Meeting in alternative universe

di Sarck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Metropolitana ***
Capitolo 2: *** Ospedale ***
Capitolo 3: *** Ballo di gala a Death City ***



Capitolo 1
*** Metropolitana ***



Metropolitana







Qualcosa non va, nel modo in cui quel ragazzo la guarda.
Muove i fianchi per sedersi un po' più dritta, su quella metropolitana troppo veloce, che fa tremare il sedile, imbarazzandola nel suo tentativo di non oscillare troppo e rimanere composta.
È quasi inquietante il modo in cui quel tipo strano, sui sedili davanti a lei, la fissa ghignando. Tsubaki cerca di guardare altrove, ma la situazione non è migliore; affianco a lei un uomo sulla quarantina le sta troppo spalmato addosso, con le gambe allargate in modo da  toccare con le ginocchia quelle di lei. Cerca di farsi piccola piccola, stringendo le coscie scoperte e alza - di nuovo- lo sguardo verso il ragazzo eccessivamente sorridente davanti a lei. Subito riabbassa le ciglia, rossa, nel notare che, il tipo - carino, c'è da dire - , si è sistemato meglio sul sedile, allacciando le mani dietro la testa spettinata e scivolando più in avanti, ma che non smette di sorriderle.
Mentre si tortura le mani e ascolta la voce elettronica prinunciare il nome della farmata, riesce a vedergli le scarpe. E continua a fissarle, insistentemente, mentre il signore affianco a lei tiene le mani sui pantaloni eleganti e allunga il migniolo per sfiorare la pelle della sua coscia. Si morde il labbro e continua a concentrarsi su quelle scarpe davanti a lei, come se, in qualche modo, potessero aiutarla a sentirsi meno a disagio.
La sua anima agitata quasi si rilassa, nel realizzare che la prossima fermata è la sua.
Prendere la metro, non le piace affatto.
Si alza, non riuscendo più a trattenere un sospiro di solievo, che si spegne subito quando, avvicinandosi alla porta, si accorge che sta per scendere anche l'uomo che era affianco a lei. Un ginocchio quasi le trema, agitata, e non sa perché si ritrova a far volare gli occhi dove prima era stravaccato il ragazzo, agitandosi ancora di più nel non trovarlo.
Quel tipo strano, che l'aveva fissata per tutto il tragitto da quando era salito e che si era seduto appositamente davanti a lei, invece che agitarla, aveva calmato qualcosa nel suo petto. Era come se, guardandola, non permettesse agli altri uomini di osare troppo. Non lo conosce, e l'aveva imbarazzava da morire, ma qualcosa, nei suoi occhi determinati e nel suo sorriso troppo grande, le fa intuire come non sia cattivo.

Le porte si aprono, sta per scendere, quando l'uomo di prima, dietro di lei, le si preme troppo addosso. Le viene quasi da piangere, perché le ha preso un fianco e la sta tenendo stretta, impedendole di scendere.
"Mi lasci!" sputa fuori delle labbra che tremano, cercando di uscire dalla porta automatica e scendere. Ma quelle si stanno chiudendo, sta perdendo la fermata e forse sta affettivamente piangendo, mentre la morsa di quell'uomo le fa male. Poi la presa si scioglie, mollemente. C'è il rumore di qualcosa che sbatte.
Di fianco a lei, quasi addosso, ha il ragazzo dai capelli azzurri scombinati. Le sta sorridendo, con il volto a un palmo dal suo viso.
Ha le guance che le vanno a fuoco, le lacrime ancora ad appannarle gli occhi e il braccio del ragazzo oltre la spalla. Segue con gli occhi la manica della sua felpa larga, fino ad arrivare alla sua mano e sussulta, nel notare che sta schiacciando la faccia dell'uomo contro la dura parete della metropolitana.
Le porte non si sono ancora chiuse, perché con l'altra mano il ragazzo le sta tenendo aperte. Più propriamente: il suo polso, infilato, non permette alle porte automatiche di chiudersi del tutto.
Tsubaki, con gli occhi inchiodati a quelli luccicanti e fieri del ragazzo, deglutisce. Totalmente presa alla sprovvista.
"Prego bellissima, scendi pure". Le dice, lasciando la testa dell'uomo, che si accascia a terra, tra i loro piedi, e aiutandosi anche con l'altra mano per aprirle le porte.
Lei non sa che dire, con le labbra secchissime annuisce, la testa intontita, scende e guarda il ragazzo mollare le porte, che subito si richiudono, in assenza della sua forza, che prima lo  impediva.
Rimane così Tsubaki, chiedendosi da dove diavolo fosse uscito, un tipo come quello. Continua a guardarlo, da oltre le porte della metro, lei fuori e lui dentro. Poi c'è un suono, segno che il mezzo sta per ripartire. A quel punto Tsubaki spalanca gli occhi, mentre la metropolitana inizia a muversi e il ragazzo si sposta davanti a lei, non più sorridente. La guarda come se stesse aspettando qualcosa.
Lei apre la bocca, gira la testa, ora, per riuscire a guardarlo, ma ormai è già pochi metri più in là di lei, non lo vede più e sente qualcosa in pancia, che la fa annaspare un attimo, in cerca di fiato. Non lo ha neanche ringraziato.
Si sta per girare, con le lacrime a bussare ai suoi occhi - per la seconda volta - quando vede una porta crollare, una gamba sbucare fuori e un urlo, soddisfatto: "uscita di scena trionfale!"
Impallidisce  e rimane impalata a guardare quel ragazzo dai capelli azzurri buttarsi fuori dalla porta, appena sfondata, del mezzo, e atterrare sulla banchina con un balzo, le braccia puntate al cielo. Giusto prima che quello scompaia nella galleria.
Tsubaki sta battendo le palpebre, con uno strano urlo (Yaoooh?) a rimbombarle nelle orecchie, incapace di schiodarsi da lì o fare qualasiasi cosa. Il ragazzo, che sta correndo verso di lei, le afferra la mano, e se la trascina dietro, ridendo rumorosamente, come un folle.
"Sai correre? È la terza metropolitana che rompo e sono troppo un grande per farmi beccare".
Tsubaki corre, stretta alla mano di lui, caldissima. "Sei pazzo!" gli risponde, sinceramente convinta, ma ridendo anche lei, con il cuore che spinge per bucarle il petto.

Non sa chi diavolo sia quel tipo, ma qualcosa, nel modo in cui lui volta la testa, senza smettere di correre e le sorride, con i capelli a coprirgli gli occhi decisi, le fa ansimare l'anima.
"Sono Blackstar" le dice, ululando il suo nome e facendole un occhiolino, come se ciò potesse bastare a spiegare tutto. E lei, mentre "Tsubaki" risponde, stringendo di più la presa, ha la sensazione che quella sia solo la prima di una serie di innumerevoli volte in cui si ritroverà ad aggrapparsi alla sua mano forte.














    



 

 







Spazio autrice. Nya.

Ecco di nuovo la patita di Tsustar, pronta a torturare i vostri animi con tante altre storielle :3
Che ne pensate di questo primo incontro? Vi dirò; io mi sto divertendo da matti a scrivere queste Oneshot (ho già pronta la seconda), quindi spero il risultato sia quanto meno piacevole da leggere. L'obiettivo di tutta la raccolta è ricreare tantissimi primi incontri tra Blackstar e Tsubaki, in contesti diversi, e far trapelare in ognuno di essi il
"filo rosso" che li unisce, nonostante ancora non si conoscano. I due protagonisti gravitano sempre l'uno verso l'altro, in un'attrazione delle loro anime che nell'ambientazione del manga è visibile, in questi AU lo si può solo intuire.
Poi, mi sono divertita davvero tantissimo a immaginare Blackstar in quella posizione: braccio teso a schiacciare la testa dell'uomo e l'altro a tenere aperte le porta della metro. Tsubaki - ovviamente sconvolta e imbarazzatissima - in mezzo. Waaaa, spero vi sia piaciuta quanto a me la scena *^*
Se la storia vi è piaciuta, passate a leggere il secondo primo incontro!
Non trattenetevi dal recensire, i consigli sono sempre ben accetti e qualche "sprint" motivazionale è sempre meglio averlo ;)

Grazie a tutti i lettori, anche quelli silenziosi ^-^
Sarck

 

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Capitolo 2
*** Ospedale ***



Ospedale







Percorre il corridoio di fretta, con la cartellina schiacciata contro il petto, le scarpe a picchiettare sul pavimento lucidissimo. Quando arriva davanti alla porta prende un grosso respiro, bloccato a metà dal camice troppo stretto che le fanno indossare, nonostante la richiesta di farsi dare una taglia più grande.
Comunque, riesce a terminare l’espirazione e torturandosi un labbro, con la cartelletta tenuta in una sola mano ora, apre la porta della stanza.
Dentro è buio ancora, riesce solo ad intravedere il letto e una sagoma su di esso. Lascia la cartellina sulla sedia su cui quasi inciampa – ieri sera non era messa in questa posizione – e si dirige verso la finestra, per alzare le tapparelle. Tsubaki deve metterci un po’ di forza, perché è particolarmente difettosa, ma alla fine riesce a sollevarla del tutto. Lentamente la luce, filtrando obliqua, inizia ad illuminare la piccola stanza bianca.
Quando si gira, tornando a guardare il letto, sente un tepore scaldarla. Finalmente rilassa le spalle e inizia a respirare meglio, con più calma, nonostante il camice dia sempre i soliti problemi.
“Buongiorno Blackstar” sussurra, mentre le labbra si piegano autonomamente in un sorriso dolce. Il ragazzo, sdraiato sul letto e occhi chiusi, ovviamente, come ogni mattina, non risponde.
Tsubaki si prende qualche minuto per osservarlo, con la schiena contro la finestra. Ha i capelli azzurri sparsi sul cuscino, disordinati, nonostante lui non possa far nulla per scompigliarli in quel modo. Le labbra sono sempre un po’ incurvate verso l’alto, come se, nonostante la situazione tragica, il suo corpo si rifiuti di lasciarsi andare alla tristezza. Forse è stato quello, in particolare l’angolo destro della bocca, poco più in alto del sinistro, a colpire la neoinfermiera.
Si avvicina al letto e delicatamente gli alza le braccia, posizionandole sopra il lenzuolo, mentre si trattiene dall’accarezzare con il dito la cicatrice a forma di stella che ha sulla spalla. Qualche tempo fa aveva visto la ragazza che lo veniva sempre a trovare  farlo; scoprirlo. Tsubaki le aveva chiesto, un po’ in guardia, cosa stesse facendo. La ragazza, Maka, aveva semplicemente risposto “è caloroso, non sai quanto, sono sicura che stia meglio così”.

Blackstar era arrivato in ospedale in inverno, ricoverato d’urgenza. Ora è estate e lei si ricorda, ogni mattina, di scostargli il lenzuolo con cui lo copre l’infermiera del turno serale.

 
Quel giorno viene il ragazzo dai capelli chiarissimi a fargli visita.
Si chiama Soul e Tsubaki è quasi certa che stia con l’altra ragazza con cui ormai sta facendo amicizia, Maka, anche se nessuno dei due si comporta così affettuosamente con l’altro. Una volta era dovuta intervenire, perché Maka aveva lanciato un libro in testa a Soul e stava per farlo anche con un altro ragazzo, uno sempre vestito elegante. Tsubaki l’aveva fermata, con le guance rossissime e gli occhi spalancati dallo spavento.  Alla fine era stata tranquillizzata sul fatto che fosse una cosa normale e che i due ragazzi ne erano ormai abituati.
Quel giorno c’è solo Soul.
“Buongiorno ” lo saluta, mentre annota i valori della pressione sanguigna sulla cartella medica, “sei solo stamattina?”
Il ragazzo si lascia cadere sulla sedia, stanco. “Tsubaki” la saluta, inclinando il capo. “Sì, Maka non può oggi, mentre nel pomeriggio dovrebbero passare Kid, Liz e forse Patty”.
Tsubaki aveva capito da tempo che non sarebbe venuto nessun genitore a trovarlo. Erano passati più volte un paio di uomini, un certo professor Sid e un uomo parecchio taciturno, Mifune. Maka le aveva spiegato che Blackstar era orfano e che quei due erano state le figure più vicine ad un padre che avesse avuto.

Ormai Tsubaki si chiede ogni giorno, quando torna a casa la sera e telefona ai suoi, cosa voglia dire crescere senza genitori. La notte, con gli occhi inchiodati al soffitto, pensa a che tipo debba essere uno come Blackstar, uno che si butta nel fiume ghiacciato per salvare una bambina, la piccola Angela – figlia adottiva di Mifune, da quanto gli hanno detto -, uno che sorride in quel modo, come se ti volesse sfidare, orgoglioso e fiero, nonostante davvero, davvero, non abbia nulla per cui sorridere.
Più volte ha pianto Tsubaki, la notte, pensando a quel ragazzo. Altrettante volte l’ha sognato; sveglio, vivo, con lei.
Soul sta borbottando qualcosa circa un aneddoto, trascinando la sedia più vicina al letto dell’amico.

“Scusami io ho quasi finito, dopo vuoi che esca e vi lasci soli?” gli chiede Tsubaki, non volendo essere di troppo in quella stanza.
Soul la guarda attraverso un paio di ciuffi bianchi sfuggiti al cerchietto e “no Tsubaki”, scuote la testa, “ormai anche tu sei sua amica, sono sicuro che a lui faccia piacere averti qui”.
Lei arrossisce, infinitamente grata, con un sorriso che spinge per incurvarle le labbra, ma che trattiene mordendosele.
 Amici. Non lo conosce neanche. Eppure tutti, lì, sanno che, per mesi, lei si è presa cura di lui, con una dolcezza che nessun altra infermiera avrebbe mai potuto avere.
Sistema meglio la flebo. Ciuffi di capelli le sfuggono dalla coda e cerca di incastrarli dietro le orecchie. “Grazie, allora continua pure a raccontare, mi piaceva questa storia; cosa è successo dopo che ha interrotto il discorso del preside?”.
Soul ghigna e continua a raccontare a Tsubaki - e ricordare a Blackstar - quella serata. Rimangono un’ora a parlare, Soul divertito al massimo, Tsubaki con gli occhi sempre più spalancati e continui “davvero ha fatto una cosa del genere? Ma ha proprio detto così?”.
Alla fine arriva l’ora in cui deve andare, perché deve passare ad un altro paziente. Saluta Soul, chiedendogli di Maka, ma quando si trova davanti alla porta si ferma un attimo. La mano, a pochi centimetri dalla maniglia, le trema un attimo.
“Senti…” inizia a dire. Non si gira, perché ha paura che si notino, gli occhi lucidi.
“Secondo te ne uscirà?” chiede, le dita di colpo congelate, nonostante il caldo.
“Sei tu l’infermiera”.
Tsubaki, pentita, sta per aprire bocca quando lui continua: “ma posso assicurarti, conoscendolo, che prima o poi ne uscirà. Blackstar non è tipo da morire per queste cose, in realtà per nessuna cosa, penso sia immortale. Lo sappiamo tutti; nessuno è davvero così tanto preoccupato, perché Blackstar non molla mai.”
Si gira, fregandosene degli occhi lucidi e incontrando quelli vermigli di Soul, mentre le dice, con una sicurezza che non può far altro che scacciare ogni paura: “per uno come lui il coma non è niente, se la sta solo prendendo comoda, lo stronzo”.


 
Scarpe veloci sul pavimento, questa volta cercano di fare meno rumore possibile. Si tortura la coda tra le mani, mentre si assicura che l’infermiera che le ha dato il cambio non sia ancora su quel piano. Incontra  Stein, il chirurgo, ma non fa neanche in tempo a salutarlo che lo vede sparire nell'ascensore.
Arriva davanti alla porta, la solita porta, di quella stanza che è diventata, per qualche ragione strana, il luogo in cui più si sente al sicuro. Entra dentro, veloce, sapendo di aver finito da un pezzo il suo orario di lavoro, ma non riuscendo, come ogni sera, a non passare da lui, prima di tornare a casa.
Una volta dentro, finalmente, respira.
Si accomoda sulla seggiola, trascinandola il più vicino possibile al letto. Poi ci ripensa e si siede direttamente al lato del letto, oltre la mano del ragazzo.
“Blackstar” sussurra. Non perché abbia qualcosa da dirgli, per il semplice fatto che le piace pronunciare il suo nome. In oltre, molto spesso, le persone in coma riescono a percepire ciò che succede introno a loro e parlargli può aiutare.
Tsubaki arrotola il suo nome sulla lingua e lo soffia fuori, delicatissima, ogni sera.

Si chiede spesso, quale sia il motivo per cui si sente così legata ad un ragazzo che neanche conosce. Ne segue molti, di pazienti, lui non è l’unico, eppure non può fare a meno di pensare che è solo lì, quando è con lui, che riesce a respirare. C’è qualcosa, in quel ragazzo, che le fa dimenticare ogni pianto, ogni dolore e ogni morte che echeggia tra le mura di quell’ospedale.
A volte si chiede come sia la sua voce. La immagina calma, estremamente melodica, forse bassa.
“Blackstar” pronuncia.
È sicura che abbia un tocco delicato, rassicurante, di qualcuno attento alla fragilità delle cose, delle persone. “Blackstar”.
Poi, per avere degli amici così cari, che lo vengono a trovare ogni giorno, deve essere senza dubbio una persona fantastica. Dolce, se lo immagina dolce, dopotutto si è buttato da un ponte per salvare una bambina.
È strana Tsubaki, perché pensa troppo ad un ragazzo con cui non ha neanche mai parlato, di cui non conosce neanche il colore degli occhi e perché gli sta prendendo la mano e sta provando ad allacciare le loro dita, sicura che possano incastrarsi alla perfezione.
Gli guarda le labbra e sospira, sicura che siano bollenti anche quelle, mentre nella sua testa continua a ripetersi: “quando ti svegli? È da tre stagioni che ti aspetto”.
Non si accorge di averlo detto ad alta voce, no, non lo fa, perché ormai si è alzata, sta ordinando le cose sul comodino (una foto, un pupazzo a forma di giraffa, un manubrio per fare pesi – poco utile – e dei fiori). Si dirige verso la porta, pensando a cosa cucinare quella sera, quando “porcaputtana!” sente, seguito da un tossire.
Si gira, quasi sputa il cuore sul letto. Il ragazzo ha gli occhi aperti – verdi, sono verdi! - , si sta tirando su con il busto, facendo peso sugli avambracci, e sorride, un ghigno così - un misto tra strafottenza e divertimento – non l’ha mai visto.
“Dio mio, ma che tette hai?”
Tsubaki sputa il cuore, lo riacchiappa e lo ricaccia nel petto, deglutendo rumorosamente, mentre quel ragazzo sconosciuto, eppure così vicino a lei, continua a sorridere, vispissimo.
Lei non sa se piangere o stendersi a terra, perché le gira la testa, gira tutto. La voce del ragazzo è altissima, non si preoccupa minimamente di abbassarla.
“Eh?” risponde solo, non riuscendo neanche a respirare, figuriamoci parlare.
Blackstar si strappa i tubi da dosso, scosta il lenzuolo e salta fuori dal letto, stiracchiandosi. Tsubaki lo segue con gli occhi, immobile, chiedendosi se sia davvero stato in coma in quei mesi, perché è impossibile che abbia così tante energie fin da subito.
“Ti ho sentita in tutto questo tempo. Ma non ho mai potuto vederti e, dai…” si avvicina a lei, Tsubaki sta per piangere o urlare, “… non avrei mai pensato che avessi dette tette così!” continua, mimando con le mani le sue curve.
Lo guarda, mentre lui le sorride, vivo come non mai, con addosso solo la vestaglia da ospedale.
Non fa neanche in tempo ad arrossire per quello che le ha detto, perché scoppia a piangere, coprendosi il volto con le mani, al suo “grazie di avermi aspettato, comunque”.
Tsubaki non avrebbe mai pensato che le prime parole di Blackstar sarebbero state quelle. Si aspettava un altro tipo di ritorno al mondo dei vivi, qualcosa di commovente, degno dei mesi in cui ha sognato il suo risveglio, quello che sarebbe stato il loro primo incontro.
Questo Blackstar, che le picchietta la testa imbarazzato, cercando di consolarla, non è per nulla  come lo aveva immaginato.
Se possibile, le piace ancora di più.



 

 





Spazio autrice. Nya.

E a voi, piace ancora di più questo Blackstar? Ci sono tanti pareri contrastanti, perchè un personaggio del genere non piace a tutti, è uno d quelli che o si odia o si ama perdutamente. 
Ho scritto questa storia a sera tarda, senza neanche accorgermi di quanto fosse tardi finchè non l'ho finita (l'ispirazione era troppo forte, adrenalina a mille). Vi confesso che l'ho scritta pregustandomi già il finale; me la ghignavo mentre battevo sulla tastiera. Credo sia un ritorno in scena degno di Blackstar, non c'era altro modo se volevo rispettare il personaggio folle ;)

Spero davvero in qualche recensione, anche da parte dei più silenziosi che leggono, magari mettono tra le ricordate, ma non mi lasciano una parolina. Dai, sono stata brava, ho pubblicato mettendo subito due capitoli! *vuole la caramella*

Grazie comunque, spero continuerete a leggere la raccolta.
Al prossimo aggiornamento!


Un abbraccio
da Sarck

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Capitolo 3
*** Ballo di gala a Death City ***


ballo di gala

Ballo di gala a Death City

Villa Kid è situata nello Yorkshire, nella piena brughiera inglese. Posto solitario, se non fosse per la piccola cittadina di recente costruzione che vi è stata eretta; Death City.  C’è chi dice cha sia stato lo stesso Shinigami a fondare il villaggio, ma Blackstar è sicuro che non sia così perché qualche conto lo sa fare – pochi – e in quanto muratore sa quanto ci voglia a costruire anche solo un piccolo edificio. È indubbiamente impossibile aver fatto tutto da solo. Quello che non coglie è ovviamente il significato simbolico per il quale lord Shinigami viene definito il fondatore della cittadella.
Si dice che ultimamente il Lord sia in vacanza, in ogni caso suo figlio dirige magistralmente gli affari commerciali, tanto che ha addirittura tempo per organizzare feste d’élite in casa sua, indubbiamente sotto le pressioni della moglie, Liz, e della cognata, la piccola Patty.

Blackstar vorrebbe maledire Kid, lui e il suo invito cartaceo; grafia elegante – un inchiostro senza dubbio costoso - sopra un cartoncino dai bordi color oro,  neanche fosse l’invito al suo matrimonio. No, in quello vi era addirittura il sigillo di Lord Shinigami.
Soprattutto vorrebbe maledire sé stesso per aver accettato. In ogni modo Blackstar non aveva neanche fatto finta di saper leggere, si era presentato a casa sua, quella che ormai Kid condivide con Liz, e sorpassando con una spallata l’inserviente “che minchia è sta lettera?”  aveva chiesto, strillando in mezzo al salotto e facendo saltare sul posto il povero Kid intento nell’eseguire un ritratto dal vivo. Liz gli era scivolata affianco poco dopo, sorridendo in modo enigmatico, Kid si era passato le mani nei capelli, poi - pentito -  li aveva rimessi in perfetto ordine. In poco tempo gli era stato spiegato il tutto.
La situazione è dunque davvero questa, è successo; è stato invitato al suo primo ballo di gala. Se ne sta lagnando proprio con Soul, facendo penzolare le gambe nel fiume, i pantaloni ruvidi e sporchi di terra arrotolati sui polpacci forti.  Non sa neanche cosa significhi “gala”.
Soul sbuffa, pensa che la deve smettere di passare il suo unico giorno libero con Blackstar se quello non fa altro che lamentarsi, ma non lo contraddice.
“Che poi” continua Blackstar, mentre dietro di loro sentono passare un’altra carrozza. Il rumore degli zoccoli del cavallo e delle ruote che si trascinano sul sentiero in ghiaia copre un po’ le sue parole; non si premura di aspettare il passaggio, alza solo di più il tono di voce per farsi sentire: “mica ho bisogno di trovarmi una moglie, io. L’ho capito a che servono questi balli eh, non sono mica stupido”.
Soul vorrebbe rispondere che un po’ lo è, perché nonostante siano nel 1843 e l’analfabetismo sia una condizione diffusa, a tutti loro è stato insegnato di firmarsi con una bella “x”, quando serve, ma Blackstar si impunta nel voler siglare tutto con una stella. Conferma di sentirsi più originale, nel farlo. Per tutta questa serie di pensieri Soul non risponde, appoggia la schiena per terra, con le braccia dietro la testa e non lo contraddice neanche.

 

 

8.40 p.m. 12 Settembre 1843, villa Death the Kid

Sì, se lo sta chiedendo. Picchietta con la scarpa laccata contro il pavimento, impaziente, forse innervosito, sicuramente non a suo agio. Ha un bicchiere pesante tra le dita, lo ha tirato su dal vassoio del cameriere appena passato, e senza dire nulla, con la testa reclinata all’indietro e i capelli a fargli solletico sulla fronte, ha mandato giù tutto il contenuto, increspando le labbra per il forte sapore amaro. Le bevande offerte dal signor Death the Kid, padrone di casa, sono indubbiamente forti. Lo sa, perché è il vino della bottega Evans. Ha aiutato lui stesso Soul, quella mattina, a portare quattro barili pieni alla villa.
Se lo sta chiedendo, se sia il caso di sfilarsi di dosso quella giacchetta, che gli sta un po’ troppo stretta sulle braccia, cosa che lo fa sudare nonostante non siano ancora iniziati i balli. Oltre a ciò, la trova decisamente orribile, lunga dietro si accorcia sul davanti, con tre grossi bottoni per lato. Almeno è riuscito ad evitare che Sid gli prestasse il fazzoletto blu da annodare al collo, a quel punto non ci sarebbe neanche venuto, a quel dannato ballo.
Grugnisce verso un uomo che lo sta osservando da troppo, con un cipiglio che gli fa formicolare le mani dal fastidio. Stringe più forte le dita sul bicchiere ormai vuoto e vaga con gli occhi assottigliati tra la folla, alla ricerca di un posto dove appoggiarlo. Non trovandolo si dirige proprio verso l’uomo che continua a soppesarlo con lo sguardo. Improvvisa un sorriso, che senza dubbio sembra più in ghigno e allunga la mano, con il bicchiere, verso il suo viso.
“Tieni qua” dice solo, allargando ancora di più le labbra, sinceramente divertito questa volta, osservando le palpebre dell’uomo alzarsi completamente e gli occhi nocciola mostrarsi, più di prima. Lo ha talmente preso alla sprovvista, nel rivolgergli la parola, che l’uomo ha afferrato il bicchiere con un sussulto, come di riflesso, evidentemente così sorpreso da sfociare nell’imbarazzato. Blackstar non si ricorda mai di dare del “voi” a chi non conosce, ma questa volta lo ha fatto quasi di proposito.
Approfitta delle mani ora libere per portare le braccia dietro la schiena e iniziare a sfilare le maniche della giacca, sbuffando per la difficoltà nel togliersela; troppo stretta.
Il suo patrigno, Sid, non doveva essere molto grosso alla sua età. Quando riesce nell’impresa e solleva lo sguardo, il signore davanti a lui non si è ancora mosso; tiene le dita salde sul vetro del bicchiere appena cedutogli e sbatte piano le ciglia sugli occhi. Blackstar appoggia la giacca sul corrimano della scala, non preoccupandosi del fatto che non sia quello il posto e che l’attaccapanni si trovi davanti all’ingresso, solo oltre la seconda sala. Soffia un ciuffo di capelli azzurri lontano dal volto e poi posa la mano sulla spalla dell’uomo.
“Grazie” ghigna tra i denti, sinceramente compiaciuto e felice di essersi liberato dell’impiccio del bicchiere e di quello della giacca. Poi gira i tacchi, fa per infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, scoprendo che non le ha – deluso, le allaccia dietro alla schiena – e si dirige nell’altra sala, volenteroso di incontrare Kid e Liz.
È venuto al ballo solo perché Kid l’ha pregato, dicendo che erano mesi che Liz insisteva con il voler far conoscere a lui e Soul due ragazze. Blackstar spera solo di finire presto la faccenda, perché i balli lo annoiano a morte e di trovarsi una moglie non ne ha neanche idea.
L’unica cosa divertente è infastidire i ricchi gentiluomini con la sua sfrontataggine e far arrossire le donnette con commenti vivaci troppo ad alta voce. Se deve ammetterlo, in realtà, gli piace anche il modo in cui tutti sono costretti a fissarlo mentre passa, perché uno con i capelli di quel colore e scombinati come i suoi, non l’hanno di certo mai visto.
“Fighetti” mastica tra i denti, osservando i fiocchi di velluto che tengono legati in una coda bassa i capelli di molti uomini presenti nella sala, quelli che non indossano parrucche almeno. I ricchi non gli sono mai piaciuti, forse può fare eccezione solo Kid, perché lo conosce da anni ed è il suo più caro amico – insieme a Soul – ma di certo, non limita per questo le battutine sarcastiche nei suoi confronti.

Effettivamente a pensarci bene non c’era bisogno che entrasse nella sala dondolandosi sul lampadario – cosa che Soul gli aveva sconsigliato – perché tanto attira la maggior parte dell’attenzione già così, solo facendosi largo tra la folla. In ogni caso, meglio conoscere la fantomatica ragazza con cui Liz vuole combinarlo al più presto, perché sa che se ne resterà buono ancora per poco; sente già i muscoli iniziare a formicolare dalla voglia di muoversi e fino ad ora è stato fin troppo discreto e silenzioso.
No, decisamente non riuscirà a rimanere così tranquillo a lungo.

 
Le presentazioni avvengono con un certo trambusto. Blackstar ha trovato Soul, in mezzo a tutta quella folla, giusto da qualche minuto e già gli sta urlando nell’orecchio il suo disappunto nei riguardi dell’acconciatura (no, non è possibile che si si tirato i capelli all’indietro). Liz, a braccetto con Kid e trascinando – letteralmente – con la mano libera una seconda ragazza, li saluta proprio nell’attimo in cui Blackstar è riuscito a mettere mano sui capelli di Soul e scombinarglieli prepotentemente, con una certa insistenza e assenza di tatto che è suo tipico.
I due ragazzi si ricompongono, mettendosi sull’attenti, solo appena vedono la seconda ragazza. Ritto in piedi, con le mani rigide lungo i fianchi, Blackstar si zittisce, in un impeto di educazione, mentre Liz strattona più forte il braccio alla ragazza, che è costretta ad alzare gli occhi, grandi e verdi, e guardare in faccia i due giovani di fronte a lei, trattenendo un piccolo sbuffo.
“Signor Blackstar, lei è la signorina Maka Albarn, che ne dite di offrirle un ballo?”. Liz, molto educata, come sempre, ma estremamente esplicita e persuasiva. La persuasione sta tutta nel fatto che ha praticamente messo la mano sottile di Maka su quella di Blackstar e che li sta spingendo verso il centro della sala.
Il ragazzo è talmente sconvolto che si limita a voltare la testa all’indietro e guardare stralunato Kid, che in risposta gli alza due pollici.

“Siete pronta, signorina?”.
Esattamente; si sta impegnando ad utilizzare il “voi”, giusto perché, anche se la giovane donna che ha davanti non è per nulla il suo tipo, sente qualcosa di buono in lei, che gliela fa addirittura stare simpatica. Questo non lo dice, però, e non lo dirà neanche in futuro, preferendo tirarle leggermente un codino e ricevere una gomitata nello stomaco, coperta da un finto passo di ballo. Strabuzza gli occhi, preso alla sprovvista, e pensa che forse no, non avrebbe dovuto trattarla con tanto rispetto. Le afferra la mano, per impedirle di picchiarlo ulteriormente e per non essere lui stesso tentato di tirarle ancora un codino. “Stavo dicendo”, le pesta un piede, sorride invece di chiedere scusa – Maka si limita a grugnire e guardarlo male da sotto la frangetta – “siete pronte per il mio brillante discorso?”.
Blackstar sta masticando quell’idea da un bel po’, dopotutto è stato Kid a far scattare la scintilla nella sua mente.
“Blackstar, ho invitato personaggi molto importanti a questo ballo, approfittane per fare colpo sul qualcuno e riuscire a farti assumere per qualche impiego”.


Sbatte le palpebre, due volte, con un piede già sul tavolo, l'altro ancora a terra, la gamba stesa. Posizione scomoda per qui pantaloni eleganti, di certo non elasticizzati, che si alzano rivelando calzini azzurri oltre le scarpe laccate.
La cosa passa in secondo piano, perché Blackstar si è fermato dal salire sul tavolo e introdurre un discorso di presentazione, al fine di farsi conoscere velocemente da tutti gli invitati, non perché Maka gli sta tirando la camicia, prendendolo dalla schiena, e non per i suoi insulti soffiati tra le fessure dei denti. Blackstar si è fermato, perché ha visto Soul avvicinarsi e accanto a lui - sbatte ancora le palpebre, lentamente - una certa ragazza, imbarazzata, con la testa bassa e un piccolo sorrido dolce, seminascosto. Tira giù la gamba, dimentico dei suoi propositi, con grande sollievo della signorina Maka Albarn - già con una tempia estremamente pulsante e gli occhi ridotti a fessure. Si passa le mani sul petto, facendole scorrere verso il basso, con il goffo obbiettivo di stirare un po' le pieghe della camicia, ormai sbottonata fino alla seconda asola, colpa del caldo che segue certi balli. "Andiamo" dice solo, e Maka non fa neanche in tempo a chiedere dove, che Blackstar è già davanti alla nuova ragazza, con le mani sui fianchi, il petto ampio e la bocca ghignante. Soul fa in tempo a dire "merda, no", Maka a raggiungerli, Tsubaki ad alzare piano il viso da terra; Blackstar apre la braccia, indifferente al fatto di aver appena urtato qualcuno nel gesto, e mente guarda negli occhi scuri quella ragazza fine, dai tratti orientali e le iridi luminose, ancora troppo coperte dalle ciglia, finalmente: "mi chiamo Blackstar!" sputa fuori, in un urlo agguerrito e fiero. Tutti nella sala, lo sentono. Il fatto che nessuno gli abbia chiesto come si chiami è per lui irrilevante.
Le afferra il polso, sotto lo sguardo di tutti i presenti che si sono appena voltati, e se la tira addosso. La musica del pianoforte e dei violini non è cessata, immobile è invece il chiacchiericcio che animava la sala precedentemente.
"Balla con me" dice, stirando le labbra così tanto che quasi rischiano di spaccarsi. Forse succede, perché le ha sempre troppo screpolate a causa del vento. Allora si passa sopra la lingua, sentendo il lieve sapore del sangue dovuto a un taglio appena formatosi, come previsto. Alla ragazza di fronte a lui tremano le palpebre mentre segue il movimento accurato della lingua.
Intorno a loro, piano piano, le chiacchiere si rianimano. Immobili sono Maka e Soul, la prima sconvolta, il secondo meno, ma infinitamente rassegnato e quasi infastidito, perché quella bella ragazza prosperosa non gli dispiaceva affatto.
"Va bene" risponde, quella che sappiamo essere Tsubaki, ma a cui Blackstar non ha ancora chiesto il nome. Lo farà, tra poco, per ora è troppo incentrato a godersi le vibrazioni della sua voce e il moto interiore che gli provocano. Perfino Soul, affianco a loro, si meraviglia; lui, in venti minuti non era ancora riuscito e cavarle una parola di bocca.

 

***

È il terzo bicchiere di vino, quello di Soul. Ormai lo manda giù come acqua, dopotutto beve il vino della sua bottega da quando ne ha memoria e anche se gli altri dicono che sia particolarmente forte (Blackstar, ad esempio, quando finisce il secondo bicchiere è più che brillo), a lui non fa più particolarmente effetto. Per questo, pensa di puntare anche al quarto, dopotutto da quando Blackstar gli ha trascinato via la ragazza con cui Liz voleva felicemente accasarlo, si sta annoiando a morte.
Poi c’è quell’altra ragazzetta, quella che sembra più piccola ma Liz giura abbia solo un paio di anni meno di lei. Soul non vorrebbe ammetterlo, ma l’ha colpito, forse per il modo in cui teneva Blackstar per la camicia, senza un minimo di paura, con le guance gonfie e gli occhi infuocati, quando stava cercando di impedirgli di salire sul tavolo. È tutta la serata che la guarda, mentre parla con Liz e non accenna minimamente a voler unirsi al ballo. Ogni tanto ha voltato i grandi occhi nella sua direzione, assottigliandoli ogni volta che incontrava il suo sguardo e girandosi dall’altra parte, scontrosa per chissà quale motivo.
Appoggia la schiena contro la parete e mordicchia con i denti il bordo duro del bicchiere. Gli piacciono, quei codini che ha ai lati della testa e il modo in cui li fa ondeggiare, quando discute più animatamente. Il vestito che indossa è molto simile a quello della altre donne presenti nella sala. Arriva fino a terra, tanto da permettere di vedere solo la punta delle scarpe. Le maniche si gonfiano sulle spalle, per poi stringersi sotto di esse. Finiscono all’incirca ai gomiti, con un piccolo bordo in pizzo. La vita è sottilissima, stretta ancora di più in un corpetto indubbiamente scomodo, che culmina con un grosso fiocco alla fine della schiena. I due lembi del fiocco si appoggiano morbidi sulle natiche. Soul rimane un po’ troppo a fissare proprio quella curva della schiena e il modo in cui oscillano le estremità del fiocco verde, come se le accarezzassero il sedere tondo, ad ogni movimento. Peccato solo, che non abbia il magnifico seno dell’altra ragazza.
Sbatte piano la testa all’indietro, contro il muro, mentre scivola con lo sguardo sulla scollatura quadrata del vestito di quella signorina Albarn, sospirando rassegnato nel non trovarci minimamente qualcosa di interessante.

 

***

Tsubaki non si è mai sentita tanto imbarazzata in vita sua. Il ragazzo non segue i classici balli; le stringe entrambe le mani sui fianchi, non le fa fare piroette e giri, ma si limita a tenerla incollata al suo corpo, in una vicinanza che fa sussurrare le donne affianco a loro e alzare i sopraccigli agli uomini. Non stanno neanche andando a ritmo, spesso lui le ha pestato i piedi e ha sorriso invece che scusarsi – a Tsubaki va benissimo così – e più volte l’ha sballottata distrattamente contro qualcuno dietro di lei, ridendo rumorosamente in risposta.  I mille scusa farfugliati al posto di entrambi e lo sguardo basso non bastano a farla sentire meno a disagio, in ogni caso.
Inspira l’odore forte che quel ragazzo emana e non riesce a non far volare lo sguardo sulla porzione di petto lasciata scoperta dalla camicia o le maniche arrotolate in modo trasandato fino ai gomiti. Non ha neanche mai visto qualcuno di così spettinato, con i capelli che puntano più al lampadario che ai loro piedi, ma deve mordersi l’interno della guancia per evitare di allungare le dita, che tiene allacciate dietro al suo collo – è stato lui a metterle le braccia in quella posizione – e non accarezzargli i ciuffi azzurri.
“Signor Blackstar, ma voi non dovevate invitare a ballare la signorina Maka-chan?” soffia tra le labbra, alzando di poco le palpebre, giusto per guardarlo un attimo negli occhi e poi riabbassarle, arrossendo per la vicinanza al sorriso di lui. Le dita si sistemano meglio sui suoi fianchi, facendole trattenere per un attimo il respiro.
“Io non ho doveri, non devo fare nulla che non mi vada, Tsubaki”.
Da sotto le ciglia contempla il suo sorriso perennemente esposto, enorme, e per la prima volta si sente incredibilmente attratta dalla risposta che gli è stata rivolta. Non avrebbe mai pensato, lei, di rispondere in quei termini.
Blackstar però non ha finito; vede le sue labbra secche e arrossate muoversi ancora, parlando e solleticandogli il mento con il fiato – giusto perché il ragazzo è poco più basso di lei.
“Per esempio, non siamo mica obbligati a rimanere qui; questo ballo di merda mi sta stufando”.
Se la allontana un poco dal corpo, in un gesto così veloce e poco delicato che Tsubaki finisce per mordere troppo forte la carne tenera della guancia che teneva intrappolata tra i denti.
“Uh” dice solo, sorpresa, quando lui le afferra di nuovo il polso, come quando l’aveva trascinata via dal signor Evans poco tempo prima. È costretta a guardarlo negli occhi ora, perché non può evitare il suo sguardo per sempre.
Ci sarebbero un po’ di cose da dire, sulla signorina Tsubaki e la famiglia Nakatsukasa, in questo momento della storia. Ad esempio, il fatto che la dolce Tsubaki sia stata abituata alle buone maniere fin da piccolissima, ad abbassare il capo e salutare cordialmente gli uomini più grandi di lei, a mantenere una voce dolce e disponibile in qualsiasi circostanza, a rispettare i buon costumi, non mettere corpetti troppo scollati e tenere sempre legati i capelli, in acconciature spesso anche fastidiose . Forse non lo ha mai ammesso a se stessa, ma sì, certi balli, certe feste e cene di gala sono spesso una rottura. Per questo sente uno sfarfallio nello stomaco mentre guarda gli occhi verdi di quel ragazzo per nulla educato, le pupille dilatate in attesa di una risposta di consenso – accettare di allontanarsi con lui dalla festa-  e il riflesso dei lumi del lampadario tra una striatura e l’altra dell’iride. La mano che le stringe il polso le brucia terribilmente, perché è come se gli stesse imprimendo un segno nella carne, fino al sangue che scorre veloce sotto la pelle delicatissima del polso sottile. Inspira, in qualche strano modo spera gli entri nelle vene tutto quel calore.

È andata al ballo pensando di poter trovare un marito perbene, obiettivo consigliatogli dalla madre sulla porta di casa, mentre le sistemava una ciocca sfuggita all’acconciatura. Questo tipo, che non ha neanche avuto bisogno di una qualche risposta verbale, ma che ha solo riso di fronte al suo sguardo e ha capito, trascinandola verso la porta d’ingresso, non coincide per nulla con l’idea di marito che si è sempre creata in testa. Non fa in tempo a salutare né Maka né i padroni di casa, nota solo Soul guardarli con un sopracciglio alzato e un sorriso storto, prima di ritrovarsi fuori, nel giardino di villa Kid, con uno strano affanno nel respiro.
“Ma dove andiamo?”. Ha dimenticato lo scialle sull’appendiabiti e per qualche strana ragione il pensiero la fa sorridere, perché non le importa davvero.
Il ragazzo ha un passo eccessivamente veloce e troppa energia in corpo. Gli è scesa una manica della camicia, prima arrotolata fino al gomito.
“Vuoi fare il bagno nel fiume?” chiede. Poi le lascia il polso, sicuro che ora non scapperà e si accovaccia a terra per sfilarsi le scarpe. Da quello che sta iniziando a capire di lui, Tsubaki sa che non si aspetta una risposta; la dà già scontata. Blackstar si desta in piedi in poco, quasi rischiando di sbattere con il cranio contro il mento di Tsubaki, che si era sporta un pochine per sbirciare – oltre i suoi capelli ingombranti – cosa stesse combinando. Con le scarpe e i calzini tenuti in una sola mano e i piedi nudi sull’erba, inizia a correre, urlando qualcosa di strano, che lei interpreta come una sorta di invito.
La ragazza alza il volto verso il cielo nerissimo e distrattamente pensa che tra poco verrà a piovere. Dalla casa, enorme e illuminata alla sue spalle, si sente leggera la melodia del pianoforte.
Dopotutto, queste feste annoiano a morte anche lei. Sorride, lo segue.

Tsubaki racconterà a Maka del bagno nel fiume solo il giorno seguente. Si imporporerà ad ammettere che sì, era solo in camiciola, davanti ad un Blackstar già immerso nell’acqua fino al naso, con gli occhi che gli ardevano e sembravano bruciarle ogni centimetro del corpo.
Che poi, sarebbe quasi d’obbligo aprire tutta una parentesi dedicata alla camiciola di Tsubaki e la grandiosa idea, quella sera, di non mettere i soliti mutandoni, che indubbiamente l’avrebbero fatta vergognare in quel fragrante. Anche perché, per qualche inaccessibile ragione, la signora Nakatsukasa nutre un particolare amore nei confronti dei merletti in pizzo e alla sarta di paese chiede sempre di aggiungerne strati e strati. Il risultato è che tutto l’intimo della signorina Tsubaki termina con almeno una decina di centimetri  di pizzo che le fanno sempre prudere fastidiosamente i polpacci candidi. Quella scelta d’intimo è stata invece indubbiamente apprezzata.
Nel riferire a Maka sorvolerà però sul fatto che Blackstar le avesse baciato il collo da dietro e appoggiato le mani appena sotto al seno, ma che i pollici, muovendosi, glielo accarezzavano benissimo.

D’altra parte Maka gli racconterà che ad un certo punto della serata Soul Evans si era recato al pianoforte e aveva iniziato a suonare. Tralascerà però la sua opinione riguardo al fatto, troppo orgogliosa per dirle che quella melodia le faceva venir voglia di piangere e sorridere contemporaneamente, ma più di tutto, indubbiamente, di andare a stringere quel ragazzo.

 

***

Kid controlla che le coperte siano perfettamente sistemate, che la trapunta non penda più da una parte rispetto all’altra. Solo dopo un’accurata analisi e sistemazione annuisce soddisfatto a sé stesso e si infila nel letto.
“Liz” sussurra, indeciso, “sei ancora sveglia?”. La moglie in risposta mugugna e tira fuori la chioma bionda da sotto il calore della coperta. Ha il fiato caldo, Kid se lo sente sul colo quando lei lo abbraccia e la vestaglia di seta sfruscia sul suo corpo. Intreccia le gambe, sentendo quelle scoperte di lei, lisce e piacevolmente calde, sulla pelle. Se la stringe di più addosso.
“Ti è piaciuta la festa quindi? Ti ricordo che l’ho organizzata solo per il tuo perverso intento”.
Si danno del tu, è stata una decisione di Liz a riguardo, una delle clausole del loro matrimonio. La quattordicesima recita “non puoi impiegare più di dieci minuti a sistemare il letto prima di metterti a dormire”. La scrupolosità di Kid gliene fa impiegare dodici, ma Liz chiude un occhio la maggior parte delle volte.
La sente sorridere sul suo collo e rispondere entusiasta “certo che sì, è stata un’idea grandiosa quella di farli conoscere”. Kid ha già la testa altrove, in particolare rivolta alla gamba morbida di lei che si è infilata tra le sue. Le posa il palmo aperto sulla coscia, ma continua ad ascoltarla.
“Insomma, lo avrai notato anche tu no? Maka con il suo carattere forte è l’unica che può tenere a bada uno scatenato come Blackstar, staranno benissimo insieme. Soul invece è molto più pacato, può mettere Tsubaki a suo agio, in più è molto protettivo, si prenderà bene cura di lei”. Annuisce, completamente soddisfatta e aggiungendo poi “non credi?”.
Kid non è così convinto, qualcosa in tutto quello stona; è come se le coppie fossero poco simmetriche. Non esprime i suoi dubbi però, si limita a baciare Liz sulla labbra, tenendola per la nuca e pensare che ne uscirà fuori qualcosa di sicuramente divertente, da quegli incontri.

 

***

Che Blackstar fosse contro qualsiasi tipo di convenzione sociale, matrimonio e vita familiare inclusa, è risaputo. Per questo Sid non si spiega come mai sia tornato a casa con i capelli gocciolanti, gli occhi accesi, un lieve affanno nel respiro e sulle labbra una folle richiesta.

È risaputo anche che Blackstar goda di grande fama, in tutta Death City, per essere la persona più risoluta mai incontrata. Tutti quanti in città lo sanno, motivo per cui il nome di quel ragazzo viene sempre pronunciato con un lieve brivido nella voce: non vi è obbiettivo che si sia posto e non sia riuscito a raggiungere.

 

“No Blackstar, non puoi chiedere la mano della signorina Tsubaki Nakatsukasa. Non accetteranno mai, sono di famiglia nobile e tu non puoi che offrile lei un umile e precario futuro.”

“Vogliamo vedere?”
















Spazio autrice. Nya.
Terzo e particolarmente lungo incontro! La più grande differenza rispetto alle altre due Shot sta, ovviamente, nell'introduzione delle altre coppiette e spero la cosa sia apprezzata. Vi è un breve POV di Soul con i suoi soliti commentini circa il fisico di Maka, ma l'innegable attrazione dovuta al suo caattere molto forte.  Spero tutti i fan SoMa apprezzino!
Vorrei calcare l'attenzione sul senso che cela la storia: il piano di Liz è totalmente un altro rispetto alla piega che prendono le vicende, ha fatto male qualche conto insomma. L'idea è un po' quella di trovare un modo per dimostrare il fatto che in qualunque modo si provi a combinare i protagonisti vi è qualcosa di molto più forte che porta le coppie a gravitare tra di loro; le due anime in sintonia ad attrarsi, indipendentemnete da come gli altri cerchino forzatamente di combinarle. Sarà un pensiero idealisticamente romantico, ma uno degli aspetti più belli di questo manga è proprio l'attrazione tra anime, anche se l'autore non voleva di certo sficiare nella romance.Tutto ciò è solo opera dei fan, tutti noi che cerchiamo doppisensi celati anche quando non ce ne sono. Eh eh.
Poi, dai, ce li vedete Blackstar e Maka insieme? Solo a pensare a quei due che ballano viene fuori qualcosa di estremamente comico.
Spero di aver reso abbastanza bene il contesto storico, ho cercato di renderlo fedele descrivendo particolarmente gli abiti (quello di Maka o la biancheria intima di Tsubaki, guardate qualche imagine per capire meglio cosa intendo con "mutandoni stra pieni di pizzo", qualcosa di inguardabile, ahi ahi). Fa troppo strano far parlare i personaggi dando del "voi", quindi mi sono cimentata ogni volta in spiegazioni sul perchè parla così, perchè ora invece colì... spero di non essere sfociata in spiegazioni inutili che rendono eccessivamente pedante il racconto. Ovviamente, ho preso molto spunto da Cime Tempestose (l'ambientazione è quella, con l'intrudiuzione forzata della misteriosa Death City) e da Orgoglio e Pregiudizio, riguardo l'organizzazione di certi eventi, come i balli , per l'appunto.
Se trovate errori/refusi fatemelo pure notare, sono una distrattona e qualche errore di battitura mi scappa sempre >.<

Spero che questo terzo - primo - incontro vi sia piaciuto, al prossimo racconto!
Un super abbraccio e un ringraziamento per le recensioni e chi ha messo la storia tra le preferite o le ricordate.

Sarck  xx

 

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