ReggaeFamily
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Consiglio
l'ascolto di questa canzone durante la lettura. Io penso che sia un
capolavoro! Spero che vi piaccia e che la troviate adatta al
capitolo:
Portrait
F In Dark Waters
“Uff,
sono stanco di questa storia, non vedo l'ora che finisca! Ormai la
sedia ha preso la forma del mio culo... o forse è il
contrario, che ne dite?” borbottò Mark, tornando al suo
posto davanti al pc.
“Possibile
che dobbiamo perdere la sanità mentale per colpa di uno
stronzetto qualunque? Roba da denuncia!” commentò Tom
spazientito.
“Okay,
allora, sì... l'indirizzo IP. Ho vari programmi e vari metodi
per scovarlo, quindi se non ne funziona uno posso sempre usarne un
altro” spiegò il chitarrista, scostandosi per l'ennesima
volta i capelli dal viso.
Jade
si accostò a lui e raccolse la sua folta chioma di boccoli tra
le sue mani, prendendo a giocherellarci distrattamente. Quando Mark
si concentrava nel fare qualcosa, detestava quelle ciocche ribelli
che puntualmente gli ricadevano sugli occhi.
“Io
ho sonno ragazzi, non ne posso più! Io mi sveglio presto per
andare al lavoro, cazzo! Adesso è quasi l'una!” si
lamentò Nathan, abbandonato scompostamente sulla poltrona.
“E
se saltasse fuori che l'hacker abita dall'altra parte del mondo? Non
possiamo certo pagarci un viaggio per andare da un idiota che ci ha
preso la pagina!” fece notare Jade, osservando Tom e Nathan con
la coda dell'occhio.
“Vi
prego, state zitti! Non avete neanche un'idea del mio mal di
testa...” li ammonì Mark, posandosi una mano sulla
tempia. In genere passare tanto tempo davanti a uno schermo non gli
provocava nessun effetto collaterale, ci era abituato, ma il dilemma
in cui erano stati coinvolti lo stava sfiancando.
Calò
nuovamente il silenzio. Erano tutti troppo stanchi per romperlo.
“Cos'è
questa cosa?” sibilò Mark, aggrottando le sopracciglia
di fronte allo strano giochetto che gli si presentava di fronte.
Nello
schermo, i numeri che avrebbero dovuto comporre l'indirizzo IP
vorticavano e si rincorrevano, fuggivano da una parte all'altra come
impazziti. Era un banco di segni bianchi che guizzavano in un mare
blu, senza mai trovare il loro ordine.
“È
una cosa normale?” s'informò il batterista, incrociando
le braccia al petto e concludendo la frase con un sonoro sbadiglio.
“Certo
che no, i numeri dovrebbero stare tutti su quella barra nera. Un
altro scherzetto dell'hacker, nulla di cui preoccuparsi. Ora lo cerco
con un programma migliore, scommetto che contro questo non troverà
niente.”
Quando
la stanza fu di nuovo immersa nel silenzio, il rumore dello scatto
della serratura proveniente dal piano di sotto fece sobbalzare i
ragazzi, ma poi compresero che si trattava dei genitori di Tom di
ritorno dalla cena.
Il
batterista decise quindi di scendere a salutarli, ma prima di
lasciare la stanza intimò a Mark di fare in fretta perché
era tardi e sicuramente i suoi si sarebbero voluti riposare.
“Oh,
trovato finalmente! Vi do una buona notizia: il nostro amichetto si
trova in un piccolo paese che dista due ore e mezzo di macchina da
qui. Ci avrei scommesso! Bene, domenica alle nove del mattino tutti
pronti, passo a prendervi e partiamo” strepitò Mark con
entusiasmo.
“Per
me non ci sono problemi e penso nemmeno per gli altri. Il problema
adesso è: come facciamo a portare Nathan fuori di qui?”
rispose la ragazza con aria divertita.
Inizialmente
Mark non riuscì a capire a cosa si stesse riferendo Jade, ma
scoppiò subito a ridere quando apprese che il suo amico si era
addormentato sulla poltrona e ronfava beato, proprio come un bambino.
“Cosa
mi sono perso?” si intromise Tom, facendo nuovamente irruzione
nella stanza.
“Domenica
mattina si parte alla ricerca dell'hacker, il viaggio durerà
due ore e mezza o giù di lì. Mi raccomando, puntuale,
non come tuo solito!” lo aggiornò Mark. Avvicinandosi a
Nathan e scuotendolo sgraziatamente per un braccio.
“Eh?
Ma che cazzo vuoi? Stavo dormendo...” farfugliò lui
ancora con gli occhi chiusi e la voce impastata dal sonno.
Gli
altri tre scoppiarono a ridere, scaricando un po' di tensione
accumulata in quella lunga ed estenuante serata.
“Mark,
sei sicuro che stiamo andando nel posto giusto? Hai ricontrollato il
nome del paese? E poi il tizio dove lo troviamo?”
“Jade,
se non taci in questo esatto momento, giuro che apro la portiera e ti
butto fuori dalla macchina!”
Nathan
e Jade non facevano altro che battibeccare e punzecchiarsi da quando
erano saliti in macchina, circa un'ora e mezza prima. Lei si trovava
nel sedile posteriore accanto a Tom, ma non faceva che affacciarsi
tra il posto del guidatore e quello del passeggero, inquieta.
Mark
intanto guidava rilassato e cercava di non ascoltare i discorsi degli
altri due, concentrandosi sulle canzoni che la sua radio di musica
rock preferita passava e sulle notizie annunciate dagli speaker.
Tom
invece si era isolato con un gioco per il cellulare, stanco anche lui
di sentire cantante e bassista che blateravano.
L'auto
di Mark intanto percorreva a gran velocità la superstrada
ormai da parecchio tempo; a fianco a essa scorreva uno scarno
paesaggio di campagna, intervallato ogni tanto da qualche piccolo
villaggio. Il cielo era coperto da un sottile strato di nuvole che
velavano e filtravano i raggi del sole.
I
ragazzi non si sentivano quasi per nulla agitati: il fatto che si
trovassero alla luce li rincuorava. Cosa mai sarebbe potuto accadere
in pieno giorno? Era l'oscurità a spaventare, le tenebre
impedivano una visione chiara di ciò che stava accadendo e
facevano quindi perdere il controllo della situazione.
Il
resto del viaggio proseguì abbastanza tranquillamente: i
quattro chiacchierarono del più e del meno, canticchiarono
qualche brano trasmesso in radio ed evitarono qualsiasi riferimento a
ciò che avrebbero dovuto affrontare da lì a poco. La
più irrequieta era Jade, che non la smetteva di agitarsi sul
sedile e controllare ossessivamente l'orario sul display del suo
cellulare.
Verso
le undici Mark, sotto consiglio del navigatore satellitare, abbandono
la superstrada per immettersi in una via secondaria. Quest'ultima non
doveva essere asfaltata spesso, dato che la macchina prese a
sobbalzare sulle numerose buche, impossibili da evitare.
“Oddio,
ma stiamo andando in una fattoria? È inquietante...”
commentò Jade, stringendo con forza una mano attorno alla sua
cintura di sicurezza.
“Ho
cercato il posto ieri: si tratta di un paese di campagna. Non
preoccupatevi, se ci perdiamo darò la colpa al navigatore!”
ribatté lui, piegandosi leggermente in avanti per evitare di
sbattere la testa contro il tettuccio quando incrociavano qualche
fosso peggiore degli altri.
“Grazie,
così sì che ci hai rassicurato” borbottò
Tom in tono ironico, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans per
concentrarsi maggiormente su ciò che stava accadendo.
“Sei
irritante perché fai finta di avere sempre tutto sotto
controllo” aggiunse Nathan.
Dopo
una decina di minuti, le ruote dell'auto cominciarono a scorrere più
fluidamente su una via asfaltata, anch'essa poco trafficata e
circondata solo da campi incolti.
A
quel punto l'agitazione si insidiò nei ragazzi insieme alla
consapevolezza che stavano per giungere nel luogo in cui avrebbero
trovato il loro nemico. Solo in quel momento guardarono indietro nel
tempi, a qualche giorno prima, e si resero conto di non sapere
neanche loro cosa li aveva portati fin lì. Erano stati loro a
correre dietro all'hacker o era stato lui a trascinarli in quel
macabro gioco fino a ossessionarli? Non se lo ricordavano più,
forse non esisteva una vera differenza tra le due cose.
L'ultimo
tratto del loro folle viaggio fu caratterizzato da un silenzio carico
di tensione, mitigato solo dalle chitarre distorte diffuse
dall'impianto stereo.
“È
questo il paese. Ragazzi, siamo arrivati” annunciò
l'autista, mentre una serie di casette di periferia scorreva loro
accanto.
“E
adesso?” La domanda di Jade fu appena udibile.
“Hai
un indirizzo preciso?” s'informò Nathan, abbassando il
volume della musica.
“Sì,
sono riuscito a procurarmelo. Per fortuna per accedere a internet è
stato utilizzato sempre lo stesso dispositivo, che è sempre
stato nello stesso posto. Probabilmente è un computer.”
“io
sto per avere un attacco di claustrofobia, in questa macchina c'è
troppo caldo! Ci fermiamo da qualche parte per pranzo?” propose
Tom, abbassando il finestrino per permettere all'aria fresca di
entrare.
“Ma
che problemi hai? Siamo in pieno febbraio, chiudi quell'affare!”
sbottò la ragazza che sedeva accanto a lui.
Nessuno
osò contraddirla: Jade si trovava in un momento complicato e
come al solito reagiva a modo suo, mostrandosi infastidita per ogni
minima piccolezza.
“Tom
ha ragione, io sto morendo di fame” concordò Nathan.
Mark
si limitò ad annuire e cominciare a cercare con lo sguardo un
bar in cui acquistare un panino.
“Io
ti dico che non può essere questo, abbiamo sbagliato tutto!
Chi può essere così folle da portare un computer qui? E
poi è impossibile che ci sia connessione!” ripeté
per l'ennesima volta Jade, stringendo con forza la tracolla della sua
borsa.
“Però
le mie ricerche ci hanno condotto qui e io direi che è il caso
di dare un'occhiata, non credi? Non ho guidato per due ore e mezzo
fino a un villaggio sperduto nel nulla perché volevo fare una
gita” la contraddisse Mark, cercando di mantenere la calma ed
esaminando l'enorme struttura di cemento con lo sguardo.
I
ragazzi avevano pranzato, avevano temporeggiato, ma verso le tre del
pomeriggio si erano resi conto che non potevano più
permettersi di perdere tempo e si erano recati all'indirizzo scoperto
da Mark. Tutti si aspettavano di ritrovarsi davanti una comune casa,
magari una tra le tante villette a schiera che caratterizzavano la
zona residenziale del paese; erano rimasti sconcertati quando avevano
avvistato un enorme cubo di cemento grigio palesemente abbandonato e
diroccato. Doveva trattarsi sicuramente di un capannone, vista la
presenza di una gran quantità di finestroni appena sotto il
tetto; la porta, composta da assi di legno posate l'una sull'altra e
tenute insieme da qualche chiodo, dava direttamente sull'ampio
marciapiede.
“Però
Jade non ha tutti i torti: nessuno entra in questo posto da anni, è
palese” fece notare Tom, accostandosi all'ingresso e sfiorando
il legno con indice e medio della mano sinistra.
“Per
favore, spostatevi. Se stiamo qui ad aspettare che qualcuno di voi
prenda una decisione, stanotte finiamo per dormire in macchina”
s'intromise Nathan spazientito, affiancando il batterista e
facendogli cenno di indietreggiare.
Per
lui e la sua massa muscolare non fu difficile aprire quell'insieme di
tavole ammassate l'una sull'altra.
“Cos'è
questa puzza insopportabile?” commentò Jade con una
smorfia disgustata.
I
ragazzi furono infatti investiti da un'ondata d'aria umida impregnata
da un forte odore di chiuso, polvere e qualcos'altro a cui non
seppero associare nulla di preciso.
“Allora?
Seguitemi!” ordinò con sicurezza il bassista, ignorando
le espressioni dubbiose dei suoi amici.
“Mark,
sei stato tu a trascinarci qui: se siamo entrati in questo schifo per
niente, io ti faccio causa” bisbigliò Jade,
aggrappandosi istintivamente al braccio del chitarrista.
L'ambiente
che si presentò di fronte ai loro occhi appariva alquanto
sinistro: le vetrate ricoperte da una cortina di polvere esibivano
delle macchie verdastre che filtravano la luce proveniente
dall'esterno, motivo per il quale la stanza era immersa nella
penombra. Le pareti, macchiate di umidità e sporcizia, non
erano mai state intonacate e in certi punti avevano ceduto, spargendo
dei piccoli cumuli di macerie sul pavimento di cemento.
Alcuni
pannelli dall'aspetto poco stabile fungevano da pareti divisorie,
definendo così due o tre grandi camere.
Il
freddo era pungente, accentuato dalla pressante umidità.
“Secondo
voi ci sono topi morti? Non riesco a respirare...” sussurrò
Tom, stringendosi il naso con due dita.
Mark
prese a camminare per la stanza in cui si trovavano, analizzando ogni
angolo con cura per trovare qualche indizio di una recente presenza
umana. Ben presto anche gli altri, senza più lamentarsi o
scambiarsi impressioni, lo imitarono, spostandosi a coppie in modo da
sentirsi più sicuri.
“Qui
non c'è niente. Passiamo al prossimo, qui c'è uno
spiraglio per passare a un'altra stanza, tra questi due pannelli”
concluse il chitarrista dopo qualche minuto, indicando un'apertura
abbastanza larga da poter attraversare senza problemi.
I
quattro, prima di darsi un'occhiata intorno, trattennero il fiato,
timorosi di trovare qualcosa di poco gradito. In realtà non
sapevano cosa aspettarsi, ma la suggestione del luogo e dei fatti dei
giorni precedenti li accompagnava e li opprimeva in ogni passo che
compivano.
“Oh,
qui c'è un po' più di luce” osservò
Nathan, frugando con lo sguardo per tutto il perimetro del pavimento
completamente sgombro da ogni ostacolo.
“No,
anche qui non c'è niente. Che vi avevo detto? Cosa pensavate
di trovare in questo posto?” esclamò Jade, impaziente di
uscire all'aria aperta e rintanarsi in auto, diretta verso casa sua.
“Non
abbiamo controllato l'ultima stanzetta, quella più piccola. Mi
sembra di aver visto un passaggio anche per quella” obiettò
Mark, invitando gli altri a uscire senza perdere tempo.
Tutti
sembravano più tranquilli, come se avessero capito che ormai
non c'era più niente ad attenderli e in un certo senso felici
che la loro ricerca si fosse dimostrata infruttuosa.
“Ecco,
quel pannello ha ceduto, si è formata una specie di porta.
Andiamo?”
Alla
proposta di Mark seguì un pesante silenzio.
Fu
in quel momento che Nathan lo udì. Un insistente ticchettio,
una goccia che cadeva a ritmo regolare e picchiettava su una
superficie dura.
Il
suo sogno.
“No,
cazzo, andiamocene” farfugliò, immobilizzandosi a pochi
metri dall'apertura tra i pannelli con gli occhi sbarrati. Il panico
lo stava corrodendo e all'improvviso una serie di flashback gli si
stava materializzando nella mente, scorrendogli di fronte agli occhi,
così terribilmente reali.
“Cosa
c'è?” gli domandò Mark con un sospiro.
“Io
questo posto lo conosco, l'ho già visto, è quello del
mio sogno... io qui non ci resto, addio!” balbettò,
indietreggiando di qualche passo in direzione dell'uscita.
“Non
è possibile, non puoi sognare qualcosa che non hai mai visto.
Andiamo Nat, anche tu hai insistito per venire qui e adesso ci vuoi
piantare?” gli si rivoltò contro Jade, indignata.
“Dai
ragazzi, siamo tutti assieme, cosa ci potrà mai capitare?”
tentò di rassicurarli Mark.
“Ma
lì dentro qualcosa sta gocciolando!” protestò
ancora il bassista, in preda al terrore.
“E
quindi? Hai idea dell'umidità che c'è qua dentro?”
“Basta,
mi avete stancato. Io entro, ciao!” sbottò Tom,
sorprendendo tutti, non era proprio da lui prendere un'iniziativa,
soprattutto in una situazione del genere.
Vedendo
che il batterista si stava realmente dirigendo verso la terza stanza,
anche gli altri gli furono subito dietro, curiosi e spaventati allo
stesso tempo.
Sentivano
il cuore in gola.
L'adrenalina
a mille.
I
muscoli quasi non rispondevano.
Fecero
un passo in avanti. Insieme.
Un
grido squarciò l'aria, riecheggiando tra le mura spoglie, ma
nessuno dei ragazzi l'aveva emesso. Loro non ci sarebbero riusciti,
troppo sconvolti da ciò a cui stavano assistendo.
Un
vecchio computer era abbandonato a terra; nonostante non fosse
collegato a una presa di corrente, lo schermo era acceso e qualcosa
al suo interno si muoveva.
La
tastiera era incrostata da una sostanza rosso scuro, tendente al
nero. Delle gocce dello stesso colore, dense e pesanti, piovevano sui
tasti. Nello schermo andavano intanto a formarsi delle parole, delle
lettere, a ritmo di quel macabro digitare.
Dal
soffitto, il corpo di una ragazza fissava i ragazzi con i suoi enormi
occhi privi di palpebre. Senza vita.
Gridava.
Era un grido straziante, troppo acuto per essere sopportato. Era un
suono stridulo che faceva vibrare la sua gola scoperta e le sue
labbra a brandelli.
Stringeva
tra le mani una corda intrisa di sangue. Tuttavia non si trovava
attorno al collo, segnato da una profonda ferita.
Fu
quando le sue mani abbandonarono la fune che questa tornò a
stringersi nuovamente attorno a quel lembo di pelle che lasciava
intravedere il bianco sporco dell'osso. Il corpo si dibatté
per qualche istante e poi giacque.
Il
grido si interruppe con uno stridio che continuò a rimbombare,
accompagnato dallo scricchiolio delle ossa in attrito.
Il
viso, ancora dominato dagli occhi sbarrati, era deturpato da lividi,
ferite e cicatrici scure e grumose sullo sfondo diafano della pelle.
Dalle
vesti colavano copiosi e freschi rivoli di sangue. Pioveva rosso
ovunque, tranne sullo schermo fastidiosamente bianco.
Gli
Evil Hunters non riuscivano a muoversi e a gridare. Erano in uno
stato di paresi; più quei due pozzi senza limite li fissavano,
più si sentivano impotenti e intorpiditi.
Quasi
non si resero conto dei loro cellulari che, all'interno delle loro
tasche, avevano preso a vibrare. Quel tremito impazzito si diffuse
per tutto il loro corpo, dominando i loro muscoli. Quella vibrazione
aveva la forza di un terremoto, li possedeva completamente senza che
avessero la possibilità di ribellarsi.
In
preda agli spasmi e ai conati, i loro occhi appannati erano
irrimediabilmente calamitati dallo schermo del computer e dal suo
bianco accecante. Una scritta si era completata e si impresse senza
rimedio nelle loro menti.
Sono
cresciuta di fronte a uno schermo e di fronte a uno schermo sono
morta. Io mi sono divertita in questo gioco, e voi?
Il
gioco era finito e loro avevano perso.
Quelle
furono le ultime, uniche parole.
Accompagnate
dall'ossessivo e corrosivo ticchettio sui tasti.
Click.
Click. Click.
♠ ♠ ♠
Ciao
a tutti ragazzi!
Eh
sì, con questo capitolo più lungo del solito si
conclude la mia minilong horror, come già annunciato in
precedenza!
Beh...
che dire? Non sono molto soddisfatta di questo finale se devo essere
sincera: l'idea originaria (che mi è venuta praticamente
l'altro ieri XD) era carina, ma non credo di averla sviluppata nel
modo migliore. Spero sia stato comunque di vostro gradimento, così
come tutta la storia!
È
un racconto senza pretese, un esperimento che mi è servito più
che altro per esercitarmi sulle scene horror... spero che vi abbia
lasciato qualcosa di positivo!
Io
so già che mi mancheranno gli Evil Hunters e tutti voi,
lettori e recensori, che siete stati davvero magnifici e mi avete
dato una carica incredibile per andare avanti, scrivere ogni capitolo
e dare il massimo!
Ringrazio
quindi Kim_Sunshine, Hanna McHonnor,
Anwa_Turwen, Sakkaku, Amaranthine,
Old Fashioned, Fan of The Doors e
Frenzthedreamer per aver creduto in questa storia, per
averla seguita con interesse dal primo all'ultimo capitolo e per
avermi sostenuto con affetto ed entusiasmo.
Ringrazio
KUBA per essersi imbarcato in quest'avventura ed
essersi fermato a lasciare un commento, per ora solo al primo
capitolo.
Ringrazio
i lettori silenziosi e chiunque arriverà fin qui dopo essere
imbattuto per sbaglio in questa mia follia.
Ragazzi,
il vostro supporto mi ha davvero commosso, non me lo aspettavo e non
so proprio come esprimere la mia gioia e la mia gratitudine! Ma cosa
farei e dove andrei senza di voi??? ♥
Ora
non resta che salutarci (a malincuore per quanto mi riguarda) con la
speranza di trovarci di nuovo in un'altra avventura! ;)
Soul
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