WHAT ABOUT US

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ON A DAY LIKE TODAY (prologo) ***
Capitolo 2: *** Now. And Then (part1) ***
Capitolo 3: *** Now. And Then (part2) ***
Capitolo 4: *** Back Home ***
Capitolo 5: *** A Team That Trust ***
Capitolo 6: *** Recovery ***
Capitolo 7: *** Mission ***
Capitolo 8: *** Blood ***
Capitolo 9: *** Eyes Wide open ***
Capitolo 10: *** What About Us ***



Capitolo 1
*** ON A DAY LIKE TODAY (prologo) ***


Ehi.
 
A quel richiamo, voce femminile e velata, May sollevò il viso dalle carte che stava esaminando:
- Buon giorno, Claire.
- Novità? – l’ultima arrivata si fece avanti di qualche passo, esitante.
- Per ora no. Vedremo al ritorno di Coulson, potrebbe esserci spazio per te nella prossima missione. Sempre che il direttore sia d’accordo.
La ragazza emise un sospiro, lento e profondo, chinando il viso a terra:
- Quando la smetterà, di farmi stare in panchina? Ho recuperato anche quello che ho dato a lui, di sangue..
- Che vuoi farci, O’Neill. L’hai voluto tu.
 
Un altro sospiro, prima di indicare alla propria mentore il fondo del corridoio:
- Preparo la colazione; ne vuoi anche tu?
- Il tuo solito?
- Se trovo gli ingredienti, sì. Yogurt, cereali e frutti rossi.
- Grazie, Claire. Per stamattina passo. Ma se bussi qui accanto magari trovi compagnia.
- Su questo sono io, a passare, Melinda. A dopo.
 
Mani sollevate in segno di resa, Claire s’avviò lungo il corridoio, constatando come il suo corpo avesse finalmente smesso di essere affaticato e pesante.
Sorrise, di fronte alla dispensa: gli ingredienti c’erano tutti, e la scatola dei cereali alla frutta sembrava chiamarla, dall’alto della mensola. Tese le dita, la raccolse, l’aprì e, mordicchiandosi leggermente le labbra, provò ad andare alla ricerca.
Un mirtillo. Buono, gnam. Oh, ecco. Un ribes rosso, i miei preferiti. Eccoti qui..
 
Uno sguardo intorno, a verificare che non ci fosse nessuno, nei paraggi, a beccarla in flagrante.
Un agente dello Shield che fruga nella scatola dei cereali alla frutta in cerca della frutta. Ti dovresti proprio vergognare, O’Neill..
 
May aveva scosso la testa, sorridendo fra sé e tornando ai propri documenti. Poi aveva percepito movimento, nella stanza accanto, e s’era alzata, arrivando fino alla porta. Ed aveva sorriso di nuovo, incrociando le braccia davanti a quelle spalle che percorrevano a fatica il corridoio, sorrette da un paio di stampelle.
Per quella mattina, Claire avrebbe diviso la colazione con un compagno inaspettato. E non sarebbe stata lei, a fermarlo.

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Capitolo 2
*** Now. And Then (part1) ***


Stark Tower, tre mesi fa
 
- Io continuo a chiedermi perché dobbiamo aspettarlo proprio noi, qui fuori, con questo freddo.- Stella strofinava inutilmente i palmi sulle maniche dell’uniforme tattica, poco oltre l’ingresso vetrato della hall.
Mai come in quel momento s’era trovata a darle ragione.
- Che vuoi farci – sollevò le spalle, continuando a percorrere il perimetro con lo sguardo – siamo le ultime arrivate.
Stella aggrottò le sopracciglia, scattando leggermente indietro col tono di un: ultima arrivata? Tu?
Claire scosse la testa, sorrise a tre quarti come sempre e tornò ad osservare la strada, mentre la collega si ritrovava a fissare lei, mettendo su una smorfietta.
 
Conosceva da poco e solo in modo superficiale Claire O’Neill: agente dello Shield brillante e poco conformista, allergica alle regole quanto bastava da lasciarla latitante per sei mesi prima di trovare motivazione al firmare gli accordi di Sokovia. Allieva fra le favorite di May, capace di sparare in movimento ed indifferentemente con entrambe le mani.
AH. E inumana.
 
Nessuno s’era mai sbilanciato più di tanto, quando era comparsa nello spazio radar, dotata di borsa in spalla ed aria stanca e pesticciata, scambiando con May un sospiro. Poi c’era stato tutto, l’attacco alla Tower, l’esplosione di quella sfera di energia portata da Loki per polverizzare l’essere nero evocato dall’Hydra. Tutto e tutto insieme. S’erano ritrovate, ferite, a dividere una stanza alla Facility ed era lì che Claire, metro e settanta di bellezza semicaraibica -che a lei faceva a dire il vero sensibilmente invidia-, aveva trovato il momento e il desiderio di uscirsene con quella domanda.
 
Per te com’è stato?
 
- La terrigenesi, intendi? – le aveva risposto, raccogliendo le gambe sul letto ed abbracciandosi le ginocchia. Claire annuiva, senza muoversi dalla posizione semisdraiata a cui la costringevano le ferite e la spalla fasciata e dolorante. E guardava un punto lontano.
- Beh..- un sospiro, una minuscola smorfia – è stato un trauma. Nel senso, è cominciato tutto con quelle capsule di olio di pesce che doveva essere tanto sano. Una delle mie amiche è stata inghiottita da quelle sabbie, l’hanno uccisa, non l’abbiamo mai più ritrovata. Io mi sono sentita come.. come qualcosa a stringere forte, fin dalla pianta dei piedi, e poi veloce su, a soffocare. Ecco, mi sono sentita soffocare. Credo sia stato un attimo, possono anche essere state ore. Ricordo di essermi svegliata nel soggiorno, circondata da polvere nera, frammenti di qualcosa che sembrava carbone. Ho pensato ad un sogno, ad uno stupido scherzo. Invece il mio sangue ha fatto rifiorire per davvero la piantina che mi moriva sul davanzale. Poi un giorno ho trovato una pattuglia dell’Hydra alla porta, e sono diventata prima una fuggiasca e poi un agente.
- L’hai scelto subito, da che parte stare?
- Più o meno. Mi ha addestrato la Romanoff.
Claire annuiva, con l’aria di chi un pizzico d’invidia non lo nasconde.
- Sì, dura davvero. E tu?
- May. Ero a detta di molti una delle migliori allieve della Cavalleria. Prima agente e poi inumana.
- Sei nello Shield da tanto?
- Otto anni, livello sette. Sara è stata molto più veloce.
- Sara è asgardiana per metà; al suo posto, anch’io avrei.. ma mi hai chiesto della terrigenesi. Per te, com’è stato? Nel senso.. hai acquisito poteri molto simili ai miei, anche il tuo sangue-
- Rigenera i tessuti, sì. Ho il potere di trasmettere le mie energie, la scocciatura è il tempo di recupero. Riesco a rigenerare anche le mie ferite, ma qualche volta servono settimane.
- E’ per questo che sei non operativa da tanto a lungo?
- Non proprio. Diciamo che più che in recupero fisico sono stata.. latitante.
- Un po’ come Cap.
- Già. Meno famosa, ma un po’ come lui. No, forse più come Barton.
- Hanno rinchiuso anche te nel-?
- No, non nel Raft. In un laboratorio. Quando ho scoperto di avere i miei poteri, non c’era ancora discussione sul rapporto tra umani ed inumani. Nessuno s’era preso la briga di esaminare il nostro DNA e classificarci come persone dotate di qualcosa in più. Nessuno ci vedeva come persone, ma come mostri e basta. La mia terrigenesi è stata così. E l’ho dovuta affrontare da sola.
- Beh.. più o meno anch’io. Ho potuto contare su qualche amico, ma questo dopo essere entrata in contatto con Stark e con lo Shield.
- Io ero già un agente. E discretamente brava, non lo nego. Mi è sempre piaciuto, aiutare gli altri, difendere i deboli dai prepotenti. Non ero una ragazzina molto.. femminile, al liceo. E neppure troppo popolare. Però picchiavo. Mi ha reclutata May, da sbandata che ero mi ha dato un obiettivo.- un sospiro, lento, profondo, spostando lo sguardo sulla compagna per un attimo, poi di nuovo lontano – quando è successo tutto, ero nel momento più felice della mia vita, nell’unico.. nell’unico di cui non avrei cambiato niente. Avevo.. avevo appena scoperto di essere incinta, e.. la luce con cui lui mi guardava..- uno sguardo, e ora Stella aggrottava le sopracciglia fortemente interrogativa – avevo una famiglia, un marito. Un agente operativo, come me. L’uomo con cui dividi una missione e.. ed è come se lo conoscessi da sempre, come se avessi trovato l’altra metà della tua mela; lui è.. perfetto, anche se un po’ pedante e rompiscatole, anche se adora essere il primo della classe, il supereroe.. a te non serve che faccia niente, per considerarlo un eroe, ti basta come ti guarda o come la sua mano ti guida anche solo per attraversare una porta. E lui lo sa. E ti ama per i difetti che hai, e tu lo sai. Era perfetto. Forse troppo perfetto, per non andare in frantumi..
 
Se chiudeva gli occhi lo vedeva di nuovo. E spesso riusciva a riviverlo, perdendo completamente il sonno per notti intere.
Era una mattina luminosa, la primavera intorno fioriva e lei era felice. Suo marito l’aveva salutata sulla porta, con un bacio, prima di ridere e tornare indietro a chiederne un altro:
- L’ultimo. Questo è l’ultimo per davvero. Per ora.
- Vai..- s’era sciolta a malavoglia dal suo abbraccio, prima di aspettare l’ultimo sguardo con un dito appoggiato sul naso – e sta’ attento.
- Sono in ufficio, O’Neill. Dello Shield, ma pur sempre un ufficio di pubbliche relazioni. La cosa peggiore che mi può capitare è rompermi una gamba.
- E tu vedi di non rompertela, signorino.
- Ok. L’ultimo, dai. Come portafortuna.
 
S’era deciso solo dopo dieci minuti, lasciandola a ricambiare il suo sorriso dal confine della porta. Lei aveva aspettato, il palmo steso sulla pancina che già iniziava a mostrarsi. Poi era tornata alle piccole faccende di ogni giorno, quelle che da meno di una settimana occupavano le prime ore di ogni suo mattino da agente dello Shield in aspettativa di maternità.
May s’era fatta promettere il ruolo di madrina. Era solo al quarto mese, e già se le immaginava, zia e cucciola, a fare la lotta sul prato. Sorrise, ancora, di una luce che non avrebbe mai uguagliato quella negli occhi di suo marito, il giorno in cui aveva osato dirglielo.
 
Aspetto un bambino..
 
Due anni di relazione, prima clandestina, poi alla luce del sole. L’anello, quel suo andare in cerca di carezze dietro la nuca ricambiando con un milione di baci, in ogni ora di libertà conquistata.
E i suoi occhi del colore del mare, le braccia capaci di proteggerla da ogni cosa.
 
Da ogni cosa. Escluso lui.
 
Quella mattina era felice. Felice come sempre, fin da quando gli era arrivata alle spalle, sorprendendolo a copiarla nel suo cercare i frutti rossi nella scatola dei cereali. L’aveva abbracciato, s’era lasciata coccolare e gliel’aveva detto.
Lui non aveva risposto, se non con un lunghissimo bacio e quella luce negli occhi. La cosa più bella che avesse mai visto, in tutta la sua vita.
 
E quella mattina era felice, giocherellando con le chiavi dell’auto, pensando a lui e ai suoi occhi del colore del cielo e del mare, alla piccola che portava in grembo –perché sì, sarebbe stata una femmina, e avrebbe giocato alla lotta con zia Melinda e avrebbe dormito arrampicata sul petto di papà-, ed alla vita che era diventata finalmente bellissima e perfetta.
 
- Andiamo a nuotare; sei felice, piccolina? – aveva mormorato, entrando nella vasca piccola della Grant Park Pool, dopo aver attraversato una manciata di vie dei sobborghi di Atlanta ed aver parcheggiato nel solito posto.
L’aria era tiepida e frizzante, la struttura ancora poco frequentata. L’ora che preferiva, prima che intorno tutto si riempisse di corse e di grida. Claire era entrata nella vasca e, dopo soltanto qualche bracciata, aveva sentito qualcosa di strano. Non se n’era curata più di tanto; l’acqua a quell’ora era sempre piuttosto freddina, era quasi normale che avvertisse quei brividi.
Muoversi, muoversi.. – s’era detta, percorrendo la vasca una volta, due. Avanti e indietro, senza fretta.
Alla terza, quel gelo non voleva lasciarla. Anzi, sembrava trasformarsi in una morsa, come se qualcosa di invisibile stesse cercando di intrappolarla, a partire dai piedi, poi su lungo le gambe ed il busto.
Aveva annaspato, arrivando a fatica alla scaletta e tirandosi a terra a forza di braccia. E quello che aveva visto aveva cambiato il gelo in terrore.
Le sue gambe. Non riusciva più a muoverle, ed una specie di crosta nera le stava divorando.
Non era riuscita neppure a gridare per chiedere aiuto.
 
Gli occhi si riaprivano, ed ora la luce amica del sole sembrava volerla ferire. Dentro, il vuoto più totale. Fuori, i muscoli che non avevano più alcuna forza, il respiro che tornava a fatica come fosse rimasta sott’acqua per ore. Il calore del corpo di suo marito, addosso, le sue braccia che cercavano di sostenerla.
 
Un malore. Aveva avuto un malore in piscina, questa la spiegazione frettolosa di Jeff. Le sue mani che si facevano gelo al contatto, nonostante le stringessero ancora le dita.
La luce che cambiava, nel suo sguardo di mare. E quella polvere nera sparsa attorno, priva di ogni spiegazione.
 
Neppure il tepore di quel letto d’ospedale era riuscito a scaldarla.
Lui continuava a definirlo malore, o incidente. La realtà era che, qualunque cosa fosse stata realmente, aveva ucciso la sua bambina. E suo marito non la guardava più se non con gli occhi di chi vede un mostro.
 
Poi erano arrivati loro, mentre ancora il dolore la stordiva. Loro, i camici bianchi e le mascherine. L’avevano prelevata per destinarla a qualcosa che da ipotesi stava diventando una certezza.
Non era stato solo un malore. C’era qualcosa, in quell’acqua. Lo chiamavano cristallo terrigeno, lo Shield ne cercava da mesi. Lei era sopravvissuta. Era un’inumana.
 
Un mostro.
 
Non ne avevano avuto prova fino ai risultati dei primi trattamenti. Il medico non riusciva a spiegarsi la velocità con cui i traumi interni post-aborto erano scomparsi, tutte le micro ferite rimarginate in meno di ventiquattr’ore. Senza spiegazione, per una cosa che naturalmente avrebbe richiesto almeno due settimane.
Ma era stato necessario altro, per dare a suo marito tutte le prove di cui aveva bisogno.
 
Claire non sembrava averlo sopportato. La perdita improvvisa di un figlio, il vuoto. Il mondo che le andava in frantumi senza che fosse colpa sua.
Era una mattina limpida e serena anche quella, e lui non l’aveva salutata coi soliti ultimi baci. Non aveva neppure sorriso, chiudendosi la porta alle spalle. Lei era andata al tavolo di cucina, aveva estratto uno dei coltelli senza emettere un fiato, l’aveva piegato ad incidersi un polso.
Un istante, e il sangue le bagnava i vestiti. Un altro ancora, e la ferita si rimarginava sotto il suo sguardo carico di lacrime.
 
L’aveva sollevato, ed aveva visto lui.
 
Era tornato indietro. Era tornato, nonostante il dolore avesse spento anche la sua, di gioia. Claire era e rimaneva sua moglie, l’avrebbe protetta per sempre, anche se tutto era cambiato.
Non era stata colpa sua.
 
La ferita si rimarginava, e tutto quello che era riuscito a fare era stato chiamarli.
 
L’ultima cosa che riusciva a ricordare, quella che la svegliava se il sogno non terminava col suo annaspare al bordo della piscina, era il suo sguardo.
C’era un mostro, dentro di lei. E suo marito l’aveva abbandonata.

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Capitolo 3
*** Now. And Then (part2) ***


Si trovò a deglutire, chiudendo gli occhi, senza accorgersi della presenza di May oltre il fianco di Stella.
- Ehi.- la voce scura della propria mentore la riportò bruscamente alla realtà di quella strada di New York e della sua aria fredda. Non riuscì a non rabbrividire.
- Ehi.
- Ci sei anche tu? – Stella non s’era accorta di nulla, e continuava a strofinare i palmi sull’uniforme.
- Ho pensato poteste avere bisogno.- Melinda lanciò un’occhiata molto eloquente all’indirizzo di Claire, Stella ne seguì il raggio ma non comprese dove volesse andare a parare.
L’agente O’Neill si limitò ad annuire, quasi impercettibile.
- Non potevamo aspettarlo dentro? – Stella ignorò anche questo e sospirò, pesante - Ok l’etichetta, ma qui si gela, e se devo proprio dirla tutta, a me il nuovo direttore non è per niente simpatico.
- Se è per quello, neanche a me. Ma c’è la stampa.- May mise su una smorfia scura, indicando microfoni e telecamere tenute a distanza dalla polizia – e lui adora queste cose. Più di Tony.
- Infatti Tony è su a preparare per l’inaugurazione. Al caldo.
- Ragazzina noiosa..
 
Oltre le spalle di Stella, Claire si lasciò andare a sorridere, piegando la testa per un attimo.
Un sorriso dei suoi. A tre quarti, quasi spento. Come tutti quelli che le aveva visto fare, dal giorno in cui era andata a riprendersela alla clinica di ricerca dello Shield.
- Sei sempre decisa a firmare gli accordi? – le disse, in un sospiro.
- Credo sia l’unica alternativa che ho.- rispose Claire, allo stesso modo – o così, e comunque utile alla causa, o ricercata. E magari stavolta mi sbatterà nel Raft.
- Non lo farebbe.
- Non lo conosci abbastanza, Melinda. Ora che è-
 
Il vociare improvviso della stampa le troncò il discorso a metà. Alla loro destra, tre SUV neri e piuttosto imponenti accostarono in fila lungo il marciapiede, a scorta di una berlina dai vetri oscurati.
Colleghi armati, al cui saluto Melinda rispose con un cenno delle dita. Uomini in giacca e cravatta, che le bypassarono ignorandole completamente.
Ultimo a scendere dall’auto di rappresentanza, il nuovo direttore dello Shield.
 
- Sì, Burrows, tranquillo..- dita a stringere il cellulare, voce raggiante ed un filo sbruffona, scivolava oltre la portiera e si dirigeva verso l’ingresso –verso di loro- con la solita aria da orgoglioso comandante dell’isola che non c’è –come lo definiva Stella- e discuteva di piani ed impegni con il suo fido servo della gleba in giacca e cravatta –questa era di May- muovendosi a passi spavaldi e decisi –..avrai il tuo servizio fotografico domani mattina. Sì, sì. Ci vediamo alla base. Nove in punto.
 
Stella e Melinda sospirarono, senza evitare un minuscolo sguardo in su recitato in coro, in risposta al suo sorriso aperto e al suo cenno. Claire gli sollevò addosso occhi di puro ghiaccio.
Ferma, immobile, rimasta alle spalle delle compagne, non accennò ad un saluto, ad un sorriso. A nulla.
 
Il sorriso spavaldo morì completamente sulle labbra di Jeffrey Mace.
 
La festa per l’inaugurazione della ricostruita ala della Tower procedeva senza intoppi, fra un discorso ed un brindisi. Il Segretario di Stato in persona aveva accolto il nuovo direttore al suo ingresso nella Lounge, dopo un’interminabile salita in ascensore.
 
- Allora, May, sono tutti pronti? – aveva cercato di sfuggire all’improvviso balzargli del cuore in gola, affiancandosi alla donna e precedendo il resto della piccola scorta attraverso la hall, dopo aver finto il migliore dei propri sorrisi e salutato la stampa.
- Sì. Credo manchi solo lei.- rispose quella, un filo indifferente, precedendolo e chiamando l’ascensore.
- Io intendevo.. per domani.
- Ah. Domani, sì. Gli agenti hanno accettato, tutti e sei.
- Bene.- replicò lui, affiancandola contro la piccola parete a specchio, e voltandosi verso la porta -..bene.
Stella sembrava esitare a seguirli, lanciando occhiate alla collega come stesse aspettando il permesso.
- Salite? – fece May.
- Prendiamo le scale.- fu la risposta di Claire. E fu qui che l’uomo osò parlarle direttamente:
- No, non.. non occorre, non abbiamo nulla di riservato da discutere; potete.. potete salire con noi.
 
L’agente O’Neill affiancò la compagna, senza rispondere e posizionandosi di fronte alla porta, a dargli le spalle. Ed in quello spazio calò un silenzio imbarazzante, rotto soltanto dal segnale dell’arrivo al quarantesimo piano. Dopo un istante che sembrò infinito.
 
Poi, il sorriso aperto del Segretario di Stato e il suono della sua voce, a disperdere il piccolo gruppo.
May si congedava con un cenno, e si allontanava verso compagnia più gradita, e la coppia di agenti più giovani veniva affiancata da una presenza scura e visibilmente a disagio.
- Ragazze..
- Ciao, Dead Man Walking.- Stella accettò con nonchalance il calice che il giovane in uniforme tattica le porgeva – oggi sembri meno pallido del solito, tutto ok?
- Quanto sei simpatica, Collins – quello assottigliò appena gli occhi – Claire, vuoi-?
- No.. grazie, Ward.
- Non vuoi stordirti, nell’ultimo giorno che abbiamo da liberi cittadini?
- Perché, sei soggetto alla firma anche tu? – Stella aggrottava le sopracciglia – non credevo che-
- Beh, non ho.. attraversato una terrigenesi, ma dopo quello che mi è successo e l’ingente quantità di sangue di voi tre che mi circola nelle vene, il nuovo boss ha ritenuto opportuno che mi uniformassi allo standard.- un sorso, una minuscola smorfia.
- Va tutto bene? – si preoccupò Claire.
- Le ferite non si vedono quasi più. Il tuo sangue è anche più potente di quello della piccola asgardiana – lui accennò col viso a Sara, che poco distante rideva e chiacchierava con suo padre, dotato di busto irrigidito e braccio al collo.
- E per quanto riguarda il resto?
- Vuoto. Totale.- lui indicò appena la propria testa – non.. non riesco neppure a ricordare di averti rotto il braccio, non so come, non so quando.
- Non importa. Io mi rigenero, sai.- lei sollevò appena le spalle – mi ci vuole un po’, ma poi torno come nuova. Tu, piuttosto.
- Ho dei flash. Immagini, o voci. Oppure sensazioni, come un odore o un suono. Ricordo un posto che so di aver già visto, lo conosco come il bus ma non so da dove derivi il nome. Vedo quella ragazza.. so che si chiama Jemma, non so come faccio a conoscerla. La vedo piangere, mi ripete è stata tutta colpa tua. Sento le mani congelare, sono in un posto chiuso e l’unica cosa di cui sono sicuro è che sto morendo. E c’è il sangue, ma non è il mio. E’ il suo.- un cenno, di nuovo rivolto a Sara -..di Skye.
- Hai bisogno di un paio di sedute nella macchina dei ricordi.- alle sue spalle, dotato di uniforme e coppia di bicchieri, James coi suoi ciuffi disordinati ed una smorfia di fastidio dipinta sulle labbra.
- A te sono servite, sergente?
- Più o meno.- quello sollevò le spalle – O’Neill, lo sai che in questi appuntamenti è obbligatorio brindare? – e le tese il calice in disavanzo, convincendola ad accettarlo:
- Firmerai anche tu, James?
Quello sollevò le spalle:
- O così, o rinunciare alla mia donna, alla mia nuova vita. E io sono stanco, di rinunciare.
- Allora agli accordi.- Grant sollevò il bicchiere.
- Alla nostra sfiga.- replicò Claire, toccandolo col proprio.
- Alla sfiga.
 
L’angolo del bar era improvvisamente diventato un demone tentatore, e dopo essere rimasta parecchio a passeggiare fra un angolo ed un altro senza mai farsi avanti a salutare o stringere mani, Claire andò ad appoggiarci le braccia con una tremenda voglia di essere ovunque tranne che lì.
In una ciotola un po’ defilata, una manciata di cereali tra cui spuntava la macchia colorata di qualche ribes rosso. Un sospiro, un minuscolo sorriso, e le dita si tesero in automatico ad isolarne uno, portandolo alle labbra con fare furtivo.
I frutti rossi erano da sempre la sua tentazione. Non ci poteva fare niente, soprattutto quando si trattava di pescarli dalla confezione dei cereali. Una lacrima sfuggì al controllo delle palpebre, tendendo le dita a raccoglierne un secondo.
 
- Ne hai dimenticato uno.
Una voce la sorprese alle spalle. Scura, maschile, ridotta ad un velo. Dita grandi e ben curate a raccogliere un altro ribes dalla ciotola per porgerglielo con un sorriso.
A tre quarti, come il suo.
 
Si scosse, sperando che l’uomo comparso al suo fianco non avesse visto quella lacrima. Sperando che se ne andasse, che qualcuno lo chiamasse lontano da lei.
- Non ha di meglio da fare, signore? – la sua voce vibrò appena, mentre in automatico il corpo cercava di sfuggire a quel contatto.
- Non eri presente, prima, quando ho dato le direttive per domani. Ho pensato di informarti di persona.
- Non si doveva disturbare.
- Claire.
- Stia tranquillo, signore. Non le farò fare brutta figura.
 

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Capitolo 4
*** Back Home ***


Shield Strategic Unit, tre mesi fa
 
L’alba le portò un paio di borse da caricare in spalla ed una stanza d’albergo da sgombrare. Un SUV nero col logo dello Shield sulla fiancata l’aspettava al bordo del marciapiede, e per un istante si trovò a pregare che lui non fosse lì.
 
Lo sguardo di May voleva dire tante cose, al confine col portello del Quinjet.
- No, non te lo dico.- rispose alla sua smorfia, tendendo una mano a raccoglierle una borsa, affiancandola fuori dall’hangar e lungo il corridoio della base – semplicemente perché so che se ti dicessi buongiorno tu avresti la risposta pronta, e contenente parolacce. Ti aspetta.
- Scusa?
- Lui. Ti aspetta.
- Firmiamo in sei, oggi.
- Sì. Tu, Helena, Joey, Stella, Ward e il sergente Barnes. I ragazzi hanno già dato, Helena è dentro ora. Loro ripartiranno subito, per voi.. reclute, al momento non abbiamo missioni, quindi resterete qui alla base.
- Fino a data da destinarsi.
- Spero sia il prima possibile; sono stanca anch’io, di restare in panchina ad occuparmi di scartoffie. Mi manca, un po’ d’azione.
- Potremo allenarci insieme, quando ti va.
- Ok. Tu come stai?
- Perché me lo chiedi, Melinda?
- Così – quella sollevò le spalle, indicando con un cenno il fondo del corridoio – non posso chiedere come sta alla mia allieva prediletta?
- Grazie. Ne sono lusingata.- Claire mimò un inchino, seguendola fino ad una piccola serie di porte numerate ed aspettando che May ne aprisse una – quanto alla tua domanda.. bene. Un po’ a pezzetti, come sempre. Ma anche stavolta ho recuperato. M’è andata peggio quando Dead Man Walking mi ha rotto il braccio.
May si lasciò andare a ridere, appena: Stella non s’era risparmiata neanche stavolta, con quella sua brutta abitudine ai soprannomi. Ward se lo sarebbe portato dietro finché non sarebbe morto. Di vecchiaia.
- Ok; questo è il tuo alloggio – tese le chiavi alla ragazza – come lo preferisci, singolo. Il tuo bagno è lì: è grande un francobollo, come il mio. Fra dieci minuti davanti agli uffici, dove hai visto lo stemma dello Shield. In uniforme tattica.
- In-? Stai scherzando, spero.
La risposta di May fu un cenno con la testa, a confermare il no.
- In uniforme per una stupida firma? – Claire ora incrociava le braccia, mettendo su una smorfia fra l’incredulo ed il fortemente scocciato.
- Ha detto così. Ordini del direttore. Non sbottare; dovresti sapere com’è fatto.
- Sì.. a forma di stupido idiota arrampicatore narcisista!
- Hai dimenticato stronzo.
 
Claire raccolse il respiro, strizzando per un attimo le labbra.
- Brava, così. Decomprimi, non vorrai mettergli le mani addosso al tuo primo giorno.
- No, May. Le mani addosso no. Uccidere. Mi piacerebbe di più.
- Vacci piano.- una mano sulla spalla, e Melinda era oltre la porta.
 
Stella la salutò con una minuscola smorfia e le dita tese alla fronte, arrivandole incontro nel corridoio dell’area operativa. Lasciandola a domandarsi se avesse coniato un soprannome anche per quell’antipatico del nuovo direttore, e se gliel’avesse già chiesto anche lei, a Coulson, il perché.
 
- Dopo quello che è successo, allo Shield e non ultimo anche a me..- era stata la risposta, quando gli era toccato ascoltarla da lei, quella domanda. Accompagnata dal sollevare a fatica il braccio fasciato sotto cui nascondeva l’attesa per la nuova protesi della mano -..ho ritenuto opportuno farmi da parte.
- Non hai mollato dopo quello che è successo alla Stark Tower, e lì non eri ridotto meglio, Phil. Perché ora?
- Perché abbiamo bisogno di sangue nuovo, dato che presto torneremo ad esistere ufficialmente. Parole del Segretario di Stato. E sì, gli accordi li ho firmati anch’io, credo dovresti farlo anche tu. Ma volevi chiedermi perché lui, no?
Claire aveva annuito, abbassando il viso a terra e poi tornando ad osservarlo aspettando risposta.
- Perché è un inumano, O’Neill. Come te. Perché i tempi sono cambiati, da quando l’hai affrontata tu, la terrigenesi. Perché è ora che tutti capiscano che non c’è differenza fra umani e inumani, che possiamo aiutarci a vicenda invece che farci la guerra. Non mi sembri colpita; lo sapevi?
- Che è diventato un mostro come me? Credo che il giorno in cui me l’hanno detto sia stato il più bello della mia vita. E sai qual è stata, la prima cosa che ho pensato? Ecco, stronzo. Ora hai quello che ti meriti; ora lo sai, cosa si prova.
- Lo sa.
- Ti cambia la vita, no? – la voce della ragazza s’era fatta disperata, carica di rancore. Phil era rimasto impassibile, leggero.
- No.- le aveva risposto – sa cosa vuol dire affrontarlo da soli.
 
Stella oltrepassava una delle altre porte a vetri, ad accoglierla c’erano altre voci femminili, domande e commenti. Come quando hai appena passato un esame a scuola.
Di fronte allo stemma non c’era nessuno, la porta a cui l’aveva indirizzata May era chiusa. Poteva percepire due voci, all’interno: un uomo e una donna. Domande, risposte. Quella più scura le mise addosso un brivido di rabbia, e dovette arginarlo appoggiandosi spalle al muro e stringendo forte le mani sulle braccia.
 
Movimenti, poi una ragazza dai tratti latini faceva capolino, accennando un saluto. Non appariva per niente felice, di quell’obbligo. Esattamente come lei.
- O’Neill? – le chiese.
- Sì.
- Rodriguez, Helena.
- Claire.- lei strinse quella mano tesa, felice che la collega avesse deciso di fermarsi un attimo aiutandola ad alleggerire l’atmosfera – le altre si sono radunate di là.
- Thè e biscottini, scommetto.
- Io preferirei di gran lunga una birra.
- Credo che andremo d’accordo, io e te, O’Neill.- Helena le aveva strizzato l’occhio e s’era allontanata, in direzione compagne, chiacchiere varie e generi di conforto. Un istante, e si fermava, con l’anta fra le dita – ah: vai. Sei l’ultima, ti aspetta.
 
Un sospiro, rimanendo per un lunghissimo istante col pugno sollevato di fronte a quella porta socchiusa.
Poi, quella voce.
- Avanti!
 
Non si mosse, continuando ad esitare. Come se il suo corpo stesse prendendo tempo per elaborare una strategia di fuga. Poi all’improvviso l’anta si aprì e le comparve davanti un uomo.
No, non proprio uomo, più un gigante. Altissimo, nero, baffi e sguardo per niente amichevole. Si ritrovò a fissarlo da sotto in su nonostante il proprio metro e settanta, ingaggiando una silenziosa gara a chi appariva più duro. Finché la voce di prima non scosse quella specie di strano equilibrio:
- Cecilio, spostati dalla porta. Lascia passare l’agente O’Neill.
L’uomo eseguì, portandosi alle sue spalle, lasciandole scoperta la vista dell’essere che in assoluto odiava di più sull’intero pianeta.
- Prego, accomodati.- un sorriso che appariva totalmente di circostanza, la mano tesa ad indicarle una delle poltroncine davanti alla propria scrivania. Claire mosse due passi, e lasciò in sospeso l’invito:
- No, grazie.
 
Per la seconda volta in due giorni, il sorriso del direttore moriva, sulle sue labbra. Lo vide piegarle ingiù, masticare amaro. Non accennò ad un movimento, restando in piedi ad un passo dalla scrivania.
- Ti ho convocato perché devo parlarti, e sono felice..- l’uomo ora si sedeva, passando le dita nel nodo della cravatta e continuando a sostenere il suo sguardo gelido -..sono felice che tu sia arrivata per ultima, così avremo più tempo a disposizione. Come ben saprai-
- Dove devo firmare?
- Con calma, O’Neill. Lasciamici arrivare.
- Prima le impronte digitali? – continuò lei, senza perdere quel tono vuoto ed aspro.
- Siediti, per favore. Cecilio..- lui sollevò lo sguardo, fece un cenno al gigante nero – puoi lasciarci soli? E chiudi la porta.- attese che quello scomparisse, ed osò piegarsi appena in avanti, appoggiando i gomiti sulla scrivania, per tornare a rivolgersi a lei – credo ti abbiano informata, in merito ai vantaggi che firmare gli accordi ti-
- Sono già al corrente anche di tutti gli svantaggi, grazie.
- Non.. non mi risulta ci siano svantaggi, nell’operare in completa legalità e nel rispetto di-
- Quelli li ho già provati per esperienza diretta, due anni fa. Grazie.
- Stai cercando di farmela pagare?
- Credo tu abbia pagato già abbastanza, Jeff. E sono felice che tu l’abbia fatto da solo. Come me.
- Lo.. sai? – adesso lui la fissava con aria sorpresa, ferita.
- So tante cose, di te. Che sei un arrivista, un bugiardo. Che non sei il grande eroe che tutti credono. E molte altre ancora. Strano, visto che sei morto due anni fa.
- Claire.
- Sei morto, Jeff. Ti è bastata una telefonata. Devo firmare? Firmo. E tu firma le carte del divorzio.
- Claire.
- Agente O’Neill.- ringhiò lei, puntando le mani sulla scrivania e finendogli fronte a fronte - ..signore.
 
Davanti a lei, quegli occhi ora erano del colore del mare in tempesta. E le mani, strette a pugno, vibravano appena. Il direttore spostò lo sguardo, prese il tablet su cui raccoglieva i dati ufficiali relativi alla schedatura degli agenti potenziati, lo posizionò davanti a sé e con un semplice movimento del proprio pass attivò la pagina relativa alla donna che aveva davanti.
Claire Anne O’Neill Mace.
 
La vide ritrarsi, fissare quel nome sotto la propria foto come avesse visto un demone.
- Mi dispiace; lo.. lo farò modificare, appena possibile.- mormorò, quasi impercettibile, evitando di guardarla mentre raccoglieva la penna e firmava tralasciando quell’ultimo cognome. Confermò con un tasto, le passò il tablet e le indicò uno spazio in basso – impronta del pollice destro – infine ripeté l’operazione di conferma ed esitò per un lunghissimo istante, prima di effettuarle la scansione della retina.
Claire sollevò il viso e lo lasciò fare, guardando avanti a sé come fosse stato trasparente.
 
Sei morto due anni fa..
 
- Puoi.. puoi andare. Grazie.- mormorò, di nuovo – quando sarai ritenuta idonea per una missione, ti farò-
Lei non attese di sentirgli neppure finire la frase. Voltò le spalle, ed in un attimo era fuori da lì.

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Capitolo 5
*** A Team That Trust ***


La base appariva sempre molto silenziosa, la mattina presto. Poche voci, poche giacche e cravatte, come le definiva Sara, tirando pugni al sacco al ritmo del rock e desiderando di poter tornare al più presto a dormire nella propria comoda suite alla Stark Tower. O un day off, di quelli modello Romanoff, a base di shopping e idromassaggio aromatico.
Andava bene anche una missione. Tutto, pur di uscire da lì.
 
Fu ascoltata, e nel giro di una settimana l’intero organico degli agenti operativi al momento liberi fu convocato nell’ufficio del direttore.
 
Claire arrivò strategicamente per ultima, in modo da poter rimanere nelle retrovie. Più vicino alla porta, o meglio più lontano da lui. Lo sguardo con cui l’accolse Phil Coulson recitava un non dare di matto, ti prego scritto a caratteri cubitali.
Sorrise, appena, affiancandolo e rimanendo in ascolto senza fiatare.
 
Il direttore esponeva dati e li mostrava grazie alla parete olografica che riempiva un lato dell’ufficio, Fitz aggiornava sui risultati tecnici, Simmons proseguiva prendendo la parola in merito a nuovi avvistamenti di soggetti con particolari capacità e determinati fattori di rischio. Coulson era lasciato libero di elaborare una strategia e renderla pubblica, qualcuno annuiva. Mack opponeva le sue consuete obiezioni.
Fosse per lui, armi spianate e via andare..- commentò una voce accanto a lei. Non si prese neppure la pena di ribattere.
 
Ora il direttore riprendeva la parola, e definiva team, funzioni e posizioni. Il suo nome non compariva da nessuna parte. Ecco, ora comprendeva lo sguardo con cui Coulson l’aveva lasciata entrare.
 
Li lasciò uscire, a piccoli gruppi, pronti alla partenza. Deglutì, mentre quella voce continuava a ripetere non dare di matto, non dare di matto. Attese che gli ultimi fossero usciti e senza dire nulla si accodò a loro.
- Claire.- quella voce la fermò con l’anta fra le dita. La ignorò, scivolando nel corridoio.
- Agente O’Neill.- la voce si alzava leggermente, e una mano del suo proprietario le raggiunse il braccio, bloccandolo e trattenendola sulla porta – aspetta. Dobbiamo parlare.
- Credo non ci sia niente, di cui parlare, signore.- rispose, cercando di mantenersi impassibile – non sono idonea, non esco in missione.
- Ho bisogno di te. Qui. Al momento, sei la risorsa più importante che abbiamo; il tuo sangue-
- Credevo l’avessero già analizzato abbastanza.
- Il laboratorio deve effettuare alcuni prelievi, niente di invasivo. L’obiettivo è ricrearne le capacità senza costringerti ogni volta a quelle trasfusioni che ti rendono inabile per settimane.
- Quindi non sono più un agente, ma una cavia da laboratorio.
- Ognuno qui ha la sua funzione specifica, Claire.- lui le lasciò andare il braccio, osando chiamarla per nome e sostenendo il suo sguardo – la tua, al momento, è dare il tuo contributo per salvare vite. Solo se ognuno rispetta il proprio ruolo, il team funziona. Consapevolezza e fiducia. E un team in cui c’è fiducia, è un team vincen-
A quelle parole, anche l’ultimo residuo di autocontrollo le andò in frantumi.
- Fiducia?! Siamo qui a parlare di fiducia? – un attimo, ed aveva già alzato la voce, attirando l’attenzione di chiunque fosse nei dintorni, comprese Jemma e Stella nel laboratorio in fondo al corridoio – ma ti stai ascoltando, Jeff? Ci credi davvero, a queste stronzate da campagna elettorale? Fiducia.. parli proprio tu.
- Claire.- lui aveva teso le mani, cercando di arginarla. E si guardava intorno con fare quasi terrorizzato – ti prego. Ragiona.
- Certo, Claire, ragiona! Forza, dillo! Dillo, che ti servo per i tuoi giochetti, per fare il grande con i media e l’opinione pubblica, che chi se ne frega se sacrifichiamo, e analizziamo, e facciamo a pezzetti un povero mostriciattolo, l’importante è che il grande mitico fantastico direttore dello Shield ha trovato la cura per qualunque ferita! E perché no, per la morte! Facciamogli una bella foto, mettiamolo in prima pagina! E perché non la verità? Eh, Jeff, perché non la verità? Perché non racconti a tutti chi sei, dietro quella bella maschera? Dillo a tutti! Raccontala per com’è, la fantastica storia del patriota, del grande eroe di Vienna..- la donna ora ringhiava, carica di odio, rancore e dolore, ed alzava ancora la voce in mezzo a sguardi imbarazzati – l’uomo che ha salvato la vita di una donna dal crollo del palazzo delle Nazioni Unite! E ha distrutto quella di sua moglie.
 
Senza parole. L’aveva lasciato congelato e privo quasi del respiro. Ora il direttore abbassava lo sguardo e si ritirava in ufficio, sbattendosi la porta alle spalle, di fronte ad un imbarazzatissimo Burrows.
- Dillo pure alla stampa, burattino di legno.- sibilò lei, all’indirizzo di quest’ultimo, prima di muovere i passi lontano da lì.
 
Oltre la vetrata del laboratorio, Stella e Jemma si scambiavano sguardi fra l’impaurito e lo sconvolto.
Non ha mai fatto così..- recitava il labiale della prima, mentre la seconda mimava l’atto di provare del freddo.
Il direttore litigava con la nuova arrivata. Il perché non era affare loro; l’unica cosa per cui avrebbero chiesto volentieri una spiegazione era il perché Mace si fosse arreso per primo.
 
Un attimo, e May fece il suo ingresso sorprendendole. Un sospiro, pesante.
C’è qualcosa che forse dovreste sapere.

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Capitolo 6
*** Recovery ***


Shield Research Labs, dieci mesi fa
 
Era riuscita a piangere solo per lui. Per averlo perso, perché sapeva che sotto la pelle di quel mostro c’era ancora lo sguardo di Andrew, e che quel cuore non aveva mai smesso di amarla.
 
Doveva aver sofferto. Tantissimo, nel vedersi soffocare e poi trasformare da quella polvere, nel sentirsi solo e diverso. Nel morire dentro, un giorno per volta.
Non aveva potuto evitare che venisse catturato prima ed ucciso poi. E non avrebbe permesso che succedesse una cosa del genere a qualcuno a cui teneva. Mai più.
 
Il pensiero le era andato in automatico a Claire.
 
La sua allieva prediletta. La più dura fuori e la più fragile dentro. La persona più simile a lei, più vicina alla sorella che avrebbe desiderato. Rinchiusa in un laboratorio di ricerca, con la sola motivazione del suo essere diversa.
Non poteva sopportarlo un giorno di più.
 
La pausa di riflessione non sarebbe durata a lungo, questo lo sapeva. Troppo il desiderio di tornare operativa, troppa la voglia di combattere. Un’unica richiesta all’indirizzo di Phil Coulson e, come sempre nei limiti del possibile, lui l’aveva ascoltata.
- Lui lo sa? – le aveva teso quei documenti, piegando appena la testa in un cenno di disapprovazione.
- Credi che m’importi? – gli aveva risposto, indifferente, aprendo la cartella e piegando le labbra in una smorfia – Claire Anne O’Neill Mace? Mi prendi in giro? L’ha registrata col suo cognome?
- E’ suo marito, May.
- E l’ha fatta rinchiudere in un laboratorio, Phil! L’ha abbandonata in mezzo a ricercatori pronti a farla a pezzi per capire che senso abbiano le sue capacità!
- Anche tu hai dovuto aiutarci nella cattura di Andrew.
- Ma la sua trasformazione lo rendeva pericoloso! Uccideva inumani, non importa la motivazione. Claire no!
- Il suo sangue è una risorsa, May. Può salvare delle vite.
- E per questo deve vivere la sua dentro una cella? Come una cavia invece che un essere umano? Non sei stato il primo, a parlare di integrazione e tolleranza? E tua figlia cos’è? Rinchiuderesti anche lei come-?
- Ho capito, ho capito. Vai a prenderla. Lui non ti ostacolerà, ci penso io.
- Bene. Pensaci tu. Perché se me lo trovo davanti lo uccido.
 
Non era stato troppo difficile, entrare nei laboratori né ottenere un permesso per far dimettere la paziente.
Gli ordini del direttore Coulson non si discutevano.
 
Dimettere la paziente..- pensava, scuotendo la testa e masticando amaro, in attesa che un infermiere aprisse la porta di quella che appariva a tutti gli effetti come una cella di contenimento. Bianca, asettica, priva di qualsiasi elemento avesse potuto trasformarsi in arma e nuocere all’incolumità degli estranei e del paziente.
Del prigioniero, casomai.
 
La porta scorreva di lato, l’infermiere le faceva cenno di entrare e la lasciava sola con Claire.
Con il fantasma, di Claire.
 
Magra, magrissima. Viso pallido e stanco, occhi segnati dal pianto e dalla mancanza di sonno. L’immagine del dolore puro.
- Ehi..- aveva teso una mano, l’aveva vista ritrarsi – sono io, Claire. Ti porto via da qui.
La ragazza aveva mosso un passo, due. E si era tuffata fra le sue braccia, riempiendo il silenzio dei propri singhiozzi.
 
Poi era passata una settimana, ne erano passate due. Un giorno, a sorpresa, Claire aveva fatto di nuovo sentire la propria voce. E May aveva sorriso, leggera, prima di salutarla affidandola alle cure di sua madre.
Ti rimetterà in sesto, vedrai. L’ha già fatto almeno un milione di volte, con me.
 
Non l’aveva saputo da lei, della decisione di Phil di lasciare il proprio ruolo di direttore; né le era mai sfuggito il nome del prescelto dal Consiglio di Stato. Era stata una pagina di giornale.
La donna seduta oltre il tavolo, davanti alla solita ciotola di yogurt, cereali e ribes rosso, non era più da mesi il fantasma di Claire. Aveva guardato, distratta, poi aveva allontanato quella carta voltandola a faccia in giù.
May aveva visto il fuoco, nel suo sguardo. Ma non aveva fiatato.
- Lo sapevi? – la voce dell’amica vibrava, oltre il tavolo.
- Sì. Non credere che mi faccia piacere. L’hanno scelto perché incarna lo spirito di collaborazione fra umani e inumani.- calcò sull’ironia, citando le parole dell’articolo.
- Calza alla perfezione.- aveva risposto Claire, alla pari.
- C’è una cosa che devi sapere. E’ successo anche a lui. Un anno e mezzo fa ti ha condannata perché eri inumana, perché aveva paura di te. Ora sa cosa si prova. Già..- un sospiro, di fronte a quelle sopracciglia aggrottate – lo è anche lui. Inumano, intendo. L’ha dichiarato apertamente ieri, in conferenza stampa. Non sappiamo nulla, della sua terrigenesi; l’ipotesi è che sia successo mentre era nella missione diplomatica a Vienna, quando è esplosa la bomba. E probabilmente è vero, dato che ha riparato una donna dal crollo del palazzo senza subirne conseguenze. Ha firmato gli accordi, Claire. E non tarderà a pretendere che lo faccia anche tu.
- Bene. E lui firmerà i miei.
 
L’aveva aiutata a prendere tempo, a rimarginare per quanto possibile le cicatrici che si portava dentro. Le era rimasta vicina anche quando restava settimane fuori in missione, e Claire aveva sempre seguito i suoi consigli. Presto sarebbe anche tornata in servizio operativo, avrebbe firmato gli accordi.
C’era un’ultima cosa, che doveva fare per la sua allieva preferita.
 
- Signore, posso? - aveva mantenuto il controllo, quella mattina, come solo lei sapeva fare, dopo aver bussato e ricevuto il permesso di entrare. L’aveva trovato in maniche di camicia a discutere informalmente di strategie con Phil. Come due vecchi amici. E la mano era andata in automatico a stringere le carte che teneva, con un’immensa voglia di stritolarle. O di ficcargliele in gola, meglio.
- Prego, May. C’è qualcosa che devi comunicarci?
- In particolare a lei, signore.
Aveva teso le carte, lui le aveva raccolte continuando a sorridere. Le aveva posate sulla scrivania, poi aperte. E lo sguardo che aveva sollevato su di lei non aveva più traccia di allegria.
 
Qualcosa nella testa di May recitò un compostissimo: e ora ridi, stronzo.
- Con permesso. Buona giornata.- disse, e leggera com’era entrata lasciò la stanza.
 
Phil Coulson vide il direttore chiudere con malagrazia quella cartella e ficcarla nel cassetto, come avesse contenuto esplosivo. Si voltò per un istante verso la porta, aggrottando le sopracciglia e seguendo l’immagine di May che scompariva.
Doveva essersi perso qualche puntata.

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Capitolo 7
*** Mission ***


Qualcuno ha chiamato?
 
La voce di May la sorprese con le mani appoggiate al sacco. Mattina presto, l’orario ideale per dare quattro pugni senza che nessuno le facesse domande: per tutti gli agenti in giacca e cravatta lei era O’Neill, quella da riportare in laboratorio.
Perché il suo posto era lì; ordini del direttore.
 
- Buongiorno anche a te, agente May.- rispose, ansimando ed andando ad abbracciare l’avversario.
- Direi che per stamattina gliene hai date abbastanza; che ne dici di fare un giro?
- Ok.- rispose al sorriso della propria mentore, ed alzò la guardia.
- Io intendevo un giro fuori.- May puntò il pollice verso le proprie spalle – a sgranchirci le gambe. Per oggi basta, picchiare.
- Oh.. ok, mi do un’asciugata.
 
Agente May!
 
Quella voce, limpida e maschile, le sorprese a scambiare informali e umane chiacchiere entro il perimetro dello spogliatoio. Melinda sollevò lo sguardo, sospirando pesante.
- Chi è? – le chiese Claire, strofinando l’asciugamano contro il collo e la nuca umidi di sudore.
- Burattino di legno.- replicò quella, piegando le labbra in una smorfia.
All’agente O’Neill sfuggì un minuscolo moto di riso, seguendola fuori da lì.
 
L’ufficio del direttore era discretamente affollato, di giacche e cravatte ma anche di uniformi tattiche.
- Che succede? – chiese May, facendosi avanti fino a raggiungere Helena.
- Sembra che li abbiano individuati.
- Watchdogs?
- Già. Quella che chiamano l’avanguardia assassina.
- Allora non è una leggenda metropolitana.
- No. L’hanno reclutato davvero.
- Chi? – intervenne Claire, affiancandole, mentre oltre un paio di schiene Phil caricava i dati a disposizione sulla parete olografica.
- Il rinnegato.
Le immagini ora parlavano chiare, senza che Helena sprecasse altre parole: c’era un inumano, nelle file dei Cani da Guardia. Un inumano potente e deciso a sterminare i propri simili. Sicuramente con qualche malata motivazione, ma non era quello che contava. Non al momento.
Priorità assoluta, la sua cattura e messa in sicurezza. E visto cosa mostravano i filmati che Phil stava proiettando.. beh, la camera di contenimento stavolta avrebbe dovuto essere parecchio robusta.
 
Rami. Il tizio in questione produceva filamenti ruvidi e duri, molto simili a rami o radici, fatti di una sostanza che si avvicinava per composizione al carbonio. Capaci di sfondare una vetrata e non farsi troppi problemi a stritolare un avversario.
- Perciò si richiede la massima cautela – Phil continuava a parlare, spostando lo sguardo su ognuno dei presenti – è anche molto reattivo e veloce, dovremo attaccarlo su più fronti. Perciò.. Smith, Sanders e Jordan, a voi la priorità sui Cani e sulle loro armi. Fitz; tu con Simmons ci servirai da supporto tecnico avanzato, dobbiamo neutralizzare tutto ciò che hanno di elettronico: armi, comunicazioni, mezzi. Dobbiamo tagliarli fuori, non devono poter chiedere rinforzi. May; tu e Mack sarete con me sulla minaccia peggiore. Rodriguez.. tu sai cosa fare.
- Corri e disarma.- replicò la donna, incrociando le braccia e lasciandolo annuire.
- Bene; direi che è arrivata l’ora di muoversi.
Alle parole di Coulson, la stanza di svuotò in fretta, lasciandolo fronte a fronte con Claire, rimasta poco oltre l’ingresso. Il suo sguardo recitava mi dispiace, lei non rimase ad aspettarlo aprire bocca. Un’occhiata a lui, una al direttore. E voltò i passi verso il corridoio, con la decisione di chi sa cosa deve fare.
Gli occhi di Phil andarono a cercare in automatico quelli del superiore.
- Ci penso io.- quello gli scivolò oltre, senza preoccuparsi neppure di indossare la giacca – prepara il Quinjet.
 
Veloce. Doveva essere più veloce, o avrebbe perso anche questa, di occasione per combattere, per dimostrare che non era una cavia da laboratorio. Che non valeva solo per le proprietà del sangue che le scorreva nelle vene.
Sei un operativo, Claire. Un operativo.. e loro lo devono capire, maledizione!
 
Uniforme, pistole ai fianchi. Pronta ad usarle entrambe, contemporaneamente, come non faceva già da un po’. Mi manca, un po’ d’azione..- recitava nella sua testa la voce di May. Non vedeva l’ora di affiancarla a bordo del Quinjet.
Si chiuse la porta alle spalle, con cautela ed evitando di fare rumore. Non era autorizzata, il direttore non doveva venirlo a sapere, di quella partenza.
Al diavolo lui e la sua autorizzazione.
 
Svoltò verso il corridoio che la portava all’hangar e si trovò la strada sbarrata.
- Mi sembrava di essere stato chiaro, O’Neill.
- Oh, vai al diavolo, Jeff.- cercò di bypassarlo, ma quelle braccia erano decisamente troppo forti, la bloccarono e la trattennero addosso al corpo del direttore – sapessi quanto m’importa, di te e delle tue opinioni. Non ci resto, stavolta, in panchina.
- Tu sei importante, Claire! Non capisci.
- Sono importante anche per i miei compagni, anche sul campo! Sono un agente dello Shield, Jeff! Sei tu, quello che non capisce.
- Puoi ringhiarmi addosso quanto vuoi. Non salirai su quel Quinjet.
- Come vuoi fermarmi? Con la tua stupenda dialettica, o con la super forza inumana?
- Smettila.- lui provò di nuovo ad arginare la sua spinta, mentre al polso l’orologio emetteva una piccola serie di –bip-, distraendolo quanto bastava a fargli allentare la presa. Un colpo ben assestato contro il suo torace, e Claire riuscì ad allontanarlo.
- No. Claire, no! Vuoi che te lo chieda per favore? Ok, per favore! Non uscirai con questa missione! – un altro sguardo veloce all’orologio, e sollevandolo su di lei Mace si trovò davanti la canna di una pistola.
- Non me la faccia usare, signore.
- Claire..- lui alzava le mani, mentre lei muoveva i propri passi lungo il corridoio, decisa ad ignorare il tono di quella voce che si faceva disperato.
 
Il suo arrivo sul Quinjet fu accolto con un discreto mormorio, e lo sguardo di Coulson s’era fatto di disapprovazione. Nessuna parola, prendendo posizione con gli altri e reinserendo la pistola nella custodia che portava sulla coscia.
- Lo hai convinto? – proprio lui le si sedette accanto, con un sospiro.
- Più o meno.- replicò, evitando di guardarlo.
- Gli hai puntato una delle tue pistole da Lara Croft?
- Sono due anni, che desidero farlo. Ero convinta che la sua super forza fosse più.. super.
- Non la userà mai, con te, Claire. Sei testarda ed ostinata come la tua maestra, non lo ammetterai mai. Ma lo sai meglio di me, perché cerca sempre di tenerti in panchina.
- Perché gli faccio paura. Come quando mi ha fatto rinchiudere.
Coulson scosse appena la testa, in un sospiro, dando al pilota il cenno per il decollo.
- Ti sta difendendo, Claire. Perché ti ama.
 
Aspettate!
 
Quella voce, alta e scura, tuonò da oltre il portello, costringendo il pilota a bloccarne la chiusura.
Phil fece cenno di riaprire, voltandosi ed incontrando la sagoma alta e fiera del direttore.
Vestiva l’uniforme tattica del Patriota. E nei suoi occhi c’era una tempesta d’inverno.
 
- Signore..- Coulson gli andò incontro, fingendo di non sapere. In realtà, quella mossa era l’unica che si sarebbe aspettato.
- Possiamo andare.- replicò quello, rigido, avvicinandosi al lato in cui era seduta Claire.
- L’agente O’Neill avrà l’opportuno trattamento disciplinare.
 
Un cenno, affermativo ma infastidito. E Mace prese posizione accanto alla donna, sul lato opposto a quello occupato dal collega.
L’orologio aveva ripreso ad emettere quella serie di –bip-, lui lo spegneva con rabbia e tornava a fissare un punto avanti a sé, mentre l’aereo decollava.
- Questa è la prima e l’ultima missione di cui farai parte, O’Neill. Gli ordini non si discutono.- le disse, cupo e leggero, guardandola appena.
- Non mi importa neanche di questo, sai.- replicò lei, con un filo di voce.
- Te lo dico adesso per non ripeterlo più. Sei l’agente più importante, lì dent-
- Già. La tua preziosissima cavia.
- Lasciami finire. Per me. Sei la cosa più importante, per me. Nonostante tu abbia evitato di parlarne da quando hai messo piede alla base. E no, non ho firmato le tue carte. Non posso lasciarti andare. Non voglio, lasciarti andare.
- Sei solo un egoista, Jeff.
- Vuoi la tua missione? Ok. Con me a difenderti.
- Smettila-
- Adesso è a me, che non importa più.

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Capitolo 8
*** Blood ***


Il sistema di bordo indicava distintamente almeno venti presenze, intorno a quel capannone abbandonato.
Fitz si rivolse agli altri, raccogliendo cenni d’assenso ed indicando la sagoma che al rilevatore di calore appariva più rossa:
- E questo è lui.
- Il rinnegato..- Helena emise un sospiro, masticando amaro.
- Dovremo fare molta attenzione.- Coulson attese l’atterraggio, poi l’apertura del portello – mi raccomando: niente mosse azzardate, niente colpi di testa, cercate sempre di avanzare a spalle coperte.
I compagni di missione risposero con disordinati ok, Mack armò il fucile decorato da una vistosa ascia:
- Basta, come spalle coperte?
Coulson gli scivolò accanto, appoggiandogli una mano sulla spalla e scambiando una minuscola smorfia. Scese, e con un paio di gesti disperse la squadra intorno al perimetro.
 
Il capannone era enorme, e freddo. Sembrava vuoto, unico suono presente una specie di motore in direzione di quello che appariva come un piccolo ufficio prefabbricato.
All’improvviso, un movimento, uno sparo. Un attimo, e gli spari si moltiplicarono all’infinito, riempiendo l’ambiente e l’esterno.
 
Claire si ritrovò sola, scoperta alle spalle ed alle prese con due uomini armati. Ma questo non le fece paura.
Fuori le pistole, fuoco incrociato ed in una manciata di secondi li aveva stesi entrambi, avanzando verso il centro del combattimento. Aiutare un collega in difficoltà, coprirgli le spalle? Hai l’imbarazzo della scelta, O’Neill.. si disse, continuando a fare fuoco con entrambe le mani, facendosi largo a calci dove necessario.
Un paio di avversari le richiesero l’aiuto di Mack e della sua arma d’assalto; lo ringraziò con un cenno e lui rispose a dita tese alla fronte.
Non c’è di che, lady gun..
 
Quella. Liberaci della tizia con le pistole.
A quel puntare il dito verso il basso, l’uomo vestito di nero piegò la testa in un silenzioso ok, rimanendo ad osservare il capo che si allontanava. Un respiro, lento e profondo. Apriva le braccia ed i rami si sprigionavano veloci, diretti a quel corpo leggero in movimento con le sue calibro 38.
 
CLAIRE!!
 
L’agente O’Neill si voltò in tempo per riconoscere la voce che le stava urlando alle spalle. In tempo per vedere quella cosa rapida e nera trafiggere la schiena del direttore Mace.
 
Tese le braccia e tutto quello che riuscì a fare fu accompagnare a terra quel corpo senza energie, arrivato all’improvviso a coprire il suo.
 
Con me a difenderti..
 
Ora quegli occhi si facevano liquidi e vuoti, contro il nero lontano del soffitto. Fra le labbra socchiuse un filo di sangue, le mani che scivolavano via e si facevano fredde.
 
Ritrovarsi ad urlare il suo nome, prima di accendere il bracciale e segnalare col fascio blu un uomo a terra, mentre l’altra mano correva a premere sull’orribile squarcio che gli apriva l’uniforme, sulla destra, poco sotto l’aquila dello Shield.
 
Non ricordava neppure come avesse fatto, a tornare a bordo del Quinjet. Dovevano avercela caricata di peso, ordini del direttore in caso di colpo di matto. Dall’angolo in cui era caduta in ginocchio, riusciva solo a vedere presenze agitate intorno a quel corpo senza vita.
 
Adesso è a me, che non importa più..
 
- Sara, abbiamo bisogno di Sara. E Stella. Le voglio alla base, il più in fretta possibile.- recitava la voce di Coulson, vibrante e resa nervosa, mentre in vivavoce il burattino di legno continuava a ripetere frasi sconnesse riguardo un timer ed un siero, chiedendo del direttore ma respingendo ogni richiesta di spiegazioni con un mi dispiace, è classificato che aumentava a dismisura la rabbia di Phil.
Se non ne avesse avuto esperienza, sarebbe andato nel panico. Ma lui era già passato dall’altra parte, era tornato ed ora sapeva come renderlo possibile anche per Mace. Sollevò lo sguardo da Simmons, piegata sulle ginocchia con le mani intrise di sangue sul petto del patriota, e lo appoggiò senza preavviso su di lei:
- O’Neill. Sta a te, ora.
 
Non gli fece domande, non ne fece neppure a sé stessa: raccolse le attrezzature, scivolando quasi addosso alla collega. Aprì uno degli aghi a valvola per le flebo, lo innestò nel proprio braccio lasciando che qualcuno distogliesse lo sguardo con smorfie di dolore. Fece lo stesso con l’uomo steso a terra, collegò le due valvole con un tubo sterile e strinse forte il pugno, fino a vedere il proprio sangue che scendeva.
- Cinquanta centilitri, prima dose.- disse, cercando di non far percepire il tremito nella propria voce. E rimase ad osservare il silenzio di quel petto privo di movimenti.
- Sai cosa succederà, se Stella e Sara non arriveranno in tempo? – le disse Jemma, continuando a tamponare la ferita.
- Dovrò passargliele io. Tutte e quattro.- rispose, senza guardarla.
- Non puoi fare quattro trasfusioni consecutive. Rischi di non recuperare, o di farlo con tempi troppo lun-
- Non importa, Jemma.
 
Adesso è a me, che non importa più..

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Capitolo 9
*** Eyes Wide open ***


Aveva aperto gli occhi, incontrando la luce che filtrava dalle finestre e trovandola insopportabile.
Intorno, il silenzio, rotto solo da quel suono insistente. Bip, bip, bip.
Spostò lo sguardo intorno, cercando di non muovere nulla del proprio corpo, percorso da fitte lancinanti di dolore. L’ufficio. Era sdraiato in un letto, arginato da sponde, fili e macchinari che riconobbe come attrezzature d’emergenza in uso alla base. E quello era il perimetro dell’ufficio del direttore.
 
Continuò a spostare lo sguardo, cercando di individuare il punto da cui proveniva il suono. Niente orologio, il suo polso era nudo, come il braccio. Unici accessori, tubicini ed un ago a valvola per flebo e trasfusioni.
 
Claire. La sua immagine, di fronte a sé. Il capannone. Un dolore immenso e rapido a perforargli la schiena, fino al petto. Il proprio nome urlato da lei, dalla sua voce. La paura nei suoi occhi, poi più nulla.
 
Tempo scaduto, Jeffrey. Hai voluto seguirla, ignorando il segnale. E lei.. lei ora..
 
La porta si apriva, pian piano, lasciando affiorare una presenza minuta e femminile e donando un picco all’elettrocardiogramma.
Nulla. Era solo Simmons; fra le sue dita, l’aggeggio che chiamavano x-scanner. Quella cosa che serviva a leggerti dentro per individuare le emorragie.
 
Si mosse appena, lasciando sfuggire un lamento. La vide sorridere, appena.
- Non deve muoversi, o farà male.
La lasciò avvicinarsi, accendere lo schermo olografico e percorrere lentamente con quell’oggetto il profilo del suo torace.
- Bene, bene..- mormorava, assorta sui dati che l’x-scanner stava elaborando.
- Bene..? – le rispose, in un soffio.
- La rigenerazione procede senza problemi. Certo, è un po’ più lenta di come ce l’aspettavamo, ma..- una smorfietta, Jemma piegava la testa da un lato e non nascondeva disappunto.
- Simmons..
- Non c’è bisogno che si giustifichi. Non ora, almeno. Il generale Talbot ha vuotato il sacco. Questo non significa che sospenderemo il trattamento, sia chiaro. Anche perché dipende da quella zuccona di O’Neill, e lei mi sembra parecchio motivata a farla tornare in piedi, nonostante mi sembri d’aver capito che non li abbia firmati, i suoi accordi.- Jenna puntava il pollice verso la porta, con l’aria di una che ne sa più di quanto dia a vedere.
- Sei una tipa sveglia..
- Non mi avrebbe dato il comando della divisione scientifica.- lei diede un’occhiata veloce all’orologio che portava al polso – bene; dovrebbe essere l’ora dell’ultima trasfusione. Vado a prendere il.. soggetto donatore.
- Non chiamarla così..
- Sul serio? Perché è il nome che aveva in laboratorio, da protocollo.- lo vide sospirare, lento e pesante, e voltare il viso – che postaccio. Io l’ho sempre e comunque chiamata Claire.
- Simmons..
- Sì, ok. Smetto di blaterare. Comunque, credo che questa pazzia le abbia fatto meritare il suo perdono.. beh, almeno un po’.
- Lei..- ecco, ora trovava il coraggio di guardarla di nuovo, dopo aver mosso appena le labbra in un velatissimo sorriso – lei come..?
- Come uno di quegli straccetti da pavimenti dopo essere strizzati. Non sono ancora riuscita a sintetizzarlo, mi dispiace; dovrete fare col suo sangue vero, per stavolta. Ultimo giro, io continuerò a controllare la rigenerazione cellulare con questo..- la ragazza sollevò lo scanner -..ogni sei ore. Per ora tutto regolare. Vado a prenderla.
 
Usciva, rientrava dopo una manciata di minuti che a lui, spalle compresse contro il materasso e dolore che si faceva via via più lancinante, apparvero infiniti.
Poi, quel viso.
Seduta su una sedia a rotelle, segno che l’aver rinunciato a tre dosi da mezzo litro di sangue per lui l’aveva già abbattuta. Negli occhi, l’espressione di una donna forte e fiera, che farebbe volentieri a meno di essere trattata come un fragile cristallo.
Rispose al suo cenno di saluto stirando le labbra, attese che Simmons le preparasse il braccio e poi togliesse le bende al suo. Attese che Claire si sollevasse a sedere sul bordo del letto, per evitare che il tubo di collegamento tirasse rischiando di disconnettersi. Attese di avere il suo calore addosso, e mentre Simmons procedeva al posizionamento del tubo, diede uno strappo di spalle voltandosi dall’altro lato.
- Signore..- sorpresa da quello scatto, Jemma cercò di riportarlo schiena al materasso, incontrando resistenza ed un lamento di dolore – per favore! Direttore Mace!
- Non voglio.- rispose lui, fronte pressata contro il cuscino e denti a mordere le labbra, cercando di sopportare quella fitta contro il petto – non lo voglio.. basta..
- Ma l’ultima dose è necessaria per completa-
 
Fu Claire, ad interromperla, tendendo una mano ed usandola per avvicinarsi alla sua spalla.
- Lo so, Jeff.- disse, leggera, contro la sua nuca – ma così manderai a puttane il mio lavoro. E il mio sangue.- lo vide inspirare, lento e a fatica, prima di lasciarsi convincere a voltarsi di nuovo e a farsi innestare il tubo di collegamento – ora aspetterai senza fare altre cavolate, ok? – lo lasciò annuire, e tornare a guardarla negli occhi. Jemma collegò anche lei, e le bastò stringere il pugno per osservare ancora una volta la magia.

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Capitolo 10
*** What About Us ***


Shield Strategic Unit, sei settimane dopo
 
Ehi.
Quella voce la sorprese con le dita intente a cercare frutta nella scatola dei cereali, lasciandola sorridere come non faceva da una vita. E di lì ad un istante la raggiunse il calore di quella presenza.
- Direttore..- piegò appena il viso, raccogliendo una tazza e fingendo di essere intenta a riempirla. Senza spostarsi, anzi lasciando che quel corpo le arrivasse addosso e quelle braccia le circondassero la vita.
- Vedo con piacere che non ti sposti dei tuoi soliti due metri. E che non hai perso il vizio di frugare nella scatola in cerca di frutti rossi.
- C’è scritto cereali alla frutta, un bravo agente verifica sempre.
- Già.- lui le si affiancò, cancellando il proprio tepore e lasciandola per un istante a desiderarlo ancora – tutto bene?
- Questo dovrei chiederlo io a te.
- Due mesi. Ancora due mesi, rinchiuso qui dentro.- lui mosse l’indice intorno, ad indicare il perimetro della base, senza arginare un sospiro – credo che impazzirò.
- Ma piantala, Mace. Non c’è nulla di più esaltante, per te, che sederti ad una scrivania a dare ordini.
- Ah. La pensi così.- lui incrociò le braccia, appoggiandosi di spalle al banco. Lei sorrise di nuovo, più aperta, continuando a mescolare frutta a pezzetti, cereali e yogurt – bene. Devo sentirmi offeso o lusingato?
- A lei la scelta, direttore.
- Sei una strega, O’Neill, lo sai?
- Da una vita.- lei sollevò le spalle, mantenendo quel tono malizioso, sollevando lo sguardo e costringendolo –come sempre- ad abbassare il suo – vuoi?
- Grazie. Li fai ancora?
- E’ una delle poche cose che sono rimaste della vecchia me. Sottile perfidia e colazione sana.
 
Lui si sedeva, sullo sgabello accanto al suo, ringraziando con un cenno per la tazza con la propria porzione di colazione sana. Un istante di più, concentrato com’era, prima di intercettarla:
- Mi stai fissando?
- No, direi più.. esaminando.
- Noti qualcosa che in precedenza ti sfuggiva?
- Sì. Con i riccioli spelacchiati sei molto più carino, direttore. E pure senza giacca e cravatta.
Lui sorrise, tornando ad abbassare gli occhi per un attimo e scuotendo appena la testa, leggero. Maglietta stropicciata, che gli lasciava a vista le braccia, muscolatura e traccia dei cerotti incluse. Pantaloni di una tuta che, dopo quelle settimane trascorse fermo in un letto, sembravano diventati di una taglia più grande, piedi nudi. Le stampelle con cui era arrivato fino al soggiorno appoggiate accanto allo sgabello, i capelli un po’ più lunghi del giorno in cui il destino li aveva fatti incontrare di nuovo. La barba di un paio di giorni e quegli occhi.
 
Il colore del mare in tempesta, quello di cui s’era innamorata senza nemmeno chiedersi perché.
Sei senza via d’uscita, agente O’Neill..
 
Heavy words are hard to take
Under pressure precious things can break
How we feel is hard to fake
So let's not give the game away

 
Ora lui si alzava, lentamente e senza nascondere una minuscola smorfia di dolore. Imbracciava le stampelle e faceva l’atto di andare a sciacquare la propria tazza.
- Lascia; faccio io.- gli disse, tendendo una mano e raccogliendola.
- Grazie.
- Di niente.
Lui si allontanò di una manciata di passi, per poi fermarsi prima di arrivare alla porta:
- Ah, Claire.. passa dal mio ufficio, quando vuoi. Le tue carte sono pronte.
- Ok..- rispose, continuando a dargli le spalle e fingendo di non aver provato quel colpo al cuore.
- Ci.. ci vediamo, allora.
- Ok.- ripeté lei, quasi senza tono, lasciandolo scomparire oltre il confine del corridoio.
 
Rispose distratta al saluto di tre o quattro persone, avviandosi verso il profilo vetrato degli uffici, un paio d’ore dopo. S’era data tempo, senza chiedersi perché l’avesse fatto, dato che desiderava questo momento da due anni. Ed ora si ritrovava lì, col pugno sospeso di fronte a quella porta. E l’unica domanda che riusciva ad elaborare la sua testa era se veramente lo voleva.
Se voleva davvero dirgli addio.
 
Just please don't say you love me
'Cause I might not say it back
Doesn't mean my heart stops skipping when you look at me like that
There's no need to worry when you see just where we're at
Just please don't say you love me
'Cause I might not say it back

 
Avanti!
Quella voce, scura ma ancora un po’ debole, rispose al suo bussare.
- Posso.. posso entrare? – fece capolino, incontrando la sua immagine in controluce, accanto alla finestra – ti disturbo?
- No.. non disturbi. Vieni.- lui mosse un paio di passi, arrivando alla scrivania ed aprendo un cassetto, con un’altra piccola smorfia di dolore – ecco. Sono complete. Puoi.. puoi controllarle, se vuoi.
- Ok..- lei raccolse quelle carte, le aprì e prese a sfogliarle, fingendo di esaminare le firme mentre in realtà si ritrovava ad osservare lui. Suo marito, l’uomo che l’aveva abbandonata e poi le aveva salvato la vita, senza pensarci un attimo, a sacrificare la propria.
 
Adesso è a me, che non importa più..
 
La sua voce, risoluta e triste, continuava a riempirle la testa. Di fronte a lei, viso rivolto di tre quarti alla finestra, c’era il fantasma di Jeff. E i suoi occhi in controluce erano limpidi e liquidi.
Una lacrima. Solo una, a rigare quello che per mesi era stato il profilo forte e fiero di un supereroe.
- Io..- Claire prese fiato, deglutendo a vuoto e cercando di evitare che la propria voce s’incrinasse – le carte sono ok; io.. io vado. Grazie.
Le rispose con un leggerissimo cenno del viso, evitando di voltarsi.
 
In pezzi. Ti sta lasciando libera, anche se la cosa lo manda in pezzi, Claire. E’ questo, che vuoi?
 
Raccogliere il fiato. Inspira, espira. I passi che si bloccavano al confine con la porta, la mano già sulla maniglia.
E poi un gesto, rapido ed improvviso. Le carte del divorzio strappate con forza, dalle sue dita, fino a ridurle in brandelli, mentre lui si voltava interrogativo e senza parole.
- Hai.. hai un cestino?
- S- sì.. lì.- lui le indicò l’angolo occupato dal trita documenti, lasciando che lo raggiungesse e vi lasciasse cadere quanto rimaneva del suo rancore. Poi, ancora incredulo, rimase immobile ad osservarla mentre si avvicinava ed arrivava a circondargli il busto con le braccia, appoggiandogli il viso contro il petto – Claire..
- Mi dispiace. Non ce la faccio. Non posso dire addio ad un uomo disposto a farsi ammazzare, per me.- rispose, minuscola, lasciandosi accarezzare i capelli, per poi sollevare lo sguardo contro il suo – sarai costretto a sopportare la mia isteria ancora a lungo, direttore..
- Non avrei sperato di meglio, sai.- le disse, ritrovando un sorriso in quegli occhi del colore del mare. E poi un bacio, quello che non credeva avrebbe avuto mai più.
 
Giacca, cravatta ed aria decisa e spavalda, il direttore Mace si presentava in conferenza stampa a due mesi dall’incidente che, durante l’azione decisiva per la cattura di uno dei più malvagi killer al soldo dei Watchdogs, aveva lasciato sul suo corpo quell’indelebile e profonda cicatrice.
Le dimissioni gliele aveva rifiutate direttamente Coulson, prima ancora che potesse rassegnarle. I patti erano quelli di restare al proprio posto, lasciando a lui la funzione di responsabile operativo; s’era limitato ad annuire, certo di aver fatto la scelta giusta.
La riabilitazione procedeva con ottimi risultati, e Simmons non aveva più bisogno di passare lo scanner lungo il suo torace per ripetere: bene, bene.. prima di lasciarlo con un sorriso. A cui rispondeva a quattro quarti.
 
La giornata appariva frizzante e stupenda, e davanti a quella piazza brulicante di curiosi e giornalisti si ritrovò a raccogliere il fiato, prima di raggiungere il microfono.
Uno sguardo indietro, il cenno d’intesa di May e lo sguardo orgoglioso di sua moglie.
 
Non aveva bisogno di armature, di sieri miracolosi. Non aveva bisogno di nulla, oltre a quello sguardo, per sentirsi l’eroe che da sempre desiderava essere.
 
Ma nessuno l’avrebbe mai saputo. Nessuno, a parte loro due.

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