Look into my eyes di Ranyadel (/viewuser.php?uid=549522)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** smile ***
Capitolo 3: *** Won't let you go. ***
Capitolo 4: *** why ***
Capitolo 5: *** demons. ***
Capitolo 6: *** Lego house. ***
Capitolo 7: *** seventeen ***
Capitolo 8: *** Anything but ordinary. ***
Capitolo 9: *** darlin. ***
Capitolo 10: *** kiss you ***
Capitolo 11: *** Good girls ***
Capitolo 12: *** Bring me to life. ***
Capitolo 13: *** I love you ***
Capitolo 14: *** remember when ***
Capitolo 15: *** Forgotten. ***
Capitolo 16: *** can't keep my hands off you ***
Capitolo 17: *** Firework ***
Capitolo 18: *** End up here ***
Capitolo 19: *** Never be ***
Capitolo 20: *** I will be ***
Capitolo 21: *** Welcome to my life ***
Capitolo 22: *** kiss me kiss me ***
Capitolo 23: *** I miss you ***
Capitolo 24: *** the only reason - parte 1 ***
Capitolo 25: *** the only reason - parte 2 ***
Capitolo 26: *** Shut up! ***
Capitolo 27: *** Rock 'n' roll ***
Capitolo 28: *** The last night ***
Capitolo 29: *** Yours to hold. ***
Capitolo 30: *** forgiven ***
Capitolo 31: *** what makes you beautiful ***
Capitolo 32: *** How to save a life ***
Capitolo 33: *** thinking out loud ***
Capitolo 34: *** bad dreams ***
Capitolo 35: *** Your love is a lie. ***
Capitolo 36: *** The moment I knew ***
Capitolo 37: *** Everything has changed ***
Capitolo 38: *** Armor. ***
Capitolo 39: *** The memory ***
Capitolo 1 *** prologo ***
Prologo da pubblicare
Prologo
Chiamatemi pazza, indovina, stana,
asociale, anormale.
Chiamatemi come volete, preferisco farmi chiamare Coralie.
Non so perché, saranno
gli anni passati a leggere e a
osservare in disparte il mondo, ma quando vedo una persona, al 90%
delle volte
capisco com’è fatta, solo a vedere il suo sguardo,
i suoi movimenti e le sue
espressioni. Datemi trenta secondi e già mi sono fatta
un’idea.
Mi diverto, mi piace indovinare.
Quando li ho visti per la prima
volta, erano per
strada: in quattro, che camminavano sul marciapiede opposto al mio e
parlavano
fitto fitto, scoppiando a ridere ogni tanto. “Guarda, quelli
sono Ashton, Michael,
Calum e Luke” mi aveva detto Carol, a bassa voce,
indicandomeli uno per uno.
Michael: non mi diceva tanto.
Infantile, con un
sorriso tenero e tranquillo. Probabilmente, era dell’altra
sponda, a giudicare
dai capelli rosa.
Calum: gli occhi scuri e il suo
sorriso erano sinceri,
affidabili, luminosi, ispiravano fiducia.
Ashton: già dal suo
sorriso e da come camminava, avevo
capito che si trovava perfettamente a suo agio nei suoi panni. Gli
occhi
allegri dicevano tutto: divertente, fuori di testa, sicuro,
disponibile,
affidabile. Ero quasi certa che la sua forza stesse nel voler essere
una
roccia, un’ancora, per gli altri.
E infine Luke. Lo avevo guardato
tanto a lungo che
alla fine lui si era voltato verso di me. Aveva occhi chiari magnetici,
bellissimi… ma spaesati. Occhiaie quasi accennate,
leggermente curvo,
silenzioso, rideva alle battute degli altri, aggiungendo
però poco e niente. Il
suo sguardo si spostava velocemente dappertutto, come ansioso di
immagazzinare
tutte le informazioni possibili. Sembrava che fosse rimasto troppo a
lungo in
un mondo tutto suo, per poi svegliarsi e ritrovarsi nel mondo reale.
Sì,
spaesato era il primo aggettivo che mi veniva in mente. Questo suo
atteggiamento… lo rendeva così tenero, adorabile,
che mi venne da sorridere.
Era una di quelle persone che ispiravano dolcezza. Anzi, lui stesso era
la
dolcezza. Oltre al fatto che, diciamocelo, era davvero mozzafiato.
Irresistibile.
Quando incrociò il mio
sguardo, sembrò incassare
leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della
bocca in un
minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo
deciso.
Mi chiamo Coralie e ho diciassette
anni. Abito con le
mie due migliori amiche: Manuela e Carol, anche loro di diciassette
anni.
Carol è alta e magra,
con i capelli chiari e gli occhi
azzurri. Spesso mi ritrovo ad invidiarla per questo, insomma, essere
così
naturalmente è una bella fortuna, anziché essere
come me. A volte può essere
acida, certo, ma sotto sotto è dolce. Protettiva. La prima
volta che l’ho vista
– se si esclude quando stavamo insieme da bambine, dato che
siamo cugine alla
lontana – ho pensato questo, e si è rivelato
esatto. Uno a zero per Coralie.
Manuela ha i capelli scuri e gli
occhi color
cioccolato, grandi e teneri. Si fida di tutti, nonostante questo spesso
l’abbia
fatta soffrire. Adesso ci siamo io e Carol, però. Guai a chi
la fa stare male,
potrebbe non vedere il suo prossimo compleanno. Manuela è
dolcissima, è
fantastica. I suoi occhi mi avevano detto subito quanto avesse bisogno
di
affetto. Due a zero per Coralie.
Io. Ho i capelli biondo scuro,
cenere, dicono alcuni.
A mio avviso, la cenere è grigia. O sono io daltonica, o
sono i parrucchieri
che sniffano cose decisamente diverse dalla cenere. Sono anni che li
schiarisco
decimando la popolazione mondiale di camomilla. I miei occhi, strani. A
volte
azzurri, a volte grigi, a volte verdi, la maggior parte del tempo un
insulso
miscuglio di tutti e tre. A volte uniformi, a volte che
dall’azzurro esterno
stingono nel verde e poi, attorno alla pupilla, in un giallo
stranissimo. Li
adoro quando sono così, peccato che vengono solo quando sono
triste. Dipende
tutto dall’umore e dal sole. Per carità, non mi
lamento, anzi mi piacciono,
solo che è frustrante non sapere mai dire di che dolore
sono. Non sono
particolarmente alta.
Per anni, sono stata chiusa in me
stessa. Timida,
direte, o solitaria. Preferisco essere definita “ragazza da
parete”. Perché io,
nonostante non ami intervenire, osservo, osservo tutto e tutti, e
capisco. Sono
anni che mi diverto a indovinare le personalità dagli
atteggiamenti. Mi hanno
tirato via dalla mia parete Manuela e Carol. Adesso, nonostante tutto,
riesco
ad essere me stessa: prima la paura mi bloccava. Ora so di non doverne
avere
più.
“Perfezione, stasera si
esce!” esclamò Manuela,
irrompendo nella mia camera e interrompendo la mia sessione di lettura.
Le feci
segno di aspettare, troppo catturata per lasciare andare quel libro.
Finii il
capitolo – fortunatamente mi mancavano cinque righe
– e chiusi il libro, prima
di poter leggere la prima parola del capitolo seguente: sapevo che mi
sarei
abbandonata alla lettura, lasciando la povera Manuela in mezzo alla
camera. “Scusa,
amo troppo questo libro” mi giustificai. Lei sorrise e si
sedette sul mio
letto. “Mhm, Hunger Games.
Sei
perdonata” mi disse con un occhiolino. Io mi misi a ridere.
“Dicevo, stasera si
esce, è il tuo compleanno e non puoi startene chiusa in casa
a leggere tutto il
tempo!” disse, con gli occhi luminosi.
“Perché no?!”
“Perché Hunger
Games te lo abbiamo regalato stamattina. E tu lo hai quasi
finito.”
“Cosa ci posso fare se mi
cattura così?!”
“Uscire con me e Carol.
Niente storie!” si impose lei.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Ok, ok. Mi preparo e
arrivo.”
“Brava” mi
disse lei compiaciuta.
Erano passati quattro mesi da
quando avevo visto quei
quattro per la prima volta. Da quando avevo visto Luke. Carol aveva
notato come
mi ero mangiata con gli occhi Luke, e da allora non aveva fatto altro
che
sommergermi di informazioni su di lui, che otteneva tramite la sua
tanto
diabolica quanto efficace rete di spie. Le aveva mobilitate tutte, le
sue
fonti. Era incredibile. In due giorni avevo scoperto mille cose,
compreso il
fatto che amava mangiare e cantava.
Le avevo detto tante volte che non
sarebbe servito a
niente, ci eravamo visti una sola volta, ma lei non mi aveva dato
ascolto.
Contenta lei, io intanto immagazzinavo informazioni senza nemmeno
esserne
cosciente.
“Dove andiamo?”
chiesi a Manuela. “Segreto.”
“Manu, è il
due gennaio. Non posso mettermi in
canottiera se siamo fuori.”
“Uff. Siamo in un locale,
farà anche caldo. Puoi
metterti il vestito nero” mi disse subito. I miei occhi si
illuminarono:
adoravo quel vestito. Me lo infilai in fretta, indossando sotto degli
stivali
dello stesso colore. Non poteva mancare il mio portafortuna: una
collana con
due draghi intrecciati fra di loro a reggere una pietra rossa. Amavo i
draghi,
erano così maestosi, fieri e liberi!!
In pochi minuti fui pronta, insieme
a Carol e Manuela.
“Per caso dovete fare conquiste?” chiesi con occhi
sgranati. Manuela era
vestita di bianco, con un vestito senza maniche e lungo fino alle
ginocchia,
con una gonna a fiore. Il polso era occupato da tanti bracciali, di cui
uno a
forma di fiocco, che richiamava quello sulla borsa. Gli orecchini erano
semplici sfere bianche e le scarpe erano dello stesso colore, con i
tacchi
alti. Fra i capelli era appuntata una spilla di fiori, molto raffinata,
che la
rendeva ancora più dolce.
Carol aveva un vestito blu con una
sola manica, con
decori argentati stupendi che sembravano gocce d’acqua. Le
scarpe, sempre blu,
sembravano fatte di foglie, che si avvolgevano attorno alle caviglie.
In testa
aveva un cerchietto con piccole pietre scure. La pochette era semplice,
blu con
la chiusura di argento che richiamava l’anello e il
bracciale.
“Su, su, andiamo!
Facciamo tardi!” esclamò Carol,
prendendoci per mano e trascinandoci verso la porta. Arrivammo in un
edificio
enorme, che capii essere un bar, o qualcosa del genere. Entrammo e
sentii
subito che effettivamente faceva davvero caldo, e che avevamo fatto
bene a
metterci quei vestiti. Vidi che l’edificio era strutturato a
larghi gradoni,
ognuno occupato da tavoli rotondi e lucenti, in modo da poter dare una
chiara
visuale del palco al centro. C’erano tre
“livelli”, escluso quello del palco,
leggermente sopraelevato e occupato da una batteria, quattro microfoni
e decine
di amplificatori. Ci sedemmo ad un tavolo molto vicino al palco, che
Carol e
Manuela avevano prenotato prima. Le vedevo ridacchiare sotto i baffi ed
ero
curiosa di sapere il perché, curiosità che si
amplificò quando presi in mano un
foglio plastificato dal tavolo. C'era scritta quella che doveva essere
la
scaletta del concerto:
Try hard
Unpredictable
Disconnected
Wherever you
are
Out of my
limit
Beside you
Heartache on
the big screen
Heartbreak
girl
She looks so perfect
"Perché avete la faccia
da cospiratrici?"
chiesi alla fine. Loro si misero a ridere e indicarono un punto dietro
di me,
sul palco. Io mi voltai e vidi Michael, Calum e Ashton. Sgranai gli
occhi. Se
c'erano loro, c'era anche... "Dato che non ti decidevi a organizzare
qualcosa con Luke, ci abbiamo pensato noi!" disse Carol sorridendo
sorniona.
"Carol. L'ho visto una volta sola.
Pretendi che ci organizzi qualcosa quando ci siamo solo guardati?!"
chiesi
esasperata. Lei fece spallucce. Io alzai gli occhi al cielo, ma dentro
di me
ero felice che Carol avesse preso l'iniziativa. Eppure mancava Luke. Mi
guardai
intorno, cercando una chioma bionda, fino a quando Manuela non mi
indicò un
tavolo poco lontano dal nostro. Mi voltai e lo vidi: di spalle a me,
era
chinato su una pizza e ne stava divorando velocemente uno spicchio. Mi
venne da
sorridere quando vidi Calum che lo andava a prendere per il colletto
della
maglietta, ridendo. Luke fece appena in tempo a prendere il suo
strumento e a
finire la pizza, che salì sul palco, ancora dandomi le
spalle. Volevo vederlo
in faccia, accidenti! Volevo rivedere il suo sguardo da cucciolo ad
ogni costo.
Vidi Ashton, dietro la batteria, chiamare Luke e indicarci con una
bacchetta.
Luke si voltò, finalmente, verso di me. Lo vidi rimanere
immobile mentre
incrociava il mio sguardo. Ashton si alzò e venne verso di
noi, seguito dagli
altri della band, ultimo Luke. Si avvicinò a Carol con un
gran sorriso, mentre
lei si alzava e gli correva incontro. "Ciao, piccola!"
esclamò quando
lei gli saltò addosso, dandole un bacio a stampo. Io e
Manuela li guardammo a
bocca aperta, mentre Carol si metteva a ridere. Manuela prese Carol per
le
spalle e io sentii a malapena il suo: "Dopo ci spieghi tutto,
chiaro?" Sorrisi divertita, prima di rivolgere il mio sguardo verso
Luke.
Si era fatto... Un piercing?! Gli stava bene, davvero. Le sue occhiaie
erano
sparite, dandogli un'aria più sicura. Dovetti concentrarmi
per non sbavare. Lui
si voltò verso di me e mi sorrise, come la prima volta. Il
suo sorriso era
sempre lo stesso, adorabile. Carol fece le presentazioni: "Ragazze,
loro
sono Asthon, Calum, Michael e - mi fece un impercettibile occhiolino -
Luke.
Ragazzi, Manuela e Coralie." Ci stringemmo le mani. Notai subito che
Michael aveva cambiato tinta, e sembrava averlo notato anche Manuela:
se lo
stava mangiando con gli occhi. Quando strinsi la mano a Luke, mi
partì una
scossa lungo tutto il braccio. Mi costrinsi a sorridere per non
sciogliermi.
Non andava bene, mi aveva semplicemente toccato e il mio corpo aveva
reagito
così. Mi veniva male a pensare cosa sarebbe successo una
volta sentita la sua
voce. Lui mi sorrise, di nuovo, stavolta più sicuro. Lo
imitai, mentre Carol
sussurrava qualcosa ad Ashton. Lui annuì e mi venne da
chiedermi cosa si
fossero detti. Ashton richiamò tutti, indicando l'orologio e
dicendo che erano
in ritardo. "Ci vediamo dopo" mi disse Luke. Ecco, avevo fatto bene
ad avere paura del mio corpo. Non ero ben sicura di essere tutta
intera. I
quattro salirono sul palco, mentre noi tornammo verso il nostro tavolo.
Ashton
prese il suo microfono. "Scusate, c'è stata una modifica
all'ultimo
minuto. She looks so perfect
sarà
fatta per prima" disse. Gli altri lo guardarono straniti e capii che
era
stata Carol a suggerirlo. Mi voltai verso di lei e la vidi alzarmi i
pollici.
"Perché l'hai fatto?" chiesi, curiosa. "Perché
voglio vederti
ancora più sciolta, e Luke ha una voce che ti
ucciderà. Adesso sentirai!"
mi disse lei furba. "Non pensavo fosse possibile odiare e amare una
persona allo stesso tempo, sai?" commentai. "Modestamente!"
rispose lei con aria altezzosa, mentre Manuela si metteva a ridere
distrattamente. Io e Carol ci guardammo complici. "A quanto pare non
è
stato solo Luke a stregare una di noi" dissi io ad un passo da Manuela,
che non riusciva a distogliere lo sguardo da Michael. "Ti piace proprio
Michael, eh? Il colpo di fulmine, cosa fa..." disse Carol
melodrammatica.
Manuela si mise a ridere. "Sei l'ultima che deve parlare, tu. Quando
avevi
intenzione di dirci, che stai con Ashton!?" chiese poi. Lei ci fece una
linguaccia. "Manu, scusa se te lo dico, ma secondo me Michael
è
leggermente dell'altra sponda" dissi piano. Carol mi guardò
vittoriosa.
"No, tesoro! Ho indagato, completamente etero!" esclamò.
Manuela
esultò, mentre io mi scusavo. Non ero infallibile, no?
Ashton richiamò
l'attenzione generale e la sala si
fece improvvisamente silenziosa. Si sentì il suono di una
chitarra elettrica e
i quattro iniziarono a cantare. Per ora riuscivo pure a resistere, non
avevo
sentito la sua voce, mi bastava non guardare quegli occhi
così belli. Quando
iniziò a cantare, però, capii di essere veramente
finita. Aveva una voce profonda troppo perfetta.
Simmer down,
Simmer down
They say
we’re too young now to amount to anything else
But look
around
We work too
damn hard for this just to give it up now
If you
don’t
swim
You’ll
drown
But
don’t
move
Honey
She looks so
perfect standing there
In my
American Apparel underwear
And I know
now, that I’m so down
Your
lipstick stain is a work of art
I’ve
got
your name tattooed in an arrow heart
And I know
now, that I’m so down
Hey Hey!
Datemi della paranoica, ma io ero
praticamente sicura
che, mentre cantava "she looks so perfect standing there", stesse
guardando me.
Dopo quasi un'ora, il concerto
finì. Erano stati
davvero grandi, e il pubblico aveva pure chiesto il bis di alcune
canzoni. Luke
aveva davvero una voce stupenda, se l'avessi sentito cantare di nuovo
mi
avrebbero dovuto raccogliere col cucchiaino. Non mi ero mai sentita
così, ma
era una sensazione indescrivibile.
Quando i quattro riuscirono
finalmente ad abbandonare
il palco, si diressero subito verso il nostro tavolo. "Siete stati
fantastici!" esclamai, esaltata. Carol e Manuela erano galvanizzate
come
me, e i ragazzi si misero a ridere nel vederci così. "Vi va
di mangiare
qualcosa?" propose Calum. Gli occhi di Luke si illuminarono e io
ridacchiai. "Pozzo senza fondo, ti sei spazzolato una pizza prima del
concerto!! Hai ancora fame?!" chiese Calum. Lui annuì con
veemenza,
facendoli ridere di nuovo.
Ci sedemmo al nostro tavolo,
avvicinandone un altro, e
ordinammo. Continuavo a guardare Luke di sottecchi, cercando di non
farmi
notare troppo. I suoi occhi erano allegri, ma sotto sotto riuscivo a
vedere
ancora il suo essere spaesato. Non si stava nascondendo, stava
superando il suo
sconcerto.
A volte mi spaventavo, dopo aver
dedotto tante cose
dagli occhi. Mi chiedevo spesso perché con me non
funzionasse. Mi guardavo allo
specchio e cercavo di leggere i miei, di occhi. Semplicemente, non ci
riuscivo.
“Allora, Coralie. Cosa ti
piace fare?” chiese
improvvisamente Luke, avvicinandosi di un paio di millimetri a me. Io
rimasi
qualche secondo immobile, mentre Carol e Manuela soffocavano un
risolino. Le
cercai con lo sguardo, implorando, silenziosa, aiuto. “Oh,
Coralie ha una
capacità particolare. Sa leggere gli occhi come
nessuno” disse Carol, prima di
trasalire: le avevo tirato un calcio sullo stinco. Amava mettermi nei
guai, quella
ragazza. “In che senso?” fece di nuovo Luke,
interessato. Mi mordicchiai
nervosa un’unghia. Maledetta timidezza, era la mia rovina.
“So… so capire come
sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si
muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con
uno sguardo” fece Manuela
ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei
curioso di provare” disse solo,
stavolta avvicinando la sedia a me. Eravamo molto più
vicini, adesso. Stavo
andando in tilt, non andava bene. Mi guardava con occhi così
innocenti, solari
e magnetici, che era impossibile, per me, rimanere calma.
“Dopo venite a casa
nostra, allora!” Propose Calum. Gli altri annuirono, comprese
Manuela e Carol.
Manuela continuava a parlare con Michael, lui le piaceva proprio. Lo
guardai
negli occhi e capii in un istante che nemmeno lei gli era indifferente.
Sorrisi
lievemente.
“Coralie, ti piace questo
posto?” mi chiese di nuovo
Luke. Ok. Questa era una congiura. “Sì, molto.
Siete stati davvero bravi” dissi
con un sorriso sincero. Lui lo ricambiò.
Mi chiesi come avrei resistito per
tutta la serata.
*Angolo Autrice*
Eccomi quiii!
Allora, non voglio dilungarmi
troppo. Ecco il vestito di Manuela,
quello di Carol
e quello di Coralie.
Personaggi:
Ashley
Benson as Coralie
Megan
Nicole as Manuela
Teresa
Palmer as Carol
Luke
Hemmings as Luke
Michael
Clifford as Michael
Ashton
Irwin as Ashton
Calum
Hood as Calum
Se volete passare da altre mie
storie, alcune sono queste:
Help me. Save me. Love me.
Fake,
lie or truth?
Ehm, grazie mille a tutti quelli
che sono arrivati fino a qui< 3< 3 <3
Ciauuu< 3 <3 <3
Ranyadel
|
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Capitolo 2 *** smile ***
Smile.
Dopo il
concerto, andammo a casa dei ragazzi. Faceva freddo, e rimpiansi subito
i miei
collant di lana, a cui avevo preferito un paio di parigine
più leggere. Anche
Carol e Manuela sembravano patire il freddo. Ashton se ne accorse e si
tolse la
giacca per metterla sulle spalle di Carol. Che tenero. Peccato che non
ci
fossero altri due disposti a fare lo stesso con me e Manuela. In
macchina, rimasi
sola con Carol e Manuela, e iniziammo a parlare di quella serata.
“Da quanto ti
vedi con Ashton?!”
“Da
quando
ho iniziato a mobilitare la Rete, più o meno. Diciamo che mi
arrivavano
informazioni su ognuno di loro, non solo su Luke. Mi interessava,
così ci ho
organizzato un’uscita… e poi siamo finiti
così.”
“No,
aspetta un secondo. Ti arrivavano informazioni su Michael, e non me
l’hai mai
detto?!” fece Manuela scandalizzata. Carol incassò
la testa nelle spalle,
continuando a tenere lo sguardo sulla strada. Era l’unica con
la patente. “Ehm,
può darsi?” tentò. Manuela si
lasciò andare ad una sfilza di insulti talmente
variegati e strani che ci mettemmo a ridere. “Alcune parole
nemmeno esistono!”
esclamò Carol. “Sì, ma le sto
inventando io per descriverti!”
“Il
dizionario degli insulti ringrazia per averlo triplicato di
volume.”
“E ne
vado
fiera!” rispose Manuela con sussiego. Io mi sentivo male
dalle fitte all’addome
che mi causava il ridere. “Povero Calum, lo stiamo
ignorando” dissi,
ridacchiando. Manuela mi guardò scettica. “Tu
volere che io insulto lui?” mi
chiese con accento straniero, imitando un qualche giudice che avevo
visto in
tv, storpiando apposta le parole. “Siamo qui riuniti per
celebrare la morte
dell’italiano” commentai. Non avevo mai sopportato
tutte quelle persone che
consideravano la loro lingua un’opinione. Manuela e Carol lo
sapevano ed erano
d’accordo con me, fortunatamente. Mi venne in mente un
episodio marchiato a
fuoco nella mia mente. Eravamo in prima liceo, reduci dai voti della
verifica
sui verbi. Facile, per chi legge. Impossibile, per gli sgrammaticati.
Un mio
amico, che aveva preso 6, si stava lamentando. “Se io avrei
avuto più tempo,
l’avrei finita” aveva detto. Tutti gli
sgrammaticati si erano voltati
inorriditi ed era partito il coro: “Se io ebbi!”
Stavo per
avere un infarto, è dire poco.
E avevano
avuto anche il coraggio di sorprendersi delle insufficienze.
Non ero
perfetta, ma almeno provavo a non sbagliare, al contrario di altri.
Quando
arrivammo a casa dei ragazzi, io, Manuela e Carol schizzammo dentro,
trovando
ad accoglierci il calorifero. I quattro ci guardarono straniti.
“Ho le mani
gelate!” mi lamentai. “Non ci credo”
disse Luke subito. Io inarcai un
sopracciglio e gli misi una mano sulla nuca. Lui rabbrividì.
“Fatemi spazio” disse
poi, appoggiando il collo al calorifero. Ridacchiammo tutti.
“Volete una
cioccolata calda?” chiese Ashton. Carol e Manuela annuirono
vigorosamente, io
rimasi in silenzio. Come potevo dirlo, che la cioccolata calda mi
faceva
schifo??
“Preferisco
una camomilla. Coralie?” mi chiese invece Luke. Qualcuno,
lassù in cielo, mi
voleva tanto bene. “Grazie, anche io” dissi
riconoscente. Ci sedemmo attorno al
tavolo in cucina, continuando a parlare di mille cose. Ad un certo
punto, partì
la suoneria di un cellulare. Il mio cuore si fermò, mentre
riconoscevo quelle
note al primo secondo. Chiusi gli occhi, ascoltando. Purtroppo, Calum
rispose
al cellulare. Si alzò e andò nella camera
accanto, vicino alla finestra. “Qui
non c’è molto campo” spiegò
Michael. Io presi la mia borsa e ne tirai fuori una
penna e il mio taccuino. Quando mi venivano quegli attacchi di
“canzonite acuta”,
dovevo scrivere i versi che avevo in mente, altrimenti mi rimanevano in
testa.
It’s
nice to
know that you were there
Thanks
for
acting like you cared
And
making
me feel like I was the only one.
It’s
nice to
know we had it all
Thanks
for
watching as I fall
And
letting
me know we were done.
Luke si sporse
verso di me e, quando misi giù la penna, la prese in mano,
sfilando il taccuino
dalle mie dita.
He
was
everything, everything that I wanted.
Scrisse
solo. Io lo guardai sorpresa. “Wow, anche tu ascolti
Avril?” chiesi. Lui annuì
sorridendo. Oh, no, perché doveva sorridere ogni volta?!
Quando si voltò di
nuovo verso gli altri, aggiunsi l’ultimo verso.
So
much for
my happy ending.
Una
ventina di minuti dopo, Calum mi chiese di provare a leggere gli occhi
di Luke.
Io arrossii. Perché, quando si parlava dei suoi occhi, mi
sembrava qualcosa di…
privato? Era come leggere un diario segreto. Si scopriva tutto, gli
aspetti più
profondi, e in qualche modo mi pareva che stessi invadendo il suo
spazio. Luke,
però, sembrava d’accordo. Acconsentii e tirai di
nuovo fuori il taccuino.
“Adesso ti farò delle domande. Non rispondermi,
pensa solo a cosa vorresti
dirmi. Continua a guardarmi negli occhi” dissi.
“Sembra un gioco di magia” sussurrò
lui, che però obbedì. Mano a mano che chiedevo, i
suoi occhi cambiavano.
Leggere
gli occhi è come suonare un pianoforte. Ci sono tasti
bianchi e tasti neri. Gli
occhi mostrano solo i tasti bianchi, normalmente. Sta a me riuscire a
premere i
tasti neri per ascoltare altre note. Se voglio avere un quadro
completo, devo
riuscire a premere tutti i tasti, anche quelli più nascosti.
Anche per questo
scrivevo quello che vedevo, anziché dirlo subito. Se gli
avessi detto subito
tutto, si sarebbe sorpreso. Avrebbe nascosto tutti i tasti neri e
mostrato solo
alcuni di quelli bianchi, senza nemmeno saperlo. Le emozioni nascondono
o
esaltano, sta a me capire come funziona.
Non
c’è
niente di magico in quello che faccio. Sono solo i miei occhi che
vedono cose
che pochi altri riescono a cogliere.
Ci misi
quasi mezz’ora, in cui tutti rimasero in silenzio. Si sentiva
solo la mia voce.
Ogni volta era come scoprire uno strato nuovo di Luke, era pazzesco.
Quegli
occhi erano così trasparenti, e allo stesso tempo
così complessi, che mi misero
a dura prova. Non ero sicura di essere riuscita a cogliere tutto di
lui. Era
davvero troppo. Quando gli consegnai il foglio, dovetti strizzare gli
occhi: mi
ero concentrata tanto che si erano affaticati.
Lui
iniziò
a leggere ad alta voce.
“Hai
degli
occhi complicati, se devo dirla tutta. Probabilmente, ho sbagliato
sotto molti
aspetti. Spero solo di non dire niente che ti possa offendere.
Sei
solare, allegro, ti piace vivere nel tuo mondo ideale, poi quando sei
costretto
a tornare qui sei spaesato. Ti senti indietro rispetto al mondo, e vuoi
solo
tornare in quello che ti sei costruito. Per quanto pericoloso, pieno di
mostri
e creature inimmaginabili, pieno di pericoli che solo la fantasia
può
dipingere, per te è sicuro. Perché lo conosci.
Sei molto
attaccato ai ricordi della tua infanzia e alla tua famiglia. A volte
sei
infantile, perché ti trovavi bene nel tuo mondo da bambino,
e vorresti ricreare
quelle sensazioni.
Sei dolce,
romantico, a vecchio stampo, diciamo. Metti sempre il bene degli altri
prima
del tuo e ti fidi ciecamente degli amici. Affideresti loro la tua vita
senza
nessun timore.
A volte
sei insicuro, cerchi di compiacere le altre persone per sapere se stai
facendo
la cosa giusta.
Sai di
aver bisogno di attenzioni, ma non le richiedi mai, aspettando di
riceverle per
paura di sembrare ridicolo.
Sei
malinconico e sognatore, impaziente e curioso.”
Mano a
mano che leggeva, sul suo volto si dipingeva un’espressione
sbalordita. Anche
Calum, Ashton e Michael erano a bocca aperta. “Tutto questo,
solo guardandolo
negli occhi?!” chiese Calum alla fine. Io annuii.
“Oddio, hai indovinato. Su
tutto!” disse Luke strabiliato. Mi accorsi che, grazie al
cielo, aveva saltato
l’ultima frase, e gliene fui grata. Sorrisi imbarazzata.
“Io ve l’avevo detto,
che vi psicanalizza” sostenne Manuela. Calum si
coprì gli occhi con le mani.
“Prima che possa leggermi nel pensiero”
spiegò. Ci mettemmo a ridere. Io li
guardai tutti, uno per uno, pensando a quanto fosse stata bella quella
serata.
Fui interrotta, quando qualcosa saltò sulle mie gambe.
Trasalii e lanciai un
urlo, spaventata, mentre il mio cuore saltava un battito, e guardai
verso il
basso: un gatto bianco, a pelo lungo, con il muso spruzzato di color
cioccolato, la coda grigio-marrone e le zampe scure, con i guanti
bianchi. Lo riconobbi
subito: un birmano. “Pericle, non farla
spaventare!” fece Luke ridendo e
carezzando il gatto sulla testa. Lui iniziò a fare le fusa,
tanto forti che le
sentivo io. Ridacchiai. Luke mi prese una mano e la portò
sul dorso del gatto.
“Non mi morde, vero?” chiesi intimorita.
“Pericle che morde? Questa devo ancora
vederla. È un peluche, non saprebbe nemmeno come
morderti” fece Ashton. “Dov’è
l’altro gatto?” chiese invece Carol. Manuela
sorrise. “E come si chiama, poi?
Aristotele? Un altro nome greco?”
“No,
Nemo”
rispose Michael, sbucando da dietro la porta con in braccio un altro
gatto,
sempre un birmano, ma stavolta bianco e arancione. La sua coda formava
un
curioso punto di domanda, probabilmente era rotta e saldata male. Aveva
grandi
occhi azzurri che lo facevano sembrare un cucciolo. Chissà
chi mi ricordava…
Manuela
guardò adorante il gatto e chiese di poterlo prendere in
braccio. Adorava gli
animali. Forse fu per il fatto che ero troppo concentrata su di lei,
che non mi
accorsi che Pericle mi aveva preso un bracciale dalla borsa aperta. Me
ne resi
conto solo quando iniziò a inseguirlo per tutta la casa,
dandogli zampate per
farlo muovere e poi sorprendendosi se non stava fermo. Con tutto il
rispetto
possibile, mi sembrava abbastanza fumato.
Cercai di
placcarlo a mo’ di giocatrice di football, col solo risultato
di farlo scappare
col mio bracciale verso il piano di sopra. “No, Pericle,
torna indietro!” fece
Luke ridendo e tentando di inseguirlo. Io mi accodai, mentre gli altri
ci
guardavano senza fare niente, godendosi la scena. Quando arrivai al
piano di
sopra, vidi una scena che mi fece rimanere basita e divertita al tempo
stesso:
Luke era seduto su un letto, probabilmente il suo, con Pericle sulle
gambe, a
pancia in su. Gli teneva le zampe anteriori con entrambe le mani per
farlo
stare fermo e cercava di sfilargli, senza successo, il bracciale dalla
bocca.
Intanto gli parlava, dicendo cose del tipo: “Su,
Pericle,dammi il bracciale! Ti
tengo a dieta per un anno, eh?!” La scena era troppo comica
per rimanere seri.
Mi avvicinai ai due. “Meno male che sei qui. Ce la fai a
riprendere il bracciale?
È completamente ammattito” disse lui.
“Può darsi che senta l’odore di Tabitha,
la mia gatta.”
“Si
spiega
tutto, allora. Dongiovanni, ricordati che sei castrato” disse
poi rivolto al
gatto. Lui lo ignorò, rifiutandosi di darmi il bracciale. Ad
un certo punto,
stanca, gli misi le mani attorno al collo e iniziai a carezzarlo dietro
le
orecchie. “Tabitha impazzisce per questo. Forse funziona
anche con lui” spiegai.
Come previsto, Pericle si arrese subito e io potei riavere il mio
bracciale,
che alla fine usavo come elastico. “Mi sa che si
farà un bel giro in lavatrice,
questo” commentai. “Mi dispiace” disse
lui, lasciando finalmente libero
Pericle. Io feci spallucce. “Sii ottimista, almeno non
l’ha ingoiato” feci poi.
Lui sorrise e si passò una mano fra i capelli.
“Che razza è Tabitha?”
“Bengala.
È ancora piccola.”
“Non
ne ho
mai sentito parlare, non ho idea di come siano fatti.”
“Non
sono
gatti pezza come i birmani. Sono molto più selvatici. Ho la
schiena piena di
graffi.”
“La
schiena?!”
“A
Tabitha
piace riposarsi sulle mie spalle.”
“Molto
normale, mi dicono.”
“Già.”
Ci
mettemmo a ridere. Dopo un po’, lui disse: “Grazie
per avermi… letto gli occhi,
prima.”
“Grazie
a
te per esserteli fatti leggere. Di solito le persone hanno
paura.”
“Di
cosa?”
“Di
loro
stessi.” Luke mi guardò confuso. “In che
senso?” chiese poi. “I tuoi occhi sono
difficili da leggere, per capire tutto di te potrei metterci una vita.
Ci sono
alcune persone, però, che hanno gli occhi così
limpidi che non mi ci vuole
niente a svelare lati di loro che nemmeno conoscevano. Sentirsi dire
quello che
sei da qualcun altro fa riflettere e fa mettere in discussione tutto
quello che
pensavi di essere. Alcune persone sono troppo attaccate alla loro
maschera per
accettare di toglierla. Hanno paura perché non conoscono
come sono fatti
davvero, sarebbe come dover ripartire da zero” spiegai. Lui
era sorpreso,
sperai di non essermi guadagnata il titolo di pazza. “Non ci
avevo mai pensato”
disse solo. Io ridacchiai. “Non ci pensa mai nessuno. Siamo
tutti troppo
occupati nella nostra routine per accorgersi di queste cose, citando
Kami
Gracia, nascoste in bella vista”
dissi
con tono divertito e amaro allo stesso tempo. “Tutto
ok?” mi chiese lui,
notando come il mio umore era cambiato. Io sospirai. “Non
è tutto ok. Sono una
ragazza da parete. Sono sbagliata, per la nostra società.
Chiunque non sia come
gli altri è da eliminare. Faccio paura agli altri
perché so vedere dentro le persone.
Non è tutto ok” dissi, mentre i miei occhi
diventavano lucidi. Lui mi guardò
qualche secondo, poi si alzò in piedi e mi porse la mano.
“Tu osservi le cose da lontano, e le
comprendi. Non ti metti in mostra”
disse. Mi resi conto con un mezzo sorriso che stava riportando le
parole di un
film, così lo imitai. “Non
credevo che
qualcuno potesse notarmi” sussurrai, afferrando la
sua mano. “Uh, fan di Noi siamo
infinito?”
“È
la mia
storia. Lui è come me. Chi sono io per non innamorarmi di
quel film?” risposi. Luke
sorrise, di nuovo. “Tu sai molte cose di me. Raccontami un
po’ di te” disse
poi, facendomi fare una giravolta. “Che dire, non sono
particolarmente
interessante.”
“Certo,
perché una ragazza che ti sa rivoltare da cima a fondo non
è interessante. Mi
pare logico.” Io risi piano. “Cosa ti
piace?” mi chiese poi. “I libri, i film
d’azione e le commedie strappalacrime, le stelle, la
musica” risposi. “Molto
vaga. Significa che sta a me scoprirlo” decise lui.
Nonostante
tutto, sperai che volesse davvero scoprirlo e scoprire me.
Quando
tornammo di sotto, Manuela e Carol mi guardarono, come a volere
spiegazioni.
Io, a gesti, feci capire che avrei spiegato tutto a casa. Loro, a quel
punto,
erano più che curiose. Guardammo l’orologio e ci
accorgemmo che era già l’una
di notte. Wow, il tempo era volato. “Dobbiamo andare,
davvero, domani dobbiamo
lavorare al negozio” disse Carol preoccupata. Lavoravamo in
un piccolo negozio
di libri, musica e film. Ognuna di noi tre gestiva un reparto diverso,
ci
eravamo costruite l’attività su misura per noi. Io
gestivo i libri, Carol i
film, Manuela la musica. “Andate a casa, allora, se no domani
non reggete” disse
Calum. “Domani passo a prenderti, amore” disse
Ashton, dando un bacio a Carol.
Lei ricambiò e mi venne da sciogliermi davanti a quella
scena così tenera. Ok,
ero un’inguaribile romantica con le lacrime facili. Non
andava bene nemmeno
questo. “Domani passiamo tutti, quando finite. Andiamo a
prenderci un caffè” propose
invece Luke. Partirono molti “ok” e “va
bene”. Manuela, Carol ed io li
salutammo, ormai sulla soglia di casa, e uscimmo. Le due erano
già entrate in
macchina e io stavo per fare lo stesso, quando sentii la voce di Luke
fermarmi.
“Coralie, aspetta, hai dimenticato il taccuino!” mi
disse. Io sgranai gli occhi
e mi affrettai a raggiungerlo, mentre lui correva verso di me. Mi porse
il
taccuino e sorrise di nuovo, mentre lo ringraziavo in tutte le lingue
del
mondo, esistenti o meno. Quel taccuino era la mia vita. “Ci
vediamo domani,
allora” mi disse, prima di lasciarmi un piccolo bacio sulla
guancia e
salutarmi, tornando indietro. Io ricambiai il saluto, ancora
imbambolata.
Rimasi qualche secondo in mezzo al vialetto, poi corsi in macchina,
mentre
avvampavo. Carol e Manuela mi guardavano con gli occhi a cuoricino.
“Oh, no” dissi
solo. Chiusi la portiera e mi portai le mani alle orecchie,
rannicchiandomi.
Tre, due uno.
Le due
urlarono, uno di quegli urletti striduli di quando erano elettrizzate.
Mi
sommersero di domande, mentre io cercavo di non farmi esplodere la
testa. Le
conoscevo troppo bene. Quando si calmarono riuscimmo a partire e io
presi il
mio taccuino. Rilessi la descrizione di Luke e sorrisi, ricordando come
aveva
evitato l’ultima frase. Forse non l’aveva proprio
vista, era nella pagina
seguente, o forse l’aveva ignorata. Voltai pagina e la
rilessi. “Hai un sorriso
stupendo.” Mi sentii infiammare, non so nemmeno con che
coraggio avevo scritto.
Stavo per chiudere il taccuino, quando mi accorsi della frase alla fine
della
pagina.
Cit. Avril,
smile:
Suddenly
you’re all I need
the
reason
why I smile.
Mi sentii
morire di felicità a quelle parole. Si può essere
così per una persona che si
conosce appena? A quanto pareva, sì.
*Angolo autrice*
piccolissimo appunto: ecco Pericle,
Nemo
e Tabitha.
grazie per essere arrivati fino a qui!! ciaooo
Ranya
|
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Capitolo 3 *** Won't let you go. ***
Won’t
let you go.
Il giorno
dopo, fui svegliata da Manuela e Carol. “Su, su, sveglia!
Oggi viene Luke al
negozio!!” urlavano. Io le guardai torva, gli occhi pieni di
sonno. “Possibile
che siete più agitate di me?” chiesi. Loro si
misero a ridere e mi buttarono
giù dal letto. “Muoviti, Coco!” mi fece
Carol, provocando il mio sorriso. Mi
piaceva troppo quando mi chiamavano Coco, era così tenero!
Mi chiusi in bagno e
mi fiondai sotto la doccia calda. Mi sniffai per non so quanto il
bagnoschiuma
al cioccolato. Non mi piaceva la cioccolata calda, ma il cioccolato
sì.
Chiamatemi normale.
Dopo dieci
minuti, tornai in camera mia. Trovai sul mio letto una camicia color
champagne
e i leggins di pelle, con la cravatta di paillettes. Perché
ero sicura che ci
fosse lo zampino di due pazze che pensavano che io e Luke fossimo
promessi
sposi?? Mah, intuizione.
Mi vestii
in fretta e andai al piano di sotto, dove Manuela e Carol mi
aspettavano per la
colazione. Manuela si stava facendo la sua tipica coda di cavallo.
“Posso
truccarti io?” chiese Carol con gli occhi che luccicavano.
Manuela, dal canto
suo, mi mostrò duemila tipi di spazzole e pettini diversi,
mollette e
mollettine, elastici e fermagli.
Si misero
a ridere quando notarono il terrore atavico nei miei occhi.
Queste due
si sniffavano qualcosa di molto forte, insieme ai parrucchieri del
biondo
cenere.
“Ragazze.
Stiamo andando al lavoro. Come ogni santo giorno. Dopo andremo a
prendere un
caffè coi ragazzi. Non ho sentito di nessun appuntamento
romantico” scandii
flemmatica. “Perché non leggi fra le
righe!” sussurrò, con fare da
cospiratrice, Carol. “Io leggo gli occhi. Non le
righe” feci. Ci guardammo
qualche secondo negli occhi, serie come non mai. Poi scoppiammo a
ridere. “Ti
trucco io lo stesso” decise Carol, prendendo la sua borsa per
cercare i
trucchi, mentre Manuela prendeva una spazzola. Io urlai e corsi al
piano di
sopra, chiudendomi in camera mia a chiave. “Coralie! Vieni
subito fuori!”
gridarono le due. Io mi sedetti tranquillamente sul mio letto e presi
la matita
nera e il mascara, truccandomi quel poco che bastava per non sembrare
uno
zombie. Mi misi solamente una forcina fra i capelli, che teneva
indietro una
ciocca. L’altra mi cadeva sulla fronte e sulla guancia. Mi
piaceva così. Uscii
dalla camera e mi trovai davanti alle due, che mi osservarono con
occhio
critico. “Ti è andata bene” mi dissero
solo. Io guardai l’orologio e mi accorsi
che era già tardi. “Ragazze, sono le otto meno
cinque. Il negozio apre fra
cinque minuti” feci notare. I loro occhi si sbarrarono e in
poco decidemmo cosa
fare. “Protocollo Ritardo!” dissi solo. Carol
schizzò in cucina a prendere tre
brioche e qualcosa da bere, io presi tre paia di scarpe e le portai
davanti
alla porta, Manuela afferrò i giubbotti. Ci preparammo
davanti alla porta,
uscimmo in trenta secondi e ci fiondammo in macchina. Arrivammo alle
otto
precise. Ero sempre più convinta: in una vita precedente
eravamo state delle
spie. Insomma, nessuno può avere questi protocolli e una
Rete di informatori
senza avere qualche esperienza di qualche vita passata.
Ci sedemmo
alle nostre postazioni, dietro ai banconi a mezzaluna, aspettando i
clienti. Si
capiva subito di chi fossero le postazioni: una era ordinata e
tranquilla, una
piena di trucchi e foto, una disordinata e con la parete dietro di esso
costellata di fogli con citazioni, testi e immagini. Mille libri
occupavano
quest’ultima, mentre su tutti e tre i banconi erano
posizionati dei computer.
Manuela si sedette tranquillamente dietro il bancone ordinato. Carol si
fece
spazio fra i trucchi e le foto. Io presi da sotto il mobile del
computer il mio
libro, Shadowhunters.
Manuela mi
guardò un paio di secondi. “CoFA?”
chiese. Io annuii. Poi sentimmo una voce che, confusa, chiedeva:
“CoFA?
Cos’è?” Io alzai lo sguardo,
mentre il mio cuore perdeva un colpo e incontravo i suoi occhi
chiarissimi. “City of Fallen Angels”
spiegai con un
sorriso, mentre Luke si avvicinava al bancone. Manuela lo
salutò, mi ammiccò e
scappò, tornando al suo bancone. Rimanemmo soli: io e le
altre eravamo separate
da una parete. “Non dovevi venire più tardi, con i
ragazzi?” chiesi sorridente.
Lui ricambiò e si avvicinò. “Sono qui
per trovare un libro, a dire il vero.
Cosa mi consigli, dato che sai come sono fatto?” Io lo
guardai di nuovo in
quegli occhi in cui annegavo ogni volta. “Sai, non
c’entra chi sei con quello
che leggi o ascolti. Io non indovino i gusti” spiegai,
alzandomi e raggiungendo
una libreria. Lui mi seguì. “Allora qualcosa che
hai letto tu, e che ti è
piaciuto” disse. Io sorrisi, mentre quel sentimento che mi
invadeva ogni volta
che stavo con lui mi catturava di nuovo. “Genere?”
chiesi. “Non so, a dire il
vero. Non amo i gialli, preferisco azione. Poi un po’ di
mistero non mi
dispiace.”
“Va
bene
anche romantico?”
“Certo.”
“Sovrannaturale?”
“Lo
adoro.”
“Quanto
sei disposto a leggere? Dieci pagine o un mattone?”
“Leggo
spesso mattoni.”
“Prima
persona, maschile o femminile?”
“Preferirei
maschile.”
“Allora
direi che questo va bene” dissi infine, porgendogli La sedicesima luna. Lui
osservò la copertina e lesse la trama. “Mi
intriga” disse solo. “Bene, perché dopo
di questo ce ne sono altri tre di
questa catena.”
“Aspetta,
ma Kami Gracia… l’ho già
sentita.”
“Nascosto in bella vista,
ricordi?”
“La
citazione di ieri, è vero” disse lui ridacchiando.
Io tornai al mio bancone,
per segnare il libro preso. “E invece, che genere piace a
te?” mi chiese.
“Urban Fantasy. Romantico. Tutti quei libri con emozioni
forti” dissi. “E quel
libro corrisponde?”
“Certo.
Lo
adoro” risposi, carezzando inconsapevolmente la copertina.
Lui si guardò
intorno, poi il suo sguardo cadde dietro al bancone. Emise
un’esclamazione
sorpresa e io mi voltai, seguendo il suo sguardo. Impallidii.
“Quando avevi
intenzione di dirmi che avevi scritto un libro?” chiese,
avvicinandosi alla mia
copia. “No, guarda che è orribile. Non vende
nemmeno” dissi io. Lui lo prese in
mano lo stesso. “Coralie Lemaire,
Look
into my eyes” lesse. “Sei
francese?” chiese poi. “Da parte di madre. Ha
insistito per darmi il suo cognome” spiegai. Lui
aprì il libro per leggere la
trama. Lo sfogliava delicatamente, e gliene fui grata. Quel libro era
il
risultato di cinque anni di lavoro, ci avevo messo tutta me stessa e
nonostante
non fosse famoso per me significava tantissimo. “Un amore
fatto di gesti e sguardi,
di citazioni e sensazioni” lesse alla fine. “Sembra
interessante, davvero” disse
con un sorriso enorme. Io lo guardai stranita. “Sei
sicuro?” chiesi. Lui annuì
e lasciò sul bancone La sedicesima
luna.
“Vorrei provare a leggerlo” disse. Io arrossii.
Insomma, in quel libro c’era
tutto di me. Quel libro ero io, non so nemmeno come spiegarlo. Mi
fidavo
abbastanza di lui per consegnargli
tutto di me?
La risposta era
ovvia.
Presi il libro
e glielo
consegnai, dato che avevo solo quella copia. “Quanto ti
devo?” chiese lui. Io
sgranai gli occhi, confusa. “È una libreria,
ricordi?” mi disse divertito. Io
rimasi di sasso. Come avevo fatto a dimenticare il mio lavoro?! Ero
proprio
messa male. “Non preoccuparti, te lo regalo” dissi
in fretta per non peggiorare
la mia figuraccia. Luke mi guardò sorpreso. “Non
posso accettare, davvero” fece.
“Sul serio, prendilo, tanto a casa dovrei averne un altro
paio” insistetti io,
spingendogli il libro fra le mani. “Solo se domani vieni con
me alla pizzeria
qui di fronte” fece lui. Io rimasi qualche secondo immobile.
Davvero me lo
stava chiedendo? O mi stavo immaginando tutto?
“Ehm,
va bene, certo” dissi solo,
frastornata. Luke sorrise raggiante. “Lo leggerò
il prima possibile” promise
poi. Per un attimo non capii, avevo perso il filo del discorso, poi ci
arrivai.
Perché con lui il mio cervello andava in blackout?! Ero un
caso grave, signore
e signori.
Fui risvegliata
dal cellulare che
squillava. guardai lo schermo: un messaggio da Carol. Lo aprii.
“Quanto siete
carini insieme!! E, PS: se non vai all’appuntamento ti caccio
di casa. PPS:
guarda il reparto di Manuuuu *-*” ok, questa era pazzia allo
stato puro. Feci
come mi era stato detto e trattenni un’esclamazione stupita.
C’era Michael di
fronte al bancone, stava ascoltando musica con Manuela, ogni tanto
ridevano
insieme. Erano vicinissimi!! Avevo gli occhi a cuore per loro. Mi
sporsi appena
e notai che, dall’altra parte, anche Carol stava sbirciando.
Mi venne da ridere
e ci scambiammo una serie di sguardi che non aveva bisogno di nessuna
parola
per essere capita. Comunicavamo spesso solo con espressioni e ci
capivamo
benissimo, tutte e tre.
Seriamente,
avevamo dei
precedenti come spie.
“Oh,
come stanno bene insieme!”
sentii dire da Luke. Mi spaventai, non mi aspettavo di trovarmelo a
pochi
millimetri di distanza. Guardai di nuovo Carol e la vidi esultare e
scrivere al
cellulare. Come previsto, in poco mi arrivò un messaggio.
“Solo io shippo Luke/Coralie
e Michael/Manuela?! (Non sono riuscita a fondere i nomi… a
meno che non ti
piaccia Luralie o Corake XD)” mi trattenni dal ridere, mentre
tornavo alla mia
postazione. Luke rimase a sbirciare. “Luke! Non si
fa!” gli dissi in un
sussurro. “Ma fino ad un attimo fa c’eri anche
tu!” fece lui stranito. Liquidai
quelle parole con un gesto della mano. “Futili
dettagli” dissi ridacchiando.
Lui mi imitò e mi raggiunse. Si sedette sulla sedia di
fianco alla mia e aprì
il libro, iniziando a leggere. Passarono pochi minuti, poi qualcosa mi
disturbò. Ero stata io a immaginarmi un flash? Mi guardai
attorno e vidi Carol
con una macchina fotografica. Lei mi alzò il pollice come a
dire “Ok!”. Io le
alzai un altro dito, poi ci mettemmo a ridere. Luke si voltò
verso di noi e ci
vide ancora con le dita alzate a ridere. Sgranò gli occhi.
“Io non ho visto
niente” disse solo, tornando alla lettura del libro. Io e
Carol ridemmo ancora
di più, poi io mi fermai. Carol era voltata di spalle e non
poteva vederlo, ma
io mi ero accorta di Ashton, che si stava avvicinando di soppiatto a
lei. Mi
fece segno di rimanere in silenzio, mentre Carol mi guardava confusa.
Lei
cacciò un urlo quando Ashton la abbracciò di
scatto da dietro e la sollevò.
Luke, che non si era accorto di niente, si spaventò.
“Voi volete farmi morire”
disse solo, facendoci ridere. “Ma che succede,
qui?!” fece Manuela, sbucando da
dietro la parete. “Scusate, qui vi riunite tutti e non mi
avvertite?” chiese.
Io e Carol la uccidemmo con lo sguardo. Il messaggio era chiaro:
“Torna da
Michael!!” Lei incassò la testa fra le spalle e
obbedì ridendo.
“Sapete,
vero, che dovevate
venire dopo l’orario di lavoro, e invece sono solo le otto e
mezza?” chiese
Carol. Loro fecero spallucce. “Calum è uscito con
la sua ragazza e noi non
potevamo suonare senza di lui, quindi non avevamo niente da fare e
siamo venuti
qui” spiegò Ashton. Carol gli si
avvinghiò al collo e lo baciò.
“Però non farmi
più prendere questi infarti, ok?” chiese. Ashton
annuì, affondando il viso nei
capelli chiari di lei. Erano troppo teneri insieme! mi voltai verso
Luke e vidi
che anche lui li stava fissando. Poi si voltò e i nostri
sguardi si
incontrarono. Arrossii immediatamente e feci tornare lo sguardo sul
libro. No,
no, non può essere possibile. Nel libro, i due si stavano
baciando. Quella era
crudeltà. Lo chiusi di fretta, prima che mi venisse troppa
tristezza. Accesi il
computer e aprii un file.
Look into my
eyes – bozza 1.
Nonostante
tutto, non l’avevo mai
cancellato. Il mio libro era passato attraverso sette bozze e due case
editrici
fasulle, prima di poter vedere finalmente uno scaffale. Avevo
conservato tutte
le bozze. Rilessi la trama e sorrisi. Con
l’ingenuità di dodici anni, non
poteva venire fuori qualcosa di avvincente. Con gli occhi pieni di
sogni di un
bambino, non si può immaginare che qualcosa vada male.
Era una storia
d’amore semplice,
con tutte le sfaccettature della vita di una diciassettenne. Eh
sì, l’avevo
scritto pensando a me stessa da diciassettenne. Mi rendevo conto, in
quel
momento, che quello che avevo scritto si allontanava molto dalla
realtà.
Sorrisi mesta. Quanto avrei pagato, per vivere di nuovo uno di quei
miei sogni
così puri e innocenti come potevano esserlo solo quelli dei
bambini?
“Mi
scusi, dove posso trovare un
libro di Verne?” mi chiese un signore anziano davanti a me.
Con tutto il rumore
che stavamo facendo, non m’ero nemmeno resa conto che era
entrato un cliente.
“Arrivo subito” dissi, voltandomi verso Carol e
intimandole con lo sguardo di
andare via. C’era troppa confusione. Lei annuì e
portò via Ashton. “Posso
aiutarti?” chiese Luke. “Non preoccuparti, faccio
io” dissi, uscendo dal
bancone e portando l’uomo al reparto che cercava.
“Ha fretta?” domandò lui
sorridendo. “No, non si preoccupi, se ha bisogno di
qualcosa…” cercai di dire,
ma fui interrotta. “Sta molto bene, assieme al suo
ragazzo” mi disse. Divenni
viola dalla vergogna. “Ehm, non è il mio
ragazzo” dissi. Fortuna che Luke non
poteva sentire. “Beh, non si direbbe da come lo
guardi” mi disse gentilmente.
Era in momenti
come quelli che
sapevo di non essere l’unica a leggere gli occhi.
La giornata
passò stranamente in
fretta, con i ragazzi a farci compagnia. Erano rimasti stranamente
silenziosi,
Luke dietro il mio bancone a leggere, Michael dietro a quello di
Manuela ad
ascoltare musica e Ashton dietro a quello di Carol a baciarla.
Luke era
davvero veloce a
leggere. Il libro non era molto grande, circa centocinquanta pagine
– non mi
ero concentrata sulla lunghezza, ma sul contenuto – e lui era
già a metà.
Quando arrivarono le cinque, l’orario di chiusura, Ashton
venne da noi. “Luke,
dobbiamo andare” gli disse. Io spensi subito il computer, ma
lui non voleva
saperne di chiudere il libro. Manuela ci raggiunse, seguita da Michael.
Mi
guardò sorpresa. “Hai trovato un lettore, eh? E
sembra anche accanito” mi
disse. Io non riuscivo a credere al fatto che gli piacesse tanto.
Sentimmo la
porta aprirsi e Calum entrò nel negozio, seguito da una
ragazza con occhi
verdi, lentiggini e capelli rossi raccolti in una treccia a spiga.
“Ciao, ragazzi!
allora, si va a prendere questo famoso caffè?”
chiese. Lo salutammo e io mi
concentrai subito sulla ragazza. Aveva occhi sinceri e vivaci, solari e
dolci.
Manuela e Carol
mi guardarono
qualche secondo, come a chiedere se potevano fidarsi. Io annuii
impercettibilmente.
Negli anni, ero
diventata meglio
di un cane da fiuto per le persone subdole. Non le potevamo sopportare
e
avevamo deciso di
tenerci alla larga da
loro.
“Ragazze,
lei è Madison, la mia
fidanzata. Maddy, loro sono Coralie, Manuela e Carol” ci
presentò Calum. Madison
ci strinse la mano con un sorriso enorme e raggiante e noi ricambiammo.
Ok, era
decisamente simpatica. Anche i ragazzi la salutarono e chiudemmo il
negozio,
dopo essere riusciti a staccare Luke dal mio libro. Insistette comunque
per
portarselo dietro. Mi emozionava sapere che gli piaceva quello che
avevo
scritto, davvero, mi faceva sentire realizzata.
Dopo essere
usciti dal negozio,
andammo al bar di fronte e ci sedemmo ai tavoli interni, di fianco ai
caloriferi. Luke stava per tirare fuori il libro, ma poi ci
ripensò e lo lasciò
nella tasca interna della giacca. “Davvero ti piace
così tanto?” chiesi. Lui
annuì. “Davvero, è stupendo. Non riesco
a smettere di leggere” mi disse. “Sei
l’unico, mi sa” feci mesta. “Invece
questo libro meriterebbe di più. E anche la
sua autrice” mi disse. Eravamo leggermente in disparte,
all’ultimo tavolo.
Potevamo parlare tranquillamente: tutti prestavano attenzione a
Manuela,
fortunatamente. Mi sentii arrossire. “Dimmi che
c’è un seguito” implorò lui.
“Beh, lo sto scrivendo, ma non penso che la casa editrice
abbia ancora voglia
di perdere tempo con me” dissi. “Facciamo
così. Tu continui a scrivere, al
resto penso io” mi disse deciso. Io sorrisi nel vedere la sua
testardaggine.
“Vuoi leggere il seguito ad ogni costo, eh?”
“Mi
pare logico” rispose con fare
ovvio. Ci mettemmo a ridere nello stesso momento in cui arrivavano i
nostri
caffè, che a dirla tutta per gli altri era caffè,
per noi camomilla, come il
giorno prima. La trovavo più buona di caffè,
cioccolata, latte, milk-shake o
qualsiasi altra cosa. Era bollente e avvolsi le mani attorno alla
tazza,
riscaldandole. “La protagonista. Sei tu” disse
solo. Non era una domanda.
Annuii piano. “Cosa ne pensi? Ti ho praticamente consegnato
tutto quello che sono
su pagine e pagine di sogni infranti e storie impossibili. Devo
sembrarti
abbastanza patetica” commentai. Lui mi guardò
qualche secondo. “In realtà mi
sembri dolcissima” sussurrò. Chiusi gli occhi e mi
morsi le labbra. Non potevo
crollare davanti a lui. Mi alzai di scatto e praticamente scappai da
quel bar,
ignorando i richiami degli altri. Mi misi a correre, senza nemmeno
sapere dove
stavo andando. Era buio, accidenti. Rischiai di scontrarmi contro
qualsiasi
cosa, ma arrivai intatta al parco. Era il mio rifugio.
Mi sedetti su
una panchina,
mentre il gelo del legno mi entrava nelle ossa. Finalmente lasciai
andare le
lacrime.
Perché
ero esplosa? Non lo sapevo
nemmeno io.
Forse per paura.
Non seppi dire
per quanto rimasi
lì, so solo che fu poco tempo: sentii subito una voce fin
troppo familiare
chiamare il mio nome. Un attimo dopo, Luke si sedette accanto a me.
“Coralie,
cosa succede? Perché sei scappata
così?” chiese confuso, prima di notare i miei
occhi gonfi di lacrime. Mi sollevò il viso con un dito.
“Perché stai
piangendo?” io non risposi. Non ci riuscivo, il groppo alla
gola che
intrappolava le mie lacrime aveva intrappolato anche le mie parole.
“Coco, cosa
c’è?” mi domandò di nuovo,
dolce. Davvero mi aveva chiamato Coco? Forse fu
questo a darmi la forza per rispondere. “È che ho
paura. Tutti quelli a cui ho
permesso di conoscermi davvero sono scappati. Ho aperto loro il mio
cuore e
loro mi hanno lasciata da sola. Ho paura che possa essere
così anche con voi.
Ho paura che possa essere così… con te. Non
voglio che succeda come con tutti gli
altri” dissi con voce rotta. Lui rimase un attimo spiazzato,
tanto che credei
di aver detto troppo. Poi, di scatto, mi abbracciò. Rimasi
immobile, sorpresa
da quel gesto. “Io non voglio essere come tutti gli altri.
Non ti lascerò
andare, promesso” mi disse. Io, come risposta, permisi
finalmente a tutte le
lacrime di scorrere bollenti sul mio viso e ricambiai la stretta.
Fu in quel
momento, col calore
del suo abbraccio che mi circondava e l’eco di quella
promessa ancora nelle
orecchie, che mi sentii davvero protetta.
*Angolo
autrice*
Rachelle
Bilson as Madison
grazie
di tutto, ciaoo
Ranyadel
|
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Capitolo 4 *** why ***
Why.
Quando
riuscii a calmarmi, Luke mi passò una mano fra i capelli.
“Tranquilla”
continuava a sussurrarmi, fino a quando non riuscii a calmare il
respiro. “Ce
la fai a tornare al bar?” mi chiese premuroso. Io annuii e ci
alzammo. Quando
mi sciolsi dal suo abbraccio, rabbrividii, mentre un’ondata
di freddo mi
avvolgeva. “Mi dispiace per… questo”
dissi. “Ehi, è normale. L’hai scritto tu
stessa: non devi avere paura di essere
chi sei” rispose, circondandomi la vita con un
braccio. Io abbandonai la
testa contro la sua spalla. Avevo bisogno di lui, me ne rendevo conto
pienamente solo in quel momento.
I need you, I
need you, more and more each day.
In pochi
minuti arrivammo al bar, dove I ragazzi ci aspettavano preoccupati.
Quando
Carol e Manuela mi videro, mi saltarono al collo. “Coco,
tutto bene?!” mi
chiesero. Io annuii, mentre Luke si allontanava per lasciarmi
respirare. Vidi
che anche Madison era ansiosa e questo mi lasciò perplessa,
in fondo ci avevo
scambiato tre frasi in croce. “Fammi ancora uno scherzo del
genere e ti
uccido!” mi disse Manuela stringendomi più forte
che poteva. Io ricambiai.
“Credo che ormai la camomilla sia fredda, ma se ti va ancora,
è qui” fece
Carol invece, porgendomi la tazza. Io
non la rifiutai solo per non farli preoccupare, anche se avevo un nodo
allo
stomaco. Manuela lo notò e disse: “Ragazzi,
dobbiamo andare a casa. È stato un
piacere passare la giornata con voi ma abbiamo un impegno.”
Carol resse subito
il gioco, capendo che qualcosa non andava. “Sì,
stasera arriva mio cugino” improvvisò.
Ashton la guardò stranito. “Ma tu non hai
nessun…” Fu interrotto da Carol, che
gli assestò una gomitata nelle costole. “Oh,
capito!” sussurrò lui. Ridacchiai
piano, mentre grazie ad Ashton la copertura saltava.
La rovina
delle spie erano le persone come lui.
“Se
vuoi
andare a casa puoi dirlo subito, eh?” mi disse Luke cercando
di trattenere una
risata. “Ecco, sono queste figure che mi fanno venir voglia
di seppellirmi
viva” sussurrai. Gli altri si misero a ridere, mentre noi
raccoglievamo le nostre
cose. “Allora, ci vediamo domani?” chiese Michael,
rivolgendosi di più a
Manuela che a tutti gli altri. “Certo, tanto più
che domani il negozio è
chiuso” rispose lei. Salutammo gli altri, pagammo i nostri
caffè e la camomilla
e ce ne andammo. Intanto, si era messo a piovere. Ci nascondemmo sotto
l’ombrello di Carol, che riusciva a ripararci solo un
po’. Quando arrivammo in
macchina, eravamo fradice. Rabbrividii quando, dai miei capelli, una
goccia
gelida scese lungo la mia spina dorsale. “Aiuto, fa
freddissimo!” esclamai.
Carol accese il riscaldamento e partimmo, con me e Manuela attaccate ai
bocchettoni dell’aria calda. Quando arrivammo a casa, mi
offrii per cucinare.
Carol mi guardò allarmata: io e Manuela non ne eravamo
capaci, l’ultima volta
avevo bruciato la cena e lei pure. “Dai, fidati! Se non ci
provo non imparerò
mai!” esclamai. “Ah, a me va bene che Carol cucini
fino alla mia morte!” disse
Manuela. La diretta interessata rise sarcastica. “Stavolta
prova Coralie,
allora” decise poi. Io esultai fra me e me.
Venti
minuti dopo, eravamo a tavola, con dei piatti di ravioli davanti. Le
due erano
indecise. “Siamo sicure che sono commestibili?”
chiese Manuela. “Beh, non ci ho
messo veleno. Almeno spero” feci perplessa. “Allora
assaggiali prima tu” mi disse
Carol. Io esitai qualche secondo, prima di obbedire. “Non
sono male!” dissi.
Manuela e Carol provarono a loro volta e furono d’accordo con
me. Mangiammo in
poco tempo, mentre lo stereo diffondeva le note del CD Let
Go. Una delle mie canzoni preferite era Why,
forse perché era una delle poche che riuscivo a cantare.
Amavo
cantare, così come Carol e Manuela. La differenza fra me e
Manuela era che lei
sapeva cantare, e anche bene. Io, invece, ero terrificante. Avevo una
voce
terribilmente roca e, a causa di un trauma avuto durante un allenamento
di
pallavolo, non riuscivo a raggiungere alcune note, nonostante fossero
intermedie. Il trauma in questione era una pallonata, molto forte,
arrivata
proprio dove, negli uomini, si trovava pomo d’Adamo. Per un
po’ mi si era
spezzato il respiro, poi avevo perso la voce. Non ero riuscita a
parlare per
tre settimane. Adesso riuscivo a cantare solo con voce sottile. Why, tuttavia, mi riusciva.
Ci mettemmo
a cantare senza nemmeno accorgercene, tutte le canzoni – non
importava come
venivano – fino a quando il CD non finì. Ci
sdraiammo poi sul divano,
avvolgendoci nel piumino, con un film, Il
mio finto fidanzato, alla TV. Eravamo talmente stanche che ci
addormentammo
lì, pressate le une contro le altre.
Ci
svegliammo al mattino quando il cellulare di Carol suonò.
Lei rispose con voce
impastata: “Pronto?” Io e Manuela sbadigliammo.
“Oh, ciao amore, come stai?” La
vidi sbarrare gli occhi. “Che succede?!” mimai con
le labbra. “Sì, sì, ok, ci
vediamo fra poco, ciao amore” disse lei, prima di mettere
giù. “Ragazze, era
Ashton. Stanno arrivando” fece inorridita. Noi eravamo
altrettanto atterrite.
Ci alzammo di scatto e mettemmo a posto il divano in pochi secondi,
schizzando
poi verso le nostre camere. Riuscimmo a prepararci in pochissimo tempo.
Mi stavo
mettendo una linea di eye-liner, quando sentii il campanello suonare.
“Trucco!”
urlai. “Maglietta!” fece Manuela.
“Capelli!” ribatté Carol.
Ok, ero quella
più avanti.
Mi
precipitai di sotto e iniziai ad aprire la porta. Mi chinai in avanti,
cercando
di mettermi a posto i capelli alla bell’e meglio, poi mi
raddrizzai e aprii.
Davanti a me, Luke, Ashton, Michael e Calum mi salutarono sorridenti.
Li feci
entrare, mentre Carol e Manuela scendevano dalle scale velocemente.
“Come stai?”
mi chiese Luke. Io sorrisi e annuii. “Grazie”
aggiunsi. Lui sembrò ricordarsi
all’improvviso di qualcosa. Si frugò nella tasca
interna del giaccone e ne tirò
fuori il libro, riconsegnandomelo. “È davvero
fantastico” mi disse. “L’hai
già
finito?!” chiesi sorpresa e felice. “Sono rimasto
sveglio fino alle tre. Ho
rischiato anche di rileggerlo” si lasciò scappare
con un sorriso enorme, sempre
porgendomi il libro. “Hai capito molto male, Luke.
È tuo!” dissi perentoria.
“Sicura?” chiese lui. Io annuii decisa e lui lo
rimise a posto. “Grazie” disse
con quella sua faccia da cucciolo che mi mandava fuori di testa. Era
troppo
adorabile.
Molti
dicono che i ragazzi con piercing e tatuaggi sono dei poco di buono,
che
bisogna starne lontani. L’abito non fa il monaco, lo
sosterrò sempre. Bastava
guardare Luke, che nonostante il piercing era fantastico.
Mi
immaginai un bacio fra due persone con i piercing sulle labbra. Era
possibile
rimanere incastrati? Queste erano le domande che mi facevo di prima
mattina,
quando il cervello ancora dormiva. Mi venne comunque da ridere, ad
immaginare
due ragazzi costretti a stare con le labbra incollate per colpa di due
piercing. Guardai il piercing di Luke. Quasi quasi, un piercing anche
io…
Poteva essere una buona idea, no?
I quattro si
tolsero le giacche e ci seguirono in salone, dove il divano –
fortunatamente –
era stato messo a posto. “Dov’è
Madison?” chiesi. “È sempre impegnata
col
lavoro. Fa tirocinio in uno studio veterinario, l’ho
conosciuta portandoci
Nemo” spiegò Calum, mentre sorrideva al ricordo.
Oh, tenero.
Ashton si
avvicinò a Carol e la baciò dolcemente, ma
persero l’equilibrio e lei finì sul
divano. Ashton si mise a ridere. Carol lo guardò
indispettita e gli tirò una
cuscinata in faccia, ghignando. “Questa è una
dichiarazione di guerra!” decise
Ashton, prendendo un altro cuscino e ricambiando. “Ehi! Non
si colpiscono le
donne!” fece Manuela, prendendo un altro cuscino e
massacrandolo. Partì così
una guerra di cuscini,
fra tutti quanti.
Ad un certo punto, io urlai: “Fermi tutti!” gli
altri mi guardarono sorpresi,
mentre io mettevo al sicuro tutti gli oggetti fragili. “Tu
sei molto
intelligente” mi disse Carol, dandomi una mano. In due minuti
avevamo messo in
sicurezza la casa. “Si può andare
avanti” decretai poi. Non l’avessi mai detto,
mi arrivò una cuscinata sulla nuca che mi fece ribaltare in
avanti. Caddi su
Manuela, che mi sorresse. Ci mettemmo schiena contro schiena e
iniziammo a
mietere vittime. Altro che terza guerra mondiale.
“Splendore,
siamo imbattibili!” esclamai esultante. Poi mi voltai verso
di lei, e la vidi
brandire il cuscino con aria vittoriosa. Sgranai gli occhi.
“Manu, cosa vuoi
fare?” chiesi. “Scusa, Coco” mi disse,
prima di farmi cadere sul divano con una
cuscinata in testa. In teoria sarei dovuta cadere sul divano.
In pratica
caddi su Luke, anche lui abbattuto da una cuscinata.
Attorno a
noi, volava l’imbottitura di un paio di cuscini,
evidentemente si erano aperte
le zip, ma non mi importava. Ero paralizzata dalla sorpresa, sdraiata
sul petto
di Luke. Gli avevo mozzato il fiato, speravo di non avergli fatto
troppo male.
Mi aspettavo qualche cuscinata, ma non arrivò niente.
Eravamo nella nostra
bolla, a guardarci negli occhi, sorpresi. Non ci arrivava nessun suono.
Era
talmente bello, ma anche così imbarazzante…
Il citofono
suonò e io mi alzai di scatto, più per togliermi
dall’imbarazzo che per
interesse. “Vado io!” dissi frettolosa, rispondendo
al citofono. “È arrivata
una lettera da Emmaline” dissi sconcertata. Carol e Manuela
mi guardarono
addolorate e preoccupate allo stesso tempo. Io non riuscivo a capire.
Aprii la
porta in fretta, ansiosa di sapere cosa volesse da me. Mentre uscivo,
sentii
Luke chiedere a Carol chi fosse Emmaline. “È la
sorella di Coralie. È
schizofrenica ed è da anni in una casa di cura, se si
può definire così. Ogni
tanto le mandava una lettera, poi è peggiorata. Parla da
sola e l’ultima volta
che siamo andate a farle visita non ci ha riconosciuto. Coralie era
distrutta”
spiegò a bassa voce Carol, sperando di non farsi sentire da
me, invano. Intanto
ero tornata in casa, con la lettera stretta convulsamente fra le mani.
Carol
aveva ragione, sapere che mia sorella non mi riconosceva mi aveva
annientata.
Era successo circa due mesi prima. non mi aveva spedito più
niente, da allora.
“Coralie,
vuoi che la legga io?” mi chiese premurosa Manuela. Io mi
morsi le labbra, poi
scossi la testa. “Non la leggerà
nessuno” decisi con voce rotta. Carol e
Manuela mi guardarono allarmate e sorprese. “Per
ora” aggiunsi. Loro non
dissero niente e mi accorsi solo in quel momento che erano tutti
attorno a me.
Luke mi prese una mano e la strinse, come a dire “Sono
qui.” Manuela e Carol,
invece, mi guardavano come se non volessero vedermi piangere.
Non mi
veniva da piangere. Ero solo confusa. Spenta.
Perché
si
faceva sentire solo in quel momento? Perché non mi aveva
chiamato? Perché non
aveva chiesto ai dottori di farmi sapere qualcosa? Perché
non aveva fatto
niente, mi aveva solo mandato uno stupido pezzo di carta in una stupida
busta
con delle stupide parole sopra?!
Ero
confusa, spenta e arrabbiata. Davvero valevo così poco?
“Perché?”
chiesi al vuoto. Sentivo gli occhi di Luke su di me. “Ok,
adesso basta” disse.
Si alzò e prese le nostre giacche. “In piedi, si
esce” disse, perentorio ma
sorridendomi. “Luke, non mi sembra il momento
di…” tentò Calum. Io lo
interruppi prendendo il giubbotto che mi porgeva Luke. “Ha
ragione. È una bella
giornata, non è giusto passarla a deprimersi”
disse Manuela. Io ringraziai
mentalmente tutti per essere lì con me.
Circa
mezz’ora dopo, eravamo in una zona della città che
non conoscevo bene, ma Luke
e gli altri sembravano sicuri, quindi mi fidavo. Notai come poco a poco
tutto
il gruppo si stesse sfaldando: Carol e Ashton erano andati in un
negozio di non
so cosa. Manuela e Michael erano rimasti incantati da una vetrina di
cuccioli.
Calum stava sbavando dietro una chitarra, attaccato al vetro della
vetrina,
mentre il proprietario del negozio, a mio avviso, lo stava insultando
in tutte
le lingue del mondo. Eravamo solo io e Luke, due volte nel giro di
nemmeno una
giornata. Davvero, rischiavo di non reggere. “Dove stiamo
andando, Luke?”
chiesi curiosa. “In un posto che adoro, e che spero
piacerà anche a te” mi
disse lui enigmatico. Io mi parai davanti a lui e lo guardai negli
occhi.
“C’entra del cibo” dissi decisa. Lui
sgranò gli occhi, prima di serrarli.
“C’è
un modo per nasconderti le cose?” chiese. “Non ne
ho idea.”
“Coco?”
“Sì?”
“Posso
aprire gli occhi senza il rischio che tu mi legga nel
pensiero?”
“Non
ne
sono sicura.”
“Ma
così
inciampo!” implorò ridendo. Io lo guardai qualche
secondo, prima di scoppiare a
ridere a mia volta. “Ok, ok” consentii poi. Lui
sospirò di sollievo e
finalmente aprì gli occhi.
Mi
portò
fino ad un negozio di antiquario. Lo guardai scettica.
“Dobbiamo mangiare
qualcosa di mummificato, per caso?” chiesi con una smorfia.
“Tranquilla, quella
è solo metà negozio. Lo so, non ha senso
com’è organizzato, a me interessa solo
l’altra metà” mi spiegò.
Entrammo e mi trovai davanti ad un piccolo scaffale
con vari tipi di patatine, di quelli che ci sono anche nei distributori
automatici. “Ehm, wow” dissi, per niente sorpresa.
Lui ridacchiò. “Voltati” mi
consigliò. Io obbedii e rimasi a bocca aperta, mentre una
visione celestiale mi
inondava gli occhi. “Sai, leggere il tuo libro mi ha aiutato
molto” mi disse,
nonostante io non lo stessi ascoltando.
“Do-do-do…” balbettavo.
“Dolci!”
riuscii a dire poi. Davanti a me, tre scaffali lunghi pieni di
caramelle di
ogni tipo. Ai lati, muffin, torte e cioccolata. Sopra gli scaffali,
bastoni di
zucchero e cicche. Ogni tipo di dolce sbucava da un angolo diverso di
quel
posto incantato.
Era il mio
paradiso.
“A
quanto
ammonta il budget?” chiesi. “Mhm, dovevamo prendere
una pizza, oggi, e abbiamo
saltato. Direi quindi circa dieci, quindici euro” disse lui.
Io mi strofinai le
mani. “Faccio una strage” feci con tono
cospiratorio. “Ehi, piano, dobbiamo
dividere” mi ammonì lui ridendo. Troppo tardi,
avevo già preso un sacchetto,
iniziando a farci cadere dentro le stringhe multicolori che adoravo.
Luke mi
raggiunse con una vagonata di caramelline a forma di fragola, mentre io
decimavo i marshmallow e le caramelle alla coca-cola. “Le
collane caramellose!”
urlai, completamente trasfigurata in un mostro tritura-caramelle. Lui
ne prese
quattro. “Perché quattro?”
“Perché
l’ultima volta ne ho finita una in cinque minuti, stavolta
vorrei durare almeno
dieci.”
“Ah,
pensavo volessi condividere!”
“Sei
fortunata che sei tu, altrimenti non vedresti nemmeno l’ombra
di questi dolci”
mi disse, brandendo un bastone di zucchero e puntandomelo contro come
un’arma.
Io mi misi a ridere. “Lo sai che dopo averle finite il nostro
livello di
diabete supererà quello di tutta la popolazione mondiale
messa insieme?” mi
chiese. Io inarcai un sopracciglio e lo guardai, indicandomi il viso
con un
dito. “Ti sembra la faccia di una a cui interessa?”
Lui mi guardò critico.
“Nah, non credo” disse poi. Ci trattenemmo dal
ridere, invano.
Dieci
minuti dopo, avevamo riempito tre sacchetti. Il proprietario del
negozio ci
guardò sorpreso, ma non disse una parola.
“Ventisei e quaranta” disse. Noi ci
guardammo. “Abbiamo sforato” commentai solo. Lui
fece spallucce e mise sul
bancone quindici euro, cercando nelle tasche per trovare il resto. Io
lo
precedetti e il proprietario ci consegnò lo scontrino.
“Ok, dove le mettiamo?”
chiese Luke, mostrandomi i tre sacchetti. Io riflettei un attimo, poi
aprii la
borsa. “Sicura che ci stiano?”
“Fidati,
l’ho ereditata da Mary Poppins.”
“Perfetto!”
disse lui, cercando di farceli stare tutti e tre. Quando ci
riuscì, salutammo
il proprietario e uscimmo. Sentimmo lui gridarci un “Tornate
presto!” e ci
mettemmo a ridere. “Siamo la sua miniera d’oro, mi
sa” dissi. Lui annuì. “Dove
andiamo?” chiesi. “Un posto tranquillo dove
consumare la nostra preda? Io direi
al parco” fece. Fortunatamente non era molto lontano, anzi
era praticamente di
fianco. Quello, almeno, lo conoscevo. C’erano quattro zone:
quella per i
bambini, piena di giochi, quella per i ragazzi, con campi da basket, da
calcio
e uno spiazzo per farci un po’ di tutto, quella per gli
adulti, delimitata da
una panchina di pietra che correva per tutto il parco, e quella per chi
cercava
un po’ di pace, divisa in due parti e immersa nel verde.
Queste divisioni nella
realtà non esistevano, ma nel tempo ognuno si era ritrovato
a frequentare le
zone più idonee, quindi era naturale vederle. Nella zona
pacifica, c’era un
punto particolarmente nascosto, sotto tre alberi e con un muretto alto
circa un
metro, che delimitava la piazza del bar dalle collinette.
Lì, ci andavano i
ragazzi a bere, drogarsi e cose del genere.
Noi ci
andammo per fare indigestione di caramelle.
A volte mi
chiedevo se non fossi più una bambina, che una
diciassettenne.
Io
frequentavo spesso la zona tranquilla, con Carol e Manuela. Ci
mettevamo ad
ascoltare Goodbye Lullaby e a
canticchiare. Non so perché, ma era l’album
perfetto per stare in mezzo al
verde. Mi piaceva associare alla musica un colore. Quando lo raccontai
a Luke,
lui mi guardò sorpreso. “Ti piace
cantare?” chiese. “Sì, ma sono
orribile”
dissi. “Non ci credo” rispose sorridendo.
“Invece è così, non tutti nascono con
una voce come la tua!” dissi con la bocca piena di caramelle.
Lui si voltò un
attimo, dandomi le spalle, poi si girò di nuovo verso di me.
Per poco non mi
affogai dal ridere: si era messo una dentiera da vampiro-caramella e
stava
imitando una faccia minacciosa. “Non farmi ridere mentre
mangio, potrei morire”
dissi cercando di riprendermi. La mia mente malata di dolcezza mi
propose
l’immagine di me stessa che soffocavo e Luke che faceva di
tutto per farmi
riprendere, compresa la respirazione bocca a bocca.
Ok, era una
semplice addizione: il mio cervello malato più zucchero,
uguale filmini mentali
a non finire.
Dopo una
ventina di minuti, quando avevamo fatto fuori metà del primo
sacchetto,
sentimmo un: “Ecco dove eravate!” Ci prendemmo un
infarto: Manuela era sopra di
noi, dall’altra parte del muretto. Ci raggiunse tutto il
gruppo e Carol e
Manuela mi guardarono adoranti. “Avete le
caramelle?!” chiesero, incantate. Io
e Luke non eravamo gli unici ad essere stati stregati. Quando si
avvicinarono a
noi, io e Luke nascondemmo le caramelle dietro la schiena. Nello stesso
momento, io soffiai come un gatto arrabbiato, lui abbaiò
come un cane da
guardia cui è stato invaso il territorio. Ci guardammo un
attimo, stupefatti,
poi scoppiammo a ridere, tanto che ci vennero le lacrime agli occhi.
Ero sempre
stata abituata a soffiare, quando dovevo difendere qualcosa di mio.
Vivere con
Tabitha mi aveva trasformato in una metà gatto, a quanto
pareva, perché quella
non era la mia unica abitudine alla gatto-style. Quando mi
accarezzavano i
capelli mi veniva naturale imitare le fusa di un gatto e quando mi
grattavo il
naso lo facevo come Tabitha. Unite questo ad una grave forma di
vampirismo, e
il risultato ero io. E avevano il coraggio di chiamarmi normale.
Quando
riuscimmo a smettere di ridere, concedemmo al gruppo la metà
sacchetto rimasta,
in un atto di estrema generosità. Ci alzammo dal prato
gelido e Luke si
avvicinò a me. “Non far vedere le
altre!” mi sussurrò. Io annuii, non sarebbe
stato comunque nelle mie intenzioni, sapendo che divoratrici erano
Manuela e
Carol. Le sue dita sfiorarono le mie e io sentii un brivido percorrermi
la
spina dorsale. Mi ritrovai senza nemmeno accorgermene a canticchiare.
“Why do you always do this to me?”
Lui mi
guardò. “Prima hai detto che non sai cantare. Ora
posso dirti che non è vero, e
che hai una voce davvero bella” mi disse dolcemente. Ok,
rischiavo seriamente
di sciogliermi. Non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati davanti a
casa
nostra. Potrà sembrare infantile, ma non avevo per niente
voglia di separarmi
da lui. Manuela mi salvò la vita. “Vi fermate a
mangiare qui, vero?” chiese
speranzosa. Gli altri annuirono, mentre io dentro di me stavo
proclamando festa
nazionale. Volevo passare più tempo possibile con lui,
solamente quando eravamo
insieme ero così spensierata e felice.
È una
cosa
umana cercare di essere felici, no?
*Angolo autrice*
Ciao a tutti, volevo solo dire due cose:
-
In questa storia non ho intenzione di mettere
moltissime note dell’autrice
-
Ogni capitolo avrà il titolo di una
canzone. Penso che potrebbe essere carino ascoltarle mentre si legge J
Grazie per essere arrivati fino a qui, ciaoo a
tuttii
Ranyadel
|
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Capitolo 5 *** demons. ***
Demons.
Avevamo
passato tutta la giornata insieme, a ridere e scherzare, di nuovo.
Quando mia
cugina portava a casa gli amici, io mi chiedevo come facesse a stare
sempre con
loro. Avevo dodici anni, lei diciotto. Mi disse che stare con persone
così
importanti era essenziale, a quell’età.
Solo
adesso riuscivo a capire veramente cosa intendeva.
Appena
entrati in casa, Luke ed io avevamo nascosto le caramelle sotto il mio
letto,
chiuse ermeticamente per non far prendere loro polvere, poi eravamo
rimasti
tutto il giorno a fare niente e ad essere diciassettenni.
In quel
momento stavamo aspettando la pizza, riuniti attorno al tappeto che
avevamo
adibito a tovaglia per pic-nic. “Vi va di fare un
gioco?” chiese Ashton a un
certo punto. Noi annuimmo, mentre Carol lo guardava allarmata dalla sua
espressione. “Un classico, obbligo o
verità” concluse Ashton.
Non so
perché, ma ogni volta che qualcuno nominava quel gioco, si
scatenava il
terrore. Forse perché nessuno aveva il coraggio di mettersi
contro di me. Il
mio potere, diciamo, mi avvantaggiava.
Fortunatamente,
il citofono interruppe quella scena così strana. Dire che
tirarono un sospiro
di sollievo fu poco.
“Allora,
di chi è quella con la salsiccia piccante?” chiese
Manuela. Luke alzò subito la
mano. “Aiuto, io morirei dopo una pizza del genere. Non
riuscirei a finirla”
commentai. “Coco, la tua!” mi disse Manuela. Io la
presi e la aprii, Luke mi
guardò sorpreso. “È con wurstel e
patatine. E tu non riusciresti a finire la
mia?!” mi chiese stranito. “Aspetta e
osserva” feci ridacchiando. Manuela, dopo
aver distribuito le pizze, si sedette accanto a me. La sua pizza era
margherita. Prendemmo la rotella e tagliammo a metà le due
pizze. Io presi metà
di quella di Manuela e lei fece lo stesso. “Siamo
organizzate” ci vantammo. Gli
altri ridacchiarono.
Mangiammo
la pizza con, come sottofondo, il film Beautiful
Creatures. Avevo letto tutti i libri e ci tenevo a farlo
vedere a Luke: era
il film tratto da La sedicesima luna,
il libro che gli avevo consigliato prima che lui vedesse il mio. La
cosa che mi
dispiaceva era che avevano tagliato molto, arrivando subito al finale.
Io ero
incantata.
Quando il
film finì, avevo la pelle d’oca. Dovevo sfogarmi,
ma rischiavo di essere
mandata dritta dritta in un ospedale psichiatrico. Chissà,
magari sarei finita
a fare compagnia ad Emmaline.
“La
proposta per obbligo o verità è ancora
valida!” disse Ashton alla fine. “Io ci
sto” decise Luke. Io lo guardai sorpresa. “Wow,
coraggioso” dissi a bassa voce.
Gli altri, dopo poco, acconsentirono. Ci sedemmo in cerchio,
accantonando i
cartoni della pizza lontani da noi. “Inizio io”
decise Calum. “Allora.
Michael?”
“Verità.”
“Quando
il
tuo primo bacio?”
“Quindici
anni.”
A quelle
parole, vidi Manuela rabbrividire con una smorfia. Calum aveva scelto
la
domanda sbagliata. Toccava a Michael. “Carol.”
“Obbligo.”
“Devi
dirmi come hai fatto a conoscere Ashton.”
“Fidati,
non lo vuoi sapere davvero.”
“Invece
sì.”
“Te
lo
dirò dopo, se proprio ci tieni” disse Carol. Io e
Manuela ci trattenemmo dal
ridere. “Chi vuole da bere?” chiese Ashton.
“Siamo minorenni, genio.”
“Sì,
ma un
po’ non fa male a nessuno.”
“Non
ho
mai bevuto e in questa casa non ci sono alcolici.”
“A
dire il
vero, Ashton mi ha fatto imbucare qualche bottiglia di birra”
disse Carol. I
due si guardarono vittoriosi. Com’è che erano
così ansiosi di ubriacarsi?
“Io
non
bevo!” decisi. Carol inarcò un sopracciglio.
“Coco, tocca a te.”
“Non
sono
scema, verità” dissi. “Ricordati che
posso farti dire tutto. Ma proprio –
indicò con un gesto impercettibile Luke – tutto
tutto” mi ammonì. Questa era
crudeltà!
“Allora
obbligo” cedetti. Ashton corse in cucina e prese una
bottiglia di birra, versandomene
un bicchiere. “Tutto tuo!” mi disse. Io sbuffai e
bevvi tutto d’un fiato. Era
amara e bruciava la gola. “È orribile!”
dissi con una smorfia disgustata.
***
Un’ora
e
mezza dopo, eravamo tutti un po’ brilli, a causa di Ashton e
Carol. Accidenti a
loro, mi girava la testa. Non ero ancora al punto di non capire
più niente, mi
sentivo solo molto più leggera. Toccò a Calum.
“Luke.”
“Obbligo.”
“Ok,
allora… mangiati tutta quella tavoletta di
cioccolato.”
“Sai
che
obbligo.”
“In
un
minuto.”
“Ah”
disse
sconcertato. Ero quasi sicura che avesse bevuto più di me.
Fece spallucce e
afferrò la barretta che gli porgeva Michael.
“Pronti? Via!” fece Calum. Mi
venne da ridere nel vedere la foga di Luke, rischiava seriamente di
strozzarsi.
“Finito! Hai perso, amico!” disse esultante Ashton.
“Bene, e allora?”
“Penitenza!”
“Ovvero?”
Ashton e Calum si guardarono, quasi stessero aspettando quel momento
dall’inizio
del gioco. “Bacia Coralie” dissero gongolanti. Io
avvampai, mentre il mio
livello d’istinto omicida saliva alle stelle. Sussultai
quando sentii le labbra
di Luke premere sulla mia guancia per poco più di un
secondo. “Non in quel
senso! Devi baciarla, ma baciarla per davvero!” si
lamentò Calum. Luke ed io ci
guardammo allarmati. Eravamo entrambi viola dall’imbarazzo.
“Non si può
passare?” chiesi. I due scossero la testa. Aiuto.
Luke si
avvicinò a me e mise una mano sul mio viso. Stava succedendo
davvero? Non
riuscivo a capire se era un sogno o un incubo.
Certo,
avrei voluto baciarlo, ma non così. Non volevo che fosse un
obbligo, ma una
cosa vera.
Il mio
cuore si bloccò quando le sue labbra si posarono sulle mie,
in un bacio dolce e
leggero. Le sue labbra sapevano ancora di cioccolato, erano
così morbide…
Un brivido
percorse il mio corpo quando Luke chiese l’accesso ed io
glielo consentii.
Sentivo le farfalle nello stomaco. Anzi, non le farfalle. Sempre
citando Kami
Gracia: erano api assassine.
Era una
sensazione stupenda. Nonostante fosse solo uno stupido obbligo, stavo
baciando
Luke!
Dopo circa
un minuto, ci separammo. Ci guardammo negli occhi. Non ci voleva un
genio per
capire che era spaventato. Il mio cuore batteva
all’impazzata, condividevo il
suo stato d’animo.
Mi alzai
di scatto e corsi al piano di sopra, cercando di calmare il respiro.
Sentii le
voci degli altri chiamarmi, ma le ignorai. Mi chiusi in camera mia,
raggomitolandomi sul letto. In pochi secondi, sentii dei passi sulle
scale.
“Coco?” mi chiamò Luke, a bassa voce,
entrando in camera mia. Io non risposi e
lui si sedette accanto a me.
L’effetto
dell’alcool sembrava essersene andato quasi completamente.
“Non
so
perché ho reagito così” iniziai a dire.
“Coco…”
“Non
doveva andare così.”
“Ehi,
devo
dirti una cosa…”
“Promettimi
che ti dimenticherai di tutto.”
“Coco,
vuoi stare un attimo zitta?” mi chiese con un sorriso
intenerito. “No, è stato
tutto un errore, io…” rimasi basita: Luke, per
zittirmi, aveva scelto il modo
più dolce di tutti. Le sue labbra erano di nuovo premute
sulle mie, per la seconda
volta nel giro di pochi minuti.
E
stavolta, non c’era nessun obbligo in gioco.
Chiusi gli
occhi, estasiata, mentre Luke approfondiva il bacio.
Questo
secondo bacio durò molto di più, ma ai miei occhi
fu sempre troppo poco.
Quando ci
separammo, ero incredula. “Era questo, che volevi
dirmi?” chiesi deglutendo.
Lui annuì. “Mi dispiace che il primo bacio che ti
abbia dato sia stato per uno
stupido gioco” sussurrò, ancora a pochi centimetri
da me. Io sorrisi
piano. “Dispiace
anche a me.”
Il mio
cervello era concentrato su una sola parola: primo. Questo implicava
anche
altri baci??
“Non
sei
troppo ubriaca, vero?” mi chiese inquieto. “Beh,
non sono al massimo, ma riesco
ancora a intendere e volere” commentai. Lui
sospirò di sollievo e mi cinse con
le braccia, sollevandomi dal letto e facendomi girare in aria. Io mi
aggrappai
a lui a koala, ridendo, e lui mi buttò di nuovo sul letto.
Ci ritrovammo
sdraiati, con lui che si puntellava sui gomiti per non schiacciarmi.
“E tu,
invece? Sei lucido?” chiesi. “Sono nella tua stessa
situazione” mi disse, prima
di darmi un altro bacio.
Ci guardammo
negli occhi. Erano così azzurri, così
belli…
Fummo
interrotti da qualcuno che bussava alla porta. “Coco, posso
entrare?” chiese
Carol. Io e Luke ci separammo subito, finendo entrambi su un lato
diverso del
letto, un attimo prima che entrasse
Carol.
“Mi
scuso,
da parte di quei due cretini qui sotto, non credevamo che potesse farvi
questo
effetto” ci disse, avvilita. “Non preoccuparti.
È – scoccai un’occhiata fugace
a Luke – tutto a posto.” Vidi Carol scrutarmi
pensierosa e rimanere spiazzata.
Che avesse capito? Speravo proprio di no. “Va bene,
allora… io torno di sotto,
insomma” balbettò. Wow, davvero
l’avevamo lasciata senza parole? Sarebbe stata
la prima volta. “Sì, forse è meglio se
ce ne andiamo. È tardi” disse Luke, teso
e impacciato. Lo guardai e vidi che aveva il segno di un morso sul
labbro
inferiore. Ops, mea culpa.
Forse
anche io avevo quei segni e Carol se n’era accorta. A mio
parere, aveva un
bacio-detector installato nel cervello.
Carol
uscì
da camera mia e io tirai un sospiro di sollievo. Vidi Luke fare lo
stesso. Ci
alzammo e ridacchiammo. “Secondo me ha capito
tutto” disse. Io annuii, poi feci
spallucce e lo abbracciai. Niente baci, solo un abbraccio. Lui
ricambiò e io
sentii con estrema precisione il suo cuore che batteva forte, tanto
quanto il
mio.
“Dovrei
andare, Coco” mi disse dopo poco. “Bene”
risposi, senza nemmeno la minima
intenzione di staccarmi. Lui lo intuì e
ridacchiò, mentre io sentivo il suo
petto vibrare. “Coralie?”
“Sì?”
“C’è
modo
di farti staccare?”
“No?”
“Nemmeno
uno?”
“Mhm,
forse uno sì” dissi furba. Ora che avevo
assaggiato il paradiso, non ci avrei
rinunciato facilmente. Lui sorrise e mi alzò il viso con due
dita, prima di baciarmi
dolcemente. “Ancora uno” sussurrai piagnucolando
come una bambina viziata,
sporgendo il labbro all’infuori e facendo gli occhi dolci.
Lui si mise a
ridere. “Se la metti così non posso
rifiutare” sussurrò con voce roca, prima di
darmi l’ultimo bacio, mentre io mi scioglievo fra le sue
braccia.
quando
scendemmo, vidi Manuela e Michael uscire dalla cucina. Anche loro con
le labbra
inspiegabilmente rosse.
Quando i
ragazzi se ne andarono, Carol prese me e Manuela per mano e ci
trascinò di peso
fino al piano di sopra. “Voi due, adesso, mi raccontate
tutto” disse
perentoria. Io e Manuela cercammo qualcosa su cui spostare lo sguardo.
Tutto
d’un tratto, il lampadario
si era fatto
così interessante…
“Coralie.
Non è possibile che le sue labbra si siano morsicate da
sole.”
“Tecnicamente,
è possibile.”
“Coralie!”
“Ok,
ok,
scusa.”
“E
tu,
Manuela. Com’è che tu e Michael siete normali
quando entrate in cucina e ne
uscite con le labbra ridotte così?!”
“Eh,
i
misteri della vita.”
“Voi
due
cercate rogne.”
“No,
ma
dai!” rispose ironica Manuela. Carol ringhiò
spazientita e io feci capire a
Manuela che dovevamo smetterla di provocarla. “È
vero, Luke ed io ci siamo
baciati” dissi solo. “Sì, anche io e
Michael.”
“Solo?”
“Sì,
solo.”
“Ok”
disse
lei, cercando di calmarsi. Io la guardai perplessa. “Carol,
che hai?” chiesi
confusa. “Vuoi una pietosa bugia o una crudele
verità?” mi chiese lei con le
lacrime agli occhi. “La verità” dissi
decisa. Lei prese un respiro, prima di
sputare fra i denti un: “Non ne ho idea.” Io la
guardai stranita. “In che
senso?” tentai, cauta. “Quanti sensi conosci?! Non
so cosa mi stia succedendo!
dovrei essere felice per voi, dovrei fare i salti di gioia, e invece mi
sento
come se mi stesse crollando il mondo addosso!!”
urlò. Tremava. Mi prese per le
spalle. “Leggimi gli occhi, dimmi
cos’ho!” fece, piangendo isterica.
“Carol,
sei terrorizzata, non posso!” dissi, cercando di divincolarmi
dalla dolorosa
stretta della mia amica. Vidi Manuela prendere il cellulare e comporre
un numero.
“Ashton, ti prego, torna qui, si tratta di Carol!”
disse solo prima di mettere
giù e venire ad aiutarmi. Carol mi spinse a terra, facendomi
cadere. Forse
avevo capito cosa stava succedendo.
“Carol!
È
tutto a posto! È tutto in ordine!” dissi, mentre
lei ansimava pesantemente,
terrorizzata, e iniziava a girare per la camera. Si mise a riordinare
oggetti a
caso, senza un filo logico. “Deve essere tutto sotto
controllo” continuava a
sussurrare fra sé e sé. “Vai a prendere
la siringa” sussurrai a Manuela, che
corse al piano di sopra. Rimasi da sola con Carol. “Cosa
c’è che non va?”
chiesi conciliante. “È tutto… fuori
controllo. Non è giusto, deve essere tutto
sotto controllo, tutto, tutto” disse lei, continuando a
mettere a posto senza
senso. Mise un vaso per terra, il tappeto su una sedia, le sedie stesse
sul
tavolo. Manuela tornò nello stesso istante in cui Ashton e
gli altri bussarono
alla porta, frenetici. Manuela mi lasciò sul tavolo la
scatola con le siringhe
e andò ad aprire, correndo. Io mi avvicinai a Carol e cercai
di bloccarla da dietro.
“Cosa succede?!” sentii urlare Ashton. Mi voltai
verso di lui e lo vidi fermo
sulla soglia, con Luke, Michael e Calum. Erano paralizzati. Il vederli
mi fece
abbassare la guardia e Carol mi spinse via. Andai a sbattere con la
testa
contro lo spigolo di un mobile e per un po’ vidi nero. Sentii
una voce accanto
a me che mi chiedeva mille cose che non riuscivo a capire.
“La siringa” dissi
solo, gemendo, prima di perdere i sensi.
Quando mi
svegliai, ero sdraiata sul divano, con una benda attorno alla testa.
Attorno a
me, c’erano tutti gli altri, preoccupati. “Coco,
stai bene!” urlò Manuela
appena mi vide aprire gli occhi. Sentii una dolorosa fitta al cranio.
“Mi fa male
la testa” dissi. “È normale, hai preso
una bella botta” mi rispose Luke,
accanto a me. Sembravano tutti stravolti. mi ricordai
all’improvviso di cosa
era successo e scattai a sedere.
“Carol!” esclamai impaurita. La vidi, con la testa
fra le mani, seduta a terra.
Mi alzai e corsi da lei, nonostante il dolore allucinante alla testa.
“Non
doveva saperlo così” disse solo lei con le lacrime
agli occhi. “Carol, non…”
“Mi
dispiace. Mi dispiace tantissimo, Coco, non volevo farti male.
Scusami” mi
disse. Mi si spezzò il cuore nel vederla così
impotente. Ashton si sedette
davanti a noi. “Mi pare che voi ci dobbiate dire
qualcosa” disse duramente. Gli
scoccai un’occhiata feroce, non poteva parlare
così a Carol in quelle
condizioni, nonostante avesse ragione. “Siamo tutti
così, in famiglia. Avrei
voluto dirtelo subito, lo so. Avremmo dovuto dirlo subito a
tutti” disse lei
con voce spenta. “Cosa intendi?” chiese Calum.
“Nella nostra famiglia… hanno
quasi tutti problemi del genere. Emmaline è schizofrenica.
Io soffro di un
disturbo ossessivo-compulsivo con decorso cronico fluttuante, per
riportare le
parole del medico. Devo avere sempre tutto sotto controllo o vado nel
panico, i
risultati si sono visti.”
“Aspetta,
ma Emmaline è della tua famiglia?” chiese Michael
confuso. Carol annuì. “Lei e
Coralie sono mie cugine, di secondo grado.”
“E,
tutto
questo, quando pensavate di dircelo?” chiese Ashton duro.
“Non volevo che lo
sapeste così” rispose Carol altrettanto dura.
Ashton prese un gran respiro per
calmarsi. “Vieni di là” disse,
alzandosi. Lei lo seguì e si chiusero nella
cucina, a chiave. Nonostante tutto, noi potevamo sentire le loro urla.
“Perché
non me l’hai mai detto?!”
“Non
sapevo come! Pensavi che potessi venire e dirti: ciao amore, sono
pazza!”
“Potevi
dirmelo come hai fatto adesso!”
“Tu
credi
che sia facile per me e Coralie?!”
“Magari
è
pazza pure lei, eh?!”
“E se
anche fosse?”
“Avreste
dovuto dircelo!”
Continuarono
così per un bel po’. Luke mi guardò.
“Quindi, anche tu hai problemi come lei?”
chiese cauto. “No. Per ora non ho niente. O almeno, niente di
cui io mi sia
accorta. Nella nostra famiglia ci sono alcuni che non hanno
niente” dissi
mesta. Lui si passò una mano fra i capelli. Lo guardai negli
occhi, ma al
contrario di quel che pensavo non ci trovai sollievo. O meglio,
sì, un po’ di
sollievo c’era, ma era soprattutto preoccupato per Carol.
“Luke?” feci,
vedendolo così smarrito. Lui non disse niente e mi
abbracciò.
“Ho
bisogno di te” disse solo.
Sentii una
fitta al cuore.
A lui non
sarebbero mai importati i miei demoni.
Mi sarebbe
stato vicino.
Lo
ringraziai mentalmente, per essere lì, con me.
*Angolo
autrice*
ehm,
scusatemi. Non riesco a non mettere problemi del genere, nelle mie
storie. Se qualcosa non va bene, ditemelo pure, io sono qui.
Cambiando
argomento. Grazie alla fantastica Miss
One Direction, questa storia ha il trailer.
Grazie
per essere arrivati fino a qui :*
Ciaoo
|
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Capitolo 6 *** Lego house. ***
Lego house
Era passata
mezz’ora da quando Carol e Ashton si erano chiusi in cucina.
Io e gli altri
eravamo in sala, mesti, ad ascoltare. Forse non si accorgevano di
urlare, o
forse non importava a nessuno dei due.
“Da
quanto
va avanti?” chiese Ashton. “La prima volta, avevo
dieci anni.”
“Wow,
quindi tu soffri di questa malattia mentale da sette
anni e non me l’hai mai detto!”
“Perspicace.”
“Evita
il
sarcasmo, Carol.”
“E tu
evita
di aggredirmi. Sai cosa significa decorso
cronico fluttuante?”
“No.”
“Significa
che questi attacchi mi vengono una volta ogni tanto. Da quando
l’ho scoperto,
ho avuto solamente dodici attacchi, tredici con questo. Sono tredici
attacchi
in sette anni. L’ultima volta ne avevo appena compiuti
sedici!”
“Proprio
per il fatto che sono così rari, avresti dovuto dirmelo!
Pensa se fossimo stati
da soli. Cosa sarebbe successo, senza Coralie e Manuela a dirci cosa
fare? Sai
che per colpa tua Coralie ha un taglio in testa, vero?!”
Io sgranai
gli occhi. “Ho un taglio in testa?” chiesi a bassa
voce. Calum annuì.
“Tranquilla, è superficiale, devi esserti
graffiata contro il mobile. Abbiamo
chiamato il pronto soccorso ma ci hanno detto che era tutto ok, dato
che ti
stavi già svegliando” mi disse Luke. Tirai un
sospiro di sollievo, tornando ad
ascoltare la conversazione.
“Lo
so, e
le ho già chiesto scusa. Ma lei sa meglio di me che non mi
controllo quando ho
queste crisi.”
“Cos’è,
esattamente, che ti manda in crisi? Che ti ha mandato in crisi anche
questa
volta?!”
“Il
sapere
che le cose sono in disordine, che ho perso le redini. Vado fuori di
testa
quando tutto mi sfugge dalle mani.”
“Bene,
quindi se io adesso metto questo qui – si sentì il
rumore del tavolo che si
spostava – tu vai fuori di testa?! E anche se sposto
quest’altro?!”
“No,
ma
comunque mi da fastidio.”
“Perché?”
“Perché
ho
sonno e ogni cosa che tu sposti dopo devo rimetterla in ordine, senza
contare
il casino che ho fatto prima. Ergo, vado a letto più
tardi.”
Ashton
rimase in silenzio qualche secondo, poi chiese: “E allora
cos’è successo,
stavolta?” notai che il suo tono di voce era più
basso, quasi sofferente.
Potevo capirlo: si fidava ciecamente di Carol, e in quel momento doveva
essere
abbastanza sconvolto. “È successo che ci sono
stati dei baci, io non lo sapevo
e quando l’ho scoperto è stato come se mi avessero
nascosto qualcosa.”
“Sai,
vero,
che è come mi sento io adesso?”
“Lo so
e mi
dispiace, te l’ho ripetuto mille volte, avrei dovuto dirtelo
prima ma avevo
paura, sono stata stupida e tutto quello che vuoi, ma prova a capire.
Avevo paura.”
Altro
silenzio. Sentimmo dei passi e la porta si aprì, mostrando
Ashton. “Ci sono
stati dei baci?” chiese. Un:
“Ehm…” partì da Manuela,
Michael, Luke e me,
mentre Calum ci guardava stranito. “Ok, capito”
disse lui tornando in cucina e
chiudendo la porta, stavolta non a chiave. Come se ci fossimo messi
d’accordo,
tutti ci precipitammo a sbirciare da quello spiraglio appena accennato.
Carol
era appoggiata al piano cucina, Ashton al tavolo. Guardavano a terra,
in un
punto imprecisato. “Carol…”
sussurrò lui, prima di interrompersi. La vidi
deglutire, in attesa di qualche parola che non arrivò mai.
Potevo vedere
benissimo che stava trattenendo le lacrime. Con lei era sempre
così: durante i
litigi si arrabbiava, cercava un modo per abbattere il muro
dell’altro e quando
ci riusciva lasciava che anche il suo cadesse. Una volta mi aveva detto
che la
mente umana è fatta di muri, che si alzano e si abbassano,
si inspessiscono e
si assottigliano, si creano e si abbattono. Lei si era sempre
destreggiata bene
fra questi muri, evitando quelli più resistenti e
concentrandosi con fare
conciliante su quelli più deboli. Con fare conciliante o
rabbioso, a dire il
vero. Era incredibile. Una volta, mi aveva convinto che quello che
stavo
facendo era sbagliato per abbattere il mio muro e calmarmi, poi mi
aveva detto
che quella ad aver sbagliato era lei. In poche parole, sapeva farti
arrivare
dove voleva.
“Penso
che
sia meglio che vada” sussurrò, dirigendosi con
sguardo basso verso la porta.
Non ci arrivò: Ashton la prese da dietro e la
abbracciò, più forte che poteva,
mentre Carol si voltava e faceva lo stesso. Era una lacrima, quella
sulla
guancia di Ashton??
Rimasero
così per qualche minuto, poi Ashton fece una cosa che mi
fece venire le lacrime
agli occhi: a pochi millimetri da lei, iniziò a cantare.
I'm
out of touch, I'm out of love
I'll
pick you up when you're getting down
and
of all these things I've done
I
think I love you better now.
Vidi
Carol trattenere un singhiozzo e continuare:
I'm
out of sight, I'm out of mind
I'll
do it all for you in time
And
of all these things I've done
I
think I love you better now.
La
riconobbi: era Lego house, la loro
canzone, quella con cui un mese prima lui le aveva detto di amarla.
Sentii una
lacrima colarmi sul viso e tirai su col naso. Inconsapevolmente, cercai
la mano
di Luke. Quando la trovai, la strinsi, in cerca di non so nemmeno cosa.
“Scusami.” Sussurrarono.
Poco
dopo, tornarono in sala. Si erano asciugati le lacrime, ma gli occhi
erano comunque
rossi. Ci trovarono sui divani. “Tutto ok, ora?”
chiese Michael. I due
annuirono, poi ci guardarono. “Si è sentito
tanto?” chiese Carol. Noi
assentimmo. “Che ore sono?” chiese Calum
sbadigliando. “Quasi le quattro” rispose
Manuela, guardando l’orologio. “In queste
condizioni, io non guido. Vi porterei
in un fosso” disse Luke, con le occhiaie evidenziate dalla
stanchezza. “Idem”
fecero Calum, Michael e Ashton. “Molto bene, e allora cosa si
fa?” chiese
Michael. “Ci sono due camere degli ospiti, il divano
è comodo e Ashton può
dormire con Carol” dissi io tranquilla. I quattro si
guardarono. “Non vedo
altre alternative” fece Calum. “Ok, chi dorme sul
divano?” chiese invece
Michael. Ashton si tirò fuori con un: “Ricordate?
Io dormo con Carol.”
“Facile
così, eh?”
“Molto.”
Luke alzò gli occhi al cielo. “Dai, dormo io
qui” disse poco dopo. Mi aspettavo
qualche protesta, anche finta, di quelle che si fanno per mettersi la
coscienza
a posto. Invece Calum e Michael corsero di sopra con un:
“Grazie Luke! ‘Notte a
tutti!” Io li guardai stranita, poi ci mettemmo a ridere.
“Vado a dormire pure
io, sono stremata” disse Manuela, stiracchiandosi. Carol e
Ashton la seguirono,
mentre io rimasi sul divano, di fianco a Luke. “Via dal mio
letto” mi disse
truce. Io mi misi a ridere e mi alzai, per poi sedermi più
vicino a lui, che mi
cinse le spalle. “Vai a letto, Coco” mi
sussurrò. “Non riesco a dormire. Mi fa
male la testa.”
“A
mio avviso, dovresti andare al pronto soccorso.”
“Tranquillo,
è solo un graffio, magari un bernoccolo.”
“Il
bernoccolo ce l’hai nel cervello, se pensi che questo possa
tranquillizzarmi.”
“Facciamo
così, se domani sto ancora male, mi porti al pronto
soccorso.”
“Ok.”
Luke
si sdraiò sul divano, trascinando anche me. “Mi
dispiace, piccola, ma io ho
sonno. Non reggo più, sto facendo troppe notti
bianche” mi disse con rammarico.
Oddio, davvero mi aveva chiamato piccola?! Aiuto. “Allora ti
lascio dormire.
Notte” dissi, alzandomi. Per sbaglio mi puntellai sul suo
stomaco e lo vidi
trasalire. “Scusa, scusa, scusa!” esclamai.
“Tutto ok” disse lui riprendendo
fiato. Io mi alzai e feci per salire le scale, quando sentii lui,
vicinissimo a
me, sussurrarmi: “Coco?” io mi voltai, per trovarmi
il viso intrappolato fra le
sue mani. Le nostre labbra si scontrarono dolcemente. “Buona
notte” mi disse,
staccandosi dal bacio. Io balbettai una risposta, prima di salire,
ancora
stordita. Mi sdraiai sul letto come un automa e mi addormentai, con
ancora il
sapore di quel bacio sulle labbra.
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Capitolo 7 *** seventeen ***
Attenzione:
nella seconda
parte, ci sarà la
descrizione della città. Per capire fino in fondo, ecco la foto.
Seventeen
Quando mi
svegliai, era quasi mezzogiorno. Mi sfiorai la testa, cauta, trovando
solo il
taglio. Bruciava, ma era superficiale e piccolo. Non mi faceva
più male,
fortunatamente. Guardai di nuovo la sveglia, assonnata, e…
oh, accidenti, era
quasi mezzogiorno! Non l’avevo ancora realizzato.
Mi venne un
dubbio: i ragazzi erano ancora in casa?! Mi alzai di scatto e, per
prevenire,
mi chiusi in bagno. Mi lavai la faccia, rabbrividendo per
l’acqua gelida,
tentai di dare un senso logico al nido di vespe che avevo al posto dei
capelli
e scesi di sotto. Mentre passavo nel corridoio, passai davanti allo
specchio.
Tornai indietro, scioccata. “Adesso mi spieghi
perché ti sei messa il pigiama
rosa con i gattini” dissi allo specchio. “Ma
perché, perché, perché sono
così… sonnambula?!”
mi chiesi disperata. Era l’ennesima volta che sceglievo a
caso un pigiama dal
cassetto, con gli occhi troppo gonfi di sonno per guardare. La domanda
era:
perché avevo ancora il pigiama con i gattini??
A parte
tutto, era carino. Alla faccia di chi diceva il contrario.
Ero
indecisa se farmi vedere così o cambiarmi. Quel pigiama mi
piaceva, ma non ero
pazza. O almeno, non così tanto. Tornai in camera prima che
qualcuno oltre a
Manuela e Carol potesse vedermi. Mi misi una maglia e una felpa enorme,
di
quelle che adoravo. Mi facevano sentire coccolata e protetta. Infilai i
leggins
di pelle – puntualmente pieni di peli di gatto – e
andai al piano di sotto.
Vidi Luke, ancora addormentato, abbracciato alla coperta.
Quanto
poteva essere tenero?!
Lo vidi
tutto rannicchiato e questo mi fece sospettare che avesse freddo. Presi
una
seconda coperta e gliela stesi addosso, prima di andare in cucina,
tentando di
preparare una colazione. Come facevo a sapere cosa piaceva ai ragazzi?
Aiuto.
Per precauzione, misi in tavola un po’ di tutto.
Anche se
non sapevo cosa piacesse ai ragazzi, sapevo cosa piaceva a me. Aprii lo sportello del frigo e presi
una scaglia enorme di
cioccolato.
“Coco,
sei
a dieta, ricordatelo!” mi disse Manuela sbucando dal nulla,
facendomi prendere
un infarto. “Primo, non sono e non sarò mai a
dieta di cioccolato. Secondo, sei
per caso figlia della prof di geografia?!” chiesi. Lei si
mise a ridere,
ricordando la prof in questione. “Seriamente, faceva paura.
Secondo me, o abita
sotto ai banchi, o passa attraverso i muri.”
“Ti
ricordi
quella volta in cui eravamo davanti alla classe?”
“Di
cosa
parlate, ragazze?” chiese un assonnato Calum, avvicinandosi a
noi. “Della
nostra prof. Una volta, Manu ed io eravamo davanti alla nostra classe,
nel
corridoio. Era un vicolo cieco, per entrare in classe dovevi per forza
passarci
davanti. Era l’intervallo, mancava un minuto alla fine, e io
ho guardato
dentro. La prof non c’era. Suona l’intervallo, noi
aspettiamo dieci secondi,
entriamo e c’è la prof, che ci dice che siamo in
ritardo. Quindi, come diceva
Manu: o abita sotto al banco, o passa attraverso i muri, o è
entrata dalla
finestra, perché non è possibile!!”
dissi esasperata, facendolo ridere.
Poco a
poco, arrivarono tutti, per ultimo Luke. Quando arrivò,
aveva gli occhi ancora
semichiusi e sembrava uno zombie. Raggiunse il tavolo a tentoni, mentre
tutti
ci guardavamo cercando di non ridere, e si lasciò cadere
pesantemente su una
sedia. “È sempre così al
mattino?” chiesi. Calum annuì e gli
passò una mano davanti
agli occhi come per dimostrare che ce li aveva ancora chiusi.
“Siete molto
divertenti” disse Luke ironico, sorprendendoci.
“Wow, allora un pizzico di
cervello è sveglio!” fece Calum. Luke gli fece una
linguaccia, poi aprì gli
occhi completamente, per sbarrarli. “Mi prendete in giro fino
alla fine del
mondo se dico che mi ero dimenticato di essere qui?” chiese.
Noi scoppiammo a
ridere. “Voglio seppellirmi sotto le piastrelle”
fece, più rivolto a me che
agli altri.
“Cosa
si fa
oggi?” chiese Ashton. “Non so, io intendo
svegliarmi per bene prima di fare
altre figure del genere” disse Luke passandosi una mano fra i
capelli per
tentare di sistemarli. “No, allora, se intendete uscire oggi
pomeriggio, fate a
meno di me. Ho troppo sonno” dissi perentoria. “Ok,
ok” fece Michael. “Stasera,
però, si va da qualche parte!” decise Carol. Tutti
annuirono, mentre vedevo
Luke e Calum litigare per un biscotto quando davanti a loro ce
n’era un pacco
intero. “Ne avete tanti davanti a voi” feci notare
sconcertata. “Sì, ma questo
è speciale” mi disse Calum.
“Perché?” chiese Manuela con una smorfia
basita.
“Perché lo vuole lui!” ci rispose come
se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Nello stesso momento, Luke spezzò il biscotto. Calum
guardò inorridito la metà
che gli rimaneva in mano. “Ecco, mi avete
distratto!!” esclamò poi, facendoci
ridere.
Poco tempo
dopo, si sentirono le note di My happy
ending. Calum corse a rispondere al cellulare.
“Quella canzone mi farà
impazzire, era la mia preferita qualche anno fa!” dissi.
“E adesso?” chiese
Michael. “Smile!” rispondemmo Manuela ed io
insieme. Eravamo patite di Avril,
la nostra camera era piena dei suoi poster. Smettemmo di parlare quando
sentimmo Calum. “Ciao piccola, come stai? Sì, pure
io. No, non siamo a casa, è
successo un casino ieri e siamo rimasti dalle ragazze. Ok, per me va
bene.
D’accordo, ci vediamo dopo amore, ciao!” disse,
mentre un sorriso gli nasceva
sulle labbra. Oh, che tenero!
“Era
Madison” iniziò Calum, subito interrotto dal:
“Non si capiva, guarda!” di
tutti. Alzò gli occhi al cielo. “Stavo dicendo.
Era Madison, e stasera mi ha
proposto di uscire, tutti quanti. Ha detto di aver scoperto un posto
davvero
magico e di volercelo far vedere.”
“Perfetto,
quindi abbiamo scoperto cosa fare stasera” concluse Ashton.
“Dovremmo passare
da casa” Fece notare Michael. Gli altri tre annuirono e Luke
chiese: “Venite
con noi?”
“Certo,
così andiamo direttamente da Madison.”
“Perfetto.”
Parlottammo
per un po’, fino a quando non feci gesto di rimanere in
silenzio. Loro mi
guardarono interrogativi, mentre io sentivo un lieve rumore, come di
qualcosa
che grattava sul vetro. Mi voltai e sorrisi. “Ehi
principessa, finalmente ti
sei degnata di tornare!” esclamai rivolta alla finestra,
dalla quale si
intravedeva l’ombra di un gatto. Andai ad aprire e Tabitha mi
saltò sulle
spalle, come al solito, facendomi gemere di dolore mentre le sue unghie
si
piantavano nella mia clavicola. “Tabitha, vieni a
mangiare!” esclamò Manuela,
mostrandole una scatoletta. Tabitha mi usò come rampa di
lancio per saltare e
si strusciò sulle gambe di Manuela.
“Ruffiana” dissi prendendola in braccio.
Lei si dimenò, graffiandomi. “Altro che Pericle,
questa è una tigre sotto
mentite spoglie!” esclamai dolorante. “Ricordati,
Coco, che lei è la padrona
del mondo. Noi siamo qui solo per aprirle le scatolette” mi
disse Manuela.
“Comoda la vita, eh?” disse Carol, carezzando la
gatta. Luke appallottolò un
pezzo di stagnola e la fece vedere a Tabitha, ottenendo la sua completa
attenzione. Quando la lanciò, Tabitha si lanciò
all’inseguimento, andando a
sbattere contro il mobile. “Ops” disse Luke, mentre
noi ridevamo e Tabitha
faceva finta di niente con la noncuranza propria solo dei gatti.
La sera, ci
trovammo con Madison a casa dei ragazzi. Fortunatamente non faceva
tanto freddo
come i giorni precedenti. Quando Madison arrivò, sembrava
impaziente. Salutò i
ragazzi, per poi abbracciare calorosamente Manuela, Carol e me,
lasciandomi
piacevolmente sorpresa. Diede un bacio a stampo a Calum e
esclamò: “Andiamo??
Vi prego, sono troppo emozionata, quel posto è
fantastico!!” noi ci facemmo
prendere dall’entusiasmo e salimmo in macchina, che alla fine
non era altro che
il furgone con cui si spostavano i ragazzi quando portavano gli
strumenti. Lei
guidò fino ad un grattacielo dismesso, al centro della
città, che con gli anni
era stato ricoperto di graffiti ben poco simpatici. Il pavimento era
ricoperto
di cocci di vetro e cartacce. “Ehm, wow, che posto”
disse Manuela. “Lo so,
visto così è orribile, per questo se ne tengono
lontani tutti. Ma venite!”
disse lei emozionata, facendoci cenno di entrare. Noi la seguimmo,
insicuri, e
salimmo su per le scale fino ad arrivare all’ultimo piano.
Uscimmo e rimanemmo
senza fiato: eravamo sul tetto, piatto e perfettamente tenuto, con una
vista
spettacolare. Eravamo al centro della città, circondati da
altri palazzi. Il
cielo, non ancora completamente scuro, faceva da sfondo ad una
città
illuminata, che fremeva di vita. In lontananza, si intravedeva il
luccichio
dell’acqua. Tutto, sotto di noi, scorreva veloce, in una
cacofonia di suoni
così diversi, ma a loro modo così unici, da
essere una musica gradita, un’amica
sempre presente nelle nostre vite. Tutti erano così
indaffarati, così presi
dalle loro vite per badare ad altro, mentre noi eravamo lì
sopra, sopra a tutto
e tutti, così lontani da poter vedere ogni cosa. Forse fu
questo, il fatto di
essere così in alto e distanti da tutto, che il mio cuore si
riempì di
un’emozione tanto forte quanto sconosciuta. Mi sporsi dalla
balaustra e
osservai la città sotto di me. Sentii Luke al mio fianco e
mi voltai verso di
lui. Anche i suoi occhi brillavano, di quella luce così
sincera e stupita,
alimentata dal riflesso della città. Brillavano di mille
colori diversi, uno
per ogni angolo in cui guardava. Brillavano come di luce propria.
Non sapevo
decidermi se lo spettacolo migliore fosse quella città o
quegli occhi così
vivi.
Lo sentivo,
sentivo quell’emozione che saliva in tutti noi. Stavamo per
esplodere. Ashton
alzò i pugni al cielo e urlò: “Siamo i
re del mondo!!” noi lo imitammo,
gridando di gioia.
Allora era
quello, sentirsi invincibili? Sentirsi davvero
vivi?
Essere vivi
significava sentire il cuore così traboccante di mille
sensazioni, avere gli
occhi pieni di mille immagini e voler urlare tutto al mondo?
Se davvero
significava tutto questo, non avevo intenzione di smettere.
Volevo
essere viva, davvero.
Eravamo
seduti su quel tetto, troppo emozionati per stare tranquilli. Ogni
sensazione
era amplificata da quel senso così inebriante di potenza.
Nella mia mente, si
ripetevano le parole di una canzone:
We were on top of the world
Back when I was your girl
We were living so wild and free
Acting stupid for fun
All we needed was some love
That’s the way its suppose to be
Non avevo mai pensato
di poter
provare davvero quelle cose, eppure adesso le sentivo, che mi
scorrevano nelle
vene, che mi arrivavano al cervello e al cuore, che mi facevano
fremere, che mi
rendevano così satura di voglia di vivere.
Era una sensazione
stupenda.
Mi venne in mente un
film, perfetto
per quel momento, con la citazione che sembrava fatta apposta per
essere
gridata al mondo in quello stato di ebbrezza. Mi alzai e mi sporsi di
nuovo.
Presi un gran respiro e urlai: “In
questo
momento, lo giuro, noi siamo infinito!” Gli altri
incoraggiarono il mio
urlo con altre grida, ovazioni potenti, di quelle che fanno tremare il
cuore,
che fanno nascere sorrisi sulle labbra così indelebili che
te li ricorderai per
sempre, così come ricorderai per sempre tutte queste
sensazioni, tumultuose e
inarrestabili, che ti fanno sentire libero, ti fanno sentire grande, ti
fanno
sentire unico.
In quel momento, noi
eravamo tutto
questo.
E non mi sarei mai
stancata di
esserlo.
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Capitolo 8 *** Anything but ordinary. ***
Anything
but ordinary.
“Luke,
te
l’ho detto, sono negata!” esclamai per
l’ennesima volta. “Mi manda in
confusione il fatto che tu sia mancina,
nient’altro!” fece lui, cercando di
capire come farmi mettere le dita.
Stava
cercando da tutto il giorno di iniziarmi all’arte della
chitarra, me, che come
uniche esperienze musicali avevo avuto il flauto dolce delle elementari
e delle
medie e quello traverso, che avevo abbandonato dopo un anno
perché ogni nota
era un giramento di testa. La chitarra e il pianoforte mi avevano
sempre
attirato e Luke l’aveva capito appena mi aveva visto guardare
il suo strumento.
Si era messo in testa di insegnarmi e ormai, a mio parere, era per lui
una
sfida personale.
Come fargli
capire, che ero negata?
Mi veniva
da ridere ogni volta che lui si concentrava per capire come farmi
mettere le
dita. Era come tradurre una lingua. “Dammi almeno uno spunto
sulla canzone!” mi
disse. impallidì quando gli feci sentire Why.
“Hai mai preso in mano una chitarra?” chiese.
“Non precisamente.”
“Allora
non
è meglio iniziare con qualcosa di leggermente più
facile.”
“Darlin, non concedo altro.”
“Non
la
conosco.”
Gliela feci
sentire e lui sembrò convinto. “Dovrebbe essere
adatta” decretò.
Mezz’ora
dopo, ero ancora all’inizio, ci mancavano solo le dita
annodate alle corde.
Luke stava perdendo ogni speranza. “Luke? Possiamo
smetterla?” chiesi implorante.
“Ok, facciamo un’altra volta”
accettò lui. Ci alzammo, con evidente sollievo da
parte di tutti e due, e decidemmo di uscire. Era passata una settimana
da
quando eravamo andati su quel palazzo, e continuavo comunque a
pensarci. Avevo
scattato un milione di foto come minimo e le avevo appese in camera
mia.
Non ero mai
stata una ragazza da foto, al massimo da qualche poster. Stare con quei
ragazzi, però, mi aveva fatto venir voglia di avere dei
ricordi permanenti, da
poter guardare e vivere di nuovo.
Anche quel
pomeriggio, io e Luke scattammo un sacco di foto. La mia preferita era
quella
in cui eravamo noi due, in un angolo della foto, con uno sfondo
spettacolare:
un’enorme nuvola da cui filtravano i raggi di un sole
rossastro per il
tramonto. Sembrava magica.
Magica,
come ogni istante che passavo con Luke.
Sentivo di
provare qualcosa di grande per lui. Non sapevo cosa significassero per
lui quei
baci che ci eravamo scambiati, ma per me erano stati indimenticabili.
Quegli
occhi mi avevano catturato da subito, ma non avrei mai avuto il
coraggio di
dirglielo.
“Dove
andiamo?” chiese lui. “Prima mi hai fatto provare a
suonare la chitarra. Ora ti
faccio provare io una cosa” dissi enigmatica, prendendolo per
mano e mettendomi
a correre per non perdere l’autobus che passava in quel
momento.
Qualche
minuto dopo, eravamo dall’altra parte della città.
Quando lui vide il nome
dell’edificio, sgranò gli occhi. “Il
Poligono? Davvero?” chiese stupito. “Ehi,
non sono un angelo. Anche a me piacciono queste cose” dissi
facendo spallucce
con un sorriso. Lui ridacchiò e entrammo, finendo in pochi
minuti in una stanza
divisa in due: da una parte, tanti bersagli, a forma di uomo o a cerchi
concentrici. Luke si mise gli occhiali protettivi e prese un fucile. Ragazzi, pensai scuotendo la testa.
Impugnai una semplice pistola e inforcai gli occhiali, guardando Luke
sparare.
Centrò una spalla del manichino e mi guardò
vittorioso. “Posso?” chiesi. Lui si
spostò e io mi misi davanti a lui, sparando sei colpi molto
vicini. Quando
finii, soffiai sulla pistola, come se fossi in un film. Lui mi
guardò
esterrefatto: avevo fatto un buco nell’altra spalla,
esattamente alla stessa
altezza di Luke, e cinque nello stomaco. Il risultato era uno smile
sorridente.
Lui mi guardò esterrefatto. “Esattamente, quanti
anni fa hai iniziato a
sparare?” chiese. “Un sacco. E tu, con la
chitarra?”
“Un
sacco.”
“Vedi,
siamo pari” dissi, tornando a puntare al manichino. Stavolta
mirai al cuore e
alla fronte. “Potresti uccidere qualcuno”
commentò. “Chi ti dice che non
l’abbia già fatto?” chiesi.
“Coco, mi fai paura” mi disse. Io mi misi a ridere,
terminando con un colpo in mezzo al collo. In quel momento, suonarono i
cellulari. Messaggio da parte di Cristine, mia cugina
(un’altra, non dalla
parte di Carol) che abitava in Francia: “Ciao Coco, ti
ricordi Daniel, il mio
ragazzo? Ci sposiamo fra un mese!! *-* e siccome non ci vediamo da
tanto,
vorrei chiederti se vuoi venire… è qui, a Parigi,
lo so che è lontano ma ti
prego, ci tengo davvero!!! E vorrei chiederti anche se ti va di essere
la
testimone, come ringraziamento per esserci sempre stata per me
<3 ti prego
fammi sapere in fretta, l’invito è aperto anche a
Carol, Manuela e Emmaline!!”
spalancai la bocca, stupefatta. Cristine si sposava?! Ero troppo
felice!! Notai
con piacere che si era sforzata di scrivere in italiano… E
rimasi basita nel
leggere il nome di Emmaline. Cristine non sapeva niente di lei?! Non ci
potevo
credere. Vidi che anche Luke rimaneva sorpreso nel leggere un
messaggio. “Mia
cugina si sposa!” esclamai. “Un mio amico si
sposa!” fece lui nello stesso
instante. Ci guardammo sorpresi e, come se ci fossimo messi
d’accordo, ci
scambiammo i cellulari. “Sei cugina di Cristine?!”
“Sei
amico
di Daniel?!” chiedemmo di nuovo all’unisono. Ci
mettemmo a ridere per quelle
coincidenze, poi annuimmo. “Ci andiamo?”
“Certo.”
“Portiamo
i
ragazzi?”
“Pensavo
fosse ovvio!” risposi. “Ok, andiamo a dirlo agli
altri!” esclamò lui, esaltato.
“Aspetta un attimo!” feci io. Mi voltai verso il
bersaglio e feci un secondo
smile, stavolta in faccia. “Ok, possiamo andare”
dissi tutta allegra. “Metti
giù quella pistola!” mi intimò lui
bianco in volto. Io scoppiai a ridere e
obbedii, pagammo e tornammo a casa. Nel tragitto in autobus,
rispondemmo ai
messaggi, e io dissi che Emmaline non ci sarebbe stata.
Quando
arrivammo a casa, notai che c’era posta. Che noia, la solita
pubblicità. La
presi, tanto per portarla dentro, e iniziai a buttare
l’inutile. Una rivista di
un supermercato. Via. Un depliant di una pizzeria. Da parte.
Pubblicità,
pubblicità, pubblicità. Via, via, via. Mi bloccai
all’ultimo, con le mani che
tremavano. Un’altra lettera di Emmaline, nemmeno avessi
invocato il diavolo. “Coco?”
mi chiamò Luke. “Arrivo” dissi in
fretta, posando la lettera sul mobile,
accanto a quella precedente. Le avrei aperte quando mi fossi sentita
pronta.
“Ragazzi,
preparate i bagagli, si va in Francia!” esclamai quando
arrivarono gli altri.
“E perché?” chiese Manuela stupita.
“Cristine si sposa!” feci rimanere di
stucco Manuela e Carol. “Con Daniel!” aggiunse
invece Luke, lasciando
sbalorditi Michael, Ashton e Calum. “Su, su, che ci facciamo
ancora qui?! A
fare i bagagli!” esclamò Carol esaltata.
Nel giro di
tre ore eravamo pronti, coi biglietti prenotati per il giorno
successivo. I
ragazzi erano tornati a casa loro, a prepararsi, e per una volta
Manuela, Carol
ed io eravamo da sole. “Coco, prendi la siringa”
disse Manuela. “Perché?”
chiedemmo io e Carol all’unisono.
“Perché vi sto per dare una notizia che
potrebbe farti uscire di testa, Carol.”
“No,
seriamente, mi trattengo” disse lei. Manuela
sembrò dubbiosa, ma si fidò. “Io e
Michael ci siamo messi insieme!” disse in un soffio, con un
sorriso così
raggiante e degli occhi così luminosi che poteva illuminare
l’intera stanza. Io
la guardai stupefatta, così come Carol. Le saltammo addosso,
stritolandola in un
abbraccio enorme. “Oddio, oddio, oddio, Splendore che bella
cosa!” urlai
esaltata. Carol mi imitò. Eravamo troppo felici per lei.
“Si festeggia!”
esclamò mia cugina.
Mezz’ora
dopo, eravamo in salotto, con lo stereo al massimo, a ballare un valzer
a tre molto
improvvisato sulla musica di Hello
Heartache, nonostante non fosse nemmeno adatta. Quando la
canzone finì,
rimanemmo qualche secondo deluse, prima di sentire le prime note di The best damn thing. Da un valzer molto
esagerato passammo a saltare dappertutto come matte, cantando. Fu
così per
tutta la sera.
Era bello
avere diciassette anni.
Il mattino
dopo, ci trovammo davanti all’aeroporto con i ragazzi. Loro
avevano quattro
valigie e un borsone, più la chitarra di Luke. Noi: quattro
valigie degne di un
trasloco, tre borsoni, sei borse e una sacca. Mi venne da ridere.
Notai con
piacere che c’era anche Madison, anche lei con mille bagagli.
Si vedeva, che
eravamo ragazze, e ne andai fiera.
Michael e
Manuela, Ashton e Carol si salutarono con baci plateali, facendomi
sentire
molto, molto sola. A far diminuire questa mia sensazione, ci fu Luke,
che mi
abbracciò. “Ciao Coco” mi disse
dolcemente a poco dal mio viso. Dal suo tono
sentivo che stava sorridendo e questo mi fece sciogliere. Era troppo
tenero,
qualsiasi cosa facesse, anche quando non era intenzionale.
“Ragazzi, mi
dispiace interrompere questo bel quadretto ma dobbiamo ancora
prepararci per il
volo!” ci interruppe Calum, mentre Madison gli tirava una
gomitata che voleva
sembrare oltraggiata, ma che ai miei occhi era solo divertita. Ormai la
magia
era stata interrotta, così ci dirigemmo agli imbarchi e,
mezz’ora dopo,
finalmente sull’aereo. “Speriamo di non perdere
nessun bagaglio!” fece Carol,
ancora segnata da quando durante un viaggio le avevano perso il
beauty-case.
Oltre al danno anche la beffa: era finito alle Hawaii, dove lei non era
potuta
andare. Nonostante tutto, avevo riso fino a star male.
Noi ragazze
ci sedemmo su quattro sedili da un lato, i ragazzi
dall’altro. Ci aspettava un
volo di un’ora e mezza, ma sentivo che non saremmo stati
tranquilli nemmeno un
secondo, se non per dormire. Fu proprio quello che feci per
mezz’ora: mi misi
gli auricolari nelle orecchie, con la playlist che usavo per
addormentarmi, e
reclinai di poco lo schienale, giusto per non dar fastidio al
passeggero dietro
di me. Madison mi prese il cellulare – chiedendomi il
permesso – e sbirciò la
playlist. “Wow, come fai a dormire con queste? Non ti
inquietano, o ti
intristiscono?” chiese. Io ridacchiai. “Con una
cugina – non Carol, Cristine –
che per dormire ascolta industrial metal, questo è una
ninnananna. Una volta le
ho chiesto di mettere una canzone carina e mi ha fatto sentire Schizo doll. Queste possono essere un
po’ dark, ma hanno un effetto fantastico su di me.”
“Ovvero?”
“Va in
trance” disse Manuela, che aveva ascoltato tutto.
“Che forza, quindi ti metti
in contatto con i morti o cose del genere?!” mi chiese
entusiasta Madison,
facendomi ridere. “No, semplicemente dormo ma non dormo, non
so spiegarlo.
Cioè, sogno, ma sento comunque la musica, e quando finisce
la canzone mi
sveglio e non ricordo nulla, se non che mi lasciano sconcertati.
È strano e
bellissimo.”
“Madison,
non farci caso, a volte è più inquietante lei di
Cristine” disse Carol. Io le
feci una linguaccia mentre Madison guardava di nuovo le canzoni. Le
scorrevano
sotto gli occhi titoli come Together,
Forgotten, Nobody’s
home e cose del genere.
Il mio
tentativo di dormire durò poco, circondata di pazzi
com’ero. Ad un certo punto
aprii gli occhi e vidi che i ragazzi si stavano facendo una foto.
Curiosa,
schizzai in piedi per vederla. Luke e Michael erano in primo piano, con
dietro
Calum e Ashton. Scoppiai a ridere per la faccia di Ashton, sembrava
molto il
folletto di Harry Potter. Calum e Michael erano venuti bene, non
potevano
lamentarsi. Luke… oddio, la voglia di prenderlo e ricoprirlo
di baci era
tantissima, da quanto sembrava un cucciolo. Praticamente lo costrinsi a
passarmi la foto, facendolo ridere. “Dormito bene,
prima?” mi chiese. “Ho
sognato, non mi ricordo cosa. So che era strano” dissi con
disappunto. Lui
ridacchiò. “Riprova, se ti va.”
“Manca
troppo poco” dissi piano, tornando ad appoggiarmi al mio
sedile quando la
hostess mi guardò male. Mi trattenni dal ridere quando
Manuela la imitò,
esagerando.
Era bello
divertirsi così con gli amici. Essere così
strani… era un modo come un altro
per sentirsi vivi. Alcuni si drogavano, altri si alcolizzavano, altri
ancora si
tagliavano. Noi ci divertivamo a uscire dagli schemi. Un modo come un
altro, ma
a mio parere migliore di tutti gli altri. Era bello sapere di essere
unici.
Chiusi gli
occhi e canticchiai con un filo di voce: “I’d
rather be anything but ordinary, please.”
Poco dopo,
arrivammo in aeroporto, prendemmo i bagagli – fortunatamente
erano tutti al
loro posto – e superammo le soglie dell’aeroporto.
Io mi guardai attorno e
sospirai. “Casa dolce casa” dissi, con una punta di
malinconia. “Abitavi qui?”
chiese Ashton. Io annuii sorridendo a tutti i bei ricordi che mi
invadevano.
“Facciamo una sorpresa a Cristine e Daniel, o andiamo in
hotel?” domandò
Madison. La guardammo e ci mettemmo a ridere. “Maddy, tu davvero vuoi andare in giro con mille
bagagli?!” chiese Manuela.
Lei si guardò e fece un sorriso innocente. “Fate
come se io non avessi detto
niente” fece candidamente. Prendemmo un taxi e arrivammo
all’hotel che avevamo
prenotato. Mentre stavamo mettendo a posto tutto – io e le
ragazze in una
camera, i ragazzi nell’altra – mi venne in mente
una cosa piuttosto importante.
Sgranai gli occhi e chiamai gli altri. “Ehm, ragazzi,
c’è una cosa che dovrei
dirvi, prima che Cristine vi spaventi. Il suo stile è
gothic, molto dark. Mi ha
sempre detto che il suo matrimonio avrebbe rispecchiato il suo stile,
quindi
sarà piuttosto tetro, niente vestiti bianchi frufru e cose
del genere. Vi prego
di non terrorizzarvi” dissi cauta. “Quindi
sarà una cosa tutta in nero, cupa?”
chiese Michael. Io annuii. “Che cosa fantastica!”
urlò Manuela esaltata. Gli
altri la imitarono e io sospirai sollevata. “Ok ragazzi, dopo
finiamo di
mettere a posto, adesso andiamo a trovare Cristine!!”
esclamò Carol. Tutti
annuimmo e uscimmo dall’hotel, cercando la casa di Cristine,
mentre la torre
Eiffel ci faceva da sfondo.
*Angolo
autrice*
Ecco
la foto,
grazie a tutti!!
Ciaoo
Ranya
|
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Capitolo 9 *** darlin. ***
Darlin.
Arrivammo
davanti a casa di mia cugina in poco più di dieci minuti. Io
feci cenno di
stare in silenzio, volevo fare una sorpresa a mia cugina. Citofonai e
rispose
Cristine: “Qui est-ce?”
Io ridacchiai
e risposi nella sua stessa lingua, falsificando la mia voce:
“Buongiorno
signorina Lemaire, è arrivato un pacco dall’Italia
per lei e Daniel Dumont,
avrei bisogno della vostra firma.” Sentii gli altri
trattenersi dal ridere,
mentre io cercavo di non farmi scoprire. “Oh, arrivo
subito” disse mia cugina,
per nulla sospettosa. La porta si aprì e mostrò
Cristine: i capelli erano tinti
di un rosso-viola, lunghi fino a metà schiena. Gli occhi
azzurro ghiaccio erano
resi ancora più chiari dalla quantità esorbitante
di mascara, matita e ombretto
neri. Aveva tre piercing, uno sul naso, uno al labbro e uno sul
sopracciglio e
dal braccio si notava un tatuaggio piuttosto piccolo. Stava davvero
bene,
nonostante a molti non piacesse il suo stile. “Allora, dove
devo… Coralie!!”
urlò appena mi vide. Praticamente
scavalcò il cancello per abbracciarmi, poi vide Carol e le
altre. Sembrava un
bambino a Natale, ero troppo felice di vederla. “Amore, che
succede?” chiese la
voce di Daniel dalla porta, sempre in francese. Luke si
portò davanti al
cancello e vidi Daniel rimanere di sasso. “Come mai siete
già qui?? Il
matrimonio è fra un mese!” esclamò
Cristine. “Sì, ma volevamo farvi una
sorpresa e darvi una mano con tutti i preparativi. E poi scusa tesoro,
ma se
devo essere la testimone, non posso mica non sapere
com’è il tuo vestito!”
esclamai. “Ma… dov’è
Emmaline?” chiese lei. Io mi morsi le labbra.
“Emmaline è
in un ospedale psichiatrico, a dire il vero” disse Carol per
aiutarmi. Daniel e
Cristine rimasero immobili, assimilando la notizia. “Oddio.
Coco, mi dispiace”
disse Cristine abbracciandomi. “Aspetta, ma vi
conoscete?” chiese Daniel,
indicando prima noi, poi i ragazzi. “Certo che
sì!” rispose subito Manuela. Io
vidi che Madison era leggermente in difficoltà e mi diedi
della stupida: non
parlava francese. Lo dissi ai due e loro ridacchiarono.
“Così va meglio?”
chiese Cristine in italiano, con un forte accento ma comunque capibile.
L’altra
sospirò di sollievo. “Molto, grazie”
rispose. “Piacere, mi chiamo Madison”
Disse poi, stingendo la mano ai due. Passò un momento
dedicato a tutte le
presentazioni, poi ci invitarono ad entrare. “Volete qualcosa
da mangiare? Ho
appena sfornato una millefoglie!! E ci sono diverse crêpe
al cioccolato, la crème caramel e tutto quello che
volete!”
esclamò Cristine, esaltata. Noi la guardammo adorante.
“Ti prego adottami” fece
Luke. Daniel si mise a ridere. “La porta è sempre
aperta, per voi” disse poi,
mentre Cristine ci portava tutti i dolci che ci aveva elencato. Era una
cuoca
fantastica. “Che casa stupenda, davvero” disse
Madison ammirata, mentre
sollevava il piatto con la torta.
Era tutto
fantastico, Cristine aveva dato il meglio di sé.
“Allora,
dato che siete qui per il matrimonio, io propongo di andare in centro.
Vi
faccio vedere il vestito e vi porto a scegliere i vostri! Sono troppo
emozionata ragazze!!” esclamò battendo le mani.
Noi esultammo e la seguimmo.
“Ciao ragazzi, a dopo!” esclamai prendendo il
giubbotto.
“C’è
stato un cambio di programma. Avevamo progettato di fare tutto a
Notre Dame, poi però si è liberata
un’altra location, a tre ore da qui, molto
più in stile col matrimonio. È abbastanza
diroccata, lo so, ma è stupenda e
molto più adatta a quello che abbiamo in mente di
fare” disse. “Beh, Daniel è
d’accordo con il matrimonio dark, vero?”
“No,
guarda, è una sorpresa. Certo che è
d’accordo, genio!”
“Chiedevo,
scusa!”
“Tu
sei pazza” disse Cristine mettendosi a ridere. Vista
così, facevo
fatica a credere che avesse ventidue anni. Passammo per molti negozi,
fino ad
uno di vestiti da sposa. “Lasciatemi a morire qui, vi
prego” dissi incantata.
Avevo sempre amato gli abiti da sposa.
“Ragazze,
avreste voglia di essere le damigelle? Essendo Coralie mia
cugina, chiederei a lei di essere la prima, ma non vi ringrazierei mai
abbastanza
se partecipaste anche voi” disse implorante. Eravamo
entusiaste. “Ok, adesso vi
faccio vedere il mio vestito, poi scegliete i vostri.”
“Devono
essere uguali?”
“No,
solamente neri. Quello di Coralie, invece, viola”
spiegò Cristine,
mentre una commessa ci si avvicinava. “Vorrei vedere il
vestito che ho
prenotato” disse. “Nome?”
“Cristine
Lemaire.”
“Ok,
seguitemi” obbedimmo e ci lasciò in una stanza con
uno specchio
enorme. “Arrivo subito” disse solo, sparendo.
Tornò poco dopo con un vestito
nero e viola, pieno di veli e senza maniche. Era bellissimo! Cristine
se lo
infilò in fretta, sistemandoselo sui fianchi, e ci
lasciò senza fiato da quanto
stava bene. “Cristine, sei magnifica” dissi solo,
commossa. “Coco, che fai,
piangi?” mi chiese. “Non puoi biasimarmi! Mia
cugina si sposa!! Non
riesco a crederci, stai per sposarti!” feci, saltandole al
collo. Lei ricambiò.
“Coco, ti prego fai attenzione al vestito!” mi
disse invece Madison. Io mi
staccai subito. “Dai, andiamo a trovare i nostri!!”
esclamò Manuela.
Quasi
un’ora dopo, eravamo nei nostri camerini, con i vestiti
scelti
addosso. “Pronte, ragazze?” chiesi. Le altre
risposero con un: “Sì” e insieme
uscimmo. Ci guardammo radiose. “Siete stupende!”
esclamò Cristine. “Ok, con che
soldi paghiamo, però? Non è che ce li lanciano
esattamente dietro” disse
Madison. “Siete pazze?! Pago io!!”
esclamò Cristine oltraggiata. “Sei fuori?
Hanno prezzi esorbitanti!”
“Sentite,
è il mio matrimonio, vi ho avvertite all’ultimo e
voi vi
siete precipitate qui. Quindi, o pago io, o potrei
offendermi.” Disse. Dopo
qualche contrattazione, dovemmo cedere. Uscimmo dal negozio gongolanti,
con i
nostri sacchetti sotto braccio. “Il mio vestito lo prendo fra
una settimana” disse
Cristine alla commessa, salutando. Ci impiegammo ancora
un’ora e mezza a
girovagare fra i negozi per scegliere i diversi accessori, scarpe e
tutto.
Arrivammo a casa, accolti dai ragazzi con un: “Ragazze,
finalmente! Stavamo per
chiamare la polizia e denunciare la vostra scomparsa!” di
Calum. “Spiritoso” disse
Madison dandogli un lungo bacio.
“Forse
dovremmo tornare in albergo” suggerì Ashton.
Cristine e Daniel
lo guardarono come se avesse appena detto un’eresia.
“Sì, dovete andare subito
in albergo, chiaro? Andate a prendere i vostri bagagli e venite qui!
Abbiamo
mille camere per gli ospiti!” esclamò Daniel. Noi
ci guardammo esaltati.
“D’accordo, torniamo fra pochissimo!”
esclamai.
Quando tornammo,
trovammo la tavola già pronta. Con mio grandissimo
piacere, Cristine si era cimentata nella cucina italiana: spaghetti,
cotolette
alla milanese, bruschette e contorni vari erano in fase di
preparazione.
“Cristine, come hai fatto a fare tutto così in
fretta?!”
“In
realtà ha cucinato Daniel. Io non sono molto brava con la
cucina
italiana.” Lo guardammo sorpresi. “Sono
curiosissima!” disse Carol, sedendosi a
tavola. “Ehi, golosa, via dalla cucina, devo ancora
finire” la rimbeccò lui,
cacciandola dalla cucina e chiudendo la porta. “Non fateci
caso, quando si
parla di cucinare è peggio di una donna mestruata”
disse Cristine, liquidando
il tutto con un gesto della mano. Io andai in quella che sarebbe stata
la mia
camera. Era piccola, ma accogliente. Catturata da una voglia
irrefrenabile,
presi il mio vestito per il matrimonio: me ne ero innamorata.
“Wow, è davvero
stupendo” disse una voce alle mie spalle. Io mi voltai,
trovandomi davanti
Luke. Sorrisi. “Posso vedere come ti sta?” chiese,
con quello sguardo tenero
che mi faceva sciogliere ogni volta. “In teoria, non
potresti. Dicono che porta
male.”
“Primo,
anche vestirsi di nero e viola ad un matrimonio porta male.
Secondo, non sei tu la sposa, o sbaglio?” mi chiese con un
ghigno furbo. Io
roteai gli occhi. “Va bene, hai vinto” dissi. Lui
esultò e uscì dalla stanza
per lasciarmi cambiare. Un altro ragazzo, pensai, non avrebbe fatto lo
stesso,
ma ne avrebbe approfittato. Luke era speciale. Lo era sempre stato, fin
da
quando ero riuscita a incrociare il suo sguardo. Sentivo di provare
qualcosa
per lui. Ne ero certa, ogni giorno di più.
“Hai
fatto?” mi chiese. “Un secondo e ci
sono!” dissi sistemandomi i
tacchi alti, per poi aprire la porta. Lui mi guardò a bocca
aperta. “Coco, sei…
bellissima” mi disse strabiliato. Io arrossii e abbassai lo
sguardo, mentre lui
si avvicinava a me. Mi mise una mano su un fianco e l’altra
dietro al collo,
avvicinandomi di poco a lui. Fece incontrare le nostre labbra in un
bacio
dolce, innocente, che mi fece rabbrividire. Mi sentii sciogliere. Le
sue labbra
erano così morbide, delicate, e baciarle era così
bello, così magico…
“Venite
a tavola, ragazzi, la donna mestruata ci ha dato il via!”
urlò
Cristine dal piano di sotto. “Sei molto simpatica,
sai?” sentimmo dire a
Daniel, ironico. Ridacchiammo, separandoci. “Mi cambio,
dai” dissi in fretta.
Lui chiuse la porta e io mi cambiai velocemente, mettendomi comoda,
prima di
scendere con lui. Mi sedetti accanto a Manuela, che mi
guardò e trattenne un sorriso.
“Labbra rosse. Beccata!” mi sussurrò
avvicinandosi. Io tentai di non ridere.
Mentre mangiavamo, parlammo del matrimonio. “Alla fine,
dov’è che si fa il
ricevimento?” chiese Madison. “A chateau
de la mothe-chandeniers” rispose
Daniel. “Dopo andiamo a guardare un po’ di foto,
non ho idea di come sia questo
chateau di qualcosa” disse Manuela
perplessa. Ci mettemmo a ridere.
Dopo cena, andai
in camera mia. Da quella di fianco, sentivo Luke
suonare piano la chitarra. Con un colpo al cuore, mi accorsi che erano
le note
di Darlin. Mi venne da sorridere quando ricordai il
disastro del giorno
prima, con la mia capacità di suonare la chitarra pari a
zero. Quella canzone
era commovente, ai miei occhi. Iniziai a canticchiare:
Darlin,
you’re hiding in the closet once again
Start
smiling…
I
know you’re trying real hard not to
Turn
your head away
Pretty
darling,
Face
tomorrow, tomorrow’s not
Yesterday.
Mi accorsi che
Luke aveva smesso di suonare e ci rimasi leggermente
male. Questa sensazione, però, si annullò quando
Luke entrò in camera mia, con
la chitarra. “Se volevi cantare, potevi dirmelo
subito” mi disse, sedendosi sul
mio letto. “Luke, io non so cantare. Mi vergogno
troppo!” dissi, mentre finivo
di mettere a posto tutto. “Eppure sei brava! Devi solo
cercare di non imitare
le voci dei cantanti!” mi disse lui. Era vero, mi veniva
naturale. Per questo,
con le voci maschili mi trovavo particolarmente bene, avendo io stessa
una voce
per niente acuta, anzi.
“Ti
prego, provaci” mi disse. Io presi fiato per protestare, ma
lui
aveva già iniziato a suonare. Sorrisi quando mi accorsi che
era Why. Non
potendo fare altro, cantai, mentre sentivo le guance andare a fuoco.
“Ora
canti tu, però. E se mi dici che non sei capace ti
picchio” dissi
quando finii. Lui si mise a ridere. “Non posso. Tendo a
urlare, quando canto, e
a quest’ora no, grazie” si giustificò,
facendomi prudere le mani. “Basta, non
ti parlo più” dissi come una bambina viziata,
dandogli le spalle. Lui si alzò
in fretta e mi abbracciò da dietro, affondando il viso nel
mio collo. “No, ti
prego, piccola, mi spezzeresti il cuore” disse con voce
implorante. A quelle
parole, un sorriso mi nacque involontario sulle labbra, accompagnate da
un
brivido lungo tutta la schiena, fino al cervello.
Davvero, non
sapevo quanto avrei retto senza svenire. Eppure, non avevo
paura di questo. Forse perché, con
l’ingenuità piena di sogni e illusioni che
mi contraddistingueva, ero sicura che mi avrebbe sorretta.
Quel ragazzo mi
aveva stregato.
Senza pensarci,
mi voltai e feci incontrare le nostre labbra. Sentii le
sue distendersi in un piccolo sorriso, solleticandomi con il piercing.
Mordicchiai piano il suo labbro, quasi stessi giocando, mentre sentivo
le sue
mani percorrere la mia schiena. Senza nemmeno accorgercene, finimmo sul
letto,
di fianco alla chitarra di Luke. Lo vidi trasalire terrorizzato quando
rischiammo di colpirla e ridacchiai. “Non scherzare, la
musica, e quindi quella
chitarra, è quasi tutta la mia vita” disse ancora
spaventato. “Mhm, e il resto,
cos’è?” chiesi curiosa. Lui mi sorrise
piano, avvicinandosi di nuovo al mio
viso. “Sei tu” sussurrò in un soffio
prima di baciarmi di nuovo.
*Angolo
Autrice*
Susan
Coffey as Cristine
James
Marsden as Daniel
|
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Capitolo 10 *** kiss you ***
Kiss you
Mi svegliai
a causa di un raggio di sole che puntava dritto sui miei occhi. Molti
dicevano
che un risveglio naturale era la cosa migliore del mondo, ma io non ero
d’accordo. Per me, ogni tipo di risveglio era da abolire, se
non quello
spontaneo. Sbadigliai assonnata e mi stiracchiai. Quando aprii gli
occhi, il
mio cuore saltò un battito dallo spavento: Luke era accanto
a me, ancora
addormentato, e io ero fra le sue braccia. Mi stringeva piano, a
pochissimo da
me. Mi venne da sorridere, intenerita. Luke dormiva beato, ancora
immerso nel
mondo dei sogni. Eravamo entrambi sulle coperte, ancora coi vestiti del
giorno
precedente. Evidentemente ci eravamo addormentati di colpo.
Gli passai
una mano fra i capelli biondi, accarezzandolo piano. Era
così incredibilmente
tenero, sempre e comunque… Lui, dopo qualche minuto,
mugugnò qualcosa e aprì
lentamente gli occhi. Sorrise quando incontrò i miei,
facendomi ricambiare. Mi
sollevò su di lui mentre io ridevo sorpresa.
“Buongiorno, piccola!” mi disse
raggiante. “Buongiorno!” risposi io, ancora
puntellata sulle sue braccia. Mi
sbilanciai e caddi su di lui, mozzandogli il fiato. Ci mettemmo a
ridere,
mentre io sentivo il suo petto vibrare. Ci interruppe Calum, trafelato.
“Coco,
Luke è scompars… Sei un coglione” disse
torvo, vedendolo. Sospirò di sollievo,
si era preso un bello spavento. Io e Luke ci guardammo e scoppiammo a
ridere,
di nuovo. “Non ridere, ritardato, mi sono preso un
infarto!” lo rimproverò
Calum, appoggiato allo stipite. “Mi farò
perdonare” disse lui, alzandosi. Calum
sembrò essere folgorato da un’illuminazione.
“Ma voi…”
“Non
abbiamo fatto niente” lo interruppi subito, immaginando
già cosa aveva in mente
di dire. “Ehm, ok, fate finta che non abbia detto niente, io
mi eclisso, anzi
non mi avete mai visto qui e… è meglio che
vada” disse, viola per l’imbarazzo,
prima di scappare dalla stanza. Per l’ennesima volta fummo
colti dalle risate.
“Dobbiamo averlo scandalizzato un bel po’,
povero” commentò. “Pensa se fosse
successo qualcosa. Come minimo ci moriva qui!” dissi invece
io. “Già” rispose
lui. Io mi spostai dal suo petto, permettendogli di alzarsi.
“Andiamo di sotto,
è tardi, ci staranno aspettando” dissi. Luke
annuì e ci alzammo, andando al
piano di sotto. Erano tutti scesi prima di noi e ci guardarono curiosi.
Manuela
e Carol mi fissarono, aprendosi in sorrisi da complotto che andavano da
un
orecchio all’altro. Calum, appena ci vide, si
buttò dietro al divano.
Scoppiammo tutti a ridere. “Ho fatto una figura esemplare,
permettete che non
voglio farmi vedere” disse lui.
“Mi
spiegate perché Calum si è appena tuffato stile
balenottera dietro il divano?”
chiese Cristine, apparendo dalla cucina, confusa. Daniel la seguiva a
poca
distanza, con la stessa smorfia perplessa. “Oh, problemi di
gaffe” disse con
noncuranza Calum. “Voi avete bisogno di un dottore, ve lo
dico da amica” disse
Cristine, tornando in cucina. “Lo so, è un vizio
di famiglia” rispose amara
Carol. Io mi morsicai un labbro. Cristine non poteva capire, tutti i
problemi
mentali venivano dalla parte di Carol. Forse, anche per questo io ero
stata
risparmiata, per il momento. “Ma che cavolo di argomenti
sono, di prima
mattina?!” fece Manuela esasperata. Vidi che molti, nella
stanza, la stavano
ringraziando mentalmente. Mi sporsi dalla finestra e vidi un gatto
passare.
Impallidii. “Oddio” dissi con voce strozzata.
“Coco?”
“Ho
dimenticato Tabitha!” urlai terrorizzata. Gli altri mi
guardarono allarmati.
“Coco, tranquilla, ci penserà la vicina”
disse Carol. “Povera piccola, l’ho
abbandonata!” esclamai di nuovo. “Pericle e Nemo,
invece?!” chiese Madison.
“Sono in una pensione per gatti” rispose Calum.
Madison inarcò un sopracciglio.
“Calum. Sei ancora dietro al divano?!” fece.
“Ehm, no” rispose lui. Madison si
avvicinò al divano e ci salì sopra, poi si sporse
di colpo, urlando un: “Buh!”
Sentimmo Calum trasalire e schizzare via, evidentemente non se lo
aspettava.
“Oggi ce l’avete con me”
constatò.
Era
mezzogiorno, e noi eravamo in uno dei tanti ristoranti vicino a casa di
Cristine e Daniel. Avevamo preso un tavolo e ordinato subito un primo,
nonostante questo ci erano arrivati piatti e piatti di antipasti.
“Wow, non si
fanno mancare niente” dissi sorpresa. “Ragazzi,
guardate lì!” fece Manuela. Noi
ci voltammo verso la finestra indicata da lei e vedemmo una persona che
camminava tranquilla, seguita a sua insaputa da un mimo, che la imitava
benissimo. Ridacchiammo. “Uhm, è un po’
viscido, cos’è?” chiese Madison con la
bocca piena e una smorfia, indicandoci un piatto che tutti avevamo
attentamente
schivato, tranne lei. Impallidimmo. “Maddy, stai mangiando
lumache!” disse
Ashton schifato. Madison si portò di scatto una mano alla
bocca e corse in
bagno. Io, Carol e Manuela la seguimmo, ma rimanemmo indecise davanti
alle tre
porte delle toilette. Decidemmo che Madison era nell’ultima:
solo da quella
proveniva il rumore di qualcuno che vomitava. “Maddy, tutto
ok?” chiesi
preoccupata. “Vi faceva tanto schifo avvertirmi
prima?!” chiese lei da dentro.
“Manuela ci ha distratte!”
“Adesso
è
colpa mia?!” fece lei oltraggiata. Scuotemmo la testa
all’unisono e lei sembrò
tranquillizzarsi. “Madison, vuoi una mano?” chiese
Carol. “No, ce la faccio…
dovrei aver finito” disse, poco prima di vomitare di nuovo.
Facemmo una
smorfia. “Ora?”
“Sì,
ci
sono” disse lei, uscendo. Si attaccò al rubinetto,
sciacquandosi la bocca molte
volte. “Adesso fatemi un favore, ditemi esattamente cosa mi
sto per mettere nel
piatto” ci disse torva. “Hai ordinato tu le
lumache, ti ricordo” fece Carol.
“No, io ho ordinato escargots
o
qualcosa del genere!” si difese lei. “Genio, escargots significa lumache in
francese!” rispose Manuela. Madison
imitò il pianto di un bambino. “Io odio questo
posto!” si lamentò.
Il
pomeriggio, decisi di andare a trovare mia nonna.
Non chiesi
a nessuno di venire con me, semplicemente lo dissi. I ragazzi mi
chiesero
subito di conoscerla, ma Carol, Cristine, Manuela e Daniel li zittirono
con uno
sguardo. Io presi la mia borsa e chiamai un taxi per farmi venire a
prendere.
Mi portò fino al quartiere dove si era trasferita, per forza
di cose. La parte
vecchia era desolata, piena di ruderi, lasciata al proprio destino. La
parte
nuova, piena di mille fiori, col ciottolato bianco e tante statue
diverse.
Come ogni
cimitero, insomma.
Mi diressi
a passo spedito verso la sua tomba. All’entrata, comprai un
paio di lilium
bianchi e rosa, i miei – e i suoi – fiori
preferiti. Quando trovai la via
giusta, sentii che le gambe si facevano molli.
Mi mancava
tantissimo, avevamo un rapporto stupendo quando ero ancora in Francia.
Dopo due
anni dal mio trasferimento, era morta di infarto, lasciandomi una
voragine nel
cuore.
“Ciao
nonna, come stai?” chiesi alla fredda pietra e alla foto che
ritraeva mia nonna
da giovane. Sentivo le lacrime invischiate in un groppo alla gola.
Forse era
quello, che bloccava le mie parole. Mi sedetti sulla tomba, incurante
delle
persone che mi guardavano cariche di compassione, e iniziai a
singhiozzare. Non
smisi nemmeno quando sentii un paio di braccia forti circondarmi,
sapevo a chi
appartenevano. “Coco…” mi disse solo
Luke, stringendomi a sé. Io affogai nella
sua stretta. Avevo bisogno di lui, in quel momento più che
in qualunque altro.
“Cosa ci fai qui?” chiesi quando mi fui ripresa.
“Ti ho seguita. Ho visto che
non stavi bene e, ecco… volevo sapere se era tutto a posto.
Poi ti ho vista
entrare nel cimitero e ho capito. Mi dispiace, Coralie” disse
ad un soffio da
me. Nonostante avessi detto di voler andare da sola, lo ringraziai. Non
avrei
retto, senza di lui.
Quando
tornammo a casa, ero ancora scossa. Era la prima volta dopo anni che
andavo a
fare visita a mia nonna, ed ero stata sommersa da un’onta di
ricordi.
“Coco,
tutto ok?” mi chiesero Manuela, Carol, Cristine e Daniel. Io
annuii, ancora con
un braccio di Luke attorno alla vita. Non sembrava intenzionato a
lasciarmi andare,
e gliene fui grata.
“Luke,
stavamo giusto dicendo dell’ultimo concerto” ci
interruppe Ashton. “Mi
piacerebbe sentirvi, qualche volta” fece Cristine sorridente.
“Ho portato
solamente la chitarra, mi sa che dovrete venire da noi per
sentirci” disse lui
dispiaciuto. “Bene, perché è proprio
quello che abbiamo intenzione di fare.
Dopo il matrimonio, s’intende” disse Daniel. Li
guardammo sorpresi. “Davvero?!”
chiese Carol balzando in piedi. Loro annuirono e noi esultammo.
“Ok, si stappa
qualcosa per festeggiare!” esclamò Manuela.
“Se volete, abbiamo lo champagne…”
disse cauto Daniel. Noi ci guardammo e scoppiammo a ridere.
“No grazie,
l’ultima esperienza con l’alcool ci ha segnato a
vita” risposi, ripensando alla
mia prima volta. “Ok, in effetti non è una buona
idea, voi poveri minorenni non
reggereste” disse Cristine ridacchiando. Io risposi alla sua
provocazione con
una linguaccia. “Mi dispiace, ma mi hanno fregato una volta,
non ci casco più”
feci. “Brava Coco” mi disse Manuela.
“Piuttosto, andiamo, mi manca la Tour
Eiffel!” dissi io, ricordando come mi ero sentita la prima
volta che mi ci ero
avvicinata: una formica di fianco ad un gigante. Era enorme e
bellissima. Gli
altri accettarono e in poco uscimmo, gironzolando per i viali di
Parigi, pieni
di pittori e mimi, quasi fossimo in una cartolina. Mi piaceva quella
Parigi, la
Parigi artista, la Parigi caratteristica, quella dove puoi fermarti e
prendere
croissant su un tavolino fuori da un bar della piazza e dove puoi
ammirare il
bello dell'essere francese. Facemmo appunto questo: ci sedemmo ad un
bar a
prendere un caffè con croissant. Sopra di noi, un tendone
rosso ci faceva
ombra, decorato dal nome del bar. Era come un tuffo nel passato, per
me. Ogni
angolo era per me motivo di ricordi, seppur stupidi o infantili. Mi
venne da
ridere nel vedere la strada dove il gelato di una mia amica aveva fatto
una
brutta fine.
Eravamo
in piazza, io avevo appena preso una granita. Già da allora
non amavo il gelato
artigianale. Essendoci
tre gelaterie, in
quella piazza, la mia amica Lidia aveva optato per un'altra, dove
facevano – a
detta sua – il gelato migliore. Eravamo andate lì
ed io ero rimasta fuori, non
stava bene entrare con il prodotto della concorrenza. Quando era
uscita, aveva
un gelato enorme, al cioccolato. “Lilly, ti si sta
sciogliendo!” avevo detto
velocemente. Lei si era affrettata a leccare dove le indicavo, ignara
del fatto
che, dall'altra parte, si stesse sciogliendo ancora più in
fretta. Nel giro di
due minuti, avevamo capito che era finita, e che entro poco si sarebbe
sciolto
completamente, per questo eravamo corse al primo cestino. Purtroppo, un
attimo
prima, le era caduto il gelato. La legge di Murphy aveva fatto il
resto: quel
gelato non poteva essere contento, se non fosse caduto sulle sue
scarpe. Nuove.
Bianche. Di tela. Lidia era rimasta traumatizzata, non avevamo mai
visto un
gelato così bastardo sciogliersi così in fretta.
Al ricordo,
ancora mi veniva da ridere, nonostante in quella giornata di ferragosto
ci
fosse sembrata una tragedia. Quell’episodio aveva tenuto lei
lontana da quella
gelateria, e me lontana dai gelati artigianali. Non sopportavo quando
si
scioglievano.
“Chi
vuole
una cioccolata calda?” chiese Daniel. Come al solito, io e
Luke ci astenemmo.
“Se volete vendono anche le piadine alla Nutella”
mi disse Cristine. I nostri
occhi si illuminarono. “Adesso si ragiona!” dissi
io, pregustando la piadina.
Venti
minuti dopo, eravamo per le vie di Parigi. Avevo notato lo sguardo
desideroso
di Manuela e avevamo diviso la piadina, ancora calda. Luke, invece, la
teneva
gelosamente per sé, resistendo con fare stoico agli attacchi
di Calum. “Andiamo
alla pista di pattinaggio?” chiesi speranzosa. Gli altri
accettarono di buon
grado e cercammo la pista più vicina. Quando vidi quelli che
sarebbero stati i
miei pattini, rabbrividii. Quanto avrei voluto avere i miei! Quelli
erano solo
dei pezzi di plastica modellati a forma di scarpa con un pezzo di
metallo sotto
di esso. I miei erano imbottiti, affilati e regolabili. Non mi
interessava
tanto l’estetica, il mio problema era l’interno:
senza un minimo di
imbottitura, avrei avuto delle vesciche enormi in dieci minuti.
Succedeva a
tutti, ma le mie caviglie erano ancora più sporgenti a causa
di un problema di
postura, ergo facevano più male. Nonostante tutto, in poco
ripresi la mano,
facendo tre o quattro giri velocemente. Quando vidi Luke ancorato alla
sponda,
mi misi a ridere e lo raggiunsi. “Mi prendi in giro se ti
dico che non sono
capace?” mi chiese. Io ridacchiai. “Ehi,
c’è una prima volta per tutto” dissi.
Gli presi una mano, iniziando a guidarlo. Andavamo lentamente, mentre
lui si
reggeva al bordo. “Non devi camminare, devi
scivolare!” dissi, osservando il
modo goffo con cui si spostava. “Guarda: metti un piede di
traverso e il peso
sull’altro, spingi e scivoli. Poi di nuovo. È
facile!” tentai di spiegargli.
Lui tentò, col solo risultato di barcollare ancora di
più. Io gli feci vedere,
facendo un giro di pista, il modo in cui doveva mettere i piedi.
“Staccati” gli
dissi poi. Lui mi guardò smarrito. “No!”
tentò insicuro. “Non ce la farai mai,
se ti tieni al bordo!”
“Se
non mi
tengo, cado!”
“Ci
sono
io, non lo permetterò!”
“Cadresti
anche tu!”
“Ne
prendo
atto!” dissi risoluta. Lui ridacchiò. Io mi
avvicinai ancora di più e lo
baciai, alzandomi sulle punte dei pattini che fortunatamente erano
seghettati
alla fine. Così, non avevo difficoltà a stare in
equilibrio. Piano, sentii le
sue mani sulla mia schiena e sorrisi nel bacio: avevo raggiunto il mio
scopo.
Impercettibilmente, iniziai a pattinare all’indietro, fino a
finire quasi al
centro della pista. Quando ci staccammo, lui si guardò
intorno, confuso. “Ma
che…?!”
“Io te
l’ho
detto, che sei capace!” dissi ridacchiando. “Mi
farai impazzire, lo sai, vero?”
mi chiese sorridente. Io feci spallucce e presi le sue mani. Iniziammo
a
pattinare, lentamente, mentre io assecondavo i suoi movimenti goffi.
Pattinavo
all’indietro per offrirgli l’appoggio di entrambe
le mani, le mie gelide e
piccole mani dalle unghie mordicchiate. Le sue erano calde e grandi.
Perché lui
ce le aveva calde e io no?! Non era giusto. In compenso, solo io potevo
godere
di quel tepore.
“Ce la
faccio!” disse lui incredulo. Io mi misi a ridere.
“Adesso sarò molto cattiva”
lo avvertii. Lui mi guardò e capì le mie
intenzioni. “No, no, Coco, non…”
“Scusa”
dissi,
lasciandogli le mani. Lui barcollò e mi venne in mente che
forse non era stata
una buona idea. Tentai di fargli riprendere l’equilibrio,
tenendolo per le
braccia, col solo risultato che lui urtò un mio pattino.
Perdemmo l’equilibrio
e finimmo stesi sul ghiaccio. Ci guardammo qualche secondo, poi
scoppiammo a
ridere. “Non farlo mai più, ok?” mi
chiese. “Impediscimelo!” lo provocai. Lui
sorrise e si mise su un fianco. Io lo imitai. “Sei
impossibile!” mi disse,
prima di baciarmi di nuovo.
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Capitolo 11 *** Good girls ***
Good
girls are bad girls.
Un
mese
dopo…
“Cristine!
È tardissimo!” urlai in preda al panico.
“Non
infierire, non è colpa mia se non riuscivo a mettere il
vestito!” rispose
lei. “Perché vai in giro col vestito
da sposa, si può sapere?!”
“Perché
nella chiesa non c’è modo di metterselo!”
“Ma
che cavolo di chiesa è, si può sapere?!”
“La
cappella del castello!”
“Non
potevi usare una delle mille stanze di quel palazzo?!”
chiesi io. Cristine divenne viola, tanto da essere in tinta col suo
vestito.
“Ormai mi sono cambiata, ecco!” fece. Io
ridacchiai. “Anche voi potevate
vestirvi lì!” ribatté poi, prendendo al
volo le scarpe. “Sì, ma noi ci abbiamo
messo dieci minuti, tu mezz’ora. E poi noi non sembriamo
venute fuori da Come d’incanto
stile dark!” fece
Manuela, prendendo i due sacchetti che avevamo preparato. Io e le
ragazze ci
eravamo infilate le ballerine per essere più comode, avremmo
cambiato lì le
scarpe. “Cristine, usa queste!” le intimai,
porgendogliene un paio uguale.
“Devo ancora finire di mettermi a posto i
capelli…”
“Te li
metti a posto lì, chiaro?!” fece Carol nervosa.
Lei
sbuffò. “Mamma mia che damigelle dispotiche mi
sono scelta!” disse fra i denti,
tutto d’un fiato. “Ehi!” si
lamentò Madison. Ci mettemmo a ridere. “Accidenti,
perché non sono andata coi ragazzi?!” chiesi. Loro
erano già arrivati da
mezz’ora, insieme a Daniel. “Perché io
sono la tua cuginetta preferita e mi
vuoi tanto tanto bene!” disse con fare innocente,
sventolandomi davanti il
bouquet di fiori viola. “Te lo faccio mangiare, quel
bouquet” le dissi
minacciosa. “E poi scusa, chi ha detto che sei tu la cugina
preferita?!” fece
Carol con fare offeso. Manuela e Madison si trattenevano a stento dal
ridere.
“Quanti invitati ci saranno?” chiese Manuela, tanto
per cambiare argomento.
“Non saremo molti, non tutti amano le cerimonie come
queste” disse Cristine.
“Io la trovo originale” ribattei.
“Sarà tetra, te lo dico” mi
avvertì Cristine,
sventolandomi davanti un CD anonimo.
“Cos’è?” chiesi. “La
musica. Io ho questo,
Daniel un altro. Sono diciotto canzoni senza voce, solo con gli
strumenti, e
sono una cosa strepitosa.”
“Qualche
esempio?”
“La
parte strumentale di Take
me away e Forgotten
basta?”
“Io ti
amo!” esclamai. “C’è tutto Under My Skin, tesoro!” si
vantò lei. Era, dopo Goodbye
Lullaby, il mio album preferito.
Tutte canzoni tetre, tranne He
wasn’t,
forse. Arrivammo alla macchina di Cristine, che era parcheggiata
più avanti. La
gente ci guardava stranita: non era normale vedere una principessa dark
che
correva in mezzo alla strada seguita da quattro ragazze in abito corto,
con i
tacchi alti in mano.
“Ti
prego, adesso lo metti??” chiesi implorante, indicando il
CD. Lei annuì e, appena mise in moto, si sentirono le note
di Forgotten. Mi voltai verso le
altre:
Manuela e Carol avevano gli occhi chiusi e mimavano con le labbra
quelle che
dovevano essere le parole. Madison, invece, era pallida. La guardai
negli occhi
qualche istante. “Maddy, hai paura?” chiesi
sorpresa. “È inquietante, davvero”
disse lei con voce flebile. “Pensa che è una di
quelle che uso per dormire.”
Ribattei. Lei sgranò gli occhi. “Come minimo mi
sognerei tutte cose gothic,
rose nere e angeli caduti, falci e tanto sangue, e cose del
genere” disse. “È
quello che faccio a volte. Altre volte mi vengono fuori delle cose
senza senso.”
“Ad
esempio?”
“Non
so. Sono inseguita da un coniglio, che vuole mangiare le
mie scarpe.”
“Mi
dicono che fumi molto bene!” commentò lei.
“No, mi basta
la musica” feci compiaciuta. “E tanto per la
cronaca, una volta sono stata
davvero inseguita da un coniglio. E anche assalita da un
carlino” feci con fare
altezzoso. Lei si mise a ridere. “Oddio, seria? Un
carlino?!” chiese. “Ehi,
avevo cinque anni! Mi ha atterrato!” mi difesi ridendo.
“Certo, il temibile
carlino mannaro, che tuttora gira per le strade assetato di
sangue” fece
Cristine ironica. “Sì, sì, ridi, come
hai fatto quando hai visto la scena.
Perché devi sapere, cara Maddy, che la nostra sposa era
presente, mentre venivo
traumatizzata a vita, e non ha fatto altro che ridere!” feci
con tono
accusatorio. Scoppiammo a ridere, mentre toglievo il CD. Madison mi
ringraziò.
“Tanto, ci sarà al ricevimento” disse
Carol. “Sono solo futili dettagli!”
Madison liquidò le sue parole con un gesto della mano.
“Traffico. Io odio il
traffico. Non poteva esserci qualche miracolo o epidemia o partita di
calcio a
tenere tutti a casa?! No, doveva esserci traffico pure oggi!”
fece Cristine
stizzita. Io la guardai sorpresa. “Cri, calmati!”
feci ridacchiando. “Come
faccio a calmarmi?! Io mi devo sposare e questi fanno un pic-nic in
mezzo
all’autostrada!! Sono da prendere tutti quanti e tirarli
sotto con un tir!
Andate a giocare a mosca cieca nella corsia di sorpasso
anziché creare
ingorgo!” esclamò. La guardammo con gli occhi
spalancati. “Ehm, ok” fece
Manuela. “Sono nervosa, si nota?” chiese Cristine.
“No, ma ti pare?” facemmo
tutte assieme.
Finalmente, dopo
più di un’ora, arrivammo. Quando ci videro,
i ragazzi – Daniel era dentro, a ritoccare il tutto
– fecero un applauso.
“Abbiamo fatto radici, ragazze!” fece Calum.
“È colpa di Cristine!” rispondemmo
in coro. Lei ci guardò oltraggiata.
“Perché hai il vestito da sposa?” chiese
invece Luke, confuso. Lei piagnucolò un: “Ma
perché me lo chiedete tutti?! Ho
sbagliato!”
“Ok,
ok, chiedevo” disse lui. “Oggi volete farmi
impazzire” fece
lei. Si diresse verso l’ingresso del castello, poi si
voltò. “Ma non ce la
farete! Perché oggi mi sposo e voi no! Ah!”
fece correndo dentro. La guardammo allibiti mentre svoltava a sinistra.
“La
chiesa è a destra!” urlai. La vedemmo tornare
indietro, borbottando insulti a
tutto spiano. “È stressata, dobbiamo
capirla” fece Carol, abbracciata ad
Ashton. Ci dirigemmo dentro, mentre vedevo Madison farsi piccola
piccola fra le
braccia di Calum. “Quando mai ho accettato di venire. Adesso
farò incubi di
castelli maledetti per tutta la vita” borbottò.
“Dai, Maddy, mancano solo sette
ore” la rassicurò Calum. “Non
aiuti!” rispose lei ad alta voce. Io e Luke
rimanemmo indietro. Avevo freddo – fortunatamente avevo avuto
la stupenda idea
di mettermi i collant – e stavo cercando il mio cardigan,
quando sentii Luke
avvolgermi con la sua giacca di pelle. Sorrisi e lo ringraziai, mentre
mi
crogiolavo nel calore dell’indumento. Lui mi
circondò la vita con un braccio e
io mi appoggiai alla sua spalla. “Sei troppo alta,
così” fece ridacchiando.
“Colpa dei tacchi alti” risposi io.
“Voglio vedermi a ballare, con questi!” aggiunsi.
“Io non riuscirei nemmeno a camminarci”
ribatté subito. “Ah guarda, la prima
volta che ho messo un tacco così ho fatto un volo che non
puoi immaginarti, ma
non vale, aveva il plateau alto e scanalato, quindi quando ho fatto un
passo mi
sono sbilanciata e ho investito la mia amica, che ha fatto la stessa
fine e ha
preso la terza. Effetto domino, insomma” risposi.
“Ok, non devo figurarmelo,
altrimenti scoppio a ridere” rispose lui. Io sorrisi e chiusi
un attimo gli
occhi. Era bello stare con lui, ogni momento era indimenticabile. Ero
innamorata persa. Essere un’inguaribile romantica non
aiutava, proprio per
niente. Entrammo nel grande palazzo in rovina, investiti subito da un
odore di
cera fusa. “Hanno iniziato a far sciogliere le
candele” dissi. Avevano pensato
di costellare tutta la sala con alte candele sciolte, per dare
un’aria tetra.
Avevano dovuto fare tutto da soli: ogni wedding planner si era
rifiutato di
aiutarli. Entrammo nel salone e rimasi senza fiato. “Abbiamo
fatto un buon
lavoro?” chiese Luke. “È
fantastico!” esclamai io. La sala del ricevimento era
circondata dalle famose candele, mentre lungo le pareti
c’erano i tavoli, con
le tovaglie argentate sopra quelle nere. Sopra di essi, un servizio
impeccabile
e un vaso alto da cui scendeva una cascata di mughetti. Erano quelli a
diffondere un profumo così buono. In mezzo al salone, uno
spazio enorme per
ballare, con il pavimento lucido. Il marmo scuro brillava alla luce
delle
candele e delle finestre a sesto acuto, la cui luce veniva smorzata da
tende
scure trasparenti. Le colonne erano state ricoperte ognuna con un
lunghissimo
gambo di rosa finto, che si attorcigliava attorno ad esse per poi
finire in un
solo, piccolo fiore nero. Daniel, dall’alto di una scala,
stava appuntando
l’ultimo. Il contrasto fra atmosfera tetra e colori chiari
creava la sensazione
di fluttuare in un limbo di pace, lontani dal mondo esterno. Era un
piccolo
angolo di paradiso travestito. “È mozzafiato,
davvero” dissi. Luke mi indicò il
pavimento. Osservando meglio, capii che quelle che avevo preso per
venature
casuali in realtà formavano un disegno, un’enorme
rosa vista dall’alto,
perfetta in tutti i dettagli. “Quella c’era
già. Ci siamo ispirati un po’ al
tema giardino proibito” mi spiegò. Io ero senza
parole. “Vieni a vedere la
cappella?” mi chiese impaziente. Io lo seguii, trovandomi in
un altro posto
fantastico. Le panche erano state addobbate con rose nere e mughetto,
nastri
neri e scarlatti e petali di un fiore viola lungo il bordo. Tutto il
tragitto,
dall’entrata all’altare, era ricoperto di
un’impalpabile polvere argentata, che
faceva brillare tutto. L’altare era stato circondato degli
stessi fiori di
prima, aggiungendo anche qualche orchidea. Grandi tende di pizzo nero
rendevano
più buia l’atmosfera.
“Siete
stati… incredibili!” dissi. Ero incantata da
quello
spettacolo unico. Quando tornammo indietro, mi proposi per dare una
mano, ma
con mio disappunto mi accorsi che avevano già finito tutto.
“Tardavate ad
arrivare e ci siamo portati avanti. Magari potresti andare da
Cristine” mi
suggerì Daniel. Io acconsentii e mi feci dare le indicazioni
giuste. In poco
raggiunsi la stanza e bussai, trovandola aperta. Cristine sembrava la
dea Kali:
si stava truccando e pettinando allo stesso tempo, ottenendo un
risultato
terrificante. “Cri, che fai?!” chiesi.
“Coco aiutami, sono nel panico!” fece
terrorizzata. “Ok, ok, tranquilla. Prima cosa,
struccati” feci flemmatica. Lei
mi guardò male. “Ci ho messo tanto!”
“Fidati!”
ribattei io. Lei sbuffò e mi obbedì, mentre io
prendevo i suoi capelli spettinati e li districavo. “Fai
male!” fece lei ad un
certo punto. “Sto cercando di non tirare!” risposi.
Quando
finì di struccarsi e io finii di pettinarla, si
sedette sullo sgabello. “Allora, iniziamo col trucco. Cosa
vorresti come
stile?”
“Non
so. Ho sempre amato la bambola di cera” rispose lei. Io
presi il mio cellulare e le mostrai una foto, che ritraeva Pink nel
video di Fucking Perfect.
“Fantastico!” fece lei
entusiasta. Io annuii, come a raccogliere le idee. “Mentre io
scelgo, qui, vai
a farti uno scrub alle labbra” le suggerii, porgendole lo
scrub. Lei mi guardò
stranita. “Lo scrub alle labbra?!” mi chiese.
“Hai le labbra secche e quindi sono
piene di pellicine. Il lucidalabbra si infilerebbe sotto di esse e si
vedrebbero tantissimo” spiegai, tirando fuori una cipria
chiarissima
dall’enorme borsa dei trucchi. Lei obbedì e
tornò qualche minuto dopo con le
labbra lisce, pronte per tutto quello che ci dovevo mettere sopra.
“Mi spieghi
perché hai le labbra così rosse? È
impossibile far venire fuori un effetto
naturale!” dissi esasperata dopo diversi tentativi. Lei
sbuffò. “Se mi metto il
rossetto viola?” chiese poi. Io la guardai malissimo.
“No, scusami. Avevi il
rossetto viola, e sei stata zitta fino ad ora?!” esclamai.
Lei ridacchiò. “Mea
culpa” disse a bassa voce, porgendomi il rossetto. Io scossi
la testa.
Venti minuti
dopo, Cristine era pronta: i capelli erano stati
lasciati sciolti, trattenuti solo da una piccola tiara che serviva a
fissare il
velo. Le unghie erano bordeaux, come le labbra. Gli occhi erano poco
truccati,
avevo usato le ciglia finte ed ero convinta bastassero. Era strepitosa.
“Coco,
stai piangendo?” mi chiese. Io scossi la testa, mentre una
lacrima mi
attraversava il viso. “Oh, accidenti a te, se mi cola il
mascara ti picchio” dissi
tamponandomi la guancia. Lei ridacchiò. “Non
piangere che poi piango anche io
ed è un disastro” mi disse. Io la guardai
minacciosa. “Ti proibisco
di piangere” le intimai. Lei si mise a ridere e mi
abbracciò.
“Grazie per essere qui” mi disse. Io ricambiai
l’abbraccio, mentre sentivo
altre lacrime invadermi il viso.
L’ingresso
in chiesa di Cristine fu stupendo. Tutti i pochi
invitati erano rimasti senza fiato, e anche Daniel. Mi ero avvicinata a
Luke e
gli avevo citato: “La parte che mi
piace
di più dei matrimoni? Quando lo sposo vede la sposa. Il suo
sguardo è
impagabile, il più felice del mondo.”
Lui mi guardò sorridendo. “2
7
volte in bianco. Beccata” mi disse con uno schiocco
di lingua. Io
ridacchiai e tornai al mio posto, ai lati dell’altare. Ero
davvero al settimo
cielo. Avevo sempre sognato di poter assistere al matrimonio di mia
cugina,
fino a qualche tempo prima era il mio punto di riferimento in tutto ed
ero
desiderosa di assistere ad un matrimonio così strambo e,
come dire, ipnotico.
Ho sempre
trovato le cose da tutti definite dark o gothic
ipnotiche, quasi fossero un mantra. Ciò che per alcuni era
inquietante, per me
era rilassante. Certo, non ai livelli dell’industrial metal,
quello inquietava
pure me. Eppure, quel castello, il tema giardino proibito, i colori
cupi e il
profumo di rose e candele, mi facevano sentire bene, in pace col mondo.
Quasi due ore
dopo, eravamo tutti nella sala del ricevimento,
e con tutti intendevo quella trentina di persone che avevano avuto il
coraggio
di venire. Ad un certo punto, Cristine mi si avvicinò.
“Coco ti prego, ho
bisogno di un favore, ti giuro che ti faccio una statua grande quanto
questo
castello” mi disse implorante. “Cosa
c’è?” chiesi ridacchiando. “Ho
bisogno
della macchina fotografica e l’ho dimenticata in
camera!” mi disse. Io la
guardai a bocca aperta. “Oh. Molto bello” feci.
“Ti prego!” esclamò lei a voce
acutissima. “Ok, ok, ci vado!” risposi, alzandomi.
Lei mi abbracciò. “Lo sai
che ti amo, vero?” chiese. “Certo, lo sappiamo
tutti che in realtà Daniel è una
copertura e noi due siamo amanti” la presi in giro. Lei mi
fece una linguaccia,
mentre mi allontanavo. Ero certa di ricordarmi la strada. In tanti
anni, però,
non avevo ancora imparato una lezione importante: mai fidarsi della mia
memoria. Cinque minuti dopo, infatti, vagavo sperduta per i corridoi di
quel
palazzo enorme. Era inquietante, quasi quanto la mia scuola la sera:
ogni porta
che aprivo cigolava, i miei passi rimbombavano lungo il corridoio,
tutto era
buio e da fuori si sentiva il verso di una cornacchia che ci teneva
proprio a
terrorizzarmi. Il mio cellulare suonò. Wow, avevo davvero
campo? In questo
scenario da film horror, mi aspettavo di più un pazzo
assassino con maschera da
hockey che una tacca di campo. “Coco, dove sei
finita?” mi chiese Luke. “Non ne
ho idea” feci con voce tremante. “Non puoi dirmi
che ti sei persa!” rispose
esasperato. “Allora non te lo dico, ma è
così” feci. “Coco!”
esclamò. “Non è
colpa mia!” mi difesi. Lo sentii sospirare.
“Aspettami, vengo a cercarti” fece,
mettendo giù. Io sbuffai. Sembrava quasi che fosse un peso,
venire da me. Non
volevo che mi vedesse come un intralcio. Gli inviai un messaggio:
“Se ti disturbo
la trovo anche da sola la strada, grazie.” Lui rispose
subito. “No piccola, non
era questo che intendevo, solamente ero preoccupato, pensavo ti fosse
successo
qualcosa. Davvero, scusa se ho fatto intendere il contrario.
<3” Appena
finii di leggere, avevo gli occhi a cuoricino. Mi scappò un:
“Aaw!” intenerito.
Era un cucciolo. Un peluchoso cucciolo di pinguino. Feci una smorfia
stranita.
Com’è che mi era venuto in mente il pinguino?
Fui distratta
dai miei pensieri quando sentii dei passi in
lontananza. Era Luke, che chiamava a gran voce il mio nome. Il mio
cervello
criminale elaborò un’idea diabolica. Mi nascosi in
una porta a caso, vicina al
corridoio dove stava passando. Eccolo lì, che mi cercava.
Per un attimo, il mio
cuoricino tenero mi disse che no, non potevo farlo. Poi la mente
criminale ebbe
la meglio. Quando Luke mi passò davanti, aprii la porta di
scatto, gridando.
Lui fece un salto, terrorizzato, urlando. Non mi sarei sorpresa se
fosse finito
sul soffitto. Ci mise qualche secondo a riconoscermi, ancora
traumatizzato.
“Coco! Mi hai fatto prendere dieci infarti di
fila!” urlò, una mano sul cuore,
il fiato grosso. Io scoppiai a ridere. “E io che credevo che
tu fossi una brava
ragazza” fece, mettendo su un broncio adorabile.
“Sai cos’è una brava ragazza?”
chiesi. Lui scosse la testa. “È una cattiva
ragazza che non è stata ancora
beccata” risposi. Lui mi guardò, la bocca
leggermente aperta. “Non vale, è una
frase di una nostra canzone!” fece poi. Io mi misi a ridere,
di nuovo. “Ridi,
ridi. Intanto, se ti prendo ti rovino di solletico!” mi
minacciò. Io sgranai
gli occhi. Un attimo dopo, mi ero tolta le scarpe ed ero corsa via. Lui
mi
inseguì, mentre ridevamo come due deficienti. Attraversammo
tutto il castello.
Ad un certo punto, passai davanti alla stanza di Cristine, ma non
potevo
fermarmi, Luke mi stava alle costole.
Dopo non so
quanto tempo, avevo i polmoni in fiamme, la milza
era espatriata, le gambe chiedevano pietà. Mi voltai e vidi
che anche Luke era
messo male. Ad un certo punto, si fermò.
“Propongo… un… accordo” fece
col
fiatone, appoggiato al muro. Io mi bloccai, grata di quel secondo di
pausa.
“Ti… ascolto” risposi. Lui
aspettò qualche secondo di riprendere fiato. “Ok.
Tu
smetti di correre, e io non ti rovino di solletico, ma di
qualcos’altro” propose,
avvicinandosi a me. “Tipo, di cosa?” chiesi,
incerta. Lui sorrise e mi circondò
la vita con le braccia, attirandomi a sé. “Di
questi” sussurrò sulle mie labbra
prima di baciarmi dolcemente.
*Angolo autrice*
Chiedo scusa per l'immenso ritardo!!
ecco la location
grazie a tutti per essere arrivati fino a qui!
Ciaoo
Ranya
|
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Capitolo 12 *** Bring me to life. ***
Bring
me to life.
Un paio di
giorni dopo il matrimonio, eravamo tornati in Italia, e come promesso
Cristine
e Daniel erano venuti con noi. Alloggiavano ad un paio di isolati da
casa dei
ragazzi, in un hotel. Appena tornata, avevo trovato Tabitha sul
balcone. “Amore
mio perdonami!” l’avevo implorata. Lei, in tutta
risposta, mi era salita sulle
spalle. Perfetto, amiche come prima.
Tutto era
ricoperto di polvere. Sul mio letto avevo trovato un ragno enorme,
appena lo
avevo visto avevo cacciato un urlo terribile. “Cosa
c’è?!” aveva chiesto
Manuela. Io le avevo indicato il ragno. Eravamo in due ad urlare. Era
stato
grazie all’intervento di Carol, se quel ragno era stato
eliminato.
“Ragazze,
mi sono stancata di pulire!” esclamai io, crollando esausta
sul divano. Era
tutto il giorno che lavoravamo, e io non ne potevo più.
“Dai, pensa questo:
dopo ci sarà anche il negozio!” fece Carol
fingendosi entusiasta. Io
piagnucolai un qualche tipo di lamento non ben definito.
“Quando hai finito di
farti possedere dagli alieni, vieni qua che ci manca poco” mi
rimbeccò Manuela.
“Gne” risposi io, alzandomi di peso e trascinandomi
come uno zombie fino alla
cucina. Circa mezz’ora dopo, avevamo finito. “Cosa
mangiamo?” chiesi subito.
“Io non cucino. Si chiama una pizza” rispose Carol,
perentoria, quasi fosse per
noi un gran sacrificio. “Facciamo venire i
ragazzi?” chiese Manuela,
speranzosa. In quel mese, il rapporto fra lei e Michael era diventato
stupendo,
passavano un sacco di tempo insieme, abbracciati, a riempirsi di baci,
come
qualsiasi coppietta romantica degna di questo nome. Erano davvero
adorabili.
Carol
compose il numero di Ashton. Pure loro erano troppo carini, molto
simili a
Michael e Manuela.
Io,
invece, ero single, ma non mi creavo problemi a baciare Luke.
Non capivo
il rapporto fra noi. Non ci eravamo mai detti le fatidiche due parole e
questo
mi riempiva di dubbi. Io ne ero innamorata, certo, ma forse per lui non
ero
altro che un passatempo, oppure era già fidanzato con
qualcun’altra a mia
insaputa. Aiuto, che disastro.
“Arrivano
fra cinque minuti” disse Carol. Ci demmo una mano a preparare
la tavola a tempo
di record e andammo a cambiarci: eravamo rimaste in pigiama tutto il
giorno. Mi
misi in fretta la mia camicia di seta, color avorio, e dei leggins neri
pesanti.
Completai con la mia amata cravatta di paillettes nere, che essendo
corta era
adatta ad una ragazza. Una volta mi ero provata quella di mio padre, e
mi
arrivava al bacino, quindi no grazie. Mi misi un cardigan nero, faceva
comunque
freddo. Mi truccai in poco, tentando di mascherare le occhiaie, e
scesi. Mi
sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per cinque secondi, prima che i
ragazzi
suonassero. Sbuffai. “Non c’è un attimo
di riposo” mi lamentai, andando ad
aprire la porta. “Genio, il cancello!” mi
richiamò Ashton ridacchiando,
indicando la cancellata di ferro battuto color bronzo, ancora chiuso.
“Scavalcate!”
risposi io, svogliata.
“Accidenti, che accoglienza” mi fece il verso
Ashton. “Ragazzi, ho sonno,
capitemi” dissi torva, aprendo il cancello. “Calum
è con Maddy” mi informò
Michael, mentre andava al piano superiore per salutare Manuela.
“Occhio,
bussa!” lo avvertii. Lui annuì, sparendo su per le
scale con Ashton, che aveva
chiuso la porta. Luke, invece, mi fece sparire fra le sue braccia.
“Hai tanto sonno?”
mi chiese con tono tenero, come se si stesse rivolgendo ad una bambina.
Io
annuii, mugolando piano. “Andiamo sul divano,
allora” mi disse. Io misi i piedi
sui suoi e ci dirigemmo verso il centro della sala, dondolando da un
piede
all’altro come pinguini. Ridacchiai, mentre cadevamo sul
morbido. Mi scoccò un
bacio a stampo sulla fronte, sul naso, sulla guancia, ovunque,
facendomi
ridere. Prese il plaid e ci avvolse in esso. Io appoggiai la testa
sulle sue
gambe, mentre lui mi dava l’ennesimo bacio, stavolta sulle
labbra. Questo fu il
primo cui mi diede la possibilità di rispondere, gli altri
erano durati una
frazione di secondo. Iniziò a giocherellare coi miei
capelli, mentre io facevo
le fusa come un gatto. Si mise a ridere. “Meow”
risposi io. Avevo troppo sonno per
rimanere sveglia, così chiusi gli occhi, stendendomi su un
fianco. Lui mi
carezzò piano la schiena, per poi risalire fino al collo e
scendere lungo il
braccio. Al caldo, sul morbido, coccolata da Luke, ci misi poco a
scivolare in
uno stato di dormiveglia senza nemmeno accorgermene.
Fui
svegliata da Luke, che mi scuoteva leggermente. “Coco, sono
arrivate le pizze”
sussurrò. Io mugugnai una risposta, sbadigliando e
alzandomi. Lui mi guardò e
si mise a ridere, guadagnandosi una mia occhiata interrogativa.
“Hai tutta la
guancia rossa” mi disse. “Solo dettagli. Tutto il
mondo è fatto di dettagli che
ci vogliono distrarre da ciò che è
importante” dissi. “Wow, filosofa appena
sveglia!”
mi schernì Ashton, passando lì di fianco.
“Ma quanto sei simpatico, Ash?”
chiesi io, ironica. Lui ridacchiò. “Venite a
tavola, innamorati” ci disse. Io e
Luke diventammo paonazzi, abbassando lo sguardo. “Wow, non
pensavo di mettervi
in crisi, scusate” ci disse lui, sgranando gli occhi e
andando in cucina. Io e
lui rimanemmo qualche istante sul divano, incerti, poi lui si
alzò e mi porse
una mano, come per aiutarmi a rialzarmi. Io l’afferrai e mi
issai, sorridente.
Andammo in cucina, dove gli altri ci aspettavano. Notai che Manuela si
era già
presa metà della mia pizza, lasciandomi una metà
della sua. Sorrisi, pensando alle
nostre piccole abitudini che ci accumunavano.
Una volta
seduti a tavola, Carol accese la tv. Trasmettevano Ghost.
“No, ti prego, piango!” esclamò Michael.
Lo guardammo
sorpresi. “Ehi, anche io sono un essere umano. Le lacrime
sono normali!” si
difese. Io annuii. “L’ho sempre detto”
sostenni. Ashton guardò ancora un
secondo il film, poi chiese: “Voi che ne pensate, della vita
dopo la morte, o
cose del genere?”
“Non
so.
Credo nella reincarnazione. In una vita precedente sono stata una spia,
un
serpente e un’aquila, ne sono sicura” disse Carol.
“E da dove viene questa
certezza?” fece Manuela. “Non so. Credo che il
comportamento di questa vita
dipenda da quello che sono stata in passato”
spiegò. La conversazione strava
prendendo una piega molto culturale e la cosa era strana, per noi.
“Sono
d’accordo con te” fece Michael. “Io
invece credo nella vita dopo la morte.
Sapete, no? Paradiso, cose del genere. E anche la storia delle anime
che hanno
qualcosa in sospeso sulla Terra, per me non fa una piega”
disse Luke. Ashton e
Manuela furono d’accordo. “E tu,
Coralie?” mi chiese Luke. Io riflettei un
attimo. “Per me non ci sono altre vite. Si sopravvive nel
ricordo di chi ci ha
amati” dissi. Mi guardarono qualche secondo, come ad
assimilare le mie parole.
“È un pensiero molto profondo, Coco” mi
disse Ashton. “Molto stile Foscolo” aggiunse
Luke. “Può darsi. Mi piaceva molto, come
convinzioni” spiegai. Passò qualche
secondo. “Poeta preferito?” chiese Manuela.
“Pascoli” dicemmo subito io e Luke,
per poi guardarci e metterci a ridere. Gli altri snocciolarono nomi di
poeti,
fra cui Manzoni, Leopardi e altri poeti che non ricordo. La pizza
finì fra
discorsi più o meno seri. Il pomeriggio, io e Luke andammo
in camera mia. Avevo
una dormita in sospeso e non ci avrei rinunciato facilmente.
“Ragazzi, adesso
riposatevi, poi andiamo al cinema a vedere qualche film con Calum e
Madison!”
ci avvertì Manuela. “Ok, ok, chiamateci quando
dobbiamo andare” feci. Ci
chiudemmo in camera e mi sdraiai sul letto, caldo per via dei raggi del
Sole.
Lui tirò le tende, immergendo la stanza in una penombra
rilassante, e si sdraiò
accanto a me. Io mi accoccolai contro il suo petto, con un mugolio di
gola. Lui
ridacchiò. “A che ora ti sei svegliata?”
mi chiese. “Alle sei meno un quarto.”
“E
sei
andata a letto alle…?”
“Due
e
mezza.”
“Coco!”
“Non
riuscivo a dormire!” mi difesi. Lui mi circondò
con le braccia, affondando il
viso nei miei capelli e lasciandomi tanti piccoli baci. “Non
ti dà fastidio se
dormo, vero?” chiesi quasi dispiaciuta. “No,
cucciola, tranquilla” mi disse
sorridendo e dandomi un lieve bacio sulla fronte.
“Sicuro?”
“Sì.
E poi,
sei così tenera mentre dormi” aggiunse con un
lieve sorriso, cui io risposi
subito. Appoggiai la testa contro il suo braccio.
“Coco?”
“Sì?”
“Mi
stai
bloccando la circolazione” mi disse, come fosse imbarazzato.
Io mi alzai
subito, con mille scuse, facendolo ridere. Mi fece stendere di nuovo,
accanto a
lui, e mi carezzò piano il collo, facendomi rilassare. In
poco, come era
successo prima di pranzo, scivolai nel sonno. Stavolta,
però, sognai.
Sognai il
suo sorriso, i suoi occhi, i suoi baci.
Sognai
lui.
Sognai noi.
Mi
svegliai qualche ora dopo, al caldo fra le braccia di Luke, sotto la
coperta.
Era tanto dolce, quando dormiva. E quando faceva qualsiasi altra cosa.
Gli diedi
un lieve bacio sul naso, attenta a non svegliarlo. Non servì
a niente: nello
stesso momento, un tonfo assordante provenne dal piano di sotto. Lui si
svegliò
di scatto, spaventato, e fece scontrare le nostre fronti. Gemetti,
portandomi
una mano alla testa, mentre lui faceva lo stesso.
“Ahi!” feci. “Tutto ok?” mi
chiese preoccupato. “Sì, sì. Ma che
è successo?” ribattei. Ci guardammo un
attimo, prima di fiondarci al piano di sotto. “Che
succede?!” domandai.
“Niente. Non è successo niente, vero
ragazzi?” fece subito Manuela. Gli altri
le fecero eco. Stavano facendo da scudo con il corpo a qualcosa ed io
ero
decisa a scoprire a cosa. Io e Luke cercammo di aggirarli, senza
successo.
Manuela e Carol erano davanti a me, Michael e Ashton davanti a Luke. Ad
un
certo punto, mi stancai: mi buttai di peso fra di loro, aprendomi a
forza un
varco. Quando vidi cos’aveva generato quel tonfo, mi coprii
una mano con la
bocca. “Oddio” dissi. La chitarra di Luke era a
terra, un paio di corde rotte.
Anche Luke la vide e divenne bianco. “La mia
bambina!” urlò, gettandosi in
ginocchio di fianco alla chitarra. “Come è
successo?” chiesi. “Ehm, io stavo,
come dire, camminando velocemente, e l’ho urtata per
sbaglio” fece Ashton,
cauto. Luke si voltò verso di lui, stavolta rosso in viso.
“Ashton!”
gridò, alzandosi in piedi e
avventandosi su di lui, che lo schivò. Iniziò a
correre, inseguito da Luke. Non
avevo dubbi: se l’avesse preso, l’avrebbe ucciso.
“Luke, tranquillo, ti ho
detto che mi dispiace!” esclamò Ashton, dietro al
divano. “Hai fatto cadere la
mia chitarra!” rispose lui. “Perché
reagisce così?” chiesi a bassa voce a Michael.
“Quella chitarra è un regalo di suo nonno, che
adesso è passato a miglior vita.
Ci tiene davvero tanto” mi spiegò. Io non dissi
niente, mentre osservavo
l’istinto omicida di Luke all’opera. Carol prese la
chitarra, per evitare che
uno dei due la calpestasse. Nel giro di qualche minuto, suonarono alla
porta.
Erano Calum e Madison, che appena videro la scena, sbuffarono.
“Scommetto che
Ashton ha fatto qualcosa alla chitarra di Luke” disse Calum.
“Hai vinto” rispose
Manuela. Ad un certo punto, mi stancai. “Luke!”
urlai, quando passò vicino a
me. Lui mi guardò. “Non ora, Coralie” mi
rispose, mentre Ashton riprendeva
fiato. “Luke, le corde si possono sostituire! Non
è una tragedia!” dissi. Lui
sospirò. “Lo sa che deve farci
attenzione!” disse, duro. “Non l’ho fatto
apposta!” si difese Ashton, ancora dietro il divano. Luke si
voltò verso di
lui, fulminandolo con lo sguardo. Io, mentre Luke non guardava, mi
passai le
dita sotto la gola in un gesto secco, come se me la volessi tagliare,
facendo
gesto ad Ashton di stare zitto. Lui non disse niente, mentre io, con lo
sguardo, chiamavo Carol. Manuela e Michael, invece, si misero ai lati
del
divano, pronti a bloccare un altro eventuale attacco di Luke.
“Luke, se vuoi ho
io le corde. Non le uso, te le regalo, anzi, vado a prenderle subito,
però
calmati. Non puoi ucciderlo solo perché ha
sbagliato!” disse Carol.
Eravamo
una squadra infallibile, nel calmare le persone. Io tastavo il terreno
per
trovare le vie migliori, Carol le attraversava e abbatteva i muri sulla
sua
strada, Manuela conteneva eventuali altri attacchi.
Gli occhi
di Luke zampillavano di rabbia, ma anche d’indecisione. Carol
stava arrivando
al suo obiettivo. Gli strinsi la mano una volta: andava bene. Due
volte,
significava male. Lei annuì impercettibilmente, continuando
per la sua strada.
In pochi
minuti, Luke capitolò. Si voltò verso Ashton, lo
sguardo basso. “Mi… Mi
dispiace di averti assalito” disse. “E a me di aver
fatto cadere la tua
chitarra” rispose lui, mesto.
Sembravano
due bambini rimbeccati dalla maestra.
“Adesso,
ragazzi, possiamo andare a vedere il film, o dobbiamo rimanere in casa
a
deprimerci?” chiese Calum. “Cosa si va a
vedere?” chiesi. “È un film uscito da
un po’, ma questo cinema proietta dopo anni. L’amore
non va in vacanza, si chiama” spiegò
Madison. “Mai sentito”
dissi. “Ok, andate a prepararvi, avete – e
controllò l’orologio – cinque
minuti” ci disse poi. “Tu sogni, cara!”
rispose Carol ridacchiando.
Venti
minuti dopo, eravamo in macchina. “Vi avevamo detto cinque
minuti, non un
quarto d’ora!” esclamò Calum, al
volante. Erano in ritardo. Luke fece
spallucce, con me sulle sue gambe. Mi cingeva dolcemente da tutto il
viaggio,
lasciandomi piccoli baci, di tanto in tanto, sul collo. Si era scusato
mille
volte per come si era comportato, sia con Ashton che con, soprattutto,
me.
Diceva che era stato uno stupido a perdere così il controllo
e se ne vergognava
tantissimo. Lo vedevo dai suoi occhi, quanto si sentiva male. Teneva lo
sguardo
basso e si torturava le mani.
Ad un
certo punto, mi stancai di vederlo così contrito. Gli presi
una mano e iniziai
a disegnarci sopra figure immaginarie, fino al polso. Sentivo che
cercava di
ritrarsi e che fremeva, probabilmente soffriva il solletico. Mi venne
da
sorridere quando, di scatto, si grattò la mano per placare
la sensazione di
prurito che quei miei gesti, lo sapevo, portavano. Mi voltai verso di
lui e gli
diedi un bacio a fior di labbra, cui lui rispose subito,
approfondendolo.
Sapeva di buono. “Ragazzi, mi dispiace interrompervi, siamo
arrivati” ci disse
Madison. Scendemmo dall’auto, alla ricerca degli altri, che
erano andati con la
macchina di Carol.
Prendemmo
in fretta i biglietti e ci sedemmo in sala. Era praticamente deserta,
segno di
quanto quel cinema era amato.
Il film
era bello, davvero, mi ripromisi di prenderlo o di chiedere a Carol se
ce
l’avesse in negozio. Mi misi a piangere in alcuni punti,
addirittura. Luke,
quando vide le mie lacrime, sorrise e mi strinse la mano, stretta a cui
risposi
subito. Alla fine, ero una fontana. “Non si può,
non posso avere le lacrime
così facili!” esclamai alla fine, esasperata. Luke
mi circondò la vita con un
braccio. “Non c’è niente di male
nell’essere sensibili” mi disse. La sua voce
mi fece venire un dubbio, così mi voltai verso di lui.
Sorrisi. “Hai pianto
anche tu?” chiesi. Lui ridacchiò prima di annuire.
“Siete fatti l’uno per
l’altra” ci disse Manuela con tono da melodramma
che voleva essere uno scherzo.
Risi sotto i baffi, sapevo cosa pensasse della questione
“sensibilità.” Luke mi
imitò, prima di sussurrare un lieve: “Lo
so” che mi fece avvampare. Manuela si
trattenne dal ridere nel vedermi così rossa e
saltellò via. Quella scena me ne
ricordò tanto un’altra.
Ero ad una
festa, di quelle in casa,
ma simile ad una in discoteca. Era la festa di carnevale, ma fatta
l’otto
maggio, quindi tutti i ragazzi avrebbero dovuto vestirsi da donna. Alla
fine,
su quindici, solo uno ne aveva avuto il coraggio. Stavamo aspettando
gli ultimi
due, che in teoria avevano rispettato la regola del costume, quando
suonarono
al cancello. Da lontano – la mia vista non è mai
stata messa bene – avevo visto
quelle che sembravano due, ehm, prostitute. “No, non possono
essere loro. Le
avranno chiamate i vicini.” Dissi alla padrona di casa, che
concordò con me,
dato che il cancello era uno per tutta la via. Magari quei due erano
rimasti
indietro.
Fu quando uno
si mise a saltellare e
a gridare: “Heidi! Heidi! Le caprette ti fanno
ciao!” che capimmo che sì, erano
loro.
Mi
ricordavo benissimo quante risate, quella sera, ci avevano strappato
quei due
matti. Ogni volta che vedevo qualcuno saltellare, mi veniva in mente
lui che
cantava Heidi. Mi misi a ridere da sola. “Perché
ridi?” mi chiese Luke. Manuela
mi guardò storta. “Tu pensi ancora a Svetly e
Uga?!” mi chiese. Io risi di
nuovo mentre annuivo. “Svetly e Uga?” Luke era
sempre più confuso. Manuela gli
spiegò tutto. “Poi quando abbiamo chiesto i loro
nomi uno ha fatto un piccolo
inchino e ha detto con voce tutta affettata e acuta: Svetlaaana!
L’altro ha
fatto lo stesso, poi ha detto con la voce di King Kong: Ugaaa! Dovevi
esserci,
erano una cosa fantastica, hanno fatto le cubiste per tutto il tempo,
era
troppo divertente!” spiegò. Luke era a
metà strada fra il divertito e
l’attonito. “Ridete, ridete, io intanto parlavo con
Sara. Sapete che fra sei
mesi c’è un’altra festa?”
chiese Carol. Io e Manuela ci illuminammo, Luke
aggrottò la fronte. “Fra sei mesi? E lo sapete
adesso?” chiese Ashton. “Sì, ci
dava sempre un larghissimo preavviso. Abbiamo saputo di quella della
fine della
scuola ad Halloween” spiegai. “Tema?”
fece invece Manuela. “Cantanti famosi” disse
Carol. Io esultai, aspettavo quella festa – avevo dato io
l’idea – dalla prima
liceo. “Mi dispiace di non poter venire, avrei voluto
vedervi” fece Madison.
Carol fece una faccia strana, quella di quando escogitava qualcosa.
“Peccato
che abbia già fatto carte false per cinque posti in
più…” disse con fare
diabolico. Esultammo. “Perfetto, allora sappiamo cosa faremo
fra sei mesi” disse
Calum. Ridacchiammo, la sua frase sapeva tanto di presa in giro.
Arrivammo
a casa nostra, dove Carol e Ashton si chiusero in cucina.
“Però preparate da
mangiare, non fate altro!” fece Madison, affamata.
“Certo!” fece Carol. La sua
parola venne soffocata da quello che con ogni probabilità
era un bacio.
“Mangeremo domani sera” dedussi io. Luke non disse
niente, stava sistemando le
corde della sua chitarra. Era davvero bella e la trattava con una cura
inimmaginabile. Non avendo niente da fare, andai al piano di sopra e
accesi il
computer. Andai subito su Internet, una playlist che avevo trovato
tempo prima.
“Come si chiamava?” mi chiesi da sola. Provai a
digitare “Gothic Metal”, senza
trovare ciò che cercavo. “Ascolti gothic
metal?” mi chiese Luke alle mie
spalle. Io sussultai, non mi ero accorta della sua presenza.
“Mi hai fatto
prendere un infarto” dissi, mentre si sentivano le prime note
di Bring me to life. “Mi
piacciono gli
Evanescence” dissi poi, chiudendo gli occhi.
“Sì, non sono male” fece Luke,
avvicinandosi alla tastiera. “Posso?” chiese. Io
annuii e lo vidi digitare: “Evanescence
– My Immortal”.
“Com’è
che
hai scoperto il Gothic Metal?” mi chiese. “Non so.
Ho avuto un periodo in cui
ascoltavo solamente canzoni tetre, e mi è passata fra le
mani la musica di Forgotten. Ero
ipnotizzata, quindi ho
cercato un genere che potesse assomigliarci. Su internet ho letto del
Gothic
Ambient e ho provato, ma non faceva lo stesso effetto, era troppo
tranquillo.
Poi ho visto una copertina degli Evanescence e ho indagato, ho visto
che il
loro genere è più che altro Gothic Metal e ho
fatto ricerche. Ho letto ogni
cosa che ho trovato e ho visto che corrispondeva perfettamente a quello
che
cercavo” spiegai. “Mi sono perso al Gothic
Ambient” mi disse Luke dopo qualche
secondo, leggermente imbarazzato. Io mi misi a ridere, mentre lui
faceva
partire My Immortal. Era davvero
bella, quindi alzai il volume. Sentimmo dei passi frettolosi sulle
scale e
Manuela apparve da noi. “Oddio io vi amo, questa canzone la
stavo cercando
ovunque!” esclamò, lanciandosi di peso sul mio
computer per leggere il titolo.
Io mi misi a ridere. Luke mi fece cenno di andare e io lo seguii.
Uscimmo di
casa, attraversammo la strada e ci ritrovammo al parco. Uno dei tanti
vantaggi
di vivere di fianco ad uno spazio verde. In poco, ci ritrovammo da
soli, al
buio, in mezzo all’erba. “Sai che al matrimonio
volevo proporti di ballare?” mi
chiese. Io arrossii. “Ma poi sei sparita, e ci siamo
ritrovati a giocare per i
corridoi” disse con un sorriso. Divenni ancora più
paonazza. Lui tirò fuori il
cellulare e da esso uscirono le note di Bring
me to life. “Quindi, ti va se proviamo
ora?” chiese poi sorridendo
speranzoso. Il suo sguardo così luminoso mi fece distendere
in un sorriso.
Accettai, mentre d’istinto le parole venivano fuori dalle mie
labbra.
How
can you
see into my eyes
Like
open
doors?
Leading
you
down into my core
When
I’ve
become so numb
Without
a
soul
My
spirit is
sleeping somewhere cold
Until
you
find in there
And
lead it
back home.
Lui
ridacchiò e mi prese una mano.
Wake me up.
Cantò
solo. Sapeva bene che avrei continuato, e infatti fu così.
Wake
me up
inside
(I
can’t
wake up)
Wake
me up
inside
(Save
me)
Call
my name
and save me from the dark
(Wake
me up)
Bid
my blood
to run
(I
can’t
wake up)
Before
I
come undone
(Save
me)
Save
me from
the nothing I’ve become.
Mentre
cantavamo, ci eravamo messi a ballare quello che doveva essere
un’imitazione di
un misto fra valzer, tango e altri balli che non sapevo identificare.
Ci venne
da ridere. Finimmo la canzone con un casqué, che ci vide
entrambi a terra.
Cadde sopra di me, mozzandomi il fiato. “Stai
bene?” mi chiese allarmato. Io
annuii, rialzandomi. Era caduto proprio su un punto del petto non
particolarmente simpatico, faceva male. Cercai di dissimulare il dolore
per non
farlo preoccupare. Lui mi abbracciò.
“Scusami” mi disse, lasciandomi un piccolo
bacio sulla curva del collo, dove sapeva che mi faceva impazzire.
“Tutto ok,
davvero” lo rassicurai. Lui rimase qualche secondo in
silenzio, poi: “Guarda in
alto” mi disse. Io obbedii e rimasi senza fiato: il cielo era
nero, senza una
nuvola, e le stelle si vedevano benissimo, chiare e luminose. Mi
abbracciò più
forte. Abbassai lo sguardo verso di lui e vidi che sorrideva,
guardandomi.
“Cosa c’è?” chiesi.
“Le stelle si riflettono nei tuoi occhi, sembrano brillare
insieme a loro” mi sussurrò. Io arrossi e abbassai
lo sguardo. “È quando guardo
il cielo che mi sento così… piccola”
dissi poi. Lui rimase in silenzio qualche
secondo e mi prese il viso fra le mani. “Tu non sei piccola.
Sei la mia piccola, e sei
bellissima” mormorò
prima di baciarmi.
*Angolo
autrice*
Mi
scuso per il capitolo orribile
Ecco
il cielo che vedono
Grazie
a tutti quelli che recensiscono e mettono la storia fra le
preferite/seguite/ricordate, grazie davvero <3 <3
<3
Ciao
a tuttii
|
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Capitolo 13 *** I love you ***
I
love you.
La mattina
dopo, ricevetti una nuova lettera, sempre da Emmaline.
Sistematicamente, finì
insieme alle altre sul ripiano dietro al cigno di vetro senza nemmeno
essere
aperta. Non ero pronta, continuavo a ripetermi. Ma lo sarei mai stata?
Mentre mi
stavo vestendo, ricevetti un messaggio da Luke: “Ciao
piccola, come stai?”
sorrisi e digitai in fretta un: “Bene, tu?
<3”
“Benissimo
<3 preparati, oggi usciamo :)”
“Non
lo
facciamo ogni giorno??”
“Sì,
ma
stavolta siamo solo noi due <3”
A quelle
parole, il mio cuore accelerò. Mi piaceva l’idea
di passare del tempo da sola
con lui. “Un indizio? <3”
“C’entra
la casa degli specchi <3”
“Il
Luna
Park?!”
“Esatto
piccola ;)”
Esultai,
preparandomi in fretta. Adoravo quel posto. Presi una borsa a tracolla
minuscola e ci misi dentro giusto il portafoglio e il cellulare,
più altri beni
di prima necessità. A volte mi spaventava il fatto che in
quella borsa così
piccola potessero entrare più cose che in quella grande, ma
questo era uno dei
tanti super poteri del genere femminile.
Suonarono
al campanello e io corsi di sotto. “Coco, è
Luke!” urlò Carol per farsi
sentire. Non fece in tempo ad aprire la porta, che io ero
già fuori, fra le
braccia di Luke. “Pinguino!” esclamai. Luke si mise
a ridere. “Da dove viene
questo soprannome?” mi chiese. “Non lo so, ma mi
piaceva” feci io con noncuranza.
Lui rise di nuovo. “Ok, ok” concesse poi.
“Andiamo, piccola?” chiese. Io
annuii, ma non accennai a staccarmi da lui. Lui ridacchiò.
“Vuoi la guerra!” dedusse
poi. Mise un braccio sotto le mie gambe e mi sollevò a
principessa, facendomi
ridere. “Luke, mettimi giù!” feci.
“No!” rispose lui. Mi portò verso la
macchina di Ashton – che avevamo preso in ostaggio per
l’occasione – e mi
sistemò sul sedile, dandomi un bacio a stampo sulle labbra.
Era così tenero,
quando faceva così!
“Coco,
mi
lasci?” chiese. Io scossi la testa, saldamente aggrappata al
suo collo. “Koala,
dobbiamo andare!” esclamò. Io ridacchiai, decisa a
non lasciarlo. “Piccola?”
“Sì?”
“Se
non mi
lasci, non si va al Luna Park” mi disse con un sorriso furbo.
Io lo lasciai
subito, sistemandomi sul sedile. Lui scoppiò a ridere.
“Su, su, su!” esclamai,
elettrizzata. Lui ci mise apposta un sacco di tempo prima di partire,
tanto che
io misi su un broncio offeso che lo fece sorridere. “Coco, mi
guardi?” mi
chiese. Io scossi la testa e lui mi slacciò la cintura di
sicurezza, per poi attirarmi
sulle sue ginocchia. Iniziò a lasciarmi piccoli baci sul
collo, che mi fecero
sciogliere. Accidenti, ero troppo vulnerabile. Non poteva farmi
capitolare con
un semplice bacio, non andava bene! “Coco?” mi
chiamò di nuovo, dolcemente.
Decisi di ignorare quei piccoli brividi che partivano lungo la mia
schiena ad
ogni sua parola: ero offesa – o almeno tecnicamente
– e per una volta volevo
rimanerlo. Era più che altro una sfida con me stessa, che
durò poco: lui
infatti, voltò il mio viso con un dito e mi diede un lungo
bacio a stampo. “Ora
mi parli?” chiese. “Solo quando arriveremo al Luna
Park” feci io. “Hai parlato.”
“Ma
non
vale! Era per avvertirti!”
“Hai
parlato di nuovo!” fece con un sorriso divertito. Io feci un
verso di
disapprovazione e mimai il chiudermi la bocca con una cerniera.
“Ok, ok,
andiamo” disse lui ridendo.
Arrivammo
al Luna Park dopo circa una ventina di minuti. Io mi fiondai subito
giù
dall’auto mentre era ancora in movimento per parcheggiare.
“Coco, non farlo
più!” esclamò Luke contrariato. Io non
risposi e iniziai a saltellare sul posto
appena vidi le montagne russe. Ero troppo eccitata, il Luna Park mi
faceva
questo brutto effetto. “Vuoi stare ferma?!” mi
chiese Luke ridendo. Io scossi
la testa. “Dove andiamo per prima cosa?” chiesi.
Lui seguì il mio sguardo. “Non
so perché ma il mio istinto mi dice che vorresti andare
sulle montagne russe” fece.
Io mi misi a ridere. “Istinto o sguardo?”
“Un
po’
entrambi.”
“Stai
imparando a leggere le persone pure tu, eh?”
“No,
riesco solo a leggere te” mi disse, circondandomi la vita con
un braccio. Io
appoggiai la testa alla sua spalla, crogiolandomi in quel momento di
coccola.
Ad un certo punto, vidi una cosa che mi fece trasalire. Presi dalla
borsa i
miei occhiali da vista – eh già, da lontano ero
una talpa – e li inforcai in
fretta. Luke mi guardò e trasalì.
“Quando te li sei messi?! Un attimo fa non ce
li avevi!” fece stupito. “Quelli non sono Manu e
Michael?!” chiesi io invece. Lui
seguì il mio sguardo e rimase a bocca aperta.
“Sì!” fece poi. Io non dissi
niente e lo trascinai più vicino alla coppia. I due erano su
una panchina,
abbracciati, che si scattavano una foto tenendo un enorme peluche di un
elefante
in mezzo a loro. Il peluche in questione reggeva un cuore rosso e
paffuto con
scritto I Love You.
“Quanto sono
teneri!” esclamai. Lui annuì, mentre ci
appostavamo dietro lo stand dello
zucchero filato. Un momento. Stand dello zucchero filato?! In un
istante, il
problema del nascondersi divenne superficiale: ero già in
fila. Luke mi guardò
stranito. “Coco.”
“Sì?”
“Non
dovevamo nasconderci?”
“Certo.”
“E
perché
sei allo stand dello zucchero filato?” mi chiese. Io sorrisi,
mentre l’uomo al
di là del carrello mi consegnava la mia nuvola di zucchero
filato. “È la mia
copertura!” esclamai, portandomi lo stecco davanti al viso.
“Così si può
camminare da nascosti!”
“E
come
fai a vedere loro?” mi chiese subito lui. Io tentennai.
“Questi sono solo
dettagli!” feci poi con sussiego. “Non ci avevi
pensato.”
“Nemmeno
un po’!” ammisi ridacchiando. Lui si mise a ridere
e mi rubò un pezzo di
zucchero filato. “Ladro!” lo accusai subito,
possessiva, facendolo ridere
ancora di più. “Dai, è tanto
buono!” fece con faccia da cucciolo. Aiuto, non
potevo resistere. Questo era giocare sporco, ma davvero sporco.
Dieci
minuti dopo, avevamo deciso di lasciare un attimo Manuela e Michael da
soli e
ci eravamo diretti verso le montagne russe, dopo aver finito lo
zucchero
filato. Il mio problema: quando le vedevo, avevo l’adrenalina
al massimo, poi
sopra mi prendevo un infarto ad ogni scossa, immaginando il vagone che
si
stacca dal binario e viene lanciato a terra. Quando salimmo, ero
nervosa, come
al solito. Luke lo notò e mi strinse la mano.
“Piccola, tutto bene?” mi chiese.
Io annuii, poco convinta. “Hai paura?” mi chiese
poi, capendo il mio stato
d’animo. “Va tutto bene, poi mi passa” lo
rassicurai. Lui mi circondò
nuovamente la vita, come se non riuscisse a lasciarmi per nemmeno un
secondo, e
io gliene fui grata. Quando il vagone partì con uno
strattone,
involontariamente sussultai. Lui ridacchiò e mi diede un
bacio sulle labbra,
sussurrando un: “tranquilla” a mezza voce.
Risultato?
Quando ci fermammo, io feci un salto per aria, entusiasta ed
elettrizzata, con
l’adrenalina che mi scorreva a fiotti nelle vene e mi
inebriava il cervello.
“Rifacciamolo!” urlai. Luke mi prese la mano e mi
trascinò via, pallido come un
fantasma e rigido. “Non ci penso nemmeno!” mi
disse. Io scoppiai a ridere. “Hai
paura?” chiesi, imitando il suo tono di prima. Lui
annuì in fretta e io lo
abbracciai. Mi piaceva stare fra le sue braccia. Era una mia
impressione,
sicuramente, ma mi sembrava che il mio corpo fosse fatto apposta per
perdersi
nella sua stretta. Era una sensazione stupenda, sentirsi
così protetta, che non
credevo di poter mai provare.
“Coco,
voltati molto lentamente” mi disse lui, dal suo tono capivo
che stava
sorridendo. Io obbedii e la scena mi fece esclamare un:
“Aw!” intenerito:
Michael e Manuela erano seduti su un muretto, a baciarsi dolcemente, il
peluche
abbandonato di lato. Erano così dolci, si vedeva che erano
innamorati. Ad un
certo punto, scesero dal muretto e andarono verso la ruota panoramica.
Michael
teneva un braccio attorno alle spalle di Manuela, lei invece avvolgeva
il suo
attorno alla vita di lui, appoggiandosi con la testa alla sua spalla.
“In
quella posa si vede proprio quanto sono innamorati”
commentò Luke. Io sentii un
tuffo al cuore alle sue parole.
Forse non
se ne era reso conto.
Ma noi
eravamo esattamente nella stessa posizione.
“Dove
andiamo?” chiesi io. Per un po’, avevamo deciso di
lasciare un pizzico di
privacy a Michael e Manuela, per dedicarci al Luna Park.
“Prima hai scelto te,
adesso tocca a me” decise Luke. Io acconsentii e lui mi
portò fino ad una di
quelle giostre che girano così veloce che si fa fatica a
rimanere attaccati al
sedile. “Bellissimo!” esclamai io, ancora esaltata.
Quando ci
salimmo, lui mi fece mettere verso l’interno.
“Così non ti schiaccio” mi
spiegò.
“Però ti schiaccerei io” gli feci
notare. “Una volta, al tuo posto, c’erano
Ashton, Michel e Calum, e non sono morto. Quindi, posso reggere
qualsiasi peso”
mi disse ridacchiando. Io dovetti acconsentire: arrivò il
controllore che
chiuse il nostro vagoncino.
Mentre la
giostra andava, io mi dovetti sforzare per tenermi aggrappata alla
sbarra di
fianco a me. Mi veniva da ridere, sentivo i piedi che lottavano per non
staccarsi da dove li avevo puntellati e tutto il mio corpo sembrava
voler
schizzare fuori dal vagoncino. Luke non era messo meglio, ma almeno si
poteva
appoggiare al bordo. Ad un certo punto, mi voltai verso di lui e lo
vidi con un
sorriso diabolico dipinto sul viso. “Cosa vuoi
fare?” chiesi allarmata. Lui, in
tutta risposta, iniziò a farmi il solletico.
“Luke!” urlai, divincolandomi in
preda alle risate. Dopo pochi secondi, mi arresi e abbandonai la presa
sulla
sbarra. Finii di peso su di lui, che fu pronto a sorreggermi. Lo vidi
sorridere, soddisfatto di aver raggiunto il suo obiettivo, mentre mi
stringeva
forte.
Poteva
sembrare stupido, ma così, non avevo più paura di
cadere.
Circa tre
ore dopo, tornammo a casa. Trovammo i ragazzi già
lì, compresi Michael e
Manuela. “Dov’eravate?” ci chiesero.
“Al Luna Park.” Dicemmo con nonchalance.
Loro sgranarono gli occhi. “E voi?” feci con fare
innocente. “Ehm… al centro
commerciale!” disse Manuela in fretta. Io e Luke ci
trattenemmo dal ridere.
Luke si avvicinò al mio orecchio. “Non dire niente
dell’ananas!” mi sussurrò.
Io annuii: al Luka Park, avevamo comprato due spiedini di ananas
ricoperti di
cioccolato bianco e cioccolato al latte. Ne avevamo assaggiato un
pezzo, ma ci
si era sciolto in mano il cioccolato, quindi avevamo deciso di portarlo
a casa
e metterlo in frigo. Era comunque strepitoso.
Mentre
Luke andava in cucina, Ashton mi si avvicinò.
“Posso parlarti? In privato?” mi
chiese. Sembrava serio. Io annuii incerta e ci dirigemmo al piano di
sopra, in
camera mia. “Ti piace Luke, si vede. Ma devo chiederti una
cosa” iniziò lui. Io
acconsentii di nuovo, senza sapere cos’altro fare. Lui si
sedette di fianco a
me. “Sai, vero, che una volta entrata in questa storia, non
potrai più
uscirne?” mi chiese. “Quale storia,
scusa?”
“Una
volta
che conosci Luke, che diventi sua amica. Non puoi più
tornare indietro” mi
spiegò. Io ridacchiai. “Nel senso che, una volta
che ci faccio amicizia,
diventa una specie di vampiro succhia sangue che mi
prosciugherà?” chiesi. Lui
rise sotto i baffi. “No. Nel senso che, appena lo conosci,
non riesci più a
liberarti di lui. Diventi dipendente dell’affetto che ti
ispira. Diventi
dipendente da lui. Fidati, io non
riesco più a farne a meno” mi spiegò,
con un lieve sorriso. Io sorrisi a mia
volta e mi alzai. “Grazie del consiglio, Ash. Ma sono
già troppo dentro per uscirne,
anche se lo volessi” dissi solo.
“Coco,
andiamo?” mi chiese Luke. “Dove?” feci
io. Non era ancora stanco? Dopo più di
quattro ore passate in giro, il mio unico desiderio era di andare in
letargo
per il resto della giornata, ma lui doveva essere a pile nucleari. Non
avevo
altre spiegazioni.
“Niente
domande!” ribatté lui raggiante, prendendo la mia
mano e portandomi verso la
macchina. Salutammo gli altri e io mi strinsi ancora a lui. Sembrava bisognoso di contatto fisico, come se il
tenersi stretto a me lo facesse sentire sicuro.
Perfetto,
dato che era la stessa cosa che sentivo io.
Capii
subito dove stavamo andando appena mi resi conto che quella strada
l’avevo già
percorsa. Mi aprii in un sorriso enorme. “Hai capito dove
siamo?” mi chiese
Luke sorridendo impaziente. Io annuii al settimo cielo.
Anzi, non
ero ancora al settimo cielo. Prima avevo le scale del grattacielo da
fare.
Come avevo
capito, parcheggiò davanti al grattacielo dove ci aveva
portato Madison. “Tu
oggi vuoi farmi morire!” dissi, emozionata. Non potevo
aspettare per provare di
nuovo tutte quelle sensazioni. Lui ridacchiò e si strinse
ancora a me, mentre
aprivamo la porta dimessa del grattacielo, facendo attenzione ad
evitare i
vetri rotti e tutto il resto. Salimmo in fretta le scale, tanto che
quando
arrivammo alla fine avevamo il fiatone. “Prima o poi dovremo
vedere se
l’ascensore è ancora agibile” dissi fra
un sospiro e l’altro. Lui concordò,
mentre la vista mi catturava di nuovo. Era sempre uno spettacolo unico,
ogni
volta che guardavo notavo qualcosa che prima mi era sfuggito. Luke si
affacciò
dal muretto, come avevamo fatto l’altra volta, imitato da me.
Notammo un punto
del bordo su cui era possibile sedersi senza rischiare di cadere. Luke
ci si
avvicinò subito, mentre io ero più titubante.
“Luke, soffro di vertigini” dissi
inquieta. “Eppure prima non avevi problemi” fece
notare lui, confuso. “È che
sapere di avere una ringhiera davanti mi calma. Invece lì
potrei prendermi un
infarto” risposi. Lui non obiettò e scese dal
muretto, per poi sedersi al
centro del tetto. “Vieni?” mi chiese. Io mi
avvicinai subito, sparendo fra le
sue braccia. Lui mi alzò il mento con un dito e mi
baciò teneramente, bacio che
io ricambiai subito, approfondendolo. Ci ritrovammo stesi a terra, ma
non
importava molto a nessuno dei due. Quando ci staccammo, il nostro
sguardo finì
sul cielo. Era ancora azzurro, ma le nuvole erano tinte di mille colori
caldi a
causa del Sole, che si stava lentamente tuffando dietro
l’orizzonte. Dire che
era bello era riduttivo.
“Coco?”
“Sì?”
“Ti
capita
mai di tenerti qualcosa dentro, qualcosa che vorresti gridare al mondo
ma hai
paura di sapere come potrebbe reagire?” mi chiese. Io
trasalii impercettibilmente,
prima di annuire. “E cosa fai, quando non riesci
più a tenerlo dentro?” mi
chiese di nuovo. Io feci spallucce. “Diventa inchiostro su un
foglio bianco” dissi
io. “Quante pagine hai scritto, così?”
“Tante.
Circa sette quaderni di sfoghi.”
“E
dopo ti
senti meglio?”
“Non
del
tutto… rimane sempre qualcosa, di cui non riesci a
liberarti” risposi. Luke
rimase in silenzio un attimo. “Che ne dici se adesso lo
urliamo al mondo?” mi
domandò poi. Io annuii e ci alzammo. Sapevo già
cosa volevo urlare: quanto mi
mancava mia sorella, quanto sentivo un pezzo di cuore sbriciolato da
quando non
mi aveva riconosciuta. Volevo gridare tutto questo, ma avevo bisogno di
trovare
le parole giuste. Alla fine, mi sporsi, presi fiato e urlai
semplicemente: “Mi
manchi, Emma!”
Luke mi
guardò e mi strinse una mano. “Questo volevo dirlo
da un po’. Ma non ne ho mai
trovato il coraggio.” Si sporse, fece per prendere
fiato… ma si bloccò.
Sembrava paralizzato.
“Oh,
al
diavolo questa idea!” sbottò poi, avvicinandosi a
me e baciandomi.
“Ti
amo,
Coco” soffiò sulle mie labbra quando si
staccò.
Io rimasi
immobile, col cuore che sembrava voler balzare fuori dal petto. Lui mi
guardò
titubante. “Ecco, non dovevo dir…”
Non fece
in tempo a finire. Io avevo già catturato di nuovo le sue
labbra, in un bacio
dolce. “Anche io ti amo” dissi solo. Lo sentii
sorridere nel bacio, mentre
ricambiava. Interruppe il nostro bacio e sussurrò:
“Ti amo – mi baciò sul naso
– ti amo – sulla guancia – ti amo
– sulla fronte – ti amo – sullo zigomo
– ti
amo – sulle labbra – e ti amo. Finalmente
l’ho detto.” Io sorrisi ancora,
mentre una piccola lacrima mi bagnava il viso.
Non poteva
essere vero.
Eppure, se
quello era un sogno, avrei ucciso chiunque avesse osato svegliarmi.
Mormorai
un nuovo: “Ti amo” sulle sue labbra, prima di
baciarlo di nuovo.
Finalmente,
mi ero liberata di quelle parole.
Finalmente,
mi sentivo davvero bene.
*Angolo autrice*
sorry per il capitolo orribile e in ritardo
ecco il peluche
ciao a tutti!!
Ranyadel
|
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Capitolo 14 *** remember when ***
Remember when
Mi svegliai
avvolta in un tenero abbraccio. Sorrisi
quando aprii gli occhi e mi ritrovai davanti a Luke, che dormiva. Le
parole
della sera precedente echeggiavano ancora nelle mie orecchie e non
sembravano
intenzionate ad andarsene. Per fortuna, perché non intendevo
lasciarle andare
facilmente.
Tentai di
svegliarlo con un piccolo bacio sulla
fronte. A dire il vero, ci misi un po’ di più,
tanto che per un attimo
considerai l’idea di lasciarlo dormire in pace. Guardai
l’orologio, erano le
sette e mezza. Mezz’ora dopo sarei dovuta essere al lavoro,
dopo tanto tempo,
così mi alzai, facendo attenzione a non svegliarlo. Di
solito riuscivo subito,
quindi, se non si svegliava, significava che era davvero stremato. Mi
vestii in
fretta e scesi al piano di sotto, dove trovai Manuela e Carol
già in piedi, che
sorseggiavano caffè. “Giorno!” dissi,
mentre mi avvicinavo al ripiano di marmo,
dove la sera prima avevo lasciato in infusione il mio tè di
karkadè. “Io l’ho
sempre detto, che sei una vampira!” mi disse Carol quando mi
vide bere il
liquido rosso. Ridacchiai, mentre cercavo i miei biscotti, e sottolineo
miei. Sentii dei passi sulle scale e
Luke fece la sua entrata in cucina, assonnato. “E tu che ci
fai qui?!” esclamò
Manuela, attonita. Io e lui ci mettemmo a ridere. “Ho dormito
qui, siamo
tornati tardi ed eravate già a letto”
spiegò. “Si spiega tutto” disse Carol
con
un risolino. Io mi fiondai fra le sue braccia. “Ciao,
amore!” mi sussurrò.
“Amore?! What?!”
fece Carol. “Ok, ne
parliamo dopo!” liquidai in fretta la sua domanda. Andammo in
sala, dove
potevamo stare da soli. Lo baciai dolcemente, ancora avvolta fra le sue
braccia.
“Perché in piedi così in
fretta?”
“Dobbiamo
andare al lavoro.”
“Me ne
ero dimenticato” mi disse.
Circa
un’ora dopo, eravamo in negozio. Luke ci aveva
lasciato da sole, dicendo di avere un impegno. In effetti, era meglio,
per la
mia attività: non mi sarei concentrata, con lui.
Accesi il
computer, dato che non avevo niente da fare,
e inserii la chiavetta che mi portavo sempre dietro. Iniziai a
curiosare nelle
foto, trovandone molte che non ricordavo nemmeno di avere. Ad un certo
punto,
trasalii: avevo trovato una foto di me ed Emma da piccole. Avevo dieci
anni,
lei tredici, ed eravamo al parco, dove ci divertivamo a fare ghirlande
di
fiori. Subito dopo quella foto, un video di lei che, utilizzando un
filo
d’erba, fischiava e poi scoppiava a ridere. Mi vennero le
lacrime agli occhi.
Feci scorrere le foto in fretta, mentre i ricordi mi invadevano. Mi
scappò un
singhiozzo. “Dio, Emma, mi manchi…”
dissi con voce rotta. Sentii il campanello
e mi asciugai in fretta le lacrime. Era Luke. “Ciao piccola,
come… Coco, perché
piangi?” mi chiese subito. “Niente,
tranquillo” feci, senza crederci davvero.
Lui aggirò il bancone, in tempo per vedere una foto recente
di Emmaline.
“Aspetta un momento, chi è lei?!” mi
chiese. “Emmaline, perché?” domandai
confusa. Lui sgranò gli occhi e imprecò.
“Luke?” feci di nuovo.
“C’è un
problema” disse, preoccupato. “Cosa
succede?” chiesi di nuovo.
“È… in città.
L’ho vista prima.” Io mi sentii morire.
“Sei sicuro?!” chiesi. Lui annuì.
“Era
lei, davvero” rispose. Io schizzai in piedi. Senza pensarci,
uscii dal negozio.
“Coco, aspetta!” urlò Luke dietro di me.
Io non lo sentii, ero troppo impegnata
a cercare Emmaline. La gente si scansava al mio passaggio, spesso
urlandomi
dietro. Io continuavo a prendermi storte sui tacchi, nonostante essi
fossero
bassi.
Improvvisamente,
mi fermai, sdrucciolando sul
marciapiede.
Ero incoerente.
Prima scappavo da Emmaline e da tutto
quello che mi legava a lei, rifiutandomi di leggere le sue lettere e di
scriverle, o chiamarla. Cercavo di tagliare tutti i contatti con quella
sorella
che di simile a me aveva solo gli occhi azzurri e i capelli biondi.
E in quel
momento, correvo a cercarla, come se da
questo dipendesse la mia vita.
“Ma
che sto facendo?” mi chiesi presa dallo sconforto.
Mi guardai attorno, notando di essere a due passi da casa mia. Il mio
cervello
era completamente spento, quindi i miei piedi mi avevano riportato a
casa. In
quel momento, li ringraziai.
Mi diressi verso
casa mia, entrai e mi chiusi la porta
alle spalle. Poi, attratta da quella forza che mi aveva fatto correre
fino a
quel momento, mi sdraiai a terra. non avevo saputo resistere,
così come non
seppi resistere alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, singhiozzi tanto
insensato quanto inarrestabili. E non sapevo nemmeno perché
piangevo.
Improvvisamente,
il mio sguardo finì su di loro. Sulle
tre lettere di Emma. Quanto tempo ero scappata da quelle parole? Quanto
mi
sembravano insormontabili?
Eppure era
l’unico modo per sapere cosa stava
succedendo. Perché Emmaline era in città? Non
capivo.
“Oh,
al diavolo!” esclamai, alzandomi di scatto e
prendendo le lettere. Mi asciugai le lacrime con il bordo della manica,
per non
rischiare di bagnare le pagine, e aprii la più vecchia.
Presi un gran respiro.
Mesi di fuga, per poi ridurmi a quel punto. Ormai non potevo
più tirarmi
indietro. Riconobbi subito la sua scrittura rotondeggiante e
disordinata.
Scriveva ancora in stampatello, come quando elaboravamo le nostre
storie
insieme.
Ciao
Coco,
Come
stai?
Lo so, è una domanda stupida. Eppure la mia psicanalista
dice che è normale
iniziare così, e dato che sto cercando di tornare una
persona normale, non so.
Mi sembrava sensato, anche se adesso mi rendo conto che mi sbagliavo.
Come
sto
io? Uno schifo. Perché circa un’ora fa sono uscita
dalla mia ennesima crisi e
mi sono ricordata quello che è successo. Tu sei entrata
nella mia camera, nella
mia prigione d’oro, con Manuela e Carol e… e io
non ti ho riconosciuto. Ti ho
urlato contro, gridando di andare via, e ho visto le lacrime nei tuoi
occhi.
Come se ti avessi spezzato il cuore. È andata
così, vero? Non è solo un’altra
delle mie visioni, vero?
Non
so
distinguere la realtà dalle visioni. Tutti dicono che sto
migliorando, ma non
ci credo nemmeno io.
Mi
sento un
mostro, un fenomeno da baraccone. E la cosa peggiore è che
ti ho allontanato.
Ho paura che tu mi odi. Che tu non voglia più vedermi.
Ho
bisogno
di te, Coralie. Anche se forse non posso essere considerata
più una sorella,
per tutto quello che ho fatto… ti prego, ti scongiuro in
ginocchio, non escludermi
dalla tua vita. Non lo sopporterei. Mi sento così
male… la psicanalista dice
che non è colpa mia, ma non riesco a pensare ad altro che al
tuo sguardo.
Compare nelle mie visioni, nei miei sogni, dappertutto. E non riesco
più a
sopportare la consapevolezza di averti fatto del male.
Ti
ricordi
quando eravamo bambine, che andavamo sempre al parco dietro casa? Tu
eri
piccola, avevi cinque anni, quindi probabilmente non ti ricordi cosa
è
successo, ma io sì. Il giorno prima aveva piovuto e
c’era del fango. Tu sei
inciampata e sei finita in una pozza, con la tua tigre di pezza, che si
è
graffiata e sporcata, e tu eri disperata, pensavi solo a lei, senza
capire che
eri tu quella più sporca e graffiata, con le mani e le
ginocchia sbucciate. Sei
andata alla fontana e hai lavato la tua tigre, Daina, fino a quando non
è
tornata quasi come nuova, tranne quel graffio che dopo mamma ha
ricucito. E tu
eri felice, mentre abbracciavi quel pupazzo fradicio e con una zampa
graffiata,
perché sapevi di aver fatto il possibile per farlo tornare
come prima, e sapevi
anche che nonostante tutti i lavaggi o tutte le volte che
l’avresti ricucito
quell’episodio sarebbe rimasto, ma non ti importava. Eri
felice di quello che
avevi raggiunto con le tue forze. Avevi lavorato tanto per guarire quel
tigrotto bianco, e dopo averlo lavato hai continuato a giocarci,
felice, ed io
non capivo, perché tu eri ancora sporca di fango, ma non te
ne importava.
Ora
invece
credo di aver capito, e spero di non sembrare presuntuosa se provo a
paragonare
quella tigre a te e la Coralie bambina a me. Ci ho gettate nel fango,
ma non mi
importa di me. Voglio solo ripulire te di quello che ti ho lasciato,
anche se
so che ti ricorderai per sempre, perché il cuore si
può guarire, mentre i
ricordi rimangono. Spero solo che tu mi possa perdonare se ti ho tirato
nel
fango con me. Voglio fare tutto perché almeno tu possa
uscirne, perché sei
troppo importante, troppo pura, per affondare con me.
Perdonami,
Emmaline.
Quando finii di
leggere, le lacrime avevano invaso di
nuovo il mio viso. Accarezzai quelle pagine, come se potessero
riavvicinarmi
alla sorella che avevo deciso di perdere. Ricordavo
quell’episodio, marchiato a
fuoco nella mia mente come lo possono essere solamente gli episodi
insensati,
quelli che anni dopo ti fanno chiedere: “Perché
ricordo questo e non qualcosa
di importante?” per poi renderti conto che sono quei ricordi,
quelli
importanti, da conservare, e che nonostante tu non voglia essi
rimangano. Aprii
la seconda lettera.
Ciao
Coco,
Dato
che
non hai risposto alla mia lettera, ho pensato di inviarti questa,
sperando che
tu non abbia ricevuto la prima, o che l’abbia letta senza
rispondermi. Non
riesco a pensare che tu possa averla ignorata… non ci
riesco. È più forte di
me.
Ricomincio.
Come stai? Te lo chiedo sempre per via della psicanalista, che sta
cercando di
insegnarmi a tornare nel mondo normale. Sai, ormai sono una preclusa da
anni.
Precisamente, 1248 giorni. Lo so, sono pazza solo a contare i giorni
che sono
qui, ma così come i carcerati contano i giorni che mancano
alla scarcerazione,
io conto i giorni che mancano alla libertà. Questo posto non
è tanto diverso da
una prigione. Ho anche l’ora d’aria, sai? Da domani
potrò uscire. Mi porteranno
al parco. Sai, mi manca il guinzaglio e sono il cagnolino perfetto.
L’altra
volta ti ho raccontato di quella volta al parco. So che forse fare un
tuffo nel
passato con me non ti importa, ma i ricordi fino ai quattordici anni
sono le
uniche cose che non mi tradiscono. Non sono alterati dalle visioni, e
parlarne
mi aiuta a concentrarmi sull’argomento senza divagare e
perdermi nei miei
pensieri. Come facevo nei temi.
Ti
ricordi,
quante volte la prof mi ha fatto rifare i temi? O quante volte tu mi
riprendevi, mentre scrivevamo, perché perdevo di vista
l’obiettivo? Ti ricordi
quando volevamo diventare grandi scrittrici? Avevamo tante idee e ci
divertivamo a svilupparle nei modi più strani.
Mi
ricordo
che tu odiavi quando proponevo di far separare una coppia. Mi dicevi
ogni volta
che l’amore vero è per sempre, e ti rifiutavi di
far avere solo semplici
storielle ai protagonisti. Volevi che comunque avessero qualcuno su cui
contare, sempre. E io ridevo, dicendoti che indossavi ancora gli
occhiali rosa,
e tu non capivi. Te li ricordi, gli occhiali rosa? Quelli che fanno
vedere
tutto il mondo come un posto stupendo, dove l’amore trionfa
sempre e non
esistono le cose brutte. Quegli occhiali che hanno tutti i bambini, con
gli
occhi pieni di sogni e il cuore pieno di speranze.
D’altronde, eri tu stessa
una bambina, a undici anni.
Volevo
dirti che ho finito di leggere “Look into my eyes”.
È davvero stupendo, e
comunque i tuoi personaggi non si separano. Sei sempre tu, in qualsiasi
cosa
fai. Non sei mai cambiata e, ti prego, non farlo mai. Sei
già perfetta così.
Look
into
my eyes… come te. Mi ricordo che ti bastava uno sguardo per
capire come stavo,
così come a me bastava leggere le tue parole per capire il
tuo stato d’animo.
Eravamo speciali, da piccole credevamo di avere i superpoteri. Se ci
penso mi
viene da sorridere.
Ti
prego,
permettimi di dimostrarti che non sono cambiata. Che in fondo, sono
ancora io,
che la malattia non mi ha trasformata, che la vera me esiste ancora.
Ti
prego,
io sono ancora qui.
Emmaline.
Leggendo, mi
venne da piangere ancora di più. Mi
sentivo terribilmente in colpa per non aver dato una
possibilità ad Emmaline.
Mi resi conto solo in quel momento quanto mi fosse mancata. Aprii la
terza
lettera, incapace di mantenere le lacrime. Sarei esplosa da un momento
all’altro.
Ciao
Coco,
Dato
che
non hai risposto alle prime due lettere, credo che non ti importi
più di me. Ti
capisco, davvero. Eppure, non riesco a smettere di scriverti,
è più forte di
me. Ti prego di sopportarmi ancora per questa lettera, poi
smetterò.
Non
m’importa di iniziare con il “come stai?”
che ho usato ultimamente. Ormai non
voglio più fingere, sono malata e basta. Ci sono
novità, però.
Ti
ricordi
quando sei stata male, a dodici anni? Avevi la febbre alta ed eri
sempre giù di
morale. Stavi sempre chiusa in casa, avevi male ovunque e non volevi
farti
vedere in giro. Poi ti ho obbligato ad uscire e sei guarita. Era solo
l’aria
fresca, che ti mancava. È stato questo a guarirti, ricordi?
Bene,
lo
stesso vale per me. La mia psicanalista ha notato che sono migliorata,
dopo
diverse uscite in mezzo alla natura. Le visioni sono diminuite, o
comunque ho
iniziato a rendermi conto quando potrebbero essere, appunto, visioni,
oppure
no. Quindi, hanno deciso di fare una prova. Mi fanno uscire, per un
mese, ma
dato che non saprebbero dove mandarmi, ho chiesto di poter venire da
te.
Anche
se
non ti importa più niente di me, vorrei solo poterti vedere
un’ultima volta,
per potermi scusare. Poi troverò qualcosa da fare,
probabilmente tornerò
all’ospedale psichiatrico, eppure sto facendo carte false per
poterti vedere.
Sono patetica, ma ne ho bisogno, un bisogno vitale. Anche se tu, forse,
non
vuoi sentirmelo dire, sei mia sorella, e voglio dimostrare che sei
importante
per me. Vorrei tenerti lontano dai miei problemi, ma non posso fare a
meno di
aver bisogno di te. Ti prego, permettimi solo di dimostrare tutto
quello che ho
scritto, altrimenti sarebbero solo parole su tre fogli di carta.
Ti
voglio
bene,
Emmaline.
Quello fu
ciò che mi fece esplodere. Ti
voglio bene, aveva scritto. Era
tanto, che non lo sentivo da lei, nonostante le sue parole. Scoppiai a
piangere, mentre le mie lacrime bagnavano i fogli. Notai solo in quel
momento
altri segni di lacrime, che non avevo causato io.
“Emma…” sussurrai in mezzo
alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, senza potermi trattenere.
Mi alzai e il
mio sguardo si posò sullo specchio. Il
mio riflesso era l’immagine di una ragazza distrutta, scossa
dai singhiozzi,
con gli occhi gonfi di lacrime e il viso paonazzo. Nei miei occhi si
leggeva un
sentimento strano, rimpianto e disperazione al tempo stesso,
e…
Un momento.
Io non ero mai
stata capace di leggere nei miei occhi.
Mi fiondai sullo
specchio. “Emma”, dissi solo. Volevo
premere i tasti neri del pianoforte nei miei occhi. Le iridi si
accesero per un
attimo, che mi bastò a capire.
Non ero
arrabbiata con Emmaline, o delusa. Ero col
cuore spezzato, certo, perché lei non mi aveva riconosciuta.
Ma non era colpa
dell’odio, o del rancore, se mi ero
tenuta lontana da lei.
Era solo colpa
della paura, paura che potesse non
riconoscermi di nuovo.
Paura,
perché le volevo troppo bene per mettere di
nuovo in gioco il mio cuore.
Mi strappai le
lacrime dal viso con uno scatto.
Ripensai alle lettere di Emmaline, a tutte le sue parole.
Dovevo trovarla.
Dieci minuti
dopo, ero in città, che cercavo mia
sorella. Eppure la città era grande, dove avrei dovuto
cercarla? Decisi di
provare con il parco, dati i suoi continui riferimenti alla natura.
Avevo
ragione: in lontananza, vidi i suoi capelli chiari. La sua figura era
inconfondibile e mi resi conto quanto fosse vivo in me il suo ricordo.
Anche se
non me ne ero mai resa conto, Emmaline aveva occupato i miei pensieri e
il mio
cuore tutto quel tempo.
Forse fu a causa
del mio sguardo fisso su di lei, che
mia sorella si voltò. I nostri sguardi si incrociarono e in
due secondi fu come
se avessimo recuperato tutto quello che avevamo lasciato in sospeso.
Era come
un discorso interrotto, che poi viene ripreso con un: “Dove
eravamo rimasti?”
Trattenendo un
singhiozzo, corsi verso di lei.
Affondai fra le sue braccia, inspirando il suo profumo così
famigliare.
Era mia sorella
e lo sarebbe sempre stata.
“Mi
sei mancata” sussurrai con voce rotta.
La sentii tirare
su col naso e sussurrare: “Anche tu,
sorellina.”
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Capitolo 15 *** Forgotten. ***
Forgotten.
Eravamo a casa,
sedute sul divano, l'una di fronte all'altra. Dopo un primo momento al
parco,
eravamo calate nell'imbarazzo più totale. "Vuoi qualcosa da
bere?"
chiesi improvvisamente. Lei annuì. "Il solito?" feci di
nuovo. Lei,
stavolta, sorrise. Significava che mi ricordavo ancora di cosa le
piacesse, non
l'avevo dimenticata. Fra noi erano sempre stato piccoli gesti con
grandi
significati. Andai in cucina e presi il bollitore, mettendoci in
infusione il
tè che sapevo piacere ad Emmaline. Dieci minuti dopo,
tornai, con due tazze
fumanti. "Tè alla menta con due cucchiaini di zucchero.
Ricordo
bene?" chiesi. Lei annuì. "Tu invece sei ancora per la
camomilla con
un cucchiaio di zucchero?" chiese titubante. Aveva paura di sbagliare,
lo
sapevo, era tangibile nelle sue iridi azzurre e lucide, nella sua
espressione
contrita e indecisa e nelle pupille che schizzavano da una parte
all'altra
della stanza. La voce incerta era solo la conferma alle mie ipotesi. Mi
venne
in mente la prima volta che avevo visto Luke, in quel momento era
simile al suo
essere spaesato. Mi nacque un piccolo sorriso a ripensarci.
“Che
cosa è
successo durante questi anni?” chiese Emmaline. Io esitai,
cercando di scremare
le informazioni. “Qualche giorno fa Cristine e Daniel si sono
sposati” dissi
poi. La vidi immobile, la tazza a mezz’aria, la bocca
leggermente aperta.
“Sono… sono felice per loro”
balbettò. Io sentii una morsa alla bocca dello
stomaco, quasi stessi per vomitare.
“Emma…”
“Non
preoccuparti,
non è colpa tua. Non mi avrebbero mai fatto uscire,
soprattutto per andare in
Francia” fece lei in fretta. “Se vuoi, puoi
vederli” risposi. “E come?”
“Sono
qui, in luna
di miele.” A queste parole, Emmaline sembrò
rischiararsi leggermente. “Se le
cose sono così, vado a trovarli domani. Spero che non venga
loro un infarto.
Sai no, il fantasma di Emmaline che sbuca dal passato” fece
con tono scherzoso.
Io ridacchiai, squadrando mia sorella. Sembrava molto più
formale rispetto ad
altre volte, e allo stesso tempo elegante: portava una camicia bianca
con
pantaloni attillati neri e tacchi alti.
Io, con quei
tacchi, non sarei nemmeno rimasta in piedi.
“Poi,
che altro mi
dici? Di Manuela e Carol, ad esempio?”
m’incalzò Emmaline. Io feci per parlare,
ma fui interrotta dalla porta di casa che veniva aperta, rivelando
appunto le
due, con Madison e i ragazzi. “Coco, sei in casa?”
chiese Manuela prima di
voltarsi e vederci. Impallidì. Carol, invece,
imprecò dalla sorpresa. Luke era
basito, gli altri solo confusi. Emmaline si ritrasse in quella che era
la sua posizione
difensiva: con le spalle leggermente portate in avanti. Come me. Dopo
anni e
anni, capivo al primo colpo gli atteggiamenti di chiunque. Come in
prima liceo.
Eravamo
Giorgia ed io, in classe. Io
davo le spalle alla porta, lei di fronte a me. Ad un certo punto, lei
piegò la
testa, guardò prima alle mie spalle, poi me, poi di nuovo
alle mie spalle, e sorrise
incantata. “È passato lui!” dissi
subito. “Si nota tanto?” mi chiese ridacchiando.
Io annuii. “Fai sempre così” risposi
sorridendo. “No ragazzi, io sono messa
troppo male!” commentò Giorgia, facendomi ridere.
“Ciao
ragazzi” dissi
io subito, notando la tensione nella stanza. “Emma, ma
che… che ci fai qui?!”
chiese invece Manuela. “È complicato”
fece mia sorella, alzandosi e posando la
tazza. Carol e Manuela, dopo un primo momento di stupore,
l’abbracciarono,
ancora scosse, e Emmaline rispose con un lieve sorriso. Poi
guardò gli altri e
si voltò verso di me. “Chi sono? Li
conosco?” chiese a bassa voce. Io scossi la
testa e lei sospirò di sollievo. Luke si fece avanti.
“Ti ho già visto” fece
solo Emmaline, stringendo la mano che lui le porgeva.
“Sì, ci siamo incrociati
per strada poco tempo fa. Piacere, sono Luke, il ragazzo di
Coco” disse con un
gran sorriso. Emmaline sgranò gli occhi e io arrossii.
“Dopo mi devi spiegare
molte cose” mi sussurrò lei.
Quando si
presentarono anche Ashton e Michael, dicendo di essere a loro volta i
ragazzi
di Carol e Manuela, Emmaline rimase spiazzata. “Sono rimasta
troppo indietro” mormorò
sconfortata. Calum e Madison si presentarono per ultimi.
Era una
situazione
strana e non sapevo come comportarmi. Luke se ne accorse e si
accostò a me,
stringendomi la mano dietro la schiena. “Che cosa
faccio?” chiesi a bassissima
voce, con tono quasi disperato, mentre Emmaline non mi guardava.
“Non ne ho
idea” mi disse chiaramente Luke. Lo guardai storto, in quel
momento non era
d’aiuto. “Scusatemi se sono così
insicura, ma non sono più capace a presentarmi
alle persone” disse Emmaline contrita. Eccola di nuovo,
quella sensazione di
morsa allo stomaco. Avevo la nausea. Strinsi la mano a Luke in modo
spasmodico,
quasi malato. “Se ti va, potremmo andare da Cristine e
Daniel. Saranno felici
di rivederti dopo tanto tempo!” disse Carol. Questo fu
ciò che mi fece
scoppiare. Dovetti correre in bagno, trattenendo un conato di vomito.
Quando
arrivai, mi chinai sul water. Penso di aver vomitato anche
l’anima, dopo tutti
gli organi. Mi sentivo svuotata, in ogni senso. Nella mia testa
echeggiavano
mille parole.
Dopo
tanto tempo.
Non
riesco a pensare che tu possa averla
ignorata…
Ti
prego.
Credo
che non ti importi più di me.
Ti
voglio bene.
Anche se non
erano
state dette con cattiveria, nella mia mente mi opprimevano accusatorie.
Suonavano come la condanna a morte di un detenuto. Sembravano gridare a
loro
volta: colpevole!
L’avevo
dimenticata, avevano ragione. Avevo voluto dimenticare mia sorella.
Ero un mostro.
E le voci
continuavano ad incolparmi. Riecheggiavano nella mia mente,
inesorabili,
ripetendosi all’infinito, rimbombando, sussurrate ma allo
stesso tempo
insopportabili.
Ti
ricordi?
Ho
paura che tu mi odi.
È
andata così, vero? Non è solo un’altra
delle mie visioni,
vero?
Ho
bisogno di te.
“Coralie!”
Un
attimo. L’ultima non era nella
mia testa, forse. “Coco, svegliati!” fece di nuovo
la voce estranea. Le altre
si ritirarono in un angolino della mia mente, come avvoltoi che se ne
vanno
dalla carcassa, disturbati da un predatore, e aspettano solo di
rimanere da
soli di nuovo per tornare al loro banchetto.
“Coco!” era lontana, ma stavolta
la riconobbi. Era Luke, ed era terrorizzato. Improvvisamente, qualcosa
di
gelido si infranse contro il mio viso. Annaspai, tossendo, e aprii gli
occhi.
Manuela era sopra di me, di fianco a Luke, e aveva un bicchiere vuoto
in mano.
Mi sfiorai la faccia e la trovai bagnata, quasi certamente mi aveva
rovesciato
un bicchiere d’acqua addosso. Ero svenuta? Non ricordavo.
“Coco!”
esclamò Luke, visibilmente
sollevato. “È colpa mia?” chiesi, con le
lacrime agli occhi. Mi guardarono
confusi. “Coco, cosa succede?” chiese Manuela
inginocchiandosi di fianco a me.
Io scoppiai a piangere, senza sapere perché.
“Coco?! Coco!” mi chiamò Luke,
mentre io scivolavo di nuovo nell’oblio.
Mi
svegliai in un letto
d’ospedale. Non capivo come ci ero finita, ma ero troppo
stanca per dire
qualcosa, così mi limitai ad ascoltare le parole del dottore
accanto a me. “È
stato solo un esaurimento nervoso. Il rivedere la sorella
l’ha traumatizzata, e
questo insieme a dello stress accumulato l’ha fatta
esplodere. Si riprenderà,
ma deve riposare per almeno due settimane. Fortunatamente non ha avuto
niente
di grave, il che è quasi miracoloso, notando
l’inclinazione della famiglia alle
malattie psichiche.” A quelle parole, una parte di me si
rilassò.
“Cosa
crede che sia stato a
scatenare il tutto? Perché ha parlato con me per quasi
un’ora, e mi sembrava
tutto normale.” Era la voce di Emmaline. “Mi avete
detto che ha vomitato, no?”
chiese il dottore. Non potei vedere cosa fece Emmaline, ma intuii che
stesse
annuendo. “Può darsi che qualcosa, magari delle
parole, abbiano alimentato i
suoi sensi di colpa, facendola sentire sempre peggio e facendola
crollare.”
“Se
avessi saputo queste cose,
avrei evitato di chiederle cosa fosse successo in questi
anni.”
“Sa,
signorina Lemaire, a volte
non è l’intera struttura ad essere importante.
Sono i bulloni che la tengono
insieme. Non penso che sia stato l’argomento a farle male,
bensì alcune piccole
parole, o frasi” spiegò il dottore. Non poteva
immaginare quanto avesse
ragione. Il silenzio che ne seguì mi fece immaginare
Emmaline che abbassava lo
sguardo. “Non è colpa tua” disse una
terza voce, sicura. Sentendola, mi irrigidii.
Luke.
Rimasi
ad ascoltare i discorsi del
dottore fino a quando esso non se ne andò. Poi aprii gli
occhi. “Secondo me sei
sveglia da tempo!” mi disse subito Manuela ridacchiando, che
non mi ero accorta
essere nella stanza con noi. C’erano tutti, a dire il vero,
compresi Cristine e
Daniel. “Sì, in effetti sì”
risposi allo stesso modo. Luke sembrò accorgersi
solo in quel momento del fatto che sì, ero sveglia.
“Coco!” esclamò. Io mi
trattenni dal ridere, mentre Carol commentava al posto mio:
“Sei a scoppio
ritardato?” Luke gli fece una linguaccia. “Come ti
senti?” mi chiese poi. “Come
una a cui hanno frullato il cervello e nel frattempo martellato la
testa” risposi
spassionatamente. “Il dottore ha detto che potrebbe tornarti
la cefalea a
grappolo” mi avvertì Carol.
“Cosa?!” esclamai, disperata.
“Cos’è?” mi chiese
Ashton. “Un mal di testa atroce. Prima non vedo niente, poi
sento come se mi
stessero schiacciando la testa” risposi. “E in che
senso, tornare?”
“Nel
senso che qualche anno fa ne
soffrivo spesso, poi mi sembrava di esserne uscita. Ma a quanto pare un
esaurimento nervoso risveglia queste brutte abitudini del mio
corpo” risposi
amara. Quelle cefalee erano davvero terribili, spesso scoppiavo a
piangere dal
dolore. Mi spiegarono tutto quello che aveva detto loro il dottore,
mentre io
giocherellavo con il bordo del lenzuolo. “Quindi,
ricapitoliamo, mi rilasciano
stasera, ma devo avere due settimane di riposo completo?”
chiesi. Luke annuì.
“Com’è che non mi è venuta
prima, l’idea di farmi venire un esaurimento
nervoso?!” feci. Cristine alzò gli occhi al cielo.
“Sarai stupida, eh?” chiese.
Io annuii, con una faccia da completa fumata. “Sai che bella
cosa? Esaurimento
nervoso ogni volta che non ho più voglia di avere contatti
umani!” feci.
“Coralie Alyssa Lemaire, rimangiati tutto!” mi
ammonì Luke. “Ok, ok, scherzavo”
dissi. Rimanemmo un attimo in silenzio. “Ragazzi, forse
è meglio se vi lasciamo
da soli. Sapete, dobbiamo fare quella cosa, in quel posto
lì, per quella certa
persona” fece Calum. Madison lo guardò malissimo,
come a dire: “Ma sei serio?”.
“Calum voleva dire che adesso vi lasciamo da soli”
disse poi. “Certo, perché
per capirmi serve il Maddyzionario, Calum-mondo e
mondo-Calum!” la schernì il
ragazzo. Ci mettemmo a ridere. “Ok, però
seriamente, lasciamole un po’ d’aria”
fece Daniel. Tutti si alzarono e si incamminarono verso la porta. Vidi
Cristine
circondare il collo di Emmaline con un braccio e dire:
“Tesoro, mi devi
spiegare molte cose.” Sorrisi mesta, in fin dei conti era la
prima volta che si
vedevano dopo anni e anni. Io e Luke rimanemmo soli. “Vieni
qui?” chiesi con
tono da cucciola, indicandogli lo spazio vuoto accanto a me. Lui
sorrise e si
sedette al mio fianco, abbandonando la scomoda sedia di plastica
grigia. Mi
scoccò un bacio sulla punta del naso. “Lo sai che
stavano per ricoverare anche
me? Mi sono preso come minimo dieci infarti” mi disse. Io
sporsi il labbro
all’infuori. “Mi dispiace” dissi,
affranta. “Ehi, piccola, non è colpa tua.
Tranquilla” mi rassicurò, abbracciandomi. Io mi
abbandonai nella sua stretta,
accorgendomi solo in quel momento di quanto ne avessi bisogno.
“Luke?”
“Sì,
amore?”
“Posso
piangere?” chiesi. Lui si
staccò un attimo dall’abbraccio e mi
guardò sorpreso. “Perché?” mi
chiese poi.
“Posso?” insistei. Lui esitò un attimo,
prima di annuire. “Va bene, piccola” mi
disse solo, stringendomi di nuovo. Io resistetti ancora un paio di
secondi, poi
iniziai a singhiozzare. Lui mi cullò piano, carezzandomi la
schiena. “Shh” sussurrò
ad un soffio dal mio orecchio. “Grazie di essere
qui” risposi io. Lui mi
asciugò una lacrima con un piccolo bacio.
“Coco?”
“Sì?”
“Posso
dirti una cosa?” mi chiese.
Io tirai su col naso e lo guardai interrogativo. “Ti
amo” sussurrò lui prima di
baciarmi. Io singhiozzai un’ultima volta. “Ti amo
anche io” risposi. Non cercai
di baciarlo di nuovo, semplicemente affogai fra le sue braccia. Avevo
bisogno
di lui, in quel momento soprattutto.
Lo
amavo con tutta ma stessa.
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Capitolo 16 *** can't keep my hands off you ***
Can’t keep my hands off you.
Nonostante
all’inizio fossi entusiasta di avere de settimane di completo
riposo, mi
dovetti ricredere quasi subito: con completo riposo, si intendeva anche
astinenza da musica, troppa lettura e computer. Giravo in casa come uno
zombie
di lunedì mattina. Era deprimente non poter fare niente.
Manuela e Carol
cercavano di stare in casa la maggior parte del tempo, ma anche loro
avevano
bisogno d’aria, quindi quando venivano i ragazzi ne
approfittavano, utilizzando
anche la scusa che troppo fracasso mi avrebbe fatto male. Luke,
tuttavia, era
sempre in casa. Sembrava essersi trasferito a casa nostra e nonostante
la mia
prigionia non mi lasciava da sola.
“Coco!”
mi
rimproverò Luke. Io incassai la testa nelle spalle,
consapevole di essere stata
presa con le mani nel sacco. Mi pulii in fretta le dita e mi voltai
verso di
lui, la bocca piena, nascondendo il pacchetto di patatine dietro la
schiena. Lo
guardai con espressione angelica, battendo candidamente le ciglia.
“Cosa
mangi?” mi chiese truce. “Io? Non sto
mangiando!” tentai di difendermi. Lui mi
lanciò un’occhiata scettica. “Guardati
allo specchio!” mi disse. Io andai
davanti al forno, con l’anta a specchio, e per poco non mi
soffocai dal ridere.
Sembravo tanto un criceto con le guance piene.
“Metti
giù
le patatine, subito!” mi intimò. Io alzai gli
occhi al cielo e gliele
consegnai. “Sembri mio padre!” mi lamentai.
“Tuo padre scapperebbe con le
patatine?” chiese lui. Io scossi la testa, mentre lui si
avvicinò a me e mi
diede un piccolo bacio sul naso. “Questa sarà la
prova che non lo sono” mi
sussurrò, prima di correre in sala. Io rimasi oltraggiata
qualche secondo,
prima di deglutire e lanciarmi all’inseguimento. Mi venne da
ridere quando vidi
il suo nascondiglio. “Non ti si vede proprio, dietro la
tenda, eh?” commentai.
“No guardi, si sbaglia, sono il fratello del fantasma
Formaggino!” rispose lui.
“E come si chiama?” chiesi cercando di non ridere.
Lo vidi esitare. “Il
fantasma Patatino” disse poi, uscendo allo scoperto con il
sacchetto a
nascondergli la faccia. “In questo momento sono invisibile,
perfettamente
mimetizzato” fece lui con tono cospiratorio. Io mi misi a
ridere, notando che
si muoveva lentamente, senza mai darmi le spalle. Improvvisamente,
inciampò e
finì ruzzoloni sul divano. Io scoppiai a ridere.
“Luke? Stai bene?” chiesi poi.
Lui annuì. “Ma le patatine no” fece poi,
mostrando il sacchetto che aveva
schiacciato con la schiena. Per un momento mi venne da chiedergli come
avesse
fatto a finire lì, quel sacchetto, ma preferii tacere.
Invece, mi avvicinai a
lui e mi sedetti al suo fianco. Subito lui mi abbracciò,
mentre le patatine
venivano dimenticate sul tavolino di fronte a noi. Gli stampai un
piccolo bacio
sulle labbra e lui s’imbronciò. “Cosa
c’è?” chiesi ridacchiando. “Io
voglio un
bacio vero” si lamentò con voce da bambino. Io
sorrisi e lo accontentai,
approfondendo il secondo bacio. “Felice?” chiesi
poi. Lui fece un sorrisetto da
demente. “Sì” gongolò,
facendomi ridere. “Che bambino” dissi, affondando
il
viso nella sua maglietta, inspirando il suo profumo così
buono, familiare.
“Ehi, ho diciassette anni. Non puoi pretendere che sia sempre
serio” fece. Io
gli diedi ragione e lui mi prese per i fianchi, portandomi sulle sue
gambe.
Catturò le mie labbra, di nuovo. Perdemmo
l’equilibrio e finimmo distesi sul
divano, con lui sopra di me. Ridacchiammo qualche secondo, prima di
perderci di
nuovo.
Non
sentimmo la chiave nella toppa, né tantomeno il rumore della
porta che si
apriva. “Ditemelo, se volete perdere la verginità
su quel divano. Ci metto
sopra una fodera!” commentò Manuela. Noi ci
separammo subito, rossi in viso.
“Non dovete vergognarvi!” esclamò
Manuela ridendo. “È più forte di
noi!” risposi
io, torturandomi le dita. Essere così in intimità
con lui in presenza di qualcuno
mi imbarazzava tantissimo e così doveva essere anche per
Luke, a giudicare dal
suo rossore.
“Andiamo
di sopra?” mi chiese a bassa voce. Io annuii e ci defilammo
mentre gli altri
non guardavano. Mentre salivamo le scale, sentimmo un: “No,
spiegatemelo, un
attimo fa eravate qui, mi volto e non ci siete
più!” ridacchiammo nel sentire
Carol confusa, prima di correre in camera mia. Presi i fogli sparsi sul
letto e
tentai di dar loro un senso logico. “Luke, mi aiuti a trovare
la pagina tre?”
chiesi. Lui mise un ginocchio sul letto e iniziò a frugare
fra i fogli. “Cosa
sono?” chiese poi, scrutandone un paio. “Una bozza
di una nuova storia. Mi
piaceva come idea e sto provando a metterlo per iscritto”
spiegai. “Posso
leggere?” chiese con occhi luminosi. “Non so se
è il tuo stile. È leggermente
dark. Parla di una demone che deve trovare un angelo per tagliargli le
ali e
diventare la regina degli inferi. La demone, Nadir, è molto,
come dire,
assetata di sangue” feci, porgendogli la prima pagina. Lui
fece spallucce e
iniziò a leggere. Lo vedevo rabbrividire di tanto in tanto.
Quando arrivò alla
pagina due, fece una smorfia e si portò una mano sul collo.
“A che punto sei
arrivato? Sembri inorridito” ridacchiai. Lui mi
indicò le righe in questione:
“T-tu
sei pazza” disse lui, sempre
balbettando. Nadir s’infastidì.
“Risposta sbagliata” disse prima di far
scattare il collo del ragazzo di lato e affondare i denti nella pelle
lattea e
sottile. Gli altri due erano paralizzati dall’orrore, mentre
il ragazzo sotto i
suoi denti urlava dal dolore. Il sangue schizzò nella sua
bocca e sul
pavimento, caldo, pulsante di vita, delizioso.
“Mi
fai
paura!” disse Luke, rabbrividendo. Io mi misi a ridere.
“Te l’ho detto, che è
dark. Io non sono solo una tenera bambina.”
“Ma
la parte
vampira mi spaventa!” fece lui. “Non reggo bene
questo tipo di libri” aggiunse
poi. “Mi dispiace per te, perché io lo
adoro” risposi ridacchiando. Poi mi
ricordai di dover cercare la pagina tre e sbuffai, guardandomi intorno
nel
marasma di fogli che mi circondavano. “Aiuto”
sussurrai. Luke capì e si lasciò
scappare un risolino.
Un quarto
d’ora dopo, decidemmo di scendere. Appena arrivammo, vedemmo
Ashton al
telefono, con aria assorta, mentre prendeva appunti. “Ok, ci
saremo” fece poi,
prima di chiudere la telefonata. “Allora?” chiese
Carol, al suo fianco. Ashton
esultò prima di abbracciarla. “Che ci siamo
persi?” chiesi. “Luke, scalda la
voce, dobbiamo provare il nostro repertorio! Fra una settimana
c’è un concorso,
una guerra fra band, e ci saranno molti manager che potrebbero
lanciarci in
alto!” fece. Luke ed io rimanemmo a bocca aperta.
“Stai scherzando, vero?!”
chiese lui. Ashton scosse la testa. Aveva gli occhi troppo luminosi, il
sorriso
troppo sincero, per essere una presa in giro. Sentimmo dei passi veloci
al
piano di sopra, che preannunciarono Manuela, Michael, Calum e Madison.
“Cos’è
questa storia?!” chiese Manuela. Ashton spiegò
loro tutto e i quattro
lanciarono ovazioni entusiaste. “Andiamo a casa, allora! Che
ci facciamo ancora
qui?!” fece Michael. “Posso venire anche
io?” chiesi, implorante. Loro mi
guardarono indecisi. “Quanto manca allo scontare della
pena?” chiese Calum.
“Tre giorni” rispose
Luke. “Forse non ti
farebbe bene tornare alla vita normale di colpo…”
“Quindi
si
potrebbe iniziare a farti uscire…”
Io
esultai, felice. Corsi di sopra a mettermi le scarpe e fui di sotto in
dieci
secondi, mentre loro iniziavano ad andare in macchina. Nel giro di un
quarto d’ora
fummo a casa dei ragazzi. Mi ricordai subito la prima volta in cui ci
ero
stata, subito dopo il primo concerto cui avevo assistito dei ragazzi.
La prima
volta che rivedevo Luke dopo quattro mesi.
Adesso, la
prospettiva di quattro mesi lontano da lui mi avrebbe ucciso.
Appena
superai la porta, vidi Pericle scappare. “Che gatto
autistico!” commentò
Ashton. Ridacchiammo, mentre i ragazzi andavano a prendere gli
strumenti.
Esattamente
una settimana dopo, avrei ucciso chiunque mi fosse capitato sotto tiro.
“Carol!” urlai. “Cosa
c’è?!” mi chiese lei, da camera sua.
“Il vestito nero!”
“Non
so
dove sia!”
“L’hai
fatto te, il bucato!”
“Sono
passati mesi da quando l’hai usato!”
“Voglio
sapere che fine ha fatto il mio vestito preferito!”
“Non
ne ho
idea!”
“Carol!”
“Coralie!”
“Zitte!”
intervenne Manuela, esasperata. “State facendo venire un
esaurimento nervoso a
me!” aggiunse. “L’esclusiva sugli
esaurimenti nervosi ce l’ho io!” ribattei.
Manuela mi zittì, buttandomi un mio vestito in faccia.
“Mettiti questo e chiudi
la bocca!” esclamò. Io sbuffai e osservai il
vestito che mi aveva lanciato.
“Dov’era?! Non lo trovavo
più!” esclamai. Vidi Carol scappare e intuii la
possibile risposta di Manuela, che non tardò ad arrivare:
“Era nell’armadio di
tua cugina.”
Se fossi
stata un cartone animato, le orecchie avrebbero iniziato a fumare.
“Carol!”
urlai. “Giuro che me ne ero dimenticata! L’ho preso
in prestito solo una sera!”
si difese lei. Non feci in tempo ad attuare la mia tremenda vendetta,
che il
campanello suonò. Ci guardammo allarmate.
“Muoviti!” fece Manuela, chiudendomi
in camera. Io mi tolsi la maglia in fretta e la buttai sul letto,
mentre i
pantaloni facevano la stessa fine. Mi stavo infilando il vestito quando
la
porta si aprì, rivelando Luke. Lanciai un piccolo urlo e lui
chiuse subito,
balbettando scuse insensate, viola dalla vergogna. Finii di infilarmi
le
spalline e sbuffai, avevo bisogno di una mano per la cerniera.
“Luke?” chiamai.
“Posso entrare?” mi chiese lui. Io confermai e lui
aprì lentamente la porta, lo
sguardo basso, la testa affondata nelle spalle. “Mi dispiace,
non pensavo che…”
iniziò. Io lo zittii con un piccolo bacio. “Non
preoccuparti. È capitato,
punto” sussurrai. Lo vidi sorridere piano, ma nei suoi occhi
c’era ancora senso
di colpa.
A volte,
questa mia capacità mi faceva vedere cose di cui non avrei
voluto accorgermene.
Non sapevo
se considerarlo più un bene o un male.
“Mi
aiuti
con la cerniera?” chiesi, voltandomi. Lui annuì e
chiuse la zip, fredda al
contatto con la mia pelle. Poi, senza dire niente, mi
abbracciò da dietro. Io
rabbrividii, sapeva quanto quel gesto mi mandasse fuori di testa e non
esitava
a sfruttarlo a suo vantaggio. Se mi avesse baciato sul collo, mi sarei
sciolta.
Quasi
avesse letto il mio pensiero, mi posò le labbra poco sotto
il lobo dell’orecchio.
Poi risalì, fino a sussurrare le parole di una canzone:
‘Cause
on
the street, or under the covers
We
are stuck
like two pieces of Velcro
At
the park,
in the back of my car
It
doesn’t
matter what I do,
No,
I can’t
keep my hands off you.
Io sorrisi
piano, voltandomi fino ad incontrare le sue labbra morbide. Ogni bacio
con lui
era un assaggio di paradiso, in cui il tempo si fermava ed eravamo solo
noi.
Amavo sentire il sapore delle sue labbra, avevo imparato ad amare anche
il suo
piercing e il modo in cui mi mordicchiava piano quando voleva
approfondire. Amavo
quando le nostre lingue si intrecciavano in quella che molti definivano
una
battaglia, ma che io preferivo chiamare danza, perché in
essa non c’era voglia
di prevalere, solo intrecci dolci, infinitamente dolci e delicati.
Avrei
voluto dirgli tutto questo, ma dalle mie labbra sfuggì solo
un: “Ti amo.” Lui
catturò immediatamente le mie labbra, lasciandomi a malapena
il tempo di
riprendere fiato, ma lo sentii sorridere nel bacio.
Avremmo
continuato così per molto tempo, se non fosse stato per
Madison, che ci ricordò
– col fiatone per la corsa – che eravamo in ritardo
per la competizione.
Guastafeste.
Arrivammo
al locale adibito a campo di battaglia. Era grande, poteva contenere
molte persone,
a mio parere. I ragazzi entrarono dal retro, mentre noi fummo costrette
a
rimanere in fila per entrare.
“Questa
coda non l’ho vista nemmeno con i saldi al centro
commerciale!” si lamentò
Carol, innervosita dagli spintoni che riceveva ogni istante.
“Tranquilla, manca
poco” disse Madison, accomodante. In effetti, davanti a noi
c’erano solo cinque
persone, ma il tizio alla cassa sembrava davvero incompetente.
“Quante ore ci
vogliono per battere uno scontrino?!” chiese Manuela,
esasperata. Io preferii rimanere
in silenzio. “Per me, Coco è più
agitata dei ragazzi!” fece Carol,
ridacchiando. “E dai, non potete biasimarmi! È
un’occasione unica per loro!” mi
difesi. Aveva ragione, ero tesa. Se avessero trovato qualcuno disposto
a
sponsorizzarli? Cosa sarebbe successo, poi?
Passò
ancora un quarto d’ora e finalmente riuscimmo ad entrare.
Inutile dire che non
c’era un posto libero nemmeno a pagarlo. Optammo
così per stare in piedi sotto
al palco, mentre degli operatori lavoravano per sistemare i diversi
strumenti. Non
avendo niente da fare, mi ritrovai ad ascoltare le chiacchiere dei miei
vicini.
“Come si chiama, la band?”
“Let
me
love you.”
“Sembra
il
nome di una canzone…”
“L’hanno
preso dalla loro prima canzone, appunto.”
“Si
spiega
tutto.”
“Sai
chi è
la cantante?”
“No.”
“La
Vale!”
“Seria?!”
“Sì,
e
alla batteria Francesco.”
“Cantano
cover?”
“No,
solo
originali.”
“Mi
sembra
che sia una regola, no?”
“Sì,
si
devono presentare almeno
cinque
inediti.”
Io
sorrisi. Ero curiosa di sentire questo gruppo, più che altro
perché mi aveva
ricordato la prima liceo. Non riuscivo a capire da che parte venissero
le due
voci, ma la prima mi era stranamente familiare. Non ci feci caso, molte
volte
il mio udito si sbagliava.
In pochi
minuti, il presentatore iniziò a elencare i nomi delle band,
in ordine. Ce
n’erano di improponibili: i “Frappé alla
fragola”, ad esempio. Per poco non mi
misi a ridere. Agli ultimi, sentii i “5 seconds of
summer” e sorrisi. Dopo di
loro, venivano i “Let me love you”. Su uno schermo
vennero presentati i turni
ad eliminazione e sentii un insensato moto di sollievo nel notare che
il gruppo
dei ragazzi e i “Let me love you” erano in due
gironi diversi. Non so perché,
ma la curiosità verso quest’ ultimo gruppo mi
faceva desiderare che arrivassero
in finale. Ovviamente, contro i 5 seconds of summer. Potevo essere
incuriosita
al massimo, ma avrei tenuto sempre per loro.
Finalmente,
arrivò il turno dei ragazzi. feci cenno a Luke di
avvicinarsi e lui si chinò,
in ginocchio. “Cosa cantate?” chiesi. “Amnesia”
mi rispose. Io sorrisi incantata, ero innamorata di quella canzone,
nonostante
fosse dannatamente triste. “E
le altre quattro?”
“Wherever you
are, Heartbreak girl, Good girls e
She looks so perfect.”
“Mi
vuoi
morta?!”
“No,
ma
dobbiamo fare colpo su i possibili manager, quindi ci andiamo
giù pesante con
le canzoni migliori.”
“Mi
pare
logico.”
“Adesso
torna lì, che ci guardano tutti male.”
“Mi
raccomando!” esclamai, dandogli un bacio sul naso e tornando
al mio posto.
Sentii che
presentavano il gruppo e la canzone, poi mi persi nelle dolci note
della
canzone.
Quando
iniziò il ritornello, mi sentii sciogliere.
I
remember
the day you told me you we’re leaving
I
remember
the make-up running down your face
And
the
dreams you left behind, you didn’t need them
Like
every
single wish we ever made
I
wish that
I could wake up with amnesia
And
forget
about the stupid little things
Like
the way
it felt to fall asleep next to you
And
the memories
I never can escape
‘cause
I’m
not fine at all
Casualmente,
le mie orecchie captarono di nuovo i commenti delle due che parlavano
prima:
“Sono davvero bravi.”
“Già,
e
poi il cantante è anche carino!”
“Scusa?”
“E
dai,
non dire che non è vero!”
“Mi
dispiace
per te, ma sono già fidanzata.”
Mi venne
da pensare un: “Meglio per te.” Nessuno poteva
anche solo osare di pensare
quelle cose. Luke era proprietà privata. Improvvisamente,
sentii un moto di
gelosia. Mi ripromisi di parlarci, se avessero fatto ancora quei
commenti.
Quando
finì la canzone, si scatenarono gli applausi. Vedevo i volti
radiosi dei
ragazzi ed ero felice per loro, mentre battevo le mani.
“Adesso tocca al mio
patato!” esclamò di nuovo la voce che prima aveva
detto di essere fidanzata. Vidi
salire sul palco quelli che dovevano essere i Let me love you e rimasi
a bocca
aperta.
“Ma
quella
non è Valentina?!” esclamò Manuela,
arpionandomi il braccio. “E l’altro è
Francesco, quello della B!” convenne Carol. Io
improvvisamente mi voltai verso
le due voci, facendomi largo tra la folla. Forse avevo capito a chi
apparteneva
una delle due.
Infatti,
mi ritrovai faccia a faccia con Giorgia.
“Giorgia!”
esclamai, entusiasta. Lei mi guardò un attimo prima di
sgranare gli occhi.
“Coco!” fece, abbracciandomi. “Giorgia,
chi è?” chiese la seconda voce. Mi
voltai verso di lei, non la conoscevo. Era alta, i capelli tinti di
platino, la
pelle abbronzata, gli occhi truccati pesantemente. “Eravamo
compagne di classe
al liceo prima che cambiassi indirizzo. Piacere, mi chiamo
Coralie” dissi, con
una nota di freddezza che non doveva essere notata se non
dall’altra. I
commenti che aveva fatto su Luke mi avevano fatto diventare molto
fredda, nei
suoi confronti, ancora prima di conoscerla. “Elena,
piacere” rispose lei. Nello
stesso momento, da qualche parte sbucò Luke.
“Eccoti qui!” mi disse,
circondandomi la vita con un braccio e stampandomi un bacio sulla
fronte. Io
guardai con la coda dell’occhio Elena, palesemente disturbata
da quella scena.
“Gio, vado a prendere da bere” disse, prima di
sparire. Brutta bestia, la
gelosia. Mi venne in mente che Giorgia odiava quel soprannome.
Giorgia mi
guardava sorpresa. “Hai capito a Coco?”
commentò, facendomi ridere. “Giorgia,
lui è Luke. Luke, Giorgia” dissi. I due si
strinsero la mano con sorrisi
cordiali, al contrario di me ed Elena. “Prima non ho potuto
fare a meno di
ascoltarvi. Chi è il tuo patato?” chiesi poi. La
vidi riempirsi d’orgoglio e
indicò Francesco. “Davvero?!” feci. Lei
annuì entusiasta e io l’abbracciai,
ricordando tutti i mesi di appostamenti fatti per quel ragazzo.
“Coco,
non c’è! Non c’è!”
“Tranquilla,
vedrai che arriva!”
“Non
c’è!” fece Giorgia, urlando a
bassa voce. Eravamo contro i due stipiti della porta della nostra
classe,
aspettando che Francesco passasse. Era l’unico modo per
arrivare alla sua
classe. “Vuoi che andiamo a vedere
l’orario?” chiesi. Lei annuì e
attraversammo
il corridoio, non ottenendo nessuna risposta in più. Stavamo
tornando in
classe, mentre lei diceva una marea di “No!”
disperati, quando le toccai un
braccio. “Giorgia” feci solo, a bassa voce. Lei
seguì il mio sguardo e sbarrò
gli occhi. “Merda, no, no, no!” fece, mentre io mi
trattenevo dal ridere: era
di fronte a noi, con i suoi amici, che ci guardavano come a chiedersi
se stessimo
male. Davvero, stavo per scoppiare.
“Coco,
levati dalla porta!” esclamò
frettolosa. “Sta passando” dedussi ridacchiando.
Lei annuì sorridendo
incantata, mentre io mi toglievo dalla traiettoria. In quel momento,
entrò il
prof, che chiuse la porta. “No, prof! La prego!”
fece a bassa voce Giorgia.
“Claudia,
sapresti il nome di questo
ragazzo?” chiesi, mostrandole il cellulare di Giorgia.
“Sì, è Francesco, della
B” rispose lei dopo un attimo. Vidi Giorgia sorridere
imbambolata, avevamo
orario e nome, le piccole stalker che erano in noi avevano fatto passi
da
gigante in un’ora.
“Come
vi
siete conosciuti, allora??” chiesi. “Ti ricordi la
crociera??” mi chiese. Io
annuii, si riferiva alla vacanza di prima liceo. “Ecco,
c’era anche lui! E
casualmente – sottolineiamo casualmente –
continuavo ad incontrarlo…” dal modo
in cui lo disse, intuii che non era affatto casuale. Mi venne da
ridere. “Ad un
certo punto, eravamo al bar, volevo prendere qualcosa di freddo
perché faceva
troppo caldo. Lui si è avvicinato e mi ha offerto da bere,
dicendo di avermi
già vista da qualche parte. Io gli ho spiegato di essere
della sua stessa
scuola e lì abbiamo iniziato a parlare, non abbiamo smesso
per tutto il
pomeriggio, davvero! La sera mi ha chiesto di cenare con lui. Da
lì è partito
tutto ed eccoci qui!” spiegò trepidante. Io
l’abbracciai, ero davvero felice
per lei. Fummo interrotti dalla presentazione della loro canzone,
chiamata I’m in love with you.
Vale
cantava davvero bene, mi piaceva il loro stile. Erano bravi, forse una
delle
poche band serie in quel concorso. Il testo era la dichiarazione di una
ragazza, costretta a vedere colui di cui era innamorata con una
sbagliata, che
non faceva altro che usarlo.
Why
can’t
you see the truth?
I’m
in love
with you.
Alla fine,
applaudii, nonostante in teoria dovessi tenere per la band dei ragazzi.
Mi
voltai verso Luke e vidi che stava battendo le mani a sua volta. Questo
mi fece
sorridere. Sentii Giorgia avvicinarmi a lei e sussurrarmi:
“Io ti ho spiegato
come io e Francesco ci siamo incontrati. Tu però mi devi
raccontare per filo e
per segno della storia con Luke.” Io ridacchiai e annuii,
prima di voltarmi
verso di lei e vedere che Elena stava tornando indietro. Giorgia
seguì il mio
sguardo. “Fai attenzione. Ha messo gli occhi su
Luke” mi disse. “Ho sentito, e
deve solo provare ad avvicinarsi. Le raddrizzo quel profilo rifatto che
si
ritrova” feci a denti stretti. “Come mai frequenti
una come lei?” chiesi poi.
“È un’amica della sorella di Vale, che
adesso è sul palco alla tastiera. Quindi
mi si è attaccata addosso, e fidati, non è
bello” fece torva. “Se avessi un
modo per separarti
dall’arpia, verresti
con me?” chiesi. Lei annuì in fretta, facendomi
ridere. Le presi una mano e la
portai da Carol e Manuela. Eravamo meglio di un trio di mastini, contro
le
ragazze come Elena.
“Giorgia!”
urlò entusiasta Manuela, gettandogli le braccia al collo,
imitata da Carol.
Vidi Elena avvicinarsi e ci scambiammo un gesto d’intesa.
“Gio, vieni fuori?
Devo fumare una…”
“Giorgia
è
occupata, non vedi?”
“Penso
abbia di meglio da fare che farsi soffiare fumo nei polmoni da un
individuo
come te” fecero Carol e Manuela. Elena le guardò a
bocca aperta. “Mi state
dando della ragazza facile?” chiese. Io ridacchiai, era
cascata nella trappola.
“Tesoro, non l’abbiamo mai detto. Sei tu che
l’hai dedotto. La coda di paglia
fa brutti scherzi, eh?” fece Madison. La guardammo stupita
qualche secondo,
prima di tornare a fissare Elena, che era diventata paonazza. Quando se
ne
andò, furiosa, mi voltai verso Madison. “Primo,
complimenti. Secondo, mi hai
rubato il ruolo!” feci. Lei si mise a ridere.
“Scusate, ma mi aveva già
innervosito quando era venuta qui ancheggiando come se non avesse
articolazioni. Se lo meritava!” disse. Giorgia
esultò. “Mi avete liberata
dall’arpia! Io vi amo!” esclamò. Vidi
Luke che si scriveva qualcosa sulla mano.
“Che fai?” chiesi curiosa. Lui mi porse il palmo,
dove c’era scritto a
caratteri cubitali: “Appunti. Attenzione! Mai mettersi contro
Coco, Carol, Manu
e Maddy.” Mi misi a ridere e lo abbracciai. Sentii la borsa
vibrare e tirai
fuori il cellulare. Messaggio da Giorgia: “Se adesso non esci
con lui, non ti
parlo più.” Ridacchiai e mi voltai verso di lei.
Vidi che stava indicando
l’entrata del locale con aria truce, imitata dalle ragazze.
“Ho come l’impressione
che vogliano farci uscire” sussurrò Luke.
“Almeno uno di voi due l’ha capito!!
Fuori di qui!” fece Madison. Noi ci mettemmo a ridere, per
poi sgattaiolare
fuori, dall’uscita sul retro. Lui sospirò di
sollievo quando respirammo l’aria
fresca della sera. “Si soffocava, lì
dentro!” dissi. Lui annuì e mi
abbracciò
alle spalle. “Scusa, è più forte di
me” mi disse, prima di baciarmi piano sotto
il lobo dell’orecchio. Io intrecciai le nostre mani, non potendo fare altro.
“In che senso, è più
forte di te?” chiesi poi. “Nel senso che non riesco
a starti lontano” sussurrò.
Ciondolando
da un piede
all’altro come pinguini, ci
sedemmo su un muretto che delimitava un prato. O meglio, lui si sedette
sul
muretto, io sulle sue gambe. Cercai le sue labbra immediatamente, ma
lui mi
bloccò. Mi fece segno di rimanere in silenzio e di
nascondermi dietro al
muretto, con un sorriso da complotto. Io seguii il suo sguardo e vidi
Michael e
Manuela avvicinarsi, mano nella mano. Il mio passatempo preferito?
Oltre che a
stare con Luke, ovviamente, era spiarli. Mi buttai dietro il muretto
stile
balenottera azzurra e vidi Luke che si sforzava di non ridere mentre mi
seguiva. “Coco! Attenta al vestito bianco!” mi fece
poi a bassa voce. Io
guardai a terra e notai di essere ad un centimetro da una pozza di
fango. Sospirai
di sollievo per averla evitata.
Michael e
Manuela si sedettero dove eravamo noi prima e noi ci trattenemmo dal
ridere, di
nuovo, poiché sarebbe bastato loro voltare di un millimetro
la testa per
vederci. Quest’aria di pericolo rendeva il tutto ancora
più divertente.
Decisamente
avevo dei precedenti come spia, e anche Luke.
Erano
passati una decina di minuti, in cui loro non avevano fatto altro che
coccolarsi e noi spiarli e concentrarci per non ridere.
Improvvisamente, Luke
sbiancò. Mi fece segno di stare in silenzio e
indicò un punto di fronte a me
sul muretto. Io, perplessa, seguii il suo sguardo e mi sentii morire.
Ad un
centimetro dal mio naso c’era un ragno enorme.
Lanciando
un urlo spaventoso, saltai lontano dal muretto, correndo per un paio di
metri e
passandomi le mani sulle braccia, quasi sentissi
quell’aracnide schifoso
zampettarmi allegramente addosso. Manuela e Michael si presero un
infarto come
minimo e Luke corse verso di me. “Toglimelo di
dosso!” feci isterica. “Coco,
non è su di te!” rispose, prendendomi i polsi e
obbligandomi a calmarmi. “Si
può sapere che ci fate qui?!” esclamò
Manuela, ancora col fiatone per lo
spavento. In quel momento mi ricordai che non dovevamo farci vedere.
Ops.
“Ehm,
niente, avevo perso un orecchino.” Tentai. Già dal
mio tono si capiva che era
una scusa. “Da quanto tempo cercavate questo
orecchino?” fece lei,
virgolettando l’ultima parola. Io mi esibii in
un’espressione che aveva da
invidiare solo l’aureola ad un angelo.
“Ragazzi,
tocca a voi!” fece la voce di Madison, dalla porta. Io e Luke
ne approfittammo
per dileguarci in fretta e furia. Passandole di fianco, ringraziai la
nostra
salvatrice in abito color confetto.
“In
bocca
al lupo, pinguino!” gli dissi, prima che lui salisse sul
palco. “Crepi,
piccola!” rispose dandomi un bacio sul naso. Io sorrisi,
tornando al mio posto.
La serata
era appena iniziata, e già avrei voluto non finisse mai.
*Angolo autrice*
Erin
Sanders as Valentina
Alexis
Bledel as Giorgia
Alex
Pettyfer as Francesco
Il
vestito di Coralie,
Madison,
Giorgia
e Valentina
(quelli di Manuela e Carol sono gli stessi del primo capitolo)
Ero
indecisa su quale canzone dovesse essere il tema di questo capitolo,
quale scegliere fra can’t keep my hands off you
e they don’t know about us. Alla fine ho
scelto la prima, ma solo perché la seconda la voglio tenere
per un capitolo speciale.
Grazie
a tutti quelli che hanno recensito, messo la mia storia fra le
preferite/seguite/ricordate o semplicemente sono arrivati fino a qui,
mi dileguo
Ranya
|
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Capitolo 17 *** Firework ***
Firework
La
seconda canzone fu quasi più acclamata della
prima. Io ero commossa, sia per le parole, che per la luce che brillava
negli
occhi di Luke. Dire che era felice era poco.
Quando
scesero dal palco, esultai. Per il momento
stava andando tutto alla grande.
Stavo
aspettando che ci raggiungessero, quando
Giorgia mi indicò un punto alle mie spalle. Io mi voltai e
vidi Elena venire
verso di noi, seguita da altre tre galline. “Sono le sue
amiche… non dovevamo
metterci contro di lei.” Fece Giorgia, intimorita. Io serrai
la mascella e
chiamai Carol, Manuela e Madison. Senza nemmeno rendercene conto, ci
disponemmo
in un arco, con me e Manuela davanti e Carol e Madison poco distanti da
noi.
Giorgia era in mezzo all’arco, protetta da quelle vipere.
“Siete ancora qui?”
chiese Elena con fare antipatico quando ci vide. “No, sai,
siamo degli
ologrammi. Tu invece, vedo che non sei ancora evaporata” fece
Carol.
“Ragazzina, portami rispetto” fece Elena
sprezzante. “Io rispetto chi mi
rispetta” disse Carol, tenendo perfettamente testa alla
vipera. “E tu, mi pare
che non la stia rispettando” aggiunse Manuela.
“Senti, confettino, tornatene in
mezzo alle caramelle. Non sei ben accetta, qui!” fece una
delle tre amiche.
Manuela rimase un attimo a bocca aperta. “Scusa, a chi hai
dato del confetto?”
chiese una voce di fianco a loro. Elena e le altre si voltarono, mentre
io
sorridevo fra me e me, sapendo a chi apparteneva quella voce. Guai in
vista.
Michael
si avvicinò, furente, a noi. “Michael, va
tutto bene” tentò di dire Manuela. “No,
non va tutto bene. Chi sono queste?”
chiese lui di nuovo. “Una stretta conoscente della band che
vi straccerà” fece
con fare di sussiego Elena. “Senti. Puoi essere la conoscente
stretta di
chiunque, ma non ti devi permettere di parlare così a loro,
soprattutto a
Manuela. Non sei la padrona del mondo e anche se lo fossi avresti solo
da
provare a rivolgerti a lei così”
ribatté Michael, nervoso.
“Cos’è, hai bisogno
del fratellone per difenderti? Fa così il duro
perché non vuole vederti
piangere?” chiese di nuovo Elena, ignorando Michael.
“Non sono suo fratello, e
ti sto dicendo queste cose perché la amo. Quindi ora gira i
tacchi, oca rifatta
che non sei altro, e stai lontana da noi. E con noi, intendo tutti noi!” fece, indicando,
con un
gesto della testa, Giorgia. Io e le altre eravamo a bocca aperta,
mentre
Manuela aveva le lacrime agli occhi. Elena, scioccata, emise un verso
stizzito.
“Andiamo via, ragazze!” fece poi, voltandosi e
andandosene via. Rimanemmo fermi
fino a quando non furono fuori dalla nostra visuale.
“Michael?” chiamò Manuela.
Lui si voltò verso la ragazza, che si tuffò fra
le sue braccia. “Grazie” sussurrò.
Vidi Michael sorridere. “Devono solo provare a trattarti
male. Nessuno può
farlo” disse. “Oppure?”
“Oppure
arriverà questa specie di eroe
alternativo a salvarti.”
“Non
sei una specie di eroe alternativo. Sei il mio
eroe, punto.”
“E
tu sei la mia piccola cupcake.”
Io
e le altre avevamo gli occhi a cuoricino.
Quanto potevano essere adorabili?
La
scena venne interrotta da una persona, che
intervenne. Era Francesco. “Scusate, avete per caso appena
messo a tacere in
modo brusco quelle quattro?” chiese. Michael
annuì. “Ti prego, fammi un
autografo. Sei il mio idolo!” disse l’altro, con la
gratitudine infusa nella
voce. Noi scoppiammo a ridere, mentre Giorgia si avvolgeva fra le sue
braccia.
“Per un attimo ho pensato che volessi difenderle!”
disse, rivolta al ragazzo.
“Io?! Difendere quelle bambole di silicone?! Quelle
odiosissime snob?! Ma cosa
ti salta in mente?! Avete tutta la mia stima per averle messe al loro
posto!” rispose
Francesco. Nello stesso istante, scese dal palco Valentina.
“Coco!” esclamò,
saltandomi al collo. Io ricambiai l’abbraccio, mentre anche
Carol si univa.
“Arrivo subito, promesso!” fece invece Manuela,
rimanendo ancora un po’ a
crogiolarsi nel calore delle braccia di Michael.
“Cioè, non so, vedi te, non ci
vediamo da anni e questo è il tuo saluto?!” chiese
Valentina, ridendo.
“Perspicace la ragazza!” rispose l’altra,
strappandoci un’altra risata.
Quando
finalmente si staccò, saltò addosso a
Valentina. “Vale!” urlò.
“Finalmente, eh?!”
“Capiscimi,
ero in un momento di coccola.”
“Lo
vedo eccome!” ribatté Valentina. Manuela si
lasciò andare ad una risata intenerita.
Dopo
il terzo round, quello che doveva essere il
presentatore terminò la serata, dando appuntamento al giorno
dopo. “Volete
venire con noi al ristorante? Offro io!” propose Francesco.
“Sicuro? Siamo in
tanti e alcuni sono delle idrovore. Vero, Luke?” fece Ashton.
Luke gli fece una
linguaccia, ridacchiando. “State tranquilli, non è
un problema. E vi devo
ringraziare per averci liberato, anche se solo per una sera, da quelle
quattro.
Sapete cosa significa che sono insopportabili? Ecco, lo sono di
più” ci disse
l’altro con un gran sorriso.
Mezz’ora
più tardi, eravamo seduti al ristorante.
“Cosa prendi?” mi chiese Luke, passandomi una mano
sulla schiena. “Non lo so,
mi sono un po’ stufata della pizza” sussurrai.
“Fortunatamente qui non c’è solo
pizza” mi rispose Luke con un piccolo sorriso. Alla fine,
optai per un piatto
di spaghetti. Scorrendo il menù, i miei occhi si
illuminarono. “C’è la scamorza
alla griglia!” esclamai entusiasta. Luke
ridacchiò. “Ti prego, ti prego, ti
prego, ne prendi una con me?” chiesi. “Non ce la
fai a finirla da sola?”
“No,
è molto pesante e non riesco mai a finirla
tutta” feci sconsolata. “Tanto meglio per
me” disse lui. Sembrava aspettare
qualcosa ma non riuscivo a capire cosa.
Quando
ordinammo, lui mi prese la mano e mi portò
fuori dal ristorante. “Finalmente, non ce la facevo
più” mi disse. Lo guardai
in modo interrogativo. “Cosa intendi?” chiesi.
“Tutta la sera, ti ho guardato
tutta la sera. Se non fosse che non potevo deludere i ragazzi, sarei
saltato
giù dal palco, subito. Non posso stare lontano da te,
è stata una tortura. E
adesso non so che altro dire, vorrei solo fare questo” disse
velocemente, prima
di baciarmi quasi con disperazione. Non capivo da dove venisse fuori
tutta
quest’irruenza, ma ricambiai il bacio. Ci separammo un
attimo, giusto il tempo
di vedere se ci stavamo sedendo su una panchina o meno, e io mi
accoccolai
sulle sue ginocchia. Avevo scoperto quella posizione strategica molto
tempo
prima: se avessi ruotato il busto verso di lui, avrei potuto baciarlo.
Se mi
fossi voltata di schiena, lui avrebbe avuto campo libero per il mio
collo. Se
invece fossi rimasta su un fianco, mi sarei rannicchiata sul suo petto,
la
testa appoggiata sulla sua spalla, le sue braccia a sostenermi. Era la
posizione perfetta.
Dopo
un po’, optai per la terza scelta. Lui
iniziò a lasciarmi piccoli baci sulla fronte e sulla testa,
facendomi chiudere
gli occhi, beata. Rischiavo seriamente di addormentarmi, ma per fortuna
arrivò
Carol a scongiurare quest’ipotesi. “Sentite un
po’, voi due. Primo, sono
arrivate le ordinazioni. Secondo, ci avete mollato così,
tranquillamente. Vi
pare il modo?!” chiese.
Una
cosa che non mi piaceva della convivenza? Il
fatto che ogni cosa che mi dicevano le altre mi faceva sentire
inferiore,
infantile. Anche in quel momento, le parole di Carol mi fecero sentire
una
bambina. Non mi piaceva affatto. Abbassai la testa, mettendo su un
impercettibile muso, mentre ci alzavamo e tornavamo indietro, seguendo
da
lontano Carol. Luke mi diede una leggera gomitata per attirare la mia
attenzione e io mi voltai verso di lui. Lui non disse niente, ma si
portò le
dita agli angoli della bocca, sollevandoli in un sorriso molto forzato
e
inquietante. Il messaggio era chiaro: “Sorridi!”
Io
ridacchiai alla sua faccia buffa e sul suo
viso si dipinse un’espressione vittoriosa. “Non
essere triste, mi spezzi il
cuore” mi sussurrò all’orecchio, prima
di lasciarmi un piccolo bacio sotto il
lobo. Io rimasi spiazzata: nessuno si era mai accorto di quella mia
espressione. Mi credevano solo assonnata, o annoiata. Nessuno aveva mai
pensato
che potessi essere ferita, o offesa, o alle volte vicina alle lacrime.
Lui,
invece, lo aveva capito subito.
Stavo
diventando prevedibile? O era lui a sapermi
leggere così bene?
Arrivammo
al ristorante, dove ci scusammo per
essere scappati così. Gli altri ci dissero che non
c’era problema, mentre
Giorgia, Valentina e Manuela gongolavano immaginando cosa fosse
successo. Io
ridacchiai, sedendomi.
Circa
due ore dopo, eravamo per strada, a
gironzolare in attesa della mezzanotte:
“informatori” ci avevano detto che ci
sarebbero stati dei fuochi d’artificio, e non avrei perso
l’occasione per nulla
al mondo. Era da tanto che non li vedevo, anche perché a
Capodanno ero crollata
subito e me li ero persi, e li adoravo.
Giorgia,
Valentina e Francesco erano dovuti
andare via, dicendo di avere un impegno troppo importante per essere
tralasciato. Mi era dispiaciuto, ma in parte era meglio
così: i ragazzi erano a
disagio con loro, non sapevano come comportarsi. Cercavano di non darlo
a
vedere, ma i loro occhi lo urlavano.
Stavamo
camminando lungo uno di quei viali dei
parchi costeggiati da alberi che si vedono nei film, quando Manuela
prese il
cellulare. In pochi secondi, partirono le note di Firework.
Manuela mi fece leggere lo schermo e da quello capii che
era la versione solo strumentale. Quasi ci fossimo messe
d’accordo, iniziammo a
cantare:
Do
you ever feel like a plastic bag,
drifting through the wind
wanting to start again?
Do you ever feel, feel so paper thin
like a house of cards,
one blow from caving in?
Do you ever feel already buried deep?
6 feet under screams but no one seems to hear a
thing
Do you know that there's still a chance for you
'Cause there's a spark in you
A
noi si unirono anche Carol e Madison:
You just gotta ignite, the light, and let it
shine
Just own the night like the 4th of July
Durante
il ritornello, si aggiunsero anche
i ragazzi, così da formare un unico grande coro.
'Cause baby you're a firework
Come on, show 'em what you're worth
Make 'em go "Oh, oh, oh"
As you shoot across the sky-y-y
Baby, you're a firework
Come on, let your colors burst
Make 'em go "Oh, oh, oh"
You're gonna leave 'em falling down-own-own
Sembravamo
dei pazzi, lo sapevamo, ma non ci importava. Quando finimmo il
ritornello, i
primi fuochi d’artificio scoppiarono in cielo, dipingendo sui
nostri volti dei
grandi sorrisi.
You don't have to feel like a waste of space
You're original, cannot be replaced
If you only knew what the future holds
After a hurricane
comes a rainbow
Maybe your reason why all the doors are closed
So you could open one that leads you to the
perfect road
Like a lightning bolt, your heart will blow
And when it's time, you'll know
You just gotta ignite, the light, and let it
shine
Just own the night like the 4th of July
'Cause baby you're a firework
Come on, show 'em what you're worth
Make 'em go "Oh, oh, oh"
As you shoot across the sky-y-y
Baby, you're a firework
Come on, let your colors burst
Make 'em go "Oh, Oh, Oh"
You're gonna leave 'em falling down-own-own
Boom, boom, boom
Even brighter than the moon, moon, moon
It's always been inside of you, you, you
And now it's time to let it through-ough-ough
'Cause baby you're a firework
Come on, show 'em what you're worth
Make 'em go "Oh, Oh, Oh"
As you shoot across the sky-y-y
Baby, you're a firework
Come on, let your colors burst
Make 'em go "Oh, Oh, Oh"
You're gonna leave 'em falling down-own-own
Boom, boom, boom
Even brighter than the moon, moon, moon
Boom, boom, boom
Even brighter than the moon, moon, moon
Quando
finimmo di cantare, scoppiammo a ridere. Sopra di noi, i fuochi
illuminavano il
cielo a giorno, in disegno intricati e ipnotici. Erano coloratissimi e
numerosi, uno spettacolo unico. Improvvisamente, apparvero i miei
preferiti:
dorati, con le punte blu elettrico, che sembravano frizzare
nell’aria prima di
sparire. Iniziai a saltellare, emozionata, mentre mi ricordavo come mi
ero
sentita la prima volta che avevo visto i fuochi d’artificio:
mi erano sembrate
reti che venivano verso di noi, sempre più vicine, e avevo
avuto paura. Poi
avevo sentito quelli dorati “fare frizzzzz”,
come dicevo da piccola, e mi ero messa a ridere, dimenticando la paura.
Sentii
un paio di braccia circondarmi la vita e sollevarmi, facendomi roteare.
Urlai
divertita, mentre Luke non sembrava intenzionato a mettermi
giù. Mi aggrappai
alle sue mani così familiari. Non avevo paura di cadere:
sapevo che lui non
l’avrebbe permesso.
Era
così con Luke.
I
ragazzi ci lasciarono un po’ indietro, continuando a cantare
come fossero
ubriachi.
“Luke?”
“Sì,
piccola?”
“Cosa
ti piace dei fuochi d’artificio?” chiesi,
improvvisamente curiosa, quando mi
lasciò andare. Lui rifletté un paio di secondi,
prima di rispondermi.
“Illuminano la notte.”
Io
rimasi in silenzio. Avrei voluto dirgli che bastavano i suoi occhi
così vivi, a
illuminare la notte, ma non ci riuscii. Avevo un grosso problema, con
le
parole.
“E
tu, invece?” mi chiese poi. “Eh?” feci
io, riemergendo dal lago nero e torbido
dei miei pensieri. “Cosa ti piace dei fuochi
d’artificio?” mi rigirò la
domanda. Una parte di me avrebbe voluto dire: “Quelli dorati
e blu fanno frizzzzz!”,
ma la mia parte ragionevole
me lo vietò. Della serie: fallo e io non ti conosco.
Mi
fermai a riflettere. Dovevo avere filtri con Luke? No, diceva la mia
parte
ragionevole. Mi venne da ridere, si era incastrata da sola.
“Quelli
dorati e blu fanno frizzzzz!”
esclamai come una bambina. “Frizzzzz?!”
chiese lui. Io annuii. “Sì, con cinque
zeta” risposi io, convinta. Lui mi
guardò come se avessi appena parlato in aramaico antico, poi
scoppiò a ridere.
“Che c’è?! È vero!”
mi difesi, seguendolo nella risata. Era così bello, quando
rideva. O in qualsiasi altro momento. “Lo so, lo so,
è che… oddio, l’ho pensato
anche io, ma mi vergognavo troppo a dirlo. Credevo che mi avresti preso
come un
bambino” mi spiegò. Io sorrisi. “Ma io
sono una bambina. E anche tu lo sei, in
parte” dissi, prendendogli la mano e appoggiandomi alla sua
spalla. Lui mi
diede un piccolo bacio sulla fronte, poi si voltò, mi diede
la schiena e mi
disse: “Salta su!” io lo guardai basita e divertita
allo stesso tempo. “Perché,
scusa?”
“Da
quando una bambina rifiuta di essere portata a cavalluccio?!”
fece. Io scoppiai
a ridere. “Mai successo” ammisi poi.
“Vuoi essere la prima a rompere questo
rito??” chiese ancora lui. “Non sia mai!”
risposi, saltandogli in schiena. Lui
barcollò un po’, prima di ritrovare
l’equilibrio. “Non peso troppo?” chiesi
preoccupata. “Guarda, sei una balena. Io ti direi di iniziare
una dieta” mi
prese in giro lui, come a dire: “Smettila di dire
stupidate.” Io decisi di
reggere il gioco. “E che dieta mi consiglia,
dottore?” feci. “A base di Nutella
e baci.”
“Nonostante
l’idea mi alletti, a cosa servirebbe una dieta del
genere?”
“A
smettere di pensare queste cretinate” fece Luke, convinto. Io
ridacchiai.
“Comunque è vero, peso” dissi.
“Hai diciassette anni, è normale non pesare
quindici chili!” rispose lui. Alzai gli occhi al cielo.
Probabilmente sbuffai,
perché lui si voltò – per quanto il suo
collo glielo permettesse – e mi guardò
con la coda dell’occhio. “Coralie Alyssa Lemaire
– già che iniziava così non
andava bene – smettila di dire queste cose. Non è
vero, che sei grassa. Sei
perfetta così come sei. Chiaro?” chiese. Io non
risposi, ma sorrisi,
commossa. “Grazie”
mi decisi a dire poi.
“E di cosa? Per averti detto quello che penso?”
fece lui, sorridendo. “Non
solo. Di tutto. Di essere qui con me, di dirmi queste cose, di esistere” risposi. lo vidi
sorridere di
nuovo. “Ti amo” mi disse solo. “Anche
io” risposi, baciandolo sulla guancia
dato che non riuscivo ad arrivare alle labbra. “Sbaglio o
abbiamo ancora una
corsa da fare?” chiesi poi. Lui annuì, prima di
iniziare a camminare, sempre
più velocemente, per poi correre. Urlai con tutto il fiato
che avevo in gola,
entusiasmata, un: “Verso l’infinito e
oltre!” Lui rise, mentre gli altri ci
guardavano come se fossimo matti. “Siete normali?”
chiese Carol, ridendo. Io e
Luke rispondemmo in coro: “No!” Loro si misero a
ridere. “Noi invece siamo
normali?” fece Michael. Manuela scosse la testa.
“Allora salta su, amore!”
esclamò Michael. Manuela esultò e
obbedì, imitata da Madison che salì sulle
spalle di Calum. Carol sembrava più restia.
“Andiamo, tesoro, che ti costa?!”
fece Ashton. “Non so…” fece lei.
“Quanto anni hai, diciassette o trentasette?!”
“Diciassette.”
“E
allora divertiti!” esclamò Ashton. “Mi
vuoi pazza?” chiese Carol. Ashton annuì.
“Allora mi avrai pazza!” fece lei con un gran
sorriso, prima di salire in
groppa ad Ashton, che ci raggiunse. Iniziammo così una gara
assurda nei viali
del parco, i ragazzi che correvano come matti, noi che urlavamo
allegramente
cose senza senso. “Siamo dei fuochi
d’artificio!” urlai, facendo sghignazzare
tutti. Io e Luke ci guardammo un attimo, prima di urlare: “Frizzzzz!!!” e scoppiare a
ridere.
Al
diavolo la normalità, eravamo pazzi e ne eravamo fieri.
*Angolo Autrice*
Il
cielo con i fuochi
I
fuochi “che fanno frizzzzz”
Grazie
per essere arrivati fino a qui!!! Ciauuu
Ranyadel
|
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Capitolo 18 *** End up here ***
End
up here
Il
giorno dopo, mi svegliai tardi. La sera prima
avevamo continuato a fare i cretini fino a tardi, con corse
improvvisate e
giochi intramontabili come nascondino. Avevamo riso fino a star male,
durante
l'ora passata a nasconderci.
Toccava
a Michael a contare. Luke ed io avevamo deciso di nasconderci in posti
vicini
ma diversi: io dietro ad un albero, lui nella casetta dello scivolo.
Quando lo
vidi salire, tentai di avvertirlo, ma arrivai tardi: aveva
già battuto la testa
sul soffitto a misura di bambino. Mi dovetti trattenere dal ridere,
mentre lui
urlava senza voce e si mordeva una mano per non farsi scappare nessun
grido
vero. A parere mio, stava lanciando tante imprecazioni che uno
scaricatore di
porto sarebbe arrossito, a confronto con lui.
Era
buio, la "tana" era l'unico lampione funzionante, dove Michael stava
contando fino a cento, piuttosto velocemente. Quando urlò:
"Arrivo!",
mi feci piccola piccola contro il tronco. Luke sbirciava dalle fessure
fra una
lastra di legno e l'altra e mi avvertiva quando Michael si avvicinava.
Vedevo
chiaramente Madison, che aveva scelto il nascondiglio migliore,
così ovvio da
essere imprevedibile: si era legata i capelli in una crocchia insolita
per lei
e si era messa un coprispalle. Era seduta su una panchina, dando le
spalle a
Michael, che non si era accorto di niente, scambiandola per qualcun
altro. Mi
sporsi dal mio nascondiglio, giusto per vedere Michael che andava nella
direzione opposta alla nostra. Era ancora troppo vicino al lampione per
uscire
allo scoperto, ma Luke non sembrava di questo parere: mentre Michael
non
guardava, scese lungo lo scivolo, rimanendo incastrato a
metà. Lo sentii
sussurrare frenetico: "Mi prendi in giro?!" prima di alzarsi in
fretta e correre verso il lampione, l'erba umida che attutiva i suoi
passi.
Pensava di avere campo libero, ma non fu così: Michael
iniziò a girarsi,
scrutando il parco in ogni anfratto. Luke si buttò, stile
tonno spiaggiato,
sull'erba, rimanendo immobile. Stavo per scoppiare a ridere e vedevo
anche
Madison fare lo stesso, mentre Luke avanzava come un militare in
trincea mentre
Michael non guardava. Improvvisamente, vidi Ashton uscire dal suo
nascondiglio
e correre verso la tana. Sgranai gli occhi, allarmata: non si era
accorto di
Luke. Cercai di attirare la sua attenzione, ma non ci riuscii e lui
calpestò la
mano del mio ragazzo, che urlò. Ashton si prese un infarto
come minimo e gridò
a sua volta, mentre saltava per aria e cadeva a terra. Michael si
voltò verso
di loro, che si appiattirono a terra, agevolati dall'essere vestiti di
nero.
Stava per avvicinarsi a loro, quando con un urlo di guerra Manuela
sbucò fuori
dal suo nascondiglio e corse verso il lampione. Michael
tentò di precederla,
mentre Luke mimava insulti ad Ashton, che cercava di non ridere. Vedevo
la sua
schiena attraversata da singulti e capii che stava ridendo in silenzio.
Improvvisamente, Calum sbucò dal suo nascondiglio,
approfittando di un Michael
distratto. E, come Ashton, si diresse verso Luke. Vidi quest'ultimo
sgranare
gli occhi, come Ashton, e terrorizzato cercare di attirare la sua
attenzione.
Invano: Calum inciampò sulle sue gambe, cadendo su Ashton.
Urlarono tutti e
tre, Calum per lo spavento, Luke e Ashton per il dolore. Non mi
trattenni più e
scoppiai a ridere, imitata da Madison e Carol, nascosta dietro un
albero poco
lontano da me. Michael e Manuela - che intanto era riuscita a salvarsi
- si
voltarono verso di loro, osservando la massa informe a terra. "Ma
che...?!" fece Manuela, illuminando col cellulare la scena. Calum era
steso di traverso, con le gambe addosso a Luke e il petto su Ashton. I
due
sotto gemevano doloranti. Si guardarono un attimo e scoppiarono a
ridere,
imitati da Michael e Manuela.
"Chiedo
il time out! Mi arrendo! Bandiera bianca!" esclamò Luke,
sofferente. Io mi
avvicinai a lui, ancora scossa dalle risate. "Stai bene?" chiesi. Lui
mi guardò inarcando un sopracciglio. "Ho preso una testata
degna di Willy
il Coyote. Mi sono buttato di pancia a terra. Ho perso l'uso della
mano. Calum
è inciampato sulle mie gambe. Direi che va tutto bene" fece.
Io risi di nuovo.
"Era una scena epica, però" dissi. Lui sembrò
pensarci su. "Sì,
direi di sì" rispose ridacchiando.
Ripensai alla scena della sera prima e mi misi a ridere da sola. Non
era stata
l'unica, ma di sicuro una delle migliori. Avevamo avuto anche la prova
che la
punizione divina esisteva.
Stavamo camminando in una piazza piccola,
circondata da palazzi, dietro al parco. La zona centrale era composta
da
robuste grate anziché mattonelle color cipria come tutto il
resto della piazza,
ed era circondata da un basso muretto, interrotto in quattro punti da
due pali,
uniti da una catena. Noi ragazze scavalcammo il muretto, avendo i
tacchi e non
volendo rovesciare il gelato che avevamo preso. Io avevo in mano una
granita,
come Luke: il mio odio per il gelato sciolto lo aveva contagiato.
Mescolai
ancora la granita due gusti: limone e coca-cola. Il sapore era identico
ad una
Pepsi. Anche Luke l'aveva presa come me. Carol, invece, arancia e
limone.
Calum
esibiva un enorme cono gelato, al cioccolato, stracciatella e nutella,
con
panna montata sopra. Una bomba di calorie, in poche parole. Di quelle
che ad
ogni morso portano dieci chili.
"Io ti odio!" fece Madison, osservando il gelato. "Perché?"
chiese Calum, perplesso. "Perché mangi sempre, ma non
ingrassi!! Non è assolutamente
giusto!!" rispose lei disperata, facendoci ridere.
Noi ragazze avevamo scelto la via facile e sicura per il centro della
piazza. I
ragazzi, come tutto il genere maschile, sentirono però il
bisogno di fare gli
splendidi. Si misero quindi a saltare la catena bassa che separava la
zona
delle grate dal resto. Ashton e Michael non ebbero problemi. Quando
toccò a
Luke, però, Calum diede un calcio alla catena, facendola
alzare di una decina
di centimetri. "Calum!" urlammo tutti, allarmati. Luke avrebbe potuto
farsi male, ma fortunatamente non successe niente. Luke si
voltò torno verso
Calum. "Ringrazia che ho la granita in mano o ti avrei già
ucciso."
fece truce. Calum ridacchiò prima di leccare il gelato...
Trovò il vuoto. Si
voltò verso il cono, dove dovevano esserci diecimila calorie
concentrate,
trovando solo la cialda. Sgranò gli occhi quando
realizzò che il gelato era a
terra, irrimediabilmente spiaccicato. Urlò di orrore,
cadendo in ginocchio di fianco
al cadavere, mentre tutti noi scoppiavamo a ridere. "È la
punizione
divina!" fece Madison.
A quei ricordi, scoppiai a ridere. Sentii un mugolio infastidito e
notai che
Luke era accanto a me, ancora addormentato. Era tutto accucciato, senza
coperta.
Mi mordicchiai il labbro quando realizzai di essermi avvolta a bozzolo
in essa,
rubandogli la sua parte. Mi "debozzolai", come diceva Carol, e lo
coprii. Subito lo vidi distendersi di un paio di centimetri. La
coperta, grazie
a me, era calda, e doveva essere un bel sollievo dopo essere rimasti al
freddo
tutta la notte. "Scusa" sussurrai, sapendo che non avrei ricevuto
risposta. Mi sorpresi, quindi, quando Luke borbottò:
"Tranquilla."
"Da quando sei sveglio?" chiesi sorpresa. "Da quando hai riso"
fece lui, ancora con la voce impastata dal sonno. "Ops" feci io. Lui
liquidò la questione con un gesto della mano. "Che ore
sono?" chiese.
"Le tre" feci io. "Di notte?!" esclamò sorpreso. "No,
di pomeriggio" risposi perplessa. Lui scattò a sedere. "Non
so quale
delle due sia peggio" fece, basito. Avevamo dormito tanto? Seriamente?
Ci
alzammo e ci dirigemmo in cucina, dove c’erano
solo Michael e Ashton. Probabilmente, le ragazze erano in giro. In
quanto a
Calum, c’erano due possibilità: o stava dormendo,
o stava celebrando il
funerale del suo gelato.
“Oh,
buongiorno, ragazzi. Ancora un po’ e ci
perdevamo l’ultimo round di stasera” fece Michael,
alzando appena lo sguardo
dal foglio. Ashton era di fianco a lui. “Che fate?”
chiesi. “Cerchiamo l’ultimo
verso per questa canzone” rispose quest’ultimo,
scocciato. “Ancora con End up here?”
fece Luke. Loro annuirono
e io li guardai interrogativa. “Ti spiego: è una
canzone che scrivono da non so
quanto tempo. Sappiamo la musica a memoria e le parole che ci sono, ma
manca
quella parte piccola che la rende speciale. E loro si stanno fondendo
il
cervello da troppo, per i miei gusti” fece Luke, mettendo su
l’acqua per
prepararsi una camomilla. “Vuoi?” chiese. Io
annuii, avvicinandomi al testo. Lo
lessi in fretta, mentre chiedevo loro di darmi un’idea di
come fosse la
melodia. Ashton chiamò Calum – che si
rivelò essere in sala – e gli spiegò
tutto, mentre Luke cercava sul cellulare quella che doveva essere la
base
musicale. Mi ritrovai a tenere il tempo con un dito, mi piaceva. Un
po’ come
tutte le loro canzoni, ovviamente, ma questa aveva qualcosa di
particolare.
Iniziarono a cantare, a bassa voce per non dar fastidio ai vicini. Il ritornello mi piaceva tantissimo.
How did we end up talking in the first place?
You said you like my Cobain shirt
Now we’re walking, back to your place
You’re tellin’ how you
tought about that song
About living like a prayer
I’m pretty sure that we’re
half way there
But when I wake up next to you
I wonder how
How did we end up here?
Continuarono
a cantare, poi si interruppero per
qualche secondo, prima di ricominciare. Capii che era la parte che
mancava. Mi
grattai la testa perplessa, mentre la canzone finiva. “Prima
di tutto, siete grandi.
È stupenda!” dissi ammirata.
Loro sorrisero. “Se non fosse che manca quel cavolo di
pezzetto!” fece poi
Michael, disperato. Io mi alzai per prendere due tazze.
“C’è spazio per quattro
versi, vero?” chiesi. Loro annuirono. “Ci
penserò, ma non garantisco nulla” feci
ridacchiando. “Se ci riesci, non rispondo delle mie azioni.
È troppo tempo che
stiamo dietro a questa canzone!” rispose Ashton. Io versai la
camomilla – era
troppo tardi per mangiare bene, avremmo sbocconcellato in giro qualcosa
– nelle
tazze, canticchiando i versi. “Accidenti a voi, me
l’avete messa in testa” feci
scocciata. Loro si misero a ridere. “Se ti venisse in mente
qualche idea
geniale, ricorda che la parte è di Calum” mi disse
Michael. Io annuii, pensierosa.
“Adesso è una sfida, però!”
feci poi, cercando i versi giusti. “Non ridurti
come questi due disperati. Uno dei quali, non facciamo nomi, mi ha
distrutto la
mano ieri. Vero?” fece Luke, guardando torvo Ashton, che
scoppiò a ridere. “Ti prego,
la scena è stata da film!” esclamò lui,
mentre anche io e Michael ci mettevamo
a ridere. “Chiedilo alla mia mano!” rispose Luke.
“Stai bene? Vero che non ti
ho fatto male?” chiese Ashton, rivolto alla mano di Luke. Lui
la fece muovere,
mentre con una vocina acuta diceva: “No, mi hai solo
schiacciato col tuo dolce
peso.” Ashton alzò gli occhi al cielo.
“Mi stai dicendo che sono grasso? Sono
offeso!” fece con voce rotta da lacrime tanto fasulle quanto
la sua faccia. “Io
non ho detto niente, l’ha pensato la mano” rispose
Luke. “Certamente, e tu sei
un bravo ventriloquo” Ribatté Michael, inarcando
un sopracciglio. “Ah, ah, ah,
aspetta che rido!” fece Luke ironico. “Ragazzi, mi
sento un’esclusa” dissi.
Luke mi abbracciò, facendomi appoggiare a lui. Io mi
accoccolai contro il suo
petto, crogiolandomi nel calore che emanava e mugolando felice.
“Ragazzi, devo andare
all’ospedale” fece Ashton, alzandosi.
“Perché?!” chiedemmo in coro noi tre.
“Perché mi devono fare il controllo per il
diabete. Sapete, tanta dolcezza mi
fa male” rispose lui. “Ma vattene a quel paese, mi
stavo spaventando!”
esclamai. Lui mi fece una linguaccia.
Il
pomeriggio, io e Luke uscimmo da soli. Il
giorno prima eravamo passati davanti ad un negozio che non
frequentavamo da
tempo, ma che era rimasto nei nostri cuori, dalla prima volta. Mi
ricordavo con
le lacrime agli occhi quei momenti paradisiaci.
Esatto,
il negozio di caramelle.
Anche
quella volta, facemmo scorta. Io trovai le
fragoline e ne presi un sacco: le adoravo. Luke saccheggiò
il barattolo delle
angurie e delle strisce alla coca-cola, io quello delle stelle alla
frutta e
delle strisce multicolore. Altro che adulti seri e responsabili. I
bambini
presenti ci guardavano sconvolti.
Ci
nascondemmo di nuovo al parco, stavolta su un
albero. Fu problematico salire con i miei stivali, ma Luke ci mise
davvero un
sacco di tempo. “Quanto ci vuole?!” feci ridendo.
“Amore mio, io non sono una
scimmia!” fece lui, appeso ciondolante al ramo più
basso. Io mi sporsi verso di
lui. “Dillo ancora” gli chiesi.
“Cosa?”
“Come
mi hai chiamato.”
“Amore
mio, perché?”
“Perché
mi piace” dissi con fare tenero, tornando
sui rami più alti dell’albero. Luke
tentò ancora un paio di minuti, prima di
rinunciare. “Andiamo ad un albero con i rami più
bassi?” chiese. Io annuii,
scendendo e porgendogli la borsa. Il salto più alto mi
preoccupava, mi facevo
sempre male alle caviglie. Luke notò la mia indecisione e
mise giù la borsa. “Ti
prendo io” fece risoluto. Io lo guardai come se fosse pazzo.
“Ti ucciderei, è
meglio di no!” risposi. “Non voglio che ti faccia
male!” mi disse lui. “Ma ne
farei a te!”
“Tranquilla!”
“Luke!”
“Coco,
ti fidi di me se ti dico che riesco a
prenderti?” mi chiese con una faccia da cucciolo. Come potevo
resistere?!
Accidenti a quel suo potere. Mi avrebbe rovinato.
Mi
calai più che potevo, piegando le braccia. Il
salto era di un paio di metri, ma con i tacchi, anche se bassi, era un
suicidio. Quando non riuscii più a scendere, sentii le sue
braccia sotto le
ginocchia e sulla schiena, quasi a dire: “Ci sono, non ti
lascerò andare, sono
qui.” Questo mi diede il coraggio di lasciare la presa sui
due rami. Lui mi
prese stile principessa, barcollando un paio di secondi, prima di
riprendere
l’equilibrio. “Visto? Non era tanto
difficile” disse. Io sospirai di sollievo.
“Grazie” feci. Lui sorrise, prima di avvicinarmi al
suo viso e baciarmi
dolcemente. “Conosco un albero di ciliegie qui vicino. Ha i
rami bassi e ci si
sale facilmente. Ti alletta l’idea?” mi chiese poi.
I miei occhi si
illuminarono. “Le ciliegie sono mature?” chiesi.
“Non credo. È presto, ma
l’albero è sempre stato prematuro, quindi tanto
vale andare a vedere” disse,
mettendomi giù lentamente. Io presi la mia borsa e lo
seguii. “È lontano?”
chiesi. Lui esitò qualche istante, prima di rispondere con
un: “Naah” per
niente convincente. Come mai pensavo di non potermi fidare di quella
risposta?
Mezz’ora
dopo, mi diedi ragione da sola. “Luke,
non era vicino?” chiesi con i piedi doloranti.
“Perché ti sei messa i tacchi se
sapevi che ti saresti arrampicata sugli alberi?” fece invece
lui. “Te l’ho
detto mille volte che posso usare solo scarpe rialzate”
risposi. Avendo le
caviglie deboli, col tempo avevo iniziato a camminare male, e di questo
ne
risentivano caviglie, ginocchia, anche e schiena. Per sostenere
l’arcata, avrei
dovuto scegliere fra plantari o scarpe col tacco, anche piuttosto
basso: con
questo, se avessi camminato male, sarei caduta. Era una costrizione a
camminare
bene. Sentivo la mancanza di una paio di scarpe da tennis da quando
avevo
quattordici anni, ma le potevo usare davvero per poco tempo prima di
sentire
male di nuovo.
“Siamo
arrivati, è qua dietro” mi disse poi,
circondandomi la vita con un braccio. Io sospirai, appoggiandomi a lui.
Finalmente, vidi l’albero in questione e i miei occhi si
illuminarono: i rami
erano piegati dal peso dei piccoli frutti così scuri da
sembrare neri. Improvvisamente,
le mie gambe ripresero vita. Corsi verso i rami più bassi e
colsi un paio di
frutti. Ne porsi uno a Luke, che lo scrutò in cerca di
difetti, come feci io.
Sapevo bene che quegli alberi erano la preda preferita di bruchi e
merli. Non
trovandone, la morsicai. “Aspetta, non…”
tentò di bloccarmi lui. Non fece in
tempo: dal morso, schizzò fuori il succo, rosso intenso.
Somigliava in maniera
inquietante al sangue. Io mi scansai subito, per evitare alla mia
maglia rosa
confetto una fine orribile: una macchia di ciliegia non sarebbe andata
via
nemmeno a pregare. Il gesto brusco mi fece cadere il berretto grigio
nell’erba
umida. Probabilmente, di notte aveva piovuto. “Mi sono
dimenticato di dirtelo.
Devi mangiarle tutte in una volta, o puoi dire addio ai
vestiti” fece. Io mi
pulii il rivolo di succo che mi scendeva lungo il mento. “Lo
terrò a mente!”
risposi ridacchiando e cercando eventuali macchie. Fortunatamente,
avevo avuto
buoni riflessi. Raccolsi il berretto e me lo sistemai in testa.
“Le
ciliegie più buone sono sempre in alto” feci
poi, cercando un modo per superare tutti i rami che mi impedivano di
raggiungere il tronco. Trovai un varco, dove mi infilai, seguita da
Luke.
Appoggiai la borsa a terra e mi arrampicai senza difficoltà,
issandomi per raggiungere
il primo ramo. Anni di pallavolo mi avevano lasciato una certa forza
nelle
braccia, che non esitavo a sfruttare. In poco, raggiunsi i rami
più alti,
lasciando a Luke lo spazio per salire dopo di me. Alzai lo sguardo e
rimasi
incantata: centinaia di frutti scurissimi pendevano fuori dalla mia
portata.
“Coco, ce la fai ad avvicinarmi quel ramo?” chiese
lui, indicandomi una fronda
poco lontana da lui che partiva dal ramo su cui ero appollaiata. Io la
piegai
verso di lui, che raccolse le ciliegie in poco e le mise nel sacchetto
di
plastica che avevamo preso in più dal negozio di caramelle.
Io mi allungai,
raggiungendo tante altre ciliegie. Il sacchetto si riempiva sempre di
più,
nonostante ne stessimo scartando un sacco e mangiando altre.
Improvvisamente,
misi un piede su un ramo più sottile, per raggiungerne un
altro, carico di
frutti. “Coco, fai attenzione, è troppo
debole!” mi avvertì Luke. Io scesi,
curvando il ramo a cui ero aggrappata. Quando notai che tanti frutti
erano
difettati, lo lasciai andare. Questo fece cadere molte ciliegie,
soprattutto
sulla mia testa. Una, non si sa come, si infilò nella mia
scollatura. Sbuffai
scocciata e tirai il colletto della maglia per toglierla. Urlai di
orrore: non
era una ciliegia, bensì un ragno enorme.
“Coco?!” fece Luke sotto di me, mentre
io cercavo di far uscire quel mostro orribile dalla maglietta. Quando
ci
riuscii, il ragno cadde sul piede di Luke, che se lo scrollò
via in fretta.
Avevo il fiatone. “Scendiamo” feci solo, ancora
terrorizzata. Lui scese subito,
lasciandomi lo spazio per fare lo stesso. Mi allontanai in fretta,
mentre Luke
cercava di tenere il passo. “Che schifo!” esclamai
quando arrivammo ad una
panchina. Era stato orribile. Mi tolsi il cappello, alla ricerca di
qualche
essere tremendo. Non ce n’erano, per fortuna.
“Tutto
ok?” mi chiese Luke. Io scossi la testa.
Avevo ancora il cuore a mille. Lui mi abbracciò, tirandomi
sulle sue gambe.
“Tranquilla, è tutto a posto” fece. Io,
nel suo abbraccio, mi calmai poco a
poco.
Un
tuono ci interruppe. “Fino ad un attimo fa
c’era il sole!” esclamai sorpresa, osservando il
nuvolone nero che ci
sovrastava. Per un attimo, si illuminò di bianco, facendo
esplodere nel cielo
un rumore terribile. Sembrava che ci fosse scoppiato di fianco alle
orecchie.
Io e Luke saltammo, spaventati, in piedi. “Andiamo a casa,
fra un po’ piove” disse
lui. Io annuii e iniziammo a correre. Diciamo che quello che correva
era lui:
io mi lasciavo trascinare, troppo lenta per competere con lui.
“Luke, così
muoio!” dissi dopo un paio di minuti, già sfinita.
Lui si fermò,
mordicchiandosi un labbro. “Idea” disse poi. Prese
il cellulare e scelse una
canzone, che riconobbi alle prime note: Back
for you. “Corri piano, a tempo” mi
suggerì, iniziando a dare il ritmo della
corsa. Effettivamente, funzionava: la fatica si sentiva di meno, con la
musica
a fare da sottofondo.
Corremmo
per un paio di isolati, prima di essere
coinvolti in quello che sembrava il titolo di un film: Il diluvio
universale 2.
In dieci secondi, aveva iniziato a piovere come se non ci fosse un
domani. Ci
nascondemmo sotto un porticato, col fiatone. “Chiamiamo
qualcuno per venirci a
prendere?” chiesi. Lui annuì e composi il numero
di Ashton. “Pronto?” fece lui.
Dall’altra parte sentii una risata, probabilmente era con gli
altri a
divertirsi, in casa. “Ciao Ash, puoi venire a prenderci?
Siamo ai portici” feci.
“Perché? I piedi ce li avete, no?”
chiese lui confuso. “Sì, ma diluvia”
risposi.
Lui fece un verso sorpreso e sentii dei passi. Probabilmente si era
avvicinato
alla finestra. “Oh, porca…”
“Ash!”
“Scusa.
Arrivo subito, datemi cinque minuti” disse
lui, prima di mettere giù ridacchiando. Io scossi la testa.
Ashton era
probabilmente il mio migliore amico nel gruppo. Mi trovavo bene con
lui, quasi
fosse un fratello. Inoltre, Luke non era geloso. Per niente.
Ringraziavo tutti
i giorni ogni divinità esistente per questa cosa: sarebbe
stato scocciante se
Luke fosse stato uno di quelli “Sei solo mia, nessuno
può parlarti, non puoi
avere contatti umani all’infuori di me”. Anche per
questo era fantastico. La
gente diceva sempre: “Ne trovi uno su mille,
così.” Io avevo Luke. Manuela
aveva Michael. Madison aveva Calum. Carol aveva Ashton.
Nei
miei pensieri di prima mattina, quelli che
non hanno un senso logico nemmeno se lo cerchi, mi ero detta che se
avevamo
trovato quell’uno su mille in quattro, nel mondo
c’erano almeno 3996 ragazze
con un ragazzo inadeguato. Poi mi ero svegliata e mi ero data della
stupida da
sola per quei pensieri incoerenti.
Nel
giro di cinque minuti, Ashton parcheggiò
vicino ai portici. Salimmo in macchina, fradici per le gocce gelide di
pioggia,
e Ashton ci guardò con fare assassino. “Ho lavato
ieri la macchina. Io vi
uccido.” Noi ridacchiammo. “Non lamentarti. Pensa
se fossimo entrati in
macchina come quei due” fece Luke, indicando una coppia di
ragazzi, sotto un
ombrello striminzito che non serviva a niente. La ragazza sembrava
molto più
piccola di lui, ma stavano bene insieme. “Dai, sono fortunati
ad avere quel
coso rotto che un tempo doveva somigliare ad un ombrello”
commentò Ashton,
mettendo in moto. Io rimasi in silenzio, sdraiata con la testa
appoggiata alle
gambe di Luke. Nella mia testa rimbombavano tanti pensieri su quella
coppia
così diversa. Improvvisamente, balzai in piedi.
“Mi serve Calum!” urlai. Loro
mi guardarono come se fossi pazza. “Non guardatemi
così! Ho i versi di End up here!”
urlai. Loro sgranarono gli
occhi e Ashton accelerò. “Devo scriverli o li
dimentico!” esclamai, prendendo
il cellulare.
Arrivammo
a casa e ci fiondammo dentro. “Calum!
Michael!” urlò Ashton. I due si affacciarono
subito dalla sala, perplessi. Io
spiegai tutto e loro spalancarono la bocca. Michael mi porse il foglio
dove era
scritto il testo e io copiai i quattro versi, accennando a Calum la
melodia.
Lui canticchiò qualche secondo per ricordarla.
“Ok, ci sono” disse. Luke fece
partire la base musicale, ma Carol ci interruppe: “Ragazzi,
andate in garage. È
insonorizzato, potete urlare quanto volete.” Noi schizzammo
in garage, dove
Luke alzò il volume al massimo. Cantarono a squarciagola e
dovetti ammettere
che così era ancora meglio. Poi, arrivò il
momento della verità. Calum,
reggendo il foglio, iniziò a cantare:
Call me lucky ‘cause in the end,
I’m a six and she’s a ten
She’s so fit I’m insecure
But she keeps coming back for more
Finirono
di cantare e mi guardarono. “Se non
sapessi che Luke e Carol mi ucciderebbero, ti darei un bacio”
fece Ashton, con
un sorriso enorme. “E fai bene a pensarlo!” disse
Luke, anche lui entusiasta.
“Ma chi se ne frega! Un bacio te lo meriti!” fece
Calum, schioccandomene uno
sulla guancia e facendoci ridere. “Sei un genio!”
fece Michael esultante. “Va
bene, allora?” chiesi. “No, non va bene.
È semplicemente fantastica!” rispose
una voce alle mie spalle. Madison, Manuela e Carol erano esaltate,
sulla soglia
del garage. Manuela mi corse incontro e mi abbracciò,
sollevandomi. “Io ti
adoro! E adoro questa canzone!” urlò. Io mi misi a
ridere. “Anche io ti voglio
tanto bene, splendore!” feci, ricambiando
l’abbraccio.
Tre
ore dopo, eravamo seduti ai tavoli del bar,
per la terza sera di fila. Ormai erano gli ultimi due turni, i manager
si erano
già fatti un’idea, ma si sarebbe eletto il
vincitore dopo il quinto round.
Erano rimasti in gioco quattro band, i Let me love you, i ragazzi, una
band che
non conoscevo e i Frappé alla fragola. Non sapevo cosa
avessero fatto, ma molte
band eliminate odiavano questo gruppo. Come se fosse successo qualcosa
che
aveva fatto eliminare gli avversari. “Cosa cantate, in questo
round?” chiesi. “She looks
so perfect. Teniamo Good girls
per ultima, adesso ci
scontriamo con i Let me love you e quindi abbiamo messo il nostro
cavallo di
battaglia adesso” mi disse Luke. Io annuii, avevano
perfettamente ragione. In
più, i Frappé alla fragola e l’altra
band non erano così pericolosi.
Cantarono
prima i Frappé alla fragola, il cui
nome mi sembrava più ridicolo ogni secondo, contro la band
sconosciuta, poi Let
me love you contro i 5 seconds of summer. Dopo un lungo dibattito, per
pochi
voti, vinsero i 5 seconds of summer. “Mi dispiace per
Vale.” Dissi, con una
smorfia. “Anche a me, ma abbiamo vinto!” fece
Ashton, entusiasta. Lo capivo:
parlando senza presunzione, gli avversari – i
Frappé, che chissà come erano
passati – non erano al loro livello. La vittoria era
praticamente in tasca.
Vidi
la band sconosciuta sedersi in un angolo,
insieme a tutte le altre scartate. Notai che anche loro lanciavano
occhiate
d’odio ai Frappé alla fragola. Mi chiesi di nuovo
cosa fosse successo: fra nessun’altra
band c’era questo rancore.
Lo
capii dieci minuti dopo, quando il cantante
dei Frappé annunciò il titolo della loro canzone.
“Non ci credo!” fece Manuela,
a bocca aperta. Eppure, stava succedendo davvero: la band stava
intonando le
note di Good girls.
“È
la nostra canzone!” urlò Calum, sconvolto. Noi
eravamo basiti, troppo sorpresi per essere arrabbiati. Ora capivo cosa
era
successo. Probabilmente, i Frappé avevano sempre rubato i
testi. Ecco perché
tanto odio. Mi avvicinai ad un ragazzo di una band eliminata e gli
chiesi
conferma. “Sì, quelle facce di bronzo hanno rubato
la nostra canzone e ci hanno
eliminato perché non avevamo provato abbastanza le altre e
quindi non eravamo
pronti” disse lui. Feci il giro delle band, ottenendo la
stessa risposta. Così,
tornai dai ragazzi. “Cosa facciamo adesso?!” chiese
Michael. “Non possiamo
cantare le altre canzoni. Non mi ricordo più i
testi!” fece Luke, sconvolto. “E
io le note!” ribatté Calum. Erano tutti nel
panico. Improvvisamente, mi venne
un’idea. “Invece avete una canzone di cui sapete
tutto a memoria!” feci. Loro
mi guardarono interrogativi. “End up
here.
L’avete cantata oggi e mi avete detto di sapere le note.
È l’unica cosa da
fare.” Le ragazze furono d’accordo con me.
“Siamo sicuri?” chiese Luke. I
quattro si guardarono, prima di scambiarsi un gesto d’intesa.
“Mi fate un
favore?” chiese un ragazzo, lo stesso a cui avevo posto per
primo la domanda. I
quattro annuirono, perplessi. “Buttate giù dal
palco quei ladri a calci. Non
meritano la vittoria tanto quanto voi, anzi non la meritano
proprio” disse
risoluto. Noi sorridemmo. Ci voltammo e vedemmo di avere il sostegno di
tutte
le band eliminate. Sì, potevamo farcela.
Toccava
ai ragazzi. Erano tesi, in fin dei conti
era la prima volta che provavano End up
here. Annunciarono il titolo e le band eliminate li
incoraggiarono con
fischi e applausi, mentre i Frappé alla fragola
ridacchiavano. Probabilmente
sapevano di avere la vittoria in pugno. Il trucco aveva funzionato per
quattro
round, non sarebbe stato certo il quinto ad andare male. Li guardai con
odio.
Poveri illusi. Avevano già perso quando avevano ingannato al
primo round. Luke
mi si avvicinò. “Dopo la parte di Calum, abbiamo
bisogno che battiate le mani”
mi disse. Io annuii, sorridendo. “Avete l’appoggio
di tutti!” feci, indicando
la sala. Lui ricambiò il sorriso e mi diede un bacio sulla
fronte, mentre
Ashton dava il tempo. Salì in fretta sul palco, mentre io
tornavo a sedere.
Iniziarono
a cantare e vidi lo sconcerto negli
occhi dei componenti del gruppo avversario. “Fate bene ad
avere paura, brutti…”
iniziò Madison. Carol la zittì prima che potesse
iniziare a sviolinare insulti
e tornammo ad ascoltare. Arrivò la parte di Calum e io mi
preparai, iniziando a
battere le mani a tempo. Subito la sala mi seguì, con grande
sconcerto dei
Frappé. Stava andando tutto alla grande: le dita dei ragazzi
volavano sulle
corde, le voci trasmettevano un’energia pazzesca, Ashton si
esibiva in strane
acrobazie con le bacchette, gli altri saltavano da una parte
all’altra del
palco.
Quando
finirono, la sala esplose in ovazioni
entusiaste. Io per prima saltai in piedi, urlando. Luke mi porse una
mano, come
ad invitarmi a salire. Io esitai prima di afferrarla, mentre gli altri
facevano
salire le ragazze.
“Per questa canzone,
dobbiamo ringraziare loro. Queste fantastiche ragazze che ci sostengono
sempre!” fece Michael, tenendo Manuela per mano. Tutti
applaudirono, mentre noi
ci prendevamo tutti per mano e alzavamo le braccia al cielo.
Ecco
di nuovo quella sensazione di potenza che
avevamo provato sul grattacielo. Solo che questa volta eravamo grandi
davvero.
“Non
credo ci sia dubbio su quale sia la band
vincitrice. I 5 seconds of summer vincono la competizione con un
punteggio di
sette voti contro zero!” esclamò il presentatore.
Luke prese il microfono.
“Posso dire una cosa?” chiese. Il presentatore
annuì. “Perfetto. Good
girls è una nostra canzone. Così
come le altre quattro che hanno cantato i Frappé alla
fragola sono delle band
che hanno eliminato. Si sono presi il merito di cinque canzoni che
altri hanno
sudato per scrivere, ma vorrei ringraziarli per aver rubato la nostra,
o non
avremmo cantato End up here”
disse. I
componenti dell’altro gruppo lo guardarono con odio.
“Avete poco da fare così
gli smorfiosi, ve lo meritate alla grande!” urlò
Francesco, dalla platea. Gli
altri lo seguirono, mentre i Frappé si dileguavano,
scappando con la coda fra
le gambe. Noi ci guardammo e scoppiammo a ridere, mentre il
presentatore
consegnava ai ragazzi la coppa in palio.
La
notte, brindammo alla vittoria, con bicchieri
di coca-cola, un banchetto di ciliegie raccolte il giorno stesso e
caramelle,
cantando i versi di End up here
fino
a sentire male alla gola.
La
notte, mi addormentai col sapore delle labbra
di Luke ancora sulle mie.
La
notte, dormii circondata dalle sue braccia.
Quella
notte, posso dirlo senza ombra di dubbio,
fu magica.
*Angolo
autrice*
End up
here (la amo)
Come
era vestita Coralie
il pomeriggio
grazie
di tutto, ciaooo :)))
Ranyadel
|
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Capitolo 19 *** Never be ***
Attenzione:
consiglio
tantissimo di ascoltare Never be
durante la lettura, è una canzone
magica!!
Never be
Era passato
circa un mese da quando i ragazzi avevano vinto
il concorso, e ancora niente risultati. All’inizio erano
carichi di
aspettative, ma più il tempo passava, più la
speranza sfumava.
Quel giorno,
però, non importava a nessuno.
Stavano partendo
per le vacanze estive e tutta la loro
attenzione era puntata sui bagagli e su come dividersi nelle macchine.
Avendo
un sacco di valigie, avevano optato per il furgoncino che usavano i
ragazzi per
spostarsi con gli strumenti e l’auto di Ashton, che era la
più grande.
Luke mi
aiutò a caricare la mia valigia, azzurra con
decorazioni floreali, nel retro del furgoncino. “Ma cosa ti
porti dietro,
scusa? Stiamo via tre settimane, non un anno!” fece lui, i
muscoli tesi per lo
sforzo. Dovevo ammettere che era una gran bella visione. Rimasi
immobile senza
rispondere, tenendo la mia borsa con dentro qualsiasi cosa, utile,
futile,
conosciuta, sconosciuta. Manuela mi passò di fianco e la
urtò per sbaglio,
facendo cadere un oggetto incriminato, che mi affrettai a raccogliere
nella
speranza che nessuno lo vedesse. Invano. Ashton si avvicinò
a me e mi prese
dalle mani il mio peluche. “Coco, hai diciassette
anni” fece stranito. “Non
m’importa! Per me Milky e Dayna sono parte della famiglia, e
vengono con me.
che vi piaccia o meno!” risposi, prendendo il peluche di
tigre bianca e
rimettendolo in borsa con quello di lince. “E io povera
illusa che speravo che
te ne dimenticassi, quest’anno” fece Carol
ridacchiando. Io le feci una
linguaccia. “Se vuole portare i peluche, che li porti,
scusate! Sono suoi,
decide lei” mi difese Luke, ancora alle prese con la mia
valigia, che non
riusciva ad incastrare. Cercai di aiutarlo, mentre facevo un mezzo
sorriso. Insieme
riuscimmo a farla combaciare con le altre. Chiudemmo il bagagliaio
prima che
potesse esplodere, era l’ultima.
“Andiamo,
allora?!” fece Madison, impaziente. Era emozionata
come una bambina a Natale e non capivo perché. Guardai
interrogativa Calum che
mi fece segno di venire dietro l’auto. “Che ha
Maddy?” chiesi confusa. “Non ha
mai visto il mare. È sempre stata in montagna e adesso non
vede l’ora” mi
spiegò lui. Io rimasi a bocca aperta. Quella reazione
l’avevo avuta solo quando
avevo saputo che Avril Lavigne era in tour in Italia e io me
l’ero persa.
“Abbiamo
finito, no?” chiese Michael, chiudendo il bagagliaio
della macchina di Ashton. Noi annuimmo e ci infilammo nelle due auto.
Luke, io,
Ashton e Carol eravamo nel furgoncino, gli altri nella macchina di
Ashton.
“Dove
vi porto, signorine?” chiese Ashton ridacchiando.
“Al
mare, nobile cavaliere!” rispose Luke, con voce acuta. Io lo
guardai di
traverso, ridendo, imitata dai due davanti a noi. Ashton si
schiarì la voce.
“Ero rivolto alle ragazze, Lukey.”
“Eh, e
io cosa sono, scusa?”
“Tu
sei un essere non identificato che si è infiltrato
nell’auto sbagliata.”
“Voi
dove andate?”
“In
Liguria.”
“Allora
sì, ho sbagliato.”
“Perché,
tu dove vai?”
“Alla
casa della nonnina. La mamma mi ha detto di non parlare
con il lupo cattivo.”
“Bambine,
siete tanto carine, ma se permettete io ho un
appuntamento con la spiaggia che non voglio perdere per i battibecchi
fra
Cappuccetto rosso e l’autista di un taxi sessista!”
intervenne Carol. Ashton si
voltò verso di lei. “Intanto dillo, che
quest’autista di un taxi sessista ti
piace da impazzire” fece sorridente, prendendole il mento fra
le dita e
scoccandole un bacio sul naso. Io feci un sorriso a trecentosessanta
gradi.
Furono
interrotti da Calum, alla guida della macchina di
Ashton, che suonò il clacson. “Ragazzi, a dopo i
baci. Almeno chi guida. Vorrei
arrivare al mare entro domani” fece, sporgendosi dal
finestrino. Ashton sbuffò,
mentre Luke ed io sghignazzavamo. “Siete delle carogne, voi
due!” si lamentò
Carol.
Io scalciai le
mie infradito e mi sdraiai sul sedile, con le
testa sulle gambe di Luke, che prese a carezzarmi piano i capelli
raccolti in
una treccia sfatta. Io chiusi gli occhi, sorridendo da ebete.
Per qualche
tempo, ci eravamo preoccupati su dove andare in
vacanza. Avevamo paura che le varie famiglie pretendessero i figli, e
per un
po’ era stato anche così. Poi, però, la
zia di Calum ci aveva salvato la vita:
ci aveva proposto tre settimane nella sua casa al mare, dicendo di
voler fare
una vacanza in qualche altro posto. Quindi, oltre alla casa, avevamo
anche la
scusa di non poter offendere questa zia così generosa. I
miei, quando lo avevo
detto, mi avevano dato della faccia di bronzo, ridendo, ma mi avevano
permesso
di passare la vacanza così.
“Che
facciamo, per queste ore di viaggio?” chiese Carol,
insofferente. Odiava i viaggi lunghi. “Si ascolta la musica,
si canta, si
dorme, cosa vuoi di più dalla vita?” fece Ashton
ridacchiando. “Del cibo e un
bacio!” rispose lei. “Per una cosa ti posso
accontentare subito” rispose Ashton
con un mezzo sorriso. Carol lo imitò, ma il sorriso le
morì sulle labbra quando
lui le porse un panino. “Ma che…?!”
“Non
volevi cibo?”
“Ma
io…”
“Ti ho
detto di poterti accontentare per una cosa, e così ho
fatto.”
“Sei
un cavernicolo, cretino e insensibile per di più!”
fece
Carol, incrociando le braccia e dandogli le spalle. Ashton si mise a
ridere.
“Dai, lo sai che scherzo” fece, carezzandole la
schiena. “Non te la cavi così,
mio caro!” rispose lei, sempre mantenendo la sua parte da
offesa. Ashton
ridacchiò di nuovo e le pizzicò il fianco per
farle il solletico. Carol
sobbalzò, portando i gomiti contro i fianchi e schiacciando
le dita di Ashton.
“Ecco, te lo meriti! Lo sai che reagisco così
quando mi fanno il solletico!”
esclamò lei, vedendolo dolorante. “Ora siamo pari,
però” fece lui, dandole un
lieve bacio sulle labbra. Carol fece una smorfia che probabilmente era
un sì e
Ashton riuscì a mettere in moto, mentre io porgevo a Carol
il porta-cd. Lei
estrasse da questo l’ultimo cd di Avril, mentre Ashton alzava
gli occhi al
cielo.
Sei ore dopo,
eravamo arrivati sulla costa ligure. Eravamo
stati rallentati da un incidente che aveva creato una coda
chilometrica, tanto
che ad un certo punto io e Luke avevamo deciso di scendere e
sgranchirci le
gambe. Dato che di fianco a noi correvano campi di girasoli, ci
infilammo in
essi, arrivando in un punto dove i fiori ci superavano in altezza.
Iniziammo a
giocare a nascondino, chiamandoci a vicenda per capire dove eravamo. Mi
stavo
nascondendo dietro un paio di alti steli, ridacchiando, quando lo vidi
che si
avvicinava. Ridacchiai, allontanandomi, ma lui sentì il
fruscio provocato e mi
inseguì. Corsi, ricevendo solo tante foglie in faccia,
ridendo, fino a che non
arrivai al limite con l’autostrada. Luke si
scontrò contro di me e scoppiammo a
ridere. “Fermi tutti, dove sono i ragazzi?” chiesi
poi. Luke guardò
l’autostrada e impallidì. “Oh.”
Ci mettemmo a
correre nella corsia centrale, dove sapevamo
trovarsi le due auto. Eppure, non trovavamo i ragazzi. iniziavo a
preoccuparmi,
così chiamai Ashton. “Dove siete finiti?! Qui si
sta muovendo tutto, fate in
fretta!” Mentre lo diceva, le auto iniziarono a muoversi,
lentamente. Erano più
avanti, quindi. Iniziai a correre, sentendo Luke che mi seguiva. Alcuni
clacson
suonarono e noi ci tappammo le orecchie, erano davvero troppo forte. Mi
stavo
guardando intorno, quando qualcosa mi colpì in testa.
Gemetti e guardai cosa
era arrivato: un’infradito di cuoio, con una stella marina
dove si incontravano
i lacci. Conoscevo bene quella scarpa. “Coralie! Voltati,
sorda!” urlò Manuela.
Io la cercai, basandomi anche da dove era arrivata
l’infradito, e vidi Manuela
sbracciarsi dall’auto di Ashton. Sospirai di sollievo e li
raggiungemmo. “Non
sparite più, o vi lasciamo a fare l’autostop,
chiaro?!” ci riprese Carol. Noi
rimanemmo in silenzio, consapevoli di essere in torto.
“Coco!” urlò Manuela
dall’altra macchina. Io mi sporsi dal finestrino.
“Pretendo la mia infradito!”
esclamò lei. Io gliela lanciai, ma colpii il cofano
dell’auto. Ashton urlò di
orrore. “La mia bambina! Non potete trattarmela
così!” urlò, guardando la sua
adorata auto. Carol lo fissò torvo. “A volte mi
chiedo chi tu preferisca, fra
me e lei” fece. Ashton non sembrò neppure
sentirla, mentre io mi scusavo e
Manuela recuperava l’infradito.
Una
mezz’ora dopo, arrivammo alla casa della zia di Calum.
“Finalmente, casa dolce casa!” fece lui, scendendo
dall’auto e correndo ad
aprire la porta. Noi lo seguimmo, trovandolo bloccato nel corridoio.
“C’è
qualcuno in casa” disse solo, allarmato. Noi ammutolimmo e lo
seguimmo per le
stanze, mentre lui, silenzioso, cercava di capire chi produceva quei
rumori.
Calum ci indicò quello che probabilmente era la sala,
facendo segno di rimanere
in silenzio. Io sentivo il sangue gelare nelle vene: se fosse stato un
ladro?
Se fosse stato armato? O fossero stati in tanti? Cosa avremmo fatto
noi?
Sentimmo dei
passi, piccoli e veloci, venire verso di noi.
Calum, improvvisamente, svoltò l’angolo della
porta, urlando. Sentimmo un altro
urlo, femminile e terrorizzato. Poi Calum: “Zia!”
“Per
l’amor del cielo, Calum, che ci fai qui?!”
Noi uscimmo allo
scoperto, lentamente, per non far spaventare
ulteriormente la zia di Calum. Notammo sbigottiti che era in vestaglia.
“Oggi
dovevamo arrivare noi, ti ricordi?” fece Calum. La zia
sgranò gli occhi. “Ti
sbagli, io parto domani mattina!” rispose. Noi spalancammo la
bocca. “Ma no,
non è…” fece Calum, cercando il
cellulare dove aveva salvato il messaggio.
Quando lo trovò, si interruppe. “Ragazzi,
c’è un problema” disse.
La zia di Calum
aveva ragione, e noi eravamo senzatetto per
un giorno. “Sei un genio!” fece Madison, torva. Lui
incassò la testa nelle
spalle. “Se volete, potete pure
rimanere…” iniziò la zia di Calum.
“No, si
figuri, ci scusi il disturbo, non volevamo darle fastidio, grazie
comunque”
fece Luke. Noi fummo d’accordo e uscimmo dalla casa,
scusandoci di nuovo. “E
ora che facciamo?” chiesi. Ci guardammo attorno.
“Beh, abbiamo la spiaggia, ed
è disabitata. Possiamo semplicemente fare un falò
stasera, e intanto stare qui.
Poi dormiremo o sotto le stelle, o in macchina” propose
Michael. Ci aprimmo in
sorrisi entusiasti. “Viva il campeggio!”
esclamò Manuela, esaltata.
Facemmo un salto
al supermercato per prendere la carne da
fare alla griglia e poi tornammo in spiaggia. Rimanemmo incantati nel
vedere la
spiaggia incontaminata, tutta per noi. “Io amo la zia di
Calum!” fece Carol,
sognante. Stendemmo i teli mare, fissandoli con dei sassi per non farli
volare
via. “L’ultimo che arriva non mangia!”
urlò Manuela, correndo verso il mare.
Iniziò una corsa disperata, in cui cercavamo di ostacolarci
a vicenda e di
arrivare verso l’acqua. Durante il tragitto, ci togliemmo
magliette e
pantaloncini, abbandonandoli sulla spiaggia e pregando che il vento non
li
portasse via. Ci tuffammo nonostante il fondale bassissimo
nell’acqua gelida e
rabbrividimmo, per scoppiare a ridere. Vidi che Luke si avventurava
più al
largo e nonostante il freddo e il mio timore di calpestare qualche
animale
strano, lo seguii, fino a che l’acqua non raggiunse le mie
spalle. Luke si
voltò verso di me e sembrò sorpreso nel vedermi.
“Coco, torna a riva, hai le
labbra viola” mi disse, avvicinandosi subito a me. io scossi
la testa, mentre
battevo i denti. “Ce la faccio.”
“Coco,
davvero, poi stai male.”
“Ma io
voglio stare con te.”
“Allora
vengo a riva anche io.”
“No…”
“Perché?”
“Non
voglio che tu debba sempre rinunciare a tutto per me.”
Luke mi guardò qualche secondo, prima di abbracciarmi.
“Ricordati solo questo:
io rinuncio al cielo, per avere il Paradiso.” Io sorrisi
piano, mordendomi le
labbra, mentre sentivo gli occhi pizzicare. Ricambiai
l’abbraccio, cullata dal
calore che il suo corpo emanava. “Ti amo.”
“Anche
io, cucciola.”
La sera, ci
sedemmo sui teloni che
avevamo steso sulla sabbia, mentre Ashton litigava con la legna per
farla
ardere. Io ridevo, vedendolo sfregare il bastoncino contro un altro.
"Sembri tanto Sid il Bradipo" disse Calum. "Lui almeno era il
Signore delle Fiamme. Io, invece, sto pregando questi due bastoncini di
prendere fuoco!" rispose lui. Luke allungò un braccio
– di più non poteva
fare, con me accoccolata su di lui – e toccò i
bastoncini. "Ma lo sai che
sei un genio? Usare legno bagnato per accendere un fuoco!" fece
ridendo.
Ashton si lasciò cadere a terra. "Non ci credo! Non erano
bagnati, dove li
tenevo io!!" fece disperato. Manuela si avvicinò al fuoco e
prese un
bastoncino, avvolgendolo con la carta di un giornale. Lo cosparse
d'olio e fece
lo stesso col falò, aggiungendoci diversi fogli di carta
appallottolati.
"Sai, Ash" fece, frugando nelle tasche "Hanno inventato una cosa
geniale. Si chiama accendino." Così dicendo, diede fuoco al
bastoncino che
teneva in mano, gettandolo nel falò che prese fuoco in un
paio di minuti.
"E fu così che la tecnologia batté Madre Natura"
commentai
ridacchiando. Ashton preferì rimanere in silenzio, mentre
Carol lo abbracciava
da dietro. "Dai, non fare così. La prossima volta ce la
farai" la
sentii sussurrare. Ashton si voltò verso di lei per darle un
bacio, che lei
ricambiò subito. "A volte mi chiedo cosa ci fa uno di due
anni più grande
di noi qui. Non ti annoi?" chiese Madison. Ashton la guardò
come se fosse
pazza. "Annoiarmi?! È impossibile, con voi, fidatevi!"
rispose
ridacchiando. Io presi dalla borsa tutta la carne che avevamo preso il
pomeriggio e la posai sul telo, ancora confezionata, mentre Calum e
Michael
cercavano di dar vita ad una griglia alquanto instabile. "Metteteci dei
sassi, attorno, o cadrà!" fece Luke. "Se sei così
esperto, dacci una
mano!" esclamò Calum. "Non farlo!" feci io invece.
"Perché?"
"Sono troppo
comoda, una
posizione così non la trovo più!" esclamai
disperata. Tutti risero, mentre
io mi accoccolavo ancora meglio. "Dopo dovremmo mangiare, lo sai,
no?" mi chiese lui. Io non risposi, troppo concentrata a giocherellare
con
la sua collana. "Ragazzi, anziché un falò sulla
spiaggia questo sembra un
dormitorio. Facciamo qualcosa di divertente?!" chiese Madison. Manuela
tirò fuori dalla sua borsa un pallone da volley e ce lo
mostrò. Io fui la prima
a schizzare in piedi: se avevo un punto debole, quello era la
pallavolo. Luke
mi guardò stranito. "Ma scusa, non..."
"Sono
incoerente, lo so. Ora
giochiamo??" chiesi con gli occhi che brillavano e una faccia da
cucciola.
Lui alzò gli occhi al cielo ridendo e si unì a
noi, come Michael.
"Asociali, venite a giocare anche voi?" chiese Manuela, indicando il
campo che avevamo montato prima. O meglio, la rete.
Iniziammo a
giocare, ragazzi contro
ragazze, fino a notare che non era possibile: i ragazzi avevano troppa
potenza
e le ragazze troppa tattica. Eravamo impari, così Ashton e
Luke si spostarono
da noi e Manuela e Madison dall'altra parte. Io, avendo dalla mia anni
e anni
di pallavolo, indicai ai due i punti dove stare.
La partita
andò avanti, con cadute,
tuffi ed errori inimmaginabili e per questo divertentissimi. Alla fine,
avevamo
perso la speranza di segnare i punti: giocavamo così, giusto
per ridere.
Improvvisamente, Michael sbarrò gli occhi. "Ragazzi, ma la
carne chi la
sta curando?" chiese. Noi ci guardammo terrorizzati prima di correre
verso
il falò, che ardeva imperterrito. Fortunatamente, non tutta
la carne era
bruciata. Tirammo via subito la griglia - era bollente, per poco non ci
ustionammo nonostante i guanti da giardinaggio - e la appoggiammo sulla
tovaglia di plastica, per vedere quanta carne avremmo dovuto eliminare.
“Dai,
non abbiamo fatto un totale disastro. Abbiamo carbonizzato solo un paio
di
costolette” fece Calum, spostando i pezzi di carne
immangiabili con occhio
critico. Facemmo spallucce e ci scartammo la parte rimasta, sedendoci a
gambe
incrociate con i nostri piatti di plastica e le posate che si rompevano
a
guardarle. Carol prese il cellulare e nell’aria si diffusero
le note di Sippin’ on sunshine.
Noi ragazze
iniziammo a cantare, mentre i ragazzi sembravano rassegnarsi
all’idea di non
avere scampo. “Prima o poi, ti stancherai di Avril,
vero?” chiese Ashton alla
sua ragazza. Lei scosse la testa, con la bocca piena, e lui fece segno
di
tagliarsi le vene. “Sono spacciato. Vivrò per
sempre con una fanatica” disse.
Carol lo guardò a bocca aperta, come se non credesse a
quello che aveva appena
detto lui. “Ash, io ti consiglio di smetterla”
dissi. Lui mi guardò. “Coralie,
lo sai come sono fatto. Io prendo in giro Carol, ci scherzo, ci gioco,
la
faccio rimanere male. Ma lei è la mia principessa e non le
farei mai del male
seriamente, perché la amo troppo e sapere di essere la causa
di una sua lacrima
mi spezzerebbe il cuore” disse, serio come non mai. Carol
sorrise e si appoggiò
a lui, che le lasciò un bacio sulla testa. “Spegni
la musica?” chiese Luke.
“Perché?” feci io.
“Perché avete la possibilità di sentire
musica dal vivo, ben
più romantica di questa” rispose lui, mentre si
alzava per andare in macchina a
prendere la chitarra. I ragazzi lo imitarono e ci andammo a sedere su
uno
scoglio. Solo Ashton si sedette su una cassa di legno, che usava al
posto della
batteria. “Un concerto dal vivo, e solo per noi! Sono
commossa!” fece Manuela
elettrizzata. Loro ridacchiarono, di fronte a noi. Come sottofondo, lo
sciabordare delle onde. Vidi Michael proporre qualcosa al gruppo, che
acconsentì.
Noi eravamo troppo lontane per capire, nonostante ci separassero due
metri
scarsi, ovvero la distanza fra i due scogli che avevamo scelto come
anfiteatro.
Luke impugnò un microfono invisibile e si schiarì
la voce. “Questa canzone è
dedicata a quattro ragazze speciali, che ci sono sempre affianco, ci
aiutano e
ci sostengono. Non potremmo amarle più di così,
ed è solo uno dei tanti motivi
per cui queste parole sono per loro. Grazie, ragazze, di
esistere.” Noi applaudimmo,
sorridendo emozionate, mentre loro iniziavano a suonare.
I need your love to light up this
house
I wanna know what you’re all about
I wanna feel you, feel you tonight
I wanna tell you that it’s alright
I need your love to guide me back
home
When I’m with you I’m never
alone
I need to feel you, feel you tonight
I need to tell you that it’s alright
We’ll never be as young as we are now
It’s time to leave this old black and
white town
Let’s seize the day, let’s
run away
Don’t let the colors fade to grey
We’ll never be as young as we are now
As young as we are now
I’ve seen myself here in your eyes
I stay awake ‘til the sunrise
I wanna hold you, hold you all night
I wanna tell that you’re all mine
I felt our hands entertwine
I hear our hearts beating in time
I need to hold you, hold you all night
I need to tell you that you’re all
mine
We’ll never be as young as we are now
It’s time to leave this old black and
white town
Let’s seize the day, let’s
run away
Don’t let the colors fade to grey
We’ll never be as young as we are now
As young as we are now
We won’t wait for tomorrow
It’s too late, we don’t
follow
We won’t wait for tomorrow
It’s too late, we don’t
follow
We’ll never be as young as we are now
It’s time to leave this old black and
white town
Let’s seize the day, let’s
run away
Don’t let the colors fade to grey
We’ll never be as young as we are now
As young as we are now
Quando finirono
di cantare, noi
avevamo le lacrime agli occhi. “È…
stupenda!” disse Madison, commossa. Noi convenimmo,
facendoli sorridere.
Erano unici,
inimitabili. I nostri eroi,
una banda sgangherata di eroi molto alternativi, ma erano i nostri
eroi. E anche
per quello, eravamo innamorate di loro. Di tutto quello che li rendeva
così. Di
tutto quello che facevano o erano. I ragazzi migliori del mondo, ecco
cos’erano.
Suonarono per
noi ancora a lungo,
canzoni vecchie, nuove o inventate al momento, fino a che la luna non
fu alta
nel cielo. Quando dissero di aver male alle dita, misero via gli
strumenti e
preparammo dei sacchi a pelo improvvisati. Ci addormentammo sotto le
stelle, a
raccontare storie assurde e a ridere.
“Esprimi
un desiderio” mi disse
Luke, ad un certo punto. Io lo guardai interrogativo. “Hai
visto una stella
cadente?”
“Sì.”
“Io
no.”
“Ma
come? Ha attraversato tutto il
cielo ed è caduta proprio qui.”
“E tu
come lo sai?”
“Semplice.
La sto tenendo fra le
braccia adesso” rispose stringendomi più forte. Io
sorrisi. “Buonanotte, amore
mio” mi sussurrò baciandomi. Io ricambiai.
“Buonanotte, pinguino.”
*Angolo autrice*
Come erano vestite Manuela,
Carol,
Madison
e Coralie
Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui!
Ciaoo
Ranya
|
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Capitolo 20 *** I will be ***
I will be
Il mattino dopo,
ci trasferimmo in casa Hood, finalmente
libera. Nonostante di giorno ci fossero trenta gradi, la notte era
stata
freddissima: avevamo provato a dormire sulla sabbia, ma poi avevamo
svuotato il
retro del furgoncino per ammassarci lì dentro, in un
miscuglio di corpi,
coperte, cuscini e pupazzi. Dire che avevamo tutte le ossa rotte era un
eufemismo, e in più avevamo dormito malissimo.
“Non
rifacciamolo mai più, per
favore” fece Manuela, assonnata e dolorante. Partì
un coro di svogliati assensi,
mentre ci trascinavamo come zombie acciaccati per la casa. Io mi arresi
subito
davanti alle valigie, lasciandole intatte sul mio letto e scendendo al
piano di
sotto per preparare la colazione. Qualcuno doveva pur farlo, no?
Cercai di fare
mente locale, non
ricordavo assolutamente i gusti dei ragazzi e di Madison, e dire che
praticamente la nostra era una convivenza continua. Bene o male,
eravamo sempre
sotto lo stesso tetto.
Chiamai Ashton
per aiutarmi, dato
che Luke era alle prese con la sua valigia. Lui, svogliato quanto me,
mi seguì.
“Siamo una gioia al mattino” fece, sbadigliando. Io
annuii e cercammo di
mettere insieme qualcosa di simile ad una colazione. “No,
metti i biscotti al
cacao, sono più buoni di quelli alla crema” feci,
mentre lo vedevo posare sul
tavolo la confezione in questione. “Guarda, parliamone. Non
puoi dirmi che sono
più buoni” rispose lui. Io lo guardai torva e
sostituii i biscotti alla crema
con quelli al cacao, fissandolo poi a mo’ di sfida. Lui
restituì il mio
sguardo, mentre i suoi occhi si riducevano a due fessure.
“Facciamo così.
Mettiamoli tutti e due” disse, prendendo di nuovo i biscotti
alla crema e
mettendoli affianco ai miei. Io attesi qualche secondo, prima di
acconsentire.
Alla fine, fra
un compromesso e
l’altro, sul tavolo non c’era più
spazio. Io andai a chiamare Luke, Ashton fece
lo stesso con Carol. “No, grazie, non ho fame” fece
Luke, steso sul letto.
“Come sarebbe a dire, non hai fame?! Tu adesso vieni a
mangiare, primo perché
se no stai male, secondo perché io e Ashton abbiamo litigato
fino ad ora per
mettere in tavola qualcosa e se non mangiate dovrete vedervela con
noi!” feci
io scandalizzata. Luke che non voleva mangiare? Mai visto.
Dopo qualche
tira e molla, Luke
acconsentì. “Però non troppo, non sono
proprio in vena” mi disse. Io lo guardai
stranita. “Sicuro di stare bene?”
“Non
molto” ridacchiò, passandosi
una mano sul viso. Aveva delle occhiaie spaventose. Io lo guardai
qualche
secondo. Iniziavo a non essere sicura che stesse bene per davvero.
Fummo interrotti
da Madison, che ci
chiamò per la colazione. Noi raggiungemmo gli altri in
cucina, dove ci dovemmo
stringere ad un tavolo troppo piccolo per tutti e otto. Mangiammo poco
e di
malavoglia. Eravamo tutti al top della vitalità.
Quando finimmo,
decidemmo che
dovevamo recuperare le ore di sonno perse. C’erano solo
quattro camere, ma i
letti erano grandi e per fortuna tutti eravamo abituati a dormire in
coppia.
Per cui, sparimmo nelle diverse stanze. Luke si infilò sotto
il lenzuolo,
seguito da me. Di solito ero io la freddolosa, ma quel giorno tutti i
ruoli
parevano essersi invertiti. Io mangiavo, lui no. Lui aveva freddo, io
no. Notai
anche che quel giorno io dormivo a sinistra anziché il
solito. Wow, per
arrivare a notare queste cose si doveva essere proprio messi male.
Mi accoccolai
contro di lui,
sentendo il suo calore, familiare, tranquillizzante e…
soffocante. Mi dovetti
scostare di un paio di centimetri, tanto che lui mi guardò
strano. “Cosa c’è?”
chiese. “Ho troppo caldo così” risposi,
con una smorfia. Di solito non avevo
mai caldo, con lui. Lui sporse il labbro all’infuori.
“Ho capito, dormirò da
solo, al freddo e al gelo” si lamentò,
avvolgendosi nella coperta e dandomi le
spalle. Io ridacchiai e mi portai sopra di lui, per lasciargli un
innocuo bacio
sulla guancia. “Devi farti la barba, pungi” dissi.
Lui mi fece una linguaccia e
si girò, facendomi cadere. Mi misi a ridere mentre lui si
acciambellava. “Sono
offeso” disse, coprendosi la testa con la coperta.
“Fu così che il grande eroe
Luke sprofondò nei bui e profondi antri di quel posto magico
che tutti chiamano
letto” lo canzonai, cercando di scoprirlo. “Dai,
Coco!” fece lui, ridacchiando.
“Dai niente, voglio un bacio e non ti lascio in pace fino a
che non lo
ottengo!” lui smise di dimenarsi, tanto che credei che fosse
morto. Lo scoprii
fino al busto, trovandolo immobile, con gli occhi chiusi.
“Luke?” lo chiamai.
Vidi che si tratteneva dal ridere – senza molto successo
– e sospirai. Mi misi
a cavalcioni su di lui, decisa ad ottenere il mio bacio ad ogni costo.
Mi
sdraiai sul suo busto – ancora, decisamente troppo caldo
– e gli lasciai un
bacio sotto il lobo dell’orecchio. Notando che lui non faceva
una piega, lo
baciai di nuovo, ancora e ancora, fino a che, non so come, mi
scappò un piccolo
morso. Lui sgranò gli occhi. “Ma
che…?!” fece, basito. Io ridacchiai. “Tu
sei
pazza” mi disse lui ridendo. Io annuii e lui mi prese il viso
con le mani,
avvicinandomi al suo e facendo incontrare le nostre labbra in un bacio
dolce e
allo stesso tempo intenso. Mi mordicchiò un poco il labbro
inferiore,
giustificandosi con un: “Ti dovevo un morso”. Io
alzai gli occhi al cielo,
tornando a baciarlo. Iniziavo ad avere troppo caldo ma mi dispiaceva
staccarmi
da lui nonostante fosse una fornace. Non capivo perché fosse
così.
Quando si
staccò, tentò di farmi
tornare al mio posto – eravamo venuti lì per
dormire, non per baciarci in
maniera così poco casta – ma io mi opposi. Presi
fra i denti il suo piercing,
trascinando il suo labbro con me. “Ahi, Coco, mi fai
male” mugolò lui,
incomprensibile. Io ridacchiai ma lo lasciai. Stavo esagerando,
decisamente, ma
volevo giocare, ed ero pericolosa quando volevo giocare. Decisi di
smetterla
prima di farmi insultare e mi coricai di fianco a lui. Luke
cercò le mie dita e
quando le trovò le intrecciò alle sue.
Così, anche se non potevo dormire
accoccolata contro di lui come al solito per quella strana sensazione
di calore
soffocante, mi addormentai con la mano nella sua.
Mi svegliai da
quel tentativo
fallito di sonno circa un quarto d’ora dopo, esasperata. Luke
non faceva altro
che divincolarsi e non capivo sinceramente cos’avesse.
Rinunciai con un sospiro
alla mia bella dormita e presi il mio portatile, decisa ad andare
avanti con il
mio libro, in qualche modo oscuro.
Quando Luke
si svegliò, mi trovò seduta, a gambe incrociate,
con il computer di fronte a me
e la testa fra le mani. "Cosa c'è, amore?" mi chiese. "Io ci
rinuncio" dissi. Lui si alzò a sedere, improvvisamente
serio. "A far
cosa?" domandò. "A scrivere. Sono una fallita. Il mio libro
è stato
pubblicato per pietà e non riesco ad andare avanti con
questo. Non sono
capace!" esclamai. Era da un'ora che provavo a scrivere una sola
parola,
ma niente, non riuscivo ad andare avanti. Ero in un momento di
sconforto, con
le lacrime agli occhi. Luke mi fissò. "Vestiti" mi
intimò poi,
alzandosi. Io lo guardai. "Luke..."
"Non
volevo arrivare a tanto perché stavo progettando tutto da
tempo e non volevo
che tu lo sapessi così, ma vieni con me" mi disse,
togliendosi la
maglietta e cambiandosi. Io sbuffai, spensi il computer e lo imitai.
Non c'era
più vergogna fra di noi per quelle cose dopo che ci eravamo
visti in costume,
anche se, lo ammetto, vederlo in boxer mi faceva un certo effetto.
Arrossii
lievemente mentre mi infilavo nei primi vestiti che presi dalla
valigia.
Avvertimmo
gli altri che stavamo uscendo e prendemmo la macchina di Ashton. "Se
succede qualcosa alla mia bambina vi strozzo!" ci urlò
dietro Ashton,
mentre Carol lo prendeva per il colletto della t-shirt dei Nirvana e lo
portava
dentro.
Luke
guidò
fino in città, dove chiese le indicazioni per una libreria.
Io ero sempre più
curiosa. Quando parcheggiammo, lui mi fece scendere. "Ora vieni con me.
E
se non cambi idea sul tuo talento te la vedi con me" mi disse. Io non
fiatai e lo seguii fino alla reception della libreria. "Mi scusi, ha un
minuto da dedicarmi?" chiese all'anziana commessa. Lei sorrise e
annuì.
"Potrebbe dirmi qualcosa del libro Look
into my eyes?"
"Oh,
un vero caso editoriale. Fino a qualche mese fa non lo comprava nessuno
anche
se a mio parere meritava molto di più. L'ho letto ed
è geniale, soprattutto per
un'autrice così giovane... Il suo segreto sta nella
semplicità e nella
spontaneità. Comunque, non so perché, ultimamente
ha fatto un boom di vendite.
Guardi, ne è arrivato un carico ieri, l'ultimo è
finito in una settimana"
ci disse, alzandosi per prendere il mio libro. Io ero a bocca aperta.
Basita.
Stupita. Sorpresa. Incredula.
Luke mi
guardò sorridente. "Tu non c'entri niente, vero?" chiesi.
"Oh,
piccola, c'entro eccome. Non hai idea di quanto potere abbia il
passaparola,
un'inserzione sul giornale e la pubblicità" disse. Io rimasi
di sasso.
"Cosa..."
"Ti
ricordi quando ci siamo conosciuti? Me lo hai fatto leggere e ti ho
chiesto se
avresti continuato. Tu mi hai detto di sì ma che il tuo
libro non vendeva e io
ti ho promesso che ci avrei pensato io. E io, amore mio, mantengo
sempre le
promesse" mi disse baciandomi sul naso. La mia bocca, da "O" perfetta,
divenne una "D" capottata. Gli saltai al collo, entusiasta, proprio
mentre la signora tornava con il libro, il mio
libro, in mano. "Guardi, la trama è proprio qui.
È semplice, ma scritto
davvero col cuore. E se vuole qui c'è anche la foto
dell'autrice" fece la
signora, aprendo alla pagina giusta. Diede un'occhiata alla foto, poi a
me e di
nuovo alla foto. "Ma lei è..." iniziò. Io sorrisi
- ma non stavo già
sorridendo? - e annuii. La signora rimase immobile, sorpresa. "Potrei
comprare quella copia?" feci. La mia ce l'aveva Luke e quando avevo
detto
di averne un'altra, beh, avevo mentito. La signora annuì,
poi si guardò attorno
come una spia e mi fece segno di avvicinarmi. Io, cercando di non
ridere, mi
accostai a lei. “Se mi fa l’autografo e mi promette
che pubblicherà un seguito,
glielo regalo” sussurrò con fare da cospiratrice.
Io ridacchiai. “Non posso
accettare, davvero” feci. Lei mi guardò
scandalizzata. “Ma lei deve accettare!
E chi me l’assicura più un autografo e il seguito
di un libro geniale?!”
chiese. Io e Luke ci mettemmo a ridere. La signora – quanti
anni avrà avuto?
Ottanta? – mi fece segno di seguirla dietro al bancone della
reception e io
obbedii. Facendolo, però, urtai uno scatolone. Sentii una
specie di squittio
stizzito e sussultai. La signora si chinò verso lo
scatolone. “Silenzio,
Stracciatella, non fare rumore!” fece. Io la guardai basita.
“Stracciatella?”
chiesi. Lei annuì e tirò fuori dallo scatolone
l’essere più tenero che avevo
mai visto: un coniglietto, così piccolo che stava
tranquillamente nelle mani
chiuse a coppa della signora, bianco, con gli occhietti tondi che
sembravano
due giade, le orecchie e una macchia attorno all’occhio nere,
più tanti piccoli
puntini neri sul manto che doveva essere morbidissimo. Il nasino rosa
fremeva a
tempo dei respiri veloci del coniglietto.
“È
un
amore!” esclamai. “Lo so, l’ho adottato
da una famiglia che non poteva più
tenerlo, ma non posso più farlo rimanere in negozio,
purtroppo. Ha bisogno di
una casa vera e io non posso portarlo a casa mia, perché mio
marito è
allergico” disse lei dispiaciuta. Io e Luke ci guardammo.
“Non possiamo
tenerlo, vero?” chiesi, disillusa. Luke scosse la testa.
“Lo so che è tenero,
ma non siamo in casa nostra, e da noi abbiamo comunque i gatti e voi
avete
Tabitha. Riusciamo ad occuparci a malapena di loro, non ce la faremmo
anche con
un coniglio” disse. Io sospirai, poi ebbi
un’illuminazione. Presi il telefono e
composi il numero di Emmaline.
Mi ero
riavvicinata molto a lei, in quelle settimane, ed ero molto contenta di
quello.
Cristine e Daniel le avevano proposto di tornare in Francia e lei, dopo
diverse
pressioni anche da parte mia, aveva accettato. Era il posto migliore,
per lei,
così vicina ai ricordi che la tenevano salda sui suoi piedi
e così lontana dal
posto che era stata la sua prigione dorata. Ci chiamavamo spesso, anche
se lei
era sempre occupata nel lavoro che Cristine le aveva faticosamente
procurato:
adesso le due si alternavano i turni in un ristorante italiano con
vista torre
Eiffel. Daniel, che peraltro lavorava come cuoco nello stesso
ristorante, mi
aveva detto che fra i camerieri ce n’era uno davvero carino
– e ci aveva tenuto
a specificare che erano parole di Emmaline e non sue – che le
faceva una corte
spietata. Io avevo sorriso all’idea, poi avevo chiesto a
Daniel di dirmi tutto
il possibile sul cameriere. Se mia sorella doveva innamorarsi, il
fortunato
doveva avere le carte in regola. Perché sì,
l’amore può battere ogni cosa, ma
non me quando mi impunto.
“Coco
mi
piacerebbe molto parlare ma sono in servizio quindi eliminiamo i giri
di parole
e subito dritti al punto” disse lei frettolosa. Io
ridacchiai. “C’è un
coniglietto adorabile e bisognoso di casa qui con me, quando vieni per
ritirare
le carte dall’ospedale non è che potresti
prenderlo?” chiesi. La sentii urlare.
“Oddio sì! Amo i conigli!”
esclamò elettrizzata. Io scoppiai a ridere e la
ringraziai. “Ti ringrazia anche Stracciatella!”
“Non
può
chiamarsi Stracciatella, dimmi che stai parlando con il
gelato!”
“No,
no,
tesoro, si chiama proprio Stracciatella, e quando lo vedrai capirai il
perché!”
“Oddio,
ho adottato
un coniglio al cioccolato.”
“Vogliamo
parlare dei conigli di cioccolato? Vuoi davvero che ti ricordi quando
ne hai
lasciato uno in macchina e quando l’hai ripreso era
irrimediabilmente sciolto?”
“Ehi,
quello era cioccolato. Questo è un coniglio.
Perché è un coniglio normale,
vero?”
“Sì,
tranquilla.”
“Oh,
bene,
iniziavo a spaventarmi.”
Io mi misi
a ridere e la salutai. “Abbiamo trovato la casa per
Stracciatella!” esclamai
gongolante quando misi giù. La signora mi guardò
sorpresa. “Le chiedo solo di tenerlo
altre tre settimane, poi torneremo a prenderlo e lo porteremo a casa
nostra,
dove verrà la sua futura padrona per portarlo a vivere in
Francia” spiegai.
“Oh, cara, non sai quanto ti sono riconoscente”
disse. Io sorrisi, poi carezzai
il coniglio. Come immaginavo, era un velluto. “A questo
punto, se non accetta
il libro mi offendo” disse la commessa, perentoria. Io mi
misi a ridere di
nuovo e accettai, non potendo fare altro.
Quando
uscimmo dalla libreria, decidemmo di non tornare subito a casa. Prima
passammo
per una gelateria, dove prendemmo una granita enorme da dividere, dato
che ci
sembrò più conveniente. Quando vidi il gelato
alla stracciatella, per poco non
risi. Luke scosse la testa, borbottando qualcosa sulla mia pazzia.
Fuori dalla
gelateria, feci per prendere una cucchiaiata della granita, ma lui me
la tolse
da sotto il naso, alzandola sopra la mia testa. “Tu sei
davvero crudele” feci
imbronciata. Lui ridacchiò e io decisi di vendicarmi. Certo,
avrei potuto
scegliere un modo più intelligente del solletico. Forse, e
dico forse, ci
saremmo risparmiati la granita in testa.
“Sei
un
genio!” esclamò Luke ridendo, mentre cercavamo di
pulirci alla bell’e meglio
dal liquido appiccicoso, dolciastro e soprattutto gelido. Mi annusai i
capelli.
“So di arancia” dissi. “Vedi, se non
avessi fatto questa bravata non sarebbe
successo.”
“Non
sarebbe successo se tu non mi avessi tolto la granita!”
ribattei io. Ci
guardammo per poi scoppiare a ridere. “Vieni qui,
genio” mi disse solo,
attirandomi a lui e unendo le nostre labbra in un bacio dolce,
appiccicoso, che
sapeva di arancia.
Tornammo a
casa dopo esserci puliti ad una fontana. I miei capelli grondavano, i
suoi
erano praticamente asciutti. Ingiustizia divina. Forse,
però, me lo meritavo.
Quando
Ashton ci vide, sbiancò. “Voi non siete tornati in
quelle condizioni con la mia
bimba, vero?” chiese. “Ehm, no, certo che
no!” rispose con un’aria angelica
Luke. Lui ci guardò malissimo, tanto che noi decidemmo di
scappare in camera
nostra. Chiusi a chiave, mentre Luke si toglieva la maglietta per
cambiarsi. Io
lo imitai e mi misi leggera, era comunque estate. Mi voltai e lo vidi
con una
maglietta a maniche lunghe. “E tu hai il coraggio di dare a
me della pazza?!”
chiesi. “Non so, ho freddo” disse lui. Aveva le
guance arrossate.
Alt, fermi
tutti.
Guance
rosse, freddo, temperatura corporea alta, sonno agitato, poca fame.
“Sono
una
deficiente” feci, mentre chiamavo Calum. “Sai dove
posso trovare un
termometro?” gli chiesi. Lui me lo portò in poco e
io obbligai Luke a sedersi
sul letto. Gli provai la febbre, mentre entrambi pregavamo che fosse
solo una
mia impressione. Quando presi il termometro da sotto il suo braccio,
però,
sbuffai. “Trentotto e mezzo. Un buon modo per mandare le
vacanze a quel paese”
feci. Luke mi guardò perso. “Sono stato sano tutto
l’anno, e mi ammalo il primo
giorno di vacanza?! Sono da uccidere!” esclamò.
Io, tanto per sicurezza, provai
la febbre, in fin dei conti ero rimasta con Luke fino a quel momento.
Quasi
trentasette, mi ero salvata. Andai al piano di sotto per dare la
notizia, ma
quando vidi che Luke si alzava per seguirmi, lo bloccai. “Tu
non vai da nessuna
parte, mio caro. Mettiti il pigiama e fila a letto, subito!”
gli intimai. Lui
alzò gli occhi al cielo, ma obbedì.
“Torno fra due minuti” dissi, chiudendomi
la porta alle spalle.
“Ragazzi,
Luke ha la febbre!” urlai per farmi sentire.
“Scherzi, dimmi di sì!”
esclamò
Manuela. Io scossi la testa, avvilita, e Manuela si sporse dalle scale
per
gridare un: “Sei un fenomeno!” molto ironico.
La sera,
gli portai la cena a letto. Lo trovai che giocava ai videogiochi sul
cellulare,
un’espressione assorta sul viso. “Ti ho mai detto
che odio la febbre?” chiese.
Io scossi la testa, posando il piatto e il bicchiere sul comodino. In
tasca
tenevo le posate e il tovagliolo. Luke gettò
un’occhiata al piatto: prosciutto
cotto, formaggio, insalata scondita. Mi guardò implorante.
“Non so se sono più
triste io o loro” disse. Io ridacchiai. “Bevi
questo, Carol ci ha messo dentro
la tachipirina” dissi, porgendogli il bicchiere. Lui lo
buttò giù tutto d’un
colpo, schifato. “Ripeto, odio la febbre”
sentenziò. Io gli scoccai un bacio
sul naso, non osando altro per non ammalarmi a mia volta. Lui
piagnucolò un
qualche lamento, del quale compresi solo: “E ora come
faccio?” lo guardai
confusa. “Ho detto, ora che ho la febbre, come faccio? Non
potrai più avvicinarti
a me per un po’ e io potrei andare in crisi di astinenza da
baci!” disse,
volutamente melodrammatico. Io feci un mezzo sorriso. “Ehi,
io sono qui. Anche se
per una settimana non stiamo sempre appiccicati non è la
fine del mondo, no? Non
sto partendo, sarò qui tutto il tempo. E poi, chi sa, un
bacino ogni tanto
potrebbe scappare” dissi, accarezzandogli la mano. Lui sporse
il labbro, per
niente consolato. “Vedila come una prova. La supereremo e
saremo di nuovo
inseparabili” dissi poi, cercando di convincerlo. Lui
sbuffò. “Passami il
piatto che se no ti scoppio a piangere qui davanti” disse,
tutto contrito. Io ridacchiai
nel vederlo così indifeso e gli porsi il piatto. Rimasi di
fianco a lui per
tutto il tempo, senza mettergli fretta, con gli occhi a
mezz’asta. Avevo davvero
troppo sonno. Quando finì, sbadigliai. “Vado a
dormire di sotto, dato che il
mio coinquilino ha avuto la bella idea di ammalarsi” dissi.
Lui storse la bocca
in una smorfia. “Fammelo pesare pure, eh?” si
lamentò. Io risi e gli lasciai un
bacio sulla fronte, ma lui non ne volle sapere e alzò la
testa, facendo
incontrare per un attimo le nostre labbra. Si separò subito.
“Scusa, era più
forte di me” disse. Io non risposi, raccogliendo tutto e
portandolo in cucina. “Notte,
amore” dissi, uscendo dalla camera. “Notte,
piccola” rispose lui.
Venti minuti
dopo, finalmente, mi coricai sul divano che da quel momento in poi
diventò il
mio letto. Mi sentivo stupida per non aver collegato prima i pezzi, e
anche
distrutta dal sonno accumulato. Cercai di prendere sonno, senza
successo, così
presi la copia del mio libro.
Non riuscivo
a credere che Luke avesse fatto tutto quello per me. Era incredibile.
Lo aprii e
lo sfogliai fino a trovare il capitolo giusto. A bassa voce, lessi:
“Fra ogni
bacio c’è un intervallo che racchiude il passato,
il presente e il futuro. Il passato
è il ricordo del bacio, ancora impresso a fuoco nella mente.
Il presente è il
sapore di lui sulle labbra, che non vuole saperne di sparire. Il futuro
è lo
sperare un altro bacio e immaginarlo, sempre uguale a sé
stesso ma in qualche
modo sempre migliore.”
Ricordavo a
memoria quelle parole. A volte mi venivano quelle frasi così
strane, che
nascevano confuse, per poi prendere forma, cambiare e rivoltarsi nella
mia
mente, acquisire un senso mano a mano che aggiungevo le parole. E dopo
tanto
lavoro, era un peccato non scriverle.
Quella
frase era adatta per quel momento. sorrisi, mentre mi addormentavo e
nella mia
testa si ripetevano le immagini di quel pomeriggio.
“Cosa
vuoi essere, in un futuro non
tanto lontano?”
“Felice.”
“Oltre
a quello?”
“Cosa
voglio essere? Una scrittrice. E
una sognatrice. Una romantica, malinconica sognatrice.”
Luke
sorrise. “Ecco la mia Coco. Non dire
più che non vali niente, come scrittrice, perché
non è vero” disse poi. Io ricambiai
il sorriso, stringendomi a lui. Senza rendermene conto, iniziai a
canticchiare:
I will be
All that you
want
And get
myself together
Cause you
keep me from falling apart
All my life
I’ll be with
you forever
To get you
through the day
And make
everything okay…
|
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Capitolo 21 *** Welcome to my life ***
Welcome to my
life
Era passata una
settimana da quando eravamo arrivati a casa
Hood. Una settimana da quando, grazie alla nostra mente geniale e alle
moltissime precauzioni che prendevamo sempre, Luke si era ammalato. Una
settimana in cui ero rimasta di fianco a lui ad accudirlo, mentre fuori
sentivo
il rumore del mare. Luke si era pure arrabbiato, più con se
stesso che con me.
Mi diceva che per colpa sua mi stavo perdendo le vacanze e che non era
giusto. Quindi,
aveva corrotto Manuela e Ashton per portarmi fuori di casa e non farmi
entrare
se non dopo un bagno.
“Con
cosa vi ha comprato, si può sapere?!” chiesi io,
stesa a
terra, i piedi ancorati saldamente agli stipiti della porta di camera
nostra e
le braccia tenute da Ashton e Manuela. Luke, sul letto, rideva come un
matto.
“Con un barattolo di Nutella, con che altro poteva comprarmi,
secondo te?” fece
Manuela. Io cercai ancora di liberarmi dalla morsa di quei due pazzi.
“Posso
offrirvene due se mi lasciate!” esclamai. Loro mi mollarono
subito ed io caddi
a terra, come se prima non lo fossi già. “Eh no,
non ci provare. Tre barattoli
a testa!” ribatté Luke. Io sgranai gli occhi,
sapendo già cosa mi aspettava.
Infatti, in poco mi presero di nuovo per i polsi, tirando ancora
più forte di
prima. Manuela iniziò a farmi il solletico ed io mollai la
presa sugli stipiti
urlando. I due esultarono, trascinandomi via lungo il corridoio.
“Divertiti,
amore!” sentii Luke urlare ridendo. “Questa me la
paghi!” gridai invece io. Poi
mi guardai avanti e sbarrai gli occhi. “No, no, no, ragazzi,
mi alzo, ma non
trascinatemi giù dalle scale, che mi ammazzo!”
esclamai terrorizzata. Loro
fecero spallucce e mi issarono, scendendo le scale senza lasciarmi modo
di
scappare. “Dai, vi prego, perché lo
fate?!” chiesi disperata. “Perché tu sei
l’unica cosa fra noi e tre barattoli di Nutella, molto
semplice” rispose
Ashton. Io alzai gli occhi al cielo, mentre mi portavano fuori di casa.
“Non ho
il costume!” tentai. Manuela mi consegnò ad
Ashton, che mi bloccò
abbracciandomi, e tornò in casa a prendere il mio costume.
“Visto? Ci vuole
poco.”
“Se mi
lasciavate, andavo io!”
“Certo,
così poi ancora tre quarti d’ora a tirarti per
farti
scollare da quella stanza!”
“Non
è colpa mia se Luke ha la febbre e voglio
aiutarlo!”
“Luke
sta bene! Ha trentasei, provata stamattina! È solo per
sicurezza che oggi sta in casa!”
Io mi bloccai.
“E me lo dici ora?!” esclamai. Manuela fece un
sorriso imbarazzato. “Potrei essermene dimenticata, sai
com’è, la mia mente era
sintonizzata solo su: avrete un pagamento in Nutella”
confessò. “Anzi, ti
ringraziamo per aver alzato la posta in gioco” disse Ashton
con un sorriso da
Stregatto. Io scossi la testa. “Siete impossibili.
Andiamo” dissi, rassegnata.
“E dai, via il dente, via il dolore” fece Ashton
gongolante. “Non capisco!
Prima adoravi il mare!” esclamò invece Manuela.
“Sì, ma c’è Luke a casa da
solo
e mi dispiace!”
“Ricordati
che è stato lui a pagarci”
“Sono
solo futili dettagli!” Manuela, a quelle parole, mi si
parò davanti sbalordita. “Cioè, fermi
tutti. Se l’avessi fatto io, ti saresti
trasformata in Nadir, ma se lo fa Luke dici che sono solo futili
dettagli?!”
fece, sconvolta. “Chi è Nadir?” chiese
Ashton. “È un suo personaggio.
Praticamente, per farti un riassunto: è la figlia di Satana,
Demone, vampira,
perennemente affamata di sangue, perfida, cattiva, e tutti gli
aggettivi
negativi che ti vengono in mente” spiegò Manuela.
“Ehi, non è colpa sua se è
così!” la difesi io. Mi ero affezionata troppo a
quel personaggio, quasi fosse
una figlia, e per me era difficile scrivere le scene in cui doveva far
la parte
della cattiva, perché si sarebbe tirata addosso solo altro
male… invece,
adoravo scrivere delle scene d’amore fra lei e il suo
“nemico”. Avevo in mente
tutta la storia, tranne quelle dannatissime parti in cui lei doveva
respingere tutti
col suo carattere orribile, che alla fine era solo la sua maschera.
Ashton mi
guardò storto. “Dopo fammi leggere qualcosa, che
mi
incuriosisce e ora non ho capito nulla” disse solo. Io
ridacchiai e annuii,
mentre andavamo in spiaggia a raggiungere gli altri.
Certo,
l’intenzione di divertirmi c’era. Poi avevo visto
gli
scogli e mi ero arrampicata, arrivando fino in punta saltellando
allegramente. E
lì, il rumore del mare, il non sentire gli schiamazzi degli
altri, il cielo
occupato da una coltre di nubi spaventosamente scure, il mare blu,
l’essere da
sola, diedero spazio alla malinconia. Mi sedetti sullo scoglio, con le
gambe
raccolte contro il petto e gli auricolari nelle orecchie. Welcome to my life, dei Simple Plan. Non
c’era canzone migliore, in
quel momento.
Do you every feel like breaking down?
Do you ever feel out of space?
Like somehow you just stop belong and no one
understands you
Certo, il testo
non c’entrava molto, ma la melodia era
bellissima, perfetta per quella situazione.
Do you ever wanna run away?
Do you lock yourself in your room?
With the radio on turned up so loud
So that no one hears you screaming
Quella parte mi
faceva tremare.
Quelle parole così giuste, non so spiegarlo, andavano dritte
al cuore, alla mia
parte più sensibile e, diciamolo, talvolta più
depressa.
No, you don't know what it’s like
When nothing feels alright
No, you don't know what it’s like to
be like me
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome
to my life.
A volte mi
chiedevo perché mi
facevo male da sola, ad ascoltare quelle parole. Per quanto cercassi di
ignorarle, erano loro ad aprire uno spazio in me per lasciare le note
entrare
in circolo, come fossero una droga. Perché la musica era
proprio quello per me:
una bellissima droga.
Do you wanna be somebody else?
Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more
before your life is over?
Are you stuck inside a world you
hate?
Are you sick of everyone around?
With the big fake smiles and stupid
lies
while
deep inside you're bleeding
Senza
accorgermene, iniziai a
cantare. Piano, prima impercettibilmente, con voce flebile, quasi
avessi paura
di poter essere sentita, poi sempre più forte. Il mio era un
amore non
corrisposto: per quanto io fossi pazza del canto, non ottenevo nulla
dalla mia
voce. Solo note orribilmente stonate. Non so con che forza continuavo a
cantare. Battevo il tempo con le unghie sugli scogli.
No,
you don't know what it’s like
when nothing feels alright
No, you don't know what it’s like to
be like me
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome
to my life.
Avevo iniziato a
muovere la testa a
tempo, sempre più presa dalle note di quella canzone. Era
bellissima. L’avevo
scoperta a dieci anni e me l’ero segnata sul computer,
insieme a My happy ending di Avril.
Poi, a
quindici, avevo ritrovato il file, finito nel dimenticatoio, e prima di
cancellarlo
ci avevo dato un’occhiata. Dato che My
happy ending era bellissima, mi dissi che forse anche Welcome to my life mi sarebbe piaciuta, e
l’avevo scaricata. Ero
felice di averlo fatto.
No one ever lies straight to your
face
And no one stabbed you in the back
You might think I’m happy
But I’m not gonna be ok
Everybody always gave you what you
wanted
You never had to work, it was always
there
You don’t know what it’s
like
What it’s like
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
What it’s like
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome to
my life.
Welcome to
my life.
Ero pronta
a cantare l’ultimo verso, quello che mi piaceva di
più, quando qualcuno, dietro
di me, mi precedette:
Welcome
to my life.
Mi voltai,
incrociando lo sguardo color cielo di Luke, che mi guardava sorridente.
“E tu
che ci fai qui?! Torna in casa, subito!” esclamai allarmata.
“Stai tranquilla,
non ho niente da ieri mattina, e ho corrotto Manuela per non dirtelo e
quindi
farti una sorpresa. Ma tu hai una testa dura come il cemento e io ora
dovrò
procurarmi sei vasetti di Nutella” disse lui, sedendosi di
fianco a me. Lo
guardai a bocca aperta. “Sei un idiota, lo sai?”
chiesi. “Lo so. E tu sai che
ti amo?” rispose lui. Io sorrisi e abbassai lo sguardo,
appoggiando la mia
testa alla sua spalla. Lui, però, mi prese il mento fra le
dita e fece
incontrare le nostre labbra, in un bacio che desideravo da troppo
tempo. Chiusi
gli occhi, mentre lui chiedeva un accesso che non tardai a consentire.
Mi
trattenne fra i denti il labbro superiore, cosa che sapeva farmi
impazzire. Ci
baciammo per un po’, poi lui mi stampò un bacio
umido sul naso. “Mi piace
troppo quando mi dai dell’idiota.”
“Perché?”
“Non
lo so,
se devo essere sincero. Forse sono masochista, o forse sei tu che lo
dici con
un tono adorabile” commentò lui.
Un’ora
dopo, ero con i capelli bagnati sulle ginocchia di Luke, a gocciolargli
sul
corpo bollente per il sole. Lui rabbrividiva ad ogni gocciolina gelida:
nonostante fossi asciutta, i miei capelli erano una spugna e
continuavano a
perdere acqua nonostante li tamponassi ogni due secondi.
“Attacchiamo
tre contro uno dall’Ucraina all’Europa
meridionale” disse Luke, muovendo il
carro armato giallo sulla mappa di Risiko. Dato che c’era
spazio per quattro
giocatori, giocavamo a coppie. Io e lui dovevamo distruggere le armate
rosse,
ovvero Ashton e Carol. Loro l’avevano capito subito, non
avevamo fatto nulla per
nasconderlo, quindi fuggivano e intanto distruggevano Madison e Calum,
che
casualmente erano sempre sulla loro strada.
Io tirai i
dadi blu, mentre Carol mi guardava truce e ribatteva con
l’unico dado rosso.
Cinque, tre e uno contro cinque. I due esultarono, mentre Luke ed io
attaccavamo di nuovo e stavolta vincevamo, due e sei contro quattro.
Passammo
il turno e pescammo una carta. Mi stavo appassionando a Risiko, gioco
cui mi
aveva iniziato Michael.
Continuammo
a giocare, sempre più agguerritamente. Io stavo attenta agli
spostamenti del
team Cashton, Luke a quelli del team Madilum. Nomi orribili ma fa
niente, noi
eravamo i Corake. Gli unici ad avere un nome umano erano i Manuel.
Fermi
tutti.
Erano
passati diversi turni, e la guerra aperta era fra i Corake, Madilum e
Cashton.
E chi curava i Manuel?!
Infatti, in
quel turno, vinsero, conquistando l’Oceania e il Nord
America. Accidenti alla
nostra disattenzione. “Così imparate a non
considerarci” esclamò Michael
ridacchiando malefico. Manuela gli fece eco, risentita e divertita. Non
dicemmo
niente, troppo impegnati a roderci il fegato per essere stati
così stupidi.
“Che
cosa
facciamo stasera?” chiese Carol. “Io pretendo di
uscire, siamo rimasti una
settimana in casa per colpa di un biondino che ancora mi deve tre
barattoli di
Nutella” fece Manuela. Luke fece un sorriso talmente angelico
che non mi sarei
sorpresa se gli fosse spuntata l’aureola. Io mi alzai da
Luke, che si asciugò
il petto per l’ennesima volta, e mi diressi a passo lento
verso gli scogli.
“No, Coco, ti sei appena…”
tentò di fermarmi Madison. io non l’ascoltai e mi
misi a correre, tuffandomi dove sapevo non esserci pietre. Quando uscii
dall’acqua, mi dovetti sistemare il costume, che si era
sfilato mentre mi
tuffavo di testa. “…Asciugata”
completò Madison. Io ridacchiai. “Scappa, che se
ti prendo ti affogo!” esclamò lei, iniziando a
prendere la rincorsa. Io mi misi
a nuotare più che potevo, mentre gli altri partivano
all’inseguimento,
abbandonando i carri armati colorati al loro destino.
Iniziammo a
giocare a rincorrerci in acqua, tutti contro uno. Quell’uno,
ovviamente, ero
io, chi altro? Scivolai dalla presa di Ashton, passai sotto Carol,
evitai anche
Calum. Poi, mi si parò davanti Luke. “Ok, mi
arrendo” dissi subito, col
fiatone, mentre gli altri stavano per raggiungerci. Lui mi
guardò sorridente.
“Sul più bello?!” chiese. Io lo guardai
di traverso, aveva in mente qualcosa.
“Nuota, nuota, dai!” esclamò,
prendendomi un polso e portandomi verso riva.
Cos’aveva in mente? Io obbedii e iniziammo a scappare dagli
altri, che si
fermarono un attimo, confusi, per poi inseguirci di nuovo. Avevamo un
distacco
di una decina di metri se non di più. Arrivammo sulla
spiaggia e Luke prese al
volo i nostri vestiti e la mia borsa, iniziando a correre verso casa.
Forse
avevo capito il suo gioco.
“Dai,
corri, in fretta!” esclamò, mentre correvamo verso
casa. Io annuii col fiatone,
mentre lui cercava nella mia borsa la chiavi di casa. Me le porse.
“Apri la
porta di casa, io li rallento!” esclamò ridendo.
Io annuii e presi tutti i
nostri bagagli, correndo verso casa Hood, che dava proprio sul mare.
Luke
chiuse il cancello del vialetto e lo sprangò con la vanga
per non farlo aprire
per poi venire da me, che avevo appena aperto la porta di casa. Gli
altri,
dietro di noi, ci gridavano insulti a tutto spiano, avendo capito il
nostro
progetto. Riuscii a chiudere a chiave giusto in tempo: Michael era
già contro
la porta. Ci sdraiammo sul divano, per riprendere fiato. “Che
non ti venga più
in mente, chiaro?” feci. Lui si mise a ridere.
“Dillo, che ti sei divertita.”
“Certo.
È
stato uno spasso.” Scoppiammo a ridere e ci alzammo giusto
per sentire dei
pugni contro il vetro della sala. Era Manuela, col naso schiacciato
contro la
porta-finestra. Io e Luke ci guardammo. “Bastardi fino in
fondo?” chiese. Io
annuii e tirai la tenda, ridacchiando e mimando uno:
“Scusa” alla mia migliore
amica. “Controlla le altre finestre, non sia mai che entrino
da lì” dissi poi.
Facemmo il giro di ricognizione, chiudendo ogni accesso alla casa.
Improvvisamente, qualcuno si attaccò al campanello di casa,
perforandoci i
timpani con il suo triiiiin
impazzito. Io mi coprii le orecchie, mentre Luke metteva un cd.
Partirono le
note di Welcome to my life.
Accidenti
a lui, già non riuscivo a togliermela dalla testa!
Luke
alzò
il volume al massimo e ci mettemmo a cantare a squarciagola per coprire
il
rumore del campanello.
Mi sentivo
malvagia, anzi di più. Sapevo che, una volta aperta la
porta, gli altri ci
avrebbero ammazzati, quindi tanto valeva godersi lo scherzo, no?
Continuammo
a fare i pazzi, fino a che Luke, di fronte a me, non
sbiancò. Cercò di
avvertirmi di qualcosa, ma mi era già arrivato un cuscino in
testa. Mi voltai,
sorpresa, vedendo Manuela di fronte a me, imbufalita, che reggeva un
cuscino.
Gli altri erano dietro di lei, armati di qualsiasi cosa potesse essere
utile.
Calum aveva addirittura una spada laser giocattolo, che si illuminava e
faceva bip in continuazione. Tutti
grondavano acqua
salata, come noi. Madison tolse la musica, con aria truce.
“Come avete fatto ad
entrare?!” chiesi. “Il lucernario in mansarda,
brutto pezzo di…”
“È
troppo
tardi per chiedere scusa e dire che vi vogliamo bene?” Luke
interruppe così
Manuela, che stava iniziando con i suoi insulti. Gli altri annuirono.
Noi
eravamo con le spalle al muro, ci eravamo tolti ogni via di fuga da
soli. “Si
apre la stagione di caccia” esclamò Carol, mentre
mi arrivava una cuscinata.
Iniziò una rissa impari, con me e Luke che non potevamo far
altro che stare
rannicchiati sul pavimento a subire la furia motivata dei nostri amici.
Intanto, ridevamo. “Questo è perché ci
avete chiuso fuori – mi arrivò una
cuscinata in faccia –, questo è per la corsa
assurda – cuscinata in pancia –, questo
perché siamo fradici – cuscinata sulla schiena
– e questo perché avete cantato
malissimo Welcome to my life!” esclamò
Manuela, furibonda e divertita,
mentre i capelli bagnati le si appiccicavano al viso e fendevano
l’aria come
fruste.
Ho
già
detto che amavo avere diciassette anni e degli amici come loro?
*Angolo autrice*
scusate i continui ritardi ma non ho mai un minuto libero... e poi sono
in un posto che ha il wifi solo al bar, quindi non riesco mai ad
aggiornare. Scusatemi :( a presto!
Ranya
|
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Capitolo 22 *** kiss me kiss me ***
Kiss
me kiss me
“Blu
o nero?”
“Non
fa differenza, Coco!”
“Blu o
nero?!”
“Coco,
dai, dopo facciamo tardi!”
“Luke!
Blu. O. nero?!”
“Non
lo so! Blu?”
“Ci
voleva tanto?!” esclamai
esasperata, riponendo il vestito nero nell’armadio. Luke,
disperato, si seppellì
sotto le coperte. “Ti prego, non mettermi più di
fronte ad una scelta così
ardua” mi prese in giro. Io feci una risata sarcastica.
“Fila in doccia, mi hai
messo tanta fretta per niente se no” disse poi.
“Vorrei solo che la giornata
finisse in fretta. Si può chiedere questo piccolo
miracolo?” implorò lui. Non
era proprio la sua giornata. Già dal risveglio avrebbe
dovuto capirlo, che era
uno di quei giorni in cui era meglio sparire sotto le coperte, con un
libro in
mano, la musica nelle orecchie e cibo a volontà, ma lui
aveva voluto ignorare i
segni premonitori. Iniziando dal mattino: si era svegliato cadendo dal
letto e
fortunatamente non aveva battuto la testa contro il comodino. In
compenso,
essendo avvolto nella coperta e io con lui, mi aveva trascinato
giù e gli ero
caduta addosso, mozzandogli il respiro per un buon quarto
d’ora. E già lì, io
avrei detto di arrendersi all’evidenza. Invece no, lui aveva
voluto continuare.
E gli si era rovesciata la camomilla – fortunatamente calda,
ma non da ustione
– addosso. Due, nel giro di dieci minuti. Durante il giorno,
ne aveva combinate
di tutti i colori, come andare a sbattere contro ogni mobile della
casa, ad
esempio. Ormai non sapevo che dirgli per farlo stare fermo, immobile a
letto.
Di sicuro sarebbe riuscito a farsi male pure lì. Continuava
a voler vedere il
lato positivo in tutto. Sono caduto ma non ho battuto la testa, la
camomilla
non era bollente e non mi sono ustionato, e cose del genere. Stupido
ottimismo.
Certo, era una cosa importante, ma perché Luke non voleva
capire che non si può
vincere sempre?!
“Amore
mio, ricordati una cosa. I
vincitori sono quelli che non mollano mai” mi aveva detto
dopo aver preso una
testata.
Nonostante
tutto, dopo una giornata
all’insegna della sfortuna, anche il più caparbio
avrebbe iniziato a cedere.
Avevamo deciso
di uscire, la sera.
Avremmo mangiato in un ristorante sulla spiaggia, molto romantico, ma sulla spiaggia. Quello significava
pazzia pura, e a quel paese il romanticismo.
Mi infilai il
vestito in fretta, approfittando
del fatto di essere da sola, tentando di non sciogliere il turbante che
raccoglieva i miei capelli fradici. Luke ci mise poco a lavarsi,
accidenti ai
maschi e la loro fortuna di non avere i capelli troppo lunghi a cui
badare.
Beh, quasi sempre.
Per lui non era
tanto difficile
scegliere come vestirsi. Camicia blu, casualmente in tinta col mio
vestito,
jeans attillati per smorzare l’effetto elegante, scarpe.
Stop. Io, aveva ancora
una massa non indifferente di capelli annodati da mettere in ordine,
dovevo
truccarmi, scegliere borsa, scarpe, collana e bracciale. E il mio odio
per il
genere maschile aumentava a dismisura.
Nonostante
tutto, feci piuttosto in
fretta. Luke si stava addormentando, ma ipotizzai si trattasse solo di
stanchezza dovuta alla giornata troppo pesante. Povero il mio pinguino.
Quando
finii, mi sdraiai di fianco a lui, lasciandogli un lieve bacio sul
collo.
“Sicuro di voler uscire ad ogni costo?” chiesi. Lui
annuì. “Il destino ha un
conto in sospeso con me, dopo tutte le bravate che mi ha combinato
oggi. Voglio
vedere se avrà il coraggio di farmi andare male pure questa
cena.” Io mi misi a
ridere. “Coraggioso” dissi solo, appoggiandomi alla
sua spalla. Era rilassante
in una maniera assurda. Stavo quasi per addormentarmi a mia volta,
quando qualcuno
bussò freneticamente alla porta. “Piccioncini, se
mi sentite, svegliatevi, e se
siete svegli, muovetevi, e se vi state muovendo, fatelo più
in fretta! Siamo in
ritardo!” fece la voce di Ashton dall’altra parte.
Dannatissimo guastafeste. Io
e Luke ci alzammo, accusando acciacchi degni di un ultranovantenne, e
uscimmo
dalla stanza, lasciando il caos alle nostre spalle. Erano tutti pronti
e noi,
come al solito, gli ultimi. Manuela indossava un vestitino celeste
senza
maniche, con lo scollo a cuore e la gonna a fiore. La borsetta era
dello stesso
colore. I capelli, leggermente mossi, le ricadevano ai lati del viso,
coprendo
i piccoli orecchini argentati uguali alla collana. L’argento
spiccava anche
sulle scarpe col tacco alto e le unghie. Madison indossava un vestito
morbido,
del colore “dello sciroppo di menta nel latte”,
come diceva lei. Lo stesso
colore lo avevano le zeppe e la borsa. I capelli, arricciati, erano
trattenuti
da un cerchietto dorato come il bracciale. Carol era la meno formale:
il suo
vestito era a vita alta, con la gonna arancione e il corpetto bianco a
righe
nere. La borsa era a righe a sua volta – Carol si era dannata
per trovarne una
così – mentre zeppe e bracciale erano arancioni.
La collana, invece, argentata.
I capelli biondi erano raccolti in una coda sfatta, anche loro ricci.
Io, al
contrario di lei, sembravo un’impiegata ad una cena di
affari: vestito blu con
le spalle basse, pochette e scarpe dello stesso colore. La chiusura
dorata
della pochette mi aveva dato un suggerimento per collana e bracciale,
anch’essi
molto eleganti. L’unica cosa che smorzava l’effetto
adulto era la treccia
sfatta che ricadeva su una spalla. “Wow, formali!”
fece Ashton quando mi vide.
“Non infierire che già mi sento
ridicola” dissi. Accidenti a lui, che con il
suo cappello era tutt’altro che formale.
Quella sera non
avrei mandato il
genere maschile al rogo, figurarsi. Ero in pace col mondo.
Vidi gli sguardi
di tutti puntati
su di me e mi sentii a disagio. “Beh?” chiesi.
“Piccola, quello nervoso oggi
dovrei essere io, non tu” mi disse Luke ridacchiando e
avvicinandosi al mio
orecchio. Io arrossii. “Scusate ragazzi, non so cosa mi sia
preso. Ho un brutto
presentimento, non so” mi giustificai. “E di nuovo
mi stai rubando il ruolo”
fece Luke ridacchiando. Io alzai gli occhi al cielo. “Chi lo
sa, forse riguarda
te!” lo schernii prima di prendere la mia giacca di jeans.
“Ok, ok, ho capito,
devo stare zitto” fece lui ridacchiando e seguendomi.
“Ma io no!” cantilenò
Ashton con voce acuta, saltellandoci accanto, mentre Carol lo guardava
come a
dire: “Ma che cosa si è fumato questo?!”
Eravamo al
ristorante, tranquilli
per una volta, a mangiare in religioso silenzio. Improvvisamente, Luke
prese un
bicchiere. “Propongo un brindisi” fece. Gli altri
lo guardarono stranito,
mentre io sorridevo sotto i baffi, sapendo dove lui volesse andare a
parare.
“Per l’anniversario dell’espatriata del
tuo cervello?” chiese Calum. “Primo,
no, secondo, molto simpatico. Oggi è il tre agosto.
Esattamente sette mesi fa
ci siamo incontrati tutti insieme per la prima volta. Ma, a quanto
pare, solo
io e Coco ce ne siamo ricordati” finì, con un tono
a metà fra l’altezzoso, lo
scherzoso e l’offeso. Gli altri esultarono e presero i
bicchieri, mentre io e
Luke ci guardavamo ridendo. “Per l’occasione, dopo
vogliamo un concerto
privato!” fece Madison, elettrizzata. I ragazzi accettarono
– tanto gli
strumenti erano in macchina, come ogni volta – e brindammo.
“Ad un’amicizia che
durerà fino a che morte non ci separi!” fece
solennemente Michael. “Sai che ti
dico, Mikey? La morte dovrà lavorare sodo per separare
ciò che pazzia e amore
hanno unito!” fece Luke, facendomi un occhiolino.
“Aw, che tenero!” disse
Manuela ridendo. “Com’è che mi viene in
mente un nostro verso, con questa
frase?” fece Calum. “E di cosa?” I
ragazzi si guardarono e, al tre di Luke,
iniziarono:
So kiss me, kiss me, kiss me,
And tell me that I’ll see you again
‘Cause I don’t know
If I can let you go
Noi ci
affrettammo a zittirli. “Ma
vi siete rincretiniti?! Siamo al ristorante!” esclamai. Ci
guardammo e poi
scoppiammo a ridere. Eh sì. La vicinanza della spiaggia ci
faceva male.
“Ash,
non voltarti, un tipo ti sta
fissando” fece improvvisamente Carol, continuando a mangiare
come nulla fosse.
Io guardai con la coda dell’occhio e notai che
effettivamente, c’era un uomo
sulla trentina con lo sguardo fisso su di noi. Era inquietante, ma
attribuii
quella sua attenzione al coretto di prima. “Sembra molto uno
stalker” cantilenò
Manuela. “Mi state spaventando” fece Ashton, con la
forchetta a mezz’aria, gli
spaghetti che penzolavano. “Parliamo d’altro.
Quella canzone di prima, da dove
viene fuori?” chiesi io, curiosa. Loro fecero sorrisi da
Stregatto. “Nuova,
tesoro. Non la conoscete, è una sorpresa per il concerto di
dopo!” fece Luke.
“Oh, dai, e questa storia da dove viene fuori?! Abbiamo
sempre saputo delle
vostre canzoni!!”
“Si,
ma vogliamo farvi una
sorpresa. D’ora in poi, le canzoni più piene di
significato saranno nascoste.”
“Siete
crudeli.”
“No,
siamo romantici.”
“Si
può dire anche questo, sì” feci
io ridacchiando malefica. Lui mi fece una linguaccia, ma io mi
affrettai a
mordergli piano la lingua, scherzo che si trasformò in un
bacio. “Ragazzi,
queste cose fatele in bagno” ci richiamò Ashton
ridacchiando. Lo guardammo
malissimo, mentre tutti gli altri si voltavano. “Siete
insopportabili,
accidenti, come se solo noi facessimo ‘ste cose in
pubblico!” fece Luke,
piccato.
Un’ora
dopo, eravamo per le vie del
mercatino, tutti a braccetto, così da occupare il
più spazio possibile. Volevamo
essere fastidiosi e ce l’avremmo fatta ad ogni costo. Stavamo
guardando le
bancarelle, quando improvvisamente Manuela ci tirò verso una
di esse, facendo
sbilanciare tutta la catena umana. “Manu?!”
“Zitti
e marciate, caramelle in
vista a ore undici!” esclamò lei ad alta voce. Non
ci saremmo messi a correre
così nemmeno con un branco di leoni dietro di noi. Facemmo
mente locale per
capire il nostro budget, poi ci fiondammo sulla nostra preda indifesa.
Sussultai quando notai le caramelle che cercavo ovunque ma nessuno
aveva.
“Luke! Quelle che si appiccicano ai denti!”
esclamai. Lui guardò nella mi
direzione e sgranò gli occhi. “Prendine quante
più puoi!” fece. Quelle
caramelle erano state il mio sostegno per anni di pallavolo, durante le
partite
passate in panchina. Erano zucchero allo stato puro, si attaccavano ai
denti e
per finirne una dovevi ruminare mucca-style per un’ora, ma le
adoravo, e Luke
con me.
Breve calcolo
matematico. Quanto
fa: bancarella di caramelle + otto ragazzi zucchero-dipendenti?
Semplice, un
conto di quaranta euro. Ci guardammo basiti, prima di fare una
colletta.
“Accidenti ragazzi, quaranta euro per dello zucchero. Questi
competono con lo
spaccio di droga” fece Ashton. “La prossima volta,
ci regoliamo. Ora, però, mangiamo!”
fece Madison.
La morale della
serata fu che
uscimmo dal mercatino cantando a squarciagola Voodoo
doll. Dato che la canzone era pensata per loro quattro, io
cantavo con Luke, Manuela con Michael, e così via.
Sapete quando
nelle storie le
persone dicono di sentire qualcuno che le fissa e quindi si voltano,
incrociando casualmente lo sguardo dell’altro? Ecco, io non
sono d’accordo. Credo
sia più una cosa casuale. Ti volti perché ti
viene naturale, come camminare, e
ti accorgi che ti stanno fissando. È tutto a livello del
subconscio.
Fatto sta che
io, casualmente, mi
voltai, e incontrai lo sguardo dell’uomo del ristorante.
Accidenti, non aveva
niente di meglio da fare? Iniziava a preoccuparmi, e molto. Cercai di
tranquillizzarmi, poteva essere una coincidenza, d’altronde
noi non è che
stessimo facendo di tutto per non farci notare. Magari lui stava
pensando
proprio questo di noi. Mentre rimuginavo su queste cose, uscimmo dal
mercatino.
“Ragazze, mi pare che abbiamo un concerto in sospeso con voi,
no?” fece Calum. Noi
esultammo e annuimmo, mentre raggiungevamo il furgoncino.
Mezz’ora
dopo, eravamo sulla
spiaggia, seduti su sedie prese in prestito al bar. Ashton, invece,
sedeva
sulla sua fedele cassa che fungeva da batteria. “Allora,
dobbiamo farvi sentire
Kiss me Kiss me, o
sbaglio?” fece
Ashton. Noi eravamo entusiaste, non capitava tutti i giorni una nuova
canzone. Io
guardai i ragazzi negli occhi e capii la loro prossima mossa, si notava
troppo
bene dagli sguardi divertiti e dispettosi. “Adesso la
suonerete per ultima”
dissi, disillusa. Loro mi guardarono torvi. “Evita di
rovinare la sorpresa,
uffa, ci stavamo divertendo a tenervi sulle spine!” fece
Michael ridacchiando. Le
tre al mio fianco spalancarono le bocche in tre “o”
perfette. “Siete davvero,
davvero crudeli!” esclamò Madison. Di comune
accordo, ci voltammo, dando loro
le spalle, nella brutta copia di quattro ragazze offese. Li sentimmo
ridacchiare e sussurrare qualcosa, poi Luke iniziò a
strimpellare le note di Gotta get out.
Quanto li odiavo! Luke
sapeva bene quanto amassi quella canzone e non si faceva scrupoli ad
usarla
contro di me. accidenti a lui e ai suoi compari.
Non potei fare
altro che voltarmi e
stare ad ascoltare quella bellissima canzone. Le ragazze fecero lo
stesso, ma gliel’avremmo
fatta pagare, eccome.
Cantarono Gotta
get out, Heartbreak girl, She looks so perfect e Amnesia. Ci volevano morte,
era un dato di fatto. “Ora, care
ragazze, vi accontenteremo. Ecco a voi Kiss
me kiss me, in esclusiva” fece Calum ridacchiando
sornione. Noi finalmente
esultammo, ma io, tanto per sicurezza, li guardai negli occhi e capii
che
avevano ancora qualcosa in mente. E infatti: “Ma prima,
pubblicità!” fece
Ashton. Passarono venti minuti buoni ad inscenare parodie di
pubblicità assurde,
mentre noi ridevamo come matte. Dicevano cose senza senso e scherzavano
su
tutto, tanto che capimmo quanto a lungo si fossero preparati per quella
messinscena. “Fine pubblicità!”
annunciò poi Luke, anche lui sorridendo
divertito. Ripresero li strumenti e iniziarono a cantare. Here’s
to teenage memories
Can
I call wake you up on a Sunday?
Late night I think we need to get away
Headlights hold tight turn the radio loud
(turn the radio loud)
Let me know where to go and I’ll get you there
Tell the truth and I’ll show you how to dare
Flash lights held tight we can all move down
Never say goodbye
So
kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go
So
kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)
Here’s
to teenage memories
Here’s to teenage memories
Close
your eyes you’ll be mine and it’s alright
Take a breath no rest til the sunrise
Heartbeat so sweet when your lips touch mine
We don’t have to go home right now
We’re never gonna stop cause we’re dreaming out loud
We know what we want, we know we’re gonna get it somehow
Never say goodbye
So
kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go
So kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)
Here’s
to teenage memories
Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories
So
kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go
So kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)
Here’s
to teenage memories
Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories
Quando finirono,
noi saltammo in piedi e iniziammo
a rimbalzare da una parte all’altra della spiaggia come molle
impazzite. “Che
bella!” continuavamo a dire senza sosta. “Ok, ok,
dobbiamo dedurre che vi è
piaciuta!” esclamò Ashton ridendo. Noi annuimmo.
E, nel nostro scroscio di
applausi ammattiti, se ne distinse uno lento e costante. Ammutolimmo e
tutti ci
voltammo verso la fonte di quel battito. Era l’uomo del
ristorante, e del
mercatino. “Davvero bravi, ragazzi, complimenti”
disse lui impressionato. “Chi
è lei?”
“Una
persona che vi ha sentiti cantare ed è rimasta molto
colpita, al punto di voler capire fino a dove arriva la vostra
bravura.”
“Capisce
che è parecchio inquietante quello che sta facendo,
vero?” fece Luke, per nulla scortese ma allo stesso tempo
diretto. I ragazzi si
erano alzati e si erano avvicinati a noi, quasi avvertissero pericolo.
“Oh, che
sciocco, scusate, non mi sono presentato. Sono il manager di un gruppo
musicale
che di sicuro conoscerete.”
“Ovvero?”
“Gli
One Direction.”
“Oddio
non ci credo!” esclamammo noi ragazze in coro. I ragazzi
erano semplicemente basiti. “E quindi, lei ci ha origliati
per…”
“Vi ho
sentiti al ristorante mentre cantavate. La band deve
partire per un tour ma il gruppo che doveva aprire i concerti ci ha
dato buca
all’ultimo, diciamo. Ero alla ricerca di nuovi talenti da
lanciare in alto, se
mi spiego” fece il manager, sicuro di sé. Noi
eravamo increduli. “Sta dicendo
che…” fece Ashton, ma non riuscì a
terminare la frase. “Voi per caso avete
intenzione di fare carriera in musica?”
“Sì,
cioè, no, cioè, non lo so…”
fecero loro. Carol sbuffò. “Sì,
ne hanno intenzione, ma non hanno ancora un manager ufficiale, diciamo
che per
ora io ne faccio le veci” improvvisò. La guardammo
storto, ma decidemmo di
reggere il suo gioco.
“Perfetto.
Posso proporvi un tour in cui aprirete i concerti
della band più famosa del momento. Si tratta di
un’occasione unica, capite?”
fece lui. Noi, ormai, eravamo senza parole. “Che ne
dite?”
“Può
darci qualche tempo per pensarci? Dobbiamo metterci
d’accordo”
fece Michael dopo un lungo e interminabile silenzio. L’altro
annuì sorridente e
si avvicinò a Carol, porgendole un biglietto da visita.
“Chiamatemi entro le
prossime quarantott’ore. Il tempo fugge e se accettaste
avremmo molto lavoro da
fare” disse. Lei annuì. “Beh, ragazzi, a
presto, allora! Spero in una vostra
risposta affermativa!” fece andandosene.
“Ragazzi,
è un’occasione unica! Non potete farvela
scappare!”
esclamò Manuela. Eravamo seduti attorno al tavolo in casa
Hood. Erano le due di
pomeriggio, la giornata era passata in un clima incredibilmente
surreale, in
cui tutti riflettevano su cosa fosse la cosa migliore. Il pomeriggio,
ci
eravamo seduti attorno al tavolo, decisi a deciderci, per
così dire.
“Lo
so, amore, ma è complicato…” fece
Michael, dubbioso.
Carol aveva fatto un paio di ricerche e aveva visto che sì,
effettivamente non
era una truffa: il manager era proprio lui, come scritto sul
cartellino, e il
numero e l’indirizzo e-mail coincidevano.
“Non
è complicato! È la vostra occasione!”
fece Madison,
sconvolta. “Maddy, cerca di capire, noi qui abbiamo vita,
famiglie e voi. Non possiamo
mettere tutto a
repentaglio così, da un giorno all’altro, per
seguire il nostro sogno” fece
Ashton. Luke, io e Carol eravamo in silenzio da tutto il tempo.
“Certo che una
cosa del genere non ci capiterà mai
più” fece Calum. Gli schieramenti erano
piuttosto chiari: Calum, Madison e Manuela erano per il sì.
Ashton e Michael
propendevano verso il no. Luke, Carol e io eravamo in mezzo.
“Cos’è
che non vi convince, si può sapere?!” fece
Manuela. “Innanzi
tutto, niente manager” rispose Michael. “Abbiamo
visto che Carol sa gestire
bene la situazione, e poi aprireste i concerti degli
One Direction, un manager lo trovereste subito!”
“Ci ha
sentito canticchiare qui e là! Come fa a dire che
siamo bravi?!”
“Proprio
perché non avete dato il vostro meglio possiamo dire
che ce la fareste!”
“Manu,
non lo so.”
“Lo
sappiamo noi, allora!” si intromise Calum.
“Vogliamo fare
una cosa civile? Votiamo. Ognuno dirà perché
è favorevole o no e il motivo, poi
si deciderà” disse Carol, riemergendo dal mutismo.
“Perché
è un’occasione che non capiterà mai
più!”
“Perché
è quello che avete sempre aspettato!”
“Perché
sono gli One Direction, accidenti!!” fecero
rispettivamente Calum, Manuela e Madison. Io ridacchiai al tono
straziato di
quest’ultima.
“Perché
è troppo presto per noi per intraprendere un tour
mondiale.”
“Perché
non abbiamo nessuna garanzia che vada tutto bene”
ribatterono invece Ashton e Michael. erano due contro tre.
“Carol?” chiese
Ashton. Lei sospirò. “Anche io credo che sia
troppo presto. Insomma, chi
vogliamo prendere in giro? A parte Ashton siamo tutti minorenni. Io mi
sono
improvvisata manager, ma non reggerà a lungo. Eppure
è vero, è un’occasione
incredibilmente fortunata e irripetibile” disse.
“Luke?” chiese Calum,
fiducioso. “Ho paura, ragazzi. paura che non vada come
pensiamo. Adesso, non
mentite: abbiamo già immaginato tutti bagni di fama e folle
impazzite. E se non
dovessimo piacere? Se sfigurassimo in confronto agli One Direction?
Insomma,
sono i cantanti più famosi del momento. Resta il fatto che
comunque, o ci
muoviamo adesso, o potremmo rimanere sempre al livello dei concertini
in locali
minuscoli” disse. Tutti sospirammo. Nessuno l’aveva
messa così. “Coco?” fece
Manuela. Sapevo che le mie parole avrebbero potuto fare la differenza.
“Allora.
Io non so cosa ci sia preso. Tutti quanti. Già il
fatto che siamo qui a pensarci non è giusto. Non avremmo
dovuto avere dubbi, o
no?” feci, ad alta voce. Tutti mi guardarono. “Cosa
intendi?”
“Intendo
che, accidenti, è
il vostro sogno! Se sapeste che potete fare qualcosa per
farlo avverare,
non vi buttereste a testa bassa?! Tutti
dobbiamo
correre rischi nella vita, fa parte del percorso. Ok, può
andare male. Si ricomincerà
da capo. Ma se andasse bene?! Vi sottovalutate, ragazzi, siete davvero
fantastici, e non lo dico perché vi voglio bene, ma
perché ho subito adorato la
vostra musica, fin da quel 2 gennaio dove queste due pazze mi hanno
portato ad
un vostro concerto! Ho capito il vostro valore dalla prima volta che ho
incrociato i vostri sguardi e anche quel manager l’ha capito,
e se non ha fiuto
lui chi ne può avere?! Io non credo proprio che qualcuno,
lì fuori, abbia il
coraggio di dire che la vostra musica non è fatta bene.
Può non piacere il
genere ma tutti dovranno ammettere che siete bravi. Scrivete la vostra
musica
da sempre e le vostre canzoni per questo hanno uno spirito! Non vi
basta il
concorso del mese scorso?! O che i bar vi vogliono per fare concerti?!
O che
gli One Direction sono disposti a far avverare il vostro sogno?! Da
quando
avete paura di seguire i vostri sogni, si può
sapere?!” esclamai, alzando la
voce. Tutti mi guardarono stupiti. Ashton, dopo un silenzio tombale di
quelle
che sembrarono ore, si alzò. “Dove vai?”
chiese Michael. “A prendere il
biglietto da visita di quel manager. Coralie ha ragione, ragazzi. Siamo
i 5
Seconds of Summer e abbiamo lavorato tanto per arrivare fino a qui. E
ora che
facciamo? Molliamo per paura? No, a me non va bene. So che ero il primo
a dire
di no, ma grazie al cielo qui c’è una benedetta
ragazza che sa leggere gli
occhi – e a mio parere pure le anime – che mi ha
riscosso dalla codardia e mi
ha fatto capire qual è la cosa giusta da fare. Che ne
dite?”
Tutti si
aprirono in sorrisi entusiasti, tranne Michael. Lui
guardava il centro del tavolo. Manuela gli si avvicinò.
“Michael, so che puoi
avere paura. È normale. Ma è quello che aspettavi
da una vita, lo capisci? Ti prego”
fece. Michael sospirò. “Carol, penso che tu debba
fare una telefonata” disse
dopo qualche secondo, sorridente.
Tutti esultammo,
mentre Carol prendeva il telefono, improvvisamente
euforica, e il biglietto da visita. Tutti ci radunammo attorno a lei.
In quel momento
realizzai che, oddio, stava succedendo davvero.
“Pronto,
parlo col manager degli One Direction? Sì, salve,
sono Carol Lemaire, la manager del gruppo di ieri sera. Volevamo
avvertirla che
abbiamo deciso. È un sì.”
*Angolo autrice*
sono una persona orribile, scusate tantissimo il ritardo! spero che il
capitolo mi faccia perdonare :,(
ecco i vestiti di Coralie,
Madison,
Manuela
e Carol.
solo una domanda:
che ne pensate del capitolo?
davvero, per me è molto importante saperlo. vi prego di
dirmelo, non sapete quanto ho rimuginato su tutto questo ammasso di
parole senza senso!!
grazie in anticipo
Ranyadel
|
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Capitolo 23 *** I miss you ***
I miss you
“Quella
di oggi si tratta di una
prova. Dovete mostrarci cosa siete in grado di fare solo con strumenti
acustici, come vi ho visti fare in spiaggia. Registreremo il tutto e lo
invieremo ai ragazzi in concerto. Io sono il manager, ma sono gli One
Direction
che hanno l’ultima parola in questo campo”
spiegò il manager, guidandoci
attraverso i corridoi della casa discografica.
Era passata
un’ora dal nostro
arrivo a New York, e una settimana dalla Chiamata, a.k.a.
“Il-primo-sì-che-aveva-cambiato-la-nostra-vita-ma-poteva-benissimo-distruggere-i-nostri-sogni-anziché-realizzarli”.
Da quel giorno, ci eravamo messi d’accordo per andare a New
York per due
settimane, così da permettere ai ragazzi di fare il loro
provino. La Columbia
Records ci aveva pagato tutto e a noi non rimaneva che goderci quella
che era
la città dei nostri sogni. Insomma, chi non ha mai
desiderato di vedere New
York?!
Appena sbarcati,
avevamo fatto
appena in tempo a portare tutti i nostri bagagli in hotel, che il
manager – di
cui non avevo ancora ben capito il nome – era venuto a
prenderci. Somigliava
tanto al presentatore degli Hunger Games, come atteggiamento, non so se
mi
spiego.
Carol aveva
definitivamente preso
il ruolo di manager dei ragazzi, e parlottava con l’altro,
per mettersi
d’accordo su tutto. Vedevo Ashton leggermente geloso, ma che
ci potevo fare,
era normale.
“Quindi,
posso sapere il nome della
cover che canterete?” chiese infine il manager. Vidi i
ragazzi impallidire.
“Cover?” chiese Luke. “Certo. Non ce la
sentiamo ancora di farvi registrare una
vostra canzone.”
I ragazzi si
interrogarono qualche
secondo, poi Ashton si rivolse all’uomo: “I
miss you, dei Blink 182” fece. L’uomo
annuì e aprì la porta della sala
d’incisione. Fece accomodare noi ragazze in una camera piena
di cavi, lucette,
bottoni e leve, mentre i ragazzi si sedettero nella stanza adiacente,
separata
da una parete di vetro da quella in cui eravamo noi. C’erano
due o tre tecnici
con noi, che tramite un altoparlante spiegarono ai ragazzi cosa
dovevano fare.
Al via di uno di loro, i quattro iniziarono a suonare.
Hello there, the angel from my
nightmare
The shadow in the background of the
morgue
The unsuspecting victim of darkness
in the valley
We can live like Jack and Sally if we
want
Where you can always find me
We'll have Halloween on Christmas
And in the night we'll wish this
never ends
We'll wish this never ends
I miss you, I miss you
I miss you, I miss you
Where are you and I'm so sorry
I cannot sleep I cannot dream tonight
I need somebody and always
This sick strange darkness
Comes creeping on so haunting every
time
And as I stared I counted
The webs from all the spiders
Catching things and eating their
insides
Like indecision to call you
and hear your voice of treason
Will you come home and stop this pain
tonight
Stop this pain tonight
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head (I miss you,
I miss you)
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head (I miss you,
I miss you)
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head (I miss you,
I miss you)
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head (I miss you,
I miss you)
Don't waste your time on me you're
already
The voice inside my head (I miss you,
I miss you)
Mi aspettavo
chissà quanti effetti
speciali, invece era come ascoltarli dal vivo, ma vedevo i tecnici
lavorare al
computer, quindi immaginai che stessero ancora aggiustando il tutto. I
ragazzi
finirono in poco e poterono uscire subito dalla stanza. Erano ansiosi
ed
emozionati. “Allora, com’è
venuta?” chiese subito Luke, esaltato come un
bambino. Io gli feci una faccia come a dire: “E che ne
so” e lui mi guardò
stranito. “Tranquilli, dobbiamo ancora lavorarci. Ci vorranno
un’oretta…
intanto, se volete, potete fare un giro per New York. Venite da Milano,
no?
Dovrebbe piacervi” rispose un tecnico, cui feci fatica a
capire le parole. Io e
l’inglese, già, andavamo molto
d’accordo, figurarsi l’accento americano e la
velocità con cui parlava. Fortunatamente, le origini
australiane dei ragazzi mi
salvarono la vita.
Uscendo dalla
sala d’incisione, non
sapevamo cosa dire. “Ehm, che facciamo?” chiese
Ashton. Eravamo tutti scossi. Ci
serviva qualcosa di familiare a scuoterci e a caricarci le pile, che
avevano
sprecato tutte le loro energie per quei pochi minuti. Forse, avevo
un’idea.
Vidi che stava
arrivando un
inserviente e mi preparai cosa dire, pensandoci, riflettendo su ogni
parola,
cercando di ottimizzare la pronuncia per non fare figure del cavolo.
Quando ci
passò di fianco, lo fermai. “Scusi,
c’è un accesso al tetto?” chiesi
nervosa.
Lui mi guardò ridacchiando. “Sei italiana, vero?
Si sente dall’accento” disse
nella nostra lingua. E tutti i propositi di non fare figuracce finirono
nello
sciacquone inesorabilmente. Io arrossii all’istante, mentre
gli altri dietro di
me ridacchiavano. “Comunque, sì,
l’accesso al tetto c’è, basta che fate
tutte
le scale, siamo al quarantottesimo piano, dovete arrivare al
cinquantacinquesimo, il cinquantasei è quello che
cercate” mi disse cordiale.
Probabilmente notò le nostre espressioni terrorizzate,
perché aggiunse:
“Oppure, c’è
l’ascensore.” Noi sospirammo di sollievo,
l’idea di tante rampe di
scale ci stava per uccidere sul colpo. Ringraziai l’altro e
ci infilammo in
ascensore. Ovviamente, nessuno mi avvertì del gradino e io
inciampai, finendo
lunga distesa sulla moquette dell’ascensore.
“Oddio, Coco, stai bene?!” chiese
Luke preoccupato. Io annuii e loro scoppiarono a ridere, dal primo
all’ultimo.
Sbuffai rialzandomi. “Io l’ho sempre detto, che gli
amici ti aiutano sempre, ma
solo quando hanno finito di ridere” feci, con atteggiamento
offeso. Luke si
avvicinò a me e mi diede un bacio del tutto innocente, ma
Manuela ci rimbeccò:
“Ragazzi, fatevi le scale se dovete stare a sbaciucchiarvi,
non voglio fare la
– contò sulle dita delle mani quanti eravamo
– ottava incomoda!!” la guardai
come a dire se era seria e lei si esibì nel suo
più angelico e quindi diabolico
sorriso.
Arrivammo al
tetto e la vista ci
lasciò senza fiato. Eravamo in alto, molto in alto, ed era
uno spettacolo da
mozzare il fiato, non tanto per la bellezza del paesaggio, ma
perché eravamo a New York,
a fare uno dei primi passi per
realizzare il sogno del mio ragazzo e dei suoi migliori amici.
Ma che sto
dicendo?!
Ormai era il nostro sogno, punto e basta.
“Allora,
come vi sentite?” chiesi,
trepidante. Eravamo seduti in cerchio al centro del tetto, a fare una
specie di
confessionale. Ashton fece una smorfia. “Non so spiegarlo. Ho
le gambe molli.
Mi sembra di aver dormito per tanto e di essere ancora rintontito.
Insomma, non
capisco, credevo di dover essere euforico, e invece sono solo tanto,
tanto
spaventato” disse. Luke e Michael annuirono. “Io
invece sono al settimo cielo,
in tutti i sensi. Primo, perché siamo a non so quanti
fottutissimi metri da
terra e ho paura di cadere anche se so che è impossibile.
Secondo, siamo a New
York! Terzo, siamo qui per iniziare il resto della nostra vita!!
Insomma,
comunque vada, si deciderà il tutto e per tutto in
quest’ora” disse Calum.
“Potevi pure evitare il riferimento all’altezza,
ora sto molto meglio” lo
schernii io, intimorita. Luke si voltò verso di me e sorrise
piano,
mordicchiandosi il piercing. “No, non morderlo! Mi fai
impazzire!” esclamai,
coprendomi gli occhi. “Come? Così?” fece
lui, e dal suo tono strascicato capii
che gli mancava poco dal staccarsi il labbro a morsi. Gli altri risero
nel
vedere come cercavo di resistere ai suoi assalti. Cosa ci potevo fare?
Era
adorabile quando sovrappensiero si mordicchiava
quell’anellino di metallo che
doveva dargli un tocco di grinta, e invece lo faceva sembrare solo
tanto
cucciolo. “Ragazzi, dai, era un discorso serio!”
sbottò divertita Carol. Noi ci
mettemmo composti, fingendoci mortificati. “Scusa
mamma” disse lui con una
vocetta sottile che per poco non mi fece tornare a ridere. Ashton si
illuminò.
“Aspetta, allora io sono il tuo papà! Che bella
cosa, non vedevo l’ora di
poterti dire cosa fare quando voglio!!” esclamò
esaltato. “A cuccia pure te!”
rise Carol, e Ashton imitò la nostra posizione.
“Scusa, amore” fece allo stesso
modo di Luke. “Ladro di battute”
sussurrò lui, fulminandolo con lo sguardo.
“Ok, ok, torniamo seri. Carol ha ragione. Michael, che ne
pensi?” chiese
Manuela. “Sinceramente, ho una fottuta paura che gli One
Direction possano
riderci in faccia. Non potevamo iniziare da qualcuno di meno famoso,
no? No,
puntiamo subito alla vetta!” fece. Io ridacchiai.
“E dai, ormai siamo qui, e
non siamo stati noi a prendere l’iniziativa. Questo
vorrà pur dir qualcosa”
risposi. Lui ci pensò su, poi annuì. Mancava
Luke, che si ritrovò con sette
paia di occhi puntati addosso. “Ok, siete inquietanti
così” fece. “Tu cosa
dici?” chiese Madison. “Io dico che non
m’importa come andrà – o meglio,
m’importa, ma se andasse male potrei farmene una ragione
– perché sono felice
di essere arrivato fino a qui, ora, con tutti voi” disse lui.
Potevo quasi
vedere come parlava
col cuore in mano e questo mi fece sorridere.
“Vogliamo
essere ancora più
felici?” chiese Madison. La guardammo interrogativi e lei
sorrise furba,
frugando nella borsa e tirandone fuori, meraviglia delle meraviglie,
una
scatola di ciambelle. Esultammo, facendo a gara per avere quelle con
più glassa.
“Io quella col buco!” urlò Manuela,
avventandosi sull’ultima ciambella bucata.
Mi fermai a riflettere, per poi esporre il mio dubbio filosofico agli
altri.
“Perché tutti vogliamo quelle col buco?”
“Perché
sono più buone.”
“Sì,
ma avete mai pensato che
vogliamo l’unica cosa che non si mangia?” chiesi.
Loro mi guardarono basiti,
non ci avevano mai pensato. “Zitta e mangia, questi brutti
pensieri sono
sintomi di un calo di zuccheri” fece Michael, ancora
strabiliato dalla mia
brillante quanto inutile scoperta.
Passammo il
pomeriggio a ridere,
dimenticandoci dell’ora passata da molto. Improvvisamente, il
cellulare di
Carol squillò. Era il manager. “Pronto?”
fece lei, mentre improvvisamente tutti
ammutolivamo. “Sì, ok, arriviamo” fece,
chiudendo la chiamata. “Allora?” chiese
Ashton. “Andiamo, hanno finito e hanno una grande
notizia!” disse lei
elettrizzata. Noi esultammo con grida di gioia e scendemmo al piano di
sotto,
correndo. Quando ci vide, il manager sorrise. “Ecco qui i
miei piccoli
prodigi!” fece. Decisamente, era uguale al presentatore degli
Hunger Games.
“Quindi? Com’è andata la
registrazione?” chiese subito Luke, in ansia.
L’altro
sorrise. “È fantastica. Se volete sentirla, venire
pure di qui” disse,
indicandoci una saletta. Noi ci tuffammo sui divanetti, mentre alla
radio
partivano le note della canzone.
Quando
finì, eravamo a bocche
aperte. “Siamo davvero noi?” chiese Calum.
“Cioè, so che siamo noi, ma fa così
strano, e poi è tutta messa a posto, le voci sono giuste, e
tutto quanto…” si
corresse subito. Il manager scoppiò a ridere.
“È normale questa reazione.
Volevo darvi una grande, grandissima notizia: non solo ho fatto sentire
la
cover agli One Direction, ma l’ho diffusa fra molti altri
cantanti e band. Sono
tutti molto sorpresi. La notizia è questa” fece,
porgendo ai ragazzi quattro
lettere diverse. Ashton aprì per primo la sua e
iniziò a leggere ad alta voce.
“Gentile mr. Irwin, la informiamo che, date le sue grandi
doti alla batteria, è
invitato a prendere il posto del precedente batterista della band di
supporto
dei Paramore. Saluti, Hayley Williams.”
Fu la volta di
Luke: “Gentile mr.
Hemmings, data la sua grande voce, è stato richiesto come
spalla dal
sottoscritto. Saluti, Evan Taubenfeld.”
Calum:
“Gentile mr. Hood, date le
sue capacità di bassista e cantante, è stato
notato dalla cantante
sottoscritta, che sarebbe felice di poter organizzare qualche concerto
con lei.
Saluti, Katy Perry.”
Michael:
“Gentile mr. Clifford,
grazie alla sua voce e alle sue doti di chitarrista, è stato
invitato a far
parte del gruppo di supporto dei Green Day. Saluti, Billie Joe
Armstrong.”
Stavamo per
avere un infarto di
gruppo. “Ditemi che non è vero” fece
Ashton, pietrificato. Rimanemmo in
silenzio a lungo, fino a quando il manager non si schiarì la
voce. “Ragazzi, so
che è un bel colpo, ma ho bisogno di risposte ora. Cosa
volete fare? Sciogliere
la vostra band e accettare gli inviti o seguire gli One Direction in
tour?”
chiese. Noi ci guardammo. È proprio vero che le strade
migliori hanno i bivi
più ardui.
Non so cosa
successe fra noi. Ci
fissammo tutti, dal primo all’ultimo. E scoppiò
una scintilla di rabbia.
“Scusate, ma noi siamo arrivati qui come gruppo. Non saranno
certo dei cantanti
famosi a farci uscire da qui divisi” sbottò Luke,
strappando la sua lettera.
Calum lo seguì subito, così come Michael. Ashton
rilesse ancora la lettera.
“Ashton?!” chiese Carol, preoccupata. Lui ci
fissò di nuovo, sorrise e divise
la lettera a metà. “Scusa, Hayley, anche se sei il
mio idolo non ci penso
proprio ad abbandonare i miei migliori amici e il sogno che
condividiamo” fece.
Ci voltammo tutti verso il manager e notammo che sorrideva. Anzi,
rideva.
“Cosa
trova di tanto divertente?”
chiese Manuela. “Avete superato la prova, ragazzi. Siete uno
dei pochi gruppi
che ce l’ha fatta” spiegò lui. Noi ci
fissammo confusi. “Che intende?”
“La
Columbia Records non ha
l’abitudine di lanciare gruppi troppo deboli per rimanere
insieme e seguire il
sogno che si erano prefissati. Tutti gli artisti che escono da qui sono
stati
sottoposti a questa prova e hanno dato la risposta corretta. Le lettere
erano
finte, e chi le ha accettate è stato subito scartato.
Quindi, complimenti. Il
posto di spalla per gli One Direction è tutto vostro,
così come la
registrazione del vostro primo brano domani, alla stessa ora di oggi, e
di tre
EP nel giro dei prossimi due mesi. Davvero bravi, ragazzi.”
Noi ci guardammo
a bocca aperta.
Non potevamo
crederci.
Eravamo dentro.
*Angolo autrice*
ATTENZIONE!
D’ora in poi, la storia
sarà un po’ meno PWP e inizierà la
trama vera e propria. Siamo più o meno a
metà storia, o forse a due terzi, qualcosa del genere. Tutto
quello che succede
qui è creazione solo della mia mente malata, che ha voluto
dare
un’interpretazione tutta sua del
“Pre-successo”. Ci sono moltissime
incongruenze con la storia vera, anzi, se mi trovate una congruenza
siete
bravi.
Oltre a questo
avviso… davvero,
solo una recensione? Avevo chiesto di farmi sapere cosa ne pensavate, e
mi è
arrivato un messaggio e una recensione… davvero è
così orribile? Non nego di
esserci rimasta un po’ male… però boh,
io ci ho provato…
Alla prossima
Baci
Ranya
|
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Capitolo 24 *** the only reason - parte 1 ***
The only reason
Parte 1
“Cioè,
tu sei a New York, e non mi
dici nulla?!” esclamò Emmaline
dall’altra parte dello schermo. Io feci la
faccia più angelica del mondo. “Volevo farti una
sorpresa!” mi giustificai. La
realtà? Con tutti i pensieri che avevo per la testa, me
l’ero completamente
dimenticata. Era impressionante la mia capacità di cestinare
le informazioni
ancora prima di averle immagazzinate. Lei dovette intuire qualcosa,
perché mi
guardò torva, come a dire, so che
hai un
segreto e costi quel che costi lo scoprirò.
Eravamo tornati
in hotel dopo quel
pomeriggio che ci aveva cambiato la vita. I ragazzi erano sfiniti,
troppa
tensione, e anche noi non eravamo messe bene. Avevo passato un
pomeriggio
piuttosto strano, con i ragazzi che facevano a turno per non farmi
raggiungere
la mia camera. Prima Carol mi aveva chiesto aiuto per smontare la sua
valigia,
poi Calum mi aveva dovuto far leggere a tutti i costi un testo, e
così via…
morale? Non avevo visto Luke tutto il pomeriggio, se non la sera tardi,
quando
eravamo rientrati in camera per crollare sul letto, come gli altri, del
resto. Tutti
dormivano, ma chi era l’unica che ancora soffriva per il jet
lag?? Che cosa
brutta vedere tutti che dormono e avere gli occhi spalancati. Mi ero
svegliata
alle cinque di mattina, troppo scombussolata per dormire ancora, e mi
ero messa
sul balcone per guardare l’alba e, chissà, magari
trarne qualche ispirazione.
Non avrei saputo dire per quanto fossi rimasta a scrivere, sapevo solo
che
avevo steso ben più di una decina di pagine. New York mi
faceva bene.
Avevo deciso di
infilarmi sotto la
doccia, ma mi era arrivata all’ultimo la chiamata di Emmaline
su Skype, e mi
mancava parlarle. Già che ero sul balcone, aveva capito dove
mi trovavo.
“Ma
che ci fai lì?!” fece poi mia
sorella, scandalizzata. Io le spiegai tutto dall’inizio, e
lei era una maschera
di stupore ad ogni mia parola. “Ok, decisamente, ho bisogno
di fare un giro.
Lavorare troppo mi ha fatto tornare le allucinazioni. Il tuo ragazzo
non sta
per diventare una star, me lo sto solo immaginando”
cercò di farfugliare lei.
Io scoppiai a ridere. “Tesoro, è tutto vero. Forse
non diventerà una star, ma
siamo sulla strada buona.”
“Oddio
non ci credo! E QUANDO
VOLEVI DIRMELO?!”
“Voleva
essere una sorpresa!”
“Ma
vattene a quel paese, te e la
tua sorpresa, dimmelo piuttosto che te ne sei dimenticata!”
Ups, beccata.
“Ma lo
sai che ti voglio bene?”
chiesi con un faccino adorabile. “Ti conviene essere
così lontana da me, che a
questo punto ti avevo già strangolato” mi
ammonì lei. Ci guardammo e scoppiammo
a ridere. “Ok, senti, io devo andare. Salutami tutti,
eh?”
“No,
aspetta! Mi serve un favore!!”
“Cosa?”
“Ti
ricordi i bracciali a mezzi
nodi che facevi sempre??”
“Certo.”
“Non
è che puoi farmene uno???”
“Perché?”
“Diciamo
che ho ridotto molto male
quello che mi avevi fatto da piccola…”
“Ok,
ok, mi metto al lavoro, capo!”
feci. Lei mi ringraziò in tutte le lingue del mondo a lei
conosciute (inglese,
italiano, francese, Emmalinese) e chiudemmo la chiamata. Se volevo un
modo per
passare il tempo, l’avevo trovato alla grande: i bracciali a
mezzi nodi erano
una cosa lunghissima da fare. Intanto, però, mi infilai
sotto la doccia. Misi
la musica alta e iniziai a cantare, mentre l’acqua calda mi
rilassava subito.
Una particolarità di me era che, anche con quaranta gradi,
la mia doccia doveva
essere calda, al massimo tiepida. Non ricordavo di aver mai fatto una
doccia
fredda. Un’altra particolarità era che gestivo i
tempi a ritmo di musica: due
canzoni per lo shampoo, una per il balsamo, una per il corpo. Era un
mio rituale
personale. Mi piaceva cantare sotto la doccia, alla faccia di chi dice
che è un
terribile cliché.
Ci misi un
po’ più del dovuto
(cinque canzoni) e mi avvolsi in un grande asciugamano. Tamponai un
poco i
capelli, giusto per non gocciolare, e li lasciai all’aria ad
asciugare. Uscii
poi dalla doccia e trovai Luke che si stiracchiava. “Da
quanto sei sveglio?”
chiesi sorridente. “Più o meno alla orribile
stonata che hai fatto mentre
cantavi Best song ever”
mi prese in
giro lui ridacchiando. “Ehi, tu sei il cantante, io la
scrittrice. Io non
giudico i tuoi scritti, tu non giudicare le mie stonature”
feci io, sorridendo.
“Ok, ok, ma la prossima volta, gli acuti di Zayn, lasciali a
Zayn” fece,
avvicinandosi a me e dandomi un bacio a stampo. Io alzai gli occhi al
cielo.
Come al solito,
avevamo le camere
separate, e io e Luke eravamo in quella più piccola, ma con
la vista migliore.
“Vai tu in doccia, ora?” chiesi. Lui
annuì e prese il cambio dalla valigia che
ancora dovevamo disfare. Sì, come organizzazione eravamo
messi male, e no, non
ci importava. “Stasera che facciamo?” chiesi ad
alta voce, perché lui mi
potesse sentire. “Non prendere impegni, amore, oggi ho
organizzato una cosa
speciale!” urlò lui in risposta. Io sorrisi
raggiante e saltellando mi fiondai
sulla mia valigia. Mi cambiai in fretta, mettendomi solo una maglia XXL
e dei
pantaloncini da pallavolo. Notai che erano le nove di mattina.
“Che mi metto?
Elegante o che altro?”
“Ti
prego, non mettermi di fronte
ad altre scelte di moda!”
“Solo
per sapere come devo
vestirmi!”
“Non
fare niente, ci penso io!”
urlò lui. Io feci spallucce e tirai fuori dalla valigia il
mio set di ago e
cucito. Presi otto spilli e li piantai in una scatola di scarpe,
creando il
telaio per il braccialetto. Annodai poi i fili colorati agli spilli e
iniziai a
intrecciare il bracciale. Era rilassante e mi aiutava a concentrarmi,
in più,
potevo capire di che stato d’animo ero: più i nodi
erano stretti, più ero
nervosa. Nonostante tutto, mi sforzai di stringerli per far venire bene
il bracciale.
Dieci minuti dopo, avevo fatto solo quattro righe di nodi quando Luke
uscì
dalla doccia. In boxer. Io lo guardai sorpresa. “Amore mio,
mi vuoi mandare in
tilt? Ci stai riuscendo” dissi solo, scrutando il corpo di
Luke alla stregua di
una pervertita. Lui si mise a ridere. “Scusa, scusa, mi copro
subito”
“No
no, fai pure!” dissi invece io,
ridacchiando. A parte gli scherzi, non volevo sembrare una pervertita
per
davvero, quindi gli porsi il mio asciugamano. Lui ci si avvolse e si
avvicinò a
me, chinandosi alla mia altezza. “Dillo di nuovo”
mi sussurrò. “Cosa?”
“Amore
mio.”
“Perché?”
“Perché
mi piace sentirtelo dire”
rispose con il più innocente dei sorrisi. Rischiavo davvero
di sciogliermi.
Feci incontrare le nostre labbra e, come al solito, iniziai a
giocherellare col
piercing. Quanto lo amavo.
Ci separammo
quando entrambi
avevamo troppo bisogno d’aria per andare avanti.
“Allora, che ti metti oggi?”
chiesi. “Sai la camicia a scacchi per cui tu vai
matta?”
“Quella
rossa e nera?”
“Già.”
“No,
volevo fregartela io!”
piagnucolai. Lui sorrise. “Penso che non avrai bisogno di
fregarmela” disse, frugando
nella valigia e porgendomi un pacco regalo. Io sgranai gli occhi dalla
sorpresa
e scartai il pacco, emozionata come una bambina a Natale. Era una
camicia uguale
alla sua, solo chiusa sul davanti e più femminile.
“Grazie, grazie, grazie!”
esclamai con voce acuta, saltandogli addosso e travolgendolo con un
mega
abbraccio stile koala. Lui si mise a ridere, soffocato dalla mia
stretta
micidiale. “Piccola, la giornata è appena
iniziata, non uccidermi subito, ti
prego!” esclamò poi, mentre nonostante le sue
parole ricambiava la stretta, ma
in modo più delicato. Io mi tolsi la giga maglia per
cambiarla con la camicia e
mi parai davanti allo specchio. “È
bellissima!” esclamai emozionata. Lui si
affiancò a me e sorrise. “No, tu
sei
bellissima” rispose dandomi un piccolo bacio sulla tempia.
Poi, s’immobilizzò e
impallidì. Si fiondò sul bordo della camicia,
dove notai sventolare il
cartellino del prezzo. Solo lui poteva essere così genio da
lasciarlo. Scoppiai
a ridere, mentre lui litigava con il cartellino per staccarlo senza
farmelo
vedere. “Ce n’è di gente stupida in
giro, ma accidenti, io li batto tutti!”
esclamò lui, borbottando, facendomi ridere ancora di
più. Alla fine, si chinò
per strappare il cartellino coi denti. Sbuffò soddisfatto
quando riuscì a
vincere la sua guerra. “Accidenti, la prossima volta mi porto
dietro un
machete” fece poi, strappando il cartellino in tanti
minuscoli pezzi e
buttandolo. Io, intanto, avevo mal di pancia dal ridere. “Ok,
facciamo finta
che tutto questo non sia mai accaduto” disse lui, pulendosi
le mani. Io gli
presi un dito e glielo feci vedere: era segnato da una riga rossa, che
indicava
il punto dove aveva forzato il filo di plastica. Lui guardò
truce il segno,
borbottando un: “Maledetto cartellino” e
massaggiando il polpastrello per far
circolare il sangue. Io, intanto, ridevo di nuovo. “Ok, ci
sono. Dai,
prepariamoci che la giornata ha solo ventiquattro ore e me ne
servirebbero quarantotto”
disse poi frettoloso. Io presi un paio di Jeans neri stretti e li
infilai,
mentre lui faceva lo stesso con un paio suo. “Ok, no, stiamo
esagerando con la
storia dei gemelli” disse poi, ridacchiando e cambiandosi i
pantaloni, mettendo
dei jeans più larghi, sdruciti e pallidi.
S’infilò la camicia – che mai e poi
mai avrei smesso di rubargli – e le scarpe, mentre io lo
imitavo e lottavo con
le All Stars nere. Mi infilai il mio berretto e presi al volo la borsa,
mentre
lui metteva portafoglio e cellulare nelle tasche, e uscimmo.
Rimanemmo cinque
minuti buoni ad
aspettare l’ascensore del grattacielo/hotel. In quel lasso di
tempo, non so
come, mi ritrovai con le spalle al muro e le labbra di Luke premute
prepotentemente sulle mie. Le sue mani vagavano liberamente sui miei
fianchi,
stringendoli, avvicinandomi a lui. Io, invece, lo tenevo stretto a me,
con le
mani intrecciate sulla sua nuca. “Hemmings! Lemaire! Un
po’ di contegno, vi
prego! Almeno non in mezzo al corridoio!” esclamò
Ashton alle nostre spalle,
scandalizzato. Noi ci voltammo ridacchiando e lo vedemmo sulla soglia
della
porta che condivideva con Carol, in pigiama. Scoppiammo a ridere e lui
ci
guardò malissimo, prima di notare le camicie coordinate.
“Bello il regalo, le
hai detto di oggi?” chiese, rivolto a Luke. L’altro
lo fulminò con lo sguardo e
Ashton capì di non dover dire nulla. “Ok, ok, me
ne vado, buona giornata,
ragazzi!” trillò il maggiore, chiudendo la porta.
“Di cosa parlava?” chiesi
curiosa. “Niente di che. Andiamo?” fece lui,
ansioso, indicando l’ascensore che
si era appena aperto. Io alzai gli occhi al cielo e presi lo zaino che
aveva
lasciato appoggiato al muro. Lui sgranò gli
occhi.”Ok, basta, oggi il mio
cervello è in ferie” fece, prendendo lo zaino,
mentre io ridevo e lo seguivo.
Nell’ascensore,
ci scambiammo un
altro paio di baci, più tranquilli del precedente. Per poco
non dimenticammo di
nuovo lo zaino, ma riuscimmo a uscire dall’hotel senza
lasciare la scia di
Hansel e Gretel dietro di noi. Luke fermò un taxi e salimmo
nella classica auto
gialla, mentre lui sussurrava la destinazione al tassista. Lui
annuì e
sfrecciammo lungo le vie fortunatamente poco trafficate di New York. Il
tassista ci guardò nello specchietto retrovisore e sorrise
nel vederci
abbracciati. Disse qualcosa che io non capii, aveva parlato troppo
veloce.
Guardai interrogativa Luke, che stava ringraziando il tassista.
“Che ha detto?”
“Che
siamo teneri con la camicia
uguale e che coppie come noi non si vedono spesso in giro, solo la loro
brutta
copia, quelli che si mollano dopo tre giorni e in poco sono pronti a
nuove
storielle.”
Io sorrisi,
affondando di più nella
sua stretta. Lui mi guardò e ridacchiò.
“Sei arrossita, cucciola” mi disse,
dandomi un bacio sul naso. Io alzai gli occhi al cielo e risi sotto i
baffi,
mentre cercavo di capire la destinazione. Quando vidi che stavamo
accostando di
fianco ad un immenso parco, saltai a sedere, appiccicando il naso alla
finestra, scatenando le risate di Luke. “Central
Park!” esclamai, elettrizzata come una bambina.
Quando scendemmo dal taxi,
non esitai un momento a buttarmi nell’erba mentre Luke pagava
il tassista.
Decisi che avrei diviso il conto con lui più tardi, ero
troppo impegnata a fare
angeli d’erba. Ridacchiavo come una cretina, ma ero sempre
stata attratta da
quel parco immenso. “Ti piace?” chiese lui,
chinandosi di fianco a me. Io, in
tutta risposta, gli saltai addosso, facendolo cadere. Rotolammo per un
metro
circa, ridendo, e ci fermammo quando io ero sopra di lui.
“Allora?” chiese di
nuovo. Io annuii frenetica, con un sorriso che andava da un orecchio
all’altro.
“Sono felice di averti fatto sorridere
così” fece poi, con quella sua faccia da
cucciolo che mi aveva fatta innamorare al primo sguardo. Appoggiai
piano le
labbra sulle sue, in un leggerissimo bacio a stampo, e lui mi prese il
viso fra
le mani. Sembravamo due bambini, o almeno, l’innocenza era la
stessa, poi che
io avessi diciassette anni e lui diciotto, non cambiava nulla.
Oddio, aveva
già diciotto anni.
Eppure c’ero anch’io alla festa che abbiamo fatto.
Festa a sorpresa venuta
molto bene, dato che Luke ci aveva scoperti tre giorni prima. Aveva
fatto finta
di essere sorpreso solo perché aveva visto quanto ci stavamo
impegnando. Il mio
Luke era diciottenne da poco più di un mese, accidenti, mi
suonava così strano!
“A
cosa pensi, piccola?” mi chiese,
vedendomi distratta con un piccolo sorriso sulle labbra. “A
quanto il tempo passa
in fretta” feci a bassa voce. Lui ridacchiò.
“Piccola filosofa, possiamo
goderci la giornata e far finta che l’orologio si sia
fermato?” mi chiese. Io
sorrisi e annuii. Ci alzammo e lui si buttò lo zaino in
spalla, poi ci ripensò
e me lo consegnò. Io lo guardai confusa, prima che lui mi
prendesse in braccio
stile principessa. Risi e capii perché mi aveva dato lo
zaino. “Dove la porto,
signorina?” fece, con voce leggermente strozzata per la
fatica. “Verso
l’infinito e oltre?” chiesi. “Non so se
reggo fino a lì, inizio ad avere un
languorino.”
“Abbiamo
appena fatto colazione!
Sono le dieci!”
“Ho
detto languorino, non fame. Languorino
sta per merenda, fame sta per pranzo” spiegò lui
con fare saccente. Io risi di
nuovo. “Ok, che ne dici se cerchiamo un bar?”
“Ci
sto.”
“Mi
metti giù?”
“Nemmeno
per sogno” rispose lui con
fare ovvio, cercando con lo sguardo un qualche punto dove mangiare.
Mezz’ora
dopo, eravamo seduti ad un
tavolo all’ombra di alti alberi, con due bicchieri di succo
d’arancia davanti e
un vassoio con due brioches e un muffin al cioccolato. Non sapevo
perché Luke
non avesse pensato a portarsi dietro uno spuntino nello zaino, ma mi
aveva
impedito di sbirciare il contenuto, classificandolo come sorpresa. Non
ci feci
caso più di tanto e bevvi un altro sorso di succo
d’arancia, che personalmente
adoravo. Finiva sempre troppo presto, così avevo preso
l’abitudine di mangiare
prima e poi bere, per non ritrovarmi a bocca asciutta, letteralmente.
Mangiammo
parlando del più e del
meno, ridendo con la bocca piena e rischiando di affogarci non so
quante volte.
Improvvisamente, un flash ci accecò per un attimo. Era una
ragazzina gracile,
minuta, che reggeva una macchina fotografica troppo grande per lei, con
un
cordino attorno al collo per non farla cadere. “Scusate, non
volevo
disturbarvi, non credevo avesse il flash…” fece
mortificata, lasciando
rimbalzare la macchina fotografica sulla sua pancia. Noi sgranammo gli
occhi
sorpresi. “Tranquilla, ma perché l’hai
fatto?” chiese Luke poi, con un sorriso
che aveva lo scopo di mettere a proprio agio la ragazzina. Doveva avere
dodici
anni all’incirca. “Niente, niente, è un
motivo stupido” fece in fretta lei,
paonazza. Mi venne da sorridere nel vedere quanto le lentiggini
risaltavano
sulla pelle rosso fuoco. “Noi siamo stupidi, secondo me ti
capiremmo” ribatté
Luke ridacchiando. Lei si avvicinò al nostro tavolo a
piccoli passi, torturandosi
una ciocca di capelli biondo chiaro. “È
che… st-sto provando a-a scrivere una
fan fiction… e no-non volevo prendere una f-foto di Internet
per l-la
copertina. Stavo cercando qualcosa da fotografare e-e… voi
eravate così giusti
per la storia…” fece balbettando. Noi sorridemmo.
“Mi fa piacere. È bello che
tu voglia scrivere. Ci vuole pazienza, determinazione e passione, e in
giro non
ci sono molte persone disposte a dare via un pezzetto della loro vita
per
ottenerne in cambio tanti altri” dissi. Lei mi
guardò finalmente negli occhi e
notai quanto fossero chiari, un nocciola flebile, molto strano e di
sicuro
diverso da qualsiasi altro paio di occhi che avessi mai visto.
“Tu scrivi?”
chiese poi. Io annuii e lei, finalmente, mi sorrise, quel sorriso che
solo i bambini
sanno fare, che mostra tutti i denti. “Ti piace
leggere?” mi chiese. Io annuii
di nuovo. “Leggi tanto?” Ancora risposta
affermativa. “Anche io. Ho molto tempo
libero perché gli altri non vogliono giocare con me, solo
perché ho un nome
strano.”
“Come
ti chiami?”
“Vanilla.”
“Io
invece lo trovo un nome molto
bello” si intromise Luke. Vanilla sorrise di nuovo, mentre il
rossore spariva
dalle sue guance rotonde. “Comunque credo che da grande lo
cambierò. Non mi
piace che mi prendano tutti in giro.”
“Io
invece lo terrei, solo per far
vedere agli altri che sono più forte di loro”
risposi. Lei mi guardò di nuovo e
mi ritrovai ad ammirare i suoi occhioni chiari. “Ma io non
voglio rimanere da
sola.”
“Non
rimarrai sola, tranquilla.
Prima o poi cresciamo tutti, e un nome non avrà
più importanza. E poi, Vanilla
ha tanti bei soprannomi. Vany, Vaniglia, cose del genere. Io invece
sono
Corallo da quando ho messo piede a scuola!”
“Come
ti chiami?”
“Coralie.”
Lei si mise a ridere.
“Perché ridi?”
“Perché
ti chiami come l’autrice
del libro che sto leggendo” fece lei, tirando fuori dal suo
zainetto il libro
in questione. Io e Luke cercammo di mascherare la sorpresa mentre
Vanilla ci
mostrava Look into my eyes.
“E ti
piace?” chiese Luke con un sorriso enorme. Lei
annuì frenetica. “Da grande
voglio essere come la protagonista” fece poi. Io mi aprii in
un sorriso raggiante,
ero al settimo cielo. Poi ripensai alle parole di Vanilla.
“Non devi essere
come lei. Non è giusto vivere cercando di imitare qualcun
altro. Capirai cosa diventare
mano a mano che passa il tempo, l’unica cosa da imparare
è che non bisogna
indossare nessuna maschera” dissi. Lei mi guardò
stupita. “Pensi questo del
libro?” mi chiese poi, gli occhi da cerbiatto puntati nei
miei. Io annuii.
“Penso anche che l’autrice abbia scritto il libro
immaginando quella che
sarebbe stata la sua vita. E sono sicura che niente è andato
come nei piani, ma
lei non potrebbe essere più felice di
così” dissi poi, lanciando un’occhiata a
Luke, che ricambiò. La sua mano cercò la mia
sotto il tavolino e la strinse una
volta trovata. “Pensi che ci sarà un
seguito?” chiese di nuovo Vanilla. Luke mi
guardò e: “Sì, Coco, ci sarà
un seguito?” mi chiese ridacchiando. Io mi
trattenni dal ridere. “Secondo me ci sta già
lavorando. Però bisogna tenere
conto che magari, dico magari, può avere cose più
importanti a cui pensare. Che
so, magari il ragazzo di cui è innamorata sta per diventare
una grande rockstar
e lei gli vuole stare vicina ad ogni costo” dissi poi.
Vanilla rise. “Hai tanta
fantasia” mi disse poi. Io sarei scoppiata a ridere.
“Sai, credo che questa mia
ipotesi sia la meno fantasiosa di tutte” commentai, mentre
Luke si tratteneva
dal ridere. “Io ora devo andare, la mamma mi sta aspettando.
È stato bello
parlare con voi. Grazie, Coralie e…?”
“Luke.”
“Grazie,
Coralie e Luke. Spero di
rivedervi, un giorno.”
“Anche
noi, Vanilla.”
Vanilla fece di
nuovo quel suo
sorriso enorme e ci salutò con la mano, mentre correva via.
Rimanemmo a
guardarla per qualche secondo, poi io sospirai. “Mi
piacerebbe davvero
rivederla” dissi. “Forse non è
così improbabile, sai?”
“Luke,
è di New York. Noi siamo qui
in vacanza.”
“Non
hai notato che parlava
benissimo l’italiano? E che non ha nemmeno provato a parlare
in americano?”
chiese lui. Io sgranai gli occhi. “Hai ragione! Ecco
perché non ho fatto fatica
a capirla!! Se parlava americano mica la capivo!” esclamai.
Non ci avevo fatto
caso, troppo presa dalla situazione. Lui rise e: “Lo mangi
quel muffin?”
Stavamo
camminando lungo i
vialetti, abbracciati, quando passammo davanti ad un fioraio. Era
così pieno di
colori! Mi avvicinai subito ai lilium, i miei fiori preferiti,
osservando
quanto fossero belli. Lilium rosa, bianchi, arancioni… il
mio sguardo incontrò
una macchia blu. Erano rose, bellissime. “Luke,
guarda!” feci, distogliendolo
da un vaso di orchidee. “Che belle” fece lui.
“Scusi, quanto vengono?” chiesi
al fioraio, indicando le rose. “Tre dollari a rosa”
fece lui, potando un
piccolo bonsai. Io sgranai gli occhi. Feci un gesto a Luke per dire che
era un
prezzo esagerato e ce ne andammo, salutando il venditore, che stavolta
era
americano. “Ti piacevano?” mi chiese Luke. Io
annuii. “Ma costavano troppo”
dissi poi, prima che potesse tornare indietro. Il mio problema era che
i fiori
singoli non mi piacevano. Dovevano essere tre, o cinque, o sette, o un
qualsiasi numero dispari. Quindi, spendere nove, quindici, o ventuno
dollari,
non mi andava molto bene.
Vagammo fino a
trovare un posticino
tranquillo, praticamente disabitato. Era mezzogiorno, più o
meno, e il jet lag
ci aveva scombussolato, quindi non sapevamo più se per noi
era una colazione,
un pranzo o una cena. Nessuno di noi due era un asso in geografia e non
ci
ricordavamo come funzionassero i fusi orari.
“Hai
fame?” mi chiese lui. Io
annuii e ci sedemmo nel prato. Lui aprì finalmente il
misterioso zaino e ne
tirò fuori una tovaglia a grandi quadrati bianchi e blu. Io
mi misi a ridere.
“Un pic-nic classico, eh?” chiesi.
“Sì, ma questa tovaglia è
originale” fece
lui. “Ah, davvero?” continuai io. Lui
annuì. “Innanzitutto, non è rossa e
bianca, ma blu e bianca. E poi è personalizzata”
fece, sentendola a terra. Io
notai solo in quel momento che su ogni quadrato era scritta una frase
diversa.
Sui quadrati blu era scritta in bianco e viceversa. Mi bastò
un’occhiata per
capire che erano frasi di canzoni d’amore. Sorrisi a
trecentosessanta gradi,
commossa, e lo guardai. “Ti piace?” mi chiese. Io
risposi allo stesso modo in
cui avevo risposto prima e lui si ritrovò steso a terra, con
me sopra di lui,
che lo abbracciavo più forte che potevo. “Coco, mi
stai soffocando!” soffiò
lui, di nuovo, con un filo di voce. Stavolta non lo lasciai andare
subito, solo
quando lo sentii tossire e capii che stavo esagerando. Mi scusai per
l’irruenza
in mille modi, ma lui sorrise e mi chiuse le labbra con un dito.
“Se farti
felice costa solo un po’ di fiato, sono pronto a
soffocare” mi disse
dolcemente, prima di darmi un bacio sulla punta del naso.
Tornammo a
sedere e lui indicò la
tovaglia. “Vediamo se riesci ad indovinare i
titoli” mi sfidò poi, tirando
fuori dallo zaino due pennarelli indelebili,uno blu e uno bianco. Mi
chinai sul
primo.
Everybody
wanna steal my girl
Everybody
want to take her heart away
Couple
billion in the whole wide
world
Find
another one, ‘cause she belongs
to me.
“Steal my girl degli One
direction” dissi sicura. Lui annuì e
stappò
il pennarello bianco con I denti, per poi scrivere sotto i versi il
titolo. Mi spostai
al riquadro successivo.
You’re
so beautiful
But
that’s not why I love you
I’m
not sure you know
That
the reason I love you
Is
you, been you, just you
Yeah,
the reason I love you
It’s
all we’ve been trough
And
that’s why I love you
“I love you di Avril” feci di
nuovo. Lui ridacchiò e scrisse il
titolo. Riquadro successivo.
Torn
in two
And
I know I shouldn’t tell you
But
I just can’t stop thinking of you
Wherever
you are
You,
wherever you are
Every
night I almost call you
Just
to say it always will be you
Wherever
you are.
“Wherever you are, della mia band
preferita, che ospita il mio
cantante preferito, ovvero il ragazzo che amo” feci
ridacchiando. Lui sbuffò. “Cioè,
io sono stato tutto il pomeriggio a cercare canzoni d’amore,
a selezionarle
così meticolosamente, e tu mi smonti così,
indovinandole subito?! Almeno fai
finta di pensarci su!” fece esasperato, scrivendo il titolo.
Andammo avanti
così per mezz’ora
circa. I
riquadri contenevano canzoni
bellissime, come “Heartbreak girl”,
“Wherever you will go”,
“Nobody compares”,
“Last first kiss”,
e molte altre. Mancava
l’ultimo riquadro. Mi
chinai su di esso, concentrata.
When
I close my eyes and try to sleep
I
fall apart, I find it hard to
breathe
Yoy’re
the reason, the only reason
Even
though my dizzy head is numb
I
swear, my heart is never giving up
You’re
the reason, the only reason
“Allora,
premetto che non la
conosco, ma second me si chiama The only
reason” dissi. Lui fece gesto di infilzarsi con il
pennarello. “Cioè, non
la conosci, e pure indovini?! Ok, basta, questi giochi non li faccio
più con te”
si arrese. Io risi. “Di chi è?” chiesi
poi. Lui si indicò con un sorriso
gongolante, quasi fosse un bambino. “Non l’avevo
mai sentita!” esclamai. “L’abbiamo
stesa molto tempo fa, prima di conoscervi, e prima di partire
l’abbiamo
rispolverata. Non avevamo mai provato a finirla, poi ci è
tornata la voglia di
creare ed eccoci qui” spiegò. Io mi aggrappai al
suo braccio. “Me la fai
sentire!?” chiesi trepidante. Lui rise e tirò
fuori il cellulare, facendo
partire una traccia musicale. “È solo la
base” mi avvertì. “Allora canta
tu”
feci convinta. Lui sorrise e si schiarì la voce, prima di
offrirmi un
piccolissimo concerto privato.
Quando
finì, avevo gli occhi a
cuore. “È bellissima!” urlai
elettrizzata. “Siamo sicuri che non lo dici solo
perché
sono io?” mi chiese lui, titubante. Lo fissai scioccata.
“Ma come ti viene in
mente, scusa?! Credi che potrei farlo? Cioè, sì,
potrei farlo, ma te ne
renderesti conto subito!” esclamai. Lui rise e mi
abbracciò. “Ok, allora.”
Dopo aver fatto
quello strano
gioco, Luke tirò fuori dallo zaino tutto il necessario per
un pic nic alquanto
romantico. Mangiammo senza stare un attimo zitti, continuando a ridere
e a parlare,
anche a bocca piena. Non ci importava nulla del galateo, eravamo io e
lui, da
soli, senza bisogno di regole, in una libertà difficile da
provare con altre
persone.
Finimmo di
mangiare e ci sdraiammo
sulla tovaglia, abbracciati. Iniziò ad accarezzarmi i
capelli e io chiusi
subito gli occhi, rilassata. Ci misi poco ad addormentarmi, come al
solito.
Quando mi
svegliai, realizzai di
essere da sola. “Ma che cavolo…?!” feci,
confusa. Dov’era finito Luke?! Lo avevano
rapito?! Esclusi subito l’idea che mi avesse abbandonato al
mio destino. Sentii
un trillo fastidioso e ricordai di essermi svegliata a causa di quello.
Era la
sveglia del mio cellulare. Io non l’avevo impostata! Guardai
il messaggio: “guarda
nella tasca davanti dello zaino” diceva. Io obbedii e notai
un biglietto blu a
forma di cuore, piegato a metà. Sorrisi e lo aprii.
Ciao
piccola,
innanzitutto
mi scuso per averti abbandonato in mezzo al parco. Scusami! Era
l’unico modo! Ti prego, non prendertela!
Ti
chiederai che sto combinando. Diciamo che ho organizzato una minuscola
caccia al tesoro. Mi sto nascondendo da qualche parte con il tesoro, in
questo
parco immenso, tanto che ho paura che mi perderò. Tocca a te
trovarmi! Trovi il
primo indizio sotto il ponte davanti a te! In bocca al lupo e divertiti!
Ti
amo
Luke
Io scoppiai a
ridere. Solo a lui
potevano venire in mente queste idee pazze! Alzai lo sguardo e
incontrai il
ponte di cui mi aveva parlato. Misi via le mie cose nello zaino, me lo
buttai
in spalla e corsi verso il ponte.
“Che
la caccia al tesoro inizi!”
esclamai da sola, ridendo come una ritardata.
*Angolo autrice*
Aiutooo sono in
ritardo cosmico!! Mi
scuso tantissimo!! Sono settimane che ho questo dannatissimo capitolo
in
testa!! E non è nemmeno finito, infatti siamo solo a
metà giornata, solo che se
stavo qui a scriverlo tutto non finivo più, e veniva fuori
un papiro. Devo darmi
una mossa! Sono fortunata che ho la febbre, almeno non ho nulla da
fare!!
Mi scuso di
nuovo per il ritardo!!
Detto
questo… davvero fa così
schifo la storia?? Se ha preso una piega che non piace, basta dirlo!
Devo pagare
oro per un parere… :,(
Boh, a (spero)
presto, mi scuso di
nuovo, ciaoo
Ranya
|
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Capitolo 25 *** the only reason - parte 2 ***
Corsi fino a
quando non raggiunsi
il ponte. Già avevo il fiatone, potevo dire di iniziare
bene. andai sotto di
esso e cercai con lo sguardo una macchia di colore sulla pietra. Non
tardai a
trovarla: era dall’altra parte del ponte. Fortuna che era
rosa shocking, o non
l’avrei mai vista, con i miei occhi che mi facevano brutti
scherzi. Corsi sopra
al ponte, evitando per un pelo una bicicletta che stava per investirmi,
fino a
raggiungere il primo biglietto. Lo aprii trepidante.
“Se
sei arrivata qui, significa che
forse ho una possibilità di rimanere in vita. Non mi
ammazzerai per averti
lasciata sola, vero? Ti prego!
Comunque, questo
non è una vera e
propria mappa, ma l’indizio che porterà alla prima
mappa. Eh, sì, me la sono
studiata bene. comunque, devi cercare sotto qualcosa di grande, forte e
tenero.
Mi faresti un favore se non cercassi sotto tutti i pastori tedeschi del
parco,
grazie.
Ci vediamo al
prossimo posto!
Ti amo
Luke”
Io mi misi a
ridere da sola, prima
di pormi il problema di dove cercare. Qualcosa di grande, forte e
tenero?
Aiuto, togliendomi i pastori tedeschi aveva eliminato la mia scorta di
idee. “E
adesso?” chiesi al biglietto. Tornai sul ponte, cercando di
capire cosa volesse
dire Luke. Quelle tre parole mi rimbalzavano nella mente. Grande, forte
e
tenero. Non aveva senso, nel mio cervello ancora addormentato. Forse un
altro
cane? Un lupo? Un cane lupo? Un…
“Balto!”
urlai improvvisamente. Una
famiglia che mi passava di fianco mi guardò malissimo, ma li
ignorai e mi misi
a correre. Poi feci dietrofront, rendendomi conto di un minuscolo
particolare.
“Scusi, saprebbe indicarmi la statua di Balto?”
chiesi. Loro mi guardarono di
nuovo in un modo strano e mi resi conto di aver parlato in italiano.
Riformulai
la domanda in inglese e loro mi diedero mille informazioni, che avevo
già
dimenticato mentre me le dicevano. Li ringraziai e, voltandomi,
sbuffai. Facevo
meglio a procurarmi una piantina del parco.
Mezz’ora
dopo, finalmente, armata
di mappa, bigliettino con indizio, zaino e fiato per camminare a lungo,
raggiunsi la statua di Balto. Era molto bella, ma in quel momento non
mi fermai
a guardarla. Mi chinai e raggiunsi il livello della statua, prima di
impallidire. Il biglietto c’era, certo, ma solo in parte.
Qualcuno lo aveva
strappato e a me rimaneva solo la parte attaccata con lo scotch. Mi
guardai
intorno, con occhi sgranati, fino a che non vidi dei bambini giocare
con una
pallina verde acceso, dello stesso colore del bigliettino. Mi avvicinai
a loro
e notai che sì, era il mio bigliettino.
“Scusatemi, posso chiedervi di darmi
quel biglietto?” chiesi. Loro mi guardarono male, come avevo
immaginato. “Per
favore, devo solo farci una foto” proposi. Una bimba
– l’unica – si avvicinò a
me. “Perché ne hai bisogno?”
“Me
l’ha lasciato il mio ragazzo.”
“Come
ti chiami? E come si chiama
il tuo ragazzo? Di dove siete?”
“Perché
lo vuoi sapere?”
“Rispondi
e basta.”
“Mi
chiamo Coralie, si chiama Luke,
veniamo dall’Italia.” La bimba spiegò il
biglietto e lo lesse piano. “Ok, è
tuo. Facci una foto, poi però ce lo ridai!” disse,
porgendomelo. Io la
ringraziai soffocando in gola un commento sulla sua acidità,
presi il cellulare
e scattai una foto al biglietto, prima di riconsegnarlo al gruppo di
bambini.
Scrutai la foto, cercando di capirci qualcosa.
“Ciao
Coco,
vedo che sei
arrivata fino a qui.
Accidenti, non ti ferma nessuno, eh? Comunque, ora arriva il
divertente. Lo
vedi il boschetto di fianco a te? Su una quercia ho inciso un simbolo
particolare, che dovresti riconoscere. Su un ramo di quella quercia
è attaccata
la prossima parte della mappa. Buona fortuna!
Ti amo
Luke”
Decisamente, mi
voleva morta. Come
facevo a trovare un simbolo su un albero in un bosco?! Altro che ago in
un
pagliaio. Sotto la scritta, era disegnato uno schizzo abbozzato. Un
particolare
di qualcosa. Ecco cosa intendeva con mappa. Dovevo ricostruire il
disegnino e
capire dove mi portava. Alzai lo sguardo, cercando il boschetto. Notai
in quel
momento la gente che bisbigliava, gettando occhiate ad un sacchetto di
plastica, chiuso e pieno di qualcosa.
Aguzzai la vista e notai un corpo di fianco alla busta, un corpo che si
nascondeva sull’erba, nonostante spiccasse con la camicia a
quadri neri e
rossi. Mi nascosi il viso fra le mani, rifiutandomi di crederci. Non
poteva
essere così genio da passarmi davanti mentre lo stavo
cercando. Composi il suo
numero e avvicinai il cellulare all’orecchio. La suoneria che
sentii in
lontananza – era ad una decina di metri da me – mi
tolse ogni dubbio: era Luke.
“Pronto,
piccola?” chiese con
nonchalance. “Mi spieghi che ci fai
sull’erba?”
“Tu
non mi hai mai visto! Continua
la tua caccia al tesoro! Io sono un ologramma! Non ti sono mai passato
di
fianco! E tu non hai mai visto questo sacchetto! Chiaro?!”
fece lui,
gesticolando. Io scoppiai a ridere. “Passo sopra questa tua
geniale entrata in
scena solo se mi dici qual è il simbolo.”
“Coco!”
“Luke!”
“Non
posso dirtelo!”
“Guarda
che vengo lì, eh?!”
“Ok,
ok. È il simbolo della nostra
band, le quattro linee verticali con una in diagonale. Uffa,
però!” Io scoppiai
a ridere, prima di realizzare che tutti ci stavano guardando malissimo.
“Adesso
mi lasci scappare via?” chiese Luke. Io acconsentii e lo vidi
rialzarsi e
correre via, nemmeno fosse alle olimpiadi. Con le gambe lunghe che
aveva, ogni
falcata erano dieci metri. Continuai a ridere da sola per qualche
secondo,
prima di dirigermi nel boschetto. Avevo un simbolo da cercare.
Per fortuna che
mi aveva detto cosa
cercare, se no col cavolo che lo trovavo. Tutti gli alberi erano pieni
di
incisioni! Quanta gente girava con i coltellini?! C’erano
anche diversi L + C o
viceversa, ma potevano essere qualsiasi cosa. Fortunatamente, sapevo
che non
era quello che cercavo, o mi sarei arrampicata ovunque. Avevo bisogno
di una
quercia.
Improvvisamente,
vidi un qualcosa
di giallo spiccare su un tronco. Mi avvicinai curiosa ed esultai. Era
lui.
Guardai verso l’alto e vidi il biglietto, giallo fluo.
Lasciai lo zaino a terra
e mi aggrappai al primo ramo, issandomi, fino a raggiungere il
biglietto.
Litigai con lo scotch che Luke aveva usato per assicurare la carta al
ramo,
tanto che rischiai di cadere, ma alla fine tornai vittoriosa a terra.
Mi
stiracchiai e lessi il biglietto.
“Ciao
Coco,
a quanto pare
sei arrivata pure
qui. Sto finendo i nascondigli! Beh, fortunatamente non manca tanto.
Sei a
metà. Allora, il prossimo biglietto…
Ti dico subito
dov’è. L’ho
consegnato ad un mimo vestito da statua della libertà. Non
mi odiare, ma c’è
una piccola sfida. Dovrai essere la mima del mimo per dieci minuti. Se
ce la
farai, ti darà il biglietto. Non dovrai ridere!!
Con tanto, tanto
amore,
Il ragazzo che
fra un po’
morirà, alias Luke”
Io mi lasciai
andare ad un lamento.
Mi voltai verso la quercia e iniziai a prenderla a testate leggere,
prima di
convincermi a cercare il mimo. Presi il bigliettino, feci una foto,
tagliai
l’immagine abbozzata e la incollai sulla foto del bigliettino
precedente.
Sembrava una bancarella. Mi mancavano due frammenti, e uno era in
possesso di
un mimo. Significava guerra, no?
Dopo aver
cercato per non so quanto
tempo, finalmente trovai il mimo. Era fermo immobile su un piedistallo.
La sua
pelle era grigio-verde, impiastrata di pittura. Ai suoi piedi, un
cappello
rivoltato, con qualche spicciolo dentro. Lui si distolse dalla sua
posizione
per guardarmi. Mi fece un breve inchino, indicandomi un piedistallo al
suo
fianco che prima non avevo notato, e poi fece sventolare davanti ai
miei occhi
un biglietto viola, a mo’ di sfida. “Ok, ci sto.
Avrò quel biglietto” dissi,
salendo sul piedistallo.
Doveva essere
facile. Morale?
Passai una mezz’ora buona a imitare quel pagliaccio. Ogni
momento mi veniva da
ridere, e la folla incuriosita che si era radunata attorno a noi non
aiutava
per nulla. La gente provava un piacere sadico nel gettare una monetina
ai piedi
del mimo per farlo muovere, e far muovere anche me. Decisi di
seppellirmi
quando vidi passare anche Ashton, Carol, e tutti gli altri. Scoppiarono
a
ridere quando mi videro, e iniziarono a gettare monete peggio di una
mitragliatrice. Intanto, l’orologio del mimo ticchettava.
Aveva messo il timer,
e lo aveva resettato sei volte a causa delle mie risate.
Una moneta da
dieci centesimi. “Ti
vogliamo bene, Coco!” fece Manuela, facendomi una linguaccia,
mentre il mimo
iniziava a muoversi e io dovevo imitarlo.
Venti centesimi.
Di nuovo le risate
dei miei migliori amici.
Un euro.
Intanto, mi chiedevo
quando il mimo si sarebbe accorto che stavano buttando monete europee.
Io sorridevo,
perché loro erano
arrivati da poco più di due minuti, ma io sapevo che il
tempo stava per finire.
Avrei ucciso tutti e sei nel giro di quanto? Circa un minuto?
Il timer
suonò dopo un tempo che mi
sembrò infinito. I sei guardarono prima il mimo, poi me, per
capire cosa stava
succedendo e impallidire. Io mi voltai verso il mimo che, sorridendo
con quel
suo fare affettato, mi consegnò il biglietto viola. Io lo
ringraziai e mi
voltai verso i miei amici. “Correte, ora” feci.
Loro non esitarono e schizzarono
via, mentre io saltavo giù dal piedistallo e li inseguivo.
Presi il polso di
Madison, che urlò divertita. Notando che non riuscivo a
fermarla, mi buttai di
peso su di lei, spingendola ai lati della strada, sull’erba.
“Maddy!” urlò
Calum. Il gruppetto si fermò, col fiatone.
“Lasciatemi qui! Andate avanti senza
di me!” urlò lei, melodrammatica.
“Ok!” fece Ashton, mentre i cinque correvano
via. Madison ci rimase di sasso. “Io
stavo scherzando!” strillò, mentre io
scoppiavo a ridere. “Tornate a prendermi,
vigliacchi che non siete altro! Avete paura di una bionda?!”
“Tu
no?”
“Se la
bionda sei tu, certo che ne
ho!”
“Allora
perché li biasimi?”
“Perché
io sono incoerente, non te
ne eri accorta?!”
Ci guardammo e
scoppiammo a ridere
di nuovo. “Come facevate a sapere che ero qui?”
chiesi. “Luke si stava sentendo
con Ash, e gli ha parlato della caccia al tesoro. Si stavano mettendo
d’accordo, credo. Quando gli ha detto di questa fase, Ash ci
ha fatto preparare
in fretta e furia, sperando che fossi ancora qui.”
“Ma
quanto è simpatico Ash.”
“Vero?
Intanto però ci siamo
divertiti!” fece lei. Io annuii, non potevo negare di essermi
divertita molto.
“Ok, ora ti lascio andare, devi continuare con la caccia al
tesoro. Buona
fortuna!” fece lei, rialzandosi. “No, aspetta!
Dimmi la tappa finale!”
esclamai, stanca di correre da una parte all’altra del parco.
“Ma sei scema?!”
“No,
ho sonno!”
“Non
posso dirtelo!”
“Ti
prego!”
“No!”
“Maddy!”
“Uff,
posso dirti solo che non ti
aspetteresti il posto finale. Ciao Coco!” fece lei, correndo
via. Io crollai a
terra. Ero distrutta. Ripensai a quello che avevo detto. No, non avrei
mai
saltato le tappe. La disperazione mi aveva fatto parlare. Mi tirai su e
contemplai
il nuovo biglietto.
“Ciao
Coco,
spero tu ti sia
divertita molto con
il mimo. Io avrei riso tutto il tempo! Oltre a questo, ti manca solo un
indizio, che ti porterà all’indicazione finale! Mi
troverai fra poco, spero!
Passiamo
all’indizio. Capisco che
tu sia distrutta, quindi ti aiuto. È in una fontana vicino a
te. Anzi, diciamo
sotto. Non voglio stancarti troppo, sono stato bravo stavolta.
Ti amo,
Luke”
Io sorrisi.
Ripetei l’operazione
della foto e notai l’immagine di una bancarella.
L’insegna era a metà, c’era
scritto solo “-os!” e mancava la parte finale per
capire dove cercare l’ultimo
indizio. Presi fiato, ripetendomi che avevo quasi finito: la fontana
era vicina
a me, la vedevo da lontano. Camminai a grandi falcate – ero
troppo stanca per
correre – fino alla fontana, ispezionando tutti i pertugi.
Trovai il biglietto
bianco sotto un sasso, in un angolino della fontana. Elettrizzata, lo
aprii.
“Ciao
Coco,
sei arrivata
all’indizio finale!
Ora che hai i quattro pezzi del puzzle, puoi capire dove ti ho
indirizzato. Vai
lì e chiedi di me, ti daranno una cosa che ti
dirà dove trovarmi!
Complimenti
amore mio, ti amo!
Luke”
Ricostruii il
puzzle. L’insegna
diceva: “Photos!”
Io feci un salto
di gioia, mi
mancava poco. Chiesi a dei passanti dove potessi trovare una bancarella
di foto
e loro mi indicarono un punto sulla mappa. Mi sentii male quando vidi
che era a
un quarto d’ora da me. Luke se l’era escogitata
bene per farmi morire.
Mentre
camminavo, sentivo
l’adrenalina scorrermi nelle vene. Guardai
l’orologio e impallidii nel rendermi
conto che erano già le sei. Presi il cellulare e inviai un
messaggio a Luke:
“Non
so nemmeno da quante ore ti
sto cercando. Se tu fossi stato un altro ti avrei già
insultato.”
La risposta non
tardò ad arrivare:
“Beh,
allora fortuna che sono io!
Comunque posso capirti, mi sto insultando da solo, anche
perché non ho niente
da fare e inizio ad avere freddino. Il mio compagno di attesa
è un videogioco
che non solo fa schifo ma mi sta fagocitando la batteria. A che punto
sei,
amore?”
“Sto
cercando lo stand delle
fotografie”
“Ah,
wow, già lì? Allora forse il
mio telefono ha la possibilità di rimanere vivo!”
“Manca
tanto?”
“No,
anzi, sei quasi alla fine,
piccola”
“Sapevi
che i ragazzi hanno avuto
un bello spettacolo oggi, gratis?”
“Me
l’ha detto Ash… scusa cucciola,
non credevo l’avrebbe fatto sul serio :( se
l’avessi saputo gliel’avrei
impedito”
“Mai
sottovalutare Ashton… comunque
nessun problema :D”
“Sicura?”
“Certo!”
“Ok…”
“Sono
quasi allo stand, sai?”
“Allora
faccio meglio a
nascondermi! Ciao cucciola, a tra poco!”
“Aspetta,
no, non lasciarmi da
sola! Luke! Lukeyyyy :,(“
Luke non rispose
più, mentre io
sporsi il labbro all’infuori. Come se lui avesse potuto
vedermi. Mentre
camminavo, avevo schivato all’ultimo molti passanti, ma non
avevo fatto caso a
come fossi andata fuori traiettoria. Mano a mano che camminavo, giravo
verso
sinistra, tanto che lo stand – visibile in lontananza
– era ormai sulla mia
destra. Aggrottai le sopracciglia e mi guardai i piedi, chiedendomi se
fosse
possibile che fossero storti. Non trovando nessun difetto, feci
spallucce, mi
diedi della stupida per aver dovuto controllare
di non aver due piedi a banana, e mi misi a correre verso lo stand.
L’uomo che
stava dietro al bancone, quando mi vide, sembrò
riconoscermi; guardò in una
foto che aveva di fianco, poi me e ancora la foto. Quando, con il
fiatone, gli
chiesi: “Buongiorno, per caso ha visto un biondino con un
piercing al labbro,
occhi azzurri, camicia a quadri, orrendamente alto?” lui
scosse la testa. “So
chi sei, ma non so chi sia il tipo che mi hai descritto. Qui
è venuto solo un
ragazzo riccio, con i capelli lunghi e gli occhi verdi, vestito da
rockettaro
dannato. Mi ha detto di darti queste a nome di un suo amico”
fece poi,
porgendomi due foto. Com’è che il rockettaro
dannato mi sembrava tanto Ashton?
La prima era una
foto che mi aveva
fatto Luke qualche mese prima ed era la stessa che l’uomo
aveva usato per
riconoscermi; probabilmente Luke gliel’aveva lasciata per
evitargli di chiedere
a tutte le ragazze: “Scusa, sei tu Coralie?”. La
seconda era la foto di un
posto che conoscevo già. Mi venne da ridere: era il lago
dove mi ero svegliata
da sola, dove era partita la caccia al tesoro. Nella foto,
c’era una barca a
remi minuscola in mezzo al lago. Dietro la foto c’era scritto
con un pennarello
indelebile:
“Ciao
Coco. Mi dispiace deluderti,
ma questo messaggio non è di Luke, bensì mio.
Diciamo che era troppo occupato
per fare quest’ultima commissione, quindi mi ha pregato in
ginocchio di
aiutarlo. Dal suo nascondiglio non poteva più lasciarti un
messaggio, così a
chiesto a me di scrivere qualcosa, perché non gli sembrava
giusto lasciare la
foto in bianco. Beh, devo dire qualcosa, quindi? L’unica cosa
che mi viene in
mente è che lui è di un romantico che fa vomitare
e tu sei così innamorata di
lui da stare dietro alle sue trovate. Guardandovi, penso che siate
pazzi, poi
però mi viene da sorridere, perché insieme siete
anche bellissimi. Non so che
altro dire, il mio messaggio l’ho lasciato. Ti auguro buona
fortuna, anche se
ora non è che devi trovare qualche indizio, dato che la meta
finale – dove
troverai quel malato del tuo ragazzo – è il lago.
E non so che altro dire,
anche perché ho finito lo spazio sulla foto, quindi ciao, ci
vediamo dopo, e
ricordati che ti voglio bene, eh?
Ash ;)”
Finii di leggere
con un sorriso
sulle labbra che non voleva saperne di andarsene. Anche il mio migliore
amico
sapeva essere dolce con qualcuno che non fosse Carol, quindi.
Esaltata,
ringraziai l’uomo dietro
al bancone e mi guardai attorno. Vedevo il laghetto in lontananza. Non
potevo
credere di essere così vicina alla fine! Facendo appello a
tutte le mie
energie, ringraziai l’uomo e corsi verso il lago. Mi fermai
dove ancora c’era
l’erba schiacciata, l’impronta dei nostri corpi.
Ero da sola, la strada più
vicina era a trecento metri da qui. In mezzo al lago, c’era
ancora la barca
abbandonata. Guardai di nuovo la foto. Dov’era Luke?
“Lukey!”
urlai a squarciagola,
guardandomi intorno. “Luke! Dove sei?”
Dalla barca,
vidi spuntare un
ciuffo biondo e mi venne da sorridere. Luke mise i remi in acqua e,
remando
verso di me, iniziò a cantare: “I’m
siiiiiinging in the laaaake! I’m siiiiiiinging in the
laaaaake!” io
scoppiai a ridere, mentre lui incagliava la prua della barca nel fondo
sabbioso. “Buongiorno principessa!”
esclamò voltandosi verso di me. La barca
oscillò pericolosamente e lui fece una faccia spaventata che
mi fece ridere
ancora di più. “Cosa ridi?!” fece lui,
imitandomi. “Quanto ci hai messo a
escogitare tutto?” chiesi. “Ci sto lavorando da
quando siamo arrivati qui.
Ashton mi ha dato una mano” spiegò, porgendomi la
mano. “Salta su, bellissima!”
fece poi. Io sorrisi e cercai di capire come salire senza dover entrare
in
acqua. Prima gli passai lo zaino, dove misi il cellulare e tutto
ciò che
occupava le mie tasche, e lui lo poggiò in fondo alla barca,
di fianco al
sacchetto che avevo visto quando lo avevo beccato in mezzo
all’erba. Poi,
afferrai la sua mano tesa e poggiai il piede sul bordo della barca. Lui
mi tirò
verso di sé, ma mi sbilanciai e con un urlo caddi in acqua.
La barca quasi si
ribaltò, ma questo bastò a trascinare anche Luke
in acqua. Il sacchetto e lo
zaino, però, rimasero all’asciutto. Riemergemmo e
ci guardammo, prima di
scoppiare a ridere. “Sei un disastro” mi disse fra
le risate. “Pure tu”
risposi. Mi guardò qualche secondo, prima di posarmi una
mano dietro la nuca e
avvicinarmi a lui. Mi baciò piano, dolcemente, mentre i
nostri capelli
gocciolavano e i vestiti ci si incollavano addosso, gelidi.
Rabbrividimmo. “Che
facciamo?” chiesi. “Chiamiamo Ash? Gli chiediamo se
ci porta anche un cambio?”
“Anche?”
“Sì,
è in hotel, gli ho chiesto di
portarmi la cena per stasera.”
“Mangiamo
qui??”
“In
mezzo al lago, piccola” disse
con un sorriso irresistibile, che gli scavò le solite
adorabili fossette agli
angoli della bocca. Io ricambiai entusiasta. Risalimmo sulla barca,
mentre
brividi freddi ci investivano. “E fu così che due
cretini si ammalarono di
broncopolmonite acuta” commentai, incrociando le braccia per
scaldarmi. Lui mi
guardò qualche secondo, nella mia stessa posizione, poi
venne a sedersi di
fianco a me, sul fondo umido della barca, mentre io ero su uno dei due
sedili.
Mi tirò sulle sue gambe e mi abbracciò, facendo
aderire la mia schiena al suo
petto e affondando il viso nella curva del mio collo. Mi
lasciò un piccolo
bacio sulla pelle gelida. “Sai di lago”
sussurrò pulendosi le labbra. Io
ridacchiai, rimuginando sulla pulizia di quel laghetto. Poteva essere
stupendo,
ma le sue acque – ci scommettevo – non erano
così pulite. “Perché, sai che
sapore ha un lago?” lo presi in giro, voltandomi leggermente
per poterlo
guardare negli occhi. Lui era appoggiato al bordo con la schiena,
quindi
eravamo praticamente sdraiati. Lui inarcò le sopracciglia.
“Vedi te, ho appena
bevuto quantità industriali di questa acqua così
tersa e pura per colpa di
questa bella bravata, me la sento tutta nel naso e mi brucia la
gola” fece,
massaggiandosi la radice del naso, come se potesse aiutarlo ad
eliminare
l’acqua. Anche io sentivo quel fastidio terribile di quando
si ha bevuto troppa
acqua involontariamente. Risi e lui mi imitò, poi appoggiai
il viso alla sua
spalla e intrecciai le mani alle sue. “Ti amo,
cucciola” sussurrò, scoccandomi
un bacio sulla fronte. Cercò di non farsi vedere mentre
cercava di pulirsi le
labbra e questo mi fece sorridere intenerita.
“Perché
hai organizzato tutto
questo?” chiesi ad un certo punto. Lui fece spallucce.
“Ci sarebbero tanti
motivi. Il primo, è che sono matto. Il secondo, è
che sono innamorato di te come
non credevo che sarei mai potuto essere. Metti insieme queste due cose,
aggiungi un Ashton che mi prende in giro ma alla fine è
sempre il primo ad
aiutarmi, e infine ambienta il tutto nella città che ho
scoperto essere una
delle tue tre mete da sogno. Dovevo farlo, quest’idea mi
allettava troppo.
Sembrava chiamarmi. Sento ancora la sua vocina malefica, che mi ricorda
che non
abbiamo ancora finito” mi spiegò. Io lo guardai
sorpresa ed elettrizzata.
“Davvero?!” chiesi. Lui ridacchiò e
annuì, poi mi indicò il sacchetto bianco,
di cui francamente mi ero completamente dimenticata. “Lo vedi
quello? Fra un
po’, quando arriva Ashton, potrai sapere
cos’è.” Io guardai il sacchetto; non
sapevo come avrei fatto a resistere. Fortunatamente, ci si mise Luke a
intrattenermi.
“Voglio farmi un tatuaggio” disse. Io tornai a
guardarlo, con occhi sgranati.
“Che?!” lui scoppiò a ridere.
“Scherzavo. Era solo per distrarti.”
“Mi
hai fatto prendere un infarto,
lo sai?”
“Non
ti piacerei più, con un
tatuaggio?”
“Non
ho detto questo.”
“Non
parlo Coraliano… cosa
intendevi?”
“Che
vederti uguale a tutti gli
altri mi spezzerebbe il cuore.” Lui sorrise, di nuovo.
“Tranquilla, non corri
il rischio. La massa è normale e la normalità mi
spaventa. Non voglio diventare
un altro codice a barre della società” mi disse.
“Ehi, si potrebbe fare una
canzone” feci notare io. “Già!”
“Una
cosa tipo: non voglio essere
un altro caso sociale.”
“Abbiamo
un po’ di tempo, no?
Possiamo mettere giù un paio di idee.”
Tre quarti
d’ora dopo, avevamo
deciso il ritornello:
So save me from who I'm supposed to
be
Don't wanna be a victim of authority,
I'll always be a part of the minority
Save me from who I'm supposed to be
So tell me tell me tell me what you
want from me,
I don't wanna be another social
casualty
“Si
chiamerà Social Casualty,
vero?” chiesi. Lui annuì. “Dovremmo
metterci a
scrivere testi più spesso. È
divertente.”
“Già.
E poi è utile. State per
diventare famosi, serve qualche brano in repertorio” dissi.
Volevo essere
giocosa, ma non so come mi uscì una nota amara. Lui se ne
accorse e mi guardò.
“Va tutto bene?” mi chiese. Io annuii.
“Non è vero. Riformulo la domanda: cosa
c’è che non va?” fece lui.
“Non lo so. A volte sembro pazza, ho reazioni strane
che nemmeno io capisco e so giustificare.”
“Lo
so. E so anche cosa succede nel
giro di tre giorni dopo che hai queste reazioni.”
“Ovvero?”
“Piangi
tutto quello che non hai
saputo esprimere a parole.” Io rimasi immobile. Mi ero sempre
assicurata di non
essere vista, durante le mie crisi, come… “Non
credere che solo perché non ti
ho mai detto niente, non me ne sia mai accorto. Lo so che piangi
spesso. E so
anche che non ti piace farti vedere così, quindi stai chiusa
in camera tua, e
io non intervengo. So che sei come una fenice, rinasci dalle tue
lacrime, ogni
volta più sorridente di prima. So che è il tuo
modo di superare il dolore. So
che l’hai sempre fatto da sola e non vuoi che questo tuo
equilibrio si spezzi.
So che quando ti ho sentita piangere in camera tua per la prima volta,
volevo
entrare e sapere cosa stesse succedendo, ma Manu me lo ha impedito. So
che ha
fatto bene.
So tante cose,
ma sto zitto. Ora
capisci di cosa parlo, quando dico che amo tutto di te, anche questa
parte che
soffre così tanto?” chiese. Io rimasi senza
parole, mentre le lacrime si
accumulavano ai lati dei miei occhi. “Hai sempre un motivo
per cui piangere,
anche se a volte non te ne rendi conto. Quello che ti sto chiedendo
è: sapresti
capire qual è il problema?” mi chiese. Io abbassai
lo sguardo, cercando una
risposta. Con voce rotta, balbettai: “No-on lo so bene.
Cre-Credo sia perché
ho-ho paura della distanza che ci sarà fra-a di
noi.” Lui mi strinse più forte.
“Non devi preoccuparti di questo, cucciola.
Tranquilla…” sussurrò al mio
orecchio. Io tirai su col naso, affondando il viso nella sua spalla.
Rimanemmo
così qualche minuto, mentre io singhiozzavo di tanto in
tanto, poi una voce ci
interruppe: “Luke, che succede? Perché piange? Sei
stato tu?” alzammo lo
sguardo e incontrammo gli occhi di Ashton, che mi guardavano
preoccupati. “Va
tutto bene, tranquillo” dissi io subito. Ashton si sporse per
lasciare il
sacchetto che aveva in mano nella barca, poi salì a bordo,
facendola oscillare.
Io e Luke ci aggrappammo ai bordi, al solo pensiero di fare di nuovo un
bel
tuffo ci venne la pelle d’oca. Ashton ci guardò e
ridacchiò. “Com’era
l’acqua?”
“Fredda.”
“Immagino”
disse, porgendoci il
sacchetto. Dentro c’erano due grandi asciugamani e i cambi di
vestiti, oltre
alla loro cena. “Grazie, Ash” feci, seguita da
Luke. “Allora, cosa succede?” chiese
di nuovo l’altro. “Niente di particolare”
risposi, ma Luke ci pensò subito a
ribattere: “Stavamo pensando a quando dovremo andare via, noi
ragazzi.” Ashton
mi guardò. “Non è detto che non veniate
con noi, eh?”
“Emmaline
non me lo permetterebbe
mai.”
“Coco,
sei abbastanza grande da
vivere da sola, lo sarai anche per fare un viaggio, no?”
“Sì,
ma dobbiamo anche pensare al
negozio… è sempre chiuso
ultimamente…”
“Vero,
non ci avevo pensato.”
“E
quindi, pensavo ai chilometri
che ci saranno fra di noi.” Ashton mi sorrise. Fregandosene
dei vestiti
bagnati, mi abbracciò, un abbraccio da fratello maggiore.
“Che tenera che sei,
Coco” mi disse. “Ehi, e io? Che sono, un
fantasma?” fece Luke col broncio. Ashton
rise e unì anche lui all’abbraccio. “Vi
voglio bene, sapete?” chiese poi.
“Anche noi te ne vogliamo” dissi. Lui strinse
più forte e noi emettemmo un
gemito strozzato, ci stava ammazzando. Ashton se ne accorse e ci
lasciò.
“Scusate, merito della batteria” disse. Ci mettemmo
a ridere. “Scusate,
ragazzi, ma Carol mi aspetta. Devo tornare all’hotel. Ci
vediamo stasera, o
domani mattina, vedete voi” disse ad un certo punto,
rialzandosi. Lo salutammo
e lui scese dalla barca, facendola dondolare di nuovo. “Ci
vediamo dopo, papà!”
gli urlai dietro. Lui rise di nuovo – che bella risata aveva?
Era contagiosa –
e ci salutò con la mano. “Quando tornate a casa,
papà vi regala le caramelle!”
ci prese in giro. “Ehi, noi le vogliamo davvero!”
esclamò Luke, mentre io
annuivo frenetica. Ashton si lasciò sfuggire qualcosa come:
“Santa pazienza
aiutami tu” e se ne andò.
Luke
frugò nel sacchetto e tirò
fuori uno dei due asciugamani e i cambi, appoggiandoli su uno dei due
sedili.
“Ingegniamoci per cambiarci” disse. Io mi misi
l’asciugamano attorno al corpo e
gli tesi i due lembi. “Non guardare” feci. Lui
annuì e si voltò, mentre io mi
cambiavo più in fretta che potevo. Ci scambiammo i ruoli e,
quando anche Luke
fu vestito, usai l’asciugamano per tamponarmi i capelli,
mentre lui faceva lo
stesso. Mettemmo poi i vestiti bagnati nell’asciugamano, lo
appallottolammo e,
tirando prima fuori la cena, lo ficcammo nel sacchetto. Intanto, si
stava
facendo buio. Guardai il cellulare – grazie al cielo avevo
avuto l’idea di
metterlo nello zaino prima del tuffo – e notai che erano le
otto passate. “Ok,
abbiamo ancora una mezz’oretta scarsa per mangiare”
fece Luke. Io lo guardai
interrogativa. “Manca l’ultima parte della
sorpresa, ricordi?” mi chiese
ammiccando. Io sorrisi di nuovo, raggiante. Luke si sedette su uno dei
due
sedili e prese in mano i remi. “Facciamo una scena stile
Rapunzel?” chiesi
ridacchiando. “Oh, certo che sì” rispose
lui con un sorriso enigmatico, mentre
si mordicchiava il piercing.
Mangiammo in
mezzo al lago la cena
che ci aveva portato Ash, che consisteva molto semplicemente in gnocchi
fritti
e una pizza. Alla faccia della leggerezza, oggi. Fortuna che ci aveva
portato
pure un recipiente pieno di cubetti d’anguria.
“Sono le ultime della stagione,
godetevele” recitava il biglietto sopra di esso.
“Davvero, Ashton potrebbe essere
nostro padre” fece notare Luke. Io annuii ridacchiando.
Guardavo ogni dieci
secondi l’orologio del telefono, impaziente. Luke lo
notò e ridacchiò. “Mancano
tre minuti, principessa” mi disse. Mise da parte il suo
piatto e mi prese le
mani. “Coco, prima stavamo parlando del perché ho
organizzato tutto questo. Le
ragioni te le ho dette sommariamente. Quello che ti voglio dire
è che sei la
persona più importante della mia vita. Non mi importa se ho
solo diciotto anni,
o se dentro sono un bambino, o di qualsiasi altra cosa. Quando ti ho
vista per
la prima volta, su quel marciapiede, mi hai stregato. Nei quattro mesi
passati
dopo che ti ho vista, accidenti, continuavo a ripensare a quel sorriso
che mi
hai fatto. Cercavo di dimenticarti, credevo che non ti avrei
più rivista, o
anche se lo avessi fatto non ti saresti mai accorta di me. Quella sera,
quando
siete venute a vedere il nostro concerto, non sapevo nulla, come te.
Poi Ash ti
ha indicato nella folla e, Dio, eri bellissima. Mi guardavi stupita e
io mi
sono sentito morire di felicità, perché
significava che ti ricordavi di me, che
mi avevi riconosciuto. Mentre cantavamo She
looks so perfect, non riuscivo a smettere di guardarti, e mi
veniva da
sorridere perché ti vedevo arrossire. Mentre mangiavamo
insieme, e poi al
negozio, quando mi hai fatto leggere il tuo libro, continuavo ad avere
i
brividi, perché, wow, tu eri davvero lì con me.
Poi al bar, quando sei scappata
via, e ti ho vista che piangevi per la prima volta… avevo
paura di essere stato
io. Di aver sbagliato qualcosa. Ero terrorizzato. Quando mi hai detto
che avevi
paura di allontanare anche me, ho sperato che un giorno, tu potessi
ricambiare.
E quando ci siamo baciati la prima volta, è vero, eravamo un
po’ brilli, ma
ricordo tutto alla perfezione, è stato bellissimo; e tutto
quello che ho
provato continuo a provarlo ogni volta che ti guardo, ti abbraccio o ti
bacio.
Non credevo che qualcuno come te potesse esistere realmente, e invece
sono qui,
adesso – così dicendo, prese il cellulare e
scrisse un messaggio, inviandolo
subito, tanto che non capii dove voleva andare a parare – a
dirti che sei la
persona più importante del mondo. Del mio mondo, perlomeno.
Quello che ti
voglio dire è, molto riassunto…” Fece
un piccolo sorriso e mi indicò il cielo.
Sentii un fischio familiare e nel cielo esplosero tre fuochi
d’artificio. Io
sussultai, prima di leggere le parole che avevano disegnato:
“Ti amo, Coco.”
Sentii le lacrime agli occhi. “Lo so che te lo dico spesso,
ma mi sembrava
giusto fartelo sapere anche così” mi disse,
guardandomi con un sorriso. Io non
avevo parole. Aveva scritto quella frase in cielo… Per
dimostrarmi ancora di
più quanto mi amasse… Lo guardai, commossa, e gli
gettai le braccia al collo. “Grazie”
sussurrai solo. Lui mi carezzò la schiena e mi
baciò piano, facendomi sentire
in quel bacio tutto quello che aveva detto. “Ti
amo” sussurrai sulle sue
labbra, prima di baciarlo di nuovo. “Ragazzi, vi porto un
preservativo, se
volete!” urlò una voce dalla spiaggia. Ci voltammo
verso la riva, guardando
malissimo Ashton. “Davvero, se volete ne ho uno qui nel
portafoglio!” urlò di
nuovo Ashton, ridendo. Forse avevo capito perché era
lì: aveva fatto partire
lui i fuochi, dopo il messaggio di Luke. Si spiegava anche come mai
Luke avesse
interrotto tutto per mandare un messaggio.
“No, Ash, non ci serve, grazie” urlò
Luke torvo. “E tu perché hai i
preservativi nel portafoglio?!” gridai io invece. Ashton
rimase in silenzio.
“Possono sempre servire!” fece poi imbarazzato.
“Ashton!”
“Coco,
ho vent’anni, Carol ne ha
diciassette. Credo che siamo liberi di decidere, no?”
“Giuro
che se mia cugina rimane
incinta a diciassette anni, ti ammazzo!”
“Non
succederà! Proprio per questo
abbiamo i preservativi!” rispose Ashton ridacchiando. Io
alzai gli occhi al
cielo. “Il suo ragionamento non fa una piega” fece
Luke con un sorriso
divertito e imbarazzato. “Non ti ci mettere anche te, ho
appena scoperto che
mia cugina non è più vergine!” feci
scandalizzata. “Non lo sapevi?”
“No!”
“Non
ti ha detto niente Carol?”
“Ti ho
detto di no! Perché, a te
Ashton ha detto qualcosa?”
“Mi
sono scampato per un pelo la
descrizione nei dettagli.”
“Oddio.”
“Già”
fece Luke ridendo. “Ragazzi,
io sono ancora qui!” urlò Ashton. “E con
ciò?”
“E con
ciò, volete pagarvi il viaggio
in taxi, o approfittate della mia bambina e venite a casa in macchina
con me?”
“Ok,
ok, arriviamo” fece Luke,
prendendo i remi. “Come minimo, dopo oggi ho dei bicipiti
grossi così” fece
sbuffando dalla fatica. In due minuti, sbarcammo. Mi sembrò
un miracolo avere
ancora la terra sotto i piedi, ormai mi ero abituata al lieve
sciabordio della
barchetta. Ashton aiutò Luke ad ancorarla al bordo del lago,
mentre io tenevo
lo zaino e i due sacchetti. Luke mi guardò e
sgranò gli occhi. “Non ti ho
ancora dato il tuo regalo!” esclamò. Io non dissi
niente, per non confessare
che me ne ero dimenticata. Luke mi prese il sacchetto dei vestiti e lo
zaino
dalle mani, lasciandomi quello del regalo. “Il premio per la
caccia al tesoro”
mi disse con un gran sorriso. Io lo aprii elettrizzata e rimasi a bocca
aperta:
dentro c’era un mazzo di rose blu, le stesse che avevo visto
di mattina ma che
avevo lasciato perché troppo costose. Con
un’esclamazione entusiasta, saltai al
collo di Luke, di nuovo. “Grazie, grazie, grazie!”
esclamai. Ashton, forse
sentendosi escluso, ci abbracciò a sua volta, stritolandoci
di nuovo. “Che c’è?
Non posso esultare con i miei bambini?” fece quando noi
cercammo di
divincolarci dalla presa stile Hulk. “Certo che puoi, ma non
ci ammazzare, papà”
fece Luke. Nonostante la forza di Ashton e il suo istinto paterno, Luke
era più
alto, quindi lo scherzo padre/figlio non funzionava bene, o almeno non
come con
me.
Ci mettemmo un
po’ per arrivare
alla macchina: alle nove, finalmente, riuscii a sdraiarmi sui sedili
della
macchina di Ashton, o meglio della sua bambina. Appoggiai la testa alle
gambe
di Luke, che cercò una posizione comoda sul sedile morbido.
Mi venne in mente
solo in quel momento una domanda: “Ehi, aspetta un momento,
come mai la tua
macchina è qui?!” chiesi. “Me la sono
fatta spedire via nave. Col cavolo che la
lasciavo a casa.”
“Tu
sei pazzo.”
“No,
sono innamorato di questa
macchina, ok? L’unica cosa al di sopra di lei è
Carol.”
“E
noi, i tuoi poveri figli?!”
“Vedremo.
Ora, la domanda è: chi
dice a Carol che è madre?”
“Ah,
il danno lo hai fatto te,
mister uso-il-preservativo.”
“Coco,
è abbastanza imbarazzante
come argomento, possiamo evitare?” mi chiese guardandomi
dallo specchietto. Io feci
spallucce per dargliela vinta e mi accoccolai meglio contro Luke. Lui
iniziò a
carezzarmi piano i capelli, mandandomi in estasi. Iniziai a fare le
fusa per
dimostrargli quanto quel gesto mi piacesse e lui ridacchiò,
mentre Ashton
metteva in moto.
Non mi accorsi
nemmeno di essermi
addormentata; me ne resi conto quando Ashton mi svegliò con
una mano sul
braccio, scuotendomi piano. “Coco, svegliati, siamo
arrivati” mi disse. Io mugolai
una protesta, come facevo quando ero piccola e non volevo svegliarmi.
“Coralie,
ti prego, mi stai facendo passare la voglia di avere figli per
davvero” mi implorò.
“Non oseresti mai. Carol ha già deciso che sua
figlia si chiamerà Aubrey, da
quando eravamo piccole.”
“Wow,
si è organizzata bene.”
“Già.”
“Se
invece fosse un maschio?”
“Non
lo ha scelto.”
“Allora
lo sceglierò io, nel caso.”
“Ok”
mugolai, stiracchiandomi. Mi voltai
e vidi che anche Luke dormiva, la testa piegata di lato. Gli sarebbe
venuto
male al collo per quella posizione innaturale. Ashton sorrise.
“Dillo, che con
tutto quel discorso, ti aspettavi una proposta di matrimonio”
fece
ridacchiando. Io lo imitai e feci spallucce. “Iniziavo a
temerla, sì” ammisi. “Temerla?”
“Ho
diciassette anni. Anche se tu e
Carol vi sentite abbastanza grandi per poterti portare dietro i
preservativi –
e no, non smetterò mai di ricordartelo – io a
quest’età mi sento ancora troppo
piccola, per ora, anche solo per pensare ad un matrimonio.”
“Fai
bene. Anche Luke è di questo
parere. Non potevi trovare ragazzo migliore per te.”
“Lo
so.”
“E lui
non poteva trovare ragazza
migliore per sé” aggiunse poi. Io arrossii con un
sorriso e lo abbracciai. “Grazie,
Ash, di tutto” dissi. Lui ricambiò
l’abbraccio, ma stavolta – inaspettatamente
–
non mi ammazzò. “Ti voglio bene, Coco”
“Anche
io.” Quando ci separammo,
lui mi indicò Luke. “Sveglialo tu, vado ad aprire
il cancello del parcheggio”
mi disse. Io annuii e, mentre il cancello scivolava piano sulla rotaia,
posai
un bacio sul collo di Luke, che, al contrario di me, si
svegliò subito, anche
se molto assonnato. “Siamo arrivati?” chiese. Io
annuii di nuovo e lui si
stiracchiò un paio di volte, prima di uscire dalla macchina.
“Iniziate ad
andare di sopra, io parcheggio la mia bimba e arrivo” disse.
Noi obbedimmo e
ciondolammo fino all’entrata dell’hotel. Il ragazzo
dietro il bancone della
reception nascose un sorriso quando ci vide così assonnati.
Rischiammo di
addormentarci di nuovo davanti all’ascensore, ma quando
finalmente arrivò,
decidemmo di imporci un ultimo sforzo. Aspettammo Ashton e salimmo fino
al
nostro piano. La stanza mia e di Luke era in fondo al corridoio, mentre
quella
di Ashton e Carol era la prima. Ci salutammo davanti alla loro porta,
con un
super abbraccio. Era il nostro migliore amico/papà, e aveva
fatto tantissimo
per noi quel giorno. Non sarei mai riuscita a ringraziarlo abbastanza,
così
come no sarei mai riuscita a ringraziare abbastanza Luke.
“Anche
se è presto, noi andiamo a
dormire. Siamo esausti” disse Luke. Ashton annuì.
Io mi avvicinai a lui e gli
sfilai il portafoglio dalla tasca.
“Che…” non fece in tempo a chiedermi
quali
fossero le mie intenzioni, che io gli avevo ripulito il portafogli dai
preservativi. Erano tre. “Giusto per essere sicuri che non lo
facciate anche
stasera” dissi con un occhiolino.
“Sai
che non ci fermerebbe questo,
se solo lo volessimo?”
“Sento
già Aubrey piangere nella
culla…”
“Ok,
ok, mi hai convinto.”
“Bravo”
feci con un gran sorriso. Lui
scosse la testa, esasperato. “Dai, andate a dormire, che se
no mi tocca
portarvi in braccio fino alla vostra camera” aggiunse poi.
Noi annuimmo e lo
salutammo di nuovo con un abbraccio, prima di andare in camera nostra.
Mentre la
porta di Ashton si chiudeva dietro di lui, lo sentii sussurrare un:
“Tanto gli altri
tre ce li ha Carol” che mi fece voglia di tornare indietro e
rubargli pure
quelli, ma alla fine ci ripensai. Se erano sicuri, se si amavano
così tanto da
sentirsi pronti, chi ero io per impedirlo?
Entrammo in
camera e notammo sul
letto un sacchettino di carta, con sopra un biglietto: “Buon
appetito, bambini
;)” diceva. Noi lo scartammo e le nostre mascelle caddero al
suolo: era pieno
di caramelle. Dentro c’era un secondo biglietto:
“Ve lo dovevo, no? Vi voglio
bene, scemi. Occhio a non finirle tutte subito che poi vostra madre mi
ammazza
;) buonanotte ragazzi! Papà.”
“Ok,
questo gioco mi piace troppo”
sentenziai. Luke annuì frenetico, d’accordo con
me. “Com’è che non ci è
venuto
in mente prima?”
“Non
ne ho idea, ma è una cosa
geniale.”
“Già”
fece lui con la bocca piena.
Nonostante la
golosità, non le
divorammo tutte: eravamo troppo stanchi e volevamo tenercele buone per
un po’. Ci
cambiammo e ci preparammo per andare a letto in poco. Quando mi sdraiai
nel letto,
Luke si affiancò a me e ci coprì.
“Buonanotte, piccola” mi disse abbracciandomi
da dietro e lasciandomi un bacio sul collo. Io mi voltai e feci
combaciare le
nostre labbra. “Buonanotte” sussurrai, assonnata.
“Ti amo.”
“Anche
io.”
Mi addormentai
in poco, sperando di
sognare quella giornata: era stata così bella che non me ne
volevo separare;
anche se qualcosa mi diceva che un sogno non avrebbe retto il confronto.
*Angolo autrice*
SCUSATEMIIIII
scusate tantissimo il ritardo, davvero, ma è un periodo
orribile, ho toccato il computer tre volte in croce :'( scusatemiii ho
un ritardo assurdo!!
comunque: che ne pensate? in questo capitolo Asthton è
importante. come vi è sembrato? e Luke, con la sua nuova
dichiarazione? Mi sono impegnata tanto per questa seconda parte, mi
piacerebbe sapere i vostri pareri!!
che dire, scusatemi ancora il ritardo...
alla prossima (proverò ad essere più puntuale,
promesso!)
Ranya
|
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Capitolo 26 *** Shut up! ***
Shut up!
Due settimane
dopo, eravamo a casa
nostra, finalmente. Il manager aveva deciso che i ragazzi avrebbero
potuto
svolgere il loro lavoro anche da casa: c’era una casa
discografica appena
aperta in una città non molto lontana, o perlomeno
più vicina di New York.
Essendo una “filiale”, avremmo registrato il tutto
lì e poi loro lo avrebbero
inviato a New York, alla casa madre. Era molto più facile
così.
Erano le otto e
mezza di mattina,
il che significava che io ero dietro al mio bancone al negozio, dopo
tanto
tempo. Fortuna che avevamo degli amici che ogni tanto ci sostituivano,
o
avremmo dovuto chiudere da tempo. Avevo la musica nelle orecchie
– The only
reason, che ormai associavo a quella giornata pazzesca a Central Park
– e stavo
leggendo un libro, leggermente diverso dai miei standard: si chiamava Acciaio ed era un libro vintage
piuttosto crudo, basato sulla vita di diversi ragazzi nella
città di Piombino,
dove la loro esistenza era imperniata attorno alla fabbrica di,
appunto,
acciaio. Poteva anche essere interessante, ma le troppe parolacce mi
infastidivano. Ero sempre stata del parere che le parole volgari devono
trovarsi solo nella lingua parlata, e non in quella scritta. La
scrittura è una
cosa troppo pura e elevata per essere contaminata dalla
volgarità, non importa
quale sia il tema.
Nella stanza
accanto alla mia,
Carol era al telefono con Ashton. Non ero riuscita a farmi dire se
avessero
usato i tre famosi preservativi, ma avevo cercato nella sua borsa e ne
avevo
trovati sei. A parte il fatto che stavo per avere un infarto
– il mio sonno
doveva essere parecchio pesante, oppure loro dovevano essere molto
discreti –
non avevo capito se ne avessero già usati o meno, dato che
non sapevo quanti ce
ne fossero normalmente in una confezione.
Dall’altra
parte, Manuela era al
computer, a girovagare su siti come EFP. Anche lei scriveva, ed era
davvero
brava a mio parere.
Madison era alla
clinica
veterinaria: non voleva perdere il suo posto di assistente.
Eravamo
impegnate tutte a farci gli
affari nostri, quando dalla porta entrò una ragazza. Aveva i
capelli lunghi e
rossi, la pelle pallida e perfetta, nemmeno fosse porcellana. Gli occhi
erano
grandi e di un morbido color nocciola e le labbra carnosissime. Poteva
sembrare una modella. Indossava
una camicetta bianca attillata, con una giacchetta rossa chiusa con
soli due
bottoni. I leggins stampati con la fantasia dei jeans avvolgevano
perfettamente
le sue gambe magre, mentre un paio di scarpe con il tacco e il plateau
alto la
slanciavano. Carol si avvicinò a me e mi sussurrò
all'orecchio: "Ecco, questa
è una di quelle ragazze per cui sarei felice di essere
lesbica." Io
soffocai una risata, strozzata subito dalla seconda figura che
entrò nel
negozio: una donna bassa, in carne, con la pelle rugosa e butterata,
piena di
macchie, il viso arcigno. Aveva i capelli rosso smorto e gli occhi di
un
insulso marrone. Qualcosa mi diceva - anche se lo credevo impossibile -
che lei
era la madre. "Come fa ad essere uscita così bellina con un
avvoltoio del
genere come madre?" chiese Manuela, anche lei al mio fianco. Non ero
stata
solo io ad avere quell'intuizione, allora. Entrambe mi avevano
raggiunto quando
le due avevano aperto la porta, e noi ora eravamo barricate dietro al
mio
bancone. La ragazza si avvicinò a noi, seguita dalla madre.
"Ciao, cercavo
una persona..." iniziò a dire, titubante. La madre si
frappose fra noi e
lei e disse: "Cercavamo Coralie Lemaire." Io impallidii leggermente e
Carol e Manuela mi guardarono. Chi l'aveva mai vista, questa? Come mi
conosceva?! "Sono io" dissi esitante. La ragazza mi guardò
e, da
dietro le spalle della madre, mimò uno: "Scusa". La madre
non la vide
e si rivolse di nuovo a me: "Sei la ragazza di Lucas, vero?"
"Luke? Certo,
perché?"
"Siamo amiche di
famiglia."
"E quindi...?"
"Siamo andate a
trovarlo e ci
ha chiesto di venirti a prendere insieme alle tue amiche,
perché loro sono
troppo occupati per dirvelo." Io e le ragazze rimanemmo basite e la
ragazza sbuffò piano. "Scusi, posso chiamare Ashton per
chiederlo?"
fece Carol, piuttosto dura. Non aveva mai sopportato le persone come
quella
donna. L'altra la guardò male. Io lanciai un'occhiata alla
ragazza e vidi che
stava componendo in fretta un numero al cellulare. Pochi secondi dopo,
il
cellulare della madre squillò. La donna non disse nulla e
uscì dal negozio per
rispondere al telefono. La ragazza si avvicinò in fretta a
noi e mi venne da
ridere. "Quante volte hai fregato tua madre così?" chiesi
ridacchiando. L'altra mi sorrise piano. "Scusatemi. Mia madre
è una donna
così rude... Mi dispiace che vi abbia traumatizzato. Mi
chiamo Diana."
"Non
preoccuparti. Noi siamo
Coralie, Manuela e Carol."
"Sì
lo so, siamo state a casa
di Luke e dei ragazzi."
"Quindi siete
davvero amiche
di famiglia? Non volete rapirci per stuprarci?" chiese Manuela. Diana
rise. “Tranquille, non è nei nostri piani
più prossimi” fece. Carol, intanto,
stava componendo il numero di Ashton. “Quanto ci
metterà tua madre a capire che
non c’è nessuno dall’altra parte della
cornetta?” chiesi. “Oh, a volte ci mette
mezz’ora. Inizia a urlare contro il telefono
perché dice che dall’altra parte
la stanno prendendo in giro, il che è vero, in un certo
senso. Quando avrà
finito di fare la ramanzina al telefono, tornerà”
disse Diana sorridente. Io
ricambiai il sorriso. Mi piaceva, al contrario della madre.
“Intanto, mi
spieghi perché dobbiamo tornare a casa?” chiese
Manuela. “Io e mia madre siamo
venute fino a qui per fare una visita a Luke e i suoi amici, o almeno
così mi
ha detto.”
“Vi
conoscete?”
“Eravamo
vicini di casa prima che
venisse a vivere qui. Siamo praticamente cresciuti insieme”
fece Diana con un
sorriso enorme. Intanto, Carol si allontanò di qualche
passo. “Ciao amore, come
stai? Sì, bene. Senti, volevo chiederti, sono arrivate in
negozio una ragazza
con la madre, lei si chiama Diana. La conoscete, no? Sì? Ok,
e perché non potevate
venirci a prendere voi? O avvertirci? Ah… Ma come, quando
avete...? Ah, hanno
organizzato loro tutto… Ok, allora torniamo a casa subito.
Ci vediamo dopo,
ciao” fece, prima di mettere giù. “Siamo
pulite?” scherzò Diana. Carol annuì.
“I ragazzi si stanno preparando per un concerto” ci
disse poi. “Concerto?! Ma
non avevamo detto che il più vicino era fra un
mese?” fece Manuela. “Sì, ma la
madre di Diana ha conoscenze e ne ha organizzato uno stasera.”
“Molto
preavviso, mi dicono.”
“Appunto”
fece Carol, dura. Io la
guardai. Decisamente, né Diana né tantomeno la
madre le stavano a genio. Diana
intervenne: “Avete ragione, non abbiamo molto preavviso, ma
siamo arrivate oggi
qui. E poi, il locale dove è organizzato è sempre
molto affollato, se il
problema sono gli spettatori” ci informò. Io stavo
per rispondere, quando la
madre, visibilmente alterata, tornò nel negozio.
“Maledetti scherzi telefonici.
Allora, ci seguite? O dovete farci aspettare ancora tanto?”
chiese. Diana si
morse le labbra. “Sì, arriviamo” disse
Carol duramente. Noi ci preparammo in
fretta. Mentre Carol andava a spegnere il suo computer, io la
raggiunsi.
“Carol, che c’è?”
“C’è
che quella mi sta altamente
sulle ovaie.”
“Diana
o la madre?”
“Entrambe,
ma soprattutto la
madre.”
“Per
la madre ti capisco, ma cosa
ha fatto Diana?”
“È
in combutta con quel gargoyle.”
“Non
mi sembra che sia così
cattiva, anzi, mi sta molto simpatica, ispira fiducia.”
“Allora
perché non ha detto in
faccia alla madre di darsi una calmata?”
“Avrà
avuto le sue ragioni, no?”
“Ovviamente.”
“Ma
perché sei così furiosa?”
“Luke
non sa nulla di questa
visita, è una sorpresa, lo sapevi? Te l’avevano
detto? Ti avevano detto che
avrebbero fatto un concerto? No! Non ci hanno detto niente e io appena
torno a
casa strozzo Ash, perché non è da lui comportarsi
così. Oltre a questo, sono
furiosa perché non reggo quelle due.”
“Puoi
evitare di scannarle ogni
volta che le guardi?”
“Con
Diana mi posso sforzare. Il
gargoyle è già fortunato se non l’ho
cacciato di qui.”
“Non
farti sentire da lei, per
favore!”
“Che
mi senta pure! Io non voglio
aver paura di dirle le cose in faccia come sua figlia!”
esclamò Carol, prima di
mettersi la giacca e raggiungere la porta. Io alzai gli occhi al cielo,
prima
di scambiare uno sguardo con Manuela, che ci aveva raggiunte
all’ultimo. Lei mi
fece gesto di non preoccuparmi, come a dire: “La
passerà.” Lo sperai vivamente.
Arrivammo a casa
dei ragazzi in
poco, la nostra macchina dietro a quella di Diana e della madre. Vedevo
il
riflesso di Diana nello specchietto retrovisore della loro auto:
guardava fuori
dal finestrino e a volte si voltava per parlare. Sembrava arrabbiata.
Non ero
mai stata un asso a leggere le labbra. Carol, di fianco a me, era
più nera di
prima. Stringeva il volante così forte da farsi sbiancare le
nocche. Manuela
era in mezzo a noi, con i gomiti appoggiati ai nostri schienali, seduta
sui
sedili posteriori. “Qualcuno ha avvertito Maddy?”
chiese ad un certo punto,
allarmata. Io presi subito il cellulare e inviai un messaggio a
Madison:
“Ciao
Maddy, sapevi di stasera?”
Non aspettai
nemmeno un minuto, che
la suoneria del mio cellulare si diffuse nell’abitacolo. Io
risposi e misi il
vivavoce. “Ciao Maddy!”
“Ciao
ragazze, cosa succede? Cosa
c’è stasera?” Carol scoppiò a
ridere. “Non ti hanno nemmeno avvertito?! Vedi,
Coco, perché mi stanno sulle ovaie?!”
esclamò. “Ma di chi state parlando?!”
chiese Madison, confusa. “Adesso ti spiego io cosa succede.
Nemmeno venti
minuti fa sono arrivate in negozio un gargoyle e una bambolina di
ceramica che
ci hanno praticamente costretto a tornare a casa. Dicono di essere
amiche di
Luke ma Luke non sa ancora nulla del fatto che sono qui. Hanno
organizzato un
concerto per stasera e i ragazzi non ce lo hanno detto, lo ho scoperto
perché
sono andata io a chiedere ad Ashton. E io sono nevrotica
perché il gargoyle lo
affogherei sotto una colata di cemento a presa rapida e la bambolina la
prenderei a schiaffi per farla reagire, perché è
una marionetta” sbottò Carol.
Io e Manuela la guardammo basite, mentre lei teneva lo sguardo fisso
sulla
strada. “Senti, Carol… sto tornando dalla clinica
veterinaria, se vuoi ti porto
un sedativo…” fece Madison. “Ma
perché vi comportate come se fossi pazza?!”
sbottò lei. “Carol, non vorrei fartelo notare, ma
io e te siamo pazze”
dissi. Lei mi guardò come a volermi uccidere.
“Questi
sono solo futili dettagli” sibilò. “Non
ho una delle mie crisi, ok? Non sto
parlando da sola, non ho i miei attacchi da metto
tutto in un ordine che non è ordine ma è disordine,
sono solamente molto,
molto arrabbiata.”
“E si
nota.”
“Senti,
voglio vedere te come
reagiresti se fossi nel mio corpo, con la mia testa e i miei
trascorsi.”
“Non
so come reagirei. So che da
fuori sembri piuttosto schizzata.”
“Bene”
Terminò Carol. Io e Manuela
ci guardammo, mentre anche Madison ammutoliva. Rimanemmo
così fino a che non
parcheggiammo davanti a casa dei ragazzi. “Sentite, sono
quasi arrivata, ci
vediamo lì” fece Madison prima di mettere
giù. Noi scendemmo dall’auto e
vedemmo Calum e Ashton impegnati a caricare la batteria sul furgoncino
che
usavano per spostarsi con gli strumenti. “Ciao,
amore!” fece Ashton con voce
strozzata dallo sforzo. Io e Manuela ci sbracciammo per fargli capire
che non
era un buon momento, ma forse lui lo aveva capito da solo.
“Mikey, tieni qui”
fece, porgendogli il bordo della valigia che conteneva una parte della
batteria. Michael caricò l’amplificatore sul
furgoncino e obbedì, mentre Ashton
raggiungeva Carol. “Tutto bene, piccola?” chiese,
vedendola così contrariata.
Cercò di abbracciarla ma Carol non ricambiò,
anzi, rimase a fissare un punto
nel vuoto. “Carol?”
“Dobbiamo
parlare” disse lei solo.
Ashton annuì e i due si allontanarono, entrando in casa.
Diana si accostò a
noi. “Mi odia proprio, eh?” mi chiese.
“Tranquilla, le passerà. Il ciclo fa
brutti scherzi” rispose Manuela. Io la guardai interrogativa,
mentre Michael si
schiariva la voce imbarazzato. “Che c’è?
È una cosa naturale! Una volta al mese
ci sembra di morire dissanguate mentre qualcuno ci infila un tacco a
spillo
nell’utero e ci passa sotto uno schiacciasassi le ovaie.
Vorrei vedere voi
uomini quanto sareste in pace col mondo, con un cantiere di demolizione
che va
dallo sterno alle ginocchia!” esclamò Manuela.
“Avrei preferito evitare i
dettagli” fece Calum. “Vi da fastidio?”
“Un
po’.”
“Bene,
non vedo l’ora che mi arrivi
il ciclo allora” gongolò Manuela. Io e Diana
ridacchiammo, mentre Calum e
Michael rabbrividivano. “Tanto per sapere, a voi due stanno
per arrivare?” ci
chiese Calum. Io scossi la testa, mentre Diana ridacchiava.
“Ci vorrà un po’
per me, mi sa” disse a bassissima voce. “Di cosa
parlate?” chiese torva la
madre di Diana, scendendo dall’auto. Diana si
irrigidì subito. Io lanciai
un’occhiata alla madre, mentre nella mia mente
l’idea di Carol di chiamarla
Gargoyle non era più così assurda. Non si era
nemmeno presentata, in fin dei
conti.
“Buongiorno”
fecero Michael e Calum
sorridenti. “Ci siamo visti prima” li spense subito
Gargoyle. “Sì, ma… ok” fece
Michael, demoralizzato. Io guardai verso casa dei ragazzi e vidi Carol
che cercava
di non esplodere. Proprio in quel momento doveva uscire? Aiuto.
Fortunatamente,
l’arrivo di Madison distrasse tutti da quella guerra di
sguardi fra Gargoyle e
Carol.
Eravamo seduti
in casa, sui divani
attorno al tavolino, quando sentimmo la serratura scattare. Luke
entrò in casa,
senza sapere minimamente di quella visita a sorpresa. Appena si
voltò verso il
salone, si ritrovò con le braccia di Diana attorno al collo.
Urlò dallo
spavento e io ridacchiai. “Ma che…?!”
fece, separandosi da Diana. Ci mise qualche
istante a riconoscerla, ma quando lo fece, il suo viso si
illuminò. “Diana!”
esclamò, abbracciandola a sua volta, mentre Diana rideva.
“Oddio, che ci fai
qui?!”
“Sorpresa!”
“Non
puoi capire quanto sono felice
di vederti!” esclamò Luke, raggiante. Io sorrisi
alla scena, ma sentii accanto
a me il lievissimo sbuffo di Carol. Le diedi una gomitata nelle costole
e le si
mozzò il fiato. Gargoyle si alzò e con un grande,
grandissimo, innaturale
sorriso andò ad abbracciare Luke. “Oh, caro,
quanto mi sei mancato!” fece
melensa. Io e gli altri ci guardammo straniti, mentre Carol esultava
lievemente. "Godo, hai capito? Godo" mi disse nell'orecchio. Io
trattenni una risata. "Vado a preparare un tè, chi lo
vuole?" chiese
Carol ad alta voce. "Ti aiuto io" si offrì Gargoyle,
gentile. Carol
la guardò come se stesse per vomitare, poi
rifiutò cordiale. "Vengo a
prendere qualcosa da mangiare" feci come scusa, seguendola in cucina.
Ashton ci raggiunse. Ci chiudemmo in cucina e Carol esultò.
"Vedete che non
sono scema?! Quella è una serpe! Una doppia faccia! La odio,
la odio, la odio!
E non pensate che anche la figlioletta potrebbe avere questa sua
amabilissima
caratteristica?! Ci stanno pigliando tutte e due per il culo, ve lo
dico
io!" sbottò. "Ok, avevi ragione sulla madre" ammettemmo io e
Ashton. "E anche sulla figlia!" esclamò Carol. "Su Diana non
sono convinta. Per me è a posto" ribattei. Carol mi uccise
con lo sguardo.
"Per me è troppo appiccicata a Luke, comunque."
"Carol, sono
cresciuti
insieme!"
"Appunto! Chi ti
dice che non
siano stati insieme?!"
"Non me lo dice
nessuno!"
"Vedi?!"
"Allora, Carol,
io non ho
problemi a chiederglielo. E anche se fosse la sua ex, non mi darebbe
fastidio."
Carol mi guardò scettica. "Ok, non così tanto"
corressi il tiro.
"Ecco."
"Senti, Caroline
Annabeth
Lemaire. Oggi hai davvero esagerato, ok?" feci, dura. Ashton ci
guardò
stranito. "Ti chiami Caroline Annabeth Lemaire?" chiese alla sua
ragazza. Noi lo ignorammo. "Non ho esagerato. Non mi fido di loro e
francamente mi fanno salire il nazismo."
"Non le
conosci!!"
"E allora?!
Perché tu puoi
essere l'unica a giudicare una persona appena l'hai vista?!"
"Ti chiami come
la
coprotagonista di Percy Jackson!" si intromise Ashton, esaltato. Noi lo
ignorammo, di nuovo.
"Perché
io so leggere gli occhi!
E poi non è vero che giudico sempre! Anche io sbaglio!"
"Ragazze..."
"Proprio per
questo! Anche tu
sbagli!"
"Ragazze!"
esclamò Ashton
alzando un po' la voce. "Che vuoi?!" facemmo in coro io e Carol,
voltandoci verso di lui. Lui ci indicò la porta e vedemmo
Luke, che ci guardava
confuso. "Ragazze, va tutto bene?" ci chiese. Aveva una voce da
cucciolo che faceva somigliare la scena a quella di un film: il bambino
che
assiste alla litigata dei genitori. "Sì... tranquillo" feci.
Anche
Carol annuì. Luke guardò Ashton, che
alzò il pollice. "Ok, allora torno di
lì" fece Luke dubbioso. Alle sue spalle, vidi Diana che ci
guardava con
quei suoi occhi da cerbiatto.
Avevo detto che
Diana non mi dava
fastidio, ma Carol mi aveva messo il tarlo nell'orecchio.
Io e Luke
eravamo seduti vicini sul
divano, a sorseggiare il tè che alla fine Ashton aveva
preparato. Di fianco a
Luke, c'era Diana. Ogni volta che cercavo di parlare con Luke, lo
trovavo
voltato verso di lei. Cercai di non prendermela, in fin dei conti non
si
vedevano da quanto? Anni?
“Luke?”
feci ad un certo punto.
“Arrivo subito” rispose lui, prima di tornare a
rivolgere l’attenzione a Diana.
Io incrociai lo sguardo di Carol e la vidi che si passava
un’unghia sotto la
gola, come a volersi tagliare la testa. Rabbrividii. Quando Luke si
voltò verso
di me – ci mise poco, in fin dei conti – con un
gran sorriso, io esitai un
secondo, che Gargoyle sfruttò benissimo. “Allora,
Lucas, sei felice di suonare
stasera?” chiese affettata. Luke la guardò
stranito. “Stasera?”
“Ma
certo! La tua ragazza non ti ha
detto niente? Pensavo ci tenesse ad avvertirti!” fece di
nuovo Gargoyle. Carol
la guardò con occhi sgranati, come un po’ tutti
nella sala. “Mamma” sussurrò
Diana. “Cosa c’è? Ho solo detto quello
che pensavo” disse candidamente
Gargoyle. “Non fa niente, non credo mi abbia tenuto
all’oscuro apposta” mi
difese Luke. Io mi rilassai leggermente, rincuorata, mentre Gargoyle
sembrava
infastidita. “Certo, certo” disse poi. Luke la
guardò prima di aggiungere:
“Hellen, guarda che Coco non è quel genere di
persona.” Hellen? Decisamente su
di lei suonava meglio Gargoyle. “Sì, tranquillo,
non intendevo questo” fece
subito Hellen. Sentii il mio cellulare vibrare e ci diedi
un’occhiata: era
Carol. “Oh, sì che lo intendevi, brutta
bertuccia” recitava il messaggio. Luke
annuì come a chiudere il discorso e mi guardò.
“Scusa piccola, stavi dicendo?”
chiese. Io rimasi immobile qualche secondo, poi ammisi: “Non
me lo ricordo.”
Luke fece un mezzo sorriso e mi diede un piccolo bacio. “Ok,
chiamami quando ti
viene in mente” fece, prima di tornare a parlare con Diana.
“Coco, mi
accompagni di sopra un attimo, per favore? Devo andare a vedere se le
mie
bacchette sono pronte per stasera” fece Ashton. Calum lo
guardò stranito. “Ci
vuole una preparazione speciale per le bacchette?” chiese.
“Sì” lo zittì subito
Ashton, alzandosi dal divano e dirigendosi al piano di sopra, mentre io
lo
seguivo. Salimmo di corsa le scale, mentre sentivo il commentino acido
di
Hellen: “Certo che la tua ragazza è molto
desiderata da tutti.” Ashton si voltò
quando lo sentì, infastidito. “Sempre meglio
essere desiderati che essere
odiati, no?” buttò lì, come se fosse
casuale la battuta. Io sorrisi piano
mentre finivo di salire le scale.
“Non
te ne frega niente delle
bacchette, no?” chiesi, una volta che arrivammo nella sua
camera. Mi guardai
attorno e la trovai piena di poster dei Paramore, soprattutto di Hayley
Williams. “Non dire a Carol che sono così perso di
Hayley” mi chiese. Io risi e
annuii. “Devi aiutarmi” fece lui. “A fare
che cosa?”
“Carol
ha ragione, la madre di
Diana è insopportabile, ma non voglio che anche Diana
risenta di questo.”
“Sono
d’accordo, e quindi…”
“Loro
non hanno un posto dove
stare, me lo ha detto Diana prima. La loro idea era di stare
qui.”
“Ma
voi avete solo una camera per
gli ospiti!”
“Appunto.”
“Beh,
non credo sia un problema…
Luke potrebbe venire a stare da me e…”
“Non
era quella la mia idea.”
“E
quindi, qual’era?”
“Diana
da voi.”
“Tu
sei pazzo. Carol la ammazza nel
sonno.”
“Credo
che la convivenza forzata
possa aiutarla a superare questo suo problema.”
“Come
fai ad esserne sicuro?”
“Perché
io e lei ci detestavamo
prima di passare del tempo insieme da soli.”
“Stai
scherzando.”
“No,
è la pura verità.”
“Oddio,
non ci credo! E il bello è
che né io né Manuela ci siamo rese conto di
niente per mesi!”
“Nemmeno
i vostri baldi fidanzati,
se è per questo.”
“Quindi
voi siete stati molto bravi
a nasconderlo.”
“Oppure
voi siete stati molto
stupidi” fece lui ridacchiando. Io gli diedi un pugno leggero
sul braccio.
“Grazie, eh?”
“Prego,
tesoro. Comunque, dicevo.
Convivenza forzata per Carol e Diana. A costo di chiuderle in casa,
voglio che
Carol accetti Diana, oppure che ci dimostri con solidi basi che ha
ragione.”
“E
come intendi fare per non farle
scannare?”
“Diana
non è il tipo, o almeno
credo. Mi sembra molto tranquilla. Carol… beh, forse potrei
avere bisogno di un
sedativo.”
“Prima
Maddy gliene ha proposto
uno.”
“Vedi?
Io carpisco tutti i vostri
pensieri.”
“Ma
stai zitto, che è meglio” feci
ridendo. Ci alzammo dal letto, ma all’ultimo lui mi
bloccò. “Coco, devo
chiederti una cosa davvero importante” fece, terribilmente
serio. “Ovvero…?” Mi
stava mettendo in ansia. Lui prolungò quel silenzio che si
era creato, per poi
infrangerlo con: “Davvero Carol si chiama Caroline Annabeth
Lemaire?” Io
scoppiai a ridere. “Pensavo fossi serio!”
“Io
sono serissimo! Non me l’aveva
mai detto!”
“Comunque
sì, si chiama Caroline.”
“Oddio,
quante cose mi tiene
nascoste” fece con tono drammatico. Io gli diedi uno
scappellotto. “Scendiamo,
che è meglio” feci, esasperata. Lui
ridacchiò e tornammo al piano di sotto.
“Noi
dovremmo andare a casa a
prepararci” fece Manuela ad un certo punto, quando erano
già le sette. Io e
Ashton ci scambiammo uno sguardo d’intesa. “Diana,
hai un posto dove stare,
no?” fece appunto Luke, come previsto. “In
realtà, speravamo che poteste
ospitarci voi. Dovremmo essere solo di passaggio” fece
Hellen. Diana guardò la
madre sorpresa. Qualcosa mi diceva che lei era all’oscuro dei
piani. “Non c’è
problema, abbiamo una camera degli ospiti, però è
solo per una persona” fece
Calum. “Ne abbiamo una anche noi” disse invece
Manuela, mentre Carol la
uccideva con lo sguardo. “Allora Diana può
rimanere da voi ragazzi, mentre io
vado a casa delle signorine” tentò Hellen.
“Io invece credo sia meglio il
contrario” ribatté Ashton, mentre io mi affrettavo
a dargli ragione. “Anche per
me va bene. Si potrebbero fare belle cose. Sai, Coco, quel programma
che stiamo
seguendo? Come trucidare la tua
coinquilina? Secondo me potrebbe piacerle” fece
Carol, guardandomi furiosa.
Sapevo benissimo cosa intendeva, soprattutto dato il fatto che non
esisteva
nemmeno quel programma. “Forse può piacere anche
ad Hellen, no?” chiesi, per le
rime. “No no, non le piacerebbe mai” si
affrettò a rispondere Carol. Sotto la
nostra conversazione ce n’era un’altra, nascosta:
“Non la voglio in casa, ti
uccido se lo proponi!”
“Preferisci
Hellen?”
“No,
meglio Diana, ma ti odio lo
stesso.”
Quello era il
succo di quel breve
scambio. Di tutto il gruppo, solo Ash aveva capito, e ridacchiava sotto
i
baffi, con quella sua risatina contagiosa che mi fece accennare un
mezzo
sorriso. “Anche secondo me sarebbe meglio che tu, mamma,
rimanga qui” fece
Diana. Hellen non sembrava per niente contenta, ma dovette accettare
per non
incrinare la sua maschera di fronte a Luke. “Le tue valige
sono in macchina. Ti
accompagno” fece poi. “Non ce
n’è bisogno, abbiamo spazio in macchina”
rispose
Carol. Il suo tono era chiaro: non la voleva fra i piedi.
“Sì, mamma,
tranquilla, così ti prepari meglio per stasera”
convenne Diana. Gargoyle ci
uccise tutte e tre con lo sguardo prima di cedere.
Mezz’ora
dopo, eravamo a casa.
Diana aveva scaricato i bagagli e li aveva parcheggiati nella camera
degli
ospiti. Io ero nella mia stanza, pronta a scegliere cosa mettermi,
quando mi
arrivò un messaggio. Numero sconosciuto.
“Sono
Hellen. Stasera farà freddo.
Avverti le altre, io avverto Diana.”
“Mai
freddo quanto lo sei tu” dissi
fra me e me, mentre la ringraziavo. Non capivo lo scopo di quel
messaggio.
Magari, e dico magari, Hellen non era un mostro così mostro.
Magari si
preoccupava per noi. Misi giù il telefono e osservai
l’armadio. Avrebbe fatto
freddo, no? Tanto valeva mettersi quel vestito di lana che non vedevo
l’ora di
rispolverare dall’armadio.
Un’altra
mezz’ora dopo, eravamo
tutte pronte tranne Diana, e i ragazzi stavano per arrivare.
“Diana, è tardi!”
urlò Manuela dal piano di sotto.
“Arrivo!” fece lei, frettolosa. Madison –
che
dopo essersi cambiata era venuta da noi – alzò gli
occhi al cielo. “Dieci volte
che lo dice…” fece. Io sospirai e feci spallucce,
mentre Madison si lisciava
per l’ennesima volta la gonna di pelle nera. Indossava una
maglia color verde
petrolio, come le scarpe chiuse con il tacco e le cuffie attorno al
collo, che
le davano un’aria diversa dalla ragazza innocente che
sembrava. I collant
grigio scuro erano pesanti, di lana, mentre il giubbotto di pelle la
teneva al
caldo.
Manuela aveva
scelto un look più
comodo: pantaloni attillati neri a stelle bianche, felpa con su scritto
“Wild
hearts can’t be broken”, converse nere, un cappello
con lo stemma di Batman, un
bracciale con la stella satanica. I capelli erano raccolti in una
particolare
treccia che sembrava una corona.
Carol,
nonostante l’avvertimento di
Hellen, aveva fatto di testa sua: camicia color panna, cravatta nera,
leggins
di pelle nera a vita alta, stivaletti bassi con tacco vertiginoso per i
miei
standard, guanti di pelle nera senza dita e bucati in corrispondenza
delle
nocche, un cappello alla Ashton che, anzi, doveva appartenere proprio a
lui.
Io avevo dei
pantaloni neri
pesanti, coperti in parte da un lungo maglione color panna, in tinta
con il
cappello che mi teneva al caldo la testa. Gli anfibi erano dello stesso
colore,
mentre l’unica cosa che staccava erano gli orecchini: due
ghiandaie imitatrici
color ottone. Una treccia alla francese completava il tutto.
Sentimmo il
clacson del camioncino
dei ragazzi suonare e ci allarmammo. “Diana!”
urlò Carol, nevrotica. “Ci sono!” fece
la ragazza, scendendo in fretta le scale
sui tacchi alti. Io rabbrividii, mentre me la immaginavo inciampare.
Che volo
che avrebbe fatto… E invece no, era lì, in
perfetto equilibrio sui tacchi delle
scarpe… aperte? Le gambe erano nude, sbucavano da sotto il
giaccone lungo. “Non
avrai freddo?” chiesi. Lei mi guardò stranita.
“Tu, piuttosto, non avrai caldo?
Mamma ha detto che ci sono trenta gradi in quel locale.” Io
rimasi a bocca
aperta, imitata da Carol. Un altro suono di clacson interruppe la
nostra
conversazione e noi ci fiondammo fuori di casa. Il furgone era
già aperto e
Luke ci aspettava. “Dai, ragazze, è
tardi!” fece. “Dillo alla rossa qui
dietro!” rispose scocciata Carol. “Mea
culpa” ammise Diana. “Tranquilla, può
capitare” disse Luke con un gran sorriso. Io salii agilmente
sul retro del
camion, vuoto per nostra fortuna: gli strumenti erano già al
locale. Trovai
Mike e Calum ad aspettarci, seduti su delle coperte che dovevano essere
dei
sedili rudimentali. “Fate spazio” feci, sedendomi
fra di loro. “Tesoro, te lo
puoi scordare, ho scaldato quel posto fino ad ora, non puoi venire qui
e
fregarmelo” mi disse Michael, spingendomi via. Occupai il
posto di Calum, che
ebbe la stessa reazione. “Simpatici come un manico di scopa
in quel posto”
mugugnai, alzandomi. Loro mi mandarono prima dei dolci baci, poi a quel
paese.
Io ricambiai. “Ti vogliamo bene, scema” fece
Michael con un sorriso. Io sorrisi
a mia volta e li abbracciai, poi mi andai a sedere su
un’altra coperta. Diana
era ferma davanti all’entrata del camion, cercando di capire
come fare ad
entrare senza cadere. I tacchi erano troppo alti per lei.
“Facci spazio, guarda
come entrano nei furgoni le ragazze delle future rockstar”
fece Carol, con un
pizzico di presunzione scherzosa che suonò tanto come
disprezzo. Diana si
spostò e Carol e Madison presero la rincorsa, saltando nel
furgone. Madison,
appena salì, si sedette fra le gambe di Calum, che la
abbracciò da dietro,
mentre Carol si voltò. “Ta-daa!” fece
ridacchiando. Diana sorrise. “Voglio
provarci anche io” fece. “Diana, guarda che Carol
è allenata, ti ammazzi se
cadi di naso” fece Manuela, salendo tranquilla sul furgone.
Alla fine, le più
furbe eravamo io e lei, con le nostre scarpe piatte. Luke la
seguì, mentre
Diana si allontanava per prendere la rincorsa.
“Diana…” cercai di ammonirla.
Troppo tardi: lei stava già correndo. Saltò ma
prese male le misure e scivolò,
cadendo dritta distesa a terra e trascinando Luke con lei. Erano una
sopra
l’altro e questo mi provocò un leggero moto di
fastidio, mentre ripensavo a
tutte le volte che era successo con me al posto di Diana; soprattutto
perché
tutte quelle volte erano andate a finire con noi che ci baciavamo.
Carol mi
guardò come se fosse sconvolta. Sembrava che volesse trovare
ogni difetto di
Diana, ogni cosa che potesse giustificare il suo odio incondizionato.
Luke e Diana
risero e si
rialzarono. “Scusami, oddio, che cretina che sono”
fece lei. Luke fece
spallucce. “Non preoccuparti, solo, la prossima volta stai
più attenta” disse.
“Se ci avessi ascoltato non sarebbe successo”
borbottò Carol. “Ragazzi, mi sto
perdendo la festa?” chiese Ashton, guardandoci dallo
specchietto retrovisore.
“Ecco dov’eri!” fece Carol, abbassando il
vetro che divideva l’abitacolo dal
retro del furgone e stampando un bacio sulla guancia del suo ragazzo.
“Allacciate
le cinture, ragazzi, si
parte” fece Ashton quando Michael richiuse le porte del
furgone. Luke era fra
me e Diana, di nuovo. Come durante il pomeriggio, Luke rivolgeva tutte
le
attenzioni a lei. Io sbuffai mesta, cercando di ignorare quella brutta
sensazione
che si faceva largo in me. Guardai Carol di fronte a me, che scosse la
testa,
sospirando. Ci scambiammo una serie di sguardi talmente dettagliata da
non
avere bisogno di parole, il cui contenuto era piuttosto semplice:
“Non so cosa
fare.”
“Fai
qualsiasi cosa! Fatti valere!
È il tuo ragazzo, accidenti!”
Quando abbassai
lo sguardo,
sconfitta, Carol si alzò e si infilò con il busto
nell’abitacolo. “Che fai,
amore?” chiese Ashton, vedendola armeggiare con il porta CD.
Carol inserì nella
radio un CD dei Simple Plan. Saltò un paio di canzoni e
finalmente nel
furgoncino si diffusero le note di Shut
up. “Amo questa canzone!”
esclamò Manuela, iniziando a cantare. Tutti
la seguimmo:
There you go, you're always so right
it's all a big show, it’s all about
you
you think you know what everyone
needs
you always take time to criticize me
it seems like everyday I make
mistakes
I just can’t get it right
it's like I’m the one you love to
hate
but not today
Carol
alzò il volume fino a che
Diana, per parlare, non fu costretta ad urlare. Allora, Carol si
avvicinò a lei
e iniziò a cantare il ritornello, gridando e agitando la
testa come se stesse
ballando in un video musicale:
So shut up, shut up, shut up,
don't wanna hear it
Get out, get out, get out,
get out of my way
Step up, step up, step up,
you'll never stop me
Nothing you say today
is gonna bring me down
Diana, davanti a
quella furia
travestita da cantante, si azzittì subito e io sorrisi. Shut
up non era stata
scelta a caso, nonostante potesse sembrare il contrario. Guardai Carol
e mimai
un “Grazie” con le labbra. Lei mi sorrise e mi fece
l’occhiolino, mentre
continuava a cantare. Diana rimase in silenzio tutto il viaggio, mentre
Luke si
univa al coro. Quando la canzone finì, Diana fece per aprire
bocca, ma Carol la
bloccò: “Aspetta, sta arrivando You
suck
at love!” Il suo tono era assolutamente innocente,
ma il messaggio era
chiaro: tappati la bocca.
In quel momento,
sorrisi e
ringraziai il cielo di avere amici così.
*Angolo autrice*
Eeehi, eccomi qui! Dai, stavolta non ci ho messo così tanto.
Mi sono impegnata!!
Che ne dite?? Entrano in campo due nuovi personaggi e state certi che
non se ne andranno via in fretta. Ecco Diana
e Hellen.
No, scherzo, Hellen non è lei, è che non ho
proprio pensato ad una prestavolto per lei, quindi rimarrà
la brutta arpia senza volto, ok? Anche perché, diciamocelo,
è meglio il Gargoyle nella mia mente. PS, Diana è
interpretata da Holland Roden.
Ora: il vestito di Coco,
Manuela,
Carol
e Madison.
Poi nel prossimo capitolo ci sarà la descrizione di quello
di Diana, ma intanto eccolo
qui.
E che dire? Grazie di essere arrivati fino a qui!
A presto!
Ranya
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Capitolo 27 *** Rock 'n' roll ***
Rock
‘n’ roll
ATTENZIONE:
in questo capitolo
ci sarà un riferimento ad un’altra mia storia:
“Fake, lie or truth?”. Per chi
non l’avesse letta, il link è qui. Sono solo
cinque capitoli, niente di
impossibile, ma per capirci qualcosa potrebbe aiutare leggerla prima! :D
Arrivammo al
locale appena in
tempo: c’era già la coda fuori. O era un posto
gettonato, oppure i ragazzi
iniziavano ad ottenere fama.
Gargoyle era
già fuori ad
aspettare, appoggiata alla sua macchina. Se fossimo stati in un cartone
animato, le sue orecchie avrebbero iniziato a fumare da un
po’. “Si può sapere
dove eravate?” chiese. “Colpa mia” fece
subito Diana. Carol la guardò con un
odio immane, mentre anche io iniziavo a vederla in modo diverso. Vidi
che anche
Manuela le lanciava uno sguardo strano.
“Mamma,
perché hai detto a Coralie
che dentro sarebbe stato freddo e a me il contrario?” chiese
Diana. “Devo
essermi confusa” fece Gargoyle. “Oh, e scommetto di
sapere con chi si è
confusa” fece Carol al mio orecchio. Quella ragazza
zampillava odio peggio di
una fontana. Madison alzò gli occhi al cielo dopo la
risposta di Gargoyle e si
tolse la giacca di pelle mentre Manuela si tirava su le maniche della
felpa.
Avevano capito anche loro. “Ok, andiamo, siamo in
ritardo” fece Ashton. Prese
me e Carol e ci trascinò avanti, mentre gli altri ci
seguivano. “Ti ricordo che
dobbiamo fare in modo di non farle litigare” fece nel mio
orecchio. Carol non
se ne accorse e io annuii.
Arrivammo
davanti all’entrata sul
retro, dove una guardia del corpo fece entrare i ragazzi e noi.
“Ci vediamo
dopo” fece Luke sorridente, mentre aiutava a portare sul
palco gli strumenti. Noi
li salutammo e andammo a prendere un posto. In prima fila,
c’era un tavolo,
riservato a due persone. Gargoyle si sedette lì dopo aver
parlato con un
cameriere e fece cenno alla figlia di accomodarsi. “Scusa, e
loro?” chiese
Diana. Gargoyle ci squadrò. “Quando ho prenotato
non sapevo nemmeno della
vostra esistenza.”
“Mamma…”
“Non
è colpa mia se Lucas non si è
più fatto sentire.”
“Sì,
ma non puoi lasciarle qui in
piedi…”
“Affatto.
Che si cerchino un
tavolo, no? Le gambe ce le hanno.”
La guardammo
basite. “Mamma!”
esclamò Diana. “Cosa? La prossima volta non
arrivate così in ritardo. È colpa
vostra, se ci pensate.”
“Sì,
ma…”
“Lascia
stare” fece Manuela, dura,
voltandosi e andandosene. Noi la seguimmo, ignorando i tentativi di
Diana di
richiamarci. Ci radunammo in cerchio in un angolo. “Ok,
questo è un colpo molto
basso” fece Manuela.
“Già.”
“Esattamente.”
“Estremamente
scorretto.”
“Io
direi di trovare il modo di far
vedere a quella donna che non ci può abbattere
così” propose Carol. Noi
annuimmo. “E come intendi fare?” chiesi.
“A quello ci penseremo.”
“Non
vuoi vendicarti anche di
Diana, vero?”
“Coco,
io ti voglio bene e lo sai,
ma a volte sei così stupida…”
“Grazie,
eh?”
“Di
niente, tesoro.”
“Vai
avanti, che è meglio.”
“Quella
ti vuole fuori dai giochi!
Quanto scommetti che in poco tempo farà di tutto per
prendere il tuo posto?!”
chiese Carol. “Carol!” esclamai. “Coco,
secondo me ha ragione Carol” fece
Manuela. Madison annuì. Carol le guardò
stupefatta ed esultò. “Wow! Qualcuno
che mi crede! Allora non sono pazza!!”
“Tecnicamente,
sì.”
“Tecnicamente,
dovresti stare zitta
in questo momento di gloria e autocelebrazione, Coralie.”
“Scusa.”
“Brava.”
Ci mettemmo a
ridere per qualche
secondo, poi: “Quindi, che intendi fare per
stasera?” chiesi. “A questo ci
pensiamo noi” fece Manuela sorridendomi. Prese Madison per il
polso e andarono
dietro le quinte. Seguendole con lo sguardo, le vidi parlare con
Michael e
Calum. Carol mi circondò le spalle con un braccio.
“Non capisco perché che
l’abbiate tanto con Diana, se a vostro parere il problema
è mio.”
“Mia
cara, è così che funziona un
gruppo. Odiamo a prescindere chi mina a ciò che è
di una nostra carissima amica,
e facciamo di tutto per difenderla. Può sembrare una cosa
crudele, malata e da
stronze, ma lo facciamo perché ti vogliamo bene e non
vogliamo vederti stare
male. Lo sai, vero?”
“Certo
che lo so, anche se a volte
mi preoccupate.”
“Ci
preoccupiamo da sole,
tranquilla.”
“Mi
viene da chiedere cosa
succederebbe se due di noi litigassero.”
“Le
altre due le prenderebbero a
sberle fino a farle tornare normali.”
“Ah,
molto semplice, eh?”
“Ovvio.
Niente faide fra di noi, o
non potremmo essere le quattro ragazze che siamo ora.”
Io sorrisi e la
abbracciai. “Ti
voglio bene, cuginetta.”
“Anche
io, nonostante tu sia
tremendamente ingenua.”
Stavo per
rispondere a tono, quando
Manuela e Madison tornarono con Calum e Michael. “Ragazze,
davvero non avete
trovato nemmeno un posto?” chiese Calum sorpreso. Noi
annuimmo. “Non possiamo
permettervi di stare in fondo alla sala. Vi va bene un posto sul
palco?” chiese
Michael con un gran sorriso. Noi esultammo e Michael si
voltò verso il palco.
“Ash! Luke! Tirate indietro di un po’ gli
strumenti, le principesse stanno sul
palco con noi!” urlò. Luke e Ashton mostrarono i
pollici alzati e guardarono
rassegnati la batteria. “Un aiuto?” chiese Luke.
Michael e Calum si misero a
ridere e li raggiunsero sul palco. “Andiamo anche noi,
su!” esclamò Madison,
esaltata. Salimmo sul palco e guardammo indietro, verso la sala, verso
le
persone che ci guardavano corrucciate, come a chiedersi che cavolo
stessimo
facendo. Diana, in prima fila, rideva scuotendo la testa, mentre
Gargoyle ci
guardava torva, livida. Manuela, con un piccolo urlo di entusiasmo,
alzò il
dito medio alla sala. Poteva sembrare un gesto fatto per esultare, ma
conoscendola sapevo a chi era rivolto. Poi si voltò verso di
noi e si mise a
cantare:
When it’s you and me
We don’t need
No one to tell us who to be
We’ll keep turning up the radio
What if you and I
Just put up
A middle finger to the sky
Let ‘em know that we’re
still rock
‘n’ roll!
In poco, la
seguimmo tutti e formammo
uno strano coro. La gente ci guardava malissimo ma a noi non importava,
non
importava se eravamo stonati, o se tutti parevano non sopportarci
più. Quando
finimmo, ci mettemmo a ridere, ma ci fermammo quando, dal fondo della
sala,
sentimmo esultare una ragazza. La guardammo: era piccola, minuta e
bionda. Indossava
un grande paio di occhiali neri e una felpa con un cappuccio. Era
seduta ad un
tavolo in fondo alla sala, con cinque ragazzi, che si affrettarono
subito a
farla sedere. “Non fate caso a lei!” fece uno.
Anche lui aveva occhiali da sole
neri, e non capivo proprio a cosa potessero servire. Erano tutti
così, a dire
il vero. “Sono un po’ strani” fece
Madison. “Già, ma mi ricordano qualcuno”
ribatté Ashton. Non potevo dire lo stesso: la mia vista
prodigiosa mi aveva
tradito di nuovo.
Si
avvicinò a noi il cameriere che
aveva fatto sedere Diana e Hellen. “Ragazzi, potete
cominciare, siete pronti?”
chiese. I ragazzi annuirono e noi ci sedemmo a gambe incrociate sul
bordo del
palco, eccitate. “Guarda caso copriamo la vista a quelle
due” fece Carol nel
mio orecchio. Ridacchiai esasperata e mi voltai verso Luke.
“Auguri, amore!”
esclamai ad alta voce per coprire il rumore del sound check. Lui mi
sorrise,
staccò la chitarra dall’amplificatore e venne
verso di me. Si inginocchiò e mi
sollevò il mento con due dita, facendo incontrare le nostre
labbra. Assaporai
quel bacio e mi resi conto che era uno dei primi da quando era arrivata
Diana.
Questo pensiero, anziché farmi godere il sapore delle labbra
di Luke, mi fece
chiudere la bocca dello stomaco. Cercai di non farlo notare e quando
lui si
separò gli sorrisi. Lui mi guardò e fece un mezzo
sorriso, socchiudendo gli
occhi, come se stesse cercando di capire qualcosa. “Va tutto
bene?” chiese.
“Ehm, certo, perché?”
“Non
stai sorridendo con gli
occhi.”
“In
che senso?”
“Nel
senso che di solito sembra che
anche i tuoi occhi ridano, se sei felice. Ora no. Cosa
succede?”
Io mi sorpresi
nel sentirgli dire
quelle cose. Davvero mi conosceva così bene? Mi venne da
sorridere quando mi
venne in mente una cosa: io sapevo leggere gli occhi di tutti, mentre
Luke
riusciva a leggere solo i miei, ma il modo in cui lo faceva era unico.
“Va
tutto bene, davvero. Stavo solo
pensando.”
“Dopo
mi racconti tutto, ok?” mi
chiese sorridente. Io annuii e lui corse al suo posto.
Riattaccò la chitarra all’amplificatore
e sistemò il microfono, che fischiò in maniera
assordante. Mi tappai le
orecchie, essere così vicina alle casse era una tortura.
Luke si affrettò a far
smettere il fischio e fece nel microfono, con un sorriso timido:
“Scusate,
problema tecnico!” Io gli sorrisi di rimando e lui
ammiccò. “Ok, ragazzi, siete
pronti?” chiese Calum. I tre annuirono e Ashton prese il
microfono. “Ehm, ok,
buonasera a tutti, scusate il ritardo e il casino che abbiamo fatto
fino ad
ora. So che probabilmente non siete tutti qui per sentire la musica di
quattro
cretini, ma cretini forte, di quelli che decidono di fare le prove e
poi si
ritrovano a giocare alla playstation, di quelli che ridono sempre, di
quelli
che ti viene da chiederti quale tipo di grosso problema abbiano, di
quelli che
durante i concerti fanno stare le loro ragazze sul palco. So che forse
vi
trapaneremo le orecchie con musica che nemmeno vi piace, ma noi ci
vogliamo
provare. Anche se facciamo schifo, ci impegneremo.” Fece con
un sorriso enorme
e imbarazzato, di quelli che fanno tenerezza. “Come fate a
fare schifo se gli
One Direction vi hanno scelto per aprire i loro concerti?”
urlò una voce dal
fondo della sala. Noi ci voltammo e notammo che era la stessa ragazza
di prima.
Come faceva a saperlo? Anche i ragazzi sembravano sorpresi, tutti
tranne
Michael, che cercava di coprire una risata. Manuela lo
guardò storto, come a
cercare di capire perché stesse ridendo. Ashton riprese il
microfono e: “Che ci
abbiano scelti, è stato un caso molto fortunato.
È successo in un modo molto
strano e insolito. Ma perché ne sto parlando, scusate?
Quello che basta sapere
è che per ora non se ne fa niente, non si sono fatti
più sentire e punto, noi
aspettiamo, e intanto facciamo piccoli concertini come
questo.”
“Ok,
grazie, ero curiosa” rispose
la ragazza, sempre ad alto volume. Manuela si sporse per vedere meglio.
“Accidenti, non riesco a vederla bene”
sussurrò. “Vogliamo parlarne?” feci
ironica. “Scusi, talpa, non volevo farla sentire tirata in
causa” rispose lei
con una linguaccia. Ridacchiammo e tornammo a voltarci verso i ragazzi.
“Ci
sono altre domande?” chiese Calum, visibilmente sorpreso di
averne ricevuto
una. Passarono un paio di secondi di silenzio tombale, poi, sempre la
stessa
ragazza: “Siete liberi stasera?” A quel punto, il
ragazzo accanto a lei le mise
una mano sulla bocca per costringerla a stare zitta, mentre lei si
dimenava.
“Nessuna domanda, continuate pure!” urlò
poi. Ashton e i ragazzi si misero a
ridere. “Se rispondiamo, ci fai continuare?” chiese
Michael ridendo. L’altra
alzò un pollice, ancora incapace di parlare a causa della
mano del suo amico
sulla bocca. “Sì, siamo liberi tecnicamente, anche
se ci sarebbe piaciuto
passare la sera con le nostre ragazze.”
“Grazie
mille, non vi interrompo più!”
fece la ragazza, finalmente libera. Noi ridacchiammo ancora e Luke
prese il
microfono. “Ok, dopo questa grandiosa conversazione con una
ragazza di cui non
sappiamo nemmeno il nome, credo che possiamo continuare. La prima
canzone si
chiama eighteen.”
Il concerto
andò alla grande. I
ragazzi suonarono canzone scritte da loro, come eighteen,
She looks so perfect, amnesia,
heartache on the big screen, social casualty e
end up here, oppure cover,
come Teenage dream e American idiot.
Non
mi ero mai divertita tanto ad un loro concerto, era bellissimo,
soprattutto perché noi eravamo sul palco e loro si
divertivano a saltarci
intorno. Quando cantarono amnesia,
si
sedettero accanto a noi. Ashton, essendo bloccato dietro alla batteria,
aveva
approfittato della pausa fra Heartache on
the big screen e Social casualty
per correre da noi e rapire Carol, prendendola in braccio a
mo’ di principessa.
Lei aveva urlato divertita e si era seduta accanto a lui, non senza
prima
vedersi rubare un bacio.
Il pubblico era
davvero in delirio.
I ragazzi erano piaciuti un sacco, soprattutto a una certa ragazza
seduta in
fondo alla sala. Non capivo se stesse facendo apposta la parte della
pazza per
provocare gli altri cinque o se fosse davvero schizzata. A mio parere,
la
verità oscillava a metà fra le due opzioni.
Quando il
concerto finì, erano le
undici e mezza. Nonostante l’ora, non avevo sonno, ed era
strano, dato che di
solito mi veniva sempre l’abbiocco attorno alle undici. Diedi
la colpa
all’adrenalina che il concerto mi aveva infuso. Mi alzai e
andai ad abbracciare
Luke. “Sono sudato marcio” fece lui ridacchiando.
“Non m’importa” risposi,
mentre lui mi sollevava di peso. Mi fece roteare un paio di volte,
facendomi
ridere. Venimmo interrotti da una pallina di carta stropicciata, che mi
colpì
sulla schiena. “Ma che…?” feci,
raccogliendola. La srotolai, confusa, e lessi
ad alta voce per gli altri, che intanto si erano radunati attorno a
noi:
“All’uscita sul retro!” Alzai lo sguardo
e vidi la ragazza che si sbracciava
per farsi notare. Dietro di lei, i cinque sembravano rassegnati.
“Non è che
quelli ci vogliono rapire, no?” chiese Madison.
“Non credo che si sarebbero
fatti notare così.”
“Infatti,
i ragazzi non si volevano
fare notare. Ha fatto tutto lei!”
“Maddy…”
“Dai,
hanno anche i vestiti
adatti!”
“Madison!”
“Ok,
la smetto.” Ci mettemmo a
ridere tutti e otto e andammo all’uscita sul retro. I sei ci
fecero aspettare
un paio di minuti. Quando arrivarono, la ragazza sorrideva raggiante e
applaudiva. “Davvero complimenti. Siete stati
bravissimi.” Io sentii il cuore
fare una capriola quando riuscii a guardarla in faccia. Mi aggrappai al
polso
di Manuela, che non sembrava essere messa meglio di me.
“Oddio, non è
possibile.” La ragazza si mise a ridere e si sfilò
gli occhiali, mentre anche gli
altri cinque facevano lo stesso. Lei mi porse la mano.
“Piacere, tu sei…?”
“Co-Coralie
Lemaire.”
“Piacere,
Coralie Lemaire. Io sono
Avril Lavigne, ma qualcosa mi dice che te ne sei già
accorta” fece con un
sorriso. Si voltò poi verso Manuela e la scena si
ripeté, così come per Madison
e Carol. Poi, fu il turno dei cinque dietro di lei. Il primo si
avvicinò a
Manuela e: “Ciao, sono…”
“HARRY STYLES!!” urlò
lei, saltandogli al collo. Harry e gli altri
si misero a ridere, mentre Michael guardava truce Harry.
“Guarda che sono
geloso” fece. Manuela lo guardò scandalizzata.
“Michael, è Harry Styles! Sono
gli One Direction! È Avril Lavigne! Non sei nemmeno un
po’ sorpreso?!”
“No,
dato che ho chiesto io a Harry
di venirci a vedere.”
“Che
cosa?!”
“Sì,
tesoro, ci scriviamo da un
po’.”
“Hai
il numero di Harry Styles e
non me lo hai mai detto?!”
“L’ho
fatto per una buona causa.”
Ashton, Luke e
Calum erano troppo
basiti per parlare. Manuela, invece, era troppo basita per stare zitta.
“Oddio
Harry, non puoi capire, non puoi essere tu, oddio, non ci credo, aiuto,
datemi
un ceffone che un pizzicotto non basta, Harry sei il mio idolo, ho
scritto una
fan fiction con te e me insieme, oddio santissimo non riesco a dire
nulla di
senso compiuto!” Harry scoppiò a ridere, mentre
Michael prendeva Manuela da
dietro e la portava via. “Abbiamo fatto abbastanza figure per
oggi, okay?”
chiese. “Non me ne può fregar di meno! Michael, i miei idoli sono tutti insieme nella stessa
stanza, e ci sono anche
io! Quando mi ricapita?!” chiese Manuela. Avril
rise, insieme ai cinque
dietro di lei. “A-Avril…” chiesi io,
boccheggiando. Lei si voltò verso di me.
“Sì?”
“Lo so
che può sembrare una cosa
stupida ma… puoi farmi un autografo?” chiesi. Lei
ridacchiò e annuì. “Lo voglio
anche io!” esclamò Manuela. “Ehi, ci
sono anche io!” fecero Madison e Carol.
Dopo Avril,
toccò anche ai 1D. Sembravano
tutti troppo divertiti dal nostro comportamento da teenager per
annoiarsi. “Ragazze,
siete uno spettacolo così emozionate, davvero, ma potremmo
rimandare a dopo le
foto? Dobbiamo parlare con i nuovi cantanti” fece Louis
sorridente. Noi
annuimmo e ci mettemmo da parte, tremanti. Harry si avvicinò
a Michael. “Mikey,
è un vero piacere vederti di persona” fece con un
gran sorriso. “Piacere mio,
amico” fece Michael, battendo il pugno contro il suo.
“Oddio santo il mio
ragazzo è amico di Harry Styles. Non so se sclerare o
ucciderlo perché non me
l’ha detto!” esclamò Manuela sottovoce.
Io ridacchiai, mentre notavo Avril che
si avvicinava a noi. “Avril, posso chiederti
perché sei con i 1D?” chiesi.
“Sono in tour con loro. La mia casa discografica ha bisogno
di soldi e hanno
pensato che un tour in comune avrebbe dimezzato i costi e raddoppiato i
guadagni. Capisci? Siamo solo pedine per fare soldi!” fece
lei ridacchiando. “Posso
dirti una cosa?”
“Certo.”
“Sei
il mio mito da sempre anche se
non lo sapevo.”
“Eh?”
“Nel
senso che ti ascoltavo da
quando ero piccolissima ma non ho mai fatto caso al titolo delle
canzoni. Poi
quando ho sentito Complicated alla radio sono andata a cercare altre
canzoni su
Youtube e mi sono resa conto che altre due canzoni di cui andavo matta,
Girlfriend e Smile, erano tue. Da lì è partita la
passione, o ossessione.”
Avril
scoppiò a ridere. “Beh, sono
onorata che la mia musica ti piaccia. Non sono tante le persone che mi
seguono,
qui” fece con un occhiolino. “Noi ti seguiamo! Ti
idolatriamo! Ti amiamo!”
esclamò Manuela. Aveva completamente perso la testa. Avril
rise di nuovo. “Ti
senti bene?” chiese. “Nemmeno un
po’!” fece Manuela, con un’espressione
esaltata.
Intanto, i
ragazzi avevano
continuato a parlare. Mi concentrai su di loro. “Siamo qui
perché volevamo
vedervi dal vivo e soprattutto volevamo sapere che tipo di persone
foste. Non
volevamo con noi un gruppo che se la tira troppo. Di ragazzi stronzi ce
ne sono
fin troppi in giro” fece Liam. “Il piano era di
starcene buoni a guardarvi. Poi
però Brontolo ha avuto l’idea di parlare con voi,
di stuzzicarvi per vedere la
vostra reazione. Per quanto sia stata stupida, perché ha
rischiato di farci
scoprire, ci ha dimostrato che siete ragazzi a posto. Anche il fatto
che
abbiate lasciato le ragazze sul palco ci ha fatto sorridere. Se solo
anche noi
fossimo fidanzati lo faremmo volentieri” aggiunse. Manuela
sembrò drizzare le
orecchie. “Non siete fidanzati?!” chiese. I cinque
scossero la testa. “Manu,
non…” cercai di dire io. Troppo tardi, lei era
già saltata in braccio ad Harry.
“Sposami, ti prego!” esclamò. Harry
ridacchiò imbarazzato, cercando di non far
cadere Manuela. Per farlo, la prese a mo’ di principessa.
“Manuela!” fece
Michael, imbronciato. “Mikey, lo sai che ti amo. Dovresti
conoscermi. Lasciami
a questo momento di pazzia!”
“Fosse
solo un momento…”
“Mi
preferivi come Carol?”
“No
no, resta così come sei, che
sei perfetta!” esclamò Michael, avvicinandosi a
lei e baciandola. “Ehi, cos’ho
che non va?!” fece Carol, imbronciata. Ashton se la rideva
sotto i baffi,
mentre potevo vedere Carol che aggrottava le sopracciglia.
“Ash!”
“Non
sto ridendo, te lo giuro.”
“Già,
sei diversamente serio.”
“…
Ti prego, la scena era troppo
comica! Come fai a non ridere?!” cedette Ashton. Avril e
Louis, intanto,
ridevano di gusto. Sembravano molto amici e magari lo erano pure,
chissà.
Mentre Ashton cercava di riparare alla figuraccia, Harry
consegnò Manuela a Michael.
“Ragazzi, ci dispiace molto dover scappare così,
ma abbiamo una tabella di
marcia rigidissima. È già tanto che siamo
riusciti a venire qui a vedervi.
Complimenti ancora, comunque, siete stati grandiosi!” fece
Niall ad un certo
punto. “No, vi prego! Non ve ne andate! Abbiamo ancora tante
cose da
chiedervi!” Fece Madison implorante. “Ci
dispiace… vorremmo tanto rimanere. Ma
un tour ha impegni davvero incredibili, non riusciamo a trovare nemmeno
il
tempo per respirare… ve ne renderete conto anche voi, quando
sarete con noi, fra
esattamente ventisei giorni!” fece Zayn. Avril
tirò fuori dalla sua borsa un
blocco di fogli e lo consegnò a Luke. “Sono tutte
le date del prossimo tour.
Non so perché l’avevo io, dato che non ci
sarò. Inizierà fra un bel po’, prima
deve finire questo, ma intanto avrete tempo per abituarvi alla vita che
vi
aspetta. Inoltre, dovrete incidere molte canzoni e non potrete farlo
qui”
spiegò. “Co-cosa?! Fra ventisei
giorni?!” fece Calum, sconvolto. “Sì,
ragazzi.
Ormai è ufficiale. Fra ventisei giorni precisi sarete su un
aereo diretto a
Londra. Vi manderemo i biglietti via e-mail domani mattina, ci saranno
tutti i
dettagli. Ci dispiace di avervi avvisato con così poco
preavviso, ma dovevamo
prima vedervi e Michael ci aveva invitato a questa serata. Dato che
eravamo nei
paraggi, ne abbiamo approfittato. Per non portarci dietro anche i
bodyguard
abbiamo sfruttato i travestimenti di Avril, che si sono già
rivelati efficaci. Non
potete capire quanto ci siamo divertiti la scorsa volta… Ma
questa è un’altra
storia, che vi racconteremo più avanti, se avremo
l’onore di essere ancora
tutti insieme” fece Harry.
Mentre i ragazzi
finivano di
mettersi d’accordo, Avril si avvicinò a me, fino
ad essere a pochissimo dal mio
orecchio. “Non abbiamo molto tempo. Giura su te stessa che
non diffonderai il
mio numero.”
“Cosa?!
Il tuo numero?!”
“Sì.
Giuralo!”
“Lo
giuro! Ovvio che lo giuro!”
“Ok.
Dammi il tuo, ti scrivo quando
siamo in bus. Poi mi darai i vostri e io ti darò quelli dei
ragazzi. Ci stai?”
“…
Davvero mi stai chiedendo se mi
sta bene ottenere i numeri di telefono dei miei idoli?!”
“È
un sì?”
“È
molto più che un sì!”
Avril sorrise e
mi porse il suo
telefono. Io composi il mio numero e lei lo salvò in
rubrica. Appena in tempo,
i 1D avevano appena finito di parlare. Liam si avvicinò a
noi e mise un braccio
attorno alle spalle di Avril. “Andiamo, Brontolo. Abbiamo
molte cose da fare”
“Ehi,
lascia la maniaca, sembrate
una coppietta!” fece Louis ridendo. Avril e Liam si
guardarono e con un verso
schifato saltarono ai due lati del corridoio, facendoci scoppiare a
ridere. “D’accordo,
ragazzi. Davvero, è stato un piacere conoscervi, ma ora
dobbiamo andare.
Speriamo di rivederci, eh? Non è così
improbabile. Magari verrete anche voi
ragazze in tour con loro, chi lo sa? Così potremo finire la
storia dei
travestimenti di Avril” fece Zayn con un gran sorriso.
“Ovvio che veniamo pure noi!
Figurati se li lasciamo andare da soli, questi qui!” fece
Madison. Calum le
fece una linguaccia e Madison ricambiò.
“Quindi,
alla prossima, ok?” fece
Louis. Noi annuimmo e Manuela saltò un’ultima
volta al collo di Harry. “Oggi è
il giorno più bello della mia vita, ragazzi!”
esclamò. Michael si avvicinò a me
e, nel mio orecchio, sussurrò: “Speriamo sia il
secondo più bello. Non ho
intenzione di arrivare all’altare senza darle emozioni
sufficienti a battere
dieci volte questa serata.” Io lo guardai a bocca aperta.
“Tranquilla, dovrà
passare ancora un po’ di tempo, siamo troppo giovani. Ma se
continua così, e lo
spero tanto, l’intenzione è quella” fece
lui ammiccando. Io mi trattenni dall’esultare
come una bambina. “Sai qual è il tuo problema?
Vuoi tanto fare il duro, ma alla
fine sei solo un tenero essere bisognoso di coccole che si tinge i
capelli per
sembrare più punk rock” feci. Lui rise piano e:
“Sì. Sono un essere bisognoso
di coccole. Mi abbracci?” fece con un faccino da cucciolo.
Ridacchiai a mia volta
e lo accontentai. Lui mi sollevò da terra, stringendomi
troppo forte. Emisi un
gemito strozzato mentre sorridevo. “Ti voglio bene,
Mickey”
“Anche
io, Coco.”
Da dietro di
noi, sentii Luke dire:
“Ah, la mettete così?” Andò
da Manuela, che capì dove lui volesse andare a
parare e gli saltò addosso, aggrappandosi a lui a koala.
Madison, Carol, Calum
e Ashton si guardarono, fecero spallucce e ci imitarono.
Così, Calum si ritrovò
a tenere in braccio Carol, mentre Madison si teneva stretta ad Ashton.
Avril e
i 1D decisero di stare al gioco. Avril, ridendo, saltò sulle
spalle di Louis,
che iniziò a correre intorno alle coppie, mentre Avril
urlava divertita. Harry
e Liam si guardarono. “Ah, no, caro, io la ragazza non la
faccio” fece Liam
risoluto, prima di prendere in braccio Harry, che scoppiò a
ridere, portando
indietro la testa e battendo le mani. Zayn e Niall stavano in disparte,
a
ridacchiare delle nostre stranezze, ognuno con un braccio attorno alla
spalla
dell’altro. “Ehi, non vorrete mica passarla liscia
così, voi due! Dai, un po’
d’affetto!”
fece Avril. Loro risero e Niall prese una sola gamba di Zayn.
“Wow, viva lo
sforzo!” commentò Louis. “Rinunciamoci.
Sono troppo seri per noi” disse Avril. “Ehi,
chi l’ha detto?” fece Zayn, abbassandosi. Niall si
sedette sulle sue spalle. Il
pakistano, quindi, con qualche difficoltà si
rialzò. Noi esultammo. “Spettacolo!”
urlò Ashton, esaltato. Continuammo a ridere per un
po’, fino a quando il
cellulare di Niall non squillò. Lui, cercando di non cadere,
rispose al
telefono. “Pronto? Oh, certo. Sì, siamo ancora
qui. Che cosa?! No, no, stiamo
arrivando, aspettateci, ci mettiamo un minuto!”
esclamò concitato, prima di
mettere giù. “Ragazzi, è
l’autista! Ha detto che se non siamo lì nel giro
di
tre minuti parte senza di noi, ordini del manager!”
esclamò. Ci guardammo
preoccupati. “Cosa ci fate ancora qui?! Correte!”
esclamò Calum. Loro annuirono.
“Ciao, grazie di tutto, speriamo di rivedervi!”
fecero frettolosi, mentre Louis
apriva la porta sul retro, con ancora Avril in braccio. Corsero via
così, una a
cavalcioni dell’altro, imitati da Liam, al quale non venne in
mente di mettere
giù Harry e li rincorse. “Alla
prossima!” esclamò Zayn, seguendoli a ruota.
“No,
no, no, aspetta!” esclamò Niall terrorizzato,
ancora sulle sue spalle, quando
si vide arrivare contro la parete: la porta era abbastanza alta da far
passare
Zayn, infatti, ma non Niall. Zayn cercò di fermarsi in
tempo, ma non ci riuscì
e Niall prese una facciata da record. “Scusami,
Nì!” fece Zayn mortificato. “Mettimi
giù!” tuonò l’altro con voce
nasale. “Stai bene?” chiese Ashton preoccupato.
“Sì,
sì. Ora dobbiamo correre! Ciao ragazzi, è stato
bello conoscervi!” fece Niall,
una volta con i piedi per terra.
I due corsero
via e noi rimanemmo da
soli, nel retro del locale, ancora sconvolti. Ci guardammo in faccia
per
qualche secondo, a bocca aperta. “Sono… ragazzi
come noi” fece Ashton. Non
riuscivo a crederci. Avril Lavigne era una ragazza pazza come noi. I
One
Direction erano dei ragazzi pazzi come noi. Erano divertenti, giovani,
matti,
stravaganti, simpatici e alla mano. “Non credo che ci
dimenticheremo questa
giornata tanto presto” commentò Carol. Noi
annuimmo, guardando ancora fuori
dalla porta, nonostante non ci fosse più nessuno.
In quel momento,
ci raggiunse Diana.
“Ragazzi, cosa succede? Siete qui da
molto…” fece. Io mi voltai verso di lei e
quel sorriso entusiasta che mi aveva accompagnata durante tutta la sera
sfumò. Mi
ero quasi scordata della sua esistenza ed ero molto più
felice. “Sì, abbiamo
avuto un incontro inaspettato. Peccato che tu non fossi qui. Ti piace
Avril
Lavigne?” chiese Carol. “No, non la trovo una
grande cantante. Inoltre mi sa
tanto di smorfiosa. Però i gusti son gusti”
rispose Diana storcendo la bocca.
Vedevo Carol fumare di rabbia. “E i One Direction?”
chiese Madison. “Mamma mia,
loro poi… dei bambini. Delle scimmiette ammaestrate. Da come
li vedo io sono
delle persone talmente insopportabili che non so come abbiano fatto ad
arrivare
dove sono ora. Fanno musica orribile!” fece Diana.
“Da come la vedo io, invece,
avresti bisogno di un bel paio di occhiali e, perché no, un
Amplifon” rispose
furente Carol. “Beh? Non puoi biasimarmi se ho detto che la
loro musica non
vale tanto… I gusti son gusti, no?”
“Allora
di’ che ti fanno schifo. Non
che fanno schifo. Perché c’è gente per
cui sono davvero delle persone
importanti. Che credono che loro siano delle persone vere. E se vuoi
saperlo,
tutti noi siamo di questo parere” sbottò Carol.
Diana ci guardò uno per uno. “Mi
dispiace, ragazzi. non intendevo offendere nessuno” fece poi.
“Tranquilla,
Diana. Carol è molto sensibile su questo
argomento” fece Luke. “E vorrei ben
vedere” aggiunse rabbiosa Carol.
“Carol…” la ammonì Ashton.
“Carol un corno!
Non può giudicare senza conoscere!”
“Come
stai facendo tu ora?” chiese
Ashton duro. Carol trasalì. “Potete lasciarci un
attimo da soli, per favore?”
chiese Ashton. Noi obbedimmo velocemente e tornammo nella sala del
locale. “Non
volevo che litigassero per colpa mia…” fece Diana,
mortificata. “Capita. La
prossima volta, però, cerca di evitare di offendere gli
altri” fece Manuela,
piuttosto nervosa. Anche io lo ero, e la causa era il litigio di Ashton
e
Carol. Diana era arrivata come un uragano e senza volerlo ci stava
sconvolgendo
tutti, dal primo all’ultimo.
Dopo
mezz’ora che eravamo seduti ai
tavoli senza dire nulla, arrivò un cameriere.
“Ragazzi, mi dispiace, ma dovete
andare. Stiamo chiudendo” fece. Noi ci guardammo.
“Vado a chiamarli” decisi. Gli
altri annuirono e io presi coraggio. Mi incamminai verso il retro e
già da
qualche metro di distanza li sentii litigare. A quanto pareva, erano
usciti.
“Non
puoi pretendere di avere
sempre ragione!”
“Non
puoi pretendere che io sia
perfetta!”
“Non
lo sto pretendendo! Ti sto
chiedendo solo di tornare a usare la testa! So che sei
capace!”
“Quindi
per te io ora sono
stupida?!”
“Per
me ora sei ingiusta. Non ti ha
fatto nulla di male!”
“Sta
rovinando il rapporto fra Coralie
e Luke!”
“E tu
così stai rovinando il
nostro!” urlò Ashton. Io trasalii nel sentirgli
dire quelle parole e dal
silenzio che ne seguì potei capire che anche Carol avesse
avuto la stessa
reazione. Approfittai del silenzio per intervenire.
“Ragazzi…” feci, a bassa
voce. Loro mi guardarono. “Coralie… quanto hai
sentito?” chiese Ashton. “Solo l’ultima
parte. Sono qui per avvertirvi che stanno per
chiudere…”
“Ok.
Voi iniziate ad andare, vi
raggiungiamo quando abbiamo finito.”
“Le
auto le avete solo voi…” feci
notare timidamente. Loro mi lanciarono le chiavi. “Ci vediamo
dopo” fece poi
Carol, con la voce che tremava. Io annuii e me ne andai. Tornai al
tavolo e i
ragazzi mi guardarono, carichi di ansia e aspettativa. “Come
sta andando?” mi
chiese Diana. “Male” feci io secca. Lei
abbassò lo sguardo. “Mi dispiace,
davvero…” sussurrò. Luke le
circondò le spalle con un braccio. “Tranquilla,
non
è colpa tua. Vedrai che passerà”
tentò di rassicurarla. Io sentii una stretta
al cuore.
Un quarto
d’ora dopo, eravamo a
casa nostra. I ragazzi avevano deciso di andare a dormire a casa loro,
anche
perché non era “carino” lasciare Hellen
da sola. Diana si era chiusa in camera
sua, mentre io, Manu e Maddy eravamo sedute attorno al tavolo, tese
come corde
di violino. Avevo un bruttissimo presentimento.
Dopo non so
quanto tempo, sentimmo
la porta aprirsi e richiudersi. Schizzammo in piedi e ci precipitammo
all’ingresso.
Carol era lì, con le guance sporche di trucco colato e gli
occhi rossi. “Carol…”
feci. Lei ci guardò e scoppiò a piangere di
nuovo. Senza dire nulla, la
abbracciammo, ma lei si divincolò e corse in camera sua.
Sentimmo la porta
sbattere. Ci guardammo e sospirammo. “Non è andata
bene.”
“Nemmeno
un po’.”
“Accidenti…”
“Coco,
vai tu di sopra. Sai leggere
gli occhi ed è tua cugina. Credo sia meglio che sia tu a
parlarle” fece
Manuela. Io annuii e mi preparai mentalmente ed emotivamente. Salii le
scale
lentamente, mentre Manuela e Madison mi guardavano intimorite. Anche
loro
avevano paura di quello che Carol avrebbe detto.
“Carol?”
“Vai
via.”
Io ignorai le
sue parole ed entrai.
La vidi rannicchiata sul letto, che singhiozzava. Mi sedetti accanto a
lei. “Cosa
vi siete detti?”
“È
meglio che tu non lo sappia.”
“Carol…”
“No,
basta. Basta Carol. Lasciatemi
in pace.”
“Almeno
dimmi perché piangi…”
insistei io. Lei alzò lo sguardo e io incontrai i suoi
occhi. Rossi,
lacrimanti, carichi di tristezza e rassegnazione. Sentii un bruttissimo
presentimento farsi strada nella mia mente, ma non volevo ascoltarlo.
Non poteva
essere vero…
“Mi ha
lasciata, Coralie” sussurrò
Carol.
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Capitolo 28 *** The last night ***
The last night
Questo capitolo è
strettamente collegato (almeno l’ultima
parte) alla canzone “The last night” di Skillet.
Quindi, sarebbe un’ottima cosa
ascoltarla durante la lettura. Grazie per l’attenzione! E,
chi volesse fare un
piccolo sforzo, potrebbe leggere anche il testo della canzone, dato che
è
davvero stupendo. Graazie e buona lettura <3
Andava sempre
peggio. Carol e
Ashton non si parlavano da sei giorni, non si guardavano, non
accettavano
nemmeno di uscire con noi. Rimanevano in casa, tutto il tempo. O
almeno, questo
era quello che mi aveva detto Michael riguardo ad Ashton. Io ero troppo
occupata con Carol, che si rifiutava di mangiare, di fare qualsiasi
cosa.
Andava male, fin troppo male, considerando che Carol era molto fragile
mentalmente. Un difetto di famiglia. Avevamo paura che la sua malattia
potesse
degenerare, ora che aveva un motivo per farlo.
Quando Carol mi
aveva detto che
Ashton l’aveva lasciata, mi ero sentita crollare il mondo
addosso. Non potevo
crederci. Ashton e Carol? Davvero? Me lo sarei aspettata da tutti, ma
non da
loro, soprattutto non da Ashton. Poteva fare lo stupido quanto voleva,
poteva prenderla
in giro per ore, scherzarci, farla rimanere male, ma ogni sguardo che
le
rivolgeva era intriso di amore. Ogni volta che la abbracciava sembrava
che
fosse la persona più fortunata del mondo, sia dal piccolo
sorriso che faceva,
che dal modo in cui i suoi occhi sorridevano. Ogni bacio per loro
sembrava il
primo. Ogni ti amo veniva dritto
dal
cuore come, immaginavo, fosse venuto la prima volta. Non avrei mai
creduto che
avrebbe potuto lasciarla. E non ne capivo nemmeno il senso: anche lui
stava
così male, no? Perché lo aveva fatto?
Carol mi aveva
raccontato come si
era svolta la discussione, a grandi linee, dal punto in cui li avevo
lasciati.
Dopo che Ashton l’aveva accusata di rovinare il loro
rapporto, lei era andata
su tutte le furie, non che prima non lo fosse. Aveva iniziato a
gesticolare,
dicendo che sarebbe stato meglio non conoscere mai Diana, e lui aveva
risposto
che sarebbe stato meglio non lasciarle mai da sole insieme, o Carol
l’avrebbe
uccisa. Le aveva rivelato del piccolo piano che avevamo escogitato, ma
aveva
detto di averlo abbandonato, dopo aver visto quanto lei fosse ingiusta
e
incallita nel suo sbagliare, così Carol gli aveva fatto
notare di nuovo quanto
stesse rovinando tutto, dicendo che non sarebbero mai arrivati a quel
punto se non
fosse stato per lei. A quel punto, Ashton aveva detto di essere felice
che
Diana fosse arrivata, perché magari avrebbe scoperto questo
lato orribile di
Carol troppo tardi. Carol si era sentita pugnalare. Gli aveva chiesto
se lui
pensasse davvero che questo suo lato fosse orribile e lui le aveva
risposto che
sì, era odioso, e stava contagiando tutto il resto, la stava
cambiando. Le
aveva detto che l’odio per Diana e Hellen la stava facendo
diventare una
ragazza come tutte le altre oche che si vedono in giro, e aveva detto
di non
voler stare con una persona così. Quando Carol gli aveva
chiesto se la stesse
lasciando, lui aveva annuito, solamente.
Diana si era
trasferita a casa dei ragazzi dopo che Manuela
le aveva fatto capire di non essere una presenza gradita. Le sue
testuali
parole?
"Senti,
guarda.
Non voglio dire che è colpa tua, ma è successo
questo casino. Sarebbe meglio
per Carol se non ti facessi vedere da lei, anche perché il
litigio è partito
dopo che hai insultato i nostri idoli. Ti sto chiedendo di trasferirti
a casa
dei ragazzi."
"Ma..."
"Niente
ma. Non ci
tengo a vedere una delle mie migliori amiche così distrutta.
Ho già parlato con
Michael, ti presterà la sua stanza. Non sia mai che tu debba
dormire su un
divano."
"Ma,
aspetta..."
"Cosa
c'è ancora?"
"Mi
dispiace, lo
sapete. Non avevo intenzione di provocare tutto questo..."
"Sai,
Carol ti
aveva consigliato un paio di occhiali. Te li consiglio anche io. Non ti
sto
chiedendo di essere come Coralie, a cui basta un'occhiata per capire
tutto.
Dico solo che quando Carol è arrabbiata si nota, e molto.
Forse dovresti
imparare a usare un po' di tatto."
"Io
non..."
"Oddio,
ma sei
dura di comprendonio?! Vai a fare i bagagli e sparisci da questa casa!"
aveva esclamato Manuela.
Diana se n'era
andata un'ora e mezza dopo, portando con sé
l'ultimo avvertimento di Manuela: "Non so dove tu voglia andare a
parare.
So che da quando sei qui sta andando male. Carol e Ashton si sono
lasciati e tu
sei così appiccicata a Luke che stai facendo star male
Coralie. Ci scommetto
che fra poco succederà qualcosa anche a Mickey e me, oppure
a Maddy e Cal. Ti
dico solo di stare molto attenta, perché posso sembrare
dolce e coccolosa, ma
se tocchi i miei amici mi tramuto subito in Hitler. Ok?" Diana, con le
lacrime agli occhi, aveva annuito e se n'era andata.
Mi sentivo in
colpa per come stavano andando le cose. Noi non
eravamo quel tipo di ragazze, ma in quel momento Diana non doveva
incrociare
Carol, e io non avrei avuto il cuore di mandare via Diana.
Così, lo aveva fatto
Manuela, a modo suo.
Salii piano le
scale con un vassoio in mano. Conteneva poco,
dato che Carol non mangiava praticamente niente. Aprii la porta di
camera sua e
la trovai, come sempre, rannicchiata sul letto. "Coralie, è
colpa
mia?" mi chiese. Io rimasi sorpresa. Era da un po' che non pronunciava
altro che monosillabi. "No, Carol, non è colpa tua. Non...
Non solo,
ecco" feci. Lei tirò su col naso. "Grazie per essere stata
sincera" sussurrò poi. Io mi sedetti accanto a lei e posai
il vassoio sul
comodino. "Come stai?" chiesi cauta. "Come tutte le volte che me
lo hai chiesto" rispose lei facendo spallucce. Il suo stomaco
brontolò
rumorosamente. "Carol, ti prego, mangia qualcosa..."
"Non capisci? Me
lo merito."
"No, non te lo
meriti. Non ti meriti nulla di tutto
questo. Non ti meriti di soffrire così, e non
dirò che lo stai facendo per uno
stronzo, perché Ashton è il mio migliore amico e
so com'è. Ti sto solo dicendo
che potresti mettere a posto le cose con facilità.
Basterebbe parlare con
lui... E lo sai. Sai com'è fatto. Siete tutti e due troppo
orgogliosi per fare
il primo passo" dissi. Lei non rispose. "Posso rimanere sola, per
favore??" chiese. Io sospirai. "Va bene. Però mangia
qualcosa,
ok?"
"Ci
penserò."
Tanto non
l'avrebbe fatto. Rassegnata, uscii dalla stanza e
tornai al piano di sotto. Madison e Manuela mi guardarono, in attesa di
una
risposta. Io scossi la testa e loro abbassarono lo sguardo. Madison mi
porse
una tazza piena di liquido rosso. Sorrisi piano, mentre sorseggiavo il
tè di
karkadè ancora caldo. "Grazie."
"Figurati. Se
non ci aiutiamo fra di noi chi lo
farà?" Io ridacchiai. Manuela era silenziosa. Rigirava
continuamente il
suo tè con il cucchiaino, ci aggiungeva qualche granello di
zucchero e
ricominciava. Rimanemmo in silenzio per quelle che sembravano ore.
Improvvisamente,
Manuela sbatté un pugno sul tavolo, facendoci sussultare.
"Mi sono
altamente rotta le ovaie di questa situazione" esclamò
alterata.
"Anche noi, ma..."
"Niente ma. Se
quei due sono troppo scemi per fare il
primo passo, dovremo spingerli noi. E non me ne frega niente se
è una
situazione in cui non dovremmo entrare. Sappiamo tutte e tre quanto si
amino
quei due."
"Cosa intendi
fare?"
"Coralie,
mettiti la giacca. Vai a parlare ad Ashton.
Sei la sua migliore amica, forse ti ascolterà. Madison, vai
di sopra a cercare
qualche foto di quei due insieme."
"E tu, cosa
farai?"
"Come prima cosa
fatemi buttare via questo tè. È così
dolce che mi viene da vomitare."
Ci guardammo un
attimo e sorridemmo. "Possiamo
farcela" esclamò Manuela. Noi annuimmo e io corsi in
anticamera a
vestirmi.
Stavo per
uscire, quando Manuela mi bloccò. "Coralie,
ricordati una cosa. Non stai andando da lui per essere gentile. Stai
andando da
lui per fargli capire cosa si sta perdendo a stare lì in
camera sua. Devi
scuoterlo. Devi farlo ritornare in sé. Prendilo a randellate
nelle gengive se
può aiutare. Usa le sue stesse bacchette per picchiarlo.
Qualsiasi cosa che lo
risvegli, ok?" fece. Io sorrisi e annuii. Manuela si sfregò
le mani.
"Inizia la missione, ragazze!" esclamò. "Ehi, non ha ancora
un
nome, questa operazione!" fece notare Madison. "Che ne dite di
'operazione 007'?" chiesi. "Che ne dite di 'operazione
vi-schiaffo-sotto-un-tir-se-non-vi-muovete'?"
fece Manuela. "Ok, capito" feci io, uscendo di corsa.
Arrivai a casa
dei ragazzi in poco. Suonai il campanello
frenetica fino a che non venne ad aprirmi qualcuno. Era Michael. "Coco,
ma
che..." fece confuso. "Scusa, non ho tempo per spiegare, sono qui in
missione" feci, superandolo. Lui mi prese per il polso per bloccarmi.
"Come sta Carol?" mi chiese preoccupato. "È proprio per
questo
che sono qui" risposi risoluta. "D'accordo, ma non ammazzare Ashton.
Anche lui sta male, cosa credi?"
"Lo so. Ed
è per questo che sono qui, ripeto."
"Ah, ok. Pensavo
volessi picchiarlo a sangue."
"La tua ragazza
mi ha incaricato di farlo."
"No, ma
che...?!" fece lui sgranando gli occhi
allarmato. Io risi e mi divincolai. "Tranquillo, scherzavo" lo
rassicurai. Lui sospirò sollevato. "Te e Manu insieme mi
fate paura"
confessò poi. Io risi. "Dai, vai. Ha bisogno della sua
migliore
amica" mi disse con un sorriso. Io ricambiai e lo abbracciai. "Ci
vediamo dopo" feci. "Ah, Coco, stavo preparando un caffè.
Vuoi
favorire?"
"Lo sai che non
mi piace."
"Vero, sei
strana come il tuo ragazzo. Come fate senza
caffè?!"
"È
terribile!"
"Non insultare
l'unica cosa che mi mantiene attivo, eh?
Nelle mie vene scorre caffeina, altro che sangue" mi ammonì
Michael
sorridendo. Risi ancora prima di salutarlo e di andare al piano di
sopra.
La camera di
Ashton era la prima a destra. Davanti alla
porta, c'era Calum. "Oh, ciao Coco. Senti, parlaci tu con questo, sta
facendo deprimere pure me" mi disse. "Siamo messi così male?"
"Oh,
è molto peggio di quanto tu possa pensare. Come sta
Carol?"
"Molto peggio di
quanto tu possa pensare." Lui fece
un mezzo sorriso. Sembrava esausto. "Ti passo il testimone, allora."
"Perfetto. Ci
vediamo dopo?"
"A meno che tu
non esca dalla finestra..."
"Molto
divertente."
"Lo so, era
pessima. Ash sta facendo calare di molto il
livello delle mie battute."
"Non
è che prima fosse altissimo..."
"Aspetta, che
rido" mi canzonò. Ridacchiammo e lui
scese le scale. "In bocca al lupo" fece. Io lo ringraziai e mi
ritrovai da sola in corridoio. Presi un gran respiro per farmi forza e
aprii la
porta. Ashton era sdraiato sul letto, raggomitolato, mi dava le spalle.
"Vi ho detto di piantarla, ragazzi. Lasciatemi in pace!"
esclamò
quando sentì la porta chiudersi alle mie spalle. "Oh, no,
tesoro. Non mi
sono fatta tutta questa strada a piedi per vedermi rifiutata
così" feci.
Lui si voltò. "Ah. Sei tu."
"Ti aspettavi
qualcun altro?"
"Speravo di
starmene un po' da solo."
"E io speravo di
poterti parlare."
"Non sono
dell'umore giusto, Coco."
"Allora fai
finta di esserlo e ascoltami."
Lui
sbuffò mentre io mi sedevo di fianco a lui. Ne approfittai
per guardarlo in faccia. Sembrava stravolto. Aveva delle occhiaie da
far paura
e l'incarnato grigiastro. "Come stai?" chiesi. Lui mi guardò
inarcando le sopracciglia. "Davvero me lo stai chiedendo?"
"Certo."
"Beh, wow. Credo
tu sia la prima."
"In che senso?"
"Nel senso che
tutti sono troppo impegnati a consolarmi
per capire cosa davvero fa male. Mi dicono tutti che
passerà, ma io non voglio
che passi."
"Perché?"
"Perché
il giorno in cui non starò più così
male per
Carol sarà lo stesso giorno in cui smetterò di
amarla."
Io sospirai.
"Alzati, per favore. Non mi piace parlare
così, non ti sento" feci. Lui non disse niente e si mise a
gambe
incrociate. Io lo imitai e ci ritrovammo faccia a faccia. "Sai
perché sono
qui?"
"Non lo so."
"Perfetto."
Lui mi
guardò storta. "Cosa senti in questo
momento?" chiesi. "Oddio, ti prego, non sarai qui per
psicanalizzarmi?!"
"Tu rispondi e
basta." Lui sbuffò. "Niente.
Non sento niente."
"Sei
così sicuro di non sentire niente?"
"Sì,
Coralie. Non sento più nulla."
A quelle parole,
io sussurrai uno: "Scusami,
davvero" prima di tirargli uno schiaffo. "Ahi!" esclamò lui,
sorpreso e dolorante. Si portò una mano sulla guancia,
già arrossata.
"Perché l'hai fatto?!" esclamò. "Ora senti
qualcosa?"
"Ovvio che sento
qualcosa! Fa un male cane, accidenti!
Potevi toglierti gli anelli prima!"
"Visto? Il
confine fra 'non sento niente' e 'sento
eccome' è lieve. Basta poco a superarlo."
"Dovevi farmi
male per farmelo capire?!"
"Tu e Carol
siete fatti così" feci. Lui rimase in
silenzio appena sentì nominare il nome dell'altra.
"È bastato poco per
tornare a sentire qualcosa. Ora che aspetti a tornare a sentire anche
con
lei?" chiesi dopo qualche secondo di silenzio. Lui abbassò
lo sguardo.
"Non è così semplice."
"Invece lo
è!"
"Coralie... Con
che coraggio posso andare da lei dopo
averle detto quelle cose?" mi chiese. Io lo guardai a lungo. "Io mi
chiedo invece con che coraggio puoi lasciarla nello stato in cui
è ora. Se la
ami, e so che la ami, tu adesso vieni con me."
"Coralie, non
sei stupida. Anche tu conosci Carol. Sai
che mi sbatterebbe la porta in faccia."
"Ah, guarda, lei
non l'ho ancora presa a schiaffi, ma
potrei iniziare. Nessuno fa del male al mio migliore amico." Lui
sorrise
piano. "Davvero dopo tutto quello che ho fatto mi consideri ancora il
tuo
migliore amico?" chiese. "Ash, ci vuole ben altro per farmi tagliare
i rapporti con una persona. Sei ancora il ragazzo a cui voglio un bene
dell'anima, non è cambiato nulla. Se non il fatto che la
voglia di prenderti a
schiaffi sale ad ogni secondo che stiamo qui." Lui rise piano, prima di
tornare a guardare le sue mani. "Vieni qui" feci, saltandogli addosso
all'improvviso e abbracciandolo. Lui perse l'equilibrio e ci ritrovammo
sdraiati, stretti l'una all'altro. Lui mi circondò con le
braccia subito e
affondò il viso nella curva del mio collo. Sembrava un
bambino, un cucciolo che
cercava protezione. Sentii qualcosa di caldo colare lungo il mio collo.
Stava... Piangendo?!
Ashton
singhiozzò mentre mi stringeva di più. Ci volle
poco
perché scoppiasse a piangere. Io non dissi niente, mi
limitai a stringerlo. Non
aveva bisogno di parole in quel momento.
Passò
un tempo che a me sembrò lunghissimo oppure troppo
corto. Finalmente, lui tirò su col naso l'ultima volta.
"Grazie. Ne avevo
bisogno" mi disse. Io gli sorrisi. "Ti senti meglio?" chiesi.
Lui esitò qualche secondo prima di annuire. "Te la senti di
venire con me
da Carol?"
"Non uccidermi
ma... Non ancora."
"Ashton..."
"Non ancora,
Coco."
Io sospirai.
Stavo per dire qualcos'altro, quando il mio
cellulare squillò. Era Manuela. Risposi: "Pronto?"
"Coco, dove sono
le siringhe per Carol?!"
"Cosa succede?!"
"Ha un altro dei
suoi attacchi. Stavolta è peggio però,
sembra davvero fuori di sé!"
"Sono nel mio
armadio. Arrivo subito."
"Fai in fretta!"
Misi
giù e Ashton mi guardò interrogativo. "Carol ha
uno
dei suoi attacchi" feci solo. Lui sgranò gli occhi e
trattenne il fiato.
Lo osservai e: "Vuoi venire con me?"
"N-no.
Peggiorerei solo la situazione."
"Forse hai
ragione. Ma verrai, più avanti?"
"Non lo so."
"Ashton!"
esclamai. Lui voltò la testa. Si chinò
per prendere una cosa sul comodino e me la porse: erano le chiavi della
sua
auto. "Vai, corri, ha bisogno di te adesso. Non di me."
"Ash..."
"Corri, ti ho
detto!"
Io non ribattei
più e mi alzai dal letto. Uscii dalla stanza
correndo e scesi le scale a due a due. Non salutai nessuno - mi sarei
scusata
dopo - e uscii dalla casa dei ragazzi.
Stavo per
entrare in macchina quando mi venne in mente un
piccolo particolare: non avevo la patente. E non ero nemmeno sicura di
poter
guidare bene in quelle condizioni. Così, tornai in casa.
Aprii la porta e andai
a sbattere contro l'ultima persona che volevo vedere in quel momento:
Diana.
"Coralie... Cosa succede?" chiese cauta. Io la guardai dubbiosa. Potevo
fidarmi?
"Carol sta male,
ho bisogno di Michael."
"P-perché?"
"Non ho la
patente."
"S-se vuoi posso
accompagnarti io" fece lei.
Io la guardai
qualche secondo,
prima di ricordarmi l’urgenza della situazione.
“D’accordo” feci, senza altra
scelta. Lei fece un piccolo sorriso incredulo, quasi non potesse
credere che
davvero stavo accettando il suo aiuto, e corse alla porta, dove si mise
solamente la giacca pesante. Era in tuta e ciabatte. “Esci
così?” chiesi.
“Siamo
di fretta, no?”
Sorrisi piano.
Forse, non era così
cattiva come la descriveva Carol.
Usammo la
macchina di Ash, in fin
dei conti avevamo già le chiavi. Mentre guidava, Diana
sembrava tesa. “Coralie,
mi dispiace.”
“Lo
hai già detto e non…”
“No,
aspetta. Fammi finire. Mi
dispiace. Non avrei mai voluto che succedesse questo. Non voglio che
voi stiate
male per colpa mia, e Manuela mi ha detto che anche tu ci stai male. Se
vuoi
che smetta di parlare con Luke, dimmelo, non voglio che succeda una
cosa del
genere anche fra voi.”
Io la guardai.
Davvero avrebbe smesso
di parlare a Luke per un mio capriccio? “Diana, è
un bel gesto da parte tua, ma
per me accettarlo significherebbe essere schifosamente egoista. Non
voglio
separare due amici. Perché questo siete, no?”
“Ovvio.
Coco, non ci proverei mai
con lui.”
“Sì,
lo so” risposi incerta. Lei mi
guardò un attimo, prima di tornare a fissare la strada.
“Non mi credi, eh?”
fece sconsolata.
“Mi
dispiace. Sono fatta così.
Terribilmente sospettosa e terribilmente gelosa e terribilmente
insicura.”
“Ipotizziamo
per assurdo che io ci
stia provando. Cosa ti fa credere che lui preferirebbe me a
te?”
“Non
lo so. Vi conoscete da più
tempo, siete cresciuti insieme.”
“Siamo
anche stati insieme, se lo
vuoi sapere.”
“Ah.”
“Ma
ora non lo siamo più. Non siamo
durati due mesi. Tu e lui, invece, da quanto state insieme?”
“Un
bel po’.”
“Appunto.
Coco, tu forse sei troppo
occupata con le tue paranoie per accorgerti di quanto Luke non abbia
occhi che
per te. E fidati quando ti dico che è una persona fedele e
sincera. Ti ama da
impazzire e io non potrei essere più felice per
voi.”
“Grazie.”
Lei mi rivolse un piccolo
sorriso, prima di accostare. Mi resi conto solo in quel momento che
eravamo già
a casa. “Grazie del passaggio” dissi in fretta.
“Di nulla.”
“Scusa,
ma non credo sia il caso
di…”
“Tranquilla,
non avevo nemmeno
intenzione di chiedertelo.” Io annuii come a rimettere a
posto le idee. “Ok,
vado, ciao” feci poi, correndo verso casa. Lei mise in moto
prima che io
potessi arrivare alla porta.
Infilai le
chiavi nella toppa e le
girai velocemente, per entrare in casa e vedermi travolgere da Madison.
“Dio,
Coralie, per fortuna che sei qui! Corri, ti prego!” fece. Era
sull’orlo delle
lacrime. Cercai di tranquillizzarmi e la seguii fino a…
camera mia?!
“Perché
siamo qui?” chiesi. Lei mi
indicò la finestra aperta e vidi che sul cornicione, largo
circa venti
centimetri, c’era Manuela. “Manuela, che
fai?!” esclamai terrorizzata. “Zitta e
dammi qualcosa di duro!” fece lei. “Cosa vuole
fare?!”
“Carol
è chiusa in camera sua a
chiave e non ci vuole aprire. Manuela dice che è in crisi e
che ha bisogno di
quella siringa. L’unico modo per arrivare alla camera
è rompere la finestra” mi
disse Madison, indicandomi la siringa che Manuela teneva in mano.
“Fai andare
me!” feci subito. “Coco, sono già
qui!”
“Ha
visto me durante questi giorni,
forse riesco a calmarla!” cercai di convincere Manuela. La
verità? Avevo il
terrore che si sbilanciasse e cadesse. Se qualcuno doveva fare un volo,
preferivo essere io. Lei mi guardò qualche secondo, prima di
tornare in camera
con un balzo e porgermi la siringa. “Fai in fretta”
disse. Io annuii e salii
sul cornicione. Nonostante fossimo solo al primo piano, credetemi,
avevo il
cuore in gola. Mi tolsi le scarpe con un paio di centimetri di tacco:
una la
tenni in mano, l’altra la buttai giù,
l’avrei ripresa dopo. “Che fai?” chiese
Madison quando mi vide fare così. “Per stare
meglio in equilibrio e per rompere
la finestra” risposi, camminando piano verso la finestra di
Carol.
Fortunatamente, la trovai accostata, così riuscii ad aprire.
“Chiamo Ashton”
sentii dire a Madison. “No!” feci subito.
“Perché?!”
“Te lo
spiego io” rispose Manuela,
mentre io entravo. Tirai un sospiro di sollievo prima di sentire un
singhiozzo
provenire dal bagno di Carol. Costeggiai il letto e aprii la porta
piano. Carol
era lì, con grandi lacrime che le rigavano il viso, seduta a
terra, e… oddio,
no. No.
“Carol!”
scattai verso di lei e le
allontanai la mano dal polso. “Lasciami!”
esclamò lei. Io cercai di prendere la
lametta, con cui si stava incidendo lunghi graffi, fortunatamente poco
profondi. “Dammela, Carol!”
“No!”
Riuscii a
sfilargliela dalla mano,
tagliandomi le dita. Non ci feci caso e cercai di farla sdraiare con la
pancia
a terra, poi mi misi su di lei per tenerla ferma mentre cercavo il suo
braccio
per la siringa.
Ci volle un
po’ perché il farmaco
facesse effetto. In quell’arco di tempo, presi la lametta, la
buttai fuori dal
bagno e chiusi a chiave la porta, poi l’aiutai a rialzarsi.
Lei rimase stordita
un po’ e io ne approfittai per pulirle il polso.
Mi accorsi di
tremare mentre con un
asciugamano le tamponavo il braccio. Aveva tracciato due tagli obliqui
e uno
che li attraversava quasi in verticale. Non erano molto profondi ma
perdevano
un po’ di sangue. Lo aveva fatto per il puro piacere di farsi
del male. Non
sapevo se fosse peggio questo o l’idea del suicidio.
“Carol?”
“Mhm?”
“Riesci
a capire quello che sto
dicendo?”
“Più
o meno.”
“Perché
l’hai fatto?”
“Fatto
cosa?” mi chiese con occhi
leggermente stralunati, ancora rossi dal pianto. “Non ti
ricordi niente?”
“Dovrei
ricordarmi qualcosa?”
“Hai
avuto una delle tue crisi.”
“Ah. E
con cosa avrei fatto casino,
stavolta?”
“Il
tuo braccio.”
“Cosa?!”
fece Carol, guardando
finalmente il polso. Imprecò quando vide i tagli che ancora
sanguinavano. Mi
guardò con sguardo perso. “Coco, ti giuro che non
ero in me.”
“Lo
so, lo so.”
Stava per
piangere di nuovo, si
vedeva. La abbracciai più forte che potevo, ma lei rimase
immobile. “Io non…
Non so perché l’ho fatto. Ricordo solo che ho
chiuso la porta a chiave e che
sono andata sul letto. Credevo di essermi addormentata ma a quanto pare
non è
così.” Mi guardò un attimo e:
“Ma, aspetta… io ho chiuso la porta a chiave, ne
sono sicura. Come sei entrata?”
“Fidati,
è meglio che tu non lo
sappia” feci con un mezzo sorriso. L’aiutai ad
alzarsi e l’accompagnai sul suo
letto, poi andai ad aprire la porta. Madison e Manuela erano fuori, ad
aspettare. Appena videro Carol tirarono un sospiro di sollievo.
“Come stai?”
fece subito Madison. Carol rimase in silenzio qualche secondo prima di
scoppiare di nuovo a piangere. Madison sbiancò, ma non disse
niente. Si limitò
a chiudere la porta, facendomi gesto di fare qualcosa. “Per
oggi sono stata
abbastanza inutile” disse mortificata. Manuela le prese la
mano e: “Non è vero.
Dai, torniamo di sotto, stavamo lavorando. Poi, Coco, ci spieghi
tutto” fece
con un filo di voce. Io annuii e accostai la porta.
“Carol…”
“Mi
ricordo una cosa.”
“Cosa?”
“Vedi
questi? Se non fossi arrivata
tu avrei fatto altri due tagli obliqui. Il loro simbolo. Dio, Coralie,
mi manca
così tanto…” fece, coprendosi il viso
con una mano per singhiozzare di meno. Io
mi sedetti accanto a lei sul letto e l’abbracciai di nuovo.
Lei si lasciò
andare sulla mia spalla, singhiozzando rumorosamente. “Oggi
sono andata a
parlarci” dissi solo. Lei s’immobilizzò.
“Non voglio sapere cosa ha detto” fece
con voce rotta. “Carol…”
“Ci
starei troppo male.”
“Perché
non provi a parlarci tu?”
“Come
posso parlarci dopo che mi
sono comportata così male con lui?”
Mi venne da
sorridere mesta nel
notare quanto il copione si stesse ripetendo. “Tu non hai
idea di quanto siate
uguali” sussurrai. Lei tirò su col naso.
“Non dire a Maddy e Manu che mi sono
tagliata.”
“D’accordo.”
“Nemmeno
ai ragazzi.”
“Ok.”
“Soprattutto
Ashton.”
“Quello
dovrai dirglielo tu.”
“No,
Coco. Non posso. Si
arrabbierebbe ancora di più.”
“Perché
dovrebbe?”
“Tutti
si arrabbiano sempre quando
vengono a sapere che qualcuno si taglia.”
“Oh,
io sono arrabbiatissima.”
“Ok,
tutti eccetto te.”
“Basterebbe
poco per scoprire che
anche Ashton fa parte delle eccezioni. E anche Manu, Maddy e i
ragazzi.”
“Ho
troppa paura.”
Io sospirai.
“Carol, ti vogliamo
troppo bene per arrabbiarci con te per questo” dissi. Lei non
rispose e io
cercai qualcosa da dire, quel silenzio stava diventando pesante. Mi
guardai
intorno e notai un poster, che c’era sempre stato e che
adoravo, ma che in quel
momento diceva più verità di quanta potessi dirne
io:
My advice is don’t spend your money
on therapy. Spend it in a record store. – Wim Wenders.
Mi face venire
in mente un’idea. A
un soffio dall’orecchio di Carol, sussurrai: “You come to me with scars on your wrist, you
tell me this will be the last night feeling like this.”
Lei
si staccò
e mi guardò. Si asciugò una lacrima e mi rispose:
“I just came to say goodbye,
didn’t want you to see me cry, I’m fine.”
“But I know it’s a lie.”
C’ero
riuscita, le avevo strappato
un mezzo sorriso. Dopo una settimana di apatia, era una vittoria.
Quella
canzone era forse una delle sue preferite. The
last night, Skillet. Diciamo che era una delle canzoni
preferite di tutte e
quattro. Manuela e io eravamo proprio fissate con Skillet, tutta colpa
di un
mio amico che mi aveva fatto sentire una sola canzone, Hero.
Mi aveva contagiato irrimediabilmente e io avevo contagiato
Manuela, e un po’ di meno Carol e Maddy.
Carol mi
abbracciò. “Grazie di
essere qui” sussurrò. Io ricambiai la stretta.
Era un bel
momento, più o meno. Un bel
momento dopo sei giorni di ansia e tristezza.
Un bel momento
che perse tutta la
sua atmosfera quando lo stomaco di Carol brontolò
rumorosamente.
Ci guardammo e
ridacchiammo. “Ti
prendo qualcosa da mangiare” decisi. Lei non si oppose.
“Cambiati, io arrivo
subito” feci dandole un bacio sulla gota. Lei mi rivolse un
piccolissimo
sorriso.
Io andai al
piano di sotto,
trovandomi davanti Manuela e Madison, che lavoravano ad un video, con
le cuffie
nelle orecchie. “Coco, come è andata?”
mi chiese Manuela. “Meglio di tutte le
altre volte. È un po’ incasinata, come
situazione.”
“Ma
no, non l’avrei mai detto, ma
proprio mai.”
Io ridacchiai.
“Senti, secondo te
posso usare questa canzone?” mi chiese poi Madison. io mi
avvicinai allo
schermo e lessi il titolo. Sorrisi. “In questo momento credo
sia perfetta, per
quello che volete fare” dissi. “Oh, finalmente, ne
faccio una giusta!” esclamò
Madison a metà fra l’esasperato e il sollevato.
Ridacchiammo e io presi
qualcosa dal frigo che Carol potesse sbocconcellare. “Vuole
mangiare?”
“Sì.”
Madison e
Manuela esultarono. “Domani
si festeggia, si apre la barretta di cioccolato Milka con dentro i
pezzetti di
Oreo” fece Manuela. “Hai il Milka Oreo?!”
esclamai scandalizzata. “Stacci
lontana! L’ho preso per Carol!”
“Io mi
fidavo di te!”
“Sai
che ti voglio bene, Coco” fece
Manuela con un sorrisetto. Io la guardai truce, prima di mettere tutto
sul
vassoio che usavo da una settimana. “Coco, dai
un’occhiata a questo” fece
Manuela, passandomi l’auricolare. Io obbedii e lei fece
partire il video.
Quando
finì, io rimasi a bocca
aperta. Avevo gli occhi lucidi. “Ragazze, mi volete far
piangere? Ditemelo. Mi preparo.”
Imprecai e mi asciugai una lacrima traditrice. Loro ridacchiarono.
“Io vado di
sopra, allora. Ci vediamo dopo. E, Manuela, facciamo i conti quando
torno. Mi
hai nascosto il Milka Oreo” la avvertii truce. Lei rise e mi
mandò un bacio
volante, mentre io andavo al piano di sopra. Entrai in camera di Carol.
La vidi
senza la maglietta, davanti allo specchio, che si esaminava il braccio
tagliato
e l’incarnato pallidissimo dal suo mangiare così
poco. Sembrava dimagrita,
nonostante non credevo fosse possibile dimagrire in sei giorni. Forse
ero io
che mi stavo suggestionando. Una cosa era certa: il viso era stravolto.
Carol si
voltò verso di me,
cercando di non far notare le sue lacrime. Tirò su col naso
e tentò di farmi un
lieve sorriso. Io lasciai il vassoio sulla scrivania e andai ad
abbracciarla. Lei
scoppiò a piangere, di nuovo. “Fa male,
Coco.”
“Passeranno.
Sono solo tagli.”
“Sai
che non intendevo questo.”
Io la strinsi
più forte. “Carol, te
lo giuro. Questa è l’ultima notte che passi da
sola.”
|
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Capitolo 29 *** Yours to hold. ***
Yours to hold.
Le avevo giurato
che quella sarebbe
stata la sua ultima notte da sola.
Ora, vedendola
sdraiata nel letto,
sotto le coperte, col viso stravolto, appoggiato al braccio tagliato,
caduta in
un sonno leggero e agitato, non ne ero più così
sicura.
Cercai di
togliermi quei pensieri
dalla mente.
Dovevamo farcela
ad ogni costo.
Perché
io, di vedere Carol così a
pezzi, ero stanca.
Presi il
cellulare e aprii la chat
con Ashton. L’ultimo accesso risaliva a una settimana prima,
così come l’ultimo
messaggio. Era una foto che avevo inviato io e ritraeva Carol e Ashton
abbracciati, li avevo sorpresi in quella posa e non avevo resistito.
Lui non mi
aveva più risposto, anche perché era esattamente
di fianco a me, e il suo: “Sei
proprio tremenda!” me lo aveva detto a voce ridendo.
Guardai la foto
per un paio di
secondi, poi gli inviai The last night.
La sua risposta
non si fece
tardare.
“Coralie,
sono le due di notte.”
“Lo
so.”
“Perché
sei ancora sveglia?”
“Indovina.”
“…
Come sta?”
“È
successo un casino, Ash.”
“…”
“Ha
bisogno di te.”
“…”
“Basta
fare i tre puntini,
puntinaro. Sono odiosi dopo un po’.”
“…”
“-.-”
“Cos’è
la canzone?”
“Ascoltala.
Se sei una persona
intelligente, e so che lo sei, capirai cos’è
successo e cosa devi farci.”
“Aspetta,
ma è The last night…
Cosa è successo?!”
“Buonanotte,
Ash. A domani.”
“Coralie!
No, ti prego!”
Io non gli
risposi più.
Il mattino dopo,
andai a casa dei
ragazzi, verso le nove. Mi venne ad aprire Michael, come il giorno
prima.
“Adesso tu mi dici che è successo ieri, che cosa
gli hai detto” fece. Io lo
guardai sorpresa. “Mikey, ho troppo sonno per capirci
qualcosa. Che è
successo?”
“Vieni
dentro, ti racconto tutto.”
Io obbedii e
entrai in casa. La
prima cosa che vidi fu Luke, addormentato sul divano.
“Perché è qui?” chiesi.
“Diana dorme in camera sua. Facciamo a turno.” Io
non risposi e mi avvicinai a
Luke. Gli posai un bacio leggerissimo sulla guancia per non svegliarlo
e seguii
Michael in cucina. “Dicevi?”
“Dicevo
che ieri notte, alle tre, e
ripeto alle tre, ho sentito dei
rumori al piano di sotto. Paranoico come sono pensavo fosse un ladro,
quindi
sono andato di sotto con la prima cosa che mi è venuta sotto
mano, il che
ovviamente significa che stavo brandendo la spada laser di Star Wars.
Può
sembrare una cretinata ma è resistente. Secondo te, non
stavo per ammazzare
Ashton a furia di spade in testa?”
Io trattenni una
risata. “Coco, non
so se hai realizzato quel che ho detto. Era Ash.
Non è uscito da camera sua per sei giorni. Quando
l’ho visto ho pensato che mi
sarei preso un infarto meno potente se fosse stato il ladro.”
“Mikey,
se stai provando ad essere
serio, ci stai riuscendo davvero poco.”
“Coralie!”
“Ok,
la smetto.”
“Era
ora. Dicevo, era Ashton. Ci
siamo presi un colpo tutti e due e lui mi ha guardato malissimo
perché stavo
per picchiarlo con una spada laser. Gli ho detto che non poteva
biasimarmi e
gli ho chiesto che ci facesse al piano di sotto. Lui mi ha detto che
era colpa
tua se era uscito dalla sua camera e che stava cercando qualcosa da
mangiare.
Non ha mangiato praticamente niente per tutta la settimana!”
“Come
Carol.”
“Ecco,
ha detto qualcosa riguardo a
Carol che stava male. Ti giuro, era terrorizzato, nonostante cercasse
di
nasconderlo.”
“E
allora perché non è venuto da
noi?!”
“Primo,
perché erano le tre di
notte, e lui è una persona più o meno sana di
mente. Secondo, perché ha paura.
Coco, hanno paura entrambi.”
Io abbassai lo
sguardo. “Già” feci
solo. “Come sta Carol?”
“Ieri
sera ha toccato il fondo.
Spero.”
“Cosa
è successo?”
“Un’altra
crisi, ma stavolta molto
peggiore.”
“Oh.”
Io non aggiunsi altro e lui
non fece altre domande. Lo avrei ringraziato per questo, se non fossimo
stati
interrotti da Luke. “Coco? Piccola, che ci fai
qui?” mi chiese confuso. “Sono
appena arrivata. Sono venuta a parlare con Ash.”
“Ok”
fece lui prima di sedersi
accanto a me. Mi diede un bacio a stampo e mi tirò sulle sue
ginocchia. Io mi
appoggiai al suo petto e lui mi circondò la vita con le
braccia, iniziando a
baciarmi piano il collo. Michael sbuffò. “Mi manca
Manuela” borbottò. Noi
ridacchiammo, mentre io sentivo un brivido percorrermi la spina dorsale
mano a
mano che lui raggiungeva il mio punto debole, poco dietro
l’orecchio.
“Stamattina Luke è famelico”
mormorò ridacchiando Michael. Io continuavo a
sistemarmi meglio sulle sue gambe per trovare una posizione comoda. Lo
sentii
grugnire. “Piccola, ti prego, smettila di muoverti”
fece con voce roca, in un
sussurro a malapena accennato, nel mio orecchio. Io arrossii
violentemente e
obbedii, capendo dove volesse andare a parare.
“Tu
non eri qui per parlare con
Ashton?” mi chiese Michael divertito. Non sembrava per niente
imbarazzato.
“Starà ancora dormendo” fece subito
Luke. Non sembrava particolarmente voglioso
di lasciarmi andare tanto facilmente.
Tornò
a concentrarsi su quella
piccola zona di pelle proprio dietro al mio orecchio e io rabbrividii.
Mi
faceva impazzire quando mi baciava lì, in quel modo
così diverso dal suo solito,
con quei baci famelici e bagnati. Improvvisamente sentii i denti di
Luke e
trasalii, mentre lui sussurrava uno: "Scusa, non ho resistito" nel
mio orecchio e tornava a occuparsi del lembo di pelle, stavolta con
dolcezza.
"Ragazzi, avvertitemi se devo voltarmi" ci disse Michael, che
sembrava enormemente divertito dalla situazione. Luke sbuffò
impercettibilmente, mentre giocherellava con le mie mani, strette fra
le sue.
Ancora una volta, diede un altro paio di baci al punto della pelle che
stava
martoriando, succhiando un po'. Io mugolai chiudendo gli occhi. Era
piacevole.
"Ragazzi,
facciamo così, vado
a vedere se Ash è sveglio" disse Michael. Io annuii piano
mentre Luke
emise un verso di assenso. Lui ci guardò qualche secondo,
ridacchiando sotto i
baffi, prima di alzarsi con un: "Questi giovani, quanta pazienza ci
vuole" e andare molto lentamente al piano di sopra. "Comunque, se
avete bisogno di preservativi, Ash è pieno, e non credo li
userà a breve"
fece. "Mikey!" esclamai io. Anche Luke distolse l'attenzione dal suo
lavoro per guardarlo male. Lui rise di nuovo e sparì al
piano di sopra. Io
abbandonai di nuovo la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi.
Sentii il
respiro caldo di lui solleticarmi il collo, prima di sentire la lieve
pressione
delle labbra. "Vuoi che smetta?" mi chiese. Io scossi la testa
leggermente e lui mi strinse più forte. "Scusa se prima ti
ho messo in
imbarazzo" sussurrò. "Capita" risposi io facendo spallucce.
La
verità? Se prima mi aveva messo a disagio, ora bramavo il
tocco di quelle
labbra. Lui sembrò accorgersene e ridacchiò,
tornando a baciare la pelle. Mi
mordicchiò di nuovo, insistente, ma senza troppa forza, per
non farmi male. Io
gemetti impercettibilmente e lui soffiò piano sul punto di
pelle bagnato,
facendomi rabbrividire, di nuovo. Mi spostai ancora e lui
mugugnò.
"Scusa."
"Tranquilla,
piccola."
Intanto,
continuava a lasciare baci
bagnati, tanto che mi chiesi fino a quando sarebbe andato avanti. Baci
bagnati,
alternati a morsi e a momenti in cui succhiava piano. Io, intanto,
avevo gli
occhi chiusi e mi godevo ogni sensazione.
Sentimmo dei
passi dal piano di
sopra e Michael riapparve. "Ora è sveglio" fece con un
sorrisetto
innocente. Dieci a uno che lo aveva svegliato lui.
Luke mi
morsicò e mi baciò
un'ultima volta. "Dai, vai a parlarci" mi esortò. Io annuii
e mi
alzai. Lui mi catturò di nuovo e mi diede un piccolo bacio a
stampo, stavolta
sulle labbra, prima di lasciarmi.
Io percorsi la
strada dalla cucina
alla camera di Ashton con un sorriso ebete. Prima di bussare, mi
asciugai la
pelle bagnata dietro l'orecchio. Aprii piano la porta e mi trovai
davanti una
scena strana: Ashton era in mezzo ad un mucchio di coperte, per
metà sul
pavimento, per metà che lo coprivano scompostamente. Lui
aveva il viso
affondato nel cuscino, tanto che mi chiedevo come facesse a respirare.
"Ash, sei
sveglio?"
"Per colpa di
Michael"
mugugnò lui assonnato. "Ok, puoi svegliarti completamente?"
"Chiedi tanto
per uno che non
ha dormito fino alle cinque a causa di un tuo messaggio."
"Ops."
Lui si
alzò e si stiracchiò. Aveva
il viso stravolto, ma stavolta dal sonno. "Come stai?" gli chiesi,
sedendomi sul letto a gambe incrociate. "Assonnato. tu?"
"Assonnata."
"... E Carol?"
"Pensa alla
canzone."
"Dio, ho paura
di aver fatto
un casino."
"Il casino lo
avete fatto in
due, ma potresti risolverlo anche da solo."
"Coco..."
"Coco un bel
niente. Sarebbe
facile, Ash, e lo sai."
"Non sarebbe
facile."
"In che senso?"
chiesi.
"Con Carol non è mai stato facile. Con Carol era un continuo
inizio. Con
lei non puoi sederti sugli allori. Carol è una di quelle
ragazze che ha bisogno
di essere conquistata ogni giorno. E anche per questo sono
così innamorato di
lei. Mi manca lottare ogni giorno per vederla sorridere, e sapere che
quel
sorriso era merito mio."
Io non dissi
niente per qualche
secondo. Mi chiesi perché due persone così
innamorate fossero costrette a stare
lontane da una cosa insulsa come la paura.
La
gente è stupida, pensai.
"Se potessi
tornare con lei
oggi, lo faresti?"
"Sì,
ma non mi dimenticherei
quello che è successo."
"Perché?"
So che potevo
sembrare stupida ma mi ero resa conto di una cosa: spesso, per
realizzare
qualcosa bisogna dirlo ad alta voce. Ero abituata a fare domande
dementi per
chiarire le cose più semplici nella mente degli altri, per
districare almeno un
po' la matassa dei pensieri confusi.
"Terrei
l'esperienza, così, la
prossima volta che mi viene da dire qualche altra cretinata, ci
penserei due
volte. Penserei a come mi sento perso in questo momento e a tutti i
problemi
che le mie parole hanno causato. Penserei a quanto sto male. Penserei a
quanto
è stato difficile conquistarla, e a quanto è
stato facile perderla. Penserei a
tutte le volte che mi sono detto che ne vale la pena. Penserei a
questo, e
smetterei di urlare. La prenderei e la bacerei, come se fosse la prima
o
l'ultima volta, per farle capire quanta paura ho di perderla, per farle
capire
quanto vale per me, per farle capire che senza di lei non potrei essere
felice.
Se avessi l'opportunità di riaverla e stessimo litigando,
farei così."
Io sorrisi
piano, prima di notare
il luccichio nei suoi occhi. Respirava a scatti. Stava per piangere.
"No,
no, ehi, non piangere, non ti azzardare a piangere, che dopo piango
pure
io" feci. Lui ridacchiò ma questo non bastò a
fermare la lacrima che
rotolò sulla sua guancia, seguita da molte altre. Io lo
abbracciai e lui si
strinse a me, appena prima di iniziare a singhiozzare. "Fa male da
morire"
sussurrò con voce rotta.
Quando
riuscì a calmarsi, gli
proposi di parlare d’altro. Lui tirò su col naso.
“Sicura al cento per cento di
voler parlare d’altro?” mi chiese. Io annuii e lui:
“Bene. Allora parliamo di
questo: da quando Luke fa succhiotti?”
Io arrossii di
botto e
istintivamente mi portai una mano al collo. “Si nota
così tanto?”
“Coco,
sei un semaforo. Come minimo
domani è viola. Ci è andato giù di
denti, eh?”
“Solo
un po’. Si vede tanto?”
“L’ho
notato quando sei entrata.”
“Oh,
ok. Carino.”
Lui
ridacchiò nel vedere il mio
disappunto. “Carol non mi ha permesso di farne uno, durante i
mesi che ci
incontravamo di nascosto. Non voleva che tu e Manu sospettaste
qualcosa. Però
mi ha morsicato il labbro a sangue, e io ho fatto la figura del
cretino, perché
ai ragazzi ho detto di essere inciampato ed essermi morso il labbro.
Mi hanno
preso in giro per due settimane.” Io mi lasciai andare ad una
risatina. “Ma
alla fine, non ci avete mai raccontato come vi siete
incontrati.”
“E non
lo racconteremo mai.”
“Ash,
ti prego!”
“È
un segreto!”
“È
così scandaloso?! Vi siete
incontrati in un bordello, per caso?!”
“Può
darsi…”
Io sgranai gli
occhi e lui rise.
“Sto scherzando, scema.”
“Mi
hai fatto prendere ventisette
infarti di fila.” Gli scappò un’altra
risata. Era bello vederlo ridere, ma era
un piccolo raggio di sole che filtrava da una coltre di nuvole
grigiastre e
subito veniva soffocato.
“Ash,
vado un attimo in bagno. Per
quando torno, tu devi aver organizzato il discorso: mi racconterai
tutto.”
“Contaci.”
Io alzai gli
occhi al cielo e uscii
dalla stanza. Mi diressi verso il bagno, proprio per vedere Diana che
ne
usciva. Mi salutò piano, quasi avesse paura di sbagliare. Io
ricambiai e entrai
in bagno, ma lei mi bloccò un attimo prima che io chiudessi
la porta. “Come sta
Carol?”
“Meglio.”
“Sono
felice.”
Io feci un
sorriso tirato, non ero
proprio dell’umore di parlare con lei. Diana mi prese una
ciocca di capelli e
me la portò sulle spalle. “Così quelli
che ti vedono non ti chiederanno tutti
la stessa cosa” fece con un mezzo sorriso. Io arrossii, prima
di chiudere la
porta, salutandola.
Mi guardai allo
specchio, per
esaminare il succhiotto. Era rosso eccome. Mi sistemai i capelli per
evitare
che si notasse troppo e mi feci una treccia sfatta, di lato, che lo
copriva più
o meno completamente. In quel momento, il mio cellulare
squillò. Numero sconosciuto.
Mi chiesi chi potesse essere. “Pronto?”
“Coralie?”
“Sì,
chi parla?”
“The motherfucking princess.”
“Avril!”
urlai nella cornetta. Lei
rise sonoramente. “Sì, sono io. Scusa se non mi
sono fatta sentire prima ma ho
fatto un casino e non trovavo più il tuo numero, non
chiedermi come. Alla fine
ho minacciato di morte chiunque non riuscisse a ritrovare il tuo numero
e
casualmente Liam l’ha ritrovato. Allora? Che
racconti??”
“…
Tu non puoi capire il casino che
è successo.”
“Oh,
wow, manchiamo noi e succedono
casini?”
“È
iniziato tutto da una
discussione su di voi, pensa.”
“No,
cara, tu adesso mi racconti
tutto.”
Ridacchiai un
attimo prima di
raccontarle ogni cosa. Avril rimase in silenzio per tutto il tempo. Ci
misi un
po’ di tempo, ma quando finii, lei si schiarì la
voce.
“Allora.
Diana non ha sbagliato ad
esprimere la sua opinione, ma per tutti quelli che insultano la musica
altrui,
fidati, c’è un girone all’Inferno
riservato e particolarmente cruento. Quindi,
c’è un girone all’Inferno anche per lei.
Dillo a Carol, che magari la fai
sorridere un po’. Mi dispiace molto che stiano entrambi
così male, e hai
ragione, le persone innamorate sono proprio stupide. Mi dispiace molto
per
tutto.”
“Dispiace
a tutti, anche a Diana.”
“Ok,
il girone sarà meno
spaventoso.”
Io ridacchiai.
“Abbiamo avuto
un’idea, comunque. Anzi, Manu l’ha avuta.”
“Sono
tutta orecchie!”
Le raccontai
cosa avremmo fatto
durante il pomeriggio. “Ti rendi conto che è
un’idea grandiosa e che di amici
come voi non ce ne sono molti?” mi chiese. Io sorrisi.
“Grazie, ma potrebbe
essere ancora meglio.”
“In
che modo?”
“Mi
serve sapere come si sono
conosciuti.”
“Non
lo sai?”
“No.
Si sono frequentati in segreto
per due, tre mesi, e non ci hanno mai raccontato nulla.”
“Forse
è proprio questa la chiave.”
“Non
ti seguo.”
Lei mi
spiegò la sua idea, facendo
alcuni esempi che mi fecero ridere. “Secondo te, ci
può stare?”
“Certamente!
Lo dirò subito a Manu
e Maddy!”
“Sono
felice di avervi aiutato!”
Io sorrisi nel
sentire la
spontaneità di Avril. Stavo parlando con il mio idolo come
se fosse una mia
cara amica. Non riuscivo a crederci. Avevo sognato quel momento troppo
a lungo,
ci avevo fantasticato così tanto, che ora era
così strano…
“Coralie,
ora devo andare, ho un
chihuahua isterico che rompe le ovaie.” Sentii Liam
lamentarsi e Avril urlare
di fare silenzio, perché era al telefono e stava parlando di
una cosa
importante. Non riuscii a trattenermi e urlai: “Ciao
Liam!”
Seguì
un secondo di silenzio
imbarazzante, poi Avril tornò al telefono: “Mi hai
fatto perdere l’uso di un
timpano.”
“Ops.”
“Vuoi
salutare l’essere schizzato?
Te lo passo?”
Avrei voluto
urlare di nuovo, ma mi
limitai ad un: “Va bene!”
La telefonata
sarebbe dovuta durare
poco, ma mi ritrovai a fare il giro di tutti i ragazzi e a perderci una
decina
di minuti buoni con ognuno di loro. Alla fine, ero stata al telefono
un’ora.
Avril si era ripresa il telefono e mi aveva detto che stava finendo il
credito,
grazie ai ragazzi, e che le dispiaceva ma doveva mettere
giù.
Quando misi
giù il telefono, mi
arrivò un suo messaggio, con tutti i numeri, e in cui mi
chiedeva i nostri.
Passai una decina di secondi a cercare di non urlare dalla gioia, poi
uscii dal
bagno. Andai a sbattere contro Luke, che probabilmente aspettava
lì da un po’.
“Sei qui da tanto?”
“Non
parliamone, ti prego.”
“Scusa…”
“Tranquilla,
piccola. Con chi eri
al telefono?”
“Con
Avril e i ragazzi!”
Lui si
aprì in un sorriso
entusiasta. “Alla fine, ti ha dato tutti i numeri?”
“Sì,
li vuoi?”
“E me
lo chiedi?!”
Scoppiammo a
ridere, ma a poco a
poco lui si fermò, con lo sguardo posato sul lato del mio
collo. Mi spostò i
capelli e fece una faccia stupita, che sembrava dire:
“Aiuto.”
“Ti
giuro che non so cosa mi sia
preso” fece arrossendo. Io sorrisi nel notare come il vecchio
Luke fosse
tornato alla carica. “Spero che non lo notino troppo le
ragazze, farebbero
troppe domande.”
“Non
è nemmeno tanto grande, dai.”
“Se lo
dici tu… Comunque, darebbero
di matto per molto meno.”
Lui si morse le
labbra e fece un
mezzo sorriso. “Allora diamo loro una buona ragione per cui
dare di matto”
fece, avvicinandosi a me e sollevandomi il viso con un dito. Fece
incontrare le
nostre labbra in un bacio dolce ma allo stesso tempo famelico. Io
chiusi gli
occhi e ricambiai, mentre lui mi spingeva delicato contro il muro.
Scivolammo
contro la parete, fino a ritrovarci accovacciati a terra, e lui
invertì le
posizioni: mi ritrovai seduta a cavalcioni sulle sue cosce, mentre lui
era con
la schiena appoggiata al muro. Continuammo a baciarci, mentre lui
disegnava
piccoli cerchi sulle mie guance con i pollici e mi carezzava i capelli
con
delicatezza, sapendo quanto quel semplice e tenero gesto mi facesse
impazzire.
“Ti amo” sussurrai sulle sue labbra. Lui stava per
rispondere, quando fummo
interrotti da qualcuno che esclamava ad alta voce: “Santo
cielo!”
Ci prendemmo un
infarto entrambi,
chiunque fosse aveva i passi molto leggeri. Ci voltammo verso le scale
e
notammo la figura di Hellen, che ci guardava scandalizzata. Ci alzammo
subito e
notai che Luke era diventato viola. Perché si vergognava
così?
“Vi
sembra il modo, qui, dove
possono vedervi tutti?!” fece isterica Hellen. Io inarcai
scettica un
sopracciglio, ma rimasi in silenzio. “Scusa” fece
mortificato Luke. Mi voltai a
guardarlo, sorpresa, ma lui non rispose al mio sguardo. Hellen si
avvicinò a me
e: “E tu, non eri mica con la tua amichetta
nevrotica?!” fece con voce
stridula. Io non risposi e trattenni un sorriso, perché
avevo visto benissimo
chi c’era dietro di lei: Ashton era uscito da camera sua,
attirato dalle urla,
e ora la guardava assassino. “Hellen, qui l’unica
nevrotica sei tu. Per prima
cosa, non dare mai più della nevrotica a Carol, o a nessuno
dei miei amici. Ho
litigato con lei per difendere te e Diana, ma mi sto pentendo molto del
primo
motivo. Secondo, la prossima volta che vedi due che si baciano, li
lasci in
pace. Ok?” fece duro. Hellen si voltò verso di
lui, rossa in viso dalla rabbia.
“Ma erano per terra, sembrava che ci fosse molto
più di un bacio, e lei ha quel
segno rosso sul collo!” fece come una bimba capricciosa.
“Saranno affari loro
di quello che fanno, no? Se Luke le vuole lasciare un segno sul collo,
che ne
lasci quanti ne vuole. Se si vogliono baciare, sono liberissimi di
farlo. E se
volessero andare oltre al bacio, sai che ti dico? Sarebbe anche ora che
lo
facessero. E sarebbe anche ora che tu la smettessi di mettere quel naso
adunco
che ti ritrovi nelle nostre faccende. Sei la benvenuta, qui, insieme a
tua
figlia, ma fino ad un certo punto. Sto perdendo la pazienza e ti giuro
che ce
ne vuole, per farla perdere a me. Quando l’avrò
persa completamente, sarai già
fuori da questa casa. Sono stato chiaro?!” sbottò.
Rimanemmo tutti immobili nel
vedere la rabbia con cui aveva sputato quelle parole. “Ma,
loro…” balbettò di
nuovo Hellen. “Ma loro un corno. Luke, Coco, venite qui per
favore” fece
Ashton, indicandoci la sua stanza. Luke ed io ci infilammo nella camera
in
fretta e furia e Ash chiuse la porta dietro di noi. Sentimmo i passi di
Hellen
che si allontanavano e Ashton tirò un sospiro per calmarsi.
“Ma è sempre stata
così?” chiese a Luke. Lui annuì.
“Beh, in questo momento la trovo proprio
odiosa. Ora riesco a capire Carol, sapete?” Io sorrisi piano,
ma Luke no. “Non
siate così cattivi con lei, sa essere molto buona, anche se
ora non sembra. È
solo scombussolata da questa sua specie di trasferimento” la difese. “Ok, ma
non deve scombussolare
anche noi” disse Ashton risoluto. “Non essere
egoista…”
“Non
sono egoista a vuoto. Mi hanno
strappato il cuore, me l’hanno frantumato e hanno rimesso i
frammenti in modo
sparso nel buco che li ospitava. Mi hanno spezzato, e permetti se ti
dico che
non voglio che questo succeda anche a voi” disse.
“Questo non succederà” fece
subito Luke, stringendomi una mano. “Facile dirlo quando sei
dentro. Ma guarda
da fuori, e poi riparliamone” ribatté Ashton,
lanciandomi una minuscola
occhiata. “E con questo, cosa intendi?”
“Che
se fossi furbo, arriveresti a
capire quello che Carol aveva previsto da subito.”
“Ok,
ragazzi, basta” feci io. Loro
si guardarono un attimo, prima di acconsentire. “Vado a
preparare qualcosa da
mangiare” fece poi Luke, uscendo dalla stanza. Non riuscii a
fermarlo e rimasi
sola in stanza con Ashton. “Ma si può sapere che
ti è preso?!” sbottai subito.
“Senti, Coralie, non negarlo. Anche tu sopporti poco Diana e
non sopporti per
niente Hellen.”
“E con
questo?”
“Secondo
te non ho visto quanto ci
stavi male, quel pomeriggio prima del concerto, quando Luke aveva occhi
solo
per Diana? L’abbiamo visto tutti. Abbiamo visto tutti quanto
cercavi la sua
attenzione, ma lui non ti ascoltava, troppo impegnato a prestarla
all’affascinante amica dell’infanzia.”
“Stai
parlando proprio come Carol!”
“Perché
mi rendo conto solo ora che
aveva ragione a temere per la vostra incolumità!”
“Non
riusciranno a separarci.”
“Non
dovevano riuscirci nemmeno con
noi, eppure guardaci.”
Io deglutii.
“Coco, lo sto facendo
per te. Non voglio vederti soffrire. Non come sto facendo io. Non
voglio che
Luke spezzi il tuo cuore senza nemmeno saperlo. Non come è
successo con Matt.”
Io sbiancai.
“Come sai di Matt?!”
chiesi. “Carol mi ha raccontato tutto un mesetto fa; mi aveva
pregato di non
dire niente ma in questo momento mi serve. Ti ha spezzato il cuore per
così
tanto tempo, e tu non hai fatto altro che permetterglielo! Sei troppo
innocente
e buona per dire quando qualcosa ti fa male, ma dovresti urlare in
faccia a
Luke quanto Diana ti faccia sentire messa da parte! Dovresti dirglielo
e
trovereste una soluzione insieme! Ma non puoi rimanere zitta,
perché a tenerti
tutto dentro prima o poi soffochi, così come stavi
soffocando con Matt! Non gli
hai detto niente quando ti sentivi messa da parte. Non gli hai detto
niente
quando lui era sempre più distante. E non gli hai detto
nulla nemmeno quando li
hai trovati insieme, nel suo letto! Ma non capisci?! Coralie, devi
parlare con
Luke, stavolta! Devi scuoterlo, perché lui non lo
capirà mai da solo! È troppo
innocente e buono pure lui per capire quanto questo suo essere amico
con Diana
ti faccia male. E tu diglielo! Perché se no, stavolta,
l’errore sarà tuo, non
di uno stronzo che ti ha tradito con una prostituta!”
urlò Ashton. Io mi sentii
schiaffeggiata da quelle parole. I miei occhi iniziarono a pizzicare e
sentii
un nodo alla gola e alla bocca dello stomaco. Lui mi guardò
per qualche
secondo, ancora furioso, prima di accorgersi di quello che aveva detto.
“No,
Coco, io… non piangere” fece a bassa voce, quando
la prima lacrima scese lungo
la mia guancia. Ashton mi abbracciò ma io non ricambiai,
troppo a pezzi per
quello che aveva appena detto. “Scusami, Coco, non volevo
essere così duro” disse,
cercando di farmi smettere di piangere. Io singhiozzai.
“No-non è colpa mia se
mi tengo tu-tutto dentro… Non voglio che Lu-Luke
soffra…”
“Ma
non devi soffrire nemmeno tu.”
“Sa-sai,
Ash? Tutte le persone che
mi cir-circondavano, mi hanno fatto capire una cosa: è
meglio che stia male io,
anziché far star male qualcun altro.”
“Beh,
allora eri circondata proprio
da persone del cavolo, che non meritano nemmeno una tua
unghia.”
Io non risposi.
Mi limitai a
singhiozzare di nuovo contro il suo petto. “Coco, mi dispiace
se ti ho urlato
contro. Ma l’ho fatto per te. Dovrei essere il tuo migliore
amico, in teoria, e
non voglio essere uno come quelli che ti hanno fatto credere di essere
meno
importante di chiunque altro. Tu sei
importante. Sei importante per noi, sei importante per me, sei
importante per Luke. Cavolo, se sei
importante per
Luke. Una volta mi ha detto che per farti felice farebbe qualsiasi
cosa, perché
a lui basta un tuo sorriso per esserlo. Fidati di me quando ti dico che
era
sincero. Non sta bene nemmeno lui nel vederti così triste.
Credimi, io lo so.”
“E
come fai a saperlo?”
“In
questa settimana, quando
pensava che dormissi, veniva in camera mia e parlava. A bassa voce, per
non
svegliarmi, diceva tutto quello che pensava. Ogni sera. Poi se ne
andava, dicendo
che era bello avere qualcuno con cui parlare, anche se quel qualcuno
era
addormentato. Non sa che in quei momenti ero più vigile che
in tutto il resto
della giornata. E una sera, sai che mi ha detto?”
“Cosa?”
Lui
tirò fuori il suo cellulare e
mi fece vedere una registrazione, prima di farla partire. Riconobbi
subito la
voce di Luke.
“Sai,
Ash, non capisco cosa stia
sbagliando. Vedo Coco sempre più giù ultimamente.
Non so cosa stia succedendo,
ma ogni volta che provo a farla sorridere, c’è
sempre quell’ombra, come se
stesse pensando a qualcos’altro, qualcosa che la rende
triste. Non ho il
coraggio di chiederle di cosa si tratti. Ma fa male sapere che
un’ombra riesce
a portare via tutto quello per cui stai lavorando. Mi manca la mia
piccola
Coco, a cui bastava un niente per sorridere. Mi manca la Coco
spensierata.
Forse è normale per una ragazza avere questi momenti, ma per
me è difficile
sapere che non basto più per farla felice. Mi sento
inadeguato, capisci? Fa
male. E mentre cerco di farla sorridere e la vedo sempre più
giù, mi devo
trattenere per non scoppiarle a piangere davanti. Vorrei buttarmi in
ginocchio
e chiederle cosa non va, se sono io, se è colpa mia,
perché se così fosse farei
di tutto per rimediare. Non voglio essere la causa della sua tristezza.
Mi ucciderebbe
sapere che l’ho fatta piangere. È un fiore troppo
bello e fragile per un mondo
del genere, sai? A volte mi dimentico che sa difendersi, che non
è così piccola
e indifesa come la vedo io, ma poi, quando la guardo, vedo la stessa
Coralie
che è crollata davanti a sua sorella, la stessa Coralie che
è scoppiata a piangere
davanti a me così poche volte per paura di essere debole, la
stessa Coralie che
quando ha incrociato il mio sguardo la prima volta ha sorriso timida ed
è
tornata a guardare per terra. Lei potrà sempre contare su di
me. Speravo che i
miei gesti riuscissero a farglielo capire – sai come dico
sempre, un ragazzo dirà alla sua
ragazza di amarla,
un uomo lo dimostrerà, e io voglio essere un uomo,
almeno in questo – ma a
quanto pare non è così. Forse dovrei dirglielo a
voce. Forse servirebbe un po’
di più, in questo momento. Ogni giorno che passa,
però, sembra sempre più
difficile dirle che sarò sempre lì a sostenerla.
Lei mi sembra sempre più
lontana. Non posso farci niente. Quando la vedo che si nasconde dietro
ai suoi
capelli, mi chiedo sempre cosa la faccia stare male. Vorrei avere un
modo per
dirle tutto questo. Eppure, ogni cosa che faccia, sembra che io stia
sbagliando. Sto sbagliando, Ash? Sono un ragazzo così
orribile da non saper
dimostrare alla ragazza che ama con tutto sé stesso quanto
lei sia importante?”
La registrazione
si interruppe e io
sentii le lacrime premere ancora una volta per uscire. “Ora
capisci quello che
intendo?” mi chiese Ashton. Io annuii piano. “Dai,
vai di sotto. Chiedigli scusa
da parte mia e non dirgli che ho questa registrazione. Perderei
l’effetto
sorpresa, dato che dopo le prime due notti ho registrato tutti i suoi
monologhi.” Io ridacchiai fra le lacrime e abbracciai Ashton.
Lui ricambiò e: “Accidenti,
si sono invertiti i ruoli.”
“Già.”
“Quindi
posso prenderti a schiaffi
come hai fatto con me??”
“Provaci,
giuro che ti eviro.”
“D’accordo
scherzavo” fece lui con
fare angelico. Ridacchiai e lui mi stampò un bacio sulla
fronte. “Piccola Coco,
la gente si comporta da stupida quando è innamorata. Io per
primo sto facendo
lo stupido, per non dire qualcos’altro. ma, come hai detto
tu, ci vorrebbe
poco. Nel tuo caso, solo una ventina di scalini.” Io sorrisi
piano e gli diedi
un bacio sulla guancia. “Che ci fai ancora qui?! Ti
muovi?!” fece lui. Io
annuii e lo ringraziai, prima di uscire dalla camera.
Feci di corsa
gli scalini, ma mi
fermai quando vidi la figura di Luke in cucina. Aguzzai la vista e
notai che
aveva gli auricolari nelle orecchie. Stava cantando. Mi feci piccola
piccola
contro il muro per capire cosa stesse canticchiando senza essere notata.
I see you standing here, but you're
so far away
Starving for your attention, you
don't even know my name
You're going through so much, but I
know that I could be the one to hold you
Every single day I find it hard to
say I could be yours alone
You will see someday That all along
the way I was yours to hold
I was yours to hold
I see you walking by, your hair
always hiding your face
I wonder why you've been hurting, I
wish I had some way to say
You're going through so much, don't
you know that I could be the one to hold you?
Every single day I find it hard to
say I could be yours alone
You will see someday that all along
the way I was yours to hold
I was yours to hold
I'm stretching but you're just out of
reach
You should know, I'm ready when
you're ready for me
And I'm waiting for the right time for
the day I catch your eye
To let you know that I'm yours to
hold
Every single day I find it hard to
say I could be yours alone
You will see someday that all along
the way I was yours to hold
I was yours to hold
Every single day I find it hard to
say I could be yours alone
You will see someday that all along
the way I was yours to hold
I was yours to hold
I'm stretching but you're just out of
reach
I'm ready when you're ready for me…
Sentii le
lacrime salire di nuovo. Yours to hold,
una delle canzoni più
dolci e tristi che conoscessi. Quelle parole rappresentavano tutto
quello che
Luke voleva dire? Ero davvero così concentrata sul mio
dolore da non
accorgermi del suo?
Senza dire
nulla, corsi giù dagli
ultimi scalini e lo raggiunsi in cucina. Prima che lui potesse
accorgersi della
mia presenza, lo abbracciai. Lui sussultò prima di capire
che ero io e
circondarmi con le braccia. “Piccola, mi hai
spaventato” sussurrò. Io trattenni
le lacrime. “Ti amo, Luke.”
“Anche
io, piccola, anche io.”
Rimanemmo
così per un tempo che mi
sembrò infinito, mentre sentivo dagli auricolari che erano
caduti la canzone
che finiva.
I’m ready when you’re ready
for me…
*Angolo Autrice*
No, ok, ragazzi.
Vi prego, ditemelo
se c’è qualcosa che non vi piace. Vi prego. Non
recensisce mai nessuno (a parte
la mia splendida Miss One Direction)… Sapete, è
frustrante, perché comunque la
storia è anche abbastanza seguita (per me è un
record). Questa è la storia in
cui mi sto buttando anima e corpo, per me è importante,
è nata come uno scherzo
ma è importantissima, ora. E mi dispiace vedere che non
piace, o comunque non
abbastanza da lasciarmi due parole. È frustrante, deprimente
e mi viene in
mente che forse devo smetterla, anche di andare avanti,
perché tanto non mi
caga nessuno.
No. Che sto
dicendo. Non
abbandonerei mai questi personaggi. Sono troppo importanti per me. E
anche se
non andassi avanti per me, andrei avanti per le uniche due persone a
cui piace
questa storia. Le due persone che sanno già come
andrà a finire, quanto manca,
cosa ci sarà dopo.
Scrivo
così male da non poter
ricevere due parole in croce? Davvero? Ditemelo, perché io
non so più cosa
fare. Ditemi che mi devo ritirare. Perché stare in silenzio
è peggio.
Vi prego.
Detto questo,
grazie a chi è
arrivato fino a qui, se ci è arrivato qualcuno.
Alla
prossima… tanto, non durerà
ancora così tanto, credo…
Ranya
E, PS: grazie
mille, Miss One
Direction, per esserci sempre. <3 E grazie anche a Giorgia, che
però non
leggerà mai questo spazio autrice, perché le
invierò il capitolo per email,
dato che non ha modo di leggere
qui su
EFP. Maa, grazie comunque. <3
|
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Capitolo 30 *** forgiven ***
Forgiven.
Eravamo sul
letto, abbracciati. Erano circa le
tre e avevamo finito da poco di mangiare. Durante il pranzo c'era stato
un
silenzio di tomba, con Hellen che mi guardava assassina, io che tenevo
lo
sguardo sul mio piatto per non risponderle, Luke che fissava il suo
perché era
ancora imbarazzato per lo "spettacolo" che avevamo dato prima, Ashton
in camera sua e Calum, Michael e Diana che non capivano niente, ma
preferivano
rimanere zitti.
Non era previsto
che rimanessi con i ragazzi, ma
avevo mandato un messaggio a Manuela, in cui le avevo scritto quello
che era
successo, e lei mi aveva bandita da casa fino alle quattro di
pomeriggio. Così,
ero rimasta con Luke. Ci eravamo sdraiati sul suo letto e lui mi aveva
circondato
la vita con le braccia, affondando il viso nel mio collo, come se
avesse paura
che io potessi scappare. Sentii una morsa alla bocca dello stomaco nel
pensare
a quell'eventualità.
"Coco?"
"Sì?"
"... Niente."
Io trattenni un
sospiro. Dovevamo parlare, era
ovvio, ma in quel momento non riuscivo a dire niente. Mi limitai ad
accoccolarmi contro il suo petto, cercando di dimenticarmi del mondo
attorno a
noi. Luke tirò la coperta sopra di noi e mi diede un bacio
sulla tempia, a fior
di labbra, prima di tornare ad abbracciarmi piano. Io sentii gli occhi
chiudersi, mentre lui mi carezzava delicatamente i capelli e passava le
dita
sulla nuca. Quei gesti mi facevano rilassare in una maniera incredibile
e lui
lo sapeva. Così, mentre io scivolavo piano nel sonno, lui mi
sussurrò: "Ti
amo, cucciola."
Non so
perché, ma in quel momento
sembrava tutto così precario che una morsa allo stomaco mi
accompagnò tutto il
tempo.
Quando mi
svegliai, erano le
quattro e mezza. Trasalii nel rendermi conto che sarei dovuta essere a
casa da
mezz’ora. Luke era ancora di fianco a me ed era sveglio.
Stava leggendo Look into
my eyes. Quando vide che ero sveglia, chiuse il libro e lo
posò sul
comodino. “Va tutto bene, Coco?” mi chiese. Io feci
una faccia stranita, ma
risposi che stavo bene, per poi chiedergli il motivo. “Mentre
dormivi, stavi
piangendo” fece lui. Io rimasi sconcertata. Mi capitava
spesso, ma non mi era
mai piaciuto che qualcuno lo notasse. “Niente, a volte mi
capita senza motivo”
mi giustificai. Lui si mordicchiò il labbro e
tornò a guardare le coperte fra
di noi. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi mi alzai.
“Devo andare a
casa, le ragazze mi aspettano” feci. Lui annuì.
“Ah, prima Ashton è venuto a
cercarti, ma ha visto che stavi dormendo, quindi ti ha lasciato stare.
Mi ha
detto di avvertirti di passare un attimo da lui, dopo, questione di due
minuti”
mi disse. Io annuii. “Arrivo subito” feci, uscendo
da camera sua e dirigendomi
verso quella di Ashton. Bussai piano e aprii. Lui era davanti alla
finestra,
guardava fuori, mi dava le spalle. Di fianco a lui, il suo cellulare,
aperto su
una chat di whatsapp. Mi avvicinai e vidi che era con Carol.
Speranzosa, lo
presi in mano e diedi un’occhiata ai messaggi, ma rimasi
delusa: l’ultimo
risaliva a prima del litigio. Sospirai. “Ash, volevi
parlarmi?” chiesi. Lui si
voltò verso di me e notai che aveva ancora le guance rigate
di lacrime. “Cosa
devo fare, Coco?” mi chiese con voce rotta. Io gli porsi il
cellulare,
guardandolo eloquente. “Non posso.”
“Sì
che puoi!”
“Coralie,
non accetterebbe mai un
messaggio.”
“Bene,
io sto tornando a casa.
Vieni con me.”
“Non…
non ci riesco.”
“Perché
no?!”
“Ho
paura, Coralie, ho paura! Come
fai a non arrivarci?! Sono terrorizzato!”
“E da
quando in qua la paura ha
così effetto su di te?!”
“Quando
c’entra lei, ho sempre un
po’ di paura.”
“Hai
paura di lei?”
“No.”
“E di
cosa, allora?!”
“Ho
paura di deluderla. Avevo,
anzi, paura di deluderla. Ora ho paura di farlo di nuovo.” Io
rimasi in
silenzio. Non avevo una risposta pronta. Lui sospirò.
“Volevo chiederti solo
perché mi hai inviato The last
night.”
“Dovrai
capirlo da solo.”
“E se
non volessi?”
“Saresti
più vigliacco di quanto io
abbia mai immaginato” feci fra i denti. Lui mi
fissò. “Non sono vigliacco.”
“Disse
il ragazzo che per paura non
si muoveva dalla sua stanza.” Lui si morse
l’interno della guancia. “Parla la
ragazza che non sa dire le cose in faccia” fece poi. Io lo
fissai con sguardo
di fuoco. “Non serve a nulla guardarmi così.
Diciamoci la verità: in due,
abbiamo meno coraggio di un passerotto. Non siamo proprio fatti per
dirci che
dovremmo aver coraggio.”
“Non
mi piace seguire il mio
copione.”
“Lo
so.”
Rimanemmo in
silenzio qualche
secondo, poi: “Devo andare. Spero che un giorno tu riesca a
capire che il danno
maggiore lo fai standotene qui” feci. Lui non mi rispose e io
girai i tacchi,
uscendo dalla stanza.
Tornai da Luke e
lo trovai sul
bordo del letto, che teneva in mano un foglio di carta verde.
“Cos’è?” chiesi.
“Un invito. Una festa in maschera. Il tema è a
scelta fra questi” fece,
indicandomi un elenco. Io scorsi piano la lista e inarcai un
sopracciglio.
“Beh, diciamo che è una cosa abbastanza
stravagante” feci. “Già.
L’unico
obbligo sono le ragazze in lungo.” Io sgranai gli occhi con
un'espressione
estasiata. Lui mi guardò e sorrise intenerito. "Chi ti ha
invitato?"
chiesi. "Un mio vecchio amico del liceo. Ci sentiamo qualche volta.
È
ricco sfondato, ma non è diventato presuntuoso. Gli piace
dare queste feste in
maschera. Ci sono andato solo una volta, ed era una cosa molto
maestosa, simile
alle feste antiche, di quelle che vedi nei film storici. Sono
affascinanti. Non
ci sono più andato."
"Perché?"
"Non avevo una
dama." Mi
guardò con un piccolo sorriso e io ricambiai. Lui si
alzò, solo per cadere in
ginocchio davanti a me. Mi prese la mano e mi guardò con un
sorriso divertito e
imbarazzato allo stesso tempo. "Coralie Alyssa Lemaire, potrei avere
l'onore di accompagnarti a questa festa antiquata come tuo cavaliere?"
mi
chiese. Io ridacchiai e mi abbassai, fino a raggiungere la sua altezza.
Gli
presi il viso fra le mani e lo baciai piano, dimenticando per un attimo
tutti i
miei pensieri. Lui mise le mani sui miei fianchi e ci alzammo. Mi
sollevò e io
mi aggrappai a koala a lui. Ridacchiammo e Luke ci fece sedere sul
letto,
continuando a baciarmi. "Mi mancavano questi momenti"
sussurrò piano.
Io sentii una morsa allo stomaco a queste parole. "Anche a me" dissi
solo.
Quando uscimmo
dalla stanza, vidi
che anche Ashton era appena sbucato da camera sua. I nostri sguardi si
incrociarono e, sospirando, mi voltai, pronta a scendere le scale. Luke
ci
guardò confuso, ma non disse nulla, si limitò a
seguirmi. “No, Coralie,
aspetta” fece Ashton dietro di me. Io mi fermai e Luke mi
rivolse un’occhiata
spaesata. “Luke, posso parlarle un attimo da solo?”
chiese Ashton. Luke annuì e
scese le scale in fretta. “Coco…”
Io non dissi
nulla, non mi voltai
nemmeno. Non feci altro che chiudere gli occhi, sospirando.
“So che sei
arrabbiata con me.”
“Non
dovrei esserlo?”
“No,
fai bene.”
“E
quindi mi hai fermato per dirmi
che…?”
“Mi
dispiace.”
Io mi voltai
verso di lui e lo vidi
appoggiato contro il muro. Respirava pianissimo e le sue labbra
tremavano,
quasi stesse cercando di non piangere. “Mi… mi
dispiace. Sono un casino. Non
faccio altro che allontanare le persone a cui tengo di più.
Non lo faccio
apposta. È come se… mi volessi punire per aver
fatto del male Carol. Come se
allontanandovi tutti, stando solo, potessi scontare una qualche specie
di pena
che mi sono assegnato. Credi che se non avessi questa strana forma di
odio per
me stesso me ne starei ancora qui? La verità è
che mi odio così tanto, in
questo momento, che mi viene naturale pensare che anche Carol mi odi.
Che anche
tu mi odi. Perché è più facile odiare.
E in questo momento, mi sto odiando in
una maniera indicibile, perché sono riuscito a far scappare
prima la persona
che amo più di qualsiasi altra cosa, e ora anche la mia
migliore amica, quella
che c’è sempre stata per me, anche quando non lo
meritavo. Quella che non ha
paura di prendermi a schiaffi se crede che possa farmi bene, e che ora,
quando
avrebbe mille motivi per andarsene, è qui ad ascoltarmi, e
magari starà già
pensando a cosa dire. Lo so che sono stato una persona davvero pessima,
prima,
quando ti ho detto quelle cose, quando ti ho rivoltato contro la storia
di
Matt, o quando ti ho incolpato del tuo stesso silenzio. Non volevo, mi
dispiace. Divento una persona orribile quando ho paura. E in questo
momento ho
paura, paura da morire. Nonostante stia facendo di tutto per tenervi
lontani da
me, ho paura che voi lo facciate veramente. Non ha senso, lo so. Vi sto
allontanando ma ho paura che voi possiate andarvene davvero. Forse sono
pazzo,
o forse l’unica cosa di cui ho bisogno, quando mi dico che
voglio stare solo, è
qualcuno che mi dica che non è vero, che non cerco la
solitudine. Cerco solo
qualcuno che mi possa salvare da me stesso. Perché qui, il
mostro più grande, è
nella mia testa, e mi dice cose orribili ogni giorno. Mi ricorda
continuamente
cosa vi ho fatto e mi dice che farei meglio a lasciarvi andare, prima
di farvi
ancora male. Quello di cui ho bisogno, però, è
qualcuno che mi insegni a
eliminare questo mostro. Ho bisogno di persone come Carol nella mia
vita. Ho
bisogno di persone come Carol, Luke, e te. Siete voi che tenete lontano
il mio mostro.
Siete voi che mi fate stare bene. E mi dispiace di averlo capito solo
ora, che
rischio di perdervi tutti.”
Mentre parlava,
grandi lacrime
avevano iniziato a bagnargli le guance. Si tratteneva dal singhiozzare
solo per
farsi capire, ma quando finì, si lasciò andare.
Provò ad asciugarsi il viso
mentre veniva scosso dai singulti. Io mi avvicinai a lui piano, fino ad
arrivare di fronte a lui. Lui tirò su col naso.
“Vuoi darmi un altro schiaffo?”
chiese, guardandomi con sguardo quasi rassegnato. Io scossi la testa e
lui
sembrò confuso. “Non… non voglio darti
uno schiaffo” feci con voce rotta. “Però
me lo meriterei” disse lui. Io scossi la testa, mentre i miei
occhi
pizzicavano. “E allora, cosa…”
Lo interruppi,
prima di
abbracciarlo più forte che potevo. Lui emise un gemito
sorpreso nel vedere
l’irruenza del mio gesto. Sembrò quasi non
crederci, tanto che rimase immobile
qualche secondo, come a capire cosa stesse succedendo. Poi
ricambiò
l’abbraccio, stringendomi fino a farmi male, ma non mi
importava.
In quel momento
non riuscivo a
vedere l’Ashton forte, divertente, sempre con un sorriso
sulle labbra e una
risata contagiosa. Non avevo davanti a me l’Ashton che
avrebbe potuto
stritolarmi se avesse stretto ancora un po’.
In quel momento,
vedevo solo
l’Ashton che piangeva nella curva del mio collo.
L’Ashton fragile, indifeso,
che sembrava un passerotto spaventato, che tremava nel mio abbraccio e
singhiozzava. L’Ashton che con le parole di poco prima
sembrava implorare
aiuto.
“Mi
dispiace, Coco, scusami.”
“Va
tutto bene.”
“No,
non va…”
“Shh.”
Rimanemmo
così per un po’, fino a
quando non ci calmammo entrambi. “Ash, prima ero arrabbiata,
per questo non
avevo voglia di parlarti. Ma sappi una cosa: non mi perderai
così in fretta.
Non ti liberi tanto facilmente di una come me” dissi. Lui
fece un mezzo sorriso
e mi diede un bacio sulla guancia. “Grazie” disse
solo. Io gli sorrisi piano e
annuii, come a sancire quelle parole.
“Ora
devo andare. Le ragazze mi
aspettano. Ci vediamo stasera?”
“Vieni
da noi?”
“No,
vieni tu da noi.”
“Coco…”
“Ash,
l’hai detto tu stesso che
Carol ti fa stare bene.”
“E ho
detto anche che ho troppa
paura che mi odi.”
“A
questo penso io.”
“Non
verrò, lo sai.”
Io sospirai.
“Non posso
costringerti” dissi solo, prima di salutarlo e scendere le
scale. Lui mi seguì
con lo sguardo fino a che non girai l’angolo.
“Tutto
bene?” mi chiese Luke appena
mi vide. Era seduto sul divano e giocava alla playstation con Michael.
Io
annuii, prima di ripensarci e correggermi: “Più o
meno.” Lui annuì una volta
sola, prima di prendermi per un polso e tirarmi piano fino a che non
fui seduta
di fianco a lui. “Luke, sono in ritardo” dissi
solo. “Oh, aspetta un momento.
Mi manca poco e ho stracciato il tuo ragazzo 11-8” fece
Michael, concentrato
sullo schermo. Ridacchiai prima di vederlo esultare. “Ho
vinto!” esclamò
scattando in piedi e correndo intorno al divano, urlando come un matto.
Io e
Luke lo guardammo, straniti e divertiti, prima che Luke lo prendesse al
volo
per la maglietta e lo facesse cadere sul divano. Michael
mugugnò una protesta,
prima di sedersi di nuovo. “Ora puoi andare” mi
disse poi, prendendo di nuovo
il telecomando. “D’accordo, grazie, capo”
esclamai, facendo il saluto militare e
avvicinandomi alla porta. Luke mi seguì, abbandonando
Michael da solo. “Ehi, e
io chi sono?!” esclamò contrariato.
“Arrivo subito” lo rassicurò Luke.
Arrivammo
nel corridoio davanti alla porta e lui mi prese per i fianchi,
facendomi
aderire al muro con la solita delicatezza che lo contraddistingueva.
Prima che
io potessi dire qualcosa, premette le labbra sulle mie, disegnando
piccoli
cerchi con le dita sui miei fianchi.
“Quand’è che avremo un po’ di
tempo per
parlare?” mi chiese. “Non lo so. Spero
presto.”
“Prima
dobbiamo risolvere la
questione di Ash e Carol, vero?”
“Sarebbe
meglio.”
“D’accordo.”
“Tranquillo.
Oggi io e le ragazze
daremo la stoccata finale. Se non basterà nemmeno quella, ci
arrenderemo
all’evidenza che serve ancora un po’ di
tempo.”
“Cosa
volete fare?”
“Sarà
una sorpresa, ma dopo ti
scrivo, serve un aiuto da parte vostra.”
“D’accordo.”
Mi diede ancora un
piccolo bacio, prima di lasciarmi andare. Mi infilai le scarpe e,
quando mi
rialzai, lui mi diede un bacio leggero sul segno rosso che mi aveva
lasciato la
mattina. Io sorrisi e gliene stampai uno sulle labbra. “Ciao
Lukey” feci,
uscendo. “Ciao, piccola.”
Arrivai a casa
verso le cinque.
Quando entrai in casa, sentii un forte odore di caffè
accogliermi. “Ragazze,
quanto ne avete fatto??” chiesi storcendo il naso. Non mi era
mai piaciuto.
“Senti, siamo in piedi da un po’, ne avevamo
bisogno” fece Madison guardandomi
con gli occhi a mezz’asta. “Hai sonno,
Maddy?”
“No.
Ti pare? Sono solo alla quinta
tazza.”
“Sono
in ritardo?”
“Quinta
tazza, dico solo questo.
Dovevamo darci il cambio un’ora fa.”
“Maddy,
lasciala in pace! Anche lei
sta passando un brutto periodo con Luke!” ci interruppe
Manuela. Madison mi
guardò come a valutare le parole dell’altra, poi
alzò gli occhi al cielo.
“D’accordo, però ora vieni”
disse. “A che punto siete arrivate?” chiesi,
togliendomi la giacca. “Non siamo nemmeno a metà
e… aiuto, non sta venendo come
speravamo.”
“Maddy,
vai a sdraiarti, ora ci
pensiamo noi” dissi, osservando come Madison stesse dormendo
in piedi. Manuela,
al contrario, era sveglissima. Madison ci ringraziò e
andò al piano di sopra.
Manuela voltò il computer verso di me e mi passò
gli auricolari. “Siamo
arrivati a questo punto, nel video. Idee?” mi chiese. Io
annuii. “Carol dorme?”
“Dovrebbe.”
“Allora
dammi un attimo, arrivo
subito.”
Manuela
annuì e io sgattaiolai al
piano di sopra, in camera di Carol. La trovai stesa sul letto, caduta
in un
sonno leggero, esausto. Presi il suo cellulare dal comodino senza far
rumore e
corsi via. Quando raggiunsi la mia migliore amica, lei mi
guardò confusa.
“Carol mi odierà” dissi, sbloccando il
suo telefono e cercando nella galleria,
mentre collegavo il cellulare al computer. “Intanto, prendi
due fogli. E mi
servono due loro foto” dissi.
Lavorammo
un’ora intera, ma ne valse
la pena. Manuela corse a chiamare Madison e le fece vedere il video.
“Ragazze,
se fosse successo fra me e Cal, vi giuro che adesso sarei
già da lui, in
ginocchio, a chiedere il suo perdono” disse. Noi
ridacchiammo. “L’idea è
quella.”
“Con
me e Cal?”
“No,
scema, con Carol e Ash.”
“Ah,
ok.”
“Buongiorno,
Maddy.”
“Ehi,
sono ancora mezza
addormentata.”
“Si
nota.”
Ridemmo e io
riportai il cellulare
di Carol in camera sua, mentre Manuela scaricava il video sui nostri
cellulari.
Quando tornai al piano di sotto, chiamai Luke.
“Pronto?”
“Luke,
è pronta la sorpresa. È un
video. Adesso lo invieremo sia a Carol che Ash, puoi assicurarti che
Ashton lo
veda esattamente alle sette?”
“D’accordo,
piccola, nessun
problema.”
“Grazie,
sei la nostra salvezza.”
Lui
ridacchiò. “Lo inviate anche a
me?” mi chiese poi. Io assentii e lo salutai. Quando mise
giù, gli inviai il
video, aspettando una sua risposta, che arrivò quattro
minuti dopo: “Ragazze…
voi siete pazze.”
“È
così brutto?”
“Al
contrario, è bellissimo.”
“Secondo
te funzionerà?”
“Se
non funziona porto io Ash da
voi, a calci.”
“E noi
ti raggiungiamo a metà
strada con Carol.”
“Andata!”
“Quindi,
ci sentiamo dopo?”
“Certo
amore <3”
“Ricordati
che lo deve vedere alle
sette! Impediscigli di vederlo prima!”
“D’accordo!”
“Ti
amo.”
“Anche
io.”
Abbandonai il
telefono con un
sorriso sulle labbra. “Hai finito? Abbiamo solo tre quarti
d’ora per far sì che
Carol non ci uccida quando le chiederemo di vedere il video”
disse Manuela. Io
sospirai e lo inviai anche ad Ashton e Carol. “Inizia il
secondo passo della
missione” dissi.
Arrivammo in
camera di Carol giusto
per vederla prendere il telefono. Io la fermai appena in tempo.
“Stai ferma,
quel messaggio dovrai vederlo fra un po’.”
“Cosa
stai dicendo?” mi chiese
Carol confusa. “Tranquilla, abbiamo pianificato tutto quanto.
Fidati di noi.”
“Mi
state confondendo ancora di
più.”
“Forse
non devi capire ora.”
“Mi
fate paura.” Io, Manuela e
Madison ridacchiammo e ci sedemmo sul suo letto. “Mi sento
invasa, siete
troppe, non sono più abituata a vedervi in massa”
fece lei, ritirandosi in un
angolino. “Se vuoi ce ne andiamo, eh?”
“Non
intendevo questo.”
“Lo
sappiamo bene” gongolò Manuela.
Vidi che Carol si copriva il braccio e sentii una stretta allo stomaco.
Mi
voltai verso Maddy e Manu e le guardai implorante. “Non mi
odiate se vi chiedo
di lasciarci sole un attimo, vero?” chiesi. Loro sbuffarono
prima di andarsene.
“Scusatemi! È una cosa privata!” urlai
dietro di loro.
Quando non
ottenni risposte, mi
voltai verso Carol. Aveva un timido sorriso sulle labbra e guardava la
porta.
“Carol?”
“Sì?”
“Come
stai?”
Lei si
rabbuiò subito. “Come vuoi
che stia?” chiese. “Non lo so, me lo devi dire
tu.”
“Coralie,
mi sono svegliata e ho
visto tre dannatissimi tagli sul braccio. Pensavo fosse tutto un sogno,
invece
è vero. È una settimana che sto male. E tu mi
chiedi come sto?”
“Io ci
ho provato.”
Lei
sospirò. Poi esitò e: “Lui…
come sta?” mi chiese. Io la guardai negli occhi.
“È la stessa cosa che mi ha
chiesto subito lui, sai?”
“Ok.”
“Comunque,
anche lui è nelle tue
condizioni.”
Lei
sospirò guardandosi le mani.
“Sai, forse dovrei finirlo” mi disse, indicandosi
il braccio. “Non ci pensare
nemmeno.”
“Così
sono solo tre graffi.”
“Perché
vuoi farti del male?”
“Perché
è un male che ha
significato.”
“Quale
significato può avere?”
“Coralie,
è il loro simbolo. Il suo.”
“Proprio
per questo non vorrebbe
mai che fosse usato così.”
Lei
sbuffò sconsolata e io mi
alzai. Presi un pennarello dalla sua scrivania e glielo porsi.
“Se proprio vuoi
finirlo” dissi. Lei ridacchiò mesta. “Tu
sei matta” fece, prendendo il
pennarello e togliendo il tappo coi denti. Completò il
disegno, prima di passarmi
di nuovo il pennarello.
“Gli
hai detto di questi?” mi
chiese poi. “No. Gli ho lasciato un indizio, ma poi ci siamo
persi a litigare e
non l’ha più colto.”
“Avete
litigato?!”
“Fa
bene qualche volta.”
“Ma…
avete risolto?”
“Sì.”
“Sono
l’unica che non saprebbe da
dove iniziare?”
“Allora
lascia che inizi lui.” Lei
mi guardò, aveva le lacrime agli occhi. “Non
inizierebbe mai.”
“Invece
sì.”
“Coco,
l’ho deluso. Tu non eri lì
mentre litigavamo. Non hai visto come mi guardava.”
“E tu
non hai visto come guardava
me mentre parlava di te.”
“Parla
di me?”
“Praticamente
ogni cosa che dice è
riferita a te.”
“Praticamente?”
“Già,
abbiamo parlato anche di
altre cose.”
“Ad
esempio?”
“Di
quanto lui non sopporti
Hellen.”
Carol
scoppiò a ridere. “Scherzi,
vero?!”
“No.
Dopo che ha salvato me e Luke
dalle sue grinfie, credo abbia cambiato parere su di lei.”
“Incredibile.”
“E…
abbiamo parlato anche di Matt.”
Lei mi
guardò intimorita. “Coco…
Scusa, lo so che non dovevo dirlo a nessuno, ma…”
“Va
tutto bene. Ne è venuta fuori
una gran bella discussione.”
“Mi
dispiace.”
“Non
preoccuparti.”
Rimanemmo in
silenzio a lungo,
mentre io sbirciavo l’orologio. Ancora trentacinque minuti.
Dovevo
temporeggiare, non sapevo più che dire. “Hai
fame?” chiesi. Lei esitò, prima di
annuire. “Ti porto qualcosa da mangiare” mi offrii
subito, prendendole il
cellulare. “Ehi, quello lascialo lì!”
fece. “Lo useresti per contattare Ash?”
“Coralie!”
“Perfetto,
allora me lo tengo.”
Carol
sbuffò, mentre io uscivo
dalla camera. Andai al piano di sotto e cercai di perdere un
po’ di tempo,
mentre le prendevo un qualche affettato dal frigo. Avevo abbastanza
tempo per
permettermi di fare con calma, ma non ne avevo abbastanza per
prepararle una
cena vera. Madison e Manuela erano al tavolo e giocavano a carte.
“Capo,
possiamo venire al piano di sopra, o siamo bandite dalla sua camera a
vita?
Ricordati che l’idea del video è stata nostra, e
che siamo anche noi sue
amiche!” fece Madison. Io sbuffai divertita.
“Scusatemi, ma dovevamo parlare di
una cosa che mi aveva pregato di non dire a nessuno.”
“Ora
avete finito?”
“Sì.”
“A
posto!” esclamò Manuela,
alzandosi di scatto. Madison la seguì e corsero in camera di
Carol, mentre io
le raggiungevo con calma per non rovesciare il vassoio.
In qualche modo,
riuscimmo a intrattenerla.
Io continuavo a lanciare occhiate inquiete all’orologio. Il
tempo sembrava non
passare mai.
Finalmente,
arrivò l’ora che
stavamo aspettando tutte e tre con così tanta trepidazione.
Io guardai
l'orologio un'ultima volta, prima di sorridere. Carol sembrava confusa.
"Perché continui a guardare l'ora?" mi chiese.
"Perché sono le
sei e cinquantanove minuti" feci. "E quindi?"
"E quindi, ora
mettiamo da
parte il nostro discorso" risposi, dandole il cellulare. Lei
aprì
whatsapp, ancora più confusa, mentre Manuela, Madison
gongolavamo.
"Cos'è?" mi chiese Carol. "Tu guardalo, ne parliamo dopo"
le rispose Manuela.
Carol fece
partire il video e le
note di Forgiven si diffusero nella stanza. Dal nero del video, emerse
la
figura di Manuela, su sfondo azzurro tenue. Aveva una maschera
chiaramente
artigianale: il viso di Ashton, ritagliato da una foto, assicurata al
viso di
lei con un elastico. Aveva dei cartelli in mano. Il primo era bianco.
Carol ci
guardò con gli occhi strabuzzati. "Ragazze, ma che cavolo
è?"
"Zitta e guarda!"
Lo schermo si
restrinse e affianco
a lei apparve un'altra schermata, con la mia immagine. Anche io avevo
una
maschera, ma di Carol, ed era su sfondo lilla. Carol sembrava troppo
confusa
per dire qualcosa. Avevamo girato quelle riprese appena Madison era
andata a
dormire, seguendo il suggerimento di Avril.
Manuela,
nel video, girò il primo cartello, svelando una scritta blu.
Io feci lo stesso, un secondo dopo, con le scritte rosse.
Continuarono a
girare i cartelli.
"Ciao!
Mi chiamo Ashton Fletcher Irwin."
"Ciao! Io sono
Carol Annabeth Lemaire!"
"Ho
vent'anni."
"Io quasi
diciotto."
"E
condividiamo una bellissima..."
"... Storia
d'amore."
"Non
sappiamo come ci siamo conosciuti..."
"…Non
lo abbiamo detto a nessuno..."
"Forse
l'ho incontrata in un bar!"
"O forse mi ha
beccata mentre stalkeravo Luke per conto di
Coralie!"
"Fatto
sta che quando ci siamo conosciuti..."
".... Deve
essere stato amore a prima vista."
"O
forse no."
"Chi lo sa?"
Manuela
e io mettemmo giù i cartelli e lo schermo si
oscurò. La musica,
che fino a quel momento era stata flebile, invase di nuovo la stanza,
mentre
sullo schermo appariva un video nuovo. Era Ashton che teneva di fronte
a sé il
cellulare e teneva abbracciata Carol. Ridevano, lei si nascondeva nel
suo
collo, mentre lui cercava di farle una foto. "Dai, piccola, una
sola!"
"No,
ti prego! Non mi piacciono le foto!"
"Ma
se sei bellissima?!"
Il
video si oscurò di nuovo e tornarono i cartelli.
"Sapete,
abbiamo sempre avuto una storia particolare."
"Ashton si
diverte a prendermi in giro..."
"...
E lei fa sempre l'offesa, così mi devo far perdonare in ogni
modo..."
"... E la
maggior parte delle volte ce la fa."
Un
nuovo video: stavolta, era Carol a tenere il telefono, mentre Ashton
era
nel letto, sotto le coperte. "Amore, ti svegli???
"È
presto, piccola..."
"Ma
io ho fame."
Ashton
si alzò di scatto e la prese, facendola cadere sul letto,
mentre
Carol urlava divertita. Ashton iniziò a farle il solletico.
Il video era
confuso: Carol si dimenava e con lei il cellulare. Il video si
oscurò su
un'ultima scena: loro due che si baciavano.
Dopo
di quello, un sacco di altre foto: loro due insieme al parco, Ashton
vestito da supereroe che la prendeva in braccio, loro che si baciavano
nel
letto...
Di
nuovo i cartelli.
"Di
solito basta un bacio per tranquillizzarla..."
"... Ma..."
"…
L'ultima volta è stata peggiore."
"Già."
"L'ho
accusata di odiare senza motivo una ragazza."
"E io l'ho
accusato di non capire."
"Abbiamo
pensato solo a urlarci contro..."
"... E non
abbiamo ascoltato le nostre ragioni."
"Per
una settimana siamo rimasti in camera nostra..."
"... Troppo
impauriti e orgogliosi per parlarci."
"Ora,
la mia canzone è Sad song..."
"... E la mia
è The last night."
Altre
foto. L'ultima risaliva al concerto: loro due dietro la batteria,
che si baciavano.
"La
verità è che abbiamo troppa paura..."
"… Di
sbagliare di nuovo."
"Io
ho paura di deluderla ancora."
"Anche io. E ho
paura di vedermi rifiutata."
"Anche
io."
Un
nuovo video. Stavolta, risaliva alla festa di Luke, dove loro avevano
improvvisato uno spettacolino di cinque minuti scarsi. Ashton era in
ginocchio
e lei in piedi su una sedia.
"Oh, Carol, Carol, perché sei tu Carol?"
"Scemo,
era la mia battuta!"
"Ma
è l'unica che conosco!"
Carol
scoppiò a ridere, prima di schiarirsi la voce. "Oh, Ashton,
Ashton, perché sei tu Ashton?"
"Preferivi
qualcun altro?" fece Ashton alzandosi in piedi.
"Non pensarci nemmeno, che il mio principe sei tu, e nessun altro"
disse Carol, prima di abbassarsi al suo livello e baciandolo.
Di nuovo i cartelli.
"E
il bello è che siamo così bacati..."
"... Da non
capire che siamo entrambi nella stessa
condizione..."
"…
E che mancherebbe davvero pochissimo..."
"... Per tornare
come prima."
Un'altra
moltitudine di foto, mentre la canzone finiva.
Ci
fu un attimo di silenzio, poi si sentirono le flebili note di Lego
House.
"Sapete,
abbiamo anche una canzone!"
"Già
una volta ci ha fatti chiarire..."
"...
E ci ha fatti pure conoscere!"
"O forse no."
"E
chi lo sa?"
"Si chiama Lego
House..."
"...
E credo che anche questa volta si possa dire che è la nostra
canzone."
"Perché…”
“…
Dopo tutto quello che abbiamo passato..."
"... E al
pensiero di tutto quello che passeremo..."
In
quel momento, mentre anche la voce di Ed Sheeran cantava quelle parole,
apparve una frase che occupava tutto lo schermo:
I
think I love you better now.
Quando Carol
finì di guardare il
video, si portò una mano alla bocca. Ci guardò
con le lacrime agli occhi.
"Siete state voi a pensare a tutto?" chiese. Noi sorridemmo e annuimmo.
"Ci abbiamo messo una vita" fece Manuela. Lei guardò ancora
una volta
il cellulare. "Vai da lui, su!" esclamai.
"E se questo non
fosse bastato
a convincere anche lui?"
"Ha convinto
te?"
"Certo che lo ha
fatto..."
"Tu eri l'osso
più duro. Dai,
vai da lui. Se non l'avesse convinto il video, lo farai tu."
Lei ci
guardò. "Ho
paura..." fece a bassa voce. Noi sorridemmo e la abbracciammo.
"Andrà
tutto bene. Fidati di noi." Lei ci sorrise e si alzò.
“Grazie” disse solo.
Noi ci aprimmo in sorrisi entusiasti e la catturammo di nuovo in una
stretta da
spezzarle le ossa, prima di ricordarci che doveva fare in fretta.
“Aspettate,
devo fare una cosa!” esclamò prendendo un foglio e
un pennarello. Scrisse
sul foglio, a caratteri cubitali: “Without
you, I feel broken, like I’m half a
whole. Without you, I’ve got no hand to hold. Without you, I
feel torn, like a
sail in a storm. I’m
just a
sad song.”
Piegò il foglio in quattro e se lo mise in tasca.
“Mi
avete dato voi l’idea” fece, sorridendoci.
Si
infilò in fretta le scarpe e una
giacca a caso. Si pettinò alla bell'e meglio e corse
giù dalle scale, inseguita
da noi. "Dove ho messo le chiavi?!" esclamò, frugando nella
sua
borsa. Sembrava che il tempo passasse troppo in fretta, mentre lei
cercava le
chiavi di casa e dell'auto. Le trovò, finalmente, dopo
un’infinità di tempo, e
gettò la borsa a terra. Fece scattare la serratura della
porta di casa, la
aprì... E si bloccò, davanti alla figura di lui.
Ashton aveva il
fiatone, la sua
macchina era parcheggiata di traverso sul vialetto di casa. Si
guardarono per
qualche secondo, poi, contemporaneamente, si gettarono le braccia al
collo.
Noi, da dietro di loro, ci coprimmo la bocca con una mano: non avremmo
mai
creduto che un video creato per iniziare ad appianare i conflitti
potesse
invece risolvere tutto. Carol e Ashton si tennero stretti a lungo,
mentre
qualche singhiozzo scappava loro. Vidi come Ashton affondava la testa
nei
capelli di lei, senza trattenere le lacrime. Come se avesse ritrovato
la sua
cosa più preziosa. "Dio, scusami... Non volevo, sono stato
uno stupido.
Perdonami, ti prego" sussurrò lui. "Ash, io... Mi dispiace.
Davvero,
ho sbagliato, scusami. Scusami se sono stata così cattiva,
scusami... Non so
essere nient'altro che questo..." rispose Carol piangendo. Lui si
separò
dall'abbraccio e la guardò: "Nient'altro che questo?
Guardati, Carol: sei
tutto quello che ho e che abbia mai potuto desiderare. Ti pare poco,
questo?" le chiese mentre una lacrima rotolava giù dal suo
viso.
Il mio cellulare
vibrò fra le mie
mani. Era un messaggio di Luke.
“Coco!
L’ha visto due minuti prima!
È un problema?!”
Io sorrisi e gli
inviai una loro
foto. “Non direi proprio.”
“Sì!
Ha funzionato! Non ci credo!
Aspettateci, stiamo arrivando!”
Io misi da parte
il cellulare e li
guardai di nuovo. Non si erano lasciati andare un secondo. Sembravano
non
crederci nemmeno loro. Manuela ci prese per i polsi e ci
indicò la sala con
un’occhiata. Il messaggio era chiaro: dovevamo lasciarli soli.
***
P.o.v.
Carol
Non riuscivo a
crederci. Dopo una
settimana passata a stare così male ero di nuovo fra le sue
braccia. Erano solo
sette giorni? Sembravano passati secoli. Mi era mancato così
tanto… E io ero
stata così stupida da non capire che tutto il male che
sentivo al cuore non era
dovuto al risentimento e alla paura, ma al senso di vuoto che
c’era senza di
lui.
Non avrei mai
ringraziato
abbastanza le ragazze per quel video. Detto sinceramente, a mio parere
saremmo
andati avanti così ancora un bel po’, se non ci
avessero ricordato ogni cosa.
Le persone si
comportano da stupide
quando sono innamorate, ma sono ancora più stupide quando
soffrono per amore.
Averlo di fronte
a me era un sogno.
Non riuscivo a crederci. Avevo paura di potermi svegliare da un momento
all’altro e rendermi conto che era tutto nella mia mente.
Come avevo desiderato
fare con quei tre tagli.
I tagli, quei
maledetti tagli.
Dovevo
dirglielo, ma non sapevo
come. Non volevo ritrovarmi a litigare con lui perché gli
avevo nascosto una
cosa così.
Fortunatamente,
ci pensò lui.
“Carol… Coralie mi ha inviato The
last
night, dicendomi di arrivare a capire il perché
del suo gesto. Cosa
intendeva? Cosa è successo?” mi chiese. Io esitai,
prima di guardarmi il
braccio. Lui seguì il mio sguardo. Sussurrò fra
sé e sé: “You
come to me with scars on your wrist…”
Mi
guardò perso quando capì e mi
alzò piano la manica. Una lacrima scivolò lungo
il suo viso nel rendersi conto
cosa c’era disegnato. “Non… non ero in
me.”
“Lo
so.”
“Come
fai a saperlo?”
“Coralie
era con me quando Manuela
l’ha chiamata per dirle che eri in crisi. Mi ha chiesto di
venire con lei e… ho
detto di no. Avevo troppa paura di peggiorare la situazione.
È colpa mia se ora
hai tre tagli sul braccio. Sarei potuto venire da te e fermarti, ma ho
preferito starmene in camera mia. Mi dispiace così tanto.
Scusami.” Mentre
diceva quelle parole, altre lacrime raggiunsero la prima, mentre anche
i miei
occhi pizzicavano. Ashton mi prese il polso e lo baciò
piano, mentre il mio
cuore tremava al suo gesto. Lui si frugò in tasca e mi
consegnò un foglio
piegato in quattro. Io lo aprii, mentre il mio battuto accelerava.
D’entro
c’era scritto, con una calligrafia disordinata:
“This is the last night you spend
alone, I’ll wrap you in my arms and I won’t let go.
I’m everything you need me
to be.”
“Carol,
ti prego, perdonami. Non ce la faccio
più a stare senza
di te. Ho sbagliato, sono stato sciocco a trattarti così e
sono stato una
persona orribile quando… ti ho lasciata. Lo so che forse mi
chiuderai la porta
in faccia, ma devo dirtelo. Ti amo. Non ho smesso un attimo. Ero solo
troppo
preso dalla mia crociata come difensore di Diana e Hellen per rendermi
conto di
quanto ti abbia fatta stare male. Ho capito quello che ho fatto solo
dopo che
ti ho vista andare via. Te lo giuro, non mi sono mai sentito peggio in
vita
mia. Ho bisogno di te. Sono rimasto una settimana lontano da te e
già sarei
voluto morire, non riesco a immaginarmi un’intera vita
così. Ti amo troppo per
lasciarti andare e ti amo troppo per sapere che te ne sei andata a
causa mia.
Non so nemmeno come chiederti quello che voglio
dirti…”
Io lo
interruppi, prendendo il mio
foglio e consegnandoglielo. Lui lo lesse con un mezzo sorriso offuscato
da
lacrime, mentre mi scappava un singhiozzo.
“Anche
io ho bisogno di te. Anche
io ti amo troppo per riuscire a vivere in un mondo in cui tu non ci
sei. Mi
dispiace se ci ho messo così tanto a capirlo”
sussurrai solo, non sapendo che altro
dire. Lui si aprì in un altro lieve sorriso timido e mi
posò una mano sulla
guancia, asciugandomi le lacrime e ignorando le sue. Mi
guardò qualche momento
le labbra, poi tornò a guardarmi negli occhi, insicuro.
Sembrava voler chiedere
il permesso.
Io sorrisi
lievemente,
accarezzandogli piano, a mia volta, la guancia, e sentendo il lieve
velo di barba
pungermi le dita. “Posso?” fece lui con un filo di
voce. Io annuii e lui fece
un sorriso incredulo, prima di baciarmi piano, premendo piano le sue
labbra
sulle mie. “Dio, non sai quanto mi sei mancata”
sussurrò prima di far
combaciare di nuovo le nostre labbra. Io sentii le lacrime rigarmi di
nuovo le
guance. “Ash?”
“Sì?”
“Ti
amo.”
Lui mi sorrise,
con gli occhi che
sembravano illuminarsi di gioia. “Anche io, Carol. Anche
io.”
***
p.o.v.
Coralie
Eravamo in sala,
sedute sul divano,
con un sorriso indelebile sulle labbra. Finalmente, sentivo un peso
allontanarsi dal cuore. Mi sentivo leggera e felice, dopo una settimana
di
tensioni continue. Certo, avevo ancora tanti altri problemi da
risolvere, ma
quello era il più importante al momento, ed era andato tutto
bene. Non riuscivo
ancora a credere che Carol e Ashton fossero a pochi metri da noi,
finalmente
insieme.
Il mio cellulare
vibrò ancora e io
lo guardai. Ancora un messaggio di Luke.
“Amore,
Carol e Ash sono uno
spettacolo, ma sono sulla porta. Non abbiamo il cuore di
interromperli… Non è
che ci aprireste la finestra della cucina, per favore?”
Io mi misi a
ridere sommessamente,
facendo leggere il messaggio a Manuela e Madison. Loro si trattennero
dal
ridere per non disturbare i due nel corridoio. Ci alzammo e corremmo in
cucina,
aprendo la finestra. Michael e Calum ci salutarono ed entrarono
silenziosamente. Michael prese subito in braccio Manuela a koala.
“Mi sei
mancata così tanto, piccola cupcake. Questi due non facevano
altro che starsene
appiccicati e io non potevo uscire di casa per stare con
Ash… Non puoi capire
la tortura” disse sulle sue labbra, mentre Manuela rideva
sommessamente. Si baciarono
a lungo, con baci quasi infuocati. Madison e Calum erano in un angolo,
lui le
teneva le mani sui fianchi mentre la baciava piano, dolcemente. Madison
sembrava al settimo cielo.
Io guardai fuori
dalla finestra
giusto per veder Luke che arrivava trafelato. “Scusa, amore,
quei due sono
troppo belli insieme. Mi sono perso. Sono felicissimo” fece
con un sorriso
raggiante, che avrebbe illuminato a giorno la città. Io
sorrisi con lui e mi
sporsi per incontrare le sue labbra. Lui mise le sue mani sulle spalle
per
sorreggermi, ero in bilico. “Sono euforica.”
“Anche
io.”
Ti ho
già detto che ti amo?” feci
con un sorriso. Lo vidi ricambiare, ma non rispose. Semplicemente, mi
baciò di
nuovo.
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Capitolo 31 *** what makes you beautiful ***
What makes you
beautiful
Carol e Ashton
erano in sala, sul divano, ed erano gli unici immobili. Io e Manuela
stavamo
mettendo la tavola davanti ai loro occhi, sul tavolo basso in sala.
Michael e
Luke erano gli addetti alle schifezze, ovvero erano andati al
supermercato per
prendere qualsiasi cosa riuscissero a prendere prima che il negozio
chiudesse.
Madison stava chiamando le pizze e Calum stava parlando al telefono con
Diana
per spiegarle che questa sera non sarebbero tornati a casa. Stavamo per
cenare
da soli, il gruppo originale, per la prima volta da quando Diana era
arrivata
nelle nostre vite. In quelle di tutte, tranne in quella di Luke. Quel
particolare continuava a rimbombare nella mia mente, ma in quel momento
ero
troppo felice per Carol e Ashton per rendermene conto. Appena potevo,
li
guardavo, cercando di non farmi notare per non farli sentire osservati.
Erano sdraiati
sul divano, sotto un plaid leggero, e guardavano uno stupido programma
alla
televisione senza nemmeno prestarci troppa attenzione. Ashton si era
tolto la bandana
che, bene o male, lo accompagnava sempre. Ci misi un po’ a
capire dove fosse
finita, ma quando la vidi annodata al polso di Carol mi sentii
scoppiare il
cuore. Lui teneva un braccio attorno alla sua vita mentre lei era
rannicchiata
contro il suo petto. Avevano le mani intrecciate e Carol continuava a
disegnare
cerchi leggeri con i pollici sul palmo di lui. Ashton ignorava la
televisione:
era ad occhi chiusi, col viso vicinissimo ai capelli di Carol, come se
non
potesse fare a meno di respirare il suo profumo.
Non si erano
lasciati un attimo da quando lui era apparso alla porta. Non avevano
interrotto
il contatto nemmeno un secondo, come se avessero paura di essere divisi
di
nuovo.
Quando
tornarono Michael e Luke, eravamo tutti sul tappeto della sala, per
lasciare il
divano a Carol e Ash. Erano arrivati un minuto dopo le pizze, che in
quel
momento erano impilate sul tavolo. “Grazie di averci
aspettato!” fece subito
Luke, appoggiando sul tavolo il sacchetto che teneva in mano. Michael,
invece,
ebbe bisogno dell’aiuto di Calum per posare le sei bottiglie
di coca-cola. Li
guardammo basiti. “Ragazzi, siamo in otto. Avete preso da
mangiare per venti!”
fece Madison. “Fai prima a contare sette” fece
subito Ashton. Madison alzò un
sopracciglio. “Ash, lo so che ora siete inseparabili e tutto
il resto, ma…”
“Non
intendevo
quello. Intendevo che per una settimana abbiamo mangiato tutti e due
poco e
niente. Se ora ci abbuffassimo, staremmo male.” Madison
arrossì, scusandosi per
la figura che aveva fatto. Ashton ridacchiò e le disse di
stare tranquilla.
Io sorrisi.
Vederli così era bellissimo, mi parevano passati secoli.
Guardai Luke e
vidi che anche lui stava sorridendo intenerito. Io mi portai i capelli
dietro
l’orecchio… prima di sentire l’urlo di
Manuela. Saltammo tutti per lo spavento.
“Cosa succede?!”
“Cosa
hai
dietro all’orecchio?!” fece lei con voce acuta. Io
e Luke sgranammo gli occhi,
mentre Michael e Ashton scoppiavano a ridere. “Non ve ne
eravate ancora
accorte?!” chiese Michael. “Credi che se me fossi
già accorta starei qui a
gridare?!” fece Manuela. “In
effetti…”
“Dimmi
che non
è quello che penso!” esclamò Manuela,
guardando a bocca aperta sia me che Luke,
che eravamo arrossiti. Carol era troppo strabiliata per dire qualcosa,
un po’
come Madison. “Luke. Davvero le hai fatto un
succhiotto?”
“Ehm…”
“Oddio,
non ci
posso credere! I più innocenti del gruppo! Non me lo sarei
mai aspettato!”
“Non
è la fine
del mondo!” feci io ridacchiando. “Zitta, tu, che
tanto lo so che qui mi rimani
incinta per prima” fece Manuela. Io e Luke diventammo viola
di botto e il le
tirai un cuscino in testa. “Manuela!”
“Cosa
c’è?!
Ormai mi aspetto tutto da voi due!”
“Mi ha
fatto
solo questo!”
“E
dovevate
vedere com’erano presi entrambi!” intervenne
Michael sghignazzando. “Non aiuti!”
esclamò Luke. “Invece sì! È
un testimone oculare! Siete stati beccati con le
mani nel sacco, ragazzi!” fece Manuela con la stessa foga
di... non saprei
nemmeno dire cosa. “Possiamo mangiare e basta?”
tentai. “La trovo un’ottima
idea!” fece subito Luke, sedendosi sulla sedia accanto alla
mia. Manuela ci
guardò con occhi socchiusi, sussurrando un: "Vi tengo
d'occhio."
Dopo
quell'episodio piuttosto imbarazzante, riuscimmo a mangiare
più o meno in pace.
Luke continuava a rubarmi le patatine, ignorando il fatto che
continuavo a
dargli forchettate di piatto sulle nocche. Urlava ogni volta, ma non
desisteva.
"Luke, prendimene ancora una e giuro che ti tolgo la
capacità di avere
figli!"
Scoppiarono
tutti a ridere nel sentire il mio urlo stizzito. "E poi come fai tu?"
mi chiese Michael. "Ci sono tanti modi per rimanere incinta oggi"
dissi a denti stretti. "Sì, ma non vorresti una figlia
bionda, con gli
occhi azzurri, e un faccino angelico?"
“Anche
io sono
bionda, con gli occhi azzurri, e un faccino angelico.”
“Sì,
ma mai
quanto Luke. Come faresti senza i suoi preziosi geni ad avere una
figlioletta
tale e quale a voi?”
"Ripeto,
ci sono tanti modi."
"A volte
mi chiedo se tieni più al tuo futuro o al tuo cibo."
"In questo
momento credo tu abbia già capito la risposta."
Ridemmo tutti
di nuovo e Luke mi posò un bacio sul segno rosso dietro al
mio orecchio.
"Avete finito di farmelo notare?!" esclamò Manuela. "Manu,
credo
che sarebbe anche ora che uscissero dall'imbarazzo con noi" fece Ashton
ridacchiando. "Ashton è saggio" disse subito Michael con un
sorriso
sornione. "Saggio qui, saggio là, e intanto lui e Carol
seminano le buste
dei preservativi ovunque" fece Calum ridacchiando. "Ma vi fate gli
affari vostri?!" esclamò Carol. Ridemmo di nuovo. "Dato che
ormai
siamo in un argomento scomodo, passiamo a questo: come chiamereste i
vostri
figli?" chiese Madison. "Aubrey" fece subito Carol. "E se
fosse un maschio?"
"Nathan"
rispose Ashton. Si guardarono un attimo prima di sorridersi e baciarsi
a
stampo. "Guarda te questi due, sono tornati insieme da un'ora e
già
pensano ai figli" mugugnò Manuela ridacchiando. "Tu che non
hai di
questi problemi, invece, come chiamerai i tuoi figli?" chiesi. Michael
provò a prendere la parola, ma Manuela lo zittì.
"Si chiameranno Austin e
Diamond" disse orgogliosa. "E se io non fossi d'accordo?"
tentò
Michael. Manuela lo guardò assassina. "Mikey, mio
grandissimo amore, mio
dolcissimo cupcake. Tu per caso ti svegli in una pozza del tuo stesso
sangue
una settimana ogni mese? Tu per caso soffri ogni mese come se stessi
per essere
dilaniato? Sei tu che avrai il pancione nove mesi? Sei tu quello che
partorirà
un bambino, il che implica qualcosa di enorme che ti esce da hai capito
dove?
Sei tu che urlerai come un matto e insulterai il mondo in preda ad un
dolore
allucinante? No. Tu farai solo la parte iniziale, e godrai pure.
Quindi, almeno
i nomi, lasciali a me." Noi rimanemmo basiti nel notare il suo sguardo,
ma
Michael scoppiò a ridere. “D’accordo,
cupcake. Stavo scherzando” fece dandole
un bacio sul naso. “A volte mi chiedo come tu faccia a non
aver paura di
svegliarti con un coltello in schiena” fece Calum.
“Naah. Fa tanto la dura, ma
se sai come prenderla diventa tutto più facile”
fece Michael ammiccando. “Oh, e
tu sapresti come prendermi?” lo sfidò Manuela con
un sorriso divertito. “Ma
certo, piccola.”
“Dimostralo.”
“Stanotte.”
“Contaci,
Clifford.”
“Ci
conto
eccome, tesoro” sussurrò lui sulle sue labbra.
Ridacchiarono prima di baciarsi
piano. “Comunque…” provò a
dire Manuela, ma Michael la zittì. “Zitta,
piccola,
tieni il fiato per dopo.”
“Ah
sì?”
“Già,
ne avrai
bisogno.”
“Sono
proprio
curiosa.”
“È
un sì?”
“Vedremo.”
Michael
scoppiò
a ridere esultando. “Ottengo sempre quello che
voglio” si vantò. “Ho detto
vedremo.”
“Ma
intendevi
sì.”
“Vedremo
anche
questo.”
“Ehm,
ragazzi,
non vorrei disturbarvi, ma noi siamo ancora qui. Sempre qui. Tutti qui.
Capito?” chiese Madison a bocca aperta. Lei, Carol e Calum
sembravano
sconvolti, Ashton se la rideva come un matto, io e Luke eravamo troppo
in
imbarazzo per dire qualcosa. Manuela e Michael non sembrarono curarsene
tanto e
tornarono a mangiare la pizza, come se non fosse successo nulla. Luke
scosse la
testa, sussurrando un: “Voi siete completamente
matti” con tono rassegnato.
“Esattamente! È questo il segreto per vivere
bene!” rispose Michael con un
sorriso divertito. Mi chiesi come facesse ad essere sempre
così tranquillo e a
suo agio e… imbarazzante. Perché in quel momento
era imbarazzante, anzi, di
più.
***
Passammo la
serata a non far niente di particolare: ridemmo, scherzammo, e facemmo
una
lunghissima partita a Monopoli.
“Ashton
Fletcher Irwin.”
“Sì,
tesoro?”
“Sei
l’essere più immondo che abbia mai
conosciuto.”
“Oh,
e dai, non fare così per un solo
contratto. Via Accademia non vale nemmeno tanto.”
“Mi
appartiene di diritto!” esclamai. Stavamo
giocando a Monopoli e la squadra Ashton+Carol sembrava determinata a
farmi
impazzire. Carol sapeva quanto la società arancione mi
stesse a cuore e lo
aveva detto subito ad Ashton. Fortunatamente, un contratto lo avevamo
noi, e
uno Michael e Manuela, che sembravano piuttosto felici di poter
scambiare un
nostro contatto blu. Bene o male, tutti i contratti erano stati presi,
mancava
solo il più importante, e non parlo di Parco della Vittoria,
ma…
“Coco,
dobbiamo avere Vicolo Corto” fece Luke
agguerrito. Io annuii e presi i dadi. Contai le caselle che separavano
la
nostra pedina dal nostro obiettivo. Quattro. “Sei sicuro di
voler far tirare
me? Non ho fortuna con queste cose.”
“Confermo,
Coco è più fortunata in amore”
fece Manuela ridacchiando. Luke ignorò i nostri avvertimenti
e mi mise i dadi
in mano. “Se finisco su qualcosa di sbagliato è
colpa tua” lo avvertii. Lui
annuì, mentre lo sentivo sussurrare: “Ti prego,
fai quattro, fai quattro, fai
quattro…”
Tirai
i dadi e, cosa più unica che rara, le
nostre preghiere si avverarono. “Sei bellissima!”
esclamò Luke in preda alla
gioia, mentre io ridevo e guardavo Calum e Madison rodersi il fegato,
stringendo in mano Vicolo Stretto.
Alla fine, si
era fatta mezzanotte. Avevano vinto Calum e Maddy, grazie a quei due
maledettissimi contratti, Vicolo Corto e Vicolo stretto. Luke aveva
fatto
notare che avevamo lasciato sole Diana e Hellen e che non era una cosa
esattamente carina farle dormire da sole. Così, avevamo
deciso di andare a
dormire tutti a casa loro, dato che almeno quella sera non avevamo
intenzione
di separarci.
Ci preparammo
piano, senza nessuna fretta, ma quando feci per uscire, prima di tutti
gli
altri, notai che Manuela e Michael non erano ancora pronti, anzi, non
ci
stavano nemmeno provando. Sgranai gli occhi e la presi da parte.
“Manu, dimmi
che non stai facendo quello che penso.”
“Cosa
pensi, di
preciso?”
“Che
tu stia
cedendo alle sue provocazioni.”
Lei mi
guardò
con un sorriso furbo e gettò un’occhiata a
Michael, in corridoio con gli altri.
“Questo è quello che voglio fargli credere.
Vediamo se sarà tanto bravo da
vincere anche questa volta.”
“Manuela!”
“Tanto
lo sai
che ho la testa dura. Non ce la farà, vedrai.”
“Ti
ricordo
solo che hai diciassette anni.”
“Sono
più
grande di Carol.”
“Sì,
ma Ashton
ne ha venti, Michael ne ha diciotto solo fra poco.”
“Pensavo
si
parlasse di noi ragazze.”
“Non
so più
come controbattere, lasciami parlare a caso!”
Manuela
scoppiò
a ridere e mi abbracciò. “Coco, non gli concederei
nemmeno il lusso del dubbio
se non fossi sicura di poter gestire ogni eventuale strada.
Tranquilla.” Io
sospirai e annuii. “D’accordo. Però in
camera tua.”
“Ho
detto che
non ce la farà!”
“L’importante
è
esserne convinti” fece Michael, apparendo dal nulla e
posandole un bacio sul
collo, prima di tornare al suo posto. “Hai sentito
tutto?” chiese Manuela ad
alta voce per farsi sentire. “Certo, cupcake. Sono peggio di
un licantropo. Ho
un udito migliore di Scott McCall.”
“Se
avessi
anche la sua faccia sarebbe perfetto.”
“Mi
spezzi il
cuore con queste parole, tesoro.”
“Hai
detto di
essere come un licantropo, no? Guarisci anche da questo” fece
Manuela
ridacchiando. “Credo di non potere fino a che continui a
girare il coltello
nella piaga” rispose Michael, tornando verso di noi e
spingendola al muro. “Siamo ancora
in casa!” esclamai. “E
allora?”
“Potreste
aspettare qualcosa, tipo, cinque minuti?!”
“Solo
perché lo
chiedi con questa faccia così scandalizzata.”
Sbuffai una
protesta e raggiunsi gli altri. Luke mi guardò sorridendo
imbarazzato. “Quindi
rimarremo solo io e te?” mi chiese. “In che
senso?”
“Nel
senso che
Maddy e Cal sembrano tanto innocenti, ma stanno insieme da anni
e… ho il timore
che siano arrivati a quel punto da un po’.” Io
arrossii furiosamente e abbassai
lo sguardo. “Sì, mi sa che rimaniamo solo io e
te.”
“Sembri
terrorizzata.”
“Si
nota tanto
che la sola idea mi mette a disagio?”
Lui mi sorrise
e mi stampò un bacio sulla fronte. “Piccola,
vorrei dire una frase classica
come: quando sarai pronta io ci sarò; ma non lo
farò ancora, perché la verità e
che a solo pensarci mi viene un attacco di cuore. È una
fortuna che tu non ti
senta ancora pronta, perché non lo sono nemmeno io. Non
m’importa se posso
sembrare uno stupido, è la verità e con te non
voglio avere segreti. E
comunque, sono anche io a disagio nel lasciare quei due qui. Spero
tanto che
sappiano cosa stanno facendo.” Io sorrisi piano.
“Cosa ho fatto per meritarmi
una persona fantastica come te?” chiesi. “Mi stavo
domandando la stessa cosa”
fece, prima di baciarmi piano.
***
A casa dei
ragazzi, Ashton mi prese un attimo da parte, chiedendomi di
intrattenere Carol:
voleva dare una parvenza d’umanità alla camera. Io
ridacchiai e annuii, mentre
lui mi ringraziava e volava al piano di sopra con gli altri ragazzi.
Nonostante
questo, non mi fu necessario trovare un contrattempo: era
già lì che ci
aspettava, sulla porta della cucina, coi capelli rossi spettinati,
anche detta
Diana.
Carol, appena
la vide, si irrigidì. Diana mi guardò come a
chiedermi se se ne doveva andare o
meno. Io non dissi nulla. Mi sarebbe servito in quel momento un parere
di
Manuela, ma lei non era con noi e Madison era utile quanto me. Diana,
non
ricevendo risposta, indicò la cucina alle sue spalle.
“Ho… ho pensato che
avrebbe potuto farvi piacere un caffè” fece
esitante. Vide la mia espressione a
disagio e aggiunse: “Oppure una camomilla per Coralie. So che
non ti piace,
Luke me l’ha detto.”
Io e Madison ci
guardammo e cercammo di capire cose avesse in mente Carol, ma lei era
immobile.
Fissava Diana e Diana fissava lei. La rossa si schiarì la
voce. “Lo… lo so che
mi odi. Ma per favore, non volevo. Non avrei mai fatto nulla di tutto
quello
che ho fatto se avessi saputo a cosa avrebbe portato. Mi dispiace.
Carol, non
puoi capire quanto mi dispiace. Vorrei solamente poter parlare con te.
Permettimi di ricominciare da capo. Permettimi di dimostrarti che non
sono la
ragazza che odi” fece Diana con voce tremante. Per un attimo,
rimanemmo tutte
immobili, congelate in quell’attimo di tensione. Poi, Carol
si avvicinò a Diana
e le porse una mano. Con voce rotta, le disse: “Ciao, mi
chiamo Carol Annabeth
Lemaire. Ho diciassette anni e soffro di una malattia mentale che mi fa
perdere
il controllo, durante le rare volte in cui si manifesta. Sono
estremamente
suscettibile.”
Diana la
guardò
per un attimo come se dovesse capire bene quello che stava succedendo,
poi fece
un sorriso incredulo e le strinse la mano. “Sono Diana Moore.
Ho diciassette
anni e soffro di una gravissima carenza di tatto, che mi porta a dire
cose
completamente insensibili, di cui mi pento subito dopo. Possiamo
provare ad
essere amiche?”
Carol rimase in
silenzio qualche secondo, prima di annuire.
***
Mi sdraiai nel
letto di Luke, stremata, nonostante ci avessi dormito solo quel
pomeriggio.
Erano passate solo poche ore? Sembravano giorni. Luke si sedette di
fianco a me
e prese un foglio dal comodino. "Dormi, cucciola?"
"Più
o
meno."
"Ce la fai
ad ascoltarmi ancora quindici secondi?" chiese ridacchiando. Io annuii
e
mi misi a sedere. Notai che il foglio che teneva in mano era l'invito
di cui
avevamo parlato quel pomeriggio. "Dato che Carol e Ash hanno chiarito,
possiamo chiedere a tutti di venire. Ho evitato di proporlo prima
perché non mi
sembrava giusto escludere solo loro, soprattutto in un momento
così, ma ora
possiamo, no?" fece con un piccolo sorriso. Io annuii entusiasta e lui
mi
mostrò di nuovo l'invito. "Allora, quale tema scegliamo?"
chiese. Io
indicai l'ultimo e lui rise. "Ovviamente. Ti conosco troppo bene, ci
avrei
scommesso." Io gli sorrisi di rimando e gli diedi un bacio a stampo.
Lui
mi trattenne posandomi una mano dietro al collo e appoggiò
le labbra sulla mia
fronte. "Quando è, a proposito, la festa?" chiesi poi. "Fra
tre
giorni."
"... Non
ti pare ce ci sia poco preavviso?"
"In
realtà
me l'ha inviato un mese fa, ma me l'ero dimenticato."
Io ridacchiai
prima di sbadigliare e coprirmi la bocca con la mano. Lui mi prese per
i
fianchi, mi voltò e mi fece sedere sulle sue gambe
incrociate, coperte dai
pantaloni della tuta, come le mie. Mi abbracciò da dietro e
affondò il viso
nella curva del mio collo. Ci sdraiammo così e lui ci
coprì, prima di darmi un
bacio sulla fronte. "Buonanotte, amore" sussurrò. Io feci
appena in
tempo a rispondergli; subito dopo, mi si chiusero gli occhi e mi
addormentai.
***
Il mattino
dopo, mi svegliai da sola nel letto. Rimasi perplessa qualche secondo
prima di
accorgermi del rumore dell’acqua che scorreva nel bagnetto
della camera, segno
che Luke era in doccia. Mi stiracchiai e il mio sguardo cadde di fianco
alla
scrivania, dove Luke teneva le sue chitarre. Mi alzai e presi quella
acustica,
cercando di ricordarmi le volte in cui aveva provato a insegnarmi a
suonare.
Stavo ancora guardando perplessa il manico, quando davanti alla camera
si fermò
Michael. mi guardò un attimo e sorrise nel vedermi
così, poi si avvicinò a me e
si inginocchiò. “Facciamo una sorpresa a
Luke” sussurrò, prendendomi le dita e
posizionandole su tre corde diverse. Io cercai di non perdere la
posizione,
mentre lui mi diceva il tempo e l’ordine in cui suonarle.
“Ma che cos’è?”
chiesi assonnata. “Appena la suonerai la
riconoscerai” fece lui ammiccando,
prima di uscire dalla stanza. Io rimasi immobile qualche secondo. Di
sicuro c’era
qualcosa di cui mi stavo dimenticando, ce l’avevo sulla punta
della lingua ma
non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Così, decisi di
lasciar perdere e
provai a suonare. Nonostante quello che uscì fosse simile ad
un lamento
straziante di un animale in procinto di morire, riconobbi le note: Amnesia. Ridacchiai e mi ripromisi di
ringraziare Michael. Ci riprovai ancora e sentii l’acqua
spegnersi. “Coco?”
fece Luke ad alta voce per farsi sentire.
“Sì?”
“Stai
provando
a suonare Amnesia?”
“Sì!”
“Me la
fai sentire
di nuovo??”
Io mi
concentrai e feci un profondo respiro. A quanto pare ci misi troppo,
perché
Luke si affacciò dalla porta del bagno avvolto in un
accappatoio con il
cappuccio decorato come se fosse la testa di un pinguino, che fra
parentesi gli
avevo regalato io. “Piccola?”
“Sto
cercando
di non fare troppa pena.”
Lui
scoppiò a
ridere. “Amore, ci vuole tempo. Non puoi diventare
già bravissima dopo tre
volte che suoni. Come minimo ti ci vorranno due settimane.”
“E
allora
perché mi vuoi sentire?”
“Perché
mi
piace sapere che non ti arrendi.” Io sorrisi piano e tornai a
concentrarmi
sulla chitarra, mentre lui continuava: “Dove hai trovato gli
spartiti?”
“Non
li ho
trovati.”
“Da
qualche
parte l’avrai imparata.”
“Me
l’ha
insegnata Michael.”
“Quando?”
“Adesso.”
“Ma
non era
rimasto con Manuela a casa vostra?!” fece stupito Luke. Io
rimasi immobile. “Ma
io mi chiedo, si può essere più rincretiniti di
così?” feci poi. “Te n’eri
dimenticata?” chiese soffocando un sorriso. Io annuii, prima
di posare la
chitarra sul letto. “Amore, arrivo subito” feci
risoluta, prima di correre al
piano di sotto. “Michael! Vieni subito qui!” feci.
Quando arrivai in sala,
però, trovai Manuela sdraiata sul divano, che sonnecchiava.
Mi fiondai su di
lei veloce, esclamando: “Manu!” Lei si
svegliò sussultando e urlò dallo
spavento. “Ah, ma sei tu. Mi hai fatto prendere un dannato
infarto, anche
perché stavo facendo un sogno non molto simpatico.”
“Della
serie?”
“Un
Nogitsune.”
“Allora
sei
fortunata che ti abbia svegliata, no?”
Lei non rispose
subito e si guardò le mani. “Che fai?”
chiesi. “Otto, nove… Sì, sono dieci
dita, sono sveglia” fece con un sorriso soddisfatto. Io
scoppiai a ridere.
“Siamo decisamente troppo drogate di Teen
Wolf.”
“Già.”
“Dovremmo
smettere?”
“Ma
nemmeno per
sogno.”
“Dopo
ci
guardiamo di nuovo la terza serie?”
“Sono
pronta,
tesoro!”
Scoppiammo a
ridere di nuovo. “Piuttosto, com’è
andata?” chiesi trepidante. Lei prese fiato
per parlare, ma io la interruppi: “Comunque, prima che tu
possa dire qualsiasi
cosa, ieri ho parlato con Ash e Luke e mi sono resa conto che forse ho
fatto
troppo la mamma iperprotettiva, mi dispiace se ho esagerato ma ero
davvero
tanto a disagio. Scusa.” Lei sorrise. “Tranquilla,
Coco. Tutto ok. E scusa per
la scenata sul succhiotto.”
“Perfetto.
Allora, dicevi?”
“Dicevo
che per
i primi venti minuti ho tenuto le redini del gioco e mi sono anche
divertita
molto… Poi lui ha deciso di cambiare le regole e…
mi ha colto alla sprovvista.”
“Quindi…?”
“Sì,
Coco. Ha
vinto lui, per quanto mi costi ammetterlo.”
“E
com’è
stato?”
Lei sorrise
quasi sognante. “Bellissimo.” Io la abbracciai.
“Allora avete vinto in due”
feci. Lei rise e ricambiò il mio abbraccio.
***
Verso le dieci,
io e Luke decidemmo di uscire. Avevamo spiegato a tutti
dell’invito e i ragazzi
erano entusiasti. Con mia sorpresa, Carol lo aveva proposto subito a
Diana, che
aveva accettato di buon grado nonostante non avesse un accompagnatore.
I temi –
validi per le ragazze, dato che un ragazzo era a posto con giacca e
cravatta -
erano tutti molto fantasy: principessa, fata, sirena, e cose del
genere. Luke
ci aveva spiegato che era una festa in maschera e che questo suo amico
era
particolarmente fissato con quel genere di cose.
“Mi
sa che dovrò fare la sirena, ragazzi.
Senza accompagnatore sarei una principessa ben triste” fece
Diana ridacchiando.
“Dillo, che non vedi l’ora” fece Luke
ammiccando. “Perché?” fece Madison
curiosa. “Da piccoli, quando giocavamo insieme, lei voleva
sempre fare la
Sirenetta. Quando non la chiamavo Ariel diceva che mi avrebbe tirato
addosso la
conchiglia che usava sempre come collana.”
“Ero
una bambina, Luke!” fece Diana ridendo.
“Era una cosa adorabile” rispose lui con un sorriso
enorme. “E tu cosa facevi?”
chiesi ridacchiando. “Ovviamente, il pinguino”
rispose Luke ridendo.
“Non
so voi, ma a me piace tantissimo il tema
principessa” fece Manuela emozionata. Michael scorse di nuovo
la lista. “Non
c’è il tema cupcake?” chiese.
“Mike, non lo sceglierei comunque. Tutte le
ragazze sognano una notte per poter essere delle principesse.”
“Confermo”
fece subito Carol, mentre io,
Diana e Madison annuivamo. “Siete un po’ scontate,
eh?” commentò Calum. “No,
siamo sognatrici.”
Così,
Luke mi
aveva proposto di accompagnarmi a cercare un vestito, e avevamo passato
così
due ore. In quel momento era fuori dal camerino di un negozio su tre
piani
specializzato in vestiti da sera, praticamente sdraiato su una poltrona
che
qualche anima buona aveva messo per gli uomini. Di fianco a lui, tutti
i miei
scarti, ovvero sei vestiti che mi ero provata. Io ero nel camerino, con
la mia
settima preda. Mi guardai allo specchio, non ero per niente convinta.
“Coco? A
che punto sei?” chiese Luke con voce straziata.
“Non mi piace…” feci io con
voce contrita. “Ma sulla stampella ti sembrava
così bello…”
“Sì,
ma io sono
un po’ più spessa di una stampella.”
“Vieni
fuori?”
chiese. Io sospirai. Luke aveva già bocciato le prime sei
scelte, dicendo che
non mi rendevano giustizia. Avevo paura che bocciasse anche questo,
nonostante
lo avesse visto prima lui e me l’avesse proposto. Tirai la
tenda rossa del
camerino e lo vidi di fronte a me, che sgranava gli occhi. Gli cadde la
mascella e mi guardò sbattendo velocemente le palpebre. Io
arrossii e feci un
mezzo sorriso. “Lo devo prendere come
un…?”
“Sei
bellissima, Coco. Cioè, sei sempre bellissima, ma
così sei… hai capito cosa
intendo, no?” Io ridacchiai piano e mi voltai di nuovo verso
lo specchio,
mentre lui mi raggiungeva. “Non mi convince” feci.
Era un vestito nero, con una
sola spallina ricoperta di piccoli strass argentati, la gonna morbida e
un
particolare ancora di strass sul fianco. Visto sulla stampella era
davvero
bellissimo, ma su di me c’era qualcosa che non mi convinceva.
“Cosa c’è che non
va, cucciola?” mi chiese lui, lasciandomi un bacio dietro
l’orecchio, sul punto
rosso. Io rabbrividii alla sensazione. “Beh, innanzitutto mi
fa i fianchi
grossi” feci. Lui si mise a ridere. “Coco, non hai
i fianchi grossi.”
“Ma io
mi sento
così.”
“Coco…”
“Non
potrai
cambiare il mio parere, sai?”
Luke mi
voltò
verso di lui e disse: “Ok, proviamo
così.” Mi mise le mani sui fianchi,
delicatamente, e poggiò la fronte contro la mia.
“Lì saremo così. I tuoi
bellissimi fianchi non si vedranno neppure, ok?” Io sorrisi e
lo ringraziai a
bassa voce. “Poi, cos’altro non ti
convince?” chiese. Io guardai di nuovo lo
specchio, stavolta con le sue mani sui fianchi, e con mia grande
sorpresa
riuscii a trovarmi bella, forse una delle poche volte in cui potevo
dirlo. Mi
aprii in un piccolo sorriso incredulo, mentre lui faceva scivolare
quasi
impercettibilmente le mani verso la mia schiena.
“Luke…”
“Piccola,
aspetta. Guardati.”
“Ma te
l’ho
detto…”
“Coco,
vorrei
che tu riuscissi a vederti attraverso i miei occhi. Forse
così riusciresti a
renderti conto quanto tu in realtà sia…
eccezionale. Perché non riesci ad
amarti nemmeno la metà di quanto ti ami io?”
Mentre diceva questo, tolse le
mani dai miei fianchi e le intrecciò alle mie. Mi
lasciò un piccolo bacio sul
collo e mi guardò dallo specchio. Sentii gli occhi lucidi
mentre mi guardavo
così, senza le sue mani sui fianchi, e riuscivo comunque a
piacermi. “Ti
piace?” mi chiese. Io annuii senza dire niente, mentre
sentivo una piccola
lacrima commossa lungo il viso. “Però è
completamente nero…”
“A te
il nero
sta d’incanto, piccola.”
“Sì,
ma non
sarò troppo tetra?”
“Non
preoccuparti.”
“E la
tua
camicia bianca?”
“Ne
metterò una
nera.”
Ridacchiammo.
“Perché è così facile per
voi ragazzi?”
“Per
permetterci di dedicarci completamente a voi ragazze.”
“Oh,
ma
smettila.”
“È
vero,
cucciola.” Mi girò il viso con un dito e mi
baciò piano. “Quindi prendiamo
questo?” chiese. Io annuii e lui mi sorrise felice.
“Dai, mi cambio.”
“Aspetta
un
momento!” Luke tornò alla poltrona e prese una
cosa, che nascose dietro la
schiena. “Chiudi gli occhi” fece ammiccando. Io
obbedii e sentii le sue dita
delicate ai lati della mia testa. “Guardati” fece
poi trepidante. Io aprii gli
occhi e vidi che mi aveva messo una tiara argentata. Non era come
quelle
classiche delle principesse, avvolgeva come una fascia la fronte, con
tre
angoli verso il basso e quattro piccolissimi riccioli ai lati. Era
bellissima.
“Dovete essere principesse, no? Che principessa sei senza la
corona?” mi
chiese. Io risi e lui aggiunse, avvolgendomi la vita con le braccia:
“Oh, già.
Sei la mia principessa.”
***
Dopo le ore
passate fra gli abiti, andammo a mangiare al Burger Club, decisamente
più
economico del negozio di vestiti. Eravamo seduti uno di fronte
all’altra sugli
sgabelli alti e stavamo divorando, affamati, i due panini e la
quantità
spropositata di patatine. Il mio era decisamente più piccolo
del suo, che già
dal nome, Godzilla, mi saziava. “Come fai a mangiare
così tanto?” chiesi
ridacchiando. “Ehi, vivo con tre pazzi, ci vuole
energia” rispose scherzando
lui.
Continuammo a
scherzare e parlare, fino a quando dalla radio non sentii le note di What makes you beautiful. “Amo
questa
canzone!” esclamai. Lui rise mentre mi vide canticchiare.
“Sei uno spettacolo
così presa, amore” fece. Io non risposi e
continuai a cantare:
Baby, you light up my
world like nobody else
The way that you flip
your hair gets me overwhelmed
But when you smile at
the ground, it ain’t hard to tell
You
don’t know you’re beautiful
Luke mi prese
una mano e si sporse sul tavolo. Questo suo gesto mi fece ammutolire,
mentre
lui continuava:
If only you saw what
I can see
You’ll understand why
I want you so desperately
Right now I’m looking
at you and I can’t believe
You don’t know you’re
beautiful
That’s what makes you
beautiful.
Io sorrisi
piano e scossi la testa. “Non riuscirò mai a
convincerti di quello che vedo,
eh?” chiese. Io diedi una risposta negativa. “Beh,
non mi arrendo. Coco, tu mi
hai insegnato ad amare e ora io ti voglio insegnare ad amarti. So che
è una
delle cose più difficili del mondo, soprattutto per una
ragazza, ma mi si
stringe il cuore quando vedo come ti guardi. Mi fa male quando non
riesci a perdonarti
niente, quando non dici nulla per paura di sbagliare, quando non riesci
ad
avere fiducia in te stessa, quando non ti reputi abbastanza, quando
pensi di
non valerne la pena. Coralie, dal primo momento in cui ti ho visto ho
pensato
che ne valessi la pena. Quando il giorno dopo al concerto sei scappata
al
parco, mentre ti cercavo continuavo a ripetermi che ne valeva la pena.
Ogni
volta che ti guardo, continuo a dirmi che ne vale la pena. Ho pensato
che
questo dipendesse dal fatto che sono innamorato pazzo di te,
così ho chiesto
anche agli altri. Coco, per ognuno di noi ne vali la pena mille volte.
Perché
per te no? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio?” Io
abbassai lo sguardo.
“Vedo la Coralie in un letto d’ospedale, troppo
debole mentalmente per sopportare
quello che ha fatto alla sorella. Vedo la Coralie che piange
facilmente, la
Coralie che sbaglia, la Coralie che non ne fa una giusta. Luke, non so
cosa
vedi tu di me, ma io vedo questo” sussurrai con le lacrime
agli occhi.
“Coralie, ascoltami, va bene? Quando ti guardo e vedo la
Coralie in un letto
d’ospedale, vedo anche la Coralie che ha sopportato per mesi
il ricordo di non
essere stata riconosciuta dalla sorella, e che è andata a
cercarla appena le ho
detto che era in città. Quando vedo la Coralie che piange,
vedo anche la
Coralie che sa riasciugarsi le lacrime e alzarsi. Quando vedo la
Coralie che
sbaglia, riesco a vedere anche quella che fa la cosa giusta. E mille
altre
cose. Coco, ho visto tutto di te e mi sono innamorato di ogni parte. Tu
saprai
leggere gli occhi delle altre persone ma io so leggere i tuoi, e se
riuscissi a
trascrivere quello che leggo, ogni parola, ogni punto, ogni virgola,
verrebbe
fuori un tomo enorme che con le sue cancellature, gli spazi bianchi, le
macchie, è ancora il libro più bello del mondo.
Credo che amare sia questo e me
l’hai insegnato tu. Come fa una persona come te a non vedere
quello che è
davvero, Coralie?”
Io rimasi in
silenzio qualche secondo, prima che le lacrime cominciassero a rotolare
giù dal
mio viso. Lui scese dallo sgabello e mi raggiunse, aggirando il tavolo.
Mi
abbracciò, stringendomi forte, cullandomi delicatamente
mentre io scoppiavo a
piangere. “Sai, Luke? Qualche anno fa riuscivo a vedere le
stesse cose che
vedevi tu. Poi è arrivata una persona, che mi ha convinto
della visione che ho
adesso, e… è molto più difficile
tornare a vedere come prima.”
“Ti
giuro che
se mi trovo faccia a faccia con quella persona, le arriva un pugno.
È Matt,
vero?”
“Sì.”
“Allora
facciamo pure due pugni, per tutto il resto.”
Io ridacchiai
fra le lacrime e lui mi strinse più forte. “Coco,
ti prometto che non dovrai
mai più sentirti così. Mi credi?” mi
chiese dandomi un piccolo bacio sulla
fronte. Io tirai su col naso, prima di annuire. Davvero, speravo di
potergli
credere.
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Capitolo 32 *** How to save a life ***
How to save a
life
"Ti
ricordi com'erano le cose,
prima che accadesse, per te e per me? Eravamo... Eravamo
nullità. Non eravamo
popolari, non eravamo bravi a lacrosse, non eravamo importanti. Non
eravamo
niente. Forse dovrei tornare ad esserlo ancora. Assolutamente niente."
La
voce di Scott era rotta, intervallata da singhiozzi. I suoi capelli
gocciolavano benzina e il bengala nella sua mano emetteva un costante
sibilo
minaccioso. Allison, Stiles e Lydia ascoltavano in silenzio le sue
parole,
appena al di fuori della pozza di benzina. I loro occhi erano lucidi.
Scott
sollevò il bengala, quasi fosse
pronto a lasciarlo cadere, a darsi fuoco. Stiles si avvicinò
a lui con passi
lenti, non interrompendo mai il contatto con i suoi occhi.
"Scott,
ascoltami, va bene? Tu
non sei 'niente'. Per me sei qualcosa. Scott, sei il mio migliore
amico. E io
ho bisogno di te."
Stiles
continuava ad avanzare, mentre
la sua voce si incrinava. rimase un attimo in silenzio, prima di dire:
"Scott, sei mio fratello."
Scott
gli rivolse uno sguardo
offuscato da lacrime disperate. Non era in sé.
Stiles
guardò un attimo per terra,
poi continuò: "Bene, quindi... Puoi fare questa cosa."
Entrò
nella pozzanghera di benzina,
lentamente, cauto.
"Credo
che tu debba portarmi con
te."
Impugnò
il bengala appena sopra Scott
e, sotto lo sguardo di Allison e Lydia, lo sfilò dalla mano
di lui, gettandolo
lontano.
Tirai su col
naso e sentii Manuela di fianco a me fare lo stesso.
Eravamo davanti allo schermo del televisore, affondate nelle coperte,
con una
ciotola di pop-corn in mezzo a noi. Il DVD della terza stagione di Teen
Wolf,
ormai, doveva essere bollente, ma a noi non interessava. Eravamo nel
bel mezzo
di una maratona e avevamo già finito le provviste di
fazzoletti.
Sentii qualcuno
appoggiarsi al divano dietro di me e un paio di
labbra si premettero sulla mia fronte. "Cosa guardi, piccola?" mi
chiese Luke da sopra le spalle. Non feci in tempo a rispondere, che
sullo
schermo comparve il Darach. Luke fece un balzo all'indietro. "Cosa
cavolo
è quell'affare? Di che morte è morto e da quale
tomba è uscito?!" esclamò.
Io e Manuela scoppiammo a ridere. "Sai che è una donna?"
"Oh, molto bella
come donna, mi dicono. Sembra un
cadavere!"
"E ti fa paura?"
chiese Manuela ridacchiando. Luke annuì
e io ridacchiai divertita e con tenerezza. "Beh, allora non ti
consiglio
di rimanere ancora qui. Ci vogliamo vedere tutta la serie e
ciò comprende molte
cose poco carine” fece Manuela.
"Più
paurose di questo?"
"Luke, ma che
uomo sei?"
"Io non sono un
uomo. Sono un pinguino codardo."
"Ora si spiega
tutto."
"Vero?"
"E se un Darach
volesse uccidere Coco? Scapperesti?"
"Combatterei la
nausea, la voglia di vomitare, la voglia di
scappare e la voglia di svenire, e lo ammazzerei di botte. Nessuno
tocca la mia
piccola Coco."
Io sorrisi
intenerita mentre lui tornava ad abbracciarmi.
"Vuoi fare la prova di coraggio, allora?" chiese Manuela. Luke
esitò
un attimo. In quel momento, arrivò dal piano di sopra un
urlo di Michael:
"Luke, torna qui! Devi aiutarmi per la festa di domani!"
"Fatemi spazio,
ragazze!" fece subito Luke, scavalcando
il divano e mettendosi in mezzo a noi. Io e Manuela scoppiammo a
ridere, mentre
Luke mi tirava fra le sue gambe. Mi accoccolai contro di lui e ci
avvolsi nella
leggera coperta, mentre Manuela si prendeva l’insalatiera di
pop-corn. “Cosa
combina Mike?” chiese poi. “Non potete capire il
delirio… Mentre voi vi
guardavate belle tranquille Teen Wolf, di sopra è scoppiato
il finimondo.
Maddy, Carol e Michael sono impazziti per domani, non sanno cosa
mettersi, non
sanno cosa fare, le ragazze non hanno nemmeno un vestito adatto, a
detta loro…
Credo che più tardi Ash e Cal le accompagneranno in
negozio.”
“Uh, a
me serve la tiara. A chi posso chiedere?”
“Fidati,
fra tutti, voi due e Ashton siete i più tranquilli. Se
vuoi una cosa fatta senza ansia, chiedi a lui.”
“Perfetto,
gli parlo dopo.”
“E
comunque, non avrei mai creduto che il tuo ragazzo potesse
andare in crisi isterica per una camicia che non si abbina al
pantalone.”
“Ti
prego, dimmi che stai scherzando…”
“No,
purtroppo sono serissimo.”
Manuela
affondò il viso fra le mani in un gesto di disperazione.
“Non posso crederci” mugolò poi. Io
ridacchiai mentre facevo ripartire il DVD.
“Adesso, piccolo Lukey, fai attenzione, non abbiamo idea di
cosa ci sia nel
prossimo episodio” fece Manuela. “Ma non
l’avete già visto?”
“Sì,
ma abbiamo la memoria di due pesci rossi con l’alzheimer,
quindi…”
“Capito.”
Ridacchiammo
mentre lo sentivo sospirare. Mi voltai verso di lui.
“Sei sicuro? Se ti fa paura non devi.”
“Amore,
non è possibile che sia così vigliacco. Devo
farmi un po’
le ossa o davvero, rischio di svenire in ogni momento” disse,
stampandomi un
bacio sulla fronte, di nuovo. Tornammo a guardare l’episodio,
ma dovemmo
fermarci subito perché Luke non capiva nulla.
Così, dopo qualche tentativo di
spiegargli tre stagioni in cinque minuti, decidemmo di cambiare DVD e
rimettere
il primo.
La sera
passò in fretta, con Luke, Manuela e me in disparte a
parlare di Teen Wolf, Madison, Carol e Michael che si mettevano
d’accordo sugli
ultimi particolari per il giorno seguente, e Calum e Ashton, che
sembravano non
poterne proprio più.
***
Venni svegliata
alle sette dal sibilo fastidioso della sveglia.
Sentii Luke, accoccolato contro la mia schiena, mugugnare qualcosa
come:
“Spegni quel coso malefico!” Ancora con gli occhi
chiusi, cercai il pulsante –
minuscolo, giustamente – per spegnere la sveglia, ma non lo
trovai. Così, come
da cliché, staccai la spina. Sbuffando, provai ad alzarmi,
ma Luke mi attirò
piano a sé con il braccio che aveva tenuto per tutta la
notte attorno ai miei
fianchi. Affondò il viso nella curva del mio collo,
sussurrando un leggero:
“Ancora cinque minuti, piccola, ti prego.” Io non
mi ribellai e gli presi la
mano, disegnandoci cerchi immaginari con il pollice. Lo sentii
sospirare sulla
mia pelle e questo mi fece rabbrividire.
“Sei
pronta per oggi?”
“Diciamo
che a quest’ora del mattino non capisco bene il motivo
per cui dobbiamo stare lì tutto il giorno.”
“Piccola,
sarà divertente, te lo prometto. Questo mio amico
è un
appassionato di video musicali e alle sue feste si diverte a
riprodurli. Mi ha
detto che ha cercato diversi video di feste come questa o di balli e ha
raccolto un bel po’ di materiale. Fidati, ti
piacerà molto. Non ti accorgerai
nemmeno del tempo che passa. E poi, ti prometto che se ti annoierai, ti
porterò
via. D’accordo, amore?”
Io sorrisi e mi
voltai verso di lui. “D’accordo” dissi
solo
dandogli un lieve bacio a stampo. Lui si aprì in un sorriso
raggiante e si
alzò. “Vado in doccia, o fai prima tu?”
chiese. “Tranquillo, vai, io mi devo
ancora svegliare bene” feci ridacchiando. Lui rise piano e si
chiuse nel
bagnetto della mia camera.
Presi il
cellulare dal comodino e inviai un messaggio a Manuela:
“Ehi, sei sveglia??” La risposta non si fece
attendere. “Lemaire. Sono le sette
di mattina.”
“Sette
e un minuto, se vogliamo tanto fare le precise.”
“Non
potevi alzarti e venirmi a svegliare, anziché farmi suonare
questo squillo nelle orecchie?!”
“Troppo
sonno per alzarmi.”
“Però
per svegliare la mia ragazza non hai mai sonno, eh??”
Ci misi un
po’ a capire quello che stava succedendo.
“Clifford,
molla subito il cellulare di Manu!”
“Tecnicamente,
lei sarà la signorina Clifford, quindi non so a chi
tu ti stia riferendo dei due.”
“Ma
sei scemo o cosa?”
“Ma lo
sai che voi ragazze siete uno spasso quando vi
arrabbiate??”
“Hai
tre secondi per ridare il cellulare a Manuela, oppure vengo
lì e ti ammazzo.”
“Non
lo faresti mai.”
“Uno.”
“Ma
dai, sta dormendo!”
“Due.”
“Uff,
sei cattiva.”
“Mi
fai così pena quando sai di avere le spalle al muro, che uso
anche il due e mezzo.”
“Va
bene, va bene! La sto svegliando!”
“Bravo.”
Passò
circa un minuto, poi mi arrivò un altro messaggio.
“Buongiorno,
tesoro! Scusa se ci ho messo tanto ma il mio
amorevolissimo e bellissimo fidanzatino voleva svegliarmi nel modo
migliore
possibile, come fa sempre… mi ama così
tanto!”
“Michael,
non sei divertente.”
“Ma
tesorino, cosa stai dicendo?! Sono Manuela!”
“Michael,
a quest’ora del mattino se svegli Manu ricevi insulti.
Quindi, fatti insultare e passamela. Non farmi alzare.”
“Ti
giuro che ho provato a svegliarla, ma come hai detto tu, mi ha
mandato a quel paese ed è tornata a dormire. Potrebbe essere
più perfetta di
così? È la mia anima gemella! La mia piccola
cupcake!”
Sentii un
urletto venire dalla camera accanto alla mia, seguito da
una grossa, grassa risata. Poi mi arrivò un messaggio.
“Prima
cosa, scusami se questo adorabile cretino ti ha fatto fare
questa sceneggiata. Dovrà farsi perdonare. Seconda cosa,
pure tu ti dovrai far
perdonare, per avermi svegliato così presto. Ma che ti salta
in mente?!”
“Buongiorno,
Manu.”
“Buongiorno
anche a te, Coco.”
“Hai
intenzione di prepararti per la festa cinque minuti prima?”
“A che
ora dobbiamo uscire di casa?”
“Alle
undici e mezza.”
“E
allora perché mi hai svegliato a quest’ora
maledetta?! È
sabato!”
“Ti
ricordi che ieri ci siamo messe d’accordo tutte per le sette?
Maddy e Carol avevano proposto le sei… Siamo riuscite a
strappare un’altra
ora…”
Manuela non
rispose più. Invece, urlò:
“C’è un girone all’inferno
anche per voi mattiniere!!”
Sussultai, prima
di scoppiare a ridere. Sentii che Michael mi
imitava e questo mi fece ridere ancora di più. Ad un certo
punto, la porta di
camera mia si aprì e Michael e Manuela entrarono. Manuela si
lanciò sotto le
coperte, seguita da Michael. Io risi, mentre cercavo di non cadere dal
letto.
Manuela, in mezzo a noi, lanciò un piccolo urlo.
“Chi di voi due maledetti ha i
piedi freddi?!” fece. Io e Michael, intanto, eravamo piegati
in due dal ridere.
“No, ragazzi, sono seria, togliete queste ghiacciaie da me o
vi arriva un
pugno.” Altre risate. “Ma la smettete di ridere?!
Giuro che non sto scherzando,
sono seria da morire, ho ucciso per molto meno!”
In quel momento,
qualcuno bussò alla porta di camera mia. “Vieni
pure!” feci. Era Calum, e ci stava uccidendo con lo sguardo.
Dietro di lui,
Ashton. “Stringetevi, fateci spazio.”
“Cosa?
Perché?!”
“Avete
svegliato le due matte. Adesso stanno correndo da una
camera all’altra per prepararsi. Come minimo, ci ospitate
qui, esseri
malefici.”
Altre risate.
Davvero, non credevo di poter resistere a lungo.
Ashton si infilò sotto le coperte dalla mia parte e Calum da
quella di Michael.
Non durammo nemmeno dieci secondi.
“Calum,
smettila di tirare la coperta.”
“Non
sono io! È Coralie!”
“Io?!
Ma se sono immobile?!”
“Non
è vero, e comunque tu hai più coperta di
tutti!”
“Vorrei
ben vedere, è il mio letto, razza di usurpatori che non
siete altro!”
“Ehi,
io sono la tua migliore amica, condividi! E togli quei tuoi
dannati piedi gelati!”
“Io ce
li ho bollenti!”
“Allora
sei tu, Michael!”
“Beccato!”
“Siamo
in cinque in un letto matrimoniale, ragazzi, ce la facciamo
a starcene buoni?!”
“Giuro
che adesso vi stermino tutti se non mi lasciate dormire
almeno un’ora o due.”
In quel momento,
uscì Luke dalla doccia, avvolto nel suo
accappatoio con il cappuccio a forma di pinguino. Ci guardò
un attimo, a metà
fra il confuso e lo sconvolto. “Sinceramente, ho paura a
chiedere cosa sta
succedendo qui.” Ridemmo tutti e Michael rispose:
“Anche io avrei paura. Sei
sexy in quel completino, sai?”
“Avrei
preferito non sentire questo ultimo commento, ma grazie.”
“Ma
come, Coco non ti dice queste cose?”
Io arrossii e
Luke fece lo stesso. Michael ci guardò un attimo,
sorpreso, e alzò gli occhi al cielo. “Aiuto,
quanto siete indietro.”
“Michael,
lasciali in pace, brutto pervertito. È una cosa
tenera!”
fece Manuela. Luke, intanto, aveva aperto la cassettiera. In due
cassetti,
avevo spinto la mia roba di lato per lasciare spazio a qualche suo
cambio, così
prese una maglietta a caso, dei boxer e dei pantaloni della tuta, prima
di
tornare in bagno. Ci mise un paio di minuti, poi mi chiamò
per lasciarmi fare
la doccia. Mi liberai a fatica dalle coperte e, cercando invano di non
schiacciare nessuno, lo raggiunsi. Mi chinai sul lavandino e bevvi un
lungo
sorso d’acqua. Nello stesso momento, sentii la porta
chiudersi e Luke posò le
mani sui miei fianchi. Mi alzai e lui mi voltò. Senza
nemmeno darmi il tempo di
asciugarmi, mi baciò, quasi con prepotenza. Sembrava
così diverso dal Luke che
arrossiva per ogni cosa, che non riuscivo nemmeno a capire come queste
sue due
parti potessero coesistere. Anche se, ad essere sincera, non mi
dispiaceva.
Luke mi sollevò e mi fece sedere sul mobile di fianco al
lavandino, mentre io
gli passavo una mano fra i capelli ancora fradici. Lui prese un bordo
della sua
maglia e lo passò sul mio mento, per asciugare la goccia
d’acqua rimasta da
prima; notai solo in quel momento che non aveva il piercing e questo mi
fece
sorridere, cosa che aveva poco senso, considerato il fatto che lo
toglieva ogni
notte. Non avrei saputo dire il motivo di quell’improvviso
moto di tenerezza;
magari era dovuto al fatto che, senza il piercing a dargli una
leggerissima
aria da duro, rimaneva solo un dolcissimo cucciolo, che mal si
accostava al comportamento
che aveva in quel momento. Luke mi spinse contro il muro e mi
baciò di nuovo,
mentre giocherellava con il bordo della mia maglietta. Dopo un tempo
che mi
parve infinito, me la sfilò, lasciandomi in intimo. Arrossii
prepotentemente,
ma cercai di non darlo a vedere. Inutile dire che se ne accorse, e mi
sorrise.
“Piccola, sei bellissima” mi disse solo. Mi
baciò qualche altro secondo, poi mi
lasciò andare. “O-ora devo andare in
doccia” dissi, ancora rossa in viso. Lui
annuì e mi stampò un altro bacio sulla fronte.
Quando mi lasciò, io mi infilai
nel box doccia, tirai la tenda di plastica e chiusi la porta di vetro.
Con il
tempo, avevo deciso di mettere quella tenda, perché spesso
le ragazze entravano
in bagno mentre mi facevo la doccia e, nonostante volessi loro un bene
dell’anima, mi metteva sempre a disagio l’idea. Mi
spogliai in doccia e buttai
fuori l’intimo. “Coco, posso rimanere? Mi devo
asciugare i capelli. Giuro che
non guardo” fece Luke. Io acconsentii e lo sentii armeggiare
con la spina del
phon, mentre iniziavo a lavarmi.
Rimasi sotto
l’acqua bollente venti minuti. Dopo i primi cinque,
Luke aveva finito, ma aveva deciso di sedersi sull’asse del
water e aspettarmi.
Aveva iniziato a parlarmi della festa, di quello che avremmo trovato e
del suo
amico. Mi piaceva ascoltare la sua voce mentre raccontava tutto senza
aspettarsi una mia risposta. Dopo un po’, finì gli
argomenti, così iniziò
semplicemente a canticchiare. Ci misi un po’ a riconoscere le
parole, ma quando
lo feci, sorrisi.
Where did I go wrong? I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life…
Adoravo quella
canzone. Non dissi nulla per non disturbarlo, ma
diminuii il getto dell’acqua per sentirlo meglio. Finii di
lavarmi ascoltandolo
cantare How to save a life e How you remind me, due canzoni della mia
infanzia. Quando interruppi il getto d’acqua, lui smise di
cantare e mi passò
l’accappatoio da sopra la doccia. Lo ringraziai e uscii,
avvolgendomi i capelli
in un turbante. “Comunque non è giusto che tu sai
cantare e io no” mugugnai.
Lui si mise a ridere e mi abbracciò. “E non
è giusto nemmeno che tu sai
scrivere e io no, se la vogliamo mettere così. Vogliamo
continuare in questo
modo tutta la mattina?” mi chiese ammiccando. Io risi piano e
lui mi stampò un
bacio sulla fronte. “Dai, piccola, vado di là, ti
lascio cambiare in pace. Fai
con calma, non abbiamo fretta. Ti aspetto di sotto per la colazione,
ok? Cosa
ti preparo?” Io sorrisi nel sentire la dolcezza con cui lo
aveva detto.
“Tranquillo, aspettami soltanto. Ci metto poco”
risposi. Lui annuì e aprì la
porta per uscire, ma quando si affacciò tornò
subito dentro. Mi fece segno di
fare silenzio e di seguirlo. Io, confusa, obbedii. La scena che mi si
presentò
davanti mi aprì un sorriso intenerito: Michael, Manuela,
Calum e Ashton erano
addormentati sul letto. Michael stringeva piano i fianchi di Manuela;
Calum era
raggomitolato sul bordo; Ashton era seppellito nelle coperte fino al
naso.
Sentii Luke stringermi una mano, prima di andare verso Calum e tirargli
le
coperte sulle spalle. Non so perché, ma in quel momento me
lo immaginai mentre
faceva la stessa cosa con un nostro futuro, ipotetico figlio. Un
pensiero del
tutto fuori luogo che mi fece esplodere il cuore.
***
Verso le dieci,
avevamo fatto tutti colazione. Manuela, Maddy ed
io eravamo in camera di Carol, mentre i ragazzi erano in quella di
Manuela. Nel
giro di qualche minuto sarebbe arrivata anche Diana. I nostri vestiti
erano
tutti stesi sul letto, in attesa di essere indossati.
Quello di Carol
aveva la gonna blu scuro, a vita alta, morbida, e
con il corpetto argentato, dalle spalline sottili. Sopra la gonna era
posizionata la tiara: semplice, che come la mia fasciava la fronte, con
una
gemma verde petrolio in mezzo ma che non infastidiva con il colore
diverso da
tutto il resto. Una collana argentata con un’altra gemma
– stavolta blu – come
ciondolo e diversi bracciali grigi e blu erano di fianco ad essa. A
terra, le
scarpe, alte, che fasciavano tutto il piede, rigorosamente in blu.
Il vestito di
Madison era, a detta sua, ispirato alle dee greche:
color cipria, con il corpetto formato da due lembi sovrapposti che si
intrecciavano a formare una scollatura a cuore, senza maniche; sotto di
esso,
la gonna cadeva morbidissima e leggera. La tiara era un semplice
cerchio dorato
ricoperto di perle; Madison aveva deciso di usarla come cerchietto, per
non
essere uguale a noi. Le scarpe erano decorate da ghirigori neri, quasi
fossero
di macramè. Sul vestito erano posati cinque bracciali, tutti
diversi, tutti
neri.
Quello di
Manuela era il più particolare: azzurro chiarissimo,
diviso in due, con la gonna unita al corpetto solo da una decorazione
di
perline argentate, che si allungavano sui bordi del corpetto e del
pezzo
inferiore, fasciavano la schiena in due incroci e si riunivano sul
retro della
gonna, creando una coda che si apriva verso la fine. La collana era una
gemma a
forma di cuore dello stesso colore del vestito. Le scarpe avevano una
decorazione che in qualche modo ricordava un paio di ali. La tiara era
la più
elaborata fra tutte; l’aveva scelta Ashton e aveva sbagliato
il colore, ma
andava bene lo stesso: formata da volute color argento, con tre pietre
celesti
incastonate. Era bellissimo.
Maddy e Carol,
dopo il panico della prima ora, avevano capito che
non serviva agitarsi tanto, e si erano calmate. Fortunatamente, direi.
In quel
momento, Manuela era in doccia, mentre noi eravamo in intimo, sul
letto. Carol
aveva l’unico phon e io e Maddy stavamo aspettando il nostro
turno. Eravamo
intente a parlottare, quando qualcuno bussò alla porta.
Subito dopo, Diana fece
capolino con un gran sorriso. “Ciao ragazze! Tutto
bene?”
“Cosa
hai fatto ai capelli?!”
“Anche
io sto bene, grazie” fece Diana ridendo. Io la osservai
basita
mentre si portava dietro le orecchie un ciuffo di capelli tinti di
rosso
ciliegia. “Me l’ha prestata Michael, per la storia
di Ariel. Ci sto così male?”
“No,
anzi, ti sta benissimo, solo che non ce
l’aspettavamo!”
“Sì,
Mike mi ha ordinato di non dirvelo, voleva vedere la vostra
reazione.” Sorrise un attimo, e poi disse: “Buone
notizie, mia madre è tornata
a casa nostra per il fine settimana!” Inutile dire che questo
scatenò le nostre
ovazioni. Nostre e di Ashton, che stava passando davanti alla porta in
quel
momento.
Diana
tirò fuori dal sacchetto il suo vestito e ce lo
mostrò,
chiedendoci emozionata: “Che ne pensate?” Io, Maddy
e Carol rimanemmo in
silenzio qualche secondo, proprio mentre Manuela usciva dalla doccia e
esclamava un: “Accidenti, è strepitoso!”
Il vestito era
senza maniche, color verde petrolio chiaro – non
avrei saputo spiegarlo in altro modo –, a sirena –
giustamente – con il
corpetto e la prima parte della gonna ricoperti di brillantini che
ricordavano
le squame di un pesce. La parte restante della gonna si apriva,
più larga, di
chiffon.
“Che
scarpe metti? Come minimo devono essere dello stesso colore.”
“Questa
è una delle parti più belle. Da quando in qua le
sirene
hanno piedi a cui mettere scarpe??”
“Vuoi
dire che verrai a piedi nudi?!”
“L’idea
è esattamente quella. Ho due cavigliere di perle che fanno
anche da infradito. Senza suola, ovviamente. Se devo entrare nel
personaggio,
devo farlo bene.”
“Ma
questo non è un cosplay.”
“Ma
non è nemmeno una festa dove c’è
divieto di cosplay. L’amico
di Luke mi ha offerto su un piatto d’argento
l’occasione di tornare bambina e
non la sprecherò. Anche perché ormai ho comprato
il vestito, quindi sarebbe
anche da stupidi” finì ridacchiando. Notai solo in
quel momento che stava
stringendo qualcosa nella mano sinistra. Quando le chiesi di cosa si
trattasse,
lei diede un’occhiata, quasi non si rendesse conto di avere
la mano chiusa a
pugno, e sorrise. Mise giù il vestito e impugnò
con due mani quella che mi resi
conto essere una conchiglia, con incollate sopra delle piccole perle
che
sembravano bolle. Aveva gli occhi lucidi. “È un
regalo di mio padre. Amava
viaggiare e ogni volta che tornava dalle sue gite mi portava un
regalo.” Il
fatto che stesse parlando al passato non prometteva nulla di buono.
“Quando ero
piccola, mi ricordo che passavo le ore al telefono con lui. Mi
divertivo, mi
faceva ridere, e mi raccontava ogni cosa del posto in cui era. Mi
diceva di
chiudere gli occhi e di immaginare il paesaggio, mentre lui me lo
descriveva
nei minimi dettagli. Poi mi diceva di immaginare lui di fianco a me.
Ero troppo
piccola per fare quei lunghi viaggi, a detta di mia madre. Lei non era
per
niente contenta quando papà le diceva che stava per partire,
anzi, si infuriava
ogni volta. Non capivo il motivo. So che dopo ogni litigata risolta,
papà
veniva da me e mi diceva: ‘Sto partendo
all’avventura, sirenetta. Vuoi seguirmi
con la tua fantasia?’ Aspettavo sempre le sue telefonate. Mi
chiamava ogni
giorno, alle nove di sera, non importava che fuso orario ci fosse nel
posto in
cui era lui. Sapeva che dovevo andare a dormire alle dieci,
così mi faceva
compagnia fino a quando non mi addormentavo. I suoi viaggi duravano
qualche
settimana, un mese; poi tornava con quello che a detta sua era un
tesoro
inestimabile, e che dovevo tenere al sicuro in uno scrigno che mi aveva
regalato quando ho compiuto sei anni. Era uno di quelli che, quando li
apri,
hanno un carillon che suona e la bambolina che gira. Solo che questa
era una
sirena. Papà ha sempre saputo quanto le adorassi.
Così, quando poteva, mi
portava queste cose. Mi faceva vedere le foto che scattava durante il
viaggio e
mi chiedeva se erano uguali a quelle che mi immaginavo io mentre me le
raccontava. Ogni volta che tornava, gli chiedevo se potevo seguirlo
davvero, nel
viaggio successivo. Quando mi ha portato questa, era appena tornato
dalle isole
Fiji. Mi ha detto di aver visto una sirena, che gliel’ha data
apposta per me.
Avevo nove anni. Quella notizia mi aveva resa felicissima, e continuavo
a
chiedergli se poteva portarmi lì, a conoscere la sirena. Lui
mi disse che ero
abbastanza grande e che mi avrebbe portata lì appena fosse
tornato dal suo
ultimo viaggio. Quando lo vidi partire, mi dissi che quella sarebbe
stata
l’ultima volta che lo avrei salutato da casa. Nel mio
pensiero, stava a
significare che la volta successiva sarei andata con lui, ma purtroppo
ebbi
ragione in un altro modo. Quella sera, rimasi sveglia fino a mezzanotte
ad
aspettare una sua chiamata. E anche la sera successiva, e per altre tre
notti
di fila. Mi sentivo quasi tradita e allo stesso tempo tremendamente in
colpa,
anche se per entrambe le sensazioni non c’era motivo. Non
capivo perché non mi
chiamasse. Mi chiedevo se avessi sbagliato qualcosa, se lo avessi fatto
arrabbiare. Un giorno, sentii suonare al campanello. Sperai che fosse
lui, che
fosse tornato prima, che volesse farmi una sorpresa. Mi ricordo che per
un
momento sperai davvero che non mi avesse chiamato perché
stava cercando la
sirena. Quando aprii, rimasi delusa: non era lui, era mio zio. Aveva
gli occhi
rossi, ma quando mi vide tirò un sorriso. Gli chiesi:
‘Papà è a cercare la
sirena?’ Lui mi sorrise e, abbassandosi per guardarmi in
faccia, annuì. Mi
ricordo benissimo cosa mi rispose: ‘Sì,
papà è andato a cercare la sirena per
te. Ma lei è molto timida e non si vuole far trovare. Non so
quando tornerà
papà. Ma mentre la cercava nel mare, ha chiesto a un
granchietto di dirmi che
lui sta bene, e che ti pensa ogni sera. Quindi, sono corso subito qui
per
dirtelo, e per dirti di non preoccuparti, perché
rimarrà assente per un po’, ma
quando tornerà, lo farà con la tua sirena. Va
bene, piccolina?’ Io ero un po’
triste, ma entusiasta del fatto che stesse cercando la sirena per me.
Lo zio mi
disse di andare in camera mia a giocare, così lo feci. Stavo
giocando con la
bambola di Ariel, quando mi ricordai che non gli avevo ancora fatto
vedere la
conchiglia che mi aveva regalato la sirena. Così decisi di
portargliela. Quando
sentii mamma piangere, però, mi fermai. Ascoltai dietro la
porta della cucina
quello che mio zio stava dicendo. Mio padre era morto,
l’aereo su cui viaggiava
era andato in avaria mentre viaggiava sopra l’oceano ed era
affondato. Non si
era salvato nessuno. Non poteva essere vero, papà non poteva
essere morto.
Guardai la conchiglia e la strinsi. In qualche modo, ero convinta che
se lo
avessi desiderato abbastanza, la sirena avrebbe sentito la mia
preghiera. La
stavo implorando di trovare papà e di portarlo nel suo
castello di perle, e
curarlo, in modo che poi potesse tornare da me. Da quel momento, non mi
separai
mai più da questa conchiglia. Anche quando capii che era una
cosa stupida e che
mio padre non sarebbe mai tornato.” Mentre parlava, aveva
iniziato a piangere,
ma cercava di non interrompersi. Io stessa sentivo un groppo alla gola.
Quando
finì di parlare, rimanemmo tutte in silenzio. Lei si
asciugò una lacrima e tirò un sorriso.
“Scusate, con questa sceneggiata potrei
avervi rovinato la mattina. Mi dispiace se non so stare
zitta” disse. Si voltò
per chiudere la porta ma in quel momento passò Luke e la
vide con gli occhi
rossi. “Diana, che succede?” chiese. Diede
un’occhiata dentro e vide che
eravamo tutte nelle stesse condizioni. “Diana? Cosa sta
succedendo? Riguarda…”
Non finì la frase ma le lanciò
un’occhiata eloquente e terrorizzata. Lei scosse
la testa. “No. Coco mi ha chiesto cosa stessi tenendo in
mano, ed era la
conchiglia. Non ce l’ho fatta a tenermi tutto per me. Ho
l’assurda mania di
dire tutto a tutti, forse cerco sempre di essere al centro
dell’attenzione. Non
so perché ho sempre il bisogno di parlare. – Si
voltò verso di noi e: – Mi
dispiace se sono sembrata patetica.”
Luke scosse la
testa e la abbracciò. “Diana, non sei patetica,
d’accordo? Smettila di pensarlo. Sono anni che cerco di
fartelo capire. Se
senti il bisogno di raccontare, racconta. A loro puoi dire tutto e
anche a me.”
Carol si avvicinò e le disse: “Esatto, Diana. Sei
capitata nella casa che fa
per te. Qui tutti hanno problemi strani o un episodio strappalacrime
alle
spalle, e tutti ci psicanalizziamo a vicenda. Io ho questa mia
carinissima
malattia mentale; Coco ha Matt; Manuela ha una visione molto distorta
di sé
stessa; e Maddy ha vissuto il divorzio non troppo simpatico dei suoi
genitori
ed è scappata di casa. Siamo tutti dei pastelli rotti ma che
sanno colorare
ancora. Vuoi aggiungerti al disegno?” Diana sorrise mentre
un’altra lacrima le
scendeva dagli occhi. Era ancora abbracciata a Luke e in poco anche
Carol si
aggiunse, imitata poi da tutte noi. Non avrei mai immaginato, fino a
qualche
giorno prima, che sarebbe potuta accadere una cosa del genere.
Rimanemmo
così per un po’, fino a quando Michael
passò davanti
alla porta e ci vide tutti stretti l’uno all’altro.
“Ehi, qui fate un abbraccio
di gruppo e non ci invitate?! Siete davvero dei pessimi amici e una
pessima
fidanzata! Ash, Cal! Questi qui fanno le coccole di gruppo e non ci
dicono
niente! Venite qui, facciamo vedere a questi ingrati come si abbraccia
qualcuno!!” Così dicendo, si tuffò fra
di noi, fino a stringersi attorno a
tutti e soprattutto a Manuela, che era dietro di me. Li sentii
sussurrare:
“Michael,
brutta testa vuota decolorata, era un momento toccante.”
“Amore,
non sono cieco, l’ho visto benissimo. Ma oggi niente
lacrime e cosa c’è di meglio di un
bell’abbraccio e un povero essere che fa il
pagliaccio ogni volta per farvi ridere??”
“Forse
non avevamo bisogno di ridere.”
“E di
sicuro oggi non avete nemmeno bisogno di piangere. Quindi,
ora fai un bel sorriso a centocinquanta denti, piccolo, amorevole
squalo che
non sei altro, e dammi subito un bacio.”
“Ti
stacco quelle labbra impertinenti che ti ritrovi.”
“Ne
varrebbe la pena, no?”
Ridacchiai
mentre nell’abbraccio arrivavano anche Calum e Ashton,
che non fecero domande, esattamente come Michael, ma si limitarono a
fare il
possibile per farci stare meglio, esattamente come Michael.
***
Dopo un'altra
ora di pazzia per prepararci, noi ragazze eravamo
pronte, e strano a dirsi eravamo in tempo. Eravamo sul letto, a
guardarci in
faccia, senza sapere cosa fare. "E ora?" chiese Diana. "Chiediamo
ai ragazzi a che punto sono??"
"D'accordo" feci
io, prendendo il cellulare. Composi il
numero di Luke, ma rispose Ashton. "Coco, mi cercavi??"
"Non cercavo
precisamente te, se no avrei chiamato sul tuo
cellulare, no?"
"Ah, grazie, eh?
Sono il tuo migliore amico e non mi
vuoi!"
"Certo che ti
voglio, ma non in questo momento!"
"Questa me la
lego al dito, piccola ingrata!"
"Ash!"
"Sto scherzando,
stupida. Ti passo Luke?"
"Metti il
vivavoce a questo punto, dobbiamo parlare tutte con
tutti." Lui rise e lo sentii armeggiare col telefono, prima che nella
stanza si diffondesse la voce di tutti e quattro. Nel miscuglio di
domande e
risposte non riuscivo più a capire chi stesse parlando.
"Ragazze, siete
pronte?"
"Sì!"
"Allora
è tragico, noi non ancora!"
"E cosa dovete
fare?"
"Dobbiamo ancora
metterci in tiro! Ci manca il trucco, vero,
ragazze?"
"Sei molto
spiritoso, Michael, ma intanto noi ci siamo
truccate e voi, che non dovete farlo, no!"
"Ci vuole tanto
ad abbinare i vestiti!"
"Ma non dire
cretinate, ci abbiamo messo meno tempo noi che
siamo femmine!"
"Eh, niente, i
ruoli si sono invertiti."
"Allora ho una
grande idea."
"Le tue grandi
idee mi spaventano, Cal."
"Amore, abbi un
po' di fede in me!!"
"L'ultima volta,
con la tua grande idea volevi diminuire il
tragitto per arrivare a casa e ci siamo ritrovati sull'autostrada per
Venezia!"
"Non
è colpa mia se avevano chiuso l'uscita che ci
serviva!"
"Maddy, lascialo
parlare!"
"Grazie, Manu.
Quello che volevo dire è: dato che oggi le
ragazze sembriamo noi, perchè non lo facciamo diventare una
regola? Oggi i
ragazzi siete voi, e noi le ragazze."
"Se ti piacciono
queste cose, so dove si trova un bel
localino scambista."
"No, ehi, non
intendo in ambito sessuale, o di vestiario.
Intendo che, ad esempio, prendiamo la classica scena di un film, in cui
le
ragazze fanno la loro comparsa giù dalle scale e i ragazzi
stanno lì a
guardarle. Facciamo il contrario. Eliminiamo tutte le convenzioni.
Siamo
abbastanza strani da non farci problemi, sfruttiamo questa occasione!"
"Sai che
è un'idea così pazza da essere grandiosa?"
"E io che vi
avevo detto?!"
"Ok, ok, siamo
d'accordo, adesso andiamo di sotto ad
aspettarvi!"
"Ok! Proviamo a
metterci poco!"
"D'accordo,
ciao!"
Misero
giù e noi ragazze ci guardammo un attimo, prima di
scoppiare a ridere. “Davvero stiamo per fare questa
cosa?” chiese Diana,
stranita e divertita. “Non hai mai provato a divertirti in
questo modo?”
“No, a
dire il vero con mia madre appresso non posso fare più di
tanto. È una delle poche volte in cui mi lascia da sola per
qualche giorno e me
la sto godendo fino in fondo. Mi piace stare qui con voi. Nonostante la
settimana di… tensione, non ero così spensierata
da anni.”
Noi le
sorridemmo di rimando e Manuela si alzò. “Andiamo
di sotto
ad aspettarli. Voglio proprio vedere se la loro entrata trionfale
potrà essere
meglio di quella che avremmo fatto noi” fece con aria di
sfida.
Un quarto
d’ora dopo, eravamo davanti alla televisione,
stravaccate come se non fossimo vestite di tutto punto con degli abiti
lunghi,
ma come se fossimo in pigiama. Sentimmo qualcuno schiarirsi la voce con
esagerata potenza e ci voltammo verso le scale. “Siete
pronte, signorine?”
chiese la voce di Ashton dal piano di sopra. “Quando lo siete
voi, signorine”
rispose Manuela. “Manu, aspetta che arrivo di sotto e ti
rovino di solletico”
la minacciò Michael. “Amore mio, ho
i
tacchi a spillo. davvero vuoi metterti contro di
me??”
“Questa
però è cattiveria.”
“Questo
è essere ragazza e sfruttare questo enorme vantaggio anche
in modo fisico.”
“Anche?”
“Certo,
anche. Sai com’è, il vantaggio mentale lo davo per
scontato.”
“Che
femminista.”
“Non
sono femminista, sono solo sicura di essere più furba e
intelligente di te.”
“Fammi
un solo esempio.”
“D’accordo.
Sai il videogioco che ti è sparito un mese fa?”
“Sì.
Se mi dici che l’hai preso tu…”
“Esattamente.
Avevo previsto che si sarebbe giunti ad una
conversazione del genere così mi sono preparata. Ammetti che
le ragazze hanno
una marcia in più e lo riavrai.”
“Ma
questo non è essere più intelligente!”
“Oh,
no. È solo essere più lungimirante, furba,
attenta e
geniale.”
“Sei
solo una spietata ricattatrice.”
“Ho
messo in atto un ricatto perfetto e lo sai, e senza cervello
non ce l’avrei mai fatta. E tu? Hai qualche ricatto per
me?”
Il silenzio da
parte di Michael mi fece trattenere una risata. Mi
guardai intorno e vidi che anche le altre stavano cercando di non farsi
scappare nulla. Sentimmo il brontolio contrariato di Michael dire:
“D’accordo,
hai vinto” e Manuela fece un sorriso vittorioso.
“Vuoi ridere?” chiese poi. “Non
esattamente.”
“L’hai
solamente dimenticato a casa di tua madre l’ultima volta
che siamo andati da lei. Ha chiamato qui per dirtelo ma ho risposto io,
e anche
se mi ha chiesto di riferirtelo potrebbe essermi puramente passato
dalla
testa.”
“Giuro
che ti uccido.”
“Prima
supera la forza soverchiante dei miei tacchi e della mia
spietatezza.”
“Però
non è giusto…”
“Lo
sai che ti amo, Mikey?”
“Anche
io, nonostante tu a volte sia davvero esasperante.”
“Disse
lui, chiariamoci.”
“Questi
sono solo dettagli” rispose Michael ridendo.
“D’accordo,
adesso scendete, non mi va di arrivare tardi per colpa
di un battibecco fra piccioncini” fece Carol ridacchiando.
“D’accordo,
d’accordo.”
Così
dicendo, scese per primo Michael. Aveva il mento alto e si
teneva le mani strette al bavero della giacca elegante, di un blu
scurissimo
come i pantaloni. Aveva la camicia azzurro pallido –
probabilmente si era messo
d’accordo con Manuela – e, per la gioia della sua
dama, un papillon bianco.
Aveva addirittura cambiato tinta, tingendosi di blu, il che era dire
poco.
Ashton aveva a
sua volta lo smoking blu, ma più in chiaro, dello
stesso colore della cravatta. La camicia era bianca e fra i capelli
aveva la
sua immancabile bandana. Camminava anche lui a testa alta, con gli
occhi
socchiusi, come se fosse sua maestà in persona.
Calum fece la
stessa entrata in scena. La camicia era un pelo più
chiara del rosa antico del vestito di Madison, ma lo ricordava molto.
Giacca e
pantaloni neri completavano il tutto, ma esattamente come Michael,
aveva aggiunto
il suo tocco con una tinta biondo platino sul ciuffo. Anche lui
sembrava voler
imitare in malo modo tutti i modelli che si vedevano in TV e ci provava
con uno
sguardo che doveva essere provocante, ma che sembrava quello scrauso di
un
cartone animato. Mi venne da ridere nel vederlo così, ma
cercai di trattenermi
per rispetto di Madison. Mi voltai verso di lei e vidi che, ad ogni
modo, stava
ridendo anche lei, così non mi feci problemi.
Luke fu
l’ultimo. Come mi aveva detto al negozio, aveva la camicia
nera. La cravatta e il revèrs della giacca erano di raso,
lucidi, e si
staccavano dal cotone della camicia. Aveva i capelli tirati su nel suo
solito
ciuffo e, nonostante anche lui cercasse di fare il superbo come tutti
gli
altri, si vedeva lontano un miglio che stava cercando in ogni modo di
non
ridere. Aveva, con mia grande sorpresa, ancora il piercing. Era bello
vedere
come, nonostante il vestito elegante, fossero tutti esattamente uguali
a come
erano prima.
Appena tutti
arrivarono sul nostro piano, noi ragazze ci mettemmo
ad applaudire ed esultare. Michael e Ashton si esibirono in un
esageratissimo
inchino, mentre Luke e Calum scoppiavano a ridere. Michael si
avvicinò alla sua
dama e la fece alzare. Manuela, con un sopracciglio alzato e un sorriso
divertito,
lo seguì, mentre io ero curiosa di vedere dove sarebbe
andato a parare. Michael
si voltò di lato e fece finta di spruzzarsi qualcosa in
bocca, imitandone
addirittura il rumore, poi si girò di nuovo verso di lei.
“È arrivato il suo
principe azzurro, mia signora. Azzurro nel vero senso della
parola” fece poi.
Manuela scoppiò a ridere, mentre noi ci limitavamo a
scuotere la testa,
esasperatamente divertite. “Ehi, mi sono tinto apposta per
fare questa battuta,
me la sono studiata nei dettagli tutta la mattina, fatemi il favore di
ridere”
ci rimbeccò Michael. Provammo a trattenerci solo per fargli
un dispetto, ma
alla fine scoppiammo. “Allora non scherzavi quando hai detto
che ti saresti
messo il papillon” fece Manuela. “Tesoro, su queste
cose non scherzo.”
“Tu
scherzi sempre.”
“Uff,
mi fai sembrare poco serio.”
“Tu
sei serio?”
“La
pianti di farmi domande delle cui sai già la risposta e che
mi
mettono solo in difficoltà?!” fece lui con un
sorriso esasperato, mentre Manu
rideva, ancora.
Luke si
avvicinò a me e mi sollevò. “Siete
così allegri in nero,
ragazzi” fece Ashton ridacchiando. “Ehi, le avevo
promesso che non l’avrei
lasciata da sola in nero, e così ho fatto. Questo e altro se
può aiutarla ad
accettarsi” fece lui. Io sorrisi piano mentre lui mi
circondava la vita con un
braccio, carezzandomi piano il fianco. “Ragazzi, non vorrei
turbare questo
amorevole quadro, ma dobbiamo proprio andare.
Dov’è la limousine di cui mi
avevi parlato, Ash?” chiese Carol. Lui fece un sorriso
raggiante e compiaciuto
mentre noi lo guardavamo sorpresi. “Hai noleggiato una
limousine?!” facemmo,
andando verso la porta. “Oh, certamente. Sapete, è
stata meno costosa di quanto
voi possiate immaginare…” Noi aprimmo la porta,
giusto per ritrovarci con il
furgone dei ragazzi davanti. Sulla fiancata, aveva un grande
cartellone:
‘Immaginate che sia una limousine’.
“…
Giusto i soldi per il cartellone, l’indelebile e lo scotch
grosso per appiccicarlo sul furgone.”
Lo guardammo
tutti basiti, prima di scoppiare a ridere.
“D’accordo, questo è
divertente” ammise Diana. Carol, nonostante cercasse di
fare l’arrabbiata, non riuscì a resistere.
“Sei un cretino, Irwin” fece.
“Perché devo spendere centinaia per una cosa
così, quando con sei euro mi sono
comprato le vostre ridate?? Non credi che sia molto meglio questo?
Personalmente, preferisco divertirmi con voi, che sedermi in
un’auto lussuosa”
fece lui. Sorridemmo tutti a
360 gradi. "Tutti
addosso a Fletcher!" fece Michael, buttandosi di peso su di lui. Ashton
fece fatica a sostenerlo e barcollò indietreggiando, ma non
riuscì a reggersi
in piedi quando anche io e Carol li raggiungemmo. Cademmo sul divano,
mentre
con un urlo Manuela si buttava su di noi. In un attimo ci raggiunsero
tutti,
aggiungendosi a quella specie di abbraccio più simile ad una
rissa. Ashton,
sotto di noi, stava soffocando. "Maledetti, alzatevi subito, non
respiro!!"
"No!
È un abbraccio tenero!"
"Siete
degli schiacciasassi!"
"Stai
dicendo che sono grassa?!"
"Carol,
prima di tutto, non l'ho mai detto;
secondo, siete in otto su di me!! Permetti che anche se pesaste venti
chili a
testa non sareste comunque una piuma, tutti insieme!"
Scoppiammo
tutti a ridere mentre Ashton cercava di far
leva con i piedi per alzarci. Quando lo sentimmo tossire, decidemmo che
ci
eravamo spinti troppo oltre e ci alzammo. Lui si prese un minuto per
fare dei
lunghi respiri, fulminandoci con lo sguardo ogni volta che uno di noi
rideva.
"Vi odio, sto sudando e vi assicuro che non è che questa
giacca sia
leggera" mugugnò quando si rialzò,
stiracchiandosi. Noi ci scusammo
ridacchiando e lui ci guardò divertito. "Maledetto il giorno
in cui ho
pensato che fare da babysitter a dei piccoletti di diciassette e
diciotto anni
sarebbe stata una buona idea" fece. "Ehi, io ne ho diciannove!"
ribatterono Michael e Diana. "Diana, non parlavo di te, non sei al loro
livello, per fortuna. E Mikey, avrai anche diciannove anni, ma ne
dimostri
nove."
"Non
è vero!"
"Chi
ha detto: 'Tutti addosso a Fletcher'?!"
"E
chi ha detto che a diciannove anni devo essere
maturo?! Hai attaccato un cartellone al nostro furgoncino con su
scritto:
'Immaginate che sia una limousine'!!"
"Volevo
farvi ridere!"
"Volevo
mostrarti tutto il mio affetto, ma mi hai
brutalmente snobbato!" fece Michael, facendo finta di asciugarsi una
lacrima con tono disperato. "Mi hai spezzato il cuore, Fletcher."
"E
tu la schiena, Gordon."
"Odio
quel nome!"
"E
io odio Fletcher!"
"Basta!"
fece Calum. Era una scena
divertente e mi dispiaceva doverli interrompere, ma Calum aveva
ragione,
stavamo facendo tardi. Luke si sistemò la giacca, che si era
stropicciata sulle
spalle, prima di tornare a circondare il mio fianco. Si
chinò fino ad essere
abbastanza vicino a me per sussurrare: “Iniziamo ad andare,
forse seguiranno il
nostro esempio.”
“E
se non lo fanno?”
“Andiamo
da soli.”
Mi
misi a ridere mentre lui mi portava verso la
macchina. “Dimenticavo un particolare, non ho la
patente” commentò Luke. “Io
sì, però” fece Diana da dietro di noi. Salimmo in
macchina, Diana al posto del guidatore e noi dove di
solito stavano gli strumenti, vano che avevamo trasformato in un enorme
divano,
con quattro strati di coperte sul fondo e tanti cuscini. In un angolo
c’era una
scatola dove mettevamo le scarpe, per non sporcare il posto in cui ci
saremmo
seduti poi. Nell’angolo opposto, ci eravamo ingegnati e
avevamo trovato un modo
per mettere un mini frigo portatile, che andava a batteria e si
ricaricava
mentre la macchina andava. Quando avevo chiesto a Luke dove
l’avessero trovato,
mi aveva risposto con un vago: “L’ha portato Ashton
quando è tornato
dall’Australia.” I finestrini erano stati schermati
con una pellicola colorata,
che da fuori dava l’impressione di uno specchio (anche quella
volta, una
trovata di Ash in Australia). Aveva portato quattro colori: rosso,
giallo, blu
e verde; a quel punto, noi avevamo usato i vari colori per decorare i
finestrini a mo’ di mosaico. L’interno, ora, era un
coloratissimo e morbido
ambiente.
Io e Luke ci
togliemmo le scarpe e le buttammo nella scatola,
prima di prenderci i posti migliori, ovvero quelli che davano la
schiena ai
sedili davanti. Ci sdraiammo e aspettammo, comodi, l’arrivo
degli altri. “Dai
loro dieci minuti. Se non arrivano, beh, l’invito era per me,
Blake si farà una
ragione della loro assenza” scherzò Luke. Diana
acconsentì. “Blake è il tuo
amico, no?” chiesi. Lui annuì.
“È un tipo piuttosto eccentrico. Conoscendolo,
avrà fatto venire tutti vestiti eleganti e lui si
sarà messo comodo. – Si
rivolse a Diana – Sai, anche lui ha una fissa per la
Sirenetta.”
“Ma
non mi dire!” fece lei con tono divertito. “Magari
andate
d’accordo! Chissà, forse ti trovi un
fidanzato!” feci io. Luke scoppiò a ridere
e sentii Diana che ridacchiava a sua volta. “Io, trovare un
fidanzato? Non fa
per me, ho di meglio a cui pensare ora” fece Diana.
“E anche se volesse, non
potrebbe con Blake. È già occupato con una mia
amica, stanno insieme da due
anni e sono felicissimi, anche se è una relazione a
distanza. Anzi, sai che
credo che oggi li vedremo insieme??”
“Oh,
wow, dovrò vedere un’altra coppietta felice mentre
io sono
single senza speranza?” chiese Diana. “No. Non
amano essere visti in pubblico”
rispose Luke con un sorrisetto che non capii. Passarono due minuti,
cinque,
dieci. Improvvisamente, Diana suonò il clacson, facendomi
sussultare. “E
andiamo, lumache! Avete dieci secondi per salire o giuro che vi lascio
qui!”
esclamò, affacciata al finestrino. In un fuggi fuggi
generale, il furgoncino si
riempì e Ashton chiuse le grandi porte dietro di
sé. “Mi lasciate da sola
davanti?! Siete antipatici forte!” si lamentò
Diana. Carol e Ashton scesero e
la raggiunsero ai posti davanti. “Ehi, ora siamo troppo
stretti!”
“Da
sola, troppo stretti… Finito di lamentarti?”
scherzò Manuela
ridendo.
***
Arrivammo alla
villa di Blake seguendo le indicazioni di Luke.
Quando Diana posteggiò nell’ampio parcheggio di
ghiaia, mi resi conto che forse
non sarebbe stato così tranquillo. Il parcheggio, molto
ampio, era pieno. Mi
chiesi quanto posto avesse in casa questo Blake e soprattutto quanta
voglia
avesse di mettere in ordine tutto dopo. Anche se, a dirla tutta, ero
praticamente sicura che in una casa del genere non potessero mancare i
domestici. Scendemmo dal furgoncino rimettendoci le scarpe
all’ultimo e ci
guardammo intorno. “Wow, Blake vive proprio nella
miseria” commentò Michael.
“Non me lo ricordavo così schifosamente
ricco” disse Calum. “Lo conoscete?”
chiesi curiosa. “Lo conoscete?” chiese Ashton
stranito. Ci guardammo e
scoppiammo a ridere. “Com’è che non me
l’avete mai presentato?” fece poi.
“Abbiamo perso un po’ i contatti, era soprattutto
amico di Luke” spiegò Calum.
“Com’è che ha invitato così
tanta gente?”
“Nah,
di solito invita relativamente poche persone. Però, ad
esempio, ha invitato me e io ho portato voi. Non sono l’unico
che fa così.
Certa gente non la conosce nemmeno.”
“E non
ha paura che succeda qualcosa in casa?”
“A
quanto pare no.”
“Contento
lui.”
“Già…
Solo una cosa, fatemi il favore di non accennare mai a
questo suo essere benestante. È il padre che ha un mucchio
di soldi e lui odia
questa cosa, lo hanno educato come un principino mentre se fosse stato
per lui
avrebbe girato il mondo. I suoi genitori gliel’hanno
impedito.”
“Mi
dispiace.”
“Dispiace
un po’ a tutti. Ora entriamo, dai, ci tengo a
presentarvelo” fece Luke, intrecciando le sue dita alle mie e
dandomi un bacio
sulla fronte. Ci incamminammo verso l’ingresso e quando
raggiungemmo il grande
portone, dovemmo mostrare l’invito. Il tizio
all’ingresso ci fece passare dopo
aver guardato male Diana, che era da sola, e Michael, con i capelli
tinti.
Appena lo superammo, Michael si voltò e gli fece una
linguaccia.
L’interno
era a dir poco meraviglioso, mi sembrava di essere stata
catapultata in un film. Il colore predominante era il bianco del marmo
di cui
era composta la sala, dalle lesene alla scalinata che portava al piano
di sopra,
chiuso alla folla da un nastro rosso e un bodyguard che controllava.
Come da
cliché, sulla scalinata c’era un tappeto rosso,
che arrivava fino a terra,
attraversava il salone e raggiungeva l’ingresso. Il resto del
pavimento – a
giudicare da Diana, che essendo a piedi scalzi aveva i brividi
– doveva essere
piuttosto freddo, dato che era di marmo a sua volta, con sfumature
grigie.
Grandi finestre a ogiva si aprivano su tutta la parete della porta e la
sala
era illuminata anche da un enorme lampadario. Davvero, mi pareva di
essere in
un castello da film.
Il salone era
stracolmo di gente, la maggior parte persone in
maschera. Lungo i due lati della sala correvano due tavoli ricoperti
con
tovaglie rosse, che ospitavano ogni ben di Dio che si potesse
immaginare. In
mezzo alla stanza, poi, c’era quello che all’inizio
scambiai per un sogno: un
tavolo rotondo, pieno di frutta varia, con al centro
un’enorme fontana di
cioccolato. Le persone immergevano la frutta nel cioccolato fuso con
l’aiuto di
quelle che sembravano lunghe forchette e la posavano sul piatto che
prendevano
lì di fianco. Avevo l’acquolina in bocca.
“Secondo
voi si può prendere un bicchiere e derubare la fontana di
cioccolato?” chiese Manuela, leggendomi nel pensiero.
“Lo spero proprio, ma
anche se non si potesse lo farei lo stesso” rispose il suo
ragazzo. Ridemmo
tutti, mentre i due andavano verso la fontana. “Ci vediamo
dopo!” esclamò
Manuela.
In poco, il
gruppo si disgregò. Rimanemmo solo io e Luke. “Hai
fame?” mi chiese. Io scossi la testa. “Bene, allora
seguimi” disse, prendendomi
la mano e portandomi oltre la scalinata, verso una porta che prima,
nella
folla, non avevo notato. Portava ad un giardino lussureggiante e
magnifico, che
mi fece restare a bocca aperta. Guardandomi attorno notai che
c’era un’altra
porta uguale a quella, probabilmente all’altro lato della
scala. “Dove stiamo
andando?” chiesi. “Vedrai, ti piacerà.
Hai letto The maze runner,
no?”
“Se mi
dici che è un labirinto, muoio.”
“No,
non morire, amore, non riuscirei a vivere senza di te.”
Sempre tenendomi
la mano, mi portò fino a quella che da lontano
sembrava solo una lunga siepe, ma da vicino mi accorsi che aveva
un’apertura.
Luke ci entrò senza esitare, facendo svolte sicure, tanto
che capii che non era
la sua prima volta lì dentro.
Il labirinto era
più grande di quanto pensassi; le pareti erano
formate da siepi verde scuro e la ghiaia che segnava il percorso era
bianchissima. Non vedevo l’ora di sapere dove mi stava
portando. Quando si
fermò, io rimasi a bocca aperta. Era un piccolo pezzo di
paradiso. Eravamo al
centro del labirinto, un grande quadrato delimitato dalle siepi. Al
centro
esatto c’era un gazebo rotondo, con tende bianche tirate di
lato a chiuderlo,
l’impalcatura di ferro battuto e con le stesse decorazioni
delle otto panchine
che costeggiavano i lati del quadrato. La cosa più bella del
gazebo erano le
quattro piante di glicine che, partendo dai quattro pilastri che lo
sorreggevano, si intrecciavano e salivano fino a creare una bellissima
cupola
verde e lilla. Copriva un enorme divano circolare, pieno di cuscini
decorati
con screziature dello stesso colore del glicine sopra di loro. Ai piedi
di ogni
siepe c’erano una ventina di centimetri di prato costellato
di margherite. Il
resto era ghiaia. C’erano quattro entrate, poste esattamente
al centro di ogni
lato, con due panchine ai fianchi. Era un posto magico.
“Cucciola,
benvenuta nel mio giardino segreto.”
***
Luke ed io
eravamo seduti su una delle panchine. Sotto i miei
piedi sentivo i sassolini della ghiaia, tiepidi per il sole. Le mie
scarpe
erano sotto la panchina mentre la giacca di Luke era appoggiata, con la
sua
cravatta, sullo schienale. Ero sdraiata con la testa sulle sue gambe,
gli occhi
chiusi, e Luke, con lo stelo di una margherita, disegnava figure
immaginarie sul
mio viso. Passava sul naso, disegnava spirali sulle guance, sfiorava le
palpebre chiuse e vagava sulla fronte. Capii che era intenzionato a
farmi
addormentare quando iniziò a passarmi le dita fra i capelli,
continuando a
disegnare. “Luke…”
“Shh,
piccola, stai tranquilla.”
Non risposi
più, godendomi il tepore del sole e le coccole di
Luke.
Mi stavo per
addormentare, quando sentii dei passi smuovere la
ghiaia. Non aprii nemmeno gli occhi: chiunque fosse, sperai tanto che,
vedendoci, se ne andasse. Invece, Luke smise di disegnare con lo stelo
della
margherita. "Luke, quanto tempo!" fece una voce maschile. Sentii Luke
fare: "Shh" e l'altro si avvicinò a noi con passo leggero.
Non
riuscii nemmeno ad aprire gli occhi, ma non me ne feci un problema:
tanto pensavano
già che fossi addormentata. Così, rimasi solo ad
ascoltare. "È un piacere
rivederti, Blake. Sei sparito dalla circolazione, piccolo snob ricco
sfondato,
eh?" fece, con mia sorpresa, Luke. L'altro ridacchiò. "Per
te sono il
signorino Lucian Blake, chiaro?" disse. "Dimmi che scherzi."
"Ovvio che
scherzo, genio."
"Per un attimo
ci ho creduto davvero."
"Non potrei mai
diventare il signorino Lucian Blake. Io sono
solo Blake, per te."
“Non
ti sei ancora arreso ai tuoi, eh?”
"Già.
È lei?"
Sentii Luke
stare in silenzio qualche secondo, mentre la sua mano
tornava ad accarezzarmi i capelli. "Sì."
"Quando si
sveglia, me la presenti, vero?"
"Certo."
"Come hai detto
che si chiama? Ho una memoria pessima."
"Coralie."
"È un
bel nome, sarebbe stato adatto per una sirena,
oggi."
"Sì,
ma lei è la mia principessa. E non lo è solo
oggi."
Blake
ridacchiò. "Ti capisco benissimo. E invece, hai visto
la mia, di principessa?"
"La tua sirena,
al massimo."
"Davvero ha
scelto la sirena?"
"Certo."
"Non vedo l'ora
di vederla... Davvero, è impossibile starle
lontano così tanto. E poi ora che è qui, mi viene
male a sapere che comunque
dobbiamo fingere di non conoscerci."
"Beh, se non vi
vede nessuno, non dovrete fingere."
"Ed è
per questo che la cercavo nel labirinto. Però ci sono
due ragazzi che l'hanno occupato, due biondini, uno con gli occhi
azzurri e
l'altra che dorme. Quindi mi sa che dovrò cercare un altro
posticino."
"Riferimenti
puramente casuali, vero?"
"Esattamente,
Hemmo."
"Viva i vecchi
soprannomi, Blackie!"
"Aiuto, quanto
lo odio."
Luke rise
insieme a Blake, mentre provavano a non fare troppo
rumore. Blake prese di nuovo la parola: "Sai dove posso trovare la mia
sirenetta?"
"No, purtroppo,
l'ho vista di sfuggita all'inizio."
"In mezzo a
tutte quelle altre sirene... Come la trovo?"
"E come la trovi
se rimani qui?"
"Sei simpatico
come al solito, eh?"
"Ti sto
solamente dicendo che il tempo che avete è davvero
poco. Potrebbe tornare a Roma da un giorno all'altro. Quindi, davvero,
fossi in
te io sarei già andato via."
Blake
ridacchiò. "Sai cosa? Hai perfettamente ragione. Ciao
Lukey, ci vediamo dopo, forse. Divertiti con Claire."
"Coralie."
"È lo
stesso."
"Non
esattamente, pesce rosso che non sei altro."
Risero entrambi
e Blake, salutandolo, se ne andò.
Attesi di non
sentire più i suoi passi prima di aprire gli occhi.
Vidi Luke che mi guardava. “Ti abbiamo svegliata?”
chiese apprensivo. “Sì e no”
feci. “Preferivo più no che sì, ma
meglio che un sì completo” rispose lui. Io
ridacchiai, prima di sentire il suo stomaco brontolare. Scoppiammo a
ridere.
“Hai già fame?”
“Amore,
mentre dormicchiavi è passata un’ora e passa,
è l’una.”
Impallidii a
quella notizia. “Beh, allora torniamo dentro. E, mi
dispiace se l’autonomia delle mie batterie è
così scarsa.”
“Non
preoccuparti, cucciola. Amo vederti dormire.”
Sorrisi e mi
chinai per mettermi di nuovo le scarpe, mentre Luke
si infilava la giacca. Gemette disperato. “Che
c’è?”
“È
caldissima, sto soffocando.”
Io risi ma mi
dovetti fermare subito, mi faceva male la pelle
sotto gli occhi. “No, ti prego…” feci,
sfiorandomela. “Cosa succede, amore?”
“Mi
sono bruciata stando al sole…”
“Ma ci
sei stata solo un’oretta!”
“Lo so
bene… Ma mi bastano dieci minuti per bruciarmi
qui… Quanto
mi odio in questo momento, fa male quando rido.”
Luke
scoppiò a ridere e mi baciò piano.
“Allora proviamo a fare i
seri, per una volta” fece. “Non posso nemmeno
sorridere!”
“Beh,
allora questa è una tragedia.”
“Non
sei spiritoso.”
“Non
volevo esserlo. Come faccio io, senza il tuo sorriso?” mi
chiese, prima di stamparmi un bacio sul naso. “Quando vedo
Blake gli chiedo se
può fare qualcosa, se ha una crema, qualsiasi cosa. Non
voglio che peggiori.”
“D’accordo,
grazie” feci, sinceramente sollevata.
Tornammo dentro
giusto per notare che i piatti sui tavoli erano
cambiati, gli stuzzichini vari avevano lasciato il posto a veri e
propri primi
e secondi, ma per la mia gioia, il tavolo con la fontana
c’era ancora. In quel
momento, tutte le persone erano sedute a dei tavoli che prima non avevo
visto
da nessuna parte. Vidi Manuela che si sbracciava per farsi notare,
indicando
tre posti liberi accanto a lei, al tavolo dei
‘nostri’. “Vado a sedermi un
attimo, devo parlare con Diana. Tu intanto inizia a prendere quello che
vuoi,
ti raggiungo subito” mi disse Luke, dandomi un bacio sulla
guancia e andando
verso il nostro tavolo. Io non dissi niente e mi diressi al buffet.
Stavo mettendo
nel piatto un paio di fette di pizza – non
m’importava se era un posto così elegante, la
pizza avrebbe sempre vinto –
quando sentii qualcuno picchiettare un dito sulla mia spalla. Mi voltai
e
incontrai il viso sorridente di un ragazzo, con i capelli lunghi neri e
incredibili occhi azzurri. “Ti piace proprio la pizza, eh? Me
ne lasci una
fetta, per favore?” mi chiese. Io arrossii – a quel
punto dovevo essere proprio
viola, dato che quando mi scottavo le guance ero rossa per giorni
– e mi
scansai. Lui rise e si servì. “Non ti ho mai vista
da queste parti. Sei un’amica
di un invitato?” mi chiese. Io annuii. “Sono la
ragazza di un invitato, Luke
Hemmings” feci timidamente. “Viva le coincidenze.
Mi chiamo Luke” disse lui
sorridendo raggiante, mostrando i denti bianchissimi che risaltavano
sulla
pelle abbronzata. Al contrario di tutti gli altri, aveva ignorato la
regola di
Blake, ovvero vestirsi in modo elegante: aveva una camicia quasi
medievale, o
da marinaio, di cotone grezzo con le maniche larghe che si stringevano
solo ai
polsi. I pantaloni, almeno, erano quelli di un completo. “Ti
piace qui?” mi
chiese. Io annuii. “Anche se a dire il vero speravo di
incontrare il padrone di
casa” aggiunsi poi. “Luke te ne ha
parlato?”
“Oh,
sì.”
“E che
ti ha detto di lui?”
“Che
è una persona eccentrica, che vuole girare il mondo ma i
genitori lo hanno bloccato qui, che ha una fissa per la Sirenetta e che
vive
una relazione a distanza. Ha parlato soprattutto della fissa per la
Sirenetta.”
Luke scoppiò a ridere e io non capii il motivo.
“beh, diciamo che è un buon
modo per riassumermi” disse. Io lo guardai interrogativa.
“Forse non mi sono
presentato bene” spiegò, pulendosi la mano destra
su un tovagliolo. “Ciao, mi
chiamo Lucian Blake, detto Luke o, come mi chiama il tuo ragazzo, solo
Blake.
Ero curioso di sapere se ti aveva detto di me e ho fatto tutto questo
teatrino,
mi dispiace se ti ho messa a disagio. Ti ho vista prima con lui ma
stavi
dormendo. Sei Claire, no?”
“Coralie.”
“Insultami,
ho una memoria pessima con i nomi.”
Io gli strinsi
la mano mentre lui ancora rideva. Ripensai a quello
che gli avevo detto riguardo la Sirenetta e arrossii di nuovo.
Viva le gaffe.
*Angolo autrice*
Scusatemi in
ginocchio, davvero, miei dieci lettori… mi dispiace
tantissimo se ci ho messo più di un mese ad
aggiornare… Questo capitolo è stato
un parto ma spero di essermi fatta perdonare con ventitré
pagine… Scusatemi,
davvero, chiedo umilmente perdono. Però, dai, sono qui
all’una di notte a
scrivere, ho scritto di getto sette pagine oggi perché non
volevo ritardare
oltre, quindi vi prego, siate clementi con me, non condannatemi.
È un periodo
orribile. E inizio già a dire che anche il prossimo capitolo
sarà molto
ritardatario, perché da mercoledì inizio a
provare con la compagnia di teatro
per mettere in piedi lo spettacolo, ho mille prove lunghe (dalle due
alle otto)
e devo anche andare avanti con la scuola, quindi davvero non so come
aggiornerò…
io giuro però che ci provo! Intanto, vi ho avvertito, quindi
vi prego non
abbandonatemi.
Dopo queste
suppliche, vi saluto, grazie a tutti quelli che sono
arrivati fino a qui e scusatemi ancora!! Sono una persona orribile!
Bacioni e altre
scuse
Ranya
PS: che ne
pensate del nuovo banner? Meglio questo o quello
vecchio? Ditemelo please, ci tengo tanto a saperlo!
|
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Capitolo 33 *** thinking out loud ***
Thinking out loud
“Spero
di non aver detto cose
compromettenti” feci imbarazzata. Lucian rise ancora di
più. “Tranquilla. Non
me la prendo. Luke è uno dei miei migliori amici e sa che
può dire ogni cosa di
me, anche se devo ammettere che è stato piuttosto giusto nei
miei confronti con
questa descrizione” disse. Proprio in quel momento,
arrivò Luke. “Si parla del
diavolo” fece Lucian ridacchiando. “Ehi, non
importunare la mia ragazza,
maniaco” scherzò Luke, cingendomi la vita con fare
protettivo. Ridemmo tutti e
Luke adocchiò la pizza nel mio piatto. “Mhm,
amore, la mangi tutta?” mi chiese,
con un tono che in un cartone animato avrebbe accompagnato una leccata
di
baffi. “Sì” dissi subito, schermando il
mio pranzo – e sottolineo, il mio – con
il corpo. Lui mise su un broncio adorabile che mi rese difficile
rimanere sulla
mia decisione. “Luke, se vuoi una fetta di pizza, basta che
la prendi da lì”
fece Lucian perplesso. “No, voglio la sua. Se mi ama me ne
darà una fetta.”
“Che
cosa?!” chiesi io sconvolta.
“Certo.”
“Le
prove d’amore sono la cosa più
insulsa che esista!” esclamai. Luke rise e mi diede un bacio
sulla fronte. “Lo
so, piccola, non te ne chiederei mai una. Stavo scherzando. So cosa ne
pensi.”
“Oh,
siete stomachevoli, ragazzi”
ci punzecchiò divertito Lucian. Luke lo guardò
male, prima di avvicinarsi al
tavolo e servirsi. “Andiamo dai ragazzi, piccola?”
mi chiese poi. Io annuii e
Lucian ci salutò, lasciandoci raggiungere il tavolo dove si
erano sistemati gli
altri. Manuela, quando mi vide arrivare, si sbracciò, quasi
avesse paura che
non l’avessi vista. Mi sedetti accanto a lei.
“Manu, guarda che sono talpa, ma
non fino a questo punto.”
“Non
si sa mai, con una persona che
non saluta nessuno a meno che non sia a due metri di distanza, date le
continue
gaffe.”
“Ma me
lo devi ricordare ogni
volta?”
“Non
è colpa tua se non porti mai
gli occhiali!!”
Michael ci
interruppe. “Allora,
Coco, a quanto pare hai conosciuto Lucian” disse con un
sorrisetto. Io annuii.
“E ho fatto pure una bellissima figura da cretina, se
è per questo” aggiunsi.
Loro si misero a ridere. “Non è la prima volta,
comunque” sussurrò Manuela. Io
le diedi un calcio sul piede e lei soffocò una risata,
rispondendo al fuoco con
uno schiaffo sul braccio. “State buone” ci
rimbeccò, da brava mamma, Carol, con
un ghigno divertito, che fu subito coperto dal bicchiere che lei si
avvicinò
alle labbra.
Mangiammo in
poco tempo, facendo i
turni per i rifornimenti, che puntualmente finivano nel giro di cinque
minuti.
Ad un certo punto, si avvicinò a noi Lucian, che si
appoggiò coi gomiti sugli
schienali delle sedie di Luke e Diana. “Ragazzi, ho bisogno
di un favore”
disse. Noi ci voltammo verso di lui. “Non sta andando al
massimo. Avevo
programmato uno spettacolo di qualche minuto come pezzo forte ma i
ballerini
sono bloccati nel traffico, così credo che dovrò
anticipare il karaoke. E dato
che un uccellino qui mi ha detto che qualcuno
sta per diventare parte di una band famosa, mi chiedevo –
casualmente – se vi
andrebbe di dare una mano ad una povera anima in pena” fece,
sottolineando la
parola ‘ qualcuno’. Ashton fece una smorfia.
“Amico, ti aiuterei pure, ma
vestiti così significa buttarsi via. Già uno
smoking è pesante per conto suo,
pensa se dobbiamo pure suonare. Mi ci vedi, dietro una batteria in
giacca e cravatta?”
fece. Luke e Calum annuirono dispiaciuti, d’accordo con
Ashton. Michael e
Manuela, invece, si alzarono subito in piedi. “Io
vado” fece Manuela, decisa.
“Io pure” aggiunse Michael. Lucian
esultò piano. “Grazie, ragazzi, davvero. Mi
avete salvato” disse, indicando loro prima la sala gremita di
persone, poi un
palchetto a cui prima non avevo fatto caso, che era stato messo
all’inizio
della scalinata. “Quali strumenti vi servono? Vedo cosa posso
procurare” disse.
Michael e Manuela si misero di spalle a noi e iniziarono a discutere
animatamente, probabilmente riguardo alla canzone da fare. Riuscii a
sentire
poco.
“Dai,
cupcake, ti prego!”
“No!
Mi rifiuto di fare ‘pizza’
qui dentro!”
“Ma
è la mia
canzone preferita!”
“Parla
di te!”
“Lo
so! Non sono ancora del tutto
scemo, quando sento ‘Michael wants
another slice’ capisco che si riferisce a
me!”
“Nemmeno
per sogno.”
“Dai!”
“No!”
“E tu
quale proponi allora, mhm?”
Manuela non
rispose e si voltò
verso Lucian. “Hai una tastiera?”
***
Ed eccoli
lì, dopo una decina di
minuti in cui i due si erano preparati e avevano collegato la tastiera
in posti
a me sconosciuti. Lucian salì sul palchetto – che
già aveva attirato qualche
sguardo curioso – e iniziò: “Ciao a
tutti, scusatemi il disturbo, ma come
sapevate dovevamo avere dei ballerini qui, che però sono in
madornale ritardo.
Quindi, per ingannare un po’ l’attesa, avevo
pensato ad un karaoke. Lo so, è
un’idea vista, e rivista, e rivista ancora, ma – si
voltò verso Michael e
Manuela – ragazzi, voi non li avete ancora sentiti cantare,
questi due” fece
con un sorriso. I due sul palco sorrisero a loro volta e Lucian si
dileguò dal
palco in fretta. Da qualche parte – non dal nostro tavolo,
figuriamoci –
qualcuno iniziò ad applaudire – non fu Ashton, no!
– e tutti gli altri lo
seguirono. Nel rumore, cercai di farmi sentire urlando: “In
bocca al lupo,
Manu!” La mia migliore amica mi guardò
riconoscente. Nonostante sembrasse
tranquilla, ero certa che stesse morendo dalla paura, dato che quella
era una
delle prime volte in cui cantava in pubblico, e anche se aveva una voce
bellissima, a mio parere, lei era sempre terrorizzata dal fattore
‘brutte
figure’, in cui si riteneva esperta.
Manuela fece un
profondo respiro da
dietro la tastiera, mentre Michael si voltava verso di lei e le
sorrideva,
facendole l’occhiolino. Era seduto su uno sgabello alto e la
chitarra era in
equilibrio sulle sue gambe. Sembrava tranquillissimo, ma la mano che
impugnava
il manico – non avrei saputo come meglio definirlo
– era bianca, dato che tutto
il sangue se n’era andato quando lui aveva deciso di
stringere troppo per il
nervosismo. Luke si avvicinò al mio orecchio e
sussurrò: “Sai, Michael è uno di
quelli che si fanno prendere molto dall’emozione prima del
concerto. La prima
volta che abbiamo fatto una cosa del genere, è scappato via
e Calum è andato a
riprenderlo nel bagno delle ragazze, dove si era chiuso sperando di non
essere
ritrovato mai più, citando le sue esatte parole.”
Io scoppiai a ridere e lui mi
fece segno di fare silenzio, aggiungendo poi: “Mi ha pregato
di non dirvelo
mai, ma era troppo comico per tenertelo nascosto.” Io annuii,
perfettamente
d’accordo. “Anche Manuela, per me, adesso si
sotterrerebbe volentieri” dissi
poi. “Poi non facciamoci domande se sono la coppia
perfetta” commentò Luke. Io
ridacchiai e Luke mi prese il mento fra due dita, delicato, per
dirigermi verso
le sue labbra. Mi baciò piano, dolcemente, facendomi
sorridere. Poi, mi fece
alzare e sedere sulle sue gambe. “Ho bisogno di contatto
fisico, lo sai” fece
poi con un tono da cucciolo a mo’ di giustificazione. Io
sorrisi e mi
accoccolai contro di lui, mentre Luke mi accarezzava le braccia
conserte. Mi
diede un piccolo bacio sul succhiotto che mi aveva lasciato qualche
giorno
prima, per poi appoggiare il mento alla mia spalla e accoccolarsi
lì. “Sai che
non sparirà mai se continui così?”
chiesi ridacchiando. “Lo so benissimo, ma
non permetterò mai che se ne vada” disse lui con
una risatina malefica. Io risi
a mia volta, mentre lui tornava a torturare per qualche secondo la
pelle
martoriata. “Ahi, fa male” mugolai. Lui smise
subito e mi lasciò un bacio
leggero. “Scusa” sussurrò, tornando ad
appoggiarsi su di me.
Stavo per dire
ancora qualcosa,
quando Michael e Manuela richiamarono l’attenzione. Poi si
scambiarono qualche
parola, di cui riuscii a leggere il labiale: “Parla
tu.”
“No,
tu!”
“Tu
sei matto, sono troppe
persone!”
Andarono avanti
così per qualche
secondo, poi Michael si arrese e posò la sua chitarra a
terra. Si avvicinò di
più al microfono che aveva davanti a sé e,
schiarendosi la voce, disse: “Ehm,
ciao a tutti. Mi chiamo Michael e lei è Manuela. Volevamo
iniziare questa
piccola esibizione di karaoke con una canzone che per noi è
molto importante.
Si chiama Sad song e, beh, ha un
significato bellissimo. Spero vi piaccia.”
Ci fu un
brevissimo applauso – di
nuovo, l’input fu dal nostro tavolo – e poi un
lungo silenzio. Riuscii
addirittura a sentire Manuela che prendeva un lungo respiro, prima di
iniziare
a suonare le note di quella che sembrava una ninnananna. Poi,
Michael iniziò.
You and I, we’re like fireworks and
symphonies exploding in the sky.
With you, I’m alive, like all the
missing pieces of my heart, they finally collide.
So stop time right here in the
moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my
eyes…
Without you, I feel broken, like I’m
half of a whole.
Without you, I’ve got no hand to
hold.
Without you, I feel torn, like a sail
in the storm…
Without you, I’m just a sad song.
Fu il turno di
Manuela.
With you, I fall. It’s like
I’m
leaving all my past and silhouettes up on the wall.
With you, I’m a beautiful mess.
It’s
like we’re standing hand in hand with all our fears upon the
edge.
So stop time right here in the
moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my eyes.
Continuarono a
cantare, nonostante
il nervosismo. Manuela era concentrata sulle sue dita che si muovevano
sulla
tastiera, ma Michael, non avendo nessuno strumento in mano, aveva
scelto
qualcos’altro su cui concentrarsi. I suoi occhi erano fissi
su Manuela, la
guardava con la coda dell’occhio come se non volesse farsi
notare. Quando lei
cantava, lui sorrideva leggermente. La guardava come ogni ragazza sogna
di
essere guardata, e anche se lei non poteva vederlo, pensai che fosse
una delle
cose più dolci del mondo.
Mentre suonava e
cantavano, la sala
era in un silenzio di tomba, tanto che anche io stavo iniziando a
innervosirmi.
Luke notò che continuavo a sistemarmi sulle sue gambe,
così mi diede un piccolo
bacio sulla curva del collo. “Scricciola, tranquilla. Stanno
andando
benissimo.”
“Lo
so, lo so, è che sono tutti in
silenzio, e magari non piace la canzone…”
Luke mi mise le
mani sui fianchi e
mi fece voltare verso di lui. “Amore, calmati. Non
è umanamente possibile che a
cento persone non piaccia una canzone, anche perché molte
delle persone qui dentro
sono miei vecchi compagni di scuola, e so che è un genere
che piace. Tranquilla”
sussurrò con un sorriso rassicurante. Io gli credei e tornai
ad appoggiarmi su
di lui, giusto in tempo per sentire la canzone che finiva. Ci fu un
attimo
interminabile di silenzio, insopportabilmente dilatato. Poi, qualcuno
iniziò ad
applaudire, e stavolta non fu uno al nostro tavolo. In poco, tutti lo
seguirono
e io mi aprii in un sorriso entusiasta. Manuela e Michael sembravano al
settimo
cielo, con dei sorrisi enormi e sinceri a illuminare i loro visi.
Quando, dopo un
po’, scesero
dal palco, ci fu un attimo di esitazione da parte di tutti. Michael si
guardò
intorno ed esclamò: "Ehi, ragazzi, niente scherzi! Ora tocca
a qualcun
altro!" Ci furono delle risatine, poi una ragazza dai capelli tinti di
rosso ciliegia si alzò. Aveva un bellissimo vestito a sirena
verde petrolio
chiaro. "Canto io" disse Diana con un mezzo sorrisetto di sfida.
Michael le passò di fianco e batté il pugno
chiuso contro il suo. "Brava,
sorella di tinta" fece soddisfatto. Io
ridacchiai
mentre Manuela si sedeva di fianco a me e Diana saliva sul palco. Prese
in mano
il microfono, prima di allontanarlo dalla bocca. "Lucian?"
chiamò. Io
mi sorpresi del fatto che lo conoscesse, prima di ricordarmi che,
essendo la
migliore amica di Luke e essendo stata la sua ragazza, sarebbe stato
strano se
non l'avesse conosciuto. Lui si avvicinò a lei e si
appoggiò al bordo del
palco. "Sì, Ariel?" Questo confermò le mie
ipotesi. Diana sorrise e
si chinò. "Karaoke senza computer? Molto furbo."
"Oh,
ma io ho un computer, e anche le casse."
"Posso
chiedertele? La mia canzone non è esattamente acustica."
"Certamente"
fece Lucian ammiccando e andando dietro al palco, mentre Diana lo
seguiva con
lo sguardo. Io inclinai la testa da un lato, non riuscendo a
interpretare lo
sguardo di Diana mentre lei si sistemava i capelli prima di portare
entrambe le
mani sulla pancia. Mentre stava in quella posizione rilassata, mi
sembrò quasi
che fosse gonfia, ma poi guardai verso il basso per rendermi conto che
anche io
lo ero. Probabilmente, la pizza ci aveva riempite troppo.
Lucian
tornò da lei porgendole un computer. "Tutto già
collegato. Scrivi
solamente il nome della canzone, e partirà la base."
"Hai
il programma apposta?"
"Ehi,
sono schifosamente ricco. In qualche modo devo godermi questa
situazione
assolutamente fuori posto per il mio spirito vagabondo."
Si
sorrisero e Diana scrisse velocemente il nome della canzone, che io non
riuscii
a cogliere. Anche quando partirono le prime note, non la riconobbi.
Madison,
però, si drizzò subito sull'attenti. "Ehi, ma io
la conosco!" fece,
voltandosi verso il palco. Intanto, Diana portò il microfono
alle labbra.
Sembrava così sicura di sé che mi chiesi se non
avesse già cantato. Il fatto che
avesse una bella voce e dimostrò di saperla usare non fece
altro che farmi
rimanere sulla mia idea.
Era
una canzone carina, ritmata e simpatica. Mi ritrovai a canticchiare le
note e a
battere il pollice a tempo sul palmo di Luke. Manuela e Calum, invece,
sembravano proprio presi, dato che stavano imitando un ballo solamente
con
braccia e spalle. "Ragazzi, vi sentite bene?" chiese Ashton ridendo.
"Sì, sì, è che è una
canzone di Just
dance che balliamo sempre quando siamo a casa mia!" rispose
Madison,
senza fermarsi. "Ecco dove l'avevo sentita!" esclamò
Michael.
"Piccolina, dopo vado io, ho deciso" disse Calum, guardando Madison,
che ancora ballava da ferma. "Va bene, cosa canti?"
"Sorpresa"
fece lui con un sorriso.
"Maddy,
non ci hai detto una cosa: come si chiama la canzone?" chiesi, curiosa.
"Satellite, di Lena Meyer"
rispose lei mentre la canzone finiva e Diana scendeva dal palco fra gli
applausi. Tornò a sedersi e fu sommersa dai complimenti di
tutto il tavolo.
"Non sapevo che cantassi" fece Lucian appoggiandosi allo schienale
della sua schiena. "Non sai molte cose di me" rispose Diana ammiccando.
"Già. Ci siamo persi di vista, eh?"
"Forse
per un po' troppo tempo."
Si
parlavano con una confidenza che mi fece capire quanto in passato
fossero stati
amici.
Calum
si guardò intorno per vedere se qualcuno si sarebbe offerto,
ma tutti quanti
avevano lo sguardo puntato sul nostro tavolo. “Siamo il
tavolo cantanti?”
chiese Ashton. “Sì” rispose Lucian
ridacchiando. così, Calum salì sul palco.
“Ragazzi, dopo avete intenzione di cantare ancora?”
chiese, rivolgendosi a noi.
Io scossi la testa subito. “Non mi sentirete mai
cantare” esclamai risoluta.
“Mi aggrego” disse Carol.
“Idem” fece Madison. “Io rimango sulla
mia decisione”
fece invece Ashton, mentre anche Luke annuiva. “Noi abbiamo
già dato, grazie e
arrivederci” dissero infine Diana, Manuela e Michael.
“Sentito? Dopo di me, il
tavolo cantanti ha finito la sua offerta! Quindi iniziate a scaldare la
voce,
voi altri!” fece Calum rivolgendosi alla sala, prima di
sedersi sullo sgabello
prima occupato da Michael. prese la chitarra e: “Maddy, vieni
un attimo, per
favore?” Lei, perplessa, obbedì e salì
a passi veloci sul palco. “Ti ricordi quella
volta al parco? Quando finalmente ti ho detto quanto fossi pazzo di
te?”
chiese. Madison fece un sorriso enorme. “Come potrei
dimenticarlo?”
“E
quel bacio a testa in giù?”
“Ricordo
anche quello, amore - fece Madison - ma perché me lo stai
chiedendo?”
“Perché
la terza domanda è: ti ricordi anche quella
canzone?”
Madison
si illuminò e annuì, così Calum si
rivolse alla folla. “Questa canzone l’ho
scritta due anni fa per lei. Spero vi piaccia” disse. Madison
si chinò, gli
lasciò un bacio sulla guancia e fece per andarsene, ma lui
la riacchiappò
tenendola per un polso. “Dove credi di andare, tu?”
chiese. “A sedermi?”
“Siediti
qui” fece Calum, indicandogli speranzoso lo sgabello dietro
alla tastiera. Lei
annuì felice e avvicinò lo sgabello a Calum, che
sorrise entusiasta. “Arrivo
subito” fece, rivolto alla sala. Diede un bacio sulle labbra
a Madison e le
sussurrò qualcosa che io non capii, ma che la fece
ridacchiare. Poi, si voltò
di nuovo verso di noi. “Scusatemi, ora comincio,
giuro” disse ridacchiando. Si
schiarì la voce e iniziò a suonare la chitarra
che non aveva mai lasciato.
You look
so beautiful, no one but me knows you’re insane,
I feel so
damn pathetic, my friends just don’t get it…
‘Cause
you’ve got me under oath, before you I was in a fucking rut.
One day
you’re in the past, that night I ask you back.
It started
out just harmless fun, now you’ve got me thinking
you’re the one…
‘Cause if
you wanna take me home, you know I’m ready to leave,
You’ve got
me under your spell, please don’t set me free!
‘Cause
I’ve been having all these nightmares, seeing you is my only
way
Of feeling
so defenseless, but I’m telling you I wouldn’t
change a thing!
Quando
la canzone finì, io saltai in piedi, facendo trasalire Luke
per lo spavento, ma
m'importò poco: ero entusiasta, quella canzone era una cosa
bellissima e sapere
che Calum l'aveva dedicata a Madison come dichiarazione mi faceva quasi
commuovere. Non fui l'unica ad avere quella reazione: un po' tutta la
sala era
nelle mie condizioni. Mi voltai verso il mio tavolo, incontrando gli
sguardi
felici di tutti... Tranne di Carol e Ashton. Carol era torva, con le
braccia
incrociate, mentre Ashton si era fatto piccolo piccolo sul bordo della
sedia,
il più lontano possibile da Carol, e aveva una faccia a
metà fra il divertito e
il 'ora sono fottuto'. "Carol? Ash? Che succede?" chiesi.
"Succede che questo bandanaro non solo è un bugiardo,
è anche una bella
faccia di tolla."
"Ma
che è successo?"
"Succede
che quando mi ha conosciuta mi ha detto di aver scritto una canzone per
me.
Guarda caso, era proprio questa."
"Beh,
amore - intervenne Ashton - tecnicamente non ho mentito... Ho scritto
questa
canzone per te su un bel foglio con i bordi dorati e te l'ho
consegnato... Ho
solo omesso il fatto che l'autore è Calum, ma tecnicamente
non hai motivo di
essere così arrabbiata."
"Bandanaro,
stai zitto, stai solamente facendo risvegliare il mio istinto omicida."
"Tu
lo sai che ti amo, vero?"
"Ti
amo anche io, ma ti ucciderò lo stesso."
***
Cantarono
ancora più o meno cinque persone, poi nessuno ebbe
più il coraggio di andare
sul palco, oppure nessuno trovò la canzone adatta;
così, Lucian interruppe il
karaoke: “I ballerini sono a pochissimo da qui. Vi consiglio
di non andarvene,
se non volete perderli!” Mentre diceva questo, qualcuno lo
aiutò a spostare i
tavoli dal centro. Io feci per mettermi in un angolino della stanza per
non
intralciare il lavoro, ma Luke mi prese per una mano e mi
trascinò
delicatamente via. “Vieni” disse,
“Vieni.” Io lo seguii, non sapendo dove mi
stesse portando. Quando vidi che stavamo salendo su per le scale,
però, mi
allarmai. “
Luke?! Non possiamo!”
“Tranquilla,
non ci vedrà nessuno.”
Io
sperai che fosse vero. Lanciai un’occhiata alla fine delle
scale, chiuse dal
nastro rosso, e notai che non c’era traccia
dell’uomo che Lucian aveva messo
come sentinella. Sentii l’ansia smorzarsi lievemente mentre
superavamo il
nastro e ci nascondevamo dietro al primo angolo. “Togliti le
scarpe, o ci
sentiranno subito” mi sussurrò lui. Io obbedii.
“Dove stiamo andando?” chiesi
curiosa. “Lo vedrai, ma sono sicuro che ti
piacerà” rispose lui, prendendomi di
nuovo la mano e portandomi verso la fine del corridoio buio. Ci
fermammo
davanti ad una porta bianca, lucida. Sul muro accanto c’era
una targa dorata. La
lessi e mi venne da
sorridere:
My advice is: don’t spend your money
on therapy. Spend it in a record store. – Wim Wenders.
“È
la stessa cosa che Carol
ha scritto in camera sua, sai?” chiesi. Lui annuì,
poi si posizionò dietro di
me e mi mise una mano sugli occhi. “Apri la porta”
mi sussurrò piano
nell’orecchio. Io lo feci e lui mi guidò nella
stanza. Sentii il cigolio della
porta che si richiudeva, poi lui mi lasciò. “Non
guardare ancora” mi disse. Si
sentì uno scatto e vidi attraverso le palpebre che aveva
acceso la luce. Ero
così curiosa che non sapevo come avevo fatto a non sbirciare
ancora. Lo sentii
rovistare alla mia destra e mi chiesi cosa stesse combinando, poi
sentii delle
note di chitarra inconfondibili. Dei passi si avvicinarono a me e Luke
mi prese
le mani da dietro. “Ora puoi guardare” mi disse,
lasciandomi un piccolo bacio
sul collo, mentre nella stanza si sentivano le prime parole di Wherever you will go.
So lately, I’ve been wondering, who
will be there to take my place?
When I’m gone, you’ll need
love to
light the shadows on your face
Rimasi a bocca
aperta. La
stanza non era enorme, illuminata da una luce calda e soffusa, con le
pareti
colorate di un pallido color pesca. Il pavimento era di marmo bianco,
immacolato, lucido come uno specchio.
If a great wave shall fall, and fall
upon us all,
Then between the sand and stone,
could you make it on your own?
La
parete destra era completamente coperta da una libreria imponente; gli
scaffali
superiori contenevano cd, quelli inferiori vinili. Una scala mobile
permetteva
di arrivare ai cd più in alto. Il mezzo alla libreria
stessa, un ripiano era
lasciato allo stereo, che in quel momento era acceso.
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
Ai
quattro angoli della stanza, in alto, c’erano delle casse,
che diffondevano
quella dolce canzone.
And maybe,
I’ll find out a way to make it back someday
To watch
you, to guide you, through the darkest of your days
All’angolo
fra la parete sinistra e la parete frontale c’era un
pianoforte a coda nero.
Sul muro sinistro, poi, c’erano diverse mensole, tutte
occupate da uno
strumento diverso: una chitarra, un flauto traverso, un violino, un
tamburello,
un’arpa in miniatura; di fianco al pianoforte,
un’arpa a dimensioni reali.
If a great
wave shall fall, and fall upon us all,
Well, then
I hope there’s someone out there who can bring me back to you
La
parete alle mie spalle era decorate come se fosse un grande foglio
pentagrammato,
ma non c’erano note, nemmeno le chiavi all’inizio
di ogni riga. Su un tavolino
nell’angolo con la libreria erano appoggiati diversi
contenitori, ognuno
contenente un tipo di nota diverso: c’erano quarti, ottavi,
interi, e poi
pause, corone, chiavi… Di fianco, una piccola targa, che
recitava così: “Non
avrai mai una sola canzone in testa. La musica è bella
perché è libera e
volubile. Quindi, anche queste note saranno libere. Libere
di essere tutto quello che vorrai.”
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
La
parete di fronte a noi era occupata da una serie di finestre a ogiva,
con vetri
colorati che proiettavano disegni immaginari sul marmo bianco, che
grazie a
loro diventava di ogni colore possibile.
Runaway
with my heart,
Runaway
with my hope,
Runaway
with my love…
Dal
soffitto scendevano fili invisibili, a cui erano appesi foglietti di
ogni
sfumatura dell’arancione, del giallo, del rosa e del rosso.
Mi avvicinai ad uno
di essi e lessi: “La musica esprime ciò che
è impossibile dire e su cui è
impossibile tacere.”
I know
now, just quite how, my life and love may still go on
In your
heart, in your mind
I’ll stay
with you for all the time
Mi
voltai verso Luke, che mi guardava con un sorriso. “Ti
piace?” mi chiese. Io
annuii, incapace di dire altro.
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
Il
suo sorriso si aprì ancora di più. “Ci
speravo, sai? Anche se, conoscendoti,
sapevo che una cosa del genere avrebbe avuto solo un effetto del genere
su di
te, così come lo ha avuto su di me.”
If I could
turn back time, I’ll go wherever you will go
If I could
make you mine, I’ll go wherever you will go
Mi
prese il viso fra le mani e mi posò piano un bacio sulle
labbra, lentamente,
dolce, senza alcuna fretta.
I’ll go
wherever you will go.
Quando
si staccò da me, fece un mezzo sorriso. “Coco, a
costo di fare la figura
peggiore della mia vita…” Mentre diceva questo,
partirono le note di Iris.
“Posso chiederti un ballo?” Io
sorrisi. “Non so ballare, Luke.”
“Nemmeno
io.”
“E
allora perché me lo chiedi?”
“Perché
so che ogni ragazza vorrebbe essere una principessa almeno per un
giorno. Tu
sei la mia principessa ogni giorno, e voglio dimostrartelo.”
Queste
parole fecero sorgere sul mio viso un sorriso intenerito, mentre lui mi
prendeva la mano e la portava sul proprio braccio. “Tanto per
chiedere, cosa si
balla?”
“Ehm,
sulla musica di Iris, forse?”
“Sì,
ma cosa?”
Lui
mi guardò perso. “Devo anche dirti il nome?
Perché non lo so.” Io scoppiai a
ridere. “Vogliamo davvero sottoporci a tale
umiliazione?” chiesi.
“Sinceramente, non sapendo ballare, sarebbe solo meglio se
smettessimo. Tu non
hai visto che casino è successo stamattina mentre Calum
provava a insegnarmi le
cose basilari, e spero che nessuno di quei tre maledetti ti faccia
vedere il
video che hanno fatto. Solo, mi dispiace aver fatto un discorso
semi-bello e
poi non aver saputo mantenere la parola.”
“Luke?”
“Sì?”
“Non
ho bisogno di un ballo per sentirmi fortunata di fianco a te.”
Lui
fece prima un mezzo sorriso, che poi si aprì in uno di
quelli enormi e
contagiosi, facendomi sorridere a mia volta. “Ti amo, Coco,
non hai idea
quanto” sussurrò prima di baciarmi piano. Io
ricambiai dolcemente, mentre lui
giocherellava con un ciuffo di capelli al lato del mio viso.
“Voi
due – ci interruppe una voce scocciata – siete dei
piccoli maledetti, sapete?”
Ci voltammo verso la porta e incontrammo lo sguardo irritato di Lucian.
“Se
volete, la prossima volta ci metto un cartello alla fine delle scale:
vietato
passare. Ma credevo che un nastro rosso e un omone potessero essere
sufficienti. A quanto pare, non basta a fermarvi.”
“Lucian…”
“Non
dire nulla, Luke. Cosa significa: non andate via, o vi perderete i
ballerini?”
“Sappi
solo che è stata una mia idea, non prendertela con
Coralie.”
Lucian
ridacchiò. “Non sono arrabbiato, stupido. O
meglio, forse un po’ lo sono, però
avrei fatto la stessa cosa se fossi stato in te, quindi non posso
rimproverarti. Mi dispiace solo che vi siate persi due esibizioni. Ora,
mi fate
il favore di scendere a guardare almeno l’ultima?”
Io
e Luke, veloci, sgattaiolammo via dalla stanza, che Lucian chiuse a
chiave
dietro di noi. “Questa la prendo io” disse poi,
mettendosi la chiave in tasca.
Scendemmo tutti e tre in fretta, per trovare la stanza immersa nella
penombra.
“Andate a sedervi sugli ultimi gradini, bestiacce”
fece Lucian sospingendoci
piano mentre si lasciava scappare una risatina. Noi obbedimmo, non ci
tenevamo
a fare arrabbiare il padrone di casa. Appena in tempo: un occhio di bue
si posò
sui due angoli della “pista”, illuminando due
figure; il ragazzo era vestito elegantemente,
con camicia bianca, pantaloni e gilet neri; La ragazza aveva un vestito
bianco
e i capelli mori raccolti in una treccia, ed era scalza. Rimasi a bocca
aperta.
“Ehi, ma loro non sono amici tuoi?” mi chiese Luke
sussurrando. Io annuii,
guardando basita Giorgia e Francesco che iniziavano a ballare sulle
note di Thinking out loud.
“Lui è il batterista
di quel concorso, vero? Quello di End up
here? E lei la tua amica di scuola? Non mi sto confondendo,
vero?” mi
chiese lui di nuovo. “No, no, sono loro” risposi
scioccata. “Non sapevo che
ballassero.”
“Non
sapevo che lui ballasse”
dissi io.
“Magari ha imparato per lei. Cosa che io, ehm, non sono stato
in grado di fare”
fece lui con un tono imbarazzato. Quando vide che io non rispondevo,
troppo
stupita e presa, non disse più niente e intrecciò
le dita delle sue mani alle
mie. Poi, mi attirò verso di lui.
Intanto,
sulla pista, Giorgia e Francesco continuavano a ballare. Spesso
sussultavo
mentre vedevo Giorgia esibirsi in salti, piroette e acrobazie che, se
avessi
provato a imitarle, mi avrebbero ucciso seduta stante. Mi immaginai la
testata
di un giornale: ‘Foca ritardata cerca di imitare
l’amica e cade di collo,
prognosi riservata’. Per poco non scoppiai a ridere nel
silenzio affascinato in
cui risuonava la voce di Ed Sheeran. Così, per evitare altre
figure orribili,
mi concentrai sui due.
Non
avrei saputo come descrivere i loro passi, ma una cosa la sapevo: il
gioco di
sguardi fra loro era incredibile. Ogni volta che potevano si
scambiavano
sguardi carichi di messaggi. Mi veniva da sorridere mentre vedevo
quanto i loro
occhi si cercavano in ogni momento. Sembravano comunicare solo
così. Quasi
potevo sentire ciò che si dicevano:
“Sto
andando bene?”
“Non
preoccuparti, stai andando benissimo.”
Erano
così belli insieme, che quasi mi dimenticai di respirare,
tanto ero impegnata a
guardarli. “Su una scala da uno a dieci, quanto si amano quei
due?” mi chiese
Luke in un orecchio. “Fortuna che i numeri sono infiniti, a
questo punto”
risposi a bassissima voce. Luke sorrise e mi strinse a sé.
Ero
così presa, che quasi ci rimase male quando loro si
sdraiarono, sulle ultime
parole di Ed. Ci fu un attimo di silenzio attonito, poi la sala
risuonò di
applausi, fischi, ovazioni. Io stessa mi unii al coro: “Siete
stati fenomenali!”
urlai. Giorgia, mentre si guardava intorno con un sorriso enorme,
incontrò il
mio sguardo e i suoi occhi sembrarono illuminarsi ancora di
più. Prese la mano
di Francesco e insieme fecero un inchino, poi le luci si spensero e
Giorgia,
come al suo solito, volò via dal palco, lasciando
l’altro quasi basito dalla
rapidità con cui lei si era dileguata. Scoppiai a ridere e
mi alzai per seguire
la mia amica, mentre le luci si riaccendevano. “Luke, vieni
anche tu?”
“No,
ti raggiungo dopo, fammi parlare con lui, che, poverino, ci
è rimasto
malissimo, guarda che faccia che ha” fece lui ridendo. Io mi
voltai verso
Francesco e lo vidi quasi sconvolto. Scoppiai a ridere e lo chiamai.
“Ehi, tu,
batterista!”
Lui
si voltò verso di me e mi riconobbe con un sorriso.
“Ma buonasera, lei!”
“Sei
stato bravissimo!”
“Grazie,
ma ha fatto tutto lei! Ero solo un accompagnatore!”
“E
che accompagnatore, se permetti!”
Lui
scoppiò a ridere e io lo salutai, mentre Luke si avvicinava
a lui per parlarci.
Mi voltai e cercai nella folla quella pazza di Giorgia. La trovai
grazie ad un
urlo, che identificai come quello di Manuela: “Siete stati
eccezionali!” In
poco, trovai le due. Insieme a loro, c’era anche Carol. Mi
buttai di peso in
mezzo a loro, urlando felice. Per poco non le ammazzai, ma nessuna
delle tre ci
fece caso. “Ti faceva schifo dirci che avresti ballato
qui?!” chiese Carol.
“Non sapevo che sareste venute!”
“Saremmo
venute comunque per te!”
“Ma
non potevate imbucarvi!”
Manuela
inarcò un sopracciglio. “Tesoro, sai con chi stai
parlando, vero? Sono riuscita
a infiltrarmi alla festa di pensionamento della vicepreside due anni
fa. Se
posso fare questo, posso imbucarmi a qualsiasi festa
possibile.”
“Poi
ti ha beccato con la torta e tu le hai detto che eri stata assunta come
assaggiatrice,
per evitare che qualcuno la avvelenasse. Non so come chiamare questo
tuo
aspetto, se pazzia o prontezza di spirito.”
“Si
chiama genialità!”
Tutte
scoppiammo a ridere al ricordo del selfie che Manuela ci aveva mandato
con la
vicepreside, in cui entrambe avevano le guance sporche della crema
della torta.
Quella donna era adorabile.
Ricordavo
il suo racconto come se fosse stato riferito quello stesso giorno:
“Sapete,
è stata una cosa epica. Alla faccia
di voi fifone che avevate paura di mettervi nei guai! Allora, sono
entrata
dalla finestra sul retro. Era un po’ in alto, avreste dovuto
vedere la scena…
‘ce la faccio, ce la faccio!’ sono caduta di faccia
sul parquet, era una scena
da registrare per le generazioni future. Non volevo farmi beccare dagli
altri
prof, dato che ce n’erano anche alcuni, come quello
d’informatica, che non
avevo voglia di vedere. Così, mi sono nascosta
nell’armadio all’ingresso, e
sbirciavo per trovare la vicepreside. Stava andando tutto bene, ve lo
giuro…
Poi hanno tirato fuori quella torta enorme, e non ho saputo resistere.
Sono
andata a prendere una fetta e stavo per tornare a nascondermi, quando
sono
andata a sbattere contro la vicepreside. È stato bellissimo.
Mi guardava a metà
fra il sorpreso e il rassegnato. ‘Manuela – ha
detto – dovevo immaginare che
fossi tu.’ Al che, io: ‘Lei mi conosce, prof. Non
me ne sarei andata senza
salutarla.’ Lei ha alzato gli occhi al cielo
perché voleva fare la scocciata,
ma non le è venuta bene. ‘ E che ci fai
qui?’ mi ha chiesto. ‘Prof, sono la sua
assaggiatrice personale. La torta è buona.’ A quel
punto ha smesso di essere
scocciata e mi ha detto: ‘Sai che ci sono quasi rimasta male
quando non ti sei
presentata all’ingresso? Pensavo che te ne fossi
dimenticata’ ha detto. E a
quel punto le ho risposto: ‘Doveva aspettarsi una mia entrata
in scena
spettacolare. Ah e, tanto per avvisarla, la serratura della finestra
sul retro
è molto debole. Vuole un pezzo di torta?’
È così che ho guadagnato un selfie
con la vicepreside, e un’altra fetta di torta.”
***
Passammo
una buona mezz’ora a parlare con Giorgia. Ad un certo punto,
Lucian si
intromise. “Scusate, ragazze. Coralie, posso parlarti un
momento?”
“Solo
perché hai ricordato il mio nome.”
“Molto
divertente” fece lui ridendo. Io salutai Giorgia con un
abbraccio
spacca-costole e seguii Lucian. “Posso chiamarti Coco,
vero?”
“Certo.”
“Perfetto.
Coco, Luke ti ha parlato del fatto che vivo una storia a distanza. Mi
chiedevo,
ti andrebbe di conoscere la mia ragazza?”
“Certamente!
Ma perché me lo chiedi?”
“Perché
sei la ragazza dei uno dei miei migliori amici, e perché
penso che possiate
andare d’accordo.”
Mentre
diceva questo, si era fermato davanti a un gruppetto di persone che
reggevano
fra le dita dei flute di champagne. Lucian picchiettò il
dito sulla spalla di
una ragazza completamente vestita di bianco e quella si
voltò. “Lucian, ecco
dov’eri! Ti avevo perso di vista!”
“Scusami,
stavo cercando una persona. Marceline, ti ricordi Luke?”
“Il
tuo amico del liceo?”
“Sì,
il biondino discretamente figo.”
“Sì,
sì, me lo ricordo.”
“Bene.
Lei è la sua ragazza, Coralie. Ci tenevo a presentartela,
sai, dato che Luke è
come uno di famiglia.”
L’altra
mi guardò con un sorriso cordiale. “Mi chiamo
Marceline. È un piacere
conoscerti, Coralie.”
“Il
piacere è tutto mio” feci ricambiando il sorriso.
Marceline era una bellissima
ragazza: bionda, con occhi azzurri dolcissimi e il viso ovale, il naso
a punta
e le labbra carnose. I capelli a boccoli erano sciolti, tranne due
ciocche che
dai lati del viso arrivavano fin dietro la testa. Prima che Lucian me
la presentasse,
avevo visto che all’incontro fra i due ciuffi era infilato un
fiore di velo da
sposa, quei fiorellini bianchi minuscoli usati come riempitivo nei
bouquet. Il
vestito era bianco, con una scollatura a cuore e il corpetto stretto.
Marceline
indossava una collana di perle abbinata al bracciale.
Era
una bellissima ragazza, sì, ma mi sembrava quasi troppo
raffinata per un tipo
come Lucian. Che so, lui l’avrei visto, in
quell’occasione, con una come Diana.
Anzi, i due sembravano proprio aver scelto il tema
‘Sirenetta’ insieme.
“Ti
piace lo champagne, Coralie?” mi chiese Marceline, porgendomi
un flute identico
al suo in cui ribollivano le bollicine del liquido, dorato come le sue
unghie.
“Mi dispiace, alla mia Coco non piacciono queste cose, e
nemmeno a me” disse la
voce di Luke dietro di me. Luke si affiancò a me e sorrise
in direzione di
Marceline. “Ehi, ne è passato di tempo,
vero?” fece. Lei annuì, sempre con quel
suo sorriso cordiale. “Ci siamo visti quando,
l’ultima volta? Uno, due anni
fa?”
“Sì,
più o meno, l’ultima volta che sei venuta a fare
visita a Lucian è stato prima
che compissi i diciassette anni.”
“Purtroppo
sono sempre impegnata, sapete come sono fatta, e come è
fatta la mia famiglia.”
“Sì,
sì, capisco, e non ti invidio per niente, se devo essere
sincero.”
“Ragazzi
– fece Lucian – io mi sento tanto un pesce fuor
d’acqua qui, siete tutti biondi
con occhi azzurri e poi ci sono io, quindi credo che me ne
andrò a parlare con
un’altra persona non bionda.”
“Lì
c’è Diana, se vuoi” disse Luke,
indicando con un cenno della testa il tavolo
vicino a noi. “Ecco, andrò da Diana, lei
sì che mi capisce” fece lui con un
broncio offeso. Noi ci mettemmo a ridere, mentre Lucian raggiungeva la
nostra
amica.
Rimanemmo
a parlare ancora un po’, poi un ragazzo del gruppo dove prima
era Marceline la
chiamò. “Scusatemi tanto, devo tornare da loro.
È stato un piacere conoscerti,
Coralie, ed è stato altrettanto un piacere rivederti, Luke.
Spero che la
prossima volta non passi ancora un anno. Devo andare, grazie per la
chiacchierata e buona serata!” disse lei, voltandosi di
nuovo. “Serata?” chiesi
io voltandomi verso Luke. Lui annuì. “Sono le
sette, piccolina” mi disse,
facendomi rimanere a bocca aperta. “Davvero il tempo
è volato così in fretta?”
chiesi. “Già. Senti, ti va di tornare a
casa?”
“Perché?
Non ti diverti?”
“No,
al contrario, mi piace molto… È che vorrei
passare del tempo da solo con te. Ci
abbiamo provato qui, ma non sembra esistere un posto in cui possiamo
starcene
tranquilli” spiegò lui con un faccino adorabile da
cane bastonato. Non riuscii
a resistere. “Va bene, andiamo a casa” dissi. Ci
voltammo per avvertire almeno
Lucian, ma, non trovandolo, chiedemmo a Marceline di riferirgli il
nostro
chilometrico messaggio su come quella festa fosse stata magnifica, su
quanto ci
fossimo divertiti e su quanto ci dispiacesse scappare così,
ma inventammo una
scusa e dicemmo di dover andare via. Lei annuì e ci
salutò con un abbraccio.
Poco dopo, uscimmo dalla casa di Lucian, per scoprire che fuori
c’era già buio.
Non potevamo prendere il furgone, sia perché non avevamo la
patente che perché
non avevamo il cuore di lasciare gli altri a piedi, così:
“Cerchiamo un taxi?”
chiesi. Lui annuì. “C’è una
fermata a un paio di isolati da qui” mi disse poi.
Ci
incamminammo, mano nella mano, lungo il marciapiede illuminato da
lampioni
gialli. Continuavamo a parlare e ridere, raccontandoci ogni impressione
su
quella giornata memorabile. Luke, ad un certo punto, prese a camminare
giù dal
marciapiede, così io lo superavo in altezza, ma solo grazie
ai tacchi,
diciamocelo. Non vedevo l’ora di togliermeli, mi stavano
uccidendo lentamente.
Luke sembrò accorgersi del fatto che stavo rallentando,
così si fermò. “Metti
un braccio attorno alle mie spalle” mi disse. Io lo guardai
confusa, ma
obbedii. Lui, a quel punto, mi sollevò stile principessa.
“Luke, dai, mettimi
giù! Peso!”
“Ma
non dire stupidate!” fece lui ridacchiando, con la voce
tremolante per lo
sforzo. Non servirono a nulla le mie lamentele: Luke mi
portò in braccio fino
alla fermata.
Non
dovemmo aspettare molto: un taxi passò di lì nel
giro di dieci minuti.
***
Arrivati
a casa, ci cambiammo in fretta. Con un sospiro di sollievo, scalciai le
scarpe
lontano da me, per poi togliermi anche il vestito e sostituirlo con la
maglietta di Luke che usavo come pigiama. Appoggiai i piedi a terra e
fu come
non aver mai camminato senza scarpe prima: una rivelazione.
“Fanno malissimo”
gemetti. Luke, dopo essersi messo a sua volta una tuta comoda, si
avvicinò a me
da dietro e mi posò un bacio sul collo. “Andiamo a
mangiare qualcosa? Cucino
io” mugolò nel mio orecchio. “Non se ne
parla, cuciniamo insieme” dissi
risoluta. Lui alzò gli occhi al cielo e rise. “Va
bene, va bene” accettò. Mi
prese per i fianchi e mi voltò. “Vieni, ti porto
in braccio io.”
“Luke,
ti ho già schiavizzato per strada…”
“Non
mi hai schiavizzato, sono stato io a decidere di farti questo favore, e
lo
decido anche ora. Sali?”
Io
scossi la testa e lui mise il broncio. “Bene, allora non mi
schiodo da qui”
disse, sedendosi sul bordo del mio letto. “Luke!”
feci, ridendo. “Non c’è Luke
che tenga, tesoro. Stavolta non mollo” disse lui con aria di
superiorità. Io
gli presi i polsi e provai a farlo alzare, ma senza risultato. A lui,
al
contrario, bastò un semplice strattone per attirarmi a
sé. “Non puoi battermi,
cucciola” disse a un soffio dalle mie labbra, prima di
baciarmi quasi con
prepotenza. Mi fece sedere sulle sue gambe mentre continuavamo a
baciarci. Ad
un certo punto, si alzò, tenendomi ben stretta.
“Luke, mettimi giù!” feci
ridendo. “Ti avevo avvertito, con me non puoi vincere in
questo caso” fece
risoluto. Io non potei fare altro che allacciare le gambe attorno alla
sua
vita. Lui fece un sorrisino soddisfatto che mi fece ridere.
“Hai proprio una
bella faccia da schiaffi” sussurrai, prima di appoggiare la
testa sulla sua
spalla. Iniziai a lasciare baci umidi a caso, giusto per distrarlo
mentre
scendeva le scale, nonostante sapessi che fosse una pessima idea.
Arrivati
in sala, Luke mi lanciò di peso sul divano, facendomi urlare
divertita. “Cosa
le va di mangiare, signorina?” mi chiese lui. “Mi
stupisca” feci, reggendo il
suo gioco. “Oggi lo chef propone un raffinato piatto di pasta
lunga condita con
olio d’oliva e scagliette di parmigiano.”
“Eh?”
“Spaghetti
con formaggio grattugiato.”
“Ah,
ora ho capito” feci ridendo. “Tu sei
pazzo” aggiunsi poi. “La vuoi una bella
frase da cliché?” mi chiese. Io annuii curiosa e
lui si inginocchiò davanti a
me. Mi prese una mano e ci lasciò un bacio leggero, poi
sussurrò: “Sì, sono
pazzo, ma di te.”
“Avevi
ragione, è da cliché.”
“Fin
troppo.”
“Andiamo
a cucinare?”
“Io
faccio gli spaghetti.”
“E
io che faccio?”
“Guardi
il tuo chef preferito mentre cerca di non far scuocere la pasta,
ovvio” rispose
lui. Io risi, di nuovo. Quella serata stava andando di bene in meglio.
Luke
mi fece alzare e mi attirò a sé.
Iniziò a canticchiare, mentre andavamo in
cucina:
Oh, is
something about,
Just
something about the way she move.
I can't
figure it out,
Is
something about her…
Iniziammo
a cantare Miss independent, mentre
Luke metteva su l’acqua per la pasta. Cantammo
di tutto, da Miss Independent a Why don’t we go there. In poche parole,
ricostruimmo quel karaoke che ci eravamo negati da soli
quel pomeriggio.
***
Dopo
mangiato, eravamo sdraiati sul divano a guardare un film molto
mascolino, un
thriller di quelli difficili da sopportare: Big
Hero 6. Al diavolo le persone che pensano che i cartoni sono
da bambini: in
quel cartone – ve lo garantisco – c’era
molto più di una semplice storiella.
“Amore,
mi regali un Baymax?” chiese Luke adorante. Io risi.
“Lo voglio anche io”
aggiunsi poi. Luke mi offrì il suo pugno chiuso, a cui io
feci combaciare il
mio. “Balalalalla!” facemmo insieme, per poi
scoppiare a ridere. “Oh, quanto
amo questo film” sussurrai ridacchiando e stringendomi di
più a Luke. “Oh, io
amo di più te” sussurrò lui nel mio
orecchio, prima di baciarmi piano, con
dolcezza. Io ricambiai. Poco a poco, in esso si infilò
sempre più foga, tanto
che, quando sentimmo il rumore del telecomando che cadeva a terra, non
ce ne
curammo.
Però,
ci curammo di un altro rumore, che avvertimmo una decina di minuti
più tardi:
il rumore sordo di una chiave che girava nella serratura. Scattammo a
sedere e
tentammo di ricomporci. Appena in tempo: Michael entrò in
casa, ridendo come un
matto. “Ecco dove eravate! Non si sparisce senza
avvisare!” fece Calum da
dietro di lui. “Almeno ci hanno lasciato il
furgone” disse Michael, mentre
anche tutti gli altri entravano. “Ah, sapete, ragazzi? Il
furgone ha ricevuto
qualche critica. C’erano queste due tipe con la puzza sotto
il naso che
guardavano male il cartello, così io… Ragazzi,
abbiamo interrotto qualcosa?” chiese
poi. Noi scuotemmo la testa veementemente. Così, lui
ricominciò: “Bene. Dicevo,
io le ho guardate male a mia volta e ho detto loro: ‘sapete,
non tutti hanno
soldi per permettersi una limousine. Ma presumo che voi li
abbiate… Altrimenti
come vi sareste pagate il silicone che avete nei reggi-”
“Michael,
piantala!” fece Manuela ridendo e tappandogli la bocca. Tutti
scoppiarono a
ridere, e noi con loro. “Sono tornati i pazzi,
baby!” esclamò Michael, alzando
al cielo una bottiglia di… champagne?
“Scusateci,
ragazzi. Siamo un po’ tocchi” fece Madison ridendo
e seguendo Carol e Diana,
barcollanti, su per le scale. Poco a poco, tutti si incamminarono sugli
scalini.
Rimase solo Ashton, che vedendoci così sconvolti si mise a
ridere. “Sì, diciamo
che Lucian ha avuto la cattiva idea di offrire da bere a
Michael… E da quel
momento sono degenerati. Sono brilli, di brutto.”
“Tu
no?”
“Ho
bevuto solo mezzo bicchiere. Dovevo riportarli a casa in qualche
modo.”
“Bravo
papà Ash” feci soddisfatta. Lui si mise a ridere.
“Papà Ash?”
“E
come ti dovrei chiamare?”
“Mhm,
va bene papà Ash” rispose lui ridacchiando. Io e
Luke ridemmo con lui e Luke mi
fece appoggiare su di lui, come eravamo all’inizio del film.
Ashton ci guardò
intenerito. “Ragazzi,
godeteveli, questi momenti. Fra quattordici giorni,
vi potrete vedere solo via Skype” disse con un mezzo sorriso
triste, mentre se
ne andava. Me n’ero completamente dimenticata.
Mancavano solo
quattordici giorni
alla loro partenza per Londra. Quattordici giorni, prima che il loro
sogno
prendesse il via, finalmente. Quattordici giorni… e poi
chissà quando avrei
rivisto Luke.
In quel momento,
quella
consapevolezza mi colpì come uno schiaffo in faccia.
Quattordici
giorni. Sembrava il
conto alla rovescia di un condannato a morte.
Angolo autrice:
SONO TORNATA
DALLE PROFONDITÀ
DELL’INFERNO, BUAHAHAH. DITELO, CHE ORMAI NON CI SPERAVATE
PIÙ. No, aspettate,
così è strano. Un attimo, ricomincio.
Ehiii, ciao a
tutti! Mi scuso per
l’immenso ritardo ma – una volta tanto –
avevo avvertito. Record, wow! Uhm,
allora, scrivo questo spazio autrice per sei motivi:
1-
Fun fact:
la storia del “pugno Balalalalla” è
venuta fuori da un dietro le quinte di uno
degli spettacoli che ho fatto qualche settimana fa. Siamo io e questa
mia
amica, sedute, ci guardiamo; lei mi dice: “Questa
è la prima replica con un
pubblico decente”, e mi porge un pugno. Non so che cosa
è successo, giuro. So
che, una volta fatto combaciare il pugno, ci guardiamo, e insieme:
“Balalalalla!” Vi giuro che è stata una
cosa epica. E SE NON SAPETE PERCHÉ
ABBIAMO DETTO BALALALALLA, SIGNIFICA CHE NON AVETE GUARDATO QUEL
CARTONE.
QUINDI, USATE INTERNET PER VEDERVELO IN STREAMING, PERCHÉ
È UNA COSA
SENSAZIONALE.
2- La
prestavolto di Marceline
è Rachel McAdams in biondo, e indossava questo.
3- Volevo dire
che ho pubblicato una storia che non è propriamente una
storia, ma una raccolta
di One shot che riguardano Look into my eyes e i suoi retroscena. Si
chiama
photographs
e per ora ha un solo capitolo, ma ne ho altri due pronti da
pubblicare (purtroppo, deve essere finita la storia perché
possano essere
letti).
4- Sempre
legato a Photographs: volevo scrivere di come Ashton e Carol si sono
incontrati, ma sinceramente ho glissato sull’argomento
così tanto perché non so
nemmeno io come si incontrano. Ho dato solo un indizio. Qualche
suggerimento?
Sì? Beh, vi prego, ditemelo. Che qui non ho idee. Graazie.
5- Se a
qualcuno interessa (lol, no) potete trovarmi anche su questi altri
social:
tumblr, instagram, polyvore, youtube,
weheartit.
Sono anche su Facebook, ma non
accetto amicizie di sconosciuti, quindi sarebbe inutile.
6- Spazio
pubblicità: vi sentite annoiati? La vostra estate
è ridotta (come la mia) a un
costante dormire, leggere, guardare film e lamentarsi per il caldo?
Avete
voglia di ridere? Avete voglia di innamorarvi di una storia? Bene, ho
la
fanfiction che fa per voi. Si chiama “Amore,
odio… E un paio di Converse” ed
è
scritta da quella che è la persona con cui condivido
un’amicizia strepitosa ma
a distanza, la bellissima Miss
One Direction. È anche una delle mia autrici
preferite, ma questi sono dettagli, no? NO. È fottutamente
(ops, sorry il
termine) brava, okay? Quindi, se avete voglia di ridere e innamorarvi,
passate
da lei, che è la persona adatta. Avrei troppe cose da dire
su di lei, ma
purtroppo il mio limite di spazio autrice è di una pagina
(me lo sono dato da
sola, okay? Non voglio rompere troppo) e lo sto pericolosamente
raggiungendo.
Vi dico solo che ne vale la pena.
Beh, dopo questo
avviso/appello
disperato riguardante Photographs, vi saluto, sperando di aggiornare
prima la
prossima volta!! Ciauuu
Ranyadel
|
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Capitolo 34 *** bad dreams ***
Bad dreams
“Ciao
Diana, che stai facendo?”
“Oh,
ciao, Coralie. Aspetto Luke.”
“Cosa
dovete fare?”
“Mi
porta a cena fuori, non lo
sapevi?”
Rimasi di
stucco. No, non lo
sapevo. Lei mi fissava con tutta la tranquillità del mondo,
come se avesse
detto una cosa ovvia. “Ti senti bene? Sei pallida”
fece. Io stavo per
rispondere, quando Luke entrò nella stanza. “Ciao,
piccola!” fece. Io stavo per
salutarlo a mia volta, quando lui si avvicinò a Diana con un
gran sorriso. Si
chinò su di lei e le stampò un bacio sulle
labbra. “Andiamo, amore?” le chiese.
Rimasi
lì, immobile, mentre sentivo
il mondo crollarmi sotto i piedi. “Che
cosa…” tentai di articolare. Diana mi
guardò ancora. “Oh, andiamo, non dirmi che non te
l’aspettavi” disse solo.
***
Mi svegliai di
soprassalto,
scattando a sedere. Avevo il respiro corto, mentre sentivo gli occhi
riempirsi
di lacrime. Me le asciugai con un gesto secco, prima di tornare a
sdraiarmi.
Luke, di fianco
a me, si mosse.
Mugolò qualcosa che somigliava molto a un: “Tutto
okay, piccola?” Io non
risposi e lui si stropicciò gli occhi. “Brutto
sogno?” mi chiese. Io annuii e
lui si avvicinò a me. “Vieni qui” fece.
Io obbedii e mi accoccolai vicino a
lui, con la schiena contro il suo petto. Lui mi circondò la
vita con un
braccio. “È finito, amore. Era solo un incubo. Ci
sono io qui, ora” sussurrò
con voce impastata. Io non dissi niente, mentre sentivo il suo respiro
tornare
regolare. Capii che si era riaddormentato dopo qualche minuto. Solo
dopo un
tempo che mi parve interminabile riuscii a riacquistare il sonno,
sperando di
non rivivere quell’incubo che, per quanto potesse sembrare
stupido, mi aveva
spezzato il cuore.
***
Il mattino dopo,
eravamo tutti
attorno al tavolo, a far colazione. Dire mattino era piuttosto forzato,
dato
che erano già le undici e mezza. Calum e Luke litigavano per
un biscotto,
mentre davanti a loro ce n’era un pacco intero; Ashton faceva
ridere Carol, mettendosi
un biscotto intero in bocca, in verticale; Manuela e Michael avevano
preso
possesso del barattolo di Nutella, lanciando sguardi infuocati a
chiunque
tentasse di avvicinarsi al vasetto; Madison era più
addormentata che sveglia, e
doveva fare qualche tentativo prima di centrare la tazza con il
biscotto. Diana,
invece, si era trasferita dal letto alla cucina solo per
riaddormentarsi con la
fronte sul bordo del tavolo e le braccia penzoloni.
Tutto normale,
insomma. Io ero
inquieta. Avevo dormito poco e male, in seguito a
quell’incubo. Più cercavo di
dimenticarlo, più quello tornava con insistenza nella mia
testa. L’ultima frase
di Diana rimbombava dentro di me con assurda precisione ogni momento.
“Oh,
andiamo, non dirmi che non te l’aspettavi.” Se non
fosse che mi ero svegliata
di soprassalto, avrei fatto fatica a dire se quella scena facesse parte
di un
sogno o no. Era così reale che mi veniva male al cuore.
Mi voltai e
guardai Luke con la
coda dell’occhio. Stava ancora litigando con Calum,
scherzando. All’improvviso,
la voce di lui risuonò nella mia mente: “Oh, beh,
non ne è mai valsa la pena
veramente.” Ci misi un po’ a rendermi conto da dove
venisse: era una delle
frasi con cui Matt mi aveva liquidata. Mi chiesi cosa stesse succedendo
nella
mia testa. Perché sentivo le parole di Matt, pronunciate
dalla voce di Luke?
Non aveva senso. Cercai di scacciare quei pensieri e mi
scappò un gemito. Luke
si voltò subito verso di me. “Tutto okay,
piccola?” chiese, lasciando andare il
biscotto. Calum, nella foga di tirarlo a sé, per poco non
cadde dalla sedia. Io
annuii distrattamente. “Ho solo un po’ di mal di
testa” mentii. Lui mi attirò a
sé e mi stampò un bacio sulla fronte.
“È perché hai dormito poco?”
Spero
di no.
“Credo di sì.”
“Ti
prendo qualcosa” disse, mentre
faceva per alzarsi. Io lo bloccai subito. “Tranquillo,
passerà in fretta” dissi
velocemente. Lui si sedette di nuovo e mi avvicinò a
sé. “Se peggiora, però, mi
avverti, d’accordo?”
“D’accordo.”
Lui sorrise
soddisfatto e mi diede
un bacio a stampo, prima di attirarmi a sé e farmi sedere
sulle sue gambe.
Lì,
nella sua stretta, riuscii
quasi ad azzittire quelle voci che non volevano saperne di lasciarmi in
pace.
***
Qualche ora dopo
pranzo, finalmente
eravamo tutti completamente svegli – persino Diana, il che
era tutto dire. Fuori,
si sentivano tuoni sporadici, mentre lo scroscio della pioggia era
costante.
Non mi sarei sorpresa se avessimo trovato l’Arca di
Noè parcheggiata in doppia
fila davanti a casa.
Ashton e Carol
erano spariti in
camera di lei e, dai rumori che sentii passando di fianco alla porta, decisamente non stavano guardando un
film. Michael, quando li sentì, si gasò
così tanto che Luke e Calum dovettero
portarlo via da lì davanti: progettava già di
aprire la porta. “Per vedere chi
sta sopra”, diceva. Io, intanto, mi chiedevo come mai
avessero scelto proprio
quel momento per dare sfogo ai loro bisogni di coppia. Intendo, eravamo
tutti
svegli e in circolazione per casa, a nessuno dei due era venuto in
mente che
poteva essere una cattiva idea? Non li avrei mai capiti.
***
“No.”
“Ti
prego, amore, ne va della mia
dignità di uomo!”
“No,
Michael, non intendo chiudermi
in camera con te e cercare di far più rumore di quei
due.”
Manuela e
Michael andavano avanti
così già da qualche minuto. Io e Luke, intanto,
eravamo sul divano a guardarli
divertiti. Calum si avvicinò a noi e sussurrò:
“Scommetto una pizza che Mikey
la convince.”
“Io
dico che non ce la fa” replicò
Luke, risoluto. “E io scommetto che riesce a convincerla, ma
troppo tardi”
dissi io. Calum e Luke mi guardarono basiti. “Beh?
Perché mi fissate?”
“Perché
sei così pura e casta che
pensavo ci avresti preso a pugni.”
“Pura
e casta quanto vuoi, ma mi so
divertire anche io con queste scommesse. E poi, Manuela è la
mia migliore
amica, direi di conoscerla abbastanza bene. Preparatevi a pagarmi una
pizza,
perdenti!”
“Oh,
ma io te ne pago cento, di
pizze, se ceni fuori con me” fece Luke, baciandomi piano.
“Devo scommettere
anche su voi due?” chiese Calum scocciato e divertito allo
stesso tempo. Io gli
tirai un pugno sul braccio e lui gemette, ridendo. “Ecco la
Coralie che
conosco” fece soddisfatto. Sentimmo in lontananza il rumore
di una porta che si
apriva, così tornammo a concentrarci sui due di fronte a
noi.
Manuela aveva un
sorrisetto
diabolico in viso. “E va bene” fece, con un tono
esageratamente esasperato.
Michael esultò e la prese in braccio come una sposa,
dirigendosi verso le
scale… E trovandosi faccia a faccia con Ashton e Carol.
Scoppiammo tutti a
ridere, tranne Ashton e Carol, che non capivano, e Michael, che aveva
un’espressione di puro orrore in viso. “La mia
povera dignità!” fece, con tono
straziato. “Io ve l’avevo detto, che la
conosco” mi vantai con sussiego.
Manuela mi fece un occhiolino, mentre si divincolava per essere messa
giù.
“Cosa ci siamo persi?” chiese Ashton, curioso.
“Un giro di scommesse” rispose
Calum, storcendo la bocca al pensiero di dovermi offrire una pizza.
“E che
avete scommesso?”
“Credo
che Michael e la sua dignità
oltraggiata non sarebbero felici se te lo dicessi” feci io
ridacchiando.
“Esatto, non dirglielo” rispose lui, ancora
disperato. Manuela gli stampò un
bacio sulle labbra. “Andiamo, ti rifarai la prossima
volta” fece. Lui mugugnò
qualcosa che non capimmo e scese le scale, per ciondolare mesto fino
alla
cucina. Manuela lo seguì ridacchiando.
Calum, che era
in vena di
scommesse, si voltò verso Ashton e: “Scommetto che
uno di questi giorni ti si
rompe un preservativo.” Carol impallidì e si fece
il segno della croce. “Non
sia mai” fece, mentre Ashton se la rideva alla grande.
“Ma come, piccola, non
sei ansiosa di accogliere la piccola Aubrey in famiglia?”
“No.”
“E
come mai?”
“Ho
diciassette anni, Ashton!” fece
lei scandalizzata. Ashton rise di nuovo. “Sto scherzando,
amore. Ti pare che io
sia pronto? Non so badare a me stesso, credi che possa badare a qualcun
altro?”
chiese. “Però non avete avuto problemi ad adottare
me e Luke!” feci notare io.
“Silenzio, mamma e papà si stanno
confrontando” fece Carol ridendo. “Comunque,
secondo me, la prima a rimanere incinta sarai tu, Carol” feci
con nonchalance.
Tutti mi guardarono come se avessi detto di essere incinta io stessa.
“Che c’è?
Non intendevo che rimarrà incinta ora. Intendevo che, anche
fra dieci anni,
sarà lei la prima.”
“E
cosa te lo fa pensare?” chiese
Ashton. “Mi devi far rispondere?” feci io,
inarcando un sopracciglio. Lui scese
le scale e si appoggiò allo schienale del divano.
“Io, invece, scommetto che
sarai tu la prima, Coco” disse con un sorriso furbo. Io e
Luke, per poco, non
avemmo un attacco di cuore. “Cosa?! Io?!” feci,
sconvolta. “Proprio tu.”
“Ma se
sono ancora…”
“Non
importa, sai? Datevi ancora un
paio di mesi, Madre Natura chiamerà e puff! Vedremo come
andrà a finire.”
“Sei
uno scemo, Ash.”
“Lo
so, tesoro. Anche per questo
sono il tuo migliore amico.”
Io scossi la
testa, ridacchiando.
“E va bene. Ci sto.”
“Eh?”
“Stavamo
scommettendo, no?”
“Ah,
sì” fece Ashton, mentre Luke
mi guardava stranito. “Piccola, ma che…”
“Scommetto
quello che vuoi che
Carol rimarrà incinta per prima.”
“Grazie
per la fiducia, eh!” fece
l’interessata, ancora sulle scale. Io le mandai un bacio
volante e lei mi
guardò truce. “E io scommetto che la prima sarai
tu, oppure Manuela” rispose
Ashton. “Vi abbiamo sentiti!” esclamò
Manuela dalla cucina, mentre la risata di
Michael invadeva la casa. “E su Maddy e me? Non scommette
nessuno?” fece Calum,
quasi risentito. “Scommetto io!” fece Michael.
“Andata!” rispose lui, più
contento. “Voi siete tutti fuori di testa” fece
Luke, sconvolto. Diana passò in
sala velocemente, rossa come un semaforo, mentre Luke la seguiva con lo
sguardo
e ridacchiava. Ashton corse su per le scale e si fermò
all’ultimo gradino.
“Luke, dove tieni i preservativi?”
“Primo,
io non ho preservativi;
secondo, se anche li avessi, cosa vorresti fare?!”
“Uff,
volevo bucarteli. Tanto per
assicurarmi una vittoria.”
“Caschi
male, caro.”
“Peccato.
Te ne do uno io, non si
sa mai.”
“Bucato?”
“Certo
che sì! Per chi mi hai
preso?!”
Scoppiammo a
ridere tutti, mentre
Ashton correva al piano di sopra. Stavo per urlargli contro qualcosa
che
sarebbe risultato poco fine, quando il citofono mi interruppe. Ci
guardammo
perplessi. “E mo’ chi è, a
quest’ora di notte?” chiese Calum. “Cal,
sono le
sei” feci perplessa. “Diana, mica sarà
tua madre, vero?” chiese Carol con gli
occhi sgranati. “Prego il cielo che sia un no”
rispose lei dalla cucina.
“Oddio, no, ti prego” fece Ashton, dal piano di
sopra. “Sì, okay, ma qualcuno
risponda” urlò Manuela. Io mi alzai e risposi al
citofono. “Chi è?”
“Coralie!
Ti prego, apri, si gela!”
“Emma?!”
“Sì,
sono tua sorella, ora ci
apri?!”
Non esitai a
obbedire, con un
sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“È lei?!” chiese Manuela
strabiliata. Io annuii e andai ad aprire la porta. Mentre giravo la
chiave
nella serratura, ripensai a ciò che aveva detto mia sorella.
Parlava al
plurale. Ciò significava che c’erano anche
Cristine e Daniel?! Sarei stata al
settimo cielo. Quando aprii la porta, però, non si
fiondò in casa mia cugina,
né suo marito, no. Un’altra persona accompagnava
mia sorella. Era un uomo sulla
ventina, forse trentina, con straordinari occhi azzurri e i capelli
neri, non
lunghi ma nemmeno corti. Non si faceva la barba da un po’, ma
gli stava
benissimo sulla mascella squadrata. Aveva un sorriso furbo, da
canaglia. Rimasi
con la bocca socchiusa per qualche istante, prima che mia sorella mi
abbracciasse. “Coco! Sono così felice di
vederti!” fece. Io ricambiai
l’abbraccio calorosamente, prima di rendermi conto di quanto
mia sorella fosse
gelida. E fradicia. Lei si accorse della mia rigidità e si
staccò subito.
“Scusami, abbiamo preso in pieno
l’acquazzone” si giustificò, mentre
tutti ci
raggiungevano in anticamera. Manuela, quando vide
l’accompagnatore di Emmaline,
ebbe la mia stessa reazione. “Oh sante ovaie, non scoppiatemi
ora” la sentii
sussurrare. Trattenni una risata, mentre Michael la guardava torvo.
Emmaline
attese che ci fossimo radunati tutti, prima di fare le presentazioni.
“Ragazzi,
lui è Balthazar, il mio ragazzo. Lavora con me al
ristorante. Balthazar, loro
sono Coralie, mia sorella, Carol, Manuela, Luke, Ashton, Madison,
Calum,
Michael, e… Credo di non aver mai visto lei”
finì, indicando perplessa Diana. Lei
ridacchiò e le porse la mano. “Mi chiamo Diana,
piacere” fece. Gli occhi di
Emmaline si illuminarono. “Ah, sei tu! Vedi che testa che ho?
Avrei dovuto
immaginarlo. Scusami tanto, Diana. È un piacere conoscerti,
io sono Emmaline, e
lui è Balthazar” fece, stringendole la mano.
Balthazar fece il giro di strette
di mano, fino ad arrivare a me, l’ultima. Appena ci
separammo, presi Emmaline
per una mano. “Arriviamo subito” dissi frettolosa.
Ci rifugiammo in cucina e le
chiesi: “E questa notizia, quando intendevi
darmela?!”
“Sorpresa?”
“Beh,
ci sei riuscita. E devo dire
che hai anche buoni gusti. Mica male il ragazzo.”
“Sì,
sospettavo lo avresti detto da
quando ti sei imbambolata davanti a lui. Ormai ci ho fatto
l’abitudine, tutte
le ragazze fanno così. Pure io, all’inizio, se
devo essere sincera.”
“E
vorrei ben dire, accidenti.”
Emmaline
scoppiò a ridere e mi
abbracciò di nuovo. “Mi sei mancata tantissimo,
sorellina” sussurrò. “Anche tu,
sorellona.”
Rimanemmo
così qualche istante,
prima di separarci. “Emma, ti devo parlare. È una
cosa molto importante, sono
preoccupata.”
“Cosa
succede?” chiese lei,
perdendo immediatamente il sorriso. “Ecco, sento delle voci
ne-”
“Piccola,
Emma, dove siete?” chiese
la voce di Luke, prima che lui si affacciasse alla porta della cucina e
ci
sorridesse. “Arriviamo” fece mia sorella tirando un
sorriso e seguendolo. Si
voltò verso di me e mimò un: “Dopo mi
spieghi tutto”, prima di uscire dalla
cucina, e io con lei. Trovammo una scena alquanto strana in salotto:
Erano
tutti seduti sui divani, Balthazar era
all’estremità di uno di essi. Manuela,
di fianco a lui, lo tempestava di domande, a cui lui non rispondeva,
mentre
Michael sbuffava, tutto corrucciato. “Tranquillo, Mikey, fa
sempre così, ma
alla fine è di te che è innamorata, o
no?” feci, passandogli di fianco. Lui
annuì distrattamente, mentre noi tre ci sedevamo. Intanto,
mi chiesi come mai
Balthazar avesse quello sguardo perplesso in viso, o perché
non avesse ancora
detto una parola.
“Allora,
per quanto state qui?”
chiesi. “Oh, non molto: domani mattina dobbiamo partire.
Siamo passati solo a
fare un saluto, stasera dormiamo in un Bed and Breakfast. E no, Coco
– mi
precedette, notando che stavo per interromperla – non ci
ospitate voi, abbiamo
già prenotato. Non volevamo disturbarvi troppo. E no
– di nuovo mi interruppe –
avremmo disturbato, perché so che in questa casa non ci sono
posti liberi e non
ho intenzione di far tornare i ragazzi a casa loro. e no, Michael, non
ti ci
mettere anche tu – aveva alzato la mano – non
andiamo noi a dormire da voi, ci
sentiremmo degli sporchi sfruttatori” concluse Emmaline.
Michael rimase con la
mano alzata e la bocca semiaperta, come se l’avessero
pietrificato mentre stava
per parlare. “Io in realtà volevo chiedere se
stasera vi andava di mangiare
fuori con noi, ma dato che non posso parlare ritiro tutto”
fece piccato.
Emmaline ridacchiò e si scusò con lui.
“E da quando avremmo deciso di mangiare
fuori?” chiese Carol confusa. “L’ho
proposto io adesso, va bene?! Uffa!” fece
Michael, sempre più scocciato. Manuela lo guardò
sorpresa. “Amore, guarda che
dovrei essere io quella con la crisi premestruale” disse
incredula. Lui si
guardò intorno e notò che lo stavamo fissando
tutti. “Scusate, sono nervoso,
non so perché” fece, per poi evitare il contatto
visivo con ognuno di noi.
Diana intervenne in fretta: “Comunque è bella
l’idea di uscire stasera, no?”
fece speranzosa. Noi annuimmo subito, e non solo per distrarre Michael.
“Già,
anzi, se usciamo ora possiamo anche fare un giro in centro”
fece Madison.
“Maddy, mi spiace contraddirti, ma l’unico giro che
potresti fare sarebbe sotto
il gazebo che avete in giardino. Fuori è scoppiato il
diluvio universale” fece
Emma. “Ci sono ancora i tuoni?” chiese Manuela.
“Quando siamo arrivati noi,
sì.”
“Allora
io non esco. Ho paura e lo
sapete.”
“Ma
dai, non è nulla di pericoloso!
E poi non si sente più niente!” feci io. Le mi
guardò truce. “Coralie, ti ho
mai costretta ad affrontare un ragno? No, perché so che hai
paura. Non puoi
ricambiare il favore?” fece. Io sospirai, mentre Luke si
alzava e andava a
sbirciare fuori dalla finestra. “Emma, mi spiace
contraddirti, ma ha smesso di
piovere. Il diluvio universale si è spostato”
disse. Emmaline e Balthazar
rimasero interdetti. “Vuoi dire che se avessimo aspettato
dieci minuti ci
saremmo risparmiati l’acquazzone?!” fece lei,
sconvolta. Balthazar alzò gli
occhi al cielo, esasperato, e Manuela inarcò un
sopracciglio. “Ora che ci
penso, non hai ancora spiccicato parola, Balthazar. Che succede? Ti
mettiamo
ansia?” chiese. Lui la guardò un attimo, mentre
Madison aggiungeva: “Già,
perché non parli con noi?” Balthazar si
voltò verso Emmaline, guardandola in
maniera così eloquente che quasi lo sentii ripetere la
domanda di Madison:
“Già, Emmaline, perché non
parlo?” Emmaline sgranò gli occhi.
“Oddio, scusami,
non gliel’ho detto – disse, prima di rivolgersi a
noi – Balthazar è muto.”
Rimanemmo di sasso, mentre Manuela e Madison arrossivano fino alla
radice dei
capelli. “Scusa, scusa, scusa! Non ne avevo idea!”
fece Manuela. Lui fece un
mezzo sorriso e scosse la testa, come a dire: “Non
importa.”
“Sei
nato muto, oppure in seguito
ad un trauma?” chiese Diana. Balthazar mostrò due
dita alzate e il silenzio
tornò a piombare nella stanza. “Che cosa ti
è successo? Sempre che ti vada di
parlarne” fece Ashton. Balthazar lo guardò storto
e Ashton si rese conto
dell’errore. “Scusa, intendevo, se ti va di farcelo
sapere.” Balthazar annuì e
guardò Emmaline, che prese la parola, cauta:
“Quando aveva dieci anni è rimasto
coinvolto in un incidente stradale e ha visto morire sua madre. Da
allora non
ha più detto una parola. I dottori non si spiegano come mai
lui non riesca
ancora a parlare, dato che sembra aver superato il trauma. Non dice una
parola
da quindici anni” spiegò. Guardò
Balthazar in tralice, ma lui non sembrava
turbato, anzi, era perfettamente tranquillo. Noi rimanemmo in silenzio
qualche
secondo, prima che Balthazar si mettesse a fare gesti frenetici e a
indicare la
porta della cucina. Ci voltammo verso di essa, ma non vedemmo nulla,
così
tornammo a concentrarci su di lui, che mimava delle parole con le
labbra e
intanto si grattava il braccio. Emmaline annuì.
“Sì, hanno un gatto, si chiama Tabitha”
disse. Un coro di “Aaah” di comprensione si diffuse
nella sala: evidentemente,
Balthazar aveva visto Tabitha dalla porta della cucina. Ormai era un
miracolo
vedere quella gatta: tornava a casa pochissimo, dato che la maggior
parte del
tempo la passava dalla vicina.
“Ragazzi,
dato che non piove, andiamo
a fare un giro, come aveva proposto Mikey? Poi ci fermiamo in una
pizzeria,
dato che è da un po’ che non mangiamo una bella,
sana pizza?” chiese Calum.
Incontrai gli sguardi entusiasti di tutti quanti e intuii che non
c’era nemmeno
bisogno di rispondere. “Chi arriva per ultimo di sopra non
mangia!” fece
Manuela, schizzando in piedi e fiondandosi su per le scale. In un
attimo, noi
ci alzammo e iniziammo una corsa simile a quella dei tributi di Hunger
Games
verso le scale. Per ultima arrivò – in qualche
maniera occulta – proprio
Manuela: qualcuno doveva averla trattenuta. Si guardò
attorno con occhi
sgranati, prima di lanciare un’occhiata in sala. Quando si
rese conto che sui
divani erano rimasti solo Balthazar e Emmaline, si voltò
verso di noi. “Però io
avevo lanciato la sfida, quindi sono immune alla penitenza”
fece come una
bambina, con un sorrisetto soddisfatto. Noi scoppiammo a ridere.
“Vatti a
cambiare, che è meglio” dissi, spingendola in
camera sua. Michael, ancora
imbronciato, la seguì. Mi ripromisi di chiedergli cosa gli
stesse succedendo
una volta pronta.
Mi chiusi in
camera mia con Luke e
lui si tolse la maglietta, mentre io aprivo l’armadio. Dopo
aver scelto cosa
mettermi, mi tolsi la maglietta che usavo come pigiama –
rigorosamente rubata a
Luke, ovviamente – rimanendo in intimo. Mi voltai per posare
il pigiama sul
comodino, ma Luke mi prese per i fianchi da dietro e iniziò
a posarmi baci
umidi sul collo, fino a scendere verso la schiena. Per ultima cosa, mi
lasciò
un bacio in mezzo alle scapole, dove sapeva farmi impazzire: infatti,
sentii un
brivido percorrermi. Mi voltai e lui mi attirò a
sé, facendo combaciare i nostri
corpi. Barcollammo fino al letto e lui ci si sedette, per poi farmi
appoggiare
su di lui. Mi baciò con foga, facendo scivolare le sue mani
sui fianchi, e mi
fece sdraiare. Continuò con la sua scia di baci, arrivando
all’incavo fra i
miei seni. Sospirai, mentre lui tornava a baciarmi sulle labbra. Io mi
fermai
un attimo e lui mi guardò. “Tutto bene?”
chiese. Io feci un mezzo sorriso,
prima di piegare la testa e iniziare a lasciare baci sul collo.
“Vendetta”
sussurrai nel suo orecchio, prima di mordicchiarlo esattamente dove lui
aveva
lasciato un succhiotto su di me. Lui capì cosa intendevo
fare e scoppiò a
ridere, ma non mi fermò. Incerta su come fare –
era la prima volta – provai a
imitare gli stessi gesti che avevo sentito fare a Luke. Lui
inclinò la testa
per scoprire meglio il punto che mi interessava e mi sorrise
incoraggiante. Io
ridacchiai, prima di lasciare un morso leggero sul punto che
già si stava
arrossando. Lo sentii soffocare un’esclamazione di sorpresa,
ma lo ignorai e
continuai. Se si chiama succhiotto,
pensai, un motivo ci sarà.
Così,
provai a seguire il consiglio di quella vocina che avevo nella mente.
Dopo
nemmeno dieci secondi, avevo lasciato un inconfondibile segno rosso.
Sgranai
gli occhi, sorpresa e un po’ intimorita. “Oh,
accidenti.”
“Cosa,
amore?”
“Credo
di aver fatto un casino.”
“Che
è successo?”
“Quanto
ci vuole perché rimanga il
segno?”
“Pochissimo,
perché?”
“Oh,
santissimo cielo, grazie”
feci, mentre il sollievo mi investiva peggio di un camion. Lui rise e
io gli
tirai un cuscino in faccia. “Per un attimo ho creduto di aver
sbagliato
qualcosa, accidenti! Credevo di averti fatto male! Che faccio, io, se
non va
più via?! E poi, mi spieghi perché quando
l’hai fatto tu ci sei stato su un
quarto d’ora?!” Luke rise ancora più
forte. “Piccola, tranquilla. Ci sono stato
su tanto perché piaceva a entrambi, e volevo lasciare un
segno che non sparisse
dopo solo qualche giorno.”
“Mi
hai fatto prendere un infarto.”
“Ma io
non ho fatto nulla.”
“Allora
mi sono presa un infarto da
sola.”
Luke rise di
nuovo, e io con lui.
Mi diede un bacio a stampo sul naso, prima di sorridere. Stava per dire
qualcosa, quando fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
“Coco, non
vorrei sembrare inopportuna, ma sono fradicia e sto congelando. Non
è che potresti
prestarmi qualcosa da mettermi? Ti prego!” fece Emmaline
dall’altra parte della
porta. Luke ridacchiò e scosse la testa rassegnato, prima di
alzarsi. Andò ad
aprire la porta e ci si nascose dietro, facendo entrare mia sorella.
Lei vide
prima me, poi la testa di Luke che sbucava da dietro la porta, e ci
guardò
perplessa. “Cosa stavate combinando?” chiese
inquisitoria. “Niente” facemmo in
coro, come due perfetti angioletti. Lei mi lanciò
un’occhiata così scettica che
mi fece scoppiare a ridere. “Farò finta di
crederci – e di non aver visto quel
succhiotto – solo perché ho troppo freddo. Coco,
mi passi qualcosa a caso? Mi
va bene tutto, basta che sia asciutto” disse. Io mi alzai e
frugai
nell’armadio, prima di porgerle una maglietta blu con lo
scudo di Capitan
America stampato sopra e un paio di jeans attillati neri. Lei li prese
e si
chiuse nel bagnetto della mia camera; subito dopo Luke richiuse la
porta.
“Piccola, per favore, mi lanci un paio di pantaloni? Per non
dovermi nascondere
sotto il letto quando Emma uscirà dal bagno” fece.
Io, ridacchiando, annuii e
gli lanciai un paio dei suoi skinny. Lui li indossò in
fretta, saltellando sul
posto mentre infilava una gamba alla volta. “Adesso cado, me
lo sento” disse.
Io risi, mentre la porta si apriva di nuovo, mostrando Carol.
“Coco, volevo solo
dirti: non osare vestirti elegante, oggi è la giornata del
ruba-qualcosa-al-tuo-ragazzo. Va bene?” chiese. Io feci
spallucce e annuii,
mentre lei, soddisfatta, richiudeva la porta. Mi voltai verso Luke.
“Hai
sentito, no? Devo rubarti qualcosa. Hai preferenze?” chiesi.
Lui scosse la
testa. “Puoi prendere quello che vuoi, amore” disse
sorridendomi. Io ricambiai
e frugai nella sua parte dell’armadio. “E
questa?!” chiesi, prendendo una felpa
nera con le maniche bianche e i polsini a strisce. “Non te
l’ho mai vista
addosso” feci. “Perché me l’ha
regalata Diana l’altro giorno e non l’ho ancora
usata. Mi dispiace dirglielo in faccia, ma non è esattamente
il genere di felpe
che uso… A te piace?” mi domandò lui,
avvicinandosi. Io annuii piano, ancora
concentrata sulla frase ‘Me l’ha regalata
Diana’. Quando? Quando ancora Ashton
e Carol non si parlavano? Quanto tempo erano rimasti da soli, lui e
Diana?
Luke mi riscosse
dai miei pensieri:
“Bene, allora è tua.” Io lo guardai.
“Sei sicuro?”
“Sì.
Sempre meglio che riportarla
in negozio. Credo che lei abbia completamente frainteso la situazione:
la stavo
guardando per te, così lei, quando siamo usciti,
è tornata un attimo dentro e
me l’ha presa, dicendomi che sembrava piacermi tanto. Aveva
un sorriso così
fiducioso che non ho avuto il cuore di dirle che non l’avrei
mai messa.” Mentre
parlava, sembrava a metà fra il divertito e il dispiaciuto.
Io feci un mezzo
sorriso – aveva detto che la stava guardando per me, no? Mi
avrebbe dovuto
rassicurare.
Però
era fuori con lei.
Tentai di
scacciare quella vocina
fastidiosa e mi infilai la felpa, che si rivelò comodissima
e morbida. “Sicuro
che lei non se la prenda?”
“Figurati.
Non se la prende mica
per queste cose. E poi, non potrebbe dirmi nulla” fece con un
sorriso. Io
ricambiai, prima di andare a frugare nella mia parte
d’armadio per il resto;
d’altronde, avevo già rubato qualcosa a Luke, no?
“Ehi,
piccola” mi chiamò Luke. Io
mi voltai, giusto in tempo per prendere al volo una maglietta che mi
aveva
lanciato. “Non dovevi prendere qualcosa di mio?”
“Sì,
appunto, ho preso la felpa.”
“Ma
quella ora è tua, non vale.”
Io ridacchiai e
guardai la
maglietta: era una delle sue preferite, la canotta nera con su scritto
‘YOU
COMPLETE MEss’. Raramente se ne separava. “Luke, i
ragazzi non sapranno mai che
mi hai regalato la felpa. Perché vuoi che prenda anche
questa?” chiesi
dubbiosa. Lui alzò gli occhi al cielo, ridacchiando.
“Mi hai smascherato. La
realtà è che adoro quando i miei vestiti hanno il
tuo profumo.”
Io scoppiai a
ridere, intenerita.
“e vuoi ti regalo il flacone di profumo che uso. È
al lampone, sai?”
“Lampone?
E perché questa scelta?”
“È
il preferito di Giorgia e mi ci
ha fatta affezionare.”
“Capito”
disse Luke, tornando ad
avvicinarsi a me. “Comunque non voglio un profumo al lampone,
sui miei vestiti.
Non è quello che cerco. Io voglio il profumo di
te.”
Io arrossii e
abbassai lo sguardo,
così lui ne approfittò per appoggiare le labbra
sulla mia fronte. “Dai,
vestiti. Saranno già tutti pronti, scommetto che avranno di
nuovo da dire” mi
sussurrò poi. Io annuii e mi vestii in fretta, mentre Luke
faceva lo stesso.
Intanto, mia sorella uscì dal bagno e sgattaiolò
via, ringraziandomi ancora.
Cinque minuti
dopo, eravamo tutti
giù, tranne Michael e Manuela. Era strano, dato che loro di
solito erano i
primi; facevano di tutto per prepararsi in fretta e mettere ansia a chi
ancora
non era pronto. Perciò, era strano che Carol e Ashton li
avessero battuti di
ben cinque minuti. Mi sorprendevo di loro.
Calum si
avvicinò a me e Luke. “Non
è che alla fine Michael è riuscito a convincerla,
vero?” chiese. “No, idiota”
fece la voce di Michael dal piano di sopra. I due stavano scendendo le
scale
con lentezza esasperante. Balthazar, sul divano, fece segno di
spararsi. Poi,
si rivolse a Emmaline, facendo una serie di gesti frenetici.
“Michael, Manuela,
vi sta pregando di muovervi, dice che ha una fame da lupi. In effetti,
non
abbiamo fatto un pranzo decente in auto” tradusse mia
sorella. I due obbedirono
e, quando Manuela mi passò di fianco, io le presi un polso.
Ci fu una
conversazione di sguardi che avrebbe fatto invidia a Balthazar, in cui
le
chiedevo cosa fosse successo, dato che Michael era così nero
prima di salire;
lei mi fece capire con un gesto che ne avremmo parlato dopo,
così la lasciai
andare. Mi feci scappare un sorriso quando notai che indossava una
delle
magliette preferite di Michael: bianca, maniche nere, con la scritta
‘IDIOT’ in
rosso stampata sul petto. Se indossava la sua maglietta, non doveva
andare poi
così male, no?
***
Eravamo in
pizzeria, seduti al
tavolo più grande e, grazie a noi, anche il più
rumoroso. Eravamo la
disperazione dei camerieri e dei vicini di posto, ma non sembrava
interessarci:
eravamo immersi in una fitta conversazione riguardante i libri.
“Amico,
ti assicuro che Harry
Potter è il capolavoro dei capolavori. Non lo batte
nulla” diceva Manuela,
convinta. Io mi astenevo solo perché non avrei potuto
sostenere un’opinione
senza andare in tilt: Manuela e Ashton sostenevano Harry Potter (ed
erano gli
unici che si trovavano d’accordo su qualcosa), Balthazar
sosteneva The Maze
Runner, Emmaline Hunger Games, Michael Percy Jackson, Calum
Shadowhunters,
Madison Divergent… Insomma, i libri più famosi
del momento. Non sapevo cosa
dire di Percy Jackson, in quanto ancora sulla mia lista di libri da
leggere, ma
se mi avessero chiesto di scegliere un libro preferito fra gli
altri… Avrei
fatto prima a suicidarmi. Magari saltando da un tetto,
all’Intrepida; oppure un
bell’Avada Kedavra…
“E tu,
Coco, che libro preferisci?”
chiese Diana. Io rivolsi a tutti uno sguardo completamente indeciso,
prima di
dire: “Raccontami di un giorno
perfetto.”
“Eh?”
“Il
libro.”
“Ma
non ti piacevano tanto i libri
come Harry Potter?!” chiese Ashton. “Sì,
mi piacciono tutti i libri che avete
nominato, proprio per questo non ho scelto nessuno di loro; avrei fatto
un
torto agli altri. E Raccontami di un
giorno perfetto è assolutamente fra i miei libri
preferiti” dissi. Manuela
mi rivolse uno sguardo che, conoscendola, voleva significare:
“Complimenti per
non esserti messa contro nessuno; ma ti farò pagare il fatto
di non esserti
messa dalla mia parte, tesoro.” Mi venne da ridere e dovetti
voltarmi da
un’altra parte.
“Abbandoniamo
un attimo questa
disputa – fece Ashton – devo farvi una domanda per
confermare una mia teoria.
In Harry Potter – un coro di sbuffi si levò dal
tavolo – e non fate quelle
facce, che se no vi lascio a piedi stasera; dicevo, in Harry Potter,
qual è il
vostro personaggio preferito? Perché non ho mai sentito
nessuno dire che
preferisce Harry. Voi, chi preferite?”
“La
McGonagall” feci subito. Mi
guardarono straniti. “La chi?”
“McGonagall,
McGranitt,
La-Donna-Che-Merita-Una-Statua, chiamatela come volete.”
“Perché
la chiami col nome
inglese?”
“Ho
letto una versione in cui i
nomi erano diversi. Ad esempio, Neville Longbottom al posto di Neville
Paciock,
Argus Filch al posto di Gazza, Quirrell al posto di
Raptor…”
Ashton mi
guardava con muto orrore.
“E dove l’hai trovata una versione del
genere?!” chiese, sconvolto. “In
libreria?”
“Non
scherzare, sei un mostro!
Filch… Filch?! E la gatta?! Come si chiama la
gatta?!”
“Mrs
Norris?”
Ashton
lanciò un urlo di
raccapriccio. “Via da questo tavolo, mostro!” fece,
con la voce intrisa di
sofferenza completamente esagerata. Emmaline si alzò.
“Perfetto, mi hai offerto
la scusa per rubarvela dieci minuti, torniamo subito!” fece.
Io e mia sorella
ci allontanammo dal tavolo, mentre sentivo ancora i gemiti plateali di
Ashton,
che singhiozzava: “Mrs Purr… come avete osato
cambiare nome a Mrs Purr…”
Emmaline mi
guidò fino al
giardinetto sul retro del locale, che era deserto, data la recente
pioggia.
Tutti i tavoli erano stati spostati e coperti con teli di plastica per
non
rovinarli.
Ci sedemmo sul
muretto di marmo di
una fontana. Lei inviò un messaggio a qualcuno, o almeno,
così mi sembrò,
perché armeggiò col telefono qualche secondo,
prima di posarlo in mezzo a noi.
“Scusa se oggi non abbiamo finito di parlare. Doveva essere
importante, vero?”
mi chiese. Io annuii, grave. Per qualche ora, ero riuscita a
dimenticarmi di quella
vocina che mi sussurrava cose a cui non volevo credere.
“È come l’altra volta?”
mi chiese lei. Io annuii di nuovo. Lei esitò qualche
istante, poi: “E c’entro
io di nuovo? C’entra il fatto che sono tornata?” Io
alzai subito lo sguardo.
“No!” feci, quasi con veemenza.
L’espressione colpevole di mia sorella parve
sciogliersi e lei sospirò come di sollievo. “E
cosa ti dice?” chiese poi. “Per
ora niente di particolare. Ho fatto un incubo, ma credo che quello sia
normale.
E stamattina l’ho sentita una sola volta, diceva una frase di
Matt con la voce
di Luke, ma credo sia stata colpa di quell’incubo. Non so
nemmeno perché te lo sto
dicendo, è una cosa stupida, no?” feci. Speravo mi
desse ragione.
“Che
frase ha detto?”
“Non
la ricordo bene – mentii – una
cosa come ‘tanto non era così
importante’.” Oh,
beh, non ne è mai valsa la pena veramente. Il
ricordo di quelle parole
echeggiava ancora nella mia mente. E come poteva essere il contrario?
Erano
state le parole che mi avevano fatta crollare, quando mi erano state
dette da
Matt. Le parole che mi avevano fatto capire che non significavo nulla
per lui.
“Ti
riferisci a quando ti ha detto
che non ne era mai valsa la pena veramente?” chiese Emmaline.
Lei conosceva già
la risposta, quindi rimasi in silenzio. “Perché
hai sentito la voce di Luke?
Cosa sta succedendo, Coco?”
“Nulla.
Sono io che mi faccio mille
paranoie, e…”
“Sei
gelosa di Diana.”
Ci misi un
po’ a rispondere, ma
alla fine sussurrai: “Sì, molto.”
“Hai
paura che possa portarti via
Luke?”
Io non risposi,
mentre sentivo le
lacrime pizzicarmi gli occhi. Non
piangere, mi ripetevo nella mente. Lei dovette prendere il
mio silenzio come
un sì. “Coco, perché Luke dovrebbe
preferire lei a te?”
Sentii un moto
di rabbia. “E perché
non dovrebbe? Adesso dimmi, con tutta la sincerità di questo
mondo: perché non
dovrei avere paura? Diana è migliore di me in qualsiasi
cosa. Perché Luke
dovrebbe preferire me a lei?” mentre dicevo questo, mi ero
alzata e mi ero
messa di fronte a mia sorella, che mi guardava tranquilla.
Aspettò che io
finissi, poi disse: “Coco, pensa quello che vuoi di Diana; ma
sei tu la ragazza
che Luke guarda, con quello sguardo inconfondibile che sembra urlare
quanto tu
sia perfetta per lui.”
Io sospirai,
cercando di mandare
giù il nodo che mi si era formato in gola.
“È questa la mia paura. Ho paura che
un giorno si svegli, e decida, o capisca, che io non sono mai stata
abbastanza
per lui. È una delle mie paure peggiori. Anche
perché nella mia testa, poi, ci
sarebbe questa dannata voce, che mi ripeterebbe: Oh, andiamo, non dirmi
che non
te lo aspettavi! E quello sarà uno dei momenti peggiori,
perché io me lo
aspetto ogni giorno. Perché so di non essere mai stata
abbastanza per nessuno.
Ed è questo che fa male. Provarci, riprovarci, riprovarci di
nuovo, fallire
ogni volta. E vedere che poi qualcun altro arriva senza
difficoltà a quel
traguardo che ti eri imposta, e ti ruba tutto, e ti ricaccia in quel
baratro
del ‘ci sei quasi’. Sono una maledetta sufficienza,
Emmaline. Non sono un
brutto voto, e non sono un’eccellenza. Sono sempre stata una
sufficienza. E fa
male, sapere che per quanto ti sforzi, non supererai mai quel sei, sei
e mezzo.
Ora capisci perché sono gelosa di Diana? Perché
lei è un’assoluta eccellenza,
un dieci e lode in tutto quello che fa. E io sono il sei e
mezzo.” Mentre
buttavo fuori anni di insicurezze, la mia voce aveva iniziato a
incrinarsi e,
nonostante la sua apparente calma, anche Emmaline aveva gli occhi
lucidi.
“Coralie,
renditi conto che quello
che stai dicendo fa male anche a chi ti circonda. A quelli che, come
me,
farebbero di tutto per farti capire che ti sbagli. Per alcuni sarai
anche la
sufficienza, Coco. Lo ammetto. Non puoi essere perfetta per tutti. Ma
pensa a
me. Pensa a Luke, a Manuela, a Carol, e a tutti quei matti
lì dentro, che ci
aspettano, e magari stanno pensando a cosa diavolo io ti stia dicendo,
immaginando gli scenari più strani e cercando di capire cosa
sta dicendo
Balthazar. Pensa a noi, pensa a loro. Pensa a Cristine, pensa ai nostri
genitori. Per noi non sei una sufficienza, Coralie. Per noi sei
importante. Non
sei rimpiazzabile, accidenti, per nessuno di noi! Come puoi pensare una
cosa del
genere?! Sono tua sorella! E loro sono i tuoi migliori amici! Luke
è la persona
che ti ama in una maniera che non puoi nemmeno immaginare. Coralie,
erano tutti
lì mentre tu eri in ospedale, te ne rendi conto, vero? Non
si sono scollati da
quelle sedie nemmeno un attimo. E da quanto ti conoscevano, i ragazzi?
Qualche
mese? Ti ostini a vedere la parte peggiore di te, ma le persone che ti
circondano vedono altro, e quell’altro ti entra dentro, e non
ne puoi più fare
a meno, dopo. Sai, mentre dormivi, su quel letto d’ospedale,
ho parlato molto
con Luke, e lui mi ha raccontato tante cose. Compreso il fatto che gli
hai
fatto leggere Look into my eyes, e
che quando sei corsa via lui è venuto a riprenderti, e ti ha
promesso che non
ti avrebbe lasciata andare. Mi ha detto che gli eri già
entrata dentro così
tanto, che non ti avrebbe più lasciata, per nessun motivo.
Sono bastati uno,
due giorni. E tu non riesci a renderti conto di questo potere,
perché sei
troppo impegnata a rimuginare sulle persone che hanno ignorato questo
tuo lato,
e se ne sono andate. Smettila di pensare a Matt, Coralie. Ti sta
rovinando la
vita. Devi superarlo, e superare tutto ciò che ti ha messo
in testa. Smettila
di credere di non essere abbastanza solo perché uno stronzo
non era abbastanza
per te. Diana potrà anche sembrarti migliore di te, ma Luke
non ama lei,
capito? Luke è innamorato perso di te. Cavolo, lo so io, che
vi ho visti
insieme pochissime volte! Come puoi dubitarne? Quante volte ti
è stato vicino
quando qualcun altro sarebbe scappato? Quando Matt sarebbe
scappato?”
“Ora
che c’entra Matt?”
“C’entra
più di quanto tu possa
credere.”
“Stiamo
parlando di Luke.”
“No.
Stiamo parlando di te, e di
ciò che ti ha lasciato quell’altro.”
Stavo per
ribattere, quando
sentimmo la porta aprirsi. Ci voltammo verso di essa, giusto in tempo
per
vedere Balthazar e Luke che uscivano. “Va tutto bene,
ragazze?” chiese Luke,
mentre Bathazar ci guardava confuso. Noi annuimmo, mentre ci
asciugavamo in
fretta le lacrime. Nessuno dei due sembrò crederci, ma ci
passarono sopra.
“Sono arrivate le pizze, se volete
entrare…”
“Sì,
sì, arriviamo subito.”
Seguimmo i
ragazzi nel ristorante,
giusto per vedere che tutti ci stavano aspettando, famelici.
“Ragazze, ho fame,
vi prego!” fece Michael sofferente.
Quando fummo
sedute, ci guardarono
tutti in modo strano. Luke, di fianco a me, mi prese una mano e mi
sussurrò
nell’orecchio: “Sei sicura che vada tutto bene,
piccola? Sembri sconvolta.”
“Sì,
sto bene” mentii. Lui non era
convinto, ma non insistette, e lo ringraziai per questo. Alzai lo
sguardo e
notai quello di Ashton e Manuela puntato su di me. Ashton prese il suo
bicchiere, lo riempì con la prima cosa che trovò
– in quel caso, il vino bianco
di Balthazar, che lo guardò storto – e lo
alzò, in un gesto inconfondibile. Lo
guardammo tutti, confusi, chiedendoci a cosa volesse brindare.
Lui mi
guardò di nuovo e mi
sorrise. “A Coralie e Emmaline, che sembra proprio abbiano
bisogno di un bel
brindisi.”
Sorridenti,
tutti alzarono i
bicchieri, e rimasero così fino a che anche io e lei non ci
unimmo.
Balthazar fece
dei gesti veloci e
noi guardammo Emmaline, che sorrideva. “Dice che gli
piacerebbe molto avere
amici come voi.” Mentre riferiva le parole, mi
lanciò un’occhiata. Io riuscii a
stirare un mezzo sorriso, prima di ascoltare ciò che aveva
da dire Michael:
“Dovevi solo chiederlo, Balthy caro! Benvenuto nella
combriccola!”
Scoppiammo a
ridere tutti quanti a
quel soprannome, e io sentii un po’ di quel peso che mi
schiacciava lo stomaco
andarsene. Luke mi strinse la mano e, con un sorriso, mi resi conto che
non
l’aveva lasciata andare da prima, e non sembrava intenzionato
a farlo nemmeno
in quel momento.
*Spazio
autrice*
Ian
Somerhalder
as Balthazar
E, mi sembra di
non averlo mai
detto, quindi lo faccio adesso: Freya
Mavor as Emmaline (se ho mai detto
qualcos’altro, dimenticatelo, lei è Emmaline.
Punto.)
Questi sono i
completi: Coco,
Maddy,
Manu,
Carol,
Diana
e Emma.
Scusatemi tanto
il ritardo, ma:
--
1. Ero concentrata
sulla scrittura del capitolo 36 (e di
una One shot collegata; la OS è finita, il capitolo no. Ups.
C’è da aggiungere
che il capitolo 35 sarà cortissimo, dovevo inserirlo qui ma
non sapevo come
fare).
-
2. Ogni momento
libero lo dedicavo alla lettura di Harry
Potter
-
3.
Ho pure un botto
di compiti
-
4. Sono al mare.
Una cosa: non so
da dove sia nato
il Balthy muto. Ma è andata così. Ho notato che
non parlava mai, così mi son
detta: perché non renderla una sua caratteristica?
Dopo questa
piccola cosa, arriva un
innocuo avviso. Avete presente Coco e Luke? I due tenerosi esseri che
si amano
incondizionatamente? Ecco. Prendete questo ricordo e gettatelo da
parte.
Dimenticateli. Stooop. Passerà un po’, prima che
ritornino.
Ah e, dato che
nel capitolo siamo
in tema… secondo voi chi vince la scommessa che fanno tutti
quanti? Chi rimane
incinta per prima? E TU, MISS ONE DIRECTION, NON DIRLO. E NEMMENO TU,
RAELEEN,
CHIARO?! CHE GIÀ SONO PREVEDIBILE DI MIO. Vi voglio bene
<3 °u° *w* :3 e chi
più ne ha più ne metta.
Ancora ho da
dire? Sì. LA STORIA HA
IL SECONDO TRAILER, SIGNORE E SIGNORI. SEMPRE GRAZIE ALLA STESSA
PERSONA
SPECIALE CHE HA FATTO IL PRIMO, OVVIAMENTE. TUTTI IN CORO: GRAZIE,
MANUELA!
*Cantilena “grazie Manuela” da sola
perché nessuno la caga, e si mette ad applaudire,
perché non le interessa poi molto essere l'unica*.
Ecco il link!!!!
Un’ultima
cosa: vorrei festeggiare.
E sapete perché? Perché ora questa storia ha
raggiunto le 100 recensioni tonde
tonde. So che non dovrei essere così elettrizzata, dato che
la metà sono delle
sopracitate migliori amiche, però ehi, sono sempre 100
recensioni, di cui 50 di
persone che non conosco. Quindi, graaazie!!!
Ragazzi, questo
capitolo è stato un
parto. L’ultima parte soprattutto, perché ho
dovuto tirare fuori molte cose che
mi fanno male. Perché se qualcuno se lo stesse chiedendo
(nessuno), il monologo
di Coralie parla di me, e delle mie paure. Ho il terrore che un giorno
le
persone che per me significano così tanto si rendano conto
che non sono niente
di speciale, che sono un casino, e che se ne vadano. Non credo che
reggerei il
colpo, anche perché per me, loro, sono tutto. Sono le
quattro persone al di
fuori della mia famiglia che significano di più per me, e
due di loro sono le
sempre sopracitate Manuela e Giorgia.
Allo stesso
tempo, nella risposta
di Emmaline ho messo tutto ciò che vorrei sentirmi dire, e
tutto ciò che vorrei
dire a chi si sente come me. Quindi sì, è stato
un bel casino scrivere tutto
bene. Anche perchè mi veniva da piangere, e ascoltare Good
enough delle Little mix non aiutava per niente. Fra parentesi,
è una canzone stupenda, la consiglio a tutti.
Grazie per la
pazienza, davvero. Come
ringraziamento, vi lascio un piccolo spoiler:
Ormai
avevo l’orecchio attaccato al legno della porta, quando la
sentii
dire: “Certo che lo amo ancora!”, con un tono
divertito che sembrava chiedersi
come fosse possibile mettere in dubbio quella verità. Sentii
gli occhi
riempirsi di lacrime.
Ciao a tutti!!
Ranya
|
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Capitolo 35 *** Your love is a lie. ***
Attenzione!
Questo capitolo sarà
moooolto, mooooooooooooolto corto; è solamente di passaggio
e mi scuso in
anticipo. Per capire meglio, sarebbe preferibile aver visto High School
Musical
3 (sì, ho sedici anni e mi piace HSM. Problemi?); se
così non fosse, sarebbe
opportuno cercare su Youtube il video di “Can I have this
dance?”. Seconda
cosa: importante leggere il testo della canzone “Your love is
a lie”, dei
Simple Plan; se non si ha voglia di cercarlo, le parti salienti sono
nel
capitolo, IMPORTANTE LEGGERLE. Dopo questi avvisi, buona lettura!!
Your
love is a lie.
Il mattino dopo,
Emmaline ed io
eravamo in giardino. Ci eravamo svegliate prima di tutti gli altri
– perché sì,
alla fine ero riuscita a convincere i due a dormire da noi: Diana si
era
offerta di trasferirsi sul divano per una notte, lasciando a loro la
stanza
degli ospiti – desiderose di passare un po’ di
tempo insieme e di risolvere la
questione del giorno prima.
“Scusami
se mi sono messa a urlare
contro di te. So che mi volevi solo aiutare.”
“Tranquilla,
hai fatto bene. Almeno
ti sei sfogata. Da quanto volevi dire tutte quelle cose?”
“Un
bel po’.”
“E
ora, come ti senti?”
“Meglio.”
“Visto?”
fece lei con un sorriso.
Rimase un attimo in silenzio, poi continuò:
“Comunque, se dovessi sentire di
nuovo quella voce – e non guardarmi così, sai che
è possibile – chiamami
subito, va bene?” Io annuii e lei sorrise di nuovo.
“Ti ricordi le tre lettere
che ti ho spedito quando ancora ero in ospedale?” chiese. Io,
con una morsa
allo stomaco, confermai e lei continuò: “Ricordi
come dicevo che il passato mi
aiutava a restare coi piedi per terra?”
“Dovrei
ancorarmi al mio passato,
quando sai che è il motivo per cui sto così
male?”
“Io
non intendevo quel passato; più
indietro. Ricordi felici, sai? Ho vissuto con te più della
metà della tua vita,
posso assicurarti che hai molti ricordi felici.” Il tono con
cui lo disse mi
fece scoppiare a ridere. “Va bene, va bene. Hai qualche
suggerimento?” chiesi
poi. Lei annuì vigorosamente. “Oltre a quelli che
ti ho scritto, ce n’era uno a
cui mi aggrappavo spesso” disse, sbloccando il cellulare. Mi
impedì di vedere
cosa stava combinando, sorridendomi. “Emma, mi fai
paura.”
“Non
devi avere paura della tua
sorellona. Sono perfettamente innocua, quando voglio.”
“E ora
vuoi?”
“Certo.”
“Allora
sono tranquilla.”
Ci mettemmo a
ridere e lei posò il
cellulare, alzandosi in piedi e porgendomi una mano.
Contemporaneamente, sentii
delle note inconfondibili sprigionarsi dal cellulare. “Mi
concedi questo ballo?
Come quando eravamo piccole” mi chiese Emma con un sorriso
enorme. Io sorrisi a
mia volta al ricordo: avevo dieci anni la prima volta che avevamo
ballato quel
valzer, e lei tredici.
“No,
Coco, aspetta, è il contrario!” fece Emmaline
ridendo. “Ma non ho
capito!” mi lamentai. “È facile: tu devi
ballare come se fossi Gabriella e io
ballo come se fossi Troy, però tu canti come se fossi Troy e
io canto come se
fossi Gabriella!” mi spiegò. Avevamo appena finito
di vedere High School
Musical 3 per l’ennesima volta, un film che ci piaceva
tantissimo; tanto da
voler imparare il valzer di ‘Can I
have this dance?’. Stavamo provando
da tanto, ma continuavo a
inciampare. Emmaline, però, non si dava per vinta: mi faceva
rialzare, diceva:
“Da capo! Stavolta ce la facciamo, ne sono sicura!”
e ricominciava. Io non
conoscevo bene le parole, così canticchiavo a caso, al
contrario di lei, che si
era studiata bene tutto il testo e la coreografia. “Emma, non
ce la faremo
mai!” feci mesta all’ultima caduta. Lei scosse al
testa. “Io dico di sì.
Dobbiamo solo impegnarci al massimo. Siamo o non siamo
Wildcats?!”
E ce
l’avevamo fatta. Dopo un anno
di tentativi, ce l’avevamo fatta. Emmaline aveva imparato a
sollevarmi come
faceva Troy con Gabriella perché io ero più
leggera di lei, e io avevo imparato
la parte della canzone di Troy perché lei aveva la voce
più acuta. Da quel
momento, avevamo provato così tanto che ancora ricordavo
tutto.
“E
dai, Coco. Come quando eravamo
bambine” disse Emmaline, ancora con la mano tesa. Io mi alzai
e: “Se mi fai
cadere giuro che faccio di tutto per atterrarti addosso.”
“Ehi,
guarda che non hai più dieci
anni. Sei discretamente pesante.”
“Mi
stai dando della grassa?!” feci
con voce stridula e isterica. Lei mi mandò a quel paese con
lo sguardo e
scoppiammo a ridere. “Allora, mi concedi questo
ballo?” chiese di nuovo lei,
impaziente. Io annuii e lei, raggiante, fece ripartire la canzone. Si
posizionò
di fronte a me e prese la mia mano tesa, iniziando a cantare, proprio
come
quando eravamo piccole. Ci mettemmo a ballare l’unica
coreografia che avessi mai
imparato, l’unica che aveva un risultato che mi soddisfacesse.
E mentre
volteggiavamo per il giardino, facendo attenzione a evitare tutti gli
ostacoli
– portava lei – non riuscii a fare a meno di
ricordare tutti i momenti migliori
passati con mia sorella, prima che lei avesse avuto il crollo. Mi
chiesi come
avevo fatto, in quegli anni in cui lei era chiusa in ospedale, a fare a
meno
della sua presenza.
Quando finimmo,
ero carica di una
nuova energia e di una malinconica felicità. “Mi
era mancato tantissimo ballare
così” disse lei con gli occhi lucidi, prima di
abbracciarmi. Io ricambiai,
stringendola più forte che potevo.
Sentimmo
qualcuno che batteva le
mani dalla porta sul retro e ci voltammo: Balthazar e Luke ci
guardavano con
dei sorrisi inteneriti, mentre il primo batteva piano le mani. Ragazze,
siete
fenomenali” fece Luke per tutti e due. “Vi abbiamo
svegliato?” chiesi io.
Balthazar rispose e Emmaline tradusse: “Ha detto che si sono
svegliati perché
avevano freddo, dato che noi non eravamo più nei nostri
letti, così si sono
alzati e ci hanno trovato qui.”
“Piccola,
mi avevi detto che non
sai ballare” fece Luke avvicinandosi a me.
“È così. Questo è
l’unica
coreografia che so fare.”
“Beh,
eravate bellissime.”
“Grazie”
rispondemmo in coro io e
mia sorella.
***
Più
tardi, quella mattina, eravamo
tutti riuniti – e stretti – attorno al tavolo della
cucina per fare colazione.
Manuela si stiracchiò assonnata. “Ho fatto un
sogno strano” biascicò. “Cosa,
cupcake?”
“Ho
sognato il valzer di High
School Musical. La musica sembrava così
reale…”
Io, Emma,
Balthazar e Luke ci
guardammo complici: la finestra di Manuela dava proprio sul giardino.
“Devo
aver mangiato pesante ieri” liquidò la questione
lei. “Sì, probabilmente.”
“Credo
sia una cosa ovvia.”
“Sono
sicura che sia andata così”
facemmo noi tre, mentre Balthazar annuiva con nonchalance. Manuela ci
guardò
perplessa. “Va bene” fece, affondando un Pan di
Stelle nel barattolo di
Nutella. “Comunque sciete stani” aggiunse, con la
bocca piena. Noi annuimmo di
nuovo, prima di scoppiare a ridere.
“Allora,
a che ora partite, oggi?”
chiese Calum. “Appena finita la colazione dobbiamo metterci
in auto.”
“Di
già?!”
“Sì,
abbiamo il traghetto e non
possiamo fare tardi.”
“Peccato…”
“Dai,
quando torniamo restiamo qui
una settimana. Vi facciamo pentire di aver sentito la nostra
mancanza.”
“Quando
tornate?”
“Fra
tre settimane.”
“Allora
non troverete la metà di
noi.”
“Eh?”
“Fra
dodici giorni partiamo. Inizia
il tour.”
“Che
cosa?!”
“Coco
non ti ha detto nulla?”
“Sì
che me l’ha detto, mi ha
raccontato tutto, ma… CHE COSA?!”
Scoppiammo a
ridere. “Oddio, sarò
amica di quattro cantanti famosi” fece Emmaline.
“Vero che mi presenterete
Dylan O’brien quando sarete famosi?! E Tyler Hoechlin?! E
Avril Lavigne?!”
“Quella
posso già presentartela io”
dissi. “Eh?”
“Ho il
suo numero.”
Emmaline mi
guardò basita per
qualche secondo. “Tu… tu hai
il…”
“Sì.”
“E
QUANDO INTENDEVI DIRMELO?!”
Scoppiammo a
ridere tutti; persino
Balthazar si esibì in una silenziosissima risata.
“Se non me lo invii giuro che
ti scomunico, ti diseredo, ti stermino!” fece lei.
“Abbiamo anche quello
degli One Direction.”
“Qualcuno
mi regga, sto per
svenire.”
***
Una mezzoretta
dopo, la coppia
partì, come promesso, ma non prima di una lunga sessione di
commossi saluti.
Passammo il resto della giornata a non fare nulla e il pranzo si svolse
in una
monotonia assurda. Già ci mancava quella botta di energia
che ci avevano
portato Emma e Balthazar.
Il pomeriggio,
Diana uscì. “Vado a
trovare Evie” disse a Luke, che a quanto pareva conosceva la
famosa Evie.
Eravamo sul divano, quando gli chiesi: “Chi
è?”
“La
sua migliore amica. Non si
vedono da tanto.”
“Ah,
capito. Ma dove abita ora
Diana?”
“A un
paio d’ore da qui, però è
sempre un’impresa per lei venire qua.”
“Capisco.”
“Sai,
credo che fra un po’ uscirò
anche io.”
“E
dove vai?”
“A…
a trovare Lucian. Sì, ecco.
Credo che mi dovrò scusare per essere scappato dalla sua
festa in quel modo.”
“Vengo
anch’io, allora!”
“No,
è meglio di no.”
Il mio sorriso
si spense. “Perché?”
chiesi. Lui evitò il mio sguardo e, in
difficoltà, rispose: “Sai
com’è,
potrebbe esserci sua zia, e la sua famiglia non è proprio un
bijou, e…”
“Va
bene” feci io, un po’
abbattuta. Luke mi stampò un bacio sulle labbra, senza
approfondirlo. “Scusami.
Torno in un paio d’ore, okay?” chiese. Io annuii e
lui mi fece un mezzo sorriso,
prima di alzarsi, prendere la giacca, salutare tutti con un urlo e
uscire.
Rimasi qualche
secondo in silenzio,
poi sentii dei passi sulle scale. Manuela sembrò sorpresa di
vedermi. “Ehi, ma…
Luke non è appena uscito?”
“Sì.”
“Pensavo
che fossi con lui. Di
solito non vi mollate un attimo.”
“Di
solito.”
“Ehi,
perché quella voce triste?”
“Perché
mi ha propinato quella che
è evidentemente una scusa. Avrei preferito che mi avesse
detto che non voleva
dirmi dove andava.”
Manuela si
sedette di fianco a me,
in silenzio e pensierosa. Poi, batté una mano sulla mia
coscia. “So io cosa ci
vuole qui” disse, prima di farmi alzare e trascinarmi di peso
al piano di
sopra. “Manu, ma che…”
“Mettiti
in pigiama. Niente vestiti
stretti, questo pomeriggio.”
“Cosa
vuoi fare?”
“Tu
fidati di me!”
Io obbedii,
mentre lei usciva. La
sentii dire, sulla porta – chiusa – della stanza di
fianco: “Carol, smettila di
accoppiarti con Ashton come se foste due conigli, ho bisogno di
te.” Un paio di
secondi, e la porta cigolò. “Per tua informazione,
non ci stiamo accoppiando. Ci
stavamo per
addormentare.”
“Bene,
allora svegliati. E caccia
Ashton, per favore.”
“Eh?!”
fece la voce del mio
migliore amico da dentro la stanza. Io mi alzai per osservare la scena:
I tre
erano sulla porta e Ashton aveva uno sguardo perplesso.
“Perché dovrebbe
cacciarmi?”
“Perché
prima che vi conoscessimo,
spesso facevamo dei pomeriggi nerd, di
sole ragazze. E ora dobbiamo assolutamente farne
uno.”
“Perché?”
“Perché
ne ho voglia, va bene?!” la
ringraziai mentalmente del fatto che non avesse detto la
verità. Ashton sbuffò.
“Va bene. Andrò a fare una partita a calcio con
Luke, che ti devo dire?”
“Luke
è uscito prima” disse Carol.
Ashton fece una faccia sorpresa, prima di guardarmi. “E Coco
è ancora qui?”
“Già.”
“Ma di
solito sono inseparabili!”
“Già”
ripeté Manuela torva,
guardandolo in maniera così eloquente che mi sorpresi della
lentezza con cui
Ashton capì tutto. “Va bene, va bene. Allora
porterò via Mikey e Cal.”
“Grazie.”
“E
Maddy?”
“Da
quel che mi risulta, lei non ha
i pendagli fra le gambe, quindi è ben accetta.”
“Comunque
non è valido.”
“Lo so
bene. Ora vai a fare i
capricci in un campo da calcetto, per favore?”
“Ma…”
“Scusate
la rudezza, ma primo,
sapete che sono fatta così; secondo, so quando una persona
ha bisogno di un
pomeriggio nerd.”
Ashton non
ribatté più e sbuffò,
tornando in camera per prepararsi.
Nel giro di
venti minuti, eravamo
tutte in sala. Madison era perplessa: era la prima volta che
partecipava ad un
pomeriggio nerd, e non aveva nemmeno idea di cosa si trattasse. Manuela
aveva
preparato ogni cosa: il tavolo era ingombro di patatine, pop-corn,
Nutella e
cose del genere; il divano era stato spostato in mezzo alla sala,
proprio
davanti al televisore; su di esso, quattro telecomandi della Wii.
“Si gioca a
Mario Kart, ragazze!” disse allegra.
“Ma
cosa sta succedendo?” chiese
Madison ridacchiando. “Ti spiego: quando una di noi era
triste, o arrabbiata,
facevamo questi pomeriggi nerd, giocando alla wii. Ti assicuro che ti
diverti
molto, e inoltre sfoghi tutte le tensioni. Dovresti sentire gli insulti
che
partivano… alcuni non hanno nessun senso logico, ed
è proprio quello che fa
ridere. Fidati, ti piacerà.”
“Va
bene, mi fido” fece Madison
allegra. Eravamo solo noi in casa: questo significava nuovi insulti a
gogò.
“Io
sto in squadra con Coco!”
esclamò Manuela, sedendosi di fianco a me. Madison e Carol
si guardarono. “Tu
sai giocare?” chiese Carol. “Forse”
rispose Madison con un sorriso furbo.
***
“No,
accidenti a te, non mi superi,
brutta tartaruga scheletrica! No! Ma sei infame forte, lasciami in
pace! No,
no, no!” urlò Manuela, mentre il suo personaggio
– Mario – cadeva nel
precipizio, spinto da Tartosso. Manuela mi guardò
oltraggiata. “Mi ha spinto giù!”
strepitò. “Ho visto” commentai,
concentrata. “Ti vendicherò!” aggiunsi
poi,
sorridendo maligna: avevo appena ottenuto uno strumento, il guscio
alato blu, e
dato che Tartosso era il primo della squadra avvesaria…
Manuela mi guardò e
fece un sorriso malvagio. “Fallo saltare in aria, quello
stronzo!” esultò. Io
obbedii e in pochi secondi Carol urlò. “Ehi, io
ero lì vicina! Non vale, hai
fatto saltare in aria pure me, ero seconda!”
“Così
impari a stare in squadra con
uno scheletro che si diverte a buttare giù dal precipizio le
tue coinquiline!”
“Siete
delle pesti! Vai, Maddy, sei
in testa, tu, fai vedere a queste due cosa significa vincere!”
“Lo
farò, ormai sono arrivata!”
“Ah,
no, mia cara!” dissi io,
prendendo una scorciatoia che avevo scoperto tempo prima e trovandomi
davanti a
Madison. Tagliai il traguardo poco prima di lei, lasciandola di stucco.
Manuela
esultò. “Abbiamo vinto, abbiamo vinto!”
“Finisci
la gara, Manu, sei ancora
quinta!”
“Oh,
giusto, giusto!”
Alla fine,
Madison arrivò seconda,
Manuela terza e Carol quinta. Io mi stiracchiai. “Quante
corse mancano?”
chiesi. “Dodici” rispose pronta Madison, che alla
fine si era rivelata
un’esperta. Stavamo correndo da
diverse
ore: avevamo fatto prima un torneo di sedici corse – vinto da
Maddy e Carol,
per un punteggio di 334 a 298 – e avevamo cominciato un
torneo da trentadue
corse. Eravamo in testa io e Manuela, per un punteggio di 714 a 679;
nonostante
il distacco notevole, avrebbero potuto recuperare in poco tempo.
Guardai
l’orologio: erano passate quattro ore, fra pause e altro.
Stavamo per
cominciare la
ventunesima corsa, quando il campanello suonò. Io schizzai
in piedi e andai ad
aprire, speranzosa, ma mi ritrovai davanti Ash, Cal e Mikey, grondanti
di
sudore, e Diana. “Possiamo entrare? Per favore, il campo ha
chiuso un’ora fa,
abbiamo giocato qui davanti a casa tutto questo tempo…
abbiamo bisogno di una
doccia!” fece Calum implorante. “Falli
entrare” urlò Manuela. Io obbedii e loro
sospirarono di sollievo, schizzando dentro prima che il grande capo
potesse
cambiare idea. “E tu, Diana?” chiesi. “Io
ero da Evie, ve l’ho detto” fece con
un sorriso sognante, entrando e sparendo al piano di sopra. Manuela mi
raggiunse. “Io non ce la faccio più”
dissi. “A chi lo dici. Sto iniziando ad
avere le allucinazioni” ribatté lei.
“Andiamo a fare due passi?”
“Ci
sto.”
“Andiamo
a prepararci.”
“Vengono
anche le altre?”
“Non
so – mi sporsi per parlare con
le due – ragazze, andiamo a fare un giro, venite?”
“No!
Dobbiamo finire la corsa!”
“Ma
non potete finirla senza di
noi…”
“Invece
sì. Sarà una gioia vedere i
vostri personaggi fermi al traguardo!”
“Vi
piace vincere facile, eh?”
“Sì,
molto.”
Io tornai a
voltarmi verso Manuela.
“D’accordo, allora andiamo noi” disse
lei. Andammo al piano di sopra e ci
cambiammo in pochi minuti, trovandoci davanti alla porta.
“Andiamo?” chiese
lei. Io annuii e uscimmo. “Ho bisogno di cantare”
dissi subito. Lei non si fece
pregare: “Ho in mente questa canzone da tutto il
giorno” disse, prima di
iniziare a canticchiare:
I fall asleep by the telephone,
It’s two o’clock and
I’m waiting up
alone.
Tell me, where have you been?
Io mi unii a
lei:
I found a note with another name,
You blow a kiss, but it just don’t
feel the same,
‘Cause I can feel that
you’re gone…
I can’t bite my tongue forever
While you try to play it cool
You can hide behind your stories,
But don’t take me for a
fool…
You can tell me that there’s nobody
else, but I feel it…
You can tell me that you’re home by
yourself, but I see it…
You can look into my eyes and pretend
all you want,
But I know, I know your love is just
a lie!
It’s nothing but a lie!
Una sferzata di
vento mi fece
ricordare una cosa: avevo dimenticato il cappello. Lo dissi a Manuela,
che
annuì, e tornai in casa, mentre la sentivo continuare:
You look so innocent,
But the guilt in your voice gives you
away,
Yeah, you know what I mean…
Chiusi la porta
alle mie spalle. “Già
di ritorno?” fece Madison, concentrata. “Ho solo
dimenticato una cosa” dissi
io, andando al piano di sopra. Intanto, continuavo a canticchiare.
How does it feel when you kiss,
When you know that I trust you?
And do you think about me when he
fucks you?
And could you be more obscene?
So don’t try to say you’re
sorry,
Or try to make it right,
And don’t waste your breath,
Because it’s too late, it’s
too late…
Sentii un
urletto felice provenire
dalla stanza degli ospiti, che aveva la porta chiusa. Era Diana. Mi
chiesi
perché stesse esultando; nonostante non fosse una cosa bella
da fare, avvicinai
l’orecchio alla porta. La sentii subito parlare, doveva
essere al telefono. “Oh,
Evie, non puoi immaginare che pomeriggio da favola ho
passato!” stava dicendo.
Io assunsi una smorfia perplessa: se fosse stata davvero con lei,
l’amica
avrebbe dovuto sapere di cosa stava parlando, no?
“Sì,
tranquilla, posso parlare
liberamente. Non c’è nessuno sul piano.
Sì, sì, ero con lui oggi, che domande
fai?!”
Con lui? Ero
confusa. Con chi era
stata tutto il pomeriggio?
Pensaci,
Coco: chi è stato fuori tutto il pomeriggio, senza dirti
dove
andava e, anzi, propinandoti una scusa orribile? Fece una
vocina nella mia mente. Sentii una morsa all’altezza dello
stomaco. È solo una coincidenza,
pensai. Ormai,
però, avevo il tarlo del dubbio nella mente, così
tornai ad ascoltare. Diana
era rimasta in silenzio qualche secondo, ma quando
ricominciò sentii ogni sua
parola: “No, non lo sa nessuno… Sai che non
possiamo dirlo in giro!
Succederebbe un casino assurdo… Evie, te ne ho parlato altre
volte, non fare la
finta tonta! E no, non chiamarlo Loulou, è terrificante!
Solo Luke!”
Quelle parole mi
colpirono come un
pugno in pancia. Visto? Avevo ragione!
Si vantò la voce nella mia mente. Ormai avevo paura a
tornare ad ascoltare, ma
strinsi i denti e lo feci: Diana era appena scoppiata in una risata
divertita,
e, con un tono che sembrava sorpreso per una domanda, fece:
“Certo che lo amo
ancora, che domande!”
Basta. Era
troppo. Mi staccai dalla
porta e corsi al piano di sotto, uscendo di corsa. Manuela era seduta
sul
marciapiede, e canticchiava: “Your love is just a
lie… You’re nothing but a lie…
Your love is – Coco, che succede?!” chiese
alzandosi, vedendomi con le lacrime
agli occhi. Io non dissi niente e la abbracciai, mentre scoppiavo a
piangere. “Coco,
ma cosa…”
“Avevo
ragione, Manu. Avevo ragione
ad aver paura.”
“Ma
che cos’è successo?!”
“Diana.”
Lei non disse
più niente: si limitò
a stringermi più forte che poteva, e per questo le fui
grata. Singhiozzai sulla
sua spalla a lungo, mentre nella mia testa si ripetevano sempre e solo
le
stesse dannate parole:
Oh,
andiamo, non dirmi che non te lo aspettavi!
*Angolo autrice*
Eeeeeehi! Ciao a
tutti!
Wow, sono stata
veloce stavolta!
Sì, lo so, il capitolo è corto e bla, bla,
bla… Ma sono stata veloce!
È
solo un capitolo di passaggio:
sì, passaggio dalla relazione facile al difficile.
Perché Luke fa il doppio
gioco, signore e signori! Ve lo aspettavate? Coco no. Come credete che
andrà
avanti? Luke glielo dirà? Coco rivelerà
ciò che ha sentito? Chiariranno?
Romperanno? E soprattutto, lo faranno prima dei famosi dodici giorni?
Fatemi
sapere i vostri pareri in una recensione!
Beh, io vi
saluto. Alla prossima!!!
Ranya
|
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Capitolo 36 *** The moment I knew ***
The
moment I
knew.
“Non
saltiamo a conclusioni affrettate, va bene?!” fece Manuela.
Io annuii,
abbassando lo sguardo. Lei mi fissò, prima di dire:
“Senti un po’, conosco
quello sguardo, e tu stai decisamente saltando a conclusioni
affrettate. Stai
facendo bunjee jumping in un mare di ipotesi, salto con
l’asta fra quelle
peggiori, e tutte le altre discipline che comprendono un salto. Mi hai
capito?”
Questo mi fece scappare un mezzo sorriso.
Io
e Manuela eravamo rimaste fuori tutta la sera: non avevo voglia di
vedere
nessuno. Eravamo andate a mangiare in piazza, in una piadineria che era
stata
nostra alleata durante tutto il periodo scolastico: trovandosi di
fianco alla
biblioteca e a un tiro di schioppo dalla scuola, era il posto perfetto
per
mangiare fuori e poi mettersi a studiare. Eravamo sedute ad un tavolino
rotondo
molto in disparte, con le sedie arancioni che sprizzavano
un’allegria che non
avevo voglia di condividere.
Avevo
raccontato tutto a Manuela: dai miei sospetti, iniziati appena Diana
era
arrivata, alle voci, fino ad arrivare a quella telefonata. Lei non
aveva detto
molto durante tutto il racconto, ascoltandomi, come faceva sempre.
Quando avevo
finito, avevo ancora le lacrime agli occhi.
Lei
si
sporse sul tavolino e mi prese le mani. “Coco, lo so che il
doppio gioco può
sembrare l’unica spiegazione, ma io davvero non riesco a
credere che Luke si
stia comportando così. Non è il tipo,
capisci?”
“Lo
pensavo anche io.”
“E
non iniziare a parlare così, che se no ti raddrizzo il
profilo a furia di
sprangate sulle gengive. Che ne so, magari Diana è solo una
stronzetta
frustrata sessualmente che si inventa una storia del genere per far
rodere
d’invidia la sua migliore amica, anche lei
frustrata.”
“Tu
lo faresti con me?”
“Mai.
Sei la mia migliore amica, non si fanno queste cose!”
“Allora
non riesco a capire come Diana sia davvero la migliore amica di questa
Evie.”
“O
forse è lei che ha frainteso tutto. Magari Luke è
uscito con lei da amico, chi
lo sa. Magari dovevano dirsi qualcosa di importante e
privato.”
“E
allora perché inventarsi quella scusa?” chiesi io,
sempre più avvilita. Manuela
sospirò, cercando una soluzione. “Senti, io chiamo
Lucian. Vediamo se Luke era
davvero lì.”
“Hai
il numero?”
“No,
ma ce l’ha Calum. Me lo faccio inviare in un
baleno.”
Così
fece, e in poco era al telefono con l’amico di Luke. Mise il
vivavoce.
“Pronto?”
“Ciao
Lucian, sono Manuela.”
“Manuela…?”
“La
ragazza di Michael Clifford, abbiamo cantato Sad Song alla tua
festa.”
“Ah,
ecco! Scusami, conosco tante persone e i nomi non sono proprio il mio
forte.
Pensa che continuavo a sbagliare il nome della tua amica
Corinne.” Io e Manuela
ridacchiammo. “Sì, abbiamo notato che non sei
esattamente un asso di memoria.
Potresti farmi un piacere?”
“Certo,
di cosa si tratta?”
“Potresti
impiegare il tuo cervello smemorino in un relativamente immane sforzo
mnemonico
per ricordare se oggi Luke è passato da te?”
"Ehi,
quanti paroloni, mi metti in confusione. Comunque sì,
è stato qui una
mezz’oretta. Anzi, è appena andato via”
fece lui, quasi… evasivo?
“Quindi
non era con te, oggi pomeriggio?”
“No.”
“D’accordo,
grazie mille. Ah, ti saluta Coralie.”
“Coralie?”
“Corinne.”
“Ah.
Ops.”
“Lasciamo
perdere, guarda” feci io sogghignando.
“Scusa!” disse lui, prima di salutarci e
mettere giù.
Io
e Manuela ci guardammo. “E va bene, era con Diana”
cedette lei.
***
Tornammo
dopo un’ora. Manuela continuava a lanciare occhiate tese al
cellulare,
armeggiava un attimo e lo rimetteva in tasca; ormai lo aveva fatto una
trentina
di volte, prima di decidere che era ora di tornare a casa. Non avevo
assolutamente voglia di affrontare la realtà, ma Manuela mi
aveva costretta,
minacciando di correre a casa e bruciare tutti i miei libri. A partire
da Harry Potter e Raccontami
di un giorno perfetto. Eh no, accidenti.
Entrammo
in casa che erano le dieci. I ragazzi erano seduti sul divano e
guardavano una
partita di calcio. “Wow, guardate chi si fa vivo! Non pensavo
di rivedervi
oggi!” fece Calum sarcastico. “E io che speravo di
non rivedere il tuo muso
fino a domani, pensa” fece Manuela con lo stesso tono. Calum
ci rimase male e
tornò a guardare la partita, mentre Manuela gli scompigliava
i capelli. “Sto
scherzando, amico” disse ridendo. “Luke
è in doccia se ti interessa, Coco. È
tornato poco dopo che ve ne siete andate” fece Michael. Io
annuii e Manuela mi
lanciò uno sguardo, indicando poi con un gesto il piano di
sopra.
Non
andare.
Ignorai
quella vocina fastidiosa e, anzi, mi ripromisi di chiamare Emmaline
più tardi,
come le avevo promesso di fare nel caso l'avessi sentita ancora.
Davvero
credi che questa sia la priorità,
mentre il ragazzo di cui sei innamorata ti tradisce con la sua migliore
amica,
che è mille volte meglio di te?
Sentii
un peso allo stomaco, mentre ero costretta a dargli ragione. Salii le
scale
lentamente, quasi stessi andando al patibolo, e arrivai in camera mia.
Luke era
appena uscito dal bagno, con un asciugamano attorno alla vita, mentre
si
asciugava i capelli con un altro. Mi vide dallo specchio e si
voltò
sorridendomi. “Ehi, piccola, eccoti! Dov’eri
finita?”
Se
si fosse preoccupato di chiamarti, lo
avrebbe saputo.
“Avevi
lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse.
Avrebbe
potuto chiamarti su quello di
Manuela.
“Non
potevi chiamare su quello di Manuela?”
“Ci
ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica. Sembrava quasi
che
rifiutasse la chiamata ogni volta. Ho tentato una cosa come trenta
volte, stavo
iniziando a preoccuparmi” disse lui. Improvvisamente capii il
motivo delle
occhiate furtive di Manu al cellulare: stava rifiutando le chiamate di
Luke. La
voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente sconfitta, e la cosa
mi diede
sollievo.
Luke
si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulle
labbra, allegro. “A cosa devo tutta
questa spensieratezza?” chiesi con un mezzo sorriso. Lui fece
spallucce. “Una
bella giornata” disse, vago e sorridente. Ah, già.
Chissà
come si è divertito con Diana.
“Basta,
ti prego…” sussurrai, mentre Luke tornava in
bagno. “Hai detto qualcosa,
piccola?” mi chiese. “No” dissi subito.
Non volevo che sapesse delle voci, anche
se forse parlarne con lui sarebbe stata la cosa giusta.
Lui
ha i suoi segreti, tu tieniti stretti
i tuoi.
Non
potei che dar loro ragione.
***
Il
mattino dopo, mi svegliai che erano le undici. Non avevo dormito bene,
nemmeno
un po'. Aprii gli occhi e sentii il braccio di Luke attorno ai miei
fianchi. In
un mattino normale, quel tocco mi avrebbe fatta sorridere, ma in quel
momento
no. Sapevo che era tutta una bugia. Mi chiesi quanto a lungo
mi avesse
preso in giro, mentre mi sentivo soffocare da quella stretta. Gli presi
il
braccio e lo spostai piano, per non svegliarlo, prima di alzarmi e
andare in
bagno. Mi stavo lavando la faccia, quando sentii delle mani
sui miei
fianchi. Sussultai, mentre Luke sussurrava alle mie spalle:
"Buongiorno,
piccola."
"Giorno"
dissi io, laconica.
Si
diverte a prenderti in giro.
"Posso
proporti una cosa?" mi chiese lui. Io annuii, senza guardarlo in
faccia,
concentrandomi invece sull'acqua che c'era ancora nel lavandino.
"Stasera,
io e te, cena fuori. Da soli. Ti porto alla Rosa
dei Venti. Ti piace l'idea?" mi chiese lui, abbracciandomi da
dietro.
Non
accettare, è un inganno.
"Ne
devo parlare con Manuela" dissi io. Lui mi guardò sorpreso:
era la prima
volta che non accettavo un suo invito all'istante. "Perché?"
"Ieri
mi ha chiesto di mangiare fuori con lei stasera, sai... Voleva andare a
trovare
sua sorella Teagan" mentii. Lui fece una faccia confusa. "Ma Manuela
è figlia unica" disse. Azz. "Cugina, volevo dire cugina."
"Va
bene. Se vuoi glielo chiedo io. Non ti avrà stasera, sei
mia" disse con un
sorriso, lasciandomi un bacio sul collo.
"Manuela
è un osso duro. Non cederà."
"Fidati,
sfodero gli occhi dolci. È un overkill."
"Overche
cosa?"
"Overkill.
Significa fare più di quel che serve per sconfiggere
l'avversario, fino a
sfiorare l'umiliazione."
"E
sei sicuro che con gli occhi dolci puoi sconfiggerla?"
"Al
centouno per cento."
Chissà
quanta altra gente ha sconfitto
con i suoi occhi dolci... Chissà con quante persone li
sfodera...
"Le
parlo io, ad ogni modo" decisi. Lui scosse la testa e
scappò.
"Vedrai!" fece. Io rimasi paralizzata. Sperai che Manuela capisse al
volo.
***
"Coco,
posso parlarti? Riguardo alla visita a Teagan" disse Manuela dopo venti
minuti. Io annuii e Manuela chiuse a chiave la porta, lasciandoci sole
in
camera mia. "Solo una domanda: chi è Teagan?" mi chiese
ridendo.
"Ho dovuto improvvisare!" mi giustificai. Lei si sedette accanto a
me. "So come ti senti. Cioè, non lo so, lo immagino.
Però prendi questa
cena come un bivio: se va bene, non dovrai temere nulla. Se invece va
male...
Beh, forse due domande inizierei a farmele."
"Cosa
intendi per 'andare male'?"
"Che
so, lui che parla spesso di Diana, lui che sembra distratto, lui sempre
al
telefono... Dai, hai capito."
"Sì,
sì, ho capito."
"Ci
andrai?"
"Non
lo so."
"Perché?"
"Ho
paura, Manu. Ho paura che possa andare male. Se... Se fosse distante,
se fosse
sempre al telefono, se non si presentasse nemmeno... Significherebbe
che
davvero non gli interessa, e che mi ha presa in giro. E io non sono
pronta a
sopportare un'altra beffa." Manuela mi abbracciò.
“Andrà tutto bene, Coco.
Vedrai che è solo un grande malinteso. E se qualcosa va
male, c’è la vecchia
Manu che ti difende, va bene? Se davvero va male, si pentirà
di aver anche solo
pensato al doppio gioco.” Io ridacchiai mentre la mia vista
si appannava per
via delle lacrime. Nonostante sapessi che qualcosa non andava, e che
Luke mi
tradiva con Diana, non riuscivo a fare a meno di aver bisogno di lui.
Patetica.
***
Durante
il primo pomeriggio non sembrava essere cambiato nulla e, anzi, facevo
fatica a
credere di aver scoperto davvero il segreto di Diana e Luke. Alla fine,
avevo
accettato la cena con lui, che mi era sembrato piuttosto entusiasta.
Eravamo
seduti sul divano a guardare un film, quando sentimmo un urlo dal piano
di
sopra. “Carol?!” chiamò Ashton,
allarmato, dato che la sua ragazza era l’unica
a non guardare il film con noi. “L’ho visto mille
volte, devo mettere a posto
camera mia” si era giustificata.
La
vedemmo correre giù per le scale con una scatola in mano,
trafelata. “Ragazzi,
guardate cosa ho trovato!” disse esaltata, mostrandoci la
confezione del
Twister. “Dov’era?! Pensavo lo avessi
perso!” fece Manuela. “Era
nell’armadietto di fianco alla scrivania, quello che non apro
mai!” spiegò
Carol. “Ci giochiamo? Vi prego!” aggiunse poi.
“Fra cinque minuti finisce il
film!” disse Calum. Carol si voltò.
“Muoiono tutti” disse solo. “Ma
è una
commedia romantica!” protestò lui, sconvolto.
“Muoiono tutti lo stesso.”
“Spero
tu stia scherzando.”
“Forse
sì, forse no, la verità io la so e tu
no” cantilenò lei. “È una
frase di Koda fratello orso 2?”
“Forse
sì, forse no, la verità io la so e tu
no.”
“Sì,
è una frase di quel cartone, la dice un procione”
disse Ashton ridendo. “La
prociona qui presente vuole giocare! Possiamo? Per favore!”
“Ci
lasci finire il film?!”
“Uff,
va bene” fece Carol con il broncio. Ashton – che
era di fianco a me, e teneva
un braccio attorno alle mie spalle – le porse una mano.
“Vieni qui, prociona”
disse ridacchiando. Lei obbedì e si sedette sulle sue gambe,
accoccolandosi
contro di lui e lasciando la scatola a terra. Lui le
circondò la vita con un
braccio, le stampò un bacio sulla fronte e
appoggiò il mento sulla sua testa.
Appena
il
film finì, Carol balzò in piedi, sbattendo contro
il naso di Ashton, che
gemette. “Scusa!” fece subito, mentre lui si
portava le mani sul viso. “Mi
sciono morscio la lingua, ascidenti!” esclamò
dolorante. “E come va il naso?”
“Fa
male pure quello.”
“Scusami
tanto!” disse Carol mortificata. Quando Ashton si riprese,
lei tornò a farci
vedere la scatola del Twister. “Ora giochiamo, per
favore?” fece impaziente e
trepidante come una bambina.
Mezz’ora
dopo, eravamo in sei su un tappeto per quattro. Io e Manuela eravamo
una cosa
sola, non si capiva più dove iniziava una finiva
l’altra. Dal groviglio,
sbucava una mano o una gamba, e nessuno avrebbe saputo dire a chi
appartenessero. Michael era il più tranquillo di tutti:
piede sinistro sul blu,
piede destro sul verde, mani staccate; in poche parole, era in piedi a
braccia
incrociate e ci guardava divertito, mentre io e Manuela cercavamo di
non
cadere. Diana era relativamente comoda, appoggiata di fianco a me su
tutti e
quattro gli arti e a pancia in su. Calum aveva una gamba che scivolava
sotto la
schiena di lei e la mano da qualche parte sotto di noi: nemmeno lui se
la stava
passando bene. Carol, la più furba, si era messa in un
angolo, così da non
venirci addosso, ed era in equilibrio su due mani e un piede. Ashton,
Madison –
che era stata eliminata - e Luke si godevano la scena dal divano,
mentre il
bandanaro girava l’ago sul tabellone. “Ashton,
muoviti, non mi sento più la
gamba” disse Carol sofferente. “E
perché? È così bello vedere
l’ago che gira!”
“Datti
una mossa, o ti infilo le bacchette tu sai dove e te le faccio uscire
dalla
bocca” lo minacciò, con la solita grazia, Manuela,
che aveva appoggiato la
testa sul mio ginocchio, stremata. “Carol, mannaggia a te e
alla tua idea di
giocare a Twister” disse. “Ti vuoi ritirare,
tesoro?”
“Io?!
Ma sei matta?! Col cavolo che lascio vincere te!”
“Allora
risparmia fiato e energie, ne hai bisogno a quanto vedo.”
“Giuro
che prima o poi ti ammazzo nel sonno.”
“Coco
– le interruppe Ashton, divertito – Mano sinistra
sul rosso.” Io mi guardai
intorno. “Sono tutti occupati!” mi lamentai.
“Ce n’è uno libero dietro di
me!”
disse Diana. Io presi un gran respiro per farmi forza, districai la
mano
sinistra dal groviglio di corpi che eravamo io e Manu e scavalcai
Diana, che si
abbassò per permettermi di fare meno fatica. “Ahi,
la gamba!” disse Calum. Fu
un attimo: lui ritrasse in fretta la gamba, nello slancio
andò a sbattere
contro Manuela, lei travolse Carol e me e io crollai su Diana,
assestandole una
gomitata in pancia.
In
mezzo alle risate generali e all’esultare di Michael, che
aveva vinto, vidi
Luke venirmi incontro. Gli rivolsi uno sguardo felice… prima
che lui mi
scavalcasse e raggiungesse Diana. Il mio sorriso morì
all’istante.
Che
ti aspettavi? Non sei più la sua
priorità. Hai fatto male alla ragazza di cui è
innamorato. La ragazza con cui
ti tradisce.
“Stai
bene?” lo sentii chiedere a bassa voce. “Mi fa
male” rispose Diana. Non potevo
vederla, era nascosta dietro Luke, ma sentii allarme nella sua voce. Ci
fu un
istante di silenzio, poi: “Vieni” fece lui,
aiutandola ad alzarsi e portandola
in cucina, nel silenzio attonito di tutti quanti. Io avevo lo sguardo
perso nel
vuoto. Improvvisamente, una mano pallida, con un tatuaggio a X sul dito
medio,
occupò la mia visuale. “Ti sei fatta
male?” mi chiese Michael. Io scossi la
testa e afferrai la sua mano, mentre lui mi issava. “Ma che
succede fra quei
due, si può sapere?” chiese Calum, confuso.
Origlia.
Fatti ancora del male.
No.
Non lo volevo sapere.
Forse
avevo fatto davvero male a Diana, chissà. Magari aveva una
rara malattia alla
pancia di cui solo Luke era a conoscenza, e così si era
preoccupato subito.
Questione di priorità, no? La salute viene prima di tutto,
giusto?
Ma
chi vuoi prendere in giro? Sei
patetica.
Già.
“Mettiamo
via, ragazzi” disse Madison a bassa voce. Noi obbedimmo e
Calum e Ashton si
misero a piegare il tappeto colorato, mentre Carol porgeva a Manuela la
scatola. In meno di trenta secondi, eravamo tutti seduti sul divano,
tesi, con
il Twister sul tavolino. Poco meno di un minuto dopo, i due uscirono
dalla
cucina, frettolosi. Diana si diresse al piano di sopra, mentre Luke
prendeva il
giubbotto dall’appendiabiti e diceva: “Ragazzi,
esco un attimo, ho una
commissione da fare.” Commissione? Cosa doveva fare a
quell’ora?
Non
ti vuole vedere, genio.
Non
riuscii a trattenermi: mi alzai e lo raggiunsi in anticamera, dove non
eravamo
visibili da tutti gli altri. “Ho fatto qualcosa di male? Sei
arrabbiato con
me?” chiesi insicura. Lui mi rivolse un sorriso visibilmente
forzato. “No,
piccina, no. Tranquilla. Non sono arrabbiato. Perché
dovrei?” Io non dissi
nulla, poi guardai il giubbotto che si stava infilando.
Guardalo,
come scappa! Metterà un bel po’
di chilometri fra di voi. Tutto pur di non esserci stasera.
La
cena! Me ne ero quasi dimenticata… sperai che la vocina
nella mia mente si
sbagliasse. “Stasera… Stasera ci sarai,
vero?” chiesi titubante. Lui mi sorrise
e mi stampò un bacio sulla fronte. “Tranquilla,
piccola – mi disse – ci sarò.
Non so a che ora torno, okay? Però ti vengo a prendere alle
otto qui. Ho
prenotato per le otto e mezza a La rosa
dei venti. Se alle otto non arrivo, inizia ad andare
lì. Ti prometto che ti
raggiungerò” Fece con lo sguardo fisso nei miei
occhi. “Ci conto, eh?”
scherzai. Lui ridacchiò e annuì.
“Tranquilla, tranquilla. Verrò. Non
permetterò
a nulla di mettersi fra me e questa cena.”
È
una bugia.
***
Erano
passate quattro ore, di nuovo, e ormai erano le otto. Io ero pronta da
mezz’ora, ormai: mi ero messa un vestito nero senza maniche e
con la gonna che
arrivava fin poco sopra il ginocchio, un paio di parigine nere, un paio
di
stivaletti che arrivavano alla caviglia, un cappello e un giaccone,
tutto
rigorosamente nero. Continuavo a giocherellare con la mia collana, una
chiave
dorata appesa ad una lunga catenella dello stesso colore. Carol era
sdraiata di
fianco a me, sul divano. “Sono le otto, Coco. Ti porto
lì, va bene?” disse
guardando l’orologio. Io annuii, con le lacrime agli occhi.
Fino all’ultimo
avevo sperato che si presentasse alla porta, scusandosi
dell’attesa. Carol mi
guardò e mi abbracciò. “Coco, stai
tranquilla. Andrà tutto bene.”
“Perché
non riesco mai a tenere vicino a me le persone a cui tengo?”
chiesi con voce
tremante. “Non dire cretinate, Coco. È solo un
periodo no. State insieme da
quasi un anno, avresti dovuto sapere che prima o poi sarebbe arrivato
un
momento difficile. Passerà.”
“Parla
quella che al primo litigio è stata mollata” dissi
fredda. Mi accorsi solo dopo
di quello che avevo detto, solo quando Carol mi lasciò
andare e mi guardò
ferita. “Scusami, io… non so cosa mi sia preso. Ti
chiedo scusa” dissi
mortificata. Non capivo, era come se le voci nella mia mente avessero
parlato
al posto mio… non avrei mai detto una cosa del genere, men
che meno a Carol…
Lei
annuì, assente. “Senti, ti dispiace se chiedo ad
Asthon di accompagnarti?” fece
poi con voce flebile. Fu come una porta in faccia, sapere di averle
fatto tanto
male.
Visto?
Nessuno ti vuole con sé. Sei buona
solo a far male alle persone. Presto rimarrai da sola.
***
Ashton
mi lasciò all’ingresso dell’isola
pedonale, stampandomi un bacio sulla guancia.
“Chiamami se qualcosa va storto, va bene? Lo conosco da una
vita, non ho
problemi a prenderlo a pugni.” Io ridacchiai e lo ringraziai
per il passaggio.
Lo guardai ripartire e mi incamminai verso il ristorante, al centro
dell’isola
pedonale. “Andiamo, Luke… dove sei?” mi
chiesi.
***
Ero
seduta al tavolo che aveva prenotato Luke quella mattina, da sola. Mi
chiedevo
dove fosse lui. Gli avevo inviato già tanti
messaggi…
8.10:
“Luke, io sono fuori dal ristorante. Non arrivavi a casa,
quindi ho
pensato che magari fossi già qui. Sei dentro?”
8.12:
“No, non sei dentro. Beh, ti aspetto qui davanti.”
8.40:
“Luke, sono dentro, avevo troppo freddo. Dove sei finito?
Avevi detto
che saresti stato qui dieci minuti fa…”
8.55:
“Luke… puoi rispondermi al telefono?”
8.59:
“Guarda che se non volevi venire bastava dirmelo,
anziché farmi stare
qui tanto tempo…”
9.01:
“Luke, mi stai facendo preoccupare… dove sei
finito? Perché non
rispondi?”
Li
rilessi tutti, mentre sentivo gli occhi farsi lucidi. “Avevi
detto che saresti
venuto” sussurrai, come se potesse sentirmi.
Aveva
detto che ci sarebbe stato. Mi sentivo così stupida,
lì, da sola, seduta a un
tavolo per due, con il cameriere che mi lanciava occhiate scocciate ad
ogni mio:
“Aspetto ancora un pochino.” Speravo che arrivasse.
You should’ve
been here,
Should’ve burst
through the door with that “Baby, I’m right
here” smile
And it would’ve
felt like a million little shining stars that just aligned
And I would have
been so happy...
Christmas lights
glisten
I’ve got my eye
on the door, just waiting for you to walk in,
But the time is
ticking, people ask me how I’ve been
As I come back
through my memory
How you said
you’d be here,
You said you’d be
here…
Lanciai
un’ultima occhiata al cellulare. Intanto, il cameriere si
avvicinò a me.
“Signorina, devo chiederle di andarsene. Non può
occupare il tavolo senza
ordinare” fece. Io abbassai lo sguardo e mi alzai.
“Mi scusi per il disturbo”
dissi con voce tremante, mentre uscivo dal ristorante. Il vento freddo
di
inizio inverno mi investì e io mi strinsi nelle spalle,
mentre mi infilavo il
giubbotto lungo e nero. Cercai di stringermi il più
possibile nel tessuto
pesante, mentre le mie gambe rabbrividivano, coperte solo da parigine
nere.
Inviai l’ultimo messaggio a Luke:
9.03:
“Luke, sono qui fuori. Mi hanno fatta uscire dal ristorante.
Ho
freddo. Starò qui ancora dieci minuti, poi
tornerò a casa.”
Ci
pensai un attimo, indecisa se sbilanciarmi o no, poi aggiunsi:
9.04:
“Ti prego, vieni. O almeno scrivimi, o chiamami. Vanno bene
anche i
segnali di fumo. Qualsiasi cosa. Ti prego.”
Mi
sedetti sul marciapiede di fronte al ristorante, dato che non
c’erano panchine.
La gelida roccia mi fece rabbrividire, ma strinsi i denti. Ancora dieci minuti, mi dissi.
And it was like
slow motion
Standing there in
my party dress,
In red lipstick,
and with one to impress…
And they’re all
laughing as I’m looking around the room
But there’s one
thing missing…
And that was the
moment I knew.
***
Venti minuti
dopo…
Sentii
una lacrima scivolare sul mio viso, lasciando una riga gelata. La
asciugai in
fretta e mi alzai. Di Luke, ancora nessuna traccia. Scrissi
l’ultimo – stavolta
per davvero – messaggio:
9.22:
“Me ne vado. Grazie della serata.”
Mi
stavo incamminando, quando il cellulare squillò. Era lui.
Rifiutai la chiamata,
ma pochi istanti dopo il cellulare squillò ancora. Andammo
avanti così per
qualche secondo, fino a quando non mi decisi a rispondere. Non dissi
nulla,
avvicinai solo la cornetta all’orecchio. Lui,
però, dovette capire che ero in
ascolto. “Coralie, grazie al cielo hai risposto…
Ti prego, perdonami, mi
dispiace tantissimo, è che… È successo
un casino assurdo, il cellulare era
morto, la macchina era in panne…”
“Con
chi eri?”
“Eh?”
“Ti
ho chiesto con chi eri. Con che macchina eri?”
“Con
Diana, ma…”
“Mi
basta sapere questo.”
“No,
Coralie, aspetta! Te lo giuro, sto arrivando…”
“Ho
aspettato più di un’ora, Luke. È
tardi.”
“Ma…”
“A
domani.”
“No,
Coco, ti prego…”
“Non
venire nemmeno. S-sto tornando a casa.”
“Coralie,
piccola… ti prego, non piangere…”
“Te
l’ho detto, è tardi.”
Così
dicendo, mentre le lacrime rigavano il mio viso, interruppi la
chiamata. Il
telefono squillò di nuovo, subito dopo, così
tolsi la batteria. “Mi basta così”
sussurrai, facendola scivolare in tasca, mentre camminavo lentamente
lungo il
viale alberato verso casa.
Avevo
fatto poco più di cento metri, quando sentii un clacson
suonare all’impazzata
poco lontano da me. Mi voltai e vidi la macchina di Ashton fermarsi in
mezzo
alla strada. Come aveva fatto ad arrivare fino a lì? Era
un’isola pedonale…
Mi
voltai di nuovo e affrettai il passo, mentre sentivo la voce di Luke
chiamarmi.
Lo ignorai fino a che lui non mi fermò, parandosi davanti a
me. Aveva il fiatone
e i capelli arruffati, sembrava che avesse corso una maratona. Notai
che era a
maniche corte e il mio primo pensiero fu quello di dirgli di tornare in
macchina per non prendersi un accidente, ma dalle mie labbra serrate
non uscì
nulla, mentre gli occhi tornavano a riempirsi di lacrime.
“Coco, piccola, mi
dispiace così tanto di non essere riuscito ad
arrivare…”
“Dispiace
anche a me” dissi amaramente, tirando su col naso.
“Ti
giuro che non volevo lasciarti qui…”
“Avresti
potuto chiamarmi.”
“Avevo
il cellulare scarico, e anche Diana!”
“Spero
almeno vi siate divertiti.”
“Ma
che… Coco, io non…”
“Lasciami
sola, per favore.”
“No.”
“Per
favore, Luke.”
“No.
Non ti lascio qui.”
“Arrivi
solo ora con questi pensieri galanti, eh? Ripeto, è troppo
tardi.”
“Ma
che cosa ti prende, Coco? Era solo una cena!”
Gli
rivolsi un’occhiata che lo fece ammutolire.
Perché, per me, quella non era solo
una cena. E forse, non avrei avuto quella reazione, se avessi saputo
che era da
solo; però era con Diana.
Era
quello che faceva male.
“Come
ci si sente, secondo te, ad aspettare una persona, e sapere che quella
non
verrà?” chiesi duramente. Lui non fece in tempo a
rispondere, che io continuai:
“E come ci si sente, secondo te, a sapere che
l’unica persona con cui vorresti
sfogarti, che vorresti stringere, che vorresti di fianco, è
proprio la persona
che non si è presentata?”
“Coralie,
puoi sfogarti con me, lo sai…”
“Non
capiresti.”
“Ma…”
“Ti
ho detto che non capiresti, va bene?! Non capisco nemmeno io. Non so
cosa stia
succedendo nella mia testa, non so perché stia reagendo
così male. Tanto era
solo una cena, no? Forse ho sbagliato io ad aspettarti così
tanto. Forse ho
sbagliato io a sperarci fino alla fine. Forse sono stata io a sbagliare
a
considerarla un’occasione importante. Era solo una cena.
Avremo tanto tempo per
farne un’altra, no? Oh, aspetta, dimenticavo: fra undici
giorni sarai su un
aereo. Scusa se speravo di stare un po’ con te. Scusa se so
che mi mancherai da
morire. Scusa se so che starò male senza di te. Scusa se
sono così debole, così
dalla lacrima facile. Scusa se do importanza alle piccole cose.
È colpa mia.
Come sempre.” Mentre dicevo questo, le lacrime tornarono a
solcare il mio
volto. Vidi che anche Luke stava piangendo silenzioso e questo mi fece
stare
ancora peggio.
“N-Non
è colpa tua, Coralie. Non devi dire così, va
bene? Non è colpa tua. Ho
sbagliato io. Sono stato stupido a non presentarmi, e ti giuro che
sarei
venuto. Era importante anche per me, sai? Era fottutamente importante.
Ci
tenevo davvero ad essere lì. Accidenti, da stamattina non
vedevo l’ora.
Continuavo a pensare a come fare per non sfigurare di fianco a te,
perché non
te l’ho ancora detto, ma sei bellissima. Anche mentre piangi.
E ci tenevo così
tanto ad essere qui, a fare questa cosa insieme a te… Mi
dispiace, Coralie, mi
dispiace. Sono un idiota. Ti prego, scusami” fece con voce
rotta.
And the hours
pass by, now I just wanna be alone
But your close
friends always seem to know when there’s something really
wrong
So they follow me
down the hall
And there in the
bathroom, I try not to fall apart
And the sinking
feeling starts
As I say
hopelessly “He said he’d be
here…”
Scossi
la testa lentamente. “Voglio solo andare a casa, ora. Va
bene? Ne parleremo
domani” feci. Lui abbassò lo sguardo.
“Va bene. Però torna a casa con noi.”
“No.
Preferisco fare la strada da sola.”
“Ma,
Coralie, fa freddo…”
“Ho
passato fuori un sacco di tempo, sopravvivrò ancora
mezz’oretta.”
Lui
rimase in silenzio un attimo, prima di dire: “So che non vuoi
stare con me,
ora, e ti capisco. Nemmeno io vorrei stare con me stesso. Vai tu con
Ashton. Vi
raggiungo a casa.”
“Ma…”
“Ti
prego, Coco. Sono stato abbastanza pessimo, per oggi, per permetterti
di fare
tutta quella strada da sola” fece risoluto, con quella
tranquilla
determinazione che arriva dopo le lacrime e grida lontano un miglio che
non hai
nulla da perdere. Io non risposi più, e lui prese il mio
silenzio per un
consenso. Così, lui mi riaccompagnò
all’auto, da Ashton, che aspettava
paziente. Ci fermammo davanti alla portiera del sedile del passeggero e
Luke,
prima che potessi fare altro, mi abbracciò. Mi strinse a
sé più forte che
poteva e lo sentii singhiozzare. E anche nel calore che mi offriva il
suo
corpo, quello fu l’abbraccio più gelido che
condivisi.
What do you say
when tears are streaming down your face
In front of
everyone you know?
And what do you
do when the one who means the most to you
Is the one who
didn’t show?
“Coco,
ti amo. Ti amo con tutto me stesso. Lo sai, vero?” chiese con
voce tremante. Io
annuii solamente e lui mi lasciò un bacio sulla fronte. Non
si spinse oltre e
in qualche modo gliene fui grata. “Ci vediamo dopo, va
bene?” fece. Annuii di
nuovo, mentre lui mi apriva la portiera e io entravo in macchina.
Quando la
richiuse, Ashton aspettò che anche Luke salisse, ma
l’altro gli fece cenno di
andare. Ci fu una muta conversazione di sguardi, e alla fine, Ashton,
sospirando, aprì la portiera. Si tolse il giubbotto che
aveva addosso e lo
lanciò a Luke, che lo ringraziò a bassa voce.
Ashton gli fece un mezzo sorriso,
prima di tornare in macchina e mettere in moto. Prima di partire, mi
prese una
mano e la strinse forte. Gli fui grata per quel gesto, mentre le
lacrime
tornavano a rigare le mie guance. “È come se lo
stessi perdendo, Ash” dissi
solo a bassa voce. Lui sospirò. “O forse
è lui che sta perdendo te” sussurrò,
guardandomi qualche istante. Io non risposi e guardai fuori dal
finestrino,
nello specchietto retrovisore, la figura di Luke che si faceva
più piccola mano
a mano che ci allontanavamo.
You call me
later, and say “I’m sorry I didn’t make
it”,
And I say “I’m
sorry too”.
And that was the
moment I knew…
***
“Non
so più cosa pensare, Coralie” mi disse mesta
Manuela. Io scossi la testa.
Eravamo sul letto in camera sua; Michael se n’era andato
appena mi aveva vista
con le lacrime agli occhi sulla soglia della porta.
“Senti,
parlagli. Non fare come al solito. Se sta succedendo qualcosa,
è giusto che tu lo
sappia da lui. Parlagli ora, appena arriva a casa. Vedrai che si
risolverà
tutto, va bene?” aggiunse la mia migliore amica.
Non
è vero.
“Va
bene, gli parlerò” dissi solo. Manuela mi
catturò in uno dei suoi abbracci
spacca-ossa, che quasi riuscì a tirarmi su il morale, come
se, stringendomi
così, riuscisse a tenere insieme i pezzi che si stavano
sfaldando poco a poco.
Fummo
interrotte da Calum, che entrò in camera.
“Ragazze, avete sentito Diana, per
caso? Non si fa vedere da tutto il pomeriggio” disse. Io mi
irrigidii e Manuela
se ne accorse. “No, non l’abbiamo vista,
né sentita” disse frettolosa. “Va
bene” fece Calum dubbioso, prima di volatilizzarsi. Lo sentii
comunque dire:
“Adesso è sparito pure Luke…”
Sono
insieme, cosa ti aspettavi? Sei
stata tu a spingerlo fra le sue braccia. L’hai rifiutato
stasera, e lui si è
rifugiato dalla sua migliore amica. È colpa tua.
Cercai
di ignorare quel pensiero, nonostante fosse l’unica cosa a
cui riuscivo a
pensare. “Senti, vado in camera mia. Lo aspetto
lì, va bene?” dissi,
sciogliendomi dall’abbraccio. Lei mi squadrò un
secondo, prima di annuire e
lasciarmi andare. “Arriverà, Coco” mi
disse con fare rassicurante.
No,
non arriverà.
“Basta…”
feci, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Entrai in camera
mia e mi
cambiai, infilandomi nel mio solito pigiama, ovvero la maglietta di
Luke.
Sentivo un peso sullo stomaco, ma mi costrinsi ad ignorarlo. Mi sdraiai
sul
letto, preparandomi un discorso nella mente e aspettando che Luke
tornasse.
Aspettai
così tanto, che alla fine mi addormentai.
***
Stavo
camminando in un corridoio. Non era casa mia, ma era comunque
conosciuta.
Riconobbi i quadri appesi alla parete e cercai di fermarmi, capendo
dove avevo
già visto quella scena. Doveva essere un sogno, lo era per
forza. “Dai,
svegliati” pensai, sapendo che non avrei retto la vista di
ciò che sarebbe
successo dopo. Avevo già vissuto tutto quello, e mi era
bastato per cento vite.
Passai
davanti ad uno specchio e vidi il mio riflesso di quando avevo sedici
anni,
quasi diciassette. Non ero cambiata molto, nessuno avrebbe potuto
indovinare la
differenza; ma io sapevo bene quando quella scena si era svolta.
“No,
no, ti prego” pensai, mentre il panico mi invadeva. Sapevo
bene cosa avrei
visto: sarei entrata in camera mia, in camera nostra, e lo avrei visto
nel
letto insieme ad una ragazza. Non volevo rivederlo.
Eppure
non riuscivo a fermarmi.
Entrai
in stanza e li vidi: erano sotto le coperte, lei a cavalcioni di lui,
con i
capelli ricci e neri attaccati alla schiena e le mani di lui sui suoi
fianchi,
mentre lui la incitava a fare più in fretta. Lui, che mi
aveva segnata, che in
quel momento aveva i capelli tinti davanti agli occhi, appiccicati alla
pelle
dal sudore. Sentii le lacrime agli occhi. Era esattamente uguale a
ciò che
avevo già visto.
Appena
pensai quelle parole, però, qualcosa cambiò. I
capelli di lei sembrarono farsi
lisci, di un rosso ciliegia, mentre la sua pelle diventava diafana e
lattea.
Sotto di lei, i capelli rossicci di Matt divennero biondi e si alzarono
dal suo
viso, fino a creare un ciuffo disordinato. Davanti a me, ora,
c’erano Diana e
Luke. Lui mi guardò con lo stesso sguardo di Matt, vedendo
le mie lacrime. E si
mise a ridere. “Oh, andiamo, non dirmi che non te lo
aspettavi!” disse solo.
***
Mi
svegliai di soprassalto e mi scoprii in lacrime. Non riuscii a
trattenere un
singhiozzo: mi portai una mano alla bocca, per soffocarlo, e non
svegliare
Luke. Eppure, era stato così vero, così reale,
che avevo bisogno di sentirgli
dire, come faceva sempre, che era solo un brutto sogno. Avevo bisogno
che lui
mi dicesse che non era vero. Così, mi voltai verso di lui.
E
non lo trovai.
Le
coperte erano ancora tirate sopra il cuscino ed erano fredde; non ci
aveva
dormito nessuno.
Ricordai
con estrema precisione tutto ciò che era successo quella
sera. Forse non era
ancora arrivato, forse si era perso. Ogni scusa per me era buona. Mi
voltai
verso il comodino e diedi un’occhiata alla sveglia. Erano le
4:17.
Non
verrà, che ti avevo detto?
Sentii
altre lacrime scorrermi lungo il viso e tornai a sdraiarmi. Mi chiesi
dove
fosse.
È
con lei, stupida. Esattamente come in
quel sogno.
Speravo
ardentemente di sbagliarmi.
Hai
sempre saputo di non essere nulla in
confronto a lei.
Tirai
su col naso. Volevo ignorare quella voce, ma non ci riuscivo.
Andiamo,
lo sapevi. Nemmeno tu ti
sceglieresti, tanto.
E
aveva ragione.
*Angolo
autrice*
Ecco
qui l’inizio della fine, signore e signori. Ecco a voi il
nuovo personaggio: le
voci nella testa di Coco. Non se ne andranno mai più,
sapete? E non è un bluff,
lo giuro. Cosa ne pensate??
Vi
prego, fatemelo sapere. Ditemi cosa ne pensate. Vi prego.
Una
cosa devo dirla, mi è piaciuto un sacco scrivere questa
parte:
“Ehi,
piccola, eccoti! Dov’eri finita?”
Se
si fosse preoccupato di chiamarti, lo
avrebbe saputo.
“Avevi
lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse.
Avrebbe
potuto chiamarti su quello di
Manuela.
“Non
potevi chiamare su quello di Manuela?”
“Ci
ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica.
Sembrava quasi che rifiutasse la chiamata ogni volta. L’ho
chiamata una cosa
come trenta volte, stavo iniziando a preoccuparmi” disse lui.
Improvvisamente
capii il motivo delle occhiate furtive al cellulare: stava rifiutando
le
chiamate di Luke. La voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente
sconfitta, e la cosa mi diede sollievo.
È
stato fantastico fargli azzittire quelle voci. Facevo il tifo per lui.
Quasi mi
vedo la faccia delle voci, una cosa tipo: “Ah.” Il
disappunto. Buahahahah.
Comunque
Luke è il cretino che è, perché per
colpa di un suo errore sta succedendo tutto
questo. Uff.
Okay,
facciamo un gioco. Scrivetemi ciò che fareste se foste in
una stanza da soli
con:
-
1.
Coco
-
2.
Manu (personalmente
le farei una statua, anche per come si comporterà nei
prossimi capitoli)
-
3.
Diana
-
4.
Luke
-
5.
Le voci (facciamo
finta che abbiano un corpo e che questo non sia in relazione con quello
di
Coralie)
Sono
curiosa, duh.
Momento
spoiler? Ma sì, non fa mai male.
Fra
qualche capitolo entrerà in gioco un altro personaggio (una
ragazza) ma ci
rimarrà per davvero poco, e non combinerà nulla
di male, ANZI. E poi, si
faranno vedere e rivedere due personaggi già citati (un
maschio e una femmina).
Si aprono le scommesse. RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, NO SPOILER PER
FAVORE,
VOI LO SAPETE GIÀ. SAPETE TUTTO. Scommetto che la femmina
non la indovina
nessuno, eheh.
Momento
spoiler due? Ma sì.
Luke
le prende. Indovinate da chi.
Vi
prego, ho bisogno di sapere il vostro parere. Ne ho bisogno fisico.
Dopo
questa... Ehm... Supplica, vi saluto, alla prossima! Ciauu
Ranya
|
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Capitolo 37 *** Everything has changed ***
Everything has
changed
Stavo camminando
in mezzo alla
strada. Io ero in pigiama, ma tutte le persone attorno a me erano
coperte con
giubbotti pesanti; doveva essere inverno, probabilmente verso gennaio.
Decisamente, stavo sognando di nuovo: nella vita reale – si
può dire così? –
era il 19 ottobre. Non riuscivo a capire cosa ci facessi lì,
in una strada come
le altre della mia città, all’ingresso del parco.
Provai a fare un passo, ma
una figura bionda mi tagliò la strada. Per poco non mi presi
un infarto, non
l’avevo proprio vista arrivare. La seguii con lo sguardo e mi
resi conto di
quanto fosse familiare, nel modo di muoversi e
nell’abbigliamento. La seguii
per curiosità e, quando si lasciò cadere sulla
panchina, mi resi conto del
motivo della sua familiarità: ero io. Mi diedi della
stupida. “Complimenti,
ragazza, non ti sai nemmeno riconoscere” pensai
sarcasticamente. Osservai
attentamente la me di quella notte, cercando di capire se fosse un
ricordo o
no. Non riuscivo a capire il motivo, ma stava piangendo.
“La
protagonista. Sei tu” disse solo. Non era una domanda. Annuii
piano. “Cosa ne
pensi? Ti ho praticamente consegnato tutto quello che sono su pagine e
pagine
di sogni infranti e storie impossibili. Devo sembrarti abbastanza
patetica”
commentai. Lui mi guardò qualche secondo. “In
realtà mi sembri dolcissima”
sussurrò.
Mi allontanai di
scatto dalla
panchina, come se scottasse, capendo dove ero finita. Ero appena
scappata da
quel bar della nostra prima uscita di gruppo al completo. Mi guardai
intorno,
ma tutto era sfocato, tutto tranne la panchina e la Coralie del sogno,
come se
dovessi concentrarmi solo su quello. Poi sentii un’eco
lontana di una voce
inconfondibile. Con un colpo al cuore mi voltai e vidi in lontananza
Luke, che
parlava al telefono. Anche lui era a fuoco. Mi avvicinai a lui
lentamente, come
se avessi paura che potesse accorgersi di me. Mi avvicinai abbastanza
per
distinguere il sorriso sulle sue labbra.
“Sì,
sono fuori con i ragazzi e le tre di ieri. Sì,
c’è anche
la ragazza di Calum. Come si chiamano le altre? Una è Carol,
la nuova fiamma di
Ashton. Non credo che durerà molto fra loro, sai? Poi
c’è Manuela; Michael già
ci sbava dietro, figurati. Non aspetta altro, quello, era in astinenza
da un
po’; credo che se la porterà a letto entro poco,
conoscendolo, oppure la
lascerà perdere. Poi, questa te la devo proprio raccontare,
piccola… ce n’è una
che è assolutamente fissata con me. Pazzesco, no? E crede
anche di avere
qualche possibilità! Pensa che Carol mi ha dovuto stalkerare
per suo conto! È
proprio fissata… e poi è strana forte, sai?
Bella? È accettabile, diciamo. Di
sicuro non bella come te, amore. Sai che nessuno può
competere con te. E
comunque quella è completamente matta. Il nome? Coralie,
credo. Forse Coraline.
Che nome assurdo, però quella è tutta assurda.
Pensa che ha insistito per farmi
leggere il libro che ha scritto… sì, scrive, ma
non è brava. Credo glielo
abbiano pubblicato per pietà. E io, per pietà, ho
dovuto leggerlo. Avrei
preferito mettermi due dita in gola, davvero. Poi, per farla felice, le
ho
detto che da quel libro mi sembrava una persona dolcissima…
ed è scappata!
Adesso la sto cercando… solo per non fare la parte
dell’insensibile… sì, credo
che abbia qualche problema mentale, come Carol… sono tutti
matti in famiglia…
Oh, aspetta, eccola. Sta piangendo, Diana, ti
rendi conto? È patetica, quella bambina. Senti,
devo andare, fammela riportare sana e salva dagli altri. Vediamo se le
lezioni
di teatro sono servite a qualcosa. Ti scrivo più tardi, va
bene? Sì, lo so, ti
amo anche io.” Dicendo questo, chiuse la chiamata,
guardò la mia copia
esasperato e mi superò senza nemmeno vedermi. Io, intanto,
dovevo lottare per
non scoppiare a piangere.
Luke
chiamò il mio nome e si sedette di
fianco alla me del sogno. “Coralie, cosa succede?
Perché sei scappata così?”
chiese con falsa confusione. Le sollevò il viso con un dito.
“Perché stai
piangendo? Coco, cosa c’è?” fece, dolce.
Io scossi la testa, piangendo, mentre
la mia copia tirava su col naso e rispondeva: “È
che ho paura. Tutti quelli a
cui ho permesso di conoscermi davvero sono scappati. Ho aperto loro il
mio
cuore e loro mi hanno lasciata da sola. Ho paura che possa essere
così anche
con voi. Ho paura che possa essere così… con te.
Non voglio che succeda come
con tutti gli altri.” Luke non fece niente per un attimo, poi
la abbracciò. “Io
non voglio essere come tutti gli
altri. Non ti lascerò andare, promesso” disse. Io
aggirai la panchina per
vederlo in faccia, e vidi che stava alzando gli occhi al cielo,
scocciato. Poi
sollevò lo sguardo e incrociò il mio, lasciandomi
sorpresa: non credevo che
potesse vedermi. Fece un sorriso cattivo e indicò la schiena
della me del
sogno. Io seguii la direzione indicata dal suo indice e vidi, proprio
come
nell’altro sogno, che i capelli biondi stavano diventando
rosso ciliegia e
lisci. Quando si separarono dall’abbraccio, non fui sorpresa
di vedere Diana al
posto di quella che ero io. Luke le posò una mano sulla nuca
e l’avvicinò a sé,
in un bacio bagnato e famelico, quasi animalesco. Mentre la baciava, mi
guardò.
Sentii il gorgoglio inconfondibile di quella che era una risata,
soffocata
nella gola di Diana. Si separarono e lui si voltò verso di
me. “Facci
l’abitudine, bambolina. Presto lo vedrai anche nella
realtà” disse solo,
facendo scivolare una mano sotto la gonna di Diana.
***
Mi svegliai
quando ormai doveva
essere molto tardi. Non guardai nemmeno l’ora: a occhi chiusi
staccai la spina
della sveglia, per non sapere quanto era durato il mio stato comatoso.
Dovevo
tenere le palpebre serrate ad ogni costo, o sarei scoppiata a piangere.
Non
potevo lasciar vincere le lacrime.
Spero
ti
sia piaciuto il buongiorno.
No,
nemmeno un po’. Mi alzai e finalmente riuscii ad aprire gli
occhi, ricacciando
indietro tutti i sentimenti che premevano per uscire. Uscii da camera
mia in
fretta, alla ricerca dell’unica persona che sembrava farmi
stare meglio:
Manuela. In camera sua non c’era, ma trovai il suo cellulare,
sbloccato e fermo
su una schermata di whatsapp. Era la chat con Luke. Non riuscii a
trattenermi e
lessi i messaggi: risalivano alla sera prima, ed erano tutti di Manuela.
"Luke,
guarda che sei in ritardo, io mi muoverei se fossi in te!"
"Luke?
Non sto scherzando. Sono passati venti minuti."
"Luke,
dove minchia sei?"
"Testa
di cazzo, è passata un'ora. Ti muovi?!"
"Giuro
che se entro dieci minuti non sei da lei ti castro."
"È
IMPORTANTE QUESTA CENA, LUKE, PORCA MISERIA!"
"Coco
è qui. È appena arrivata, sta piangendo. Giuro
che appena torni ti
ammazzo."
"Se
non torni entro dieci minuti esco, ti trovo e ti riporto a casa io al
mio modo:
ti attacco alla macchina per il piercing e ti faccio correre."
"Luke,
cazzo, è mezzanotte. Dove sei finito?!"
"Mi
stai facendo preoccupare."
"SENTI
UN PO', BRUTTA TESTA DI MINCHIA, O VIENI QUI SUBITO, O TI CACCIO DI
CASA."
"Ho
parlato con Coralie. Ti conviene venire subito qui e spiegarle
perché non ti
sei presentato."
"Luke,
non sto scherzando."
"NON
STO FOTTUTAMENTE SCHERZANDO. PORTA IL TUO CULO FLACCIDO IN QUESTA CASA
ENTRO
CINQUE MINUTI, O TE LO TAGLIO A MO' DI PROSCIUTTO E TE LO FACCIO
MANGIARE."
"Sono
le due. Coco si è addormentata. Spero tu sia soddisfatto."
"Ultima
cosa, poi non ti rompo più i coglioni, anche se mi stai
ignorando
tranquillamente. Prima di tutto, quando torni a casa ti arriva uno
schiaffo che
ti fa tornare di corsa da dove sei venuto, e non sto scherzando.
Seconda cosa,
spero tu sia soddisfatto: Coco ha pianto tutto questo tempo."
"Ah
e, divertiti pure con Diana, ma la prossima volta comprati un'agenda,
così sai
quando organizzare gli appuntamenti."
"Ultimissima
cosa: vaffanculo."
Se
non fossi stata così a terra, sarei anche scoppiata a
ridere. Sentii il rumore
di una maniglia alle mie spalle e mi voltai, vedendo la porta del
bagnetto che
si apriva. “Amore, non mi risponde ancora al ce- Ah, Coco,
sei tu” fece
Michael, sedendosi di fianco a me. Era ancora in pigiama. Vide i miei
occhi
rossi e inclinò la testa. “Va tutto
bene?” chiese, cauto. Io scossi la testa.
“Senti, non voglio fare lo gnorri come tutti gli altri. So
che c’entra Luke.
Non capisco cosa stia succedendo, Coco. Manuela e lui non mi vogliono
dire
niente, ma io voglio aiutare, mi sento inutile a stare qui a guardare,
mentre
tu stai sempre peggio e lui non si rende conto di nulla. Cosa sta
succedendo?”
chiese, incrociando le gambe. Io scossi la testa. “Non lo so
nemmeno io”
mentii. “Beh, allora cosa ti sta succedendo?”
“Eh?”
“Non
sono uno stupido, Coralie. So che sembra che ormai le tinte mi siano
arrivate
al cervello e mi abbiano rincoglionito del tutto, ma sotto i capelli
colorati
c’è ancora una testa in grado di pensare,
c’è ancora un diciassettenne che
vuole aiutare una delle sue migliori amiche. Ti sto osservando e ti
vedo sempre
più assente, come se ormai vivessi solo nella tua testa.
Voglio sapere cosa c’è
lì dentro che ti tiene così lontana da qui
fuori.”
Non
dirglielo.
“Non
c’è nulla” dissi soltanto, guardandolo.
Brava.
Lui
sospirò. “Vuoi sapere qual è una delle
tue caratteristiche?” mi chiese. Io lo
guardai in attesa e lui continuò: “Non sai proprio
mentire. È pazzesco, riesco
a rendermene conto anche io, il che è un record. Quando dici
che stai bene e
invece non è vero, soprattutto. Sai come me ne accorgo,
anzi, ce ne accorgiamo
tutti? Mentre lo dici guardi dritto negli occhi, e hai uno sguardo che
urla
quanto tu abbia bisogno di aiuto, come se sperassi che qualcuno si
accorgesse
che è una bugia. Credo che tu ci abbia trasmesso un
po’ della tua capacità di
leggere gli occhi, Coco, e tu sei estremamente facile da leggere. Lo
vediamo
tutti che non stai bene, ma nessuno si intromette. Lo fa solo Manuela,
e ora
io. Gli altri sperano sia solo un periodo no, sai, magari è
dovuto al fatto che
fra poco andremo via e non ci vedrete fino a Natale. Accidenti,
sarà lunga,
quasi due mesi… Non lo avevo realizzato fino a questo
momento. Comunque, tornando
a noi: io non voglio che tu stia male. So che non lo dimostro spesso,
ma voi
sette siete le persone a cui tengo di più al mondo, al primo
posto Manuela.
Voglio aiutarti, Coco. Ti prego, permettimi di capire cosa sta
succedendo.
Possiamo parlarne tutti insieme, oppure puoi parlarne solo con me, o
con Manu,
o scriverlo da qualche parte. Ma non tenerti tutto dentro,
perché so quanto fa
male. Quando devi sfogarti e non puoi, e senti male alla gola, senti
come se
qualcosa volesse uscire ad ogni costo, e gli occhi ti bruciano, e fai
fatica a
respirare, e hai le lacrime agli occhi perché quei
sentimenti vogliono uscire
ad ogni costo. Se non li tiri fuori ti soffocano.” disse lui,
stringendomi una
mano. Io rimasi in silenzio qualche istante, mentre la precisione di
quella
descrizione mi sorprendeva. “Come fai a sapere tutte queste
cose?” chiesi
stupidamente. “Diciamo che ho vissuto in apnea per qualche
mese” fece lui.
“Cosa ti è successo?”
“Non
è il momento, ora.”
“Invece
sì, magari devi ancora…”
Lui
mi interruppe mettendomi due dita sulla bocca. “Posso farti
una domanda?” mi
chiese poi. Io annuii e lui proseguì: “Se potessi
salvare una sola persona in
questa casa, chi salveresti?” Io lo guardai, confusa da
quella domanda fuori
luogo. Poi abbassai lo sguardo, mentre la mia risposta si faceva strada
fra le
labbra quasi con ovvietà. “Lui.”
Lui
ridacchiò e io lo fissai. “Vedi qual è
il tuo problema?”
“Non
ti seguo.”
“Fra
tutte le persone in questa casa, hai scelto lui. Non Manuela, non
Carol, non
Ashton, nemmeno me – grazie mille, tra l’altro, me
ne ricorderò – o Calum o
Maddy. Hai scelto lui. E hai trascurato te stessa. È questo
quello che volevo
dimostrarti. La mia domanda è, quindi: perché non
ti ami abbastanza da essere
la tua prima scelta?”
Perché
non sei la prima scelta di
nessuno.
“E
tu, chi avresti salvato?”
“Manuela.”
“Allora
vale la stessa cosa per te. Perché non ti ami abbastanza da
essere la tua prima
scelta?”
“No,
tesoro, non funziona. Io mi amo abbastanza, anzi, mi idolatro. Sono
esattamente
la persona che da piccolo sognavo di essere. Non potrei essere
più soddisfatto
di me stesso. Però amo di più lei. Mi capisci,
no? Mi ha salvato da quello che
ero e mi salva ogni giorno. È la mia scelta naturale,
salvare lei. E adesso non
osare dire che ti ami, ma ami di più lui, perché
non mi fai fesso, tesoro.
Voglio sapere cosa c’è nella tua testa che ti
impedisce di vederti per come
davvero sei, e di amarti. Voglio sapere cosa scatta nella tua mente
quando ti
guardi allo specchio; voglio sapere cosa ti fa rimanere zitta quando
invece
vorresti parlare; voglio sapere cosa ti fa credere di non essere
all’altezza di
qualcun altro. So che non dovrei essere io a farti questo discorso,
dovrebbe
essere lui, ma io non intendo lasciarti andare alla deriva solo
perché Luke è
così svampito da aver allentato la presa. Sai, voi non
c’eravate, ma abbiamo
deciso qual è la politica da tenere con voi due: non
intromettersi e aspettare
almeno che vi parliate. Abbiamo fatto a voti; quattro favorevoli, due
sfavorevoli. Indovina chi erano quei due?”
“Tu
e Manuela?”
“Esatto.
Comunque, eravamo in minoranza, ma io e lei siamo troppo testardi per
non fare
di testa nostra. Quindi, eccoci qui.”
“Siete
incorreggibili, sai?”
“E
per fortuna. Avresti preferito che nessuno ti parlasse, ti lasciassero
marcire
nel tuo brodo?”
Io
scossi piano la testa, prima di dire: “Tanto ci
marcirò lo stesso. Questa è
solo una piccola pausa.”
“E
allora ringraziami, perché le pause sono rare.”
Ridacchiai, e lui con me.
“Coralie, tu non conosci la mia storia. Sai solo come sono
ora. Il Michael di
qualche anno fa non l’hai mai incontrato, non hai idea di
quanto fosse simile a
te. Non hai idea di quanto quel periodo mi abbia fatto stare male. Sai
qual è
stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con i ragazzi,
e poi
venire a vivere qui con voi. Siamo in otto – ora in nove
– e si sta stretti,
accidenti, ma è proprio questa la nostra fortuna. Siamo
tutti un po’ rotti, è
normale; ma siamo così stretti, in questa casa, che ci
teniamo uniti a vicenda.
Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’. Sai al mattino,
quando ci
stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo tutti con le
spalle
attaccate perché il tavolo è troppo piccolo, e a
volte siamo in due su una
sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che senza
di voi
io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto. Mi
ricordano
che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in
questa
casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia.
Sgangherata, e un po’ fuori
dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se
mi è
possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison;
però la mia
certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È
questo che mi fa sentire al mio
posto. Quindi, ora so che non sono la tua prima scelta in caso di
sfoghi,
perché magari sono pochi i momenti in cui siamo da soli a
parlare senza fare i
cretini – ora che ci penso, credo che questo sia il primo
– però è una
questione di priorità; la tua priorità e trovare
qualcuno che ti ascolti e la
mia priorità è che non ci siano fratture nella
mia famiglia. È un bene che si
incontrino, no? E non osare dire di no. Io ora voglio sapere cosa ti
sta
succedendo.”
Io
rimasi in silenzio qualche secondo, e lui andò avanti:
“Non sai da dove
cominciare. Bene. Allora, facciamo così: un pezzetto alla
volta. Io ti faccio
una domanda, e tu rispondi, e vediamo se bisogna sistemare qualcosa.
Iniziamo,
ti va?” Io annuii.
Vattene.
No,
non me ne sarei andata. Forse Michael aveva ragione, forse avevo solo
bisogno
di qualcuno con cui parlare, qualcuno che mediasse. Presi un gran
respiro.
“Devo dirti una cosa.”
“Cosa?”
Rimasi
in silenzio qualche istante.
Non
osare dirglielo. Non ti aiuterebbe.
“Luke
mi sta tr-” fui interrotta dal suono del citofono, che ci
fece trasalire. Ci
guardammo. “È lui” dissi solo, mentre le
lacrime salivano agli occhi. Lui annuì
e mi abbracciò. “Ne parliamo dopo, va
bene?” fece. Io annuii sulla sua spalla e
ci alzammo, per andare al piano di sotto. Intanto, qualcuno aveva
risposto, e
Manuela era alla porta. La sua espressione non prometteva nulla di
buono.
“Manuela?” chiesi, dalle scale. Lei mi
ignorò e aprì la porta a Luke, che fece
per entrare, ma fu fermato. Il rumore dello schiaffo si
sentì in tutta la casa
e io rimasi allibita, ma mai quanto Luke. “Ma
che…?!”
“Ti
avevo detto che ti sarebbe arrivato uno schiaffo” rispose
Manuela duramente. “Non
mi avevi detto niente! Sono entrato ora!” fece lui,
sconvolto. “Ah, e vuoi
dirmi che tutti i messaggi di stanotte non sono nulla, eh?”
“Non
ho letto i tuoi messaggi, va bene?! Ho spento il telefono!”
“Bene.”
Lo spinse fuori e lo seguì, chiudendosi la porta alle
spalle. Io e Michael ci
guardammo. “La finestra di Carol dà
sull’ingresso” dissi solo. Lui annuì e
corremmo su per le scale, facendo irruzione nella camera che Ashton e
Carol
condividevano. Fortunatamente, era vuota. Aprimmo la finestra, facendo
attenzione a fare silenzio, e ci sporgemmo di quel poco che bastava per
sbirciare senza essere visti.
Luke
e Manuela erano sui gradini dell’ingresso. Lui stava
guardando il cellulare,
probabilmente stava leggendo i messaggi di Manuela.
“Non
capisco.”
“Nemmeno
io, Luke. Non capisco nemmeno io.”
“Io
non ho fatto niente!”
“Esatto!
Non hai fatto niente, e lei aveva bisogno che tu facessi qualcosa!
Qualsiasi
cosa, Luke! Aveva bisogno di parlarti!”
“E
allora fammi entrare! Fammi parlare con lei!”
“Sai,
di solito non faccio così, ma tu risvegli
l’omicida che c’è in me. Dimmi dove
sei stato stanotte.”
“Ero
a casa mia, va bene?! Non volevo imporre la mia presenza a
Coralie.”
“E
Diana?”
“Diana?
Mi dici cosa c’entra?! Mi dici perché
c’entra sempre?!”
“Diccelo
tu.”
“Non
la sento da ieri. L’ultima volta che l’ho vista,
era in mezzo alla strada, con
l’auto in panne. Probabilmente avrà trovato un
hotel in cui passare la notte.”
“Dove
eravate?”
“Non
sono affari tuoi.”
“Bene.”
Così dicendo, Manuela ritornò in casa e si chiuse
la porta alle spalle,
lasciando Luke fuori. Sentii la chiave che girava nella toppa, mentre
Luke era
troppo basito per fare qualsiasi cosa. Poi, si buttò contro
la porta e ci
sbatté contro i pugni. “Perché siete
tutti contro di me?!” urlò, prendendo a
pugni il legno. Continuava a gridare, ad ogni pugno corrispondeva un
urlo.
“Ehi,
tu” disse una voce anziana dal cancello. Io, Michael e Luke
ci voltammo: era
uno dei vicini. “Senti, ragazzo, devo chiederti di andare
via.”
“Cosa?”
“Non
so cosa tu sia, se uno stalker o una cosa del genere, ma non ti voglio
nel mio
quartiere.”
“Io
qui ci abito!”
“Ah,
davvero? Perché dal citofono sembra che questa sia la casa
di tre ragazze.”
“Andiamo,
lei mi vede ogni giorno, non…”
“Se
non abiti qui, e la padrona di casa non ti vuole far entrare,
è meglio che te
ne vada.”
“Io…
io non…” non riuscì a finire la frase:
scoppiò a piangere, un pianto isterico,
sconfitto, di chi non aveva più parole. “Devo
chiederti dei andartene,
giovanotto, se non vuoi che chiami la polizia”
continuò l’altro, perentorio.
“Coco, dobbiamo fare qualcosa” disse Michael. Io
non risposi, mentre Luke
iniziava a incamminarsi, a testa bassa, lungo il vialetto. Michael mi
fece
voltare verso di lui. “Andiamo, Coco. Hai appena detto che,
fra tutti noi,
salveresti lui. Sii coerente!” fece. Quando vide che non
rispondevo, sbuffò e
si alzò in piedi, mostrando la sua figura dalla finestra.
“Aspetti, signor
Smith! Luke abita qui per davvero!” urlò.
“Non mi sembri una delle tre ragazze
che vivono qui.”
“Sì,
ma…”
“Se
una di loro tre mi dirà che può rimanere, me ne
andrò.”
“Coralie
è in casa?” chiese Luke, ancora con voce rotta.
Alzai lo sguardo e vidi che
Michael annuiva, per poi indicarmi con un gesto del capo.
“Non odiarmi, Coco”
sussurrò poi. Io mi sedetti contro il muro, mentre le
lacrime mi rigavano il
viso. Luke dovette capire che ero lì, perché con
voce spezzata disse: “Coralie…
so che puoi sentirmi. So che non vuoi vedermi. Ma mi dispiace. Te
l’ho già
detto. Non volevo lasciarti lì. Non avrei mai voluto, te lo
giuro! Io non… Ieri
sera non sono tornato a casa perché…
perché quell’abbraccio mi ha fatto capire
che non avresti voluto. Non volevo costringerti a stare con me. per
questo non
sono tornato. È solo questo il motivo, te lo posso giurare
qui e ora, su tutto
quello che vuoi. Però a quanto pare ho sbagliato. Ho
sbagliato ancora, Coralie.
Mi dispiace. La verità è che ultimamente non
riesco a farne una giusta, e più
cerco di rimediare ai miei errori, più ne commetto. Scusami
se non sono in
grado di rimediare ai miei sbagli, scusa se ti stai sentendo male per
colpa
mia. Scusami di tutto. Ti prego, permettimi di parlare con te. Voglio
chiarire,
non ce la faccio più a stare così. Mi sento
inutile, mi sento sbagliato. Ti
prego. Sai che non ti avrei mai fatto del male, sai che non ne sono
capace!
Coralie, tu mi conosci, io… non ci riuscirei. Non potrei,
sarebbe come fare del
male a me stesso. Se non mi vorrai più vedere me ne
andrò. Tornerò a casa mia,
anche se ormai questa era casa mia. Tornerò dove ho dormito
stanotte. Se non mi
vorrai più vedere, non mi vedrai più. Ma ti
prego, ti prego in ginocchio.
Permettimi di rimediare.” Ormai né io
né lui ci curavamo di fermare le lacrime.
Rimasi ferma qualche secondo, non sapendo cosa fare.
“Coralie” fece la voce
ferma di Michael. Alzai lo sguardo e incontrai il suo, un po’
lucido. Si stava
mordendo le labbra. “Coralie, fallo entrare” fece
perentorio. Io non risposi e
lui alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, non
aspettavi solo questo?!”
“Ho
paura.”
“Anche
io ho paura!” Michael si accovacciò accanto a me e
iniziò a sussurrare per non
farsi sentire da Luke. “Cosa credi, che io sia tranquillo?!
Che non mi senta
male mentre vi vedo fare così?”
“Perché
dovresti sentirti male?”
“Tu
come ti sei sentita quando Carol e Ashton hanno litigato?”
“Volevo
fare qualcosa per rimediare.”
“Bene.
Io sono come te, chiaro? Dannazione, Coralie, è qui sotto!
Ti vuole parlare!
Tutto quello che ha detto adesso, l’ha detto col cuore in
mano! Non l’ho mai
visto così, accidenti! Dagli una
possibilità!”
“Se
ne vada, figliolo” intimò ancora il signor Smith.
“Sì, sto andando” sentii Luke
rispondere, sconfitto. “Sai, Coco, questo sarebbe il momento
perfetto per uno
slancio di eroismo. So che c’è una persona
coraggiosa dentro di te. Tirala
fuori, sii abbastanza coraggiosa per affrontarlo. Hai detto che lo
salveresti,
no? E allora fallo. Perché sono sicuro che lui farebbe lo
stesso” disse
Michael.
Non
starai davvero pensando di farlo,
vero?
Al
diavolo. Mi alzai in piedi di scatto, voltandomi verso la finestra.
Luke stava
già chiudendo il cancello dietro di sé.
“Luke!” lo chiamai. Lui si voltò e
sembrò che il tempo si fermasse, mentre mi guardava con gli
occhi rossi. Sentii
le lacrime montare, mentre dicevo: “Non andare, per
favore.” Suonò più come una
supplica, ma non m’importò. Lui non mi sorrise:
annuì soltanto e abbassò lo
sguardo, tornando dentro. “È tutto a posto,
signorina?” chiese il signor Smith,
dubbioso. Io annuii in fretta e lui sembrò rilassarsi.
“Allora buona giornata”
fece, incamminandosi lontano lungo la sua strada. Intanto, Luke era
arrivato
sotto la porta. “Mi apri, per favore?” chiese ad
alta voce, per farsi sentire
da me. Io annuii e feci per scendere al piano di sotto, ma Michael mi
fermò,
tenendomi per un polso. “Coco?”
“Sì?”
“Grazie.”
Io rimasi sorpresa mentre lui mi abbracciava. “Sai, ho avuto
il terrore che lo
avresti lasciato andare.”
“Anche
io” dissi solo, senza pensarci.
Avresti
fatto bene.
***
Aprii
la porta e mi ritrovai Luke davanti. “Ciao” disse
solo. Io lo salutai a mia
volta e ci guardammo per un po’. “Intendi farmi
entrare, o deve tornare il
vicino?” chiese dopo quello che mi sembrò un
secolo. Io scossi la testa e mi
scansai, mentre lui superava la soglia. “Hai già
fatto colazione?” chiese. Io
scossi di nuovo la testa. “Bene, perché non
l’ho fatta nemmeno io. Andiamo?” si
sforzò di rivolgermi un mezzo sorriso, come se volesse
fingere che fosse tutto
normale, anche se non era così.
Andammo
in cucina e io mi lasciai cadere sulla sedia, mentre lui apriva la
credenza.
Sentii il rumore di una busta di plastica aperta e in pochi secondi mi
arrivò
addosso una zaffata di profumo di lampone. Non dovetti nemmeno voltarmi
per
capire da dove veniva: Luke stava preparando un infuso che sapeva
essere il mio
preferito. Ricordai con un mezzo sorriso un episodio in cui lui me ne
aveva
preparato una pentola intera, solo per tirarmi su il morale. Era il
nostro tè
del buonumore.
In
qualche modo, quel piccolo gesto riuscì davvero ad avere un
effetto positivo su
di me.
Dopo
otto minuti esatti, si sedette di fronte a me, porgendomi la tazza di
vetro che
sapeva piacermi tanto. “Zucchero?” chiesi.
“Già messo. Tre cucchiaini.”
“Grazie.”
Era esattamente la mia dose solita. Non sapevo perché, ma
quel suo
comportamento mi scaldava il cuore. Come se davvero ci tenesse a me.
Sai
che ti sta illudendo.
Allora
avrei accettato l’illusione. Tutto, pur di dimenticare quello
che stava
succedendo.
“Ti
va di parlare?” mi chiese a bassa voce. E tanti saluti al
piano di dimenticare.
Perché mi voleva parlare? Aveva fatto tutto quello per dirmi
che in fondo ero
meglio io di Diana?
Assurdo.
Già.
Probabilmente aveva intenzione di dire che aveva sempre preferito lei,
e mi
stava lasciando.
Vedo
che inizi a ragionare come
dovresti.
“Va
bene. Ma non so di cosa dovremmo parlare.”
“Che
ne dici di iniziare da ieri sera?”
Mandalo
via. Dagli ragione, liquidalo. Umiliati.
Tanto sei abituata.
“Non
c’è niente da dire. Sei arrivato in ritardo, non
è colpa tua. Sono io che
probabilmente sono vicina al ciclo, e ho poca pazienza. Forse era il
freddo, o
il fatto che quel cameriere mi aveva proprio scocciata. Ma davvero, non
hai fatto
nulla.” Dire quelle cose faceva un male cane. “Ieri
non eri di questo parere.”
“Sì,
beh… si cambia idea.”
“Coralie…”
si sporse sul tavolo e mi prese le mani. “Non fare finta che
non ti importi. Ti
prego. Mi ricordo quello che hai detto. So anche io che mancano solo
dieci
giorni. Davvero credi che io non ci stia male?”
Bugiardo.
“No,
non credo questo” mi sforzai di dire. Ricordai quello che mi
aveva detto
Michael e evitai di guardarlo negli occhi. Lui rimase in silenzio
qualche
istante. “Ti amo. Lo sai, vero?” chiese poi.
No,
non è vero.
“Anche
io” mi costrinsi a non piangere. Luke si alzò e mi
raggiunse. Mi fece alzare a
mia volta e mi abbracciò, stringendomi e affondando il viso
nel mio collo. Io
ricambiai automaticamente, ormai abituata a restituire quel gesto.
Tutto era
così familiare, con lui… come avrei fatto a
rinunciarci?
Dovrai
farlo.
Sì,
lo sapevo. Ed era quello che mi faceva male.
“Mi
dispiace, Coco. Cercherò di essere migliore, la prossima
volta, okay?” fece. Io
annuii senza dire nulla e lui tornò ad abbracciarmi.
“Grazie per aver capito”
sussurrò solo.
***
Era
passata qualche ora, e di Diana ancora nessuna traccia. Nessuno
l’aveva vista o
sentita, in casa.
Diciamo
che non avevano visto o sentito nemmeno me. Il motivo? Mi ero nascosta.
Avevo
detto a Manuela che sarei andata a fare un giro, mentre in
realtà ero sdraiata
sul tetto. Ero piuttosto scomoda, a dire il vero, con la schiena
appoggiata
alle tegole, e avevo freddo, ma non ci volevo fare caso: mi stringevo
nel
giubbotto pesante e pensavo ad altro. Di fianco a me, ormai, il
cellulare si
stava scaricando, mentre ripeteva per l’ennesima volta le
note di Everything has changed, di
Taylor Swift
e Ed Sheraan. Quando avevo trovato per la prima volta quella canzone,
ero
sicura che qualcuno volesse uccidermi. Insomma, mettere insieme due dei
miei
cantanti preferiti? Brutto scherzo, davvero un brutto scherzo per le
mie
emozioni instabili.
Come back and
tell me why
I’m feeling like
I’ve missed you all this time
And meet me
there tonight
And let me know
it’s not all in my mind…
Quella
canzone parlava di un cambiamento in meglio, ma io riuscivo solo a
sentire il
lato negativo delle tre parole che componevano il titolo.
Everything
has changed.
All’improvviso,
sentii il rumore da dentro casa di un citofono che suonava. Che fosse
tornata?
Mi
voltai sulla pancia e strisciai fino al bordo del tetto, spiando la
scena sotto
di me. Sì, i capelli rossi erano inconfondibili. Qualcuno
aprì il cancello e
lei entrò. A metà strada, però, la
porta si aprì e qualcuno corse fuori. Diana
si ritrovò fra le braccia di Luke. “Eccoti,
finalmente! Non hai idea della paura
che mi hai fatto prendere… perché non rispondevi
al telefono? Stai bene? È successo
qualcosa?” chiese Luke apprensivo. Diana non disse niente, ma
indicò con un
gesto un punto dietro di lei. Io seguii il suo sguardo e mi sentii
quasi male
alla vista: lei era lì, in piedi, in tutto il suo metro e
sessanta di
cattiveria arcigna.
Gargoyle.
“Hellen,
che… che piacere vederti!” fece Luke, chiaramente
contento di vederla quanto
me. “Anche io sono molto felice di vederti, Lucas. Oh, vedo
che tu e Diana
andate ancora molto d’accordo…
dov’è la tua ragazza? La tipa stramba?”
Digrignai i denti, mentre sentivo la voglia di staccare una tegola e
tirargliela in testa. Ahimè, non avevo mai avuto buona mira.
Avrei potuto
colpire Diana, o Luke. O Diana.
Improvvisamente,
l’idea era molto allettante.
“Coco
è uscita, non so quando tornerà” fece
Luke, fingendo un tono gioviale per
mascherare il suo nervosismo. “Oh, ma davvero? Allora credo
proprio che quello
sul tetto sia un ladro” fece con nonchalance Hellen. Mi
scappò un’imprecazione,
mentre mi tiravo indietro velocemente; troppo tardi; Luke e Diana mi
avevano
già vista. “Coralie? Che ci fai
lassù?” chiese Diana.
Sei
ancora in tempo per lanciare una
tegola, sai?
“Non
tentarmi”, pensai solo. “Aspettate, vado a
prenderla” sentii Luke dire.
Forse
se ti butti tu fai prima.
Già.
Passò
qualche secondo, poi la finestra della mansarda si aprì,
mostrando Luke. “Coco?
Perché sei quassù, piccola? Non avevi detto che
saresti uscita?” mi chiese. “Non
voglio tornare in casa se c’è anche
l’arpia” dissi decisa, mettendomi a sedere.
“Nemmeno io la vorrei intorno, ma non possiamo farci
più di tanto. Spero solo
che se ne vada in fretta.”
“Lasciando
qui Diana?”
“Beh,
possibilmente.”
“Già”
feci, abbassando lo sguardo.
Che
ti aspettavi?
“Piccola,
vieni dentro, si gela” mi chiamò Luke.
“No, sto bene” feci perentoria. Luke
sospirò mi raggiunse. “Non mi convincerai a
rientrare” lo ammonii. “Io non
voglio convincerti, voglio trascinarti” fece lui tranquillo,
prendendomi un
polso. “Non è esattamente il posto migliore per
giocare, sai?”
“E
allora non opporre resistenza, no?” fece con un sorrisetto.
Alzai gli occhi al
cielo. “Andiamo, piccola, hai le mani gelate. Sei stata fuori
un’ora e mezza,
come fai a non essere ancora congelata? Vieni dentro, devi scaldarti.
Sei in
pigiama, hai solo un giubbotto!” protestò. Io non
mi mossi e lui si sedette di
fianco a me. Mi mise una mano sulla guancia e mi costrinse a guardarlo.
“Piccola,
io… aspetta un momento” fece, spostando
velocemente la mano dalla guancia alla
fronte. Scosse la testa e appoggiò le labbra dove un attimo
prima c’era la sua
mano. “Adesso tu vieni dentro senza fare storie,
d’accordo?” disse, senza l’inflessione
giocosa di prima. “Perché?”
“Perché
spero di sbagliarmi, ma credo tu abbia la febbre.”
“Oh,
grandioso” sbottai.
***
Luke
mi aveva praticamente portata di peso fino in camera mia, mi aveva
tolto il
giubbotto e mi aveva infilata sotto le coperte. “Non
muoverti, va bene?” aveva
detto, mentre andava a cercare un termometro. In quel momento, eravamo
entrambi
ad aspettare, mentre io tenevo stretto il termometro sotto il braccio.
“Perché
sei salita sul tetto?” mi chiese lui. Feci spallucce.
“Non avevo voglia di
vedere gente.”
“E
perché non ci hai detto che eri sul tetto?”
“Perché
avreste saputo dove trovarmi.”
“Touché”
fece lui. Aspettammo ancora qualche secondo, poi lui mi
scostò gentilmente la
mano dal braccio e prese il piccolo termometro rosso. Lo
guardò con fare
critico qualche secondo, prima di dire, scocciato: “Perfetto.
Sei proprio un
fenomeno, sai?”
“Quanto
ho?”
“Quasi
trentanove.”
Sbuffai
sonoramente. “È inutile che sbuffi, te la sei
cercata” disse lui, mettendo via
il termometro. “Non è colpa mia!”
“E
di chi è, allora?”
Io
non risposi e incrociai le braccia. Lui si voltò verso di me
e mi vide così. “Piccola,
dai, non fare così… scusa se mi sono
arrabbiato” disse dolcemente, prendendomi
una mano e stringendomela. “Vedrai che ti passerà
in fretta. Però promettimi
una cosa.”
“Cosa?”
“Niente
più escursioni pomeridiane sul tetto quando
c’è vento freddo.”
“E
se fossero mattutine?”
“Coralie!”
“Okay,
okay. Prometto.”
“Brava.”
Lui mi sorrise e mi lasciò un bacio sulla fronte, prima di
uscire. Mi lasciai
sfuggire un piccolo sorriso. Il fatto che si stesse comportando in quel
modo mi
faceva quasi sentire come prima. Come se fossi importante, per lui.
Ma
non è così.
*Angolo
autrice*
Mhm,
okay, capitolo corto e tutto quello che volete, però sono
stata veloce, no? Non
ho molto da dire, se non una cosa: qualche teoria su come andranno a
finire le
cose? RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, SAPETE GIÀ COSA STO PER
DIRVI.
Non
ho nient’altro da dire. Poco loquace, alle due meno venti di
notte.
Alla
prossima!
Ranya
|
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Capitolo 38 *** Armor. ***
Armor.
“Coco?”
“Sì?”
“Ti
capita mai di tenerti qualcosa dentro, qualcosa che vorresti gridare al
mondo
ma hai paura di sapere come potrebbe reagire?” mi chiese
Luke. Io trasalii
impercettibilmente, prima di annuire. “E cosa fai, quando non
riesci più a
tenerlo dentro?” mi chiese di nuovo. Io feci spallucce.
“Diventa inchiostro su
un foglio bianco” dissi io. “Quante pagine hai
scritto, così?”
“Tante.
Circa sette quaderni di sfoghi.”
“E
dopo ti senti meglio?”
“Non
del tutto… rimane sempre qualcosa, di cui non riesci a
liberarti” risposi. Luke
rimase in silenzio un attimo. “Che ne dici se adesso lo
urliamo al mondo?” mi
domandò poi. Io annuii e ci alzammo. Sapevo già
cosa volevo urlare: quanto mi
mancava mia sorella, quanto sentivo un pezzo di cuore sbriciolato da
quando non
mi aveva riconosciuta. Volevo gridare tutto questo, ma avevo bisogno di
trovare
le parole giuste. Alla fine, mi sporsi, presi fiato e urlai
semplicemente: “Mi
manchi, Emma!”
Luke
mi guardò e mi strinse una mano. “Questo volevo
dirlo da un po’. Ma non ne ho
mai trovato il coraggio.” Si sporse, fece per prendere
fiato… ma si bloccò.
Sembrava paralizzato.
“Oh,
al diavolo questa idea!” sbottò poi, avvicinandosi
a me. “Devo dirti la verità,
questa recita mi sta facendo impazzire.”
“Di
cosa stai parlando?”
“Non
significhi nulla per me, Coralie. Te l’ho fatto credere per
non cacciarmi nei
guai con le tue amiche, anzi, i mastini. La verità
è che sono innamorato perso
di una ragazza che non conosci. Si chiama Diana ed è
bellissima, intelligente,
simpatica, divertente… mille volte migliore di te. Vorrei
dire che mi dispiace,
ma non sarebbe vero. Sei stata solo un riempitivo, in attesa che lei
arrivasse,
e non è stato bello. Insomma, non sarai mai alla sua
altezza, è stato un po’
come andare dalle stelle alle stalle con te. Più mi
costringevo a stringere i
denti e a resistere, più avevo un vuoto allo stomaco
pensando quanto mi mancava
Diana. E allora ti baciavo, cercavo di immaginare lei nella mia testa,
ma tu…
non sei lei. E non lo sarai mai. Mettiti l’anima in
pace.”
***
Ormai
avevo smesso di svegliarmi di soprassalto con quegli incubi. Loro
arrivavano, io
li vivevo e mi svegliavo piano, con le lacrime agli occhi e il
desiderio di non
alzarmi dal letto per tutto il giorno. Avevo smesso anche di cercare
Luke di
fianco a me, perché lui dormiva sul divano, da tre giorni
ormai, ovvero da
quando mi ero ammalata.
Era
uno strazio stare tutto il giorno a letto, non avevo nulla da fare e se
osavo
mettere un piede a terra c’era sempre qualcuno pronto a
spingermi di nuovo sul
materasso. Ero pervasa da una sonnolenza malsana e annoiata, come se mi
avessero svuotata di ogni energia. Non dormivo bene da tre giorni, sia
per la
febbre – che non accennava a scendere – sia per gli
incubi.
Sette
giorni. Mancavano sette giorni alla partenza dei ragazzi, ed io ero
bloccata lì
nel letto. Poteva andare peggio? Sì, Diana e Luke erano
sempre insieme. Poteva
andare ancora peggio?
Già. Gargoyle
non mi lasciava in pace. Mi ero resa conto di quanto non mi fosse
mancata per
niente e, a dire il vero, non sapevo nemmeno perché fosse
sparita. Fatto sta
che passava tutto il giorno sul bordo del mio letto, lontana da me come
se
avessi la lebbra, ma abbastanza vicina da farsi sentire mentre
decantava tutte
le doti fantastiche di Diana. Ancora un po’ e mi sarei
impiccata con le
lenzuola.
Ha ragione,
però.
“Questo
già lo so, grazie tante” pensavo ogni volta.
Intanto, davanti a me si
prospettava una settimana terribile.
***
“Coralie,
o mangi o chiamo il lupo cattivo.”
“E
cosa mi dovrebbe fare il lupo cattivo?”
“Ti
divora senza pietà, sbranandoti voracemente, rosicchiandoti
le ossa. Decidi,
mangiare o essere mangiata.”
“Sai,
vero, che traumatizzerai i tuoi figli facendo così, un
giorno?”
“Il
mondo è un posto molto brutto.”
“Già.
Comunque, non funzionano con me queste minacce. Ho smesso di credere ai
lupi
parlanti grandi e cattivi.”
“Stai
bestemmiando davanti ad una fan di Teen Wolf, ti ricordo.”
“Sono
io stessa fan, ma purtroppo mi pare difficile credere
all’esistenza di quei
gran pezzi di fighi al di fuori del mondo di Beacon Hills.”
“D’accordo.
Devo usare le maniere forti. Non volevo arrivare a tanto, mi dispiace,
mi ci
hai costretta.”
“Vediamo.”
“Mangia,
o chiamo Gargoyle.”
“Dammi
subito quel piatto” feci terrorizzata, strappando il suddetto
piatto dalle mani
di Manuela, che scoppiò a ridere. “Non sia
mai”, biascicai a bocca piena. “Te
l’avevo detto che sarei passata alle maniere forti, ma tu no,
non mi credi mai”
mi canzonò lei, ancora divertita. Io feci fatica a deglutire
– il boccone era
troppo grande – ma quando ci riuscii, tirai un sospiro di
sollievo. “Sai chi
mangiava questa roba?” chiesi, indicando il pesce lessato.
“Chi?”
“Tabitha,
quando finivamo le scatolette.”
“Oh,
non fare la melodrammatica. È solo pesce lessato.”
“Non
sa di niente.”
“Perché
sei malata. Ti assicuro che l’ho affogato nel limone e ci ho
messo sopra tanto
sale, come fai sempre tu.”
“Non
sa di niente lo stesso.”
“Eh,
che ci posso fare?” chiese lei storcendo la bocca.
“Niente, credo” ammisi. Lei
sospirò. “Ti ho già detto che quando
sei malata non ti si può reggere?”
“Anch’io
ti voglio bene.”
“Sentimento
reciproco, anche se a volte ti ucciderei.” Ridacchiai nel
vedere la sua faccia
esasperata. Improvvisamente, però, lei si fece seria.
“Ci hai parlato?” mi
chiese, per l’ennesima volta. Io scossi la testa.
“Come ti ho appena detto, a
volte sei da uccidere brutalmente. Accidenti a te. Guarda che se parte
senza
che voi vi siate chiariti, ti faccio qualcosa che ora non mi viene in
mente, ma
non fare quella faccia, non osare ridere, perché ti assicuro
che sarà molto brutto.
Moltissimo!” Io non
riuscii a
trattenermi e scoppiai a ridere. Lei si sdraiò di fianco a
me, nel posto che di
solito occupava Luke, e guardò il soffitto. “Ma ci
pensi, che fra sette giorni
quegli stronzetti andranno a realizzare il loro sogno? Non posso
crederci. Sono
così felice per loro…” fece con un
mezzo sorriso. “Però mi mancheranno
tantissimo. Ormai mi ero abituata alla loro presenza. È
bello averli in giro
per casa, nonostante qualche volta lascino i boxer usati in giro, cosa
piuttosto rivoltante.”
“Già.”
“Già
che è una cosa rivoltante, o già che ti
mancheranno?”
“Già
che mi mancheranno.”
“Già.”
Ridacchiammo.
“Sai una cosa?” fece lei poi.
“Cosa?”
“So
che è una cosa stupida da dire, infatti la sto dicendo solo
a te, prima che gli
altri mi ridano in faccia, però… era bello averli
qui, davvero, anche perché in
qualche modo sembrava che… ecco, che ci tenessimo insieme i
pezzi a vicenda.
Come se essere troppo stretti fisicamente si fosse trasformato in un
essere
troppo stretti metaforicamente. Capisci cosa intendo?”
chiese, voltandosi verso
di me. Io la guardai e sorrisi.
“Sai qual è
stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con
i ragazzi, e poi venire a vivere qui con voi. Siamo in otto –
ora in nove – e
si sta stretti, accidenti, ma è proprio questa la nostra
fortuna. Siamo tutti
un po’ rotti, è normale; ma siamo così
stretti, in questa casa, che ci teniamo
uniti a vicenda. Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’.
Sai al mattino,
quando ci stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo
tutti con le
spalle attaccate perché il tavolo è troppo
piccolo, e a volte siamo in due su
una sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che
senza di
voi io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto.
Mi ricordano
che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in
questa
casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia.
Sgangherata, e un po’ fuori
dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se
mi è
possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison;
però la mia
certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È
questo che mi fa sentire al mio
posto.”
“Ho
capito” dissi solo, tornando a guardare il soffitto. Sentii
gli occhi di
Manuela fissati su di me. “A che cosa pensi?” mi
chiese poi. “Penso che tu e
Michael siate proprio fatti l’uno per
l’altra.”
“E
questo cosa c’entra?”
“Niente,
è solo una cosa che ho notato.”
“Va
beh, non ti seguo” si arrese lei.
Rimanemmo
in silenzio qualche secondo. “Tu cosa hai preso per
Maddy?” chiesi poi. “Non ho
ancora preso nulla, non ho proprio idea di cosa regalarle. Accidenti,
per i
diciotto servirebbe qualcosa di spettacolare, tipo un’auto o
cose del genere,
ma non ce la possiamo permettere” rifletté
Manuela. Tre giorni dopo sarebbe
stato il compleanno di Madison; fortuna che i ragazzi sarebbero partiti
più
tardi. “Dici che con una colletta ci arriviamo?”
“Tesoro,
viviamo sotto lo stesso tetto, il nostro negozio ha chiuso e dipendiamo
dagli
assegni di mantenimento che ci passa tua zia; a proposito, che sia
benedetta,
lei con i suoi milioni. Che fortuna avere in famiglia una donna
così, e pensare
che Carol è sua figlia. Insomma, la generosità se
l’è tenuta tutta per lei, tua
zia.” Ridacchiammo. “Dai, non dire così
di Carol. Povera” la difesi all’ultimo.
Lei fece spallucce e aggiunse: “Sai che le voglio bene e non
parlerei mai male
di lei, se non per scherzare.”
“Sì,
lo so.”
“Comunque
non cambiamo discorso, non sappiamo ancora cosa regalare a
Maddy.”
“Chiederemo
a Calum indicazioni più precise.”
“Ci
sto.”
Ci
fu ancora silenzio, poi il mio cellulare squillò, segnalando
l’arrivo di un
messaggio. “E chi è? Siamo tutti in
casa” fece Manuela confusa. Io mi allungai
per prendere il telefono sul comodino. “È
Avril” feci perplessa. “Avril? Ma Avril
Avril?”
“Avril
Avril.”
“Avril
Avril Avril?”
“Dobbiamo
continuare ancora tanto?”
“Ok,
la pianto. Cosa ti ha scritto?”
Io
sbloccai il telefono e entrai nei messaggi, aprendo quello di Avril.
Era strano
che mi scrivesse: non si era fatta sentire per un po’, e io
nemmeno.
Wow,
stavo davvero pensando a una cantante di fama mondiale come se pensassi
ad una
persona normale?
“Non
ce l’abbiate con loro per quello che stanno per dirvi; non
è colpa loro.”
Manuela
ed io ci scambiammo un’occhiata perplessa e anche un filino
preoccupata.
“Che
cosa intendi?” scrissi velocemente. Lei non si fece
attendere. “Fra qualche
minuto vi arriverà una mail. Non ce l’abbiate con
i ragazzi, non sono loro che
decidono.”
“Continuo
a non capire” disse Manuela. Io decisi di tagliare la testa
al toro e composi
il suo numero. Uno, due squilli.
“Coralie,
non posso parlare ora, scusami.”
“No,
ti prego, non mettere giù. Cosa intendi? Perché
hai scritto quel messaggio?”
“Ve
l’ho detto, fra poco vi arriverà una mail con
quella che probabilmente sarà
presa come una cattiva notizia. Ma non prendetevela con i
ragazzi.”
“Ma
quali ragazzi?!”
“Gli
One Direction, Coralie, gli One Direction!” sbottò
lei, frettolosa e a bassa
voce. “Che cosa…”
“Devo
andare, scusa. Non avrei dovuto dirvi nemmeno questo. Se lo sa il mio
manager
mi ammazza, ma non potevo rischiare che ve la prendeste con loro. Non
c’entrano
niente.”
“Ma…”
“Ciao
Coralie, mi spiace, ci sentiremo un’altra volta.” E
così mise giù. Manuela ed
io ci guardammo preoccupate. “Di cosa stava parlando, secondo
te?” chiese. Io
avevo un dubbio atroce, che mi stava facendo impaurire. “E
se… avessero deciso
di annullare tutto?” Manuela impallidì.
“No, ti prego, non può essere
così”
disse terrorizzata. “Chiamiamo gli altri” dissi io,
il che significava: “Ti
prego, chiama gli altri, io non mi posso muovere da questo
letto.” Lei capì e
corse fuori dalla stanza. La sentii gridare i nomi dei nostri
coinquilini e in
poco erano tutti radunati nella mia stanza, tutti eccetto Gargoyle,
che: “Sto
facendo il mio riposino con maschera antirughe!” aveva
esclamato indignata.
“Che
succede, Coco?” chiese Diana. Luke, di fianco a lei, mi
guardava col fiato
sospeso. Io presi un gran respiro e dissi: “Mi ha chiamato
Avril” iniziai.
Michael m’interruppe subito: “Avril? Ma Avril
Avril?”
“Avril
Avril.”
“Avril
Avril Avril?”
“Non
ricominciamo, eh?” feci, mentre Manuela scoppiava a ridere,
una risatina
nervosa. Michael fece spallucce, mentre Calum m’incitava a
continuare. “Mi ha
detto che gli One Direction ci invieranno una mail che potrebbe farci
restare
male, e di non prendercela con loro, perché non ne hanno
colpa.” Un silenzio
teso calò sulla stanza: bene o male, tutti erano arrivati
alla mia stessa
conclusione. Il cellulare di Carol squillò e noi trasalimmo:
dato che lei si era
improvvisata manager, probabilmente quella era la mail. Ci radunammo
tutti
attorno a lei, compresa me: quando mi alzai, ebbi un giramento, ma Luke
mi
sorresse e mi avvicinò al gruppo, tenendomi un braccio
attorno alla vita. Carol
iniziò a leggere:
Gentili signori L. R.
Hemmings, C. T.
Hood, M. G. Clifford e A. F. Irwin, con la presente siete invitati a
presentarvi domani alle 12:47 al volo per l’aereoporto
Heatrow di Londra,
partenza l’aereoporto di Linate, a Milano. A causa
d’imprevisti, siamo stati
costretti ad anticipare la data della vostra partenza per il tour della
band
One Direction. Sperando che ciò non vi causi problemi, vi
auguriamo una buona
continuazione di giornata. Arrivederci,
L. W. Tomlinson, N.
J. Horan, L. J. Payne, H. E.
Styles, Z. J. Malik.
“Decisamente,
non l’hanno scritta loro” disse Carol sicura. Noi
annuimmo. Un senso di
sollievo si diffuse nella stanza: il tour non era stato annullato, e
loro non
erano stati nemmeno cacciati. Insomma, sarebbero solo dovuti partire il
giorno
dopo, no?
Un
momento. Sarebbero dovuti partire il giorno dopo?
Proprio
come c’eravamo sentiti rassicurati, cademmo nello sconforto
più totale. “Come,
domani?” chiese Manuela, con un’espressione
così ferita e confusa che mi sembrò
una bambina; la stessa espressione che trovai anche sui visi di Carol e
Madison
e che immaginai condividere. Diana era solo basita, mentre i ragazzi
sembravano
non capire cosa fosse successo. Io mi liberai dalla presa di Luke e
tornai sul
letto, avvolgendomi nelle coperte. “Preferivo non
saperlo” mormorai,
ricacciando indietro le lacrime. Mi ero ripromessa di parlare con Luke
il
giorno dopo, o due giorni dopo, ma non avremmo più potuto:
saremmo stati tutti
impegnanti con la partenza. Non volevo parlargli tramite un telefono.
Improvvisamente,
però, tutti i miei pensieri si fecero da parte, lasciando
spazio a un’altra
cosa: non ero io quella che ci sarebbe stata peggio, forse. Mi misi a
sedere di
scatto e vidi Madison che cercava di ricacciare indietro le lacrime.
Calum se
n’era accorto e la stava abbracciando, stretta che lei non
condivideva,
paralizzata nel suo sforzo di non lasciarsi sfuggire nemmeno una
lacrima. “Non
è giusto” disse solo, prima di scoppiare a
piangere sulla spalla del suo
ragazzo e avvolgerlo in un abbraccio stretto. “Maddy, mi
dispiace tanto” disse
solo lui. “Questo è il regalo di compleanno
più brutto che qualcuno potesse
farmi” singhiozzò lei. “Oh,
tesoro” fece Manuela, abbracciandola a sua volta.
Io non esitai e mi unii, mentre anche gli altri mi imitavano.
“E quando
tornereste?” chiese Diana. “A Natale. È
la prima data che ci hanno concesso,
più una settimana per le emergenze.”
“Non
può essere considerata un’emergenza,
questa?”
“Deve
c’entrare la salute di qualcuno.”
“Io
sono gravemente malata, potrei non superare le prossime tre
notti” dissi. “Non
credo se la berrebbero, Coco” fece Ashton con un mezzo
sorriso triste. “Avete
una settimana a testa che potete trascorrere indipendentemente, o una
settimana
come band?”
“Come
band. Non potremmo suonare senza uno di noi.”
“Quindi
chiedervi di rimanere qui per il suo compleanno
è…”
“Non
possiamo. Non all’inizio. Rischieremmo di venir
rimpiazzati” fece Ashton mesto.
Madison tirò su col naso. “Fa niente, ragazzi. Sto
bene. È solo il diciottesimo
compleanno, in fondo, no? Non è niente di così
grave” fece, tirando un sorriso
che non le riuscì nemmeno un po’. Calum scosse la
testa e le diede un bacio
sulla fronte. “Amore, se solo ci fosse un modo sai che
rimarremmo, ma non
possiamo” lo sentii sussurrare. Madison annuì e si
asciugò le lacrime. “Lo so,
lo so. Non è colpa vostra. Non è neanche colpa
loro. Non è colpa di nessuno”
riuscì a dire. “Colpa per che cosa?”
Fece una voce gracchiante alle nostre
spalle. Ci voltammo e incontrammo, a malincuore, lo sguardo arcigno
come sempre
di Gargoyle. Mi resi conto con sgomento divertito che ci avevo messo
qualche
secondo a ricordare il suo vero nome, ormai troppo abituata a chiamarla
così.
“I ragazzi dovranno partire prima, e non ci saranno per il
mio diciottesimo
compleanno. Ci sono rimasta un po’ male”
spiegò Madison. “Solo per questo?!
Ragazzina, quanto sei sensibile. Quando ero bambina io si piangeva per
molto di
più. È solo un compleanno, insomma! Non fare la
bimba capricciosa!” fece,
oltraggiata, prima di andarsene via, come se le lacrime di Madison
l’avessero
offesa nel profondo. Rimanemmo a bocca aperta qualche istante.
“Tua madre è
proprio un bijou, vero?” fece Carol, rivolta a Diana, che
annuì. Manuela
sbuffò. “Quando era piccola lei, si piangeva per
molto di più… peccato che
quando lei era piccola era ancora nell’età della
pietra, si piangeva solo se si
era stati sbranati da una tigre dai denti a sciabola.”
“Wow,
possiamo chiederle se ha incontrato un branco di animali bizzarro,
secondo
voi?” chiese Ashton. “Bizzarro in che
senso?”
“Nel
senso che è composto da tre mammuth, due opossum, due
bradipi, due tigri e una
talpa. Il branco originario era composto solo da un mammuth, una tigre
e un
bradipo. Notare che uno dei due bradipi del branco finale dovrebbe
avere circa
la sua età.”
“Solo
tu puoi pensare all’Era Glaciale quando si parla di queste
cose” fece Carol
ridacchiando. “Veramente l’ho pensato anche
io” aggiunsi timidamente. “Anche
io.”
“Io
pure.”
“Idem.”
“Mi
associo.”
E
così via, fino a che non rimase solo Carol, che si
guardò intorno. “Rettifico:
solo io posso non pensare all’Era Glaciale quando si parla di
queste cose” fece
ridacchiando. “Sarà anche la brutta imitazione di
un avvoltoio, però ci ha
offerto su un piatto d’argento delle battute che ci hanno
tirato su il morale”
fece Michael. Noi annuimmo. “E brava Gargoyle”
disse solo Diana, lasciandoci a
bocca aperta. “Davvero l’hai chiamata
Gargoyle?” chiese Madison. Lei annuì.
“Non potevo?”
“In
realtà non aspettavamo altro” fece Ashton ridendo.
“Una di noi! Una di noi!”
scandì Calum imitando i cori degli stadi, coro a cui si
unirono tutti, poco a
poco. Solo io, in disparte, evitai di aggiungermi; con la coda
dell’occhio,
vidi che anche Manuela si limitava a sorridere, ma mi lanciò
uno sguardo e
ammiccò, come a dire: “Tranquilla, sono dalla tua
parte. Sempre e comunque.”
***
Qualche
ora dopo, io mi ero fatta piccola piccola sul letto, per lasciare
spazio alla
valigia che Luke stava preparando. Lui aveva insistito per lasciarla
per terra,
ma non c’era abbastanza spazio per tenerla aperta,
così l’avevo obbligato a
lasciarla sul letto. Lui, dal canto suo, mi aveva obbligato a rimanere
sotto le
coperte. “Piccola, già sei malata e non
potrò salutarti come vorrei; almeno non
peggiorare la situazione” aveva detto. Io avevo annuito e
basta.
Volevo
parlargli, ma non riuscivo a decidermi. Come avrei potuto iniziare?
“Luke, so
che mi tradisci con Diana perché ho sentito che lei diceva
di amarti al
telefono”? Era un discorso accettabile?
No.
Perfetto,
opzione scartata. Intanto, Luke continuava a fare la valigia,
all’oscuro di
tutto.
“Piccola,
posso farti sentire una canzone?” chiese lui a un certo
punto. Io annuii e lui
collegò il suo cellulare al mio stereo. In poco, nella
stanza si diffusero le
note di un pianoforte.
I’m
not
bulletproof when it comes to you
Don’t
know what to
say when you made me the enemy
After
the war is
won, there’s always the next one
I’m
not bulletproof when it comes to you
Maybe
I’ll crash into you
Maybe
we would open up these wounds
We’re only alive
if we bruise
So
I lay down this armor
I
will surrender tonight
Before
we both lose this fight
Take
my defenses, all my defenses
I
lay down this armor
“È
bellissima” dissi, mentre un sorriso
ammirato si apriva sul mio volto. “Ti piace? Io la adoro. La
sto ascoltando
senza tregua da due giorni quando sono da solo. Sai, un po’
mi fa pensare a te”
disse sorridendomi. Io ricambiai debolmente, mentre lui tornava a
canticchiare.
Non
ti fidare.
Non
ce l’avrei fatta comunque.
I
lay down this armor for you.
“Luke,
posso parlarti?”
chiesi alla fine. Lui annuì. “Dimmi
tutto” fece, tornando a impilare tutte le
sue magliette nella valigia. “Ecco,
riguarda…”
“Scusatemi,
vi
disturbo?” fece Diana, affacciandosi sulla soglia di camera
mia. Non sembrava
tranquilla. “No” dissi io di riflesso, prima di
darmi della stupida; certo che
disturbava, eccome. “Luke, ti posso parlare? In
privato” fece lei, seria. Lui
si raddrizzò. “È importante?
Perché stavo per…”
“È
molto importante.”
“D’accordo,
arrivo”
disse Luke, posando l’ultima maglietta.
“Ma…” provai a protestare.
“Scusa,
Coco, torno subito” mi disse, prima di seguire Diana fuori
dalla stanza. Io
rimasi con la bocca socchiusa, un’espressione basita in
faccia. “No, prego, fa’
pure” sussurrai contrariata.
Davvero credevi di
poter essere la priorità di Luke?
Ci
speravo.
***
Venti
minuti dopo, Luke
tornò in camera. “Scusa piccola, questione di
massima importanza. Dicevi?”
fece. “Non mi ricordo” feci con un sorrisetto
imbarazzato.
Bugiarda.
La
verità? Non avevo
proprio intenzione di affrontare quel discorso, non dopo che lui mi
aveva
sbattuto in faccia come la pensava su chi delle due fosse
più importante. Lui
mi sorrise di rimando. “Beh, se ti viene in mente, io sono
qui” disse, tornando
a mettere a posto la valigia.
Certo,
così la prossima volta che attacchi bottone
tornerà Diana a rubartelo. Anzi, rubare è il
termine sbagliato: non è mai stato
tuo. Riprenderselo, ecco, questo è il termine esatto.
Mi
portai la testa fra
le mani, sperando che lui non lo notasse.
Come se potesse
notare qualcosa che ti riguarda.
A
volte faceva male
sapere quanto quella voce avesse ragione.
Luke
finì di preparare
la valigia e la chiuse, togliendola dal letto; si sedette al suo solito
posto e
mi abbracciò. “Non voglio andarmene”
sussurrò, stringendomi piano e
accoccolandosi contro il mio fianco. Io non riuscii a fare a meno di
appoggiare
la tempia contro la sua spalla, come facevamo sempre. Una sensazione di
calore,
tanto familiare quanto dolorosa, mi pervase al ricordo di tutte le
volte in cui
c’eravamo sdraiati così.
Rimanemmo
in silenzio
per molto, e a me andava bene così. Luke sembrava perso nel
suo mondo, con lo
sguardo fisso su un punto indefinito della coperta; qualche volta, gli
scappavano dei sospiri. Sembrava preoccupato, e non ero sicura del
fatto che
riguardasse solo la sua partenza. Io presi coraggio e gli chiesi:
“Va tutto
bene?” Ti prego, fa’ che
dica di sì,
pensai. Lui, però, scosse la testa. Ci fu un altro attimo di
silenzio, poi lui
si alzò e mi si sedette di fronte. “Coco, devo
dirti una cosa importante” fece
con sguardo grave e colpevole.
Pronta a tutta la
verità?
Io
trattenni il respiro.
“Cosa?”
“Riguarda
Diana, e il
motivo per cui ultimamente sto sempre con lei.”
Fu
quando sentii quelle
parole che mi resi conto di quanto non fossi pronta a quel discorso. Mi
alzai
di scatto, facendolo sussultare. “Coco?”
“Po-possiamo
parlarne
fra un attimo? Devo andare in bagno” dissi nel panico. Lui mi
guardò con la sua
espressione da cucciolo smarrito che mi fece sentire ancora peggio.
“Va… va
bene” disse, mentre mi guardava sparire nel bagnetto.
Cercando di non farmi
notare, presi il cellulare dal comodino e mi chiusi a chiave. Aprii
subito
Whatsapp e cercai la chat che mi interessava.
“Manuela,
ti prego,
aiutami. Fai qualsiasi cosa, ma impedisci a me e Luke di rimanere da
soli.”
La
risposta non tardò ad
arrivare, con la solita finezza di Manuela:
“Che
minchia succede?”
“Vuole
parlarmi di lui e
Diana.”
“E…?
Qual è il problema?
Non è quello che aspettavi da quando l’hai
scoperto?”
“Sì,
ma…”
“Non
sei pronta, vero?”
“Assolutamente.”
“Okay.
Dove sei?”
“Chiusa
in bagno.”
“D’accordo.
Mettici un
po’, faccio quello che posso.”
“Hai
un’idea?”
“Sì,
fidati di me.”
“Grazie.”
“Di
nulla, tesoro.”
Feci
un sospiro di
sollievo, prima di sentire gli occhi bruciare per le lacrime. Mi
sedetti contro
la porta, aspettando un segno di vita di Manuela, nonostante sapessi
che ci
sarebbe voluto un po’.
Passarono
diversi
minuti, poi sentii un bussare leggero alla porta. “Coralie?
Va tutto bene?”
chiese Luke con voce flebile. “I-io… no”
dissi. “Che succede?”
“Mi
viene da vomitare.”
Appena lo dissi – forse per autosuggestione, forse per la
paura, forse per
tutto quello che stava succedendo – sentii un conato.
“Fammi entrare, piccola,
ti prego” disse lui. “Non… non credo sia
un buon momento per parlare” dissi, gattonando
verso il water. “Lo so, lo so. Voglio solo aiutarti. Per
favore, Coco… aprimi.”
Io
rimasi immobile
qualche istante, con gli occhi gonfi di lacrime. Il suo tono era
implorante,
sembrava che stesse per piangere a sua volta. Mi stava facendo
scoppiare il
cuore.
Mi
alzai e girai la
chiave nella toppa, prima di tornare al mio posto. Lui aprì
la porta piano e mi
raggiunse, inginocchiandosi di fianco a me. Mi mise una mano sulla
fronte,
sorreggendomi la testa. “È per la
febbre?”
“Credo
di sì.”
“Va
bene.” Non aggiunse
altro: continuò a sorreggere la mia fronte, mentre con
l’altra mano mi
accarezzava piano la schiena, come a confortarmi. Io singhiozzai e lui
mi
guardò confuso. “Coco?”
“Niente,
è che… è da
quando ero bambina che vomitare mi spaventa. Da piccola scoppiavo a
piangere,
credo che mi sia rimasta questa cosa.” Era la
verità: un’altra delle mie
stranezze.
Un’altra
stranezza che rende Diana la scelta migliore.
“Oh,
piccola” fece lui,
scuotendo la testa. “Va tutto bene, tranquilla. Ci sono io
qui” sussurrò.
È tutta
una bugia.
***
Rimanemmo
così qualche
minuto. Vomitai, ma lui non si spostò. Mi chiese
più volte come mi sentissi,
senza impazienza, anzi: c’era una dolcezza cauta nella sua
voce, come se stesse
cercando di tranquillizzare una bambina.
Sentimmo
il citofono
suonare e Luke si voltò verso la porta.
“Aspettavamo visite?” chiese incerto,
sempre tenendomi la fronte. Io scossi piano la testa, quanto bastava
perché lui
capisse. “E allora chi è?” fece confuso.
Sentimmo dei passi veloci su per le scale
e la porta del bagno si spalancò, facendoci sussultare.
Manuela era sulla
soglia della porta, con tre cartoni fumanti di pizza in mano.
“È arrivata la
pizz… ah” disse, mentre il suo entusiasmo si
sgonfiava come un palloncino
bucato. “Che diavolo succede?” chiese, lasciando le
pizze sul lavandino e
inginocchiandosi accanto a noi. “Non si è sentita
bene e ha vomitato” spiegò
Luke. Manuela fece una faccia perplessa. “Quindi devo dedurre
che chiamare la
pizza non sia stata una buona idea?”
“No.
La voglio mangiare,
ho fame” dissi io tossicchiando. “Sei
sicura?” chiesero in coro Manuela e Luke.
Io annuii e mi alzai traballante, mentre i due scattavano in piedi.
Manuela mi
porse un bicchiere d’acqua, che aveva riempito nel giro di
due secondi, ed io
la ringraziai, sciacquandomi la bocca da quel sapore orribile.
“Andiamo di
sotto, gli altri ci stanno aspettando” disse poi la mia
migliore amica. Noi
annuimmo e Luke prese le pizze, andando avanti. “Va tutto
bene?” mi sussurrò
Manuela in un orecchio. Io annuii incerta e lei mi strinse una mano.
“Venite,
ragazze?” chiese Luke dal corridoio. Noi lo raggiungemmo e
scendemmo le scale.
Quando arrivai al piano di sotto, non potei evitare di sorridere
debolmente: i
divani erano stati spostati per far posto ai ragazzi, così
come il tavolino. La
televisione era accesa, con la schermata del menu principale di Aladdin che lampeggiava. I ragazzi erano
seduti in cerchio sul tappeto, con i cartoni delle pizze in mezzo. Era
esattamente come una delle prime sere… la stessa sera in cui
Luke ed io ci
eravamo baciati la prima volta. Mi guardai intorno e notai che era fin
troppo
uguale a quella scena avvenuta tanti mesi fa.
“Dov’è Diana?” chiesi confusa.
“Sua madre l’ha portata fuori a mangiare. Abbiamo
cercato di farla rimanere, ma
è stata inflessibile” spiegò Madison.
Manuela mi strinse la mano piano e
sussurrò nel mio orecchio: “Indovina chi ha messo
la pulce nell’orecchio di
Gargoyle” con tono scherzoso. Io mi voltai verso di lei e
sorrisi, per la prima
volta in tutta la sera. “Grazie” sussurrai, mentre
Luke si sedeva e appoggiava
le pizze in mezzo. Io e la mia migliore amica raggiungemmo gli altri,
sedendoci
nell’unico spazio libero: io ero di fianco a Luke e Manuela,
e lei era di
fianco a Michael, che le stampò un bacio sulla guancia
appena lei si accovacciò
accanto a lui. “Bella idea, quella delle pizze, piccola
cupcake” lo sentii
dire. Manuela ridacchiò e gli diede un piccolo bacio sulle
labbra, prima di
prendere un cartone di pizza e aprirlo. “Chi ha preso
questa… cosa?!” chiese, tappandosi
il naso davanti alla pizza con kebab, cipolle, aringhe, fagioli e altri
ingredienti non meglio identificati. Michael scoppiò a
ridere, prima di dire:
“È mia, amore”. Manuela lo
guardò atterrita. “Sai, vero, che stanotte dormi
sul
divano? E che la tua bocca dovrà stare ad almeno tre metri
da me per tutta la
sera?”
“Oh,
amore, suvvia!”
“Suvvia
‘sta minchia! Mi
vuoi ammazzare?! Santo cielo, esiste davvero una cosa del
genere?”
“No,
l’ho chiesta
apposta io. Il tipo che ha preso le ordinazioni era abbastanza
sconvolto.”
“E
vorrei ben vedere!
Dio, l’ultima sera dovrò davvero ricordarmela
così?!”
Michael
continuava a
ridere, come se fosse la cosa più divertente del mondo,
mentre Manuela sembrava
alquanto demoralizzata. Luke mi sussurrò
all’orecchio: “Stai tranquilla,
piccola, la mia è innocua.” Ridacchiai al
pensiero, mentre Carol premeva il
tasto play del DVD. In pochi secondi, iniziò la canzone che
apriva il film.
Senza che nemmeno ci fossimo messi d’accordo, ci mettemmo
tutti a cantare: “La
mia terra di fiabe e magie, credi a me, ha i cammelli che van su e
giù. E ti
trovi in galera anche senza un perché… Che
barbarie, ma è la mia tribù!” ci
guardammo, ridendo della nostra sincronizzazione, per poi continuare:
“Brilla
il sole da sud, soffia il vento da nord, c'è un'intensa
complicità. Sul tappeto
ora va, dove andare lo sa, nelle notti d'oriente
andrà!”
Michael
balzò in piedi
e, a braccia spalancate e a occhi chiusi, iniziò a urlare:
“Le notti
d'Orieeeeeente, fra le spezie e i bazaaaaaaaar, son calde lo sai,
più calde che
mai, ti potranno incantaaaaaaar! Le notti d'Orieeeeeeente, con la luna
nel
bluuuuuuu… Non farti abbagliar, potresti bruciar di passione
anche tuuuuuu…”
Quando
finì, ci mettemmo
ad applaudire divertiti. “Grazie, grazie” fece lui
inchinandosi con aria di
sussiego. “Questo è il ragazzo che
aprirà il concerto degli One Direction,
ragazzi!” lo prese in giro Manuela, ridendo. “Mi
avresti preferito se fossi
stato un piccolo snob che disprezza la Disney?”
“In
realtà ti avrei
ripudiato da qualche mese, se tu avessi odiato quella che è
stata la mia
infanzia e che ora è la mia adolescenza.”
“E
allora sono il tuo
principe azzurro!”
“Sposiamoci
domani!”
fece Manuela con il tono sognante di una principessa dei cartoni
animati.
“Certo, amore mio!” rispose lui con lo stesso tono.
La prese in braccio e
iniziò a saltellare per la sala, facendoci ridere.
“Ragazzi, abbiamo fame,
venite qui!”
“No!
Noi dobbiamo
sposarci e vivere per sempre felici e contenti nel nostro castello
incantato!”
protestò Manuela. “Immaginate quanto
sarà perfetta la nostra vita! Iniziare a
cantare canzoni mai sentite prima, inventate sul momento, e come per
magia sapremo
entrambi il testo, e ci innamoreremo sempre di più, in mezzo
agli animali del
bosco che cantano con noi e parlano e ci portano ghirlande di fiori! La
forza
del nostro amore sconfiggerà qualsiasi male!”
rincarò la dose Michael. “Se non
venite qua a sedervi giuro che mi trasformo in un drago e vi stacco la
testa a
morsi. O venite a mangiare, o sarete mangiati!” disse Carol,
mentre il suo
stomaco brontolava. Michael fece un verso oltraggiato, portandosi la
mano sul
petto e lasciando cadere Manuela a terra, che urlò un paio
d’insulti
decisamente poco fiabeschi. Michael però non ci fece caso e
urlò: “Amore,
abbiamo trovato Malefica!”
"Io
non sono
Malefica!" protestò Carol. "Hai appena detto che ti
trasformeresti in
un drago! Chi sei, se non lei?"
"Se
io sono Malefica,
tu cosa saresti?!"
Michael
sembrò pensarci
su qualche istante; poi, all'improvviso, si gettò in
ginocchio e camminò
goffamente verso Carol, con un sorriso enorme sul viso e gli occhi
sgranati.
"Ciao! Mi chiamo Olaf e amo i caldi abbracci!" scoppiammo tutti a
ridere. "Manuela, tu chi sei?"
"Oh,
io ho già le
idee molto chiare" fece Manuela, prima di alzarsi e saltare sul divano.
Si
schiarì la voce e iniziò a esclamare: "Disonore!
Disonore! Disonore su di
te, disonore sulla tua famiglia, disonore sulla tua mucca!"
"Mushu!"
esclamò Calum ridendo. "Mi piace questo gioco!" fece Luke
ridendo.
"Okay, okay, ora tocca a me!" disse Calum di nuovo. Si
guardò intorno
e prese i cartoni di pizza, impilandoli e tenendoli fermi col mento.
iniziò a girare
per la stanza così, barcollando vistosamente. "Gas-gas!"
feci io.
"Sì!" rispose Calum, battendo con me il cinque. "Tocca a me.
Manuela, vieni qui, devi ricordare questo cartone" dissi poi, alzandomi
e
allontanandomi dal gruppo con lei. Le sussurrai qualche parola
nell'orecchio e
lei s’illuminò. “Scherzi? Certo che lo
ricordo, è il mio cartone preferito!” Mi
disse entusiasta. Io sorrisi e tornammo in mezzo alla sala. Mi schiarii
la voce
e iniziai a cantare con la mia bellissima e melodiosissima voce:
“Che strazio
stare insieme a lei d'estate...” Lei intervenne:
“Non sa cacciare, né tirar di
boxe! È vanitoso...”
“Quanto
non mi piace!”
Insieme,
continuammo:
“Se ci sto insieme il morbillo avrò!”
Toccò
di nuovo a me:
“Fremevo ad aspettar!”
“Felice
d'esser qui!”
Ancora
insieme: “Ma
vorrei scappar!”
Lei
mi voltò le spalle
e, con sguardo sdegnoso, fece: “Con lui non
potrò...”
“Con
lei io non
potrò...”
Insieme,
per ultima
cosa, incrociammo le braccia, esclamando: “Giocar!”
Dopo
la nostra
bellissima interpretazione, ci voltammo verso gli altri, che ci
guardavano in
panico. “La conosco, ve lo giuro, ma non ricordo di che film
sia!” esclamò
Madison, con le mani sulle tempie. Michael lanciò un urlo
frustrato. “Perché
non me lo ricordo?!” esclamò poi.
“Continuate!” ci incitò invece Ashton.
Manuela
ed io ridacchiammo e lei si schiarì la voce con fare
teatrale, prima di
lanciarsi nell'imitazione di una voce semi-lirica. “Van
già d'accordo, amico
mio, che affare!” Io le presi la mano entusiasta e con voce
profondissima, fino
a essere ridicola, risposi: “I regni uniremo noi
così!”
“È
proprio a questo che
dobbiamo puntare!”
“Anche
genitori...”
“Siam
politici. Felice
son per voi!”
“D'accordo
siamo noi!”
“Derek
sposerà!”
“Dico
che potrà...”
“Sì
che lei potrà!”
Insieme:
“Cederà!” Lei
ridacchiò e: “Oh, divertente!” Ci
voltammo di nuovo verso il nostro pubblico,
trovandolo più confuso di prima. “Dai, ragazzi,
siete delle vergogne!” si
lamentò Manuela. Io mi guardai intorno, ridendo, prima di
vedere Luke: era a
terra, con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi sgranati; la sua testa
ondeggiava a tempo, mentre lui canticchiava. A un certo punto,
schioccò le dita
più volte, vicino alla soluzione, prima di esclamare:
“L'Incantesimo del Lago!”
“Grande!”
fece Manuela,
mentre gli altri si abbandonavano a esclamazioni di sconfitta molto
simili al
gracchiare di uno stormo di cornacchie. “Tocca a me, tocca a
me!” fece Luke,
radioso come un bambino, alzandosi per sedersi al nostro posto. Manuela
ed io tornammo
a sederci, mentre Luke si schiariva la gola. “Messere
Michael, la mia persona
necessiterebbe delle tue gargantuesche capacità vocali.
Accetti la mia
proposta?”
“Oh,
santo cielo, parla
in termini che io possa capire” disse Michael ridendo,
alzandosi e affiancando
l’altro, che ridacchiava in quel suo modo adorabile.
“Allora, cosa dobbiamo
fare?” chiese Michael, strofinandosi le mani. Luke gli
sussurrò qualcosa
nell’orecchio e dall’espressione entusiasta di
Michael capimmo che aveva
compreso bene il cartone da imitare. S’inginocchiò
e si affiancò a Luke, prima
di guardarlo in cagnesco, sguardo che Luke ricambiò.
“Io potrei fare un sacco
di cose!” esclamò Michael, mentre Luke lo guardava
scettico. “Sarei un re se mi
staccassi da te!” continuò il più
grande, spingendo Luke lontano, che per caso
si voltò verso di noi e mi vide saltellare sul posto: avevo
già capito di quale
cartone si trattasse. Lui però mi fece segno di non dirlo,
ridacchiando, prima
di voltarsi verso Michael, che andò avanti: “Sarei
stato un gran solista, ma
anche un bel rockista, draghizzando con un gesto la mia
vita… Cornelius,
proprio me! Dei draghi il vero grande re! Con il mondo intero fra le
dita… ma
con me ci sei tu!” così dicendo, puntò
un dito contro Luke, che fece una faccia
oltraggiata. “E che succederebbe se invece non ci fossi tu,
mhm?!” fece, con
voce acuta e la r moscia. S’interruppero un attimo e videro
me, Manuela e Carol
impazienti di rispondere. “Dai, Coco lo sapeva per
prima” disse Luke,
rivolgendomi un piccolo sorriso. “La spada magica!”
esclamai trepidante. I due
annuirono e tornarono a sedersi, mentre io mi alzavo di nuovo.
“Ash, vieni?”
“Finalmente,
credevo non
mi avrebbe mai scelto nessuno!” fece lui, schizzando in piedi
al mio fianco. Io
usai una mano per appoggiarmi a lui e mi tolsi un calzino.
“Dobby” disse lui
immediatamente. Io lo guardai torva. “No. Dammi il tempo di
fare quello che
devo.” La verità? Dobby era esattamente quello che
volevo fare, e lui mi aveva
tolto il divertimento. Dovevo inventare in fretta qualcosa che
implicasse un
calzino… ma certo!
Feci
voltare Ashton e
gli misi la calza sulla spalla. Poi feci un sussulto di paura e orrore,
urlando: “Ventitré-diciannove! Abbiamo un
ventitré-diciannove!”
“Monsters
& Co.!”
urlò Madison, mentre tutti scoppiavano a ridere.
Continuammo
così tutta
la sera, fermandoci di tanto in tanto a dare un morso alle pizze
– che in poco
diventarono fredde – mentre Aladdin, in sottofondo, veniva
ignorato. Le ore
passarono in un attimo, così, quando il citofono
squillò, rimanemmo tutti
basiti. “Sono già tornate? Ma sono
appena… le undici?!” Manuela, guardando
l’orologio, rimase esterrefatta. “Wow”
fece solo Carol, mentre Madison
rispondeva al citofono.
***
Verso
mezzanotte, Luke
ed io tornammo in camera nostra. Lui si chiuse in bagno, mentre io mi
cambiavo
e mi mettevo il pigiama, ovvero una maglietta di Luke e un paio di
pantaloni
della tuta estremamente grandi. Quando lui uscì dal bagno,
io presi il suo
posto; nel giro di cinque minuti, mi infilai sotto le coperte, al suo
fianco. Gli
davo le spalle, ma lui non ci fece caso: mi abbracciò e mi
attirò a sé,
ignorando la resistenza – troppo lieve per essere notata,
troppo presente per
dire che non ce ne fosse – che stavo opponendo.
“Dio, non voglio pensare a
quanto mi mancherai” sussurrò.
Forse
perché non gli mancherai nemmeno un po’.
Io
serrai la mascella.
Fino a che eravamo rimasti con gli altri, quel senso
d’impotenza e tristezza
che ormai mi contraddistingueva se n’era andato, ma ora che
eravamo da soli era
tornato in tutta la sua magnificenza, e mi stava schiacciando.
“Coco?”
“Sì?”
“Io…
io ti mancherò,
vero?” mi chiese con voce incerta. Io sentii una stretta al
cuore. “Sì, Luke,
mi mancherai. Tantissimo.”
È triste
il fatto che sia ancora la verità.
Angolo autrice
Chiedo.
Umilmente.
Perdono. Non avete idea di quanto questo capitolo sia stato un parto.
Non so
nemmeno cosa dire per scusarmi, perché non ci sono scusanti.
Alloora…
sorpresa! I
ragazzi se ne vanno via! E Coco e Luke – ormai si
è capito – non parleranno.
Triste, no? Ad ogni modo, cosa ne pensate?
Vi
lascio con il titolo
della prossima canzone, quindi del prossimo capitolo: These four walls.
Ciauuuu
Ranya
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Capitolo 39 *** The memory ***
The memory
“E questa è l’ultima” fece Calum, issando la sua valigia nel retro pieno zeppo del furgone. Michael ci sbirciò dentro, scoraggiato. “Credo che io e te dovremo stare sul tetto, amico” disse poi, rivolgendosi al primo. “Fortuna che ho scritto il mio nome sul sedile del passeggero” commentò Luke ridacchiando, mentre i due lo guardavano torvi. Ashton rise. “Che bello vedervi mentre battibeccate come delle galline. È un sollievo, a volte, essere l’unico con la patente: ti assicura un posto fisso in macchina, che non sia sul tetto.”
“Sì, sì, divertiti finché puoi: sto per compiere diciotto anni anch’io, stronzetto, e non aspetterò come Calum e Luke per farmi la patente” replicò Michael, chiudendo le ante del retro del furgone. Manuela gli si avvicinò e gli mise un braccio attorno alle spalle. “Non vedo l’ora di farmi portar per negozi da te. Che dici, andiamo in centro a fare shopping, appena prendi la patente?” chiese. Michael sgranò gli occhi. “Ora che ci penso, non avete avuto tutti i torti: aspettare è un’idea molto allettante. Anzi, credo che andrò in bicicletta per il resto della mia vita” disse con un sorriso angelico. Manuela mise il broncio e Michael ridacchiò, dandole un bacio sulla fronte. “Scherzo, cupcake. Ti prometto che una volta finito questo benedetto tour, ti porterò a girar per negozi per un giorno intero.”
“Ricordati di queste parole, quando saremo in giro.”
“So già che me ne farai pentire.”
“Oh, sì, amaramente.”
“Beh, ho un intero tour per prepararmi.”
“Non ti preoccupare, ti aspetterò. Ora che anche Coralie guarda Once upon a time, avremo molto da fare per i prossimi quattro giorni, cinque al massimo.”
“Rinfrescami la memoria: quante puntate ci sono?”
“Un centinaio, ma cinque giorni basteranno.”
“A volte ho come l’impressione che tu sia ossessionata.”
“Io? Davvero? Noo, ma come ti viene in mente?!”
“Dimmi la verità: questa ossessione deriva da Uncino?”
“Cinquanta e cinquanta” fece lei, ammiccando. Io, che avevo origliato nonostante fossi lontana, intervenni: “Beh, fortunata te: la mia ossessione per Once upon a time è formata all’ottanta per cento da quel gran pezzo di pirata.”
Luke mi si avvicinò e, con un sorriso da canaglia, mi prese per un fianco e mi attirò a sé. “Posso diventare anch’io un cattivo ragazzo, se ti va” fece. Diana ridacchiò e gli batté una mano sulla spalla. “Vai benissimo così” commentò, prima di superarci. Luke la seguì con lo sguardo, ridendo a sua volta; i suoi occhi indugiarono su di lei quel secondo di troppo che bastò a farmi male.
Distolsi lo sguardo, incapace di reggere il suo quando esso si posò su di me. Guardare quegli occhi azzurri che mi conoscevano meglio di chiunque altro mi era insopportabile, in quel momento. Lui, questa volta, sembrò farci caso.
Era ora, sussurrò la vocina nella mia testa.
Mi allontanai senza dire una parola, giusto per essere intercettata da Manuela, che mi passò davanti e, a denti stretti, sussurrò un piccolo “Parlaci” seguito da una marea di insulti. Io però scossi la testa.
Ormai è tardi.
***
“Ormai è tardi” fece Madison, guardando l’orologio. “Dovete essere in aeroporto fra quaranta minuti, dovete sbrigarvi!”
Luke si avvicinò a me e mi si sedette di fianco, sul gradino che avevo occupato. “Coralie, cosa ti succede?”
“Niente.”
“No, non è vero. Parlami.”
Io sospirai e mi voltai verso di lui. “Va tutto bene, Luke.”
Lui mi si avvicinò ancora di più e mi appoggiò una mano sul viso. “Guardami negli occhi” mi intimò. Io, riluttante, obbedii; riuscii anche a tirare un sorriso, con non so quale forza.
“Che cosa ti succede, Coco?”
Lo sai. Non fare il finto tonto.
“Non mi succede niente.”
“Coralie.”
“È la verità.”
Lui sospirò. “Davvero credi che io non ti conosca per niente?”
“Cosa vuoi dire?”
“Mi sono innamorato di te guardandoti negli occhi. Ci vedevo una persona bellissima, la persona migliore che avessi mai incontrato. Ora ti guardo, e sono vuoti. Non c’è più quella scintilla che una volta bruciava, e che mi ero illuso di alimentare. Cosa ti succede? Perché sei spenta?”
“Io non…”
“Coralie, voglio aiutarti. Ma tu devi permettermelo.”
Abbassai lo sguardo. “Non c’è niente che tu possa fare, se non essere sincero.”
Lui mi guardò confuso. “Sincero? E su cosa?”
“Lo sai.”
“No, non lo so!” esplose lui, facendomi trasalire. Io lo guardai con espressione ferita e lui si congelò sul posto. “Io… Davvero? Parli di Diana?” fece confuso.
C’è arrivato, eh?
“Coco, non potevo dirtelo. Non riguarda me. Devi credermi: non c’è niente di me che io ti tenga nascosto.”
Come no.
“Ne parliamo quando torni, okay?” feci, senza più energie per ribattere, mentre mi mettevo in piedi. Lui, però, si alzò di scatto e mi sbarrò la strada. “No, ne parliamo adesso.”
“Siete in ritardo.”
“Non m’importa.”
“A me sì.”
“Non sei tu quella che deve partire. Non voglio lasciarti qui, così.”
“Luke, ne parliamo quando torni. Sai che non mi caverai una parola di bocca, ora.”
“Ma…”
“Fidati, è meglio così.”
Lui sembrò sgonfiarsi di ogni energia: le spalle caddero verso il basso, così come il suo sguardo. Senza dire una parola, mi tirò a sé, stringendomi contro il suo petto. Io ricambiai debolmente, in silenzio.
Improvvisamente, lo sentii singhiozzare. “Coco?”
“Sì?”
“Perché questo abbraccio sa d’addio?”
Perché lo è.
***
Li guardai allontanarsi, mentre con loro si allontanava anche una parte di me. Non avevo più le forze di oppormi, di ribellarmi, nemmeno di piangere. Ero lì: un guscio vuoto che si vede portare via tutto ciò in cui credeva.
Walk away, I’m barely breathing as I’m lying on the floor.
Take my heart as you’re leaving… I don’t need it anymore.
Quando il furgone girò l’angolo, sentii i passi di due persone – probabilmente Madison e Carol – dirigersi in casa. Io rimasi immobile: non riuscivo nemmeno a muovere un passo.
Manuela mi strinse una mano. “Andiamo” disse solo, con dolcezza, tirandomi piano. Io la seguii, o meglio, mi lasciai trascinare. Quasi a forza, poi, Manuela mi fece sedere sul divano.
Diana fece per sedersi di fianco a me, ma Manuela la precedette, infilandosi a forza fra noi due. Poi, scoccò alla rossa un’occhiata feroce. Stupendo tutti – prima fra tutti me – però, quella volta lei reagì.
“Si può sapere cosa vi ho fatto?! Pensavo che finalmente stessimo iniziando ad andare d’accordo, e ora non posso nemmeno avvicinarmi a voi! Qual è la mia colpa? Cosa vi ho fatto di così grave da meritare solo odio?!” urlò. Madison e Carol la guardarono basite, Manuela sconvolta, io vacua.
La mia migliore amica si alzò, pronta probabilmente a uccidere Diana, ma io la bloccai. “Non ne vale la pena” dissi solo in un soffio.
Manuela mi guardò, come se non potesse credere a quello che stavo dicendo. Si inginocchiò di fronte a me. “Non puoi arrenderti, va bene?”
“Per cosa sto lottando?”
“Per te stessa, per voi! Non ti ricordi?!”
“Ricordo tutto benissimo. È questo il peggio.”
Someone help me, ‘cause the memory convinced itself to tear me apart
And it’s gonna succeed before long.
“Non ci credo. Non ci voglio credere, okay? Che fine hanno fatto tutti i vostri sogni, tutte le vostre promesse?!”
“A quanto pare erano solo miei.”
Carol e Madison si scambiarono un’occhiata e si alzarono. Carol posò una mano sul braccio di Diana e le indicò la porta con un cenno della testa. La rossa provò a resistere, ma alla fine si arrese e seguì le due fino in giardino, lasciandoci sole. Appena in tempo: iniziai a singhiozzare senza ritegno e appoggiai la testa alla spalla di Manuela, che non esitò a stringermi a sé. “Fa così male” sussurrai.
This is the memory
This is the curse of having
Too much time to think about it
It’s killing me.
“Devi dirlo a Diana.”
“Non voglio farlo.”
“Senti, non intendo più ascoltare questa tua nenia autocommiserativa. Se sei così sicura di aver perso tutto, cos’altro potrai perdere, nel parlare con lei?”
“Significherebbe confermare quello che già so.”
Manuela si alzò di nuovo in piedi. La sua frustrazione era palese, ma non potevo farci niente.
Mi prese un polso, come per scuotermi dalla mia apatia, e esclamò con rabbia: “Senti, tu, mi hai stancata. Cosa devo fare per riavere la mia migliore amica?! Un esorcismo? Va bene, farò anche quello. Rivoglio la vecchia Coralie! La Coralie che non aveva paura di mettersi in gioco! Cosa mi sta a significare il ‘non voglio confermare quello che già so’?! Davvero sei disposta a vivere così, appesa?! Sei impiccata, Coco. Ogni secondo senza ossigeno ti sta riducendo a quella che sei ora. Sei la copia sbiadita della mia migliore amica, e a me non sta più bene. Non mi sta più bene, hai sentito?! Quindi ora muovi quel culo pesante che ti ritrovi, e vai a fare qualcosa per risolvere la situazione! Di cos’hai paura, eh?!”
Io alzai lo sguardo, mentre le lacrime iniziavano a ostruirmi la vista. Questo, sorprendentemente, sembrò farla arrabbiare ancora di più. Mi spinse con la schiena contro il divano, lasciandomi di stucco. Poi, prese un cuscino e, con rabbia, me lo lanciò in faccia. Sapevo benissimo che lo stava facendo per non picchiarmi sul serio.
La lasciai fare. Magari quelle botte mi avrebbero riscossa.
Quando si fermò, aveva il fiatone. Mi guardò un istante, per cercare un accenno di segno di vita. Quando non ne trovò, quando vide che non era cambiato nulla, cadde in ginocchio, improvvisamente distrutta quasi quanto me.
“Di cos’hai paura, Coralie?” chiese di nuovo, stavolta a bassa voce, implorante: mi supplicava di darle una spiegazione, di renderla partecipe.
Io ci pensai qualche secondo, cercando la risposta nella matassa senza capo né coda che avevo al posto dei pensieri e del cuore. “Penso che la mia paura più grande, adesso, sia di dover fare a meno di una persona che consideravo – che considero – essenziale.”
Manuela mi guardò in silenzio, incitandomi implicitamente a continuare; così, sospirai e andai avanti. “So che è stupido, e che ho solo diciassette anni, ma… penso di aver imparato cosa sia l’Amore, quello vero. Mi sono resa conto di amarlo nel vero senso della parola solo quando lo stavo perdendo. L’ho realizzato soltanto quando l’ho visto andare via, oggi. Io non… sono cresciuta – siamo cresciute – con un’ideologia, quella del Vero Amore di cui la Disney si è fatta portavoce… so che è infantile, ma io ci credo. E credo che il Vero Amore sia una cosa rarissima nella vita di una persona. Io so, lo sento: lui era il mio Vero Amore. A quanto pare io non ero il suo.
“Sono sempre stata un po’ un disastro, lo sai. Un sacco di macerie ovunque. Quando lui è entrato nella mia vita, pensavo di poter contare su di lui come muro su cui costruire l’impalcatura. Poco a poco, da muretto esterno, è diventato un muro portante. E adesso che se n’è andato, mi sono trovata di nuovo con i piedi all’aria, e un sacco di macerie in giro. Come se non fosse cambiato nulla in questi mesi.
“Ho paura, Manuela. Ho paura di non essere in grado di costruire di nuovo una struttura bella come quella che avevo prima. Ho paura di non riuscire a creare una vita meravigliosa come quella che mi vedevo prima con lui. Ho paura, tantissima.”
Manuela, stavolta, sorrise comprensiva. Mi abbracciò di nuovo. “Oh, Coco.”
“Cosa devo fare?”
“Devi solo aspettare. Col tempo passerà, te lo prometto. Datti tre mesi, e vedrai che starai meglio.”
“Mi sembra impossibile, adesso.”
“Lo so che sembra impossibile. Ma tu sei una forza della natura, va bene? Sei invincibile, io lo so. Questa cosa non ti ucciderà, anzi, ti renderà ancora più forte. Lo supererai, e senza nemmeno accorgertene la tua vita e il tuo futuro diventeranno ancora più belli di quelli che avevi prima. In quanto alle macerie, le rimetterai a posto. Troverai un’altra combinazione, più resistente e duratura, che ti piaccia di più. E stavolta non avrai muri portanti al di fuori di te stessa.”
“Neanche tu?”
“No, neanche io. Mi fa male dirlo, lo sai, ma devi essere indipendente. Io ci sarò sempre per te, te lo giuro, ma potrebbe succedere qualsiasi cosa, e io non voglio che tu non sappia vivere senza di me. Per stare bene dovrai essere capace di stare in piedi da sola, sapendo che il tuo grattacielo sarà spalla a spalla contro il mio per tutto il tempo. Okay?”
A quelle parole, le lacrime iniziarono a rigarmi il viso. “Come farei senza di te?”
“Allora non hai capito proprio niente del mio discorso, eh?”
Sapevo benissimo che la risatina che mi strappò valeva come dieci vittorie per lei.
“Manuela?”
“Sì?”
“Come farò a credere ancora nel Vero Amore? Come farò a sapere che esiste, e che non è tutta un’illusione?”
“Oh, tesoro, il Vero Amore esiste.”
“Come fai a dirlo con così tanta certezza?”
“Perché tu l’hai provato. Non lasciare che ciò che sta succedendo adesso cancelli ciò che è accaduto fino ad ora. E comunque, non affidarti troppo alla Disney per rappresentare il Vero Amore. Mi fa male dirlo, ma la vita vera è diversa. Tu sai che il tuo è Amore, no? Hai qualche dubbio?”
“No. Credo che lo sia.”
“E allora la tua risposta è tutta qui. Le risposte alle domande più grandi sono sempre dentro di te. Devi solo rendertene conto.”
Io annuii piano e Manuela mi scoccò un bacio in fronte. “Vedrai, supereremo anche questo. Insieme.”
*Angolo Autrice*
Io non oso mostrarmi in pubblico perché so che le tre persone che seguono questa storia potrebbero linciarmi. Scusate, scusate tantissimo.
Non mi dilungherò nel descrivere COME MAI questo ritardo, sappiate solo che è successo un casino e che io sono una veggente e mi sono trovata quasi nella stessa situazione di Coralie (nuova ispirazione, yay!)
Scusatemi ancora, spero di essere più puntuale per il prossimo…
PS: più di un anno fa avevo detto che il nuovo capitolo si sarebbe chiamato “These four walls”. La verità? Non so più perché avessi scelto questo titolo, quindi nisba. Il nuovo titolo è The memory (ma va’?); dei Mayday Parade – che, per inciso, dovete ascoltare almeno una volta perché sono grandiosi. |
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