico Kevin, ma questo non è un omonimo… Ne sono certo. - Rispose Rick sicuro. Lo sentiva che non era così. - Andiamo ragazzi, quante volte il mio sesto senso si è sbagliato?

I due detective lo guardarono perplessi aggrottando la fronte.

- Ok, è capitato che alcune volte mi sono sbagliato, ma questa volta sono sicuro che non è un caso. E lo sapete anche voi. - Concluse quindi serio. Era vero, anche loro credevano poco alla casualità.

La aprirono grazie all’aiuto della squadra dei vigili del fuoco che stava finendo di fare i rilievi nel palazzo e dentro trovarono una gran quantità di fogli, per lo più bruciati, ma i resti di una foto dell’omicidio di Johanna Beckett non lasciava dubbi su quale fosse il contenuto del resto di quei documenti per gran parte illeggibili. Rick si passò una mano tra i capelli scuotendo la testa.

- Kate è in pericolo. Non si fermeranno più adesso… Io… devo andare da lei… Metteteli voi al sicuro.

Lasciò Kevin e Javier con i documenti in mano e scese velocemente in strada fermando il primo taxi disponibile.

Arrivò in ospedale con il respiro affannato come se avesse corso dall’appartamento di Smith fino a lì. Arrivò fino al piano di Kate muovendosi con sicurezza e velocemente tra un corridoio e l’altro. Si tranquillizzò solo quando vide che le due guardie erano fuori dalla porta e tutto era normale, durante il tragitto la sua mente di scrittore di gialli aveva già ipotizzato tutti i peggiori scenari possibili, immaginandosi scene raccapriccianti in quel corridoio. Ebbe una discussione con le infermiere di turno che non volevano farlo entrare perché Kate stava riposando, ma la sua insistenza vinse anche sul buon senso delle due donne e entrò spalancando la porta e svegliandola all’improvviso.

- Per fortuna stai bene! - Le disse avvicinandosi ed abbracciandola. Aveva la necessità di sentirla viva. La tirò verso di se, affondò la testa tra i suoi capelli, la accarezzava come se toccasse qualcosa di estremamente fragile.

- Castle ma cosa… Puzzi di bruciato! - Esclamò Kate insonnolita mentre ancora la stringeva non capendo cosa stesse succedendo poi, quando la lasciò, lo fulminò con uno dei suoi sguardi. - Cosa hai combinato Rick?

- I documenti… Lui mi ha chiamato, qualche giorno fa. Smith voleva vedermi e darmi la sua copia, voleva uscire da questa storia e diceva che non poteva più proteggerti. Avevamo appuntamento questa sera, in un parcheggio. Ma lui non è venuto, sono venuti due su una moto, mi hanno sparato.

- Rick! - Kate lo chiamò ad alta voce in quello che era più di un rimprovero, era paura, terrore…

- Sto bene. Te l’ho detto che non avrei fatto nulla di stupido, avevo avvisato Ryan ed Esposito, sono andato con loro ed avevo un giubbotto antiproiettile, è stata un’idea di Javier… Se sono qui devi dare il merito o la colpa a lui, decidi tu.

- Non scherzare su questo Rick… Potevano ucciderti… - Gli disse accarezzandogli il volto. - Cosa altro è successo?

- Smith… è stato ucciso. Hanno fatto saltare in aria il suo appartamento. Abbiamo trovato una copia dei documenti ma è quasi del tutto bruciata o annerita, è praticamente illeggibile… - ammise Rick sconsolato: sentiva su di se il peso del fallimento per non aver recuperato quei documenti dai quali dipendeva la vita di Kate.

- Sai cosa vuol dire questo, Castle? - La voce di Beckett era preoccupata e triste allo stesso tempo.

- Sì, che appena starai bene ed uscirai da qui, ti porterò via, al sicuro - Le disse prendendole le mani.

- Non posso scappare per tutta la vita e soprattutto non posso coinvolgerti in questo.

- Non mi coinvolgi tu, mi coinvolgo da solo. Non mi importa per quanto tempo sarà, se ci sarai tu con me. Io non ho bisogno di un posto preciso per lavorare, posso farlo ovunque e non ho problemi economici per permettermi di spostarmi ovunque vogliamo.

- Rick… non posso chiederti questo, di lasciare la tua vita ed il tuo mondo.

- No, sono io che ti sto chiedendo di farti portare al sicuro. La mia vita ed il mio mondo sono ovunque ci sei tu.

Castle si tolse la giacca e Kate gli fece spazio per sdraiarsi nel letto vicino a lei, mandando al diavolo tutte le regole e le procedure dell’ospedale. Aveva bisogno di Rick tanto quanto lui ne aveva di lei. Si appoggiò sul suo petto, e si strinse a lui. Lo sentì sobbalzare quando gli toccò un punto sul torace, sbottonò la camicia e vide il livido che il proiettile gli aveva causato, era terribilmente vicino al cuore. Poggiò la mano sulla sua pelle, la sentiva calda, sentiva il cuore pulsare veloce. Pensava a tutto quello che le aveva appena detto ed aveva paura, non per lei, aveva paura per loro.

- Smith è morto e i documenti sono distrutti.

- E lo scrittore?

- Ne è uscito illeso.

- Questo è un problema.

- Mi dispiace. Uno dei due uomini è stato ucciso. 

- Non arriveranno comunque a noi. Ma vedi di scegliere meglio i tuoi uomini prossimamente. Beckett ed anche Castle non sono immortali, anche se li stiamo facendo passare per tali. 

- C’è anche il problema del 12°… Stanno collaborando alle indagini.

- Lasciaglielo fare, falli indagare. Ormai non è più un problema visto che i documenti non ci sono più. Non arriveranno a nulla. 

- Cosa devo fare quindi?

- Niente. Non fare niente. Lascia che le cose facciano il suo corso. Lasciale libere di scorrere, tu controlla solamente. Colpiremo come farà più male, quando farà più male. Ci sono cose peggiori della morte. Lo scopriranno… 

L’uomo rimase con il telefono in mano. Le luci di New York erano ben visibili dalla sua finestra ad uno dei piani più alti del 5° distretto. Fuori dalla porta del suo ufficio sentiva il via vai di agenti, le grida degli arrestati e dei detective, le porte che sbattevano, le sirene che squarciavano la notte, la legge e la giustizia che facevano il suo corso, malgrado lui. Malgrado loro. Eppure lui a modo suo era convinto di stare nel giusto, non dalla parte dei buoni, ma da quella dei giusti. I buoni sono deboli, pensava, e danno modo al male di diffondersi. Lui era convinto di essere un giusto, che un certo tipo di male fosse necessario per mantenere il l’ordine delle cose ed arrivare ad un bene superiore. C’erano cose e persone che erano sacrificabili al raggiungimento di questo scopo. A cosa serviva avere giustizia per un delitto di oltre un decennio prima se questo voleva dire bloccare un movimento che avrebbe portato benefici a tutti? Quanto era importante, in questo contesto, la vita di una detective troppo tenace e di uno scrittore ficcanaso? Non lo era.

L’uomo si sedette alla sua scrivania, fissò la foto nell’elegante cornice d’argento. Vedeva quei volti sorridenti e sorrise anche lui. Lo faceva raramente. 

—

Quando Richard Castle dormiva aveva un’espressione buffa, sembrava un bambino imbronciato. Aveva passato molto tempo sveglio, Kate lo aveva sentito, dai suoi respiri profondi ed irregolari, da come le accarezzava il braccio con movimenti lenti e quasi impercettibili, ma che era un inequivocabile segno che era sveglio. Poi, scemata l’adrenalina per quella notte movimentata, si era lasciato scivolare nel sonno e quando Beckett sentì il suo respiro più lento e regolare e la sua mano abbandonata sul suo fianco, provò a dormire anche lei. Kate non dormiva più molto in quei giorni e dava la colpa all’inattività, lei che non era una gran dormigliona nemmeno quando era nel pieno delle sue attività, costretta a quel riposo forzato lo era anche meno. Si era quindi svegliata prima di lui, quando fuori era appena l’alba, ma era rimasta immobile vicino a lui guardandolo dormire. Sorrideva nel vedere il suo ciuffo ormai spettinato che si alzava quando sbuffava un po’ più forte e quelle espressioni che faceva lo rendevano adorabile. Forse stava sognando, pensò quando lo sentì mugugnare qualcosa e poi tra le sue parole insensate riuscì a distinguere il suo nome: Castle le diceva che l’amava anche quando dormiva. Sentì il suo cuore accelerare il ritmo improvvisamente ma sapeva che quello non era nessuno scompenso, era lui che le faceva quell’effetto. Lo sentì muoversi un po’, forse si era indolenzito della posizione obbligata, se lo era sempre immaginato come uno che quando dormiva si prendeva tutto il letto muovendosi di continuo, invece quella notte era rimasto praticamente sempre immobile come se anche nel suo subconscio avesse paura di farle del male. Era solo un falso allarme, continuò a dormire serenamente. La luce cominciava a filtrare nella stanza e Kate vide sull’orologio in fondo alla parete che da lì a poco sarebbero arrivate le infermiere per il loro giro di visite mattutino. Forse avrebbe dovuto svegliarlo lei, ma si voleva godere ogni istante di quel Richard Castle tutto per lei, solo per lei. Pensò a quanto si sarebbero arrabbiate le infermiere, a quante ramanzine avrebbero subito, ma se ne fregò. Si preoccupò solo della possibilità che avrebbero potuto impedirgli ulteriori visite, ma era convinta che Rick avesse molte armi per convincere i responsabili dell’ospedale a farlo stare con lei.

- Non immaginavo proprio così la prima notte con te Beckett! - Le disse Rick stiracchiandosi e sorridendo mentre ancora si stava svegliando.

- A dire il vero nemmeno io - disse lei mordendosi il labbro mentre gli accarezzava il petto facendo scorrere la mano sotto la sua camicia.

- Come stai? Io, ecco… Mi dispiace se non hai potuto riposare bene per colpa mia… - Castle provò ad alzarsi per lasciarle spazio ma lei fece una leggera pressione sul suo torace, facendogli capire che non voleva che andasse via.

- Ho riposato molto bene con te. Potrei anche abituarmi, Castle… 

- Ti ho già detto che ti amo Kate? 

- Sì, ma è bello sentirtelo dire. Anche io ti amo. - Beckett rise nascondendo il volto tra le pieghe della sua camicia. Si sentiva stupidamente felice nonostante tutto, imponendosi di non pensare per quanto poteva a tutti i problemi che li aspettavano fuori da lì. Aveva diritto anche lei a quelle pillole di felicità che quei momenti con Rick le regalavano.

- Certo Kate, non potevo immaginare di sorprenderti a letto con Castle proprio qui in ospedale! - Rise Josh appena entrato in camera seguito da due infermiere visibilmente imbarazzate.

Castle scese velocemente dal letto di Kate cercando di infilarsi le scarpe e sistemandosi la camicia parzialmente sbottonata più in fretta che poteva. Troppo in fretta, perché la cassa toracica era ancora indolenzita dal proiettile preso il giorno prima.

- La tua ironia è decisamente fuori luogo, Josh! - Lo riprese Beckett.

- In qualità di tuo medico, devo informarti che è necessario che ancora per un po’ di astieni da certe pratiche, mi capisci, vero? - Il dottor Davidson spostò lo sguardo da Kate a Rick senza togliersi mai quel ghigno dal volto. Si divertiva evidentemente a metterli in imbarazzo.

Le infermiere avevano posizionato sul carrellino le vaschette per riporre le bende che stavano per essere sostituite e lì vicino quelle nuove. Josh indossò i guanti e poi rimase in attesa guardando Kate.

- Hai bisogno di aiuto per spogliarti o ce la fai? 

- Ce la faccio - ripose titubante guardando Rick in un angolo con la coda dell’occhio. Josh seguì il suo sguardo e osservò stupito lei e Castle entrambi molto, troppo,  a disagio.

- Kate non mi vorrai dire che il tuo scrittore non ti ha mai visto… - il tono sarcastico del dottore fu interrotto da Rick che, schiarendosi la voce, si fece spazio tra lui e Kate. Le diede un bacio tra i capelli prima di dirle che sarebbe andato a prendere i caffè. Lei annuì e solo quando fu fuori dalla porta lentamente e non senza dolori si spogliò permettendo a Josh di controllare le sue ferite e di visitarla. Josh fece un cenno alle infermiere ed anche loro uscirono lasciandoli soli. L’uomo percepì l’imbarazzo crescente di Beckett.

- Rilassati, non ti devi vergognare di me, non c’è niente che non abbia già visto. - Le parole del dottore, però, la misero ancora più a disagio ed istintivamente provò ad incrociare la braccia al petto, una mossa stupida, visto che era proprio lì che avrebbe dovuto visitarla - Kate… intendevo come medico… non è la prima volta che controllo il tuo decorso.

Le sue mani si muovevano velocemente sul suo corpo e Kate evitava di guardarlo. Sapeva che non era usuale che fosse lui a fare queste cose, sapeva che era una sua scelta, l’unica cosa che non sapeva era il perché.

- Perché stai facendo tutto questo Josh? Cosa vuoi? - Gli chiese

- Sono il tuo medico, mi assicuro che tutto vada per il verso giusto.

- Non mi prendere in giro, per favore…

- Da quanto va avanti Kate? Anche quando stavamo insieme c’era lui?

- È questo il problema? Vuoi sapere se ti ho tradito con Castle? No… non l’ho mai fatto…

- Da come lo dici sembra quasi che ti dispiaccia… È così? - Aveva appena finito, si era tolto i guanti e poggiato tutto il contenuto nella vaschetta.

- Se davvero pensi questo di me, non credo che abbiamo più molto da dirci, dottor Davidson. - Gli disse rivestendosi e sottraendosi finalmente dal suo sguardo.

- Evidentemente no, detective Beckett. Domani tornerà il tuo cardiochirurgo ed io poi partirò per la Sierra Leone. Stammi bene Kate.

- Addio Josh. 

- Fai attenzione, li ho appena presi, sono molto caldi - Castle porse Beckett una delle due tazze di caffè. Era insolitamente seduta su una delle due poltroncine vicino al tavolo. Notò che si era cambiata, si era avvolta in una leggera vestaglia cerulea, non molto allegra, ma comunque meglio di quel bianco consueto. Si sedette vicino a lei appoggiando la sua tazza sul tavolo e lei fece lo stesso. Prese una delle sue mani, fredda, come sempre, nonostante la stagione e la temperatura. Kate guardava in basso disegnando con il dito della mano libera il bordo del bicchiere con cerchi infiniti.

- Va tutto bene? La visita… è tutto ok? - Chiese lui timoroso che ci fosse qualcosa che non andava, un peggioramento? Era stata colpa sua che non l’aveva fatta riposare bene?

- Sì… tutto bene… - Rispose poco convinta.

- E allora? Che c’è?

- Josh… - sospirò Kate

- Cosa ha fatto? - Le chiese Rick accarezzandole la mano

- Nulla… mi dispiace per prima. Non è semplice questa situazione.

- C’è mai stata una situazione semplice che ci ha visto coinvolti? Non direi. Quindi siamo nell’ordinario. - Castle aveva provato ad alleggerire un po’ la situazione, ma la battuta gli uscì un po’ troppo acida, riuscendo a nascondere poco quel sentore di fastidio che provava ogni volta che Josh entrava in qualche modo nelle loro e nei loro discorsi.

- Sei geloso di lui? - La domanda le venne spontanea ma subito si morse l’interno della guancia per essersi lasciata sfuggire quella considerazione che era un’implicita ammissione di cosa c’era tra loro e che ancora faticava a dirselo.

- Sì! - Rispose Castle senza esitazioni.

- Come sì? - Disse Beckett stupita.

- Dovevo dire no? - Chiese Rick più stupito di lei.

- Sì, cioè, no. Insomma, non pensavo che ammettessi di esserlo!

- Perché non avrei dovuto dirlo? È vero! - Le disse lui con la faccia di chi diceva l’ovvio ed era lei quella strana che non capiva.

- Perché è il mio dottore, non lo devi vedere come il mio ex! - Lo ammonì bonariamente

- Non lo vedo come il tuo ex! Lo vedo come un uomo! - Kate lo guardò e rimase un attimo a bocca aperta senza replicare e Castle si godette il risultato della sua risposta. Era sempre estremamente compiaciuto di se stesso quando la lasciava senza parole.

- Quindi sei geloso di tutti gli uomini, Castle? - Chiese Beckett sgranando gli occhi e ricevendo per risposta solo un’alzata di spalle, come se fosse ovvio e naturale che fosse così. Kate guardò verso l’alto scuotendo la testa e trattenendo un sorriso. Abbassando lo sguardo si soffermò a guardarlo, lui non aveva smesso un attimo di fissarla, invece. - Non ne hai motivo.

L’ultima frase di Kate fu appena un sussurro che fece sussultare Rick come se gliel’avesse urlata. Assaporarono qualche sorso di caffè, per un attimo fu come tornare ai vecchi tempi. Castle poi cominciò uno dei suoi racconti e le disse di chiudere gli occhi ed immaginare di essere seduti al tavolino di un caffè, un di quelli in periferia, un po’ nascosti, con poca gente e molto silenzio, dove le signore vanno per leggere un libro in tranquillità e le coppie di amanti si rifugiano per cercare qualche un momento in cui prendersi per mano senza correre il rischio di essere scoperti e a Kate per qualche istante sembrò veramente di essere lì, in quel posto fantastico creato da Castle solo per loro.

- Domani torna il mio cardiochirurgo, Josh va in Africa. - Beckett spezzò l’incantesimo riportandoli alla realtà

- Ti dispiace?

- No! Ti ho dato questa impressione? - Si affrettò a replicare sconcertata. Era tutto tranne che dispiaciuta

- No, io stavo solo chiedendo… 

- Rick, te l’ho già detto. Josh mi piaceva, non posso negarlo, mi piaceva molto. Ma non era abbastanza, non era quello che volevo. - Fu lei questa volta a prendergli le mani, entrambe. Erano grandi le mani di Castle, e non riusciva a tenerle tra le sue, poteva al massimo appoggiare i palmi sopra i suoi pugni. - Non era te.

Ora era lei ad averlo lasciato senza parole. Quelle dichiarazioni erano così inaspettate e così poco da lei che faceva fatica ad assimilarle correttamente. Ripensava alla faccia di Josh di poco prima, quando li aveva visti insieme e a quel sorriso derisorio nel vedere il loro imbarazzo. Non gli importava cosa pensasse di lui, nella sua vita aveva cose ben più importanti che rendere conto a Josh. Per Castle non era un problema che non lo considerasse all’altezza di Kate, che non fosse abbastanza per lei, lo aveva capito da come lo aveva guardato ma ancora di più da come aveva guardato lei, con quell’espressione come a volergli dire “Maddai Kate, ti accontenti di così poco?”. Ma quello sì, quello gli dava fastidio, quello sguardo di biasimo e pietà che le aveva rivolto lo infastidiva molto. 

- Il tuo dottore non sarebbe molto d’accordo su questo - Sorrise lui infine.

- Non mi importa nulla di cosa pensa lui, nè di cosa pensa chiunque altro, Castle. A te sì?

- No. Non importa nulla nemmeno a me.

Le prese la tazza di caffè prima che ne bevesse ancora e lei lo fulminò con lo sguardo.

- Ne hai bevuto già abbastanza, non esagerare. - Rick odiava essere lui tra i due quello responsabile e assennato, aveva unilateralmente deciso che sarebbe stata lei quella che doveva esserlo. Kate sospirò ma sapeva che aveva ragione lui.

- Vado a casa a farmi una doccia e a cambiarmi… Puzzo ancora di bruciato… - sorrise Rick ricordandosi quello che le aveva detto la notte appena passata.

- Pensa che dovrò ricordarmi per sempre che la prima notte che abbiamo passato insieme sembrava che ti avessero affumicato. - Avevano trattato solo così l’argomento, sdrammatizzando, e sapevano entrambi che questo voleva dire solo che gli faceva paura, più di quanto volessero ammettere.

Rick la aiutò a rimettersi a letto e la salutò con un delicato bacio sfiorandole appena le labbra. Era come mettere un bicchiere di pregiato whisky sotto il naso di un alcolista, ne avrebbe voluto bere tutta la bottiglia.

- Torni più tardi? - Glielo chiese con una tale dolcezza e speranza che non se ne sarebbe mai andato. Le diede un altro bacio.

- Sempre.

Rick aveva quasi raggiunto l’ascensore quando si sentì chiamare da una voce fin troppo conosciuta.

- Cosa vuoi Josh? - Chiese al dottore dietro di lui

- Perché?

- Perché cosa?

- Perché lei? Tu sei un uomo del jet set, hai modelle ed attrici che ti girano intorno, ogni tipo di donna che vuoi ti si struscia addosso ad ogni festa…

- Vedo che seguivi attentamente la pagina 6 del Ledger… - Lo interruppe Castle ridendo nervosamente

- Perché Kate? Perché con tute le bellissime donne che puoi avere hai scelto lei?

Rick appoggiò una mano sulla spalla del dottore e scosse la testa.

- Vedi Josh, quanto tempo sei stato insieme a Kate? Dovrebbe essere abbastanza per darti da solo una risposta. Se parliamo di bellezza Kate non ha nulla da invidiare a nessuna delle donne da copertina che puoi trovare ad un qualsiasi party, ma la sua vera bellezza non è lì e se non lo hai capito e lo devi chiedere a me perché lei e non chiunque altra… beh sei tu che non hai capito nulla di lei e non la meriti, non l’hai mai meritata. Ma ora, non è più affar tuo, giusto? Buon viaggio Josh.

Diede due pacche sulla spalla del dottore e poi entrò nell’ascensore guardandolo mentre le porte si richiudevano tra di loro.

Alla fine Beckett si era convinta: quando sarebbe uscita non sarebbe tornata nel suo appartamento. Avevano trovato un compromesso che forse scontentava tutti, la Gates che avrebbe voluto che andasse fuori città, Castle che l’avrebbe voluta portare all’estero e lei stessa che voleva tornare a casa sua, alla sua vita normale. Fu Jim alla fine a convincerla che non era sicuro per lei tornare lì, soprattutto dopo che qualcuno si era intrufolato a casa sua mettendo tutto sottosopra. Sembrava non avessero rubato nulla, ma sicuramente cercavano qualcosa che non avevano trovato.

Quando la Gates in persona era andata in ospedale a dire a Kate di quella intrusione in casa sua, Rick era con lei: era rimasto  in silenzio ad ascoltare la breve conversazione tra le due donne senza esprimere un’opinione al contrario di quanto faceva sempre, anche quando non era richiesta. Aveva continuato a rimanere in silenzio anche quando il capitano se ne era andato e li aveva lasciati soli, giocava con il portachiavi della macchina facendo roteare tra le dita la chiave elettronica, aprendola e chiudendola nervosamente. Litigarono, furiosamente, con Rick che accusava Kate di non pensare a se stessa e a loro e lei che accusava lui di voler interferire con la sua vita e voler prendere decisioni al posto suo. Castle se ne andò, sbattendo la porta, urlandole che poteva tornare a farsi ammazzare, come sempre, fregandosene di tutte le persone che l’amavano. Il rumore della porta rimbombò nella stanza ma ancora di più dentro di lei. Fu Castle fuori da lì a chiamare Jim e spiegargli quanto accaduto e a chiedergli di provare dove lui non era riuscito, far ragionare sua figlia e Jim ci riuscì, con pazienza e determinazione, andando a toccare quei nervi scoperti di Kate che aveva imparato ad individuare quei giorni. Non le aveva detto nulla, ma aveva capito che tra lei e Castle c’era qualcosa di più dell’essere semplicemente colleghi, lo aveva capito da come lui si preoccupava per lei, da come lei parlava di lui. Le aveva anche proposto di tornare alla casa di montagna ma non aveva insistito quando aveva visto Kate opporsi con veemenza: aveva troppi brutti ricordi dell’anno precedente legati al quel posto, le sue crisi con Josh, la paura che non la faceva dormire e le faceva rivivere il momento dello sparo ogni notte, la mancanza di Castle ed il pensare continuamente alle sue parole che più voleva dimenticare, più tornavano con insistenza. Finito di parlare con suo padre aveva richiamato Rick, per scusarsi del suo comportamento e per chiedergli di andare da lei, perché gli doveva parlare. Aveva pianto, si era arrabbiata, gli aveva detto che era stanca di combattere contro i mulini a vento, contro i nemici invisibili. E anche Castle si era arrabbiato, aveva alzato la voce ma non se ne era andato, aveva ascoltato il suo sfogo e poi aveva lasciato che piangesse sulla sua spalla. Poi parlarono, con calma. Decisero, quindi, che uscita dall’ospedale Beckett sarebbe andata per qualche tempo a stare in hotel dove avrebbe vissuto sotto scorta fino a quando le acque non si fossero calmate. Avrebbe avuto bisogno ancora un bel po’ di tempo per riprendersi dall’agguato subito e lì poteva farlo in tutta calma, senza affaticarsi. Rick le aveva proposto anche di andare da lui, avrebbe avuto tutto lo spazio di cui aveva bisogno ed ogni tipo di comfort, oltretutto il suo palazzo era sicuro ed era facile poterlo mettere sotto controllo, ma lei declinò, perché non era il caso, perché era troppo presto, perché avrebbero dovuto spiegare troppe cose che lei non voleva spiegare. Non ancora.

Era arrivato, alla fine, il giorno in cui sarebbe uscita dall’ospedale. Quella mattina erano tutti lì. C’erano Ryan ed Esposito che l’avrebbero accompagnata nella sua nuova sistemazione. C’era Price, che negli ultimi giorni era passato spesso in ospedale a trovarla, suscitando più di qualche volta il disappunto di Rick. C’era Lanie che l’aveva aiutata a prepararsi e sistemare le poche cose che aveva lì in una borsa. C’era suo padre che la osservava in silenzio da lontano. C’era la Gates che solo con lo sguardo sembrava coordinare ogni azione, anche quella dei medici. C’erano tutti, tranne Castle. Le aveva detto che aveva un impegno improrogabile con la sua casa editrice, un’importante intervista concordata da tempo. Si era dispiaciuta, molto, anche se non aveva voluto dirglielo nè farglielo notare.

Aveva quindi ascoltato diligentemente tutte le indicazioni dei medici, le prescrizioni delle medicine che doveva prendere, la dieta che doveva seguire e tutte le attività che poteva o non poteva fare. Non poteva fare nulla, secondo lei. Tra quello che le proibivano i medici e quello che le aveva proibito la Gates aveva pensato che tanto valesse rimanere in ospedale, tanto sarebbe stata comunque chiusa in una stanza chissà dove in città a fare zapping in tv e leggere libri. Aveva già il voltastomaco e si era già pentita di aver detto sì a quella folle idea. Per quanto poi sarebbe dovuta rimanere segregata? Fino a quando non avrebbero scoperto chi l’aveva aggredita? E se fossero passati mesi o anni cosa avrebbe fatto, avrebbe vissuto così per sempre? “Almeno fino a quando non sarai di nuovo in forma” le aveva detto Lanie cercando di farla ragionare ed indorandole la pillola, aveva provato a farle vedere la situazione da un punto di vista diverso, doveva comunque trascorrere quei mesi di convalescenza lontana dal lavoro, lo avrebbe solo fatto in un luogo neutro, dove non si sarebbe affaticata troppo. Beckett non ne fu troppo convinta.

Le rimaneva solo una cosa da fare. Andare in amministrazione per firmare il foglio delle dimissioni e regolarizzare la sua posizione. Aveva chiesto una copia della documentazione da inviare alla sua assicurazione e quando l’impiegata le diede al sua ricevuta dicendole che era tutto apposto ed il Signor Castle aveva già provveduto saldare il conto cadde dalle nuvole, ma fece finta di nulla, prendendo la busta con le ricevute ed il riepilogo dei trattamenti ricevuti durante la sua degenza. Uscì dall’amministrazione stringendo tra le mani quella busta e tutta la sua frustrazione. Ancora una volta Castle aveva fatto qualcosa senza dirle nulla, aveva preso da solo delle decisioni che la riguardavano. Si sentiva tradita, ancora una volta e faceva ancora più male, perché non era nemmeno lì per chiedergli spiegazioni.

Seguì silenziosamente Ryan ed Esposito verso il parcheggio. Suo padre sarebbe andato con loro, glielo aveva chiesto lei, non voleva rimanere sola in un luogo sconosciuto ed anonimo, dove non c’era niente di se e della sua vita. Aveva fatto il giorno prima una breve lista delle cose che avrebbero dovuto prendergli a casa e se ne era occupata Lanie, lasciando la valigia in macchina dei detective. Non l’aveva potuta accompagnare, doveva tornare all’obitorio per un duplice omicidio commesso poco prima.

- Perché siamo qui? - Chiese Beckett davanti all’entrata dell’hotel di lusso dove Esposito aveva fermato l’auto. Un concierge aveva già aperto il portabagagli e messo le sue due valige in un carrello.

- È dove passerai la tua convalescenza. - rispose Ryan

- Non scherzate, la polizia non si può permettere queste sistemazioni

- No, infatti c’è un benefattore che se ne è fatto carico. - continuò l’irlandese. Non c’era bisogno che nessuno dicesse chi fosse. Kate guardò suo padre con lo sguardo interrogativo

- Tu lo sapevi? 

Jim Beckett alzò le spalle

- Non quale hotel fosse di preciso…

- Non se ne parla. Chiamate la Gates e annullate tutto.

Kate poi prese il cellulare componendo freneticamente il numero di Rick che però non era raggiungibile.

- Beckett ragiona. Non possiamo cambiare tutti i piani adesso. Rimani qui per ora, poi chiama la Gates e senti cosa ti dice.

Aprì lo sportello e fece per uscire troppo velocemente per quanto il suo fisico glielo permetteva. Si appoggiò con le mani al tetto dell’auto imprecando contro se stessa. Disse poi a suo padre che aveva cambiato idea. Voleva rimanere da sola. Un uomo all’entrata dell’hotel la avvicinò, salutò i detective in macchina, le mostrò il distintivo e poi fece segno al ragazzo addetto ai bagagli di seguirli. L’agente Forster le spiegò brevemente come si sarebbero svolte le cose ma Kate lo fermò subito dicendogli che conosceva la procedura. In ascensore tintinnava nervosamente con le dita sulla parete osservando il display luminoso che indicava i piani man mano che salivano. Si fermarono al 47 piano. Girarono nel corridoio a sinistra e a Kate non ci volle molto per capire quale fosse la sua stanza, data la presenza di due uomini fuori dalla porta in fondo al corridoio. Foster la lasciò libera di andare, osservandola camminare seguita dal concierge, mentre faceva un cenno di assenso ai due agenti di guardia che si spostarono di qualche passo per permettere al ragazzo di strisciare la carta magnetica ed aprire la porta per farla entrare, portando dentro i suoi bagagli. L’avrebbe aiutata a sistemarli in camera, ma lei lo congedò dice dicendo che voleva rimanere sola. Si rese conto di dove fosse solo quando chiuse la porta alle sue spalle e si guardò intorno in quella che non era una camera ma un vero e proprio appartamento con una cucina completamente accessoriata a vista sul soggiorno dove due ampi divani erano vicino alle vetrate panoramiche; una grande tv al plasma e un tavolo da pranzo completavano quell’ambiente molto più confortevole di quanto si fosse immaginata il luogo della sua permanenza. Una porta in fondo alla stanza separava quell’ambiente dalla camera da letto. Appoggiò la borsa sul bancone della cucina, si tolse le scarpe è camminò sulla morbida moquette fino a raggiungere l’altra stanza dove un grande letto matrimoniale dominava l’ambiente mentre da un lato c’era una stazione di lavoro e alle spalle la cabina armadio e dall’altro l’ampio bagno con la vasca idromassaggio.

Sentì il campanello della stanza ed andò ad aprire senza nemmeno chiedere chi fosse, convinta che potesse essere qualcuno dell’hotel o Foster che le dovevano comunicare qualcosa. Si trovò davanti, invece, il sorriso e gli occhi azzurri di Castle.

- Posso entrare? - Chiese vedendo che Kate non si spostava dalla porta impedendogli il passo.

- Ma certo, fai come se fossi a casa tua, anzi credo che sia così visto che paghi tu! - Disse sarcastica.

- Ti piace? - Le chiese mentre poggiava in cucina quattro buste piene di cose da mangiare che senza chiedere il permesso aveva cominciato a riporre in frigo e negli scaffali

- Non ha importanza non intendo rimanere qui a lungo, Castle!

- Perché no? C’è tutto quello di cui hai bisogno! È confortevole, ha anche la piscina e la palestra dove puoi fare gli esercizi per rimetterti in forma.

- Non voglio abusare della tua generosità. Puoi fare beneficenza a favore della polizia di New York in altri modi, aiutando chi ne ha bisogno.

- Non sto facendo beneficenza - Disse smettendo di sistemare ed andando vicino a lei - Ho solo cercato un posto dove tu puoi stare bene e non farti mancare niente.

- Non sono una delle donne che compri ostentando la tua ricchezza, Castle!

- Cosa? Kate ma che stai dicendo? Comprarti? Ma… Io… Io voglio solo il meglio per te. 

- Perché tutto questo Castle?

- Per te. Ma lo avrei fatto in ogni caso, non voglio niente in cambio. Mi dispiace se pensi il contrario, che voglio comprarti… Mi dispiace molto se pensi che compro le donne con i miei soldi. Per me non contano, servono solo a far star bene le persone importanti della mia vita e tu lo sei, che tu lo voglia o no, questo non lo puoi cambiare. - Kate non riusciva a guardarlo negli occhi, sapeva che lo aveva ferito, lo sentiva dal tono della voce e dalla postura dimessa - Io avevo fatto la spesa, avrei voluto cucinare per te qualcosa, ma forse non è il caso. Se non te la senti di cucinare puoi chiamare il room service, è tutto compreso nel pacchetto beneficenza offerto da Richard Castle alla polizia di New York. 

Rick stava per aprire la porta della stanza ed uscire quando sentì la stretta di Kate sul suo braccio.

- Aspetta… - Castle non si voltò ma si fermò - … se tu ne hai sempre voglia mi piacerebbe che cucinassi qualcosa per noi.

- Per noi? - le chiese Rick girandosi

- Per noi.

- Ok… - Sospirò lui tornando in cucina e lasciandola lì ferma a guardarlo mentre cominciava subito a tirare fuori pentole.

Una semplice pasta al pomodoro, questo le aveva promesso. Si era informato anche lui della dieta che doveva seguire e questa era ammessa. Beckett lo osservò tagliare i pomodoro freschi a pezzettini, cuocerli in padella con un filo d’olio e degli aromi e poi saltare gli spaghetti. Il profumo del pomodoro e del basilico fresco avevano invaso la stanza quando Rick con espressione estremamente soddisfatta portava i piatti a tavola. 

Mangiarono in silenzio se si escludevano i complimenti che Kate gli aveva fatto: era la pasta più buona che avesse mai mangiato, ma Rick le disse che era solo perché era appena uscita dall’ospedale e quei complimenti non valevano, li avrebbe dovuti riconfermare dopo una serie di pasti decenti.

- Beh… io vado… - Rick si stava asciugando le mani dopo aver messo i piatti nella lavastoviglie e ripulito la cucina, il tutto sotto lo sguardo di Kate alla quale gli aveva impedito in modo categorico di fare nulla per aiutarlo. Era rimasta appoggiata al muro guardandolo sistemare in silenzio, proprio come aveva fatto prima mentre cucinava. Pensò che nessuno aveva mai fatto questo per lei, ma era un pensiero ricorrente quando si trattava di lui. Provò rabbia per se stessa, per non riuscire ad essere diversa da quella che era, per la paura che la bloccava, per non riuscire a lasciarsi andare a quello che dentro di se voleva: lui.

Doveva darsi una scossa, fare una prova di forza contro se stessa, scavalcare le macerie del muro che lui aveva pazientemente buttato giù, ma che ancora li dividevano. Negli ultimi giorni le sembrava che invece che andare avanti avessero fatto dei passi indietro, intimoriti entrambi della situazione che stava cambiando, del doversi confrontare con loro stessi in un contesto diverso, non più riparati dalle mura dell’ospedale, dove era la situazione stessa a fornirgli l’alibi per mantenere un comportamento interlocutorio.

- Devi andare? - Gli chiese senza avere ancora il coraggio di buttarsi

- No. In realtà non ho nessun impegno.

- Allora non andare. -  Gli disse perentoria. Si era avvicinata a lui e gli aveva bloccato entrambi i polsi lasciati scoperti dalle maniche della camicia arrotolate.

- Ok… - Rick sembrava quasi intimorito dalla decisione con la quale gli parlava e lo teneva stretto.

Lasciò che si avvicinasse a lui, fino a quando non si appoggiò contro il suo petto. Era scalza, senza i suoi tacchi vertiginosi con i quali era abituato a vederla, e le sembrò ancora più un fragile oggetto prezioso da proteggere. Rimase immobile fino a quando non lasciò i suoi polsi per abbracciarlo, sentiva le dita premere sulla schiena mentre nascondeva il viso sulla sua spalla  che però non nascondeva i suoi sospiri profondi accompagnati da strette più vigorose, allora la abbracciò anche lui, circondandola completamente con le sue braccia.

Kate lasciò scivolare la mano lungo la sua schiena e Rick fece lo stesso, come se i loro movimenti fossero concordati si muovevano in perfetta sincronia e si trovarono sfiorandosi prima toccandosi poi fino ad intrecciare le loro dita in una stretta che era di più di prendersi la mano come tante volte (sempre) avevano fatto negli ultimi tempi. Era una loro promessa implicita e silenziosa, di tenersi e non lasciarsi.

I passi che li dividevano dai grandi divani della stanza erano pochi e Rick si lasciò condurre da Kate, sedendosi lui, per primo, in un angolo lasciando che fosse lei a decidere le distanze che di fatto non ci furono, annullate nel momento stesso in cui lei si mise così vicina a lui da obbligarlo ad alzare un braccio per farla adagiare addosso a lui. 

Kate accarezzò il volto di Castle, spostando la mano poi sulla nuca giocando con i suoi capelli. Si guardavano negli occhi, tremendamente vicini e lei si avvicinò ancora di più, lasciando che le punte dei loro nasi si sfiorassero, che i loro respiri si confondessero e andò anche con l’altra mano a solleticare la pelle del collo di lui ed accarezzare la sfumatura dei capelli, impedendogli di fatto di allontanarsi, non sapendo (o forse sì) che non lo avrebbe mai fatto. Rimasero un tempo indefinito così, con gli occhi chiusi, sentendosi, respirandosi. In quel momento era tutto troppo: troppa la voglia di trovarsi e la paura di perdersi, la necessità di andare avanti ed il terrore di farlo. Troppo il desiderio di loro che fu Kate a colmare avvicinandosi di più, distruggendo la distanza nello spazio e nel tempo, sfiorando il labbro superiore di Rick con la sua bocca e poi solleticandolo con le sue, facendogli capire che non era più il tempo delle parole, del temporeggiare, dei ti amo platonici e lui dischiuse la sua bocca, lasciando che fosse lei, ancora, a scegliere come e quanto assaporarsi, in un bacio che nacque dolce e lento, carezze labbra su labbra, per poi lasciarlo esplodere in tutto quello che avevano dentro e che trovò sfogo quando anche Castle prese il volto di lei tra le mani e si separò dalla sua bocca, solo per guardarla quel tanto che bastava per farle capire quanto desiderasse vivere quel momento e poi tornare a baciarla con tutta la passione e l’amore che aveva. Si erano sussurrati a vicenda un “ti amo” che era stato poi inghiottito dai loro baci che si susseguivano ora più profondi ora più delicati come se dovessero recuperare tutta la vita che avevano perduto nell’evitare quello che sembrava a quel punto inevitabile: potevano solo stare insieme.

Avevano parlato molto nei giorni precedenti, ora sembravano non voler parlare più, anche se avevano molte cose di cui discutere, sopratutto Kate, aveva molte cose di cui chiedergli conto, ma passò tutto il secondo piano. Beckett era rannicchiata sul divano, con la testa appoggiata sulla spalla di Castle, mentre accarezzava il suo petto da sopra la camicia.
Non avevano più la percezione del tempo.
Si accorsero quante ore erano passate solo quando si ritrovarono nella penombra e guardando fuori, vedevano New York avvolta dalle prime luci della sera. Si guardarono e risero, una delle tante volte di quel pomeriggio e Kate non avrebbe mai pensato quella mattina che il suo primo giorno fuori dall’ospedale sarebbe stato così. Si immaginava sola, in una stanza piccola e anonima a cercare di leggere qualche pagina di uno dei libri che si era fatta portare ed invece era stata tutto il pomeriggio tra le braccia di Castle e non importava dove, sarebbe andata bene anche quella piccola ed anonima stanza della sua mente. Era stata felice, era stata leggera e senza pensieri. Tutto quello che da tempo non era riuscita più ad essere lo era stata in un solo pomeriggio con lui, lasciando che Castle fosse Rick e lei fosse Kate, senza muri, senza barriere e senza paure, libera di ridere alle sue battute sceme, di baciarlo ogni volta che ne aveva voglia, di lasciarsi baciare quando era lui che voleva farlo. Per un pomeriggio aveva chiuso fuori da quella porta la vita reale, le paure, le scelte, il sentirsi braccata da qualcosa di diverso delle braccia di lui che non l’avevano mai lasciata. 

Le era piaciuto stare ad ascoltare i suoi racconti su tutte le volte in cui avrebbe voluto baciarla nel corso di quegli anni: ripercorreva momento dopo momento cominciando dal loro primo caso insieme. Così le aveva detto che quando lo aveva salutato in strada e dopo averlo provocato se ne stava andando, avrebbe voluto fermarla e baciarla lì, fregandosene di tutti quelli che li potevano guardare, anche se sapeva che dopo avrebbe rischiato come minimo uno schiaffo. Beckett annuì, specificando che uno schiaffo sarebbe stato il minimo e lui sorridendo la baciò. Era il bacio che le avrebbe voluto dare quel giorno ma non ci fu nessuno schiaffo, dopo. E continuò così recuperando quei baci non dati uno dopo l’altro, lasciando Kate senza parole per come si ricordasse perfettamente ogni momento, ma si stupì ancora di più di se stessa perché li ricordava tutti anche lei. Così bacio dopo bacio si era fatta sera ma Castle era ancora all’inizio del ripercorrere la loro storia.

- Ci vorranno molti altri pomeriggi così per arrivare fino ad oggi. Mi devi tanti baci Kate… - Disse baciandola ancora - … Tanti, tantissimi baci…

Kate rimase con le labbra socchiuse a e la testa leggermente inclinata, sospesa a mezz’aria dopo che Rick si era staccato da lei, dopo che le aveva morso il labbro superiore e lo aveva tenuto tra le sue labbra succhiandolo senza volerlo lasciare andare. Lo aspettava di nuovo, come era stato per tutto il pomeriggio, quando se Rick non parlava era perché la stava baciando sulle labbra o, se parlava lei, ma lo aveva fatto molto poco, sulla guancia scendendo lentamente sul collo e soffermandosi lì, in quel punto che aveva trovato subito come se ne avesse sempre conosciuto l’esistenza, dove lei era più sensibile e dove i baci le davano quel brivido in più. Più di una volta si era lasciata andare ed aveva manifestato tutto il suo apprezzamento per quel tocco gentile e deciso delle sue labbra, facendo nascere sul volto di Rick un sorriso che lei non avrebbe mai visto. Lui in compenso aveva visto tutti quelli di lei: quelli stupiti, quelli felici, quelli emozionati e quelli provocanti. L’aveva vista sorridere con gli occhi prima che con ogni altra parte del corpo, li aveva visti luccicare, ci aveva visto se stesso riflesso e se ne era innamorato sempre di più perché non c’era cosa più bella che vedere lei che lo guardava con quell’intensità e quella gioia. Non l’avrebbe mai immaginato quando era entrato lì ed era stato nuovamente attaccato da lei rintanata dietro le sue barriere, ma alla fine c’era riuscito, l’aveva resa felice quel pomeriggio, lo sapeva ed era la sensazione migliore che potesse provare, non desiderava altro, da sempre. Rick sapeva che lo poteva fare, forse sarà stato presuntuoso da parte sua pensarlo ma aveva sempre saputo che se lei glielo avesse permesso, lui sarebbe stato in grado di renderla felice, perché lo sentiva dentro che se il destino li aveva fatti incontrare c’era un motivo e quel motivo era tanto semplice quando ineluttabile, lui avrebbe dovuto farla uscire dalla torre nella quale si era rinchiusa e regalarle la felicità che lei meritava.

Si allontanò dal suo volto non prima di averle dato ancora un rapido bacio su quelle labbra rosse e gonfie, che testimoniavano quante volte lo aveva già fatto e che erano lì apposta per essere baciate ancora e ancora. Poi diede un colpetto sulla punta del naso con un dito e le sorrise e lei fece altrettanto. Le accarezzò una guancia con il dorso della mano andando a liberarle il viso da una ciocca di capelli che copriva in parte il suo profilo perfetto.

Ormai la stanza era quasi al buio, se si escludevano le luci che venivano da fuori ed una abat-jour su un mobile in fondo alla stanza che doveva essere rimasta accesa da sempre. Nessuno dei due voleva andare ad accendere la luce, perché sarebbe stata un’ammissione del tempo che era passato, inesorabile, era come se avessero paura che una volta che si fossero alzati da lì, la magia che li aveva racchiusi quel pomeriggio sarebbe svanita. Per Kate sarebbero tornate le paure, le preoccupazioni, il giusto e lo sbagliato, sarebbero tornati i dolori che aveva fatto finta di non sentire ed il buon senso a bussare alla porta della sua mente. Era stato tutto troppo per essere vero. Troppo bello, troppo coinvolgente, troppo perfetto e lei alle cose belle e perfette non ci credeva, perché poi arrivava sempre la realtà a farle ingoiare un boccone amaro, era accaduto così ogni volta che si era concessa di lasciarsi andare al sogno, ma Castle era troppo reale per permettersi di lasciarlo andare, di farlo inghiottire dai suoi incubi e dalle sue paure, per questo quando lui si allontanò, provando ad alzarsi lei si aggrappò alla sua camicia, impedendoglielo. Nelle mani strette sulla stoffa, nel viso nascosto tra le pieghe Rick percepì la sua paura e mai nessuna donna lo aveva mai stretto così, solo Alexis, quando era piccola ed aveva gli incubi, si aggrappava alla notte con forza al suo pigiama impedendogli di andare via dal suo lettino o obbligandola a portarla con sé ed avrebbe dormito tutta la notte tenendolo stretto e facendosi avvolgere dalle sue braccia protettive, proprio come faceva ora con Beckett. Non si era alzato, l’aveva anzi stretta a se cullandola, proprio come faceva con sua figlia quando era una bambina, aspettando che fosse lei a lasciarlo andare, quando si fosse sentita sicura. Nella sua vita Kate aveva attraversato uno tsunami e mille mari tempesta che l’avevano scossa, sbattuta da un porto all’altro inerme, lasciandosi trasportare dalle onde annullandosi senza opporre resistenza nè scegliere più la sua destinazione, pensando solo a sopravvivere. Ora quello che desiderava era solo un porto sicuro, il suo porto sicuro che era Castle, ma quegli uragani e quell’essere in balia delle onde, aveva lasciato dentro di lei dei segni indelebili e l’inquietudine che solo le tempeste in mare aperto possono avere. Lasciare la presa le sembrava come lasciare le funi che la tenevano in salvo ormeggiata al porto con la paura che la tempesta la trascinasse di nuovo via, lontana dalla pace e della felicità che lui le donava. Non aveva capito quanto avesse bisogno di lui fino a quando non aveva abbassato le ultime difese e si era abbandonata Rick: non era più solo bisogno ma necessità e in quegli istanti si chiese come aveva fatto a vivere fino ad allora senza conoscere la serenità che le braccia di Castle le sapevano donare. Rick le accarezzò dolcemente i capelli mentre sentiva che le sue mani allentavano la presa.

- Kate… Amore…

Lei alzò gli occhi e lo guardò imbarazzata di quel gesto istintivo che mostrava la sua fragilità.

- Scusa… Immagino che devi andare, vero?

Rick controllò l’ora, era più tardi di quanto pensava, in effetti.

- Se vuoi possiamo cenare insieme. Fammi solo avvisare mia madre.

- Alexis? - Non aveva più chiesto di sua figlia, se ne sentiva in colpa.

- È in Europa con le sue amiche. Abbiamo fusi orari diversi - le disse divertito - L’ho chiamata prima di venire qui.

- Sei sicuro che non ti dispiace rimanere? - Voleva esserne sicura, perchè le sembrava ancora impossibile che fosse lì, che tutto quello fosse vero.

- Sì, Beckett, in realtà vorrei essere altrove, tipo a casa a giocare con la mia xbox e fare la Rock Star con Guitar Hero, però ogni tanto devo fare qualche buona azione, tipo passare del tempo con la donna che amo, è un sacrificio lo capisci, vero?

Glielo disse così serio che all’inizio ci stava anche credendo e si era già rabbuiata, se ne accorse anche Rick che scoppiò a ridere prima di darle un altro bacio ed alzarsi dal divano. Recuperò il cellulare nella tasca della giacca, non ricordava nemmeno quando lo aveva messo silenzioso, forse prima di andare da lei, e trovò varie chiamate di Gina e messaggi in cui gli intimava di richiamarlo il prima possibile. C’erano anche delle foto di Alexis insieme alle sue amiche con le orecchie di topolino e lo sfondo del castello di Disneyland a Parigi e le venne subito in mente quando la portava ogni estate Disneyworld ed aveva ancora adesso, a distanza di anni, se chi tra i due si divertisse di più era lei o lui.

Rick si era messo in fondo alla stanza vicino alla finestra mentre parlava con sua madre ed inventava scuse per rimanere fuori a cena, come se fosse un adolescente che doveva giustificarsi. Vide Kate sorridere riflessa nel vetro mentre lui gesticolava esasperato dalla madre troppo curiosa di sapere cosa stava combinando e la vide anche sofferente alzarsi tenendosi l’addome e respirando profondamente. Si voltò e non stava già ascoltando più Martha, chiuse rapidamente la conversazione e si avvicinò a lei.

- Se stavi male e ti eri affaticata a stare seduta dovevi dirmelo. Scusami io non ci ho proprio pensato.

- Volevo stare lì.

La convinse ad andarsi a stendere e la seguì in camera da letto. Prese una delle sedie e la mise vicino a lei, per sedersi lì vicino come aveva sempre fatto in ospedale.

- Castle… Qui c’è spazio… - Gli disse indicando l’altra metà del grande letto. Rick rimase un attimo interdetto e poi si sdraiò al suo fianco e cominciò a leggerle tutto il menu del room service, scartando quelli che secondo lui non erano piatti che poteva mangiare. Kate sbuffava perché lui le proponeva solo cose “senza sapore” mentre lui decantava le qualità di ogni piatto che lei bollava come “da malati”. Non era servito a migliorare la situazione quando lui le aveva ricordato che lei tecnicamente era ancora un po' malata, convalescente, per la precisione. Si era quindi rifiutata di scegliere cosa mangiare tanto sarebbe stato tutto uguale e lasciò che fosse lui a scegliere. Rick le fece notare che era più difficile da gestire di Alexis quando era bambina e malata. Prese il telefono sul comodino e chiamò il room service nel disinteresse totale di Kate che sembrava non volergliela dare vinta. Non sapeva nemmeno lei da dove le venisse quella botta di regressione infantile ma sapeva che si sentiva bene anche così. Soprattutto così. Poteva permettersi per una volta di non fare quella seria e responsabile? Sì poteva e voleva.

Si girò su se stessa fino a trovare lui con la schiena appoggiata alla testiera del letto e le mani intrecciate dietro la nuca che guardava fisso davanti a se. Si avvicinò trascinandosi un po' mentre lui la guardava serio.

- Vedi di non farti male. Non vorrei rinunciare alla nostra cena e doverti riportare in ospedale.

- Il problema è rinunciare alla cena?

- Certo! Sarà un’ottima cena, nonostante il tuo scetticismo.

Kate sbuffò appoggiandosi al suo petto. Stava bene lì. E non solo perché era straordinariamente comodo, ma perché stava bene con lui. Gli stropicciò ancora di più la camicia sbottonandogli uno dei bottoni al centro, solo per infilare una mano sotto ed accarezzare la sua pelle calda. Ma Rick, invece sentiva solo brividi partire da ogni punto dove lei passava con le dita: chiuse gli occhi lasciandosi andare all’incanto del momento.

Quel momento idilliaco fu interrotto dal suono del campanello che faticarono a riconoscere e a contestualizzare. Castle aprì gli occhi quando sentì suonare una seconda volta, diede un bacio a Kate prima di alzarsi.

- Pronta per la nostra cena?

- Vai tu?

- Certo.

Le diede un altro bacio prima di andare ad aprire, mentre lei andò in bagno. 

Aprì la porta senza guardare o chiedere chi fosse, spostandosi di lato pronto a far entrare il cameriere con il carrello con la loro cena, ma davanti a lui si presentò tutt’altro.

- Signor Castle? Cosa ci fa qui? - Victoria Gates lo squadrava dalla testa ai piedi, soffermando la sua attenzione sulla camicia in parte sbottonata e fuori dai pantaloni ed i piedi scalzi.

- Io ehm… Sono rimasto a fare compagnia a Beckett… Stavamo aspettando la cena… - rispose imbarazzato

- Capisco… - Il capitano Gates entrò nella stanza senza chiedere il permesso e a Rick non rimase che chiudere la porta mentre la donna aspettava a braccia conserte la detective senza chiedere dove fosse.

- Allora Rick, questa cena? - Chiese Kate appena uscita di camera appoggiandosi alle spalle di lui per guardare verso il tavolo, senza accorgersi della presenza del suo capitano che si schiarì la voce per annunciarsi.

- Signore! - Esclamò Kate allontanandosi immediatamente da Castle, sorpresa ed imbarazzata.

- Buonasera Detective, la vedo… bene… - Disse la Gates tagliente

- Grazie Signore… - Beckett abbassò lo sguardo sperando di non essere arrossita troppo.

- Mi avevano detto Esposito e Ryan che mi avrebbe chiamato per ridiscutere della sua sistemazione perché non era di suo gradimento. Non avendola sentita, ho pensato di venire di persona per discutere con lei di dove sarà trasferita.

- Signore ecco… Questa mattina ero un po’ nervosa, va benissimo rimanere qui. - Rispose a disagio

- Ne è sicura Beckett? Non vorrei mai che dovesse passare del tempo in un luogo che non reputa confortevole.

- Sono sicura Capitano, la ringrazio.

- Bene, allora la lascio alla cena con il signor Castle.

- Arrivederci Capitano - La salutò Rick e la donna lo squadrò di nuovo mentre anche Beckett la salutava.

Quando si chiuse la porta alle spalle, Kate sembrò tornare a respirare.

- Castle perché non hai guardato chi fosse? - Lo rimproverò

- Io… non pensavo… cioè, pensavo fosse la cena! - Si discolpò

- Guarda come sei ridotto! - Anche lei lo guardò spettinato, con la camicia in disordine e scalzo. Rick si sistemò i capelli con le mani e abbottonò la camicia. - Pensi abbia capito qualcosa?

- Beh, la Gates è una donna sveglia e…

- Castle! Non mi aiuti così!

- Dovevo dirti di no?

- Sì! - Rispose esasperata

- Dovevo dirti di sì o di no? - Chiese perplesso Rick

- Lascia stare Castle!

Lo lasciò lì e andò in camera chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle. Suonarono di nuovo alla porta e Castle andò di nuovo ad aprire, poteva essere anche il capo della polizia in persona, non gli fregava nulla, ma la sua foga spaventò solo il cameriere che sembrava rifugiarsi dietro il carrello carico delle cloche. Senza dire nulla andò verso il tavolo e posò lì le pietanze dopo aver apparecchiato. Rick prese dalla tasca della giacca una banconota da cinquanta dollari e la diede al ragazzo che indietreggiò fino ad uscire dalla stanza, ricordandogli che quando avevano finito, potevano mettere il carrello con i piatti fuori dalla porta.
Non guardò nemmeno se avevano portato quello che aveva chiesto, si buttò sul divano, lo stesso dove avevano trascorso quel meraviglioso pomeriggio insieme passandosi con forza le mani sugli occhi e sulle tempie, chiedendosi perché la situazione doveva sempre precipitare così, senza un senso. Passò un po’ di tempo poi sentì la porta aprirsi piano e i suoi passi avvicinarsi. Si sedette vicino a lui, togliendogli le mani dagli occhi.

- Scusa. Ho avuto paura.

- Di cosa?

- Che la Gates ci scoprisse. - Gli disse con tono colpevole mordendosi il labbro come una bambina beccata a combinare un guaio.

- Anche io preferirei che rimanesse tra noi per ora, ma se lo scopre, cosa può farci? Può impedirci di stare insieme?

- Può impedirti di collaborare al distretto con noi. - Sbuffò Kate

- Per il momento non tornerai al distretto, non fino a quando non sarai completamente ripresa. Anche se fosse, poi ci penseremo. - Rick cercava di farla ragionare con la massima calma mentre la vedeva insofferente.

- Non ti dispiacerebbe? - Gli chiese Kate preoccupata.

- Certo che mi dispiacerebbe, poi chi ci sarebbe a coprirti le spalle e a proteggerti? - Le disse sorridendo spostandole una ciocca di capelli dal viso

- Dai Castle, fai il serio! - Prese la sua mano stringendola tra le sue

- Sono serio. Però mi dispiace più che si creino queste situazioni. È una colpa amarti Kate? È una colpa che tu sia amata?

Kate non rispose, abbasso lo sguardo sulle loro mani intrecciate.

- Devi imparare a farti amare Kate. Io lo so che tu mi ami, lo sento da come mi parli e mi sfiori, lo vedo nei tuoi occhi. Oggi l’ho sentito in ogni tuo bacio. Ma tu non sei capace di farti amare. A volte sembra che respingi volutamente ogni tentativo di farlo. Quelle rare volte che abbassi le tue difese e permetti di farlo, totalmente, incondizionatamente, non c’è cosa più bella. Ma dura sempre troppo poco. Ti prego, lasciami la gioia ed il privilegio di poterti amare senza che tu ne abbia paura, senza avere paura di far vedere agli altri che sei amata. Te lo meriti.

Beckett non rispose aveva paura di tante cose, anche di come lui la leggeva dentro. Sapeva che il viaggio che aveva intrapreso con e verso di lui era qualcosa che non prevedeva la possibilità di tornare indietro. Ne sarebbe uscita trasformata in un modo o in un altro.
Si convinse poi ad andare a mangiare e scoprirono quei piatti che erano ancora tiepidi nonostante il tempo passato. Kate si stupì di come fosse tutto molto più buono di quanto avesse immaginato e divise tutto con Castle, mangiando spesso dal suo piatto o imboccandolo con quello che aveva lei. Era tutto così bello, avrebbe dovuto solo renderlo anche facile.

- Mmmm… Castle è una delizia… - Beckett aveva ancora il cucchiaino tra le labbra e gli occhi chiusi. Tra le cose, tutte molto salutari, che aveva ordinato per cena come tra i quali due diversi tipi di pesce al vapore con verdure che avevano lasciato molto perplessa Kate prima di assaggiarli ed esserne conquistata, in fondo al tavolo c’era una cloche molto più piccola che Rick sollevò per ultima mettendola proprio al centro tra lui e Kate. Un piccolo tortino al cioccolato rivelò un cuore fondente morbido appena Kate lo ruppe. Rick, che pure avrebbe voluto fiondarsi su quella bontà, goloso come era d cioccolato rimase fermo con il suo cucchiaino in mano guardando Kate gustarsi quel dolce che da come lo assaporava doveva piacerle proprio tanto, oppure era solo perché era tanto tempo che doveva mangiare del cioccolato.

- Dopo quanto ho appena visto, nessuno dovrebbe più dirmi che quando mangio cioccolata sembro un bambino, perché tu mi superi di gran lunga Beckett!

- Rick è divino, credimi! - Gli disse prendendo un altro cucchiaino di dolce.

- Ci credo, ma aspettami che ti farò provare qualcosa di veramente divino! - Disse lui alzandosi

- Castle, lo sai che tutto questo può essere molto male interpretato? - Rise maliziosa

- Non dirmi così… Già è difficile! - Grugnì lui mentre cercava qualcosa in frigo. Poi tornò da lei con una mano dietro la schiena e le rimase vicino. - Andiamo, prendine un altro cucchiaino e poi chiudi gli occhi.

Kate fece esattamente come gli aveva detto.

- Ok, ora apri la bocca e non protestare! 

Beckett seguì il suo ordine e Rick le spruzzò una generosa dose di panna spray direttamente in bocca che fece aprire gli occhi a Kate dallo stupore.

- Dai, mangia! - La incalzò e lei gustò quel mix di cioccolato e tantissima panna 

- Allora? Com’è? - Le chiese Castle tutto eccitato, lui adorava la panna spray!

- Buonissima… Dovresti assaggiarla!

- Ora lo faccio. - Si avvicinò alle sue labbra ancora sporche di panna e le leccò, poi la baciò con passione assaporando il cioccolato direttamente dalla sua bocca.

- Hai ragione, buonissima. - Si sorrisero e Rick notò come Kate fosse rimasta del tutto stupita dal suo gesto ma si prese subito la sua rivincita, prendendo una generosa porzione di dolce con il suo cucchiaino ed imboccando Castle che poi si spruzzò da solo la panna. Gusto lentamente quel miscuglio di cioccolato e panna, senza togliere gli occhi da quelli di Kate, che appena ebbe finito di mangiare lo ripagò con la stessa moneta, cercando lei le sue labbra ed un bacio al sapore di cioccolato. Lo guardò poi con un’aria molto compiaciuta, perché anche lui era rimasto stupito dal suo bacio così profondo.

- Mi farai impazzire Beckett, ne sono certo.

- Impazzisci per così poco Castle?

Provò a risponderle qualcosa, ma poi sospirò solamente. Sì, quella donna lo avrebbe veramente fatto impazzire, in tutti i sensi ma lui era assolutamente pronto ad impazzire per lei. Le sottrasse il dolce, prima che ne mangiasse più di quanto doveva e lo finì lui, ma mosso a compassione da quello sguardo a cui non poteva dire di no, ogni tanto gliene offriva qualche boccone.

Rick infine mise tutti i piatti sul carrello insieme al resto delle stoviglie che avevano utilizzato.

- Lo porto fuori io mentre che vado - Le disse quando aveva sistemato tutto.

Kate non disse nulla, annuì solo con la testa.

- Vado a prendere le scarpe di là - Rick andò in camera da letto, si sedette sul bordo del materasso per allacciare le scarpe. Sentì il rumore della porta aprirsi e poi chiudersi rapidamente. Si allarmò ma quando alzò lo sguardo vigile ad osservare la camera in attesa di sentire altri rumori vide solo Kate sulla porta della stanza che lo fissava.

- Che c’è Beckett?

- Resta.

Lui si alzò dal letto e le andò vicino. Prese il suo mento con una mano per sollevarlo e baciarla dolcemente.

- È la terza o la quarta volta che provo ad andarmene oggi… - le disse sorridendo

- Non lo fare.

- Ehy… Oggi è stata una giornata particolare. Tu sarai stanca… Io non voglio…

- Voglio solo che resti qui con me.

- Kate io non…

- Oh capisco… Non vuoi… Non ti preoccupare Rick, non fa niente - Kate fece per voltarsi ma Castle la fermò

- Non pensare mai una cosa del genere, capito? - Le alzò ancora una volta il viso attendendo una risposta - Capito Kate?

- Perché non vuoi rimanere?

- Non voglio affrettare le cose.

- Non può succedere niente stanotte, lo sai. Abbiamo già dormito insieme, in ospedale. Staremo solo più comodi.

- Tu ti approfitti di me perché sai che non posso dirti di no, vero?

- Forse un po’… - Rick la guardò inclinando la testa dubbioso - Forse più di un po’… Ok sì, molto.

Kate rise e la sua risata contagiò anche lui.

- Se fosse per me potrei anche trasferirmi qui con te.

- Non eri tu che non volevi affrettare le cose un minuto fa?

- Non ricordo di aver detto nulla di simile, Beckett! - Le disse serio ma abbozzando un sorriso

Rick aiutò Kate a portare le sue borse in camera che erano ancora abbandonate all’ingresso da quando era arrivata. La vide tirare fuori le sue cose ed andò in bagno per lasciarle la sua privacy. Uscì dopo qualche minuto e lei aveva finito. Aveva in mano un pigiama ed andò lei verso il bagno.

- Kate ecco io… Ti dispiace se… - fece cenno indicando la sua camicia - non ho niente per dormire e…

- Tranquillo Castle, mettiti comodo, non ti salterò addosso, te lo prometto - rise lei ammiccandogli prima di andare in bagno, strappandogli l’ennesimo sospiro della serata. Ne era sempre più certo, l’avrebbe fatto impazzire.

Appena lei si chiuse la porta del bagno alle spalle, Rick cominciò a spogliarsi molto lentamente seduto sul bordo del letto. Bottone dopo bottone ripensava a quella giornata, a tutto quello che era accaduto da quando lui era arrivato lì, a come le prospettive si fossero prepotentemente ribaltate. Aveva scoperto un altri lati di Kate che non conosceva, alcuni che non pensava nemmeno potessero esistere, quella donna non era solo un mistero come le aveva già detto, era un vero rompicapo, l’unico che si voleva impegnare veramente a risolvere. Castle sorrideva tra se e se pensando che ognuno di quegli aspetti di Beckett che aveva scoperto gli piaceva: adorava quando lo provocava e i suoi slanci passionali, lo facevano fantasticare su quello che sarebbe stato appena che… ma si impose si smettere di pensarci, prima che i suoi pensieri fossero evidenti anche a lei. Amava anche la Kate intimorita dei suoi sentimenti, che cercava rifugio e protezione tra le sue braccia ed anche quella più dura che aveva paura di far scoprire la loro relazione. Certo, ci sarebbero state delle cose da limare ma quello era stato il primo vero giorno in cui erano stati insieme, che avevano potuto essere loro stessi fino in fondo.

Kate dall’altra parte della porta si guardava veramente per la prima volta allo specchio, lo aveva già fatto in ospedale, ma era diverso, ora toccava a lei prendersi cura del suo corpo e pensava che non si sarebbe mai abituata all’effetto delle cicatrici. Non era solo un discorso estetico, era quello che simboleggiavano. Vedeva quelle dell’anno prima: un filo diventato sempre più sottile e chiaro sul lato, e quel cerchio tra i seni, quello che ancora le dava più fastidio ogni volta che lo vedeva e lo toccava, più delle cicatrici nuove, fresche sulla pelle era quel cerchio che la turbava ogni volta che lo vedeva, la faceva sentire vittima, la faceva sentire un bersaglio e forse l’avrebbe fatto per sempre. Non sapeva di preciso perché queste le provocavano un senso diverso, e tanto era stato di più il terrore del momento, la sensazione della vita che le scivolava via lentamente, tanta era ora, vedendole, la sensazione di esserne sopravvissuta ed il sollievo. Ne aveva parlato molto con Burke ed aveva imparato a metabolizzare la loro presenza, ma trovarsi nuovamente a fare quel percorso non era facile. “Non lasciare che i segni sul tuo corpo cambino quella che sei, tu non sei le tue cicatrici, sono loro ad essere te”: glielo aveva ripetuto più volte il dottore ed alla fine c’era quasi riuscita a non guardarsi più con autocommiserazione, ora doveva ricominciare. Aveva passato lì dentro, persa nei suoi pensieri molto più tempo di quanto credesse e se ne accorse quando sentì bussare alla porta e sentì la voce ovattata di Castle raggiungerla dall’altra parte del legno spesso.

- Kate, va tutto bene? Stai male? - Riconosceva nelle sfumature della sua voce la preoccupazione ed un po’ di imbarazzo.

- No, è tutto apposto, ho quasi fatto! - Si affrettò quindi a finire di spalmarsi una crema sulle ferite e si mise il pigiama. Si guardò ancora qualche istante allo specchio ora che il suo corpo era di nuovo coperto: si sentì meglio, si passò una mano tra i capelli per dargli un po’ di volume e dopo aver fatto un gran sospiro come volesse tirar fuori tutti i pensieri accumulati in precedenza uscì dal bagno.

Beckett rise trovando Castle già a letto con il lenzuolo tirato su fin sopra il petto, facendo intravedere solo le mani che spuntavano dal bordo, che gli copriva gran parte del corpo lasciando fuori solo i piedi e parte delle gambe.

- Da cosa ti stai proteggendo esattamente Castle?

- Cosa ti fa pensare che io mi stia proteggendo da qualcosa? - Rispose piccato

- Il fatto che tieni quel lenzuolo come se fosse uno scudo imperforabile, ad esempio

Lasciò la presa sul lenzuolo sbuffando abbassandolo un poco e tirando fuori le braccia incrociandole sul petto. Aveva messo quel broncio che Kate aveva sempre trovato adorabile senza avere il coraggio di dirglielo, anche se più di qualche volta lo avrebbe picchiato volentieri.

- Sai Castle, non ti facevo così timido, pensavo che eri molto più esuberante da come ti atteggiavi! - Beckett continuava a stuzzicarlo mentre si sdraiava anche lei sotto le lenzuola.

- Delusa Beckett? E poi io non sono timido!

- Oh sì, molto delusa. Penso che eserciterò il mio diritto di recesso e cercherò un sostituto. - disse avvicinandosi a lui che sembrava voler occupare la più piccola porzione di letto possibile, ma Kate non sembrava dello stesso avviso. Si posizionò di fianco vicino a lui, appoggiata su un gomito mentre con l’altra mano gli solleticava il petto facendo vacillare gli intenti di Castle di rimanere immobile al suo posto.

- Mi hai baciato, molto baciato, non puoi rimandarmi indietro. - Rispose lui serio osservando la mano di Kate disegnare motivi immaginari sulla sua pelle

- Oh allora mi dovrò sacrificare tenendoti così… - Gli diede un bacio sulla spalla nuda. 

- Dovrei ringraziarti, quindi?

- Sì decisamente devi ringraziarmi.

- Ed hai qualche idea Beckett?- Chiese guardando davanti a se facendo finta di ignorarla

- Potresti baciarmi, ad esempio… - rispose con voce languida

- Sì, potrei… - Rick si voltò mettendosi anche lui di fianco facendo in modo che i loro volti fossero uno davanti all’altro - … sì credo che potrei baciarti…

Si avvicinò a lei fino a colmare la distanza tra loro riprendendo a giocare con le labbra di Beckett, senza alcuna fretta, perdendosi in un lento bacio. Kate accarezzava il suo braccio nudo, per poi avvicinarsi di più al suo corpo, facendo scivolare la mano sulla schiena, percorrendola in tutta la sua ampiezza. Beckett lasciò le labbra di Castle solo per scendere sul collo baciandolo nell’incavo della spalla, appoggiando la fronte su di lui inebriandosi del suo profumo di uomo e colonia. Era lui, proprio come aveva sempre pensato che fosse. Le piaceva lasciare quella lunga scia di baci e tracciando quel percorso umido dalla spalla al collo più volte e soprattutto le piaceva sentire il piacere di lui nel riceverli. Poi lo guardò e lo sguardo cadde sulle labbra ed in gesto istintivo passò la lingua sulle sue e rubò un sorriso a Rick.

- Mi farai impazzire Beckett! - le disse a fior di labbra prima di baciarla ancora intrufolando una mano sotto il suo pigiama, accarezzandole la schiena come lei faceva con lui. Il bacio si fece più appassionato e con lui anche i loro tocchi e Rick preso dalla foga del momento fece scivolare la mano dalla schiena al torace di Kate, andando a sfiorare una delle sue ferite, facendola istintivamente allontanare con una smorfia di dolore. 

- Scusami… Scusami… - Le disse ritraendo la mano e scostandosi da lei mentre la guardava colpevole - Mi dispiace…

- Non ti preoccupare, Castle! Va tutto bene.

- No, Kate. Meglio che dormiamo... Buonanotte - Si spostò dalla sua parte di letto e spense le luci della stanza lasciando Beckett al buio a guardarlo interdetta. Rick incrociò le braccia dietro la testa guardando il soffitto. Sentiva lo sguardo di lei su di se, ma non aveva il coraggio di guardarla. Si ripeteva quanto fosse stato stupido a lasciarsi trasportare senza pensare a lei, alla sua condizione ma solo al suo desiderio di lei.

Kate accese di nuovo la luce e si avvicinò a Castle che faceva finta di nulla, anzi si voltò dalla parte opposta, obbligandola a sovrastarlo e prendergli il volto con la mano obbligandolo a guardarla. Fu solo un istante e fu Kate a baciarlo di nuovo e accoccolandosi poi al suo fianco, con la testa sul suo petto, mentre con una gamba cercava le sue. Rick rimase sorpreso da come facesse tutto con disinvoltura come se avessero dormito così da sempre e a Beckett venne tutto naturale, come se quello fosse stato il suo posto da sempre.

- Mi abbracci Castle, per favore? Non mi rompo. - Gli chiese con un tono che tutto era meno che una richiesta e lui titubate abbasso il braccio cingendole il fianco, mentre con l’altro prese la mano di Kate che aveva ricominciato ad accarezzargli il torace.

- Ti amo - gli disse baciandogli la spalla.

- Ti amo anche io - le rispose stringendola di più a se.

- Castle?

- Uhm?

- Ora puoi spegnere la luce.

Rick lasciò per un attimo la mano di Kate per raggiungere l’interruttore sopra il comodino. Le lasciò al buio un bacio tra i capelli, poi riprese la sua mano accarezzandole il dorso fino a quando non la sentì scivolare tra le braccia di Morfeo. 

La vita di Castle, da quando era diventato uno scrittore di successo, era sempre stata indirizzata verso gli eccessi, forse anche a causa di Martha, sua madre, che essere eccessiva e fuori dagli schemi lo aveva nel dna e qualcosa doveva avergli trasmesso. Certo, non erano eccessi pericolosi per la sua salute, perché Castle aveva ben chiaro in mente che lui era prima di tutto un padre ed aveva la responsabilità di Alexis e questa era stata la cosa che credeva lo avesse più volte salvato dal buttarsi in una vita di dissolutezza. Aveva comunque vissuto di eccessi: troppi party fino all’alba, troppo champagne che scorreva a fiumi, troppe donne, troppi soldi buttati in cose inutili, ma lui non era mai stato uno che al denaro aveva mai dato troppo peso, solo quando doveva fare degli acquisti più impegnativi chiedeva al suo commercialista o al suo private banker se era sostenibile: se gli davano l’ok, lui non si preoccupava di altro. Era stato così per lo sfizio della Ferrari, per la villa negli Hamptons ed anche per quando aveva comprato quel pezzo di luna solo per poter far colpo sulle donne e dire che se volevano lui poteva veramente dargli la luna, almeno un pezzo. Dopo Meredith era stato eccessivo anche nella scelta della sua seconda moglie, la voleva perfetta, ma alla fine aveva scelto Gina, che non era nè perfetta nè moglie, però era bellissima e soprattutto una donna in carriera, realizzata nel suo lavoro. Aveva pensato che questo sarebbe bastato a non essere come Meredith, a non farla scappare via inseguendo il suo lavoro, visto che il lavoro principale di Gina era lui, ma aveva tralasciato tutto il resto che cercava per la sua vita. Diamanti, abiti di lusso, cene fuori in locali esclusivi, viaggi in luoghi da sogno non bastavano mai e dietro a tutto questo non c’era nulla  e Castle continuava nella sua vita a coprire con gli eccessi il vuoto profondo di quello che gli mancava, di quello che dopo Kyra non aveva più provato e che si era rassegnato a non provare più fino a lei, fino a Kate.

Non aveva dormito molto quella notte, anzi, forse era più corretto dire che non aveva dormito mai. Un po’ perché non aveva sonno abituato a ben altri orari e a scrivere in quelli notturni, un po’ perché lui non era capace di dormire come una mummia stando fermo in un punto del letto, lui aveva la tendenza ad impossessarsi di tutto lo spazio ed aveva paura di farle male. Poi c’erano stati tutti questi pensieri a tormentarlo, a riempirgli la mente e a farlo pensare e ripensare a se stesso e a come aveva buttato via gli ultimi dieci anni della sua vita rincorrendo fuochi fatui, ma soprattutto c’era lei che invece si era addormentata quasi subito, vinta dalla stanchezza per una prima giornata fuori dall’ospedale decisamente troppo impegnativa, almeno a livello emotivo. Kate aveva passato gran parte della notte nella stessa posizione in cui si era addormentata, abbracciata a lui che più volte, vedendola immobile per molto tempo aveva anche controllato se respirasse. Si era allontanata solo per un po’ ma Rick non aveva mai smesso di guardarla. Gli piaceva guardarla dormire, ma non glielo avrebbe detto, perché sicuramente lo avrebbe preso in giro, eppure per lui era bellissimo farlo e non si era nemmeno accorto delle ore che passavano fino a quando dall’intersezione delle tende non aveva cominciato a filtrare un po’ di luce che annunciava la nascita di un nuovo giorno e lei era tornata di nuovo tra le sue braccia.

Castle tra i suoi tanti pensieri, si era fermato anche a pensare a quando aveva trascorso una notte così, abbracciando la donna che amava e guardandola dormire. Non lo ricordava, forse mai ed in realtà era sicuro che l’unica donna che avesse mai osservato dormire era stata Alexis quando era piccola. Ma Kate era diversa da tutte le altre donne che aveva avuto ed era anche l’unica che avesse voluto, rincorso ed aspettato non solo per un capriccio di una notte, ma, sperava, per quello di una vita. Lei era l’opposto dei suoi eccessi, aveva scoperto in quei pochi giorni così strani, complicati e fuori da ogni schema, che Kate era la sua gioia per le piccole cose: un caffè da bere insieme, mangiare una fetta di torta imboccandosi a vicenda, l’emozione di tenersi per mano. Si era scoperto così ad adorare quella loro complicata semplicità. 

Avrebbe voluto sgattaiolare fuori dal letto ed andarle a preparare la colazione. La colazione a letto era sempre stato un suo must e non c’era una delle sue donne che non l’avesse apprezzata, anche quelle con le quali aveva passato insieme solo una notte e forse era proprio per questo che il destino, impersonificato da Kate Beckett, quella mattina gli impediva di farlo, perché lei non era come le altre sue donne. Si rassegnò, quindi, al destino ed aspettò che si svegliasse, giocando con i suoi capelli ed accarezzandola di tanto in tanto. Gli sembrava quasi che sorridesse mentre dormiva: forse era la sua immaginazione o l’effetto delle sue carezze, però non riusciva a smettere di pensare che era bellissima e che avrebbe voluto guardarla dormire ogni notte.

- Buongiorno… - Gli disse stiracchiandosi ed arrampicandosi fino a dargli un bacio. - Sei sveglio da molto?

- No, da poco… - Mentì. - Buongiorno a te - le diede anche lui un bacio e ancora si perse nei suoi ricordi faticando a trovare un bacio del buongiorno così dolce come quello.

- Non ti ho dato fastidio stando così? - Gli chiese Kate realizzando che si era svegliata esattamente come si era addormentata

- No, no… Puoi dormire così tutte le notti, se ti va. - Rick lasciò che i suoi pensieri si tramutassero in parole senza preavviso. In quello che le aveva detto c’era molto di più di una risposta, c’era la somma di quello che aveva pensato nelle ore precedenti. Anche Kate rimase spiazzata da quelle parole, però gli sorrise, appoggiandosi di nuovo a lui.

- Ci devo riflettere Castle, ma l’idea è allettante. Sei comodo.

Rick la ringraziò mentalmente di non avergli chiesto di più su cosa volesse dire quella risposta, in fondo lo sapeva anche lei, ma dirselo era diverso. Non voleva bruciare le tappe con lei, se lo era quasi imposto. Adesso stava inconsciamente appiccando un incendio sulle loro tappe e la cosa nemmeno gli dispiaceva più di tanto.

Castle si alzò prima di lei, lasciandola riposare ancora un po’. Nonostante tutto non era stanco, forse tra un pensiero e l’altro, un po’ aveva dormito anche lui senza rendersene conto. Camminò fino al bagno con solo i boxer addosso catturando lo sguardo di Beckett che lo osservava di spalle: la schiena e le spalle ampie che aveva a lungo accarezzato, il fondoschiena che anche fasciato dai boxer, lasciava ben poco all’immaginazione, le gambe possenti… Non aveva un fisico atletico, ma i vestiti decisamente non gli rendevano giustizia.

- Beckett lo so che mi stai guardando! - Le disse poco prima di sparire al bagno e si sentì come una ragazzina beccata a spiare il ragazzo che le piaceva.

Quando Rick uscì dal bagno Kate non era più in camera si rivestì abbottonando sommariamente la camicia ed andò nell’altra stanza. La vide con gli shorts che le lasciavano nude quasi totalmente le gambe e la maglia larga che scopriva una spalla, con la testa dentro il frigo guardando quanto le aveva portato il giorno precedente. Non potè resistere dall’andare dietro di lei e darle un bacio sul collo, spostandole i capelli e poi non potè resistere a dargliene più di uno, fermandosi solo quando lei si voltò prendendogli il volto tra le mani, baciandolo con rinnovato trasporto.

- Potrei abituarmici e potrei avere difficoltà a farne a meno - le disse Rick mentre le loro fronti si sfioravano.

- Anche io… Però ti devo confessare una cosa Castle… Ho fame!

Rick le diede un altro bacio prima di invitarla a mettersi comoda che alla colazione avrebbe pensato lui. Kate lo osservava muoversi con disinvoltura tra i fornelli e il tagliere, lo vide tagliare minuziosamente la frutta fresca, preparare i pancakes e poi la cosa che bramava di più: il caffè. Disegnò un cuore con la schiuma nella tazza di Kate, desiderava farlo da tempo e si era anche segretamente allenato con i suoi a casa con risultati il più delle volte deludenti. Questo non era bellissimo, ma accettabile, almeno si capiva cosa fosse.

- Fai conto che avrei voluto farlo ogni volta che ti portavo il caffè - Le disse mentre lei guardava il disegno che aveva creato. Era una delle tante volte che lui riusciva a prenderla in contropiede, non sapendo cosa rispondere.

- Mi stupisce questo tuo lato salutista, Castle! - Gli disse mentre prendeva una generosa porzione di pancakes con marmellata e frutta fresca - Ti avevo sempre immaginato mangiarli pieni di ogni cosa più calorica e dolce esistente sulla faccia della terra!

- Oh, sì, in effetti di solito li mangio così. Triplo cioccolato e panna, burro di arachidi e cioccolato, banana e caramello, marshmallows e biscotti… - Castle elencava tutte combinazioni preferite

- Ok, Castle… Basta così, ti credo. Dovevo ricordarmi del tuo lato di bambino di nove anni! - Rise Kate mentre Rick scrollava le spalle

- Ma sono buoni!

- Certo buonissimi! - Lo prese in giro lei

- Ti farò ricredere! - Disse serio mentre il suono del campanello li interruppe quando ormai avevano quasi finito di mangiare.

- Vai di là! - Lo esortò Kate bisbigliando

- Ma… - Provò a protestare lui

- Castle! Vai! - Il tono perentorio con cui glielo disse lo fece alzare e andare nell’altra stanza chiudendosi dentro dopo aver ricevuto un occhiataccia. Kate fece un gran respiro e poi andò ad aprire.

- Ciao Beckett! - Ryan ed Esposito le si presentarono alla porta con un gran sorriso - Possiamo? - Chiese Ryan vedendo che Kate rimaneva davanti a loro immobile.

- Certo ragazzi, entrate. - Gli lasciò il passo e voltandosi verso la stanza si accorse della tavola apparecchiata per due per colazione.

- Hai ospiti? - Chiese Esposito al quale non sfuggì la sua stessa osservazione

- Ehm… no… non più! Era passato mio padre prima, per fare colazione insieme, ma è dovuto scappare in tribunale…

- Uhm… di domenica? - Chiese l’ispanico prendendola in contropiede

- Sì doveva… incontrarsi lì fuori con un cliente. Aveva appuntamento al café all’angolo vicino al tribunale. - Si salvò in extremis, stupendo se stessa per la facilità con la quale stava mentendo.

- Ah, ok… - Disse Javier guardandosi intorno come a cercare qualcuno.

- Siamo venuti a portarti questo. - Disse Kevin estraendo una busta di plastica trasparente dalla quale si intravedevano dei documenti molto danneggiati dal fuoco. Capì subito di cosa si trattava e allungò la mano prendendoli un po’ turbata

- Non li abbiamo mai messi tra le prove, non sappiamo cosa ci sia. Abbiamo pensato che era giusto che li guardassi tu, anche Castle era d’accordo. Se vuoi possiamo anche tornare a lavorarci insieme… Sempre che a te vada di scavare ancora in questa storia dopo… dopo quello che è accaduto - Propose incerto Ryan.

- Io… sì, certo, voglio arrivare fino in fondo. Devo solo… mi serve un po’ di tempo…

- Certo Beckett, tutto il tempo che vuoi. Non siamo qui per metterti fretta, solo per darti quanto avevamo e per vedere come stavi, ovviamente. - Continuò Esposito.

- Grazie ragazzi, lo apprezzo molto.

- Ehy Beckett, hai deciso di rimanere qui poi? Non sei più arrabbiata con Castle? - Le disse divertito Kevin

- Non è così male come pensavo. - Rispose ironica

- Beh, noi andiamo… Il lavoro ci attende. - La salutò Javier prima di uscire.

Solo quando fu certo che non c’era più nessuno e non sentiva nessuna voce, Castle che era rimasto tutto il tempo con l’orecchio incollato al legno della porta fece capolino dall’altra stanza, mettendo solo la testa fuori.

- Posso uscire ora? - Bisbigliò non troppo piano a Kate che fissava la busta con i fogli appoggiata sul tavolo. Non gli rispose lo prese per un sì e la raggiunse.

- È per questi che ti hanno sparato? - Gli chiese seria e stavolta fu lui a non rispondere - È per questi che abbiamo discusso, che non volevi farmi più indagare? Erano questi che dovevano tenermi al sicuro?

- Kate… - La chiamò in un sussurro, era davanti a lui ma improvvisamente di nuovo molto lontana. Lo vedeva dallo sguardo duro, da come serrava i denti e stringeva i pugni, dalla postura rigida. Era sulla difensiva e si stava di nuovo chiudendo in se stessa. Avrebbe voluto prenderla e scuoterla anche fisicamente, se solo non le avesse fatto male.

- È meglio che vai ora Castle. - Glielo disse senza guardarlo, ma fissando quei fogli di carta bruciati.

- No. - Rispose lui perentorio prendendola in contropiede.

- Come scusa?

- Ho detto no. Non è meglio che vado.

- Castle, per favore, non ho voglia adesso di fare questi giochi da bambini - Disse con tono stanco e infastidito

- Non sto giocando e non sto facendo il bambino. Non è meglio che vado, sei tu che vuoi che vado. Perché vuoi stare sola, vuoi chiuderti come un riccio, tirare su muri e barriere, di nuovo. E io non voglio.

Beckett non si aspettava quella reazione da lui. Credeva che se ne sarebbe andato, magari tristemente, chiedendogli di richiamarlo quando si fosse sentita pronta a farlo. Invece lui era dritto davanti a lei e le sembrava ancora più grande del solito o forse era lei che si sentiva più piccola. Fece un passo indietro, come per metterlo a fuoco meglio e l’unica cosa che vide più chiaramente fu la determinazione nei suoi occhi e non sapeva come comportarsi. Pensava a quanto accaduto poco prima, a quei baci appena svegli e poi a quelli in cucina, alla loro colazione insieme quando avevano mangiato ridendo ed aveva bevuto il caffè con il suo cuore, che non era solo un cuore di schiuma a renderlo speciale era quello che ci metteva lui per farlo, che lo rendeva così buono, solo perché lo faceva lui. Pensava al suo cuore leggero, a come aveva cacciato via tutte le paure, a come era stata bene tra le braccia di Rick in ogni momento, lo stesso Rick che era davanti a lei e la guardava serio, deciso a non lasciarla andare, a non farla tornare indietro. Sapeva che aveva ragione lui, che non era meglio se se ne andava, era solo più facile per lei, chiudersi ed affrontare le sue paure da sola, come sempre. Lui l’aveva messa metaforicamente con le spalle al muro ora toccava a lei scegliere se continuare come sempre o accettare la mano che le stava tendendo ed fronteggiare con lui le sue paure.

Castle vedeva la confusione nel suo sguardo e si immaginava la sua battaglia interiore, la conosceva ormai. Era stato troppo bello tutto quello che aveva vissuto perché fosse sempre così. Non voleva dire “troppo bello perché fosse vero”, perché era vero non poteva dire il contrario, solo che quella era solo una delle mille sfaccettature di Kate ed ora la solita Beckett stava prendendo il sopravvento e lui voleva fermarla, finchè era in tempo. Voleva farle capire che c’era, che lui era quell’uomo che cercava che le poteva dare sicurezze, che sarebbe stato presente quando ne avrebbe avuto bisogno non solo quando c’era da divertirsi, un uomo che forse non aveva gli alti valori umani del dottore che andava in Africa a salvare le vite ai bambini, ma che l’avrebbe messa al primo posto e se questo non era tanto, sperò almeno che fosse per lei quell’abbastanza che cercava.

- Hai detto che volevi che fossi al tuo fianco quando il tuo muro sarebbe caduto e ci sono stato. Però non voglio andarmene mentre tu lo tiri su di nuovo. Ormai ti conosco Kate, so che lo stai già facendo. 

Beckett teneva una mano appoggiata sul tavolo e con le dita sfiorava quella cartellina che fissava mentre le parole di Castle la scavavano dentro. Doveva essere più forte del desiderio di rimanere sola, più forte delle sue paure, più forte di quanto era mai stata nell’obbligarsi ad essere diversa. Quei documenti bruciati certificavano che sarebbe sempre stata un bersaglio, che quella guerra che lei aveva voluto e che si era illusa di poter vincere da sola sarebbe finita, invece, solo quando lei o loro sarebbero caduti senza possibilità di rialzarsi più e senza volerlo in quella guerra ci aveva trascinato dentro anche la persona che più al mondo voleva che fosse al sicuro, quell’uomo che era così folle che adesso sapeva avrebbe combattuto al suo fianco qualsiasi guerra, ora che non potevano più evitarlo. Si sedette sentendosi svuotata, non aveva più voglia di combattere. Voleva sempre scoprire che aveva ucciso sua madre, voleva darle quella giustizia che da oltre dieci anni le veniva negata, però si sentì improvvisamente stanca di essere lei stessa un bersaglio. Sentiva il peso di tutto quello che aveva da perdere, di tutto quello che aveva assaporato nelle ultime ore e le sembrò di aver trovato per la prima volta qualcosa per cui valeva la pena vivere ed aveva paura.

Castle osservò Beckett spostare la sedia e gli sembrò che ci si stesse abbandonando. I gomiti poggiati sul tavolo, la testa tra le mani gli apparve stanca, sfinita, come se un peso immane l’avesse appena investita. Prese una sedia anche lui e la avvicinò alla sua, le cinse le spalle con un braccio mentre con l’altra mano cercava il suo volto nascosto e lo trovò umido accarezzandole una guancia.

- Non volevo metterti pressione, volevo che non affrontassi questo da sola. In fondo io non sono solo… solo un comodo cuscino, ma anche il tuo partner sul lavoro, quello che con le sue brillanti teorie da ormai quattro anni ti permette di risolvere tutti i casi più complicati. Era una semplice offerta di consulenza, Beckett, non vorrei che tu l’avessi scambiata per qualcos’altro, tipo non so, il fatto che starti lontano diventa ogni minuto più difficile o che vorrei baciarti ogni momento e passare il resto della giornata con te, perché non è assolutamente così.

Aveva cominciato serio, aveva finito volendo sdrammatizzare, in quel suo mix di farla ridere e confessarle cose serie che stava usando da un po’ e che a volta sembrava funzionare, ma non in quel caso. Non ebbe una reazione, non lo mandò via, non allontanò la sua mano nè si sottrasse al suo abbraccio, semplicemente non fece nulla.

- Ok, Beckett… Io vado a casa. Mi faccio una doccia, mi sistemo un po’. Poi se vuoi torno… Aspetto che mi fai sapere tu, non voglio importi la mia presenza.

Kate annuì con la testa in modo impercettibile, Rick se ne accorse solo perché ancora aveva la mano sul suo volto e lo sentì scivolare tra le dita. Alzandosi le diede un bacio tra i capelli, soffermandosi ad accarezzarli per qualche istante, gli era immensamente difficile allontanarsi. Recuperò la giacca, abbandonata dal giorno precedente su una poltrona, la indossò mestamente e si apprestò ad uscire, voltandosi a guardarla ancora una volta, ma lei non si era mossa. Uscì da lì, salutando i due agenti di guardia che si sorpresero di vederlo uscire non sapendo quando fosse entrato, ma nessuno gli chiese niente e lui gliene fu grato. Camminò per il corridoio con la sensazione che stava sbagliando tutto. I suoi passi ovattati sull’alta moquette producevano un sordo rimbombo che si mescolava con il cigolare delle ruote di un carrello dell’house keeping che veniva nella direzione opposta ed il ragazzo lo salutò educatamente con il sorriso stampato sul volto, così come dovevano avergli insegnato. Aspettò con impazienza l’ascensore ed ogni secondo in più di attesa lì al piano aumentava la voglia di tornare indietro. Quando le porte si aprirono davanti a lui non sapeva se viverlo come una liberazione o come un obbligo ad andarsene. Due persone all’interno lo fissavano aspettando una sua mossa. Entrò prima che le porte si richiudessero osservò la pulsantiera, il piano terra era già stato selezionato e si appoggiò poco educatamente allo specchio alle sue spalle alla parete dell’ascensore fissandosi la punta delle scarpe mentre scendevano.

- Signor Castle! Signor Castle! - La voce di Peter, il GM dell’hotel lo colse alle spalle mentre si apprestava ad andare alla concierge per farsi portare la sua auto.

- Ciao Peter, gli affari vanno bene, bel via vai anche oggi vedo, eh! - Gli disse in una di quelle cortesi frasi di circostanza osservando il via vai di clienti che affollavano la reception.

- Non ci possiamo lamentare, la sua ospite? Va tutto bene?

- Tutto perfetto Peter. Mi raccomando solo la massima discrezione, è una questione veramente importante.

- Non si preoccupi Signor Castle. È venuta la polizia ieri, ha esaminato le schede dei dipendenti ed il capitano ha scelto personalmente le persone che possono accedere alla camera della sua ospite. Faremo tutto il possibile per garantire la massima riservatezza e venire incontro a tutte le sue esigenze.

- Grazie Peter, è molto importante per me. Potrebbe avere bisogno della piscina o della palestra, nei prossimi giorni.

- Basta che ce lo comunica prima, magari possiamo stilare una tabella, se lei vuole, per farle avere la certezza che non ci siano altri ospiti.

- Sarebbe perfetto, ti farò sapere.

Il GM salutò Castle e tornò al suo lavoro, concertandosi con altre due persone che gli si fecero incontro, gesticolando per coordinare non sapeva che cosa. Fece un cenno al ragazzo alla porta che immediatamente andò a prendergli l’auto. Non era ancora uscito da lì e già non vedeva l’ora di tornare.

Beckett non l’aveva voluto guardare uscire, in realtà non avrebbe nemmeno voluto che se ne andasse. Quando aveva preso posizione con quel “no” perentorio aveva sperato che avrebbe tenuto il punto, che non si sarebbe arreso al suo silenzio avrebbe voluto che la tirasse fuori da quel guscio in cui, aveva ragione lui, si stava chiudendo. Invece aveva desistito e se ne era andato. Non lo poteva biasimare, si sentiva una stupida per continuare a chiedergli prove e pazienza, sembrava che quanto accaduto prima del suo ferimento non fosse servito a nulla, che stava di nuovo, alla prima difficoltà, tornando ad approfittarsi della sua pazienza, che non le bastava che le tendesse una mano per aggrapparsi, voleva che fosse lui a sollevarla di peso, perché aveva ancora paura ad essere lei ad appoggiarsi agli altri. Credeva che in quei giorni di riposo forzato, in cui aveva fatto i conti con i suoi pensieri, avesse trovato il coraggio per essere diversa, per non sprecare altro tempo e vita in inutili attese, che avesse capito quanto nella vita potesse essere tutto un attimo e non avere più tempo per le cose belle, tutte quelle cose belle che Castle le aveva fatto vedere e che lei si ostinava a mettere in ombra ogni volta che qualcosa la turbava. Quei documenti l’avevano turbata, più di quanto volesse far vedere anche a se stessa, più di quanto di quanto immaginasse. Si sentiva posta davanti ad un bivio ed entrambe le strade sembravano condurla in un precipizio diverso. Aveva paura per la prima volta di non riuscire ad uscirne indenne, fisicamente, emotivamente o entrambe. Avrebbe voluto concentrarsi su quello che era giusto fare, avere la lucidità di prendere una decisione, aprire quella cartellina e cominciare a vedere se poteva trovare qualcosa, ma la sua mente era interamente occupata da un pensiero fisso: Castle. Per quanto la sua stupida razionalità si ostinava a voler mettere in secondo piano tutto quello che era accaduto, i ricordi della giornata appena trascorsa brillavano tanto da apparire chiari oltre la cortina di fumo dietro quali li nascondeva e non potevano fare a meno di attirare la sua attenzione costantemente. 

L’idea che lui fosse diventato così indispensabile per aver passato solo una giornata insieme la terrorizzava. Eppure se tutto era normale ed era giusto quando c’era lui, quel posto lo era ed anche quella sua situazione assurda, quando lui non era lì, era tutto insopportabile. Dover stare lì, quella stanza, quell’hotel, non poter uscire liberamente era un peso che le sembrava insostenibile: Castle rendeva tutto diverso.

Quando era rientrato al loft sua madre era già uscita. Meglio, pensò Castle, perché non aveva alcuna voglia di chiacchierare e dare spiegazioni. Si buttò sotto l’acqua fredda della doccia usandola come anestetico emotivo. L’acqua che scorreva sulla sua pelle gli dava la sgradevole sensazione di lavargli via Beckett e i brividi non era sicuro che fossero solo di freddo. Se doveva servire a non pensare a lei non stava funzionando. Uscì asciugandosi rapidamente, evitando di guardarsi troppo allo specchio per paura di chi poteva vedere: un uomo innamorato e sfiduciato. Non avrebbe fatto lui il primo passo, non ancora e non quella volta. Aveva fatto tutto quello che era in suo potere per farle capire come e quanto l’amasse e che era disposto ad essere per lei qualunque cosa avesse bisogno.

Andò nel suo studio accendendo il portatile per la prima volta dopo tanti giorni. Non aveva voglia di scrivere, nonostante già nell’ultima riunione, Gina lo stava pressando per sapere quale sarebbe stato il prossimo capitolo delle storie di Nikki Heat. Aveva iniziato a scriverlo nei giorni più difficili, in quelli dove la vita di Kate era ancora in bilico, deciso a mettere fine alla storia del suo alter ego. Aveva anche cominciato quello che aveva deciso si sarebbe chiamato “Final Heat” ma non riusciva più ad andare avanti, non riusciva a mettere la parola fine a Nikki così come non era mai riuscito a farlo con Kate e poi sentiva che in qualche modo quella scelta non doveva essere solo sua. Sì, Nikki Heat era la sua creatura, ma era plasmata su Kate, le aveva anche procurato più di qualche problema ed era finita anche nel mirino di un serial killer, non poteva decidere senza chiederlo anche a lei. Chiuse il portatile e poggiò i gomiti sulla scrivania e si massaggiò le tempie. Perché con Beckett doveva essere tutto così difficile, anche scegliere cosa scrivere? Gli sembrava che qualsiasi cosa facesse la sua vita ruotava intorno a lei e non era una sensazione, era così. 

- Tutto bene Richard?

Non aveva sentito sua madre entrare. Alzò la testa e la vide, nel suo vestito giallo senape con motivi floreali, mentre si toglieva il coprispalle abbinato e lo guardava con lo sguardo di chi non si sarebbe accontentata di una risposta di circostanza.

- No, madre.

- Ieri notte non sei rientrato, sbaglio?

- No, non sono rientrato.

- So che non hai più l’età perché io ti chieda dove hai trascorso la notte…

- Esatto, non ho più l’età. Avevo bisogno di stare fuori, di distrarmi un po’.

- Problemi con Beckett, Richard? Come sta quella ragazza?

- Meglio. È in un luogo sicuro adesso. 

- E tra di voi?

- Al solito. 

Avevano detto di non parlarne con nessuno e Rick stava mantenendo quella promessa. Oltretutto non avrebbe saputo nemmeno cosa dire visto che loro sembrava andassero sempre sulle altalene momenti in cui tutto era perfetto ed altri in cui sembravano estranei.

- Quando pensi di dirle che sai cosa prova?

- Non lo so. Non è il momento adesso.

- Non lo sarà mai per te Richard… - La donna sconsolata uscì dallo studio e la sentì salire le scale per il piano superiore. A Castle dispiaceva mentirle, sapeva che sua madre tifava per Kate da sempre e sarebbe stata felicissima di vederla far parte della loro famiglia. 

Il suo telefono squillò e sorrise istintivamente nel vedere il suo viso sul display, per quanto poteva arrabbiarsi gli bastava vederla anche solo in foto per far nascere un sorriso sul suo volto.

- Castle!

- Ciao, sono io… - La voce di Kate era stranamente timida ed incerta

- Ciao Beckett, dimmi. - Rick cercava di rimanere il più fermo possibile, non voleva darle la soddisfazione che sarebbe bastata una sua parola per farlo correre da lei.

- Se sei libero, ti va di venire qui? Potremmo… potremmo cenare insieme, se non hai altri programmi.

- Non ho altri programmi. 

- Ok… allora ci vediamo dopo?

- Certo, ci vediamo dopo.

- Ah Castle… ecco… io… pensavo che potresti portarti qualcosa per stare più comodo… un cambio… se… dovessi fermarti… - Sentiva tutto il suo imbarazzo nel chiederglielo e fu grato che dal telefono non potesse vedere il suo volto con quel sorriso compiaciuto che rappresentava al meglio il suo stato d’animo.

- Qualcosa per stare comodo ed un cambio… - disse pensieroso - certo. Tu, invece, hai bisogno di qualcosa?

- Di te. - La risposta di Kate di getto, senza pensarci mise KO Castle facendogli perdere tutto l’atteggiamento spavaldo che aveva tenuto per tutta la conversazione. La salutò balbettando non riuscendo a dirle altro, mentre il sorriso da compiaciuto diventò sempre più ebete. Quella donna aveva il potere di renderlo creta tra le sue mani.

Per tenersi occupato preparò il pranzo per se e per sua madre, era il suo modo di sdebitarsi per le sue assenze e le omissioni che sapeva la facevano preoccupare, paradossalmente sua madre era molto più serena quando lo vedeva cambiare una donna a sera anche se sapeva non esserne felice.

Preso dalle sue frenesie non preparò solo il pranzo, ma anche la cena da portare da Kate, polpette e purè, mente per pranzo deliziò sua madre con la sua carbonara speciale e proprio mentre stavano mangiando chiamò Alexis. Rick non mancò di farle presente che stavano gustando uno dei suoi piatti preferiti e la figlia rilanciò dicendo che il giorno seguente sarebbero andate a Roma e ne avrebbero mangiate di migliori, andando a ferire volutamente suo padre nell’orgoglio, per poi consolarlo dicendo che comunque non vedeva l’ora di tornare per mangiare la sua il tutto sotto gli occhi di una Martha che adorava vedere il suo ragazzo con gli occhi umidi parlare con la figlia lontana, non avrebbe mai immaginato quando le aveva comunicato che Meredith era incinta che Richard sarebbe diventato lo splendido padre che era, il più grande errore di valutazione di tutta la sua vita. Quel ragazzo che per colpa sua non aveva mai conosciuto suo padre, era il padre migliore che una figlia potesse desiderare e lei ne era orgogliosa più di ogni altro suo successo letterario, pensando che se era diventato l’uomo generoso ed il padre incantevole che era, forse qualcosa di buono lo aveva fatto anche lei.

Rick percorreva il corridoio per arrivare davanti alla stanza di Kate. Gli agenti di guardia erano cambiati di nuovo, non conosceva personalmente i due che erano adesso di turno, non dovevano essere del dodicesimo, perché non li aveva mai visti e la cosa lo inquietò un po’. Li salutò e fece per bussare ma questi lo fermarono prima che potesse avvicinarsi.

- Lei è il signor…?

- Richard Castle, dovrei essere nella lista. Ai primi posti - Specificò.

Quello che dei due non aveva parlato tirò fuori un foglio dalla tasca ripiegato più volte e controllò

- Ok è sulla lista. 

- Bene, posso? - Disse Rick indicando la porta mentre uno ancora gli sbarrava la strada

- No, dobbiamo prima controllare le sue borse. Cosa c’è lì? - Disse indicando la busta dove Castle aveva messo la cena

- Polpette e purè. - Gli aprì i contenitori termici per fargli vedere il contenuto - Per il detective Beckett. Dovete assaggiarle per essere sicuri che non siano avvelenate? Se volete posso assaggiarle anche io davanti a voi!

- Non faccia lo spiritoso, signor Castle. Nella borsa invece cosa c’è?

- Ecco qui… qui ci sono delle cose che il Detective mi ha chiesto di portarle - Disse imbarazzato. Non voleva certo che quei due sapessero che lì c’erano i suoi vestiti.

- Bene, ci faccia controllare - disse uno dei due mettendosi dei guanti

- Ma… - Provò ad obiettare Castle

- Nessun ma, o ci fa controllare o questa borsa non entra. - Rispose secco l’agente proprio mentre la porta si aprì e Beckett si affacciò fuori

- Agente Porter, ho chiesto io al signor Castle dei portarmi degli effetti personali. Non vorrà mia frugare tra la mia biancheria intima, vero agente? - Disse Beckett con il suo tono intimidatorio e lo sguardo che non ammetteva repliche

- Ma Detective noi abbiamo ricevuto l’ordine… - l’agente stava cercando di opporsi ma Kate lo interruppe

- Agente Porter, se il signor Castle ha nascosto armi e proverà ad uccidermi una volta dentro, le prometto che nessuno vi darà colpa di questo - Fu talmente seria che Castle potè vedere una vera espressione di terrore negli occhi dei due che poi lo guardarono perplessi, così Porter si limitò a tastare da fuori la borsa sentendo che non c’era nulla di sospetto e la passò a Beckett, lasciando entrare Castle. Kate chiuse la porta mettendo il chiavistello mentre Rick appoggiava la cena sul piano della cucina. La vide curiosare nella sua borsa sorridendo, poi le si avvicinò togliendogliela dalle mani e lasciandola cadere a terra.

- Mi sei mancato. - Sospirò Kate.

- Anche tu.

Si avventò sulle labbra di Castle, prendendogli il volto tra le mani con veemenza, per poi, man mano che il bacio diventava meno vorace, scendere ad accarezzagli la nuca ed i capelli.

- Il miglior saluto di sempre - disse Rick riprendendo fiato.

- Già - sorrise lei imbarazzata e Castle si chiese come faceva ad essere così impetuosa un momento prima e timida subito dopo - Dobbiamo parlare Rick… È importante.

- Dobbiamo parlare di solito è l’inizio di qualcosa di poco piacevole… - Disse Castle prendendola per le braccia con dolcezza.

- Non è quello che pensi. - Si affrettò lei a fugare ogni suo dubbio.

- Ok, vieni qua… - Rick la tirò verso di se fino a che Kate non si appoggiò sulla sua spalla e lui l’abbracciò nella sua solita stretta protettiva. Beckett lo respirò e trovò il suo profumo come qualcosa di buono: era il profumo dei biscotti il sabato pomeriggio, della cioccolata calda nei giorni di pioggia d’inverno, del tacchino il giorno del ringraziamento, dello zucchero filato al luna park, dei pop corn al cinema era il profumo di casa, quello che ti fa stare bene.

Seduti nel divano erano negli angoli opposti, Kate con le gambe incrociate sotto di se, in una posizione che Rick trovava estremamente scomoda solo a guardarla, aveva bisogno della giusta distanza tra loro per cercare di essere lucida mentre parlava, cosa che la sua vicinanza metteva in crisi.

- Se mi avessero dato quei fogli un mese fa, avrei passato ogni singolo istante ad analizzarli, in ogni modo, cercando anche il più piccolo indizio, un’ombra, qualsiasi cosa che mi desse la possibilità di trovare un solo minuscolo appiglio per cercare ancora, per arrivare alla verità. Da questa mattina li guardo senza avere il coraggio di vedere cosa c’è dentro. Ho paura di non trovarci nulla, di avere l’ennesima delusione, ma ancora di più di trovare qualcosa che mi spinga a tuffarmi di nuovo irresponsabilmente dentro tutta questa storia e non credo che poi riuscirei a mettermi un freno, mi conosco.

Castle ascoltava attentamente le parole di Beckett. Forse era quello che avrebbe voluto sentirle dire, una presa di coscienza di come abbia sempre rischiato in prima persona senza pensare alle conseguenze, senza avere la percezione reale di quando avrebbe dovuto fermarsi. La vedeva, però, turbata da questo, sfregarsi le mani nervosamente mentre parlava.

- Cosa è cambiato, Kate? - C’era troppo non detto tra di loro. Troppe cose lasciate intendere, colmate con i gesti e con i loro silenzi eloquenti che sapevano interpretare alla perfezione. Avevano, però, bisogno di dirsi di più, anche quello che già sapevano.

- Noi, Castle. Perché ora ho qualcosa da perdere, qualcosa che ho paura di perdere.

- Non mi perderai per quei documenti, Kate.

- Ti hanno sparato per quelli, Rick! Cosa sarebbe accaduto se non avessi avuto il giubbotto antiproiettile eh?

- Se ero fortunato potevo chiedere di metterci in stanza insieme! - Provò a sdrammatizzare

- Ti prego, fai il serio. Capisci perché avevo paura? Perché ti avevo detto che fino a quando questa storia non era finita non potevo avere una relazione come avrei voluto? Perché ho messo un bersaglio addosso anche te e se io posso rischiare di morire non posso accettare che sia tu a doverlo fare, che la persona che amo rischi di morire per causa mia. Non posso convivere con questo.

- Sono anni che convivo con questa paura Kate, da quando sono stato così egoista e stupido da indagare, riaprire il caso, convinto che avrei potuto aiutarti e che sarebbe stato facile, insieme, trovare la soluzione. Io ho paura da allora per te, ogni volta.

- È diverso Castle. Non posso permettere che ti accada qualcosa eppure, adesso, qualsiasi cosa io faccia è un pericolo. È pericoloso andare in fondo a questa storia, è pericoloso non fare niente. E non posso vivere così, reclusa senza colpa, in attesa che qualcosa cambi, che qualcun altro trovi una soluzione al posto mio.

Rick non ne poteva più di quella distanza tra loro, le si avvicinò prendendole le mani che stava continuando a torturarsi.

- Qualunque cosa vuoi fare, sarò al tuo fianco, come sempre. Rispetterò ogni tua scelta, voglio solo  che non mi escludi, quello non potrei sopportarlo ancora. Se tu vuoi prendo quei documenti e li porto via e non li vedrai più fino a quando non vorrai. Oppure ci sediamo al tavolo e cominciamo a vedere cosa possono dirci di più. Io credo che tu alla fine troverai la verità, perché non sei una persona che si accontenta di vivere nell’incertezza e perché alla fine il tuo senso di giustizia è più forte di tutto.

Kate guardava le loro mani unite. Appena lo aveva sentito stringerla, aveva stretto la presa sulla mano di lui, perché era la cosa più naturale che potesse fare. Giocava con le dita di Castle, accarezzandole dolcemente.

- Vorrei solo per una volta essere libera di amare, di amarti, senza dovermi preoccupare.

- Non lo fare, non ti preoccupare di nulla. - Rick racchiuse la mano di Kate tra le sue, così come avrebbe voluto fare con lei, tenerla al sicuro tra le sue braccia, per sempre.

- Non posso permettere che ti accada qualcosa. Lo capisci questo? Non è giusto per te, non è giusto per la tua famiglia… Non hai detto nulla a Martha e Alexis di quella notte vero? - Rick fece di no con la testa, non aveva senso per lui dare alle sue due rosse quella preoccupazione inutile, in fondo non gli era accaduto nulla. Kate li accarezzò il volto con la mano libera, tracciandogli la linea di quelle rughette intorno agli occhi e scendendo sulla guancia lasciando che lui si abbandonasse al suo tocco.

- Kate… Io non so cosa accadrà. Non co cosa diventeremo noi, non so quando riusciremo a scoprire chi c’è dietro tutta questa storia. Ho detto quando, non se, perché sono sicuro che lo faremo. Fino ad allora, però, non puoi vivere a metà. Io non voglio rinunciare a noi e non mi importa cosa vuol dire, cosa dovremo affrontare. Tu, per me, vali ogni pericolo da sconfiggere insieme. 

- Insieme, Castle?

- Sempre, Beckett. Affronterei anche la Gates per te, se fosse necessario. - Le disse sorridendo cercando le sue labbra.

- Sei proprio un temerario allora. - Gli si avvicinò per prendere quel bacio che voleva terribilmente. Si appoggiò poi su di lui continuando ad accarezzargli la nuca e l’orecchio, facendogli anche un po’ di solletico. - Non sopporterei se ti accadesse qualcosa.

- Me lo hai già detto, ma non mi accadrà nulla.

- Come fai ad esserne così sicuro? - Sbuffò Kate sentendosi come se lui non volesse capire le sue paure, ma Rick cercava solo di esorcizzarle.

- Perchè io so le cose, dovresti saperlo ormai.

- Non sei mai serio tu, vero?

- Sì, ogni volta che ti dico che ti amo. Sono serissimo.

- Andiamo a vedere quei documenti Castle?

Rick non si fece pregare e si alzò dal divano prima di lei, allungando le mani poi per aiutarla ad alzarsi. Fu in quel momento che appena in piedi la vide vacillare ed il volto contrarsi in una smorfia di dolore. Le passò un braccio dietro la schiena per sorreggerla per poi farla sedere di nuovo sul divano.

- Ehy, Kate…

- Solo un giramento di testa… mi sono alzata troppo velocemente. 

Castle dopo un rapido giro di domande alle quali Beckett rispose mal volentieri scoprì che non aveva pranzato e non aveva nemmeno preso le sue medicine. Le preparò una tazza di caffè ben zuccherata e la osservò mentre beveva a piccoli sorsi il liquido caldo e dolce.

- Non posso nemmeno lasciarti sola il tempo di un pranzo e ti trascuri. - Le disse serio - Vorrei che ti rimettessi in forma presto, ma immagino che come sempre tu e l’occuparti di te stessa non andiate d’accordo. Dovrò parlare con tuo padre e…

- Pensi che la predica durerà ancora a lungo?

- Sì.

- Andiamo Castle. Ho solo saltato un pranzo!

- E le tue medicine. Non è uno scherzo quello che hai avuto Kate.

- È stata una circostanza particolare oggi, Castle. Non sarà sempre così. - Provò a discolparsi

- Ci sarà sempre una circostanza particolare che farà passare la tua salute in secondo piano. Non voglio che accada.

- Castle, per favore… - gli passò la tazza vuota e si alzò più lentamente mentre lui andava a posare la tazza nel lavandino. Lo raggiunse abbracciandolo da dietro. - Castle… ti prego…

Rick si voltò ancora corrucciato per quanto accaduto.

- Se vuoi fare qualcosa per farmi felice, prenditi cura di te stessa. Non c’è niente che mi farebbe più piacere.

Le mani di Kate tremarono nell’aprire quella cartellina di plastica contenente i fogli che avrebbero dovuto essere la sua “assicurazione sulla vita”. Per quanto facesse attenzione, pezzi di carta bruciata cadevano sotto le sue dita ed il resto era veramente molto annerito. Sbuffò sconsolata pensando che lì, di leggibile, ci fosse veramente poco e non bastava nemmeno Castle ed il suo ostinato ottimismo a farle pensare il contrario. Cominciavano a trascrivere le parti dei documenti leggibili, cercando di trovare delle parti che potessero portare a qualche pista concreta. Erano elenchi in codice di nomi e numeri, di qualcosa che potevano sembrare pagamenti fatti e ricevuti.

C’era solo un codice che sembrava ritornare più volte, due lettere WB seguite da vari numeri. Comparivano più volte, in forme diverse. WB718 - WB202

Erano riusciti, tra le varie pagine, a ricostruire quasi per intero i codici, per entrambi gli sembrava mancare solo un numero, che non riuscivano a distinguere. Decisero di chiamare anche Esposito e Ryan per metterli al corrente dei loro passi avanti e per avere due menti fresche con le quali ragionare, loro con tutti quei numeri e codici stavano dando letteralmente i numeri. I due detective erano alle prese con l’omicidio di uno strozzino da parte di una delle sue vittime che aveva chiesto un prestito per curare il figlio malato. Un po’ per abitudine, un po’ per distrarla e regalarle un po’ di normalità, Ryan riferì a Beckett tutti i particolari del caso appena risolto, promettendole che sarebbero arrivati da lei appena finite le pratiche burocratiche al distretto.

Mangiarono seduti sul divano le polpette ed il purè preparati da Castle, lasciando il tavolo apparecchiato con le loro indagini. Erano quei momenti di normalità che Kate bramava più di ogni altra cosa, avrebbe voluto che fosse sempre così: loro due, un divano, un piatto di polpette da rubarsi a vicenda e le loro risate soprattutto quando Rick si sporcò con il sugo la camicia e cercando di pulirsi si sporcò ancora di più.

- Vado a cambiarmi prima che arrivano Esposito e Ryan. - le disse alzandosi e portando via i piatti prima di andare in camera da letto dove aveva portato la sua borsa.

Kate sospirò imbambolata nel pensare a quello che stava accadendo. Aveva appena cenato con Castle, mangiando quello che lui aveva preparato per loro ed ora lui era in camera da letto che si stava cambiando. Era tutto così tremendamente bello. Lo vide tornare con una tshirt nera che metteva in risalto i bicipiti molto più possenti di quanto lasciasse intuire il suo solito abbigliamento. Si sentì così osservato da guardarsi più volte.

- Che c’è Beckett, sono ancora sporco? - disse toccandosi la maglietta sul petto

- No… sei… diverso dal solito. 

- Uhm… è un complimento o no?

- Lo è. Stai… bene…

Era visibilmente imbarazzata dal mostrarsi così attratta fisicamente da lui

- Intuisco che ti piace quello che vedi allora - Ghignò Rick divertendosi a provocare il suo imbarazzo e lei rispose di sì con un cenno del capo e mordendosi il labbro inferiore che mostrava molto di più i suoi veri sentimenti. Castle rise di gusto sedendosi al suo fianco e baciandola con passione. Non avrebbe fatto altro e penso con estremo disappunto al fatto che da lì a poco sarebbero arrivati anche Esposito e Ryan.

Il suono del campanello della stanza li ridestò dalle loro reciproche attenzioni. Castle si alzò per andare ad aprire, dando un ultimo bacio a Beckett e sospirando pensando che per le prossime ore sarebbe dovuto rimanere buono al suo fianco sforzandosi di non esporsi troppo. Anche lei si alzò, facendosi trovare già al tavolo, sistemandosi capelli e maglietta, sperando che le attenzioni che aveva dedicato Castle alla sua bocca non fossero troppo visibili, sicuramente Ryan non si sarebbe accorto di nulla, aveva qualche dubbio in più su Esposito.

- Ciao ragazzi!

- Ehy Castle! Non pensavamo di trovarti ancora qui! - Lo salutò Kevin entrando

- Beckett mi ha detto che venivate più tardi, ho pensato di rimanere. Siamo una squadra no?

- Stai bene più sportivo, sempre quelle solite camice, ti invecchiano Castle, pensaci!

- Se dovrò fare colpo su di te Javier ci penserò!

Beckett osservava preoccupata le battutine che i tre si lanciavano a vicenda. Avrebbero capito tutto, ne era certa.

- Pensate di continuare a stare lì a chiacchierare o volete venire qui a vedere cosa abbiamo trovato? - Li richiamò con il suo solito piglio autoritario che fece immediatamente ammutolire i tre uomini che la raggiunsero prendendo posto agli altri tre lati del tavolo. Gli mostrò le loro prime ricostruzioni approssimative di alcune pagine e quei codici che avevano trovato con più frequenza.

- Ecco, questi - disse Kate prendendo il foglio dove avevano scritto e girandolo a favore dei suoi colleghi - WB202719*650 e WB718*618709. Abbiamo messo degli asterischi al posto dei numeri mancanti, quelli non riusciamo proprio a decifrarli.

Ryan ed Esposito li guardarono con attenzione poi l’irlandese ebbe un’idea

- Beckett, WB potrebbero essere le iniziali di un nome? 718 e 202 sono i prefissi di New York e Washington, potrebbe essere qualcuno che è collegato a queste due città. Ti viene in mente qualcuno con quelle iniziali che potrebbe essere collegato a tutto questo?

- Wade Bell… - Disse Kate pensierosa

- Chi è Wade Bell? - Chiesero i tre in coro.

- Il capitano del quinto distretto. Quello che ha chiesto a Price di chiudere velocemente il caso.

- Andiamo Beckett, sarà una coincidenza, ora credi a Price? - Sbottò Esposito

- Non lo so, Nick mi ha detto che è uno arrivato da poco al distretto e gli è sembrato particolarmente interessato a far chiudere il caso in fretta e quando il caso è stato riassegnato al dodicesimo ha detto che ne era infastidito.

- Beh, anche la Gates era infastidita quando è stato spostato al quinto, non vuol dire che sia colpevole di qualcosa. - Insistette l’ispanico.

- Bretton, il capo della polizia, anche lui mi ha detto che era da poco che era stato assegnato lì. - Si intromise Castle

- Perché parli con il capo della polizia Castle? - Chiese ancora Javier

- Perché giocare a poker tutta la sera con una persona senza parlarci pare brutto. Così ho approfittato per chiedergli di riassegnare il caso al dodicesimo e farvi indagare insieme.

- Beh, una volta tanto le tue intromissioni non sono state deleterie - Lo schernì Kate alla quale Rick rispose con un’occhiataccia, ma finirono per guardarsi in modo molto diverso e dovettero faticare per distogliersi lo sguardo a vicenda.

- Dare una controllata a questo Capitano Bell non ci costerò molto - asserì Kevin cercando di evitare altri battibecchi. - Meglio essere più scrupolosi.

- Giusto Ryan. E fai anche un’altra ricerca. Tutte le persone con quelle iniziali che avevano lavorato in quegli anni con Montgomery e Raglan e McCallister.

- Avete trovato dei riferimenti anche a loro? - Chiese ancora Ryan

- Non abbiamo pensato di cercare qualcosa in quel senso. - Ammise Castle che si chiedeva come aveva fatto a non pensare ad un’ipotesi così banale come le iniziali ed i numeri di telefono. Aveva fatto le ipotesi più strane, tutte bocciate da Beckett e non aveva pensato alla cosa più stupida, come si sentiva lui in quel momento.

I quattro si misero ad esaminare di nuovo quei brandelli di fogli. Trovarono delle sigle che potevano corrispondere ai poliziotti corrotti in questione, ma mai in corrispondenza di quelle segnate in precedenza con WB. Misero insieme un grosso elenco di presunti numeri e iniziali. Poteva essere un inizio sul quale lavorare.

Era passata mezzanotte da un bel po’, quando Esposito sbadigliò rumorosamente e Kate controllò l’orario preoccupata per i suoi amici.

- Dovreste andare a riposare ragazzi. Si è fatto veramente tardi e non credo che siamo più tanto lucidi da trovare altro.

- Sì Beckett, hai ragione. - Le rispose Kevin controllando l’orologio

- Non vorrei che Jenny se la prendesse con me che ti trattengo più del dovuto! - Scherzò la donna

- No, anzi, ti saluta. È stata anche lei molto preoccupata per te, come tutti noi. - Si rese conto che le sue parole avevano messo Kate a disagio e si affrettò ad alzarsi.

- Ci vediamo domani Beckett - La salutò Esposito - Che fai Castle, vieni con noi? 

- Io… ehm… Voi intanto andate ragazzi, io aiuto Beckett a mettere a posto qui e in cucina, lei non se lo ricorda, ma è ancora convalescente.

- Non ne avevamo dubbi! - Rise l’ispanico mentre se ne stavano andando.

Rick tirò un sospiro quando i due furono fuori dalla porta.

- Sono questi i tuoi piani Castle? - Chiese Beckett che aveva già sistemato i documenti nella cartellina - Sistemare ed andartene?

- Non ho fatto nessun piano. Tu?

- Nemmeno io. Però sei un cuscino molto comodo.

Si sorrisero complici e non ci fu bisogno di aggiungere altro.

Beckett era in quella che ormai era diventata la sua posizione consueta, appoggiata sul petto del suo scrittore, come ormai si divertiva a chiamarlo, sottolineando quel pronome possessivo che tanto piaceva a Castle sentirle pronunciare. Rick aveva passato tutte le notti con Kate, era diventata una quotidianità senza che se lo chiedessero, era semplicemente normale, perché lei non voleva mai che lui alla sera se ne andasse e lui non voleva farlo. Solo durante il giorno tornava per qualche ora al loft per prendere dei cambi puliti ed incrociarsi brevemente con Martha che aveva capito molto di più di quello che faceva finta di sapere, ma non faceva domande, le bastava vedere Rick decisamente più felice e sereno.

In quella settimana erano riusciti a mantenere il riserbo sulla loro storia, anche se era sempre più difficile. Avevano indagato su quei documenti ricostruendo altri pezzi di codici e quella era stata una buona copertura per la loro frequentazione assidua, anche se Kate era convinta che Esposito sospettasse qualcosa, dal modo in cui guardava e lanciava sempre più battutine a Castle.

- Mi piacerebbe sapere a cosa pensi Castle. Sei così silenzioso questa sera. - Gli chiese Kate mentre gli accarezzava il torace sotto la maglietta.

- A te. - Si voltò per baciarla tra i capelli.

- Un po’ più specifico Castle! 

- Ti amo, Kate… Domani sera non potrò rimanere. - Beckett si tirò su per guardarlo e lui fece lo stesso - Bob, il sindaco Weldon, mi ha chiamato oggi pomeriggio e mi ha chiesto di organizzare una serata di poker, sai il suo amico senatore è in città e le altre volte si era divertito molto. Non è male per essere un politico…

- Quindi mi abbandoni per i tuoi amici pezzi grossi.

- E sto già male all’idea. Mi sei entrata dentro Kate, più di quanto pensavo fosse possibile, più di quanto già non lo fossi.

- Ti amo anche io, Rick.

- So che è presto, che ci eravamo detti altro, però… Vorrei di più per noi.

- Castle…

- No, ascoltami. - Rick racchiuse le mani di Kate tra le sue, tenendole come se fossero giunte in preghiera - Non ti dico domani o tra una settimana, però pensaci. Vorrei poterti stare vicino senza dovermi nascondere, perché non c’è nulla di male in quello che stiamo facendo. Io lo vorrei dire a tutto il mondo quanto ti amo.

- Non sono un trofeo da esporre, Castle!

- Kate, cosa dici? Io vorrei solo essere libero di prenderti la mano mentre siamo seduti al tavolo con Esposito e Ryan, spostarti una ciocca di capelli dal volto anche se non siamo soli. Cosa c’è di male in questo?

- Niente, solo che… Non sono abituata a mettere in piazza i miei sentimenti.

- Non mi pare però che con Demming o con Josh ti facevi tutti questo problemi, baci al distretto inclusi.

- È diverso Castle. Quello che c’è tra noi è diverso, io sono diversa.

- Kate… tra qualche giorno tornerà Alexis… Mia madre stranamente non fa domande, anche se presumo abbia capito più di qualcosa, anzi forse proprio per questo, lei sa quanto sei importante per me e so che ti vuole molto bene. Però con mia figlia è diverso, tra qualche mese andrà al campus, ma quando torna sarà a casa per il resto dell’estate, non posso stare fuori casa tutte le sere e non dirle nulla.

- Ci vedremo meno frequentemente quindi…

- No! Io… io non voglio dire questo! Ma non posso mentire a mia figlia, mi capisci? Se tu non fossi importante per me, se tutto questo non fosse così importante non mi preoccuperei. Io però voglio che tu sia parte della mia vita. Di tutta la mia vita. 

- Castle quanto tempo è che stiamo insieme? Una settimana? Un mese se ci mettiamo il periodo in ospedale? Io… è troppo tutto questo. 

- Noi stiamo insieme da anni Kate! Non nel senso normale delle cose ma in realtà è così. Dobbiamo conoscerci per molte cose, ma per altre ci sono coppie che sono sposate da tanto tempo e non si conoscono come noi. Dimmi che non vivo solo io la continua sensazione che tutto quello che abbiamo adesso è la normalità di come deve essere. La colazione alla mattina, il nostro caffè, mangiare sul divano rubandoci il cibo a vicenda dal piatto, tu che dormi appoggiata su di me, Dio mio Kate, non credo di poter dormire più senza sentire il tuo profumo. È tutto perfetto, non ti sembra?

- Sì Castle. Ed è di questo che ho paura. Perché la perfezione non esiste.

- Esiste. Siamo noi. Siamo perfetti con i nostri difetti.

- Sei un inguaribile ottimista Rick. E un sognatore 

- No, sono realista quando si tratta di noi e se non ti avessi sognata così tanto non saresti mai stata reale, migliore di ogni sogno.

Kate gli accarezzò la nuca, il quel punto sotto l’orecchio che a lui piaceva tanto, solleticandogli con le dita l’attaccatura dei capelli. Rick chiuse gli occhi abbandonandosi al suo tocco, quello che aveva sognato tante volte pensando a lei, sospirando: non credeva di essere il miglior scrittore del mondo, ma sicuramente sapeva di essere bravo e di saperci fare con le parole, eppure gli sembrava così difficile trovare quelle giuste per lei, per fargli capire se stesso.

- Vorrei essere libero di uscire con te. Fare quello che fanno tutte le coppie, senza nascondermi. Portarti a cena fuori, al cinema o a teatro, se preferisci. Andare in giro per negozi, librerie magari e sbirciare da dietro quelli che prendono una copia di uno qualsiasi dei libri di Heat e vedere la faccia che fa quando poi gli dico che tu sei Nikki Heat.

- Ti sembra una cosa che fanno tutte le coppie questa? - Rise Beckett. Lui era così, la sua fantasia galoppava via naturalmente prendendo sentieri invisibili e sconosciuti e riusciva a trasportarla con agilità nei suoi mondi. Lo faceva al distretto, quando costruiva le storie dei casi aiutandoli più volte ad arrivare alla realtà e lo faceva anche per loro, confinati lì in quella stanza, lui creava i loro mondi, dove avrebbe voluto renderla protagonista, come nei suoi romanzi. Ed ora Kate non doveva più fingersi infastidita da questo, lo faceva solo se voleva punzecchiarlo, ma amava le sue idee strampalate, i suoi mondi ed avrebbe voluto viverli tutti, era convinta che se ce l’avesse portata adesso, lo avrebbe anche assecondato, presentandosi come Nikki Heat e poi ridendo con lui.

- No, questa sarebbe una cosa speciale solo per noi.

- Tu lo fai spesso? Andare nelle librerie a spiare chi compra i tuoi libri?

- Qualche volta. Li osservo tra gli scaffali, qualcuno lo guardo leggere e poi rimettere a posto il libro, mi piacerebbe anche chiedergli perché non lo prende o non gli è piaciuto, poi desisto. Qualche volta, invece, se vedo qualcuno che lo compra, poi mi offro di firmarglielo. Solo una volta ho fermato una signora. La vedevo spesso venire in una libreria, leggere qualche pagina e poi posare il libro. Un giorno l’ho fermata e le ho chiesto come mai, mi ha detto perché non poteva permettersi di comprarlo, così le ho fatto avere una copia di tutti i miei libri, anche quelli più brutti, forse per questo poi non l’ho più vista.

- Non ti ha ringraziato? - Chiese stupita

- Uhm, no… Non a parole, però quando gliel’ho detto lo ha fatto con lo sguardo. Forse alla fine i libri non le sono piaciuti così tanto…

Kate lo baciò dolcemente. Richard Castle era un uomo buono e generoso, ben diverso da quello che la stampa lo voleva far apparire. Non era uno di quelli che faceva beneficenza solo alle serate mondane quando tutto era un buon mezzo per farsi pubblicità, lui era pieno di piccoli gesti che sapevano rendere le giornate migliori degli altri. Lo aveva osservato molte volte in quegli anni e sapeva bene quanto le piccole cose fossero importanti tanto quanto quelle più appariscenti, dal caffè regalato ai senza tetto mentre erano fuori per le indagini a quelle generose mance lasciate spesso a fattorini e commessi che molti scambiavano per ostentazione. Quello era il Richard che amava, il suo Castle.

- Cosa altro vorresti fare come tutte le coppie normali? - Gli chiese Kate dandogli un altro piccolo bacio sulle labbra.

- Beh, vista la stagione andare al mare, ti direi a casa mia negli Hamptons, ma tu mi diresti che non è da coppia normale. Oppure al lago, seduti sul prato a fare un pic-nic. E al luna park, sulla ruota panoramica e ti bacerei quando siamo proprio nel punto più alto. E a te cosa piacerebbe fare?

- Vorrei andare al parco, fare una passeggiata mano nella mano, sedermi su una panchina appoggiata alla sua spalla e guardare la gente passare. E poi vorrei andare sulle altalene.

- Ti piacciono le altalene? - Chiese stupito

- Sì, mi fanno sentire libera e mi ricordano quando ero bambina.

- Direi che abbiamo tante cose da fare insieme, no?

- Direi di sì, Castle… che ne dici da cominciare con il dormire?

Rick le sorrise scivolando fino a sdraiarsi. Aprì il braccio aspettando che Kate si accomodasse come ogni notte e poi l’abbracciò. Nel buio della stanza lei non poteva vederlo sorridere ancora mentre aveva ripreso ad accarezzarlo sul collo, giocando con il lobo dell’orecchio. Stando con lei aveva capito di amarla più di quanto pensava già di poterla amare e sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa per lei e per il loro futuro insieme.

—

Il tempo che Castle passava al loft, se non c’era sua madre alla quale si sentiva in dovere di dedicare il suo tempo anche solo ascoltando le sue avventure o disavventure teatrali, ormai lo trascorreva quasi interamente ad aggiornare e a studiare la sua “lavagna” con il caso di Kate. Lo faceva molto di più di quanto le avesse detto e se in sua presenza si mostrava sempre calmo ed ottimista, quando era chiuso solo nel suo studio lasciava che la sua frustrazione venisse a galla. Ryan li aveva chiamati quella mattina, aveva fatto tutte le prove possibili con quei numeri che avevano recuperato, ma nulla che portasse a Wade Bell. Si erano illusi nei giorni precedenti quando avevano scoperto che prima di venire a New York vent’anni fa, il Capitano Bell aveva lavorato a Washington per un paio d’anni, ma tra lui e quei numeri di telefono non c’era nessun collegamento. L’unica cosa che aveva attirato l’attenzione di Ryan era che tra le varie combinazioni possibili i numeri risultavano essere di una società no profit con sede nelle due città, ma la sua costituzione era troppo recente per essere direttamente collegata con i fatti su cui stavano indagando. Per lui, comunque, era una coincidenza troppo sfacciata per essere solo quello. In qualche modo quella società doveva ricondurre a quella storia. Appuntò i numeri nella sua lavagna elettronica e rimase a guardarla quel pomeriggio per molto tempo, prima dell’arrivo dei suoi ospiti per il consueto poker.

Quella sera Castle aveva scelto per i suoi ospiti un pregiato whisky scozzese invecchiato 35 anni, dal gusto intenso e complesso, dove note fruttate lasciavano spazio a toni più corposi e sfumature di spezie e rovere.

- Una scelta d’alta classe Rick! - Bracken assaporava l’aroma inebriante di quella bevanda pregiata e Castle si compiaceva di aver fatto ancora una volta colpo sui suoi ospiti con le sue scelte ricercate. Era un suo vezzo che gli piaceva mantenere e, sopratutto da quando aveva saputo che il senatore Bracken era un’intenditore, si era dato ancora più da fare per trovare la bottiglia giusta per sorprenderlo e quella vecchia distilleria scozzese nel cuore dello Speyside aveva proprio quello che cercava.

- Grazie Will, solo il meglio per i miei amici, come sempre! - Sorrise Rick alzando il bicchiere per brindare con gli altri.

Seduti intorno al tavolo del poker gli uomini come sempre parlarono di donne, volendo sapere da Rick tutto su quella modella di intimo convinti anche loro che la serata era finita in modo interessante e come con Ryan ed Esposito stette al gioco, contento che almeno questa volta Beckett non potesse sentire i suoi discorsi. Soldi, auto e politica furono gli altri argomenti trattati, con il senatore Bracken che non mancò di metterli al corrente dei suoi futuri progetti, perché ormai non era un mistero per nessuno che la Casa Bianca era un suo obiettivo per le prossime elezioni e a detta dei più anche alla sua portata, già impegnato nelle primarie del suo partito che si sarebbero svolte da lì a breve. Fu proprio tra una mano e l’altra che ricevette un messaggio per una chiamata urgente; chiese a Rick di poter andare nel suo studio e lo scrittore acconsentì mentre lui e gli altri facevano una breve pausa mangiando qualche altro spuntino fatto fare appositamente da Castle dal catering di un rinomato ristorante della zona. La serata scivolò via più piacevole di quanto Rick potesse immaginare e durò fino a notte fonda, mano dopo mano: ebbe modo di rifarsi anche delle ingenti somme perse le ultime volte e prendendolo in giro, il sindaco gli disse che era tutto merito della fortuna che gli aveva trasmesso la modella di intimo con il suo fondoschiena da urlo e Castle gli rispose che era felice che non perdeva il buonumore nonostante tutto il denaro che aveva appena perso. Gli uomini ebbero modo di salutare anche Martha di ritorno dal teatro che, da donna di mondo qual era non si trovò per niente a disagio nella situazione, anzi ne approfittò per un giro di whisky anche lei prima di “ritirarsi nelle sue stanze” come disse con tono enfatico accompagnato da plateali gesti.

Quando tutti se ne furono andati Rick constatò che era troppo tardi per chiamare Kate quella notte. Si erano sentiti nel pomeriggio e le aveva ripromesso di chiamarla prima di andare a dormire, ma era certo che lei stesse già dormendo e non voleva disturbarla. Si fece una doccia prima di andare a dormire di nuovo nel suo letto, che ora trovava vuoto e freddo. Chiuse gli occhi rimanendo nell’illusoria attesa che qualcuno si intrufolasse sotto il suo braccio per sdraiarsi vicino a lui: come pensava dormire senza Kate era diventato innaturale.

—

In un appartamento di Brooklyn nel cuore della notte un uomo fu svegliato dal suono del suo cellulare. Doveva sempre essere reperibile per il lavoro, ma non solo.

- Sono io. Hai fatto un altro errore, lo sai?

- Cosa stai dicendo?

- I documenti. Non sono andati distrutti, non del tutto almeno. Lo scrittore sa più di quello che deve sapere. Ha dei numeri di telefono e non so quanto ci metterà a collegarli e a scoprire altro.

- Ma non è possibile!

- È così, ti dico. Ne sono certo.

- Cosa vuoi che faccia allora?

- Quello che l’altra volta non sei riuscito a fare. Non voglio che affretti i tempi, ma voglio che sia una cosa definitiva. Come ti ho detto, è più pericoloso lui della Detective e poi senza di lui anche lei sarà un obiettivo più facile.

Castle si era svegliato di soprassalto. Agitò il braccio nella parte di letto alla sua destra trovandolo vuoto e freddo. Si tirò su ed aprì gli occhi: la luce filtrava fin troppo accecante dalle tende dimenticate aperte nella sua camera del loft. Si guardò intorno rendendosi conto di dove si trovava e si buttò pesantemente sul materasso premendosi con forza le mani sul viso. Aveva dormito male, poco e male.

Cercò un paio di pantaloni della tuta ed andò in cucina dove sua madre stava preparando qualcosa che doveva essere la colazione. Decise di prendere solo una tazza di caffè, mentre Martha gli metteva davanti un piatto con uova e qualcos’altro che non sapeva quanto fosse mangiabile, ma si lasciò convincere dai rumori del suo stomaco a tentare la sorte. L'attrice vedendolo riluttante lo squadrò severa.

- Richard sei arrivato ad essere un uomo grande e grosso anche grazie alla mia cucina. Quindi non fare troppo lo schizzinoso e mangia! Guardi quelle uova come se ti avessi avvelenato ogni volta che ho cucinato per te!

- Ogni volta no, ma ti ricordi quella volta con il tuo esperimento di Shepard Pie? Io ricordo ancora bene quella brutta infermiera in ospedale! Se ci penso ho gli incubi!

- Non esagerare ragazzo! Quello è stato solo un incidente di percorso!

- Sì, finito con una lavanda gastrica per il sottoscritto!

- Oh come sei melodrammatico Richard!

- Sei tu che mi stai dicendo questo mamma? Veramente? - disse vedendo i suoi gesti fin troppo teatrali mentre si portava alla bocca una forchettata di uova e non sapeva bene cos’altro. Alla fine dovette ammettere che era meno peggio di quanto pensasse sotto il sorriso compiaciuto di Martha.

- Non sapevo che fossi amico del senatore Bracken. - Gli disse sua madre mentre sorseggiava il caffè

- Non siamo proprio amici, è amico di Bob, si è unito al nostro giro di poker. Apprezza molto le mie scelte di whisky anche lui è un appassionato.

- È appassionato anche di teatro! - Disse Martha prendendo un po’ delle uova dal piatto del figlio

- E tu che ne sai?

- Tanti anni fa, alla fine degli anni ottanta se non ricordo male, quando era Procuratore Distrettuale qui a New York, prima di diventare senatore, ci aveva aiutato quando volevano chiudere il teatro dove stavamo lavorando. Era poi venuti alla nostra prima ed alla festa che avevamo organizzato per la raccolta fondi. Ah che bei tempi, quando c’era tanta partecipazione da parte della gente! Era stato anche molto galante sai? Un uomo di grande fascino! 

- Mamma ma è molto più giovane di te!

- Ragazzo mio, se un uomo ha fascino non è l’età che fa la differenza, ho comunque gli occhi per poterlo ammirare!

- Lasciamo stare mamma… - Castle finì la sua colazione e si alzò per mettere i piatti nella lavastoviglie mentre beveva gli ultimi sorsi di caffè.

- Ieri sera la tua nuova fiamma ti ha cacciato di casa? - Chiese con estrema nonchalance Martha facendo quasi strozzare suo figlio

- Chi? - Rispose fingendo quell’indifferenza che non riusciva a mostrare

- Andiamo Richard! È più di una settimana che vieni a casa poche ore e dormi tutte le sere fuori, è chiaro che hai qualcuna! Se non me ne vuoi parlare, fai pure ma non mi mentire!

- È una. Hai detto bene.

- E il Detective Beckett sta bene? - Chiese ancora Martha maliziosamente

- Sì sta bene. L’ho sentita ieri. - Rispose Rick continuando a frugare nella lavastoviglie senza riuscire a mettere via le stoviglie in modo consono

- Bene, salutamela quando la vedi. Ed anche la tua “qualcuna”, ovviamente. - Concluse la donna ironica prima di uscire dal loft

- Certamente mamma. Te le saluto entrambe!  - Chiuse violentemente l’elettrodomestico facendo tintinnare le stoviglie all’interno.

Le guardie fuori dalla camera di Beckett ormai si erano abituate a vederlo arrivare quasi ogni giorno con la sua borsa con i vestiti puliti. Si presentò poco prima dell’ora di pranzo, salutandoli cordialmente e portando loro un paio di caffè come ormai faceva abitualmente. Un piccolo gesto di riconoscenza per quel lavoro così monotono e noioso.

Aspettò che lei chiuse la porta dietro di loro per abbracciarla e salutarla come voleva, con un lungo, lento bacio.

- Ciao… - le disse mentre le punte dei loro nasi ancora si sfioravano, spostandole una ciocca di capelli dal volto.

- Ciao… - gli rispose tenendo il suo viso con entrambe le mani.

- Mi sei mancata. - Le sussurrò Rick sulle labbra

- Anche tu. - Gli diede un fugace bacio - Aspettavo la tua chiamata…

- Abbiamo finito tardissimo, non volevo svegliarti, mi dispiace - Le accarezzò le labbra con il pollice sentendole ancora umide per il bacio precedente. Le era mancata veramente tantissimo. La baciò ancora e continuarono a farlo per i successivi minuti dopo essersi spostati sul divano.

Si raccontarono quello che avevano fatto quando erano stati separati, era strano farlo, visto che erano stati tutto il tempo il insieme fino ad allora. Così Rick gli disse di sua madre e delle battute che aveva fatto sulla sua nuova fiamma e che la salutava, gli raccontò della serata e della partita a poker, di quanto aveva vinto e del whiskey che avevano bevuto promettendole che lo avrebbe fatto assaggiare anche a lei, anzi che lo avrebbero bevuto insieme se le piaceva anche tutte le sere; nel corso degli anni con Esposito e Ryan era capitato spesso che andassero a festeggiare dopo aver risolto dei casi particolarmente complicati all’Old Haunt e lui e Beckett avevano più volte discusso di vini e liquori e l’aveva sorpresa come come riuscisse a reggere l’alcool, molto meglio di lui e dei ragazzi. Kate, invece, gli disse dei suoi progressi: era stata nella palestra dell’hotel e, d’accordo con il personal trainer, aveva cominciato i primi esercizi per ricominciare l’attività fisica. Non gli disse nulla, invece, della visita di Price della sera precedente: sapeva che Rick al pari di Javier e Kevin non lo sopportava, ma era convinta che fossero solo pregiudizi dettati dal momento e che lui fosse nettamente meglio di come lo descrivevano loro. Dei progressi fisici di Kate, però, tra i due quello più entusiasta sembrava Castle, mentre Beckett era scoraggiata per come le era difficile fare ogni cosa e quanta fatica facesse ad eseguire piccoli banali esercizi.

- Amore mio,  quando ti sei svegliata non riuscivi nemmeno a stringermi la mano… Presto sarà il tuo istruttore a non riuscire a stare dietro a te! 

Rick le strappò l’ennesimo sorriso e sentì il suo cuore battere a vuoto come ogni volta che la chiamava così, non lo faceva spesso e sapeva che quelle volte erano ancora più preziose. Gli prese la mano e gliela strinse forte per cancellare quel velo di tristezza che stava offuscando il suo sguardo causato dai ricordi di quei giorni: voleva comunicargli che lei era lì e se ancora non stava del tutto bene si stava riprendendo ed era insieme a lui.

- Mi hanno chiamata dall’ospedale questa mattina, per fissare la data per la visita di controllo, lunedì prossimo.

- Quando torna Alexis! Dimmi a che ora Kate, farò di tutto per esserci.

- Mattina, alle otto, ma Castle, a proposito di questo… preferirei che non venissi.

La guardò perplesso per qualche istante, poi abbassò la testa come un cagnolino che era stato appena sgridato e a Kate si strinse il cuore sapendo di averlo appena ferito.

- Mi accompagnerà mio padre e non credo che sia il caso Rick… capisci?

- Certo, certo… - Rispose mestamente.

Era proprio quello di cui le aveva parlato qualche giorno prima, uno dei motivi per cui avrebbe voluto di più da loro. In fondo lui anche prima di uscire dall’ospedale era stato quello che le era rimasto più vicino di tutti ed ora, invece, lei lo stava escludendo dalla sua guarigione. Capiva il suo dispiacere e la sua frustrazione ma non si sentiva ancora pronta per fare il passo successivo. 

- Mio padre verrà presto la mattina…

- Rimarrò al loft, non ti preoccupare. Anche il volo di Alexis arriva presto, la andrò a prendere in aeroporto.

- Castle…

- Va tutto bene Beckett.

- No, non va tutto bene se mi guardi così. - gli prese il viso tra le mani accarezzando con i pollici i lati del volto all’altezza degli occhi. - Ho bisogno di ancora un po' di tempo. Solo di questo… Ti amo Rick.

Lo abbracciò facendo scorrere le dita tra i capelli e lasciandogli una lenta scia di baci sul collo e per Castle resistere ai brividi che gli provocava la sua bocca che si muoveva languida era sempre più difficile.

— 

Quei giorni passarono veloci nella loro consolidata routine, Castle passava quasi tutto il giorno (e la notte) con lei, approfittando delle ore che dedicava alla palestra o delle visite di suo padre e Lanie per lasciarle il suo spazio e tornare al loft o andare alla Black Pawn. Aveva portato il suo computer da Kate e spesso scriveva lì. Gli piaceva scrivere allungato sul divano con Kate rannicchiata sul suo fianco. Era piacevolmente strano scrivere con la sua musa vicino e combatteva con lei che voleva continuamente sbirciare quello che stava scrivendo e lui non voleva rivelarle la sua opera. Solo ogni tanto era lui a leggerle qualche passo e lei ascoltava attenta e curiosa: a Kate piaceva vederlo all’opera, si era immaginata tante volte come fosse quando era posseduto dal sacro fuoco dell’arte e componeva i suoi libri. Così mentre faceva finta di leggere da dietro il libro lo osservava attenta: le mani che si muovevano rapide sulla tastiera che picchiettava freneticamente, la fronte ora corrucciata ora distesa le faceva intuire che tipo di scena stesse scrivendo, così come la bocca che vedeva serrata o aprirsi in un sorriso. Se solo avesse saputo quante volte lo aveva sognato quando ancora non lo conosceva e leggeva i suoi libri, ma lui non sapeva nemmeno questo.

La sera prima del giorno della visita di Kate erano stati al telefono fino a tardi, benché entrambi dovessero alzarsi presto la mattina seguente, nessuno dei due aveva il coraggio e la voglia di interrompere la conversazione e sembrava ad entrambi trovare in continuazione nuovi discorsi inutili da fare, qualsiasi cosa pur di sentirsi ancora per qualche minuto. Potevano stare le ore a parlare di nulla e farlo sembrare un argomento serio, lo avevano fatto in continuazione quei giorni, chiacchierando di qualsiasi cosa gli venisse in mente. Non si erano mai spinti oltre i loro tanti baci e delle innocenti carezze erano state il massimo del loro contatto fisico, eppure Kate sentiva di aver raggiunto con lui un livello di intimità che nessun altro tipo di rapporto fisico le aveva dato, aveva imparato a leggerlo dentro ed aveva lasciato che lui facesse la stessa cosa, senza mai spogliarsi si era messa a nudo con lui come con nessuno fino a quel momento. Lo salutò, infine, con l’ennesima promessa di chiamarlo appena avesse finito.

Rick era insieme a tanti altri parenti ed amici al di là della transenna degli arrivi, erano passate da poco le sei di mattina ed aveva dormito poche ore. Aveva già finito una tazza di caffè e controllava spasmodicamente l’orologio maledicendo quel volo in ritardo. Poi dalla folla vide apparire i capelli rossi di sua figlia e la sua esile figura trascinare una valigia più grande di lei. Castle si agitò oltremodo per attirare la sua attenzione e la vide salutare le sue amiche, poi fare un cenno a lui ed avvicinandosi con il suo pesante fardello. Rick sembrò risvegliarsi vedendo la sua bambina andargli incontro e si fece largo tra la folla per raggiungerla più velocemente. Le prese la valigia e lo zaino nonostante le sue proteste e la condusse verso il parcheggio. Durante tutto il tragitto fino a casa la riempì di domande sul suo viaggio e su tutti i posti che aveva visto. Alexis rispose stancamente provata dal viaggio e da suo padre troppo euforico anche per essere se stesso.

- Avrai fame! Ti preparo i miei pancakes speciali! Sono sicuro che ti sono mancati tutto questo tempo! - Esclamò Castle appena rientrati al loft tirando fuori dal frigo l’impasto già preparato, mentre Alexis che aveva annuito appena salutava sua nonna poco prima che uscisse.

Rick guardava Alexis mangiare di gusto mentre tamburellava con le dita sul bancone della cucina controllando l’orario sul timer del forno.

- Cosa c’è papà? Perché sei nervoso?

- Io? No… nulla…

- Papà? Nonna mi ha detto tutto al telefono.

- Tutto? Tutto cosa?

- Che hai una nuova fiamma e che lei pensa sia Beckett.

- Che? Cosa? Beckett? - Balbettò Rick

- Papà… rilassati. Io non voglio sapere nulla. Sei felice?

- Sì… sì…

- Ok, allora chiunque sia, va bene. Quando poi vorrai presentarcela saremo felici di conoscerla. - Disse Alexis finendo i suoi pancakes - Ora però sono stanca e voglio solo dormire. Nel frattempo salutacela tu Beckett.

- Sì, ve la saluto ma… Alexis! Perché dovete pensare tutti che è Beckett!

Alexis era già a metà delle scale quando si voltò e sorrise a suo padre che a volte le sembrava così ingenuo.

- Perché certe cose sembrava che le avessimo capite tutti tranne che voi!

Finì di trascinarsi stancamente sulle scale mentre Rick rimaneva imbambolato in cucina riflettendo sulle parole di sua figlia leccando con un dito la crema alla nocciola dal barattolo.

Il suono del cellulare lo destò da suoi pensieri, facendogli pulire le mani sulla maglietta sporcandosela tutta prima di rispondere nervosamente. Controllò ancora l’orario, erano appena le nove, doveva essere presto perché Kate gli facesse sapere qualcosa con tutti gli esami che doveva fare.

- Castle!

- Buongiorno Rick, sono Jim. Jim Beckett

Il cuore di Castle andò in fibrillazione. Perché Jim lo stava chiamando? C’era qualcosa che non andava negli esami di Kate? Era accaduto qualcosa?

- Kate? Kate sta bene? È successo qualcosa? - Balbettò Rick

- Gli esami che ha svolto fino ad ora sono andati bene.

- Ok… 

- È entrata adesso a fare una risonanza e dopo ha l’ultima visita. Ci metterà un po’ ed io stavo pensando che quando esce, sarà più felice di vedere te, piuttosto che me.

- Io… Ma… Sicuro Jim?

- Certo Rick. Conosco mia figlia, il modo in cui parla di te ed i suoi occhi quando lo fa non hanno bisogno di spiegazioni. Se lei è felice, io lo sono per lei. L’unica cosa che voglio è che smetta di buttare via la sua vita.

- Anche io Jim. Farò di tutto per renderla felice. Io… arrivo!

Andò in camera a cambiarsi velocemente e poi uscì per andare in ospedale. Si era appena reso conto di aver ricevuto la benedizione del padre di Kate e questo lo mise di buon umore. Una folle idea gli venne in mente mentre andava verso l’ospedale, doveva fare qualcosa di speciale per lei…

Erano in un altro piano, meno grigio e con molta più confusione del solito, ma la situazione sembrava la stessa, Rick che arrivava un po' trafelato a grandi falcate, Jim seduto su una delle panchine di ferro nel corridoio. La faccia dell’uomo più anziano, però, era molto più rilassata, quasi sorridente, mentre armeggiava con uno di quegli smartphone nuovi che tanto odiava pur riconoscendone l’utilità; sorrise a Rick sentendolo arrivare ormai anche lui aveva imparato a riconoscere l’incedere dello scrittore in quei corridoi troppo familiari. A Castle bastò vedere il volto sereno del padre di Kate per tranquillizzarsi e rallentare di poco il passo.

- Katie è dal cardiochirurgo, non credo ne avrà ancora per molto. 

Rick ascoltava annuendo alle parole dell’uomo adesso un po' imbarazzato a stargli difronte.

- Credo si arrabbierà un po' a vedermi qui, non voleva che venissi. - ammise Castle

- Sì, lo immagino. Non è facile per lei. Katie è…

- Complicata. - Lo interruppe senza pensarci - Splendidamente complicata, volevo dire.

Jim rise dell’imbarazzo di Castle

- Sì, lo è. Ma è la cosa più preziosa che ho al mondo, tutto quello che di bello mi rimane. Tu sei padre Rick, mi puoi capire.

- Certo. Io… voglio solo solo che Kate sia felice.

- Mi basta questo. Ora vado a studio. 

Gli diede una pacca sulla spalla e salutò anche i due agenti che li avevano scortati fin lì dall’hotel.

Rick provò a sedersi ma si alzò dopo pochi secondi appoggiandosi al muro. Poi si sedette di nuovo per alzarsi poco dopo. Ogni tanto guardava verso i due agenti: aveva dimenticato la loro presenza e questo rischiava di mandare tutto a monte, poi la vide la salutò con un timido cenno della mano mentre lei si guardava intorno sorpresa cercando con lo sguardo quello rassicurante di suo padre.

- È andato a studio - le disse Rick andandole in aiuto nella sua ricerca infruttuosa

- E tu che ci fai qui ti avevo detto di non venire! - Non fece caso al suo piglio duro e autoritario, era bellissima: un filo di trucco esaltava i lineamenti del suo viso, un paio di jeans ed una t-shirt bianca il suo fisico, ancora un po' troppo magro ma perfetto.

- Sei bellissima - le rispose imbambolato

- Non è la risposta a quello che ti avevo chiesto, Castle!

- Me lo ha chiesto tuo padre, mi ha chiamato lui! - Provò a discolparsi e lei si ammorbidì. Non riusciva a tenere il punto con lui, era felice di vederlo.

- Devo solo passare in amministrazione a firmare delle carte.

- Ti accompagno? O se non vuoi, me ne vado… - Chiese con speranza e timore. 

Kate allungò la mano verso di lui, un tacito invito che fece riemergere Rick dalle paure che lei potesse essere veramente arrabbiata per la sua presenza lì.

Rick aspettò pazientemente fuori dalla stanza dell’amministrazione. Aveva visto un altro ascensore usato per lo più dal personale, aveva anche sbirciato dentro, assicurandosi che portasse ai parcheggi e così era. Quando Kate uscì senza dirle nulla la prese per un braccio trascinandola fin lì.

- Che stai facendo Castle? - chiese perplessa ma assecondandolo

- È una sorpresa! - rispose felice di vederla se non collaborativa, almeno non reticente.

- Ma ci sono gli agenti di là che mi aspettano per tornare in hotel! - Protestò senza però fermarsi

- Loro non sono inclusi nella mia sorpresa!

La fece entrare in ascensore e schiacciò il tasto che li avrebbe portati ai parcheggi. La baciò tra le pareti grigie ed anguste di quel piccolo spazio con una passione che raramente aveva avuto tanto da sorprenderla e staccarsi da lei solo quando erano arrivati al piano, un attimo prima che le porte si aprissero.

Girarono un po' per il parcheggio mentre Castle cercava di orientarsi per trovare la sua macchina e solo quando si accorse che Kate era rimasta indietro si voltò preoccupato.

- Sei stanca? Non ti senti bene?

- È di là la tua macchina, Castle! - roteò gli occhi al cielo indicando l’auto di Rick in fondo alla fila.

Seduti in auto Rick esitava a mettere in moto.

- Cosa c’è mi hai fatto evadere per rimanere qui nel parcheggio?

- No, no… io ecco… è strano che sono io a guidare con te seduta di là! 

- Castle, sono anni che mi chiedi di guidare ed ora ti fai problemi? - Stava cominciando ad essere esasperata

- Ma io volevo guidare la macchina della polizia! La mia la guido tutti i giorni!

- Quindi oltre a scappare dalla sorveglianza dovrei anche rubare un auto della polizia? Ti prego Castle, qualunque cosa hai in mente falla, prima che ci ripenso e torno su!

Rick mise in moto ed uscì da lì mentre il sole di New York li invadeva.

- Hai caldo? Vuoi più aria condizionata? Oppure la spengo se ti da fastidio.

- Rick. Rilassati. Va bene così. Sto bene, ok? Sto bene. Lo hanno detto anche i medici. È tutto ok. La mia… convalescenza prosegue bene, come da programma.

- Ok. Sì beh… questo è l’importante no?

- Tu lo sai vero che per questa cosa la Gates ti ucciderà, anzi ci ucciderà entrambi. 

- Se sarai felice, sarà valsa la pena. - Le disse con un tono molto più serio di quanto lei si aspettasse. Kate poggiò una mano sulla sua gamba e Rick subito la coprì con la sua. Erano per la prima volta loro, fuori dalle mura di una stanza.

Parcheggiò ai margini di un parco e la invitò a scendere. Non era il grande e caotico Central Park, affollato di turisti e newyorkesi, era un parco piccolo, fuori mano di cui non sapeva nemmeno il nome, dove la mattina c’erano solo alcune mamme con i figli, ma verso l’ora di pranzo si svuotava. Rick ci andava spesso quando Alexis era bambina, amava la piccola area con i giochi di legno e lui prendeva appunti sul suo blocco per i suoi romanzi.

Passeggiarono tenendosi per mano nella stradina di ghiaia e poi trovarono una panchina libera, ben ombreggiata dove si sedettero. Rick sentì Kate sospirare profondamente, poi chiudere gli occhi ed appoggiarsi sulla sua spalla.

- Sei stanca? - le chiese preoccupato

- No. Mi sto godendo solo questo momento.

- Stavo pensando… un’ora d’aria al giorno si concede anche ai carcerati. Quindi non potranno farci troppo male, no? La Gates, intendo…

Kate aprì gli occhi guardandolo con un’espressione eloquente, gli avrebbe fatto molto male. Rick sospirò e la strinse di più a se.

- Beh, non può mica impedirmi di vederti, no?

- È questo che ti preoccupa? - chiese lei ad occhi chiusi intenta ad assaporare ogni momento

- Sì, l’unica cosa.

- Tranquillo Castle, questo non accadrà. - Si tirò su ed aprì gli occhi cercando i suoi: con la luce del sole, all’aria aperta, gli occhi di Rick le sembravano brillare ancora di più o forse era solo il momento e quella magia tra loro. Si baciarono dolcemente, incuranti della gente che passava e di dare spettacolo come una coppia di ragazzini che avevano saltato la scuola per stare insieme e si erano rifugiati nel parco, anche se loro avevano fatto più o meno la stessa cosa. 

- Dall’altra parte ci sono le altalene, andiamo? - le chiese Rick

- Dici sul serio? - Vide gli occhi di Kate che brillavano come quelli di una bambina e pensò che stava solo mantenendo la promessa fatta a Jim, farla felice.

- Certo!

La prese per mano attraversando il viottolo la lasciò solo per qualche minuto, mentre andava verso un chiosco poco distante da loro. Kate lo osservò affrettare il passo, quasi una corsa goffa, lo trovava adorabile. Si chiese se non lo avesse mai visto così, o semplicemente se avesse fatto finta di non vederlo. Alla fine concluse che sì, lo aveva visto e sì, le era sempre piaciuto, ma faceva finta del contrario. Perché era molto più facile che non fosse così, perché non era il suo tipo se per “suo tipo” intendeva gli uomini con i quali era sempre uscita, così lontani dall’universo Castle, così rigidi, inquadrati, di quelli che sai sempre cosa aspettarti, che dovrebbero darti sicurezza. Castle invece era il contrario, era una linea curva che fluttuava nel mondo e cambiava forma di continuo, era del tutto fuori dagli schemi ed imprevedibile, però lui le dava quella sicurezza che mai nessun uomo era stato capace di darle. Lei sapeva che lui ci sarebbe stato, che non l’avrebbe mai lasciata per qualcosa di più importante, che il suo mondo da salvare era lei e solo pensarci le faceva battere il cuore così forte che pensava si potesse vedere e la terrorizzava allo stesso tempo: era in grado lei di gestire un amore del genere? Non riuscì a darsi una risposta, perché lui nel frattempo stava tornando con un sacchetto bianco di carta tra le mani, che le porse con un gran sorriso, come se fosse un tesoro immenso.

- Orsetti gommosi? - Chiese stupita mentre lui annuiva

- Volevo prenderti lo zucchero filato, ma la macchina era rotta - rispose dispiaciuto

- No, vanno benissimo gli orsetti! - Ne prese un paio mangiandoli con gusto - Come facevi a sapere che sono i miei preferiti?

- Hai la faccia da una a cui piacciono gli orsetti di gommosi - Le rispose serio - E poi piacciono anche a me.

Anche Castle ne prese un po’ mettendoli in bocca tutti insieme. Ecco un’altra cosa che gli faceva amare quell’uomo: con nessuno aveva mai passeggiato in una parco mangiando orsetti gommosi. Ed era del tutto normale farlo, non c’era niente di forzato o ridicolo e si sentiva bene.

Si sedettero sulle altalene uno vicino all’altra dondolandosi appena, in silenzio, guardando ognuno davanti la vita che scorreva nella normalità di una qualsiasi mattina di New York. Ragazzi che facevano jogging, come tante volte anche Kate faceva nel parco vicino casa sua quando aveva la giornata libera, mamme ed anche qualche papà che spingevano passeggini o tenevano per mano bambini piccoli dai passi incerti, come Rick aveva fatto con Alexis molti anni prima quasi ogni giorno, qualche coppia che passeggiava mano nella mano, colleghi di lavoro che chiacchieravano, qualcuno che camminava a passo svelto parlando al cellulare incurante del mondo intorno. Era la normalità, quella che volevano anche per loro e si erano concessi quel giorno, malgrado tutto. Si ritrovarono anche loro a tenersi per mano, dondolandosi leggermente in perfetta sincronia; si guardarono e con la stessa sincronia con la quale si erano mossi fino a quel momento, si avvicinarono per baciarsi tra le catene delle altalene. Risero imbarazzati quando si accorsero di un bambino che li stava fissando: Rick si alzò cedendogli il posto ed andò vicino a Kate spingendola per farla “volare” mentre il bambino continuava a guardarli: gli sembravano strani quei due adulti che si divertivano più bambini con un altalena. Le risate di Beckett risuonavano nelle orecchie di Castle come un’armoniosa melodia, non l’aveva mai vista così spensierata come in quel momento. Quando si fermò e scese la prima cosa che fece fu abbracciarlo, lo strinse appoggiando la testa nell’incavo del suo collo e sussurrandogli un “grazie” all’orecchio.

L’ora che si sarebbero dovuti concedere era passata, in realtà ne erano passate più di due e non se ne erano nemmeno accorti, il tempo era volato via spensierato e leggero come Kate sull’altalena, dolce come quegli orsetti di gomma mangiati insieme. Rick pensò che avrebbe dovuto segnare quel giorno sul calendario e ricordarselo e festeggiarlo ogni anno.

Il corridoio che li portava nella stanza di Kate era avvolto dal silenzio e fu subito invaso dalle loro risate. Si imposero di darsi un contegno appena usciti dall’ascensore, ci sarebbero stati gli agenti fuori ad aspettarli, probabilmente, ma non fu così. Beckett pensò di chiamare la Gates una volta dentro la stanza ed avvisarla del suo ritorno, fece strisciare la chiave magnetica nella porta e quando aprì ebbe un sussulto. Victoria Gates, Esposito, Ryan suo padre ed altri tre agenti erano nella sua stanza e guardavano i due sorridenti appena entrati squadrandoli dalla testa ai piedi.

- Bentornati. - Li salutò ironica il Capitano - È andata bene la vostra passeggiata, detective Beckett?

- Signore, posso spiegare… - Provò a intervenire Kate ma fu subito messa a tacere

- Cosa detective? Che si è allontanata dal programma di protezione senza dire nulla? Che sono più di due ore che la stiamo cercando e non ci risponde al telefono nè lei nè il signor Castle? 

Il tono della Gates era decisamente alto. I due si guardarono e presero i loro cellulari: avevano entrambi tolto la suoneria quando erano in ospedale e non avevano pensato di rimetterla. Sarebbe venuto da ridere a tutti e due se la loro situazione non fosse stata così compromessa in quel momento e si limitarono a scambiarsi un preoccupato sguardo complice, come quello di due ragazzini colti sul fatto.

- Capitano Gates, è colpa mia. Sono stato io a portare via il detective Beckett dall’ospedale. - Rick fece un passo in avanti verso la donna

- Vuole che l’accuso di sequestro di persona, signor Castle? Sarebbe un piacere farlo, lo sa? - Lo minacciò il capitano mentre Esposito si avvicinava con le manette in mano. Rick guardò l’amico perplesso ma questo non lo degnò di uno sguardo. - Non stiamo giocando qui, Signor Castle e Detective Beckett, mi stupisco di lei, non pensavo fosse così irresponsabile. È la sua sicurezza quella che stiamo tutelando ma sembra che a lei non importi.

- Non è così Capitano. Avevo solo bisogno di passare qualche ora fuori da qui, fuori da una stanza che non fosse di un hotel o di un ospedale. So che è stata un’imprudenza e mi dispiace di non aver avvisato, di aver creato problemi agli agenti di guardia e apprensione a tutti voi. - Kate era sinceramente dispiaciuta, guardò i volti di tutti i presenti, notando rabbia in quello del capitano, delusione in quello di Javier e Kevin e solo suo padre sembrava nascondere un sorriso sul volto, ma lo conosceva bene e vedeva da come la guardava che lui era contento, allo stesso modo in cui lui vedeva la luce nei suoi occhi che nemmeno la sfuriata della Gates era riuscita a spegnere.

- Spero che non capitino ancora altre “necessità” di questo tipo senza un adeguato preavviso, Detective, altrimenti sarà costretta a prendere provvedimenti che non vorrei dover attuare per lei e per il signor Castle.

- Sì Signore - Rispose Kate abbassando la testa, mentre il capitano seguito dagli altri agenti e da Ryan ed Esposito lasciava la sua stanza.

- Ci vediamo ragazzi! - Provò a salutarli Castle ottenendo come risposta solo un cenno con la testa.

- Abbiamo fatto un bel casino, vero papà? - Chiese Kate a suo padre che era l’unico rimasto nella stanza.

- Non più di quanto ne hanno fatto loro di là, perquisendo la tua stanza - Disse l’uomo guardando i due.

- Papà… non è come sembra… - Provò a giustificarsi Kate. 

- Katie, è come sembra e non è un problema, ne un affare mio. - Sorrise Jim guardando i due ed ora Rick si sentì libero di abbracciarla cingendole la vita.

- Lo hanno capito? - Chiese Kate con una smorfia

- Beh, quando hanno riconosciuto i vestiti di Castle nel tuo armadio, è stato abbastanza semplice da capire. Credo che i tuoi amici siano rimasti un po’ delusi di non averlo saputo, la Gates ha fatto finta di nulla. Ora è meglio che anche io vada… 

- Papà… Mi dispiace e grazie. - Lo salutò come una bambina appena perdonata per aver commesso qualche misfatto.

- Katie, io voglio solo che tu sia felice e se ora lo sei, va bene così. - Annuì abbracciandolo prima che uscisse per poi tornare, una volta soli, tra le braccia protettive di Rick.

- Ormai credo lo sappiano tutti… - Gli disse quasi sconsolata.

- Anche Alexis… Mia madre le ha detto la sua teoria… Ti saluta.

- Beh, almeno abbiamo risolto il problema di come dirlo, no? - Un po’ di sana ironia si insinuò nella voce pensierosa di Beckett

- Sì, anche se ancora devi dirlo a Lanie… non ti invidio! - Concluse Castle preoccupato.

Gli orsetti gommosi non potevano definirsi un pasto vero e proprio e la fame cominciò a farsi sentire. Kate, stanca di tutte le cose “buone e sane” che Rick l’aveva costretta a mangiare in quei giorni, riuscì a spuntarla ed ordinarono due cheeseburger con patatine fritte che ovviamente si rubarono a vicenda dal piatto. Avevano ingannato l’attesa del pranzo sistemando di nuovo tutti i vestiti in camera che poco elegantemente avevano riversato sul letto. Kate era molto arrabbiata per questo, la vedeva come una violazione della sua privacy, come se qualcuno si fosse intrufolato nella sua vita sbirciando attraverso la serratura, ma non voleva farsi rovinare la giornata da nulla.

Dopo quel pasto si sentiva ancora più felice ed in forma come non lo era da tempo. Forse stava realmente meglio, forse il poter stare un po’ all’aria aperta l’aveva rigenerata o semplicemente sapere che tutto andava bene dopo la sua visita l’aveva convinta di stare veramente meglio. Seduta sul divano vicino a Castle lo osservava scrivere, si avvicinò alla sua spalla, per vedere cosa stava uscendo dalla sua mente in quel momento e lui si fermò immediatamente, girando lo schermo e dandole modo di sbirciare solo qualche parola.

- Nikki e Rook, eh? - Chiese provocandolo

- Uhm… sì… Ma tu non dovresti leggere! - Rispose indispettito - Devi aspettare come tutti, niente favori!

- Non voglio leggere, infatti… - Chiuse senza preavviso lo schermo del suo portatile appoggiandolo sul tavolino davanti a loro, lasciando Rick senza parole, osservandola mentre si sedeva su di lui, sovrastandolo, ora in altezza e guardandolo dall’alto in basso.

- Ma… Kate? - Balbettò

- Oggi il medico mi ha detto che posso piano piano riprendere a fare tutto quello che facevo prima… - Seduta sulle sue gambe aveva appoggiato entrambe le mani sulle spalle di lui, solleticandolo con i polpastrelli. Lo vide deglutire e respirare profondamente quindi si avvicinò al suo orecchio - tutto quello che facevo prima, Castle!

Gli parlò lentamente lasciando che quel sussurro diventasse quasi un soffio, Rick sentì un brivido propagarsi per tutto il suo corpo e serro i fianchi di Kate che si muoveva provocante molto lentamente su di lui.

- Kate… - bonficchiò ancora Rick, avrebbe voluto fermarla, ma il suo corpo stava dicendo tutt’altro mentre percorreva la schiena di lei con le mani. - … Io non credo che…

- Non vuoi Rick? - Beckett si fermò improvvisamente, sporgendosi indietro, allontanandosi dal corpo di lui. Si guardarono senza dirsi nulla, fino a quando lui non la spinse con forza verso di se e lei si piegò per baciarlo.

Trovarono la giusta forza di volontà per alzarsi da lì e spostarsi in camera da letto. Kate sorrise quando Rick chiuse la porta e le disse che così era più intimo e quando si voltò verso di lei rimase incantato a vederla con i capelli sciolti che le scivolavano sulle spalle e la tshirt bianca, mentre lo fissava mordendosi il labbro e sbottonandosi i jeans in modo così naturale che gli tolse il fiato. Non era la prima volta che vedeva le sue gambe nude quando i jeans scivolarono fino alle caviglie, gli shorts con i quali di solito dormiva lascivano ben poco coperto, però rimase incantato a vederle come se fosse la prima volta. Adorava le sue gambe lunghe ed affusolate, le aveva sempre adorate. Le si avvicinò e le spostò i capelli in quel gesto ormai consueto, scoprendole il collo dove cominciò a baciarla lentamente. La fece indietreggiare fino a quando non incontrò il bordo del letto, la accompagnò facendola sdraiare e si chinò su di lei baciandola. La vide poi spostarsi fino a raggiungere la sommità del letto e tendergli la mano perché la raggiungesse: non si fece attendere. Le accarezzò una gamba, in tutta la sua lunghezza, prendendosi quella confidenza con il suo corpo che mai aveva avuto ma che aveva osservato così tanto che era sicuro di conoscerlo già a memoria. Non parlarono più, non ci fu bisogno. Lasciarono che fossero le loro mani ed i loro corpi a farlo. A trovarsi, a conoscersi, a cercarsi. Kate sbottonò lentamente la camicia di Rick, che finì in terra vicino ai jeans di lei e poi scese ad occuparsi dei suoi pantaloni che andarono presto ad incrementare il mucchio dei vestiti a lato del letto ed ebbe solo un attimo di esitazione quando fu lui a insinuarsi sotto la tshirt e sollevarla verso l’alto. Kate afferrò le sue braccia guardandolo intimorita ma lo sguardo di più totale adorazione che ricevette in cambio le fece lasciare la presa e lasciare che lui continuasse. Non indossava il reggiseno ed  ebbe l’istinto di incrociare le braccia sul petto per coprirsi. Rick le prese dolcemente i polsi lasciando che si schiudesse a lui e lei lo lasciò fare. Chiuse gli occhi e si abbandonò alle sue carezze ed ai suoi baci con i quale venerava ogni parte del suo corpo. Rick baciava e sfiorava ogni segno sul corpo di Kate, sapeva che quel momento di incertezza era dovuto ad ognuna di quelle tracce di quanto era accaduto. Lui non voleva solo fare l’amore con lei, lui voleva amarla, totalmente, come non aveva ancora potuto dimostrarle e voleva farle capire che amava tutto di lei e non c’era cicatrice che potesse cambiare il suo sentimento. Avrebbero avuto tutto il tempo per il resto, per le provocazioni, per i giochi e gli esperimenti. Ora non era quel tempo.

I loro vestiti finirono tutti a terra uno sull’altro, intrecciati come erano i loro corpi e Rick non c’era un centimetro del corpo di Kate che non aveva esplorato, baciato, accarezzato e l’aveva vista sospirare e gemere e fremere dal piacere che lui le aveva dato con estrema attenzione e dedizione, perché non c’era una parte di lui che non amasse una parte di lei. Era risalito poi fino a trovare di nuovo le sue labbra, catturando gli ultimi sospiri sommessi del suo piacere che aumentarono solo la sua eccitazione. Si sorreggeva sugli avambracci per non pesare sul suo corpo ancora convalescente, la vedeva sporgersi verso di lui, cercando il contatto con lui. Kate voleva sentire la pelle di Rick sulla sua era un bisogno fisico. Si aggrappò alle sue spalle per farlo avvicinare, baciandogli il collo e le spalle premendo contro la sua pelle, come se volesse imprimere le sue impronte per sempre su di lui. Allacciò le gambe dietro la sua schiena e lo guardò intensamente con l’urgenza di volerlo completamente scritta nei suoi occhi. Rick le sorrise teneramente, uno di quei sorrisi che lei non pensava di vedere in un momento simile e le accarezzò il volto sudato prima di baciarla ancora e diventare una cosa sola.

C’era una cosa di quel pomeriggio che aveva turbato Kate più di tutto il resto, più dei baci, delle carezze, dell’amore e del piacere che Rick le aveva donato in quel tempo dilatato che non avrebbe mai saputo quantificare. Era stato un abbraccio, quando entrambi avevano raggiunto il culmine del piacere ed i loro corpi tremavano percorsi dalle onde delle loro emozioni, Rick l’aveva stretta a se con ancora più forza e vigore e lei aveva fatto altrettanto, aggrappandosi completamente a lui, stringendolo con le braccia e con le gambe per non farlo allontanare. Erano rimasti abbracciati così fino a quando i loro respiri non erano tornati regolari così come i battiti del loro cuore, eppure inizialmente non ne volevano sapere di allentare la presa. Nel momento del piacere più intenso si erano uniti di più, si erano stretti in una morsa impossibile da allentare, senza dirsi nulla, senza urlare, senza chiamarsi per nome o altro. Si erano solo abbracciati e in quell’abbraccio Kate aveva capito che aveva superato una linea di confine invisibile dentro di se, che aveva raggiunto un punto nella sua anima dal quale non sarebbe più potuta tornare indietro. Quando i loro corpi si separarono e Rick si sdraiò al suo fianco Kate si sentì mancare una parte di sé e crescere la consapevolezza che era così. Fu impaurita dai suoi stessi sentimenti, da quel nodo allo stomaco che provava ripensando ad ogni singolo momento di quello che aveva appena vissuto.

Quel senso di solitudine, però, durò poco. Castle, appena si fu ripreso la sollevò letteralmente per farla adagiare tra le sue braccia. Kate fu percorsa da brividi ancora una volta, a contatto con il suo corpo caldo imperlato di sudore. Si strinse al suo torace adagiandosi lì dove amava dormire ma questa volta non voleva farlo, voleva solo godersi fino ogni singolo istante di benessere che lui le stava donando. Sentì le sue grandi dita percorrerle la spina dorsale ed arrivare fino ai suoi glutei, sfiorarli appena e risalire in un massaggio lento e costante che le poteva far abbandonare tutti i propositi di rimanere sveglia. Si sollevò solo un po’ per guardarlo. Sorrideva con gli occhi blu scintillanti, con la bocca che formava una dolce mezzaluna sul volto, sorrideva anche il suo ciuffo spettinato. Kate gli passò la mano tra i capelli, sistemando quel ciuffo ribelle e poi si accomodò di nuovo sul suo petto. Avrebbe voluto dirgli tante cose, comunicargli come si sentiva in quel momento, ma non trovava le parole adatte e le sembrava che ogni cosa potesse dire, poteva solo svilire i suoi sentimenti e si limitò a stringerlo ancora. 

Nemmeno Rick parlava e chissà perché, Kate si era sempre immaginata che lui, dopo, sarebbe stato molto loquace, di quelli che non stanno zitti un attimo ed invece non una parola, nemmeno lui. Forse si erano dimenticati come si parlava, forse avevano solo paura di rovinare quel momento. Castle la guardava stringersi a se e non poteva fare a meno di sorridere, soddisfatto. Certo, nessuna si era mai lamentata delle sue performance, ma stavolta era diverso: era intimamente convinto di avercela fatta, di averle fatto capire, veramente, quanto lui l’amasse in ogni modo, con tutto se stesso. L’aveva stretta a se come se ne avesse bisogno fisico nel momento del massimo piacere, perché Kate doveva capire che era lei che glielo stava donando, così come lui faceva con lei. L’aveva sentita afferrarlo, come se volesse rivendicarne il possesso avvilupparsi a lui per non lasciarlo scivolare via da lei. Ed ora era di nuovo vicino a lui che la stringeva, i corpi nudi e le gambe intrecciate in un groviglio d’amore che non aveva nessuna intenzione di sciogliere. Nemmeno in tutti i suoi sogni, ed erano stati tanti, era mai stato così completamente appagante e coinvolgente. Era stato un’esplosione di tutto che non aveva lasciato integra nessuna parte del suo corpo.

- Hai freddo? - Le chiese dopo un po’ sentendola raffreddarsi. Kate non gli rispose, si strinse solo più a lui e gli bastò come risposta. Allungò una mano sul pavimento e recuperò una delle magliette con la quale dormiva, doveva essere finita lì quando avevano perquisito la stanza. Si tirò su e la sentì lamentarsi per questo ma seguì i suoi movimenti. La baciò ancora, sulle labbra prima e poi scese fino al centro dei suoi seni, dove c’era la cicatrice che più di tutti lo spaventava, quella del proiettile che l’aveva portata via da lui e da tuti per qualche istante quando il suo cuore si era fermato in quell’ambulanza sotto i suoi occhi disperati. La baciò e rimase qualche istante fermo lì mente lei gli accarezzava i capelli. Quando si scostò, Rick prese la maglia che teneva stretta in una mano e gliela fece indossare. La guardò sorridendo.

- Sta molto meglio a te che a me

Kate si guardò nella sua maglietta che le stava enorme, ma profumava di lui.

- Tu stai meglio senza, Castle. - Disse Kate disegnando forme immaginarie con un dito sul suo petto.

- Se è per questo anche tu stai meglio senza.

- Non credo però che possiamo andare in giro nudi.

- In realtà c’è un posto in Florida dove tutti vivono nudi… - Cominciò a raccontare Rick

- Castle, guardami, non intendo andare in giro nuda in nessun posto e non voglio che lo faccia nemmeno tu. 

- Però quando siamo soli… - La avvicinò a se prendendola per i fianchi e baciandola

- Quando siamo soli ne possiamo parlare… e poi tu sei ancora nudo - Rise lei

- E ti dispiace? - Le chiese mettendosi in mostra

- No, assolutamente no! - Rispose maliziosa mordendosi il labbro.

Le telefonate ricevute quasi in contemporanea di Alexis e Lanie ruppero l’idillio di quel pomeriggio trascorso interamente a letto molto poco vestiti. La figlia di Castle voleva sapere da suo padre se sarebbe tornato a casa per cena e dopo un rapido sguardo con Kate che lo esortò ad andare, gli disse a malincuore di sì: per nulla al mondo avrebbe voluto lasciare Beckett quella sera, meno che mai se sapeva che sarebbe rimasta sola. Lanie, però, gli venne in aiuto, annunciando che sarebbe passata a breve a trovarli. Disse a Kate che l’aveva chiamata per avvisarla e dargli il giusto tempo per rivestirsi e la detective arrossì notando che in effetti ne avevano assolutamente bisogno. Approfittò per chiedere di rimanere con lei a cena, in modo da avere tempo di fare quattro chiacchiere tra amiche e la dottoressa, avida di conoscere tutti i particolari di quella storia, accettò con entusiasmo. Kate si aspettava di sentirla arrabbiata per non essere stata informata prima della sua relazione con Castle e soprattutto per esserne venuta a conoscenza da Esposito e Ryan che non avevano tenuto la notizia per un secondo più del necessario, invece le era sembrata solo felice per lei.

- Tesoro, quella faccia non mente. È la faccia di chi ha appena fatto del gran sesso! - Lanie come al solito non era una che sapeva trattenersi e appena salutata Kate non si limitò nei suoi commenti coloriti. Non le servì una risposta, il sorriso raggiante e gli occhi luminosi della sua amica parlavano per lei, e quello che fece dopo qualche istante era il sospiro di chi aveva appena ripensato ai momenti trascorsi. - Io l’ho sempre detto che voi due avreste fatto faville! Era chiaro a tutti tranne che a voi!  - Continuò la Lanie mentre abbandonava la borsa e la giacca su una sedia sedendosi sul divano, mentre Kate la osservava rimanendo appoggiata al tavolo.

- E insomma il tuo scrittore ti ha già sedotta ed abbandonata, eh Kate!

- Sedotta sì, abbandonata mai - puntualizzò Rick uscendo dalla camera e abbracciando Beckett cingendole il fianco.

- Ah sei ancora qui Castle? Non dovevano essere chiacchiere tra donne? Cosa fai, ci spii? - Lo punzecchiò la dottoressa.

- Me ne sto andando, per stasera te la lascio tutta per te. - Rick strinse di più a se Kate, e le diede un lungo e profondo bacio, cogliendola prima di sorpresa ma immediatamente rispose al bacio del suo scrittore. - Ci vediamo dopo - Le sussurrò sulle labbra prima di uscire e lasciarle sole.

- Però, ragazza, ci credo che sei nel mondo dei sogni! È sempre così? - Esclamò Lanie appena Castle uscì.

- Sì… - ammise Beckett con un po’ di imbarazzo

- Wow! Adesso vieni qui e mi racconti tutti i particolari! - Disse la dottoressa battendo con la mano sul divano vicino a lei - È stato come ti eri immaginata?

- Lanie! Chi ti dice che me lo ero immaginata! - Beckett si sedette e la guardò corrucciata

- Andiamo Kate! Ma a chi lo vuoi nascondere! È ovvio che te lo eri immaginata! Non mentire! - Lanie era felicissima di poterla punzecchiare e le resistenze della sua amica durarono pochissimo. Era troppo felice per negare ed in realtà era contenta anche di avere un’amica con cui potersi confidare.

- È stato meglio Lanie… è stato… - Non riusciva ancora a trovare le parole per descrivere quello che provava.

- Allora le voci sul tuo scrittore sono vere! Sei fortunata ragazza se ti lascia senza parole!

- Lanie, piantala! Non è quello per quello, cioè non solo… è stato qualcosa di diverso. In quel momento lì, lui mi ha fatto sentire amata. - Kate era emozionata e Lanie lo percepiva, non aveva mai visto così la sua amica che solitamente era sempre molto fredda e contenuta, soprattutto quando si trattava dei suoi sentimenti e difficilmente si esponeva o lasciava che qualcuno la vedesse oltre la rigida detective Beckett. Anche a lei, che poteva definirsi la sua migliore amica, lo aveva concesso poche volte ed era stato sempre quando era satura di dolore, mai si era aperta tanto da condividere la sua felicità. Kate aveva una luce diversa negli occhi, avrebbe illuminato da sola tutta la stanza.

- Ragazza lasciatelo dire, non ti ho mai visto così raggiante e se il merito è tutto di Castle… Beh, sei doppiamente fortunata! Dammi retta, un uomo che sfida le ire della Gates solo per farti felice non fartelo scappare! - Risero insieme e Kate ripensò alla coraggiosa incoscienza di Castle che si faceva avanti per prendersi tutte le colpe mentre il suo capitano avrebbe voluto arrestarlo.

- Sai Lanie, c’è stato un momento in cui ho temuto di averlo perso per sempre e lì ho capito che non avrei potuto vivere senza di lui. - Beckett si commosse pensando a quei momenti, alla rabbia e alla paura e la sua sincera confessione strappò una lacrima anche alla vulcanica dottoressa.

I giorni seguenti fu tutto più facile. Non doversi nascondere aveva dato ancora più leggerezza alla loro relazione.

Castle ne aveva parlato con Alexis e sua madre quella sera stessa, semplicemente confermando che sì, la persona con la quale si stava frequentando era Beckett. Fu quindi costretto a raccontare alle sue donne anche la situazione attuale della sua compagna, le minacce ricevute ed il fatto che fosse sotto protezione, causando più di qualche preoccupazione in sua madre e sua figlia, ma nessuna delle due ebbe il coraggio di dirgli nulla per questo, lo vedevano felice come da tanto tempo non era e non volevano turbare la sua felicità.

Anche con Ryan ed Esposito, dopo un chiarimento iniziale, la situazione fu più semplice. Continuavano ad andare da Kate la sera dopo il lavoro per confrontarsi sulle novità del caso. Rick e Kate avevano ricostruito altri pezzi di quei documenti, cercando sequenze di numeri ricorrenti in quelli che sembravano dei rendiconti bancari. Avevano trovato quelli che con tutta probabilità erano dei numeri di conto, ma non sapevano né di che periodo fossero, né riuscivano a capire la banca di appartenenza. Li avevano dati a Ryan che ci stava lavorando, cominciando stilare una lista di possibili riscontri. Una sola cosa, al momento era chiara a tutti, quei documenti erano le prove dei traffici illeciti che venivano fatti dai poliziotti corrotti e da qualcuno al di sopra di loro. Raglan, McAllister e Montgomery erano solo la base di quella piramide di malaffare che dovevano scalare per arrivare all’identità di quel W.B. che compariva un po’ ovunque. Anche le indagini che stavano seguendo su Flynn insieme a Price, che ormai collaborava sempre di più con il dodicesimo, qualunque strada prendessero portava sempre e solo ad una strada senza via d’uscita facendo aumentare la frustrazione dei detective. Javier e Kevin, soprattutto, avevano cominciato a notare un grande cambiamento da parte di Price: tanto prima era evasivo e non voleva indagare, desideroso di chiudere il caso di Kate come una banale rapina con aggressione, tanto adesso si dava da fare per cercare ogni minimo dettaglio che gli facesse fare qualche passo avanti. Aveva chiesto ed ottenuto di essere distaccato temporaneamente al dodicesimo, anche perché con l’assenza forzata di Beckett erano a corto di uomini e, anche se alla Gates costava ammetterlo, si sentiva anche la mancanza di Castle che aveva velocizzato la risoluzione di più di qualche caso.

Tutto questo era molto mal visto da Castle che continuava a non fidarsi di lui. Aveva chiesto ad un suo amico investigatore privato di fare delle indagini su di lui, scoprendo uno stato di servizio non impeccabile, con più di qualche richiamo, dopo la vicenda della sua partner morta sul campo. Nulla che facesse pensare a qualche giro strano, era stato segnalato per aver usato le maniere un po’ troppo dure con dei sospettati durante gli interrogatori e per invalidato delle prove con una perquisizione non autorizzata a casa di uno spacciatore. Ne aveva parlato anche con Kate, che invece pareva fidarsi di lui molto più degli altri tre uomini, ma lei lo prendeva in giro dicendogli che faceva così solo perché era geloso. Rick non poteva negarlo, era geloso di Price, soprattutto quando girava troppo vicino a Kate, perché era un bell’uomo con quel pizzico di fascino da bel tenebroso con la barba incolta ed il pizzetto curato, sempre vestito in modo impeccabile, dai modi affabili e fin troppo amichevoli con lei. Gli sembrava un pavone che metteva in mostra tutte le belle piume della sua coda ogni volta che le parlava e glielo aveva fatto presente, ma il commento ironico di Kate sul fatto che Price, anzi Nick come lo chiamava lei, avesse delle belle piume, non lo aveva rassicurato, anzi, lo aveva fatto diventare ancora più geloso, nonostante Beckett gli avesse poi dimostrato in vari modi vestiti e non, che lui non aveva nulla di cui preoccuparsi, perché era lui l’unico pavone che le interessava.

Il ghiaccio nel secchiello lasciato a terra al lato del letto ormai era del tutto squagliato. I loro corpi nudi erano un groviglio inestricabile avvolto nelle lenzuola su quel letto bagnato di sudore, di ghiaccio sciolto e di loro. Il tempo della passione era appena passato ed ora era il momento, non meno appagante e gratificante delle tenerezze, degli abbracci, del tenere i loro corpi vicini. Anche dopo, soprattutto dopo. Non c’era stata una volta che non era stato così. Non c’era mai stata fretta o frenesia, non era mai solo appagamento fisico, era anche tutto il resto, tutto il prima ed il dopo a rendere speciale ogni volta. Più passavano i giorni più aumentava la loro complicità ed affinità, sotto tutti i punti di vista. Si divertivano tra di loro, sperimentavano, si amavano, si regalavano a vicenda passione e piacere, giocavano senza vergognarsi di farlo. Così quella sera Beckett aveva esaudito una delle richieste di Castle, perché a lui quella frase che gli aveva detto tanto tempo prima, dei giochi che sapeva fare con il ghiaccio era rimasta impressa e lei era stata felice di accontentarlo, di vederlo arrivare al limite e superarlo, ed era compiaciuta piacere che sapeva donargli e di vederlo abbandonare ogni freno inibitore, per lei e con lei.

Kate non era innamorata di Rick, Kate lo amava. Amare è un verbo, implica un’azione, qualcosa in movimento, che si evolve, cresce e ti fa crescere. Amare rende felici e stanchi, amare è vincere la paura di aver paura di amare. Tutto questo per lei era qualcosa di nuovo, di grande e spaventoso, che la portava a fare i conti con se stessa molto più spesso di quanto non avesse mai fatto. Ogni giorno, in quei momenti di silenzio e solitudine, si poneva domande alle quali era sempre più difficile rispondere, perché molto spesso una risposta non c’era. Vedeva la sua vita o meglio, immaginava quella che avrebbe potuto essere la sua vita con Castle e si vedeva libera da incubi ed ossessioni, lo desiderava fortemente ed allo stesso tempo le sembrava così di tradire sua madre e la sua memoria. Si sentiva egoista a pensare solo alla sua felicità a mettere se stessa e i suoi sogni al centro del suo mondo: era possibile che quell’amore che provava per Rick che lei vedeva come un sentimento giusto potesse avere un retro della medaglia così sbagliato? Come poteva fare a far convivere queste due parti della sua vita, il suo futuro con Castle ed il suo passato segnato dall’omicidio di sua madre? Come poteva, se non metteva la parola fine a tutta quella vicenda vivere liberamente la sua vita senza portare ancora di più anche Rick al centro del mirino che da oltre un anno aveva puntato addosso? Poteva permettersi di fargli rischiare la vita solo per starle vicino? Lui lo avrebbe fatto, lei lo sapeva, perché in quegli anni, quando non erano nulla più che colleghi o amici, lo aveva già fatto tante volte, senza indugio. Si sarebbe preso anche la pallottola del cecchino se avesse fatto in tempo, non aveva esitato a buttarsi sul suo corpo ed era stata una frazione di secondo a salvarlo. Sì, perché Kate quella frazione di secondo di ritardo, lei non la vedeva come lui, che diceva che non aveva fatto in tempo, lei la vedeva come il giusto tempismo perché fosse salvo, perché era questo che le importava di più. Che lui fosse salvo.

Le braccia di Rick circondavano il suo corpo, le dita le percorrevano la linea della spina dorsale e chiudendo gli occhi riviveva il brivido provato fino a poco prima, quando poi anche lui aveva deciso di giocare con il ghiaccio e con il corpo di Kate e brividi si susseguivano a brividi, di freddo e di piacere. Gli mordicchiava il lobo dell’orecchio mentre lui baciava ogni centimetro di pelle alla sua portata. Più i giorni passavano più la salute e le cicatrici di Kate miglioravano, il dolore era sempre meno intendo e lei si sentiva sempre meglio, più in forma e con più vigore, merito delle sedute i palestra e delle lunghe nuotate in piscina, ma Rick in ogni situazione non perdeva mai attenzione e riguardo nei suoi confronti, anche quando si lasciava andare sembrava che il suo inconscio sapesse sempre come e dove toccarla per non farle male. 

- Domani Angela ci ucciderà - Disse Rick sghignazzando mentre mordicchiava la spalla di Beckett. Angela era una delle due persone autorizzate ad entrare nella stanza di Kate per rassettarla. Era la preferita di Castle, bassa e minuta dalla carnagione olivastra che rivelava le origini sud americane, era spigliata e divertente e passava tutto il tempo a cantare mentre sistemava la stanza. 

- Domani la tua mancia dovrà essere più generosa del solito, Castle! - gli disse stringendo un po' di più i denti lasciandogli un piccolo segno rosso alla base del collo che fece lamentare lui e ridere lei. Ora che la passione era scemata cominciavano a sentire il freddo delle lenzuola bagnate, di certo non potevano dormire lì. Si sciolsero dal loro abbraccio e dalle lenzuola attorcigliate tra di loro, Rick frugò nell’armadio prendendo un paio di t-shirt asciutte per entrambi e delle coperte di scorta. Dormirono abbracciati sullo stesso divano lasciando l’altro vuoto: stavano più stretti ma per nulla al mondo avrebbero rinunciato a dormire insieme. 

—

Quel giorno, quando Castle era tornato da Beckett, il suo umore non era quello di sempre: Kate lo aveva sentito tirato e distante anche quando si era avvicinata per salutarlo con un bacio dato troppo di fretta. Non si era ancora accorto del suo ospite e di sicuro questo non avrebbe migliorato il suo umore.

- Buonasera Castle. - Nick Price si alzò per salutarlo cortesemente. Rick gli allungò la mano per stringerla senza troppo entusiasmo sedendosi nel divano difronte a dove era lui, quello su cui erano soliti stare con Kate, ed osservando con perplessità la sua donna sedersi al fianco del detective. Stavano parlando di Flynn. Price aveva trovato una nuova pista: esaminando la corrispondenza che aveva provato ad eliminare dal suo computer che portavano ad un uomo che aveva lavorato nell’esercito e che adesso era di fatto un mercenario: si era firmato sempre solo come Maddox. Rick ascoltava attento mentre Price faceva vedere degli altri tabulati a Beckett che ascoltava ogni parola del detective.

- Non esiste nessun Maddox che ha prestato servizio nelle forze speciali che possa corrispondere alla descrizione dell’uomo che tu hai fatto. Sono portato a credere che sia un falso nome, una copertura. In questa mail - disse passandogli un foglio - Flynn da il suo numero a Maddox e dai tabulati  - mise davanti a lei altri fogli - risulta che poco dopo lui ha ricevuto una chiamata da questo numero.

Price aveva evidenziato il numero che lo aveva chiamato e Kate scorrendo nel foglio vide altri due intervalli con numerose telefonate a distanza di tempo. Controllò i giorni ed aveva già collegato da sola senza che lui gli dicesse altro.

- Si sono sentiti quel giorno, poi Maddox lo ha chiamato ancora il giorno prima ed il giorno stesso della mia aggressione, e la stessa cosa si è ripetuta il giorno che hanno fatto l’agguato a Rick! - Beckett ricostruì esattamente quello che aveva scoperto Price, lui la guardò sorridendo entusiasta delle sue capacità investigative, mentre Rick dall’altra parte del tavolo basso che separava i due divani li guardava silenzioso, pensando che quel Nick era al suo posto e non solo perché era seduto vicino a lei. Il suo malumore non diminuì, anzi aumentò condito da un persistente mal di stomaco.

- Esatto Kate! Flynn era sicuramente l’altro uomo durante il tuo ferimento. Ma credo che sia uno di poco conto, chiamato solo quando servivano due braccia in più, purtroppo non ho trovato nulla di più per adesso.

- Ed il cellulare di Maddox? - Chiese speranzosa

- Usa e getta. Non è più attivo. - Disse il detective con disappunto.

- Però sapendo il suo numero si potrebbe vedere i percorsi che aveva fatto in quei giorni, dove si era fermato, magari era stato in qualche posto particolare o si era incontrato con qualcuno. Se si potessero ricostruire anche i suoi tabulati, vedendo le chiamate ricevute prima che lui chiamasse Flynn, potremmo arrivare a chi gli ha dato l’input ad agire.

- Sarà una cosa lunga… - Disse Nick

- Sì, ma è l’unica cosa che abbiamo e non possiamo trascurarla - Ribatté Beckett con il suo solito piglio autoritario.

Il rumore di Castle che aveva inavvertitamente urtato il tavolino li fece distogliere dalle loro congetture.

- Scusate se vi ho interrotto, ho bisogno di bere qualcosa - disse Rick in tono polemico mentre raggiungeva il minibar dove si trovavano le bottigliette di super alcolici - Volete qualcosa? 

Kate scosse la testa, Nick ringraziò ma declinò l’offerta.

- Beh, io vado. Questi te li lascio, sono delle copie. - Disse a Kate salutandola con un bacio sulla guancia mentre Rick faceva cadere rumorosamente dei cubetti di ghiaccio nel bicchiere. Lei accompagnò alla porta il detective che aveva salutato ancora una volta Rick ricambiato solo da un cenno con la mano.

- Cosa c’è Castle? - Gli chiese aspra portandosi davanti a lui, togliendogli il bicchiere dalle mani ed appoggiandolo sul tavolo vicino a loro.

- Vorrei finire il mio drink - Rispose scostante.

- Non mi pare il caso che bevi. - Disse allontanando ancora di più il bicchiere da lui mentre di sporgeva per prenderlo.

- Mi pare che non disdegni anche tu di bere qualcosa, ogni tanto. - Il tono di Castle era volutamente provocatorio

- Ma non quando bere significa evitare un problema - Era molto seria mentre gli parlava guardandolo negli occhi. In realtà lo aveva fatto anche lei, quando era assediata dalle paure, ma non era servito, anzi erano aumentate, ma da quando aveva vissuto l’incubo dei problemi della dipendenza di suo padre aveva una grande difficoltà a vedere la gente bere per evitare un problema o di parlare, era qualcosa che la graffiava proprio nell’anima.

- Non sono un alcolista Kate, ho solo voglia di qualcosa di forte. - Castle non era certo di averlo detto con consapevolezza, ma vide gli occhi di Kate inumidirsi e lei scuotere la testa in segno di disappunto. Prese il bicchiere e glielo mise con forza tra le mani e se ne andò in camera.

La porta che sbatteva sembrava continuare a vibrare dentro di lui. Rick bevve tutto in un sorso e poi la raggiunse. Era seduta sul letto con le ginocchia raccolte al petto e la fronte appoggiata a nascondere il viso, ma che stava piangendo lo riconosceva dai sussulti irregolari della schiena. Non aveva mai visto nessuno piangere in silenzio come faceva lei.

Si sedette in fondo al letto, abbastanza distante da non sfiorarla e, forse, da non essere preso a calci. Lei non si mosse nemmeno quando sentì il letto abbassarsi per il suo peso. Rick si sentiva uno stupido ad averle riversato addosso con rabbia il suo malumore che non era nato di certo per causa sua, anche se vederla elaborare teorie così coinvolta con Price lo aveva turbato, lo aveva turbato decisamente tanto. Sorrise appena tornando a pensare a quando Beckett si era arrabbiata con lui perché aveva elaborato teorie con l’agente dell’FBI Jordan Shaw. Se lo ricordava ancora adesso, come fosse accaduto ieri quella loro discussione sul divano di casa sua, con due calici di vino rosso in mano, sul fatto che lui doveva elaborare le sue teorie solo con lei, proprio come lui adesso avrebbe voluto da Kate. Perché era geloso, anche delle persone con le quali elaborava teorie al posto suo, soprattutto se erano, e gli costava ammetterlo, affascinanti giovani detective ma dai modi fin troppo ambigui per i suoi gusti. 

Rimasero lì, lui a guardare per terra, lei a piangere chiusa su se stessa.

- Possiamo parlare? Non necessariamente di quello che è appena successo, in generale dico. O rimaniamo in silenzio a tempo indeterminato? - Le chiese Castle, quando si accorse che aveva smesso di piangere, con un tono che dietro l’ironia nascondeva il suo umore mesto. Beckett alzò la testa per guardarlo, si stringeva nervosamente le mani sulle ginocchia cercando di stare calmo ma lo vedeva che era smanioso, non era da lui stare tutto quel tempo fermo ed in silenzio, soprattutto se qualcosa lo corrodeva dentro.

- Stai già parlando Castle, non siamo più in silenzio. - Usò il suo stesso tono mentre si asciugava gli occhi arrossati con il dorso della mano.

- Uhm giusto. Allora vuoi che ritorniamo a stare in silenzio o possiamo continuare a parlare?

- Cosa c’è che non va Rick? Perché eri teso quando sei arrivato?

- Ho litigato con Alexis, cioè, abbiamo avuto uno scambio di opinioni, poi abbiamo chiarito, ma non so… mi ha fatto pensare…

- A causa mia? - Chiese subito Kate preoccupandosi. Tutto voleva tranne essere la causa di discussioni tra Rick e sua figlia.

- Tua? Perché mai… oh no! Kate, no! Alexis è contenta, ti vuole bene, lo sai! - Cercò di tranquillizzarla e per farlo si avvicinò poggiando una mano sulla sua gamba. Beckett gliela prese, ristabilendo il giusto contatto tra loro.

- Me lo diresti se fosse così, vero? Se ci fosse qualche problema con tua madre o tua figlia per colpa mia. Non voglio che ci siano segreti tra noi.

- Kate, certo che te lo direi. Ma mia madre ti adora lo sai, non dovrei dirtelo, ma faceva il tifo per te da anni ed Alexis è felicissima, dice che finalmente ho scelto una donna vera e non una da copertina. Però Kate, anche se non fossi piaciuta a nessuna delle due, piaci a me e conta solo questo.

- Cosa è successo allora?

- Meredith. Ha chiamato Alexis e l’ha invitata a Los Angeles. Ci sarà la prima di un suo film indipendente tra tre giorni e vorrebbe che la figlia fosse lì. - Sospirò Castle

- E tu non vuoi che vada? - Si informò Beckett

- No, il contrario. È lei che non vuole andare. Io le ho detto che doveva farlo, sarebbe stato giusto così e poi non vede Meredith da molto. Così abbiamo discusso un po’. Io la capisco, ha ragione nel dire che non si doveva ricordare alla fine di dirle della prima, però Meredith anche se è così è sempre sua madre, dovrebbe darle un po’ più di credito. Alla fine ha deciso che andrà, partirà domani mattina e le ho promesso di accompagnarla.

- Quindi qual è il problema? Perché eri così nervoso?

- Pensavo a me e a Meredith, a quanti errori abbiamo fatto con Alexis, se non siamo stati troppo egoisti. Io a mollare per un tradimento, lei per la sua carriera. Avremmo dovuto sforzarci di più e darle una famiglia normale, quella che era giusto avesse. Ma si vede che non è destino, non l’ho avuta io e nemmeno mia figlia, probabilmente per questo, perché non so cosa è una famiglia normale che non sono stato in grado di darla nemmeno a lei. - Kate ascoltava il suo monologo convinta che si stesse dando colpe non sue, lei aveva avuto quella famiglia normale che lui tanto desiderava ed aveva vissuto come un vero e proprio dramma la sua distruzione in modo così tragico.

- Non puoi colpevolizzarti per cose che non dipendono da te. Certe cose bisogna volerle in due. Alexis è una ragazza splendida e se è così, è solo perché ha avuto uno splendido padre che non le ha fatto mancare nulla. Io non credo in quel tipo di destino Castle e non devi pensare che sia colpa tua, anzi penso che se tu non fossi stato un figlio di un genitore solo, non avresti avuto la tua esperienza personale per crescere così bene tua figlia. - Lo guardò con uno sguardo pieno d’amore, mettendo da parte quello che era accaduto poco prima. Non le aveva detto quelle parole tanto per dire, ma perché ci credeva veramente. Rick era un padre eccezionale e sua figlia ne era la prova.

- Sai, avrei voluto veramente una famiglia normale. Una moglie, una figlia con cui fare tutte quelle cose tremendamente convenzionali che fanno le famiglie e poi anche tutte le altre fuori dagli schemi che piacciono a me. Non chiedevo tanto, no? - Rick strinse la sua mano, quel discorso era sempre stato un nervo scoperto ed era la prima volta che si sentiva completamente libero di parlarne con qualcuno. Gina non lo aveva mai capito e lui aveva rinunciato a farsi capire.

- Non è mai troppo tardi Rick… - Kate si morse il labbro subito dopo aver pronunciato quella frase che le sembrava in quel momento fosse una promessa troppo grande. Castle la guardò stupito ma nemmeno lui commentò la sua frase, certa, però, che ne avesse colto anche lui quella sfumatura più profonda che l’aveva spaventata. Si limitò ad annuire, tornando a fissare il muro davanti a lui.

- Rick, perché non me ne hai parlato subito? - Kate gli si era avvicinata, non era un’accusa, voleva solo capire.

- Perché c’era quel Price e tu eri così… così in confidenza con lui. Ti sei seduta vicino a lui. Elaboravi teorie. Con lui.

- Castle, parlavamo di lavoro, del caso. Hai sentito anche tu, vero? C’è una pista.

- Certo. Ho sentito.

- Quante volte te l’ho detto? Non devi essere geloso di lui. Elaboravo teorie con lui, perché è lui che sta lavorando a questo caso, se fossero venuti Ryan e Esposito lo facevo con loro, anzi con loro l’avremmo fatto, perché tu saresti intervenuto, non saresti rimasto in silenzio, vero?

- Forse.

- È così Rick. Pensavo interessasse anche a te sapere cosa c’è dietro tutto questo. Prima lo scopriamo, prima potremmo vivere normalmente.

- Io non mi fido di lui, lo sai. Penso che gli hai detto anche troppo di questa storia. Hai pensato che potrebbe essere anche lui uno di quei poliziotti corrotti? Che tutto quello che sta facendo è solo per sapere quanto sappiamo o per mandarci fuori strada ed intanto controllarci?

- Non lo so Castle… io mi fido di lui. Non credo mi stia mentendo, lo vedo sincero ora, così come lo vedevo sinceramente antipatico all’inizio.

- Io sono rimasto al sentimento dell’inizio. - Incrociò le braccia al petto e Kate gli si avvicinò abbracciandolo.

- Lo so. Non voglio litigare con te. Non voglio sprecare così il nostro tempo. Ne abbiamo già sprecato tanto. - Gli accarezzò i capelli e si appoggiò alla sua spalla.

- Scusami per prima. Non volevo ferirti. Ho detto una sciocchezza. - Rick era veramente dispiaciuto. Sapeva quanto Kate aveva sofferto per suo padre, quanto era importante per lei averlo tirato fuori dalla sua dipendenza e lui aveva banalizzato tutto con una stupida frase.

- È più forte di me Rick. Vedere qualcuno che sta male e non parla e si rifugia nell’alcool…. Ho passato momenti terribili per questo. Un dolore che si sommava ad altro dolore e la mia vita, la mia famiglia già distrutta che continuava a sgretolarsi senza che io riuscissi ad impedirlo. È stato difficile e certe situazioni mi provocano un corto circuito emotivo. Non è una cosa di cui mi piace parlare…

- Non dire più nulla allora. 

La abbracciò anche lui e gli sembrava di essere tornato al porto dopo aver attraversato a nuoto una tempesta. Le diede un bacio tra i capelli, fermandosi ad annusare il suo profumo: una volta le aveva detto che profumava di ciliegia, ora non avrebbe saputo più dirlo. Quello era il suo profumo, quello che avrebbe riconosciuto ovunque e se era di ciliegia, avrebbe detto a qualunque ciliegia che profumava di Kate.

Kate era andata a farsi una doccia e Rick sul divano osservava i fogli lasciati da Price. Un numero in quei tabulati catturò la sua attenzione, era convinto di averlo già visto. Prese i fogli dei loro appunti sui documenti si Smith e controllò che i suoi sospetti fossero fondati: appena ne ebbe la conferma chiamò Ryan, saltando tutti i convenevoli.

- Kevin, sei al distretto? - Chiese concitato

- Sì, che succede Castle?

- Mi devi controllare un numero di telefono: 7185618707

- Castle, ma non è uno di quei numeri dei documenti di Smith?

- No, è simile, ma devi dirmi a chi appartiene.

- È della stessa società no profit che avevamo già visto, la Future Forward, ma perché?

- Niente Ryan… solo una curiosità.

- Castle, va tutto bene?

- Sì, tutto bene. Grazie Kevin, ci sentiamo.

Rick rimase a guardare lo schermo del suo iphone fino a quando non si spense. Non poteva più essere una coincidenza. Perché Flynn aveva ricevuto una chiamata dalla Future Forward? Cosa era quella società e soprattutto, cosa era stata quando la madre di Beckett è stata uccisa?

- Castle? Castle mi hai sentito? - Rick si voltò di scatto verso Kate che era uscita dalla doccia ed era in accappatoio dietro  di lui

- Eh? Cosa? Ero sovrappensiero - Disse lui non essendosi minimamente accorto della sua presenza e se ne sorprese, perché di solito la sentiva anche senza che parlasse.

- Ti avevo chiesto con chi parlavi al telefono.

- Con Ryan, gli ho chiesto di controllare un numero.

- Un numero? - Chiese curiosa avvicinandosi e vedendolo con tutti quei fogli sul tavolino basso. Sapeva che non avrebbe resistito a metterci il naso.

- Sì, guarda. Questo numero - le indicò quello che aveva appena chiesto di controllare - si differenzia solo per un numero da quello che era nei documenti di Smith. Non è un caso, ti sembra?

- Sempre che il numero mancante sia lo stesso, Castle! - Sembrò volerlo riportare con i piedi per terra.

- Kate, non può essere una coincidenza. Anche quel numero è della Future Forward. Perché una società no profit chiama un delinquente come Flynn? - Chiese come se stesse spiegando l’ovvio

- Beh, magari si occupano proprio di questo, reinserimento nel sociale di persone con difficoltà, non può essere?

- Può essere tutto. Ma chi è questa Future Forward? E soprattutto cosa faceva quando tua madre è stata uccisa? Dobbiamo saperne di più. - Esclamò aprendo il suo computer e cliccando sull’icona del browser per fare delle ricerche.

- Se sono veramente coinvolti, non credo che quello che vuoi sapere lo potrai trovare lì, Castle. - Rick sentì la voce di Kate abbassarsi e cambiare di tono. Vide la sua mano poggiarsi sul bordo dello schermo e spingerlo verso il basso, si voltò verso di lei per capire che intenzione avesse e fece appena in tempo a vedere il suo accappatoio scivolarle fino ad adagiarsi ai suoi piedi. - Che dici, le tue ricerche possono aspettare qualche ora?

Beckett si avvicinò, salendo a cavalcioni su di lui, cominciando a sbottonargli la camicia e nel frattempo baciandolo languidamente sul collo e dietro l’orecchio.

- Qualche ora? - Rispose con il fiato corto

- Hai fretta Castle? - Chiese mentre scendeva a baciargli il petto man mano che i bottoni si aprivano.

- Nessuna fretta Beckett - Reclinò la testa all’indietro mentre lei stava sbottonando la cinta dei pantaloni, accarezzandole le spalle prima per poi far salire le mani lungo il collo, il profilo del viso fino a giocare con i suoi capelli, abbandonandosi ai sensi ed al piacere.

Dal divano si erano poi spostati in camera da letto ed erano passate ben più di due ore. Kate si era addormentata tra le sue braccia e lui continuava a giocare con i suoi capelli. Si era infilata la sua camicia appena l’aveva tolta a lui e l’aveva tenuta per tutto il tempo, l’aveva indosso ancora adesso. Rick l’aveva trovata terribilmente sexy ed eccitante e le aveva chiesto di non toglierla: le avrebbe dato tutte le sere una camicia diversa se quelli erano gli effetti. 

Approfittò di uno dei rari momenti in cui si spostava da lui girandosi dall’altra parte per alzarsi, non prima di averla coperta con il lenzuolo. Prese una maglietta e recuperò il resto dei suoi indumenti intorno al divano vestendosi alla meglio. Rimase al buio, illuminato solo dallo schermo del pc. Cominciò quindi le sue ricerche su quella società che lo stava assillando e che sol Beckett, a modo suo, era riuscito a farla uscire dalla sua mente per qualche ora.

Navigava da una pagina all’altra, cercando qualche spunto interessante, qualcosa che potesse sembrargli anomalo o che potesse catturare la sua attenzione. Non sapeva di cosa si fossero occupati in passato, ma di una cosa era certo, ora non si occupavano di reinserimento in società si persone con passati problematici. Aveva visto anche il loro sito e rimaneva tutto molto sul vago, tanti bei giri di parole vuoti, senza dire nulla. Non c’era un nome, non c’era un riferimento. Nulla. Tutto assolutamente impersonale.

Sentì la mano di Kate intorno al collo e subito dopo le sue labbra posarsi sulla sua tempia.

- Non sono riuscita a distrarti più di tanto, mi pare. - Disse con un pizzico di delusione massaggiandogli la testa con i polpastrelli.

- Mi hai distratto tantissimo, ho anche perso la cognizione del tempo ed abbiamo saltato la cena. - Le accarezzò una gamba nuda che appariva da sotto la camicia bianca.

- Avrei un po’ fame in effetti… 

- Cosa vuoi? - Ormai conoscevano a memoria il menu del room service

- Ti va di cucinare tu per me? - Anche se non avesse avuto voglia, se glielo chiedeva così, non le avrebbe mai detto di no.

- Certo, adoro cucinare per te, lo sai.

Kate si appoggiò al bancone che separava la cucina dal resto della stanza, spilluzzicando qualche acino d’uva dalla ciotola della frutta che faceva bella mostra sul mobile. Lo osservava cucinare muovendosi con naturalezza in quella che ormai considerava un po’ come la loro cucina. Era un pensiero pericoloso quello, lo sapeva: in cuor suo sperava che non sarebbe dovuta rimanere lì ancora a lungo, ma aveva anche il timore che una volta usciti da lì e ripresa la vita quotidiana, tutto sarebbe stato diverso. Quello era un luogo neutro, un luogo loro. Non era il suo appartamento e non era il loft, due posti fortemente caratterizzati dai loro differenti caratteri. Si intristì non sapendo veramente come avrebbero fatto a conciliare e far convivere i loro mondi. Ormai si era abituata alla sua presenza quasi costante e sarebbe stato difficile farne a meno. Scacciò quei pensieri quando vide il suo sorriso molto vicino a lei con due piatti di pasta in mano, pensando che una carbonara, alle due di notte, non era poi una cosa così leggera. Però era tanto buona.

Aveva appena sentito Castle alzarsi. Aveva appuntamento alle otto al loft per prendere Alexis e portarla in aeroporto. Non aveva nemmeno provato a convincerlo ad andare a casa, anche perché la sera prima si erano fatti prendere la mano ed il tempo era volato via senza che se ne accorgessero, chiusi nella loro bolla inaccessibile a tutti, anche al tempo stesso. Aveva lasciato la porta del bagno socchiusa mentre si preparava, aveva sentito solo l’odore del dopobarba e del suo profumo abbinato e poi farsi sempre più vicino, in quel bacio rubato al sonno, troppo lungo e passionale per essere solo una confusa proiezione della sua mente. Si era riaddormentata subito non sentendolo nemmeno uscire, il giorno precedente tra la palestra, dove finalmente era riuscita a correre per un paio di chilometri anche se a ritmo molto blando, la piscina e Castle aveva fatto decisamente molta attività fisica ed era ancora stanca, anche perché aveva dormito veramente poco.

Quando si era alzata ed era andata in cucina per farsi il caffè, lo aveva trovato già pronto, doveva solo scaldarlo e vicino alla tazza un biglietto scritto a mano su un foglio del blocco. “Ti Amo R.” ed un grande cuore a contenere le sue parole. Si sentì come una liceale al primo biglietto del fidanzato. Lo prese tra le mani e lo annusò, come se potesse contenere qualche molecola del suo profumo. Percorse con le dita il tratto della penna immaginandolo lì, sul blocco a scrivere e disegnare cuori all’alba, lui che odiava svegliarsi presto, eppure aveva trovato anche il tempo per prepararle il caffè. Nella sua mente comparve l’idea e la sensazione che era così che avrebbe voluto vivere il resto della sua vita, vicino ad un uomo in grado di sorprenderla con piccoli gesti ogni giorno.

Bevve il caffè pensando a lui ad ogni sorso. Aveva ancora la sua camicia addosso, le piaceva tenerla, sentiva come se Castle la stesse abbracciando ogni momento e poi profumava di lui. Quando sentì bussare alla porta erano quasi le undici. Rick avrebbe già dovuto aver lasciato Alexis ma forse era presto per essere già di ritorno. Non sapeva a che ora sua figlia avesse il volo, ma magari era voluto rimanere con lei fino all’ultimo momento, avevano ancora molte cose da dirsi, da chiarire e non voleva disturbarli. Si infilò velocemente il primo paio di pantaloni che aveva trovato in camera, aveva aggiustato la camicia abbottonandola un po’ di più mentre continuavano a bussare.

- Capitano! - Esclamò vedendo la Gates poi dietro di lei scorse Javier e Kevin. Erano tutti molto seri. - Cosa succede? Ci sono novità sul caso?

- Detective Beckett, possiamo entrare? - Chiese la Gates con un tono molto più cortese del solito, mentre Javier, entrando, le passò un braccio sulle spalle in un’insolita carezza.

- Che sta succedendo? - Li vide sedersi sui divani, Kevin vicino alla Gates, lasciando il posto vicino ad Esposito libero dove si mise lei, continuando a guardarli perplessa ed anche preoccupata.

- Un’ora fa è arrivata una segnalazione di una macchina esplosa sulla Long Island Expressway. 

- È la strada per andare al JFK…- disse Kate con il terrore negli occhi

- C’era un uomo a bordo, Detective… e l’auto era quella del signor Castle.

Kate si sentì mancare il respiro. Guardò la Gates, poi Ryan che aveva abbassato lo sguardo fissando il pavimento ed infine Esposito che riuscì solo a sussurrare un “mi dispiace” afono.

Kate aveva gli occhi sbarrati e le mani tra i capelli. Il respiro accelerato e tremante rifletteva lo stato di shock nel quale si trovava. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, provò compulsivamente a chiamarlo, più volte, senza arrendersi a quella voce metallica che le diceva essere irraggiungibile. 

- Abbiamo trovato i resti di un iphone distrutto nella macchina - sussurrò Ryan per farla desistere dal continuare. Lei lo guardò scuotendo appena la testa. Non riusciva ad accettarlo. Esposito provò a poggiarle una mano sulla spalla ma lei si spostò di scatto, alzandosi poi come una molla. Girò per la stanza nervosamente, come se cercasse qualcosa, erano movimenti fatti in modo compulsivo senza un vero senso. Javier stava per alzarsi ed andare da lei quando la Gates gli fece cenno di lasciarla sola. 

- Esposito, Ryan, accompagnatemi sul posto - Disse Beckett con voce fin troppo fredda e risoluta.

- Detective, lei non può andare sul posto. - disse pacatamente la Gates

- Il devo andare lì. - Le rispose Kate nervosamente con un tono molto più alto di quello del suo superiore.

- Kate, non c’è più niente lì. La macchina la sta analizzando la scientifica e… i resti del corpo sono al laboratorio da Lanie. - intervenne Ryan

- Allora vado da lei. - disse Beckett andando verso la porta a passo spedito

- Detective, glielo ripeto lei non può uscire da qui. - il tono della Gates ora era più perentorio e sia lei che i due detective si erano alzati.

- Sono io che glielo ripeto Capitano - Beckett avanzò a grandi falcate verso la donna - Io devo andare a vedere di persona.

La sua voce sempre più nervosa si stava incrinando.

- Kate… non puoi riconoscerlo. - Le disse dolcemente Javier

- Sì, posso… io… lo posso riconoscere… io…

Kate sentiva che stava per cedere. 

- No Kate non puoi. Lanie stava cercando dei tessuti per un confronto del dna. È l’unico modo, credimi. - Esposito non voleva essere duro e così crudo ma doveva convincerla che non poteva fare nulla.

- No… Javier tu non capisci… io so che posso riconoscerlo… 

- Kate…

Non lo stette ad ascoltare, andando verso la porta e l’ispanico dopo aver scambiato uno sguardo con il suo capitano la raggiunse bloccandola da dietro, avvolgendola in un abbraccio protettivo.

- Non puoi fare niente Kate. Non puoi, mi capisci? - le sussurrò all’orecchio

- Lasciamo ti prego Javi! Lasciami! - urlò Kate ma lui al contrario la strinse di più mentre la sentiva cedere tra le sue braccia, emotivamente in un pianto disperato e fisicamente piegandosi su se stessa, vinta da quel dolore che aveva lasciato entrare e che adesso la stava facendo soccombere.

Sentiva le lacrime rigarle il volto e le gambe pesanti, incapaci di reggere il suo peso e tutto quello che le era gravato addosso in quel momento. Sarebbe caduta, forse, se Esposito non l’avesse tenuta, e stava parlando, gridando qualcosa ma non sapeva esattamente cosa. Si sentiva sprofondare, cadere in un buco nero senza fine.

Sentiva la voce di Javier che le diceva che gli dispiaceva come un sussurro lontano come se tutto il mondo in quel momento fosse lontano da lei, sospesa in un luogo inaccessibile, circondata solo dalle sue emozioni.

Dolore, paura, sgomento, incredulità, senso di colpa ovattavano il mondo intorno a Kate, isolandola da tutto il resto. Guardava ma non vedeva. Sentiva ma non ascoltava. Non c’era niente che le interessasse in quel momento in cui stava cercando solo di costruire i suoi pensieri, processare quello che era successo, dargli in senso, se mai poteva averlo, nella sua mente. 

Sentì la mano di Javier sfiorarle il viso per spostarle i capelli, ma ancora una volta scattò allontanandosi, sfuggendo al suo abbraccio ora che aveva allentato la presa. Non poteva permettergli quel gesto, era solo un amico dispiaciuto per lei, un gesto d’affetto ma non poteva farglielo fare. Si appoggiò al bancone, dove aveva bevuto il suo caffè, dove poche ore prima lo aveva osservato cucinare in piena notte, dove lo immaginava piegato a scrivere quel biglietto che era ancora lì. Percorse con le dita il tratto della sua calligrafia, il ricciolo della R, un vezzo che faceva solo quando si impegnava, non della sua firma sbrigativa. Il cuore, due metà che si sfioravano, una più armoniosa e morbida, l’altra dai tratti più decisi e sicuri, sembravano loro, due entità così diverse che insieme creavano qualcosa di magnifico. Accarezzò quel cuore e non poté impedire alle lacrime di bagnare il foglio. Alzò lo sguardo repentinamente come se fosse convinta che lui fosse lì a guardarla: la cucina era vuota, solo Esposito dietro di lei, le stava parlando, invitandola ad andarsi a sedere.

La Gates camminava davanti alla vetrata. Capiva perché Castle avesse scelto proprio quella stanza per Kate, la vista su New York era splendida. Non aveva mai visto nessun uomo fare per una donna tutto quello che aveva fatto lui per Beckett, senza mai chiederle nulla in cambio. Pensava che fosse stato decisamente un brutto scherzo del destino quello che era accaduto proprio adesso. Sarebbe voluta tornare al distretto, non voleva stare lì a spiare il dolore di Beckett, ma allo stesso tempo non voleva che restasse sola. Il suo sguardo smarrito l’aveva colpita, non era il suo miglior detective, era una donna che vedeva crollare il suo mondo ed aveva paura. La vide riflessa nel vetro avvicinarsi di nuovo al divano, seguita da Esposito a breve distanza, come se controllasse che effettivamente riuscisse a camminare, pronto a prenderla ad ogni eventuale cedimento, come un genitore con un figlio che incerto compie i primi passi.

Kate si rannicchiò nell’angolo del divano più vicino alla finestra, le ginocchia raccolte al petto, strette dalle braccia per occupare meno spazio possibile, aveva alzato il collo della camicia e sembrava volerci sparire dentro con la testa. Chiuse gli occhi respirando il suo profumo ancora così presente, ancora così vicino. Le lacrime ripresero a scorrere senza potesse fare nulla per fermarle e non voleva farlo. Le voleva sentire tutte scorrere sul suo volto fino a quando non avessero scavato solchi profondi. Non riusciva a pensare ad altro, vedeva il suo volto che le sorrideva, non il suo sorriso splendente da copertina, quello che regalava a tutti, ma l’altro sorriso, quello che avrebbe definito timido, se non si trattasse di Castle, che aveva visto solo dedicato a lei. 

Non era pronta per non vedere più quel sorriso, per non sentire più le sue braccia stringerla, per non assaporare più i suoi baci. Non poteva accettare che quella fosse la realtà. Non adesso. Non così. Aveva tante cose da dirgli, avevano tante cose da fare insieme. Avevano appena cominciato la loro vita. Lei aveva appena cominciato a vivere, di nuovo, dopo anni. In quel letto di ospedale, quando ancora lottava per sopravvivere riusciva a sentirsi viva come da tempo non le capitava, perché aveva finalmente capito cosa voleva. Ed era stato lui la sua forza, con la sua presenza silenziosa, mostrandogli una parte di se stesso che non conosceva ancora. Era riuscita ad ammettere a se stessa, prima che a lui, di amarlo. E sì, lo amava e non voleva smettere di farlo. Lui in così poco tempo le aveva insegnato a vedere delle cose di se stessa che non aveva mai visto e non conosceva mentre Rick… Rick sembrava sapere tutto di lei, prima di lei. Sembrava sapere ogni volta di cosa avesse bisogno, fosse solo anche una tazza di caffè già preparato la mattina. Le si chiuse lo stomaco solo a pensarci, non avrebbe mai più bevuto un caffè in vita sua. Ne era certa. Il caffè era lui, erano loro.

Loro. Noi.

Aveva usato quella parola per così poco tempo ed aveva già un significato così profondo, che adesso non poteva pensare di parlare solo di se. Perché era come strapparsi una metà. Rick un giorno le aveva detto che lei gli era entrata dentro ed ora sentiva chiaro il senso di quelle parole, perché era così anche per lei. Castle non era nel suo cuore, né nella sua mente, scorreva dentro di lei, era nelle sue vene, in ogni parte del suo corpo ed era impossibile da mandare via e lei non voleva farlo.

Pensò all’ultimo anno, a quando lui le aveva detto “Ti amo” mentre stava per morire e alla sua paura di quelle parole, ma allo stesso tempo le aveva viste come uno scoglio a cui aggrapparsi per resistere. Si malediceva per i suoi timori e per tutto il tempo che gli avevano fatto perdere. Vedeva ogni istante non vissuto con lui come una colpa, come se si fosse privata di qualcosa di bello ed irripetibile, perché sapeva che ogni momento con lui era così. Aveva vissuto più in quelle settimane con lui, chiusa in quella stanza, che nei precedenti tredici anni della sua vita. Lui le aveva ridato la gioia di vivere, ma di vivere con lui.

Si sentiva soffocare tra un singhiozzo e l’altro, ma non era l’aria che le mancava. Era il suo profumo che ad ogni respiro faceva più male, come una sostanza corrosiva che le entrava in circolo e si sentiva straziata.

Senza nemmeno rendersene conto, negli ultimi giorni, aveva anche cominciato a fare progetti nella sua mente, ad immaginarsi un futuro a cui non aveva mai pensato. Avrebbe voluto essere lei a realizzare quel desiderio di Castle di avere una famiglia normale, come la chiamava lui. Non ci aveva mai pensato, non era una cosa che pensava potesse mai far parte della sua vita, eppure lui lo aveva reso per qualche istante così possibile e reale, tanto che ora sentiva la sofferenza per la mancanza di una cosa che non aveva mai avuto e che non avrebbe avuto mai. 

Tremava. Il corpo scosso da brividi di un freddo che nessuna coperta e nessun fuoco potevano scaldare. Tremava del freddo della paura. Si sentì improvvisamente sola al mondo, come se tutte le persone fossero scomparse e lei era sola a vagare nel suo dolore. Lo sapeva che non avrebbe mai dovuto innamorarsi, che non avrebbe sopportato di perdere ancora una volta chi amava. Ma Castle era stato più forte delle sue paure ed il suo amore più luminoso dell’ombra del muro dentro il quale si era rifugiata. L’aveva portata nella sua luce ed aveva scoperto che ci stava benissimo, perché c’era lui. Ora era sola, il suo muro erano solo un cumulo di macerie ed era indifesa ed esposta.

- Martha… - disse Kate rivolgendo lo sguardo alla prima persona che aveva davanti, Kevin. - Avete chiamato Martha?

I due detective si guardarono scuotendo il capo negativamente. 

- Devo avvisare Martha… Devo avvisare Martha… - Si ripeteva Kate sommessamente. Sia Ryan che Esposito si offrirono di farlo al suo posto, ma Kate rifiutò. Doveva farlo lei. Loro insistevano che non era necessario, ma Kate era irremovibile. Era una sua responsabilità. Riuscì ad essere più calma che poteva, chiedendo solo alla donna se poteva raggiungerla il prima possibile perché doveva parlarle. Non voleva dare una notizia del genere al telefono. Faticò a contenere l’entusiasmo di Martha che non faceva che ripeterle quanto era felice che avrebbe fatto parte della loro famiglia, dicendole che mai aveva visto suo figlio così felice ed innamorato. Per Kate fu l’ennesima pugnalata di quel giorno e le avrebbe scambiate tutte per quelle di Maddox, per riceverne ancora reali, profonde: facevano meno male.

Sentì solo distrattamente parlare la Gates al telefono, chiamare la scientifica ed arrabbiarsi perché quei risultati tardavano ad arrivare, perché voleva notizie, voleva certezze, voleva sapere tutto su quell’esplosione, per trovare un colpevole.

A Kate, invece non interessava nulla. Le non voleva un colpevole, perché il colpevole già lo aveva. Era lei. Era lei che aveva messo un bersaglio addosso a Castle, perché chiunque la volesse morta, sapeva anche del loro rapporto e colpire Castle era solo un modo per colpire lei. Ci avevano già provato, era stato fortunato, ma la fortuna non esiste, esiste il caso e lei più di chiunque altro doveva sapere che era solo un caso se non era morto quella sera nel parcheggio. Ed ora era colpa sua. Avrebbe dovuto avere la forza di rinunciare a lui, perché lo sapeva che lo stava esponendo solo ad altri rischi, doveva farglielo capire e non essere così egoista, invece da volerlo sempre di più, tanto da non poterne più fare a meno, non avere né la forza né la lucidità di capire che così lo stava solo uccidendo. Era lei la colpevole, non aveva bisogno di altri. Era colpa sua, era lei la causa. Aveva tolto un figlio ad una madre, un padre ad una figlia. Alexis era in volo, senza sapere nulla, con che coraggio le avrebbe detto quello che era successo? Con quale coraggio avrebbe potuto da lì a poco affrontare quella donna che al telefono era raggiante per quella novità e per sentirla: lei la considerava già parte della sua famiglia e non sapeva che era solo colpa sua se la sua famiglia era appena stata distrutta. 

Si alzò e guardò anche lei fuori dalla finestra, in piedi vicino al suo capitano. Poggiò la fronte sul vetro per non vedere i riflessi, guardare solo fuori oltre i profili dei grattacieli. Era una bella giornata di sole ed il clima era mite, se solo questo avesse avuto un qualche significato.

Kate se ne andò in camera da letto. Aveva bisogno di stare sola. Fisicamente. Il letto era ancora sfatto e nelle pieghe delle lenzuola le sembrava ancora di trovare le tracce di loro, di sentirle intrecciate ai loro corpi uniti. Vide la sua maglietta abbandonata sopra il cuscino. La sfiorò con le dita, aveva quasi paura di prenderla. Si sedette dalla parte di letto dove dormiva lui e poi appoggiò la testa sul cuscino, sdraiandosi in posizione fetale con il viso immerso nel suo indumento. Chiuse gli occhi. Avrebbe voluto addormentarsi e svegliarsi con la sua mano che le accarezzava la spalla ed i suoi baci dietro il collo, lì dove gli faceva solletico, dove la baciava ogni volta che voleva svegliarla.

Il dolore che l’avvolse era qualcosa che veniva da lontano, lo riconosceva, era quel mantello nero che velava ogni altro sentimento. E non c’era più spazio per niente. Lo conosceva bene. Era quel dolore paralizzante, quello che prende lo stomaco e ti distrugge dentro e tutto il mondo diventa relativo con le vertigini che non ti abbandonano mai e portano con loro quel senso di nausea che ti destabilizza.

Cercava di stringersi su se stessa più che poteva. Non riusciva nemmeno più a piangere. Erano solo muti sospiri e respiri profondi quando le sembrava di non avere abbastanza ossigeno e di affogare in se stessa.

Stringeva con forza quella maglia fino a che le mani non le facevano male e diventavano bianche per lo sforzo e la rabbia. 

Malediceva se stessa, Maddox che per due volte aveva fallito, il giorno che si erano incontrati, il sindaco che glia aveva permesso di seguirla, lui che lo faceva nonostante tutto e ancora se stessa che si era innamorata di lui. Malediceva ogni singolo caffè che le aveva portato, che come un anello di una catena lo aveva legato sempre di più a lui, ogni frase detta insieme, ogni ragionamento completato a vicenda, ogni parola di conforto, ogni battuta per alleggerire una giornata pesante, ogni sorriso soprattutto quelli quando era convinto che lei non lo vedesse, soprattutto quelli perché l’avevano fatta innamorare ancora di più.

Trovò altre lacrime, nascoste non sapeva dove, da versare e lo fece senza remore. Non aveva nessun motivo per nascondere il suo dolore. Pensava che non avrebbe più potuto soffrire come aveva fatto, che non poteva stare male allo stesso modo ed invece era di nuovo persa nella spirale del dolore e non le importava più nulla. Non voleva giustizia né verità, perché era stata l’ossessiva ricerca di queste per sua madre che le aveva portato via l’unica cosa bella che era capitata nella sua vita e non l’aveva nemmeno voluta vedere per troppo tempo. Era impossibile, si diceva che potesse capitare a lei. Perché a lei non capitavano così così, se ne teneva alla larga. Lei era quella dai rapporti non impegnativi, perché era più facile uscirne indenni: meno ti coinvolgi, meno soffri. Pensava di aver sofferto, molto, una volta, con Sorenson, ma aveva capito che non era nulla. Era un graffio più per l’orgoglio che per il cuore, per essere stata messa in secondo piano, per contare meno di un lavoro. Non avrebbe più fatto quell’errore. Niente complicazioni. E poi era arrivato lui che avev preso il suo mazzo di carte e lo aveva rovesciato, facendole volare in aria. L’aveva presa per mano e portata nel suo mondo ed aveva provato a resistere ma era stato impossibile. Le aveva fatto vedere quanto potesse essere bello vivere senza i suoi rigidi schemi e lei lo aveva seguito, aveva ballato la sua musica al suo ritmo. Ora era di nuovo nel silenzio della sua anima dove c’era solo l’eco del suo dolore e quel senso di colpa che più passavano i minuti più si impossessava di lei. “È colpa tua Kate. È solo colpa tua.” si ripeteva. E ne era convita. Lo era. Era maledettamente tutta colpa sua, perché si era innamorata di quello stupido scrittore che era solo un bambino di nove anni ed aveva lasciato che si innamorasse di lei e che fosse così pazzo da non rendersi conto che era pericoloso. Era colpa sua che non l’aveva ascoltato, che non gli aveva dato retta quando gli diceva che era una guerra che non poteva vincere. ma a lei non era importato era andata avanti incurante che quello potesse avere ripercussioni anche sugli alti. Perché lei aveva messo in conto che poteva morire e fino a poco tempo prima non le sarebbe nemmeno importato molto, ma non che potessero uccidere ancora qualcuno di così importante nella sua vita. Questo non lo aveva pensato ed ora la stava devastando. Montgomery era morto per salvarla, Rick aveva fatto di tutto per tenerla al sicuro e lei e lei non aveva fatto niente per loro. Aveva pensato solo a se stessa a seguire la sua ossessione che dopo sua madre le stava portando via tutti gli altri punti fermi della sua vita. Il suo capitano prima, il suo amore poi.

Sentì il campanello suonare. Non si sentiva pronta per affrontare Martha. Non ancora. Forse mai.

Riconobbe, però una voce amica. Il tono non era il solito squillante, ma era lei, era Lanie. Riuscì a distinguere qualche parola, parlava piano con Esposito, forse pensavano che stesse dormendo. C’era Perlmutter in laboratorio. La sentì scostare la porta, senza entrare.

- Lanie… - La chiamò con un filo di voce tirandosi su senza lasciare la maglia di Castle.

- Tesoro… - La dottoressa la guardò con gli occhi colmi di lacrime, anche lei. Chiuse la porta ed andò dalla sua amica. Kate l’abbracciò stringendola aggrappandosi alla sua amica che le accarezzava la schiena mentre i suoi singhiozzi aumentavano. - Mi dispiace Kate… io non ce l’ho fatta…

- A Perlmutter Rick è molto antipatico. Penserà che questo è solo il suo ennesimo modo per disturbare il suo lavoro - sorrise Kate tra le lacrime. 

Lanie le prese il volto asciugandole le lacrime.

- Ehy, ragazza… Sai che il tuo scrittore non vorrebbe vederti così, vero? Lui vuole solo vederti sorridere. Però non devi essere forte per forza Kate…

- Non sono forte Lanie. Io… avevo cominciato a pensare ad un futuro per noi, lo sai? Ieri sera stavamo parlando, lui mi stava parlando di quello che avrebbe desiderato, che avrebbe voluto una famiglia normale per Alexis e non gliel’aveva potuta dare… Io mi sono immaginata che noi potevamo esserlo, lo capisci? Ho immaginato una famiglia con lui…

- Lo ami Kate, è normale.

- No, io non avevo mai pensato questo, con nessuno.

- Ti eri mai innamorata di qualcuno? Innamorata come di lui intendo. - Kate scosse la testa - Per questo non l’avevi mai pensato.

- È tutta colpa mia. Lo dovrò dire a Martha, ad Alexis… Alexis adora suo padre… - Non riusciva a smettere di piangere.

- Non è colpa tua, come può esserlo? - Lanie le strinse le mani che non lasciavano mai la sua maglia.

- Perché l’ho trascinato io in questa storia.

- Non credo che Castle sarebbe d’accordo con questa tua versione, anzi secondo me si arrabbierebbe anche un bel po’. 

- Avrei preferito che Maddox non avesse sbagliato la mira. Sarebbe stato meglio per tutti. Soprattutto per Martha e Alexis. - Si asciugò gli occhi con il dorso della mano prima che Lanie le afferrasse il polso.

- Questo non è da te Kate e sono sicura che Castle è l’ultima cosa che vorrebbe sentirti dire.

- Non mi sente dire nulla Lanie. È questo il problema.

Sentì di nuovo suonare il campanello e si alzò di scatto questa volta. Uscì dalla stanza bloccando Esposito che stava andando ad aprire. Era distrutta, ma non era una codarda. Avrebbe affrontato Martha, il suo dolore, avrebbe preso i suoi insulti se voleva.

- Papà! - Esposito aveva avvisato anche Jim e lui aveva lasciato una causa che avrebbe dovuto sostenere in tribunale ed era andato da lei.

- Katie… - Jim le accarezzò il volto senza dirle nulla di più ed anche lei non disse altro. Fece solo segno di no con la testa e suo padre ne capì ogni sfumatura.

No, non ancora una volta.

No, non ce la posso fare.

No, non lui.

La Gate in fondo alla stanza sempre vicino alla vetrata era al telefono e così anche Ryan seduto sul divano, mentre Esposito camminava nervosamente. Uscì dalla camera anche Lanie che si mise vicino a Kate, appoggiata con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto mentre Jim raggiungeva Esposito che lo invitava a sedersi.

- L’esplosivo nell’auto è lo stesso trovato a casa di Smith - Disse Kevin appena ebbe finito la conversazione al telefono. La Gates annuì ancora impegnata nella sua conversazione mentre Javier scosse la testa per poi dare un pugno contro il muro. Solo Kate rimase impassibile alla notizia. Lei già lo sapeva, non aveva bisogno di conferme per sapere che dipendeva da lei tutta quella situazione.

Quando Martha entrò nella stanza, non si accorse di nulla. Non fece nemmeno caso alla presenza degli altri detective, di Lanie e Jim. Vide solo il volto teso di Kate e quel sorriso tirato. La abbracciò con affetto.

- Katherine, tesoro! Devo dire che le camice di Richard ti stanno molto bene! - Le disse facendole l’occhiolino. Kate sorrise ancora abbassando lo sguardo.

- Se sei impegnata con i tuoi amici torno un’altra volta. Tanto avremo tempo e modo per vederci prossimamente, suppongo!

- Vieni Martha, siediti per favore. - Kate le passò un braccio intorno alla vita, in quello che voleva essere un abbraccio protettivo, invitandola a seguirla. La fece accomodare e le si sedette vicino prendendole una mano, in un gesto di affetto che non pensava di riuscire a fare senza imbarazzo.

- Katherine, che sta succedendo? Mi fai preoccupare

- Martha… c’è stato un incidente… 

- Richard! - Esclamò la donna portandosi la mano a coprire la bocca mentre Kate annuiva.

- Ecco, in realtà non è stato proprio un incidente. L’auto di Rick è… è esplosa.  È stato un attentato. - Riuscì a dire con difficoltà Beckett

- Dov’è Richard? Come sta? - Chiese Martha agitata. Kate deglutì senza riuscire a risponderle. Chiuse gli occhi, serrò la mascella imponendosi di non piangere. Ma fu inutile. Scosse la testa violentemente, come se volesse scacciare quell’idea che era persistente.

- Mi dispiace Martha, è tutta colpa mia. Rick doveva stare lontano da me e da tutta questa storia, ma lui… lui…

- Lui ti ama Katherine. Non lo avrebbe mai fatto. - Le disse l’attrice con gli occhi lucidi. 

- Avrebbe dovuto… Doveva farlo… 

- Richard è un testone, quando si mette in testa una cosa non gli fa cambiare idea nessuno, dovresti saperlo mia cara. - Kate annuì - E sai, voleva te, più di qualsiasi cosa, da tanto tempo. Ed è così felice, tu lo hai fatto felice.

Kate vide lo sforzo che aveva fatto la donna per trattenere le lacrime fino a quel momento, il suo parlare di Rick al presente le faceva capire quanto era difficile anche per lei accettare quella situazione, ma poi anche lei dovette cedere. Beckett si permise di abbracciarla e Martha non rifiutò il suo abbraccio, come lei temeva. Kate continuava, tra le lacrime, a ripeterle dei soffocati “Mi dispiace”. 

La Gates aveva finito la sua conversazione, ritornò a guardare fuori dalla finestra, non poteva permettersi che tutte quelle emozioni le togliessero la capacità di prendere decisioni razionalmente. Nessuno osava dire una parola, nessuno voleva disturbare quel momento di dolore di due donne che non potevano essere più diverse una dall’altra, abbracciate ed unite nella stessa sofferenza sebbene declinata con note diverse, ma erano a loro modo due dolori assoluti, di quelli che tolgono fiato e ragione.

Solo il suono del campanello interruppe il silenzio totale intervallato solo dai singhiozzi e dai sospiri. Lanie, che era quella rimasta più vicina alla porta, dopo aver avuto l’assenso dagli altri andò ad aprire.

- Ehy dottoressa, non sapevo venissi a trovare Kate oggi, ho interrotto qualcosa? - Tutti si voltarono verso la porta con lo sguardo allibito. Kate, che gli dava le spalle si voltò di scatto nel sentire la sua voce. Era lui e non era un’allucinazione. Castle, fece un passo dentro la stanza e si accorse di quanta gente fosse lì, dei loro volti sorpresi e tirati e non riusciva a capire. - Ragazzi, c’era una festa e non ero invitato? Nel caso posso sempre riandarmene! - Disse sorridendo indicando la porta, attendendo una risposta. 

 

Kate si alzò di scatto dal divano e non si rese nemmeno conto di essere già addosso a lui. Gli sbattè letteralmente contro, prese il suo viso tra le mani, lo accarezzò come ad assicurarsi che fosse realmente lui e lo baciò fregandosene se lì c’era il suo capo, suo padre, Martha e chiunque altro.

- Decisamente un bel bentornato Kate - Le disse Rick appena le loro labbra si separarono, poi la guardò attentamente, allontanando il suo volto per vederla meglio e notò gli occhi rossi, gonfi, le guance bagnate e come stava nervosamente muovendo la mandibola.

- Hey, Beckett, che succede? - Le accarezzò le guance con i pollici, asciugando quelle lacrime che stavano nascendo di nuovo. Lei non riusciva a parlare, accarezzava solo il suo viso. Rick guardò Lanie con uno sguardo interrogativo, cercando una spiegazione. Vide sua madre con un sorriso luminoso sul viso, provò ad avvicinarsi, ma Kate non si muoveva e non lo lasciava andare.

- Non sai quanto è bello vederti Castle - Le disse Lanie e rischiava di commuoversi anche lei, ma lui continuava a non capire.

- Qualcuno mi spiega? - Chiese curioso e preoccupato. Kate lo prese per mano e lo portò dagli altri. Martha si alzò ed anche lei abbracciò suo figlio che continuava a capire sempre meno il perché di tutte quelle scene.

- Sono stato in biblioteca, non sono tornato dalla guerra eh! - Precisò lui.

- Castle, cosa hai fatto questa mattina? - Chiese Esposito.

- Io… ho preparato il caffè a Beckett… poi sono uscito, ho chiamato un taxi, sono andato al loft ed ho preso Alexis, l’ho accompagnata in aeroporto… 

- Con un taxi? - Chiese Kate

- Sì, con un taxi! La mia macchina ha avuto qualche problema ieri con l’accensione, sembrava che qualche filo facesse contatto. Ho chiesto a John il tutto fare del mio palazzo se poteva portarla al centro assistenza e sai, ad Alexis non piace andare con la Ferrari, dice che dà troppo nell’occhio, siamo andati in taxi, ma perché tutte queste domande?

- Vedi Castle - Continuò Javier - Questa mattina abbiamo ricevuto una segnalazione. C’è stata un’esplosione sulla Long Island Expressway. Una macchina con un uomo a bordo. Era la tua macchina. 

Rick li guardò tutti sconcertato. Sua madre, i suoi amici, il capitano Gates ed infine Kate al suo fianco che aveva abbassato gli occhi fissando il pavimento. Le prese la mano, incrociando le loro dita e stringendola con forza. Ora tutto aveva un senso. Quegli sguardi ed i gesti di Kate li capiva e sentì un brivido di freddo scorrergli lungo la schiena. Controllò l’ora, era metà pomeriggio. Il tempo in biblioteca era volato così preso dalle sue scoperte.

- Castle, abbiamo provato a chiamarti! Perché il tuo telefono non era raggiungibile? - Chiese Esposito in tono accusatorio

- Ehy Javier, cos’è un interrogatorio? Io… In biblioteca non c’è campo…

- Eri in biblioteca? - Chiese Kate

- Sì sì… ti ho mandato un messaggio guarda! - Prese il cellulare ed aprì le conversazioni con Kate. C’era effettivamente un suo messaggio “Alexis tutto ok. Sto andando in biblioteca. Ho una pista. Ti Amo” e dopo un avviso di errore di invio. A Rick uscì solo un “oh” colpevole. - Io… Kate, mi dispiace… non avevo visto che non era stato inviato. Credimi”

Beckett fece cenno di sì con la testa, lo accarezzò ancora, non gli importava.

- Quindi John… è morto? O mio Dio! - Rick si mise seduto su una sedia e Kate rimase in piedi vicino a lui tenendogli una mano sulla spalla. Aveva bisogno del contatto fisico.

- Il corpo era irriconoscibile. Stavamo aspettando solo la conferma del… tuo DNA - disse Kevin.

Sentì la mano di Kate stringerlo, alzò lo sguardo cercando il suo, ma lei non riuscì a guardarlo, spostò solo la mano fino a dietro il suo collo, accarezzandolo dolcemente.

- L’esplosivo è lo stesso usato a casa di Smith. - Aggiunse Ryan e Kate ritrasse la mano dal collo di Castle.

- Signor Castle - Victoria Gates si fece avanti - Può dirci cosa ha fatto esattamente oggi e perché John aveva la sua auto?

Rick raccontò ti nuovo tutto da capo, cercando di essere il più preciso possibile con orari e luoghi. Era rimasto con Alexis per un po’ dopo che erano arrivati lì, l’aveva aiutata a fare il check in e poi avevano parlato prendendo un caffè prima che andasse verso gli imbarchi. Poi aveva chiamato un altro taxi e si era fatto accompagnare alla New York Public Library per fare delle ricerche ed era rimasto lì fino a quando non lo avevano visto loro in hotel. Il giorno precedente, prima di tornare da Kate aveva avuto qualche problema con l’accensione della sua auto ed aveva chiesto a John se poteva pensarci lui, come faceva sempre poi gli diede i dati dell’uomo. 

- Va bene Signor Castle. Noi, qui, direi che non abbiamo finito. Avviseremo noi la famiglia del signor Harmon appena avremo la conferma degli esami del DNA. Faremo un rapporto con le sue dichiarazioni poi dovrà venire a firmarlo. 

La Gates con Esposito e Ryan se ne andarono. Rick disse che sarebbe passato il giorno seguente se per loro non era un problema. Acconsentirono facendo uno strappo alla regola e ne fu sollevata più Beckett che Castle. Anche Lanie andò via con loro, lasciando Rick e Kate con i loro genitori.

- Non era proprio così che avevo in mente di farvi conoscere. - disse Castle a Jim e Martha.

- Ragazzo mio, l’opportunità è stata decisamente migliore di quella che poteva essere. - gli disse sua madre accarezzandogli il volto. Erano stati momenti terribili per Martha nei quali però aveva maturato la convinzione che per la prima volta suo figlio avesse vicino una donna che lo amava sul serio.

- Volete un caffè? - chiese Kate che si allontanò da Rick continuando a guardarlo senza mai perdere il contatto visivo con lui, come se temesse che così come era apparso potesse volatilizzarsi e questo essere tutto frutto della sua immaginazione.

Jim accettò il caffè, aiutando sua figlia a prepararli, mentre Martha chiese qualcosa di più forte. Tornarono poco dopo con tre tazze ed un bicchiere con un drink. L’attrice abbracciava suo figlio accarezzandogli amorevolmente le spalle.

- Eccentrica ma sembra una brava donna e sicuramente ti vuole bene. - Disse Jim a sua figlia prima di raggiungerli. Kate annuì: era proprio così.

Passò la tazza a Rick sfiorandogli le dita. Si scambiarono un’occhiata complice ed imbarazzata, poi Rick le accarezzò una guancia dandole un pizzicotto sul mento.

- Beh io è meglio che vada! - disse Martha ostentando più allegria e leggerezza di quello che la situazione potesse richiedere. - L’arte mi aspetta!

Anche Jim disse che doveva andare e si offrì di accompagnare l’attrice alla sua scuola di recitazione.

- Ti ama veramente Richard. Ti ama molto - sussurrò Martha a suo figlio mentre lo salutava con affetto, per poi fare lo stesso con Kate. Jim era molto meno espansivo e riservato. Si limitò ad un abbraccio con sua figlia ed una vigorosa stretta di mano con Rick.

Soli, rimasero a distanza di qualche metro a guardarsi in silenzio. Ognuno stava cercando di capire cosa pensava e come si sentiva l’altro. A Rick sembrava di essere appena uscito dalla centrifuga di una lavatrice, a Kate da un incubo.

Kate prese tutte le tazze dal tavolo e le portò in cucina. Aprì l’acqua facendola scorrere sulle mani e sui polsi prima di lavare le stoviglie. Rick osservava i suoi movimenti nervosi ed attese che chiudesse l’acqua per avvicinarsi a lei. Era appoggiata al lavandino con entrambe le mani e la testa bassa. Castle la abbracciò da dietro appoggiando la testa sulla sua spalla: le baciò il collo molto vicino all’orecchio rimanendo con le labbra appoggiate alla sua pelle a lungo. La sentì tremare e la strinse di più.

- Vuoi parlare? - Le chiese ricevendo come risposta solo un cenno negativo con la testa. - Credo dovresti…

- Per dirti cosa? - Si voltò di scatto verso di lui guardandolo negli occhi con i suoi ancora arrossati e segnati dal pianto.

- Quello che vuoi. Quello che pensi… Mi dispiace…

Le ultime parole di Castle furono solo un sussurro mentre la fece appoggiare contro il suo petto e Kate sembrava aver perso tutta la tensione nervosa che l’aveva tenuta in piedi fino a quel momento. Si scoprì esausta, sfinita, abbandonata su di lui. Respirò il suo profumo dal suo corpo e non da una maglietta, con le dita tremanti toccava il suo collo, accarezzandolo lentamente. Era convinta che non lo avrebbe più potuto fare, che non avrebbe più sentito le sue braccia stringerla, il suo petto accoglierla, il suo profumo, le sue labbra ed ora era intimidita dalla sua presenza, dal sentirlo così vivo, così vero e non solo una proiezione della sua mente.

- Mi dispiace tanto Kate… - Poteva solo immaginare quello che aveva provato, tutto per colpa di un messaggio mai arrivato. Teneva una mano sulla sua schiena e l’altra tra i capelli massaggiandole la nuca come se volesse cancellare dalla sua mente tutti i pensieri negativi che l’avevano tormentata, avvolgendola, proteggendola nel suo abbraccio.

Castle si sarebbe aspetto che Beckett, alla fine, gli avrebbe parlato, la vedeva stanca e nervosa, era convinto che prima o poi sarebbe esplosa ma non fu così. Continuò a tenersi tutto dentro, lasciandolo fuori dalle paure e dal dolore che sembravano non essersi mai allontanate da lei. L’aveva vista mangiare controvoglia e solo perché sapeva che se non lo avesse fatto l’avrebbe ripresa e sembrava fare qualsiasi cosa per eliminare motivi di conversazione. La vedeva fermarsi a guardarlo quando pensava che lui non se ne accorgesse, scrutando ogni suo movimento, osservando ogni piega del suo volto. 

Si era poi allontanata da lui andando in camera e rimanendo seduta sul bordo del letto. Si stava sbottonando la camicia. La sua camicia, quella che aveva usato come una fragile, inutile corazza. Si accorse di lui, prima ancora di vederlo, dalla sua sagoma che le faceva ombra. Alzò lo sguardo e lo vide in piedi, da lì la sua figura sembrava ancora più grande ed imponente, o era lei che si sentiva piccola e schiacciata dal dolore di quella giornata. Lo vide mettersi in ginocchio davanti a lei per essere alla sua altezza e Beckett si sentì inquieta per quel gesto. Spostò di lato le mani di Kate già immobili sui bottoni e riprese lui a sbottonarla lui al posto suo, aprendoli uno dopo l’altro guardandola sempre negli occhi. Le sfilò via la camicia e fece altrettanto con la sua, le prese una mano e la portò sul suo petto poggiandola sul suo cuore e poi lui fece altrettanto con lei, sfiorando la sua cicatrice, quella più vecchia, quella che ancora lo faceva tremare. Rick vide Kate deglutire agitata, provando a ritrarsi ma lui la fermò, obbligandola a stare lì, a sentire uno dopo l’altro i battiti accelerati del suo cuore.

- Perché lo stai facendo? - Gli chiese turbata

- Perché non voglio che mi tratti come qualcosa che somiglia ad un fantasma. Lo stai facendo da quando siamo rimasti soli. Io sono qui, sono vivo. Il mio cuore batte, come il tuo. 

- Rick… - Sospirò

- Kate… - Prese la sua mano e le baciò il dorso - Ti avviso, la prossima volta che sarò in ginocchio davanti a te, ti chiederò qualcosa di molto più importante. 

Beckett sentì il cuore saltare un battito e sperò che Castle, con la mano sempre appoggiata su di lei, non lo avesse sentito. Gli sorrise imbarazzata e le sembrò che il suo futuro stesse riprendendo forma nella sua mente.

Kate aveva solo bisogno di una cosa: non pensare.

Non pensare a quella giornata, non pensare al suo passato che la ossessionava, non pensare al suo futuro che la intimoriva.

Non voleva, soprattutto, pensare alle sue emozioni che l’avevano sconvolta. Amava Castle, lo sapeva, ne era certa, ma non era una frase fatta dire che aveva capito quanto nel momento in cui era convinto di averlo perso per sempre. Aveva cambiato la sua vita, l’aveva presa per mano e tirata fuori dal suo mondo per portarla in quello di lui e lei, in quel mondo, ci stava bene solo con lui. Si era resa conto di come ogni sua azione del quotidiano era condizionata da lui e la sua assenza era ancora più ingombrante della sua presenza. Era rimasta intimorita dal quel senso di vuoto assoluto provato, da quel dolore sordo incessante che era sicura non avrebbe provato più dopo la morte di sua madre ed invece si era ripresentato ancora più feroce, accompagnato dal senso di colpa e dallo smarrimento. Aveva visto tutte le sue certezze crollare, aveva toccato i loro frammenti che l’avevano ferita ed erano le ferite più dolorose mai provate e lei poteva dirlo con cognizione di causa.

Non ci voleva pensare, non voleva pensare.

Sentiva la testa che stava per scoppiarle martellata da quella scarica di emozioni che avrebbero messo KO persone ben più corazzate di lei a reggere i sentimenti. Lei no. Poteva sopportare calci, pugni, ferite, proiettili ma se le sue emozioni erano sospese in un equilibrio fragile, come un castello di carte che voleva difendere dal vento quel giorno aveva attraversato la tempesta.

Castle era sempre davanti a lei, con le dita la sfiorava sul petto e messa da parte la paura quel tocco le provocava sempre i soliti brividi. E non voleva pensare al significato più profondo delle sue parole, a cosa nascondevano, nemmeno poi così bene, perché forse se glielo avesse chiesto in quel preciso istante, lei gli avrebbe anche potuto rispondere di sì, a qualsiasi cosa, senza valutare le conseguenze. Si rese conto, però, che le sue parole erano vere. Lei lo guardava e lo percepiva sul serio come se avesse fatto un viaggio andata e ritorno dall’aldilà e lo trattava in quel modo, quando invece lui aveva semplicemente passato ore dentro una biblioteca, come chissà quante altre volte nella sua vita. Era del tutto normale, per lui. Mise da parte pensieri, timori e riguardo. Prese il suo volto tra le mani con la stessa veemenza di quando era entrato nella stanza e lo baciò con passione ed irruenza e senza staccarsi dalle sue labbra lo costrinse ad alzarsi. Lo fece indietreggiare qualche passo, fino a quando le sue spalle non toccarono il muro e lo bloccò con il suo corpo, impedendogli di spostarsi. Le mani correvano sul suo petto, mentre la bocca famelica divorava le sue labbra per poi scendere sul collo e risalire seguendo il contorno della mandibola. La sua fame improvvisa di lui lo colse impreparato e la lasciò fare. Se era di questo che aveva bisogno, lui si sarebbe felicemente prestato ad accontentarla. Ogni parte del corpo di Kate tendeva verso di lui, lo reclamavano la bocca e le mani, strusciava il suo corpo su quello di Castle avida di lui.

Si ritrovarono dopo poco a letto senza il resto dei vestiti e catturarsi le labbra a vicenda mentre le dita scorrevano sulle schiene tracciando la spina dorsale, stringendo carne e muscoli. Quando Kate si stacco dalla sua bocca scese a baciargli il collo e le mani dalla schiena si spostarono sul petto facendolo scendere fino a farlo sdraiare.

Rick la guardava mentre si muoveva su di lui, accarezzandolo e poi passava le mani tra i suoi lunghi capelli, dondolando la testa in modo sensuale, lasciando che gli ricadessero sulle spalle e sul seno. Era estasiato da lei, da come lo toccava, da come si mordeva il labbro mentre sospirava in modo più profondo, da come si muoveva sinuosa e provocante. In quel breve periodo, ma estremamente intenso, Castle aveva imparato a conoscere Beckett anche nel suo lato più intimo, a conoscerne i desideri. Aveva imparato a riconoscere quando Kate voleva essere amata e quando voleva essere lei a farlo, a tenere le redini del gioco ed allora non gli restava altro che godersi il piacere che la sua donna sapeva donargli, danzando su di lui come se riuscisse a sentire nelle vibrazioni del suo corpo la melodia dell’eccitazione del suo uomo. La vedeva stendersi su di lui, baciandolo con passione, strusciando le mani sul suo petto per poi rialzarsi ed arrotolando i capelli, scoprendo le spalle per poi farli ricadere sparsi sul suo corpo e a Rick piaceva quando presa dal piacere era lei che si toccava in modo così sensuale da non resistere e farlo anche lui, percorrendole il corpo, assecondando i suoi movimenti, stringendo tra le mani ora i suoi fianchi, ora i glutei, per poi risalire verso i suoi seni e giocarci per darle ancora più piacere.

La sentì muoversi su di lui ancora di più quando lui gemette che non ce la faceva più, avvisandola che stava raggiungendo il suo limite, per poi abbandonarsi su di lui, sfinita e soddisfatta, mentre il loro appagamento si mescolava insieme. Castle amava sentirla tremare per il piacere ed amava il suo odore dopo l’orgasmo, che sapeva di lei, ma in modo più intenso, più carnale, più ancestrale. La strinse a se, sul suo petto baciandola sul collo, mentre anche il piacere stava lasciando spazio al benessere del dopo e sentì che anche lei aveva cominciato a fare la stessa cosa, mordicchiandolo.

- Sarai tu ad uccidermi Beckett facendo così - Le disse ancora ansimando tra un bacio e l’altro. Lei si alzò con il busto guardandolo inorridita. Lui voleva sdrammatizzare, ma lei proprio non ci riusciva. Le sorrise per farle capire che stava scherzando, poi la prese e ribaltò le loro posizioni, facendola sdraiare sul letto e riprendendo a baciarla con rinnovata passione. Poi fu il suo turno di giocare con lei, ricominciando tutto da capo, mai sazi di loro stessi.

Kate si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, tirandosi su come una molla dal letto. Respirava a fatica, sentiva il cuore esploderle in petto. Si teneva con forza con le mani piantate sul materasso e la testa reclinata all’indietro, sembrava stesse cercando aria per respirare dopo una lunga apnea.

Rick accese la luce, preoccupato: lo avrebbe sicuramente svegliato, se non fosse che non riusciva a dormire. Vide, in quel momento, il suo volto rigato di lacrime e l’abbracciò, tirandola verso di se, obbligandola a lasciarsi andare, fisicamente ed emotivamente. Sapeva benissimo che quello che c’era stato tra loro non era stato altro che un modo per sfogarsi, per mettere da parte le paure e nasconderle dietro il piacere, un modo per sentirsi vivi. Ma le paure di Kate erano sempre lì, e si erano fatte di nuovo avanti nel suo subconscio, quando esausta si era finalmente addormentata, tra le dolci carezze di Rick.

- Oggi in biblioteca ho scoperto delle cose… - Castle pensava che dandole una nuova pista Beckett sarebbe stata felice e motivata.

- Non lo voglio sapere ora, Rick. Non voglio sentire nulla. John è stata l’ennesima vittima di questa storia. Una vittima del tutto innocente. - La voce seria di Kate lo colpì. Erano ore che pensava a John e alla sua famiglia. - So che questo pensiero fa stare male anche te, lo vedo da qui… 

Kate gli accarezzò la guancia in un punto preciso, dove la sua mandibola era serrata e la guancia si tirava. Rimase sorpreso da come anche lei aveva imparato a conoscerlo. Non si era mai accorto che lo studiava così attentamente, anche se sapeva che quando credeva di non essere vista, lo osservava.

- Sì, ci penso. E mi sento in colpa. - Ammise lo scrittore.

- Non sei tu a doverti sentire in colpa. Tutto questo è solo colpa mia. Io… io ero pronta a morire per questo, ma non sono pronta al pensiero che possa accaderti qualcosa. Oggi è stato… devastante. Devastante, Rick. Ho rimpianto più volte che Maddox avesse fallito due volte ad uccidermi, così tu saresti stato salvo.

- Non lo dire nemmeno per scherzo Kate. Non lo dire e non lo pensare mai. - Castle le mise letteralmente una mano sulla bocca per farla smettere di parlare. Non riusciva a sentire certe cose, il solo pensiero gli faceva contorcere lo stomaco, aveva vissuto quelle due situazioni in attesa di saperla salva, aveva pregato per lei, perché stesse bene. Si era rimproverato più volte di non aver fatto in tempo e di non esserci stato per salvarla e lei adesso gli diceva così candidamente che avrebbe preferito morire. Non poteva accettarlo, non poteva permettere che lei nemmeno lo pensasse. - Come il pensiero che mi possa accadere qualcosa ti preoccupa e addolora, così è per me con te. 

- Non puoi rischiare la vita per la mia battaglia. - si lamentò sotto la sua mano, spostandogliela per poter parlare.

- Le tue battaglie sono le mie. Il mio posto è accanto a te. Sempre. Sono anni che ho scelto la mia posizione e non la cambio. Dove sarai tu, ci sarò io. Questo vuol dire stare insieme Kate, ero sempre al tuo fianco prima, voglio esserci ora a maggior ragione. Non ti lascerò mai sola in nessuna delle tue battaglie, che siano contro il Drago o qualsiasi altra cosa. Voglio essere vicino a te ed aiutarti e sostenerti nelle tue grandi battaglie ed anche in quelle piccole di ogni giorno e tu dovrai sapere che potrai sempre contare su di me. Sempre.

- Questo vuol dire stare insieme? Che rischi di morire due volte in pochi giorni? Per cosa Castle? - Chiese Kate amareggiata

- Per te. E prima che dici il contrario, ne vale la pena Kate. Ne vale sempre la pena per te.

- Tu sei un sognatore Castle, nella vita reale non va sempre tutto bene come nei tuoi libri. Non c’è sempre l’happy ending, anzi non c’è quasi mai e quello che facciamo tutti i giorni da quattro anni dovrebbe avertelo fatto capire. - Kate gli accarezzò il braccio e gli sorrise compassionevole, come se parlasse ad un bambino che non voleva arrendersi alla realtà, ma lui non si fece abbattere dal suo tentativo di riportarlo alla realtà, anzi gli diede ancora più slancio per sottolineare il suo pensiero.

- È vero, sono un sognatore e forse anche un illuso o un bambino che crede ancora a Babbo Natale e alla magia. Però i miei sogni si sono realizzati quasi tutti e la prova è che sono qui con te. Allora io continuo a sognare e a sperare nei finali felici.

Kate gli sorrise e poi si appoggiò a lui lasciandosi cullare nel suo abbraccio. Rick era convinto che le sue parole erano riuscite a rasserenarla, ma per lei, quello che le aveva detto era invece motivo di ancora maggiore preoccupazione. Non aveva continuato quella discussione perché sapeva che non li avrebbe portati a nulla: lei avrebbe continuato a preoccuparsi lui a dirle che sarebbe andato tutto bene, tirando fuori il destino, i segni, i sogni, le stelle e tutto quello che di fantastico gli veniva in mente. Kate sapeva che Rick non l’’avrebbe mai abbandonata a se stessa, non adesso. Sapeva che lui le sarebbe sempre rimasto vicino, che avrebbe combattuto al suo fianco incurante di quanto pericoloso potesse essere, perché lui era così, testardo ed impossibile, protettivo anche oltre quelle che erano le sue effettive possibilità e a Kate tutto questo la terrorizzava.

Rick stava rileggendo il rapporto scritto da Ryan ed Esposito, non perché non si fidasse, ma perché fosse certo che ci fosse tutto quello che aveva detto. Firmò poi alcuni fogli che gli porsero i due detective e si diresse con loro in sala relax. Gli mancava quel posto, doveva ammetterlo. Gli mancava il distretto, la loro routine, indagare con i casi e vedere Beckett in azione. Soprattutto quello, a dire il vero. Fece un caffè per tutti e forza dell’abitudine ne fece quattro, se ne rese conto quando stava per completare quello di Kate, così come piaceva a lei, che non era lì. Guardò la tazza tristemente, quando entrò la Gates, cogliendoli tutti di sorpresa.

- Ne ha preparato uno anche per me, signor Castle? - Disse indicando la tazza con un sorriso benevolo. Rick gliela porse sentendosi sollevato.

Bevvero tutti e quattro il caffè in un imbarazzato silenzio. Castle si chiedeva se i tre stessero ripensando al giorno precedente, visto che ogni tanto gli lanciavano qualche occhiata furtiva mentre beveva.

- Signor Castle, le dispiace venire nel mio ufficio? - La Gates glielo chiese con un tono molto più pacato del solito. Rick aveva appena preso le tazze di tutti in mano per lavarle, le lasciò appoggiate sul mobile, si pulì le mani e andò dietro al capitano voltandosi per guardare Esposito e Ryan chiedendogli con lo sguardo cosa fosse successo, ma i due semplicemente alzarono le spalle ignari di tutto.

Lo scrittore si sedette nervosamente nell’ufficio, aspettando che la Gates chiudesse la porta ed occupasse il suo posto. Non riuscì a stare fermo come si imponeva ed andò a toccare una pila di fogli messi sulla scrivania con l’intento si sistemarli, riuscì solo a farli cadere un po’, ricevendo in cambio solo un’occhiata gelida del capitano, si aspettava molto di peggio: questo non faceva ben sperare per il discorso che avrebbe dovuto fargli, gli sembrava fin troppo comprensiva quel giorno, per i suoi standard.

- Come sta signor Castle? - Chiese la donna picchiettando con le dita sulla scrivania mentre osservava un fascicolo davanti a se che Rick non riuscì a leggere per colpa della targa che gli copriva di parte del documento.

- Uhm io… bene, molto bene - rispose perplesso, sicuramente non lo aveva invitato ad entrare per fare conversazione, se la stava prendendo larga doveva preoccuparsi.

- Ha subito due attentati nel giro di poco tempo, è tanto anche per i suoi standard.

- Sì, credo di sì. Però sto bene.

- Non è preoccupato?

- Lo sono da molto tempo, non solo per me. - Ammise Rick

- Per Beckett presumo… - la Gates vide lo scrittore annuire e decise di arrivare al punto - Signor Castle, so dello scarico di responsabilità che lei ha firmato nei confronti della polizia per le sue azioni e seguire il detective Beckett, ma questa storia è completamente diversa. Lei è, esattamente come Beckett, un bersaglio ed io ho il dovere di prendere dei provvedimenti. 

- Cosa intende? - Chiese preoccupato

- Che lei e la sua famiglia avete bisogno di protezione.

- La mia famiglia? Cosa? Perché? Pensa che…

- Io so che se lei è in pericolo, può esserlo anche la sua famiglia. Ieri nella sua macchina poteva esserci anche sua figlia, non ci aveva pensato? 

- Io… io… no. Veramente no. - Ammise sconsolato

- Non so se qualcuno potrebbe andare anche a casa sua, dove c’è anche sua madre. Dobbiamo tenerlo in considerazione.

- Sì, certo… Capisco. Ma Alexis non sa nulla di quanto mi è accaduto e nemmeno mia madre del precedente agguato. Vorrei avere modo di parlargli io prima. Alexis è fuori città, a Los Angeles da sua madre, tornerà la prossima settimana.

- Va bene, ma si sbrighi. Per quanto riguarda sua figlia, prenderemo provvedimenti quando sarà a New York.

- Grazie Capitano. 

Quando Rick uscì dal distretto aveva solo voglia di camminare un po’. Ed era strano per lui che di solito era molto pigro. Non amava camminare, soprattutto non amava farlo da solo. Con Kate avrebbe camminato ovunque e nei momenti in cui si lasciava prendere la mano dalle sue fantasie, le aveva promesso che l’avrebbe portata ovunque avesse voluto, comprese lunghe passeggiate dagli Champs Élysées alla Muraglia Cinese: avrebbe camminato ovunque con lei al suo fianco.

Invece quella mattina era solo e gli andava bene così, aveva bisogno di schiarirsi le idee mentre camminava un po’ ingobbito con le mani in tasca e l’andatura ciondolante, guardando più le linee delle pietre dei marciapiedi che la gente intorno della quale vedeva al massimo le scarpe.

Alzò lo sguardo solo quando la sua attenzione fu attirata dall’odore del caffè, una porta che si era aperta alle sue spalle ed una ventata l’aveva raggiunto. Tornò sui suoi passi ed entrò in quel luogo del tutto sconosciuto. Passava in quella strada spesso, ma non si era mai fermato lì. Era piccola ma accogliente, ordinò un semplice caffè scuro molto forte. Sorrise alla ragazza dai capelli rossi e corti che gli sorrideva gentile a sua volta: aveva qualche anno più di Alexis e provò per lei una naturale simpatia. Fu per quello che ascoltò con molta più attenzione di quanto avrebbe avuto in ogni altra occasione il suo tentativo di vendergli dei ciondoli in legno fatti dai ragazzi di una comunità di quella zona per sostenere le loro attività. Solitamente gli avrebbe dato dei soldi, molto più del valore dell’oggetto ed avrebbe finito la cosa lì, invece ascoltò tutta la storia che la ragazza le stava raccontando, sempre con quel sorriso gentile sulle labbra ed alla fine ne scelse uno e lo pagò, proprio quando il suo caffè era pronto. Gli venne il sospetto che lei ed il ragazzo che pagava i caffè erano sincronizzati. Prese la tazza bianca di carta e si mise seduto nell’unico posto disponibile sul bancone che dava sulla vetrina, anche se quel giorno si sentiva molto a disagio ad essere così esposto, in mostra. Si rigirava il ciondolo tra le mani mentre sorseggiava il caffè, ma non aveva nemmeno molta voglia di bere, così con più di metà tazza ancora nel bicchiere, svuotò il contenuto nel cestino e se ne andò. Appena fuori fermò un taxi e ci salì di corsa.

—

Kate prese una bottiglietta d’acqua dal frigo e si buttò sul divano per riprendere un po’ fiato prima di andarsi a fare un lungo bagno rigenerante. Quel giorno aveva spinto più del solito in palestra, ma voleva fortemente ritrovare la migliore forma il prima possibile. Gli sforzi che le sembravano vani ora stavano cominciando a dare i loro frutti. Aveva corso per più tempo con più intensità. Stava cercando anche di ridare vigore alle braccia che ora sentiva tremanti ed indolenzite. Ma le piaceva quella sensazione, la stanchezza data dallo sforzo fisico. Quando poggiò la bottiglietta sul tavolo davanti a se, notò quella busta insolita. Fuori non c’era scritto nulla, ma si immaginava che fosse uno dei tanti pensieri che Rick le lasciava quando meno si aspettava. Stava già sorridendo mentre tirava fuori il foglio ripiegato due volte, immaginando la sua scrittura e i cuori che sempre disegnava, si trovò invece poche fredde righe stampate con un carattere anonimo, così come il mittente.

“Potevi avere tutto se ti fossi fermata. Hai voluto troppo. Non avrai niente. 

Il tuo scrittore è stato fortunato due volte. Lo sarà anche una terza? 

La fortuna gira Detective. Ora è il mio turno”

—

Rick tolse il bicchiere di Martini dalle mani di sua madre. Erano svariati minuti che lo faceva roteare senza berne più, segno che era più scossa di quanto pensasse. Gli aveva appena raccontato gli eventi degli ultimi tempi che gli aveva tenuto nascosto e i timori della Gates. Il turbamento che aveva accompagnato Castle da quando era uscito dall’ufficio del capitano erano gli stessi che adesso affliggevano la donna. 

- Lo sapevo, lo sapevo che non era un caso quello della tua macchina. Io me lo sentivo! - Continuava a ripetere la donna torturandosi le mani.

- Mamma, risolverò tutto, in un modo o in un altro. Vi proteggerò! - Cercava di rassicurarla ma Martha non si preoccupava per se stessa. Lei, come diceva sempre, era una donna che aveva vissuto tanto, certo amava la vita e pensava che potesse divertirsi ancora molto, ma i suoi pensieri, in quel caso erano tutti per suo figlio e soprattutto per sua nipote.

- Richard… Questa gente non scherza… Non puoi continuare a fare tutto da solo. Tu e Beckett non ne potete uscire da soli. Ormai non riguarda più solo voi due e non lo dico per me. Se non vuoi farlo per te stesso, fallo per tua figlia.

Rick bevve il bicchiere di Martini di sua madre, ormai anche il ghiaccio si era sciolto. Si alzò dal divano e si sedette a quel pianoforte che strimpellava appena, poggiando le dita su qualche nota che uscì più grave di quanto avesse voluto, ma rispecchiava benissimo il suo umore. Marta andò dietro di lui, abbracciandolo ed accarezzandogli i capelli, mentre lui ricopriva la tastiera del pianoforte.

- Vorrei che questa storia finisse. Vorrei che voi foste tutte al sicuro e vorrei vivere in pace con Beckett. - Sospirò lo scrittore

- È una cosa seria questa volta, vero Richard? - Chiese dolcemente sua madre già conoscendo la risposta

- Lo è. - Rispose sicuro

- Ne sono felice, lo sai. - Gli diede un bacio, lasciandolo lì seduto mentre lei saliva le scale per andare nella sua stanza.

—

Beckett camminava nervosamente avanti e indietro per la sua stanza. Aveva rinunciato all’idea del bagno e di tutto il resto. Il foglio era appoggiato sul tavolo, voleva maneggiarlo il meno possibile. Non credeva ci fossero impronte né null’altro, ma non si sapeva mai. Aveva chiamato immediatamente il distretto ma né Esposito né Ryan erano lì. Aveva parlato con la Gates, raccontandole quanto era accaduto ed il suo capitano si era immediatamente allarmata. Dopo la chiacchierata di poco prima con Castle, quello sembrava solo l’ennesimo pezzo del puzzle che andava drammaticamente al suo posto. 

Il campanello suonò e lei si precipitò ad aprire la porta.

- Nick! - Esclamò Kate vedendo il detective Price

- Ciao Kate. Possiamo? - Le fece un cenno con la testa indicando i due uomini dietro di lui e lei fece spazio ai tre per andare lì dentro. Salutò i due agenti al suo seguito, McCarty e Phelps, che spesso l’avevano accompagnata nei suoi sopralluoghi. 

Gli mostrò la lettera che Price, dopo aver messo dei guanti usa e getta, lesse e poi ripose in una busta trasparente, affidandola all’agente Phelps che insieme al suo collega uscì.

Beckett aveva già esaminato tutta la stanza, con la stessa attenzione con cui lo faceva per le scene del crimine. Cercava oggetti spostati o manomessi, ma non c’era nulla di diverso o sospetto, a parte quella lettera. Riferì tutto a Price che la ascoltava attentamente. 

Nick si allentò la cravatta, blu, tono su tono con il resto del suo completo, mentre osservava Kate che in silenzio si logorava continuando a camminare nervosamente.

- Beckett… Stai tranquilla. Assegneremo una scorta anche a Castle. Sarà al sicuro. 

- Gli sto rovinando la vita. - Si lasciò cadere pesantemente sul divano, portandosi le mani agli occhi per coprirsi il viso.

- Non credo che tu possa rovinare la vita a nessuno - Price si sedette vicino a lei, appoggiando una mano sulla sua gamba.

- Castle non si merita questo. - Sbuffò Beckett

- Credo che lui sia abbastanza adulto da sapere cosa vuole e sapere cosa comporta. - Tentò di rassicurarla

- Castle adulto? - Sorrise Kate - Lui è un bambino. Vive di slanci ed emozioni, sono sicura che non ha riflettuto nemmeno per un momento su quello che vuol dire tutto questo.

- La persona con la quale ho parlato io non mi è sembrata così infantile, ma tu sicuramente lo conoscerai meglio di me. Credo che sia molto innamorato, ma non stupido.

- Nick, non penso sia stupido, altrimenti non starei con lui - Puntualizzò Kate adesso infastidita.

- Certo, scusami, non volevo dire questo. Volevo solo dire che… beh… è un uomo che sa quello che vuole, ed è molto fortunato perché ha quello che vuole. - Si sentiva ora abbastanza imbarazzato a fare quel discorso e ritirò la mano che aveva tenuto fin troppo a lungo sulla gamba di lei, trascinandola come a volerle fare una carezza ed il gesto non sfuggì a Kate che si alzò immediatamente.

- Nick, credo che per ora non c’è altro da dire… - La voce di Beckett nascondeva l’urgenza di rimanere da sola. Price si alzò e i sue si trovarono molto vicini. Notò come il detective era ancora più alto di Castle, non ci aveva mai fatto caso. Sentiva si suoi occhi azzurri chiari come il ghiaccio trafiggerla e fece un passo indietro.

- Sì, è meglio che io vada. - Disse il Price con la voce roca di chi aveva la gola fin troppo secca.

Quando Kate aprì la porta per far uscire il collega Castle era dall’altra parte pronto a suonare.

- Detective Price, ultimamente ci incontriamo spesso da queste parti… - Puntualizzò Rick senza nascondere più di una punta di fastidio.

- Signor Castle, è un piacere anche per me vederla - ripose sarcastico Nick mentre usciva, girandosi, però, a dare un bacio sulla guancia a Kate, presa in contropiede da quel gesto, guardandolo stupita mente lui le faceva l’occhiolino.

Castle chiuse la porta rumorosamente. 

- Che scusa aveva questa volta? - Chiese Rick con veemenza.

- L’ho chiamato io. Cioè, ho chiamato il distretto ma Javi e Kevin erano fuori ed è venuto lui - Gli spiegò Kate, ma lui aveva focalizzato l’attenzione solo sulla prima parte ed era partito come un treno.

- Bene, perfetto, lo hai chiamato tu. Avevi bisogno di compagnia quando non c’ero?

- Castle, finiscila di fare il geloso! Perché quando c’è di mezzo Nick sei sempre così aggressivo?

- Perché vedo come ti guarda! Possibile che non te ne rendi conto! Quello di mangia con gli occhi! Io conosco quello sguardo… - Disse Castle esasperato. Odiava ammetterlo ma in Price vedeva alcuni atteggiamenti suoi che aveva con Kate i primi tempi. Era certo che lui ci avrebbe provato con lei, se fosse stata libera.

- No, non me ne rendo conto, perché non mi interessa e perché ci sono cose che mi preoccupano di più. - Sospirò Kate. Amava sapere che lui teneva a lei e gli piaceva anche un pizzico di gelosia, ma non quella che mostrava per Price che gli annebbiava la mente.

- Cosa ti preoccupa? - Rick sembrò di nuovo focalizzato sulle sue parole. Kate lo prese per mano, facendolo sedere sul divano vicino a lei. Gli tenne la mano tra le sue, come se volesse tenerla al sicuro, come avrebbe voluto fare con tutto lui.

- Quando sono tornata dalla palestra ho trovato una lettera qui sul tavolo. Ero convinta fosse qualche bigliettino che mi avevi lasciato tu. Era una lettera di minacce. Verso di me, ma soprattutto verso di te.

Rick sentì la voce di Kate rotta dalla tensione mentre gli stringeva la mano. La guardò riuscire a trattenere a fatica le lacrime mentre lo fissava con quegli occhi enigmatici, come era lei e tutti i suoi tormenti di quella giornata tornarono con prepotenza in lui.

Kate fissò Rick negli occhi e lesse i suoi turbamenti. Non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo e non perché fosse in qualche modo accusatorio nei suoi confronti, lui non l’avrebbe mai accusata di niente, ma solo perché era lei che non riusciva a vederlo così tormentato. Gli aveva appena ripetuto il contenuto del messaggio che ormai sapeva a memoria quando si appoggiò contro la sua spalla con la fronte e subito sentì la sua mano protettiva sulla sua schiena, accarezzarla con dolcezza e poi abbracciarla con l’altra liberata dalla morsa delle sue. Cosa aveva fatto per meritarsi un uomo così, uno che l’amava nonostante lei fosse la causa di tutti i suoi problemi?

- Mi dispiace così tanto Castle. - Sussurrò contro il suo collo.

- Io sono molto fortunato Beckett, loro non lo sanno. - Gli diede un colpo sulla spalla. Come faceva a voler sdrammatizzare anche in quel caso non riusciva a capirlo.

- Hanno provato ad ucciderti due volte e ti minaccio e tu dici di essere fortunato? - Chiese ironica

- Tu mi ami, sfido a trovare qualcuno più fortunato di me. - Odiava il fatto che glielo diceva in modo così serio e si odiava perché quelle parole la facevano letteralmente sciogliere e le facevano dimenticare tutto quello che aveva in mente, provocandole solo una grande voglia di baciarlo e doveva fare un grande sforzo per rimanere concentrata.

- Però sei turbato da tutta questa storia, ti prego non negarlo, lo vedo. - Gli disse accarezzandogli il volto e spostando il suo ciuffo sempre più indisciplinato.

- Non è per me. Questa mattina quando sono andato al distretto la Gates mi ha voluto parlare. Mi ha detto che voleva fare in modo di tenere al sicuro me e la mia famiglia…

- Martha e Alexis…

- Già… Ha detto che nell’auto con me poteva esserci anche lei, è stata una doccia fredda, mi si è gelato il sangue. Dannazione Kate, ha ragione! Io non ci avevo pensato! Come ho fatto a non pensarci? Lei non è al sicuro qui e non lo è per causa mia. 

- Lo sai che non sei tu il responsabile di questa storia. - Gli disse seria

- No, Kate, non ti permetto di darti colpe che non hai. In questa storia ci siamo dentro insieme, è la tua storia, ma sono io che ho insistito per indagare e riaprire il caso.

- Troveresti il modo di assolvermi anche se mi trovassi con una pistola fumante in mano - rise Kate amaramente

- Certo, perché ti conosco. E so che non avresti sparato oppure avresti avuto le tue buone ragioni per farlo - Puntualizzò Rick

- Appunto - sorrise Beckett

- Le proporrò di iniziare l’università in Europa. Ci ho riflettuto molto oggi e penso possa essere la soluzione migliore. Un semestre o un anno, è anche un’ottima esperienza di vita, e poi l’Europa le è piaciuta tantissimo. 

Castle, come sempre, aveva cominciato a progettare, era certa che in quel breve tempo avesse già visionato tutte le università possibili, fatto una scelte di quelle più adatte a sua figlia per fattori di studio e non solo.

- Non pensi che dovrebbe essere lei a decidere cosa vuol fare? - Chiese Kate smorzando un po’ del suo entusiasmo mostrato anche in quella situazione complicata. Lui riusciva sempre a vedere qualcosa di buono anche nelle situazioni peggiori e lei amava questo suo tratto in modo particolare: Castle era un raggio di luce anche nelle notti più buie.

- Quali sono le alternative? Farla vivere sotto scorta tutto il giorno o tenerla chiusa a casa? - Rick si fermò troppo tardi. Kate di fatto stava vivendo così e lui aveva sempre cercato di non farglielo pesare, ricordandogli proprio nel momento peggiore quanto questo fosse sbagliato. - Mi dispiace Kate…

- Non ti devi dispiacere. Non è colpa di nessun altro se sono in questa situazione e di certo non volevo che la dovessero vivere altre persone, soprattutto non Alexis. Mi odierà per questo.

- Alexis è una ragazza intelligente, capirà che non è colpa tua, non ti preoccupare e se non lo dovesse capire glielo spiegherò io in ogni modo possibile. - Rick la guardò negli occhi per sottolineare le sue parole

- Non voglio mettermi in mezzo in alcun modo tra te e lei, intesi Castle? - Lo ammonì Beckett. Rick si appoggiò pesantemente allo schienale del divano e Kate lo seguì. Pensò ad Alexis e a quando pochi mesi prima suo padre e sua nonna erano stati presi in ostaggio in banca, a come quella ragazza che le parlava fosse così diversa da quella che aveva imparato a conoscere negli anni, quella che si confidava con lei e che poteva immaginare di chiamare amica. Era diventata fredda, aggressiva e anche lì sembrava colpevolizzarla di non fare abbastanza per salvare suo padre. Come l’avrebbe presa adesso nel sapere che lei era la causa di così tanti problemi non solo per lui, ma per tutta la sua famiglia? Sapeva perfettamente quanto Alexis era importante per Rick e quanto suo padre lo era per lei, non poteva permettersi che per colpa sua loro potessero avere anche solo il minimo battibecco che Castle le avrebbe sicuramente minimizzato.

- Tu fai parte della mia vita, sei una parte importante Kate e questa è una cosa con la quale tutti dovranno fare i conti, esseri umani ed anche i draghi. Sai oggi dopo che sono uscito dal distretto ho fatto una lunga passeggiata. Avevo bisogno di camminare.

- Tu Castle? Allora stai proprio male! - Lo prese in giro bonariamente toccando la sua pancia non proprio da atleta.

- Forse perché dopo quello che mi aveva detto la Gates, della possibilità di una scorta, pensavo che non avrei più potuto farlo per un po’. Ti ammiro sai? Io sono un pigro, potrei stare a casa giorni interi, anche settimane e non annoiarmi. Anzi, per scelta l’ho fatto più di qualche volta in passato, sai quando l’ispirazione non sempre veniva… Ora però sarebbe diverso rimanerci e ti ho pensato. Ho pensato a te che sei sempre qui e non puoi uscire e tu non stavi mai chiusa in un posto, sei una donna d’azione. Beh, ti ammiro Kate, perché nonostante tutto questo non fai pesare la cosa a nessuno. Ti prometto che quando questa storia finirà andremo ovunque vorrai.

- Ti ho solo incasinato la vita Rick. Mi dispiace

- Sei il più bel casino che potevo sperare di trovare. 

Si baciarono dolcemente, lasciando fuori da quel bacio timori e frustrazioni, paure e tormenti. Erano quei momenti in cui riuscivano a tenere tutto il mondo fuori dal loro abbraccio.

- Ti amo Kate. - Rick continuava a baciarla, lasciando una umida scia di baci tra la bocca ed il collo, quelli che facevano letteralmente perdere il controllo a Beckett. Lui lo sapeva e ormai faceva apposta a provocarla così, quando era troppo nervosa o preoccupata e lei sapeva che lui era il miglior antistress che potesse desiderare. Il modo in cui la bocca dello scrittore lambiva il suo corpo era qualcosa che la faceva andare fuori di testa, sembrava fatta appositamente per stimolare i suoi sensi. Quando Rick smise la sua dolce tortura e si fermò a guardarla, rise del suo sguardo deluso e tornò a baciarla sulle labbra lasciandole infine con un sonoro schiocco. Mise una mano in tasca e tirò fuori il ciondolo di legno che aveva comprato quella mattina, facendolo dondolare tra le dita.

- Per te. - Le disse con un sorriso. Kate prese quel cuoricino dove sopra c’era incisa una lettera R. Era un ciondolo semplice, grezzo, di poco valore ma a lei si illuminarono gli occhi - Ecco, so che non è il regalo che ti saresti aspettato da me, che avresti preferito un diamante o  qualcosa del genere…

- Zitto scrittore! - Beckett si fiondò sulle sue labbra baciandolo avidamente. - È bellissimo. È perfetto.

- Non preferivi i diamanti? - Chiese stupito

- Non mi interessano i diamanti o i regali costosi. - Lo spiazzò. Era la prima donna che gli diceva una cosa simile. Ma Kate Beckett era così, capace di sorprenderlo ogni volta.

- Dici sul serio o vuoi solo prendermi in giro perché ti ho regalato un pezzetto di legno? - Rick continuava ad essere incredulo della felicità di lei per quel misero regalo. Era convinto che ci avrebbero riso su e lei glielo avrebbe tirato dietro, invece lo aveva preso e lo stava guardando felice.

- Non è un pezzetto di legno. È un cuore con la tua iniziale sopra. È bellissimo. - Stupito dalla sua sincera contentezza si lasciò contagiare. Eppure era lui quello che vedeva le storie dietro le cose, questa volta era stata lei a vedere di più in quell’oggetto. Decise, quindi, di continuarla.

- Se quello è il mio cuore, non c’è posto migliore dove possa stare che tra le tue mani. - Così dicendo le chiuse il pugno con dentro il ciondolo e poi lo prese tra le sue. - Qualunque cosa accada, sarà per sempre tuo.

Quel momento scherzoso era diventato qualcosa di molto di più, di quasi solenne. Kate deglutì e le parole di Rick gli provocarono un brivido lungo la schiena. Quel “qualunque cosa accada” gli evocava nefasti scenari e quasi aveva paura ad aprire la mano, come se quel ciondolo le potesse scivolare via. Castle aveva quell’innata capacità di dirle le cose più semplici creandole delle tempeste emotive, perché ogni sua dichiarazione le sembrava assumere un significato più profondo di quello che fosse, e non sapeva se era per il tono della voce, per come la guardava o per le parole stesse, ma restava sempre intimidita e intimorita dal modo puro e profondo con il quale lui le esprimeva i suoi sentimenti. Avrebbe voluto essere brava con le parole come lui e fargli capire quanto era importante per lei, così importante da essere disposta a rinunciare a tutto per lui, anche alla cosa che aveva di più cara al mondo.

Kate baciava Rick sul collo e la spalla, lo sentiva fremere e rilassarsi ed era quello che lei voleva. Aveva scoperto con lui il dolce piacere di essere coccolati ma ancora di più quello di coccolare e Castle le sembrava sempre di più un bambino bisognoso d’affetto, che scioglieva le sue preoccupazioni tra le sue braccia e lei cercava disperatamente di fargli sentire tutto il suo amore in quei gesti che aveva avuto solo per lui. Erano “ti amo” silenziosi, detti con le labbra e la pelle ad ogni parte del suo corpo. Voleva prendersi lei la sua tensione ed il suo dispiacere, voleva raccogliere le sue preoccupazioni e trascinarle via da lui. Castle era il suo appiglio e, se lui avesse ceduto, a lei non sarebbe rimasto nulla. 

Uscirono da lì solo quando l’acqua era diventata fredda e Rick la avvolse nel grande accappatoio regalandole poi un abbraccio ancora più morbido della pregiata spugna. Kate si appoggiò al triangolo di petto lasciato scoperto approfittando per baciarlo ancora lì, mentre lui affondava il viso nei suoi capelli umidi. 

- Grazie amore mio - le disse con un tono di voce così basso che non le sembrava nemmeno il suo e Kate si chiese come potesse ringraziarla se tutto quello era solo causa sua, ma il suo cuore aveva vibrato più a lungo quando lui l’aveva chiamata “amore mio”, non era usuale e per questo sempre più prezioso.

Rick si offrì di preparare la cena mentre lei rimase in bagno per finire di sistemarsi, eludendo le proteste di Castle che le diceva che era perfetta così e voleva andasse con lui, solo per avere la sua presenza vicino. 

Quando dopo una serie infinita di baci riuscì a farlo uscire da lì, Kate chiuse la porta ed aprì l’acqua del lavandino facendola scorrere forte. Si guardò allo specchio non riuscendo a sostenere il suo stesso sguardo e cominciò a piangere sommessamente. Non voleva farsi sentire. 

Kate avrebbe voluto essere di più per Rick. Avrebbe voluto essere un porto sicuro per le sue paure che non mostrava quasi mai, ma lei sapeva che c’erano, erano lì in fondo al suo cuore e le teneva solo per se, per non pesare sugli altri, sulle persone che amava. Anche in quei giorni difficili lo vedeva raramente aprirsi e confidarsi e capiva quanto doveva essere stato difficile per lui trovarsi nella sua situazione, quando era lei quella impenetrabile, ma ormai si conoscevano talmente bene che era impossibile per Beckett non accorgersi dei suoi turbamenti ed anche se non le diceva nulla e lei non chiedeva, cercava di fargli percepire la sua presenza. “Sono qui, se lo vuoi”. Ma lui non aveva voluto quasi mai.

Avrebbe voluto essere leggera e dolce, come la schiuma del caffè alla mattina che si posava sulle sue labbra e lei gliela toglieva con un bacio che sapeva di lui più che di caffè.

Avrebbe voluto essere rassicurante e protettiva come quella coperta che le poggiava morbida sulle spalle, libera e spensierata come le bolle di sapone che aveva fatto nella sua stanza in ospedale perché voleva portarle allegria. 

Avrebbe voluto essere una carezza sull’anima, un bacio sul cuore.

Avrebbe voluto essere tutto quello che lui era per lei, avrebbe voluto essere alla sua altezza, riuscire a farlo stare bene come lui faceva con lei. Avrebbe voluto amarlo come lui amava lei, facendolo sentire la cosa più importante del mondo, perchè per Kate Rick era veramente la persona più importante del suo mondo e la loro relazione la sua cosa che la rendeva più felice.

Ma sapeva che non avrebbe mai potuto essere tutto questo, perché su di loro gravava quella situazione che dipendeva solo da lei. 

- Pensavo volessi fare un altro bagno da sola. - le disse Rick sorridendo quando si era decisa ad uscire.

- Non sarebbe stata la stessa cosa. - Castle aveva appoggiato sul tavolo i piatto che teneva in mano e le si avvicinò cingendole i fianchi coperti solo dalla leggera maglia di lui che a Kate faceva quasi da vestito. Rick amava vederla con addosso le sue cose, almeno quanto lei adorava indossarle. Non solo perché aveva sempre lo spettacolo delle sue gambe quasi interamente nude davanti agli occhi, ma soprattutto perché così la sentiva ancora di più sua e non c’era lingerie sexy che la rendeva più sensuale ed eccitante di lei quando indossava solo una delle sue camice. 

Castle accostò le labbra sulle sue in quello che ancora non era un bacio, la solleticava con la punta della lingua e sorrideva nel sentirla ripetere i suoi gesti: nonostante tutto amavano giocare tra loro e stuzzicarsi, dimostrando come la loro intesa riuscisse a raccogliere tutti gli aspetti dello stare insieme, da quelli più ludici a quelli più complessi. Il bacio che ne seguì fu lungo e profondo, lasciando le lingue giocare molto tra loro, accarezzandosi e ricorrendosi a vicenda, finendo mordicchiandosi e succhiandosi le labbra a vicenda. 

- Devo finire di preparare la cena - le disse Rick lasciando a malincuore quell’attività che amava tanto e Kate pensò che mangiare era una cosa decisamente sopravvalutata se poteva avere le labbra di Castle per se. Fu rapido nel togliere il pesce dal forno. Lo lasciò riposare qualche minuto nella teglia e tornò da Kate che lo guardava come sempre ammirata nel vederlo muoversi con tanta disinvoltura tra i fornelli, forse perché non lo avrebbe mai immaginato, invece era veramente un bravo cuoco, non era solo il suo ego a farglielo dire.

- Che cosa c’è Kate? - Castle le alzò il volto fissandola negli occhi. Si era accorto solo in quel momento che erano arrossati. Lei provò a distogliere lo sguardo ma lui insistette. In quel momento si sentì braccata dal suo amore. La osservava preoccupato ed amorevole.

- Mi è andato prima un po' si sapone negli occhi, poi li ho strofinati e questo è il risultato. - Mentì dolcemente, non poteva dirgli la verità.

—

- Ciao Kate, posso entrare? - Alexis era davanti alla porta della sua stanza. Era passato molto tempo dall’ultima volta che si erano incontrate e non era ancora mai accaduto dall’inizio della relazione tra lei e Castle. Beckett guardò fuori dalla porta, aspettandosi che con lei ci fosse Martha, invece la ragazza era sola. Salutò l’agente Carter che aveva accompagnato Alexis fino a lì ed ora si stava intrattenendo con le due guardie fuori dalla camera di Beckett.

- Conosci la mia ombra? - Chiese con tono scocciato la ragazza

- Abbiamo fatto qualche turno insieme, in passato. Ogni tanto capita che per necessità anche noi detective dobbiamo partecipare alle scorte. - le spiegò Kate invitandola ad entrare. 

- Divertente fare da scorta? - chiese Alexis sarcastica

- Non molto.

- Beh sarà comunque sicuramente meglio che doverci convivere. - La figlia di Castle camminava per la stanza osservando l’ambiente e non risparmiandole nulla del suo disappunto

- Sì lo è. - rispose mestamente - Alexis, se cercavi tuo padre non è qui e non so…

- È alla Black Pawn per una riunione, lo so. Per questo sono venuta, ora. Ero sicura di trovarti sola.

Beckett strinse le braccia al petto come a volersi proteggere, Alexis la scrutava pensierosa.

- Vi tratta bene la polizia, vedo. Non sapevo offrisse ai suoi detective delle suite in uno degli hotel più costosi di New York. - finalmente per Kate, Alexis finì il suo giro lasciandosi andare su uno dei divani e Kate la seguì sedendosi in quello difronte.

- Non è la polizia… è tuo padre. - Ammise sospirando e mordendosi la guancia.

- Già, dovevo immaginarlo… È molto da mio padre questo, in effetti. Ma è la sua camera questa? Perché sai, lui pensava che io non lo sapessi, ma invece ho scoperto da molti anni che ha una suite sempre riservata in questo hotel dove portava le sue conquiste da una notte e via quando non voleva portarle al loft. - Alexis osservò la faccia stupita di Kate e non trattenne un sorriso - Non te lo ha detto? Pensavo lo sapessi, anche questo è molto da mio padre, portare le sue donne in hotel, intendo.

Kate sospirò ancora, preparandosi a quella che non sarebbe certamente stata una conversazione amichevole: quella che aveva davanti non era più un’adolescente alle prese con i problemi e i conflitti con i genitori tipici dell’età, di quelli che aveva avuto anche lei e che l’avevano portata a scontrarsi con sua madre, suo padre ed ogni figura adulta che rappresentava l’autorità nel suo periodo più ribelle. Alexis era una donna preoccupata per la sua famiglia e che vedeva in lei la causa dei loro problemi ed il problema per Beckett era che non riusciva nemmeno a darle torto perché pensava lo stesso. 

- Perché sei qui Alexis? - le chiese infine 

- Per raccontarti una storia. La storia di un uomo di successo, che aveva molte donne, era sempre in giro a feste e party, certo, si annoiava un po', diceva che quello non gli bastava più ma lo diceva sempre, e poi andava avanti. Era sempre felice, sorridente spensierato. Qualcuno diceva superficiale ed infantile, ma era solo giocherellone. Poi all’improvviso conosce una donna e cambia tutto. È sempre un uomo di successo, ma si crede un poliziotto, rischia di morire svariate volte, più di quanto sia normale per qualsiasi persona, figuriamoci per una come lui. Decide di fare tutto questo coscientemente per stare sempre al fianco di questa donna, che però non lo considera e nel frattempo vive la sua vita, con altri uomini. Rischia di prendersi una pallottola per lei che per ringraziarlo sparisce lasciandolo solo con il suo dolore perché credeva di averla persa. Poi però ricomincia la sua vita di sempre ma lei, quando tutto sembrava tornato nel giusto corso delle cose, ricompare e lui ricomincia la stessa vita di prima fatta di pericoli e tormenti, tuto per lei, che non lo considera nulla di più di qualcuno su cui appoggiarsi sapendo che ci sarà sempre. Lei poi capisce che lui forse è qualcosa in più e si mettono insieme e questo uomo diventerà un bersaglio e con lui la sua famiglia. Nessuno riesce a fargli capire che non è un gioco, che la loro vita è in pericolo, perché lui pensa solo a quella donna, fregandosene del resto, della sua vita e di quella della sua famiglia. Beckett, se tu fossi la figlia di quell’uomo, cosa diresti a quella donna?

Kate aveva ascoltato tutta la storia di Alexis in silenzio, immobile, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza: gli occhi azzurri della giovane Castle la trapassavano come lame affilate, non erano blu scuri e profondi come quelli del padre. Erano più chiari, cristallini, affilati come il ghiaccio e la gelavano dall’interno. Era sicura di tremare per il freddo di quegli sguardi e quelle parole. Aprì la bocca per risponderle ma non uscì alcun suono. Ci riprovò.

- Mi… mi dispiace, Alexis. Io non volevo nulla di tutto questo, per tuo padre o per voi. Soprattutto non voglio che tu e Castle viviate delle tensioni per colpa mia. Tuo padre ti ama profondamente e non se ne frega ti te, né di tua nonna, questo te lo posso garantire.

- Pensi di conoscerlo bene, vero Kate? Meglio di me. - Chiese provocandola

- No, io… penso solo che lo vedo con occhi diversi e vedo l’amore che ha per te, come è tormentato dal non poterti rendere felice come vorrebbe, farebbe tutto per te. - Le rispose amareggiata

- No, non tutto. - Precisò pungente la figlia di Castle.

- Alexis, cosa vuoi che faccia?

- Vorrei riavere quell’uomo spensierato che era. Tu ami mio padre? - Le domandò ancora pungente.

- Immensamente Alexis. - Non sarebbe mai riuscita a farle capire a parole quanto era profondo il suo amore per Castle.

- Faresti di tutto per lui? Per tenerlo al sicuro, per farlo vivere felice? - chiese la giovane rossa incalzandola

- Ma certo che lo farei… io farei tutto. - le disse sincera. Era vero, avrebbe fatto tutto per lui. 

- Sai Kate, nel mio discorso del diploma, c’era una frase che diceva che “tutto quanto arriva ad una fine” sia che noi lo vogliamo o no. E questo ci fa paura, ma è inevitabile affrontarlo. - Alexis si alzò dal divano riprendendo la sua borsa lasciando Kate seduta che la guardava senza parole. Fece per alzarsi ma la ragazza la fermò - Non ti preoccupare, conosco la strada, e c’è il mio angelo custode che mi aspetta.

La giovane Castle era quasi arrivata alla porta quando tornò indietro.

- Ah Kate, se ami mio padre, io non sono mai venuta qui, lo sai, no?

Beckett fece un cenno di sì con la testa mentre la ragazza usciva. 

Quella sera Kate rimase sola. Castle aveva finito tardi la riunione alla Black Pawn ed era tornato al loft. Beckett non sapeva ancora se quella era stata una cosa positiva o negativa. Era rimasta tutto il resto del pomeriggio e la sera a pensare alle parole di Alexis che si sommavano ai suoi dubbi ed alle sue paure. Capiva le sue paure ed i suoi timori di figlia, anzi nessuna poteva capire come lei la sua paura di perdere un genitore, aveva più o meno la sua età quando sua madre era stata uccisa, ricordava perfettamente come era in quel periodo e come era dovuta cambiare e crescere. Aveva ragione quando diceva quanto Castle aveva rischiato da quando si erano conosciuti, di quanti pericoli aveva corso solo per seguirla nelle sue indagini e per aiutarla con il caso di sua madre. Aveva avuto paura anche lei, per lui, più di una volta ed aveva ragione anche quando diceva che lei lo aveva ferito ed usato. Odiava l’idea che Alexis si sentisse messa da parte per causa sua, sapeva quando lei fosse importante per Castle, che avrebbe fatto tutto per sua figlia e vedeva quanto stava male per la situazione che si era creata, perché si sentiva in mezzo tra di loro. Non era giusto, Rick non se lo meritava. Lo aveva sentito, quella sera, una lunga telefonata nella quale le aveva raccontato delle novità decide con la sua casa editrice. Avrebbe continuato la serie di Nikki Heat e visti gli ultimi eventi, aveva ottenuto una proroga nei tempo di consegna per il prossimo libro. Era amareggiato di aver dovuto cancellare i suoi tour promozionali, lo tenevano lontano molti giorni, ma amava il contatto con i suoi fan. Certo, riempivano il suo ego, ma non era solo quello, lui era veramente felice di realizzare il piccolo sogno dei suoi fan di incontrarlo e lo faceva sempre con molto piacere, ne aveva avuto una prova anche lei l’anno precedente. Era una di quelle cose che chi non lo conosceva avrebbe etichettato senza dubbio sotto la voce egocentrismo, senza considerare invece l’enorme componente di generosità nel donare un po’ di se al suo pubblico. Lo aveva sentito anche triste per aver dovuto rinunciare all’uscita post riunione per festeggiare i nuovi contratti, la sua scorta glielo aveva sconsigliato e lui aveva diligentemente acconsentito, cosa molto poco alla Castle. Doveva ancora dare ragione ad Alexis nel constatare come avesse perso parte della sua spensieratezza o follia. Ne doveva essere felice, perché voleva dire che era più responsabile e maturo, ma Castle non era quello che accettava passivamente le decisioni, era quello creativo che cercava il modo per aggirarle. Non riusciva a capire se questo cambiamento era dovuto solo alla paura o anche alla rassegnazione, ma in ogni caso lui non doveva vivere così, Alexis non doveva vivere così, nessuno doveva farlo per causa sua.

La mattina successiva la relativa tranquillità del loft fu interrotta dal suono incessante del campanello. Uno degli agenti di guardia aveva un pacco aperto in mano.

- Perfetto - sbuffò Alexis - adesso anche la corrispondenza controllata, come in carcere.

L’agente non si curò delle lamentele della giovane e mostrò il contenuto a Rick, senza permettergli di toccarlo: un pacchetto di foto che ritraevano tutte Alexis, tutte scattate negli ultimi giorni, ognuna delle quali mostrava sua figlia in azioni quotidiani con la sua scorta, ed il suo volto era cerchiato di rosso. 

- Abbiamo già avvisato i detective Ryan ed Esposito - li avvisò l’agente. Rick si sedette passandosi una mano sul volto mentre la preoccupazione si disegnava sul viso delle due donne dai capelli rossi.

—

- Pensiamo che la minaccia sia credibile. - Puntualizzò Ryan. 

- Dovresti riconsiderare l’opportunità di andare a studiare in Europa mia care - disse una Martha molto preoccupata.

- Non ho nessuna intenzione di farlo. Ve l’ho già detto. - Rispose piccata la giovane mentre Ryan ed Esposito mettevano le foto in una busta di plastica per portarle alla scientifica.

- Sapete anche voi che non ci sarà nulla, non è vero? - Chiese retoricamente Castle ai due detective che annuirono: le probabilità di trovare delle impronte erano pari allo zero, lo sapevano tutti. 

Castle si sedette vicino a sua figlia, prendendole la mano che era sopra il tavolo, ma la ragazza la ritrasse subito. 

- Puoi tornare da Beckett, papà, tanto non è la tua presenza che cambia le cose. - Le sue parole lo ferirono. La conosceva, sapeva che era inutile un braccio di ferro in quel momento, non l’avrebbe mai spuntata: riuscì solo a sussurrarle un sentito “mi dispiace”.

—

Appena rientrò da Kate, lei gli corse incontro abbracciandolo. Lo baciò teneramente, mentre gli accarezzava la nuca ed i capelli.

- Mi ha chiamato Martha. Mi dispiace Castle, mi dispiace immensamente.

Silenziosamente Rick si sciolse dal suo abbraccio e si andò a versare dello scotch che bevve in un solo sorso. Kate lo guardava tesa, ripensando alla conversazione con Alexis del giorno prima: aveva ragione la ragazza, quello non era Castle, non era l’uomo folle e spensierato che rendeva impossibili e leggere le sue giornate, non era l’inguaribile ottimista che le diceva che ce l’avrebbero fatta, sempre. Sapeva bene Kate che le minacce ad Alexis lo avevano preoccupato più di quanto le volesse dire e lo vide sedersi mestamente sul divano, fissando un punto lontano davanti a se. Lo abbracciò di nuovo, poggiando la testa sulla sua spalla e non tardò a cingerla, come sempre, per farla stare più vicina a se e si respiravano senza dirsi nulla.

Rick non voleva parlare, Kate aveva paura di farlo: le parole di Alexis rimbombavano nella sua mente insieme al cuore di Castle che batteva veloce. La consapevolezza che la felicità di Rick fosse legata a doppio filo con quella di Alexis squarciò la sua mente e ruppe la bolla dove aveva vissuto con lui fino a quel momento. 

Quella sera fu tutto diverso. Rick aveva insistito per ordinare la cena, non al room service ma direttamente dal ristorante dell’hotel. Giù c’era troppa gente e troppa confusione e lui non voleva vedere nessuno oltre che lei. Aveva acceso lo stereo e lasciato la musica in sottofondo, una leggera colonna sonora. Quando le note di “I wish I knew” di Coltrane riempirono la stanza Rick prese per mano Kate invitandola a ballare. Lei si appoggiò alla sua spalla, lasciando dettare a lui il ritmo del loro ondeggiare lento.

- Ti porterò in un posto dove potremo ballare fino all’alba e suoneranno per noi qualsiasi musica tu voglia. - le sussurrò tenendola stretta.

- Non parlare Castle, è perfetto così. - Per Kate lo era veramente ed avrebbe dato qualsiasi cosa perché potesse sempre essere così.

Com un tempismo che avrebbe fatto fare a Castle le peggiori insinuazioni in un qualsiasi altro momento, finita la canzone suonarono alla porta per portar loro la cena. Il cameriere accese anche una candela rossa sul loro tavolo mentre lasciava i piatti nascosti sotto le cloches.

-Vuoi il dolce? - le chiese Rick appena finito di mangiare

- No, voglio te. - Kate si alzò e prese per mano Rick portandolo in camera da letto.

Quando la fiamma della candela si spense, quella della passione di Castle e Beckett era ancora accesa, viva e più forte che mai. Si amarono quella notte dolcemente, lentamente come se non dovesse finire mai.   Kate sentiva il suo corpo percorso da brividi ogni volta che Rick sceglieva un punto dove baciarla e quei baci erano diversi da quelli che avesse mai ricevuto da chiunque altro, erano i baci che solo una persona innamorata poteva dare. Si chiedeva se anche lui sentisse la stessa cosa quando le sue labbra lo sfioravano o lo reclamavano prepotentemente, se anche lui sentiva quel brivido nascere dentro ogni volta che pensava che a lui e solo a lui lei riservava quelle attenzioni, che era solo lui che lei amava e che probabilmente aveva mai amato. Avrebbe voluto tenerlo così per sempre, con se, su di se, dentro di se. E lo guardava senza mai chiudere gli occhi quella notte, voleva vedere ogni espressione del suo volto, ogni sfumatura del suo piacere e baciare gli angoli della sua bocca quando si contraevano per lo sforzo e per l’eccitazione.

- Fai piano Rick, abbiamo tutta la notte per noi - gli sussurrò scandendo un limite temporale che la impaurì ma lui non ci fece caso. Rallentò per godere ancora più di lei, della sua bocca e delle sue mani, di tutto il suo corpo, perfetto per lui. 

Si addormentò infine esausto al suo fianco, con una mano teneva ancora uno dei suoi seni mentre lei lo accarezzava e non riusciva a dormire. Lo avrebbe voluto svegliare perché lo desiderava ancora e non era solo un desiderio fisico era di più, voleva sentirsi sua quella notte tutta la notte ed il corpo di Rick nudo e caldo vicino a lei non la aiutava. Quando lo sentì premere con le labbra sul suo petto credette di aver pensato ad alta voce, tanto da averlo svegliato. I baci di Rick divennero più avidi mentre la mano le stuzzicava l’altro seno. La mano di Kate che spingeva la sua testa contro di se fu un chiaro segnale che non voleva che smettesse e non lo fece, ricominciando anzi con più intensità. 

Fu Kate, questa volta, ad abbandonarsi esausta tra le sue braccia, volendogli restituire quanto le aveva dato prima. E lui non si accorse mai, vinto dal sonno, che lei quella notte pianse.

—

- Preferisci la Grecia o l’Italia? - Le chiese Castle a bruciapelo mentre leggeva uno dei libri che Castle ogni tanto le portava. 

- Per cosa? - Chiese lei senza togliere gli occhi dal libro mentre lui continuava a sfogliare siti internet sul portatile appoggiato sulle gambe.

- Per andare a vivere. Una casa vista mare in una piccola isola in Grecia oppure un casolare in collina nella campagna italiana? - Rick stava già fantasticando quando incontrò lo sguardo serio di Beckett - Ma se vuoi ho visto anche qualcosa in Francia, tipo Costa Azzurra o in Spagna, alle Baleari. Allora cosa preferisci?

- Nulla Castle, non mi muoverò da qui. 

- Perché? Potremmo stare più tranquilli, non sarà una cosa definitiva, solo fino a quando la questione non sarà risolta! - Protestò mettendo il broncio

- Perché potrebbero volerci anni, o non risolversi mai. 

- Sei sempre così pessimista Beckett! - Esclamò Castle ormai rassegnato. Aveva lo sguardo di quando non avrebbe mai cambiato idea.

- Sono realista Castle.

Rick chiuse il portatile, si alzò dal letto. Kate lo guardò uscire dalla stanza, si prese qualche minuto, affondando la testa nel cuscino di lui, ubriacandosi del suo profumo.

Lo vide seduto al tavolo che aveva appena finito di apparecchiare per la colazione. Due tazze di caffè fumanti erano già lì. Si sedette vicino a lui che subito le porse la sua tazza, quella con il suo caffè con un cuore disegnato sopra. Non la prese, lasciando che lui la appoggiasse davanti a lei. Kate non resistette alla tentazione di sistemargli il ciuffo e trascinare la mano sul suo volto, trasformando quel gesto in una carezza, prima di parlargli.

- Sai qual è una delle più grandi ingiustizie del mondo Castle? Quando le persone giuste si incontrano nel momento sbagliato.

Rick alzò gli occhi dalla tazza che stava sorseggiando, la poggiò con troppa forza sul tavolo, colto di sorpresa, versando qualche goccia di caffè.

- Non esistono momento giusti. Lo decidiamo noi quando lo sono.

- Esistono però quelli sbagliati. Quelli che creano una felicità apparente, ma è solo illusione. Poi non è così.

- Cosa vuoi dirmi Kate? - Chiese Castle allarmato - Non sei felice?

- No. - Beckett ricacciò indietro il nodo che aveva in gola. Si morse la guancia fino a sentire il sapore di sangue in bocca mentre Rick la guardava incredulo. Aveva spalancato a lui tutte le porte della sua anima ed adesso richiuderle era un dolore paralizzante, perché Richard Castle, una volta che le era entrato dentro, pensava fosse impossibile da ricacciare via, aveva già piantato salde le sue radici in lei e non poteva essere estirpato se non facendo morire una parte di se stessa. Ma doveva farlo, non vedeva alternative, lo faceva per lui, si ripeteva, per il suo bene, per tenerlo al sicuro. Ed avrebbe rinunciato anche a se stessa se fosse stato necessario. 

- Io… io… credevo lo fossi. Cioè non di tutta la situazione, ma di noi sì.

Kate scosse la testa ed abbassò lo sguardo, non avrebbe resistito un secondo di più ai suoi occhi.

- Mi illudevo di esserlo, ma non è così. Scusami.

- Che vuoi dire Beckett?

- Magari in un altro momento poteva funzionare. Ma ora no. Scusami Castle…

Si alzò di scatto andando verso la vetrata. Lui rimase lì allibito ed incredulo.

- Cosa c’è Kate? Cosa è successo? Può funzionare tra noi e funzionerà se lo vuoi.

- Non sono sicura di volerlo - Sussurro con la voce strozzata

- Perché? Perché? - Urlò Castle alzandosi e raggiungendola. - Ieri era tutto perfetto! Stanotte era tutto perfetto! Cosa è cambiato Kate?

- Non era tutto perfetto Castle! Ci stavamo illudendo che lo fosse. Ma quella non è la vita reale. 

- Come fai a dire che non è la vita reale? Siamo noi siamo io e te! Siamo noi e siamo reali! - Rick parlava contro la sua schiena mentre lei guardava fuori vedendo i loro riflessi sul vetro.

- Non è reale Rick! Questa non è la vita vera. La vita è fatta del mio lavoro e di tutti gli altri problemi del quotidiano.

- Potrebbe esserlo. Se lo vuoi sarà così. Devi solo volerlo, possiamo farlo.

- Io non lo voglio Rick. Non posso più fingere.

- Fingere? Fingere? Era tutta una finzione per te? Rispondimi Kate? Era una finzione?

Non trovò il coraggio di dire nulla. Combatteva solo contro se stessa per non cedere, anche se le gambe le tremavano e sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi. Poi sentì le mani di Castle stringerle la vita e tirarla indietro contro di lui. Rimase inerme qualche istante quando sentì la sua bocca sul collo.

- È una finzione questo Kate? È tutto finto? - Sentiva la disperazione nella sua voce ed avrebbe solo voluto dirgli la verità, che non c’era nulla di finto, che non c’era mai stato nulla di più vero di quello che aveva provato e stava provando.

- Lasciami Rick, per favore. - lo pregò con la voce rotta dal pianto - Non facciamoci ancora del male inutilmente.

- Io non ti sto facendo del male. 

Quando sentì di nuovo le sue labbra lambirle il collo si voltò di violentemente, liberandosi della sua presa e gli diede uno schiaffo.

Rimasero a fissarsi per un tempo che sembrava eterno. Kate non si rese nemmeno conto di quello che aveva fatto, guardava i suoi occhi di bimbo smarrito, gli occhi di un bimbo che scopre che Babbo Natale non esiste. Ogni parte del suo corpo le diceva solo una cosa: “abbraccialo, chiedigli scusa, consola quel pianto che sta per arrivare” lo vedeva nei pugni stretti e nei denti serrati.

- Non è stata tutta una finzione Kate. Io lo so. Tu mi ami.

- Vattene Rick, per favore. 

- Perché ci stai facendo questo? 

- Quando lo capirai mi ringrazierai.

- Spiegamelo allora! - La supplicò - Se pensi questo, se credi che un giorno potrò ringraziarti tu non hai capito nulla di me Kate. Ed è la cosa che mi fa più male. Io farei qualsiasi cosa per noi. Ti porterei in qualsiasi realtà tu vuoi, ti starei vicino Kate. Sempre. 

- Castle…. - provò ad interromperlo senza successo

- No, Beckett, adesso mi ascolti. Poi me ne vado, se è quello che vuoi. Anche io volevo qualcosa di diverso per noi, perché questo non era abbastanza. Ti avrei voluto chiedere di sposarmi e mi ero anche illuso che avresti accettato.

- Perché mi stai dicendo questo? - Non riusciva a sopportare anche quello, avrebbe sopportato il suo odio, non il suo amore.

- Per farti capire quanto sei importante per me! 

- Ti sei sposato due volte Castle, ormai per te è una routine. - Voleva essere gelida ma non credeva di esserci riuscita.

- Vuoi ferirmi Kate? Lascia stare, lo hai già fatto. La terza sarebbe stata quella giusta, me lo hai detto tu. E tu non saresti mai stata la terza, ma l’unica e l’ultima.

- Troverai qualcuna che lo sarà. 

- Ma non sarà mai te.

- Quella sarà la tua fortuna. Ti prego Castle, vattene adesso. 

Lui annuì mentre lei si voltò ancora per non vederlo e chiuse gli occhi per evitare anche il suo riflesso. Lo sentì andare in camera ed aprire le porte dell’armadio. Le stampelle che tintinnavano vuote, la zip della borsa che si chiudeva, i suoi passi. Non resistette alla tentazione di guardarlo ancora. 

- Finisce tutto così? - le chiese con la mano già sulla maniglia, sembrava aspettasse un cenno per buttare la borsa a terra e correre da lei.

- Mi dispiace Castle, di tutto.

- Non ti dispiacere. Mi hai regalato alcuni dei giorni più belli della mia vita. Quelli non potrai cancellarli. Ti amo Kate. 

Rick aprì la porta fissando il pavimento nella linea dove cambiava il colore della moquette tra dentro e fuori la stanza. Lasciò cadere la borsa, a grandi falcate la raggiunse e, ancora prima che lei potesse dire nulla, lui la baciò. Non trovò opposizione da parte di Kate che non riuscì nemmeno ad allontanarlo da sé ed in realtà avrebbe solo voluto che quel momento non finisse mai. Invece finì troppo presto, lasciandogli il suo sapore sulle labbra e le sue parole ad incidere il suo cuore.

- Tanto per te era finto, no? Non era importante.

Il rumore della porta chiusa rimbombava dentro di lei. Era tutto vuoto non solo la stanza. Era vuota lei. 

Il suo cuore uscì dalla stanza con lui, separandosi dal suo corpo dove ormai era un’inutile presenza, se lui non c’era. Aveva visto il suo volto segnato dall’incredulità e dal dolore e poi in fondo ai suoi occhi blu aveva visto ancora tutto l’amore che provava per lei e i suoi occhi erano gli ultimi ad arrendersi.

L’aveva baciata, ancora una volta, e lo sentiva sulle sue labbra, quel bacio le aveva fatto male più di tutto. Era stata l’ultima boccata d’ossigeno che non aveva voluto concedersi, non rispondendo come avrebbe voluto a quel bacio, certa che separarsi da lui sarebbe stato ancora più dura. Gli aveva mentito e lo aveva ferito. Lo aveva colto quando era più inerme, quando non se lo aspettava, quando era ancora vulnerabile per quanto accaduto il giorno prima, per la paura per Alexis. Ma era stato proprio questo a farla accelerare, a farle prendere quella decisione che la stava lacerando, ma che era convinta fosse l’unica possibile. Senza di lei sarebbe stato meglio, magari non subito, ma dopo sì, avrebbe avuto una vita normale sia lui che la sua famiglia.

Glielo aveva anche detto, per saperlo al sicuro avrebbe rinunciato a tutto, anche alla sua felicità, a tutto quello che aveva di più caro al mondo e quello che aveva di più caro era lui ed il loro rapporto.

Girò per la stanza vuota. Non riusciva a stare lì, si sentiva soffocare. Lì c’era lui, ovunque, in ogni angolo la sua presenza era più forte della sua assenza, tanto da sovrastarla e renderlo vero nella sua mente. Sentiva il suo profumo ed era convinta di sentire anche i suoi passi e la sua voce. Accese inavvertitamente lo stereo e la musica di Coltrane riempì di nuovo l’ambiente. Spense rabbiosa. Non lo avrebbe più potuto ascoltare senza legarlo al loro ballo, a lui.

—

Rick uscì come un automa dall’hotel ed allo stesso modo tornò al loft, guardando fuori dal finestrino la gente camminare nell’afa estiva di New York. Solo lui aveva freddo, un freddo impossibile da scaldare. Entrato in casa buttò la borsa in un angolo ed andò in camera. Si sdraiò sul letto fissando il soffitto e cercando di capire cosa era realmente accaduto. No, non poteva essere reale, si ripeteva. Non poteva essere accaduto. Cosa non aveva visto, su cosa si era illuso al punto da non percepire il cambiamento di Kate? Eppure lui l’aveva sentita così sua, fino a poche ore prima, fin troppo sua. Era questo il problema? L’aveva soffocata? Si era sentita imprigionata in quel rapporto? Aveva corso troppo? Poteva decidere lei, poteva porre dei limiti, perché però rompere? Perché dire che era stato un’illusione, che non era vero? Lui non aveva mai vissuto nulla di più vero di quello che aveva vissuto con lei, anzi forse non aveva mai vissuto realmente prima di vivere con lei.

—

Kate era seduta in un angolo del divano. Le gambe incrociate sotto il suo corpo, un fazzoletto di carta distrutto tra le dita che tormentava senza sosta. Lanie era nell’angolo opposto. Era arrivata appena l’aveva chiamata in lacrime, lasciando il lavoro prendendo un permesso per gravi ed urgenti motivi familiari e in fondo per lei Kate era una di famiglia, come una sorella. Aveva ascoltato tra i singhiozzi il racconto di quanto accaduto, delle minacce ad Alexis, della preoccupazione di Castle, della discussione con la ragazza e della sua scelta sofferta e devastante.

- Tu sei pazza tesoro. Sei completamente pazza. Stai rinunciando al tuo uomo e alla tua felicità per difenderlo da te? Ti rendi conto di quanto sei assurda? Dio mio, Castle sarà distrutto! Ci hai pensato a questo? Quell’uomo sono anni che vive per te!

- Gli passerà. Meglio distrutto e vivo che felice e morto. - si soffiò il naso dopo aver preso un altro fazzoletto che Lanie le aveva dato.

- Io non ti capisco Kate, veramente! Perché stai facendo tutto questo non solo a te stessa ma anche a lui? Questa situazione passerà, vale la pena rinunciare a tutto?

- Rinuncerei a tutto per lui, perché sia al sicuro. Non sopporterei di … - Il volto di Beckett se era possibile si contrasse in una smorfia di dolore ancora più forte pensando a pochi giorni prima, a quella macchina esplosa e a quel dolore così estraniante.

- Lui rinuncerebbe a tutto per far sì che al sicuro ci sia tu. Siete uguali tesoro, ma tu hai deciso per entrambi e non sono sicura che hai deciso la cosa migliore.

- Lui non capisce i pericoli che corre, Lanie!

- Oh sì che li capisce e li accetta.

- Castle non potrà mai essere felice se avrà rapporti tesi con Alexis. Sarebbe arrivato al punto che non avrebbe sopportato più e sarebbe finita così, mi avrebbe odiato. Credimi, è meglio. - Kate cercava di autoconvincersi di tutto quello.

- Pensi che lui sarà felice? - Le domandò l’amica.

- Magari non subito… poi troverà il modo di esserlo. - lo sperava ma il pensiero le faceva male allo stesso tempo.

- E tu sarai felice? - Lanie le prese una mano mentre Kate la guardava con uno sguardo che non aveva bisogno di risposte.

- Mi ha detto che mi avrebbe chiesto di sposarlo. Sai, la cosa assurda è che lo stavo lasciando e allo stesso tempo pensavo che se lo avesse fatto gli avrei detto di sì, è patetico, vero?

- Kate, vai da lui. Digli le tue paure, che quello che hai fatto è solo perché hai paura per lui e pensavi che così fosse al sicuro. Capirà… Non buttare via la tua vita e nemmeno la sua.

- Non posso… - Kate si appoggiò sullo schienale del divano reclinando indietro la testa e coprendosi gli occhi con le mani. Sarebbe stato tutto più semplice se non avesse mai ceduto ai suoi sentimenti, se non avesse mai scoperto quanto stare con Castle era solo tutto quello che voleva, se non avesse mai assaggiato il sapore delle sue labbra ed il calore del suo abbraccio. Sarebbe stato più semplice non sapere mai cosa voleva dire essere amati ed amare totalmente, ma non rimpiangeva nemmeno un momento di quelli passati con lui che l’aveva fatta sentire viva e donna come mai nessuno prima. Doveva solo far finta che tutto quello era stato un sogno. 

Lanie guardava la sua amica conscia che aveva fatto il più grande errore della sua vita e quando se ne sarebbe resa conto sarebbe stato troppo tardi ed avrebbe sofferto molto di più.

—

Castle si era ripromesso di tornare lì tante volte, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo. Roy era stato un amico in quegli anni ed era sicuro che aveva capito perché non era più andato a trovarlo. Poggiò sopra la lapide una rosa bianca che aveva preso all’ingresso del cimitero, lì vicino un mazzo di rose rosse erano il segno che sua moglie era stata lì da poco, erano ancora fresche e luminose, con quel caldo non lo sarebbero state ancora a lungo. Castle pensò che se Montgomery fosse stato lì avrebbe saputo cosa fare per aiutarlo, per far ragionare Kate che a lui dava ascolto, perché sapeva che il Capitano aveva sempre fatto il tifo per loro e che, sotto sotto, ci sperava che potessero stare insieme: una sera, durante una partita di poker quando l’alcool era scorso in abbondanza glielo aveva anche confidato, insieme al fatto che secondo lui Beckett era già innamorata. Ci avevano riso tutti su, ma a Castle quelle parole erano rimaste dentro. Fece il giro intorno tenendo la mano sulla pietra ruvida poi si spostò di qualche passo. Sembrò cercare un punto preciso e lo trovò. Gli mancò il respiro per un po', quando guardò dritto davanti a se tra altre lapidi nel punto esatto in cui aveva visto quel bagliore, troppo tardi. Si lasciò cadere sull’erba e le sue mani la strapparono con forza. “Ti amo Kate, non mi lasciare, stai con me”. Non erano le parole di quel giorno, era quello che avrebbe voluto gridarle adesso. “Non mi lasciare Kate”. Aveva ripensato in quei giorni ai suoi occhi quando lo stava mandando via. Quegli occhi che non avevano il coraggio di guardarlo e lui sapeva perché: non poteva mentirgli con lo sguardo, poteva farlo con le parole non con lo sguardo, lui se la guardava le leggeva l’anima. Aveva letto la paura nei suoi occhi e la tristezza che era come la sua e non capiva perché stava facendo tutto quello a loro. Lui aveva scelto la sua posizione da anni, vicino a lei. Ne aveva accettato i rischi per poter prendere tutto quello che di bello aveva da darle. Ne era valsa la pena. Per ogni singolo momento con lei era valsa la pena affrontare ogni cosa e per lui sarebbe stato così per sempre. 

Aveva i fili d’erba strappati tra le mani quando se le guardò ed ebbe quasi il timore di vederle, invece, sporche di sangue. Del sangue di Kate. 

- Signor Castle, tutto bene? - Christopher, il suo agente di scorta si era avvicinato a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

- Sì, tutto bene. Solo ricordi.

- Il Capitano Montgomery. Ero presente anche io quel giorno. Ha avuto coraggio con il Detective Beckett, potevano ferire lei.

- Non è stato coraggio Christopher.

L’agente si allontanò lasciandolo di nuovo solo. Era stata paura, incoscienza ed amore.

—

- Lo hai già detto alla Gates? - Chiese Esposito a Beckett bevendo un sorso di caffè

- Non ancora. Ho parlato prima con i superiori per chiedere se fosse possibile.

- Quando intendi rientrare quindi? 

- Appena avrò di nuovo l’abilitazione, ormai conosco la prassi. 

- Stai affrettando i tempi Kate. Non sei ancora uscita dalla convalescenza ed hai un bersaglio dietro la schiena. Non te la daranno mai.

- Sto giocando le mie carte.

- Perché questa follia eh? Vuoi che ti sparino ancora? O preferisci essere di nuovo pugnalata?

- Voglio che questa storia finisca, in un modo o in un altro. Non credo che tu possa capire Espo. - Teneva stretta tra le mani la sua tazza, guardando le bollicine della schiuma sciogliersi una dopo l’altra. Si era fatta quella tazza di caffè per abitudine, ma non ne aveva più bevuto.

- Già, non posso capire, perché è così folle che non può capire nessuno. Stai facendo scelte assurde che non stanno rovinando solo la tua vita. Ho parlato con l’agente Moody poco fa. Sai cosa ha fatto oggi Castle? È stato tutto il pomeriggio al cimitero, seduto a terra vicino alla tomba di Montgomery, dove ti hanno sparato. 

Kate alzò la testa di scatto per guardare il collega che con la testa fece un cenno per confermarle quanto appena detto. Javier bevve un ultimo sorso di caffè e poi si alzò.

- Devo passare a prendere Kevin, ci vediamo Beckett. Pensaci.

—

La solitudine in quella stanza le faceva sempre più male. Doveva andarsene da lì, il prima possibile. Tutto sapeva di Castle ed era il sale sulle sue ferite.

Aveva lo stomaco perennemente chiuso e mangiava solo per sussistenza. Non aveva più cucinato nulla lì dentro perché lì c’era ancora lui che le preparava la colazione dopo una notte passata ad amarsi. Lo vedeva preparare i pancakes, il modo migliore per rimettersi in forze dopo la notte movimentata le diceva prendendola in giro. Più di una volta li avevano mangiati freddi, impegnati a consumare altre energie su quel bancone troppo piccolo per essere comodo ma non se ne curavano, troppo presi per pensarci.

Il suono del campanello la fece sussultare e rimase a bocca aperta quando vide quel sorriso stranamente timido salutarla, e due confezioni di cibo da asporto nelle grandi mani.

- Hey, ciao… Ho pensato che… Cinese, ti va?

- Hey, ciao Nick… entra - Kate fece passare Price che entrò appoggiando i contenitori sul bancone, tirando fuori dalle tasche anche le bacchette.

-  Ti piace il cinese? Se no posso sempre andare a prendere altro, pizza, indiano… 

- Cinese va benissimo, grazie.

- È un piacere, Kate. - Le prese per un attimo la mano ma lei la ritrasse subito.

- Nick… - Il tono di rimprovero di Kate per quella confidenza eccessiva lo fece subito ritornare al suo posto.

- Scusami. Allora pollo o gamberi? - le chiese indicando i due contenitori.

- Gamberi! - prese rapidamente con un sorriso il suo ed una delle confezioni di bacchette usa e getta e si andò a sedere sul divano dove aver preso dal minibar due lattine di birra.

- Niente alcolici per me. - le sorrise Price riponendo la birra e prendendo una soda.

Il rumore del legno spezzato delle bacchette usa e getta sanciva l’inizio della loro cena e per quanto Kate cercava di non pensarci tra una chiacchierata e l’altra con Nick che le raccontava aneddoti della sua carriera e dell’accademia, non poteva non pensare a Castle e a tutte le volte che le portava il pranzo o la cena quelle sere che si fermava fino a tardi al distretto per qualche caso complicato. Price vedeva che ogni tanto sembrava assentarsi, persa nei suoi pensieri ma non le diceva nulla, mangiava con indifferenza aspettando che tornasse sulla terra. Non gli aveva detto molto, solo che con Castle era finita, lo aveva lasciato, senza aggiungere altro e lui non aveva chiesto, non avevano ancora un rapporto così confidenziale perché le chiedesse di più.

Le loro chiacchiere furono interrotte dal suono del campanello. Kate controllò l’orario.

- Sarà mio padre. - Disse a Nick mentre andava ad aprire.

- Ciao Beckett.

- Ciao Castle.

Rick era lì in piedi davanti a lei e poteva leggere i tormenti sul suo volto. Lo stomaco le si contrasse al punto di voler vomitare tutta la cena.

- Posso? - chiese lui timidamente

- No, Rick, meglio di no. Ciao. - Provò a chiudere la porta ma la mano di Castle la fermò cogliendola di sorpresa ed aprendola di nuovo.

- Kate, per favore, voglio solo parlare. - Le chiese con tono supplichevole.

- Non insistere Castle, ti prego. - La sua voce diceva una cosa, ma il suo corpo non opponeva resistenza e lui fece un passo entrando nella stanza mentre lei, che teneva sempre la porta con una mano gli impediva di andare oltre.

- Mi pare di aver sentito che te ne devi andare, signor Castle. - Price si palesò dietro Kate lasciando Rick senza parole che spostava lo sguardo da lei a lui come a cercare una spiegazione a quello che stava vedendo. Poi lo sguardo andò oltre sul tavolo in fondo alla stanza e ai contenitori di cibo cinese, quelli che tante volte aveva condiviso con Kate.

- Non sono affari che ti riguardano Detective Price, stanne fuori.

Rick entrò prepotentemente nella stanza, spostando Kate e chiudendo la porta. Nick si parò davanti a Kate mettendosi tra loro due.

- Vattene Castle. Subito. - gli intimò il detective, ma lui lo ignorò.

- Kate, voglio parlare con te, non con lui.

- Rick… per favore vai via. - lo supplicò Kate che non avrebbe retto ad un confronto con lui

- Hai sentito Castle? Te ne devi andare. - Price lo prese per il bavero della giacca con entrambe le mani pronto a spingerlo fuori, Rick guardava oltre lui, Kate alle sue spalle con lo sguardo basso che si mordeva un labbro, appoggiata al muro e come sentì la presa del detective su di se, se ne liberò colpendolo con forza con un pugno al volto. Price colto di sorpresa vacillò un attimo lasciando la presa, ma Beckett non fece in tempo a mettersi tra i due che Nick colpì con altrettanta violenza Castle allo stomaco facendolo piegare in due. Kate lo vide barcollare tossendo fino ad appoggiarsi al muro e questa volta prima che Price lo colpisse di nuovo si mise tra loro, proteggendo Rick dalla furia del detective sanguinante dal naso. Kate si voltò verso Castle, gli prese il viso tra le mani.

- Stai bene Rick? - lui annuì scuotendo la testa per far sì che lei lo lasciasse e appena Beckett si rese conto di come lo stava tenendo tolse le mani dal suo viso. - Vai ti prego… 

Voleva aiutarlo a rialzarsi ma lui fece da solo. Aprì la porta e prima che potesse uscire una delle due guardie fuori dalla porta chiese a Beckett se ci fosse qualche problema.

- Tutto apposto ragazzi. Castle se ne stava andando.

Si guardarono con la stessa tristezza nascosta negli occhi, poi Rick prima di andarsene scosse la testa e si incamminò tristemente verso gli ascensori.

- Tieni prendi questo - Kate aveva avvolto in un asciugamano un po' del ghiaccio contenuto nel secchiello sempre pronto nel freezer e lo stava dando a Nick e appoggiato con la testa sullo schienale del divano per far fermare il sangue. Se lo mise sul volto cercando un po' di refrigerio.

- Pensi sia rotto? - Chiese Kate

- No, però per essere uno scrittore colpisce bene. - Sbuffò Price facendo una smorfia di dolore.

- Prenditela con Esposito, gli ha insegnato lui. 

- Uhm me ne ricorderò - fece una smorfia di dolore spostandosi un po' il ghiaccio sul volto, sospirando.

Kate prese un ghiacciolo tra le mani rabbrividendo al contatto con il piccolo cubetto. Vide le goccioline tra le dita mentre si scioglieva velocemente e non riuscì a non pensare a Castle, a come lo aveva fatto impazzire e a come lui aveva percorso tutto il suo corpo facendola tremare di freddo e piacere.

- Sei stata fortunata che ero qui - Nick la riportò indietro dai suoi ricordi.

- Perché? - chiese perplessa

- Beh, se eri sola e non riuscivi a chiamare le guardie fuori, potevi rischiare con Castle.

- Rick non mi avrebbe mai fatto del male - Replicò Kate indispettita. Non tollerava che qualcuno potesse classificare Castle come un violento.

- Cosa ne sai Kate? Non si sa mai come reagiscono certi uomini quando sono rifiutati.

- Nick, Castle non è quel genere di uomo e non mi avrebbe fatto del male. Ne sono sicura.

- Da come lo difendi pare che ne sei ancora innamorata. - Beckett non rispose, lui si tirò sù, si tolse il ghiaccio dal viso e la guardò mentre non riusciva a nascondere il suo nervosismo, facendo esclamare il detective. - Ma certo, ne sei sempre innamorata!

Castle era rientrato mestamente al loft. Il suo agente di scorta non aveva detto una sola parola, ovviamente sapeva, come tutti, ma manteneva il suo ruolo discreto. Varcata la soglia voleva andare direttamente in camera, chiudersi lì e non vedere nessuno ma Martha lo fermò prima che potesse riuscirci.

- Ora ragazzo mi dici tutto quello che è successo tra te e Katherine! Cosa hai fatto?

- Io? Io non ho fatto niente! È lei che di punto in bianco mi ha lasciato! Senza un motivo, mettendo in mezzo scuse ridicole! Per lei quello che c’era tra noi non era vero, capisci? - Sbottò Castle piuttosto nervoso

- Ne sei sicuro? Non è che le hai detto qualcosa che l’ha spaventata?

- No, mamma, no! Ed ora non voglio più parlarne.

- Richard, se sei innamorato di lei, lasciale del tempo, ma non ti arrendere. Lei ti ama, forse a parole potrà dire il contrario, ma io c’ero quel giorno e quella che ho visto era una donna distrutta dal dolore. Solo chi ama può stare così.

- Avrà cambiato idea. - Rispose brusco prima di sparire in camera sua.

Guardava il lato del letto vuoto, lì dove doveva esserci lei, anche se Kate in quella stanza non ci aveva mai dormito. A malapena c’era entrata una volta, imbarazzata, quando era rimasta qualche giorno al loft dopo l’esplosione del suo appartamento. Eppure lui la vedeva lì, forse perché in quelle settimane aveva cullate l’idea che lei sarebbe stata lì, appena risolta quella situazione, per sempre. E ripensava a tutte le donne inutili della sua vita che aveva portato su quel letto e l’unica veramente importante mai. Non era mai stata nella sua stanza, nel suo letto. Ma per lui era lì e non se ne andava mai, nemmeno se chiudeva gli occhi ed allungava una mano a sentire le lenzuola fredde, nella sua mente quello era il posto di Kate e disegnava anche il suo corpo a mezz’aria come se volesse accarezzarlo e non sapeva se ritenersi fortunato per aver accarezzato anche se per poco tempo il sogno di Kate Beckett divenuto realtà, ed era molto meglio di quanto avesse mai immaginato, disperato perchè lei lo aveva lasciato o solo uno stupido illuso che che credeva che lei sarebbe stata diversa, che si sarebbe lasciata andare, che si sarebbe fatta amare senza quelle paure che avevano vinto su tutto e sopratutto su loro.

—

I calci e i pugni contro quel sacco non migliorarono l’umore di Beckett, anzi servirono solo a farle capire il perché. Aveva il fiatone e dolore ovunque.

Il dottor Burke, però, era stato chiaro. Non l’autorizzava a riprendere servizio. Troppi due traumi così ravvicinati per essere serena, troppi anche conoscendo il suo stato emotivo e quel poco che gli aveva accennato di Castle prima di chiudersi in un “non ne voglio parlare” e in un “non c’entra niente con il caso”. Ed era proprio questo che aveva spinto Burke a farle prendere più tempo. Castle c’entrava: con il caso, con lei e con la sua voglia di affrettare i tempi e lui non le poteva permettere di riprendere servizio così, tanto che anche il suo medico all’ospedale aveva sconsigliato una ripresa immediata.

Era andata via di corsa dallo studio dello psichiatra, tentando di seminare anche le guardie, ma dovette arrendersi dopo poco. Sentiva il cuore batterle a mille nel petto ed il fiatone farsi prepotente. Non era solo fatica fisica, lo sapeva, ma detestava il suo corpo se non le dava le risposte che voleva. 

Era tornata nella sua stanza, che adesso odiava con tutta se stessa, e si era precipitata in palestra per sfogarsi, ottenendo l’effetto contrario, il suo corpo che le ricordava perché non poteva tornare in servizio ed allora sembrava volerlo punire, lui colpevole di non assecondarla nei suoi propositi di riprendersi la sua vita.

- Adesso basta Kate! - le disse in tono dolce ma autoritario il John il personal trainer della palestra fermando il sacco. Lei diede altri due forti pugni che lo sbilanciarono un po', poi si tolse le fasce buttandole a terra ai suoi piedi, andando a prendere una bottiglietta d’acqua. Apriva le mani a fatica per quanto le aveva tenute strette mentre colpiva ripetutamente, si erano arrossate e non poteva escludere che sanguinassero anche in qualche punto.

- Dovresti fare qualcosa per quelle mani, tipo proteggerle meglio. - John l’aveva raggiunta ed aveva preso anche lui la bottiglietta appoggiandosi al muro vicino a lei che beveva a piccoli sorsi l’acqua fin troppo fredda. Di guardò le nocche graffiate e fece il titanico sforzo di aprire e chiudere.

- Non sono poi così male - rispose nascondendo una smorfia. 

- Già sono peggio. Usa dei guanti la prossima volta, così non ti ferisci. - La ammonì.

- Mi sono ferita in modi ben peggiori, ma grazie dell’interessamento. - Poggiò la bottiglia con forza sopra il frigo e tornò verso la sua stanza constatando mestamente che non era servito a nulla, né a sfogarsi né a stare meglio.

Non poteva stare più lì. Non ce la faceva. La presenza di Castle era ovunque, ma sapeva che era soprattutto nella sua testa. Fece come sempre, quando voleva qualcosa, agì d’impulso senza pensare alle conseguenze. Andò in camera tirò fuori una valigia è cominciò a buttarci dentro cose a caso dall’armadio. Le stampelle sbattevano una contro l’altra mentre lei strappava via con forza i vestiti, nemmeno preoccupandosi se si potevano rompere o no. Odiava anche quelli, perché se li vedeva pensava solo a come Rick glieli aveva tolti, uno per uno, non li immaginava sul suo corpo ma buttati a terra, insieme a quelli di lui, uniti ed intrecciati proprio come erano loro. Poi, in fondo sul piano di legno, afferrò distrattamente una maglia, una tshirt blu con lo scollo a V, un po' larga e sformata e la rabbia diventò di nuovo pianto quando se la portò istintivamente al volto: era la maglietta con cui Castle preferiva dormire, aveva il suo profumo e chiudendo gli occhi si illuse che aveva ancora il suo calore. Tante volte la mattina quando lui se la sfilava per andare a farsi una doccia lei la recuperava dal fondo del letto e con la scusa di piegarla la teneva con se, come un neonato con il peluche preferito, per scaldare il suo cuore per quei pochi minuti della sua assenza, quando era ancora calda della sua pelle.

Mentre piangeva senza riuscire a fermarsi su quel pezzo di stoffa dimenticato lì da Castle o dal destino che voleva ferirla ancora per quello che aveva fatto a lui, a lei e a loro, inspirava a pieni polmoni il suo profumo che arrivava come aghi dritto nei polmoni, così buono da fare male. “Lo sto facendo per lui. Lo sto facendo per il suo bene” si ripeteva. Sarebbe stato difficile, sapeva che già lo era. Ma Castle aveva mille motivi per stare bene ed andare avanti anche senza di lei. Era un uomo brillante con molte persone che gli volevano bene e si preoccupavano per lui, ce l’avrebbe fatta.

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La Gates si era infuriata. Suo padre l’aveva supplicata di ripensarci, Lanie aveva cercato di convincerla inutilmente, ma Kate Beckett aveva deciso, sarebbe tornata nel suo appartamento. Doveva chiudere quella parentesi della sua vita, doveva tornare a quella che era sempre stata, prima dell’aggressione, prima che Castle entrasse nella sua vita, nella sua mente, dentro di lei con ogni sua molecola, nel suo mondo sconquassandolo e stravolgendolo. Doveva fare in modo che tutto quello non fosse mai esistito, doveva erigere di nuovo i suoi muri e barricarsi lì dietro, nascondendosi a tutto soprattutto ai suoi ricordi ed ai suoi sensi. 

Premeva per tornare a lavoro ma i suoi medici erano inflessibili, sia Burke e che il medico dell’ospedale sostenevano che non era ancora pronta. Nonostante questo ufficiosamente aveva ricominciato ad indagare da sola. Appena arrivata nel suo appartamento come prima cosa aveva riaperto le ante della sua lavagna personale ed aveva aggiornato con quello, poco, che sapeva. Pensare a quello l’aiutava a tenere la mente occupata e a liberarsi del pensiero ingombrante e doloroso di Castle che però inevitabilmente tornava ogni volta che pensava a questo o quell’evento che avevano vissuto insieme. Di fatto nella sua vita negli ultimi 4 anni erano ben poche le cose che non fossero direttamente legate a lui, si era accorta che lui era in ogni suo ricordo, volente o nolente, anche in quelli personali e privati che avrebbero avuto ben poco a che fare con lui se non fosse che adesso anche se pensava ai suoi ex, di fatto non riusciva a non pensare a lui, a come tutte quelle storie sbagliate e quei rari incontri casuali erano solo per non ammettere a se stessa che era di altro che aveva bisogno, che quelli erano solo modi per non impegnarsi. Con Castle sì, si sarebbe impegnata. Con lui, vedeva il suo futuro, per la prima volta non da sola ma con qualcuno al suo fianco ed era riuscita anche ad immaginarsi una famiglia. Le venivano i brividi adesso al pensiero di quel sogno lucido e doloroso. Provava malinconia e nostalgia per quella se stessa che non c’era mai stata se non come un flash nella sua mente, una proiezione mentale che le aveva scaldato il cuore. Si poteva rimpiangere qualcosa che non si aveva mai avuto, qualcosa che non era mai stato? Kate ne rimpiangeva l’idea, il sogno di aver accarezzato la possibilità che anche per lei ci fosse spazio per avere una vita normale, quella che sognava da ragazzina e che per anni aveva cancellato dalla sua mente. Doveva cancellarla di nuovo, insieme a Castle e a tutto quello che lui rappresentava. E Castle rappresentava tutto anche se ammetterlo era pericoloso e doloroso.

—

Passava spesso al distretto. Così spesso che molti dei suoi colleghi la consideravano a pieno titolo di nuovo effettiva anche se non lo era. La Gates non aveva accettato all’inizio di buon grado la sua presenza, poi si era accorta che, come sempre, le sue osservazioni e le sue intuizioni erano più che preziose. Così quando stavano ricostruendo per l’ennesima volta i fatti di quella notte, Kate fece una domanda alla quale nessuno aveva dato una risposta che risultava soddisfacente. Il suo cellulare era scomparso, ma perché nessuno aveva pensato di tracciare i suoi spostamenti? A casa di Flynn non c’era, quindi di sicuro non era lui ad averlo preso. Esposito più di tutti gli altri cercò di giustificare la mancanza dicendo che sicuramente uno esperto come Maddox non lo avrebbe tenuto, che probabilmente lo aveva preso qualche ladruncolo senza scrupoli di sincerarsi se lei fosse ancora viva. L’ispanico sapeva che se avessero tracciato il numero avrebbero scoperto cosa era accaduto e lui sarebbe stato nei guai: aveva sottratto una prova dal luogo di un tentato omicidio ed aveva mentito ai suoi colleghi ed amici. Sapeva, inoltre, che anche Castle avrebbe avuto la sua dose di guai e visti i rapporti, o non rapporti, che c’erano tra lui e Kate non sarebbe stato il massimo per nessuno dei due. Javier sapeva che Rick non aveva detto nulla a Beckett ed ora quella bomba stava per esplodere tra le mani di tutti, visto che Kate era decisa ad avere quei tabulati e anche se non era ufficialmente in servizio nessuno di loro disse più nulla dopo che aveva fulminato Esposito con lo sguardo per le sue obiezioni.

Passò poco più di un giorno da quando Kate aveva fatto quella richiesta, spalleggiata da Price che si dava dello stupido per non averci pensato prima, a quando Kevin la chiamò per dirle di andare al distretto.

- Beckett… c’è una cosa che devo dirti… - Ryan si rigirava un foglio tra le mani sotto lo sguardo inquisitore di Kate - Ho analizzato gli ultimi movimenti del tuo cellulare dopo… dopo quella sera… E… Beh… Guarda tu stessa…

Kevin le passò il foglio che cominciò a leggere: celle segnalate, quadranti di riferimento, percorsi e tutto il resto. Non c’erano molti dubbi. Kate sbattè i fogli sul tavolo. C’era rabbia, delusione e tristezza. Price lesse i risultati e ordinò a due agenti di andare a prendere il sospettato e portarlo al distretto. Subito. Era la prima volta da quando era arrivato al dodicesimo che Nick si prendeva la libertà di agire in completa autonomia: Beckett, Esposito e Ryan lo guardarono stupiti senza dire nulla. Ma legalmente aveva ragione lui e non potevano farci nulla.

Castle uscì dall’ascensore tenuto sottobraccio da due agenti. Ai suoi polsi luccicava il metallo delle manette. Percorse il corridoio e gli fece male più che quella situazione che non capiva e non voleva capire, vedere che la sua sedia era ancora lì. Quello fu doloroso, più di una di quelle manette troppo stretta con poco riguardo dallo zelante agente, tanto che pensò avesse fatto apposta ma non disse nulla. Aveva a mala pena capito quello che gli avevano detto. Era in arresto per l’aggressione a Beckett. Il suo cervello si rifiutò di sentire altro. Si lasciò ammanettare e portare via come un burattino, ringraziò solamente che in quel momento era a casa solo, per evitare il dolore e l’umiliazione alle sue due chiome rosse.

In macchina mentre lo portavano lì non provò nemmeno a capire cosa voleva dire tutto quello. Pensava solo che l’avrebbe rivista, probabilmente, dopo quasi due settimane da quando aveva sentito le sue mani stringergli il volto e nei suoi occhi aveva letto il suo stesso dolore mentre lo mandava via. Voleva chiedergli perché ma non aveva più avuto il coraggio di farlo. Aveva vissuto per lo più il suo dolore da solo. In camera o seduto in qualche parco a guardare il nulla. Non aveva più scritto e non aveva intenzione di farlo, almeno per ora. Non vedeva quello come un arresto ma come la possibilità di vederla e di parlarle. Al resto, poi, avrebbe pensato il suo avvocato.

Riuscì a focalizzare la sua sedia solo per un istante, si era fermato involontariamente, ma uno dei due agenti lo strattonò obbligandolo a seguirlo nella sala interrogatori. Prima di entrare incrociò lo sguardo di Esposito dispiaciuto e teso, ma non gli diede peso. Ora era seduto dalla parte opposta di dove solitamente sedeva con Kate, era lì dove lei lo aveva fatto sedere la prima volta, quando lo aveva arrestato. Ma in quella occasione era decisamente più sfrontato e sicuro di sè di quanto non lo fosse in quel momento, puntava a fare colpo su di lei ad annoverarla tra le sue conquiste, quella graziosa e troppo decisa poliziotta con il volto ancora da ragazzina. Non aveva ancora scoperto tutta la meraviglia di Kate Beckett che ora, invece, amava sotto ogni punto di vista. Non conosceva le sue paure e la sua forza, la sua dolcezza e la determinazione, forse aveva intravisto in lei qualcosa di più o era solo una sfida. Erano passati quattro anni, lo aveva reso l’uomo più felice e più triste del mondo ed era sempre la sua sfida.

Quando Castle sentì la porta aprirsi sobbalzò e fece un profondo respiro prima di alzare lo sguardo e cercare gli occhi di Beckett: non li trovò mai. Erano entrati i due agenti di prima che lo fecero alzare senza troppa cortesia e lo condussero in un’altra stanza.

Fuori dalla sala interrogatori Kevin, Kate e Nick avevano raggiunto Javier. Volevano sentire anche loro cosa aveva da dirgli Castle, perché il cellulare di Kate lo aveva seguito nei suoi spostamenti subito dopo il fatto.

- Certo, così tutto torna. - Esordì Price che era rimasto, pensieroso, in silenzio, fino a quel momento, attirandosi gli sguardi perplessi degli altri tre.

- Cosa è che torna Nick? - Chiese Kevin.

- Castle. Tutto quello che ha fatto. C’è lui dietro tutta questa storia! Andiamo ragazzi, come avete fatto a non pensarci? Tu Kate irrompi per caso nella sua vita e lui casualmente decide di seguirti, facendoti da ombra in tutto quello che fai. Diventa vostro amico, ti fa riaprire il caso di tua madre e ti è sempre vicino. 

- Cosa vuoi dire Price? - chiese aggressivo Esposito

- Ho studiato e fatto ricerche. Quante volte Castle ha rischiato di morire? Eppure ne è uscito sempre illeso. Con Cooman che ti ha costretto ad ucciderlo. Si è accorto guarda caso troppo tardi del cecchino, è sopravvissuto all’agguato prima e all’esplosione della sua auto poi, per miracolo. Quanto è fortunato quest’uomo? È possibile? 

- Nick, ma cosa stai dicendo? - chiese Kate adirata con lui per quelle insinuazioni.

- Pensaci Kate, non si sa nulla di lui, chi è suo padre? E se ci fosse lui dietro questo? Se in realtà tutto quello che sta facendo è per quella parte misteriosa della sua famiglia? Come fai ad essere così sicura di lui, Kate? Sei sempre sicura di lui! - sembrò quasi rimproverarla per questo e lei stava per rispondergli infastidita dal suo atteggiamento, quando arrivò la Gates.

- Signore, c’è una cosa che dovrei dirle. - Esposito aveva bloccato la Gates poco prima che andasse ad interrogare Castle. Voleva farlo personalmente, convinta di essere l’unica, tra loro, che sarebbe riuscita a mantenere imparzialità: Esposito e Ryan erano suoi amici e Price gli era palesemente ostile.

Il capitano si fermò seccata dell’interruzione del suo detective.

- Qualunque cosa sia, me la dirà dopo, Esposito. Ora devo interrogare il signor Castle. - Fece un gesto con la mano per spostarlo ma lui le si parò davanti.

- Aspetti, Capitano. Riguarda proprio questo. Sono stato io a portare il cellulare di Beckett a Castle. 

I quattro lo guardarono allibiti, la Gates indietreggiò di un passo fissando il suo detective negli occhi.

- Cosa ha detto Detective Esposito?

- Ho preso il cellulare di Beckett e l’ho portato io a Castle. - Ripeté l’ispanico cercando di darsi forza da solo.

- C’è un valido motivo per cui lo ha fatto? - chiese tagliente il Capitano.

- Sì, signore. 

- E sarebbe Esposito?

- Una cosa privata che riguarda il detective Beckett e Castle, ma…

- Nessun ma, Detective. Mi segua nel mio ufficio. 

Esposito ne uscì qualche minuto dopo. Sospeso per 2 settimane senza stipendio e poi la commissione degli affari interni avrebbe giudicato la sua posizione. Kevin era sinceramente dispiaciuto per il suo amico, mentre Price sembrava che lo fosse di più perchè Castle non era immischiato. Kate prese da parte l’ispanico, voleva delle spiegazioni e le voleva subito.

- Mi dispiace Beckett. Io… ho letto il tuo messaggio, quello che non avevi ancora inviato. Per questo ho portato il telefono a Castle. Tu eri molto grave e lui era giusto che sapesse.

- Non dovevi farlo Javier. Non dovevi metterti in mezzo in questa cosa. - lo rimproverò.

- Se lo hai scritto volevi mandarlo, no? Se quando pensavi che stavi per morire hai pensato solo a lui vuol dire che lui era importante, non è vero Kate? Beh, per me doveva saperlo e non mi importa delle conseguenze.

- Dovevi dirmelo subito. - gli disse con rabbia.

- Non spettava a me farlo. Non puoi prendertela con me. 

Mentre Esposito se ne andava mestamente Kate sentiva il suo stomaco rimpicciolirsi. Tutte le sensazioni provate in quel vicolo tornarono prepotenti nella sua mente. Stava per morire e voleva far sapere a Castle che anche lei lo amava, e avrebbe solo voluto avere del tempo per dimostrarglielo. Lo aveva avuto, lo aveva amato come non pensava poter essere in grado di amare. Aveva tempo, adesso, ma non poteva avere lui, non doveva volere lui. E si sentiva morire, proprio come in quel vicolo.

—

Dove lo avevano portato non era una stanza per gli interrogatori. Qualche volta era stato lì con Kate per parlare con alcuni testimoni o parenti delle vittime, però, in sostanza si differenziava solo per l’assenza del vetro di osservazione: c’erano 4 sedie ed un tavolo e questo era tutto. Castle se ne stava seduto da una parte le mani ammanettate poggiate sul piano cercando di muoversi il meno possibile per evitare ulteriore fastidio. Quando la porta si aprì questa volta sì girò di scatto e sentì un corto circuito interno quando i loro occhi si incrociarono brevemente prima che lei spostasse lo sguardo. Appoggiò un fascicolo sul tavolo e si sedette davanti a lui. Gli osservò le mani e prese le chiavi per liberarlo: fu un attimo, ma come si avvicinò, Rick invece che sperare che lo facesse presto fermò la mano di Kate prendendola con la sua. Guardavano entrambi le loro mani unite, con la sensazione stupita che fosse naturale. Beckett fu sorpresa ma non riuscì immediatamente a liberarsi, sentire le sue dita sfiorarla ancora, le loro mani unite ancora era un tuffo in quel passato che voleva, doveva, dimenticare ma non ci riusciva, né a lasciare la sua presa né a dimenticarlo. Le sue dita erano sempre così morbide e solo quando inavvertitamente toccò l’acciaio delle manette si ricordò cosa doveva fare. Come Rick la sentì muoversi lasciò la presa e Kate gli fu intimamente grata per non dovergli chiedere altro. Aprì le manette e gli accarezzò i polsi per sfilarle, molto più di quanto avesse intenzione di fare nella sua mente, ma le mani sembravano seguire indicazioni dettate da altri, non da lei, da qualcuno che preferiva accertarsi che stesse bene e deglutì rumorosamente quando vide il segno rosso lasciato sul suo braccio sinistro. Riuscì con fatica a resistere alla tentazione di accarezzarlo di nuovo focalizzandosi sul perché era lì, su quello che gli doveva dire ma non riusciva a parlarci. Tutta la sua sicurezza si era sciolta nel momento in cui lui aveva preso la sua mano, e con un semplice tocco aveva sgretolato di nuovo le poche macerie del muro che era riuscita a fatica a provare a ricostruirsi intorno, ma aveva troppe crepe ed era troppo facile per lui trovare il modo di arrivare a lei, era sempre troppo facile per Castle aggirare le sue difese.

Beckett si sedette davanti a lui, stando bene attenta a non incrociare mai il suo sguardo: aveva aperto il fascicolo davanti a se e teneva gli occhi ben fissi su quello, alzandoli solo di sfuggita per vedere cosa stesse facendo. Lo vide massaggiarsi i polsi, sembrava distratto e noncurante di essere lì e del perché.

Il silenzio tra loro cominciava ad essere imbarazzante. Doveva essere lei a parlare, ma si trovò nell’insolita sensazione di non sapere cosa dire o fare. Quello non era un interrogatorio, lei non aveva nemmeno la possibilità di farlo non essendo ancora tornata a lavoro. La Gates le aveva concesso quel confronto, in quel luogo sarebbe stato più facile.

- Grazie - le disse Rick rompendo il silenzio ma lei non ripose. - Le avevano strette un po' troppo. Preferivo quando me le mettevi tu.

Kate sentì il suo cuore sparire per qualche istante dal suo petto. Stava lasciando che lui portasse avanti la discussione sui suoi binari e non poteva permetterlo, perché sapeva che avrebbe minato le poche certezze che si era imposta.

- Perché lo hai fatto Castle? - disse con la voce più autorevole che riusciva a fare, ma ne venne fuori qualcosa che sembrava più una supplica.

- Io… io non ho fatto nulla Kate. Andiamo, non puoi denunciarmi per aggressione per quella sera in hotel, lo sai non ti farei mai del male. Credimi. - Era addolorato e triste e lei dovette fare uno sforzo incredibile per non andarlo a consolare, a dirgli che lei gli credeva, che non poteva mai credere a nessuna accusa nei suoi confronti. 

- Non si tratta di quello, Castle. Stiamo parlando del mio ferimento. Perché hai tu il mio cellulare? - disse tutto d’un fiato con lo sguardo fisso altrove. Si era alzata ed appoggiata di lato al tavolo. Non lo guardava, non era forte abbastanza.

- Io… non è come sembra Kate. Non puoi credere che io sia coinvolto in questo. Kate… guardami. Non puoi pensarlo.

- Voglio solo sapere perché lo hai tu e perché non mi hai detto nulla.

Rick sentì il gelo nella sua voce e si irrigidì a sua volta.

- Credo che sia meglio che chiami il mio avvocato adesso. - Sospirò mestamente

- Non sei in arresto Rick, questo non è un interrogatorio ed io non sono un poliziotto. Voglio solo sapere il perché. Mi devi delle risposte almeno.

Castle sembrò confuso. La guardava cercando lui delle risposte. Perché era lì allora? Non poteva tradire Esposito, avrebbe passato dei guai e non sarebbe stato giusto. 

- Esposito ha detto che è stato lui a portartelo. Perché non mi hai detto nulla Rick? Perché? - si era voltata e lo guardava negli occhi dall’alto in basso. Vedeva negli occhi di lei un luccichio che ben conosceva, di quando faticava a trattenere le emozioni.

- Cosa dovevo dirti? Che sapevo che anche tu mi amavi? Che quando stavi per morire avevi cercato me? Dio mio Kate! Ti sembrava così strano che avrei voluto sentirmelo dire da te? Lo sai come sono stato in quei giorni quando i medici non sapevano se ce l’avresti fatta? Lo sai quante volte mi sono sentito in colpa, mi sono chiesto se ti avessi risposto subito se tu ti saresti salvata?

- Cos’è Castle, una vendetta? Dato che io ti avevo detto di non ricordare le tue parole tu hai fatto finta di non sapere del mio messaggio? Volevi rendermi lo sgarbo? È su questo che si è basata la nostra storia? Su uno scambio di bugie?

- Cosa stai dicendo Kate? E poi adesso che senso ha parlare su cosa si è basata una storia che per te evidentemente non ha avuto alcun significato? Forse le bugie erano altre, erano quelle dette visto come hai spazzato tutto via, come hai cancellato noi con un colpo di spugna.

- Non cambiare discorso Castle!

- Cambiare discorso? Perché ti preoccupa tanto sapere che io avessi letto il messaggio eh? Perché quando uno sta per morire o sta per perdere la persona che ama è sincero? Ti spaventa la sincerità Kate? Allora la vuoi la mia sincerità? Io ti amo. Ti amo e volevo passare tutta la mia vita con te.

Le si voltò di nuovo interrompendo il loro contatto visivo.

- Vedi? Hai paura della mia sincerità. O forse ti faccio pena, perchè mi sono illuso che importasse anche te di noi? Io ti credevo quando dicevi di amarmi, sono stupido eh? Dovevo saperlo che era troppo per essere vero.

- Basta Castle.

- No Kate, adesso mi ascolti. Non sono io che ti ho lasciato senza spiegazioni e tu pretendi delle risposte da me? Potevi almeno essere sincera, dirmi che avevi solo bisogno di qualcuno che ti facesse compagnia, senza implicazioni. Ti sarei stato vicino, ci saremmo divertiti ugualmente, ma non mi sarei illuso.

- Pensi veramente questo? - Chiese non sapendo se essere dispiaciuta o sollevata.

- Cosa dovrei pensare? Una persona che ti ama non ti lascia come hai fatto tu. Non ti dice che quello che c’è stato tra noi è tutto finto. Mi hai detto che è finto, capisci Kate? Che i nostri baci erano finti, che quando facevano l’amore era finto, che quando ti addormentavi su di me e ti abbracciavo era finto, quando mi prendevi il volto tra le mani e mi guardavi prima di baciarmi era finto. 

- Ti prego Castle.

- Cosa c’è Beckett? Non può farti male qualcosa di finto, quindi ora non fingere che ti dispiace. Non voglio la tua pietà. Ho sbagliato a non dirti che sapevo del tuo messaggio, è vero. Ma io non ti ho mai mentito quando ti dicevo che ti amavo, che ti amo.

- Perché continui a dirmelo Castle? Che cosa vuoi da me adesso?

- Niente, non voglio più niente. Tu hai deciso per noi, per me e per te, di far finire tutto, ma non puoi decidere quando io smetterò di amarti e nemmeno impedirmi di dirtelo. Tanto per te non vuol dire nulla, quindi, non ti deve importare.

- Mi dispiace Castle.

- Di cosa? Di avermi illuso, preso in giro, mentito… Perché tu mi accusi di averlo fatto, ma la prima a mentirmi sei stata tu. O quando mi dicevi di amarmi o quando mi hai detto che è tutto finto. E non so cosa sia peggio.

Rick si alzò e arrivato alla porta della stanza prima di uscire si fermò a guardarla. Si stava mordendo il labbro inferiore come faceva sempre quando era troppo nervosa o… non voleva pensarci all’altro caso nel quale lo faceva. Teneva le braccia incrociate sul petto, chiusa a lui e al resto del mondo.

- Se non sono indagato, in arresto o niente di tutto questo io me ne vado. Addio Kate.

La lasciò lì, era lei che doveva metterlo in un angolo, lo aveva fatto lui. Aveva sentito nelle sue parole quella rabbia che sperava di sentire dall’inizio, quando invece c’era solo amore. Doveva esserne felice, era quello che voleva, che lui fosse arrabbiato con lei, che la odiasse fino a dimenticarla, eppure le faceva male: non c’era niente di più vero di quello che c’era stato tra loro, del suo amore per lui, dovergli far credere che invece non era così la lacerava ma era necessario per lui, per la sua sicurezza. Sapeva che dopo tutto questo tra loro non ci sarebbe potuto più essere nessun futuro, nemmeno se e quando avrebbe risolto il caso che prima era di sua madre ed ora era diventato anche il suo. Era una strada dalla quale non poteva tornare indietro, era un tunnel infinito di rimpianti, aveva buttato via la sua possibilità di felicità con la persona che amava di più e l’aveva fatto solo per preservarlo, perché lo amava di più della sua stessa felicità ma non poteva dirglielo. Aspettò qualche minuto ed uscì anche lei, Kevin e Nick la aspettavano fuori. Avevano visto andare via Castle come una furia, percorrere il corridoio ad ampie falcate fino all’ascensore chiamato premendo il pulsante con eccessiva violenza.

- Non è andata bene vero? - sì azzardò a chiedere Ryan.

- È andata come doveva andare. - sospirò Kate.

L’irlandese non disse altro, annuì senza aver veramente capito le parole della sua amica, tornando alla sua scrivania.

- Dovresti tornare a casa adesso - Price le porse un fazzoletto per asciugarsi gli occhi arrossati: non stava piangendo ma era un suo evidente gesto per farle capire che sapeva che lo aveva fatto.

- Sì, dovrei… È meglio. - Beckett si avviò verso l’ascensore senza accorgersi che Nick la seguiva. Quando si voltò e lo vide dietro di se lo guardò con aria interrogativa.

- Ti accompagno. - Non era una domanda quella del detective

- Non serve, c’è chi mi guarda le spalle. - Disse Kate sarcastica

- Non voglio guardarti le spalle, ma offrirti la mia per sfogarti.

- Non credo accadrà, Nick. - rispose secca

- Allora permettimi solo di esserti vicino. Come amico, naturalmente. Non ti fa bene stare sola, lo sai.

Beckett accetto sospirando. Non era la sua presenza che avrebbe voluto e sì, avrebbe preferito stare sola a macerarsi nel suo dolore, ma doveva cercare una via di fuga. Giunti al parcheggio si incamminarono verso la macchina di Price che aprì lo sportello a Kate per farla entrare mentre i suoi agenti di scorta la seguivano sull’altra auto. Nessuno si accorse che Castle era ancora lì, appoggiato alla sua auto ed aveva visto tutta la scena con i pugni serrati, la mascella contratta e il cuore in mille pezzi sull’asfalto.

Rick osservava il parcheggio vuoto dove c’era la macchina si Price, incapace di muoversi. L’aveva voluta aspettare, aveva visto la macchina della sua scorta ed era rimasto lì vicino per attendere che scendesse, per parlarle, ancora una volta. Perché voleva che gli dicesse che non lo amava, guardandolo negli occhi, perché lui non ci credeva. L’aveva attaccata per provocarla, per ferirla, per vedere una reazione che non c’era stata. Gli era sembrata inerme alle sue parole, fredda ma solo di facciata, ormai la conosceva quel tanto che bastava per capire quando mentiva. Aveva visto in lei una ferma volontà di mantenere la sua decisione di tenerlo a distanza, non si sarebbe mai aspettato però di vederla uscire così poco tempo dopo con Price, salire in macchina con lui, regalargli perfino un sorriso. Gli fece male quel sorriso più di quanto avrebbe mai immaginato. Lui pensava di non essere più in grado di sorridere.

- Castle… - la mano di Esposito di poggiò sulla sua spalla - … amico, tutto bene?

- No. - rispose sinceramente.

- Cosa è successo tra te e Beckett? È per il cellulare? - si preoccupò l’ispanico.

- No… Già da prima. Non so cosa… Beckett ha deciso così. - disse sconsolato - Ora è meglio che vada. Mi dispiace Javier. Non volevo che ci andassi tu si mezzo.

- È stata una mia scelta Castle. Avevo bisogno di un po' di ferie - provò a sdrammatizzare.

Rick era rimasto a fissare il parcheggio vuoto dove c’era la macchina di Price. Effettivamente no, non riuscì a sorridere.

- Amico, mi dispiace solo che tra te e Beckett non… - Castle lo interruppe annuendo con la testa e facendogli un cenno con la mano. Non voleva nemmeno sentirlo dire. Gli diede due pacche sul petto e si allontanò mestamente alla ricerca di un taxi, dopo aver declinato l’invito di Esposito ad accettare un passaggio. Salì sul primo che trovò ma dopo pochi chilometri scese, la strada era tutta bloccata e si sentivano solo sirene in lontananza. Se la sarebbe fatta a piedi, ora che aveva rinunciato alla sua scorta non senza andare contro la Gates ed i consigli dei suoi amici, poteva almeno passeggiare da solo. 

—

Kate non si era accorta della presenza di Castle, né del suo sguardo fisso su di lei, né del rumore del suo cuore frantumato sull’asfalto del parcheggio.

Seduta vicino a Price non si accorgeva nemmeno degli sguardi che Nick le rivolgeva sempre più spesso mentre lei guardava distrattamente fuori dal finestrino. 

- Delusa? - Chiese all’improvviso il detective aggiustando lo specchietto e guardando le auto dietro

- Di cosa? - Kate sembrò ridestarsi dal suo mondo mentre rispondeva svogliatamente.

- Di Castle.

- No. Fa solo male adesso. 

- Noi uomini siamo specialisti in questo, far soffrire le donne come te, quelle che sembrano più forti. - ammise come uno che sapeva bene di cosa stesse parlando. Kate diede poco peso al suo tono.

- Non è lui ad avermi fatto soffrire. Sono io che sto facendo soffrire entrambi.

Price però sembrava non ascoltarla più, guardava nervosamente nello specchietto retrovisore, fino a quando svoltò in modo brusco su una strada laterale.

- Non è da qui che si va a casa mia, Nick. - lo riprese Beckett

- Lo so. Ci stanno seguendo. Dietro la macchina di scorta, quel suv grigio.

Kate osservò lo specchietto e alla curva successiva presa da Price in modo troppo veloce la vide anche lei ed il suo viso si costrinse in una smorfia mentre Nick accelerava sempre più. Poi dovette solo inchiodare, lasciando una scia nera di pneumatici sull’asfalto.

- Stai giù! - urlò a Kate mentre sentivano solo colpi di armi da fuoco e una macchina poco dopo sparire tra i vicoli.

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Rick camminava per le vie di Manatthan tra sirene ed autisti imprecanti. Il suo cellulare squillò ed il volto sorridente di Bob, il sindaco, apparve sul display.

- Ciao sindaco - rispose lo scrittore cercando di essere il più cordiale possibile.

- Ciao Ricky! Sei libero stasera? Will mi ha avvisato poco fa che oggi è in città e cosa di meglio fi un poker da Castle per passare una bella serata?

- Ma certo, dammi solo il tempo di organizzarmi. Alle 20:00 da me? - Era una buona occasione per distrarsi, per non pensare a lei.

- Perfetto. Avviso gli altri! Ciao Ricky e grazie!

Poco dopo le 20:00 erano arrivati tutti, tranne Bratton, il capo della polizia.

- Allora, cominciamo? - Chiese il sindaco addentando un’altra tartina.

- Questa sera il tuo amico poliziotto ci fa aspettare! - Disse Rick a Weldon mentre beveva un generoso sorso di whisky.

- Ehy scrittore, ma dove hai vissuto oggi pomeriggio? Dopo tutto quello che è successo oggi Bratton ha altro da fare che un poker!

- Cosa è successo Bob? Qualche importante evasione come il mese scorso? O hanno arrestato qualche pezzo grosso corrotto di Washington - si lasciò sfuggire Castle in una risata nervosa.

- Non ti hanno avvisato Castle? - chiese sorpreso il giudice Markway versandosi un altro bicchiere di liquore.

- No, di cosa? - Rick mangiava svogliatamente delle olive infilandole con uno stuzzicadenti colorato prendendole dal piatto di design che non si ricordava più a da quale artista squattrinato aveva comprato.

- Hanno fatto un agguato alla scorta di Beckett. Sono stati uccisi i due agenti che erano nell’auto. Lei fortunatamente era con il detective Price, sono usciti illesi.

Castle per poco non si strozzò la tentazione di chiamarla fu immediatamente fortissima, ma negli occhi gli tornava solo il suo sorriso a Price. Era stato lui al suo fianco a proteggerla. Era stato lui ad abbracciarla, sicuramente, dopo lo scampato pericolo. Era a lui che si era aggrappata cercando sostegno. Cosa le avrebbe detto, adesso, dopo ore? Sì versò ancora whisky che bevve tutto d’un sorso.

- Rick, pensavo lo sapessi, visti i rapporti tra te e Beckett. - Aggiunse il giudice

- Beckett era solo la mia partner quando facevo le indagini per Nikki Heat. - disse sforzandosi lo scrittore.

Il silenzio nel loft tra i quattro uomini con i loro bicchieri in mano fu interrotto da Bracken.

- Comunque Castle, non c’è che dire, tra te e la tua musa, non si sa chi è più fortunato! - sorrise il senatore

- Quando tentano di ucciderti tre volte in un anno non la chiamerei fortuna, Will. - La volontà di difenderla era comunque più forte di tutto.

- Dai Rick, Bracken ha solo fatto una battuta. - Provò a stemperare il sindaco.

- Sono morti due uomini, non credo sia il caso di fare battute. - puntualizzò Castle.

- Rick ha ragione - si intromise Bracken - è stata una battuta fuori luogo. Se volete rimandiamo la serata.

- No, andiamo, giochiamo. - Lo fermò Castle.

I quattro si ritrovarono così intorno al tavolo carte in mano, in una serata che sembrava favorire il senatore Bracken, al quale erano capitate un paio di buone mani ed aveva ottenuto un bel gruzzolo.

Rick cercava di concentrarsi sempre più sulle carte anche se gli era oggettivamente difficile non pensare a Kate, a con chi era, a come si sentiva ed a cosa faceva. 

- All in! - Esclamò Bracken dopo aver guardato le carte appena pescate. Il sindaco ed il giudice passarono, solo Rick ancora osservava in silenzio le sue carte.

- Diavolo Will! Sei sempre il solito drago! Questa sera vuoi farci fuori tutti! - Esclamò Weldon suscitando una risata tirata da parte del senatore.

- Bob erano anni che non sentivo quel soprannome. - Bracken era in evidente disagio

- Quanti William? Venti forse? - Aggiunse il sindaco divertito

- Oh sì più o meno. Quando ancora cercavo di fare pulizia in questa città. 

- All’epoca ancora eravamo bei ragazzi che inseguivano i propri sogni! - sospirò nostalgico il primo cittadino.

- Dai Bob, tu sei sempre un bel ragazzo ed io inseguo sempre il sogno più grande. - Esclamò il senatore.

- Come va la tua candidatura per le primarie? - chiese il giudice.

- Bene. Abbiamo raccolto abbastanza fondi dai nostri sostenitori per fare una bella campagna elettorale e poi puntare dritti alla casa bianca, ma questo ancora è confidenziale!

- Potrai aggiungerci la vincita di stasera, allora, a Rick non sembrano essere entrate le giuste carte!

Risero tutti e tre osservando il silenzio e lo sguardo cupo e preoccupato di Castle.

- No direi di no… - Disse Rick buttando sul tavolo il suo poker di Jack e mischiandolo con il resto del mazzo mentre Bracken prendeva tutto il piatto. - complimenti senatore, oppure anche io questa sera dovrei dire “Drago”.

Sottolineò con particolare enfasi l'ultima parola e i due si fissarono negli occhi a lungo in silenzio.

- O futuro presidente! - disse il sindaco che non aveva colto il gelo tra i due.

- Ma certo, al futuro presidente! - Disse Rick alzando il bicchiere. Tutti i pezzi del puzzle sembravano immediatamente andati al loro posto. Le indagini in biblioteca che avevano portato a quella società che finanziava una campagna elettorale ancora non annunciata, le lettere WB, il periodo, il ruolo, l’interesse per Beckett. Bracken lo aveva usato. Da tempo il suo maggior nemico, la causa di tutta la sua sofferenza, chi gli aveva portato via Kate facendola allontanare, era a sua casa e lui non poteva fare niente.

 - Beh arrivederci Castle, credo che ci incontreremo sicuramente molto presto.  - lo salutò sibillino il senatore

- Lo credo anche io Bracken! - rispose deciso Rick

- E mi raccomando, cercate di essere sempre fortunati tu e Beckett! - Aggiunse un ghigno che solo lui colse, mentre gli altri ridevano e lui chiudeva il portone del loft carico di rabbia.

—

Finito il frastuono Kate si accorse del corpo di Nick sopra il suo. Immediatamente lo allontanò anche se lui cercava di tenerla lei si divincolò ed uscì malgrado le sue urla di rimanere dentro per essere al sicuro. Si precipitò verso l’auto di scorta dove vide i vetri in frantumi ed i corpi trucidati dei due uomini. Nick l’aveva raggiunta e cercò di abbracciarla per consolare il suo pianto nervoso ma lei lo scacciò accovacciandosi sola contro l’auto distrutta.

Price e Beckett erano in una stanza del distretto. Erano tornati indietro appena avevano potuto spostarsi da lì. Fortunatamente la sua auto di servizio con i vetri blindati li aveva protetti.

Con loro la Gates ed il capo della Polizia camminavano nervosamente per la stanza, mentre  Kate era seduta al grande tavolo e si teneva la testa tra le mani. Il suo unico pensiero era per quei due ragazzi, padri di famiglia, morti a causa sua. Aveva la nausea solo a pensarci e dovette scappare in bagno per vomitare dal nervoso.

- Tutto bene? - Le chiese Nick in corridoio porgendole un fazzoletto.

- No. - rispose lei asciutta mentre rientrava nella stanza.

- Capitano, Signore… - Disse Beckett rivolta ai due superiori nella stanza - Non se ne parla. Non metterò a repentaglio la vita di altre persone per salvare la mia. Due moglie e dei figli non rivedranno i loro mariti e padri per salvare me che non ho nessuno. Non lo accetto, non voglio.

- Non è una cosa che può decidere Detective. - Annunciò Bratton scavalcando la Gates che stava per parlare. - Questa storia sta diventando sempre più grossa e complicata è evidente che vogliono lei ed io voglio che venga scoperto il perché e che lei sia al sicuro. 

- No, Signore. Non lo posso permettere.

- Non deve essere lei a permetterlo Beckett. È così, ne prenda atto. Abbiamo trovato una soluzione. - Kate guardò la Gates perplessa.

- Io non ho nessuno. Sarò io la tua scorta. Così male che vada non dovrai essere i colpa per me. - Nick sorrise e Kate lo guardò riluttante ma non poté dire nulla.

- La destinazione la sa Detective. Partirete domattina. Nessuno tranne noi quattro sarà a conoscenza del luogo del suo rifugio. Se vuole può chiamare suo padre ma mi raccomando non gli dica nulla. Una pattuglia la accompagnerà a casa a prendere tutto il necessario. 

- Non voglio vivere così. - Protestò Beckett.

- L’alternativa è non vivere, detective - la rimproverò Bratton.

- Sarebbe meglio allora. - disse lei tra i denti. La Gates prima di uscire le passò una mano sulla spalla, in un inusuale segno d’affetto e comprensione. 

Kate bussò alla porta della casa di suo padre, lo fece lievemente, quasi non volesse che lui la sentisse, sarebbe stato tutto forse più facile: aveva deciso di fare di testa sua, non le bastava salutare Jim con una telefonata, spiegare quanto era accaduto e quello che sarebbe stato dal giorno dopo in poi, lo voleva vedere, e questo lo doveva più a lui che a se stessa, sarebbe stato più facile al telefono e sarebbe stato meno doloroso, ma non sarebbe stato giusto.

Price la aspettava fuori, in macchina, di fatto l’aveva accompagnata per tutta la giornata dopo quanto accaduto, la sua presenza era ingombrante, in tutti i sensi, ma doveva obbligatoriamente abituarsi, visto quanto avevano deciso per lei.

Jim aprì la porta trovando sua figlia che si torturava le mani nella sua attesa. Senza dire nulla si spostò e la fece accomodare, intuendo che, se l’andava a trovare a quell’orario di tarda sera, c’era sicuramente qualcosa di serio ed importante.

- Domani parto. - Gli disse semplicemente, mentre tra le mani stringeva una tazza di caffè caldo che suo padre le aveva appena portato. - Dopo quello che è successo oggi, hanno deciso di mettermi in un programma di protezione più stretto. Non posso dire a nessuno dove vado, né per quanto tempo. Non ci sentiremo per un po’, papà.

Kate strinse una mano di Jim che ascoltava in silenzio le parole della figlia.

- Castle lo sa? - Kate rimase spiazzata da quella domanda

- No, Castle è un capitolo chiuso papà, te l’ho detto. Non sa niente e non deve sapere niente.

- Te l’ho già detto Katie. Stai facendo un errore. Stai buttando via la tua vita, eri felice con lui ed ora i tuoi occhi sono di nuovo spenti. Anche se non mi guardi, lo so.

Le parole di Jim colpirono Kate così violentemente che se non fosse stata seduta avrebbe vacillato. L’uomo sentiva la mano della figlia tremare mentre teneva la sua e capì che aveva ragione. Poggiò la sua tazza sul tavolino davanti a loro e racchiuse la mano della sua bambina tra le sue.

- Perché ti stai facendo questo, Katie?

- Ti ho detto che me ne devo andare, che non so per quanto tempo non potremmo né vederci né sentirci, perché mi parli di Castle papà?

- Perché lui ti rendeva felice ed a me interessa solo questo. Ti avevo visto rinascere con lui, nonostante la situazione complicata. Perché non vuoi esserlo?

- Non posso obbligarlo a vivere la mia vita, ad esporsi a continui pericoli. Ha una figlia, una madre, non è giusto. - Ammise a suo padre stringendo i denti dalla rabbia e dal dolore per quell’argomento che le faceva sempre male.

- Lo deve decidere lui se lo vuole. Tu non gli hai dato la possibilità di farlo. Potresti stupirti di quello che possono fare per te le persone che ti amano… - Strinse ancora di più la sua mano. Quel discorso non valeva solo per Castle, ma anche per se stesso  - … Anche se non sempre sono state in grado di dimostrartelo.

Kate si commosse alle parole di suo padre. Non erano soliti dimostrarsi affetto, in quegli anni erano stati uniti dal dolore, riuscendosi a parlare poco, non confidandosi e non condividendo le proprie emozioni. Eppure entrano entrambi assolutamente certi dell’amore che provavano una per l’altro. 

- Sei sicura che stai facendo la cosa giusta, ci hai pensato bene?

- Sì, papà. - Annuì asciugandosi le lacrime dopo aver finito il suo caffè - Io so esattamente cosa sarebbe in grado di fare Castle, proprio per questo deve starmi lontano.

Si alzò e lui la seguì.

- Ora devo proprio andare. Mi raccomando papà… Io starò bene, tu non ti preoccupare. Mi farò sentire appena posso. Abbracciò l’uomo che ora sembrava così fragile, ancora lui bisognoso di protezione da parte di sua figlia, che stringeva con forza, certo che stesse facendo uno degli errori più grandi della sua vita.

- Pensaci Katie. Tu non vorresti che qualcuno decidesse delle tua vita per te, anche se è per il tuo bene.

- Lo stanno facendo adesso papà. Ti voglio bene.

Si chiuse la porta alle spalle e corse velocemente giù dalle scale per raggiungere Price che la aspettava con il motore acceso ed appena salì subito accelerò lasciando quel viale residenziale sotto lo sguardo di Jim che dalla finestra osservava la sua bambina andare via.

—

Rick al loft camminava nervosamente aventi ed indietro. Da quando era rimasto solo aveva occupato il tempo a mettere a posto compulsivamente tavolo da poker e cucina, pensando a quando era appena certo di aver scoperto e più delle sue deduzioni, furono gli sguardi e le frasi a doppio senso di Bracken a dargli la certezza che aveva capito bene e che lui sapeva che era riuscito a mettere insieme tutti gli indizi. Non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto dire tutto a Beckett o a Ryan ed Esposito. Era forse arrivato il momento di passare alle vie ufficiali? Ma a parte dei suoi amici di chi si poteva fidare? Della Gates, ne era quasi certo, ma a parte le sue deduzioni dove erano le prove certe? L’esperienza che aveva maturato negli ultimi anni lo rendevano certo che quello non era sufficiente, che non bastavano dei numeri di telefono, qualche vecchio conto corrente e delle iniziali per muovere un’accusa così pesante contro un senatore degli Stati Uniti. Gli avrebbero riso in faccia tutti, persino il suo amico giudice Markway non avrebbe potuto fare nulla per aiutarlo, ne era certo.

Decise che doveva parlarne a Beckett, anche se non voleva vederlo dopo quello che si erano detti, questo era diverso, lo doveva stare a sentire. Non riguardava loro, almeno non direttamente. Non poteva mentire a se stesso dicendosi che non aveva pensato al fatto che se questa storia si fosse conclusa sarebbe stato diverso anche per loro, ne era certo: Kate sarebbe stata più libera e più tranquilla senza le sue paure ad ossessionarla che la facevano ritrarre ogni volta che sembrava essersi lasciata andare. Prese le chiavi dell’auto ed uscì in fretta e furia, era quasi mezzanotte ma non gli importava, quella era una questione vitale e Beckett l’avrebbe dovuto ascoltare, in ogni caso, non avrebbe resistito ad aspettare fino a domani mattina, la doveva avvisare subito. Incrociò sua madre che rientrava a casa piuttosto allegra e la salutò a malapena, non rispondendo alle sue domande su dove stesse andando a quell’ora, quando sarebbe ritornato e tante altre cose inutili che il suo cervello non aveva nemmeno registrato.

Guidò la Ferrari più velocemente che poteva nelle strade vuote della notte newyorkese verso casa di Beckett. Parcheggiò dall’altra parte della strada ed attraversò correndo per citofonarle. Suonò varie volte ed attese invano una risposta che non arrivò. Le luci del suo appartamento sembravano tutte spente si guardò per un po’ intorno, poi tornò verso la sua auto, deciso ad aspettare un po’ se fosse rientrata, magari dopo quanto accaduto aveva bisogno di uscire un po’, forse era con Lanie per una delle loro serate di sole donne, o forse ancora al distretto per sistemare questioni burocratiche sull’accaduto, in fondo gli avevano detto che Bratton era stato impegnato fino a tarda sera, magari lo era stata anche lei.

La serata estiva non era troppo calda e afosa, si appoggiò alla sua auto godendosi quel vento che ogni tanto soffiava quel poco che bastava per scompigliargli il ciuffo: si specchiava ogni tanto nello specchietto della Ferrari, assicurandosi di essere in ordine, non aveva fatto nemmeno caso a come era uscito ma lì sotto casa sua, aspettandola, ci teneva a fare bella figura ed essere ben presentabile, non che dovesse far colpo su di lei, ma il suo lato narcisista glielo imponeva.

Il rumore di una macchina che si fermava poco lontano da lui dall’altra parte della strada attirò l’attenzione di Castle attenzione proprio mentre aveva scovato una piccola macchia sulla sua camicia viola. Alzò lo sguardo e vide Price uscire fare il giro dell’auto ed andare ad aprire lo sportello di Kate, dopo essersi guardato intorno. Rick fu sicuro che lo aveva visto, anche se non fece nessun tipo di cenno o altro. Quella che uscì dalla macchina gli sembrò una Beckett molto provata e stava per andare da lei quando vide che Nick la abbracciò e lei lo lasciò fare. Non aveva più alcun dubbio in quel momento, lo sguardo dello scrittore incontrò quello del detective che teneva stretta tra le sue braccia la sua Kate, anche se a Castle mai aggettivò sembrò più sbagliato in quel momento. Li vide poi aprire il portone e salire insieme verso casa sua, mentre Price le cingeva la vita e lei si appoggiava contro la sua spalla.

Credeva di conoscerla, di sapere di lei cose che nemmeno lei conosceva, le sue paure ed i suoi tormenti. Era convinto che quel distacco violento ed improvviso era solo dettato dalla sua voglia di proteggerlo da quella situazione, da farlo uscire dal suo radar di pericolo. Però ogni volta si trovava sempre di mezzo Price e non poteva essere un caso. Era stato diffidente verso di lui dal primo momento, era una persona che non riteneva limpida, aveva delle zone d’ombra che non riusciva ad inquadrare e soprattutto sembrava guardare Kate con occhi fin troppo interessati. Poteva lei essere interessata a lui? Gli aveva detto molte volte di non preoccuparsi di lui, però ora la realtà dei fatti diceva il contrario. 

Era con Price che cenava in hotel, era nella macchina di Price che saliva sorridendo ed era soprattutto con lui che entrava sottobraccio a casa sua. C’era lui sempre, al suo posto, vicino a lei, lui che a casa sua, così non c’era mai andato. Gli costava ammetterlo ma Nick era un tipo che aveva tutte le carte in regola per piacere a Kate, era bello, di quel tipo di bellezza molto più vicina ai suoi standard di lui, avrebbe potuto fare il modello di qualche casa di alta moda se avesse voluto, non il poliziotto e qualche volta era proprio come un modello che si comportava sfoggiando con nonchalance vestiti eleganti e completi raffinati. In fondo perché non poteva essere? Era giovane, bello ed elegante. Sicuramente aveva molti interessi in comune con Kate, poteva essere interessata a quel maledetto detective e lui si era solo illuso. La più bella illusione della sua vita, la più vera, la più reale, la più dolorosa. 

Si chiedeva solo perché non glielo avesse detto, avrebbe capito. Era comunque meglio che non avere motivazioni ed essere lasciato così, quando fino a poche ore prima gli sembrava andare tutto bene, quando tra le sue braccia aveva toccato il cielo con un dito ma era voluto scendere perché sulla terra con lei stava meglio che in qualsiasi paradiso. Pensava di meritarsi almeno una spiegazione logica, di sapere la verità ma forse lei non lo riteneva in grado di capire. Sentì la rabbia montargli dentro sempre più. Si sentiva uno stupido, solo un povero stupido illuso e si odiava per non essersi accorto di nulla, di essere stato così preso da lei da non capire nulla, di averla voluta vedere con gli occhi del suo amore che evidentemente avevano distorto tutta la sua realtà. La Kate Beckett che pensava di conoscere doveva essere solo un frutto della sua immaginazione, un personaggio irreale, come quelli che creava per i suoi libri, solo che questo lo aveva creato addosso ad una persona in carne ed ossa, non lo aveva scritto lo aveva vissuto. La sua creazione più bella, senza dubbio. Troppo bella per essere vera. Ed allora lei gli aveva detto la verità, non c’era niente di vero in quello che c’era stato tra loro, doveva arrendersi a quella realtà e prenderne atto: Kate Beckett non doveva esistere più per lui, anche se dentro di se, sapeva che l’avrebbe amata per sempre, perché il loro amore sarebbe stato eterno, come sono tutti gli amori impossibili, come quello tra uno scrittore ed un personaggio della sua fantasia. 

Quell’ideale, quella sublimazione se li era costruiti in quei quattro anni così minuziosamente da renderla reale. Aveva voluto vedere in lei cose che evidentemente non c’erano, l’aveva resa perfetta, con tutti i suoi difetti, perfetta per lui, che ormai ne amava ogni cosa. Non l’avrebbe mai creduta capace di fare quello, non a lui. Lasciarlo senza un motivo solo perché aveva un altro più interessante con cui frequentarsi. Era cambiato per lei, non perché lei le avesse mai chiesto nulla, ma perché in quegli anni, solo standole vicino, sentiva di essere cresciuto, più uomo, più serio.  Ne era valsa la pena? Sì, per quei giorni con lei assolutamente sì, era valsa la pena. Ma ora basta. Ora la vedeva salire nel suo appartamento con un altro uomo, farsi stringere appoggiarsi a lui, farsi sostenere come lui avrebbe fatto sempre, se lei glielo avesse permesso, sarebbe stato disposto a fare tutto per lei e si dava dello stupido da solo.

La luce del portone programmata a tempo di spense e vide accendersi quella della casa di Kate poco dopo. Come un masochista rimase lì sotto ad osservare quel portone buio e quell’appartamento illuminato nel cuore della notte, pensando a chissà cosa stava succedendo dietro quelle imposte e qualunque cosa fosse, voleva esserci lui, fu tentato di andare sù da lei, di sfidare quel detective in un altro scontro fisico, di farle vedere che lui per lei avrebbe lottato anche ad armi impari con quel bellimbusto palestrato. Si sarebbe solo coperto di ridicolo ed il massimo che avrebbe ottenuto sarebbe stata la sua pena, non poteva accettarla. Non si ricordava nemmeno più perché era lì, improvvisamente nemmeno Bracken era diventato più così importante, in realtà nulla lo era. Quel barlume di speranza che aveva continuato gelosamente a conservare e proteggere, come un germoglio appena sbocciato che cercava di non far calpestare era stato strappato via. Salì in macchina e tornò al loft più velocemente di quanto aveva fatto prima per arrivare lì.

Kate era stata silenziosa per tutto il viaggio per tornare al suo appartamento e Nick non le aveva chiesto nulla. Aveva cominciato a parlargli solo quando si era fermato sotto casa sua.

- Ha ragione mio padre. Ho buttato via la mia vita. - Disse slacciandosi la cintura di sicurezza.

- Hai fatto quello che pensavi fosse giusto fare. Però puoi sempre ripensarci, andare da Castle e dirgli tutto. - Rispose Price imitando il suo gesto

- E rovinare così anche la sua vita? No, basta la mia, non si merita questo. - Kate stava per uscire ma Nick le chiese di aspettare. Fu lui il primo a farlo e a guardarsi intorno con la mano sotto la giacca pronto ad estrarre la sua pistola. Gli parve di vedere dall’altra parte della strada una figura conosciuta e non ci mise molto per capire chi fosse. Aprì la porta a Kate che uscì ma prima di andare ad aprire il portone Nick la fermò.

- Kate, andrà tutto bene vedrai. Cambiare aria per un po’ ti farà bene e farà abbassare un po’ l’attenzione su di te. - Non resistette alla tentazione di abbracciarla e lo fece. Kate si appoggiò a lui bisognosa di un contatto umano, di qualcuno che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, anche se non ci credeva, anche se non erano quelle le braccia che voleva sentire attorno a se, né quella la spalla sulla quale voleva poggiarsi. Nick mentre la stringeva fissava Castle dall’altra parte della strada e sorrise istintivamente. Kate rivolta dall’altra parte non seppe mai che lui era lì, a pochi passi da lei, pronto con un solo sguardo a far crollare tutte le sue certezze, ad accoglierla in quelle braccia che cercava di immaginare fossero le stesse che la stavano stringendo. Price l’accompagnò a casa: doveva ancora preparare tutto e la mattina dopo sarebbero partiti all’alba. Nick si offrì di rimanere da lei per quella notte, accomodandosi sul divano, sarebbero passati a casa sua prima di lasciare New York.

Era l’ennesima valigia che aveva davanti, da fare e disfare: guardava il suo armadio per decidere cosa prendere, non avrebbe voluto niente delle sue cose le faceva ricordare chi era e da cosa fuggiva: da se, dalla sua vita, dalla sua città, dal suo futuro.

Buttò vari vestiti alla rinfusa dentro due valige, molti libri non letti di quelli che Castle aveva scelto per lei e alla fine mise dentro anche la sua maglietta, quella che aveva lasciato in hotel e che lei aveva portato a casa, quel pezzo di lui dal quale non voleva separarsi, quella che indossava cercando il suo abbraccio che non c’era. Seduta sul letto aveva tenuto in mano quel pezzo di stoffa a lungo, fino a stropicciarla del tutto, chiedendosi se lui l’avrebbe mai capita o perdonata, se quando quella storia sarebbe finita se poteva esserci anche una minima speranza per loro o se lei aveva definitivamente distrutto tutto. Sapeva che la sua vita non sarebbe più stata la stessa, perché Castle l’aveva cambiata più di quanto lei stessa si era mai accorta e solo ora, con la sua assenza, riusciva a capirlo. Si ridestò pensando a quanto quei pensieri fossero egoisti, doveva sperare che Rick fosse felice, che la sua vita andasse avanti che non vivesse nell’attesa che la sua situazione cambiasse, aspettando lei. Lo amava, voleva solo che fosse felice e al sicuro. Per questo stava facendo tutto questo, per questo lo aveva allontanato, perché per lui era disposta a rinunciare a quello a cui teneva di più: loro.

Accarezzò le lenzuola, annusò l’odore di casa, tracciò il profilo della testiera del letto. Non era facile lasciare il suo mondo, la sua vita, la sua casa e si addormentò rannicchiata sul suo letto ancora vestita.

—

Castle non andò al loft, si lasciò guidare dalla strada o dai ricordi o non sapeva nemmeno lui bene da cosa, dalla voglia di fuggire, da lì, da se stesso, da quello che era diventato, voleva solo avvolgere il nastro della sua vita il più velocemente possibile.

Si ritrovò davanti all’entrata di quel nightclub sulla Madison Avenue. Riconobbe subito Dylan, il parcheggiatore, che prese in custodia la sua Ferrari come tante altre volte aveva fatto in passato, salutandolo calorosamente, più per i cinquanta dollari che Rick gli aveva dato di mancia che per la vera felicità di rivederlo lì dopo tanto tempo. Lo fecero entrare senza troppi problemi, anche se il suo abbigliamento quella sera non era proprio adeguato al posto, ma non avrebbero lasciato fuori dalla porta Richard Caste, soprattutto quando fu notato da uno dei fotografi che ogni sera aspettavano proprio che qualcuno come lui passasse di lì, per il giorno successivo c’erano delle foto assicurate da mandare alle riviste scandalistiche.

Varcata la soglia ci mise qualche tempo ad abituarsi al buio intervallato dalle luci psichedeliche ed al rumore della musica troppo forte. Attraversò la sala fino al bancone dove ordinò subito qualcosa di forte che bevve tutto d’un sorso, chiedendo al bar tender di riempire il suo bicchiere ancora ed ancora fino a quando non fu una ragazza che gli si era avvicinata a bere il suo drink. La guardò stupito e lei lo ricambiò con un gran sorriso e qualche frase bisbigliata all’orecchio che fece sorridere anche Rick. Ordinò altri due giri di quel cocktail che bevve con lei e le risate aumentarono con il tasso alcolico, fino a quando non fu lei a trascinarlo via da lì. Le lasciò guidare la Ferrari, troppo sbronzo per farlo lui ed a lei non sembrò vero e non sembrò curarsi molto del fatto che per due volte quando andava troppo veloce, l’aveva chiamata Beckett e le aveva chiesto di rallentare. Castle aveva capito che si chiamava Melissa, non aveva capito molto di più. Era bella, mora e prosperosa. Lo aveva preso sottobraccio proprio fuori dal locale e si era strusciata provocante mentre aspettavano Dylan che gli riportasse l’auto e lui l’aveva stretta a se palpandola in modo esplicito, con ormai i suoi freni inibitori sciolti dall’alcool che girava libero nel suo corpo.

Quando si svegliò il sole era già alto. Rick si stropicciò gli occhi più volte prima di capire dove era. Aveva un gran mal di testa e quella squallida camera di hotel gli diceva molto poco, anzi nulla. Si ricordava, invece, della mora che dormiva ancora profondamente nel letto vicino a lui, ma ricordava molto meno di quello che avevano fatto, ma a giudicare da come non erano vestiti, non gli ci volle molto a capirlo. Aveva solo qualche flash nella sua memoria, ma non poteva dire quanto fosse reale o quanto prodotto della sua immaginazione, visto che in tutto quello che ricordava il corpo di quella ragazza aveva sempre un altro volto. Si tirò su sedendosi sul letto, in una mossa troppo veloce per il suo fisico ancora non del tutto sobrio e tutta la stanza girò intorno a lui. Si stropicciò gli occhi con forza, ma quando li riaprì era sempre lì, non era un sogno e quella Melissa ancora dormiva. Intuì che quella porta vicino al suo lato del letto doveva essere il bagno e lo raggiunse nudo, barcollando, raccogliendo quei suoi vestiti che trovava, sicuro però che qualche pezzo mancasse, i boxer, ad esempio.

L’acqua gelata servì a farlo svegliare del tutto ed a fargli acquisire di nuovo una parte di lucidità su quello che era accaduto la sera prima. Una serata di normale amministrazione, fino a qualche anno prima. Non era certo la prima volta che si svegliava in un letto senza ricordare molto di come aveva passato la notte, non era una cosa a cui aveva mai dato importanza, non quanto quella mattina. Uscì dal bagno con l’accappatoio legato in vita e trovò Melissa nuda e sveglia che lo aspettava.

- Altro giro Rick? - Gli chiese maliziosa e lui per la prima volta da quando era uno sbarbato studente si trovò imbarazzato a rispondere ad una donna che gli si stava generosamente offrendo.

- Ehm… io ora devo andare… Devo… devo proprio, mi dispiace. - Si vestì frettolosamente mentre lei lo guardava perplessa.

- E mi lasci qui? Siamo venuti con la tua auto ricordi?

- Sì, sì certo, ricordo… ricordo… Ti pago un taxi, ma scusami, io ora devo andare. Devo fare una cosa importante…

Le lasciò i soldi per un taxi e la sentì urlare dalla porta che doveva pagare la stanza. Non aveva idea di dove si trovassero, ma andò alla reception e saldò il conto della stanza più lo Champagne che la ragazza aveva ordinato e del quale lui non aveva nessun ricordo, se non il secchiello con la bottiglia vuota che aveva intravisto prima di uscire.

Si fece riportare l’auto, sperando che in quel posto gliela riportassero tutta intera e si allontanò da lì il più velocemente possibile, provando a lasciarsi dietro anche i sensi di colpa.

Arrivato al loft si chiuse nel suo studio. Accese la sua lavagna con il caso di Beckett. Fu tentato a cancellare di nuovo tutto, ma non lo fece. Prese, invece, uno dei biglietti da visita che conservava sulla sua scrivania, lo fece scorrere tra le dita, accarezzando il monogramma stampato a rilievo. Era stato sotto i suoi occhi per tutto quel tempo e non lo aveva mai collegato. Si diede ancora dello stupido, per l’ennesima volta dalla sera prima e lo aveva fatto talmente tante volte che aveva perso il conto e considerando che buona parte della notte e della mattinata era stato ubriaco, pensò che sa sobrio non aveva fatto altro che ripeterselo.

- Ti devo parlare - Disse Rick appena la voce dall’altro capo del telefono rispose.

- Ricky, qual buon vento? Non pensavo di sentirti così presto! - Bracken ostentava sicurezza dietro un tono fin troppo cordiale.

- Ci dobbiamo vedere. Subito. - Castle non aveva, invece, alcuna intenzione di essere né cordiale né allegro.

- Vieni da me, riparto questa sera, ho tutto il tempo di sistemare i nostri conti in sospeso - Gli disse adesso con un doppio senso che allo scrittore non piacque per niente.

- Non sono così stupido, senatore. Vediamoci tra un’ora alla lounge del Four Season.

- Come vuoi tu, Castle.

Rick arrivò lì molto prima e scelse un tavolo appartato. Ordinò un caffè ed attese l’arrivo del senatore, che fece il suo ingresso congratulato da tutto lo staff e lui stringeva la mano e salutava tutti. Se pensava a quante volte aveva stretto anche lui quella mano e risposto ai suoi sorrisi, di lui che aveva provato più volte ad uccidere lui e Beckett, che era la causa di tutta quella situazione, che aveva fatto uccidere la madre di Kate gli veniva la nausea e così quando lo vide ed accelerò il paso verso il suo tavolo, si guardò bene da accettare ancora una volta la sua stretta di mano, preferendo prendere la tazza di caffè, mentre Bracken si accomodava.

- Allora Castle, veniamo al dunque. - Lo incalzò Bracken per nulla turbato.

- Ho i documenti di Smith. So tutto di te, Drago. Ho i numeri di telefono, dei conti, i resoconti dei vostri versamenti e delle tangenti incassati.

- Uhm, interessante Castle… ed hai dovuto aspettare di sentire il mio soprannome da Bob per capire che ero io?

- Mi mancava solo un tassello. Ora ce l’ho. - Rispose indossando la sua migliore faccia da poker. Stava bluffando e non doveva farsi scoprire.

- Mi vuoi avvisare che vuoi denunciarmi, quindi? Sei gentile, ma non ho paura. - Bracken fece per alzarsi, ma Castle gli bloccò il braccio.

- Siediti senatore non ho finito. - Bracken lo assecondo ed ascoltò quello che lo scrittore aveva da dirgli - Non voglio denunciarti, non mi interessa, voglio solo proporti un accordo.

- Perché dovrei accettarlo? 

- Perché ti conviene, Bracken. Io non renderò pubblici i documenti, nessuno indagherà più su questa storia, ma tu dovrai lasciare in pace la mia famiglia, mia madre e mia figlia.

- Basta? Solo questo? Non mi chiedi molto Ricky, non mi interessano loro, lo sai. - Ghignò Bracken

- E Beckett. - Aggiunse Castle.

- Ecco, ora già mi chiedi di più. Perché ti interessa? Ti ha lasciato, no? - Girò il coltello nella piaga.

- Non sono affari tuoi, Bracken. Lascia stare la mia famiglia e Beckett e nessuno saprà come la Future Forward finanzierà la tua campagna per la Casa Bianca.

- Non sono sicuro che questo accordo sia così vantaggioso per me, Ricky. E non sono sicuro che la tua ex detective terrà fede al tuo patto di non scavare oltre.

- Quei documenti ce li ho io, non li ha Beckett. Senza quei documenti non può indagare in altre direzioni. Della tua società non sa nulla, non le ho detto niente. Posso darle una copia contraffatta e farla indagare a vuoto. Come vedi, sono io che ho i fili di questo caso tra le mani. - Ostentò tutta la sicurezza che non aveva e cercò di sfruttare al meglio le doti di attore ricevute in dono dai geni di sua madre.

- Come faccio a sapere che non menti? - Gli chiese Bracken che sembrava si stesse convincendo delle sue parole

- Esattamente come farò io a fidarmi di te, che hai provato già due volte almeno ad uccidermi. Lo devo fare, così come lo devi fare tu.

Castle con riluttanza gli tese la mano e Bracken la strinse. Aveva appena stretto un patto con l’uomo che Kate cercava da oltre 10 anni. Se mai lo avesse scoperto probabilmente sarebbe stata lei ad ucciderlo, ma intanto era viva ed era al sicuro, anche se a beneficiare di tutto questo sarebbe stato Price.

Guardò Bracken allontanarsi con lo stesso sorriso finto con cui era venuto. Mise una mano in tasca per cercare i soldi per pagare e trovò in mezzo a quelli anche un foglietto piegato. “Melissa 532-257-2593”

- Melissa? Ciao, sono Rick. Scusa per prima, ma avevo veramente un impegno urgente. Possiamo vederci questa sera?

Tre colpi alla porta la fecero alzare di scatto poi Price aprì senza badare troppo alla sua privacy.

- Dobbiamo andare Kate. - Le disse facendo capolino mentre lei non sembrava essersi appena svegliata, già completamente vigile. Fuori dalla finestra la città era ancora avvolta per gran parte dall’oscurità, il sole stava sorgendo in quei minuti scacciando la notte. Sentì le parole di Nick ma non gli diede peso, andò verso la finestra e scostando le tende si fermò ad osservare i colori che lentamente dipingevano i palazzi davanti al suo. Aveva sempre preferito l’alba al tramonto, era il simbolo della nascita di un nuovo giorno, la vita che inizia di nuovo, uno spiraglio di positività nella sua vita dove era sempre a contatto con la fine, mai con l’inizio.

- Mi hai sentito Kate? Dobbiamo andare - Le ripeté Nick incurante del mondo che ricominciava a vivere. Si allontanò dalla finestra, guardò ancora una volta la sua stanza.

- Sono pronta.

- Dove stiamo andando? - Gli chiese Kate quando lo vide prendere la I95 uscendo dalla città.

- Carolina del Sud. Un luogo tranquillo, vicino a Myrtle Beach. Ti piacerà. - Price si calò gli occhiali da sole sugli occhi per evitare i raggi che ora disturbavano la sua vista, non curandosi dell’espressione perplessa di Beckett al suo fianco, concentrato sulla strada.

- Non stiamo andando in vacanza, Nick. - Rispose seccata dal suo comportamento fin troppo spensierato vista la situazione.

- Prova a vederla così, almeno potrai apprezzarne i lati positivi. C’è sempre qualcosa di positivo, anche nelle situazioni peggiori. - I suoi tentativi di alleggerire la situazione furono un buco nell’acqua a giudicare da come Kate sbuffava guardando le altre macchine sfilare via molto più lente di loro. Sarebbe stato un lungo viaggio, nonostante la guida sostenuta di Price.

“Katie! Katie non correre, aspetta!” Ma Katie non ascoltava e appena aveva visto la sabbia era corsa via, lasciando la mano di mamma e papà, prendendo in mano le sue scarpette bianche di gomma ed andando dritta sul bagnasciuga a sentire l’acqua. Sorrideva guardando l’oceano davanti a se e quando se ne era riempita gli occhi si voltò a guardare sua madre arrivare con il suo solito passo rapido e deciso che non cambiava mai, nemmeno quando erano in vacanza e camminava sulla spiaggia.

“Katie, ti avevo detto di aspettare!” La rimproverò Johanna che però non potè evitare di sorridere anche lei guardando la sua bambina con gli occhi raggianti che le voleva trasmettere tutta la sua gioia di essere lì. Kate amava il mare, lo aveva sempre amato ed aveva solo pochi mesi, durante la sua prima estate, quando Johanna e Jim l’avevano portata lì la prima volta. Ogni volta, superato il trauma iniziale dell’acqua fredda, poi non voleva più uscire e sgambettava felice tra le braccia di sua madre. Erano passati gli anni, ma Katie non aveva mai smesso di amare il mare e di guardarlo ogni estate sempre con la stessa espressione di gioia e stupore, come se fosse la prima volta. Aveva 10 anni e si sentiva già grande abbastanza per potersi allontanare da sola tra le onde. “Non esagerare, Katie” le ripeteva sua madre quando la vedeva spingersi troppo in là ed anche lei faceva qualche passo in avanti per esserle più vicina, per non perderla mai di vista, così come Jim. Sapeva che i suoi genitori erano lì e la guardavano, ma lei si sentiva libera, grande e responsabile. Ed ogni tanto li salutava ed aspettava che loro facessero altrettanto prima di riprendere a nuotare. Il momento più bello, però, era sempre lo stesso, quando non le importava più di essere libera, grande e responsabile, quando anche sua madre decideva di buttarsi in acqua e la raggiungeva ed allora giocavano insieme in acqua e si lasciava abbracciare e trascinare da lei fino a quando non arrivava anche suo padre che vedeva scambiarsi qualche bacio salato con Johanna e lei si buttava in mezzo tra loro, per schizzarli e richiamare la loro attenzione, li prendeva spesso in giro per quelle effusioni facendo facce buffe schifate, ma sotto sotto era felice di vedere i suoi genitori sempre così uniti.

Non si accorse nemmeno di avere il volto rigato dalle lacrime fino a quando non ne sentì il sapore salato sulle labbra e si precipitò ad asciugarsi il viso con il dorso della mano. Nick si era voltato più volte ad osservarla ma lei non ci aveva fatto caso.

- Brutti ricordi? - Le chiese fissando la strada davanti a loro

- Ricordi. - Tagliò corto Kate.

- Se fanno piangere o sono molto brutti o sono molto belli. - Insistette lui.

- Sono solo ricordi. - Non aveva voglia di continuare quella discussione. In realtà non aveva voglia di parlare di nulla, al contrario di lui, che invece sembrava aver voglia di fare conversazione.

- Ti piace il mare?

- No. - Sbuffò ancora Kate

- Quindi sei più una tipa da montagna… sci, passeggiate, trekking…

- Nemmeno.

- Quindi cosa fai quando sei in vacanza? Città d’arte? 

- Sto a casa mia. Mi riposo, vado a correre a Central Park, leggo libri e cose così. - Tutto aveva voglia tranne che di un interrogatorio sulla sua vita in quell’auto dalla quale non poteva scappare per almeno altre sette o otto ore, se le andava bene.

- Non ti piace viaggiare? - Chiese ancora curioso.

- Sì, mi piace, ma non ho tempo. - Si scostò la cintura si sicurezza come se avesse bisogno di aria per respirare e quella pressione sul petto glielo impedisse. Stava diventando insofferente sempre più.

- Ma quindi… - Price stava per continuare con le sue domande ma questa volta Kate lo interruppe.

- Nick, non siamo due amici che stanno andando in vacanza insieme, né due che escono per un appuntamento e si devono conoscere, è chiaro questo, no? - Fu più diretta e dura di quanto voleva essere ma aveva bisogno di ridefinire i suoi spazi, porre dei limiti e chiarire la questione.

- È chiarissimo Kate. Pensavo solo che conoscerci di più avrebbe aiutato la nostra convivenza forzata. - Le rispose per nulla scosso dalla sua puntualizzazione e Beckett aveva sempre più difficoltà a capirlo. Alcune volte le sembrava estremamente empatico ed anche troppo coinvolto, altre totalmente freddo e distaccato, come se dentro di lui ci fosse una battaglia continua tra due mondi ed era a volte uno a volte l’altro a prevalere. Si rese conto, comunque, che lui sapeva di lei molto più di quanto lei sapeva di lui, ma non voleva fare domande per non sembrare essere lei quella che oltrepassava subito quel confine appena eretto. 

- Perché tu? Sei un detective, eri appena passato alla omicidi, perché stai facendo questo? - Questo glielo chiese, quella risposta del giorno prima sul fatto che lui non aveva nessun legame non gli era bastata, non poteva essere una motivazione valida.

- Ho già esperienza in questo, l’ho fatto anni fa. E poi come ti ho già detto, non ho famiglia, non ho nessuno. Non dovrai sentirti in colpa in ogni caso.

- Non è una motivazione sufficiente, Price. - Tutto il suo essere detective stava venendo fuori in quella conversazione. Lui era bravo, ma lei di più. Sapeva quando qualcuno gli mentiva, quando gli nascondeva qualcosa e lui gli stava nascondendo gran parte della storia, ne era certa.

- Ho le mie ragioni. Avevo bisogno di fare qualcosa per sentirmi utile, soprattutto dopo il nostro burrascoso inizio. Non mi sono comportato bene e volevo rimediare. Poi Kate, lasciatelo dire, sei una piacevole compagnia.

- Non adularmi Nick, o la mia compagnia sarà tutto tranne che piacevole. Se non mi dici la verità, come pensi che io possa fidarmi di te, come posso farmi proteggere da qualcuno del quale non so se fidarmi o meno? - Era questo il punto. Kate si fidava di lui, ma non sapeva fino a che punto farlo.

- Apri il cassetto del cruscotto. - Beckett lo guardò perplessa e lo fece trovando dentro una pistola e due caricatori.

- Che vuol dire Nick?

- Sono per te. So che ufficialmente non sei in servizio e non puoi avere armi. Ma qui siamo in due e se succede qualsiasi cosa, preferisco che tu sappia come poterti difendere, visto che ne sei capace.

Kate prese l’arma e chiuse lo sportello. Si sentiva più sicura, se non di lui almeno di se stessa.

—

Finito l’incontro con Bracken, Rick era tornato sotto casa di Kate. Doveva parlarle, fare in modo che lei smettesse di indagare e di esporsi, altrimenti sarebbe stato di nuovo tutto inutile. Questa volta doveva dargli retta visto quanto accaduto poco tempo prima. Dovevano prima trovare prove concrete, poi si sarebbero potuti esporre, anche contro il senatore Bracken, ma fino a quel momento, doveva essere cauta, fare in modo che lui non si accorgesse di nulla così che il loro accordo sarebbe stato valido, questo volta.

Vide che la macchina di Price non c’era più e fu contento, avrebbe potuto parlarle da solo perché di quel detective lui continuava a non fidarsi. Citofonò più volte, senza ottenere una risposta. Aspettò e poi lo fece ancora, ma ancora niente.

- Sta cercando la detective Beckett? - Era Nail, l’anziano vicino di casa di Kate che usciva con il suo cagnolino. 

- Ehm sì… l’ha vista? - Chiese cortesemente Rick, aiutandolo con i sacchi della spazzatura.

- È uscita molto presto questa mattina con un bel giovanotto. Avevano anche delle valige. Sa, io non è che spio gli altri, ma questa maledetta schiena non mi fa dormire, così guardavo fuori dalla finestra e li ho visti andare via.

- Ma certo, grazie mille… - Rick faticò a nascondere al signore il suo imbarazzo e la sua delusione. Era rimasto con la mano a mezz’aria sul citofono ed ora la stava abbassando fin troppo lentamente.

Entrò al distretto senza il suo solito buonumore e fu strano per tutti non vederlo salutare nessuno mentre a grandi falcate si dirigeva verso l’ufficio della Gates dove entrò senza bussare.

- Signor Castle! Ma come si permette! - Lo riprese il capitano alzandosi dalla sua scrivania sbattendo le mani sul piano di legno.

- Dov’è Beckett? - Chiese non preoccupandosi di rispondere alla donna

- Signor Castle, questi non sono affari che la riguardano. Se ne vada. - Lo intimò

- No, Capitano Gates, devo sapere dov’è Beckett, devo parlarle con la massima urgenza, so che è con Price, devo sapere dov’è.

- Non ho tempo per le sue scenate di gelosia Castle, glielo ripeto se ne vada.

- Non sono scenate di gelosia! È una cosa che la riguarda e devo parlare con lei - Cercò di rimanere calmo e di scandire bene le parole. La Gates lo aveva sempre messo in soggezione ma non in quel momento. Doveva sapere dove era Kate e lo doveva sapere subito.

- Il Detective Beckett è entrato in un nuovo programma di protezione. Non posso rivelarle la sua posizione, non me lo chieda ancora. Mi dispiace signor Castle, qualunque cosa sia dovrà attendere il ritorno di Beckett.

- Capitano, la prego, è importante. - La supplicò

- È inutile Castle. Non sono autorizzata a rivelarle dove sono Beckett e Price, può anche evitare di pregarmi.

Rick ingoiò amaro.

- Quando tornerà?

- Non posso sapere nemmeno questo. È per tenerla al sicuro, lo capisce.

- Sì, sì… certo… lo capisco. - Tutta la sua baldanza e sicurezza di erano sciolte. Stava per uscire dall’ufficio della Gates quando il capitano lo richiamò

- Signor Castle, per il suo bene e della sua famiglia, stia lontano da questa storia per un po’. 

- Certo, Capitano.

Questa volta Castle si ricordava perfettamente come era finito lì con Melissa.

Era passato lui a prenderla, in taxi: una cena in uno dei suoi ristoranti preferiti, poi un giro in un paio di locali notturni, giusto per avere in corpo la necessaria dose di alcool per lasciarsi andare. Era carina ed anche simpatica ma non capiva se rideva veramente alle sue battute per compiacerlo o perché condividesse il suo stesso senso dell’humor, a fine serata pensava decisamente più alla prima opzione, ma non era in fondo un gran problema: a lui piaceva essere adulato e lei sembrava farlo bene. All’uscita del secondo locale furono abbagliati da una bella dose di flash dei fotografi appostati, quel posto era sempre ben frequentato da personaggi del jet set e andavano a colpo sicuro.

Notò come la ragazza si strinse di più, ammiccando divertita quando gli chiedevano di voltarsi per una foto ancora ed anche lui stette al gioco, con i suoi occhiali scuri anche in piena notte per nascondere le occhiaie e qualche segno di troppo. Non rispose a nessuna domanda, sorrise cordialmente e la portò via salendo sul primo taxi trovato all’uscita, gli diede il nome dell’hotel e non pensò ad altro.

Rick sentiva il fruscio delle lenzuola mosse dalle gambe di Melissa che cercavano le sue. Sdraiato con le braccia dietro la testa fissava il soffitto mentre la ragazza con i lunghi capelli neri gli solleticava il torace strusciandosi addosso a lui. Era giorno già da un bel po’ e lui era sveglio da molto prima che facesse giorno. Non si ritraeva al contatto, ma nemmeno la cercava, lasciava che fosse lei a farlo e non era timida in questo, glielo aveva dimostrato per tutta la notte, prendendo l’iniziativa più volte. Era stata una nottata piacevole, dopo tutto.

- Sei sveglio da molto? - Gli chiese sedendosi a cavalcioni su di lui

- Da un po’… - Rispose Rick accarezzandole le spalle un po’ troppo piccole per quel seno prosperoso e non proprio naturale che strinse solleticandola un po’, tanto da provocarle qualche risatina eccitata, per poi scendere lungo i fianchi fino alle cosce che teneva ai lati del suo corpo.

- E ti sei riposato bene stanotte? - Domandò ancora la giovane mora piegandosi per baciarlo strofinandosi volutamente su di lui per provocarlo. Rick annuì e le cinse la vita con un braccio, ribaltando le loro posizioni.

- Benissimo… - Le sussurrò mordendole il lobo dell’orecchio prima di ricominciare lì dove avevano finito poche ore prima.

La ragazza si alzò nuda dal letto e Castle non potè evitare di soffermare lo sguardo sulle sue forme. Le sorrise mentre si legava i capelli scuotendo la testa perché cercava di essere provocante con lui anche in quello e forse solo in quel frangente si accorse che lei era veramente giovane, rabbuiandosi per un momento. 

- Tutto bene Ricky? - Gli chiese mentre con fare sensuale aveva preso la sua camicia da terra e la stava per indossare.

- No. - Disse lui fermo.

- Cosa c’è che non va? - Chiese preoccupata.

- Non ti mettere la mia camicia. - La riprese, ma lei fece finta di nulla e si avvicinò a lui con l’indumento in mano.

- Dai Ricky, sono sexy le tue camice. - Fece per indossarla ma Castle la fermò.

- Non mi piace che altre persone indossino i miei vestiti. - Le disse cercando di essere meno duro di quanto non fosse la sua mano che la bloccava - E poi tu stai meglio senza.

Melissa rise ancora, tornando tra le lenzuola e le sue braccia. Rick si lasciò baciare mentre faceva scivolare dalla sua mano la camicia bianca di nuovo sul pavimento.

Erano ancora in accappatoio quando uno dei camerieri dell’hotel portò in camera il carrello con il loro brunch perché ormai l’ora di colazione era passata da un pezzo. Castle non sapeva cosa piacesse a Melissa, in realtà di lei non sapeva proprio nulla, se non che fosse un’aspirante attrice, che faceva la modella ed amava la bella vita ed il mondo patinato. Sorrise, pensando che aveva già dato con donne così, ma Melissa non la doveva né sposare né farci una figlia insieme e come divertimento per una notte o qualcosa in più, andava benissimo, tanto che anche lei sembrava gradire la cosa.

Seduta sulle sue ginocchia, spalmava burro su fette di pane tostato che si divertiva ad imboccare a Rick, mentre sfogliava il giornale del giorno, più per abitudine che per volontà di sapere veramente cosa accadeva nel mondo.

- Ehy! Guarda come siamo venuti bene in quella foto! - Gli disse indicando una loro immagine della sera prima all’uscita del locale finita direttamente a pagina 6 del Ledger.

- Dici che stiamo bene? - Osservò Castle guardando meglio la foto nella quale tutto sembrava tranne che stesse bene.

- Sì, dai guarda! Mi si vede benissimo! Ed hanno anche scritto il mio nome nella didascalia! - Esclamò entusiasta.

- Anche il mio. - Disse Rick ironico - E mi hanno anche definito “scrittore di successo”, sono stati gentili.

- Perché non sei uno scrittore di successo, Ricky? - Chiese quasi preoccupata Melissa

- Ma certo che lo sono! Ed anche di grande fascino, non trovi? - Le ammiccò

- Grandissimo fascino! - Rispose lei baciandolo.

—

Castle si era ubriacato di Melissa, sapevano che si stavano utilizzando a vicenda, lei per ottenere foto e popolarità, lui per anestetizzare la mente ed il cuore, ma se la ragazza doveva servire a non pensare a Kate, non era servita, perché lei era ovunque. Ci mise qualche giorno per rendersene conto e salutò Melissa uscendo dalla camera dell’hotel dopo uno dei loro incontri, chiedendogli di non cercarlo più. Lei non ne sembrò né sorpresa né sconvolta. Non lo fece e la trovò poco tempo dopo sottobraccio ad un attore, fuori da un altro locale, proprio come aveva fatto con lui. Sorrise ma non si arrabbiò, non aveva fatto nulla di diverso di quanto aveva fatto lui, ognuno aveva avuto bisogno di quella relazione, ognuno per motivi diversi. Non era la prima volta che una donna usciva con lui solo perché famoso, per ottenere visibilità e non gli era mai dispiaciuto, ora però era diverso, per Rick tutto il mondo era diventato insopportabile, non sopportava nemmeno se stesso, anzi soprattutto se stesso. Ovunque vedeva Kate, ovunque c’era qualcosa che ricordava lei, anche lui stesso era lei, ormai. Perché sulle sue labbra sentiva quelle morbide di Kate che lo baciavano con passione, tra le sue braccia c’era lei adagiata dolcemente, sotto le sue mani c’era il suo corpo che avrebbe potuto modellare a memoria, se solo fosse stato un bravo scultore, tanto le sue forme erano impresse nella sua mente. Non era bastato tenere un’altra donna con se, baciare un’altra bocca, toccare un altro corpo per cambiare tutto questo, anzi nel momento stesso in cui se ne era reso conto era stato ancora peggio.

Kate non era lì ma la sua assenza era più forte della sua presenza, era ovunque più di quando c’era, perché era in ogni posto contemporaneamente. L’aveva assaggiata, aveva abbeverato l’anima alla sua fonte ed ora non ne poteva più fare a meno, faceva male come se fosse un drogato in crisi d’astinenza. Non l’avesse mai fatto avrebbe forse sofferto meno, ma non riusciva nemmeno ad pentirsi perché era la cosa più bella che avesse mai vissuto.

Aveva provato a fare finta che non ci fosse, che non fosse mai esistita, che non stava male, che non le mancava. Aveva provato a non vivere a non sentirsi. Poi non ce l’aveva fatta più.

Si era guardato con quella ragazza che dormiva con lui e si era chiesto che cosa facesse lui lì, chi era lei e perché era così vicina a lui. Ed era tutto sbagliato. Fare finta non bastava, fare finta non serviva. Melissa era giovane e bella, ma non era Kate. Accarezzava quel corpo dai lineamenti aggraziati, dalle curve modellate ad arte non solo da madre natura, i seni prosperosi e la pelle liscia. Sarebbe stata per chiunque una ragazza perfetta, ma non per lui che cercava sulla pelle quei segni che solo un corpo aveva, che lui aveva amato, uno per uno, quelle cicatrici che rendevano il corpo di Kate perfetto e nessun'altra poteva esserlo per lui. Melissa non era Kate, non poteva nemmeno più provare a far finta che lo fosse nel momento stesso in cui aveva raggiunto la consapevolezza. E se ne era andato.

Era tornato a casa stanco, come se il peso di quei mesi o di quegli anni fosse tutto sulle sue spalle. Trovò sulla sua scrivania un pacchetto che aprì senza molta curiosità. Era l’anteprima del nuovo libro di Nikki Heat, con quella copertina blu per la quale tanto aveva combattuto. Guardava quella sagoma nera, nuda con la pistola in mano e vedeva il volto e le mani di Kate, vedeva il suo corpo dietro le scritte e dovette distogliere lo sguardo. Aprì il volume e trovò un post-it scritto a mano e riconobbe la scrittura di Gina “ricordati la dedica”. Ce l’aveva già pronta, in realtà, da diverse settimane. Ci aveva pensato molto e poi una notte l’aveva scritta. Kate dormiva serena vicino a lui, prona con la schiena nuda scoperta e lui la accarezzava con il dorso della mano. Ripensandoci si rendeva conto di come in quel momento era convinto di avere tutto, soprattutto tutto il tempo a disposizione per amarla. Illuso. Si era voltato sul suo comodino aveva trovato un foglio di carta e l’aveva scritta di getto, senza pensarci troppo. “A tutte le persone incredibili, esasperanti, intriganti e snervanti che ci ispirano a fare grandi cose”. Sapeva che lei l’avrebbe capita, che quella sarebbe stata una cosa solo loro ed era il suo modo per dirle quanto fosse speciale per lui. Sapeva quelle parole a memoria, ma aveva ugualmente conservato quel foglio, ripiegato su se stesso nella stessa piega fatta quella notte quando l’aveva messo in fretta e furia nella tasca dei pantaloni prima che lei si svegliasse sotto i suoi baci lasciati sulla sua spalla. Aveva sussurrato il suo nome un po’ infastidita e si era sciolta davanti al suo sorriso, ricambiando i baci e l’amore.

Rick prese il foglio dal cassetto della scrivania, continuando a torturarsi con i ricordi. Non sapeva come poteva fare a convincersi che tutto quello non era vero, che si era illuso lui che lo fosse che quei baci erano una bugia, che quegli sguardi erano finti, che il suo sorriso era costruito.

Aprì il computer e fece quello che da tanto tempo non aveva più fatto: scrivere. In fondo era uno scrittore, era il suo lavoro. Era stato lui a creare Nikki Heat e cosa ancora più grave, a creare quell’immagine di Kate Beckett che ora lo ossessionava e allora avrebbe continuato a farla vivere con il suo alter ego lì dove lui poteva controllarla, dove non lo avrebbe ferito, tradito o lasciato, nei suoi romanzi.

 

Erano arrivati poco prima del tramonto. Si erano fermati solo per brevi soste per mangiare e sgranchirsi un po’ le gambe. Nick aveva insistito per guidare lui tutto il tempo e Kate aveva con poco entusiasmo accettato la cosa, rimanendo seduta impaziente sul lato passeggero, osservando le altre auto sfilare via dietro di loro. 

Avevano oltrepassato Myrtle Beach ed erano arrivati in una zona più tranquilla, dove le abitazioni erano lontane tra loro, non c’erano grandi hotel, grattacieli, complessi residenziali e confusione.

Price aveva rallentato nei pressi di un cancello di legno bianco che aveva sicuramente visto tempi migliori. Era arrivato lì senza consultare il navigatore, era evidente che conoscesse quel posto e questo innervosì ancora di più Kate: perché era lì, con lui?

Erano entrati nel vialetto piuttosto dissestato, dove la terra battuta era invasa dall’erba alta che cresceva ai lati, che portava ad una piccola casa di legno bianco. Nick aveva parcheggiato proprio dietro la struttura di quella che Kate aveva capito sarebbe stata la sua “casa” per il prossimo, indefinito, periodo.

L’odore di salsedine appena scesa dall’auto le suggerì che dovevano essere più vicini al mare di quanto pensasse. Camminò fino all’entrata, stupendosi di come quel posto le piacesse. Quel luogo doveva sicuramente essere inabitato da tempo, anni più di mesi, ma le piaceva anche quel senso di trascurato, quel legno non perfettamente bianco, rovinato dal vento, dalla sabbia e dal sale. Le sembrava che fosse un po’ come lei, segnato dagli eventi ai quali non si poteva opporre. Arrivata davanti all’ingresso notò come erano in posizione leggermente rialzata, ma che, oltre l’erba alta, dietro la casa, bastava scendere poche scale, di legno rovinato anche quelle, e c’era subito la sabbia ed il mare ed ora con il motore spento dell’auto ne poteva sentire anche il rumore. Una piccola casa isolata vicino al mare, si morse il labbro pensando a quante volte aveva immaginato che prima o poi ne avrebbe avuta una anche lei, un posto dove rifugiarsi, leggere, fare lunghe passeggiate, nuotare e rilassarsi, l’avrebbe voluta proprio così e le sembrava uno scherzo del destino, perché adesso aveva un tempo indeterminato per fare tutto quello ed invece avrebbe solo voluto tornare indietro, guidare per altre dieci ore e più in direzione New York.

- Ti piace? - Le chiese Nick avvicinatosi a lei con un paio di valige scaricate pesantemente davanti all’ingresso. Avrebbe voluto dirgli di sì, che era la verità, ma i suoi sensi non smettevano di essere in allerta.

- Cos’è questo posto? - Chiese senza rispondere

- Il posto dove staremo. - Rispose evasivo

- Tu lo conoscevi, vero?

- Sì. È un problema?

- Sì, se non so perché. - Beckett si voltò a guardarlo senza nessuna intenzione di entrare in quella casa senza avere una risposta che potesse soddisfare la sua volontà di sapere.

- Dieci anni fa, più o meno, ho vissuto in questa casa per tre mesi, più o meno. Un’anziana coppia da proteggere, testimoni di un processo di mafia. Io dovevo essere il loro figlio e la mia partner la mia fidanzata. Una buona copertura. Tra qualche settimana andranno via gran parte dei turisti da questa zona, sarà molto tranquillo. Soddisfatta, Beckett?

Non le diede tempo di rispondere, aveva già ripreso le valige, salito i due scalini che cigolavano un po’ troppo ed aperto non senza qualche fatica la porta di legno che non veniva mossa da molto.

- La tua partner era quella morta durante un’operazione? 

Kate lo aveva seguito, entrando nella casa. Anche dentro era come si era immaginata da fuori, un misto di gusto rustico e cura dei dettagli in gran parte cancellata dal tempo che non si era fermato.

- Sì, è lei. - Tagliò corto Nick cercando di aprire le finestre per togliere via odore di chiuso e polvere.

- Stavate insieme da molto, quindi. - Kate si lasciò sfuggire la riflessione ad alta voce e Price si fermò. Sbattè le mani per togliersi la polvere e si avvicinò a Beckett che ora poteva vedere i suoi occhi azzurri così chiari da sembrare due pezzi di ghiaccio.

- Claire era mia moglie. Ci eravamo sposati in segreto un paio di settimane prima, un colpo di testa, lo abbiamo deciso la mattina, il pomeriggio lo abbiamo fatto. Dovevamo solo finire quell’operazione, poi avremmo avuto due settimane di ferie, la nostra luna di miele. È finito tutto prima.

Nick le diede le spalle per non far vedere la sua commozione nel ripensare a sua moglie.

- Mi dispiace. - Fu tutto quello che Kate riuscì a dirgli.

- Tu pensi che non ti capisco, vero Kate? Invece so quello che hai vissuto. So cos’è la paura che possa accadere qualcosa alla persona che ami e so anche cos’è il dolore nel perderla, la voglia di tenerla al sicuro malgrado non te lo permetta. Tu hai potuto scegliere, hai lasciato Castle fuori dalla tua vita per questo, non c’è bisogno che me lo dici, è chiaro che è così. Io non ho avuto nemmeno questa possibilità, lei non me lo avrebbe mai permesso. Mi sono preso i rimproveri della sua famiglia che mi ha accusato di non averla salvata e dopo il loro rancore ed il biasimo di colleghi e superiori, quando hanno saputo che eravamo sposati. Non è stato un momento facile e non lo è ancora, ma non mi sono mai pentito di averla sposata, perché Claire è stata comunque la cosa più bella che è capitata nella mia vita.

Kate uscì dalla casa lasciandolo solo, aveva preferito lasciare a Nick il suo spazio per sfogare le sue emozioni, perché anche in quella convivenza forzata dovevano trovare il modo di mantenere la giusta dose di solitudine. Si sedette su patio con le gambe che ciondolavano nel vuoto: quel giorno che era iniziato guardando l’alba dalla finestra della sua casa di New York, finiva con un tramonto in riva al mare in South Carolina.

Il sole era quasi tramontato quando sentì Nick sedersi vicino a lei.

- Ti piacciono i tramonti? - Le chiese per rompere il silenzio

- No. - Rispose sincera facendolo ridere

- Nemmeno a Claire piacevano. A me sì, invece.

- Sei romantico Price, non pensavo! - Lo prese in giro Kate facendolo ridere di nuovo.

- Sono molte le cose che non sai di me, Beckett! - Nick lo disse sorridendo, ma per lei quella frase fu un freddo colpo di vento sulla pelle, come se volesse imporre ai suoi sensi di non abbassare mai la guardia. 

- Domani mattina vado al paese vicino a comprare un po’ di cose, tu è meglio se per ora rimani qui. - Le disse Price fissando il sole che era già sparito oltre il filo dell’orizzonte.

- Che bello, di nuovo ai domiciliari! - Sbuffò Kate.

- Mi dispiace, Beckett, ma lo sai anche tu che non possiamo fare altrimenti, adesso. - L’uomo si stava alzando, quando lei lo richiamò.

- Credi anche tu che sto sbagliando tutto? - Non sapeva perché glielo aveva chiesto, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno che vedesse la situazione anche dal suo punto di vista.

- Tutto cosa? - Chiese sedendosi di nuovo vicino a lei

- Tutto, nella mia vita. Mio padre dice che la sto buttando via, La mia migliore amica che lo rimpiangerò per sempre.

- Tu credi che sia la cosa giusta quello che hai deciso si fare?

- Io credo di sì. - Sospirò Kate guardando i suoi piedi che si muovevano sospesi nel vuoto sfiorando ciuffi d’erba sotto di lei. - Tu, però, hai detto che non ti sei mai pentito di quello che hai fatto.

- Hai paura di pentirti Beckett? - Le chiese senza distogliere lo sguardo da quel punto indefinito oltre l’orizzonte. 

- Forse l’ho già fatto. Ho deciso io per entrambi, anche se penso che sia stata la cosa più giusta da fare, forse lui doveva sapere.

- Sai già cosa avrebbe scelto, per questo non glielo hai detto. - Nick fece una pausa e guardò Kate che si mordeva nervosamente l’interno della guancia - Se io avessi avuto la possibilità di scegliere, se la mia decisione avesse in qualche modo potuto salvarla, non ci avrei pensato due volte. Avrei scelto la sua vita, anche se avrebbe fatto male ad entrambi, anche se lei non mi avrebbe mai perdonato. 

Kate si alzò e si andò ad appoggiare alla balausta poco distante. Alzò gli occhi al cielo e vide un paio di gabbiani che volteggiavano in aria al tramonto, erano isolati dal resto dello stormo passato rumorosamente poco prima, erano solo loro due che andavano insieme verso la notte. Li guardava scendere in picchiata e sfiorare le onde del mare per poi rialzarsi e riprendere quella danza solitaria. Chissà loro dove avrebbero trovato la loro pace, quella notte, dove si sarebbero riposati prima di sfidare di nuovo il giorno dopo il cielo ed il mare.

- Sarà meglio entrare ora. - Nick aveva appoggiato la mano sulla sua spalla, facendola sussultare più del dovuto.

Ebbe modo di osservare meglio l’interno ora, con la luce accesa che rischiarava l’ambiente cancellando i caldi colori del tramonto con quelli più freddi della luce artificiale. Le piaceva come in quell’unico ambiente abbastanza spazioso avevano fatto convivere la cucina con la zona pranzo e relax, con le poltrone messe ad angolo che davano su quella vetrata lasciando vedere il mare oltre le tende bianche ingiallite dal sole.

Lasciò che Nick l’accompagnasse in quella che sarebbe stata la sua stanza, al piano superiore, dove alla fine delle scale tre porte indicavano la presenza di due camere ed un bagno. 

La stanza era piccola ed occupata per lo più da un letto con la testiera in ferro bianco dai motivi floreali. Una cassettiera di legno bianco ed un armadio coordinato completavano l’arredamento di quel posto, insieme a due piccoli comodini.

- Questa è quella più carina - Le disse Price poggiando una delle sue borse a terra.

- Non ti preoccupare, va più che bene. 

Abbozzò un sorriso e si sedette sul letto mentre lui se ne andava chiudendo la porta. Almeno sapeva cosa avrebbe fatto nei giorni seguenti, sarebbe stata occupata a togliere polvere e ripulire tutto.

Si era addormentata che era mattina presto, sentiva già il cinguettio degli uccellini fuori dalle finestre ed il sole alto che entrava in camera l’aveva svegliata dopo poche ore. L’odore del caffè che arrivava dal piano inferiore la convinse a scendere dal letto più velocemente di quanto volesse fare, ma si era resa conto anche di avere una discreta fame, visto che la sera prima non avevano cenato.

La luce che c’era sotto era decisamente troppa per i suoi occhi ancora insonnoliti, anche se una casa così luminosa le piaceva molto. Man mano che si abituava scopriva dei piccoli particolari che il giorno prima non aveva notato, i barattoli di vetro azzurri, un vaso con sabbia e conchiglie, un ramo di corallo bianco, un’ancora dipinta di bianco appoggiata al muro.

- Tieni - Nick le si era avvicinato con una tazza di caffè in mano. Kate la guardava senza prenderla sopraffatta dai ricordi. - Ehy Kate è solo una tazza di caffè!

Annuì prendendo quella tazza bianca con il liquido scuro dentro e si andò a sedere sul tavolo dove Nick aveva lasciato una gran quantità di giornali, segno che doveva essersi alzato già da un po’ e andato in paese a fare acquisti come aveva detto la sera prima. Beckett teneva la tazza stretta tra le mani, scaldandosele con il suo calore, anche se non ce n’era alcun bisogno, la temperatura di fine agosto era più che piacevole, ma lei improvvisamente sentiva un gran freddo dentro. Solo una tazza di caffè, bastava solo una tazza di caffè per farla vacillare, per stravolgere il senso delle cose. Non riuscì a berne nemmeno un sorso. Sfogliò distrattamente qualche rivista mentre Price parlava e sistemava le tante buste piene di roba che ora sì, aveva notato, disposte ordinatamene a lato della cucina. Lo osservò brevemente riporre gli oggetti negli armadietti ed il cibo in frigo, penando che dovesse essere decisamente un tipo metodico ed ordinato a giudicare da come sistemava ogni cosa. Lo sguardo poi tornò su una di quelle riviste e lo vide lì, stretto ad una ragazza mora in una serie di scatti fuori da un locale e davanti ad un hotel. “Lo scrittore e la sua nuova musa”. Ripensò alle parole di Alexis alle sue conquiste che portava nella suite. La fame scomparve sostituita solo da un forte senso di nausea e da un dolore sordo che si riverberava in ogni parte del suo corpo.

Kate corse al piano di sopra, in bagno, dove avrebbe voluto vomitare tutte le sue scelte sbagliate. Si inginocchiò davanti alla tazza colta da una crisi di nervi, di lacrime e paura. Era spaventata dalla sua stessa reazione, dal fatto che solo delle foto le avevano provocato un effetto così straziante. Eppure lei lo sapeva che sarebbe accaduto, che lui avrebbe reagito proprio così, lo aveva anche sperato: sarebbe tornato quello che ogni sera aveva una donna diversa, quello che passava da un party all’altro, quello superficiale e spaccone. Le faceva male comunque. Perché sapeva che quella, per lui, era solo una facciata, perché ora conosceva l’uomo che c’era dietro quell’immagine sbagliata che volutamente dava di se, perché se si fosse fermata a guardare quelle foto, avrebbe visto cosa c’era veramente dietro il suo sorriso. Faceva male, faceva tremendamente male vederlo abbracciato ad un’altra donna, vedere la testa di lei poggiata sulla sua spalla mentre sorrideva ai fotografi ed il suo braccio che le stringeva il fianco, perché lei sapeva come era essere stretta da lui e le sembrava di sentirla ancora adesso la sensazione della sua mano poggiata su di lei quando si avvicinava e la abbracciava, senza nessun motivo, solo per avere un contatto e andava subito a cercare quella mano unendo le loro dita, intrecciandole istintivamente. 

Sentì i passi di Nick fermarsi proprio fuori la porta del bagno e non dire nulla. Come le lacrime si calmarono tornò la nausea ed i conati di vomito. Si alzò a fatica con la testa che girava, si sciacquò abbondantemente il viso fissando poi la sua immagine allo specchio: come era arrivata a quel punto? Come era arrivata lì? Le sembrava di essersi lasciata trasportare dagli eventi senza aver effettivamente esercitato la sua piena volontà in nulla di quello che aveva fatto. Solo una cosa aveva deciso ed era quella che ora la faceva soffrire di più e si domandava come fosse possibile essere certi di aver aver fatto la scelta più giusta se questa poi faceva stare tanto male. Non riusciva a stare meglio, nemmeno fisicamente.

Uscì da lì sorreggendosi alla porta, con un dubbio che improvvisamente l’aveva invasa e che le rendeva difficile anche camminare.

- Devo andare in farmacia - disse a Price che aspettava lì per sapere come stava.

- Ho cassetta con dei medicinali, te la porto, così vedi se trovi quello che ti serve. - Stava già scendendo quando lei lo fermò.

- Non credo tu abbia quello che cerco, devo andare. - Insistette

- Non se ne parla. Dimmi cosa ti serve e ci vado io. - Era irremovibile.

- È una cosa personale Nick. - Il suo tono fu quasi una supplica che però non sortì alcun effetto su di lui.

- Kate, no. Ne abbiamo parlato, non puoi uscire da qui, per ora, lo sai. Cosa ti serve?

Non aveva voglia di discutere in quel momento, né di fare polemiche. Voleva solo, il più rapidamente possibile, avere una risposta a quel dubbio che la stava logorando da quando quell’idea era entrata nella sua mente, poco prima.

- Un test di gravidanza.

Nick la guardò negli occhi stupito trovando stupita anche lei, le disse solo “Ok” ed uscì.

- Allora? - Le chiese Nick vedendola uscire dal bagno con la scatola mentre gettava tutto nella pattumiera con un’espressione indecifrabile, tentando di giustificare la sua domanda - Sai, non vorrei essere indiscreto ma potrebbe cambiare le cose, molto. 

- Negativo. Non cambia nulla. - gli disse Kate chiudendo lo sportello dove si trovava il secchio dei rifiuti.

- Sembri quasi delusa, sbaglio? - Azzardò. Beckett lo fulminò con lo sguardo per un attimo e poi si arrese a quella domanda che aveva messo a nudo una parte di se.

- No… non lo so… - Rispose evasiva

- Non sai se sei delusa o se sbaglio? - Insistette Price, giocando con la pazienza di Kate.

- È complicato Nick.

- Però ci avevi sperato, vero? - glielo disse con un tono estremamente dolce e comprensivo e lei si meravigliò di se stessa: era vero, ci aveva sperato. 

- Non credo sia qualcosa di cui voglio parlare. - Tagliò corto interrompendo quel tentativo di introspezione nei suoi confronti che stava cercando di portare avanti. Lui non era nessuno per lei, nessuno per poterlo fare.

Si sedette sulla poltrona a gambe incrociate raggomitolandosi. Preferiva quella poltrona al grande divano, perché si sentiva più protetta e perché non c’era chi voleva lei a tenerle compagnia. Appoggiò la testa contro la spalliera e chiuse gli occhi.

 In quell’attesa aveva pensato a molte cose, a come sarebbe stato se fosse stato vero, a come la sua vita sarebbe cambiata, a come avrebbe dovuto dirlo a Castle. Si era sorpresa nel non aver pensato a nessuno dei tanti aspetti negativi che avrebbero reso la cosa impossibile, primo tra tutti che lei doveva stare lì isolata dal mondo, dei pericoli ai quali avrebbe esposto un bambino, al doverne parlare con Rick dopo tutto quello che era successo. No, non ci doveva nemmeno aver sperato, era l’ennesima azione egoista che avrebbe fatto dopo essersi innamorata di Castle. Non poteva coinvolgere un’altra vita nella sua folle esistenza e farla vivere come lei. Era meglio così, per fortuna, non doveva preoccuparsene. Quel malessere mattutino unito a quel leggero ritardo a cui aveva fatto caso in quel momento, l’avevano portata per un attimo a considerare quella possibilità che ora le sembrava veramente impossibile, però l’idea di una piccola vita da amare, sua e di Rick, le aveva scaldato il cuore e l’aveva emozionata più di quanto potesse immaginare: era un altro dei suoi stupidi sogni, destinato a rimanere tale, come tutti gli altri. Non poteva permettersi di sognare, di immaginare che poteva essere lei che avrebbe dato a Rick quella famiglia che aveva sempre tanto sognato e a cui lei, invece, non aveva mai pensato. Aveva già fatto male all’unica persona della quale realmente le importava per seguire i suoi sogni, lei non poteva sognare, doveva continuare solo a camminare con i piedi ben piantati a terra, a vivere il presente senza pensare al futuro.

Lei lo aveva sempre saputo, non avrebbe mai potuto vivere una storia normale fino a quando non avrebbe chiuso definitivamente i conti con il passato, non si sarebbe mai dovuta permettere il lusso di innamorarsi ed amare qualcuno. Doveva aspettare, come aveva detto quel giorno a Castle sulle altalene dopo essere andata alla presentazione del suo libro, quando lui le aveva promesso che l’avrebbe aspettata. Poi, però, Kate aveva fatto precipitare tutto quando la verità era venuta fuori e la paura che lui non l’aspettasse più, che l’avrebbe perso per sempre, l’avevano spinta ad agire, ad amare e a vivere. Ed aveva vissuto fino in fondo ogni goccia di quella loro breve storia in balia di sentimenti così forti da farle girare la testa.

Kate si era sempre bastata: bastava a se stessa ed era sempre stata bene così. Gli uomini della sua vita erano entrati ed usciti lasciando tracce impercettibili su di lei e sulla sua vita, perché lei non gli aveva mai permesso di lasciare un segno. Aveva posto un limite invalicabile oltre il quale nessuno poteva andare, per non calpestare quella parte di lei dove era più facile lasciare impronte, dove era più fragile. A Castle, invece, non aveva messo limiti perché non poteva e perché lui non li avrebbe mai rispettati, anzi lui li aveva già oltrepassati da prima. Non aveva lasciato tracce o impronte dentro di lei, ma marchi a fuoco indelebili. Ed ora Kate non si bastava più. Senza Castle era incompleta.

Aveva sempre camminato con i piedi ben piantati a terra, seguendo una linea immaginaria che si era tracciata: lavoro, arrestare assassini, lavoro, fare giustizia per le vittime, lavoro, dare serenità ai familiari, lavoro, lavoro, lavoro. Non c’era spazio per molto altro nella sua vita. Il tempo per se stessa era il minimo indispensabile e si riduceva in qualche corsa al parco, un bagno caldo con un bicchiere di vino ed un libro o qualche uscita con Lanie, il resto erano relazioni vuote e volutamente impossibili, vita sociale ai livelli minimi, cibo da asporto, nessuna vacanza. Nulla. Solo il cellulare sempre vicino, sempre acceso, sempre reperibile per gli altri. Castle, invece, l’aveva sollevata da terra e fatta volare, le aveva fatto respirare l’aria che c’era pochi centimetri sopra la sua testa ed aveva avuto tutto un altro sapore, riempiva i polmoni in maniera diversa. Aveva riscoperto il piacere di pensare a se stessa, di lasciarsi andare ad un abbraccio sincero che la cullava per un pomeriggio intero, di sognare quello che avrebbe voluto fare e percorrere tutte le linee curve della vita. Castle era un libro appassionante di cui aveva potuto leggere solo qualche pagina e poi lo aveva perso. Non avrebbe mai saputo come sarebbe andato a finire quel libro, poteva solo costruire storie e finali nella sua mente, ma quell’esercizio di fantasia le faceva male.

Rick era così, irruente nei modi, nel dimostrare il suo affetto, era fisico e carnale come non si sarebbe mai immaginata, era la dolcezza della passione e questo lato di lui le era piaciuto ancora di più. Ora con la stessa irruenza lui tornava prepotentemente nella sua mente e, come quando la abbracciava avvolgendola totalmente ora lo faceva con tutti i suoi pensieri, legandoli a se e non lasciandole modo di pensare ad altro. Lo odiava per questo come non aveva mai odiato nessuno. E lo odiava ancora di più perché lo amava come non aveva mai amato nessuno: non se ne andava dalla sua mente, in nessun modo. E non poteva permetterselo, non in quel momento. 

Le faceva male la sua assoluta convinzione che non ci sarebbe stato nessun tempo ad aiutarla. Il tempo non la aiutava, non la faceva dimenticare, il tempo non le alleviava le ferite che non fossero state fisiche. Il tempo, al massimo poteva confonderla, creare ricordi falsi e false emozioni con cui cercare di coprire quello che fa male. Ma era solo un’illusione che durava il tempo in cui era disposta a crederci. Poi tutto tornava più violento di prima e l’assenza ed il vuoto erano sempre lì, pronti ad inghiottire l’anima inquieta. Kate lo sapeva, lo aveva già provato con la perdita di sua madre. Non erano stati gli anni o il tempo a darle sollievo, era stato solo l’amore che aveva riempito il vuoto e l’assenza, quindi sapeva con assoluta certezza che non ci sarebbe mai stato nessun tempo utile che le avrebbe fatto dimenticare Castle.

Castle non era nei suoi pensieri, Castle era dentro di lei, era una parte di lei stessa, quella che aveva scoperto esistere solo con lui. Castle era la gioia di dormire fino a tardi tra le sue braccia, la colazione a letto la mattina, un bacio che sapeva di cioccolato e panna, era il cuore con la schiuma del caffè, la spugna che le insaponava la schiena. Castle era guardarsi negli occhi e non parlare perché non ce n’era bisogno, era prendere lo stesso orsetto gommoso dal sacchetto e lasciarlo all’altro, era il vento tra i capelli sull’altalena, imboccarsi a vicenda con le bacchette, era un ballo lento senza musica, le mani che cancellano le lacrime. Castle era quei desideri che non si era mai confessata, quei sogni che non le dovevano appartenere. Castle era un “andrà tutto bene” al quale credere, ma le non aveva voluto farlo e non aveva nemmeno avuto il coraggio di spiegargli perché: non gli aveva confessato le sue paure, perché sapeva che se lui avesse continuato a rassicurarla e a ripeterglielo lei a quel “andrà tutto bene” ci avrebbe creduto e non poteva permettersi che poi non fosse vero. Allora era stato più facile mentirgli, dirgli che tuto quello che di più bello c’era stato nella sua vita era falso, distruggere quel “loro” che avevano faticosamente costruito rincorrendosi per anni, farsi odiare e farlo allontanare prima di scappare lei stessa.

Castle in quelle settimane aveva scritto. Aveva scritto tanto come da tempo non gli accadeva, anzi forse l’ultima volta che aveva scritto così tanto in modo così frenetico era stato appena conosciuta Beckett, quando la storia di Nikki Heat si era materializzata nella sua mente. In quei giorni si era totalmente immerso in lei, in Nikki, scrivendo pagine su pagine di cose che poi probabilmente non sarebbero mai state nei suoi libri, ma lui ne aveva bisogno, aveva bisogno di scrivere di lei, di renderla reale di mettere nero su bianco tutti i suoi pensieri. Si rendeva conto da solo che il confine tra Nikki e Kate era sempre più labile e più di qualche volta si era trovato a scrivere direttamente il suo nome e non quello del suo alter ego. La Kate Beckett di cui si era innamorato l’aveva costruita nella sua mente, quindi avrebbe continuato a farlo, a renderla reale lì dove non poteva lasciarlo, non poteva tradirlo, non poteva illuderlo.

Se c’era una persona che era felice di tutto questo era Gina che si vedeva arrivare capitoli su capitoli, idee su idee tanto che faticava a stargli dietro, ma di certo non se ne lamentava, così come non si lamentava della presenza del suo scrittore di punta sulle pagine dei giornali praticamente ogni giorno, perché quando non scriveva, Castle usciva a divertirsi e non c’era party, serata di beneficenza, inaugurazione o evento al quale non partecipava e dal quale non usciva con un’attrice o modella. Gina era entusiasta che la sua gallina dalle uova d’oro era tornata in pista come da anni non faceva, garantendogli tutta quella dose di pubblicità extra che andava direttamente a colpire il suo pubblico ed insieme a lei era entusiasta anche Paula, la sua agente che non faceva in tempo a rispondere a richieste di sue partecipazioni e interviste alle quali Castle partecipava sempre con entusiasmo e brio.

Per chi lo vedeva in giro Rick era tornato quello di sempre, anzi “quello di prima” come dicevano entusiaste e soddisfatte Gina e Paula ogni volta che si incontravano ai vari eventi, perché sì, avevano apprezzato la collaborazione con la polizia che gli aveva dato una nuova vena creativa e rivitalizzato la carriera che sembrava in declino dopo l’uccisione di Storm, ma allo stesso tempo l’aveva allontanato da tutto quello che era il mondo del jet set, delle feste e di tutto quello che fa pubblicità e che serve a rimanere sulla bocca di tutti a lungo. Ad ogni evento di prestava a farsi foto e firmare autografi a tutti i fan presenti, senza saltarne nemmeno uno, regalando a tutti sorrisi e ammiccando alle ragazze che pendevano letteralmente dalle sue labbra. Alcune volte erano arrivati a chiedersi quando riuscisse a scrivere visto che ogni notte tornava a casa all’alba, quando ci tornava, e la sera era di nuovo pronto nel suo completo più elegante, occhiali da sole, capelli più corti e sistemati, una leggera ombra di barba che secondo Gina lo rendeva più sexy, pronto per ricominciare, tra un cocktail e l’altro, mattatore di ogni serata.

Aveva invitato più volte anche Ryan ed Esposito ed un paio di volte lo avevano anche raggiunto in una di quelle feste in cui si sentivano tanto a disagio ma dove potevano apprezzare cibo ed alcolici gratis, oltre che la presenza di tante belle donne, almeno Esposito. Per i due c’era solo un obbligo: vietato parlare o anche solo nominare Beckett.

La festa più grande, però, doveva ancora essere organizzata e ci sarebbe stata da lì a pochi giorni. Per l’uscita di Frozen Heat, Gina aveva organizzato un party in grande stile, come da tempo non ne organizzava per un libro di Castle, almeno dalla fine di Derrick Storm, ma quello era il momento giusto per cavalcare l’onda e soprattutto la buona predisposizione del suo scrittore di punta per partecipare a questi eventi. Aveva così organizzato la serata nel rooftop del più esclusivo hotel di Manhattan, una festa esclusiva dove qualche centinaio di persone e molti fotografi e giornalisti, giravano tra l’interno ed esterno del locale con in mano calici di champagne ed altri costosi alcolici, degustando tartine dai gusti ricercati, in mezzo a tante statue di ghiaccio create appositamente per l’evento. Luci dalle varie sfumature di blu rendevano l’ambiente ancora più glaciale e gigantografie della copertina di Frozen Heat campeggiavano alle pareti, insieme a colonne di libri in edizione speciale distribuiti gratuitamente a tutti i partecipanti che ovviamente potevano farsele autografare dall’autore stesso che fece il suo ingresso trionfale a metà serata, in un perfetto completo blu intonato con l’ambiente, con i suoi immancabili occhiali da sole ed il suo sorriso smagliante.

Con in mano il suo pennarello firmava copie su copie, dispensava sorrisi e riceveva numeri di telefono da audaci ragazze che gli mettevano bigliettini direttamente in tasca o anche altrove, stappandogli ammiccamenti e sorrisi maliziosi. Non diceva mai di no per una foto, accettava di buon grado anche chi nel farlo si strusciava oltre il consentito. Le feste per Rick erano ormai tutte uguali, era sempre tutta la solita routine, quella che un tempo lo annoiava, adesso lo rassicurava. Sapeva esattamente cosa aspettarsi da quelle serate e questo era confortante: tanto alcool, foto, autografi e a fine serata usciva da lì con una ragazza della quale probabilmente il giorno dopo non si sarebbe ricordato il nome e nemmeno il volto se non l’avrebbe rivisto in qualche foto su qualche rivista di gossip. Tutto questo era rassicurante, perché non implicava coinvolgimenti emotivi né mentali. Doveva solo non pensare: alla sua vita, al suo passato, a Beckett. Soprattutto a Beckett.

Aveva insistito perché quella sera andassero con lui anche Martha ed Alexis che non avevano potuto dire di no. Voleva la sua famiglia vicino a lui, perché condividesse con lui quella serata, il suo successo, perché vedessero che Richard Castle stava bene ed era sempre al top. Sua madre più volte aveva palesato i suoi dubbi e le sue perplessità su quello che stava facendo, su quella vita frenetica dove mangiava e dormiva sempre meno, ma non faceva altro che ripetere “Va tutto bene” sempre più nervoso e stizzito. Quella sera, però, a Martha non era servita per fugare i suoi dubbi, anzi li aveva solo accresciuti, rendendone partecipe anche sua nipote che osservava preoccupata la regressione di suo padre, sentendosi intimamente anche in colpa. Certo, avevano riavuto le loro vite, la loro libertà, ma non aveva riavuto suo padre, che anzi era sempre più distante, più lontano perso in quel mondo che era convinta avesse lasciato anni fa e vedendolo adesso si rendeva conto di quanto Beckett fosse stata importante nel suo cambiamento. Era vivo, però, si ripeteva e questa sarebbe stata solo una fase che sarebbe passata. Kate aveva fatto la scelta giusta, anche se suo padre ancora non se ne rendeva conto.

Dopo le foto di rito con sua madre e sua figlia ed un primo giro di autografi, Rick per la prima volta, aveva cominciato a sentirsi soffocato da tutto quel clamore intorno a lui. Si era tolto la cravatta di seta azzurra in tono con la pochette nel suo taschino, l’aveva messa arrotolata nella tasca della giacca senza prestare troppa attenzione e con un calice di champagne in mano era uscito fuori, andando in un angolo della terrazza dove la musica era meno forte e le luci meno invadenti.

- Credo che ti sia caduta questa. - Una donna bionda si avvicinava camminando in modo sensuale con la usa cravatta in mano. Rick si tastò sulla tasca realizzando che in effetti gli doveva essere caduta mentre a passo svelto era arrivato lì.

- Sì, grazie. - Rispose con un sorriso abbozzato, non quello smagliante delle occasioni ufficiali, ma uno più timido, mentre lei gli appoggiava il pezzo di stoffa in mano. Con l’altra anche lei teneva un calice di champagne e fece tintinnare i loro bicchieri.

- A questa bella serata, Castle e ai tuoi successi! - Gli disse prima di bere.

- Grazie Vanessa - Replicò lui bevendo a sua volta.

- Ti ricordi di me, quindi… - Disse compiaciuta.

- Non mi sono perso una puntata di Queen of Fire, te lo confesso. - Ammiccò prima di bere l’ultimo sorso del suo bicchiere.

- Ne sono lusingata… Ricordi che mi devi ancora una serata?

- Ma certo, quando vuoi. Sarà un piacere. - Le prese la mano facendole un elegante baciamano prima di accingersi a rientrare.

- Aspetta Castle! - Lo richiamò la donna e lui si girò - Domani sera?

- Sarà un piacere Vanessa. - Annuì cortese mentre lei appoggiò la mano sul suo braccio per fermarlo.

- Devi proprio rientrare? - Gli chiese lasciando il bicchiere su un tavolo vicino alla vetrata di ingresso. Rick osservò dentro, tutti sembrava si stessero divertendo e nessuno per il momento notare la sua assenza.

- No, per ora no.

Tornarono nell’angolo meno caotico e più buio, appoggiati alla balausta della terrazza guardavano New York dall’alto con tutte le sue luci ed i rumori attuti che arrivano fin lassù. Chiacchierarono del più e del meno, senza nulla di specifico, come se fossero due vecchi amici, anche se si conoscevano solo di fama. Era da tanto che doveva passare del tempo con una donna solo a parlare, se si escludevano sua madre, sua figlia, Gina e Paula: era circondato da donne, ora che ci pensava.

- Ami molto le feste ultimamente Castle! Non ce n’è una alle quale non sei presente! - Rise Vanessa prendendolo in giro.

- Andiamo, a chi è che non piacciono lo feste! - Esclamò Rick

- A me, ad esempio! - Rise lei

- E allora perché sei qui? - La incalzò lui con il suo sorriso malandrino.

- Perché il festeggiato sembra una persona interessante… - gli rispose ammiccando

- Allora dovrò conoscerlo! - Rise Rick

- Piacerebbe conoscerlo di più anche a me. - Vanessa gli tolse gli occhiali da sole scoprendo i suoi occhi blu, messi in risalto dalle luci dello stesso colore che li facevano vibrare di più.

- Alcune volte piacerebbe conoscerlo di più anche a me. - Ammise Castle con un velo di tristezza che si era impossessato di lui, mentre osservava la donna che lo guardava seria.

- Potremmo conoscerlo insieme, allora… Cominciando da domani sera. 

- Da domani sera… Certo…

Rick rimase a guardare Vanessa Parker mentre si allontanava con i suoi occhiali in mano. 

- Richard! Ma dove eri finito? Ti aspettano per gli autografi! - La voce di Gina rimbombò nella sua mente riportandolo alla realtà della festa. Indossò di nuovo il suo miglior sorriso di circostanza ed entrò nella sala dispensando autografi, baci ed abbracci a chiunque li chiedesse, ridendo, bevendo e fingendo che tutto andasse bene. Come tutte le notti.

Rick stava sorridendo molto. Erano i primi sorrisi sinceri che faceva da settimane. La serata con Vanessa era più piacevole di quanto si sarebbe immaginato prima di uscire, non poteva tirarsi indietro, quella cena l’aveva vinta all’asta qualche mese prima e alla fine fu veramente felice dell’occasione. Vanessa Parker non era solo una bella donna, ma anche una persona molto simpatica e alla mano, molto lontana dal personaggio altezzoso e austero che interpretava in “Queen of Fire”. Anche i suoi capelli erano, nella realtà, meno biondi e più corti di quelli platinati di Hira, la regina guerriera che interpretava. Aveva però lo stesso sorriso seduttore e gli stessi occhi verdi penetranti ed una bellezza molto prorompente ma non volgare e non la ostentava, nemmeno nell’abbigliamento. L’aveva sorpreso quando era passato a prenderla nella sua casa di New York, scendendo vestita semplicemente con un paio di jeans ed una maglietta nera sotto un giacchetto di pelle ed aveva riso del suo stupore, vedendolo invece in un perfetto completo scuro con tanto di cravatta che aveva provveduto lei stessa a togliergli, per levargli anche parte dell’imbarazzo. Così, con la camicia bianca con il colletto sbottonato era decisamente più adatto al suo abbigliamento del tutto informale.

Avevano quindi anche deciso di cambiare anche del tutto programmi, abbandonando l’idea di quell’esclusivo ristorante di sushi dove Castle aveva prenotato optando per un thailandese semplice ed alla mano che conosceva Vanessa. L’attrice aveva riso tantissimo sentendo le scuse di Rick che annullava la prenotazione, troppo in ritardo secondo il direttore del ristorante, mentre lui tirava in ballo questioni importantissime di sicurezza nazionale esagerando volutamente per prendere in giro alla fine lo scortese direttore. Pensò che l’idea di cambiare ristorante era stata la migliore presa da molto tempo, perché quel thailandese si era rivelato veramente un posto eccezionale: l’ambiente era curato e sembrava veramente una piccola oasi d’oriente nella grande mela, il personale cordiale ed il cibo ottimo. Aveva gustato il suo phad Thai fino alla fine dando sfoggio della sua abilità nel mangiare con le bacchette facendo sorridere più volte Vanessa quando invece gli cadevano miseramente se provava a fare delle evoluzioni non richieste e necessarie, così come si era quasi sentita male dal ridere quando aveva fatto cadere un intero pezzo di pollo nella salsa piccante ed aveva voluto mangiarlo comunque, salvo poi diventare completamente rosso e bere con troppa avidità ed inutilmente il suo tè. Aveva apprezzato particolarmente che nel locale i tavoli erano molto distanziati uno dall’altro, lasciando ad ognuno la giusta privacy senza troppa confusione che con le luci basse e rossastre creavano un ambiente molto intimo, adatto a conversare a bassa voce. Aveva quasi finito la sua cena quando Vanessa si era alzata per andare in bagno e lo aveva lasciato al tavolo da solo a mangiare gli ultimi pezzi di pollo allo zenzero ed un pensiero volò rapido nella sua mente, fu un attimo ma la sua ombra rimase persistente in lui: quel posto sarebbe piaciuto tanto a Kate. Ebbe un gesto di stizza lanciando il tovagliolo sul tavolo che notò anche Vanessa, vedendolo proprio mentre tornava al tavolo.

- Tutto bene Richard? - Chiese sedendosi davanti a lui.

- Sì, tutto bene - Mentì - Scusami, devo andare anche io in bagno.

Si alzò ed andò velocemente verso il bagno. Si sciacquò il viso guardandosi allo specchio mentre nella sua mente l’immagine di Kate rimaneva persistente. Le sarebbe piaciuto quel posto, avrebbe adorato il phad Thai ed anche il pollo allo zenzero ed i gamberi al latte di cocco. E lui avrebbe adorato portarla lì e passare con lei tutta la sera. La stava odiando: stava passando una bella serata in compagnia di Vanessa, si stava divertendo, era sereno e poi era arrivata lei nella sua mente e tutto era cambiato e quel senso di vuoto lo aveva invaso e lo stava stritolando avvolgendolo nelle sue spire, il vuoto che era solo l’assenza di lei che tornava a farsi presenza costante quando meno se l’aspettava. La odiava per questo, la odiava perché non se ne andava dai suoi pensieri, da lui e dal suo mondo.

Si asciugò velocemente con un fazzoletto di carta e tornò da Vanessa che stava indossando il giubbino di pelle e sembrava pronta ad uscire. Si scusò, pensando che era stato via più di quanto fosse opportuno, ma lei gli regalò un sorriso benevolo.

- La tua Ferrari qui fuori si nota troppo, Richard. Sono arrivati dei fotografi. Non cerco pubblicità, non voglio servizi e copertine per una cena. Ho fatto chiamare un taxi, meglio non dare troppo nell’occhio.

Rick rimase stupito dalle sue parole, annuì solamente, un po’ deluso. Certo, non aveva pensato che lì, in quella via fuori mano, la sua auto sarebbe stata come una luce al neon puntata su di loro, ma non era nei loro piani.

- Mi dispiace Vanessa, posso rimediare in qualche modo? - Chiese sinceramente dispiaciuto.

- Pizza domani sera? Magari in taxi - Gli sorrise accarezzandogli la guancia.

- Pizza in taxi, perfetto! - Sorrise Castle vedendola uscire attirando su di se gli sguardi di tutto il locale. Si fece portare un altro tè ed aspettò un po’ prima di andare anche lui a casa.

Non aveva voglia di scrivere. Era una delle poche sere da settimane che era tornato a casa che ancora era notte, si buttò sul divano con una vaschetta di gelato a guardare la tv o per meglio dire, a fare zapping compulsivamente. La sua attenzione fu attratta solo da un notiziario in replica che stava mandando in onda un servizio sul senatore Bracken. Aveva evitato di pensare a tutta quella storia, perché pensarci equivaleva a pensare a Beckett e così da quando aveva chiesto ed ottenuto di non avere più la scorta dopo che Kate se ne era andata, Bracken era stato relegato in un angolo della sua memoria chiuso a chiave senza possibilità di uscire. Fino a quel momento.

Senza idee da scrivere e senza alcool, quella notte Rick la passò completamente in bianco a girarsi e rigirarsi nel letto in compagnia dell’unica donna che avrebbe voluto avere con lui, ma che era solo al centro dei suoi pensieri.

Si alzò quando sentì sua madre armeggiare in cucina con la macchina del caffè.

- Ne vuoi uno Richard? - Gli chiese vedendolo trascinarsi fino al bancone, ma lo scrittore fece cenno di no con la testa, sgranocchiando un biscotto. - Da quando in qua rifiuti un caffè?

Alzò le spalle senza rispondere, prendendo un altro biscotto.

- Fatto tardi anche questa notte? - Chiese senza rimprovero, ma con sincera curiosità

- No, in realtà ho fatto molto presto. - Provò a prendere un altro biscotto, ma Martha gli bacchettò la mano con un cucchiaino, prendendolo lei.

- Come mai? Nessuna festa ieri sera a New York? - La risata di sua madre fece sorridere anche lui.

- Una cena, con un’amica. Finita presto. - Spiegò con calma.

- Un’amica eh Richard? Da quando le chiami così le tue conquiste?

- Non è una mia conquista, abbiamo solo cenato insieme e tu sei troppo curiosa. - La ammonì bonariamente.

- E Beckett? L’hai più sentita? - Lanciò la bomba mentre stava mangiando il terzo biscotto e Rick per poco non si strozzò, tossendo veementemente.

- Te l’ho detto mamma, Beckett è una storia chiusa. Un capitolo chiuso della mia vita. Il passato. Non voglio parlare di lei.

- Richard! - Martha provò a chiamarlo, ma Castle era già tornato nel suo studio e dal rumore dei tasti aveva ripreso a scrivere freneticamente.

Come promesso il giorno prima, quella sera Rick passò a prendere Vanessa in taxi e fu lui a portarla in una ristorante, non lontano da lì, uno dei classici locali italoamericani a gestione familiare, con le pareti piene di quadri di varie città italiane, le tovaglie a quadretti bianche e rosse ed un buon odore di sugo, basilico e polpette che ti accoglieva all’entrata. Dal forno a legna sfornavano pizze in continuazione ed insieme ad una generosa porzione di fritti che mangiò quasi interamente Castle, ne ordinarono due anche loro. Fu Vanessa a parlare per gran parte della serata, raccontandogli di quando era stata sei mesi in Italia a girare un film, snocciolando uno dietro l’altro una serie di aneddoti divertenti e paradossali. Rick ascoltava sorridendo tutte le sue storie, stupendosi di come, da una sera all’altra, Vanessa fosse diventata molto più sciolta e divertente, magari anche grazie a quel vino rosso della casa che si erano fatti portare e che lei sembrava aver gradito particolarmente. Fu contento di constatare che la sua prima impressione su di lei non era stata errata: Vanessa era una donna veramente piacevole da frequentare, simpatica e alla mano, ma la cosa che più l’aveva colpito era la volontà di non apparire, di non usarlo come una figurina per apparire e guadagnarsi una copertina in più, anzi teneva molto alla discrezione e per la prima volta da settimane, usciva con una donna non perché volesse attirare qualche flash in più, ma solo perché sembrava gradire la sua compagnia.

Finirono la serata mangiando un gelato e passeggiando a Central Park, nonostante la temperatura in quei giorni di fine estate era già molto più fresca, ma sembrava non importare a nessuno dei due. Rick non ci aveva nemmeno fatto caso, ma aveva passato gran parte della serata a parlare di come aveva aiutato a risolvere alcuni casi al distretto e di come alcune situazioni lo avevano ispirato per i suoi romanzi e l’attrice dimostrava un vero interesse nel sentire i suoi racconti ed anche le sue folli teorie alle quali rideva divertita, chiedendogli, più volte se ci credeva veramente o se la prendeva in giro, ma la sua faccia seria era la risposta più eloquente e lei si sforzava di trattenersi dal ridere ancora.

- Ti va di venire da me? - Gli chiese Rick quando ormai fuori era troppo freddo per continuare ancora il loro giro

- Meglio di no, Castle - Rispose lei declinando gentilmente l’invito accompagnandolo con una carezza.

- Perché meglio di no? - Insistette lui.

- Perché non sono quel tipo di donna. Mi piaci Rick, ma non basta. - Gli disse sinceramente.

- Ok. Mi sta bene. Per ora - Gli sorrise facendola sorridere a sua volta e fermò un taxi per accompagnarla a casa.

Erano usciti ancora un’altra sera ed avevano continuato il loro giro del mondo culinario in un ristorante indiano caotico ed affollato vicino casa di Castle. Ne erano usciti con i vestiti impregnati dall’odore di masala con tutte le sue spezie e la bocca in fiamme per quel dhal di lenticchie dove lo chef aveva decisamente esagerato con il peperoncino. Era stata anche l’ultima delle loro cene e non perché Vanessa non avesse apprezzato particolarmente la cucina indiana mangiando solo samosa e biryani, ma perché il giorno dopo sarebbe dovuta tornare a Los Angeles: riprendevano le riprese della sua serie TV e sarebbe stata impegnata per le successive due settimane senza possibilità di tornare a New York nemmeno nei week end.

Castle si scoprì dispiacersi di quella situazione più di quanto avesse immaginato. Aveva apprezzato in quelle sere ritornare ad una vita normale, lontana dagli eccessi dei party senza essere la preda della giovane in cerca di visibilità di turno. Non che gli dispiacesse essere quel tipo di preda, si faceva catturare volentieri, poi, però, gli rimaneva sempre quel senso di sbagliato addosso, finito l’effetto dell’alcool e dell’eccitazione del momento. Con vanessa era stato diverso in quelle serate, aveva riscoperto il piacere di una chiacchierata ed una passeggiata, di una cena senza obblighi per il dopo.

Gli aveva promesso che appena fosse stata di nuovo in città lo avrebbe chiamato, ma in realtà avevano continuato a sentirsi quasi tutti i giorni, con lei che gli telefonava ogni sera, finite le riprese e lui non si faceva problemi se a New York era notte fonda. Interrompeva la sua scrittura e stavano a parlare ore, facendosi raccontare la sua giornate, le riprese ed anche gli spoiler della serie tv. Poi Rick aveva cominciato i tour promozionali per il suo libro ed era stato fuori città per diversi giorni, spostandosi da una città all’altra della east coast e nelle principali erano ricominciate le feste e le serate di eccessi: tra lui e Vanessa, in fondo, non c’erano promesse né legami o obblighi, però aveva tenuto a distanza di sicurezza ogni ragazza intenzionata ad andare oltre.

“Frozen Heat” continuava a vendere e la sua popolarità aveva fatto aumentare le vendite anche dei capitoli precedenti, il tutto aiutato dalla sua sovraesposizione mediatica. Quando era a New York era stato spesso ospite di talk show dove aveva dato sfoggio di tutta la sua verve ed ironia, attirandosi ancora di più le simpatie del pubblico, soprattutto di quello femminile affascinato dai suoi modi, se ce ne fosse ulteriormente bisogno. Gina e Paula erano sempre più entusiaste di questa sua svolta professionale, di questo nuovo Richard Castle personaggio pubblico che sa scrittore stava diventando sempre più un fenomeno mediatico, concedendosi senza riserve al suo pubblico. “Lasciare il distretto e la tua musa è stata la scelta migliore che potessi fare” le aveva detto la sua ex moglie in giorno, euforica per le vendite dell’ultimo libro ed in procinto di ordinare l’ennesima ristampa. Non aveva fatto caso, immersa nei suoi fogli e nei suoi conti, di come il visto di Rick si era immediatamente rabbuiato e la sua mente era subito volata via lontano. Lui non aveva scelto nulla, non aveva scelto proprio niente. Fosse stato per lui avrebbe deciso proprio nulla di tutto quello, avrebbe continuato esattamente come gli ultimi anni, dando la priorità alle indagini, al distretto e a Beckett. Era stato una vittima degli eventi, erano altri ad aver deciso per lui, Kate lo aveva fatto, e lui buttato nel mare aveva deciso solo di nuotare a modo suo, facendo quanto di più lontano c’era dalla vita che aveva condotto negli ultimi quattro anni, per mettere più distanza possibile tra quello che lui era e quello che era tornato ad essere. Ma quella non era una sua scelta e soprattutto non era la migliore. Detestava il fatto che più cercava di allontanarsi da tutto quello che era stato più bastava una parola, una frase, un oggetto qualsiasi cosa per il resto del mondo irrilevante per riportarlo lì dove non voleva essere, al centro dell’universo circondato da Kate Beckett.

Vanessa era stata di parola, appena tornata lo aveva chiamato ed erano subito usciti quella sera stessa. Era stata una cena veloce, perché lei era molto stanca per il volo ed il jet leg, poi si erano rivisti anche per i due giorni seguenti e le loro uscite avevano sempre seguito lo stesso copione, senza che lui chiedesse nulla di più, senza che lei gli concedesse di andare oltre o anche solo la possibilità di pensare che potesse farlo. Avevano però parlato molto, dei loro mondi, del loro passato delle loro esperienze. Si stavano conoscendo e si divertivano a farlo con leggerezza. Vanessa si era stupita nel trovare dietro il Richard Castle di facciata, un uomo molto più serio di quello che pensava, era soprattutto rimasta molto colpita dalla sua storia di ragazzo padre e di come aveva cresciuto da solo una figlia, proteggendola sempre dal mondo patinato al quale apparteneva e lui di contro, era rimasto affascinato dai modi semplici di lei, del tutto diversi da come appariva in pubblico, Vanessa era una donna sicura di se, che sapeva quello che voleva, che non si lasciava turbare da chiacchiere e pettegolezzi, una che aveva ben chiara la differenza tra mondo privato e pubblico e che sapeva perfettamente destreggiarsi tra i due.

—

Castle era in volo e stava sorseggiando una coppa di champagne comodamente seduto nella sua poltrona di prima classe, sarebbe arrivato nel primo pomeriggio a Los Angeles e contava di arrivarci estremamente riposato, godendosi quel viaggio senza pensare a nulla.

Aveva convinto Gina, senza faticare troppo in realtà, ad organizzare un tour promozionale anche sulla west coast, che lo avrebbe tenuto lontano da New York almeno un paio di settimane. Sarebbe rimasto come base a Los Angeles e da lì si sarebbe spostato, per uno o più giorni nelle varie città che la Black Pawn gli aveva messo in calendario. Non aveva detto nulla a Vanessa, contava di farle una sorpresa presentandosi direttamente negli studi di registrazione.

Non era entrato, aveva aspettato pazientemente fuori dai cancelli, non voleva essere troppo invadente, cosa ben strana per lui, ma aveva comunque ingannato l’attesa concedendosi a qualche foto e autografo a dei fan che lo avevano riconosciuto. 

Vanessa non era uscita troppo tardi quel giorno, come gli aveva già detto il giorno prima senza immaginare minimamente che sarebbe stato lì ad attenderla con il suo miglior sorriso. Si fermò con la sua auto vicino a lui, abbassando il finestrino ed osservandolo stupita.

- E tu cosa ci fai qui? - Gli chiese contenta di vederlo

- Passavo da queste parti! - Esclamò lui scrollando le spalle come se fosse del tutto normale.

Vanessa scosse la testa e lo invitò a salire in macchina, poi si allontanò velocemente dagli studi.

- Non ti preoccupi che ci hanno visto andare via insieme? - Le chiese appena si fermarono al semaforo successivo.

- Faranno qualche post sui social network e ci ricameranno un po’ su. Posso sempre dire che dovevi la famosa cena vinta all’asta.

- Uhm… io pensavo che quella l’avevi già riscossa! - Sorrise Rick

- Sì, ma loro non lo sanno. E poi ho sempre la parte della mia lettura privata che non ho ancora ottenuto. - Ammiccò Vanessa continuando a guardare la strada davanti a se.

Era stata Vanessa quella sera a portarlo in giro, prima in una steakhouse dove Rick si stupì della bistecca mangiata dalla donna, e poi finirono la serata in un locale a downtown a bere margaritas prima che lo riaccompagnasse al suo hotel.

- Domani sera faremo delle riprese anche in notturna, finirò molto tardi - gli disse lei nel parcheggio prima che scendesse dall’auto. 

- Immagino che comincerai a girare più tardi allora… - si lasciò sfuggire Castle

- Sì, nel primo pomeriggio - ammise lei.

- Se vuoi, posso finire di pagare il tuo premio… la tua lettura privata… - Rick gli sorrise teneramente e Vanessa abbassò lo sguardo imbarazzata. Poteva voler dire molto di più quella proposta ma era disposta a rischiare.

- Ok… - Gli disse voltandosi a guardarlo e trovandolo stupito.

- Ok! - Ripose lui scendendo dall’auto ed andando ad aprirgli la portiera.

- Vuoi che ti legga un passo di Frozen Heat? - Le chiese Castle pronto a mantenere il suo impegno, e solo quello, mentre le porgeva un bicchiere di scotch. 

- No, vediamo… - Vanessa si alzò e guardò nella ventiquattrore di Rick dove c’era una copia di ognuno dei suoi romanzi di Nikki Heat, prese il primo, Heat Wave, e cominciò a sfogliarlo. Lo aveva già letto qualche tempo prima, ma di certo sentirlo leggere da lui sarebbe stato del tutto diverso. 

- Leggi qui! - Chiese ammiccando maliziosa indicandogli un punto nella pagina.

Castle guardò il pezzo che gli aveva indicato e lo lesse velocemente mentalmente prima di schiarirsi la voce e cominciare a leggere, con voce bassa e profonda, seduto nella poltrona davanti a lei.

- “Riemerse in superficie, toccò col palmo la schiuma del sapone sulla faccia e sui capelli e si adagiò, senza peso, nell'acqua refrigerante. Si concesse la curiosità di chiedersi come sarebbe stato con Jameson Rook. Come sarebbe stato? Che sapore avrebbe avuto, che gusto, che movenze?”

- Quanto c’è di te in Rook? - Lo interruppe Vanessa.

Rick chiuse il libro e ne osservò la copertina trovandosi involontariamente a percorrere la sagoma di Nikki.

- Un po’… Ma io non ho mai vinto il Pulitzer. - Cercò di sviare il discorso, ma Vanessa non sembrava della stessa idea.

- E lei?

- Lei?

- Sì, quanto c’è in Nikki della detective alla quale ti ispiri?

Castle deglutì, finendo il scotch tutto in un sorso. Non voleva proprio finire a parlare di quello, non quella sera, non con Vanessa.

- Non lo so. Molto, credo. Ma non so quanto ci sia di lei in realtà e quanto della lei che immaginavo io e che è solo finzione, come Nikki. - Si ritrovò ad essere più sincero di quanto voleva essere, a parlarle di tutto quello che si stava tenendo dentro da settimane. Lei però sembrò non capire bene il suo discorso.

- Che vuoi dire? Non ti sei ispirato a lei?

- Sì, ma forse avevo immaginato una lei che non esisteva. Così ho inventato due personaggi, Nikki Heat sulla carta e Kate Beckett nella realtà. - Pronunciare il suo nome era stato come ustionarsi la lingua.

- Delusione d’amore? - Provò ad investigare l’attrice.

- Non solo d’amore. Delusione su tutto. Credevo fosse diversa, invece è stata come tutte la altre donne che ho amato, mi ha lasciato, senza un perché.

Vanessa lo stava ascoltando, vedendolo molto più fragile di quanto lo avesse mai visto. Se avesse potuto forse avrebbe strappato quel libro con le sue stesse mani. Si alzò e si andò a sedere vicino a lui, liberando il libro dalla sua tortura e prendendogli le mani.

- C’è sempre un motivo anche se a noi ci sembra assurdo perché non è quello che vorremmo. Spesso non lo vogliamo vedere o capire.

- Sì, hai ragione, e spesso il motivo è solo un uomo più giovane, più bello ed attraente. - Disse a denti stretti rivedendola entrare nel suo appartamento insieme a Price.

- Beh, se fosse questo, sarebbe veramente un motivo stupido, Richard. - I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi Vanessa si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia, indugiando con le labbra sulla sua pelle qualche secondo più del dovuto. - Ora è meglio che vada, si è fatto veramente tardi.

Rick la osservò prima lasciare la sua mano, poi alzarsi ed indossare la giacca, infine dirigersi alla porta della sua suite.

- Vanessa aspetta… - Non si era nemmeno reso conto di essersi alzato ed averla seguita, ma ora le stava tenendo il braccio, delicatamente ma in modo deciso. - … Non andare. Non ancora…

- Richard… Sarebbe un errore… - Glielo disse con un dolce sorriso ed aveva già abbassato la maniglia della porta, mentre vedeva i suoi occhi diventare tristi, come quelli di un bambino a cui avevano appena tolto il gioco preferito.

- No, Vanessa… non sarebbe un errore, se tu lo vuoi. L’errore è fare finta di niente, lasciare che la porta si chiuda e rimanere immobili. L’errore è avere i rimpianti di come sarebbe stato…

Non sapeva di cosa stava parlando, se di quella sera o di un’altra, sempre a Los Angeles, di qualche anno prima e si malediva perché ogni cosa che faceva la riportava sempre Beckett, a qualcosa che aveva vissuto con lei. Ma non voleva rivivere il passato, ora c’era Vanessa e veramente non voleva che quella sera se ne andasse.

La mano della donna lasciò la maniglia e quella porta non l’aprì più. Si voltò verso di lui che le sorrise ringraziandola.

- Sei ancora ferito, Richard Castle. Qui… - Poggiò una mano sul suo torace all’altezza del cuore e lui le fermò la mano, abbassando lo sguardo. Castle annuì ammettendolo anche a se stesso, prima che a lei. - … Datti del tempo, per capire cosa vuoi, quello di cui hai bisogno. Come vedi non sto scappando, ma non voglio…

Rick si piegò cercando le sue labbra, interrompendo quel discorso che non voleva sentire. La baciò timidamente mentre lei colta di sorpresa era rimasta immobile in un primo momento, salvo poi rispondere al suo bacio teneramente. Non c’era stata fretta in quel bacio, né frenesia, né era il preludio a qualcosa di altro.

- Scusami… - Le sussurrò Castle appena si separò da lei.

- Non scusarti, se non avessi voluto lo avresti capito - Gli sorrise Vanessa.

- Già, immagino di sì - Sorrise anche lui imbarazzato.

- Ti va di parlarne? - Gli chiese sorprendendolo.

- Di cosa? - Si irrigidì, mettendosi quasi sulla difensiva.

- Di quello che ti ha ferito, altrimenti non potrai mai guardare avanti. 

Lo prese per mano e si sedettero di nuovo e lo tenne per mano realmente, accompagnandolo quella notte in un viaggio dentro se stesso, e Rick si stupì di come riuscì a parlare di tutto quello che aveva vissuto, delle paure, delle speranze, dei sogni disillusi. Non si vergognò di piangere, né di parlare apertamente dei suoi sentimenti, preoccupandosi solo di non ferire Vanessa. Kate era il suo passato, glielo aveva ripetuto più volte, solo il suo doloroso passato che doveva riuscire a chiudere definitivamente in un cassetto. Lo ascoltò imprecare e chiederle più volte perché e se veramente poteva essere frutto della sua fantasia, se poteva essersi sbagliato ed illuso così tanto, che tutto quello che avevano vissuto non era vero. Questo lo faceva stare male più di tutto il resto, o quasi, perché non voleva ammettere che più di tutto lo faceva stare male il fatto che lei non era con lui, quello non poteva permettersi di dirselo, perché lei doveva essere il passato.

- Non sempre c’è un perché nelle cose. Non quello che vorremmo noi, almeno. - Gli disse semplicemente Vanessa. - Ci sono cose per le quali possiamo cercare una spiegazione per tutta la vita e non trovarla mai. Succedono e basta. Dobbiamo solo arrivare ad accettarle, convivere con il fatto che le cose sono andate così ed abituarsi al dolore.

L’attrice parlava come una persona che doveva aver sofferto e la osservò toccarsi con la mano l’anulare sinistro, come se cercasse un anello invisibile che l’aveva dovuta aver legata a qualcuno.

- Ne vuoi parlare tu? - Gli chiese lui.

- Ti va un caffè? - Propose lei

- Un tè, meglio. Il caffè… mi fa male. - Sospirò Castle, grato che lei non avesse capito il senso più profondo di quella frase.

- Eppure ti facevo un tipo da caffè, Richard! - Disse con un sorriso tirato Vanessa.

- Lo ero, però sai, con gli anni…

- Già, il caffè fa male al cuore. - Sorrise prendendolo in giro. Non c’erano secondi fini nella frase della donna, ma non immaginava nemmeno lontanamente quando era andata vicina alla realtà.

Il suo personale galateo gli avrebbe imposto di alzarsi e prepararle lui il caffè ma proprio non ci riusciva e la ringraziò, mentalmente e non solo, quando gli disse che ci avrebbe pensato lei, per entrambi.

Fece scaldare l’acqua con il bollitore e poi preparò due tazze, una per il suo caffè solubile, l’altra per il tè di Castle. Ascoltarono in silenzio il rumore dell’acqua ribollire nel bricco e poi Vanessa tornò a sedersi al suo fianco con le due tazze in mano. 

- Allora? Qual è il tuo perché rimasto insoluto? - Le chiese Rick desideroso di conoscere qualcosa in più di lei e di allentare per un po' la pressione dalla sua storia e dal ricordo di Beckett.

Vanessa strinse la tazza di caffè e guardò i cerchi del liquido scuro.

- Avevo 24 anni, ero sposata da due, più o meno, con quello che ho sempre considerato l’amore della mia vita. Io e James ci eravamo conosciuti da ragazzi e prima che diventassi famosa ci siamo sposati. Lui mi sosteneva in tutte le mie scelte, personali e professionali. Fu d’accordo anche quando gli dissi che volevo lasciare tutto per una famiglia con lui. Rimasi incinta poco dopo, un bambino. Poi una notte mi svegliai con dei forti dolori, James mi portò subito in ospedale, ma non ci fu nulla da fare. Aborto spontaneo al sesto mese. Fu atroce, per entrambi ed il nostro amore non fu più forte del del nostro dolore. Ci amavamo tantissimo, ma non siamo stati capaci di soffrire insieme e dopo poco più di un anno abbiamo divorziato. Ho tanti perché senza risposta Richard, ma ho smesso di farmi domande, anche se non avrò mai le risposte che vorrei sentire.

Vanessa bevve il caffè a piccoli sorsi, mentre Rick non sapeva cosa dirle. Guardava quella donna con lo sguardo fisso sulla tazza con le mani che tremavano impercettibilmente. Posò il suo tè senza averlo nemmeno assaggiato e strinse le sue mani intorno a quelle di lei.

- Scusami Vanessa, non avrei dovuto chiederti nulla. - Le disse sincero.

- Non ti devi scusare Rick. È la mia storia, così come quella che hai raccontato tu era la tua. Non è una gara a chi ha sofferto di più, ognuno conosce solo la propria sofferenza.

- Come l’hai superato? Tuo marito, il bambino…

- Non lo so se l’ho superato. Ci penso ancora, spesso, alla vita che avremmo potuto avere. Però penso che prima o poi arriverà qualcuno che mi farà felice ancora. 

- Io…

- Shhh Richard, lo so cosa vuoi fare. Non dirlo, non dire che proverai a farmi felice, non funziona così - Vanessa sorrise nel chiudere la bocca a Castle passandoci sopra un dito. Lui le baciò la punta, annuendo. Aveva ragione lei, non doveva dire nulla, non doveva fare promesse stupide. Aprì solo le sue braccia e Vanessa si appoggiò a lui, dopo molte settimane, chiuse gli occhi con la sensazione di stare se non bene, almeno molto meglio.

Mentre Vanessa si stringeva di più a lui, Rick cominciò ad accarezzarle lentamente i capelli, poi si chinò su di lei, mentre Vanessa si sporse verso lui fino a quando le loro labbra non si trovarono di nuovo. Castle chiuse gli occhi indugiando su quel bacio dal sapore di caffè e si sentì trascinare in quella spirale di sensazioni che voleva lasciare in disparte. Ma le labbra non si riconoscevano ed il profilo sotto le dita che lo accarezzavano non era quello familiare, voluto e cercato. Aprì gli occhi ed il biondo dei capelli di Vanessa, abbandonata tra le sue braccia, lo colpì riportandolo alla realtà: lasciò ancora un bacio su quelle labbra nuove, con dolcezza, come una silenziosa scusa.

- Mi piaci Richard Castle. Con tutte le tue paure e le tue ferite. Sei una piacevole sorpresa - gli disse l’attrice a fior di labbra, cercando un altro bacio che non tardò ad arrivare.

- Mi piaci anche tu Vanessa Parker e ti ringrazio per aver vinto quell’asta, non potevo sperare di meglio.

L’attrice sorrise, quasi imbarazzata per quel complimento fantasioso e fu colta di sorpresa quando lo vide alzarsi prima e sollevarla poi come se fosse un leggero fuscello e portandola in camera.

- Non faremo nulla che non vuoi - La rassicurò Rick adagiandola sul letto, ma lei per tutta risposta lo strinse a se e cominciò a sbottonargli la camicia e lasciando che le mani di lui esplorassero quello che si nascondeva sotto la sua maglietta.

Vanessa dormiva con la schiena scoperta ed il lenzuolo abbassato fino alla linea dei glutei, Castle, invece, non era riuscito a dormire molto: era rimasto immobile nel letto, con gli occhi chiusi a cercare di dare un senso nella sua mente alle ultime ore. Era successo tutto velocemente e poi davanti a quel suo “sì” che le aveva sussurrato sulle labbra e con gli occhi, tutto era diventato lento, la fretta era sparita insieme ai timori che non fosse giusto. Lo volevano, lo era. La Vanessa risoluta e sicura si era trasformata in quel letto in una donna molto più fragile e timida di quello che potesse mai immaginare, perché doveva essere sincero, in quelle settimane qualche pensierino ce lo aveva fatto, immaginandosi però una situazione del tutto diversa, dove doveva essere lui quello da rasserenare e lei quella forte ed invece era accaduto il contrario e gli era piaciuto più di quanto immaginasse rassicurarla con baci, carezze e sorrisi. Disteso sul letto perso nel buio imposto dai suoi occhi chiusi, pensava che era la prima volta che aveva sorriso di nuovo con una donna in quei momenti, che non era solo passione, impeto e voglia, ma aveva sorriso si muoveva su di lei dolcemente imponendo un ritmo delicato al loro primo incontro e Vanessa lo aveva apprezzato, non c’erano state forzature o pretese, era stato tutto molto naturale, molto intimo. Aveva amato quel lato di Castle che era così diverso dai pettegolezzi sul suo conto, il suo essere gentile e garbato nel donarle un profondo piacere ed anche lei aveva sorriso e non se lo aspettava.

Castle si ritrovò ad accarezzarle la linea della schiena, si era voltato verso di lei, non sapeva di preciso quando mentre cercava di far ordine nei suoi pensieri. Gli piaceva sentire la sua pelle setosa sotto la punta delle dita, stava cercando di prendere confidenza con un corpo che ancora non conosceva evitando che la sua mano si muovesse da sola a cercare curve che non erano lì, ma che nella sua mente erano sempre troppo presenti. Così dalle spalle era sceso lungo la colonna tracciando una linea immaginaria fino al suo fondoschiena che svettava sotto il lenzuolo, ben pronunciato ma non volgare. Si trattenne da andare oltre e intrufolarsi sotto la stoffa per accarezzare ancora quella parte di lei che aveva già imparato a conoscere in precedenza ed un sorriso malizioso nacque sul suo volto ripensandoci.

La sentì svegliarsi, avvolgendosi come in un bozzolo tra le lenzuola, lasciando del tutto scoperto lui, che, come lei, ancora non si era rivestito. Provò un irrazionale senso di vergogna, qualcosa che non gli apparteneva, lui che non aveva mai avuto problemi ad esibire il suo corpo a nessuna donna.

- Buongiorno… - Vanessa aveva ancora gli occhi chiusi e la voce impastata dal sonno quando lo salutò sospirando.

- Buongiorno a te - le rispose abbozzando un sorriso imbarazzato che lei aprendo gli occhi colse insieme a quella postura innaturale di chi cercava di sembrare invece il più tranquillo possibile.

- Richard… - gli sussurrò avvicinandosi in modo poco casto al suo orecchio, lasciando scivolare via gran parte del lenzuolo nel quale si era avvolta - rilassati… 

Vanessa cercò le sue labbra per unirle in un lungo bacio, mentre si liberava del tutto di quella stoffa superflua avvicinandosi sempre più a lui. Castle sentiva adesso quella donna completamente diversa da come era stata solo poche ore prima ed in effetti era così: Vanessa era diventata più sicura ed intraprendente ed era stato proprio Rick a farla diventare tale, le sue attenzioni e la sua delicatezza le avevano fatto capire che anche lei doveva lasciare andare i suoi timori e farsi trasportare dalle emozioni che Castle le provocava e quella mattina glielo dimostrò conducendo le mani di lui sul suo corpo e ringraziandolo di quanto le aveva fatto provare poche ore prima, riprendendo da lì dove si erano interrotti, a ruoli inversi.

Quella era stata solo la prima delle notti che che Rick e Vanessa avevano trascorso insieme. In quelle due settimane sulla West Coast, Castle aveva fatto di tutto per passare a Los Angeles più tempo possibile e Vanessa per passare più tempo possibile nella sua suite. Arrivati agli ultimi giorni prima che lui dovesse ripartire avevano anche deciso che non c’era motivo per nascondersi più, così Castle con tanto di smoking era stato il suo perfetto cavaliere in una serata organizzata dalla produzione del suo show televisivo e Vanessa era entrata al suo braccio al party promozionale organizzato dalla Black Pawn a Los Angeles, senza dubbio il più importante dopo quello a New York che li aveva fatti incontrare di nuovo. Questa volta, però, non si nascosero da sguardi indiscreti nel punto più buio della festa, ma Rick fu felice di averla al suo fianco ogni volta che doveva rilasciare un’intervista o scattare delle foto, senza curarsi se la stringeva a se più del dovuto o se qualche fotografo aveva immortalato uno dei tanti baci che le aveva dato in quella serata. Era perfettamente a suo agio con Vanessa al suo fianco che ovviamente riusciva a muoversi con estrema autonomia e disinvoltura tra giornalisti e fotografi, radiosa e solare. Si erano imposti solo un “no comment” a tutte le domande che riguardavano la loro vita privata, limitandosi a confermare solo che sì, stavano insieme e a fine serata avevano anche ceduto su qualche foto in posa con tanto di bacio in favore della stampa e non avevano trovato nulla di male in tutto quello, né di forzato, avevano fatto solo quello che si erano sentiti di fare, naturalmente. Certo, sapevano che adesso i fotografi non gli avrebbero più dato tregua, che li avrebbero trovati fuori ad ogni locale dove li avrebbero avvistati, ma non gli importava, non avevano nulla da nascondere, erano due persone single che si erano felicemente trovate e vivevano qualcosa di bello insieme.

Tornare a New York non era proprio quello che Castle voleva, ma anche Vanessa era stata irremovibile: doveva tornare a casa e non era solo perché nei giorni seguenti lei si sarebbe dovuta spostare per andare a girare alcuni giorni fuori dagli studios, ma anche perché gli aveva detto che avevano bisogno di allontanarsi un po’. Rick all’inizio non aveva capito, anzi si era arrabbiato sentendosi di nuovo messo da parte, così Vanessa aveva dovuto usare tutta la sua capacità di mediatrice per riuscire ad andare oltre il suo broncio e fargli capire che se avessero continuato a stare come in quei giorni, sempre insieme, avrebbero finito con il bruciarsi senza metabolizzare quello che stava accadendo tra loro. Glielo disse baciandolo che per lei quella storia era importante e lo era anche lui. Rick si sentì tranquillizzato dalle sue parole e riuscì a capire quello che voleva dire, perché immediatamente pensò a Beckett, a come avevano vissuto intensamente quella relazione senza mai riprendere fiato o staccarsi e si erano bruciati troppo velocemente scambiando una fiamma passeggera per qualcosa di più.

New York lo accolse più fredda di quanto non fosse Los Angeles e non solo climaticamente. Ovunque gli sembrava spirare un vento gelido che lo avvolgeva quando meno se lo aspettava. Era il vento dei suoi ricordi ed anche andare semplicemente in libreria o a prendere una cioccolata calda in una caffetteria diventava qualcosa dove c’era lei. E lei non aveva nemmeno bisogno di avere un nome. Lei era Kate, lei era sempre lei, nonostante i suoi sforzi per tenerla lontana dalla sua mente, quando era solo Beckett tornava prepotente e lui sperava sempre che ogni volta facesse meno male, ma non era così. Faceva male, sempre, come la prima volta. Vanessa era un balsamo, era il rifugio per il suo dolore, era sorridere spensierato per un po’ e pensare che in fondo andava bene così. Però lei non c’era e la sua assenza faceva più male, l’assenza di Kate.

Quando rientrò al loft si sorprese di trovare Martha a casa. Lasciò la valigia sul pianerottolo e la giacca sull’appendiabiti. Vide sua madre con una copia di una rivista in mano sorseggiare quello che aveva tutta l’idea di essere un Martini.

- È una cosa seria, Richard? - Gli chiese senza giri di parole mostrandogli le foto di lui e Vanessa, strappandogli un sorriso.

- Stiamo bene insieme, che ne pensi? - Domandò a sua madre prendendole rivista e bicchiere e bevendo un generoso sorso di quello che sì, era proprio un Martini.

- Meglio delle ultime con le quali sei finito sui giornali. - Disse Martha riempiendosi un altro bicchiere - Almeno spero che questa non entri nel tuo letto solo per la pubblicità, non credo ne abbia bisogno.

- Non ha bisogno di entrare nel mio letto per niente, mamma. E poi è già da un po’ di tempo che ci frequentiamo e se è uscito solo ora, vuol dire che non è per pubblicità, che ne pensi? - Puntualizzò indispettito.

- Sei felice Richard? - Chiese la donna con tono più tenero

- Sto bene con lei. È già un passo avanti.

- Che questo non vuol dire che sei felice. Con Katherine…

- Mamma, te l’ho già detto. Beckett è il passato. Qualunque cosa sono stato con lei era finto, quindi è inutile parlarne. Con Vanessa sto bene, è una bella ragazza sotto tutti i punti di vista, ci divertiamo e mi capisce. Vuoi sapere se sono felice? Non lo so se sono felice, non so se riuscirò mai ad essere felice come tu intendi essere felice. Mi godo quello che ho con lei, che è più di quanto un mese fa potessi mai pensare di riuscire ad avere.

Poggiò bicchiere e giornale sul tavolo e trascinò la valigia in camera. Si buttò sul letto e prese il cellulare scrivendo freneticamente. 

“Mi manchi”

Ebbe solo un attimo di esitazione nello scegliere il destinatario quando le sue dita andarono automaticamente sulla B. Solo perché vicina alla V, si giustificò mentalmente mentre inviava il messaggio a Vanessa che gli rispose pochi secondi dopo.

“Anche tu.”

Il rumore delle onde del mare era diventato il suo compagno migliore, la colonna sonora delle sue giornate, tutte uguali. Si sentiva in colpa per non riuscire ad essere minimamente di compagnia nemmeno per Nick, ma lui, invece, non sembrava preoccuparsene, come lei era uno che era abituato a stare da solo e sembrava che tutto quello non gli pesasse. C’era solo una cosa che tutti i giorni facevano insieme ed era andare a correre. Nick le diceva che doveva rimettersi in forma e si era offerto di farle da personal trainer, così occupavano quasi tutta la mattinata scaricando energie correndo sulla spiaggia e con il passare dei giorni la resistenza di Kate aumentava così come la sua voglia di andare sempre più lontano, tenuta a freno da Price che le ricordava sempre che non potevano spingersi troppo oltre quel tratto di spiaggia. L’attività fisica era l’unica cosa che le permetteva di staccare la mente dal resto del mondo concentrandosi sui muscoli indolenziti, obbligandoli a dare sempre di più fino a quando non li sentiva bruciare e tremare.

Avevano cominciato poi anche ad allenarsi nel corpo a corpo, con un po’ di attrezzatura non molto professionale che Nick era riuscito a trovare nel paese vicino. Aveva bisogno di riprendere dimestichezza con quelle pratiche in cui aveva sempre eccelso e che adesso faticava nel ritrovarle con naturalezza. Price in questo era un’ottima spalla, uno di quelli che non si lasciava muovere a compassione, ma che picchiava duro e non gliela dava mai vinta, fino a quando lei non riuscisse veramente ad atterrarlo e per molti giorni non ci riuscì, facendo vincere su di se solo la frustrazione di non avere ancora pieno possesso del suo corpo, come voleva lei. Ma questo non la faceva abbattere, la spingeva solo ad allenarsi di più, con lui e da sola, a concedersi lunghe nuotate anche quando l’acqua era diventata più fredda e le correnti più forti. Ma Kate sapeva nuotare bene, gli anni trascorsi in piscina da bambina avevano dato i suoi frutti e non si spaventava di quelle onde né del freddo, perché ogni giorno combatteva dentro di se con ben altre tempeste da placare senza riuscirsi mai.

Man mano che passavano le settimane cominciava sempre più a sentire la mancanza della sua vita, dell’azione, dell’essere utile e più stava bene, più si sentiva in forma, più si sentiva inutile bloccata lì tra quella casa tutta troppo bianca, la spiaggia ed il mare, un sogno che rischiava di diventare il suo incubo. Per giorni le sue mattine erano state scandite dalla “rassegna stampa” che Nick le faceva trovare, si era chiesta più volte se ci fosse del sadismo in lui nello sbatterle in faccia riviste dove Castle campeggiava in bella mostra ogni volta con una donna diversa in pose più o meno equivoche. Era arrivata a scontrarsi con lui, a chiedergli perché lo faceva ma lui non le aveva mai dato una risposta che lei considerava accettabile. “La vita va avanti Kate” le ripeteva, sottintendendo che anche la sua doveva farlo, ma lei proprio non capiva come potesse andare avanti in qualche modo se era confinata lì. Non voleva piangere né commiserarsi, però più volte la sera arrivava al punto di non farcela più, quando i ricordi si impossessavano di lei e faceva ancora più male o quando facendo zapping gli era capitato di vederlo in tv, bello come sempre e la sua voce era entrata di nuovo nella sua testa. Si fermava a guardarlo sorridere ammiccante alla telecamera, fare battute con l’intervistatore di turno brillante come sempre, ma lei non la poteva ingannare, lei lo vedeva anche dalla tv che i suoi occhi blu non erano limpidi come sempre quando era felice, che erano velati, opachi, non brillavano come il suo sorriso e allora scappava via, anche dalla sua immagine e non gli importava se al suo fianco c’era una bionda o una mora che si strusciava, perché lei riusciva a vedere solo i suoi occhi tristi e se ne sentiva responsabile: lei aveva amato il sorriso di quegli occhi, più di qualsiasi altra cosa e ogni volta che li vedeva brillare ed illuminarsi, riusciva a far splendere anche lei con la sua luce.

Poi, dopo aver visto della sua grande festa per il lancio di Frozen Heat e le foto di rito con Martha ed Alexis, di Castle non c’era stata più traccia nei giornali e lei aveva cominciato a sentire quasi quella mancanza di notizie quotidiane di lui, per quanto gli facesse male vederlo così. Non lo aveva visto per molto tempo cercava tra le pagine della cronaca rosa sue notizie, ma non c’era nulla, aveva trovato solo un trafiletto della sua presenza a Columbia su un giornale di cronaca locale, quando era andato a presentare il libro. Poi una mattina lo aveva visto. Era bello come raramente lo aveva visto, nel suo smoking nero, più magro, sorridente, vicino a quell’attrice bionda che stringeva in modo diverso lo vedeva che era veramente a suo agio. E gli sorridevano anche gli occhi, lo aveva visto, in quella foto in primo piano, dove i loro visi erano tremendamente vicini e lui le dava un tenero bacio sulla guancia ed anche il giorno dopo era di nuovo con quella donna nelle pagine di cronaca rosa, ed era ancora più felice al party per il suo libro a Los Angeles mentre la presentava ufficialmente come la sua compagna.

Faticò a leggere e si obbligava a farlo per farsi male, perché se lo meritava. Perché lui era felice e lei voleva che lo fosse, ma gli faceva terribilmente male che a farlo così felice era un’altra donna. 

Ricordava le sue parole, le sue promesse, quando le diceva che alle prossime feste avrebbe sfilato con lei sottobraccio e tutti lo avrebbero invidiato. E lei si era imbarazzata, aveva anche protestato dicendo che quello non era il suo mondo, eppure l’aveva anche immaginato ed un po’ sognato. Si era sentita come la ragazza che sogna di andare al ballo con il principe e Castle sarebbe stato il suo principe azzurro con il quale andare alla festa. “Patetica. Sei patetica Kate” si ripeteva mentre pensava ai suoi stupidi sogni. Era rimasta a fissare quel sorriso di Rick, quello un po’ bambino quando era imbarazzato dei suoi sentimenti e li nascondeva dietro un sorriso più sottile con gli occhi che diventavano più chiari. Chissà se quell’attrice aveva già imparato a conoscere quei suoi particolari, se dalla sfumatura dei suoi occhi anche lei capiva il suo umore, o riconosceva quelle rughette ai lati del viso che aveva solo quando era preoccupato. Si chiedeva se già conosceva quel punto dietro l’orecchio in cui amava essere accarezzato e quanto gli piaceva quando gli passavano le mani tra i capelli sulla nuca e si rilassava. Se lei sapeva come amava il caffè la mattina e cosa ordinava al ristorante cinese, se conosceva la sua pizza preferita e se aveva mai mangiato i suoi pancakes la mattina.

Uscì fuori senza aspettare Nick, senza dirgli niente, fregandosene se quella mattina pioveva, se ad ogni passo che faceva sul bagnasciuga l’oceano le bagnava le gambe e la sabbia si attaccava ai suoi piedi rendendo ogni passo più pesante. Corse fino a quando non ce la fece più, spingendosi più lontano di quando aveva mai fatto, fino a quando aveva la caviglia immersa nell’acqua ed ogni onda la bagnava di più, fino a quando le sue gambe non cedettero all’ennesima frustata e finì con le mani nella sabbia a piangere e prendere a pugni il mare che scorreva avanti ed indietro sotto di lei. Si trascinò lungo la spiaggia fino ad un tronco e si appoggiò lì, incurante della sabbia appiccicata ovunque addosso lavata via dalla pioggia che non cessava a diminuire. Era tutto così dannatamente sbagliato, anche il suo dolore, anche quel senso di vuoto che era sempre più grande, come se lui stesse scivolando via da lei inesorabilmente e le sue dita non riuscissero a trattenere nemmeno la speranza.

Voleva che fosse felice, lo voleva veramente, ma aveva stupidamente sperato che anche lui tenesse a lei tanto da non dimenticarla subito, anche se aveva fatto di tutto perché lo facesse, e si sentiva stupida nel non sapere nemmeno lei cosa dovesse sperare, in bilico tra il suo egoismo e l’amore, tra i suoi sogni e la sua forza di volontà, tra il lasciarlo libero ed il volerlo solo per se. Non aveva nessun diritto su di lui, se lo ripeteva, doveva fare la sua vita, doveva essere felice che lui lo era. Doveva essere grata a qualunque Dio ci fosse che non lo aveva ferito tanto quanto immaginava, che lei per lui non era tutto, come lui era per lei. Che Rick poteva amare ancora, non come lei.

- Torna a casa Kate! - Nick l’aveva raggiunta avvolto nel suo kway blu con il cappuccio stretto intorno al viso che faceva appena intravedere i suoi tratti.

- Lasciami stare Price, lasciami qui. - Gli urlò contro, ma l’uomo non si lasciò intimorire dalle sue parole, né dal tono deciso e nemmeno dallo sguardo tagliente. Si avvicinò a lei e con poco riguardo la prese per un braccio obbligandola ad alzarsi.

- Cosa pensi di fare qui fuori? Vuoi ammalarti? Vuoi punirti? Vuoi farti del male? Hai fatto una scelta Kate, sapevi che era dolorosa, sapevi a cosa rinunciavi. Però l’hai fatto ugualmente, hai detto che l’hai fatta per lui, no? Allora perché ora ti disperi? Hai raggiunto il tuo scopo. Castle è felice, devi essere contenta.

- Fa male Nick. Fa male.

- Lo sapevi da prima che avrebbe fatto male. Non puoi lamentarti adesso. Se non lo sopporti più, torna a New York, torna da lui. Lo sai cosa otterrai poi vero? Io sono qui per proteggerti, non per tenerti prigioniera. Sei abbastanza adulta per decidere della tua vita, devi solo farmelo sapere.

Lasciò il suo braccio la cui stretta era diventata sempre più leggera man mano che parlava e corse di verso casa. Kate lo guardò correre via, poi alzò lo sguardo verso il cielo, facendosi sbattere sul viso la pioggia che ora era insistente e violenta e poi ricominciò a correre anche lei verso quel posto che non avrebbe mai chiamato casa.

Non avevano più parlato di Castle, l’argomento non era stato più toccato in nessun modo, né quello che era accaduto quel giorno, nemmeno quando Kate era tornata a casa e poco dopo aveva la febbre altissima. Nel suo non volerla dar vinta a Nick e non sentirsi dire quel “Te l’avevo detto” che lui aveva solo accennato e che a lei ricordava tanto le prediche di sua madre, aveva fatto finta di niente, imbottendosi di antipiretici. Nick aveva anche smesso di chiederle “Come stai” visto che la sua risposta era sempre la stessa, “Bene” anche quando non si reggeva in piedi. Aveva fatto passare qualche giorno e poi aveva ripreso la sua vita di sempre lì, complice anche il clima che era tornato clemente: allenamento fino ad essere così stanca da non pensare e crollare sfinita la sera sul letto. Era l’unico antidoto che aveva trovato per tenere lontano Castle dalla sua vita, ma troppo spesso, impertinente, lui si ripresentava la notte, nei suoi sogni e nei suoi incubi, quando lo amava e quando lo vedeva morire davanti ai suoi occhi, per colpa sua, senza riuscire a salvarlo, ed in ogni caso si svegliava sempre di soprassalto con il fiato corto ed un dolore al petto, proprio lì, dove la cicatrice più meschina ancora tirava la sua pelle.

Era stata ligia al programma di protezione che avevano stabilito per lei. Nessun contatto, in nessun caso e lei lo aveva rispettato. Quasi. Prima di partire si era solo concessa uno strappo alla regola. Aveva un cellulare a casa, comprato per una missione e mai usato con un numero anonimo, non riconducibile a lei, sicuro, pensava. Aveva mandato con quel numero un messaggio a Lanie prima di partire, l’unica della quale si fidava, che non l’avrebbe tradita, che nonostante tutto avrebbe usato la giusta discrezione. Le aveva solo chiesto una cosa, di contattarla se fosse accaduto qualcosa di grave. Pensava a suo padre, certo, ma non solo. Non lo aveva specificato, aveva lasciato a lei la discrezionalità di capire cosa potesse essere grave da doverla contattare. Di Lanie si fidava, nonostante i suoi eccessi e la sua esuberanza sapeva che l’amica era la persona alla quale poter affidare il suo unico ponte con la sua vita.

Fu così, che una notte, mentre dormiva, sentì il bip di un messaggio e non capì subito cosa fosse, ma appena lesse il testo sapeva cosa doveva fare. “Castle ha avuto un incidente. È in ospedale”.

Kate si sciacquò il viso più volte. Era partita da quasi tre ore da Myrtle Beach e si era fermata in una stazione di servizio per fare il pieno di benzina. Non aveva con se molti dollari, se ne rese conto solo quando aveva pagato il carburante e sperava dannatamente che quello che gli rimaneva gli permettesse di arrivare a New York.

Non c’era nessun rumore in quel posto tranne lo scrosciare dell’acqua del lavandino aperto. L’uomo che doveva essere qualcosa tra un gestore ed un guardiano era chiuso a chiave nel suo gabbiotto con una piccola tv accesa ed un pacco di qualche cosa indefinita fritta. Lo aveva capito dalle mani unte, quando gli aveva bussato chiedendogli dove fosse il bagno e glielo aveva indicato con un gesto poco elegante dopo essersi leccato le dita. Poi le aveva infilate di nuovo nel pacco, portandosi una quantità spropositata di cibo alla bocca.

Era contenta in quel momento di avere una pistola, anche se in teoria non avrebbe potuto usarla, ma la faceva sentire sicura in quel posto dimenticato da Dio. Provò a bere un sorso d’acqua ma era semplicemente imbevibile, sapeva di ruggine e tubature, sputò nel lavandino e tornata in macchina posò la pistola di nuovo nel cruscotto, cercando qualcosa per togliersi quel sapore di bocca, un chewing-gum andava benissimo, masticare oltretutto l’avrebbe aiutata a rimanere sveglia.

Era partita subito, appena letto il messaggio di Lanie, non aveva nemmeno avuto il tempo di mettere in chiaro le idee, si era vestita, un paio di jeans una tshirt ed una felpa grigia con il cappuccio, ed era scesa facendo meno rumore possibile al piano inferiore. Nick teneva le chiavi dell’auto dentro la grande conchiglia che usava come recipiente sul mobile vicino l’ingresso. Le prese, afferrò la sua borsa ed uscì, mettendo in moto ed andando via il più velocemente possibile: se anche si fosse accorto, non l’avrebbe potuta fermare. Non sapeva se e quando aveva notato la sua assenza, se non si era svegliato, probabilmente ancora non lo aveva fatto. Aveva fatto già i suoi conti, se non trovava traffico sarebbe stata a New York poco dopo l’ora di pranzo.

Non si era nemmeno fatta troppe domande su quello che stava facendo. Perché era partita? Perché stava andando da lui? Perché Lanie sapeva del suo incidente? Quanto era grave? Aveva chiamato la sua amica non appena si era considerata abbastanza lontana ed aveva preso la strada principale a scorrimento veloce. Saltò tutti i convenevoli del caso, non come se fosse più di un mese dall’ultima volta che si erano sentite e lei era sparita dalla circolazione per tutti ma come se l’avesse sentita poco prima, uscendo da lavoro, come sempre. Così non l’aveva nemmeno salutata quando aveva risposto al telefono, ma le aveva posto solo una domanda: “Come sta Castle?” chiesto con tutta l’urgenza di chi aveva solo bisogno di una risposta positiva che Lanie le diede, almeno in parte. Sembrava nulla di grave, ma aveva sbattuto la testa e dovevano tenerlo sotto osservazione, e si era rotto un braccio. La domanda successiva che avrebbe voluto farle era perché lei sapeva tutte queste cose, ma fu più veloce lei a dirglielo che Kate a chiederlo: Martha e Alexis erano fuori città e Castle nella lista dei numeri di emergenza da chiamare aveva sempre quello di Javier che l’aveva avvertita subito ed erano andati in ospedale per vedere come stava. Evitò di dirle che il primo numero era sempre il suo perché questo l’avrebbe solo ferita di più.

Tutte le altre domande che da buona detective erano nella sua mente le lasciò da parte per un po’, avrebbe trovato le risposte in un secondo momento. Ora si sentiva solo più sollevata nel sapere che tutto sommato stava bene. Provò solo una fitta nell’immaginarlo solo e dolorante in una stanza di ospedale, lui che le odiava, perché le trovava sempre tanto tristi. Immaginava le sue espressioni esagerate, di chi cerca affetto e conforto che non ha, che faceva il simpatico e l’ironico con Lanie e Javier, che provava a sedurre le infermiere, ma che poi quando era solo diventava triste. Ora lo capiva perché era partita subito, senza pensare, senza sapere: il suo posto era vicino a lui, così come lui era stato vicino a lei quando glielo aveva permesso. Non c’erano altri motivi o spiegazioni complicate, era tutto molto semplice, lei doveva stargli vicino. 

Aveva visto il sole nascere e farsi alto e si era rimproverata più volte di non aver pensato a di prendere gli occhiali da sole perché adesso faceva una gran fatica a guidare ma, nonostante questo, non rallentava la sua corsa e si era fermata solo un’altra volta per bere un caffè, il primo dopo tanto, tanto tempo, ma era vitale per riuscire a rimanere sveglia e mettere gli ultimi dollari di benzina. Aveva maledetto quel traffico che l’aveva fatta rallentare, facendole perdere minuti preziosi e quando ad accoglierla trovò quello ben più caotico e fitto di New York non seppe se essere ancora più frustrata o felice perché la meta era vicina.

Lasciò l’auto nel parcheggio ed entrò di corsa in ospedale. Si guardava intorno furtiva, come per paura che qualcuno la vedesse o la riconoscesse e si dava da sola della stupida, era esattamente il modo migliore per attirare l’attenzione. Chiusa in ascensore in attesa di raggiungere il piano, si impose di fare dei respiri lunghi e lenti e di stare calma.

Percorse così il corridoio normalmente, cercando il numero della stanza, controllando sul display del cellulare le indicazioni che le aveva dato Lanie. Arrivata davanti la camera di Castle, tutta la sua baldanza e l’adrenalina che l’avevano condotta fino a lì sparirono e si sentì spaesata e terrorizzata all’idea di vederlo. Sentiva a malapena la sua voce dietro la porta, ma aveva riconosciuto la sua risata inconfondibile, stava bene quindi, almeno quello le era di conforto. Aveva pensato per tutto il viaggio a cosa gli avrebbe detto eppure non aveva trovato nessuna parola adatta e forse il suo primo pensiero “Ciao Castle, sono un’idiota e ti amo” era l’opzione migliore, che in poche parole semplificava tutto, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di entrare e di dirglielo così, anche se forse avrebbe dovuto. Forse doveva scusarsi, come prima cosa o chiedergli come stava o invece solo entrare lì e dirgli quanto lo amava e quanto era importante per lei. Si torturava le mani nel pensarci e decise che la cosa migliore, intanto, poteva essere quella di non andare da lui a mani vuote. Un caffè. Portargli lei questa volta un caffè, quello poteva essere il giusto modo per iniziare. Perché lui avrebbe capito dietro quel caffè cosa c’era, che non era solo un caffè, era di più, era il suo modo per farlo sorridere, per dirgli ti amo, mi prendo cura di te, come aveva sempre fatto lui con lei. Sì, un caffè era decisamente la soluzione migliore. Si spostò da lì ed andò nella sala d’aspetto che aveva visto arrivando ed era proprio dietro il corridoio. Aveva ancora cinque dollari in tasca, tutto quello che le rimaneva, li investì nei loro caffè.

Tornò vicino alla sua stanza e questa volta la sua risata gli arrivò più chiara, più limpida. La porta era aperta e lo vide, riflesso nel vetro interno. Era in piedi ed il braccio sinistro era legato al suo collo, mentre con l’altra mano spostava i capelli biondi di Vanessa dal suo viso, facendoli passare dietro l’orecchio, in quel gesto che tante volte aveva fatto con lei. La guardava con il volto inclinato, con un sorriso dolce e rassicurante.

- Ehy piccola, non ti preoccupare - Cercò di tranquillizzare l’attrice.

- Non dovevi esagerare con l’alcool ieri sera! - Lo rimproverò senza nascondere il suo turbamento.

- Non ho esagerato, solo qualche drink, sai come vanno le feste. Ero solo un po’ più stanco del solito, tutto qui. - Si giustificò lui.

- Come stai Richard? - Sentì la voce sinceramente preoccupata della donna dopo qualche istante di silenzio.

- Sto bene, ora che sei qui, sto bene. - La vide abbracciarla con il braccio non ferito e lei appoggiarsi al suo petto mentre lui prima le aveva lasciato un bacio tra i capelli e poi l’aveva scostata per abbassarsi e baciarla sulle labbra. Kate era rimasta immobile, con i caffè in mano a guardare quella scena senza riuscire nemmeno a respirare. Stava bene. Stava bene perché c’era lei. Era lei che voleva, lei che lo avrebbe tirato su di morale, cancellato il suo broncio ed aiutato se ne aveva bisogno. Era Vanessa di cui aveva bisogno per stare bene, non di lei. Lei non lo faceva stare bene, lei lo aveva solo fatto soffrire. Lo vide abbracciarla ancora una volta e parlarle con voce bassa e dolce per tranquillizzarla. Sentì che aveva preso il primo aereo da Los Angeles per raggiungerlo e Kate sorrise, pensando che a tutte faceva lo stesso effetto, si preoccupavano e si precipitavano da lui, ovunque fossero con ogni mezzo. Poggiò i due bicchieri di caffè a terra appena riuscì a riprendere possesso del suo corpo e lanciò un ultimo sguardo allo specchio sulla porta solo per vederli baciarsi ancora. 

Corse via e si sentì tremendamente stupida e patetica. Urtò una coppia che camminava nel corridoio e si scusò con un gesto perché non aveva nemmeno la forza di parlare. Aspettò l’ascensore, impaziente, ma era troppo lento e corse giù per le scale più velocemente che potè perché doveva solo uscire da lì e respirare ancora. Ce l’aveva quasi fatta, era quasi fuori quando il suo respiro si bloccò ancora. Alexis era davanti a lei e le due si fissarono per qualche istante senza dirsi nulla, poi Beckett corse fuori e respirò di nuovo, lasciando la figlia di Castle immobile all’entrata.

- Tutto bene tesoro? Sembra che tu abbia visto un fantasma! - Esclamò Martha appena la raggiunse

- Sì, nonna, tutto bene. Solo sai, gli ospedali non mi fanno un bell’effetto - Si affrettò a giustificarsi senza dire nulla dell’incontro appena avuto

- Oh e a chi lo fanno! Andiamo a vedere come sta quel testone di tuo padre!

Kate seduta nell’abitacolo dell’auto si passò le mani tra i capelli. Cosa pensava di fare? Cosa pensava di ottenere? Che arrivando lì lui avrebbe cancellato quanto aveva fatto prima? Eppure lo sapeva di Vanessa, lo aveva visto felice, perché era andata fino a lì, scappando, guidando senza sosta per dieci ore? Perché il suo inconscio l’aveva naturalmente condotta lì prima che la sua ragione potesse opporsi in qualsiasi modo? Lo sapeva perché ed era la risposta più semplice, perché lei amava Richard Castle.

- Tieni ragazza, mangia questo.

Lanie seduta sulla panchina vicino a lei, le stava porgendo un pezzo di pizza che però Kate rifiutò scuotendo la testa. L’aveva chiedendole di raggiungerla ad un parco vicino il laboratorio e la sua amica non si era presentata a mani vuote.

- Tesoro, se ti conosco almeno un po’ so che da ieri non tocchi cibo, quindi adesso prendi questo pezzo di pizza lo mangi e zitta.

Glielo mise materialmente in mano guardandola con un’espressione severa e Kate non potè fare altro che mangiare in silenzio. Appena finito le diede una bevanda energetica per evitare che si strozzasse.

- Grazie Lanie - bisbigliò Beckett imbarazzata e grata all’amica.

- Non dirlo nemmeno per scherzo Kate! Penso che sarai nei guai adesso, vero?

- Sì, un po’, credo.

- Sapevi di lei? Li avevi visti insieme? - Le chiese Lanie e Kate annuì. - Scusami, non dovevo dirti nulla.

- No, hai fatto bene. Io… ho capito, oggi ho capito molte cose. - Prese la mano dell’amica facendole capire che veramente, non aveva nulla di cui scusarsi.

- Tieni, questi sono per la benzina per tornare da dovunque tu venga. Immagino che ripartirai subito, vero? - Lanie le aveva portato i soldi che le aveva chiesto. Kate odiava fare queste cose, ma ora non sapeva proprio come fare.

- Ti ridarò tutto Lanie, appena questa storia sarà finita io…

- Appena sarà tutto finito mi ridarai tutto invitandomi a cena tante volte fino a quando non avrai estinto il tuo debito, perché abbiamo un sacco di tempo da recuperare.

La abbracciò forte e Kate fece lo stesso.

- Ti voglio bene Lanie. - Le disse Kate commossa

- Anche io ragazza. Ci manchi così tanto! - Anche la dottoressa faticava a trattenere le lacrime.

Beckett si alzò dalla panchina, mise in tasca i soldi e corse verso l’auto parcheggiata sulla strada. Mise in moto e ripartì.

—

Poteva essere la stessa strada a distanza di poche ore così diversa? Kate se lo chiedeva mentre procedeva non più così veloce verso quel posto che continuava a rifiutarsi di chiamare casa. Era diversa la strada ed era diversa lei. La speranza si era trasformata in sconforto, l’euforia in disillusione e solo l’amore era sempre lì, sempre uguale solo che faceva più male perché ora non aveva una via d’uscita, non correva verso una luce in fondo al tunnel, non aveva la prospettiva della braccia di Castle pronte ad accoglierla e stringerla in un abbraccio rigenerante, di quelli che mettono apposto tutti i pezzi del cuore. Il suo amore, ora, era un animale in gabbia che sbatteva contro le pareti senza capire che non c’era una via di fuga da lì ma non si rassegnava a stare fermo in un angolo, si dimenava dentro di lei, sbatteva contro il petto, voleva uscire da quel cuore pieno di crepe che disperatamente cercava di tenere insieme.

Era sola in macchina, più sola di quando stava andando a New York, perché con lei non c’era più né la speranza né l’illusione di loro. Guidava sola nel silenzio totale dell’abitacolo, non voleva sentire parlare la radio, non voleva musica, perché ogni canzone gli parlava di lui, gli parlava di quel loro che era durato troppo poco e non ci sarebbe più stato. Glielo aveva detto lei tempo prima Castle, quando sei innamorato tutte le canzone hanno un senso, e per lei tutte le canzoni avevano un senso di lui.

Si era fermata, più volte, a bordo della strada, quando le lacrime e i singhiozzi le rendevano difficile anche guidare. Solo il tempo di riprendere fiato ed asciugarsi gli occhi e poi ripartiva, verso la sua non vita, il suo non futuro, la sua non casa.

La strada le sembrava scorrere troppo veloce per la sua voglia di arrivare e troppo lenta per la stanchezza che sentiva accumularsi sugli occhi e sulle spalle. Si fermò ancora una volta concedendosi una pausa più lunga, in una stazione di servizio dove fece anche il pieno, ringraziando ancora mentalmente Lanie per averla aiutata. Era già notte fonda ed erano poche le auto che passavano di lì. Il negozio che dal cartello doveva essere aperto H24 era invece chiuso e un distributore automatico era l’unica cosa che distribuisse qualcosa di caldo. La temperatura si era abbassata decisamente e l’umidità le entrava nelle ossa. Dopo aver fatto rifornimento di carburante si concesse il tempo di bere un caffè, per farsi ancora più male. Nelle ultime ventiquattro ore aveva solo bevuto un paio di caffè e mangiato quel pezzo di pizza che le aveva portato la sua amica ed il suo stomaco cominciava a risentire di quel trattamento. Non era solo la scarsa quantità e qualità del cibo a provocarle quei dolori che non la abbandonavano mai. Era qualcosa di più profondo, che non aveva una cura specifica e non sapeva nemmeno se voleva guarire. Sì, avrebbe voluto non sentire più niente, non provare più il dolore per quella situazione e quella mancanza che diventava totalizzante. Doveva ricordarsi di respirare quando ci pensava, perché si sentiva strozzare da qui ricordi e le mani di Rick che stringevano Vanessa gli sembrava di sentirle su di lei, strette intorno al suo collo come una morsa soffocante e la sua bocca che la baciava era come se le togliesse il fiato direttamente dai polmoni, in modo così rude da farle male.

Rick era felice, si ripeteva. Contava solo questo, in fondo. Era quello che aveva voluto quando aveva preso la decisione di lasciarlo. Saperlo al sicuro e possibilmente anche felice. Non doveva starci male, aveva fatto tutto quello solo per questo. Solo per lui. Se lo era ripetuta più volte, per Castle avrebbe rinunciato a tutto quello che più aveva di caro al mondo. Lui. Loro. Eppure adesso che era vero, che aveva visto i frutti concreti della sua rinuncia faceva male ed era un dolore che si rinnovava ogni volta che l’immagine di lui e Vanessa si palesava nella sua mente. 

Sorseggiava il caffè appoggiata al muro rovinato del negozio chiuso ed osservava senza prestare attenzione in realtà, qualche auto passare, fare rifornimento e andarsene di nuovo, qualcuno l’aveva guardata anche con sospetto ma non ci aveva fatto caso, immersa nei suoi pensieri e nei suoi tormenti. Pensava a quella donna bionda stretta al suo Rick e non riusciva a togliere quel aggettivo possessivo dai suoi pensieri. Aveva immaginato di provare rabbia per lei, di avere la tentazione di farle una scenata, magari anche uno scontro fisico nel quale senza dubbio avrebbe vinto, ma non c’era nulla di quello. Vanessa non era la sua rivale, non era qualcuno che le aveva portato via qualcosa di suo, come ancora sentiva Rick. Doveva esserle grata. Era quella che lo aveva raccolto dopo che lei lo aveva buttato via, era quella che lo aveva curato, che aveva evitato che si rovinasse con le sue stesse mai vittima dei suoi eccessi, che gli aveva regalato di nuovo il sorriso e che lo abbracciava per dargli quell’amore di cui aveva bisogno. Non doveva essere lei la destinataria delle sue ire o del suo biasimo, ma solo se stessa e se avesse potuto parlarle, solo una volta, le avrebbe solo detto di avere cura di lui, di farlo felice come lei non poteva fare, di amare il suo Rick come meritava di essere amato.

Se c’era un pregio di quel caffè del distributore automatico era il fare schifo, così non le avrebbe ricordato in nessun modo i caffè di Castle, ma più quelli del distretto, prima che arrivasse lui e la sua vita ormai la poteva dividere così, prima e dopo lui, prima e dopo Castle e così lui c’era comunque, anche quando non c’era, perché era prima che lui arrivasse e comunque scandiva il suo tempo ed i suoi ricordi. Stava diventando pazza, forse. Buttò quello che rimaneva di quell’orribile bevanda che aveva avuto il solo pregio di scaldarla un po’ e ridestarla con il suo sapore disgustoso. Pensò anche che forse il caffè non era così male ma ne era disgustata solo per quello che gli ricordava, lui ovviamente, ed il suo corpo lo stava rifiutando, come se fosse qualcosa di tossico. Sì, stava diventando pazza a fare da sola quei ragionamenti mentre andava verso il bagno per pulirsi gli occhi dal sonno e dalle lacrime solidificate.

- Lo sai che per una bella donna come te non è indicato andare in giro da sola, di notte, in questi posti pericolosi? Potresti incontrare gente poco raccomandabile, dolcezza.

Un uomo decisamente corpulento ed alto era apparso alle sue spalle, lo vedeva riflesso nello specchio scrostato davanti a se. Provò a voltarsi ma sentì la sua mano bloccarle la schiena contro il lavandino ed il suo corpo farsi sempre più vicino a lei. Fece un respiro profondo e nel mentre lui parlò di nuovo.

- Sì, sei decisamente bella - L’uomo avvicinò la testa ai suoi capelli respirando il suo profumo e lei potè sentire il suo alito che sapeva di alcool e tabacco entrambi scadenti. - Ci divertiremo un po’ adesso, rilassati.

La risata sghignazzante dell’uomo gli morì in gola, quando Beckett si girò di scatto, molto più velocemente e con molta più decisione di quanto lui si immaginasse e lo colpì più volte con una ginocchiata nelle parti basse prima togliendogli il respiro e calci dietro le ginocchia poi, per farlo cadere. L’energumeno perse l’equilibrio, ritrovandosi in ginocchio davanti a lei che ora lo guardava dall’alto in basso. Poteva andarsene, lasciarlo lì, aveva già ricevuto la sua lezione, ma lui sembrò ritrovare la baldanza e le sorrise provocandola.

- Mi piacciono le donne aggressive. Mi piace domarle. - La sfidò guardandola mentre si rialzava e Kate non distolse lo sguardo né sembrava impaurita. Così quando lui allungò una mano per afferrarla, lei fu ancora più veloce, e lo colpì ancora al fianco più volte con una rapida sequenza di calci e pugni e poi fece leva sul suo braccio per farlo cadere a terra ed il rumore del suo corpo che si schiantava sul pavimento rimbombò nel bagno vuoto. Ancora una volta avrebbe potuto andarsene e lasciarlo lì umiliato, ma sentì tutta la sua rabbia montare e lo colpì ancora e ancora, mentre lui a terra tossiva senza smettere di insultarla con epiteti pesanti ed umilianti, decisamente irritato di essere stato messo KO da quella che aveva considerato una facile preda per i suoi istinti animali. Nella foga però, l’uomo disse una parola di troppo, un’offesa che Beckett in quel momento non poteva sopportare nell’insultare oltre che lei anche sua madre, così tirò fuori la pistola che teneva dietro i pantaloni, per sicurezza, la caricò e la punt direttamente alla testa dell’uomo che ora non insultava più, ma la pregava come un bambino di lasciarlo in vita. Kate rise di lui e sempre tenendolo sotto tiro uscì velocemente da quel bagno chiudendolo dentro. Si preoccupò solo di segnarsi la targa del suo tir, parcheggiato poco lontano dalla sua auto dove rientrò riprendendo il suo viaggio verso Myrtle Beach.

Aveva avuto per un attimo paura di se stessa e della sua rabbia. Per qualche istante aveva pensato che avrebbe veramente potuto uccidere quell’uomo, continuare a picchiarlo anche quando era terra o sparargli un colpo con la pistola. La rabbia e la frustrazione avrebbero veramente potuto prendere il sopravvento su tutto quello che era e in cui credeva? Si stava sgretolando fino a quel punto? Non doveva nemmeno dirsi che sarebbe stata legittima difesa, sapeva che non era quello che l’aveva spinta a non andarsene né la prima né la seconda volta, ma solo la voglia di sfogarsi ancora, di far pagare a quella bestia colpe anche non sue e rigettargli addosso tutta la sua rabbia. E proprio quando aveva nominato sua madre e si era infervorata di più, un attimo dopo aveva capito che non poteva tradirla lei per prima, rinnegando con un gesto tutto quello che era, tutto quello che lei aveva fatto in modo che diventasse. Per quello se ne era andata quasi correndo chiudendolo lì dentro, perché non avesse la tentazione di cedere ancora alla sua rabbia, per quello era salita in auto ed era partita velocemente con ancora l’adrenalina in circolo. Per rimanere se stessa. Quell’uomo non valeva così tanto.

Quando arrivò alla casa sul mare vide subito le luci accese anche se era notte fonda. Parcheggiò dove era solito lasciare la macchina Nick e salì le scalette che la portavano all’ingresso. La porta era socchiusa e Nick era seduto al tavolo mentre faceva rigirare una tazza di caffè tra le mani. Alzò lo sguardo per guardarla mentre lei come se nulla fosse lasciò le chiavi da lì dove l’aveva prese.

- Beh? Non dici niente? - La rimproverò Price

- No. - Rispose Kate mentre stava per salire le scale.

- Beckett! - Urlò Nick - Dove cazzo sei stata eh? Cosa ti è saltato in mente? 

L’uomo si era alzato e gli era andato vicino sovrastandola con il suo fisico imponente.

- Ero a New York. Contento? - Disse per nulla intimorita dal suo tono e dalla sua presenza. Ma lui la prese per un braccio mentre stava salendo tenendola con forza.

- No! Non sono contento e non va bene. Non puoi scappare come vuoi tu, non farti sentire, senza che nessuno sappia nulla. Hai pensato alle conseguenze di quello che fai? Hai pensato a quello che potevo aver pensato io quando non ti ho trovato a casa? Per me potevano anche averti rapito o ucciso Kate, lo capisci? 

No, non ci aveva pensato a questo. Aveva solo pensato al fatto che lui si potesse arrabbiare non trovandola, ma non che avrebbe pensato a qualcosa di peggio. Dalla sua non risposta Nick capì che lei questo non lo aveva minimamente considerato.

- Castle ha avuto un incidente. Io… dovevo andare, capisci? - Provò a giustificarsi

- No. Non capisco. E non capisco come fai a saperlo.

Tirò fuori il telefono facendoglielo vedere.

- Grandioso. Eri tu quella che non si fidava di me eh? Io invece di te mi fidavo. Che coglione che sono, vero?

- Nick… 

- No, Kate, nessun Nick. Io sono qui, per proteggere te. Perché mi sono preso una responsabilità. Dirai che non me lo ha chiesto nessuno, è vero, ma non è questo il punto. Io non posso proteggerti se tu non vuoi. Non posso fare nulla per te se tu non ti fidi, prendi e te ne vai da Castle o da chiunque altro quando qualcuno ti avvisa che qualcosa non va. Vuoi andare? Vuoi la tua vita? Vai Kate, andiamocene via! Cosa facciamo qui? Vuoi il tuo scrittore? Non resisti? Vai da lui, finiamo questa scena. Ho dovuto avvisare anche la Gates e Bratton, ti stavano facendo cercare anche loro. Devi capire che le tue azioni hanno delle conseguenze Beckett. Che non puoi fare come vuoi pensando che gli altri siano invisibili.

Price uscì sbattendo la porta e Kate rimase immobile nel soggiorno. Lo sentì mentre sulle scale parlava al telefono con Bratton, aggiornandolo sulla situazione. Non si era preparata ad essere investita anche dalle parole di Nick. Non a quella violenza, non ad essere messa ancora una volta spalle al muro. Sapeva che aveva ragione e questo era quello che le faceva più male.

- Allora? Che vuoi fare? Torni a New York, vai da Castle? - Le chiese quando era rientrato.

- No. - Buttò il cellulare sul tavolo e salì in camera.

Nick prese il telefono e lo spense, mentre sentiva la porta della sua stanza chiudersi.

I passi di Martha ed Alexis erano amplificati dal silenzio di quel corridoio. Le due donne arrivarono davanti alla camera di Rick, trovandolo abbracciato a Vanessa. Era buffo, sembrava quasi lui a voler rincuorare lei e con l’unica mano libera le accarezzava la schiena mentre lei era dolcemente appoggiata al suo petto.

- Ehm… Ehm… - Martha si schiarì per annunciare la loro presenza e aspettò un attimo prima di entrare dentro seguita dalla nipote.

- Ciao mamma, ciao Pumpkin! - Le salutò calorosamente Castle mentre Vanessa si era portata al suo lato rimanendogli vicina, ma non troppo.

- Papà, come stai? - Chiese Alexis preoccupata guardando il suo braccio ingessato.

- Oh bene. Dovrò solo stare un po’ a riposo, ma la mia testa è dura, più del mio braccio a quanto pare.

- Richard, cosa è successo?

- Un po’ di stanchezza mamma, nulla di che, un incidente, capita… - Si giustificò trovando lo sguardo serio di madre e figlia a scrutarlo.

Le due rosse avevano solo guardato di sfuggita la donna al suo fianco, più concentrate su Rick che su di lei. Fu Castle, quindi, a rompere l’imbarazzo che si era appena creato in un momento di silenzio.

- Mamma, Alexis, lei è Vanessa. So che ci avete già visto su qualche giornale, ma vi assicuro che dal vivo siamo molto meglio. - Sdrammatizzò la situazione e cinse il fianco della donna avvicinandola a se. Lei, molto cordialmente, strinse la mano di Alexis e poi fu inaspettatamente travolta dall’abbraccio di una sempre troppo espansiva Martha che le dava ufficialmente il benvenuto tra loro.

Arrivò un medico a dire a Castle che anche gli ultimi accertamenti che aveva fatto avevano dato esito negativo, poteva quindi tornare a casa. Ebbe un attimo di incertezza guardando sua madre e sua figlia che uscirono dalla stanza lasciandolo solo con Vanessa.

- Beh, Richard, io… Ci sono tua madre e tua figlia adesso… Cerco il primo volo e torno a Los Angeles. - Non voleva essere di troppo, né imporre la sua presenza, ma soprattutto non aveva senso stare a New York se non stava con lui.

- Vieni a casa con me. - La sorprese con quella richiesta e sorprese anche se stesso.

- Come? - Chiese perplessa

- Vieni con me, a casa mia. Hai fatto sei ore di volo, non puoi ripartire subito. Stai un po’ con me. Oggi almeno, questa notte… - Glielo chiese con quegli occhi a cui già non sapeva dire di no ed in fondo prima di partire aveva chiamato la sua agente avvisandola che non sapeva quanto dovesse stare fuori. Si era stupita lei stessa quando aveva giustificato la sua assenza come “motivi di famiglia”, ma lei per fortuna non le aveva fatto domande. In quattro anni che recitava in quella serie tv era la prima volta che mancava dal set per un motivo improvviso, sarebbero stati comprensivi, girando in quei giorni le scene senza di lei.

- Va bene, vengo con te. 

La donna prese la borsa con le poche cose di Castle e tenendolo per mano uscirono dalla stanza. Appena fuori a Rick cadde l’occhio su quelle due tazze di caffè abbandonate in un angolo vicino al muro e non sapeva perché, ma il suo cuore sembrò perdere un battito.

Per Castle era tutto così strano e naturale allo stesso tempo. Aveva chiesto a Vanessa di andare da lui perché sentiva che era giusto così, perché voleva averla vicino, perché le era mancata. Non c’era nulla di innaturale in questo, stavano insieme e voleva stare con lei, eppure mentre stava per varcare la porta del loft tenendola per mano, si era sentito improvvisamente a disagio, come se quel passo implicasse altro, come se fosse qualcosa di grande ed entrasse realmente nella sua vita. Si erano incontrati solo in hotel o a casa di lei. Portarla nel loft, con la sua famiglia, aveva un significato del tutto diverso.

Rick aveva apprezzato fin da subito la sua discrezione e l’essere alla mano, di era offerta di aiutare Martha con la cena, ma Castle aveva insistito, per il bene di tutti sottolineandolo più volte, ad ordinare qualcosa a domicilio. Lasciò scegliere Alexis che, dopo essersi assicurata che anche a Vanessa andasse bene, ordinò sushi ed altre specialità giapponesi per tutti. Era contento di vedere Alexis e la sua compagna chiacchierare amabilmente per conoscersi meglio ed anche Martha osservava la nipote e l’attrice da lontano, con il suo immancabile bicchiere in mano. Quando la giovane Castle fu occupata al telefono per discutere con una sua compagna del campus della festa che avrebbero organizzato da lì a pochi giorni, fu Martha a monopolizzare la giovane donna che guardò Rick con un’espressione di scusa per non riuscire a stare con lui come avrebbe voluto. Castle, però, se lo immaginava, più da parte di sua madre che di Alexis, a dir la verità, ma sospettava che avrebbe ricevuto molte attenzioni dalle sue donne, desiderose di conoscerla e allo stesso tempo, era certo che lei sarebbe piaciuta ad entrambe, perché non poteva essere diversamente, Vanessa era una donna facile da amare, perché riusciva a far sentire tutti a proprio agio, senza avere mai atteggiamenti da diva che molte, con meno diritto di lei, ostentavano senza un perché.

Quando fu sera Rick cominciò ad accusare la stanchezza e la fine dell’effetto degli antidolorifici. Durante la cena fu più silenzioso e meno brillante del solito e la cosa colpì soprattutto Vanessa, non abituata a vederlo così. Appena finito di mangiare, quindi, si congedò dicendo che sarebbe andato in camera a riposarsi e Vanessa lo seguì immediatamente, salutando e ringraziando sia Martha che Alexis.

Si sedette sul letto al suo fianco, aiutandolo a togliersi la camicia, baciandolo dolcemente sul collo e sul braccio sollevando la manica della tshirt che indossava, scoprendo i muscoli che erano più tonici da quando lo aveva conosciuto.

- Mi dispiace piccola… - sospirò Castle accarezzandole il volto.

- Sono felice di starti vicino. E poi di cosa dovresti dispiacerti? - Gli chiese appoggiandosi alla sua mano.

- Di questa situazione. - alzò il braccio infortunato facendo una smorfia - Di averti fatto preoccupare. Sono stato un idiota.

- Perché hai esagerato Richard? Cosa è successo? - Gli chiese preoccupata guardandolo negli occhi e Rick non riuscì a mentirle ancora, non sarebbe stato giusto.

- Ricordi del passato fatti riaffiorare in modo troppo brusco. Non riesco a controllarli e mi dispiace, perché vorrei non volerci veramente pensare più. Io… sto bene con te, veramente. Grazie per esserci. - Gli disse sincero e Vanessa apprezzò quella franchezza, anche se le faceva male sapere che il suo passato lo tormentava, ma non poteva essere altrimenti, era ancora troppo recente.

La donna si alzò, si tolse la camicetta e i pantaloni, vide una maglietta di Rick abbandonata su una sedia.

- Posso? Non ho nulla per dormire…

- Oh, già… Beh, aspetta… Chiedo ad Alexis, lei sicuramente avrà qualcosa da darti. - Rick si era già alzato

- Non ti preoccupare, una maglietta andrà bene.

- Tranquilla piccola, mia figlia sarà felice di rendersi utile.

Le diede un bacio e andò da Alexis che guardava la tv, tornò in camera poco dopo con una camicia da notte ed un pigiama.

- Ha detto di prendere quello che vuoi. - Disse porgendole entrambi gli indumenti e lei prese la magliettona larga e comoda indossandola prima di andare in bagno per prepararsi per la notte.

Rick la osservò entrare in bagno e poi mentre sentiva l’acqua scorrere pensò all’immagine di Vanessa con la sua maglietta in mano. Non ci sarebbe stato nulla di male se l’avesse indossata ma gli avrebbe fatto male, perché quella era una cosa di Beckett: i suoi vestiti indossati da lei erano uno dei ricordi che gli facevano più male ogni volta che ci pensava e sempre più spesso quando era solo si illudeva che sarebbe entrata con la sua camicia bianca che le arrivava a metà coscia lasciandogli le lunghe gambe nude in bella vista, le maniche arrotolate e qualche bottone slacciato che lasciavano intravedere i seni.

Ci stava ricadendo ancora. Stava di nuovo pensando a lei. Anche quella sera. Quella era una situazione del tutto inedita, Beckett non era mai stata al loft, non come sua fidanzata almeno, non era mai stata in quella stanza con lui, non aveva mai dormito in quel letto, eppure anche il fatto che lei non fosse mai stata lì marcava nella sua mente la sua presenza ed una domanda lo stava tormentando: perché Vanesse era lì e Kate non c’era mai stata? Perché con lei non aveva mai condiviso nulla della sua vita reale, fuori da una stanza di hotel, eppure gli sembrava che lei fosse ovunque, anche lì? Aveva una risposta, ma non se la voleva dare, non ora che Vanessa era solo aldilà di una porta e tra poco lo avrebbe raggiunto.

- Di nuovo perso nei tuoi pensieri Richard?

Non l’aveva sentita né uscire né salire sul letto. Eppure appena voltò la testa vide Vanessa seduta lì vicino a lui. Aveva un bicchiere d’acqua in mano che gli stava porgendo.

- Per i tuoi antidolorifici - Gli disse amorevolmente.

Rick si voltò a prendere la scatola delle pillole che aprì con fatica ma testardamente non volle farsi aiutare: ne prese un paio mandandole giù con un generoso sorso d’acqua poi si sdraiò ed immediatamente sentì Vanessa farlo vicino a lui.

Gli accarezzava il volto teso ed i capelli, mentre lui non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, poi si avvicinò di più baciandogli il collo lì dove aveva scoperto che a lui piaceva particolarmente, vicino all’orecchio.

Castle chiuse gli occhi godendosi le attenzioni che la donna gli stava riservando, rilassandosi al suo tocco e ai suoi baci. La spostò poi con decisione più su di se, sollevandole la maglietta appena indossata, accarezzandola con una sola mano sul fianco fino a trovare i suoi seni.

- Richard non credo che dovremmo… - provò ad obiettare lei, ma le sue carezze scesero sempre più in basso fino a rendere inequivocabile il suo desidero ed inevitabile quello che sarebbe accaduto di lì a poco, quando quella camicia da notte era già lontana dal corpo di Vanessa nudo su di lui.

Rick quella notte non era riuscito a riposare. Passata l’onda del piacere che lo aveva colto erano tornati insistenti i dolori alla testa ed al braccio. Fu felice che Vanessa, girata dalla sua parte di letto, non se ne accorse, perché non aveva voglia di spiegare, di parlare e nemmeno della sua compassione.

Si era spaventato, non dell’incidente, ma di quanto accaduto quel giorno tra le mura di casa. Si era spaventato di come Vanessa stesse naturalmente bene lì con loro, di come la vedesse giusta in quella situazione, di come sentiva di aver bisogno della sua presenza per stare meglio.

Stare meglio. Non bene. Era questo che lo spaventava. Perché era tutto bello, era tutto giusto, ma sentiva sempre come un ombra dentro di se che non riusciva a rischiarare e sapeva bene quell’ombra che contorni aveva, gli stessi delle copertine dei suoi libri, con un nome e cognome fin troppo facile da pronunciare. C’era stato un momento specifico in cui la sua paura era divenuta più forte, ed era stato dopo che quella sera avevano fatto l’amore, quando lei si era distesa sul suo corpo preda degli ultimi strascichi del piacere e lo aveva baciato; lui l’aveva abbracciata come poteva per tenerla lì, vicino a se, dove lei rimase il tempo di qualche lungo, lento bacio prima di scivolare via e dargli la buonanotte, invitandolo a riposarsi, perché ne aveva bisogno. Di fatto non dormì mai, invece perché i suoi sensi e i suoi dolori, non solo fisici, si svegliarono tutti insieme, perché per un attimo si era illuso ed aveva creduto che quella non era Vanessa e che sarebbe rimasta a dormire sul suo petto, incurante di tutto, per tutta la notte. Come faceva Kate. Invece lei era rimasta con lui il tempo dei baci e delle carezze, poi con dolcezza si era allontanata, non prima di avergli lasciato un’ultima, per farlo dormire meglio per lasciargli il suo spazio. Non poteva farle una colpa per questo, certo che no, di cosa la doveva accusare, di aver pensato che avesse bisogno di riposare e non era rimasta a gravare sul suo corpo indolenzito? Eppure per lui quella separazione era sembrata innaturale, sbagliata. Ci aveva rimuginato per gran parte della notte sul significato di quella sua insofferenza, per cercare un altro senso che non fosse quello più ovvio e più scontato, ma non ci era riuscito e si detestava per questo, perché non era giusto fare paragoni, non era giusto sovrapporre le situazioni e le persone. Non era giusto rimpiangere chi gli aveva mentito, lo aveva usato, gli aveva detto che era tutto finto, non lo era né per lui e nemmeno per lei. Doveva molto a quella donna sdraiata al suo fianco, gli doveva quella serenità che riusciva a dargli con la sua presenza e le risate sincere che era convinto non sarebbe più riuscito a fare, il piacere di chiacchierare di nulla senza annoiarsi, stare abbracciati a vedere un film, anche se lei poi finiva sempre per addormentarsi. Invidiava la sua capacità di dormire, quello sì, ci avevano anche scherzato e riso sù insieme, perché lui la prendeva in giro per come cadeva in qualcosa che sembrava letargo le diceva e dormiva profondamente, cosa che a lui, invece, non era più riuscita, ma questo evitò di dirglielo. Anche quella notte dormiva profondamente nel suo letto, al suo fianco con la camicia da notte di Alexis che aveva recuperato tra le lenzuola o non sapeva bene dove, coperta con le sue lenzuola di seta scure. Se fosse stata un’altra donna nel suo letto in quel momento l’avrebbe svegliata per anestetizzare i pensieri con il sesso. Se fosse stata Kate, sarebbe stata sveglia a chiedergli cosa lo stava turbando.

Basta! Non poteva entrare in ogni suo pensiero e soprattutto non poteva essere ancora adesso così presente, ora che gli sembrava che la sua vita stesse rientrando su un giusto binario, non poteva esserci la sua presenza costante a rischiare di farlo deragliare in ogni momento. Già aveva dato, finendo fuori strada con troppo alcool in corpo ed il piede troppo pesante sull’acceleratore. 

Doveva essere grato a Vanessa a quello che stava diventando per lui, un punto di riferimento importante. C’era una domanda, però, che aveva paura a porsi ma inevitabilmente finiva per farsela: la amava? Glielo avessero chiesto qualche anno prima non avrebbe avuto difficoltà a rispondere, avrebbe detto di sì, sicuramente, aveva tutto quello che doveva avere una donna per farsi amare da lui. Adesso non lo sapeva. Perché se pensava a Beckett, no, non poteva dire di amarla. Se quello era l’amore non amava Vanessa e non aveva mai amato nessun altra. Ma Kate non era reale, Kate era un frutto della sua immaginazione, Kate era qualcosa costruito nella sua mente e plasmato intorno alla figura della detective Beckett. Non era giusto paragonare Vanessa a qualcosa creato da lui, non avrebbe mai potuto reggere il confronto con la sua ossessione. Vanessa era vera, era reale e dormiva lì vicino a lui, era corsa per lui da Los Angeles cancellando i suoi appuntamenti, rimandando il lavoro, appena lui l’aveva chiamata per avvisarla e rassicurarla. Non le aveva chiesto di venire, voleva solo che se mai fosse accaduto, non doveva leggere la notizia da qualche news sul web di qualche curioso che aveva assistito alla scena. Poche ore dopo, invece era lì con lui. Quante altre donne lo avrebbero fatto? Quante altre donne del suo passato avevano fatto qualcosa così per lui. Nessuna. Questo doveva dirgli qualcosa, doveva fargli capire che per lei lui era importante ed il suo lato narcisista questo non poteva che apprezzarlo. Lo faceva sentire amato ed era una sensazione che gli infondeva tranquillità. 

Sapeva che gratitudine ed amore non erano la stessa cosa, ma adesso faticava veramente a capire cosa fosse l’amore, ne aveva una visione distorta, era come se Beckett avesse trasportato il suo cuore nella casa degli specchi del Luna Park ed ora faticasse a riconosce ogni sensazione, quelle vere e quelle artefatte.

Si alzò di scatto, stanco dei suoi pensieri, delle sue paure e dei suoi tormenti. Andò i bagno per sciacquarsi il viso e guardarsi allo specchio. Chi era quell’uomo riflesso più magro, con i capelli più corti e la barba più lunga? Perché era così vittima della sua mente e dei suoi ricordi? Perché non poteva solo chiudere tutto in un angolo della mente, fare finta che nulla fosse esistito, che era un sogno. Lo doveva fare, lo doveva a se stesso. Provò a muovere la spalla sinistra portandosi dietro il pesante peso del gesso e le fitte al braccio aumentarono.

Quando tornò in stanza trovò la luce del comodino di Vanessa accesa e lei seduta sul letto che lo guardava.

- Tutto bene? - Gli chiese preoccupata

- Sì… dovevo solo andare in bagno - le rispose tornando a sdraiarsi.

- Non ti ho sentito muovere per niente stanotte, hai dormito profondamente.

- Già… Saranno state le medicine - Mentì senza guardarla. - È ancora molto presto piccola, dormi… 

Si piegò su di lei per darle un bacio e lo sorprese la sua reazione, quando la sentì prendergli il volto tra le mani e tenerlo di più sulle sue labbra.

Tornò dalla sua parte del letto e lei gli si avvicinò, accoccolandosi vicino a lui che la accolse nel suo abbraccio.

- Ti Amo. - Lo disse a lei ma soprattutto stava convincendo se stesso.

Kate appena arrivata in camera si era buttata sul letto e si era presto addormentata, stanca, sfinita da quella lunghissima giornata che l’aveva provata fisicamente ma ancora di più emotivamente. Aveva attraversato tutti gli strati di se, per uscirne sconfitta sotto ogni punto di vista. Aveva giocato con la sua vita ed aveva perso, ora le era chiaro. Doveva solo capirlo. Doveva solo rassegnarsi.

Era stato un sonno profondo, senza sogni, senza incubi eppure quando si era era alzata non era così riposata come avrebbe dovuto essere. Era più il risveglio dopo una sbornia, quando non ti senti per niente bene, la testa ti scoppia e lo stomaco è decisamente sottosopra.

Price come sempre era già sveglio di umore decisamente migliore rispetto a come l’aveva lasciato la sera prima, forse aveva solo compassione per il suo aspetto pessimo, che nemmeno una doccia e un trucco più forte del solito avevano migliorato.

- La Gates ti vuole parlare. - Le disse porgendole il suo cellulare. - Chiamala.

Kate sbuffò e roteò gli occhi al cielo. Di tutto aveva bisogno tranne che della ramanzina del suo capitano per quello che aveva fatto.

La telefonata andò esattamente come si aspettava, con la Gates che le ribadiva tutta la sua delusione, disappunto e arrabbiatura per il suo comportamento e lei che incassava rispondendo solo “Sì signore” e scusandosi più volte. Se quella giornata poteva cominciare male, di sicuro l’aveva appena fatto. Diede il cellulare e Nick e si portò le mani prima sul viso sfregandoselo con forza e poi sui capelli non pensando nemmeno al fatto che si fosse appena truccata e suscitando una sincera risata nell’uomo che la vedeva con il viso decisamente impiastricciato.

- Credo dovesti andare a controllare il trucco - Le disse ancora ridendo e lei scuotendo la testa tornò al piano superiore per lavarsi il viso e togliersi tutti i segni che aveva appena fatto. Evitò di truccarsi ancora.

- Stai meglio così. - Le disse appena scese le scale, quando lo salutò di nuovo con un sorriso timido.

- Come? Senza sembrare una maschera di Halloween? - Si schernì Kate

- No, senza trucco. - Le rispose addentando una mela.

- Non mi adulare Nick, non c’è bisogno. - Sospirò Kate sedendosi al tavolo vicino a lui.

- Non ti sto adulando, è la verità. Non hai bisogno di truccarti, di nascondere le tue emozioni dietro a finte maschere, vere e non solo.

Annuì e non gli rispose, grata che non chiese altro, che non insistesse ancora. Questa era una delle cose di Nick che in quei giorni apprezzava particolarmente. Le diceva quello che pensava, andava anche a colpirla nei punti che le facevano male, ma finiva lì, non insisteva, non la metteva con le spalle al muro più del dovuto. 

- Dai, andiamo! - Le disse alzandosi appena finito di mangiare la mela

- Dove? - Chiese stupita

- In paese.

- Come?

- Con l’auto! - Rise nel dirglielo vedendo il suo stupore ed ancora di più dopo la sua risposta quando roteò gli occhi al cielo e scosse la testa. - Ok, ok… Faccio il serio. Sei andata a New York, possiamo anche andare nel paese qui vicino. Mangiamo qualcosa, facciamo un giro. Per distrarci un po’. Non c’è molta gente in questo periodo e Bratton mi ha detto che è ok se qualche volta usciamo, per un po’.

- Non so se mi va… 

- Se non andiamo non lo scopri.

Allungò la mano verso di lei e Kate la prese facendo leva per alzarsi mentre lui in piedi la guardava sorridendo ancora per prima. 

La caffetteria dove si erano fermati aveva una grande insegna verde acqua con caratteri molto anni ottanta. Anche il resto dell’arredamento all’interno sembrava di quel periodo o anche di prima, molto vissuto, in ogni caso. La signora di una certa età dietro il bancone accolse il loro arrivo con un gran sorriso, rivolto soprattutto a Nick che la salutò con un cenno della mano. Si andarono a sedere in un tavolo appartato in fondo alla sala, passando davanti alla vetrina dei dolci che Kate guardò con l’acquolina in bocca, scoprendosi decisamente affamata. Non c’erano che altri due tavoli occupati da persone del posto che stavano bevendo i loro caffè e leggendo il giornale.

- Allora è lei la tua ragazza! - Esclamò a Nick la signora con voce squillante giunta al loro tavolo per prendere l’ordinazione.

- Sì, Theresa è lei. - Rispose Price con disinvoltura.

- Sono così felice di sapere che stai meglio figliola - disse a Kate la donna con un gran sorriso sinceramente affettuoso.

- Oh sì, molto meglio, grazie. - Beckett fulminò Nick con lo sguardo dopo aver risposto a Theresa reggendo la copertura della quale ignorava l’esistenza.

- Cosa vi porto ragazzi? - Aveva già in mano la penna pronta per scrivere sul suo blocchetto molto consumato.

- Per me il solito Theresa, grazie - Le sorrise Price con la sua consueta gentilezza.

- E per me una cioccolata calda. - Finì Beckett.

Senza panna, specificò dopo, prima che la donna andasse via.

- Dovevi avvisarmi! - Bisbigliò Kate arrabbiata appena furono soli.

- Scusa, non pensavo che dicesse qualcosa! - Le rispose sempre lui a bassa voce.

- Quindi? Quale sarebbe la storia? - Chiese ancora adirata e seria.

- Siamo fidanzati e tu sei qui al mare per riprenderti dopo una malattia. Fine della storia.

- Ah perfetto… - Sbuffò Kate poco prima che Theresa tornasse con in mano il vassoio. 

- Latte scremato con caffè per te Nick e cioccolata calda per la tua dolce ragazza - disse poggiando le tazze davanti a loro - E questa ve la offre la casa per festeggiare che oggi sei finalmente venuta anche tu! 

Mise tra loro un piatto con una grande fetta di torta al cioccolato e due forchettine e si allontanò di nuovo a passo svelto.

- Mi sento in colpa! - Esclamò Kate prendendo un pezzo della torta che trovò squisita. - La stiamo prendendo in giro!

- Uhm hai una soluzione per questo? Cosa le dovevo dire? - Anche lui prese un pezzo di torta che mangiò senza smettere di fissare Kate e le sue espressioni che andavano dall’arrabbiato quando pensava alla situazione all’estasiato quando assaporava la torta. Non gli rispose, sbuffando solo ancora un po’.

Beckett si sentì decisamente decisamente meglio quando uscì da lì dopo quella dose extra di cioccolato. Obbligò anche Nick a lasciare a Theresa una generosa mancia, per sdebitarsi della torta offerta.

C’era una piccola libreria in quel paese e decise di entrare per comprare qualche altro libro da leggere visto che quelli che si era portati li aveva già finiti quasi tutti. L’idea fu pessima. Si ritrovò immediatamente davanti il cartonato pubblicitario di Frozen Heat, con il faccione sorridente di Castle davanti a lei. Ebbe la tentazione di uscire, ma incontrò lo sguardo di Price che la esortava ad andare avanti, in tutti i sensi. Così fece. Passò del tempo nella sezione gialli e trovò un paio di libri che le sembravano interessanti, poi la raggiunse anche Nick che aveva preso altri due volumi, saggi storici sugli sulla guerra fredda, una lettura interessante anche se non proprio leggera. Prima di andare alla cassa, senza guardare, prese anche una copia di Frozen Heat, poi diede tutto a Nick e lasciò che fosse lui a pagare, sorridendo beffarda.

Quella dove stavano mangiando era l’unica tavola calda del paesino. Kate in qualunque altra circostanza avrebbe definito quel posto rassicurante: c’erano molte famiglie di vario tipo che stavano pranzando: nonni con nipoti, genitori con i figli, coppie di sposi da lungo tempo e fidanzati. Come loro due qualcuno si sarebbe azzardato a dire e quell’idea la rendeva nervosa fuori modo. Non era la prima volta che si inventava una copertura per motivi di lavoro, certo mai per così tanto tempo, però apprezzava quella giornata che rompeva la monotonia, soprattutto lo era dopo quello che era accaduto il giorno prima, era un modo per rompere con il passato, pensava.

I loro piatti arrivarono in contemporanea, un bistecca con verdure grigliate per Nick, un molto meno salutare hamburger ripieno di tutto e patate fritte per lei.

- Non ti concedi mai il gusto di mangiare qualcosa di schifosamente buono e poco sano? - Gli chiese Kate affondando una patatina nel ketchup

- Raramente. - Le rispose mangiando una delle sue zucchine grigliate.

- Non sai cosa ti perdi! Ah se lo fai per il fisico, tanto ti posso atterrare anche mangiando schifezze! - Lo schernì ricordandogli quando solo un paio di giorni prima, in uno dei loro allenamenti corpo a corpo lo aveva messo a terra sorprendendolo.

- Cosa è successo ieri? - Le chiese Nick quando avevano finito di mangiare e stavano rilassandosi un po’, godendosi quell’ambiente familiare e tranquillo in attesa di due shake golosi per chiudere il pasto in bellezza. Kate si irrigidì subito.

- Niente. - Rispose secca

- Quindi ti sei fatta in poco più di 24 ore quasi 2000 km, senza dormire, senza fermarti per “niente”. Una toccata e fuga da New York. Castle ha avuto un incidente, hai visto che stava bene e sei tornata indietro.

- Già, più o meno - Tagliò corto.

- Kate, non prendermi in giro, per favore. Cosa è successo ieri? - Le chiese ancora con tono più conciliante.

- Non mi va di parlarne Nick.

- Io credo dovresti, invece.

La loro conversazione fu interrotta dalla cameriera che portò i due shake. Uno alla fragola per lui, uno al caramello per lei. Kate faceva roteare la cannuccia nel bicchiere senza berlo, confondendo le linee più scure disegnate nel bordo con la panna ed il resto della bevanda.

- Sta bene Castle, vero? - Gli chiese ancora Nick preoccupato che quella cosa che aveva dato per scontato non potesse essere vera.

- Sì, sta bene. - Deglutì con fatica, ripensando alle parole di Rick a Vanessa.

- Kate… Sicura che non ne vuoi parlare? 

Beckett fece un respiro profondo. 

- Quando ho letto il messaggio di Lanie non ho pensato. Sapevo solo che qualunque cosa fosse accaduta a Rick, io dovevo essere vicino a lui, come lui era stato vicino a me. Non ho pensato alle conseguenze, a quello che facevo, a metà strada non sapevo nemmeno se avevo soldi a sufficienza per la benzina per arrivare a New York. Sapevo solo che dovevo essere con lui e andavo il più velocemente possibile per essere lì, per vederlo.

Fece una pausa, bevendo qualche sorso di quello shake così tremendamente dolce. Troppo dolce per i suoi ricordi amari.

- Lanie mi aveva rassicurato che non era grave, una botta alla testa ed un braccio rotto. Ero arrivata in ospedale e fuori dalla sua camera non trovavo il coraggio per entrare, stupido no? Corro da qui a New York e mi blocco a pochi passi da lui. Perché avevo paura, perché non sapevo cosa dirgli. Avevo paura che non mi volesse vedere. Così ho pensato di fare quello che faceva lui sempre con me, sono andata a prendere due caffè, avremmo avuto almeno un appiglio per cominciare a parlare, pensavo. Quando sono tornata da lui, invece, la porta era aperta e lui era abbracciato alla sua… alla sua compagna, Vanessa Parker, l’attrice. Li vedevo dallo specchio sulla porta aperta, la teneva stretta a se, la baciava e le diceva che stava bene ora che lei era con lui. Ho lasciato i caffè lì a terra e sono tornata indietro. È finito tutto, Nick. Non ho più nemmeno la mia illusione adesso. Non riesco nemmeno ad essere arrabbiata, né con lui, né con lei. Era felice, lei era così affettuosa. Dovrei essere contenta, era quello che volevo, ma non riesco ad essere nulla. Devo solo riuscire a fare finta di nulla, che non ci sia mai stato niente tra noi e andare avanti.

- Però hai comprato il suo libro, non credo sia proprio il modo migliore - Price le prese la mano sul tavolo e Kate non si ritrasse. Non voleva essere compatita, ma di quel tocco nel quale non ci vedeva nulla di più di un amichevole conforto, ne aveva bisogno.

- Già, patetico vero? Però sono veramente curiosa di sapere che avventure ha inventato per Nikki Heat.

- Non sei patetica Kate. Sei umana. E sei ferita e innamorata.

Fuori dalla tavola calda un vento freddo li accolse. Kate si alzò il bavero del giacchetto di pelle mentre passeggiavano ancora tra le vie della cittadina. Si sentiva come un carcerato nel giorno di libertà, non aveva chiesto a Nick quanto sarebbero rimasti, si voleva godere ogni minuto. Passò davanti alla vetrina di un parrucchiere e si specchiò. Lui sembrò leggerle nella mente.

- Se vuoi abbiamo tempo. - Le disse Nick indicando il negozio che era pressoché vuoto, cosa che non la rassicurò molto. Annuì ed entrò, mentre lui le disse che sarebbe rimasto nei dintorni ad aspettarla.

La ragazza giovane che l’accolse la mise a suo agio con i suoi modi semplici e la cordialità. Era tutto completamente diverso dal salone che normalmente frequentava a New York, dove i dipendenti andavano e venivano e tutto era estremamente professionale ma asettico. Amber si presentò con un’energica stretta di mano, avvisandola che la titolare sarebbe arrivata da lì a poco. Le chiese se sapesse quello che voleva fare e Kate la ricambiò con uno sguardo del tutto confuso: non ne aveva proprio idea. Aveva solo pensato che aveva bisogno di sistemare i capelli, non cosa. Le lasciò un pacco di riviste da vedere, per cercare un’ispirazione. Kate le sfogliò senza prestare molta attenzione, fin quando lo scampanellio della porta che si apriva non fece entrare un ciclone di nome Patricia, un’eccentrica ragazza che avrà avuto più o meno la sua età, vestita con colori estremamente vistosi e con i capelli vaporosi biondo platino.

- Allora, tesoro, cosa volevi fare? - Le chiese Patricia studiandole il viso e tastandole i capelli, lunghi molto lunghi.

- Corti e scuri. - Disse Kate senza pensarci troppo.

- Taglio al passato eh? - Beckett annuì alle parole della donna

- Bisogno di un cambiamento. - Ammise.

Corti e scuri. Come li aveva quando era entrata in polizia, come erano prima di Castle. Come se bastasse quello per riavvolgere il nastro e cancellare gli ultimi anni, come se un taglio di capelli fosse stato sufficiente.

Alla fine erano sì scuri come aveva chiesto, ma decisamente più lunghi, fino alla spalla perché Patricia si era categoricamente rifiutata di tagliarli di più. Sarebbe stato un sacrilegio, le aveva detto e poi con il suo viso stavano meglio così. Non poteva darle torto, quel taglio le piaceva più di quanto si aspettasse e doveva dire che le due donne che lavoravano in quel piccolo negozio di provincia erano molto più brave di quanto credesse. Stupidi pregiudizi, di ammonì da sola. Aveva quasi finito quando vide Nick fuori dalla vetrina salutarla e gli fece cenno di entrare.

- Ho quasi finito - gli disse quando doveva solo asciugarli.

- Oh ma allora non era una delusione d’amore quella da tagliare via! - Esclamò Patricia senza staccare gli occhi da Nick - Tesoro, con questo pezzo di ragazzo vicino, le delusioni le lasci tutte a noi povere comune mortali!

Kate sorrise nervosamente, imbarazzata, ma tenne il gioco ed anche Nick che si sedette su una poltroncina vuota vicino a lei.

- Sei bellissima - Le disse quando Patricia e Amber avevano finito di darle gli ultimi tocchi e in quel momento Price non stava recitando nessun ruolo, Kate lo capì da come la stava guardando ed il suo imbarazzo crebbe ancora di più.

Quando uscirono da lì era pomeriggio inoltrato, le giornate si erano molto accorciate ed il sole stava tramontando. 

- Grazie - Gli disse Kate mentre tornavano alla casa sulla spiaggia

- Per cosa?

- Per oggi. Ne avevo bisogno. - Guardava fuori dal finestrino il sole tramontare e le poche macchine che incrociavano in quella strada molto meno frequentata di quando erano arrivati lì settimane prima.

- Uhm… considerando che non volevi nemmeno venire mi sembra un bel traguardo. - Ammiccò Nick facendola sorridere.

Nei giorni seguenti tornarono un paio di volte a settimana in paese, per mangiare qualcosa alla tavola calda e fare colazione da Theresa. Quella stagione era più fredda del previsto anche in quella zona della South Carolina e Price e Beckett approfittarono anche per comprare qualcosa di più adatto per il clima nel piccolo negozio di abbigliamento sportivo. Kate si diceva che in fondo non era difficile vivere così, bastava non pensare che prima aveva una vita, un lavoro, degli amici. E Castle. 

Cercava di pensare sempre meno a lui, chiacchierando sempre di più con Nick, tenendosi impegnata a leggere o nei suoi consueti allenamenti quotidiani. Non era facile perché c’era sempre qualcosa che lo faceva pensare a lui, bastava una parola, a volte, solo una parola e Castle irrompeva di nuovo ad incrinare quel fragile equilibrio che provava a costruirsi giorno dopo giorno. Non era però sempre lui a presentarsi all’improvviso, guastafeste e irriverente come era sempre stato, spesso era lei che andava con la mente proprio lì, in quell’angolo dove lo aveva nascosto e a cercarlo. Se le capitava di leggere un pezzo in un libro che la colpiva particolarmente, la segnava e si chiedeva chissà cosa ne avrebbe pensato Rick, quando aveva mangiato da Theresa dei panckakes particolarmente calorici, immaginava quanto potessero piacere anche a lui, con tutta quella cioccolata, panna oltre alla frutta fresca, secca, lo sciroppo al caramello e tutto il resto. Nick era inorridito solo a guardarli, ed anche lei aveva faticato a mangiarne più di qualche boccone, tra le risate dell’anziana donna che subito dopo gliene portò un piatto molto più semplice e Kate era convinta che Castle li avrebbe finiti e sorrise immaginandoselo lì a mangiarli sporcandosi di panna e cioccolata il contorno delle labbra. Pensò anche che non si sarebbe vergognata di alzarsi e pulirlo lei stessa con una lunga serie di baci, ma questo avrebbe fatto volentieri a meno di ricordarlo perché un nodo allo stomaco la strinse in una morsa dolorosa, come sempre quando i ricordi diventavano più intimi e reali.

Nick si accorgeva di quei momenti, quando la vedeva assente e lontana ed il suo volto diventava triste, contratto o altre rare volte, sorrideva da sola. Sapeva che quelli erano i momenti in cui si tuffava nel suo passato e c’era Castle. Lo sapeva perché lo aveva vissuto anche lui. Anche lui aveva passato mesi o forse anni a tormentarsi con il ricordo di Claire ed anche a lui bastava poco per farla rivivere nella sua mente. Capiva Kate il sacrificio e la violenza che stava facendo a se stessa, lasciando Castle preferendo la possibilità di regalargli una vita sicura e felice senza di lei, anche se questo le costava una sofferenza continua, che sapeva non avrebbe mai potuto alleviare in nessun modo.

Il cuore di Kate era di Castle, così come il suo era di Claire. La distanza e la morte non cambiavano questo, quando due persone si appartenevano, lo facevano per sempre, non si poteva fare nulla per spezzare un legame invisibile, più forte di qualsiasi lega creata dall’uomo. Aveva provato anche lui a non pensare a Claire ed anche per lui era stato inutile. Aveva provato ad innamorarsi di Kate, perché chiunque si sarebbe potuto innamorare di lei, chiunque ma non lui. Beckett era bella, intelligente, forte e sensibile, avevano anche creato una forte complicità in quella convivenza obbligata, avevano imparato a conoscersi di più e a raccontarsi molto di loro: non poteva negare di esserne attratto, ma non era amore, non poteva mai esserlo. 

L’aveva vista una sera avvolta in una coperta seduta sulla spiaggia a guardare l’infinito dell’oceano. Era rimasto indietro ad osservarla immobile, quella era una cosa che Claire faceva spesso quando erano lì e lui ne prendeva un’altra e si andava a sedere vicino a lei. Potevano rimanere in silenzio a guardare il mare per ore tenendosi per mano o stando abbracciati. Nick con Claire non aveva bisogno né di parlare né di fare nulla, si sentiva completo solo con la sua presenza e da quando lei non c’era più non era più riuscito a colmare quel vuoto, in nessun modo.

L’aveva vista poi rialzarsi, battere le mani per togliersi i residui di sabbia e tornare verso casa. Vedeva il suo sorriso nella penombra mentre il sole che tramontava allungava le ombre dei suoi passi. 

Nick rientrò in casa quando lei lo aveva quasi raggiunto e respirò profondamente togliendosi quell’immagine dagli occhi. Sentì la porta della veranda che si richiudeva ed avvertì la sua presenza dai passi morbidi sul legno del parquet che attutiva il rumore.

- Mi osservavi? - Gli chiese senza aver nel tono alcun tipo di rimprovero, ma solo curiosità.

- Complimenti Detective, beccato! - Provò a ironizzare Nick.

- Perché lo facevi? - Quella domanda scatenò in Price una reazione che nemmeno lui si immaginava, sentimenti che si agitavano, ricordi che si mescolavano alla realtà.

- Perché mi piaci. Tu mi ricordi lei Beckett. La tua forza, il tuo coraggio, la tua fragilità, la tua sofferenza. - Price si avvicinò accarezzandole il volto, insistendo con il pollice sul profilo delle labbra.

- Non credo sia la cosa giusta questa Nick. - disse scostandogli la mano sentendo il suo respiro profondo e la sua voce molto più bassa del solito.

- No. Probabilmente no. Ma non faccio mai le cose giuste. Tu? - La mano tornò lì sul suo zigomo.

- A giudicare da come sto adesso, no. - Si morse il labbro inferiore e lui interpretò quel gesto per quello che non era. 

- Potremmo fare la cosa sbagliata insieme. - Le sussurrò avvicinandosi alla sua guancia sfiorandola con le labbra e lasciandola immobile e sorpresa.

- Nick, io… - Provò a scansarlo.

- Sei innamorata di Castle, lo so. Ma nella vita non c’è solo l’amore, c’è anche altro, a volte.

Non seppe perché ma non si ritrasse. Forse aveva ragione lui, forse era un altro errore, ma ne aveva fatti di peggiori. Lasciò che lui la baciasse sulla guancia, che scendesse sul collo e che avvicinasse i loro corpi. Sentì il suo braccio dietro la schiena era forte e muscoloso, la stringeva deciso e lei si ritrovò a passargli una mano tra i capelli mentre lasciò andare un mugolio involontario mentre lui si accostava di più a lei facendola indietreggiare fino al muro del soggiorno. Voltò la testa di scatto solo quando Nick cercò le sue labbra ma dopo quel suo secco e muto rifiuto non ci provò più, dedicandosi a baciare altre parti del suo corpo che sembrava le facessero particolarmente piacere. Con la sua mole ed i suoi muscoli l’aveva costretta in tra il suo corpo, che non le lasciava spazio, ed il muro sul quale si era appoggiata per sostenersi, facendole sentire tutto il desiderio che aveva di lei, strusciandosi a lei in un modo che poco lasciava all’immaginazione. Kate accettò quelle attenzioni inclinando la testa per facilitargli il compito e sentiva come i suoi baci diventavano sempre più insistenti e le sue mani vogliose di lei si intrufolavano sotto la sua maglia cercando la sua pelle e lei fece lo stesso sfilandogli via la camicia dai pantaloni e afferrandogli i fianchi per avvicinarlo ancora di più a lei. Le piaceva sentirlo così vicino, così imponente e smanioso contro il suo corpo mentre anche il suo desiderio di lui aumentava mentre la sua mente si svuotava di tutto.

Price la sollevò come fosse una bimba e la portò su per le scale nella sua camera dove, sul letto, continuò a baciarla sul collo e sul corpo che scopriva piano piano, esplorandolo per la prima volta, avido. Le mani di Kate tra i suoi capelli lo guidavano scostandolo ogni qualvolta si avvicinava ad una delle sue cicatrici che lui evitava con cura. Si ritrovò ben presto nuda sotto di lui, nudo come lei. Passava le mani sui muscoli possenti delle sue braccia, stringendole con avidità, che si sorreggevano su di lei e si inarcò verso di lui, cercandolo, per provare a far zittire tutti i sentimenti contrastanti che la facevano fremere. Nick non si fece pregare ancora accogliendo quell’implicita richiesta di lei: la voleva così come lei voleva lui. Kate chiuse gli occhi e si lasciò andare a tutto quello che di giusto e di sbagliato c’era in quel momento, accarezzando ed aggrappandosi a quel corpo teso che si muoveva deciso sopra e dentro di lei andandosi a prendere quel piacere che cercava, mentre Kate lasciava che il suo corpo avesse la meglio sui suoi pensieri e le sue emozioni, lasciando che fosse il suo fisico a guidarla alla ricerca di quell’appagamento dei sensi che sperava riuscisse a portarla lontano da quella realtà per un po’. Strinse di più le gambe intorno al suo bacino mentre lui si era chinato per baciare e succhiare avido i suoi seni. Beckett si lasciò sfuggire una mugolio di piacere e quando lui strinse di più il suo capezzolo con i denti e Nick sorrise soddisfatto di sentirla gemere per lui.

Kate lo sentì rotolare dall’altra parte del letto e coprirsi con un lenzuolo. Ebbe l’immediato impulso di fare lo stesso ma gli sembrava che essere entrambi nudi sotto lo stesso tessuto fosse troppo intimo e pensò che era una considerazione a dir poco stupida visto quello che avevano appena fatto. Si rialzò immediatamente cercando gli slip e la tshirt vestendosi velocemente.

Price era girato e le dava le spalle, con il lenzuolo che gli copriva solo metà schiena lasciando le spalle e le braccia scoperte: una scatola di preservativi aperta tra loro ed un paio di bustine strappate erano la testimonianza di quanto appena accaduto le fissò sentendosi colpevole. Lui dormiva a giudicare dai respiri profondi che vedeva dal lenzuolo che si alzava ed abbassava ritmicamente.

Aveva accarezzato quel corpo tonico, appoggiandosi sui suoi pettorali scolpiti quando sopra di lui lo vedeva prendersi tutto il godimento che riusciva a dargli mentre le sue mani la tenevano saldamente sollevandola dai glutei assecondando i movimenti di Kate che erano sempre più incalzanti e impazienti. Si era stretta attorno al suo corpo, si era lasciata andare man mano che il suo piacere aumentava ed il ritmo era diventato più frenetico ed aveva anche lei baciato e percorso il corpo atletico di Nick, come lui faceva con lei. Era stato appagante fisicamente, più di quanto volesse ammettere a se stessa, il suo corpo si era lasciato andare al piacere che Price le aveva fatto provare, ma ora non le rimaneva nulla più del sapere quanto fosse stato inutile. Era Nick. Era come era sempre stato prima, non poteva negare a se stessa che fosse stato appagante e piacevole. Non era la prima nottata che passava con un uomo solo per il piacere di farlo, non era una ragazzina e nemmeno una bigotta, ma aveva scoperto che c’era dell’altro e tutto quello sembrava non le bastasse più, nemmeno per essere totalmente soddisfatta.  Nick non era lui e non aveva nemmeno bisogno di dargli un nome. C’era solo un lui che avrebbe voluto, quello che la faceva sentire amata dopo più che durante, che la teneva stretta abbracciando il suo corpo ancora in preda ai sussulti e non lasciava più fino ad addormentarsi insieme. Ebbe un brivido solo a pensarci, a ricordare il calore di quelle braccia forti, di quel petto morbido dove le piaceva addormentarsi, del suo respiro caldo che le solleticava il collo, era tutto così giusto tra le braccia di Castle, era come essere a casa. Chiuse gli occhi e le sembrò si poter sentire anche il suo profumo, lo ricordava così bene che era impossibile dimenticarlo. 

Scese al piano inferiore e dalla finestra guardava la veranda ed il suo riflesso. Quei capelli decisamente più corti, che sfioravano a mala pena la spalla e più scuri erano il simbolo del taglio al suo passato e a Castle. Ma lui non se ne andava dalla sua mente e dal suo cuore ed attese l’illusione che lui arrivasse dietro di lei ad abbracciarla. Chiuse gli occhi e strinse le mani attorno al suo petto, e lui era così presente in lei che le sembrava veramente di sentire il suo tocco. E pianse. 

L’immagine riflessa sul vetro aveva i lineamenti che si confondevano con il paesaggio esterno, dove le onde rabbiose dell’oceano brillavano riflettendo la luce della luna alta in cielo. Era quasi piena ed illuminava un paesaggio che altrimenti sarebbe stato totalmente avvolto nell’oscurità e Kate lo avrebbe preferito così. Invece vedeva sul suo viso la violenza del mare scosso dal vento forte che ululava in quegli infissi non troppo isolanti e generava suoni inquietanti che ben si adattavano al suo umore. Sembrava che anche la natura la natura si fosse accordata con la sua anima. 

Uscì sulla veranda, scalza e mezza nuda, esponendo il suo corpo al vento sferzante e pungente, chiedendogli di spazzare via da se stessa tutti i residui di lui che aveva addosso. Non sentiva freddo, non sentiva il vento e nemmeno la sabbia che alzava e che sbatteva contro la sua pelle come una miriade di aghi che pungevano e graffiavano. Per portare via Castle da lei non sarebbe servita nemmeno una tromba d’aria, perché quelli non erano residui e non erano sulla sua pelle, ma dentro di lei, nel punto più profondo.

Rientrò e si avvolse nella coperta lasciata sulla poltrona dalla sera prima. Aveva l’odore del mare e della salsedine. Poggiò la testa sullo schienale e si rannicchiò con le gambe al petto, cullandosi, e si addormentò.

Quando Kate aprì gli occhi trovò poco distanti dai suoi quelli azzurri chiarissimi di Nick che la fissavano. Non era sulla poltrona, ma era nel letto della sua camera e lui era sdraiato vicino a lei. Pensò per un attimo che tutto quello che ricordava fosse un sogno. Era giorno e sentiva ancora il vento soffiare con la stessa forza della notte quando se non aveva sognato era uscita fuori per un tempo indeterminato.

Guardò Nick con aria interrogativa. L’ultima immagine di lui che ricordava era in camera sua che dormiva dopo che… dopo quello sì, non voleva nemmeno ripeterselo. Ma ora che ci pensava aveva un gran mal di testa e muovendosi poteva sentire che le faceva male ogni parte del corpo.

- Sono sceso perché la porta sulla veranda era aperta e ti ho trovato sulla poltrona. Parlavi nel sonno, non ti sei accorta di nulla. Scottavi tantissimo, credo che avevi la febbre molto alta e che ce l’hai ancora. - Nick le appoggiò una mano sulla fronte e Kate sospirò sentendola effettivamente molto più fredda di lei. Riuscì a malapena a bere un bicchiere di qualcosa che Price le aveva dato, poi chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.

Quei giorni erano stati caratterizzati da quel vento incessante che aveva accompagnato ogni momento della giornata con quell’ululare che ormai era un sottofondo quasi impercettibile per le loro menti. Kate si scaldava le mani con una tazza di tè appoggiata al bancone della cucina, cercando di darsi conforto. L’inverno era ormai arrivato, le settimane erano diventate mesi e lei era sempre lì. Se si era quasi abituata a quella situazione doveva dire che gran parte del merito era stato di Nick, che riusciva ad essere un amico ed un compagno di avventura premuroso che riusciva, però, a capire anche i suoi momenti di stanca, quando aveva bisogno di stare sola ed incazzarsi con il mondo. Doveva ammetterlo, Price era stato veramente un buon amico ed anche qualcosa di più. Sapevano bene quali erano i confini invalicabili del loro rapporto e nessuno dei due aveva intenzione e convenienza a superarli. Nick la capiva. Capiva le sue debolezze e le sue contraddizioni perché le aveva vissute. Non avevano più parlato di quanto accaduto tra loro perché non c’era bisogno di dire nulla. Erano un uomo e una donna liberi, almeno in pratica, anche se entrambi legati a doppio filo al loro passato: si erano incontrati ed avevano mischiato la loro solitudine. Senza impegni, senza conseguenze, senza che volesse dire altro se non quello che era stato: sesso. Ed era capitato ancora, quasi senza volerlo, un allenamento finito con loro troppo vicini e quelle prese si erano trasformate in altro tipo di strette ed il fiato corto era diventato gemiti e sospiri. Passata l'onda, poi, non era rimasto nulla se non il solito imbarazzo che li coglieva dopo, quando non si dicevano nulla e si chiudevano nei loro silenzi, perché il dopo non era il tempo dei baci che non c'erano mai stati né delle coccole non mai richieste. Era solo sesso e Kate a pensarci riuscì anche a sorridere: se lo avesse potuto dire Lanie sarebbe stata felicissima di sapere che per una volta tanto anche l’inflessibile Kate Beckett lasciava che la parte più istintiva di se venisse allo scoperto prendendo il sopravvento su quella fin troppo razionale. Lanie… Le mancava la sua amica, così come le mancavano Javier e Kevin, non li aveva nemmeno potuti salutare come avrebbe voluto. 

Beckett aveva sperato, per qualche momento, di vedere una luce in fondo al tunnel. Nei loro aggiornamenti quasi quotidiani con la Gates e Bratton, ad un certo punto, qualche settimana prima, sembrava che la pista sulla quale stessero indagando li stava portando sulla giusta via. Avevano individuato un gruppo di delinquenti abituali vicini a quel Flynn sul quale avevano indagato anche loro per molto tempo che sembrava portarli dritto al pesce più grande che c’era sopra di loro ma quando erano stati vicini al blitz per catturarli, li avevano trovati nel loro covo tutti morti, giustiziati uno dopo l’altro. Ancora una volta chi era sopra tutta questa storia stava facendo terra bruciata intorno a lui, distruggendo tutte le loro piste sul nascere. Kate aveva sentito la frustrazione crescere dentro di se e la rabbia per essere costretta in quella situazione dalla quale più passava il tempo più non vedeva una via d’uscita e nei giorni in cui il mondo le sembrava più opprimente di quelle quattro mura bianche, pensava se poi in fondo avesse veramente un senso uscire da lì.

Dopo l’incidente di Rick, Vanessa era rimasta con lui per qualche giorno, più di quanto lui pensasse o sperasse. Aveva chiesto ed ottenuto dalla produzione del suo show dei giorni di pausa e non glieli avevano potuti negare, lei era la protagonista e in anni di messa in onda era sempre stata puntuale e professionale, se per una volta aveva bisogno di staccare, non potevano farne un dramma.

Castle era contento che avesse immediatamente legato sia con Alexis che con sua madre. Martha passava gran parte del tempo a raccontare alla giovane collega aneddoti del suo passato e della sua lunga carriera, “Quando tu non eri ancora nata, tesoro ed Hollywood era così diversa!” le diceva con enfasi e rimpianto. Alexis, invece, ci mise un po’ per confessarle che lei ed i suoi amici erano dei grandi fan di “Queen of Fire” e Vanessa, imbarazzata e lusingata, le promise che quando sarebbe tornata a New York avrebbe portato per lei e i suoi amici dei gadget speciali direttamente dal set, autografati da tutto il cast. 

- Così ti compri molto facilmente mia figlia - la prese in giro Castle una volta rimasti soli, mentre sul divano guardavano un film che entrambi avevano già visto, ma non era la loro occupazione principale.

- Ho sbagliato? Mi dispiace… - Si scusò l’attrice che non aveva alcuna abitudine a relazionarsi con figlie, per di più già adulte, dei suoi compagni. L’unica esperienza era stata con un suo collega, per un breve periodo, ma era una bambina molto piccola che nemmeno il padre frequentava molto.

- No, sei stata perfetta. Stavo solo scherzando, piccola! - Rick per rassicurarla tornò a baciarla preferendo decisamente quell’attività alla visione del film.

A Castle piaceva vederla girare per il loft, sempre con maggiore disinvoltura, tanto che pensò più di una volta che averla sempre lì non sarebbe stato affatto male. Quando Vanessa dovette tornare a Los Angeles, per Rick fu difficile accettare l’idea di separarsi. Un paio di settimane, gli promise, poi sarebbe tornata per il week end. Andò così e così continuò fino a quando Rick non si tolse il gesso, poi fu lui a raggiungerla sull’altra costa e passare del tempo con lei. L’accompagnava sul set e stava lì, in un angolo a guardare le riprese, storcendo un po’ la bocca quando venivano girate scene un po’ troppo intime, per i suoi gusti e quella era una cosa alla quale non aveva mai pensato o fatto caso. Lei si divertiva a vederlo imbronciato e nei minuti di pausa andava da lui a tranquillizzarlo con baci ben diversi.

C’era una cosa che non aveva più fatto nelle ultime settimane: scrivere. Nikki Heat era finita in un angolo lontano della sua mente, dove aveva spedito anche Kate e tutto quello che la riguardava. Così Deadly Heat che aveva cominciato a scrivere in modo compulsivo nelle settimane precedenti ora era rimasto del tutto fermo e incompleto. Quella storia di assassini, terroristi, ed omicidi con strane coincidenze la cui trama era stata sempre molto chiara nella sua mente, si era improvvisamente dissipata. Gina lo aveva chiamato qualche volta per ricordargli di mandare nuovi capitoli, ora che finalmente aveva letto tutto quello che aveva scritto, lui l’aveva liquidata molto frettolosamente dicendo che aveva bisogno di staccare e riposarsi. In sostanza doveva rispettare i suoi tempi e farsi andare bene quello che aveva. Come sempre, del resto. Rick sapeva che la sua fama aveva raggiunto nuovi picchi, che le sue vendite andavano benissimo e che era sempre più richiesto per interviste ed ospitate in tv, era lui che aveva il coltello dalla parte del manico e se il nuovo capitolo di Nikki Heat fosse uscito più tardi, questo non avrebbe fatto altro che aumentare l’attesa tra i suoi fan e non era di certo un male. Vanessa e la sua vita che stava faticosamente ricostruendo avevano la priorità, su tutto.

Tornarono insieme a New York quando l’attrice aveva avuto i primi giorni di pausa dal set. Aveva lavorato molto per recuperare la pausa presa per stare vicino a Castle dopo il suo incidente. Ormai da tempo non si nascondevano più, Vanessa quando era in città passava tutto il suo tempo al loft di Castle e non facevano più caso ai flash dei fotografi appostati ogni volta che si spargeva la voce della loro presenza in qualche ristorante o a qualche party: non facevano molta vita mondana, anche se in quei giorni a New York non poterono evitare il consueto party pre natalizio di una grande casa di gioielli alla quale Vanessa faceva da testimonial da tempo. 

Rimasero lì solo il tempo di fare le foto di rito e presenziare all’asta di beneficenza, poi decisero andarono via, pronti a continuare la loro serata in modi più divertenti. Tornando verso casa, però, una domanda di Vanessa gli fece cambiare i programmi.

- Cosa facevi prima? Dove passavi le serate quando volevi divertirti con i tuoi amici?

Rick si incupì per qualche istante, poi però pensò che in fondo Vanessa faceva parte della sua vita ed anche la sua vita dovesse fare parte di lei. Recuperò il suo sorriso e cambiò direzione.

- Te lo faccio vedere!

Quando entrarono all’Old Haunt era inevitabile che attirassero gli sguardi più o meno di tutti, non solo perché Castle lì lo conoscevano più o meno tutti i clienti per lo più ragazzi che frequentavano quel posto abitualmente, ma perché i loro vestiti eleganti da gran galà stonavano con quell’ambiente informale. Rick salutò Luis e Charles, i ragazzi al bancone che servivano birre e quasi non andò a sbattere contro Beverly, una delle ragazze che servivano ai tavoli. 

- C’è un tavolo libero per noi? - Chiese alla ragazza sovrastando il chiacchiericcio

- C’à sempre un tavolo libero per te, Rick! - Rispose Beverly indicandogli il suo tavolo in fondo vicino alla vetrata.

Attraversarono tutta la sala e Castle salutò con qualche pacca sulla spalla i ragazzi man mano che si avvicinava al tavolo.

- Hai un tavolo sempre riservato per te, Richard? Stai scherzando? - Chiese Vanessa stupita, convinta che Rick avesse in mente da già prima di portarla lì.

- No, guarda! - Le mostrò la targhetta sul legno che portava il suo nome “Rick Castle” e la donna rimase senza parole mentre cercava di mettersi comoda con il lungo vestito nero su quelle sedie di legno con il cappotto che trascinava per terra benchè ripiegato più volte sullo schienale.

- Vedi, quando non ero ancora molto famoso ed Alexis era piccola venivo qui a scrivere. Tutti i giorni, sempre in questo tavolo. - Le spiegò

- E per questo ti hanno riservato il tavolo? - Chiese ancora tra l’ironico e l’incredulo

- No, me lo hanno riservato perché questo locale è mio adesso. - Disse lui chiamando con un gesto Amber, un’altra delle cameriere. - Quindi tutti lo sanno che questo è il mio tavolo ed è sempre riservato!

Ordinarono due birre e Vanessa era sempre più piacevolmente sorpresa di vedere lì un Castle così diverso.

- Castle? - La voce stupita di Lanie giunse all’orecchio dello scrittore facendogli andare la birra di traverso. Alzò lo sguardo e la dottoressa Parish era proprio lì davanti a lui con Esposito, Ryan e Jenny e non sapevano se era più stupito lui di vedere loro o il contrario.

- Ciao ragazzi! Una birra anche per voi? - Chiese Rick alzando il bicchiere verso i suoi amici mentre Vanessa guardava loro e loro guardavano lei tutti colti da grande imbarazzo.

- Perché no Castle! - Fu Javier il primo ad accettare l’invito prendendo un paio di sedie dai tavoli vuoti vicino, in modo che tutti si potessero accomodare. Rick chiamò di nuovo Amber per ordinare un giro di birre per tutti.

- Per Jenny no… - disse Ryan - Sai noi… 

- Aspettiamo un bambino! - Disse la donna entusiasta lasciando senza parole non solo Rick, ma anche Javier e Lanie

- Beh, questa serata doveva servire per comunicarvi la notizia, quindi… Ora lo sapete! - Disse Kevin sollevato.

- Ehy una birra gratis per tutti per festeggiare i miei amici! - Urlò Castle alla sala acclamato da tutti, per poi passare a presentare Vanessa ai suoi amici. Era la prima volta che si incontravano e poteva leggere l’imbarazzo in tutti loro, soprattutto su Lanie che tra tutti era quella più a disagio e ogni tanto lanciava qualche occhiata di biasimo verso Rick. Passarono la serata a chiacchierare del più e del meno quando una domanda di Castle che cercava di essere il più disinvolto possibile non cambiò l’umore di tutti.

- E al distretto come va?

- Sempre le stesse cose Castle. La Gates che sbraita, noi che siamo sempre sotto personale,  gli assassini che finiscono dietro le sbarre… - disse Ryan

- Già, tutti tranne uno - Ringhiò Esposito. - E Beckett sempre nascosta chissà dove con Price…

Scese il gelo sul tavolo. Rick finì la sua birra tutta in un sorso e sentì gli sguardi di tutti i suoi amici su di se, mentre Lanie fulminò Javier con lo sguardo e lui allargò le mani per scusarsi.

- Richard, sono un po’ stanca… Ti dispiace se andiamo? - La richiesta di Vanessa era un modo per toglierlo da quella situazione alla quale lui si aggrappò con tutte le forze.

- Ehy ragazzi, mi ha fatto piacere rivedervi. Prendete tutto quello che volete, offre la casa.

Salutò tutti affettuosamente, scambiandosi uno sguardo molto profondo con Lanie, nel quale lesse tutto il suo rimprovero e lui cercò di spiegarle il suo dispiacere per quella situazione. Uscirono fuori e malgrado il freddo pungente di dicembre a New York, fu felice di respirare quell’aria fresca, fuori da lì.

    Rick guidò nervosamente fino a casa. Arrivato al loft si potè finalmente togliere l’odiosa fascia ed il papillon. Mentre si sbottonava il collo della camicia e toglieva i gemelli pensava a quanto era dovuto sembrare ridicolo vestito così all’Old Haunt. Si versò un bicchiere di whisky nel suo studio. Non aveva smesso per un attimo di pensare alle parole di Esposito: non avevano scoperto nulla anche se continuavano ad indagare questo doveva essere un bene perché voleva dire che il suo patto con Bracken era sempre valido, ma allo stesso tempo loro erano all’ignaro di tutto e Kate era chissà dove, con Price. Sbattè il bicchiere sul tavolo più forte di quanto avrebbe voluto e Vanessa che lo osservava dalla porta sussultò attirando la sua attenzione.

- Sei lì da molto? - Le chiese senza guardarla, ma continuando ad osservare il ghiaccio che roteava nel bicchiere

- Da quanto basta per vedere che sei molto nervoso. Lo sei da quando eravamo al pub. 

- Cosa mi vuoi dire Vanessa? Che lo sono da quando hanno parlato di Beckett? Non sono in vena di scenate di gelosia. - Rispose stizzito

- Stai facendo tutto tu Richard. Non voglio farti nessuna scenata di gelosia, volevo solo sapere come stavi e se volevi parlarne. - Vanessa cercò di rimanere il più calma possibile, bastava già il nervosismo di Castle per entrambi

- No, non voglio parlarne. Grazie. - Finì il suo drink mentre lei tornava in camera.

Rick aveva pensato che Kate e Nick fossero andati via per una vacanza, poi quando non aveva più avuto sue notizie e anche dal distretto non gli avevano dato più sue notizie aveva immaginato qualcosa di simile, ma averne la certezza era stata una mazzata per il suo umore.

Guardò il ghiaccio che era rimasto solo nel bicchiere, si versò ancora un goccio che bevve in un solo sorso dopo averlo agitato con i cubetti solo per rinfrescarlo un po’. 

Andò in camera dove Vanessa era già a letto e stava controllando alcune news sullo smartphone. Si spogliò con eccessiva lentezza, come per ritardare il momento in cui si sarebbe messo vicino a lei. Si sentiva in colpa sia per come si era comportato che per la reazione avuta poco prima.

- Scusami - Le disse spostando le coperte e sdraiandosi al suo fianco.

- Per cosa? - Chiese lei posando il telefono

- Per tutto. Non è colpa tua.

- Lo so che non è colpa mia. 

- Sei arrabbiata? - Si voltò a guardarla per la prima volta da quando si era messo a letto.

- No Richard. Vorrei solo capire cosa ti ha turbato tanto. Cioè, oltre al fatto che hanno nominato la tua ex.

Castle ci pensò un attimo, poi decise che doveva essere sincero con lei.

- Il giorno che Kate mi ha lasciato… beh, erano accadute delle cose i giorni precedenti… avevano provato ad uccidermi, lo avevano anche fatto con lei. Non era una storia tranquilla, ma con lei niente lo era. - Sospirò Rick sorridendo. - Però quella mattina io le avevo proposto di andare via, di lasciare tutto quello che avevamo qui, per un po’, il tempo di far calmare le acque, che indagassero e scoprissero cosa c’era dietro a questa storia. Io ero pronto a partire con lei, ovunque fosse voluta andare e invece lei mi disse di no. Perché la sua vita era qui e non era giusto scappare. Però ogni volta che penso che è andata via con Price, che è con lui, che ha lasciato tutta la sua vita… Mi fa sentire ancora più stupido. Non era vero che non voleva andare via, non voleva farlo con me. - Le ultime parole furono solo un sussurro, un’ammissione a se stesso. Era questa la sua amara considerazione. Lui avrebbe portato Beckett in capo al mondo, sarebbe stato disposto a rifarsi con lei una vita ovunque avrebbe voluto, aveva mezzi e possibilità per farlo, per fargli essere felici e al sicuro, ovunque. Kate aveva detto di no, perché voleva la sua vita qui e non era disposta a lasciarla. Ma la realtà era che non era disposta a lasciarla per lui. Per Nick sì, per lui lo aveva fatto. Valeva meno di Price. Loro valevano meno di Price. Tutto quello che avevano condiviso valeva meno di Price. Quando aveva parlato con la Gates pensava che si trattasse di una sistemazione temporanea, in città, invece non era così. Nick era riuscito a fare quello in cui lui aveva fallito, portarla lontano e al sicuro. Si odiava per tutta l’importanza che aveva dato ad ogni singolo loro momento e per come aveva creduto che fosse così anche per lei. Era tutto finto, invece. 

- Non sei uno stupido Richard. Credimi, non lo sei. - Provò a rincuorarlo Vanessa stringendosi a lui. 

Castle però non era stato del tutto sincero con lei, c’era un’altra cosa che lo aveva turbato una strana sensazione nell’essere lì, con i suoi amici a bere una birra e chiacchierare. Era la sensazione di disagio negli occhi di Lanie che la stava mascherando peggio di lui, era la sensazione che in quel momento, in quel posto ci fosse un pezzo del puzzle mancante, un pezzo sostituito che non combaciava con il resto. Non era colpa di Vanessa, ovvio, era comprensibilmente a disagio, anche se aveva parlato quasi tutto il tempo con Jenny alla quale Castle era veramente grato per come aveva accolto la sua compagna. Aveva avvertito la mancanza di Kate ad ogni battuta di Esposito e si era voltato, un paio di volte verso Vanessa convinto di trovarci Kate che avrebbe fulminato Javier con un solo sguardo. Quel loro cerchio era spezzato senza Kate, per quanto tutti avessero fatto finta che fosse tutto normale e doveva rendersi conto che quella era solo un’altra parte della sua vita che non sarebbe più tornata come prima.

—

Quel dicembre era stato impegnativo per Castle. Aveva cominciato come al solito ad addobbare la casa per il Natale già i primi giorni del mese, convinto che quell’anno la loro festa sarebbe stata ancora più bella del solito. Non aveva ancora parlato con Vanessa di cosa avrebbero fatto, ma si era deciso ad invitarla a trascorrere il Natale con lui e la sua famiglia per farle provare lo scintillante mondo delle feste in perfetto stile Castle ma non ne ebbe il tempo perché fu lei a precederlo. Le riprese del suo show sarebbero state in pausa per quattro settimane e Vanessa gli chiese di partire insieme per una vacanza ai Caraibi per festeggiare insieme Natale e Capodanno in un luogo esotico.

Rick fu preso alla sprovvista. Non si immaginava una proposta del genere e benché fosse felice che lei gliel’avesse fatta e di passare del tempo con lei, l’idea di rinunciare al suo Natale non lo faceva gioire del tutto. Natale per Castle aveva sempre avuto un significato particolare, fin da quando era bambino ed erano soli lui e Martha a festeggiare. Aveva sempre tenuto, ogni anno, a rispettare tutte le sue tradizioni e tutti i suoi piccoli gesti che gli facevano sentire l’aria di casa e di festa. Non aveva mai passato un Natale lontano dalla sua famiglia, perché per lui quella festa voleva dire soprattutto questo, famiglia. Era addobbare l’albero con Alexis, mangiare il tacchino con la salsa di mirtilli, bere il vin brulè che preparava sua madre ed aspettare tutti insieme la mezzanotte per scartare i regali. Era sempre stato così e quella consuetudine gli metteva tranquillità ed aveva insistito più volte, negli anni precedenti, con sua madre prima e con Alexis poi, di non interrompere la loro tradizione ed il fatto che ora sarebbe dovuto essere lui a porre fine a questo lo faceva sentire tremendamente in colpa. Vanessa notò la sua mancanza di entusiasmo, ma quando gli chiese perché, Castle mentì dicendo che si trattava solo di stupore, nulla più.

Le sue preoccupazioni per dover comunicare alla sua famiglia della sua partenza furono dissipate quando Alexis fu la prima a comunicare che quell’anno per Natale si era organizzata con i suoi amici del Campus per andare a pattinare, facendo un lungo discorso su quanto siano belle le tradizioni di famiglia ma che, arrivati ad una certa età, era importante anche creare le proprie tradizioni, sicura che lui avrebbe capito. Non gli lasciò, in realtà, nemmeno il tempo per replicare e, dopo che la nipote aveva rotto il ghiaccio, anche Martha disse al figlio che gli dispiaceva lasciarlo solo, ma con i ragazzi della scuola di recitazione avevano organizzato una festa. Rick fu deluso che le due donne avevano tramato altro per quel Natale piuttosto che passarlo insieme, ma allo stesso tempo fu molto sollevato e felice di poter partire con Vanessa senza alcun rimorso.

Rick ci tenne, però, prima di partire, a fare una cena al loft alla quale, oltre che Vanessa sua madre e sua figlia, volle invitare anche i suoi amici del distretto. Era il suo modo per ringraziarli per quell’anno che era stato difficile e particolare sotto molti punti vista. La sua era stata una decisione “rischiosa” aveva chiesto più volte a Vanessa se fosse contraria, ma lei si dimostrò sempre molto comprensiva ed accomodante, non voleva che rinunciasse a fare una cosa alla quale teneva solo perché lei poteva essere a disagio.

Il disagio, soprattutto all’inizio, ci fu veramente, quando Rick le chiese di andare ad aprire la porta e si trovò davanti Lanie che tra tutti era quella che si era dimostrata più fredda nei suoi confronti. Castle le aveva spiegato il tipo di rapporto che c’è tra lei e Kate e come fosse quella che più degli altri aveva sofferto per la sua partenza, ma quello che in realtà Rick non sapeva era tutto il resto, che Lanie era l’unica a conoscenza di come stavano realmente le cose, l’unica a sapere cosa aveva spinto Kate a lasciarlo, ad andarsene e l’unica che sapeva che era tornata per lui, per lasciarlo di nuovo per la sua felicità e vederlo felice se da un lato la rendeva contenta, dall’altro non poteva non pensare alla sua amica sola, chissà dove e le sembrava di tradirla ad essere lì a festeggiare con l’uomo che amava e la sua nuova compagna, continuando a domandarsi se non sarebbe stato più giusto e naturale che ad aprire quella porta ci fosse stata Kate. La serata, poi andò bene, molto meglio di come era cominciata, un po’ perché Martha come sempre catalizzava le attenzioni e riusciva a rendere ogni occasione un evento per racconti amarcord divertenti al punto che più volte tutti si chiedevano quanto ci fosse di vero o di romanzato, ma anche su questo l’attrice creava nuove storie, un po’ perché Lanie e Vanessa fecero in modo di intrattenere al minimo i contatti, sedute agli antipodi della tavola con la compagna di Castle monopolizzata per tutto il tempo da Alexis entusiasta di tutti i gadget che le aveva portato per i suoi amici con i quali aveva fatto un figurone. Rick le osservava, felice per come le due avessero legato, ma incrociando lo sguardo di Lanie, si era anche ritrovato a chiedersi perché Alexis non aveva avuto questa complicità anche con Kate, nonostante le fosse stata vicino e l’avesse aiutata fin da quando era un’adolescente e non negava che aveva più volte sperato che Beckett potesse diventare un punto di riferimento per sua figlia.

A fine serata diede i regali a tutti i suoi amici, biglietti per le partite degli Yankees e dei Kniks a Esposito e Ryan, un carnet di buoni di ogni tipo da usare in negozi per bambini per Jenny, e due biglietti per un concerto per Lanie che sembrò la più sorpresa di tutti. Quando tutti se ne andarono la dottoressa fu l’ultima a rimanere al loft, prendendo tempo, perché sembrava proprio volesse parlare con Castle senza i suoi amici. 

- Come hai fatto scrittore? - Gli chiese sorridendo mostrando i biglietti

- Lo sai, ho le mie fonti segrete, ed anche Vanessa ne ha qualcuna - Le rispose più disteso

- No, come hai fatto a sapere che volevo andare a questo concerto! È sold out da mesi!

- Ho una buona memoria. Una tua amica mi aveva detto che avreste voluto andarci insieme. Beh, puoi sempre farlo, se vuoi. - Rick abbozzò un sorriso ma ora era già più nervoso

- Non ti dispiacerebbe, Castle?

- Perché dovrebbe? I biglietti sono tuoi, puoi andarci con chi vuoi. E poi vorrebbe dire che sarebbe qui e quindi che la situazione sarebbe risolta. Dovrei esserne dispiaciuto? - Si mantenne sul vago ed evitò sempre di pronunciare il suo nome.

- Castle, io non ce l’ho con Vanessa, sembra una bravissima ragazza, però non sempre le cose sono quelle che sembrano.

- Lo so Lanie. È stata proprio Beckett ad insegnarmi ancora una volta questa lezione, nel modo più doloroso.

La dottoressa aveva provato a fargli capire che le cose non erano come lui credeva ed invece per Castle quelle parole erano solo una conferma di quanto accaduto quell’estate con Kate. Avrebbe voluto dirgli tutto, perché dovevano smettere di soffrire l’uno per l’altra, perché ne era certa, soffriva anche lui, ma non poteva tradire la sua amica.

- Ti auguro di passare un buon Natale scrittore, e che il nuovo anno ti riservi delle belle sorprese. - Lo salutò Lanie prima di andarsene

- Anche a te dottoressa Parish. 

Quando chiuse la porta del loft vide Vanessa dietro di lui che l’aspettava.

- Devo ancora finire i bagagli e partiremo domani mattina! - Esclamò Rick

- Non ti preoccupare Richard, anche senza vestiti mi andrai bene ugualmente! - Ammiccò lei mentre si faceva trascinare in camera da letto.

- Dove lo mettiamo questo? - Nick era rientrato a casa con un albero di Natale pronto per essere addobbato. Kate lo guardò con un misto di stupore ed insofferenza.

- Fuori. - Rispose gelida

- Come? - Chiese stupito appoggiando l’albero vicino alla porta.

- Per me puoi lasciarlo anche fuori, anzi, sarebbe meglio. - Sottolineò quanto detto prima

- Ma Kate io volevo solo portare anche qui un po’ dello spirito del Natale! - Si giustificò non capendo il suo astio.

- Questa non è la nostra casa da addobbare come se fossimo una coppia felice, Nick. Non c’è nessuno spirito del Natale da portare. Se vuoi fallo, dove vuoi. Non mi interessa.

Beckett tornò a leggere il libro che aveva tra le mani, mentre Price sistemava in un angolo il suo albero, aprendone i rami e tirando fuori da una busta alcuni addobbi che pazientemente appose all’abete. Finì di guardare il suo lavoro non eccessivamente soddisfatto, ma considerando dove erano e senza aver avuto alcuna collaborazione da parte di Beckett poteva andare.

- Perché odi il Natale? - Le chiese Nick sedutosi davanti a lei mentre le porgeva una tazza di cioccolata calda. Era la prima volta che passava i mesi invernali in quella casa ed era decisamente più fredda di quello che pensasse e Kate sembrava accusarlo più di lui, completamente avvolta in un caldo plaid.

- Non odio il Natale, semplicemente non ho nessun motivo per festeggiarlo. - Posò il libro e prese la tazza scaldandosi le mani con il calore della ceramica.

- Non c’è bisogno di un motivo per festeggiare il Natale, è Natale. - Disse lui scoprendo un lato bambinesco che non conosceva. Per un attimo le sembrò di parlare con Castle. Scosse la testa togliendosi l’immagine dalla mente.

- Non ho bei ricordi legati al Natale, va bene così? - Provò a tagliare corto.

- Ok… Cosa fai di solito allora a Natale?

- Lavoro. - Rispose prima di assaporare la cioccolata, sperando che Nick facesse lo stesso e smettesse di fare domande.

- Non lo passi con tuo padre? - Chiese sorpreso - Pensavo che visto che tua madre… 

Kate poggiò con decisione la tazza sul tavolino vicino la poltrona e si tirò su irrigidendosi.

- No, Nick, non lo passo con mio padre. Gli telefono la mattina e lo saluto. Poi lui va nella nostra casa in montagna ed io lavoro tutto il giorno e mi rendo disponibile per coprire il turno della notte di Natale, così qualcuno che ha famiglia potrà stare a casa con loro. Mia madre è stata uccisa a gennaio, quando ancora avevamo tutta la casa addobbata per il Natale ed ogni volta che arriva questo periodo per me è solo ricordare lei, il suo omicidio e tutto quel dolore. Per questo non mi interessa dell’albero, non voglio farlo né pensare ad altri addobbi. L’ultima volta che ho dovuto toglierli è stato prima del suo funerale.

- Mi dispiace… - Si scusò Nick

- Già, anche a me. 

- Porto via l’albero.

- Non c’è bisogno. Lo puoi lasciare. Non sono il Grinch che ruba il Natale alle persone. Solo non voglio esserne coinvolta io.

Nick sorrise ad immaginarla verde e vestita da Babbo Natale, ma non glielo disse.

Arrivò la vigilia di Natale anche a Myrtle Beach. Un giorno come gli altri, con il solito vento che caratterizzava quelle giornate ed il suo ululare era ormai una compagnia fedele per Kate in tutti i pomeriggi passati a leggere sulla poltrona davanti alla veranda.

Era grata, in un certo senso, di essere lì quel giorno. Si era alzata come tutte le mattine e come prima cosa era rimasta per un bel po’ a guardare il mare, sempre mosso in quei giorni. Tranne l’albero che aveva fatto Nick non c’era niente che ricordasse che periodo dell’anno fosse, né che giorno. Intorno a lei il paesaggio era sempre lo stesso: l’oceano, la sabbia e gli alberi e il tutto, rispetto  quando era arrivata, era uguale, solo i colori erano più cupi e più freddi, ma guardando fuori in quella mattina con molto sole, poteva essere un giorno qualsiasi d’estate. Una piacevole illusione.

Sentì bussare alla porta di camera e le sembrò una cosa strana, Nick difficilmente la disturbava quando era lì. Andò ad aprire e lo vide con un sorriso timido, non certo da lui, ed il cellulare in mano.

- È per te. - Le disse porgendole l’apparecchio ed uscendo dalla stanza. Kate guardò il telefono un istante e poi lo portò all’orecchio.

- Beckett! - Disse come era solita rispondere.

- Katie! - La voce dall’altra parte era inconfondibile e solo una persona la chiamava così.

- Papà!

Si era presentata direttamente Victoria Gates a casa di Jim Beckett quella mattina e non aveva pensato che l’uomo davanti ad una sua visita potesse agitarsi oltremodo. Jim stava preparandosi per andare come sempre in montagna, anche se Kate non era lì, non aveva senso cambiare le proprie abitudini. Il capitano le aveva chiesto di seguirlo, tranquillizzandolo più volte che non era successo nulla a Kate, ma non poteva parlargli lì. Così una volta al distretto, chiusi nel suo ufficio, con una linea sicura con la quale erano soliti rimanere in contatto, aveva chiamato Nick, avvisandolo che Jim era con lei. 

- Come stai Katie?

- Sto bene papà, non ti preoccupare. Tu come stai?

- Sto bene anche io, non ti preoccupare nemmeno tu.

- Bene.

- Bene. Katie… Mi raccomando e… Passa una buona giornata.

- Anche tu papà. Spero che ci possiamo vedere presto.

- Lo spero anche io. Ciao papà.

- Ciao Katie.

Era stata una delle loro solite telefonate, solo con qualche pausa imbarazzata in più. Loro non erano soliti dirsi molte cose e in quell’occasione ancora meno, ma non c’era bisogno, ognuno di loro sapeva cosa c’era dietro ogni silenzio, in ogni parola non detta. Non avevano mai fatto tanti discorsi, se non quelli più duri, gli scontri adolescenziali prima e quelli più seri, più veementi dopo. Per il resto erano essenzialmente frasi abbozzate e capite prima che concluderle fosse troppo difficile. Discorsi pieni di “lo so” per evitare di dire quelle parole in più che li avrebbero mostrati fragili agli occhi dell’altro, loro che si nascondevano dietro ad una forza e ad una freddezza che entrambi sapevano essere solo superficiale, ma loro che sapevano altrettanto bene che certe parole e certe lacrime avrebbero fatto troppo male e sarebbero state troppo difficili da sopportare per i loro cuori feriti e provati. 

- Grazie

Kate aveva sceso silenziosamente le scale e questa volta era Nick a guardare fuori perso nei suoi pensieri. Si voltò di scatto sentendo la sua voce alla quale rispose con un sorriso molto più smagliante di quello che i suoi occhi dicevano.

- Vuoi parlare? - Gli chiese Kate intuendo i suoi turbamenti. Lui era stato più di una volta a sentire i suoi sfoghi, le sembrava il minimo ricambiare per lui.

- Claire amava il Natale. - Disse guardando sempre fuori - Ogni Natale che abbiamo passato insieme mi costringeva in tutti i nostri giorni liberi ad andare a pattinare sul ghiaccio. Lo amava ed io passavo la maggior parte del tempo a guardarla pattinare. Diceva sempre che qui in South Carolina non c’erano tante piste del ghiaccio come a New York. Non sono più andato a pattinare dopo.

- Anche io amavo pattinare. Mi ci portava sempre mia madre, da quando ero piccola. Pattinavamo insieme e ci divertivamo tantissimo e dopo andavamo sempre a mangiare dolci e schifezze varie in quelle bancarelle vicino alla pista. È una delle cose che mi è mancata di più in questo periodo. I nostri pomeriggi insieme come due ragazzine.

Kate lo raggiunse vicino alla finestra, l’oceano era abbastanza grande per essere guardato da entrambi ed accogliere i loro nostalgici e malinconici pensieri.

—

Il periodo delle feste era passato ed anche il giorno più difficile dell’anno per Kate, quel 9 gennaio che da troppi anni le portava solo lacrime. Quella volta, in più, si era aggiunto il senso di colpa per essere lontana, per non essere andata a trovarla come faceva ogni anno in quel giorno maledetto. Sentì la sua mancanza più forte di quanto pensasse perché per la prima volta si rese veramente conto di quanto avrebbe avuto bisogno di lei in quei giorni. Avrebbe voluto i suoi consigli, non solo per quella situazione, ma per la sua vita. Avrebbe voluto parlarle di Castle e di quello che aveva fatto per lui, di come aveva buttato via la sua vita per la sua sicurezza e la sua felicità ed era convinta che Johanna l’avrebbe guardata seria, con quello sguardo tagliente che Jim diceva essere uguale al suo. Avrebbe soprattutto voluto parlarle di lui, di come in poco tempo era riuscito a cambiarla, di come l’aveva fatta di nuovo sentire come la ragazzina che lei conosceva e di come le aveva dato l’illusione che veramente un futuro felice poteva esserci, anche per lei. Immaginava come Johanna avrebbe riso di lei, sapendola l’ispirazione per i suoi romanzi, sentiva nella mente la sua voce “Ti rendi conto Katie, sei diventata la musa del tuo scrittore preferito!” ed era anche il suo scrittore preferito ed era sicura che conoscerlo di persona le sarebbe piaciuto anche di più, infondo era grazie a lei che aveva conosciuto il Castle scrittore e si era appassionata così tanto alla saga di Storm da andare a cercare tutti i suoi libri più vecchi.

Quel giorno aveva quindi deciso di leggere Frozen Heat, convinta che Johanna lo leggesse vicino a lei. Si guardò bene dal girare la copertina e guardare dietro, dove sapeva esserci la faccia sorridente ed ammiccante di Rick: non avrebbe resistito. Sorrise, invece, a guardare quella copertina blu, come i suoi occhi si lasciò scappare il pensiero. Ricordava perfettamente il giorno della sua riunione fiume alla Black Pawn per scegliere quella copertina e quanto lui avesse insistito per quel colore. Era perfetta. 

Sfogliò le prime pagine ed il suo sguardo cadde inavvertitamente sulla dedica e sentì il suo cuore rompersi ancora e non pensava fosse possibile.

“A tutte le persone incredibili, esasperanti, intriganti e snervanti che ci ispirano a fare grandi cose”

Ricordava quelle parole. Le ricordava alla perfezione. Erano stampate in modo indelebile nella sua mente. Ricordava il suo sguardo tremante mentre glielo diceva, ricordava la sua voce rotta e come la pregava di dargli ascolto. Avesse potuto tornare indietro, in quel momento si sarebbe solo buttata tra le sue braccia e non avrebbe fatto altro che dirgli che l’unica cosa che voleva era solo stare con lui. Non lo aveva fatto, lui era andato via e da lì era cominciato tutto il suo calvario. Ed ora quel libro era il colpo di grazia alla sua anima in pena e non capiva perché, dopo tutto, aveva lasciato quelle parole. Forse aveva pensato che lei non l’avrebbe mai letto, forse voleva dirle qualcosa che lei non capiva. Sapeva solo che le faceva male, troppo male e quel giorno non poteva sopportare altro dolore. Chiuse il libro e non lo aprì più.

Poi qualche giorno dopo era andata con Nick in paese per concedersi una colazione da Theresa e fare un po’ di spesa. Passò davanti al chiosco dei giornali ed una rivista attirò il suo sguardo: Rick e Vanessa in copertina, abbracciata mentre facevano il bagno al mare e si baciavano. Il titolo lasciava poco spazio all’immaginazione “Luna di miele ai Caraibi” prese una copia pagandola più del dovuto e si allontanò per leggere. Era solo un’ipotesi, parlavano del futuro, raccontando della loro vacanza. Ma l’attrice aveva veramente un anello molto brillante all’anulare sinistro e sì, sembravano proprio felici. Buttò la rivista nel primo cestino che trovò e tornò da Nick. I soliti maledetti giornali di gossip. E lei che ci era cascata come una stupida adolescente.

- Guarda cosa ho preso per cena? - Le disse Nick sollevando la busta del fast food

- Stai bene Nick? - Chiese Kate stupita

- Sì, una volta ogni tanto, qualche schifezza me la concedo anche io!

Così arrivati a casa si posizionarono sul divano davanti alla tv con la scatola di pollo fritto e patatine.

- Domani detective Beckett dovremmo correre almeno il doppio per smaltire tutto questo fritto e unto qui. - Disse Price mentre addentava n altro pezzo di pollo

- Tu dovrai correre il doppio, io mangio come sempre, tu stai facendo uno strappo alla tua rigidissima e salutare dieta. - Gli strappò di mano il telecomando e cominciò a fare zapping mentre con la mano libera pescava nella scatola delle patatine. 

- Ti prego niente film splatter stasera Kate eh! Se no vomito tutto il pollo sulla tua coperta di pile! - La ammonì Nick mentre era intenta a cercare qualcosa da vedere. Si fermò quando sullo schermo vide quel viso fin troppo conosciuto sorridere come se quel sorriso fosse proprio per lei. Castle era sul tappeto rosso e teneva Vanessa sottobraccio: era una delle candidate favorite per vincere il Golden Globe per la sua serie tv e quella sera c’era la cerimonia di premiazione.

I due erano belli, troppo belli abbracciati sul red carpet e Kate non sapeva perché continuava a guardarli ed anzi, alzò anche il volume quando era il turno della loro intervista.

- Allora Vanessa, è vero quello che si dice sui giornali, vi sposerete? - Le chiese Maggie Simons, l’intervistatrice

- Beh, questo dovresti chiederlo a Richard non a me! - Vanessa si strinse a Castle prendendolo sottobraccio, mettendo ancora di più in mostra l’anello che tante chiacchiere aveva suscitato.

- Bene, Richard, tu cosa ci puoi dire?

- Che quando accadrà sarai la prima a saperlo Maggie! E sicuramente sarai tra gli invitati, che ne pensi? - Le rispose Rick con uno dei migliori sorrisi.

- Quindi vuol dire che ci state pensando?

- Se tu me lo chiedi, ovvio che ci sto pensando, se no come potrei risponderti! 

- Richard, vedo che da bravo scrittore continui a giocare con le parole e con noi!

- Non te la prendere Maggie, ma è normale che quando si è innamorati si possa pensare a certe cose, no? Magari tra qualche giorno usciranno le mie foto inginocchiato mentre faccio la proposta a Vanessa!

- Tu poi ormai sei abituato ai matrimoni Richard! - Lo punzecchiò la giornalista

- Sai come si dice Maggie, magari la terza è quella giusta! - Rick sorrise ancora continuando ad essere il solito galantuomo, senza scomporsi. 

- Vanessa, torniamo a noi, sei emozionata all’idea di ricevere questo premio?

- Ehy, Maggie, chi non lo sarebbe, è uno dei premi più importanti…

Nick prese il telecomando che Kate aveva lasciato sul divano tra loro e cambiò canale mentre lei aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Il canale all music che aveva messo trasmetteva un pezzo pop molto ritmato ma la cosa sembrava non interessare nessuno dei due.

- Kate… - Nick la chiamò mentre la donna si era alzata e stava andando vero le scale. Lei scosse solo la testa e salì.

Si rifugiò in bagno spogliandosi con rabbia, buttando via ogni vestito. Entrò nella doccia ed aprì il rubinetto al massimo. La doccia era piccola e l’acqua usciva in modo irregolare dal bocchettone posto non troppo in alto per i suoi gusti e la sua altezza. L’acqua era così calda che la sua pelle si arrossò presto, si strusciò furiosamente la pelle con le mani aumentando solo il rossore al punto che le faceva quasi male. Si lasciò scivolare lungo la parete, sedendosi a terra nello spazio troppo stretto, con le ginocchia raccolte al petto e la testa bassa.

Aveva davanti agli occhi il volto di Rick sorridente e scanzonato che parlava con quella giornalista e le sue parole risuonavano nella sua mente. “Magari tra qualche giorno usciranno le mie foto inginocchiato mentre faccio la proposta a Vanessa” Pensò a lui, a quando inginocchiato davanti a lei teneva la mano sul suo cuore e le prometteva che lo avrebbe fatto ancora per chiederle qualcosa di più importante e lei gli avrebbe detto di sì, subito, anche in quel momento. Pensò a quando era stata lei a dirgli che la terza volta sarebbe stata quella giusta e in fondo sperava che sarebbe stata lei quella terza, quella giusta.

E lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo, Rick era quello giusto per lei. Era l’uomo che amava più di ogni altro, era l’unico che l’aveva amata così tanto da farle riuscire ad amare anche se stessa, a mostrarle cose di lei che non conosceva e che lui aveva visto prima di lei. Lui era quello che aveva aspettato pazientemente ogni sua mossa, che si scoprisse giorno dopo giorno, che togliesse la sua corazza, fin quando non si era presentata a lui indifesa e lui l’aveva raccolta e protetta quando aveva abbassato ogni difesa. Ma era scappata da tutto questo, era scappata da lui, dal suo amore, dalla sua vita e dal suo futuro per la fottuta paura che gli potesse accadere qualcosa, per tenerlo al sicuro da lei. Voleva che fosse felice e lo aveva ferito, ora lo vedeva felice ed era ferita lei. 

Uscì dalla doccia e andò nella sua stanza. Frugò freneticamente tra i suoi vestiti alla ricerca di una cosa specifica, che aveva tenuto nascosto nel fondo di una borsa. La maglia di Castle era tutta stropicciata, era leggera di cotone a maniche corte. Kate la indossò in quella stanza fredda e le sembrò la cosa che riusciva a scaldarla di più. Si rannicchiò nel letto sotto le coperte con i capelli umidi che bagnavano il cuscino ed accarezzava il tessuto di quell’indumento che era l’abbraccio più vero che sentiva di poter ricevere. Con gli occhi chiusi si illudeva di sentire ancora il profumo di Rick, la sua risata, le sue braccia, le sue labbra…

- Torno a New York. - Kate era scesa dalla camera con due valige mano.

- Cosa stati dicendo Beckett? - Nick fu preso alla sprovvista da quelle parole. La guardò e non l’aveva mai vista così: gli stivali la slanciavano ancora di più e i pantaloni neri fasciavano le sue lunghe gambe snelle ma toniche. Il maglione a collo alto le dava un tono austero ed il giacchetto di palle la facevano sembrare più aggressiva di quanto non fosse.

- Torno a New York. Basta così. Devo riprendere la mia vita. Sono passati mesi e non è cambiato nulla. Questo non è vivere.

- C’entra Castle?

- È parte della mia vita. Devo parlargli. Devo capire.

- Ne sei sicura Kate?

- Rivoglio la mia vita Nick. Non importa se questo vuol dire che domani mi uccideranno o lo faranno tra un mese o un anno. Così hanno vinto loro. Sono già morta ed ho già perso tutto.

- Kate, pensaci bene… Sai cosa vuol dire tutto questo vero? Hai lasciato Castle e la tua vita per proteggerlo, ora se tornerai sai che non sarai la sola ad essere al centro de mirino.

- Sarò sincera con lui. Gli dirò come stanno le cose e se lui sarà convinto della sua scelta sparirò dalla sua vita. Ma non posso più continuare così Nick. Ti prego, mi devi capire. - Aveva perso gran parte della sua sicurezza ed ora le sue parole sembravano una supplica che Price raccolse.

- Va bene Beckett. Torniamo a New York.

Partirono il giorno dopo, nonostante il parere contrario di Bratton e della Gates. La strada del ritorno fu un continuo di emozioni e pensieri contrastanti. Ansia, paura, eccitazione, entusiasmo. Voleva arrivare il prima possibile e le sembrava che si stessero avvicinando troppo velocemente per la sua mente ancora confusa.

Fu strano rimettere piede nel suo appartamento e riprovare le stesse sensazioni di quella mattina quando era uscita ai primi chiarori. Le sembrava che il tempo non fosse passato, era tutto cristallizzato nell’alba di quel giorno d’estate che ritrovava nelle sfumature di quel tramonto d’inverno. Le sembrò strano trovarsi sola a casa dopo tutti quei mesi di convivenza forzata con Nick ma fu un gran sollievo entrare nel suo bagno, poter riempire la vasca ed immergersi tra la schiuma e le bolle. Provò a rilassarsi, senza gran successo. Le sembrava che tutto quello che stava facendo la riportava in qualche modo a Castle e così anche fare un bagno era diventato qualcosa di doloroso se non c’era il suo petto sul quale appoggiarsi e le sue mani che la insaponavano dolcemente. Domani, si ripeteva Kate. Ci avrebbe parlato, gli avrebbe spiegato ed avrebbe voluto che lui, guardandola negli occhi, le confessasse che amava Vanessa ed era felice. Se lo era veramente, gli avrebbe solo augurato di esserlo sempre, non avrebbe fatto scenate, non si sarebbe messa in mezzo tra loro. Doveva solo aspettare il giorno seguente.

Solo Lanie sapeva che era tornata. L’aveva chiamata quella sera stessa per avvisarla e lei l’aveva avvisata di qualcosa di più importante: Vanessa stava quasi sempre a casa con Castle, al loft, ed anche quei giorni era lì. Fu un altro colpo al suo cuore già provato.

Guidò fino sotto casa di Castle ed aspettò in auto fino al pomeriggio quando vide Vanessa uscire da lì. Appena l’attrice andò via con un taxi, chiuse l’auto ed attraversò velocemente la strada. Salì velocemente le scale a piedi, perché stare ferma anche ad aspettare l’ascensore le faceva solo aumentare il nervosismo. Si fermò davanti alla porta del loft e respirò profondamente fino a quando il suo respiro non tornò normale e sparirono tutti i sintomi dei tanti piani fatti a piedi. Accarezzò la porta per un attimo. Poi bussò.

Castle sentì il rumore deciso sulla porta ed andò ad aprire sorridente, convinto fosse Vanessa che si era accorta di aver lasciato sul mobile di cucina l’elenco dei partecipanti alla festa di quella sera. Così con i fogli già in mano spalancò la porta.

- Ciao piccola, era da tanto che non ci vedevamo! - Disse sorridendo prima di accorgersi chi c’era dall’altra parte. Il sorriso morì subito.

- È veramente tanto, è vero Castle - Disse un’imbarazzata Beckett che aveva perso davanti a lui tutta la sua baldanza e sicurezza che aveva cercato di infondersi fino a quel momento.

- Beckett… Cosa ci fai qui? Cosa vuoi? - La sua voce melodiosa aveva lasciato il posto ad un quasi sussurro senza alcuna sfumatura. 

- Te… la mia vita. - Kate entrò nel loft sorpassandolo mentre lui chiudeva la porta e la guardava senza dire altre parole.

A Rick caddero i fogli di mano e si piegò a raccoglierli mentre lei entrava nel loft e nella sua vita con la dirompenza che solo uno tsunami mortale può avere. In un attimo aveva già sconvolto tutto solo con la sua presenza. Sentiva il suo profumo nell’aria come una scia e come se fosse un irresistibile richiamo ne era attratto e faticava a rimanere immobile. Lasciò i fogli lì dove li aveva presi mentre lei buttava la sua giacca nera sul divano scoprendo una camicia così bianca che lo stava abbagliando. O era lei.

Kate respirò a pieni polmoni l’aria del loft che era piena di lui. Era troppo. Aveva dovuto togliersi la giacca immediatamente, perché ebbe la sensazione di stare per soffocare. Fece dei lunghi respiri dandogli le spalle per cercare di calmare quella frenesia che la consumava dentro. Avrebbe voluto toccarlo, baciarlo e non si sarebbe fermata lì. Avrebbe voluto lui, ma aveva paura che solo sfiorandolo potesse generarsi un cortocircuito emotivo difficile poi da contenere, ma quando si girò guardarlo, solo guardarlo negli occhi fece vacillare ogni sua sicurezza e più di ogni altra cosa avrebbe solo voluto che lui la stringesse e che le dicesse che sarebbe andato tutto bene. Ma Rick rimase immobile e guardando in fondo al suo sguardo non trovò quel suo luccichio solito, ma solo pietra dura che la guardava impassibile.

Tutto quello che gli voleva dire, tutto quello che voleva fare urtò contro quello sguardo e si distrusse. Era troppo, anche per rimettersi la giacca ed andare via.

- È vero? Ti stai per sposare? - Non sapeva Kate da dove aveva trovato la voce per pronunciare quelle parole appiccicate ancora alla sua gola.

- Così scrivono… - La sua risposta la spiazzò.

- Non mi importa quello che scrivono, è vero o no? - Kate cercava disperatamente la sicurezza dentro di se e la verità in Castle.

- Non dovrebbe importarti nemmeno il resto, non è più affare tuo. - Rick aveva abbassato lo sguardo verso un punto indefinito del pavimento del loft e Kate sentì come se questo si stesse per aprire facendola sprofondare. 

- Guardami Castle, voglio solo sapere se sei innamorato di lei e se sei felice. - Fece ricorso a tutta la sua determinazione parlandogli con quel tono autoritario che era così fuori luogo lì, ma che era l’unico che poteva usare per aggrapparsi a quella discussione senza fare la patetica scena di quella che andava dal suo ex piangendo e pregando.

- Mi dispiace Beckett, ma nemmeno questo è affare tuo. - Le parole di Rick erano sempre più gelide e Kate non sapeva per quando sarebbe riuscita a resistere dietro quella maschera già incrinata

- Castle… - Il suo nome uscì più come una preghiera e non c’era nulla di forte e deciso, era un sussurro strozzato in gola.

- Perché oggi ti preoccupi se sono innamorato e felice eh? Perché non te lo sei chiesta mesi fa, perché non me lo hai chiesto prima di andartene se ero felice? Torni qui dopo mesi che non ho notizie di te, piombi a casa mia, nella mia vita e fai domande, pretendi di sapere. Con quale diritto fai tutto questo? Cosa vuoi da me Kate, eh? Cosa altro vuoi ora che prima non ti bastava tanto da andartene con Price non so dove. Ti avrei dato tutto quello che avevo e non lo hai voluto, cosa vuoi adesso eh? Cosa vuoi da me?

La voce di Castle era scossa, Beckett avrebbe giurato che avrebbe potuto piangere davanti a lei in qualsiasi momento, lo riconosceva da come i suoi occhi azzurri ora vibravano lucidi, da come tremava anche lui con i pugni serrati, dalle spalle tenute rigide in modo innaturale per lui, ma stava lottando con se stesso per non mostrare di più del tanto che aveva già fatto, perché lui sapeva che anche lei coglieva ogni sfumatura del suo comportamento e non si sarebbe fatta sfuggire nulla, per quanto lui si trattenesse. Erano due libri aperti che si leggevano a vicenda e non potevano fare nulla per evitarlo.

- Te. Voglio solo te. Non voglio nient’altro, non devi darmi nulla di più. - La voce di Kate tremava più della sua, la maschera era gettata in un angolo del loft irrimediabilmente rotta. Non era necessario fingere, non in quel momento.

- È tardi Kate. Ora… ora è tardi. - Con lui Beckett non poteva più fingere di indossare corazze che non aveva e quelle parole la colpirono come pugni nello stomaco rischiando di lasciarla senza fiato mentre lui manteneva lo sguardo basso quando parlava, lontano da lei.

- Guardami negli occhi Rick… Dimmi che sei felice, voglio solo sapere questo. - Trovò ancora la forza di pregarlo.

Rick alzò gli occhi e la guardò perdendosi nel suo sguardo tremante ma non disse nulla.

- Ti amo Castle. Ti ho sempre amato. Ho sempre amato solo te. - Castle sentì l’universo cadergli sulle spalle e sul cuore. Quelle parole erano macigni troppo pesanti da portare adesso. Aveva sperato per settimane di vederla tornare, che gli dicesse anche solo una delle cose che aveva appena detto e sarebbe bastata per riportarlo in vita, quelle stesse parole che ora lo stavano uccidendo.

- È tardi. 

Non disse altro e ci fu un lungo silenzio tra loro. Il blu degli occhi di Rick era diventato così scuro da sembrare nero, calmo come il mare estivo di notte, senza nessuna onda ad agitarlo, la sua voce non era più scossa. Era ferma come lo sguardo, fredda, distaccata e Beckett lo percepì, lo sentì come se si fosse allontanato di chilometri, quando invece aveva fatto un passo verso di lei e le era più vicino.

- Castle…

- Mi hai fatto male Kate. - Le disse con un tono che non mostrava alcun sentimento e ne soffrì doppiamente: sapeva di averlo ferito, sapeva che non c’era giustificazione ai suoi occhi e questo la faceva stare male, ma ancora di più era la il modo in cui glielo aveva detto, come se le avesse appena chiuso la porta in faccia. Lui era lì fisicamente, ma non c’era.

- Perdonami. - Sussurrò appena abbassando la testa come un condannato a morte davanti al boia. Di fatto si sentiva così, come se il suo colpo fatale lui glielo avesse già inferto.

- È stata una tua scelta. Tutto questo è solo frutto di una tua decisione. Io l’ho solo subita e mi sono adattato. - Kate lo sapeva, ma sentirglielo dire faceva male.

- Volevo solo proteggerti Castle. Volevo solo che non ti accadesse nulla. 

- Avrei fatto qualunque cosa per te Beckett. Lo sapevi questo.

- Sì, proprio per questo dovevo evitare che tu lo facessi.

- Non hai mai capito nulla di me, vero?

- Castle io…

- Tu cosa? Per il mio bene, mi hai ucciso tu stessa. Io ci credevo Kate, credevo in te e in noi. Per una volta nella mia vita, ci credevo veramente come mai avevo fatto prima, credevo potesse essere diverso. E lo è stato, è stato devastante.

La calma con la quale le stava raccontando il suo dolore e la sua disillusione furono devastanti anche per lei. Allungò una mano per prendere la sua, lasciata inerme lungo il corpo, ma appena percepì la presenza di lei troppo vicino a se indietreggiò di un passo, come se avesse paura di un suo tocco, come se fosse corrosivo per quella corazza che si era costruito intorno al cuore quando ne aveva raccolto i pezzi sparsi dopo di lei.

- Non mi toccare Kate.

Ma lei fu più veloce di lui e lo toccò, strinse quella mano e si avvicinò a lui più di quanto avesse mai fatto da quando era lì, fino a sentire il suo respiro troppo accelerato per essere normale. Provò a baciarlo, avvicinandosi con le labbra alle sue, ma lui voltò la testa, per non concedergli quel bacio e per non guardarla. Chiuse anche gli occhi per sicurezza mentre sentiva il suo corpo così vicino al suo.

- Basta Beckett, vattene. Cosa altro vuoi da me? Non ho più niente da darti.

- Voglio te Castle. Solo te.

Si voltò di scatto a guardarla. Era vicina. Tanto vicina. Troppo vicina. Si avventò sulla sua bocca senza preavviso impossessandosene così come fece con le sue mani, obbligandola a lasciarlo per poi bloccarle i polsi ed avvicinarla ancora di più a se. Fu un bacio violento, carico della frustrazione di mesi di sentimenti repressi, di sentimenti ignorati e negati. Erano esplosi tutti lì, in quel momento sulle loro labbra voraci, dove baci e morsi si mischiavano mentre il desiderio aumentava e si incendiavano come due fiammiferi esposti ad una fiamma che immediatamente bruciavano. Castle si staccò dalle sue labbra guardandola ansando e vide negli occhi di lei quella voglia di lui che non poteva nascondergli nemmeno se avesse voluto. Ma Kate non voleva nascondergli niente, anzi voleva fargli capire tutto e fu lei a gettarsi sulla bocca di lui questa volta ricominciando dove si erano interrotti pochi istanti prima. Kate sentì il corpo di lui sempre più vicino premerle contro obbligandola ad indietreggiare. Non era un movimento casuale, la stava letteralmente spingendo altrove senza mai staccarsi da lei. Le aveva lasciato i polsi solo per insinuarsi sotto la sua camicia, fatta uscire dai pantaloni per poter andare a toccare quella pelle che aveva continuato a sentire sotto le sue mani indelebile e la stringeva affondando le dita nel suo corpo.

Erano nella camera di Castle sentì il letto sbattere nell’incavo del ginocchio e fu come ridestarsi da quel turbinio di emozioni che l’avevano avvolta pressanti come le braccia di lui che ora la invitavano a stendersi. Lo assecondò portandosi fino ai cuscini rimanendo appoggiata sui gomiti con la schiena sollevata. Si guardò intorno per qualche istante. Era stata lì solo una volta, brevemente molti anni prima. Mai quando erano stati insieme erano stati lì, in quella stanza dove tutto parlava di lui, dove tutto aveva la sua impronta di uomo eccentrico e fantasioso, ma forte e mascolino. Anche le lenzuola color écru con i bordi marrone scuro davano l’idea di essere un tessuto duro e grezzo, ma era solo il motivo, in realtà erano morbide e vellutate, proprio come era lui. Si morse il labbro nel vederlo con tutta la sua stazza sopra di se. Allungò le mani per cercare il suo petto ed aprire i bottoni di quella camicia che la stavano privando dello spettacolo del suo ampio torace nudo. Non le importava se non era scolpito, se non aveva muscoli in evidenza e un fisico da atleta, era perfetto così. Ne aprì solo uno solleticando appena con la punta delle dita la sua pelle, poi una mano di Rick scansò le sue. La guardava dall’alto e lei poteva sentire il suo respiro affannato ed il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente non nascondendo la sua voglia crescente. Le aprì la camicia sbottonandola rapidamente per metà, lasciando i vista il reggiseno bianco di pizzo. Si fermò ad osservarla, osservò ogni suo segno, quelli più recenti sempre meno visibili e quello che era proprio lì, tra i suoi seni dello sparo. Nella mente di Castle vide come un film che scorreva via veloce, fotogramma dopo fotogramma. Il sangue, il ti amo, la sua fuga, la verità, lei che sapeva, la lite e poi di nuovo un ti amo di lei però, l’ospedale, loro insieme, e poi lui da solo. E sentiva la paura, il dolore, la delusione, la rabbia di tutto quello che aveva vissuto e che non lo aveva portato a nulla se non ad illudersi. Alzò lo sguardo su di lei, sul suo viso dove leggeva il suo desiderio, uguale a quello dell’ultima notte che avevano trascorso insieme quando lei forse già pensava di lasciarlo. Era così bella. Era sempre così bella. E lui l’amava. Sempre. Questo fece montare ancora di più la sua rabbia. Le abbassò con foga il reggiseno e si precipitò a baciare e succhiare prima uno poi l’altro seno e strappandole quei gemiti che erano come chiodi che lo inchiodavano alla sua croce di rimpianti e illusioni. Cercò il bottone dei jeans di Kate, lo slacciò e li abbassò prepotentemente insieme agli slip fino alle caviglie e poi fece lo stesso con i suoi. E tornò su di lei e sulla sua pelle, droga e perdizione.

Non c’era nulla di lui in tutto quello. Non era quello il modo in cui la toccava, non erano i suoi baci. Era tutto brusco, deciso, veloce, vorace.

Non c’era la dolce lentezza dei baci, delle mani che giocavano con il suo corpo, che stimolavano i punti più sensibili e la faceva arrivare al limite fino a farla impazzire, perché lui amava vedere il piacere sul suo volto quando la raggiungeva e la faceva dimenare. Ora no, non se ne curvava. C’erano mani forti che stringevano la sua pelle e la spostavano come voleva lui. C’erano labbra tiranniche che la baciavano come se volessero succhiarle via l’anima. E poi senza preavviso entrò in lei che si stupì di essere pronta a riceverlo e sentiva le sue spinte profonde, rabbiose e prepotenti. Non era amore e non era nemmeno sesso, era vendetta, era farle capire quanto era disperato e volerle fare male tanto quanto stava soffrendo lui. Non c’era nulla di quello che erano stati loro in quell’atto veemente. 

E nel momento in cui lui le lasciò le mani proprio quando stava per raggiungere il culmine del piacere, Kate lo abbracciò ed esplose pronunciando il suo nome un attimo prima che anche lui, sentendo gli spasmi di lei, facesse lo stesso e un “ti amo” morì nella gola di entrambi che non se lo dissero, ma non c’era bisogno, era nascosto nelle pieghe di un abbraccio troppo forte per essere solo fisico. 

Per un attimo, un solo attimo Rick la guardò, mentre l’eccitazione scemava e Kate vide nei suoi occhi tutto quello che fino a quel momento aveva nascosto dietro la rabbia, vide i suoi stessi occhi, quelli che guardavano solo lei così. E Rick si sentì nudo ed esposto ed ebbe paura di tutto quello. Scivolò fuori da lei e, senza guardarla, anche dal letto. 

Si sistemò i boxer e si riabbottonò la camicia per poi tirarsi su i pantaloni. Sparì in bagno e Kate sentì solo l’acqua scorrere per qualche minuto mentre immobile sul letto non riusciva a muoversi. Tornò poco dopo perfettamente a posto, pettinato tranne il solito ciuffo ribelle, mentre lei era ancora lì sul letto con i pantaloni abbassati alle caviglie, la camicia aperta ed i seni scoperti dalla foga da Castle. Avrebbe voluto coprirsi, non farsi vedere così da lui con ancora i segni sul volto del piacere che l’aveva colta ma non si mosse. Rick la guardò per un istante, distrattamente come se fosse tutto normale, girò intorno al letto con noncuranza, prese una giacca dall’armadio e la indossò, insieme all’orologio che teneva sul comodino.

- Devo uscire, ho un appuntamento con Vanessa. Quando te ne vai basta che chiudi la porta, fai pure con comodo, Alexis è al campus, mia madre in tournée.

Kate per un attimo pensò che non sapeva più niente di quella famiglia, cosa facessero sua figlia e sua madre e tristezza di aggiunse a tristezza. Castle la lasciò lì, sul suo letto come un oggetto che aveva usato. Kate si sentì morire dentro o forse una parte di se era già morta da molti mesi.

L’aveva guardata per un solo istante, dopo, ed era stato un istante di troppo.

L’immagine di Kate seminuda sul suo letto si era fissata nella sua mente in modo indelebile.

Era dovuto andare via da lì, da lei, da quel letto e da quella camera che ora lo sapeva, avrebbe avuto sempre tra le pareti i suoi gemiti e i suoi sospiri. Aveva dovuto fare finta di niente, non concedersi nulla di più, non rimanere tra le sue braccia, non stringerla a se e tenerla lì, anche per sempre se avrebbe voluto. Si era perso nei suoi occhi quando lei lo aveva stretto un po’ di più, sentendola viva, vera, giusta.

Poi era tornato insieme tutto il dolore, la frustrazione, il senso di essere stato preso in giro, la delusione. Aveva dovuto allontanarsi da lei prima che lo legasse a se per sempre, prima che ricadesse nel baratro di lei, certo che non avrebbe più trovato la forza per rialzarsi ancora. E doveva convincersi che poteva farlo, con lei come con tutte la altre. Alzarsi ed andarsene, come se fosse una delle sue tante conquiste di un a notte. Andarsene, come se con lei fosse stata una scopata qualsiasi, portare il suo corpo il più lontano possibile da lì, consapevole, nel suo io più profondo, che il suo cuore era rimasto lì, su quel letto, tra le sue mani. Ma non doveva dirselo, doveva solo rivestirsi ed andarsene. Lasciarla lì, come una cosa usata, umiliarla con la sua indifferenza apparente. Ma l’aveva guardata un istante di troppo e si era fatto del male da solo.

Non aveva più pensato a Vanessa. Se ne era reso conto solo quando aveva pronunciato il suo nome, quando l’aveva usata per fare ancora del male a Kate. Era la sua compagna, la donna alla quale aveva detto “ti amo” poco prima che Beckett arrivasse, ma da quando aveva visto lei, Vanessa era sparita dalla sua mente. Non aveva pensato a lei mentre baciava Kate, mentre la spogliava, mentre stringeva il suo corpo tra le mani, mentre la amava. Mentre la amava: un pensiero che gli bruciava dentro. Perché anche nel volerla punire, lui l’amava. Nel volersi vendicare, lui l’amava. Nell’amarla, lui l’amava. 

Era appena entrato in macchina e stava per mettere in moto quando squillò il suo cellulare. Il vivavoce si azionò.

- Richard! Ma dove sei? Ti aspettavo mezz’ora fa! - La voce di Vanessa preoccupata lo riportò sulla terra controllò il display che indicava le quattro chiamate senza risposta che non aveva sentito.

- Ho… ho avuto un imprevisto… - La voce di Castle celava male il suo stato d’animo

- Richard, tutto bene? Hai una voce… - Si preoccupò subito la donna.

- Sì, sì tutto bene… ma non credo che farò in tempo a venire. Scusami con i tuoi amici… Cerco di fare il possibile.

- Rick, ma cosa è successo? Sta bene?

- Sto bene, un problema… a lavoro, alla Black Pawn. Hanno sbagliato delle stampe e mi hanno chiesto di passare a controllare. Mi dispiace piccola.

- Ok… - disse la donna poco convinta

- Ehy Vanessa… Ti amo.

Lo disse ancora più per convincersi che per lei. Lo disse per ribadire a se stesso qual era la sua strada, la via che doveva seguire. E allora perché era così difficile ora andare da lei, dai suoi amici e fare finta di nulla? 

Sapeva quanto ci teneva a quella sera, da quanto tempo stava organizzando quella festa ed il premio ricevuto pochi giorni prima era stata solo un’occasione in più per rendere quella serata speciale. Aveva appena finito di ristrutturare il suo attico a New York. Rick se ne era innamorato quando era stato lì la prima volta, con quella splendida vista su Central Park, i soffitti spioventi che terminavano in una vetrata immensa. Era vuoto quel giorno, non c’erano ancora i mobili e c’era il vecchio pavimento che avrebbe sostituito da lì a pochi giorni. C’era una vecchia coperta che usciva da uno scatolone  buttato in un angolo, dove aveva messo le ultime cose che avrebbe probabilmente buttato. La presero e la misero a terra e lì fecero l’amore illuminati solo da una lampadina penzolante mentre vedevano le loro immagini riflettersi sulle vetrate che gli rimandavano i loro volti contratti nella passione del momento. Quella coperta Vanessa non l’aveva più buttata, gliel’aveva fatta ritrovare ripiegata quando aveva finito i lavori e lui le aveva promesso che l’avrebbero usata ancora.

Aveva chiamato tutti i suoi amici per quella sera, quella festa di inaugurazione della sua nuova casa che Vanessa voleva diventasse anche l’occasione di presentare ufficialmente Castle a loro. Tutti lo sapevano, ma non c’era mai stata l’occasione reale perché lui entrasse in quella parte del suo mondo, mentre lei, ormai conosceva bene i suoi amici, sia quelli del distretto che i suoi colleghi scrittori. Glielo aveva detto, per questo ci teneva particolarmente che lui fosse con lei, quella sera e lui le aveva detto quanto gli faceva piacere esserci e che lei avesse organizzato tutto anche per lui. Ora, però, tutto questo non aveva più importanza: Vanessa, i suoi amici, la sua casa, i suoi premi erano solo un’ombra sullo sfondo della sua vita dove in primo piano c’era solo una persona, quella che c’era sempre stata e lui aveva solo allontanato dalla sua mente e dalla sua anima.

Girò in auto senza meta, le strade gli sembrano tutte uguali e non c’era un posto dove voleva andare, solo uno dal quale si voleva allontanare: lei. Kate non era solo una persona, Kate era un luogo. Era il posto dove lui era se stesso, dove stava bene, dove era a casa. L’aveva provato ancora una volta, quando l’aveva stretto a se e lui aveva sentito che per quanto volesse tremendamente farlo, non avrebbe potuto mai odiarla. Era lì che aveva capito che fare del male a lei era distruggere se stesso.

Kate gli aveva fatto capire il senso di quella poesia letta tanto tempo prima, Kate era il suo vampiro, il suo amore e la sua condanna, il suo piacere e la sua ossessione. Era legato a lei indissolubilmente ed avrebbe resuscitato quell’amore mille volte se mille l’avesse ucciso. 

Ma doveva vivere senza di lei. Non poteva lasciarsi trascinare di nuovo a fondo senza possibilità di riemergere. Non ancora una volta. Non ora che c’era Vanessa. Lei lo amava e lui beh… lui no, però le voleva bene. L’avrebbe amata, un giorno, quando Kate sarebbe uscita definitivamente dalla sua vita e dalla sua mente. Vanessa era importante, gli aveva dato quella stabilità nei giorni in cui credeva si sarebbe perso di nuovo tra alcool, feste e poker. Lo aveva tirato fuori dal suo buco nero, lo faceva divertire, stava bene con lei e Martha e Alexis la adoravano. Perché non doveva scegliere di passare la vita con lei? Era la situazione migliore. Per tutti. Kate era fiamme, era un fuoco che bruciava dentro, ma che lo consumava e di cui ora aveva paura. Vanessa era la certezza e la stabilità.

Si ritrovò senza volerlo vicino quel parco fuori mano, quello dove portava Alexis da bambina, quello dove aveva portato Kate. Parcheggiò ed uscì, chiudendosi il cappotto ed alzandosi il bavero.

Il parco era vuoto in quel tardo pomeriggio di fine gennaio. Non c’erano madri con bambini che riempivano con il loro vociare lo spazio tra gli alberi, c’era solo qualche silenzioso che correva con le cuffie, ignorando il mondo intorno. Avanzò mestamente verso le altalene, attirato da lì dalla forza della sua disperazione, dall’aggrapparsi a quell’unico ricordo con lei nel mondo. Si sedette lì dove si era seduta lei e se chiudeva gli occhi poteva sentire la sua risata mentre volava in alto, felice come una bimba e lui la guardava, beandosi della sua felicità. Quel giorno tutto gli sembrava possibile, anche l’irrealizzabile, perché vicino a lei sentiva che era in grado di fare tutto. 

Si odiava. Più voleva allontanarla più faceva tutte quelle cose che la ricordavano. Si chiedeva se quello era forse un modo di mettersi alla prova. “Dai Richard, se superi anche questa, ce l’hai fatta”. Sì, doveva essere così. Pensava che in fondo quelle altalene erano un ottimo simbolo per loro. Più erano arrivati in alto, più poi erano andati nella direzione contraria, continuando a dondolare sospinti da quei sentimenti che era sempre più difficile non sentire. 

Si era fatto buio. Saltò giù e tornò alla sua auto passando da un vialetto in mezzo agli alberi. Era così ossessionato da Kate che gli sembrò anche di sentire il suo profumo, vicino a quella panchina dove erano stati seduti a baciarsi. “Idiota” si ripeteva mentre entrava in macchina.

Arrivò a casa di Vanessa che i suoi amici erano già tutti lì. Faticò a sorridere ed essere cordiale con tutti, più del solito. In compenso cercava la sua compagna continuamente, in mezzo agli altri. Aveva il bisogno fisico di starle vicino per ribadire a se stesso che lei era quella giusta, che era lei che voleva e così non faceva un passo senza che lui non le cingesse il fianco, raggiungendola ogni volta che parlava con qualcuno e non facendosi problemi a baciarla davanti ai suoi amici. Doveva dimostrarsi che era lei la sua donna e che non aveva bisogno di altre. Vanessa era imbarazzata e stupita dal suo atteggiamento, tanto che gli chiese più di una volta se stesse bene o se avesse bevuto troppo, ricevendo sempre risposte negative più stizzite fino a farlo allontanare, ora sì verso il bancone dove c’erano gli alcolici e sedersi da solo su uno sgabello a riempirsi il bicchiere. Lo guardava da lontano, ma lui era ancora più lontano da lei di quella semplice distanza fisica.

Era tornato al suo fianco solo a fine serata, quando aveva salutato ognuno degli ospiti di Vanessa dei quali si rendeva conto non ricordava il nome nemmeno di uno, tranne che di una sua amica del college, Katherine, ma non era un caso.

- Allora Richard, cosa c’è? - Gli chiese dopo aver chiuso la porta dietro l’ultimo dei suoi amici.

- Niente. Una giornata impegnativa.

- Non ti ho mai visto così per qualcosa che riguarda il tuo lavoro, c’è qualche problema serio?

- No, solo problemi normali. - Si versò un altro bicchiere di whiskey mentre lei lo osservava preoccupata.

- Fai come vuoi Richard. Ma odio quando mi menti.

Vanessa andò in camera lasciandolo lì solo. Perfetto, era riuscito a ferire anche lei.  Mandò giù l’ultimo sorso di liquore e la raggiunse. In fondo al letto aveva trovato ripiegata quella coperta della loro notte lì prima che cominciasse a ristrutturare la casa, dove avevano fatto l’amore. Si sentì meschino perché sapeva che le stava facendo male, anche senza volerlo. Non lo aveva degnato di uno sguardo da quando era entrato e si era spogliato in silenzio. Si sdraiò al suo fianco, prendendola e abbracciandola, stringendola a se come forse mai aveva fatto. Vanessa prese il suo viso tra le mani e cominciò ad accarezzarlo e baciarlo teneramente, per poi portare le mani sotto la sua maglietta, accarezzargli il petto e scendere più in basso, cercando e trovando l’elastico dei suoi boxer. 

- Rilassati Richard… sei troppo teso… - gli disse cominciando il più rilassante dei massaggi, lì dove sapeva che gli dava più piacere. Rick chiuse gli occhi e la lasciò fare, perdendosi nei suoi baci e nelle sue carezze. Si lasciò andare, lasciò la sua mente libera e lei andò proprio non doveva, nel ritrovare il volto ed il corpo di Kate su di lui che lo toccava e lo baciava. Aprì gli occhi all’improvviso scottato da quella visione e quello che vide non era quello che era nella mente: era Vanessa non era Kate. Sentì tutto il piacere e la passione scivolare via. 

- Scusami Vanessa… Io… non posso stasera… non me la sento… scusami…

Lei si fermò non riuscendo a capire. Lo vide solo rivestirsi impacciato mentre farfugliava ancora parole di scusa. Uscì di corsa da lì, così di corsa da dimenticarsi anche il cellulare e le chiavi di casa nel cappotto.

—

Kate si era rigirata nel letto. Aveva capito dove lui dormiva dal profumo sul cuscino, non aveva nemmeno fatto caso dove era andato a prendere le sue cose. Si era concessa un attimo per prenderlo tra le braccia, affondarci il viso e soffocarci il pianto. Aveva lasciato che raccogliesse le sue lacrime di quei singhiozzi nervosi.

Si era illusa, per un attimo, quando i loro occhi si erano persi nei loro rispettivi abissi, quando aveva gridato il suo nome che nella sua bocca aveva tutto un altro suono. Si era illusa che lei e lui fossero ancora loro. Si era illusa quando aveva urlato il suo nome come da tanto voleva fare e lui l’aveva stretta ed aveva sentito il suo cuore ed il suo respiro accelerato. Si era illusa che lui la tenesse così, senza lasciarla più. Il caldo del suo corpo era diventato presto il freddo della sua assenza, che era diventata distanza. Ed aveva incrociato poi il suo sguardo solo un attimo mentre lui si rivestiva e se ne andava, lasciandola lì, come una cosa usata, come qualcosa senza alcuna importanza: era stato un istante troppo breve perché lui leggesse la sua muta preghiera e non aveva più abbastanza volontà per parlare e fermarlo. Era annientata dai suoi gesti e dalle sue parole, ma soprattutto dalla consapevolezza che tutto quello lo stava facendo solo per ferirla. Non c’era niente di naturale nel suo comportamento, lo riconosceva dalla postura troppo rigida e dalla mandibola serrata, da quelle parole fintamente decise che tremavano. Non c’era niente di lui in tutto quello e la sua maschera era allacciata male tanto da farle intravedere la sua sofferenza, da quegli occhi incapaci di mentirle.

Non voleva guardarsi intorno, non voleva cercarlo in ogni oggetto di quella stanza, vedere le sue sfumature nella scelta dell’arredamento.

L’attimo che si era concessa divenne più lungo e stringeva quel cuscino come se fosse lui, incapace di lasciarlo, incapace di alzarsi da lì, di lasciarlo. Poi sentì le lenzuola bruciarle sulla pelle, quando si ricordò di Vanessa uscita da lì e di come lei ora era al posto suo. Perché ora era lei l’intrusa nella sua vita. Era lei l’altra. Diede un bacio al cuscino, quel bacio che avrebbe voluto dare a lui.

Vestirsi fu la cosa più difficile, quando a tutto il resto si aggiunse anche quel latente senso di vergogna. Richiudeva i bottoni che lui aveva aperto, sistemava i vestiti che lui aveva tirato via con rabbia con una inusuale lentezza che si contrapponeva con la rabbiosa velocità con la quale lui l’aveva scoperta. Ogni gesto era pesante e doloroso e carico di più significati di quanti potevano essere oggettivamente visibili. Era sola, nella sua stanza, nella sua camera a rivestirsi. Era andata lì per chiedergli se era vero che si stava per sposare, se era felice e lui non le aveva risposto. Avevano fatto l’amore, in modo rabbioso e irruente, ma lei non poteva definirlo diversamente ed ora era ancora più ferita ed il suo cuore più dolorante perché aveva una sola certezza, non era felice e questo la faceva stare male ancora di più, perché lui non voleva ammetterlo o forse l’aveva fatto nell’unico modo in cui solo lei era capace di capirlo.

Si alzò e istintivamente sistemò le lenzuola, uniche testimoni del loro amore. Andò in bagno evitando di guardarsi allo specchio per paura di quello che avrebbe trovato, una lei che non conosceva, una lei che la spaventava. Mentre si sciacquava il volto lasciando le gocce ricadere sul lavandino tenendo gli occhi chiusi pensava che se mai un uomo l’avesse trattata come aveva appena fatto Castle, probabilmente sarebbe finito male. Non avrebbe mai permesso a nessuno di pensare di umiliarla ed usarla come aveva fatto lui, non Kate Beckett. Ma sapeva che quelle che erano solo le sue intenzioni erano ben lontane dalla realtà, perché lei l’aveva voluto tanto quanto lui, forse anche più di lui. Avrebbe solo voluto che non se ne fosse mai andato.

Vide due spazzolini sul lavandino, creme e un profumo da donna. La sua curiosità vinse sul buonsenso e lo odorò, era buono. Si sentì così in colpa per quella donna, stava provando a convincere il suo uomo a lasciarla, si stava comportando come la più ignobile delle amanti, delle patetiche ex. Questo sì, era umiliante.

Uscì da lì, ricordandosi un attimo prima di andarsene di prendere il cappotto. L’aria fredda di New York faceva male nei polmoni respirata con forza: era la prima aria che non sapeva di lui e le sembrava che mancasse l’ossigeno.

Aveva solo una conferma adesso. Non stava male, stava peggio. Stava molto peggio e non sapeva nemmeno definire come.

Il cellulare squillava mentre guidava verso casa. Era Lanie, ma no, non poteva risponderle ora, non voleva pateticamente piangere al telefono con lei, compatendosi e facendosi compatire. Rifiutò la chiamata e lei si fermò entrò in una caffetteria e ordinò il suo caffè preferito, con latte scremato aromatizzato alla vaniglia: se doveva farsi del male, lo doveva fare fino alla fine. Ne bevve velocemente qualche sorso, non se la sentì di uscire da lì con la tazza in mano e camminare come se nulla fosse con il suo caffè, quella ormai era una cosa che prevedeva Castle al suo fianco. Erano troppe le cose che voleva fare o era abituata a fare che prevedevano la sua presenza.

Poteva vivere senza Castle, poteva anche bere il caffè senza di lui. Ma non aveva lo stesso sapore né la vita né il caffè.

Passò davanti al parco dove era stata con lui, in quelle uniche ore di libertà che si erano concessi. Aveva i brividi a pensarci e non era il freddo, non quello fuori almeno, era quello che sentiva dentro a pensarci, a ricordare quella felicità e quella spensieratezza.

Superò il cancello e camminò a testa bassa nella stradina e per poco non si scontrò con un ragazzo che faceva jogging isolato dal mondo dalle sue cuffie. Era già quasi buio. Si sedette solo per un attimo su quella panchina dove era stata con lui. Ricordava come se fosse quel momento stesso le sue braccia che la stringevano mentre era appoggiata sulla sua spalla e respirava il suo profumo. Era un ricordo così vivo che con un soffio di vento le sembrò che ci fosse veramente. La mente faceva strani scherzi, si disse.

Raggiunse l’altalena e sedendosi fu colpita da come in quel parco vuoto senza bambini, le catene dove aveva poggiato le mani erano stranamente calde, come se qualcuno fosse stato lì fino a poco prima. Si dondolava appena, guardando l’altalena vicino a lei vuota e ferma. Lì dove c’era lui che la guardava, lì dove c’era lui che rideva della sua felicità, che le teneva la mano mentre dondolavano insieme. Aveva sempre amato le altalene da quando era piccola. Erano gioia e libertà, erano sentirsi viva. Ora non erano più niente di questo. Ora erano l’illusione di un giorno felice nella sua vita, erano tutto quello che sarebbe potuto essere e non era stato. Erano lui. Non potevano essere libertà se la incatenavano al suo ricordo, non potevano essere gioia se erano il simbolo del suo rimpianto e l’unica cosa lì che la faceva sentire viva era il dolore intenso che provava.

Se ne andò via di corsa, guidando poi velocemente fino a casa ed anche casa sua era piena di lui, perché tutto era cominciato lì, con la sua confessione e quella dichiarazione che non se ne era mai andata dalla sua mente. “Ti amo Kate e se significa qualcosa per te se ti importa di me, ti prego smetti di indagare” la sua triste preghiera la tormentava. Le importava di lui, significava più di quanto lui potesse immaginare e si era lasciata vincere dalla sua paura ed ora non c’era un posto in cui poteva stare dove lui non ci fosse, perché era dentro di lei, Castle scorreva nelle sue vene.

Il telefono suonò ancora ed il volto di Nick apparve sul display a riportarla indietro dai suoi pensieri.

- Ehy Kate tutto bene? - Price ormai la conosceva e già da come gli aveva risposto sapeva che non andava tutto bene, non aveva bisogno di una risposta.

- No. - Ammise sincera.

- Ne vuoi parlare?

- No, Nick, non ne voglio parlare.

- Beh, però dovrai cenare. Cinese ti va?

 

«Imbécile! – de son empire
Si nos efforts te délivraient,
Tes baisers ressusciteraient
Le cadavre de ton vampire!»
XXXI. Le vampire - Charles Baudelaire - Les Fleurs du mal

Castle era tornato al loft e inconsciamente sperava di trovare Kate sempre lì. Non sapeva nemmeno lui per cosa. Avrebbe voluto chiederle scusa o arrabbiarsi ancora, magari solo urlarle di andare via per sempre, di non cercarlo più o chiederle di non lasciarlo mai.

Kate Beckett era ritornata nella sua vita con la forza prorompente di un uragano, spazzando via ogni certezza che aveva faticosamente costruito, si era approfittata di quello spiraglio di luce dal quale ogni tanto raggiungeva la sua mente dagli angoli più reconditi dove aveva cercato di nasconderla per travolgerlo ed invadere di nuovo tutta la sua vita. Solo di una cosa era certo, non aveva più certezze. Fino al giorno prima era convinto di sapere cosa voleva dalla vita, quale strada seguire, quali erano i giusti binari per incanalare tutte le sue aspettative. Aveva seriamente pensato di chiedere a Vanessa di sposarlo, poteva essere la cosa più giusta, Vanessa aveva tutto per essere quella giusta ma ora capiva che le mancava una cosa: non era Kate. Non essere Kate non voleva, però, solo dire che non era la persona che aveva amato di più nella sua vita, la persona che lo mandava fuori di testa solo con la sua presenza, la persona per la quale era cambiato e sarebbe stato disposto a cambiare ancora, la persona per la quale aveva messo più volte in gioco la sua vita senza pentirsi mai. Non essere Kate voleva anche dire non essere chi gli aveva spezzato il cuore, chi gli aveva fatto provare la sua più grande frustrazione, chi lo aveva illuso e ingannato. Ecco perché non sapeva cosa provava, non sapeva cosa voleva fare, non sapeva cosa sperare. Sapeva che l’amava, ma bastava? È sufficiente amare qualcuno per essere felice? No, non bastava perché lei l’amava e l’aveva amata tanto ma non era mai bastato per lei e non era mai bastato nemmeno a lui per tenersi il suo amore.

Davanti alla porta del loft si rese conto che non aveva le chiavi e bussò con paura e trepidazione. Poteva essere sempre lì? Rimase qualche istante in silenzio e chiuse gli occhi immaginandosi Kate che apriva la porta della sua casa e si sentì mancare un battito nel cuore perché lo trovò stupidamente così giusto.

Non ci fu risposta e provò anche inutilmente a chiamarla. Erano passate delle ore, perché doveva essere sempre lì? Si sentì stupido ad averlo pensato ed ancora di più ad averci sperato. Si rese conto che non aveva nemmeno il cellulare e andare a cercare Alexis al campus non era proprio il caso, cosa le avrebbe detto? Aveva lasciato tutto da Vanessa e non voleva tornare da lei? Quante spiegazioni avrebbe dovuto darle? In poche ore sentiva che la sua vita era di nuovo in piena confusione e non sapeva cosa fare, ogni idee gli sembrava sbagliata, anche non fare nulla era sbagliato. Tutto era sbagliato. Lui era sbagliato.

Diede un pugno alla porta, come se fosse colpa sua che era chiusa e chiamò nervosamente l’ascensore per andarsene. Incontrò un suo vicino di casa che salutò distrattamente e tornò a guidare, di nuovo senza meta, come troppe volte capitava in quel giorno.

L’Old Haunt era tranquillo quella sera. Non andò nemmeno al suo tavolo, si fermò sul bancone e ben presto la birra non gli bastò più e si fece portare direttamente una bottiglia di whisky o di rum, non riusciva nemmeno a capirlo, ma nemmeno gli interessava. Era alcool, bruciava in gola e nell’esofago, annebbiava i pensieri ed andava bene così. Furono inutili i tentativi di Charles di consigliargli di smettere di bere, ottenne come risposta solo una minaccia di licenziamento e la richiesta di un’altra bottiglia. Poi si trascinò fino alla sua auto e si addormentò. 

—

- Scusa per il ritardo, sembrava che tutta New York volesse mangiare cinese stasera! - Nick si era presentato alla porta dell’appartamento di Kate con due buste piene di scatolette chiuse dalle quali veniva un profumo molto invitante che le fece capire quanto avesse fame. Sbirciò dentro i sacchetti di carta appoggiati sul mobile e vide che le aveva portato anche una birra e la cosa la fece sorridere, e in quella giornata le sembrava già una conquista.

- Come è andato il rientro a lavoro? - Gli chiese Kate aprendo la sua birra e la bevanda energetica di Nick, mentre lui disponeva sul tavolo davanti ai divani i vari contenitori aprendoli e lasciando che il loro profumo raggiungesse anche Kate.

- Bene. - Prese la sua lattina sfiorando appena le dita di Kate che si irrigidì al tocco.

- Ti hanno già rimesso a correre dietro gli assassini? - Gli chiese con più di un pizzico di rammarico per essere ancora i box. Le mancava il suo lavoro e si sentiva inutile.

- Veramente no - Nick prese uno dei contenitori con riso e gamberi, le bacchette e cominciò a mangiare seguito immediatamente da Kate che fece lo stesso, catturando un raviolo dalla confezione aperta sul tavolo.

- E allora cosa hai fatto di bello? - Beckett era contenta di parlare di lavoro, le teneva la mente distante da tutto il resto.

- Ho parlato di te con la Gates e Bratton - Le rispose Nick con molta nonchalance come se fosse una cosa normale. E in effetti poteva esserlo, erano stati mesi via, sicuramente avranno voluto sapere qualcosa.

- E cosa gli hai detto? - Chiese prendendo i suoi noodles e mangiandoli con gusto fingendo poco interesse per le sue parole

- Che secondo me sarebbe giusto che tornassi a lavoro, che sei guarita sia fisicamente e sei anche forte mentalmente. - Anche Nick prese uno dei ravioli mentre Kate stupita aveva smesso di mangiare.

- Oh… Grazie. - Fu veramente colpita dal suo gesto.

- La Gates ha detto che la prossima settimana dovrai rivedere lo psichiatra per l’abilitazione. Per lei non ci sono preclusioni, a questo punto. Certo non sono felici della decisione che hai preso, ma visto che sono ad un punto morto con le indagini, ti capiscono.

Beckett annuì tornando a mangiare. L’idea di poter tornare a lavoro era un piccolo raggio di sole nella tempesta della sua vita, un piccolo passo verso quella normalità che sognava di riavere.

- Che ne dici, brindiamo al tuo prossimo ritorno in azione? - Le propose Nick alzando la propria lattina. Kate fece lo stesso con la sua bottiglia di birra sorrisero al tintinnio del metallo contro il vetro. 

- Uh! Ti salutano Ryan ed Esposito. Sai, credo che gli farebbe piacere se li chiamassi. Ci sono rimasti un po’ male che non ti sei fatta sentire oggi. Gli ho detto che avevi bisogno di un po’ di tempo per riprenderti, credo che hanno capito, però penso che sarebbero veramente contenti di sentirti. Gli sei mancata, è evidente.

- Oh… Grazie… Beh, sì, sono mancati molto anche a me. Domani li chiamerò di sicuro. - Poggiò il contenitore vuoto sul tavolo e bevve un generoso sorso di birra dalla bottiglia.

- Puoi anche passare, se vuoi. Sì, insomma, tutti avrebbero piacere a vederti, oggi non hanno fatto altro che chiedermi di te. - Nick sorrise e Kate abbassò la testa imbarazzata. Non era abituata ad essere al centro dell’attenzione, né a ricevere tanti attestati di affetto. Lei era una riservata, che si faceva apprezzare da tutti per il rispetto con il quale trattava tutti i suoi colleghi, compresi i giovani colleghi e quelli di rango inferiore.

Continuarono così a chiacchierare del distretto e del più e del meno come tante volte avevano fatto nei mesi precedenti e anche quella ormai era diventata una piacevole consuetudine che fece pensare a Kate che aveva trascorso più tempo con Nick che con chiunque dei suoi precedenti fidanzati.

—

Castle si era svegliato quando aveva sentito un’agente di pattuglia bussare con insistenza al vetro del suo finestrino chiedendogli se andava tutto bene. Si stropicciò gli occhi e lo guardò, poi abbassò il vetro per dirgli di sì. Ebbe la buona idea di parlare il meno possibile, per non investirlo con il suo alito intriso di alcool. 

Aveva cominciato a piovere e si richiuse dentro aspettando ancora un po’. Mise in moto accendendo la radio. Faceva scorrere le dita sullo schermo del suo impianto stereo cercando confusamente qualche stazione.

… Oh you run away

Cause I am not what you found

Oh you’re in my veins

And I cannot get you out.

No I cannot get you out…

Non conosceva quella canzone, non conosceva quel cantante ma aveva tutto maledettamente senso. Gli sembrava che stesse parlando di lui, che stesse parlando di lei. Chi era per conoscere così bene quello che era nella sua mente? Si era preso la testa tra le mani, pensando a quando era stata lei a dirle che le canzoni avevano un senso quando si era innamorati. Partì, senza pensarci, con una meta ben precisa, ennesima follia di quel giorno, già lo sapeva.

Arrivato sotto casa di Kate non riuscì a citofonarle per farsi aprire. Aspettò davanti il suo portone bagnandosi fino a quando un ragazzo non uscì e lui entrò.

Rick si reggeva a malapena in piedi. Era arrivato sul pianerottolo di casa di Beckett e bussava alla sua porta scaricando tutto il suo peso sul legno. Quando Kate aprì rimase con la mano a mezz’aria incapace di dirle nulla.

- Castle… Cosa ci fai qui? - Era tardi, se ne accorse guardando l’orologio sulla parete prima di aprire, chiacchierando con Price non si era accorta di come il tempo fosse passato velocemente.

- Non lo so. - Sospirò investendola con il suo alito che sapeva di whisky, vodka e tanti altri superalcolici. Kate lo vide avanzare incerto e istintivamente provò a tenerlo ma lui la scostò come se non volesse essere toccato, non da lei. Mettendo a fuoco la stanza vide la figura di Price in piedi vicino alla finestra che lo osservava con disgusto e pietà.

- Sei occupata… Me ne vado - disse Rick senza guardarla, ma lei lo fermò.

- No. Nick se ne stava andando - rivolse un eloquente occhiata al detective che obiettò ma lei insistette. - Per favore Nick, lasciaci soli.

Price annuì, prese il suo cappotto ed uscì non prima di aver lanciato un’altra occhiata severa a Castle. Solo ora Kate si accorse di come il suo abbigliamento non era affatto adatto alla giornata e passò la mano sulla sua giacca umida, appena in tempo sentirla perché lui si scostò ancora.

- State insieme? - Le chiese Castle cogliendola di sorpresa

- No… Ma cosa dici? - rispose piccata allontanandosi da lui

- Ti guarda… come se fossi sua. - La voce di Rick tremava così come le mani strette nei pugni.

- Io… non sono di nessuno, Castle. - Kate gli dava le spalle ma sentiva il suo respiro pesante interrotto da brevi sussulti.

- Perché sei tornata Kate? Io… io stavo bene prima…

- Perchè ti amo. Mi dispiace Castle. Mi dispiace tanto.

Rick le si avvicinò portò le mani sopra le sue spalle senza toccarla, lasciandole sospese su di lei, come tenute in bilico da una forza gravitazionale superiore. 

- Kate… scusami per… per oggi… Io… non volevo… non così…

Beckett si voltò e Rick abbassò le mani, colto di sorpresa.

- L’ho voluto anche io, non ti devi scusare. 

- Sì, non è così con te… non così… -  Si lamentò Rick che pronunciava frasi sconclusionate ma Kate riusciva a capirne il senso oltre le parole.

Abbassarono entrambi lo sguardo.

- Sei andata a letto con Price? - Quella domanda figlia del troppo alcool gli era uscita prima che fosse riuscito a fermarla.

- Cosa? - Kate stupita lo guardava scuotendo la testa. - Hai decisamente bevuto troppo Castle…

- Rispondimi Beckett, sei stata a letto con lui? - Oramai lo aveva detto, tanto valeva arrivare fino in fondo.

- Non devo rispondere a nulla, Rick.

- È un sì vero? Sei stata a letto con lui!

- Castle…

- Rispondimi Beckett! Rispondimi!

- Sì. - ammise in un sussurro mentre lui urlava colpendo la parete con un pugno così forte da far tremare in soprammobili sulla mensola. Kate lo guardò senza dirgli nulla mentre si stringeva la mano dolorante.

- Com’è stato Beckett? È stato come noi insieme?

- Adesso basta Rick! Basta!

- No! Non basta. Non basta perché per me non è stato più uguale. Non è stato più uguale con nessuna. Ti ho cercato in tutte Kate e nessuna era mai te. Ti volevo dimenticare e ti cercavo ovunque. Come faccio Kate? Dimmelo te come devo fare! Come ti dimentico? Come ti faccio uscire da me? Come faccio a vivere senza te?

Castle indietreggiò mentre lei si avvicinava, toccò il muro e si lasciò scivolare a terra. Kate si sedette vicino a lui e lo trascinò fino a fargli poggiare la testa sulle sue gambe. Se ne stava a terra come un cucciolo rannicchiato su di lei che gli accarezzava i capelli mentre era scosso dai singhiozzi.

- Nessuno è te Castle. Nessuno… - gli ripeteva faticando anche lei a trattenere le lacrime. 

Rimasero lì tutta la notte, nonostante il pavimento freddo e duro. Kate appoggiata al muro e lui su di lei. Non si guardano mai negli occhi, non si dissero altro. 

Kate si svegliò stiracchiandosi le braccia. Era indolenzita e ci mise un po’ a capire dove fosse. Era sul suo letto ed aveva una coperta addosso. L’ultima cosa che ricordava erano lei e Castle di là, sul pavimento e le mani tra i suoi capelli. Dalla luce che entrava nella stanza doveva essere ancora presto. Si passò le mani sul volto per cercare di capire mentre si tirava su, indolenzita evidentemente dal troppo tempo passato seduta a terra. Quando aprì la porta di camera la prima cosa che notò era che in quella stanza c’era troppa luce per i suoi occhi e il profumo del caffè, due tazze sul tavolino dove ricordava ci fossero le scatole del cinese la sera prima. Solo dopo vide la figura di Castle addormentato sulla divano. La sua giacca era poggiata sullo schienale di sedia. Ci passò la mano sopra sentendola ancora umida. Si avvicinò a lui, così grande costretto in quel divano non certo adatto alla sua stazza, cercando di fare meno rumore possibile e si sedette sul bordo vicino a lui. I capelli erano arruffati, merito delle sue attenzioni delle ore precedenti. Li accarezzò ancora e poi non resistette dal tracciare anche il bordo del suo viso. Si sentì gli occhi umidi che le pizzicavano. Perché non poteva essere tutto così semplice come doveva essere?

Aveva una mano che scivolava giù dal divano, la prese tenendola tra le sue, accarezzandogli il dorso con quei piccoli cerchi appena sfiorandolo. Quanti giorni erano stati a comunicare solo in quel modo? Eppure le sembrava che ci riuscissero meglio di quanto facevano ora a parole. Si prese un po’ di tempo per guardarlo, se è possibile era più bello di quando lo aveva lasciato, con i capelli più corti, quel filo di barba che le piaceva tanto ed ora che lo poteva osservare con tranquillità notò anche come era dimagrito.

Deglutì a fatica pensando a tutto quello che aveva perso. Lui. Tutto. Sentì tutto il carico di quei mesi piombarle addosso così difficile da portare che se ne sentì schiacciata e senza volerlo strinse troppo la sua mano, troppo da svegliarlo.

Come Castle aprì gli occhi, Beckett lasciò la presa, nemmeno si fosse resa conto di avere tra le mani lava incandescente. Si guardarono per uno di quegli istanti troppo lunghi, nei quali loro si dicevano tutto senza saperlo. Si alzò di scatto, lasciandogli lo spazio per farlo anche lui e lo guardava strofinandosi con forza le mani, come a voler cancellare la sensazione della sua pelle sotto le sue dita.

- Io… io… Ti ho solo messa a letto… Eri scomoda a terra… Era freddo… e… ti ho coperto… ma… - Castle balbettava cercando giustificazioni a qualcosa che lei non gli aveva chiesto.

- È ok Castle. È ok. Grazie. - Lo rassicurò lei.

- Ok. Io sono rimasto qui. - Sottolineò ancora specificando come le era rimasto a distanza. - Avevo preparato il caffè, sarà freddo però adesso.

Rick si affretto a prendere una tazza e si alzò per dargliela. Kate la prese, non scottava, ma sentì le dita calde di Castle che si incrociarono per qualche istante con le sue, accarezzandosi a vicenda in un gesto fin troppo intimo per loro in quel momento. 

- Grazie… - Gli sussurrò portandosi poi la tazza sulle labbra inspirando prima l’aroma e poi gustandone il sapore. Era il caffè più dolce che avesse bevuto da tanto tempo, dall’ultimo che le aveva portato lui.

Rick inclinò la testa poco di lato osservandola con un sorriso timido sulle labbra. Solo ora che era più lucido riusciva a vederla bene e a notare i suoi cambiamenti, non il pomeriggio prima a casa sua quando era ubriaco di lei, non la notte precedente quando era ubriaco di tutto il resto. Quei capelli più corti e più scuri la facevano sembrare più ragazzina e gli ricordavano i primi tempi quando l’aveva conosciuta. Avrebbe voluto veramente tornare indietro negli anni a quei giorni e non lasciar correre nulla, non perdere tempo con lei.

Non si era nemmeno accorto che aveva allungato una mano sulla sua spalla, a toccare quei capelli più corti che sfioravano la linea del collo come lui e Kate istintivamente piegò la testa verso il suo tocco, facendolo però ritrarre subito. Sospirarono entrambi, sospesi tra il volersi e la paura di prendersi.

- Scusami ancora per ieri. - disse Rick molto più serio e Kate poggiò la tazza sul mobile più vicino perché era convinta che il momento di parlare era arrivato. - Io… non dovevo. Scusami Kate. È stato un errore.

Beckett deglutì a vuoto mentre sentiva le sue parole trafiggerla come una lama rovente.

- Non lo è stato… Non per me… - Provò ad avvicinarsi ma appena fece un passo lo vide irrigidirsi e si fermò, abbassando lo sguardo, vedendo i suoi pugni chiusi, stretti ai fianchi del suo corpo, dimostrando che anche lui era teso in quella situazione.

- Io… Io sto con Vanessa, Kate. - Lo disse quasi rassegnato e lei annuì con la stessa rassegnazione. - È una bella persona, mi ha aiutato molto quando… nei mesi scorsi… - Non riusciva a dirle che lo aveva fatto quando stava male per lei. 

- Sì… sì… io… lo so. Insomma, ho letto. - Ammise Kate con altrettanta difficoltà.

- Oh… - Esclamò Rick stupito che lei avesse continuato ad informarsi su di lui.

- Rick… Perché sei venuto qui ieri sera? - Kate aveva trovato il coraggio di fargli quella domanda che dalla sera prima l’aveva tormentata. Castle sembrò sorpreso di quella domanda.

- Io… non lo. Per scusarmi, credo… Sai ieri sera non ero molto lucido… - Non sapeva veramente perché era andato lì o non se lo voleva dire. Voleva risposte, voleva vederla. Oh sì, voleva vederla, ma dirle che voleva scusarsi era la cosa più diplomatica che gli era venuta in mente. Era da galantuomo, ci faceva una bella figura.

- Oh certo. Beh non c’era bisogno.

- No, no, Kate. Io non dovevo, noi ecco non dovevamo… - Era sempre più impacciato.

- Per Vanessa. - disse Kate

- Sì, certo. Per Vanessa. Però non dovevo lasciarti così, sono stato spregevole Kate. Scusami, veramente.

Kate adesso gli prese la mano, senza che lui potesse opporsi.

- Tu non puoi mai essere spregevole Rick. 

Lui le sorrise lasciando la mano nella sua e Kate riprese ad accarezzarla istintivamente e la schiena di Rick fu percorsa da una scia di brividi che solo il suo tocco poteva provocargli. Era tutto sbagliato. Era tutto giusto.

- Kate io… devo andare… - Lei lasciò la sua mano e si separarono a malincuore, lasciando le punte della dita sfiorarsi in un movimento troppo lento ed innaturale che voleva solo prolungare quel contrasto.

- Ti chiamo un taxi - disse lei affrettandosi a cercare il suo cellulare che non aveva la più pallida idea di dove fosse.

- Non c’è bisogno, ho la mia auto qui sotto. - Lui le sorrise mentre lei sgranò gli occhi dove incredulità e rabbia presero il posto a tutto il resto.

- Sei pazzo Castle? - Lo rimproverò alzando il tono della voce più di quanto non avesse mai fatto da quando era lì - Ieri sera eri… eri completamente fuori di testa! Come ti è venuto in mente di guidare?

Rick fu preso in contropiede da quella reazione. Provò a risponderle ma non fece in tempo perché le parole di Kate lo travolsero come una furia.

- Come ti è venuto in mente eh Rick? Pensi che ti vada sempre bene? Di essere immortale? Cosa avresti detto ancora, che eri più stanco del solito? Non ti può andare sempre bene che te la cavi con un braccio rotto Castle! 

A Castle veniva quasi da sorridere. Si erano detti mezze parole per lungo tempo ed ora lei lo stava investendo urlandogli contro perché aveva guidato ubriaco fino a casa sua. Sembrò non fare caso inizialmente a quello che stava dicendo, solo qualche istante dopo, quando già stava per rispondergli in modo scanzonato, rifletté sulle sue parole.

- Come fai a saperlo Beckett? Come sai della troppa stanchezza e del mio incidente? Non ho fatto uscire niente…

- Io… - Kate si morse il labbro, nella foga aveva detto troppo. Si era lasciata sfuggire quello che non voleva che sapesse, ed ora era lei che si sentiva in un angolo.

- Hai parlato con Lanie? Te l’ha detto lei? - Rick fece un passo verso di lei, come a volerla mettere in soggezione con la sua presenza fisica. Kate annuì.

- Come sai che ho detto che ero solo troppo stanco? L’ho detto solo ad una persona, Kate, dei drink e della stanchezza…

- Castle… Io… Lanie mi ha mandato un messaggio quella notte… - Beckett si voltò, il ricordo di quelle emozioni e di quel giorno la turbavano ancora.

Rick si sentì mancare il fiato per un attimo.

- I due caffè. Eri lì. - Non glielo chiese. Non aveva bisogno. Sapeva che era lei. Ma Beckett non rispose. - Kate, eri lì, vero?

- Sì - mormorò appena.

- Perchè?

- Dovevo vedere come stavi. Tu… ci sei sempre stato quando avevo bisogno… - Gli disse prendendo tutta l’aria che i suoi polmoni potevano contenere, come se poi non dovesse respirare più per tanto tempo.

- No, Kate, non perché sei venuta. Perché non me l’hai detto? Perché non ti sei fatta vedere? Perché sei rimasta dietro la porta? - Si era avvicinato di qualche passo tanto che poteva sentire il suo respiro accelerato. Lei si voltò di scatto trovandoselo più vicino di quanto pensava, con i loro volti a pochi centimetri di distanza.

- Perché tu stavi bene perché c’era lei. E io… volevo solo che tu stessi bene. - Lo fissava negli occhi adesso ed era quasi una sfida a chi resisteva di più.

- Non ti sei mai chiesta come sarei stato se ci fossi stata tu, vero? Non ti è mai venuto il dubbio che… sarei potuto stare meglio se c’eri tu?

- Non volevo complicarti le cose.

- Ora cosa stai facendo Kate? Ora molto di più… - Fu Beckett la prima ad abbassare lo sguardo e a sussurrare un altro mi dispiace. - Dispiace molto di più a me Kate… Molto di più.

Kate avrebbe solo voluto appoggiarsi nella perfetta curva tra il suo collo e la sua spalla e lasciare che tutto il resto del mondo le scivolasse intorno mentre lei era a casa. Dovette invece allontanarsi, perché la loro vicinanza era troppa per essere sopportata, le faceva male a livello fisico averlo lì e non poterlo toccare, abbracciare, baciare.

- Voglio solo che tu sia felice Rick. Se lo sei con Vanessa, va bene… - Si morse il labbro mentre glielo diceva e lui non riuscì a dirle nulla.

- Devo andare Kate… Devo proprio andare adesso… - Prese la giacca dalla sedia e la indossò stancamente andando verso la porta. Beckett lo seguì, come se lui fosse una calamita e lei non potesse fare a meno di essergli vicino. Aveva la mano già sulla maniglia quando la salutò.

- Ciao Beckett… magari ci rivedremo… un giorno…

- Non te ne andare Castle. - Aveva buttato via ogni residuo della sua fierezza. Lo avrebbe pregato se fosse servito, mentre una lacrima scendeva dal suo volto. Lui le sorrise dolcemente, andando a cancellarla via con la sua mano, alla quale lei si appoggiò e lui non ritrasse, prolungando il loro contatto.

- Non posso rimanere Kate. Sono stato troppo male. Troppo.

Lei annuì sapendo di essere responsabile di tutto quello.

- Sai Beckett qual è la cosa che mi è mancata più di noi in questi mesi? - Lei lo guardò scuotendo la testa - Tu.

Le accarezzò ancora il viso, poi Castle si chiuse la porta dietro le spalle e Kate fu libera di piangere.

Rick avrebbe voluto veramente andare subito da Vanessa, lasciarsi alle spalle le precedenti 24 ore, Kate Beckett e tutto quello che aveva riportato nella sua vita. Ma non ce la faceva. 

Ogni singolo minuto trascorso con lei era un film che si ripeteva nella sua mente, ripensava soprattutto a quella notte. Si era addormentato sulle ginocchia di Kate e quando si era risvegliato oltre ad un grande mal di testa, aveva un senso di vergogna che faticava a sostenere. Si era alzato dal pavimento cercando di fare il minor rumore possibile, deciso ad andarsene da lì, scappare di notte come un ladro o un vigliacco. Vigliacco, ecco sì, quello si sentiva di essere, fin da quando l’aveva lasciata nel suo letto mezza nuda. Un bastardo ed un vigliacco ed avrebbe fatto bene a scappare via, perché non avrebbe retto il suo biasimo quando lo avrebbe trovato più lucido per poterlo affrontare. Era certo che la sera prima non l’avesse fatto per pietà per il suo stato. Poi però la vide, lì a terra, dove si era messa per lui, per stargli vicino. La luce della strada entrava dalle finestre con le imposte aperte e illuminava appena il suo volto. Era bella. Tanto. Troppo. Come troppo era tutto quello che c’era tra loro.

Non poteva lasciarla lì, non ancora una volta. Era un gentiluomo, dopotutto, anche se con lei sembrava esserselo dimenticato. La prese da terra, sollevandola senza troppo sforzo. Era dimagrita dall’ultima volta che erano stati così vicini, eppure gli sembrava stesse bene. Dormiva profondamente, ma appena lui la strinse tra le sue braccia la sentì mugugnare qualcosa e stringersi di più a lui. 

- Castle… - Kate era in uno stato di dormiveglia, aveva appena aperto gli occhi, ma non era certo che fosse sveglia. -… Ti amo Castle. 

Le sue parole erano appena comprensibili e lo furono ancora meno quando lei si strusciò sul suo collo, abbracciandolo e baciandolo dolcemente lì, proprio nell’incavo della spalla, dove si appoggiò addormentandosi di nuovo. Lui era rimasto immobile con lei in braccio, e forse sarebbe rimasto così per sempre, se le braccia non avessero cominciato a formicolare. La portò rapidamente nella sua stanza, adagiandola al centro del letto. Trovò una coperta su una sedia vicino la finestra e l’aprì sventolando un po’, per poi coprirla.

Ora poteva andare, ma c’era ancora qualcosa che lo teneva. Un minuto, si disse. Solo un minuto per guardarla dormire, essere sicuro che stesse bene. I minuti diventarono ben più di uno e lui si era seduto sul bordo del letto vicino a lei. Non faceva nulla, non osava sfiorarla in alcun modo perché sapeva che per lui era troppo pericoloso. Già era stato difficile tenerla tra le sue braccia e fare finta di niente quando gli diceva di amarlo. 

- Perché te ne sei andata Kate? Perché mi hai lasciato? Perché hai distrutto noi? Potevamo essere felici, eravamo felici. - Castle sussurrava le sue parole impercettibilmente. Tutto quello che avrebbe voluto era lì, a pochi centimetri da lui, ed era anche tutto quello che non poteva permettersi di volere.

Un minuto, solo un minuto per guardarla dormire ancora. Ed il tempo passava e lui non riusciva a smettere di farlo fino a quando lei non si mosse, mettendosi di fianco ed allungando involontariamente la mano fino a toccare la sua poggiata sul materasso. Si alzò di scatto ma si fermò a guardarla e quando si mosse ancora, decise che quello era il momento giusto per andarsene. Rischiò, però, più del dovuto, chinandosi su di lei e lasciandole un timido bacio sulle labbra, pentendosene subito, perché erano troppe morbide e troppo tentatrici per resisterle. E i baci diventarono due e poi tre e sperava che si svegliasse, come nelle favole, e temeva che lo avrebbe fatto.

Si trascinò via dalla sua camera, forzandosi fisicamente e mentalmente, ma non riuscì ad andarsene da quella casa e non sapeva perché, ma poggiò la giacca sulla sedia, si accomodò sul divano addormentandosi poco dopo.

Si era svegliato prima che lei se ne accorgesse e gli era un po’ dispiaciuto approfittarsi così di quel tocco gentile ma sarebbe rimasto così anche più a lungo se la sua stretta più forte non gli avesse dato la giusta scusa per aprire gli occhi. E la magia finì, o meglio ne era cominciata una diversa, fatta di sguardi, di parole balbettate, di gesti, di dita che si sfiorano casualmente ed intenzionalmente continuano a farlo. Tutto era come si immaginava. Sarebbe stato un addio dolce e malinconico, carico di tutto quello che poteva essere e non sarebbe mai stato. Fino a quella rivelazione sfuggita. Era andata da lui. Era partita non sapeva da dove, per andare da lui e quando l’aveva visto tranquillo, se n’era andata per non turbarlo.

Fermò l’auto parcheggiando ai bordi della strada. Perché non se n’era accorto? Perché non aveva percepito la sua presenza? Perché non aveva capito che quei caffè erano i suoi? Era ancora in tempo lì, forse, per tornare indietro o per non andare troppo avanti senza di lei?

Lasciò che quei pensieri scivolassero via e raggiunse casa di Vanessa. Attese che le aprisse la porta con lo sguardo basso di chi sa di essere in errore, aspettando la scure che doveva arrivare, perché se la meritava. Quello che non si aspettava era che lei lo abbracciasse.

- Dove sei stato Richard? Hai lasciato qui le chiavi ed il cellulare! Ho provato a chiamarti e… Sono stata in pensiero!

Era quella forse la domanda peggiore, perché prevedeva necessariamente una bugia. Non avrebbe mai potuto dirle che aveva passato la notte da Kate, anche se le avesse detto la verità, che aveva dormito sul suo divano, perché le avrebbe dovuto spiegare troppo cose, anche se una spiegazione gliela doveva.

- All’Old Haunt. Ho un ufficio lì sotto.

- Perché non sei tornato qui? Cosa è successo? Ehy Richard? - Castle con lo sguardo basso non la guardava. Si trascinò stancamente dentro casa, sedendosi su una delle sue nuove poltrone rosse mentre lei rimaneva in piedi davanti a lui.

- Ieri ho visto Kate. È venuta a casa mia poco dopo che te ne sei andata. Abbiamo parlato un po’, non è stata una conversazione facile. - Non era una bugia, era una mezza verità, provò ad autoassolversi Rick. Perché dirle cose che l’avrebbero ferita che non avevano alcun significato?

- Oh… beh… io… capisco, Richard… capisco… - Vanessa sembrò accusare il colpo e capire, veramente, molto più di Castle la situazione, che invece continuava a negare a lei e soprattutto a se stesso.

- No, Vanessa, non è come pensi. È stato difficile, è una ferita che si è riaperta. Ma… ecco… sì, è stato difficile, dirle addio. Le ho detto di te… di noi… Che sono felice con te, che tu sei importante per me. Ieri… è stata dura, è tornato tutto quel passato doloroso addosso… Però… Piccola, gliel’ho detto, io ho te adesso. 

Aveva faticato a parlarle e aveva faticato a sentire le sue stesse parole. L’aveva presa per una mano e fatta sedere sulle sue gambe. Lei si era stretta contro il suo petto mentre lui inspirava forte il suo profumo, sperando che bastasse per fargliene dimenticare un altro. Quando lo baciò sul collo e poi sempre più su, fino all’orecchio, stimolandolo dove era più sensibile, in quel punto che aveva scoperto subito, quasi avesse un radar naturale, sentì il desiderio crescere, ma nessun brivido sulla schiena. Castle chiuse gli occhi, lasciandola fare, mentre con la mano accarezzava la sua gamba, velata dalle autoreggenti, salendo su, fino a quel tratto di pelle nuda sotto il vestito, fino i glutei, incontrando il filo del perizoma che spostò, per accarezzarla meglio, per accarezzarla dove voleva. Vanessa si alzò, solo per sfilarsi via ciò che era di troppo e poi sedersi di nuovo su di lui ricambiando le sue attenzioni fino ad arrivare lì dove la sera prima si erano interrotti.

Castle lo aveva fatto tenendo tutto il tempo gli occhi chiusi. Lo aveva fatto con Vanessa, pensando a Kate. Come gli succedeva con le altre, con tutte le altre che non erano Kate. Si era illuso che Vanessa fosse diversa, ma era bastato riavvicinarsi a Kate perché lei riprendesse possesso di ogni parte di lui, ma non voleva e non doveva permetterglielo perché ora, abbracciato a lui c’era un’altra donna che non si meritava la sua assenza. Vanessa gli era rimasta abbracciata e lo teneva stretto, come se dentro si se sentisse che gli stava sfuggendo via, che c’era una forza più grande contro la quale doveva combattere. Rick le accarezzava la schiena con la testa appoggiata sulla sua spalla, baciandole il collo lasciato scoperto dai capelli volendosi convincere che in fondo non stava così male.

—

“Oggi non voglio scuse. Vieni a pranzo con me o vengo a casa tua e ti porto via con la forza”. Erano più o meno queste le parole che Lanie le aveva detto al telefono quella mattina, strappandole una risata tra le lacrime. Lanie si era accorta che piangeva, ma non aveva voluto dirle niente né farle domande, ci avrebbe pensato dopo.

Così Kate aveva raggiunto Lanie in un ristorante vicino al distretto dopo essere passata a salutare i ragazzi. Ancora non le sembrava vera tutta quella libertà di muoversi, di girare per la sua città senza qualcuno che le dicesse dove poteva andare e cosa poteva fare. Aveva discusso anche quella mattina con la Gates sull’opportunità di non avere una scorta ma era stata decisa questa volta, non voleva più vivere in gabbia. Fosse stato anche solo per un giorno.

La prima cosa che si scambiarono le due amiche fu un lungo e sincero abbraccio.

- Ragazza fatti guardare… Cosa hai fatto ai tuoi capelli?

- Non ti piacciono? Ora sono anche un po’ ricresciuti… - Disse Kate toccandosi le punte e pensando a quanto li avrebbe voluti più corti quando era andata a darci un taglio netto. Sembrava una vita fa.

- Sì, tu stai sempre bene ma… perché? 

- Perché dovevo dare una svolta, ed i capelli non sono la prima cosa che si cambia?

Lanie annuì ed entrarono insieme nel locale, accomodandosi in uno dei tavoli vicino alla vetrina. La dottoressa voleva sapere tutto, e quando Lanie diceva tutto era proprio tutto. Dettagli inclusi, anzi specialmente quelli.

Così Kate cominciò a raccontarle di cosa era accaduto il giorno prima con Castle, omettendo a dire il vero un bel po’ di dettagli, fino a quando era tornato da lei ubriaco, alla strana notte passata a casa insieme, fino a come si era tradita sul suo incidente e a come le aveva detto addio, devastandola.

- Io credevo che il tuo scrittore fosse un po’ stupido, certo non pensavo fino a questo punto. - Le disse Lanie mentre prendeva una patatina dal piatto di Kate.

- Punto primo, mi pare evidente che non sia il mio scrittore. - Ribattè Beckett sottolineando fin troppo quel “mio” con grande rimpianto.

- Punto secondo? Perché se c’è un primo, ci deve essere un secondo. - Puntualizzò la dottoressa facendo già esasperare Kate.

- Non è stupido. È ferito. 

- Ecco, certo, ci manca solo che tu lo giustifichi. No, ma dico, ti senti? Poi cosa altro Kate? Vuoi andare a fare la damigella di nozze al suo matrimonio con Vanessa? Saresti carina a lanciare petali di rosa sul loro cammino.

- Per favore Lanie! - La pregò nauseata dall’idea di quella scena.

- Per favore cosa Kate? Sei innamorata di Castle, glielo dici, lui ti usa come nemmeno la peggiore delle donne che si è raccattato in questo periodo e tu lo stai scusando? Dopo che viene a casa tua e ti fa anche la predica? Stai bene?

- No! - Esclamò - Non sto bene… ma non come intendi tu.

- Allora diglielo. Kate, agisci! Castle è stupido, ma è innamorato di te, lo so. L’ho visto come cambiava di umore ogni volta che capitava che si parlava di te, anche se c’era Vanessa, lui si isolava ed era più fuori dal mondo del solito.

- Tu… cioè, voi… siete usciti insieme? - Chiese Kate come se stesse ricevendo un altro pugno nello stomaco in quel momento e Lanie la vide irrigidirsi e si maledì per quell’uscita infelice che poteva evitarle. Le prese la mano abbandonata sul tavolo, aveva anche smesso di mangiare il suo hamburger.

- È capitato, un paio di volte. Una volta per caso, all’Old Haunt, eravamo usciti per festeggiare Ryan e Jenny… - Kate la guardò ancora perplessa e Lanie capì che non sapeva niente nemmeno di quello - … aspettano un bambino. 

- Oh… è bellissimo… - disse solo Beckett felice e malinconica allo stesso tempo per essersi persa quel momento.

- Rick e Vanessa erano lì e ha voluto che ci unissimo a loro, ma sai Kate, senza di te non era la stessa cosa, e non era nemmeno lo stesso Castle. Si vedeva che gli mancava qualcosa, si guardava intorno, ogni tanto come se fosse perso e quando incrociava il mio sguardo io lo so che cercava te.

- Basta Lanie… Per favore.

- No, Kate, devi sapere come stanno le cose. Quello stupido scrittore potrà dire a parole quello che vuole, ma è innamorato di te almeno quanto tu lo sei di lui. 

Beckett sbuffò guardandola di traverso, con uno di quegli sguardi che se avesse potuto avrebbe incenerito la sua amica lì, in quel ristorante, davanti a tutti ed aveva un movente più che valido.

- Beh? Che c’è? Sai Kate, a volte mi stupisco come tu possa essere la migliore detective di New York e poi non notare certe cose! Andiamo tesoro, tu cerchi i particolari per lavoro e possibile che non vedi cose che sono grandi come una casa? 

- Ma cosa c’è da vedere? Gli ho detto che lo amo, gli ho chiesto scusa, gli ho detto di restare e lui mi ha detto che doveva tornare da lei. Qualsiasi cosa provi, mi pare chiaro quello che vuole. E non sono io. Lo avevo messo in conto che sarebbe accaduto. 

- Credimi Kate, se dovessero giudicare le tue capacità investigative per come riesci a capire le cose della tua vita privata al massimo ti manderebbero a gestire il traffico all’uscita delle scuole. - Di fatto Lanie tra un rimprovero e l’altro stava finendo le patatine nel piatto di Kate tralasciando completamente la sua insalata.

- Grazie Lanie, tu sai sempre come aumentare la mia autostima! - Anche Kate cercava qualche patatina rimasta nel piatto, ma poichè sembrava che ad entrambe interessassero solo quelle, ne ordinò un’altra porzione, doppia, con formaggio che per fortuna il cameriere portò presto mettendola proprio al centro tra di loro.

- Ragazza, non è colpa mia se c’hai messo quattro anni, no dico quattro anni a capire che quello scrittore lì è innamorato di te e tu sei innamorata di lui! E poi che fai? Lo lasci.

- L’ho fatto solo perché lo amavo e volevo fosse felice e al sicuro.

- Certo, come no. Tu dai la caccia ad un super ricercato per anni e quando lo catturi lo lasci andare perché è troppo colpevole. 

- È così… Non mi credi? - Le disse Beckett piccata mentre il formaggio sopra le patatine filava e lei cercava di interrompere quel legame ma sembrava impossibile, come lei e Castle, in fondo. Si diede della stupida da sola e se avesse potuto si sarebbe anche picchiata, non poteva pensare a lui anche mangiando patatine.

- Allora perché sei tornata? Perché ti sei preoccupata di andare da lui quando hai letto che si doveva sposare? Dimmelo, anzi dillo a te stessa, perché credo che tu non lo abbia fatto.

- Perché volevo vedere se era vero e se era felice. Lo è, va bene così. - Sospirò.

- Quindi per te, uno che è felice di sposarsi con un’altra, ti prende e ti porta nel suo letto e fate l’amore. Certo. Come no. - Beckett la guardò perplessa. - Tesoro raccontale ad un’altra queste cose, non a me.

- Si può fare sesso anche senza essere innamorati, lo sai bene. 

- Oh certo che lo so. Ma non tu con Castle. Non se tu sei totalmente innamorata di lui. È impossibile tesoro. Impossibile. Lo avresti potuto fare con quel Nick, ma non con Castle. 

Lanie vide Kate arrossire ed abbassare lo sguardo.

- Lo hai fatto? Tu e detective megafusto? - L’attenzione di Lanie era di nuovo tornata alle stelle verso quello che le avrebbe detto Kate, perché oh sì, le avrebbe detto tutto.

- È capitato, qualche volta. Ma non c’è niente tra noi. - Kate si morse il labbro imbarazzata.

- Oh ragazza! Che non ci sia niente tra di voi non stento a crederlo, ma complimenti perché Price è veramente un bel bocconcino. - Le disse tutta eccitata

- Non mi rimproveri? Non mi dici che se ero innamorata di Castle non dovevo farlo? - Chiese stupita

- No! Certo che no! Lui non si è fatto problemi a farsi qualsiasi ragazza che gli ronzava intorno. Ehy tesoro, mi dispiace ma è così, lo sai anche tu! 

Lanie vide Kate rabbuiarsi ancora, perché a lei il pensiero di Castle che passa da donna a donna e che si butta via, faceva se era possibile ancora più male di saperlo felice con Vanessa.

- Allora? Non mi dici nulla? Com’è il megafusto? - Provò a farle spostare i suoi pensieri ma dallo sguardo di Kate capì che non c’era riuscita.

- Non era Rick, Lanie. Nessuno è lui. - Sentì le lacrime pizzicarle di nuovo gli occhi. Era troppo vicino il ricordo di lui che la stringeva, dei loro corpi vicini, della sua bocca e delle sue mani.

- E allora vattelo a riprendere Kate… Lui ti ama, lo sai anche tu. 

Kate scosse la testa, in realtà non sapeva nulla. Provò ad affogare i pensieri nelle patatine e nell’hamburger ormai freddo, mentre Lanie la guardava sospirando. Quei due non si sarebbero mai ritrovati se avessero continuato a stare chiusi nel loro dolore facendo finta di niente.

Kate era andata a parlare con Burke quella sera stessa. Gli aveva chiesto un appuntamento, con la massima urgenza e lui le aveva detto di raggiungerlo dopo il normale orario di visita.

Fu una chiacchierata informale, nella quale il dottore più che altro si informò dei suoi ultimi mesi e di come la situazione si era evoluta. Burke sapeva benissimo che Kate non sarebbe stata tranquilla e serena fino a quando quel caso non sarebbe stato chiuso, perché non era solo una questione di lavoro, ma ormai una questione privata che la toccava da più punti, andando a colpire direttamente i suoi affetti più importanti. Gli aveva parlato anche di Castle, non nascondendogli nulla della loro relazione, di come era finita e di come si fosse sentita persa senza di lui, della decisione di tornare per darsi un’altra possibilità e di tutti i fatti più recenti, fino a quella stessa mattina quando l’aveva lasciata. Definitivamente.

Lui si limitò ad ascoltare, come faceva sempre.

- Ha fatto bene a provarci Kate. Se dentro di se sentiva che c’era una possibilità che la vostra storia non era realmente finita, ha fatto bene a parlargli. Sarebbe stato peggio rimanere con il rimpianto di non averci provato.

Burke la vide stringere i pugni ed abbassare lo sguardo, la vedeva era a disagio adesso.

- Cosa altro c’è Kate?

- Lanie, una mia cara amica, dice che secondo lei Castle è ancora innamorato di me e che dovrei aprire gli occhi.

- E Lei cosa pensa, invece?

- Mi ha lasciato, dicendomi che andava dalla sua compagna perché io gli avevo fatto troppo male. Però non lo so, ogni volta che ci sfioriamo, io… nei suoi occhi vedo che c’è dell’altro.

- Ci spera ancora Kate? Dentro di lei, nel profondo, ha ancora una speranza? - Le chiese Burke accavallando le gambe in attesa della risposta alla domanda che credeva più difficile, ma che invece arrivò senza dover aspettare troppo, perché Beckett rispose di getto.

- Sì. Sempre.

Il dottore le sorrise e la salutò. Non avevano altro da dirsi, ma le comunicò che per lui era tutto ok, sarebbe potuta tornare a lavoro non appena il distretto lo riteneva opportuno, non c’era nessun vincolo negativo da parte sua.

Erano passati un paio di giorni che aveva usato per riprendere pieno possesso della sua vita e della sua casa, facendo anche quelle cose banali per gli esseri umani ma necessarie per vivere, tipo fare la spesa. Era andata a trovare suo padre ed avevano cenato insieme, parlando non più del solito nonostante l’assenza prolungata dicendosi il minimo indispensabile, capendosi molto di più. Era uscita di nuovo a pranzo con Lanie ed avevano organizzato una serata sole donne con Jenny, perché Kate voleva essere aggiornata di tutti i particolari. Era un maschio, lo avevano saputo da poco e ancora non lo sapeva nemmeno Lanie. Avevano brindato, tutte rigorosamente con analcolici, alla bella notizia e si erano perse per ore in chiacchiere entusiaste sulla gravidanza di Jenny e riso quando lei raccontava tutte le fobie di Kevin futuro papà. Una serata bella. Una serata normale. Una serata nella quale il pensiero di Castle non l’aveva ossessionata, almeno fino a quando non era tornata a casa sola e lo vedeva dormire sul divano, ma lui ovviamente non c’era. Fisicamente. Per tutto il resto era lì. La sua ingombrante presenza era sul divano, sul pavimento, nella cucina, vicino alla finestra. Dentro di lei, soprattutto.

Castle però non era nell’appartamento di Kate, non era nemmeno al loft e nemmeno a New York. Era partito da qualche giorno con Vanessa che doveva tornare a Los Angeles per riprendere il lavoro e lui aveva pensato che allontanarsi da lì e mettere più chilometri possibili tra lui e Kate fosse la cosa migliore. Migliore per far continuare la sua vita sullo stesso binario ormai già conosciuto, senza ulteriori deragliamenti. Aveva scelto Vanessa, l’unica scelta possibile per non soffrire ancora, per non farsi annientare. Per essere felici ci sarebbe stato tempo.

Tornare al distretto, per Kate, voleva dire tanto, fino a qualche tempo prima avrebbe detto tutto. Era emozionata, non poteva negarlo. Era passato tanto tempo da quando era stata una poliziotta per l’ultima volta, il giorno che aveva portato la sua vita a cambiare per sempre. Il giorno che aveva preso coscienza di quello che era e di quello che voleva.

Si vestì con molta cura quella mattina. A New York faceva molto freddo ed aprendo l’armadio scelse di indossare di nuovo quegli stivali con il tacco alto che non metteva da tempo. I pantaloni neri fasciavano le sue lunghe gambe ed il maglione dello stesso colore a collo alto era caldo e confortevole. Tirò fuori quel cappotto con le rifiniture in pelle e prese una grande sciarpa per coprirsi meglio. Guidò tra il traffico impaziente di arrivare e di ricominciare.

Le tremarono le mani quando la Gates le riconsegnò distintivo e pistola. Li strinse tra le mani, accarezzando il metallo freddo. Erano solo dei simboli, certo, però in quel momento volevano dire molto di più, voleva dire riappropriarsi di una parte di se stessa, quella che per anni l’aveva caratterizzata più di ogni altra, Detective Kate Beckett, questo era. Detective, prima di tutto. In quei mesi non senza difficoltà, invece, aveva imparato ad essere Kate, con tutte le sue sfaccettature, aveva imparato a guardarsi dentro e a perdersi negli abissi della sua anima, a conoscere ed accettare le sue paure e le sue debolezze, a non aver paura di mostrarle. Aveva ritrovato anche la Kate spensierata e ragazzina che aveva abbandonato tanti anni prima, ma quei giorni preferiva non ricordarli, per non prestare il fianco ad altro dolore con il ricordo di Castle e di come la faceva sentire.

Agganciò il distintivo ai pantaloni e mise la pistola nella fondina: uscì da lì andando direttamente alla sua scrivania come se nulla fosse, come se tutto fosse come sempre e lei fosse stata via solo qualche giorno e non così tanti mesi.

Si sedette sul bordo della scrivania osservando la lavagna debitamente compilata da Ryan ed Esposito. Una giovane ragazza uccisa e tutti gli indizi portavano al suo fidanzato. Erano andati a prenderlo, le aveva detto un’agente che era passato vedendola attenta a leggere la loro ricostruzione: un caso tutto sommato semplice, ma di quelli che considerava molto fastidiosi, dove una donna era vittima solo in quanto tale.

Dalla stanza adiacente alla sala interrogatori assistette all’interrogatorio condotto dai suoi due amici.

- Dici che confesserà? - Price le si era avvicinato porgendole un caffè che però rifiutò

- Probabile. Non mi sembra un osso duro. È uno di quelli che sanno fare i duri solo quando sono in posizione di vantaggio, poi si piangono addosso. - Sorrise Kate amaramente mentre Nick beveva il caffè che aveva preparato per lei.

Aveva avuto ragione, il ragazzo era crollato rapidamente. Aveva provato a negare per un po’, poi si era sciolto incalzato da un ruvido Javier.

- Wow Javi hai imparato a far crollare un sospettato nella sala interrogatori! - Lo prese in giro Kate appena uscirono.

- Ehy guarda chi si rivede! Kate Beckett è tornata tra noi! Visita di cortesia oppure… 

Kate scostò la giacca mostrando il distintivo con un ampio sorriso.

- Oh beh, congratulazione Beckett! Di nuovo in pista! - Kevin la abbracciò e subito dopo di lui Javier fece lo stesso.

- Novità? - Chiese ai due con un tono che non lasciava molto spazio a per avere dei dubbi su cosa si riferisse.

- No… Però… seguiteci. - Esposito e Ryan si incamminarono per il corridoio fino ad arrivare ad una porta in fondo al distretto. Digitò un codice sulla tastiera posta vicino all’entrata e la serratura si sbloccò. I quattro entrarono e Price aveva rivolto alcune occhiate interrogatorie a Kate a chiederle cosa fosse e dove stessero andando, ma lei, scuotendo la testa ed alzando le spalle gli fece capire che non ne sapeva nulla.

Uno schermo illuminato in fondo alla stanza era l’unica cosa che riuscirono a vedere fino a quando Ryan non accese la luce, chiudendo subito la porta alle loro spalle.

- Allora? - Chiese Kate non capendo perché erano lì fino a quando Javier non accese un computer e lo schermo si riempì di immagini.

- Vedi Kate… dopo gli ultimi fatti e l’ultimo agguato prima che voi andaste via, beh… Noi ci siamo consultati con la Gates e con Bratton. Sono stati loro a darci questo spazio e la possibilità di continuare ad indagare usando tutti i mezzi che la polizia può metterci a disposizione. 

Beckett fece scorrere le immagini sullo schermo vedendo delle scansioni delle pagine semibruciate dei documenti di Smith e si allarmò.

- Chi altro sa di questo? - Chiese indicando lo schermo con tono autoritario

- Noi, la Gates e Bratton. Nessun altro. Non abbiamo fatto analizzare le pagine alle scientifica per evitare che le informazioni arrivassero a chi non devono. Ci stiamo lavorando solo noi, abbiamo solo fatto esaminare un pezzo di carte per vedere se potevamo sapere qualcosa o se c’erano tracce di DNA. Ma nulla a parte quelle nostre e di Castle. - Spiegò Ryan

- Siamo ad un punto morto Kate. Ogni pista che abbiamo percorso ha portato ad un nulla di fatto, compresa l’ultima. Ogni volta che ci muoviamo, dall’altra parte tagliano il ponte che ci porta a loro.

Kate si sedette sulla sedia. Era tutto molto, troppo frustrante.

- Ci sono stati altri episodi? - Chiese Kate

- Che episodi? - Javier e Kevin si guardarono senza capire

- Pericoli. Per Castle o la sua famiglia.

- Uhm… no, che noi sappiamo no - rispose l’ispanico

- Che vuol dire che voi sapete? Se è successo qualcosa gli uomini di scorta ve l’avranno detto, no? - Beckett cominciava già a perdere la pazienza.

- Castle e la sua famiglia non hanno più la scorta da tempo - disse Ryan come se le stesse dicendo una cosa ovvia.

- Cosa? - Esclamò Kate alzandosi in piedi con le mani piantate su una delle scrivanie.

- Qualche giorno dopo che tu te ne sei andata, una settimana forse - ricordò Kevin - Castle è venuto dicendo che non voleva più la scorta né per sé né per Martha o Alexis. La Gates ha provato a farlo ragionare ed anche il suo amico Bratton, ma lui ha detto che se tu non c’eri lui non era più in pericolo. Non hanno potuto fare altro che accontentarli.

- Beh, Martha era la meno contenta, quei due giovani agenti li apprezzava molto! - La battuta di Javier fu decisamente fuori tempo e si attirò un’occhiata truce da parte degli altri tre.

- Non ha senso. Rick non avrebbe mai esposto Martha ma soprattutto Alexis a dei pericoli solo per una sua sensazione che non l’avrebbero più cercato.

- Cosa vuoi dire Kate? - Chiese Esposito tornato serio.

- Che lui doveva avere la certezza che non sarebbe accaduto nulla a sua madre e a sua figlia. Come avete fatto a trascurare questa cosa? Possibile che non ci avete pensato? Rick non metterebbe mai a rischio Alexis! Mai! - Li riprese Kate mentre i due detective abbassarono lo sguardo colti nel segno della loro mancanza.

- Come poteva averla? - Chiese Nick intromettendosi nel discorso.

- Castle ha scoperto qualcosa. Qualcosa che gli ha fatto ricollegare i pezzi. Già mi aveva accennato di aver scoperto qualcosa riguardante la Future Foward in biblioteca, ma non ne abbiamo mai parlato fino in fondo. Se Caslte decide di rinunciare alla scorta è perché lui sa di essere al sicuro. - Ragionò Beckett ad alta voce.

- A cosa stai pensando? - Le chiese ancora Nick

- Castle sa chi c’è dietro. E da bravo giocatore di poker ha bluffato. Ha fatto lui l’accordo che prima aveva Smith. - Disse Kate fissando la lavagna. - È mai venuto al distretto? Altre volte dico, oltre quella che ha rinunciato alla scorta.

- Solo una volta - Rispose Esposito - Ma prima. Era il giorno stesso in cui sei andata via.

- Già! - Continuò Ryan - Voleva sapere dove eri, è stato molto insistente! Ha anche discusso con la Gates.

- Tutto torna… Lui voleva dirmi quello che aveva scoperto e non trovandomi ha fatto di testa sua, come sempre. - Disse Kate amaramente scuotendo la testa.

- Come fai ad esserne certa Kate? - Chiese Ryan

- È Castle. Lo conosco. - Guardò con attenzione ognuno dei tre uomini. Nessuno osò contraddirla.

Se Kate avesse seguito il suo istinto sarebbe uscita dal distretto ed andata immediatamente al loft da Castle. Quello che fece, però, fu far prevalere la ragione e approfondire di più quello che era stato fatto durante i suoi mesi d’assenza. Controllò tutto il dossier su David Flynn e sulla banda uccisa nel covo. Per lei era tutto nuovo quindi era più facile, se ci fosse stato qualcosa che era sfuggito agli altri, che lei potesse trovarlo. Ma non fu così, non fu fortunata come nella teoria su Castle. Non c’era niente di più di quanto non scritto in quei rapporti. In quel suo primo giorno di lavoro rimase tutto il tempo in quella stanza, ad esaminare quei fascicoli. 

- Come va? - Nick era entrato nella stanza aveva preso una sedia e si era seduto vicino a lei.

- Così… Non c’è nulla qui - Fece sbattere i fascicoli sul tavolo spostandoli davanti a lui. Nick non li guardo, anzi li spostò più lontano.

- Intendevo te. Come stai?

- Come mi vedi. C’è poco da dire.

- Che effetto ti fa, pensare che Castle conosce la verità da tutto questo tempo? - Le chiese ammucchiando i fogli che lei aveva sparso sulla scrivania.

- Strano. Come tutte le cose che riguardano lui. Vorrei capire perché se sa la verità non l’ha detta a Ryan, Esposito o la Gates. O al suo amico Bratton! Anche senza prove gli avrebbero creduto.

- Ti può rispondere solo lui 

- Già… Sempre che voglia farlo… - Sospirò

- Secondo te perché l’altra sera non ti ha detto nulla? È una cosa importante per te.

- Dovevamo chiarire altro. Cose più importanti.

Non ci credeva di averlo detto veramente. Ancora meno di averlo pensato e di crederci. Eppure era così. Loro per lei in quel momento erano più importanti di tutto. Anche di trovare chi le aveva rovinato la vita e continuava a farlo da quasi quindici anni.

- Credevo che trovare l’assassino di tua madre fosse la cosa più importante. - Nick non si era lasciato sfuggire quel particolare

- Sì, lo credeva anche io prima di Castle.

- Com’è andata?

- È andato via. Da Vanessa. - Ammise Kate amaramente.

- Mi dispiace.

- Già, anche a me.

—

Contava i passi che la dividevano tra l’ascensore e la porta del loft. Fu investita dai ricordi che inevitabilmente la portarono a pochi giorni prima, quando era lì, con tutt’altro intento, altre speranze. Il cuore, però, batteva allo stesso modo e la voglia di rivederlo era sempre la stessa. Non era importante perché, lei già si immaginava di trovarsi davanti ai suoi occhi azzurri e sentì tutta la sicurezza e la decisione con cui era arrivata lì scivolare via. Si impose di darsi un contegno, di focalizzarsi sul perché era lì, doveva chiedergli delle spiegazioni, doveva avere delle risposte. La verità, però, era che avrebbe sfruttato qualsiasi scusa per vederlo, per avere l’occasione di parlarci, per stare insieme con lui nella stessa stanza e cercare di capire cosa nascondesse veramente dietro quello che le aveva detto di lui e Vanessa. 

Vanessa. 

Non aveva calcolato nemmeno per un istante che potesse esserci lei lì, che non fosse solo, che magari le avrebbe aperto la porta e l’avrebbe invitata ad entrare da buona padrona di casa, che si sarebbero trovati lui, lei e l’altra e che l’altra era lei. Se lo ripeteva ogni volta che ci pensava. Era lei l’intrusa tra loro.

Con questo nuovo pensiero, che si sommava a tutti gli altri e contribuiva solo ad agitarla ancora di più, bussò a quella porta torturandosi una ciocca troppo corta di capelli ed aspettando a testa bassa che aprisse la porta. Lui o lei.

- Katherine, tesoro! Oh ma come è bello vederti!

Era lei, ma lei aveva un paio di occhi azzurri uguali a quelli di Rick, era Martha che la stava abbracciando sulla soglia di casa. La trascinò dentro senza nemmeno darle il tempo di rendersi conto che era già nel bel mezzo del loft di Castle.

- Ciao Martha. È bello anche per me. Rick non c’è?

- No mia cara. È fuori… Vuoi un caffè? - L’attrice stava già andando verso la cucina pronta a preparare una grande tazza di caffè a Kate

- No, grazie…

- Katherine, da quando in qua rifiuti un caffè? - Chiese sorridendo la donna dai capelli rossi portandosi la mano al petto con quel suo solito fare melodrammatico.

- Da un po’… - Sospirò lei imbarazzata.

- Un tè? O qualcosa di più forte? - Disse indicando una bottiglia di liquore. Kate voleva andarsene, ma non voleva essere scortese con Martha.

- Un tè andrà benissimo, grazie.

Rimase in piedi guardandosi intorno. Respirò ancora il profumo di quella casa che sapeva di Castle. La osservò come mai aveva fatto fino a quel momento, cercando una sfumatura di lui in ogni oggetto, osservando le foto di quando Alexis era più piccola e loro erano insieme. Aveva anche dormito anni prima in quella casa, ma non l’aveva mai vista così fino a quel giorno. Non la stava solo guardando, stava con il suo occhio da detective, cercando Castle, la sua presenza.

- Katherine? Cosa fai lì in piedi? Accomodati! - Martha con la sua voce squillante l’aveva ridestata dalla sua attenta osservazione. Si mise seduta al bancone della cucina osservando la madre di Rick preparare due tazze di tè. La fece sorridere la cosa, raramente l’aveva vista bere del tè, ma in effetti anche lei avrebbe potuto dire la stessa cosa.

- Castle tornerà presto? - Aveva detto quella frase con estrema urgenza, e si affrettò a correggersi - Nel senso, mi conviene aspettarlo o ripasso più tardi? 

Le sembrò di aver peggiorato le cose.

- Ecco… Richard non è a New York, è a Los Angeles, da…

- Vanessa. - Completò la frase Kate per Martha togliendola dall’imbarazzo in cui era anche lei. - Certo. Capisco…

- Katherine, cosa è successo? - Le chiese con voce accorata Martha

- Devo chiedergli una cosa molto importante. Tu sai perché Castle non ha voluto più la scorta per lui e per voi?

- Oh.. Beh… io no… cioè, lui ha detto che non c’era più pericolo, che tu te ne eri andata ed ora la situazione era sotto controllo. Era molto tranquillo nel dirlo, non ho chiesto altro.

- Capisco…

- Ma non mi riferivo a questo, mia cara. Cosa è successo tra te e Richard? - Martha stringeva la tazza mentre le parlava e Kate faceva lo stesso. Non sapeva cosa Rick avesse detto a sua madre quanto di quella finta verità sapesse.

- È complicato Martha.

- Cosa non lo è nella vita? Soprattutto quando riguarda l’amore.

Kate alzò gli occhi per guardarla e l’attrice sorrise del suo sguardo con quel misto di stupore ed imbarazzo.

- Andiamo Katherine! Richard potrà aver creduto alle tue parole perché da buon uomo innamorato difetta dell’uso della ragione, ma qualunque cosa tu gli abbia detto, io so che non è così. Io ti ho visto, ragazza mia. Ho visto le tue lacrime e la tua disperazione ed ho visto anche il tuo volto quando hai abbracciato, e non solo, di nuovo Richard. Sai di cosa parlo, vero?

- Certo, Martha…

- Io non so cosa vi siate detti, cosa è successo per allontanarvi così. Però Katherine, tu ami Richard e lui ti ama. 

- Lui sta con Vanessa. Noi… ci siamo già visti, ne abbiamo parlato.

- Vanessa è una cara ragazza, è stata una fortuna che Richard l’abbia incontrata, smettendo di fare quella vita da ragazzo stupido. Sarebbe la donna perfetta per lui, se non ci fossi tu. Conosco mio figlio, anche se lui pensa di no e so che non dovrei mettermi in mezzo in queste cose, ma io voglio solo che sia felice e con te lo era. Lascia da parte la paura, non far decidere lei per te e per lui. 

Kate la guardò come se l’avesse letta dentro, chiedendosi se era forse un dono di famiglia quello. Poi abbassò la testa, concentrandosi sul suo tè. Non riusciva a dire nulla a quella donna. Non poteva mentirle e non voleva più farlo a se stessa.

- Non è tua la colpa di quello che è successo e non è giusto che sia tu a pagarne le conseguenze. Ma se le paghi tu, le fai pagare anche a Richard. È stato molto male quando lo hai lasciato. Molto…

- Mi dispiace Martha. Io vorrei solo che Rick sia felice e al sicuro. Tutto quello che ho fatto è stato solo pensando a questo.

- Sei una ragazza sveglia ed un bravo detective, ma per le questioni di cuore non hai molto intuito! - La prese in giro Martha prendendo la sua mano. Anche Kate sorrise, era la seconda volta in pochi giorni che le dicevano la stessa cosa. Avrebbe finito per crederci.

- Non voglio mettermi in mezzo alla sua vita adesso. Mi ha detto che con Vanessa sta bene e se è così, sono felice per lui, veramente Martha, anche voglio solo che lui sia felice. 

- Lo so. E so che le tue intenzioni erano buone, anche se poi si sono rivelate sbagliate per entrambi. Non mi sembri molto felice nemmeno tu, non ho ancora visto il tuo bel sorriso luminoso!

Kate si sforzò di sorridere, ma dallo sguardo della mamma di Castle capì che il suo tentativo era fallito miseramente.

- Amo mio figlio e voglio molto bene anche a te, lo sai.

- Lo so e non capisco come tu possa farlo, visto che ho finito per mettervi sempre nei guai. - Sospirò Kate scuotendo la testa e guardando la donna con affetto.

- Vedi mia cara, negli affetti e nell’amore, non c’è sempre una spiegazione logica, evita di cercarla, perché perderesti solo del tempo. Accetta quello che provi senza cercarne il motivo, senza chiederti se sia giusto o sbagliato. È così, non puoi farci niente. Ma soprattutto accetta quello che gli altri provano per te e non stare a farti troppe domande. Succede e basta. Non sempre ci si sceglie per un motivo logico, anzi, nel vero amore quasi mai. Ci si incontra per volere del destino e sarebbe meglio assecondarlo, per non soffrire senza ragione. Hai ragione tu, Vanessa sarebbe la scelta migliore per Rick, non lo farebbe soffrire, Vanessa sarebbe la scelta logica, ma il destino gli ha fatto incontrare te e nulla di tutto quello che è logico lo potrà mai fare veramente felice. Pensaci Kate.

- Ci penserò Martha. - Disse Kate bevendo un ultimo sorso di tè. In quel momento voleva solo andarsene il più velocemente possibile da lì, un’altra parola della donna ed avrebbe preso il primo aereo per Los Angeles per andarlo a cercare. - Tu però intanto puoi dirgli quando torna che devo parlargli urgentemente?

- Ma certo cara, stai tranquilla glielo dirò.

La donna stava accompagnando Kate alla porta quando questa improvvisamente si aprì, facendo entrare altri due occhi azzurri: Alexis la fissava perplessa e sicuramente meno felice di vederla di sua nonna.

- Detective Beckett, cosa ci fai qui? - Chiese la ragazza con un tono che non voleva certo nascondere il suo disappunto.

- Katherine cercava tuo padre. - Intervenne Martha

- Oh, certo non mi stupisce. Glielo hai detto che è con la sua fidanzata a Los Angeles? Sai detective, ormai passa molto tempo sull’altra costa con lei.

- Sì, mi ha detto tutto tua nonna Alexis. Beh, io allora vado. Grazie di tutto Martha… Ciao Alexis.

Martha la abbracciò ancora una volta calorosamente, mentre la figlia di Rick si limitò ad un cenno del capo, ed andò in camera sua prima ancora che Kate fosse uscita.

Rick era stato entusiasta di quella settimana a Los Angeles, era convinto che era esattamente quello di cui aveva bisogno. Una settimana lontano da tutto quello che c’era a New York. Beckett, soprattutto. Perché forse la stessa città era piccola per entrambi, anche se quella città era la caotica New York, con più di otto milioni di abitanti, una probabilità di incontrarla su otto milioni era decisamente troppa per lui, sopratutto in quel momento. Quindi Los Angeles era stata una scelta perfetta, viveva bene lì, aveva trovato i suoi giusti ritmi, cominciava anche ad avere amici e un giro di persone da frequentare. La vita era frizzante e spensierata, più che a New York ed il clima decisamente migliore. Stava anche pensando di trasferirsi lì, almeno per un po’, per l’inverno, fino a che Vanessa non avesse finito le registrazioni, non era una cattiva idea, magari in un ambiente diverso avrebbe trovato anche qualche nuova idea per scrivere qualcosa di diverso.

Intanto, però, sarebbero tornati a New York. Lei per il fine settimana, lui questa volta sarebbe rimasto qualche giorno in più per sistemare alcune cose e poi sarebbe volato di nuovo sull’altra costa, per raggiungerla. Perché doveva stare da solo se la sua compagna era dall’altra parte del paese e lui non aveva nessun impegno lavorativo o di altro tipo a trattenerlo a New York? Perché doveva privarsi di lei? Non aveva senso.

Avevano lasciato la soleggiata Los Angeles e New York li accolse con una leggera pioggerellina ed un cielo grigio che avvolgeva tutto in una coltre di tristezza. Rick non era mai stato un metereopatico, ma adesso odiava quel clima, o forse stava solo cominciando a diventare insofferente alla sua città, troppo carica di ricordi e di significati in ogni via, in ogni angolo. Vanessa notò il suo cambio d’umore già da quando salirono sul taxi. Era stranamente silenzioso e cupo in volto, mentre guardava fuori l’accumularsi di gocce sul vetro del finestrino. Gli poggiò una mano sulla gamba e quel contatto lo riportò dentro quel taxi mentre la sua mente vagava per la città. Si voltò e le diede un delicato bacio sulle labbra, prendendo poi la mano di Vanessa tra le sue. Si sentiva in difetto, voleva essere presente per lei e con lei. Vanessa si meritava il meglio e lui voleva fare in modo che lo avesse.

- Tutto bene Rick? - Gli chiese quando le loro labbra si separarono.

- Sì. Ma avrei preferito rimanere a Los Angeles, ma non posso proprio rimandare l’appuntamento con Gina alla Black Pawn della prossima settimana.

A casa trovarono anche Martha e Alexis. Le due donne li salutarono calorosamente e Rick si lasciò coccolare dal calore familiare, informandosi di tutte le novità con Alexis mentre Martha si intratteneva con Vanessa. Mentre chiacchierava con sua figlia, una nota si ansia cresceva dentro di lui, avrebbe dovuto dire alle due donne che intendeva trasferirsi a Los Angeles con Vanessa, ma preferì attendere qualche giorno e godersi quella tranquillità familiare.

- Ah Richard… È venuta Katherine qualche giorno fa. Voleva parlare con te, ha detto che era urgente.

A Castle per poco non andò di traverso la mela che stava mangiando al solo sentir pronunciare il none di Beckett.

- Ok, poi la chiamerò. - Disse poco convinto

- Credo che dovresti farlo subito ragazzo, sembrava veramente molto impaziente, voleva sapere qualcosa a proposito della nostra scorta. - L’argomento fece rabbuiare e sbuffare Rick.

- Ha aspettato mesi, può aspettare qualche giorno, no? Se aveva fretta poteva chiedere prima.

Rick non vide il sorriso soddisfatto di Alexis mentre rispondeva a sua madre e si rifugiò nel suo studio. Non sentì nemmeno Vanessa avvicinarsi, percepì solo le sue mani tra i capelli e la invitò a sedersi sulle sue gambe.

- Se ti ha cercato con urgenza magari è importante. - Gli disse Vanessa cercando di farlo ragionare.

- Non hai problemi se la vedo? - Chiese perplesso Castle

- Dovrei essere gelosa Richard? Cosa cambierebbe? Non è vederla perché ti vuole cambiare che può cambiare le cose, in un senso o in un altro. Mi dispiace solo che quando si parla di lei tu sei sempre così nervoso. Hai risposto male a tua madre, non credo fosse il caso. In fondo ti ha solo detto che voleva vederti urgentemente.

- Da che parte stai Vanessa? - Chiese Rick stupito dalle sue parole

- Non c’è una parte dalla quale stare, ma prima parli con Kate, prima chiudi questa situazione. Se no ti trascinerai dietro il nervosismo fino a quando non lo farai.

Rick la baciò dolcemente. Adorava quel suo essere così equilibrata senza farsi trascinare dentro la spirale della gelosia ed odiava se stesso per essere costretto a mentirle, per non rivelarle quel suo turbinio interiore che lo faceva diventare matto. Doveva riuscire ad essere un uomo migliore per lei, quell’uomo che meritava al suo fianco, totalmente dedito a lei, cosa che lui adesso si sentiva capace in grado di essere.

- Devo andare adesso. - Gli disse dandogli un ultimo bacio - Devo andare a fare quel servizio fotografico per i gioielli.

- Loro lo sanno che sfigureranno tutti vicino a te? - Le sorrise dandole una pacca sul fondoschiena.

- Buono con le mani Richard… almeno fino a quando non torno!

Castle le ammiccò alzando le sopracciglia e sorridendo finalmente in modo autentico mentre lei usciva dalla stanza.

Rick passò quel weekend con Vanessa in modo allegro e spensierato, tra una cena con i suoi amici ed un party organizzato dalla sua casa di produzione. Approfittavano molto della presenza dell’attrice sulla East Coast per aumentare la loro visibilità anche in quella parte degli States e trovare sempre un numero maggiore di sponsor e investitori nel progetto di quella serie tv che ogni stagione diventava più importante. Castle, dal canto suo, non si limitava a fare l’accompagnatore dell’attrice, ma approfittava anche lui di quelle occasioni per fare delle pubbliche relazioni, come le chiamava Paula. La loro relazione sembrava funzionare bene anche da quel punto di vista e Richard Castle diventava un personaggio pubblico sempre più spendibile e riconosciuto dal grande pubblico. 

Come al solito per lui il problema era quando stava solo, perché senza Vanessa a distrarlo da tutto, la sua vita tornava prepotentemente a bussare alla porta della sua mente, con tutti gli strascichi irrisolti. Aveva passato un’intera giornata sul divano a guardare il vuoto con il telefono in mano ed aveva provato varie volte a comporre il numero di Kate senza mai trovare il coraggio di farlo.

Aveva intuito subito di cosa voleva parlarle. Sapeva che lei avrebbe capito che dietro quella sua richiesta c’era dell’altro. Avrebbero dovuto inevitabilmente confrontarsi su quello, malgrado quello che era successo tra loro, quella situazione li teneva legati e lui le aveva promesso che l’avrebbe aiutata, sempre, in quella storia e lo avrebbe fatto. Quella era una ferita che aveva riaperto lui, era stato lui a rimettere tutto in moto e non la poteva abbandonare. L’avrebbe aiutata fino alla fine e non l’avrebbe lasciata sola anche se non sapeva come questo poteva conciliare con la sua volontà di trasferirsi a Los Angeles. Si sentiva frustrato e non sapeva cosa fare. Si sentiva in obbligo morale di dover aiutare Kate in quella battaglia, ma voleva preservarsi, essere il più lontano possibile da lei e poi certo, stare con Vanessa.

- Hai chiamato Katherine? - Martha era appena rientrata si stava togliendo i guanti e prima ancora di salutare suo figlio le aveva posto la domanda che lui non voleva sentire.

- No.

- Perché Richard? Aveva detto che era importante e tu…

- Perché no, mamma. La chiamerò. - Rispose Castle seccato.

- Lo hai detto anche giorni fa, ragazzo. Perché non vuoi sentire cosa ha da dirti? Sembra quasi che tu abbia paura di lei… - Chiese con malizia l’attrice.

- Basta mamma, per favore. Perché vuoi tanto che chiami Beckett eh? Cosa c’è che non so?

- Nulla! O meglio, quello che non sai è quello che ti deve dire lei e se non la chiami non lo saprai mai. 

- Magari non mi interessa quello che deve dirmi, ci hai pensato? - Sputò fuori acidamente Castle, mentre Martha alzò le mani e scosse la testa sconsolata per la testardaggine del figlio.

- È tornata Beckett in città ed è finita la tranquillità in questa casa. Non credo sia una caso. - Alexis scese le scale attirandosi gli sguardi severi di suo padre e sua nonna. - Beh, cosa c’è? Non è la verità? Lo sapevo che ci sarebbe ricascata e sarebbe tornata di nuovo.

- Cosa vuoi dire con di nuovo, Alexis? Tu avevi visto Kate? Quando? - La incalzò Rick tirandosi su dal divano e guardando sua figlia perplesso.

- Io… l’ho incontrata in ospedale. Il giorno del tuo incidente. - Alexis aveva perso un po’ della sua baldanza, da quando suo padre la squadrava con gli occhi che erano una fessura. Non era abituata a quei confronti con lui. 

- Alexis! Non hai detto nulla! - Esclamò Martha

- Tu l’hai vista e non mi hai detto nulla? Perché? - Chiese Rick trattenendo a stento il suo nervosismo.

- Eri con Vanessa, eri tranquillo, perché dovevo dirti che l’avevo vista se lei non si era fatta vedere? Magari non voleva no?

- Tu… tu sapevi cosa voleva dire Beckett per me! Perché Alexis? - Rick ora più che arrabbiato era sconsolato. Non poteva credere che sua figlia lo avesse tradito così. Tradito, così si sentiva.

- Proprio perché so cosa vuol dire Beckett e quello che ha sempre portato alla nostra famiglia non ti ho detto niente!

- Credo che dovresti un po’ più di rispetto a quella ragazza Alexis - La riprese Martha.

- Speravo che anche lei avesse più rispetto per noi, mantenendo il suo intento di non interferire più con le nostre vite. - Replicò stizzita la giovane Castle.

- Il suo intento? Cosa stai dicendo Alexis? Che ne sai tu dell’intento del Beckett?

Alexis sapeva di essersi tradita, di aver detto qualcosa di troppo e di non poter tornare indietro.

- Ho parlato con Beckett qualche giorno prima che lei se ne andasse… - Castle non le fece finire la frase.

- Dimmi che ho capito male, Alexis. Dimmi che non è quello che sto pensando. - Rick si era alzato e si era avvicinato ad Alexis guardandola dall’alto in basso e la ragazza non si era mai sentita così piccola davanti a lui come in quel momento.

- Papà… - Provò a chiamarlo, ma Rick fu gelido nella risposta, tanto che lei non se lo aspettava perché non lo aveva mai visto così.

- Papà? Alexis cosa hai fatto?

- Ho solo voluto proteggerti. - Cercò di spiegargli lei.

- Proteggermi? Perché tutti volete proteggermi ed invece siete solo capaci di ferirmi?

- Perché tu sei come un bambino su queste cose e non ti rendi conto.

- Sono tuo padre Alexis! So come gestire la mia vita! So le scelte che faccio cosa comportano, non ho bisogno che tu decidi per la mia vita.

- Ho solo detto a Beckett che rivolevo mio padre, quello che era prima di conoscere lei e che volevo che tu fossi al sicuro.

- Le hai detto di lasciarmi, Alexis! Te ne rendi conto? Hai minimante pensato a cosa volevo io? Ai miei sentimenti?

- Quei sentimenti che hanno rischiato di farci uccidere? Di farti uccidere più volte?

Castle andò verso la cucina poggiando pesantemente le mani sul bancone. Voleva bere qualcosa, ma non aveva nemmeno la forza di farlo. Sentì il dolore di tutti quei mesi tornare prepotentemente addosso. Tutto quello che aveva pensato era costruito su un castello di bugie.

- Sai come mi sento oggi Alexis? Come un fallito. Perché io ho fallito nella cosa più importante della mia vita. Tu. Sei la ragazza più responsabile ed intelligente che ho mai conosciuto. Ma i sentimenti sono importanti tanto quanto la ragione nella vita. E se non sono riuscito a fartelo capire, io ho fallito. - Le parlò lentamente. Non c’era più rabbia nelle sue parole ma solo tanto dolore.

- Proprio perché sono responsabile papà io ho i piedi ben piantati a terra, più di te!

- Se non li stacchi mai Alexis, non puoi volare e non puoi vivere quella sensazione di straordinaria euforia, di paura e di entusiasmo quando stai per spiccare il volo e perdi il contatto con la terra. - Non le aveva saputo insegnare quello? Eppure lui viveva per quello, per quella sensazione. Come faceva sua figlia, quella a cui non aveva mai fatto mancare la magia e le favole a non capirlo? Aveva sbagliato tutto.

- Perdendo il contatto con la terra lo perdi con la realtà e non vedi il pericolo nel quale ti trovi e cosa rischi! - Lo riprese ancora lei e Castle si alzò di nuovo a guardarla. La sua voce tornò dura carica di tutto il dolore che sentiva adesso, per quello che non era riuscito a fare come padre e per quello che come uomo aveva perso.

- Tu credi veramente Alexis che essere innamorati vuol dire non avere la percezione del pericolo? Che io non sapessi cosa stavo affrontando e quali erano i pericoli che stavo correndo? Mi fai così stupido? Alexis, essere innamorati vuol dire sapere esattamente quali sono i pericoli che si devono affrontare e voler fare di tutto per porre rimedio. Io ogni giorno ero preoccupato, anzi no, terrorizzato per quello che poteva accadere a te, a tua nonna e a Kate ed ogni giorno cercavo un modo per venirne fuori, per venirne fuori insieme. Come una famiglia, perché io volevo che Kate facesse parte della nostra famiglia. Quello che hai fatto è stato meschino Alexis. Ti sei approfittata delle debolezze di Kate, della sua fragilità ed hai fatto leva su di lei sfruttando te stessa, le tue paure e l’importanza che sai di avere per me. L’hai messa con le spalle al muro. 

- Papà…

- No, Alexis, fammi finire. Kate non si meritava questo. Io non mi meritavo questo. Ti ho dedicato tutta la mia vita Alexis e lo rifarei un milione di volte, non sto rinfacciando nulla. Però merito anche io di essere felice. Perché non vuoi che io sia felice?

- Non sei felice ora con Vanessa?

- Vanessa non è Kate ed ora rischio di farle soffrire entrambe e non se lo merita nessuna delle due. Ho trattato Kate malissimo e solo perché tu l’hai convinta di cosa fosse meglio per me.

- Non puoi dare la colpa a me delle sue scelte. Kate non è una bambina, se ha fatto quello che ha fatto è perché anche lei era convinta che fosse meglio così.

- Tu non capisci Alexis e non conosci Kate. O forse sì, e proprio per questo ti sei comportata così.

Si allontanò da sua figlia, non riusciva nemmeno a guardarla adesso. Rischiava di dirle cose di cui si sarebbe pentito e non voleva.

- Difendi sempre lei, eh papà? Anche adesso, lei è la vittima. Quando smetterai di pensare solo a lei, di preoccuparti solo per lei? Non state insieme adesso, no? Stai con Vanessa. Perché ti preoccupi per Kate?

- Perché non smetti mai di preoccuparti delle persone che… che sono importanti. O lo sono state.

- Non mi pare che ti preoccupi di quello che accade a Meredith, però.

- Non è la stessa cosa.

- Già, con lei ci hai solo fatto una figlia, con Beckett sei stato insieme qualche settimana.

- Adesso basta Alexis! Non voglio più sentire una parola ne ho sentite anche troppe oggi.

Prese la giacca ed uscì di casa sbattendo la porta, sotto lo sguardo di una Martha che non aveva osato interrompere quello scontro padre figlia, ma che ora che erano rimaste sole, guardò sua nipote con uno sguardo carico di biasimo.

Appena fu fuori dal suo palazzo Rick prese il telefono e compose quel numero.

- Beckett, sono io. Dobbiamo parlare.

Avevano deciso di vedersi da lei, quella sera stessa. Avrebbero preferito in un luogo neutro, ma non era un discorso che potevano fare in pubblico, avevano bisogno della massima riservatezza. Kate in realtà avrebbe voluto vederlo anche prima, tipo subito, ma era rientrata a pieno ritmo a lavoro ed era sulla scena di un crimine e ne avrebbe avuto ancora per un bel po’. Anche Rick avrebbe voluto vederla subito, per allontanarsi da lì e per non pensare troppo a cosa le avrebbe voluto dire: aveva un pomeriggio intero per torturarsi, per pensare discorsi che non avrebbe mai fatto, per decidere cosa fare. Aveva chiamato Vanessa ed era rimasto molto tempo al telefono con lei, nella speranza che riuscisse a calmare la sua anima inquieta, ma non ebbe il coraggio di dirle cosa lo tormentava. Le parlò, così, di una generica litigata con Alexis e del fatto che mal sopportava la sua mancanza. La donna approfittò quindi per chiedergli quando l’avrebbe raggiunta a Los Angeles, ma Rick prese tempo, dicendo che non lo sapeva, perché doveva fare ancora una riunione con la sua casa editrice e dopo avrebbe preso una decisione. Vanessa sembrò credergli, anche se la sua titubanza iniziale la insospettì: Rick era un uomo risoluto e le sembrava che stesse temporeggiando. Castle, in realtà aveva la necessità di parlare con Kate. Non voleva decidere nulla su quello che avrebbe fatto senza prima sentire cosa volesse dirgli.

Dopo la chiamata di Castle, per Beckett lavorare era diventata una tortura, perché pensava a tutto, meno che a quel caso, in fondo avevano ritrovato quel corpo chiuso in appartamento dopo circa una settimana da quando era stato ucciso, secondo Lanie, avrebbero potuto anche aspettare un giorno in più e lasciarle quel pomeriggio libero. Un gesto di stizza mentre raccoglieva alcune prove non passò inosservato a Esposito che con un cenno della testa richiamò anche l’attenzione di Ryan.

- Ehy Beckett, tutto bene? - Chiese l’irlandese 

- Sì, sì… devo solo abituarmi di nuovo a certe scene, tutto qui. - Mentì lei. Non aveva nulla a cui doveva abituarsi, o forse sì, a sentire Castle che le sconvolgeva la vita ogni volta, anche solo con una breve telefonata.

- Finiamo noi qui, tu perché non vai con Price a sentire i vicini? Faremo prima, che ne pensi? - Le propose Esposito e così lei e Nick passarono il resto del pomeriggio a raccogliere le testimonianze dei vicini di casa di quell’uomo e poi di un cugino, unico parente che abitava in città. Kate aveva ascoltato distrattamente le versioni, sempre tutte molto simili delle varie persone con le quali avevano parlato, lasciando a Price l’incombenza di fare domande e certo non poteva dire di essere stata una buona compagna attenta quel giorno: le dispiaceva per la vittima ma proprio non riusciva a dargli la sua attenzione, mentre nella sua mente già da giorni si rincorrevano ipotesi e scenari su chi e cosa potesse aver scoperto Castle. E su di lui. E su di loro.

Quando finì di compilare l’ultimo rapporto di quella giornata e poté finalmente andare a casa le sembrò una liberazione fisica vera e propria. Stava già entrando in ascensore quando Nick bloccò le porte.

- Ti va se mangiamo qualcosa insieme questa sera? - Le chiese il detective nascosto dietro il suo miglior sorriso?

- Mi spiace Nick, questa sera non posso. Ho un appuntamento e… avrei anche fretta - Gli disse osservando la mano che bloccava le porte.

- Oh, capisco… Castle? - Ora il sorriso di Price era malizioso e si era accorto della sua esatta intuizione non appena Beckett si morse il labbro abbassando lo sguardo.

- Ma non per quello che pensi - Puntualizzò lei senza nemmeno ci fosse bisogno di confermargli la giusta intuizione.

- In bocca al lupo Kate! - Le disse infine lui mentre le porte si chiudevano.

Non era un appuntamento. Rick se lo era ripetuto per tutto il resto del pomeriggio, però aveva vissuto come se lo fosse, con la differenza che non aveva alcuna intenzione di tornare a casa a prepararsi, era meglio avesse evitato ogni possibilità di incrociare di nuovo qualsiasi elemento della sua famiglia, per motivi diversi.

Passò così gran parte del tempo in biblioteca a fare delle ricerche per un’idea che aveva avuto qualche tempo prima per il suo nuovo romanzo su Nikki Heat ma che poi, continuamente in viaggio tra New York e Los Angeles, non aveva mai avuto modo di approfondire.

Quando era uscito da lì aveva poi continuato a pensare all’opportunità di presentarsi o meno a mani vuote, ma tutto gli sembrava fuori luogo per loro due che erano cosa? Ex. Erano Ex. Ex partner nel lavoro e nella vita. Era così stonato.

Alla fine sicuro che Beckett non avesse pranzato, come sempre quando non c’era lui, optò per portare due pizze. Si preoccupò chiedendosi chi si sarebbe occupato di lei, del suo pranzo, quando lui sarebbe andato a Los Angeles. O anche se fosse rimasto a New York, visto che le possibilità di riprendere il suo posto al distretto erano prossime allo zero in quella situazione.

Non era un appuntamento e non era una cena tra amici, lo sapeva. Però dovevano pur mangiare e dubitava che a casa di Beckett ci fosse qualcosa di commestibile. Non stava facendo niente di male con quei cartoni delle pizze in mano, e la busta con le birre, ed una scatola con samosa, involtini primavera, nuggets, felafel e arancini. Si era lasciato prendere la mano, come al solito, quando era passato davanti a quella piccola friggitoria che faceva cose così buone, tutte rigorosamente fritte, provenienti da ogni parte del mondo. E così aveva preso un po’ di tutto, come sempre: i gestori ormai lo conoscevano e quando lo vedevano non c’era nemmeno bisogno che gli chiedessero cosa volesse, solo per quanti e gli preparavano la sua scatola.

Fece fatica a bussare alla porta dell’appartamento di Kate con tutte quelle cose in mano e quando lei aprì, nervosa ed agitata come nemmeno quando era andata a prenderla a casa il suo primo fidanzato che aveva anche dovuto subire l’ispezione silenziosa di Jim, roteò gli occhi al cielo e scosse la testa nel vederlo pieno di buste.

- Scommetto che non avevi niente per cena! - Le disse Castle e lei gli fu immensamente grata per aver scelto quell’approccio informale al loro incontro.

- Ti piace vincere facile, eh Castle? - Lo aiutò prendendo le scatole delle pizze ed appoggiandole sul tavolo. 

Rick entrò e come se fosse a casa sua, cominciò a disporre quanto aveva portato vicino alle scatole della pizza, non prestando minimamente attenzione a Kate o almeno così sembrava. In realtà lui sapeva benissimo che lei era lì, vicino a lui che lo osservava con le braccia incrociate al petto e quell’espressione inquieta per tutta una serie di motivi che non faticava a capire. Quello che le doveva dire. Lui. Loro.

- Castle dobbiamo parlare. - Sbottò Kate quando si accorse che stava facendo di tutto per ritardare il momento e non la stava nemmeno guardando.

- Dopo, prima dobbiamo mangiare. Sono sicuro che oggi non hai pranzato. - Replicò serio mentre apriva le due bottiglie di birra. Lei sbuffò ma scostò la sedia e si sedette davanti ad uno dei cartoni di pizza. Castle fece lo stesso.

- Questa è la tua. - Le disse dopo aver sbirciato il contenuto di quella davanti a se. - Se non ricordo male è la tua preferita.

Kate abbassò gli occhi e sorrise, mentre lui provvedeva a scambiare le pizze.

- Sì, già… è la mia preferita. - Fu lui a sorridere adesso. Certo che lo sapeva, come poteva non saperlo, come poteva dimenticarlo se per quattro anni le aveva sempre portato quella pizza. Era naturale che lo sapesse, come era naturale che sapesse tutto il resto: la marca di birra preferita e che la beveva rigorosamente in bottiglia, che i samosa li preferiva al formaggio ed odiava quelli alle verdure perché esageratamente spezziati, che i nuggets che le piacevano di più erano quelli senza pastella perché erano più croccanti. Sarebbe potuto andare avanti una giornata intera ad elencare tutto quello che amava e che odiava.

Mangiarono in un imbarazzante silenzio, e l’imbarazzo aumentò quando per andare a prendere qualcosa in quella scatola di fritti, le loro mani si scontrarono e invece che ritrarsi, Rick per qualche istante, strinse la sua. Non mangiarono più ed evitarono anche di guardarsi fino a quando il battito dei rispettivi cuori non tornò ad una velocità umana ed accettabile.

- Cosa hai scoperto Castle? - Gli chiese infine Kate senza fare troppi giri di parole. - Sei andato dalla Gates per cercarmi, perché dovevi parlare con me, poi hai rinunciato alla scorta subito dopo che sono partita: posso capire per te, ma non per Martha o Alexis. Non lo avresti mai fatto senza qualche certezza. 

Rick scostò rumorosamente la sedia e si alzò. Non riusciva a stare seduto. Era arrivato il momento della verità e non sapeva come dirgliela.

- Sapevo che tu l’avresti capito. Non è un caso che sei la migliore. 

- Castle, non mi adulare, non è il caso.

- È solo la verità Beckett. Quanto c’hai messo a capirlo? Un’ora? Meno? Già, meno… - sorrise vedendo come il suo volto si era contratto in una smorfia mentre parlava. - So chi è l’uomo che c’è dietro tutta questa storia. So chi c’è dietro la Future Forward, per chi lavora Maddox, chi ha mandato Lockwood ad uccidere Montgomery, chi ha ucciso Smith per quesi documenti, chi ha provato ad uccidere te e me, e chi ha fatto uccidere tua madre.

- Il nome, Castle. - Anche Kate si era alzata ed era davanti a lui. I suoi occhi verdi con quei riflessi dorati vibravano dalla rabbia e dall’eccitazione di sapere il nome di chi le aveva rovinato la vita.

- No, Kate. Non posso dirtelo. Se lo facessi tu ora andresti a farti ammazzare.

- Castle, non scherzare. Voglio quel nome. Adesso.

- No. Ho fatto un accordo con lui. Lo stesso accordo che aveva Smith. Fino a quando non indagherai e la cosa rimarrà sepolta, tu, io e tutta la mia famiglia sarà al sicuro.

- Stai scherzando vero? Tu hai parlato con quella persona? Hai incontrato l’uomo che ha provato ad ucciderti? - Kate stava perdendo il controllo alzando la voce più del dovuto mentre Castle rimaneva calmo, imperterrito davanti alla sua furia crescente.

- Sì. L’ho fatto. - Rispose lui guardandola negli occhi senza avere un minimo di esitazione, questa volta.

- Tu sei pazzo Castle. Cosa volevi dimostrare facendolo eh? Cosa pensavi di ottenere? Volevi farti uccidere? Poteva ucciderti Rick! - La voce di Kate aumentava domanda dopo domanda. Alzò i pugni come per volerlo colpire sul petto ma lui bloccò le sue mani.

- Pensi che me ne importava qualcosa? Ci aveva già pensato qualcun altra a farlo. Volevo solo trovare un modo per farvi stare tutti al sicuro. Alexis, mia madre e te. A quanto pare ci sono riuscito.

- Sono stata mesi rintanata in una casa sul mare in South Carolina ed ogni sera guardavo l’oceano chiedendomi cosa ne sarebbe stato della mia vita, quando tutto quello sarebbe finito, con la prospettiva che sarebbe potuto durare anni, ed è finito solo perché io ho deciso che fosse così. E tu avevi fatto un accordo. Perché non hai detto tutto alla Gates prima? Perché non avete cercato insieme un modo per fermarlo?

- Perché così ci avrebbe ucciso, Kate. Tutti. Ed io non potevo permetterlo. Io ti ho cercato per dirtelo, ma tu… tu eri già con Nick. Vi ho visto quella sera, quando venivate qui, insieme, abbracciati. 

Kate fece finta di non sentire il dolore nelle sue parole, troppo presa dalla sua rabbia anche per rispondergli.

- Dimmi il nome Castle. Ora. Dimmi chi è. - Gli chiese con una tale rabbia che la sua voce tremava.

- No Kate. Non metto a rischio la tua vita e quella della mia famiglia. Non puoi fare niente contro di lui. Non ora, non così. Finiresti per farti uccidere. - Le teneva sempre i pugni stretti tra le sue mani e non la lasciava. Non lo avrebbe fatto fino a quando non avrebbe capito anche se voleva dire non lasciarla mai.

- Perché fai tutto questo Castle? Perché ti preoccupi tanto per me? Cosa ti importa se mi vado a far ammazzare eh? Anzi, per te è meglio, così ti lasceranno in pace.

- Perché ti amo Kate ma tu sei troppo presa da tutto il resto per capirlo. Sei troppo presa dalle tue idee per capire che cosa vuol dire che qualcuno ti ama e che sarebbe disposto a starti vicino nonostante tutto. Preferisci scappare e non ti interessa se così facendo distruggi la vita delle persone. Ti lasci condizionare dagli altri e non pensi a chi morirebbe per te se fosse necessario. Non chiedermi più quel nome Kate. Puoi torturarmi se vuoi, ma non ti manderò io a farti ammazzare da loro.

- Non puoi decidere per la mia vita Castle, non ancora una volta. - Provò a divincolarsi dalla sua presa ma lui strinse ancora di più le mani intorno ai suoi polsi.

- Tu hai deciso per la mia Beckett, nel momento in cui mi hai lasciato, hai deciso per entrambi. Ora è il mio turno di decidere per tutti e due.

- Come puoi farmi questo Castle? - La sua voce era diventata una supplica.

Rick avvicinò il suo viso a quello di Kate fino a quando le loro fronti non si toccarono. Sentì che la resistenza che Kate opponeva era immediatamente sparita e solo in quel momento le lasciò i suoi polsi. Cercò il suo viso e lo racchiuse con le sue mani.

- Non posso permettere che ti accada qualcosa Kate. - Le sussurrò troppo vicino e quando si accorse che la stava baciando era troppo tardi perché riuscisse a fermarsi, perché le labbra non seguivano gli impulsi della sua mente, ma quelli del suo cuore. E non c’era foga, non c’era rabbia, c’era solo quello che c’era sempre stato. Amore.

Fu Kate, però, a separarsi all’improvviso da lui, come colta da un fulmine che l’aveva riportata alla realtà. Lasciò le sue labbra repentinamente e fece due passi indietro per mettere la giusta distanza per essere lucida di dire quello che pensava, senza che le emozioni la portassero altrove, tra le sue braccia, ad esempio.

- No, Castle, no. Non è giusto. Non così. Io… non posso essere questo. Tu stai con Vanessa, non è giusto. - Si strinse le braccia al petto per ripararsi da lui e dai suoi sentimenti.

- Mi trasferirò a Los Angeles. - Le disse Castle abbassando lo sguardo ed aspettando una risposta che non arrivò - Dimmi qualcosa Kate…

Sperava di trovare in lei l’appiglio per non farlo, una scusa per restare, una giustificazione ai suoi dubbi.

- Sii felice Rick. - Lo disse senza guardarlo negli occhi, abbassando lo sguardo verso il pavimento.

- Perché? - Chiese lui non capendo il senso di quella risposta. 

- Meriti di esserlo. Ed io non posso farti felice. Non fino a quando tutto questo non sarà concluso. E tu non vuoi che lo sia.

Castle provò ad avvicinarsi ancora a lei, ma Kate lo fermò.

- Chi è Rick, dimmi chi è… - Gli chiese ancora.

- Non posso Kate… Mi dispiace, ma non posso. - Le diede un bacio sulla guancia, prendendola alla sprovvista e se ne andò.

Castle aveva scelto lei. Per la terza volta. Aveva scelto Vanessa, ancora. Dopo che avevano fatto l’amore al loft, dopo che aveva pianto sulle sue ginocchia nel suo appartamento, dopo che si erano baciati come solo lui l’aveva mai baciata. Le aveva detto che andava a Los Angeles e Kate non aveva più la forza per dirgli di rimanere. Aveva scelto lei, Vanessa. E lei, invece, era l’altra.

Aveva fatto finta di non sentire quel “Ti amo” per non crollare, per non liquefarsi davanti a lui e mantenersi lucida. Lo era stata fin troppo. Aveva sognato di sentir pronunciare ancora da lui quelle parole per lei, le aveva ricordate così tante volte nei mesi passati tanto da aver consumato i ricordi e quella sera le aveva lasciate andare di nuovo, scivolare via come una cosa di poco conto, come se non avessero significato. Si era ripromessa che lui veniva prima di tutto ed invece era ricaduta nei suoi errori: un nome, un maledetto nome valeva più di lui, più di loro? Questo evidentemente era quello gli aveva fatto capire. Aveva passato settimane a rimpiangere di aver scelto la sua battaglia e non lui, quando le aveva chiesto di fermarsi, si era ripromessa che tutto sarebbe stato diverso se avesse avuto ancora la possibilità di scegliere ed invece, quando poteva farlo, aveva fatto lo stesso errore. Aveva tirato dritto, senza sentire ancora quel “Ti amo” sofferto, come l’altra volta e lo aveva lasciato andare via, di nuovo.

Sapere che non era solo, che aveva una scelta e non era lei, non era però una consolazione ma allo stesso tempo non le recava più dolore. Pensava che avrebbe visto Vanessa come una rivale, come una nemica, come qualcuna contro cui combattere ed invece non era così. Kate sapeva che l’unica persona contro la quale doveva combattere era se stessa e come ogni volta, perdeva. Perdeva tutto: l’amore, la sua vita, la sua felicità se stessa. E di lui ora le rimanevano due cartoni di pizza non finita, una scatola di fritti ed il suo sapore sulle labbra.

Rick mentre tornava a casa si chiedeva come fosse possibile che una persona che riusciva a capire così bene ogni sua mossa non capisse, invece, nulla dei suoi sentimenti. Gli sarebbe bastato un “no” e sarebbe rimasto lì con lei, questa volta. Era andato da Kate con tutt’altri intenti, con la voglia di dirle di Bracken, di ricominciare insieme, di aiutarla e di risolvere, finalmente, quel caso che si trascinava da troppi anni. Era andato a sbattere, invece, di nuovo contro il suo muro. L’aveva sentita fin dall’inizio che non c’era spazio per lui in quello. Che era di nuovo la sua guerra e lui ne era fuori ed aveva scelto di nuovo le sue ossessioni e non lui. Non le avrebbe permesso di combatterla, allora. Non le avrebbe permesso di suicidarsi o di finire di nuovo in un letto di ospedale più morta che viva dove lui poi sarebbe corso per starle vicino. Come sempre. Non lo poteva permettere a lei né a se stesso.

Rientrò a casa ancora più deciso che mai di andarsene da New York perché ora era chiaro, lui e Beckett si sarebbe inevitabilmente incontrati ancora e lui sarebbe stato male, ancora. Distanza. Era l’unica soluzione. 

- Vi devo parlare. - Martha e Alexis erano già sedute a fare colazione quando Castle uscì dalla sua stanza con il volto teso e contratto.

- Papà se è per quello che è successo ieri… io… mi dispiace… - Provò a scusarsi una balbettante Alexis

- No, non c’entra nulla quello e nemmeno Beckett, così evitiamo la domanda. Volevo dirvi che ho deciso di trasferirmi a Los Angeles, almeno per qualche mese, fino a quando Vanessa non finirà di girare. Fare sempre avanti e indietro è stancante per lei e per me ed abbiamo bisogno di stare insieme. Partirò domani, starò via fino al week end. Poi quando tornerò organizzerò per portare via le mie cose così da trasferirmi da lei il prima possibile.

- Richard, ne sei sicuro? - Chiese Martha sorpresa

- Sì mamma.

- Scappi, quindi. - Gli disse Alexis

- No. Non scappo. Vivo la mia vita. Mi hai detto tu che sto con Vanessa e devo essere felice. Lo faccio. - Rispose gelido a sua figlia.

- Andandotene? Dì la verità papà, lo fai perché è tornata Beckett! Per questo te ne vai.

- Anche se fosse, Alexis, non è affare tuo.

- Sì che lo è! Fai come mamma! Sei uguale a lei, trovi una donna da seguire prendi e te ne vai! - Lo accusò senza mezzi termini. Castle la guardò con gli occhi sbarrati.

- Avevi quattro anni quando tua madre se n’è andata. Da allora ti ho dedicato tutta la mia vita, Alexis. Tutta. Hai venti anni adesso, sei una donna. Come puoi dirmi che ti ho abbandono come tua madre? Vivi al campus gran parte del tempo e ti senti abbandonata se vado a vivere in un’altra città con la mia donna?

- Perché devi andare fino a Los Angeles? Perché non potete continuare così come adesso?

- Perché non voglio, Alexis. Semplice. E ti conviene accettarlo. Ti sei già intromessa abbastanza nella mia vita privata, vedi di non farlo ancora, perché non lo tollererò oltre.

Bevve una tazza di caffè senza pensarci e poi tornò in camera sua a preparare le prime cose che avrebbe portato a Los Angeles da Vanessa. 

Fu diverso. Los Angeles non era più quell’oasi serena che era stata tutte le altre volte che c’era stato. Il suo nervosismo non lo abbandonava nemmeno lì, anzi peggiorò, perché alcune volte gli sembrava di essere un animale in gabbia imprigionato dagli orari di Vanessa e per quanto si sforzasse non riusciva a nascondere questo suo stato d’animo. Non era New York o Los Angeles. Era lui a non stare più bene in nessun posto. Aveva discusso con Vanessa più volte in quei giorni, sempre per delle cose stupide e senza senso, pendendosi immediatamente per il suo atteggiamento e per come l’aveva trattata: farla soffrire era l’ultima cosa che voleva e che Vanessa si meritava e di certo lei non aveva nessuna colpa per quanto era accaduto con Kate e per il comportamento di Alexis. 

Ne avevano parlato e Vanessa gli aveva consigliato di aspettare e non fare prove di forza con sua figlia. Era poco più che un’adolescente e doveva cercare di capirla. Vanessa rise molto, prendendolo in giro quando esasperato le disse che lui, all’età sua, era quasi padre, dicendo che parlava come uno dei tanti genitori bacchettoni. Rise anche lui pensandoci e furono le prime risate sincere di quei giorni, perché Rick, in realtà, all’età di Alexis faceva di molto ma di molto peggio, ma questo non lo poteva sapere né Vanessa e tanto meno sua figlia.

Per farsi perdonare delle sue mancanze, Rick aveva cominciato a riempire Vanessa di regali e attenzioni ed ogni loro serata si concludeva sempre nello stesso modo, con le attenzioni di Castle che diventavano più esplicite e lei che non gli diceva di no perché non poteva resistergli, anche quando avrebbe voluto, anche quando capiva che c’era dell’altro, che tutto quello che Rick faceva e ostentava era per colmare i suoi vuoti interiori ed azzittire i sensi di colpa verso di lei.

Vanessa cominciava a sentirlo sempre più distante, anche se le era vicino fisicamente come mai era stato, sotto tutti i punti di vista, ma vedeva i suoi occhi spesso assenti, guardare oltre loro, un infinito che lei non riusciva a vedere e a cogliere.

Tornarono a New York, si sarebbero fermati qualche giorno, visto che lei aveva un paio di giorni di pausa in più dalle riprese, poi secondo il loro piani, Rick si sarebbe trasferito a Los Angeles con lei. Andarono nel suo appartamento perché Rick non aveva voglia di stare al loft quella sera, sapendo che sicuramente avrebbe incontrato Alexis e poi decisero di andare a cena fuori. Se a Los Angeles era Vanessa a scegliere ogni volta dove sarebbero andati a mangiare, spaziando da locali alla moda a piccoli chioschi a gestione familiare dove mangiare con le mani e sporcarsi tantissimo, a New York si affidava totalmente a lui. Era anche la sua città, ma ormai erano anni che non ci abitava più stabilmente e quando lo faceva era sempre a cena invitata ai vari eventi promozionali. Rick era un cultore del cibo, conosceva localini sconosciuti dove si mangiava benissimo ma non disdegnava nemmeno i locali stellati e formali. Quella sera, però avevano scelto qualcosa di molto alla mano, stanchi del viaggio non avevano voglia di mettersi in tiro per una cena impegnata. Rick aveva voglia di divertirsi e di bere qualcosa, così scelse un ristorante messicano a Soho, un posto dove da sola Vanessa avrebbe probabilmente anche avuto paura ad entrare perché sembrava un covo di malavitosi, ma una volta dentro l’atmosfera ed il cibo la conquistarono con quei tacos squisiti e gli ottimi margaritas. 

Si stavano divertendo molto a mangiare in quel posto, con la musica giusta per accompagnare una serata allegra, non troppo invasiva che permetteva comunque di parlare, mangiando i tacos con le mani, imboccandosi a vicenda in modo provocante e baciandosi, spesso.  Si stavano baciando anche quando all’improvviso tutto cambiò in Castle. Alzò lo sguardo e la vide. Fu un attimo a separarsi da Vanessa e mettere distanza tra loro. Kate era in piedi, davanti a lui con Lanie al suo fianco, nell’imbarazzo di tutti.

- Ciao… - Disse lui imbarazzato alle due, mentre Lanie salutava anche Vanessa e Kate, invece, era fissa a guardare Rick, senza parlare e lui faceva lo stesso.

- Ciao… io… pensavo fossi a Los Angeles… - Gli rispose Beckett dopo un tempo troppo lungo almeno nella sua mente.

- Siamo qui, per qualche giorno… poi… riparto… - Disse lui imbarazzato e Kate solo in quel momento si rese conto di non essersi nemmeno presentata, facendo la figura della perfetta maleducata, ma con lui il resto del mondo non esisteva.

- Piacere - le disse allungando la mano verso Vanessa con un certo imbarazzo. - Kate. Kate Beckett.

- Vanessa Parker - Le disse lei sorridendole con non meno turbamento, notando che Rick non riusciva a non guardarla e lei faceva lo stesso. 

- Beh… è stato un piacere rivederti Castle. Noi andiamo. - Prese una perplessa Lanie sottobraccio e tornò velocemente sui suoi passi, uscendo da lì e ricominciando a respirare e forse anche a far battere il suo cuore, solo quando fu ragionevolmente a distanza da lui.

- Tesoro, devo dire che per importarti nulla di lui, non riuscire a stare a stare nemmeno nello stesso locale e paralizzarti perché lo vedi baciarsi con la sua donna sono reazioni abbastanza esagerate, non trovi.

- Zitta Lanie e pensa ad un altro posto dove andare a cena. - Le ordinò Kate risalendo in macchina sudando freddo nonostante il clima invernale.

Il mondo per Rick era sparito in un attimo. Quando l’aveva vista nel ristorante, intorno non c’era più nulla: musica, cibo, persone, Vanessa. Era sparito tutto. C’era lui e c’era lei. E c’erano i suoi occhi e le sue labbra. Baciare Vanessa in quel momento gli sembrò la cosa più sbagliata del mondo, gli sembrò di farle un torto, di tradirla. Eppure la sua donna era quella che stava baciando e Kate era la sua ex. La sua ex tutto, o solo il suo tutto. Gli sembrò di essere sospeso in una bolla nel tempo che lei era lì, e poi era scoppiata appena se ne fu andata, portando via con se la musica, i colori e i sapori di quel posto, diventato improvvisamente muto, insipido e in bianco e nero. La serata non fu più la stessa e non fu l’unico ad essere a disagio, anche Vanessa lo era e le sue scuse sembravano più un’ulteriore colpa che un discolparsi di qualcosa. Di cosa, poi, che una sua ex aveva scelto lo stesso ristorante per cenare e che lo aveva salutato? No, lui si scusava per tutto quello che aveva dentro e che stava torturando. 

Tornarono a casa di Vanessa molto più silenziosi di quando erano usciti e mentre lei era in bagno a prepararsi per la notte, Castle si versò un paio di drink che si andarono a mischiare con i margaritas nel suo stomaco sottosopra per colpa della sostanza più pericolosa per il suo fisico: Kate Beckett.

Quando entrò in camera Vanessa era già sul letto e lui si spogliò velocemente per raggiungerla, volendo colmare nel solito modo tutto quello che non c’era tra loro in quei giorni. Vanessa, però, lo fermò e lui sorpreso dal fatto non se ne curò, continuando a baciarla sul collo e sulle spalle intrufolando le mani sotto la camicia da notte, fino a quando lei non le prese i polsi fermandolo e sottraendosi dalle attenzioni della sua bocca.

- Richard, non è il caso. - Le disse lei seria.

- Perché? - Chiese lui provando ancora ad avvicinarsi e venendo ancora respinto.

- Perché non ha senso adesso. - Vanessa era estremamente seria e decisa.

- Sei arrabbiata? 

- No.

- Allora cosa c’è?

- Tu Richard. 

- Io?

- Sì.

Per Vanessa adesso era tutto chiaro. Li aveva visti, aveva capito. Amava Castle, pensava che potesse essere la persona giusta, anche se aveva sempre saputo di quella sua macchia sul cuore, ma chi non ne aveva, lei era la prima. Gli capitava spesso di pensare a James e ancora di chiedersi cosa sarebbe stata la sua vita con lui ed il loro bambino. Da quando stava con Rick, però gli capitava sempre meno ed aveva anche pensato che forse con lui avrebbe potuto riprovarci. Ma quella sera aveva capito tutto, non aveva mai visto il suo sguardo così, non l’aveva mai guardata come aveva guardato Kate quella sera, come una visione, come se fosse tutto quello che voleva dal mondo. Probabilmente era così, si disse. Ed ora capiva anche i suoi sguardi assenti, quando si perdeva nei suoi pensieri e sembrava in un altro mondo, ora sapeva dov’era: era da lei, ovunque lei fosse.

- Io credo che tu non dovresti venire a Los Angeles. - Gli disse Vanessa.

- Perché? - Chiese stupito Rick

- Perché non è quello il tuo posto. E non è nemmeno questo.

- Cosa dici piccola? Che succede? - Le accarezzò la spalla ma lei spostò la sua mano.

- Non può funzionare tra noi Richard.

- Ma… ma perché? Io ti amo Vanessa. - Castle era preso in contropiede e tutto si aspettava tranne quello in quella serata. Si era immaginato di fare l’amore con lei, fino alla mattina dopo, di dimenticare tutto quello appena accaduto ed invece lei lo stava allontanando, lo stava lasciando. Anche lei.

- Non lo dire Richard, non è vero.

- Sì che è vero! Io ti amo!

- No… tu credi di amarmi, forse vorresti amarmi. Ma ami lei. Ami Kate.

- No! No! - Protestò lui mentre sentiva come se lei gli stesse strappando via quella corazza che si era costruito in quei mesi, lasciandolo nudo e vulnerabile ad ogni parola.

- Non lo negare, non è una colpa. - Gli sorrise benevola accarezzandola. - Tu non sei una cattiva persona Rick ed io non ce l’ho con te. So che mi vuoi bene, che siamo stati bene insieme, ma non possiamo andare avanti. Non dopo quello che ho visto stasera.

- Cosa… cosa hai visto? - Era terrorizzato dalle sue parole.

- Ho visto due persone che si amavano e non eravamo io e te. Dio mio Richard, non sai quanto vorrei che fosse diverso, ma non posso illudermi ancora, non posso illudermi di più e non posso lasciare che tu lo faccia con me. Ho passato dei mesi bellissimi insieme a te. Ma non può andare avanti così. Non dopo stasera.

- Vanessa io… 

- Shhh Richard. Non dire niente.

La donna si avvicinò baciandolo dolcemente. Un bacio d’addio, dolce e tenero, mentre gli accarezzava i capelli cercando di sistemargli il ciuffo per l’ultima volta.

Rick camminava di notte per le strade dell’Upper East Side imbattendosi tra ragazzi che uscivano dai locali molto allegri. Li guardava sorridendo quando qualcuno incrociava il suo sguardo ed una ragazza lo fermò riconoscendolo, chiedendogli un autografo che gli fece, non sottraendosi nemmeno ad una foto. Bastava poco per rendere felice qualcuno e lui era sempre felice di farlo. Non era certo la prima volta che gli capitava, anzi negli ultimi tempi era sempre più frequente e lo accettava più che di buon grado. 

Si era rivestito rapidamente, mettendo in uno zaino che aveva lì non sapeva nemmeno bene perché, le cose che teneva a casa di Vanessa. Era la seconda volta in pochi mesi che ripeteva quel gesto e notò che faceva molto meno male. Sapeva che Vanessa aveva ragione. In fondo l’aveva sempre saputo. Però sperava veramente di riuscire ad amarla come meritava, un giorno. Era sulla buona strada, ci stava quasi riuscendo. Poi era tornata Kate e poi aveva saputo la verità da Alexis e tutto era diventato diverso, aveva assunto un altro significato, la sua realtà si era stravolta ancora e faticava a rimettere insieme tutti i pezzi. E nel frattempo Kate aveva ritirato su il suo muro, ma lui non ce la faceva più a combattere per lei. Era sfinito da quegli anni, da quei mesi e da tutto il turbinio di emozioni che lo avevano sbattuto da una parte all’altra dell’anima. 

Era grato a Vanessa, per tutto quello che aveva fatto per lui, durante il tempo che erano stati insieme, per averlo capito, supportato, consolato e sopratutto per averlo lasciato, per fare quello che lui vigliaccamente non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, per paura di farle male, per codardia e perché era facile per lui stare con lei, era un comodo rifugio dove sfuggire dalla realtà. Invece lei, da donna risoluta quale era, aveva capito quello che lui aveva paura di dirle con un semplice sguardo. E allora forse doveva ringraziare anche il caso ed il destino che avevano scelto per lui quella sera. Se avesse avuto più forza e più coraggio avrebbe anche interpretato tutto quello come un segno inequivocabile di quello che avrebbe dovuto fare. Ma era stanco. Troppo stanco per rincorrere ancora Kate Beckett, lei era sempre stata troppo veloce e lui, in fondo, troppo pigro. Aveva bisogno di capire e di capirsi. Si sentiva ancora frastornato, come se fosse uscito da una discoteca con la musica troppo forte, dopo aver bevuto qualche bicchiere in più, con le orecchie che fischiavano e la testa che girava.

Passò davanti al St. Regis e le luci della sua insegna lo catturarono. La suite Tiffany era sempre stata una delle sue preferite ed in quella stanza aveva sperperato gran parte dei suoi soldi nei suoi primi anni di successo. Era un posto che faceva sempre colpo sulle ragazze, quella particolare tonalità di verde era un’attrazione irresistibile ma anche a lui piaceva molto. Era elegante, ma non eccessiva come altre, saranno stati i colori più chiari a renderla meno pesante, ma gli piaceva, molto. Non ebbe bisogno nemmeno che il suo maggiordomo l’accompagnasse, non aveva bagaglio, eccezion fatta per quello zainetto e la strada la conosceva bene. Era quasi l’una di notte quando il cameriere gli portò la cena che aveva ordinato, una ceviche d’astice e frutta ed una bottiglia di Sancerre. In quel grande tavolo della sala da pranzo della suite mangiò da solo con un leggero sottofondo di musica jazz, e “In a sentimental mood” fatta da Duke Ellington e John Coltrane gli sembrava abbastanza malinconico per essere la perfetta colonna sonora della sua serata, finita sul divano con il bicchiere di vino in mano a pensare a tutto quello che gli era accaduto.

Aveva dimenticato il piacevole benessere che quella stanza gli dava, forse perché gli faceva ricordare quando era un giovane uomo che si faceva molti meno problemi e prendeva la vita più alla leggera, che cercava solo serate per evadere dalla sua condizione di ragazzo padre, chissà se veramente era così sereno quando era lì o era solo la sua mente che aveva ricostruito quell’immagine. Sorseggiava il suo vino assaporandolo e cercando di individuarne tutte le note di sapore, era un’esercizio rilassante.

Pensò che doveva essere più addolorato, era stato appena lasciato dalla sua donna, ed invece si sentiva solo tanto confuso.

Brindò da solo a se stesso e si sentiva in colpa per non riuscire ad essere triste.

Andati via dal messicano, Lanie aveva proposto a Kate si spostarsi in un locale più movimentato, dove la musica ad alto volume e l’alcool la facevano da padroni. Più i minuti passavano, più Kate si pentiva di aver accettato. Avrebbe voluto una serata per chiacchierare un po’ con la sua amica, divertirsi e mangiare qualcosa di buono, si ritrovò invece da sola, con un cocktail scadente tra musica troppo forte e Lanie che si strusciava ad un tipo che la faceva ballare. Non proprio la sua serata ideale e la situazione era precipitata quando un tipo decisamente troppo ubriaco ci aveva provato con lei che prima lo aveva allontanato con le buone, ma quando lui non era riuscito a tenere le mani a posto provandola a trascinarla al centro della pista. Allora lo aveva prima sbattuto a terra ed immobilizzato e poi minacciato di arrestarlo, uno spettacolo fuori programma per i clienti del locale poco gradito dai proprietari che poi le avevano invitate ad andarsene. Forse avevano preso poco sul serio la minaccia di Kate pensando che scherzasse quando aveva detto di essere un detective della polizia ma lei aveva decisamente preso sul serio il loro comportamento e qualche bel controllo non glielo avrebbe tolto nessuno.

Così finirono per mangiare hot dog e bere birra su una panchina in un parco, mentre Lanie le diceva che doveva imparare a essere più sciolta e Kate che la guardava con facce disgustate. Parlarono di uomini, di sesso e di darsi delle possibilità, il tutto facendo un attento slalom stando entrambe attente a non pronunciare mai un nome: Richard Castle.

Quando la mattina dopo Kate sentì bussare alla porta era ancora mezza addormentata nonostante fosse molto tardi per i suoi standard. Aveva un gran mal di testa. Urlò che stava arrivando e si diede solo il tempo di sciacquarsi il viso e prendere la pistola, per sicurezza. Aprì la porta e rimase interdetta davanti alla persona che era ferma sul ciglio del suo appartamento con un sorriso amichevole.

- Buongiorno Kate, possiamo parlare qualche minuto?

- Ma certo, entra pure, Vanessa.

Così Beckett appena sveglia, con un aspetto pessimo, insonnolita e con un gran mal di testa si trovava davanti la compagna di Castle che sembrava appena uscita da un set fotografico. “Fantastico” pensò, mentre la invitava a sedersi.

- Vuoi una tazza caffè? - Le chiese Kate cercando di essere il più ospitale possibile.

- Certo, grazie.

Nel tempo che preparò il caffè le due donne rimasero in silenzio, fino a quando Beckett non le porse la tazza.

- Grazie, tu niente caffè? - Chiese l’attrice vedendo che ne aveva preparata solo una.

- No io… non lo bevo più, quasi mai. - Ammise Kate messa a disagio da una semplice domanda.

- Come Richard, nemmeno lui beve caffè. Dice che gli fa male al cuore. - Sorrise Vanessa trovando un punto in comune con i due, non sapendo quando quella semplice cosa li legava e cosa aveva voluto dire per loro.

- Già… fa male al cuore… - sorrise Kate imbarazzata da quella scusa così vera che aveva trovato. Era una cosa proprio da Castle.

- Ti chiederai perché sono qui, immagino. - Disse l’attrice sorseggiando il caffè.

- Effettivamente sì. - Ammise Kate tamburellando con le dita sul tavolo nervosamente.

- Ieri sera io e Richard ci siamo lasciati.

Kate fermò ogni movimento del suo corpo. Alzò solo lo sguardo per cercare di decifrare quello di Vanessa. Perché era lì da lei? 

- Io… io… mi dispiace… - balbettò Beckett

- Non credo dovresti. In realtà sono stata io a lasciare Richard. - Le disse Vanessa e Kate cercava nella sua voce e nei suoi gesti qualche minima traccia di biasimo nei suoi confronti che non c’era.

- Io… credevo che voi stavate per sposarvi. - Ammise candidamente Kate faticando veramente a capire perché quella donna era lì e stava dicendo a lei quello. Vanessa, però, sorrise a quella sua osservazione stupita.

- No, Kate, no. È stata tutta una montatura dei giornali e l’anello non me lo ha regalato Richard, ma è della casa di cui sono testimonial. Ci abbiamo giocato un po’ su con Rick, per la felicità dei nostri uffici stampa.

Beckett sorrise e non sfuggì a Vanessa quel gesto così istintivo che voleva dire molto di più di quanto la ragazza non ammettesse, non solo a lei, ma anche a se stessa.

- Scusami Vanessa, io non capisco… perché sei qui? - Domandò Kate cercando dentro di se tutta la forza necessaria per gestire quel momento assolutamente inedito nella sua vita.

- Per Richard. Lui mi ha raccontato qualcosa di voi, non molto a dir la verità perché gli faceva male anche solo parlarne. Non so perché tu lo hai lasciato, però di una cosa sono certa, lui ama te e penso di non sbagliare se dico che anche tu ami lui.

- Vanessa non è così semplice, non… 

- Kate, scusa se mi prendo una confidenza che non dovrei, ma non c’è bisogno di negare nulla. Io non sono arrabbiata con te, né con Richard. Io mi sono innamorata di lui e lui so che mi ha voluto veramente bene. Ma ama te e ieri sera per me è stato chiaro. Basta vedervi per capirlo e forse gli unici che non lo capite siete voi. Io lo amo, ma non voglio che lui stia con me solo perché non può stare con te. Non è giusto né per me né per lui.

- Non so cosa dire. - ammise semplicemente Beckett davanti alla serenità della donna.

- Non c’è bisogno che dici nulla. Non voglio essere compatita o altro, credimi. E non sono qui per fare scenate di gelosia. Richard mi ha permesso dopo anni difficili di provare a sperare che nel futuro qualcosa possa cambiare, mi ha fatto guardare per la prima al futuro e pensare ad alcune cose che avevo nascosto nella mia mente, facendo finta che non esistessero. Pensavo che le avrei fatte con lui, ma evidentemente non era la persona giusta per me, o meglio, io non ero la persona giusta per lui. Non pensare che non mi importa nulla di lui, però. Ora potrei uscire da qui e piangere come una bambina ripensando ad ogni momento con lui. Ma forse dentro di me l’ho sempre saputo che sarebbe andata così, che quel velo sul suo cuore non l’avrei mai tolto del tutto. 

Kate fece un sorriso tirato. Conosceva bene quella sensazione, tuttavia ancora non capiva perché quella donna era venuta da lei il giorno dopo essersi lasciata con Rick e da quello che le aveva appena detto lei era la causa.

- Scusami la franchezza Vanessa, io continuo a non capire, cosa vuoi da me? Perché mi stai dicendo questo?

l- Sì, lo merita… - Ammise Beckett abbassando lo sguardo. Si sentiva così profondamente inadeguata a parlare con quella donna.

- Sei fortunata Kate. Forse detto da me sembrerà patetico, ma invidio il modo in cui ti guarda Richard. Non lasciare che quello sguardo vada perso. Lui è… molto più fragile di quello che sembra e si rifugia spesso nelle cose sbagliate per sfuggire a quello che gli fa paura. - Beckett sorrise imbarazzata alle parole della donna.

- Sono contenta che ha avuto vicino una persona come te. - Le disse Kate sinceramente mentre Vanessa se ne stava andando e fu l’attrice questa volta ad abbassare lo sguardo, sentendo gli occhi bruciare un po’. Aveva fatto quello che si era sentita, quello che riteneva giusto. Aveva riconsegnato Castle alla donna che amava 

- Vanessa! - La fermò Kate prima di uscire - Come hai fatto a trovarmi?

- Oh, è stato più facile di quanto pensassi. È basto chiamare il tuo distretto chiedere di te, che dovevo fare una consegna urgente e mi hanno dato il tuo indirizzo. Forse non il massimo della privacy… - Le fece un sorriso complice

- Ah, beh, credo che nei prossimi giorni qualcuno avrà una bella lavata di testa, allora… - Esclamò Kate che non sapeva se essere arrabbiata o grata a chiunque l’avesse fatto.

- Non essere troppo dura però, era per una buona causa, anche se non lo sapeva. Buona fortuna Kate.

- Buona fortuna a te, Vanessa.

Le due donne si strinsero energicamente la mano ed uscendo da lì, l’attrice si smise di recitare la sua parte, e salendo sul primo taxi che passò, si concesse la libertà di versare quelle lacrime che aveva ricacciato con decisione fino a quel momento.

- Dove la porto signora? - Chiese il tassista a Vanessa

- All’aeroporto.

—

Kate si appoggiò con la schiena alla porta. Doveva assimilare tutto quello che Vanessa le aveva detto e prima ancora essere certa di non stare ancora dormendo. Poteva esserlo in effetti. Quello era tutto un sogno e lei era ancora nel suo letto. Sbuffò prendendosi la testa tra le mani per le idiozie che pensava. Tolse di mezzo la tazza di caffè che era ancora sul tavolo, guardando il liquido scuro scendere nello scarico del lavandino facendo una spirale. Rimase qualche secondo incantata da quel movimento e dai pensieri che cominciavano ad accumularsi nella sua sua mente.

C’era una frase di quelle che le aveva detto Vanessa che l’aveva colpita particolarmente: “chiediti se veramente il motivo per cui lo hai lasciato vale più di lui”. Non sapeva come rispondersi. La sua sicurezza valeva più di tutto, certo, ma adesso, quel nome, valeva veramente di più? Era più importante scoprire chi era l’assassino di sua madre di Castle? E lei era veramente incapace di amarlo, di vivere la sua vita senza chiudere quel capitolo?

Doveva imparare a guardare il suo oggi e vivere il presente.

Non doveva voltarsi indietro, domani, per vedere quello che era già diventato ieri e rimpiangere tutto quello che non aveva fatto o detto, tutto quello che non aveva vissuto.

Non doveva guardarsi ancora alle spalle per scorgere quello che non era stato, aumentando solo il cumulo di rimpianti per tutti gli “oggi” non vissuti. 

Rick era il suo oggi ed il suo domani che doveva provare a vivere.

Fece un lungo bagno cercando di rilassarsi, di ricomporre i pensieri sparsi nella sua mente. Doveva andare da lui, parlargli, spiegare quello che aveva fatto, cancellare tutto quello che gli aveva detto quando lo aveva lasciato, fargli capire che non era vero, che non c’era nulla di sbagliato in loro, che non c’era stato nulla di finto o di illusorio, che era stato la sua realtà più bella, un sogno sì, ma un sogno reale.

Si avvolse nell’accappatoio, facendosi abbracciare dalla spugna morbida. Aprì la scatola che teneva sul comò con tutte le sue cose più care: l’anello di sua madre, l’orologio di suo padre e quel piccolo cuoricino di legno con una lettera incisa sopra, il cuore che le le aveva regalato Castle. Lo strinse forte nella sua mano e tutto quello che le sembrava confuso era chiaro.

La strada per il loft la conosceva a memoria ed anche se non l’avesse saputa, era convinta che l’avrebbe portata lì il suo istinto. Voleva parlare con Castle, voleva farlo subito. Non le importava se c’era sua madre o Alexis o chiunque altro, doveva parlargli e dirgli quello che aveva dentro. Salutò il portiere che la fece entrare e salì impaziente fino all’ultimo piano. Davanti alla porta prese tutto il suo coraggio e suonò con insistenza ma nessuno gli aprì. Attese invano in piedi per un po’ ma non arrivò nessuno. 

Pensò che il loro destino aveva orari sempre diversi e non riuscivano a trovarsi mai. E forse doveva accettarlo, doveva essere un segno che doveva capire: era andata così.

Chiamò l’ascensore per scendere ed andare via e mentre aspettava pensava che non era il destino a dover vincere, non andava così, se lei non voleva che andasse così, e se arrivavano ai loro appuntamenti sempre ad orari diversi, voleva solo dire che qualcuno doveva aspettare che arrivasse anche l’altro.

—

- Beckett? Cosa ci fai qui? - Vide Kate rannicchiata sul pavimento con le ginocchia raccolte al petto che sentendo la sua voce si alzò di scatto, pulendosi nervosamente il cappotto.

- Ti devo parlare Castle.

- È inutile che insisti, non ti darò quel nome. Puoi anche andare. - Non la guardò nemmeno mentre infilava la chiave nella toppa per aprire la porta di casa.

- Non mi interessa. - Rick si voltò guardandola sorpreso. - Non lo voglio sapere. Non sono qui per questo.

- E per cosa sei qui? - Le chiese stizzito mentre apriva la porta del loft facendo un passo verso l’interno lasciandola fuori.

- Per te. - Rick sorrise nervoso alle sue parole. - Fammi parlare Castle. Ti chiedo solo questo. 

- Ma certo, accomodati. Parla… - Le fece un ampio gesto con il braccio invitandola ad entrare. Kate lo fece in punta di piedi, guardandosi intorno per essere certa che non ci fosse nessuno e rimase in silenzio. Sentiva solo il rumore dei loro respiri. Castle chiuse la porta ed il rimbombo la fece sobbalzare. Rimase in silenzio anche lui e la guardò. Si tolse la giacca, buttò lo zaino in un angolo e le chiavi sul mobile. Sembrava quasi non far caso a lei, in piedi poco distante da lui, ancora avvolta in quel cappotto nero nel quale si strinse di più con le mani in tasca per non far vedere che tremavano, come tutto il resto del suo corpo.

- Beckett allora, cosa devi dirmi? Ho avuto una giornata difficile…

- Ti amo, ma questo già lo sai… - La voce che le uscì fu poco più di un filo.

- Mi pare di averla già sentita questa frase. - Disse ironico tra le sue parole.

- Non ho finito Castle. Quello che non sai è che non ti amo da ora, né da quando ti volevo mandare quel messaggio. Lì ho solo capito che non potevo aspettare ancora per dirtelo e per dirmelo. Io ti amo da molto prima. Ti amo da quando mi hai chiesto di venire con te negli Hamptons ed ho lasciato Tom. Ti avrei detto di sì e te lo stavo dicendo ma poi è arrivata Gina, siete andati via insieme ed io mi sono sentita una stupida illusa. Ti amavo quando ci siamo baciati sotto copertura e quella sera ti avrei baciato ancora e ancora. Ti amavo nella cella frigorifero e quando mi hai stretto a te avrei voluto dirtelo. Prima di perdere conoscenza ho pensato che se proprio dovevo morire, tra le tue braccia era il posto migliore. Ti amavo a Los Angeles e sono tornata indietro troppo tardi, tu eri già andato nella tua stanza ed ho creduto che non fosse proprio destino per noi. Ti amavo mentre eri ostaggio in banca e quando ti ho trovato avrei solo voluto baciarti e dirtelo, perché l’idea di averti perso mi stava dilaniando.

- Basta Kate…

- No, Castle. Non basta. Ti amavo quando mi hai detto ti amo la prima volta e avrei voluto dirti che ti amavo anche io, ma non potevo e sono state le tue parole a tenermi in vita, ne sono certa. Mi dispiace averti mentito, mi dispiace averti ferito e so che non potrai capirmi, ma ti amavo anche quando ti ho detto che non ricordavo e che non volevo vederti, perché non ero pronta per amarti. Hai ragione, mi rifugiavo in storie vuote perché era più facile, perché sapevo che con te sarebbe stato diverso e non avrei mai più potuto nascondermi a me stessa. Ma soprattutto Rick, ti ho amato profondamente e sinceramente ogni volta che te l’ho detto, ogni minuto che abbiamo passato insieme, in ogni bacio, in ogni carezza e dirti il contrario, che era finita e che era stato un errore è stata la cosa più difficile e dolorosa che abbia mai fatto. L’ho fatto per te, perché volevo che tu fossi al sicuro lontano da me, perché non potevo accettare che tu rischiassi la vita solo per starmi accanto. 

- Kate…

- Posso accettare che tu voglia stare con un’altra persona che ti renda felice, qualcuno più facile di me. Meriti di essere felice Rick. Però quello che non riesco a sopportare più è che tu pensi che quello che c’è stato tra noi non è stato vero e importante per me. Perché sei la cosa più bella che io abbia mai avuto, anche se per poco.

Beckett si voltò nascondendogli quelle lacrime che aveva stoicamente trattenuto per tutto il tempo in cui aveva parlato. Gli aveva detto tutto quello che pensava, quello che sentiva, la sua verità. Non gli stava chiedendo niente e lui non aveva fatto niente. Vanessa le aveva detto che lui era ancora innamorato di lei, certo, ma non sapeva se era abbastanza, se avrebbe mai potuto perdonarla, se non avrebbe preferito essere sereno con l’attrice che gli aveva ridato il sorriso e provare a riconquistare lei, a convincerla dei suoi sentimenti, perché sarebbe stato più facile per lui provare a costruire una nuova vita con Vanessa.

Non aveva certezze, se non quello che provava per lui, quello che aveva sempre provato e aveva solo voluto essere totalmente sincera con lui forse per la prima volta nella sua vita, mettendosi a nudo completamente nei suoi sentimenti come non aveva mai fatto ed ora era pronta ad andarsene. Non si aspettava di certo la sua mano prenderle il braccio e tirarla con decisione verso di lui. Si lasciò trasportare come dal mare in tempesta fino a quando non approdò sulla riva, appoggiata al suo petto con il volto che aveva ritrovato la sua posizione più naturale, come un’esule che torna a casa, così lei si era adagiata sulla sua spalla, respirandolo nell’incavo del collo mentre le sue braccia la stringevano ed era talmente persa in lui da non capire nemmeno cosa le stesse dicendo, mentre sentiva solo il suo profumo, il suo calore e le sue carezze sulla schiena. Rick la lasciò sfogare poi quando sentì che il suo respiro era più calmo le sollevò il mento per guardarla e per lui era sempre la donna più bella. Kate con gli occhi appannati dal pianto che teneva bassi per paura di quello che poteva leggere nei suoi, non vide il dolce sorriso che Rick le stava riservando, pensò solo a godersi il delicato tocco delle sue mani sul suo volto, che spostavano quei capelli più corti e li accarezzava scoprendoli realmente solo in quel momento.

Beckett sentì le labbra morbide di Castle sfiorare le sue, baciarla piano con tanti piccoli baci che la lambivano delicati e pensò che quello doveva essere solo una proiezione della sua mente che le faceva quegli strani scherzi da far apparire tutto così reale.

- Rick…

- Basta Beckett… Parli troppo… - Tornò a baciarla con più insistenza, senza trovare alcuna resistenza in lei che si lasciò andare finalmente a quel bacio che era ossigeno per il suo cuore in apnea e le lacrime tornarono prepotenti a bagnare il suo volto e quello di Castle, mentre rispondeva al suo bacio sempre più intenso.

- Non piangere Kate. - Le asciugò le lacrime sul viso con altri baci appena sfiorati.

- Non volevo farti soffrire Castle. Volevo solo che tu fossi al sicuro.

- Non voglio parlarne ora, ok?

Lei annuì con la testa sforzandosi di fare un sorriso. 

- Ieri sera io e Vanessa ci siamo lasciati. Tu… puoi essere quello che vuoi… se lo vuoi. - Le sciolse la cinta del cappotto, lasciando che si aprisse, portando le sue mani sotto la stoffa, abbracciandola più vicino alla sua pelle, sentendola tremare.

- Tu cosa vuoi Castle? - Gli chiese Kate trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.

- Te. - E a Rick sembrò si sentirla tremare ancora di più.

- Sei sicuro che vuoi me, Castle?

Rick la tirò a se fino a quando i loro corpi non si scontrarono, le sue mani ricoprivano la schiena di Kate e con le dita premeva leggermente sulla sua pelle attraverso la stoffa.

- Voglio solo te, Beckett.

- Dio mio Rick quanto mi sei mancato. - Kate si appoggiò di nuovo sulla sua spalla con la fronte, aveva bisogno di un appiglio perché si sentiva sfinita e come al solito lui sembrò capirlo perché la tenne ferma contro il suo petto. Era il suo modo per dirle che non l’avrebbe più lasciata andare. Era successo tutto così velocemente che ancora faticava a rendersene conto. Era uscito dal St. Regis con la sola idea di chiudersi in casa e rimanere da solo tutto il giorno ed anche i seguenti, almeno fino a quando non avesse rimesso insieme i pezzi della sua vita e trovato una nuova strada. Poi aveva visto lei e gli era montata una rabbia caustica perchè era da lei che era cominciato tutto il suo dolore ed interrotte le strade che portavano alla felicità. Vanessa lo aveva lasciato poche ore prima ed il suo cuore sanguinava ancora per le parole di Kate lontane mesi, erano quelle che facevano male. Sempre. L’aveva sentita, infine, aprirsi a lui, mettere in gioco tutti i suoi sentimenti come mai aveva fatto, l’aveva vista indifesa, senza nessuna traccia di quel muro contro il quale aveva sbattuto di nuovo pochi giorni prima e tutto era andato in secondo piano e non c’era nulla più che volesse fare di stringerla a se, come stava facendo, e cancellare la distanza di tutti quei mesi. Inspirò il suo profumo ubriacandosi di lei.

- Non lasciarmi mai più Kate. - Castle si accorse che non era solo Beckett che tremava adesso. Tremava anche lui e la sua voce vibrava tra i capelli di lei. Glielo avrebbe ordinato se la sua voce non fosse sembrata, invece, una disperata preghiera di un uomo che aveva paura. La risposta di Kate fu stringersi a lui e cercare di racchiuderlo nelle sue braccia troppo esili per contenerlo. 

Il divano di Castle era troppo grande e dispersivo per loro, quel giorno. Kate stava al sicuro tra le braccia di Rick e si sentiva come se per la prima volta da quando si erano lasciati, riuscisse a rilassarsi completamente. Si tenevano per mano da quando si erano spostati lì e non avevano mai sciolto quella presa e le dita erano incrociate tra loro in una stretta salda. Non si erano parlati, baciati e nemmeno guardati. Castle aveva solo fatto appoggiare la schiena di Beckett contro il suo petto e mentre lei si era rannicchiata vicino a lui, l’aveva stretta e lei aveva preso le sue mani in un gesto istintivo e simbolico. Rick aveva appoggiato il volto tra i suoi capelli e quel movimento lento, a volerla cullare, era diventato sempre più impercettibile fino a quando non furono completamente fermi. Non importava il tempo che passava, nessuno dei due aveva fretta. Rimettere insieme i pezzi di loro stessi era una cosa che richiedeva tempo. Ed erano insieme ma ognuno lo doveva fare da solo, elaborare a modo suo quello che aveva vissuto e cercare di dargli un senso. Sentivano solo, ogni tanto, il loro respiri diventare più profondi, come se stessero scaricando, in quel momento, un peso troppo gravoso che portavano dentro. E allora Rick stringeva di più le braccia intorno a lei, e Kate le dita sulle sue. Non avevano bisogno di dirsi nulla. 

Fu Kate a rompere quella situazione di stasi in cui erano da un tempo indefinito. Rick si allarmò quando la sentì muoversi per liberarsi dalla sua stretta e la guardò pensieroso fino a quando lei non si voltò, sedendosi sulle sue gambe e lui subito strinse ancora le braccia dietro la sua schiena, per non farla andare via, se mai lei lo avesse voluto, ma non c’era nulla di più lontano dalla realtà, perché Kate prese il suo volto tra le mani, accarezzandogli gli zigomi e le guance con la punta delle dita e lui che la stava ammirando, incantato da quello sguardo che male nascondeva una profonda malinconia ed un dolore vivo, si lasciò andare chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalle sue carezze in quel mondo di beatitudine che solo lei sapeva costruire. Castle sentì il respiro di Kate più vicino e la sua bocca solleticargli le labbra. Aveva bisogno di quel bacio, se ne accorse quando non riusciva più a separarsi da Kate, rinnovando la continua ricerca di lei, del suo sapore e la sentì ridere mentre le mordicchiava il labbro inferiore e non c’era niente di più bello che baciare il suo sorriso. Sarebbero andati avanti a baciarsi per ore o per giorni o per sempre.

Kate appoggiò la fronte su quella di Rick. Il respiro accelerato dal bacio tornò lento e profondo, mentre le dita di lei gli solleticavano quel punto dietro l’orecchio che lo faceva impazzire e mentre Castle teneva gli occhi chiusi, Beckett, invece, ce li aveva ben aperti ed osservava il suo volto per cercarne ogni minimo cambiamento.

- Ti amo veramente Castle. Credimi. - Kate lasciò il viso di Rick per abbracciarlo a sua volta, mentre la testa trovava di nuovo la sua posizione preferita tra collo e spalla, in quel punto del suo corpo che sembrava fatto apposta per lei, dove poteva baciarlo e lasciare che le labbra indugiassero più a lungo sulla sua pelle.

- Lo so… - Le sussurrò sospirando, baciandole la fronte. - … Però è così bello sentirtelo dire.

- È così bello potertelo dire e non solo rimpiangere di non poterlo più fare. - Kate chiuse gli occhi lasciando che tutta la tristezza di quei mesi scivolasse via con le lacrime. Rick le diede un altro bacio lasciando che fossero le sue braccia a consolarla in quella presa sicura che era un riparo per lei.

- Ti va un caffè? - Le chiese e Kate annuì senza parlare. Si alzarono e Castle la prese per mano fino alla cucina. La vide appoggiarsi al mobile mentre lui miscelava sapientemente caffè e latte creando quella schiuma alta e morbida che sarebbe stato per Kate il posto migliore al mondo dove perdere le labbra se non fossero esistite quelle di Castle.

Prendere la tazza di caffellatte fumante dalle sue mani era uno di quei gesti che la riportavano indietro, ancora prima che stessero insieme, a quando si amavano ognuno segretamente senza dirselo e in quel gesto c’era la loro condivisione silenziosa di un sentimento non palesato, nemmeno a loro stessi. La tazza era bollente ma tremò quando Rick poggiò la mano sulla sua guardandola negli occhi così intensamente che non poteva spostare lo sguardo in nessun altro posto se non perdersi nei suoi occhi blu.

- Bentornata Kate.

Bevvero uno vicino all’altro, assaporando di nuovo quel gusto che avevano entrambi evitato, perché c’erano delle cose che sapevano troppo di loro per essere fatte senza dilaniarsi ogni volta e quello che per il mondo era solo un gesto quotidiano, fatto senza pensare, per loro era il loro mondo.

- Mi era mancato. - Disse Beckett poggiando la tazza sul mobile dietro di se, gustando il sapore ancora sulle labbra e nel palato.

- Il mio caffè? - Chiese Castle imitandola.

- Il caffè. - Ammise lei sapendo che anche lui non ne aveva più bevuto.

- Già, anche a me - Sorrise lui. - Però mi era mancato di più questo. 

Rick leccò dalle labbra di Kate un po’ della schiuma rimasta e fu un attimo perché quello diventasse un bacio sempre più appassionato a cui nessuno dei due poteva o voleva mettere un freno né una fine. Le mani di Castle scivolarono sempre più in basso sulla schiena di Kate, facendosi strada tra la sua maglia e la pelle nuda. Beckett ebbe un brivido nel sentire le dita di lui affondare in lei, bramose, avvicinandosi di più al suo corpo, perdendo ogni timore e remora. Rick scese ancora più in basso, insinuandosi oltre la cinta dei suoi pantaloni ed i brividi di Kate si trasformarono in sospiri profondi assecondando il ritmo delle sue carezze.

Non smisero di baciarsi nemmeno quando Castle la prese e la sollevò senza badare troppo alle tazze dietro di loro, facendola sedere sul mobile. Le mani di Kate tra i suoi capelli mentre lui era sceso a baciarle il collo sembravano indirizzarlo ancora più in basso, fino al collo di quella maglietta che improvvisamente era di troppo, un fastidioso ostacolo tra lui e lei. Si fermò solo un attimo, il tempo per ammirarla, con la testa reclinata indietro e non resistette oltre a baciarle di nuovo il collo e risalire piano fino al lobo dell’orecchio che mordicchiò dolcemente solo per far accrescere in lei quel desiderio mai sopito, mentre le mani erano tornate ad esplorare il suo corpo fin dove potevano. Sentì le gambe di Kate stringersi attorno al suo bacino trascinandolo a se più che poteva ed i baci diventavano sempre più profondi ed intensi mentre il desiderio cresceva.

Quello che Rick non sentì, e nemmeno Kate, fu la porta aprirsi e poi chiudersi, i passi decisi verso la cucina ed una borsa che cadeva a terra. 

- Papà… - Rick si voltò di scatto e gli occhi di Alexis si fissarono su quelli imbarazzati di Kate - Beckett? 

- Alexis cosa… cosa ci fai qui? - Chiese a sua figlia che doveva essere fuori per il week end con i suoi amici.

- Io? Questa è casa mia! Tu cosa ci fai qui, dovresti essere a Los Angeles no? Non vivi lì adesso? E lei soprattutto che ci fa qui? - Il tono accusatorio di Alexis non scalfì per niente Castle ma colpì molto di più Beckett che scivolò giù dal mobile carica di imbarazzo.

- Come hai potuto fare questo a Vanessa, eh papà? - lo accusò ancora sua figlia.

- Io e Vanessa non stiamo più insieme. Ci siamo lasciati. Questo è tutto.

- Beh, vedo che non hai perso tempo. Era lì pronta a riprenderti, non è vero? Bel modo di farti vivere la tua vita, tornando e mandandola a rotoli ancora! - Alexis parlava di Kate come se non fosse presente ed ogni parola della ragazza le arrivava come un pugno in pieno volto.

- Io è meglio che vada - sussurrò Beckett a Castle andando verso il divano per recuperare il cappotto ma lui la fermò, impedendole di fare un passo in più e lei inerme lasciò che fosse lui ad avvicinarsi e mettersi al suo fianco, cingendola facendo incrociare le loro dita sul suo ventre.

- Kate fa parte della mia vita. Oggi, domani, per sempre. Puoi accettarlo Alexis o non farlo, non cambierà nulla per me. Non accetterò altre interferenze di nessun tipo.

- Cosa vuol dire questo papà? - chiese Alexis con le lacrime agli occhi per la rabbia

- Niente, Alexis. Per me non vuol dire nulla di diverso di quanto non ti ho già detto. Sei mia figlia Al, ti voglio un bene infinito, ma questo non vuol dire che puoi obbligarmi a rinunciare di essere felice. - Rick guardò Beckett con lo sguardo basso fisso sulle loro mani. Si sentiva di troppo in mezzo a quella discussione ma Castle la teneva talmente stretta da renderle impossibile ogni movimento - Kate mi rende felice ed è tutto quello che ho sempre voluto. 

Alexis guardò suo padre scuotendo la testa, poi per la prima volta parlò a Beckett.

- Avevi promesso Kate! Avevi promesso che lo avresti tenuto al sicuro, come può esserlo vicino a te? Quante altre volte ancora dovrà rischiare la vita standoti accanto? Perché sei così egoista da non lasciarlo in pace? Stava bene, era felice, perché sei tornata a distruggere tutto?

- Mi dispiace Alexis. - nel tono di Kate c’era tutta la colpa che si prendeva, tutti i dubbi e le incertezze che la tormentavano, perché una parte di lei, una grande parte di lei, la pensava esattamente come Alexis.

- Sai solo dire mi dispiace, di fatto però non credo che ti dispiaccia di nulla.

- Ora basta Alexis. - Tuonò Rick

- Castle lascia stare… - provò a fermarlo lei. - … per favore.

Kate alzò lo sguardo cercando i suoi occhi. Non voleva che litigasse con Alexis per causa sua. Poi provò a parlare con la ragazza.

- Io amo tuo padre e capisco che ai tuoi occhi questa è una colpa. Non posso farci nulla, però. Ho provato ad andare via, a fare finta di niente, ma non è possibile. Capisco le tue paure, credimi non c’è persona al mondo che le può capire più di me. So che non ti basta e non ti importa né ti rassicura ma io darei la mia vita per lui, non voglio che corra alcun pericolo.

- Sono solo parole Kate, la realtà… - Alexis fu interrotta da Castle.

- La realtà è che io la amo, Alexis. E che è l’unica persona che può rendermi felice. Non ce ne sono altre e non mi interessano. Questa è l’unica realtà che conta e che dovrai fare in modo di accettare, perché credimi, non cambierà.

- È un aut aut? - Chiese Alexis a suo padre.

- Non dire stupidaggini. Sei mia figlia, pensi veramente che farei una cosa del genere?

- Beh… io vado… Non ho motivo di rimanere. - disse Alexis raccogliendo la borsa da terra.

- No, rimani. Ce ne andiamo noi. Abbiamo bisogno di fare un giro e di un po' di aria fresca. Immagino che a tua nonna l’avviserai tu della novità, vero?

Rick lasciò Kate per prendere i loro cappotti, l’aiutò ad indossarlo passandole poi le passò la borsa.

- Non aspettatemi questa sera - Disse ancora a sua figlia mentre uscivano dal loft.

—

Kate lo aveva seguito senza dire nulla fuori dal loft e dal palazzo.

- Dai sali! - Le disse davanti ad una Mercedes nera.

Kate aprì la portiera accomodandosi sul morbido sedile di pelle bianca, tratteggiando con l’indice le rifiniture in mogano nero lucido. 

- Non potevo continuare ad andare in giro con la Ferrari. - Le disse mentre metteva in moto ed usciva dal parcheggio.

- Forse dovevi rimanere a casa, chiarirti con Alexis… - Gli disse Kate guardandolo mentre lui fissava la strada davanti a se. Al primo semaforo rosso Rick si voltò per baciarla.

- Non ho nulla da chiarirmi con Alexis. Non sto facendo nulla di male, Beckett. 

Kate sospirò quando lui le prese la mano. No, non stavano facendo decisamente nulla di male.

- Dove stiamo andando? - Gli chiese mentre lo vedeva destreggiarsi tra le vie di Manhattan.

- Dove vuoi tu. Basta chiedere. - Le sorrise Castle veramente deciso a fare qualsiasi cosa lei volesse.

- A pattinare. Andiamo a pattinare, ti va? - Le chiese con gli occhi che le brillavano, e non ci fu nemmeno bisogno che le rispondesse.

A Central Park Rick era dentro la pista appoggiato al corrimano e guardava Kate pattinare veloce zigzagando tra coppie e ragazzi. Era convinto di riuscire a vedere il suo sorriso anche quando si trovava dalla parte opposta della pista. La vide poi avvicinarsi ed aprì le braccia per accoglierla e lei non si fece attendere. Si riposò qualche appoggiata a lui che approfittò per darle un bacio e poi si lasciò trascinare da lei in mezzo alla folla. Non era molto bravo, erano anni che non indossava i pattini, da quando Alexis era piccola, ed anche allora non era un granché. Si faceva guidare da lei che teneva la sua mano stretta e lo sosteneva nei suoi passi incerti spesso sul punto di cadere. Bambini si rincorrevano sul ghiaccio intorno a loro e coppie li superavano tenendosi per mano. Rick, però non aveva occhi che per Kate che all’improvviso lo lascio per girargli intorno con un movimento fluido e poi fermarsi davanti a lui, prendendogli entrambe le mani e tirandolo pattinando all’indietro fino a quando non toccò con la schiena il bordo della pista e lasciò che lui si fermasse proprio tra le sue braccia. Per Castle baciarla era molto più interessante e divertente che pattinare e tutto sommato anche a Beckett non dispiacevano quelle pause.

- Altro giro Castle? Te la senti? - Lo prendeva in giro mentre già lo stava trascinando con se e sembrava un po’ più sicuro di prima. Più che preoccuparsi di dove stava andando, affidandosi completamente a lei, era occupato a guardarla, forse troppo, visto che urtò un’altra coppia che andava nella direzione opposta facendo quasi cadere la ragazza alla quale porse delle frettolose scuse, occupato a tenere il passo di Kate. Si fermarono di nuovo a bordo pista e questa volta Castle non fece un altro giro. Si limitò a guardarla ancora mentre pattinava leggera e spensierata. Lo salutò con la mano, quando era dall’altro lato e si era fermata per sistemarsi il cappotto. Rick rispose al suo saluto, sembravano due timidi adolescenti che si corteggiavano da lontano. Qualcuno, però, doveva aver male interpretato il suo saluto e appena riprese a pattinare, un giovane ed abile pattinatore si mise al suo fianco, accompagnandola per buona parte della pista, roteandogli, letteralmente intorno. Rick si staccò dal corrimano e cercò di raggiungerla il più velocemente che poteva con la sua pattinata incerta e traballante e Kate che lo vedeva arrivare con quell’andatura che gli ricordava quella di un orsacchiotto si aprì in un sorriso magnifico.

- Cosa voleva quello da te? - Gli chiese indicando il ragazzo che adesso ci stava provando con una biondina poco lontano da loro.

- Sei geloso Castle? - Rise Kate portando le braccia intorno al suo collo e rischiando di fargli perdere l’equilibrio.

- Sì. Tanto. Te l’ho già detto. - Disse lui mettendo il broncio, con il solo intento di farsi baciare, tattica che funzionò perfettamente.

- Va bene come risposta? - Gli chiese appena lasciò le sue labbra

- Puoi ripetere per favore? Non ho capito bene - Disse lui maliziosamente ed un altro bacio non si fece attendere, ancora più appassionato del precedente.

- Adesso hai capito, Castle?

- Sì, ma queste cose tendo a dimenticarle spesso. Dovrai ripetermelo molto, molto spesso Detective Beckett. 

- Molto spesso. - Ripetè lei baciandolo ancora. 

Seduta in una piccola ed affollata caffetteria, Kate osservava Rick mentre al bancone aspettava nervosamente che preparassero i loro caffè. Si erano un po’ infreddoliti a pattinare, quando la temperatura si era improvvisamente abbassata ed aveva cominciato a spirare un vento tagliente, così erano entrati in quel locale dall’altra parte della strada per cercare un po’ di ristoro. Vedeva in quell’attesa come spesso si voltasse verso di lei e le sorrideva, sembrava quasi volersi accertare che fosse sempre lì, e Kate non poteva che sorridergli a sua volta, rassicurandolo, ma durava sempre troppo poco. Se qualcuno li stava osservando li avrebbe presi per due perfetti idioti, ma non le importava. La sua vita, rispetto a poche ore prima, sembrava avere tutto un altro senso e dalla visita di Vanessa era stato solo un turbinio di emozioni diverse che faceva fatica a mettere in ordine dentro di se.

Amava Castle, ma questo lo sapeva, da sempre, forse. Quello che non sapeva e che scopriva con lui ogni volta, era che riusciva ad amare se stessa quando era con lui. Lui riusciva a tirare fuori il suo meglio, facendola tornare la ragazza spensierata che era. 

Andare sulle altalene, mangiare caramelle gommose, dormire fino a tardi, pattinare… Erano tutte cose che da sola non si era mai più concessa, le piccole gioie della vita che pensava non dover più vivere. Con lui era diverso, lui senza saperlo la aiutava a riscoprire la Kate spensierata che era un tempo, quella che aveva sepolto sotto tutti gli anni di dolore e preoccupazione, perché non doveva più parlare, non doveva più esistere, non se lo poteva permettere. Ora la giovane Kate, invece, tornava prepotentemente a galla, trascinata dalle grandi mani di Castle che le scavavano l’anima cercando l’essenza più vera di lei e glielo faceva fare. Non glielo avrebbe potuto impedire, anche se avesse voluto, perché lui aveva le chiavi di lei, quelle che nemmeno lei stessa aveva.

Dovevano rifarsi di tutta la caffeina evitata nei mesi precedenti e bevvero quei caffè in silenzio, sfiorandosi le dita della mano sul tavolo. Lì era impossibile parlare per la confusione dei tanti ospiti e per la radio troppo alta per quel posto piccolo, ma non avevano comunque bisogno di comunicare, potevano stare ora in silenzio senza dirsi nulla ed era una conversazione splendida quella che portavano avanti i loro sguardi.

- Ti va di andare da me? - Gli chiese Kate bevendo l’ultimo sorso di caffè e non dovette attendere una risposta, perché lui si era già alzato facendola ridere di gusto.

Fu Kate ad aprire la porta e a farlo entrare dentro casa sua tenendolo per mano. 

- Con qualche mese di ritardo ma… eccoci qui… - Gli disse Kate mentre Rick entrava come se fosse la prima volta che mettesse piede lì dentro, e forse era proprio così per lui. Erano lì, sì. Vero con mesi di ritardo o forse anche di più secondo Castle. La casa di Beckett era identica a tutte le altre volte, ma a lui sembrava così diversa, anche rispetto a pochi giorni prima. Si avvicinò ad uno scaffale della libreria prendendo una foto che non aveva mai visto, di una Kate molto piccola con Johanna. Era quasi nascosta in mezzo ad altri soprammobili e dei libri abbandonati lì vicino. Il viso vispo da monella con quel sorriso splendido già da bambina e gli occhi che brillavano mentre si stringeva alla sua mamma, splendida come lei.

- L’ha scattata papà. Eravamo appena arrivati nella nostra casa in montagna, per le vacanze di Natale. Avevo quattro o cinque anni, credo.

- Siete splendide.

Kate assomigliava tanto a Johanna. Con quei capelli un po’ più scuri e più corti ancora di più. Il cuore di Rick cominciò a battere più forte quando si ritrovò a pensare che anche lui avrebbe voluto scattare una foto così, tra qualche anno. Posò la cornice non accorgendosi che la mano gli tremava un po’, cosa che invece non sfuggì a Beckett che la prese con la sua.

Fu un istante e Castle si voltò, abbracciandola con disperazione. Gli occhi di Kate lo fissavano senza paura, guardandolo nel profondo e Rick non poté scappare da quello sguardo che lo incatenava a lei, scavandolo dentro, cercando il dolore che gli aveva provocato, ancora intrappolato dentro di lui, per accarezzarlo, alleviarlo.

Rick era stregato da Kate e se avesse potuto avrebbe voluto passare il resto dei suoi giorni a vedere il mondo riflesso nei suoi occhi, conoscere nel profondo ogni sua percezione, sensazione, vibrazione, ogni sfumatura dell’universo infinito di Kate Beckett. Era completamente certo solo di una cosa, loro due erano legati a doppio filo e non c’era nulla che potesse cambiare quel dato di fatto: non loro stessi, non il destino né nessun altro e non potevano opporsi a quella cosa ineluttabile. 

- Ti prego Kate, non lasciarmi mai più. - Era la seconda volta che le rivolgeva quell’accorata preghiera ed ogni volta le toglieva il respiro la semplicità di quella richiesta.

Lo prese per mano conducendolo oltre la porta della sua camera. Aprì uno dopo l’altro i bottoni della camicia di Castle, baciando ogni centimetro di pelle che scopriva, lasciando che poi le sue mani attraversassero la schiena di Rick fino a raggiungere le spalle, facendo scivolare via quell’indumento diventato inutile e riprendendo al sua lunga scia di baci dalle spalle scendendo fino alla vita, lì dove altra stoffa ostacolava le sue labbra. Castle aveva le mani tra i capelli di Kate rapito da lei e ritornò in se solo quando la sentì armeggiare con la zip dei suoi pantaloni.

- Aspetta Kate… - fu il suo turno di spogliarla, togliendole velocemente il maglione, slacciandole il reggiseno e accarezzandola delicatamente. La fece distendere sul letto e cominciò a percorrere ogni segno sul suo corpo, baciando ogni cicatrice percorrendole con la punta delle dita prima ancora che con le labbra, dedicandosi poi ai suoi seni che baciò avidamente e li strinse, solleticandoli e massaggiandoli e poi baciandoli ancora fino a quando furono troppo sensibili e la sentì contorcersi sotto di lui e allora scese più in basso, togliendo il resto di quegli inutili vestiti, riprendendo a baciarla, le lunghe gambe e l’interno della coscia, l’incavo dell’inguine tra le gambe, prima a destra poi a sinistra, accentrandosi poi fino a quando arrivò lì dove le tolse il respiro, bagnata, calda e morbida. Afferrò le mani di Kate e continuò ad assaporarla come il più prelibato dei frutti, provocarla, sfinirla oltre il suo limite, fino a quando non la sentì stringere le sue gambe intorno a lui e agitarsi pronunciando il suo nome e quando lei si rilassò Castle si tirò su spostandole i capelli dal viso e baciandole il volto ancora segnato dal piacere. Era tutto quello che non era stato l’ultima volta al loft. Lui era lì per lei, solo per lei, per amarla in ogni modo. I pantaloni di Rick finirono in qualche punto imprecisato della camera, insieme ai suoi boxer ed al resto dei vestiti.  Non erano più due esseri separati, ma un’entità unica, uniti di più che dal piacere fisico, dalla passione, dalla voglia, dalle mani bramose e dalle bocche voraci, dai movimenti profondi e incalzanti, dalle gambe intrecciate e strette. Erano uniti da qualcosa di più, di invisibile ma che riempiva tutta la stanza, avvolgendoli e non lasciandogli scampo. Era paradiso e inferno per i loro sensi, era tutto l’amore represso ed il dolore di quella separazione che era uno strappo che faceva ancora male, era una supplica che facevano a loro stessi, era varcare ancora una volta le porte delle loro anime e condurci l’altro senza remore. Non c’erano barriere, remore, paure, ansie, c’erano loro e tanto bastava per essere il tutto di quello che avevano bisogno. C’erano i respiri affannosi, i gemiti soffocati, la loro pelle, le lingue che si intrecciavano in tanti baci o forse in uno solo che non aveva né un inizio né una fine, il loro odore che si mischiava nell’odore dell’amore e del sesso. C’erano loro e non c’era altro, perché di nient’altro si sarebbero curati.

Li trovò uniti anche il piacere, nel tempo e nello spazio, stretti in una morsa di braccia e di gambe che non si sarebbero mai sciolte, e rimasero così a lungo, lasciando che fossero i loro cuori a dettargli il tempo e solo quando i loro corpi furono troppo freddi, Rick si alzò solo per recuperare le coperte e coprirli entrambi, lasciando che Kate si accoccolasse sul suo petto ed intrecciasse le loro gambe: si addormentarono tra baci e carezze come se il tempo non fosse mai passato.

Non si accorsero che fuori aveva cominciato a nevicare.

Da quando Kate aveva aperto gli occhi lottava contro se stessa per riuscire a staccarsi da lui. Probabilmente non si erano mossi per tutta la notte o se l’avevano fatto erano riusciti a tornare nella stessa posizione nella quale ricordava di essersi addormentata, con la testa poggiata sulla sua spalla e la mano aperta sul petto, mentre Rick la teneva stretta a se, con le loro gambe che si intrecciavano ed i corpi nudi che non avevano alcuna vergogna a cercarsi.

Castle dormiva profondamente e non si era svegliato nemmeno quando istintivamente Beckett aveva cominciato lente carezze sul suo torace e non aveva resistito a baciare la sua spalla, proprio lì dove le sue labbra lo sfioravano. Ammise a se stessa che avrebbe tanto voluto che si fosse svegliato, ma il suo sonno non sembrava per nulla infastidito dalle sue attenzioni. Si morse il labbro per non cadere nella tentazione di osare di più, certa che in quel modo non avrebbe potuto resistergli, ma poi desistette, preferendo lasciarlo ai suoi sogni, mentre lei sognava ad occhi aperti guardando la curva delle sue labbra che sembravano sorridergli anche mentre dormiva. Non aveva mai capito fino in fondo, fino a quella mattina, cosa volesse dire Castle quando le diceva che amava anche solo vederla dormire: avrebbe aspettato ore il suo risveglio contemplando il suo viso rilassato con quel sorriso inconsapevole. Le sembrava un bambino, le aveva fatto quella sensazione ogni volta che lo aveva visto dormire, ma quella mattina ancora di più e fermò le carezze ed i baci, dimenticandosi del suo forte corpo di uomo, per abbracciarlo, stringerlo per quando più poteva e riusciva. Nella sua mente tornavano quelle parole del giorno prima che le aveva ripetuto più volte, “Non lasciarmi più”. L’aveva implorata anche mentre la stringeva dopo averle dato tutto il suo amore, “non lasciarmi più”, sussurrato al suo orecchio un numero imprecisato di volte, tra un bacio e l’altro, tra un sospiro e un singhiozzo ed ogni volta le faceva più male, perché non sapeva come rassicurarlo se non con i baci e le carezze, abbracciandolo, condividendo con lui tutta se stessa. Lei che aveva il terrore di doverlo pregare per essere perdonata, di lottare con lui per farsi accettare di nuovo, si trovava nella situazione imprevista di dover essere, invece, quella che lo rassicurava. Non si era preparata per questo, non sapeva come gestire quelle emozioni così contrastanti che le scuotevano l’anima, non era facile per lei confrontarsi con l’amore e la paura di Castle, assorbirli entrambi e sapere che era lei a provocarle e se il suo amore aveva imparato a farlo proprio, il suo dolore non sapeva come trattarlo, perché istintivamente avrebbe voluto eliminare tutto quello che lo provocava, ma era stata lei. Da lei veniva la sua sofferenza ed il suo timore ed allora era giusto, si ripeteva, che anche nel momento del piacere più intenso, lei avesse questa ferita aperta e le parole di Castle fossero il suo sale che non avrebbe mai allontanato, nonostante facesse male.

Si liberò contro voglia dal suo abbraccio, si alzò, e subito lo sentì lamentarsi di quell’assenza mentre si rigirava nel letto cambiando posizione, allungando una mano a cercarla nella sua parte di letto fredda, perché non c’era mai stata. Si sporse per prendere la mano di Rick e gli sussurro di continuare a dormire, rimboccandogli le coperte, modellando il piumone intorno al suo corpo. Cercò nella penombra dentro l’armadio qualcosa da mettersi, rendendosi conto solo adesso di come la temperatura in casa si fosse abbassata. Fu costretta a constatare come la calda stoffa della sua vestaglia non era minimamente paragonabile alle braccia di Castle e si pentì di essersi alzata dal letto e da lui. Guardò fuori dalla finestra, accogliendo con stupore lo spettacolo di New York imbiancata da uno strato di neve inaspettato ed alzando gli occhi al cielo, tra il chiarore dell’alba e le luci dei grattacieli, vedeva piccoli fiocchi scendere danzando e depositarsi e confondersi con gli altri. Si chiese quando avesse cominciato, di certo loro non si erano accorti di nulla, ma si sarebbero accorti di ben poche cose quella notte.

- Sei tu? - Kate voltò la testa appena sentì le braccia di Rick cingerla da dietro, con un’espressione sorpresa un attimo prima che lui la baciasse. 

- Pensavi fossi qualcun altro? Mi devo preoccupare? - Le sorrise facendola arrossire.

Kate si rilassò appoggiando la schiena al suo petto mentre lui incrociava le mani sul suo ventre ed approfittando del suo collo scoperto per baciarla.

- Pensavo non fossi vero. Nei mesi scorsi mi svegliavo spesso la notte e guardavo il mare fuori dalla finestra. Non lo vedevo quasi mai, solo quando c’era la luna, ma sentivo solo il rumore delle onde e mi calmava, anche se era in tempesta. Ti pensavo talmente tanto ed avrei volto che tu fossi lì che alcune volte mi convincevo che tu c’eri e mi sembrava di sentirti mentre mi abbracciavi, così come stai facendo ora.

Castle la strinse un po’ di più, baciandola più a lungo, per farle capire, se mai ne avesse bisogno, che non era una proiezione della sua mente, era vero e a giudicare da come respirava lo aveva capito.

- Scusami, non volevo svegliarti - Gli disse appena riuscì a riprendere fiato.

- Non mi hai svegliato tu, mi ha svegliato la tua assenza - Le disse così serio che Kate sentì chiaramente il cuore inciampare nella sua corsa.

- È presto. Puoi dormire ancora un po’

- Preferisco stare con te, a guardare la neve.

Kate si girò verso di lui, ma Rick non cambiò la presa, solo ora le mani erano sulla sua schiena.

- Io preferisco guardare te. - Passò le braccia dietro il collo di Castle per giocare con i suoi capelli. - Li hai tagliati anche tu… - Gli disse accarezzando la sfumatura dietro il collo, lui annuì e Kate abbassò lo sguardo dai suoi occhi alle labbra, cercandole, sfiorandole e poi catturandole con le sue.

- Hai trovato la tua maglietta - Gli disse facendo caso solo in quel momento che era vestito solo per metà.

- Sì, ma profuma di te… 

- Io… La indossavo ogni tanto… - Ammise Kate mordendosi il labbro.

- Pensavo che l’avresti buttata.

- L’hai lasciata di proposito? - Castle annuì - Perchè?

- Così avevi qualcosa che ti avrebbe ricordato di me… forse anche di noi. - Disse guardando verso il basso. Non si sentiva ancora pronto a parlare di quei giorni.

- Pensavi che potevo dimenticarmi di te… di noi? - Gli chiese Kate prendendogli il volto tra le mani e obbligandolo a guardarla.

- Si prova sempre a dimenticare gli errori, no?

- Pensi che riuscirò a dimenticarmi di averti lasciato? - Si appoggiò su di lui.

- Non lo so, Beckett… Ci proveremo.

- Qualche volta avrei voluto veramente dimenticarti, quando stavo peggio, quando la tua assenza faceva più male. - Gli confidò parlando con la fronte appoggiata sulla spalla di lui. - Ma tu eri più forte di tutti i miei sforzi e tornavi prepotentemente ad occupare ogni angolo della mia mente e del mio cuore. Non c’è stato un momento in cui non sei stato con me Castle. Eri sempre con me.

Castle era sorpreso di quella Beckett che riusciva a confidarsi così apertamente con lui. Tra loro quello che parlava di più era sempre stato lui, ma non riusciva proprio a lasciarsi andare al racconto di quello che aveva vissuto, a come si era sentito. Si rifugiava nei suoi silenzi, lasciando che fossero solo i suoi gesti a farle capire quello che aveva dentro, quella paura di perderla ancora che era irrazionale e solo l’amore che provava per lei era più forte e gli aveva permesso, nonostante tutto il dolore provato, di fare finta di nulla ed essere lì e tenerla tra le sue braccia in quell’alba bianca e gelida.

- Cosa vuoi fare oggi? - Le chiese baciandola sulla fronte e spostandole i capelli che ricadevano a coprirle gli occhi.

- Veramente io… dovrei andare a lavoro oggi… - Si sentì quasi in colpa per quello e non aveva mai odiato tanto dover andare al distretto.

- Oh… Certo… Beh… Posso venire? Cioè, tecnicamente prima potevo. Insomma… Tu sei tornata… Noi… - Balbettava perché non osava chiederle di più, dire qualcosa che dava per implicito ma che pronunciarlo aveva un altro senso, un’altra forma e sostanza.

- Io sono tornata a lavoro e tu sei il mio partner, questo volevi dire?

Castle annuì con vigore alle sue parole.

- E anche che noi adesso… Io e te… - Gesticolava molto mentre parlava, non voleva dire quello che in realtà voleva dire  e faceva in modo che lei lo capisse, ma Kate cogliendo il suo imbarazzo lo guardava perplessa non volendo cogliere di proposito il significato dei suoi tentennamenti.

- A parole tue Castle, sono sicura che è facile quello che vuoi dire - rise di lui

- Stiamo insieme? Cioè, stiamo di nuovo insieme? - Sbuffò Rick come per liberarsi di un peso dallo stomaco.

- Me lo stai chiedendo perché vuoi una conferma o lo stai solo dicendo? - Lo provocò recuperando tutta quella sicurezza in se stessa che fino a poco prima sentiva di aver smarrito tra i ricordi, mentre accarezzava la schiena di Castle scendendo maliziosamente sotto l’elastico dei boxer, facendogli drizzare le spalle per lo stupore di quel tocco più audace.

- Io… non lo so… Te lo devo chiedere? - Balbettò ancora confuso mentre le mani di lei diventarono ancora più sfrontate, muovendosi spavalde.

- Non me lo devi chiedere, Castle. Stiamo molto insieme… - Gli disse soffiando quelle parole nell’orecchio mentre aveva raggiunto la sua preda. - … È ancora presto per andare al distretto e ieri sera non mi hai fatto finire.

Kate avrebbe voluto tornare in camera da letto, ma non ci arrivarono, accontentandosi del divano e del tappeto, ma sarebbe andata bene anche la neve, l’avrebbero sciolta loro.

Questa volta si erano alzati insieme, o meglio era Kate che aveva letteralmente tirato fuori dal letto Rick, fosse stato per lui con la scusa della neve avrebbero passato a lì tutto il giorno, cosa che in realtà non sarebbe dispiaciuta nemmeno a lei. Lo fermò appena in tempo quando voleva entrare in bagno con lei. 

- Dai Kate, facciamo prima! - Le disse bussando alla porta, ma Beckett che rideva dall’altra parte sapeva esattamente che non sarebbe mai stato così, perché se lui entrava con lei avrebbero fatto molto, molto tardi.

Così gli preparò un caffè velocemente mentre lui finiva di sistemarsi ma la sua attenzione fu attirata dai rumori che provenivano dalla strada e dal suono delle sirene che si avvicinava sempre più. 

- Perfetto, ci mancava solo questo! Già è tardi! - Sbuffò Kate passando a Rick la sua tazza mentre controllava fuori dalla finestra.

- Cosa?- Chiese lui molto più tranquillo sorseggiando il caffè.

- C’è stato un incidente penso per la neve. C’è tutta la strada completamente bloccata, impossibile uscire con l’auto. Dovremo fare un bel pezzo a piedi. La Gates mi ucciderà! - Esclamò roteando gli occhi al cielo facendo un respiro profondo.

- Ehy, non è mica colpa tua! - Bevve tutto in un sorso il resto del caffè - Dai, sono pronto, andiamo! Poi dalla Gates ti difendo io!

- Tu Castle? - Lo guardò storto mentre tornando dalla camera si sistemava pistola e distintivo.

- Io sì, perché? - Poi l’avvicinò a se cingendole i fianchi - Sai che quando ti prepari così, sei dannatamente sexy Detective Beckett? 

- Smettila Castle o non usciremo più! - lo allontanò molto contro voglia mentre le baciava la sottile striscia di collo libera dal maglione a lupetto che si era messa.

Appena furono in strada Beckett si accorse che la situazione era peggio di quanto le era sembrata a casa. Un incidente alcuni isolati più avanti aveva coinvolto numerose macchine e quella strada e quelle intorno erano tutte completamente bloccate. Per uscire da lì rapidamente l’unica cosa era fare diversi isolati a piedi, in mezzo alla neve, sul marciapiede ancora un po’ ghiacciato. Fu presa dallo sconforto complice anche una discreta agitazione per dover far ritorno al distretto con Castle, per le domande che ci sarebbero inevitabilmente state da parte di tutti e perché non sapeva come avrebbe potuto prenderla la Gates. Temeva che lo avrebbe mandato via e che lui ci sarebbe rimasto male, ma la verità era che avrebbe fatto molto male anche a lei separarsi da lui. 

Non era servito nemmeno l’insolito pragmatismo di Castle a farla stare meglio.

- Beckett non è colpa tua se nevica e le strade sono bloccate per un incidente! - Le disse mentre camminavano attenti in quella parte di marciapiede decisamente ghiacciato.

- Se fossi uscita prima, quando mi sono svegliata, non sarei rimasta bloccata qui. - Rispose Kate contrariata, ma si rese conto ben presto di come quella frase fosse totalmente sbagliata, guardando un Castle decisamente rabbuiato.

- Uscire all’alba, andare al distretto ore prima, è la soluzione? Ti ho fatto perdere tempo? - Gli chiese serio fermandosi.

- No, Castle non è così. - Posò le mani sul suo viso e lui si irrigidì al contatto con i suoi guanti di pelle freddi. - Scusami… io… mi devo abituare a… a tutto. È diverso ora.

- Non era mia intenzione interferire con il tuo lavoro, Beckett. Mi dispiace. Prenderò un taxi ed andrò a casa appena saremo fuori da questo ingorgo.

- No! Non voglio che vai a casa.

- Ti faccio fare tardi, è meglio così. - Riprese a camminare solo e silenzioso e Kate lo osservava procedere piano ancora ferma lì dove stavano parlando. Prese il telefono e chiamò il distretto mentre cercava di raggiungerlo senza scivolare.

“Ryan? Sono Beckett, qui è tutto bloccato… Sto… Stiamo cercando di superare a piedi qualche isolato e poi prenderemo un taxi. Ci vediamo il prima possibile.” Rick aveva sentito le parole di Kate facendo fatica a trattenere un sorriso.

- Hanno detto che sapevano dell’incidente e che è tutto bloccato. - Gli disse appena lo aveva raggiunto.

- Bene. - Finse totale disinteresse.

- Gli ho detto che stiamo arrivando. - Sottolineò con forza la parola “stiamo”. 

- Non ti hanno chiesto con chi stai arrivando? - Chiese lui.

- No.

Castle sorrise.

- Perché sorridi? - Gli chiese Kate.

- Perché tu lo dai per scontato, gli altri molto meno, presumo.

- Oh… Sì, già… Comunque il tempo con te non è mai tempo perso. - Si aggrappò al suo braccio ed appoggiò la testa sulla spalla mentre isolato dopo isolato si allontanavano da lì.

Quando entrarono nell’ascensore appena arrivati al distretto Kate sentì salire la sua agitazione salire sempre più, fino a formarle un vero e proprio nodo in gola. Stringeva la mano di Rick, che invece, sembrava molto più tranquillo di lei, con un sorriso abbozzato sul volto che non riusciva a cancellare. Chiuse le porte Castle si voltò a guardare Beckett che si mordeva nervosamente il labbro inferiore e bloccò l’ascensore.

- Cosa stai facendo Castle? - Lo rimproverò ma potè solo dire quella frase perché le sue labbra furono imprigionate da quelle di lui.

- Erano anni che sognavo di farlo. - Le disse parlando sulla sua bocca prima di baciarla ancora.

- Ma… - Protestò ancora molto più confusa di prima.

- Rilassati Beckett. Sei al tuo distretto, sono con te, come è sempre stato negli ultimi anni. Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa la Gates dica, fuori da qui saremo sempre io e te, noi. Ok?

- Non ti dispiace se non puoi rimanere? - Gli chiese stupita dalla sua calma.

- Certo che mi dispiace. Però se devo scegliere tra stare qui al distretto e stare con te, per quanto mi possa dispiacere, scelgo sempre te.

- Anche io scelgo te. - Sorrise appoggiando il viso tra le pieghe del suo cappotto. Castle le accarezzò i capelli e poi fece ripartire l’ascensore.

- Pronta Detective Beckett? - Le strinse la mano ed aspettarono che le porte si aprissero, lasciandosi poi rapidamente prima che qualcuno li vedesse.

- Ehy! Mamma e papà sono tornati! - Esclamò Esposito ad alta voce vedendoli camminare svelti nel corridoio, attirando l’attenzione sia di Ryan che di Price che erano chini sui loro computer. - Dobbiamo sapere qualcosa da voi due?

Il sorriso imbarazzato di Kate e quello compiaciuto di Rick furono la risposta a tutte le altre domande e quando lei gli prese la mano e naturalmente intrecciarono le loro dita, fu chiaro per tutti quello che era accaduto in poco tempo. Il gesto istintivo di Castle di baciare Beckett fu interrotto prima che si concretizzasse dalla voce della Gates che li osservava con le braccia sui fianchi.

- Signor Castle, nel mio ufficio! Ora! - Tuonò il capitano.

Kate lo guardò severa mentre seguiva la Gates e lui si girò allargando le braccia come a volersi scusare.

- Signor Castle, vuole spiegarmi cosa ci fa qui? - Chiese il capitano invitandolo a sedersi.

- Quello che facevo anche prima, no? - Disse lui innocentemente.

- Direi però che alcune situazioni sono cambiate. O dimentica quello che le è successo pochi mesi fa? Non credo che sia il caso che lei continui a collaborare con il distretto, per la sua incolumità.

- Capitano, sono consapevole di tutto e qualsiasi cosa accada la polizia di New York non sarà responsabile in alcun modo per la mia incolumità. 

- Signor Castle, non giriamoci intorno. Le cose sono cambiate. Tra lei e il detective Beckett, innanzi tutto, mi pare.

- Il Detective Beckett è una professionista, questo non cambierà nulla.

- Le concedo il beneficio del dubbio. Ma se vedrò che il vostro rapporto condizionerà in qualche modo le indagini, la vostra incolumità o quella degli altri agenti, rivedrò immediatamente la sua posizione. - Lo ammonì la Gates

- Non si preoccupi Capitano, se non si vuole fidare di me, si fidi di Beckett! - Le sorrise Castle sollevato.

- Ovvio che mi fido di Beckett e non di lei, Castle. E un’altra cosa. Questo è un distretto di polizia, eviti di fare qualsiasi tipo di avances al Detective Beckett.

Castle annuì ed uscì. Appena fuori dall’ufficio della Gates aprì di nuovo la porta facendo capolino solo con la testa.

- Capitano, nemmeno nella sala relax?

- Cosa Castle? - Chiese stizzita la donna che aveva appena preso in mano dei fogli, togliendosi gli occhiali.

- Le avances! - Esclamò lui.

- No, Castle. Nemmeno in sala relax! - Lo riprese spazientita da quell’espressione insolente che aveva stampata sul volto da quando gliel’aveva data vinta. In fondo provava anche simpatia per quello scrittore un po’ folle, ma si sarebbe guardata bene dal dirglielo.

Rick tornò soddisfatto da Beckett e gli altri detective.

- Allora? - Gli chiese Kate nervosa.

- Posso rimanere, però dobbiamo comportarci bene e non mi dovrai fare nessuna avances al distretto. - Disse lui stuzzicandola

- Io eh Castle?

- Sì sì tu. La Gates lo ha specificato. Mi ha detto di dirti che non devi sedurmi a lavoro. Io le ho spiegato che per te sarà difficile resistermi ma che farò in modo che riuscirai a trattenerti. - Beckett era così sollevata e presa dal sorriso di Rick che non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi per quel discorso strampalato.

- Certo Castle! Farò di tutto per resisterti! - Sorrise lei - Intanto perché non mi prepari un caffè? 

- Anche a noi Castle! - Dissero in coro Ryan ed Esposito mentre Price guardava i quattro in disparte godendosi il siparietto e Rick scomparve oltre la porta della sala relax, contento di essere tornato in quel luogo così familiare.

Rick tornò poco dopo con tre tazze del caffè, ne lasciò una sulla scrivania di Ryan ed Esposito poi si avvicinò a quella di Kate. La sua sedia era sempre lì, non ci aveva fatto caso, ma era convinto che l’avrebbe tolta, invece era sempre al suo posto. Poggiò la tazza di Kate vicino a lei e si sedette al suo fianco.

Si guardarono per qualche istante. Erano in una situazione così consueta e nuova allo stesso tempo. Erano stranamente emozionati tutti e due, con il cuore che gli batteva molto più forte di quanto fosse normale e racchiudeva per entrambi sentimenti contrastanti. Felicità, emozione, paura, preoccupazione. Rick ripensò alle parole della Gates mentre Beckett sorseggiava il caffè gustandone il sapore carico di ricordi: poteva veramente cambiare qualcosa tra loro adesso? Sarebbe stato più pericoloso uscire fuori? Per lui no di certo, i suoi sentimenti per Kate erano gli stessi da sempre ed aveva rischiato più volte la vita per lei e lo avrebbe fatto ancora, come sempre ed era anche convinto che Kate avrebbe sempre fatto prima quello che era giusto fare, che anche in situazioni complicate non avrebbe compromesso le indagini o messo in pericolo gli altri per lui: non ne era certo però. La fissò senza che lei se ne accorgesse ed ebbe una gran voglia di baciarla che represse distogliendo lo sguardo che cadeva senza volerlo sulle sue labbra che lambivano la tazza e lui avrebbe tanto voluto essere quella tazza. Beckett alla fine lo sorprese a fissarla e lui provò a fare finta di nulla, ma lei non era arrabbiata, anzi gli sorrise. Si ritrovarono complici, come sempre, anche quando portarono entrambi la mano sotto la scrivania e lasciarono che le loro dita si sfiorassero e si prendessero, in quel gesto che nessuno poteva vedere e che sarebbe rimasto solo loro, ancora lì insieme.

Esposito aveva approfittato dell’assenza di Castle per andare a prendere il pranzo, per tutti, per parlare con Beckett. Si era avvicinato alla sua scrivania senza dire nulla, con le braccia incrociate sul petto, mentre lei finiva di compilare un modulo.

- Cosa c’è Espo? - Chiese Beckett senza alzare lo sguardo dal foglio

- Gli hai parlato? - Il tono grave dell’ispanico fece interrompere Kate che poggiò rumorosamente la penna sulla scrivania ed alzò la testa per guardarlo.

- No. - Gli occhi di Kate sfidarono quelli di Javier che non gradì quella risposta.

- Come sarebbe no? Andiamo Beckett, mi pare che i rapporti tra voi sono buoni adesso, no? - Chiese ancora Esposito sarcastico.

- Abbiamo avuto cose più importanti di cui parlare. Ok Javier? - Lo sguardo truce che Kate gli lanciò convinsero il detective a non chiedere altro e a mugugnare solo un “ok” poco convinto. Alle sue spalle, però, Price si alzò intromettendosi nella discussione.

- Cosa c’è di più importante di sapere chi è che ha provato ad ucciderti, Kate? Di chi ha fatto uccidere persone innocenti, i nostri colleghi? - Price girò intorno alla scrivania per andare davanti a lei, vicino a Esposito, come a volerlo fisicamente spalleggiare.

- Non ti devo spiegazioni Nick. E non devi chiedermele. - La voce calma e bassa di Beckett che nel frattempo si era alzata in piedi arrivò al detective come una lama sottile.

Castle aveva in mano le buste con le scatole di hamburger che aveva appena comprato al fast food sotto il distretto, si avvicinò al gruppetto in piedi, dove solo Ryan rimaneva seduto più a distanza.

- Cosa succede? Un omicidio? - Chiese Castle poggiando le buste sulla prima scrivania libera.

- Diccelo tu Castle cosa succede. - Gli disse Nick con tono ostile.

- Cosa? - Chiese lui non capendo nulla e cercando una risposta nello sguardo di Kate che era dritto sui due colleghi.

- Il nome Castle. Chi stai proteggendo? - Lo accusò Nick.

- Proteggendo? Di cosa parli? - Rick spostava lo sguardo tra Price, Esposito e Beckett in attesa che qualcuno gli spiegasse cosa volevano.

- Ora basta Nick. Basta! - Si intromise Beckett.

- No, Kate, non basta. Siamo stati mesi fuori dal mondo mentre qui era tutto sotto controllo perchè lui aveva già capito tutto, non è così? Ed ora non vuole dirci nulla. - Poi il detective si voltò verso Castle - Delle persone sono morte per colpa di quel nome, quando pensi di dircelo e mettere la parola fine a tutto questo eh?

- Non ho nulla da dire a te, Price. - Rick si voltò cercando nella busta l’hamburger da dare a Kate, ma Nick non accontentandosi della sua risposta lo prese per un braccio facendolo girare. Non si aspettava lo strattone del detective e la scatola del panino che aveva tra le mani gli cadde a terra, aprendosi e macchiando il pavimento ed i suoi pantaloni con degli schizzi di ketchup.

- Lascialo Nick! - Lo riprese Beckett ancora una volta.

Castle si piegò per pulire e buttare tutto dentro il cestino, mentre la Gates si affacciò dal suo ufficio.

- Cosa sta succedendo qui?  - Chiese il capitano

- Niente Signore, abbiamo solo sprecato un ottimo hamburger facendolo cadere a terra! - Esposito tirò fuori tutti da quella situazione spinosa.

- Sarà meglio parlarne da un’altra parte… - Intervenne per la prima volta Ryan.

Si spostarono così tutti nella stanza dove c’erano tutti i resoconti delle loro indagini.

- Siamo sicuri di farlo entrare qui? - Chiese Price parlando con Ryan e Esposito di Castle, bloccando l’entrata prima che lui potesse andare dentro, ma Esposito lo spostò lasciandolo passare.

- Allora Castle, perché non vuoi dirci questo nome? - Riprese ad incalzarlo Price, ma Rick dopo aver scambiato uno sguardo con Kate decise di non rispondergli.

- Cerchiamo di stare calmi. - Intervenne ancora Esposito.

- Io sono calmissimo Javier, è il tuo collega che è troppo su di giri.

- Dei nostri colleghi sono morti. Beckett ha rischiato la vita, io ho rischiato la vita. Ho passato gli ultimi mesi a proteggerla da questo. Ho diritto di sapere chi è.

- Hai diritto Price? Io sono anni che cerco di proteggerla, perché pensi che non vi dico nulla? Perché mi diverto a saperlo libero? Pensi che non lo vorrei dietro le sbarre o meglio ancora sotto terra? Sì, so chi è. L’ho incontrato, c’ho anche parlato ed ho fatto un accordo con lui e non intendo mettere a rischio la vita delle persone che amo per darti questo maledetto nome, Price.

- Castle, lo possiamo prendere se ci dici chi è! - Ryan si fece avanti dopo che era rimasto a lungo in disparte.

- Voi non capite. È un pezzo troppo grosso, troppo in alto per arrivarci ora senza che qualcuno ci rimetta. Ragazzi credetemi.

Rick e Kate si scambiarono uno sguardo di quelli che escludevano tutti gli altri dal loro mondo. Sapevano che avrebbero dovuto affrontare di nuovo quel discorso non pensavano solo così presto, né in quel modo. Ma Kate aveva capito, da come Rick stava parlando. che era seriamente preoccupato per lei e per la sua famiglia.

- Perché dovremmo crederti Castle? - Gli chiese Nick l’unico che non demordeva - Quanti lati oscuri ci sono in tutta questa storia che ti riguardano?

- Lati oscuri? Ma… ma cosa stai dicendo Price?

- Cosa ti ha promesso questo pezzo grosso per il tuo silenzio? Cosa avrai in cambio? - Gli si era avvicinato fin troppo. Lo guardava dall’alto in basso, cosa che a Rick difficilmente capitava, ma Price era più alto di lui e questo lo infastidiva, ma non lo intimoriva.

- La vita di Kate. Per te forse è poco, per te è solo… - gli tornarono alla mente le parole di Kate, la sua ammissione di essere andata a letto con lui, avrebbe voluto rinfacciarglielo, ma gli occhi di lei lo fecero desistere per non metterla in mezzo ancora di più - … è solo una collega. Per me è tutto e non la metterei mai in pericolo e non metterei mai in pericolo nemmeno mia figlia e mia madre. Vuoi arrestarmi per questo? Vuoi picchiarmi? Fai pure non avrai mai quel nome da me. Non adesso.

- Tu non capisci Castle, pensi di fare l’eroe? Di fare il cavaliere che difende Beckett e la tua famiglia? Non funziona così. È una cosa serie. Ci sono vite in gioco e qui siamo tuti più addestrati di te per risolvere questo problema. 

- Price, sei tu che non capisci. Io non voglio fare l’eroe, anzi io vorrei l’esatto contrario. Vorrei solo vivere tranquillo e sapere che le persone che amo sono al sicuro. E non sai quanto vorrei che tutta questa storia finisse, solo Kate lo vuole più di me. Ma non ora. Non fino a quando non avremo qualcosa in più in mano di un nome che è solo un suicidio in mano a voi.

- Tu gli credi? - Chiese Price a Beckett.

- Certo che gli credo.

- E tutte le parole, tutto quello che hai detto quando eravamo via… 

- Non ha importanza ora Nick. Io devo e voglio credere a Castle. - Si avvicinò a Rick e gli prese la mano.

Price li guardò scuotendo la testa ed uscì dalla stanza.

- Castle, io non sono d’accordo con quello che stai facendo, però ti credo. Spero che cambierai idea presto. - Gli disse Esposito.

- Sono sicuro che chiunque sia, insieme troveremo il modo per fermarlo. Pensaci. - Aggiunse Ryan.

Rick li ringraziò con un cenno della testa.

- Ci potete lasciare un attimo da soli? - Chiese Beckett agli amici.

- Tranquilla, ci inventiamo qualcosa con la Gates, poi ci sono quegli hamburger che ci aspettano! - Esposito gli sorrise e poi li lasciarono soli.

- Vuoi quel nome vero? - Gli chiese Rick con un sorriso tirato.

- No. - Kate si avvicinò e lo abbraccio prendendolo ai fianchi.

- No? - Si stupì Castle.

- No. Te l’ho già detto anche l’altro giorno. Non voglio quel nome. Non è più importante di noi. Mi fido di te Rick, quando crederai che sia il momento giusto me lo dirai tu. 

- Certo. Certo Kate. Te lo dirò quando sarò sicuro. - Le accarezzò il viso.

- Cosa c’è che ti turba? - Gli chiese sentendo il nervosismo nelle sue parole e nei suoi gesti.

- Price. Io… penso a voi due, insieme. E… - sospirò senza riuscire a dire nulla.

- Mi dispiace. 

- Lo so.

- Nick non è niente per me. È un buon collega, è stato un amico che mi ha sostenuta in quel periodo, ma nulla di più. 

- Certo… sostenuta… - disse ironico Castle e Kate lo strinse di più avvicinandolo a se.

- Nulla di più Rick ed io non sono stata nulla di più per lui.

- Ne sei sicura? Io non credo.

- La sua partner è stata uccisa, era sua moglie e nessuno lo sapeva. Lei era per lui quello che tu sei per me, lo capisci ora?

- Io non sono tuo marito Beckett!

- Non importa Castle, sei molto di più.

Riuscì a lasciarlo senza parole, lo vide balbettare senza dire nulla di sensato e sorrise imbarazzata per quello che gli aveva appena detto. Ne era ben consapevole, ma dirlo aveva tutto un altro senso.

- Anche tu sei molto di più. - Le rispose quando riuscì a ritornare in possesso delle parola.

Le loro fronti si unirono per un istante. Il tempo di guardarsi negli occhi e riprendere fiato.

- Castle, promettimi che non cercherai di scontrarti con Nick, se vuoi rimanere qui, con me…

- Ci proverò Beckett, te lo prometto. - Le diede un bacio veloce, mentre gli tornava in mente la minaccia della Gates di quella mattina e subito si staccò da lei.

- Vedi di riuscirci, perché ti voglio al mio fianco! - Gli diede un colpetto sul fianco mentre stavano per uscire.

- Allora lo ammetti che la mia presenza ti è indispensabile, eh Beckett! - Esclamò soddisfatto

- Finiscila Castle prima che ci ripenso!

Quando aprirono la porta si ritrovarono davanti la Gates che li guardava severa.

- Cosa fate voi qui? - Disse fissando Rick che abbassò lo sguardo davanti agli occhi penetranti del Capitano.

- Stavamo aggiornando Castle dei progressi con le indagini. - Prese la parola Beckett - Gli altri sono andati a mangiare.

La Gates annuì poco convinta.

- Mi raccomando signor Castle. L’ho già avvisata questa mattina. - Lo ammonì ancora il capitano e Rick fece cenno di sì con la testa energicamente.

- Vi ha beccati? - Chiese Esposito vedendoli arrivare con il volto tirato.

- No, per poco - Sospirò Kate mentre Rick le porgeva l’ultimo hamburger rimasto. Provò a rifiutarlo ma le sue insistenze non ammisero repliche, così alla fine se lo divisero sorridendo, con Kate che fece in modo di lasciargli la metà un po’ più grande.

Non ci furono omicidi su cui indagare quel giorno, solo tanto lavoro di noiosa burocrazia. Rick rimase in silenzio gran parte del pomeriggio guardando Kate lavorare e lei ogni tanto alzava lo sguardo cercando il suo, ripagando quella sua discreta vicinanza con un sorriso timido. Gli aveva detto più volte che se voleva poteva andare a casa, ma lui aveva declinato l’offerta, preferendo rimanerle vicino. Le aveva preparato un altro caffè che avevano bevuto insieme in una breve pausa che si era concessa in sala relax, spiati dai colleghi e dalla Gates che era passata casualmente davanti a loro un paio di volte, ma benché gli mancava il contatto e potersi baciare come avrebbero voluto, loro erano perfettamente in grado di comunicare anche rimanendo in silenzio e a distanza, lasciando solo che fossero le loro mani di tanto in tanto a sfiorarsi, con quei tocchi delicati e timorosi che trasmettevano tutto il loro amore.

Aveva smesso di nevicare in tarda mattinata e le strade ora erano più libere, anche se il traffico era comunque molto intenso, non era facile nemmeno trovare un taxi.

- Ti va di venire a cena al loft? - Le chiese Castle prendendola di sorpresa

- Non credo sia il caso…

- Alexis è al campus. Ci sarà solo mia madre, sarà felice di vederti. - Le disse stringendole la mano protetta dal guanto nero.

- Sarà felice di noi? - Gli chiese Kate timorosa

- Penso che dopo di noi sia la persona più felice! - Esclamò Rick conoscendo bene sua madre.

- Dimentichi Lanie! - Gli ricordò Beckett

- Glielo hai detto?

- No… - Kate fece una smorfia. La sua amica lo avrebbe sicuramente saputo da Esposito o Ryan e si sarebbe arrabbiata a morte.

- Allora dovresti farlo, così almeno la prossima volta che mi vede eviterà di guardarmi con quello sguardo di chi vorrebbe avermi tra i suoi clienti sul lettino dell’obitorio! - Castle esasperò il gesto di avere un brivido mentre Kate lo colpì con un pugno sulla spalla.

- La chiamerò in taxi mentre andiamo al loft. - Ammiccò Kate mentre finalmente un taxi si fermava davanti a loro e i due entrarono di corsa. E finalmente Castle si sentì libero di poterla baciare di nuovo.

Lanie aveva urlato così forte al telefono che Rick aveva sentito esattamente tutto quello che aveva detto anche senza bisogno del vivavoce. Certo, qualche aggettivo nei suoi confronti non gli aveva fatto proprio tanto piacere e lo aveva sottolineato con delle occhiatacce a Kate che dal canto suo, sorrideva e basta, visto che il fiume in piena Lanie non la faceva nemmeno parlare, tra un “lo sapevo” un “te l’avevo detto” ed un “raccontami tutto” anche se poi era lei che continuava nel suo monologo. Si erano quindi accordate per vedersi nei giorni seguenti, appena lo scrittore l’avesse lasciata libera, così aveva detto la dottoressa prima di salutarla, e Rick dovette ammettere in cuor sua che quell’idea non gli piaceva tanto, ma non voleva rischiare di essere troppo possessivo e asfissiante e non le avrebbe mai negato la possibilità di vedersi con Lanie, anche se in quei giorni l’avrebbe voluta sempre tutta per se, per provare a colmare quel vuoto immenso che sentiva ancora dopo la loro separazione forzata.

L’accoglienza affettuosa che Martha le aveva riservato era una di quelle cose che Kate non era ancora capace di affrontare nel modo migliore ed il suo imbarazzo era tangibile. Aveva imparato ad accettare senza riserve l’amore di Castle, ci aveva messo forse troppo a capirlo, ma da quando ne aveva preso coscienza, era stata una cosa che le era venuta naturale, senza alcuna riserva né imbarazzo e allo stesso modo riusciva a ricambiarlo e a mostrarsi apertamente per quello che era. Molti avrebbero considerato tutto questo normale, ma per lei che aveva vissuto per anni senza farsi scalfire dai sentimenti più profondi e senza mostrarsi a nessuno nel suo più intimo io, non lo era. Era stata la sua prima importante vittoria contro se stessa quando aveva deciso di buttare giù il proprio muro che la divideva dal resto del mondo, ma fino ad ora solo a Castle aveva permesso di oltrepassare le sue macerie.

Non sapeva come gestire l’affetto che le riservavano le altre persone, si sentiva inadeguata e impacciata a ricambiare un abbraccio come quello che Martha, invece le aveva dato con il cuore colmo di gioia e a questo doveva aggiungere il suo sentirsi ancora molto in colpa per come aveva lasciato Rick e per la situazione con Alexis. Nessuno parlò quella sera della giovane Castle, anzi l’attrice fece di tutto per far sentire Kate a suo agio, bloccando anche ogni suo tentativo di scuse e giustificazioni, ricordandole che a lei non doveva dire nulla e non c’era nulla di cui scusarsi. Non era la prima volta che cenava al loft con Castle e la sua famiglia, era però la prima volta che lo faceva in quella veste che non aveva ancora un nome preciso, ma che era chiaro a tutti, ormai. Si sentì stranamente sopraffatta dall’emozione quando, mentre stavano chiacchierando con Martha tra una portata e l’altra di futili argomenti divertenti, Rick le prese la mano e la avvicinò al suo volto per darle un bacio, in un gesto così veloce e naturale ma che allo stesso tempo trovò così intimo da farle perdere il filo del discorso. Castle lo notò e le sorrise, baciandola ancora una volta. Anche Martha lo notò, ma fece finta di nulla, lasciando quel momento solo a loro due e andando a prendere il dolce.

- Oh ragazzi miei com’è tardi! Devo proprio andare, ci sono le mie amiche che mi aspettano per una serata molto importante! - Disse l’attrice ai due lasciando un vassoio di pudding banana e cioccolato sul tavolo. 

- Quale serata importante? - Chiese Rick curioso visto che non ne sapeva nulla.

- Una serata importante Richard, cose da vecchie signore che tu non puoi capire! - Lo liquidò mentre già si stava mettendo il cappotto per poi salutare anche Beckett molto più calorosamente. - Ciao Katherine è stato un vero piacere averti qui tesoro!

- Non aveva nessuna serata importante, vero? - Domandò Kate a Rick appena sua madre fu uscita.

- Credo di no. Ci voleva lasciare un po’ da soli, immagino. - Sorrise lui.

- Vuoi il dolce? - Gli chiese ancora Kate indicando il vassoio

- Non quello… - Prese il volto di Kate tra le sue mani e cominciò a baciarla molto lentamente e si dimenticarono del dolce, della tavola apparecchiata, e di tutto il resto spostandosi in camera di Rick dove ripresero a baciarsi e coccolarsi comodamente sdraiati sul suo letto.

Kate era rimasta come sempre tra le sue braccia con un latente senso di inquietudine quella sera.

Avevano finito per far l’amore senza che nemmeno se ne accorgessero di essere arrivati a quel punto, come se fosse una naturale conseguenza dei baci sempre più vogliosi e delle carezze sempre più audaci. E lo era stata, in realtà. Era stato tutto naturale, senza bisogno di dirsi nulla, senza avere nulla da dimostrarsi. Avevano fatto l’amore ed era stato solo un modo più intimo di coccolarsi, di essere insieme, senza frenesia. E si erano amati tra baci e carezze, si erano amati sorridendo quando il piacere li aveva catturati nella sua rete imprigionandoli ancora di più a loro stessi, sollevandoli per poi lasciarli ricadere tramortiti dai loro stessi sensi. 

Si erano addormentati, ancora abbracciati, sfiniti da una giornata così intensa cominciata quella mattina troppo presto e quando Kate si era risvegliata poco dopo, ci mise un po’ a capire dove fosse, mettendo a fuoco la camera di Rick con le luci ancora accese e la porta lasciata aperta per metà. Si guardò intorno sentendosi a disagio mentre lui l’abbracciava tenendola stretta a se anche nel sonno. Ci mise un po’ a capire cosa fosse quel nervosismo con il quale si scontrata non appena aveva realizzato dove fosse. Non era tanto la porta aperta che poteva farli sorprendere decisamente poco vestiti e molto presi, era piuttosto quella sottoveste nera abbandonata su una sedia in fondo alla stanza. 

Spostò il braccio di Rick che pesantemente la teneva a se e si alzò rivestendosi cercando di non fare troppo rumore.

- Dove vai? - Persa nei suoi pensi non aveva sentito Castle alle sue spalle che le spostava delicatamente i capelli dal collo.

- È tardi Rick… io… non pensavo di fermarmi così a lungo. Devo andare a casa. - Gli disse senza guardarlo.

- Non devi, se vuoi. - Accompagnò quelle parole con un bacio sul collo appena liberato, lì dove sapeva che lei era particolarmente sensibile.

- Amore… - Kate si voltò verso di lui baciandolo teneramente sulle labbra - … ho bisogno di un bagno, di cambiarmi e di riposare un po’…

- Ho una vasca da bagno enorme dove potrai riposare quanto vuoi. Anzi, potremmo riposare insieme… - le propose tornando a baciarla.

- Sai che insieme non riposeremmo vero? - Lo riprese baciandogli la punta del naso.

- Mmm sì, poco… Ma è importante riposare? - La avvicinò a se per abbracciarla appoggiando la testa sulla sua spalla.

- Non posso Rick. - Si sciolse dal suo abbraccio dirigendosi verso il bagno.

Castle sospirò rumorosamente e poi anche lui vide la sottoveste di Vanessa sulla sedia, la prese in mano scuotendo la testa con decisione, sospirando ancora con disappunto ed entrò in bagno senza nemmeno bussare.

- È per questa? - Le chiese mostrandole l’indumento mentre si stava sciacquando il viso. - O per questo? - afferrò lo spazzolino da denti - o per questi? - Prese anche una bottiglia di profumo e un barattolo di crema che erano sul mobile del bagno e buttò tutto nel cestino sotto il lavello.

- Non ci sono più! - Esclamò

- No… cioè… stiamo andando troppo velocemente Rick… - Si tamponò il viso con un asciugamano che lui le stava passando, il suo asciugamano dove lei sentì tutto il suo profumo. - Due giorni fa stavi con Vanessa, ci sono le sue cose qui ed oggi mi chiedi di fermarmi a dormire da te… Non ci riesco.

- Non ti sto chiedendo di fermarti a dormire da me. Ti sto chiedendo se vuoi di fermarti per sempre.

- Rick… - sorrise Kate - Vedi che corri troppo?

- Ho aspettato anche troppo Beckett. Io… io vorrei…

- Shhh non dire nulla - Lo azzittì baciandolo. - Non dire altro.

- Rimani? - Le chiese ancora.

- Ti prego Castle…

- Non mi pregare, rimani qui. - Le disse serio

Kate uscì dal bagno e lui le andò dietro.

- Non ti farò cambiare idea, vero? - Sbuffò tristemente. - Ti posso almeno accompagnare?

- La tua macchina è sotto casa mia Castle. - Gli ricordò

- Vengo con te con un taxi e poi torno a casa.

- Se vieni sotto casa mia non tornerai a casa, lo sai. - Gli sorrise

- Era proprio quella l’idea! - Mise il broncio come un bambino a cui stavano negando le caramelle.

- Dammi le chiavi, se ti fidi te la porto domattina al distretto. - Gli propose ridendo

- Stai facendo tutto questo per guidare la mia macchina nuova, uh?

- Ovviamente Castle! - Rise ancora lei.

Rick l’accompagnò fino alla porta del loft, baciandola ancora sull’uscio appoggiati allo stipite.

- Resta Kate. - Provò a convincerla un’ultima volta.

- Ti amo Babe… - Gli disse Kate appoggiando la fronte contro la sua.

- Ti amo anche io Kate.

Uscire da lì e andare a casa per Kate fu più difficile di quanto potesse immaginare e mentre era sul taxi si chiese più volte perché lo stava facendo, tentata di dire al tassista di tornare indietro, salire di corsa le scale fino al loft e lasciarsi andare tra le braccia di Rick. Era per Vanessa, per le cose trovate lì? No, quella era solo una scusa che si stava dando. La realtà era che aveva bisogno di staccarsi da lui per paura di non riuscire più a farlo, di non poter fare più a meno di lui, nemmeno per una notte. Non era pronta per questo.

Vide la sua macchina parcheggiata sotto casa. La neve ai lati della strada non era più bianca come quella mattina, ma grigia e sporca sotto i suoi stivali, Kate faceva roteare le chiavi nella mano mentre davanti al portone indugiava per entrare.

 Salì le scale in tutta fretta ed entrò a casa. Fredda. Vuota. Abbandonò l’idea di farsi quel bagno caldo che aveva pensato al loft ed andò subito in camera: il letto era ancora sfatto e la maglietta di Castle era tra le lenzuola. Si sdraiò con un sorriso malinconico abbracciando il cuscino dove aveva dormito Rick e per la prima volta si permise di pensare a tutto quello che le era accaduto negli ultimi giorni, da quando lo aveva incontrato al ristorante messicano ad quel momento. 

Avevano discusso. Si erano baciati. Avevano pattinato. Avevano riso e scherzato. Avevano preso molti caffè, insieme. Avevano fatto l’amore, molte volte. Avevano dormito, poco, insieme a casa sua. Erano tornati insieme al distretto. Aveva cenato con sua madre. Avevano ancora fatto l’amore. E poi era tornata sola a casa e le sembrava di aver vissuto su un ottovolante che si era fermato solo in quel momento, ma non vedeva l’ora di ripartire di nuovo.

- Ciao Amore, sono a casa - Non aveva resistito e lo aveva chiamato. Rimasero al telefono ore a parlare, ridere e scherzare. Forse aveva di nuovo diciotto anni, di sicuro non era così felice da allora.

- Ciao!

- Ciao!

Castle e Beckett si trovarono faccia a faccia appena le porte dell’ascensore si aprirono. Lui con due caffè in mano, lei che si stava infilando il cappotto e sembrava avere una gran fretta. Si guardarono per un attimo imbarazzati, soprattutto quando entrambi si avvicinarono come due calamite per baciarsi, ma Javier che si schiarì la voce li fece tornare in loro. Lo ricacciò di fatto dentro l’ascensore ed entrò anche lei seguita da Esposito, Ryan e Price. Prese il caffè dalle sue mani e lo bevve avidamente.

Quando Kate si diresse verso l’auto di Price, Rick rimase fermo cercando di capire cosa stesse accadendo. Lei lo guardò invitandolo con lo sguardo a seguirla, ma lui sembrava più infastidito che altro, quindi tornò sui suoi passi avvicinandosi.

- Sono venuta qui con la tua auto, Castle. Ho un omicidio che ci aspetta, quindi ora mi fai la cortesia di seguirmi. A meno che non vuoi andare in macchina con Esposito e Ryan ed io vado sola con Nick. - Nascose un sorriso quando si voltò tornando all’auto e sentendo i suoi passi che la seguivano velocemente.

Per tutto il viaggio quello più a disagio sembrò Nick che di fatto lo ignorava completamente parlando solo con Kate mentre lei, invece, aggiornava lo scrittore su quello che sapevano.

- Nicole Church, 31 anni. Le hanno sparato nel suo appartamento. - Kate lesse gli appunti

- Che altro sapete di lei? - Chiese Rick

- Poco, per ora. Non sposata, fidanzata, lavorava in una società di brokeraggio internazionale. 

- Wow doveva essere una tosta! - Esclamò Rick

Kate chiuse il taccuino voltandosi a guardare Castle che le regalò un sorriso, poi tornò subito serio a guardare la strada mentre Nick guidava e poco dopo riprese a fare teorie con Beckett su quell’omicidio, facendo finta che lui non ci fosse.

Arrivarono all’appartamento di Nicole ed era già stato isolato dalla scientifica. I quattro detective e Castle passarono in rassegna gli effetti personali della ragazza. Cellulare, preziosi, computer era tutto al suo posto. Nella casa non c’erano evidenti segni di scasso né di lotta, tranne un vaso di cristallo rotto probabilmente perché la donna dopo essere stata colpita ci era franata sopra. Così mentre Kate e gli altri cercavano indizi, Castle aveva cominciato a cercare i suoi particolari, guardando le foto ammucchiate su un ripiano della libreria con il fidanzato al mare alle Hawaii, a Las Vegas e nella Death Valley. Sembravano molto uniti ed innamorati in quei selfie scattati velocemente e poi stampati probabilmente con un apparecchiatura domestica, lo vedeva dal tipo di carta che non era certo professionale. La cosa che gli sembrava più strana era comunque che in quella casa non c’era niente di strano. Una casa arredata con gusto, moderna e funzionale, si vedeva che la ragazza aveva un buon impiego dalla qualità dei mobili e dei complementi di arredo, alcuni di design. Curiosò in camera, aprì armadi e cassetti trovando i gioielli, non molti per la verità, al loro posto e nulla pareva essere stato toccato. Sorrise amaramente nel vedere come nell’armadio un’anta era interamente dedicata a vestiti maschili, segno evidente che il suo fidanzato doveva passare molto tempo con lei in quella casa ed anche lì sul comò c’erano altre foto di loro insieme, di un viaggio in Europa, riconobbe i viali alberati di Parigi e le inconfondibili case con i mattoni rossi di Londra. Si fermò a guardarle, immaginando lui e Kate, in giro per il mondo, scattandosi foto sorridenti ed innamorati, una casa dove le loro cose nell’armadio si mischiavano insieme e quelle tshirt che avrebbero preso senza domandarsi di chi fossero.

- Ehy Castle, tutto bene? - La voce di Kate lo riportò alla realtà. Appoggiò la cornice che teneva in mano sul mobile e la guardò abbozzando un sorriso.

- Sì, certo. Mi avevi chiesto qualcosa?

- Hanno avvisato il fidanzato di Nicole, è a Washington per lavoro, sta già rientrando in città con un volo. Verrà direttamente al distretto. Andiamo?

Rick annuì ed insieme uscirono dalla stanza.

- Esposito, Ryan! Io torno al distretto per parlare con Lerry Morrison, il fidanzato di Nicole. Voi andate a casa dei genitori della ragazza e fatevi dire di più della sua vita. Ha anche una sorella, Rebecca, di un anno più piccola, magari conosceva meglio dei genitori le abitudini di Nicole. - Si era resa conto di aver escluso Nick dalle sue indicazioni. - Price tu vai con loro, così farete prima, dammi le chiavi della tua auto ci vediamo al distretto quando avete finito.

- Ma Beckett… - Provò a ribattere Nick

- Dovete interrogare tre persone, io devo solo parlare con il fidanzato, servi più lì che al distretto. Farete prima se vi dividete il lavoro, no? 

Annuì non molto convinto. Non era abituato a farsi comandare, quando era al quinto era lui il capo della sua squadra, ma al dodicesimo, da quando era tornata Kate, aveva di nuovo preso in mano le redini e nessuno aveva osato battere ciglio, oltretutto lui era l’ultimo arrivato e non poteva pretendere nulla, ma quella situazione lo infastidiva non poco. Gli diede controvoglia le chiavi e Beckett con Castle uscirono subito da lì.

- Come ai bei tempi eh? - Sorrise Castle molto più rilassato seduto vicino a lei che guidava con lo sguardo fisso sulla strada.

- Già… - Si voltò a guardarlo e lo vide rilassato appoggiato al sedile.

- Questa macchina è molto più comoda della tua Beckett! Dovresti fartela cambiare, te lo dico da tempo! Ehy, ma non dovevamo tornare al distretto? - Kate aveva parcheggiato all’angolo di una strada secondaria poco trafficata.

- Adesso ci andiamo, prima devo fare una cosa… - Rick non fece in tempo a chiederle cosa che trovò le labbra di Kate sulle sue e si lasciò baciare preso in contropiede. 

- Buongiorno Castle - Gli disse poi sorridendo dandogli ancora un altro bacio.

- Buongiorno Beckett

- Era da quando ci siamo visti che volevo farlo. - Si giustificò con lui anche se non ce n’era alcun bisogno.

- Sì, anche io… - Fu lui a baciarla adesso. - … Grazie per quello che hai fatto.

- Cosa ho fatto Rick?

- Price, lo hai mandato con Esposito e Ryan.

- L’ho mandato con loro perché era giusto così.

- Ah ok… 

- Che poi ci abbia permesso di stare qualche minuto da soli, fa piacere anche me… - Gli fece l’occhiolino e mise di nuovo in moto per andare questa volta sì al distretto.

Rick portò una tazza di caffè a Lerry Morrison. Era seduto vicino a Kate in una piccola stanza del distretto e si asciugava ripetutamente le lacrime. Beckett aspettava che si calmasse per porgergli quelle domande che ormai erano di rito ogni volta in quella situazione. Era nella spiacevole situazione di dover obbligare a parlare e ricordare chi voleva solo chiudersi nel suo dolore: sapeva che lo faceva solo per scoprire la verità, dare giustizia alla vittima e ai suoi familiari, ma ogni volta era difficile ed ogni singola volta le tornava in mente quella maledetta sera in cui lei era dall’altra parte, era lei che voleva solo piangere ed invece doveva rispondere alle domande di quel detective. Non c’era una singola volta in cui si trovava ad interrogare un parente della vittima che anche solo per un attimo non ripensasse all’omicidio di sua madre, a come stava e a quello che provava. Si diceva che era questo che le permetteva di avere maggiore empatia con i familiare ed era per questo che con più facilità si aprivano con lei, per quella naturale compassione che provava per loro e per quella determinazione nel voler fare giustizia per i loro cari che lasciava trasparire nitidamente: non avrebbe alleviato le loro sofferenze, ma avrebbe evitato che vivessero nell’incertezza e nella frustrazione, come lei in tutti quegli anni.

- Buongiorno signor Morrison, sono il detective Kate Beckett e lui è Richard Castle, un collaboratore della polizia di New York. Vogliamo solo farle qualche domanda.

Lerry sussultò alle parole di Kate, la guardò negli occhi, come se lo avesse appena risvegliato da uno stato di torpore, sorpreso ed impaurito allo stesso tempo. Non bevve il caffè, usò solo la tazza per tenersi occupato le mani che non riusciva a tenere ferme.

- Cosa è successo? - Chiese con un filo di voce a Beckett.

- Qualcuno è entrato nel suo appartamento, non ci sono segni di scasso, deve aver aperto lei la porta. - Rispose calma, parlando lentamente all’uomo, come se volesse fargli assimilare ogni sua parola.

- È stata… - L’uomo non finì la frase ma il disgusto e l’angoscia si leggevano chiari sul suo volto

- No. Non ci sono segni di violenza, né di lotta. Solo due colpi al petto da distanza ravvicinata. Secondo il nostro medico legale è morta sul colpo.

- Almeno non ha sofferto - sospirò.

- No, non ha sofferto - lo rassicurò Kate. - Mi dispiace doverglielo chiedere, signor Morrison, ma conosce qualcuno che poteva volere la morte di Nicole? Problemi sul lavoro o con qualche conoscente… 

- Io… no… non… non ne ho idea, no… Nicole era una ragazza tranquilla, faceva il suo lavoro, era molto brava e apprezzata dai suoi colleghi ed anche dai suoi superiori.

- Qualcuno che poteva essere geloso dei suoi successi? - Intervenne Castle

- Che io sappia no, non mi ha mai detto nulla di questo.

- Qualche ex fidanzato? - Chiese ancora Beckett

- Io e lei stavamo insieme da cinque anni, in questo periodo non si è mai fatto vivo nessun suo ex… No, è improbabile, no…

- Vede, signor Morrison, chiunque abbia ucciso la sua fidanzata, non lo ha fatto per soldi, non era una rapina. La sua casa era perfettamente in ordine, gioielli, soldi ed altri preziosi erano tutti al loro posto. Per questo riteniamo che il motivo sia qualcosa di personale, qualcuno che voleva uccidere lei.

- Io non ne ho idea, veramente. Nicole è… era una ragazza normalissima

Kate salutò l’uomo che lasciò mestamente il distretto.

- Che ne pensi? - Le chiese Rick vedendolo camminare lungo il corridoio ed attendere l’ascensore a testa bassa.

- Mi sembra sincero e veramente colpito dalla morte della fidanzata. - Rispose pensierosa

- Sì, anche a me. Come si può non essere distrutti da una simile notizia. - Sospirò Rick sfiorandole la mano e Kate accarezzò per un attimo le sue dita.

- Poi ha un alibi. Ieri sera era ad una convention a Washington ed è rimasto lì fino a tarda notte, ho già verificato.

- Cosa c’è, allora, che non ti convince? - Le chiese ancora Castle.

- Non lo so… Sembra tutto troppo perfetto. Lei una ragazza irreprensibile sul lavoro, una coppia innamorata e felice, nessun collega invidioso, nessun ex geloso… - Una Beckett perplessa ragionava su quanto appena sentito.

- E quando tutto è troppo perfetto… - Continuò Castle.

- Sicuramente non lo è - dissero insieme per poi guardarsi e sorridersi.

- Andiamo a sentire i suoi colleghi, magari ci daranno qualche informazione in più.

I colleghi della Surge Trust Corp di Nicole sembravano molto evasivi e poco disponibili a parlare, tutti troppo indaffarati in altro per poter dedicare del tempo a Beckett e Castle senza venire interrotti continuamente da telefonate, mail e messaggi. Dopo che un paio di chiacchierate erano andate in questa direzione, Kate sembrava sempre più frustrata e infastidita dalla situazione che cominciò a minacciarli  uno per uno di convocarli al distretto per un interrogatorio formale, durante il quale, sicuramente, non avrebbero potuto rispondere a nessun cliente per nessuna cosa “urgentissima”. Le sue minacce ebbero effetto, perché così riuscirono ad ottenere l’attenzione dei colleghi. Tutti, però, sembravano ripetere le stesse cose di Lerry: brava collega, amata da tutti, professionista esemplare. Scoprì che lavorava lì da quattro anni, ma nessuno sapeva da quale società provenisse e sotto l’ennesima minaccia di ottenere un mandato e sequestrare tutto il materiale, riuscì a farsi dare dalla segretaria l’elenco degli ultimi clienti che aveva seguito. Nessuno si era mai lamentato di lei, ci tenne a precisare, Joseph Reeves, il suo capo che aveva raggiunto Beckett e Castle e li aveva fatti accomodare nel suo ufficio, decisamente più disponibile dei suoi dipendenti, ma anche lui non seppe dire nulla di più, tranne consegnare a Beckett la scheda di Nicole e dire che l’aveva assunta personalmente dopo un colloquio superato in modo splendido. Tra tutti lì dentro il signor Reeves, un distinto uomo di mezza età dai modi eleganti e molto educato, sembrava quello più umanamente colpito della morte di Nicole Church, tanto che Kate si sentì in dovere di chiedergli se tra loro esistesse qualche tipo di relazione diversa da quella professionale, ma l’uomo negò con decisione, dicendo solamente che era una dei migliori elementi e che, a dispetto del suo aspetto da ragazza dolce, nel lavoro era una tipa molto tosta e determinata e questo le avrebbe sicuramente fatto fare una splendida carriera.

Uscirono da lì più tardi di quando pensassero. Non avevano risolto molto, ma per lo meno avevano ottenuto l’elenco dei clienti e la sua scheda personale. Lì sicuramente qualche altra cosa su cui indagare ci sarebbe stata. Tornarono al distretto dove nel frattempo erano arrivati anche Ryan, Esposito e Price. Anche a loro i genitori e la sorella di Nicole avevano detto le stesse cose di tutti gli altri e per ora l’unico che aveva dato qualche indizio in più sulla sua personalità era stato proprio il suo capo.

- O era una ragazza perfetta o nascondeva bene qualcosa - disse Nick mentre Kate aggiungeva alcuni dati alla lavagna con le prove raccolte.

- Le ragazze perfette non esistono, quindi sicuramente nascondeva qualcosa! - Replicò Javier ridendo

- Nemmeno i ragazzi perfetti esistono, Javi! - Lo fulminò Kate voltandosi a guardarlo sorridendogli e l’ispanico si accomodò sulla sua poltrona dondolandosi un po’. 

- I colpi che l’hanno uccisa sono partiti da una M9 - Disse Ryan stampando un foglio con i referti appena arrivati dalla scientifica.

- Un arma dell’esercito - Sottolineò Price mentre Kate scuotendo la testa appuntava gli ultimi elementi sulla lavagna, per poi voltarsi verso i quattro uomini che la guardavano, soffermandosi sul più silenzioso di tutti, Castle, che non aveva ancora parlato, ma con le braccia incrociate sul petto, si limitava ad osservare ed ascoltare.

Si era fatto abbastanza tardi, avevano passato una giornata a parlare con parenti e colleghi della vittima accumulando un po’ di materiale sul quale lavorare e fare ricerche. Dovevano aspettare gli ultimi riscontri della scientifica su alcuni elementi rilevati a casa di Nicole Church, ma non sarebbero arrivati prima del mattino seguente. Beckett andò dalla Gates per aggiornarla su quanto avevano scoperto ed il capitano disse che potevano andare a casa a riposarsi, avrebbero ripreso la mattina dopo.

- Ti accompagno a casa. - Rick era davanti alla sua auto e Kate lo raggiunse.

- Ti aspettano per cena? - Gli chiese appena salita in macchina.

- No…

- Allora ti va di andare a mangiare qualcosa insieme? - La richiesta di Beckett fu quasi timida, e Rick annuì sorridendo cambiando direzione.

Quella trattoria era decisamente fuori mano e se non fosse stato per l’insistenza di Castle e le sue rassicurazioni sul fatto che non se ne sarebbe pentita, Beckett probabilmente non ci sarebbe mai entrata. L’esterno con quelle tende un po’ scure a coprire l’interno, le porte di legno consumato e l’insegna un po’ kitsch con la scritta verde, bianca e rossa al neon le dava l’idea più di un pessimo ristorante uscito da qualche racconto di mafia, così come la lavagna all’esterno sulla quale erano scritti i nomi dei piatti in un pessimo inglese o un pessimo italiano, non avrebbe saputo dirlo.

Appena messo piede dentro, però, si era dovuta ricredere. Il locale era molto più carino di quello che sembrava da fuori, ben curato, con le pareti con i mattoncini rossi in vista, dove facevano bella mostra su delle rastrelliere numerose bottiglie di vino, e le travi di legno al soffitto. I tavoli, non troppo grandi, erano disposti senza uno schema preciso, con grandi tovaglie bianche e rosse. Non c’era molta confusione anche se quasi tutti i tavoli erano occupati, ma le persone sembravano più occupate a mangiare che a parlare. 

Si accomodarono in un tavolo vuoto in fondo alla sala. Un giovane cameriere aveva insistito per dargliene un altro, ma Rick gentilmente gli aveva fatto capire che preferiva quello più vicino al muro e alla fine arrivò un uomo più anziano, che disse qualcosa in modo brusco al ragazzo in una lingua che non capirono, italiano probabilmente come gran parte del vociare che sentivano intorno. L’uomo si scusò con loro e li fece accomodare dove preferivano.

- Sapete, il ragazzo è giovane, lavora qui da poco, ancora non conosce bene i modi. Scusatelo! - Ripeté l’uomo tornato da loro versandogli l’acqua nei bicchieri e lasciandogli i menu. Gli sorrisero entrambi cordialmente.

- Non si preoccupi, è tutto a posto - Lo tranquillizzò Rick prima dare un rapido sguardo ai piatti del giorno. Kate, invece, si prese più tempo per leggere tutta lista e lui si rilassò per la prima volta in quella giornata, quando lei gli prese appoggiata sul tavolo la mano mentre sceglieva cosa prendere. In fondo Castle era questo che voleva, la normalità dei piccoli gesti e detto da lui sembrava un discorso paradossale, ma con Kate era così. Certo, lui sarebbe sempre stato l’uomo degli eccessi, e lo dimostrò anche poco dopo ordinando molte più cose di quante ne potessero mangiare con la scusa che avevano saltato il pranzo, ma lei gli faceva riscoprire la bellezza della normalità: una cena in un ristorante normale, due bicchieri di vino, del buon cibo e potersi prendere per mano, distrattamente, senza nessun motivo, solo per il piacere di farlo.

- Ora mi devi dire come hai fatto a scoprire questo posto. - Gli chiese mentre mangiava la mozzarella di bufala più buona che avesse mai assaggiato.

- Un amico italoamericano mi ci ha portato una volta. La sua famiglia e quella dei proprietari di questo posto si conoscono da sempre.

- Hai un’infinità di risorse Richard Castle!

- E non le hai ancora scoperte tutte!

Passarono una serata spensierata, tra un piatto di gnocchi al pesto e linguine allo scoglio, assaggiando appena il resto delle cose che Rick aveva ordinato, ma lei gli aveva promesso che ci sarebbero tornati ancora, per assaggiare altre prelibatezze ed il cameriere insistette per fargli portare via quella porzione di parmigiana che non avevano nemmeno toccato.

- Oggi sei stato troppo silenzioso per essere te, Castle. - Gli disse mentre bevevano un liquore fatto in casa offerto dal ristorante.

- Hai passato anni a dirmi che dovevo essere silenzioso ed ora ti lamenti? - Le sorrise evasivo.

- Che succede? - Prese di nuovo la sua mano guardandolo attenta.

- Price. È più forte di me. Mi da fastidio.

- Se voglio che stai al distretto non è solo perché voglio averti vicino, è perché so che a te piace che ti diverti a fare teorie, spesso anche fuori luogo, ma che ci sono d’aiuto. Non voglio che quando c’è lui stai lì in un angolo in silenzio a guardare e basta.

- Come vuoi, Beckett. Però se il tuo amico mi risponde male… 

- Se ti risponde male ci penserò io a fargli capire che ognuno ha il suo ruolo e che tu sei nella squadra da prima di lui.

- E che tu stai con me. - Sottolineò Castle.

- Questo cosa c’entra? - Chiese lei ridendo

- Questo c’entra sempre - Rispose lui serio.

- Sei geloso, ecco qual è il punto!

- Anche e non l’ho mai negato, lo sai!

- Ti sei fatto qualche idea? - Gli chiese quindi tornando seria

- Su Price?

- No, Castle! Sul caso!

- Ne vuoi parlare ora? - Le domandò stupito

- Visto che al distretto non hai detto una parola…

- Uhm… ok… Nicole Church non era la ragazza perfetta che tutti vogliono far credere o che lei aveva fatto credere a tutti. O meglio, forse lo era, ma era anche altro. Il suo capo ha detto che era anche tosta e determinata e nel suo lavoro per fare carriera e metterti in luce, qualche piede lo devi pestare e qualche altarino lo devi scoprire… Magari nelle ricerche per qualche società ha scoperto quello che non doveva scoprire o si è messa in mezzo a qualche operazione delicata facendo fuori qualche collega che ha perso una bella fetta di guadagno… Hai fatto controllare i suoi conti?

- Sapevo che morivi dalla voglia di dire quello che ne pensavi! - Esultò Kate vedendolo di nuovo con quella luce negli occhi di quando la sua mente cominciava a costruire storie ipotetiche sui suoi casi - Sui conti ci sta lavorando Ryan, domani dovremmo avere tutto, ne aveva più di uno, un paio anche all’estero.

- E non ti sembra strano che una ragazza così giovane, che viene da una famiglia benestante ma non certo ricca, alla sua età abbia già diversi conti anche all’estero?

- Io non li avevo, tu? - Chiese Kate

- Ehm… sì, ma solo perché avevo preso il primi compensi per il mio primo best seller! Nicole Church non scriveva best seller, giusto?

Beckett scosse la testa ridendo. Avrebbero ripreso il discorso il giorno dopo con gli altri.

- Eccoci arrivati. - Rick aveva parcheggiato sotto casa di Kate ma nessuno dei due scendeva.

- Sali? - Gli chiese timidamente Kate slacciandosi la cintura di sicurezza.

- È meglio di no, sai che poi è difficile andare via.

- Non devi farlo se non vuoi. - Si morse il labbro subito dopo averglielo detto.

- Ne sei sicura? Non devi riposare? - Chiese per avere una conferma che in realtà non attendeva, essendosi anche lui già slacciato la cintura di sicurezza e pronto a scendere.

Rick era in piedi al centro della stanza, Kate aveva preso il suo cappotto e lo aveva messo sull’attaccapanni insieme al suo.

- Vuoi bere qualcosa? - Gli chiese lei controllando il frigo.

- Quello che prendi tu, grazie.

Si mise ad osservare i suoi libri, ne riconosceva molti di quelli che le aveva comprato durante la sua degenza e sorrise a vedere tutta la collezione dei suoi romanzi, passò il dito sul dorso di tutte le copertine, alcune con molte pieghe perché quei libri dovevano essere stati letti più volte, poi prese l’ultimo, quello che non si aspettava di vedere lì.

- E questo? - Le chiese con la copia di Frozen Heat tra le mani

- L’ho comprato quando ero fuori New York.

- Mi pare che non lo hai letto… - disse aprendolo mentre faceva il classico scricchiolio di un libro nuovo

- Solo alcune pagine. 

- E la dedica?

- Sì, l’ho letta. - Gli porse il suo bicchiere di vino rosso.

- È per te. L’avevo scritta prima che tu… andassi via. La volevo cambiare, poi ho deciso di lasciarla. - Ammise

- Perché? - Gli chiese sinceramente curiosa di saperlo

- Era giusto così, il libro era per te. Non cambiava nulla quello che era successo tra noi.

Si erano seduti sul divano, avevano appoggiati i calici di vino sul tavolo davanti a loro ed ora uno davanti all’altra, si guardavano mentre Rick le spostava i capelli dal volto.

- Quali sono queste grandi cose? - Gli chiese appoggiandosi contro la sua mano per rubargli una carezza.

- Amarti, ad esempio. È una grande cosa che mi ispiri ogni giorno.

- Castle… - Il nodo in gola che ebbe a quelle parole non le fece dire altro e si prese solo il suo sorriso come silenziosa risposta ad una frase mai detta. Non sapeva perché si era addentrata in quel discorso, ma era da quella mattina che voleva parlargli e stava rimandando ancora, perché non trovava il momento giusto o le parole e adesso anche meno.

- Mi sei mancato ieri notte. - Ammise Kate

- Anche tu mi sei mancata.

- Sarei voluta tornare indietro, però avevo bisogno di stare un po’ da sola… - Cominciò Kate cercando le giuste parole.

- Non devi giustificarti, non c’è bisogno. 

- Non è questo… Vorrei spiegarti… Avevo bisogno di stare sola per capire quello che mi era successo, che ci era successo. È stato tutto così veloce e travolgente, eppure mi sembrava di stare insieme a te da sempre. Ero felice e spaventata allo stesso tempo di tutto questo. Voglio stare con te Rick ed ho capito che è assurdo forzarci a stare separati dopo tutto quello che è successo.

- Non siamo mai riusciti a stare separati Beckett!

- Già, è vero… - sorrise lei imbarazzata - … Però… non voglio ferirti Castle, ma stare al loft mi mette a disagio. Adoro tua madre, voglio bene ad Alexis, ma… mi sento fuori luogo adesso…

- Mi dispiace, Kate. Io non voglio che tu ti debba sentire così, anzi… - sospirò - Sono sicuro che Alexis capirà, anche lei ha solo bisogno di un po’ di tempo.

- Rimani qui. - Disse senza nemmeno ascoltarlo. - Non voglio separarti dalla tua famiglia Castle, però… se tu vuoi…

- Va bene. - Le rispose ma lei sembrò non sentirlo

- Casa mia è piccola, non è il tuo loft, ci sono tutte le tue cose super tecnologiche…

- Kate, va bene!

- … Né il tuo bagno enorme, però puoi portare qui tutto quello di cui hai bisogno.

- Ehy, ascoltami… Non ho bisogno di nulla Kate, ci sei tu, ok?

- Rimani? - Chiese ancora incredula

- Ci hai già ripensato?

- No, no! Io… Ti amo! - Prese il suo volto con entrambe le mani e lo baciò con passione. Sorrise felice e Rick accarezzò il suo sorriso.

- Brindiamo? - Le chiese porgendole il calice.

- A cosa vuoi brindare Castle?

- Fammi pensare… a noi? Che ne pensi?

- Noi. Penso che è perfetto. - E Kate raramente si era sentita più felice.

- Buongiorno Castle!

- Mmm che ore sono? - Rick si stiracchiò nel letto aprendo a fatica gli occhi. Kate era in fondo con due tazze di caffè in mano, aspettò che lui si tirasse su e poi si sedette sul letto vicino a lui, dandogli la sua, ma prima che potesse bere, lo baciò dolcemente accarezzandogli i capelli spettinati.

- Voglio svegliarmi tutte le mattine così. - Disse Rick baciandola ancora. Il caffè poteva attendere.

- Sai quando ho deciso di chiederti di stare qui? Ieri mattina, quando non riuscivo a trovare un momento per poterti salutare come volevo. Non voglio più svegliarmi senza poterti dare un bacio.

- Dove sei stata in questi mesi? Devo andare a riprendere la vera Beckett che hai nascosto lì! Tu chi sei? - Le chiese Castle fingendosi serio e preoccupato.

- Falla finita Castle! - Rise Kate - Non ti vado bene così?

- Mi vai benissimo Beckett! Mi chiedevo solo cosa è successo…

- Ho rischiato di perderti ed ho capito quanto sei importante per me. Ti basta? 

- Me lo farò bastare. - Le diede un altro bacio e poi bevve il suo caffè prima che diventasse troppo freddo.

- Castle… 

- Uhm? - Si era già ributtato tra i cuscini per godersi ancora qualche istante del tepore sotto le coperte.

- Sbrigati, o faremo tardi al distretto. - La voce decisa di Beckett distrusse i suoi ultimi sogni di trastullarsi ancora a letto e Rick si accorse solo in quel momento che Kate era già perfettamente vestita e lo guardava decisamente seria.

- Sai cosa stavo pensando? - Rick era seduto in macchina vicino a Kate e giochicchiava con la cintura di sicurezza. Quell’auto era terribilmente scomoda ma gli era mancato tantissimo stare lì.

- Impossibile sapere a cosa pensi, Castle!

- A dove potremmo andare in vacanza. - La sua voce scanzonata non prevedeva nulla di buono.

- Sono appena tornata a lavoro! - Gli ricordò lei

- Ok, ma dovrai andare in ferie prima o poi, no? Cioè quanti anni sono che non prendi le ferie? Quindi, dicevo, stavo pensando a dove potremmo andare.

- Sentiamo…

- Beh, quando eri in ospedale abbiamo ipotizzato tante cose da fare insieme, potrei fare una lista così le possiamo spuntare di volta in volta.

Kate roteò gli occhi al cielo e scosse la testa. Ecco il Castle ragazzino che tornava prepotentemente a galla inarrestabile e non poteva essere messo a freno in nessun modo. Però decise di stare al gioco e starlo ad ascoltare.

- Quindi cosa vuoi mettere in questa lista?

- Uhm… Parigi? Banale?

- Beh Castle mi aspettavo qualcosa di più originale da te! - Lo sfidò e lo vide pensieroso

- Quindi se Parigi è banale lo è anche Venezia…

- Esatto!

- Niente tramonti su qualche isola sperduta… Ho trovato, percorreremo a piedi la muraglia cinese, anzi no ci sono! Questa idea Beckett non me la potrai bocciare: andremo a Berlino e cammineremo lungo i resti del muro e io gli dirò che ne ho buttato giù uno molto più duro, che ne dici?

Kate si voltò a guardarlo e lui la guardava. Sorrideva come un bambino ed anche lei gli sorrise. Questa era veramente un’idea da Castle.

- Berlino eh? 

- È un’idea, però è originale! Che ne pensi? - Era veramente soddisfatto di quella trovata che l’aveva senza dubbio colpita, lo vedeva da come sorrideva.

- Che qualsiasi posto con te mi va bene. Anche un ranch sperduto nel Kansas.

- Cosa abbiamo? - Chiese Beckett a Ryan appena arrivata al distretto.

- I conti di Nicole Church.

- E…? - Detestava quando le dicevano le cose a metà e doveva tirare fuori le notizie con le pinze, nemmeno lo stesse interrogando.

- Ce n’è uno che è stato particolarmente difficile da rintracciare, alle Bahamas. 

- Wow Beckett! Bahamas! Ecco un bel posto dove potremmo andare! Bagno con i delfini, immersioni con gli squali… - Esclamò entusiasta Rick che fu immediatamente fulminato dallo sguardo di lei che gli ricordò che certe cose non sarebbero mai cambiate, come se sue occhiate assassine.

- Vai avanti Ryan… - Lo invitò Kate sospirando sconsolata, quasi quasi rimpiangeva il Castle silenzioso del giorno prima.

- Ha ricevuto due grossi bonifici, da un conto offshore di Panama, non tacciabile.

- Grossi quando? - Chiese la detective.

- 500.000 dollari ognuno.

- Decisamente grossi. - Constatò Beckett.

- Già e sicuramente non sono commissioni per nessun tipo di affare. La cosa particolare di questo conto è che è stato aperto pochi giorni prima del primo bonifico e le uniche operazioni effettuate sono questi due versamenti a distanza di poco più di un mese uno dall’altro. - Continuò l’irlandese.

- A quando risale l’ultimo? - Chiese ancora Kate.

- Poco prima di Natale, un mese e mezzo fa, circa. - Rispose controllando le date sul monitor.

- Gli altri conti? - Beckett nel frattempo appuntava le informazioni sulla lavagna

- Uno è quello diciamo ufficiale, dove transita lo stipendio, le carte di credito, mutuo, e le commissioni per gli affari portati a termine. Non c’è una grande cifra, circa 10.000 dollari, ma dal conto delle spese, alla nostra Nicole piaceva fare molto shopping di vario genere e tutto quello che guadagnava lo spendeva tutto. Tieni guarda - Le porse un foglio con il rendiconto delle sue spese che Kate guardò velocemente e con poco interesse, ma appena appoggiò il foglio sulla scrivania questo attirò l’attenzione di Castle che lo prese leggendolo con attenzione, infastidendo Nick che lo osservava dall’altra parte della scrivania.

- Che altro Kevin?

- Un altro conto. Ha lavorato per un breve periodo in una società Canadese prima di andare a lavorare alla Surge Trust Corp ed ha un conto in una banca a Toronto dove depositava ogni 10 del mese in contanti 5.000 dollari.

- Da quanto tempo?

- Uhm… Due anni, poco più…

- Bene, andate a parlare di questi conti con la famiglia, io e Castle torniamo alla Surge Trust Corp e intanto convochiamo di nuovo Lerry Morrison, chissà che non ha qualcosa lui da dirci di questi movimenti di denaro.

Joseph Reeves era stato ancora una volta molto cordiale e disponibile, aveva fortemente negato l’insinuazione che pagasse Nicole con dei compensi extra in contanti e per quello che lui sapeva, non lavorava per nessun altro, anche perché il suo contratto con la Surge Trust Corp era di esclusiva, quindi se lo avesse saputo avrebbe potuto licenziarla o chiederle una parte dei suoi introiti. Sia Beckett che Castle erano convinti della sincerità di quell’uomo, non solo perché aveva risposto ad ogni loro domanda senza evitare alcun argomento, ma anche per il modo in cui si era dimostrato disponibile ad aiutarli nelle indagini, mettendogli a disposizione qualsiasi materiale di cui avessero bisogno, oltre al fatto di consegnare anche il computer che usava Nicole a lavoro. Certo avrebbero potuto sbagliarsi entrambi, ma difficilmente accadeva.

I ragazzi tornarono dal colloquio con la famiglia di Nicole con alterne fortune: Ryan ed Esposito non avevano avuto alcuna informazione aggiuntiva dai genitori, mentre Price aveva scoperto qualcosa dalla sorella. Rebecca Church riceveva spesso dei regali da sua sorella e più di una volta lei si era chiesta come potesse comprarle delle cose così costose, ma lei ripeteva sempre di non preoccuparsi, perché i suoi affari andavano bene, ed aveva anche un lavoro extra. Rebecca le aveva detto anche che lei non era gelosa dei successi di sua sorella, solo preoccupata perché negli ultimi tempi la vedeva sempre più presa dal lavoro con meno tempo libero.

Questa volta quando Beckett incontrò Lerry Morrison fu meno bendisposta e disponibile del giorno prima.  A detta dei suoi familiari e di Lerry stesso, lui e Nicole erano molto uniti, quindi non poteva non sapere niente di questa parte della vita della sua fidanzata.

Si mostrò molto nervoso quando Beckett le mostrò il conto alle Bahamas dicendo che non ne sapeva nulla.

- Cosa crede detective, se avessi saputo che Nicole era in possesso di una somma del genere avremmo continuato questa vita? Io a Washington, lei a New York, vedendoci nei ritagli di tempo?

- Io non credo niente, signor Morrison, voglio solo conoscere i fatti. Quindi lei era all’oscuro di questo conto di Nicole e non sa niente della provenienza di questi soldi.

- No! Certo che no, glielo ripeto! - L’uomo era sempre agitato e scuoteva la testa ripetutamente a sottolineare le sue parole. Castle lo osservava in silenzio lasciando la scena a Beckett.

- E di questo, a Toronto? Non sapeva nulla nemmeno di questo? C’è una bella somma, anche lì. - Gli mise davanti l’estratto conto con il saldo dei depositi di Nicole - 135.000 dollari in versamenti da 5.000 dollari al mese da più di due anni.

- Sì… lo sapevo. - Ammise - Nicole aveva un cliente fuori dal giro dell’ufficio. Faceva delle operazioni finanziarie per lui, ma non so di che tipo.

- Chi è? - Lo incalzò Kate

- Non lo so, non mi parlava di queste cose! Le dava la sua parte in contanti e lei depositava tutto in questo conto in Canada quando andava da un cliente che aveva lì.

- 5.000 dollari al mese sono una bella cifra per fare delle operazioni. - Osservò Kate

- Sì, ma alcuni dei clienti di Nicole movimentavano cifre molto grandi, quelli erano spiccioli per loro. - Tentò di giustificare la sua ragazza

- E perché un cliente così importante si rivolge diciamo sottobanco ad una ragazza che lavora in una prestigiosa società e non alla società stessa, con il rischio di essere scoperto?

- Non lo so, non posso sapere queste cose! Lei non me ne parlava e a me non interessavano. Stava mettendo via quei soldi per il nostro futuro, così mi diceva.

- E poi in poco più di due mesi, invece, mette via un milione di dollari e non le dice nulla… Strano, non trova?

- Io non so cosa dirle detective. Questa notizia mi ha sconvolto… io… credevo di conoscere Nicole… ora non so più niente.

Kate lo lasciò andare pensierosa, quella conversazione non gli aveva certo chiarito le idee ed avevano veramente pochi elementi in più.

- A cosa pensi Beckett? - Le chiese Castle quando rimasero soli.

- Che non mi convince, non mi convince per niente. Quando gli ho detto del conto alle Bahamas era molto nervoso.

- Poteva esserlo perché si è sentito tradito dalla sua ragazza… - Le fece notare Rick

- … O perché non voleva che si scoprisse! - Dissero insieme.

- Esatto Beckett!

- Ryan, novità sul computer di Nicole? - Chiese subito Kate tornata alla sua scrivania

- Da quello che abbiamo preso a casa sua niente, quello che vi hanno dato alla Surge Trust Corp lo stanno ancora analizzando.

- Dai suoi effetti personali manca qualcosa? - Domandò ancora

- L’unica cosa strana è che nel mazzo di chiavi di casa di Nicole c’è un piccolo anellino metallico, come se ci fosse stato attaccato qualcosa che è stato strappato via, ma è impossibile sapere cosa. - Disse Price mostrando una foto a Kate del reperto che subito mise sulla lavagna.

- Quindi chi l’ha uccisa potrebbe avere in effetti preso qualcosa. - Commentò Castle. - Magari era lì che teneva i resoconti dei suoi affari extra lavoro, una piccola pen drive da portare sempre con se, che non da nell’occhio.

Kate aveva promesso a Lanie che avrebbe trovato il tempo per pranzare insieme, ma quel caso le stava portando via molto più tempo di quello che pensava. Non voleva però deludere la sua amica e quindi optò per passare da lei con due sandwich e fare una pausa mangiando qualcosa insieme.

- Mi devi sempre un pranzo come si deve tesoro! - Le disse Lanie scartando il suo pasto seduta sullo sgabello.

- Appena chiudo il caso, promesso!

- Il tuo scrittore dov’è? Si è già stufato di girarti intorno?

- Ha approfittato di questo nostro incontro per andare al loft. - Rispose Kate mordendo il sandwich affamata

- Cosa vuol dire che approfitta per andare a casa sua? Cosa altro non so? - Chiese Lanie alla quale in quel momento mangiare era l’ultima cosa che interessava.

- Ieri sera gli ho chiesto di fermarsi da me. A tempo indeterminato. - Glielo disse con gli occhi che brillavano dall’emozione e la dottoressa poteva leggere la felicità nel suo volto.

- Oh mio Dio ragazza! Se continui così presto dovremmo andare a cercarti un abito bianco!

In qualunque altro momento Kate sarebbe inorridita all’idea, invece sorrise a Lanie ancora più raggiante. Qualunque incantesimo le avessero fatto, non voleva svegliarsi.

Aveva deciso che sarebbe uscita prima quel giorno dal distretto, anche se per lei prima voleva solo dire all’ora normale per tutto il resto del mondo.

- Detective Beckett, sta andando via? - Victoria Gates era appena uscita dal suo ufficio e le stava andando incontro.

- Ehm… io… sì, signore.

- Ci sono novità sul caso Church?

- Abbiamo una pista sulla quale indagare, stiamo aspettando dei riscontri dal Canada.

- Canada? - Chiese perplessa.

- Nicole Church aveva un conto a Toronto dove faceva dei versamenti ogni 10 del mese. Stiamo aspettando che ci mandino le registrazioni delle telecamere esterne di quel giorno per vedere se era sola o c’era qualcuno con lei. Il fidanzato ci ha confermato che quei soldi provenivano da dei lavori che faceva al di fuori della società per la quale lavorava.

- Non c’è altro? - Chiese fin troppo seria.

- Un conto alle Bahamas, ma quello per ora è un vicolo cieco, nessuno pare saperne nulla. Per ora non c’è altro signore. Stiamo sempre aspettando i risultati della scientifica sul computer del suo ufficio ma dubito possa darci informazioni.

- Sì, dubito anche io. Va bene detective, passi una buona serata.

- Grazie Signore. - Le disse Beckett timidamente.

- Ah detective! Sono felice se non passa tutte le sue giornate qui al distretto come prima.

- Sì, anche io - Kate era visibilmente imbarazzata ma apprezzo che il suo superiore non giudicava negativamente il suo desiderio di normalità.

Castle la aspettava fuori dal distretto con uno zaino sulle spalle ed un trolley vicino a lui. Gli sorrise istintivamente e gli diede un bacio veloce sulle labbra.

- Ciao! Pensavo tornassi su…

- Ecco io… sono arrivato pochi minuti fa, ho preferito aspettare sai, per evitare commenti e battutine.

- È un problema per te Castle? 

- No, non per me, no… Le volevo evitare a te. Andiamo? 

- Tieni. - Kate diede a Rick un mazzo di chiavi tenute insieme da un portachiavi di legno a forma di cuore con un “K” incisa: era come il ciondolo che le aveva regalato, solo un po’ più grande. Lo aveva trovato quando era andata a fare una copia delle chiavi di casa dopo aver mangiato con Lanie. Rick le guardò senza dire nulla. - Sono le tue, puoi aprire…

- Sì… sì… - Castle guardò il portachiavi accarezzando la lettera incisa. Ricordava perfettamente quel ciondolo, così come ricordava cosa le aveva detto quando glielo aveva regalato ed era certo che se lo era ricordata anche lei quando lo aveva scelto, perché Beckett non è una che dimentica certe cose e non fa scelte a caso. Rick aprì la porta trascinandosi dietro il trolley e Kate lo osservava fuori dalla porta. Gli sembrava stordito da quella situazione, non si era nemmeno reso conto che lei non lo aveva seguito ma lo guardava sorridendo da lontano. Si accorse solo quando sentì la porta chiudersi e si voltò vedendola appoggiata con le mani dietro la schiena.

- Che c’è? - Le chiese guardandola frastornato mentre lei aveva un sorriso che le illuminava il volto.

- Ci sei tu. Qui.

- Sì, sono qui, perché? - Le disse come se stesse ripetendo l’ovvio continuando a non capire.

- Castle. Focus. Tu. Sei. Qui.

- Sì. - Ripeté lui

- Sono felice, Castle. Felice. - E Rick non capiva come poteva dirglielo ed innervosirsi allo stesso tempo. Lasciò cadere lo zaino a terra e la abbracciò.

- Sono felice anche io, Beckett. - Lo abbracciò anche lei, circondandogli il collo con le sue braccia, mentre lui la sollevò da terra facendola girare, in un gesto così istintivo e fanciullesco che Kate cominciò a ridere. Era una risata leggera e spensierata, come si sentiva lei in quel momento.

Lo guardò negli occhi quando la mise a terra, erano passati pochi secondi, le era sembrato di girare tra le sue braccia per un’eternità, rotazione e rivoluzione insieme, lei la terra lui la sua asse.

- Cosa mi hai fatto Castle? - Gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Non sapeva nemmeno lui cosa le aveva fatto, ma gli effetti li adorava. Quella che aveva tra le braccia era qualcosa di molto superiore a quello che aveva sempre sognato, era la sua Kate come mai lo era stata per nessuno. La cinse a se, solo per abbracciarla: non era uno di quegli abbracci disperati che tante volte si erano scambiati, non la doveva sostenere o trattenere, la doveva solo tenere vicina per condividere quel loro momento di intima gioia: le mani scivolarono alla base della schiena, mentre lei si appoggiava con la testa sulla sua spalla godendosi quella normale felicità che era sembrata una chimera pera tanto tempo. Erano lui, lei, loro. Erano a casa, insieme.

Castle era entrato nella vita di Kate come un uragano, aveva invaso la sua anima come uno tsunami travolgendo tutto quello che era; non aveva lasciato, però, macerie o rovine, tranne quelle del muro che l’aveva tenuta imprigionata per troppo tempo. Ora invece Rick era una brezza leggera che cullava la sua anima, era il vento fresco che da sollievo in estate, erano le onde del mare che lambivano le caviglie durante una passeggiata al tramonto mano nella mano. Castle era la sua capacità di un abbandonarsi in abbraccio leggero, di un bacio appena svegliata, era le loro mani che si sfioravano distrattamente mentre leggevano il menu al ristorante. Castle era la normalità di un sentimento che si aggiungeva alla passione travolgente, ai baci da togliere il respiro, agli abbracci che sostenevano il mondo, all’essere un unico respiro. Non era uno o l’altro, era entrambi e sapeva quando esserlo. Lui era stato il primo e l’unico a cui aveva aperto se stessa e che aveva fatto entrare nella sua casa non per una notte e via: gli aveva dato le chiavi simboliche del suo cuore e materiali della sua casa, del suo rifugio, del luogo dove si era sempre sentita protetta e al sicuro. Ora, però, c’era un luogo dove riusciva a sentirsi ancor più protetta ed erano le braccia di Rick dove era in quel momento, dove voleva stare sempre, dove poteva spogliarsi di ogni protezione e sentirsi al sicuro più che in ogni altro luogo.

Rick baciò Kate sulla fronte, ottenendo in cambio uno sguardo innamorato ed un sorriso sognante, frutto non solo di quel bacio, ma di tutti i suoi pensieri che lui non poteva vedere: non l’aveva mai sentita così sua come in quel momento, quando non aveva bisogno di stringerla, perché aveva, per la prima volta, la netta sensazione che non sarebbe scappata. Non doveva tenerla legata a sé perché era lei che rimaneva lì, ferma sulla sua spalla senza cercare una via di fuga senza quell’inquietudine di fondo che la portava ad allontanarsi, anche involontariamente. Si sentiva bene mentre le accarezzava la schiena perché era come se la sua corsa fosse finita, come se si fossero finalmente raggiunti e trovati in uno stato di quiete e di calma che non aveva mai provato con lei. Non c’erano affanni in quell’abbraccio, né richieste d’aiuto. C’era solo il desiderio di condividere quel momento insieme, il momento in cui per la prima volta, forse, erano solo loro e non c’erano nemmeno le loro paure a fargli compagnia. Non era tutto risolto, non avevano messo fine a nulla di tutto quello che li minacciava, però stavano facendo in modo che non toccasse quel momento, stavano provando a vivere nonostante quello e senza che gli impedisse di essere felici.

A Kate non sfuggì quel sospiro di sollievo che sentì fare a Rick, con il suo petto che si era alzato ed abbassato con forza, mandando via tutte le preoccupazioni che lo avevano afflitto negli ultimi mesi o forse anni.

- Benvenuto a casa. - Gli disse chiudendo gli occhi e stringendolo ora sì un po’ di più mentre sentì anche le sue mani avvicinarla di più a lui ed anche Beckett sapeva di essere a casa in quel momento e lo sarebbe stata ovunque ci fosse stato Castle.

- Beckett abbiamo i video da Toronto e c’è una cosa che dovresti vedere! - Ryan era andato alla sua scrivania mentre lei stava sorseggiando un caffè diventato troppo freddo per i suoi gusti. Era uscita presto di casa quella mattina, aveva evitato anche di farsi il caffè, lasciando Rick a sonnecchiare ancora tra le coperte. Voleva tornare al distretto per riesaminare in tranquillità tutto quello che avevano raccolto fino a quel momento e cercare di capire con la mente più lucida, se le fosse sfuggito qualcosa. Non se l’era sentita di svegliarlo e costringerlo ad uscire così presto. Gli aveva dato un bacio ed era rimasto qualche istante a guardarlo mentre si era appropriato dell’intero letto e poi gli aveva lasciato un bigliettino sul suo comodino per avvisarlo. Si era fatta una tazza di caffè appena arrivata al distretto, ma non era buona come quella che le preparava lui, forse solo per quello. L’aveva lasciata sulla sua scrivania troppo occupata a leggere e si era freddata, diventando ancora più imbevibile, però aveva bisogno di caffeina e lo mandò giù tutto d’un fiato, per dedicare tutta la sua attenzione a Kevin.

- Abbiamo trovato un’immagine di lei prima di entrare in banca. Non si vede benissimo, però è con un uomo. Abbiamo ingrandito l’immagine e cercato di pulirla il più possibile e questo è quello che è venuto fuori.

Passò il foglio a Kate e vide l’immagine di un apparentemente anonimo signore sulla cinquantina, vestito elegantemente, uno dei tanti uomini d’affari che si possono incontrare in città, dei quali nemmeno ti accorgi quanto ti passano accanto camminando veloci.

- Chi è? - Chiese Beckett osservandolo attentamente

- Non lo sappiamo. - Ammise Ryan un po’ sconsolato.

- La scientifica ha detto che sul suo computer dell’ufficio non c’è niente di diverso dai soli files che riguardano i clienti e email di lavoro. Nulla di strano - Aggiunse Esposito appena arrivato.

- Bene… abbiamo un viso che non sappiamo di chi è, un conto che non ci porta da nessuna parte e nulla di più. - Sbuffò Kate mettendo la foto dell’uomo senza nome sulla lavagna - Cosa ci nascondi Nicole Church… cosa facevi in realtà? - Chiese direttamente alla foto della ragazza come se potesse darle una risposta.

- Castle? Dov’è? - Chiese Esposito vedendola sola e nessuna traccia della confusione che Rick si portava dietro ogni volta

- È a casa, stava dormendo, io sono uscita presto. Penso che stia ancora dormendo. - Rispose Beckett in tutta normalità facendo scattare battutine e risate dei due colleghi - Beh, che c’è di strano che ridete così?

- Niente Beckett, devi solo sentirti! - Gli disse ancora ridendo Kevin

- Già, sei proprio entrata nella parte della mogliettina premurosa! - Aggiunse Javier prima che uno sguardo di Kate bastò per farli smettere subito. 

- Ah ah ah. Spiritosi - Disse seccata. Si sorprese ad essere infastidita non tanto per le battute, quanto perché le sembrava che stessero svilendo quello che c’era tra lei e Castle. Si scoprì decisa a difendere “loro” come una leonessa che difende i propri cuccioli da ogni tipo di intrusione, anche del suo stesso branco.

- Javier, Kevin, ma Price dov’è? - Chiese vedendo la scrivania del detective ancora vuota

- Non lo so, ieri sera ha ricevuto una telefonata e poi so che ha chiesto alla Gates di poter arrivare più tardi perché aveva una questione personale da risolvere. - Rispose l’ispanico

- Ah… ok… - Kate prese dalla scrivania di lui i fascicoli dei suoi clienti che le avevano dato alla Surge Trust Corp e li esaminò ancora una volta. Nel frattempo anche Castle l’aveva avvisata che sarebbe passato più tardi, in tempo per portarla a pranzo le aveva assicurato e se non veniva fuori nulla di nuovo, quel giorno si sarebbe potuta permettere una vera pausa per mangiare qualcosa insieme e non solo un panino di corsa sulla scrivania.

Quando Price arrivò aveva una faccia più scura e seria del solito, non che fosse mai un tipo troppo sorridente, ma quel giorno sembrava particolarmente teso.

- Tutto bene Nick? - Gli chiese Kate mentre appoggiava il cappotto sull’attaccapanni dietro di loro.

- Sì, tutto bene. Novità? - Rispose evasivo.

- Un uomo che ha parlato con Nicole fuori dalla banca a Toronto pochi minuti prima che facesse l’ultimo versamento. - Disse Beckett indicando la lavagna. Price guardò la foto fissandola attentamente, poi guardò i suoi colleghi stupito.

- Io quello lo conosco.  - Esclamò il detective

- Chi è? - Chiese Beckett

- Non so come si chiama, ma sono sicuro di averlo visto più volte al quando lavoravo al quinto, parlare con il capitano Bell. Sembravano molto in confidenza. 

- Ne sei certo Nick?

- Sì, Kate, sono sicuro che è lui.

Beckett e Price erano nell’ufficio della Gates. Kate le aveva fatto un veloce resoconto della situazione e Nick le aveva spiegato dove e quando aveva già visto quell’uomo. Victoria Gates passeggiava nervosamente dietro la sua scrivania. Wade Bell era un suo collega, non lo conosceva molto, ma era un suo pari. Non avrebbe certo potuto farlo convocare e interrogare da uno dei suoi detective solo perché Price diceva di aver visto un uomo in una foto parlare più volte con lui. Tra l’altro di quell’uomo non sapevano nulla, poteva non essere in alcun modo implicato con la morte di Nicole Church, anche essere solo un conoscente o chissà cos’altro. 

La Gates come prima cosa gli disse di portare a far vedere la foto alla Surge Trust Corp e ai familiari di Nicole. Così Esposito e Ryan tornano dalla famiglia e poi andarono dal fidanzato, mentre Beckett e Price andarono alla società dove lavorava. Dopo aver mostrato la foto a tutti, però, per entrambi il risultato fu lo stesso: nessuno sapeva nulla, nessuno lo aveva mai visto. Joseph Reeves aveva mostrato la foto anche ad alcuni suoi clienti che si trovavano lì per discutere di tutt’altro, ma nemmeno loro lo avevano mai visto. Il signor Reeves era uno con le mani in pasta nella finanza da molti anni, conosceva molti sia tra i broker che di addetti ai lavori, e sia Kate che Nick erano arrivati alla conclusione che se quell’uomo non gli diceva nulla voleva dire che o stava mentendo o non era uno del giro e tutti e due erano concordi nel ritenerlo sincero e collaborativo. 

Quando Kate e Nick tornarono al distretto Castle era già lì ad aspettarli, arrivato da un po’. Aveva faticato a nascondere il profondo fastidio provato nel vedere Beckett arrivare con Price, così come aveva faticato a trattenersi dal salutarla come avrebbe voluto e non solo perché aveva voglia di baciarla, ma perché davanti agli occhi del detective voleva ribadire il concetto che lei era la sua donna. 

Uscirono subito per andare a pranzo, una steakhouse non lontano da lì. Beckett non era tranquilla e Rick lo aveva capito dai suoi silenzi e da come stava nervosamente giocando con le posate in attesa delle loro bistecche.

- Chi è quell’uomo, Kate? Quello della foto dico.

- Non lo sappiamo.

- Ti innervosisce questo? - Le chiese fermandole la mano che faceva tintinnare la forchetta tenendola sotto la sua.

- Price è sicuro di averlo visto più volte al quinto, parlare con il suo ex capitano, Wade Bell, e la Gates non vuole che vada a parlarci.

Rick rimase in silenzio a guardarla e lei faceva lo stesso.

- Tu invece vorresti farlo. Cosa ti dice il tuo istinto?

- Non lo so. Ma mi dice di continuare a seguire questa strada. - La vide irrigidirsi, lo sentì come la sua mano si stava stringendo in un pugno sotto la sua. Avevano avuto dei dubbi su Bell in passato e Castle sapeva che sicuramente a Beckett erano tornati alla mente.

- Kate… 

- Rick… se il capitano Bell fosse coinvolto… se tu sapessi qualcosa…

- Non so nulla di Bell, Kate. Se stessi indagando su qualcosa di pericoloso te lo direi. 

Beckett annuì sospirando. Si erano capiti, come sempre, senza bisogno di dirsi altro. Castle faticava a non dirle nulla ma sapeva che doveva resistere, per il suo bene. Non poteva dirgli chi era, però poteva dirgli chi non era. Consumarono il loro pasto in silenzio.

- Vuoi andare da Bell? - Le chiese Rick appena usciti dal ristorante

- Mi accompagni?

- Sempre. - La prese per mano e si diressero alla macchina di Kate nel parcheggio del dodicesimo.

Quando tornarono al dodicesimo, la telefonata di Bell alla Gates era già arrivata ed il suo capitano l’aspettava fuori dall’ufficio davanti alla sua scrivania, nell’assoluto silenzio di Ryan, Esposito e Price.

Da Bell non aveva ottenuto nulla, se non la sua irritazione. L’aveva aggredita verbalmente in modo veemente, chiedendole come osava andare lì ad interrogarlo e su quali basi. Castle stava per intervenire dicendo che era per Price, ma lei lo bloccò, non voleva coinvolgere un altro suo collega in quella che era solo una sua decisione. Bell non le aveva detto nulla, ma aveva visto come si era innervosito davanti a quella foto e lo aveva notato anche Castle. Si erano scambiati un’occhiata complice, nell’osservare come aveva cominciato a stringere nervosamente la manica della giacca tra la mano e come il suo tono aveva cominciato a diventare più aspro proprio dopo aver visto la foto di Mister X. 

- Detective Beckett! Le avevo detto di non interrogare il Capitano Bell!

- Non l’ho interrogato, Signore, gli ho solo chiesto se conosceva l’uomo nella foto. - Provò a giustificarsi

- Siete andati da dei colleghi a chiedergli se conoscevano una persona coinvolta in un’indagine non si sa a quale livello, senza avere uno straccio di prova che fosse collegato! La avviso Beckett, non tollererò in questa storia o in altre, che lei prenda simili iniziative di testa sua scavalcandomi e mettendomi in difficoltà con i colleghi. 

- Posso chiamare il capo della polizia Bratton e dirgli che lei non c’entra niente, Capitano - intervenne Castle.

- Signor Castle, lei stia fuori da questa storia. E non pensi che le sue amicizie ai piani alti faranno cambiare il mio atteggiamento. Questo è il mio distretto e si seguono le mie regole. Spero di non doverlo più ripetere.

La Gates tornò nel suo ufficio e Beckett alla sua scrivania. Castle prese posto vicino a lei.

- Come ti è venuto in mente di andare da Belle da sola con… con… con lui! - Tuonò Price.

Kate alzò lo sguardo mentre Castle scattò in piedi, ma si sedette appena sentì la sua mano presa da Kate.

- Non devo rendere conto a te delle mie azioni, Price. Non sei il mio capo, casomai il contrario, visto il nostro grado. - Abbassò lo sguardo senza prestargli ulteriore attenzione, ma lui continuò.

- Non si tratta di gradi Kate! Non puoi fare certe cose da sola! Tu sei la mia partner!

Kate chiuse la cartellina che stava sfogliando e guardò di nuovo Nick.

- Sono una tua collega, Price. Non sono la tua partner. Non lavoriamo in coppia io e te.

- E chi è il tuo partner, lui? Non è nemmeno un poliziotto! Dai Kate! - Indicò Rick che sorrideva nervoso

- Che problemi hai Price? - Intervenni Castle ma lui non lo considerò.

- Nick, te l’ho già detto una volta chi è il mio partner e se a te non va bene, non è un mio problema. Non ti ho chiesto io di lavorare qui al dodicesimo, né con noi. Io non sono la tua partner, capisci? Non lo sono. Non confondere le cose con il passato. E non farmi mai più una sceneggiata così, chiaro? - Il tono di Beckett era calmo e tranquillo, ma deciso. Teneva lo sguardo fisso su di lui come se lo stesse sfidando a dire altro e lui cedette, abbassando il suo e tornando alla sua scrivania.

- Sei un bravo detective, Price. Ma non dirmi mai più cosa devo o non devo fare.

Arrivati a casa, Rick aprì una bottiglia di vino mentre osservava, dalla porta aperta della camera, Kate liberarsi come ogni sera di armi e distintivo. Le piaceva osservarla in quel rituale quando metodicamente riponeva l’orologio e la collana con l’anello di sua madre nella scatola e poi la pistola con il distintivo nel cassetto e poi ogni mattina esattamente in ordine inverso, li indossava di nuovo. Erano le piccole cose di Kate che stava scoprendo giorno dopo giorno vivendoci insieme. Alcune gli erano già ben conosciute, come l’avere il frigo sempre vuoto, il suo amore per i lunghi bagni prima di andare a dormire, e la predilezione a mangiare sul divano. Tranne il frigo vuoto, tutte cose che amava anche lui, soprattutto se fatte insieme a lei. I lunghi bagni, in particolare.

Le passò un calice di vino rosso e brindarono come ormai d’abitudine sorridendosi. Aveva chiamato la sua enoteca di fiducia quella mattina, chiedendo che gli venisse fatta una consegna urgente, Castle era un ottimo cliente e non avevano tardato nel portargli i vini da lui scelti, tra i quali proprio quel Châteauneuf du Pape che sapeva piacere tanto a Beckett, con quei sentori di frutti rossi e spezie. Si erano fermati a prendere dei tacos e del pollo fritto, esplicita richiesta di Rick, prima di andare a casa. Un’incombenza, quella di procurarsi la cena, che Kate aveva sempre odiato ma che con lui riusciva anche a trovare divertente, visto che sembrava ogni volta una caccia al tesoro. Aveva messo i tacos sul tavolino davanti al divano e questo l’aveva fatta sorridere ma non tanto quanto lo stendersi tra le sue braccia mentre lui accarezzava un braccio. La cena poteva attendere, il suo bisogno di lui no. Riusciva con quel tocco leggero a farle scaricare tutta la rabbia e la tensione della giornata e adorava quando lui si sedeva proprio nell’angolo, lasciandole la possibilità di stendersi sul divano e appoggiata a lui e Castle quella sera capiva tutta la sua tensione, la intuiva da quelle due rughette sulla fronte che erano ancora lì presenti, come sempre quando era preoccupata.

- È per la Gates? Chiamo Bratton se vuoi… - Cercò di rassicurarla. Le sue amicizie potevano garantirle che le minacce della Gates rimanessero solo tali anche se lei non aveva mai voluto approfittarne, anzi più volte si era trovata ad accettare controvoglia alcuni aiuti che Castle aveva ottenuto dal sindaco o dal giudice Markway per velocizzare le indagini.

- No, Castle, non c’è bisogno. Sai che non mi piacciono queste cose. E poi non è la Gates che mi preoccupa.

- E cosa?

- Bell. Nasconde qualcosa, lo so che lo hai visto anche tu come ha cambiato atteggiamento quando ha visto la foto.

- Sì. Ma perché non ci ha detto nulla? Pensi sia coinvolto?

- Se non ha qualcosa da nascondere perché non ha detto chi era quell’uomo?

- Il Capitano Bell coinvolto nell’omicidio di Nicole Church… - Riflettè Castle

- Non se in quello o solo negli affari con il nostro Mister X… Affari che magari non sono molto leciti per un capitano di polizia…

La vide sistemarsi contrariata e sbuffare.

- Beckett, tu pensi che… - 

- Ne possiamo riparlare domani Castle? Adesso avrei solo voglia di mangiare quei tacos invitanti e godermi con te il resto della serata. Cosa ne pensi?

Rick la fece spostare solo per sporgersi a prendere il piatto con i tacos ed avvicinarlo a loro.

- Mi piace, soprattutto l’idea di goderci il resto della serata. Hai qualche idea Beckett?

- Qualcuna… - gli disse solleticandolo intrufolando una mano tra i bottoni della sua camicia aprendone uno con nonchalance - … Ma te lo dico dopo, ora siamo troppo vestiti ed affamati… Abbiamo tempo, Castle… Tutta la notte… 

—

- Abbiamo un problema. La ragazza. Hanno trovato una sua foto con George Rosen. Oggi Beckett è venuta nel mio ufficio a chiedermi se lo conoscevo.
- Come sono arrivati a te?
- Non lo so. Rosen è venuto qualche volta qui al distretto. 
- Al distretto eh? 
- Sì. Mi dispiace. Lo dobbiamo avvisare che lo stanno cercando.
-No, non lo avvisare. Poi si agiterà e farà peggio. Lasciamo le cose come stanno, non scopriranno chi è. Sei solo tu il suo unico punto di contatto.

Kate osservava il bracciale che le aveva regalato Castle. Nessuno le aveva mai fatto un regalo del genere e lei non aveva mai avuto un gioiello così. La sua parte più femminile che teneva sempre ben nascosta ne fu immensamente felice e lusingata. Guardava ognuno di quei piccoli cuori e pensava che solo uno di quelli potesse essere un regalo splendido. Rick  la osservava con la coda dell’occhio, sorridendo compiaciuto. Fare felice Beckett non era mai una cosa semplice, soprattutto non lo era riuscire a farle accettare il fatto che fosse il centro del suo mondo e molto più materialmente i suoi regali. Sapeva che, però, il difficile, per lui, doveva ancora venire. Kate era immersa nel ripercorrere mentalmente quella serata che non si era nemmeno accorta che quella che stavano percorrendo non era la strada per andare al suo appartamento. 

Stavano percorrendo Canal Street quando Kate guardandosi intorno si rese conto che Castle non stava andando a casa come dava per scontato. Aveva forse qualche altra sorpresa per concludere la serata? Con lui non poteva mai stare tranquilla.

- Dove mi stai portando Castle? - Chiese quando lo vide rallentare in una via dove non c’era nulla. Si aspettava qualche locale particolare, invece quella strada di TriBeCa era sicuramente un’ex area finanziaria riconvertita a residenziale.

- A casa nostra. - Kate lo guardò perplessa, credeva stesse scherzando o che aveva capito male, invece tirò fuori dal cruscotto della macchina un telecomando ed un cancello si aprì, lasciandoli scendere al piano sotterraneo dove si trovava il parcheggio. Rick si guardò intorno qualche istante, poi sembrò trovare il posto che cercava e lì parcheggiò.

- Andiamo? - Le chiese mentre lei lo osservava senza capire e senza uscire dalla macchina. - Allora? Vieni?

Kate scese e chiuse lo sportello nervosamente. Odiava non sapere cosa stava accadendo o forse in quel caso, odiava di più pensare di sapere cosa stava accadendo.

- Mi devi dire qualcosa, Castle? - Chiese mentre lui inseriva il codice nell’ascensore che li portò direttamente ad un piano specifico.

- Il codice? È 2604 

- Lo so, ti ho visto mentre lo digitavi. Mi dici cos’è questo posto e cosa ci facciamo noi qui?

- Ne vuoi parlare in ascensore? Possiamo aspettare di arrivare? - Rick era divertito dalla situazione e per niente scoraggiato dal suo atteggiamento poco collaborativo, perché si aspettava esattamente questo. Lo aveva messo in conto ed era stato titubante fino all’ultimo momento se fare tutto quello in quella sera particolare, con il rischio anche concreto di rovinarla, ma aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto e se aveva imparato a conoscerla un po’, sapeva che alla fine ne sarebbe stata entusiasta.

Kate rimase in silenzio accondiscendente appoggiata allo specchio in fondo all’ascensore. Trovava irritante quel sorriso stampato sul volto di Castle che sembrava sfidarla. Il display luminoso segnava il ventiseiesimo piano e le porte si aprirono. Castle girò nel corridoio fino ad arrivare davanti ad una grande porta identificata dal numero 04. Beckett che non smetteva mai di essere un detective, non potè evitare di leggere il nome lì vicino: Patrick J. Roberts.

- Questo Patrick J. Roberts è quel Patrick J. Roberts che penso io? - Chiese a Rick

- Sì è lui. - Rispose Rick mentre cercava di aprire la porta

- E perché stiamo entrando a casa sua? 

- Sai che si è sposato da poco, no? La sua terza moglie non voleva stare in un palazzo, preferiva una villa indipendente e così si sono trasferiti.

- Tu cosa c’entri in tutto questo? 

- Conosco Patrick da un po’ di anni. Abbiamo frequentato per molto tempo gli stessi ambienti qui a New York prima che lui andasse a fare fortuna a Los Angeles e diventasse una star del cinema.

- E? - Rick aveva aperto la porta, ma Kate lo fermò prima di entrare.

- E ho ricominciato a frequentarlo con Vanessa. È tornato a New York da qualche tempo perché la sua attuale moglie è di Manhattan, ma non ama questa casa. Tutto qui.

- Ma… - Rick le mise una mano davanti alla bocca.

- Ehy ascoltami. Ti fidi di me? - Kate fece cenno di sì con la testa - Allora vieni con me.

Entrarono nell’appartamento all’ultimo piano di quel palazzo, dove tutte le luci erano già accese. Dopo il disimpegno Rick aprì le porte scorrevoli che davano su un corridoio. Kate si guardò a destra e a sinistra, dovevano essere al centro di quella casa. La prima cosa che la colpì fu il bianco e la luce che contrastava con l’ambiente più soffuso di corridoi esterni. I pavimenti di legno scuro contrastavano le pareti candide e i mobili e i marmi chiari che rifinivano l’ambiente. Rick le prese la mano, conducendola lungo il corridoio alla loro destra, fino ad arrivare ad un grande ambiente open space dove c’era la cucina, il tavolo da pranzo nell’angolo completamente panoramico con vetrate che andavano dal pavimento al soffitto e dall’altra parte dei grandi divani separavano quell’area dal resto. 

- Vieni a vedere, di là c’è lo studio… - La condusse oltre, dove una porta nascosta celava l’entrata ad un altro ambiente dove tre pareti erano adibite a libreria ed al centro c’era una grande scrivania e delle poltrone.

- Tutta questa parete è panoramica - le disse facendole notare le vetrate che continuavano - Tutte le stanze sono esposte da questa parte.

Uscirono da lì e percorsero di nuovo il corridoio per andare dalla parte opposta. Superarono tre stanze, una sola era arredata, una camera degli ospiti, le disse, poi arrivarono in quella in fondo. Aprì la porta e condusse dentro Kate che non aveva più detto una parola. Davanti a loro c’era un bagno con una grande vasca proprio sotto la finestra ed una grande doccia sulla parete vicina, proprio fuori una cabina armadio che Kate pensò era grande più o meno come la sua camera da letto. Poi Rick la invitò ad andare nell’unico posto ancora non visto, la camera da letto con le vetrate su due lati che dava una splendida vista sulla città, al centro della quale c’era un enorme letto. Beckett si guardò intorno, camminando piano piano cercando di non calpestare il tappeto bianco che copriva gran parte di quella stanza. Arrivò dalla parte opposta mentre Rick si era tolto il papillon e aperto il primo bottone della camicia: la osservava vicino all’entrata, appoggiato alla parete. Era bellissima con quel vestito blu in quella stanza così bianca, vicino alle finestre con quello sguardo altero poteva essere una bellissima immagine per una pubblicità.

- Ok, Castle. Spiegami adesso. - Gli disse incrociando le braccia al petto guardandolo seria.

Lui le si avvicinò e allungò le mani verso di lei. Kate voleva rimanere sulle sue, ma cedette lasciando che lui le prendesse. Sentì le dita di Castle stringerla con dolcezza e poi accarezzarle il dorso della mano con i pollici.

- Ti ho detto che ti portavo a casa nostra e non era un modo di dire. Ho parlato con Patrick qualche giorno fa. Voleva vendere rapidamente questo appartamento, era un’affare. L’ho visto e me ne sono innamorato e mentre mi mostrava stanza dopo stanza io vedevo te ovunque, vedevo noi insieme.

- Tu sei folle Castle. - Kate non riusciva a capire se era felice o arrabbiata.

- Sì. Di là ci sono i fogli, li devi solo firmare.

- Che cosa? - Esclamò Beckett sbalordita

- La nostra casa. Mia e tua.

- Non se ne parla Castle. Non posso mai accettare una cosa simile.

- Perché?

- Perché non voglio i tuoi soldi. Hai comprato questa casa dici per noi, senza avermi detto nulla, come fai sempre quando fai i tuoi colpi di testa, ed ora pensi che io posso accettare di avere una parte di questo?

- La metà. Non una parte. - Precisò

- Io non ho bisogno di tutto questo Rick. Non ho bisogno di questa splendida casa, a me basta qualsiasi posto se ci sei tu. Io… - Si morse il labbro e fece un respiro profondo - … Mi dispiace se il mio appartamento non è abbastanza per te. Ti capisco ma…

- Stai scherzando Kate? Non è questo! Ci sei tu è l’appartamento più bello del mondo ma… Io voglio di più per noi, perché beh… ci sono tante stanze vuote qui… - Le sorrise timidamente. Kate capì ed abbassò lo sguardo. - … Vorrei riempirle, almeno un paio, in futuro. 

- Castle… non stai correndo troppo? 

- Non abbiamo perso anche troppo tempo Beckett?

- Non posso accettarlo, Rick e tu non dovevi spendere una cifra simile per…

- Per noi? Non c’è cifra che non spenderei per noi. Kate, tutto quello che ho ottenuto, negli ultimi anni, è anche merito tuo. Sei tu che mi ispiri, ogni giorno, a scrivere di te. 

- Non posso dirti come spendere i tuoi soldi, Castle, ma non ne posso accettare altri così. So cosa hai fatto in ospedale… - La voce di Kate era estremamente seria e Rick ne fu sorpreso.

- Lo sai? E come?

- Quando sono tornata la mia assicurazione mi ha mandato una lettera dove mi spiegava perché non potevano coprire le mie cure. Ho fatto un paio di indagini ed ho visto chi è che aveva saldato il conto. Ho parlato con mio padre, ma non gli ho detto nulla. Lui è ancora convinto che tu hai sistemato tutto con l’assicurazione. Grazie, noi non eravamo ancora…

- Non l’ho fatto perché volevo qualcosa da te.

- Lo so. - Kate lasciò la sua mano per accarezzagli la guancia ed alzare il suo volto che aveva abbassato, timoroso.

- Non sei arrabbiata? - Le chiese guardandola.

- No. 

- No per l’ospedale o no per la casa? - Chiese speranzoso.

- Per l’ospedale. - Sorrise Kate

- E per la casa?

- È bella. - Disse lei guardandosi intorno.

- Ero certo che ti sarebbe piaciuta. Vorresti vivere qui, con me, diciamo per sempre?

Kate guardò Rick negli occhi. Avrebbe voluto dirgli di no, che era una follia, che tutto quello non era normale, che lei non avrebbe mai potuto accettare una cosa del genere.

- Sì. - Disse quello che voleva. Voleva vivere con lui, lì o in qualunque altra parte del mondo dove ci fosse lui. Rick la avvicinò a se per baciarla, finalmente. Si sentì immensamente sollevato quando le loro labbra si incontrarono.

- Sai cosa vedo quando guardo questa casa? Vedo noi e i nostri…

- Shh Castle… non dire nulla - Fu Kate questa volta a baciarlo, non voleva sentire i suoi sogni a voce alta, aveva paura, come sempre, che fossero ancora troppo fragili per reggere gli urti del mondo, dovevano conservarli dentro di loro, non avevano nemmeno bisogno di dirselo, lo sapevano entrambi quello che volevano.

- Aspettami qui, vado a prendere i fogli.

- Non firmerò niente, Castle. - Kate lo riportò sulla terra.

- Ma hai detto che…

- Ho detto che volevo vivere qui con te. Mi sembra un buon compromesso, non pensi?

Rick ci pensò un po’ su.

- Ok, per ora va bene.

Rick uscì dalla stanza senza curarsi di Kate che gli chiedeva dove stesse andando, sentiva la sua voce rimbombare che gli diceva di aspettarlo lì e tornò poco dopo con due calici di champagne. Brindarono nella loro nuova casa, alla loro nuova vita e quando Castle prese il bicchiere dalle mani di Beckett e la guardò con quello sguardo così profondo e intenso lei capì esattamente cosa aveva in mente. Il vestito blu di Kate sulle lenzuola bianche fu una macchia che rimase per poco, poi volò sul tappeto con tutto il resto. 

- Buon San Valentino, Kate. - Fu l’ultima cosa che Rick le disse, prima che la sua bocca fosse impegnata in altro, a lungo.

Il letto era immenso, molto più di quello del suo appartamento o di qualunque altro nel quale avesse mai dormito, pensò Kate. In fondo era anche uno spreco visto che loro dormivano praticamente sempre abbracciati. Rick si voltò a baciarla scostandole i capelli dal volto.

- Direi un bel modo per inaugurare la nostra nuova casa, che ne pensi? - Le chiese sorridendo.

- Uhm.. Sì, non male Castle… Ma credo che possiamo fare anche di meglio! - Gli sussurrò maliziosa all’orecchio.

- Detective Beckett sei incontentabile! - Sbuffò Rick fintamente offeso.

- Sì, quando si tratta di te non mi accontento mai Castle… Ti dispiace?

- Assolutamente no. Mi piaci incontentabile! - Le disse mentre si sedeva a cavalcioni sopra di lui, e Castle percorse con le dita il suo corpo nudo indugiando sui seni facendola rabbrividire.

Sarebbe stato solo l’antipasto di un altro round di quella notte, non sapevano nemmeno più quale di preciso, se il telefono di Kate non avesse squillato. Si buttò sul corpo di Rick sospirando contrariata mentre lui guardò il soffitto sbuffando ancora, questa volta sul serio.

Si erano rivestiti velocemente e si presentarono in smoking ed abito da sera sulla scena del crimine, attirando i sorrisi maliziosi di Ryan ed Esposito.

- Non provate a dire nulla! - Li fermò Kate prima che potessero aprire bocca per lanciargli qualche battutina che dovettero ingoiare, ma gli sguardi ammiccanti a Castle ai quali lui rispose con un ampio sorriso, non sfuggirono a Beckett che li richiamò di nuovo all’ordine.

- Dov’è Price? - Chiese mentre salivano le scale per arrivare in quell’appartamento elegante.

- Non lo sappiamo, abbiamo provato a chiamarlo, ma non ci ha risposto. - Disse Esposito

- Beckett, ci dispiace, non vi avremmo disturbato se non fosse stato veramente importante - Aggiunse Ryan.

- Di cosa si tratta? - Chiese Castle curioso.

- Lo vedrete voi stessi - Javier gli vece strada nell’appartamento presidiato da alcuni agenti. Nella sala vicino ad una poltrona, il corpo di un uomo ucciso con un solo colpo alla testa. Era l’uomo della foto, il mister X a cui non erano riusciti a dare un nome, George Rosen, dai documenti che avevano recuperato, ucciso come Nicole Church.

Beckett e Castle si guardarono e poi guardarono Ryan ed Esposito che annuirono in silenzio. 

- George Rosen, 55 anni. Avvocato.

- E così il nostro mister X era un avvocato… - Commentò Kate. Si era fatta passare un paio di guanti e si era chinata sul cadavere per osservarlo meglio, non senza qualche fatica ed imbarazzo per via del vestito.

- Stessa arma? - Chiese a Ryan ed Esposito

- Stiamo aspettando Lanie per avere qualche notizia in più, ma ad occhio direi che potrebbe essere così. - Rispose Javier

- Non abbiamo trovato né cellulare né computer. - Disse Ryan - Eppure nella sua ventiquattrore ci sono caricabatterie di entrambi.

- Chiunque lo ha ucciso si è assicurato di portar via tutto il materiale che scottava. - Osservò Kate rialzandosi proprio mentre arrivava Lanie

- Mio Dio tesoro! Sei uno schianto! - Disse a Kate mentre cercava di risistemarsi il vestito che si era sollevato un po’ troppo nel piegarsi e Castle la guardava sorridendo compiaciuto. - Ehy scrittore, anche tu non sei male… Mi pare di capire che vi hanno interrotto una seratina interessante!

Beckett non era riuscita a fermare le battute della sua amica facendo sorridere i detective presenti ed anche gli agenti che stavano etichettando i vari reperti.

- Cosa mi puoi dire Lanie? - Chiese Kate ignorando i suoi commenti. La dottoressa stava studiando il corpo senza vita di Rosen.

- È morto circa due o tre ore fa. Non ci sono segni di lotta, apparentemente. - Constatò osservando le mani e il collo dell’uomo. - La causa della morte sembra proprio questo colpo alla nuca.

- I vicini hanno segnalato il rumore di uno sparo poco meno di tre ore fa. - Segnalò Kevin

- Bene, fate portare questo distinto signore sul mio tavolo, poi vi potrò dire di più. - Concluse Lanie togliendosi i guanti.

- Cosa sappiamo di lui? - Chiese Kate ai colleghi.

- Poco, dalla centrale non ci hanno saputo dire molto. Divorziato, la ex moglie abita a Philadelphia, nessun figlio, i genitori sono morti anni fa. - Ryan lesse il suo taccuino con le notizie che gli avevano dato per telefono.

- Nessun parente in città? Un sorella di dieci anni più grande di lui, Rita. - Continuò l’irlandese.

- L’avete avvisata? - Gli domandò Kate

- No, non ancora. Dalla sua scheda risulta che soffre di problemi di cuore, non vorremmo…

Beckett controllò l’orario. Erano passate le tre di notte.

- Va bene, andremo da lei domani mattina. Andiamo a dormire qualche ora…

- Sicuri che voi dormirete? - Chiese Esposito ridendo a Castle che stava per rispondergli quando lo sguardo di Kate lo fulminò.

- Non una parola Castle. - E lo scrittore chiuse la bocca senza dire più nulla.

- Sarà meglio andare a casa adesso. - Disse Kate buttandosi pesantemente sul sedile dell’auto di Castle.

- Preoccupata? - Gli chiese Rick appena partiti

- Questo caso sta diventando più complicato di quanto pensassi. La morte di Rosen ci toglie l’unica pista per l’omicidio di Nicole Church. - Ammise sconsolata

- Però se la mano dell’assassino è la stessa, questo caso ci può portare altre piste.

Si voltò e la vide con la testa tra le mani, mentre si massaggiava le tempie. Era evidentemente anche stanca.

- Ehy, riposati adesso. Qualunque cosa sia ci penseremo tra qualche ora, ok? 

Beckett annuì e chiuse gli occhi. Era la prima volta che Castle la vedeva addormentarsi così in auto. Avrebbe parcheggiato e sarebbe rimasto lì a guardarla dormire fino a quando il sole non sarebbe sorto. Accelerò, invece, per arrivare a casa il prima possibile.

Kate si era a mala pena resa conto di quando era rientrata a casa, si era spogliata e messa a dormire. Era stato Rick ad abbracciarla e farla riposare vicino a lui. Avrebbero dovuto parlare ancora di molte cose: la casa nuova che avrebbero dovuto decidere come completare, quando andarci e come organizzarsi. Tutti discorsi che furono ovviamente rimandati ad un altro momento. Rick era entusiasta che Kate avesse accettato con molta più facilità di quanto pensasse di trasferirsi insieme in una nuova casa, ma allo stesso tempo non aveva fretta di trasferirsi. Lì, tutto sommato, stavano bene, considerava quell’appartamento, che certo non era il tipo di casa dove era abituato a vivere da molto tempo, un po’ come il loro piccolo nido e nell’idea romantica che si era fatto di tutta la loro storia, pensava che era meglio che per il momento la loro storia continuasse a crescere lì, in un ambiente più piccolo e protetto e non in una grande casa. Forse era tutto un controsenso rispetto a quello che aveva fatto, ma come al solito era stato qualcosa di istintivo, e lui pensava più al loro futuro che al loro presente mentre firmava il contratto d’acquisto. 

Erano arrivati presto al distretto, dopo aver dormito poche ore, con molto sonno e due caffè molto forti tra le mani. Appena arrivati videro Price già alla sua scrivania.

- Ti abbiamo cercato stanotte - Gli disse Kate mentre aggiornava la lavagna con il nome di George Rosen al posto di quello “sconosciuto” che campeggiava sotto il suo nome e aggiungendoci un “ucciso” vicino.

- Sì, me lo hanno detto Esposito e Ryan. Mi dispiace, ma avevo un impegno e non prendeva il cellulare dove ero.

- Ok. Dove sono i ragazzi?

- Sono andati da Rita Rosen.

- Avete scoperto qualche altra cosa su Rosen?

- Non ancora, se come scoperta non intendi sapere dove lavorava. Wadsworth & Partners, un piccolo studio che si occupa essenzialmente di diritto amministrativo.

- Dobbiamo trovare qualsiasi cosa su Rosen e capire come e quando la sua strada si è incrociata con quella di Nicole Church.

Kate aveva studiato i fascicoli di Nicole Church e George Rosen tutta la mattina e gran parte del pomeriggio. Lei e Castle leggevano e si scambiavano documenti cercando qualcosa che potesse collegare i due: niente.

Non avevano mai lavorato nello stesso posto, frequentavano ambienti diversi, non avevano nemmeno dei clienti in comune. Nulla. 

Avevano scoperto che George Rosen conduceva una vita abitudinaria e monotona, lavorava, tutti i venerdì sera andava al cinema, il martedì a mangiare sempre nello stesso ristorante italiano a due isolati da casa sua,  faceva volontariato presso un’associazione di beneficenza che si occupava di bambini abbandonati, la Tree of Life Childcare, tutti i giovedì sera ed il sabato,  e due volte al mese andava a Toronto, una di queste era proprio il 10, esattamente lo stesso giorno in cui anche Nicole Church andava a fare il suo versamento. Quello era l’unico punto d’incontro tra i due. Un cane che si mordeva la coda.

Nei giorni seguenti avevano interrogato tutti i colleghi di Rosen, i clienti, gli altri volontari dell’associazione ed alcuni ragazzi. Beckett aveva parlato anche la ex moglie che era venuta a New York perché risultava beneficiaria di alcuni lasciti di Rosen, roba di poco conto che per nessuno dei detective giustificava un omicidio. Il suo appartamento che era la cosa più di valore che aveva, lo aveva lasciato all’associazione dove faceva volontariato ma nessuno lo sapeva fino al momento della sua morte, le poche altre cose che aveva erano state ereditate dalla sorella. Nessuno di questi conosceva Nicole Church e dal suo studio avevano giustificato i viaggi di Rosen a Toronto con un suo vecchio cliente che effettivamente viveva lì e che incontrava periodicamente anche per questioni di amicizia nata nel corso degli anni, dalle fatture potevano vedere come ogni volta andavano a mangiare nello stesso ristorante proprio in quei giorni.

C’era solo una persona che erano sicuri conoscesse Rosen che non avevano più sentito, il capitano Bell. Kate aveva tergiversato per alcuni giorni, concentrato le ricerche sulle altre persone che l’avvocato conosceva, ma ora che era ad un punto morto, non poteva più far finta di nulla, così decise di parlarne con la Gates, esponendole, con calma, tutti i suoi dubbi e le sue perplessità, era certa che quella reazione eccessiva di Wade Bell nascondeva dell’altro. La Gates aveva imparato ad apprezzare le intuizioni di Beckett e non poteva ignorare il fatto che due dei suoi detective sostenessero che il suo collega conoscesse la vittima e che si dimostrava evasivo e reticente nel rispondere a domande in merito. Il capitano comprendeva la posizione di Beckett, ma le aveva ripetuto che non avevano niente di concreto in mano per interrogare Bell e che la loro parola o sensazione non bastava. Così Beckett decise di giocarsi il tutto per tutto, sostenuta, questa volta da Price, ma anche da Esposito e Ryan. Tornarono dai colleghi di Rosen, dai clienti e in tutti i posti che era solito frequentare con una foto del capitano Bell chiedendo in giro se lo avessero mai visto con l’avvocato. 

La svolta tanto attesa arrivò nel luogo dove meno si sarebbero aspettati. Beckett e Castle, dopo l’ennesimo giro senza alcun risultato, tra i clienti di Rosen, andarono alla Tree of Life Childcare. Fu qui parlando con Miguel, uno dei volontari del centro, scoprirono che non solo Rosen e Bell si conoscevano, ma il capitano Bell era uno dei maggiori finanziatori del centro. 

Castle si era offerto di intrattenere alcuni bambini al posto di Miguel raccontandogli delle storie, mentre il ragazzo parlava con Beckett.

- Quindi mi stai dicendo che Bell e Rosen si conoscevano bene.

- Sì, certo. Wade e George da quello che so si occupano di questo centro da molti anni, da prima che venissi io qui.

- Personalmente? - Chiese Kate

- No, cioè, non proprio. George veniva qui e passava molto tempo con i ragazzi, gli piaceva stare con loro e poi ci aiutava a far quadrare un po’ i conti, nelle cose pratiche e finanziarie, capisce? 

- Sì, certo… e Bell?

- Wade no, lui non si occupa direttamente dei ragazzi e nemmeno del centro, ma è la persona che ci porta più finanziamenti per andare avanti.

- Da parte sua? - Beckett era perplessa. Lo stipendio da capitano di certo non poteva permettergli grosse donazioni

- No, dice che ha molte conoscenze importanti che ha coinvolto nel progetto e delle raccolte fondi nella polizia. Io ora non ho qui i conti, ma mi creda, le cifre che porta come donazioni sono molto ingenti. Senza il suo apporto non credo che il centro riuscirebbe a sopravvivere. Sa detective, di questi tempi è difficile trovare donatori così generosi.

- Certo immagino… Come vi portava i soldi Bell? Ci sono dei bonifici, assegni… - Beckett era tornata a focalizzarsi sul caso.

- Non lo so, se ne occupava sempre George, ma credo che per lo più erano contanti, perché poi era lui ad andare a fare i versamenti sul conto della nostra associazione quando andava a Toronto.

- A Toronto? - La mente di Kate cominciava a elaborare dati velocemente e a mettere insieme pezzi di quel puzzle che sembrava infinito.

- Sì, a Toronto. Non so perché, ma i conti dell’associazione sono lì con tutte le altre cose legali, ma io di tutto questo non ci capisco nulla, veramente. Solo Gary alcune volte si occupava di questo con George, ma da quando lui è andato via, George faceva tutto da solo. Ora poi dovremmo anche occuparci della vendita della casa e di tutto il resto. George è stato molto generoso, ma trovare qualcuno che faccia tutto questo gratuitamente non sarà facile. - Il giovane si grattò la testa preoccupato, a quanto pare Rosen gli toglieva un bel po’ di grane burocratiche e legali.

Kate strappò un foglietto dal suo taccuino, scrisse un numero di telefono e lo diede a Miguel.

- Chiama questo numero e digli che sei un amico di Kate Beckett, mio padre ed i suoi colleghi saranno sicuramente felici di aiutarvi.

- Oh, grazie Detective! Non so come potermi sdebitare. - Le disse Miguel sollevato come se Kate le avesse tolto un grande peso dallo stomaco

- Tieniti a disposizione, potremmo aver ancora bisogno delle tue testimonianze ed anche di quelle dei tuoi colleghi. Ah, Miguel… Questo Gary che lavorava con voi, ha un cognome?

- Gary Romero. 

- E dove è adesso?

- A Washington, so che lavora lì. Ha trovato un posto per qualcosa che riguarda il Senato credo.

Beckett salutò Miguel e si fermò ad osservare Castle che raccontava le sue storie inventate al momento ai bambini più piccoli del centro. Erano tutti incantati dai suoi gesti e dalla sua voce che imitava i vari personaggi che uscivano dalla sua fantasia e lo era anche lei. Se lo immaginò con Alexis da piccola ad inventare i suoi mondi fantastici e poi la sua mente andò anche oltre ad un futuro che per un attimo gli fece perdere un battito al cuore che batteva troppo velocemente. Lui alzò gli occhi e la vide, come se fosse stato richiamato dai suoi pensieri, come se avesse sentito quello che provava, quel battito perso che aveva riempito con uno sguardo. Capì che aveva finito e che dovevano andare, ma nello sguardo di Kate non c’era l’urgenza di portarlo via, così si prese qualche altro minuto per finire degnamente quella storia e salutare i suoi piccoli nuovi amici. Pensava che appena fossero stati soli e fuori da lì, gli avrebbe detto quello che aveva scoperto, invece Beckett lo sorprese con una frase che non si aspettava.

- Mi piace vederti raccontare le storie ai bambini - Gli disse mentre salivano in auto.

- Credo che qualche volta potrei tornare a passare del tempo con loro, che ne pensi?

- Che ti amo, Castle, anche per questo.

Lo lasciò per qualche istante senza parole, poi fu stranamente lui a cambiare discorso.

- Cosa hai scoperto?

- Molte cose interessati e penso che finalmente abbiamo una direzione in cui indagare e porta dritta dritta a Wade Bell. - Esclamò soddisfatta mentre guidava per tornare al distretto

- Allora questa sera possiamo festeggiare un po’, che ne dici? - Le propose malizioso

- Mi piace sempre festeggiare con te, ma prima devo parlare con la Gates, non potrà più negarmi di convocare il capitano Bell.

- Vorrà dire che mi farò bastare tutta la sera e tutta la notte. - Le disse accarezzandole fin troppo sensualmente la gamba mentre stava guidando.

La loro conversazione poco adatta a quel momento fu interrotta dal suono del cellulare di Castle che rispose parlando a monosillabi, visibilmente contrariato. Quando attaccò, Kate si voltò a guardarlo cercando di capire chi fosse.

- Era Alexis - Le disse senza farsi attendere - Mi ha chiesto se questa sera possiamo vederci a cena.

Castle e sua figlia si erano incontrati a pranzo pochi giorni prima, vicino al campus della Columbia. Era la prima volta che si vedevano da quando era uscito di casa con Kate. Martha aveva più volte provato a fare da intermediaria con loro, ma era stato inutile, erano due teste dure e come tali si comportavano. Alla fine avevano ceduto e si erano incontrati in un luogo che non fosse il loft, anche per evitare di superare il limite e tenere i toni bassi. La cosa era riuscita solo in parte, perché quando le aveva detto che aveva intenzione di trasferirsi con Beckett nella casa che aveva appena preso per loro, Alexis era andata su tutte le furie e lo aveva lasciato solo al ristorante. Ne aveva parlato con Kate anche se non avrebbe voluto, ma lei aveva percepito il suo malumore e passò gran parte di quella sera a sfogarsi con lei che cercava da una parte di rincuorarlo, dall’altra di ammorbidirlo nei confronti della figlia. Beckett tutto voleva tranne che per colpa sua i rapporti da Castle ed Alexis si rovinassero, perché non voleva mai trovarsi nella posizione di essere considerata quella che lo aveva allontanato da sua figlia. Era uno di quegli argomenti che avevano ripreso più volte, anche parlando in maniera più tranquilla della loro nuova casa. Kate aveva chiesto più volte a Rick se fosse sicuro di voler lasciare il loft e tutto quello che rappresentava per lui e per la sua famiglia, ma lui fu irremovibile, anche davanti alla possibilità che Beckett gli aveva presentato alla fine, se voleva si sarebbe trasferita lei da lui. Non glielo aveva detto tanto per dire, lo avrebbe fatto, per lui, per la sua famiglia, se questo lo avrebbe reso più felice, però la sua sincera proposta non fece altro che convincere Castle che quello che avevano deciso era la scelta giusta, che meritavano un posto tutto loro dove vivere insieme. Presi dal caso e dalle indagini che fino a quel giorno erano state completi buchi nell’acqua con tanto di frustrazione per entrambi, non ne avevano più parlato.

- Pensi che andrai? - Gli chiese Kate guardando la strada.

- Penso che andremo. - Replicò Rick.

- Non penso sia il caso che ci sia anche io.

- Me lo ha detto Alexis. Vuole che ci sia anche tu.

Kate annuì silenziosamente. Non si aspettava questo e non sapeva nemmeno se era pronta a quel momento.

Beckett aveva riferito alla Gates quanto scoperto su Bell e Rosen. Il capitano si era presa qualche ora per pensare su come si sarebbe mossi, perché ormai era chiaro anche a lei che potevano più fare finta di nulla con Bell. Aveva mentito a Beckett quando era andata a chiedergli di Rosen anche se non in via ufficiale e questo voleva dire che aveva qualcosa da nascondere, ora doveva solo pensare bene a come agire, perché voleva evitare di incorrere in qualsiasi problema con i suoi superiori e gli affari interni: quello che inizialmente doveva essere solo il caso di un omicidio di una ragazza, si stava trasformando in qualcosa che avrebbe coinvolto un capitano di Polizia ed il rischio scandalo e fango su tutta la categoria era ad un passo. Qualche giornalista più sveglio aveva già collegato i due omicidi insoluti e si era messo a parlare del “fantasma calibro 9” come era stato macabramente soprannominato il killer misterioso che uccideva senza lasciare tracce.

Rick e Kate arrivarono al loft prima di Alexis. Castle aveva sentito ancora sua figlia che gli aveva detto di non preoccuparsi, avrebbe portato lei delle pizze per cena. Martha stava per uscire ma si trattenne con loro ancora un po’: per quanto le mancasse la presenza costante di suo figlio, era decisamente entusiasta di vederlo finalmente felice con Kate ed aveva anche accolto con piacere la notizia del loro nuovo appartamento. Aveva fatto passare il tutto come la possibilità di avere finalmente più spazio a casa per le sue lezioni private di recitazione, ma sia Rick che Kate avevano capito quanto lei fosse sinceramente contenta della loro relazione. Per Martha in effetti era così, tutto quello che voleva era che suo figlio fosse felice e sapeva che con Beckett lo era. Il suo egoismo di madre avrebbe preferito averli entrambi lì al loft, ma era consapevole di esserlo stato fin troppo quando Rick era ancora un bambino e non si meritava che lo fosse ancora: era un uomo adulto che meritava di vivere la sua vita come meglio credeva, facendo quello che lo faceva stare bene, costruendosi quella famiglia che aveva sempre voluto ed era certa che Kate fosse la persona giusta per tutto questo. Martha lo vedeva da come lo guardava, da come gli parlava o solo gli teneva la mano, Beckett sapeva compensare i suoi slanci di euforia smodata, sapeva riportarlo con i piedi per terra quando si lasciava trasportare da idee troppo bizzarre, ma senza tarpargli le ali, senza fargli smettere di sognare: Kate era la sua ancora alla realtà che gli permetteva di correre dietro le sue fantasie senza perdersi. Li aveva spiati qualche volta quando erano andati lì per cenare insieme, quando credevano di non essere visti, aveva visto tutto l’amore nei loro occhi e nei loro gesti e pensava che non si poteva non essere felici per loro, due adulti che si amavano con la tenerezza di due adolescenti e la consapevolezza della loro età. Per questo Martha non capiva Alexis, perché faticasse ad accettare che suo padre fosse così felice ed aveva fatto di tutto per cercare di mediare tra loro, per questo quando aveva saputo di quella cena aveva fatto in modo di lasciarli soli a parlare, lei sarebbe stata di troppo.

- Ciao papà, ciao Kate. 

Alexis era appena arrivata al loft con le pizze. Si sedettero a tavola con Rick a capotavola tra le due donne, una davanti all’altra. Erano tutti e tre estremamente a disagio. Castle aspettò che fu sua figlia a parlare.

- Come procedono i lavori del nuovo appartamento? - Chiese Alexis cogliendoli di sorpresa.

- Dobbiamo ancora decidere cosa fare di un paio di stanze e trovare il tempo di spostare le nostre cose lì. - Rispose Rick rimanendo sul vago.

- È stato un bel regalo, non è vero Kate? - Chiese poi alla Detective

- È stata una sorpresa. Ma non è un regalo per me. L’appartamento è di tuo padre, Alexis. Io non voglio i suoi soldi.

- Cosa vuoi allora Kate? - Alexis chiuse il cartone della pizza mentre le faceva quella domanda. Era arrivato inevitabilmente il momento della verità tra loro. Rick stava per intervenire per prendere le parti di Kate, ma lei lo fermò.

- Essere felice con tuo padre e a me non interessa dove, credimi Alexis, sono proprio l’ultima persona al mondo alla quale interessa tutto questo. Io potrei vivere continuare a vivere nel mio appartamento, qui al loft o dovunque tuo padre voglia stare. Voglio solo che sia felice e stare con lui.

- Sono belle parole, Kate. - Le rispose la ragazza ironica.

- È la verità, Alexis. E sai qual è la cosa che mi fa più male? Sapere che fino a quanto la situazione tra voi rimarrà così tesa, lui non sarà mai completamente felice. Io non voglio essere la causa di tutto questo.

Castle le prese la mano. Non c’era bisogno che le dicesse che non lo era, lo aveva fatto talmente tante volte che lei si era stancata di sentirlo.

- Beh non è certo facendo scappare mio padre da casa e allontanandolo dalla sua famiglia che la situazione migliora.

Questa volta Rick fu più veloce di Beckett e rispose lui a sua figlia.

- Non mi ha fatto scappare Kate ed anzi, io non sono proprio scappato. Voler stare insieme non è scappare e vivere qui, con tutto quello che era successo, per Kate era complicato, non è difficile da capire, Alexis. È questo atteggiamento ostile nei nostri confronti che mi fa allontanare, non Kate. 

Castle fece una pausa, guardò Beckett e poi sua figlia e riprese a parlare.

- Io con Kate vorrei costruire una famiglia. - Entrambe le donne per motivi diversi lo guardarono sorprese - Ma questo non vuol dire che tra di noi deve cambiare qualcosa. Io voglio che tu faccia parte di questa famiglia, che tu possa essere un giorno una sorella maggiore ed un punto di riferimento per i nostri figli e sicuro che lo vuole anche Kate. Sei mia figlia Alexis e questo niente al mondo lo potrà cambiare. Non essere tu ad escluderti da tutto questo.

Rick non aveva distolto lo sguardo da quello di Alexis nemmeno per un istante, quei due paia di occhi blu si guardavano a vicenda mentre Beckett aveva quasi smesso di respirare a sentirlo parlare in quel modo. Dire quello che non aveva mai avuto il coraggio di dire, quell’argomento che anche per loro era sempre stato un tabù fatto di mezze frasi mai finite.

- Io non voglio più soffrire papà, e non voglio più aver paura!

- Ma questo non te lo può garantire nessuno, Al. 

Fu Kate, ripresa dalle parole di Rick a parlare ad Alexis.

- Avevo più o meno la tua età quando mia madre è stata uccisa. Fino a quel momento non avevo mai pensato a cosa fosse il dolore o la paura di perdere un genitore e non ho mai avuto modo di immaginarlo, l’ho solo vissuto. Nessuno meglio di me ti può capire Alexis, credimi. Io so cosa vorresti, so che preferiresti che tutto questo tra me e tuo padre non fosse mai successo, ma è così e non possiamo farci nulla. Ho provato a stare lontano da lui, ci siamo fatti solo del male entrambi. Amarci non è una colpa, io l’ho pensato per tanto tempo ed ho provato ad evitarlo in tutti i modi, facendo finta di nulla ma è qualcosa di più forte anche di noi.

- Io non ce l’ho con te Kate. Solo che non so se tutto questo è giusto o è normale. Mi sembra che state correndo troppo e che papà come spesso gli accade si sta facendo trascinare dal suo entusiasmo senza riflettere. Non stavate nemmeno insieme e papà trascorreva tutto il tempo con te in ospedale e poi in hotel. Sei tornata e siete andati a vivere insieme ora parlate di famiglia, di figli… - Le due donne si guardarono ed nessuna riusciva a dire nulla all’altra. Amavano seppur in modo diverso entrambe lo stesso uomo ed tutte e due volevano solo che lui fosse felice ed al sicuro, solo che Alexis vedeva in Kate l’origine di tutte le sue preoccupazioni e Beckett non riusciva nemmeno a darle tutti i torti, la ragazza gridava quelle preoccupazioni che lei cercava di nascondersi per andare avanti e vivere la loro vita senza quelle paure che l’avevano spesso allontanata da lui.

- Quando perdi tempo tutta la vita a cercare quello che vuoi, quando lo trovi non è mai troppo presto per nulla, Al. Kate è quello che voglio, perché devo aspettare per vivere insieme a lei? Non siamo due bambini.

- Qualche volta ti comporti proprio come un bambino papà. - Lo rimproverò lei.

- Non in questo caso. Non ho mai preso una decisione in modo così responsabile, credimi.

Calò il silenzio tra i tre e ci fu spazio solo per altri sguardi imbarazzati. Rick poi si alzò e tolse i cartoni della pizza dalla tavola, portando una vaschetta di gelato al cioccolato e dei cucchiaini. Forse si era illuso che quello potesse effettivamente servire come atto simbolico per mettere pace tra loro. Tutti e tre quasi contemporaneamente affondarono i cucchiai nel gelato cremoso, assaporandone poi il gusto intenso di cioccolato.

- Vorrei andare a Parigi. - Disse la giovane Castle.

- Una vacanza? Mi pare un’ottima idea - Rispose Rick conciliante.

- No. Vorrei andare a studiare lì. Un semestre o forse un po’ di più. - Non lo guardava mentre lo diceva, aveva lo sguardo fisso sulla vaschetta.

- Ma… - provò ad obiettare suo padre

- Questa estate eri tu a volermi mandare a studiare in Europa, ora non ti va più bene? - Alexis aveva di nuovo alzato le sue barriere

- Non ho detto questo Al, volevo solo capire perché! - Replicò Castle.

- Beh, studiare fuori un po’ di tempo è una bella esperienza. Io l’ho fatto per sei mesi a Kiev. È stato elettrizzante - Ricordò Beckett sorridendo.

- C’è un mio amico che andrà a studiare a Parigi e mi piacerebbe andare con lui. Ho trovato dei corsi da seguire che sono attinenti con la mia laurea e…

- Ok. Cosa vuoi da me Alexis, la mia approvazione o hai bisogno che ti finanzio il tuo soggiorno in Francia? - Le chiese Rick tagliando corto il discorso della figlia.

- Entrambe le cose, in realtà. - Ammise lei.

- Quindi la cena era per questo? - Chiese Rick - Per chiedermi i soldi per andare a Parigi?

- Sì, anche ma… 

- Pensi che sarai felice ad andare là? Che sia la scelta giusta? Hai riflettuto o ti stai facendo trasportare solo dal tuo entusiasmo? - Le aveva rivolto le sue stesse parole e Alexis se ne era accorta, ma nella voce di Rick non c’era rimprovero ed anzi poteva vedere anche un mezzo sorriso. Con quelle parole le aveva fatto capire molto di più che con tanti discorsi. Le sue paure non potevano bloccare la felicità di suo padre che nonostante tutto continuava ad appoggiarla e a non farle mancare nulla.

- Io… io penso di sì. Sono felice e poi penso che comunque vadano le cose, sarà una bella esperienza. - Spiegò Alexis.

- Se sei felice, a me basta questo. Quando vorresti partire?

- I miei corsi cominciano tra circa un mese. Vorrei arrivare lì un po’ prima per ambientarmi.

- Va bene Alexis. Spero solo che prima di andare, troverai un po’ di tempo per venire a vedere la nostra nuova casa. - Concluse Castle decisamente più sollevato.

- Certo papà, mi farebbe piacere.

Alexis era andata via poco dopo la fine di quella conversazione che li aveva visti uscirne tutti e tre un po’ provati emotivamente. Il poco gelato rimasto nella vaschetta si era ormai quasi del tutto sciolto e Kate sorrise nel vedere Rick berlo direttamente da lì. Poi lo baciò. Amava i baci che sapevano di cioccolato, come quelli che sapevano di caffè, quelli che sapevano di vino, quelli che sapevano solo di lui. Tutti, amava semplicemente baciarlo e a volte le sembrava ancora strano di come quella sensazione le faceva venire le farfalle nello stomaco. Sì, amava baciare Richard Castle, lo avrebbe baciato sempre, in ogni occasione. Così quando Martha rientrò trovò Kate seduta sulle gambe di Rick: si stavano baciando mentre lei gli accarezzava dolcemente la nuca.

L’attrice si annunciò schiarendosi la voce e i due si separarono immediatamente, salutandola imbarazzati.

- Oh ragazzi miei, fate finta che io non ci sono, continuate pure! - Disse loro mentre di dirigeva in camera. Si fermò alla fine delle scale osservandoli ancora. Kate aveva la testa appoggiata alla spalla di Rick mentre lui le accarezzava la schiena. Li sentì scambiarsi qualche parola tra loro prima di andarsene in camera a dormire.

- Beccati come due ragazzini! - Rise Beckett contro la sua spalla

- Già… è proprio così che mi sento con te, come un ragazzino. - Le sorrise cercando le sue labbra.

- È già tardi, vuoi rimanere a dormire qui stanotte? - Gli chiese Kate accarezzandolo su una guancia.

- No… voglio andare a casa. - Mise la mano su quella di lei tenendola vicino al suo volto e Kate appoggiò la fronte sulla sua chiudendo gli occhi, stringendoli forte per impedire a qualche lacrima di scendere in quel momento.

Arrivati a casa Rick mise nell’armadio alcuni vestiti che aveva preso dal loft. Kate lo osservava riporre con cura gli indumenti, in quell’operazione così semplice e piena di significato per lei. 

- Cosa c’è da guardare? - Le chiese Castle senza distogliere l’attenzione dalla sua occupazione.

- Nulla, ti stavo solo guardando.

- Uh uh… c’è qualcosa che ti piace? - Chiese ancora malizioso.

- Tutto quello che stai facendo, in realtà. - Rispose sedendosi in fondo al letto. Rick mise le ultime cose dentro l’armadio con meno cura delle precedenti e si sedette vicino a lei.

- C’è qualcosa che ti turba Kate? È da quando siamo andati via dal loft che sei pensierosa. È per quello che ha detto Alexis? - Il tono preoccupato di Rick nascondeva l’urgenza di ribadirle che lui sapeva che non le interessavano i suoi soldi.

- In realtà è per quello che hai detto tu. - Ammise lei prendendogli la mano.

- Io? Cosa?

- I tuoi progetti per il nostro futuro.

- Sì… ecco… ho detto qualcosa di sbagliato… io…  - Rick era confuso, forse l’aveva fraintesa.

- Non hai detto niente di sbagliato. - Lo tranquillizzò - È solo che sentirlo ad alta voce fa un effetto diverso. È qualcosa che non so se sono pronta ad affrontare.

- Cosa Kate? L’idea che noi saremo una famiglia? Di avere dei figli? Non voglio importi niente ma mi piacerebbe, non te lo posso negare. - Le strinse la mano e lei poggiò l’altra sopra la sua.

- Piacerebbe anche a me, Rick. Non sto dicendo il contrario. Solo non adesso ancora è troppo…

- Presto. - Le sorrise Rick finendo la sua frase.

- Sì, è presto per me, anche solo pensarci. È qualcosa di così importante che mi mette i brividi. Non ci avevo mai pensato prima di te ed ora invece mi sono ritrovata ad immaginarmelo qualche volta e… mi spaventa. - Era la prima volta che parlavano apertamente di questo e Kate si sentì così vulnerabile - Tu sei un ottimo padre, l’ho sempre pensato e lo hai dimostrato anche stasera. Io invece non sono proprio portata con i bambini! - Sorrise nervosamente.

- Beh, io invece penso il contrario. È solo una cosa che non conosci, non vuol dire che non sei portata. Comunque lo hai detto tu, è presto.

- Sì Castle. È decisamente presto. E non è una cosa alla quale voglio pensare prima di mettere la parola fine a tutta la storia dell’omicidio di mia madre e chi ha provato ad ucciderci. - Gli disse molto seria.

- Ok sono d’accordo. Però, nel frattempo, potremmo fare un po’ di allenamento, così quando sarà, saremo pronti e ben allenati per provarci, che ne pensi?

- Allenamento eh, Castle? - Gli sorrise solleticandogli con una mano il retro del collo.

- Certo Beckett, solo allenamento. - La sua mano era già dentro la sua camicetta a stuzzicarle i capezzoli con tocchi vibranti sopra il reggiseno di pizzo.

Victoria Gates aveva riflettuto molto e si era anche consultata con il capo della polizia Bratton, Wade Bell era un suo collega, ma lo avrebbe dovuto trattare come qualsiasi altra persona che poteva essere informata sui fatti. Arrivò preso al distretto quella mattina e si mise subito in contatto con il quinto. Aveva necessità di vedere il loro capitano con la massima urgenza e chiese di rintracciarlo. L’uomo al telefono si mostrò molto disponibile dicendo che avrebbe raggiunto il dodicesimo il prima possibile, così la Gates avvisò Beckett che stava già andando verso il distretto con Castle.

Bell arrivò al dodicesimo mostrandosi estremamente sicuro di se e sprezzante. Camminò con passo deciso fino all’ufficio della Gates dopo che se lo era fatto indicare, chiedendolo in modo piuttosto brusco ad un agente appena arrivato al piano. Bussò ma entrò prima di ricevere una risposta.

- Capitano Bell, la stavo aspettando - Lo salutò con cortesia la Gates

- Capitano Gates, se è occupata, attendo fuori. - Rispose al saluto puntando lo sguardo sulla figura femminile che le dava le spalle. Kate si voltò, lasciando l’uomo perplesso e a disagio.

- No, Capitano. Il Detective Beckett è qui per farle alcune domande. Sa, per discrezione ho preferito che il tutto avvenisse nel mio ufficio…

- Ma io non sono venuto qui per rispondere a nessuna domanda! Credevo che volesse lei parlare con me, non un suo sottoposto! - disse l’uomo mettendosi sulla difensiva.

- Se preferisce, Capitano, possiamo spostarci nella sala interrogatori. 

Bell contrariato si sedette in una delle sedie davanti alla scrivania della Gates e Beckett occupò l’altra. Aprì il fascicolo davanti a se e tirò fuori una foto di George Rosen mettendola davanti al capitano.

- Ricominciamo dall’inizio, capitano Bell: conosce quest’uomo?

Bell temporeggiò facendo indispettire Beckett.

- Allora glielo dico io, lei conosce George Rosen visto che entrambi frequentate la Tree of Life Childcare, non è vero?

- Sì, lo conosco. - Ammise

- Bene, allora perché qualche giorno fa mi ha detto il contrario? - Insistette Kate

- Non avrò visto bene la foto, me lo ha chiesto mostrandomela di sfuggita in un momento in cui ero indaffarato e poi in quell’ingrandimento non si vedeva nemmeno bene il suo volto! - Rispose con astio.

- Quindi mi vuole dire in quali rapporti è con George Rosen?

- Lo ha detto lei, frequentiamo entrambi lo stesso centro per bambini facendo beneficenza, come tante altre persone, non è mica un reato.

- Beh, da quello che ci hanno detto i ragazzi che lavorano lì, voi due siete un po’ più che due come tanti altri, visto che i fondi che lei porta alla struttura li passa direttamente a George Rosen che poi li versa ed amministra. - Precisò Kate.

- Ma no, le hanno detto una fesseria! Rosen è uno come gli altri, ma si occupa lui di queste cose, a chi altro li dovrei portare? Ovvio che mi relaziono con lui!

- Però, sempre da quello che ci hanno detto, lei non si interessa del Tree of Life in altro modo, si occupa solo di portare questi fondi, non è impegnato direttamente con i ragazzi… - Beckett lo guardava fisso mettendolo ancora più a disagio che percepiva in modo tangibile, dai suoi gesti, da come stringeva la manica della giacca, nello stesso modo di quando lo aveva visto nel suo distretto.

- Ah e lei Detective dice solo? Se non fosse per i fondi che porto io, quel posto sarebbe già chiuso e tutti quei ragazzi a cui piace tanto chiacchierare sarebbero in mezzo ad una strada.

- Non mi pare questo il modo di parlare di una persona che è tanto dedita alla beneficenza da promuovere addirittura raccolte fondi tra i poliziotti, non crede, Capitano Bell?

La Gates osservava con le braccia conserte tutto lo scambio di battute, apprezzando come Beckett non fosse per niente intimorita dal un suo superiore ma si comportasse esattamente come con qualsiasi sospettato: non era da tutti essere così scevri da condizionamenti di ruolo e posizione, ma lei non se ne curava, voleva solo trovare la verità e se per farlo doveva interrogare duramente un suo superiore lo avrebbe fatto, anche se sapeva che se avesse fatto un buco nell’acqua, avrebbe avuto molti problemi.

- Non credo che sia lei Detective a dover giudicare come faccio o non faccio beneficenza. Posso sapere ora perché siete tanto interessati a conoscere quali erano i miei rapporti con Rosen?

- Erano Capitano? Non è più in rapporti con Rosen?

- Io… ma… - Balbettò Bell

- Chi le ha detto che Rosen è morto? - Kate gli mise davanti un’altra foto con il cadavere dell’uomo nella sua abitazione.

- Io non lo so, lo avrò letto o sentito… Non ne ho idea…

- Certo… Certo… Comunque la informo io, adesso. Rosen è morto gli hanno sparato, esattamente come hanno sparato a questa ragazza, Nicole Church. Stessa modalità stessa pistola. - Mise entrambe le foto davanti a lui

- Sono costernato. Ma Capitano Gates, lei non lascerà mica che un suo detective faccia delle insinuazioni sul mio conto! - Gridò Bell

- Non mi sembra che Beckett abbia insinuato niente, Capitano Bell! - Rispose fredda la Gates all’uomo.

- Questa conversazione finisce qui. E state sicure che farò rapporto per come sono stato trattato da voi due oggi! - Disse Bell alzandosi e andando via sbattendo la porta.

Kate raccolse le foto e le mise di nuovo nel fascicolo.

- Mi dispiace signore - Si scusò Beckett con la Gates.

- Per cosa Detective? Ha fatto il suo lavoro. Proverò a chiedere a qualche collega fidato qualcosa in più su questo Capitano Bell. Aveva ragione a dire che nasconde qualcosa… - La Gates prima di essere Capitano era stata un’ottima detective ed anche lei non aveva perso il suo sesto senso per le menzogne.

—

- C’è un problema.

- Ancora Bell? Di cosa si tratta questa volta?

- Non so come, ma mi hanno collegato a Rosen. Oggi mi hanno convocato al dodicesimo distretto e mi hanno fatto una specie di interrogatorio, sai chi?

- Lasciami indovinare… Beckett!

- Sì, proprio lei!

- Cosa le hai detto? 

- Quello che le dovevo dire, nulla di più.

- Quanto sa?

- Poco, di sicuro niente che riconduca a tutto il resto.

- Beckett è furba ed intelligente. Non ci metterà molto per scoprire il resto.

- Puoi sempre farla fuori, no?

- Ho fatto un patto, io sono un uomo di parola. Non sta indagando su di me, Bell. Ma su di te. È un tuo problema.

Kate sembrò non processare subito il fatto che Bell si era suicidato.

- Non siamo qui per lei, Detective. Il Capitano Gates mi aveva informato delle vostre indagini su Bell ed aveva il mio appoggio. Il suo lavoro è stato impeccabile nel rispetto della massima discrezione. - Si complimentò Bratton.

- Le ho chiesto se aveva scoperto la provenienza di quei fondi, perché probabilmente in quello che abbiamo trovato a casa sua c’è una spiegazione. - Aggiunse Caputo.

- Vicino al corpo senza vita di Bell è stata rinvenuta una grande quantità di sostanze stupefacenti. Parliamo di quasi un chilo di eroina già divisa in dosi e pronta per essere venduta al dettaglio. Sa quanto può fruttare questo, non è vero Detective?

Kate si guardò intorno con aria stupita, aveva dei dubbi su Bell, ma non avrebbe mai immaginato che il capitano facesse capo ad un giro di spaccio. Si passò le mani sul volto. Era sollevata perché non era lei il centro dell’indagine degli affari interni, ma il suo sollievo durò poco, perché voleva immediatamente saperne di più. Si alzò dalla sedia e camminò nel piccolo ufficio per schiarirsi le idee.

- Tutto questo c’entra qualcosa con gli omicidi a cui stiamo indagando?  - Chiese a Caputo e agli altri.

- Sì, Detective. Siamo qui anche per questo. Bell ha lasciato una lettera nella quale giustifica il suo gesto. Dice che Nicole Church, facendo delle ricerche per un suo cliente, era venuta a conoscenza della sua attività e di un conto che faceva capo a lui dove ci sarebbero molti soldi provenienti da questo suo traffico che a quanto pare va avanti da anni. Lo ricattava e lui le faceva portare da Rosen ogni mese dei soldi in contanti, poi però le richieste della Church sono aumentate fino a chiedergli subito un milione dollari. Bell dice che lo ha pagato ma a lei non bastava e chiedeva ancora di più. Così l’ha uccisa e poi ha ucciso anche Rosen perché era l’unico a sapere del suo segreto. La lettera si conclude dicendo che non poteva vivere con quel rimorso.

Kate aveva ascoltato tutta la ricostruzione fatta da Caputo. Tornava tutto, in effetti.

- Potrei avere una copia del fascicolo della morte di Bell? - Chiese Beckett mentre i presenti la guardarono incuriositi dalla sua richiesta. - Della lettera e del resto, intendo. Per poter fare una relazione dettagliata per la chiusura degli altri due casi e per dare più risposte possibili ai familiari di Rosen e della Church.

- Certo. Dirò personalmente ai detective che se ne stanno occupando di farle avere tutto il materiale raccolto. - La rassicurò Bratton.

I tre uomini salutarono Beckett e la Gates e se ne andarono. Kate rimasta dentro l’ufficio vide il capo della Polizia e Castle salutarsi in modo amichevole e conversare tra loro, mentre i due degli affari interni se ne stavano andando.

- Quindi abbiamo chiuso altri due casi senza fare nulla. - Disse sollevata la Gates sedendosi alla sua scrivania.

- A quanto pare sì…

- Non è convinta, Detective?

- Sì, sì… certo…

- Ma?

- Non lo so. Forse sono solo io che avevo immaginato una storia diversa ed adesso faccio fatica a pensare che sia tutto finito così. - Ammise Kate continuando a guardare Castle che si stava congedando da Bratton

- Non sempre le storie sono quelle che immaginiamo. Forse si sta lasciando contagiare un po’ troppo dalla fantasia di Castle. - Le disse sorridendo la Gates e nella sua voce non c’era astio, ma era solo divertita.

- Già, forse è così Signore. - Sorrise anche Kate.

Beckett era uscita dall’ufficio della Gates ed aveva raggiunto Castle. Non sapeva nemmeno lei perché, ma in quel momento aveva una gran voglia di un suo abbraccio, di quelli dove poteva perdersi per ore ad annusare il suo profumo e farsi cullare. Doveva essere sollevata per la soluzione di due casi che portava avanti da settimane senza venirne a capo, invece si sentiva ancora inquieta. Si disse che era solo il calo di tensione per la chiusura di casi a farla stare così, più che altro provò a convincersene mentre si era ritrovata a giocare con le dita di Castle tra le sue cercando la sua mano appoggiata sulla scrivania. La cosa che la sorprese di più è che entrambi stavano guardando le loro mani senza dire nulla. Non fossero stati al distretto sapeva benissimo quale sarebbe stata la naturale conseguenza di tutto quello. Prese un respiro un po’ più profondo e poi decise di porre fine a quello che da momento rilassante poteva diventare una tortura viste le ore che dovevano ancora rimanere lì.

- Pare che abbiamo chiuso due casi in un colpo solo. - Gli disse spiegandogli poi tutto quello che le avevano detto Bratton e Caputo.

- Cosa non ti fa stare tranquilla, allora? - Le chiese Rick alla fine della sua ricostruzione dei fatti. Non doveva stupirsi che lui aveva percepito il suo nervosismo, riconosceva le sue emozioni ancora meglio di se stessa.

- Non lo so, Castle. Una sensazione. Non so come spiegartelo, solo che la storia non mi sembra che dovrebbe andare così.

- Questa è una cosa che di solito dico io, te ne rendi conto? - Sorrisero entrambi, forse si stavano veramente contagiando a vicenda.

Si alzò e cominciò a pulire le lavagne con i casi di Rosen e della Church, staccando una ad una le foto, cancellando nomi e date. Eppure mentre che lo faceva quel senso di inquietudine non la abbandonava, come se le volesse dire di non farlo, che non era il momento. Aveva quasi tolto tutto quando Esposito, Ryan e Price tornarono, sorpresi di vedere Kate cancellare tutto il loro lavoro.

- Casi chiusi. - Annunciò ai tre e Beckett finendo di pulire la lavagna annuì.

Si sedette sul bordo della scrivania mentre Castle se ne stava comodamente seduto sulla sua sedia rilassato con le mani dietro la testa, pronto ad ascoltare ancora una volta il resoconto di Kate su quanto accaduto e i collegamenti tra il suicidio di Bell e gli omicidi dei loro casi.

- Hey Beckett, alla fine i tuoi dubbi su Bell erano fondati! - Esclamò Javier mettendosi comodo alla scrivania. - Ma tu che ci hai lavorato insieme non avevi mai sospettato nulla, Nick? 

- Ci ho lavorato poco tempo, ma sinceramente no. Tutto avrei pensato tranne che una cosa così. Era un tipo che non sembrava proprio essere a capo di un giro di spaccio. - Gli rispose Price pensieroso.

- E che tipo sembrava? - Chiese Castle incuriosito

- Mah… più il classico tipo che in un organizzazione è una sorta di factotum con le mani in pasta, ma proprio non adatto al comando. Anche al distretto. Era autoritario ma non autorevole, come solo i deboli sono. Ti minacciava rinfacciandoti il suo ruolo e imponendoti decisioni. Mi ha sempre stupito che fosse arrivato a capo di un distretto. 

Lo ascoltarono tutti interessati, soprattutto Beckett, anche se alla fine fu proprio lei parlare e rompere quel momento di riflessione.

- Qualunque impressione ti abbia dato Nick, ormai non importa. Poi le impressioni non sono tutto no? Dobbiamo chiamare la sorella di George Rosen e la famiglia di Nicole Church per informarli della conclusione delle indagini. 

Ryan, Price e Esposito si misero al telefono per chiamare le famiglie delle vittime mentre Kate aveva cominciato a scrivere il rapporto.

- Detective Beckett? - Un agente era davanti a lei con in mano una busta gialla - Hanno appena consegnato questo per lei.

Il ragazzo le lasciò il plico e se ne andò. Kate lo aprì sperando di trovare proprio quello che c’era, una copia del fascicolo del suicidio del capitano Bell.

Aprì la cartellina con la curiosità di poter vedere quella che nella sua mente era una scena del crimine anche se così evidentemente non era. Le immagini mostravano Il corpo riverso sulla scrivania e vicino la pistola 9mm con la quale si era sparato. Dalla panoramica si poteva vedere il foglio scritto di proprio pugno poco distante dal corpo lì vicino alcune bustine di droga. Appena finito di telefonare anche gli altri detective si erano avvicinati per vedere le foto che dopo Kate, Castle stava visionando incuriosito, cercando di scovare qualche dettaglio inusuale. Rick notò Price soffermarsi soprattutto su una foto e sbirciando vide che era una dove si vedevano le bustine di droga in primo piano. Lo scrittore alzò lo sguardo incrociando quello del detective, che subito mise la foto sotto tutte le altre, riprendendo ad osservare le prove e non disse niente, anche se a lui sembrava che stesse nascondendo qualcosa.

Kate ascoltò il resoconto sulle indagini dell’omicidio sul quale stava lavorano quella mattina prima che la Gates la chiamasse. Ascoltò le teorie che avevano elaborato i tre, trovandosi sostanzialmente d’accordo con loro, aveva tutte le sembianze di un delitto passionale e l’ex marito era diventato irraggiungibile. Mentre l’uomo era ricercato dalla polizia avevano convocato il nuovo compagno che aveva un alibi di ferro, aveva lavorato tutta la notte in ospedale e c’erano tutti i colleghi a testimoniarlo nonché le telecamere della struttura. Beckett lasciò che fossero Ryan ed Esposito ad occuparsi di raccogliere la sua deposizione e coordinare le indagini mentre lei finiva di compilare i rapporti degli altri casi. Il resto della giornata era quindi passata in modo piuttosto tranquillo e per tutti ormai Church, Rosen e Bell erano casi chiusi, Kate fu estremamente sollevata quando fu finalmente l’ora di tornare a casa, per quella sera non voleva nulla di più che rilassarsi sul divano tra le braccia di Rick e non pensare a nulla.

Quando erano arrivati a casa Castle le aveva detto di non pensare a niente. Avevano aperto una bottiglia di vino bianco, un Gewurtztraminer alsaziano che avevano scoperto qualche giorno prima cenando a in un ristorante francese e che a Kate era piaciuto particolarmente. Brindarono davanti ad un tagliere di formaggi che Rick aveva scelto personalmente e tagliato a piccoli cubetti: si divertiva ad imboccarla facendole provare i diversi tipi per consistenza e stagionatura abbinati con delle mostarde artigianali che aveva trovato in un piccolo negozio lì vicino che vendeva molti cibi gourmet e ricercati, del quale Kate ignorava l’esistenza fino a quando non era diventato tappa fissa di Rick. Beckett amava quei momenti di tranquillità tra loro, almeno quanto amava quando lui la imboccava come stava facendo adesso e lei lo stuzzicava lasciandogli baci e morsi sulla punta delle dita, ridendo di gusto delle sue facce stupite ogni volta. La lasciò poi sul divano a leggere qualche pagina di un libro che avevano comprato quel fine settimana insieme, o meglio, che lui aveva scelto per lei, certo che le sarebbe piaciuto e soddisfatto che non si era sbagliato, mentre lui preparava la cena non accorgendosi che Kate più che leggere si soffermava a guardarlo cucinare, mordendosi il labbro nascosto dietro il libro: non poteva farci nulla, adorava vederlo cucinare e lo trovava terribilmente sexy.

- Lo sai che mi stai viziando Castle? - Gli disse Kate mangiando l’ultima forchettata di una fetta di torta che non sapeva quando lui avesse preso.

- È esattamente quello che ho intenzione di fare per i prossimi tanti, tanti, tanti anni. - Le rispose baciandola tra una parola e l’altra. Avevano mangiato come quasi ogni sera sul divano.

- Uhm… sai che potrei prenderti in parola? - Tolse il piatto dalle sue mani poggiandolo sul tavolo davanti a loro e si appoggiò al suo petto e poi gli prese le mani per far sì che la abbracciasse, cosa che Castle fece con grande solerzia.

- Mi devi assolutamente prendere in parola! Non ho intenzione di lasciarti andare per nessun motivo. - La strinse un po’ di più dicendo quelle parole facendola ridere e facendole anche il solletico mentre tirava via la sua maglia da dentro i jeans, baciandola sul collo e mordicchiandole il lobo.

- Ricordati che sono armata. Ti conviene mantenere la tua promessa. - Rise ancora Kate scostando la testa di lato per facilitargli il compito di baciarla.

- Ci sono tante promesse che vorrei farti e vorrei mantenere, per tutta la vita. - I baci si interruppero e la voce di Rick era diventata improvvisamente seria. 

- Ti amo Castle. - Fece in modo che lui allentasse la presa su di lei e si girò per essere faccia a faccia con Rick. Gli prese il viso tra le mani, accarezzandogli gli zigomi con i pollici, guardandolo in quegli occhi blu stupiti e sorridenti per averla così vicino, come se per Castle fosse sempre una sorpresa avere Beckett così, tutta per se, come solo lui poteva vederla, conoscendola nell’intimo come a nessuno lei aveva mai permesso. E Kate glielo ripeté ancora, perché non si sarebbe mai stancata di dirglielo. - Ti amo.

Quello che seguì fu un bacio lungo e passionale, lento e profondo, di quelli che le labbra si separano solo qualche istante per riprendere fiato per poi ricominciare. Avrebbero continuato ancora a lungo se quella sera qualcuno non avesse suonato il campanello. Si guardarono un attimo e poi Kate si alzò contro voglia da lui che le diede un altro bacio prima di andare ad aprire la porta.

- Ciao Castle, disturbo? - Price guardò lui e poi sbirciando dentro Beckett che si stava ricomponendo. - Evidentemente sì…

- Già, cosa c’è Price? - Gli chiese Rick decisamente contrariato.

- Dovrei parlare con Beckett, è importante. Riguarda il capitano Bell.

Kate fece cenno a Rick di far entrare Nick ed il detective varcò la soglia passando davanti a Castle che lo guardava scuotendo la testa.

- Non potevi aspettare domattina Price? - Chiese Castle dietro di lui mentre chiudeva la porta.

- No. È una cosa urgente e riservata. - Disse il detective attirando subito l’attenzione dei due.

Beckett gli fece cenno di sedersi al tavolo e loro fecero altrettanto.

- Cosa c’è di così urgente Nick? - Kate lo guardava aspettando una risposta soddisfacente alla sua domanda. Se era venuto fino a lì quella sera voleva dire che doveva per forza esserci qualcosa di importante ed ora voleva saperlo.

- Oggi quando stavo guardando le foto dello studio di Bell ho notato una cosa. - Cominciò il detective

- Nelle foto della droga - lo interruppe subito Castle.

- Sì, come fai a saperlo?

- Ti sei soffermato su quella foto di più che sulle altre e poi l’hai messa in fondo a tutte, come se la volessi nascondere. - Replicò lo scrittore colpendolo per la sua attenzione ai particolari.

- Cosa hai visto Nick? - Chiese Kate invitandolo a continuare.

- So di chi era quella droga. 

Castle e Beckett lo guardarono attenti e stupiti. Nick tamburellava con le dita sul tavolo, Kate gli fece un cenno con la testa.

- Vai avanti.

- Dopo la morte di Claire non me la sono passata bene. Avevo cominciato a frequentare un posto a Washington Heights e a fare uso di cocaina. Non era facile far passare il dolore e quello sembrava essere l’unico modo per stare se non bene, meglio. Continuavo il mio lavoro e un giorno facendo una retata mi ritrovo ad arrestare uno degli spacciatori da cui andavo di solito. Non era della mia zona di competenza, non so perché era lì, ma quel giorno il mio mondo è cambiato. Lui era solo un’ape, così chiamano i piccoli spacciatori di zona, è vero, ma quella sera sono venuti a cercarmi a casa. Faceva parte di una grande organizzazione di spaccio della città e il suo referente, così lo chiamava, è venuto con il suo grande capo. Mi hanno fatto una proposta: dovevo chiudere un occhio sulle sue “api” e loro in cambio avrebbero evitato di far uscire la verità sul mio conto. 

- Hai accettato? - Chiese Castle mentre lo guardava con disgusto.

- Sì. Mi hanno lasciato un po’ di dosi, per far vedere che erano riconoscenti. Io dovevo solo fare finta di nulla sui suoi e qualche volta mi hanno anche fatto delle soffiate sui dei trafficanti locali. Mi hanno fatto fare degli arresti importanti e loro hanno tolto dalla piazza concorrenti scomodi e mi hanno anche ricompensato con delle cifre considerevoli. Beh, so che mi state biasimando ma voi non sapete cosa vuol dire perdere per sempre la persona che è la vostra ragione di vita.

Rick prese la mano di Kate sotto il tavolo stringendola forte tanto da farle male, perché in quel momento sentì nelle parole di Nick un senso di vuoto che lo aveva invaso e travolto. Si voltò a guardarla e lei stava facendo la stessa cosa, pensando solo che non voleva mai sapere quello che aveva provato lui.

- Avevo perso il confine tra ciò che era giusto e sbagliato. O meglio, lo sapevo, ma non mi interessava. Claire era morta per fare quello che era giusto e allora per me non era più giusto niente. Poi quando quella roba non mi faceva più effetto ho messo. Sono pulito da due anni, più o meno. Non bevo e non mi faccio più di niente. Uscirne però non era possibile. Continuavano sempre a ricattarmi e a chiedermi favori. 

- Come sai di chi è la droga, Nick? - Kate sembrava meno colpita di Castle dal suo racconto, voleva solo sapere quello per cui era venuto lì ed aveva interrotto la loro serata.

- Per sapere chi dovevo arrestare e chi lasciar perdere mi hanno fatto studiare il loro codice. Confezionano ogni singola dose in modo uguale, così sai chi arrestare e chi no.

- Parli come se non fossi l’unico poliziotto coinvolto. - Lo interruppe Caslte

- Infatti non lo sono. Sono più di quanti immagini i poliziotti corrotti che come me sanno chi arrestare o chi no, per loro o per altri, non fa differenza.

- Perché sei qui, Price? Cosa vuoi da me? Arrestare chi c’è dietro tutto questo? Mi servono prove, denunce e se tu me lo vieni a dire a casa, di notte, mi pare che non vuoi denunciare nulla. - Il tono di Kate era diventato più aspro.

- Ci sono alcune cose strane. Se Bell fosse stato un “referente” io lo avrei saputo, perché non aveva senso tenermi all’oscuro della cosa, anzi lavorando insieme potevamo aiutarci. E poi la quantità di droga trovata a casa sua era troppo grande. Nessun referente ha mai simili quantitativi, è proprio una prerogativa per non essere fregati.

- Spiegati meglio.

Nick prese un foglio che era sul tavolo, tirò fuori una penna dalla sua giacca e cominciò a disegnare un grafico piramidale.

- Sopra a tutto c’è l’organizzazione. Poi ci sono un numero limitato di magazzinieri, ma non fatevi ingannare dal nome, sono quelli che contano di più, dopo il capo. Sono loro che hanno la roba e la prendono direttamente dal luogo dove viene confezionata, l’alveare. Poi ci sono i fattorini, che portano ai referenti ogni giorno la quantità di dosi necessaria a rifornire le loro api. Varia in base a quante api fanno riferimento a loro. Non si sgarra.

- Cos’è l’alveare? - Chiese Castle

- Una villa fuori città, non chiedermi dove, non lo so. Mi hanno portato lì chiuso nel retro di un furgone, ci abbiamo messo un paio d’ore da casa mia, ma non so quanto abbiamo girato a vuoto prima di arrivare. È un posto isolato in mezzo ad una specie di bosco. Lì ci sono decine e decine di donne che fanno confezionano le dosi e impacchettano i soldi che vengono dai proventi della vendita degli stupefacenti.

- Perché ti hanno portato lì? - Gli domandò Kate

- Per farmi vedere che fine facevano i traditori. Ho visto come hanno torturato ed ucciso un’ape che aveva rubato parte delle dosi che doveva vendere. Un monito, mi hanno detto. È successo poco dopo che ero entrato nel giro, non so nemmeno più se è sempre lì che gestiscono il tutto. 

- E Bell non poteva essere un magazziniere? - Intervenne Rick

- No, sono tre massimo quattro persone, sono come fantasmi, non ricoprono mai ruoli importanti nella società, vivono nell’ombra. 

- Chi è che controlla tutto questo Nick? - Beckett era disgustata e desiderosa di sapere il nome.

- Vulcan Simmons. 

Kate rimase pietrificata. Quel nome riapriva una ferita mai del tutto chiusa, quel nome la riportava immediatamente indietro nel tempo, a due anni prima e poi ancora più in là, a sua madre e a tutto quello che voleva dire. Guardò Rick che sospirò scuotendo la testa con la paura che tutto potesse crollare da un momento all’altro, soprattutto Kate.

- Simmons? - Ripeté Beckett con la voce rotta da rabbia e paura.

- Sì. Vulcan Simmons. Quella era la sua droga ed io sono sicuro che Bell non era uno dei suoi uomini. - Ribadì Price.

- Quindi cosa pensi? - Trovò la forza di chiedergli ancora, mentre era lei che adesso stringeva la mano di Rick e lui percepiva tutta la sua tensione.

- Che Simmons doveva un favore a qualcuno, a qualcuno più grosso di lui e si è prestato a dargli la sua roba per mettere insieme tutta questa scena.

- Sono centinaia di migliaia di dollari, doveva essere qualcuno molto importante. - Kate lo guardava come se lui potesse darle quella risposta che voleva, ma che Nick non aveva.

- Per arrivare lì devi avere amici importanti. Se no, non ce la fai. 

- Perché mi hai detto tutto questo Nick? - Chiese ancora Kate dopo che tutti e tre erano rimasti in silenzio per qualche tempo.

- Tu vuoi la verità e la giustizia per le vittime. Io non credo che Rosen e Nicole Church siano stati uccisi da Bell, non avrebbe mai avuto le palle per farlo. Dovevo dirtelo. Se vuoi continuare ad indagare, almeno sai cosa c’è dietro. 

- Tu che farai Nick? - Domandò Beckett mentre lui si stava alzando per andarsene.

- Ci devo pensare. Vorrei lasciare tutto ed andarmene da qui, magari anche dal paese. Ci sono errori che tornano sempre e che non posso mettere via. A Claire sarebbe piaciuto andare a vivere in oriente, a Bali. Era il suo sogno, magari il suo spirito adesso è lì e potrei raggiungerla. Ci vediamo domattina e scusatemi ancora. - Kate lo stava per accompagnare alla porta ma lui la fermò - Non ti preoccupare, conosco la strada.

Lo guardò uscire e continuò a fissare la porta chiusa. Poi sentì le braccia di Rick stringerla da dietro e portò le mani sulle sue intrecciate sul suo ventre. Tremava. Ed era la paura, la tensione e la rabbia.

- Lascia stare Kate. - Le sussurrò Rick all’orecchio in una disperata preghiera. - Lascia stare tutto questo ti prego.

- Rick…

- Ti prego Kate, fallo per noi. Fallo per noi… - La strinse ancora di più quando lei si voltò. Avevano paura entrambi, paure diverse, che si sfociavano nello stesso bisogno di abbracciarsi. Appoggiando la testa sul petto di Rick, Kate poteva sentire come il suo cuore batteva velocemente e lo baciò sopra la camicia, proprio in quel punto, mentre avvolgeva con le braccia la sua schiena e lui la portava sempre più vicino a se, perché non voleva che lei si allontanasse, né fisicamente né in nessun altro modo, voleva che sentisse la sua paura di perderla, che non era paura era terrore vero e proprio. Ripensava alle parole di Price, a quel dolore vuoto che ancora lasciava percepire dopo anni, lui non avrebbe resistito. Le accarezzò i capelli, temeva quel silenzio, perché sapeva che in quel momento lei stava solo pensando a tutto quello che avrebbe fatto.

- Ho bisogno di sapere che qualsiasi cosa accada tu non mi lasci qui, non te ne vai. - La voce di Kate vibrava e sembrava stesse facendo un grande sforzo per non piangere.

Rick le accarezzò  il volto deglutendo a fatica. Sapeva che lei aveva già deciso e dentro di se sapeva che prima o poi sarebbe accaduto. Si sentì mancare le forze, consapevole di cosa avrebbe voluto dire tutto quello, perché sapeva che se Kate avesse continuato a scavare in qualche modo, anche non volendo, sarebbe arrivata a Bracken. Beckett prese la sua mano e lasciò che le loro dita si intrecciassero insieme, stringendolo e poi baciandogli il dorso. Non voleva che lui la lasciasse, che se ne andasse come aveva già fatto una volta. Le dita di Rick chiuse sulle sue sperò che volessero dire quello che lei sperava. 

- Starò con te, Kate. Sempre. Però ti prego… - Kate si allontanò da lui e Rick ebbe un sussulto, come se gli portassero via una parte di se, ebbe l’istinto di tenerla e lei percependo il suo disagio gli prese entrambe le mani, non lo voleva lasciare, nemmeno per un istante, se il contatto era quello di cui lui aveva bisogno.

- Ho sempre pensato che la verità fosse la cosa più importante di tutte, che cercare la verità per gli altri fosse un modo per sfuggire ai miei fantasmi, che se non la potevo avere per me, darla alle famiglie delle vittime era un modo per alleviare il dolore che c’era sempre persistente. Mia madre ha sempre pensato che la verità avrebbe sconfitto ogni altra cosa, che avrebbe vinto su tutto ed è questo che mi ha guidato in ogni cosa da quando lei è stata uccisa.

- Capisco… - Sospirò Rick

- Poi sei arrivato tu. Sei più importante Castle. Noi siamo più importanti. È difficile perché è come se tradissi tutto quello che sono stata negli ultimi anni, se tradissi mia madre. Se Nick fosse venuto qui a dirmi queste cose qualche tempo fa non avrei esitato un momento a buttarmi a capofitto in questa storia, ad andare a fondo a scoprire perché Simmons è coinvolto. So quali sono le tue paure, che indagando su Vulcan Simmons posso ritornare a farlo sul caso di mia madre e rimettere in moto tutto. Per questo non lo farò, non fino a quando non faranno un altro passo falso, fino a quando non avremo delle prove certe. Accadrà prima o poi, ne sono sicura.

Gli occhi di Kate vibravano di qualcosa che Rick, per una volta, non riusciva a capire, perché in quello sguardo c’erano i suoi mondi, vecchio e nuovo, che andavano in collisione tra loro e quelli erano gli effetti. Per la prima volta nella sua vita Kate aveva scelto se stessa e scegliere lei voleva dire scegliere loro. Per la prima volta aveva lasciato che fosse solo l’amore a decidere, ad andare sopra ogni altra cosa, ben sapendo che scegliere voleva dire sacrificare ogni volta una parte di sé, ma sapeva che non poteva più sacrificare Rick per nulla.

- Sono sicuro che tua madre non si sentirebbe tradita da te, se è questo che ti preoccupa. - Le disse cercando come prima cosa di rassicurarla.

- Come fai a dirlo? Tu non la conoscevi. - Vide un velo di dolore nei suoi occhi e la obbligò a guardarlo.

- Perché era tua madre Kate ed un genitore la cosa che vuole di più è che i propri figli siano felici. Un giorno lo capirai.

Stava per rispondergli ma non ne ebbe modo, perché Rick la baciò dolcemente. Aveva avuto quella sera la consapevolezza che qualsiasi cosa Kate avesse deciso di fare, lui non l’avrebbe mai lasciata, che sarebbe rimasto al suo fianco, qualsiasi cosa avesse comportato. Sapeva che non sarebbero rimasti ancora a lungo sospesi in quella bolla, che prima o poi, per un motivo o per un altro, si sarebbero trovati a dover indagare su qualcosa che li avrebbe portati lì dove non dovevano arrivare e lui non avrebbe potuto impedirlo. Sapeva che avrebbe combattuto con lei, fino alla fine, qualsiasi fine ci fosse, perché non poteva essere altrimenti. Ma Rick sapeva anche che decisione che aveva appena preso Kate l’avrebbe fatta soffrire, in modo diverso, ma lo avrebbe fatto, che avrebbe generato dubbi e si sarebbe messa in discussione, per questo doveva fargli capire che lui era dalla sua parte. Sempre e per sempre.

- Ho sognato tanto volte che tu mi dicessi così, che noi eravamo più importanti. Però Kate, sappi che se tu cambierai idea, se deciderai di voler andare a fondo, io ci sarò. Non ti lascerò mai. Ti Amo Kate e sono il tuo partner nel lavoro e nella vita.

- Ti amo anche io Rick.

Quella notte Beckett si agitò molto nel letto e Castle sentiva la sua inquietudine farsi strada tra loro. La vide girata su un fianco, dargli le spalle e respirare troppo velocemente per dormire.

Le si avvicinò, abbracciandola, e lei strinse la sua mano.

- Stai bene? - Le chiese preoccupato.

- Solo un incubo… un brutto ricordo… Stringimi Castle, per favore.

Non se lo fece ripetere due volte, l’avvicinò a se cullandola come una bimba e sembrò essere tutto quello di cui Kate aveva bisogno quella notte.

Rick si era alzato prima di Kate quella mattina. Lei aveva dormito poco e male e si era addormentata tardi, lui alla fine non aveva dormito mai, aveva preferito rimanere sveglio a guardia dei suoi sogni e dei suoi incubi, perché non si avvicinassero a lei e se qualcuno gli sfuggiva e si insinuava, era pronto a cacciarli via. L’aveva accarezzata e coccolata, avrebbe voluto prendersi lui parte del suo tormento interiore per quella scelta che, qualunque fosse stata, l’avrebbe fatta soffrire almeno in parte. L’aveva stupita quando, contro ad ogni suo pronostico, aveva scelto loro e lui si sarebbe messo a piangere e a saltellare per casa dalla gioia se il momento fosse stato diverso. Aveva scelto loro. Se lo era ripetuto tante volte quella notte, perché voleva esserne sicuro. Aveva scelto loro. Avrebbe voluto svegliarla per chiederglielo. “Kate, ma è vero, hai scelto noi?” Poi si dava dello stupido da solo, quando lei si muoveva un po’ e si stringeva a lui e non lasciava la presa sulla sua maglia e gli ricordava Alexis bambina e sapeva che l’avrebbe protetta sempre, allo stesso modo.

Gli era dispiaciuto alzarsi, lo aveva fatto lentamente, cercando di non svegliarla, eppure non aveva resistito alla tentazione di baciarla, di sfiorare quelle labbra morbide distese nel sonno. Rimase un attimo incantato dal pensiero che quelle labbra le avrebbe potute baciare ogni mattina. Gli sembrava ancora un sogno, quel sogno che aveva coltivato in silenzio per anni. La coprì avvicinando il piumone al suo corpo, rimboccandole le coperte fino a che fu sicuro che fosse al caldo. Quella casa la mattina presto era sempre troppo fredda per i suoi gusti. Andò in cucina e preparò caffè e pancakes, adorava viziarla con piccole e grandi cose e la colazione era una di quelle. Sapeva che se non c’era lui lei al massimo si riscaldava una tazza di caffè solubile e mangiava una brioche presa in qualche caffetteria per strada, se aveva tempo, o peggio qualche schifezza al distributore del distretto.

Arrivò in camera con il vassoio con il caffè ed un piatto di pancakes con sciroppo d’acero, fossero stati per lui li avrebbe fatti con quello di cioccolato e tanta panna, ma a lei piacevano di più così, semplici. 

L’aroma intenso del caffè appoggiato sul comodino vicino a lei la svegliò dolcemente. Kate aprì gli occhi sbattendo un po’ le palpebre cercando il suo volto nella camera in penombra.

- Ciao - gli disse appena mise a fuoco la figura di Castle seduto vicino a lei. Immaginava di trovarlo ancora addormentato al suo fianco, invece era già in piedi e sveglio. Si tirò su portandosi con se il piumone nel quale era avvolta e lui si piegò su di lei per baciarla e Kate rispose al suo bacio, mordicchiandogli il labbro ed obbligandolo a rimanere con le labbra sulle sue più di quanto avesse immaginato.

- Buongiorno - rispose Rick sulla sua bocca prima di darle un altro veloce bacio. - Ti ho preparato il caffè. È ancora caldo, come piace a te.

Le passò la tazza e Kate la tenne per qualche istante tra le loro mani. 

- Grazie. Potrei abituarmi a questo, sai? 

- Al caffè la mattina? Te lo porto da anni ormai! Sto solo anticipando i tempi senza aspettare di essere al distretto. - Le disse sorridendo.

- Non al caffè, a quello mi sono già abituata e non puoi esimerti dal farlo. Mi potrei abituare a dormire come stanotte e a svegliarmi così. 

- Non chiedo di meglio che tu ti abitui. - La osservò bere nascondendo nella tazza quel sorriso imbarazzato che si disegnava sul viso ogni volta che faceva un passo in più verso di lui, lasciando andare una parte di sé. - Come stai? - Le chiese prendendo il caffè e porgendole il piatto, scostandole i capelli dal volto. 

- Bene. Sto bene Castle.

- Bene. - Rick la osservò mangiare la sua colazione, sperando che stesse bene veramente. - Senti… Ti va questo fine settimana di venire con me negli Hamptons?

- Negli Hamptons? In questa stagione?

- Beh, saresti dovuta venire con me molto tempo fa. - Le accarezzò il volto e Kate spostò il piatto poggiandolo sul lato vuoto del letto.

- Sì, sarei dovuta venire molto tempo fa. Avrei voluto farlo. 

- Allora andiamo, questo fine settimana. Io e te. Come doveva essere.

- Non credo che potremmo fare bagni o prendere il sole adesso. - Rise Kate

- No, ma la casa è grande. C’è una grande camera da letto, con il caminetto e la vasca idromassaggio. Sono sicuro che troveremo molte cose interessanti da fare, anche se non è estate. Andiamo? - Castle le sembrava un bambino che voleva convincere la mamma a portarlo al luna park. Controllò l’orologio e senza che se ne fosse accorta si era già fatto tardi.

- Credo che ora dovremmo innanzi tutto andare al distretto. - Gli disse sporgendosi e baciandolo su una guancia prima di sparire in bagno.

- E nel week end andiamo negli Hamptons? - Le gridò Castle per superare la porta chiusa ed il rumore dell’acqua aperta. Per risposta ebbe una squillante risata.

- Vediamo Castle, vediamo!

Arrivarono al distretto prima degli altri, con Castle che non perse occasione per far notare a Kate la sua ossessione per la puntualità che finiva per trasformarsi in arrivare sempre in anticipo. Fece finta di non sentirlo, lasciandolo blaterale per un po'.

- Ti va di prepararmi un caffè? - quelle parole magiche di Kate riuscirono a farlo zittire e si alzò subito per andare in sala relax.

- Fai due Castle! - La voce di Esposito lo fece girare prima di entrare nella stanza.

- Anzi fai tre! - Ryan era subito dietro di Javier.

- Ma certo ragazzi! Sono qui proprio per questo! - Disse Rick con tono fin troppo affabile schernendosi.

- E io che pensavo che stavi qui per controllare che nessuno ci provasse con Beckett! - Disse Esposito ridendo mentre Castle era già entrato nella saletta, ma smise subito di parlare fulminato dallo sguardo di Kate che ristabilì l’ordine.

- Avete sentito Price? - Chiese Beckett dopo un po' osservando la scrivania vuota di Nick ma i due detective scossero la testa negativamente. Rick portò i primi due caffè a Javier e Kevin guadagnandosi un occhiataccia di Kate, ma dovette aspettare solo pochi minuti per avere la sua dose di caffeina, preparata dal miglior spacciatore che conoscesse. 

Castle le portò la sua tazza con tanta schiuma ed un cuore un po' rudimentale disegnato sopra. Potevano vietargli effusioni, nessuno poteva impedirgli di disegnarle un cuore con schiuma e caffè. 

Price arrivò al distretto trovandoli tutti intenti ad assaporare la calda bevanda. Passò lo sguardo sui quattro, Ryan e Esposito lo salutarono con un cenno, mentre con Castle e Beckett ci fu un momento di imbarazzante silenzio che fece abbassare lo sguardo al detective. Castle sospirò e Kate prese la sua mano in quel gesto che voleva dire molto di più della loro semplice vicinanza. Videro Nick fare nervosamente avanti e indietro dalla sala relax e tornare con anche lui un caffè appena fatto, squadrando di nuovo i quattro: Esposito stava leggendo un giornale, Ryan controllava alcuni dati al computer e Castle e Beckett facevano i loro discorsi muti solo sfiorandosi con le dita della mano mentre gustavano insieme quel caffè. 

Erano tutti presi dalle loro bevande in quella mattina di relativa tranquillità al distretto, senza omicidi che li portavano lontano, quando una figura si avvicinò nervosamente a loro.

- Buongiorno Detective. Allora lo avete trovato? - Lerry Morrison, il fidanzato di Nicole Church era davanti a lei, visibilmente dimagrito, con grandi occhiaie e l’aspetto trasandato e stanco. Kate si voltò a guardare Rick. Rimase incatenata a quegli occhi azzurri e nel suo mare personale trovò la forza e la motivazione per andare avanti. Si alzò e girò intorno alla sua scrivania, per raggiungere l’uomo che salutò con una stretta di mano. Gli fece un gesto invitandolo a sedersi ma lui rifiutò rimanendo agitato in piedi davanti a a lei.

- Sì, il Capitano Wade Bell. Lo conosce?

- No, mai sentito prima. 

- Non sapeva che Nicole lo stava ricattando? - Chiese Beckett a Morrison stupita nel vedere la solerzia della sua risposta.

- No, Detective! Ma cosa sta dicendo? Nicole non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere! Ma come si permette! - Morrison urlò attaccandola, avvicinandosi fin troppo a Kate che rimase impassibile mentre Esposito e Price erano già scattati in piedi, così come Castle.

- Si calmi Morrison! - Gli disse Kate mentre Esposito dietro di lui lo aveva preso per le spalle tirandolo fisicamente indietro.

- Ehy amico, ti conviene stare attento qui a quello che fai se non vuoi trovarti nei guai. - Gli disse l’ispanico mentre questo si muoveva a scatti per scrollarsi di dosso le mani di Javier.

- Sì… scusatemi… è che non mi piace che la memoria di Nicole venga infangata così. Nicole è una vittima, è stata uccisa.

- Lo so, signor Morrison. Nessuno vuole dire il contrario e nessuno vuole infangare la memoria della sua fidanzata. Questo è quanto ha scritto Bell prima di suicidarsi, per questo glielo abbiamo chiesto. - Lo rassicurò Kate

- Avete informato la famiglia di Nicole? I suoi genitori e sua sorella…

- No, di questo ancora no, aspettavamo di parlarci di persona. - Gli disse Esposito tornando al suo posto.

- Ma Detective, voi indagherete, vero? Non lascerete che quello che dice un assassino venga ritenuta la verità, che la mia ragazza passi per una ricattatrice! - Lerry Morrison guardava Kate con gli occhi pieni di lacrime e di speranza. Beckett non riuscì a lungo a sostenere il suo sguardo mentre Rick serrava i denti nel sentire quelle parole e vedendo il suo disagio. Distolse lo sguardo dal ragazzo che aveva davanti e chiuse il fascicolo che aveva davanti arruffando i fogli e buttandoli dentro confusamente.

- Faremo il possibile. Se avremo altre strade da prendere per indagare ancora, lo faremo. Qualunque cosa abbia fatto Nicole, non meritava la fine che ha fatto e non giustifica un omicidio. - Solo alla fine tornò a guardarlo, perché in quelle ultime frasi credeva ciecamente.

Nick provò ad avvicinare Kate per parlarle quando si alzò per andare a svuotare quel che restava della sua tazza di caffè nel lavello della sala relax.

- Possiamo parlare? - Le chiese gentilmente.

- Se è quello che penso no, meglio di no. Non abbiamo nulla da dirci, non qui. - Rispose lei.

Castle li osservava seduto alla scrivania sbirciando tra le tende non completamente chiuse della sala. Erano strani i sentimenti che quel detective gli suscitava. Aveva dubitato di lui fin dall’inizio, ed ora poteva spiegarsi anche il perché di quei vestiti troppo costosi e quell’aria che gli aveva sempre fatto pensare che nascondesse qualcosa. Non aveva però motivo di compiacersi per le sue giuste intuizioni. Dopo quello che aveva sentito del suo racconto e dopo quanto le aveva detto Kate di lui, razionalmente sapeva che non doveva essere geloso di Price, perché l’unica donna della sua vita sarebbe stata Claire, come per lui era Beckett, ma non ce la faceva. Gli bastò vedere come allontanandosi da lei le aveva appoggiato una mano sulla spalla e poi fatta scivolare lungo la schiena perché la sua mente si riempisse delle immagini di lui e di lei insieme. Cercava di non pensarci, ma quando Kate le aveva detto che era stata con Nick durante la loro separazione, ogni volta che li vedeva insieme la sua mente andava in cortocircuito immaginandoli in pose in cui solo lui voleva vedere Kate. Quando gli passò vicino per tornare a sedersi alla sua scrivania, Castle ebbe l’impulso di alzarsi, andare da Beckett e baciarla, lì al distretto, davanti a tutti, per ribadire che lei era la sua donna, che lei era lui che amava, in tutti i sensi, come se tutti avessero potuto vedere le immagini create nella sua mente che doveva mettere a tacere. Serrava i pugni sul tavolo e perso nei suoi pensieri non l’aveva sentita sedersi di nuovo vicino a lui. Sobbalzò nel sentire la sua mano fresca sul suo pugno caldo e si voltò di scatto a guardarla con ancora l’espressione contratta.

- Ehy Castle, stai bene? - Gli chiese preoccupata e sorpresa di vederlo così.

- Sì… sì sto bene… Devo solo uscire un attimo. Vado a prendere qualcosa da mangiare per… per tutti, ok? Torno tra poco.

Non aveva nemmeno preso il cappotto, era saltato in piedi e si era diretto verso l’ascensore senza che lei se ne rendesse nemmeno conto.

- Ehy Beckett, ma Castle sta bene? - Gli chiese Ryan mentre le porte dell’ascensore si chiudevano e lui scendeva.

- Sì… io… credo di sì… È andato a prendere il pranzo. - Rispose lei confusa.

- Di già? - Esposito controllò l’orario ed era molto prima del solito, ora che ci faceva caso anche Kate.

- Torno subito. - Gli disse Kate precipitandosi anche lei verso l’ascensore, anche lei senza cappotto.

Corse fuori e lo trovò appoggiato al muro poco lontano dal distretto.

- Castle… Si può sapere cosa succede? - Gli chiese irritata per il suo comportamento ma preoccupata allo stesso tempo.

- Nulla, te l’ho detto, dovevo solo uscire un attimo.

- Così, senza giacca? Ti prenderai un malanno! - Lo rimproverò

- Sei senza giacca anche tu, non puoi farmi nessuna predica - Notò lui cercando di rallentare la furia di Beckett che sapeva poteva scatenarsi da un momento all’altro.

- Andiamo Castle, non ho nessuna voglia di scherzare e di giocare, che c’è? - Chiese ancora spazientita.

- Nulla. Vai su o ti raffredderai. - Si spostò dal muro e prese a camminare nella direzione opposta a dove era lei che però non rimase a guardare ma lo seguì.

- Non mi piace questo atteggiamento da bambini, Castle. - Glielo disse con voce fredda almeno quanto la temperatura lì fuori, fermi in mezzo al marciapiede mentre le persone che passavano li schivavano indispettiti.

- Ti amo Beckett. - Sospirò Rick.

- Ti amo anche io Caste, ma cosa c’entra questo ora? - Chiese non sapendo se essere ancora più arrabbiata oppure no.

- Price. Come ti ha accarezzato. Io… Ho pensato a voi mentre… come noi… Capisci? - Glielo disse con una semplicità disarmante che la fece mettere a ridere di gusto.

- Castle, guardami. Non esiste un come noi. Con nessuno. Non è mai esistito. Sono stata chiara? - Era seria anche se ancora le veniva da ridere.

- Sì, ma… tu e lui… - Balbettava provando a giustificarsi facendo strani gesti con le mani mimando incastri, sentendosi anche un po’ stupido per quella reazione e a Kate veniva ancora di più da ridere, anche se in quel momento lo trovava anche terribilmente tenero. Lo baciò per farlo smettere di dire fesserie e sperava anche per farlo smettere di pensare a cose che lei non voleva nemmeno ricordare. Ed il bacio divenne presto molto più intenso di quello che pensava.

- Questo non è mai esistito con Price. - Lo baciò di nuovo, questa volta sfiorandogli appena le labbra. - E nemmeno questo.

Castle rimase inebetito ma il suo sguardo fu attirato dall’agente McGregor che li guardava sorridendo vicino all’entrata del distretto e che aveva appena dato una gomitata al suo compagno per fargli vedere anche a loro cosa stava facendo il detective Beckett.

- Kate - le sussurrò all’orecchio come se stesse per rivelarle un segreto di stato - McGregor e Strasser ci stanno osservando e sghignazzano!

- Ah sì? - Si voltò a guardarli e sorrise ai due agenti beccati sul fatto. Poi tornò a guardare Castle e lo baciò di nuovo con impeto - Così avranno molto da raccontare agli altri. 

La voce maliziosa di Kate fece tornare il sorriso a Rick.

- Vado a prendere veramente il pranzo. - Disse lui alla fine.

- Sì, anche perché mi è veramente venuta fame. Ah… Rick - Lo richiamò mentre stava allontanandosi - Stasera ti faccio vedere tutto il resto che non è mai esistito. Preparati.

Beckett ammiccò maliziosa e poi corse verso il distretto, mentre Castle deglutì a fatica sentendo improvvisamente molto molto caldo anche senza cappotto.

Dopo aver parlato con Lerry Morrison Kate fu assalita da dubbi su quanto deciso solo la sera prima. Mentre Castle era fuori a prendere il pranzo aveva notato come Nick l’aveva guardata più volte per abbassare lo sguardo ogni volta che lei lo sorprendeva a guardarla. La seguì ancora quando andò a prendere una bottiglietta d’acqua al distributore automatico.

- Cosa vuoi Nick? - Beckett era ancora girata verso il macchinario attendendo che le desse il resto e l’acqua e vide la figura del detective riflessa nel rivestimento del distributore.