Red [like fire, blood and love]

di Soly_D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


contest

Red
[like fire, blood and love]



Prima parte


Resuscitare un cadavere o infondere la vita in un oggetto inanimato non era un lavoro affatto semplice.
Richiedeva una certa dose di coraggio, nel maneggiare pezzi di corpi e attrezzi insanguinati.
Impegno, nel selezionare tra tanti cuori disponibili quello più adatto per la nuova creatura.
Precisione, nel fare un taglio netto al centro del petto e infilarvi il muscolo con l’aiuto di pinze e bisturi.
Pazienza, nell’attendere che il cuore cominciasse a pompare e che il corpo prendesse vita.
Concentrazione, nello stabilire un contatto mentale con la creatura affinché eseguisse gli ordini del suo padrone.
Enoch aveva dedicato la sua intera vita a perfezionare ognuna di queste abilità: mentre all’inizio le sue bambole si muovevano solo se incoraggiate verbalmente, con il passare del tempo e grazie all’esperienza quotidiana il giovane O’Connor aveva imparato a manovrarle perfino telepaticamente, trasmettendo loro i suoi stessi pensieri, le sue stesse emozioni. Erano come tanti burattini tra le sue mani, servi fedeli che si sarebbero buttati anche in mare pur di eseguire la sua volontà, e Enoch non poteva che amarli e crearne sempre di nuovi e più perfetti, arricchendo giorno dopo giorno la sua vasta e lugubre collezione.
Da qualche tempo, però, tutte le sue abilità sembravano leggermente... indebolite, soprattutto la concentrazione. Inizialmente Enoch aveva avuto paura che i suoi poteri stessero lentamente sparendo, magari per l’uso eccessivo che ne aveva fatto, ma Miss Peregrine gli aveva assicurato che erano insiti nel suo DNA e quindi immodificabili. Poi aveva pensato di essere affetto da una strana malattia tipica degli Speciali, ma anche qui la saggezza della direttrice aveva messo in chiaro che gli Speciali si ammalavano esattamente come i Normali.
Rendendosi conto dell’assurdità di quelle ipotesi, Enoch aveva infine cercato una spiegazione più razionale e plausibile: forse doveva ancora abituarsi al trasferimento nel nuovo anello temporale e nella nuova casa, una graziosa casetta in collina circondata dagli alberi a cui si accedeva tramite una galleria scavata nella roccia, lontano da occhi indiscreti. O magari era colpa del nuovo laboratorio, più piccolo e meno attrezzato del precedente, o forse doveva ancora abituarsi alla nuova aria di pace e tranquillità che si respirava da quando Spettri e Vacui erano stati definitivamente sconfitti.
Tuttavia il tempo passava e, nonostante lì Enoch si sentisse ormai a proprio agio, quegli strani sintomi non accennavano a sparire, anzi... sembravano rafforzarsi giorno dopo giorno: spesso confondeva i barattoli contenenti i cuori, a volte tagliava il petto della bambola nel punto sbagliato, altre volte dava ordini errati e le sue creature facevano l’opposto di ciò che voleva. Terribilmente frustrante, non avrebbe potuto resistere a lungo in quella situazione.
Fu in un pomeriggio come tanti che si rese conto che il motivo della sua perenne distrazione aveva un nome e un cognome.
«Olive, passami le forbici».
«Subito».
La mano della ragazza fece capolino nella sua visuale insieme all’attrezzo che aveva chiesto.
Enoch si soffermò con gli occhi sulle dita sottili che stringevano le lame delle forbici [quante volte la mano di Olive, calda, rassicurante, aveva stretto la sua, timida, fredda]. Continuando a risalire, il suo sguardo trovò la linea che separava il guanto nero dalla pelle bianca e delicata del gomito [quante volte quello stesso braccio gli aveva circondato il collo facendolo sentire forte, coraggioso, amato]. Giunse infine sulla spalla [piccola ma forte, reggeva il peso di sessant’anni trascorsi in un paradiso che a conti fatti non lo era davvero], sul collo sinuoso [quante volte aveva desiderato baciarlo e si era trattenuto dal farlo per non metterle pressione, per non farla scappare via proprio ora che finalmente era sua], sul volto luminoso incorniciato dai capelli rossicci [adorava infilarci le dita mentre la baciava, Enoch, ma questo non glielo avrebbe mai detto].
«Enoch...?».
I grandi occhi verdi di Olive lo guardavano con aria preoccupata.
Enoch, imbarazzato, abbassò immediatamente lo sguardo. «Io... stavo... riflettendo».
Che immensa bugia. Quando mai si era messo a riflettere nel corso del suo lavoro? Gli era sempre venuto così spontaneo, così naturale, o almeno fino a quando non aveva trovato in Olive qualcosa di ben più interessante.
Sospirò cercando di riprendere la concentrazione, poi afferrò le forbici dalla mano di Olive e cominciò a fare un piccolo taglio nel petto della bambola che aveva di fronte. Successivamente svitò il barattolo poggiato poco più in là ed estrasse il cuore.
«Pinze, per favore».
Di nuovo Olive eseguì in silenzio i suoi ordini. Questa volta Enoch fu più furbo: afferrò le pinze ad occhi chiusi cosicché la mano di Olive protesa verso di lui non lo distraesse. Con l’aiuto delle pinze infilò il cuore nel petto della bambola, attese che riprendesse a battere e la fissò intensamente per stabilire con essa un contatto mentale. Contemporaneamente notò che Olive si era staccata dalla sua solita postazione per sporgersi in avanti e guardare meglio. Enoch poteva sentire il suo fiato caldo sul collo, i suoi occhi che lo fissavano con curiosità. Per non parlare dell’ondata di profumo che aveva portato con sé, gli stava dando letteralmente alla testa.
Era sempre stato così forte l’odore di Olive? E lui era sempre stato così debole, così arrendevole in sua presenza?
La bambola aprì gli occhi, mosse leggermente le mani, ma rimase distesa lì sul tavolo. Era viva, sì, ma non si muoveva.
Alzati
, pensò Enoch, ma non sembrava in grado di sentire i suoi pensieri. «Alzati», questa volta lo disse ad alta voce, ma non funzionò ugualmente. Enoch era a dir poco basito, non gli era mai accaduto di fallire così miseramente in ciò che gli riusciva meglio.
«Che succede?». La voce di Olive gli giunse alle orecchie decisamente troppo vicina.
Enoch era certo che, voltandosi appena, i loro volti si sarebbero inevitabilmente sfiorati... e no, non andava affatto bene. Serrò la mascella e strinse un pugno sul tavolo.
«Olive... tu mi distrai».
«C-cosa?».
«Non riesco a lavorare con te che mi stai... appiccicata».
«Vuoi... vuoi che me ne vada?».
Enoch sollevò la testa e guardò la ragazza negli occhi. Era terribilmente dispiaciuta.
«No, Olive, certo che no».
Lei gli restituì uno sguardo confuso, le sue parole dovevano essere suonate parecchio contraddittorie.
Enoch si arrese all’evidenza: da un po’ di tempo la sua ragazza esercitava su di lui un’attrazione così potente da distoglierlo sempre più spesso dal suo amato lavoro in laboratorio e la cosa assurda era che non gli dispiaceva proprio per nulla. Le marionette potevano anche aspettare, Olive no. Tanto valeva approfittare di quel momento di pausa per godere a pieno della sua vicinanza.
Si fece indietro con la sedia, afferrò la ragazza per un braccio e la tirò dolcemente verso di sé, invitandola a sedersi sulle proprie gambe. Olive si accomodò con grazia, stando ben attenta a non spiegazzare il vestito; era così leggera, così delicata tra le sue braccia, e Enoch non riuscì a trattenersi.
«Tu... tu non puoi nemmeno lontanamente immaginare l’effetto che mi fai».
A quelle parole, Olive sgranò impercettibilmente gli occhi e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, per poi guardare subito altrove, rossa in volto quanto i suoi capelli. Intenerito, Enoch le passò una mano dietro la nuca, tra i capelli, per avvicinarla maggiormente a sé e la baciò sulle labbra. Olive, dopo un attimo di smarrimento, si lasciò andare e ricambiò, posando le proprie mani ai lati del viso di Enoch.
Si baciarono lentamente, senza fretta, una, due, tre volte. Ogni tanto si staccavano per guardarsi negli occhi, ogni tanto si sorridevano per poi riavvicinarsi di nuovo come due calamite inevitabilmente attratte l’una dall’altra.
Le labbra di Olive erano morbide e calde, perfette da baciare. Quando Enoch le toccò con la punta della lingua, Olive dischiuse la bocca permettendogli il passaggio e il bacio si fece più soffice, più umido, così intenso che Enoch cedette inevitabilmente alle emozioni. Strinse Olive tra le braccia baciandola con una passione che non credeva di possedere e che era rimasta sopita dentro di lui per tanto, troppo tempo. Olive gli circondò il collo con le braccia, accarezzandogli i capelli, tirandone qualche ciocca quando lui le mordeva le labbra in preda alla frenesia del momento. Quando si staccarono, si ritrovarono entrambi senza fiato. Olive chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro quella di Enoch annaspando alla ricerca d’aria: le sue guance erano rosse come mele mature, le sue labbra dischiuse e gonfie di baci. Quella visione ebbe il potere di ridestare nel ragazzo un nuovo desiderio di baciarla, più potente, meno innocente.
Allungò una mano per sgombrare il tavolo, allontanando velocemente la bambola, i barattoli e gli attrezzi, poi si alzò in piedi tenendo Olive stretta a sé. La ragazza si lasciò adagiare sul tavolo senza opporre alcuna resistenza, né tanto meno protestò quando Enoch le poggiò le mani sulle ginocchia e la invitò a divaricare la gambe, così da potersi infilarsi nello spazio compreso tra di esse.
Enoch poggiò le mani sul tavolo ai lati dei fianchi di Olive. In quella posizione, intrappolata tra il tavolo e il suo petto, la ragazza sembrava alla sua completa mercé: avrebbe potuto baciarla dove e come voleva, e il solo pensiero lo faceva fremere. La guardò negli occhi. Il suo sguardo era sorpreso, forse un po’ intimorito, ma carico d’amore, come sempre.
Enoch non resistette oltre: la baciò di scatto, tutto d’un fiato, tanto che Olive si inarcò all’indietro, incapace di sostenere la sua irruenza. Allora Enoch la circondò con un braccio posandole una mano al centro della schiena e la sorresse per tutti i minuti successivi. La baciò sulle labbra più e più volte, poi scese lungo la guancia, la mandibola, il collo, e ricominciò da capo. Contemporaneamente, con la mano libera prese ad accarezzarle la pelle scoperta del braccio, scivolando poi sul fianco e infine sulla coscia nascosta dal lungo vestito chiaro. Su e giù, su e giù, per un tempo che, però, gli parve decisamente troppo breve.
«Cosa... cosa stai facendo?», bisbigliò Olive nel suo orecchio.
Enoch si bloccò all’improvviso, quelle parole lo avevano appena riportato alla realtà. «Io... non lo so...». Incrociò gli occhi liquidi di Olive e si rese conto di aver osato troppo, di essersi spinto oltre il limite senza permesso, di aver in qualche modo intaccato la fiducia che Olive riponeva in lui. Si sentì improvvisamente colpevole, quasi stanco, come se quel bacio (che poi solo un bacio non era stato) gli avesse risucchiato tutte le forze.
Ingoiò a vuoto e poggiò la fronte sulla spalla di Olive, sorreggendosi con le mani sul tavolo. Era come assuefatto da lei, la sua mente [il suo cuore] non riusciva a contenere un altro pensiero che non fosse “Olive”. Il problema era che andavano avanti in quel modo da mesi, ma ora lui voleva di più: un bacio che durasse più a lungo, un carezza che si spingesse più a fondo, un abbraccio che penetrasse fin dentro la pelle.
«Tu vuoi fare l’amore con me, Enoch?».
Quella domanda lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Mai Olive era stata così diretta in sessanta anni che la conosceva.
Accidenti, se ne era accorta allora. Enoch la scrutò attentamente in volto per capire cosa scatenasse in lei quella scoperta: non sembrava impaurita o arrabbiata, e nemmeno tanto sorpresa, solo curiosa.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Fare l’amore, aveva detto Olive. Vederla completamente nuda, poterla stringere e sentirla tutta contro di sé, poterla baciare e toccare non solo sul volto e sul collo, ma anche sul petto, sull’addome e poi più giù, sempre più giù... Gli corse un brivido lungo la schiena e dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo pur di non mostrare quanto la sola idea di farla sua lo eccitasse come il ragazzino alle prime armi che effettivamente era.
Riaprì gli occhi, cercando di darsi un contegno. «Solo se lo vuoi anche tu», rispose sinceramente.
«Oh, Enoch...». Olive gli accarezzò una guancia e lo guardò con una tenerezza tale che Enoch si sentì sciogliere come neve al sole. Lei lo capiva, comprendeva i suoi bisogni, i suoi desideri, e Enoch si sentiva così fortunato ad avere al suo fianco una ragazza tanto speciale. Speciale non per il fuoco che era in grado di produrre magicamente con le mani, ma per il calore [per l’amore] che donava a tutti coloro che la circondavano senza chiedere nulla in cambio.
Enoch si sentì in dovere di rassicurarla. «Non devi per forza. Non ora, almeno. Quando sarai pronta... se lo vorrai».
Olive abbassò lo sguardo, intrecciando le mani con fare nervoso. Enoch si chiese se per caso non avesse sbagliato qualcosa, ma poi lei tornò a guardarlo con un bagliore particolare negli occhi.
«Domani Miss Peregrine porta i bambini in gita. Potrei dire che non mi sento molto bene e che preferirei rimanere a casa... e tu potresti far finta di restare qui a prenderti cura di me».
Enoch avvertì la gola improvvisamente secca. Non era certo di aver capito bene.
«Mi stai proponendo di... insomma...?».
«Potremmo provarci», rispose Olive allusiva, mordendosi l’interno della guancia per l’imbarazzo.
A quel punto Enoch si rese conto che non solo Olive comprendeva i suoi bisogni, ma li condivideva e per giunta con la stessa urgenza. Mettendo in atto il suo piano, l’indomani sarebbero rimasti soli in una casa completamente vuota per un intero pomeriggio. E cosa poteva desiderare di più Enoch? Gli sembrava quasi un sogno, stentava a credere che una cosa tanto bella stesse accadendo per davvero. Proprio a lui, che aveva sempre pensato di non meritarsi una tale felicità.
«Dici sul serio, Olive?», le chiese allora per accertarsi.
Lei annuì. Enoch la ringraziò con lo sguardo e si sporse per baciarla leggermente sulle labbra.
«Dobbiamo prepararci per la cena ora», gli ricordò Olive subito dopo.
«Hai ragione». A malincuore, il ragazzo si scostò per farla scendere dal tavolo. «Ci vediamo dopo».
Olive si allontanò, lasciandolo così, solo nel suo laboratorio, immerso nella penombra, con un sorriso carico d’aspettative stampato sul volto pallido e il cuore gonfio d’amore. Per lei, solo per Olive.

***

A cena Olive non mangiò molto, tanto che Miss Peregrine le chiese se si sentisse bene. Lei rispose di sì, ma la verità era che lo sguardo di Enoch fisso su di lei per tutta la sera le rimescolava tutto all’altezza dello stomaco: mangiava e la guardava, allungava un braccio per prendere il sale e la guardava, si puliva la bocca con il tavagliolo e la guardava. Sentendosi squadrare in quel modo, Olive era arrossita innumerevoli volte. Aveva come l’impressione che Enoch volesse divorarla con gli occhi, penetrarle fin dentro l’anima, e la cosa assurda era che lei glielo avrebbe lasciato fare senza opporre la minima resistenza.
Vuoi fare l’amore con me?
Dove avesse trovato il coraggio di chiederglielo, Olive non lo sapeva proprio. In sessanta lunghi anni non era mai stata in grado di compiere il primo passo, preferendo aspettare che Enoch si accorgesse da solo di lei, e ora tirava fuori quella domanda così esplicita, così poco pudica.
Non riusciva a credere di averglielo chiesto sul serio, ma non era nemmeno lontanamente pentita. Da un po’ di tempo, infatti, aveva notato in Enoch qualcosa di diverso: i suoi baci erano più intensi, il modo in cui la stringeva era più possessivo, i suoi sguardi più accesi e maliziosi. Nonostante anagraficamente avesse settant’anni, la sua anima era pur sempre quella di un ragazzo di diciassette anni alle prese con l’amore e poi Olive stessa non poteva negare che moriva dalla voglia di sentire le mani di Enoch sul suo corpo, di amarlo e farsi amare come una qualsiasi coppia di fidanzati della loro età.
Dopo cena, assistettero tutti al film di Horace che mostrò loro la gita del giorno dopo. Per un attimo Olive, ricordando il giorno in cui lui aveva predetto il bacio di Jake ed Emma, ebbe una paura folle che avesse sognato anche la sua prima volta con Enoch ma fortunatamente la mente di Horace era parecchio ingenua sotto quell’aspetto, com’era giusto che fosse per un ragazzino della sua età.
Successivamente uscirono in giardino per il riavvio dell’anello, molto meno d’impatto rispetto a quello precedente: non pioveva, nessuna guerra in lontananza, nessuna bomba che veniva sganciata sulla loro casa; solo un cielo che da nero diventava azzurro e poi di nuovo nero.
Quando fu ora di dormire, Olive si infilò con sollievo tra le coperte. Chiuse gli occhi, ma le ci volle un bel po’ per addormentarsi, presa com’era dal pensiero di cosa avrebbe fatto il giorno dopo.
Quella notte sognò Enoch. Enoch che la baciava con ardore, che la toccava dove nessuno era mai arrivato, che l’amava come aveva sempre desiderato. Svegliandosi nel cuore della notte sudata e ansimante, sperò con tutta se stessa che la realtà sarebbe stata perfetta come nei suoi sogni.











Grazie a chi legge e vorrà lasciarmi un segno del suo passaggio ♥
Stay tuned per la seconda parte!


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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


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Red
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Seconda parte


«Oggi non mi sento molto bene, Miss Peregrine. Credo che rimarrò a casa...».
Così si giustificò Olive quella mattina quando la direttrice notò che non si era preparata per uscire. Non le piaceva mentire, ma quello era l’unico modo che aveva per rimanere da sola con Enoch, lontano dagli occhi ingenui dei bambini e da quelli severi di Miss Peregrine. Quindi, per convincere ulteriormente la donna delle sue parole, Olive si portò una mano alla fronte con aria sofferente simulando un gran mal di testa. La sua piccola recita ottenne subito l’effetto sperato: Miss Peregrine le accarezzò una guancia con aria materna, visibilmente dispiaciuta. «Oh, cara, me ne ero già accorta ieri sera a cena», la informò, non sapendo che la mancanza d’appetito di Olive non era dovuta ad un malessere fisico ma a qualcosa di molto, molto più piacevole. «Vuoi che rimandiamo la nostra gita?», le propose.
«No, non è il caso... Andate voi, io rimarrò qui a riposare».
Miss Peregrine guardò i suoi allievi accalcati vicino alla porta d’ingresso: fremevano d’eccitazione per il programma di quella giornata – una breve vacanza al mare con tanto di picnic − e non sembravano minimamente intenzionati a rinunciare alla preziosa possibilità di uscire fuori dall’anello almeno per un giorno. Subito dopo lo sguardo della direttrice ricadde nuovamente su Olive e fu evidente che in cuor suo si sentiva molto combattuta sul da farsi: deludere i bambini o lasciare da sola una giovane diciassettenne malata?
La direttrice sospirò. «E se ti sentissi male? Se avessi bisogno di me?».
«Potrei rimanere io, qui con Olive».
Enoch, sguardo annoiato e mani infilate nelle tasche dei pantaloni, sbucò dal corridoio affiancando Olive. A Miss Peregrine brillarono gli occhi e i suoi dubbi sembrarono dissolversi nel nulla. «Oh, che gentiluomo è diventato il nostro Enoch!». Sorrise radiosa e gli batté una mano sulla spalla con aria compiaciuta. «Allora va bene, ci vediamo tra qualche ora. Se avete urgentemente bisogno di me, non esitate a contattarmi».
E così dicendo si voltò e raggiunse i bambini per uscire.


La porta dell’ingresso si chiuse con un leggero scricchiolio e le voci concitate dei bambini provenienti dall’esterno si affievolirono sempre di più, diventando solo un’eco in lontananza. In casa era calato il silenzio: nessuno che urlava, nessuno che si rincorreva per le scale, nessun rumore di giocattoli, pentole, attrezzi.
Olive fissava ancora la porta come in uno stato di trance. Aveva immaginato quel momento per tutta la notte ma improvvisamente sembravano mancarle le forze; non riusciva né a muovere un passo né tantomeno a parlare. Con la coda dell’occhio vide Enoch, fermo al suo fianco, ruotare un po’ il busto per guardarla in volto. Quando sentì la sua voce, Olive si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo e a ringraziarlo mentalmente per aver interrotto quel silenzio fin troppo imbarazzante.
«Io vado nella mia stanza», annunciò il ragazzo con voce atona, senza lasciar trapelare nessuna emozione [in questo era molto più bravo di lei, che invece si ritrovava ad arrossire e farfugliare parole sconclusionate per un semplice complimento]. «Tu raggiungimi quando ti va...», aggiunse, lasciandole immaginare il seguito della frase. Olive comprese perfettamente: con quelle parole Enoch la avvertiva che aveva preso sul serio la sua indecente proposta del giorno prima, che forse la desiderava con una certa urgenza ma che sarebbe stato paziente per lei, concedendole tempo e spazio a sufficienza per prepararsi.
Olive gli fu grata per questo, quindi gli rivolse un breve sorriso, senza guardarlo veramente in volto. «Va bene, a dopo».
Enoch si allontanò e Olive si diresse a sua volta nella propria stanza. Si fece un lungo bagno rilassante e indossò il vestito verde, il suo preferito da quando Enoch le aveva fatto notare, borbottando, che si intonava ai suoi occhi.  Non che importasse molto, dato che per la maggior parte del tempo sarebbe stata nuda − oh, sentiva le guance bollenti al solo pensiero − ma Olive ci teneva ad apparire perfetta per Enoch, anzi ci teneva al che tutto forse perfetto come l’aveva sognato. Si pettinò i capelli, si diede un’ultima occhiata allo specchio e infine si sedette sul letto, lisciando con le mani le pieghe del vestito per perdere un po’ di tempo prima di raggiungere Enoch.
Rifletté a lungo, senza accorgersi del tempo che trascorreva. Si chiese se non fosse troppo presto, dato che lei e Enoch stavano insieme solo da pochi mesi, ma il pensiero che Jake ed Emma l’avessero già fatto la rassicurò notevolmente. Emma gliel’aveva confessato un po’ di tempo prima e Olive era quasi saltata dalla sedia, scandalizzata e rossa come un peperone. Eppure, a distanza di appena un mese da quella scoperta, anche il suo rapporto con Enoch si era evoluto verso quella nuova e importante direzione per la vita di coppia. Non importava da quanto si amassero, ma quanto effettivamente si amassero, e Olive era certa che non avrebbe mai amato nessuno come amava Enoch. E soprattutto, sapeva di essere totalmente ricambiata.
Si chiese, poi, se non fossero troppo giovani per farlo, ma in realtà lo sarebbero stati per sempre – eterni diciassettenni, nel fisico e nelle mente − e quindi cosa importava? L’età, nel loro caso, era davvero un numero. Si chiese anche se avrebbe fatto male, se le sarebbe piaciuto, se a Enoch sarebbe piaciuto, quanto sarebbe durato, cosa sarebbe successo dopo e tante altre domande a cui non avrebbe potuto dare una risposta se non dopo aver vissuto quell’esperienza.
Quando lo sguardo di Olive ricadde sull’orologio, si accorse che erano già passate un paio d’ore da quando lei e Enoch si erano separati. Chissà se lui nutriva i suoi stessi dubbi, chissà se anche lui si sentiva impaurito ed emozionato al tempo stesso, chissà se quell’attesa lo stava rendendo impaziente. Non volendo farlo aspettare ancora, Olive si alzò dal letto e uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio fino a giungere in prossimità della camera di Enoch.
Arrivata di fronte alla porta, prese un respiro profondo raccogliendo tutto il coraggio che possedeva e bussò con determinazione.
«È aperto», rispose Enoch dall’interno. Olive abbassò la maniglia e aprì la porta, trovando il ragazzo seduto sul letto con la schiena poggiata contro la testiera di legno. Il suo profilo era illuminato solo dalla flebile luce dell’abat-jour sul comodino mentre il resto della stanza era in penombra. L’atmosfera le sembrò particolarmente calda e intima.
«Ehi», lo salutò, indugiando sulla porta.
«Ehi», rispose Enoch e si sistemò sul bordo del letto, per poi farle segno di sedersi al suo fianco. Olive lo raggiunse con passo lento e si accomodò sul materasso, le mani strette in grembo per l’agitazione. I loro gomiti e le loro ginocchia si sfioravano.
«Allora... ehm... ne sei sicura?», le chiese incerto Enoch.
Olive sollevò lo sguardo, specchiandosi negli occhi scuri del ragazzo. «Sì», rispose. Ed era vero: ci aveva riflettuto a lungo ed era giunta alla conclusione che non esisteva il momento adatto per fare l’amore, ma che ogni momento poteva essere quello adatto se si trattava di vero amore.
«Hai paura?», le chiese ancora Enoch, facendosi più vicino.
Olive si morse il labbro inferiore. «Un po’», ammise.
«Anche io». Enoch allungò una mano verso la sua e intrecciò le loro dita. Olive si ritrovò a desiderare di poter sentire la pelle di Enoch sotto i polpastrelli, ma i suoi guanti protettivi glielo impedivano: se lo avesse toccato a mani nude anche solo per pochi secondi, lui si sarebbe scottato e lei non se lo sarebbe mai perdonato, per cui le andava bene anche così. Si sarebbe accontentata di immaginare, come sempre, la consistenza della sua pelle.
«Ci guideremo a vicenda, allora», concluse Enoch.
Olive annuì e lui si sporse per baciarla. Nel momento in cui la ragazza risentì le labbra di Enoch sulle proprie dopo mezza giornata di astinenza, i dubbi e le paure sembrarono attenuarsi; ricambiò il bacio con ardore e allacciò le braccia intorno al collo di Enoch, stringendolo contro di sé in un abbraccio mozzafiato. Gli occhi chiusi, le bocche che si modellavano a vicenda, le lingue che si cercavano e rincorrevano affannosamente come in un gioco: ogni tanto Olive si allontanava, per poi sorridere non appena lui la riacciuffava, mordendole teneramente le labbra, reclamandole solo sue.
Olive si era quasi dimenticata del vero motivo per cui si trovassero lì in quel momento, quando avvertì una mano di Enoch posarsi sul suo ginocchio e risalire lungo la coscia, al di sopra della stoffa del vestito, proprio come aveva fatto il giorno prima. Era grande e tiepida, Olive poteva sentirla impaziente e avida di esplorare il suo corpo. Questa volta, però, Enoch non si limitò alle carezze: raggiunse con le dita il fianco di Olive e lo strinse nel palmo della mano, quasi volesse marchiarlo, penetrare con i polpastrelli attraverso la stoffa, fin dentro la pelle; quando gli sembrò abbastanza, virò verso l’alto, sfiorandole audacemente l’addome e il petto. Contemporaneamente Olive avvertì le labbra del ragazzo spostarsi lungo una guancia, lasciando una scia di baci umidi dalla mandibola fino al collo. Sospirò deliziata e d’istinto piegò la testa, facilitandogli il passaggio.
«Credo... che dovremmo.... spogliarci», le ricordò Enoch tra un bacio e l’altro.
Olive immaginò come sarebbe stato facile, per lui, portare entrambe le mani al bordo del suo bel vestito e sfilarglielo con un unico movimento fluido. La possibilità di rimanere nuda davanti ai suoi occhi da un momento all’altro la imbarazzò terribilmente e pensò che avrebbe preferito di gran lunga farsi trovare già in intimo dentro il letto, come se le coperte avessero potuto farle da scudo e da sostegno. In realtà, volente o nolente, prima o poi Enoch l’avrebbe comunque vista senza veli, ma Olive non voleva affrettare le cose. Si tirò indietro e poggiò i palmi aperti sul petto del ragazzo che le rivolse uno sguardo confuso per la brusca interruzione.
«Puoi voltarti, per favore?», gli chiese, sentendosi arrossire. «Così possiamo spogliarci senza... imbarazzo».
«Come vuoi». Enoch si staccò da lei e Olive ne approfittò per alzarsi e girare intorno al letto, andandosi a sedere dalla parte opposta a quella di lui. Ora Enoch le dava le spalle, fissando la parete davanti a sé, proprio come gli aveva chiesto.
«Non sbirciare», gli disse.
Enoch non rispose, ma Olive capì che aveva afferrato quando lo vide sfilarsi il maglione. Allora si fece coraggio e a sua volta portò le mani tremanti al bordo del vestito per toglierselo.


Enoch si tolse prima il maglione, poi la camicia, i pantaloni e le calze, rimanendo solo con i boxer addosso. Nel mentre, non potè fare a meno di ruotare un po’ il viso per guardare Olive con la coda dell’occhio. Ne intravide solo il profilo in penombra: la linea delicata del collo, la spalla nuda, il braccio. In sottofondo Enoch udì un leggero fruscio di vestiti e coperte, e lo stomaco gli si contorse piacevolmente al solo pensiero di cosa sarebbe successo di lì a poco, ma si impose di essere paziente. Per lei, per la sua Olive.
«Puoi voltarti».
Quando Enoch si voltò completamente, Olive si era già infilata nel letto. Da sotto la coperta sbucavano solo la sua testolina rossa poggiata sul cuscino e le sue braccia guantate. A Enoch non sfuggì lo sguardo curioso che Olive rivolse al suo petto scoperto per poi distogliere immediatamente gli occhi e la trovò a dir poco adorabile. Sorrise mentre si infilava anche lui tra le coperte. In quel comodo letto ad una piazza e mezza ci stavano in maniera decisamente perfetta: né troppo distanti, né troppo appiccicati. Semplicemente vicini.
«Eccoci qui... », sussurrò Olive per riempire il silenzio.
Enoch si schiarì la gola, imbarazzato. «Già».
Rimasero a guardare il soffitto per un tempo che parve infinito finché Enoch capì che era compito suo rompere il ghiaccio. Si limitò a voltare il viso di lato, incontrando gli occhi dolci di Olive, e allungò il collo per baciarla. Solo un bacio a stampo, leggero, delicato, che gli diede ulteriore coraggio per circondare la schiena di Olive con le braccia e attirare tutto il suo corpo verso di sé. La baciò sulle labbra, sul mento, sul collo, sulle clavicole, godendo dei suoi sospiri leggeri, e poi la circondò con le gambe per portarsi al di sopra di lei, sostenendosi con i gomiti sul cuscino.
Stretti sotto le coperte, in quella posizione i loro corpi aderivano completamente l’uno all’altro: nonostante avessero ancora addosso la biancheria intima, Enoch poteva sentire chiaramente i piccoli seni della ragazza schiacciati contro il proprio petto, i loro bacini che si sfioravano ad ogni movimento, le loro gambe che si toccavano fino a raggiungere un incastro perfetto. Enoch era semplicemente estasiato. Olive appariva così piccola, così fragile tra le sue braccia, ma lui sapeva bene quanta forza si nascondesse in quel corpicino delicato, in quelle mani costantemente rivestite di lattice. Si soffermò con lo sguardo sul volto di Olive per imprimersi bene nella mente quel momento tanto intimo e speciale: i capelli rossi sparsi sul cuscino come tante piccole fiamme, gli occhi sgranati e lucidi, le guance rosse e le labbra dischiuse per riprendere fiato. Quella visione gli provocò piccole fitte al bassoventre che si intensificarono quando avvertì il proprio nome uscire dalla bocca di Olive, la voce strozzata dall’emozione. «E-Enoch....».
Non ci vide più: la zittì con un nuovo bacio, più lungo e intriso di passione, che si protrasse dal collo fino al solco tra i seni. Leccò e mordicchiò quella pelle morbida e profumata finché non avvertì Olive armeggiare con il gancetto del reggiseno e sfilarselo con coraggio, lasciandolo cadere fuori dal letto. Di colpo Enoch si ritrovò di fronte agli occhi i seni della ragazza, piccoli e tondi, e pensò che fossero perfetti da stringere tra le proprie mani e da baciare. Avrebbe voluto dirle tante cose: che era bellissima, che la amava, che gli sarebbe piaciuto prolungare quel momento in eterno. Ma Olive gli sfiorò la bocca con le dita, bloccandolo. «N-non dire niente, ti prego», disse, e premette una mano sulla nuca del ragazzo per spingerlo contro di sé e fargli poggiare la testa sulla propria spalla, come per impedirgli di guardarla troppo intensamente e troppo a lungo. Enoch avvertì i capezzoli turgidi di Olive solleticargli il petto e capì che era semplicemente troppo imbarazzata, troppo emozionata, troppo eccitata anche solo per parlare. Come lui, del resto.
Uniti da un tacito accordo, si tolsero rispettivamente i boxer e le mutandine, sfiorandosi a vicenda e lasciandosi sfuggire qualche gemito, un po’ per sbaglio e un po’ perché lo desideravano davvero. A quel punto Enoch si accorse che c’era ancora qualcosa che li divideva: i guanti di Olive si frapponevano tra le loro pelli, impedendo loro di appartenersi completamente.
«Togliti i guanti», le sussurrò in un orecchio. Voleva sentire le sue dita bollenti sul proprio corpo, almeno una volta, solo una.
Lei sgranò gli occhi, visibilmente allarmata. «Ti brucerò...».
«Tu non mi faresti mai del male, Olive». Le accarezzò una guancia e le sorrise, fermamente convinto delle proprie parole: credeva in Olive, nel suo amore incondizionato e nella sua capacità di controllarsi apposta per lui.
Olive si arrese con un sospiro. «Ci provo». Cominciò a sfilarsi i guanti, un dito dopo l’altro, lasciando finalmente scoperte le mani, e li gettò fuori dal letto, accanto agli altri vestiti. Infine poggiò le braccia sul cuscino, ai lati della testa, come a volerle tenere lontane da Enoch per non scottarlo, ma lui le raggiunse subito con le proprie, intrecciando perfettamente le loro dita. Poi, vedendola preoccupata, la baciò per rassicurarla: le sue mani erano molto calde, ma si trattava di un calore sopportabile, forse perfino... piacevole. Enoch ci trovò un che di eccitante e si ritrovò a fremere dalla voglia di spingersi maggiormente contro di lei, di farle sentire con quanta intensità la desiderava, tuttavia si impose di stare fermo, di non affrettare i tempi. L’ultima cosa che voleva era spaventarla.
«Olive...», la chiamò impaziente.
«S-sì», rispose semplicemente lei, guardandolo negli occhi.
Enoch poggiò la fronte contro quella della ragazza. I loro respiri caldi e affannati si mescolarono, i nasi si sfiorarono, le labbra si incontrarono di nuovo a metà strada.
Quando furono entrambi pronti, Enoch affondò piano dentro di lei e fu quanto di più bello avesse mai provato in vita sua.


Olive non ebbe il coraggio di guardare, quindi chiuse gli occhi e si concentrò solo sulle sensazioni: Enoch che la sovrastava con tutto il suo corpo, che le stringeva i fianchi in maniera quasi spasmodica, che alternava baci e carezze in attesa di prenderla.
Il cuore sembrava volerle esplodere nel petto e il battito cardiaco le rimbombava fin dentro le orecchie, stordendola. Era sempre stata immune alla sensazione di calore, ma in quel momento avvertiva un caldo asfissiante più o meno dappertutto − sulle guance, sulle mani, al bassoventre, tra le gambe − e aveva terribilmente paura di non riuscire a controllare il fuoco che ardeva in lei, bruciando inevitabilmente Enoch. Paura che scomparve nell’esatto momento in cui si ritrovò ad accoglierlo dentro di sé, sostituita da un dolore acuto che la colpì come un fulmine a ciel sereno. Si irrigidì all’improvviso, stringendo le mani di Enoch con una forza tale da rischiare di spezzargli le dita, mentre calde lacrime si accumulavano agli angoli dei suoi occhi. Si chiese se fosse normale provare tanto dolore e invidiò Enoch che, a giudicare dallo sguardo liquido di piacere e dai gemiti strozzati, sembrava invece godere con la stessa intensità con cui lei stava soffrendo. Tuttavia Olive non avrebbe voluto essere in nessun altro posto: solo lì, tra le braccia di Enoch, si santiva felice, completa, nonostante la sua prima volta non stesse procedendo come l’aveva ingenuamente immaginata.


Olive era stretta e calda, le sue pareti interne lo torturavano in maniera languida e carezzevole. Enoch avrebbe voluto spingere più forte e più velocemente, arrivare fino in fondo. Avrebbe voluto soddisfare quell’istinto animale che gli sconquassava il bassoventre, ma Olive sembrava sul punto di scoppiare a piangere e quella visione gli provocò una morsa dolorosa al petto. Si chinò verso di lei, sfiorandole un lato del viso con la punta del naso nel tentativo di distrarla con le carezze.
«Sto facendo del mio meglio, Olive... te lo giuro».
Olive strizzò gli occhi pieni di lacrime. «Lo so, mi serve solo un po’ di...». Non completò la frase, ma Enoch capì che le serviva tempo per abituarsi alla dolora intrusione. Serrò la mascella e strinse i pugni sul cuscino, imponendosi di stare fermo per non provocarle ulteriore dolore.
«Aggrappati a me», soffiò sulle sue labbra.
Olive scosse la testa come una bambina. «No... ti lascerò i segni sulla pelle... E-Enoch, davvero... non riesco più a controllarmi».
Enoch se ne era accorto, le mani di Olive sembravano andare a fuoco. «Non importa», le disse.
Con un sospiro Olive gli legò le gambe intorno al bacino e le braccia intorno al collo. Tastò con le dita tremanti la pelle della sua nuca, delle sue spalle, della sua schiena. Enoch notò quanto quel tocco fosse fin troppo leggero, timoroso.
«Rilassati, ti prego», la implorò. Olive annuì e respirò lentamente ad occhi chiusi, più e più volte. Finalmente Enoch la sentì più morbida e arrendevole tra le proprie braccia e allora spinse un altro po’, poi di nuovo e ancora, ignorando la sensazione di bruciore provocata dai polpastrelli di Olive sulla sua pelle. La ragazza sobbalzava ad ogni spinta, affondando le unghie nelle sue spalle e nella sua schiena. Enoch sperò che stesse provando almeno una goccia del piacere che avvertiva lui e, quando arrivò fino in fondo, varcando il limite che segnava la purezza di Olive, capì che lei era finalmente sua, la sua donna, sua e di nessun altro.


Con un gemito mal soffocato, Enoch ricadde sfinito sul corpo di Olive, la testa abbandonata sul suo petto che si alzava e abbassava freneticamente. Si concesse solo pochi secondi per ascoltare il suo battito cardiaco veloce come un treno in corsa e poi sollevò il mento per guardarla negli occhi: piangeva, Olive, e le sue guance erano rigate di lacrime, eppure non c’era traccia di tristezza nei suoi occhi. Enoch le asciugò il viso con il dorso della mano.
«Come stai?».
«È stato...». Olive sbatté le palpebre, lo sguardo perso e un sorriso appena accennato. «Oddio... non lo so».
Enoch sorrise a sua volta, trovandosi perfettamente d’accordo con il commento di Olive. Dietro quel “non lo so” si nascondeva un intero mondo, un’immensa gamma di emozioni e pensieri che non potevano essere comunicati con le parole ma solo con i gesti e gli occhi: dall’incredulità alla consapevolezza di averlo fatto sul serio, dalla sensazione di completezza a quella di felicità ovattata per essersi riusciti a dimostrare dedizione totale e reciproca, ma soprattutto la certezza di poter affrontare un’intera vita insieme, mano nella mano.
Enoch si issò sui gomiti per poter baciare Olive in maniera più comoda ma, quando il suo sguardo ricadde tra i loro corpi sudati ancora stretti l’uno all’altro, poco ci mancò che si mettesse a urlare.
Era sporco di... sangue. C’era sangue dappertutto: su se stesso, tra le cosce di Olive, tra le pieghe delle lenzuola. Toccò con le dita la macchia di sangue sul materasso, ancora umida. Lo spavento invase il suo cuore, stordendolo, offuscandogli la vista, tanto che gli parve di vedere quella piccola macchia espandersi sempre di più, imbrattandogli tutte le mani. Si guardò inorridito le dita sporche di sangue e si allontanò da Olive con uno scatto improvviso. L’aveva trattata alla stregua delle sue bambole per puro piacere personale. Con che coraggio era arrivato a tanto? Si sentiva un mostro.
«O-Olive», mormorò senza fiato. «Oddio, tutto questo sangue... è colpa mia... io... non volevo!».
Si sfregò una mano contro l’altra nel tentativo di far andare via il sangue, ma risultò tutto inutile. Sembrava appiccicato alla pelle, un marchio indelebile che non sarebbe andato più via e gli avrebbe ricordato per sempre di aver ferito Olive volontariamente.
«Enoch», lo richiamò lei con voce ferma, afferrandogli le mani. «Calmati, non è successo nulla. Sto bene, davvero. Guarda meglio». Gli accarezzò le dita con fare materno e Enoch, rilassandosi, si accorse che non erano affatto imbrattate di sangue. C’era solo un’unica piccola macchia di colore rosso sbiadito stampata sul materasso che con un po’ di detersivo sarebbe potuta andare via. Si era semplicemente immaginato tutto a causa della paura, proprio come quando era piccolo, ai tempi in cui non era ancora in grado di controllare i propri poteri e a volte vedeva cose che non esistevano.
Si passò una mano sul viso, esasperato, perché Olive aveva comunque sofferto e questo non poteva cancellarlo. «Olive, mi dispiace tanto».
«Non fa niente. Ti ho fatto del male anche io». Olive allungò una mano verso di lui e gli indicò con le dita le bruciature che gli aveva lasciato sulla pelle. «Qui...». Una sul braccio. «...Qui...». Una sul petto. «E anche qui». Una sulla spalla. Gli sorrise ugualmente nella maniera più naturale possibile. «Siamo pari, vedi?». Infine gli accarezzò una guancia per tranquillizzarlo. «Vedrai che la prossima volta andrà meglio».
Enoch si lasciò sfuggire la prima cosa che gli passò per la mente in quel momento.
«Ti amo». E non ci fu bisogno di tante spiegazioni.
Olive sgranò gli occhi, ora umidi di felicità. «Anche io, Enoch».
Si abbracciarono e si baciarono un’ultima volta, lentamente, suggellando così quel momento unico che apparteneva solo a loro. Successivamente andarono a lavarsi e cambiarono le lenzuola per non destare sospetti in Miss Peregrine, infine tornarono sul letto di Enoch e si stesero l’uno tra le braccia dell’altro, addormentandosi subito dopo, esausti ma infinitamente felici.
Di quella prima volta Enoch e Olive si sarebbe ricordati un tripudio di rosso.
Rosso come il fuoco che sgorgava dalle mani di Olive e aveva lasciato le impronte sulla pelle di Enoch.
Rosso come il sangue che aveva fatto capitolare Enoch, ma che altro non indicava se non la loro completa unione.
Rosso come l’amore: temuto, incerto, sofferto da una parte, ma altrettanto forte, immenso, smisurato dall’altra.


Quando Miss Peregrine tornò a casa, trovò Enoch e Olive addormentati sul letto di lui.
Non si era affatto bevuta la storia di Olive, ma aveva preferito lasciare a lei e Enoch un po’ di spazio per stare da soli, per conoscersi e amarsi in ogni modo umanamente possibile. Era stata giovane anche lei e sapeva perfettamente quanto potesse essere forte il desiderio d’amore alla loro età. Semplicemente se lo meritavano entrambi: l’amore era l’unica cosa in grado di riempire le loro esistenze immortali.
Baciò le fronti dei suoi due allievi, uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle proprie spalle.
“I miei bambini stanno crescendo...”, pensò asciugandosi una lacrima impigliata tra le ciglia.













Note dell'autrice:
Spero che questa seconda parte vi sia piaciuta. Inutile prendersi in giro: la prima volta per le ragazze fa male, eppure risulta indimenticabile se lo si fa con la persona che si ama e spero di averlo trasmesso con questa mia storia.
Grazie a chi legge e vorrà lasciarmi un breve commento ♥
La storia non finisce qui. Ho deciso di aggiungere un terzo capitolo, quindi mi risentirete molto presto :)
Soly Dea

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


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Red
[like fire, blood and love]



Terza parte


«Enoch, mi aiuti con la cerniera?».
«Certo».
Enoch allungò le mani verso la schiena di Olive, in piedi di fronte a lui e girata di spalle. I capelli rossicci, acconciati in morbidi boccoli tenuti fermi sulla testa da una coroncina di fiori, erano raccolti tutti da un lato e lasciavano scoperto il collo e le spalle. Enoch accarezzò con le dita la cerniera del lungo vestito color pesco che avvolgeva il corpo magro e sinuoso di Olive, poi cominciò ad abbassarla lentamente, scoprendo centimetro dopo centimetro la pelle liscia e bianca della schiena.
«Grazie».
A lavoro completato, Olive fece per allontanarsi ma Enoch le poggiò una mano sul braccio e la trattenne. Olive arretrò senza voltarsi e Enoch la fece avvicinare a sé quel tanto che bastava per lasciarle un soffice bacio sulla nuca, uno alla base del collo e un altro, più lungo, tra le scapole, che tremarono impercettibilmente al suo passaggio.
«Enoch... di là ci sono i bambini... e anche Miss Peregrine», gli ricordò Olive, avendo compreso le sue intenzioni.
«La porta è chiusa a chiave. Basterà non fare rumore».
Olive non oppose alcuna resistenza, così Enoch la scostò lievemente da sé e abbassò le spalline del vestito già aperto che scivolò lungo il suo corpo e si accasciò per terra con un leggero fruscio. Enoch portò una mano sulla schiena di Olive e, partendo dal basso, percorse con i polpastrelli tutta la colonna vertebrale giungendo al gancetto del reggiseno. Ormai abituato, gli bastò un lieve movimento del polso per sganciarlo e anche quello raggiunse il pavimento. A quel punto Enoch circondò i fianchi della donna con entrambe le braccia e la attirò maggiormente verso di sé, fino a far scontrare la sua schiena completamente nuda con il suo petto coperto ancora dalla camicia bianca.
Con le mani accarezzò il ventre piatto, proprio sopra l’orlo degli slip, poi risalì lungo l’addome e giunse in prossimità dei seni nudi. Li chiuse tra le sue mani, impastandoli, prima con delicatezza, poi con bramosia. Olive abbandonò la testa contro la sua spalla e sospirò di piacere, tanto che Enoch potè sentire i suoi capezzoli inturgidirsi contro i palmi delle mani, solleticandoli piacevolmente.


«Enoch...». Stanca di quella dolce tortura, Olive si voltò tra le braccia di Enoch e si sollevò sulle punte dei piedi scalzi fino a catturare le sue labbra in un bacio che di casto non aveva nulla. Quando Enoch rispose e le loro lingue si intrecciarono, Olive sollevò le mani finalmente libere dai guanti e le infilò tra i capelli neri di lui, spingendosi contro il suo corpo. Sorrise nel sentire all’altezza del bassoventre l’erezione di Enoch trattenuta dai pantaloni neri dalla piega perfetta e desiderò averlo subito tutto per sé. Allora gli sbottonò la camicia, indugiando con le mani sul torace e sugli addominali appena accennati; poi scese in basso, sfilandogli velocemente prima la cintura e infine i pantaloni, che si afflosciarono sul pavimento accanto al suo bel vestito elegante da testimone di nozze.
Olive baciò Enoch sulle labbra, toccandolo delicatamente al di sopra dei boxer. Quando infilò la mano all’interno, trovandolo impaziente di prenderla, sorrise e accostò le labbra al suo orecchio.
«Mi aspettavi», constatò.
«Stasera eri particolarmente bella».
Olive inarcò un sopracciglio, memore della sua vecchia gelosia per Emma. «Più bella della sposa?».
«Certo che sì».
Olive sorrise compiaciuta. Enoch calciò via i boxer e afferrò Olive da sotto le ascelle, sollevandola con facilità da terra. Lei gli allacciò braccia e gambe dietro la schiena, aggrappandosi a lui come ad un’ancora di salvezza, e unendosi in un nuovo bacio, un incastro perfetto di labbra e denti e lingue, si gettarono insieme sul letto, l’uno sull’altro.
«Sposami», si sarebbe lasciato sfuggire Enoch più tardi, affondando con impeto dentro di lei, mentre baciava e mordeva i suoi seni.
«Sì, Enoch, sì», avrebbe risposto Olive, gemendo insieme a lui.
La loro prima volta era stata un disastro, la seconda meno incerta, la terza meno dolorosa, la quarta più naturale. Dalla quinta in poi c’era stato spazio solo per l’amore e la passione, in tutte le sue gradazioni di rosso. Ora non rimaneva altro che giurarsi fedeltà eterna come Jake ed Emma, circondarsi di deliziosi bimbi dai capelli rossicci e lo sguardo perennemente corrucciato ed invecchiare insieme come avevano sempre costantemente desiderato.


Era ormai il 1953 e Enoch e Olive convivevano da un po’ di tempo con i novelli sposini Jake ed Emma. Quando tutti e quattro avevano informato Miss Peregrine della loro decisione di allontanarsi per sempre dall’anello temporale e rifarsi una vita nel presente, alla direttrice era preso un colpo, tanto che per un attimo si era sentita svenire. Le ci erano voluti diversi giorni (e diverse tazze bollenti di tè!) per capire che le due coppie non avrebbero mai potuto essere felici restando per sempre nell’eterno 1943. Avevano bisogno di crescere, nel fisico e nella mente, di conoscersi al di là del contesto domestico, di amarsi in modo più maturo, più adulto, di sposarsi e avere figli come tutte le persone normali.
Il giorno del trasferimento del mondo reale Miss Peregrine e i bambini li avevano salutati con le lacrime agli occhi, ma Enoch, Olive, Jake ed Emma avevano promesso che sarebbero tornati presto a trovarli perché tutti insieme formavano una sola grande famiglia. E così era stato: ogni anno che passava, tornavano a far visita alla Casa dei Bambini Speciali portando con loro le novità sul presente e qualche souvenir per i più piccoli.
Olive aveva finalmente imparato a controllare i suoi poteri, attivandoli solo nel momento del bisogno: a casa, quando voleva asciugare più velocemente i panni appena lavati, e a lavoro, quando doveva accendere il forno a legna. Aveva infatti aperto una panetteria/pasticceria che aveva subito riscosso notevole successo grazie alla velocità con cui riusciva a cucinare i panini e i dolci in tempo reale. I suoi clienti, estasiati, dicevano che doveva esserci dietro qualche magia; di fronte a quei commenti così vicini alla verità, Olive ridacchiava sotto i baffi, inventando che la sua bravura era dovuta ai numerosi anni di esperienza che aveva accumulato nel suo paese d’origine.
La sua vecchia paura di bruciare Enoch era svanita nel nulla con il trascorrere del tempo e l’aumentare dei momenti di intimità con lui. Ora le mani di Olive non scottavano più, limitandosi a lasciare sulla pelle del suo uomo una scia calda e piacevole che lo faceva letteralmente impazzire.
Anche Enoch aveva imparato a combattere i suoi demoni. Giocare con le marionette era diventato solo un hobby, dal momento che ora aveva che fare con corpi vivi. Una volta stabilitosi fuori dall’anello, infatti, si era iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia, e dopo anni trascorsi sui libri e in laboratorio era finalmente diventato un chirurgo di tutto rispetto, stimato dai colleghi per le sue numerose qualità, le stesse che aveva sempre esercitato per puro gioco e che ora gli permettevano di salvare la vita alle persone: coraggio, impegno, precisione, pazienza, concentrazione.
Jake aveva continuato la carriera militare. Diceva sempre che, dal momento che la sua unica abilità era combattere i mostri e di mostri in carne ed ossa non ce n’erano più, allora avrebbe combattuto per la patria. Emma faceva la maestra di storia in una scuola elementare; all’inizio ambientarsi nel mondo degli umani era stato parecchio difficile per lei, dato che i vestiti svolazzanti abbinati agli scarponi di piombo la facevano apparire una sorta di strano incrocio tra una dark e una hippy, ma poi era riuscita a conquistarsi la fiducia e l’affetto di tutti, sia delle altre maestre (ammaliate dai suoi precisi e dettagliati racconti sulla seconda guerra mondiale) sia delle mamme (compiaciute per la dolcezza con cui trattava i loro bambini) e degli alunni stessi (che si chiedevano in che modo Mrs. Bloom riuscisse a riprendere ogni volta la palla incastrata tra i rami degli alberi senza l’aiuto di una scala).
Insomma, tutti e quattro avevano finalmente trovato le loro rispettive strade e tutto procedeva straordinariamente bene... o meglio, in maniera straordinariamente Speciale.





The end.
Grazie di cuore a chi ha letto e recensito

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