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di busybee_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Classes ***
Capitolo 2: *** Friends ***
Capitolo 3: *** More than classmates ***



Capitolo 1
*** Classes ***


Quel giorno mi era crollato il mondo addosso, non volevo crederci. Credevo di essere nella classe perfetta, perfetta come la mia vita, la  mia tanto amata routine.  Invece ero lì, seduta, con la testa bassa, un fazzoletto ormai fradicio e il giaccio sul naso. Il fatto che il mio preside, un uomo molto giovanile nell’ aspetto quanto arretrato mentalmente, mi stesse supplicando di dare delle risposte alle sue domande non mi aiutava per nulla. Non sentivo le sue parole, sentivo solo il suono della mia voce spezzarsi in un impercettibile “ti prego, no”, mentre la pressione sul mio collo saliva, rivedevo solo la mia schiena sbattere sul muro, una mano a tenermi stretta per il collo, a dieci centimetri da terra e un pugno in piena faccia. “cosa hai in testa? Andare a dirlo alla coordinatrice? E brava la nostra avvocata degli sfigati”. Avevo ancora la sensazione di quelle mani strette intorno alla mia gola, quella presa così forte da non potermene liberare, tanto ero mingherlina. “Signorina Macari, per favore, risponda alle mie domande. La supplico di farmi capire cosa è successo” la voce del preside mi riscuote dai miei pensieri, e questa volta facendo un grosso e doloroso respiro con il naso, che ormai si stava gonfiando ingloriosamente sul mio pallido viso, e tutto d’ un fiato dissi “io ho solamente parlato con la Professoressa Ferri, volevo solamente dirle che avevo visto due miei compagni di classe prendere a calci un ragazzino della quarta ginnasio…” non feci in tempo a finire che il mio interlocutore finì la mia frase “questi due ragazzi devono  aver sentito le sue parole, e hanno provato a fermarla”. Mi limitai ad annuire. “Signorina, io le consiglio di andare a casa a risposare un po’, e di farsi portare all’ospedale per controllare che nulla sia rotto. Appena starà meglio vorrei parlare con lei” la conversazione si chiuse lì, sospesa nel  gelido silenzio che regnava in quell’ufficio.
Appena mia madre mi vide per poco non svenne, la cosa non mi stupiva, era abituata a vedere lividi e fratture, lavorando come infermiera, ma di certo non era abituata a vederli addosso a sua figlia, che non si era mai conciata così per via della sua vita divisa tra studio, lettura e canto.
Dopo pochi attimi di ripresa mi disse “non serve una radiografia per vedere che quel naso è a pezzi” sospirai entusiasta che non mi volesse portare in ospedale, “ma preferisco farti fare una visita per la gola, non mi piace quel livido” come non detto.
Mi dissero solamente che il naso era rotto, e dopo averlo bendato dissero di riposare un pochino, e di mettere del ghiaccio.
La mattina seguente mi alzai come ogni giorno, ma la testa era pesantissima, tanto da farmi barcollare sulle gambe, la mamma che mi aveva sentita alzarmi era venuta a vedere come stavo, e a giudicare dal suo immediato “Luz, rimettiti sotto le coperte, sei bianca come il muro!” forse era il caso di saltare un giorno di scuola. Così avendo libero arbitrio sulle mie decisioni, mi misi a studiare e, non avendo più nulla da fare, presi il mio quaderno di coro e mi misi a cantare, sapendo che se non andavo a scuola non andavo neanche a prove. Il pomeriggio sentii una voce familiare, ma che non riuscivo a riconoscere nell’ immediato, così scesi le scale, e trovai mia madre seduta i soggiorno davanti a una tazza di tè con il preside davanti a lei, che sembrava aver pianto, ma adesso sorrideva.
“Buongiorno, signor preside” dissi io, cauta, scendendo dalle scale. “Buongiorno, Lucia” disse lui cordialmente, invitandomi a sedere vicino a loro. Io mi unii alla conversazione, ma quello he sentii mi stravolse, forse più del colpo in pieno viso di ieri, perché quello era come una pallonata ben assestata alla bocca dello stomaco: “Lucia, da domani frequenterai una classe diversa dalla tua. Potrai continuare tutte le tue attività normalmente, cambierà solamente la sezione. Preparati ad andare in seconda C.” io rimasi spiazzata, mi aspettavo tutto, ma non che mi cambiassero della mia classe, per di più per finire in quella classe, dove tutti erano uniti in un gruppo, e avrei fatto molta fatica ad integrarmi. Conoscevo poche persone lì dentro, un ragazzo che abita vicino casa mia e due ragazze che ai tempi del ginnasio facevano coro assieme a me, “ma” intervenni “cosa farò nella classe nuova? È gennaio, tutti i professori, i compagni, i libri saranno diversi?” scoppiavo, stavo letteralmente per scoppiare e questo non era un bene, non ora, non davanti al preside; respirai profondamente. Una, due, tre, dieci volte. Poi finalmente il preside parlò: ”non devi preoccuparti di nulla. La classe è ottima, gli insegnanti sono gli stessi, esclusi quelli di matematica, fisica e inglese. Ma loro sanno già tutto di te, e sono pronti ad accoglierti. I libri sono gli stessi, e per qualsiasi cosa, sai dove trovare il mio ufficio”, poi la conversazione divenne meno scolastica e più informale, quindi mi ritirai, pensando a chi avrei potuto dire cosa stava succedendo. Solo Simone avrebbe capito. Simone era il mio più caro amico, o meglio, l’ unico che avessi. Simone aveva un anno più di me, conoscevamo da sempre, avevamo fatto tutte le scuole assieme, lui un anno avanti a me, ma quando avevamo iniziato le superiori alla fine del primo anno lui venne bocciato, per quanto studiassimo assieme, e andò allo scientifico, dove diceva di avere vita più semplice, materie migliori e meno lingue morte; io invece rimasi al liceo classico, non ci siamo mai persi di vista, perché le scuole erano vicine, e la mattina ci andavamo assieme, e non c’era cosa più bella di passeggiare con lui, mi dava sicurezza. Decisi di chiamarlo, ovviamente lui sapeva già cosa era successo, mia madre gli aveva telefonato mentre mi portava a fare le radiografie. “Simo, sono Luz, come stai?” “Bene, tu come stai, briciolina?” –era così che i chiamava, perché rispetto a lui ero proprio piccola, lui aveva dieci anni di intenso rugby alle spalle, mentre io mi limitavo a cantare, “io bene, dolorante, ma meglio di ieri. Oggi è passato il preside, ha detto che mi vuole cambiare di classe, o meglio, che da domani o quando torno, sarò in seconda C” “come? Ti ha spostata di classe?” “Sì, ma forse è meglio. Iniziare a vedere ogni giorno quei due non so quanto sarebbe conveniente” “Hai ragione, ascolta, ti va se andiamo a prendere un gelato così ti distrai un attimo, se te la senti, altrimenti vengo io da te, o tu da me, come vuoi basta che vediamo”. Ridendo agganciai. Controllai che il preside fosse andato via, e chiesi alla mamma di uscire, che con un rilassato sorriso disse che non era un problema, e mi ricordò che sarei rimata sola a cena, perché lei era di turno. Così la salutai, presi la borsa e mi avviai verso casa di Simo, senza neanche provare a truccarmi, il mio naso incerottato era contornato da un livido che mi copriva come una maschera scura. “Simo, sono io! Mi apri?” nessuna risposta, solo il ‘clic’ del cancello, poi un “Cavolo, Luz, sei messa male veramente!” “Grazie” risposi sarcastica “Ti va se restiamo dentro? Non mi sento troppo a mio agio con questa cosa in faccia” “Certo, entra pure”. Passai il pomeriggio da lui, e mi fermai da Simo anche a cena, era come una seconda casa per me, da quando papà se n’era andato e mamma lavorava così tanto, ero spesso da loro, e volevo molto bene alla loro famiglia. Dopo cena mi feci riaccompagnare da Simo, dicendo che lo aspettavo la mattina seguente pronta per tornare a scuola, al solito posto. Il nostro punto di incontro era a metà della via dove abitavamo, era una zona molto tranquilla, alla periferia della città, e nella nostra via c’era un piccolo parco, con una fontana che zampillava allegramente; noi ci ritrovavamo alla fontana. E da lì imboccavamo la via che portava al vialone principale, quello che conduceva in centro città, e poco prima di questo, alle nostre scuole: una rigida, schematica e bordeaux, intitolata a Galileo Galilei, e lì andava Simo. Io invece attraversavo la strada e andavo verso il mio amatissimo edificio antico, rialzato rispetto alla strada da una scalinata che ricordava quella di un tempio greco, e lì svettava incontrastato il maestoso Liceo Classico Tommaso D’ Aquino.

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Capitolo 2
*** Friends ***


​La sveglia suona alle sei e mezza e io, senza esitare mi alzo, consapevole del mio secondo “primo giorno”. “Buongiorno, tesoro” dice la mamma stampandomi un bacino sulla guancia e io sorrido di rimando, la bocca troppo impastata per formulare una parola che non sia un grugnito. Una volta finita la colazione mi vesto e mi trucco, quel tanto he basta per coprire un po’ i lividi, che ormai sono passati quasi del tutto, e il bendaggio al naso mi è stato tolto, lasciandolo solo un po’ ammaccato. Prendo il mio bus, con il mio tanto amato libro, e porta fortuna, un fantasy. Adoro quel genere, e averlo con me mi fa sentire speciale e come se qualcuno che condivide questa passione potesse sentirsi libero di parlare con me. Scendo e vado verso la scuola, preoccupandomi di essere in orario e non arrivare tardi in un classe che non ho mai visto. Entro, convinta di essere sola e mi metto vicino all’ armadio, così non infastidisco nessuno, e continuo a leggere, consapevole che sono le otto meno un quarto, e solo tra dieci minuti le altre persone entreranno; poi sento delle voci, così mi metto ad ascoltare “dài, Ele! Finiscila di farti foto, e di farmi foto!!!” poi una voce maschile continua “ha capito che sei bellissima, principessa” e la ragazza che prima si lamentava risponde con paroline dolci, seguita da un sonoro e piuttosto disgustato “che schifo. Sempre a pomiciare”, detto da una voce più bassa e calda. Poi tutti scoppiano in una risata, e arrivano in classe, appena mi vedono una ragazza con gli occhiali mi guarda e dice “tu devi essere Lucia, ci ha detto la prof di filo che saresti arrivata. Noi siamo Anna” disse indicandosi il petto, “Marco” dando un bacio a un ragazzo, ipotizzo sia lo stesso che prima l’ha chiamata principessa, “Eleonora” e indica una ragazzina minuta con le lentiggini e la pelle lattea, “e Matteo. Manca Alessandro, ma oggi aveva un impegno con il conservatorio, e non viene a scuola” aggiunse in tono leggero. Io, a bassa voce dissi “piacere, Luz”. Anna, con il viso incorniciato da lunghi boccoli perfetti e scuri, qualche centimetro più di me e il fisico allenato era la più alta tra le ragazze che adesso erano in quella stanza, mentre Eleonora era poco più bassa di me, ma era contenuta anche nel fisico e questo la rendeva, a mio parere, molto bella. Marco era allenato almeno quanto Anna, era alto più di lei di almeno una spanna, e aveva un ciuffo castano che stava bene con gli occhi neri. Matteo era moro, e aveva gli occhi blu come il mare, mi ricordava molto uno dei personaggi che avevo incontrato in uno de miei libri, ma per quanto ne sapevo, il carattere era diverso. A poco a poco entrano gli altri membri della classe, e le lezioni passano spedite fino a ricreazione, al suono della campanella Anna mi ferma poco fuori dalla porta per chiedermi il numero di telefono, per aggiungermi al gruppo della classe, e chiedermi un po’ di me. “Allora Luz, parlaci di te. Forza, dicci tutto quello che ti piace e non ti piace!” dice Anna, con un sorriso dipinto sul volto e io inizio, sfiorandomi i lunghi capelli biondi per l’ imbarazzo, arrossendo fino alla punta delle orecchie. “Nella mia vita canto, suono il pianoforte nel tempo libero e mi occupo di volontariato, con i bambini di solito, ma a volte anche con gli anziani. Mi piace leggere e camminare, al mare in inverno e in montagna d’ estate. Non mi piacciono le persone prepotenti e la neve, perché è troppo fredda e bagnata assieme.” “Assurdo” commenta Eleonora quasi sussurando, ma io la guardo curiosa, e lei dice, prendendomi da parte “sono gli stessi gusti di Matteo, fino ad adesso non ha mia trovato qualcuno che vada a camminare in montagna con lui”, io sorrido dicendo “beh, a dire il vero anche io non vado spesso, e mai in compagnia, perché nessuno vuole venire”, detto questo ci riavviciniamo al gruppo, e noto, dopo una evidente gomitata di Anna he Matteo è rosso come un peperoncino. Marco inizia a parlare di sport e seguo la conversazione poco convinta, non troppo interessata dall’ argomento. A fine giornata torno a casa, con una versione di greco da fare, e dopo aver finito mi concedo una pausa al cellulare, e vedo un messaggio “Ehi”, non capendo chi è apro l’ immagine del profilo, e vedo Matteo, che sorride con un cagnolone e un gattino, così lo salvo nella rubrica e rispondo “Ciao”, la conversazione si evolve parecchio, passando per animali preferiti e cibi stranieri più apprezzati. Fino a quando leggo “domani torna Alessandro, e dovrai cedergli il banco, ti va di stare vicina a me?” io, senza esitare, rispondo “sì”, senza pensare a nulla, se non a quanto è gentile da parte sua starmi così vicino in un momento simile.

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Capitolo 3
*** More than classmates ***


Il mattino seguente arrivai a scuola in orario, come sempre, e con una strana sensazione che non avevo mai provato fuori dalla mia sala con il pianoforte e i miei spartiti, eppure non ero lì, ero in classe, seduta, a prendere appunti di una materia che non tolleravo neanche troppo, matematica. Eleonora era in banco con Alessandro, e io con Matteo. Anna è Marco erano assieme, ovviamente. Anna, che era la persona con cui avevo legato di più, mi lanciò un bigliettino, scritto con la sua calligrafia tondeggiante riportava le parole che io immaginai lette dalla sua voce, e immaginai l'espressione del suo volto nel parlare "smetti di prendere appunti, e chiedili a Matteo", io la guardai interrogativa, non capivo. Anna mi fece cenno del fatto che ne avremmo parlato dopo, e al suono della campanella mi prese per un braccio e mi tirò in bagno, e mi disse con l'espressione che avevo immaginato prima "allora?" e io, non sapendo a cosa si riferisse la guardai come si guarda un quadro moderno particolare e incomprensibile. "Con Matteo! So che vi scrivete e ormai sono due mesi che siete in banco assieme!" io sorrisi, al pensiero delle due mesi che avevo passato in banco con lui, avevamo legato moltissimo, avevo scoperto che sapeva cantare, e spesso veniva da me, cantavamo assieme, io suonando il piano e lui la chitarra; sapevo che giocava a rugby, ed ero stata ad una sua partita una domenica, e mi ero davvero divertita a tifare, anche se la squadra aveva perso; pensai a quella volta che invece mi accompagnò fino a casa solo perché pioveva e io non avevo un ombrello, e a quando in una tiepida giornata di primavera, eravamo andati a camminare assieme a suo padre e sua madre; Anna mi scosse dai miei pensieri "ehi? Luz? Ci sei?" "Sì" balbettai poco convinta, e lei accorgendosene mi abbracciò e mi disse "sai, Marco mi ha detto che lui parla spesso di te, ma che è timido per sporgersi oltre" io arrossii come non mai, e Anna mi abbracciò di nuovo e poi mi disse "Sabato prossimo ci sarà il compleanno di Ale, perché non venite assieme?" io mi limitai a sorridere, e tornammo in classe. Quel giorno tornai a casa, e per prima cosa dopo aver finito di studiare, chiesi a mia madre se il sabato seguente potessi andare alla festa organizzata da Alessandro, e lei annuì contenta del mio "primo party". Il giorno seguente venni a sapere che era una festa elegante, e mi si formò un nodo alla gola, io non avevo un abito adatto a quell'occasione, e pensai a quando prenderlo, dato che mamma era via per lavoro. Così chiamai Anna, che in meno di dieci minuti mi raggiunse a casa e mi trascinò fino alla fermata dell'autobus per arrivare in centro città, dove avrei trovato il mio vestito. Il pomeriggio trascorse leggero, tra chiacchere e risate, e quando la sera tornai a casa decisi di riprovare il mio vestito. Era azzurro acqua, molto delicato, lungo fino ai piedi, stretto in vita, con la schiena in pizzo, dello stesso colore. Per metterlo lo avevo abbinato a delle scarpe alte, blu intenso. Ero così felice del mio primo abito, non vedevo l'ora che arrivasse il giorno della festa. Quando quel sabato mi alzai, non mi ero resa conto di che giornata fosse, anche perché le lezioni non c'erano, a causa dell'assemblea d'istituto, e mi accorsi che era il giorno della festa solo quando, alle 3 del pomeriggio, Anna ed Eleonora arrivarono da me con tutto il necessario per prepararsi. Alle 7, orario di partenza per la festa, Anna aveva lisciato i suoi capelli scuri, facendoli ricadere sul morbido abito rosso, corto fino sopra al ginocchio, Eleonora invece, aveva arricciato i suoi capelli, e aveva un semplice abitino azzurro, corto come quello di Anna, con dei dettagli bianchi, quanto a me, nel mio vestito, avevo raccolto i capelli in un morbido chignon basso. Arrivarono, con tre macchine distinte, Marco, Ale e Matteo. Marco aveva portato una rosa ad Anna, e poi l'aveva fatta salire, Ale aveva fatto cenno ad Ele di andare in macchina e io la seguii, però la voce di Matteo mi fermò, quando mi prese per la mano e mi accompagnò alla sua auto, aprendomi la portiera e aiutandomi a sedere, come era carino quella sera, aveva il fazzoletto che spuntava dal suo abito grigio che era dello stesso colore del mio abito, probabilmente Anna aveva detto tutto, ma ero felice che lo avesse fatto.

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