Il popolo delle Balene Astrali

di metaldolphin
(/viewuser.php?uid=89610)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tempio della vita ***
Capitolo 2: *** Abbordaggio nello spazio ***
Capitolo 3: *** Puoi ridarmi alle mie acque? ***
Capitolo 4: *** Gemme per un party ***
Capitolo 5: *** Acque pericolose ***
Capitolo 6: *** Sotto copertura ***
Capitolo 7: *** La sirena bambina ***
Capitolo 8: *** Canto di morte ***
Capitolo 9: *** Verso Andromeda ***
Capitolo 10: *** Nuovi accordi ***
Capitolo 11: *** La rotta delle balene astrali ***
Capitolo 12: *** Black out ***
Capitolo 13: *** Le acque di Leelaine ***
Capitolo 14: *** Quando tutto è perduto ***
Capitolo 15: *** Un canto per l'Arcadia ***
Capitolo 16: *** Le Sirene di Ombra di Morte ***
Capitolo 17: *** Guanti nuovi - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il tempio della vita ***


I riflessi verdastri si perdevano nelle arcate scure che si ergevano ritmiche tra le colonne che circondavano la navata principale. I capitelli avviluppati dalle alghe raccontavano fantasiose storie di epiche lotte coi giganti del mare, in un movimento aggraziato di pinne leggiadre e braccia poderose.
La volta mancava, ma non per l'impietoso trascorrere degli anni o a causa di feroci battaglie: colui che aveva progettato quella struttura l'aveva pensata così; essendo un edificio nato per celebrare la vita, era stato eretto per far risaltare i pochi raggi di sole che riuscivano a penetrare le profondità marine. Merletti di concrezioni coralline donavano colore nei punti in cui sulle pareti di marmo chiaro batteva più la luce, donando un aspetto festoso alla sommità della costruzione.
Banchi di piccoli pesci multicolore si muovevano tra quei rami contorti, nell'eterna lotta per la sopravvivenza che garantiva alle specie la salvezza dall'estinzione.
Quindici metri più in basso, al livello del pavimento ornato da un fitto mosaico composto da minuscole tessere colorate, di luce ne arrivava meno, ma era quello il luogo in cui avvenivano le cerimonie sacre. Nel grande tempio si festeggiavano le circostanze in cui la vita lambiva le vette più alte: le nascite, i traguardi raggiunti, le unioni.
Ma in quel momento era il terrore che faceva di tutto per nascondersi, nell'ombra di un'arcata in cui l'acqua limpida sembrava farsi più fredda attorno alle membra intorpidite, alla pelle ricoperta di squame una volta lucenti, ormai graffiate e rovinate. I lunghi capelli argentei avevano perso la lunga fila di perle che li trattenevano e adesso fluttuavano come alghe morte attorno al capo chino. Doveva stare in silenzio, non tradire la propria presenza, altrimenti avrebbero preso anche lei... Non sapeva da dove fossero venuti... In un primo tempo avevano creduto che fossero le balene astrali a tornare, proiettando sulla superficie marina le loro immense ombre affusolate, invece era qualcosa di mai visto prima, meraviglioso ed inquietante al tempo stesso. Erano enormi e lucide, ma il loro canto non era armonioso come quello delle balene, piuttosto era un monotono rumore fastidioso. Comunicare con quei mostri lucenti era impossibile, il contatto non funzionava, non avevano pensiero. Ma quando i loro enormi ventri lucidi si erano aperti ne erano venuti fuori decine di strani esseri dai pensieri alieni e atroci, fatti di cupidigia, violenza e terrore. Ed era ciò avevano sparso, immergendosi nelle pacifiche profondità, uccidendo e ferendo, portando via senza spiegazione alcuna.
Era accaduto al mattino presto, ancora non era trascorsa nemmeno mezza giornata ed era come se la paura avesse preso forma, in ognuno di quei corpi così diversi dai loro, caratterizzati da quattro arti, armati di strane armi che seminavano morte e dolore con una facilità tale da suscitare spavento al solo vederle in azione.
Fuggire, era l'unica cosa che aveva potuto fare, senza una meta precisa, fino a quando si era trovata davanti alle porte del tempio, i grandi ed antichi archi gemelli sostenuti dalle enormi colonne che davano accesso alla navata centrale. Era stato come un segno: di certo la Grande Madre l'aveva guidata sin lì, dove la Vita aveva il potere di proteggere la vita.
Allora si era acquattata nel buio, cercando di non far rumore, alzando la barriera per non far sentire i pensieri che gridavano nella sua testa. Era un'arma a doppio taglio, però, perché se non poteva essere individuata, non poteva nemmeno percepire. Credeva di rendersi invisibile, cercava di apparire come acqua nell'acqua, leggera e arrendevole alla marea e alle correnti. La coda le faceva male, dove la pinna si era strappata, impigliandosi nei coralli appuntiti durante la fuga, ma doveva resistere, sopportare, ne andava della sua vita.
Non aveva mai visto tanti morti in vita sua. Non aveva mai assistito, in effetti, a delle morti; solo una volta era riuscita a sbirciare tra la folla che si era accalcata dopo un incidente e aveva visto il corpo semi dilaniato dal crollo improvviso di un edificio in costruzione... Dopo non aveva dormito per giorni e sua madre l'aveva rimproverata aspramente.
Sua madre... Chissà se l'avrebbe rivista, se anche lei era in salvo. E con lei suo padre e i suoi fratelli e sorelle... La sua famiglia non sapeva dove fosse, lei non aveva idea di che fine avessero fatto loro. Era sola.
E quando arrivarono le loro ombre a spegnere i colori del mosaico sul pavimento, rimase immobile, paralizzata dal terrore. Rimase ferma anche quando l'ombra calò su di lei e, mentre si accorgeva che quegli esseri strani non erano quello che apparivano, un lampo di luce la abbagliò accecandola, sentì un atroce dolore pervaderle il corpo e poi più nulla.

La coscienza fece capolino in un universo a lei estraneo: la gravità la faceva sentire pesante, l'acqua troppo fredda acuiva il dolore del suo corpo e il rumore di fondo, unito ad una fastidiosa vibrazione le confondeva la mente disorientandola ancor più.
Aprì le palpebre in un ambiente troppo luminoso per i suoi occhi sensibili, abituati alla luce attenuata delle profondità marine, così li socchiuse abbagliata. Era sdraiata sul fondo, che era costituito da un materiale estremamente liscio al tatto, duro, freddo e trasparente. Provò ad allargare le braccia e incontrò due pareti uguali molto prima che potesse finire di compiere il gesto. Presa dal panico, cercò di sollevarsi e andò a sbattere su di un'altra superficie identica alle altre, davanti e dietro era lo stesso. L'avevano rinchiusa in una specie di scatola dove poteva girarsi a malapena facendo leva sulle mani palmate, curvando la coda fino a sentire dolore, strisciando le squame e la pelle su quel materiale così innaturale. Se quella non era la morte, avrebbe preferito che la cogliesse al più presto... L'urlo di dolore che emise non fu udito da nessuno, dentro quella scatola insonorizzata, chiusa nella stiva di un'astronave che seguiva una precisa rotta nello spazio siderale.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Abbordaggio nello spazio ***


-Capitano, c'è un mercantile a ore due, trecentocinquantamila km. Abbordiamo?
Yattaran aveva annunciato la presenza dell'altra astronave con voce allegra. Gli altri presenti in plancia si erano voltati verso il loro Capitano in attesa della sua risposta per mettersi in moto.
Harlock annuì. In piedi, sciolse le braccia incrociate al petto e afferrate le caviglie di legno, fece girare la ruota del timone di sessanta gradi. La prua dell'Arcadia seguì obbediente l'ordine impartito, dirigendosi verso la preda, come un animale feroce in caccia. Decine di altre volte l'equipaggio di pirati aveva effettuato quelle manovre e questa non fu diversa. Affiancarono la nave, che dopo i primi colpi di cannone aveva arrestato la sua corsa, spararono gli arpioni e i cordoni di collegamento, quindi gli uomini protetti dagli scafandri si lanciarono all'arrembaggio, armi in pugno e sguardo duro dietro le visiere trasparenti dei caschi. Non ci fu una vera e propria battaglia, gli uomini a bordo del mercantile si arresero quasi subito, ci furono due soli tentativi di ribellione nella stiva, che si risolsero con brevi sparatorie e la morte di uno degli occupanti del mercantile.
La stiva era colma di viveri, che furono celermente trasferiti in quello della nave pirata, barre d'energia seguirono la stessa strada, gioielli e denaro furono dispersi, come di consueto nello spazio, con grande disprezzo del Capitano.
Poi la voce di Maji risuonò nei comunicatori dei caschi, il tono allarmato: -Capitano! Puoi raggiungerci al ponte tre? C'è qualcosa che dovresti vedere.
Lo sguardo di Harlock, che in quel momento si apprestava a tornare a bordo della sua nave, si fece sospettoso. Di solito i suoi uomini sapevano sbrigarsela da soli, se richiedevano la sua presenza il motivo era valido. Tornò sui suoi passi per raggiungere il capo ingegnere e giunto al ponte indicato, si fermò sulla soglia, senza riuscire a credere a ciò che indubbiamente vedeva.
-Il display qui sopra indica che è viva...- Precisò Maji, con fare professionale, indicando il pannello luminoso sul contenitore.
Il Capitano assottigliò l'occhio, fece una smorfia di disappunto e si voltò per andare via. Non aveva bisogno di verificare quanto detto dal capo ingegnere dell'Arcadia, si fidava del suo giudizio.
-Portatela a bordo.- si limitò a dire, il tono duro e freddo come acciaio nella neve.

Il dottor Zero protestò vivamente, scuotendo il capo e bevendo un'altra generosa razione di sakè direttamente dalla bottiglia.
-Harlock, io non posso curarla! Non so nemmeno da dove cominciare! Non so nemmeno che cosa sia!
Il Capitano si voltò verso la vasca che era stata portata in infermeria e che adesso occupava il posto di un lettino. Nell'acqua torbida galleggiava supino e abbandonato un corpo privo di sensi che doveva essere stato elegante. Era di dimensioni umane e aveva la pelle coperta da scaglie, lacera in più punti; la grande argentea coda di pesce mancava di grandi chiazze dove le squame si facevano più grandi e i lunghi capelli erano aggrovigliati. La delicata e larga pinna caudale era strappata e la dorsale mancava di larghi tratti. I seni piccoli e sodi avevano minuscoli capezzoli e mancavano di areole.
Le lunghe dita che galleggiavano mollemente erano palmate da una membrana sottile e semitrasparente, anch'essa ridotta male. L'acqua maleodorante sapeva di sale e aveva appestato l'intera infermeria. Faceva male solo a guardare in che stato fosse ridotta, povera creatura. Di certo non erano colpa di malattia quelle pietose condizioni, quanto per la prigionia così disumana a cui era stata sottoposta. Che fosse senziente o meno, nessun essere vivente meritava un trattamento simile.
-Fai quello che puoi. Sono certo che riuscirai ad aiutarla. Ti mando Kei e Meeme.- affermò il più giovane, andando via. Il dottore guardò le spalle coperte dal lungo mantello nero allontanarsi e si voltò verso la grande vasca.
-Cominciamo col metterle acqua pulita... Questo non la danneggerà di certo. E potremo respirare di nuovo.- disse a se stesso, rimboccando le maniche per mettersi al lavoro. Doveva cercare di ricreare il giusto grado di salinità, non voleva danneggiarla ulteriormente con un errato scambio osmotico dei tessuti, quindi prese un campione e lo inserì nell'analizzatore, poi chiamò Maji al reparto tecnico per farsi preparare la giusta dose di sali in base al risultato ottenuto.


La sensazione al risveglio non era piacevole, ma certamente non era peggiore dei giorni passati. Era circondata da acqua finalmente limpida, alla giusta temperatura e la luce non era violenta al punto da farle male agli occhi. Era sempre nella stessa vasca, ma la parete superiore era stata rimossa. Strano materiale le copriva le ferite, come se qualcuno avesse voluto curarla e nel complesso stava effettivamente meglio. Per brevi periodi poteva stare fuori dal suo elemento, finché poteva bagnarsi non correva pericolo, così ruotò il corpo fino a portarsi prona,  poggiò le mani al bordo della parete trasparente che aveva davanti al viso e fece leva su di esse per portare la testa fuori dall'acqua. Si guardò intorno e capì che non si trovava nello stesso ambiente in cui era stata rinchiusa per tutto quel tempo. Era un posto strano, pieno di oggetti incomprensibili e persino la vibrazione di fondo era mutata: sembrava il cuore di un essere vivente che batteva vivace. Portò una mano tra i seni, per sentire il suo, quasi stupendosi di poterlo percepire ancora. Affranta, perché sapeva comunque di essere sempre in trappola, si lasciò cadere nuovamente in acqua... Cosa avrebbe fatto adesso? Non sapeva dove fosse, chi l'avesse presa prigioniera, cosa fosse accaduto al suo popolo: era sola e non poteva nemmeno muoversi liberamente in quell'ambiente privo d'acqua.
Si voltò verso i passi leggeri che udì entrare in camera. Quando quello strano essere si diresse verso di lei, lo riconobbe e con vivo terrore si portò le mani addosso come a proteggersi, abbassò lo sguardo e modulò un lungo lamento acuto che echeggiò tra le paratie dell'Arcadia, ai limiti della soglia dell'udibilità umana, dolorosamente lancinante al punto che sembrava trapassare il cranio di chi lo sentiva.
L'intero equipaggio dell'Arcadia ne fu colpito, come se quel suono riuscisse a fendere le pareti per entrare direttamente nelle loro teste a torturare ogni singolo neurone, in un'agonia difficile anche solo da immaginare, portando con sé una tristezza ed una paura immani. Fu come se ogni uomo avesse visto la personificazione terribile della Morte davanti agli occhi, inesorabile come solo la Signora con la falce sapeva essere.
L'intera nave ne fu paralizzata per un lasso di tempo oggettivamente breve, ma che ai pirati parve anche troppo.
Cessò d'improvviso, così come era venuto, lasciandoli storditi e stanchi come se avessero combattuto duramente.


Mezz'ora dopo, in plancia, il dottor Zero stava spiegando al Capitano la dinamica di quanto accaduto.
-Quindi adesso con lei c'è Kei?- stava chiedendo Harlock, ancora confuso da quell'esperienza sconvolgente.
L'ometto annuì. -Non so ancora perché con Meeme abbia reagito così. Però con l'arrivo di Kei pare essersi calmata e ha smesso di spaccarci i timpani. Povera ragazza, è stata davvero forte per riuscire a raggiungere l'infermeria in quelle condizioni. Comunque, cosa credi che sia, Capitano?
L'altro rispose con una naturalezza che suonava assurda: -Una sirena.
L'ovvietà fece alzare gli occhi al cielo a Zero che preferì non rispondere.
-Ma la domanda vera è: naturale o artificiale? Quindi ti chiedo... è il risultato di esperimenti genetici o...- disse il Capitano.
-O. Posso assicurare che è interamente naturale.- lo interruppe il buon dottore, certo delle sue parole, fissandolo ancora attendendo un ordine sperato che non giunse.
Harlock annuì. Poi si alzò in piedi e disse: -Appena scoprirai qualcos'altro informami.
Andò via. Quella vicenda si stava rivelando alquanto singolare. Da dove veniva fuori quell'essere? Cosa ci faceva in quelle condizioni nella stiva di quel mercantile? Avrebbe potuto venire a capo di tutte quelle domande?

Una parte di quegli interrogativi ebbe risposta grazie a Kei, che appena convocata giunse al cospetto del Capitano in plancia.
-Capitano, Leelaine, la sirena, mi ha raccontato quello che è accaduto...
-Avete parlato? Ti ha detto il suo nome, parla la nostra lingua?
Kei sorrise con la solita dolcezza. -Non lo definirei propriamente parlare... Il suono del nome è quello che io sono riuscita ad adattare dal pensiero che mi ha trasmesso...
Harlock aggrottò la fronte. -Il pensiero?
-È un essere acquatico, si è evoluta in un mondo in cui i suoni vengono integrati dal pensiero. Riesce a leggerli e a inviarli, a meno che non si trinceri dietro a quella che definisce la "barriera". Allora si isola in entrambi i sensi. In tutto ciò di buono c'è che così non abbiamo bisogno di traduttore, i concetti espressi dalla mente non hanno bisogno di idiomi.
Harlock comprese cosa intendesse la ragazza. Era un'idea più volte affrontata dalla scienza, quella della comunicazione telepatica, teorizzata in molti modi, ma fino a quel momento mai sperimentata. Ma un altro interrogativo in quel momento gli premeva che avesse una risposta: -Perché ha paura di Meeme?
-Perché è l'incarnazione del demone della morte, secondo le sue credenze. "Che muta di bocca non si annuncia e cieca di pupille colpisce a caso." Così ha detto. Poverina, credeva  che fosse venuta a prenderla.- Spiegò seria Kei, rendendosi conto che oltre allo spavento di trovarsi in un luogo a lei estraneo, dopo il recente drammatico vissuto, quella sirena si era trovata davanti l'immagine vivente di colei che toglie ogni speranza.
L'uomo annuì. -Capisco. Perché con te si è aperta così?
La ragazza arrossì, visibilmente a disagio. -Ha detto che se avessi una coda del colore dei miei capelli, sarei uguale alla Grande Madre. Credo che sia la loro principale divinità... Dice che sono sua figlia.
Harlock sbarrò l'occhio davanti all'incredibile coincidenza, poi sorrise e scosse il capo. Due delle donne che facevano parte del suo equipaggio erano considerate rispettivamente un demone e una dea...
Il filo di quei pensieri fu interrotto dall'affranto intervento di Kei: -Capitano... Hanno invaso il suo pianeta, ucciso i maschi, rapite le femmine... Sono stati umani, come noi... Ho visualizzato tutto tramite i suoi ricordi, è stato terribile!
Lo sguardo dell'uomo si indurì. -Pensi che potrei parlare... Comunicare con lei?
Lei annuì con un cenno del capo. - Ti posso suggerire di parlarle, con calma: per lei è più facile seguire così i nostri pensieri, che cercarli nella nostra mente tra tutti gli altri. Credo che dipenda dal fatto che noi non siamo attrezzati per un vero e proprio contatto telepatico. Il dottor Zero comunque è sicuro del fatto che riesca a percepire soltanto i pensieri più superficiali, non dobbiamo temere troppo un'invasione della privacy. Però dovrei essere presente anche io... Sai, si inquieta abbastanza facilmente...
Annuì. -Lo davo per scontato. Andiamo?- le propose, infine, curioso di saperne di più su quell'essere tanto singolare.
-Certo.
Si avviarono fianco a fianco lungo il corridoio, alla volta dell'infermeria. Quel mistero era tutto da svelare, ma ne sarebbero venuti a capo. Quanto prima Harlock avrebbe interrogato gli occupanti del mercantile, tenuti prigionieri nelle celle dell'Arcadia dopo il ritrovamento della sirena. Oltretutto con quella ingombrante nave a rimorchio dei raggi trattori non potevano viaggiare nella desiderata modalità interdimensionale: prima se ne fossero liberati, meglio sarebbe stato.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Puoi ridarmi alle mie acque? ***


L'odore nauseabondo che ammorbava l'aria l'ultima volta che era stato in infermeria era stato sostituito da un piacevole odore di salsedine, tanto che sembrava di essere in riva al mare terrestre e la nostalgia del suo pianeta prese Harlock.
La mise da parte per concentrarsi sulla figura che emergeva appena con mezzo volto dalla vasca. L'acqua era limpida, i suoi capelli erano stati ripuliti e adesso erano intrecciati in una elaborata acconciatura attorno al suo capo. Ampie zone del suo corpo erano medicate, così come la pinna caudale.
La sirena lo osservava sospettosa e lui se ne accorse, così cercò di mettere da parte il più possibile i pensieri negativi e cercò di essere propositivo. Era una creatura davvero affascinante e anche se stava meglio, appariva ancora visibilmente sciupata ed era comprensibile dopo ciò che aveva subito. Rinchiusa in quella specie di bara trasparente dopo essere stata prelevata con violenza dal suo mare natale, i suoi simili uccisi...
Si studiarono a vicenda qualche minuto senza dire nulla, lui incuriosito da quella creatura che richiamava alla mente miti e leggende ormai lontane nel tempo, lei a cercare di leggere l'aura che quell'uomo emanava, profondamente umana, eppure così diversa da quella degli altri.
-Leelaine... Lui è il Capitano di questa nave, si chiama Harlock. Come ti ho spiegato, Capitano vuol dire che è il nostro Capo. Riesci a comprendere questo concetto nella mia mente?
La sirena annuì a Kei, con un umanissimo cenno del capo... Harlock pensò che fosse un comportamento recentemente appreso a bordo.
Poi il pensiero di lei gli invase la mente: "Io sono Leelaine. Puoi portarmi a casa? Puoi ridarmi alle mie acque?"
Era espresso con un misto di speranza e dolore, permeato dal rispetto, che Harlock immaginò dovuto dal fatto che lui fosse in capo anche a figure mitologiche come Kei e Meeme erano concepite dalla mente di Leelaine; non sbagliava.
Quello posto dalla sirena era un problema di cui aveva discusso a lungo con gli ufficiali e i tecnici del suo equipaggio: la poveretta non aveva idea di coordinate galattiche e navigazione interstellare, come avrebbero potuto trovare il suo pianeta di provenienza? La galassia era immensa, costituita da miliardi di stelle e la maggior parte di esse avevano un sistema planetario. Milioni di pianeti erano ancora inesplorati e di certo il suo faceva parte di quella schiera... Come trovarlo? Di certo non compariva tra i pianeti conosciuti, il computer avrebbe certamente esposto dati su un sistema abitato da specie così singolari e chi l'aveva scoperto avrebbe tenuto per sé le coordinate per raggiungere una fruttuosa fonte di reddito come quella rappresentata dal pianeta sconosciuto; così aveva messo al lavoro Yattaran e Maji per cercare nella virtuale rete galattica le possibili notizie e gli indizi tra i discutibili canali in uso dai peggiori criminali che vagavano per gli spazi della Via Lattea.
Ma ogni sistema planetario è unico nel suo genere, presentando caratteristiche che non possono essersi riprodotte altrove nella stessa identica maniera, essendo innumerevoli le varianti che entrano in gioco durante la loro formazione. Forse, se le avesse chiesto semplici informazioni, avrebbero aggiunto almeno un'altra tessera a quell'intricato mosaico che mancava ancora di troppi pezzi per dare anche un'idea del quadro generale.
-Ascolta, Leelaine, il giorno del tuo pianeta è certamente illuminato da una stella. Ha anche luci notturne?
Un'immagine proiettata nella sua mente gli fece visualizzare un cielo notturno illuminato da tre lune che rischiaravano una immensa distesa d'acqua. Allora formulò un'altra domanda alla creatura marina: -Ci sono terre emerse?
Le immagini che gli giunsero stavolta erano inaspettate e sconvolgenti: erano del pianeta visto dallo spazio, un po' distorte, come se fossero viste da dietro un velo trasparente e mostravano una palla d'acqua punteggiata da numerosi arcipelaghi. Come poteva conoscere quel punto di vista quella creatura d'acqua... forse dall'astronave che l'aveva rapita? Dovette pensarlo con molta energia, perché lei gli chiarì, senza che avesse detto nulla: "Noi a volte seguiamo le balene astrali, esse ci portano con loro. I maschi adulti viaggiano per il nero mare dello spazio per tornare dalle loro compagne che non possono farlo. Nell'altro mare procreano, poi tornano. E noi per diventare adulti dobbiamo affrontare la prova, siamo legati da un patto con loro e loro tornano sempre. Ho affrontato il mio viaggio due migrazioni fa."
Le vide chinare il capo, immergersi in acqua interrompendo il contatto visivo e il suo pensiero gli raggiunse la mente carico di dolore: "Quando sono giunti credevamo che fossero tornate le balene astrali. Invece erano balene diverse, artificiali, senza pensieri, il loro ventre abitato dagli esseri come voi, esseri strani, senza acqua, come le lucertole delle sabbie che abitano le spiagge delle isole. Anche la vostra è una balena falsa, ma ha un'anima. Voi siete diversi. Avete con voi la Madre della Vita e la Madre della Morte... Come puoi essere il loro Capo?"
Le sorrise. La sua ingenuità era disarmante, ma era il frutto di una pacifica evoluzione in un pianeta in cui la tecnologia non era avanzata più di tanto. Dovevano essere legati a tradizioni ancestrali, per non riuscire ad accettare che Kei e Meeme fossero normali individui. Comunque era un bene che avessero la fiducia della sirena, e anche i pochi indizi che erano riusciti ad avere potevano essere d'aiuto. Lui non sapeva cosa fossero le balene astrali, ma a quanto pareva, chissà come, seguivano rotte migratorie tra due pianeti. Dovevano essere creature fantastiche, se riuscivano a sopravvivere ad un viaggio di quel tipo. Forse, se avessero trovato qualcosa su questa misteriosa specie, ricostruire le rotte migratorie e i pianeti che le interessavano, avrebbero potuto risalire al pianeta di provenienza della sirena aliena. A meno che tutto non fosse frutto della fantasia di quel popolo, che era la cosa più probabile. Avrebbe comunque messo al corrente dei nuovi dati i suoi uomini, forse sarebbero tornati utili alla ricerca che stavano svolgendo.
La voce profonda del Capitano risuonò ancora una volta nell'infermeria dell'Arcadia: -Leelaine, io non posso prometterti che troveremo il tuo pianeta, sappi però che farò quanto in mio potere per riuscirci. Intanto proveremo a darti una sistemazione più comoda. Ho dato al mio capo ingegnere l'incarico di costruire una vasca più grande, così potrai muoverti più liberamente.
Lei sbucò con il capo dall'acqua. Per la prima volta sorrise, mostrando denti aguzzi da predatore marino e il volto severo si addolcì. Guardò i presenti ed emanò sentimenti di riconoscenza, poi un dolce canto si diffuse tra le paratie dell'Arcadia e gli uomini furono ammaliati da esso.
Persino Maji, perso nel difficile compito che gli aveva assegnato Harlock rimase incantato ad ascoltarlo. Avrebbe dovuto ingegnarsi per costruire una vasca abbastanza grande, supportata da campi di forza affinchè i ponti reggessero le migliaia di litri di acqua marina che necessitavano a riempirla e fabbricare anche la suddetta... Quanti chilogrammi di sali sarebbero occorsi? Iniziò a fare i suoi calcoli, sarebbe stata una lunga giornata.
 
Harlock guardò duramente il suo pari grado che era stato a capo del mercantile, mentre quello cercava di spiegargli come avesse avuto la sirena. Per l'ennesima volta dovette trattenersi dal colpirlo duramente, sentite le parole con cui quell'uomo si giustificava
-Non lo so da dove viene quella cosa. Il nostro uomo di contatto l'avete ucciso nell'abbordaggio e io da lui non ho voluto sapere troppo, in questi casi meno si sa e più a lungo si vive. Noi la dovevamo semplicemente portare a destinazione. Quel riccone sul terzo pianeta di Dubhe si è aggiudicato ad un'asta non proprio pubblica quella vasca per chissà quanti milioni di crediti... La gente ricca può soddisfare tutti i suoi capricci e a noi restano le briciole...
Harlock interruppe il capitano del mercantile con ira: -Non sono certo venuto a parlare di questo. D'accordo, non l'avete catturata voi, allora chi ve l'ha affidata?
L'uomo che aveva davanti era di mezza età, un navigato spaziale che evidentemente non si faceva troppi problemi etici. Però era evidente che conosceva bene la fama del Capitano dell'Arcadia, perché comunque per quel poco che diceva di sapere collaborò; così dopo aver raccolto tutte le informazioni che potevano servire, Harlock lo rimandò a bordo del suo mercantile con i suoi uomini e si allontanò con l'Arcadia verso una precisa meta, sganciando dalla trazione l'astronave ormai inutile ai loro scopi. Avevano un punto di partenza.
Naturalmente il mercantile, se fosse riuscito a raggiungere il pianeta umano più vicino, sarebbe stato difficile da rimettere a posto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gemme per un party ***


Il lungo vestito da sera scivolava morbido sulle provocanti curve di Kei. Riprendeva il colore dei suoi occhi chiari e faceva risaltare il biondo dei capelli che le ondeggiavano sulle spalle. Bastava un filo di lucido a far risaltare le labbra rosa e il suo sorriso riusciva a stregare chiunque posasse il suo sguardo su di lei.
Spiccava a quella festa, elegante come poche, suscitando l'invidia delle altre donne perché dava la chiara impressione di essere molto più di quel che appariva. In effetti la grinta acquisita negli anni come pirata traspariva anche in quella mise così inusuale per lei. Circondata da poco meno di una decina di uomini di mezza età che facevano a gara per attirare la sua attenzione, rideva cristallina ad una squallida battuta, mentre tra sé avrebbe dato chissà cosa per avere tra le mani una cosmo gun e farli fuori tutti. Odiava recitare la parte della ragazza ricca e svampita, ma sapeva che era il ruolo più adatto in quell'occasione, se voleva indagare senza destare sospetti.
-Oh no, signore, io ho viaggiato così tanto! Non mi stupisce più nulla!- cinguettò ad un uomo più basso di lei di una testa, dai folti baffi brizzolati e il sorriso lascivo di chi è abituato ad avere giovani donne con qualsiasi mezzo, che l'aveva presa per mano per allontanarla dal gruppo. Doveva essere un tipo influente, perché gli altri lo guardarono con astio, ma non li seguirono.
Quello provò a farsi più vicino per azzardare una carezza sul braccio scoperto della donna che si costrinse a sorridere, mentre immaginava la faccia tumefatta di lui con tutti i denti rotti. Stava facendo di tutto, pur di convincerla a seguirla a casa... Era passato dal vantare le sue ricchezze alle battute da simpaticone, ma lei faceva la parte della sostenuta senza troppo sforzo; inoltre non era certa che fosse lui la preda giusta, anche se gli indizi raccolti lo facevano il candidato più promettente.
L'uomo allora cercò di giocare quella che considerava la sua ultima carta... le sorrise e la sfidò:
-Su, Lorelai, dammi due giorni e ti mostrerò qualcosa che in pochissimi hanno visto in tutta la galassia! Aspetto un carico speciale... Vieni da me, non te ne pentirai!
Lei gli puntò l'indice sul petto e fece una pressione leggera sulla giacca scura di tessuto costoso.
-E cosa sarà mai, signore?- chiese con finta ingenuità -Guardi che se si tratta di gioielli, ne ho tanti, sa?- precisò accarezzando con l'altra mano la meravigliosa collana di diamanti e zaffiri che le aveva dato lo stesso Harlock. Erano gemme purissime che non gli aveva visto prendere nei loro abbordaggi. L'aveva tirata fuori da un cassetto della sua scrivania, ben avvolta da un panno di velluto blu, rinchiuso in un pregiato ed antico cofanetto intarsiato, quasi che fosse un ricordo personale. Aveva avvertito un brivido quando lui si era tolto i guanti e le aveva chiesto di tirare su i capelli per fermargliela sulla nuca, leggero come un respiro. Poi non si era soffermato più di tanto su lei, dopo un fugace sguardo velato da un'ombra di malinconia.
Le parole di quell'uomo, come si chiamava... Harold... la riportarono al disgustoso presente: -Nessuna gemma, ragazza mia. Soltanto un esemplare rarissimo per il mio zoo di veri animali!- rispose misterioso.
Kei si portò una mano davanti alla bocca in un'esclamazione sorpresa, sgranando gli occhi chiari, mentre dentro di sé esultava: quasi sicuramente aveva fatto centro.
-Oh! Non l'avrei mai immaginato! Però stanotte non posso, mio zio manderà qualcuno a prendermi tra pochissimo, è già così tardi... Che ne dice se fra due giorni io riuscissi a liberarmi e a raggiungerla a casa? Così potrà mostrarmi tutto ciò che vuole!
Sottolineò le parole con un eloquente ammiccamento e l'uomo capitolò: -D'accordo, Lorelai. Vieni a questo indirizzo, dopodomani. Però non deludermi...- terminò la frase con tono lievemente minaccioso, ma la ragazza non si lasciò impressionare e non perse la sensuale espressione. Le passò una piccola scheda di presentazione e lei maliziosamente la infilò nel decollete.
-Non si preoccupi, signore! Lorelai mantiene le promesse!- gli soffiò un bacio sulla punta di due dita e facendogli l'occhiolino, poi si avviò verso l'uscita, ancheggiando senza eccedere, ma attirando ancora una volta l'attenzione dei presenti.
Fuori dalla villa c'era già ad attenderla un mezzo dell'Arcadia abilmente camuffato da vettura di lusso, con tanto di impeccabile autista in livrea, il solito Yattaran. Entrò e sedette sul sedile posteriore, attese che il portello si chiudesse automaticamente e scosse il capo come per chiarirsi le idee o cacciarne altre poco piacevoli, poi passò una mano tra i capelli in un gesto esasperato. Infilò due dita nell'ampia scollatura e recuperò la scheda, mentre l'autista cercava, per il suo bene, di archiviare quell'immagine nei recessi della mente: con quella ragazza poteva essere pericoloso anche il solo pensarle, certe cose.
-Non sarei sopravvissuta un secondo di più!- confessò ad un silenzioso Yattaran, a cui passò la scheda di quell'uomo.
-Controlla che non ci possa tracciare attraverso questa.- gli disse, sbrigativa.
L'oggetto, ancora caldo per il contatto della pelle di lei, fu scansionato rapidamente tramite un dispositivo apposito posizionato sulla consolle.
-Pare che sia pulito. Sarà la persona giusta?- le chiese, rendendosi subito conto di quanto fosse inutile quella domanda: Kei sapeva il fatto suo.
-Praticamente certa.- asserì lei con sicurezza. Aveva sopportato sguardi e sfioramenti lascivi da almeno metà degli uomini presenti al party prima di arrivare a quel tizio vanaglorioso. Però era l'unico che su quel pianeta di frontiera corrispondeva alla somma degli indizi ricavati in rete e dai testimoni e dai documenti ritrovati sul mercantile.. il suo gemello di quella piccola flotta avrebbe toccato quel pianeta e sapevano che un'altra sirena vi era tenuta a bordo.
Mentre tornavano all'Arcadia, Kei si rilassò. Durante il tragitto chiese soltanto di Leelaine.
-Pare che sia abbastanza tranquilla. La notizia della vasca che le sta attrezzando Maji le ha alleviato un po' l'angoscia. È una creatura affascinante...- disse con aria sognante l'uomo.
Kei sorrise ironica: -Attento, caro mio, secondo la leggenda il canto delle sirene può rivelarsi fatale!
 
L'Arcadia era nascosta in un lontano canyon e la raggiunsero dopo quasi venticinque minuti di volo, mancavano davvero poche ore all'aurora. Si prospettava un altro giorno denso di preparativi per portare avanti quella indagine davvero singolare.
Kei per prima cosa andò nella sua cabina, per fare una doccia e cambiarsi. Tolse la preziosa collana, quindi slacciò la lunga veste dal corpo flessuoso, mise da parte la biancheria ed entrò sotto il getto d'acqua calda. Con l'acqua scivolò da lei la cattiva sensazione che l'aveva presa a quell'insulso party. La divertì il pensiero della faccia che avrebbe fatto quella gente se avesse conosciuto la sua vera identità. Le scene di panico avrebbero movimentato di certo la festa!
Rientrò nella consueta tuta che usava a bordo e si sentì subito a suo agio: con quell'abito da sera indosso sapeva di aver riscosso tra gli uomini dell'equipaggio lo stesso interesse che aveva letto negli occhi di quelli presenti al ricevimento e la cosa non le era piaciuta. Si rese conto in quel momento che soltanto Harlock era rimasto indifferente e fu attraversata da un inspiegabile e cocente sentimento di delusione.
Una volta pronta, prese tra le mani con la dovuta cautela la sfarzosa collana che le aveva impreziosito il collo per tutta la sera. Il Capitano le aveva lasciato un messaggio nel quale le chiedeva di raggiungerlo quando fosse tornata così, nonostante fosse molto tardi, non ebbe timore di disturbarlo quando bussò alla porta dell'alloggio nel castello di poppa. Fece il suo ingresso nell'ambiente poco illuminato e la voce di lui risuonò profonda per incoraggiarla a proseguire: -Vieni avanti, Kei. Ti aspettavo.
Era seduto al piccolo tavolo circolare su cui erano poggiati, come di consueto, una bottiglia piena per poco meno della metà di vino rosso ed un calice di prezioso cristallo di Algol. Sollevò il viso per guardarla con la solita espressione difficile da decifrare e la salutò: -Bentornata.
Lei gli porse il preziosissimo gioiello: -Grazie.
Harlock lo prese, rispondendole con un cenno del capo. Osservò per pochi istanti le gemme che sapevano restituire mille riflessi nonostante la poca luce, poi poggiò con la dovuta attenzione la collana accanto al bicchiere. Il gioco di luce delle pietre sfaccettate di quel gioiello unico nel suo genere si moltiplicò anche nei toni purpurei del vino.
-Tutto a posto? Sei riuscita a trovarlo?
Lei annuì. -Si chiama Harold Stray ed è uno dei tre uomini più ricchi del pianeta. Tra due giorni dovrei presentarmi a casa sua... Dice che avrà da mostrarmi l'ultimo e quasi esclusivo esemplare della sua collezione zoologica. Mi disgusta il solo pensiero che ci possa essere qualcuno che raccolga e tenga prigionieri degli esseri viventi!
Harlock la guardò, condividendo pienamente il tono indignato di lei. Il suo concetto di libertà comprendeva ogni creatura vivente. Persino Tori-san era libero di fare ciò che voleva, ma essendo affezionato a lui, quel pennuto non lo lasciava, pur avendone avuto sempre la possibilità. La stessa cosa valeva per la gatta del dottore, la micia rossa tigrata Mii-kun. Annuì, fissò la vetrata protetta dalla decorazione a losanghe e le rispose:
-Hai ragione, ma discuteremo sul da farsi più tardi. Sei stata brava, vai a riposare.- la congedò, gentile, ma freddo.
Non aspettandosi nulla di più dal suo Capitano, ormai rassegnata a non ricevere altro da lui, la donna andò via senza perdere altro tempo: era davvero stanca e voleva dormire almeno qualche ora, prima di affrontare una nuova giornata. Sarebbe stata pesante visto che dovevano pianificare nel dettaglio l'azione che avrebbero portato avanti alla residenza dell'indiziato.
 
Harlock osservò Kei andare via attraverso il pallido riflesso che gli restituiva il vetro della bottiglia. Quella sera, vedendola in quell'abito elegante e perfetto, allacciandole il prezioso monile sul collo, nudo dai capelli che lei teneva raccolti con la mano, aveva provato una stretta allo stomaco che si era allargata al basso ventre. Era una sensazione che lo aveva messo a disagio e cercava di prenderne le distanze. Adesso l'aveva accolta quasi con sollievo, quando l'aveva vista con la consueta uniforme... Era comunque bella, ma era qualcosa a cui era ormai abituato.
Prese la collana di inestimabile valore. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ma non ricordava neanche un'immagine, tra quelle che ritraevano le sue antenate, in cui la donna che la indossava la valorizzasse, anziché venirne valorizzata. Perché era ciò che aveva notato con lei: quel monile non aggiungeva nulla alla sua fresca bellezza, piuttosto era lei che sembrava far risplendere maggiormente quelle gemme. Si alzò in piedi per riporla e istintivamente le pose sopra l'alta mano, nuda del guanto che portava di consueto, nella speranza che fosse rimasta una traccia di lei; ma le fredde pietre non avevano conservato il calore della pelle chiara di Kei e sembrarono quasi sbeffeggiarlo, ammiccando alla pallida luce delle stelle lontane. Loro avevano goduto di un privilegio che lui poteva soltanto sognare. Si rimproverò quel gesto e quel pensiero così estraneo al suo modo di essere, e imputò il tutto alla stanchezza, era la spiegazione più plausibile.
Con fredda efficienza avvolse la collana nel velluto che la proteggeva da decenni e richiuse il tutto nell'antico cofanetto che tornò al suo posto in fondo al cassetto della scrivania.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Acque pericolose ***


Maji aveva svolto il suo compito come sempre in modo superbo e in tempi rapidissimi, coadiuvato dalle sue squadre di robot. Una grande vasca, appoggiata al pavimento, si affacciava in parte sulla plancia, mentre più in basso una zona dell'hangar era stata delimitata da analoghe paratie alte quanto la spalla di un uomo e da un campo di forza, per essere poi riempita d'acqua salata per dare il giusto spazio a quel misterioso essere. Per mettere in comunicazione i due livelli, l'ingegnere aveva allagato il condotto di risalita di uno dei due ascensori, intervallando la colonna d'acqua con campi d'energia ad intervalli regolari, per evitare che si accumulasse troppa pressione alla sua base. Quando la piccola vasca che la conteneva fu portata dall'infermeria alla zona inferiore della nuova piscina, Leelaine vi fu trasferita con ogni riguardo. Maji le diede il permesso di risalire in plancia e apparve come una creatura diversa agli occhi di Kei: quando la vide affacciarsi al bordo del parapetto trasparente che sporgeva sulla plancia, i suoi occhi scuri e profondi avevano acquisito una nuova vivacità e persino i suoi colori erano più vividi. Di certo era riuscita a sgranchire finalmente le membra intorpidite dalla lunga permanenza in quella prigione così angusta e nuotare liberamente le aveva dato una vera gioia, dopo tutto quel tempo.
Aveva sgranato gli occhi guardando l'immensa finestra che dava sul paesaggio in ombra del canyon in cui stava nascosta l'Arcadia e poi aveva guardato curiosa uno per uno i presenti.
Alla donna giunse il pensiero finalmente più sereno della sirena: "Kei! Vieni?"
La ragazza sorrise. Le aveva raccontato della Terra, del suo oceano e del fatto che le piaceva nuotare, ma non si era aspettata certo un invito a farsi una nuotata a bordo dell'Arcadia. Le rispose con gentilezza: -Non posso. Ho il mio ruolo da rispettare a bordo di questa nave, lo sai.
In disparte, Harlock aveva assistito compiaciuto alla conclusione della realizzazione di quell'opera così singolare e poi aveva ascoltato con gli altri quel dialogo di cui potevano sentire solo la parte data dalla voce della loro amica umana. Ma intuì che ci fosse stata una richiesta da parte della sirena a Kei e avvicinatosi non poté fare a meno di chiederle quale fosse.
-Vorrebbe che nuotassi con lei.- gli rivelò.
-Se vuoi, vai.- le rispose con semplicità, facendole sgranare gli occhi per lo stupore: davvero le concedeva di poter lasciare la sua postazione per accontentare la sirena?.
Leelaine, che aveva seguito lo scambio tra i due, emise un suono allegro e fece rumore in acqua, battendo la coda, certa che con il benestare del suo Capo, quella nuova amica l'avrebbe raggiunta. Così Kei si ritrovò nella improbabile situazione di stare in accappatoio, ciabatte e costume da bagno nell'hangar deserto della nave spaziale... Aveva preferito accedervi da lì, al riparo degli sguardi curiosi degli addetti alla plancia. Si arrampicò sulla scaletta e mise una mano nella vasca, trovandola piacevolmente tiepida, sciolse il nodo del corto accappatoio chiaro ed entrò con cautela nella zona scoperta di quella singolare piscina-acquario.
Leelaine le si fece incontro nuotando con vigore e un po' la intimorì: quella mole che si dirigeva energica verso di lei risvegliò l'atavica paura del predatore, quasi che avesse davanti uno squalo. Si costrinse a stare al suo posto e la sirena si arrestò ad un palmo da lei. Fu osservata con rinnovato interesse, poi una mano palmata le toccò un seno coperto dall'aderente bikini turchese ed un pensiero sorpreso le giunse alla mente: "Ma questa non è la tua pelle... Hai tolto quella di prima e ora hai questa cosa... Perché vi nascondete?"
Dopo il primo istante di imbarazzata sorpresa a quel contatto inopportuno, Kei sorrise, scostò gentilmente la mano della sirena e le fece segno di emergere. -Leelaine, per noi umani è consuetudine coprire alcune parti del corpo.
L'altra la fissò con lo sguardo serio, inclinando il capo in un umanissimo gesto di perplessità. Era difficile spiegare il senso del pudore ad un essere che non aveva la minima idea del concetto... Infatti alla fine la sirena le disse comunque: "Non capisco. Sapete come siete fatti, però vi coprite... Siete strani..."
Abbassò gli occhi a guardarsi il seno nudo coperto dalle minuscole scaglie chiare che le sottolineavano tutta la zona ventrale: "Allora dovrei coprirmi anche io per non offendere le vostre usanze?"
Kei scosse il capo. -No. Non importa. Ma hai ragione, sono strane le nostre usanze.
"Andiamo dal tuo Capo?" le comunicò, ma Kei non ebbe il tempo di rispondere negativamente che l'altra le cinse il tronco con le braccia, quasi stesse abbracciando una grossa bambola, e si immerse, senza nemmeno darle il tempo di riprendere fiato.
La donna cercò di dibattersi, ma Leelaine era inaspettamente forte e per quanto tentasse di inviarle i suoi pensieri, il bisogno di ossigeno e la resistenza dell'acqua che veniva sottolineata dai potenti colpi di coda della sirena, non le diedero modo di affrontare il problema a mente lucida. Per quanto sapesse nuotare, Kei non aveva molto fiato e non le era stato dato comunque il tempo di prenderne a sufficienza. Così il sapore del sale le invase la bocca e i polmoni, facendoglieli ardere, mentre scivolava nell'incoscienza data dall'annegamento.

Gli uomini presenti in plancia, videro emergere Leelaine con energia, reggendo Kei con il capo ciondolante, priva di sensi.
La sensazione di panico emanata dalla sirena quasi li stordì, mentre invocava aiuto: "Capo, aiuto! Kei! La Grande Madre mi perdoni, ho ucciso sua Figlia!"
Harlock sollevò il capo di scatto dal documento elettronico che stava leggendo, cacciò Tori-san che stava appollaiato sulla spalla e corse al parapetto della vasca dove afferrò energicamente il corpo inerte di Kei, quasi strappandola dalle braccia dalla sirena sconvolta.
La depose delicatamente sul pavimento freddo, mentre altri chiamavano il dottore.
Una larga pozza d'acqua salata si allargò sotto di lei, a riflettere le luci degli apparati elettronici della plancia, in un inquietante gioco luminoso che sembrava infischiarsene della gravità della situazione. Harlock la esaminò attento e veloce: non respirava,  la pulsazione cardiaca quasi inesistente... allora le turò il naso comprimendolo tra indice e pollice e spalancatele la bocca, poggiò le sue labbra su quelle di lei, praticandole la respirazione artificiale e alternandola con le compressioni sotto al diaframma, per aiutarla a disfarsi dell'acqua inalata e a riprendere a respirare.
Quando giunse un trafelato Zero, Kei aveva appena iniziato a tossire violentemente, espellendo l'acqua dalla bocca e dal naso, gli occhi pieni di lacrime per lo sforzo; la girò sul fianco per facilitarle il compito e lei si liberò ancora del liquido che le aveva invaso i polmoni.
-Stava per annegare.- spiegò Harlock, ancora in ginocchio vicino a lei e Zero gli chiese di portarla in infermeria.
Harlock la riprese tra le braccia e, senza nemmeno guardare Leelaine, che aveva assistito in apprensione affacciata dal parapetto della piscina, si avviò verso il luogo indicato dal dottore.

Kei aprì gli occhi e tornò pienamente cosciente che non erano ancora giunti all'infermeria e appena realizzò la situazione in cui si trovava, si irrigidì.
La voce del Capitano le giunse quasi cavernosa all'orecchio poggiato sul solido petto di lui: -Stai tranquilla, siamo quasi arrivati in infermeria. Sei quasi annegata.
Allora le ritornò alla mente l'accaduto, ma la gola le doleva e non riuscì a parlare, la voce un rantolo stentato.
-Non sforzarti. Chiariremo l'accaduto quando ti sarai ripresa.- le disse Harlock con tono pacato.  Lei fu tentata di cingergli il collo col braccio per sostenersi meglio, ma decise di rinunciare perché sembrava reggerla senza sforzo e la situazione era già abbastanza imbarazzante così, con lei seminuda tra le sue braccia.
Entrato in infermeria con Zero al seguito, Harlock attese che gli venisse detto cosa fare. Il dottore gli fece cenno di poggiarla sul lettino e lui obbedì; il calore che si era creato al contatto tra i loro corpi venne a mancare e lei fu scossa da un brivido, ma non disse nulla, quando lo guardò con gratitudine. Anche l'uomo aveva provato un inaspettato benessere da quel contatto, ma non era possibile prolungarlo e annunciò che avrebbe atteso in sala d'aspetto il responso del medico.
Sedette sulla panca e il chiassoso vociare di Tori-san lo raggiunse, per fermarsi una volta atterrato nuovamente sulla sua spalla.
Non dovette attendere molto che la porta si spalancò e ne uscì il dottore. Gli si fece incontro e aspettò che quello gli chiarisse la situazione.
-Nulla di grave, molto probabilmente il tuo intervento tempestivo le ha salvato la vita: in questi casi la celerità dell'azione è fondamentale. Ma come è potuto accadere? Kei nuota benissimo!- affermò, memore delle ludiche soste e i soggiorni presso il mare di Ombra di Morte.
-È ciò che intendo scoprire.- affermò il Capitano che aveva ripreso la solita impenetrabile espressione. -Torno in plancia.
-Bene. Kei starà qualche ora in osservazione, per precauzione.
-Verrò a vederla più tardi allora.- concluse Harlock, avviandosi verso il ponte di comando.

Giunto in plancia, rassicurò i suoi uomini sulle condizioni della ragazza, quindi chiese della sirena.
-Non si è più vista, Capitano. Sarà scesa di sotto.
Harlock annuì e chiamò severo e a gran voce: -Leelaine!- certo che l'onda decisa del suo pensiero l'avrebbe raggiunta.
La sagoma scura della creatura marina si profilò vicino alla parete, poi se ne allontanò per tornarvi dopo qualche momento di esitazione. Attese che si decidesse, poi il volto mesto di Leelaine si sporse timidamente dalla superficie. Fissò l'uomo con gli occhi dall'ampia iride scura che occupava quasi tutta la superficie lasciata scoperta dalle palpebre, come quella di un cetaceo, e il suo pensiero giunse alla mente di lui come un sussurro: "Leelaine non voleva fare del male a Kei. Kei aveva detto di poter nuotare."
Harlock comprese allora quanto accaduto e cercò di essere chiaro con la sirena: -Kei può nuotare, è vero. Ma non può stare sotto la superficie dell'acqua per molto tempo, specie se non è preparata a farlo, a differenza di te, che riesci a respirare sia nell'atmosfera che in acqua.
Era stato Zero a rilevare quella peculiarità, quando l'aveva assistita e ne aveva parlato con il Capitano. Quella caratteristica, assieme ad un occhio circondato da potenti muscoli che facevano variare la forma al bulbo oculare quel tanto che bastava per riuscire a mettere a fuoco le immagini sia sotto che sopra l'acqua, un po' come i delfini terrestri, faceva pensare ad un'evoluzione svoltasi in parte sulla terraferma e poi proseguita negli oceani.
La sirena non disse più nulla, mentre prendeva coscienza della situazione. Poi gli giunsero i suoi pensieri, corredati da truci immagini: "I vostri simili... Coloro che hanno portato la morte nelle nostre acque... È grazie alla loro strana pelle che sono riusciti a stare tutto il tempo che serviva loro in acqua?"
L'uomo comprese che si riferiva a qualche specie di scafandro munita di autorespiratore ed annuì quando quelle dolorose immagini entrarono nella sua mente. Gli aggressori erano ben equipaggiati e non avevano avuto difficoltà a muoversi in un ambiente così avverso.
-È così, Leelaine.- le confermò. -Adesso non preoccuparti più per Kei, si riprenderà presto.
"Non vorrà più nuotare con me" il pensiero gli giunse accompagnato da un lamento sommesso, ma lui si sentì in dovere di rassicurarla: se quella sirena avesse perso fiducia anche nel suo rapporto con Kei, la sua permanenza sulla nave avrebbe potuto farsi difficile.
-Non è detto... Adesso sai quali sono i suoi limiti e farai più attenzione. Probabilmente appena si riprenderà potrai chiederglielo di nuovo.
Cercava di mostrarsi più paziente di quanto avrebbe voluto: non era colpa di Leelaine ignorare la fisiologia umana e poi non voleva spaventarla più di quanto già non fosse.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sotto copertura ***


Fermo al timone, Harlock era nervoso. Il giorno dopo avrebbero dovuto avviare l'operazione alla villa di quel tipo: se Kei non fosse stata in condizioni da affrontare quella farsa, come avrebbero fatto?
La sua partecipazione era indispensabile: se il carico fosse stato quello che anche loro si aspettavano, Kei avrebbe dato il via all'operazione di assalto, in caso contrario sarebbero rimasti nascosti e lei si sarebbe sganciata, così da non doversi rivelare all'effettivo acquirente che cercavano e che stava certamente su quel pianeta. Avevano altri due nominativi possibili, un attacco alla cieca avrebbe portato, in caso di errore, alla perdita del filo sottile che avrebbe potuto dipanare quella intricata matassa.
Meeme fece il suo ingresso in plancia e il lamento sommesso di Leelaine si levò per un istante, prima che un contrariato battere di coda sulla superficie la portasse sott'acqua e poi la sua sagoma sparisse verso il condotto che portava al piano inferiore. Non riusciva ancora ad accettare la presenza dell'aliena di Yura e forse non l'avrebbe mai fatto. Era il suo personale incubo ancestrale, la personificazione dello spirito della morte e il solo vederla la scombussolava, nonostante le avessero spiegato chi fosse e cosa facesse sull'Arcadia.
Harlock guardò la vasca, poi l'aliena. Anche se avesse voluto, Meeme non avrebbe di certo potuto sostituire Kei, era troppo diversa da una donna umana e un trucco olografico non avrebbe certo ingannato i sistemi di sicurezza che certamente monitoravano la villa del riccone. Avrebbe atteso fino a sera che il secondo ufficiale si riprendesse, ma se cosi non fosse stato, si sarebbe dedicato ad un eventuale piano alternativo.

Masu-san era su tutte le furie. -Da quando abbiamo quella cosa a bordo, abbiamo dato fondo alle scorte di pesce! Quando intenderete rimpiazzarle? Stasera non avrò più cosa darle!- aveva esclamato contrariata. Chi la conosceva sapeva che il tono di disprezzo usato dall'anziana donna non era reale... semplicemente aveva un modo di fare un po' brusco: anche lei si era affezionata a Leelaine, solo che, come al solito, non lo dava a vedere. Così un paio di uomini avevano preso un mezzo per recarsi alla cittadina costiera più vicina per accontentare la bisbetica cuoca.
Quando tornarono a bordo dell'Arcadia, circa tre ore dopo, portavano notizie che sembravano dare conferma ai loro sospetti: -Capitano, abbiamo dovuto accontentarci di racimolare qualcosa in giro dai piccoli rivenditori: i quantitativi dei grossisti erano già prenotati da un unico acquirente... Una nostra conoscenza!
-Harold Stray?- chiese Harlock, conoscendo già la risposta.
Se quell'uomo aveva ordinato quel quantitativo di merce, voleva dire che il carico tanto atteso era costituito da qualcosa che faceva del pesce la sua principale fonte di nutrimento, merce rara in quel pianeta semidesertico: e loro, con Leelaine ne sapevano qualcosa.
Chiese a due piloti esperti di sorvolare, non appena si fosse fatto buio, la proprietà presso cui si sarebbe dovuta recare Kei, in modalità stealth, così da non farsi individuare e cercare di rilevare le peculiarità del campo su cui avrebbero giocato quell'importante partita. I due Space Wolf dotati dello speciale equipaggiamento decollarono appena l'oscurità avvolse quella fetta di pianeta e subito dopo Harlock si recò in infermeria per vedere come stesse il suo secondo ufficiale.
Quando aprì la porta per fare il suo ingresso nella bianca stanzetta, la biondina aveva appena finito di rivestirsi e stava indossando il secondo candido guanto.
-Scusami, il dottore mi aveva detto che potevo entrare...- esordì Harlock, giustificando quella inusuale invasione della privacy di lei, che sorrise in maniera rassicurante.
-Non fa nulla, sono praticamente pronta.- chiarì, allacciando un po' più in basso del giro vita il cinturone con la pistola. La sua voce era ancora un po' roca, ma nel complesso sembrava proprio in forma.
-Porterò avanti la missione domani, Capitano, non preoccuparti.
Lui annuì. Sapeva che quella ragazza avrebbe fatto di tutto per non deludere le sue aspettative, ma voleva essere certo delle sue condizioni. Se non fosse stata in grado di continuare la recita della ricca ereditiera di due sere prima, avrebbe pensato ad un altro modo per accedere alla villa.
-Ne sei sicura?
-Certo.- gli disse un po' infastidita da quella richiesta di conferma.
-Allora dobbiamo studiare gli ultimi dettagli. Ti spiace raggiungermi nel mio alloggio?- Le disse, iniziando ad avviarsi.
-Arrivo subito.- Kei prese gli ultimi effetti che le avevano fatto avere dalla cabina e con un sospiro stanco si accinse a  raggiungere l'alloggio poppiero del Capitano.

In quel luogo potevano parlare tranquillamente, senza che Leelaine potesse percepire i loro pensieri: avevano deciso così per non coinvolgerla troppo. Erano presenti i soliti ufficiali, Maji e Yattaran, Meeme. Seduto da solo dal suo lato della scrivania, Harlock giocherellava con un antico tagliacarte d'avorio intarsiato d'oro. Annuì vedendola entrare e le fece segno di accomodarsi nella poltroncina che avevano lasciato libera di fronte a lui. Le chiesero come stesse con gentile premura, e lei li rassicurò con un caloroso sorriso. Tranne che per la voce un po' roca per la salsedine che le aveva irritato la trachea, stava piuttosto bene e presero subito a lavorare per organizzare l'intrusione alla villa di Harold Stray.
Definiti gli ultimi dettagli, in base ai dati raccolti dagli uomini mandati in avanscoperta, andarono a riposare: il giorno successivo sarebbe stato faticoso e carico di tensione.


Gli abiti indossati da Kei non erano eleganti come la sera del ricevimento e non portava vistosi monili. Sembrava piuttosto una studentessa in gita, con tanto di scarponcini, short a mezza coscia e sahariana dalle maniche arrotolate quasi fin sui gomiti a coprire il bianco top minimal teso sul seno. Completava il tutto un cappellino con la visiera e naturalmente la mimetica non avrebbe fatto il suo dovere nella giallastra area desertica, perché le macchie che la costituivano erano in varie e frivole tonalità di rosa.
Sembrava più piccola, indifesa e ingenua di quel che era veramente e il Capitano l'aveva guardata partire con una strana sensazione di disagio in fondo alla gola.
Giunta a destinazione, scese dal mezzo; tirato su dal sedile uno zainetto in tinta con il resto, la ragazza abbassò gli occhiali da sole sul naso e si esibì in un gesto di infantile stupore, vedendo Harold ad attenderla sulla soglia della lussuosa villa. Certamente era stato avvisato dal posto di guardia, che si apriva sulle mura perimetrali del grande possedimento, dell'arrivo dell'ospite; lo avevano varcato pochi minuti prima e si erano avviati sull'ampio viale costeggiato da entrambi i lati da una lussureggiante vegetazione.
-Signore, che meraviglia qui!- esclamò con enfasi, guardandosi attorno e strappando un sorriso all'uomo che poteva essere benissimo suo padre o forse suo nonno.
-Benvenuta cara.- la salutò bonariamente, ammaliato dalla sua fresca bellezza. La lunga coda in cui aveva raccolto i capelli le lasciava scoperto il collo chiaro e ondeggiava sottolineando i movimenti del capo.
-Grazie, signore.- sorrise con maestria, odiando quel ruolo che però doveva sostenere se voleva portare a termine la missione. Lui le porse galantemente la mano e Kei vi posò sopra la sua, accettando l'invito e maledicendolo dentro di sé.
-Chiamami Harold, cara, te ne prego...- le disse, facendola entrare nel sontuoso vano di accesso alla villa rivestito di marmi pregiati. Kei sentì i motori del mezzo che l'aveva accompagnata aumentare la potenza e capì che Yattaran, che fungeva ancora una volta da autista, stava per andare via. Avrebbe voluto girarsi a salutarlo, ma una ricca e snob ereditiera non l'avrebbe mai fatto, così lo ignorò e a malincuore fece il suo ingresso nella tana del lupo.

A parte un rilevatore attivo\passivo, posizionato sottopelle, che non avrebbe destato sospetti perché il suo uso era consueto in certi ambienti di alto lignaggio, non avevano potuto impiantare altro alla povera Kei, che era così da sola a sbrigarsela con quell'uomo. Harlock, in plancia era nervoso e lo sciacquio che annunciava l'arrivo della sirena nella vasca alle sue spalle non lo fece voltare.
Anche se monitoravano dall'Arcadia il traffico da e per la villa, non si sentiva tranquillo. Forse avrebbero dovuto attaccare alla cieca, ma se avessero sbagliato obiettivo, la già segreta rete di contrabbandieri si sarebbe messa sulla difensiva e avrebbe lasciato soltanto il deserto dietro sé. Poteva fidarsi delle capacità di Kei, però...
"Capo Harlock..." gli giunse il pensiero della sirena, stranita dal fatto di essere stata ignorata. Si voltò a guardare quel viso dai grandi occhi scuri che emergevano dalla superficie per fissarlo. Le luci del ponte si riflettevano sull'acqua appena increspata e sui capelli bagnati e sulla pelle lucida. Per l'ennesima volta pensò a quanto fosse strano il fatto che la mitologia terrestre avesse dato un'immagine così fedele di una razza aliena migliaia di anni prima che venisse scoperta. Certo, le sirene terrestri erano molto più umane nei colori, ma Leelaine si avvicinava troppo a quelle descrizioni.
-Cosa c'è? Ti serve qualcosa?- le chiese.
"Kei... Dov'è?" il suo pensiero carico di apprensione lo investì prepotente e la cosa non giovò al suo già cupo stato.
-Lei... Forse abbiamo trovato una traccia su coloro che hanno portato la morte alla tua gente. Kei è andata a verificarla.
Era stato sincero, perché la sirena capiva quando le si mentiva.
"Sarà pericoloso? Sento la tua apprensione." rivelò l'essere acquatico. Harlock ringraziò il fatto che quei pensieri potessero venire recepiti soltanto da lui: non voleva mostrare i suoi timori agli uomini in plancia. Così stavolta si sforzò di risponderle allo stesso modo, senza parlare, concentrandosi su un pensiero chiarificatore: "Sì, ho paura per lei. Ma non voglio che gli altri lo sappiano."
Mentre pensava intensamente la fissava negli occhi, per cercare di capire se lei avesse ricevuto chiaramente quel concetto.
Leelaine inclinò il capo con il suo fare interrogativo e candidamente chiese: "Perché non vuoi che lo sappiano?"
Proprio una bella domanda. Già, perché? La risposta era apparentemente semplice.
"Perché un Capo deve mostrarsi sempre imparziale." e il concetto era chiaro nella sua mente, Leelaine non avrebbe potuto fraintendere.
Invece la sirena sorrise. "Non è per quello. Lo sai. Anche Leelaine lo sa." gli inviò, con un tono che si poteva definire ironico, prima di sparire sott'acqua con un gran colpo di coda. I numerosi schizzi si infransero a mezz'aria, contro il campo di energia che assieme alla paratia conteneva le tonnellate di liquido per preservare le delicate strumentazioni elettroniche della plancia.

Kei non dovette fingere stupore, mentre seguiva il padrone di casa alla scoperta delle meraviglie che l'uomo le stava mostrando per impressionarla.
Dopo averle fatto depositare l'esiguo bagaglio nell'ampia camera per lei preparata, Harold l'aveva pregata di seguirla nel suo personalissimo regno.
L'ampio appezzamento che circondava il nucleo abitativo principale era immenso, suddiviso in decine di settori che richiamavano alla mente gli antiquati giardini zoologici di un tempo, che nelle varie colonie erano ormai sostituiti dalle più ecologiche ricostruzioni olografiche tridimensionali o dai perfetti animali robotici che riproducevano perfettamente gli esemplari selvatici e sorgevano numerosi in tutte le città dei pianeti abitati, a scopo didattico. In questo caso Stray, forte della sua cospicua ricchezza, era riuscito a procurarsi esemplari rari e veri. Ogni zona era climatizzata ed allestita a seconda delle specie che occupava e ampie pareti trasparenti permettevano di camminare per quella specie di corridoio che si snodava tra esse, permettendo loro di proseguire agevolmente. Ogni habitat era una fedele ricostruzione, ma gli animali che le abitavano avevano tutti l'aria triste che è comune a coloro che scontano una pena mai commessa. Quelli non erano ologrammi o ricostruzioni robotiche: erano esseri viventi rari e preziosi, strappati al loro ambiente per finire i loro giorni in una terribile ed ingiusta prigionia.
Kei faticava a tenere a bada l'ira. Avrebbe spaccato tutto, ma non aveva ancora visto nulla che potesse avere a che fare con le sirene. C'erano varie grandi vasche che ricostruivano l'ambiente di enormi predatori acquatici, ma nessun altro esemplare avrebbe potuto dividerle con essi, senza finire da essi sbranato, non potevano essere pronte ad accogliere una sirena. Si costrinse alla calma, doveva assolutamente portare a termine quella missione, se voleva aiutare Leelaine. Guardò i riflessi bluastri dell'enorme acquario in cui nuotava una coppia di grossi e minacciosi plesiomammals di Albireo, sei metri di muscoli, pinne munite di artigli, lunga coda dal l'aculeo velenoso e grandi bocche irte di zanne. Rimasero il tempo di assistere al loro truce pasto, in cui un grosso pesce venne gettato in acqua per finire rapidamente dilaniato da quelle paurose fauci: in pochi minuti non ne rimase nulla, ma presi dalla frenesia del pasto i due animali si lanciarono fulminei contro la parete trasparente, come a voler predare i due spettatori umani.
Kei rimase freddamente al suo posto, mentre Harold, istintivamente, fece un passo indietro, nonostante non fosse la prima volta che gli capitasse una cosa del genere. Si voltò a fissare la ragazza, stupito da quella dimostrazione di sangue freddo.
-Certo che la sai mantenere la calma, tu.- le disse.
Temendo di essersi tradita, Kei lo guardò con gli occhi sbarrati e si riprese rapidamente: -Eh?- finse stupore, poi fece la voce incerta: -Che spavento! Certo che sono bestie davvero paurose! Sono rimasta paralizzata…
L'uomo si rilassò, credendo a quella commedia e rise, poi la rassicurò e proseguirono il loro giro.
Lei si finse meravigliata per quell'assurda collezione, compiacendo Stray con complimenti esagerati sulle decine di rarità che ammirava, mentre dentro sé la rabbia e il disgusto per quell'uomo aumentavano.
Cercò di respingere quei sentimenti, doveva portare avanti la missione con tutto il controllo di cui era capace. Quando capì che la loro confidenza era giunta ad un livello accettabile, si decise a porgergli la fatidica domanda.
-E ciò che aspettavi è già arrivato?- Chiese curiosa, stavolta senza bisogno di fingere.
-Sì, cara, stamane era già all'astroporto e il disbrigo delle pratiche ha preso molto tempo, ma la stanno trasportando qui. Andremo a vederla tra qualche minuto, assisteremo alla sua immissione nel nuovo habitat che ho fatto preparare appositamente. Si trova alla fine del percorso, è qualcosa di veramente spettacolare, sono certo che non hai mai visto prima nulla del genere. E se ti piacerà potrai restare quanto vuoi, per ammirarla!- concluse entusiasta l'uomo, quasi che Kei potesse diventare un pezzo della sua collezione privata.
La fissò lascivo e lei si forzò di sorridergli, fingendosi interessata. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La sirena bambina ***


Raramente metto note, quando lo faccio le piazzo a fine capitolo, a piè di pagina.
Stavolta faccio un'eccezione. Quello che state per leggere è stato un capitolo difficile da stendere, forse il più difficile tra tutti quelli che ho pubblicato fino ad ora in tutti i miei racconti. Se sono andata giù troppo pesante fatemelo notare, le critiche, se costruttive, sono sempre d'aiuto. 
Le persone più sensibili mi perdonino, se possono. 
Grazie






Percorsero l'ultimo tratto, in cui la pirata dovette sorbirsi ancora spiegazioni e aneddoti sui vari animali rinchiusi, per lo più bestie ormai apatiche, intristite dalla prigionia o incattivite al punto da scagliarsi contro di loro, nonostante le solide pareti trasparenti-.
 
Il corridoio terminava in un sontuoso salone, forse adibito a ricevimenti o a rappresentanza, dal pavimento in legno riccamente intarsiato a motivi che richiamavano il mare e il soffitto riproduceva i riflessi che si possono ammirare sulla sua superficie.
Una enorme parete era stata sostituita da una lastra trasparente che delimitava il confine tra la camera e una enorme vasca d'acquario. Era piuttosto spoglia, il fondale roccioso decorato da qualche sgargiante concrezione corallina che appariva fuori luogo e anacronistiche colonne di marmo chiaro dalla foggia classica ne ornavano i lati, sia internamente alla zona sommersa, che al suo esterno, come a richiamare una mai dimenticata Atlantide perduta ormai da troppo tempo.
Piccoli banchi di colorati pesci tropicali guizzavano spaventati tra le rocce e i coralli. Era la riproduzione di un mare qualunque, era tutti gli oceani e nessuno in particolare, la ricostruzione fatta con un'approssimazione vergognosa, eppure quell'uomo ne era entusiasta. Dopotutto non si conosceva nulla di quella specie, su cosa avrebbero dovuto basarsi gli esperti?
Un uomo in livrea scura venne ad informare il padrone di casa dell'inizio della procedura tanto attesa e lui invitò la ragazza ad osservare bene quella meraviglia.
Tesa, Kei ormai annuiva distrattamente alle parole di quell'uomo, mentre guardava con interesse i nuovi arrivati che seguivano le indicazioni degli esperti di Harold; le due squadre si coordinarono nell'ambiente di servizio attiguo alla vasca per introdurre il nuovo inquilino nel grande acquario e si scorgevano le loro sagome distorte lavorare oltre la superficie dell'acqua e le voci concitate dare ordini o rispondere agli stessi.
Con uno scroscio improvviso, la creatura fu gettata nella sua nuova prigione circondata da migliaia di bolle d'aria impazzite, e mentre Harold fissava entusiasta il suo ultimo e raro acquisto, a Kei si gelò il sangue nelle vene.
Molto più piccola di Leelaine, la sirena sembrava una bimba; era stata maltrattata e la piccola coda argentea era strinata da lunghe scie rossastre dove le delicate squame erano saltate via. La pinna caudale era a brandelli e della dorsale non restavano che poche tracce.
Affondava come se fosse senza vita, di schiena, le braccine magre abbandonate, distese verso l'alto a causa del movimento, nella muta attesa di un abbraccio che non sarebbe stato ricambiato, i lunghi capelli argentei a coprire il visetto emaciato.
Era uno spettacolo straziante, ma il padrone di casa non sembrava accorgersene, mentre con infantile entusiasmo poggiava i palmi delle mani sulla parete trasparente e vi avvicinava il viso pieno per osservare meglio il nuovo acquisto.
-Guarda! Guarda, Lorelai, hai mai visto nulla del genere?- chiese a Kei, che così si riscosse dall'orrore in cui l'aveva gettata quella vista.
Scosse lentamente il capo e ricordò di lanciare il segnale d'attacco, spegnendo e accendendo per due volte di fila il rilevatore che portava sottopelle, e senza farsi notare premette un preciso punto alla base della gola, dove era posizionato l'invisibile impianto.
In quel momento la piccola sirena aprì gli occhi, si voltò a guardarli e si soffermò a fissare la donna. "Madre, aiutami..." le giunse debole il suo pensiero, mentre tendeva una manina palmata verso di lei, in una supplica che non poteva essere ascoltata fino a quando non fossero giunti quelli dell'Arcadia.
"Resisti, ti riporteremo a casa, piccola." cercò di inviarle col pensiero Kei, ma la creaturina chiuse gli occhi abbandonandosi sul fondo e non le diede più risposta.
Vedendo il viso sconvolto della donna, Harold cercò di rassicurarla: -Non preoccuparti, ragazza mia, il tempo di ambientarsi e guizzerà come un pesciolino!- esclamò fiducioso Harold.
Lei si voltò a guardarlo e in risposta gli si scagliò contro, impulsivamente, spingendolo con violenza tale da fargli perdere l'equilibrio e troncando così una recita che le stava stretta da troppo tempo.
-Idiota!- gli urlò contro -Non vedi che è solo una bimba e che sta morendo?
Naturalmente non ebbe il tempo di ricevere risposta che due uomini al servizio di Harold irruppero e la immobilizzarono, mentre altri due aiutavano il loro padrone a rialzarsi. Il volto livido per la rabbia, l'uomo la fissò severamente e le chiese: -Cosa ti prende, ragazza? Cosa credi di fare?
Kei lo fissò freddamente, pentendosi un po' per quello scatto d'ira che poteva metterla in serio pericolo, se non fosse riuscita ad inventarsi qualcosa o se l'Arcadia non fosse giunta in tempo, nonostante fosse uscita dal canyon mettendosi già in orbita geostazionaria sulla perpendicolare della villa, in contemporanea con l'ingresso di lei nella tenuta.
In quel momento un rombo cupo fece vibrare ogni cosa, permeando l'aria e il sibilo dei laser echeggiò all'esterno.
-Che succede?- Si chiesero  con evidente preoccupazione gli occupanti della sala, e Kei, seppur strattonata, rise.
-Sei nei guai, Signore!- cinguettò adorabile, per un solo momento di nuovo nei panni della svampita Lorelai, all'indirizzo di Harold Stray -Credo che siano arrivati i pirati!
La pistola che le avevano puntato addosso cadde dalle mani dell'uomo che la teneva sotto tiro, la mano centrata dal laser di Yattaran, e lei fu pronta a gettarsi a terra per impugnarla e usarla come sapeva ben fare.
La lotta non durò molto grazie all'esperienza dell'equipaggio della nave pirata che agì con ferma prontezza, abbattendo, disarmando e imprigionando il personale della villa. Harlock fece il suo ingresso con la Gravity Saber in pugno e il suo sguardo si indurì seguendo il movimento del suo Secondo ufficiale, che si era portata alla vetrata e stava gridando alla piccola sirena di resistere.
Afferrò per il bavero della giacca Harold e lo strattonò con violenza: -Da dove si accede alla vasca?- gli urlò in viso, preso da un'urgenza che l'altro sembrava non capire.
Uno degli uomini si offrì di condurlo al locale di servizio e rimessa l’arma nella fondina, slacciato il cinturone lo consegnò a Kei.
-Continua a tenere sotto tiro quell'uomo- le disse. Non temeva certo di correre pericoli, la villa era sotto il controllo dei suoi uomini e dell'Arcadia, ma la prudenza non era mai troppa.
Pochi minuti dopo lo videro immergersi, il mantello stretto nel pugno, nuotare sicuro verso il corpicino abbandonato e tendere una mano ad afferrarla. Vicino a lui la piccola sembrava ancora più minuta... Se la portò al petto per riemergere e più che vederlo, intuirono il movimento che lui fece una volta giunto in superficie, per avvolgere il mantello bagnato attorno alla sirenetta per evitare che si disidratasse.
La portò così presso Kei, il volto di pietra, grondando acqua dai capelli, dagli abiti e dal mantello avvolto a proteggere la bimba indifesa, incurante della scia che irrimediabilmente rovinava il pavimento prezioso di legno raro.
Lei gli si fece incontro, ma ciò che gli lesse in viso era troppo doloroso da accettare.
-Non so se il dottor Zero riuscirà a fare qualcosa per lei...- mormorò il Capitano, il tono appena incrinato da qualcosa difficile da definire.
Lasciarono gli uomini al comando di Yattaran a sorvegliare i prigionieri, quindi salirono a bordo per cercare di salvare la piccola che giaceva abbandonata tra le braccia di Harlock.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Canto di morte ***


Il lamento che si levò sull'Arcadia era così impregnato di dolore che portò alle lacrime gli uomini che non erano scesi al suolo e anche la nave parve gemere con quello strazio così profondo.
Leelaine strinse tra le braccia la piccola ormai senza vita in una dimostrazione di sofferenza che lacerava l'anima.
Non erano arrivati in tempo: la bimba non era sopravvissuta al rapimento, alla violenza e alla dura prigionia. Ancora bagnato fradicio, rigido in piedi vicino alla vasca dell'hangar, Harlock era muto, l'espressione impenetrabile. La bimba aveva smesso di respirare tra le sue braccia, appena a bordo dell'Arcadia e Zero non aveva potuto fare nulla per lei, nonostante i numerosi tentativi che aveva fatto per rianimarla. Il mantello che era stato il suo nero sudario fino a che l'avevano portata alla vasca per consegnarla a Leelaine, adesso galleggiava sulla superficie come un grande pipistrello dalle ali nere.
Kei piangeva inginocchiata sul pavimento, ancora vestita con quell'assurda mimetica rosa, la coda di biondi capelli mezza disfatta, ormai bassa sulla nuca. Quando Harlock si mosse le si fermò vicino e rigido, senza chinarsi su di lei, le ordinò: -Va' a cambiarti. Scenderemo subito ad interrogarlo.
Il tono duro gelò la donna, che fermò il suo sfogo in un singhiozzo strozzato. Non lo guardò allontanarsi, ma ne udì il passo farsi distante e provò una indescrivibile rabbia cieca anche verso di lui, così distaccato anche in quella tragica situazione. Allora scattò in piedi e lo rincorse, lo superò. Interruppe il suo cammino ponendoglisi davanti, furente. Harlock attese con la consueta calma che Kei parlasse, con i capelli che ancora gocciolavano disordinati sul viso bagnato, ma lei restava muta, il viso chino.
-Fammi passare Kei Yuki.- le disse allora.
Lei alzò le braccia e, posati i palmi delle mani sul suo petto umido, lo spinse. Lui barcollò un paio di passi indietro, non aspettandosi quel gesto, poi rimase ben piantato al suo posto.
-Cosa ti prende?- sibilò severo, irritato da quel comportamento.
-Perchè sei così?- gli urlò in faccia, l'eco a rimbombare per il corridoio deserto -Sei così freddo! Nemmeno la sua morte riesce a sconvolgerti?
Il Capitano coprì rapido la breve distanza che li separava e afferratola per le spalle, piantò lo sguardo sul viso di lei : -È necessario che sia così. Non lo capisci?- le disse a bassa voce, ancor più duramente. Poi la spostò per farsi spazio e proseguì per la sua strada, il passo pesante.
Lei rimase immobile col capo basso, furente con quell'uomo che troppo spesso non riusciva a comprendere. Ma era il Capitano e aveva già osato troppo... Non le restava che obbedire per tornare sul pianeta a scoprire quanto più possibile su quel traffico infame.
Dopo essersi asciugato e cambiato d'abito, il Capitano attese Kei all'hangar. Leelaine era sparita con il corpo della piccola a piangerla da sola, ma il mantello era rimasto a galleggiare scuro sulla superficie della piscina. Harlock ordinò ad uno degli uomini di ripescarlo e farlo avere a Masu-san, avrebbe provveduto lei a rimetterlo a posto. L'aveva affrontata pochi minuti prima Yattaran, e la bisbetica vecchietta aveva dimostrato tutto il suo dolore nell'apprendere del triste epilogo della vicenda asciugando le lacrime col grembiule che usava portare.
Kei non aveva tutti i torti, ma lui non poteva permettersi di cedere, di lasciarsi andare ai sentimenti, non in quel momento. Non sarebbe stato di aiuto a nessuno, men che meno alla riuscita di quella missione che avevano spontaneamente preso in carico. Tuttavia era furente con Harold Stray ed era deciso a scoprire da lui anche l'impossibile, su quella vicenda.
La vide avvicinarsi tesa, l'espressione indecifrabile che contrastava con gli occhi arrossati dal pianto. Gli porse il cinturone con le armi che aveva custodito sino a quel momento e lui la ringraziò con un cenno del capo, quindi si premurò di allacciarlo in vita e si diressero nuovamente all'esterno. Non ci furono parole tra loro... Era ancora troppa la tensione che li divideva e nessuno dei due sembrava intenzionato a fare il primo passo.
Entrati nell'edificio, misero piede nella sala della vasca, ormai irrimediabilmente disabitata dalla creatura per la quale era stata costruita, e constatarono che gli uomini avevano immobilizzato Harold e i suoi complici\servitori per benino, legandoli alle lussuose sedie che avevano trovato attorno all'enorme tavolo posizionato al centro dell'ambiente.
Kei si guardò intorno, muovendosi sicura nelle sue consuete vesti di pirata in quell'odiato salone, camminando a fianco del suo Capitano.
L'uomo di mezza età che aveva ingannato la fissava rabbioso, senza riuscire a capire come aveva potuto farsi trarre in inganno da quella ragazzina dall'aria svampita. E capì cosa gli fosse piaciuto di lei, al party di quella sera: era come uno dei suoi rari esemplari, bellissima eppure letale, forse quanto la tigre dalla lucente pelliccia blu di Shedir, o anche di più. Capì perché non si era spaventata di fronte all'aggressività dei plesiomammals. Avanzava sicura accanto a quel pirata dall'oscura fama, per nulla intimorita dalle sue nere vesti che ai suoi occhi apparivano come l'uniforme della Morte. E gli venne quasi da ridere, mentre pensava di aver creduto che lei lo trovasse davvero interessante... un inganno vecchio quanto l'umanità e lui, sicuro della sua ricchezza e dei suoi averi, non l'aveva capito, cascandoci in pieno.

L'acqua della vasca dispensava riflessi che adesso apparivano inquietanti, alla luce di quella assurda morte di un'innocente.
Harlock si diresse con passo deciso verso il proprietario della tenuta, il suo viso reso familiare dalle numerose apparizioni dell'uomo sulle rubriche mondane, diligentemente raccolte sull'Arcadia per quell'indagine. Lo fissò un attimo, poi lo colpì al viso, fulmineo e violento, così forte da scaraventarlo sul pavimento con tutta la sedia dall'alta spalliera a cui era assicurato.
Il silenzio calò sulla sala. Gli uomini, sia quelli facenti parte dell'equipaggio dell'Arcadia che il personale in servizio rimasero attoniti davanti a quello scoppio d'ira e Kei fu quasi intimorita dall'inaspettata reazione del suo Capitano. Di certo aveva dimostrato di non essere poi così impermeabile a ciò che era accaduto e la cosa indiscutibilmente le faceva piacere.
Rimessa in piedi la sedia col suo occupante con le sue stesse mani, il pirata si chinò a fissare minaccioso l'uomo che aveva davanti. Dal canto suo, Harold Stray, fissando quello sguardo che pareva emanare furiosi lampi dorati, iniziò a capire quanto valesse il detto “farsela sotto dalla paura” quando sentì un calore umido e fastidioso al cavallo dei pantaloni propagarsi tra le cosce. L'acre odore dell'urina appestò ben presto la sala, disgustando i presenti e sciogliendo la lingua al malcapitato.
Seguendo l'esempio del padrone, coloro che erano al servizio di Harold non ebbero remore a riferire quanto sapevano e vari nuovi tasselli andarono a colmare i vuoti che gli uomini dell'equipaggio dell'Arcadia non erano riusciti a colmare.
Acquisiti i dati richiesti, i pirati si apprestarono a tornare a bordo della loro nave e la bionda pirata fissò per un istante il ricco proprietario di quei possedimenti con gelido cipiglio, al punto che quello dovette distogliere lo sguardo.

Harlock fu l'ultimo a tornare a bordo e appena giunto in plancia diede l'ordine di partenza immediata.
Quando la grande astronave si alzò nuovamente alla volta dello spazio profondo, Kei guardò con rammarico il pianeta farsi piccolo sotto di loro.
-Mi spiace non essere riuscita a fare qualcosa anche per gli animali rimasti in quella prigione...- mormorò delusa.
-Torneranno presto ai loro habitat di appartenenza. Il nostro amico comune mi ha promesso che impiegherà tutte le sue risorse affinché questo avvenga. Gli ho detto che tornerò a trovarlo per verificare...- Disse lapidario Harlock.
Kei, dalla sua postazione si voltò a guardare il Capitano in piedi al timone e gli sorrise calorosamente. Poi le tornò alla mente il compito che avevano da svolgere una volta impostata la rotta e quella momentanea felicità le morì sulle labbra.
 
Farsi ridare dalla sirena il corpo della bimba si stava rivelando difficile. Avevano ritenuto giusto che Leelaine la vedesse, nasconderle la cosa sarebbe stato impossibile, ma non avevano contemplato la possibilità che accadesse lo spiacevole inconveniente.
Kei stava tentando di convincerla, implorandola per l'ennesima volta, quando comparve il Capitano. Era stato informato di quel che stava accadendo ed era sceso all'hangar col suo cupo umore.
-Leelaine!- esclamò severo -Porta subito qui quel corpicino prima che si cominci a decomporre e appesti tutta l'acqua! Ti prometto che la tratteremo con rispetto.
Era stato bruscamente duro, ma non potevano permettersi di perdere ancora tempo.
Un sibilo rabbioso provenne dalla testa che sbucò nell'angolo più lontano da loro. Kei la supplicò ancora una volta, ma ottenne lo stesso risultato. Masu-san si torceva le mani in un angolo e solo allora Harlock tuonò: -Meeme!
Contemporaneamente all'ingresso dell'aliena, il sibilo mutò in un lamento cantilenante. Quando Meeme si avvicinò al bordo della vasca e tese le braccia, la sirena, obbediente, si avvicinò e le affidò la piccola salma. Le aveva intrecciato i lunghi capelli in maniera elaborata, usandoli per occultarle il visino e fermare le manine al corpicino in maniera composta. Doveva essere parte del rituale del suo popolo e i pirati compresero e rispettarono quel volere.
Portarono via la piccola senza vita per metterlo in un campo di stasi e solo Kei rimase con Leelaine.
-Perchè non l'hai affidata a me?- le chiese contrita. L'altra la fissò a pelo d'acqua, non le rispose e si immerse senza sollevare una sola goccia. Sconfitta, la ragazza si avviò verso l'uscita dell'hangar e appena fuori vide la scura sagoma del Capitano. Ancora senza mantello sembrava meno imponente, meno minaccioso, ma lei sapeva che non era meno letale.
Fu lui a darle la risposta desiderata: -Non poteva affidarla alla Vita. Per questo si è arresa alla presenza di Meeme e l'ha lasciata a colei che per lei rappresenta la Morte. Non te la prendere, adesso abbiamo altro di cui occuparci.
Il tono pacato che Harlock aveva usato la rasserenò un po' e annuì. Come sempre sapeva cosa dire per renderle le cose più facili.
Oltretutto avevano una pista e dovevano seguirla il più presto possibile, se non volevano che si ripetesse la tragedia con le altre sirene rapite.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Verso Andromeda ***


Le informazioni ottenute da Stray e i suoi uomini portavano lontano, quasi al bordo più esterno della spirale galattica, non troppo distante dal Sistema Solare, ma in una zona ancora più rarefatta. La densità stellare più bassa della media e i campi radioattivi abbastanza contenuti, non avevano nulla a che vedere con la fascia intermedia o, peggio, alla zona prossima al nucleo galattico.
Non era un settore molto battuto dalle rotte commerciali o militari. Le grandi distanze tra le stelle rendevano la navigazione lunga, poco adatta agli scambi commerciali per le astronavi che non erano in grado di effettuare i balzi interstellari come l'Arcadia.
Il riccone aveva preso accordi per avere spedita la piccola sfortunata sirena, aggiudicata ad un’asta segretissima, presso un indirizzo virtuale ormai inesistente, prudentemente cancellato ormai da tempo. Però sapevano da dove era partita la comunicazione: era un buon punto di partenza.
Alle precise coordinate galattiche che avevano ottenuto da un uomo di Harold, doveva trovarsi un'ambigua ed antiquata stazione spaziale, crocevia di ogni tipo e razza di astronauti che circolavano in quella zona, soprannominata Andromeda. Si diressero verso quella meta: Kei aveva calcolato che l'avrebbero raggiunta in un paio di balzi mirati, in tutto quattro o cinque giorni di viaggio.
Li passarono ad organizzare l'azione nel minimo dettaglio, dovevano molta fare attenzione perchè era la zona di competenza di coloro che avevano preso d'assalto il pianeta di Leelaine e certamente non era gente con cui poter discutere pacificamente, se li avessero incontrati. Inoltre sarebbe stato difficile riuscire a rintracciare tutte le sirene rapite per riportarle al loro pianeta d'origine. A tale scopo, un geniale Yattaran, con l'aiuto delle competenze mediche di Zero, aveva allertato le solite reti parallele a quella legale, diffondendovi un video in cui si minacciava di un'oscura malattia che veniva trasmessa a coloro che avrebbero avuto a che fare con quelle creature, dai sintomi inimmaginabili che potevano anche comparire anni dopo il primo contatto e diagnosticabile esclusivamente con un apposito marker non reperibile nel resto della Galassia. Prometteva un vaccino/antidoto a tutti coloro che avessero contribuito a ritrovare e riportare le sirene, nel più assoluto anonimato, in qualsiasi condizione fossero, presso un punto preciso non troppo lontano dall'asteroide artificiale che avevano richiamato dalla sua rotta: il mare di Ombra di Morte avrebbe dato ospitalità ad un bel po' di esotiche creature, se le cose fossero andate per il verso giusto...
Misero l'Arcadia ad orbitare presso il satellite, stazionato a cinque parsec dalla base sospetta, pronta a monitorare ogni eventuale pericolo, sotto il comando del primo ufficiale che avrebbe diretto le operazioni con l'assistenza del capo ingegnere, mentre la squadra di Space Wolf, al seguito del Capitano, si dirigeva verso la base spaziale indicata.
Senza l'Arcadia a proteggerli sarebbe stato pericoloso, ma se volevano evitare che quanto accaduto alla piccola di cui nemmeno conoscevano il nome, non si ripetesse, separarsi dall'astronave era l'unica cosa che potevano fare.
Kei aveva spiegato a Leelaine cosa si apprestavano a fare, anche se da quando la piccola era morta la sirena si era mostrata scostante. Aveva parlato piano, ma scandendo bene le parole alla superficie tranquilla della piscina, certa che il suo pensiero sarebbe giunto comunque alla sirena. L'aveva salutata senza ricevere risposta, e col cuore pesante si era avviata al suo Space Wolf, il casco tra le mani, cercando di concentrarsi al compito che doveva svolgere. Non si accorse di Leelaine che emerse quel tanto che bastava per guardarla partire con la squadra di navette alla volta della base Andromeda.
Avvistarono la stazione spaziale che orbitava pigra ad una considerevole distanza da una giovane e non troppo grande stella gialla che ricordava il sole. Come concezione rispondeva a quelle in uso da una cinquantina d'anni, un unico modulo lungo svariate decine di chilometri, che ruotava su se stesso per creare una forza di gravità artificiale a basso costo a tutta l'area abitata che si sviluppava lungo le pareti del cilindro che costituiva il corpo principale, secondo il vecchio, ma sempre funzionante sistema O'Neill.*
Kei chiese il permesso d'attraccare e il volto gioviale di uno spaziale sulla quarantina nella sua uniforme grigia e blu, acconsentì ad assegnare un'area a tutta la squadra, che era formata da sei Space Wolf.
Rullarono sulla pista per fermare le navette affiancate una all'altra nella zona assegnata, nella sezione quarantadue. Ne balzarono giù agilmente e il Capitano non tardò a radunarli intorno a sé. Avevano già pattuito la strategia da attuare, quindi non si persero in convenevoli e si separarono come d'accordo per investigare su una più ampia area della base.
Harlock accostò Kei; aveva lasciato che fosse lei ad espletare le operazioni d'attracco in quanto capo squadra degli Space Wolf e si fermò a guardarla, un po' cupo. Da quando si erano scontrati nel corridoio dopo la morte della piccola sirena, un leggero risentimento sembrava aleggiare sul loro rapporto, soprattutto da parte della donna e la cosa gli dispiaceva.
Ma aveva altro a cui pensare in quel momento, così preferì lasciar perdere quella specie di autoanalisi e si limitò a salutarla per avviarsi nella sua zona d'azione.

Era bello per Kei passeggiare liberamente per le vie di quella cittadina, anche se sotto il cielo artificiale della base. Sapeva bene che oltre la lucente nebbia lattiginosa delle nubi artificiali non c'era lo spazio, ma un'equivalente tratto di atmosfera e poi un'altra fetta di città. O di boschi. O di qualsiasi altra cosa avessero progettato coloro che avevano realizzato la stazione spaziale. La strada era percorsa da gente di ogni tipo, indaffarata a portare avanti la propria vita coi mezzi che disponeva. Le vetrine dei negozi erano varie e ordinate, nella monotona progettazione urbanistica della base che prevedeva i moduli abitativi e commerciali tutti uguali, contrassegnati da numeri progressivi e ben evidenti sulle facciate. La luce andò facendosi sempre più grigia, come i nuvoloni che si erano condensati sulle teste dei passanti, fino a che una voce femminile scandì dagli altoparlanti l'annuncio dell'inizio del prossimo evento atmosferico in capo ad una mezz'ora. Di certo sarebbe piovuto abbondantemente, dato che era stato classificato di medio-alta intensità.
In quei sistemi chiusi il controllo di umidità, calore ed energia accumulata e/o dispersa nell'atmosfera veniva regolato minuziosamente, affinché il ricambio d'aria e il ciclo dell'acqua sostentassero i suoi abitanti; e non dovevano esserci errori, perché un errato smaltimento dei rifiuti o una mancata compensazione dell'anidride carbonica con l'ossigeno poteva portare alla totale catastrofe. Gli alberi e le piante avevano le loro necessità da soddisfare per riuscire rifornire quel sistema protetto dell'ossigeno che abbisognava, e la pioggia era una di queste.
I deflettori sulle vie avrebbero richiesto una notevole quantità di energia, così ne avevano semplicemente fatto a meno e la ragazza cercò riparo in un centro commerciale di medie dimensioni. Se fosse stata di lieve intensità, le sarebbe piaciuto camminare sotto la pioggia che non vedeva da tanto, ma lo scroscio in atto era davvero intenso e ne avrebbe ricavato soltanto di assomigliare ad un pulcino bagnato.
Si avviò verso la zona ristoro: aveva voglia di qualcosa di caldo, nell'aria che si era fatta umida, e poi erano i posti migliori in cui drizzare le orecchie per scoprire qualcosa... A tavola tutti distendevano i nervi e sembrava che le lingue si sciogliessero di fronte ad un buon pasto. Essendo zona franca l'intera stazione spaziale, non avevano lasciato a bordo le insegne piratesche... Non erano gli unici ricercati in giro e fino a che non si combinavano guai turbando la pace comune, nessuno avrebbe fatto caso a lei.
Sedette ad un tavolino vicino la grande finestra che dava sulla strada, poco distante dal bancone di servizio e ordinò una sfoglia dolce ed un the. A differenza dell'effetto che faceva ad altri, la pioggia non le metteva malinconia, guardarla la rilassava. L'acqua le piaceva sotto tutte le sue forme ed era incantata sia da uno scroscio improvviso, che dalle onde del mare o dallo scorrere di un fiume. Pur non essendo una sirena come Leelaine, la sentiva vicina nello spirito, quella creatura delle profondità oceaniche. E forse la pioggia le mancava in particolare perché a bordo di un'astronave gli eventi atmosferici semplicemente non esistevano.
Passò mezz'ora e la pioggia terminò puntuale, cinque minuti dopo che la stessa voce femminile di prima annunciò la fine dell'evento atmosferico programmato. Terminò di bere il suo the, pagò la consumazione ed uscì. 



*https://it.wikipedia.org/wiki/Cilindro_di_O%27Neill

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Nuovi accordi ***


Kei non aveva ricavato nulla dalle chiacchiere degli altri avventori ed ebbe la sensazione che il Capitano le avesse affidato una zona troppo tranquilla perché potesse scoprire qualcosa. Con il nervoso che tornava a far capolino nella sua mente, attivò il comunicatore per chiamarlo e protestare, ma fu preceduta.
-Kei, mi senti?- era la voce profonda e pacata di Harlock.
-Ti ascolto. Cosa c'è?
-Trovato nulla?
-No. Qui c'è anche troppa calma. Voi?
-Sembra che Lou abbia scoperto qualcosa, ci stiamo dirigendo verso il settore nove.
-Vi raggiungo.
Lo scambio di battute era stato piatto e rapido. Consultò la mappa virtuale che appariva a richiesta all'utente che desiderava consultarla e si diresse verso il settore nove. Lei era al primo, quindi se fosse andata a piedi ci avrebbe impiegato almeno mezz'ora e aveva una certa urgenza di raggiungere gli altri, così fermò un robomezzo e gli indicò la destinazione. In cinque minuti raggiunse la sua meta e vide che Harlock aveva già raggiunto Lou assieme ad un altro uomo della ciurma, Will.
A passo svelto attraversò la strada e li affiancò. -Cosa abbiamo?
Lou era un uomo alto e magro come un chiodo, dalla pelle chiara e il volto coperto da efelidi che accompagnavano i capelli rossi tenuti corti sotto la bandana nera. La cosa più viva di lui erano i vivaci occhi verdi degni di un leprecauno. Rispose con l'accento distinto che tanto divertiva Kei quando lo sentiva parlare tra gli altri pirati di abitudini ben più rozze: -So di un gruppo di ricercatori che si sono scontrati con un ciurma di pirati che avevano ucciso un esemplare giovane di balena astrale, una specie rarissima e poco conosciuta, presente in questo settore. Hanno perso una nave e molti membri del team di ricerca, nel tentativo di salvare l'animale.
Non c'era dubbio che fosse la pista giusta.
-Dove possiamo trovarli?- chiese il Capitano.
Lou indicò la campagna che si apriva ai lati della strada una ventina di metri dalle ultime costruzioni di quella periferia. -Hanno una sede a otto chilometri da qui. Un paio d'ore a piedi, dato che i robomezzi non escono dalle città: c'è il rischio che investano gli animali e qui ogni singolo coniglio è importante affinché l'equilibro venga rispettato.
Harlock li sorprese quando disse: -Will, attendi qui Luc e poi raggiungeteci. Andremo avanti noi. Ci terremo comunque in contatto.
Si incamminarono di buon passo nella direzione indicata da Lou. Per Kei fu un'esperienza rilassante al punto che il sorriso non le abbandonò le labbra per tutto il tragitto. Dopo la pioggia programmata, la luce del sole, convogliata da appositi riflettori, accendeva di mille riflessi le foglie bagnate degli alberi e l'aria odorava di erba umida. Era un'esperienza che, sebbene fosse condotta in un l'ambiente artificiale, non era loro consueta. Il Capitano non mancò di notare l'aria allegra del suo secondo ufficiale e per un attimo soltanto si immaginò a con lei a trascorrere un pomeriggio lontano dai pericoli e dai problemi quotidiani. Si riscosse da quel pensiero strano e si chiese da dove potesse arrivare un desiderio simile... La guardò di nuovo, senza farsi notare troppo, e la stretta allo stomaco di giorni prima, di quando le aveva messo la collana la sera di quella festa, lo prese nuovamente. I capelli biondi sembravano risplendere alla luce calda di quella stella gialla e le incorniciavano il volto dalla pelle chiara che sfoggiava le gote già arrossate dal calore e dal sole. Avrebbe voluto prenderle la mano, ma non lo fece. Si rinchiuse ancor più in se stesso, trincerandosi dietro il senso del dovere e di tutte le responsabilità, dimenticando la sua giovane età e la normalità che avrebbe meritato. Non poteva permettersi di pensare ad altro, l'Arcadia e il suo equipaggio dipendevano da lui.

La costruzione bassa era immersa nella vegetazione. Il tetto era sormontato da antenne per le comunicazioni interstellari e due mezzi erano parcheggiati negli appositi spazi.
La porta era aperta su una specie di reception deserta e dietro il bancone si apriva una porta che conduceva nel resto dell'edificio, probabilmente uffici e laboratori.
Un video che copriva la parete di destra era sintonizzato su un canale tematico dedito a presentare le meraviglie naturali della Galassia, mentre quella opposta era dipinta a vivaci colori da una mano non troppo esperta e rappresentava un fantasioso fondale marino.
-C'è nessuno?- chiese energico Lou, dopo aver scambiato un'occhiata.
Dalla porta socchiusa posta dietro al bancone, uscì una graziosa ragazza di certo più giovane di Kei.
-Scusate l'attesa, ma abbiamo....- la voce, partita con entusiasmo, terminò la frase con disappunto, per lasciarla incompiuta.
-Fuori di qui.- aggiunse subito dopo, chiaramente contrariata dalle loro piratesche insegne.
-Abbiamo bisogno di parlare con un responsabile...- cominciò a dire Harlock con un tono che non ammetteva repliche.
-Con voi non parlerà proprio nessuno invece. Fuori di qui!- replicò, infervorandosi lei.
Harlock le voltò le spalle e disse ai suoi: -Andiamo, riporteremo le sirene al pianeta delle balene astrali per conto nostro.
Lou e Kei lo seguirono senza dire una parola, ma a quell'ultima affermazione, lei li fermò.
-Aspettate! Cosa sapete sul pianeta delle balene?
I pirati si voltarono a guardarla: la prima barriera era stata infranta.

Mezz'ora dopo, stavano discutendo in una saletta privata. La diffidenza da entrambe le parti era palpabile. I due membri dell'Associazione che si erano presentati come i responsabili del progetto di ricerca, un uomo e una donna, non vedevano di buon occhio pirati che portavano le stesse insegne di coloro con cui si erano duramente scontrati, e quelli dell'Arcadia non volevano esporsi troppo su ciò che sapevano.
Harlock, rimasto in piedi, le braccia incrociate al petto, stava in silenzio, austero come sempre. L'uomo che aveva preso il posto del responsabile che si era occupato dell'organizzazione, perito nello scontro nello spazio, stava convincendosi a dare loro la fiducia che chiedevano, convinto della loro sincerità in merito dalle parole di Kei, che aveva esposto a grandi linee la loro esperienza.
-Se ciò che dite è vero, il problema è più grande di quel che credevamo. Non sappiamo molto delle balene astrali: è una specie unica nel suo genere, scoperta da meno di un anno e ancora oggetto di accese discussioni con gli esperti. Vi spiego: non dovrebbero nemmeno esistere.
I pirati lo fissarono attenti. Pur avendo visto le cose più strane, lo spazio continuava a stupirli nella varietà di forme che lo abitavano. Quando avevano sentito di quegli esseri da Leelaine, il dubbio sulla loro effettiva esistenza, condotta a quel modo, era comunque rimasto: la cultura della sirena sembrava basata su miti e credenze difficilmente verificabili, così avevano preso quelle immagini mentali per un qualcosa di fantasioso. E nonostante Harlock avesse ricevuto quelle immagini del pianeta visto dall'alto, aveva pensato a falsi ricordi costruiti sul trauma del rapimento che aveva condotto Leelaine al di fuori del suo elemento, stralci visti dall'astronave.
L'uomo, che si era presentato come Marc, spiegò loro ciò che sapevano su quelle fantastiche creature: -Gran parte dei dati sono andati persi con la perdita della Free Keiko, la nostra nave di ricerca. Non sappiamo dove stesse andando quel branco, quando quei pirati le hanno attaccate, non sappiamo nemmeno da dove venissero... Però devono essere creature straordinarie, era la prima volta che le intercettavamo, dopo la loro casuale scoperta di una nostra navetta, sempre nello stesso settore di spazio.
-Ma come fanno a sopravvivere nel vuoto interplanetario?- Kei era curiosa su quella che, giustamente, sentiva essere una specie davvero unica.
Marc la guardò e disse: -Crediamo che riescano a creare, chissà come, un autonomo campo gravitazionale o a deformare quello dei pianeti tra cui transitano... Fatto sta che riescono a sfuggire dalla gravità planetaria per lanciarsi nello spazio e a muoversi come fa una qualsiasi astronave. Il tutto portandosi dietro tonnellate d'acqua sufficienti per il viaggio. Di una cosa siamo certi: partono solo i maschi adulti e tornano indietro solo maschi adulti con i giovani. E non risentono delle radiazioni letali delle stelle, né del vento stellare o di tutto ciò che ucciderebbe noi in un solo istante. Non avevamo i mezzi adatti a seguirli, così ci è rimasta ignota la loro meta.
Harlock intervenne: -Coincide con quanto ci ha detto Leelaine. Le loro femmine non sono in grado di seguirli, così i maschi partono dall'oceano del pianeta che condividono con le sirene, vanno a riprodursi e poi tornano indietro, portandosi dietro i giovani ormai svezzati. A volte, nei loro viaggi portano con sé le sirene, credo che per il loro popolo sia una prova di passaggio alla maturità, o qualcosa di simile. Credevano che fossero le balene astrali che tornavano, quando hanno visto le sagome delle astronavi dei pirati che hanno portato la distruzione alla loro popolazione.
-In effetti hanno dimensioni tali che potrebbero benissimo essere scambiate per astronavi.- convenne la donna, parlando per la prima volta dal momento in cui si era presentata con il nome di Sarah. -E per certi versi lo sono davvero, se trasportano nella loro bolla oceanica quelle sirene...
Era stupefacente: le immagini prese dai ricercatori mostravano esseri immensi, dalla forma affusolata, che solo lontanamente ricordavano i cetacei terrestri da cui prendevano il nome. Erano chiari e risaltavano nel nero dello spazio con l'aspetto traslucido e lievemente deformante che donava loro la bolla d'acqua che le avvolgeva. Il branco si muoveva maestoso, spinto da una forza sconosciuta, violando tutte le leggi della fisica e della biologia conosciute fino a quel momento.
-Sono bellissime...- si lasciò sfuggire in un soffio Kei e Harlock pensò che avesse ragione.
Marc annuì, avvicinandola. -Ha ragione, miss Kei. Non è stato mai scoperto nulla di così grandioso ed unico.
Capitan Harlock socchiuse l'occhio, infastidito dal tono che quell'uomo aveva usato con Kei. Spense il video tridimensionale e chiese: -Come ci muoviamo adesso? È di fondamentale importanza trovare il pianeta d'origine delle sirene, i miei uomini stanno lavorando per rintracciare quei pirati che hanno saccheggiato il loro pianeta ed ho promesso a Leelaine di riportarla alle sue acque. Dateci le coordinate galattiche in cui avete trovato le balene astrali.
L'altro uomo lo fissò duramente. -Credete che ci fideremo di voi così facilmente, in base a un raccontino su fantomatiche sirene, così potrete fare come i vostri colleghi e uccidere le balene, come se nulla fosse? Io, e Sarah verremo con voi.
Iniziò così una sfida a due tra Harlock e il responsabile dei ricercatori ed era chiaro che ciascuno aveva le sue buone ragioni per restare della propria idea.
-Non prendo nessuno a bordo, a meno che non sia io a deciderlo.- commentò gelido il pirata.
-Allora scordatevi pure le coordinate. Cercatevi le balene, la galassia non è poi tanto grande!- esclamò Marc con tono ironico, sottolineando la frase con un gesto della mano.
Kei allora si accostò al Capitano e gli posò una mano sull'avambraccio, nel tentativo di calmarlo: -Dobbiamo collaborare...- gli mormorò con tono conciliante. La guardò brevemente, poi annuì: -Hai ragione..- le disse, quindi si voltò a fissare l'altro e acconsentì.
-D'accordo, ma una volta a bordo dovrete sottostare alle mie regole.- precisò con durezza.
-Sta bene.- confermò il ricercatore altrettanto fermo, poi chiese: -Quanto tempo abbiamo per prepararci?
-Non posso darvi più di quattro ore. Ci vediamo all'hangar numero quarantadue, non tardate.
-Ci saremo.- affermò Marc.
Si separarono presi gli ultimi accordi, Lou sarebbe rimasto con i due per assicurarsi che arrivassero davvero alle navette, così Harlock e Kei si incamminarono sulla strada del ritorno. Avevano comunicato agli altri che non li avevano ancora raggiunti di tornare agli Space Wolf, così avrebbero perso meno tempo.
Visibilmente irritato, Harlock camminava a passo svelto, costringendo Kei a trotterellargli accanto per non rimanere indietro. Per un attimo aveva pensato di godersi quella passeggiata con lui in quel contesto a loro estraneo, ma aveva perso ben presto quella speranza ed era rimasta muta cercando di tenere il passo. Dopo la prima mezz'ora di tragitto il cielo tornò ad offuscarsi e la solita voce femminile annunciò da lì a cinque minuti un nuovo fenomeno temporalesco programmato. Puntuali, le prime gocce li sorpresero che erano a più di un'ora di cammino dalla meta e solo in quel momento Harlock sembrò accorgersi di Kei che stava bagnandosi al suo fianco. Tirò sulla testa il corto lembo che gli cadeva sulle spalle, trasformandolo così in una specie di cappuccio, poi ne sollevò l'orlo a lei più vicino, invitandola a ripararsi.
Dopo un istante di esitazione Kei si rifugiò in quel provvidenziale riparo e sentì il braccio di lui sulla spalla, in un gesto che rendeva più semplice camminare fianco a fianco e sincronizzare il passo. La ragazza non disse nulla, ma lui poté sentirne l'umidità che già portava con sé bagnargli il fianco e la sua mente volò a qualche giorno prima, a quando aveva dovuto rianimarla a bordo dell'Arcadia. L'aveva fatto istintivamente e naturalmente in quella situazione d'emergenza non si era soffermato a quel contatto così intimo che era quello tra le loro labbra e delle sue mani su di lei. Il bisogno di riprovare quella sensazione in maniera diversa e più profonda si era presentato non appena aveva percepito il calore e la morbidezza della donna. Senza rendersene conto strinse più forte quella spalla esile e lei sussultò appena, sorpresa da quel comportamento così inusuale del suo Capitano, solitamente sempre così freddo e scostante. Avrebbe voluto vederlo in volto, ma da sotto quella piacevole copertura non era possibile; d'altro canto forse era meglio così, sentiva le guance in fiamme e farsi vedere in quello stato sarebbe stato ancor più imbarazzante.
La pioggia durò quasi un'ora, poi gradatamente cessò e, anche se Kei mise fuori la testa, il  Capitano, ancora immerso nei suoi pensieri, non allentò la stretta subito.
La ragazza non disse nulla, rimase a bearsi di quel contatto non previsto e non richiesto, fino a che non incespicò e solo allora Harlock sembrò rendersi conto della situazione. Abbassò brevemente lo sguardo sul suo viso e con un movimento un po' esitante la lasciò andare, per poi abbassare quello strano cappuccio e tornare a chiudersi in se stesso. La città era ormai in vista, doveva rientrare nel suo ruolo e si rimproverò quel momento di debolezza con Kei. Cosa gli era preso? Pensare di baciarla, di sentire il suo sapore autentico, senza la salsedine e la paura di perderla di mezzo? Tenerla vicino per stringerla più forte? Erano errori che non avrebbe dovuto ripetere... se non voleva deviare dalle sue responsabilità, avrebbe dovuto fare più attenzione.

Gli Space Wolf decollarono in perfetta formazione. I due ricercatori avevano preso posto un po' nervosamente nelle navette di Lou e Kei. La quale, dopo la passeggiata sotto la pioggia, protetta da lui e dal mantello che le dava un senso indescrivibile di sicurezza, ringraziò il mutismo che aveva preso Sarah, dato dalla paura di quel volo nello spazio fatto su navette apparentemente così fragili ... almeno poteva riflettere tranquilla su quel comportamento così singolare del suo Capitano.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La rotta delle balene astrali ***


Una volta raggiunta l'Arcadia ancora in orbita ad Ombra di Morte, Harlock convocò un briefing per concordare al più presto come muoversi. Alla fine decisero che il satellite sarebbe rimasto su quelle coordinate che erano state rese pubbliche per far sì che potesse essere raggiunta da tutti coloro che avrebbero riportato indietro le sirene, protetta da tre Space Wolf, mentre l'Arcadia e le restanti navette sarebbero andati alla ricerca del pianeta che le balene astrali condividevano con le sirene.
Una volta a bordo della leggendaria astronave, i due ricercatori rimasero a bocca aperta, ammirandone l'aspetto singolare e ancor più rimasero stupefatti nel vedere la vasca con Leelaine. Però la sirena era rimasta scostante dopo il triste episodio con la piccola e dovettero presto rassegnarsi ad osservarla da lontano: solo Kei riusciva ancora a parlarle e dovette immergersi di nuovo, giù, dalla parte dell'hangar, per avvicinarsi e comunicarle quanto scoperto. Harlock aveva deciso di sorvegliarle, affinché non si ripetesse l'incidente della prima volta e la cosa imbarazzava il secondo ufficiale dell'Arcadia, ancora una volta in costume, ciabatte ed accappatoio, così fuori contesto in mezzo ai macchinari ed ai velivoli che attendevano alle postazioni assegnate.
Kei evitò di guardare quella presenza scura che era immobile a braccia conserte, pronto ad intervenire, e fece scivolare l'accappatoio chiaro dalle spalle, dopo aver slacciato la cintura. Mosse passi incerti sulla scaletta che l'avrebbe aiutata a scavalcare la trasparente parete di contenimento della piscina e una volta sulla sua sommità prese aria e si tuffò con aggraziata maestria.
Nuotò verso l'angolo in cui ormai era solita rifugiarsi Leelaine e le fece segno di risalire in superficie. Riempiti i polmoni d'aria fresca e scostati i capelli che le si erano appiccicati al viso, Kei si voltò verso il Capitano; vedendolo più vicino alla piscina a scrutare l'acqua con sguardo preoccupato, appena i loro sguardi si incontrarono, gli sorrise per rassicurarlo.
La sirena era emersa con lei e sbucava dall'acqua soltanto con la sommità del capo, fino agli occhi. Era ancora risentita con l'uomo che non era riuscito a salvare la bimba e che poi gliela aveva definitivamente tolta, facendogliela consegnare all'incarnazione dello spirito della Morte, e lo guardò con astio.
Kei esordì: -Leelaine, abbiamo trovato buone tracce che possono condurci al tuo pianeta.- scandì per evitare fraintendimenti.
Il pensiero della creatura marina divenne colmo d'attesa e d'interesse: "Avete trovato le mie acque?"
-Ci siamo quasi. Abbiamo incontrato persone che sanno dove trovare le balene astrali. Se noi riuscissimo a portarti da loro, tu sapresti chiedere a quelle creature di guidarci fino al tuo pianeta?
"Certo." fu la pronta risposta della sirena e Kei si voltò verso Harlock per mostrargli il pollice alzato. Lui annuì soddisfatto e le fece segno di tornare fuori. Kei però aveva un'altra idea e si avvicinò al bordo della piscina per metterlo al corrente: -Salgo con Leelaine, Capitano.- gli disse con un sorriso -Non preoccuparti, le chiederò il tempo per prendere fiato questa volta, ci vediamo in plancia!
Harlock fece per parlare, l'espressione contrariata, poi ricordò il suo dialogo con Leelaine sui suoi timori e non volendo darle modo di rimarcare quello che era venuto fuori da quel confronto, affermò: -Come credi. In plancia, allora.- poi si voltò per dirigersi rigidamente verso l'ascensore. Kei tornò da Leelaine e la sirena la sorprese perché le disse: "Il Capo Harlock ha paura per Kei. Ma il suo bacio guarisce anche te, che sei l'incarnazione della Figlia. Perché temere, quindi?"
Cosa voleva dire? Quale bacio? Glielo chiese e l'altra le inviò le immagini del suo salvataggio, della prima disastrosa volta che si era immersa con lei. Il punto di vista della sirena, in soggettiva, era alquanto singolare, ma vide se stessa praticamente strappata dalle braccia di Leelaine da uno stravolto Harlock che l'aveva deposta sul pavimento per effettuare la rianimazione cardiopolmonare. Aveva agito tempestivamente, alternando le compressioni sul torace con un'energica respirazione... bocca a bocca! Ecco a cosa si riferiva la sirena, parlando di bacio che guarisce. Rossa fin sulla punta delle orecchie, Kei portò le dita a sfiorarsi le labbra; nessuno le aveva raccontato cosa fosse accaduto realmente e lei aveva creduto che lui si fosse limitato a portarla in infermeria. Adesso come avrebbe potuto affrontare Harlock senza pensare a quel contatto? E poi poche ore prima aveva pure accettato di rifugiarsi sotto al suo mantello... che imbarazzo!
Leelaine la fissò e inclinò il capo. "Kei, stai male? Sei tutta rossa, vado a chiamare il Capo Harlock?"
-No!- esclamò la ragazza -Io... sto bene.- si immerse completamente per cercare di mitigare quella sensazione di eccessivo calore, poi riemerse e le spiegò: -Adesso riempirò per bene i polmoni d'aria, poi mi immergerò e allora potrai fare come la volta scorsa, ok?
La sirena annuì e fece come le era stato detto.
Questa volta il tragitto fu un'esperienza singolare e dopotutto piacevole, per il secondo ufficiale della nave, che riuscì a distrarsi e a riprendere quasi la normale colorazione delle gote ben prima dell'arrivo a destinazione. Riemersero nell'ampia sala della plancia e parte della grande finestra che spaziava nel buio del cosmo era occupato da quello che appariva come un normale asteroide e che invece era Ombra di morte.
Harlock la fissò per accertarsi che stesse bene e Kei sentì di nuovo imporporarsi il viso, tornando col pensiero a quel contatto con lui di cui, purtroppo, non serbava memoria diretta.
-Stai bene?- le chiese e lei annuì, così il Capitano pensò che quel rossore fosse dovuto allo sforzo di trattenere il fiato nel lungo percorso tra le due piscine.
I due ricercatori furono presentati alla sirena, adesso più disponibile, già istruiti sul singolare modo che aveva di comunicare con tutti. Le fecero domande mirate e verificarono quanto già detto dai pirati. Il Capitano sapeva che ne avevano bisogno per riuscire a fidarsi del tutto per scucire le coordinate galattiche che li avrebbero aiutati a trovare le balene astrali.
La giornata era stata piuttosto movimentata e a Kei sfuggì uno sbadiglio. Ormai era ora di cena e la signora Masu doveva essere quasi pronta a servire in tavola, così Harlock mormorò qualcosa ad uno degli uomini che annuì e corse via per tornare pochi minuti dopo, uno strano involto chiaro tra le mani.
Il secondo ufficiale, appoggiato con entrambe le braccia alla parete della piscina, si vide aprire davanti il proprio accappatoio bianco e la voce del Capitano dirle: -Vieni fuori, Kei, sarai stanca ed è quasi pronta la cena.
Gli fu davvero grata per quella premura, così, salutata Leelaine, si accinse ad uscire, un po' infreddolita per la lunga permanenza in acqua allo scopo di tranquillizzare la sirena. Lui le pose l'accappatoio sulle spalle, attese che mettesse le ciabatte e la scortò fuori dalla plancia, sotto lo sguardo curioso di qualcuno che si era sorpreso per quel comportamento così cavallerescamente cerimonioso da parte sua: Maji tirò una gomitata a Yattaran e quello rise.
-Non credo che andrò a cena, Capitano, sono davvero distrutta, ci vediamo domattina.- gli disse, sentendo la stanchezza farsi pesante di minuto in minuto. Lui non poté fare altro che restare a guardarla mentre coi capelli ancora bagnati si avviava all'ascensore che l'avrebbe portata sul ponte inferiore dove si trovavano gli alloggi.
I ricercatori fornirono a Yattaran le coordinate per raggiungere le rotte migratorie delle balene, Maji invece scese su Ombra di morte per occuparsi delle sirene che sarebbero state riportate indietro, almeno così speravano, e Zero sarebbe andato con lui per somministrare il vaccino contro l'inesistente malattia che si erano inventati e per monitorare lo stato di salute delle creature marine. La mattina dopo gli altri, con l'Arcadia, sarebbero partiti per quel settore periferico alla ricerca di quelle creature fantastiche.


Il corridoio era deserto, ormai erano tutti a cena e il silenzio dava tregua alle paratie dell'Arcadia. Gli altri erano in mensa a consumare il cibo con la consueta baldoria e la scura figura si muoveva a suo agio in quella calma. Harlock si fermò davanti ad una precisa porta e bussò con la discrezione che lo contraddistingueva. Non ricevette risposta ed insistette, ma di nuovo solo il silenzio si alzò su di lui. Pensieroso, digitò il proprio codice universale sul tastierino virtuale e la porta si aprì obbediente sulla stanza buia in cui filtrava solo la luce del corridoio. Poggiato il vassoio con la cena che aveva tra le mani sul tavolo di modeste dimensioni, si voltò a guardare il letto su cui dormiva Kei.
Sdraiata su un fianco, i capelli sciolti sul cuscino, dormiva dopo quella giornata così pesante: aveva pilotato, camminato per svariati chilometri, pilotato nuovamente e poi passare ore in acqua a far da tramite con Leelaine, ormai diffidente con tutti gli altri. Le aveva portato qualcosa da mangiare, deciso a rifocillarla, ma a vederla dormire così profondamente non se la sentì di disturbarla; si limitò a scostarle una ciocca dal viso con una carezza lasciata sulla punta delle dita, poi si ritrasse e uscì dall'alloggio, silenzioso come un ladro, e richiuse la porta dietro di sé. Ma cosa aveva sperato di fare? Anche se l'avesse trovata sveglia, cosa le avrebbe detto? Continuava a ricadere nell'errore di volerla vedere, proteggerla, parlarle. Se ne rendeva conto, come si rendeva conto di quanto fosse sbagliato.
Avviandosi al suo alloggio, incontrò Meeme. Ultimamente non la vedeva spesso, perché raramente metteva piede in plancia a causa della sirena, ma a lei la cosa non sembrava importare più di tanto.
-Ciao, Harlock.- lo salutò con la solita voce pacata -Vai a riposare?
Lui rispose con un cenno del capo e proseguì lungo il corridoio, di umore cupo. Cercò di pensare all'organizzazione del giorno dopo. Non gli piaceva l'idea di lasciare parte dell'equipaggio su Ombra di Morte, ma era necessario farlo se volevano tentare quell'impresa di recupero delle rapite.


Il giorno dopo, Marc e Sarah erano stati di parola, finalmente convinti delle buone intenzioni di quelli dell'Arcadia: si definivano pirati e ne portavano le insegne, ma non agivano come coloro che li avevano attaccati per uccidere la balena astrale. Avevano davvero aiutato quella sirena e tentato di salvare la piccola e la loro curiosità di scienziati era stata solleticata da quei nuovi esseri che sembravano così umani, ma che contemporaneamente erano tanto diversi da loro.
-Abbiamo una richiesta.- disse Marc al Capitano, mentre poco prima della partenza si apprestavano a raggiungere la plancia.
Fu Sarah ad esporla: -Vorremmo esaminare il corpo della piccola sirena che non siete riusciti a salvare. Vorremmo sapere, scoprire il più possibile su loro, la loro anatomia, la fisiologia...
-No.- la interruppe secco Harlock.
-Ma Capitano...- cercò di protestare lei e l'uomo si fermò a fissarla, minaccioso. -Zero vi ha già messo a disposizione le analisi fatte a Leelaine, vi bastino quelle. Se poi, alla fine di questa faccenda, se e quando troveremo questo pianeta e ci sarà qualche volontario disponibile ad assecondarvi, fate pure. Ma non toccate la piccola e non infastidite Leelaine.
Lo disse con un tono di voce tale che per i due ricercatori non ci fu speranza di replica e lo guardarono mentre si posizionava al timone.
-Manca Kei, Capitano.- lo informò il primo ufficiale, ma dall'ingresso la voce della ragazza lo tranquillizzò: -Sono qui, Capitano, scusatemi per il ritardo...- si fermò un attimo innanzi a lui e gli sorrise : -... e grazie!- aggiunse.
Harlock rispose con un cenno del capo, lasciando gli altri in una curiosità insoddisfatta riguardo quel misterioso ringraziamento. La ragazza aveva capito che era stato lui a lasciarle il vassoio, probabilmente la sera prima: soltanto il Capitano poteva bypassare i codici di accesso agli alloggi con il suo codice personale. Non sapeva perché l'avesse fatto, ma la cosa le faceva enormemente piacere e le dava anche un po' di imbarazzo, perché l'aveva vista dormire e lei non si era accorta di nulla.
 
I motori intensificarono la loro potenza, fu stabilita la rotta, salutarono Ombra di Morte e i suoi occupanti, quindi il Capitano diede l'ordine di partenza: -Arcadia, avanti tutta!
L'astronave pirata si diresse verso la zona ignota che era la rotta migratoria delle balene astrali.

Erano previsti cinque giorni di viaggio che furono utilizzati dalla coppia di ricercatori per familiarizzare e conoscere la grande astronave. Come tanti altri che erano stati a bordo prima di loro, Marc e Sarah si stupirono dell'anarchia che vi regnava nei momenti tranquilli e nel tempo libero fecero amicizia con quello strano ed eterogeneo equipaggio. Non mancarono di farsi intimidire dall'anziana bene armata e bisbetica cuoca e di osservare la curiosa presenza di Tori-san, che risentiva della mancanza di Mii-kun, rimasto su Ombra di Morte con il dottore. L'uccellaccio era più mogio del solito e stava più frequentemente appollaiato sul trono in plancia che in giro per l'astronave. Leelaine era nuovamente più rilassata e spesso un canto leggero aleggiava in plancia, mentre osservava estasiata lo spazio dalla grande finestra che le si apriva di fronte. Riusciva a passare ore, praticamente immobile, immergendosi di tanto in tanto solo per reidratare le zone del corpo che teneva  al di fuori della superficie dell'acqua.
Al terzo giorno, dopo aver controllato che alla sua postazione non si rilevassero anomalie, Kei la osservò per poi avvicinarla e chiederle: -Leelaine, come mai ti piace tanto guardare lo spazio? Non dovrebbe essere una novità per te che hai affrontato il viaggio con le balene.
"Non è la stessa cosa. Qui è possibile vedere bene, dall'acqua che portano le balene non si vedono le luci così chiaramente."
Era evidente che la bolla d'oceano doveva in qualche modo distorcere la percezione dello spazio esterno, quindi era normale che la sirena ne fosse tanto affascinata.
Era uno spettacolo che sorprendeva sempre, anche i veterani, perché se all'apparenza lo spazio sembrava sempre uguale, in realtà offriva una visione diversa a seconda della zona della Via lattea che si aveva la fortuna di visitare. Nebulose spettrali che poco rivelavano della loro natura; giganti rosse e azzurre dalle dimensioni inimmaginabili; sistemi binari di stelle gemelle o profondamente diverse tra loro; buchi neri, veri vampiri dello spazio, capaci di inghiottire stelle e pianeti nel loro misterioso nulla sempre affamato che spaghettizzava con la sua mostruosa attrazione ogni genere di materia: neanche i fotoni riuscivano a sfuggire a tanta forza gravitazionale, pozzi in cui il nero del cosmo si perdeva in qualcosa di inimmaginabile. E poi c'era il centro della Galassia, un inferno di stelle troppo vicine tra loro, formando un nucleo ribollente di radiazioni e forze eternamente in lotta tra loro in una competizione che andava a morire nel buco nero supermassiccio attorno a cui gravitavano dalla notte dei tempi.
Ma in quel braccio periferico era più facile stare tranquilli, i pericoli naturali nettamente inferiori e lo spazio intergalattico a dare lo stesso profondo senso di vuoto che dovevano aver provato i primi astronauti a staccarsi dal suolo terrestre o, più tardi, ad uscire dal Sistema solare.

Raggiunsero le coordinate prefissate, ma delle balene astrali naturalmente non vi era traccia... Nonostante la mole, erano comunque polvere agli occhi dell'Universo: sarebbe stato peggio che cercare un preciso bullone in una discarica planetaria.
-Siete certi che questo sia periodo migratorio?- chiese il Capitano a Marc e Sarah, ma la risposta che ricevette non lo soddisfò completamente: -Per quel poco che sappiamo sì. E poi anche la sirena ha detto che attendevano il loro ritorno, quando il suo popolo è stato attaccato. E noi non conosciamo il loro modo di computare il tempo, che è un concetto estremamente relativo. Ma se sono già passate potremmo dover attendere mesi per rivederle. Inoltre non sappiamo quanto sia distante da qui il pianeta che cerchiamo. E pensare che se quei maledetti non ci avessero distrutto la Free Keiko, le avremmo seguite e a quest'ora già avremmo conosciuto la sua ubicazione!- rispose l'uomo.
Ma Harlock non poteva pensare di potersi affidare soltanto alla fortuna, non era da lui, abituato a decidere della sua vita in tutto. Così chiamò Leelaine, che emerse in plancia con aria sonnolenta. "Leelaine riposava. Cosa vuoi, Capo Harlock?"
Era umanissima nel suo modo di porsi, infastidita come qualsiasi donna che fosse stata disturbata da un bel sogno.
-Mi dispiace, Leelaine, ma abbiamo bisogno di sapere qualcosa da te. C'è un modo per capire se le balene siano ancora in viaggio? Come facciamo ad intercettarle se non sappiamo se siano già passate da qui? Come le troveremo, se ci hanno già preceduti?
La sirena rimase in silenzio per qualche istante, poi il suo pensiero gli giunse, permeato da una strana inquietudine: "Leelaine può farlo soltanto con l'aiuto di altri del suo popolo, unendo le menti si giunge lontano. Ma Leelaine è sola qui..." aggiunse, caricando di profonda tristezza l'ultima frase.
-Allora non possiamo fare altro?- incalzò l'uomo, deciso a trovare un'altra soluzione.
"L'anima di questa nave è forte. Se vuole aiutare, possiamo provare ad arrivare lontano." gli rispose, risoluta.
Harlock sbarrò l'occhio sano, con genuino stupore. Non avrebbe mai pensato che lei e Tochiro potessero entrare in contatto... Ma se lo diceva lei, perché no?
"Devi portare Leelaine da lui" gli arrivò il pensiero un po' nervoso della sirena. Di certo era preoccupata perché la cosa implicava che lei uscisse dall'acqua.
-Da qui non puoi farlo?
"Bisogna essere vicini, unire le menti per la stessa direzione" cercò di spiegare lei, ma era un concetto totalmente estraneo per un umano che non possedeva quella facoltà meravigliosa che era la telepatia.
-Quanto riuscirai a stare fuori dalla vasca?- le chiese preoccupato.
"Tutto il tempo che occorrerà." rispose risoluta.
L'uomo annuì. Avrebbero portato avanti ciò che andava fatto.
Un paio di ore dopo, in mensa, durante il veloce pasto, il Capitano spiegò agli altri l'idea di Leelaine. Era stato a lungo nella sala computer a confrontarsi con il suo Amico e doveva esporre il piano che avevano escogitato con lui e Leelaine.
-Ma non sarà pericoloso per lei, stare tutto quel tempo fuori dall'acqua?- chiese Yattaran. -Quando tiene fuori la testa si immerge ogni cinque minuti per reidratarsi! E non posso nemmeno alzare la percentuale di umidità nell'aria della sala del computer centrale, si danneggerebbero i delicati circuiti, il tasso anzi deve restare piuttosto basso...
Marc scosse il capo: -È un grande rischio per lei.
-Ma non abbiamo altro modo per farlo...- disse Harlock, cupo.




Note dell'autore a piè (di pagina):
Scusate la lunga assenza, fattori esterni mi hanno reso impossibile l'aggiornamento... per fortuna la storia è  completa, altrimenti difficilmente ne avreste letto la conclusione. Speriamo che non si ripeta l'impedimento... nel frattempo la storia va avanti e le difficoltà si moltiplicano per i nostri protagonisti, meno male che sono abituati a tenere duro!
Mi scuso se non riuscirò a rispondere a tutte le vostre graditissime e gentilissime recensioni, spero di poter riuscire nel prossimo futuro; sappiate comunque che mi lusingano e commuovono.
Grazie anche a chi segue in silenzio: siete davvero numerosi!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Black out ***


Non ci furono molti preparativi da effettuare: il Capitano tolse mantello, cinturoni, maglia e stivali e si apprestò ad entrare nella vasca dove lo attendeva la sirena. La sollevò tra le braccia e la portò fuori dalla piscina con cautela, cercando di mantenere il passo fermo. Non poterono coprirla con un panno umido, tantomeno usare la vasca in cui l'avevano trovata, a causa del pericolo ventilato da Maji, quindi doveva sbrigarsi.
Una volta giunto a destinazione, Harlock poggiò la sirena sul pavimento dove lei gli fece segno, di fronte alle luci lampeggianti del Computer centrale della nave, poi rimase un po' da parte ad assistere a quel tentativo che andava oltre le umane capacità. Vide che Leelaine, tenendo il busto sollevato con gli arti superiori, chiudeva gli occhi e nel silenzio della grande sala le luci si intensificarono, sottolineando lo sforzo a cui stavano sottoponendosi quelle due menti dalle capacità straordinarie.
Iniziò così quella nervosa attesa, sperando che riuscissero nel loro intento e che, soprattutto, se le avessero raggiunte, le balene astrali fossero propense a collaborare con quegli umani che amichevoli con la loro specie non erano stati. Il Capitano sperò ancora una volta che il suo Amico li aiutasse a portare a termine quella missione che appariva davvero impossibile.
Il tempo passò, i minuti trascorsero e l'aria secca dell'ambiente asciugò le squame della sirena, facendole corrugare e sollevare dolorosamente e mettendo a dura prova la sua concentrazione.

Con l'aiuto dell'essenza forte che guidava quell'astronave unica nel suo genere, la mente di Leelaine si dilatò fino a superare i confini delle paratie metalliche interne prima e dello scafo poi. Espanse la sua coscienza a cercare un particolare segnale già conosciuto, grande e forte come il corpo che la ospitava. Le grandi balene astrali erano lì, da qualche parte, su quella rotta, doveva solo agganciare l'essenza di una di esse per riuscire. Ignorò il dolore che la disidratazione le procurava, doveva essere forte se voleva tornare alle sue acque. Era stata già abbastanza fortunata nell'imbattersi in quell'equipaggio che l'aveva trattata bene fino al punto di spingersi così lontano solo per lei, poteva e doveva contribuire alla riuscita di quel progetto anche per le sue compagne che, lo sapeva, sarebbero state riportate alle acque del loro pianeta.
Continuò a cercare in quel desolante vuoto che si estendeva per parsec e parsec tutto intorno.
Qualcosa di debole, come un vivace chiacchiericcio, attirò la sua attenzione e guidò l'anima dell'Arcadia in quella direzione. Anche la nave sembrò protendersi il più possibile per sorreggere quello sforzo immenso e automaticamente quell'energia fu sottratta dove possibile, per compiere quella titanica impresa che li avrebbe portati a connettersi telepaticamente ad una distanza inimmaginabile.
Le luci si spensero un po' ovunque, rimasero attivi i sistemi di supporto vitale e poco altro, lasciando l'Arcadia alla deriva.
Quando lambirono quelle menti poderose ed aliene, le vivaci conversazioni mentali tra le balene astrali cessarono bruscamente, allertandole su un eventuale pericolo. Leelaine capì che erano ancora scosse per l'attacco inaspettato di quelle navi di metallo e usò tutta la prudenza possibile per farsi riconoscere e raccontare loro quanto accaduto.
Anche se insospettite dall'estranea presenza dell'astronave, Leelaine riuscì a metterle al corrente dell'accaduto e a convincerle di illustrare la rotta che l'Arcadia doveva seguire, all'Anima che la governava.
Le balene visualizzarono per loro la rotta da percorrere e quando l'astronave ne conservò memoria, le ringraziarono e si ritirarono, ormai stremati.
Ormai era fatta, la sirena poteva tornare a casa.
La nave tornò a normale regime, si riavviarono i motori e si riaccesero le luci dove erano venute a mancare.
Leelaine, distesa sul pavimento, aprì stancamente gli occhi opachi e fece cenno al Capitano. Non si resse alla sua nuca come aveva fatto prima, troppo debole anche per sollevare solo le braccia.
"Acqua... Capo..." sussurrò alla mente dell'uomo e lui si turbò quando, nel sollevarla, avvertì le scaglie ruvide contro la sua pelle emettere un inquietante rumore come di foglie secche nel vento, quando la toccò. Si avviò a passo svelto verso la vasca della plancia, sperando di non perdere un'altra sirena.


Kei guardò mestamente la striscia d'acqua che Harlock e Leelaine si lasciarono dietro sul pavimento e pensò che la stessa scia doveva aver bagnato i corridoi dell'Arcadia quando Harlock l'aveva salvata dall'annegamento e l'aveva portata allo stesso modo. Però i passi dell'uomo stavolta non si erano fermati in infermeria, ma avevano proseguito verso la sala che ospitava il computer centrale; la sirena si reggeva al suo collo con entrambe le braccia, stringendosi a quel petto nudo che lei mai aveva e avrebbe avuto modo di sfiorare e un brivido la attraversò, fino a chiuderle la gola.
Represse sconvolta quel moto di gelosia che non aveva motivo di essere. Sapeva benissimo che lui non aveva nessun secondo fine a portarla a quel modo, ma l'immagine dei seni scoperti della sirena, così a contatto con la pelle di Harlock, era qualcosa che la sconvolgeva molto più di quanto volesse ammettere. Rimase in plancia, le dita a sfiorare la maglia ancora calda della pelle di lui e le sfuggì un sospiro. Raccolse la sua roba e si accinse a portarla nell'alloggio del castello di poppa: quando il tentativo sarebbe stato portato a termine, al Capitano sarebbe servita di certo una doccia per togliersi la salsedine di dosso e gli avrebbe fatto comodo avere le sue cose a portata di mano.
Aprì le porte antiche che portavano indietro di secoli, in quell'alloggio così anacronistico in una nave spaziale, ed appese il cinturone con le armi al posto in cui lui era solito metterle, l'angolo della testiera del letto; quindi poggiò gli stivali sul pavimento e distese maglia e mantello sulla coperta ben stirata sul giaciglio, poi sistemò i guanti sul tavolo. L'ordine che regnava in quella camera era di certo un'impronta che gli aveva lasciato la permanenza nell'esercito, Kei lo sapeva bene. Diede un ultimo sguardo all'ambiente, poi tornò all'uscio, ne varcò la soglia e fu di nuovo nella sua epoca, quindi la richiuse dietro sé.
In quel momento sull'Arcadia tutto si fermò: si spensero i motori, delle luci rimasero quelle d'emergenza che donavano solo una cupa penombra; furono esclusi dal normale  funzionamento armi e deflettori, così come l'Intercom che dopo numerosi tentativi rimase muto; rimasero attivi soltanto la gravità artificiale e i sistemi di supporto vitale che comprendevano il rifornimento d'aria e il controllo della temperatura: il prezioso calore si disperdeva rapidamente nel gelo del cosmo. Quasi come morta, l'astronave rimase a galleggiare nello spazio siderale di quel lontano e rarefatto braccio galattico, mettendo in pericolo la vita di tutti i suoi occupanti. La ragazza sperò che avessero retto i sistemi di contenimento delle vasche collegate, altrimenti sarebbe stato un vero disastro... A tentoni corse verso la plancia, ma l'ascensore era inutilizzabile, quindi si diresse verso la scaletta d'emergenza, un antiquato sistema di pioli metallici che sporgevano dalla paratia del vano ascensore, in una nicchia appositamente ricavata. Doveva fare molta attenzione al buio, ma coraggiosamente si avventurò in quello spazio angusto cercando di non pensare alle decine di metri di vuoto che si aprivano verso il basso. Il condotto praticamente attraversava tutti i ponti, fino a giungere al più alto, la plancia, che dominava sul muso dell'astronave dalla sua posizione arretrata in cima alla torretta.
Non potendo comunicare con gli altri ed essendo un ufficiale, era suo dovere raggiungere il ponte di comando per cercare di capire in quale situazione si fossero cacciati. Oltretutto si era allontanata da quel ponte senza che nessuno glielo avesse chiesto e, mentre faticosamente saliva un piolo dopo l'altro, si chiedeva cosa le fosse preso per andare a sistemare gli effetti personali del Capitano in quel momento... dopotutto quell'uomo non aveva mica bisogno di una balia!
Però ... Sapeva già la motivazione che l'aveva condotta a comportarsi a quel modo ed era inutile stare a pensare a quanto fatto: c'era ancora parecchia strada da fare e doveva concentrarsi. Un paio di volte rischiò di scivolare seriamente. Chissà da quanti anni quella scaletta non veniva usata e polvere e sostanze grasse si erano accumulate su di essa, rendendola viscida.
Era giunta quasi a fine percorso e la nave riprese vita, riattivando tutti i suoi sistemi. Risuonarono vari allarmi in lontananza, che si spensero uno per uno a verifica effettuata, e poi l'ascensore scese verso di lei e le venne istintivo schiacciarsi contro quella lurida scaletta. Lo spostamento d'aria le scompigliò i capelli e le mozzò il fiato ma durò pochi istanti e lei riprese a salire con la stessa tenacia con cui aveva iniziato quel cammino.
Quando finalmente giunse al livello della plancia, dovette uscire rapidamente dal vano ascensore perché la cabina stava risalendo con la stessa rapidità con cui era scesa e rischiava di finire schiacciata se non si fosse allontanata per tempo. Fece appena in tempo che davanti a lei si aprirono le porte e ne emerse Harlock con in braccio una Leelaine quasi irriconoscibile, la pelle corrugata dalle squame sollevate, disidratate dall'aria secca, che le davano l'aspetto di un'ultracentenaria.
L'uomo fissò Kei per un istante, poi corse alla vasca per entrarvi a depositare la sirena che rischiava davvero grosso in quelle condizioni. Lo guardarono immergersi con lei delicatamente ed attendere che si muovesse autonomamente, anche se lentamente. Leelaine diede un paio di sofferti colpi di coda per allontanarsi e lui risalì la scaletta della piscina con il viso stanco. Un uomo gli passò un telo e lui si asciugò sommariamente. Si guardò intorno a fissare uno per uno i presenti che erano rimasti a guardare la triste scena e poi rimase a fissare Kei.
-Cosa ti è successo?- le chiese cupo, vedendola stanca e sporca dopo che lei era risalita in quel modo così singolare.
-Quando è saltato tutto ero al ponte alloggi. Così sono tornata in plancia attraverso la scaletta.- si giustificò lei, ma il Capitano assottigliò lo sguardo e la rimproverò duramente: -Non dovevi abbandonare la plancia, Secondo Ufficiale.- disse, marcando il tono sulle ultime due parole.
Kei abbassò lo sguardo ed annuì con un cenno del capo, mortificata.
Harlock si rivolse agli altri e spiegò la situazione: -L'Arcadia è diretta verso il pianeta di Leelaine. Le balene astrali sono lontane, ma ci hanno spiegato come raggiungerlo, non interferite con la nuova rotta.- Dopodiché si avviò fuori dalla plancia e, senza nemmeno guardarla, disse a Kei: -Va' a rimetterti in ordine!
Lei rispose soltanto: -Agli ordini, Capitano!- ma attese che andasse via, prima di avviarsi a sua volta, non volendo dividere l'ascensore con lui. Sapeva che Harlock aveva ragione, ma era lo stesso arrabbiata con quell'uomo... Avrebbe anche potuto evitare di trattarla a quel modo! 
 

Quando Harlock aprì le porte del suo alloggio, vi trovò Meeme che, seduta su una poltroncina, osservava lo spazio al di fuori della grande vetrata di poppa. Guardandosi intorno, vide i suoi abiti e le sue armi diligentemente sistemati e le fece un cenno col capo.
-Grazie, Meeme.
-Per cosa, Harlock?- rispose lei con il solito dolce timbro, sfiorando appena le corde della sua arpa.
-Per aver sistemato la mia roba...- le disse, come per sottolineare un'ovvietà.
Lui rimase interdetto, quando lei piegato un po' il capo a sinistra, lo scosse negativamente: -Ma non sono stata io. Credo che li abbia portati Kei Yuki.
Era quello il motivo per cui si era allontanata dalla plancia, allora. E poi si era ritrovata nei guai nel momento in cui lo sforzo congiunto di Leelaine e Tochiro aveva raggiunto il suo apice e l'intera Arcadia ne aveva risentito. Eppure per tornare al suo posto aveva affrontato quel percorso così pericoloso, rischiando davvero tanto e lui aveva ricambiato quel gesto così premuroso umiliandola davanti a tutti. Avrebbe dovuto sapere che dietro a quella momentanea assenza doveva esserci un motivo, conosceva bene la diligenza con cui Kei si dedicava al suo lavoro. Con un gesto di stizza, arrabbiato con se stesso, prese un altro paio di pantaloni ed entrò nella stanza da bagno.
-Scusa, Meeme, preferirei stare da solo.- disse all'aliena, prima di chiudere la porta. Lei annuì ed uscì in silenzio.


Nella doccia di un'altra cabina, Kei sfregava con eccessiva violenza la propria chioma impregnata di polvere e sporcizia. Era nervosa con Harlock e con se stessa... Ma chi glielo aveva fatto fare? Per un gesto gentile aveva rimediato soltanto pericolo, sporcizia (al punto che aveva dovuto gettare via i preziosi guanti bianchi che era solita portare) e un rimprovero umiliante. Per giunta davanti a tutti.
Si risciacquò a lungo sotto l'energico getto, poi uscì e passò ad asciugarsi nella cabina successiva. Tornata in camera prese della biancheria e una tuta pulita, indossò l'altro paio di stivali e guardò con rammarico le dita delle mani, nude dal solito rivestimento: non ne aveva di ricambio. Avrebbe portato pazienza: magari riportando Marc e Sarah alla loro base spaziale avrebbe comprato qualche altro paio di guanti. Non le andava, ma doveva presentarsi in plancia, ordini del Capitano, così uscì dal suo alloggio per raggiungere la sua consueta postazione. Presto sarebbe stata ora di cena, avrebbe potuto rilassarsi presto.
Quando giunse in plancia, Harlock non era ancora arrivato. Kei provò un profondo sollievo e si avviò più tranquilla alla sua meta. Si era appena messa al lavoro, prendendo il posto di Lou che l'aveva prontamente sostituita, che sentì il passo pesante del Capitano fare il suo ingresso nella sala e istintivamente si irrigidì. Non si voltò a guardarlo e le balenò in mente il pensiero che era così arrabbiata che nemmeno si era accertata dello stato di salute di Leelaine. Non potendo muoversi per non dare modo al Capitano di rimproverarla nuovamente, tentò un contatto mentale con la sirena: "Leelaine... Mi senti? Come stai?"
Il pensiero della sirena le giunse un po' debole, ma carico di gioiosa aspettativa: "Leelaine è felice, Leelaine torna alle sue acque!"
"Sono contenta per te, Leelaine." le disse con sincerità.
Kei sentì come una risata argentina nella testa e quel buonumore alieno la contagiò. Dopotutto avevano fatto grossi passi avanti e stavano per raggiungere il misterioso pianeta popolato da sirene e balene astrali... Leelaine presto sarebbe tornata a casa e loro alla solita routine. Cosa poteva andare storto?
 
Harlock guardò la schiena di Kei china alla sua postazione, e appena lei mosse le mani notò che la ragazza non portava i guanti. Erano molto rovinati, se ne era accorto già da prima e un lieve senso di colpa si intensificò in lui.
Ma aveva altro a cui pensare in quel momento... Entro ventisei ore sarebbero stati su quel pianeta e dovevano prepararsi ad ogni eventualità. Completarono le verifiche relative alla rotta che solo l'Arcadia conosceva e poi li licenziò per la cena e la notte di meritato riposo. Vide che Kei si attardava presso la vasca di Leelaine ed esitò un attimo. Poi decise di lasciarle sole e si avviò all'ascensore, sollevato nel vedere la sirena stare molto meglio, le squame quasi del tutto distese, ormai reidratata.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Le acque di Leelaine ***


858q892 era una sfera blu punteggiata da svariati arcipelaghi e stava sotto di loro in tutta la sua magnificenza.
Si trovava in un settore insplorato e quel sistema non aveva un nome vero e proprio, solo un codice ad identificarlo, valido sia per la stella gialla che per i suoi pianeti. Leelaine lo guardava con la stessa espressione che avrebbe avuto un amante nell'osservare il proprio oggetto del desiderio dopo lungo tempo. Mormorava un motivo leggero e coinvolgente che risollevava lo spirito, guardando quel mondo blu e verde, pennellato da vortici bianchi di nuvole leggere, un accenno lieve di ghiacci ai poli ed illuminato da una giovane stella gialla che avrebbe occupato un posto simile a quello del sole in un diagramma di H-R1.
Da tre giorni l'Arcadia cercava i riferimenti fisici trasmessi dai ricordi delle balene astrali, non avendo quelle misteriose creature cognizione di coordinate geografiche, che erano convenzioni prettamente umane.
Quando ebbe trovato con sufficiente sicurezza i punti di riferimento cercati, l'Arcadia proseguì sicura verso la superficie, trovò la giusta inclinazione e si tuffò in quel mare limpido nella fascia temperata sud di quel pianeta, non troppo lontano dalla mezzaluna che sembravano formare una miriade di isolotti coperti da una rigogliosa vegetazione tropicale.
Navigarono in immersione per una mezz'ora, poi l'astronave rallentò progressivamente per fermarsi subito dopo.
Harlock diede l'ordine ad un pugno di uomini di indossare gli scafandri e di prepararsi ad uscire. Tra essi erano Kei, Sarah e Marc. Si vestì a sua volta, poi si occupò di persona di prelevare Leelaine e portarla nella sala di decompressione. Quando furono tutti presenti, la paratia si chiuse e le pompe cominciarono ad allagarla; non appena la pressione eguagliò quella esterna, il portellone si aprì ed Harlock lasciò andare la sirena che euforica, si lanciò in avanti, lasciandoseli dietro.
-Leelaine!- le gridò dietro Kei da dentro il casco del suo scafandro. Non poteva sentirla fisicamente, ma a loro bastava che fosse il pensiero a raggiungerla. -Aspettaci!
Solo a quel richiamo lei si fermò e, battendo la grande coda come un cetaceo, tornò verso di essi. Era nel suo elemento naturale, aggraziata ed elegante e anche i suoi colori sembravano aver ripreso vita, l'argento delle squame striato da bagliori iridescenti, come di opale.
I raggi luminosi fendevano le profondità marine, perdendosi nel blu cobalto che ingoiava i colori e le forme, perdendosi in basso verso il fondale invisibile, ma la sirena sembrava sapere bene in che direzione andare, nonostante l'apparente mancanza di punti di riferimento, così la seguirono, nuotando in formazione e seguendo le sue gioiose evoluzioni subacquee, ricevendo i suoi pensieri colmi di gratitudine.
"Grazie, Capo Harlock, grazie a tutti voi! Leelaine è tornata alle sue acque, Leelaine è felice!"
Dentro i caschi non poterono fare a meno di sorridere per quella manifestazione così esplicita d'affetto. Però Harlock e Kei, che avevano ricevuto le immagini mentali del ratto accaduto in quei luoghi non troppo tempo prima, si prepararono al peggio. Erano rimasti sopravvissuti a quel massacro? E loro come sarebbero stati accolti? Leelaine aveva diffidato a lungo di loro e anche se poteva prendere le loro difese, l'esito di una eventuale aggressione non era del tutto scontato.
Nella luce incerta che illuminava quelle profondità, iniziarono a vedere in lontananza l'inequivocabile profilo di vere e proprie costruzioni, per quanto bizzarre potessero apparire ad occhi umani.
Erano sensibilmente più vicini alla superficie adesso, rispetto a dove avevano lasciato l'Arcadia e i colori dello spettro più bassi di frequenza tornavano a vedersi.
Riapparvero i gialli e i rossi dei coralli ramificati, di gorgonie flessibili che si muovevano placide nella corrente e il contrasto dato dai pesci colorati e degli altri esseri alieni che popolavano quelle acque sconosciute agli umani.
Le arcate gemelle del tempio della vita furono le prime che incontrarono e davanti a quelle Leelaine si fermò.
"È qui che mi hanno presa" il suo pensiero si era fatto un sussurro e Kei le si fece vicino.
La sirena si voltò a guardarla: "Perché non mi hai protetta? Questo è il tempio che abbiamo eretto per te..." il tono disperato di chi non capisce il perché di qualcosa già accaduto e così difficile da accettare.
La ragazza era sconvolta... Davvero ancora Leelaine credeva che lei fosse la personificazione della Dea che presiedeva alla vita?
-Ma Leelaine, cosa dici? Sai benissimo che io sono Kei, che sono umana...- e la sua voce dentro il casco dello scafandro risuonava incredula. La sirena la prese per la mano guantata dallo scafandro e la condusse nella penombra di quelle mura antiche, all'interno della navata deserta, fino a giungere alla parte opposta, sulla parete di fondo.
La statua era stata tenuta libera dalle concrezioni che cercavano di ricoprire un po' tutto e brillava sotto i raggi del sole che la illuminavano grazie all'assenza di copertura dell'edificio.
Harlock, prudentemente, aveva seguito le due, facendo cenno agli altri di stare in allerta fuori dal tempio. Era rimasto un po' indietro ma si era bloccato a vederla: era enorme e contemporaneamente leggiadra, era splendida ed era il ritratto di Kei che al posto delle gambe aveva una squamosa coda, dorata come i capelli. Rimase basito, anche se la cosa spiegava il timore e la benevolenza con cui Leelaine aveva accolto la presenza del suo Secondo Ufficiale. Le avvicinò e mise una mano sulla spalla della sirena, che si voltò a guardarlo.
-Leelaine, sai bene che Kei non è la vostra Dea... è una donna ed è un membro del mio equipaggio. Non sapeva nemmeno dove fosse questo pianeta!
Quella lo fissò, poi si riscosse ed annuì. Lui guardò nuovamente la statua ed ebbe un brivido: la somiglianza era davvero impressionante, doveva ammetterlo. Le incitò a muoversi ed esse lo seguirono. Leelaine rimase muta e riprese a guidarli verso la città subacquea. Neanche Kei disse nulla, meravigliata da quella enorme statua che sembrava quasi rifletterla.
Abbarbicati sui costoni sommersi di roccia, gli edifici ornavano gli spazi tra i coralli con i vivaci colori che li contraddistinguevano. Spesso non era facile capire dove terminava la roccia ed iniziava la casa, ma l'effetto generale non era certo sgradevole.
Però ebbero l'impressione che fosse tutto deserto. Le aperture con gli usci lasciati accostati o spalancati, i pesci che vi guizzavano dentro e fuori indisturbati. Udirono il richiamo disperato di Leelaine, un pensiero quasi gridato agli spazi deserti.
"Leelaine è qui, nessuno nuota incontro a Leelaine che ritorna?"
Lo ripeteva ininterrottamente, senza tregua, mentre nuotava in maniera sempre più concitata tra le vie, e i pirati rischiarono di perderla in quel labirinto di scogli, coralli e case. Harlock fermò i suoi: -Forse hanno paura di noi... Qualcuno deve esserci, altrimenti ci sarebbero molti più resti in giro. Per quanto i pesci possano contribuire allo smaltimento dei cadaveri, non credo sia passato abbastanza tempo affinché tutto possa essere sparito così. Devono esserci stati per forza dei superstiti che si sono occupati dei loro morti.
Gli altri furono d'accordo, così si fermarono presso un grosso edificio dalle finestre scure e vuote come orbite dei teschi che portavano come insegne. Kei guardò la sua amica sirena allontanarsi tra i rami dei coralli, malinconica. Avevano affrontato tutti quei pericoli solo per trovare quella desolazione? Era vero che Leelaine aveva trovato il suo pianeta, ma se fosse rimasta sola?
 

Stavano guardandosi intorno, quando una lancia colpì Kei, spaccandole il casco, e la ragazza si ritrovò con la preziosa aria che fuggiva in un miriade di bolle e l'acqua che cercava di entrarle negli occhi e nel naso. La tuta ormai violata offriva un rapido ingresso al mare e lei cercò di liberarsene, perché la appesantiva nella risalita che doveva tentare verso la superficie, se voleva tornare a respirare e salvarsi.
Sguainato il pugnale che portava ben assicurato alla sua tuta, Harlock lacerò lo scafandro di Kei, aiutandola a disfarsene per alleggerirla, poi la afferrò per la vita, accompagnandola in una vertiginosa risalita verso la superficie, regolando al massimo i piccoli propulsori che gli scafandri montavano sulla schiena. Non si guardò indietro, ma percepì i movimenti concitati di un combattimento tra i suoi e qualcosa di snello che guizzava agile.
Uscirono sulla superficie con tutto il busto, grazie allo slancio che avevano offerto i propulsori di Harlock e lei inspirò profondamente, a bocca aperta, avida dell'ossigeno che le era venuto a mancare. Lui la tenne ancora, preoccupato, due minuscoli esseri sulla superficie deserta di uno spaventoso ed immenso oceano.
-Kei! Come stai?- le chiese, aiutandola a sostenersi.
Tossendo ed ansimando, lei si voltò a guardarlo e per rassicurarlo riuscì ad elargirgli un pallido sorriso.
-Non preoccuparti, Capitano, non hai bisogno di farmi la respirazione artificiale, stavolta!- le venne spontaneo dire non appena riuscì a parlare, per poi rendersi conto della portata dell'allusione fatta ed arrossire violentemente. Lo vide fissarla da dietro il visore del casco che lui ancora indossava e non resse quello sguardo muto, così difficile da interpretare.

Dal canto suo, Harlock pensò che avrebbe dovuto lasciarla andare e il groppo in gola che sentiva forse era dato da quel casco dello scafandro che stringeva un po' troppo sotto il mento... però ebbe il dubbio che fossero state quelle parole e quegli occhioni azzurri che lo guardavano a dargli quella strana sensazione. Ad interrompere quel momento ci pensò Leelaine, che emerse preoccupata, seguita da altri due esseri acquatici come lei. "Kei! Stai bene?"  le giunsero i pensieri della sirena. -Sto bene...- la rassicurò la ragazza -Ma cosa è successo?
Uno dei nuovi arrivati, che la guardavano con gli occhi sgranati dallo stesso stupore che aveva colto Leelaine nel vederla la prima volta, si scosse e le inviò il suo pensiero, denso di sentimenti contrastanti, tra stupore, mortificazione e venerazione: "Che la Madre della Vita mi perdoni! Vi abbiamo scambiato per i nemici e la mia lancia ti ha colpita, Figlia della Madre! Sono mortificato." Portate le mani al volto, sembrava volersi nascondere da quell'affronto che pensava di aver arrecato alla Dea che credeva personificata in Kei.
Harlock assottigliò lo sguardo e chiese se gli altri stessero bene; fu la sirena a rassicurarlo: era giunta in tempo per fermare i due guerrieri. Le somigliavano molto, soprattutto nei colori, ma erano più grandi di lei e ben allenati alla lotta a giudicare dai muscoli ben evidenti.
"Non siamo rimasti in molti" sussurrò il pensiero della sirena. "Pochi sono sopravvissuti al passaggio degli umani" e quella frase fece scendere un velo di tristezza su tutti.  
Kei e il Capitano si posero il problema della mancanza dello scafandro di lei. -Mi basterebbe un autorespiratore compatto, sono brava nel nuoto, potrei benissimo immergermi con quello, se ne avessi uno.
Harlock parlò al comunicatore interno al proprio casco e chiese se nello zainetto di Marc ce ne avesse uno di riserva.
Lo aveva e le fecero indossare quella specie di mascherina che le copriva solo il volto e riusciva ad estrarre l'ossigeno dall'acqua con un sistema miniaturizzato uguale a quello presente negli scafandri. Ma non era dotato di comunicatore e la mancanza di uno scafandro avrebbe limitato la sua permanenza in acqua, perché avrebbe perso calore molto prima.
Prima che si reimmergessero, il Capitano le disse: -Ascoltami, ti porterò io, ti stancherai meno.- la strinse da dietro con le mani forti in vita e si portò sotto la superficie dell'acqua senza nemmeno attendere la risposta di lei che, imbarazzatissima, stava ancora elaborando l'unione di quelle parole e di quell'azione.
Forse la strinse un po' più del dovuto, forse era lei che sotto lo scafandro aveva indossato poca roba e adesso era rimasta soltanto con il suo bikini turchese e una maglietta bianca e leggera, resa ormai trasparente dall'acqua, ma a Kei quell'immersione provocò un miscuglio di sensazioni contrastanti: la vicinanza tra i loro corpi e il fatto che doveva affidarsi totalmente a lui, la fecero deconcentrare sull'effettiva missione che dovevano portare a termine. Si riscosse da quei pensieri e cercò di capire dove stessero andando: dopo la verticale che li aveva riportati al luogo dell'attacco, seguirono la sirena e i due guerrieri lontano dalla città, forse dove i sopravvissuti avevano cercato rifugio dopo la tragedia che li aveva coinvolti. Ma non poteva averne la certezza, dato che con la perdita del casco era stata esclusa dalle comunicazioni e la cosa la innervosì. In quel frangente l'unica consolazione era l'essere tra le braccia del Capitano, per il resto doveva passivamente assecondare i suoi movimenti.

Nello stesso momento in cui lei si arrovellava in quelle considerazioni, Harlock ringraziava il fatto di indossare lo scafandro, così da limitare il contatto con il corpo di Kei, perché altrimenti gli sarebbe stato difficile mantenersi lucido. Era la sensazione che lo assaliva ogni volta che le era troppo vicino e si accorse che anche adesso che non poteva sentirne il calore o il profumo, era sempre presente. Cercò di non farsi distrarre perché era convinto di poter mettere in pericolo tutti, se solo i suoi riflessi avessero tardato di un secondo. Forse, almeno per questa volta, avrebbe dovuto sfruttare il senso di protezione che lei gli suscitava, per non fallire... Di certo, se avesse assecondato quell'istinto, la sua mente e il suo corpo avrebbero reagito con la solita prontezza, come ogni volta che Kei era stata in pericolo. E come sempre, sapeva che non poteva permettersi di sbagliare.

Il secondo tempio era stato eretto in un canyon sommerso dove giungeva davvero poca luce. Le nere arcate sostenevano una volta ormai completamente coperta dalle concrezioni di secoli e la poca luce era data da fioche torce che sfruttavano un qualche tipo di bioluminescenza. Si erano radunati nella Casa della Morte, i superstiti, ancora impauriti dall'esperienza del primo attacco, appena avevano avvertito nell'atmosfera del pianeta la mole dell'Arcadia.
Per precauzione entrarono nell'edificio per primi i due guerrieri, affinché altri non si scagliassero contro gli umani, fino a quel momento visti soltanto come aggressori. Quando fu concesso loro di entrare, Leelaine varcò per prima la soglia buia e videro una figura più anziana di lei andarle incontro ed abbracciarla stretta. Era irreale quella scena che si svolgeva in silenzio: gli umani non potevano sentire il frenetico flusso di pensieri che si scambiavano le due sirene, ma era certo che stessero comunicando fittamente. Ad un tratto un bimbetto si staccò dal gruppo che continuava a tenersi lontano e a diffidare di loro, per avvicinarsi a Kei che era ancora vicina ad Harlock, l'unica tra gli umani senza scafandro e quindi riconoscibile, coi suoi capelli chiari leggeri nell'acqua attorno al suo capo. La guardò con gli occhioni sgranati, poi la additò agli altri che la osservarono con lo stesso stupore e si portarono le mani al volto per non guardarla, in un eloquente gesto di disagio, identico a quello del guerriero che l'aveva colpita. A lei parve così simile alla piccola che non erano riusciti a salvare che la commozione la prese, poi fu distratta dagli altri che continuavano a nascondere il volto e il cui brusìo di pensieri affollati e confusi avevano iniziato ad invaderle la mente.
La ragazza si voltò verso il suo Capitano, confusa, fino a che non fu la stessa Leelaine a spiegarle: "Kei è la Figlia della Grande Madre, colei che da' la vita. La sua presenza in questo tempio è fuori luogo e loro se ne vergognano."
Additò qualcosa in fondo alla navata, ma gli occhi degli umani non erano abbastanza sensibili, così uno dei ricercatori accese una torcia per puntarla in quella direzione. Al loro sguardo apparve una statua del tutto simile a quella che rappresentava Kei, ma con le sembianze di Meeme, a parte i padiglioni auricolari che qui erano più minuti e meno appuntiti. Ma il viso senza bocca e gli occhi senza pupille erano indubbiamente i suoi. A Kei venne in mente l'esatta definizione che le aveva dato la stessa Leelaine alla vista dell'aliena di Yura.
"La morte che muta di bocca non si annuncia e cieca di pupille colpisce a caso."... Non aveva mentito, quella era davvero la rappresentazione dello spirito della morte.
La sirena tranquillizzò Kei: "Adesso Leelaine spiega agli altri che Kei non è davvero la Figlia della Grande Madre. Allora forse non sarà più un errore la sua presenza qui."
Kei le sorrise da dietro la maschera con gratitudine e quella fece come promesso. Era strano vederla gesticolare senza proferire parola, ma pian piano gli abitanti di quello strano oceano tolsero le mani dai volti increduli per fissarla con curiosità. Poi Leelaine guardò Harlock e certamente si parlarono, ma Kei non poteva sentire i pensieri dell'una, che chissà perchè non l'aveva resa partecipe, tantomeno le parole dell'altro, dato che non aveva comunicatore. Rimase a guardare incuriosita quel popolo di sirene, forse poco più di un centinaio, superstiti di una città certamente più popolosa e le si strinse il cuore. Fu attraversata da un brivido, aveva iniziato a sentire freddo già da un po', ma adesso la sensazione stava intensificandosi, certamente a causa di una qualche corrente sottomarina che sembrava provenire da una maggiore profondità e che penetrava dalle numerose aperture del Tempio della Morte. Cercò di non pensarci e si distrasse osservando quel misterioso popolo di sirenidi.
Avevano tutti gli stessi colori argentati di Leelaine, le squame più chiare e minute sul ventre che sulla schiena e lunghi capelli nelle tonalità metalliche che andavano dall'acciaio brunito al platino che fluttuavano morbidi nella corrente leggera accompagnando il minimo movimento.
Uscirono dal tempio e per gli umani fu come vederci di nuovo, nonostante la luce non fosse ancora bastevole. Quella che Leelaine presentò al Capitano come sua madre gli si avvicinò timorosa, gli prese la mano guantata dallo scafandro e se la portò alla fronte, in un gesto che aveva tutta l'aria di sottomissione, poi fece lo stesso con la mano di Kei che cominciava già a corrugarsi per la prolungata immersione senza protezione. Era il gesto di una madre che li omaggiava per averle riportato la figlia e furono sommersi, più che da pensiero preciso, da un gioioso sentimento di gratitudine.






1 Il diagramma di Hertzsprung-Russell, noto come diagramma H-R (prende il nome dai due studiosi che furono i primi a usarlo all’inizio del secolo) è uno schema che ordina tutte le stelle dell’universo. In un sistema di assi cartesiani si pongono sull’asse delle ordinate la luminosità delle stelle (o, in termine tecnico, la “magnitudine visuale assoluta”) e su quello delle ascisse il loro colore (tipo spettrale), legato alla temperatura della stella in superficie. La maggior parte delle stelle si raggruppano su una diagonale, detta sequenza principale (disegno accantto), che mette in relazione la temperatura e la luminosità (più una stella è luminosa più è “calda”). Fanno eccezione tre gruppi di stelle: le giganti e le supergiganti, molto luminose ma relativamente fredde, e le nane bianche, calde e poco luminose. Le stelle vengono classificate in classi spettrali con le lettere: O, B, A, F, G, K e M, ciascuna suddivisa in sottoclassi da 0 a 9. Dal momento della sua ideazione, il diagramma H-R è diventato uno strumento fondamentale dell’astrofisica.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quando tutto è perduto ***


Harlock guardò la madre di Leelaine che si portava sul capo la mano di Kei e vide la pelle rugosa delle sue mani sottili e pallide. Non poteva state ancora per molto in acqua, stava certamente disperdendo troppo calore. Disse qualcosa a Leelaine, quella annuì e mentre la sirena spiegava al suo popolo cosa sarebbe accaduto, lui richiamò l'Arcadia.
La grande astronave si profilò con la sua grande mole a mezz'acqua, contornata dai raggi del sole giallo che la facevano risaltare controluce e mentre il popolo dei sirenidi la fissava con reverenziale timore, Harlock le andò incontro portando con sé Kei. Quando fece aprire il portello della camera stagna vi entrò con lei e lo richiuse dietro sé. Attesero che l'aria prendesse il posto dell'acqua che defluiva veloce e, quando gli giunse al petto, lui sganciò il proprio casco e si voltò a guardarla. Il livello dell'acqua era giunto nel frattempo a metà coscia e la maglietta bagnata le aderiva addosso in pieghe disordinate che ne accentuavano le forme morbide. La fissò turbato in silenzio, fino a che non si accorse che lei tremava, mentre toglieva la maschera. La prolungata permanenza a quella profondità media di una trentina di metri senza una protezione le aveva sottratto molto calore e adesso il getto d'aria che veniva immessa nel locale di ridotte dimensioni, ne accentuava il disagio.
Le chiese se stesse bene e la vide annuire forzando un sorriso, ma era evidente che stava mentendo. Tolse in fretta il proprio scafandro e appena le ultime gocce d'acqua scomparvero, si fiondò con lei all'interno dell'astronave, spronandola tenendole una mano in vita. Era fredda la pelle del suo braccio, quando la sfiorò con l'altra mano e senza dire una parola la guidò alla porta della sua cabina, ne digitò personalmente il codice di accesso e ve la spinse dentro.
Paralizzata dallo stupore, lei lo assecondò anche quando le sfilò la maglietta per spingerla sotto il getto caldo della doccia... e la cosa era indice dell'inizio di ipotermia che l'aveva presa: se fosse stata davvero bene, Capitano o non Capitano, lo avrebbe come minimo allontanato bruscamente. Quella passività non era da lei ed Harlock si rimproverò per non aver compreso prima che lei stesse perdendo energie.
-Vado a prenderti qualcosa di caldo, non muoverti.- le disse e senza attendere risposta corse alle cucine. Che idiota era stato! Per quanto forte, una donna esile come lei faceva presto a perdere calore ed energie.
Tornò portando un vassoio con dello zucchero, del the, una tazza e un contenitore termico con dell'acqua bollente, li poggiò sul tavolo e mise in infusione del the in una tazza, poi tornò da Kei che era rimasta dove l'aveva lasciata, nel vapore che si era accumulato nella cabina.
Quando si affacciò nel piccolo ambiente, lei istintivamente si coprì portandosi un braccio sul seno ed allungando l'altro sul bacino. La pelle del viso arrossata dal calore dell'acqua nascondeva quello dato dall'imbarazzo, ma lei elargì lo stesso un timido sorriso, ormai completamente tornata in sé.
-Grazie. Posso farcela anche da sola adesso.- gli disse. Lui si limitò ad annuire con un cenno del capo ed uscì dalla cabina doccia e poi dall'alloggio. Rimase fermo nel corridoio dietro la porta ormai chiusa, restìo ad allontanarsene, il forte impulso di tornare indietro e abbracciarla per accertarsi che stesse veramente bene. Sollevò la mano per digitare il codice di accesso, ma in quel momento l'astronave fu scossa da un'esplosione inaspettata che lo mandò a sbattere sulla paratia opposta; ripresosi, abbandonò il suo proposito e corse in plancia per cercare di capire cosa stesse accadendo, Kei se la sarebbe di certo cavata.
Nessuno li aveva visti tornare a bordo e Yattaran lo accolse sorpreso: -Capitano! Cosa ci fai qui?
Lo fissò con gli occhi sgranati. Quando era iniziato l'attacco, Harlock stava aiutando Kei e non aveva avuto il tempo di mettere altro che gli stivali, sulla nera tuta che era solito indossare sotto allo scafandro per le immersioni: non portava i cinturoni con le armi, tantomeno l'usuale mantello.
-Non adesso, Yattaran... Cosa succede?- chiese in allarme.
-Sembrano bombe di profondità, ma non abbiamo ancora trovato con precisione la fonte. Sembrerebbe la traccia elettromagnetica di un paio di grosse astronavi. Qua sotto i deflettori non funzionano!
-Mettimi in comunicazione con gli altri!- ordinò Harlock.
-Subito, Capitano!- veloce, il primo ufficiale dell'Arcadia mise in collegamento la plancia con gli uomini rimasti all'esterno con i sirenidi.
Stavano tutti bene, per fortuna l'Arcadia era sufficientemente lontana e si erano rifugiati nuovamente nel tempio, avendo i sirenidi avvertito in anticipo quella odiata presenza.
Quella notizia rasserenò Harlock, ma una nuova esplosione squassò l'astronave e un allarme risuonò lontano.
Prima che il Capitano chiedesse un rapporto sui danni, un pronto Yattaran disse: -Niente di grave, una paratia esterna lesionata, i robot sono già sul posto.
Un allarmata Kei si affacciò in plancia. Guanti a parte, era in perfetta uniforme e sembrava essersi ripresa dalla momentanea ipotermia. -Cosa succede? Chi ci attacca?
-Non lo sappiamo.- le rispose un perplesso Yattaran.
-Torno fuori.- disse seria al Capitano, a metà tra una domanda e un'affermazione, ma lui scosse il capo; non voleva lasciarla uscire e saperla allo scoperto, anche se pareva proprio che il bersaglio sembrava fosse l'Arcadia. Quell'impulso ad averla vicina in ogni caso tornava a farsi prepotente, nonostante tutto... Cercò di archiviarlo nei recessi della sua mente, non era quello il momento di stare a pensare, doveva agire.
-Torniamo in superficie.- ordinò Harlock e i presenti si diressero verso le postazioni di competenza.
Maestosa come un enorme cetaceo che si portava in superficie per respirare, l'Arcadia emerse e poi continuò la sua corsa nell'atmosfera, lasciandosi dietro le scie d'acqua che ancora scaricava da tutti i punti in cui si era raccolta nella sua permanenza sottomarina, pronta a combattere contro un nemico sconosciuto.
I sensori, non più disturbati dal moto ondoso, rilevarono subito il nuovo attacco e i pirati risposero di conseguenza. Presto la battaglia aerea entrò nel vivo e l'Arcadia si trovò in difficoltà, perché al limite indefinito tra l'atmosfera e lo spazio, si era trovata contro tre grandi astronavi minacciosamente armate fino ai denti.
Sarebbe stato davvero uno spettacolo strano ad un eventuale spettatore esterno, perché le astronavi che si davano battaglia portavano le stesse insegne piratesche, ma combattevano su fronti opposti. Ad un certo punto, l'astronave che sembrava essere a capo della piccola flotta si mise in contatto con la plancia dell'Arcadia e sul grande schermo apparve una vecchia conoscenza di Harlock.
Aspetto trasandato, fisico possente, una gran barba nera e il viso sfregiato da una vistosa cicatrice verticale, sottolineata da graffe metalliche poste ad intervalli regolari su un lato del viso, dal cuoio capelluto alla mandibola (in quel punto priva di barba), il capitano della Rapace scoppiò a ridere rumorosamente non appena vide lo sguardo duro di Harlock.
-Harlock! Non ti sarai messo a far concorrenza ai tuoi colleghi! Avevo immaginato che ci fossi tu dietro a quell'assurdo propagarsi di quelle notizie relative ad un improbabile contagio portato da quei pesci! Mi stai rovinando gli affari... Potevi dirlo che volevi entrare in questo giro, ci si veniva incontro!- esclamò ridendo rumorosamente.
L'interpellato assottigliò lo sguardo, la bocca prese un piega disgustata, il tono di voce usato particolarmente duro: -Sai benissimo che non appartengo alla vostra stessa feccia, Hammer. E non sono qui per il vostro stesso scopo, hai fatto male al solo pensarlo. E pagherai anche per questo.
Di solito Harlock rispettava i nemici che lo meritavano, ma con quella classe di malviventi c'era poco da considerare, alla luce di quanto avevano fatto: stavolta non si erano dati alla semplice razzia di merci, ma ad un traffico assimilabile a quello di esseri umani. E Hammer era un nemico temibile anche per l'Arcadia.
-Stai attento, non vorrei danneggiare troppo quella tua bella nave, signor pirata!- rispose il nemico con finta riverenza. La bocca di Harlock prese una piega ancor più dura, ma non diede corda all'avversario.
Vedendosi pressoché ignorato, Hammer si alterò maggiormente e gli gridò: -Il tuo aristocratico culo lo farò a strisce, stavolta!- terminò minaccioso, e dall'Arcadia il Capitano ordinò di chiudere la comunicazione, ancora una volta senza abbassarsi a rispondere.
Data la mancanza della parte di equipaggio rimasto sulla troppo lontana Ombra di Morte e di coloro che invece erano sott'acqua con i sirenidi, i cannoni laser furono coperti dagli uomini che solitamente manovravano in plancia, di conseguenza il movimenti dell'Arcadia risultarono leggermente più impacciati.
Al timone Harlock diede il meglio di sé, ma all'ennesimo colpo che li sfiorò, Kei annunciò: -Capitano, deflettori all'ottanta per cento! Reggeranno non più di altri quattro colpi, a questo ritmo!
Lui strinse i denti. Doveva essere più veloce, più efficiente. La Rapace fece nuovamente fuoco su di loro, ma ruotando furiosamente il timone a tutta dritta riuscì ad evitarlo. Chi invece non fece in tempo fu una delle due navi appoggio, che trovandosi improvvisamente scoperta, fu vittima del fuoco amico. Uno dei due motori saltò in aria, e dovette allontanarsi lasciandosi dietro una scia scura, ormai ridotta quasi all'impotenza. Ammarò sgraziatamente sotto di loro, ma non rimase a galla abbastanza a lungo perché una nuova esplosione la dilaniò, lasciando poche speranze su eventuali sopravvissuti.
Ma restavano ancora due navi a fronteggiarlo e non avrebbero commesso di nuovo lo stesso errore, Harlock lo sapeva. Strinse il legno della ruota e impresse una rotazione veloce al timone, movimento che fece virare la nave per farle ritrovare il giusto assetto.
La seconda nave fece fuoco nuovamente, riuscendo a sfiorare la prua ancora una volta e facendo gridare a Kei: -Siamo al sessantacinque per cento! La torretta numero tre è fuori uso!
Un altro colpo squassò l'Arcadia.
-Quarantadue per cento!
-Capitano, sono andati anche i cannoni della uno.- disse con un'irreale calma Yattaran, sempre fiducioso nel suo superiore.
Harlock, dal canto suo, aveva sempre confidato nella sua nave e rispose con un cenno e proseguì in silenzio a manovrare in quella lotta impari.
 
 
Non sapeva se ce l'avrebbero fatta, ma era certo che il suo destino lo avrebbe portato a morire su quella nave, in quella plancia, a quel timone, in una battaglia identica, forse proprio da lì a poco.
Era pronto ad affrontare il peggio, poi il suo occhio si posò sul profilo di Kei... terminare così la sua vita era davvero ciò che desiderava? Avrebbe accettato quel destino? Anche adesso che aveva capito che poteva esserci qualcos'altro di importante per cui lottare? Perché si era reso conto che poteva continuare a sforzarsi di ignorare i suoi sentimenti, ma questi non sarebbero cambiati e quella ragazza ne era il centro... Non poteva arrendersi e portare alla morte tutti i presenti, lei men che meno.
In un gesto quasi disperato continuò la manovra di evasione, ma la Rapace fece fuoco ancora una volta.
Stavolta dovettero afferrarsi a qualcosa per non essere scaraventati sul pavimento e Kei annunciò: -I deflettori sono quasi andati! Prepariamoci al peggio!- ma nella sua voce stranamente non c'era paura: credeva che in qualche modo ce l'avrebbero fatta... era sempre così, la simbiosi tra l'Arcadia e il suo Capitano le davano l'inspiegabile certezza che quella volta non sarebbe stato diverso.
Harlock la fissò ed annuì, in realtà sapeva che  non c'era molto altro da poter fare. A differenza di Kei si rendeva conto che, volente o nolente, quella sarebbe stata la loro ultima battaglia e sarebbe morto con un rimpianto troppo grande da portare nel cuore. Strinse i denti e le tese la mano: -Kei, vieni a tenere l'Arcadia con me!- esclamò cercando di tenere il tono saldo.
Lei lo guardò sorpresa, sgranando gli occhi chiari, ma obbedì. Gli altri non sembrarono farci caso, ma Yattaran, di nascosto, sorrise con una punta di amarezza. Stavolta per loro non c'era nulla da fare, capì che  quello era l'ultimo gesto del Capitano per la donna amata prima della fine.
Kei corse al timone e poggiò le mani sulle caviglie di legno, il cuore che sembrava volerle sfondare il petto e mille domande che le confondevano la mente. Era certa che il Capitano non avesse bisogno di aiuto, allora perché volerla lì, in quel momento in cui sembrava tutto perduto? Poi però lui strinse le mani sulle sue e la avvolse di sé, in un gesto muto, ma chiaro come il mare limpido di quel pianeta.
Anche lei comprese. Harlock doveva essere certo che l'Arcadia non aveva speranza di riuscita e quello era il suo modo di esprimere qualcosa che aveva forse accennato, senza mai palesarlo davvero. Spinse lievemente le spalle contro il petto di lui, nel tentativo di approfondire quel contatto da troppo tempo desiderato e che adesso la avrebbe accompagnata in quegli ultimi momenti.
Seppe che se era finita lo voleva, più di ogni altra cosa e avrebbe cercato di percepirlo fino alla fine, quel calore che nonostante tutto le dava sicurezza anche in quel disperato frangente.
E poi...

Un'ombra immensa spense il sole che illuminava la plancia dalla grande finestra e un corpo grande più dell'Arcadia stessa colpì la Rapace, gettandovisi contro con tutta la sua mole, incurante dei colpi di cannone che lo prendevano di mira. Poi ne comparve un altro e un altro ancora, fino a che il cielo fu ingombro di corpi enormi, affusolati e avvolti dall'acqua che riuscivano a trattenere chissà come. Il branco di balene astrali annientò le due astronavi nemiche, ma non sfiorò la già malridotta Arcadia, circondandola in maniera protettiva in un irreale silenzio.
La battaglia terminò così, con l'arrivo di quel branco così singolare, che non era stato minimamente rilevato dalla strumentazione di bordo, e tutti i presenti sul ponte di comando corsero alla fino alla finestra ad ammirare quello spettacolo. Solo Kei e il Capitano rimasero indietro, al timone. Lui le aveva lasciato le mani, ma non si era mosso, restandole vicino, e lei si era staccata solo un poco, per girarsi fino a poterlo guardare, gli occhi lucidi. Erano salvi: adesso lui cosa avrebbe fatto, dopo essersi esposto tanto? Forse nulla... Nella ferma convinzione di voler tenere i piedi per terra, la ragazza si convinse che lui avrebbe ignorato quel momento, passandoci sopra come se non fosse accaduto: era la cosa più probabile, conoscendo la sua riservatezza, meglio non farsi illusioni.
Invece Harlock rimase lì a fissarla e lei ricambiò quello sguardo, ferma e fiera. Poi gli lesse qualcosa di inaspettato e nuovo nell'occhio, le venne spontaneo sorridergli e lui rispose di rimando. Sorrideva raramente, ma quando lo faceva quell'espressione era capace di far impallidire le stelle, per lei. E quando si chinò per assaggiarle le labbra, Kei pensò davvero di poter morire, mentre ricambiava quel bacio, inatteso quanto desiderato.
Non approfondirono quel primo contatto, non lì in plancia. Ma la strinse a sé e le carezzò i capelli, prima di tornare ad espletare il dovere che il suo ruolo gli imponeva. Non dissero nulla, in quel momento c'era altro di cui occuparsi e lo sapevano entrambi.
Con la ragazza accanto, Harlock contattò i suoi uomini rimasti sott'acqua, per rassicurarli sull'esito della battaglia di cui avevano udito le esplosioni e il gruppo dei sirenidi poté finalmente considerarsi al sicuro.

Le balene astrali si immersero non appena furono raggiunte dal resto del branco, che entrò con irreale calma nell'atmosfera del pianeta. Erano eleganti, nonostante la gigantesca mole, e i loro movimenti, anche se misurati, disturbarono la superficie dell'oceano: le onde che ne risultarono bastarono a far ondeggiare l'Arcadia che Harlock aveva fatto adagiare sul mare. Ordinò ai suoi uomini di cominciare ad occuparsi dei danni riportati in battaglia e corse ad indossare nuovamente lo scafandro, tallonato da Kei, risoluta a seguirlo.
Prima di mettere il casco le chiese se si fosse davvero ripresa.
La ragazza annuì calorosamente: -Con lo scafandro non avrò problemi.- poi ripensò a quella frase di Leelaine su di lui e sul "suo bacio guarisce" e le venne da ridere, perché quel fugace contatto le aveva dato un’energia inaspettata. Harlock la fissò perplesso, ma non disse nulla, attese che anche lei sigillasse il casco e poi scesero in acqua. Dato che l'Arcadia non era sott'acqua non ci fu bisogno di usare la camera stagna, così si lasciarono scivolare fino sulla superficie dell'oceano per poi immergersi e quindi dirigersi verso la direzione che già conoscevano.
Delle balene astrali non vi era traccia. Erano entrate in acqua nel punto in cui la scarpata sottomarina sprofondava rapida nell'oceano, dove gli abissi erano adatti alla loro gigantesca mole e potevano nuotare liberamente. Misteriosamente silenziose come erano apparse, erano svanite, dalle gelide profondità del mare stellare a quello fatto d'acqua tiepida e salata.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Un canto per l'Arcadia ***


Le balene astrali qualcosa avevano lasciato, prima di sparire misteriose: i ragazzi e le ragazze del popolo dei sirenidi che erano di ritorno dalla loro prova per essere ammessi al mondo adulto. Avevano compiuto il loro rito di passaggio ed erano tornati in un mondo sconvolto da una guerra che mai avevano conosciuto.
Leelaine e gli altri erano andati loro incontro e avevano spiegato quanto accaduto al cospetto degli umani che non poterono fare altro che assistere a quel muto scambio dato dal contatto mentale.
Il bilancio finale era doloroso: famiglie intere erano andate distrutte, altre menomate da molti dei componenti, nessuna era uscita indenne dalla prima invasione di Hammer e dei suoi uomini.
L'equipaggio dell'Arcadia restituì il corpicino della piccola che non erano riusciti a salvare ed una giovane madre pianse l'ultima speranza che le veniva portata via: era rimasta davvero sola. Conobbero il suo nome e Kei salutò per sempre la piccola Seephee la cui salma ancora intatta, preservata fino a quel momento dal campo di stasi, venne portata al buio tempio della morte. Non avrebbe mai scordato la debole voce della bimba nella sua testa che la invocava come la Dea che non era. Forse Harlock intuì il suo pensiero e la sua mano guantata dal pesante scafandro le strinse il braccio, per farle sentire la sua vicinanza. Lei poggiò il casco a quello di lui, così da non usare il comunicatore attraverso il quale avrebbero udito tutti, e affidò la propagazione del suono a quel contatto che invece avrebbe assicurato la privacy.
-Ha chiesto il mio aiuto e non sono riuscita a salvarla...- disse lei con voce rotta. Lui annuì: -Non potevi fare di più per lei. Ma non la dimenticheremo.- rimarcò, risoluto.
Rimasero vicini, poi seguirono gli altri a bordo dell'Arcadia. Prima di affiorare alla superficie ormai buia dell'oceano, furono raggiunti da Leelaine, che li afferrò entrambi per lo scafandro e li fermò.
"Andate via?" chiese con apprensione, il volto chiaro illuminato dalla luce giallastra che proveniva dalla luce interna ai caschi dei due pirati.
Le rispose il Capitano, con voce pacata: -No, tranquilla. Però dobbiamo tornare a bordo per avere notizie da Ombra di Morte, per sapere se sono riusciti a recuperare tutte le tue compagne rapite.
Avevano recuperato dal relitto della Rapace, ormai inabissato con i cadaveri dei suoi occupanti, la memoria ben protetta del computer. Conteneva, tra le altre cose, il database con il numero preciso e le schede delle sirene vendute e i rispettivi acquirenti. Ne inviarono copia su Ombra di Morte per cercare di capire se la loro strategia avesse avuto successo, poi consegnarono il tutto ai ricercatori, che avrebbero allertato le autorità su quel traffico. Inoltre Marc e Sarah avrebbero preso il merito della scoperta di quel sistema e delle rare e singolari specie che lo abitavano: ai pirati dell'Arcadia non sarebbe stato possibile prendersi ufficialmente il merito della cosa... e a loro dopotutto non importava.
Da Zero giunse la notizia che su Ombra di Morte era giunto il novanta per cento delle sirene rapite, ancora vive, anche se molte in cattive condizioni di salute. Delle rimanenti, stando al database dei trafficanti, altre due erano bimbe morte prima della consegna, mentre delle altre non si aveva notizia... Ci avrebbero pensato le autorità con il supporto dell'organizzazione dei ricercatori a recuperarle, coi normali mezzi di cui disponevano i canali ufficiali.
Nei giorni che attesero l'arrivo di Ombra di Morte, l'Arcadia rimase mollemente ormeggiata presso la costa dell'isolotto più vicino alla città sommersa dei sirenidi. I ricercatori ne approfittarono per approfondire i contatti con quella singolare popolazione, mentre i pirati iniziarono le riparazioni più urgenti sull'astronave. Lavoravano ormai da cinque giorni e Harlock era stato parecchio indaffarato sia sopra che sotto la superficie dell'acqua, tanto che i suoi lo vedevano poco e sempre più di umore cupo, col suo mantello svolazzante sulla schiena alternato allo scafandro che doveva usare per uscire.
Qualsiasi cosa lo tormentasse, sapevano che lo avrebbe tenuto per sé, come sempre, quindi si limitarono ad osservarlo senza interferire troppo su quello strano stato d'animo che contrastava così tanto con la vittoriosa atmosfera che regnava a bordo e sott'acqua.
Quel pomeriggio incontrò Kei nel corridoio che portava all'hangar, impegnata a trasportare un mucchio di cavi tra le braccia esili. Rimasero a guardarsi: da quel momento in plancia in cui lui l'aveva baciata non avevano avuto modo di parlare in privato e chiarirsi su quel particolare istante.
 
Le si avvicinò e le portò i capelli dietro l'orecchio, in un movimento fluido e sensuale insieme. Non poteva continuare ad ignorare quel sentimento così forte e nemmeno quello che era accaduto in plancia. Dopotutto cosa sarebbe cambiato a bordo, se l'avesse avuta come compagna? Era già comunque abbastanza coinvolto, si preoccupava per lei, ne desiderava la presenza vicino e sapeva che se avesse represso troppo a lungo quell'insieme di sensazioni sarebbe esploso. Di certo Kei non avrebbe sottratto nulla alle sue attenzioni per l'Arcadia e il suo equipaggio, non lo avrebbe cambiato come Capitano. E lei non era il tipo da pretendere particolare trattamento facendo leva sui suoi sentimenti, lo aveva dimostrato in quei giorni, continuando a svolgere il proprio dovere senza risparmiarsi, anche alla luce di quel bacio così dolcemente corrisposto. Allora un pensiero prese forma nella sua mente, concretizzato dai dubbi che si erano pian piano trasformati in certezze.
Come ipnotizzata, lei non reagì, incapace di capire cosa stesse accadendo, persa in quell'iride seria di ambra proveniente da un tempo troppo lontano per essere compreso pienamente.
-Domani arriverà Ombra di Morte e saremo ancor più impegnati. Passa un po' di tempo con me, Kei.
La ragazza sorrise e annuì, le pupille dilatate per l'emozione di potergli stare nuovamente vicino.
Le tolse i cavi dalle braccia e li lanciò a lato del corridoio, poi la prese per mano e si avviarono insieme. La condusse fuori, sullo scafo segnato dalla recente battaglia, in un punto vicino alla superficie dell'oceano, sull'acciaio riscaldato dal sole. Sedettero vicini, per una volta spensierati, rilassati in un mondo che era lontano dalla vita che conducevano di solito. Era vero che capitava che prendessero una pausa su Ombra di Morte, ma anche se riproduzione fedele di uno spaccato naturale, sempre di isola artificiale si trattava. E poi quello era un momento particolare, in cui una nuova consapevolezza si faceva strada in loro.
Una leggera brezza scompigliava i capelli nella luce calda ma non troppo aggressiva del pomeriggio e Harlock si ritrovò a prenderle la mano e ad attirarla a sé, come mille volte aveva pensato di fare. Per qualche momento poteva fare a meno del suo ruolo e tenerla così, assecondando quell'istinto di protezione che quella ragazza sapeva suscitare in lui. Kei non si oppose e sorrise sul suo petto, ricambiando quell'abbraccio forte che tanto la faceva stare bene.
La raggiunse con un bacio leggero sulla tempia, ne seguì uno sulla guancia, poi ne posò un altro più vicino alle labbra rosee di lei. Si incontrarono in un bacio vero e proprio, quando Kei voltò appena il capo per tornare ad assaporare la morbidezza inaspettata di quelle di lui, ancora una volta, dopo quel primo momento in plancia. Stavolta approfondirono il contatto, tenendosi stretti, senza respirare, in un cercarsi e trovarsi che divenne presto un bisogno impellente delle mani e poi dei loro interi corpi.
Era come se ad Harlock venisse più facile, come se da quando l'aveva baciata la prima volta si fosse davvero tolto un peso dal cuore. In quei giorni ci aveva pensato spesso e aveva deciso che quell'urgenza non era stata data soltanto dal momento disperato per l'esito di una battaglia creduta persa, come poteva accadere... Era la motivazione che si era dato in un primo momento, sapendo di mentire a se stesso, ma era stato più forte di lui: il dover affrontare un sentimento così misterioso e grande, che avrebbe potuto portare grossi cambiamenti all'interno della ciurma, lo aveva inquietato ancor più che un nemico tangibile. Solo quel giorno si era reso conto di quanto fosse immotivato quel timore.
Si rilassarono sullo scafo segnato da mille battaglie, a guardare il cielo limpido, lei col capo poggiato sul petto di lui, ad ascoltare il battito del cuore, adesso più calmo, dopo i primi momenti di passione. Uno stormo di grossi uccelli dalla coda marcatamente forcuta volava alto in direzione dell'arcipelago, lanciando acuti schiamazzi e rimasero a guardarli finché non scomparvero.
-Ti sei mai chiesto come mai il popolo di Leelaine somigli così tanto alle descrizioni che si fanno delle sirene sulla Terra?- chiese ad un tratto Kei, pensierosa.
Harlock ci aveva pensato a lungo: -Sarebbe una coincidenza davvero improbabile, se pensassi ad un semplice caso. Comincio a pensare che un fondo di verità ed un ipotetico legame ci sia...
-E come ti spieghi la cosa?
-Poniamo il caso che un branco di balene astrali sia partito come suo solito per la migrazione annuale. Se per una o più circostanze ancora da definire, avessero perso la rotta uno o più esemplari, e questi fossero finiti nei pressi di un pianeta azzurro dal sole giallo, coperto per buona parte dall'acqua... e vi fossero rimasti, più o meno ai tempi in cui la civiltà umana era giunta ai primi tentativi di scrittura fantastica, come la mitologia greca... i terrestri dell'epoca avrebbero pensato a creature sovrannaturali. Non escludo nemmeno tentativi di avvicinamento finiti male per colpa dei poteri psichici delle sirene. Naturalmente le balene astrali, potrebbero aver avuto difficoltà a tornare, forse malate o chissà perché… naturalmente mancando delle femmine si sarebbero estinte, ma i sirenidi no, dato che solitamente i giovani che affrontano il rito di passaggio sono di entrambi i sessi. Ed ecco il mito di sirene e di enormi leviatani che nasce in svariate popolazioni della civiltà umana. Eravamo stati raggiunti dagli alieni in tempi remoti e non lo sapevamo...
Kei lo aveva ascoltato affascinata. Era una spiegazione plausibile, qualcosa di simile lo aveva pensato anche lei.
-Certo che adesso abbiamo un bel problema. C'è un sacco di gente che adesso conosce i sirenidi e le balene astrali... Ho paura che altri uomini, spinti dall'avidità, possano mettere in pericolo questo paradiso ed i suoi abitanti.- gli confessò.
La rassicurò in merito: -Adesso che anche loro sanno delle minacce che esistono al di fuori del loro pianeta, saranno più attenti. Hanno le balene a proteggerli e hanno gente come Marc e Sarah che racconteranno la loro storia: faranno di tutto per coinvolgere gli organi competenti affinché non accada loro nulla di così mostruoso. E se non dovesse bastare, ci siamo noi, no?
Kei rise: -Hai ragione. Non per metteremo più che accada qualcosa di così terribile.- e il pensiero di lei tornò alla piccola Seephee, smorzando quell'entusiasmo come le capitava ogni volta che la ricordava.
Si sollevò a sedere, il sole era ormai basso all'orizzonte ed erano sorte due delle tre piccole lune che illuminavano le notti di quel pianeta. Un canto leggero giunse da qualche parte sulla superficie dell'acqua, un'armoniosa voce femminile a cui rispose poco dopo una più bassa, ma ugualmente gradevole, voce maschile. Rimasero in silenzio ad ascoltare quel canto misterioso, poi si aggiunse un'altra voce e poi un'altra ancora, fino a che un armonioso coro avvolse l'Arcadia e il suo scafo ancora ferito dalla battaglia. Decine di teste argentate erano emerse attorno all'astronave, punteggiando la superficie del mare che la sosteneva.
Nella luce del tramonto che andava scemando, Harlock e Kei si chiesero cosa stesse accadendo, cullati da quel suono celestiale accompagnato dallo sciacquio leggero delle onde sullo scafo.
Una voce si distaccò dalle altre e parlò alle loro menti, era quella ormai familiare di Leelaine: "Capo Harlock, Figlia della Madre Kei, noi cantiamo per l'anima della vostra balena di metallo. Noi cantiamo per l'Amico di Capo Harlock, che ha combattuto la nostra battaglia."
Riprese il canto con gli altri e l'uomo e la donna rimasero incantati ad ascoltare quel suono che pacificava davvero l'anima. Ad un tratto lo scafo parve quasi brillare di luce propria; durò solo un istante, ma fu impressionante. Harlock sapeva che il suo Amico ringraziava così per quella manifestazione d'affetto, mentre Kei rimase a bocca aperta di fronte a quel fenomeno.
Pian piano, come si erano aggiunte, le voci scemarono, sino a che rimase la coppia che aveva iniziato. Ormai era buio e presto tacquero anch'essi. Rimasero solo il Capitano e il Secondo Ufficiale sotto il cielo punteggiato da costellazioni sconosciute, semi occultate dal chiarore che donavano le due lune ormai alte nel cielo.
 

Rapidamente lo strato medio del cielo si annuvolò e l'aria fu illuminata dai lampi, sottolineando il movimento dello scafo in balia di un moto ondoso che si andava intensificando sotto un vento più insistente. Sulle torrette, sulle antenne e sui cannoni dell'Arcadia apparvero con un inquietante sfrigolio le spettrali fiammelle che i marinai terrestri di un tempo chiamavano "Fuochi di S. Elmo", in realtà cariche elettrostatiche che si accumulavano di solito sugli alberi e sui pennoni dei velieri, dove la differenza di potenziale con l'aria circostante era maggiore. Presto l'umidità della tempesta che preannunciavano li avrebbe cancellati e la pioggia avrebbe reso lucido il metallo dello scafo, normalmente opacizzato dall'usura che la vita di un'astronave implicava.
Il Capitano si mise in piedi e tese una mano a Kei, aiutandola a rialzarsi. La brezza densa di salsedine si era fatta davvero fredda ed un brivido la attraversò, quando una volta eretta si espose maggiormente al vento.
Il mantello sventolava dietro la sua figura energicamente, ma lui tenne lo stesso il passo saldo, senza farsi influenzare troppo da quel fastidioso effetto vela.
-Torniamo dentro.- le disse e lei lo seguì, ancora in silenzio, barcollando per il beccheggio e il rollio della nave che andavano facendosi più forte di minuto in minuto, a causa del moto ondoso che aumentava col vento. Era ancora intimorita dalla piega che stava prendendo il loro rapporto, ma la sicurezza che lui dimostrava di avere la rincuorò. Nutriva una tale fiducia nel suo Capitano che sarebbe riuscita a seguirlo davvero ovunque.
Le loro mani erano ancora allacciate, quando tornarono al riparo, ma sciolsero quel contatto subito dopo messo piede sottocoperta, ognuno di nuovo calato nel suo ruolo, lui Capitano, lei Ufficiale.
La cena aveva richiamato tutti in mensa e anche loro vi si diressero. Appena ne varcarono insieme la soglia, il chiacchiericcio che aleggiava si smorzò fin quasi a svanire, mentre i presenti li osservavano curiosi; i due non dimostrarono di farci caso e non appena si furono accomodati alo stesso tavolo in un angolo della sala, quel brusio allegro tornò ad imperare.
Masu-san però non era il tipo da lasciare passare inosservata una stranezza di quel tipo; li avevano cercati per tutta la nave, avevano anche contattato i ricercatori, il tutto senza esito, poi erano comparsi insieme... oltretutto qualcuno le aveva riferito del bacio in plancia, quando credevano di non essere stati visti, con gli uomini distratti dalle balene astrali, e alla vecchia cuoca non era parso vero di vederli davvero così vicini.
Aspettò che terminassero di cenare, poi batté due grandi bottiglie di ottimo liquore sul banco, facendoli azzittire e voltare tutti: -Stasera si brinda! Offro io, è la roba migliore che abbiamo a bordo! E chi non ha capito il perché, può anche andarsene via da questa nave!- sbraitò, risoluta, strizzando l'occhio al Capitano e mostrando l'intera dentiera a Kei, che sprofondava virtualmente sulla sedia, imbarazzata a morte per essersi trovata così al centro dell'attenzione.
Naturalmente si unirono tutti ai festeggiamenti e anche Meeme tracannò la sua abbondante parte per gioire con essi.
La festa proseguì con qualsiasi cosa di bevibile fosse stato tirato fuori un po' ovunque. Pian piano i meno brilli andarono a dormire, mentre l'Arcadia entrava nel turno di riposo. Anche Harlock e Kei uscirono, lasciando Masu-san a far sgomberare quelli che erano ancora in grado di camminare sotto la minaccia dei suoi coltellacci... Gli altri rimasero sul pavimento o sui tavoli a ronfare beati: il giorno seguente l'emicrania li avrebbe portati tutti da Zero per qualche rimedio utile a farla calmare.
Fuori la tempesta aumentava di intensità, ma non era una preoccupazione per nessuno di essi, sicuri al riparo dello scafo amico. E chi era ubriaco nemmeno si rese conto di barcollare un po' più del solito.
Harlock la accompagnò fino all'alloggio che le era stato assegnato fin da quando era giunta a bordo e si fermò sulla soglia con lei. Kei lo guardò e gli prese la mano. Non disse nulla, ma aperta la porta della camera bastò che entrasse senza interrompere quel contatto perché lui la seguisse senza dire nulla. La porta si richiuse senza interrompere quel silenzio carico di aspettative e promesse. Nemmeno i suoni della tempesta che imperversava fuori giunsero sin lì.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Le Sirene di Ombra di Morte ***


La penombra, creata dai pochi punti di luce dei comandi che regolavano i parametri vitali della cabina, confondeva i contorni degli abiti scuri e dei volti seri. Il respiro sommesso di Kei si confuse con quello più controllato di Harlock, mentre lui si abbassava per baciarle la pelle chiara del viso, lentamente e sensualmente. Una mano fu liberata dal guanto logoro e si posò sui capelli sottili di lei, leggera.
Il profumo di entrambi si confuse e mischiò, invadendo le narici ed eccitandoli ancora di più.
Le parole sarebbero certamente venute dopo... ancora emozionata per il festeggiamento improvviso e per quello che stava per accadere, Kei lo guardò lasciarsi scivolare il mantello dalle spalle, diventare una macchia nera sul pavimento scuro, prima barriera infranta per giungere finalmente all'uomo che si celava dietro il Capitano.
Divennero ricordi confusi i movimenti che seguirono, dapprima lenti e misurati, poi sempre più sicuri man mano che le incertezze cadevano insieme agli abiti e l'intimità diventava più familiare nel piacere dell'accostarsi dei corpi caldi e desiderosi di un contatto più profondo.
Trovarono il letto di lei senza guardarlo, continuando a mangiarsi di baci, sempre più coinvolti, quasi incespicandoci sopra. Fu come un round di lotta, in cui il ruolo dominante si alternava tra due anime che in fondo erano fatte ed abituate allo scontro: si alternarono l'uno sull'altra con famelica voglia di esplorare la pelle del compagno, fino a quando lui decise di giungere fino al momento di massima condivisione. Allora si fermò, il petto già ansimante contro quello di lei, per cercarne lo sguardo lucido appena visibile nell'oscurità appena smorzata, prima di continuare.
Kei soffocò un gemito, assecondando il suo movimento deciso ma attento, ricambiando quello sguardo muto e fermo, il calore intenso di lui addosso, le mani contratte sui dorsali definiti e le gambe attorno ai fianchi stretti e nervosi. Espirarono entrambi rumorosamente, poi iniziarono a muoversi insieme, con un'inaspettata intesa, come se lo avessero fatto decine di altre volte, quasi che i ricordi di una passata vita insieme fossero affiorati improvvisi in entrambi per portarli dove le leggi del tempo, dello spazio e dell'uomo si perdevano fino ad annullarsi.
Gli fece capire che avrebbe voluto cambiare le regole del gioco; senza che ci fosse bisogno di dire nulla, la accontentò con un deciso ed insieme fluido colpo di reni e le posizioni furono invertite.
Guardandone la sagoma indistinta nella penombra, come immerso in una fantasia quasi irreale, ai suoi occhi apparve come una bionda valkiria di un'epoca lontana, che sporgeva i bianchi seni su di lui, verso le sue mani impazienti e la bocca ancora desiderosa di baciarne le cicatrici testimoni di comuni battaglie.
Lei si mosse con decisione, riuscendo a strappargli un gemito, in un movimento che sembrava annullare il confine con una sensuale danza. Su di lui, inarcando la schiena, Kei si lasciò andare con tutta se stessa, mentre Harlock attendeva che arrivasse al traguardo per raggiungerla subito dopo con un basso verso che espirò con voce roca.
Lei si chinò a baciargli l'occhio cieco, ormai libero dalla benda che lo nascondeva, e la cicatrice che gli deturpava il volto, dandogli una nuova prova che quel segno non aveva il potere di renderlo meno desiderabile ai suoi occhi.
Poi giacquero immobili, pelle contro pelle, a calmare il respiro e i battiti irruenti del cuore, Harlock con la mano tra i capelli di una Kei abbandonata sul suo petto, in entrambi la consapevolezza che stava diventando davvero qualcosa di nuovo e di grande ciò che era iniziato molto tempo prima e che avevano rivelato soltanto in quel momento di pericolo, al timone dell'Arcadia.
Forse fu soltanto un sogno, il delirio onirico di due anime soddisfatte, ma le loro menti furono invase da un canto dolce e alieno, che sapeva di profondità sconosciute, di blu profondo, di capelli d'argento che danzavano nell'acqua e di una felicità ritrovata nel sollievo di essere finalmente in un luogo familiare e sicuro.
Si assopirono così, l'una tra le braccia dell'altro, incuranti di tutto il resto, per una volta abbandonati a nient'altro che loro, cullati da quel canto antico. Il resto sarebbe venuto poi, le difficoltà non sarebbero mancate e le avrebbero affrontate ancora una volta insieme.
 
 
Ombra di Morte entrò in orbita geostazionaria attorno al pianeta dei sirenidi la mattina seguente.
Nonostante fossero state curate dal dottor Zero, e non avessero più paura di quei particolari umani, le sirene restituite erano ancora diffidenti ai cambiamenti e avevano paura ad uscire dal mare artificiale che le aveva accolte nell'idilliaco piccolo mondo creato da Tochiro. Fu Leelaine a proporre al Comandante di salire fin lassù, spinta anche da una buona dose di curiosità, per dimostrare alle altre che non vi era alcun pericolo nel salire a bordo dell'Arcadia.
Stavolta fu Lou ad occuparsi di lei: la portò dall'oceano all'Arcadia e dall'astronave alla spiaggia di Ombra di Morte. Le sue simili si affollarono dove l'acqua era più bassa, in un commovente ricongiungimento tra amiche che avevano passato lo stesso traumatico inferno.
Kei, che l'aveva seguita, era impressionata: quei trafficanti avevano scelto le più carine, di età giovanissima, da bimbe come Seephee a ragazze dell'età di Leelaine, che certamente avrebbero assicurato uno smercio immediato per assecondare le fantasie perverse di facoltosi acquirenti. La ragazza seguì ancora una volta il silenzioso scambio mentale tra quelle splendide creature senza esserne partecipe, ma comunque addolorata per ciò che la sua razza sapeva distruggere con tanta superficialità.
Quando si accorsero di lei, le sirene esplosero in un boato ti timorosa riverenza nella mente della povera ragazza: "La Madre!" "La Figlia della Grande Madre!" "Signora!" "Allora siamo salve grazie a te!" tanto che la stessa Leelaine faticò a trattenerle per spiegare loro come stessero davvero le cose.  Kei ebbe la sensazione che se non fosse stata sulla battigia, le sarebbero saltate addosso.
Anche se si calmarono, qualcuna rimase della sua idea e, gambe o non gambe, continuò a definire la biondina "Figlia".
L'Arcadia dovette fare la spola tra l'asteroide artificiale e la superficie dell'oceano più volte, nonostante ad ogni viaggio caricasse a bordo una ventina di sirene, nella piscina creata per Leelaine. In tutto ciò Meeme restò alla larga da plancia ed hangar, per non essere vista: se era stato difficile calmarne una, per un numero maggiore si sarebbe scatenato il caos sull'astronave, a causa di un branco di sirene terrorizzate dal demone della morte...
Impiegarono tutto il giorno per portare a termine il trasbordo che richiese l'impegno di tutti. Zero seguì diligentemente tutte le pazienti, dal mare artificiale di Ombra di morte fin sul mare naturale, e a fine giornata era comprensibilmente esausto.
Altrettanto stanca era Leelaine, che era tornata alle acque natali per ultima; aveva voluto abbracciare i pirati dell'Arcadia uno per uno, ringraziando particolarmente Zero e Maji, che si erano occupati di lei curandola il primo, costruendo quello spazio solo per lei a bordo dell'astronave, il secondo.
La popolazione dell'oceano accolse le rapite con visibile commozione: si ricongiunsero famiglie ormai spezzate, si ritrovarono congiunti creduti persi. Erano stati uccisi molti maschi e adesso la popolazione contava uno sbilanciamento a favore dei membri di sesso femminile: avrebbero dovuto faticare molto per ripristinare una popolazione ridotta a meno di trecento individui in totale.
Harlock, Kei e Yattaran sbarcarono da un'Arcadia nuovamente adagiata sulle onde, quella sera, quando l'ultimo trasbordo era stato compiuto. Avevano indossato i soliti scafandri e si apprestavano a salutare il popolo delle balene astrali, prima che il Capitano conducesse la propria nave a terminare le riparazioni su Ombra di Morte, cosa che ormai divenuta necessaria.
Leelaine non si era staccata da loro, fedele ambasciatrice presso il suo popolo di questi umani così diversi da quelli che li avevano decimati. La donna più anziana rimasta in vita aveva preso il ruolo di Capo tribù e si staccò dal gruppo per andare incontro agli umani che stavano per partire. Altri sarebbero rimasti: i ricercatori sarebbero stati raggiunti presto dalla loro piccola nave appoggio e le loro cose erano state accatastate su una scialuppa d'emergenza in dotazione all'Arcadia che stava già dirigendosi verso l'accampamento allestito nell'isolotto più vicino.
L'anziana sirena, che si chiamava Mareen, prese una mano di Harlock tra le sue e stabilì un profondo contatto mentale. Aveva i capelli intrecciati da una fila di perle lucenti nella elaborata acconciatura che adornava il capo delle sirene e i saggi occhi ancora vivaci sul volto rugoso coperto dalle consuete minuscole squame.
"Capo Harlock, tu che sei il compagno della Figlia della Madre, ti prego, custodiscila, come hai fatto con noi. Ti ringrazio a nome del mio popolo, perché con te abbiamo compreso che non tutti gli umani sono malvagi. Hai riportato le nostre figlie alle loro acque e per questo noi canteremo nel Tempio della Vita per te ogni giorno, finché avremo voce."
Dall'interno del casco, il Capitano le rispose con la consueta serietà: -Non hai bisogno di ringraziarmi, Capo Mareen. Io e la mia gente abbiamo portato a termine ciò che andava fatto per riparare il torto fatto da altri della mia razza. Sono le nostre scuse che non bastano a chiedere il perdono per il danno arrecato al vostro popolo.
La sirena lo fissò e sorrise, poi si rivolse a Kei.
Chinò il capo in un profondo segno di deferenza, prima di parlarle direttamente alla mente: "Dici di chiamarti Kei Yuki, ma la Grande Madre opera in te e attraverso te come se tu fossi sua Figlia. Anche per te si leveranno i nostri canti nel Tempio della Vita. Grazie."
La ragazza impacciata cercò di rimarcare il suo pensiero, relativamente al fatto che lei non era che una semplice ragazza, ma si bloccò quando Mareen con un gesto deciso liberò gli argentei capelli dalla lunga fila di grosse perle, lasciandoli galleggiare liberi attorno al capo, e le mise quel prezioso ornamento tra le mani guantate dello scafandro.
"Accetta questo umile dono, Figlia Kei. Per non dimenticare chi porterà sempre nel cuore il tuo ricordo."
-Anche io vi porterò nel cuore...- le assicurò commossa, stringendo quel tesoro al petto. Tornarono quindi verso lo scafo dell'Arcadia, tallonati da Leelaine, dalla quale si congedarono prima di tornare a bordo.
La sirena abbracciò Kei, che ricambiò il gesto di affetto con commossa partecipazione per poi risalire verso il portellone. Fermò Harlock che stava per seguire il suo ufficiale e gli disse: "Hai mantenuto la tua promessa, Capo Harlock. Grazie. Sapevo che avresti preso Kei come tua compagna, lo avevo letto nel tuo cuore. Proteggila sempre."
Nonostante non avessero palesato con i sirenidi quella relazione appena nata, Harlock la rassicurò in merito: -Lo farò, non temere.
Poi anche lui tornò all'Arcadia, mentre il Primo ufficiale si congedava a sua volta per poi passare velocemente a dare un'ultima controllata alla parte sommersa dello scafo, una precauzione in più, prima di decollare ed uscire fuori dall'atmosfera del pianeta.
Kei stava terminando di togliere lo scafandro, quando il Capitano le giunse vicino. Lo aiutò a sganciare il casco e vide che un sorrisino rassegnato gli marcava il viso in maniera per lei inaspettata.
-Cosa succede?- gli chiese perplessa.
Lui la fissò, poi disse: -Hai detto tu a quelle sirene di noi due?
Sorridendo per quella novità che la stupiva ancora, Kei negò con un deciso movimento del capo.
Il Capitano riprese: -Allora temo che le capacità del buon dottor Zero si siano un po' appannate... Altro che percezione superficiale dei pensieri! Riescono a spulciarlo per bene il nostro cervello...
Attesero il ritorno di Yattaran, quindi ognuno andò ad occupare il posto che gli spettava sul ponte di comando. Harlock diede l'ordine di decollo e ancora un volta la grande astronave si sollevò dal mare per tornare nello spazio. Guardarono il pianeta finché non se lo lasciarono a poppa, ormai fuori dal loro campo visivo, quindi si diressero su Ombra di Morte che li aspettava paziente dove lo avevano lasciato.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Guanti nuovi - Epilogo ***


Mentre Ombra di Morte si dirigeva verso la zona prossima al Sistema solare, l'Arcadia riposava nel suo cantiere, accudita da decine di squadre di robot che lavoravano giorno e notte per rimetterla a posto. La piscina interna su due livelli fu smantellata e il vano ascensore fu prosciugato per tornare a svolgere la sua funzione originaria. Diverse tonnellate di acqua marina furono riversate nel mare artificiale e l'Arcadia si alleggerì di quel consistente peso.
Maji aveva programmato il lavoro puntigliosamente, fino ai minimi dettagli, poi si era unito agli altri per il meritato periodo di relax che si erano concessi in attesa di diventare di nuovo operativi.
La spiaggia ospitava i chiassosi pirati in modalità vacanziera che avevano approfittato di quella parentesi per concedersi un bagno, ma Kei ne aveva fatto a meno: in quella vicenda aveva già passato abbastanza tempo a mollo... Per quanto amasse l'acqua, a tutto c'era un limite!
In realtà non si erano visti molto in giro né lei, né il Capitano e qualcuno già malignava le sue maliziose congetture, subito zittito dallo sventolare dei coltellacci di Masu-san, poco incline ai commenti troppo volgari.
 
Erano soli in plancia, forse anche nell'intera nave. Stavano guardando il lavoro preciso dei robot che rimettevano a posto lo scafo che portava evidenti le tracce della recente battaglia, quando il Capitano le fece una domanda precisa, la voce seria dal tono addolcito per la situazione.
Kei lo fissò sorpresa, non si era aspettata una richiesta di quel genere così presto.
-Non possiamo continuare a vederci nella tua cabina,- le stava dicendo Harlock -nel mio alloggio staremo più comodi.
Lo guardò, emozionata: -Va bene, Harlock.- Accennò il suo consenso anche con il movimento del capo.
La strinse a sé, poi la sollevò tra le braccia e si accinse a portarla fuori dalla plancia, mentre lei scoppiava a ridere e gli si aggrappava al collo.
-Ma dove mi porti?- chiese cercando di guardarlo in viso.
-In camera nostra, no?- le rispose, accennando ad un sorriso.
 
Fece tutto il percorso portandola tra le braccia e con non poca difficoltà riuscì ad aprire le porte dell'alloggio sul castello di poppa per accedervi.
Solo allora le fece poggiare i piedi sul prezioso ed antico tappeto che copriva il pavimento, nei pressi della vetrata protetta dalla griglia uguale a quella degli antichi velieri. Si scambiarono un lungo bacio, poi la guidò a sedersi sulla poltroncina.
Sul tavolino era adagiata un'anonima confezione nei toni del blu e del giallo. Lui lo prese e glielo porse: -Pensavo che saremmo tornati a quella base spaziale e che ti avrei potuto accompagnare a prenderne di nuovi. Poi la situazione è cambiata, loro hanno raggiunto noi e allora ho chiesto a uno dei ragazzi di fare un viaggetto, prima che tornassero...
Kei lo guardò senza capire, quindi aprì il pacchetto.
Ne tirò fuori un paio di guanti bianchi, uguali a quelli che era solita portare e che si erano rovinati durante il black-out dell'Arcadia.
Sorrise contenta, mentre lo ringraziava, lo sguardo luminoso. Li indossò subito; le calzavano a pennello e distese le braccia a rimirarsi le mani finalmente rivestite come era sempre stato. Harlock era compiaciuto e gli si leggeva in viso l'espressione felice, riflesso a quello gioioso di lei.
Presto le ferite dell'Arcadia sarebbero state sanate e avrebbero lasciato quel luogo protetto che era Ombra di Morte, sapevano bene che non potevano protrarre troppo a lungo la permanenza in quell'isola/rifugio: la loro vita era nello spazio, ovunque il caso li avrebbe portati... Poteva riservare un viaggio tranquillo o più probabilmente si sarebbero imbattuti in qualche problema, cacciandosi ancora una volta nei guai.
Comunque sarebbe andata, avrebbero affrontato la vita, quella che avevano scelto e in cui un teschio ghignante significava libertà.









Autore a piè (di pagina):
E anche questa storia è giunta al termine... come continuo a ripetere, ogni volta è un sollievo e una sofferenza insieme.
Adesso vi lascio in pace per un po': anche se mi frullano nella mente un paio di idee molto stimolanti, sono ancora da buttare giù e trasformare in parole vere.
Magari qualcuno tirerà un sospiro di sollievo ;)
Io continuerò a bazzicare leggendo arrestrati che mi son ripromessa di seguire, naturalmente prediligendo la mia coppietta favorita!
Ne approfitto per ringraziare e salutare recensori vecchi e nuovi che hanno seguito con pazienza questa mia (e mi scuso ancora con loro per le mancate risposte su vari capitoli) -Angel Of Fire, Arvati77, Briz65 su tutti-, per ringraziare anche coloro che hanno preferito e seguito in silenzio e rimandarvi alle prossime storie che con enorme piacere continuerò a raccontare!
Metaldolphin

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3499163