The Magical Mysterious Sixties

di Melardhoniel
(/viewuser.php?uid=58745)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Perchè non sono vissuta negli anni '60? ***
Capitolo 3: *** Nuove, inaspettate, amiche... ***
Capitolo 4: *** Vendetta, dolce vendetta... ***
Capitolo 5: *** Eveline Marilyn Claudette Patricia Sparks - mai provati con il latte? ***
Capitolo 6: *** There is a place, where I'm alone... ***
Capitolo 7: *** There is a place, where I feel low... ***
Capitolo 8: *** There is a place, where I feel blue. ***
Capitolo 9: *** long night at the Casbah ***
Capitolo 10: *** No, ma...buon anno! ***
Capitolo 11: *** Cocci e colla ***
Capitolo 12: *** B.U.B. (Bacia Un Beatle) ***
Capitolo 13: *** Lennonsense. ***
Capitolo 14: *** Problemi tecnici con il continuum spazio temporale. ***
Capitolo 15: *** The boy Casanova of Speke ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


THE MAGICAL MYSTERIOUS SIXTIES

PROLOGO - So let me introduce to you the one and only Liv Sparks!

 

Mi chiamo Salmon, come il pesce. Di nome? Susie.

No, scusate, ho sbagliato copione.

Il mio nome è Sparks. Eveline Sparks.

Se vabbè…alla maniera di James Bond. Mi sa che non riuscirò a fare una presentazione decente.

Allora…per qualche strano e orribile scherzo della natura, i miei genitori hanno deciso di chiamarmi “Eveline”; così, appena imparato a parlare –preciso che la mia prima parola è stata “bleah”- ho deciso che dovevo assolutamente trovarmi un soprannome. Così sono nota come Liv. Da Liv Tyler.

Ho ancora quattordici anni perché, essendo nata a dicembre, devo ancora compiere i quindici. E questo è terribilmente scomodo… perché io detesto tutte quelle persone che mi chiedono “ma tu sei del ’96?”. NO! Io sono del ’95. Punto.

Mi piacciono molto i film datati, soprattutto quelli con la trama contorta oppure senza alcun senso; come la trilogia di “Ritorno al Futuro”; perciò se mi sentirete mai dire “Grande Giove!” non vi preoccupate… è solo una reazione al personaggio di Doc.

Ovviamente mi piacciono molto anche i film dei miei più grandi idoli, i Beatles!

Adoro il loro nonsense, la loro musica, la loro simpatia…il loro TUTTO!

Peccato non aver vissuto negli anni ’60. Avrei potuto vederli in concerto! Qui! A Liverpool! Nella loro città! Ma sono nata 35 anni dopo quei tempi…che amarezza.

Apro il cancelletto della mia casa e lascio penzolare le mie chiavi dall’indice. Lo richiudo con noncuranza alle mie spalle e percorro il vialetto che separa il cancelletto dalla porta di casa; apro quest’ultima e lascio che si richiuda da sola, dietro di me.

Ah già…dimenticavo… vivo a Liverpool, in piazza Penny Lane.


Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Due immagini della magnifica Penny Lane...

 

***

It's getting better

Tadaaaan!!! Ebbene sì, sono tornata con una nuova storia (e sono già al quarto capitolo, perciò fino a quello potete stare tranquille...xD)

Ho deciso di pubblicare questa storia perchè in origine non era destinata al sito, ma poi l'ho fatta leggere a thief e le è piaciuta, quindi gliela dedico completamente...:D

(e se non vi piace potete pure picchiare lei u.u)

Preciso inoltre che Liv ha le mie fattezze, quindi non immaginatevela chissà che fotomodella, e il mio carattere...quindi chi non vorrà proseguire la storia sarà giustificato xD xD

Baci,

Marty


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Perchè non sono vissuta negli anni '60? ***


Perché non sono vissuta negli anni ’60?

 

Entro in casa, e salgo le scale di legno che portano al piano di sopra, dove c’è camera mia. La voce di mia madre mi riscuote dai miei pensieri: «Tra poco si mangia!»

«Daaaaccordo!» le urlo in risposta.

Salgo gli ultimi gradini e mi precipito in camera, aprendo la porta: subito ho una visione dei muri azzurrini ricoperti interamente di poster di gruppi degli anni ’60: Beatles, Rolling Stones, Who…

E accanto, sul mobiletto vicino alla mia scrivania, uno zaino a me piuttosto (e purtroppo) famigliare: Eastpack bianco, rigorosamente coperto di spille dei Beatles e di Emily the Strange.

«Oh, no!!» Mi lascio cadere di peso sul letto.

Domani comincia la scuola!! Uffa…

Non voglio che ricominci la scuola, NON VOGLIO!

«AAAH!» Urlo, in preda ad una crisi isterica.

«Eveline! Tutto bene?» Mi grida mia madre dal piano di sotto.

«Liv…» la correggo io a denti stretti.

«Ehm…sì mamma! Mi sono appena ricordata che domani comincia la scuola!»

Posso immaginarmela scuotere la testa al piano di sotto.

Uffaaaa! Perché non sono vissuta negli anni sessanta?? Avrei potuto frequentare la stessa scuola di John, Paul, Ringo, George!

Anche se non so se a questo punto servirebbe a molto…Solamente Paul e George sarebbero ancora a scuola; e, a parte il fatto che nel ’60 in questo periodo sono ad Amburgo, loro due frequentavano il Liverpool Institute, che era una scuola solo per ragazzi.

Quindi a me toccherebbe frequentare il Liverpool College of Arts.

Ma non mi dispiacerebbe tornare indietro…potrei vederli dal vivo! Al Cavern! Camminare per gli stessi corridoi su cui avevano camminato loro fino a due anni prima!!

E…

«LIV! È PRONTA LA CENA!» mio padre mi chiama a gran voce dalla cucina.

«Vengo!» scendo giù, e ceno.

***

Dopo qualche ora rieccomi qui, in camera mia.

Mi metto in pigiama, mi caccio sotto le coperte e afferro il mio walkman, con dentro il CD rimasterizzato dell’ Anthology 1.

La traccia che parte è quella di “Be Pop A Lula”.

Mi addormento, lasciandomi cullare dalla musica.

«Ah…perché non sono vissuta negli anni ’60?»

 

Well, be-bop-a-lula, she's my baby
Be-bop-a-lula, I don't mean maybe
Be-bop-a-lula, she's my baby
Be-bop-a-lula, I don't mean maybe
Be-bop-a-lula, she's my baby love
My baby love, my baby love


Well, she's the girl in the red blue jeans
She's the queen of all the teens
She's the one that I know
She's the one that loves me so


«LIIIIIIIIIIIIV! SPEGNI QUELLA DANNATISSIMA RADIO!» La voce di mio padre rimbomba per la casa.

Radio? Che radio?? Apro di scatto gli occhi.  È già giorno!?! E che cos’è questa musica? Ah, avrò dimenticato il walkman acceso.

Tocco le mie orecchie per togliermi le cuffie, ma le mie mani non trovano niente. Agitata, mi giro con un salto, alla ricerca del mio walkman che –speravo!- fosse sepolto da qualche parte sotto le lenzuola.

Ma non lo trovo. Sul mio comodino, però, c’è una radio marrone, con le manopole di metallo…una vecchio stile, dalla quale escono le note di “Be Pop A Lula”.

La fisso per un po’.

«Whoah…non scherziamo!»


Image and video hosting by TinyPicLa radio di Liv...gh *w*

Image and video hosting by TinyPicil mitico Gene Vincent! (che canta Be Pop A Lula in questo capitolo :D)

 

 It's getting better

Ecco qui il primo capitolo, durante il quale Liv viene catapultata negli anni '60...Purtroppo per i Fab dovrete aspettare ancora un capitolo o due, ma già dal prossimo entreranno in scena personaggi non indifferenti!!!

thief: ma grazieeeeeeee!!! *stritola in un abbraccio* contenta che te l'ho dedicata? Mi sembrava il minimo...u.u Ahaha eh beh sì... ha il mio stesso e identico caratteraccio *w* beh... io detesto le persone che quando magari hanno la stessa età mi guardano dall'alto in basso e mi chiedono appunto se ho un anno in meno di loro...Ma brutti decerebrati, come si permettono??? è.é

Già...voglio vivere pure io a Liverpool!! *pesta i piedi* baci! :)

 

THE: Oddio, lo sai che mi sono accorta adesso che tu hai scritto una storia con la protagonista che si chiama Eveline? Mi dispiace, non me lo ricordavo...:( se vuoi le cambio nome :)

Ah...comunque grazie xD sei alla seconda settimana di scuola? Io ho iniziato ieri...prrr *pernacchia* povera povera THE!! *pat pat* comunque, ieri o no, ho già avuto da studiare -.- stupidi prof. Baci!! :D

P.S: sì...sono stata in Inghilterra dal 7 all'11 settembre, quest'anno...ma a Londra; quindi se la tua domanda era "ma hai scattato tu le foto di Penny Lane?" la mia risposta è no u.u Però tantissime di Londra!! :D che userò nella fic ;)

Brookelle: ahaha a volte anche a me xD oppure "Qui si va sul pesante!" come Marty McFly! xD siamo perse :P

Graaazieeee!! Sì...io vorrei vivere a Liverpool per poter passare tutti i giorni davanti a Strawberry Fields e mettermi a cantare a squarciagola la canzone di John!! XD baci!:)

 

Zaz: Aaaaaah!! Ci sei anche tu!! *salta addosso* eheh sì... confesso...Liv è il mio alter-ego! *fischietta* ho aggiornato presto...per ora...MUAHAHA! Bacioniii!

Baci,

Marty

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nuove, inaspettate, amiche... ***


Nuove, inaspettate, amiche…

Spenta finalmente la radio, scuoto la testa.

«Okay…qui c’è qualcosa che non va…» poi guardo l’ora -7.10- e mi catapulto giù dal letto.

«LA SCUOLAAAAAA!!»

Scendendo velocemente le scale, incrocio mio padre, che brontola: «Ce ne hai messo di tempo per spegnere quella radio!»

Io sorrido innocentemente. «Buongiorno anche a te, papà…»

Scendo giù in cucina per fare colazione, come mio solito, quando noto qualcosa di diverso: il posto di solito occupato dalla TV è ora occupato da una radio come quella di camera mia, ma più grande.

Scuoto di nuovo la testa e mi avvio verso il frullatore, versandoci dentro latte e pezzi di frutta fresca che taglio sul momento.

«Okay…MAMMA!! NON C’ERA UNA TV QUI, PRIMA?» Urlo per sovrastare il rumore del frullatore.

«No, amore! La TV è sempre stata in sala!»

Sì… ma…ce n'era una anche in cucina…precisiamo, non che io sia viziata o roba simile, ma almeno sapere se l’hanno sposata o ce l’hanno rubata nella notte…

«E quella che era in cucina?» Spengo il frullatore, e verso il contenuto in un mega bicchiere di plastica.

Mia madre compare all’improvviso alle mie spalle.

«Tesoro…ma sei sicura di stare bene? Chi mai potrebbe permettersi due televisioni al giorno d’oggi?»

Superato l’infarto, mi giro scettica.

«Ehm…quasi tutti? AAAAAAAH!» Mi metto ad urlare.

«Che c’è?» si spaventa mia madre.

«MAMMA! Sei così…così…diversa!»

Mia madre, Leila Thompson, era sempre stata una donna normale: capelli nerissimi, lunghi fino alle spalle, lisci, ciuffo laterale e penetranti occhi neri. Il suo abbigliamento era al passo con i tempi, con il 2010, intendo.

Ma ora…aveva i capelli cotonati, tenuti su da una fascia azzurro cielo, terminanti sulle spalle con dei boccoli leggeri che ricadevano all’infuori; la frangia gonfia e portava un abitino blu, lungo fino a metà polpaccio, legato alla vita da un fiocco dello stesso colore della fascia. Ai piedi, scarpe aperte con tacchetto basso.

«Ehm…mamma…mi sono persa qualcosa? Del tipo…una festa anni ’60??»

Mia madre, ignorando il mio evidente sarcasmo, mi mette una mano sulla fronte.

«Tesoro…sicura di stare bene?»

No affatto…

«Ceeerto! E dimmi…con chi ti incontri? Con il Tricheco o l’uomo delle uova?»

Mia madre mi guarda sconvolta. «TRICHECO?? UOMO DELLE UOVA?? Liv, ma stai delirando?? Devi avere la febbre ben ben alta!» fa per premermi di nuovo la mano sulla fronte, ma io mi sposto.

«Mamma, ti prego!»

In quel momento lei si accorge di una cosa che non aveva ancora notato.

«Liv! Ma sei in pigiama! E dov’è la tua divisa?»

Mi strozzo con il frullato.

«Coff coff che coff divisa?»

Mia madre mi guarda compassionevole.

«Ma la divisa della tua nuova scuola, il Liverpool College of Art»

Mi ri-strozzo con il frullato.

«Nuova coff scuola?? Ma che cacch…coff»

«Ma sì, tesoro!! Dimentichi che ci siamo appena trasferiti da Blackpool!?»

E ceeerto!! Ma se non ci muoviamo da Liverpool da quando sono nata?!

«Ma sì! Come no?? Ma perché proprio il Liverpool College of Art? Voglio dire, ci sono altre scuole a Liverpool.»

Mia madre, tornando giù con la mia divisa –camicia bianca e gonna di stoffa blu, rigorosamente sotto il ginocchio-, ribatte: «Preferivi forse andare con i maschi al Liverpool Institute?»

«Io…no…certo che no!» rispondo, mentre termino il frullato.

«Anche se…» sussurro sogghignando.

Poi schizzo in bagno e mi infilo la divisa.

Guardo l’ora: 7 e 40. Bene, il Liverpool Institute è in Hope Street, perciò a piedi ci vogliono 8 minuti...

Corro su in camera a cercare il mio zaino, ma al suo posto trovo i miei libri legati con un laccio legalibri.

Non mi faccio troppe domande, prendo i libri e torno in cucina.

«Mamma, io vado!»

Lei mi ferma.

«Ma dove credi di andare, pettinata e truccata così?»

Mi guardo allo specchio: ho i capelli lisci sulle spalle, un po’ piatti, è vero, ma è normale…e una riga di matita nella parte sotto dell’occhio. Come al solito. Chissà che le è preso…

«Perché?»

«Ma come perché?? Devi cotonarti i capelli! E poi truccarti in modo diverso. Vuoi o no essere come Brigitte Bardot?»

«Ceeerto!» alzo un sopracciglio. Quanto ancora durerà questa pagliacciata?

Mia madre mi afferra per un braccio e mi trascina in bagno.

«Sei strana, oggi!»

Sapessi tu…sospiro.

Ma, se proprio devo cotonarmi i capelli, almeno cotoniamoli bene.

«Sì…allora, mamma…li vorrei cotonati ma non gonfissimi, un po’ come quelli di Jane Asher…»

«Jane CHI?»

«Maaa!! Jane Asher, la fidanzata di Paul McCartney!»

«Senti, non mi interessano le tresche tra i tuoi amici, okay? Bene, come ce li ha questa Jane?»

Soffoco una risata… Paul McCartney amico mio? Magari…

«Okay…allora…» Spiego a mia madre come vorrei i capelli, e poi mi trucco da sola… ho sempre sognato potermi truccare come negli anni ’60!!

Esco dal bagno e fisso l’orologio.

«Merda! Manca dieci alle otto. Vado. MAMMA!! DOVE È IL MIO CELLULARE???»

«Il tuo CHE COSA??»

Okay, è davvero troppo.

«Sai, quei telefoni portatili degli anni 2000…»

«Tesoro, mi preoccupi sul serio…siamo nel 1960! Al duemila mancano ancora quarant’anni!»

«Mi prendi in giro.»

«Ma perché dovrei?? Su, esci che fai tardi… la tua bicicletta è già fuori»

Mi passa una borsa di pelle marrone da tenere a tracolla.

Okay…

Esco e infilo i libri nella borsa, che mi metto a tracolla.

Oh, la mia bicicletta!

Carina! Menomale che lei c’è ancora…quasi quasi mi aspettavo di trovare un calesse con tanto di cavallo!

La inforco, e pedalo fino al cancelletto, aprendolo e passando.

Poi sfreccio libera verso Hope Street, guardandomi curiosa intorno.

«Beh, Helter Skelter, coraggio! Più veloci della luce!»

Per chi non lo sapesse, ho chiamato la mia bicicletta Helter Skelter…perché…così. Non c’è un motivo apparente…

Ad un certo punto, dopo aver visto passare una 500 nera sotto i miei occhi strabiliati, freno di colpo.

«Un giornale!» urlo, smontando dalla bici.

Mi catapulto sul giornale, e lo apro, leggendo la data.

“20 Settembre 1960”

Dalla sorpresa il giornale mi scivola dalle mani e cade a terra con un tonfo.

Ritorno sulla mia bicicletta e pedalo verso il Liverpool College of Art, sentendomi improvvisamente allegra.

«STO VIVENDO NEGLI ANNI SESSANTA!!!!!» Grido.

Poi mi dirigo verso la rastrelliera delle bici di fronte alla mia nuova scuola; smonto da Helter Skelter e la assicuro vicino ad un’altra bicicletta verde.

Metto la catena ed il lucchetto, riponendo la chiave assieme alle altre nel mazzo dentro alla mia borsa.

«La mia nuova scuola!» Sospiro.

«Ciao, Helty! Torno presto!» Do un colpetto affettuoso alla mia bici.

«Ma guarda! Parla con una bici!! Poverina…deve essere l’unica amica che ha…che tenerezza!» A parlare é stata una ragazza alta, bionda e filiforme, con due occhi freddi e grigi. Oca!

L’altra ragazza, a quanto pare sua amica, mi lancia uno sguardo di sfida. È più bassa di quell’oca bionda, e ha i capelli rossi. Oca pure lei!

Mi dirigo verso di loro.

«Avete qualche problema con me e la mia bici?» Domando, cogliendole di sorpresa. Di certo non si aspettavano che rispondessi.

«Certo che no, sfigata…sei nuova, vero?» mi chiede quella rossa. Sto per ribattere, quando un'altra voce si intromette.

«Cerchi rogne, Parker?»

«No…Pickles…» Risponde la bionda.

«Beh, allora sparisci!» Interviene un'altra del gruppo della ragazza.

«Ma certo, Caldwell. Salutami tuo fratello.» La bionda scende dal muretto e si avvia verso l’entrata della scuola. La rossa la segue, fermandosi da me.

«Ci vediamo all'intervallo, sfigata.»

Ora basta!! Sfigata a me??

Sto per andare a dire quattro paroline –e non solo paroline- quando quella chiamata Pickles, che io avevo già capito chi era, mi mette una mano davanti alla bocca.

«Okay, tigre, risparmia le energie per oggi all’intervallo!» Mi calmo un attimo.

«Thelma Pickles» La ragazza con i capelli neri mi tende la mano. Ihih, se sapesse che la conosco già!!

Le stringo la mano.

«Iris Caldwell» Mi saluta l’altra. Ah, la sorella di Rory…

«Dorothy Rhone» Nooo…lei no!! Le rivolgo un sorriso piuttosto forzato.

«Margareth Jones»

«Ruth Morrison» si presenta l’ultima ragazza.

Stringo la mano a tutte.

«Liv Sparks. Sono nuova di qui…non conosco praticamente nessuno» -Sí, come no…-

«Sapete, mi sono appena trasferita da Blackpool…»

«Tsk…se lo scorda quella che le saluto mio fratello!» Sbotta Iris, ancora rivolta verso il punto dove Oca 1 e Oca 2 sono sparite.

«Bene, Liv Sparks… ti andrebbe di passare la giornata con noi, e progettare così la tua vendetta contro quell’oca di Hannah Parker che avrà luogo durante l’intervallo??» Thel la ignora e mi poggia un braccio sulle spalle.

«Dici sul serio?? Uuuh, mi piace…»

«Benvenuta nel gruppo, Liv! Quanti anni hai?» Chiede Dot, ridendo.

«Quattordici! Cioè, vado per i quindici…»

«Quindi sarai in classe con Iris!» Esclama Ruth. Iris mi sorride.

«Grandioso!» e così entro a scuola, accompagnata dalle mie nuove amiche.

Sì…ho la sensazione che mi divertirò un sacco!!

 ***

It's getting better

Ecco il nuovo capitolo con, come promesso, i nuovi personaggi “non indifferenti” entrati in scena :) :) le avete riconosciute?? (ma sììììììì ) bene, ve le presento: ( noooooo )

Thelma Pickles

Image and video hosting by TinyPic

 

Margareth Jones (secondo me è una delle più belle, se non addirittura la più bella)

Image and video hosting by TinyPic

 

Dot Rhone

Image and video hosting by TinyPic

 

Ruth Morrison (inspirata da Lindsay Lohan, attrice che amo molto -eccessi a parte-)

Image and video hosting by TinyPic

 

Iris Caldwell

Image and video hosting by TinyPic

 

Oca 1 alias Hannah Parker (inspirata da Lily Cole)

Image and video hosting by TinyPic

 

Oca 2 alias Lindsay Chantail (inspirata da Kate Winslet)

Image and video hosting by TinyPic

 

E ora rispondiamo alle recensioni:

Julia Molly Lane: ma grazie cara!! Beh, ecco il nuovo capitolo!!!! XD XD Adoro anche io Be Pop A Lula!! Poi John la interpreta in un modo superbo *-*

Thief: ahaha anche io, come Liv, ho per l’appunto avuto una ehm…piccola crisi isterica prima dell’inizio della scuola! xD Anche io adoro la radio!! Ne voglio assolutamente unaaaa!!! Ma ti immagini svegliarsi tutti i giorni, accenderla e sentirsi tanta buona musica con la B maiuscola?? Altro che le cavolatine di adesso…-.-

THE: macciauuuuu!!! *modello Michelle Hunziker* peccato, mi piaceva molto la tua storia!! Mi intrigava *sisi* e poi…era tanto che non ti vedevo su questo sito!! :D ahah massì, dai… trasferisciti qui da me!! Così siamo pure in classe assieme! XD (e iniziamo il 20 u.u) io stanotte ho fatto un sogno incredibile: avevo costruito una macchina del tempo e per farla funzionare mi servivano degli oggetti collegati ai Fab, che erano dei cosi simili a dei noccioli di pesca che avevo trovato sotto panchine, massi o roba del genere che avessero incise frasi o nomi di uno dei Beatles… poi mi sono ritrovata nel 1950, ma dei Fab neanche l’ombra!! Però è stato divertente :P a parte quando mi hanno raggiunto due delle Coloradine!! -.- (lo so, di sera mangio pesante… xD)

Brookelle: ahaha più o meno XD in questo capitolo però lei, visto che era per strada, si contiene un minimo!!!

Baci,

Marty

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Vendetta, dolce vendetta... ***


Vendetta, dolce vendetta…


Entro nella scuola assieme alle mie nuove amiche. Ancora non riesco a crederci! Sono al Liverpool College of Art!!
Arrivate nell’ingresso, Thel si ferma e poi mi da le direttive: «Allora… io ora giro di qua e me ne vado in classe, Dot sta al primo piano, in classe con lei ci sono Ruth e Margareth. Tu ed Iris siete al secondo piano, l’ultimo, con quelli del ’46…tutto chiaro?» chiede.
«Cristallino, capo!» Esclamo io.
La campanella suona, e Thelma ci saluta.
«Beh…io me ne vado in classe… ci si vede all’intervallo, ragazze!»
Io e le altre cominciamo a salire le scale, e già dopo pochi gradini ci appare chiaro che non ce la possiamo fare.
«Uff, parla bene lei…è al piano terra!» Sbuffa Margareth.
«Beh…» Iris si ferma un attimo per respirare. «Pensate me e Liv, che siamo al secondo!» e riprende a salire le scale con il fiatone.
«Puff…ragazze, quanto manca?» Domando io.
«Beh…fa un po’ te, siamo al ventesimo scalino!» Ride Dot.
Oddio…
«Mi chiedo…come pant facesse John…puff… a salire le scale come se niente fosse…urgh! Ogni sacrosanta mattina…e…per di più…di corsa!» Ansima Ruth.
Iris le passa divertita una mano davanti agli occhi.
«Hey, sveglia! John aveva un buon motivo, chiamato Cynthia Powell!» Esclama, come se fosse la cosa più ovvia.
Io ridacchio, ma riesco a mascherarlo dietro ad un colpo di tosse.
Ma nessuno pare essersene accorto: d’improvviso è calato il gelo; tutte le ragazze, eccetto Margareth, fissano Iris, e lei sembra imbarazzata. Chissà perché.
Dot fa un cenno verso Margareth.
«Ehm…Maggie, io…non volevo» Comincia Iris.
«Non fa niente, Ir… va tutto bene.» Margareth si asciuga una lacrima frettolosamente, pensando di non essere vista. «Ci vediamo tra tre ore, ragazze! » e scappa via.
«Margareth, aspetta!!» Urlano Dot e Ruth, correndole dietro.
Sulle scale rimaniamo solo io e Iris, sbigottite.
Qualche secondo dopo, Iris riprende a salire le scale, ed io la seguo, quasi meccanicamente.
«Non ha ancora superato il trauma per la rottura con John» Sospira lei.
Sul serio?? Faccio un po’ di conti: John ha cominciato ad uscire con Cyn nel ’58, ma prima si era rimesso con Barbara Baker per la seconda volta, quindi Margareth è stata lasciata nel ’57! Un po’ esagerata, non trovate?
«Grande Giove!» sussurro.
«Come, scusa? Ah, ma certo! Come puoi conoscere John? Beh…lui e Maggie si sono lasciati tre anni fa, nel ’57.» Iris si dà una pacca sulla fronte. Evidentemente lo trova esagerato pure lei.
Sto al gioco: non posso dirle che conosco John perché vengo dal futuro!
«Aaah, certo. Eh beh, capisco…» salto sul pianerottolo del secondo piano.
«È un po’ esagerata, però…» aggiungo poi, girandomi verso Iris che arranca sul terz’ultimo gradino.
«Già…» ansima lei. «Coraggio, vieni in classe, prima che il professore ci uccida per il ritardo»
Oh buon Dio!
«D’accordo»
La seguo lungo il corridoio, sbirciando curiosa ogni angolo, fino a quando lei non si ferma davanti ad una porta rossa.
«Ecco…questa sarà la nostra nuova classe.»
Wow…
«Figo!» esclamo sottovoce. 
Iris bussa, e la voce del prof risuona come in un film dell’orrore: «Avanti…»
Lei apre la porta, mentre io la seguo tremante: la mia prima impressione risulta quella di uno zoo… classe enorme, una quantità assurda di studenti fra maschi e femmine, i banchi da tre e… il professore appollaiato sulla cattedra che mi fissa come un avvoltoio.
«Iik!» esclamo sottovoce, spaventata.
«SIGNORINA CALDWELL!» Sbraita. «In ritardo il primo giorno di scuola!» Poi ritorna a volgere lo sguardo verso di me. «E LEI??»
«L…Li…Ahem. Eveline Sparks, signore. Sono la nuova studentessa.» ecco, così…vai Liv! Fagli vedere che sei professionale!
Da dietro l’insegnante, Iris mi fa il segno dell’“ok” con la mano.
Il professore torna a sedersi dietro la cattedra come ogni comune mortale, e io sospiro di sollievo.
«Uhm…» dice lui. «A posto, puoi sederti…» Aggiunge.
Solo in quel momento mi accorgo di essere in apnea. Espiro in fretta e seguo Iris, abbozzando un sorriso.
«Vieni!» mi guida lei, mentre il professore sbraita a tutta la classe: «Lei è Eveline Sparks, classe 1945, viene da Blackpool…»
«Oddio, mi fa sentire una giocatrice famosa!» Sussurro imbarazzata ad Iris, che ridacchia sottovoce.
«Scusa…» chiede ad una ragazza che occupa già un posto del banco a tre.
«Possiamo sederci qui?» La ragazza alza la testa: è carina; ha i capelli di un castano scurissimo, quasi nero, la frangetta sbarazzina come la mia, un caschetto più o meno cotonato e due profondi occhi neri.
Deve essere più piccola, visto che Iris non la conosce… sarà del ’46!
Lei ci sorride e strizza l’occhio: «Sì…anche perché sarebbe difficile trovare altri posti, no?»
Noi ci sediamo, grate che ci abbia accettato.
Lei ci sorride ancora e tende la mano verso Iris, che si è seduta al centro.
«Ahem, sono Mary Cox, comunque…ma voi chiamatemi in qualsiasi altro modo, per piacere. Detesto il mio nome…»
Oh cacchio…pfft, questa è Maureen Cox! Chissà perché si fa chiamare Mary…cioè; so che Mary era il suo nome originale, ma so anche che intorno ai sedici anni l’ha cambiato! Non deve ancora averci pensato, però. Altrimenti si sarebbe subito presentata come “Maureen”, no?
Iris le stringe la mano: «Iris Caldwell»
Poi tocca a me:«Liv Sparks. Detesto il nome “Eveline”» Mary fa un smorfia: «In effetti, forse è meglio il mio» e ride.
«Sto cercando in tutti i modi di cambiarmelo, ma devo aspettare fino ai sedici anni. Intanto penso a qualche nome… il fatto è che non mi viene in mente niente!» Ci bisbiglia in tono confidatorio.
Ah-ah! Mistero risolto.
Pero oggi è tutto dal vostro Mariello Prapapappo…
«Umh…Daisy?» Propone Iris. Sia io che Mary tiriamo fuori la lingua.
«Jane? Catherine? Abigail?» Mary non sembra molto convinta.
Okay, meglio che intervenga io, altrimenti rischiamo che Ringo sposi una che si chiama Abigail Cox, per gli amici “Abbey”.
Uhm…“Abbazia Starkey-Starr” bwahahah sembra una comica! È di uno squallore assurdo.
«Perché non provi…Maureen…» Suggerisco quasi per caso, come se mi fosse arrivata un’illuminazione dal cielo.
Il volto di Mary si ravviva. «Maureen…sì, mi piace. Maureen Cox. Suona bene!»
E te credo…
 
Qualche ora dopo, suona la campanella dell’intervallo. Per me significa una cosa sola: VENDETTA!!
Ora Hannah Parker saprà con chi ha a che fare…
Mi alzo velocemente dal banco, e Iris mi prende per un braccio.
«Presto!» mi incita. «Thel e le altre ci aspettano al piano terra, davanti alle macchinette. Dobbiamo arrivare prima di tutti gli altri studenti… non vorrai mica che ci rubino il posto?? Così pensiamo anche alla tua vendetta!»
«D’accordo!» Esclamo, e cominciamo a scendere.
«Hey!» Urla Maureen. «Dove andate?»
«A vendicarci di un’oca!!» Grida Iris mentre mi trascina giù dalle scale.
Tengo a precisare che mi sta allungando così tanto il braccio destro che tra un po’ posso intrecciare le mani e saltarci la corda tipo Re Luigi nel “Libro della Giungla”.
Che tra l’altro nessuno ancora conosce qui…perché arriverà soltanto nel ’66.
Pfft… e se penso che ci saranno anche gli avvoltoi ispirati ai Beatles!!
Solo il pensiero mi fa ridere, e senza volerlo scoppio in una risata davanti ad un alquanto perplessa Iris.
Maureen è vicino a noi, e scende le scale; segno che mentre io mi stavo uccidendo mentalmente dalle risate pensando agli avvoltoi con il caschetto e gli strumenti dei Beatles che cantano She Loves You a Mowgli –sì lo so, non sono normale…- Iris le aveva dato il permesso di venire assieme a noi.
Finalmente arriviamo al piano terra, e vediamo Thelma, Ruth, Dot e Margareth che, piantonate davanti alle (uniche!!) macchinette della scuola, cercano in tutti i modi di tenerci il posto, creando una coda che si snoda per mezza Liverpool.
«Uhm…o forse potrei prendere una cioccolata calda…che ne dici, Ruth?» domanda Thelma.
«Mah…sì Thel…ma metti che scotta troppo. Come fai allora, eh?» Thel, che stava già pigiando il bottone della cioccolata, si ferma di botto a pensare. Dietro di lei, uno studente più piccolo sbuffa.
«Zitto tu…» sbotta Thelma. «Sono più grande di te, sono pure bocciata e per di più sto pensando!» e comincia a picchiarsi una mano sulla fronte alla maniera di Winnie the Pooh.
«Pensa…pensa…pensa…» la sento sussurrare. Con la coda dell’occhio la vedo ridere sotto i baffi.
«Hey, ragazze!» Esclama Margareth armeggiando con i pulsanti.
«E se prendessi un the?» domanda, mentre io, Maureen e Iris ci facciamo largo fra la folla inferocita.
Okay, ora le scoppio a ridere in faccia.
«Sììì!! Che bella idea! Un the!» Thelma smette di fingere di pensare e pigia il pulsante del the.
«Ma Thel! Il the è troppo amaro, quindi devi metterci per forza tantissimo zucchero! Ecco, metti che sei diabetica…» Commenta Dot.
«Giusto…» Thel si ferma di nuovo, pensierosa. Io mi avvicino e le metto una mano sulla spalla.
Tutto quel pigiare di pulsanti mi ha fatto venire improvvisamente un’idea!
«Io direi che prendo un caffè… la cosa più svegliante al mondo!»
Tiro fuori il bicchierino e ci soffio sopra.
La folla dietro di noi si è praticamente diradata; molti hanno preferito perdere altri cinque minuti per andare al bar qua vicino. Tanto, con Thelma e i suoi assurdi modi per tenerci il posto avranno perso almeno mezz’ora!
In compenso, Oca 1 e Oca 2 si stanno avvicinando.
Le ragazze mi seguono, incuriosite. Di certo si stanno chiedendo perché sto camminando a rallentatore nella direzione opposta a quella in cui dovrei andare.
«e macchiante, anche!» sussurro, mentre Scapolottina numero 1 e Scapolottina numero 2 –Shrek insegna!- si avvicinano a me.
Un passo in fallo e…
«OPS!»
Il contenuto del mio bicchierino finisce accidentalmente sulla camicia di Hannah.
«AAAAAH!» Urla lei.
«Ommioddio, scusa Hannah! Non l’ho fatto apposta, sono così dispiaciuta!» Seee come no… talmente tanto dispiaciuta che ho il tono di una di quelle vecchie zitelle pettegole tutte agghindate che girano per la città e ti guardano da sotto in su. Quelle false che più false non ce n’è. Anzi, forse ce n’è una sola: Hannah.
O meglio, quella oca bionda cotonata (e tinta, aggiungerei) che sta strillando da dieci minuti buoni mentre l’altra oca, però lei rossa, cerca di lavarle via la macchia combinando ancora più casino.
Ah…sono fuggite in bagno da un bel po’. Sempre strillando, ovviamente… che vi credevate?
Mentre io sono rimasta con il bicchierino (vuoto!!!) del caffè ancora in mano, appoggiata alla macchinetta come James Dean in Gioventù Bruciata.
Accanto a me, le ragazze sono in totale adorazione.
«WAAAAAAAAAAAH!!!!» Urlano travolgendomi.
«Sei stata grande!» Grida Mo.
Calmata l’euforia, ci dirigiamo verso un tavolino della mensa, e a quel punto Margareth si accorge dell’esistenza di Maureen.
«Ma tu…chi sei?»
Lei mi guarda, e mi sorride. «Maureen» Si presenta.
Dopo aver fatto un nuovo giro di presentazioni, la campanella suona, e noi torniamo in classe, passando le ultime due ore a ridere ricordando la faccia di Hannah quando si è vista la macchia di caffè allargarsi sempre di più sulla sua camicetta firmata.
Alla fine della giornata, ci ritroviamo tutte nel bar sulla piazza di Penny Lane; perché Thelma protestava che con tutto quel tran tran della giornata non era riuscita a bere neppure un goccio di the.
Una volta sedute comodamente attorno ad un tavolino, schiacciate quanto basta, Thelma si sparapanza sulla sedia, incrociando le mani dietro la testa, e dice: «Beh, ragazze… devo dire che è stata una giornata molto produttiva…»
«Sì…non dimenticherò mai la faccia di Hannah quando Lindsay ha cominciato a pulirle la camicia!!» Ride Ruth.
Mi si accende una lampadina.
«Ahh, Lindsay! Ecco come si chiama la Scapolottina numero 2!!»
«SCAPOLOTTINA NUMERO CHE???» Strillano tutte in coro.
Ah, le amiche!


 

Image and video hosting by TinyPic

Ecco una foto di Mo nel 1961, o inizio del '62... purtroppo è l'unica foto più o meno di quel periodo che sono riuscita a trovare...spero vada bene lo stesso :)

***

 
It's getting better

Macciauuu! *Si sente Michelle Hunziker*
Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma non ho mai tempo di connettermi e di scrivere! (Ma tra l'altro questo capitolo era già pronto da un po'; però volevo almeno arrivare a metà di quello dopo per evitare enormi divari tra una pubblicazione e l'altra :D)
Come avete visto, è entrata in scena Maureen:):)
*Maureen fa di sì con la testa*
Bene, brava Abbey...va a sederti, susu
Tra l'altro ho scoperto da poco che Dot non ha frequentato il Liverpool College of Art, ma il Liverpool College for Girls, ma shh non ditelo a nessuno!! XD nei prossimi capitoli cercherò di giustificarmi in qualche modo u.u
Che altro dire? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!

Julia Molly Lane: ma ahaha vorresti forse uccidermi la protagonista??? (non che mio alter-ego… coff coff) ma graaaazie!! :) :) forte! Io non ci ho mai provato, ma preferisco così XD rischierei di rovinare un capolavoro…u.u Baci!
THE: AAAAAAAH! *salta addosso* tua mamma ha abitato a Genova??? Ecco, fatti dire da lei che si vive bene, qui! :D *lancia rito vodoo* ahah visti i “personaggi non indifferenti” ???
Bacioni!
teleri: ma buongiooorno! Era tanto che non ti vedevo qui su efp, come va?? ^^ Guarda, anche io… è una cosa snervante vedersi guardare come una psicopatica tutte le volte che tiro fuori i Beatles (specialmente George -.- non sanno mai chi sia), i Queen, i Pink Floyd, gli Who eccetera… Bacioni!

Baci,
Marty

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Eveline Marilyn Claudette Patricia Sparks - mai provati con il latte? ***


Eveline Marilyn Claudette Patricia Sparks
mai provati con il latte?
 
È ormai tarda sera, ma ancora non riesco a dormire. O meglio, non voglio dormire! Sono qui seduta sul bordo del letto, a cercare di tenere gli occhi spalancati e a pregare di risvegliarmi di nuovo in questo tempo.
Lo so, è buffo. In teoria dovrei cercare un modo per poter tornare nel mio tempo; in fondo qui sono un’estranea…ma ho come la sensazione che sia un magnifico sogno.
E questo da un lato mi piace, perché posso “intervenire” nella storia senza modificarla, dall’altro lo detesto; perché ho paura che addormentandomi mi troverà di nuovo nel 2010.
E non voglio.
E non capisco perché.
Io qui mi sento veramente me stessa, veramente a casa. Ho passato una giornata stupenda, a parte quando ho dovuto togliermi la cotonatura dei capelli, perchè temo di aver allarmato mezzo vicinato con le mie urla e di aver lasciato cinque o sei ciocche nella spazzola, e non voglio più tornare indietro.
Quindi non voglio addormentarmi, anche se so che prima o poi sarà inevitabile.
Così, piena di malinconia, mi sdraio sul letto, pregando che, ancora una volta, i miei desideri vengano esauditi.
Senza nemmeno accorgermene, gli occhi mi si chiudono e, in breve tempo, la musica ricomincia a suonarmi nelle orecchie.
 
That'll be the day, when you say good-bye, yes,
that'll be the day, when you make me cry.
Oh you say you're gonna leave,
when I die!

Well, you give me all your lovin' and your turtle
dovin',

 
Oh no…merda! Mi mordo il labbro superiore. Mi tiro violentemente il lenzuolo sulla testa e affondo il viso nel cuscino.

All your hugs and kisses and your money too, you
say you love me baby, until you tell me,
maybe,That some day, well, I'll be through,

 
Ho paura a muovermi, a toccarmi le orecchie; temo che una cuffia si stacchi e mi faccia capire quello che non voglio ammettere: sono tornata nel mio tempo.

cause...
That'll be the day, when you make me cry, yes,
that'll be the day, when you say good-bye.

 
Se io ho ancora il walkman acceso vuole dire che è partita la traccia della cover dei Beatles di That I’ll Be the Day… anche se questi non mi sembrano tanto i Beatles.

Oh you say you're gonna leave,
you know it's a lie ' cause that'll be the day
when I die!

 
Sarà perché forse quando la cantavano erano piccolissimi e quindi le voci saranno un po’ cambiate con il tempo; voglio dire, John aveva soltanto 19 anni… e non si era ancora rovinato le corde vocali. Quello è successo quando ha dovuto cantare tutte e 14 le canzoni che compongono l’album Please Please Me chissà quante volte; perché George Martin voleva un album perfetto in un giorno solo.

When Cupid shot his dart he shot it at your heart
So if we ever part and I leave you
You say you told me and you told me boldly
That someday well, I'll be through

 
Diceva di voler ricreare l’atmosfera del Cavern, con le canzoni che i Beatles proponevano all’inizio, un po’ cover, un po’ opera loro, “niente di speciale” affermava Martin.
Per lui il successo è arrivato dopo il singolo Please Please Me e, se proprio vogliamo fare i pignoli, con I Wanna Hold Your Hand.
Sarà… a me il disco piace così com’è…e secondo me sono tutti dei capolavori.
 
‘cause...
That'll be the day, when you say good-bye, yes,
that'll be the day, when you make me cry.

 
Paul nell’Anthology afferma che John, durante l’esecuzione di Twist and Shout, l’ultima canzone, si è sforzato così tanto per cantarla che ad un certo punto ha tirato una stecca tremenda.
Io avrei una sola cosa da dirgli: MA VORREI TIRARLE IO, DELLE STECCHE COSI’!!

Oh you say you're gonna leave,
you know it's a lie ' cause that'll be the day
when I die!

 
Io avrei voluto tanto incontrarli. È per questo che da tre minuti sono rintanata sotto le coperte. Non sono pronta per riprendere la routine quotidiana; per ributtarmi nel caos che è il mio tempo. Non me la sento proprio. Oh, perché non esistono dei Beatles anche nel 2010?? Cioè; esistono, ma non come intendo io.
Perché non ci sono cantanti come loro? Hanno segnato un’epoca. In soli dieci anni hanno lasciato al mondo un’impronta. Quanti cantanti di oggi lo fanno?
Okay, ho deciso. Mi do per malata.

That'll be the day oooh
That'll be the day oooh
That'll be the day oooh
That'll be the day

 
«E questo, cari amici ascoltatori di Juke Box Jury, era That I’ll Be the Day di Buddy Holly. Che altro possiamo dire? Questa canzone parla da sé…ormai è morto da un anno e cinque mesi, e ci manca sempre di più…»
UN ANNO E CINQUE MESI??
Scatto e mi alzo a sedere sul letto. Il lenzuolo mi scivola giù dalla testa, scoprendomi gli occhi.
«AAAAAAAAAAAAH!» Urlo, nel vedere la vecchia radio accesa trasmettere Juke Box Jury.
So di aver gridato forte… a parte il fatto che il mio gatto in questo momento è sul lampadario della mansarda, e sul soffitto della mia camera c’è un buco a forma di micio; quasi mi aspettavo di vedere la radio urlare pure lei, e di mettere le gambe per scappare dal povero gatto.
Ah già…ho un gatto: Astrid.
Sì, avete capito bene: Astrid. A dire la verità è una gatta. Bianca ghiaccio, con due occhi azzurri penetranti. E così appena l’ho vista l’ho chiamata come la Kirchherr.
«A…a…a…» balbetto.
«SONO ANCORA NEGLI ANNI SESSANTAAAA!!» Scendo dal letto e comincio a baciare la radio.
Dopo essermi vestita, truccata e pettinata da sola!!!, scendo giù in giardino per recuperare Helter Skelter.
Mi accorgo subito che qualcosa non va: infatti, proprio vicino alla catena, spicca una scritta incisa nella vernice lilla e viola scuro. “CODARDA”.
Grr…«Hannah...» sibilo.
Giuro che questa me la paga!!
Ho ancora poco tempo prima dell’inizio delle lezioni; ma di certo non ci andrò con la scritta “codarda” sulla bicicletta!
Così corro nel garage, inciampando in un tavolino che –giuro!- nel 2010 non c’era…
«Ma porcaputt…» Olè…prima parolaccia della giornata.
Afferro il barattolo di vernice azzurra che trovo su una mensola -non chiedetemi cosa ci fa un barattolo di vernice azzurra sulla mensola del mio garage nel 1960 perché non so rispondervi…-
Con un abile tocco di maestria trasformo l’odiosa incisione nel nome della mia bici, passando sopra i solchi con il pennello. Ecco qua: Helter Skelter. Scivolo.
Bene!
La inforco e pedalo furiosamente verso Hope Street.
 
All’arrivo, smonto di fretta dalla bici e la lascio come al solito nella rastrelliera: ho visto benissimo che Hannah e Lindsay sono rimaste fuori oltre il tempo massimo consentito dalla campanella per controllarmi.
Di sicuro pensavano che non avessi il coraggio di venire, considerata l’espressione di Oca 1.
Sbircio l’orologio del campanile: 8.02
Perfetto; ancora due minuti e sono assolutamente fuori tempo massimo…ovvero, richiamo per il ritardo.
Umh…e se facessi perdere tempo anche a loro due? Correndo come un’ossessa entro nell’edificio, e mi caracollo su per le scale.
Lindsay e Hannah, facendo perno su delle scarpe aperte con il tacco, mi seguono, molto più lentamente.
Sentendole dietro di me, mi fermo alla seconda rampa di scale che conduce al mio piano, poi ho l’illuminazione: faccio sbattere la porta che si affaccia al primo piano, e continuo a salire fino al secondo.
«DOVE DIAMINE È ANDATA?» Urla Hannah.
«Di là, credo…» Lindsay indica la porta del primo piano.
Ihihi, brave brave…andate.
Sbattono rumorosamente la porta, e sento Hannah gridare «DOVE SEI, LIV SPARKS???»
Problema: al primo piano c’è l’ufficio del preside.
Infatti…«PARKER! CHANTAIL! FUORI A QUEST’ORA???? E URLATE IN UN CORRIDOIO IN CUI NON DOVRESTE NEMMENO ESSERE???»
Con l’orecchio appoggiato alla porta del mio piano, esulto in silenzio.
Poi sento rumore di passi, e vedo riflesso nello specchio del corridoio la figura del mio prof della prima ora che si avvicina.
«Merda!» sussurro. Seconda parolaccia!
Corro come una forsennata verso la mia aula, e poso la borsa a terra appena in tempo: il mio prof di arte entra e cala il gelo.
Lui mi osserva beffardo. «Lei deve essere la nuova studentessa…Eveline Sparks. Ha freddo per caso, signorina?» e con un cenno della mano indica il mio cappotto, che nella fretta non avevo tolto.
«Ehm…» tossicchio. «Un po’, sì…però ora sto meglio…»
Dietro di me, Iris e Mo si stanno uccidendo dalle risate.
Ma brave! Dopo facciamo i conti.
Mi tolgo il cappotto, e il professore inizia la lezione.
«Bene, ed ora, come prima lezione di pratica, mi dipingerete un tipico paesaggio freddo
Faccio una smorfia.
Carina, la frecciatina… ma ora, non devo farmelo nemico. Devo dare una bella impressione di me: su, Liv, sorridi…così ti alza il voto.
Sfodero un sorriso che più falso non ce né a trecentocinquanta e uno denti.
Ora provo a non pensare a niente…devo meditare…devo meditare… Oooooooooohm! Oooooooooohm!
Fatto… GRRRRR!!!!
Tsk. Ci sono giorni in cui entrerei in classe con il bazooka vestita come il pinguino di Madagascar –Skipper, remember?- e sparerei a tutto il corpo docenti.
Sant’iddio. Che nervi.
Lentamente spostiamo i banchi e ci posizioniamo davanti ad un cavalletto.
È il mio primo impatto con una tela bianca: io vengo da un classico, santissimo Remigio da Varagine, mi sono trovata catapultata in un Istituto d’arte! Che cavolo disegno io come “paesaggio freddo”? Babbo Natale?
Sé vabbè… jingle bells, jingle bells, jingle all the way!
Canticchiando le carole Natalizie comincio a preparare i colori.
Per fortuna qualcosina so disegnare, e me la caverò in qualche modo…speriamo bene! Iris ha già dato la prima base e sta schizzando una bozza a carboncino su un foglio a quadretti enormi, mentre Maureen sta sbirciando speranzosa la mia tela, persa almeno quanto me.
So this is Christmas, and what have you done? Another year other, a new was just began!
Sono fissata con in Natale in questo periodo. Che è un periodo che dura più o meno da mmmh…Ferragosto. Ma sono dettagli insignificanti.
Cantando Merry Xmas (War Is Over) di John una cosa come trenta volte (senza contare le carole Natalizie!!), quelle barbose due ore di pratica giungono al termine.
Il professore passa tra i cavalletti e con aria pigra scribacchia i voti sulle tele e dà giudizi con una voce lenta e strascicata.
Ah, come è bello vedere tanto entusiasmo sul lavoro!
«Caldwell, ah, Caldwell…ottimo come al solito»
Un “A” scritto in rosso campeggia ora sul dipinto di Iris.
Poi mi passa davanti, per vedere quello di Maureen.
«Vediamo…Mary Cox»
A sentire quel nome, Mo arriccia il naso.
«Buona stesura del colore, quasi bene la tecnica, ma pessimo soggetto. Cosa mi rappresenta una casa in mezzo alla neve con il comignolo che fuma, eh? E dove sono le fate, le renne, gli spiriti di ghiaccio, i fiocchi di neve...?»
Se vabbè…e Topolino e Paperino Magico Natale.
Mo non si sforza neanche di sorridere. Odia già il professore e si vede, così lui per vendicarsi scribacchia una C sulla sua tela.
Poi, finalmente, arriva da me.
«Vediamo, Sparks…tu sei nuova.» Però…che intuito.
«Che scuola facevi prima?» Vediamo…Liceo Classico a Liverpool nel 2010? Mmh, no…non mi crederebbe e per di più mi spedirebbe dal preside per “presunto possesso di marijuana”.
«Grande Giove…» sussurro, al culmine della rabbia. Perché sempre a me devono capitare le situazioni complicate?
«Come, scusi?» Il prof si avvicina di più a me per sentire meglio.
«Ahem… Vengo da un liceo specializzato in lettere di Blackpool.»
«Ah…quale?» ommerda. E chi c’è mai stata a Blackpool?? A malapena so dove è e come si chiama, devo pure sapere il nome di un Liceo specializzato in lettere di quarant’anni fa???
«Lei è mai stato a Blackpool?»
Dì di no, dì di no…ti prego! Ehi tu, lassù! Almeno questo me lo devi.
«Mmh, no…mai… ma devo andarci!»
SI’!!!
«Sa…andavo al…al…Queen Victoria Institute. Bella scuola, sì…grande edificio… ma brutta gente, lei sa cosa intendo.»
Lui alza gli occhi al cielo, quasi comprensivo. Evidentemente il ricordo di John è ancora vivido.
«Bene, Sparks. Ottimo paesaggio, bella realizzazione delle stalattiti di ghiaccio» ah. Grazie. peccato che volessi realizzare i riflessi dei vetri.
«Insomma, B.»
SIIIIIIIIIIII!!!
Per la gioia quasi lo abbraccio.
Lui animatamente scrive una ‘B’ sul tetto della casa che ho dipinto.
Proprio in mezzo.
MA PROPRIO LI’ LO DOVEVI METTERE??
E vabbè…
 
Alla fine delle lezioni, mentre sto riponendo il libro di arte nella borsa, Margareth arriva trafelata seguita di corsa da Dot e Ruth, raggiungendo me, Iris, Mo e Thel.
«Maggie, qual è il problema?» Domanda Thel piuttosto infastidita, inforcando un paio di occhiali da sole.
È strana, a volte…lei inforca gli occhiali da sole, io quasi mi strozzo con il mio maxi sciarpone di lana.
Comunque…Margareth ansima un po’ e alla fine risponde.
«Abbiamo…abbiamo sentito Hannah parlare con Lindsay…»
«Poco fa, uscite dall’aula di matematica» Aggiunge Ruth.
«Vuole romperti la bici non appena arrivi a casa!» Esclama Dot spaventata.
Lo so, nel 2010 (a me) può sembrare strano spaventarsi perché uno rompe la bicicletta a qualcuno: è così facile ripararla!
Però negli anni sessanta era difficile averne una, quasi come per i televisori.
E i riparatori? Nemmeno l’ombra, qui a Liverpool.
Ragion per cui, e visto che non volevo fare la figura della vittima presa di mira da due oche,  rivelo loro il mio piano.
«Prevedevo avrebbe escogitato qualcosa del genere… perciò ci ho pensato tutta la mattina» Ciò spiega i miei quattro richiami durante storia –ma che colpa ne ho io se non mi interessa se Cleopatra si è fatta mezza Roma?-
«Venite a mangiare a casa mia, ora. Mamma sarà contenta nel vedere che non sono emarginata a scuola…» ridacchio per le assurdi paranoie di mia madre. «Strada facendo vi spiego bene cosa ho in mente…»
Le ragazze annuiscono e ci avviamo verso le nostre bici.
Spingendole fino a Penny Lane il mio piano è completo.
Mamma è felicissima di avere in casa mie amiche di scuola –ma scommetto che se una volta tornate nel 2010 potesse ricordare, si mangerebbe le mani per non averle potute riconoscere- e, mentre è intenta a preparare il pranzo, noi saliamo fino in camera mia, al secondo piano.
Appena entrano, un coro di ooooh si propaga per tutta la stanza; e non è nemmeno difficile immaginare il perché: ogni parete è tappezzata di poster di Elvis, Buddy Holly, film del momento come The Girl Can’t Help It e Jailhouse Rock, e per terra, ammassati accanto ad un grammofono, stazionano una quantità immensa di LP delle hit del momento.
Non era facile avere una camera così a quell’epoca già per i ragazzi, figuriamoci per le ragazze!
Io mi siedo comodamente sul letto, spegnendo la radio sul comodino che stamattina, per la fretta, avevo scordato di spegnere, e butto giù Astrid dalla scrivania, perché così seduta sulla pila di libri scolastici risultava alta un metro e mezzo e mi copriva la visuale del giardino.
Thel si lascia cadere pesantemente sulla sedia accanto al letto, mentre Dot si abbassa per accarezzare la micia.
Iris punta il dito contro la mia chitarra.
«Chi…chi…chi…» balbetta.
«…richì» sbuffa Thelma.
Iris la ignora. «Tu suoni la chi…chitarra?»
«Ehm…sì, qualcosina» rispondo distrattamente, senza smettere di sbirciare in giardino.
«Oooh ti prego, facci sentire qualcosa!!! Anche piccola piccola! Per favoooooore!» supplica Margareth.
«Evvabene.» sorrido, mentre Iris tutta contenta mi passa la chitarra.
Tanto, anche se non guardo giù in giardino, sono sicura che sentirò quando arriverà il momento.
«Qualche richiesta?» domando, imbracciando lo strumento.
«Sììì!! Suona ‘Be Pop a Lula!’» Ruth batte le mani.
Ahaha se sapesse che è proprio questa canzone che mi ha fatto arrivare qui!
«Occheivabbene...» dico tutto d’un fiato.
 
Well, be-bop-a-lula, she's my baby
Be-bop-a-lula, I don't mean maybe
Be-bop-a-lula, she's my baby
Be-bop-a-lula, I don't mean maybe

 
Con la coda dell’occhio vedo Hannah che si avvicina furtiva alla mia bici, giù in giardino.
Faccio finta di niente e torno a rivolgere lo sguardo sulla mia chitarra.

Be-bop-a-lula, she's my baby love
My baby love, my baby…

 
«AAAAAAAAH!»
love
 
Le ragazze fanno un salto di mezzo metro sul letto.
«Oddiomiosantissimo!» Urla Thel. «Che è stato?»
Dot e Ruth si precipitano dalla finestra.
Io alzo le spalle, mentre Margareth mi fissa con aria di rimprovero: «Liv…non ci hai raccontato proprio tutto il piano, vero?»
«Beeeh… mancava giusto la parte finale. Non volevo rovinarvi la sorpresa…» ghigno con aria malefica.
Le ragazze, sempre tendendo il collo oltre il metro e mezzo di Astrid –miracolosamente ritornata sulla scrivania-, sorridono quasi, senza capirci niente.
All’improvviso mia madre spalanca la porta agitata.
«Liv! Che è successo?? Ho sentito gridare giù in giardino! Qualcuno deve essere caduto nello scavo per le tubature
Fischietto con aria innocente mentre di fianco a me le ragazze cominciano a ridere sguaiatamente.
«LIV SPARKS! Che è successo??» Ecco. Mia madre si arrabbia in tre stand: nel primo mi chiama semplicemente Liv, con tono semi-agitato, poi passa ad un tono più alto aggiungendo il cognome, e poi…
«EVELINE MARILYN CLAUDETTE PATRICIA SPARKS!» …con tutti i miei quattro assurdi nomi (sigh).
Le ragazze, se prima si sganasciavano per la situazione in cui era capitata Hannah, adesso si rotolavano per terra per i miei nomi.
A dirla tutta, il secondo e il quarto nome (ma facciamo pure il terzo) non potrebbero esistere; in quanto Marilyn è in onore della Monroe, Claudette per la Colbert –Accadde una Notte… Clark Gable rulla- e Patricia per la Boyd, o se preferite per F.B.I Operazione Gatto.
Ma diciamo che se mi chiamo così nel 2010 non posso cambiare nomi nel 1960, quindi probabilmente per loro mi chiamavo Eveline Mary Claudine Patty e hanno cambiato i vari nomi per ogni anno che passava.
Cooomunque… dopo essere arrossita fino alla punta dell’unghia dell’ultimo dito del piede sinistro, mi alzo in piedi e sfodero il mio miglior sorriso a trecentoventicinque denti.
«Successo cosa?»
«Non fare la furba con me! Qualcuno è caduto lì dentro!» Grida mia madre, pericolosamente vicino alla linea rossa del beep beep attenta scappa schiaffo in arrivo ding!
«Qualcuno che non sa farsi gli affari suoi» Brontolo.
«Comunque devi tirarla fuori di lì.» Ordina mia madre.
Cado pesantemente sul letto e imbraccio di nuovo la chitarra.
«Mai provati con il latte?»
Mia madre sta pericolosamente superando la soglia della pappardella poco sopra.
«Okay, okay…ora la tiro fuori. Ma, tanto per sapere, era bionda o rossa?» Domando, allungando il collo per cercare di vedere oltre Astrid, che per dispetto si ingobbisce ancora di più fingendo uno stiracchiamento di un’ora e mezza.
«Non lo so, ma direi bionda.» sbotta mia madre. «e ora FILA»
«SIIII!! Ahahah! Ha funzionato!» comincio ad urlare, saltando sul letto e mollando la chitarra a due centimetri da Margareth.
Dopo abbandono la stanza e scendo le scale a passo di Moonwalker e simili, ridendo come una scema e ripetendo ogni tanto “Ahaha! Uno virgola ventuno gigawatt! Grande Giove, ha funzionato!”, lasciando nella mia stanza un alquanto basita madre più cinque sganascianti amiche.
 
A passi svelti mi dirigo verso il giardino, e presto arrivo alla buca per le tubature.
Do una rapida sbirciata dentro: come prevedevo, Hannah.
Ebbene sì: ho distrattamente –ma quando mai?- lasciato la mia bici vicino alla mimetizzata –vi giuro che non so come sia potuto accadere, di solito si vede così bene!!- buca per le tubature dei bagni. E quella povera piccola –ma dove?- ragazza ci è caduta dentro.
«Ooooh, Parker! Quale onore»
Lei alza lo sguardo e mi lancia un’occhiata velenosa.
«Sparisci, Sparks!»
Uno scalpiccio alle mie spalle mi annuncia l’arrivo delle cinque sganascianti.
«Con piacere…» faccio per allontanarmi, quando vedo Lindsay correre verso di noi.
«Oooh, Hanni! Che ti è successo?»
«Va via, Lindsay!» ordina Hannah dal fondo della buca.
Lei fa una faccia offesa, e sporge il labbro inferiore in fuori, per simulare un finto –palesemente non riuscito- broncio; facendosi cadere sugli occhi gli occhiali da sole.
«Oh, per piacere…sei ridicola!» Hannah incrocia le braccia e la aggredisce con tono acido.
Lindsay, offesa, batte un tacco per terra e si volta, andandosene via emettendo piccoli ringhi che, parola mia, la rendevano ancora più ridicola.
Io sospiro gravemente e mi sdraio sulla terra, spuntando con la testa sul buco.
«Allora, Hanni? Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto? Sai…tra tre ore sarà l’ora del the e non voglio perdermela perché sei così ostinata ad uscire…» lei sbuffa.
«E poi,» continuo maligna. «Potrebbe piovere…»
Lei alza lo sguardo, chiaramente spaventata.
«Pio…piovere?» balbetta.
«Oooh, sì! E sai cosa succederà?»
«Cosa?» pigola Hannah.
«Tutta la terra trasformata in fango scenderà lentamente dai bordi della buca e la riempirà fino all’orlo, trascinandoti con lei e sporcando la tua camicetta firmata.»
Hannah emette un piccolo grido, e fa un saltino sul fondo della buca, toccandosi la sua camicia bianchissima.
(Nuova? No, lavata con Perlana…)
«Ma tu, visto che sei così coraggiosa e non vuoi uscire, ti sarei eternamente grata se, dato che sei già lì in fondo, verso le cinque dessi da mangiare a Gigi…»
Lei mi guarda come se fossi pazza.
Anche le mie amiche, poco fa ancora sganascianti, si sono fermate. Di sicuro pensano: “e adesso chi è Gigi??”
«Massì, dai…non conosci Gigi?? Il mio pitone domestico
Hannah comincia ad urlare come una pazza e salta freneticamente cercando di uscire, guardandosi attorno come se il serpente potesse spuntare da un qualsiasi buco in ogni momento.
Dietro di me, le ragazze riprendono a ridere con le lacrime agli occhi.
«SPARKS! DOV’E’?? NON È VERO, NON PUO’ ESSERE VERO! FAMMI SUBITO USCIRE DI QUI, SPARKS!»
«Okay, okay…come vuoi. Vorrà dire che farò divorare io a Gigi i topolini bianchi.»
A quelle parole Hannah corre verso la scala che Dot le aveva infilato dentro la buca e risale in fretta e furia, saltando sulla sua bici e pedalando con forza verso casa sua.
Io la guardo allontanarsi.
«Eeeeh che fretta! Si vede che non gradisce il mio the…»

  
It’s getting better

Tadaaaaaaaaan! *a mo di scoiattolo di Come d’Incanto*
Ho aggiornato!
*sviene*
Okay, questo capitolo è stato un parto. Ma alla fine ce l’ho fatta!! :) hey, come avete passato il Natale??
Io bene, ma dopo il 26 tutti a dieta!! XD
Ora ho poco tempo, per cui rispondo alle recensioni…
Vi auguro Buon Natale in palese ritardo e già che ci sono buon Capodanno (ma facciamo pure buona Pasqua, tanto non riuscirò ad aggiornare entro aprile…:P)
 
THE:maggrazzie!! *macciau! Nono sembro la Hunziker D:* non manca più nessuno?? XD vedrai…vedrai… (solo non si vedono…i due leocorni!!) e i Fab dove li metti, scusa!! >.< aaah Liv ti sta simpatica?? Bene bene… *si sfrega le mani* my Darling, è il mio alter-ego, non so se mi spiego u.u
Ahah ti assicuro che anche a Genova ci sono certi casi… :P
Bacioni!

zazi:zaziiiiii!! *salta addosso* ma grazie! ahah pure io a scrivere mi sento tutta fiera! E mi dico: ehi, sono tutte amiche mie! Le conosco! XD ogni tanto mi dimentico che io non sono io ma è Liv e mi viene il broncio tipo Lindsay :D ahaha eh beh…le oche sono nate per far ridere! Ho racchiuso in loro l’essenza delle bimbeminkia&company che conosco/vedo in giro :P

Jules: heilàààà!anche io ho la frangetta! (ma da tipo quando sono nata u.u) ahah grazie! baci ^^

teleri: ah, ma pure io avrei ammazzato Thelma se fossi stata nei panni di quei poveri studenti costretti a stare dietro di lei! Pensa che a me non è mai successo, però da un po’ di tempo a questa parte tutte le volte che voglio un the o roba simile mi metto in coda e dopo due ore finalmente arriva il mio turno.
Metto la chiavetta, la mia amica si prende qualcosa e poi tocca a me. Oh, tutte le sacrosante volte si blocca la macchinetta e o mi mangia i soldi o non mi da niente, oppure mi da uno sputo di caffè D: ma non è possibile!! >.> ce l’ha con me…ç_ç
Coooomunque… sì, Margareth è un personaggio depresso D: almeno per ora…
Nemmeno io posso soffrire Lady Gaga!! Ti stimo, fratella!
Baci

Thief: thieffiiiiiiiina! Sì, tu sei la mia personal-capitola :P senza di te questa storia sarebbe ancora nei meandri del mio computer… ahah pensa che il nome Abigail mi è nato così per caso *w* vedi, penso di più quando scrivo alla babbo…
Baci ^^

clop clop: hey, grazie! guarda, certe volte pure io vorrei essere al suo posto! :P
sisi ma torneranno presto alla riscossa!


 
Bacioni!!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** There is a place, where I'm alone... ***


There is a place, where I'm alone...

Oggi è il 29 Novembre, indipercui, secondo i miei dottissimi calcoli, domani dovrebbe arrivare George da Amburgo, spedito giù a calci –figuratamente, ma forse anche no- dalla polizei.
L’unico problema qua è che io so tutto di loro, dalla loro età alle marche delle mutande alle mogli attuali alle cause della morte –e ciò può essere un vantaggio-, ma loro non sanno nemmeno che esisto.
E, teoricamente, le mie amiche non sanno che io so. E come potrebbero anche solo immaginarlo? Per loro io sono una studentessa qualunque giunta da Blackpool.
In realtà sono una studentessa del 2010 patita dei Beatles che si è ritrovata per via di chissà quale strano incantesimo nella Liverpool di quarant’anni prima.
E deve ancora capire perché. Che cosa ci fa lì. Perché proprio lei.
Sospiro, appoggiata al muretto sopra l’argine del Mersey, mentre una folata di vento gelido mi scompiglia i capelli.
Rabbrividisco, e mi stringo ancora di più nella giacca.
«Ma quanto ci mette quella santissima ragazza?» Borbotta Thel da una panchina poco lontano da me.
Stiamo aspettando Ruth, che tarda a farsi vedere.
«Sto morendo di freddo!» aggiunge poi Thelma, soffiandosi sulle mani per riscaldarle.
Iris le si avvicina, imbacuccata in un pesante cappotto, e le porge i suoi guanti.
«Scusa, Thel, ma perché non ti alzi da lì? Magari avresti meno freddo, quella panchina sembra gelida!»
Lei sorride nel prendere i guanti e poi borbotta «Infatti è gelida! Ma per il freddo mi ci sono ghiacciate contro le chiappe e non riesco più ad alzarmi.»
Mi giro verso di loro e ridacchio: Thel è sempre la solita.
Dot oggi è stranamente silenziosa; e non sono l’unica ad averlo notato: sono più che certa che tutte stiamo pensando che le manca Paul, che è in pensiero per lui; dopotutto, manca da casa da un paio di mesi. Ma sono anche sicura che le altre non pensano nemmeno lontanamente che io ho i loro stessi pensieri.
Margareth, semi-coperta da una sciarpa di lana bianca, mi si avvicina. «Sei pensierosa, oggi…» annuisco e le sorrido.
«Giuro che appena arriva la uccido!» Urla Thel dalla panchina, battendo i denti.
Io e le altre ci lanciamo qualche sguardo e, senza parlare, ci avviamo verso di lei, e ci sediamo tutte sulla panchina, stringendoci per riscaldarci.
All’improvviso sentiamo rumore di passi –parola mia, “passi” è dire poco. Sembrava rumore di una mandria di bufali inferocita- e ci giriamo: Ruth sta correndo verso di noi, sventolando quella che sembrerebbe una busta di una lettera.
«YUHUUUUUU! RAGAZZE??» Strilla da lontano.
«È tanto che aspettate?» domanda frenando davanti alla panchina. Thelma ringhia.
«Un pochettino, sì…» rispondo io, per evitare che Thel la sbrani sugli argini del Mersey.
«Non sapete che è successo!!» Urla lei tutta eccitata.
«Cosa? Ti hanno rapito gli alieni mentre venivi qui e ti hanno rilasciato poco fa?» sbotta Thelma, ancora arrabbiata per il suo ritardo.
«Non darle ascolto, Ruth. È acida e congelata…» Dot consola una Ruth alquanto spaesata.
«Beh,» mormora «Mi ha scritto George da Amburgo»
«COSA? FANTASTICO!» cinque paia di occhi sbarrati mi fissano.
Oh stupida, stupida, stupida che sono! Non mi hanno mai parlato dei ragazzi, se non un breve cenno a John, e io urlo come se li conoscessi da quando sono nati?? 
«…se sapessi chi è George» concludo con un’alzata di spalle.
Le ragazze adesso appaiono più tranquille, anzi, Margareth accenna un risolino.
«Beh, avanti! Non tenetemi sulle spine! Chi è George? E che ci fa da solo ad Amburgo?» tengo a precisare che il “da solo” era per dire “io so che non è da solo ma lo dico solo per costringervi a parlarmi anche degli altri quattro”.
«Allora,» comincia Thelma, alzandosi dalla panchina, felice di avere una scusa per iniziare a camminare e magari per finire a raccontare davanti ad una cioccolata calda.
Mi prende sottobraccio, e Iris si attacca dall’altra parte.
Ruth è attaccata a Iris, e Dot a Ruth; Margareth, invece, è vicino a Thelma.
«Nel lontano 1957, quando ancora eravamo giovani e indifese, un certo tizio chiamato John Lennon bazzicava per i corridoi del Liverpool College of Art. E la signorina qui presente c’è stata fidanzata nell’estate di quell’anno» Thel indica Margareth, che abbassa lo sguardo.
«Già…» sospira, con gli occhi che cominciano a velarsi di lacrime. «poi John mi ha scaricato per tornare con la Baker… mi ha solo usato!»
Thel sbuffa. «Eeeeh, che discorsi sono questi!?! Anche a me ha scaricato per mettersi con quell’addormentata della Powell, ma io mi sono fatta il suo migliore amico e ho chiuso lì!» esclama.
Ahaha…parla di Paul.
«E poi…» riprende titubante Dot, ignorando la frecciata tiratale da Thelma –ricordiamo che Dot è la fidanzata attuale del Macca- «tu ti sei messa con Len!»
Scoppio a ridere, seppellendomi nella sciarpa. Oddio, ma…Len Garry???
Okay che i gusti sono gusti, ma… e vabbè, tanto è lei che se lo sbaciucchia.
«Esatto! Quindi basta piagnistei per quello stronzo di Lennon e sbrigatevi a raccontare tutto che voglio leggere la lettera di George che non ho ancora aperto!» Commenta Ruth, piuttosto infastidita.
Margareth abbozza un sorriso. Chissà cosa direbbe Len se sapesse che da tre anni sta con una che non ha ancora superato la rottura con un ragazzo che fino a pochi anni prima gli rubava tutte le fidanzate!
Tanto è lui che se la sbaciucchia…
«Con ciò…» continua Thelma «Lennon nel 1956 ha fondato un gruppo, i Quarrymen, che poi hanno via via perso membri perchè John voleva diventare famoso, e gli altri o non erano all’altezza oppure non prendevano la musica troppo sul serio, così John ha incontrato il suo migliore amico in Paul McCartney, un ragazzotto poco più grande di te…» mi indica e io sorrido: di tre anni, per essere precisi.
O di cinquantatre, dipende sempre dai punti di vista.
«…che ha incontrato qui a Liverpool durante una festa di paese tenutasi il 6 luglio 1957, un sabato, credo, o altrimenti non ci saremmo stati tutti, e che poi gli ha presentato George Harrison, ragazzotto allora quattordicenne molto dotato alla chitarra, primo fidanzatino della signorina Caldwell qui presente» Iris alza una mano «e ora fidanzato suo!» Ruth sventola la lettera, sognante.
Ricordo Iris e George… erano teneri, e giovani. La classica coppia “ti tengo per mano quando usciamo da scuola” e “vengo a casa tua a vedere i film con tuo fratello”.
"La mia prima ragazza fu la sorella di Rory Storm, Iris Caldwell. Era veramente bella e si metteva il cotone idrofilo nel reggiseno. Probabilmente lei non ha mai pensato di essere la mia fidanzata. Non sai mai quando si è giovani; ti affezioni giusto a qualcuno, o qualcuno è nella tua stessa stanza, e si finisce per pensare che sia la tua ragazza. Avevo incontrato Iris un paio di volte già giravo attorno a casa sua e ne ero ossessionato. Avevano un piccolo seminterrato che cercavano di trasformare in un caffè. Quella sembrava essere la mania negli anni Cinquanta."  aveva detto George, parlando di lei in un’intervista.
Ripensando a questa descrizione forse smetto di sognare la terza di Iris…
Comunque, forse è meglio far capire alle ragazze che ho capito i collegamenti di Beatleful.
«Aaaah, quindi è lui il famoso George!» esclamo, giusto per fare qualcosa. Che attrice nata che sono!
Thelma mi pare risollevata. «Esatto…» ammicca. «Comunque dopo si sono trovati un bassista, Stuart Sutcliffe, artista bello e dannato che pare stia con una tedesca strafiga, a quanto dice John, e un batterista, Pete Best, il carattere peggiore del Merseyside!» Ricordo questo soprannome di Pete. Non ho mai saputo se fosse vero o no, comunque… ma credo proprio di sì, se stava sulle balle a tutti. O no? Povero Pete…
Sogghigno.
«Per concludere…» interviene Ruth, ansiosa di leggere la sua lettera. «Ora i cinque sono ad Amburgo per cercare di sfondare come band musicale, e noi siamo qua ad aspettarli!» sorride a trentadue denti.
“E a vederci crescere in testa ottantaduemila palchi di corna”, avrei completato io. Ma non mi pareva il caso di esternare i miei pensieri.
Ruth strappa la busta e apre la lettera, infilandosi in un pub per poterla leggere al caldo.
Stipate tutte vicine su due panche, e ordinate una birra e cinque cioccolate calde, Ruth comincia a leggere a voce alta.
 
20 Novembre 1960, Amburgo
 
Cara Ruth,
nelle tue ultime lettere mi chiedevi sempre come andasse qui ad Amburgo; come suonassimo, quanto stavamo svegli, quanto Preludin buttavamo giù, quante ragazze carine ci fossero in giro.
Beh, mi sa che finalmente potrò raccontartelo di persona: infatti ho paura che presto o tardi ci butteranno fuori dal Top Ten.

 
«‘Top Ten’??» esclama Dot. «Ma non suonavano all’Indra Club?»
«Shhh!» la zittisce Margareth, vedendo l’occhiata che Ruth le ha tirato.
La ragazza riprende a leggere.
 
Anzi, mi  butteranno  fuori.
Vedi, Ruthie, il Top Ten è un locale rivale dell’Indra Club, e a Kochmider proprio non va giù il fatto che “siamo passati alla concorrenza” rubandogli tutti i clienti e costringendolo a chiudere il locale.
Ma non è colpa nostra! I giovani qui ci amano, ci seguono, noi ci limitiamo solo a fare quello che ci dicono! Eppure qua sembra sia successo un putiferio…
Fatto sta che Kochmider è l’unico a sapere, oltre ai ragazzi, ovviamente, che ho ancora 17 anni. Eh, già… noi speravamo di cavarcela entro il 25 febbraio, che non è poi così lontano, in modo che io potessi suonare oltre le undici senza essere multato e arrestato; ma quel tale dell’Indra a quanto pare è andato dalla polizei (come la chiamano qui in Germania) a spifferare tutto. Lo immagino, visto che da un po’ di sere una pattuglia bazzica qui vicino. E dubito sia una nostra fan.
Ho paura, Ruth. Non voglio essere rispedito in Inghilterra. Non ora. Non proprio quando stavamo per farcela!
Ora devo andare, la nostra pausa pranzo è scaduta!
Avrai presto mie notizie.
Ti amo,
George.

 
Terminata la lettura, Ruth e Margareth hanno le lacrime agli occhi, Dot è preoccupata per Paul, Thelma sembra che abbia visto Kochmider riflesso nella sua birra, perché la sta fissando come se volesse strozzarla, Iris sospira girando il cucchiaino nella cioccolata calda e io rivolgo lo sguardo fuori dalla finestra, quasi volessi oltrepassare la coltre di nebbia, pensando a cosa sarebbe successo dopo: George sarebbe stato espulso da Amburgo; sì, esattamente oggi. E sarebbe ritornato domani.
Solo che questo non posso dirlo; mi conviene lasciar trascorrere gli eventi.
Ah, dimenticavo… probabilmente tra due giorni Paul e Pete daranno fuoco ad un loro preservativo appiccicato al muro del Bambi Kino.
Questo decisamente è meglio non dirlo.
Sempre persa nei miei pensieri, mi soffermo sul calendario accanto al bancone del locale: 29 Novembre.
VENTINOVE NOVEMBRE??? Oddio! Nessuno qui può sapere che George quarantun’anni più tardi morirà di cancro! –Ottimismo!! Yeah-
«Liv?»
Mi riscuoto dalla trance e fisso Thelma, che mi ha appena finito di sventolare una mano davanti agli occhi.
«Eh? Scusate, cosa mi sono persa?»
«Ho detto che sono le sei, tra un po’ si cena. Andiamo a casa, okay?»
«Oh…sì, certo!» sorrido e le seguo al bancone a pagare.
Uscendo dal locale, rabbrividisco quando una folata di vento gelido mi si infila sotto i due maglioni di lana e mi sventola la sciarpa.
«Brr che dannatissimo freddo!»
Thelma mi si avvicina, sghignazzando. «Ti abbiamo sconvolta eh, Liv?»
Alzo le spalle. «Naaa poteva andare peggio» le strizzo l’occhio.
Dot sembra avere molta fretta. «Ragazze io corro a casa, magari se a Ruth è arrivata una lettera da George, a casa ci potrebbe essere quella di Paul! Ci vediamo domani a scuola, okay?»
«Vaaaabbene…» le rispondiamo noi.
 
Mi avvio verso casa, sono seduta su un sedile in un autobus diretto a Penny Lane e penso insistentemente a ciò che sta accadendo ad Amburgo in questo momento. Nella storia in questo momento: George sta facendo le valigie, perché i poliziotti lo hanno scoperto e cacciato dal Top Ten, e Paul e Pete sono con lui, al Bambi Kino, e scommetto che ora stanno fumando una sigaretta inveendo contro Kochmider.
Ancora un’oretta e George partirà dalla Germania; ancora due giorni e Paul e Pete –il tremendo duo P&P- saranno arrestati per aver dato fuoco al cinema.
Anche se veramente avevano solo appiccicato un preservativo sul muro e lo avevano acceso.
 
Arrivata a casa ceno, leggo qualche pagina delle Cronache di Narnia (grazie al cielo Lewis l’aveva già scritto!!), e mi butto sul letto, sono preoccupata ma anche emozionata per quello che so accadrà domani.
Non posso crederci…CONOSCERO’ GEORGE HARRISON!! Soffoco un urletto nel cuscino e finalmente mi addormento.
 
La mattina dopo mi alzo a manca un quarto alle sette, emozionata come sono, e corro sotto la doccia, tentando di calmare la mia euforia con il getto d’acqua calda. –risultati? Ovviamente nulli-
Meno di mezz’ora dopo mi aggiro per casa avvolta in un asciugamano lilla e con i capelli gocciolanti, i piedi rigorosamente scalzi.
La voce di mio padre, una volta fuori dal bagno, mi risulta molto più chiara: «LIIIIIV! ALZATI E SPEGNI QUELLA STRAMALEDETTISSIMA RADIO!!»
Sbuco dalla porta della cucina, sorridendo. «Ehm, papi… sono in piedi da un po’»
Lui alza un sopracciglio, poi replica: «Beh, e allora perché la radio continua a suonare?»
Faccio spallucce.
«Mi sono dimenticata di spegnerla prima di entrare nella doccia, e lei, come ogni mattina, si è accesa alle sette in punto» che sveglia tecnologica…
Papà sospira, poi abbassa lo sguardo sui miei piedi nudi e sulla pozza che sto formando sul linoleum della cucina, poi si sistema gli occhiali sul naso.
«Cara, vai a spegnere la radio e poi corri ad asciugarti, mi stai lavando i pavimenti.» io annuisco e corro su in camera.
«E METTITI LE CIABATTE!» grida, per farsi sentire.
Ridacchio: papà è fin troppo paziente.
Entrata in camera abbasso il volume della radio in modo che non assordi mezzo vicinato –che ci volete fare? Ho il sonno pesante- e spalanco le porte dell’armadio, tirando fuori la mia camicia del Liverpool College Of Art e la cravatta.
Sullo schienale della sedia davanti alla scrivania ci sono già la gonna blu sotto al ginocchio e la giacca coordinata.
Mi fiondo in bagno e mi pettino i capelli, poi me li asciugo e, infilandomi le mie ciabattine azzurre, zampetto fino in camera evitando allo stesso tempo di far cadere l’asciugamano, manovra che rischia di farmi travolgere Astrid, che sta placidamente ritornando a sonnecchiare sul mio letto dopo una colazione che l’ha soddisfatta, direi.
Guardo l’ora: 7.25. Good.
Mi vesto rapidamente e tiro indietro i capelli –cotonati di nuovo, ma non fatemici pensare- con un cerchietto glitterato, poi gattono per tutta la camera alla ricerca delle mie ballerine nere.
Trovate, le infilo e mi trucco, poi mi scruto allo specchio: ecco, posso uscire.
Afferro la borsa con i libri e scendo giù in cucina.
«Ciao a tutti, vado a scuola!»
«Ma non fai colazione?» ecco che ritornano le paranoie di mia madre: lei è da sempre un’emerita rompib… attenta alla mia linea, ma quando raramente capita che non mangio si preoccupa, asserendo che se non ho fame vuol dire per forza che ho la febbre. Bella alta.
«No, ma… ho lo stomaco chiuso.» Sì, dall’emozione di incontrare George Harrison. Anche se sono sicura che appena gli stringerò la mano mi verrà una fame da lupi, garantito.
Chissà se Ruth mi perdonerà se gli azzanno il ragazzo.
«Chicca, ma neanche un succo? Un succhino piccolo piccolo?? Dai, l’ho preso ieri sera, è all’albicocca.» mio padre abbassa il giornale.
«E va bene» gli strizzo l’occhio e mi siedo a tavola giusto il tempo di bere un enorme bicchiere di succo.
«Ciaoooo!» esco.
Pedalando furiosamente riesco ad arrivare davanti alla scuola a manca dieci alle otto; mai successo in tutta la mia vita… ho per caso una penna? Devo segnarmi la data sul calendario.
Posando la bicicletta nell’apposita rastrelliera scorgo le ragazze vicino ad una delle tra panchine in pietra, e mi avvicino.
Thel nel vedermi mi rivolge un grande sorriso, e mi fa cenno di raggiungerle.
«Salve» le saluto. Oh, c’è anche Maureen!
«Ehi, Mo!!»
«Buongiorno, Liv!» mi strizza l’occhio.
«Ehi! Stavamo giusto per sentire Dot che ci legge la lettera che le è arrivata da Paul» mi informa Margareth.
«Oh, buono…» mi siedo ed ascolto.
 
22 Novembre 1960, Amburgo.
Cara Dot,
Come stai? Noi qui tutto bene, escludendo il fatto che temo che prima o poi George sarà cacciato via dal locale e, forse, anche dalla Germania.
 

«Ancora??» borbotta Thel, come al solito.
«Ci credo che poi li cacciano giù, se la gufano!!» esclama poi, cogliendo le occhiate omicide di Margareth e Dot.
«Eddai, ragazze! Due lettere e neanche un ‘evvai che spasso! Trinco birra dalla mattina alla sera e mi faccio una cameriera al giorno!’ ma siamo sicure che siano loro?»
Maureen ridacchia, ed io osservo Dot e Ruth, che sono sul punto di scoppiare a piangere: Thelma ha ragione, ma possiede un’innata grazia e uno splendido tatto pari ad un elefante albino in un negozio di porcellane cinesi.
Oh, da quanto tempo sognavo di dirlo a qualcuno!!
«Okay, Thel…adesso basta, eh? Abbiamo capito, ma non mi sembra il caso, ora… ne riparliamo più tardi magari.» la stoppo.
Lei sbuffa, ma si calma; ha capito.
Dot riprende a leggere, anche se la voce le trema leggermente.
 
Perché sai, da un po’ di tempo a questa parte girano per il locale dei poliziotti, che decisamente puntano Geo.
 
«Lo sappiamo, lo sappiamo!» sussurra ancora Thel, anche se fa in modo che solo io riesca a sentirla.
 
Temo che Kochmider abbia informato la polizia sulla sua età, non vedo altra spiegazione…decisamente non mi paiono tipi da rock’n’roll.
A proposito: qui è davvero forte! Ci divertiamo un sacco!
Dobbiamo suonare meno tempo di quello fisso all’Indra, ma anche il Top Ten non scherza… in queste ultime due settimane avrò dormito sì e no 20 ore!

 
«CHE COSA???» urliamo tutte.
«Ma è impossibile, come fa?»
«Probabilmente si addormenta sulla chitarra. Sai che spettacolo? John suona e lui russa, poi si danno il cambio. Quindi, teoricamente, lui nel letto dorme venti ore, sul palco 130.» mi fermo solo quando vedo cinque paia di occhi fissarmi sconvolti.
«Beh, era solo un’ipotesi…» borbotto.
Iris ridacchia. «Effettivamente potrebbe anche starci.»
 
Ma non spaventarti!
 

«No, no…tranquillo. Ho solo perso dieci anni di vita, niente di grave!» sbotta Dot.
 
Prendiamo delle pastiglie strane, Preludin, credo che si chiamino. Sono portentose! Ce le fornisce Astrid, la fidanzata di Stu, sai…i suoi genitori sono farmacisti; perciò è tutto legale!
 
«Eh che culo!» esclama Margareth.
«Maggie, con i tempi che corrono fidati che poteva andare peggio» la rimbrotta Ruth.
 
Con quelle rimaniamo svegli anche tutta la notte, se occorre.
Non è fantastico??

 

«Eh, una meraviglia!» sospira Dot, ironica.
 
Così possiamo suonare senza il rischio di addormentarci sulle chitarre. Di solito le buttiamo giù con un boccale di birra.
Sai, Dot…devo proprio farti assaggiare la birra di qua, perché credo proprio che una volta tornato in Inghilterra non riuscirà più a berne una.

 
Seee come no! Wuuuhu occhio al naso, Paulie!
 
Quella di Amburgo è così… buona, così vera birra!
Oh oh, Stu mi fa cenno di andare a provare!
Ci sentiamo presto, Dottie!
Ti amo,
Paul

 
Dot chiude la lettera e se la stringe al cuore. Okay, se vi state aspettando che io incroci le mani sul petto e dica ‘oooooooh!’ come se avessi appena visto un cucciolo di cane tutto tenero, beh… sappiate che non accadrà mai!
Per fortuna la campanella di inizio lezioni mi salva da qualsiasi commento, ed io corro dentro l’edificio, sfrecciando su per le scale ed infilandomi in classe.
 
Alle tre, al termine della giornata scolastica –finalmente!- mi avvicino a Ruth e Margareth nell’ingresso.
«Allora, qualcuno ha aperto i rubinetti stamattina?» tutte e tre guardiamo di sottecchi Dot.
«No…» sussurra Margareth. «Però ci è andata vicino. Sospetto che non abbia sentito neanche mezza parola di quello che diceva il professore.»
«Continuava a sospirare fissandosi la tasca della giacca dove teneva la lettera!» continua Ruth.
«Mmm… dobbiamo tirarla un po’ su, non trovate?» domando io.
«Sì, assolutamente. Ma prima raggiungiamo le altre. EHI, THEL!! IRIS, MO! DI QUA!»
«Eccoci Maggie!»
Ora siamo tutte unite, ed usciamo nel cortile.
Ci avviamo verso la rastrelliera delle biciclette, lentamente, facendoci largo tra la folla ma nel contempo aspettando che la marea di gente defluisca e lasci campo libero.
Giunta fino ad Helter Skelter mi chino ad armeggiare con il lucchetto della catena, quando Iris mi picchetta sulla schiena.
«Ehi, Liv!»
Alzo la testa, incontrando lo sguardo di Maureen, perplessa come me.
«Dimmi, Ir»
Lei si rivolge a tutte.
«Ragazze, guardate là!»
Indica un punto indistinto vicino ad un albero poco lontano dal marciapiede.
Subito non capisco, riesco a vedere solo un ragazzo.
Cerco furiosamente la custodia dei miei occhiali nella borsa, maledicendo ogni secondo i miei fottutissimi sette decimi di vista.
«Oh, ora ci vedo» esclamo, inforcando un paio di occhiali con la montatura alla Buddy Holly: ho sempre sognato averne un paio, e ieri cercavo i miei soliti occhiali per guardare il notiziario della sera e me li sono ritrovati come quelli di Buddy.
E chi sono io per dire di no?
Finalmente metto a fuoco lo sconosciuto: è alto, all’incirca un metro e settantatre, ha i capelli castani raccolti in un ciuffo che ricade floscio sulla fronte, gli occhi marroni spenti e la barba che comincia a ricrescere. In mano tiene una sigaretta quasi terminata.
L’insieme risulta gradevole, ciò non toglie che lo sconosciuto –che ho riconosciuto benissimo, per inciso- sembra aver passato le trascorse ventiquattro ore su un treno.
«RUTH!» grida Thelma, vedendo lei e Dot arrivare da noi.
«Cosa c’è?» chiede lei.
«Guarda un po’ lì…» ghigna Margareth.
Lei alza gli occhi e pare un cieco che vede il sole per la prima volta.
«GEORGE!!!» corre incontro al ragazzo, saltandogli in braccio.
Lui la stringe a sé, buttando la sigaretta a terra e calpestandola con un piede.
«Ruthie...» sussurra.
«Oh, George! Ho ricevuto la tua lettera ieri sera, ed ero così preoccupata per te!»
Comincia a singhiozzare, mentre George le accarezza i capelli.
«Sono qui, ora…sono qui… vedi, alla fine mi hanno sbattuto fuori.» sorride, ma si capisce lontano un miglio che ne soffre.
Ruth lo bacia.
«Ahem!» Thelma li interrompe, ovviamente. Deve essere allergica alle scene d’amore.
Solo in quel momento George si accorge che ci siamo avvicinate a loro.
«Thelma!» la saluta.
«Ehi Maggie, Dot…Iris…» sorride a tutte, ma calca un po’ troppo il nome di Iris, che per un momento abbassa lo sguardo.
«E loro?» indica me e Mo.
Dunque, come posso spiegartelo? Allora, io sono una tizia giunta dal futuro non so in che modo che può esservi utile per prevedere fatti che accadranno come la tua morte, e lei sarà la prima moglie del vostro batterista che ancora non conoscete, nonché tua prossima amante.
Contento?
E l’amerai tanto, oh sì…
«Lei è Maureen, è in classe con Iris e Liv… e lei…beh, è Liv!» ci presenta Margareth.
Geo ci stringe la mano, io prima di afferrare la sua mi sfilo gli occhiali.
Umh, notoriamente più semplice del mio discorso.
«Ciao! Sono nuova di qui…»
«Ah, mi pareva di non averti mai vista qui in giro… lei sì» e indica Maureen. «ogni tanto bazzica per i locali dove suoniamo io e la mia band. Ma tu no…»
«Eh eh…vengo da Blackpool»
«Dai? Ci sono stato… abitava lì vicino la madre di John, la cara Julia…» per un attimo gli brillano gli occhi, perso nei ricordi da Quarrymen prima della tempesta, poi si ricorda di chi ha davanti e sorride, più calmo.
«Oh, ma che idiota! Tu non conosci John, e tantomeno Julia...»
«No, no! Sa tutto, le abbiamo raccontato un po’ di cose» interviene Thelma, il mio avvocato difensore.
«Ah sì?» Uhm, sì…anche se si sono dimenticate di accennarmi di Julia e Mary, ma teoricamente lo so già… eheh.
Annuisco senza parlare.
«Georgie?» lo chiama Ruth, stringendogli una mano, visibilmente infastidita di essere stata messa da parte.
«Ruthie?»
«Che ne dici di andare in un pub? Così potrai raccontarci tutto…» propone, preoccupata per il velo di tristezza che ricopre gli occhi di George.
«Sì…» annuisce lui. «d’accordo. Poi andrò a casa… sono un po’ stanco e ho bisogno di una doccia.» la sua voce è così flebile che sembra un soffio.
Lui e Ruth si incamminano, quasi dovessero partecipare ad un funerale, e le altre ragazze li seguono; persino Thelma sembra aver perso la sua ironia.
Quando George mi passa accanto rimango ferma, poi arriccio il naso: sì, decisamente ha bisogno di una doccia.
 
Entriamo nel pub, e ci sediamo sulle panche accanto a un tavolino rettangolare, con il legno tutto inciso da scritte e disegnini.
«Cosa prendete? Io una gazzosa…» Margareth si alza, per andare al bancone a ordinare da bere.
«Birra!» esclama Thelma.
«Gazzosa…» dice Dot, e Iris e Ruth annuiscono, per dire che andava bene anche a loro.
«Okay, una birra e quattro gazzose. Voi?» si rivolge a me e Maureen.
«Io una coca» afferma Mo.
«Sì, anche io!» che bello! Non sapevo le bevessero già. «Ti vengo a dare una mano» mi alzo e raggiungo Maggie.
«Grazie Liv. E tu Geo?»
«Io scotch e cola, grazie Maggie» Ruth spalanca gli occhi e si volta verso di lui.
«Beh?» domanda lui acido.
«Non ti pare un po’ forte quella roba?»
«Ruthie, non sei mia madre. Grazie.» ribatte gelido.
«Cosa c’è, la birra inglese non ti basta più?» Ruth ha quasi le lacrime agli occhi, e si sta mordendo violentemente il labbro inferiore. Vorrebbe continuare ancora, ma sa che non può.
Si risiede e china la testa, per non far vedere le lacrime che hanno cominciato a scendere, io e Maggie ci allontaniamo in silenzio verso il bancone.
«È inutile che Ruth continui a negarlo, abbiamo capito tutti che tira una brutta aria.»
«Brutta aria?»
«Sì…» sospira. «stanno insieme dal ’58, però è palese che è più innamorato della musica che di lei. Ruth è una bella ragazza, nessuno può negarlo, però… io non so cosa abbiano combinato su ad Amburgo ma…»
«Dati i locali in cui suonavano non si può sapere quali…ehm…dolci compagnie frequentavano.»
Maggie mi rivolge uno sguardo stupito, mentre appoggia i gomiti sul bancone, in attesa del barman.
Alzo le spalle. «Ci sono stata in vacanza con i miei qualche estate fa…»
Il che è vero. Però nel 2008. Ma non credo che le cose siano tanto diverse, no?
«Io no, ma non sono così scema… insomma, cinque ragazzi inglesi, musicisti, piuttosto attraenti» piuttosto attraenti??? Non è proprio il termine che userei… «disponibili 24 ore su 24… tanta manna. Io prendo una birra, quattro gazzose, due cole e uno scotch e cola, grazie!» ordina e si rivolge di nuovo verso di me.
«Comunque,» riprende, mentre il barman stappa le bottiglie in vetro e versa le bevande in bicchieri tozzi.
«Sono più che sicura che si sono portati a letto qualcuna. E non è detto che sia la stessa ragazza.»
Osservo l’uomo che urla ad una delle due cameriere seminude, una certa Milly, di spillare la birra.
«No. Non volevo dirlo, ma ne sono convinta anche io.» tant’è vero che, ripeto, Dot, Ruth e Cynthia hanno più palchi di corna di un alce.
«Come facciamo con Ruth?» domando, mentre afferro il vassoio e mi avvio verso il nostro tavolo, barcollando cercando di tenere quel dannato affare in equilibrio.
«Non ne ho idea, purtroppo. Credo che debbano chiarirsi loro» Margareth afferra lo scotch e cola e una gazzosa dal mio vassoio, rendendolo più leggero.
«Chiaro, lasciare che gli eventi corrano!» esclamo, azzerando la distanza tra me e il mio tavolo e posando le bevande.
«Avete ordinato, signori?» mi sdilinquisco imitando una delle cameriere che si era quasi sdraiata sul tavolo nel tentativo di chiedere a George se fosse già passato il tipo delle bevande.
«Sì, grazie miss» mi risponde lui.
Io sorrido come un’oca. «Ma ne siete sicuri?» corruccio la bocca, in un modo che ricorda così tanto Lindsay che vedo Maureen arretrare sulla sedia. «Sennò… io porto via tutto, eh!»
Lui scoppia a ridere. «No, no…stia tranquilla! È perfetto!»
«Oh bene!» mi schiarisco la voce e mi lascio cadere pesantemente sulla panca in legno.
«Cara, hai la grazia di un elefante» mi apostrofa Thel.
«Oh, povero innocente elefante!» rispondo io.
Ognuno prende la sua bibita e per una manciata di secondi nessuno parla, troppo impegnato a bere.
«Allora, George! Non dovevi raccontarci qualcosa?» domando dopo un po’. Ruth mi sorride, grata per aver sollevato il discorso.
Lui improvvisamente si rattrista, abbandonandosi sullo schienale della panca e per un attimo fa il gesto di cercare una sigaretta.
Poi si ricorda che sta bevendo, e si rilassa un minimo.
«Eravamo sulla cresta dell’onda, ce la stavamo per fare; mancava tanto così! Poi la polizia è entrata e mi ha trascinato via. “George Harrison, sei un diciassettenne!”» dice, scimmiottando la polizei tedesca.
«Vedo che sventolano il contratto di Kochmider con la mia data di nascita sopra che parla chiaro. L’ultima cosa che mi ricordo di questa orribile sera sono le espressioni dei miei amici; di Johnny, Paul, Stu, Pete… che mi guardano attoniti ed impotenti, senza neanche provare a ribellarsi alla polizia. Sanno che non devono… i tedeschi picchiano duro.» sorride, e scopre un livido sull’avambraccio sinistro.
Ruth urla, Iris è scioccata, Maggie si copre gli occhi e Dot scoppia in un pianto isterico: ha paura per Paul.
George si accorge del suo errore e posa una mano sulla spalla di Dot.
«Dorothy, Paul sta bene, te lo posso assicurare. È felice là dove si trova, e presto tornerà a casa.» Maureen accarezza i capelli della ragazza, che è appoggiata sulle braccia, incrociate sul tavolo.
Dot annuisce poco convinta.
«Ora, milady, io me ne tornerei a casa… se non vi dispiace. è stata una giornata orrenda e poi…credo che i miei genitori debbano sapere del mio arrivo»
Butta giù lo scotch and cola rimanente in un solo sorso.
«Saranno contenti di vederti…» lo rassicura Iris, mentre Thelma gli porge la giacca.
«A presto, Geo!» lo salutiamo.
Lui ci rivolge un triste sorriso e cammina verso l’uscita del pub, accendendosi una sigaretta.
«Vedrai!» gli urla dietro Iris, per continuare il discorso di prima.
Anche se George non è per niente convinto: pensa, infatti, che dovrà abbandonare la musica. L’insuccesso è una macchia troppo indelebile per sparire così in fretta.
E il fuoco della delusione brucia troppo velocemente per poter essere estinto subito.

 
It’s getting better!

Waaaaaa ** ho completato un altro capitolo!
Santissimi numi, quanto mi era mancata questa sezione!! Purtroppo siamo agli sgoccioli dell’anno scolastico e sono piena di verifiche ed interrogazioni di recupero –tipo latino e greco coff coff- e quindi non ho praticamente mai tempo di aggiornare le mie storie!!
(se se…tutte scuse nd.vocina)
(zitta tu! nd.me)
Comunque ci tenevo a ringraziare tutte voi per le dieci –DIECI!- recensioni che mi avete lasciato –ragazze, rischiavo l’infarto precoce!!- e tutte coloro che mi hanno messo tra gli autori preferiti, oppure hanno inserito la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate; in particolare AiraLune; Andry Black; Ariadne_Bigsby; Astoria Malfoy; Beth__; clop clop; DazedAndConfused; Hermione Granger`;_Irene; Jackie Daniels; Jules_; Laban; Lady__Beatles; Levi McCartney; Martha McCartney; Martina 97; natalia; ohfra; Slayph_; Sofia The; TheLilac; Thief_ eZazar 90 (va’…sono pure in ordine alfabetico! :D).
Inoltre vorrei dare il benvenuto a tutte le nuove autrici della sezione! *applaude*
 
Ora un po’ di note di fine capitolo: allora…precisiamo che non sono mai stata ad Amburgo, anche se vorrei tanto, e anche se posso dire di “conoscerla” almeno un pochino grazie ai Fab;
la gatta di Liv, Astrid, è una personificazione delle mie due pesti Giuditta e Cedric, perciò aspettatevene delle belle;
con questo capitolo è ufficialmente finita la sezione Pre-Beatles (** fa tanto Promessi Sposi!) perciò dai prossimi capitoli appariranno in sequenza anche i restanti cari tesorini *fa pat pat sulla testa di Paul con aria malefica* [Paul: cosa mi vuoi fare?? Pazza!] oh, niente Paulie, vai tranquillo…
MUAHAHA non sa quello che lo aspetta! [Paul: ç__ç] ;
e poi…mmm… cosa dovevo dire? Ah, sì!! È APPARSO GEORGE! *urletto da fan girl* allora, cosa ne pensate di questo George un po’ tanto depresso dopo Amburgo? È abbastanza in carattere? È descritto bene? (ma veramente fa sch…) sappiate che ogni vostra parola potrà essere usata contro di voi al processo! *carica il bazooka tascabile*
 
fine delle note post-capitolo (Yeee!)
inizio risposte alle recensioni (Noooo!)
 
Jules_: no, non lo sapevo xD fa sempre piacere sentirselo dire, però! ^^ ahaha grazie! Anche io voglio (anzi, no, esigo!) la camera di Liv!! Vuoi mettere la bellezza dei poster di Elvis (Elvis **) e degli LP sparsi sul pavimento?? Ahah il professore è un po’ un mix di tutti gli insegnanti che mi sono capitati fino ad ora (fatti un’idea xD)
Come non sapevi che ti eri fatta mezza Roma??? Ignorante incosciente!! XD XD
 
AiraLune: ciaoooo!! Mi fa piacere sapere che anche tu la pensi come me! Oooh un’altra classicista?? *stringe la mano* in che classe sei?
Oddio, io adoro letteralmente Ritorno al Futuro!! Basti sapere che io e mio cugino ci chiamiamo rispettivamente ‘McFly’ e ‘Doc’!! baci!
 
The: carissima!!! Come stai?? Ahaha grazie, buona Pasqua anche a te! (in ritardo. Ma tu me l’hai augurata a dicembre) visto che non era del tutto errato fare gli auguri quattro mesi prima?? Adesso vi auguro buon Ferragosto e già che ci sono pure buon Natale 2011, così ho la coscienza a posto! :D
Guarda, per fortuna Liv se la cava con il disegno…e con la chitarra ç__ç io sono brava solo a ricopiare ritratti, ma a disegnare a tema libero senza niente davanti…oddio, impazzirei! Grazie :) sono davvero felice che ti piacciano le uscite malefiche di Liv ;) ahahaha ma dai! Poverina! Beh, io porto il plutonio, allora…dove ci vediamo?? xD
 
Levi McCartney: ehm…il nome l’ho preso da Hannah Montana *si nasconde piano piano* e ho inventato tutta la vendetta mentre spiegava il futuro di greco x°°D hai visto?? È arrivato Geo ** e nei prossimi capitoli giungiueranno –come dice la mia prof- anche gli altri quattro!! :D baci
 
natalia: la mia cara, dolce natti!! Ti ringrazio davvero tanto, ogni recensione che mi lasci mi fai commuovere… Mi fai sembrare una scrittrice! :D O santo cielo…grazie, grazie, grazie!! Che bel complimento quello sulla comicità alla Beatles! Un grosso bacione con lo schiocco accademico (?? Sono partita, perdonami :P) nella speranza che continui a seguirmi!
 
Ariadne_Bigsby: Arììì!! Che bello, ci sei anche tu!! ehi, quando aggiorni la tua stupenda storia?? (e qui si scoprì che Bià l’aveva già completata da marzo o_o) ahaha tu non hai idea dell’invidia che provo verso Liv xD non ti preoccupare per il ritardo, piccola rintronata :P ti voglio bene!
 
Thief_: thieffete!!! Macciauuuu! Buona Pasqua xD tu non hai idea delle cose che vorrei fare a certe ragazze scassaballe… altro che scavi per le tubature!! (ahem, ricomponiamoci. Oooohm! Troviamo il karma interiore! Oooohm!)  gli unicorni! Gli elefanti volanti! Gli asinelli che starnutiscono e parlano!! Gli gnomi ** uahaha sei un genio thieffina! <3 baci!
 
Reny_Eyre (alias Teleri :D): ahaha hai indovinato! Lindsay e Hannah sono le prime truzze della storia!! xD sìì è tutta colpa loro se adesso alcune ragazze sono ridotte così!! -.-“
Guarda, anche io cantavo sempre le canzoni dei Beatles alle medie, mentre disegnavamo… adesso non abbiamo più arte!! Poi dall’anno prossimo avremo solo teoria :( sigh…
O mamma! Solo lo zucchero! D: ora si è regolarizzata da me… sarà perché prendo l’acqua XD XD
 
clop clop: sìììì!! Al rogo Hannah e Lindsay! (Peace&Love u_u) grazie per i complimenti!! Baci :D
 
Hermione Granger` (alias Brookelle): grazie!! una bici di nome Doctor Robert?!? Ahaha spettacolare! Sì, sei decisamente un’illusa u_U anche perché ho pubblicato il nuovo capitolo a distanza di quattro mesi!! XD spero che tu possa perdonarmi ;) *faccina supplichevole*
 
E ora…*rullo di tamburi*
Possiamo dare fin… *qualcuno mi tira per la manica*
Sì, sì… che c’è?
Ah, giusto! Ecco una foto di Georgino ai tempi in cui è ambientato il capitolo!!

 
Image and video hosting by TinyPic
 
See ya!
Melardhoniel (ah, giusto…ho cambiato nick xD)
 
*George le tira un calcio*
*insegue George saltellando su un piede*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** There is a place, where I feel low... ***


There is a place, where I feel low...
 
Driiiiiin!
Allungo una mano verso il comodino e cerco a tentoni di spegnere quel dannatissimo arnese che sembra spostarsi ad ogni colpo.
Maledette sveglie, più sono vecchie e più fanno rumore.
Avevo deciso di mettere la sveglia qualche minuto prima della radio, così nel caso in cui qualche dj che ce l’avesse avuta a morte con me avesse pensato di mettere musica soft, sarei già stata –alla facciaccia loro!- quasi fuori dal letto.
Apro gli occhi e guardo fuori dalla finestra: il cielo è grigio, il mattino è buio, ma l’aria sembra tersa: adoro l’inverno, è la mia stagione preferita, forse anche perché ci sono nata.
Mi piace il Natale, l’atmosfera che si respira, la neve, le cioccolate calde, i the al mattino e leggere con una coperta sulle gambe, possibilmente spaparanzata su una poltrona davanti al fuoco.
Purtroppo nel 2010 il fuoco era stato sostituito già dal calorifero, perciò la prima volta che mi sono trovata davanti al caminetto del salotto devo aver fatto una faccia del tipo: “caaaamineeeettooo!!” con la conseguente occhiata di mia madre “ma-sei-sicura-di-stare-bene-tesoro?”
Ma sono dettagli infimi.
Mi stiracchio e poso cautamente un piede fuori dal letto.
 
Well, that's all right, mama
That's all right for you
That's all right mama, just anyway you do
Well, that's all right, that's all right.
That's all right now mama, anyway you do

 
La radio si accende e comincia a gracchiare quella che sembra essere una canzone di Elvis.
«Ah, ah!» le punto il dito contro, mentre scendo completamente dal letto. «Ti ho fregato!»
Come al solito, dopo una leggera colazione –the, bacon e cereali, sì lo so, faccio schifo-, unarapida vestizione e le solite urla pre-cotonatura, sono fuori in strada in sella alla mia inseparabile bici.
Pedalo allegramente vero il Liverpool College of Art, mentre il freddo vento di inizio dicembre mi punge il viso. Rido: «OGGI È VENERDI’!»
Venerdì 2 dicembre, per l’esattezza; ovvero due giorni dopo l’arrivo di George Harrison ed il giorno stesso in cui Paul McCartney e Pete Best verranno spediti dalla Germania con una solenne pedata.
WOOOOOW! Stasera incontrerò Paul McCartney!!
Dall’emozione quasi cado dalla bici.
…E Pete Best, poveraccio. Non se lo fila mai nessuno…
Non mi resta altro che pedinare Dot, allora, perché di certo lui si presenterà a casa sua, mondo crudele. La cosa non mi toccherebbe più di tanto se non fosse che ho una stratosferica cotta per il caro Paulie da quando ho sei anni, ovvero dal momento in cui, guardando il video di “Love me do” sulla cassetta dell’Anthology 1, sono rimasta –e giuro che non scherzo- con la mascella poco educatamente aperta dal primo “so please, love me do” all’ultima nota. Queste sono cose che lasciano il segno…
Quindi, se Ruth probabilmente non mi avrebbe perdonato nel caso in cui, in preda ad un raptus di fame, le avessi azzannato il ragazzo; di certo Dot non mi rivolgerebbe più la parola se saltassi addosso al suo fidanzato che in teoria non dovrei conoscere.
Scendo dalla bicicletta e la assicuro alla rastrelliera con catena e lucchetto.
«Eeeehi! Sei quasi puntuale!» alzo lo sguardo, incontrando gli occhi neri e ammiccanti di Thelma. «Ovvio! Vuoi che mi perda geografia?» rispondo ridendo.
Ah, per la cronaca: iodetesto geografia. La trovo una materia pressoché inutile, e di certo il mio prof non aiuta: è maschio, meteoropatico e dà i voti alla cacchio. Ditemi un po’ se è normale!
«Hai più visto Ruth?» mi domanda Thel visibilmente scocciata.
«No, perché?»
«Perché ci snobba, ecco perché! A scuola ci saluta, ma non fa altro che stare con Harrison! E poi, “George di qua, George di là”…»
«Ma Thel, è normale! Le è mancato… sono stati separati per quasi un anno, mentre noi ci vede sempre.» le sorrido, lei sbuffa.
«Sì, va bene…però non può stargli sempre appiccicata, lo sfiata!»
«Veramente a me non sembrerebbe proprio “sfiatato”» in mezzo alla massa di studenti che si affrettano a varcare la soglia dell’istituto le indico Ruth e George che si stanno dando un lacrimevole addio.
Thel liquida la faccenda con un gesto della mano: «Sì, vabbè… ci sono delle eccezioni.» e si avvia verso il pianerottolo borbottando:«Mica deve andare in guerra!»
«Eeeh, vabbene. Teniamocela così come è.» mi sistemo la borsa a tracolla e saltello su per le scale.
 

***

 
Quando finalmente –sìììì!! Per mille pluffe saltellanti!- suona la campanella dell’ultima ora Margareth raggiunge preoccupata me, Iris e Maureen che ci avviamo (più correttamente ci trasciniamo) verso l’uscita dell’istituto.
«Ragazze, sono preoccupata per Dot.» ci bisbiglia, notando che Lindsay-voglio-sapere-qualsiasi-cosa-purchè-siano-fatti-degli-altri Chantail è in ascolto.
«Perché?» domanda Thelma, avvicinandosi.
«Aspettate, usciamo.» consiglia saggiamente Iris.
Arrivati finalmente all’aria aperta, ci sediamo su una panchina poco lontano dal corridoio ovest.
Ruth, che ci aveva seguito in silenzio, avvista George tra la folla e fa un gesto come per correre verso di lui, ma Thelma la afferra per un braccio: «Eh, no, cara missà che il mio fidanzato parte per la guerra, tu ora ti siedi e ascolti. Dal tuo Ken ci andrai dopo.»
E la getta di peso sulla panchina.
Rivolgo uno sguardo di rassicurazione a George e lui capisce, cominciando a camminare verso di noi: è vestito da teddy boy, con la giacca nera ed il colletto tirato su, la camicia bianca ed i pantaloni neri a sigaretta, ha sistemato il ciuffo alla Elvis e sul suo viso campeggia uno stupendo sorriso sghembo. In mano tiene un mazzo di fiori. Se Ruth e Thelma non se la prendono con me, quasi quasi gli salto addosso io.
«Dicevamo?» comincia Maureen.
«Dot mi preoccupa, ragazze. Stamattina non è venuta a scuola, e la cosa strana è che non mi ha neanche avvisato! Di solito mi chiama verso le sette e mezza. Non vorrei fosse successo qualcosa di male, sapete, era piuttosto sconvolta due sere fa...» spiega Margareth.
«Secondo me, Maggie, non è niente di cui preoccuparsi. Probabilmente è tornato Paul o l’ha chiamata, o qualcosa del genere. Se George è qui non credo che il resto del gruppo rimanga per molto su ad Amburgo… o sbaglio?» domando, fingendo di non conoscere bene né gli eventi futuri né la psicologia dei ragazzi.
«No, in effetti hai ragione…» annuisce Margareth.
«Ragione su cosa?» interviene George, porgendo il mazzo di fiori a Ruth (Thelma fa finta di vomitarmi addosso).
«Liv crede che Dot sia assente oggi perché è tornato Paul.» spiega Iris, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
«Ah… in effetti potrebbe essere un’ipotesi, a meno che quei quattro stronzi non decidano di continuare a suonare senza di me.»
«Sinceramente non lo so.» dice Thel. «Se così fosse a quest’ora starebbe già correndo verso di noi…»
«…urlando come un’ossessa e sventolando le braccia come se dovesse spiccare il volo?» domanda Maureen.
Thel la guarda sbigottita.
«Tu…tu la conosci?» chiede Margareth.
«No, ma è dall’attraversamento pedonale.»
A quelle parole tutti –George compreso- ci giriamo verso il punto indicato da Mo, constatando che Paul,effettivamente, era tornato a casa.
«RAGAZZEEEEEEEE!» urla.
«RAGAZZEEEEE! E…oh, ragazzo. Ciao Geo!» Dot si appoggia allo schienale della panchina, stanca.
«Ho una mega sorpresa per voi!»
«No, davvero?» domando ironica.
«Sì, ma non vi dirò di più… ci vediamo a Sefton Park alle cinque, okay?»
«Ma…ma…» protesta Iris. «le cinque sono l’ora del the!» mette il broncio.
Dot la fulmina con lo sguardo.
«Oh, e va bene…» borbotta contrariata.
Guardo l’ora sulla facciata dell’edificio. «Ragazze, io devo proprio andare! Ci si vede!»
Mi avvio verso la rastrelliera delle biciclette, seguita da Maureen che oggi pranza con me.

 
***

 
«Beh?»
«Cosa “beh”, Thel?» sospira Iris.
«Beh dove sono?» domanda esasperata Thelma.
«Probabilmente a pomiciare agli angoli dei locali…» mugugna Margareth, appoggiando il mento sulle ginocchia.
Sento le mie viscere attorcigliarsi.
Con un risolino piuttosto tirato scaccio via l’istinto omicida verso Dot e cerco di mantenermi concentrata sulla situazione.
«Ruth, ma George perché non è venuto?» chiedo, anche se credo di sapere la risposta.
«Non ha la minima voglia di incontrare Paul. A dire il vero neanche di sentir nominare “Amburgo”, “Beetles”, e “musica”.»
Appunto…
«Poveraccio…»
«Pfft!» interviene in quel momento Maureen.
«Beh???» è l’unica reazione proveniente da una stufa Thelma.
«Ve lo immaginate se ora ci stiamo facendo tanti castelli mentali per niente? E se poi doveva…che ne so…mostrarci il suo nuovo cane o qualcosa del genere?»
Scoppiamo tutte a ridere.
«Già…questo forse spiegherebbe il suo ritardo!» ridacchia Maggie. «Magari sta raccogliendo i suoi bisognini»
«Ahem…» si schiarisce la voce Iris, indicando l’entrata del parco.
«Occhei, ragazze… possiamo decisamente dire addio al cucciolo di beagle!» esclamo, lasciandomi cadere pesantemente sulla panchina: il momento è arrivato.
Dot e Paul stanno camminando lentamente verso di noi, mano nella mano. Lui non sembra troppo convinto di questa “rimpatriata pomeridiana” e più volte lei deve alzarsi in punta di piedi per mormoragli qualcosa.
Ha l’aria molto distrutta, ma i vestiti sono puliti e stirati, ed il ciuffo è fissato perfettamente; quindi probabilmente lui e Pete sono arrivati a Liverpool stamattina presto e lui ha avuto il tempo di cambiarsi.
Quando mancano pochi metri alla panchina Paul stringe la mano di Dot, e lei ricambia la stretta: non sarà l’unico a dover raccogliere tutte le proprie forze oggi.
«Ragazze!» ci sorride radiosa lei.
«Ciao Dot!» la saluto io, sorridendo sinceramente: non posso odiarla perché sta con Paul, in fondo è simpatica. Non è nella mia natura maledire una ragazza se questa sta con il bassista dei Beatles.
«Ma dov’eri finita??» sibila Thelma. «Sono le cinque e mezza!»
«Uffa, Thel! Ero con Paul!» sbuffa lei, sedendosi accanto a Maureen.
«Quello l’avevamo capito, grazie»
«Avanti, Thelma…ora basta.» Margareth le poggia una mano sulla spalla.
«Ciao Paul!» Ruth è la prima a cercare di metterlo a suo agio.
«Ruth! Come stai? George sta bene? È tornato?»
«Sì, sì…stai tranquillo. Ieri mattina è venuto a prendermi a scuola. Sta… sta bene, Paul. E tu?»
Una piega amara si forma all’angolo della bocca del ragazzo.
Guardandolo meglio posso vedere che ha il labbro spaccato: ecco cosa intendeva ieri George dicendo che i tedeschi “picchiano duro”.
«È tutto okay, perché no? Domani ho un colloquio di lavoro.»
A quelle parole strabuzzo gli occhi. «COLLOQUIO DI CHE?»
Paul McCartney non può mettersi a lavorare! Sarebbe come se Carl Barks invece che scrivere storie sui paperi si fosse messo a cucire centrini!
Le ragazze mi guardano sbigottite, Paul mi scruta come se fossi una sua fan assatanata capitata in un camerino durante un concerto del 1964, io cerco di scivolare sulla panchina con le mani premute sulla bocca: Merlino, che figuraccia!
«Scusa tanto, ma tu chi saresti?»
«Ahem. Liv Sparks, piacere.» pigolo, porgendogli una mano.
«Sei nuova di qui?» continua, mantenendo un tono freddo e distaccato.
«Sì. Vengo da Blackpool.»
«E posso sapere cosa ti sconvolge tanto, Liv Sparks?»
Merda.
«Se tu sei davvero così bravo come loro mi dicono,» o, meglio, come io so, «come puoi anche solo pensare di abbandonare tutto dopo la prima sconfitta?»
Sulla fronte distesa di Paul si forma una ruga.
È arrabbiato, e anche tanto.
«Io non so chi sia tu, non so cosa ci fai qui e soprattutto non so come tu faccia a conoscermi. Chi pensi di essere, per giudicare così le mie scelte? Che sai tu di cosa ho passato ad Amburgo?» l’aria attorno a noi è tersa; dal silenzio che c’è pare di essere rimasti solo io e lui.
«Io so solo, Paul McCartney, che –da quanto mi dicono loro- sei un bassista della Madonna. Scusami eterna madre…» mi rivolgo al cielo. «E se tu, dopo essere stato cacciato via da Amburgo solo perché tenevi nel gruppo un minorenne, sei pronto a rinunciare al successo che ho capito che avete conseguito per lavorare, beh…allora non ti meriti tutti i complimenti che ti hanno fatto.»
Furiosa afferro la mia borsa.
«Ci si vede a scuola!» esclamo rivolta alle ragazze, uscendo a grandi passi dal parco.
Riesco a sentire Thelma domandare: “Scusami eterna madre?? ” e Maureen risponderle: “È cattolica.”
Diamine!
Arrivo a casa distrutta; non ho voglia di vedere nessuno, solo di stringermi al mio gatto e di guardare un film con una coperta sulle gambe ed una tazza di the fumante in mano.
…ed una scorta di fazzoletti, temo.
Chiudo la porta, abbracciandomi ad Astrid che, comprensiva, si accoccola sulla coperta e comincia a fare le fusa. Accendo la TV ed il canale si sintonizza su una replica della serie televisiva The Adventures of Robin Hood (le Avventure di Robin Hood –per gli scarsi in inglese u_u), dove intravedo Jane Asher nel ruolo di Alice A’Bland, e suo fratello Peter nel ruolo di Oswald A’Bland, due bambini che vengono poi salvati da Robin Hood.
Nel vedere Jane mi rovescio sul letto con un cuscino sulla faccia: anche lì! Ma era una maledizione! Non bastava Dot per sentirmi una completa idiota? E la figuraccia che avevo fatto con Paul? Santi numi, quel testardo mi aveva proprio fatto girare i nervi.
Grrr…sapevo di avere ragione, ma se quello lì non l’avesse riconosciuto avrei anticipato di un paio d’anni la teoria del P.I.D., poco ma sicuro.

 
***

It’s getting better!
 
ROMANIIIIIIII!! (eeeeh!)
Come ve la passate, ragazze? Io bene! Ci tengo a farvi sapere che sono stata promossa alla prima classe del triennio del liceo ;)
No, sapete, ve lo dico perché l’ultimo capitolo risale a maggio, così almeno non siete più preoccupate. xD
Ad ogni modo, è apparso George, è apparso Paul, è apparsa Jane… mancano Peter, John e Stuart.
E arriveranno, tranquille, anche se non necessariamente in quest’ordine :)
Per rispondere alle recensioni userò d’ora in poi l’ottimo sistema offerto da EFP, così almeno saprete che ogni tanto riemergo dall’Oltretomba!
Vi lascio con un piccolo spoiler del nuovo capitolo ed un’immagine di Paul di quel periodo :D
Spoiler.scendo le scale ancora mezza assonnata, stretta nella mia vestaglia, struccata e pure ciabattando: uno spettacolo! Poi realizzo quello che mia madre voleva dire con ‘hai visite’ e mi immobilizzo come Ginny alla Tana quando vede Harry (embè? Sono fissata con Harry Potter.).
O madre de dios. Che figura.




baci,
Marty

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** There is a place, where I feel blue. ***


Capitolo 8:
There is a place, where I feel blue.
 
La mattina dopo mi sveglio sentendo dei sussurri indistinti provenire dal piano di sotto.
Guardo l’ora: 10.15. Eh beh, direi che ho dormito. Ma tanto è sabato!
L’arrivo di mia mamma interrompe le tanto profonde riflessioni: «Tesoro, sei sveglia?»
«No, ho gli occhi aperti così per sport…» rispondo acida.
Lei scoppia a ridere. «Scendi giù, hai visite!» e chiude la porta.
Visite: che cosa vuole dire che ho visite?? Il primo che si azzarda a dire che “avere visite” significa “avere la presenza di qualcuno, conoscente o amico, che ti è venuto a trovare a casa tua senza programmazione alcuna” fa una brutta fine, vi avverto.
Il fatto è che non ho la minima idea di chi possa essere. Maureen? Iris? Thelma? Margareth? Dot? Ruth? Escludendo le ultime due, per ovvi motivi, perché le altre dovrebbero venire a trovarmi?
Che sia George? Per parlare con me di quanto è successo con Paul? Naa, figuriamoci: sarà con Ruth oppure a lavoro.
Lavoro…brividi. George Harrison a guidare gli autobus come il padre: non commento che è meglio.
O magari è Paul! Venuto a scusarsi per la faccenda di ieri!
…sì, va bene, sarebbe molto più probabile una cosa tipo Malefica o Pena e Panico. O Cip e Ciop con tanto di noci e Paperino a seguito.
Okay, finchè non scendo le mie perplessità rimangono e rischio anche di far andare via la persona giù di sotto. Animo, alziamoci!
Scendo le scale ancora mezza assonnata, stretta nella mia vestaglia, struccata e pure ciabattando: uno spettacolo! Poi realizzo quello che mia madre voleva dire con ‘hai visite’ e mi immobilizzo come Ginny alla Tana quando vede Harry (embè? Sono fissata con Harry Potter.).
O madre de dios. Che figura.
La persona in questione si gira e mi fissa, con un mezzo risolino. Probabilmente si sta chiedendo in che razza di casa è finito.
Gli occhi azzurri di Pete Best vagano dai miei capelli non cotonati –non ho mai adorato così tanto il fatto di averli lisci e quindi quasi in ordine!!- alla mia vestaglia azzurrina; per fermarsi poi sulle mie ciabatte di gomma, una viola ed una rosa.
(Idea di mia mamma; lei ha le altre due, ma la maledetta in questo momento è già vestita di tutto punto).
«Ahem. Non so chi tu sia,» oh sì che lo so… «però vado a cambiarmi, eh? Ci metto un attimo!»
Pete ridacchia e viene fatto accomodare in salotto.
Mi infilo i vestiti saltellando per la fretta e lego i capelli in una coda alta: non voglio perdere tempo a cotonarli; quindi non mi resta che acconciarli in qualche modo.
Mi gonfio la frangia e scendo, spostando Astrid che come suo solito sonnecchia accanto alle scale.
«Sono pronta!» annuncio entrando in sala. «Ti va se andiamo a fare una passeggiata?»
Non prendetemi per depravata o che so io, ho dei validi motivi per chiedere ciò:
1)     fuori c’è un bel sole nonostante sia dicembre
2)     sono più che sicura che Pete sia venuto qua per parlarmi di Paul
3)     casa mia non mi sembra il luogo più adatto per conoscere un Beatle, perché se lui si imbarazza rischia di non dirmi quello che vorrebbe.
Comprendete?(A mo’ di Jack Sparrow).
Pete annuisce e mi segue fuori casa.
«Torna per l’ora di pranzo!» urla mia madre dal piano di sopra.
«Va bene!» le rispondo.
«Allora,» inizia lui camminando verso la piazza. «Tu sei Liv Sparks, giusto?»
Sorrido. «Esatto. E tu sei…?» chiedo alzando un sopracciglio. Mamma mia, che attrice nata.
«Pete Best, piacere.» mi stringe la mano.
«Aaaah, Pete! Mi hanno parlato di te… suoni la batteria nei Beatles!» esclamo.
Lui è tutto contento: «Sì, sì, proprio così!»
Reprimo l’istinto di dirgli “ancora per poco, bello”, e cerco di concentrarmi sulla conversazione.
«Dunque, perché sei venuto a casa mia? E, scusa, ma non eri ad Amburgo?»
Non fa una piega a questa mia domanda perché di sicuro immagina che George mi abbia raccontato quasi tutto.
«Sì, infatti…ero.» sorride. «Ci avevano offerto di suonare al Top Ten Club, locale rivale dell’Indra Club di proprietà di Kochmider. Solo che a lui non andava giù, e ha spifferato alla polizia che George era minorenne e che, quindi, non poteva stare fuori dai suoi alloggi oltre le dieci e mezza. Quando George è stato portato via, io e gli altri abbiamo immaginato che avrebbe significato l’espulsione di tutta la band dalla Germania, anche se George si è impegnato al massimo per insegnare a John le sue parti di chitarra. Stuart è rimasto a casa della sua ragazza, tuttavia, Astrid.»
Gli occhi mi si illuminano (vi giuro, dovrei vincere un Oscar): «Ma dai? Così si chiama? Pensa che è il nome del mio gatto!»
…e il fatto che l’abbia chiamata così dalla Kirchherr è puramente casuale…
«Ma va? Che forte! Comunque… John è ancora là, perché dice che “vuole tornare nella sua fottutissima patria con i suoi fottutissimi soldi” e cerca di raggranellare spiccioli per il biglietto;» ce lo vedo John a girare per Amburgo a raccattare monete… «mentre io e Paul già la sera stessa eravamo pronti per trasferirci al Top Ten. Poi, facendo i bagagli, ho trovato nella mia valigia un preservativo…»
Strabuzzo gli occhi e spalanco la bocca: sapevo cosa era successo, ma sentirselo dire così davanti faceva tutto un altro effetto.
Chiudilabocca, chiudilabocca, chiudilabocca, non pensare ai figli sparsi per Amburgo, alle malattie che deve aver contratto… ODDIO! Basta pensarci!
«…e?» cerco di fare la disinvolta.
«E abbiamo deciso di appenderlo al muro del cinema e di darci fuoco.»
«Ah. Così tanto per fare?» domando sarcastica. «No, ma è normale, uno si trova un preservativo nella valigia e lo appende al muro per bruciarlo, mi sembra ovvio.»
Pete mi guarda storto.
«Eddai, è vero!»
«Era per fare luce. Comunque sia,»sibila «lo abbiamo appiccicato ed incendiato. E dovevi vedere come prendeva bene!»
Immagino.Guarda, quasi quasi lo faccio anche io.
«Ha lasciato una striscia nera sul muro, wooosh!» ecco, pure gli effetti speciali. «E ovviamente Kochmider ci ha scoperto, e ha usato quest’innocente ragazzata come scusa per farci arrestare. L’accusa? Incendio di locali pubblici. Così siamo rimasti in carcere finchè i proprietari del Top Ten –care persone!- non hanno pagato la cauzione. Ed ora eccoci qui.»
«Quando siete arrivati?»
«Prima di George!» scoppia a ridere. «Solo che eravamo troppo stanchi per farci vedere in città.»
Rido anche io, e per un po’ non parliamo più.
«Senti… e ora cosa avete intenzione di fare? George e Paul a quanto ho capito si sono cercati un lavoro, e tu?»
«Prima di parlare di questo, immagino che vorrai sapere il perché mi sono presentato a casa tua così. Spero di non averti spaventato…» faccio segno di no con la testa: per me è stato assolutamente normale. Sapevo chi era, di cosa voleva parlarmi, e che non era un cattivo ragazzo. Dicono che sia un po’ scorbutico, però.
«Beh, ho saputo del tuo “scontro” con Paul.» mi guarda curioso, aspettando che risponda.
Arrossisco, ma non mi faccio intimorire. «Mi dispiace se gli e vi ho fatto una brutta impressione; ma per tre mesi ho sentito Thelma, Iris, Ruth e le altre che mi parlavano di quanto foste bravi, determinati eccetera. Poi ho fatto alcune “ricerche” in giro per la città e ho scoperto che molti qui vi apprezzano; quindi il sentir dire da Paul che voleva rinunciare a tutto per una sconfitta di tipo anagrafico mi ha fatto saltare i nervi. Voglio dire, vi avessero tirato dietro pomodori o simili potrei capire, ma vi hanno espulso perché tenevate un minorenne nella band! E perché il vostro primo gestore era geloso del vostro successo!» esclamo, tornata nervosa.
«Calma, calma… ho capito.» mi ferma Pete.
«Uffa!» concludo io.
«Quindi?» chiedo, tornando al discorso di prima. «Che hai intenzione di fare?»
«Innanzitutto di recuperare i nostri strumenti dalla Germania, poi non lo so… di convincerli a suonare di nuovo, immagino.»
Grande Giove, ma perché l’unico con un minimo di determinazione verrà silurato tra meno di due anni?
Alzo gli occhi al cielo.
«Bene, bene, bene…approvo. George dovrebbe essere piuttosto semplice da convincere; Paul un po’ meno ma secondo me si può fare; Stuart non credo tornerà dalla Germania, quindi per ora escludiamolo…ecco, il problema sarà John.»
Pete mi guarda strano. «Beh, che vuoi?» detesto essere fissata come se fossi un’aliena.
«Come hai fatto a capire tutto in così poco tempo?»
«E che ci vuoi fare? Intuito femminile...»
 
 
È il 15 dicembre e, come già sapevo fin dall’inizio, John è tornato da Amburgo circa cinque giorni fa. È arrivato a casa, ha ricevuto una sonora strigliata da Mimi, è strisciato a letto e non si muove più di lì.
O, almeno, così ha detto Pete.
Io e lui siamo diventati davvero molto amici; ogni mattina dal 3 dicembre ad oggi lui mi passa a trovare e, quando ho scuola, mi accompagna.
Thelma e le altre dicono che lo fa per un motivo, e hanno adottato la tremendamente snervante pratica di chiamarmi “Miss Best”; ragione per cui le strangolerei non appena aprono bocca.
Ma voglio bene a tutte loro, perciò cerco di passarci sopra.
Oggi Pete ha organizzato una “riunione di emergenza” per fare il punto della situazione, e ci ha invitati tutti al Casbah, il locale gestito da sua madre.
Sono riuscita a convincere George, che mi ha apprezzato fin dall’inizio, mentre Pete ha letteralmente trascinato fuori di casa Paul con la promessa che avrebbero discusso di tutto. Io non ho neanche provato a mettermi in contatto con lui, dovrà essere Paul a fare il primo passo per scusarsi!
Non ho mai visto il Casbah, e devo dire che sono molto curiosa! Le mie amiche, delle quali saranno presenti Dot e Ruth per ovvi motivi; Maureen perchè sta simpatica a Paul e Thelma perché si è autoinvitata, continuano a dire che è un’ottima occasione per “conoscere la famiglia”. Sinceramente non so cosa mi trattenga dal morderle.
Comunque sia, eccomi qua, al numero 8 di Hayman’s Green, puntuale come un orologio svizzero rotto.
Spingo la porta in legno, e sbircio il locale: il pavimento è fatto di truciolato, un lungo cancelletto nero e basso con una porticina al centro divide l’area “bar” da quella “musica”. In linea d’aria con la porta, sulla parete di fondo, è appesa un’enorme ragnatela in plastica, ai due lati stanno due enormi amplificatori.



«Ehi!» una voce improvvisa alle mie spalle mi fa sobbalzare per la paura.
Quando mi giro mi trovo davanti ad una donna piuttosto robusta ed abbastanza alta con i capelli nero corvino, che tiene tra le mani un vassoio carico di bicchieri e Coca Cola.
«Salve!» la saluto cordiale.
«Tu devi essere Liv, vero? Pete mi ha parlato molto di te…» eheh… sorrido molto tirata. Che sia vero quello che blatera in giro Thelma?
La donna posa il vassoio su un tavolo e mi stringe la mano.
 
© liverpoolbeat
[© liverpoolbeat]

«Sono Mona Best, madre di Pete e proprietaria di questo locale.»
«Davvero?? I miei complimenti! Deve essere davvero in gamba! E… ehm… è sicura di non volere una mano?» indico il vassoio stracolmo.
«Oh, no, grazie cara. Ci sono abituata! Piuttosto, vai di là, dietro al bancone… i ragazzi ti stanno aspettando! Tra poco arriverò con le bibite.»
«Okay, vado subito!»
Mi sfilo il cappello –uno stupendo cappello ‘da ladro’ simil-copricapo-di-John-alla-partenza-per-l’America- e proseguo lentamente verso il luogo che la signora Best mi ha indicato.
Più mi avvicino e più i sussurri si riescono a distinguere: Pete è in piedi e mi dà le spalle, e gesticola animatamente verso Paul, che è seduto da un lato. Accanto a Paul c’è Dot, poi Thelma, Ruth, George ed infine Maureen.
«Non possiamo lasciarlo lì!» esclama Pete.
Probabilmente si riferiscono a John…
George mi scorge e mi saluta allegro: in meno di un secondo tutti gli sguardi dei presenti sono puntati addosso a me.
Paul mi guarda per un attimo e poi gira la testa dall’altra parte, facendomi chiaramente capire che per lui sono solo un fastidio; mentre le ragazze mi fanno le feste e Pete mi fa accomodare tra lui e Maureen.
Appena mi siedo una serie di fischi –capitanati da Thelma– partono nella mia direzione, ma prima che io riesca a ribattere arriva Mona Best con le bevande.
«Dunque, credo che dovremmo spiegare un attimo a Liv come stanno le cose…» inizia George.
Paul sbuffa irritato: «Solo perché questa qui non conosce la puntualità…»
«Domando scusa... ma le buone maniere le hai lasciate a casa stamattina insieme al tuo pettine?» ribatto indicando il suo ciuffo alla Elvis.
Vedendo gli altri ridacchiare Paul si alza di scatto dal tavolo e picchia le mani sul legno: «Senti un po’, tu… chi sei per giudicare il modo in cui mi pettino?»
«E tu chi sei per fare commenti non richiesti?» mi alzo anche io e lo fronteggio faccia a faccia.
«Okay, Paul, ora basta. Sta giù.» George gli posa le mani sulle spalle e lo spinge sulla panca, Maureen mi tira per la manica e mi risiedo anche io.
«Bene!» riprende Pete. «Stavamo discutendo su come far uscire John di casa. Per il momento siamo solo riusciti a sapere da Mimi Smith che è rintanato a letto da più di cinque giorni, e non vuole più vedere nessuno. Non scende neanche per mangiare, sua zia gli porta i piatti in camera e poi li torna a prendere. Abbiamo provato ad andare a trovarlo, d’accordo con la signora Mimi, ma John riconosce la nostra voce e si rifiuta di aprire la porta.»
«L’unica cosa è aspettare che si calmi da solo e che esca…» sospira George, afflitto.
Thelma strabuzza gli occhi: «Ma sei pazzo? Stiamo parlando di John Lennon! Quello è capace di rimanere lì per sempre…»
«Thelma ha ragione.» Paul fa tacere tutti. Detesto ammetterlo, ma ha una certa autorità all’interno del gruppo.
«Ho un’idea!» esclama Pete, guardandomi.
«Che hai da fissare? Mi sono spuntate le corna?» domando seccata: odio la gente che mi scruta!!
George si porta una mano alla bocca: oddio, mi sono spuntate davvero.
«Tu dici che…?» e mi indica. Grandioso, sono diventata un pesce all’acquario.
«Ti avviso, Harrison: hai tre secondi per dirmi cosa stai pensando su di me prima che ti faccia pagare il sovrapprezzo per gli sguardi a lunga durata.»
«Stanno pensando di mandarti da John.» mi dice Paul.
«CHE?!?» urlo. «Ma siete tutti fumati? Io neanche lo conosco! Che gli dico? E che dico a sua zia? Come minimo mi sguinzaglia dietro i cani…»
«Ehm, Liv… John non ha cani…» interviene Ruth.
«Oh, meglio. E comunque, sul serio credete che possa funzionare?»
«Ma sì!» dice Dot. «John non ti conosce, quindi non può sapere come è la tua voce; basterà avvisare Mimi e voilà!»
Ceeerto.
«Io non sono d’accordo.» si impone Paul.
E te pareva…
«Amico, scusa se te lo dico… tu non saresti d’accordo in nessuna soluzione che comprendesse Liv.» lo zittisce Pete.
SIII’! Ahaha!! Grande stima per Pete!
Paul prova a ribattere, ma all’ultimo minuto chiude di scatto la bocca e si alza dalla sedia: «Molto bene, ci si vede in giro.» afferra il cappotto ed esce, trascinandosi –ed è proprio il termine giusto– dietro Dot per un braccio.
Quando sentiamo la porta del locale chiudersi io abbasso velocemente lo sguardo verso i miei piedi, ancora tremando come una foglia: non sono il tipo da farmi intimorire; infatti il gesto di Paul non mi ha nemmeno toccata, se non per la rabbia data dalla sua cocciutaggine, ma l’idea di dovermi trovare faccia a faccia con John Lennon e di doverlo tirare su di morale…beh, mi spaventa a morte.
Ho una grande responsabilità su di me: e se poi non ci riesco?
E se per colpa mia John smette di suonare? E se il mondo dopo il mio intervento avrà guadagnato un autista di autobus, un professore di inglese e un vignettista invece che tre dei quattro Beatles?
E poi, ho paura del fatto che mi ritengano causa del malumore di Paul.
«Liv…» Maureen mi picchetta il braccio.
Mi riscuoto dai miei pensieri: «Sì?»
«Cosa c’è?»
«Maureen, ragazzi… io ho paura! E…se non ce la faccio? E se John smette di suonare per un mio errore? Non credo di essere all’altezza… e poi con Paul… quanto durerà questo suo odio nei miei confronti?» ho bisogno di essere confortata; anzi, ho bisogno di un abbraccio.
Vi è mai capitato di essere tristi, preoccupate, con il morale a terra, e di sentire quel bisogno quasi psicologico di alzarvi in piedi e di urlare “ehi, necessito di un abbraccio!”? A me sì, capita quasi sempre.
Ma devo contenermi molto, perché non tutti apprezzano, o magari non è il momento giusto.
Thelma mi abbraccia, poi Maureen e poi Ruth: senza aver detto niente loro mi hanno capito lo stesso. È questo che io chiamo “amicizia”.
«Senti, Liv, io sono convinto che tu ce la possa fare. Per il poco che ti conosco sono stato in grado di valutare che sei una ragazza in gamba, ed io ho piena fiducia in te. Sono consapevole del fatto che si presenta come una cosa difficile ma so, credimi, che ci darai una grande mano. Tu provaci, okay?» George fa una pausa. «Ah, e per quanto riguarda Paul…beh, lui è diffidente con tutti ed è una grande testa di minchia» rido per il modo in cui pronuncia “minchia” con il suo puro accento nasale Liverpooliano «ma quando sarà in grado di vederti come sei veramente gli passerà.»
Quando finisce di parlare ho gli occhi quasi lucidi, ma sorrido. Mi volto verso Ruth: «Ehi, cara, ti dispiace se…?» lei fa cenno di no con la testa, così mi alzo e mi butto tra le braccia di George.
«Grazie» è l’unica cosa che riesco a sussurrare.
«Ehi Liv!» mi chiama Pete. «Vedi di fare presto, che ho già diverse scritturazioni e gli strumenti sono arrivati oggi da Amburgo!» mi strizza l’occhio.
Sospiro: «D’accordo, ci vado adesso!» mi dirigo verso la porta del Casbah. «Ma non garantisco niente!» urlo, ed esco in strada.
Sono le quattro e mezza, quindi devo sbrigarmi prima di essere d’intralcio per Mimi. So perfettamente che quei due pettegoli dentro al Casbah si sono già attaccati al telefono per avvisarla del mio arrivo, quindi non posso più tirarmi indietro o tergiversare, devo andare.
Sì…ce la posso fare!
Corro alla fermata dell’autobus e salgo, torcendomi le mani, e passo la restante mezz’ora a guardare le strade ed i palazzi che sfilano davanti ai finestrini.
 
L’autobus apre le porte davanti alla fermata, ed io scendo, con il cuore in gola: eccola.
Mendips, 251 Menlove Avenue.
Avevo già visto la casa di John un milione di volte in fotografia; ma, vi assicuro, una singola immagine non è equiparabile alla visione per intero.
Soprattutto nel periodo giusto, soprattutto se dentro ci abita qualcuno.  
È una stupenda casa in stile vittoriano, con ampie finestre e vetri decorati con intarsi a forma di fiore; il giardino attorno è grande e confortevole, e non ha nulla da invidiare a quelli moderni.
Cercando di fare il meno rumore possibile –la camera di John è al primo piano!- mi avvicino alla porta, mentre le mie scarpe picchettano sul vialetto in pietra. L’uscio è nero, coordinato con il sottotetto e gli angoli dei muri, ed il battente è in ottone.

[© bbc.uk]

Busso e, quasi come fosse stata lì ad aspettarmi, Mimi Stanley in Smith mi viene ad aprire.
È una donna dall’aria austera e dalle maniere spicce, con i capelli corti e ricci raccolti ordinatamente dietro la testa. Gli occhi sono duri, come quelli di chi già da piccolo ha imparato a sopportare e superare i dolori che ci riserva la vita.
«Salve.» mi dice senza scomporsi. «Tu devi essere Eveline.»
«Sono Liv, signora Smith.» sorrido conciliante.
«Mh. Coraggio, vieni dentro.» si scosta dalla porta e mi lascia passare, poi mi precede nel corridoio che conduce alla cucina.
«Il cappotto puoi metterlo là!» non si volta verso di me, aspetta che lo capisca da sola.
Ridacchio mentre appendo la giacca su uno splendido appendiabiti in legno laccato: è proprio così che mi sono sempre immaginata la “zia Mimi”.

John e Mimi, circa 1948

A passo veloce percorro il corridoio per raggiungere la donna, e nel frattempo osservo incantata la casa: le scale che portano al piano superiore sono perfettamente spazzate, il parquet scuro è ricoperto da una moquette rossa scura che si estende fino alle scale e al piano di sopra, la luce che entra frammezzata dalle vetrate proietta sui muri bianchi delle forme gialle, rosse e verdi. Di sicuro è stata un’idea di Julia.
Mi sarebbe piaciuto conoscere anche lei.
Quando entro nella cucina trovo Mimi a smanettare con una teiera. La cucina è molto allegra, in contrasto con l’anticamera: le tende alle finestre sono gialle, i mobili turchesi.

[© bbc.uk]

Mi accomodo al tavolo e aspetto che lei inizi a parlare.
«Dunque,» procede Mimi, posandomi davanti una tazza di the e sedendosi di fronte a me. «Peter Best e George Harrison mi hanno chiamato» fa una smorfia nel pronunciare i loro nomi –non ha mai apprezzato il modo da teddy boys in cui si vestono!- ma si può intendere come tentativo di mascherare un sorriso.
«Dicono che tu potresti riuscire a tirare fuori mio nipote da quello stato in cui si trova. È vero?»
«Sinceramente spero tanto di sì. Sono onorata della fiducia che ripongono in me, ma non lo so.»
«Beh, lo spero tanto anche io. Sono disposta anche a fargli suonare la chitarra pur di rivederlo felice. Ormai non si troverà un vero lavoro.»
«E se… fosse proprio la musica il suo vero lavoro?» oh.oh… come parlare di corde in casa dell’impiccato… maledetta boccaccia! Se prima infatti Mimi aveva un’opinione positiva di me, chissà ora come mi avrà classificato! Accidenti a me e alla mia conoscenza futura!
Mi mordo il labbro dall’imbarazzo.
Dopo una breve occhiataccia, Mimi abbassa gli occhi.
«Questo è tutto da vedere.» il tono ora è duro.
«Ti faccio strada verso la sua camera.» si alza in piedi e prende un vassoio, su cui mette una tazza, la teiera del the e dei biscotti.
«Portali a John. Così dovresti riuscire perlomeno ad entrare.»
Con una sigaretta spenta in bocca e l’accendino in mano si avvia per le scale ed io la seguo, tentando di non far cadere niente.
Con due nocche bussa alla porta, per poi esclamare: «John, c’è il tuo the!»
In risposta arrivano solo dei mugolii ed un rivoltarsi di lenzuola; poi si sentono dei passi avvicinarsi e la chiave girare. Quando la porta si apre John è già tornato a letto, con la testa sotto al cuscino.
Mimi esce in silenzio e chiude la porta, io appoggio il vassoio a terra; dopo poco la chiave gira di nuovo, questa volta dall’esterno: Mimi ci ha chiuso dentro!
Ora sono decisamente terrorizzata, e la paura della reazione di John ha preso il sopravvento sulla mia curiosità di vedere la stanza di un Beatle. Tutto intorno a me è sfocato: la chiazza magenta del letto, il bianco delle pareti, il variopinto delle foto di Elvis e Brigitte Bardot, il legno della radio, l’azzurrino delle lenzuola.


[il muro della camera di John ed il suo letto, © bbc.uk]

«Ma che cazz...» John solleva la testa dal letto, guardandomi, ed io arretro fino a toccare la porta con la schiena.
«E tu chi saresti?» sibila con aria minacciosa, alzandosi in piedi.
Va bene, non è questo il momento di farsi prendere dal panico: contano su di me, diamine! E poi, nessuno può chiamarmi fifona.
«Ti hanno mandato loro, vero? Beh, vai a dirgli che ormai ho tagliato i ponti!» è davanti a me, ma non mi sovrasta più di tanto: sapevo che verso i 22 anni era alto 1.75 m, ora è appena 1.70 m e io, dall’alto –o dal basso, dipende,- del mio metro e sessanta non devo neanche alzare la testa per guardarlo fisso negli occhi.
Solo dopo mi accorgo che per me sarebbe vitale respirare ed educato rispondere, così prendo fiato e mi preparo a farmi valere: «Senti un po’, tu! Innanzitutto non ho scritto sulla giacca “corriere espresso”; poi, non so se te ne sei accorto, ma tua zia ci ha chiuso entrambi dall’esterno, quindi non uscirò di qui finchè tu non mi ascolterai.» gli punto un dito contro, costringendolo ad indietreggiare. «Capito?» gli intimo minacciosa, il viso vicinissimo al suo.
Lui sbuffa, e si allontana.
«Seduto, ora!» lui mi guarda come se fossi pazza.
«Prego?» domanda, infastidito.
«Ho detto SEDUTO. Voglio vederti davanti a me mentre ti parlo.»
«Ma sei scema? Non mi siedo perché me lo dice una nana come te!»
«JOHN WINSTON LENNON, HO DETTO SEDUTO!» più per il mio tono e per l’uso del suo odiatissimo secondo nome che per l’ordine in sé, John cade di peso sul letto.
«Bene.» comincio a camminare verso di lui. «Volevi sapere chi sono: ebbene, mi chiamo Liv Sparks, ho altri nomi ma ti prego di non chiedermeli perché sono assai peggio del tuo, vengo da Blackpool e sono nuova di qui. Sono arrivata a settembre e ho iniziato a frequentare il Liverpool College of Arts. Lì ho conosciuto Thelma Pickles,» John alza gli occhi al cielo ma non mi interrompe.
«Iris Caldwell, Ruth Morrison, Margareth Jones e» nel sentire “Margareth” John si muove irrequieto sul letto.
«…e Dorothy Rhone. Perciò puoi ben capire che quando George, Pete e…Paul» il nome di McCartney mi esce con una punta di rabbia che a lui non sfugge, e sghignazza divertito, probabilmente pensando che io sia una sua “illusa e abbandonata”.
«sono tornati da Amburgo li ho conosciuti anche io. E loro, sì, loro, mi hanno chiesto di venire a trovarti. Sapevano che, non avendomi mai visto prima, non avresti riconosciuto la mia voce, e quindi eccomi qui. Domande?»
John fa una smorfia. «Quanto sei alta?»
Oh, oh…che ridere.
«Riformulo: domande furbe?»
Ora è il mio turno di sghignazzare: John Lennon è rimasto deluso dalla mia reazione. Chissà cosa si aspettava!
«Cosa vuoi da me?»
«Principalmente tirarti fuori da qua. Ora,» mi siedo davanti a lui «ti dispiacerebbe dirmi perché ti sei rintanato in camera tua senza neanche contattare gli altri?» in realtà lo so benissimo, ma deve dirmelo lui.
«Sì, mi dispiacerebbe.» fa un sorriso beffardo e io gli restituisco l’occhiata di sfida.
«Perfetto, basta sapere quanto tempo ci vorrà… almeno dico alla signora Smith di telefonare a casa mia per avvertire che tarderò.»
«Quanti anni hai?»
«Domani ne faccio quindici, e tu?»
«Ne ho fatti da poco venti.»
«Dunque…allora?» cerco di incentivarlo a rispondermi.
«Sei il nano più rompiballe che abbia mai conosciuto.»
«E tu il giovane arrabbiato più cocciuto»
«Sai che potrei andare avanti per ore?»
«Non importa, sono preparata anche a questo.»
Con uno sguardo di sincero stupore John si alza dal letto, trascinandosi dietro le lenzuola, e si avvicina alla finestra.
«Abbiamo fallito. Ho fallito. Avevamo promesso gloria e onore e siamo stati ricacciati indietro in mezzo alla polvere. Ho perso.»
«Questo è l’insieme più grande di cavolate che abbia mai sentito in vita mia.»
John si gira verso di me e mi fulmina con lo sguardo, pronto ad urlarmi contro.
«Aspetta!» lo fermo. «Ascoltami! Non hai fallito, John. Nessuno di voi ha fallito. Siete stati ricacciati indietro per una questione burocratica, per aver infranto la legge! E perché i tedeschi se ne sono accorti? Perché Kochmider, invidioso del vostro successo che vi aveva permesso di ottenere un ingaggio al Top Ten, è andato a spifferare alla polizei che George aveva ancora diciassette anni! E tu vuoi davvero mollare tutto così? Pensavi che la scalata fino al toppermost del poppermost fosse tutta, metaforicamente parlando, in discesa? Nessuno diventa grande se si trova tutta la strada spianata! Vuoi diventare qualcuno sì o no?»
Ho usato apposta molte espressioni che solo loro cinque possono conoscere, ed infatti John appare assai confuso. Sta zitto per un bel po’ prima di rispondere: «Sì.»
«Bene. E quindi mi prometti che uscirai di qui? Guarda che so essere molto peggio di così» lo minaccio scherzando e rimettendomi il cappello.
Lui fa una smorfia, per poi indicarmi la testa. «Bel cappello.»
Improvvisamente ho un’illuminazione: non so con che coraggio mi avvicino a lui e glielo calo sulla testa. Sta benissimo.
«Grazie.» e sorrido.
Sento la chiave girare e Mimi apparire nella stanza.
«Cosa vuoi per cena, John?»
Lui ci pensa un po’ su. «Roast beef, zia!»
«Molto bene» sorride lei, scendendo giù.
Fiera di me stessa, poco più tardi, esco da casa Lennon­: so che John non mi ha preso molto in simpatia; mi rispetta, lo incuriosisco, ma mi reputa una saccente presuntuosa. So che Paul non mi ritiene degna di essergli amica, ma so anche che prima o poi capiranno la ragione di queste mie “uscite” e le apprezzeranno, così come apprezzeranno me.
Ho anche scoperto che il magnifico cappello da ladro con cui John Lennon saluterà per la prima volta l’America nel 1964 sarà il mio; e dalle biografie sui Beatles posso affermare sicuramente che uscirà di casa tra meno di una settimana.
Esco in strada, mentre il sole piano piano tramonta.

***

It’s getting better!
(and so happy Christmas!)
Waaaa ho aggiornato!! E anche piuttosto presto, se si pensa ad i miei standard! Pensate, questa volta riesco pure a farvi gli auguri di Natale 2011 in tempo :D
Innanzitutto vorrei ringraziare tutte le nuove persone che mi seguono (*voce da fuori campo: I love you!*) e scusarmi ancora per i miei ritardi; ma è proprio impossibile riuscire a sviluppare tutto in tempi brevi.
Oltretutto si prospetta una storia assai lunga…eheh… devo come minimo arrivare al 1969, fate un po’ voi D: santo cielo, la finirò nel 2050!
Comunque, non pensiamoci…questo capitolo è ricco di foto! Cosa ne dite? Sono troppe? È che volevo rendere bene l’idea di quello che descrivevo…anche perché mi sono ispirata da lì :)
E di John cosa ne pensate? Mi sono divertita un mondo a litigarci… xD
Ah, a proposito…per tutte quelle che si aspettavano un colpo di fulmine tra me e Paul…eeeh, ragazze mie! Non dimenticatevi che questa è una storia che si basa –più o meno- su fatti realmente accaduti, e Paul aveva un bel caratterino! E non scordiamoci che in quel periodo stava con Dot ;) so di per certo che, con il carattere che ho io, di sicuro almeno all’inizio ci saremmo dati le dita negli occhi; quindi…perché no? In fondo Liv è ispirata a me :D
Ma non preoccupatevi, arriverà il momento anche per loro <3
Acc, sto dicendo troppo ù_ù
Okay, limitiamoci al capitolo in sé: sono arrivati Pete e John, quindi manca solo Stuart…tadaaaan!
Stavolta niente anteprima, perché sono ancora in alto mare! xD
Vi lascio con le foto dei due nuovi arrivati…

Baci,
Marty
(e auguri di buon Natale)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** long night at the Casbah ***


Capitolo 9:
long night at the Casbah
 
Quando mi sveglio, la mattina dopo, vorrei solo maledire il mondo intero: non solo sto antipatica a due dei membri del complesso più famoso di tutto il mondo, ma oggi è anche il mio compleanno ed io ho un mal di gola tremendo, che invece di farmi parlare mi fa assomigliare ad una cornacchia.
Fantastico.
E se io me ne tornassi a dormire?
Accidenti, è pure venerdì!
«Ehi, tu! Lassù! Dimmi…ma mia madre quando sono nata ha per caso comprato uno stock di sfighe assortite in offerta?»
Nessuna risposta, ovviamente.
Però bussano alla mia porta: «Liv, amore, sei sveglia? Muoviti che tra mezz’ora passa Pete a prenderti!»
Mugugno tentando di farmi sentire –ma riesco solo ad assomigliare ad un giradischi graffiato- e mi ributto di peso sul letto.
«A proposito,» continua mia madre al di là della porta. «AUGURI!»
Eh, già…ho 15 anni…che culo!
Con aria sofferente mi alzo e mi trascino dietro le coperte, per poi abbandonarle sul tappeto bianco a quadri blu ed azzurri; sbadiglio sonoramente e mi avvio in bagno con la divisa in mano, sembrando una vedova di guerra.
Quando scendo in cucina, alle sette e mezza, ho una faccia così scura che per la prima volta in vita sua Astrid non si fionda a chiedermi da mangiare.
«Oh Liv! Che hai?» domanda mio padre.
«..al di g…la!» accidenti, che stupida voce!
Sbuffo, mentre papà trattiene un sorriso. «Vabbè, dai…passerà! Comunque sia qui c’è una cosetta per te...» mi porge un pacco.
Non sto più nella pelle, ma mi sforzo di non strappare di getto la carta: ha dei fiorellini stampati sopra, e mi piace!
«Guarda che puoi anche romperla…» tipico. Ogni volta che qualcuno mi fa un regalo finisce con il dirmi che posso anche rompere la carta. Ma dico io! Se la voglio tenere intatta potrò farlo??
Bah…comunque… dopo aver portato a termine lo spacchettamento senza strappi né niente apro la scatola di cartone che mi trovo davanti.
Pensavo fosse un paio di scarpe; ma invece…
«UNA POLAROID!» strillo. «GRAZIEGRAZIEGRAZIE!» mi butto tra le braccia di papà e lo stringo forte.
Salgo in camera per riporre il mio tesoro; ma poi colta da un improvviso flash decido di infilarmi la cinghia a tracolla e di limitarmi a prendere sciarpa, guanti e borsa.
Quando torno in cucina arriva mia madre, che mi dice «Ehi Liv! Sta arrivando Pete…» con uno sguardo carico di significato.
«Oh, finiscila!» liquido la faccenda con un gesto della mano: Pete è solo un amico per me! Perché diamine tutti devono pensare che stiamo insieme?
Sento il rumore della bicicletta sulla ghiaia e mi preparo per andargli ad aprire.
«Pete! Ciao!» lo saluto con entusiasmo.
«Ehi Liv! Tanti auguri!» santi numi… se l’è ricordato.
Beh, wow!
«Che ore sono?» domando, perché mi sembra che sia arrivato più presto del solito.
Infatti… «sono solo le sette e quaranta. Teoricamente abbiamo ancora dieci minuti.»
«Grande! Ti va di venire un attimo dentro, allora? Magari riusciamo a vederci un po’ di Juke Box Jury prima che io mi rinchiuda in quel bunker di liceo…»
Sorrido tutta estasiata ancora dall’idea di aver ricevuto una Polaroid.
«D’accordo!» accetta Pete, entrando in casa.
«Pete, caro!» ecco, mia mamma l’ha placcato. Ma dico io, povero ragazzo…
Mi dileguo in sala ad accendere la TV per sfuggire agli sguardi indagatori di mio padre, che dopo poco sento chiedere: «Come sta tua madre?»
«Oh, bene signor Sparks…»
I miei genitori erano andati spesso al Casbah a prendere una birra e, dopo che avevo raccontato loro che c’ero stata, avevano fatto conoscenza con Mona Best.
A volte avevo la paura che mia madre e Mona facessero una sorta di comunella, ma cercavo di non pensarci troppo.
«PETE! È RICOMINCIATO!» urlo, benedicendo il cielo di aver mandato in onda il programma nell’esatto momento in cui i miei genitori iniziavano a porre domande imbarazzanti del tipo: “che scuola fai?” per sentirsi rispondere una fila infinita di “ehm…”
Chiariamoci, i miei genitori non hanno mai giudicato una persona a seconda del suo titolo di studio negli anni 2000; ma adesso siamo nel 1960 e le cose sono un po’ più rigide.
Pete cammina velocemente verso di me, sillabando un “grazie”. Io scrollo le spalle e alzo il volume della TV.
Le sette e quarantatre.
Dal disco inserito si propagano note a me molto familiari…ma certo! È…
«Jailhouse Rock!» strilliamo io e Pete all’unisono.

The warden threw a party in the county jail.
The prison band was there and they began to wail.
The band was jumpin' and the joint began to swing.
You should've heard those knocked out jailbirds sing.

 
«Let's rock! Everybody, let's rock!» io e Pete ci giriamo l’uno verso l’altro e cominciamo a cantare, saltellando come se avessimo inserito le dita nella presa della corrente.
«Everybody in the whole cell block was dancin' to the Jailhouse Rock!»

Spider Murphy played the tenor saxophone,
Little Joe was blowin' on the slide trombone.

The drummer boy from Illinois went crash, boom, bang,
the whole rhythm section was the Purple Gang.

 
Pete mi prende le mani ed inizia a ballare dei passetti che ricordano vagamente un rock’n’roll.


Let's rock Everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block


«was dancin' to the Jailhouse Rock!»
scoppio a ridere senza ritegno quando Pete cerca di farmi girare su me stessa senza molto risultato.
«Number forty-seven» lui si indica.
«said to number three:» canto io.
«"You're the cutest jailbird I ever did see. I sure would be delighted with your company,
come on and do the Jailhouse Rock with me."»

Let's rock Everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

Run, run, run, run

The sad sack was a sittin' on a block of stone
way over in the corner weepin' all alone.
The warden said,

 
«"Hey, buddy, don't you be no square. If you can't find a partner use a wooden chair."» urlo io con una voce buffa, facendo finta di ammonire Pete.

Let's rock Everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

Shifty Henry said to Bugs, "For Heaven's sake,
no one's lookin', now's our chance to make a break."
Bugsy turned to Shifty and he said,

 
«"NIX NIX!» strilliamo all’unisono, per poi ridere.

I wanna stick around a while and get my kicks."
Let's rock Everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block

 
«was dancin' to the Jailhouse Rock.» rallentando i passi del rock’n’roll finiamo di ballare (e devastare) la canzone; poi mi viene un’idea: afferrò la Polaroid dal divano dove l’avevo posata e abbraccio Pete.
«Sorridiiii!»
Click.
E questo è il mio primo scatto.
Prendo la foto che viene subito sputata dalla macchina: che carina!
«Ahaha questa finirà nella mia lavagna!»
«Quale lavagna?» domanda lui,
«Quella che ho appena deciso di montare per riempire di foto scattate con la mia Polaroid!» trillo allegra.
 
Usciamo e io mi sistemo bene la sciarpa.
«Ma hai mal di gola?»
«Sì» gracchio «E mi è anche andata via la voce!»
«Ma da quando?» domanda lui.
«Da stamattina, ma è un mal di gola un po’ balordo perché va e viene…quindi un minuto prima parlo come una persona normale ed un minuto dopo sembro un merlo.» tossisco e mi sento pizzicare la gola.
«Oh, santissimi numi!» sbotto contrariata.
«E hai anche cantato! Dai, sali!» ridacchia lui, indicando una macchina rossa posteggiata a fianco del mio cancello.
«Tu…macchina?» indico prima l’auto e poi lui, costatando di avere una certa somiglianza con Tarzan. (Me Tarzan, te Jane, ricordate sempre! Ù_ù)
«È di mamma.» sorride lui, aprendomi la portiera. «Eeeh, vecchio volpone!» comincio a dargli forti gomitate.
Pete mi guarda interrogativo prima di salire in macchina. «Ti mancano decisamente alcune rotelle.»
Faccio spallucce: «Sarà un difetto di fabbrica.»
 
 
Quando arriviamo a scuola sembra che invece che Pete Best –ragazzo giovane e molto conosciuto, membro dei Blackjacks prima e dei Beatles poi e tornato da Amburgo!- stia arrivando la regina madre con tanto di figlie e gran ciambellani al seguito: la folla di studenti si dirada al passaggio dell’automobile rossa, e le ragazze cominciano ad urlare.
Bah.
E dire che non è ancora iniziata la Beatlemania!
E poi, fosse un modello… mi ritrovo a pensare acidamente. Il fatto è che Pete non mi ispira proprio: è un bravissimo ragazzo e anche piuttosto belloccio, su, lo ammetto… ma proprio non mi attira. A parità di statura/corporatura/colore di occhi/colore di capelli Pete è il meno interessante dei cinque (dico cinque perché, anche se non l’ho mai incontrato di persona, ho una vaga idea del carisma di Stuart!)
Quindi proprio non capisco questo isterismo generale.
Sbuffando scendo dalla macchina sbattendo la portiera, e mi dirigo verso l’entrata dell’edificio senza nemmeno salutare il mio accompagnatore, che viene subito sommerso da un’orda di ragazze.
«Mattinata de fuego, eh?» mi domanda comprensiva Iris, tendendomi un biscotto al cioccolato. Li cucina sua madre, e sono buonissimi; da quando ha scoperto che ci piacciono davvero tanto ce li porta praticamente tutte le mattine…sono diventati la mia medicina personale!
«Già già…» rispondo disinteressata.
«Auguri, a proposito, vecchia groupie.» Thelma mi dà delle pacche sulle spalle.
E…sì, mi chiama “groupie”; il che equivale al nostro termine “vacca”, capiamoci. Ma è affettuoso. E le groupie erano attive da solo un anno, ma Thel sapeva tutto grazie ai racconti molto dettagliati di Paul, George e John sulle “bellezze di Amburgo” (e non credo si riferissero agli scorci pittoreschi!)
«Grazie, orca assassina!»
La campanella suona.
«Allora» comincia Dot, salendo le scale. «Come è andata ieri con John?»
«Sì, Liv! Racconta!»
«Niente di speciale, sul serio! All’inizio voleva uccidermi, ma sua zia ci aveva chiusi in camera e quindi è stato molto più facile costringerlo ad ascoltarmi.»
«Ah! Lo sapevo che avrebbe funzionato!» Ruth alza il pugno vittoriosa.
«Ma… sua zia vi ha chiusi in camera? Sul serio?» chiede Margareth sconvolta.
«Che c’è, Meg? Non dirmi che non ti sei mai accorta che zia Mimi farebbe di tutto per suo nipote, e che a volte esagera un po’…» parla Thel con aria da intenditrice.
«Ehm, no… in realtà. Ho sempre passato molto tempo con Julia, in effetti.» sorride lei.
«Julia… come era?» intervengo io. Ora che ne ho l’occasione mi piacerebbe sapere un po’ di più di lei.
Purtroppo i pareri sono divergenti.
«Una grande donna!» esclama Margareth con gli occhi lucidi, coperta quasi subito dall’ «Una spostata!» di Thelma.
«Era un po’ irresponsabile, ma voleva un gran bene a John e alle sue due figlie.» la difende Iris.
«Ma se non si era neanche sposata!» ribatte Thel.
«Una volta sì.» puntualizza Dot. «Ma con un marinaio che poi ha tradito!» Thel è così infervorata che pare che le escano gli occhi dalle orbite.
«Non importa del suo passato, ragazze, ciò che conta è che John poco prima che lei morisse in quel modo così tragico l’ha perdonata; quindi non vedo perché non dovremmo farlo noi!» sbotta Ruth, girando l’angolo per entrare in classe.
Sbuffando come una locomotiva, Thelma torna al pian terreno per infilarsi nella sua classe –stupiti? Eppure lo fa sempre…- mentre Margareth e Dot si fermano al primo piano.
Io, Iris e Maureen continuiamo fino al secondo.
«Ragazze, scusate…ma chi era Julia?» domanda Maureen, che fino a quel momento era rimasta zitta.
«La mamma di John, morta tragicamente investita da un auto mentre tornava da casa di sua sorella dopo essere andata a trovare il figlio.» spiega Iris.
«Perché?» Maureen è stupita. «Non abitava con John?»
Iris sospira e la prende sottobraccio: «Vieni, ti racconto.» Io rimango un po’ indietro: tutte queste critiche a Julia mi hanno decisamente scosso, ma posso dire di essere totalmente d’accordo con Ruth. D’altronde, nessuno è perfetto, no?
Rimugino per le seguenti quattro ore, e Iris deve essersi accorta del mio cambiamento di stato d’animo, perché mi fa arrivare durante la lezione di inglese un bigliettino con scritto:
 
Non lasciare che i pregiudizi e l’odio ti impediscano di pensare con la tua testa.
Julia era una brava persona, ma sarai tu a doverlo capire sentendo quello che ti verrà raccontato da John, se mai ne avrà voglia :)
Iris.
P.S: domani sera sei prenotata per venire al Casbah con me e le ragazze!

 
Mi giro verso il suo banco e le sorrido annuendo.
Di sicuro hanno in mente qualcosa per la mia festa di compleanno.
 
 
 
Infatti… sospiro, mentre Iris mi precede spalancando la porta del locale.
Si sono presentate a casa mia alle cinque e mezza, e per fortuna io immaginandomelo ho fatto tutti i compiti prima, altrimenti mia madre non mi avrebbe fatto uscire nemmeno se l’avessi supplicata in aramaico antico. Poi, una volta ottenuto il permesso, quelle sei svitate mi hanno tenuto in ostaggio per un’ora intera, senza permettermi di guardarmi allo specchio. So solo quello che indosso: collant fini color carne, ballerine e un vestito nero e lungo fino al ginocchio, con un fiocco bianco stretto in vita.
Per quanto riguarda trucco e parrucco potrei anche sembrare Crudelia De Mon e non esserne minimamente a conoscenza. Ma almeno non ho più mal di gola.
Il locale è gremito di gente, tutti amici di George, Paul e Pete, tra i quali riconosco Len Garry e Pete Shotton; poi in un angolo Barbara Baker parlotta con Cynthia e Sandra Cogan, dall’altro lato della stanza ci sono Mona Best e Neil Aspinall.
Sul palco, invece, suonano Pete, Paul, George ed un altro ragazzo che non conosco, ma che credo sia Chas Newby –il bassista della prima band di Pete, i Blackjacks-: John deve essersene cocciutamente rimasto a casa.
Non appena vengo riconosciuta –cosa che sarebbe stata impossibile da non verificarsi, vista Thelma che si sbracciava facendo segni strani a George e scuotendo così i pendagli argentati del suo vestito- la band smette di suonare, e quel maledetto di Harrison mi annuncia al microfono: «Ed ecco la festeggiata, finalmente!»
Nella sala cala il silenzio, denso di curiosità verso una persona mai vista.
«È tutta colpa di Thelma!» esclamo io.
«Ma certo!» aggiunge Paul. «È sempre colpa di Thelma!»
«No, ma fate pure come se non ci fossi…» borbotta lei, divertita.
«Infatti, cara…è quello che accade sempre.» le sorride Iris, dirigendosi verso il bar.
«Ciao Paul!» Dot saluta il suo fidanzato –che in quel momento suonava la chitarra, per ovvie ragioni-, ricevendo in cambio un occhiolino.
«D’accordo, ragazzi! Sparpagliatevi… un’altra canzone e poi i Beatles si prendono una pausa. Liv, quale vuoi?»
o.mio.Dio. Paul McCartney si è degnato di rivolgermi la parola mi sta chiedendo che canzone vorrei che i Beatles (quasi tutti i Beatles, dannato John…) suonassero per me.
Certo, con alcune restrizioni di tempo, ma non mi lamento.
«Twenty flight rock!» grido.
Paul sorride e attacca a suonare, alle sue spalle George mi strizza l’occhio: sembra che Paul stia iniziando ad apprezzarmi almeno la metà di quanto mi apprezza Geo. Anche se secondo me è felice solo perché sta suonando ed è al centro dell’attenzione.
Non appena riparte la musica le persone iniziano a ballare, ed in breve mi trovo –a mio malgrado- circondata dalle mie amiche e da una folla di gente.
«Posso?» Ruth mi prende le mani e inizia a muoverle.
«Certo!» sorrido io, felice di aver qualcuno con cui saltellare un po’.
Devo ammetterlo: sto iniziando a divertirmi. Ruth mi sta facendo volteggiare comportandosi da Principe Azzurro, e Thelma ogni volta mi arriva da dietro e mi afferra per farmi cadere. Iris è già stata placata da uno degli amici di Paul e sorride compiaciuta dietro al suo bicchiere di aranciata, Dot è in estasi sotto il palco insieme a Cynthia e Barbara, Len Garry e Pete Shotton ballano con Margareth e Maureen.
Al termine della canzone i ragazzi abbandonano gli strumenti sul palco e saltano giù in mezzo ad una folla urlante, prendendo di mano alle ragazze i bicchieri di birra che venivano loro porti.
Ad un cenno di Pete Mona Best accende il juke box, e la canzone di Elvis, “Hound Dog”, si propaga per la sala.
«Ehi, festeggiata!» Pete avanza verso di me, il bicchiere di birra in mano. «Balleresti con me?»
Santi numi, chissà come romperà Thelma dopo questo!
Devo avere una faccia piuttosto strana, perché Pete sorride ed aggiunge: «Dai… io e te, come ieri mattina.»
«Che avete fatto ieri mattina?» urla George attirando su di noi l’attenzione di un quarto di sala.
«Niente, razza di impiccione di un Harrison!» lo apostrofo io.
«Ci siamo messi a ballare Jailhouse Rock prima di andare a scuola!» risponde Pete.
«A scuola? Sapevo che sei una capra, ma fino a questo punto no! Hai anche il grembiulino, piccolo Pete?» si intromette Paul.
«Fanculo, Paul.»
«Il grembiulino piccino piccino? E il bavaglino? Sennò ti sporchi con il sughetto.»
«Vabbene, Paul… ora torna da Dorothy, eh?» George lo spinge via.
 
Quando, finita Hound Dog, Pete mi lascia alle mie amiche Dot si avvicina accompagnata da Cynthia Powell e Barbara Baker.
«Ehi, Liv! Vorrei presentarti due persone» sorrido accomodante cercando di trattenere l’emozione: ma vi rendete conto di chi sto per conoscere??
«Lei è Barbara Baker, veniva al Liverpool College of Art qualche anno fa…» stringo la mano ad una ragazza molto bella con penetranti occhi color nocciola e boccoli biondo cenere lunghi fino alle spalle.
«E lei è Cynthia Powell, aspirante insegnante di arte nonché fidanzata di John!»
«Oh!» dopo un –fintissimo- urletto scoppio a ridere «Allora è lei la ragazza di cui mi parlate sempre! Lo sai che il tuo fidanzato è una grandissima testa di cavolo?»
Cynthia sorride un po’ stupita: non ha capito.
«Liv è andata a far visita a John due giorni fa, per convincerlo ad uscire di casa. Abbiamo mandato lei perché, essendo nuova, lui non poteva conoscerne la voce e mandarla via!» Dot ride di gusto alla sua trovata, e Cynthia sembra molto più sollevata.
«Comunque io sono Eveline Sparks, piacere. Ma chiamatemi Liv.»
«Allora, Liv… come ti sembrano i nostri cantanti?» domanda Barbara.
«Molto bravi, sul serio! Faranno strada!»
«Oh, sì…lo penso anche io! Diventeranno più famosi di Elvis.» interviene Dot.
Con un sorriso da Gioconda annuisco.
Una ragazza si avvicina titubante a Cynthia, e Dot si allontana sbuffando tra la folla.
«Dimmi, Sandra…» Cynthia alza gli occhi al cielo per la reazione di Dot, e tenta di far sentire a suo agio quella che evidentemente è una sua amica.
«Ti cercava Pete. Dice di avere delle notizie di John.»
«Oh! Ehm…grazie» e Cyn sparisce alla ricerca di Pete.
«Dai, Sandra…vieni!» Barb porta via la ragazza dal raggio d’azione di Dot.
Rimango un po’ sbigottita ma poi neanche tanto: quella persona era Sandra Cogan, sorella della cantante –nonché amante di John- Alma. Sandra ha una palese cotta per Paul… e nel 1962 riuscirà ad uscire con lui!!
Ma questo è meglio non dirlo, per ora… ghigno tra me e me.
George sale sul palco, accompagnato da grida, applausi e un affettuoso insulto da parte di Pete Shotton, il migliore amico di John –prima che conoscesse Stu- che lui ha soprannominato “albino” perché ha i capelli di un colore chiarissimo: «Vai frocetto!»
George sorride: «Grazie, Shotton. Come ben sapete siamo qui per festeggiare il compleanno di Liv, senza la quale probabilmente il soggiorno di Johnny a casa sua sarebbe stato eterno…» divento rossa come un pomodoro, che accidenti pensa di fare?
«e comunque non credo che lei se la prenderà se approfittiamo della sua serata per farci un po’ di pubblicità: il nostro membro più attivo, Pete, sta tartassando da quando siamo tornati ad Amburgo tutte le sale di Liverpool per trovare un ingaggio; e alla fine è ufficiale.» fa una pausa pregustandosi il trionfo. «Martedì sera suoneremo al LITHERAND TOWN HALL! Un grande applauso a Pete e Mona Best e a Bob Wooler che ci ha promosso l’ingaggio!»
Uno scroscio di applausi accompagnati da fischi e gridolini si trascina per più di un minuto.
Mi faccio strada verso il palco e una volta giunta ai piedi di George picchetto il dito sulla sua scarpa per chiamarlo.
«Geo, ma John?»
«Sai come è fatto, non accetterebbe di essere subito vinto da una donna. È probabile che torni poco prima di Natale.» mi strizza l’occhio e poi sbuffa.
«Ma su, coraggio! È tempo di ricominciare a suonare!» Paul, esaltato dal loro successo, zompa sul palco afferrando la sua chitarra.
«Dai, Liv, vieni!» Urla Pete tendendomi la mano.
«Che cosa?» strillo isterica io. Ma è matto? Avevo in programma di inserirmi poco a poco nella vita dei Liverpooliani, non di essere sotto gli occhi di tutti!
«Sì, dai!» esclama George, afferrandomi una mano. Pete mi afferra l’altra e mi tirano su, aiutati anche da Thelma e Margareth che mi sostengono da dietro.
Pete mi sorride e la band comincia a suonare That I’ll be the day sotto i miei occhi strabuzzati. Dot, Cynthia e Ruth, le fidanzate dei musicisti, salgono vicino a me e mi trascinano a ballare.
Non credevo di potermi divertire così tanto!
 
 
 
Mercoledì 21 dicembre l’aria a casa di Paul è tesa: i ragazzi il 24 dovranno partecipare ad un concerto al Corporation's Grosvenor Ballroom nella città di Liscard, Cheshire, e da più di un’ora discutono sulla scaletta di brani che suoneranno, spargendo fogli di quaderno e penne ovunque e tracannando cartoni di succo.
«Io continuo a sostenere che dopo In Spite of All the Danger bisognerebbe suonare Long Tall Sally, così il pubblico si sveglia un po’.» Paul è costantemente fermo sulle sue idee.
«Certo, ma se dopo i tuoi urletti da donnicciola viene un infarto ai vecchietti in prima fila?» domanda George.
«Ma secondo te i vecchietti vengono a vedere noi?» ribatte seccato Paul, imbracciando un basso artigianale creato togliendo due corde ad una chitarra.
«Perché no?»
«A parte il fatto che non è nemmeno sicuro che suoneremo In Spite of All the Danger…» interviene Pete, fulminato subito da Paul.
Nel salotto Iris, Thelma, Cynthia, Ruth e Maureen guardano un film alla TV –dalla musica credo sia “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, classico must pre-natalizio- Dot è accoccolata sulla poltrona a leggere un libro e io e Margareth siamo le uniche due coraggiose (o masochiste) che sono rimaste a seguire i ragazzi, più che altro per evitare risse.
All’ennesima discussione Meg sbuffa e si alza dalla sedia, raggiungendo le altre in sala.
«Fanno sempre così…a volte è decisamente snervante.» mi dice, non appena sente che l’ho seguita.
«Beh, è normale! Sono come tre galli in un pollaio.»
«Due galli.» mi corregge Meg. «e un pulcino.» guarda Pete.
«Mh.» approvo.
«Oh, salve signor McCartney!» Margareth saluta il padre di Paul, che è appena sceso dalle scale per prendersi il soprabito.
«Maggie cara! Come stanno i tuoi genitori?»
«Bene, grazie, signor McCartney! Ehi, Mike!» Meg dà un’affettuosa pacca sulla testa al fratello sedicenne di Paul.
«Ciao Margareth!»
«Signor McCartney, questa è Liv Sparks, una new entry della compagnia.»
Jim mi squadra (ecco da chi ha preso Paul!!) e mi stringe la mano. «Piacere, sono il padre di Paul, Jim.»
«Salve!»
«Sei nuova di qui?»
«Sì, signore, vengo da Blackpool.»
«Oh! È una bella città?»
«Beh, è molto ridente.» nel senso che fa ridere.
«Papà io vado, Roger mi aspetta!» Mike mi si avvicina e mi porge la mano.
«Piacere, Mike McCartney.»
«Ciao, sono Liv Sparks.» e ho appena capito da chi ha preso James…
Mike esce dalla porta e Jim si infila il soprabito. «Beh, vado anche io… mi tocca andare a comprare i regali di Natale a questi due monelli! Arrivederci ragazze!»
«Salve e buone compere!» lo salutiamo noi.
Il tempo di andare a sedersi sul divano che la porta d’ingresso si apre nuovamente: io e gli altri non ci facciamo caso, pensando che potessero essere Mike o Jim e che quindi non sarebbe stato carino osservarli come dei falchi.
Poi una voce alle nostre spalle, beffarda e nasale, commenta: «L’ho sempre trovato un film melenso. Però mi piace l’idea del futuro alternativo.»
Noi otto sobbalziamo e ci voltiamo di scatto, i ragazzi cessano le discussioni e si precipitano in salotto: nella casa è calato il silenzio.
«Beh? Che cazzo avete da guardare?! Sono forse un fottutissimo pupazzo?» sbotta John Lennon.
 

It’s getting better!
 
Tadaaaaan! *schiva i piatti che le vengono tirati*
Okay, non so decisamente più che inventarmi per scusarmi dei ritardi… i capitoli si fanno sempre più densi ed impegnativi e, quando non manca l’ispirazione, manca il tempo. Mea culpa, ho scelto una scuola di merda che lascia poco spazio alla creatività. ^^
Ma passiamo al capitolo: quaaante novità!
Innanzitutto, il compleanno di Liv: ebbene sì, sono nata il 16 dicembre –se qualcuno non l’avesse ancora capito – e, visto che il concerto al Casbah Club di cui parlo c’è stato veramente (ogni cosa in questa storia è vera, seppure romanzata…vabbè, Liv non c’entra una mazza, ve lo concedo .­_.), ho pensato di “trasformarlo” un po’ *sorriso da Stregatto*.
Poi, sono entrate in scena Cynthia Powell (olè!), Sandra Cogan (olè!) e Barbara Baker (olè!). Cynthia è inutile introdurla, spero –anzi, credo – che la conosciate tutti ed è superfluo dire che avrà un ruolo importante nelle vicende; Barbara apparirà poco e niente, ma ne avevo già parlato nei capitoli introduttivi: è stata la prima fidanzata di John (e la prima ad andarci a letto) ed è rimasta una sua ossessione durata fino alla morte di Johnny; Sandra Cogan tenetela a mente, è importante.

(Sandra) (Barbara)

Chas Newby: di lui non si sa molto, era un membro dei Blackjacks (la band che Pete Best aveva formato prima di entrare nei Beatles) e ha suonato il basso in alcuni concertini dei Fab prima che tornassero John e Stu. Non ha molta importanza, dimenticatelo pure ù_ù.


Jim e Mike McCartney, ovvero il padre ed il fratello di Paul: beh, loro torneranno sulle scene :)
Fate attenzione al personaggio nominato da Mike, “Roger”. Non è un nome infilato lì a casaccio, ma non voglio dirvi di più… lo scoprirete più tardi. :D
[EDIT: 10 Aprile 1962 - 10 Aprile 2012: R.I.P. Stu!]

(Jim tra Paul e Mike) (Mike)
 
Per quanto riguarda le risposte alle recensioni ci terrei a dire (prima che mi consideriate una maleducata) che io vi rispondo tutte le volte che aggiorno, così sapete quando ho aggiunto un nuovo capitolo! Se il mio sistema non va bene e per qualche motivo preferite che vi risponda subito fatemelo sapere, non ho problemi!
 
Un bacione a tutti!
Marty.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** No, ma...buon anno! ***


Capitolo 10.
No, ma…buon anno!
 
Il ritorno di John, da me ovviamente previsto (che vi credevate? Son mica nata ieri… tsè), non ha fatto altro che giovare al gruppo, che in meno di tre giorni ha trovato un accordo per la scaletta di brani da suonare al concerto. Sospetto che non sia stata tanto la presenza di John in sé a “calmare le acque” tra i ragazzi, quanto le sue decisioni autoritarie. Se lui sceglie un brano, e Paul approva –o anche il contrario – allora bisogna finirla lì.
Il 24 dicembre, giorno del tanto atteso (e temuto, anche se Paul si ostina a dire di no) concerto nel Cheshire è finalmente arrivato; ma questa volta nessuna di noi ragazze è saltata sul camioncino sbilenco dei Beatles per seguirli e fare il tifo: avete idea di come avrebbe strillato mia madre se le avessi detto che mi sarei persa la Vigilia di Natale per andare in una sala da ballo a sentire i miei amici suonare? E poi da sola!
Così ho contrattato con i miei genitori: io non vado nel Cheshire e faccio la brava, ma voi mi permettete di invitare Cynthia al cenone.
Loro hanno acconsentito. In fondo cosa avrebbero potuto fare? La madre di Cyn è in Canada, suo fratello maggiore la snobba e il padre li ha abbandonati quando lei aveva quattro anni.
Così, mentre mi arrampico sulla scaletta per infilare il puntale alla punta dell’albero cantando We Wish You a Merry Christmas e Happy Christmas (War is Over) a volume ovviamente basso –non ci si può mai fidare dei genitori che fingono di essere affaccendati in cucina!-, suonano le sette e Cynthia bussa alla porta.
Grande Giove, lei sì che è puntuale. Lei.
Mi viene solo ora in mente che i miei genitori, essendo in cucina a finire di preparare la cena, si aspettano che io vada ad aprire la porta; sebbene sia sul piolo più alto di una scala totalmente malferma indossando un vestito lungo fin sotto al ginocchio e delle ballerine con un po’ di tacco.
Oh. Mamma. Aiuto.
Beh, niente panico.
«Geronimooooooo!» strillo buttandomi a terra, per poi caracollarmi ad aprire a Cynthia.
«Saaalve!» la saluto allegra, assomigliando leggermente ad Arale.
«Ciao, Liv! Cosa stavi facendo?» sorride lei entrando in casa. Alzo le spalle: «Mh, niente…appendendo la stella all’albero.»
«E cosa c’entrava Geronimo?»
«Naaa, lascia perdere. In ogni caso: benvenuta nella nostra umile magione!» mi inchino davanti a lei e le prendo il cappotto.
«Grazie ancora di tutto signori Sparks…» Cynthia si rivolge ai miei genitori, che sono spuntati in salotto dopo il mio grido di guerra. «…senza di voi non avrei saputo dove andare!»
Davanti ai suoi occhi dolci ed al suo sorriso riconoscente le ultime riserve dei miei nei suoi confronti si sciolgono come neve al sole. «Tranquilla, tesoro. Nessuno sta solo la sera di Natale.» ah, quanto mi piace il suono di queste frasi fatte!
«Cynthia, ti presento Astrid, la mia gatta.» prendo in braccio la micia e lei l’accarezza. «Sai,» mi dice «anche io avevo un gatto…un burmese.»
«Bello!» mi si illuminano gli occhi.
«E ho un’amica che si chiama Astrid.»
«Ma dai?! Ma pensa. Ah, è possibile che la conosca anche Pete?» domando io, dando nuovamente prova del mio talento di attrice.
Alla parola “Pete” Cyn fa un risolino. Ussignur, pure lei.
«Sì, è possibile! Astrid, da quanto mi ha raccontato John nelle lettere, è una stupenda ragazza tedesca che li ha conosciuti al Kaiserkeller, e forniva loro il Preludin necessario per stare svegli di notte. Me ne hanno parlato così tanto che mi aspetto di incontrarla un giorno.»
Annuisco. «Devo farle conoscere la mia gatta.»
Appendo il cappotto di Cynthia e la guido in sala da pranzo.
«Alla fine chi è andato a sentire i ragazzi?» domando.
«Pete Shotton, Sandra e sua sorella Alma, per grande gioia di Dot, aggiungo, che invece è stata costretta a rimanere a casa, e Thelma.»
«Wow. Beh, pensavo che fossero andate tutte e che solo noi fossimo rimaste a casa… il mio umore è decisamente migliorato!»
Dopo la cena, passata senza tanti rischi – se non si vuole contare il fatto che mi sono quasi strozzata con una fetta di tacchino – ci avviamo in sala per compiere quello che è il nostro rituale di Natale; ovvero goderci al calduccio sul divano il film che è di turno alla TV: stasera ci propongono Il segreto di Pollyanna. Non vi dico la gioia di mio padre.
La pendola in salotto, che io adoro perché fa tanto “passato”, scocca le otto, e papà accende controvoglia la televisione.
«Era tutto buonissimo, signori Sparks.» si complimenta Cynthia sedendosi elegantemente sul divano.
«Grazie tesoro! Natale è l’unica volta in cui mi affaccendo tutto il giorno in cucina» sorride mia madre.«Sai,» confida a Cyn «non mi piace molto cucinare.»
«Oh, ma se è così brava!»
Mamma ride. «Ti ringrazio, ma è merito anche suo» e indica papà.
«Liv, comincia il film!» mio padre mi risveglia dalla trance in cui ero caduta e allora scendo velocemente le scale, trascinandomi dietro due coperte.
«Ecco qui! Una coperta per voi,» e la porgo ai miei genitori «e una per me e Cynthia!» mi siedo con molta meno grazia della mia amica e la copro con un lembo del plaid.
 
Alle nove e mezza Pollyanna è appena caduta dalla finestra di casa sua, accompagnata dal centesimo sbuffo da parte di papà, quando sentiamo suonare alla porta.
«Chi sarà a quest’ora la sera di Natale?» domanda mamma.
«I bambini che cantano le canzoncine porta a porta?» propone Cyn.
Io tendo l’orecchio per ascoltare meglio: dubito che i bambini facciano un enorme confusione e che qualcuno continui a dir loro shh.
«Mh.» mugugno. «Credo esattamente di sapere chi sia. Vado ad aprire!»
Mi avvio verso l’ingresso e in punta di piedi sbircio dallo spioncino: C.V.D., Come Volevasi Dimostrare.
«Buon Natale ragazzi! Come è andato il concerto?»
«Una favola, tesoro, siamo stati davvero bravi.» mi risponde John, sorretto a fatica da George e Pete, che si tocca il cappello in segno di saluto.
«Ma che succede, è ubriaco?» l’ultima volta che ho visto John mi ha fatto capire senza mezzi termini che gli stavo veramente antipatica.
«No…» risponde Paul. «È solo su di giri!»
Mi mordo la lingua per non rispondergli “e anche tu me lo sembri dato che mi stai parlando civilmente” e sorrido.
Solo dopo noto che dietro i ragazzi ci sono Maggie, Dot, Ruth, Iris, Maureen, Thelma e un ragazzo che non riconosco.
«Ehi, ciao! Beh… non state lì sulla porta: coraggio, entrate!»
Mi sposto lasciando libero il passaggio.
«Liv, i tuoi genitori sono preoccupati e…» Cynthia mi ha raggiunto e si è fermata di colpo, gli occhi fissi su… «JOHN!»
I due si abbracciano, ma John appare di colpo più freddo, credo perché si trova a casa di una semi-sconosciuta.
«Mi sei mancata, bellissima Cyn.»le sussurra all’orecchio.
«Tesoro, chi era alla porta? Oh! Siete gli amici di Liv di cui lei parla tanto? Piacere. Ciao Pete!» santi numi, ecco che è arrivata mia mamma.
«Piacere, George Harrison» rido tra me e me per come pronuncia il suo cognome.
«Paul McCartney.» Paul sfodera tutto il suo fascino.
«John Lennon»
«Alan Caldwell.» si presenta il ragazzo misterioso. Mannaggia, ecco chi era! Si tratta del fratello maggiore di Iris, meglio noto come Rory Storm!
Sono identici, come ho fatto a non capirlo prima?
«Stavamo guardando un film. Vi unite a noi?» domanda cortesemente mia mamma.
John sbircia le immagini proiettate dal televisore in salotto.
«Mh, meglio di no, grazie signora. Ho già abbastanza disgrazie senza accollarmi quelle di Pollyanna.»
Attirato dalle parole di John mio papà entra in ingresso: «Ben detto, ragazzo. Che ne dite di una bella tombolata?»
«Ma papà!» metto il broncio. «Volevo sapere come andava a finire!!»
«È un film di Walt Disney, è più che ovvio che finirà bene!» interviene Paul.
«E va bene, andiamo a tombolare!»
 
 
Sul serio, non credevo che sarebbe stato così divertente: John e Paul sembrano essersi sciolti un po’ di più – o forse era solo l’effetto della birra che tutti e due negavano di aver bevuto? -, a George è bastato un po’ del panettone milanese di papà per diventare nostro per sempre, Pete ormai è di casa, come d’altronde le ragazze.
L’unico punto interrogativo è Alan Caldwell; pardon, Rory Storm. Mi sembra decisamente strano. Iris dice che fa parte del suo carattere, ed è ciò che lo rende fascinoso agli occhi di almeno un quarto della popolazione femminile di Liverpool…mah, in fondo lei è sua sorella, quindi…perché no?
È il giorno di Natale, ed io mi sto recando al Casbah per una “riunione importante”, o almeno così l’aveva definita Pete parlandomi la telefono stamattina.
Mi liscio sovrappensiero le pieghe del mio nuovo vestito invernale: ormai ho capito che non sono indifferente al rampollo di casa Best e mi diverto ad acconciarmi con maggior cura del solito. Non sono cattiva, sono semplicemente donna.
Spingo la porta del Casbah. «Ave! Qual è il motivo di così tanta urgenza?» chiedo, sedendomi vicino ad un George stranamente silenzioso.
Guardandomi intorno posso notare che nessuno è allegro come lo ricordavo: John ha in mano una lettera, e la scorre tenendo le labbra strette, Paul tiene gli occhi fissi sul foglio di carta senza realmente vederlo, George è l’unico ad accorgersi che sono entrata, Pete neanche mi saluta. Alla facciaccia della cotta che ha per me!
Dot e Ruth sono preoccupate e dispiaciute.
«O mio Dio, chi è morto?» è la prima domanda che mi sorge spontanea.
John sbuffa: «Dio, nessuno, Pollyanna. Rilassati!»
Pollyanna???? Raggelo John con un’occhiata.
Pete pare risvegliarsi da un sonno profondo.
«Avanti Johnny…leggile la lettera!»
John sospira ed inizia a leggere con un tono strascicato, come se ogni parola di quello scritto fosse un macigno sulla sua anima.
 
Caro John, so che potrà sembrarti una decisione affrettata: lo capisco, ma ti prego di non giudicarmi.
Come sai, sono rimasto ad Amburgo: avevo la febbre e Astrid e sua madre si sono amorevolmente prese cura di me. È stata proprio questa continua vicinanza a farmi capire cosa volevo davvero… io la amo, John.
La amo e voglio sposarla, un giorno.
Per questo ci siamo fidanzati ufficialmente. Ti prego, cerca di rabbonire Pauline e di tranquillizzare mamma; io sto bene. Tornerò a Liverpool a gennaio, così riprenderemo a suonare come una volta.
Saluta George, Pete e quel cazzone di Paul.
Ci si vede!
Stu.

 
John vorrebbe piangere, ma so perfettamente che non lo farebbe mai davanti ai suoi amici e per di più davanti a me: ha perso il suo compagno di giochi per una ragazza che affascina anche lui.
«Oh.» è quel poco che riesco a dire. Avrei dovuto aspettarmelo, chissà perché non ci ho pensato?
«Chi è Pauline?» in realtà lo so benissimo, ma è per mostrare che mi interesso alla lettera.
«La sorella di Stu» è la risposta lapidaria di Paul.
«Beh?» John mi aggredisce. «Beh cosa?» è la mia placida risposta.
«Non mi chiedi chi sia Astrid?»
«E perché di grazia dovrei? So benissimo chi è Astrid! Me ne hanno parlato le ragazze.»
John tace per qualche secondo. «Immagino però che tu conosca soltanto il quadro generale. Come potrebbero d’altronde saperlo, loro? Non erano ad Amburgo! Non vedevano gli sguardi che si lanciavano quei due!»
«JOHN!» grida un’altra ragazza, entrata al Casbah in questo preciso istante. «Smettila, per l’amor del cielo! È di mio fratello che stai parlando!»
John tace, ma i loro sguardi indicano indifferenza reciproca. Pauline Sutcliffe è davanti a me: quindicenne, bionda, occhi azzurri, minuta, stesso viso da elfo di Stuart. Odio atroce per John Lennon e Paul McCartney.
«Cosa è successo a Stuart? Cosa gli avete fatto? Perché non lo avete fatto tornare con voi? Che significa questa lettera?» Sventola un foglio di carta fittamente scritto, dal contenuto –suppongo- simile a quello ricevuto da John.
«E io che ne so? Non sono mica la sua fottuta balia. Si è innamorato, si vuole sposare. Punto.» sbotta acido Paul.
«Zitto, McCartney.» lo rimbrotta John. «Pauline, non so niente di Stu. Quando siamo partiti aveva la febbre e non avrebbe potuto viaggiare. E poi, non è stato espulso da Amburgo come i tre qui presenti» fa un gesto stizzoso rivolto a Pete, Paul e George che sbuffano. «quindi è normale che possa decidere di tornare quando vuole. Non avevo idea che le cose tra lui e Astrid fossero così avanti, ma a quanto pare sì. Torna da tua madre, Pauline, Stuart sarà qui a gennaio.»
«Non osare dirmi quello che devo fare, John Lennon! Non tu!» Pauline sbatte un piede per terra ed esce furiosa dal locale.
Paul, geloso per l’affetto che John continua a dimostrare verso Stuart, si rivolge a lui con un sorrisetto falso. «Allora, Johnny… ammettilo che speravi che Astrid mollasse Stu per te.»
Dopo aver velocemente verificato che Cynthia non è presente oggi – ha la tosse, e Paul non sarebbe stato così stronzo da rimarcare l’attrazione sessuale di John verso Astrid davanti alla sua ragazza – rivolgo l’attenzione alla reazione di John: è diventato paonazzo, e le sue labbra contratte quasi spariscono.
«Pezzo di merda!» si butta su Paul e lo trascina fuori. Faccio per alzarmi ma Pete me lo impedisce: «Lascia che se la sbrighino da soli, non potrebbero mai farsi veramente male. Nel caso in cui le cose si aggravassero ci penserà George a separarli, lo fa sempre. Vieni, ti accompagno a casa… per questo pomeriggio abbiamo finito.»
Afferra la giacca ed esce, trascinandosi dietro me ancora un po’ scossa.
 
 
«Ti rendi conto?? John gli è saltato addosso!» esclamo incredula sbattendo un libro sulla mensola con troppa enfasi.
«Lo so, lo so… è una cosa normale, fidati!» cerca di tranquillizzarmi Cyn.
«Tranquillizzarmi? E come? Avrebbero potuto rompersi qualcosa!» come diamine fa Cynthia ad essere così calma? Io al suo posto sarei a torcermi le mani. Sa della rissa fra John e Paul, ma non conosce cosa esattamente si siano detti poco prima.
«Mi pare di capire,» interviene Maureen, accarezzando la mia gatta «che Paul e questo fantomatico Stuart stiano un po’ stretti nel gruppo.»
«Esatto.» sospira Cyn. «Paul è geloso dell’amicizia quasi fraterna che c’è tra John e Stu: la vede come un attacco alla leadership. Ed il fatto che Stuart sia chiamato il beatle bello non aiuta.»
«Beh, oltre che per la leadership, credo che tenga anche molto all’amicizia “intima” con John.» Non dipingetemi Paul come un mostro schifoso!!
«Ma parliamo di cose più serie…tu e Pete?» Maureen si stende a pancia in giù sul letto e mi guarda.
«Chi?» è la mia disinteressata risposta. «Oh, andiamo!» si lamenta Cyn. «É palese il suo interessamento!»
«Come è altrettanto palese la mia indifferenza.»
«Perché?»
«Ma insomma, ragazze! Pete è un galletto montato! Non sopporterei di uscire con lui e vederlo sparire poco dopo a firmare autografi alla prima ragazza che passa! Se già adesso trovo irritante il suo farsi trascinare dalle fan, figuratevi dopo. No, spiacente, no way
«Uff…» sbuffa Maureen. «vabbè, se ne farà una ragione. Piuttosto, ci vieni stasera alla festa di Capodanno?»
«Sì, tanto mi ci trascinereste lo stesso.» Cynthia sorride innocente alla mia affermazione.
«Cynthia, sai qualcosa del concerto del 27 al Litherland Town Hall?»
«Dì, Liv, ma non li leggi i giornali?? É stato un eccezionale trampolino di lancio per i ragazzi! Pensa, le fan non la smettevano di urlare, e sul Mersey Beat Bill Harry non ha fatto altro che rimarcare le scene di isteria!» Cyn è emozionatissima.
«Wow…devo proprio comprarmi una copia del Mersey.»
«Brava, ma fallo dopo.» Maureen e Cynthia si scambiano un’occhiata eloquente.
«Ah, no! Questa volta non farò da cavia come una Barbie alla vostra mania di piccole stiliste. Mi vesto da sola.» borbotto, e per ribadire il concetto afferro il vestito dalla gruccia e mi chiudo in bagno.
«Liiiv? Dai, cara, apri»
Giro la chiave nella toppa.
«Invece che attentare ai miei nervi, Cyn, perché non mi parli un po’ di John? Stasera ci sarà anche lui e forse –e sottolineo forse- riuscirò a vederlo ancora poco sbronzo, e devo sapere come comportarmi e/o cosa aspettarmi da lui.»
«Del tipo?»
Alzo gli occhi al cielo, anche se Cynthia non può vedermi. «Stasera mi ringrazierà per averlo fatto uscire di casa oppure no?»
La sento ridere: «Ma chi, John? Oh, no. Questa è più una cosa che puoi aspettarti da George. John è troppo orgoglioso.»
«Ma è sempre stato così manesco?» domanda Maureen.
«Penso sia riduttivo chiamarlo “manesco”: ha una psicologia troppo complicata, bisogna studiarlo fino in fondo e conoscerlo davvero bene prima di giudicare.» parlo senza accorgermene.
«Wow! E tu chi saresti, la figlia di Freud?» domanda Cyn.
«No, tengo un suo libro sul comodino.»
«Davvero?» chiede Maureen.
«Tesoro mio stavo scherzando. Semplicemente mi piace studiare le persone prima di dare un giudizio finale.»
«E cosa pensi di John?» Cynthia è un po’ preoccupata. «È un bravo ragazzo, Cyn. Il suo essere violento o, se Mo preferisce, “manesco”, è un modo per reagire da duro a delle situazioni complicate. Ha sempre vissuto con sua zia, no? E ha perso sua madre poco dopo aver riallacciato i rapporti con lei, giusto? Chiunque sarebbe violento in alcuni momenti.»
«A John non farà piacere sapere di essere studiato.» ridono le ragazze.
«Occhio non vede, cuore non duole, vero? Basta non dirgli niente… già adesso non mi ritiene “Miss Simpatia 201…1960”» mi correggo subito: accidenti, stavo dicendo 2010!
«Oh, non dire così! A John stai molto simpatica!» cerca di rimediare Cyn.
«Sìììì, come una lucertola nel budino!» rispondo sarcastica, guadagnandomi un “bleah!” da Maureen.
«Ad ogni modo sono pronta!» esco dal bagno e mi infilo un paio di stivali bianchi simil-vernice.
«Sia lodato il cielo, andiamo!»
 
 
Quando entriamo nella grande sala da ballo del Liverpool Tower Ballroom siamo subito raggiunte da Dot, Ruth, Iris, Barbara, Thelma e Margareth. Noi le salutiamo con allegria, ma è evidente che qualcosa non va: non appena Iris scorge Cyn le fa un cenno con la testa e lei annuisce. Non sono mai stata un lampo a capire le situazioni, e Thel se ne accorge subito.
«Liiiv cara, ma ciao! Maureen! Vi va un punch?» ci spinge letteralmente verso il tavolo delle bibite.
«Okay…» sussurra Mo.
«D’accordo Thel, sputa il rospo.» ci fermiamo dall’altra parte della sala con un bicchiere di punch in mano ed il cappotto ancora addosso.
«C’è un problema tra R…t…h e G…rge.» sussurra lei, troncando le parole a metà per evitare di essere ascoltata da persone indesiderate.
«EH?!» esclamiamo all’unisono io e Maureen, attirando l’attenzione di mezza sala.
«Oh, ma che sbadata, avete ancora i cappotti! Su, su, venite a toglierli.» Thelma ci porta di peso davanti all’enorme attaccapanni.
«Ma siete impazzite?» ci rimprovera. «Tu parli con il codice morse! Come facciamo a capirti?» protesto io.
«C’è un problema, e diciamo che non è previsto che lo sappia l’intera sala, men che meno uno dei signorini in tuta di pelle che si muovono sul palco.»
Io e Maureen sbirciamo da dietro le spalle di Thelma, appurando che –sì– parlava dei Beatles. Dei quasi Beatles. Insomma, di quei Beatles.
«Che problema? Tra chi?»
«Ruth e George.»
«Sacripante, ancora?» ho sempre trovato magnifica questa esclamazione usata da Josephine March nel film “Piccole Donne”.
«Sì! Ti ricordi a novembre, quando tutte noi eravamo fermamente convinte che sarebbero stati insieme ancora per poco? Ricordi?»
«Certo! Io e Meg ne abbiamo parlato, e abbiamo concluso che è più innamorato della sua musica che di lei.»
«Assolutamente sì.» afferma Maureen. «Anche io e Dot ne abbiamo discusso: non per dire che George sia una cattiva persona, assolutamente, ma ultimamente ci sembra un po’ distratto.»
«Esatto.» conferma Thel. «Le “delizie di Amburgo”» mima le parole con le virgolette «di cui John e Paul mi hanno raccontato non sono minimamente compatibili con il rigore morale delle ragazzine di Liverpool. George ha bisogno di distrazioni, e non credo ami più Ruth. Le vuole molto bene, chiaro, ma immagino che per qualche mese o chissà quanto avrà desiderio solo della sua chitarra.»
«E Ruth lo sa?»
«No. Cioè, sì, ma non direttamente. Se lo immagina.»
«E quindi è per questo che siete tutte così strane stasera!» esclama Maureen. «Pensate che la lasci oggi!»
«Già. Beh, tornate alla festa come se niente fosse. Io vi raggiungo più tardi.» Thel si defila in bagno.
«Cosa ne pensi?» chiedo a Maureen.
«Che Thel abbia maledettamente ragione: entro stasera sono separati.»
«Peccato, però…erano una bella coppia.» sorseggio distrattamente il mio punch.
«Sai…» comincia ad un tratto Mo. «Dopo le vacanze non torno a scuola.»
Il punch mi va di traverso e comincio a tossire. «E perché mai?»
«Voglio diventare una parrucchiera, e ho fatto una domanda per apprendistato. Comincio subito dopo la fine delle feste.»
«Wow…beh, è…inaspettato. E dove lavorerai?»
«All’Ashley Dupre hair and beauty salon» «Mh, impieghi più tempo a pronunciare il nome che a fare una piega ai capelli.»
«Verrai da me?» domanda supplichevole. «Solo quando avrai fatto un po’ di pratica.» le do un’amichevole pacca sulla spalla.
«Ciao ragazze!» Ruth si avvicina, accompagnata dalle altre.
«Ruth! Finalmente riusciamo a salutarti!»
«Allora, vi state divertendo?» domanda Dot. Lancio uno sguardo ai ragazzi sul palco, che stanno suonando qualcosa di vagamente somigliante ad una versione prolungata fino alla nausea di Long Tall Sally.
«Assolutamente.» Barbara è emozionatissima.
«Uh, uh, uh!» Maureen comincia a sillabare vocali senza un nesso logico. «Tu! Iris!»
«Dimmi Mo.»
«Santo cielo, l’abbiamo persa.» commenta Meg.
«Ma se non l’abbiamo mai trovata?!» è la risposta di Cynthia.
«Chi è quel pezzo di figo assurdo che in questo preciso istante sta parlando con tuo fratello?»
All’unisono ci voltiamo verso la direzione indicata da Maureen: che mi venga un colpo! Comincio a ridere senza ritegno.
«Ecco, è rimbambita pure l’altra.» Thelma è tornata e, ovviamente, non si fa scappare l’occasione di intervenire.
«Quello? Oh, è il batterista della band di Alan! Si chiama Richard…credo…Starkey, o qualcosa del genere. Alan lo chiama Ringo, ad ogni modo. Ringo Starr. Forse per via degli anelli che porta.»
«Anelli? È mica gay?» chiede Ruth. A questo punto l’attacco di ridarella è così forte che devo rifugiarmi in bagno.
Al mio ritorno vedo le ragazze acquattate dietro ad un divanetto a spiare Maureen e Ringo, che sembrano capirsi alla perfezione.
«Cosa mi sono persa?» sussurro inginocchiandomi vicino a loro.
«Guarda e impara, cara, tecnica di abbordaggio numero 1.» mi informa Ruth.
«Maureen si è fiondata a parlargli non appena ho allontanato mio fratello con una scusa.» ridacchia Iris.
«Che genere di scusa?» domanda Barbara.
«Una scusa dai capelli rossi e con la quarta di reggiseno.»
«Capisco.» mormora Cyn.
«Ehi, signorine! Non credete sia leggermente vile spiare i batteristi altrui?» una voce alle nostre spalle ci fa sobbalzare dallo spavento.
«Che diavolo credi di fare, John Lennon? Vieni subito giù!» lo rimprovera sottovoce Cynthia, tirandolo verso di sé.
«Johnny, credo che dopo questa pausa potremmo…ah, che succede, ragazze?» anche Paul viene sbattuto dietro il divano da Dot.
«Oh, oh…gossip!» Paul si sfrega le mani. «Qualcuno ha detto ‘gossip’?» bofonchia George, masticando di gusto un enorme pezzo di torta.
«Sì, razza di energumeno affamato ma sempre smilzo!» Thelma lo butta giù vicino a lei.
«Dove siete finiti tutti? Voglio partecipare anche io!»
«Dio, Best, sei sempre in mezzo!» si lamenta John.
«Stai accucciato, Pete!» esclama Iris.
«È possibile che con tutto il casino che fate non si siano ancora accorti di voi?» il tempo di un’occhiata e anche Alan Caldwell finisce a tappeto.
«Quella ragazza è amica di chi?»
«Nostra!» risponde Barbara. «Si chiama Mary Cox, però preferisce essere presentata come “Maureen”.»
«Basta che non ci distragga il batterista e poi va bene.»
«Accidenti, Rory, un po’ di fiducia.» lo rimbrotta John.
 
 
«INIZIA IL CONTO ALLA ROVESCIA!»
10.
9.
8.
7.
6.
5.
4.
3.
2.
1.
Buon 2011, Terra.Penso tra me.
«Wuuuuuhuuu!» Vengo sommersa da abbracci e baci.
«Buon 1961, Liv!» con mia grande sorpresa sono abbracciata anche da Rory Storm, John, Paul e Ringo, con il quale mi sono scambiata qualche sorriso e un semplice “ciao”. Anche George e Pete mi hanno baciato sulla guancia, ma, con mio grande stupore e –lo ammetto- disagio, si sono soffermati molto più degli altri.
John e Cynthia si scambiano un bacio appassionato, come Dot e Paul. Mi sembra di poter sentire il cuore fare crack, ma ormai avrei dovuto farci l’abitudine. In questi mesi sono riuscita a limitare la mia cotta per Paul aiutata dal rapporto non proprio idilliaco tra noi due, ma diciamo che proporsi una meta è più facile che raggiungerla.
Sospiro e mi allontano dalla folla, uscendo dal locale.
L’aria fresca mi punge il viso: sento odore di neve, e sarebbe anche l’ora che ne scendesse un po’.
Sento parlare in un angolo e cerco di allontanarmi per non origliare, ma le voci mi suonano familiari.
«Perché così? Perché ora?»
«Un ostacolo svanirà tra due mesi, quando compirò 18 anni. A quel punto niente e nessuno ci potrà fermare.»
«Insomma, ami più la tua musica che me.»
«In questo momento sì.»un sospiro. «Mi dispiace, Ruthie.»
«Non. Toccarmi.»
Mi nascondo dietro il muro per evitare di essere vista da George che, sigaretta in bocca e mani in tasca, si appresta a rientrare nella sala da ballo.
Alla fine è successo, come noi tutte ci aspettavamo da un po’: povera Ruth, che gran bell’inizio d’anno.
«Ruthie…» mi avvicino a lei e l’abbraccio.
«Liv…» singhiozza «da quando tempo sei qui?»
«Da poco, non preoccuparti. Ho evitato in tutti i modi di ascoltare. Mi dispiace.» cerco di consolarla.
«No, me lo aspettavo da tempo, ma speravo che Thelma e Meg si sbagliassero. Ad ogni modo sono corsa ai ripari, sai?»
«In che senso?»
«Verso novembre, quando mi sono accorta che qualcosa tra me e George stava cambiando, ho fatto domanda per un corso da infermiera a Birmingham.»
«Birmingham? Ma è a più di due ore da qui!» esclamo terrorizzata. «Ruth!»
«Liv, mi hanno accettato. Ho ricevuto la lettera questa mattina, ma ero pronta a chiedere di incominciare finito il liceo nel caso in cui avessi avuto ancora George. Ho diciassette anni, la scuola non è più obbligatoria per me.»
«Quando te ne vai?»
«Presto. A metà gennaio.»
Le lacrime cominciano a scorrermi sulle guance. «Mi mancherai.»
«Anche tu. Scrivimi, mi raccomando, e telefonami spesso! Non darmi tregua! In questo sei una maestra.» sorrido al goffo tentativo di Ruth di tirarmi su di morale.
«Buon anno, Ruth.»
«Liv?» mi chiama Margareth dalla porta. «Pete ti cerca. Non preoccuparti, sto io con lei.»
Ancora dispiaciuta torno nella sala e vengo subito bloccata da Pete, che mi trascina dall’altra uscita del Tower Ballroom.
«Liv.» mi guarda intensamente.
Oh, ti prego, no.
«È successo qualcosa?» chiede, vedendo gli occhi lucidi.
«Ruth si trasferisce a Birmingham tra meno di un mese, lei e George si sono lasciati.»
«Lo so, ho saputo.»
«Cosa c’è, Pete?»
«Devo dirti qualcosa di importante.»
«Quanto importante?» cerco di prendere tempo per dissuaderlo dal continuare.
«Molto importante, Liv; per favore, siediti.» Pete comincia ad alterarsi.
Quando mi abbasso noto che odora di alcool.
«Pete, sei ubriaco!»
«Sono ancora abbastanza lucido per intendere e volere.»
Andiamo bene!
«Tu mi piaci, Liv, non è più un mistero per nessuno. Mi piaci e desidero che tu diventi la mia ragazza.»
«Pete, io…»
«É un no?»
«Ehm…» perché deve essere così difficile?
«Avanti, dimmi la verità.»
«Non posso essere la tua ragazza, non ti ho mai visto con occhi diversi. Mi dispiace.»
«Posso sapere cosa non ti va di me?»
«Pete, credevo che l’avessi capito! Sei incostante, hai un pessimo carattere e corri dietro a tutte le sottane che trovi!» di fronte al suo tono rigido inizio ad arrabbiarmi anche io.
«Questo non è vero!»
«Ah, no? E ti devo ricordare un episodio successo non molto tempo fa, quando mi avevi promesso che saresti venuto a prendermi a scuola? Lo avevi promesso, Pete, diluviava ed i miei genitori erano fuori città. Tu sei arrivato con un ritardo di quarantacinque minuti perché sei stato fermato dalle fan sotto casa tua! E tutto ciò l’ho saputo da George, che era venuto a prendere Ruth ed è dovuto correre a casa sotto un acquazzone per poter chiamare Paul in modo che mi passasse a prendere in macchina! Hai idea di come saresti se ci mettessimo insieme se non riesci neanche a farmi un favore da amico?»
Segue un’imbarazzante pausa di silenzio.
«…litigheremmo ogni giorno, lo sai questo?» mi raddolcisco un po’, per poi abbracciarlo e scompigliargli i capelli.
«Sei sempre il mio amico perditempo.»
«Le cose per me sono cambiate, Liv.»



 
It’s getting better!
Ciao a tutti! Wow, ho finito un nuovo capitolo :D e dopo solo un mese! Basta, sono ufficialmente esaltata.
Come si può dire? Anno nuovo, vita nuova (almeno a Liverpool)! Per Liv&company è appena iniziato il 1961, e sono successe molte cose:
1)     È entrata in scena Pauline Sutcliffe, la sorella di Stuart. Di lei si sa poco e niente, solo quello che ho abbozzato nel capitolo per quanto riguarda i tratti fisici e anagrafici. Per analizzarne il carattere mi sono basata su alcuni articoli di giornale nel quale accusava John di avere “ucciso” suo fratello portandolo su una cattiva strada ed allontanandolo dalla famiglia e da una sicura carriera; quindi mi sono fatta l’idea che Pauline detestasse John e, probabilmente, anche Paul. (è risaputo che tra Paul e Stu non correva buon sangue).
2)     George ha lasciato Ruth. Mi dispiace un sacco, mi piacevano come coppia :( però la storia la sapete e purtroppo Ruth non ne fa parte ç__ç ma non preoccupatevi, a volte tornerà brevemente, perché mi piace troppo. Ah, per informazione, si è davvero trasferita a Birmingham.
3)     Liv ha rifiutato Pete. Insomma, parliamoci chiaro: Pete era chiamato “il carattere peggiore del Merseyside”, obiettivamente l’avreste visto bene con Liv?? Spero proprio di no, anche perché non ho intenzione di farli mettere insieme. ù_ù
4)    Si sono aggiunti all'allegra brigata (termine Boccaccesco nd.me provata dallo studio, ignoratemi) anche il fratello di Iris, il famoso Rory Storm, leader degli Hurricanes, ed il tenero Ringo, subito placato da Maureen. Ma non pensate immediatamente a rose e fiori!! Ringo inizierà a suonare nei Beatles solo nel 1962, e per lui e Mo'...beh, dovrete aspettare ancora un annetto.
Ricordatevi quello che ho detto su Alan Caldwell: è un po' strano, misterioso, ma affascinante. ;)


Rory Storm fotografato da Astrid

Ringo ai tempi in cui suonava con gli Hurricanes.

Rory Storm and the Hurricanes.

5)     POSSO FIERAMENTE ANNUNCIARE CHE… *rullo di tamburi* IL PROSSIMO CAPITOLO VEDRA’ IL RITORNO DI STUART! (yeeeeeeeeh!) Ho in mente grandi cose eheheh *si sfrega le mani*
Ad ogni modo spero tanto che vi sia piaciuto questo capitolo! :)
Un bacio a tutti quelli che mi leggono/seguono/recensiscono.
 
Marty.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cocci e colla ***


Capitolo 11:
Cocci e colla
 
Per ben tre, dolorose, fottutissime settimane non abbiamo più visto i ragazzi, né li abbiamo contattati. Pete è furioso con me e Ruth è spalleggiata da tutte noi, perciò i Beatles hanno allargato i loro orizzonti altrove, favoriti dal successo al Litherland Town Hall.
Hanno suonato quattro volte all’Aintree Institute, due al Casbah, una nuovamente al Litherland e una all’Alexandra Hall. I rimanenti giorni li hanno passati tappati in casa a provare e riprovare, litigando, gridando, sbattendo le porte e camminando per sbollire la rabbia da agitazione.
La situazione sta mutando qui a Liverpool. Sta per accadere qualcosa di grande ai Beatles e loro ne avvertono la pressione.
Cynthia e Dot, tagliate fuori nuovamente dalla vita dei loro fidanzati, cercano consolazione nelle uscite fra amiche.
La scuola è ricominciata e né Ruth né Maureen si sono presentate.
Quando suona la campanella dell’ultima ora di questo venerdì 20 gennaio 1961 il mio unico pensiero è la partenza imminente di una delle mie più care amiche, distacco che mi addolora molto.
Purtroppo, come avrei già dovuto aspettarmi, la storia dei Beatles è nota a tutti e Ruth non ne fa parte.
Sento la mano di Iris sforarmi il braccio comprensiva, mentre un’insolitamente mogia Thelma ci raggiunge al piano terra davanti all’uscita, seguita da Meg e Dot. 
«Non così in fretta, Sparks!» Hannah mi sbarra la strada. Ecco, oggi è uno di quei momenti in cui mi rendo conto di un’altra utilità delle vacanze di Natale: ti permettono di dimenticare le persone indesiderate.
«Sparisci, Parker» sibila Margareth, tentando di uscire.
«Io non me ne vado proprio da nessuna parte! Lindsay mi ha detto che hai passato il Capodanno in compagnia di suo fratello! Perché eri con suo fratello??» strilla, indicando Iris.
«Perché forse era una festa piena di gente alla quale ha partecipato Iris e, quindi, suo fratello? O perché gli Hurricanes si davano il cambio sul palco con i Beatles?» rispondo acida.
«Non devi più avvicinarti a Rory.» mi minaccia lei.
«Scusa, stai parlando di mio fratello come se fosse di tua proprietà.»
Il volto di Hannah diventa livido di rabbia: «Non parlare di cose che non conosci, Caldwell, e fatti dare un consiglio: stasera chiedi al tuo caro Alan di raccontarti cosa è successo l’estate scorsa.» Iris impallidisce e spintona via brutalmente la ragazza, uscendo dalla scuola.
Hannah si ricompone. «LINDSAY!» grida, avviandosi alla fermata dell’autobus seguita dalla sua fedele compagna.
Margareth corre verso Iris e le cinge le spalle comprensiva.
«Cosa intendeva Hannah, Thelma?» chiedo io.
«Non saprei proprio dirti… spero solo fosse l’ennesimo tentativo di ferire qualcuno.»
Una volta fuori dall’edificio spalanco la bocca con aria poco regale: davanti a noi, camminando con aria fiera e facendo spostare con il solo passaggio tutta la popolazione studentesca del Liverpool College of Arts, stanno sei dei ragazzi più ammirati di Liverpool: John, Paul, Pete, George e…Stuart.
Stuart. STUART SUTCLIFFE. O Zeus, ora posso ritornare nel mio tempo (quasi) felice.
Con un urlo le ragazze si fiondano a salutare il nuovo arrivato e i ragazzi ritornati “alla civiltà”.
Solo io rimango in disparte, scrutando Pete di sottocchio.
«Non mi saluti, Liv?» domanda. Io scuoto la testa.
«Tre settimane di silenzio. Tre settimane! E ti aspetti che ti saluti.»
«Sono stato rifiutato, mi sentivo ferito nell’orgoglio, devi capirlo.» faccio un cenno poco convinta.
«Eddai, Liv, è anche relativamente poco se pensi al modo in cui reagisco a volte!»
Lo abbraccio ancora scettica. «Amici?» Pete sorride. «Amici, lo prometto.»
«Finalmente questi due hanno fatto pace. Dio santo, non se ne poteva più di sentire le lamentele di Pete da dietro la batteria.» commenta John.
«Aveva un muso più lungo del solito.» gli fa eco Paul.
«Poi per una come lei… può avere di meglio» George mi fa la linguaccia.
«No, ma…ciao, ragazzi. Anche per me è un piacere vedervi.» sbotto io.
«Su, ghiaccio-woman, era per scherzare! Lo sai che George ti vuole bene!» esclama John.
«Solo George, sia chiaro. E forse anche Pete, ma ti consiglierei di non stare troppo sola con lui almeno finchè non si sia trovato una ragazza stabile.» conclude Paul con aria da intenditore.
Pete si imbroncia nuovamente.
«Ad ogni modo, dobbiamo fare delle presentazioni: Stu, lei è Liv. Liv, questo è Stuart Sutcliffe, il nostro bassista.»
«Piacere.» Stuart si sfila i RayBan e mi stringe la mano. Nell’incrociare i suoi occhi neri avverto una piccola scossa: no, no…oh, no!
«Pi…piacere mio.» Grande Giove, Liv, non balbettare. «Quando sei arrivato?»
«Giusto stamattina» Stu inforca i suoi occhiali.
John comincia a saltellarci intorno, ridendo di gusto.
«Si può sapere perché salti attorno a me come se fossi l’Humpty Dumpty?» domando seccata. Anche se l’Humpty Dumpty non saltava, al massimo cadeva. Mah.
«Stu! Ho trovato un’altra persona della tua stessa altezz…pardon, bassezza.» le sue labbra si aprono in un sorriso da Stregatto.
In un tale minestrone di citazioni da Alice nel Paese delle Meraviglie non ci poteva non stare questa: «Humpty Dumpty sul muro sedeva. Humpty Dumpty dal muro cadeva. Tutti i cavalli e i soldati del Re, non riusciranno a rimetterlo in pié. È un avvertimento, Lennon. Attento a te.»
John si toglie il cappello – che gli ho regalato io – e si inchina.
«Onore alla Regina di Cuori.»
«Ma scusa, almeno chiamami Regina Bianca!»
«Non ti darò mai questa soddisfazione, è inutile…»
Mentre ringhio sottovoce un fiocco di neve mi sfiora l’orecchio, e poi un altro, ed un altro ancora, posandosi soffici sulla strada: finalmente quella che si prospetta una nevicata seria! È nevicato poco prima di Natale, ma la neve si è sciolta il 23 dicembre; poi sono scesi due fiocchi ai primi di gennaio, e ora il freddo sembra propizio… Evvai!!
Adoro quando tutto si riveste di bianco! Mi dà una sensazione di pace e di allegria, come se d’improvviso ogni cosa si fosse caricata di ottimismo.
«Allora, ragazze… pranzo al pub?» propone George, sfregandosi le mani.
«Sììì, che bella idea!» esclama entusiasta Dot.
«Io non posso, mi dispiace…» si scusa Iris, ancora sconvolta. «Credo che passerò la giornata con mio fratello.»
«Io nemmeno, scusate…» Meg accompagna Iris. «Bentornato a casa, Stu» Stuart le saluta mentre si allontanano.
«Thelma?»
«Ovviamente. Ma ti pare?»
«Liv?» domanda George. «No, lei lasciala a casa.» Mi provoca John. Paul ride ed io lo fulmino con un’occhiata.
«Credo di avere il permesso, sì.» sorrido accomodante a George.
«Ottimo» Stuart si sfrega le mani. Ha detto ‘ottimo’! Oh, accidenti…in che guaio mi sono cacciata!
Stuart è fidanzato ed intende sposarsi…e lui e Astrid sono una coppia perfetta! Perché a me?
«Ad ogni modo io non vengo.» borbotta John, incamminandosi subito dopo in direzione Penny Lane.
«Perché no, Johnny?» domanda stupito Paul. Ah ah…ti toccherà sopportarmi.
«Perché no, Paulie. Ho un appuntamento.»
Ma Cynthia è a Bristol!
Umh…
Temo che John stia nascondendo qualcosa e, se è quello che penso, dovrò usare quanto in mio potere per pedinarlo ed evitare che Cynthia scopra tutto.
Magari mi sto sbagliando, eppure i tempi coincidono…bah.
Sorridendo a Stu cerco di scacciare dalla mia mente i pensieri riguardo John, e tento di sembrare assolutamente normale.
«Allora, andiamo? Ho una fame…» prendo sottobraccio Pete e George e mi avvio verso il pub spettegolando di Ringo e Maureen: «Li hai più visti?» domanda Geo. «No, e tu?»
«Io sono passato davanti al salone della parrucchiera dove lavora, ma non ho visto nessuno.» «Che razza di pettegolo…»
«Ma Ringo non si vede ancora con Patricia?» interviene Pete.
Patricia???? Sto per azzannare Pete per aver interrotto il mio momento di gioia quando George mi toglie ogni preoccupazione.
«Noooo, ma figurati! Si sono lasciati anni fa… sono rimasti amici, ecco tutto.»
«“Ecco tutto”?» sono scettica perché non voglio che un’altra mia amica soffra.
«Sicuro, baby, ci puoi contare.»
«E niente “ripensamenti”?»
«Oh mamma, e io che ne so? Non sono mica una vecchia pettegola!» George alza gli occhi al cielo, e così fa Pete, che ha sempre pensato che lui fosse una ‘vecchia pettegola’.
«Ad ogni modo credo di no. Quando eravamo ad Amburgo Ringo ci ha raccontato le sue avventure e ci ha chiarito che la sua storia con Patricia era finita.»
Fiù.
Entriamo nel pub e ci sediamo comodamente.
«Allora, Stu, ora che sei tornato finalmente John si darà pace!»Thelma rompe il ghiaccio.
«Vuoi dire ci darà pace!» Paul ha gli occhi spiritati. «Nell’ultimo periodo è diventato una cosa insostenibile.»
«Più del solito?» domanda Stu con un sorriso divertito.
«Sì, non hai idea…per me un piatto di bacon e frittata.» George si ringalluzzisce alla vista della cameriera per le ordinazioni.
Dopo un po’ vedo Thel che più volte mi richiama con gli occhi, e allora arrossisco abbassando lo sguardo verso il mio bicchiere di coca-cola: non devo compromettermi, la storia non deve cambiare. Mannaggia, perché non ho un paio di occhiali da sole anche io?
Ehm…perché forse fuori sta nevicando? Risponde noncurante una vocina nella mia testa.
Dannazione!
«Liv stai bene? Sei stranamente silenziosa oggi…» Pete mi riporta alla realtà, e io cerco di guardarlo senza far capire a nessuno che fino a poco prima stavo combattendo con il mio ‘io interiore’ alla maniera del giovane Werther.
«Eh? Oh, sì…sì…scusate, ma sono veramente distrutta. A scuola ci massacrano.» invento la prima giustificazione che mi passa per la mente e sorrido per depistarli.
«Che professore hai di arte?» Grande Giove, ma perché a me?
«Uno psicopatico eccentrico e forse un po’ dell’altra sponda.» rispondo a Stu con la massima naturalezza.
Lui scoppia a ridere. «Ahaha hai il mio stesso professore! È leggermente matto, lo so… può darsi che in questi giorni faccia un salto a salutarlo.»
Magnifico. Dimmi quando che mi prendo la febbre.
«Grande! Passa dalla nostra classe, così ti saluto.» Okay, ho detto troppo. Inizio a mangiare la mia frittata e rimango muta.
«Stu, come sta Astrid?» sto per mandare una maledizione vodoo a Paul per aver sollevato l’argomento quando mi accorgo che nei suoi occhi non c’è traccia  di malignità: non lo ha fatto apposta, solo non ha capito la mia situazione. Thelma sì, perché si è voltata di scatto verso di me. Dot può darsi. Pete forse, George per niente. Stuart men che meno.
«Sta benissimo, Paul, grazie. Mi manca. Ho intenzione di tornare da lei il prima possibile.»
George riemerge dal suo pranzo. «Ehi, e la band?»
«Proprio di questo devo parlare a John: ragazzi, finchè la band si dividerà tra Liverpool e Amburgo io posso pensare di continuare, ma presto non sarà più possibile.»
«Ci vuoi abbandonare?» chiede Pete.
«Casomai aiutare, e Paul ha capito bene cosa intendo.» anche io ho capito: Paul –che in questo momento mostra un’espressione impassibile– ha sempre rimproverato a Stu di essere bello ma non bravo.
«Sono stato il bassista fino ad oggi.» replica Paul per chiudere il discorso.
Stuart sorride accondiscendente, ma si capisce che l’argomento è solo rimandato.
Mi scambio un paio di occhiate imbarazzate con Dot e Thelma.
«Quando sarà il vostro prossimo concerto?»
«Domani, Dot. Uno al Latham Hall e un altro all’Aintree Institute.»
«In realtà ne abbiamo uno anche questo pomeriggio, sempre al Latham Hall.» George corregge Paul. «E, anzi, dovremmo proprio andare a provare…John sarà già a casa.»
Immagino.
«Ma così presto?» si lamenta Dot, zittendosi poco dopo come un coniglietto impaurito a causa di un’occhiataccia di Paul: le ragazze non devono intervenire in questioni che non possono comprendere, almeno secondo il pensiero dei Beatles.
Lancio uno sguardo all’orologio: sono le tre e un quarto, Ruth parte a manca un quarto alle quattro.
Faccio un cenno di intesa alle altre due ragazze, cercando di non destare sospetti in George, perché non so come possa prendere la notizia che noi andiamo a salutare la sua ex fidanzata.
«Noi dobbiamo andare!» esclama Thelma, alzandosi di scatto dalla sedia.
«Perchè?» domanda Paul, dubbioso.
«E che cavolo, Macca, avranno i loro motivi!» ci difende Stuart, riaprendo la contesa di qualche ora prima.
«Sì, beh…ciao. Stuart, è stato un piacere conoscerti.» concentrandomi per non soffermarmi più tempo del dovuto a guardare il suo viso mi giro e mi avvio al bancone per pagare il mio pranzo.
«Coraggio, coraggio…» Thel mi spinge fuori dal pub. Mentre mi avvolgo la sciarpa attorno al collo le vedo fissarmi e, quando chiedo loro cosa ci sia di tanto strano in me si limitano a rispondermi un secco “Liv, no.”
Il che può significare una sola cosa: “abbiamo capito tutto e vedi di dimenticarti Stuart”.
Sospirando le seguo a testa bassa lungo le vie di Liverpool, per poi giungere davanti a casa di Ruth con un magone raddoppiato.
Lei è in piedi davanti al cancelletto e tortura con la mano destra la cinghia di un bagaglio a mano, mentre regge con la sinistra una valigia. Ha uno sguardo indecifrabile, un po’ voglia di avventura, un po’ tristezza nell’abbandonare i suoi genitori e noi. Quando si volta verso di me, l’occhiata che intercorre tra tutte vale più di mille parole: non tornerà. Forse un giorno…
«Ciao ragazze…» ci abbraccia una per una. «Su, non fate quelle facce! Vi prometto che, se mi daranno la giornata libera, tornerò per Natale, Capodanno e Pasqua! E poi avete il numero della famiglia che mi ospiterà finchè non troverò una casa tutta mia…»
«Ti chiameremo tutte le sere, così prima o poi ti risulteremo talmente insopportabili che penserai di aver fatto bene a lasciarci!» esclama Thelma.
«Iris e Meg si scusano ma…» comincia Dot, ma Ruth non la lascia finire. «Sì, sì…non preoccuparti! Sono passate due ore fa, mi hanno raccontato tutto…»
«Cosa ne pensi?» le domando. Lei aggrotta la fronte.
«Che Hannah non finge, ma che Rory non le deve nulla.»
«Ovvero?» non riesco più a seguirla. «Tu non c’eri l’anno scorso, quindi non puoi saperlo…ma poco tempo fa Hannah non era così perfida…non era adorabile, certo, ma si poteva tranquillamente ignorare. Credo che Rory abbia avuto un flirt con lei quando era ancora una persona prevalentemente gentile. Anche se non credo che sia andato molto al di là…»
«Hai detto queste cose a Iris?»
«Certo! Ma comunque dovrà vedersela con suo fratello. Oh, è arrivato il taxi!» con gli occhi lucidi saluta i suoi genitori e ci abbraccia un’ultima volta per poi salire sulla vettura.
«Senza lei e Maureen la compagnia diminuisce» sussurra Dot, affranta.
«Ehi, ehi, ehi! Mitch è qui a Liverpool, solo che non viene più a scuola con noi.» Da quando ha scoperto che Maureen si faceva chiamare anche Mitch Thelma non si rivolge a lei in altro modo.
«Dai, andiamo a casa…» rabbrividisco sotto la neve che cade.
Le ragazze mi prendono a braccetto e cercano di comunicarmi tutto l’affetto possibile: ne avrò bisogno, se vorrò dimenticare Stu.
 
Arrivata a casa acchiappo il telefono e compongo il numero di Iris.
«Pronto?»una calda voce maschile risponde alla cornetta.
«Sono Liv, cerco Iris…disturbo?»
«Oh, sì…Liv. Te la passo subito.»qualcosa mi dice che hanno litigato.
«Ehi, sorellina…c’è Liv per te.» «Fammi il piacere, Rory, non chiamarmi “sorellina”.» sento una porta sbattere e la voce di Iris risuonare dall’altro capo del filo.
«Liv, dimmi!»
«È un brutto momento?»
«Sì, ma non ti preoccupare, non è colpa tua.»
«Mi spiace, volevo sapere come stavi…»
«Sto bene, tranquilla. Potrebbe andare meglio, sai, ma non ci si lamenta. Hai visto la Sutcliffe oggi?»
«Pauline? No, perché?»
«Immagino sarà stata tronfia come la regina Vittoria nel passeggiare per le strade con il fratello.»
«Credo che non ne abbia avuto il tempo, sai? Stuart è stato tutto il pomeriggio con noi… e poi, poverina, è un po’ strana e protettiva ma in fondo la capisco.»
«Tu non sai la fortuna che hai avuto ad essere figlia unica…»
«Succede sempre così: pensa, io avrei tanto voluto avere un fratello grande.»
«Quello no, ti prego!»
«Eheh dipende dai punti di vista!»
«Certo, sempre che non ti capiti un decerebrato che durante l’estate esce con Hannah e si dimentica di dirtelo!»Iris è vicina allo sconforto.
Un sospiro di sollievo mi sfugge inavvertitamente. «Grazie al cielo, pensavo peggio! Cioè, per carità, avrebbe dovuto evitare che lo venissi a sapere da lei, ma da come era partita mi immaginavo chissà cosa.»
«Ti prego, evita. Ho appena mangiato.»
«D’accordo, scusa.»
«Ad ogni modo, sei andata a salutare Ruth?»
«Sì, sono tornata proprio adesso a casa.»
«Ah, e prima? Siete uscite a pranzo con i ragazzi?»perché tutti si divertono a chiederlo? Che compagnia di pettegoli.
«Sì, è stato molto divertente. Ho fatto pace con Pete e ho conosciuto Stu. Basta…ora ti lascio andare, scusa il disturbo!» cerco di chiudere la comunicazione prima che sia troppo tardi.
«Dove credi di andare, coniglia dei miei stivali? Mi liquidi così?»
«Perché, che cosa dovrei dirti?»
«Ma non lo so, qualcosa! Come hai trovato Stuart?»è ufficiale, è un complotto contro i miei nervi.
«Simpatico.»
«Tutto qui?»
«Lo conosco da poco, non posso dire di più. Forse passerà a salutarci in classe nei prossimi giorni.»
«Oh, che gentile! Beh, ci si vede a scuola, eh? Ciao!»
Iris riaggancia la cornetta decisamente più allegra. Io poso il telefono con il buonumore sotto le suole delle scarpe. Che tempi, che gente… dannato Cupido.
 
Sabato mattina verso mezzogiorno decido di parlare con qualcuno delle mie preoccupazioni e del mio piano “salva il fidanzamento di Cynthia e para il culo a John” e questo qualcuno decido che deve essere Maureen. Forse perché non venendo più a scuola con noi si limiterà la cerchia di pettegolezzi. Sta di fatto che, lisciando nervosamente la mia gonna bianca lunga fin sotto il ginocchio – Mary Quant e la sua minigonna arriveranno solo tra tre anni! –, mi presento davanti alla porta dell’Ashley Dupre hair and beauty salon. Stando ai miei calcoli Maureen dovrebbe entrare in pausa pranzo tra pochi minuti.
Infatti: «Hai un’ora e mezzo, Cox, ricordati!» Maureen sorride cordiale per poi voltarsi e fargli il verso.
«Mmmh, mattinata leggera? Come procede l’apprendistato?» chiedo, osservando il suo “capo”.
«Oggi il boss ce l’ha con me perché ho combinato un piccolo danno assolutamente recuperabile…»
«Santi numi, Mo, quale?»
«Ho inavvertitamente bruciacchiato un ricciolo ad una delle parrucchiere tentando di farle la permanente.» fa spallucce. Rinnovo la mia proposta di non farle toccare i miei capelli finchè non acquisirà un master.
«Allora, Liv, come stai?» comincia a saltellarmi intorno tutta contenta della sorpresa. «Andiamo a pranzo fuori? Eh? Eh? Hai notizie di Ringo?» a quel punto la fermo. «Altolà, mi fai venire il mal di mare. Ma dove la trovi tutta questa energia? Comunque…sì, andiamo a pranzo fuori, ma prima devo parlarti di una cosa importante. E…no, non ho notizie di Ringo, scusa! Dovresti darmele tu, quelle!» lei sorride innocente e poi si rabbuia. «Non l’ho più visto né sentito da Capodanno…»
«Sarà solo timido, dai.» e io lo so. Oh, se lo so.
«Avanti, capo! Cosa dobbiamo fare?»
«Ecco…» mi siedo su una panchina. «Ieri quando i ragazzi ci sono venuti a prendere a scuola ci hanno invitato a pranzo. John però ha detto di avere un impegno e si è allontanato.» vedo Maureen stringere le labbra e poi domandare: «Credi che abbia un’altra ragazza?» annuisco affranta. Ne sono più che certa, purtroppo. «Credo che stia con una povera innocente biondina liverpooliana che ignora l’esistenza di Cynthia.»
«E tu vuoi scoprire chi è?»
«No, voglio solo evitare che Cynthia lo venga a sapere. Temo sia inutile cercare di far cambiare idea a Lennon.» e altrettanto inutile, nonché dannoso e impiccione, cambiare il corso degli eventi.
«Cynthia ora è a Bristol.» sussurra Maureen. «Lo so.» mi mordo il labbro. «Te ne ho parlato semplicemente per evitare che, nel caso tu veda John e un’altra ragazza, lo vada a dire a Cyn. Non so come potrebbe reggere alla notizia. Dopotutto non sono neanche affari nostri; ma credo che se questa ragazza fosse importante per John sarebbe la sua fidanzata “ufficiale”, no?»
«Positivo.»
Mica tanto.
«Bene, andiamo a pranzare!» fingendo un’allegria che non mi appartiene mi alzo di scatto dalla panchina.
«Ehi, Liv!» mi chiama Mo. «Ma sei proprio proprio sicura di non voler dare una possibilità a Pete?»
«Ma smettila e pensa a RINGO!»
«Che diamine urli?? Sono a due passi da te.»
«No, intendo…Ringo! Guarda là…» le indico un ignaro Richard Starkey che passeggia fischiettando e rischia di finire nella tana della lupa.
Quando mi volto verso Maureen per controllare i danni noto che ha le pupille a forma di cuoricino e – se la forza di gravità lo permettesse – sarebbe sollevata a due metri da terra.
«Beep beep, Houston chiama Maureen! Maureeeen? Insomma, Mary, che diamine! Un po’ di contegno a questo mondo…» lei si riscuote e mi rivolge un sorrisetto che non promette nulla di buono.
«Liiiiv, tesoro mio adorato?» «Che vuoi?» «Lo pediniamo, dai?»
«Ma non se ne parla neanche! Si chiama “violazione della privacy”!» sbotto.
Maureen fa l’espressione da cucciolo. Oh santi numi, cosa non si fa per delle amiche!
«D’accordo, d’accordo.» sibilo contrariata. «Ma se per strada incrociamo un chiosco di panini sappi che potrei abbandonarti per dedicarmi ad attività più redditizie.»
 
Mezz’ora dopo, affaticate e affamate, ci fermiamo dietro un muretto.
«Avrebbe dovuto fare il maratoneta, non il batterista! Siamo dall’altra parte della città.» mi accascio poco signorilmente a terra.
«Shh, ci fai scoprire!»
«Scusa! Ehi, Maureen Bond, cosa vedi?»
«Sta girando alla cieca cercando qualcosa.»
«Te lo immagini se deve semplicemente andare dal dottore o, che ne so…tipo a comprare il latte o delle uova…CHIOSCO!» come un miraggio un chiosco di panini si erge a pochi metri di distanza.
«Dall’altra parte di Liverpool?» chiede scettica Maureen, mentre io addento il mio panino e gliene porgo uno.
«Magari avrà un feeling speciale con una gallina di qua.» alzo le spalle noncurante. «O magari va da Maggie Mae.» aggiungo, guadagnandomi un’occhiataccia dalla mia amica.
Maggie Mae, per informazione, era una prostituta di Liverpool protagonista di una canzone popolare.
«Sta entrando in un locale!» mi informa Mo. «Riesci a leggere l’insegna?» le domando.
«Quasi, è coperta da un autobus! Comunque inizia per “An” e finisce per “Stitute”. “Anstitute”? Miseriaccia che brutto nome.»
«Sarà “Institute”, Mo.» sospiro. «Probabilmente è una scuola e Rory Storm e gli Hurricanes ci terranno un concerto a breve.»
In quel preciso istante mi si accende la lampadina. «Accidenti, Maureen, corri! Quello è l’“Aintree Institute”, e non ci suoneranno solo gli Hurricanes, ma anche i Beatles! Se ci pescano qui ci prendono in giro a vita! E lo sai che non sopportano essere osservati mentre provano…» ridendo come delle matte ci rifugiamo dietro ad un palazzo.
«Anzi,» ansimo per la corsa. «Ti dirò di più: è probabile che si esibiscano solo i Beatles. Spesso infatti Ringo suona al posto di Pete.» In lontananza sono udibili le voci di John e Paul.
«Beh, Liv, l’abbiamo scampata bella!»
«Però è stato divertente…e tu hai ancora quaranta minuti di pausa».
 
 
Una classe gremita di studenti che non conosco; tra i loro volti sfocati ed inespressivi spuntano quelli di Iris e Maureen.
«Ma tu non avevi lasciato la scuola?» la mia domanda si perde tra le altre parole, Maureen mi ignora e si rivolge verso la porta. Guardo anche io: un ragazzo ha attirato l’attenzione di tutti. Sembra proprio…«Stu, che ci fai qui?»
Lui si volta e mi sorride, ma non fa in tempo a rispondermi che Thelma gli si para davanti. «Liv, no, hai promesso!»
Poi il viso di Thelma muta in quello di Astrid: «Io mi fidavo di te!»
«Ma si può sapere che cosa volete?» silenzio, un vortice.
 
«AAH!» spalanco gli occhi di soprassalto. Ecco, siamo fregati… ora il mio subconscio mi tortura anche in sogno. Sbadigliando mi giro dall’altra parte: Freud – sempre lui! – si sarebbe divertito un sacco con la mia attività onirica…
 


It’s getting better!
 

Eccomi qua! Con un capitolo che dice tutto come non dice niente ;) vorrei scusarmi per il ritardo, ma sono stata ovunque tranne che a casa durante queste vacanze – siamo a settembre!! Buuuhuh :( – e quindi non ho potuto finire di scrivere il capitolo.
Passiamo alle note? Sì, perché tanto non avete il potere di scelta. U_u

  • in origine questo capitolo avrebbe dovuto terminare con il diciottesimo compleanno di George (25 febbraio), ma poi si sarebbe dilungato ben oltre le 9 pagine… e inoltre ho scoperto un avvenimento che mi spiacerebbe taaanto non narrare *ghigno malefico*
  • poooi, Maureen tacchina Ringo. Decisamente. E io, pardon, Liv, ci va di mezzo. Ovviamente. Allora, che ne dite? Vi è piaciuto il pedinamento stile James Bond?
  • Riappare Rory Storm, il fratello di Iris, con un’inedita – nonché inventata – storia estiva con Hannah. E vabbè poveraccia, se detesta Iris un motivo ci deve essere .-. Ad ogni modo non era questo il motivo per cui dicevo di tenerlo a mente, quindi ricordatevelo ancora per un (bel) po’. :D
  • Sono presenti moltissimi riferimenti a Alice nel Paese delle Meraviglie (libro e film di Tim Burton)...passatemeli, vi prego, adoro quella storia!
  • il titolo...boh, è puramente simbolico, vorrebbe significare i "cocci" del cuore di Liv e la sua forza nel rialzarsi e lasciar passare.
  • Liv e Pete hanno fatto pace!!! Ok, basta...solo per farvelo sapere. Non preoccupatevi, non accadrà niente tra loro. :)
  • Last, but not the least (non potrei mai) abbiamo l’arrivo di Stu!!! *parte trenino* e la conseguente super-extra-mega-cotta di Liv. Diamine, sono più che convinta che mi sarei perdutamente innamorata di lui, miseriaccia a me e quindi sperimento la cosa su quel povero alter-ego di Liv Sparks.

   

(Stu nel 1958, 1960, 1961)


Un’ultima cosa: ho bisogno di un titolo per il prossimo capitolo. Voi preferireste K-k-kiss a Beatle! Oppure B.U.B. (Bacia un Beatle)? Ah-ah, non è quello che pensate, giù quelle espressioni da assatanate.
 
Vi voglio bene <3
Grazie a chi recensisce e a chi legge soltanto, e a tutte quelle persone che mi hanno inserita tra i preferiti/ricordati.
 
Al prossimo capitolo!



Pace, Amore & Rock’n’Roll.
 
M.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** B.U.B. (Bacia Un Beatle) ***


capitolo 12
B.U.B. (Bacia Un Beatle)

«Ragazza, che faccia!»
«Buongiorno anche a te, Margareth cara.»
«È un modo carino per dire “vai a quel paese maledetta racchia che si permette di criticare la mia espressione alle otto del mattino”?»
«Togli il racchia ma…sì, è così.»
«Oh-oh! Qualcuno si è alzato con il piede sinistro, oggi!»
«Guarda, Thel, che sono mancina.» brontolo sedendomi su una panchina e dando sfoggio del mio malumore: non ho dormito niente ed il pensiero di Stuart mi stringe lo stomaco.
«Coraggio, Liv! Andrà tutto bene!» Iris si siede vicino a me e mi sfiora la spalla, comprensiva. «Ehi! Ma tu come l’hai saputo?» domando, scoccando un’occhiata velenosa alle ragazze.
«Sono stata io, Liv, scusa.» interviene Dot.
«Ma bene, fatevi tutte gli affari miei tranquillamente! Tanto sono di dominio pubblico, giusto?» sbotto alzandomi e avviandomi a passo svelto verso la scuola.
Rimango in classe imbronciata finchè il suono della campanella non mi costringe a concentrarmi sull’orda barbarica che si affretta a raggiungere le proprie aule in attesa della prima ora.
Sbircio il mio orario: 1° ora, arte. 2° ora, arte. È ufficiale: lassù qualcuno ce l’ha con me.
Avverto Iris sedersi lentamente nel posto al mio fianco, ma non mi importa – sono stufa di non avere libero arbitrio. So anche io di essermi invischiata in una situazione non indifferente, ma cosa credono? Che sia facile disinnamorarsi? Nascondere? Quello forse sì, in fondo l’ho sempre fatto. Di certo parlarne fra di loro come se fosse una novità succulenta non mi è di alcun aiuto.
«Buongiorno ragazzi!» scattiamo in piedi – seppur di malavoglia – all’arrivo del “mitico” professore di arte. Ti prego, ti prego, se esiste una giustizia. Dike, divinità greca, osannata da tutti gli eroi mitologici, fai che Stuart si sia dimenticato della mia esistenza.
«Oggi sono particolarmente felice,» inizia il professore. Strano, mi viene da pensare. E non è neanche quella felicità sadica che prova nell’interrogare.
«perché mi è venuto a trovare il mio orgoglio più grande: uno studente che, due anni fa, ha completato il suo percorso accademico con successo.» dannazione! Beh, magari parla di qualche altra persona. Non deve essere proprio Stu, giusto? Insomma, in 30 anni di carriera il professore avrà insegnato a centinaia di ragazzi, la probabilità è minima, no?
Ah-ah, povera illusa!
Grandioso, ora la mia mente si prende gioco di me.
«Era un ragazzo assai talentuoso però, con mio sommo dispiacere, a causa delle cattive compagnie» arriccia il naso «aveva abbandonato la sua vocazione» o santissimi numi, manco fosse un prete. «Ora ho appreso che è ritornato a dipingere, ciò mi provoca grandissimo sollievo.»
D’accordo, ho capito. Le “cattive compagnie” sono John&co, tuttavia vorrei ribattere con il fatto che i Beatles tra meno di due anni saranno in vetta alle classifiche ed il professore se li ricorderà per sempre. Soprattutto si ricorderà Lennon. Tiè, fai poco lo sbruffone.
«È con immenso piacere che vi presento…»
«Diamine, ma si sbriga? Sembra un reality show! “ed ecco a voi Morecambre and Wise!” dicci chi è e falla finita!» sbotto a mezza voce, irritata, sperando che nessuno mi abbia udito. Iris di sicuro sì, perché ridacchia cercando di darsi un contegno.
«…il signor Stuart Sutcliffe!» alias: la persona che riuscirà a distruggermi una giornata in meno di un’ora. Per non destare troppi sospetti alzo lo sguardo verso la porta e lo vedo entrare in tutto il suo splendore (e vabbè, sarò anche di parte, ma dovete ammettere che è vero!) di un metro e sessanta di altezza – è un enorme soddisfazione sapere che è alto come me, credetemi –, immancabili occhiali inforcati ed un enorme sciarpa di lana che credo sia di Astrid. Nera. Semplice. Efficace. Modaiola. Esistenzialista. Proprio come lei.
Stuart si sfila i Rayban per rivolgermi un occhiolino provocando diversi sguardi gelidi nella mia direzione ad intramezzare i sospiri della popolazione femminile, poi con estremo charme saluta il professore con la sua voce pacata e gentilmente gli domanda come stia.
Lui si sdilinquisce in complimenti affermando che vorrebbe avere più studenti del suo calibro, che non se ne trovano in giro ultimamente, “ma sono i tempi che cambiano!” e che, sì, lo facciamo disperare ma ne esce sempre fuori.
Tsk. Sono troppo educata per rispondergli a tono.
Beh, ormai la visita di Stu dovrebbe essere finita. Ha ricevuto avances a sufficienza, direi, se non leva le tende presto rischia di trovarsi sei o sette licenze di matrimonio nella sciarpa. Oh, e qualche test di paternità – così, per non farsi mancare niente.
«Signor Sutcliffe, ho appena avuto una luminosa idea!» oh, no. Ma perché quell’uomo si ostina a pensare? Non lo sa che danneggia lui e chi gli sta intorno? «Se non ha niente da fare questa mattina…» chi, lui? No, è super impegnato! Vero, Stu? «e se lo ritiene consono alla sua persona,» …sembra di stare ad un meeting con la regina «potrebbe rimanere con noi anche durante la prossima ora ed aiutare gli studenti a dipingere!» NO! No, per carità! Stuart, pensa a cosa direbbe John se ti vedesse qui… ne sarebbe deluso e profondamente disgustato. Pensa a tutelare la vostra amicizia!
«Ne sarei felice!»
…naturalmente…
Il professore inizia a manifestare la sua gioia distribuendo sorrisi a tutti e gesticolando felice. Sbigottita chiamo Stuart sottovoce: «Psst, Sutcliffe! La prossima “A” di arte sarà tutto merito tuo» Stu ride e si avvicina al mio banco, scrutando la tela desolatamente vuota e rivolgendomi uno sguardo di divertito rimprovero.
«Hai qualche idea, Liv, o pensi che si dipinga da sola?»
«Potrebbe essere un’interessante ipotesi.»
«Ne sono più che certo, ma non mi pare il momento di sperimentare. Allora, mettiamoci al lavoro: tra tutti mi sembri la più problematica.» alzo gli occhi al cielo e lo colpisco piano con il mio libro, provocandogli un attacco di risa. «Prova ad attingere dal vero, a disegnare una scena che hai vissuto. John quando era a scuola non dipingeva altro che locali, cameriere mezze nude e terribilmente somiglianti a Brigitte Bardot e musicisti su un palco.» annuisco. Lo ben so, dottor Pivetta. [cit. Aldo, Giovanni e Giacomo, nd.A]
«Ehi, Liv…prima che qualche tua compagna di classe ti linci e che il professore pensi che io stia facendo favoritismi è meglio che vada a controllare anche gli altri lavori.» strabuzzo gli occhi: «ma tu stai facendo favoritismi!» gli faccio una linguaccia. Stu sorride e mi da un buffetto sulla guancia per poi allontanarsi. Abbasso lo sguardo sulla tela e mi ripeto il mio mantra: calma, calma, respira. Non è andata poi così male. Va bene, devo dipingere qualcosa.
Afferro il carboncino e comincio ad abbozzare il mio lavoro.
 
Quando Stu ritorna, circa quaranta minuti dopo, sto aspettando che il colore si asciughi in alcune parti e scruto pensierosa la mia tela brandendo la matita in mano per eventuali ritocchi.
Lo sento sghignazzare e mi volto stizzita. «Hai il colore perfino sulla punta del naso! Se non sapessi che detesti disegnare a comando sembreresti addirittura appassionata…»
«Poco sarcasmo, Sutcliffe.» ribatto, piccata. Non mi è andato giù il tempo che ha impiegato ad aiutare gli altri: mi ha dato un consiglio di due minuti di durata e poi mi ha snobbato per quasi tre quarti d’ora! Ma che diamine! Va bene non fare preferenze, ma evitarmi mi pare troppo.
«Ohi, Liv, che cosa c’è? Sei arrabbiata perché ti ho lasciato indietro? Dai, guarda quanti siete in classe… ho dedicato due minuti ad ognuno. E poi, lo sai che rimarrai sempre la mia preferita…» borbotto qualcosa, troppo offesa per rispondere, ma poi mi raddolcisco e sospiro, cominciando a colorare un nuovo pezzettino di disegno. Dopotutto, Stuart non mi deve niente. Ci fossero stati John o Paul al suo posto mi avrebbero chiamato ‘rompiscatole’ chiedendomi cosa volessi dal loro prezioso tempo; o forse mi avrebbero solo degnato di uno sguardo seccato. Ciò che non capisco è il motivo per cui Stu si comporta così: ci conosciamo da meno di ventiquattro ore e sembriamo amici da sempre! Siamo molto in sintonia, ma ciò mi fa solamente soffrire…
«Bel quadro, Liv.» l’attributo “quadro” mi fa sorridere ed arrossire allo stesso tempo: non meritiamo tanto, né la mia vena artistica né il dipinto.
«Ho semplicemente seguito il tuo consiglio.» ho solamente rappresentato la chiesa di Woolton come l’ho vista ieri sera mentre tornavo a casa: è il migliore dei miei disegni fino ad ora, forse perché è sentito con il cuore. Nell’oratorio di quella parrocchia, quattro anni fa – come suona strano da dire!! – John e Paul si sono conosciuti.
Stu ridacchia, dandomi un buffetto sulla guancia e asserendo che “assomiglio a John”, poi torna a dedicarsi agli altri miei compagni: perfetto, per altri quaranta minuti non si farà vedere…
Alle nove e mezza, puntuale come me (pff, ma chi voglio prendere in giro?) si materializza nuovamente alle mie spalle come il più inquietante dei vampiri.
«Eeehi, ma sei mancina?» domanda, cogliendomi di sorpresa e facendomi squittire dallo spavento. «Perbacco, Dracula Sutcliffe, non le sfugge niente!» essere mancina è da sempre il mio orgoglio: abbasso tutte le credenze che legano la mano sinistra al Diavolo e al Male, abbasso chi cerca di correggere questo dono con le stoccate sulle dita, abbasso tutti gli oggetti creati per i destri! Leonardo da Vinci era mancino, per esempio, diciamo pure allo stato brado: infatti scriveva da destra a sinistra fluentemente e le sue parole apparivano come rovesciate. Anche io da piccola scrivevo naturalmente alla maniera araba; infatti mia mamma impazziva cercando di capire quale dedica le avessi portato a casa dall’asilo – poi ha deciso di riflettere i miei lavori nello specchio e finalmente è riuscita ad arrabattarsi.
Volete un altro esempio più “moderno” di persona mancina? …Paul McCartney. Meglio di così…
«Lo vorrei ben vedere, dottoressa Liv Frankenstein.» replica lui, atteggiandosi a grande conoscitore dei classici. Alzo un sopracciglio scettica e mi limito ad ignorarlo, come a fargli capire che sono superiore a certe cose. Ho quasi finito il disegno, il che vuol dire che tra poco suonerà la campanella della seconda ora e quindi Stu dovrà tornare alle sue occupazioni – sempre che il professore non decida di trascinarselo in tutte le classi esibendolo come un trofeo.
Al termine della lezione il professore si aggira alla maniera del peggiore avvoltoio scrutando le tele per assegnare i voti, misteriosamente molto alti rispetto al solito. Giunto al mio dipinto, scribacchia una “A+” in fondo al disegno, per non rovinarlo: sono sinceramente sbalordita ed euforica, quasi quasi vorrei abbracciarlo, ma ho ancora mantenuto la mia dignità ed il senso del pudore. Quando mi volto verso Stu per ringraziarlo noto che è scomparso: probabilmente è riuscito a sfuggire alle grinfie dell’insegnante.
 
Così credevo, invece all’ora di pranzo l’ho ritrovato in mensa con un’aria decisamente abbacchiata: quando mi sono avvicinata per guidarlo al solito tavolo dove pranzo con le ragazze, guadagnandomi non pochi sguardi omicidi, mi ha raccontato con voce mesta che il preside l’ha fermato nell’atrio, permettendo involontariamente al professore di agguantarlo per la manica della giacca e di portarlo nella classe successiva.
«John non sarà contento…» mi ha bisbigliato.
Infatti non lo è stato: circa mezz’ora dopo ha fatto una vera e propria irruzione nella mensa accompagnato da Pete, George e Paul, causando al preside una crisi isterica e a diversi professori degli svenimenti mentre ripetevano “Lennon, Lennon!” accasciandosi a terra. Si è seduto al nostro tavolo, ha pranzato con noi e poi ha afferrato Stu salutandoci con un inchino e uscendo dall’edificio, non prima di avermi chiamato “Regina Bianca” ed essere rimasto come un pesce lesso quando gli ho risposto per le rime rivolgendomi a lui come “Nikabrik”. Non credo si aspettasse che io conoscessi Le Cronache di Narnia. Le prossime citazioni verranno forse dal Signore degli Anelli? Sono pronta a tutto.
Il risultato di questa giornata è che metà dell’istituto mi invidia, l’altra metà mi odia proprio. Però ho preso “A+” di arte.
 
 
Gennaio è trascorso senza altre complicazioni: ormai è chiaro che per Stu sono come una sorellina minore da proteggere e che non posso aspettarmi nient’altro. Tuttavia questa storia ha dei vantaggi considerevoli: ha promesso di presentarmi Astrid! Tenterà di convincere i miei genitori a farmi salire su ad Amburgo per le vacanze pasquali, visto che lui ha scritto alla sua fidanzata che sarebbe tornato intorno a marzo…speriamo che accettino!
Le ragazze – Cyn, Thel e Mo in testa – sono molto preoccupate, ma possiedo più forza morale di quello che sembra: sì, lo ammetto, non è semplice comportarsi come se fossi solamente un’amica, ma con il tempo ho imparato a maturare in me quella sorta di consapevolezza che mi dice che le cose non cambieranno, una specie di sensazione dolceamara che da un lato mi tranquillizza. Ho affinato, come prima con Paul, la tecnica di seppellire i miei sentimenti per far spazio alla razionalità: se c’è una cosa che ho capito è che più cerchi l’amore più quello pare sfuggirti e che lui apparirà quando, dove e come vorrà in circostanze e luoghi che non ti saresti mai aspettato. Praticamente un governo a senso unico.
In compenso mi preoccupa George, parecchio. In questi ultimi tempi sembra distante, perso tra le nuvole…non vorrei che gli mancasse Ruth.
Oggi è San Valentino (toh, guarda!! Che festa ipocrita) e mi ha invitato a sentire un loro concerto al Litherland Town Hall: ho accettato, anche perché me lo aveva già proposto Stu, solo non capisco cosa avevano da ridere Lennon e McCartney. Quei due insieme sono proprio terribili!




Accompagnata da Maureen, Iris, Thel, Meg e Dot (mi sono riappacificata con loro, che hanno capito di aver esagerato, anche se so che erano state guidate dall’affetto per me) spingo la porta della sala da ballo e mi dirigo a passo sicuro sotto il palco, facendomi largo tra la folla: i ragazzi sono già pronti nelle loro postazioni e stanno accordando gli strumenti davanti ad un pubblico intero.
Cyn mi scorge e mi raggiunge euforica, seguita da Barbara Baker. «Liv…» mi ammonisce scuotendo la testa, mantenendo tuttavia un tono protettivo da mamma. Non è necessario aggiungere altro: è dispiaciuta per me e Stu.
«Beh,» interviene Thel «almeno quel tontolone di Sutcliffe non si è accorto di nulla.» alzo gli occhi al cielo: gran bella consolazione!
I ragazzi alzano la testa verso di noi e si preparano a cominciare. Pete cerca i miei occhi, come sempre: la sua cotta non gli è ancora passata del tutto, ma nel complesso stiamo bene. Rivolgo un sorrisetto di incoraggiamento a Stuart e poi sposto velocemente lo sguardo su Paul, ricordandomi che non siamo in quelli che solitamente si definiscono “ottimi rapporti”. Pete è off limits, quindi mi trovo a guardare George, che, impegnato com’è a strimpellare la sua amata chitarra, non presenta ostacoli. Fiù, anche questa è andata.
John si avvicina al microfono e zittisce la folla con un solo gesto della mano – ridacchio tra me e me: presto non ti basterà, povero illuso.
«Buon San Valentino a tutti!» le ragazze urlano. «Bene, vi promettiamo che sarà una serata speciale, ricca di sorprese! Ma ora lasciamo la parola al nostro caro Smilzo Harrison che ci suonerà una zuccherosa canzone strappacuore, sperando che la tonta ragazza a cui è dedicata si svegli e gliela dia.» il pubblico ride e urla, George manda a fanculo John sottovoce.
 
When I see you
I just don't know what to say
I like to be with you
Every hour of the day

So if you want me
Just like I need you
You know what to do


Le ragazze iniziano a confabulare sottovoce. «Chissà chi sarà!» Thelma non si lascerà mai – e dico mai – sfuggire un’occasione per spettegolare.
Meg osserva truce George, poi borbotta: «Ma non era perdutamente innamorato della sua chitarra?»
«Beh, è ovvio che con Ruth non si trovava più bene» interviene Dot. «Non vedo il motivo per cui non dovrebbe interessarsi a qualcun’altra.»
«Dot ha ragione, ragazze. Magari lui quando ha lasciato Ruth aveva tutte le buone intenzioni di non innamorarsi per un po’, ma lo sapete che al cuore non si comanda!»
«Come ti invidio, Cyn…» sospira Maureen. «Hai sempre una buona parola per tutti.»
«Sono sicura che George ha trovato una persona che, più di Ruth, possa aiutarlo nella scalata verso il successo.» affermo convinta. Barbara annuisce: «Già! Ruth era una specie di “amore giovanile”, ora gli serve un amore più consapevole.»

Just call on me
When you're lonely
I'll keep my love
For you only
I'll call on you
If I'm lonely too

Understand I'll stay
With you every day
Make you love me more
In every way
So if you want me
Just like I want you
You know what to do


Terminata You Know What to Do avverto brividi lungo tutta la schiena: è un caso, o George sta guardando proprio me? Che imbarazzo, a me piace Stuart! E anche un po’ Paul. Mi sento inadeguata sotto il giudizio di quegli occhi scuri. Abbasso lo sguardo a terra. Per fortuna John torna al microfono per annunciare la sorpresa della serata: spinge in avanti Paul facendolo quasi scivolare dal palco e ridacchia divertito.
«Dopo una canzone cantata dal nostro McCharmly, una di voi avrà il privilegio di baciare questo dolce faccino!»
Spalanco la bocca: non. ci. posso. credere. Sono sospesa tra la voglia di scoppiare a ridere in faccia ai ragazzi e il delirare istericamente. Scelgo la prima, solo perché a delirare ci hanno già pensato le altre ragazze.
Dot compresa, che esce furibonda dal locale, seguita  da Meg. Io rimango qui, mi spiace… questa scena non me la voglio perdere.
Paul, baldanzoso, alza verso la folla un piccolo cuore di legno ricoperto di raso rosso, prima appuntato sulla sua giacca. «Dopo la canzone verrà scelta a caso una ragazza tra il pubblico, alla quale verrà regalato il cuore e un bacio da me.» Merchandising. Fuuuurbo l’amico Paul. Cosa non si fa per avere successo…
Le prime note risuonano nell’aria: Wooden Heart, Elvis Presley. Un classico.
 
Can't you see
I love you
Please don't break my heart in two
That's not hard to do
Cause I don't have a wooden heart
And if you say goodbye
Then I know that I would cry
Maybe I would die
Cause I don't have a wooden heart
There's no strings upon this love of mine
It was always you from the start
Treat me nice
Treat me good
Treat me like you really should
Cause I'm not made of wood
And I don't have a wooden heart

There's no strings upon this love of mine

 
Paul accompagna la sua performance con lo sguardo più dolce che gli riesce, in linea con la sua mente calcolatrice: più consensi, più fan. Paul è il Beatle Bello? Lo è forse Stuart? O magari Pete? Alcune fan lo ritengono affascinante, per quanto a me sembri il meno attraente dei cinque. Non parlo solo di bellezza esteriore, ma di carisma, di modo di proporsi, di parlare, di muoversi, di sorridere.
Terminata la canzone i ragazzi posano a terra gli strumenti ed iniziano a confabulare fra di loro, mentre la sala impazza di applausi e gridolini isterici. Grande Giove! E pensare che è solo l’inizio di qualcosa di molto più grande. Tempo qualche secondo e sono di nuovo rivolti verso il pubblico, con un grande sorriso sornione.
«Io dico numero 7!» urla George, seguito dal “13” di Paul ed il “9” di John. Nove. Nove. Nove. NON COMINCIAMO, EH?!
«La ragazza seduta nella parte dei numeri dispari, fila 9 posto 13!» Annuncia Stu. Si sente un pigolio – forse un tentativo di urletto – ed una ragazzina di circa 16 anni si alza in piedi: è piuttosto bassa, con i capelli neri, il viso paffuto e gli occhiali. Non sarà bellissima, ma mi ispira simpatia. La fortunata si dirige tremando verso il palco, mentre in sala è calato un silenzio di tomba – stanno tramando qualcosa. Sembra di stare in un film di Kubrik. Non appena Pete le porge la mano per aiutarla a salire sul palco una molla scatta all’interno di ogni ragazza: come un solo uomo (o donna, che dir si voglia) tutto il pubblico corre verso il palco, tentando di salire, travolgendo John ed inseguendo gli altri quattro. È scoppiato il putiferio più immane: la ragazza estratta a sorte piange seduta sul bordo del palco, mentre il resto delle fan si spintona anche piuttosto pesantemente.
«Fuori, fuori, fuori!» Thel mi afferra per un braccio e io trascino dietro di me Cyn: poco prima di uscire fuori dalla sala da ballo posso udire un uomo che urla di sospendere il concerto.
Sulla strada, all’aria aperta, mi accorgo di aver formato una vera e propria catena: Thel, io, Cyn, Maureen, Barbara, Iris e Phyllis McKenzie, la migliore amica di Cynthia. Non so proprio quando sia arrivata, io nemmeno dovrei conoscerla, quindi mi limito a sorriderle.
Con un rumore sordo Thel si scontra con Meg, che domanda allarmata cosa sia successo. «Le fan hanno dato di matto e hanno travolto i ragazzi come un fiume in piena!»
Dot sta per tornare nella sala, ma Iris la ferma bruscamente: «hanno sospeso il concerto, ma il pubblico è ancora dentro, ti faresti del male.»
Cyn, tremando come una foglia, la abbraccia: sono preoccupate per John e Paul. Beh, io sono in pensiero per Pete, Stu e George, ma so perfettamente che staranno bene – mi piace vincere facile! Conosco tutte le loro mosse future!! – e cerco di non fasciarmi la testa prima di essermela rotta.
«Ehi, buon San Valentino, ragazze!» esclamo allegra, guadagnandomi un’occhiataccia più o meno da tutte quante.
«Bah,» sbotta Thelma. «Me ne vado a casa. Ci si vede!»
 
 
 
Dopo il San Valentino di fuoco la tranquillità è tornata a regnare su Liverpool, ovviamente escludendo a priori il gruppo musicale dei Beatles, che troverà la pace interiore solo quando i trifogli fioriranno nei vulcani.
John gira per la città con l’aria soddisfatta da duro, esibendo il suo occhio nero come se fosse un trofeo. A chi gli domanda come sia capitato risponde che le fan lo amano troppo per lasciarlo andare a casa finito il concerto e chiama a testimoniare anche Paul e Stu, piuttosto malconci. “Quelle maledette hanno sfigurato anche lo Smilzo! Le avrà conquistate con il suo monociglio…” George non se la prende mai quando sente John ripetere la stessa frase all’infinito, si limita a sorridere e a mostrare i suoi lividi alle ragazze adoranti intorno: sa bene che, quando è irritato per qualcosa, John diventa molto acido. E John è irritato. Parecchio irritato.
In questi ultimi giorni Pete mi ha raccontato che quando si trovano soli con la band per provare lui perde tutta la sua spavalderia e comincia ad inveire contro le ragazze impazzite, ringraziando la madre che ha permesso alle sue sorelline di crescere in modo piuttosto equilibrato.
È la prima volta che sento parlare delle sorelle di John in quasi cinque mesi che sono qui… spero di conoscerle, un giorno.
Tutto il gruppo è in fermento perché si sta avvicinando il 25 febbraio, il giorno del 18 compleanno di George che segnerà la definitiva fine dei problemi giudiziari dei Beatles, ma  nessuno ha la più pallida idea di cosa regalargli e quindi mi hanno spedito in missione per capirlo.  
Secondo loro “con me si aprirà meglio”, solo che trovo parecchio snervante le risatine che accompagnano questa frase.
Come ogni giorno, mi apposto vicino alla sua casa per agguantarlo quando esce – ignaro di tutto – per recarsi alle prove.
«Georgie!» esclamo cercando di convincerlo che sono (per la terza volta in una settimana) passata di lì per caso e l’ho visto uscire. «Liv! Ancora tu!» sebbene possa apparire scocciato, il suo tono è molto allegro. I misteri di casa Harrison…
«Fammi indovinare, devi andare a cercare un oggetto di cui non puoi parlarmi in una zona imprecisata della città che, putacaso, si trova nella stessa via del locale dove proviamo?» sorride.
Inventa una scusa, sparane una delle tue e lascialo di sale. Così (forse) non capirà il tuo intento.
Le rotelline del mio cervello girano così veloci che secondo me George riesce a sentirne il rumore.
«A… a dire il vero no. Cercavo tua sorella Louise. O anche tua madre va più che bene.» come previsto spalanca la bocca e cerca di darsi un contegno per non farmi risultare vincitrice.
«Sono entrambe in casa, guarda, puoi scegliere. Di cosa hai bisogno?»
Inventa una scusa. Inventa una scusa.
«Mi serve la ricetta dei famosi biscotti al cioccolato!» grande!
«Hai intenzione di darti alla cucina, Sparks? Per la tua salute e quella altrui preferirei che ti interessassi all’ippica.»
«Ma come siamo spiritosi Harrison! Bene, grazie per avermi detto ciò di cui avevo bisogno. Adesso sciò, aria, sparisci! Via, via. Eclissati!» lo spingo verso la strada e continuo a fissarlo con un’espressione di finto odio finchè non scompare dalla mia vista.
Sospiro di sollievo e di rassegnazione, girandomi verso casa di George: chissà, forse non è una brutta idea…
 
Busso alla porta, che si apre sotto il mio tocco: «è permesso?» non sono mai entrata qui, mi sento un po’ a disagio, soprattutto perché non mi conoscono.
«Entra pure, cara! Chi sei?» la disarmante cortesia e sincerità della signora Harrison mi lascia sbigottita.
«Mi chiamo Liv Sparks, signora, sono un’amica di George!» lei ride gioviale. «Oh, oh, cara! Ma sì, certo! Liv! George mi ha parlato di te, naturalmente. Louise, tesoro, scendi giù!» neanche mezzo minuto dopo una ragazza bionda robusta affianca la madre e mi rivolge un grande sorriso.
«Ciao! Tu devi essere la famosa Liv di cui parla quel tontolone di mio fratello. Louise, piacere.» si chiama come la madre. D’altronde il secondogenito, Harry, ha lo stesso nome del padre. Noto che ha una vera al dito: la cosa non mi sorprende, ha appena compiuto 30 anni – tra l’altro è sposata con un uomo che di cognome fa Caldwell, come Iris e Alan. Non è forse strana la vita?
«Dimmi, Liv cara. Siediti, coraggio. Hai bisogno di qualcosa?»
«Allora…» rivolgo loro uno sguardo complice: sento di potermi fidare. «La versione dei fatti che ho dato a George è un po’ diversa dalla realtà: mi hanno mandato “in missione” gli altri per scoprire cosa regalargli per il suo compleanno, ma lui è ermetico come un lucchetto, è impossibile cavargli fuori qualcosa! L’ho tartassato per tre giorni senza risultati ed il suo compleanno è domani!»
Louise e la madre ridacchiano: Zeus, che vizi.
«Se può esserti d’aiuto noi gli regaliamo una chitarra, quindi puoi escluderla dalla lista» sorride la signora Harrison. «So che per voi è una spesa un po’ troppo alta da sostenere.» depenno mentalmente “chitarra”.
«Tuttavia,» prosegue Louise «il freddo non se ne andrà prima di fine marzo e George ha solamente un cappotto, che nemmeno gli piace.»
Colgo uno sguardo d’intesa: «capito! Una bella giacca con la felpa interna, elegante, alla moda, nera, calda e molto da teddy boy. Ah, e un paio di guanti. Senza dita, così riuscirà a suonare la sua nuova chitarra.» dall’emozione per aver risolto il dubbio che mi tartassava da settimane parlo velocemente e senza tirare il fiato.
Salto in piedi di scatto: «grazie, grazie davvero! Mi conviene andare prima che i negozi chiudano.» stringo la mano alle due donne. «È stato un vero piacere.»
Sulla soglia di casa la signora Harrison compare alle mie spalle con un’espressione divertita. «Ah, cara…la ricetta dei biscotti al cioccolato è sempre qui ad aspettarti, non dare ascolto a mio figlio.»
Arrossendo violentemente proseguo fino al centro di Liverpool senza staccare gli occhi da terra.
 
 
Quando il giorno dopo George scarta i regali è così felice che sembra aver vinto alla lotteria: stipati attorno al migliore tavolo del Casbah io, Thelma, Meg, Dot, Cynthia, Phyllis, Iris, Maureen, Pete, Alan, Stuart, John, Paul e (con somma gioia di Mo’) Ringo osserviamo il festeggiato provarsi la nuova giacca senza mollare per un istante la chitarra. Operazione alquanto difficile per ogni comune mortale, ma non per un quasi - Beatle.
«Chi è la fatina della giacca di pelle foderata?» domanda John con palese invidia. George si rivolge verso di me sorridendo: «scommetto che è Liv! Non ha fatto altro che pedinarmi per capire cosa regalarmi.»
«Come se ti fosse dispiaciuto…» sbuffa Paul. I rapporti tra me e lui non sono migliorati per niente, anzi! Ormai il non sopportare la reciproca presenza sembra essere diventata una routine.
Con John invece mi trovo molto meglio, anche se lui, orgoglioso com’è, non lo ammetterà mai. Credo sia tutto merito di Cynthia, comunque… ci adoriamo a vicenda e la sua influenza è benefica.
Con Pete da evitare (anche se entrambi lo neghiamo non siamo ancora tornati amici per la pelle come prima) e Stu irraggiungibile l’unica mia spalla si è rivelata, stranamente, proprio George. Il tenero amicone Geo, sempre pronto a scherzare con me e consolarmi dopo uno scivolone nella media scolastica. Anche Stuart spesso prova a socializzare di più, prestandomi i suoi libri d’arte e passandomi a prendere a scuola, ma è come se il mio corpo avesse iniziato a creare intorno a me una barriera invisibile per reagire alla situazione.
Rido coprendomi il viso con i guanti: «dalla disperazione sono arrivata ad invadergli casa per chiedere consiglio a sua madre e sua sorella!»
«Ma…ma…allora non volevi la ricetta dei biscotti al cioccolato, traditrice!» ho sconvolto George, che si sta infilando i guanti senza dita tenendo con una mano la chitarra e con l’altra la manica cadente della giacca.
«Uuuh, si è già arrivati alla presentazione della famiglia!» tiro uno scappellotto a Pete senza tanti complimenti.
Mentre Thelma impreca sonoramente per poi alzarsi ad aiutare George, ripetendogli che “è uno spettacolo vietato ai minori”, il mio sguardo cerca involontariamente Stu, che mi strizza l’occhio incoraggiante.
Caro mio, sei proprio cieco.
Mi rassegno all’evidenza e cerco di conversare con Iris, Alan, Ringo e Maureen.
«Sei tu l’autrice dei regali, quindi.» Ringo mi rivolge il migliore tentativo d’amicizia. «Già, alla fine credo di aver combinato qualcosa di buono.»
«Non dire così, George sembra molto felice. Non ci siamo ancora presentati ufficialmente, comunque.» mi tende una mano e poco dopo scoppia a ridere, probabilmente per la mia espressione da “ma ci vediamo un giorno sì e l’altro pure!”
«Sono Richard Starkey, qui a Liverpool ormai noto come Ringo Starr.» alza gli occhi al cielo. «Piacere, Eveline Marilyn Claudette Patricia Sparks, nota come Liv altrimenti ti uccido. Comunque trovo che Ringo sia un soprannome buffo ma azzeccato.»
«…a me non piace per niente. Trovo che sia più bello “Richie”» interviene Maureen.
«Già, lei non approva. Ogni volta che la incontro me lo ripete.»
Scocco uno sguardo accusatorio alla mia amica. «E, giusto per sapere, ogni quanto la incontri?» Maureen mi tira un calcio sotto il tavolo facendomi accasciare muta sulla panca, ma Ringo non sembra dispiaciuto del mio intervento mirato.
Il tintinnio del bicchiere di John ci richiama all’attenzione: lui, Stuart, Pete e Paul si sono solennemente alzati in piedi e attendono il silenzio, evidentemente per qualche annuncio di vitale importanza. Paul osserva esasperato George, impigliato per l’ennesima volta nella giacca di pelle – le maniche formano un nodo piuttosto fantasioso.
«Gentilcosi e gentilcose, vi abbiamo riunito qui oggi, oltre che per il compleanno di Harrison, per annunciare in mondovisione la nostra dipartita per il paese degli hamburger!» Mona Best abbraccia in silenzio Pete, gli occhi colmi di fierezza.
«E…quando tornerete su?» domanda Cynthia, con la voce tremante.
«Tra poco, bellissima Cyn, ma ti scriverò ogni settimana, ogni giorno, ogni secondo!»
Dot scruta Paul, quasi a volergli chiedere se anche lui si comporterà cavallerescamente come il suo compare e lui annuisce senza proferire parola, zittendola. Lei dovrebbe sapere che per il loro futuro questo ingaggio è vitale e dovrebbe pertanto accettarlo senza pressare Paul. O almeno, questo è ciò che pensa lui.
Mi mordo le labbra per non esternare i miei pensieri ed abbasso gli occhi per evitare che dicano di più di quanto mi sia concesso, Stuart mi passa un braccio intorno alle spalle e sussurra una promessa: «ci manterremo in contatto, vedrai! Astrid ti scriverà, diventerete amiche!»
«Quando ripartirete?» è la mia unica risposta, uscita a fatica. «Il 27 marzo.» sospira Pete.
Un mese, poi il nulla fino a chissà quando. Proprio quando avevamo cominciato a sopportarci di più, quando io e Pete eravamo tornati amici e avevo appena iniziato a ricucire la ferita causatami involontariamente da Stu. Nel momento in cui avevo accettato l’amicizia con Astrid e avevo imparato ad imporre la ragione sui sentimenti, in cui mi pareva di aver trovato un altro amico prezioso in George, ecco che mi, ci, sono portati di nuovo via.
Sorrido, li abbraccio, esco nel freddo pungente circondata dalla neve. Passi, una cabina telefonica, il numero, il silenzio, una voce.
 
«Sì?»
«Ciao Ruth, sono Liv!»
«Liv, cara! Come te la passi?»
«Male, grazie.»
«Oh oh…fammi indovinare… il tuo belloccio è ripartito per Amburgo guidato dal desiderio irrefrenabile per la sua algida musa?»
«Peggio: George ha compiuto diciotto anni. Tutti i Beatles ripartiranno per la Germania il 27 marzo.»
«Accidenti, Liv, sarà meglio che ti compri una miriade di gettoni o spenderai una cifra astronomica per chiamarmi tutti i giorni!»
«Ma che spiritosa…»

 
It’s getting better!
 
Ah - aaaah!!! Ve l’avevo detto che Ruth sarebbe riapparsa sulle scene, mi stava troppo simpatica :D
Che capitolo denso, gentilcosi e gentilcose (copyright by John Lennon), lo analizziamo tutti insieme?
È inutile che fuggite, tanto vi tocca, lo sapete:
* Stuart è passato a trovare Liv ed il suo tremendo professore. Sarà anche un grande artista ma è un poco pirla, il nostro caro Sutcliffe – cioè, sono io a farlo apparire pirla, in realtà. Credo però che, nell’eventualità in cui si fosse presentata una ragazzina innamorata, lui non se ne sarebbe neanche accorto. Mica per altro, ma voi, con quel rapporto splendido con Astrid Kirchherr (non pizza e fichi, eh!) vi sareste accorti di una come Liv?!?
* poooi, John si è presentato in tutto il suo splendore a LCOA (Liverpool College of Arts, d’ora in poi lo abbrevierò così perché si fa prima :D). Non so se sia mai successo, ma mi sono troppo divertita ad immaginarlo entrare scortato dal gruppo e portare via per le orecchie il suo “venduto” amico!
* tataaaan, ecco svelato il motivo del titolo. Tutto ciò che è stato scritto riguardo alla sera di San Valentino 1961, seppur romanzato, è accaduto veramente: ebbene sì, tuttavia c’è ancora qualcuno che si ostina a dire che la Beatlemania è cominciata solo nel 1963 :/
La canzone “You Know What To Do” sarà importante ai fini della trama; ricordatevi soprattutto le parole di John: «ora lasciamo la parola al nostro caro Smilzo Harrison che ci suonerà una zuccherosa canzone strappacuore, sperando che la tonta ragazza a cui è dedicata si svegli e gliela dia.» aaaah, sto spoilerando D: basta, cambiamo punto!
* ho impiegato un’eternità per decidere cosa regalare a George. Lo so, sono impazzita, però sono piuttosto soddisfatta del risultato, voi?
* i Beatles, secondo la storia, ripartiranno per Amburgo il 27 marzo. Liv lo sapeva, ovviamente, ma non se lo è ricordata. Povera gioia *pat pat*
 
Orbene (?), nei prossimi capitoli (che arriveranno in concomitanza con i Mondiali, probabilmente xD) ci saranno grandi sorprese! Spero mi perdonerete per la mia lentezza nell’aggiornare, è solo che mi trovo in un anno molto impegnativo – non tanto per l’anno scolastico in sé, quanto per il fatto che, appunto, tutto ciò che non potrò più fare me lo hanno affibbiato ora (leggi FIRST, volontariato e quant’altro) – quindi sono molto a tappo. Poi non è una storia facile da assemblare, me tapina :’(
Spero di risentirvi presto, comunque ;)
Bacioni e grazie a tutti quelli che mi leggono, recensiscono o mi hanno aggiunto tra i preferiti! (tanto ammmore <3)
 
Pace, Amore & Rock’n’Roll
 
Martina

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Lennonsense. ***


Capitolo 13
Lennonsense.

 
Mi viene letteralmente un colpo quando, ai primi di marzo, trovo John ad aspettarmi all’uscita da scuola. Seduto su una panchina con l’aria di chi vorrebbe spaccare il mondo a pugni alza lo sguardo solo ogni tanto per verificare che io non sia già passata e poi, quando mi scorge, muove leggermente il capo per farmi avvicinare.
«John, che…sorpresa. Non mi sarei mai aspettata di trovarti qui.» le ragazze, fiutata la brutta aria, si sono dileguate in tempo, con un’occhiata che significa solo una cosa: tu chiamaci per raccontare ogni cosa o ti terremo il muso per un anno.
John bofonchia qualcosa di indecifrabile. «Scommetto che sono l’ultima persona sulla Terra che avresti pensato di vedere.» aggiunge.
«No, quello è Paul.» tento di buttarla sul ridere ma capisco che la faccenda è seria dal gelo che si sta creando intorno a noi.
«Vieni con me.» mi afferra bruscamente per un braccio e mi trascina giù per la via. «John!» mi lamento. «John! Mi fai male!» allenta la stretta ma non lascia la presa. «Tu sei mai stata a Woolton, Sparks?»
«Direi di sì!» rispondo, allarmata. «Ma perché?»
John non risponde. «Hai tempo da perdere, Sparks?» mi sta seriamente spaventando.
Con uno strattone allontano il mio braccio da lui: «Certo che no!»
«Perfetto.» sogghigna e mi conduce ad una macchina, aprendo con sarcastica galanteria la portiera del passeggero. Non ho alternative, devo salire. In fondo, mi fido di John, nonostante tutto.
«Da quando hai la patente, Lennon?» domando scettica posando la borsa in mezzo ai piedi.
«Da non molto, effettivamente.» con una sigaretta in bocca accende l’auto ed appoggia le mani sul volante. «Ma la macchina è di Pete.»
Decido di non replicare e mi limito ad abbandonarmi sullo schienale nella speranza di capire presto cosa gli stia passando nella mente. Passano alcuni minuti prima che lui parli di nuovo: «immagino che le tue amichette di abbiano informato delle mie vicende famigliari.» annuisco. «Quindi, sai che ho delle sorelle che, dopo la morte di mia madre, sono state abbandonate al loro destino.» sì, certo, Bobby – il compagno di Julia – non riusciva a crescere da solo due ragazzine.
John interpreta il mio prolungato silenzio come un invito a continuare: «Che, come me, sono state condannate a vivere lontano dai genitori, con dei parenti in una casa estranea che presto dovranno imparare a chiamare “loro”!» grida, sbattendo un pugno sul cruscotto. La macchina sbanda leggermente.
«John! John, calmati, per la miseria!» il mio tono preoccupato e spaventato lo riporta in sé; ma sono gli occhi, quegli occhi, che trasudano dolore.
«E quindi?» domando, isterica. «Dove vuoi arrivare?»
«Non permetterò che trascorrano una Pasqua simile allo scorso Natale!» continuo a non capire.
«Bene, bravo, sei un ottimo fratello. Le porterai ad Amburgo con te?» John mi scocca un’occhiata di sincero disappunto.
«Dio, Sparks, ti avevano spacciato per intelligente. È qui che entri in gioco tu.»
Io? Che cosa?!
«Ma sei impazzito? Io…io…neanche le conosco!»
Lui ghigna: mi sta portando da loro! Woolton, il discorso… sono al Dairy Cottage con Nanny, ovvero la sorella di Julia e Mimi!
«Come? No, non se ne parla! Non si incastra la gente in questo modo! E poi, Stuart mi ha invitato ad Amburgo con voi! Anche George!» urlo, quasi a cercare di fissargli il concetto in testa.
John frena di colpo e scende dall’auto: siamo arrivati proprio davanti al cortile del cottage. Come supponevo, mi ha condotto da loro.
«Vediamo di chiarire una cosa, ragazzina. Avrai anche infinocchiato Pete, George, Paul e quel tonto di Stu, ma non me. L’ho capito che ti piace Sutcliffe, cosa credi? E, siccome prima di essere amico tuo era principalmente il mio, io desidero solo il meglio per lui. Quindi, scusami, tra te ed Astrid decisamente vince lei; non voglio che abbia un ripensamento per una come te!»
Le sue parole mi feriscono come una serie di pugnalate – mi sento come Cesare, in questo preciso momento. Dunque, era questo il piano, fin dall’inizio. Mi ha messo fuori combattimento, come se potessi mai cercare di rubare Stuart ad Astrid, come se lui potesse mai calcolarmi!
«Non ti sopporto, Lennon! Mi hai giudicato senza neanche conoscermi, hai deciso i miei programmi senza essere nessuno! Riportami a casa!» la risposta di John viene interrotta dal rumore della porta del cottage e dalla comparsa di due ragazze sulla soglia: una di quattordici anni, Julia, una di dodici, Jacqueline detta “Jackie”.
«John!» Jackie corre ad abbracciarlo, felice. Julia muove alcuni passi verso di noi, sospettosa, scrutando prima il fratello, poi me. «Nanny sentiva urlare, ci ha mandato a vedere cosa stava succedendo.» approfittando del fatto che la sorellina è girata di schiena, John mi rivolge un’occhiata inquisitoria.
«Noi stavamo…discutendo.» deglutisco pesantemente: diciamo che stavo per tirare uno schiaffo a John così forte da lasciargli per mesi il segno delle cinque dita.
«Beh, entrate, coraggio.» Julia non sembra molto convinta, ma ci apre la porta amichevolmente stringendo la mano del fratello.
«Ragazze, lei è Liv Sparks. Liv, loro sono le mie due sorelline: Julia e Jackie.»
Jackie sorride gioviale, all’oscuro di tutto, Julia si limita a rivolgermi un saluto tirato: ha capito di più di quanto John creda.
Una signora molto somigliante a Mimi appare dietro alle nipoti stringendole per le spalle, quasi a proteggerle da John e da me. Grandioso, sono ritenuta alla pari di un serial killer. Nanny è ancora più burbera di Mimi, se possibile.
«Ciao, zia.» la saluta apatico John. Si ricorda ancora di quando, da piccolo, lo portavano in Scozia e lei preferiva indubitabilmente suo cugino Stanley.
«Salute, John. Cosa sei venuto a fare qui?»
«Ho una notizia della quale vorrei rendervi partecipi. Lei» indica me «è una parte fondamentale, per questo è qui.» tsè, una “parte fondamentale”: mi ha incastrato e basta!
«Mi chiamo Eveline Sparks, è un piacere conoscerla.»
Nanny mi stringe la mano avvertendomi di chiamarla Anne, poi ci conduce in casa con aria corrucciata.
John prende posto a capotavola e si schiarisce la voce: «Il 27 marzo il nostro gruppo tornerà ad Amburgo!»
Le reazioni suscitate sono varie: Jackie corre ad abbracciare le gambe del fratello singhiozzando, Julia rimane immobile al centro della stanza, Nanny, cioè, Anne, assottiglia le labbra. Riesce a sibilare un “perché?” di disappunto.
«George ha compiuto diciotto anni, ecco perché. Suoneremo al Top Ten, ecco perché
Dopo una lunga pausa di silenzio che sembra eterna, nella quale non manco di sentirmi un’estranea in mezzo alla riunione di una famiglia smembrata, John riprende il discorso: «Cynthia e Dot saliranno durante le vacanze di Pasqua per visitare la città.Non so quando torneremo, credo allo scadere del contratto, tra quattro mesi circa.»
Il mio sguardo scocca violentemente su Julia: come prevedevo, nei suoi occhi sono passati tristezza, delusione, amarezza – un’altra Pasqua senza John, senza affetto, senza famiglia.
«Ma, siccome la mia amica Liv non verrà ad Amburgo con le altre ragazze perché non ha niente da fare lassù,» no, ma, gentile. «si è offerta di trascorrere un po’ di tempo con Julia e Jackie, dopo averle conosciute. Diciamo pure molto tempo.» non posso neanche replicare: conoscendo i loro tristi trascorsi ed il loro futuro, come posso negare un briciolo di gioia a questi occhi speranzosi, seppur diffidenti? Ti detesto, John Lennon. Non ho mai sentito un quantitativo così enorme di bugie, né ho mai conosciuto una tale faccia di bronzo – per non dire di peggio, sono una signora.
«Ehm, certo! D’altronde, ad Amburgo non saprei proprio da quale parte girarmi. Mi hanno invitato ma ho dovuto rifiutare… insomma, mi sarei sentita un po’ di troppo.» la mia voce esce più tagliente del solito.
«C’è sempre George, a quanto mi risulta.» interviene Julia, arricciando il naso. John sbuffa: «Accidenti, ma come te lo devo dire?! Appunto perché George è single Liv sarà di troppo! Non sono cose di cui posso discorrere in pubblico e, soprattutto, in presenza di minori.» indica le sue sorelle e me, sorridendo sornione all’espressione scandalizzata di Nanny.
Le delizie amburghesi, sicuro. Il miglior panorama della Grosse Fahrenheit. Senza contare le più pudiche ma altrettanto volenterose cameriere e figlie di proprietari di locali.
Grande Giove, non voglio neanche pensarci.
«Quindi…» ricapitola Nanny «passerai del tempo con Julia e Jacqueline?» Jackie storce il naso nell’udire il suo nome completo.
«Sicuro! Potremo andare al cinema, in giro per negozi, al parco…» nella mia mente ripeto il mantra “ti odio – ti odio – ti odio”. Lo sguardo delle ragazze si illumina, John mi osserva soddisfatto.
«Bene, qui abbiamo terminato. Ora, se permettete, io devo andare a provare con il mio gruppo, ma prima devo riportare a casa la signorina Sparks. Avrà da studiare.» si inchina sarcasticamente e mi spinge fuori dalla stanza.
«Cosa che tempo fa avresti dovuto fare anche tu.» è l’unico commento della zia.
 
Una volta che la porta di casa si è chiusa dietro di noi sfogo tutta la mia ira contro John: «Come hai osato? Come ti sei anche solo permesso? Tu, razza di essere ignobile, tu verme, tu stronzo John Lennon!»
Il suo sorrisetto compiaciuto mi irrita ancora di più. «Riportami a casa.» ordino, sedendomi in macchina. Mi prudono le mani dalla rabbia, non è un buon segno: devo allontanarmi da lui o finirò per mollargli un pugno sulla mascella.
Nonostante John non mi ritenga capace di picchiare qualcuno ha inteso la brutta aria che tira, perciò ha deciso di non infastidirmi oltre. Pochi minuti e siamo a Penny Lane, davanti al cancello di casa mia: mi trattengo dallo sbattere violentemente la portiera solo per rispetto nei confronti di Pete – dopotutto, la macchina è sua – ma non mi curo di nascondere il mio risentimento. A passi pesanti spalanco la porta e la richiudo con grande fragore.
Posso solo vagamente sentire le ruote dell’auto sgommare mentre John si allontana.
Urge un aiuto, una comprensione.
Cynthia, Phyllis, Thelma, Dot, Meg, Iris, Maureen: è questione di qualche telefonata e, precise come un orologio svizzero, alle cinque si presentano da me armate di pasticcini per l’ora del the.
«Come ha anche solo potuto, quel maledetto?!» strepita Thelma girando come una tigre in trappola nella mia camera, sotto gli occhi di una basita Astrid – la mia gatta, per intenderci –.
«Poi mi stupisce il modo in cui si è accorto della tua cotta per Stu! Insomma, non lo facevo così intelligente!» Iris strabuzza gli occhi sedendosi sul letto.
«Ehi!» pigola debolmente Cynthia, tentando di difendere l’onore del suo fidanzato. Invano, aggiungerei.
«Quindi starai con loro? Cioè, non verrai ad Amburgo?»
«E come potrei, d’altronde, Dot? Le ragazze si aspettano che mi presenti almeno qualche volta durante le vacanze pasquali… poi le hai viste, povere stelle? Jackie era così felice nel sapere che le avrei portate a fare shopping!» grande Giove, che situazione complicata.
«Forse sarà meglio così. Pensaci, dai: John e Cyn, Paul e Dot. Pete off limits, Stu a casa di Astrid per quanto sono sicura che cercherebbe di inserirti nelle loro uscite, George single e per questo attorniato da ragazze, tu in mezzo come un porro. Poi, non è proprio un ambiente adatto ad una ragazzina, su questo John ha ragione; Stu e George sono stati un po’ imprudenti a proporti di salire con loro…» Meg sbroglia esaustivamente la questione.
«Dai, figurati… dovresti alloggiare con Astrid e quindi beccarti Stuart in giro per casa; inoltre i locali non sono proprio ‘in’, ecco.» Phyllis conclude smontando decisamente tutti i miei propositi anti-Lennon.
Alzo le braccia in segno di resa: «Va bene, va bene…avete ragione voi. Vorrà dire che mi risparmierò lo scendere in piazza a protestare contro John e la sua rozzezza. Scusa, Cyn, a proposito. Mi spiace solo per gli slogan, ne avevo inventati alcuni veramente carini.»
«Se ti può consolare,» interviene Maureen, fino a questo momento rimasta in silenzio «io continuo a pensare che John sia stato un’idiota.»
Sorrido debolmente nello scorgere anche Cynthia annuire. Allora non mi sono infervorata senza motivo. Però uffa, mi immaginavo già le manifestazioni sotto casa di John con i cartelli, mannaggia. Vabbè, avrò altre occasioni.
Mi sfrego le mani con aria soddisfatta.
 

Julia e Jackie Dykins (il cognome è quello del compagno di Julia Stanley-Lennon) nel 1958 [fonti: Imagine This, growing up with my brother John Lennon, di Julia Baird (ndA.:il cognome da sposata)]
 
«Eveline!» il viso di Nanny tradisce una sincera ammirazione, ragion per cui decido di non storcere il naso di fronte alla sua trovata di utilizzare il mio nome intero.
«Sei qui per le ragazze?» e per chi altro? Sorrido debolmente, bisognosa di una dose di ottimismo extra. Coraggio, andrà tutto bene – ecco, me lo dico persino da sola, sacripante.
«Sì, oggi…» quanta fatica per pronunciare il suo nome senza accentuare l’amarezza, «…John e gli altri partono per Amburgo e…ecco…ho pensato che a Julia e Jackie avrebbe fatto piacere salutarli. Altrimenti,» mi affretto ad aggiungere in risposta all’espressione rabbuiata di Nanny, «le porterò al cinema, al parco o in giro per negozi. Nessun problema.»
«Mmmh.» mi sento squadrata da capo a piedi. «Rinunceresti a salutare i tuoi amici per stare con loro?»
«Se si rivelasse la cosa migliore sì, sarei disposta a farlo. Certo, non senza dispiacere.»
«Non ci credo, Liv Sparks, ma grazie lo stesso per la gentilezza.» sebbene mi abbia apertamente dato della bugiarda irresponsabile Nanny sorride: le piaccio. E poi, mi ha chiamato ‘Liv’.
La signora batte le mani con fare imperioso: «Julia, Jacqueline, avanti! Vi voglio vestite e lavate in dieci minuti, non uno di più. Starete con Liv, oggi.»
Manco a dirlo, precise come orologi le ragazze accorrono in salone, agghindate di tutto punto. Julia tiene per mano Jackie e tenta di allacciarle il nastro del cappellino, manovra non facilissima dato che cerca di sistemarsi anche il proprio.
«Non preoccuparti, Julia, penso io a Jackie». Gli occhi di Julia mi esaminano ma ha il buon gusto di non lasciar trapelare alcuna emozione: Jackie è troppo piccola per poter essere scossa dagli eventi come lo è stata sua sorella maggiore. Lei vede in me una baby-sitter o una cugina ed è felice di allontanarsi per qualche ora da quel vortice di anormalità che è diventata la sua vita, ma Julia non la pensa alla stessa maniera: non si fida più di alcuna persona, forse solamente di John ma sarei pronta a giurare che accade occasionalmente. Per lei Jackie è la cosa più importante che le rimane ed è pronta a difenderla con i denti, qualora se ne verificasse la necessità.
«Allora,» esclamo, allontanandomi da Jacqueline. «Andiamo?»
Con mia somma sorpresa, è proprio Jackie a cercare la mia mano e a stringerla, mentre con l’altra afferra saldamente la sorella. Varchiamo la soglia e ci affrettiamo a cercare un autobus che ci aiuti ad arrivare al porto prima dell’imbarco.
Noto con molto dispiacere e sdegno che le due ragazzine vengono palesemente additate per strada, da persone che probabilmente parlano solo per sentito dire ed evidentemente non riescono a capire il dolore che causano loro.
È un attimo prima che Julia, già matura nonostante i suoi 14 anni scarsi, si chini su Jackie e le sussurri il titolo del nuovo film di Elvis Presley che presto andranno a vedere al cinema: basta un minuto perché la più piccolina non si accorga di niente.
Giunte al molo veniamo guidate verso i ragazzi da una grande folla radunata sotto una nave: i genitori di George e il padre di Paul si affrettano a ricordare le ultime cose ai ragazzi, Mike sta combattendo una lotta interiore tra il voler essere un duro ed il bisogno di abbracciare il fratello, Pauline Sutcliffe, da un angolo della strada, osserva bieca la scena. Non si è avvicinata a meno di quattro metri da Paul e John e ha chiamato Stuart da lontano, proprio per non avere niente a che fare con loro.
Iris è in compagnia di Alan e di alcuni membri degli Hurricanes – con grande gioia di Maureen che non perde un minuto per tentare di conquistare Ringo – e, immersa in un fazzolettino elegante, Cynthia si asciuga le lacrime nel momento in cui sa che John non la può vedere.
Più camminiamo verso di loro, più la presa di Julia e Jackie intorno alle mie mani aumenta: nessuno è a conoscenza del loro arrivo. Se è per questo, credo che nessuno dei Beatles conosca nemmeno la lite avvenuta tra me e John, né il motivo per cui io non sono su quella nave – forse Lennon avrà propinato la sua lista di ragioni d’emergenza del tipo “genitori all’antica”, “non ancora maggiorenne”, “spirito caritatevole che mi ha implorato di farle conoscere le mie sorelline” o altro.
Il rumore della ghiaia sotto le scarpe riscuote le famiglie dai loro impegni e, in poco meno di mezzo minuto, tutte le teste dei presenti sono voltate verso di noi.
«Julia, Jackie!» John, sinceramente contento di vederle, prende in spalletta Julia ed in braccio Jackie, che gli getta le braccia al collo piangendo. Anche Paul e George si avvicinano cauti per stringere le mani delle ragazze, conosciute pochi anni prima quando la loro mamma era ancora viva. Quando John le posa a terra, è Cynthia a chiamarle con un abbraccio, sistemando loro i vestiti ed il cappello.
«Liv!» Stuart mi corre incontro, sorridente, e mi avvolge la vita con le braccia. Sospiro abbandonandomi sulla sua spalla: non devo piangere. Proprio no. Sarebbe l’equivalente di camminare a Times Square tenendo in mano un enorme cartello fluorescente con scritto “John Lennon avevi ragione: a me piace Stuart Sutcliffe!”.
Dopo Stu, sono le braccia di Pete a stringermi, alle quali seguono il saluto frettoloso e diffidente di Paul e il sorrisone di Ringo.
 
Che strano, per un attimo mi è sembrato che George si sia avvicinato a me e abbia poi rapidamente cambiato idea…me lo sarò sognato, magari è stato richiamato da sua madre.
«Sparks, ti ringrazio. No, dico sul serio.» John stronca sul nascere qualunque mia obiezione. «Quando ti ho incastrato per farti tenere le mie sorelline, non credevo che avresti sul serio accettato. Mi ha fatto piacere poterle salutare.» dopo un lasso di tempo che pare interminabile, io e John ci abbracciamo, rigidi come bacchi.
«Buona fortuna, Lennon.»
«In culo al Jabberwocky». Risponde lui.
Questo è il massimo di scuse che posso aspettarmi da John, ma in fondo a me va bene così: per una persona orgogliosa come lui deve essere stata un’impresa anche solo raccogliere il coraggio per parlarmi. Ho come l’impressione che d’ora in poi il nostro rapporto andrà migliorando.
Il rollio della nave richiama i passeggeri all’imbarco: la partenza è fissata tra dieci minuti.
I ragazzi scaricano i loro strumenti dal furgone di Neil Aspinall e si affrettano a salire sulla pedana di legno. Manca poco.
Mentre osservo inespressiva il veicolo George si avvicina e mi saluta, finalmente.
«Ehi» tento di nascondere la mia tristezza abbozzando un sorriso «non sei ancora salito?»
Ride: «non ancora, volevo dirti una cosa prima.» spalanco gli occhi, curiosa: che cosa può mai volere George Harrison da me? Magari notizie di Ruth, ma in tal caso non credo di averne di nuove. Avrà una sorella anche lui? Posso organizzarmi per delle giornate di baby-sitteraggio. Ma so di per certo che lui è il più piccolo della famiglia. Oppure vorrà chiedermi di passare spesso a trovare sua madre per imparare a cucinare come si deve.
«Vedi, Liv… io… niente, eh! Solo…stammi bene, okay?»
Non ho neanche il tempo di rispondergli che mi abbraccia, per poi voltarsi ed avviarsi dagli altri, tirandosi su il colletto della giacca.
Strano tipo.
«Qualcuno è nei guaaa-aaai!»
Mi volto enigmatica verso Iris, che scruta pensierosa l’orizzonte.
«Che cosa intendi, scusa?»
«Ancora non lo so di preciso, ma posso già prevedere che al ritorno dei ragazzi da Amburgo niente sarà più come prima.»
Accogliendo di nuovo vicino a me Julia e Jackie e stringendomi a Maureen, guardo il volto dei Beatles diventare sempre più sfocato mentre la nave si allontana sempre di più dal molo.
Non posso fare a meno di pensare quanto tu abbia ragione, cara Iris.

 


It’s getting better!
 
AAAAH non linciatemi!! D: abbiate pietà di me! Lo so, non aggiorno da mesi, ma sono stata impegnata con la scuola e cose varie :(
Ma non preoccupatevi, ho deciso e promesso che arriverò in fondo a questa storia e, anche a costo di impiegarci anni *fischietta*, ci arriverò.
Allora, analizziamo il capitolo? ;)
Punto numero 1: ecco a voi le sorelline di John! Già vi avevo anticipato la mia intenzione di inserirle, così ho aspettato quello che mi sarebbe sembrato il momento più adatto.
Cosa ne pensate? Quello di Julia e Jackie è un tema che mi sta molto a cuore, specie dopo aver letto l’autobiografia di Julia “Immagina questo: io e mio fratello John Lennon”, dalla quale poi è stato tratto “Nowhere Boy”. Perché mi sta particolarmente a cuore? Perché spesso si tende ad emarginarle dalla vita di John e molti non sono nemmeno a conoscenza della loro esistenza, cosa che appunto, dopo aver letto il sopracitato libro, mi spiace ancora di più perché anche loro – proprio come il fratello – non hanno trascorso una vita facile.
Lo so, lo so. Non sono mai andate a salutare John in partenza per Amburgo. Ma questa storia non vuole raccontare per filo e per segno gli avvenimenti della vita dei Beatles, bensì vedere come un “elemento di disturbo” proveniente dal futuro e quindi a conoscenza di quanto accadrà giorno per giorno (comunemente chiamato Liv) possa influenzare le loro scelte.
Punto numero 2:Liv non partirà per Amburgo. Mannaggia. Ma in fondo, se John non l’avesse incastrata, i suoi genitori non l’avrebbero lasciata partire ed avrebbero avuto comunque ragione :D
Punto numero 3:George. Lui è strano forte. E Stu? Parecchio. [Dire tante cose per non dire niente, nd.A]
 
Per quanto riguarda i prossimi capitoli, visto che i Beatles sono tornati da Amburgo il 3 luglio 1961, pensavo di concentrare in pochi paragrafi alcuni avvenimenti che saranno importanti ai fini della storia e poi passare subito al loro ritorno con un grande salto temporale. C’è molto da raccontare e noi siamo solo all’inizio! :):)
 
Spero di non avervi annoiato con questo capitolo e con le smisurate note di chiusura e cercherò di aggiornare in tempo, approfittando della fine della scuola!
Bacioni e grazie a tutti per le recensioni, mi fate sempre molto piacere.
 
Marty 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Problemi tecnici con il continuum spazio temporale. ***


Capitolo 14

Problemi tecnici con il continuum spazio temporale.

Stuart ha deciso di lasciare i Beatles. Alla domanda “perché lo ha fatto?” potrei rispondere che è assolutamente normale, non si è mai sentito veramente a suo agio come musicista e certamente – questo devo dire che è stato aggiunto con un certo tono di astio – avere il fiato di Paul sul collo non l’ha aiutato. Poi, sempre secondo la mia modesta opinione, l’arte è l’unico suo grande amore. dopo Astrid, ovviamente.

Le ragazze affermano che si fidano molto del mio giudizio – dicono che sembro capire Stu meglio di chiunque altro.
Pare che mi sia anche parzialmente ripresa dalla mia grande cotta, forse perché sono stata troppo impegnata a pensare a Julia e Jackie per deprimermi… credo sia meglio così.

La notizia delle “dimissioni”, sempre che così si possano chiamare, ha sconvolto tutti tranne me, ma solo per una questione di vantaggio sul futuro.
Qualche giorno fa mi è arrivata una lettera urgente da Amburgo, nella quale Stu mi avvisava della sua decisione, già ampiamente supportata da Astrid: in calce al foglio, vicino ai saluti, lui mi chiedeva un’opinione. Ma io dico, con Astrid lì accanto, quanto potrà valere il mio pensiero personale?
Cos’altro avrei potuto rispondere? Gli ho scritto di seguire il suo cuore.
Suppongo che questa sia stata la prima volta in cui Paul mi ha apprezzata: grazie a me ha finalmente potuto suonare il basso “come Dio comanda”. Paul…il presuntuoso, arrogante, egocentrico Paul. Se non sapessi che ragazzo meraviglioso è in realtà, probabilmente cederei alla tentazione di odiarlo.


Come sempre da quando sono partiti, ogni volta che una di noi riceve una lettera da Amburgo corre dalle altre ad avvisarle e la si legge insieme, febbrilmente, aggrappandosi a quel poco di notizie che trapelano.
Oggi è il mio turno: ne ho ricevuta una da George.

Cara Liv,
perdonami già in anticipo per quello che sarà un breve resoconto di questi ultimi due mesi: dopo l’iniziale sconvolgimento in seguito alla decisione di Stu di lasciare il gruppo, tutto sembra essere tornato alla normalità. Ora lui studia all’ Hamburg College of Art, come già tu saprai – cosa credi? John mi ha raccontato delle vostre “sedute letterarie”!! – e noi continuiamo a suonare ad orari disumani, anche se la presenza di Tony Sheridan ha ammorbidito i proprietari del Top Ten. Abbiamo inciso un disco, sai? Anzi, sapete? Si chiama “My Bonnie”, presto arriverà anche lì da voi.


A queste parole le ragazze saltano per la stanza emozionate. Anche la mia voce, quando ricomincia la lettura, trema leggermente: ci siamo.

Tony dice che lo venderà ad un impresario proprio di Liverpool, speriamo sia ben pubblicizzato. Ora scappo, ho molte lettere da scrivere ed il tempo sembra non bastare mai!
Saluta tutte,

George.


«Vorrei far notare,» comincia Maureen «come si sia sforzato di mantenere un linguaggio consono alle signorine che leggono quanto scrive.»
Thelma scoppia a ridere indicando Julia e Jackie: «sicuramente lo fa per loro, anche se forse dovrebbe dirlo anche a Johnny!»
Ricordo le lettere di John inviate a Cynthia e alle sorelle: certamente lui non si preoccupa di censurare troppo. Era quasi divertente interpretare ad alta voce le sue emozioni, anche se dopo aver cercato inutilmente di coprire con dei “beeep” le parolacce ho deciso di lasciar correre – tanto avrei dovuto parlare sopra a Julia e Cyn per tutta la durata del resoconto.
Jackie non sembra scandalizzarsi più di tanto, quindi…
«Insomma, ragazze…» Dot si stiracchia «la figura dell’impresario di Liverpool è stata nominata anche da George. A questo punto, visto che tutti e cinque ce ne hanno parlato, o si sono messi d’accordo oppure questo fantomatico tizio esiste davvero».
«Già. Ma chi mai potrebbe essere?»
«Non ne ho proprio idea, Meg.» Cynthia si sistema meglio sulla sedia a sdraio.
«Forse io sì…» interviene la vocina di Julia. «Avete presente quel negozio di musica in Great Charlotte Street?»
In quel preciso istante mi si illumina una lampadina nella mente. «Ma certo!» schiocco le dita convinta. «Il NEMS Enterprises! Questo vuol dire che l’uomo può essere uno dei due fratelli Epstein.»
Ignoro le espressioni stupite delle mie amiche. «Tra l’altro non è distante da scuola…» non domando a Julia come possa conoscere il negozio di dischi di Brian e Clive Epstein perché la risposta è piuttosto scontata: immagino che sua madre fosse un’assidua ed appassionata frequentatrice.
«E certo.» sbotta Thel «un giorno mi spiegherai come fai a sapere sempre tutto.»
«Sicuro.» sorrido. «Ma quindi…» Cyn fruga nella sua borsa con un’aria quasi assatanata. «Ah-ah!» esclama, tirando fuori una busta stropicciata nella quale, secondo il mio modesto parere, dovrebbe esserci la scorsa lettera di John.
Infatti: alla sua vista Dot e Meg si coprono le orecchie con le mani, lamentandosi: «Noo, basta!! L’avremo letta e riletta almeno sei volte!»
Cynthia risponde con una linguaccia: «Uhm, antipatiche. Non volevo leggerla da capo, ma trovare un punto saliente.»

Ehi bellissima, bellissima, bellissima Cyn!

Thelma finge di vomitare nella sua tazza. «Ti prego, risparmiaci le cose mielose, o mi si carieranno tutti i denti. Assume un’espressione sofferente.
«Andiamo!» sbuffa Meg. «Non puoi comportarti così di fronte ad ogni storia d’amore!»
«Sono destinata a morire in una casa piena di gatti…» Thel allarga le braccia, nell’esatto momento in cui la mia gatta Astrid attraversa la stanza per accoccolarsi in braccio a me. Alzo un sopracciglio guardandola con divertimento.

Non dovrei dirti niente, ma in realtà ti sto scrivendo quindi quei cazzoni di là non potranno lamentarsi.
Un impresario di Liverpool – sì, stai leggendo bene – è interessato a “My Bonnie”! Credo sia per via di Tony Sheridan, ma gli faremo vedere che siamo fottutamente migliori di lui!

Con amore, John.


Julia sorride e commenta: «Dunque George aveva ragione…anche se tutte in questa stanza ci ricordavamo dell’accenno di John all’impresario di Liverpool – nessuno però ha osato dirtelo, Cyn. Sei così tenera quando rileggi le lettere di John!» le fa l’occhiolino. Cynthia si stringe timidamente nelle spalle mentre Dot si alza per stringere la mano a Julia, sollevata del fatto che qualcuno abbia finalmente trovato il coraggio di dire “basta” alla rilettura delle lettere da parte di John.
Jackie, finiti i suoi compiti, ci raggiunge e si siede su un bracciolo della poltrona. «Io credo che qui sia necessario dare una mano…uhm…al destino, così si può dire?»
D’istinto spalanco gli occhi e mi alzo di scatto. «Jackie! Ma tu sei un genio!! Abbiamo appurato che il fantomatico impresario risponde al nome di Brian Epstein, giusto? In verità potrebbe anche essere suo fratello Clive, ma il succo della questione non cambia, perché il negozio rimane lo stesso. Ecco, come giustamente ha detto Jackie bisogna dare una mano al destino. E quale modo migliore che infiltrarsi nel “territorio nemico”?» Meg squadra il mio sorrisone e risponde, scettica: «Vorresti farti assumere come commessa del negozio di dischi?»
«Ma insomma, ragazze, perché no? Siamo a fine maggio, le scuole stanno per finire e poi si tratterebbe solo di un lavoro part-time…» Maureen interviene in mia difesa.
«Poi, da quanto ho capito, i fratelli Epstein si alternano i compiti di gestore e commesso, quindi un’assistente dalle poche pretese potrebbe fare loro comodo.» rincaro la dose perché desidero ardentemente che approvino la mia idea, ma segue solo un lungo periodo di silenzio. Stranamente è proprio Dot ad annuire per prima. «Ottima idea, ma sappi che vogliamo essere costantemente informate.»
Ovviamente. 


Sospiro un’ultima volta per darmi la forza di varcare la soglia del negozio di dischi, gesto assolutamente in contrasto con la mia voglia di fuggire.
Avanti, Liv! Tu sei l’unica che può dirigere Brian Epstein al suo destino – conosci la storia, lo sai bene.
Però…io all’interno di questa storia non sono contemplata.
Oh, miseriaccia! Liv, apri quella maledetta porta!
Il tintinnio della campanella appesa all’entrata mi riscuote dai miei pensieri, così avanzo più sicura verso il bancone.
«Buongiorno, signorina, desidera?» Clive Epstein alza la testa dal libro dei conti e mi rivolge un sorriso cordiale, seppure stanco.
Ottimo, le occhiaie si notano ad occhio nudo, sarà più facile per me fare leva su ciò per ottenere l’incarico.
«Salve, signor…Epstein. Io…volevo sapere se è arrivato l’ultimo disco di Elvis, c’è?» stupida, stupida, stupida! Smettila di procrastinare e vai al punto!
«Certamente, lo cerco subito.» Clive socchiude la porta che conduce al magazzino. Mamma mia, che disastro. Il tocco artistico di una ragazza non è più solamente necessario, è vitale.
«Arrivo subito, signorina! Scusi… è che mio fratello è fuori per affari e quindi io non so dove abbia sistemato la merce catalogata. Uff, che disordine! Sa, gestisco tutto da solo e a volte può capitare che mi perda un po’…» a dire il vero non capisco perché il signor Epstein si stia rivolgendo a me con così tanta confidenza: non sono mai entrata nel suo negozio e, con il suo aspetto da manager aziendale, non sembra proprio la persona che esterna i suoi pensieri riguardo ai problemi sul lavoro con la prima ragazzina che gli capita davanti. Tuttavia, decido di cogliere l’opportunità.
«Signor Epstein, ha per caso bisogno di una mano?»
Lui, non cogliendo la mia proposta, mi risponde amareggiato: «Anche due, signorina, ma purtroppo mio fratello non c’è.»
Sbuffo. Accidenti, che fatica…quest’uomo non vede l’acqua in mare.
Mi avvicino con convinzione e gli prendo dalle mani lo scatolone pieno di LP di vario genere che lo stava ingombrando: «Signor Epstein», ripeto, decisa questa volta a cogliere nel segno, «ho una proposta da esporle: mi scusi per la sfacciataggine, ma credo che lei abbia bisogno di un aiuto in negozio. Le spiacerebbe se mi proponessi come assistente? Mi creda, vorrei solo contribuire alla salvaguardia degli affari del negozio e del suo sonno.»
Clive, sbigottito dalla mia audacia – quante quindicenni saranno esistite negli anni ’60 con una tale faccia tosta da rivolgersi ad un manager trentenne in una maniera simile? Mi sa che mi sono cacciata in un bel guaio – per fortuna muta subito espressione iniziando a ridacchiare.
«Hai fegato, ragazzina! Ma sappi che ogni decisione all’interno del negozio è presa insieme a mio fratello Brian. Quanti anni hai?» Bingo!
«Quindici, signore.»
«Mh. I tuoi genitori sanno del tuo desiderio di lavorare qui?» Menomale che poco fa ne ho parlato a mio padre!! Allora non sono così tanto imbranata come pensavo.
«Sì, signore»
«Sono disposti a permettertelo? Perché fino al compimento dei diciassette anni sei ritenuta minorenne e occorre un contratto firmato da loro.»
«Certamente sì.»
Clive mi scruta e dopo una pausa che mi pare interminabile mi scarica tra le braccia un’enorme scatola di cartone.
«Perfetto, posa questa là! Stasera chiamo mio fratello, inizi domani.»
Non ci posso credere! Il mio piano è riuscito anche meglio del previsto!!
«Clive Epstein.» si presenta porgendomi la mano. «Liv Sparks. Tanto piacere.» mi avvio verso la porta e la apro facendo tintinnare il campanello.
«Puntuale alle tre del pomeriggio, Sparks. O il disco di Elvis in omaggio non lo riceverai.» mi volto di scatto verso Clive ma mi tranquillizzo nel momento in cui mi strizza l’occhio, bonario.
«E portati i libri dietro, le pause sono lunghe e di certo non vorrei compromettere la tua istruzione.»
«Certamente.»
Oddio. Santissimi numi. Sono stata assunta al negozio degli Epstein. Non solo, lavorerò con il futuro manager dei Beatles e potrò influire sulle sue decisioni. Sto vivendo negli anni Sessanta. Sono amica dei Beatles.
Okay, se non avessi una consistente calma sarei già svenuta per strada.


Cara Liv,
ho saputo che non appena voltiamo l’angolo tu diventi una donna in carriera!
No, seriamente. Complimenti. Non molte signorine perbene come te nascondono un’anima beat!
Tuo, George.


L’ultima lettera che ho ricevuto, datata 16 giugno, sarebbe quasi da considerare un’opera d’arte. Mi ha fatto ridere moltissimo il “complimenti” di George, manco avessi vinto il Nobel. Chissà perché l’idea che io lavori in un negozio di dischi ha creato così tanto scompiglio ad Amburgo: diamine, mi limito a tirare fuori dalle scatole i vinili e a posizionarli sugli scaffali, non sto producendo musica per conto mio!
Se avessi ricevuto le congratulazioni solo da parte di Paul e John avrei addirittura pensato che mi stessero prendendo in giro.
Ma in questa lettera si sono impegnati tutti e cinque per, secondo l’opinione di John (così mi hanno riferito Julia e Jackie), risparmiare carta, quindi hanno commentato nello stesso foglio.
Devo ammettere che il risultato ha un che di spettacolare:

Ohohoh senti, Sparks, poche chiacchere. Harrison si sdilinquisce come suo solito, ignoralo. Facci felici. Quando torniamo fatti trovare in tenuta sexy nella vetrina del negozio di musica.
Trattami bene Cyn e passa del tempo con le mie sorelle o ti appendo in vetrina.
Lettera a cura della società del John W. Lennoniano “oltre lo specchio”.


Liiiiiv!! Tra un mesetto torneremo a Liverpool!
È strano che una ragazza si offra spontanea per lavorare in un negozio di dischi rock – è interessante.
Ci manchi,
Pete.


A me non manchi per niente ma mi piace il tuo lavoro.
Pubblicizzaci bene.
Paul.


Nel passare all’ultimo (diciamo ex) Beatle il mio cuore sussulta: credevo che mi fosse passata, mannaggia a me!!!!

Cara Liv,
ammetto di aver dovuto aggiungere questa appendice di nascosto da Paul, che non mi vuole vedere nemmeno dipinto.
Sono a casa di Astrid al momento ed il merito della mia presenza nella lettera è di George: mi ha portato lui il foglio rischiando l’ira funesta di McCartney.
Cosa posso dire? Impegnati e continua a raggiungere i tuoi sogni, perché ti meriti ogni cosa bella dalla vita!
Non so quando ci rivedremo ma mi manca parlare con te.
Stu.


Sento le gambe cedermi nel momento in cui noto un piccolo riquadro con una frase scritta in una calligrafia mai vista prima.

Liv, spero di conoscerti presto! Qui tutti parlano di te!
Un bacio,
Astrid.


Meraviglioso. Mi appoggio al bancone per mancanza di aria e con un gesto automatico chiudo la lettera cacciandola dentro il mio quaderno.
Perché tutto deve essere così complicato, perché? Qualcuno si degni di fornirmi almeno un motivo valido per essermi presa una cotta per Stuart Sutcliffe – ragazzo carino, certamente, sebbene sia alto come un hobbit – ma sarebbe tanto grazioso se non avesse il piccolissimo, direi quasi impercettibile, difettuccio di essere già fidanzato con una donna bellissima ed interessante all’ennesima potenza, di non considerarmi minimamente in quel senso e, ultimo ma non per questo meno importante, di essere vissuto negli anni sessanta!
Ovvero, potrebbe essere mio nonno.
Tutto ciò è molto inquietante. Davvero.
La porta si apre ed il campanello tintinna, perciò cerco di deviare i pensieri riguardanti Stuart e il fatto che ha cinquant’anni più di me e tento di concentrarmi sulla cliente.
«Ciao, posso aiutarti?» La ragazza, tipica liverpooliana biondina, carina, per bene, mi sorride e risponde con tono gioviale: «Cercavo Brian! C’è?» a dire il vero, no. Io non l’ho ancora incontrato e lavoro nel suo negozio da tre settimane.
«Spiacente, no. Il signor Clive dice che suo fratello è in viaggio di lavoro. Credo che stia acquistando nuovi vinili.»
«Oh» mormora dispiaciuta la ragazza. «Beh, ripasserò tra una settimana. Potresti per favore avvisarlo della mia visita? Mi chiamo Patricia Inder, mi conosce.»
«Certamente» prendo un foglio e segno il nome mentre la ragazza esce elegantemente dal negozio.
Patricia Inder, Patricia Inder. Questo nome decisamente non mi è nuovo



Mentre Julia e Jackie saltellano intorno al bancone, assolutamente estasiate dall’enorme quantità di dischi americani, Clive mi chiama dal retro del negozio: «Liv, scusa, vorrei presentarti mio fratello, nonché socio in affari»
Brian? BRIAN? È qui? Da quanto? Okay, sto svalvolando.
Calma e sangue freddo.
«Ragazze, per piacere, gestite la clientela per cinque minuti» faccio l’occhiolino a Julia e raggiungo Clive, trovandolo in cima ad una scala intento a tirare giù scatoloni di cartone mentre, a terra, Brian gesticola tentando di far valere le sue ragioni.
«Ti dico che funzionerà, Clive, perché non vuoi ascoltarmi?»
«Io ti ascolto anche troppo, Brian. Cosa mi dovrebbe rappresentare esattamente il mettere sotto contratto gruppi di giovani liverpooliani?»
Brian sta per ribattere ma abbassa lo sguardo incontrando i miei occhi e fa cenno a Clive di rimandare la questione a più tardi. Clive si volta verso di me: «Oh, Liv. Eccoti.» mi porge uno scatolone: «quando hai tempo cataloga questi, per favore.»
Brian si avvicina e mi stringe la mano con un sorriso, ringraziandomi per aver aiutato Clive in queste settimane di fuoco. Alzo le spalle sorridendo a mia volta: «è stato un piacere, signor Epstein. Oh, a proposito…due settimane fa è passata una ragazza, Patricia Inder. Mi ha semplicemente detto che voleva parlarle.»
Clive scocca un’occhiataccia a Brian che mi accompagna di nuovo dal banco. «Ti ringrazio, Liv, Patricia è una ragazza che mi tiene costantemente informato sui gruppi nascenti sul territorio.»
Perché diamine Brian ha bisogno di una ragazza per ottenere notizie?

Ah, il Mersey Beat non è ancora stato fondato, giusto.
«Mi spiace averla messa nei guai con suo fratello, signor Epstein.» riprendo a parlare dopo una lunga pausa di silenzio. Brian ride, dandomi una pacca sulla spalla. «Oh, oh, cara! Clive non sarà mai soddisfatto di qualcosa, non preoccuparti!»
Se lo dice lui…
Non appena Brian si è allontanato mi batto una mano in fronte: PATRICIA INDER! Ecco chi è!
Sacripante, qui sta andando tutto allo scatafascio!
Devo decisamente tenere un diario dove appuntarmi tutto, o rischio di impazzire.
Patricia Inder, alias il motivo per cui John Lennon spesso si assenta dalle uscite di gruppo.
Alias una delle relazioni ufficiose più durature di John.
Si sono conosciuti nel 1958 e messi insieme nel 1960.
Ovviamente Patricia ignora l’esistenza di Cyn e Cyn quella di Patricia, manco a dirlo.
Julia e Jackie mi riscuotono chiedendomi il permesso di sentire in anteprima il vinile di Chuck Berry, New Juke-Box Hits. Diamine, sono in compagnia delle sorelle di Lennon e da dieci minuti sto pensando a come strozzarlo non appena tornerà a Liverpool! A chi posso confessare quanto ho scoperto? Cynthia ne soffrirebbe e John mi odierebbe. Anche perché, alla fine, di Patricia non se ne parla quasi mai…sarebbe giusto per me intervenire?
No. Meglio farmi gli affari miei.
Devo decisamente comprarmi un diario.


Lunedì 3 luglio

Sono passati appena due minuti da quando una ragazza è uscita stringendosi al cuore l’LP che il campanello suona di nuovo. Accidenti, non è giornata.
Sistemo l’ultima copia di Something for Everybody vicino alle altre e mi volto verso quella che presumo sarà la nuova proprietaria del disco di Elvis.
Non lo è.
«GEORGE!» urlo felice, buttandomi tra le sue braccia. «Sei tornato! Siete tornati!» mi correggo appena in tempo.
Lui sorride di rimando, togliendomi dalla mano l’involucro di carta nel quale erano avvolti i vinili quando sono stati spediti a Liverpool.
«Something for Everybody, eh?»
«Precisamente. Ha già venduto una copia! Non so chi sia l’autore, ma va forte!» scherzo sapendo che lo farà infuriare.
«Certo che sì, piccola, Elvis è il Re!»
«Se lo dici tu…» continuo a lanciargli frecciatine.
«Allora, sei diventata una donna in carriera? Miri a possedere questo negozio di dischi, confessa… »
«E non uno qualsiasi,» preciso. «Il NEMS Enterprises!» mi piace scherzare con lui e, sì, mi è mancato parecchio il mio Georgie.
«Ho ricevuto la tua lettera! Mi ha molto divertito la divergenza di opinioni.» certamente non gli dico che conservo ogni lettera in un raccoglitore, mi prenderebbe per matta.
«Guarda cosa ho qui!!» George sorride a trentadue denti tirando fuori dal sacchetto una copia di My Bonnie, il loro disco.
Mi sfugge un urletto molto da Beatlemania.
«Guarda, è anche autografato: “alla nostra piccola Liv”. Il signor Epstein ne possiede già uno e presto arriveranno gli altri.»
Gli poso un leggero bacio sulla guancia e con cura appoggio il vinile accanto alla mia borsa, per non rischiare di romperlo.
Che strano…per quanto conosca Geo, posso dire che non è normale che non mi abbia ancora assalito raccontandomi per filo e per segno i mesi di permanenza in Germania – insomma, va bene che è un tipo piuttosto taciturno, soprannominato Quiet Beatle mica per niente, ma di solito quando è emozionato per qualcosa racconta le sue vicende anche tre o quattro volte di seguito.
«George, allora? Non hai niente di cui parlarmi? Mesi di tedesco ti hanno fatto dimenticare l’inglese?»
Lui accenna un sorriso e annuisce, appoggiandosi pensieroso al bancone e sfiorando con un dito la copertina del disco registrato con Tony Sheridan. Quando gli chiedo che cos’abbia non ricevo risposta.
«Liv, cara, con chi parli?» la voce di Clive Epstein risuona dal retro.
«Con uno dei musicisti che presto diventeranno famosi!»
«Sul serio?» Clive si precipita nella stanza e stringe la mano a George. «Complimenti vivissimi, allora! Spero di vedere presto un vostro disco qui alla NEMS.»
Sventolo euforica la copia di My Bonnie e sul viso di Clive si dipinge un’espressione indecifrabile, un misto di gioia e preoccupazione. Avrà timore che il progetto di Brian di finanziare gruppi nascenti di Liverpool non vada a buon fine?
George ringrazia calorosamente Clive per poi rivolgersi a me: «sei molto impegnata e non voglio disturbarti. A che ora stacchi?»
«Alle tre.»
«Ti passo a prendere. A dopo Liv! Signor Epstein.» George esce dal negozio.
Sempre più strano. George è praticamente fuggito via senza un motivo. Non è da lui.
O sono io che, non avendolo visto per mesi, non lo riconosco più?
Magari è solamente cresciuto.
I watched you walking by
And you looked alone
I hope that you won't mind
If I walk you back home

Non c’è un motivo per cui le parole di You Know What to Do mi vorticano in testa.
Dannazione! Scaccio il ricordo della sera di San Valentino con un imperioso gesto della mano.

Alle tre, puntuale come un orologio svizzero, George si presenta.
«Ehi, piccola? Ci sei ancora?»
«Sono nel retro!» finisco di stipare gli scatoloni dei vinili. George mi raggiunge e mi osserva curioso, spostando lo sguardo da me ad una gigantografia di Elvis incollata su una sagoma di cartone.
«Beh, era per promuovere il disco!» alzo le spalle.
«E per abbracciartici durante le ore di lavoro.»
«Assolutamente sì! È uno dei vantaggi.» ridacchio tentando di dare un ordine ai miei capelli che – ovviamente – vogliono andare dovunque tranne che dove dovrebbero. George si avvicina e mi sistema una ciocca dietro l’orecchio.
Alzo di scatto la testa e istintivamente trattengo il respiro, con un’ansia crescente. Il silenzio è insopportabile
. «Ehm… eccomi, sono pronta!» a passo veloce mi avvio al bancone a prendere la borsa. Perché, perchè sento le guance in fiamme?
Le ragazze hanno avuto ragione fin dal principio: Paul, Stuart, adesso George.
Liv, ti stai decisamente incasinando troppo.
Stupida adolescente.
Ruth… Cosa direbbe?
E la storia? Può essere cambiata?
Non posso ignorare la verità: George deve stare con Pattie. Mancano ancora tre anni, però. Una relazione tra me e lui sarebbe plausibile?
Perché è nato così dannatamente affascinante?!?
SANTISSIMI NUMI!
George mi segue nell’ingresso e mi scruta mentre mi preparo: i suoi occhi dicono più di quanto lui non creda. È perplesso, deluso, confuso.
«Ti accompagno a casa.» non trovo la forza per rispondergli di no. Come potrei? Rischierei di farlo soffrire ancora.
Prima Pete, ora lui…ho proprio un dono naturale per respingere i ragazzi.
Ammetto che il pensiero di stare con lui mi ha sfiorato parecchio in questi ultimi giorni, influenzata dalle continue battutine delle ragazze e dalle lettere un pochino esplicite di George, ma solo per qualche attimo. Lui è George Harrison! E io? Una qualunque. Lui stava con Ruth e lei era mia amica, caso chiuso. Inoltre, non sono contemplata nella storia dei Beatles.
Con Pete è stato molto più facile: non sarei mai riuscita a vederlo come un ragazzo e sono stata sincera con lui, ma adesso? Non vorrei proprio rifiutare George, ma devo. Dannazione a me, alla mia passione per Ritorno al Futuro e a Doc per averci illustrato i disastri di un continuum spazio-temporale devastato.
Potrei fregarmene, ma poi la storia dei Beatles come cambierebbe? E Ruth? Dovrei dirglielo, dopotutto lei era una delle mie migliori amiche e George era il suo ragazzo.
Perché è così difficile?
Ma soprattutto…potrei mai perdonarmi per essermi fatta sfuggire una simile occasione? Che egoista che sei, Liv.
Mentre camminiamo lo sguardo di George mi buca la testa, sprofondandomi dentro: è una sensazione orribile. La sua mano trema leggermente, come se stesse combattendo contro l’impulso di stringere la mia. Povero Georgie, che cosa ti ho combinato.
Sono sollevata quando svoltiamo verso Penny Lane e avverto sotto i miei piedi il familiare scalpiccio dei ciottoli del vialetto di casa. Affretto il passo verso la porta.
Devo entrare dentro. Devo riflettere. Devo chiamare Ruth.
Mentre tremando dall’ansia tento di aprire il cancelletto mi sento afferrare per un braccio e voltare: George mi tira a sé e mi bacia, impedendomi di scostarmi. Sento le sue labbra premute sulle mie, ma non cerca un contatto più approfondito.
Quando mi lascia andare mi limito a rimanere scioccata.
«Porca miseria!» esclamo, per poi scappare in camera mia.


It’s finally oveeeer!
Okay, bando alle ciance che non aggiorno da cinque mesi D: allora, come già avevo anticipato troppo tempo fa, questo capitolo sarebbe stato molto frammentario, perché avrei dovuto correre da maggio a luglio per velocizzare un po’ la storia.
Insomma, ci interessava far ritornare i Beatles da Amburgo in tempi rapidi u.u nonostante tutto, sono riuscita ad incasinare le cose :P

Ho una piccola correzione!
Nel capitolo 10 avevo accennato al Mersey Beat (che ritorna in questo capitolo) – beh, ho commesso un errore: il giornale sarà fondato da Bill Harry solo nell’agosto 1961, quindi nel dicembre 1960 ancora non esisteva! Perciò ho modificato il capitolo 10 riferendomi ad un ‘giornale’ in generale;)
Passiamo al capitolo in se:
• allora, intanto sono entrati in scena i fratelli Epstein e Liv ha deciso – spinta dalla curiosità e dalle ragazze – di proporsi come commessa del negozio di dischi di Brian e Clive, il NEMS Enterprises. Diciamo che lo ha fatto per assicurarsi che ogni tassello trovasse il suo giusto posto. Ma poteva questa ragazza non incontrare problemi? Assolutamente no, quindi continuiamo…
• Finalmente si accenna ad Astrid. E alla cotta di Liv per Stu che, tuttavia, sta iniziando ad affievolirsi proprio per impossibilità tecniche, ecco. Povera Liv *patpat*
• PATRICIA INDER. Zan zan zaaan! Sarebbe troppo lungo da spiegare qui, perciò passate da questa pagina --->
http://speriamochesiafemmina.forumfree.it/?t=50905722
il forum è mio, la discussione l’ho scritta io, mi farebbe piacere ricevere commenti riguardo alla storia Pat/John, anche se indirizzandovi alla pagina in qualche modo spoilero un po’ o.O sono i rischi del mestiere :) tenetela a mente, tornerà.
• GEORGE. LIV. Boh, Liv per ora si è scostata. Chissà.

Spero vi sia piaciuto il capitolo!

baci,
M.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** The boy Casanova of Speke ***


Capitolo 15
 
The boy Casanova of Speke
[reale soprannome dato da John a George, originario del quartiere di Speke]
 
 
Martedì 4 luglio 1961
 
D’accordo, niente panico: in fondo ho chiamato Ruth e lei non solo non ha battuto ciglio, come se aspettasse da sempre questo momento – suppongo, anzi, sono certa, che ci sia lo zampino di Thel – ma mi ha anche chiesto se sono totalmente decerebrata. “Rifiutare uno come George!” beh, grazie tante, lo so anche io che sono un’emerita imbecille, ma non è proprio tutta colpa mia. Facile giudicare, per loro che vivono stabilmente negli anni giusti.
Mentre mi gratto la testa cercando di sbrogliare la matassa di pensieri, il cancello di casa mia cigola e mi tuffo sotto il letto.
«Se è George io non sono in casa, eh?»
Mia madre mi guarda con aria compassionevole, quasi pensasse “certo, perché tu alle nove del mattino d’estate solitamente sei fuori casa.”
«È Pete, razza di fifona.» ottimo. Dalla padella nella brace.
«Madre, devo andare al lavoro.» il mio tono solenne lascia comunque trapelare la palese scusa. «Sicuro. Studia che è meglio. So bene che al NEMS lavori solo di pomeriggio…anzi, fammi un favore: non stare tanto a parlare con Pete, eh?»
Dannate madri, capiscono tutto alla prima. «Tanto non abbiamo più un granchè di cui parlare…» mi accascio sul letto appoggiando il mento al mio pugno, mentre mamma sospira e si sposta per lasciare entrare Pete nella stanza.
«Ohilà, Best! Hai ripudiato il fish and chips per i würstel con i crauti?»
«Sei sempre simpatica, Liv, oltretutto dato che non mi vedi da mesi.»
«Hai ragione, scusa…» sentendomi in colpa per il mio comportamento scendo dal letto e corro ad abbracciarlo. «È bello rivederti. E sapervi tutti a casa. Come è andata? Certo, dalle lettere si può sapere molto, ma è diverso sentirselo dire di persona.»
«Tutto a posto, abbiamo suonato anche con gli Hurricanes! Ma sicuro già lo sai…per via di Iris. Peccato per la definitiva perdita di Stu, ma a questo punto è meglio così… tra Paul e Stu sembrava sempre che si fosse su un ring. Poi lui ha Astrid.»
Ach. Pugnalata.
«Oh, sì! Deve essere una ragazza meravigliosa, vero? Molto carismatica e fascinosa, se anche John ne è rimasto colpito. Poi è davvero gentile! Mi ha scritto una postilla nella vostra lettera, sai?» il tragico è che i complimenti su Astrid li penso davvero.
«Davvero? Sì, è molto fascinos…ehi, come sai che John ne è rimasto colpito? È uno dei grandi segreti di Lennon, nessuno dovrebbe saperlo, tantomeno voi! Lo sa anche Cyn, eh?» Pete si passa le mani sudate nei capelli.
«Smettila di torturarti il ciuffo ribelle, Pete, non me lo ha detto nessuno e non ho spifferato niente. L’ho capito da sola, semplicemente.» sorrido. «John ama le belle donne affascinanti e bionde alla Brigitte Bardot, per questo Cyn si è tinta i capelli. Astrid è complementare a Stu e Stu è complementare a John. Quale grande dilemma nella testa bacata di Lennon: tradire la legittima fidanzata o rimanere fedele ai sentimenti del migliore amico – l’amico più affine – che esce con il suo sogno di ragazza?»
Pete mi fissa, basito. «Sparks, tu mi spaventi.»
«Lo so» ridacchio alzando le spalle. «Se ripassi stasera posso fare il discorso da capo, al buio e circondata da candele. Ti assicuro, è tutta un’altra cosa.»
Pete mi tira un buffetto sul braccio: «Scema. E dire che sono passato per una cosa importante!»
Spalanco gli occhi da dietro le lenti degli occhiali dalla montatura molto Buddy Holly.
«A proposito di chi?» ti prego, fai che non ci voglia provare con me. Anche perché credo che sappia benissimo di George – anzi, temo che anche Bruno Kochmider da Amburgo potrebbe saperlo. Magari tra poco mi arriverà una lettera in tedesco che mi intimerà di accettare la corte di George, per l’amor del cielo, prima che i Beatles rompano ancora le orecchie a mezza Germania.
Magari è per questo che è qui! Vuole ritentare! Oddio e se picchiasse George? Un Beatle sfigurato e una falla nel tempo: vai così, Liv.
«Si tratta di Stu.»
Fiù.
Ecco, ora picchierà pure lui.
«Ultimamente mi preoccupa. Anche Astrid sembra meno vivace del solito: Stu ha sempre e perennemente mal di testa e mi lascia molto in pensiero il fatto che lui, John e Paul si siano menati da poco.»
«Ti pareva che Lennon e McCartney non avessero da menare le mani.» brontolo. «Sai se hanno dato un colpo in testa a Stu?» domando aggrottando le sopracciglia. «E, soprattutto, perché lo stai dicendo a me? Cosa posso farci?»
Pete sospira pesantemente sedendosi sulla mia scrivania e prende tempo prima di rispondere: «A dire il vero non ne ho idea. Solo…mi ispiri più fiducia di chiunque altro. Non so perché, ma sembri avere sempre una soluzione a tutto, come se conoscessi ogni cosa.»
Non sai quanto sei vicino alla verità, Pete.
Improvvisamente il velo di problemi che fino a quel momento aveva occupato la mia mente si dirada e lascia spazio all’evidenza dei fatti, come un puzzle in cui tutti i tasselli trovano finalmente il loro posto.
Luglio 1961. Stuart accusa forti mal di testa. Probabilmente in precedenza si è preso a pugni con Paul e John.
IO SO COSA STA SUCCEDENDO A STUART!
«Merda!» urlo, portandomi di scatto le mani alla testa e spaventando a morte Pete.
«Sto bene…» sussurro poco dopo per tranquillizzarlo. «Forse hai ragione, so cosa può avere Stuart e so come agire. Pete, hai una vaga idea di dove abiti Astrid oppure conosci il suo numero?»
«Io…no, così su due piedi no. Però forse John ha segnato il numero sul suo taccuino…sai, nel caso avesse bisogno di chiamare Stu.»
Ecco una cosa che non dovrò dire a Cyn. Cosa che comunque passa in secondo piano.
«Pete, ora io devo studiare, pena il non poter uscire. Ma nel pomeriggio mi trovi alla NEMS. Riesci a procurarmi il numero di Astrid? Per favore, è importante.»
Lui esce dalla mia stanza e si avvia alla porta di ingresso, annuendo. «Un giorno mi spiegherai chi sei veramente, Liv Sparks.»
Sorrido. «Un giorno forse sì, Pete Best.»
 
*
 
Con il numero di Astrid in mano mi avvio alla più vicina cabina telefonica, carica di una miriade di gettoni. I miei genitori mi diranno di tutto quando scopriranno che ho praticamente dilapidato lo stipendio per telefonare ad Amburgo!
Compongo il numero e pazientemente aspetto. Speriamo che Astrid risponda! Oh, ti prego, ti prego!!
«Hallo?» una voce sensuale e leggermente roca risuona nella cornetta. «Hallo? Astrid, sei tu?» la ragazza comincia a parlare inglese, molto scettica. «Sì. E tu saresti?»
«Giusto, scusa…sono Liv Sparks.»
«LIV! Finalmente posso associare una voce ai mille racconti dei ragazzi!» eh, la miseria. Mille racconti. Come se non avessero avuto nient’altro di meglio da fare.
«Come mai mi chiami e non mi scrivi una lettera? Mi spiace farti spendere soldi…» tiro un lungo respiro e mi preparo all’inevitabile: «Astrid, volevo dirti una cosa molto urgente e non potevo aspettare i comodi delle poste. Ho parlato con Pete e ho saputo che siete tutti molto preoccupati per Stu. Ehm…lo so che sono giovane, inesperta e probabilmente mi sbatterai la cornetta in faccia perché non vedrai il motivo per stare a parlare qui con me, ma credo che Stu dovrebbe davvero farsi visitare da un medico. Perché, vedi…» interrompo il discorso per cercare di costruire una menzogna decente «Non molto tempo fa ho seguito un corso di medicina e mi è rimasta impressa proprio una lezione sui traumi cranici: i sintomi di Stu sembrano molto simili. Lo so...» continuo il mio sproloquio temendo di essere interrotta.
«Lo so che non sono affidabile e forse sono paranoica. Ma ti prego, ti prego, convincilo ad andare al Pronto Soccorso. Trascinacelo, non mi importa niente se dall’alto del suo essere bohemien non vorrà portarci il suo didietro, mal che vada avrà perso un pomeriggio. Ma ben che vada si sarà salvato la vita.» Negli attimi in cui riprendo fiato Astrid mi risponde, con un tono che sta a metà tra lo spaventato e il compassionevole.
«Liv, io…davvero non saprei. Mi sembra esagerato parlare di traumi cranici o addirittura ipotizzare cose peggiori. Vero è che Stu mi preoccupa sul serio e anche io vorrei si facesse visitare. Non sei un medico, ma il tuo tono è deciso e sembri sapere quanto sostieni. Inoltre, so quanto ti sta a cuore Stuart.» Non credo volesse alludere alla mia cotta per lui, ma l’affermazione mi strappa un sorriso amaro.
«Vedrò comunque cosa posso fare. Ci si sente, Liv. Grazie per il tuo interessamento, sei una ragazza preziosa. Auf Wiedersehen.» conclude lei.
Provarci non è abbastanza, Astrid.
Riaggancio la cornetta e mi avvio affranta verso casa di Nanny, dove sono attesa per portare al cinema Julia e Jackie insieme a Cyn, Mo e le altre ragazze.
Julia e Jackie, raggianti nei loro vestitini estivi a fiori, al mio arrivo piroettano su loro stesse per farmi osservare le gonne che ondeggiano ad ogni movimento. Come stanno crescendo bene.
Avverto subito gli sguardi di Cynthia, Maureen e Thelma su di me. Sanno che ho rifiutato George. Lo so. Loro lo sanno. Fiutano nell’aria ogni possibile storia d’amore. Dannazione.
Con un sorrisetto di circostanza prendo per mano Jackie e mi avvio verso il cinema: almeno per due ore sarò al sicuro da discorsi che non vorrei mai affrontare.
 
Non so nemmeno che film stiamo guardando, perché la mia mente è impegnata in pensieri più grandi di lei. Passato, presente, futuro si fondono insieme. Futuro alternativo, passato alternativo, presente alternativo. Continuum spazio-temporale, viaggi nel tempo. Arrivo persino ad accostare Doc a Doctor Who, il che avrebbe potuto benissimo essere plausibile. Cosa dovrei fare? Perché sono qui? Non è più un sogno, sono stata catapultata davvero negli anni Sessanta e sto crescendo in quest’epoca, esattamente come avevo sempre desiderato. Certo, non è proprio piacevole sapere che nel 2011 – cinquant’anni dopo il 1961 – avrei una discreta età, ma non mi lamento.
Attenta a quello che desideri… i genitori lo ripetono sempre, persino nelle fiabe è scritto. A me sarebbe bastato respirare nell’aria la Beatlemania, poter sfiorare gli LP appena usciti e saccheggiare le edicole alla ricerca di giornali dedicati ai Beatles, godendomi ogni singolo attimo della loro maturazione musicale. Chi si sarebbe mai aspettato di entrare nella loro compagnia e addirittura di poter condizionare le loro scelte.
Condizionare… basterebbe una mia parola per innescare una falla nel tempo e rischiare di modificare il futuro, non solo loro ma purtroppo del mondo intero. Sono d’accordo con il Dottore quando afferma: “ho viaggiato per 900 anni nel tempo e nello spazio e non ho mai incontrato una persona che non fosse importante”, ma in questo caso sarei la ragazza che ha impedito al mondo intero e alle successive generazioni di conoscere i Beatles. Avrei giusto un filino di responsabilità.
Anche adesso, come mi devo comportare con Stuart e George? So che Stuart morirà, devo lasciar correre gli eventi così come si svolgeranno oppure provare a salvarlo? Dovrei accettare la corte di George o così facendo precluderei le sue relazioni con altre ragazze che potrebbero rivelarsi importanti?
Mi viene in mente il terzo libro di Harry Potter, quando lui e Hermione vengono rimandati indietro nel tempo da Silente per salvare Fierobecco e Sirius: non una vita, ma due, in quanto ineluttabilmente legate l’una all’altra. Se non fosse una frase dedicata a Harry e Voldemort direi quasi che potrei sintetizzare tutta la situazione con “Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive”.
Forse mi è stata data la possibilità di cambiare in meglio la storia?
 
Le luci si riaccendono in sala e sullo schermo scorrono i titoli di coda: sono rimasta per circa un’ora a fissare immagini che si susseguivano senza guardare per nemmeno un secondo il film, persa come ero nel mio monologo interiore.
Molly Bloom, tu ed il tuo flusso di coscienza siete nessuno.
 
«Liv, aspetta. Non puoi fuggire per sempre! Siamo tue amiche e non vorremmo mai che ti tenessi tutto dentro.» Maureen mi afferra la mano costringendomi a rimandare i miei tentativi di fuga. Non mi piace evitarle, ma non voglio nemmeno affrontare il discorso: sto soffrendo per motivi più grandi di me e di loro, non posso permettermi di distruggere il tempo per una mia debolezza.
«Sappiamo che ti imbarazza parlare con noi, ma non ti giudicheremo. Non devi evitarci solo perché hai rifiutato George e per qualche strano motivo te ne vergogni. Sai cosa pensiamo, che tu abbia torto, soprattutto perché si vede che ti piace e per Ruth non sarebbe un problema; ma abbiamo sbagliato a darti della cerebrolesa. Per favore, non andare via.» rivolgo lo sguardo verso Iris e mi convinco a rispondere: «Ragazze, per prima cosa mi dispiacerebbe essere felice con un ragazzo che ha fatto soffrire Ruth, poi George è uno dei migliori amici di John e Paul – che mi odiano – di Stu, per il quale ho avuto una cotta, nonché di Pete, che si è dichiarato mesi fa e che io ho rifiutato. Con che coraggio potrei uscire con lui?»
Thelma spalanca gli occhi: «Ma sei matta? Cosa fai, la crocerossina di turno? Non devi niente a nessuno, la vita è tua e come tale hai il diritto di essere felice. John e Paul sono diffidenti nei riguardi di qualsiasi cosa o persona sia nuova, lasciali nel loro brodo perché prima o poi ne riemergeranno da soli, Stu sta con Astrid e non cambierà mai niente, per cui svegliati e cambia rotta, Pete non ti piaceva e se avessi accettato di uscire con lui ora sareste entrambi infelici e probabilmente separati. Ruth sta benedicendo questa storia dall’alto di Birmingham, non capisco dove stiano i tuoi problemi!»
Sospiro. So benissimo di apparire ai loro occhi come una ragazzina capricciosa, mentre la domanda che vorrei urlare al mondo sarebbe “potrei in qualche modo compromettere il corso degli eventi?!”
Se io iniziassi una relazione con George e lui conoscesse, per dire, qualche ragazzina che avrebbe potuto in futuro avere un ruolo importante nel formare il suo carattere o nell’influenzare le sue decisioni, cosa farebbe? Rimarrebbe con me o seguirebbe il naturale corso degli eventi? Forse addirittura toccherebbe a me spingerlo tra le braccia di chi potrebbe cambiargli la vita; una su tutte Pattie Boyd.
Decido di rivelare parte della verità: «Sono spaventata! Mettiamo il caso che, per esempio tra tre anni, George incontri una ragazza che potrebbe diventare l’amore della sua vita; oppure si trovi costretto a dover scegliere tra me – e quindi Liverpool – e la sua carriera di musicista a Londra. Non vorrei mai impedirgli di compiere delle decisioni importanti.»
 
Le ragazze sono ammutolite, temo che mi considerino una pazza che si costruisce castelli mentali alti venti metri.
Poi Thel scoppia a ridere «Liv! Hai davvero la presunzione di poter durare tre anni con George? Goditi il momento, non si può sapere cosa riservi il domani. Tu sii felice. Lo diceva anche Orazio, Carpe Diem!»
Cynthia mi prende sottobraccio e mi rassicura, temendo che mi sia offesa per la schiettezza di Thelma. In realtà lei mi ha aiutato molto di più di quanto non si possa credere: ha ragione. Chi sono io per pensare di poter stare tre anni con George Harrison?
 
*
Due giorni dopo, mentre ripongo i soldi nella cassa, Brian trionfante lancia sul bancone un giornaletto ripiegato. Vedendo la mia occhiata interrogativa si apre in un sorriso sornione e mi esorta ad aprire la seconda pagina.
La testata recita – What’s on Merseyside: Mersey Beat, giovedì 6 luglio 1961. Eh vedi, oh. Mica pizza e fichi.
Con le mani un po’ tremanti dall’emozione (non capita certo a tutti di aprire la primissima copia del Mersey Beat!!!) giro a pagina due, trovandomi davanti…
 
Being A Short Diversion
On The Dubious Origins Of Beatles
        
Translated From the John Lennon
 
«No, un momento. Lei sta scherzando.» guardo Brian da sotto in su. John Lennon, quel matto!
«Proprio no, Liv cara. È davvero lui! Il fratello delle ragazzine che porti in negozio ogni volta, l’amico del ragazzo che è venuto a trovarti qualche giorno fa…» lo guardo sbigottita: Brian non era nemmeno presente quando George è passato a salutarmi!
Lui mi fa l’occhiolino – perfetto, è una congiura ai miei nervi.
Sorrido di circostanza e aspetto che prosegua. «Uno dei ragazzi che suona in My Bonnie, oh, non è un articolo estremamente umoristico? Quel ragazzo ha carisma da vendere, te lo dico io!» Brian non sbaglia un colpo.
«Oh, sì. Molto spiritoso. Maaa, signor Epstein, dunque quali sono i suoi progetti per il futuro?» sono una pessima attrice.
«In tutta onestà, madama, sto aspettando che la mia fidata informatrice Patricia sappia dirmi qualcosa di più su questo gruppo. Vorrei riuscire ad ascoltare qualche loro pezzo dal vivo, non solo sul vinile, per rendermi conto se oltre alla bravura hanno anche la presenza scenica. Se possiedono il talento, se potrei mai pensare di investire su di loro.»
Patricia. Ancora quel nome. Mi domando se Brian sappia della relazione clandestina tra lei e John; anzi, a dirla tutta mi domando se conosca John. Oh, quello che è certo è che vorrei essere presente al loro primo incontro, per vedere le scintille dell’attrazione sprizzare da entrambi.
«Signor Epstein, mi permetta. Suo fratello la pensa come lei?» lo sguardo di Brian si indurisce, ma la mia domanda non avrebbe potuto non essere rivolta: io lavoro nel negozio di entrambi e non posso né voglio agire nell’ombra per compiacere uno dei due. Sono d’accordissimo sulle intenzioni di Brian, ma vorrei che ne parlasse anche con Clive, per evitare ripercussioni.
«Le uniche cose che ti devono importare riguardano la vendita dei dischi, signorina Sparks.»
Chino la testa in segno di scuse e torno al mio lavoro, mentre Brian si ritira nel retro, lasciandomi sola con il giornale ancora sotto gli occhi. Forse vuole che lo legga e cambi idea.
Senza neanche averlo programmato mi trovo a leggere il racconto di John:
 
[Nd.A: la traduzione è mia, perché non ne ho trovate in giro. È quasi letterale e ho cercato di mantenere l’umorismo di John e i giochi di parole, spero di aver fatto un buon lavoro]
 
C’erano una volta tre piccoli ragazzi chiamati John, George e Paul, dato che era il loro nome di Battesimo. Decisero di mettersi insieme perché erano i classici tipi da stare insieme. Quando erano insieme, loro si domandavano “a che scopo, dopotutto, a che scopo?” Quindi all’improvviso ottennero delle chitarre e formarono rumore. Per un motivo abbastanza strano, nessuno era interessato, a parte i tre piccoli ragazzi. Qui-i-i-indi dopo aver scoperto un quarto piccolo uomo chiamato Stuart Sutcliffe che correva qua e là attorno a loro dissero una cosa tipo “Figliolo, comprati un basso e andrai bene” e lui lo fece – ma non andava bene perché non sapeva suonarlo. Quindi loro lo ignorarono comodamente finché non seppe suonarlo. Ma ancora non c’era ritmo e un vecchio gentile uomo disse, riporto, “Voi non avete una batteria!” Noi non avevamo una batteria! Farfugliarono loro. Quindi una serie di batterie vennero e andarono e vennero.
 
All’improvviso, in Scozia, durante un tour con Johnny Gentle, la band (chiamata “The Beatles”, chiamata) scoprì di non avere un gran bel suono – perché non avevano amplificatori. Ne ottennero alcuni.
 
Molte persone chiedono: “cosa sono i Beatles? Perché ‘Beatles’? Ugh, ‘Beatles’. Come è arrivato questo nome?” quindi ve lo diremo. È arrivato con una visione – un uomo apparve su una torta fiammeggiante e disse loro: “da questo momento voi siete i Beatles con la ‘A’ ”. “Grazie, signor uomo”, dissero ringraziandolo.
 
E poi un uomo con la barba rasata disse – “andreste in Germania (Amburgo) e suonereste ai paesani molto rock in cambio di soldi?” E noi rispondemmo che avremmo suonato molto qualsiasi cosa per soldi.
 
Ma prima che potessimo andare dovevamo procurarci un batterista, quindi ne trovammo uno nel West Derby in un club chiamato “Casbah Qualcosa” e il cui problema era Pete Best. Lo chiamammo: “Ciao Pete, parti per la Germania!” “Sì!” Zooooom. Dopo qualche mese Peter e Paul (che si chiama McArtrey, figlio di Jim McArtrey, suo padre) incendiarono un Kino (cinema) e la polizia tedesca disse: “Cattivi Beatles, dovete tornare a casa e incendiare i vostri cinema inglesi!” Zooooom, metà gruppo. Ma ancora prima di questo, la Gestapo aveva portato via il mio piccolo amico George Harrison (di Speke) perché aveva solo dodici anni ed era troppo giovane per votare in Germania; ma dopo due mesi in Inghilterra crebbe e ne compì diciotto e i Gestapi [nd.t. in inglese è proprio scritto “Gestapoes” e sarebbe da tradurre “i membri della polizia segreta tedesca” ma toglierebbe tutta l’ironia] dissero “puoi tornare”. Perciò all’improvviso tutti erano tornati nella cittadina di Liverpool e vi erano molte band che suonavano in vestiti eleganti di colore grigio e Jim disse: “perché voi non avete vestiti eleganti grigi?” “Non ci piacciono, Jim”, dicemmo, parlando a Jim.
 
Dopo aver suonato per un po’ nei club, tutti dissero “Andiamo in Germania!” e ora siamo qui. Zooooom Stuart è andato. Zoom zoom John (di Woolton) George (di Speke) Peter e Paul zoom zoom. Tutti andati. Grazie membri del club, da John e George (che sono amici).
 
Inizio a ridere da sola, appuntandomi mentalmente di comprare una copia del giornale e inseguire John per ottenere un suo autografo. Penso che ora Brian si aspetti un mio giudizio a riguardo, come se non avessi capito che stravede già per loro e soprattutto per John, e che i suoi discorsi sul “vendere bene” sono una mera misura di protezione.
Il campanello suona, rivelando Iris che saltella euforica fino al bancone.
Ti prego, fai che non sia venuta fin qui per parlare di George e per raccontarmi dei tempi andati in cui lei aveva 14 anni, lui 15 e si erano frequentati per un periodo. Anche se teoricamente io non dovrei saperlo.
Mi devo comprare un diario.
Sorrido e rivolgo la mia attenzione a Iris, pronta al peggio: «Se non ti conoscessi penserei che sei qui per acquistare il nuovo disco di Elvis, ma ti conosco e so che se potessi dormiresti con il suo cartonato accanto, ergo…cosa ti spinge in questo luogo di rock’n’roll e brutte compagnie?»
«EHI!» esclama Brian, piccato, dal retro del negozio.
«Mi scusi, signor Epstein! Scherzavo!»
Iris ridacchia senza smettere un secondo di saltellare. «Per l’amor del cielo, Caldwell, mi stai facendo venire il mal di mare. Contieniti e racconta!»
La risposta che giunge è inaspettata, persino a una persona che viene dal futuro e dovrebbe essere preparata a questo genere di uscite. «Sono stata presa in una compagnia di ballo!» eh? Come? Cosa? Sapevo che amava ballare, specie il twist, e il suo talento evidente era stato messo in mostra alle varie feste degli scorsi mesi, ma non pensavo minimamente che volesse costruirci una carriera sopra.
«Tu…cosa? Favoloso! Dove?»
Iris mi racconta di aver fatto un’audizione e di essere stata selezionata insieme ad altre ballerine per una dimostrazione di Twist al Liverpool Dance Hall, di cui presto sapremo la data e alla quale siamo tutti invitati.
Sono davvero contenta per lei, ballare le illumina gli occhi ed è uno spettacolo; inoltre, sono curiosa di sapere come questo punto nella storia dei Beatles li influenzerà: è la prima volta che mi trovo in una situazione quasi pari a quella dei liverpudliani degli anni sessanta.
«Quindi indosserai quelle gonne enormi piene di pizzo e le scarpette argentate? Un po’ Moulin Rouge e un po’ varietà?» Iris annuisce alla mia domanda. «Caspita. Avrai gli sguardi di tutti i ragazzi puntati addosso! Forse sarebbe meglio che i Beatles non venissero, o potresti avere sulla coscienza relazioni scoppiate. Inoltre, come faresti a gestire tutti gli appuntamenti che fioccheranno? Ti servirà una segretaria. Sono disponibile!»
«Oh, Liv, quanto sei sciocca» ride Iris «E poi,» aggiunge con un sorrisetto malizioso «sappiamo bene che George ha occhi solo per te»
Mi prenderei a ceffoni da sola per averle offerto l’imbeccata su un piatto d’argento.
«Sapete anche che io, strega cattiva, ho osato rifiutarlo per paura di fare del male a me stessa, a lui e agli altri».
«Novella Florence Nightingale»
«Simpatica»
Iris si sporge sul bancone «Ad ogni modo, non sai cosa ti perdi. Ovviamente non devi avere paura di me, tra me e George c’è stato qualcosa tre anni fa, ora è un mio caro amico ma non provo nulla per lui. Liv, ascolta: nella mia vita ho ricevuto dei baci, ma mai emozionanti e perfetti quanto quello che George ha dato a me. Lui è…è… fenomenale, dolcissimo, si prende cura di te anche se può sembrare chiuso e scontroso. Insomma, hai presente quello che si dice del primo bacio?»
Yuk, eccome. Ricordo il mio primo bacio, dato a 14 anni (l’anno prima, o forse 49 anni dopo) a un compagno di classe: sì, emozionante ma no, decisamente non come quello che ci avevano fatto credere i libri e i film.
Devo avere assunto un’espressione schifata al ricordo, perché Iris mi sta osservando sorniona, questa volta seduta sul bancone.
«Ecco. Quello di George è stato uno dei migliori». E mamma mia, che sarà mai. Un amatore uscito dai romanzi rosa.
«Apprezzo il tuo entusiasmo e la tua approvazione, ma ti ricordo che i baci sono soggettivi»
«Come sai che George non bacia bene se non ti sei fatta baciare?» strabuzzo gli occhi e inizio a sfogliare le pagine del Mersey Beat, temendo che la gente lo abbia scritto anche lì e che lo sappia tutta Liverpool. «Dov’è? Dov’è la scritta “George Harrison, il ragazzo Casanova di Speke, ha provato a baciare Liv Sparks, aspirante Florence Nightingale, che si è scostata”?»
Iris alza gli occhi al cielo: «Paul e John hanno chiesto a George come fosse andata e lui lo ha raccontato a loro, che lo hanno detto alle loro ragazze, che lo hanno riferito a me» Memento: non esisterà mai privacy nel mondo dei Beatles.
Caro Paul, caro John, io so di voi cose che non potreste nemmeno sospettare. Vipere, tenete a freno la lingua!
Iris guarda l’orologio del negozio e mi saluta: «Liv, devo andare, ma mi aspetto di vederti la settimana prossima al primo concerto dei Beatles post-amburgo. Non usare scuse, non provare a fuggire da noi o da George. St. John’s Hall, puntuale. Buon weekend!»
 
Mi accascio sul bancone. Sarà una lunga settimana.
 
*
 
Questa volta sono così puntuale che sorprendo me stessa: il St. John’s Hall si erge davanti a me e sulla strada non c’è nessuno, segno che sono addirittura in anticipo sulla folla, ben 40 minuti prima dell’esibizione.
Sento vociare all’interno, sento John che sbraita comandi e Paul che tenta di tenergli testa, tipico, sento la chitarra di George che suona rabbiosa ma nessuna voce femminile. Respira, Liv, passo dopo passo entra nel locale.
La sala è fredda e vuota ma le voci sono amplificate di volume. Mona Best fuoriesce da una porta carica di festoni, seguita a ruota da Pete che riesce a malapena a rivolgermi un saluto. Scuoto la testa meravigliata: Mona Best, qui? Ancora? Ma in quanti luoghi lavora? Avrò le allucinazioni, starò sicuramente impazzendo.
Un urlo più forte degli altri mi riporta alla realtà: John e Paul stanno decisamente discutendo e sono passati a strillarsi in faccia.
«Macca, pezzo di idiota! Segui questi accordi e non mi scassare!»
«Non lo farò mai, John! La mia idea è migliore e io e te siamo un duo, quindi le mie idee valgono quanto le tue»
«Sei una testa di minchia!»
«Mi avete rotto!» si erge improvvisamente George, smettendo di suonare. «Io vado a fumarmi una sigaretta fuori, chiamatemi quando l’aria sarà di nuovo respirabile». Sbatte la porta della saletta ed entra nella sala principale, per uscire dal portone. Mi vede, si ferma: il suo sguardo passa da stupito ad arrabbiato e, senza proferire una sola parola, tira fuori dalla tasca una sigaretta, si alza il bavero della giacca di pelle ed esce, ignorandomi.
 
Sono rimasta ghiacciata al centro della sala. George ha tutte le ragioni per avercela con me: mi ha confessato i suoi sentimenti e ha provato a baciarmi senza forzarmi, e tutto quello che ha avuto in cambio è stato un “porca miseria!” esclamato in faccia sommato a un silenzio di 10 giorni. George, perché non puoi capire? Perché non posso confessarti chi sono e quale penso sia la mia missione?
«George!» lo chiamo, uscendo nel cortile.
Lo trovo seduto sul muretto, appoggiato ad un tronco d’albero, che fuma tenendo lo sguardo fisso davanti a sé e le sopracciglia aggrottate.
«George… parlami, ti prego» mi avvicino a lui e ancora fa finta che io non esista. «Geo, hai ragione. Sono stata vigliacca! Sono passati 10 giorni e non mi sono fatta sentire. Ma lo sai qual è la verità? Avevo paura.» George sbuffa e si alza, iniziando a camminare verso l’uscita del cortile. «Paura di noi, di ferire Ruth, di ferire Pete. Tutto questo non c’entra con te, perché tu sei bellissimo!» gli urlo dietro.
George si ferma, esita, la mano che tiene la sigaretta trema ma lui non si gira. Riprende a camminare, più lentamente.
Lo rincorro: «Per l’amor del cielo, George!» lo raggiungo e lo afferro per un braccio, tentando di aggrapparmi alla convinzione che si volterà.
 
Non appena rivolge i suoi occhi su di me il tempo scorre in un attimo: gli metto una mano dietro la nuca, mi alzo in punta di piedi e lo bacio. Dopo un iniziale sbigottimento lo avverto rilassarsi e ricambiare, le sue mani sono posate sulle mie guance.
Iris aveva ragione. Dannata Iris! George bacia stupendamente, non lo si crede possibile finché…beh…non ti bacia. E mi sta baciando! STO BACIANDO GEORGE HARRISON! Beccati questa, Mersey Beat! Come la vedi nei panni di notizia del giorno? Stringo George a me con più foga.
 
«Liv.» sussurra lui, appoggiando la sua fronte sulla mia. Sorrido. Si fruga nella tasca dei jeans ed estrae un sacchettino di carta colorata.
«Volevo consegnartelo quella volta al negozio ma ho avuto un contrattempo.»
Apro il pacchetto che rivela contenere una stupenda collana di corda con un ciondolo d’argento a forma di sole. Un regalo per me da Amburgo.
«George, ma cosa…?» non voglio che spenda tutti i suoi soldi per me. Lui alza le spalle con noncuranza. «Il sole simboleggia la vita, la conoscenza e l’allegria. È perfetto per te. L’ho visto, ti ho pensato, avevo in mano il mio ingaggio di una serata e te l’ho comprato.» Sono sinceramente sbalordita: «Accidenti, Harrison! Devo dedurre che ti sei studiato il significato del nome Liv?» George fa un sorriso sghembo e mi allaccia la collana. Lo bacio a tradimento e lui ride sotto le mie labbra. Non durerà più di tre anni, ma saranno anni felici.
Maledetto George Harrison, così affascinante, così Casanova.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=572467