Obsession with cinnamon

di Eppol
(/viewuser.php?uid=81570)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Red dots. ***
Capitolo 2: *** Cinnamon cupcake. ***
Capitolo 3: *** Cinnamon kiss. ***
Capitolo 4: *** Red thread. ***
Capitolo 5: *** Cinnamon dress. ***
Capitolo 6: *** Jenice. ***
Capitolo 7: *** Dov'è finita la cannella? ***



Capitolo 1
*** Red dots. ***


Quella mattina Melanie non fu l’unica a spegnere per ben tre volte la sveglia e ad alzarsi dal letto alle 7:15, non fu l’unica nemmeno a cercare nell’armadio i vestiti più decenti che avesse e a far colazione con un misero biscotto al burro.
Non fu sola nemmeno a fremere d’emozione e d’impazienza mentre aspettava che il vecchio ascensore del suo palazzo la portasse al piano terra.
Il suo compagno di sventura, quella mattina, portava il nome di Cameron.
Cameron non era mai in ritardo, non era mai agitato o emozionato, era solo ed esclusivamente impaziente.
Impaziente di entrare per la prima volta in quella scuola, ed iniziare il suo primo vero e proprio lavoro. Uscì di casa alle 7:55, e calcolando che le lezioni iniziavano alle 8:10 era in assoluto ritardo. La scuola superiore in cui l’avevano “spedito” era a circa mezz’ora da casa sua, e se -pregando il cielo- non avesse incontrato traffico, nè tantomeno vigili pronti a multarlo per eccesso di velocità, sarebbe arrivato in venti minuti.
Fortuna fu che la macchina quel giorno non diede problemi, che non ci fosse un’anima in giro, nonostante fosse lunedì mattina, e che i vigili in quella città si vedevano ogni 30 febbraio.
Si accorse di non essere l’unico a varcare la soglia dell’ingresso scolastico poco prima che suonasse l’ultima campanella... Peccato che però, in qualità di professore, lui dovesse essere già nella propria classe.
Ed invece si trovò a pochi passi dalla sua aula con il cuore in gola per la fretta, un po’ di sebo che gli lucidava la fronte ed un braccio lesionato dall’arrivo di una ragazzina in evidente ritardo, che come lui si fermò davanti alla porta scorrevole chiusa.

Cameron tossì per farsi sentire. Perfetto... La bimba che aveva attentato alla vita del suo braccio era una sua alunna.
La ragazza si girò leggermente, i muscoli tesi e le sopracciglia aggrottate, poi sobbalzò.
Cameron, onde evitare ulteriore imbarazzo, portò una mano al di sopra della testa della ragazza, afferrando la porta e aprendola.

Melanie era in totale imbarazzo. Ritardare e trovarsi davanti in proprio professore non era il massimo.
Menomale che sembrava per niente arrabbiato, ed anzi le parve di scorgere che aveva un’aria davvero serena e rassicurante.
Entrò non appena la porta si aprì, e nemmeno fosse ad una maratona si fiondò veloce al suo posto di fianco a Gilda.
Gilda era un’ottima compagna di banco,; Erano diventate amiche dal primo giorno del primo anno ed erano sempre state insieme ad ogni gita e ad ogni cambio di posto.
”Pronta per finire ciò che abbiamo iniziato insieme?” Le disse, sfoggiando un sorriso splendido.
Di un anno più grande di lei, Gilda era sempre stata un po’ come un faro durante le lunghe ore di matematica e gli stressanti compiti di inglese. Era una ragazza più che solare, sempre ottimista e in gamba.
Era riuscita a farle passare più volte l’ansia prima di un’interrogazione e più volte l’aveva consolata, non soltanto per i brutti voti.
Purtroppo però per colpa di due stili di vita più che differenti, le due si trovavano a frequentarsi quasi esclusivamente all’interno dell’ambiente scolastico, salvo qualche rara giornata di shopping.
”Sentito che abbiamo uno nuovo di storia dell’arte?” sussurrò l’amica, e a Melanie tornò subito in mente quel tizio.
Sì, quello in ritardo come lei che dieci minuti fa era fuori la porta a fissarla e a tossicchiare.
E mentre si perdeva a chiacchierare con Gilda, pensando che fosse strano che ancora dovesse entrare, ammesso che fosse lui, la porta dell’aula si chiuse.
Il ronzio di sottofondo dato dall’accumularsi delle ventiquattro voci presenti in quella classe fin troppo stretta si estinse e lasciò spazio ad un silenzio molto più fastidioso.
Melanie si trovò esattamente incollata con le iridi a quelle del “nuovo arrivato” che l’aveva evidentemente riconosciuta.
Deviò totalmente i commenti poco consoni di Gilda e Susanne, l’altra compagna di banco, e distolse furtiva lo sguardo trovando magicamente interessante il suo portapenne.
Quando quello iniziò a parlare, poi, nemmeno una pizza grande quanto la luna l’avrebbe potuta distrarre dalla sua voce.

Aveva lasciato il tempo agli ultimi arrivati di entrare in classe, prendere il registo e far finalmente capolineo dalla porta.
Non appena entrò, sentì fin troppe voci per un’aula così eccessivamente stretta.
Il mattino seguente avrebbe richiesto un’aula decisamente più grande, se ne sarebbe ricordato.
Posò la valigettà per terra, di fianco alla cattedra e sentì un improvviso silenzio, chiaro segno che si erano accorti di lui.
”Buongiorno, sono il professor Carter. Come alcuni di voi sapranno” pochi, a giudicare dai loro sguardi stupiti “la vostra professoressa di Storia dell’arte ha dovuto per forze maggiori cambiare liceo.” Tossì un paio di volte, sentendosi veramente troppo al centro dell’attenzione. “E quindi da ora in poi a farvi da cicerone nelle pagine del vostro Cricco, che spero abbiate già, sarò io.”
Detto ciò si sedette, sperando di essere stato abbastanza convincente e aprì il registro.
”Posso procedere con l’appello?” Freddo, fin troppo gelido.
I ragazzi nelle prime file annuirono, e cercando consenso nelle file seguenti si intrattenne per qualche secondo in più su una in particolare. La terza. Più precisamente il secondo banco a sinistra: La ragazzina di poco prima, quella che gli aveva portato via un braccio, quella che gli aveva investito le narici con il suo profumo che sapeva di... Frutta, credeva.
Il tossicchiare di qualcuno lo fece rinsavire, e sfogliando le prime pagine del registro, trovò l’elenco.
”Ashton” Guardò di fronte a se.
”Presente” Rispose una timida ragazza in seconda fila.
”Allen” Continuò.
”Presente” Alzò la mano un armadio a due ante in ultima fila.
”Berry..” E notò un puntino rosso di fianco al nome.
”Presente” Sorrise la ragazza seduta in terza fila, nel primo banco a sinistra.
E così via, notando due nomi che avevano di fianco il puntino rosso.
Fin quando arrivò al terzo nome con quel maledetto puntino, e guardò diritto negli occhi verde prato già conosciuti.
”Turner. Melanie Turner” Disse, pronunciando per la prima volta anche il nome dell’alunna.
La ragazza che stava fissando sobbalzò e alzò leggermente la mano per farsi notare. “Presente!”
Doveva capire del perchè di quei puntini, e gli balenò in testa una strana idea.
”Signorina Turner potrebbe avvicinarsi un secondo?” Disse lentamente, senza mai staccare gli occhi dai suoi.

Melanie cadde dalle nuvole, sentendo d’improvviso gli occhi di tutti puntati su di lei, persino quelli di Jack, che era in fondo all’aula e non distoglieva mai lo sguardo dalle tette di Teresa, sua compagna di banco.
Si alzò, ignorando Gilda che le chiedeva cosa avesse combinato sta volta. Si avvicinò lentamente, nemmeno stesse andando al patibolo, alla cattedra, e dopo che il Professor Carter tossì, la classe smise di fissarla iniziando a parlottare.
”Mi dica.. professore.”Sibilò sperando che quest’ultimo l’avesse sentita.
Lui senza degnarle di uno sguardo le strisciò il foglio con l’elenco e le indicò con una penna il suo nome “Per cosa sta questo puntino, signorina Turner?”
”Ah.. il bollettino..” Si maledisse. Quella mattina avrebbe dovuto ricordarlo alla madre e invece perchè era in ritardo se ne era dimenticata. “Devo ancora consegnare il bollettino di iscrizione.” Pregò che i compagni di classe non l’avessero sentita.. che figura avrebbe fatto?
E seppure non l’avessero sentita, ci pensò il bellissimo Professor Carter ad alzare un po’ la voce per lei.
”Bene, quindi Turner, devi consegnare il bollettino entro una settimana massimo..”Sentenziò.
Poi si voltò verso la classe e continuò “Anche Berry e Owan! Massimo una settimana, in quanto cordinatore di classe, mi muoverò a prendere provvedimenti in caso non doveste portarli entro lunedì prossimo.” Si voltò verso di lei “Capito..Melanie?” Disse con un filo di voce, lasciando che a sentirlo fossero solo loro due.







Angolino
~
Allora, come prima cosa voglio fare delle premesse (e delle promesse ahaha)
Premetto che ho scritto questo capitolo tutto d'un fiato, insieme ad altri due che vorrei ancora rivedere per bene... Quindi in caso di erroracci perdonatemi ç///ç
Poi volevo avvisare che non sono molto costante, e qui parte la prima promessa.
Prometto che proverò ad esserlo e spero di riuscire a pubblicare almeno un capitolo a settimana, se non due u.u
Ah si, poi.. amo disegnare, e proprio a tal proposito pensavo di darvi "un'immagine" dei personaggi, protagonisti e non.. quindi vi prometto che prima o poi all'inizio di uno dei capitoli vi pubblicherò un disegno che rappresenti Melanie, Cameron, Gilda e tutti gli altri che pian piano andremo a conoscere u.u
E vi prometto che manterrò le promesse ahahahaha <3
Bacini baciotti
~

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cinnamon cupcake. ***


CAPITOLO DUE - CINNAMON CUPCAKESaaaa
upload


La fila alle poste era interminabile. Seppure dovesse pagare un misero bollettino di poco, doveva aspettare ore ed ore prima di poterlo fare.
Fu proprio per quello, che quando uscì sfinita dalla struttura sospirò esausta.
Fortunatamente quella mattina si svegliò abbastanza presto anche se era sabato, e quindi si accorse che aveva ancora tre lunghe ore prima di dover tornare a casa.
Decise di concedersi una mattinata di puro relax, ed infatti si affrettò ad andare al suo caffè letterario preferito.
Per raggiungerlo dovette prendere l’autobus, e si allontanò di molto dal centro.
Si stupì di trovare così poca gente nell’autobus, e soprattutto di dover aspettare così tanto prima che ne arrivasse uno.
Senza però dar peso a ciò, una volta scesa alla sua fermata, si precipitò per arrivare il prima possibile al caffè.
Era passata già un’ora e poco più, giusto per arrivarci, e Melanie avvertì la madre che non passava per pranzo, che avrebbe mangiato qualcosa per strada e che nel pomeriggio avrebbe raggiunto Gilda in centro per un po’ di shopping.
Quando fu dentro respirò l’odore di caffè, di dolce e di carta e si sentì davvero felice.
Adorava quel posto, adorava i dolci e i libri. A tal proposito ordinò un cupcake al cioccolato e miele, ed estrasse dalla sua borsa un libro di cui mancavano solo poche pagine da leggere.

Avrebbe dovuto correggere il piccolo test che aveva dato ai ragazzi della sua classe, ma non aveva nè la voglia nè la forza.
La sera prima era uscito con Tony e Abram, gli amici di vecchia data che erano sempre pronti a dir di si ad una birra.
Era certo che se avesse incontrato qualche suo alunno in una di quelle sere, avrebbe perso tutta la serietà che aveva dimostrato in quella settimana; Ma infondo, non poteva nè voleva privarsi, a 27 anni, di un’uscita tra amici.
Proprio in onore di quella serietà che tanto aveva mostrato in qualità di professore, decise di uscire di casa con i compiti in borsa diretto al solito posto che offriva non solo un ottimo caffè, ma anche una tranquillità perfetta per correggere quelle poche righe sicuramente copiate o imparate a memoria.
In effetti, fare il professore era esser consapevoli di venir presi in giro ogni secondo, come se gli adulti non fossero mai stati giovani copioni e imbroglioni.
Di solito, quando ogni tanto suppliva qualche professore e gli toccava farlo per alcuni mesi, fingeva che non fossero quelli ai primi banchi a suggerire le risposte corrette agli interrogati, ma adesso si era preso l’impegno di fare in modo che questo non accadesse.
Anche perchè in effetti, come professore non pretendeva molto, solo un minimo di serietà e preparazione; Fortunatamente la classe in cui era capitato aveva molti elementi validi.
Sicuramente una di questi elementi validi era Price, seduta in prima fila esattamente di fronte alla cattedra. Sempre attenta e preparata... Ed anche un po’ lecchina.
Preparato era anche Allen, l’omone che non smetteva di fissare le tette a.. com’è che si chiamava? Ah si, Cooper. Lei invece era davvero poco attenta, non ascoltava nemmeno mezza parola pronunciata e passava il tempo ad ammirare le sue unghie palesemente finte e glitterate.
Poi c’era Turner, quella ragazzina tutto pepe e con la testa tra le nuvole.
Cameron si era più e più volte fermato a fissarle i capelli, e ogni volta che la incrociava per i corridoi non poteva non ostinarsi a capire quale profumo emanasse.
Era una ragazza davvero preprata, e lo capì quando ad una domanda su Michelangelo, che faceva parte di un programma svolto almeno un anno prima, lei rispose in modo impeccabile, senza far riferimento a nulla che fosse scritto sul libro, ma a cose che in quella classe solo lui, qualche vecchio libro non scolastico e la sua alunna conoscevano.
Prima di entrare nel solito caffè, lui capì perfettamente perchè la ragazza dai capelli ribelli era così preparata.
Riuscì a scorgerla attraverso la vetrina del bar, seduta ad un tavolo nascosto in un angolo, con un libro dalla copertina bianca che lui conosceva fin troppo bene: Michelangelo: a life on paper.

”Se vuole un consiglio, legga qualcosa di più adatto al programma che dovremmo svolgere quest’anno”
Melanie scattò in piedi, credendo di averlo immaginato. Ma non appena si voltò alla sua sinistra, si accorse che non era frutto della sua fantasia.
”P-professor Carter!” Le uscì una voce tremendamente stridula.
”Melanie.” La salutò, e a lei arrossì di imbarazzo.
Carter aveva una voce calda e penetrante, e sentire il proprio nome venir pronunciato in quel modo le fece mancare un battito... Ed anche il respiro. “Posso sedermi qui con lei, o aspetta qualcuno?”
La ragazza sussultò. “Sì, cioè no.. non aspetto nessuno!” Esordì fin troppo ad alta voce, facendo ridere non solo l’uomo che aveva di fronte ma anche una donna che stava passando di lì in quel preciso momento.
Senza troppe parole il professore si sedette esattamente di fronte a Melanie, e la ragazza si sentì esageratamente a disagio.
Ma quanto era sfacciato nel chiedere ad una sua alunna se potesse sedersi al tavolo con lei? Era ovvio che non fosse una cosa normale, ed infatti Mel sperava stesse scherzando. Ma no, era fin troppo serio e se ne accorse quando al tavolo arrivò un cupcake alla cannella.
”Ecco a lei, Cameron, come al solito il dolce del giorno.” Sorrise cordiale la cameriera che poco prima le aveva servito il suo dolcetto.
Cameron. Che nome dannatamente perfetto per un uomo così.. bello.
Si fermò a fissarlo, mentre parlava di qualcosa che nemmeno stette a sentire con la cameriera.
Aveva dei capelli nero corvino abbastanza lisci che gli ricadevano morbidi e disordinati sulla fronte. Gli occhi, anch’essi neri, erano di una profondità assurda, e il solo fissarli dava una sensazione di vuoto che nemmeno cadendo da un dirupo si sarebbe avvertita.

Aveva un profilo bellissimo, e pensò che avesse sbagliato decisamente lavoro.
Come diamine aveva fatto quel giorno, la prima volta che si videro, a non far caso alla sua bellezza? Era evidentemente troppo presa dal fatto che avesse fatto ritardo per badarci, non c’erano altre spiegazioni.
Di lì a poco, tutte le studentesse sarebbero impazzite per lui, così come stava facendo lei.
Stava cadendo in un clichè tipico, l’alunna che si perde per il proprio insegnante.
Che, tra parentesi, di sicuro non si sarebbe cagata nemmeno di striscio.
Sorrise divertita dai suoi pensieri, e involontariamente richiamò l’attenzione dell’uomo che smise di parlare con la cameriera e tornò a fissarla proprio come in classe.
”Mh, cannella” Sussurrò ammirando il dolcetto e forse dando voce ai propri pensieri, e quella voce fece impazzire nuovamente Melanie.
Non era mai stata una ragazza tanto facile da attirare, ma sta volta, sarà per il fascino dell’uomo più grande, o semplicemente perchè Cameron aveva un fascino tutto suo, si sentì maledettamente attratta da lui e dalla sua voce.
Si impnotizzò sta volta a guardargli le mani, le dita lunghe, sottili e curate, non portava anelli nè bracciali, e Mel non si stupì affatto: Sembrava essere proprio quel tipo di uomo che non possiede tratti distintivi oltre che all’immensa bellezza, quelli che non hanno bisogno di mettersi in ghingheri per farsi notare e che, anzi, con la camicia un po' maltrattata e i capelli scompigliati sono ancora più attraenti.
Si accorse solo dopo che dalle mani si era spostata alle braccia, poi alle spalle ed infine al collo che spariva dentro la maglia grigia che lasciava però in bella vista un po’ di clavicola e quel maledettissimo pomo d’adamo che sembrava volerla chiamare.
Si trovò a degludire vistosamente, accortasi del fatto che il suo insegnante la stava fissando, forse sentendosi lo sguardo puntato addosso.
”Le piace?”
”Eh?”Mel strabuzzò gli occhi. Come diamine poteva chiederle una cosa simile?
Cioè, ovvio che le piacesse ciò che vedeva, ma era assurdo che glielo chiedesse!
”Il libro, Melanie, parlo del libro.” Sorrise malizioso. L’aveva fatto di proposito! Ne era più che sicura, ma non poteva dargliela vinta.
”Sì, mi piace, altrimenti non l’avrei appena finito” Commentò acida.
”Oh, non sa quante cose che non mi piacciono sono costretto a fare..” Sbuffò, senza alcuna apparente malizia.
Eppure, Mel in quella frase ci vide troppe cose sottointese e nascoste.

Cannella, era cannella.
Cameron era sicuro: Il profumo che sentiva ogni volta che le era vicino era cannella.
Anche quando finì il suo dolce sentiva ancora stampato perfettamente nelle narici quell’odore.
Era qualche minuto che i due erano in silenzio, ed ogni tanto lui la scorgeva a fissarlo sott’occhio, e lui di ricambio le sorrideva.
Aveva capito di avere una certa influenza su di lei, così come l’aveva sulla maggior parte delle donne. Per questo Cameron non si stupì mai di come Melanie lo guardava.
La cosa che però stupì se stesso era il modo in cui lui guardava lei, il modo in cui lui la provocava attraverso le parole e gli sguardi.
Doveva capire cosa l’attraesse di quella ragazza, che era fin troppo ordinaria.
A lui piacevano le bionde, ma non quelle vuote e senza cervello. E invece Melanie era di un colore poco definito. I suoi capelli erano lunghi, e sotto la luce erano di un mogano intenso, ma al buio sembravano quasi neri. I suoi occhi poi erano un tutto dire.. non sapeva nemmeno di che colore fossero, ma il suo sguardo lo attiravano come un magnete.
La prima volta che la vide pensò che in effetti era davvero bassa per la sua età, ma si sa, l’altezza in una donna non è mai stato un problema.
”Cosa pensa della materia che insegno, Melanie?” Le chiese tutto ad un tratto, estraendo dalla borsa i test da correggere. Voleva conoscerla.
”Penso che sia una delle mie materie preferite. E non lo dico solo perchè c’è qui lei, semplicemente è così.” Rispose facendosi cogliere nuovamente preparata.
”E cosa le piace così tanto?” Incalzò.
Melanie lo fissò per qualche secondo negli occhi, e lui fece altrettanto costringendola a cedere.
Non avrebbe retto per molto il suo sguardo, e il fatto che dopo poco passò a fissare il suo dolce ancora perfettamente intatto ne fu la prova.
”Mi piace conoscere il progresso culturale dell’umanita. Chiunque potrebbe pensare che questo possa essere studiato attraverso qualsiasi materia umanistica, come la filosofia ad esempio, ma non è così.” Prese una pausa molto breve, giusto il tempo di riprendere fiato. “La filosofia è un pensiero, e come tale è facilmente influenzabile dalla situazione politica e sociale del tempo in cui esso si sviluppa.”
Cameron sorrise. “Ah, perchè l’arte non è una forma di pensiero?” Ce l’aveva in pugno. Sarebbe crollata.
”Ecco, non la facevo così.. vuoto.” Sussurrò a se stessa, e torno subito a fissarlo negli occhi. “L’arte è una manifestazione del pensiero. Il che è differente, se mi permette. Seppure io avessi un mio pensiero simile ad uno suo, il nostro modo di rappresentarlo sarebbe certamente diverso, non trova?” Cameron la vide sistemarsi meglio sulla sedia, accavallando le gambe, portando i gomiti sul tavolo e sporgendosi di più verso di lui. Il tipico atteggiamento di chi sa il fatto suo, di chi non ha paura ad esporsi perchè sa di aver ragione, e questa cosa gli piacque non molto. A quel punto lei continuò a parlare e Cameron era sicuro che lei sapesse cosa stesse dicendo, ma lui... Lui aveva smesso di ascoltarla.

Era ormai incatenato con lo sguardo a fissare quelle labbra rosa che si muovevano veloci, affamate di dimostrare di sapere quel che dicevano.
Aveva anche scordato per un attimo la sua improvvisa fissazione per la cannella, incantandosi a vedere quelle labbra arrossate che adesso venivano torturate dai denti.
”Professore.. mi ascolta?” Chiese fissandolo lei, senza smettere di mordersi il labbro inferiore. Il problema era che nel suo sguardo non c’erano tracce di malizia. Lo faceva involontariamente, senza nemmeno farci caso. Come quel lunedì quando la chiamò alla cattedra per chiederle dei puntini.
Cameron scattò all’impiedi, la fissò per un attimo e poi si alzò per andare alla cassa.

Che diamine gli era preso? L’aveva forse offeso dicendogli che fosse vuoto? Certo aveva esagerato, ma l’aveva fatta innervosire. Ad un certo punto aveva smesso di ascoltarla, tant’è che Melanie era convinta che se avesse iniziato a parlare di quanto fossero buoni i peperoni lui gli avrebbe risposto che erano opera di Brunelleschi.
Appena lo vide alzarsi e andar via, lasciando i compiti non ancora corretti sul tavolo, si chiese se il suo l’avesse già letto.
Certo che no, perchè avrebbe dovuto... Però era quello più in vista, eppure lei ricordava di averlo consegnato per prima e quindi doveva essere quello più “nascosto”.
”Andiamo, l’accompagno a casa.” Si sentì dire tutto d’un tratto.
La ragazza strabuzzò gli occhi. Avrebbe tranquillamente potuto prendere l’autobus e... “Devo pagare il conto!” Esclamò.
”Ho già fatto.” Annunciò scuro in volto “Fuori piove e gli autobus pomeridiani scioperano. Non credo lei voglia tornare a piedi sotto l’acqua”
”Posso chiamare i miei, o prendere un taxi, non si disturbi..”Constatò lei, incapace di accettare quella proposta che sentiva avrebbe portato a nulla di buono.
Nonostante ciò però, il professore insistette affinchè lei dicesse di sì.
Iniziarono a camminare svelti sotto la pioggià che incessante batteva sulle loro teste, fino a quando mr. Carter non si fermò e prendendola per un braccio l’attirò a se. “Siamo arrivati, questa è casa mia.”
”C-cosa?” Strabuzzò gli occhi Melanie. Non le sembrava interessato a lei in quel senso, nè tanto meno credeva fosse un maniaco. E allora perchè portarla a casa sua?
”La macchina è in garadge, ci diamo una sistemata e partiamo.. Prenderemmo un’influenza così.” E indicò la sua maglia grigia fradicia che aderiva perfettamente al petto.
E che petto, pensò Melanie. Avrebbe dovuto aspettarselo, da un uomo poco più che venticinquenne. Restò però comunque stupita e imbarazzata, e pregò che lui non se ne accorgesse.
Quando entrarono in casa, Melanie si meravigliò del profumo di fiori e di fresco che le inondò le narici. Tutto attorno a lei era al proprio posto, dalle foto messe perfettamente simmetriche sul mobiletto all’entrata, ad una penna e un taccuino messi sistematicamente a caso sul tavolino di fronte al divano.
Era una casa fredda. Lo sentiva lontano un miglio che su quel divano nessuno si fosse mai seduto, che quel camino stupendo nessuno l’avesse mai acceso e soprattutto che quella cucina così meravigliosamente attrezzata e in ordine nessuno l’avesse mai usata.
Un po’ le fece pena il suo professore. Sembrava così solo, e dalle poche foto che riuscì a vedere nel lasso di tempo che impiegò ad attraversare il largo corridoio, si accorse che aveva poche persone vicine.
C’era una foto con due ragazzi, il professore al centro con un boccale di birra in mano, sorridente. In un altra foto invece era raffigurato con in braccio una bambina bionda e di fianco una donna sulla cinquantina... Probabilmente sua madre e sua sorella, ipotizzò.
Nell’ultima foto che vide, infine, c’era solo una ragazza. Una ragazza dai lunghi capelli neri che sorrideva felice a chi, evidentemente, le stava scattando la foto. Probabilmente lo stesso professore.
Non vide altro, semplicemente perchè le luci automatiche si spensero e il professore la invitò ad andare in bagno, mostrandole un phon e delle asciugamani da poter usare per tamponare un po’ l’acqua che le aveva inzuppato non solo i capelli, ma anche i vestiti.



Angolino~
Ed eccoci al secondo capitolo >///< E' un po' più lughino, ma spero vi piaccia comunque.
Alloooora, sono felicissima del fatto che la storia sia stata non solo recensita ma anche inserita tra le preferite e le seguite *///*
Grazie mille <3
Comunque qui vengono descritti sia Mel che il nostro amato professore u.u
E... che altro dire.. Sono innamorata del mio OC. Basta.
Avevo promesso che avrei inserito anche un'immagine dei personaggi, ed ho mantenuto la promessa u.u
Spero che Melanie vi piaccia, ma siete liberi di immaginarla come volete!*-*
Bacini baciotti <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cinnamon kiss. ***


New Canvas
upload immagini gratis

CAPITOLO TRE - CINNAMON KISS

Cameron sentiva di aver fatto un’ enorme cazzata. Invitare una propria alunna in casa non era il massimo, soprattutto se li avesse visti qualcuno.
Cosa avrebbe dovuto raccontare? Che erano stati al bar insieme e che lui l’avesse semplicemente accompagnata a casa? Troppo compromettente.
Ma ormai era fatta; Non poteva nè tirarsi indietro nè lasciarla lì in casa.
Anche perchè quel fastidioso odore era tornato a solleticargli l’olfatto e lui era pur sempre un uomo.
Aveva una ragazza in casa sua con una maglia bianca, bagnata e quindi trasparente dalla quale si intravedeva perfettamente un reggiseno nero... E avrebbe dovuto trattenersi.
Era una ragazza non poco più piccola di lui, nel fiore della giovinezza e soprattutto da quel poco che aveva intravisto non era per niente poco attraente.
Dopo averle mostrato il bagno tentando di nascondere lo sguardo che ogni tanto cadeva sul suo petto, Cameron decise di cambiarsi.
Optò per una semplice maglia nera e dei jeans simili a quelli che aveva addosso poco prima, e quando uscì dalla camera si accorse che la luce del bagno era spenta e la porta aperta.
Segno che lei fosse uscita e che stesse girando per casa sua.
C’erano cose in quella casa che non avrebbe voluto mostrare a quella ragazzina, cose che appartenevano alla sua privacy e che sapeva che ormai avrebbe già quasi sicuramente visto.
Come quella foto. La foto che scattò quella mattina di sole. La ritraeva in tutto il suo splendore, in tutta la sua meraviglia. Trovò la sua alunna esattamente di fronte al mobile ad angolo, con lo sguardo fisso su quella foto.
Scosse la testa, era colpa sua. Aveva lasciato che lei entrasse in casa sua, anzi ce l’aveva portata lui e adesso doveva incassare.
Sperava solo che lei avesse il buon senso di non chiedergli chi fosse, ed era fin troppo convinto che lei non fosse così sfacciata.
Infatti non appena si accorse di lui, Melanie portò le mani dietro la schiena e si girò verso il suo insegnante.
”Ha veramente una casa bellissima, professor Carter.” Disse abbozzando un piccolo e tenero sorriso.
”Grazie, Melanie. E’ riuscita ad asciugarsi per bene?” Le chiese avvicinandosi e riducendo a due palmi la distanza tra di loro. Fece scivolare troppo lentamente lo sguardo sul suo corpo. La maglia era tornata ad essere in alcuni tratti coprente, ed in altri era rimasta leggermente bagnata e pur non riuscendo a vedere molto oltre ad essa, Cameron si accorse di quanto in effetti il corpo della ragazza fosse bello.
Le gambe erano fasciate fino a metà coscia da dei pantaloncini di jeans, la canotta bianca aderiva perfettamente al suo corpo segnando ogni forma, ogni curva perfetta.
Cameron degludì.
La ragazzina alzò lo sguardo cercando il suo, ed una volta trovato lo incatenò. Non aveva via di scampo.
Sibilò un “sì” così a bassa voce che Cameron ebbe paura di averlo immaginato.
Era una situazione pericolosa quella. Non aveva mai mentito a se stesso, e sapeva bene che quella ragazza provocasse in lui qualcosa. Qualcosa che andava oltre la semplice curiosità di provare a torturare le labbra rosse come era solita fare lei in classe o quella mattina al bar.
Qualcosa a cui nemmeno lui riusciva a dare un nome ma che era molto simile all’attrazione che provava per una qualsiasi donna.
Il problema era che lei non era una donna, ma una semplice ragazzina che aveva compiuto da qualche mese la maggior età, da quanto aveva letto sul registro di classe.
Si vergognava di se stesso per aver cercato la sua data di nascita sul registro, per averla chiamata quel giorno alla cattedra per accertarsi che quel profumo provenisse da lei, per averla vista al bar quella mattina e per averla invitata da lui.
Cosa diamine era, un ragazzino di 20 anni?
Non si era mai fatto problemi con le donne, tantomeno le donne con lui. Ma quella volta c’era di mezzo quel dannato rapporto insegnante-alunna, che rese tutto così assurdo, proibito e maledettamente eccitante.
Fu proprio quel pensiero che lo portò ad avvicinarsi ulteriormente, annientando totalmente la distanza tra i loro corpi.
Lei era vistosamente in imbarazzo, e se pure non l’avesse vista in volto l’avrebbe capito da come il suo respiro si era fatto più pesante e accellerato.
”Professore..” Iniziò lei. La voce bassa, gli occhi leggermente lucidi e il viso arrossato. “Non dovremmo..”
Fu proprio quel “non” che diede la spinta a Cameron. Non era il tipo che amava le cose proibite, semplicemente preferiva evitarle. Ma quella volta, l’idea che stesse attraversando una foresta spinata, che stesse andando oltre ciò che era consentito, lo eccitò.
E a dirla tutta non sapeva se sarebbe riuscito ad evitare che accadesse.
Lasciò che l’istinto agisse per se, e si ritrovò in un istante con le labbra incollate a quelle rosse e gonfie della ragazza.
Finalmente, pensò.
Fin dal primo giorno, fin da quando lei l’aveva urtato fuori l’aula, fin da quando l’aveva chiamata per chiederle spiegazioni, lui aveva desiderato quel bacio. Quel bacio che sapeva dell’odore dei suoi capelli, quel bacio che era tutto fuorchè casto.
Quel bacio che fu inizialmente portato avanti solo da Cameron, ma con cui pian piano prese confidenza anche Melanie.
Un bacio che era a tratti timido, a tratti perverso, a tratti fin troppo esigente.
Quando i due si staccarono totalmente controvoglia, Cameron fece un passo indietro.
Cosa diamine aveva fatto? Si era ripromesso di non farlo, di trattenersi e di... Dio, lei lo guardava con quegli occhi che gliene implorava altri trentamila di quei baci. E l’avrebbe fatto, in quel momento gliene avrebbe dati a milioni se solo lei l’avesse chiesto. Ma non lo fece, ovvio e Cam fece appello a quel poco di buon senso che gli rimase e dopo aver tossito per attirare l’attenzione della sua ospite, iniziò “Credo che dovremmo andare, signorina Turner”

Era accaduto tutto troppo velocemente. Era rimasta a quando lui aveva sceso le scale e la stava fissando accortosi che era intenta a guardare quelle foto... Poi era successo, lui l’aveva guardata in quel modo, l’aveva studiata per quel minuto che le parve un’ora.. l’aveva fissata negli occhi e si era avvicinato senza che lei nemmeno riuscisse a rendersene conto.
E poi l’aveva baciata.
Ed ecco che ora tornava a chiamarla così, con quel cognome che mai prima di allora aveva così tanto odiato.
L’aveva baciata, lei era rimasta immobile e non appena aveva deciso di dargli corda in quell’assurdo bacio lui aveva smesso.
Cosa si aspettava, che restasse inerme per ore?
”Lo credo anch’io, professor Carter” Assentì arrabbiata Mel.
Ovvio che era arrabbiata. Era entrato all’improvviso nella sua splendida mattinata tranquilla, non aveva fatto altro che fissarla mettendola in imbarazzo. Non solo l’aveva invitata da lui, ma l’aveva anche baciata... E adesso? La guardava quasi schifata, o peggio... Indifferente.
Si poteva essere così stronzi in una volta sola?
Se solo avesse potuto raccontarlo in giro, che figura gli avrebbe fatto fare.
Peccato però, che Mel non era così meschina, a maggior ragione dal momento in cui era piaciuto anche a lei quel contatto.
E come se le era piaciuto. Aveva provato a non ricambiarlo, ma dopo poco aveva ceduto.
Le sue labbra erano così maledettamente morbide e grosse e l’odore di dopobarba era così sexy da annebbiargli totalmente la mente. Ma non era stata colpa nè delle labbra nè del dopobarba se Melanie si era arresa a quel bacio. La colpa era stata sua, del suo modo di parlare e di spiegare la lezione, delle sue spalle possenti, di quello sguardo che non aveva fatto altro che mangiarla durate la giornata.
Tornò alla realtà quando vide Carter muoversi e prendere una giacca appoggiata sulla poltroncina di fianco ad essa, e capì che era arrivato il momento di andar via.
Prese la borsa che aveva lasciato vicino al porta ombrelli e lo seguì all’entrata e quando fu fuori si stupì di trovare un sole che anche ad agosto non avrebbe immaginato di vedere.
Una volta in macchina Melanie si perse totalmente ad ammirare il paesaggio che le scorreva davanti agli occhi.
Cameron restò in silenzio per una grossa parte del tragitto, e intanto lei pensava a quanto lo trovasse un uomo arrogante ed egoista.
L’aveva presa così, baciata e poi l’aveva evitata.
Avrebbe fatto così anche nei giorni a seguire, ne era certa.
Melanie era una ragazza fin troppo sentimentale e consapevole che le bastava davvero poco per perdere la testa per qualcuno, e si rese conto che ad una settimana dal suo arrivo era già ad un buon punto prima di perderla per il suo professore.
In più l’aveva baciata e lei era rimasta assolutamente sconvolta.
Non era di certo il suo primo bacio; A differenza di quello che si potesse pensare di lei per colpa della sua timidezza, era abbastanza popolare tra i ragazzi. E di certo Cameron non era il primo ad averle rubato un bacio.
Però era il suo professore, quello che l’avrebbe dovuta interrogare ogni lunedì mattina e a cui si sarebbe dovuta rivolgere in qualsiasi momento senza il minimo imbarazzo.
Era fin troppo consapevole che non ne sarebbe stata minimamente capace; Avrebbe dovuto sostenere il suo sguardo il lunedì successivo, perchè era sicura che lui l’avrebbe fissata tutto il giorno.
Avrebbe dovuto rispondere ad ogni domanda che lui le avrebbe fatto senza dimostrare di pensare a quel bacio ogni volta che vedeva le sue labbra muoversi.
No, non avrebbe retto.
D’un tratto le venne in mente quella ragazza sorridente dai capelli neri, e finì per chiedersi ancora una volta chi fosse.
Era sempre più convinta che chiederglielo fosse la cosa meno giusta da fare, ma qualcosa la spingeva a farlo.
Era curiosa, maledettamente curiosa.
Prima che potesse aprir bocca però, lui lo fece al posto suo.
”Cosa farai dopo il liceo?” Le chiese d’improvviso senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Questa domanda improvvisa le mise un’ ansia tremenda, ma non lo dimostrò e rispose con un’ apparente tranquillità e sicurezza “Giurisprudenza.”
”Ohoh, allora quando dovrò divorziare saprò a chi rivolgermi!” Annunciò divertito Cameron spostando per un attimo lo sguardo su di lei.
Melanie a quell’affermazione non potè non guardare il suo anulare sinistro, e vedendolo privo di anello chiese “Lei è sposato?” Magari con quella donna della foto, avrebbe voluto aggiungere.
Il professore scoppiò in una grossa risata che la mise in leggero imbarazzo. Perfetto, adesso si prendeva anche gioco di lei, mancava solo questa.
”Pensi che se fossi stato sposato ti avrei baciata?” La guardò diritta negli occhi, trovando come complice il semaforo appena scattato di rosso.
Ecco, lei cercava di dimenticarlo e lui metteva in mezzo quel dannatissimo bacio senza nessun problema, come se non fosse stato niente di avventato e di pericoloso.
”Perchè l’ha fatto?” Chiese spavalda, ma dentro stava morendo.
”Perchè mi andava.” Fece spallucce. Bene, poco gli importava. E Mel era intensionata a dare la stessa impressione. Non gliel’avrebbe data vinta.
”Allora sì, credo che mi avrebbe baciata. Insomma..” Tentennò un attimo “Se l’ha fatto perchè voleva, allora l’avrebbe voluto anche se fosse sposato.”
E fu lì che Mel mise a tacere la lingua da vipera del professore, che chiuse il discorso con un sorriso poco soddisfatto che tenne in volto fin quando non fermò l’auto fuori casa Turner.

1-0 per la ragazzina, l’aveva messo a tacere con una semplice mossa.
Era in gamba, doveva ammetterlo. Più in gamba di quanto credesse.
Fermò l’auto davanti ad un cancelletto rosso, dietro il quale faceva capolinea un bassotto con delle orecchie che toccavano terra fin troppo felice di veder fermarsi qualcuno vicino alle sbarre. Si intenerì a guardarlo pensando che quel cane che aveva al collo una medaglina con su scritto “Turner” e l’indirizzo, rappresentava benissimo la sua padrona. Bassa e rompiscatole.
”Bene, sono arrivata.” Prese la borsa dal sediolino di dietro e fece per aprire la portiera, quando d’istinto Cameron la fermò.
La guardò per un secondo fissa negli occhi, e si perse nuovamente in essi.
”Ci vediamo lunedì... Non farti trovare impreparata.” Sussurrò poco distante dal suo orecchio. “Melanie.”
La voglia di stamparle un altro bacio sulle labbra ed approfondirlo era enorme, ma si trattenne. Quello sarebbe stato il primo e l’ultimo bacio che le avrebbe concesso.
”Arrivederci...” Lasciò quasi la frase in sospeso, e Cam si chiese cosa in effetti volesse dirgli.
Fin quando, con una velocità supersonica la ragazzina non gli rifilò un bacino leggero e impercettibile sull’angolo della bocca, e senza allontanarsi di molto continuo la frase “Cameron.”
Cameron rimase immobile. Era stata lei sta volta a muoversi per prima e come se non bastasse l’aveva chiamato per nome. Non che queste cose gli facessero effetto, sia chiaro.. Però sentirlo pronunciare in quel modo, a pochi millimetri dalla propria bocca... Sentire il fiato bollente sulle sue labbra e l’irrefrenabile voglia di baciarla non aiutò molto.
Fortunatamente però, prima che potesse non rispondere più delle sue azioni, la ragazza si allontanò e scese dall’auto.
Cameron ci avrebbe giurato di aver visto un sorriso soddisfatto e malizioso stampato sul viso della ragazza, ma preferì pensare che fosse solo una sua fantasia.

Rientrata a casa Melanie aveva il cuore in gola. Cosa aveva fatto? Aveva “baciato” davanti casa sua il suo professore, l’aveva provocato e poi era sparita.
Si era messo in un guaio più grande di lei. Flirtare in quel modo con un uomo più grande di nove anni e per giunta che avrebbe dovuto insegnarle storia dell’arte.
Non appena entrò nel soggiorno trovò ad aspettarla Gilda, alla quale aveva dato appunamento a casa sua almeno un ora prima.
”Che diamine di fine hai fatto?” Sbuffo la ragazza annoiata.
”Sono stata in giro ed ho incontrato Cameron.” Disse tutto d’un fiato, sperando per un breve momento che l’amica non avesse sentito.
”Cameron? Chi cavolo è adesso?” si incuriosì e si sedette più dritta, ansiosa di sapere con chi fosse stata l’amica.
Assicuratasi che non ci fosse nessuno in casa, Mel si decise a parlare.
”Volevo dire.. Carter. Il professor Carter.” La guardò e la reazione che Gilda ebbe la fece scoppiare in una risata.
La sua faccia era quanto di più bello e magnifico avesse mai visto: Occhi e bocca spalancati e sopracciglia corrugate.
Appena le raccontò di averlo incontrato al bar, Gilda disse che forse era il caso che iniziasse ad andare più spesso anche lei in quel bar, con la speranza di incontrare il loro insegnante o quanto meno uno che fosse affascinante quanto lui.
Quando poi le raccontò di essere stata a casa sua e del bacio.. Gilda impazzì letteralmente.
”Lo sapevo!” Gridò e scommise che la sentirono anche i vicini.. Quelli di Cameron però.
”Ti guardava in modo strano, dal primo giorno!”
”Sì, perchè gli ho esportato un braccio” Commento perplessa la mora.
”Dai Melanie! Cazzo, non ci credo ancora.. Giuramelo!” Era più entusiasta lei che Mel.
Peccato che non ci fosse nulla di cui essere entusiaste. Era un gioco pericoloso, e si sarebbe fatta male... volente o nolente ormai ci era dentro.
Non poteva prendersi una cotta per il suo insegnante, e si promise di non farlo.
Peccato però che era già sulla retta via.



Angolino ~
Heyy, eccomi tornata!
Spero con tutto il cuore che questo capitolo vi piaccia... A me personalmente è piaciuto un sacco, soprattutto perchè quì emerge un pochino il carattere di Mel. Melanie che è una ragazza che combatte per diventare una donna, ma che come tutte le ragazzine è troppo presa dal romanticismo e dai sentimenti per accorgersi degli errori irreparabili che si commettono. E Cameron è uno di quegli errori, almeno per il momento u.u
Bastaaaa, ho detto troppo ahahah
Comunque quelle in alto sono le due foto di cui vi parlo nella storia. Per quanto riguarda la foto con i ragazzi... A sinistra abbiamo Abram, al centro il nostro professore giovincello e a destra Tony. E poi c'è quella ragazza dai capelli neri? Chi sarà di così importante? E perchè Cam non vuole che nessuno scopra di lei?
Ci vediamo tra qualche giorno!
Bacini baciotti.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Red thread. ***


CAPITOLO 4 - RED THREAD

Il lunedì mattina non fece fatica ad alzarsi dal letto, prepararsi nel minor tempo possibile e raggiungere subito scuola.
Avrebbe voluto evitare di inciampare di nuovo nel suo insegnante, e alle 7:55 era già seduta al proprio posto.
La scuola era praticamente isolata, e Mel ringraziò il cielo che il professor Carter fosse un ritardatario cronico; Almeno non avrebbe dovuto restare da sola in classe con lui.
Questo pensiero però venne troncato sul nascere, quando la porta dell’aula si aprì e fece capolino una figura alta e fin troppo conosciuta.
Mel pensò di provare a sprofondare nel suo banco, ma prima che anche potesse spostare lo sguardo dal suo professore, questo la guardò.
”Buongiorno Mrs. Turner.” Le sorrise lui cordiale, quasi come se nulla fosse successo.
Melanie annuì, incapace persino di parlare.
La notte precedente l’aveva passata a girarsi e rigirarsi nel letto, pensando non tanto al bacio che lui le aveva dato... quanto a quello che lei le aveva lasciato sulle labbra prima di andar via. Che diamine aveva combinato, Melanie. Lei che era sempre stata una ragazza timida, che non commetteva mai un passo falso, che non si era mai dichiarata a nessun ragazzo per paura di un rifiuto.. Adesso aveva baciato maledettamente bello che era sicura le avrebbe fatto passare le pene dell’inferno e che soprattutto era il suo professore. Una cosa assolutamente malata e assurda.
Guardò il display del suo cellulare che segnava le 8:05, e pensò divertita che la settimana precedente a quell’ora ancora doveva uscire di casa.
E adesso si trovava a dover scappare da un guaio in cui si era cacciata da sola.
”Mrs. Turner.. “Si avvicinò lento Cameron, e lei fece appello a tutte le sue forze per riuscire a non alzare lo sguardo e mettersi a fissarlo. “E’ maleducazione non rispondere.. Lo sa?”
Mel vide i suoi piedi fermarsi essattamente davanti al suo banco, e desiderò sparire e diventare piccola piccola in quel momento.
”Ho risposto, professore. Le dispiace se ripeto?”Sospirò cercando di sembrare quanto più annoiata possibile. Almeno così, era sicura che lui avrebbe smesso di parlarle.

Aveva alzato un evidentissimo muro tra i loro sguardi, era riuscita a non guardarlo per tutta la durata della lezione, ma nonostante ciò lui continuava insistentemente a cercare i suoi occhi in quella classe ancora troppo stretta.
Quella mattina aveva chiesto al vice preside di sostituirgi l’aula, e lui gli aveva promesso che entro la settimana prossima ne avrebbe avuta una tutta sua, autopulente e molto più spaziosa.
Cameron fu felice di quella notizia perchè pensò che avrebbe deciso lui sta volta i posti e che sopratutto avrebbe appeso in aula qualche mensoletta con dei libri e qualche quadro di poco valore, giusto per smorzare un po’ l’apaticità di quelle mura così maledettamente bianche.
Avrebbe fatto mettere Allen in prima fila, di fianco a Price, così magari avrebbe potuto distogliere lo sguardo dalle tette della sua compagna di banco che pensò di spostare in seconda fila, non molto lontano dagli occhi dell’insegnante. Almeno avrebbe goduto anche lui della visuale. Avrebbe posizionato le due amichette della terza fila a sinistra in prima fila, più precisamente Turner di fronte a lui.
Il resto della classe... Beh, doveva ancora decidere.
Ed ecco che gli tornava in mente quella ragazzetta che in due ore di lezione non aveva fatto altro che fissare il libro durante le interrogazioni e prendere appunti durante la spiegazione.
Si aspettava di vederla persa, imbambolata a fissare il vuoto, dopo il pomeriggio precedente.
Così come aveva fatto lui la sera prima, quando era al bar con Abram.
Gli aveva chiesto più volte cosa avesse, ma in effetti lui nemmeno lo sapeva e aveva finito per rispondere tutte le volte “Nulla.”
Sembrava una donna alle prese con la sindrome pre mestruale, che lui conosceva benissimo.
E tutto ad un tratto pensò a Jenice. Jenice che quando aveva “le sue cose” diventava di una dolcezza disarmante. Jenice che si accoccolava su di lui mentre vedevano un qualsiasi film seduti sul divano.. Jenice che si addormentava e si svegliava ai titoli di coda chiedendo “Ma è già finito?”. Jenice che... Che era Jenice.
Sbuffò annoiato. Ricordarla gli faceva male, non soltanto al petto ma anche all’anima.
Ricordarla gli faceva venire in mente che il mondo senza lei era noioso, era angosciante. Che la vita senza lei non era più vita.
Ma gliel’aveva promesso.. Che sarebbe andato avanti, che avrebbe finito gli studi e avrebbe portato avanti il suo sogno.
Ed era arrivato fin lì, a 27 anni ancora da compiere era un professore di Storia dell’arte in un liceo classico, aveva una classe meravigliosa tutta sua e aveva cambiato il suo stile di vita. Anche se quest’ultimo punto era merito di Abram e Tony. Soprattutto di Tony.
Tony che era stato male due volte tanto, ma che aveva accolto la vita a braccia aperte; Che aveva coronato il suo sogno di aprire un' editoria che pian piano stava dando i suoi frutti.  Tony che non aveva tentennato un attimo quando gli avevano proposto l'affare della sua vita,  che era sempre stato una spalla su cui piangere per la sua famiglia e per Cameron, ma che non aveva mai pianto in presenza di nessuno di loro.  
Eppure Anthony era il fratello di Jenice. Erano cresciuti insieme ed avevano condiviso la vita.  

Avevano trascorso ventuno anni sempre insieme, senza mai separarsi.  

Era grazie a Tony se Cam aveva conosciuto Jenice, oppure il contrario... A distanza di tutti quegli anni era quasi impossibile ricordarlo.

 Di solito gli capitava che mentre faceva l'amore con qualcuna gli venisse in mente lei, e non riusciva più a guardare negli occhi le sue compagne.  
Agli inizi, quando Jenice sparì, fu una tragedia. Cam tornò il ragazzino silenzioso ed introverso che era stato prima di conoscere i due fratelli. E non ci fu verso per due anni interi di tornare come prima... Solo grazie a Tony era riuscito pian piano a rinsavire e a prendere coraggio per affrontare la vita.

Da allora con l'amore aveva chiuso. Nessuna gli faceva l'effetto di Jenice, nessuna solo baciandolo o semplicemente guardandolo gli provocava una scarica che iniziava dal petto e finiva chissà dove.

Finché non iniziò quel maledetto settembre.  

Finché non inciampò con lo sguardo in quello di una ragazzina indisponente e maledettamente prepotente.  

Di certo non era paragonabile minimamente a ciò che provava guardando Jenice, ma ci era vicina.  

Però c'era una cosa che non ricordava della sorella di Tony... Il suo odore.  

Così come non ricordava la sua voce o il suo tocco, adesso che ci pensava.  

E questa cosa gli fece paura, lo spaventò come non mai. Perché quando provò ad ricordare il suo profumo gli venne in mente la cannella. Perché quando provò a ricordare il suo tocco gli venne in mente
quel bacio di cui solo le mura di casa sua erano a conoscenza. Perché quando provò a ricordare la sua voce, gli venne in mente quando lei gli disse che voleva fare l'avvocato.  
Sorrise a quel pensiero: Come poteva una ragazzina così invadente fare l'avvocato? Come poteva restare imparziale in un tribunale se solo leggendo il passato tragico di un pittore le si inumidivano gli occhi?

Ma soprattutto come poteva sprecare la sua evidente passione per l'arte e il suo talento nell' assorbire determinati concetti?

Avrebbe fatto di tutto affinché lei cambiasse idea. Lo giurò quella sera stessa.

Ci sarebbe riuscito.

"Hey Mel, mariniamo oggi?"
Fu questa la sua sveglia quella mattina, ma Mel non aveva mai marinato in vita sua.  

Aveva sempre chiamato la madre per avvertirla che non entrava, e altrettanto avrebbe fatto quel giorno.  

L'unica cosa che però le fece cambiare idea fu che se le avesse detto che non entrava lei le avrebbe chiesto di farle compagnia in posta.  E non avrebbe potuto rifiutare.  

Per questo si preparò come tutte le mattine e alle sette e quaranta in punto uscì di casa schioccando un forte bacio sulle guance dei genitori.  

Quella mattina l'aria autunnale si fece sentire,  e lei fu felicissima di poter indossare il parka che aveva comprato in saldi ad inizio giugno.

A dirla tutta non amava molto il freddo, ma nemmeno il caldo. Era più per le mezze stagioni, quelle in cui si possono indossare tranquillamente pantaloncini, calze e cappotti leggeri.  

Il suo abbigliamento era sempre dei più semplici, non aveva mai indossato nulla di estremamente particolare e ricercato e pensò che questo era un fattore di continuo disaccordo tra lei e Gilda.  

La più grande indossava sempre capi alla moda, e seppure vestisse sempre in modo molto sportivo riusciva comunque ad attenersi a quelle che erano le tendenze in continuo cambiamento. Melanie invece aveva gli stessi vestiti da anni ormai, salvo qualcosina che era stata costretta a comprare dall'amica, giusto per avere qualcosa di nuovo nell'armadio.  

Come infatti, il motivo per cui saltarono scuola quella mattina era lo shopping. Gilda la sera aveva una cena di lavoro del padre alla quale avrebbe dovuto partecipare tutta la famiglia, e le serviva urgentemente un abito galante.  

In realtà per quanto potesse sembrare annoiata, Mel era consapevole che la sua amica non vedesse l'ora di indossare un bell'abito e di sfoggiare il suo splendido sorriso come accessorio. Se ne accorse da come fu praticamente trascinata per decine di negozi, da come in tre ore non era riuscita a trovare niente che le piacesse sul serio e da come osservava ogni particolare di ogni abito o scarpa che indossava.  

"Ci sarà Taylor?" Chiese incuriosita ed ebbe conferma dal momento in cui l'amica arrossì.  

Taylor era l'assistente del padre, un ragazzo poco più che ventenne e pieno di voglia di lavorare.  

Seguiva il padre in ogni suo spostamento e Giada lo conobbe proprio ad una di quelle sere. Non era tenuto ad accompagnarla fin sotto casa, a spostarle la sedia per farla accomodare e nemmeno ad accompagnarla fuori al ristorante quando lei si alzò per prendere una boccata d'aria. Ma lo fece. Non la lasciò sola un attimo da quella sera perchè forse, a detta dell'amica, si accorse del profondo disagio che provava a star seduta tra sole persone adulte.  

Ogni cena divenne più sopportabile perché c'era Taylor, e le boccate d'aria divennero un rito per entrambi, da due anni a quella parte.  

Era figlio di un amico di famiglia, per questo appena maggiorenne il padre gli aveva permesso di lavorare per lui.

Pian piano Gilda si stava affezionando e Melanie era l'unica ad esserne a conoscenza.  

Ecco perché tanto impegno e tanta voglia di andare a cena, pensò la ragazza sorridendo.  

Poco prima di pranzo trovarono un negozio in una stradina poco frequentata, e Gilda prese un vestito lungo blu notte, con le spalline sottili e lo scollo
profondo.  

Le stava d'incanto e persino la commessa si complimentò per il fisico sodo e snello della ragazza. Beh, era ovvio che avesse un bel corpo. Passava la maggior parte del suo tempo ad allenarsi e tenersi in forma per le partite di pallavolo ed era proprio per questo che si dovevano pochissimo, ma infondo era la sua più grande passione e aspirazione.  

Un fisico come il suo Melanie lo poteva solo avere nei suoi sogni; Troppo pigra per praticare sport e troppo golosa per rinunciare ad una fetta di pizza in più.  

Però si manteneva abbastanza bene. Era minuta e un po' morbida sui fianchi, e sapeva sicuramente come mascherare qualche difettuccio con gli abiti. Ma tutto sommato si piaceva. Non era il tipo da vergognarsi al mare o da complessarsi per un chiletto di più, e questa cosa la rendeva estremamente felice.

Si voltò ad ammirare le decine di abiti presenti in negozio, e si meravigliò del fatto che nè lei nè sua madre avessero mai scovato quel posticino.

Vide un abito lungo e morbido in chiffon rosa cipria, con lo scollo leggermente a cuore e le spalle e la schiena nude ma tempestate di filamenti in cristalli. Era un sogno quell'abito, così com'era un incubo il prezzo.  
"Dai Mel! Provalo ti prego!" La incitò l'amica, sempre pronta a spendere soldi inutilmente.  Quando l'avrebbe usato un abito simile che costasse oltre 250 dollari? Esattamente mai.

Non era solita partecipare a feste o cene di gala, anche perchè la sua famiglia era solita organizzarne una solo per le grandi occasioni.   
Però era pur sempre una donna, e i suoi occhi erano abbagliati dallo splendore di quell'abito. Sapeva benissimo che quei soldi spesi li avrebbe poi recuperati in poco tempo. La sua famiglia, come quella di Gilda erano abbastanza benestanti, e non si facevano per niente problemi nel comprare ciò che volevano.

Infatti era più che sicura che se avesse comprato quell'abito la madre sarebbe impazzita e se ne sarebbe innamorata all'istante.  

Oh, al diavolo! Aveva quasi 19 anni e poteva permettersi un abito del genere! E se anche non l'avesse mai potuto indossare, che le importava?  

"Facciamo così, ti darò modo di indossarlo. Stasera vieni con me alla cena." Sentenziò d'un tratto Gilda.  

Melanie strabuzzò gli occhi "Ma tu sei fuori! È una cena d'affari e di famiglia, non potrei mai venire!"

"Oh, quante storie Mel. Prova questo abito, io pago e avverto mia madre. Sarà contentissima, vedrai." e le sorrise gentile.  

Era curiosa ed eccitata all'idea di partecipare ad una cena piena di gente sconosciuta, era un'esperienza del tutto nuova per lei, e per quanto si sarebbe
sentita maledettamente fuori luogo, accettò l’invito. Così, sorrise di rimando all'amica e con l'abito saldo in mano entrò nel camerino.  

Si era ripromessa di non guardarsi nello specchio quando sarebbe stata nuda, ma lo fece.  
Si osservò a fondo nel suo completino anonimo nero e iniziò a delineare pian piano tutti i contorni della sua figura.  

Partì dalle gambe, magre fino a sopra il ginocchio e un po' più piene nell'interno coscia. Erano di un colore molto chiaro, prive di qualsiasi segni come cicatrici o brufoletti fastidiosi. Su questo era stata molto fortunata sin dall'inizio dell'adolescenza.  

Salì con lo sguardo sui fianchi, un po' troppo larghi per la sua vita sottile. Non aveva un filo di pancia, ma aveva quelle fastidiosissime maniglie dell'amore che evidenziavano ancora di più la "morbidezza" delle sue curve.  

Il seno era proporzionato al suo fisico, non troppo grande e abbastanza sodo. Ne andava fiera a dirla tutta, le dava quel pizzico di femminilità in più.

Sollevò lo sguardo sulle sue spalle, piccole e ossute. Forse la parte più magra del suo corpo. E che più preferiva, a dirla tutta.

Passò al viso sottile, dal quale facevano capolino due occhi abbastanza grandi e lucenti, di un colore non propriamente definito ma che sembrava orientarsi
verso il mogano.

Il naso era piccolo e leggermente all'insù, gli zigomi poco definiti, la mascella leggermente arrotondata. Le labbra erano carnose e leggermente rosate.

D'un tratto le vennero in mente altre labbra carnose. Quelle che qualche giorno prima si unirono alle sue in un contatto pieno di scariche e desiderio.

Arrossì di botto e si guardò nello specchio.

Cosa ci trovò quel giorno in lei? Un uomo tanto bello quanto impossibile, un uomo di cui si legge solo nelle storie più sdolcinate o nei film più romantici. Cosa
vide di così bello e attraente in lei al punto tale che lo spinse a baciarla?  

Preferì non pensarci, perché una risposta proprio non le veniva.  

Spostò lo sguardo su quell'abito da sogno, e si decise ad indossarlo.

Le calzava a pennello. Lo scollo valorizzava il suo seno, la morbidezza del tessuto nascondeva anche il più minimo difetto e sembrava avere un fisico da paura.  
Dietro poi l'abito era un tutto dire. La scollatura posteriore le arrivava fin sopra alle fossette di Venere, e il fatto che le spalle fossero così scoperte le piacque moltissimo.
Un po' titubante e in imbarazzo uscì dal camerino e trovò l'amica a bocca aperta.  

"Melanie... Sei un incanto! Dio, farai impazzire chiunque." commentò senza nessuna traccia di gelosia o invidia Gilda. Anche perché da inviarle non aveva proprio nulla.  

Melanie sorrise, e convinta dall'amica, ma soprattutto dallo specchio che la tradiva rivelandole il suo sguardo pieno di gioia nel vedersi con un abito così indosso, lo acquistò.


Quando tornò a casa annunciò ai genitori dell'invito di Gilda e la madre, come previsto, fu emozionatissima e contentissima per l'acquisto.  

Alle 20:00 sarebbero passati a prenderla, e lei alle 19:45 era pronta.  

Non era solita truccarsi molto, per questo quella sera optò per un make-up abbastanza leggero. Una linea di eyeliner nera sottile, un po' di mascara, un velo
di blush ed un rossetto nude.

Raccolse i capelli in uno chignon morbido e lasciò libere due ciocche ad incorniciarle il volto.

Siccome aveva un abito abbastanza ricco di particolari sul retro decise di non indossare gioielli, se non un paio di orecchini a fascia di diamanti.  

Indossò un paio di sandali gioiello che richiamavano perfettamente i particolari dell'abito.  

Si specchiò un'ultima volta e si sentì particolarmente bella.

Cameron invece dormì tutto il pomeriggio.
Quella sera avrebbe dovuto andare ad una rimpatriata tra amici.  
Avevano deciso qualche settimana prima, incontrandosi per strada, di ritrovarsi per una cena. La comitiva di cui faceva parte anni prima si era sciolta per impegni improrogabili, quali il lavoro e la famiglia.  

Molti dei suoi compagni di università avevano già messo su famiglia, altri erano scapoli eterni ed altri ancora erano in continua ricerca di un impiego.

Avevano deciso di trovarsi in un ristorante non lontano dall'università e che personalmente aveva frequentato più volte in passato.  

Era un ristorante a quattro stelle, dove non solo si mangiava da Dio ma che era frequentato da persone stracolme di denaro.  

Proprio per questo avrebbe dovuto indossare uno dei numerosi abiti classici che popolavano il suo guardaroba. Tanto belli quanto scomodi.  

Optò per un abito nero, mocassini e cover coat del medesimo colore.

Per gli uomini era così facile essere pronti. Bastava indossare qualcosa di adatto, senza ausilio di gioielli, trucco e parrucco e il gioco era fatto.

Alle 20:20 uscì di casa e si avviò alla sua macchina.  

Il ristorante lo raggiunse in quindici minuti, ed essendo leggermente in anticipo decise di attendere fuori i suoi compagni.  

I primi che arrivarono furono Cassandra e David, seguiti da Lucy e Michelle.  

Mancavano solo Patrick e Robert e il quadretto era al completo.  

Arrivarono dopo una decina di minuti, quando i ragazzi avevano già preso posto a sedere, e Cam non si sorprese a vederli arrivare insieme.

Fu felice di scoprire che Michelle aspettava un bambino da pochi mesi e che si sposava in estate subito dopo il parto.  

Era una ragazza bellissima, occhi azzurri e caschetto biondo. Aveva sempre avuto l'aria di essere una donna matura, ma vederla con quel pancino appena
pronunciato fece pensare a Cameron che l'uomo che l'avrebbe sposata sarebbe stato sicuramente fortunato.

Cassandra e David avevano da poco annunciato a tutti il loro imminente matrimonio. Erano fidanzati dal primo anno di università, ed erano diventati ormai una coppia solida e secolare.

Lucy era una donna in carriera ed aveva realizzato da poco il suo sogno di dirigere una rivista di design ancora poco conosciuta.

Per quanto riguarda Robert e Patrick... Erano sempre i soliti ritardatari cronici, ed il fatto che fossero arrivati insieme era l'ennesima prova che il loro rapporto
era rimasto lo stesso.  

I soliti scapoli eterni che non prendevano con serietà nessuno dei loro impegni.

Come non prendevano con serietà il fatto che fossero ormai sulla soglia dei trenta e che presto sarebbero apparse le prime rughe.
Molto simili a lui, Abram e Tony, pensò Cameron.
Quando i camerieri iniziarono a servire e a riempire loro i calici Cameron tirò un sospiro di sollievo. Quella giornata a scuola era stata più che stressante. Aveva trovato l’intera classe impreparata e lei era stata assente. Quella cena gli avrebbe rilassato i muscoli e pure il cervello.

Come previsto il ristorante era impeccabile: Le posate erano in argento, i calici in cristallo.  Niente stonava, niente era nel posto sbagliato.
Quanto odiava tutto quel lusso, quello sfarzo. Eppure lui proveniva da una famiglia più che benestante, ma aveva sempre preferito vivere una vita normale e poco agiata. Aveva sempre scelto scuole e università non troppo costose, ma comunque rinomate. Non sopportava gli spendaccioni, però non era nemmeno un uomo tirchio. Semplicemente preferiva spendere il suo denaro moderatamente in ciò per cui valeva la pena farlo.  
Come quella cena che era sicuro sarebbe stata un ottimo toccasana, un modo per distogliere i pensieri dal lavoro, per rilassarsi e soprattutto per smettere di pensare a quella ragazza.  

Come non detto: Tornò a pensare che quella mattina non la vide proprio a scuola, né per i corridoi né in cortile, tantomeno quando entrò in aula e trovò il suo posto vuoto.  

Guardò di sfuggita i suoi amici che chiacchieravano allegri e decise di scacciare quei pensieri e di dedicarsi solo ed esclusivamente a quella serata.

Purtroppo però il destino non volle fare da spettatore, non volle accomodarsi e aspettare che quei due si muovessero ad avvicinarsi e decise sulla vita di entrambi.

Quella fu l’ultima volta che Melanie e Cameron furono spinti vicini dal fato, perchè da quel momento in poi tutto quello che accadde fu solo opera loro.

Angolinino~
Saaaalve a tutti!
Allora, questo capitolo l’ho dovuto dividere perchè era davvero TROPPO enorme ahahaha
Comunque apparte tutto, qui vi racconto un po’ di più della ragazza nella foto.
Adesso ha un nome.
Jenice è un personaggio che adoro, e conto di inserirla tramite flashback o altro all’interno di alcuni capitoli.
E poi c’è Tony, lui è in assoluto l’amore della mia vita! Ahahaha prima o poi scriverò qualcosa su di lui, di certo non resterà scapolo (Zitello :P) a vita, no? u.u
Spero che il capitolo vi piaccia, grazie perchè continuate a seguire ogni mio aggiornamento!
Bacini baciotti <3


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cinnamon dress. ***


XA
free image upload

CAPITOLO 5 - CINNAMON DRESS

Erano seduti con davanti un risotto che emanava un odore magnifico, Cameron era così preso dal discorso con David che raccontava di come aveva pian piano convinto un suo cliente a fare una balconata ad L anziché due separate.
David era infatti diventato un architetto a tutti gli effetti, e nell’ultimo anno la sua fama non aveva fatto altro che crescere. Fu felicissimo di constatare che nonostante tutto, ognuno di loro era realizzato in un modo o nell’altro.
Era così tanto preso che non solo non finì il suo piatto, ma non si rese conto nemmeno di chi gli passò di fianco.

Si accorse però di Robert che diede una leggera gomitata a Patrick e sentì un odore familiare.  

Un odore che in quelle settimane gli aveva reso la vita impossibile, che sembrava perseguitarlo e dal quale lui non riusciva a separarsi.
D'istinto si voltò nella direzione in cui i suoi amici stavano guardando.  

Si aspettava di trovare chiunque li dentro. Da una delle professoresse della sua scuola, ad una sua vecchia fiamma.  

Si sarebbe aspettato anche di vedere Jenice, per quanto impossibile. Ma mai, mai e poi mai lei.  

Gli prese un colpo quando si accorse su chi stavano sbavando i suoi amici.
Era in compagnia della sua amica Gilda una ragazza slanciata e soda.
Quest’ultima aveva indosso un abito blu notte scollato, che lasciava intravere molto del suo corpo. Ma a Cameron non imporò minimamente, i suoi occhi erano su di lei.
Lei che aveva i capelli raccolti che le lasciavano il collo e la schiena scoperte, quel vestito
morbido dannatamente scollato avanti e dietro che non lasciava nulla all'immaginazione.
Indossava dei tacchi alti che si intravedevano a stento sotto a quell’abito lungo, e dei gioielli alle orecchie. 
Era bellissima. Non riusciva a distogliere lo sguardo e, dando voce ai suoi pensieri la chiamò a bassissima voce, sussurrando quasi.  
Forse però non lo disse così piano, ed infatti a sentirlo furono i suoi amici.  

"La conosci, Cameron?" Chiese incuriosita Lucy, scrutandolo.  

"No... Cioè si, è una mia alunna." Commentò abbastanza seccato
, dando per scontato che i suoi amici si riferissero a Melanie. Beh, in effetti anche l’altra era sua alunna, ma di questa nemmeno si ricordava il nome.  
"Wow!  Volevi tenerla tutta per te?" ammiccò Robert in direzione della diretta interessata.

Inutile dire che Cameron lo fulminò con lo sguardo. Era pur sempre una sua alunna, una ragazzina di 18 anni, diamine!
Non potevo un uomo di 26 anni privarci.
Anche se in effetti lui l'aveva baciata
, e l’avrebbe rifatto volentieri. E l’avrebbe potuto fare qualsiasi altro uomo della sua età o più grande, o più piccolo.
Ribbollì a quella sua osservazione e onde evitare chei suoi compagni si insospettissero scosse la testa per scacciare di nuovo quel pensiero
Era la loro serata, non avrebbe lasciato che quella ragazzina lo infastidisce ulteriormente anche al di fuori dell'ambiente scolastico
, come non avrebbe lasciato che uno dei due suoi amici scapoli andassero ad infastidire lei.  
Tossì per richiamare l'attenzione
 e si ricompose.
In breve il discorso Melanie divenne un lontano ricordo e Cameron finse per il resto della serata di ascoltare
i numerosi dibattiti aperti dai suoi compagni.  
Ma la sua mente, i suoi occhi, e il suo sguardo erano posizionati tutti su unica persona
 che di lì a poco era sicuro avrebbe rincontrato.

 "Piacere, Taylor!" Sorrise cordiale il ragazzo che le si parò di fronte.
Oh... La descrizione che Gilda aveva fatto di lui non gli rendeva assolutamente giustizia!  

Era davvero un gran bel ragazzo
: Era molto alto, intorno al metro e ottantacinque, i capelli erano di un biondo scuro ed erano lunghi e raccolti un una coda morbida e bassa.  
Gli occhi erano di un verde intenso, ed aveva un
bellissimo profilo greco. Aveva delle spalle possenti, e pensò che sicuramente era solito praticare uno sport. Punto a favore da parte di Gilda.
Melanie gli sorrise più volte durante la cena, e lui si imbarazzò ogni volta che la ragazza lo sorprendeva a guardare la sua amica in abito blu.

La cena era in effetti molto noiosa, non capiva niente di quello di cui si parlava e sentì a nemmeno metà serata l'esigenza di prendere quella famosa boccata d'aria di cui parlava tanto Gilda.

Taylor
sembrò capire il loro profondo disagio si avvicinò ad entrambe come un cavaliere, anche se non distolse lo sguardo da Gilda nemmeno per un istante.  
"Ragazze.. Che ne dite di andare un po' fuori? Fa veramente caldo qui dentro!" si lamentò il ragazzo all
entando un po' il nodo della cravatta.
"Io passo, prenderò una polmonite!" sorrise Melanie alludendo all' abito fin troppo scollato.

Gilda le sorrise guardandola
 e in silenzio ringraziandola e si alzò. Si scusò con i presenti, insieme a Taylor che scambiò uno sguardo d'intesa con il padre della ragazza, ed insieme uscirono dal ristorante.  
Fu quella l'occasione giusta per evadere. Aveva intravisto entrando un piccolo piano bar all'opposto della sala, dove c'erano anche alcuni divanetti ed una zona fumatori.  

Si scusò anche essa, e prendendo il cellulare e la pochette si avviò a passo deciso.

Quei tacchi erano dannatamente comodi! Seppure fossero veramente troppo alti, erano di una comodità assurda.

Passò davanti ad un finestrone interamente di vetro e intravide Taylor posizionare la sua giacca sulle spalle di Gilda.  

Le piaceva quel ragazzo. Era perfetto per la sua amica, era un gentiluomo e si vedeva che provava un certo interesse.  

Ecco, era così che avrebbe voluto fosse un suo ipotetico fidanzato. Uno di quelli che ti poggiano la giacca sulle spalle, che alla sera ti preparano una tisana calda e si accoccolano con te sul divano.  Uno di quegli uomini che se siete in giro ti prende la mano e ti protegge dalle macchine che sfrecciano per strada.  

Ed invece aveva incontrato solo stronzi nella sua vita. Ragazzi interessati al suo aspetto, alla sua famiglia e mai a lei come persona.  

Anche quell'ultimo. Quello che l'aveva baciata "perché gli andava", che aveva 26 anni e si comportava come un moccioso.

Quello che era sicura non gli avrebbe mai tenuto la mano per strada o le avrebbe prestato la giacca.  

Si sentì un attimo svuotata, ma subito rinsavì.
 
Fin quando non lo vide in tutto il suo splendore.  

Vicino ad uno di quei finestroni di vetro aperto, con una sigaretta in mano da un lato, ed un braccio sulla spalla di una splendida donna dai lunghi capelli rossi.

Non sapeva fumasse, non lo vedeva il tipo da dipendenze di alcun genere. Ma quella sigaretta tra le dita gli conferiva, se possibile, ancora più fascino.
Sia chiaro, non perche a lei piacesse fumare o altro... Ma lo vedeva così uomo, così adulto.
Anche se poi si convinse che se anche avesse avuto una penna tra le dita, o una cannuccia, o il nulla, sarebbe stato altrettanto attraente. 
E chi era ora quella? La tizia di turno? No, se fosse non l'avrebbe portata in un ristorante del genere solo per una semplice sveltina... A meno che non avesse soldi da buttare.
 Anche se, a dirla tutta, ne dava tutta l'impressione.
Era alta e magra, un corpo da favola, stretta in un tubino nero aderente, i tacchi vertiginosi e sottilissimi, i capelli di un rosso troppo rosso per essere veri.
Decide però di non stare ferma lì a fissare; Avrebbe fatto una pessima figura se lui l'avesse sorpresa a guardarli.  

Si avvicinò, camminando sicura su quei tacchi che sentiva suoi complici.  

Era bella quella sera, forse anche più bella di quella donna con cui lui parlava.  

Voleva che lui la vedesse, che la valutasse non solo come una ragazzina sciatta e attenta alla lezione, ma anche come una donna.

Non appena fu ad un passo dai due, che le davano le spalle, Mel deglutì silenziosamente e si fece coraggio.  

Con una mano tocc
ò leggera il braccio del professore, all'altezza del bicipite.
Sentì che aveva azzardato con un contatto troppo intimo, ma fece finta di non pensarci.

Lui s
i girò appena, forse credendo di averlo immaginato per quanto fu un contatto impercettibile.
Non appena la vide sgranò leggermente gli occhi, ma non ebbe la reazione sperata.  

Sorrise leggermente, ma quello fu un sorriso strano.  

"Mrs. Turner... Buonasera." Quella voce.  
Quella maledettissima voce, che tanto la faceva impazzire.

Ma non poteva starsene seduta al suo posto? Oppure se proprio aveva voglia di alzarsi, non poteva raggiungere Taylor e Gilda?
Arrossì vistosamente, senza un effettivo motivo, e cercò un qualsiasi appiglio nello sguardo della donna che era con lui.  

Ma che cretina. Che aiuto poteva darle una donna che quasi sicuramente lui si portava a letto?  

Ridicola.  

La donna in questione però la sorprese, e richiamò l'attenzione del suo compagno prima di prendere a parlare.  "Cameron, ti aspetto con gli
altri al tavolo... Non tardare, altrimenti paghi a tutti noi." e sorrise a Mel.  
Non erano soli? L'aveva sottolineato apposta per non farla preoccupare? Ciò implicava che aveva capito che a Mel lui... No no no, si era fatta un impressione totalmente sbagliata.  

Cercò di fermare la donna, ma prima che ancora potesse parlare questa andò via.  

Cameron tornò a fissarla. Tutto intorno era tranquillo. Poco lontani da loro c'erano solo due ragazzi che bevevano un drink e il piano bar.  

"Cosa ci fai qui, Melanie?" ecco, aveva ripreso a chiamarla per nome. Incomprensibile.
 Forse non voleva che la sua amica, o i suoi amici sapessero che erano leggermente in confidenza.
Ma certo, ovvio, chi sano di mente direbbe ai propri amici che è in confidenza con una sua alunna?  
"Sono qui con Gilda e la sua famiglia, professore."

Lo beccò a fissarle la scollatura e arrossì di getto.
Istintivamente portò una mano all’altezza del seno, cercando di nasconderlo.
Si sentiva a disagio, il suo sguardo era troppo penetrante, troppo insistente.  
"Gilda... Si, capisco." una breve pausa in cui lui continuò a fissarla senza ritegno. "Le sta d'incanto quest abito, Turner." commentò.  

Era già rossa per i suoi sguardi, ma se possibile arrossì ulteriormente.  

La trovava bella, o quantomeno carina.

Si passò una mano a spostarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrise
, incapace di far altro.  
"Vuole prendere una boccata d'aria?" Chiese dopo qualche secondo di silenzio, sp
iazzando totalmente la sua alunna.  
Lei annuì imbarazzata.

Sarebbero stati da soli, e lui era così maledettamente bello da togliere il fiato.

E lei... Lei era troppo scoperta per restare da sola con l'uomo che solo qualche giorno prima l'aveva baciata.  

Lui la prese per un polso, senza stringerla ma tenendola salda, e la indirizzò verso un' uscita secondaria che sfociava esattamente nel parcheggio.
A quel contatto lei rabbrividì e sperò solo che lui non se ne fosse accorto.
Si chiese perché proprio nel parcheggio, e la sua risposta arrivò in pochi istanti.  

Si ferm
arono davanti ad un' Audi nera opaca e lui le aprì la portiera al posto del passeggero.
Oh, sapeva anche essere galante... A modo suo.  

Quando furono entrambi dentro, lei iniziò a parlare.  

"Dove vuole andare?" chiese curiosa. Non si sarebbe opposta... Era troppo annoiata dalla serata.  

"Da nessuna parte, restiamo qui." Disse quasi come se fosse ovvio.

Perché certo, due persone in macchina si suppone non vadano de nessuna parte ma che restino lì parcheggiate.

"Faceva freddo fuori, ho preferito un posto tranquillo e... È l'unica cosa che mi è venuta in mente" Sorrise sincero.  

"Il mondo è piccolo." Commento tutto d'un tratto Melanie, guardandolo negli occhi.  

Che mossa sbagliata.  

"Si... Molto piccolo." Sembrava non essere intenzionato ad avere un dialogo, forse era lì solo per evadere da una serata pessima come la sua, e per questo decise di restare in silenzio.

Un silenzio che era però carico di tensione, dei loro respiri, dei loro piccoli e continui movimenti.  

Melanie desiderava che non ci fosse più quel muro che aveva costruito pian piano, e sperò che lui fosse pronto ad abbatterlo.  

Lui tossì e lei lo guardò.  

Lui si mosse verso di lei, e lei si ritrasse leggermente.

Fu un rincorrersi di sguardi, un cercarsi continui attraverso le sue mani che piano si posavano sulle sue spalle, ed attraverso le sue braccia che provavano a tenere una certa distanza senza però esserne veramente intenzionate.

Cameron la desiderava. Voleva toccarle quel collo sottile e candido che si ritrovava, voleva toccarle la schiena e odorarle i capelli.  

Come quel giorno, o forse di più. Lei era davvero splendida, in quell'abito che sottolineava ogni suo punto forte e che le dava l'aria di essere una donna meravigliosamente matura ed elegante

F
orse fu quello che lo portò ad avvicinarsi piano, a posare le dita all'altezza della clavicola e a prenderle la mano con la sua libera.  
Le dita erano sottili e gelide, le unghia lunghe e laccate di smalto trasparente.

La guardò in viso: La pelle chiara, le guance rosse, gli occhi lucidi e le labbra socchiuse.

Labbra che lo chiamavano, che sembravano bramarlo e ricercarlo.

Labbra di cui ricordava ancora il sapore ma di cui non aveva mai "assaggiato" la consistenza.

Si avvicinò ancora, le dita intrecciate, il respiro pesante.  

E poi nulla.

Chiuse gli occhi, posò le labbra su quelle della ragazza ed anziché baciarla le mordicchiò il labbro inferiore.  

Erano morbide e gonfie
, e sapevano di dolce.  
La vide muoversi sul sediolino ed avvicinarsi a lui, portare una sua mano dietro la nuca a toccargli i capelli e a quel contatto lui impazzì.  

Era una cosa allucinante, del tutto anormale, ma era impossibile da controllare...  A maggior ragione se lei avesse continuato in quel modo.

I loro respiri si fecero più pesanti, i loro occhi continuarono a restare saldamente chiusi ed una mano su lui scorse piano sul braccio di lei in un’impercettibile carezza.  
Quel bacio sembrava non voler mai finire, e quando i due si staccarono lui prese a fissarla insistente e quando il suo sguardo si fece insostenibile lei abbassò gli occhi sulle loro mani.  

Erano ancora unite, e lui le strinse maggiormente.  

Non capì cosa lo portò a fare un gesto simile, lui aveva sempre odiato queste cose... Aveva sempre odiato i baci e le effusioni in generale, andava diritto al dunque.  

Forse era consapevole che da lei non poteva ricevere il "dunque" e quindi si sarebbe dovuto accontentare
di quel poco.  
Si sporse in avanti e andò a baciarle il collo, esattamente sopra l'incavo della clavicola.

Era intenzionato ad andare oltre
 e mettere a tacere il suo buon senso che gli impediva di farlo, ma il suo profumo gli fece ricordare un particolare.
Era sempre la sua alunna. Anche se quella sera era splendida ed aveva un aria così matura... Era una ragazza più piccola di lui di quasi dieci anni.
Avrebbe rovinato la vita a lei e a se stesso.
Quindi si fermò a quel bacio, ma restò per qualche istante con le labbra posizionate in quel piccolo fossetto, senza né dire né fare nulla.  

 Dopo quel bacio sul collo credeva che si sarebbe spinto oltre, ma lo sentì irrigidirsi e fermarsi per diversi istanti sul punto in cui aveva schioccato due secondi prima un bacio.
Avrebbe voluto stringere ancora di più quella mano,
 avrebbe voluto che lui non si fermasse e che non la lasciasse andare, ma così non fu. Stava perdendo la testa.  
Le piaceva tutto quello, come le piaceva lui e i suoi modi di fare.  

Una vibrazione la distolse da quei pensieri, e dopo aver lasciato controvoglia la sua mano rispose.  

"Mel, dove sei?" Gilda era tranquilla. Le avrebbe dovuto raccontare tutto.  

"Gilda io...  Sono con Carter, il nostro professore."

Si sentì in tutta l'auto un fortissimo "Cosa? Di nuovo?" e in meno di due secondi Mel staccò il telefono.

Avrebbe potuto urlare altro, e non le sembrava fosse il caso di far sapere al suo professore che parlava di lui con la sua migliore amica.  

"Deduco che lei le abbia raccontato qualcosa. La chiami e le dica che l'accompagno io a casa, tanto so dov'è. " Era arrabbiato?

Si dai, lo era.  Ma non aveva senso..
. Era la sua migliore amica, le aveva sempre raccontato tutto ed era ovvio che volesse dirle una cosa come quella accaduta a casa del suo insegnante.
Mel restò in silenzio e mandò un messaggio a Gilda per avvertirla.

Si sentiva in assoluto imbarazzo. Aveva fatto la figura della bimbetta cretina ed immatura.  

Si tolse le scarpe e portò le gambe al petto massaggiandosi le punte delle dita dei piedi.  

Lo fece in modo così spontaneo che fece sorridere persino Cameron.

Cameron che non aveva mai permesso a nessuno di entrare con una bibita in auto o che aveva più e più volte richiamato i ragazzi quando mettevano i piedi sui sediolini posteriori.

Ma questo lei non poteva né doveva saperlo.  

"Quella donna è la sua ragazza?" chiese poggiando la testa al finestrino e chiudendo gli occhi. Si erano baciati già due volte... Si sentiva così presa e intima con lui che sentiva fosse una domanda lecita la sua.  

"No, non sono fidanzato, se è questo che vuole sapere." annunciò semplicemente lui, con molta non chalance.

Mel sorrise un po' soddisfatta.

In realtà però rimase
leggermente delusa. Come poteva un uomo così bello e travolgente non avere una ragazza? Era sicura fosse una sua scelta personale, perché di sicuro se avesse voluto avrebbe fatto cadere ai suoi piedi molte donne.
Certo era un tantino enigmatico e bi polare, ma era un uomo bellissimo e attraente.
Era sicura anche se fosse un uomo rispettoso con il gentil sesso;
Quella sera
, ad esempio, l'aveva trattata come una vera donna, per quel poco che stettero insieme. Niente a che vedere con il modo in cui la trattavano gli altri ragazzi. Se ne sarebbe abituata, quindi fu meglio che quella serata finì li, anche perché non sapeva se sarebbero riusciti a non baciarsi nuovamente.  
Durante il tragitto finì più volte per fissarlo
 incantandosi sul suo sguardo e sulla sua mascella, sulle sue mani e sulle sue spalle.
Pensò che era così anche in classe, che era splendido anche mentre insegnava o scriveva alla lavagna con una semplice camicia rossa e dei pantaloni, e arrivò ad una conclusione:   
Non era l'abito a conferirgli bellezza, ma lui a dare un senso ed un valore a ciò che indossava.

 In poco furono fuori casa di Melanie.
Il cane non c'era, le luci erano spente, l'orologio segnava le 01:03 e tutto intorno era silenzioso.  
Voleva di nuovo che lui la baciasse, ma senza nemmeno darle il tempo di formulare quel pensiero, lui uscì dall'auto.  
Due secondi dopo se lo ritrovò dal suo lato, le aprì la portiera e lei uscì, ancora scalza.  
Era tornata ad essere il solito metro e cinquantacinque e lui la fissava divertito.
"Sei tornata sul mondo dei puffi, signorina Turner." sorrise.
Melanie arrossì di imbarazzo.
"E lei è Gargamella?" Stette al gioco la ragazzina, azzardando.  
"Non ricordo bene... Io sono vecchio, ma Gargamella ha mai baciato così Puffetta?" disse tutto d'un fiato fingendosi pensieroso ed avvicinandosi nuovamente, portando ancora le sue labbra su quelle di Melanie.  
Quel bacio fu il più bello: Carico di passione, di voglia di restare ancora insieme e di non separarsi, ricco di speranza che non finisse mai, ma pieno di consapevolezza che si stavano cacciando in un bel casino.
Alla ragazza il cuore smise di battere per tutta la durata in cui i loro corpi continuarono a rincorrersi tramite le loro labbra. Fu un lasso di tempo indecifrabile. Troppo breve perchè finisse, ma troppo lungo perchè continuasse.
"Buonanotte, Puffetta." soffiò lui sulle labbra, e sembrò addirittura una scena romantica tra due innamorati.  
"Buonanotte, professore." sorrise amareggiata Melanie.
Non voleva separarsene ed aspettare giorni prima di potergli riparlare.
Ed ecco che la consapevolezza di essere ad un buon punto per innamorarsi faceva capolino nella sua testa.
Sognava di innamorarsi di un uomo che le avrebbe scostato la sedia per farla accomodare, che l'avrebbe tenuta per mano tra la folla e che le avrebbe ceduto la sua giacca.  
Invece si stava innamorando di un uomo che le apriva la portiera dell'auto, che per riscaldarla la portava in macchina, che non le teneva la mano ma la baciava con impeto e desiderio sotto la porta di casa.  
Sarebbe stato tutto così bello, se solo lui non fosse stato Cameron Carter. Il suo professore. Sarebbe stato tutto così bello se loro si fossero incontrati due anni dopo, magari in centro, in un bar, in quel ristorante o nel caffè letterario. Se si fossero innamorati dopo che lui distrattamente l’avesse urtata e lei gentilmente si sarebbe scusata. Invece no, il destino, Dio, il fato, il Karma o chiunque sia, li aveva fatti incontrare a scuola, una mattina in cui erano entrambi in ritardo, nella solita classe, con i soliti amici a due passi, ma in due posizioni totalmente differenti. Odiava tutta quella situazione, odiava lui per essere entrato nella sua vita e lei per non aver cambiato classe, scuola o addirittura città. Era tutto così maledettamente sbagliato.



Angolino
~
Allora ragazze! Cosa ne pensate del nostro Cameron?*-*
Sono riuscita a realizzarlo esattamente come lo immagina... affacinante, sexy, con lo sguardo penetrante e... Maledettamente uomo :Q___ ahahahah
Apparte gli scherzi, spero davvero che vi piaccia sia il prof. Carter che il capitolo in se u.u
Vi avverto che ho già il capitolo 6 mezzo scritto, quindi a breve pubblicherò nuovamente ahaha
Sono felice che siate in tante a leggere il capitolo, spero solo che le più silenziose (Come me) si facciano avanti con qualche commentino che è sempre più che gradito :P
Bacini baciotti <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Jenice. ***


CAPITOLO 6 - JENICE.


Voglio fare una piccola premessa, poi ci vediamo a fine capitolo.
Mi piacerebbe ascoltaste questa canzone, mentre leggete il capitolo.
La adoro, e la adora anche Cameron, o forse la odia.
Resta di fatto che è stata la colonna sonora di buona parte della sua vita.

https://www.youtube.com/watch?v=zLzturC1ZeE


Quando rientrò a casa, Cam era davvero stanco.  
Una volta accompagnata la sua alunna a casa era andato al ristorante e subito dopo ad un bar in zona.  

Era rimasto insieme ai ragazzi fino alle 4:00 circa, ed era davvero
stato contento di averli trovati perfettamente uguali a qualche anno prima.  
Quando si stese sul letto a due piazze iniziò a pensare alla serata.  

Chi si aspettava che potesse accadere una coincidenza simile? Che potesse incontrarla in quel ristorante con quell'abito e quell'aria da donna.  

Un po' rimase scioccato nel vederla così: Aveva abbandonato le sue scarpe e i suoi vestiti comodi, era costantemente priva di qualsiasi traccia di trucco, i suoi capelli erano sempre sciolti e in disordine... Ed invece quella sera se l'era trovata così bella davanti.  

Non che di solito non fosse bella, precisiamo.  

Solo che era troppo piccola per lui, troppo infantile per poterle piacere, o almeno questo era ciò che pensava.

Sapeva di aver commesso un errore madornale quando l'aveva baciata, entrambe le volte, ma fu più forte di lui. Non voleva illuderla, portarsela a letto o averci una storia. Semplicemente aveva dato voce al suo istinto che mai prima di allora, per cinque lunghi anni, gli aveva suggerito di provarci con qualcuna.

Si rendeva conto che ciò che faceva era pericoloso, avrebbe perso il posto di lavoro, sarebbe risultato come un depravato, e proprio per questo decise più volte di stargli lontano.

Ogni volta che la vedeva però, ogni volta che quell'odore prepotente entrava nei suoi polmoni, ogni volta che lei lo guardava e lui ricambiava, tutte le sue
premesse crollavano.

E di così per l'intera settimana, e quella successiva anche.

Lei lo guardava, lui la guardava.  

Lui la cercava, lei si faceva trovare.  

Si rincorrevano con lo sguardo: In aula, in cortile, al bar della scuola, nei corridoi.  

Ma mai più uno scambio di battute, se non quelle dovute all'interrogazione alla quale la signorina Turner andò più che bene.  

Le mise nove, ma non perché fosse bella e in confidenza, semplicemente perchè lo meritava.

Non si era fatta tradire dall'ansia nemmeno per un istante, non aveva lasciato che il loro trascorso influis
se sulle sue capacità espositive, non aveva permesso al suo professore di metterla in difficoltà per nemmeno un secondo.
Però lui non le aveva più rivolto la parola, tantomeno lei.

Ad entrambi bastava guardarsi e sorridersi, il resto era di contorno.  

Durante l'interrogazione Cameron aveva pensato più volte a quel bacio, alle sue labbra morbide e alla sua mano intrecciata alla sua.

Aveva interrogato poi Cooper ed aveva provato a guardarla non come insegnante ma come uomo.  

Aveva un bellissimo corpo da donna, capelli sempre ordinati e trucco impeccabile...  Ma non gli piaceva.  

Non riusciva a guardarla come una possibile donna da corteggiare, da portare a letto o semplicemente da baciare.  

La vedeva come una semplice mocciosa con un seno prosperoso e un bel visino.  

Allora aveva provato a soffermarsi su altre sue studentesse.  

Per un attimo pensò che quello dell'insegnante non era un ruolo adatto a lui, visto che perdeva la testa per le sue alunne, ma dovette ricredersi dal momento in cui non provò praticamente nulla osservando quelle ragazze.  

Se non con lei.

E allora capì di essersi irrimediabilmente preso una sbandata per quella ragazzina.

Voleva parlarne con qualcuno, ricevere consigli. Qualcuno che gli avrebbe fatto tranquillamente notare che era un coglione e che si stava mettendo nei guai, ed il suo pensiero andò diritto su di lui.  

 Erano le 22 di venerdì sera, era pronto per uscire con Abram e due ragazze che avevano incontrato il centro la mattina precedente.  
Ci sapeva fare con le ragazze, ed insieme a Cameron e ad Abram ne aveva conquistate più di quanto credesse.  

Tra i tre era quello più spigliato, quello più diretto e sfacciato. Non era uno di quei ragazzi belli da togliere il fiato, non aveva niente di particolare, niente di diverso.  

Semplicemente era maledettamente attraente.

Era a conoscenza del fatto che alle donne faceva un certo effetto, e proprio per questo sapeva come giocare con loro.  

Non si era mai impegnato con nessuna, non aveva mai dato il suo numero ad una donna ed aveva sempre fatto in modo di non rivedere mai la stessa ragazza due volte, mettendo in chiaro sempre fin da subito che non cercava relazioni.  

Quella sera si sarebbe portato a casa quella bella ragazza dai capelli
biondi, l'amica l'avrebbe lasciata ad Abram.
Ma proprio mentre pensava alla serata che si prospettava più che soddisfacente, il telefono squillò.

"Cam, fai presto che sto per uscire. Vuoi venire?" Chiese allacciandosi la cinta in pelle e tenendo il telefono tra la spalla e l'orecchio.  

"No, Tony. Perché non vieni da me? Ho le pizze." Sentì nella voce dell'amico una supplica sottintesa.

Tony sbuffò "Dai, Cameron. C'ho una puntata da giorni!" Ammise, infilandosi il portafoglio in tasca.

Si aspettava che Cameron cedesse o che gli chiedesse come fosse la tipa, così come aveva fatto sempre, ma restò in silenzio per qualche istante.  "Ho anche le birre." provò nuovamente.  

Ok, c'era qualcosa che decisamente non andava.

Non era il tipo da restare a casa il venerdì sera, tantomeno da rifiutare un uscita o costringere un amico a fargli compagnia a casa sul divano.  

Anthony sbuffò un'ennesima volta, poi sbottonò il primo bottone della camicia e si sedette svogliatamente sulla poltrona.  

"Che succede, Cameron?" chiese preoccupato.

Non lo vedeva così da troppo tempo.

L'amico però non sembrava intenzionato a dirglielo, e quindi Tony finse di arrendersi.  

"Da te tra mezz'ora, va bene?" chiese prima di staccare il telefono.

Si sfilò la camicia e indossò una semplice maglia rossa a maniche lunghe.

 Alle 22:20 era già fuori casa di Cameron, la porta era socchiusa e si decise quindi ad entrare senza bussare.
Infondo, casa di Cameron era come casa sua.
 E in passato lo era anche stata. Sapeva perfettamente dove teneva le chiavi di riserva, dove aveva i risparmi e il codice dell'allarme.
Conosceva a memoria l'ordine dei libri sugli scaffali, il numero esatto di penne nella tazza sulla scrivania e la posizione di ogni cornice sul mobiletto ad angolo.  

C'era una foto che ritraeva i tre felici.  
E poi c'era quella foto. Quella più bella, l'unica posizionata frontale rispetto all'entrata, l'unica sempre senza traccia di polvere. Chissà quante volte la guardava, la spostava, la toccava.  
Chissà quante volte pensava a lei, forse tante quante quelle in cui
era lui a pensarla.  
Ossia di continuo. Non c'era attimo in cui non le tornava in mente, tutto sapeva di lei.  

Tutto in quella casa era stato toccato da lei, così come tutto nella loro casa le apparteneva.

Il suo ricordo veniva a bussare alla sua porta ogni notte, anche mentre dormiva. Il suo sorriso illuminava ogni suo sogno, la sua risata risuonava cristallina nella sua mente.  

Un groppo in gola, le mani sudate, gli occhi lucidi.  

Era lì per consolare Cameron, non per lasciarsi tirare su da lui.  

Si fece forza ancora una volta e scacciando quella brutta sensazione salì le scale che lo portavano alla sua camera.  

 "Dai, Anthony! Non puoi finire la tua pizza e mangiare anche la mia!" esclamò esasperato Cameron guardando la fetta di pizza che veniva velocemente divorata da quel forno umano.  
Come aveva previsto era corso subito da lui. Aveva capito che c'era qualcosa che non andasse, ma Cameron non sapeva proprio come iniziare a parlarne.  

Dirgli che semplicemente era interessato ad una ragazza era troppo banale, e aveva paura che il suo amico la prendesse non propriamente bene, vista l'età della ragazza in questione.

Per questo decise di rimandare il discorso a dopo il film che stavano guardando.

Però Tony non sembrava voler rinunciare a sapere cosa passasse per la testa del suo migliore amico, e quindi prese a parlare.  

"Senti Cam... Se è per Jenice,  lo sai che puoi sempre parlarmene.. " Azzardò guardandolo diritto negli occhi.  

Cameron sobbalzò leggermente e sc
osse piano la testa. "No, non è di Jenice che voglio parlare.." deglutì. "Ho conosciuto una ragazza, Tony."
Gli occhi del biondo si illuminarono di gioia.  

Non sentiva pronunciare quelle parole da anni, non credeva nemmeno fosse più possibile che lui si interessasse ad un' altra.

"Dio, amico!
 E me lo dici così?" si posizionò più comodo sul divano, i popcorn sulle gambe e lo sguardo di un bambino che ha appena ricevuto il regalo che
desiderava.  

"Ha 18 anni. Sono nei casini... È una mia alunna." sputò tutto di getto, quasi come se quelle parole lo stessero mangiando da dentro.  

Il suo sguardo era basso, le sue mani si torturavano l'una con l'altra.  

Anthony rimase in silenzio. Ecco, stava per succedere.  

Stava per ricevere quelle parole che tanto aspettava. Gli avrebbe dato del coglione, stupido, imbecille e persino immaturo. Gli avrebbe detto che avrebbe perso il lavoro, che avrebbe rovinato la vita di quella ragazza e anche la sua.

"È fantastico." disse semplicemente.

Cosa, fantastico?  

Il fatto che fosse un depravato o che fosse un vigliacco? Cameron rimase a bocca aperta, voleva dire qualcosa ma proprio non sapeva cosa.  

"È fantastico che tu ti stia legando a qualcuna. Sì è piccola, sì è una tua alunna. Ma è maggiorenne e tra un po' non sarà nemmeno più una studentessa."

Lo stava incoraggiando. Cazzo!  Non erano quelle le parole di cui aveva bisogno, non così che lui si sarebbe staccato da lei e dal suo profumo.
 Ma in cuor suo si sentiva sollevato. Forse, in realtà erano quelle le parole di cui aveva tanto bisogno.
Cameron gli parlò di lei, di quei baci, del suo profumo, delle sue mani. Gli parlò di quella sera e del suo abito, delle sue labbra e del suo reggiseno nero.  

Ci tenne a specificare che non era nemmeno lontanamente cotto di lei, che la sua era semplice attrazione e curiosità, e lui sembrò capire tranquillamente.  

Quando Tony andò via, verso le 02:00, Cameron si sentì decisamente più sicuro e meno preoccupato.

"Ragazzi, lo dico esclusivamente per voi. Tra poco sarà Natale, da gennaio in poi la vostra attenzione andrà tutta sulle materie da recuperare, e i vostri voti positivi si azzereranno. Il programma del secondo quadrimestre è duro, non prendete sotto gamba questo quinto anno. Entro la settimana prossima, massimo per il 18, pretendo che tutti abbiate una mappa concettuale dove mi esponente almeno i collegamenti che volete fare per la vostra tesina." Parlò tutto d'un fiato, Cameron.
Non voleva fare nessuna paternale, né tantomeno mettere loro ansia; Voleva semplicemente aiutarli e prepararli.
Molti di loro iniziarono a dire che avevano già pronto tutto, che i collegamenti erano una sciocchezza, altri pensarono bene di dire che la tesina non l'avrebbero proprio portata.
 "Troppo sbatti" a detta loro.
Li guardò uno ad uno, e negli occhi di tutti, compresi quelli che si fingevano poco interessati, scorse un sentimento che personalmente conosceva benissimo: L'ansia. Non dell'esame, quello era solo una circostanza. L'ansia di crescere, di iniziare una nuova vita, di staccarsi dai compagni di sempre con la quale si è cresciuti e iniziarne a frequentare di nuovi, in un ambiente totalmente differente come l'università o il lavoro.

L'ansia di lasciarsi andare, di spingersi a vivere davvero, lontano dalla scuola. L'ansia di essere consapevoli che non si è più piccoli, ma adulti. Adulti che non potranno andare più dalla madre a chiedere aiuto, economico e non, che non potranno più uscire tutte le sere con gli amici o con il fidanzato, che non avranno più la spensieratezza di un tempo. Adulti che dovranno pensare al loro futuro, perché il tempo dei giochi finiva lì. Oppure era lui che era cresciuto troppo in fretta. Che non aveva mai avuto una madre ad aiutarlo, non era mai stato spensierato e che aveva imparato a vivere con mille preoccupazioni. Che piccolo non lo era mai stato, che il tempo dei giochi era finito senza mai iniziare.
Forse era lui che aveva avuto più paura di finire la scuola che di un esame, perché questo implicava non avere più scusanti per non prendere la propria vita tra le mani, per cambiare. E lui un cambiamento lo fece, uno drastico. A 19 anni, undici mesi dopo il diploma al liceo classico, Cameron prese in mano le redini della sua vita. Non aveva più un padre a cui badare, una madre a cui annuire, non aveva più un fratello da invidiare. Il maggio del 2009, tra insicurezze e i primi rimpianti, Cameron lasciò casa dei suoi.
Trovò un appartamento in centro, vicino alla scuola dove insegnava attualmente, e ci si trasferì. Con i pochi soldi che aveva racimolato riuscì a vivere autonomamente per tre mesi e mezzo, poi ad inizio settembre affondò letteralmente.
Tony e Jenice lo aiutarono, e insieme i tre presero una casa più grande, un po' più lontana dal centro. La sua attuale casa, quella in cui ha lasciato entrare una sua alunna. I tre stettero insieme per un anno, fino ai 20 anni di Jenice, l'estate successiva. Li lei si ammalò gravemente, leucemia. Le caddero pian piano tutti i capelli, la sua chiamata nera scomparve. Il suo sorriso si spense, le sue mani si fecero sempre più fredde.

Arrivò il momento in cui i tre dovettero separarsi, Jenice in ospedale, Tony -sotto richiesta di Cameron- a casa di quella che era allora la sua ragazza, più grande di loro di 7 anni. Doveva svagare. Vedere tutti i giorni sua sorella star male, e morire, non era ciò che poteva aiutarlo con gli studi e con la sua vita. Valerìa, una barista di origini polacche, abitava in periferia, lontanissima da dove Tony aveva trascorso gli ultimi anni. Quando Jenice morì, Cameron era solo. Era seduto sul divano a guardare un film senza seguirlo, quando ricevette la chiamata di Tony. Tony piangeva, senza versare una lacrima, ma piangeva. Lo senti a dal suo tono, da come le mano gli tremavano quando Cam raggiunse l'ospedale. La malattia l'aveva sconfitta, aveva vinto.
Jenice aveva smesso di lottare dopo un anno. Un anno di agonia, un anno di pianti, di finti sorrisi e di parrucche nere. Un anno di sofferenza, per Anthony, per Jenice e per Cameron. I tre che erano inseparabili, i tre che erano sempre stati insieme fin da quando avevano 15 anni e i due fratelli si avvicinarono a quel ragazzo così silenzioso e seduto in disparte. I tre che vissero insieme, che affittarono quell'enorme appartamento per sentirsi più indipendenti e vivi. I tre, quella sera, si separarono. La prima ad andarsene fu Jenice, il secondo Cameron. Tony restò sempre lì, ad aspettare che il suo amico tornasse, per un abbraccio, per uno sfogo. Ma Cameron per tre mesi non uscì di casa. I genitori, per provare a comprare un po' della sua felicità gli regalarono un auto e la casa nella quale abitava.
Ma non servì a nulla. Non aveva senso quella casa senza Jenice. Non aveva senso quell'auto senza Jenice. Non aveva senso la vita senza Jenice.

Tony però non si lasciò abbattere, tranne che nei primi mesi. Valerìa partì per le Polonia dopo che Tony scoprì che era madre di due gemelli nella città natale.
Non aveva più nessuno Tony, se non i suoi ricordi. Però c'era ancora Cameron, ed insieme promise che sarebbero tornati quelli di prima. Tutto cambiò ai suoi 22 anni. Tony e i compagni delle scuole superiori pensarono bene di fargli una sorpresa.

Molti si chiedevano com'è che Anthony fosse così.. Ancora vivo. Ma la risposta era semplice "Vivo per Jenice." e da allora nessuno chiese più nulla. Vivere per Jenice significava essere i suoi occhi, il suo corpo. Attraversare ostacoli e imbattersi in nuove avventure per far vedere a Jenice cosa si era persa arrendendosi. In realtà quella era solo una scusa per convincere Cameron a tornare quello di prima. Quella sera i suoi compagni di classe gli regalarono una torta su cui c'era scritto "Vivi." e Cameron pianse. Pianse davanti a Stefanie, la ragazza che gli piaceva i primi anni di liceo, pianse davanti agli amici con cui faceva baldoria in classe, pianse davanti a quelli che lui chiamava secchioni, pianse davanti a suo fratello Tony, e pianse davanti alla sua amata Jenice. Quel pianto aveva nascoste tante parole non dette, pensate, massacranti, malinconiche. Tutti sapevano che quelle parole erano per Jenice, e lei le sentì.

Da allora Cameron Carter rinacque.


Angolino
~
Allora, mi scuso subito per non aver pubblicato per due settimane, sono stata a letto malata e non sono riuscita a combinare niente con il pc ç_ç
Almeno però mi sono portata molto avanti con la storia, e ho scritto più o meno altri due capitoli che conto di pubblicare in settimana, per fami perdonare u.u
Stavolta,sempre causa forze maggiorni, non ho portato nemmeno un disegno, e spero di riuscirne a fare almeno uno per il prossimo capitolo.
Adesso sapete di Jenice. Conoscete il passato di Cameron, conoscete Tony e il suo buon cuore (Di cui scriverò sicuramente qualcosa!)
Spero che vi piaccia quanto avete letto, a presto!
Bacini baciotti :*

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dov'è finita la cannella? ***


CAPITOLO 7 - DOV’E’ FINITA LA CANNELLA?


Da quell'ultimo bacio, i due non si erano più sentiti. Avevano creato, con la classe e il professore, un gruppo chat su un applicazione di messaggistica dove si tenevano aggiornati su eventuali cambi di programma, compiti e eventi. In realtà i ragazzi scrivevano solo cazzate, parlavano dei loro affari e mandavano foto di modelle mezze nude, prendendo in giro le loro compagne molto meno dotate e molto meno di plastica. Lui aveva il suo numero, quindi, ma non si azzardò mai a cercarla.
Durante quel mese che trascorse tra il bacio e quella sera, Cameron si limitò a fissarla, a chiederle come stesse e a fissarla ancora. Melanie invece lo guardava di meno, ma s
i faceva interrogare più spesso. Era un agonia per entrambi, quella situazione. Ma non potevano fare altrimenti. Cameron aveva tutta l'intenzione di aspettare che lei si diplomasse, prima di riprendere a cercarla. Melanie aspettava il momento giusto.
E questo arriv
ò, quel sabato sera, due giorni prima della scadenza delle consegne delle mappe concettuali.

Cameron era in bagno, appena uscito da una doccia e pronto a prepararsi per una birretta in centro. Aveva il cellulare sulla mensola del lavandino, incurante del vapore acqueo che si sarebbe insinuato nell'ageggio elettronico.
Si stava guardando allo specchio e stava pensando di spuntare un po' i capelli, quando il suo cellulare squillò. Era il suono di un messaggio, ma non del gruppo. Per quello aveva impostato una suoneria predefinita. Non aveva salvato nessun numero dei ragazzi di classe, capiva subito chi fosse a scrivere anche perché ognuno di loro aveva un nickname a distinguerlo dagli altri. Per questo quando si trovò una chat aperta, un numero sconosciuto, un panorama come immagine del profilo, Cameron sobbalzò.
Quando apr
ì la chat lesse. "Salve professore! Volevo mostrarle la mia mappa concettuale prima di consegnarla, solo per dei chiarimenti riguardo la sua materia. Mi scusi per l'ora, appena può mi risponda. Grazie!" Troppo troppo formale. E lui odiava quelle formalità.
Si decide allora ad andare sul gruppo, e quando cap
ì che quello era il suo numero, impazzì. L'aveva contattato.
L'aveva cercato in una chat privata, quando l'avrebbe tranquillamente potuto fare sul gruppo. Ancora in accappatoio, i capelli bagnati e i vetri d
ello specchio appannati rispose. "Nessun disturbo, mi dica pure Mrs. Turner." voleva sembrare quanto più freddo possibile, e sperò di averne dato l'impressione.
Dopo nemmeno due minuti, gli arriv
ò una foto. Era un foglio di carta strappato magari di fretta, su cui con una scrittura molto tonda e precisa c'erano segnate delle cose. In alto, al centro del foglio c'era l'argomento.
 La perfezione dei corpi. Che argomento azzeccato, pensò, per una come lei.
Scacci
ò quel pensiero e ingrandì di poco la foto per permettersi di riuscire a leggere gli argomenti per ogni materia. Il fulcro era l'estetismo, che inserì in filosofia, nella seconda lingua e in letteratura. Il periodo storico era quello del 900, con i linguaggi del corpo dei dittatori del secolo.
E infine, arriv
ò alla storia dell'arte. Notò che questa era quella più ricca di informazioni, e pensò che era solo perché in effetti la stava mandando al professore specifico della materia. Inserì l'uomo vitruviano e gli studi anatomici di Leonardo, il maestoso David di Michelangelo, le statue greche e la loro idea di bellezza e Canova e le sue sculture. Infine aggiunse una piccola postilla sul Body paint.
Cameron rimase a bocca asciutta, quella ragazza sapeva quel che faceva e amava farlo.
Per questo non poteva permetterle di fare l'avvocato, di sprecarsi cos
ì. Nonostante lo stupore, finse apatia.
"Perfetto, ci sono cose da correggere qui e l
ì, ma lo faremo con il tempo. Buona serata signorina." Detto ciò spense la connessione e iniziò a prepararsi.

L'ultimo messaggio fu quello di Melanie, ma il professore sembrava non averlo nemmeno letto. Per questo pensò di doverla smettere di continuare a chiedersi se aveva sbagliato o meno, con quell'ultima frase.
Era sabato, doveva pensare a divertirsi. Non era il tipo da discoteca o da locali, ma adorava uscire il sabato, indossare qualcosa di pi
ù particolare e andare in giro in macchina o per le strade della città. Quella sera si organizzò con alcuni suoi amici, esterni alla scuola, con i quali andava più che d'accordo.
C'erano Summer e Jennifer che conosceva da piccole, e poi c'erano Barney e Steven che si erano uniti da poco alle ragazze. Le loro uscire erano sempre molto semplici. A
lle volte si vedevano dopo cena per andare al cinema e poi in un bar all'aperto. Altre volte andavo a mangiare qualcosa in un pub e ci restavano fino all'ora di andare. Non aveva alcun coprifuoco, i genitori le lasciavano le chiavi e avrebbe potuto tornare anche alle sei.
Ma proprio per una questione di rispetto nella fiducia che loro riponevano in lei, Melanie tornava massimo per le 02:30. Ora in cui gli altri quattro della comitiva iniziavano a darci dentro con l'alcool. Quella sera optarono per una pizza anziché il solito panino iper calorico.
Mel si sedette di fianco a Stev.

"Come va con Loreline?" Chiese lei, ricordando l'ultima litigata dell'amico con la fidanzata. "Oh, ci siamo lasciati. Non ne potevo più. " Sorrise a denti stretti, "Mi sono liberato."
"Adesso ci pu
ò provare con te quanto vuole!" disse fin troppo ad alta voce l'altro ragazzo del gruppo, ammiccando nella direzione dei due.

Jennifer gli diede uno scappellotto in testa e tutti loro scoppiarono in una risata. Stava davvero bene con loro.
Conosceva i due ragazzi da qualche anno, e di recente aveva preso a frequentarli.
Erano due donnaioli di prima categoria, ma era evidentissimo che Barney morisse per Jennifer. Si unirono a loro una sera al pub, erano con delle ragazze a cena e si stavano annoiando da matti.
Non erano i tipo da smancerie, cene romantiche o altro, a differenza delle ragazze che avevano conquistato.
Per questo quando si accorsero che in quel locale c'era
no loro, conosciute grazie ad un amica di Jenny, si scusarono e le raggiunsero al tavolo.
Un diversivo, in pratica.
Da allora il gruppo divenne inseparabile, avevano creato una chat in cui si sentivano spesso per organizzarsi e non.
Le ragazze invece le conosceva dai tempi delle scuole medie, erano le uniche con le quali era rimasta in contatto e con le quali usciva almeno una volta a settimana. Le aveva conosciute anche Gilda, che aveva da subito legato con Summer.
Entrambe avevano la passione per lo sport e questo fece si che le due diventassero amiche in pochissimo tempo.
Inizialmente Mel fu gelosissima di quel rapporto. Odiava vedere la sua migliore amica così legata ad un'altra sua amica, e per un po' le due si allontanarono.

Si riavvicinarono quando il padre di Gilda partì, dopo la separazione con la moglie, e la più grande si sentì totalmente persa.
Era sempre stata forte, piena di responsabilit
à. La classica sorella maggiore che si sveglia un po' prima per preparare la colazione si fratellini, buttare la spazzatura e andare poi a scuola. Invece, dopo che i genitori chiesero il divorzio, le cadde il mondo addosso.

Suo padre frequentava una donna, più piccola di lui da quasi sei anni. E quella notizia devastò la, a quei tempi, quindicenne. Dopo un po' le due divennero più unite che mai, Melanie non era più gelosa della sua amica; Sapeva che Gilda la amava come una vera sorella e che il loro rapporto non poteva finire per un capriccio da bambine.

Erano le quattro del mattino, più o meno, quando Cameron fece ritorno.
La casa sapeva di vuoto ed era silenziosa, fredda. Si sedette sul divano, la testa tra le mani, le gambe divaricate. Era stanco, annoiato. Sarebbe rimasto volentieri altro tempo con i ragazzi, pur di non tornare in quella casa, ma era tardi. Si alzò avviandosi in cucina, aprì il frigo e si accorse che era vuoto. Prese così una manciata di cereali forse scaduti e se la portò alle labbra. Non aveva mangiato nulla, avevano solo bevuto qualche birra e sgranocchiato patatine stantie tipiche dei bar.
Si svestì e senza nemmeno indossare un pigiama o altro si portò lentamente il letto. Si sentiva distrutto. Prese il cellulare tra le mani intenzionato a mettere la sveglia e scorrere un po' la bacheca del social sul quale era iscritto. Quando aprì i messaggi per inviarne uno a Tony, notò che aveva lasciato quella conversazione ancora aperta. Ricordava che l'ultimo messaggio fosse il suo, ma il suo cellulare lo avvisava che ne aveva uno ancora non letto. "Potrebbe aiutarmi domani? È domenica e la mattina io sono al Poseidon. Spero che dica di si, ci tengo molto. Grazie ancora e buona serata." con tanto di smile. Il Poseidon era il caffè in cui l'aveva incontrata quella mattina, quella mattina in cui la portò a casa sua e quella mattina in cui si baciarono. Solo a pensarci Cameron sentì di desiderarla di nuovo, ed istintivamente rispose "Si, ci vediamo per le dieci." Senza uno smile, un punto in più, una buonanotte o chissà cosa.
L'indomani sarebbe stato solo un incontro formale di approfondimento, nulla di più e nulla di meno, proprio come si fa con i professori universitari. Eppure lui fremeva dalla voglia, sperava che l'indomani arrivasse in fretta, che la notte passasse veloce. Sperava che venisse a piovere di nuovo, che facesse una tempesta, che lei si bagnasse nuovamente e che la portasse da lui. Sperava che le loro labbra si incontrassero come quella volta.

Quando la sveglia suonò, Cameron pensò di mandarle un messaggio per posticipare l'appuntamento. Era stanchissimo ed aveva un sonno tremendo. Ma il suo dovere di insegnante fece si che si alzasse dal letto e i fiondasse in doccia. I realtà era la voglia di vederla che gli diede la scarica per svegliarsi. Indossò dei jeans semplici chiari ed una maglia blu a maniche lunghe. Mancavano pochi minuti alle dieci, ma si rassicurò pensando che avrebbe raggiunto il caffè in dieci minuti. Quando uscì di casa si accorse che faceva un freddo pazzesco anche se c'era un sole grande e lucente. Alzò lo sguardo: Non c'era una nuvola in cielo. Sorrise quando la notò fuori l'entrata del bar. Era così piccola. Non solo d'età, ma in tutto. Aveva lo sguardo sulle sue scarpe, le mani in avanti a reggere lo zainetto, i capelli legati in una coda sfatta ed era avvolta da una sciarpa e una giacca verdastra. Era così carina e naturale. Molto diversa, molto distante da quella neo donna che incontrò in quel ristorante con quel vestito pazzesco. Per un attimo pensò che la preferiva così; Senza un filo di trucco, bassa e magrolina, con i capelli in disordine e la punta del naso rossa.
Senza che nemmeno lui se ne potesse rendere conto, lei alzò lo sguardo, forse sentendosi osservata, e dopo un breve momento di stupore sorrise e salutò energica il suo insegnante. "Buongiorno. Fa davvero freddo oggi, vero?" Le sorrise lui cordiale, parandosi di fronte a lei e riuscendo a guardarla meglio in volto.
"Vogliamo entrare?" Chiese semplicemente lei dopo aver annuito in risposta. Il calore del bar e il profumo dei dolcetti appena sfornati colpirono i due in pieno viso. Quando si sedettero, infatti, entrambi si spogliarono di cappotti e sciarpe e Cameron non potè non notare lo scollo poco profondo che copriva invano un seno non piccolo.

Melanie era davvero brillante, aveva una spiegazione per ogni cosa che diceva, e per quanto Cameron provasse a metterla in difficoltà lei riusciva sempre a cavarsela.  
Alla fine non era servito a nulla il suo aiuto, aveva fatto da sola tutte le correzioni e gli aggiustamenti.  

A Cam diede l'impressione che Melanie non l'avesse chiamato per questo, che la tesina fosse solo una scusante.

Mentre mangiava la sua fetta di torta alla cannella, lui non smise di fissarla.  

Nemmeno quando lei se ne accorse e lo guardò a sua volta.  

Nemmeno quando passò Stephanie, la cameriera, a ritirare i piattini vuoti.

"Ho... Ho qualcosa sul viso?" Chiese in evidente imbarazzo.  

"No, scusa, ero sovrappensiero." si giustificò frettolosamente.  

Ma bravo Cameron, davvero molto furbo e convincente.  

Ed ecco che nuovamente si perdeva ad ammirarla.

Una ciocca di capelli le cadeva lenta sul viso, sfuggendo dalla coda sfatta, la mano sinistra teneva il foglio fermo, mentre la destra reggeva la matita che veniva nervosamente mordicchiata.

Si chiese come potesse una ragazza così intelligente e bella non essere fidanzata.  

Beh, in realtà non aveva nessun conferma, ma dall'ultimo bacio era chiaro che lei non fosse impegnata.  

"Non torna a pranzo?" Chiese lui, dando un veloce sguardo all'orologio da parete a forma di tortino.  

"Oh! Scusi, non avevo visto fosse già così tardi..
. Avrà sicuramente un mucchio di impegni ed io... Possiamo andare! Prenderò l'autobus, non ci metto molto." Disse tutto d'un fiato più agitata di prima.  
Cameron capì, la ragazzina aveva paura di restare da sola con lui.

"Che ne dice se pranziamo insieme?"
Melanie era totalmente presa dai vari collegamenti della mappa concettuale, che credette di aver immaginato la sua voce.  

Gli aveva chiesto un aiuto per la tesina, ma in realtà non gli aveva permesso di fare granché. Voleva solo trovare un modo per parlargli.  Per capire perché in quel mese nessuno dei due si fosse avvicinato all'altro anche solo per uno scambio innocente di parole.  

Voleva capire come mai quella sera lui l'avesse baciata; Come mai lei avesse ricambiato, ma soprattutto come mai non riusciva a toglierselo dalla testa.  

Per questo, quando lui le porse quella domanda, a lei brillarono gli occhi.  

Senza indugiare nemmeno per un istante annuì fingendosi poco interessata, senza staccare gli occhi dal figlio.  

"Non penso sia sicuro restare in giro... Vieni da me?" lo sentì deglutire.  

Quella non era proprio la domanda che
si aspettava. In effetti non aveva pensato a dove poter stare tranquilli e parlare, tantomeno le era mai venuta in
mente l'idea che potessero andare da lui.  

In quella casa che in effetti lei già conosceva, e le cui mura erano le uniche testimoni oculari del loro primo bacio.  

Melanie indugiò per qualche istante.

Era più che vero: Non potevano essere in giro.  

Per questo, a meno che non volesse rinunciare alle risposte che tanto cercava, doveva andare da lui.  

"Va bene"

Lui la guardò stupito. Evidentemente non si aspettava un si.


Quando furono da lui, Mel fu felice di costatare che nulla era cambiato, che tutto era rimasto al suo posto,  compresi la penna e il taccuino in ordine sul tavolino.  

Compresa la foto sul mobiletto ad angolo.  

Scosse la testa, non era a questo che doveva pensare.  

"Non ho molto qui. Però credo possiamo arrangiare qualcosa." Sorrise leggermente a disagio, prendendo dalla credenza un po' di pasta e dal frigo quello che
sembrava essere un sugo alle noci.  

"Dove posso prendere le posate?" Chiese impacciata. Si sentiva così in imbarazzo ad armeggiare nella cucina del suo insegnante nonché uomo di cui era segretamente infatuata.  

"Terzo cassetto" Le indicò lui per poi prendere due bicchieri dal cola piatti.  

Quando Melanie finì di apparecchiare, decise bene di accomodarsi sul divano dalla quale aveva una visuale perfetta del suo insegnante.  

Con la scusa di mandare un messaggio alla madre, Mel scattò una foto di nascosto a Cameron che armeggiava con la padella e quello che si accorse essere non un sugo alle noci ma pesto bianco.  

Il problema fu che si dimenticò del solito inconveniente.  

La prima volta che le successe fu in autobus. Aveva una signora che aveva delle scarpe che cercava da secoli di spiegare come fossero a Jennifer, ma per sbaglio dimenticò di spegnere il flash.

Maledetti telefoni!

Quella volta fu uguale, l'unica differenza fu che Cameron non si arrabbiò come la vecchia signora, ma sorrise.  

E si avvicinò a lei.

Più si avvicinava e più il suo sorriso spariva, o meglio si trasformava in un sorriso estremamente maliziosi e poco raccomandabile.  

"Adesso ci mettiamo anche a scattare foto di nascosto?" Mel chiuse gli occhi d'istinto, ma sentì chiaramente che Cameron si era appoggiato con un ginocchio sul divano e che le era praticamente addosso.

"Volevo... Fare una foto... A.." diede una rapida occhiata alle spalle dell'insegnante e intravide un vaso in maioliche.  "quel vaso!"

A Cameron scappò una risata.. Non se l'era bevuta, vero?

Si certo, il vaso.

Un vaso da pochi dollari che le aveva regalato la madre qualche settimana prima, brutto un accidenti... E lei voleva fare una foto a quel coso?  
Finse di crederci, o meglio, diede tutta l'impressione di non crederci,  ma ci passò su.

Decise piuttosto di concentrarsi su qualcosa di estremamente più interessante.  

Come già aveva notato al bar, Melanie indossava una maglia panna semplice a maniche lunghe, con uno scollo davvero inesistente, ma attraverso cui lui intravedeva benissimo la forma del suo seno che si alzava e abbassava seguendo il ritmo del respiro.

Poi passò ad osservare le clavicole leggermente sporgenti, e pensò che avesse delle spalle davvero magre. Risalì con lo sguardo lungo tutto il collo.

Era certo che lei lo stesse guardando allo stesso modo, ma non era questo che gli importava.  Voleva le sue labbra, e quando arrivò con lo sguardo ad esse non potè fare a meno di avvicinarsi ancora di più. Pochi centimetri li separavano, Cameron sentiva il suo respiro sul suo naso, e uno strano calore gli pervase il
corpo e l'anima.  

La voleva, non sapeva perché né tantomeno se lei volesse lui, ma ancora una volta non gli importava.  

Più si avvicinava e più sentiva il respiro di lei bloccarsi e subito dopo appesantirsi.

Le loro labbra si sfiorarono impercettibilmente fino a quando qualcosa non interruppe quel contatto.  

Un odore nauseante gli invase le narici, sovrastando quel fantastico profumo di cannella.  

Cosa stava facendo prima di avvicinarsi così a lei?

"Cazzo, il sugo!"

 Melanie rimase interdetta per qualche istante.
Erano così vicini, stavano per baciarsi.. E lei era sicura che non si sarebbe mai scostata.  

E poi? Lui si era alzato di scatto, e non aveva capito nemmeno perché.  

Non appena lui si allontanò portando con sé il forte odore di dopobarba alla quale le sue narici non si sarebbero mai abituate, capì il motivo.  

Qualcosa si era bruciato.  

Si alzò per andare in cucina, dal momento in cui dalla postazione in cui era vedeva ben poco.  

Appoggiò la testa allo stipite della porta e sorrise guardando il suo professore nero in viso, accigliato e in evidente disagio.  

"Si è bruciato tutto!" Sbottò appoggiandosi alla credenza.  

"Non si preoccupi, la pasta in bianco è ottima!" Rise, divertita dalla situazione.

"Non c'è da ridere, signorina. Non posso darle della misera pasta in bianco e... E niente, ho solo la pasta!"

"Oh, è sicuramente più di quanto avrei mangiato io a casa, mi creda" sorrise sincera.  

In effetti, Melanie mangiava davvero poco, a meno che non avesse davanti a sé una pizza. Quella divorava ed era capace anche di mangiarne due.  

Per il resto, non andava pazza per il cibo, odiava le verdure ed amava le carni rosse.

E quante volte per colpa del suo scarso appetito aveva litigato con i genitori che la definivano esageratamente magra.  

In parte avevano ragione, era molto asciutta, dal petto ai fianchi, i quali però
  compensavano tutta la magrezza del resto del corpo.  
Era semplicemente asciutta, non "magra".

"Sei magrissima, dovresti mangiare un po' di più." sentenziò lui, tornando a guardarla.  

Eh no, anche lui no!

"So come nascondere le rotondità. Si fidi, mangio anche troppo." rispose leggermente acida.  

Cam dovette accorgersene perché rispose anch'esso un po' stizzito "Le uniche "rotondità" sono quelle delle rotelle fuori posto che ha in testa, se si considera in carne o altro."

Melanie lo fulminò con lo sguardo ma pensò che forse era meglio cambiare discorso, perché di sicuro gli avrebbe risposto male o altro.  

Odiava quando si parlava di lei un quel modo, quando veniva etichettata come "magrissima" e quando le veniva detto che si prendeva poca cura della sua salute e di se stessa.  

Non era affatto così, semplicemente se aveva voglia mangiava, altrimenti no.  

"Per quanto riguarda la tesina... "

"Va bene." Rispose il professore intuendo già quale fosse la domanda.  "Va davvero bene. Credevo non mi avresti chiesto niente, sai?" sorrise.

Notando lo sguardo interrogativo della ragazza, Cam continuò. "Mi hai chiesto di vederci per controllare i vari collegamenti, ma... Non mi hai dato modo di parlare."
"Mi dispiace davvero tanto! È che sono così presa dagli argomenti che... " Mel non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che si sentì afferrare il polso in una presa un po' troppo salda.
Cameron la fisso negli occhi per qualche istante, poi la ragazza notò un sorriso particolarmente strano farsi spazio sulle labbra delluomo.  
Il tempo di battere le ciglia che lui era attaccato alle sue labbra, una mano dietro la testa a spingerla verso di lui e un altra sul suo ginocchio. Melanie rabbrividì

Quel bacio non le piacque per niente. Era un bacio rude, irruento, niente a che vedere con i precedenti. Provò a staccarsi ma lui glielo impedì più volte e la ragazza si spaventò non poco.  

"Era questo ciò che volevi, no?" sputò acido con la voce roca Cameron.

Melanie inorridì e le fece letteralmente schifo l'uomo che aveva di fronte.  

Non era lo stesso con cui stava parlando fino a due minuti prima, era... Era mostruoso.  

Aveva gli occhi lucidi, un espressione in volto che Mel non seppe mai decifrare, lo sguardo cupo e le labbra umide.  

Si sentì sporca, chiusa, a disagio. Aveva paura.

"Portami a casa."


Angolino
~
Allora ragazze...questo capitolino lascia un po' con l'amaro in bocca.
Cosa ha combinato il nostro bel Cameron? Sembrava andare tutto così bene.
Avreste mai avuto il coraggio di Melanie a mandare il messaggio? Beh... io no! per niente! ahahahah
Comunque, ciancio alle bande!(?) Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che vi abbia incuriosito e che soprattutto vi porti ad essere ansiose per il prosssimo ><
A presto, bacini baciotti :*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3632259