One week

di Piuma_di_cigno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invasione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Il mare ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Divertirsi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Novità ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Insensato ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Occasioni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Libertà ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - In corsa ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Complicazioni ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Falso ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Invito ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Appuntamento ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Memoria ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Finalmente ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Partenze ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Scelte ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - A casa ***
Capitolo 18: *** Epilogo - Cinque anni dopo ***



Capitolo 1
*** Invasione ***


Capitolo 1 - Invasione

Me ne stavo beatamente rannicchiata sotto le coperte da giorni. Con i genitori fingevo di stare poco bene, avevo smesso di rispondere alle chiamate di Lia e avevo chiuso il mondo fuori dalla porta. Così, stavo lì, nella speranza di non dover affrontare quel giorno.

Ero stanca. Sapevo che stavo perdendo quegli ultimi preziosi giorni, i giorni in cui la mia vita era ancora normale, ma non ce la facevo. Non volevo pensare a come mancasse ancora una settimana prima che la mia vita venisse sconvolta per sempre, non volevo pensarci eppure ci pensavo notte e giorno e non potevo farne a meno. Volevo dormire… Mi rigiravo nel letto alle sei del mattino, con il sole che faceva appena capolino tra le tende. Sarebbe stata una bella giornata estiva.

Pensai tra me e me a come l'estate mi fosse letteralmente scivolata addosso: avevo pensato che mi sarei divertita, che mi sarei rilassata, che avrei fatto tutto quello che non avevo fatto per colpa della scuola… E invece eccomi lì, con appena venti giorni di vacanza e una settimana di sanità mentale, che peraltro stavo sprecando allegramente.

Ma ero stanca. Stanca, stanca, stanca. Mi sentivo così da giorni ormai e non sapevo cosa farci. Non avevo fame e volevo dormire, anche se non dormivo. Pensavo e passavo ore nel dormiveglia. Non avevo voglia di fare niente.

Mi girai su un fianco e seppellii la testa sotto le coperte, raggomitolandomi su me stessa come un ghiro in letargo e chiusi gli occhi. Pensai a tutti i libri che avevo letto e cercai uno che mi piacesse e tentai di immaginarmi nei panni della protagonista… Era questo che stavo facendo quando suonò il campanello. Cacciai la testa sotto il cuscino, infastidita, e richiusi gli occhi. Ma non avevano altro da fare alle sei del mattino!?

Sentii delle voci concitate al piano di sotto e qualcuno che saliva a passi pesanti le scale.

Dalla voce era… Lia?

La porta si aprì di colpo -la sua solita delicatezza- e lei entrò come un tornado con mia madre al seguito.

“Ma aspetta...”

“No, guarda, lascia fare a me. Davvero, lasciala a me questi tre giorni, va bene?”

“Va bene va bene.” la voce di mia mamma era sorpresa, ma sembrava che volesse lasciarla fare. O mio Dio, perché non mi ero nascosta nell'armadio? Chissà cos'aveva in mente ora, lei e le sue trovate. Io volevo dormire…

“Tessa!” Lia entrò a grandi falcate nella stanza, aprì le tende e io mi sentii come un vampiro colpito dalla luce del sole. Ma dai, che diavolo…? In pochi capivano quando la gente voleva essere lasciata in pace, e lei non era una di quelle persone.

“Dai, alzati!”

Mugugnai qualcosa di incomprensibile e schiacciai la faccia tra cuscino e materasso.

“Su su!” mi tolse barbaramente il copriletto di dosso e cominciò a strattonare anche il cuscino. “E andiamo, Tessa! Dai, abbiamo un sacco di cose da fare! Muoviti!” E mi strappò il cuscino dalle mani. Senza coperte, con i pantaloncini grigi e una canottiera nera, i capelli scarmigliati, aprii gli occhi e mi misi a sedere, irritata ed infastidita.

“Va bene. Qual è il tuo problema?”

“Non ti lascerò andare in letargo!” detta così, suonava davvero plateale. Lia era in piedi davanti a me con gli occhi spalancati e i capelli legati in una coda, truccata con fondotinta, mascara e lucidalabbra a volontà e con addosso una tutina rossa a fantasia. Mai mi sarei sognata di mettere una cosa del genere.

“Preparati.”

“Come no.”

“No, Tessa sul serio. Fai le valigie, partiamo.”

Mi ci volle un po' per metabolizzare la notizia che il mio cervello rifiutò prontamente e in quei secondi il mio corpo si irrigidì dalla testa ai piedi. Partire. Avevamo diciassette anni, dove cavolo voleva che andassimo? Che cos'aveva in mente?

“Sì, Lia, per favore io...”
“No no no, giù dal letto. Ora.” cacciai un sonoro sbuffo e scesi dal letto.
“Ecco fatto.” ero in piedi davanti a lei, in tutto il mio evidente disfacimento, retto dai miei piedi nudi con lo smalto nero sulle unghie e coronato dai capelli che sembravano un nido di topi.

“Fantastico. Ora vestiti o ti porterò via in mutande.”

“Detto così sembra una vera perversione...”

“Tessa, vestiti.”

“Puoi almeno dirmi dove andiamo?”

“No. È una sorpresa. Muoviti.”

“Ma...”

“Vuoi davvero venire via in mutande?”

“Okay okay...”

Aprii l'armadio mentre Lia spariva in corridoio alla ricerca di qualcosa di cui non volevo onestamente sapere niente. Non capivo cosa avesse in mente e pensavo si trattasse semplicemente di uno scherzo, ma cominciai a sentirmi davvero inquieta quando la vidi tornare e sbattere una valigia blu sul mio letto sfatto. Quella era una delle mie valigie, la usavo per i viaggi di qualche giorno soltanto; ricordavo di essere andata anche in gita con la scuola con quella.

“Vediamo...” Iniziò a prendere vestiti dal mio armadio e a cacciarli alla rinfusa nella valigia.

“Perché-lo-stai-facendo?”

“Perché tu non lo vuoi fare. Hai intenzione di venire via senza spazzolino da denti per caso?”

“Ma… Ma via dove? Lia ma sei impazzita?”

“No no senti, ora tu vai a… Ma non sei ancora vestita!? Ora basta, metti quello che dico io.” Mi rifilò un vestito color sabbia. Ebbi un attimo di incertezza. Di solito mi vestivo di nero, ma tanto mancava solo una settimana e cosa contava se mi vestivo di un altro colore? Lo indossai.

“E ora, metti quello che ti serve nel beauty-case.”

Non mi ero ancora rassegnata -non mi piacevano le sorprese-, ma decisi che tanto valeva assecondarla e avrebbe smesso con quello scherzo delirante. Conoscevo Lia e non era così avventata da farmi partire per chissà dove su due piedi. Dai, dopotutto era una persona responsabile.

Andai in bagno e tirai fuori un astuccio di plastica a fiori che usavo in quelle situazioni e ci misi dentro spazzolino, dentifricio, shampoo, sapone per il corpo, crema, elastici e forcine a volontà. Raccolsi i capelli nella solita pettinatura e misi un po' di matita per gli occhi. Sistemai qualche imperfezione con il correttore e mi decisi a tornare in camera, dove Lia aveva quasi riempito la valigia di vestiti, tra cui tre neri, cinque paia di shorts, magliette di tutti i tipi, parei, costumi e un paio di ciabatte. Non era esattamente quello che io chiamavo ordine.

“Ecco, dammi anche quello.” prese il beauty-case e lo infilò nella valigia. “In un'altra borsa metti la carta d'identità, il cellulare, l'mp3 e portati via un libro se vuoi.”

Mio Dio, ma stava facendo proprio sul serio.

“Lia, sei impazzita? Per favore, smettila, è una stupidaggine. Dove diavolo vuoi portarmi? Avanti, non ha senso. Ascolta...”

“Sì sì, è una cosa irresponsabile, stupida eccetera eccetera e non sai neanche di cosa si tratta. Prendi il taccuino e la carta di credito che ti hanno regalato i tuoi e vai giù a salutarli.”

Chiuse la valigia con i vestiti alla rinfusa e a scapito di conseguenze ci ficcò dentro anche due libri che trovò in giro per la stanza. Vedendo che non reagivo, prese lei la mia borsa, dove sapeva che tenevo carta d'identità e taccuino, e ci inserì cellulare, pastiglie per mal di testa e mal di pancia, cerotti, gomme da masticare, mp3, chiavi, un coltellino svizzero, macchina fotografica e carta di credito.

“Al limite comprerai il resto, se ti servirà.” detto questo mi diede la borsa e si avviò giù dalle scale con la mia valigia al seguito. Me ne stavo come intontita, immobile in mezzo alla camera. O no che non l'avrei seguita.

“Tessa, muoviti o perderemo il treno!”

Treno!?! Ma scherzava!? Ma che problemi aveva quella mattina!? Io volevo solo dormire per quell'ultima settimana come un bravo ghiro domestico, perché tirarmi giù così dal letto? Dov'erano i miei? Decisi di scendere le scale per chiedere il loro aiuto, ma quando arrivai in taverna e cercai di spiegare il mio dramma, nessuno parve particolarmente impressionato; e perché avrebbero dovuto? Io e Lia andavamo sempre in giro, prima.

“Divertitevi.” si limitò a dire la mamma. Papà distolse a malapena lo sguardo dalla tv e il mio cane sbadigliò.

“Ma… Ma...” Ma? Lia mi ha fatto fare una valigia? Lia mi fa una sorpresa? Vuole rapirmi? Vuole obbligarmi a fare qualcosa di divertente? Ci rinunciai. In fondo, una settimana e la mia vita sarebbe comunque cambiata per sempre. Perché non fare qualcosa di stupido?

“Ciao allora.” baciai e abbracciai i miei genitori e feci una carezza al cane. Mi sembrava davvero una cosa idiota da fare, ed ero terribilmente irritata, ma avevo una settimana. Scrollai le spalle e uscii con Lia trascinandomi dietro la valigia e continuando a borbottare tra me e me riguardo agli idioti che disturbavano i ghiri.

Vivevo in un paese piuttosto piccolo, perciò la stazione dei treni non era lì, ma a due o tre chilometri di distanza; per questo, Lia mi fece camminare fino alla piazza -con la valigia- e mi fece prendere la corriera. Scendemmo meno di dieci minuti dopo e camminammo per un altro quarto d'ora verso la stazione, e io ero sempre più irritata; non soffrivo il caldo ma quella era una vera faticaccia e io non volevo fare tutta quella storia e stare a pensare a cosa mi aspettava e io detestavo le sorprese. Io volevo il mio letto, mi piaceva il mio letto. Cosa c'era di male a dormire quando si era stanchi? Ero stanca davvero spesso, ma non mi sembrava una cosa particolarmente tragica.

Arrivammo alla stazione e Lia entrò con passo deciso, sguainando due biglietti dalla tasca come fossero armi letali. Dunque l'aveva già pianificato. Li timbrò e mi fece salire sul treno, che era già arrivato. Avrei voluto vedere la destinazione, ma mi disse che se l'avessi fatto mi avrebbe trascinata in discoteca e, al culmine dell'irritazione, lasciai perdere.

Mi stravaccai sul sedile del treno e misi la valigia accanto a me.

“Allora? Posso sapere cos'hai?”

Lia alzò la testa dal cellulare e mi sorrise.

“Mi sembravi un po' giù di tono, così ho deciso di farti una sorpresa.”

“Una sorpresa.”

“Sì.”

“Non potevi semplicemente portarmi una scatola di cioccolatini?”

“No, non potevo. Mi sentivo ispirata.” la fissai esterrefatta, chiedendomi a cosa diavolo pensasse ogni tanto. Mi aveva appena trascinata su un treno da cui fui davvero tentata di scendere, ignara com'ero della destinazione, ma poi mi resi conto che poche cose potevano essere più tristi di casa e allora lasciai che il treno partisse senza dire una parola.

“A proposito, tu non sai cos'è successo ieri sera!” Alzai lo sguardo. Non avevo molta voglia di stare ad ascoltare, ma dopo un po' mi resi conto di essere interessata; Lia aveva avuto l'ennesima discussione con suo zio e mi raccontava di come fosse stupido e di come lei l'avesse insultato e lui le avesse dato della ragazzina e le avesse detto che non doveva rispondere in quel modo a un adulto. Era uno scemo convinto che sua nipote fosse la ragazza migliore dell'universo, anche se io e Lia sapevamo che era solo una ragazzina viziata che non voleva studiare e cambiava ragazzo una volta a settimana. Di recente si era decolorata i capelli e li aveva fatti biondi, ma si erano rovinati un sacco e ora erano come stoppa.

Alla fine, partecipai alla conversazione e le raccontai di come il giorno prima il cane si fosse mangiato la nostra pizza e di come avessimo perso una compagna di classe, che si era trasferita in quel periodo in un'altra scuola. Arrivammo anche a parlare del Canada, dove sarebbe andata presto in vacanza e mi ripeté -come faceva da mesi- che non vedeva l'ora di partire.

Cercai di estorcerle la nostra destinazione o quanto ci saremmo rimaste, ma non ci riuscii e, anche se irritata dalla cosa, mi rassegnai a lasciar perdere. Il paesaggio ci scorreva accanto; prima edifici, poi campagna e infine il mare. Era cristallino, brillava alla luce del sole, e si estendeva a perdita d'occhio. Sentii il mio cuore scaldarsi come non mi succedeva da giorni a quella vista: era meraviglioso. Io amavo il mare, era il posto che adoravo di più al mondo. Il profumo dell'aria, il verso dei gabbiani, il rumore delle onde erano cose che non potevo dimenticare e che non potevo non amare. Aspettavo ogni anno tutto l'anno, giorno dopo giorno, le mie vacanze al mare, le due settimane in cui vivevo più che in tutte le altre.

In quel momento sentii il treno rallentare e vidi che Lia si allungava per prendere la sua valigia.

“Siamo arrivate.”

La nostra destinazione era il mare.

Spazio autrice: ciao a tutti! Quello che avete appena letto era il primo capitolo della mia storia; ho immaginato per tanto tempo di metterla per iscritto e finalmente eccola qui :) Spiego subito che il fatto per cui la protagonista ha ancora una settimana prima che la sua vita cambi radicalmente verrà spiegato più avanti. Non l'ho fatto all'inizio perché intendo prima sviluppare meglio la trama ;) La storia, perlomeno per quanto riesco a prevedere fino ad adesso, non sarà troppo lunga e si articolerà intorno alle esperienze che possono vivere due diciassettenni in vacanza per la prima volta senza genitori e su quanto una sola settimana possa cambiare le cose ... :) Ma non voglio anticipare oltre.
Spero che siate numerosi nella lettura!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Il mare ***


Capitolo 2 - Il mare

La prima sensazione, quando scesi dal treno, fu di felicità pura: il mare! Ma poi ricordai che ci venivo sempre con la mamma prima che si ammalasse e mi sentii il solito macigno sul petto e la solita voglia di dormire. Improvvisamente mi voltai verso il treno e provai lo struggente desiderio di tornare a casa e rintanarmi nel mio letto caldo e rassicurante, ma poi le porte si chiusero e Lia mi chiamò, così mi limitai a raggiungerla inforcando gli occhiali per nascondere gli occhi gonfi di lacrime.

Ero talmente stanca. Perché dovevo affrontare quella situazione? Io volevo solo dormire, e mi sentivo profondamente irritata e incavolata con Lia perché me lo impediva; io ero stufa, volevo essere lasciata in pace e lei avrebbe dovuto capirlo più di chiunque altro, visti i problemi di salute che aveva anche sua mamma.

Nonostante quindi lo sapesse, aveva deciso di portarmi fin laggiù contro la mia volontà e non solo, aveva pure pensato che fosse una buona idea. Sentii i nervi a fior di pelle. Ma che accidenti le era preso? Mi aveva lasciata crogiolarmi nella mia disperazione per giorni, non poteva farlo ancora? Ero troppo stanca per pensare e sentivo la testa avvolta nella nebbia, come se mi avessero spento un interruttore. Non volevo saperne.

“Da questa parte, Tessa!” Lia mi guidò lungo la strada principale della cittadina, piena di negozi, e poi lungo una via secondaria. Nonostante il nervosismo, non riuscii ad impedirmi di guardare in giro e di notare quanto fosse bella la luce del sole a quell'ora: illuminava le case e i negozi che si aprivano proprio in quel momento. Dopotutto, eravamo partite con il treno delle sei e mezza perciò non doveva essere più tardi delle sette.

Vidi una panetteria, già aperta, e una libreria che mi ripromisi di visitare appena ne avessi avuto l'occasione. L'aria era salmastra, soffiava una leggera brezza che portava con sé il verso stridulo e confortante dei gabbiani; mi vennero di nuovo le lacrime agli occhi quando ricordai le mattinate in cui mi svegliavo in appartamento, con la mamma, durante le vacanze al mare. Non era giusto che lei non fosse con noi e mi sentii di nuovo incavolata con Lia per avermi portata in un posto così bello e così doloroso al tempo stesso.

Il cielo era limpido e tendendo un po' l'orecchio riuscivo a sentire lo sciabordio delle onde, mentre qualche mattiniero passava di lì facendo jogging e qualcuno andava in spiaggia in costume. Per fortuna, Lia ne aveva messi un paio nella mia valigia.

Camminavamo ormai da venti minuti quando arrivammo davanti a una palazzina circondata dagli oleandri, con i muri bianchi e le terrazze a nido d'ape. Era a due piani, piccola e dall'aria accogliente. Lì l'odore del mare era ancora più forte.

Di fronte c'era un albergo in cui qualcuno faceva già colazione nei tavolini all'esterno, la zona era circondata da appartamenti piccoli come il nostro. La cittadina non era tanto grande, la vera città costiera era più avanti, e quella zona non sembrava essere così frequentata.

Lia aprì il cancello della palazzina ed entrò con me al seguito. Bussò due volte alla prima porta a destra e io cominciai ad essere davvero incuriosita, nervosismo a parte. Non ci volle molto prima che uscisse una signora anziana con i capelli tinti di biondo e un vestito a fiori azzurri e rosa; aveva addosso un paio di occhiali da vista e sorrideva.

“Ciao! Siete arrivate, allora? Aspettate che vi prenda le chiavi...”

Lia la salutò a sua volta e aspettammo sulla porta mentre rientrava e tornava un attimo dopo con le chiavi, rosse e con una targhetta col numero sette.

“Ecco, il vostro appartamento è il sette. È al secondo piano.” ci indicò due rampe di scale bianche che salivano verso quello che doveva essere proprio il secondo piano. “Potete sistemarvi subito, dovrebbe essere tutto a posto. Se avete qualche dubbio potete chiamare me o mio figlio, in ogni caso bussate qui.”

Dopo averci dato un paio di accorgimenti da seguire per l'acqua calda, la televisione e il gas e averci ricordato le regole della palazzina, ci augurò una buona permanenza e noi salimmo al piano superiore con le valigie. Lia inserì la chiave e aprì la porta del numero sette.

Io ero ancora talmente inebetita da quella situazione assurda da non spiccicare parola. Stavo davvero entrando in un appartamento? Ma per quanto aveva intenzione di farmici rimanere? Oddio, avrei dormito fuori!? Lì!? Sentii il mio cuore battere più forte mentre ripercorrevo con la mente la lista di cose che potevano servirmi e che non avevo portato, tra cui carta igienica e asciugamani e cibo, certo. Non avevamo portato via niente da mangiare o da bere… E poi, bastavano i soldi che avevo portato con me? Di quanto era l'affitto?

“Lia...” stavo per chiederle tutto, quando lei mi interruppe prontamente:”L'affitto è già pagato, non devi preoccuparti. È stato un regalo di mia zia Iris. Per pranzo e cena c'è un negozio qui vicino e c'è anche una pizzeria, perciò penso che ce la caveremo, e rimarremo qui una settimana.”

Appoggiò la valigia sul letto. Appena entrata vidi che c'erano due letti a sinistra, uno contro il muro e uno nell'angolo, con un televisore davanti. A destra c'erano il tavolo e la finestra e più avanti lavandino e piano cottura. Quando entrai e attraversai il corridoio trovai un bagno e una camera da letto con la terrazza e il letto matrimoniale.

“Se ti va bene possiamo dormire qui, così c'è anche la tv.” propose Lia, riferendosi ai letti vicino alla cucina. Annuii e la raggiunsi per appoggiare la mia borsa lì, e per cercare di raccapezzarmi di quello che stava succedendo.

Lei mi lanciò un'occhiata incuriosita ma non disse niente, probabilmente perché aveva capito quanto mi fossi innervosita a causa di quel tiro mancino. Si limitò ad aprire la valigia e a portare i suoi vestiti nell'armadio della camera matrimoniale, poi tirò su le persiane e la luce inondò la stanza regalandomi un altro lampo di nostalgia.

“Okay Tessa, andiamo a prendere da mangiare: porta il taccuino, così dividiamo le spese.”

“Va bene.” presi il taccuino e le chiavi e la seguii fuori. Prendemmo un'altra strada diversa rispetto a quella di prima ma più vicina al mare a sentire l'odore e il rumore delle onde.

“Allora… Cosa ci facciamo qui?”
“Una vacanza.”

“Uhm… Perché?”

“Perché ne hai bisogno.”

“Non è vero.”

“Sì invece.”
“No invece.”

“Sì invece.” cacciai un sonoro sbuffo e ci rinunciai, perché tanto sapevo che era inutile discutere quando faceva così e mi sarei solo innervosita se avessi continuato.

“Va bene. Ascolta, io non...”

“No no no, senti. Ora pensiamo al pranzo, va bene? Pensa al pranzo. Cosa vuoi per pranzo?”

“Ma...” sapeva essere incredibilmente irragionevole quando voleva, era assurdo. E il bello era che sapeva di esserlo, ma se ne fregava altamente e così continuava nella sua beatitudine con la sua insensatezza. Una cosa era quando lo faceva sostenendo di avere ragione sulle calorie di una merendina, un'altra era quando lo faceva dopo avermi praticamente sequestrata e rapita e pretendeva di avere ragione. Ma insomma!

“Tessa, cosa vuoi per pranzo?”

Vedendo la mia occhiata esterrefatta -ma allora dovevo proprio preoccuparmi della sua sanità mentale-, mi rifece la domanda:”Cosa vuoi per pranzo?” e me lo chiese con tono più alto, convinta che non avessi sentito. Rinunciai a spiegarle quanto fosse assurdo tutto quello che stavo vivendo e cominciai a pensare seriamente a cosa volessi mangiare. Alla fine, incapace di decidere, scossi la testa.
“Ci penserò quando arriveremo in negozio.”

“Bene, perché siamo arrivate.”

Non avevamo camminato nemmeno cinque minuti, perciò il supermercato era davvero vicino. Mi meravigliai quando capii che la scelta dell'appartamento era stata studiata ed era stata fatta con un certo criterio, esattamente come l'avrei scelto io: vicino al mare, a un negozio di generi alimentari e in una zona frequentata. Per un attimo, guardando il cielo e sentendo i raggi del sole su di me, pensai che quella giornata aveva il sapore dell'avventura.

Entrammo nel supermercato e cominciammo a gironzolare tra gli scaffali; c'era di tutto e io mi sentivo davvero poco pronta a decidere, più o meno come sempre in quel periodo. Sembrava quasi che lo stress della situazione a casa avesse spento un interruttore nel mio cervello impedendomi di fare le normali scelte quotidiane. La peggiore era quella dei vestiti: io non sapevo mai cosa mettere. C'erano giorni in cui passavo ore e ore in piedi davanti all'armadio, nella disperazione più totale, con la speranza di avere un'ispirazione, ma finivo sempre per andare in crisi dopo un quarto d'ora, rischiare una crisi isterica e rimanere di pessimo umore per ore.

Alla fine optai per un trancio di pizza e una bottiglietta d'acqua. Non avevo chissà che voglia di mangiare, dopotutto. Visto che avevo già scelto, andai in giro per il supermercato alla ricerca di Lia, che vidi venire verso di me poco dopo attraversando la corsia dedicata ai biscotti. A differenza di me lei aveva le braccia cariche di roba e non potei fare a meno di fissarla esterrefatta e di scoppiare a ridere quando vidi cosa trasportava: due pacchetti di krafen, un trancio di pizza con wurstel e patatine fritte, due muffin al cacao con gocce di cioccolato, un enorme pacchetto di marshmallow, un vasetto di Nutella e una bottiglia immensa di Coca Cola.

Vedendomi ridere Lia ridacchiò:”Non mi dire che prendi solo quelle due cose!” sgranò gli occhi “Oh, andiamo Tessa! È una vacanza, vuoi stare a dieta anche qui?”

“No, no...” in realtà un pensierino alla linea l'avevo fatto, ma poi lei mi spinse di nuovo verso il reparto dolci.
“Fila a sceglierti una merendina o un dolce. Non c'è gusto altrimenti. In questi giorni mangeremo solo schifezze, sarà meglio che ti abitui. Anzi, scegli anche un gelato.” lei l'avrebbe preso al cioccolato -lo faceva sempre-, ma io ci ragionai mezz'ora prima di prenderne uno all'amarena e panna. Poi, fu la volta del dolce, krafen alla crema con zucchero a velo. Quando ritrovai Lia, aveva aggiunto un gelato al cioccolato alla sua pila, un pacchetto di biscotti, uno di barrette Mars e una confezione con una piccola Sacher.

Risi, scuotendo la testa.

“Non posso credere che lo stiamo facendo.”

“Ah, credici. Ti immagini se ci vedessero i nostri genitori?”

La sola idea era troppo divertente.

“Mia mamma direbbe sicuramente: ma cosa mangiate? Ma siete impazzite? Ma che delirio è questo?

“Anche la mia direbbe qualcosa del tipo ma siete fuori di testa.” ridacchiò “Lei e le sue diete.”

“Ehi aspetta, ma tua mamma sapeva di questo piano?”
“Ecco… In realtà no.”

Quasi mi venne un infarto, e mi sentii di nuovo in procinto di scoppiare a ridere.

“E dove pensa che tu sia!?”

“Be', per stamattina è al lavoro, al suo ritorno penserà che sia da te e domani mattina… Boh, glielo dirà mia nonna.”

“Oddio, cosa darei per vedere la sua faccia! Ma dai! Questo è Come far venire un infarto ai genitori capitolo primo! Ai miei cos'hai detto esattamente prima di portarmi via?”

“Che venivi da me per qualche giorno...”

Ridacchiammo come due sciocche mentre andavamo alla cassa e mi resi conto che nessuno aveva la più pallida idea di dove fossimo. Nessuno. Nessuno se lo immaginava, nessuno la sapeva, non era nemmeno ipotizzabile. Sentii una scarica di brividi corrermi lungo la schiena. Avevamo tre giorni in cui fare quello che volevamo, essere quello che volevamo. Una settimana soltanto, ma pur sempre una settimana in una cittadina sperduta in cui nessuno ci conosceva, con il mare e completamente sole in appartamento.

Pagammo quello che avevamo preso e ficcammo tutto in due borse della spesa, ma lasciammo fuori i marshmallow che mangiammo per strada. Erano anni che non assaggiavo una di quelle caramelle e non avevano mai avuto un sapore così buono; Lia li mangiò col cioccolato, naturalmente.

Alla borsa della spesa era stato aggiunto anche un barattolo di panna, di quella che si spruzzava sui dolci. Io andavo pazza per la panna. Per fortuna avevamo avuto anche il buon senso di prendere un pacco di pasta, uno di sale, due di sugo -uno alle vongole e uno con ricotta e noci-, uova, farina, zucchero e latte. Gli ultimi quattro ingredienti servivano a Lia per fare le crepes: ne andava matta. Le faceva quasi sempre per merenda e le mangiava con un chilo di Nutella.

Quando arrivammo in appartamento mettemmo tutto a posto in frigo e negli armadietti e mangiammo una fetta di Sacher: parola mia, mai torta fu più buona. Era proprio vero che il cioccolato risollevava l'umore delle persone, perché mi sentivo davvero meglio.

Dopo mangiato mettemmo il costume e prendemmo due borse che portammo con noi in spiaggia dopo aver abbassato le persiane e aver chiuso la porta. Per sicurezza avevo preso anch'io una copia della chiave.

Quando scendemmo le scale stavamo parlando di nuovo dei nostri genitori e ridevamo ancora al pensiero delle facce che avrebbero fatto; solo Iris, la zia di Lia, e sua nonna sapevano dov'eravamo veramente. Gli altri pensavano tutti che lei fosse a casa mia e io a casa sua. Quanto ci avrebbero messo per capire che ce n'eravamo andate?

Appena arrivammo sul pianerottolo però fummo costrette ad interromperci, perché ci trovammo davanti un ragazzo che doveva avere al massimo diciotto o diciannove anni: aveva i capelli scuri, gli occhi color cioccolato e sorrideva.

“Ciao.” mi tese la mano “Io sono il figlio della proprietaria. Se avete bisogno di qualcosa, io vivo al numero uno. Potete rivolgervi a me.” il suo sguardo era talmente caldo e amichevole che strinsi la sua mano e ricambiai il sorriso quasi senza pensarci. Per un momento pensai che se fossimo stati in una stanza buia, l'avrebbe illuminata semplicemente con la sua presenza tanto sembrava tranquillo e gentile. Mentre stringeva la mano a Lia pensai che fosse tra quelle rare persone capaci di mettere chiunque a suo agio e di ascoltarle senza giudicarle, sempre pronto ad aiutarle.

“Grazie, sei molto gentile.” mi sorpresi quando capii che era stata la mia voce a parlare; di solito non ero mai così propensa a parlare con persone appena conosciute, ma lui aveva qualcosa di luminoso. Non riuscivo a trovare un altro aggettivo per descriverlo se non rassicurante.

“Di niente. Spero che vi troverete bene.”

Con questo ci salutò e rientrò in casa e, come prevedibile, Lia mi trascinò fuori più veloce che poté per farmi il riepilogo della situazione.

“O mio Dio Tessa, hai visto quanto era bello?”

“Sì.”

“Ma dai, era bellissimo! O mio Dio, io vi ci vedo già insieme. Hai visto come ti ha sorriso?”

“Faceva il suo lavoro.”

“No no, senti, io… Questo è… Sì sì, devi parlargli e chiedergli il numero. Ma sul serio, hai visto come ti guardava?”

“No, come?”

“Come uno che pensa che bella ragazza è questa. Dai Tessa, io devo assolutamente farvi mettere insieme. Siete perfetti l'uno per l'altra.”

“Lia, hai idea di quante volte l'hai già detto?”

“Eh, sì, ma… Ma questo è perfetto per davvero! L'hai visto, no? Era bellissimo. E gli piaci.”

“Mi ha solo sorriso e si è presentato.”

“Be', intanto ti ha parlato.”

“Per fare il suo lavoro.”

“Ti ha pur sempre parlato.”

“Ma per fare il suo lavoro.”

“Sì, ma ti ha parlato.”

“Aaah, lasciamo perdere.”

Man mano che ci avvicinavamo alla spiaggia il rumore delle onde diventava sempre più forte e vedevo sempre più gabbiani. Vidi il bar lì vicino e poi la punta del faro vecchio, bianco e rosso, e poi il pontile lungo quasi fino al canale delle barche.

Il mare era meraviglioso, ed era dire poco per descrivere il baluginio dell'acqua alla luce del sole, la sabbia dorata e la pace che in generale infondeva; io amavo il mare. Avevo una sorta di devozione verso di lui che non sapevo spiegarmi, c'erano volte in inverno in cui me lo immaginavo piena di nostalgia e sognavo segretamente le vacanze estive solo per poterci tornare.

C'era qualcosa in quel posto che annullava tutto in me e mi faceva sentire come se fossi esattamente dove dovevo essere nel momento in cui dovevo esserci. Fui colta da una certa eccitazione, come se non potessi arrivare abbastanza in fretta fino all'acqua, e così partii di corsa verso il mare, abbandonando la borsa sulla spiaggia e ignorando Lia che rideva e mi chiedeva cosa diavolo stavo facendo. Ignorandola spudoratamente schizzai verso le onde e continuai a correre finché l'acqua non fu troppo alta e finii per arrancare piuttosto che camminare; a quel punto inciampai e caddi finendo con la testa sott'acqua. Solo allora mi resi conto di essermi tuffata con tutti i vestiti addosso e allora fui colta da una ridarella irrefrenabile che durò finché Lia non mi raggiunse, perplessa.

“No guarda, non ti serviva una vacanza. Che cos'hai da ridere? Ti senti bene?”

“Sì sì, è solo che...” ma poi vidi la sua espressione e la cosa mi causò un'altra crisi e, seduta sul fondale sabbioso con addosso pantaloncini e maglietta e con praticamente tutto il corpo sott'acqua, risi finché un'onda non mi sommerse completamente e mi fece ingoiare acqua.

Lia mi fissava esterrefatta.

“Sicura di non avere intolleranze alla Sacher? Okay, ora usciamo dall'acqua… Sì sì, anch'io trovo tutto molto divertente ma ora usciamo… Dai Tessa alzati. Avanti...” visto che mi spronava senza ottenere alcun risultato, mi prese per i polsi e mi tirò su di peso.

“Oddio, dobbiamo mangiare i cereali...” e risi. Era una vera e propria crisi isterica, ero fuori di me. Come più tardi Lia precisò, avevo anche alghe tra i capelli e i miei pantaloncini erano pieni di sabbia; in generale somigliavo a un naufrago in piena regola, mi mancava solo l'abbronzatura e mi avrebbero scambiata per Robinson Crusoe versione femminile.

Lia mi fece sedere sotto l'ombrellone –che aveva avuto l'ottima idea di portare, visto che al sole diventavo rossa come un gambero in padella- e mi porse un asciugamano.

“Bene, deduco che ti stai divertendo almeno. Lo sai, pensavo che stamattina mi avresti ammazzata prima ancora di scendere dal treno.”

“Mmm, lo pensavo anch'io” risposi mentre mi alzavo e toglievo i vestiti bagnati. Ora che ci pensavo l'acqua era davvero fredda. “In effetti mi chiedo perché io non l'abbia fatto.”

“Grazie alle mie capacità ipnotiche, è evidente” replicò lei stendendosi al sole con chiara soddisfazione “Ti ho ipnotizzata mentre dormivi.”

Sbuffai una risata e allungai la mano verso la borsa da spiaggia; appena cominciai a rovistarci dentro capii che quella della crema sarebbe stata una lunga e difficile ricerca in tutto quel marasma.

“Hai preparato tu questa borsa?”

Lia la guardò.

“Sì.”

“Si vede…” il suo disordine colpiva ovunque ed era contagioso…. Fu a quel punto che notai una cosa davvero bizzarra nel delirio di oggetti buttati dentro alla rinfusa. “Posso sapere perché hai messo una delle punture anticoagulanti di mia madre nella borsa!?”

Dopo un intervento chirurgico erano state prescritte a mia madre delle punture con l'eparina per evitare coaguli; gliele facevo sempre io, ma ce n'erano molte e le facevano male, così le avevo permesso di non fare l'ultima -la ventesima. Il fatto era che quell'ultima siringa, con tanto di medicinale dentro, era rimasta in giro per casa ancora chiusa nella confezione per giorni e tutti l'avevano continuamente spostata dappertutto senza decidersi a buttarla via.

“Ah, non era per te? L'ho vista in bagno e ti sento sempre dire che fai le punture… Pensavo fosse un sedativo in realtà.”

“Faccio le punture, ma a mia madre!” Lia scoppiò a ridere. Non era la prima volta che finivamo in situazioni di quel tipo; lei era incredibilmente predisposta a finire in circostanze assurde con persone altrettanto assurde… Spesso mi chiedevo se non ero pazza anch'io, visti tutti i matti in cui era solita imbattersi. Le migliori erano quelle della corriera: la prendevamo insieme d'inverno per andare a scuola e finivamo sempre per essere avvicinate da svitati, tra cui un diciottenne che aveva inseguito Lia per mesi cercando di farle delle avance.

“Andrà a finire che la farò io a te, la puntura…” brontolai rigirandomi tra le dita la confezione della siringa. Chissà cosa stavano facendo i miei genitori a casa; sperai che non stessero discutendo, ultimamente lo facevano spesso. Ripensai a quello che doveva succedere entro una settimana e mi rabbuiai. Sentii la stanchezza invadermi di nuovo e quell'euforia che sentivo prima scomparve in fretta com'era arrivata. Misi la crema e presi l'mp3.

“Io vado a fare una passeggiata sul pontile. Cerca di non addormentarti al sole.”

“Mmh.” come già fatto.

Mi alzai e mi diressi verso il ponte. Ricordavo tante passeggiate con il nonno lì, più che con la mamma; con la mamma le camminate erano la sera lungo la via dei negozi. Mentre la musica partiva e mi faceva sentire finalmente un po' meglio, pensai a quante cose erano cambiate in quegli anni: avevo iniziato il liceo e vi ero sopravvissuta per tre anni, mi apprestavo a farlo per il quarto, da scrittrice avevo capito di voler diventare medico, la mamma si era ammalata, avevo perso tutte le mie amicizie e ne avevo fatta una nuova conoscendo Lia. Mi chiesi come sarebbero potute andare le cose se fossero state diverse, come sarebbe finita. Forse avrei avuto ancora il sogno di fare la scrittrice o non sarei stata così stressata all'idea di diventare medico, perché volevo diventarlo ma c'erano comunque gli esami di ammissione e non erano una passeggiata.

Arrivai in fondo al pontile e mi appoggiai al parapetto, rivolta al mare; vidi un peschereccio che passava con uno stuolo di gabbiani al seguito, il mare infinito e l'altro faro, quello in mezzo al mare. Ce n'erano tre in quel tratto di costa e solo due erano funzionanti, ma lo sapevo solo perché mi era stato raccontato visto che non ero mai stata lì di notte.

Lessi le scritte sul faro del pontile: c'erano sempre innamorati che si fermavano e lasciavano un loro ricordo sulle sue pareti. Era stato ridipinto milioni di volte, ma ogni anno se ne ripresentavano di nuove e cominciavo a pensare che prima o poi avrebbero lasciato perdere e accettato che era bello così.

Mi voltai e tornai indietro quasi subito perché sapevo che Lia si sarebbe addormentata al sole, le succedeva sempre, e che si sarebbe scottata e sarebbe stata male per una settimana. Dovevo andare a svegliarla o mi sarebbe toccato curarla per un'insolazione, oltre che chiamare i nostri genitori e spiegare con tutta calma che avevamo affittato un appartamento da sole al mare.

Guardai l'orologio: erano le dieci, perciò non dovevano essersi ancora accorti della nostra assenza.

Appena raggiunsi Lia mi accorsi che effettivamente si era addormentata e ci volle più di un quarto d'ora per svegliarla; alla fine dovetti persuaderla con l'offerta di una brioche al cioccolato e solo allora aprì gli occhi e si dimostrò più o meno ragionevole.

Era incredibile la quantità di cioccolato che riusciva ad ingerire in un giorno solo… Salvo poi lamentarsi dei brufoli dopo averlo mangiato, questo era chiaro. Continuava a mangiarlo nonostante gli effetti collaterali e non accennava a diminuire; era l'unica persona al mondo che conoscevo che non avrebbe fatto di tutto e di più per far sparire i brufoli.

Il suo fisico era un'altra eccezione alle regole naturali: si suppone che tutti mangino un sacco e poi ingrassino. Lei poteva mangiare quello che voleva e non sarebbe mai e poi mai ingrassata. Era magra, con il fisico da modella.

Ci avviammo verso il bar con Lia che strizzava gli occhi alla luce del sole e brontolava qualcosa come l'inutilità delle sveglie e il suo odio per loro, cosa a cui risposi con un sorrisetto.

“Comunque mi vendicherò.”

Le lanciai un'occhiata.

“Come sarebbe? Non vuoi trascinarmi in esperienze strambe, vero?”

“No no…”

“E allora cos'hai in programma?”

“E' una sorpresa.”

Avvertii uno strano presentimento.

Spazio autrice: ciao a tutti! Pubblico in fretta il secondo capitolo perché la scuola si avvicina: è l'ultima domenica di agosto e so che quando la scuola inizierà sarà molto difficile per me trovare il tempo di scrivere, perciò cerco di farlo adesso.
Questo capitolo serviva più da caratterizzazione dei personaggi che altro, dai prossimi comincerà la parte più interessante della storia. Intendo far fare alla protagonista tutte le follie che mi vengono in mente, possibili naturalmente a diciassette anni in vacanza senza genitori; in seguito rivelerò anche il motivo per cui le rimane solo una settimana prima che la sua vita cambi completamente. Per ora, lo lascio immaginare a voi ;)
E' inutile dire che le vostre recensioni sono sempre attese e gradite, nel frattempo buona lettura! :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Divertirsi ***


Capitolo 3 – Divertirsi

 

Rimanemmo in spiaggia fino a ora di pranzo; riuscii persino a trascinare Lia in acqua e ad impormi un po' di entusiasmo mentre cercavo di dimenticare che quei giorni erano solo una breve distrazione prima del Giorno. Ormai nella mia testa lo pensavo così: il Giorno in cui tutto sarebbe cambiato, in cui le cose si sarebbero complicate, in cui la mia vita non sarebbe più stata la stessa. Ce l'avrei fatta a reggere, di nuovo? Ne dubitavo. Volevo solo dormire per giorni e giorni, cadere in letargo e svegliarmi quando tutto era finito. Non ne potevo più.

Ma ero abituata ad ingoiare il boccone amaro, perciò sorrisi a Lia e cercai di divertirmi. Quando lei uscì -infreddolita e fradicia-, io andai con la testa sott'acqua e nuotai al largo osservando il fondale. La luce del sole lo riempiva di riflessi, colti dalla sabbia dorata e dalle conchiglie; la pace lì sotto era incredibile. Se avessi potuto vi sarei rimasta per giorni… Ma riuscii a farlo solo per due ore, arrivando quasi fino alla fine del pontile a nuoto e osservando i pesci senza pensare a niente. Solo a quel punto guardai l'orologio e mi accorsi di tre cose: era mezzogiorno, il mio stomaco brontolava e le mie dita erano tutte raggrinzite a forza di rimanere in acqua.

Mi voltai verso la spiaggia, ormai lontana, e vidi Lia che dormiva al sole. Ebbi una mezza idea di schiaffeggiarla mentre tornavo da lei, ma nel frattempo pregavo che non si fosse scottata o presa l'insolazione che temevo. Quando arrivai da lei vidi che per fortuna non era così e tirai un sospiro di sollievo.

“Ehi Lia, sveglia.”

“Mmmmmm.”

“Lia?”

Lia borbottò qualcosa come sto per sputare un'arma letale contro gli orologi e aprì un occhio. Ecco, lei non avrebbe mai avuto i problemi di una persona normale: insonnia e grasso. Forse gli unici che mi convincevano che fosse umana erano i brufoli, ma per il resto non sapevo davvero come facesse.

“E' ora di pranzo.”

“Non voglio il manzo...” mugolò e si girò dall'altra parte.

“Ma che manzo, alzati! È mezzogiorno e hai comprato un chilo di cioccolato, altro che manzo.”

“Mh.” Lia avrebbe davvero potuto andare in letargo. Mi chiesi se potesse insegnarmi come fare, così avrei potuto andarci anch'io e svegliarmi solo quando le cose sarebbero state più facili. Per un attimo, mentre la scuotevo con una certa esasperazione, immaginai schiere di medici confusi ed esterrefatti a spiegare ai nostri genitori che per qualche motivo il mio corpo e quello di Lia avevano affrontato lo stesso processo di letargia degli animali e che si sarebbero risvegliati a primavera.

Anche a lei avrebbe fatto comodo scappare, pensai. Forse la vacanza, dopotutto, non era solo per me: ogni tanto dimenticavo che non ero solo io a soffrire. Sua nonna, la persona che più adorava al mondo, era malata da due anni e sua madre sarebbe finita in carrozzella a breve. Era ironica, la nostra coppia, e quando l'avevo scoperto mi ero chiesta se per caso non fosse qualche entità superiore a mandarmi un segno; obbiettivamente, era bislacco che lei fosse in quella situazione e io avessi la madre col cancro. Sempre se non contavamo il fatto che la stessa malattia si era portata via una delle mie migliori amiche due anni prima.

Alla fine, accantonati i pensieri tristi, riuscii a convincere Lia che poteva arrivare fino all'appartamento e che poteva farlo per il cioccolato e che, sempre per mangiare cioccolato, avrebbe potuto evitare un'insolazione; con la febbre, le dissi, non si mangia cioccolato.

“Cosa facciamo per pranzo?”

Lia parve pensarci.

“Marshmallow con panna e cioccolato. O gelato.”

“Io non credo che sia molto salutare...”

“Ma ti rimane solo una settimana.”

“Ma avremo il mal di pancia!”

“Quale mal di pancia! Io ho mangiato anche latte e biscotti a pranzo, e non ho pur avuto niente.”

“Sì, ma tu sei tu e lo sai che a me basta poco per stare male dopo...”

“No. Non se ne parla, devi mangiare marshmallow per pranzo almeno una volta nella vita!”

“Io...” poi però ci pensai bene e mi accorsi che in effetti aveva ragione lei: mi rimaneva solo una settimana prima che tutto cambiasse e in quella settimana era giusto che io facessi tutto quello che non avevo mai fatto. Perciò… “Sai che forse li mangio volentieri?”

Lia mi guardò stranita.

“Davvero?”

Annuii.

“Oh. Be' fantastico! Credevo che ti saresti opposta fino alla fine, sai?”
“Lo credevo anch'io, ma mi sono accorta che ultimamente non ho le idee molto chiare su cosa credo.”

Finimmo per mangiare una pasta con ricotta e noci e un dessert a base di cioccolato, panna e marshmallow. Lia adorava la pasta con ricotta e noci, ma io non sapevo proprio cosa ci trovasse visto che era troppo dolce e a me non piaceva per niente, proprio come la sua amata Coca Cola; per inciso, non che non mi piacesse, ma la vomitavo sempre.

Sedute a quel tavolino, dove tante volte eravamo state io e la mamma, sentii di nuovo la nostalgia attanagliarmi le viscere e chiudermi la gola; per un attimo la pasta ebbe un sapore tremendamente acido, perciò mi costrinsi a bere un bicchier d'acqua e a guardare direttamente il sole fuori dalla finestra. Era un trucco che avevo imparato negli ultimi anni, quello di fissare la luce intensa per smettere di piangere.

“Pensi che a casa l'abbiano scoperto?”

“Forse. I tuoi a che ora tornano dal lavoro?”

“Mia mamma alle tre, mio padre alle sette.”

“Allora no. I miei di sicuro crederanno che io sia da te.”

Lanciai un'occhiata titubante al telefono dall'altra parte della stanza; era davvero una buona idea quella di non chiamare a casa? Cioè, essere lì era fantastico e tutto –più o meno-, ma i miei si sarebbero preoccupati e visto com'era la situazione a casa non era il massimo... Ma poi c'era anche il fatto che se avessi chiamato mi avrebbero detto di tornare subito a casa. La mia testa si annebbiò di nuovo e la fame sparì mentre mi rendevo conto che io non avevo nessuna voglia di tornare là. Sapevo, sapevo benissimo che soffrivano anche loro, ma io ero stanca e non riuscivo a sopportare l'idea di vedere mia madre stare male ancora e di rimanere lì a guardarla impotente, mentre mio padre la fissava con lo sguardo che più odiavo al mondo, quello di una persona che viene ferita da lame invisibili e non può farci niente.

Una settimana ancora e tutto sarebbe tornato così: mia madre sarebbe stata operata di nuovo a causa della malattia, e l'operazione aveva due possibilità soltanto. Poteva andare bene o male, il che significava che se fosse andata male la mia vita, da precaria che era, avrebbe fatto un orrendo salto nel vuoto e io sarei precipitata nell'abisso che tanto temevo. Non ero abbastanza forte per sopportare tutto questo senza crollare un'altra volta; ce l'avevo fatta l'anno precedente, ma adesso...

“Tessa?”
Alzai lo sguardo rendendomi improvvisamente conto di essermi dimenticata della presenza di Lia.

“Sì?”

“Prendo i marshmallow?”

Annuii. Si alzò e sparì diretta verso il frigorifero, ricomparendo un istante dopo con in mano cioccolato, marshmallow e gelato.

“Ti ho mai raccontato quella di mia mamma? Quando si è ammalata mia nonna?”

Scossi la testa svogliatamente, poco propensa ad ascoltare; volevo bene a Lia, ma era un brutto periodo e io non riuscivo a concentrarmi nemmeno sui libri, figurarsi sulle parole di una persona. In ogni caso, afferrai un marshmallow e ascoltai distrattamente.

“Quando le hanno fatto la diagnosi diciotto anni fa, mia mamma era veramente depressa.”

“Ma non mi dire.”

“Sì, be', ha smesso di andare al lavoro e si è piazzata sul divano per giorni. Pensa che era anche incinta di me. Mio padre allora l'ha lasciata stare per qualche giorno, ma dopo un po' si è stufato di vederla sempre lì e le ha detto che se proprio doveva stare sul divano, almeno doveva mangiare qualcosa, così quella sera le ha portato a casa una vaschetta di gelato enorme, di quelle per sei persone o giù di lì. Mia madre si ricorda ancora i gusti: cioccolato, bacio e… Forse qualcosa col rum. Insomma, mio padre le ha dato vaschetta e cucchiaio e ti garantisco che la mattina dopo era in piedi ed è riuscita persino a sorridergli.” Lia mi sorrise come per rincarare la dose “Perciò” prese la vaschetta del gelato e me la piazzò davanti “mangia.”

Guardai storto la vaschetta, però se funzionava... Magari la nebbia nella mia testa se ne sarebbe andata e io avrei smesso di sentirmi stanca e affaticata. Aprii la vaschetta e affondai con decisione il cucchiaio nel gelato al cioccolato.

“Ecco, brava. Vedi che lo sai fare?”

Mugugnai qualcosa che a voce sarebbe stato un accidenti a te, ma che in realtà era quanto di più simile a un hai ragione tu che l'orgoglio mi permettesse di ammettere, e Lia per fortuna lo sapeva bene. Un altro dei vantaggi di conoscere una persona.

“Dovrei denunciarti per sequestro e rapimento.”

“Impossibile. Eri consenziente.”

“Ogni tanto dimentico che studi diritto.”

Lia ridacchiò mettendosi tre marshmallow in bocca.

“Vorrei dimenticarmelo io.”

Fissai meditabonda il gelato e mentalmente mi chiesi quante calorie ci fossero lì dentro. Un migliaio di sicuro. Lia non ingrassava, ma io sì e se quella vacanza continuava così entro tre giorni sarei stata una balena con un numero indescrivibile di foruncoli in faccia a causa del cioccolato.

“Vieni a correre con me domani mattina?” dovevo pur fare qualcosa, no?

Lei alzò la testa dal pacchetto -già vuoto- di marshmallow e mi fissò come se le avessi proposto di deporre un uovo di struzzo in salotto e poi portarlo al figlio della proprietaria come dono di nozze.

“Che? Correre? Stai scherzando spero! Io non faccio quella roba lì!”

Ecco. Un altro fantasmagorico aspetto della vita di Lia era che lei odiava lo sport, e non era perché, come sosteneva lei, era goffa e impacciata, ma perché lei non voleva fare fatica e detestava il sudore. Ancora non riuscivo a capacitarmene.

“Ma dovremo pur smaltire tutta questa roba, no?”

“Be' vorrà dire che... Nuoteremo! Sì, con i pesci.”

Non era una cattiva idea, non fosse stato che Lia galleggiava, non nuotava. Provai a pensare a qualcos'altro, ma quasi in tutti i casi servivano pattini, una bici o cose che noi non avevamo; avrei potuto proporre la pallavolo, ma eravamo entrambe disastrose in quello sport.

Già esasperata dall'impossibilità di trovare qualcosa da fare, ci rinunciai e lo annunciai con un gesto della mano.

“Pazienza. Faremo qualcosa, mi verrà un'idea.” e poi, mancava solo una settimana. Se mia mamma fosse stata male, cosa sarebbe importato che io fossi grassa? Presi con decisione una cucchiaiata di gelato e non ci pensai più.

Dopo mangiato la mia pancia era troppo piena e io ero decisamente sonnolenta, cosa quanto mai strana visto che di solito non riuscivo mai a dormire di giorno, anche se stavo spesso rintanata a letto, ma per una volta fui io a crollare addormentata sul letto. L'ultima cosa che sentii fu Lia che ridacchiava:”Mi sa che ti ho proprio stesa.”

Ancora una volta aveva ragione.

 

Mi svegliai alle quattro di pomeriggio passate; la luce illuminava l'appartamento, la tv era accesa e trasmetteva un programma sui fantasmi che Lia adorava. Avevo la bocca asciutta e mi sentivo come se avessi dormito per mesi invece che per poche ore, perciò alzare la testa e guardarmi in giro richiese un certo sforzo fisico e psicologico.

Quando ci riuscii vidi che Lia era seduta a gambe incrociate sull'altro letto e leggeva.

“Ehi.” la mia voce era decisamente tremenda.

“Ehi, sei sveglia?”

“Più o meno.” mi misi faticosamente a sedere “Che sonno...” brontolai stancamente. Dovevo avere un aspetto veramente terribile, perché Lia mi guardava con un certo interesse. Appena riacquistai una certa facoltà mentale le chiesi cosa avesse in programma per il resto del pomeriggio, ed è inutile dire che chiuse subito il libro ed esibì il suo miglior sorriso da ora che ti sei arresa posso farti fare qualsiasi cosa. In parte era vero, e in parte speravo che se avessi continuato a fare quello che diceva avrei dormito un'altra volta come avevo appena fatto; erano mesi che non dormivo così. Niente sogni, niente incubi, niente risvegli improvvisi senza nemmeno saperne il motivo, niente di niente. Volevo davvero avere una notte così.

Improvvisamente sentii un lampo di gratitudine verso Lia e le sorrisi.

“Facciamo merenda?”

“Hai fame?”

“Diciamo di sì.”

“Oh, finalmente!” balzò giù dal letto e sparì nell'angolo cottura diretta al frigorifero. Poco dopo sentii la sua voce ovattata provenire da lì. “Allora, preferisci le crepes, i biscotti al cioccolato col latte, il gelato, barrette di cioccolato, krafen o muffin? Ah, e c'è anche la pizza qui.”

“Biscotti al cioccolato col latte, senza dubbio.”

“Mh, io credo che prenderò i muffin.” ah, l'insensatezza dell'ingozzarsi di dolci... Tremavo al pensiero del mal di pancia, ma per il momento non era un problema mio, perciò mi alzai e mi sedetti a tavola. Lia mi passò tazza, latte e biscotti e poi prese dei muffin grandi quanto palle da bowling e affondò allegramente la faccia nel primo. Non riuscii a trattenere un sorriso.

“Se mai andassi a cena con la regina d'Inghilterra, avresti qualche problema con le buone maniere.”

Lia mandò giù un boccone e poi replicò:”Non mi serve andare fino là; ti immagini quando andrò a cena con il mio fidanzato? Non potrò mangiare niente! Io non mangio, mi ingozzo! E poi a tavola mi cade sempre qualcosa. E se gli tiro addosso il piatto?”

“Gli macchierai la maglietta e lo trascinerai romanticamente in bagno per ripulirgliela, allora starete tanto vicini, vi guarderete negli occhi e vi bacerete.”

“Tu hai tanta fantasia.”

“Oh, lo so” ridacchiai. Me lo dicevano anche in troppi che avevo un sacco di fantasia. Tornava utile nelle situazioni più buie: semplicemente me ne andavo con la mente. Mentre ci pensavo guardavo fuori dalla finestra e sgranocchiavo i biscotti, e improvvisamente mi venne in mente che la vacanza tra me e Lia poteva essere proprio tra le mie fantasie. La guardai di sottecchi mentre affrontava il secondo muffin e sorrisi tra me e me. Aveva avuto davvero una grande idea.

“Stasera andiamo per negozi?”

Mi guardò con una certa soddisfazione.

“Diciamo di sì.” le lanciai un'occhiata sospettosa, che lasciava intendere non farmi fare pazzie e non so a cosa stai pensando, ma non ci provare, ma parve candidamente immune. Aveva qualcosa in mente.

“Lia”

“Sì?”

“Cosa credi di fare?”

“Di mangiare il muffin?”

“Dai sul serio. So quando hai qualcosa in mente.”

“Non ho niente in mente!” ma ridacchiava e quando lo faceva mentiva. Era statisticamente provato dalla sottoscritta. Cosa dovevo aspettarmi? Passai in rassegna le tipiche cose folli che Lia avrebbe potuto farmi fare lì: tatuaggi, anche se senza la firma dei genitori era improbabile, nuotate notturne, discoteca. L'ultima mi sembrava la più probabile; la sola idea fece sprofondare il mio cuore nei piedi e lo rispedì nella mia gola. Un posto chiuso, con rumori forti e tantissima gente, molto probabilmente maniaci, e alcolici, droga, fumo, un posto chiuso, luci di ogni genere, un posto chiuso, gente inquietante, un posto chiuso, un posto chiuso... Odiavo i posti chiusi e stretti. No, non odiavo i posti in sé, odiavo come mi facevano sentire in trappola e come andavo in tilt quando vi finivo dentro.

“Non verrò in discoteca.”

“Non ho detto che andremo in discoteca.”

“Ma l'hai pensato. Ammettilo.”

“Non è vero.”

Ridussi gli occhi a due fessure e cercai di usare quei trucchi che nei film funzionano sempre, come guardare malissimo qualcuno per un po' finché non confessa. Evidentemente io non ero portata per questa grande arte, perché Lia continuò a mangiare indisturbata il suo enorme muffin e a bere quantità industriali di latte.

“Mi prometti che non ci andremo?”
“Uhm... Sì.”

“Hai esitato.”

“Non ti ci porto, tranquilla.”

La discussione si concluse così, perciò finimmo la nostra merenda –i biscotti al cioccolato erano divini- e ci cambiammo per andare in spiaggia; misi un costume a margherite azzurre e e bianche. Per quanto mi riguardava era assolutamente terribile, ma era uno dei pochi che Lia mi aveva messo il valigia; osservando quelli presenti, mi accorsi che erano uno più colorato dell'altro. Neanche uno nero.

“Vedo che il nero è bandito completamente dai costumi di questi giorni, eh?” brontolai entrando in cucina. Lia ridacchiò esibendo il proprio costume rosa, e disse allegramente:”Prima o poi dovevi smettere di vestirti di nero, no? E poi quel costume è fantastico. Sembri una principessa dei fiori.”

“Questo sì che mi rende felice...”

Presi un paio di pantaloncini e indossai una canottiera rosa; se dovevo sembrare palesemente ridicola, tanto valeva farlo per bene. Non misi neanche un velo di trucco e non mi disturbai a raccogliere i capelli come facevo di solito, così fui certa di somigliare a qualcuno che era appena sceso dal letto e se ne fregava beatamente.

Afferrai la mia borsa per la spiaggia e seguii Lia fuori dall'appartamento, ma facemmo appena in tempo a uscire che ci imbattemmo in qualcuno che saliva portando con sé un secchio pieno d'acqua, una scopa e una decina di prodotti per le pulizie. Quando capii chi era era troppo tardi per tornare indietro, perché Lia aveva già chiuso a chiave la porta, perciò mi sentii arrossire dalla testa ai piedi: non era possibile che, una volta tanto che uscivo conciata così, mi ritrovassi davanti l'unico ragazzo dell'appartamento! Meditai di nascondermi dietro Lia, ma appena vide la ghiotta occasione mi si piazzò dietro e prese a darmi decise spintarelle verso di lui; oh, quanto odiavo quelle situazioni! Il ragazzo alzò la testa e ci fissò con quella che mi parve una certa perplessità, poi sorrise e ci salutò.

“Ciao!” rispose Lia, entusiasta.

“Ciao.” risposi io, imbarazzata e furiosa con me stessa per essermi conciata così. Lui se ne andò -lo vidi entrare nell'appartamento otto- e noi scendemmo le scale dirette alla spiaggia; naturalmente la mia amica aveva un sacco di cose da dire.

“Quello fa palestra, è evidente. Ed è bellissimo! Oh, ma dai Tessa dì qualcosa! Come puoi essere così insensibile?”

“E' carino e tutto,” ammisi, “ma non mi interessa.”

“E poi ti ha sorriso!” esclamò deliziata.

“Per fare il suo lavoro.”

“Sì, ma... Ma voi dovete stare insieme! Io vi ci vedo già insieme, siete perfetti!”

Era inutile dire a Lia di smetterla o cercare di spiegarle in modo cortese che io avevo troppe cose per la testa per pensare anche a un ragazzo, e non lo dicevo solo per fare la pretenziosa o per mentire a me stessa: avanti, chi avrebbe mai potuto volere una come me, con la vita tanto incasinata? Mia madre aveva il cancro, io ero triste sei giorni su sette e la mia esistenza viaggiava sulle montagne russe e dipendeva da referti e analisi. Io stessa non mi sarei voluta come fidanzata.

Cercando di scacciare i pensieri come questo dalla mente, mi voltai verso Lia:”E tu perché non ci provi con lui?”

Scrollò le spalle.

“Non è il mio tipo e poi non voglio trovarmi un ragazzo prima dell'università.” lei progettava di andare a fare l'università all'estero, per questo aveva sempre detto di non volersi impegnare con nessuno nel caso in cui avesse dovuto partire e andarsene. Odiava gli addii e finché poteva evitarli l'avrebbe fatto. Per quanto mi riguardava, invece, sarebbe stato anche interessante trovare un fidanzato -non fosse stato per la situazione a casa-, ma volevo studiare medicina -anche ammesso che fossi passata all'esame- e sapevo che sarebbe stato faticoso e avrebbe impiegato gran parte del mio tempo.

“Hai ragione.” mi limitai a replicare a Lia mentre arrivavamo in vista della spiaggia. La marea si era abbassata rispetto al mattino e aveva scoperto alcune isolette di sabbia qua e là, cosa che mi fece pensare a tutte le conchiglie emerse dal fondale. Appoggiai subito la borsa e, una volta in costume, andai a raccoglierne alcune con una mezza idea di farne una collana o un ciondolo di qualche genere. Lia invece andò a fare una passeggiata sul pontile, poi nuotammo insieme, così il pomeriggio trascorse languido e tranquillo sulla spiaggia col rumore delle onde e la luce del sole. Verso sera si alzò una brezza fresca che ci annunciò l'ora di cena, perciò ci alzammo e ci dirigemmo di nuovo in appartamento dopo aver raccattato tutte le nostre cose, ma prima di seguire Lia mi voltai per un attimo verso il faro. Il sole stava tramontando sulla superficie dell'acqua, il paesaggio era mozzafiato e quello era uno dei pochi posti al mondo in cui mi sentivo a casa. Sentii il mio cuore scaldarsi a quella vista e mi accorsi che in fondo, nonostante tutto, potevo davvero essere felice ancora una volta, perché ne sarebbe sempre valsa la pena.

Mantenni quest'umore per un paio d'ore, finché Lia non fece crollare la mia nuvoletta rosa:”Metti una minigonna, Tessa!”

Avevamo appena cenato e io stavo leggendo, quindi non appena la sentii farmi questa proposta assurda quasi mi venne un infarto.

“Perché? E comunque non ho minigonne, sai che non le metto mai.”

“Allora metti un paio di pantaloncini corti.”

“E il motivo sarebbe...?”

“E' una sorpresa.”

“Ne ho abbastanza di sorprese...” replicai cercando di tornare al mio libro, ma Lia mi strappò il libro di mano.

“Tessa, avanti.” mi afferrò il polso e mi trascinò riluttante in camera da letto, dove iniziò un'accurata ricerca nella mia disordinatissima valigia e trovò -sorpresa!- una gonna nera e un top. Dove li avesse presi, parola mia, non ne avevo idea, ma era evidente che in qualche modo doveva averli trovati e portati lì.

“Mettili.” ordinò. Titubante guardai la gonna attillatissima, la indossai con una certa difficoltà e poi fu la volta del top, che lasciava la mia pancia allegramente scoperta. Infine, mi porse un paio di tacchi neri. Almeno con il colore ci aveva azzeccato. Aprì un'anta dell'armadio che rivelò uno specchio intero e indicò entusiasticamente la mia immagine riflessa, dalla sua espressione capii che dovevo sembrarle una divinità ma quello che vedevo io era una ragazza a disagio strizzata in una gonna che non le piaceva.

“Tessa sei fantastica! Ora truccati e pettinati mentre io mi vesto.” tutta quella storia stava cominciando a sembrarmi come il padrone che ordina qualcosa al cagnolino, ma ero troppo inebetita dalla mia stessa vita per accorgermene e... Non avevo afferrato il succo della situazione, perché quasi mi morsi la lingua dallo spavento quando me ne accorsi.

“Non usciremo mica così, vero!?” la mia voce era salita di venti ottave. Lia alzò sorpresa la testa dalla sua valigia a fiori.

“Ma certo che sì, invece!”

“Non vengo in discoteca!”

“Oh, e insomma, chi ha parlato di discoteca?”

Ammutolii. In effetti... Sospirai sconfitta e guardai sconcertata il mio disdicevole abbigliamento. Non avevo molta voglia di uscire conciata così in generale, ma per una volta non era un dramma, vero? Era la mia ultima settimana prima che le cose diventassero difficili e dolorose, potevo anche permettermi di fare qualcosa di strano, e poi c'era gente che si tingeva i capelli di verde e di blu, perché io non potevo indossare una gonna con un top? La gonna poi non era molto corta.

“Vado a truccarmi.” annunciai decisa, diretta verso il bagno, e consapevole del fatto che Lia stava meditando di mettere una canottiera con almeno trenta colori diversi; consideravo un vero mistero la presenza di tanti colori in un pezzo di stoffa così piccolo.

Meno di mezz'ora dopo eravamo uscite dall'appartamento e Lia mi stava guidando tra le strade della cittadina illuminata dai lampioni e piena di gente che andava per negozi. Ce n'erano di tutti i tipi: librerie, negozi di vestiti, cartolerie e negozi di dolci. Erano tutti aperti, accoglienti, con vetrine vivaci e l'aria aveva l'odore del sale, del mare e della libertà.

Lia svoltò bruscamente a sinistra e dall'aumentare della brezza capii che ci stavamo avvicinando alla spiaggia, ma non solo a quella: al rumore delle onde infatti si sovrapponeva quello di una musica ritmata, di persone che parlavano e che potei vedere appena arrivammo dove lei era diretta. Era una specie di bar con -da quanto avevo capito- una discoteca all'interno e pareva strapieno di persone, chiaramente giovani, alcune delle quali si disperdevano nella spiaggia notturna, altre rimanevano lì vicino con i bicchieri in mano e altre ancora entravano.

Lia mi prese per il polso e mi tirò verso l'entrata, ma io sentivo ogni muscolo del mio corpo irrigidirsi al pensiero della nostra meta. Oh, col cavolo che sarei andata in quella totale confusione di posto! E poi non eravamo nemmeno maggiorenni, dubitavo seriamente che ci facessero passare... O almeno questo fu quello che pensai fino al momento in cui mi ritrovai all'interno del locale, con la musica che mi inondava le orecchie, le luci che confondevano ogni mio pensiero e una marea di gente, unita a un caldo terribile.

Lia si mise a ballare e io la fissai, metà incavolata e metà irritata come non mai. Non sapevo neanche quale delle due essere, sapevo solo che volevo uscire il prima possibile da lì e che quello non era il mio posto, per quanto lei cercasse di tirarmi con lei sulla pista. Io non sapevo ballare. Ed ero consapevole che per quel tipo di ballo bastava lasciarsi andare eccetera eccetera... Be', io non sapevo come lasciarmi andare! Era davvero così difficile da accettare? Ero venuta con lei in quella vacanza folle, avevo fatto tutto quello che mi aveva detto e ora probabilmente i miei erano preoccupatissimi e in pensiero, e si chiedevano dove fossi finita. Li avrei chiamati in quel preciso momento, decisi, e avrei chiesto loro di venire a prendermi. Aprii la borsa con decisione e... Non c'era il cellulare. In un attimo di panico ricordai che l'avevo abbandonato sul mio letto quando avevo seguito Lia fuori dall'appartamento, di fretta perché sembrava che dovessimo andare chissà dove. Maledii lei e le sue idee, maledii me stessa, augurai le dannazioni di tutti i generi al mio cellulare, alla sorte in generale e alla mia stupidità. Ecco, ora mi pentivo davvero di essere venuta via con lei; ma che diavolo mi era passato per la testa!?

Mi voltai verso Lia per dirgliene molto probabilmente di tutti i colori e per annunciare che sarei tornata in appartamento, ma... Lia non c'era. Sentii il cuore andarmi sotto le scarpe e il panico scorrermi nelle vene, invadendo ogni singola cellula del mio corpo dalla radice dei capelli alla punta dell'unghia del piede.

No. No, per favore, no. Non era possibile, non avevo il telefono e non sapevo nemmeno come tornare all'appartamento! E non avevo nemmeno le chiavi con me! O mio Dio, no. Ma dove diavolo era andata!?! Avvertii una rabbia bruciante, seguita subito dopo dal panico in generale per me stessa -vestita così sarei di sicuro stata aggredita da un maniaco- e dal panico per lei: e se le era successo qualcosa? Cercando disperatamente di controllarmi e di ragionare -potevo trovare una stazione di polizia- mi feci strada nella calca di gente che ballava intorno a me e mi guardai in giro, sperando e pregando ogni entità divina di trovarla, ma le luci mi confondevano, la musica era fortissima e il caldo, santo Cielo, il caldo era soffocante. Peggio che soffocante, mi si appiccicava addosso come melassa, facendomi sudare dalla testa ai piedi. Io che evitavo il contatto fisico con tutti, improvvisamente ero finita in una calca in cui toccavo cinque persone insieme nello stesso momento. Non respiravo lì dentro. Mi voltai e mi accorsi che non vedevo neanche più la porta, così mi ritrovai a pensare che non sarei mai più uscita di lì, che non avrei più trovato Lia, che avrei dato solo altri problemi ai miei genitori e che tutto sarebbe andato male, e in quel momento mi guardai in giro e me ne accorsi.

Non. C'erano. Finestre.

Non respiravo, e non sapevo dov'era l'uscita e non capivo niente. Sentii il panico schizzarmi alle stelle mentre quello che era un evidente attacco di claustrofobia si faceva strada in me; come ogni volta che mi capitava, la testa mi si annebbiò completamente e all'improvviso non ricordai più un cavolo. Non ricordai né capii che dovevo trovare Lia, o che dovevo tornare indietro o qualsiasi cosa avessi pensato fino a quel momento. L'unica informazione che il mio cervello elaborò in quell'istante fu:”Devi trovare l'uscita, o è finita.”, così nel panico più totale, a malapena consapevole di quello che facevo, cominciai a correre, spintonando chiunque mi trovassi davanti e disperata.

Non respiro non respiro non respiro era l'unica cosa che pensavo, e l'uscita era l'unica soluzione, ma non capivo niente, solo che non sarei mai uscita da lì che mi avrebbero chiusa dentro per sempre e che la mia gola era serrata, e faceva caldo... Una mano mi afferrò il polso. Inconsapevole di quello che stava succedendo e stravolta, non guardai nemmeno chi fosse e strattonai la mano cercando di liberarmi e di continuare a correre, ma poi con orrore mi accorsi che la voce era maschile e mi voltai.

Mio Dio, questo era il maniaco. Aveva visto una ragazza in minigonna correre su e giù nel panico più totale e quasi in lacrime e ora voleva trascinarla chissà dove per... Era il tipo dell'appartamento. Mi immobilizzai, fissandolo esterrefatta. In realtà, la prima cosa che pensai fu che fosse uno stalker, mi avesse seguita fino a lì e ora progettasse di fare chissà che cosa, ma poi lo guardai e vidi la sua espressione, che era solo confusa, preoccupata e un tantino esitante.

“Stai bene?” udii a malapena il suo grido, sopra il frastuono della musica. Scossi energicamente la testa.

“Devo uscire da qui!” urlai. Mi fece un cenno e continuando a tenermi la mano mi guidò attraverso la calca fino a -fossero lodati tutti i santi del paradiso- all'uscita. L'aria e l'odore del mare mi investirono regalandomi finalmente un lampo di lucidità e aiutandomi a respirare di nuovo. In quel momento mi resi conto che ero ancora mano nella mano con una persona che non conoscevo, di cui non sapevo nemmeno il nome, e che Lia era ancora dentro. Oddio ero la peggiore amica del mondo... L'avevo lasciata là e chissà cosa le era successo. No, un attimo, e se era andata via di sua spontanea volontà? Non poteva essere stata così idiota da lasciarmi lì.

“Ehi.”

Fissai il ragazzo. Mi osservava circospetto, come se si chiedesse se stessi per aggredirlo, ma poi mi resi conto che quasi sicuramente temeva una crisi isterica, visto che dovevo avere l'aria stravolta, il trucco rovinato dalle lacrime di frustrazione nella ricerca dell'uscita e i capelli per aria.

“Ciao. Grazie per avermi aiutata, sono claustrofobica e lì dentro è tutto chiuso, e ho perso la mia amica, sai quella dell'appartamento, no? Mi ha trascinata lei qui. È stata una pessima idea, io non ne posso più e non voglio tornare a casa, e se le è successo qualcosa... E' tutta colpa mia, no non è vero che è colpa mia, ma capisci io non so cosa fare, e dove cavolo è andata!?” ecco. Nelle situazioni di panico io straparlavo. Sempre. Non riuscivo a fermarmi, era più forte di me, e così:”No perché tu non hai idea, io sono finita qui, ma io non volevo! La mia vita era così tranquilla e ora sono arrivata qui e... Aiutami a trovarla! Io so che mi hai già salvata da un attacco di claustrofobia, ma... Ma sei il tipo dell'appartamento! Io non so neanche come tornarci all'appartamento! E me l'ero pure detto: studiati una piantina della città, prendi le chiavi, ma non ho fatto niente di tutto questo, e non ho preso il cellulare e...”

“Ehi ehi, va bene.” alzai la testa e con mia sorpresa vidi che il ragazzo sorrideva con aria divertita. “Non preoccuparti, ti riporto io all'appartamento, va bene?”

Ammutolii. La mia salvezza era a portata di mano, tanto vicina che potevo anche toccarla... Come in effetti stavo facendo, visto che tenevo ancora la mano di...

“Come ti chiami?”

“Daniel.”

“Bene Daniel, io non posso venire con te, non ho nessuna intenzione di lasciare Lia qui da sola.”

Mi sorprese di nuovo quando ridacchiò.

“Ho visto la tua amica dentro, posso andare ad avvertirla se vuoi.”
Avrei voluto andare con lui per accertarmene, ma quando lanciai un'occhiata a quel posto caotico sentii che mi venivano i sudori freddi.

“Vai pure, ti aspetto qui.”

Daniel sorrise e mi lasciò sola per entrare di nuovo e farsi abilmente strada nella folla. Come facesse era un vero mistero per me. Ormai più tranquilla, mi voltai verso il mare e vidi le onde nella notte, sovrastate da un cielo stellato e illuminate di tanto in tanto dalla luce verde del faro al largo della costa. La spiaggia era piena di coppie che, nel buio, passeggiavano o erano sedute sugli sdrai. Vidi qualcuno nuotare nel buio più totale e provai una certa invidia, mi sarebbe piaciuto immergermi nell'acqua sicuramente calda e perdermi nell'oscurità per un po'. Dovevo riconoscere che -discoteca a parte- era proprio una bella serata.

“Tessa!!!” mi voltai di scatto e venni travolta dall'arrivo di Lia, che mi afferrò per le spalle e mi sommerse di parole:”Sta bene?? Dov'eri?? Ho detto che andavo a prendere da bere, e mi è sembrato che mi avessi sentita, ma quando sono tornata non c'eri più, ero così preoccupata! Va tutto bene?”

“Sì sì.” sospirai di sollievo “Pensavo fosse capitato qualcosa a te, piuttosto! Tu e le tue idee...” lanciai un'occhiata piena di gratitudine a Daniel dietro di lei. “Se non ti dispiace io vorrei tornare in appartamento... Troppe emozioni in meno di un'ora.”

Lessi una chiara delusione negli occhi di Lia, che molto probabilmente voleva rimanere a ballare.

“Veramente volevo presentarti degli amici, ci sono anche loro. Dai, Tessa, vieni con me!”

Non volli dirle dell'attacco di claustrofobia, perciò mi limitai a scuotere la testa arricciando il naso.

“Mi spiace, ma fa troppo caldo per me e non mi sento tanto bene.”

“Oh, allora ti accompagno in appartamento.”

“Ma no Lia, se hai trovato degli amici rimani! Dai, non voglio rovinare la serata anche a te!”

“No no, ti accompagno.”

“Davvero, stai tranquilla e vai a divertirti, in qualche modo tornerò in appartamento. E domani sera andremo insieme in giro per negozi, okay?”

Lia non parve molto convinta.

“Sei sicura?”

Annuii energicamente. In qualche modo avrei ritrovato l'appartamento, non doveva essere poi così complicato. Lia allora mi diede le chiavi e mi guardò dispiaciuta.

“Ma sei proprio sicura?”

Annuii di nuovo, ridendo.

“Fila a ballare!” e le diedi una spinta verso la discoteca. A quel punto mi sorrise, ancora dispiaciuta, ed entrò. Tirai un sospiro di sollievo: almeno non avevo rovinato la serata anche a lei.

“Vuoi che ti accompagni all'appartamento?”
Era Daniel. Mi voltai e gli sorrisi.

“No no, penso di riuscire a trovarlo.”

“E' in una zona isolata. Sei proprio sicura?” a quel punto lo guardai, titubante. Non ero esattamente vestita nel modo migliore e mi ero appena sentita male, per non parlare del fatto che in circostanze normali perdevo quasi sempre l'orientamento. D'altro canto, chi non mi assicurava che questo non fosse un maniaco? Ma non conoscevo la strada e avrei potuto tenermi a debita distanza da lui, facendo attenzione alla strada che faceva; bene o male l'avevo già percorsa, avrei capito se avesse cercato di trarmi in inganno. Tentennai ancora un attimo, e infine accettai.

“Se non è un disturbo per te...”
“No, figurati.” quando mi indirizzò un sorriso che avrebbe illuminato tutto il cielo notturno, pensai che sarebbe stata una bella passeggiata.

Spazio autrice: cari lettori, mi dispiace davvero per la lunghezza del capitolo! Mi rendo conto di averlo fatto durare un po' troppo, ma ci tenevo ad arrivare almeno alla parte della discoteca prima di concluderlo. Spero che mi perdoniate e che non lo troviate noioso nonostante la lunghezza; mi sono divertita molto a scriverlo, soprattutto la parte finale, visto che anch'io soffro di claustrofobia :) Se avete domande riguardo a punti non chiari nella storia o avete trovato errori, scrivetemelo pure nelle recensioni; per il resto, come ho scritto proprio in risposta a una recensione, in genere tendo a non dare spiegazioni sui personaggi perché il più delle volte tendo a spiegare i tratti caratteriali o i motivi di certe scelte man mano che vado avanti con la storia, un po' come quando si conosce una persona e la si conosce poco a poco.
Delle due protagoniste della storia posso però dire che adoro entrambe e che mi sembra quasi di vederle nella realtà, amiche nonostante siano tanto diverse tra loro: Lia ha voglia di divertirsi nel racconto e sebbene affronti un dramma in famiglia come Tessa, lo affronta in modo completamente diverso. Forse, proprio questo può aiutare la nostra Tessa, talmente stanca di vedere la sua mamma stare male da essere sprofondata in una sorta di apatia e da rifiutare di uscire di casa.
Ho già in mente svolgimento e, credo, anche conclusione della storia; aggiornerò più o meno ogni settimana (o farlò del mio meglio per riuscirci) e, ora che la storia sta entrando nel vivo, prometto qualche follia in più a partire dal prossimo capitolo. ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Novità ***


Capitolo 4 – Novità

 

Io e Daniel ci allontanammo in silenzio dal frastuono della discoteca e fummo presto accolti dalle calde luci della città, con la gente che passeggiava tra i negozi, i colori vivaci e la tranquillità di una sera al mare d'estate. Tirai finalmente un sospiro di sollievo che non mi ero accorta di trattenere e Daniel, che lo sentì, mi guardò con curiosità.

“E così sei claustrofobica.” questo che era un modo efficace di fare conversazione.

“Già. Lo sono sempre stata un po', ma è peggiorata quando sono rimasta chiusa in ascensore qualche anno fa. Da allora non riesco a stare in uno spazio chiuso.” gli lanciai un'occhiata “Non volevo venire in discoteca, io, ma Lia ha insistito e... La mia situazione è un po' complicata.”

Nel momento stesso in cui lo dissi mi diedi della deficiente. Perché, perché l'avevo detto? Tanti anni, tanto esercizio per non far mai sapere a nessuno della malattia di mia madre, per non ricevere occhiate compassionevoli, per non mettere gli altri a disagio, per non far sapere niente a nessuno e ora cascavo come una mela troppo matura dall'albero!? Fui davvero tentata di scappare e lasciare lì Daniel in modo che non volesse più parlarmi e non sapesse niente più di quello che avevo detto, poi fui tentata di aggredirlo, perché in fondo era colpa sua se l'avevo detto -poteva evitare di accompagnarmi-, ma poi mi sentii in colpa perché si era offerto di accompagnarmi e mi stava aiutando, e infine mi sentii immensamente triste e stanca e tutto questo in pochi secondi. Fatto sta che quando alzai la testa e incontrai il suo sguardo incuriosito avvertii un nodo in gola e capii che se solo fosse stato ancora gentile con me sarei scoppiata a piangere e gli avrei detto tutto della mia vita. Per qualche fortuita ragione, probabilmente Daniel lo capì e cambiò discorso senza chiedermi nulla.

“Posso offrirti un gelato?” la sua domanda mi sorprese talmente tanto che ci mancò poco che mi bloccassi in mezzo alla strada e mi mettessi a fissarlo con la bocca spalancata. Altro che modi efficaci di fare conversazione!

“Va bene” risposi abbozzando un sorriso e cercando di convincermi a non chiedergli perché voleva offrirmi un gelato o cosa gli passasse per la testa. Anche questa volta sembrò capirmi visto che mentre ci dirigevamo verso la gelateria specificò:”Se c'è una cosa che so delle situazioni complicate abbinate ad attacchi di claustrofobia è che il gelato fa miracoli, soprattutto per le ragazze.”

Avvertii una risata in gola che incanalai in un sorriso pieno di gratitudine diretto a Daniel. Non era da tutti regalare un gelato a una ragazza claustrofobica e complicata che ti aveva rovinato la serata.

“Che gusto?”

“Tiramisù” risposi con decisione. Era il mio preferito; di norma non lo prendevo perché c'era il cioccolato, ma quel giorno ne avevo mangiato talmente tanto che ormai non faceva più differenza. Daniel prese due palline, una al cioccolato e una alla stracciatella.

“Penso che il gelato sia una delle migliori invenzioni del mondo.” mi informò.

“Parole sante.” concordai io.

Per un po' ci limitammo a camminare in silenzio, ognuno preso dal suo gelato, poi Daniel parlò e questa volta ero sicura che avremmo intrapreso una conversazione vera, ma con mia sorpresa la cosa non mi infastidì né mi innervosì. Per la prima vola in vita mia, fui felice all'idea di conoscere qualcuno e di parlarci.

“Allora, non mi hai ancora detto come ti chiami.”

“Teresa...” esitai “ma puoi chiamarmi Tessa.”

“Tessa. Hai sorelle?”

“No. Questo è un interrogatorio?”

“Oh sì, in piena regola.” mangiò un po' di gelato “Penso sia indispensabile porre delle domande a una persona per conoscerla. Concordi?”

Esterrefatta e divertita -finalmente una persona diversa- annuii.

“Concordo. Quindi, hai fratelli o sorelle?”

Daniel rise.

“No. Un cane, un gatto e due pappagalli.”

“Anch'io ho un cane” replicai “ma niente gatti, sono allergica. Una volta avevo dei pappagalli, ma non sono durati molto.”

“Come si chiama il tuo cane?”

“Ares. Il tuo?”

“Biscotto. Brutta storia essere allergica ai gatti.”

“Non me lo dire...” brontolai tristemente. Dire che adoravo i gatti era poco, ma non potevo nemmeno avvicinarmi a loro senza iniziare a starnutire a tutto spiano e lacrimare disperatamente.

“Quando l'ho scoperto ci sono rimasta malissimo.” mangiai un cucchiaino di gelato e continuai:”L'ho saputo due giorni prima di portare a casa un gatto di nascosto dai miei genitori. Io e Lia avevamo già progettato tutto, ma quando mi sono rivelata chiaramente allergica non c'è stato più niente da fare e abbiamo dovuto lasciar perdere.”

“La grande professione di nascondere gatti...” sospirò Daniel “Io ho provato a nascondere ai miei Biscotto, ma ci sono riuscito solo per due giorni prima che mia madre lo scoprisse e me ne dicesse di tutti i colori. Alla fine però si è affezionata anche lei.”

“A me è successo lo stesso con Ares!” esclamai, felice di poter parlare del cane che adoravo e con cui convivevo da ormai dieci anni.

“Solo che non sono stata io a nasconderlo, è stato mio padre. L'ha portato a casa mentre io e la mamma eravamo al mare, così quando siamo tornate Ares era già lì e ci è corso incontro.” ricordavo quei giorni con grande affetto. “Sono scesa dalla macchina e ricordo come fosse ieri questa palla di pelo color miele, che correva anche un po' storta, venirmi incontro e finirmi in braccio. Era solo un cucciolotto morbido, quella volta... Ora ormai ha undici anni, quasi dodici.”

Daniel annuì con aria meditabonda; lo osservai per un attimo, cercando di capire a cosa stesse pensando, ma poi si voltò verso di me e incontrò il mio sguardo, così lo distolsi subito e finsi di fissare il gelato, anche se era decisamente uno sguardo troppo intenso e crucciato da rivolgere a un dolce al tiramisù.

“E... Tua madre come ha scoperto Biscotto?”

Parve soffocare una risata.

“L'avevo nascosto nell'armadio: mia madre l'ha aperto per sistemare dei vestiti e lui è uscito.” spiegò con l'aria di chi ricorda una cosa divertente. “L'ha fissato come se fosse un insetto, poi ha fissato anche me come se fossi un insetto e ha fatto la stessa cosa con mio padre quando ha proposto di tenerlo.”

Ridacchiai all'idea di un Daniel-bambino rimproverato dalla mamma mentre cercava di nascondere il cane dietro la schiena; nel farlo non potei evitare di lanciare un'occhiata a quella figura alta e muscolosa che mi affiancava e mi chiesi se fosse davvero stato bambino, anche se era ovvio che lo fosse stato. Notai le spalle larghe, i muscoli delle braccia e... Mi fissava. Arrossii fino alla radice dei capelli.

“E... Uhm, com'è andata a finire?”

“Si è intenerita dopo meno di una settimana mentre cercavamo una casa per lui.” mi indirizzò un sorrisetto che ricambiai appena, imbarazzatissima. Era già la seconda volta che mi beccava a squadrarlo di nascosto, e la cosa era molto, molto, molto irritante: ero abituata a osservare le persone senza essere notata, perciò quest'esperienza era nuova per me.

Quando avvertii lo sguardo di Daniel su di me, mi ritrovai a chiedermi quanto ancora fosse lunga la strada prima di arrivare a quel maledetto appartamento; non era nei miei programmi conoscere una persona nuova e, anche se non era giusto visto che mi stava facendo un favore, mi dava fastidio. Mi dava fastidio che lui fosse lì e cos'aveva da guardare!?

“Lia è la tua migliore amica?”

Alzai lo sguardo, e la sorpresa spazzò via l'imbarazzo e tutto il resto. Quando eravamo arrivati a parlare di Lia?

“L'interrogatorio, ricordi? Per conoscere una persona.” per un attimo fui tentata di dirgli che non erano affari suoi e di mandarlo al diavolo perché tanto sarei stata sola sempre e comunque, ma poi un pensiero fugace mi attraversò la mente: questo era uno sconosciuto che io, una volta tornata a casa, non avrei rivisto mai più. Potevo mettermi in gioco. Tanto, anche se gli avessi dato il mio numero avrei potuto smettere di rispondergli e la cosa sarebbe finita lì; ero in una botte di ferro. Potevo dirgli quello che volevo, non ne avrei subito le conseguenze. Sentii una curiosa sensazione scaldarmi il cuore e le catene che mi bloccavano costantemente ogni volta che conoscevo una persona – un'altra da cui difendersi, un'altra che non avrebbe capito, un'altra a cui nascondere quello che succedeva a casa – si allentarono.

“No” risposi con un sospiro, “Lia non è la mia migliore amica. È una persona che capisce la mia situazione complicata, mettiamola così. Sa quello che provo e lo capisce, tutto qui.”

“E' stata lei a portarti qui?”

“A trascinarmi qui, vorrai dire!”

Daniel mi sorrise, gli occhi che brillavano nella notte piena delle luci dei negozi e dei lampioni, facendomi capire solo con lo sguardo che voleva il resoconto completo della storia, e mentre prendevo un bel respiro per prepararmi a iniziare il racconto di quello che non avevo detto praticamente ad anima viva, mi parve che le persone che ci camminavano accanto sparissero. I rumori intorno a noi divennero ovattati, come fossimo soli lontani da tutti.

“Mia madre...” coraggio, non lo rivedrai mai più “Lei...”

“Ha il cancro?”

Alzai la testa e fissai Daniel esterrefatta. Non c'erano parole per descrivere la mia sorpresa. Oh, lo sapevo, era uno stalker...

“Mia sorella ha avuto la leucemia.” lo disse come se fosse una giustificazione e una colpa al tempo stesso. Non avevo intenzione di dire che mi dispiaceva per sua sorella, ma per un istante pensai lo stesso di farlo, perché non avevo idea di cos'altro dire. Invece alla fine risposi soltanto:”E' stata la notizia più brutta che io abbia mai ricevuto, quando i miei genitori sono tornati a casa in lacrime quel giorno. Ricordo a malapena l'ultimo giorno che ho passato come una ragazzina di quattordici anni normale, o quello che ho fatto prima che la mia vita... Cambiasse con quella di tutta la mia famiglia.”

Quando incontrai lo sguardo di Daniel parve quasi che potesse capire esattamente quello che dicevo, e mi sentii spaesata perché di solito questo mi succedeva solo con Lia. Da quel momento in poi non facemmo altro che parlare: lui mi raccontò di sua sorella, e io di mia madre e stranamente non fece male parlarne. Fu piacevole, perché qualsiasi cosa confessassi a questo straordinario sconosciuto che non avrei mai più rivisto una volta tornata a casa, lui sembrava accettare e condividere tutto, e la cosa curiosa era che sembrava averla vista anche lui in questi termini; per quella sera soltanto saremmo stati l'uno il custode della vita dell'altro, come si fa con un diario, poi non ci saremmo più rivisti. Fu un tacito accordo tra di noi, un accordo che mi fece sentire protetta per la prima volta da tanto tempo, come se mi fossi buttata giù da un grattacielo ma sapessi esattamente le conseguenze del mio gesto e sapessi che ne sarei uscita sana e salva e che sarebbe andato tutto bene. Dopo tanti anni era la prima volta che mi sentivo davvero sicura di qualcosa e mi dava talmente alla testa che quando fummo in vista dell'appartamento guardai Daniel e decisi che tanto valeva finire la giornata in bellezza dando voce alla mia ennesima folle richiesta.

“Hai qualcosa da fare adesso?” si voltò verso di me con un'espressione sorpresa sul viso, ma negli occhi intravidi un guizzo di malizia e divertimento che mi diede coraggio e mi fece sorridere.

“No.”

“Mi porteresti a vedere il faro? Non sono mai stata in spiaggia di notte.”

Daniel mi indirizzò un sorrisetto sghembo che parve quasi illuminare il buio intorno a me e lui e per l'ennesima volta in quella sera mi sentii al sicuro. Per un attimo, ripensando alla giornata, mi resi conto di quanto la mattina mi sembrasse lontana ed irreale, tanto quanto quel momento, ancora più del momento in cui Daniel disse di sì e mi condusse alla spiaggia nella notte buia.

Sentii un lampo repentino di paura quando guardai l'oscurità davanti a me, avvertii il silenzio attorno a noi e ricordai che il telefono era in camera mia; lo stomaco e la gola mi si strinsero in una morsa che cercò di impormi di tornare là dentro al sicuro, aspettare Lia, farle una ramanzina per la serata in generale e ordinarle di riportarmi a casa, ma poi ricordai quello che mi aspettava a casa. Cosa stavo perdendo in fin dei conti? Non ero felice. Mi sentivo incatenata dalla mia stessa vita, imprigionata e terrorizzata. Cosa stavo perdendo davvero? Lia? Ma anche lei soffriva, e il fatto che io soffrissi probabilmente faceva soffrire anche lei e allora che senso aveva essere amiche? Io ero stanca, troppo stanca per pensare e capire la situazione, ed era una stanchezza che non spariva mai, che non se ne andava con una dormita, che rimaneva sempre lì appiccicosa come melassa.

E in virtù della mia incapacità di ragionare e comprendere la situazione feci spallucce, mi voltai e seguii Daniel.

La spiaggia era buia, rischiarata ogni tanto dalla luce intermittente del faro: era verde e illuminava di tanto in tanto le onde con il loro sciabordio ritmico che si perdeva nell'oscurità più totale. Non si vedeva assolutamente nulla ma quel posto aveva qualcosa di sicuro e di attraente, come se ci si potesse perdere lì e dimenticare il disastro delle rispettive vite.

“Mi ha sorpreso che tu sia venuta con me.” la voce di Daniel interruppe il silenzio e capii che anche lui in qualche modo era affascinato da quel posto. Lo vidi fare qualche passo verso l'acqua, perciò tolsi i tacchi e lo seguii sulla spiaggia.

“Ha sorpreso anche me. In realtà in questi giorni non faccio altro che sorprendermi.” ridacchiai e mi parve un suono talmente spontaneo e fuori dal mio controllo che lo ascoltai meravigliata. “Non hai idea di quante volte io e Lia abbiamo fatto liste su liste di cose folli da fare. Quando le dirò di essere venuta in spiaggia di notte con uno sconosciuto dovrà darmi l'assoluto primato per almeno una settimana.”

Sentii Daniel sorridere.

“So troppe cose di te ormai; ricordi la teoria sulle domande? Te ne ho fatte decisamente troppe per considerarti una sconosciuta.”

“Quindi siamo conoscenti?”

“Impossibile. Mi hai confidato troppe cose, come si fa ad essere solo conoscenti a questo punto?”

Scoppiai a ridere.

“Santo Cielo, ma sei proprio sfacciato!” e continuai a ridere.

“No Tessa, non puoi insultarmi se siamo conoscenti” brontolò con tono fintamente altezzoso “A questo punto o mi chiedi scusa o dichiari che siamo amici.” una parte di me protestò; amici!? Ci conoscevamo da quanto, due ore? Ma all'altra parte – quella più presente ora, quella appena ripresa da un attacco di claustrofobia, affascinata da questo tizio e stanca della sua vita – dichiarò che non c'era nessun pericolo e che anzi dovevo finirla di ragionare troppo. Euforica all'idea di essere per la prima volta libera di fare quello che volevo con qualcuno e di non allontanarlo subito da me a causa della situazione a casa, sorrisi e guardai il suo volto nell'oscurità:”Ma certo che siamo amici.”

“Be', questo cambia tutto. Se devo essere sincero non avrei mai pensato che una ragazza me l'avrebbe detto dopo così poco tempo.”

“Quindi ora posso chiamarti Danny?”

“Non ci provare nemmeno.”

Risi per il tono serio con cui si era opposto e immaginai una bella storia dietro quel soprannome, magari un idiota che lo prendeva in giro usandolo o la mamma che lo chiamava così. La proprietaria dell'appartamento in realtà non mi era sembrata il tipo di persona che soprannomina il figlio Danny e gli dà buffetti sulle guance, ma le persone avevano caratteristiche insospettabili che il più delle volte mi lasciavano completamente spiazzata, perciò non esclusi questa possibilità.

“Visto che siamo qui ti va di spuntare un'altra voce sulla tua lista delle cose folli?”

“Oh, non so se mi sento pronta per altre emozioni stasera...”

“Ti va un tuffo in mare?”

“Ritiro tutto. Le emozioni sono parti integranti della nostra vita e mi sentirò davvero felice se spunterò anche questa voce della mia lista.”

Daniel rise.

“Coraggio allora!”

Appoggiai le scarpe a terra, decisa a tuffarmi col vestito – era talmente aderente che poteva tranquillamente essere un costume -, ma vidi che Daniel si toglieva la maglietta. Chiaramente nell'oscurità non vedevo un accidente, però il viso mi diventò lo stesso bollente per l'imbarazzo e fui davvero grata alla sorte che lui non potesse vederlo. Perché non potevo essere più tranquilla ed esperta? Quella situazione mi ricordò che alla mia veneranda età non avevo mai avuto un ragazzo e che molto probabilmente qualcun altra al posto mio si sarebbe tranquillamente portata a letto questo qui senza farsi troppi problemi. Forse se lo aspettava anche lui – le orecchie mi diventarono bollenti – visto che aveva fatto il gentiluomo accompagnandomi in appartamento, a prendere un gelato e persino in spiaggia a un'ora assurda.

O mio Dio, forse se lo aspettava davvero. Era il caso che chiarissi la situazione perché... Io non sapevo niente su queste cose! Andai nel panico, a malapena dissipato dall'acqua che mi lambì le caviglie poco dopo. Guardavo nervosamente Daniel davanti a me, disperandomi e chiedendo aiuto a svariate entità divine perché mi dicessero cosa fare e come spiegarglielo senza metterlo in imbarazzo. Mi diedi della stupida centocinquanta milioni di volte in quei pochi secondi: voglio dire, come avevo fatto a non pensarci? Dai! Lui che non mi conosceva, che mi pescava in giro per la discoteca con un vestito corto e aderente, mi accompagnava a casa sapendo che ero sola, si faceva raccontare tutte le disgrazie della mia vita, faceva il comprensivo, mi chiedeva se eravamo amici e mi proponeva un tuffo notturno in mare… Questo era Come conquistare una ragazza volume primo.

L'acqua ci arrivava ormai alla pancia.

“Mmm... Daniel?”

“Sì?”

“Ehm... Io... Io...”

“Tu?”

“Sì, io...”

“Vuoi che ti accompagni in un'altra impresa folle per caso?”

La risata che feci a quelle parole mi aiutò a stemperare un po' l'imbarazzo di quello che stavo per dirgli.

“Io... Ehm...” non l'avrei rivisto mai più dopo quella vacanza. Avanti, che dramma ne stavo facendo? Potevo permettermi di fare l'idiota, per di più gli avevo già raccontato tutto di me. “Io non ho il ragazzo.”

Daniel scoppiò letteralmente a ridere. Letteralmente. Era piegato in due.

“Questo è un invito esplicito a diventare il tuo fidanzato? Questa non mi era davvero mai successa!” e continuò a ridere. Io, con le orecchie bollenti e il viso bordeaux, negai strenuamente:”No no no no! Cos'hai capito? No, no... Era per... Avvertirti. Ecco... Ah... Ehm... O mio Dio aiutami non so come dirtelo.”

“Non hai il ragazzo perché sei terribilmente pericolosa? Avevo immaginato che quei tacchi potessero essere un'arma letale, ma mi sembravano più dannosi per te che per me...”

“Non... Non parlavo di pericolo. Sì ecco vedi io non so come dirtelo.” presi un bel respiro “Se... Se vuoi qualche ricompensa per questa ehm sera, cioè per il gelato e tutto il resto io... Devi sapere che io non so come fare. Io non ho mai fatto niente del genere, e volevo che lo sapessi perché io ho diciassette anni ma con la malattia della mamma e tutto non ho mai avuto tempo né voglia di pensare a...” mi fermai appena in tempo prima di chiamarlo amico speciale come facevano mia mamma e il prete a catechismo. Conclusi con un “ai ragazzi. Capisci?”

Grazie al Cielo esisteva l'acqua, perché ero davvero accaldata. Non avrei mai immaginato che potesse esistere una conversazione tanto difficile. Daniel rimase immerso in un silenzio perplesso per un po', poi si voltò verso di me e dal tono di voce capii che era davvero sorpreso.

“Mi stai dicendo che credi io abbia fatto tante storie per portarti a letto?”

Il mio cuore fece un balzo, diventai ancora più rossa e iniziai a desiderare ardentemente che la terra o il mare mi salvassero da quella situazione. Mi pentii di averglielo detto; ora mi considerava sicuramente un'idiota pazza e prevenuta... Cosa che in effetti ero. Se voleva essere mio amico era meglio mettere le cose in chiaro.

“Tessa se avessi voluto una ricompensa, come dici tu, non sarei mai venuto da te in discoteca. Senza offesa, ma avevi l'aria completamente stravolta e sarebbe stato sciocco cercare la ricompensa in una persona tanto terrorizzata da non riuscire nemmeno a respirare quando lì c'erano tantissime altre ragazze e quando sapevo che la mattina dopo ne avrei subito le conseguenze. Solo a guardarti si capisce che mi avresti ammazzato.”

Non faceva una piega. Mi sentii subito rassicurata dalle sue parole e la cosa mi fece sorridere, tanto quanto l'acqua che ormai mi lambiva le costole. Era calda e invitante nonostante fosse notte, sembrava quasi magica con la luce del faro, ma allo stesso tempo pareva di essere immersi nel nulla più totale.

“Grazie di avermi aiutata Daniel.” e mi tuffai immergendomi nell'acqua buia.

 

Quando tornammo in appartamento, ore dopo, Lia dormiva già perciò mi tolsi il vestito fradicio e lo appoggiai sul lavandino del bagno, troppo stanca per fare altro. Mi lavai i denti, mi misi una maglietta a caso e filai a letto completamente sfinita. Poco prima di addormentarmi, però, mi accorsi che per la prima volta da mesi e mesi, forse anni, avevo passato delle ore senza pensare a casa, alla malattia e a tutto il resto. Mi ero sentita bene. Non ebbi il tempo di capire quanto fosse strano e assurdo, ma mi addormentai felice.

 

La mattina dopo mi svegliai prima di Lia, com'era giustamente prevedibile visto che lei dormiva sempre fino a mezzogiorno e io mi svegliavo puntualmente alle otto. Mi ci volle un attimo per ricordare la sera precedente e per riordinare tutti gli eventi, catalogare quelli belli e quelli brutti e capire che avevo davvero confessato a Daniel un sacco di cose e che avevo persino ammesso di essere sua amica. Ah, e avevo fatto un bagno notturno in spiaggia con lui.

Una curiosa euforia, che non sentivo da tempo, si impadronì di me e scacciò la stanchezza, ormai di routine, che assediava la mia mente come un esercito ben armato. Erano secoli che non mi sentivo così felice e, come avrebbe fatto Lia, decisi di festeggiare con un bel dolce, così preparai il caffellatte e lo bevvi con un immenso muffin al cioccolato. Mi concessi anche un marshmallow.

Mentre facevo colazione ragionai con calma sulla situazione mia e di Daniel e mi resi conto fondamentalmente di tre cose: primo, era una brava persona a cui avrei potuto donare la mia vera amicizia un giorno, secondo, non l'avrei fatto quando sarei tornata a casa, terzo, avevo una settimana per avere un nuovo amico e non me lo sarei lasciato scappare.

Ora più che mai capivo che avere una cosa, che fosse la sanità mentale o un dolce, per poco tempo era meglio che non averla affatto e andava apprezzata per quel poco tempo. Sospirai e guardai il sole che sorgeva fuori dalla finestra, comunicandomi l'inizio di un nuovo giorno, il secondo giorno di libertà e di vacanza. Chissà come se la passavano i miei genitori a casa... I MIEI GENITORI! O. mio. Dio. Da quanto non guardavo il telefono!? Un attimo, dov'era il telefono!?! Mi alzai di scatto e mi misi a frugare disperatamente tra le coperte ma non c'era, allora guardai sotto il letto e vidi che era caduto poco lontano dal muro. Lo raccolsi in fretta e lo aprii; quasi mi venne un colpo. Dodici chiamate perse! Dodici! DODICI! Santo Cielo, dovevano essere terrorizzati, avevano già chiamato la polizia, la protezione civile, i soccorsi... Composi in fretta il numero e uscii in terrazza con il cuore impazzito dall'ansia. Come avevo potuto credere che andasse tutto bene? Come avevo potuto dimenticare tutto? O anche solo credere di poterlo fare? La mia vita era un'altra, lo sapevo. Che idiozia avevo mai fatto? Era ovvio che fossero preoccupati! La loro unica figlia era scomparsa... Cosa diavolo mi era saltato in testa!?

Il telefono squillò a vuoto tre volte, poi rispose la voce assonnata di mia madre. Grazie al Cielo, mia madre! Mio padre mi avrebbe ammazzata per via telefonica.

“Mamma ciao sono io! Scusa scusa scusa, sto bene, ti prego non chiamare la polizia, mi dispiace, mi dispiace tanto che vi siate preoccupati, io non volevo e...”

“Tessa? Ma che stai dicendo?”

Mi zittii all'istante.

“Vuoi dire che... Aspetta, ma dove pensi che io sia?”

“Non sei andata a un campo di studio con Lia? Sua zia ci ha chiamati ieri sera e ci ha detto del campo di studio per inglese; non riesco a credere che vi abbia pagato tutto lei! Ma ha detto che era un'occasione irripetibile e che la ripagheremo prima o poi.”

Il mio cervello incespicò malamente in quella notizia, ma decise di assecondarla in attesa di capire cos'avesse in mente la zia di Lia.

“Sì sì, siamo al campo di inglese” confermai “siamo arrivate ieri e va tutto bene. Oggi iniziano le lezioni. Mi dispiace di non aver chiamato, ma sono stata impegnata con... Le presentazioni e poi ero molto stanca e sono andata a dormire.”

“Va bene. Per il resto tutto a posto?”

“Sì. Tu... Come stai?”

Un sospiro.
“Come sempre.”

“Mh. Bene, ci sentiamo più tardi. Ciao mamma.”

“Ciao tesoro.”

“Ti voglio bene.”

“Anch'io.”

“Ciao.”
“Ciao.” riappesi. Rimasi immobile e perplessa a guardare il sole che sorgeva e la vista splendida che si godeva dalla terrazza del nostro appartamento, con la cittadina sotto di noi che si svegliava lentamente pronta ad una nuova giornata. L'aria sapeva di mare e i gabbiani volavano alti nel cielo: sarebbero state due cose che non avrei mai dimenticato in tutta la mia vita.

La zia di Lia aveva deciso di nascondere ai miei genitori, e probabilmente anche ai suoi, la vera destinazione del nostro viaggio e anche il fatto che fossimo senza adulti; ma perché? Si sarebbero preoccupati? O forse voleva che all'occorrenza potessimo evitare di essere trovate? Il quadro mi pareva più chiaro adesso: Iris voleva che io e Lia avessimo una via di fuga senza condizioni. Sentii uno slancio di gratitudine verso di lei, perché era arrivata al momento giusto e aveva fatto la cosa giusta. Guardai il cielo e, respirando a pieni polmoni, mi sentii davvero felice di iniziare una nuova giornata.

“Che mal di testa...” la voce di Lia dietro di me mi fece sobbalzare per lo spavento. Quando mi voltai vidi che aveva un aspetto davvero terribile: le occhiaie erano evidenti sul viso pallido, gli occhi rossi e il colorito di una che aveva vomitato di recente.

“Quanto hai bevuto ieri sera?” chiesi ridendo.

“Non tanto in realtà... Piuttosto, tu dove sei stata? Non eri ancora rientrata quando sono tornata io.”

“Ti faccio un caffè e mi prometti di prendere un'aspirina, poi ti racconterò tutto. È una cosa piuttosto complicata a dire il vero.”

Andai in cucina con Lia che si trascinava dietro di me e feci il caffè mentre lei si stravaccava su una sedia e si prendeva la testa tra le mani.

“Aaah, non berrò mai più in tutta la mia vita...”

“Sappiamo entrambe che lo farai” risi io prendendo un'aspirina e piazzandogliela davanti insieme a un bicchier d'acqua. “Manda giù” ordinai con un sorriso. Lia prese tazza e pastiglia come se le costasse uno sforzo immane, ma bevve tutto senza troppi problemi. Appena fu pronto fu la volta del caffè e di una focaccia dolce che avevo comprato per me il giorno prima, dolce che peraltro Lia guardò stupita e forse un tantino schifata.

“Che roba è?”

“Una cosa sana da mangiare dopo esserti ubriacata.”

“Ma non c'è il cioccolato!”
“Lia mangia. Quando starai meglio ti darò il cioccolato, okay?”

“Almeno distraimi intanto. Cos'è successo ieri sera?”

Pregustai la divertente sensazione di avere qualcosa da raccontare per una volta, e non era una cosa qualsiasi: era una situazione con un ragazzo. La prima situazione con un ragazzo, mi resi conto in quel momento.

“Daniel e io...”

Bastò dire questo che Lia alzò gli occhi dal caffè e mi inchiodò sul posto con lo sguardo.

“Me n'ero dimenticata, te ne sei andata con lui!!” la sua voce saliva man mano che finiva la frase “Oddio, perché sei tornata così tardi??” mi fissò per un istante e, a quanto pare, trovò una risposta determinante sul mio viso, perché strillò:”Non è possibile!! Nooo, devi dirmi tutto!! Cos'avete fatto? Ti ha baciata? L'hai baciato?? Tessa ha trovato un fidanzato prima di me, non ci credo!”

Mi aspettavo il suo entusiasmo, ma non avevo calcolato la combinazione Daniel vive di sotto e Lia strilla come un'aquila quando è eccitata per qualcosa. Se era sveglio aveva sentito tutto e se dormiva era stato svegliato e aveva sentito tutto lo stesso, perciò tanto valeva raccontarle ogni dettaglio e sperare che questo non causasse un'altra ridda di strilli. Sfortunatamente non fu così, perché a fine storia, Lia gridò a pieni polmoni – nonostante fosse ubriaca e mezza svenuta fino a un attimo prima – e con grande entusiasmo:”Evviva!! Tessa è innamorata!!!”

“Oh, Lia...” brontolai io. Se non aveva sentito gli strilli di prima, di sicuro Daniel aveva sentito questi. Lia continuò a ricordarmi la situazione tra me e lui per tutta la mattina, come se io non me la ricordassi già abbastanza, e ci mettemmo quasi un'ora prima di uscire per andare in spiaggia dato che voleva vedermi vestita in modo impeccabile e non era mai contenta. Che c'era di male a vestirsi di nero? “Non stai andando a un funerale!” brontolava Lia cercando di rifilarmi un vestitino fucsia. Alla fine il compromesso era stato trovato con un paio di pantaloncini e una maglietta blu scuro, ma non era servito a granché visto che quella mattina non avevamo trovato Daniel né in giro per l'appartamento né in spiaggia.

Quel pomeriggio mentre Lia dormiva di nuovo – all'ombra finalmente – io mi allontanai verso le zone di pesca per una passeggiata in cerca di conchiglie. Non ce n'erano molti, al massimo in cinque: i primi due sembravano anziani, molto probabilmente espertissimi nella loro arte visto che i loro secchi erano praticamente pieni, mentre il terzo era un padre con il figlio. Il bambino cercava di tenere la canna da pesca senza risultato mentre il padre cercava di insegnargli la postura e la stretta giusta. Gli ultimi due pescatori erano più distanti e non riuscivo a vederli bene.

Mentre avanzavo lungo la battigia, chinandomi a raccogliere conchiglie, guardavo il mare e scattavo di tanto in tanto qualche foto col telefono. Mi era sempre piaciuto disegnare e con quelle foto avrei potuto ritrarre il posto meraviglioso in cui ci trovavamo e ricordarlo per sempre.

Alla fine avevo un sacchetto pieno di conchiglie, un sacco di foto ed ero ormai vicina agli ultimi due pescatori: uno era sulla cinquantina e la moglie era seduta su uno sdraio poco lontano, ma non aveva ancora preso niente. L'ultimo era un ragazzo... Che conoscevo bene. Una caterva interminabile di emozioni mi travolse a vederlo: imbarazzo per le cose che gli avevo detto, felicità perché le capiva, tristezza perché sarebbe andata avanti per poco, sicurezza per il solo fatto che era lì. Mi avvicinai.

“Ciao.”

Daniel si voltò e quando mi vide sorrise in quel modo... Quello che mi faceva credere che sarebbe andato tutto bene e che aveva illuminato l'oscurità intorno a noi la sera precedente.

“Ciao Tessa. Hai deciso che mi vuoi come fidanzato allora?”

Scoppiai a ridere.

“No, siamo ancora amici, ricordi? Ho il permesso di insultarti e siamo un po' più che conoscenti.”

Rise anche lui.

“Pescare insieme ci renderà più amici?”

“Oh, non lo so. Suppongo di sì, non sono molto esperta in questo campo.”

“Vuoi provare?” chiese facendo cenno alla canna da pesca, ma io scossi la testa. “No grazie, ma se vuoi ti faccio compagnia. Lia sta dormendo.”

Un sorrisetto malizioso si fece largo sul suo viso.

“Peccato. Avrei voluto sentirla strillare ancora qualcosa di interessante...” quando le guance mi andarono a fuoco questa volta non c'era il buio a nasconderle e questo parve rendere Daniel ancora più entusiasta dell'intera vicenda.

Per fortuna, non fece cenno alla storia dell'innamoramento. Lia esagerava sempre con queste stupidaggini e temevo che fraintendesse se avessi cercato di spiegargli che non ero innamorata di lui né intendevo esserlo perché meditavo di dimenticarlo per sempre di lì a una settimana. Ma per altri sei giorni potevamo essere amici, perciò mi sedetti su un tronco portato dall'acqua sulla spiaggia e decisi di tormentare ancora Daniel con la mia presenza.

“Hai altre esperienze folli in programma?”

Sorrisi.

“Nella lista c'è un tatuaggio, ma devo essere maggiorenne, e indossare un vestito da sposa, ma mi serve un marito e mi pare che devo essere maggiorenne anche per quello. Avevo pensato di ubriacarmi, ma dopo aver visto Lia stamattina ci rinuncio. Poi... Uhm, il fumo mi fa schifo, perciò... Hai una moto?”

“No.”

“Peccato, andare in moto era nella lista. Quindi... Hai qualche idea per caso?”

Daniel sembrò pensarci seriamente per qualche istante, alla fine rispose:”Sì. Ti sei mai distesa fuori a guardare le stelle?”

“Sì, ad agosto.”

“Fatto una passeggiata sotto la pioggia? Senza ombrello ovviamente.”

“Sì, per un gelato.”

“Mangiato qualcosa di strano?”

“Dipende cosa intendi per strano. Una volta, a sei anni credo, devo aver assaggiato le crocchette del cane, se è a questo che ti riferisci.”

“Accidenti. Le cose si fanno difficili. Mai stata ad un concerto?”

“No, ma per farlo servono soldi e la possibilità di arrivarci a un concerto, perciò...” lanciai un'occhiata inquisitoria a Daniel “Stai continuando con l'interrogatorio?”

Il suo sorriso fece sorridere anche me. Come sempre, del resto.

“Diciamo che questo pretesto aiuta.”

“Allora si gioca in due. Tu sei mai stato ad un concerto?”

Da allora fu una sequela di domande e risposte; Daniel era stato al concerto dei Kiss anni prima e adorava il rock. Suonava uno strumento, la chitarra, anche se aveva smesso da diversi anni e aveva fatto nuoto per un po' di tempo fino al suo trasferimento al mare, da allora andava solo a correre. Aveva avuto una ragazza ma si erano lasciati perché lei era piuttosto ossessiva e ansiosa e lo tormentava riguardo a qualsiasi cosa dicesse, persino quando affermava di amarla. Quando lui mi aveva fatto la stessa domanda, avevo mentito e risposto che avevo baciato un ragazzo una volta, anche se non era vero. Non avevo mai baciato nessuno in vita mia.

Rimasi con lui per un'ora o forse due e non parlammo mai di malattie e di sofferenza e io non ricordai niente, nemmeno per un istante. Avevo trovato un vero amico.

Spazio autrice: come ogni settimana, eccomi qui! Pubblico il capitolo a un'ora impossibile di notte perché ci tenevo moto a rispettare il termine di una settimana che mi ero imposta. Come sempre spero che leggerlo vi sia piaciuto nonostante fosse un capitolo della storia non dedicato ad avvenimenti veri e propri, ma solo alla costruzione del rapporto tra Tessa e Daniel e alla sua guarigione dallo stato di tristezza iniziale. Se avete domande potete naturalmente farle nelle recensioni, tuttavia specifico subito che nella parte del dialogo tra i due Daniel capisce subito che la madre di Tessa ha il cancro perché in lei riconosce qualcosa nello sguardo che aveva anche lui quando sua sorella era malata. Ho immaginato che questa parte potesse risultare un po' dubbia, perciò ho deciso di spiegarmi subito :)
Per il resto, progetto di rendere il prossimo capitolo più movimentato e di trovare qualcosa di più interessante per i nostri protagonisti di una tranquilla giornata in spiaggia, ma visto che deve ancora venirmi una buona idea penso che ci metterò un po' più del previsto ad aggiornare. Spero di farcela entro una settimana, altrimenti pubblicherò il quinto il prima possibile.
Buon fine settimana a tutti e, come dice Voltaire nel libro assegnato per l'estate, la scrittura è la pittura della voce.
Baci,
Piuma_di_cigno.
P.S. Il capitolo è stato pubblicato la sera tardi, perciò è molto probabile che troviate qualche errore. Eventualmente scrivetelo nelle recensioni, potrebbero essere soprattutto di battitura ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Insensato ***


Capitolo 5 – Insensato

 

La telefonata arrivò quella sera. Erano le sei, io stavo cercando di preparare una cena decente che non fosse a base di dolci e Lia era appena uscita dalla doccia quando il suo telefono vibrò. Lei lo prese e rispose alla chiamata dopo aver guardato il numero con aria perplessa, cosa che fece pensare fosse qualcuno di assolutamente inaspettato. Invece, a quanto pareva era sua madre.

“Ciao!” osservai l'espressione sul viso di Lia e vidi che da sorridente e cordiale, passava alla difensiva, ma era quel tipo di difesa che lei innalzava solo quando stava per succedere qualcosa di brutto. Sentii una stretta al cuore e la solita morsa d'ansia ricominciò a stringermi la gola. No, no, no.

“Cosa succede?” rimase in silenzio per un attimo. “Mamma, dimmi cosa succede.”

Riguardava di sicuro sua nonna. Di Lia sapevo tante cose sul modo di affrontare i problemi e sapevo che quando erano quelli veri, quelli gravi come quelli di mia mamma e sua nonna, lei preferiva sempre essere all'oscuro di tutto. Desiderava una vita normale, come chiunque altro, e avrebbe fatto di tutto per averla; la capivo anche se non riuscivo a fare come lei. Io avevo bisogno di sapere per stare vicino alla mamma, anche se non ero abbastanza forte e questo mi logorava giorno dopo giorno. Ma c'era un'eccezione alla difesa perenne di Lia: sua nonna. Su di lei voleva sapere, pretendeva di essere informata di tutto, perciò quando sentii il suo tono al telefono capii che era qualcosa di grave.

“Cosa?” fu solo un soffio, quasi un gemito di dolore quando lo disse, ma lo sentii lo stesso e quel tono di voce mi fece rivoltare le viscere e mi gelò il sangue nelle vene. Avrei dato di tutto pur di permettere a lei e alle persone che amavo di smettere di soffrire, pur di smettere di soffrire io stessa con loro. Era brutto pensarci, ma la vita era fatta di catene e ce n'erano alcune che ci legavano alle persone amate; quando quelle precipitavano in un baratro inevitabilmente cercavano di trascinarci con loro. Non era colpa di nessuno se loro precipitavano e se eravamo legati da una catena, tuttavia in ogni momento rischiavamo di cadere anche noi e dovevamo essere abbastanza forti per tenere loro e noi.

Quando mi voltai e guardai Lia in faccia la vidi trascinata sull'orlo di quel baratro.

“E adesso?” al telefono ci fu un attimo di silenzio, poi la voce ovattata di sua madre:”Vedremo cosa fare, ci sono le cure...” il resto me lo persi e Lia non disse una parola fino alla fine della chiamata, quando la salutò e riappese.

Ci guardammo in faccia.

“Cosa succede?”

“E' peggiorata.” indietreggiò fino a sedersi su una sedia, ancora in accappatoio, e fissò il vuoto per un lungo, interminabile istante. Mentre rimaneva lì ferma la osservai: la sua schiena era incurvata sotto un peso insopportabile, i capelli neri spettinati, gli occhi cerchiati dalle occhiaie, il viso pallido, le mani magre. Non era la prima volta che la vedevo così, ma fu comunque un brutto colpo vedere la persona spaventata e sofferente che si celava dietro la sua maschera piena di energia, quella di una diciassettenne che voleva davvero vivere la sua vita.

Poi, cominciò a piangere. Appoggiò la testa sul tavolo seppellendola tra le braccia e si mise a singhiozzare disperatamente. Mentre mi precipitavo da lei, le massaggiavo la schiena e cercavo qualcosa da dire anche se sapevo che non c'era niente che potesse aiutarla, mi chiesi per l'ennesima volta a che cosa servisse tutto questo; lo dicevano sempre, che la vita era difficile, che c'erano tanti ostacoli, ma se significava che era questo che ci aspettava per anni e anni... Allora che senso aveva? Mi sentii stanca e affaticata, come se sulle spalle mi fossero piombati cinquant'anni di vita invece di diciassette. Non era giusto, pensai, ma non lo dissi e mi limitai a consolare Lia e ad offrirle un fazzoletto quando ne ebbe bisogno; pianse a lungo, finché il sole non tramontò, e solo allora parlò.

“E se peggiorasse ancora? Tessa, cosa faccio ora? Cosa succederà?”

La guardai negli occhi e nonostante sentissi la gola chiusa dalla tristezza, riuscii a trovare un po' di calma per lei, perché ne aveva bisogno, e risposi:”Niente. Non cambierà niente. Ci sono passata anch'io, andrà tutto bene. Ti sembra che non sia cosi, ma vedrai che giorno dopo giorno sarà più facile e man mano che andrai avanti capirai che le cose non sono così terribili. Datti tempo, Lia.”

Lei non disse niente e sfortunatamente capivo benissimo il motivo: quella sensazione di vuoto, di smarrimento e di paura che tante volte avevo provato ora invadeva anche lei e le sembrava di sprofondare nel vuoto, stretta in una morsa, mentre si chiedeva cosa fare, come fare, cos'avrebbe fatto, cosa sarebbe successo, se ce l'avrebbe fatta, se avrebbe perso la testa... Allo stesso molto in cui sapevo queste cose, ero anche consapevole di avere davanti qualcuno che non potevo aiutare nonostante lo volessi con tutta me stessa, perciò mi limitai ad andare in camera a prenderle il pigiama e a costringerla a cambiarsi e asciugarsi i capelli, visto che non ci serviva anche un'influenza; quando vidi che si stendeva sul letto dell'altra camera non dissi nulla e la lasciai dormire. Esausta dopo il pianto il suo respiro si fece subito pesante, così chiusi la porta con delicatezza e accesi la tv a basso volume in cucina, ma senza guardarla davvero.

Mi stesi sul letto come in trance: tutta la nostra vita sarebbe stata così? Sentivo la mia testa cercare disperatamente una risposta senza trovarla. Perché soffrire tanto? Doveva esserci altro, ma mi chiedevo se questo altro sarebbe arrivato anche per noi prima o poi. Il peggio di tutto questo era la solitudine; per quanto bene ci conoscessero le persone accanto a noi, per quanto ci amassero e le amassimo, nessuna di loro avrebbe mai potuto tirarci fuori da quel circolo vizioso, dalle montagne russe che erano la nostra vita.

Appoggiai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi cercando di scacciare questo pensiero senza un'argomentazione o un'idea precisa per mandarlo via, la sola convinzione di doverlo fare, e sprofondai in un sonno agitato madida di sudore e con la sensazione di dover scappare via ancora una volta, di doverlo fare per sempre finché non fossi arrivata a un posto sicuro, se esisteva.

Fu lo scatto della serratura a svegliarmi probabilmente, o forse semplicemente la sensazione che qualcosa di fondamentale non andava. Aprii gli occhi con il cuore che batteva all'impazzata come dopo una corsa e la convinzione che fosse successo qualcosa di orribile, tanto che mi alzai di scatto dal letto. La televisione era ancora accesa e trasmetteva un programma di cucina. Era tardi ma non tanto, dovevo aver dormito un paio d'ore al massimo visto che dalla finestra vedevo il cielo ancora chiaro in lontananza. Guardai l'orologio sulla parete e vidi che erano le otto e mezza.

Proprio non capivo cosa mi avesse svegliata di soprassalto in quel modo, come se avessi sentito un forte rumore o avessi avuto un incubo. Probabilmente era così e non lo ricordavo, sospirai tra me e me. Mi sedetti sul letto cercando di recuperare la calma passandomi una mano sulla faccia... Eppure qualcosa non andava. Rimasi sull'attenti, in ascolto, ma continuavo a non avere idea di cosa fosse, quindi mi alzai e presi un bicchier d'acqua; ero solo stanca e un po' spossata per quello che era successo, niente di più, mi ripetei andando su e giù per l'appartamento... Vuoto.

Mi bloccai all'istante. Ecco cos'era! L'appartamento era silenzioso, in qualche modo deserto. Più deserto del solito. Appoggiai subito il bicchiere sul tavolo e attraversai il corridoio fino alla camera, dove spalancai la porta e i miei timori furono confermati all'istante: il letto era vuoto. Le pareti parvero restringersi intorno a me quando vidi che Lia non c'era e la mia testa elaborò almeno trecento diverse teorie su cosa potesse aver fatto o dove potesse essere andata. Mio Dio, e se aveva intenzione di uccidersi? La mia gola si serrò all'istante dal terrore e la mia cena minacciò di risalire dalla sua naturale sede, poi mi resi conto che non potevo neanche vomitare perché non avevamo cenato. Feci un paio di respiri profondi e costrinsi il mio cervello a mettersi in moto e a formulare una teoria, che si risolse più o meno così: se era ancora viva, dovevo trovarla. Punto secondo: se era ancora viva, aveva fatto qualcosa di folle che le impedisse di pensare. Lia non fumava né si sfiniva a forza di sport e non si drogava nemmeno, perciò doveva aver deciso – sempre se aveva deciso qualcosa di sua volontà – di bere. Se era così pensai che potevo chiamarla e, anche se ubriaca, avrebbe risposto, ma poi mi cadde lo sguardo su qualcosa di luccicante sul comodino: il suo cellulare. Non era possibile, accidenti! L'adrenalina mi invase le vene come mi succedeva sempre nelle situazioni di panico e la nebbia nella mia testa fu sostituita da una lucida frenesia: dovevo fare qualcosa. Afferrai un paio di pantaloni neri, una maglia dello stesso colore e un paio di scarpe, mi pettinai e guardai l'ora. Non erano nemmeno le nove, perciò non era troppo tardi per bussare alla porta dell'unica persona che conosceva i dintorni; lui mi avrebbe riportata alla discoteca della sera prima, pensai, e mi avrebbe aiutato a cercarla. Non avevo mai pensato a Lia come a una persona particolarmente sconsiderata, ma mentre chiudevo a chiave la porta e scendevo le scale mi resi conto che non avevo idea di cosa aspettarmi proprio perché non era il tipo da comportarsi così. Sperai che non decidesse di fare qualcosa di irrimediabilmente stupido... Bastava che fosse stupido e non irrimediabile.

Quando suonai il campanello alla porta dell'appartamento numero uno pregai tutti i santi che conoscevo che fosse Daniel ad aprire e che fosse in casa; non avevo idea di come avrei fatto altrimenti a spiegare la situazione a sua mamma o davanti a lei. Passarono alcuni secondi, poi la porta si aprì e appena vidi che era lui fui davvero sul punto di abbracciarlo per la sensazione di tranquillità che trasmetteva e perché io avevo disperato bisogno di tranquillità; lo vidi sorridere e mi sentii meglio. Sarebbe andato tutto bene, perché non avrebbe dovuto?

“Ciao Tessa. Come va?”

“Male. Lia è sparita e non so dove cercarla; penso...” lo guardai negli occhi cercando di prepararmi mentalmente a quello che stavo per dire “che abbia deciso di fare qualcosa di stupido. Qualche ora fa è arrivata una telefonata da casa sua con una brutta notizia e ho paura che sia tornata nella discoteca dell'altra sera per ubriacarsi. Puoi riportarmi là?”

Per un attimo Daniel mi fissò come se fossi scesa da Marte e gli avessi detto una profezia sulla sua esistenza, ma poi vide la mia espressione seria e capì che doveva aiutarmi, perciò si limitò a chiudersi la porta alle spalle e a guidarmi fuori dall'appartamento. Non avevo chiaramente nessuna intenzione di dirglielo, ma ero incredibilmente ammirata per il fatto che ancora una volta avesse deciso di darmi una mano così, senza condizioni. Non potevo spiegare a parole quanto gli fossi grata, anche solo per la sua presenza, per il fatto che camminava sicuro e tranquillo davanti a me come se sapesse già come sarebbe andata a finire la serata e pensasse che sarebbe andata a finire bene.

Lo affiancai mentre ripercorrevamo la strada della sera precedente, aspettandomi qualche domanda – più che naturale e comprensibile – su cosa fosse successo. Attendevo pazientemente che fosse lui a chiederlo, ma tra me e me mi domandavo se fosse la cosa giusta: magari era meglio che glielo dicessi io senza preamboli? Non mi ero mai preoccupata particolarmente di mettere o meno a disagio una persona, perciò pensare a questi particolari era una completa novità per me; avevo conosciuto Lia perché era stata lei a venirmi vicino, le ero rimasta amica perché mi capiva e apprezzavo la sua compagnia per un sacco di buoni motivi, ma non ne avevo mai trovati per desiderare di stare con un'altra persona oltre a lei.

Conoscevo Daniel da due giorni, eppure di buoni motivi per rimanere con lui e conoscerlo ce n'erano: il senso di sicurezza che trasmetteva, la disponibilità, il fatto che riuscisse a farmi sorridere, e che sapesse tanto della mia vita. Avvertii una fitta di rimpianto riguardo alla mia decisione di dare e ricevere da lui tutto quello che potevo in questa settimana e poi dimenticarlo; forse avrei potuto dargli una possibilità anche nella mia vita vera? Ma poi ricordai a me stessa che non ce l'avrebbe fatta e non era giusto pretenderlo. Aveva la sua vita e io la mia, perciò quando lo guardai in viso decisi che avrei permesso a me stessa di fare tutte le cavolate che desideravo visto che avevo così poco tempo per farle.

“Sua nonna è malata e la telefonata da casa diceva che è peggiorata.” Daniel mi guardò con l'espressione di uno che diceva ti capisco e per questo so di non poter fare proprio niente. “Per Lia sua nonna non è solo una nonna; è una madre, una sorella, una migliore amica. Ha un legame unico con lei e ogni volta è un pugno nello stomaco quando le cose vanno così... Anche se scommetto che preferirebbe un pugno vero nello stomaco piuttosto che ricevere altre notizie come questa.”

“Ti sorprendi se ti dico che lo capisco?”

Sorrisi.
“No, per niente.”

Camminavamo affiancati in mezzo alla folla che quella sera andava a prendersi un gelato, per negozi o proprio in discoteca; persone di tutti i generi e le età, alcune felici, altre spensierate, altre con pensieri simili ai miei, ma con l'espressione felice e spensierata. Mi ero sempre chiesta come facessero gli altri a fingere in queste situazioni, a sopportare, a sorridere lo stesso, e quando mia mamma si era ammalata l'avevo scoperto: faceva più male vedere lei che soffriva per colpa della mia sofferenza, piuttosto che vederla stare male a causa del cancro. Guardai di sottecchi Daniel e mi chiesi se dovessi fingere anche con lui che andasse tutto bene, ma a cosa serviva farlo? Avevo solo pochi giorni, volevo davvero che fossero una menzogna? E poi, nonostante la scomparsa di Lia e tutto il resto, mi sentivo strana vicino a lui; era una presenza rassicurante, che mi faceva credere che le cose sarebbero migliorate in qualsiasi caso, che sarebbe andato tutto bene. Quando sentì il mio sguardo su di lui si voltò e sorrise, e ancora una volta il fatto che sorridesse sembrò illuminare l'oscurità della notte, allontanare le voci della folla da noi, entrarmi nel cuore. Non sapevo spiegarmi come fosse possibile: in effetti, si limitava a mettere in moto i muscoli del viso e a stringere un po' gli occhi, ma c'era qualcosa... Erano gli occhi? Il fatto che brillassero? Li guardai bene e vidi che avevano lo stesso colore del cioccolato al latte, erano caldi come quelli di un cervo. Dunque era per questo che reagivo in quel modo? Per un paio di occhi marroni? Oh, andiamo! Imposi alla mia testa di riprendere il controllo e ricordare il motivo per cui ero lì con lui e le spiegai cortesemente che lasciarsi soggiogare così da questo qua sarebbe stato solo causa di una sofferenza maggiore quando di lì a una settimana l'avrei salutato per sempre, ma poi vidi come mi osservava mentre credeva che fossi distratta: come se capisse esattamente quello che mi passava per la testa, e questo a partire dalla malattia della mamma fino alla mia analisi e razionalizzazione dei suoi occhi e muscoli facciali.

Mi sentii arrossire fino alla punta dei piedi, perciò quando aprì bocca e parlò per un mezzo secondo pensai che stesse per fare una battuta sarcastica riguardo alla situazione, ma per fortuna non fu così.

“Lia ha mai fatto una cosa del genere prima?” chiese invece. Mi imposi di smetterla con pensieri strani e di rispondergli.

“No, anzi non è proprio il tipo. Questa vacanza le sta dando alla testa... E pensare che mentre noi stiamo andando alla ricerca di Lia ubriaca, i nostri genitori credono che stiamo frequentando un campo di inglese da brave studentesse modello.”

Daniel quasi si strozzò nel tentativo di trattenere la sua risata.

“Campo di inglese!?”

“Eh, sì, a quanto pare la zia di Lia ci teneva proprio a mandarci via, perché non solo ci ha regalato la vacanza, ma ha anche mentito ai nostri genitori. Se quella finisce in ospedale o viene violentata da qualcuno sarà davvero un disastro per tutti... Mio padre mi chiuderà in convento.”

“Potresti annoverare il convento nella lista delle cose folli.” propose Daniel con un sorrisetto.

“No, grazie. Intanto la follia è già davanti a noi” feci notare indicando la discoteca. Ci avviammo verso quel posto chiuso angusto e rumoroso e io sentivo i sudori freddi solo all'idea di entrare là dentro. C'erano tre cose che odiavo: il contatto con la gente, i rumori forti e i posti chiusi e quello era un degno rappresentante di tutti e tre. Mancava solo qualche genere di insetto ed eravamo a posto.

Quando arrivammo abbastanza vicino da sentire il fracasso della musica feci un bel respiro apprestandomi ad entrare là dentro; se mesi prima mi avessero detto che per un'amica sarei entrata in una discoteca, non ci avrei mai creduto, avrei risposto a quel qualcuno che era pazzo e me ne sarei andata furibonda perché avevo perso il mio tempo ascoltandolo. Ma ora ero lì.

Ero talmente spaventate per tutto e persa nei miei pensieri che sobbalzai quando Daniel mi prese per mano, e dalla sorpresa probabilmente lo guardai malissimo perché vidi un lampo di scuse nei suoi occhi anche se non mollò la presa.

“Non c'è speranza che io ti lasci qui fuori, ma se vuoi entrare con me dobbiamo rimanere uniti.”

Annuii a labbra strette. Non mi piaceva essere toccata. Lo trovavo fastidioso già quando a farlo erano Lia o persone che conoscevo, figurarsi lui, ma volente o nolente aveva ragione. Avevo bisogno di lui per trovare lei e per entrare là dentro e dovevo accettare che dovevo... Fidarmi. Il solo pensiero mi sconvolse, era una cosa a cui non ero abituata; avevo sempre pensato che nessuno potesse aiutarmi nel mio dolore, nella malattia della mamma, che dovessi affrontarla da sola, perché nessuno era disposto ad aiutarmi a portare quel peso, ma adesso lui era lì e anche se il peso non era così grande, mi stava aiutando.

Sentii uno slancio di autentica gratitudine nei confronti di Daniel, una specie di speranza. Non sarebbe rimasto con me dopo quella settimana, ma per quei pochi giorni potevo contare su di lui e poterlo fare, anche se per poco, era meglio di non poterlo fare, perciò strinsi la sua mano e lasciai che mi facesse strada nella discoteca ancora più affollata della sera precedente.

La musica era altissima esattamente come allora, le luci mi parevano anche più forti, e c'era gente ovunque, tanto che mi sembrava di essere una sardina appena inscatolata. Ancora una volta pensai a quanto fosse soffocante, ma mi guardai lo stesso in giro alla ricerca di Lia; al bancone non c'era traccia di lei, perciò doveva essere in pista, eppure nonostante cercassimo per quella che mi parve un'eternità nessuno dei due riuscì a vederla. Andammo a dare un'occhiata anche in bagno, nel dubbio che fosse lì, ma niente da fare e la mia mente riusciva solo a ripetere che non c'era e non c'era e non c'era e dove diavolo era cosa facevo ora come lo dicevo ai suoi come lo dicevo ai miei perché l'aveva fatto non era giusto ero stanca non ne potevo più... Mi veniva davvero da piangere. Mi trattenni solo perché c'era Daniel, ma avevo davvero voglia di scoppiare in un pianto isterico, tanta come non ne avevo mai avuta in vita mia, e ne ebbi ancora di più quando lui mi guidò fuori dalla discoteca nell'aria fresca della notte.

Appena si voltò verso di me gli rivolsi uno sguardo carico di disperazione: era chiaro che Lia non era lì. E ora dove andavamo a cercarla? La teoria mi era sembrata talmente valida che non avevo nemmeno provato ad immaginare un piano b, un altro posto in cui potesse essersi rifugiata... Mio Dio e se l'avevano portata in ospedale? Si era sentita male? Marciai dritta verso la spiaggia in procinto di urlare, avere una crisi isterica e prendere a pugni gli ombrelloni. Che problemi aveva la gente? Perché non pensare prima di fare cavolate del genere? Capivo il motivo della fuga... Ma accidenti, non poteva lasciarmi un biglietto? O portare via il cellulare!? Oooh, l'avrei ammazzata, le avrei detto su di tutto, le avrei fatto una lavata di testa che si sarebbe ricordata tutta la vita. E adesso? Se le era successo qualcosa? Feci rapidamente i conti di quanto mi sarebbe costata un'altra perdita e mi resi conto che ormai Lia era una parte talmente integrante della mia vita che perdere anche lei mi avrebbe richiesto troppo per riprendermi. No no no. Ma che razza di idiota! Poteva starsene in appartamento a bere, no!? E se non aveva bevuto? E se si era buttata dagli scogli? E nessuno l'avrebbe mai trovata? E se qualcuno l'aveva trovata e le aveva fatto del male? Ma che problemi aveva! Doveva saperlo, una ragazza di notte in giro da sola...

“Tessa?”

Che c'è!?”

“Dove stai andando di preciso?”

Notai con stupore che avevo attraversato tutta la spiaggia in una marcia furibonda e mi stavo dirigendo verso il porto con una certa decisione, ma ero talmente arrabbiata e frustrata che non volevo ammettere di essere una deficiente perciò lanciai un'occhiataccia a Daniel e con un grugnito da animale furioso feci retrofront e mi diressi non sapevo nemmeno io dove.

Lui si limitò a camminare al mio fianco guardandomi preoccupato di tanto in tanto senza però dire una parola, mentre io borbottavo improperi contro l'intero genere umano. Ad un certo punto ebbi un'ispirazione divina evidentemente, perché mi fermai di botto e mi diressi di nuovo verso la discoteca; ma certo! Non l'avevamo vista, ecco cos'era successo! Marciai ancora verso di essa con lo stesso impeto di un toro... E Daniel mi sbarrò la strada. Mi appoggiò le mani sulle spalle e fui costretta a guardarlo negli occhi, profondamente infastidita da quel contatto e allo stesso tempo così stanca da avere solo voglia di lasciare che fosse lui a pensare a tutto e non più io.

“Tessa fermati. Cosa stai facendo?”

“E' solo che...” la mia voce era isterica “E' colpa sua! Che cosa faccio ora? Dov'è andata? E se non torna?” il mio tono aumentava man mano che parlavo e sembravo sul punto di scoppiare in lacrime, ma Daniel non fece una piega e continuò a impormi di guardarlo negli occhi.

“Non preoccuparti. Non è tanto tardi, non sono nemmeno le dieci; forse se n'è andata per stare un po' da sola e tornerà quando se la sentirà di farlo. Andiamo in appartamento, la aspetterai lì, e se entro domani mattina non sarà tornata faremo qualcosa. Andrà tutto bene Tessa.”

Quando sentii quell'ultima frase rimasi interdetta. Un'autentica sensazione di speranza si fece strada in me quando per la prima volta mi resi conto di quanto avessi bisogno di sentirmelo dire; sapevo che avrebbe anche potuto non essere così e andare tutto storto, ma per una volta, una volta, c'era qualcuno che lo diceva a me. Non ero io a dirlo agli altri, a convincere me stessa, c'era qualcuno che aveva capito esattamente di che cosa avevo bisogno e provava a confortare me.
Lentamente annuii e seguii Daniel di nuovo verso le luci della cittadina. Guardandolo camminare poco più avanti di me capii che dovevo in qualche modo ringraziarlo per tutto, perciò lo raggiunsi e gli presi la mano. Era vero che non amavo il contatto fisico con le persone, ma potevo fare un'eccezione per qualcuno che mi aveva aiutata così tanto e poi in qualche modo sentivo che dovevo farmi perdonare per come l'avevo guardato prima quando aveva fatto lo stesso gesto fuori dalla discoteca. Non ero brava a parole eppure sapevo che Daniel aveva capito comunque che era quello il mio modo di ringraziarlo e si limitò a stringermi la mano più forte.

Quando arrivammo in appartamento non fu necessario specificare che lui sarebbe rimasto con me finché Lia non fosse tornata, perciò lo feci entrare e accesi le luci.

“Vuoi qualcosa da bere?”

“Hai del caffè?”

“Sì.”

“Allora caffè.” presi la caffettiera e lo preparai mentre Daniel si sedeva sul mio letto e si guardava in giro. Faceva un effetto strano vederlo lì: non avrei immaginato che mi sarei ritrovata in un appartamento a chilometri da casa da sola con un ragazzo. In realtà, avevo immaginato raramente anche la mia vita con un ragazzo, ma poco contava visto che ora lui era seduto beatamente sul mio letto e guardava con un certo interesse le carte vicino alla televisione.

Quando vide che me n'ero accorta, chiese se sapevo giocare e io annuii.

“Facciamo una partita allora.” Una parte della mia testa brontolò, ma la mise a tacere l'altra: solo una settimana, no? Cosa mi vietava allora di fare come Cenerentola e divertirmi finché la mia mezzanotte non fosse scoccata? Gli passai la tazza del caffè, mi sedetti davanti a lui sul letto e distribuii le carte. Vinsi la prima mano, lui la seconda e la terza, io la quarta e andammo avanti così per ore parlando della scuola che frequentavamo, dell'università, di episodi buffi vissuti in classe o sulla corriera, di squilibrati incontrati in giro e di amici. Daniel voleva fare biologia all'università, io gli dissi che mi sarebbe piaciuto scegliere medicina; volevo aiutare gli altri, persone come mia madre, come me, come la nonna di Lia. Ridemmo molto dei nostri racconti riguardo alle stramberie che avvenivano in classe mia e sua, tra cui il loro scherzo alla prof di scienze con cui le avevano fatto credere che l'aula fosse inagibile e la nostra brillante idea di nascondere una ragazza nell'armadio e farla uscire alle dieci in punto. Alla prof era venuto un colpo e aveva dovuto persino andare a bere un po' d'acqua per calmarsi.

Gli raccontai anche dell'episodio analogo in classe di Lia, in cui una ragazza si era nascosta in uno scatolone e l'aveva mosso durante la lezione; la sua prof di italiano però non solo si era spaventata, ma aveva anche dichiarato di essere perseguitata da fenomeni paranormali ed era corsa via urlando e chiamando la bidella. Come se non bastasse, si era persino rifiutata di aprire la scatola sostenendo che c'era il demonio.

In corriera poi Daniel era stato pedinato da una ragazza e dalla sua amica per giorni e aveva dovuto subire tutti i loro discorsi riguardo al suo modo di camminare, di tenere lo zaino e di vestirsi; si erano prese entrambe una cotta per lui alla fine, ma non avevano mai osato parlargli. Io invece ero stata inseguita da un vecchietto terrificante che voleva un euro ed ero stata anche perseguitata da una signora che parlava da sola e cercava continuamente di dirmi cose strane in quello che mi sembrava essere aramaico.

“E tu cos'hai fatto quando ti si è seduta vicino?” chiese Daniel tra le risate e io risposi:”Ho messo le cuffie e ho cercato di non fissarla, ma si è messa a indicarmi la finestra con aria entusiasta. Alla fine ho imparato a lasciarla salire per prima in corriera, in modo da vedere dove si sedeva ed evitarla. Ma dovresti vedere gli autisti! Pensa che uno ha persino fermato la corriera una volta e si è piantato alla fermata fino alle otto e mezza del mattino perché una signora non aveva allacciato la cintura.”

“L'autista della mia corriera è senza un dito e va pazzo per le canzoncine di Natale, tanto che porta persino le casse per farcele sentire meglio; non si riesce né a studiare né a sentire musica con le cuffie, c'è troppa confusione.”

“Noi invece ne abbiamo uno fissato con l'inno d'Italia. Lo fa partire da una cassetta e lo canta a squarciagola per tutto il viaggio con il pugno alzato verso l'alto e suonando il clacson a ripetizione. Ah, ed è convinto che i deboli di cuore non sono fatti per la sua corriera, perciò fa brusche frenate a tradimento e si rifiuta di far salire la gente di certe fermate, così se ne va in giro da solo come uno scellerato.”

Daniel rise.

“Pensa che un giorno quando sono salito in corriera l'autista mi ha bloccato e mi ha fatto scendere convinto che avessi un cetriolo nello zaino!”

“Un cetriolo!?”

“Sì. Ha fatto scendere anche due ragazze dopo di me, perché non si erano lasciate perquisire lo zaino per dimostrare che non avevano il cetriolo.”

Fu il mio turno di ridere mentre dichiaravo vittoria a quella che doveva essere la ventesima partita a carte che giocavamo. Lanciai un'occhiata all'orologio e vidi che era quasi mezzanotte. Dov'era finita?

“Una volta un ragazzo mi si è seduto vicino...” ma non seppi mai cosa fece il suddetto ragazzo perché qualcuno bussò alla porta. Io e Daniel ci scambiammo un'occhiata interdetta, poi mi alzai e andai ad aprire. Non poteva essere Lia perché avrebbe aperto con le sue chiavi, perciò in quel mezzo secondo pensai che mi sarei trovata davanti un poliziotto in divisa o qualcuno dell'ospedale che mi chiedeva se conoscevo Lia e mi diceva che era in prigione o in coma etilico, ma non andò così perché quando aprii la porta mi trovai davanti un ragazzo dai capelli neri e l'aria incerta.

“Ciao.” dissi stupita, cercando di capire che diavolo ci facesse qui anche questo, quando vidi che in braccio a lui c'era Lia. Diecimila emozioni diverse si accalcarono nella mia testa: rabbia, sollievo, terrore perché non si muoveva, ancora rabbia e infine confusione.

“Posso entrare? Dovrei appoggiarla da qualche parte.” esordì lo sconosciuto accennando al letto. Daniel si alzò e lo aiutò ad adagiare una Lia semi svenuta con la faccia rossa come un pomodoro e l'aria sognante sul suo letto. Le andai vicino e la chiamai.

“Lia?”

Ridacchiò. Be', almeno era viva.

“Mi senti? Quante dita sono queste?” le feci vedere due dita. Lia stupì tutti esclamando in tono stridulo e felice:”Pennarelli! Sììììì!” e ridendo di gusto. Mi voltai verso lo sconosciuto e mi chiesi se fosse lui il colpevole delle sue condizioni, ma aveva solo l'aria di un ragazzo perplesso e piuttosto divertito. Sospirai.

“Be', entra. Tanto vale che offra un caffè anche a te e ti chieda chi sei... Non credo di avere altro da fare stanotte.”

Il ragazzo sorrise – un sorriso malizioso – e si chiuse la porta alle spalle, stravaccandosi subito dopo sulla prima sedia che gli capitò a tiro. Io e Daniel ci scambiammo un'occhiata, poi io mi voltai per fare il caffè interrompendo il nostro dialogo a suon di sguardi; quel che era certo era che quando mi girai di nuovo e mi sedetti i due si stavano guardando in cagnesco.

“Bene...” fissai lo sconosciuto “Cos'è successo? Chi sei? Dove hai trovato la mia amica?”

Il ragazzo doveva avere due anni più di me e Lia ed era vestito di nero dalla testa ai piedi, cosa che poteva solo ricevere la mia approvazione; indossava un paio di pantaloni sportivi e una maglietta con sopra una specie di giacca in pelle che mi indusse a chiedermi se per caso fosse un motociclista. Notai subito gli occhi, di un azzurro molto intenso, che sembravano fissare e studiare qualsiasi mio movimento; francamente mi metteva i brividi.

“Quante domande!” esclamò “Sono Drake. Io e la tua amica ci siamo incontrati in discoteca e lei era piuttosto ubriaca, così quando l'ho vista allontanarsi diretta al porto l'ho seguita e l'ho presa prima che si schiantasse contro lo scafo di una barca. La barca Chiaro di luna, per la precisione. Ha fatto appena in tempo a dirmi dove abitava che è sprofondata nello stato che vedi; ah, e ha anche vomitato tutto.”

Sbuffai per la sconsideratezza di Lia, ma gli rivolsi un sorriso stanco e lo ringraziai per quello che aveva fatto con una tazza di caffè. Non potevo fare a meno di osservarlo, anche perché era immensamente facile non essere beccata visto che lui guardava ogni movimento della mia amica; sembrava quasi che aspettasse e temesse di doverla soccorrere di nuovo e perciò stesse in allerta. Non era il mio tipo, ma era lo stesso piacevole vedere qualcuno che si occupava di lei in quel modo.

Solo allora guardai di nuovo l'orologio e vidi che era quasi l'una.

“Bene, grazie mille per tutto Drake, ma ora penso che sia il caso di far riposare Lia. Se vuoi sapere come sta passa pure a trovarci, siamo qui tutta la settimana.”

Lui alzò lo sguardo da lei e annuì. Solo dopo averle lanciato un'ultima occhiata se ne andò, sotto lo sguardo accigliato di Daniel. Perché ce l'avesse tanto con lui era un mistero... Maschi. Poi, guardò storto anche me, così mi venne normale chiedergli:”C'è qualcosa che non va?”

“No.”

“Bene...” ma continuavo ad essere confusa. Pareva davvero incavolato nero, e non era solo una mia impressione. Impressione o no, io ero stanca e volevo dormire dopo quella serata orrenda, perciò cercai di congedarlo gentilmente.

“Allora... Grazie di tutto. Penso sia meglio per tutti andare a riposare ora.” Daniel annuì. Quando si alzò e incontrò il mio sguardo vidi che il suo si era addolcito; gli sorrisi, sollevata, e lo accompagnai alla porta ma nell'istante in cui la aprii e alzai la testa in attesa che uscisse sentii che appoggiava le mani sul mio viso e mi posava un bacio sulla fronte.

“Buonanotte.” tempo meno di un secondo e se n'era già andato, lasciandomi lì incapace di rispondere o di reagire. Ecco, questo era inaspettato. Avevo pensato che potesse esserci qualcosa, ma non avevo calcolato che fosse questo qualcosa e ora... Chiusi la porta e mi buttai sul letto.

Ora avevo bisogno di dormire, ecco di cosa.

 

Il mattino seguente mi svegliai con l'adrenalina a mille e nell'ansia più totale, tanto che dovetti mettermi a sedere per riuscire a respirare. Mi capitava spesso da quando la mamma era malata, ma quella mattina... Era terribile, insopportabile, asfissiante. Mi alzai più veloce che potevo, mi vestii, presi le scarpe da ginnastica e l'mp3 e uscii dopo aver lasciato un biglietto a Lia sul tavolo della cucina. Non respiravo non respiravo non respiravo.

Mi precipitai alla spiaggia fino ad arrivare alla ciclabile che costeggiava il lungo mare e lì iniziai a correre. Lia beveva quando aveva paura o tutto diventava troppo difficile, io invece semplicemente mi sfinivo. Correvo a perdifiato per ore, fino a non riuscire più ad andare avanti, e così feci anche quel giorno, incurante di che ora fosse, correvo con i muscoli in fiamme e la musica nelle orecchie che copriva ogni mio pensiero, ma almeno mi sentivo bene. Il mio corpo funzionava, i piedi colpivano con forza il terreno, il paesaggio intorno a me era una macchia indistinta, io potevo andare avanti per sempre.

Più andavo avanti e più l'euforia e l'adrenalina mi invadevano ogni fibra nervosa dalla testa ai piedi, facendomi sentire invincibile; dicevano che ci si sentisse così quando ci si drogava, allora per me la corsa era un'autentica droga. Mi sentivo forte, come se potessi andare avanti così per sempre, e continuai fino a non avere più fiato, fino a quando dovetti fermarmi per non vomitare, ma finalmente riuscivo di nuovo a respirare, finalmente mi sentivo bene. Guardando il sole che sorgeva sul mare iniziai a ridere per quel senso di euforia.

Respiravo di nuovo.

Spazio autrice: cari lettori, come ogni sabato eccomi qua! Questo capitolo è un po' più breve del solito, ma penso fosse importante per la caratterizzazione di Lia e per dare a Tessa un pretesto per fidarsi di Daniel almeno una volta nella vita, oltre che per far comparire questo inquietante tizio dagli occhi di ghiaccio. Per chi se lo stesse chiedendo, gli episodi raccontati riguardo a corriere ed insegnanti hanno qualche riferimento - anche se non tutti - alla realtà; per esempio, lo scherzo dello scatolone è stato davvero fatto nella classe di una mia amica e la sua prof di italiano è davvero scappata urlando e sostenendo di essere perseguitata dai fantasmi. Anche lo scherzo della classe inagibile è tratto dalla realtà - un primo d'aprile interessante -, ma quello dell'armadio, che io sappia, non è mai successo a nessuno che conosco. La signora che parla da sola invece l'ho incontrata sul serio: è apparsa un bel giorno sulla mia corriera e mi si è seduta accanto cercando di dirmi cose che non capivo in una lingua inesisente e canticchiando ossessivamente. E additava sul serio qualcosa fuori dalla finestra. o.O
Poi, il gioco a carte nominato nel capitolo potete immaginarlo come volete: non sono molto brava, perciò non ho immaginato nessun gioco in particolare, siete liberi di pensarlo come poker o scala 40 o qualsiasi ve ne venga in mente.
Per il resto, non ho altro da aggiungere. Come sempre, se avete dubbi potete scriverli nelle recensioni, sarò felice di rispondere :) Per finire, sappiate che un giorno o l'altro potrei davvero scrivere un libro sulle stramberie che vedo ogni giorno in soli quarantacinque minuti di corriera per andare a scuola; prima o poi ne farò un'epica raccolta per le generazioni future ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Occasioni ***


Capitolo 6 – Occasioni

 

Quando rientrai in appartamento dopo la corsa trovai Lia che russava sonoramente in una posizione alquanto bizzarra; aveva messo tre cuscini, probabilmente recuperati dall'altra stanza, sotto la pancia, così dormiva senza coperte con il sedere per aria e la schiena incurvata quel tanto che bastava per riuscire ad appoggiare la testa sul materasso. Dovrei trattenere una risata perché era davvero buffa e tra me e me – lo dovevo proprio ammettere – pensai di scattarle una foto; i diciotto non li avevamo ancora compiuti, no? Ma lasciai perdere visto che sapevo che ore più tardi avrei avuto la mia rivincita: quando si ubriacava in quel modo non ricordava mai quello che aveva fatto, perciò mi sarei fatta qualche risata parlandole del ragazzo sconosciuto. Chissà se si chiamava davvero Drake o se aveva mentito.

Mentre ripensavo agli eventi di quella sera ricordai il bacio della buonanotte di Daniel e sentii una certa agitazione invadermi tutto il corpo; non ero mai stata baciata nemmeno sulla fronte da un ragazzo. Non mi dispiaceva che fosse stato lui il primo, ma dovetti riconsiderare attentamente la nostra situazione sotto la doccia. Con l'acqua calda che mi scorreva addosso rimuginai per un po' su quello che avevo intenzione di fare con lui. Certo, il piano iniziale era quello di conoscerlo, di non legarmi più di tanto a lui e poi di dimenticarlo completamente appena la vacanza fosse finita, ma ora le cose potevano davvero complicarsi. La scelta era lasciare che lui facesse parte della mia vita, mi abbandonasse un giorno o l'altro – perché quasi di sicuro l'avrebbe fatto – e ci stessi male per mesi, oppure troncare subito quello che stava per nascere finché non era troppo doloroso. D'altra parte dovevo ammettere che mi dispiaceva davvero evitarlo e vedere la delusione nei suoi occhi, non mi aveva fatto niente. Ero io ad essere stata stupida a rivelargli tanto; ora che lui sapeva praticamente tutto della mia vita, perlomeno quello che non avevo mai raccontato a nessuno, costituiva un elemento pericoloso finché mi rimaneva troppo vicino. Rischiavo che non capisse o, peggio, sfruttasse la mia sofferenza o la sottovalutasse come altri avevano fatto prima di lui, o peggio ancora mi abbandonasse nonostante sapesse tutto. C'era anche la possibilità che non lo facesse, però, visto che anche Daniel aveva provato un'esperienza come la mia con sua sorella, e che quindi diventasse una persona su cui potevo contare. Rimaneva comunque la questione del rischio; ne valeva la pena? Pensai al suo sorriso luminoso e alla sicurezza che trasmetteva, ma immaginai anche il giorno in cui tutto questo sarebbe svanito e quanto sarebbe stato difficile ricominciare senza di lui. Scossi la testa sotto l'acqua della doccia. Non ne valeva decisamente la pena.

Mi avvolsi in un asciugamano e mi diedi un'occhiata allo specchio, poi respirai a fondo e imposi alla mia testa di entrare nell'ottica del solito piano: gli avrei parlato di meno, avrei evitato il suo sguardo ogni volta possibile e mi sarei staccata da lui fino a dimenticarmelo del tutto. Non ne avrei nemmeno più parlato e avrei bloccato tutti i pensieri riguardo a lui. Lo facevo spesso con le persone, ogni volta che era necessario; le allontanavo pian piano, in modo che non se ne accorgessero finché non era troppo tardi e le dimenticavo. Non era mai facile, ma ormai era diventato sopportabile e in qualche modo talmente frequente da essere la normalità per me, tranne che per Lia, certo. Lei mi era venuta vicino in modo più subdolo, era riuscita ad eludere il mio radar interiore e ad essere catalogata nella voce non minacciosa; in effetti sulle prime non avevo nemmeno considerato la possibilità che ci saremmo conosciute così tanto. Ero stata stupidamente ingannata dalla mia stessa arte e l'avevo creduta una ragazza innocente come tante con parecchia voglia di parlare, così non mi ero preoccupata nemmeno quando mi aveva invitata a casa sua la prima volta perché dubitavo che mi sarei attaccata particolarmente a lei visto che avevamo poco in comune. Pian piano avevo scoperto altri elementi: ad entrambe piacevano i libri, entrambe amavamo l'italiano e la letteratura, entrambe avevamo un cane, adoravamo le crepes e detestavamo le cimici – anche se lei aveva il coraggio di buttarle fuori dalla finestra a differenza mia che scappavo urlando. Ma anche allora aveva eluso il radar visto che mi erano sembrate piccolezze e non mi era parso che fosse successo chissà che cosa; ci divertivamo insieme e abitavamo vicine, niente di più. Poi però avevo saputo di sua mamma e più tardi anche di sua nonna e avevamo scoperto di avere lo stesso tipo di ansia, di essere assediate dagli stessi pensieri, ma anche lì mi ero convinta che non ci fosse niente di minaccioso e che avrei potuto troncare tutta la situazione appena l'avessi voluto. Ed ero andata avanti così per tutta l'estate, finché un giorno, all'inizio della scuola, mi ero accorta che non era in corriera e mi ero resa conto di essere preoccupata. Da allora molto probabilmente avrei dovuto fare qualcosa, tuttavia avevo lasciato che tutto scorresse come voleva, primo perché ero troppo stanca e indolente per agire, secondo perché mi sarebbe davvero dispiaciuto farlo.

Uscii dal bagno e notai che Lia dormiva ancora, perciò decisi di andare al supermercato a comprare qualcosa. Andai in camera a vestirmi e optai per qualcosa di nero e semplice; se ci fossimo incontrati ancora doveva vedere il peggio di me: entrava così in scena Tessa dark. Raccolsi i capelli, presi chiavi, taccuino e cellulare e uscii dopo aver lasciato un biglietto a Lia, anche se dubitavo che l'avrei vista sveglia prima di mezzogiorno.

Mentre scendevo le scale tenni i sensi in allerta, ma di Daniel per fortuna nessuna traccia. Tirai un sospiro di sollievo non appena uscii dall'appartamento e la luce del sole mi accolse, ricordandomi che era un'altra splendida giornata e che ero in vacanza lontana da casa. Potevo persino concedermi il lusso di credere di essere felice. Sorrisi tra me e me e attraversai il vialetto diretta al supermercato poco distante; non avevo un'idea precisa di cosa comprare, perciò mi feci una lista mentale di quello che serviva e ci appuntai anche un paio di verdure. Lia poteva anche volersi dare alla pazza gioia, ma tutti quei dolci non ci facevano comunque bene.

Presi lo stesso il cioccolato che le piaceva tanto e integrai con la frutta al posto della verdura visto che il melone le piaceva. Presi anche prosciutto e un altro pacco di pasta – Lia ne aveva divorato uno intero il giorno prima – e un'altra bottiglia di Coca Cola, perché aveva bevuto anche quella; come facesse, non ne avevo idea. L'avevo vista vomitare dopo aver bevuto o dopo una brutta notizia, ma mai per indigestione, e mi chiedevo spesso se solo io lo considerassi un fenomeno biologico letteralmente straordinario.

Andai alla cassa dove notai distrattamente una persona ferma al reparto dolci; tra me e me mi chiesi chi fosse, perché dopotutto erano solo le otto di mattina ed era un autentico miracolo anche solo che il supermercato fosse aperto. Provai una certa ammirazione per quella persona squilibrata quanto me che non solo era già in piedi a quest'ora, ma aveva persino trovato il coraggio di andare a fare la spesa. Mentre il cassiere faceva il conto vidi la persona venire verso di noi, eppure più la guardavo con la coda dell'occhio più mi sembrava che si stesse avvicinando troppo, tanto che quando fu a meno di un metro di distanza fui costretta a fare un rapido passo indietro e a fissarla in cagnesco, pronta a dirgliene quattro sulle paroline magiche distanza di sicurezza.

Ma la persona era Daniel. Avevo sentito dire che il mondo era piccolo, ma non avrei immaginato che lo fosse tanto quanto in quella cittadina; lo trovavo dappertutto, accidenti! Nella mia mente si rinnovò l'ipotesi che fosse uno stalker, soprattutto quando mi sorrise come se ci sperasse proprio di trovarmi lì. La mia sembrò più una smorfia, poi distolsi lo sguardo. Era solo questione di controllo e l'avrei dimenticato più in fretta e senza ferite aggiuntive, era meglio per tutti e due, perciò mi imposi di evitare ogni conversazione. L'avevo fatto tante volte, potevo farlo anche questa; non volevo essere ferita di nuovo, ero stufa.

“Ciao” con la coda dell'occhio vidi che mi sorrideva.

“Ciao.”

“Tutto bene?”

“Sì.” fin qui era facile. Sbirciai la sua espressione e notai che aveva capito che qualcosa non andava, ma tentennava, incerto sul da farsi. Non mi avrebbe chiesto niente, esultò il mio sesto senso, perciò mi rilassai, felice alla prospettiva di dover sostenere solo una facile conversazione sul meteo – l'argomento più gettonato del mondo quando non si sa di cosa parlare – e di poter rispondere a grugniti senza dargli spiegazioni.

“Sei arrabbiata con me?” sentii l'urgente necessità di dire più parolacce di uno scaricatore di porto. Ma dai! Mi venne voglia di guardarlo malissimo anche se non era colpa sua, ma così avrei avvalorato la sua tesi e io non volevo che lui pensasse che ero arrabbiata, perché in fondo non lo ero, credevo solo che fosse meglio per tutti e due non conoscersi ancora di più. Come lo spiegavo a questo qui? E, meglio, come rendevo la spiegazione plausibile? No, ma scusa, non ti voglio rivedere né parlarti di nuovo. Non è colpa tua ma mia e bla bla bla. Nemmeno io mi sarei creduta se mi fossi sentita parlare.

“No, tutto bene, perché?” a quel punto speravo che sorridesse e ci cascasse, perciò attesi... E attesi, perché Daniel rimase in silenzio per cinque lunghi secondi a guardarmi con attenzione e poi osservò:”Sei arrabbiata.” La cosa più fastidiosa era che non l'aveva detto come se fosse una domanda, ma per lui era una constatazione assodata.

Serrai le labbra.
“Non è vero.”

“Sì invece. Quando sei arrabbiata la tua voce cambia tono, diventa più dura, e fai quella cosa con le labbra. Ecco, la stai facendo di nuovo.” smisi di arricciare le labbra anche se avrei potuto farlo all'infinito in quel momento. “E poi guarda.” mi appoggiò una mano sulla spalla e fece una leggera pressione, cosa che mi fece immediatamente notare che tenevo le spalle rigide e tese come un gatto inferocito. Ingannavo tante persone... Ma non ero abbastanza brava da farlo con tutte, a quanto pareva.

“Non sono arrabbiata con te.” precisai infine nella speranza di allontanarlo dall'idea; di solito quel trucco funzionava. Era una cosa che utilizzavo in extremis, far credere che la mia rabbia avesse una giustificazione valida riscontrabile in un'altra situazione.

“No, sei arrabbiata con me.” sentii il forte bisogno di emettere un degno rrrr a rappresentanza della mia frustrazione e della mia insoddisfazione personale; ma che cavolo, era un veggente? Per un istante ci credetti sul serio, quando ricominciò a parlare:”E' da quando ti ho salutata che eviti di guardarmi.”

Rimasi in silenzio e mi limitai a prendere la spesa dalla cassa e a dirigermi verso l'uscita, sperando di guadagnare tempo mentre Daniel pagava anche se sapevo che nel caso in cui avesse voluto seguirmi non avrei avuto scampo; conosceva i dintorni meglio di me, e in ogni caso, sapeva benissimo dov'ero diretta. Potevo solo credere che si arrendesse... Ma che andavo a pensare? Tempo di uscire dal supermercato ed era già alle mie calcagna.

Mi raggiunse senza avere nemmeno il fiatone. Accidenti ai maschi sempre in allenamento!

“E' per il bacio di ieri sera?”

“Non era un bacio!” replicai con le guance in fiamme, sentendomi un'idiota subito dopo averla pronunciata. Ero una dodicenne alle prese con la sua prima relazione, per caso? A quel pensiero mi bloccai; sì che lo ero. Non avevo mai avuto a che fare con un ragazzo, non avevo la più pallida idea di come funzionasse, e questo faceva davvero di me una dodicenne inesperta. Anche se in realtà cominciavo a pensare che le dodicenni sapessero persino più di me che avevo diciassette anni riguardo a queste cose.

“E cos'era allora?” chiese Daniel ironicamente interrompendo i miei pensieri confusi su eventuali consulenze dalle dodicenni per capire cosa fare con un ragazzo. A parte che tecnicamente io dovevo liberarmi di questo, non farlo innamorare di me.

“Un saluto?”

“Se volevo solo salutarti, allora perché non ti ho stretto la mano?”

“Perché ci conosciamo e non sei un damerino?”

“Vero. Potevo limitarmi a un ciao però.”

“Assolutamente verissimo.” la mia voce era calma ma nascondevo l'esasperazione con grande fatica; primo, mi stava parlando e io non volevo. Secondo, cercava persino di approfondire quel qualunque cosa ci fosse tra di noi. Terzo, più pensavo a come avrei potuto eventualmente far funzionare le cose tra noi nella vita reale esterna a quella vacanza e all'estate, e meno trovavo una soluzione. Al culmine della confusione, gli chiesi acidamente:”Se non era un saluto, allora cosa vorresti dire che era?”

Sembravo proprio mio padre da come l'avevo detto.

“Ah! Lo sapevo, sei arrabbiata per il bacio.”

Sbuffai.

“Aaaah. Non sono arrabbiata per il bacio!” lo dissi con tale veemenza che Daniel mi credette, perché quando lo guardai vidi che era assolutamente confuso. E allora cosa ti ho fatto? Gridava la sua espressione. Non ero per niente preparata a questa situazione; di solito le persone che allontanavo come misura di sicurezza si accorgevano che le tenevo a distanza e che avevo un motivo per essere irritata, ma non capivano mai che era con loro che ce l'avevo e in ogni caso non mi chiedevano mai direttamente se era così. Non ero mai stata messa alle strette.

“Senti,” eravamo arrivati davanti all'entrata dell'appartamento, perciò mi voltai e lo guardai negli occhi. Se lui era diverso dagli altri, allora tanto valeva che anch'io mi comportassi in modo diverso e lo fronteggiassi direttamente. “perché ti interessa saperlo? A malapena mi conosci e sai che me ne andrò tra pochi giorni, quindi perché vuoi saperlo?”

Daniel si bloccò e fissò gli occhi color cioccolato nei miei. Di nuovo avvertii la strana sensazione che il mondo intorno a noi fosse sparito o comunque sbiadito, rimasto in sottofondo, e noi fossimo separati da esso.

“Perché sei mia amica e voglio sapere se la mia amica ha qualche problema con me.”

Incastrata. Non faceva una piega, gliel'avevo detto io che eravamo amici, e sapevo – ovviamente – che potevo dirgli che non lo eravamo affatto e negare tutto, ma... Mi dispiaceva. Mi sembrava una cosa enormemente crudele e difficile con lui che mi guardava in quel modo indecifrabile, un misto tra vediamo cosa fai ora e qualsiasi cosa sia non la fare. Era il terzo giorno di vacanza, ne mancavano ancora quattro; cosa poteva succedere di tanto terribile se anche avessi lasciato che le cose andassero avanti tra noi in soli quattro giorni? Nella vita reale non avrebbe mai funzionato tra noi, ma lo guardai e mi dissi che in fondo ne valeva la pena e, perché no, mi meritavo una persona che capisse quello che provavo e mi rassicurasse anche se solo per poco tempo. Avrei sofferto quando l'avrei lasciato, ma potevo evitare di pensarci per una volta. La mia mente si ribellò letteralmente ai soliti schemi: per una volta volevo smettere di avere il controllo su tutto e su tutti, era troppo stancante, mi rubava tutte le energie come un parassita. Un nodo mi si formò nella gola quando alzai lo sguardo, che avevo abbassato senza nemmeno accorgermene, rivolsi un sorriso a Daniel e parlai sperando che la mia voce non tremasse:”Certo. Certo che siamo amici. Hai ragione. Mi... Mi sono svegliata con la luna storta.”

Ricambiò il sorriso in modo talmente immediato da spiazzarmi.

“Ne so qualcosa di lune storte.”

Mi chiesi quanto ne sapesse, ma la mia risposta fu solo l'enigmatico sorriso di Daniel. Proprio mentre aprivo la bocca per chiederglielo, sentii uno strillo al piano di sopra. Lia! Ci scambiammo uno sguardo a metà tra l'esterrefatto e il preoccupato, poi io abbandonai la spesa sul pavimento e salii le scale come un razzo cercando le chiavi nella borsa, ma non furono necessarie: appena arrivai sul pianerottolo vidi che la porta era aperta e la voce furibonda di Lia usciva dalla stanza.

Entrai di corsa e mi ci volle un attimo per realizzare quello che vidi: la mia amica in piedi sul letto con uno dei quadri normalmente appesi alla parete e un cucchiaio in mano, puntati contro Drake che stava immobile con le mani alzate dall'altro lato della stanza.

“Finiscila!” stava urlando lei “Se non esci subito da qui, chiamo la polizia e dico che mi molesti! E che sei uno stalker!!!” Era veramente stupefacente la sua visione in culotte fucsia e maglietta a cuoricini, con i capelli tutti scompigliati, il viso rosso dalla rabbia e l'eyeliner ormai colato mentre urlava terrorizzata contro il ragazzo.

“Lia!” mi misi tra loro due “Che diavolo succede qui!?” anche Daniel entrò ed ebbe il gentile provvedimento nei confronti dei vicini di chiudere la porta per impedire che gli strilli della mia amica fossero uditi da tutto il circondario. All'appartamento nove, tanto per cambiare, vivevano due vecchiette che quella sera a cena avrebbero sicuramente avuto argomenti di conversazione riguardo alle loro vicine di casa. Per fortuna eravamo lì solo in vacanza.

“Tu non capisci, Tessa!” strillò Lia, tremante sul letto. Oltre che furibonda dovevo dire che sembrava anche molto spaventata, cosa che mi fece scrutare con sospetto Drake, ancora immobile contro la parete. “Questo qua dice di conoscermi e dice che ero ubriaca e, Tessa!, dice che mi ha portata in braccio! E dice che gli ho detto dove abitavo, ma io non l'ho fatto! Conosce il mio nome! Chiama la polizia, mi ucciderà, è uno stalker, è tornato qui per uccidermi prima che lo dicessi al mondo intero e... E...” E contro ogni pronostico Drake scoppiò a ridere di gusto. Ci immobilizzammo tutti e tre, persino Lia abbassò il quadro e il cucchiaio e per un attimo mi parve fissarlo in modo strano; come darle torto dopotutto? Aveva sorpreso persino me.

“Certo, il tuo assassino è tornato in pieno giorno, ha bussato religiosamente alla tua porta, l'ha pure lasciata aperta, e si è persino inventato una bella storiella per abbindolarti.” in effetti, non aveva mica tutti i torti, ma toccava a me spiegare il malinteso... O meglio, fare in modo che Lia ci credesse, perché non era molto facile convincerla quando andava nel panico.

“Okay. State tutti calmi. Tu, scendi dal letto e smettila di minacciare Drake con il cucchiaio. E rimetti a posto il quadro o la madre di Daniel ce lo farà pagare.”

“Che cosa!? Conosci il suo nome!?! Lo conosci!?!? Il maniaco!?!?!?”

“Lia, non è un maniaco. Almeno credo. Scendi dal letto per favore.”

Lia scese cautamente, ma si rifiutò di lasciare il cucchiaio. Il quadro fu invece appoggiato sul cuscino.

“Avanti, sediamoci. Mi sembra che abbiamo tutti bisogno di un caffè.”

“Caffè a tutte le ore, eh?” Drake abbozzò un sorriso che Lia guardò con una sorta di terribile sospetto, come se quella che doveva essere solo una battuta fosse in realtà la dichiarazione di un omicidio. Io ignorai la sua espressione e mi rifugiai al bancone della cucina a preparare il caffè per tutti. Sentii il letto sprofondare sotto il peso di Daniel che si sedeva e due sedie venire spostate da Lia e Drake; poi calò il silenzio più totale.

Accesi il gas e ci misi la caffettiera, poi mi voltai e guardai l'espressione sgomenta e palesemente terrorizzata che la mia amica stava riservando a Drake, il sorrisetto di Daniel e l'aria divertita del cosiddetto molestatore.

“Lia quanto ricordi di quello che hai fatto ieri sera?”

Si rabbuiò per un istante.

“Dopo la telefonata sono uscita e... Sono entrata in quella discoteca. Mi hanno offerto da bere e poi... Ho bevuto un bicchiere. Due, forse. Era Vodka. No, Tequila. No, birra. Rum?” aggrottò le sopracciglia, confusa. “Poi... Poi mi sono svegliata. Devo essere tornata a casa.”

Drake soffocò una risata e riuscì abilmente a mascherarla in un colpo di tosse, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Lia. Notai che Daniel evitava il suo sguardo, ma non ebbi tempo di preoccuparmene, perché presi un bel respiro e spiegai alla mia amica com'erano andate le cose, di come il suo adorato molestatore l'avesse portata in appartamento dopo aver evitato per miracolo che si schiantasse contro una barca.

Lia fissò il vuoto al termine del racconto e mi pareva quasi di vedere le rotelle del suo cervello girare disperatamente alla ricerca di un senso o di una prova di quello che avevo detto, senza trovarla. Quando capì che non ci sarebbe riuscita alzò lo sguardo e mi fissò ad occhi sgranati, come a chiedermi di recuperare la sua memoria dall'oblio dell'alcool, poi guardò allo stesso modo Drake, che smise di sogghignare e diventò serio. Non potei accertarmene perché il caffè era pronto e dovetti voltarmi per versarlo nelle tazzine, ma avrei giurato che lui stesse trattenendo il fiato sotto il suo esame.

“No no no no, non è possibile. Come sarebbe che non ricordo niente? No no no no, io non... Non ho bevuto!”

“Lia sei arrivata a casa ubriaca. Quale parte della parola ubriaca non ti è chiara? Ridevi come una pazza e continuavi a chiedere notizie di questi maledetti pennarelli...”

“Ma quali pennarelli!? Ma di cosa stai parlando!?!”

“Ascolta, eri sconvolta, ti sei ubriacata, mi hai terrorizzata con la tua scomparsa, e Drake è stato così gentile da riportarti a casa. Ecco tutto.”

“Ma... Ma... Ma... Come?”

Appoggiai quattro tazzine sul tavolo e Lia fu la prima a prendere la sua, che mandò giù in un sorso, per poi fissarne il fondo come se sperasse di vederci un segnale della notte passata. Probabilmente fu così, perché tirò su la testa e con ostinata convinzione ci fissò tutti e ribatté:”Mi state facendo uno scherzo.”

Non potei evitare un sospiro esasperato.

“Forse io potrei farlo, ma Daniel e Drake, che nemmeno ti conosce, che interesse avrebbero a farlo?”

“Tecnicamente io la conosco.” precisò Drake “Ieri sera mi ha detto un sacco di cose interessanti.”

Gli occhi di Lia divennero grandi come i piattini che accompagnavano le tazzine del caffè e lo fissò come se potesse tirarle giù la luna dal cielo, determinando così tutto il suo destino.

“Cosa ti ho detto?”

“Oh, tante cose. Hai qualche invalido in casa?”

Lia divenne di tutti i colori. Anche lei come me non rivelava mai la situazione a casa e potevo solo immaginare quanto ciò la rendesse furibonda.

“Hai parlato di pensione d'invalidità, o qualcosa del genere.” disse lui traendo evidente godimento dalla rivelazione di tutti quei dettagli e dal suo imbarazzo. “Hai un cane, un gatto e il tuo vicino di casa non ti piace particolarmente. L'hai insultato un sacco di volte. Poi... Vediamo... Ah, sì, ti piacciono i miei addominali, berrai rum fino all'infinito e oltre, vuoi i biscotti e adori colorare con i pennarelli. Hai una fissazione per i pennarelli.” rimase in silenzio per un attimo – sentivo la rabbia di Lia crescere come la temperatura sul termometro “E hai pianto, ora che ci penso. Dicevi che il criceto non c'era più.”

Lei non aveva mai avuto criceti, ma era interessante vedere come la sua mente avesse rielaborato la perdita del suddetto roditore da parte di una sua amica, che l'aveva chiamata qualche giorno prima per darle la tragica notizia.

“Ma chi ti autorizza a sapere tutto questo di me!?!” esplose Lia. Se le vecchiette non avevano sentito lo sfogo di prima, questo l'avevano sentito di sicuro. Drake, invece, non si scompose minimamente:”Io non te le ho estorte in nessun modo. Se fosse stato così non mi sarei di certo presentato stamattina.”

Sospirai.

“Lia dovresti ringraziarlo. Ti ha aiutata molto, chissà che fine avresti fatto se non ci fosse stato lui ieri sera; avresti messo nei guai me, te e tua zia.”

“Io non lo ringrazierò mai!!!” gridò lei, ormai verde di rabbia. Pensai che fosse sul punto di vomitare.

“Va bene va bene. In ogni caso, ti ringrazio io Drake. La tua presenza è stata un vero miracolo.”

Sorrise a malapena e avrei potuto giurare che non avesse neanche sentito le mie parole; era concentrato sulla reazione di Lia, che nel frattempo si era alzata in piedi e lo guardava malissimo. A quel punto doveva averne avuto abbastanza, perché anche lui si alzò e le si mise di fronte con un sorrisetto strafottente stampato in viso.

“In ogni caso, vedo che stai più che bene. Ero tornato solo per questo, perciò ora possiamo salutarci.” le prese la mano e la strinse formalmente, come se si stessero presentando. “E' stato un piacere, Lia, io sono Drake. Sei libera di ricordarmi come il tuo salvatore.”

Le rivolse l'ennesimo sorrisetto e se ne andò nel silenzio generale. Appena la porta si chiuse alle sue spalle e i suoi passi non si sentirono più, Lia cadde tremante sulla sedia e si prese la testa tra le mani.

“Io. Non. Ci. Credo.” poi iniziò una sequela di borbottii furibondi e disperati sulla sua situazione; a quel punto capii che c'era una sola cosa da fare, perciò andai in frigorifero e presi il gelato al cioccolato. Glielo presentai davanti insieme al cucchiaio con cui aveva cercato di difendersi da Drake e Lia lo affondò con feroce soddisfazione nella vaschetta, come se pugnalasse qualcuno, e prese ad ingozzarsi di gelato.

Daniel aprì la bocca per dire qualcosa, ma io scossi la testa e mi rivolsi con cautela alla mia dolce e terrificante coinquilina.

“Lia? Tu sai che non è un dramma, vero? Non avete mica fatto chissà cosa.”

Mi fissò stranita.

“Come sarebbe!? Hai sentito quanto sa di me!?”

“E allora? Non lo rivedrai più.”

“Sì, ma...”

“Non lo rivedrai più. È finita.”

Lia rimase zitta per alcuni lunghi istanti, infine sentenziò:”Vado a lavarmi i denti.”, quindi si alzò con aria decisa e risoluta e si diresse in bagno, dove si chiuse sbattendo la porta. Sentii lo sguardo di Daniel su di me con la pretesa di spiegazioni.

“Mi dispiace che tu debba assistere a tutti i nostri drammi.” mi scusai sinceramente. Questo povero ragazzo aveva finito per essere partecipe non solo delle sciagure famigliari di noi due, ma addirittura delle nostre situazioni di panico, dei nostri crolli isterici e di tutte le altre eventualità più assurde.

Daniel esibì un sorriso capace di bloccare qualsiasi creatura vivente in cielo e in terra esattamente dov'era.

“Non importa, è stato divertente.” ogni giorno che passava continuavo a pensare che avesse letto qualcosa come L'interminabile serie di consigli pratici per la conquista di una ragazza, livello alto, ma evitai accuratamente di dirglielo.

Alla fine, Lia uscì dal bagno, Daniel se ne andò richiamato da sua madre – dov'era la spesa? - e io dovetti tornare giù a prendere la mia, di spesa, che avevo abbandonato quando avevo salito di corsa le scale per venire in soccorso della mia coinquilina.

Il resto della mattinata trascorse in tranquillità: era nuvoloso, quindi non andammo in spiaggia e ci rifugiammo in libreria per un paio d'ore, dove finimmo per comprare tre libri a testa, mangiammo un gelato e provammo un sacco di vestiti senza prenderne neanche uno. Ero attratta da un tubino nero, ma Lia mi ricordò che ne avevo almeno sette a casa e tutti uguali a quello, perciò rinunciai.

Verso mezzogiorno era uscito il sole e decidemmo di andare in spiaggia, così io feci un tuffo prima di pranzo – tanto per riempirmi i capelli di salsedine – e lei si abbronzò un po'. Un'ora dopo ci riavviammo all'appartamento per il pranzo, tutte e due particolarmente allegre; la corsa mi aveva fatto un effetto magnifico e mi sentivo benissimo. Lia era di ottimo umore... Considerata la telefonata della sera prima. Diciamo che stava cercando di non pensarci. Normalmente avrei affrontato l'argomento, ma avevo la sensazione che stesse cercando di evitarlo; forse, non parlarne lo rendeva meno reale per lei e se era questo che le serviva ero disposta ad assecondarla.

A pranzo mangiò come al solito, poi si mise a leggere ed entro un quarto d'ora crollò addormentata sul letto mentre io andavo alla ricerca di un accappatoio e di qualcosa da mettere che non fosse rosso o rosa. Andai a dare un'occhiata nella valigia e scoprii che Lia aveva trovato l'unico scompartimento del cassetto di camera mia – adibito da mia madre – pieno di biancheria di pizzo. Non ci potevo credere, non c'era un solo reggiseno senza pizzo, fiocchetti e raso. Per fortuna abitavamo da sole, perché altrimenti non avrei messo quella roba neanche per scherzo. Presi solo la biancheria – nera- e un asciugamano prima di chiudermi in bagno.

L'acqua calda della doccia lavò via i chili di salsedine che avevo addosso e mi aiutò ancora una volta a pensare; dunque, con Daniel ero a un punto di precario equilibrio. La mia decisione di conoscerlo meglio si rivelava sempre più pericolosa e catastrofica, perché ogni momento in più che trascorrevo con lui scopriva una persona buona, gentile, comprensiva... Una persona che con il tempo avrei potuto rispettare e in cui avrei potuto avere fiducia. Avrei indubbiamente sofferto quando gli avrei detto addio di lì a pochi giorni, ma per la prima volta, mentre facevo lo shampoo, mi impegnai a trovare davvero una soluzione per la vita del dopo. Se non avessi dovuto dirgli addio e lui non avesse fatto cavolate nei miei confronti avrei potuto conoscerlo e avere qualcuno che mi capiva. La mia vita in poche parole sarebbe cambiata.

Passai il successivo quarto d'ora a valutare pro e contro, perché non esisteva solo la malattia della mamma o le mie problematiche esistenziali, ma bisognava valutare anche la voce scuola, che rubava gran parte del mio tempo per tre quarti dell'anno. Mentre ero sotto la doccia, mi parve di sentire Lia chiamarmi, così bloccai l'acqua aspettando di sentire cos'avesse, ma udii solo silenzio, perciò credetti di essermi immaginata tutto. Capii quanto mi sbagliassi appena, dopo essermi asciugata e aver indossato quel ridicolo completino in pizzo, uscii scalza e diretta verso la cucina.

“Lia, si può sapere che diavolo hai messo nella mia valigia!?” entrai per farle vedere la mia assurda mise e... Daniel. Daniel era seduto davanti a me nel bel mezzo della cucina con Lia e mi fissava esterrefatto mentre facevo la mia comparsa conciata in quel modo. Il viso mi diventò di tutti i colori e cercai disperatamente di articolare una frase senza riuscirci e nel frattempo quasi soffocai.

Non ero mai mai mai stata vista da nessuno conciata in quel modo a parte Lia e forse mia madre. Nessuno.

Per cinque lunghi secondi rimasi lì a fissarlo, incapace di fare alcunché, poi l'istinto di autodifesa si accese in me come una lampadina mal funzionante che mi suggerì di urlare, tirargli il pettine che tenevo ancora stretto nella mano destra e scappare chiudendomi in camera. Per fortuna nessuno fu ferito dalla spazzola vagante che – come mi avrebbe spiegato Lia più tardi – era atterrata sul pavimento dopo essersi schiantata contro la porta. La mira del mio istinto di sopravvivenza lasciava a desiderare.

Spazzola o meno, in quel momento l'unica cosa che feci fu mettermi qualcosa di decente addosso e pensare a tutti i buoni motivi che avevo per non rivedere mai più Daniel dopo una figura come quella. Mi aveva vista con un completino intimo di pizzo... Oddio e se avesse pensato che in realtà io sapevo benissimo che lui era lì e che avevo fatto apposta a farmi vedere conciata in quel modo!? Cominciai a diventare paranoica e a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza finché Lia non entrò.

“Lia!!!!!!” ruggii “Perché diamine non mi hai detto che era in cucina!?!?!”

Lei si immobilizzò esterrefatta.

“Te l'ho detto. Ricordi? Eri sotto la doccia. Hai anche risposto, hai detto sì.”

Mi venne voglia di piangere. Avevo detto sì, ma con un punto di domanda subito dopo, per chiederle cosa volesse, non per dire sì ho capito che sto per uscire in biancheria intima davanti a un ragazzo.

“Non dirmi che non l'avevi capito.”

“No, non l'avevo capito.”

Lia mi fissò per un istante, poi cominciò a ridere di gusto:”Vorresti dirmi che... O mio Dio, questa è la vacanza migliore del mondo!” e rise “Un ragazzo ha visto Tessa con le mutande di pizzo!! Ora chiamo tuo padre e glielo dico...” e continuò a ridere fino a doversi tenere la pancia.

“Oh, e piantala!” esclamai io, ma lei replicò:”Coraggio cara, stamattina la situazione imbarazzante è toccata a me, ora è toccata a te.” e con una risatina aggiunse:”Ora sbrigati e vieni in cucina.”

“Cooosa!? Ma io non ne voglio sapere! Per carità no, è troppo imbarazzante! E cosa dico a Daniel?”

“Gli chiedi scusa per avergli tirato il pettine magari.”

Sapevo di doverlo fare – avrei anche potuto cavargli un occhio – ma non avevo nessuna voglia di mettere piede nell'altra stanza. No, no e no. Questo era davvero troppo. Continuai a maledire la mia stupidità e la mia ingenuità; avrei dovuto immaginare che ci fosse qualcuno in cucina! C'è sempre qualcuno in cucina.

Dopo diversi minuti di litigi e battibecchi Lia riuscì a prendermi per il polso e a trascinarmi in cucina con le guance più rosse di due pomodori e con scarsa voglia di guardare negli occhi Daniel, a cui mormorai a malapena un paio di scuse per il lancio del pettine.

“Non importa.” rispose lui con voce tranquilla, come se non fosse successo niente di che. La cosa mi fece arrossire ancora di più e pensare che quella scena me la sarei ricordata come minimo per il resto della mia vita e l'avrei raccontata ai miei figli, poi ai miei nipoti, che l'avrebbero raccontata ai miei pronipoti... E c'era pure da sperare che i miei figli non la spifferassero a mio padre, perché sposata o no mi avrebbe detto di tutto lo stesso. Poi, mentre ero persa in queste considerazioni, la mia mente si soffermò sulla parola figli e la collegò a biancheria di pizzo e Daniel e ci mancò poco che mi venisse un colpo e mi strozzassi da sola.

“Comunque,” riprese lui riportandomi alla realtà, “ero venuto qui per invitarvi alla serata del falò.”

Lia naturalmente era molto interessata.

“Che cos'è?”

“E' una specie di festa che si tiene sulle scogliere vicino alle pinete, verso le isole. È stasera; accendono falò, portano torce, si tuffano dagli scogli, c'è la musica... Io ci vado, perciò se volete un passaggio...” sentivo il suo sguardo puntato su di me, ma mi rifiutai di ricambiare, ancora persa nella mia idea di famiglia e talmente persa da essere finita a pensare all'età a cui bisognava costruirsene una e al fatto che mia zia era diventata promessa sposa di mio zio a sedici anni... Cinquant'anni prima, certo, ma era pur sempre successo; io quindi ero in ritardo? Ancora sei mesi e sarei stata maggiorenne e poi sarei andata all'università e, accidenti, dovevo votare? Io non capivo un accidente di politica! Poi mi venne in mente, ancora peggio, che avrei dovuto imparare a guidare e io ero un pericolo pubblico; e se avessi investito qualcuno? Oddio, sarei finita in prigione prima ancora dei diciannove anni. Ci si poteva sposare anche da carcerati? No, avrei dovuto dire subito a Daniel che dovevamo dirci addio prima o poi. Quanto si rimaneva in carcere per omicidio? Dieci anni? Venti? E quando sarei uscita cos'avrei fatto?

“Tessa? Ehi? Terra chiama Tessa!”

“Eh?”

“Allora andiamo o no?”

“Sì sì. È meglio che ci andiamo o non imparerò mai e investirò qualcuno.”

“Okay... Daniel, tu prendilo per un sì, veniamo volentieri alla serata dei falò.”

“Ehi, aspetta, che serata?”

“Dormi Tessa dormi...”

Vidi che Lia sorrideva di nuovo in modo folle, come la sera prima della discoteca. Oh, ne avremmo viste delle belle. Se l'avessi saputo... Avrei mandato tutto al diavolo e sarei andata lo stesso a quella festa. Non potevo dire di amare le feste in quel momento, ma l'avventura sì.

 

“Cosa metto?”

“Cosa metto io, piuttosto.” brontolò Lia con la testa infilata nella valigia. Riemerse con un vestitino argenteo pieno di pailettes, corto e aderente, tanto luccicante che si sarebbe visto persino sotto la pioggia. “Mi piace.” decretò e si voltò per provarlo. Io tornai alla mia ricerca, piuttosto complessa visto che non sapevo neanche cos'avessi portato via per quella vacanza; dopo un paio di minuti in cui avevo frugato nella biancheria di pizzo – da nascondere assolutamente –, tra gli shorts e le magliette, vidi qualcosa di nero. Lo presi e lo tirai fuori e vidi che si trattava di uno splendido vestito nero corto, non aderente sulla pancia e con un collarino argentato da allacciare al collo. Era bellissimo. Tolsi maglietta e pantaloncini e lo indossai, poi misi un paio di tacchi e mi voltai verso Lia: entrambe trattenemmo un fischio di ammirazione. Era fantastica con quel vestito.

“Stai benissimo!” esclamò lei.

“Grazie, anche tu.” replicai io. Ci truccammo con più cura del solito, perché in fondo era la prima volta per entrambe che ricevevamo un vero e proprio invito ad andare a una festa; misi un po' di mascara, poi matita nera, correttore, cipria, ombretto dorato e rossetto. Erano anni che non mi truccavo così tanto e faceva un effetto strano vedere allo specchio quel viso pallido e privo di nei o di brufoli che di me non aveva quasi niente. Quando mi diedi un'ultima occhiata prima di uscire, pensai che con quel vestito e truccata in quel modo non sembravo nemmeno io; somigliavo a una qualunque ragazza diciassettenne, forse persino diciottenne, pronta per andare a una festa. Solo l'espressione tradiva la facciata perfetta e lasciava immaginare che in realtà i miei pensieri fossero ben diversi da quelli di una normale adolescente, e corressero a casa dai miei genitori, perciò mi stampai sul viso un bel sorriso e un'aria tranquilla.

Quando Lia mi chiamò voltai le spalle allo specchio e dopo aver preso la borsa la seguii fuori dall'appartamento, chiudendo la porta dietro di me. Ero stanca di essere perfetta. Per una sera volevo essere quello che non avrei mai potuto essere nella vita reale. Avrebbe potuto essere la mia ultima occasione.

Spazio autrice: e contro ogni pronostico sono riuscita ad aggiornare oggi la storia! Mi scuso tanto per il ritardo; avevo in programma di mettere in questo capitolo anche la parte della festa, ma mi sono resa conto che avrebbe reso il capitolo troppo lungo, perciò aspetterete ancora qualche giorno per leggerlo. Penso che sarà entusiasmante da descrivere, anche perché ho in mente certi risvolti nella trama che daranno un significato alla parola follia :)
Per la prima volta abbino anche una canzone a qualche scena della mia storia: ho immaginato l'ultima parte con la canzone Tonight we own the night dei The Wanted. Non per tutti i capitoli, ma per qualcuno ogni tanto come in questo caso associo la musica :)
Parlando invece della storia, questa parte era dedicata più che altro a una fase di transizione tra Tessa e Daniel e a un nuovo incontro tra Lia e Drake, cosa che però verrà approfondita molto bene andando avanti nella storia ;) Per il resto, posso solo dire che mi sono divertita a scrivere questo capitolo e spero che anche voi vi divertirete a leggerlo, e che come sempre se avete domande risponderò volentieri :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Libertà ***


Capitolo 7 – Libertà

 

Quando bussammo alla porta di Daniel mi aspettavo di vederlo uscire vestito come al solito – maglietta e jeans – ma mi ritrovai davanti qualcuno di più simile a Drake: pantaloni e scarpe neri, maglia aderente e giubbotto in pelle. Guardandolo pensai che avrebbe fatto strage di cuori tra le ragazze con quel fisico da nuotatore e quegli occhi color cioccolato e per un istante mi dispiacque perché mi resi conto che avrei passato la serata a guardarlo provarci con un'altra, ma poi ricordai alla mia testa bacata che non me ne doveva importare niente perché io ero sua amica e non potevo diventare di più. Lui credeva che la nostra storia potesse avere un seguito nella vita reale, io sapevo benissimo che entro quattro giorni gli avrei detto addio. Dovevo smetterla. Poi, come in una rispettabile guerra civile, la mia testa si ribellò a quella parte di me: una sola occasione per vivere davvero, poi la mia vita sarebbe tornata come prima; volevo davvero sprecarla evitando Daniel? Volevo davvero evitare una storia che avrebbe potuto diventare qualcosa di meraviglioso solo perché poi avrei sofferto? Ci avrei sofferto comunque. Mi sentii prossima ad una crisi isterica e quando me ne resi conto guardai avidamente le scale con il desiderio bruciante di tornarmene in camera e guardare un bel film alla tv con una tazza di latte rannicchiata sotto le coperte. Io non ero brava in queste cose, non sapevo gestire drammi emotivi e correlati. Non erano fatti per me.

Guardai di sottecchi Lia e vidi che lei sorrideva tranquilla e pensai che no, no, no, non ce l'avrei proprio fatta. Ero troppo confusa: non sapevo cosa fare con Daniel, non volevo soffrire ancora, ed ero in un vicolo cieco perché sapevo che non avrebbe mai potuto funzionare tra noi oltre quella vacanza, e non solo per la malattia della mamma. Da quando lei si era ammalata, i miei genitori erano diventati molto, molto, molto più ansiosi riguardo alla scuola, soprattutto quando avevo avanzato l'ipotesi di fare il medico; da allora i voti in casa nostra erano stati un'ossessione. Dovevo essere impeccabile e, nonostante lo fossi sempre, non era mai abbastanza, perciò i miei mal accettavano che Lia mi portasse anche solo fuori casa per una passeggiata nei mesi scolastici, figuriamoci se avessi presentato loro un ragazzo! Mio padre si sarebbe arrabbiato, mia madre avrebbe detto di non volersi schierare ma mi avrebbe guardata in quell'odioso modo che voleva dire sai che non puoi, tu devi concentrarti sulla scuola e solo sulla scuola e all'improvviso ripensando a tutto questo e rendendomi conto che veramente non potevo neanche pensare di far coesistere Daniel e la mia vera vita, mi sentii quasi strozzare dalle catene di quei pensieri.

Alzai la testa per dire a lui e Lia che non mi sentivo affatto bene e che volevo tornare in camera, quando incontrai il suo sguardo e lui sorrise. Non era uno di quei sorrisi qualunque, era un sorriso che avrebbe potuto fermare esattamente dov'era ogni creatura del cielo e della terra, che avrebbe potuto illuminare una stanza buia e che mi diceva che sarebbe andato tutto bene.

“Allora andiamo?” chiese Lia e io, nonostante la mia coscienza gridasse, annuii.

“Bene. La macchina è qui fuori.” Daniel si avviò verso l'esterno con noi al seguito.

“Sai guidare?”

“Sì. Ho preso la patente all'inizio dell'estate.”

Mentre loro due parlavano di patente ed incidenti io continuavo a rimuginare tra me e me, ma poi mi resi conto di essere davvero stufa di rimuginare. Perché dovevo sempre pensare così tanto sulle cose? Raddrizzai la schiena e la testa, presi il cellulare che avevo nella borsa e lo spensi. Ora basta. Per quella sera nessuna malattia, nessun voto, nessuna realtà della vita mi avrebbe dominata, niente e nessuno avrebbe osato incatenarmi. Io ero libera, avevo diritto di esserlo.

Seguii con decisione Daniel in macchina, dove ci fu una specie di piccolo teatrino quando Lia mi spinse letteralmente nel sedile davanti a fianco a quello di lui e lei si sedette dietro; alzai gli occhi al cielo ma non dissi niente.

“E' la tua prima festa Tessa?” distolsi lo sguardo e fissai ostinatamente il paesaggio che ormai scorreva fuori dal finestrino. Sì, era la mia prima festa, ma non volevo ammetterlo, esattamente come non volevo dirgli che non ero mai stata baciata da un ragazzo; non volevo passare per un'ingenua di prima categoria, anche se sapevo che lui non me l'avrebbe mai fatto pesare.

“No.”

“Sì invece.” mi corresse Lia da dietro. Accidenti a lei! Fui tentata di lanciarle un'occhiataccia, ma alla fine mi limitai a un sonoro e sconfitto sospiro. “Sì, è la mia prima festa.”

“Allora dovremo inaugurarla bene questa festa. Hai mai bevuto?”

“No.” in realtà una volta avevo bevuto mezzo bicchiere di birra, ma dubitavo seriamente che contasse e non volevo rendermi ancora più ridicola.

“Bene! Mi sa che è ora che provi. Quand'è il tuo compleanno?”

“Il 22 novembre” risposi diffidente.

“Ecco, consideralo un regalo di compleanno in anticipo.” Lia ridacchiò. “Fantastico! Daniel, sarai mio alleato questa sera.” brontolai qualcosa di cui i due cospiratori non si curarono mentre continuavano a pianificare la mia prossima ubriacatura e a commentare quanto mi sarei divertita alla mia prima festa. L'unica cosa che sentivo io era la cena sempre più pesante sullo stomaco e una voglia irrefrenabile di scendere da quella macchina in corsa e scappare lontano da tutto e da tutti, ancora, ancora e ancora come avevo fatto tante volte nella mia vita. Guardai il paesaggio che scorreva accanto a noi e la luce che il sole proiettava su di esso mentre tramontava, dando a inizio a quella che, senza che io potessi saperlo, sarebbe stata una delle notti più assurde della mia vita. Guardavo case, strade e poi spiaggia e pinete scorrermi vicino e pensavo che mi sarei semplicemente annoiata e tenuta lontano dal caos il più possibile. Continuai a crederlo anche quando arrivammo alla spiaggia buia e vidi la spiaggia e il mare davanti a noi, che poi si diradavano a formare le altissime scogliere tipiche di quella zona con sentieri che si dipartivano lungo le loro pareti scoscese per portare alla cima. Nel buio vidi qualcuno lassù, con in mano quelle che parevano torce molto probabilmente ricavate dai due falò nelle vicinanze, uno sulla spiaggia, riparato dalla scogliera, e uno sulla scogliera stessa. I ragazzi erano paurosamente vicini allo strapiombo e quando Daniel vide che li guardavo, spiegò: “Si tuffano dagli scogli. Lo fanno anche di giorno, ma di notte ha più fascino perché non vedono dove vanno.”

“E può tuffarsi chiunque?” davvero non me ne capacitavo. C'era davvero qualcuno tanto pazzo da fare un'esperienza del genere solo per l'adrenalina che ne ricavava? Per quando mi riguardava, che andassero a farsi una lunga corsa e alla fine si sarebbero comunque sentiti benissimo e sarebbero stati ancora vivi.

“Ovviamente no.” rispose Daniel “Sono professionisti, lo fanno da anni. C'è una piscina olimpionica in città dove si prendono lezioni di nuoto, si fanno gare e ti insegnano a tuffarti. Quando hai imparato a farlo nel modo corretto – e ci vogliono anni di allenamento – devi fare un corso per imparare a calcolare le correnti marine e le maree, senza contare che devi essere sicuro che la profondità dell'acqua sia quella giusta e che non ci siano ostacoli sul fondale.”

“Ti sei mai tuffato?”

“Una volta, due anni fa, ma da un punto molto più basso della scogliera. Ho preso lezioni di nuoto, ma sui tuffi conosco solo le basi.”

Scendemmo dalla macchina e ci avviammo verso il falò sulla spiaggia. Lia mi affiancò sorridendo.

“Sembra bello.”

“Concordo.” ma in realtà ero inquieta, tutto quel buio mi metteva in allerta; ce n'era troppo e più la notte calava meno vedevo intorno a noi. Sentivo solo lo sciabordio del mare, la musica trasmessa da quella che sembrava essere una radio vicino al falò, e l'unica luce che vedevo era, appunto, quella del falò. Ogni tanto comparivano e scomparivano delle torce intorno a noi e si sentivano le risate di altri lì in giro, che all'inizio credevo poco numerosi ma man mano che mi avvicinavo mi resi conto che c'era molta più gente di quanto mi aspettassi. Alcuni erano seduti sui tronchi attorno al fuoco, altri in piedi, e la musica era molto più forte di quanto credessi quando ero scesa dalla macchina, era martellante, ritmata, mi entrava nelle vene. In molti ballavano nel buio, alcuni se ne andavano nel buio, altri venivano da esso. Si percepiva un'energia crepitante tra loro, forse derivata dalla musica o dal fatto che quel luogo fosse letteralmente separato dal mondo o dal semplice fatto che tutti stavano bevendo quanto volevano. Notai che vicino al fuoco c'erano delle casse con bottiglie luccicanti alla luce delle fiamme; riconobbi birra e vodka, nelle altre non sapevo cosa ci fosse ma non supponevo niente di buono. Lanciai un'occhiata dubbiosa a Lia accanto a me, preoccupata dei risvolti di quella situazione, ma lei mi sorrise incoraggiante e mi trascinò a ballare nonostante fossi rigida come un pezzo di legno. Oh, no, io dovevo proprio andarmene da lì.

Mentre fissavo lei che, sciolta come non mai, iniziava a ballare agitando i fianchi come se fosse la cosa più naturale del mondo, sentii una voce vicinissima al mio orecchio: “Dopo un po' ci si abitua” e istintivamente feci un salto indietro prima di accorgermi che era Daniel. Incurante della mia espressione stupefatta mi offrì un bicchiere di qualcosa di indecifrabile dall'odore terribile che però ingoiai per farlo contento e per non sembrare proprio un'idiota. Non ci riuscii visto che quella sottospecie di bevanda mi bruciò la gola facendomi lacrimare gli occhi e tossire; ma che razza di schifezza era mai questa!? Daniel scoppiò a ridere.

“Benvenuta nel mondo degli alcolizzati Tessa!” e mi allungò un altro bicchiere. Lo presi anche se ne versai a terra il contenuto appena distolse lo sguardo. Ero davvero spiacente, ma non avevo nessuna intenzione di bere anche un solo sorso di quella roba un'altra volta. Quando Daniel si voltò gli sorrisi angelicamente con il bicchiere parzialmente vuoto mentre fingevo di sorseggiare il resto di quella roba il cui solo odore mi dava il voltastomaco. Era davvero questo l'alcool che tutti bevevano tanto volentieri!? Io sentivo solo bruciore alla gola e al petto, che lentamente scendeva verso lo stomaco. Fui costretta a bere il resto del contenuto del bicchiere perché Daniel mi guardava con grandi speranze e non volevo deludere il suo desiderio di vedermi vomitare entro la fine della serata, anche se dovevo ammettere che la nausea stava lentamente lasciando posto a una certa allegria.

Quando fu Lia a passarmi il terzo bicchiere – che lei credeva fosse il primo – lo mandai giù subito, improvvisamente senza ricordare perché non volessi bere o perché volessi rimanere sobria in generale; la sensazione era molto simile a quella che provavo prima di dormire, quando pensavo a qualcosa e non lo ricordavo subito dopo, e allora passavo a un altro pensiero e ancora a un altro, mentre la mia testa si svuotava, solo che ora tutto questo era anche accompagnato da una certa euforia, una sorta di speranza talmente forte e rassicurante da farmi credere che qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe andato tutto bene.

Iniziai a trovare la cosa estremamente divertente e a ridere di gusto per la situazione in generale: io che ballavo con Lia e quel vestito striminzito e Daniel seduto su uno dei tronchi accanto al falò che mi fissava mentre parlava con Drake. La cosa mi parve strana, ma non ci feci caso, troppo impegnata a ballare come non avevo mai fatto, nemmeno da sola nella mia camera, muovendo i fianchi, lasciando che il mio corpo seguisse la musica, che si fondesse con essa, finalmente libera dai pensieri che di solito assediavano la mia testa, libera dalle catene che mi impedivano di respirare, libera, libera... Per un po' quella parola risuonò nella mia testa, poi smise anche quella, come se mi fossi addormentata davvero pur tenendo gli occhi aperti e continuando a ballare.

Lo sguardo mi cadde sulle persone accanto al falò e vidi che Drake continuava a parlare con Daniel, ma smisi anche di vederli quando chiusi gli occhi e mi concentrai completamente ed unicamente sulla musica. Il senso di euforia che sentivo dentro di me aumentò quando – non ricordo come – bevvi un quarto bicchiere e poi, forse, un quinto, ma non potevo proprio esserne sicura. La matematica non era la mia priorità in quel momento e quando sentii le mani di qualcuno appoggiarsi con delicatezza sui miei fianchi lo divenne ancora meno. Aprii gli occhi e vidi che era Daniel che ondeggiava davanti a me e mi attirò a sé tanto che sentii il suo respiro sul viso e il calore che il suo corpo emanava. Anche se non ero mai stata tanto vicino a una persona sulle prime non mi parve strano, anzi era in qualche modo piacevole avere qualcuno che per una volta mi sosteneva quando le mie gambe non erano tanto stabili, ma poi ebbi un attimo di lucidità e mi staccai, guardandolo con la testa inclinata come se così potessi capire meglio quello che succedeva. Qualcosa in fondo a me gridava che era assolutamente sbagliato nonostante non avessi idea di come ascoltare quel qualcosa... Perché era sbagliato? No, un attimo, perché mi ero staccata? Cosa facevo lì? Ci ero arrivata in macchina con lui... Come si chiamava... Sì, Daniel. Mi sentii ancora più confusa quando la mia testa mi disse che dovevo cercare qualcuno ma non ricordai più chi fosse quel qualcuno... Ero venuta con... Con... Lara? No, non ero venuta con nessuno. La spiaggia ondeggiava sotto i miei piedi. Questa Lara era... Era... Non riuscii a ricordare chi fosse, ma ricordai casa e la malattia della mia mamma e tutta la tristezza mi piombò addosso in un colpo solo come un peso insostenibile. Mi salirono le lacrime agli occhi.

“Non voglio che sia malata. Io ho paura...” guardai Daniel in faccia e iniziai a piangere. “Toglietemi le catene. Non ne posso più di catene...” scoppiai in un vero e proprio pianto a dirotto, costellato di totale confusione in cui sentivo soltanto la tristezza dei miei pensieri, e che si risolse in una precipitosa fuga per mettere fine a quella depressione. Così scappai.

Facendomi strada nella folla iniziai a correre attraverso la spiaggia, barcollando sui tacchi, incespicando, a volte rischiando di cadere.

“Tessa!!” urlai qualcosa di confuso alla voce dell'inseguitore – chi era? - e continuai a scappare senza sapere nemmeno io di preciso dive andavo, i movimenti rallentati dall'alcool e il mondo che ondeggiava come una barca sul mare. Vidi Lia – ecco come si chiamava! - discutere con un ragazzo dal giubbotto in pelle, probabilmente Drake... Nel buio non riuscivo a vederlo bene. Gli stava puntando un dito contro e una parte lontana di me mi ricordò che avrei dovuto andare lì e separarli, ma dietro di me c'era l'inseguitore, così continuai a correre iniziando ad arrampicarmi su per la scogliera. Perché mi inseguiva? Anche lui cercava di incatenarmi, pensai con furia. Oh, no, non avrebbe osato. Basta catene. Aumentai la velocità per quanto possibile e ci riuscii persino da ubriaca, dopotutto andavo pur sempre a correre, ero sempre stata agile e veloce, perciò nonostante mi sembrasse di cadere ad ogni passo continuai a salire lungo la scogliera. Salii per quella che mi parve un'eternità finché qualcuno non mi afferrò da dietro.

“Tessa! Fermati, rischierai di cadere dalla scogliera! Dove stai andando?”

“Lasciami!” strillai dimenandomi come un'anguilla tra quelle braccia d'acciaio “Smettila, smettila! Troppe catene, non le voglio, sono stanca!” mi resi conto che stavo piangendo e che avevo perso uno dei tacchi lungo la strada, mentre l'altro stava per sfilarsi. Lo tolsi e rimasi scalza.

“Se ti lascio prometti di non ricominciare a correre?”

“No, devo scappare!” singhiozzai io, inconsapevole di quello che dicevo. L'avrei purtroppo ricordato la mattina dopo e me ne sarei pure pentita, ma in quel momento a quanto pareva non mi importava.

“Da chi devi scappare?” la voce di Daniel era calma e rassicurante nonostante tutta la confusione nella mia testa. Ogni tanto pensavo che un giorno sarei semplicemente impazzita e mi sarei rinchiusa in un mondo tutto mio, dimentica del resto, della mia vita, del dolore, delle malattie, delle paure...

“Da tutto...” sussurrai mentre piangevo sempre di più e crollavo in ginocchio con le mani premute sul viso e sugli occhi, scossa da singhiozzi irrefrenabili. Ero sempre in ansia o spaventata da qualcosa, ma in quel momento mi sembrava che solo quello fosse importante e che fosse una sensazione talmente forte da schiacciarmi letteralmente per la disperazione. Ero terrorizzata e piangevo così tanto da non riuscire nemmeno a respirare... Dovevo fare qualcosa. Mi alzai di nuovo, ma Daniel mi trattenne.

“No no, ehi. Dove pensi di andare?”

Farfugliai qualcosa di incomprensibile e tentai di liberarmi, ovviamente senza risultato. Il suo fiato caldo mi solleticò il collo quando parlò: “Tessa ascoltami. Hai solo bevuto troppo, avrei dovuto tenerti d'occhio, ma non importa. Andrà tutto bene, ora starai qui con me finché non ti sentirai meglio, d'accordo?”

“No, io devo andarmene...” tuttavia suonò più come un mugolio confuso e camuffato dalle lacrime che poteva fare poco contro la forza di Daniel. Certo lo aiutava anche il fatto che io non fossi particolarmente coordinata in quel momento e che i miei muscoli non rispondessero ai comandi che impartivo loro. Sconfitta e più incatenata che mai continuai a piangere per non sapevo nemmeno io che cosa, anche se poi in effetti mi venne da ridere perché pensai alla faccia di Lia se mi avesse vista tra le braccia di un ragazzo seminuda e completamente ubriaca, anche se in quel momento non realizzavo veramente il fatto di essere ubriaca, mi sentivo solo un po' strana.

“Come no Tessa. Te ne andrai a dormire piuttosto. Vieni, andiamo a recuperare la tua amica... Queste cose non fanno per te.”

Daniel mi aiutò ad alzarmi e mi condusse giù dalla scogliera alla ricerca di Lia e Drake.

Spazio autrice: ed eccoci qua, abbiamo scritto uno splendido capitolo deprimente! In realtà il progetto iniziale era di far combinare a queste mie care protagoniste qualcosa di folle e stupido, ma alla fine la cosa si è risolta in un monito a non bere mai e in una certa tristezza finale; devo dire che non so se essere particolarmente soddisfatta, aspetto la vostra opinione per questo. Di sicuro mi farò perdonare in tema di allegria nel prossimo capitolo che penso di pubblicare tra oggi e domani per farmi perdonare della lunga assenza nelle ultime settimane :) Di questo devo chiedere scusa a tutti i miei lettori, ma è stata una settimana incredibilmente pesante e ora ho proprio bisogno di un weekend di totale tranquillità, visto che sono completamente esausta e sono riuscita a prendermi non una ma due tendiniti.
Riguardo alla storia, se ve lo state chiedendo, non ho letteralmente la più pallida idea di cosa ci fosse in realtà nei bicchieri mischiato con l'alcool; ho immaginato qualche genere di droga leggera, ma visto che non ho una grande esperienza a riguardo lascio immaginare a voi. Se alcune cose si discostano dalla realtà... Be', perdonatemi, colpa ingenuità ed inesperienza ;)
Se avete domande fatele tranquillamente nelle recensioni, se le lasciate questo weekend risponderò quasi sicuramente in tempi brevi! :) Buon Halloween a tutti!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - In corsa ***


Capitolo 8 - In corsa

POV Lia

Davvero, perché una persona doveva essere così stupida!? Prima aveva cercato di ballare con me nel modo più spinto possibile, poi quando mi ero rifiutata aveva cercato di intavolare una conversazione. Era così che funzionavano le cose adesso?

“Davvero, qual è il tuo problema!?!”

“Nessuno.”

“E allora perché sei qui!?”

Io questo qui non lo volevo più vedere! Ma scherzavamo!? Tessa poteva dire quello che voleva, ma rimaneva il fatto che mister molestatore qui presente sapeva fin troppo di me, che mi aveva toccata e addirittura presa in braccio e che era un idiota. E carino non lo era proprio per niente, lui e quei suoi irritanti occhi azzurri; perché doveva guardarmi così? Mi dava sui nervi! Nessuno aveva il diritto di sapere così tanto di me senza neanche conoscermi!

“Voglio sapere se davvero ti piacciono i miei addominali.”

“Ma... Ma... Ma... Cos'hai al posto del cervello!? Noccioline!?!?” esplosi furibonda. Chi se ne fregava dei suoi addominali! Potevo averli apprezzati da ubriaca, ma in quel momento non ne volevo proprio sapere anche se erano uguali a quelli di un cartellone pubblicitario. Oh, ma che cosa pensavo! Dovevo scollarmi di dosso questo qui il prima possibile.

“Bene, ora che abbiamo chiarito, scusami” e feci per aggirare Drake e andarmene alla ricerca di Tessa – appunto, dov'era Tessa? - che avevo visto ballare ad occhi chiusi giusto un attimo prima, ma che ora era sparita nel buio. Ci sarebbe voluta un'eternità per trovarla! Pensai di chiamarla, poi però ricordai che non rispondeva al telefono neanche in circostanze normali, figurarsi in quel momento.

“Non hai ancora risposto.” ooooooh!!! Ma arrivavano tutti da me i matti!? Che problemi aveva questo? Lontano da me, per carità!

“No, non mi piacciono i tuoi addominali!” esclamai sperando di togliermelo di torno. L'unico risultato che ottenni, tanto per la cronaca, fu di vedermelo piantare ostinatamente esattamente davanti a me e di ritrovarmi i suoi occhi azzurri puntati nei miei. Che diritto aveva questo pazzoide di cercare di scavare dentro di me in questo modo!? Oh, e dov'era Tessa!?! Qualcuno doveva togliermi da questo casino...

“Quindi nemmeno io ti piaccio.”

“No!!! E' tanto difficile da capire per te!?”

“Be', in realtà sì.”

Lo fissai stralunata. Era scemo o cosa?

“Fantastico. Non mi interessa. Non mi piaci punto e basta.”

“Ci tenevo lo stesso a dirti che mi piaci. Non capita tutti i giorni di salvare qualcuno come te.”

Stavo camminando a passo di marcia per andare a cercare Tessa e Daniel, ma a quell'affermazione mi voltai di scatto e lo affrontai puntandogli un dito contro.

“Tu devi starmi lontano. Cos'è che non capisci di questa frase?”
“Ma perché? Cosa ti ho fatto?”

Non trovavo nemmeno le parole per esprimermi! In realtà, pensandoci bene, non mi aveva fatto niente, semplicemente non doveva sapere le cose che sapeva di me e mi irritava a prescindere, ma non potevo spiegarglielo.

“Non sono affari tuoi. Stammi lontano.”

“Dai Lia facciamo così: prima me lo dici, prima ti lascio in pace.”

“Non chiamarmi così.”

“Non ti chiami Lia?”

“Sì, ma tu non devi chiamarmi così.” quello che stavo dicendo era in effetti molto incoerente, ma in quel momento non me ne fregava proprio niente, volevo solo che smettesse di pronunciare in quel modo il mio nome: come se fosse una cosa che aveva sempre fatto e al tempo stesso facesse attenzione a come articolava il morbido suono della l, a dirlo in un tono basso, con una nota roca... Mi irritava profondamente il fatto che uno sconosciuto dicesse il mio nome in quel modo.

“E come devo chiamarti?”

“Non devi proprio chiamarmi! Devi farti gli affari tuoi e lasciarmi in pace!”

“Non voglio lasciarti in pace.”

“Ma guarda! Non me n'ero accorta.” stavo diventando isterica “Senti, se non vuoi beccarti uno schiaffo, togliti dai piedi.”

“Voglio riscattare la terribile opinione che hai di me. Ti ho salvata, ma pare che non basti, perciò voglio sapere cosa devo fare.”

Ero tentata di rispondergli in modo sprezzante come avevo fatto nell'ultima mezz'ora, ma ero veramente stufa che continuasse a farmi domande, così decisi di spiegarmi un po' meglio.

“Non c'è proprio niente che puoi fare per farmi cambiare opinione. Quando ho un'idea su una persona, non la cambio più.”

“Ma per favore!” mi studiò per un istante “E se ti facessi i biscotti?”

Oooooh, che idiota!

“Biscotti di che!? Lasciami in pace!”

“Biscotti al cioccolato.”

“Non voglio proprio niente da te! Vai... Che ne so io, non hai qualcosa da fare?”

“Non fino a domani mattina, perciò posso seguirti fino ad allora. Obiezioni?”

“Ma... Ma... Ma sei completamente matto?”

“Probabile. Cosa fai domani?”

Mi sentii sull'orlo di una crisi isterica e mi venne la sincera voglia di tirargli uno schiaffo.

“Niente che ti riguardi.”

Drake trasse un profondo respiro.

“E va bene. Ti lascio stare.”

“Grazie!” trillai io al culmine dell'esasperazione e lo aggirai diretta verso... Be', non sapevo dove fosse Tessa, ma almeno mi stavo allontanando da lui.

“Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.”

Apparentemente era una folle frase senza senso, ma io mi voltai lo stesso perché la conoscevo e sapevo di cosa parlava. Non avevo intenzione di voltarmi e avere di nuovo a che fare con lui, ma quando aveva pronunciato quelle parole mi era quasi suonato un campanello in testa.

“Cosa?”

Drake sorrise e il modo in cui lo fece non somigliava a nessuno di quelli che avevo visto sul suo viso quella sera; non era beffardo o malizioso, era solo un sorrisetto furbo, ma in qualche modo era diverso perché aveva contagiato i suoi occhi che ora luccicavano nell'oscurità, riflettendo le fiamme delle torce ma anche dicendomi che sì, sapeva di cosa parlava.

La frase che aveva detto era quella del Cappellaio Matto di Alice nel paese delle meraviglie e, parola mia, non avevo mai capito cosa volesse dire anche se l'avevo sempre adorata, perché sembrava che ci fosse chissà che messaggio nascosto, comprensibile solo a forza di spremersi le meningi e analizzare bene il contenuto di quella citazione... Poi uno ci provava e scopriva che in realtà non aveva senso, o era troppo stupido per trovarlo. Non l'avevo mai capito, tuttavia quando Drake la pronunciò mi costrinse a voltarmi e a guardarlo meglio, incuriosita anche se ancora diffidente; era il suo modo per dirmi che anche lui amava leggere?

“Beccata Lia. Allora qual è il tuo libro preferito?”
“Scusami ma questi non sono proprio affari tuoi.”

“No, eh? Io non ho un libro preferito.”

Questa rivelazione mi incuriosì; se leggeva, allora com'era possibile che non avesse un libro preferito? Io ne avevo sempre uno. Uno diverso ogni settimana, probabilmente, ma ce n'era sempre uno in cima alle classifiche dello scaffale in camera mia; persino Tessa aveva uno scaffale in camera sua che chiamava scaffale dei preferiti ed era quello su cui metteva tutti i libri che le erano piaciuti di più e non li toglieva mai. Com'era possibile non averne uno che si amava più degli altri?

“Pensavo fosse Alice nel paese delle meraviglie.” replicai alludendo alla frase che aveva citato poco prima, ma Drake scosse la testa.

“E' stato uno dei libri che mi sono piaciuti di più, ma non potrei mai averne uno che preferisco.”

“Perché?” mi arresi infine a chiedere, al che probabilmente schiacciai un interruttore particolare nella testa di questo imprevedibile sconosciuto, visto che sfoderò nuovamente il suo sorriso beffardo e fissò gli occhi nei miei:”Ah ah Lia, per la risposta voglio qualcosa in cambio.” prima che potessi precisare che non avevo intenzione di baciarlo o fare altro, aggiunse: ”Vediamoci domani.”

Lo fissai come se fosse matto e la prima cosa che mi venne in mente per obbiettare a quella proposta odiosa – passare altro tempo con questo squilibrato – fu: ”Ma io non ti conosco.”

“Ci vediamo per conoscerci.”

“Non voglio conoscerti...” brontolai, ma suonava davvero poco convincente perché malgrado tutto continuavo ad essere una persona ottimista e questo mio lato mi induceva a pensare che magari questo tizio sarebbe stato diverso, che mi avrebbe aiutata, che avrebbe capito tutto e...Non lo sapevo nemmeno io, nonostante ci sperassi davvero. Lo osservai: e se fosse stato lui a cambiarmi la vita, lui quello che avevo tanto aspettato? Magari finalmente era arrivato il momento anche per me.

“Guarda, sai cosa ti dico? Va bene. Dove ci troviamo?”
Drake sorrise di nuovo.

“In spiaggia al faro alle dieci del mattino.”

Annuii.

“Ci sarò.”

“Ora dove vai?”
“A cercare Tessa.”

“Ti accompagno, ho visto lei e Daniel salire sulla scogliera.”

 

POV Tessa

Avevo sempre pensato che la vita fosse deprimente, ma non avevo mai pensato che potesse essere così triste, anche ammesso che in quel momento potessi pensare a qualcosa. In realtà avevo l'impressione di galleggiare in un gran banco di nebbia, intervallato di tanto in tanto dalle luci delle fiamme, con la sola mano di Daniel a guidarmi. Ora che lui era la sola cosa su cui dovevo concentrarmi mi era più facile ricordare chi era, ma facevo talmente tanta fatica a mettere in moto il cervello che capivo a stento dove stavamo andando.

Di tanto in tanto dalla nebbia emergevano i miei pensieri: ricordi, perlopiù, di mia madre. La sua espressione dopo la diagnosi, il clima in casa, mio padre che piangeva... Dopo un po' mi accorsi che le lacrime erano diventate le mie e scorrevano anche in quel momento sulle mie guance. Non sarebbe mai finita, mai. Non sarei mai stata libera ovunque fossi andata.

“Tessa?”

Alzai la testa e guardai Daniel davanti a me e il fatto che lui fosse preoccupato per me mi parve davvero divertente; adesso arrivava, quando ormai avevo imparato a cavarmela da sola? Scoppiai a ridere, ma a causa delle lacrime il tutto si tradusse in una serie interminabile di singhiozzi che mi fecero solo ridere ancora di più e peggiorare così la situazione. Volevo davvero provare a salire sulla scogliera e vedere che clima si respirava lassù... Magari trovavo la libertà. Mi voltai e ricominciai ad andare in quella direzione, ma la mano di Daniel strattonò la mia e mi bloccò.

“Dove stai andando ora?”

“Libera...” farfugliai.

“Certo. Ne riparliamo domani mattina.”

“Ma io voglio salire in alto.”

“Lo farai domani mattina, se lo vorrai ancora fare.”

“Nooooo, io voglio andarci adesso.”

Daniel sospirò sonoramente.

“Come devo fare con te?”

“Volareee...” la mattina dopo mi sarei pentita di ogni singola parola nonostante in quel momento ne fossi piuttosto entusiasta e continuassi a dirigermi verso gli scogli. Mi piaceva davvero tanto l'idea di salire là sopra e ci tenevo un sacco. Cercai di concentrarmi per capire perché Daniel non volesse lasciarmi andare lassù ma non ci riuscii e così continuai a strattonare la sua mano, immobile come un pezzo di marmo.

Poi, lui alzò lo sguardo e vide qualcosa dietro di me che evidentemente gli fece cambiare idea, perché iniziò a condurmi esattamente nella direzione che volevo io.

“Sììì, finalmente!” esultò la Tessa ubriaca che era in me e si mise al suo fianco saltellando. Daniel alzò gli occhi al cielo: “Non ho nessuna intenzione di portarti fino in cima. Vedi lassù?” ovviamente non vedevo “C'è la tua amica Lia. Ora andiamo a prenderla, saliamo in macchina e torniamo a casa... Chissà che ci fa lei con Drake.”

“Non voio tonae a casaaaaa” tradusse la mia voce deformata dall'alcool. No, non volevo proprio tornare a casa, mancava ancora tanto tempo... Avevo troppa paura, volevo scappare, non sapevo come aiutare nessuno... Ricominciai a piangere e mi parve di farlo per un'eternità mentre seguivo faticosamente Daniel sulla scogliera, inciampando ad ogni passo. Era una mia impressione, o faceva davvero tanto caldo? O mio Dio, bere non era proprio per me.

Alla fine dopo un cammino interminabile arrivammo in cima e la luce del falò rischiarò il paesaggio sabbioso intorno a noi evidenziando un punto poco più avanti in cui la scogliera si interrompeva per cadere a strapiombo sul mare; gli occhi di Daniel riflettevano le fiamme e per un attimo mi ritrovai a pensare alla Divina Commedia e a quante volte l'avevo letta e studiata e alle fiamme dell'Inferno di Dante... Avevo paura di loro. Esausta e spaventata mi appoggiai al suo braccio avvinghiandomici con tutta la forza di cui disponevo.

“Finalmente!” sospirò lui “Credevo stesse per slogarmisi la spalla a forza di trascinarti...”

Mugugnai qualcosa di indefinito e chiusi gli occhi.

“Lia! Cosa ci fate quassù? Ascolta Tessa non sta molto bene, è il caso di tornare indietro.”

“Cosa? Come non sta bene?”

“Ha bevuto un po' troppo...”
“Oddio!” esclamò lei con voce acuta “Allora sarà proprio meglio andare.”

Aprii gli occhi e guardai il paesaggio sfocato intorno a me; riconobbi persone intorno al falò che ridevano e chiacchieravano tra loro passandosi una bottiglia e la luce delle fiamme mi ammaliò per un attimo, finché non mi resi conto che c'era qualcosa di diverso rispetto alla spiaggia giù. Cercai di concentrarmi con tutte le mie forze e solo alla fine capii cos'era: il silenzio. La musica non nascondeva il fragore invitante delle onde sotto la scogliera, delle bellissime onde che si schiantavano forti contro gli scogli. C'erano le stelle quella notte, o almeno pareva a me, e la luna brillava splendida e lucente sul mare davanti a noi ed era così... Bello. Persino l'aria profumava di libertà. Mi raddrizzai e staccai il braccio da quello di Daniel, avanzando verso il bordo come ipnotizzata. Una remota parte di me – forse – si rendeva conto del pericolo imminente nell'avvicinarmi così tanto al bordo della scogliera, ma non trovai un motivo valido per avere paura e così continuai a camminare finché i miei piedi non sporsero per metà oltre il bordo e io riuscii a vedere l'affascinante baratro buio sotto di me.

Una volta mio padre mi aveva detto che quando si era tanto vicini al vuoto quello ti chiamava, e io non potevo che essere d'accordo con lui. Era come venire avvolti dalle spire di un serpente e, inconsapevole com'ero di ogni pericolo, iniziai a chiedermi come sarebbe stato cadere nel vuoto, libera da ogni vincolo, sentire l'aria intorno a me e tra i capelli, volare...

“Tessa!”

Se la parte razionale di me fosse stata attiva in quel momento, avrebbe senza dubbio specificato che per nove metri di tuffo ci volevano almeno quattro metri d'acqua, che il fondale doveva essere libero dagli ostacoli e che un tuffatore da un'altezza neanche troppo elevata poteva arrivare tranquillamente a una velocità di 40 km/h; era pur sempre un corpo in caduta libera dopotutto e l'impatto con l'acqua, se non eseguito in modo corretto, avrebbe persino potuto danneggiare la schiena... Ma la parte razionale di me aveva fatto le valigie ed era partita per le Hawaii, perciò io me ne stavo lì a rimirare il baratro buio e a farmi domande strane.

“Tessa!” mi voltai e vidi Lia, Daniel e Drake venire verso di me. Oh, ma cos'avevano ora? Non stavo facendo niente di male. Tutti lì a pretendere di imprigionarmi e incatenarmi... Non volevo che mi riportassero a casa. Proprio no. Ma non volevo neanche buttarmi dalla scogliera; forse era l'effetto dell'alcool che spariva, ma cominciava a sembrarmi pericoloso pensare di fare una cosa del genere.

“Tessa, non ti muovere!” Daniel mi fissava con una tale intensità che sembrava cercasse di ipnotizzarmi con lo sguardo entrandomi direttamente nell'anima e soggiogandola. “Vieni qui, per favore.”

Vidi Lia guardarmi a bocca aperta con il viso bianco come la cera e Drake fissare lei, quasi studiarla, mentre lei non se ne accorgeva. Poi, quando ancora cercavo di concentrarmi sulla situazione che avevo davanti, sentii una goccia d'acqua sulla spalla, poi una sul piede. Guardai in alto e notai che non c'era proprio nessuna stella, anzi il cielo era coperto di nuvole e all'orizzonte si vedevano i lampi; stava per piovere, pensai esterrefatta. Mi accorsi che stava cominciando anche a soffiare il vento e che era per quello che avevo sentito le onde fin lassù: il mare era agitato dal temporale che stava per arrivare. La parte razionale di me, dalle Hawaii, fece presente che un tuffo nel bel mezzo delle correnti era decisamente fuori discussione. Poi però pensai che magari non avrei più avuto occasione di volare, perciò senza pensarci oltre spostai un piede nel vuoto e mi lasciai cadere; per un istante fui assolutamente libera da ogni vincolo, sospesa perfettamente immobile nell'aria. Secondo la fisica che tanto avevo studiato quell'anno su di me stava agendo la forza di gravità, pensai tra me e me. Poi, contro tutti i principi della fisica, il mio moto di caduta libera si arrestò, trattenuto da una mano che afferrò la mia e mi costrinse ad andare a sbattere contro le rocce della scogliera. La situazione rimase stabile finché chi mi tratteneva non iniziò a scivolare strillando: “Tessa! Arrampicati, Tessa! Aiutatemi!” era... Lia!? Scoppiai a ridere e risi ancora più forte quando Drake ci tirò su entrambe, o meglio, tirò su Lia afferrandola per la vita e Lia tirò su me. Daniel mi prese immediatamente e mi caricò sulla sua spalla proprio mentre iniziava a piovere.

“Eh no, Tess, bere non fa proprio per te. Quando arriverai a casa vedrai quanto vomiterai...”

Lia rimase in silenzio. La parte successiva della serata non mi fu molto chiara visto che mi svegliai solo chissà quanto tempo dopo, quando Daniel mi depositò sul letto del mio appartamento e fuori si scatenava il diluvio universale.

“Oddio ma si è ferita!”

“Sono tagli superficiali. Sanguinano molto ma non sono gravi. Ho fatto un corso di primo soccorso, se vuoi gliele medico io.”

“Fai pure! Io non ho intenzione di metterci mano...” Lia aveva il terrore del sangue e di tutto ciò che lo riguardava. Bastava dirle che avevamo trentatré vertebre e lei scappava urlando che schifo e non dirmi queste cose.

“Tu stai bene?”

“Si si abbastanza.”

Poi sentii delle mani sollevarmi con delicatezza il vestito.

“Eh... Mi dispiace che ti tocchi vedere Tessa in biancheria in questa situazione...”

“Per la seconda volta.”
“Non ricordarglielo, ti prego.”

Sembravo aver perso la sensibilità del mio corpo, soprattutto per quanto riguardava la temperatura, perciò non fu difficile astrarmi completamente da quella situazione e concentrarmi sulla pioggia che cadeva fuori e sui tuoni. Non era pari alla corsa, era una sensazione diversa, ma in qualche modo simile; mi sentivo priva di pensieri e le cose mi sembravano più facili, ma non ero libera come quando correvo, ero solo euforica e avevo voglia di ridere e di piangere allo stesso tempo. Non mi piaceva. I miei pensieri non erano più leggeri, semplicemente non riuscivo a concentrarmi su nessuno di essi, non ero padrona della mia mente. Saltando da un ricordo all'altro di quella serata mi soffermai sul ballo, su quanto era stato meraviglioso ballare in mezzo alla folla, solo una ragazza qualunque in mezzo alla calca, e poi pensai a quell'istante in cui ero stata tanto vicina a Daniel. Era stato rassicurante, avvolgente, anche se solo per un attimo. Poi, il salto dalla scogliera; e il brivido che avevo sentito lungo la schiena quando mi ero lasciata cadere nel vuoto, anche se era durato forse due secondi soltanto o persino meno, era stato qualcosa di unico, che aveva attraversato tutto il mio corpo come una scarica elettrica, facendomi credere che quella sensazione da sola sarebbe bastata a farmi spuntare le ali e a farmi volare in quel cielo nero, libera da tutto. Lia però mi aveva afferrata e riportata indietro; mentre fissavo con aria sognante il soffitto e le ferite bruciavano a causa del disinfettante pensai che lei non aveva proprio nessun interesse a togliermi la libertà, perciò doveva aver avuto proprio un buon motivo per impedirmi di tuffami. Che aveva bisogno di me? Che c'erano altri modi per tornare a respirare? Che c'era ancora qualcosa che dovevo fare qui? Era uno di questi il motivo? Non riuscivo a concentrarmi abbastanza per trovare una risposta, perciò lasciai che il pensiero mi scorresse addosso e se ne andasse. Tornai al presente e vidi che Lia era andata nell'altra stanza e Daniel mi stava medicando le ferite, con un esercito di cerotti vicino; quando Lia mi aveva afferrata dopo che mi ero buttata ero dondolata in avanti e avevo sbattuto contro gli scogli, perciò mi ero tagliata praticamente ovunque. Quando mi resi conto che non avevo nemmeno sentito le ferite capii che forse non avevo bevuto solo alcool e mi diedi dell'idiota per non averlo capito prima e per aver permesso a qualcuno di ingannarmi in quel modo. Daniel lo sapeva? Mi voltai verso di lui e lo guardai malissimo – o almeno, cercai di farlo. I miei muscoli non stavano reagendo particolarmente bene.

“Mi vendicherò!” strillai puntandogli un dito contro. “Non c'era solo alcool, vero!?!” e scoppiai in una risata isterica. Sentii un silenzio esterrefatto nella stanza, poi la voce di Daniel: “Lia, dimmi che non le hai dato i bicchieri con il liquido viola.”

“Sì. Non era un succo?”

“O cavoli...”

Poi non capii più niente perché il mio corpo – tra mille giramenti di testa – mi impose di alzarmi più velocemente che potevo e schiantarmi contro il lavandino del bagno dove vomitai anche l'anima quella sera. Oh, non avrei bevuto mai più, mai più, mai più.

Spazio autrice: cari lettori, su richiesta di alcuni recensori ho modificato quasi completamente la struttura dei capitoli; ho cercato di renderli più corti senza spezzare troppo la storia... Non sono del tutto certa di aver fatto un buon lavoro, visto che purtroppo è stato fatto di fretta, spero che sia comunque accettabile :)
Originariamente il capitolo avrebbe contenuto la giornata di Lia e Tessa a partire dal loro risveglio dopo la notte precedente e avrebbe descritto l'appuntamento tra Lia e Drake, ma come ho scritto poco fa è stato modificato per abbreviare il capitolo 7; se avete domande su quanto succede nella storia scrivetemelo nelle recensioni, perché adesso sto facendo confusione e non ricordo nemmeno cosa io abbia o non abbia pubblicato, perciò per evitare di rovinarvi eventuali sorprese mi affido alle vostre domande ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Complicazioni ***


Capitolo 9 - Complicazioni

POV Lia

Quando mi svegliai Tessa stava ancora dormendo e appena me ne accorsi pensai che non sarebbe ricapitato mai più, dato che lei si alzava sempre prima di me. Cercando di fare più piano possibile – sapevo come ci si sentiva dopo aver bevuto così tanto – feci colazione guardando l'orologio; anche se erano solo le otto e mezza mi sentivo decisamente nervosa e mi stavo pentendo della scelta di accettare quell'appuntamento ogni secondo che passava.

Perché non gli avevo detto di no? Potevo evitare di presentarmi, ma... Oddio, odiavo ammetterlo ma mi sentivo davvero in colpa a farlo. In fondo era lui che mi aveva impedito di cadere dalla scogliera la sera precedente mentre tentavo di trattenere Tessa – avevo in mente una bella ramanzina per lei – e quindi... Be', quindi dovevo dargli una possibilità.

Mi si rivoltò lo stomaco al solo pensiero di andare là da sola, magari dritta tra le braccia di quello che in realtà era un pazzo psicopatico. Li beccavo tutti io, i matti, questa non sarebbe stata la prima volta. Mi alzai e buttai quello che rimaneva del latte col cioccolato nel lavandino quando capii che l'avrei vomitato se solo ne avessi bevuto un altro sorso e decisi di andare in camera a scegliere qualcosa di decente da mettere, ma finii per sedermi sul letto a fissare l'armadio senza ispirazione.

E se in realtà era uno spacciatore di droga? E se, semplicemente, era un idiota? Veramente si era già rivelato un idiota, ma se si fosse rivelato ancora più idiota? No, dai, non potevano proprio capitare tutte a me. Sì sì, questo doveva per forza essere... Una brava persona, ecco. E poi gli piaceva leggere, no? Uno a cui piacevano i libri non poteva essere pericoloso.

Quando questo pensiero mi attraversò la mente immaginai quello che Tessa avrebbe detto se fosse stata sveglia e sobria: “Assolutamente no.” avrebbe detto, “Anche a me piacciono i libri, eppure sono una persona indiscutibilmente pericolosa. E poi potrebbe aver letto una citazione a caso su Internet prima di parlarti.”

Sì, ma comunque era un gran bel caso che avesse scelto proprio la mia citazione preferita; insomma, e se fosse stato lui a salvarmi? Ad aiutarmi? Lui il ragazzo di cui parlavano i romanzi, quello che arrivava e ti salvava da te stessa, ti faceva crescere, ti sosteneva del dolore, ti rimaneva sempre vicino? Mi alzai di scatto e afferrai un paio di pantaloncini e una maglietta nell'armadio. E va bene. Dovevo pur fare qualcosa di stupido prima o poi nella vita, no? Avanti, non poteva essere un maniaco. Non potevano capitare tutte a me, una volta tanto qualcosa doveva andare bene anche a me. Agli altri andava sempre tutto bene, perché non a me adesso? Indossai maglietta e pantaloncini poi andai in bagno; mi pettinai lasciando i capelli sciolti, misi l'eye-liner, il mascara, il fondotinta e un po' di rossetto finché la mia immagine riflessa allo specchio non fu simile a quella della sera precedente. Dopotutto Drake era il primo ragazzo che mi notava davvero e che non avevo voglia di uccidere perché mi irritava, perciò non potevo terrorizzarlo subito con la vista dei miei brufoli. Mi spruzzai anche il profumo. Stavo per uscire dal bagno, poi ci ripensai e mi lavai anche i denti; magari mi avrebbe baciata e non volevo che dopo il mio primo bacio qualcuno dicesse che il mio alito puzzava. Oddio sarebbe stato orribile.

Tessa e io probabilmente eravamo le uniche due diciassettenni dell'universo a non aver mai baciato un ragazzo e a non avere nessuna esperienza in merito. Chissà chi delle due avrebbe trovato per prima il fidanzato... Lei di sicuro. Daniel la guardava in un modo... Come se in lei vedesse qualcosa che nessun altro vedeva; era un misto tra un desiderio di protezione nei suoi confronti e una luce strana. Ancora non capivo come lei, che notava sempre tutto di tutti, non si fosse accorta di niente. Mi chiesi se qualcuno avrebbe mai guardato me in quel modo.

Quando uscii dal bagno notai che Tessa aveva cambiato posizione – era a pancia in giù – ma continuava a dormire; mi chiesi se fosse il caso di lasciarla sola in quelle condizioni, però poi mi dissi che non poteva succederle niente se avessi chiuso a chiave. Se ne sarebbe stata lì distesa buona buona per un paio d'ore, nient'altro; vomitato aveva già vomitato, quindi non c'era più nulla da temere.

Presi un bel respiro e uscii con un'ora di anticipo.

 

POV Tessa

Che mal di testa... Oddio era terribile, mi girava tutto, era come se avessi l'influenza. Ma che diavolo avevo combinato la sera prima? Nella mia testa comparve una nebbia sfocata da cui di tanto in tanto emergevano ricordi sconnessi di parti di conversazioni e di me che... Mi buttavo da una scogliera? No, impossibile. Quando però scesi dal letto e mi tolsi le coperte di dosso notai che non solo ero in mutande – perché Lia mi aveva tolto il vestito? - ma ero anche ricoperta di cerotti, lividi e tagli. E non vedevo le mie scarpe nei paraggi.

Mi sedetti cautamente sul letto in attesa che il mondo si stabilizzasse per tentare di alzarmi e andare alla ricerca della mia coinquilina. Ma dov'era andata? Barcollando pericolosamente riuscii ad arrivare in bagno e per un pelo non caddi dritta nel water quando vidi la mia faccia allo specchio; ma che diavolo avevo combinato!? Ero bianca come un cadavere e le occhiaie spiccavano nitide contro la pelle biancastra, e non era quel favoloso bianco che la gente attribuiva ai vampiri, ma un misto tra giallo, verde e bianco che dava al mio viso un aspetto decisamente malsano. I miei occhi erano rossi e iniettati di sangue e la mia espressione minacciava una fine tremenda al suo riflesso nello specchio. Per non parlare dei capelli che somigliavano al nido di un colombo.

Decisi di svestirmi e fare una bella doccia calda che durò un'eternità e mi aiutò a svegliarmi un po' e a schiarire leggermente la nebbia che avevo in testa, senza però spiegare del tutto quello che era successo la sera precedente. Alla fine optai per una soluzione semplice e diretta: non me ne sarei preoccupata più di tanto. Se avessi fatto qualcosa di incredibilmente grave e stupido avrei visto le conseguenze, no? Piuttosto, dovevo scoprire cosa bisognava prendere per far passare quel maledetto mal di testa.

Mi asciugai e indossai un paio di pantaloncini comodi con una maglietta, poi andai in cucina e frugai negli armadietti alla ricerca di qualche medicinale; ce n'erano due contro il mal di testa, ma non sapevo esattamente se fossero indicati per una situazione come la mia e il fatto che fossi così confusa di certo non aiutava. Fissai le istruzioni con aria assente per un paio di minuti poi spostai lo sguardo sul sole già sorto fuori dalla finestra. Erano le dieci del mattino. Forse Lia era in spiaggia? Ebbi un flashback della sera precedente in cui la vedevo litigare con qualcuno puntandogli un dito contro. Era tornata con noi, vero? Guardai il suo letto sfatto. Sì, era tornata con noi.

Mentre meditavo sul da farsi, qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire: Daniel. Mi rivolse un sorriso irresistibile stampato su un viso riposato e tranquillo che niente aveva da invidiare al mio... Aaah, questa era un'arte che dovevo imparare al più presto: reggere l'alcool.

“Buongiorno cara la mia alcolizzata! Come va?”
“Da schifo.”

“Pessimista. Indovina perché sono qui?”

“Perché non hai altro da fare nella vita?”
“A parte quello.”

“Perché sei uno stalker?”
“Più o meno. La tua amica Lia è scesa al piano di sotto un'ora fa e mi ha chiesto di venire a vedere come stavi verso le dieci, di farti da baby sitter, darti un'aspirina e raccontarti quello che è successo ieri sera.”

“Wow. Accomodati allora.”

Mi scostai per lasciarlo entrare e Daniel si sedette sul letto come l'altra sera, osservandomi mentre preparavo il caffè, tiravo fuori due tazze e prendevo le scatole dei due medicinali.

“Quale prendo?”
“Questo.” rispose indicando la prima scatola. Lessi le istruzioni e scoprii che la pastiglia andava assunta a stomaco pieno, perciò sospirai sonoramente; mangiare era l'ultima cosa che volevo fare in quel momento. Per fortuna era rimasta ancora una di quelle focacce dolci che avevo comprato giorni prima perciò la depositai con decisione sul tavolo quasi fosse una dichiarazione di guerra contro non sapevo nemmeno io chi.

Infine, mi sedetti sul letto vicino a Daniel.

“Allora, che è successo ieri sera?”

“Hai cercato di buttarti da una scogliera alta dodici metri e mezzo.”

“Oooh...” gemetti “Ci mancava solo questa... E perché l'avrei fatto?”
“Parlavi di catene e dicevi di essere stufa di tutto.”

“Racconta. Dall'inizio.”

Daniel passò il quarto d'ora successivo ad aggiornarmi riguardo agli eventi della sera precedente, a volte suscitando qualche flashback, a volte senza alcuna reazione da parte mia, tanto che più volte mi chiesi se stesse inventando, ma se quello che stava dicendo era vero – e a giudicare dai pochi ricordi lo era – aveva abbastanza materiale per farmi sentire un'idiota senza inventare.

Alla fine mi presi la testa tra le mani con ancora più voglia di piangere della sera precedente. Non sapevo se fosse più terribile il fatto che avessi praticamente tentato il suicidio, respinto Daniel che aveva cercato di ballare con me – non me l'aveva detto, ma il mio subconscio aveva deciso di restituirmi proprio quel ricordo -, quasi trascinato Lia giù da una scogliera, bevuto alcool e Dio solo sapeva cos'altro, aver rovinato la serata a Daniel o... “Ehi aspetta un attimo, ma dov'è Lia?”

Un sorrisetto furbo comparve sul suo viso.

“Ha un appuntamento.”

Quando lo disse qualcosa nei muscoli che servivano a deglutire il caffè si bloccò e quasi mi strozzai: Lia!? Lia!?!? Lia aveva un appuntamento!?! E con chi?? Ma che diavolo mi ero persa la sera prima? Chi era? Cosa faceva!? Oh, ora capivo come si sentivano i miei genitori quando brontolavano riguardo a fidanzati e derivati...

Probabilmente Daniel mi lesse in faccia tutte queste domande, perché soffocando una risata rispose: “E' Drake.”

Il caffè fece un curioso viaggio dalla gola allo stomaco e ritorno.

“Non mi piace proprio per niente... Io quello non lo conosco. E non mi piace.”

“Ah, come ti capisco.”

Guardai Daniel con rinnovato interesse.

“Allora lo conosci!” questo dava un senso a diverse cose. Non dava un senso al motivo per cui lo guardasse più o meno sempre in cagnesco, ma spiegava perlomeno perché avesse già un'opinione su di lui.

“Sì, lo conosco.” scosse la testa “Non so se dovrei dirti i fatti suoi, ma visto che ci tieni tanto alla tua amica Lia forse è il caso che ti spieghi.”

“Mi spiegherai perché lo guardi male più o meno sempre?”

Daniel ridacchiò di nuovo e quel suono mi fece un effetto strano, una sorta di calore piacevole nel petto. Era bello vederlo ridere, era bello sentire la sua risata.

“Non lo guardo... Male. Era più un avvertimento. A non fare cavolate, in realtà. Drake è stato ricoverato per una dipendenza dalla droga tre o quattro anni fa; ora sta bene, ma non è il caso che faccia di nuovo stupidaggini.”

“E questo cosa c'entra con me e Lia?” davvero non capivo. Certo, non eravamo esattamente un esempio di felicità nemmeno io e lei, ma non eravamo ancora arrivate al punto da costringere qualcuno a ricominciare ad assumere droghe.

“Te la farò breve. Quando ha iniziato a drogarsi aveva poco più di quindici anni e la sua situazione familiare era un disastro; ci siamo conosciuti in una discoteca proprio perché ha cercato di rifilarmi della droga.” sorrise al ricordo “Dopo un mese si è trovato una ragazza e ha avuto un buon periodo, quasi non assumeva più niente; la amava alla follia. Sono stati insieme qualcosa come sei mesi, forse di più, finché lui non l'ha beccata con un altro e allora è andato in tilt; se avessi visto come la guardava prima e la faccia che aveva dopo capiresti cosa intendo. Era pazzo di lei.” sospirò “Non gliel'avevo mai detto, non erano affari miei, ma lei non era esattamente fedele... Me ne sono proprio pentito. Quella sera non ha aspettato neanche di tornare a casa e ha assunto talmente tanta droga da andare in overdose. Ne è uscito per miracolo.”

Rivalutai la mia idea di Drake e lo bollai come da osservare, poi replicai: “Ancora non capisco cosa questo abbia a che fare con me e Lia.”

“Il suo sguardo per la tua amica è esattamente lo stesso che aveva per lei.”

Spazio autrice: come avevo anticipato, i capitoli sono stati accorciati e il tutto è stato completamente modificato, perciò questo che in origine era il capitolo 8 è diventato il capitolo 9; pubblicherò prestissimo il 10 a questo punto perché è già pronto. Per chi ha già letto questa parte quando era stata pubblicata come capitolo 8 mi scuso e ripeto ancora che se avete domande potete farle nelle recensioni :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Falso ***


Capitolo 10 - Falso

POV Lia

Erano le dieci e non era ancora arrivato. Appoggiata al parapetto del ponte, accanto al faro, controllavo la passerella per vedere se Drake compariva, indecisa se pregare perché lo facesse o perché non lo facesse. Ero combattuta tra tornare in appartamento e dimenticarmi per sempre di lui o rimanere lì ad aspettarlo.

Non sopportavo i ritardatari. Guardai l'orologio: le dieci e un minuto. E io che mi ero tanto impegnata ad arrivare in anticipo! Alzai lo sguardo verso il cielo, dove il sole brillava alto e luminoso in un cielo azzurro terso; sarebbe stata una splendida giornata, non fosse stato per il vento e per la temperatura che dopo il temporale della sera prima era scesa di cinque gradi abbondanti.

Chissà se Tessa si era svegliata. Visto che Drake non si vedeva presi il cellulare e provai a chiamarla ma rispose solo la segreteria telefonica; probabilmente l'aveva spento, cosa che era proprio da Tessa. Non mi rimaneva che aspettare e sperare che questo sconosciuto che doveva diventare conosciuto, come aveva detto la sera prima, si degnasse di arrivare.

Le dieci e cinque.

Be', non si era presentato. Ma ormai che ero lì... Dai, tanto valeva aspettare ancora cinque minuti. Proprio mentre ci pensavo vidi una figura completamente vestita di nero venire verso di me attraversando la passerella del ponte; man mano che si avvicinava vidi che era proprio lui. Una parte di me sospirò, sconfitta. Si era davvero presentato, ora non avevo altra scelta se non quella di conoscerlo.

“Ciao Lia.”

“Ciao.”

Il sorriso di Drake era sereno, i suoi occhi riflettevano i colori del mare. Potevo dire o pensare quello che volevo, era davvero bello; i capelli neri gli incorniciavano il viso magro, era alto e aveva muscoli, ma non sembrava avere nemmeno un centimetro di grasso, cosa che lo faceva apparire quasi esile. Gli occhi erano azzurro cielo.

“Visto che dobbiamo conoscerci... Il mio nome non è esattamente Drake.”

Per un istante lo fissai stordita, come se non avessi capito bene quello che aveva detto, poi, ancora inebetita, chiesi: “E allora qual è il tuo nome?”

“Raphael.”

Lo guardai in silenzio con gli occhi sgranati, ma superato lo shock subentrò la rabbia: “Ma si può sapere che problemi hai!? Chi cavolo mentirebbe persino riguardo al suo nome!?!”

“Drake è il mio nome.”

Confusa e irritata, aggrottai le sopracciglia.

“Vuoi spiegarti?”

“Drake è il mio secondo nome, quello che uso di più. Il mio vero nome è Raphael.” i suoi occhi inchiodarono i miei, disorientandomi per un attimo con la loro sfrontatezza. “Il tuo qual è?”

Esterrefatta, mi chiesi come facesse a sapere che Lia era soltanto un soprannome. Immaginai che fosse piuttosto intuibile visto che era corto e che i miei genitori non si sarebbero mai e poi mai limitati a un nome così corto. Il fatto era che mi dava davvero fastidio che Raphael, o come si chiamava, lo sapesse o anche solo che ci avesse pensato. In realtà mi dava fastidio anche solo essere lì, con lui che mi guardava in quel modo, come se sapesse tutto di me. Ma non sapeva niente, era questo il bello! Niente di niente di niente. Non poteva sapere niente.

Ricambiai il suo sguardo sfrontato.

“Mi chiamo Lia e basta.”

Raphael mi disorientò di nuovo quando scoppiò a ridere.

“Sei proprio un bel tipo!” rise “So già qual è il tuo vero nome.” e quando lo disse chinò la testa verso di me per incontrare i miei occhi, o meglio, per non perdere per un secondo il contatto visivo con me e impedirmi di scappare, così i capelli gli ricaddero sulla fronte adombrando gli occhi e rendendoli blu oceano. Mi sentivo stranamente divisa tra due sensazioni: quella di essere imprigionata da Raphael e quella di essere attratta da qualcosa in lui. Forse era curiosità?

“E come dovresti saperlo scusa?” il mio tono era ancora aspro, ma dovette sentire anche lui quella scintilla d'interesse nella mia voce perché il suo sorriso si fece ancora più smagliante e sfrontato.

“Me l'hai detto l'altra sera, da ubriaca. Ti ho chiesto come ti chiamavi e tu hai risposto.” a quel punto sospirai sconfitta; per quanto mi riguardava potevo averlo fatto e non avere modo di confermarlo o di negarlo.

“Va bene, complimenti. Mi chiamo Amelia.”

“Lo so.”

Risposi con un sorrisetto infastidito. Ma chi me l'aveva fatto fare? Non vedevo l'ora di liberarmi di questo ennesimo idiota e andarmene da qui...

“Libro preferito allora?”

Alzai lo sguardo su di lui e lo fissai di nuovo con un'aria a metà tra l'infastidito e il contrariato. Ora iniziava anche con l'interrogatorio? Come se non sapesse abbastanza di me da quello che gli avevo detto la sera in cui ero ubriaca; che poi, chissà quante ne avevo dette e nemmeno lo ricordavo... Quanto avrebbe impiegato a chiedermi di mia mamma? O di mia nonna?

“Orgoglio e pregiudizio.” risposi infine, sperando di sviare il discorso verso cose banali come questa. Finché continuavamo a parlare di libri e nomi non c'erano problemi. Non volevo un'altra persona nella mia vita, non c'era posto. Era inutile che ci provasse.

“Avrei dovuto saperlo che non eri il mio tipo...” brontolò Raphael-Drake.

“Scusa e con questo cosa intendi dire?” chiesi sempre più irritata. Ora bastava solo che avesse qualcosa da ridire anche su Orgoglio e pregiudizio e l'avrei proprio ammazzato.

“Oh, e insomma! Proprio Orgoglio e pregiudizio doveva essere il tuo libro preferito?”

“E si può sapere che male c'è se mi piace proprio quello!? Senti, non sei obbligato a stare qui e nemmeno io, perciò è ancora meglio se non sono il tuo tipo. Io adesso me ne vado e tu mi lasci in pace.”

Feci per avviarmi verso la passerella, ma lui mi si parò davanti bloccandomi il passaggio. Ma perché tutti da me gli idioti? Che problemi aveva anche questo qua? Oooh, odiavo la gente come lui, quegli stupidi sfrontati che pretendevano tutto da te solo perché credevano di sapere ogni cosa di te e invece il dolore più grande che avessero mai provato era quello per l'assenza di alcool o soldi per le sigarette.

“Cosa vuoi ancora?”

“Va bene va bene. Ascoltami.” per la prima volta da quando era arrivato distolse lo sguardo da me, come se cercasse di pensare, e nel farlo si mordicchiava il labbro inferiore. Spostò di nuovo gli occhi su di me e ora erano seri. “Mi hai promesso che ci saremmo conosciuti.”

“Oh senti! Devo avere una buona ragione per conoscerti!”

“Ce l'hai.” mi scrutò con uno sguardo strano “E se ti dicessi che mi hai salvato la vita e che ora ti sono debitore?”

Mi bloccai all'istante. Debitore di che? Mi sentii improvvisamente consapevole dei suoi occhi su di me, che sembravano voler entrare direttamente nei miei e capire quello che pensavo, mentre le onde del mare diventavano quasi lontane e irreali e io mi perdevo nei miei ricordi alla ricerca di qualcosa che confermasse quello che aveva appena detto. Ma, visto che non c'era niente, scoppiai in una risata infastidita e nervosa: “Mi dispiace, ma io non ho fatto niente del genere. Tu... Sì, tu sei completamente fuso. Io ora me ne vado per i fatti miei e...”

“Almeno ascolta quello che ho da dire!” disse aggiungendoci una parolaccia alla fine che avrebbe fatto invidia a uno scaricatore di porto. Lo fissai spazientita ed infastidita, ma mi fermai lo stesso e attesi il seguito di quella conversazione assurda.

Raphael parve sollevato dalla mia scelta di ascoltarlo e abbozzò un sorriso.

“La sera della barca, quella in cui tu eri ubriaca... E' assolutamente merito tuo.”

Inclinai la testa quando sentii quelle parole, certa di non aver afferrato qualche concetto fondamentale della vicenda. Non era lui ad avermi riportata in appartamento salvandomi la vita? Non riuscii a concentrarmi abbastanza per capirci qualcosa, visto che lui richiedeva la mia totale attenzione con lo sguardo perché ascoltassi quello che aveva da dire.

“Era una brutta serata. Sono anni e anni che passo brutte serate, ma avevo sempre resistito perché mi sembrava... Giusto farlo.” ma di che cavolo parlava? In che senso resistere? “Ma la sera in cui ti ho trovata stavo per fare qualcosa di veramente stupido, ancora più di prima. Insomma, che senso ha continuare a resistere per tutta la vita? È un inferno dopotutto. Poi però ti ho vista. Voglio dire, ti avevo già vista prima al bancone ma non ci avevo badato più di tanto, solo che quando ho notato che ti alzavi e uscivi urlando riguardo a resistere e a non farcela più e alla stanchezza... Be', ti sono venuto dietro ed è finita che ho salvato la tua vita oltre alla mia. E ora voglio davvero conoscerti.”

Okay. Okay. Questo... Era un metodo stupido per attaccare bottone, tanto più che non avevo capito un accidente del suo maledetto discorso; resistere!? Ma a che diavolo doveva resistere questo qua? Ad andare a letto con la prima che capitava!?! Oh, ma per favore!

Probabilmente Raphael capì dalla mia espressione quello che pensavo – la mia espressione furente – perché mi appoggiò con decisione le mani sulle spalle e si avvicinò ancora di più a me, cosa che mi fece andare letteralmente in bestia; io detestavo la gente che mi veniva tanto vicino senza permesso, anche se dovevo ammettere che con lui c'era qualcosa di diverso. Le sue mani erano calde, la sensazione piacevole e i suoi occhi erano una strana combinazione tra una calamita e l'esatto opposto di essa.

E nonostante questo io avevo ancora voglia di andarmene, perché questo era pazzo, ma poi disse una cosa talmente strana da farmi a capire che lui sapeva quanto ero diffidente nei suoi confronti e sapeva che non mi piacevano le persone, e sapeva tutto questo, anzi, lo comprendeva persino, e anche se le cose stavano così lui voleva ancora conoscermi.

“Tre appuntamenti, compreso questo. Tre possibilità, se poi mi detesti davvero non ci vedremo mai più. Niente legami, niente rancori, niente dolore. Ci stai?”

Mi porse la mano... E io la strinsi.

 

POV Tessa

Daniel era riuscito a convincermi a fare una passeggiata sul lungo mare solo dopo un infinito elenco di ottime argomentazioni, che tuttavia faticarono molto a distogliermi dall'idea di starmene lì come un palo a fissare il cancello dalla finestra in attesa di Lia.

Non sapevamo dove i due si fossero dati appuntamento e non volevo telefonarle perché... Be', perché non potevo comportarmi come un padre soffocante, no? Ma era Lia! Era ingenua, lei non li distingueva i pazzi psicopatici finché proprio non facevano qualcosa di tipico dei pazzi psicopatici, perciò avevo un'ottima ragione per essere in ansia. A me Drake sembrava davvero un pazzo. Ed era anche drogato! E se le avesse offerto della droga? No, lei non l'avrebbe accettata. Vero?

“Tessa, Lia non prenderà droghe, stai calma.”

“Come fai a sapere quello che penso!?!?!?” strepitai con voce isterica “Ora mi dici che sei un veggente!? Ora me lo dici!? Ora che sei mio...” e lì mi bloccai di colpo, perché Daniel era mio amico, ma era qualcosa di meno e qualcosa di più allo stesso tempo, ma questo qualcosa di più non era facilmente classificabile nella mia mente contorta e quindi mi trovavo ad uno strano bivio: da un lato non volevo mentire, perché in ogni caso era mio amico, ma dall'altro non volevo dirgli la verità perché non sapevo nemmeno io quale fosse.

E Daniel naturalmente, attento com'era, se ne accorse.

“E così sono tuo...?”

Attendeva che completassi la frase e la situazione divenne per me estremamente imbarazzante, tanto che distolsi lo sguardo e lo lasciai vagare verso le onde del mare e il cielo terso, illuminato da un sole freddo quel giorno. Mi aveva dato una specie di bacio della buonanotte, qualche giorno prima, ma poteva anche essere stato uno scherzo... o un sogno, per quanto mi riguardava. Poi c'era anche da tenere in considerazione quello che io volevo o non volevo da lui, tuttavia non lo sapevo nemmeno io e questo mi stava davvero mandando in crisi; come si faceva a capire che rapporto si aveva con qualcuno? Per me le cose erano sempre state semplici: non c'era nessun rapporto, e niente si era mai complicato, ma adesso non ero sicura di volere che fosse così e allo stesso tempo non ero abbastanza coraggiosa da mettermi in gioco e rimaneva sempre la questione di quello che avrei fatto quando avrei dovuto tornare a casa e forse dirgli addio e dimenticarlo e... accidenti, io non volevo dimenticarlo! Per la prima volta da quando avevo conosciuto Lia sperimentai la sensazione di desiderare una persona accanto a me, non solo per qualche utilità particolare, ma perché era bello che ci fosse. Guardai Daniel che mi camminava vicino, il suo profilo illuminato dal sole e gli occhi su di me che attendevano una risposta... e decisi di digli la verità. Era una cosa che facevo davvero di rado, soprattutto quando rischiavo così tanto di soffrire, ma alla fine stabilii che ne valeva la pena.

“Sinceramente non lo so.” risposi e dalla sua espressione capii che non se l'aspettava proprio, però riuscì a mantenere la calma anche se vedevo qualcosa di strano nei suoi occhi; poteva essere veramente dispiacere? Come se con quella risposta l'avessi fatto in qualche modo soffrire? Nell'istante in cui me ne accorsi dispiacque anche a me, tanto che volli spiegare: “Non intendevo dire niente di brutto!” arrossii furiosamente “Solo che...” oddio ora mi toccava fare riferimento al famoso bacio della buonanotte. Perché poi mi facessi tanti problemi per un bacetto sulla fronte solo il Cielo lo sapeva. Iniziai a torcermi le mani; oh, dovevo smetterla!, stavo solo precisando una cosa, non stavo parlando davanti a un uditorio di trecento e passa persone. Avevo fatto di peggio! Questo in qualche modo era un nervosismo completamente diverso però, visto che... Eh, già, perché? Era Daniel. Quello a cui avevo confessato metà delle pene della mia esistenza; mi stavo davvero agitando tanto perché credevo che mi avrebbe considerata ancora più strana? Stavo ancora analizzando la faccenda, quando lui interruppe i miei pensieri: “Cosa stavi cercando di dire, Tessa?”

“Stavo... ah...” non mi ero mai mai trovata in una situazione come quella... Cosa dovevo fare?? Desiderai ardentemente non aver mai sollevato l'argomento. Non mi ero mai sentita tanto impacciata con le parole, di solito ero brava a convincere le persone di qualcosa, a far credere loro quello che volevo, a non toccare i nervi scoperti; da dove veniva questa Tessa che non sapeva mettere in riga due parole?

“Stavi?” incalzò intanto Daniel. Ero talmente confusa che decisi di stringere i denti e dire la prima cosa che mi passava per la testa; in fondo cos'avevo da perdere? Tutto, suggerì una vocetta malefica nella mia mente, ma decisi di non ascoltarla.

“Stavo chiarendo il fatto che io non so chi tu sia per me; sei un amico che sa cose di me che non confesserei mai ad anima viva, che capisce gran parte delle cose che penso e che si comporta in modo un po' strano per essere un amico. Voglio dire, non ne so quasi niente di amicizia, ma... Ecco, non sei come Lia. Oddio, questo non vuol dire che ti considero come una ragazza, ma... Sì, insomma, nemmeno come un ragazzo in quel senso, cioè – Santo Cielo che sto dicendo – credo di non vederla in quel senso, perché... Eh, perché... Perché non lo so, ma il fatto è che non credo che tu la veda in quel senso e io... Io non avevo mai affrontato un discorso del genere in vita mia e non so come fare.”

Inaspettatamente, Daniel scoppiò a ridere. E come poteva non ridere? La mia abilità nel strutturare un discorso coerente era sparita da quando c'era lui, e non era solo sparita, ma era stata anche rimpiazzata da una certa idiozia. Come cavolo avevo fatto a dirgli che lo consideravo come una ragazza!? Che poi, ragazza non lo era proprio per niente con tutti quei muscoli.

“E della mia amicizia quali sarebbero le cose che ti confondono di più?” rise lui. Mi rilassai al suono della sua risata: che dramma ne stavo facendo dopotutto? Una parte di me fu delusa da quella reazione, anche se non volevo ammetterlo; sì, avevo immaginato qualcosa tra me e Daniel. Forse non la storia d'amore del secolo, ma credevo in qualche modo che ci fosse qualcosa di più dell'amicizia, perché era impossibile che una persona capisse così bene tutto di me e fosse solo mia amica; anche Lia mi capiva, però lui era sulla mia lunghezza d'onda e sembrava pensare quello che pensavo io persino quando non ne parlavo. Come si spiegava una cosa del genere?

Magari stavo ingigantendo una cosa che non c'era affatto, pensai. Non c'era, ecco. La vedevo solo io, anzi, peggio, me l'ero creata io. Oh, che idiota ero. Sollevata, imbarazzata e stranamente delusa alzai la testa verso Daniel proprio quando lui si fermò.

“Ora devo andare, c'è un mio amico che mi aspetta a pesca tra mezz'ora.” mi sorrise in un modo bizzarro, quasi come se mi studiasse. “Pensi di saper tornare in appartamento da sola?”

Qualcosa mi diceva che non mi studiava per capire solo quello.

“Sì, la strada non è difficile.” avevamo costeggiato sempre il lungo mare, bastava seguire il mare e avrei ritrovato la strada.
Mi voltai verso di lui: “Allora Tess, vediamo se riesco a confonderti ancora di più.” la voce di Daniel era troppo vicina al mio viso, ma non me ne accorsi in tempo per fare qualcosa, così premette le labbra sulle mie senza darmi il tempo di prepararmi. Si staccò subito, non fu niente di più di un semplice contatto, ma sentii che il mio corpo veniva attraversato da una scossa dalla testa ai piedi.

Prima che potessi dire qualcosa, si allontanò e se ne andò verso la spiaggia.

“Ci vediamo Tessa!”

Spazio autrice: mi scuso con tutti quelli che hanno lasciato recensioni alla storia! Ci ho pensato solo adesso, ma modificando così tutti i capitoli anche le vostre recensioni risultano riferite ai capitoli sbagliati... Mi spiace veramente tanto! :/ In ogni caso mi pare di aver finalmente pubblicato tutto e più brevemente, perciò sono felice di dirvi che vi aspetto nella lettura del mio undicesimo capitolo, dove vedrete cosa ne penserà l'esterrefatta Tessa del bacio di Daniel e come sarà andato a finire l'appuntamento tra Lia e Raphael: l'avrà innervosita di nuovo, o finalmente avranno trovato qualche punto di contatto? Lo scoprirete leggendo! :D
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Invito ***


Capitolo 11 - Invito

 

Quando Lia rientrò in appartamento mi trovò seduta sul suo letto in stato confusionale a fissare il vuoto sulla parete.

“Tessa, tu non sai cos'è successo!!” esclamò chiudendosi la porta alle spalle. Mi si sedette di fronte e iniziò a raccontarmi tutto di non sapevo che diamine, completamente incurante della mia espressione e del mio dramma. Ero così confusa. Non capivo più niente: quindi Daniel era innamorato di me? Aveva una cotta? Perché io non mi ero accorta di niente? Cosa facevo adesso? Cosa gli avrei detto al nostro prossimo incontro? Cos'avrei fatto? Dovevo baciarlo anch'io? Esisteva un manuale su cosa fare in queste situazioni? Dovevo studiarlo?

Poi mi vennero in mente alcuni romanzi che avevo letto e ricordai quei baci stratosferici in cui si rimaneva incollati per quelle che sembravano ore. Perché allora lui si era staccato praticamente subito? Mi aveva baciata per gioco, forse? Tanto per vedere come reagivo? In fondo sorrideva e stava più o meno scherzando... Più o meno. Più meno che più. Be', ma forse avevo frainteso! Certo, in realtà lui era il classico idiota belloccio che poteva avere tutte le ragazze dell'universo e aveva deciso di giocare al gatto col topo con me... Sicuramente sapeva che sarei andata in crisi! Poi però ricordai il modo in cui mi sorrideva e come i suoi occhi illuminavano l'oscurità e pensai che non poteva aver fatto tutte quelle storie solo per strapparmi un bacio. Avrebbe potuto fare di peggio la prima sera, al faro, quando eravamo da soli al buio e mezzi nudi tra l'altro.

Ma... E se non avevo frainteso? Se in realtà lui era innamorato di me? Cosa dovevo fare ora?? Oddio, lo dovevo presentare ai miei? Mio padre l'avrebbe ucciso solo perché era un ragazzo... Mia madre cos'avrebbe detto? I miei pensieri degenerarono per un istante fulmineo, quando mi ritrovai a pensare a cos'avrei risposto se mi avesse chiesto di sposarlo: io non ero sicura di volere un marito!

Mi imposi di darmi una calmata visto che non potevo neanche definirlo un vero e proprio bacio. Era stato più... Un contatto labbra a labbra, ecco. Non c'era bisogno di diventare isterica. Le cose erano già abbastanza complicate anche solo a livello emotivo: era stata la sensazione più strana della mia vita, un brivido che mi aveva attraversato il corpo intero, una specie di felicità, come se mi si fossero accese mille luci nel corpo e queste avessero riscaldato il mio cuore.

Non avevo prove, né potevo chiedergliele, che per Daniel fosse stato lo stesso anche se una parte di me lo sperava davvero; non sapevo come conciliare lui e la mia vera vita, ma questo non significava che non fosse la persona più bella che avessi mai incontrato, quella con cui mi sentivo più in sintonia e quella che mi rassicurava di più. E come lo spiegavo, ora, tutto questo!?

Tessa!!

“Aaaaaah! Non sono pronta per sposarmi!”

Realizzai che era Lia ad avermi chiamata e ad avermi strillato contro, probabilmente perché non la stavo ascoltando; non volevo essere scortese con lei, ma per una volta ero troppo presa dal mio dramma per essere partecipe del suo. Ne avevo fin sopra i capelli, come potevo aiutare anche lei? Quando lo pensai tornai a immergermi nei miei ragionamenti – gli piaccio, mi piace, ne sono sicura, perché l'ha fatto, cos'avrei dovuto fare -, o meglio avrei voluto pensarci di nuovo quando Lia reclamò la mia attenzione.

“Tessa, mi stai ascoltando??”

La fissai come inebetita.

“No. No. No, avrei dovuto andarmene e scappare. Sì. No. Oddio, cosa gli dico quando lo vedo? Cosa gli dico?? Sono un'imbranata, rimarrò zitella a vita e avrò quaranta gatti... No, niente gatti, sono allergica. Avrò quaranta cani...”

“Tessa ma che cavolo stai dicendo?”

Guardai Lia sconfortata.

“Lia io... Io non so come fare! Voglio un manuale su queste cose, mi mandano in crisi... E la cosa peggiore è che sono anche felice! Come si fa ad essere in queste condizioni? In fondo non è neanche stato un bacio...”

“Senti, io non so cosa ti sia successo ma... Aspetta, in che senso bacio?”

“No no, non mi ha baciata...”

Come ti ha baciata!? E chi ti ha baciata!?!”

“Non era un bacio... Era più... Mah... Non era un bacio. No, lo era. Lo era. Sì, deve esserlo perché altrimenti non... Oooh, e se non era un bacio? E io ci ho pure creduto! E speravo anche che ci fosse qualcosa tra noi... Ma chi prendo in giro? Non speravo un bel niente! No, ci speravo. Non era proprio speranza in realtà era più...”

Daniel ti ha baciata!?!?!?!?!?!

Guardai Lia e vidi la sua espressione, perciò capii che forse era il caso di spiegare. Giusto! Magari lei sapeva cosa fare. La mia mente razionalizzava poco il panico, ma magari lei lo faceva meglio di me; era a questo che servivano gli amici, no? Così le spiegai tutto quello che era successo, cercando di essere il più obbiettiva possibile.

Alla fine del mio racconto Lia era entusiasta, ed entusiasta era dire proprio poco: “Aaaaah, lo sapevo! Hai trovato un fidanzato prima di me!!!”

“Ma che fidanzato e fidanzato! E poi sai benissimo che abbiamo ancora tre giorni da trascorrere qui e la nostra vita tornerà esattamente come prima.” sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Mio Dio non ce l'avrei fatta, mai.

“Cosa vai a pensare!? Guarda che non è che quando si torna a casa allora tutto torna per forza come prima!” le lanciai un'occhiata esplicita “Le cose cambiano sempre e se siete innamorati è giusto che stiate insieme!”

“A stento so che cosa fare della mia vita, come pretendi che capisca se sono innamorata di Daniel? Mi capisce ed è una brava persona, però non so... Non lo so, Lia, non lo so. Sono stanca.”
“E allora? Si può amare qualcuno anche se si è stanchi.”

“Come no.” commentai irritata. Ero profondamente infastidita da tutto questo, dalla stanchezza in generale, e dal mal di testa e dal fatto che lei capisse così poco il mio problema, problema che non capivo nemmeno io. Ovviamente il fatto di non capire mi irritava allo stesso modo.

Mi alzai e mi diressi verso il frigorifero... Almeno quello che c'era lì dentro non avrebbe potuto darmi sui nervi. Seguì un silenzio che durò circa tre secondi, poi Lia lo interruppe: “Be', vuoi sentire cos'è successo a me finalmente?”
Annuii ma in realtà non avevo nessuna, nessunissima voglia di ascoltare niente e nessuno; che diritto aveva lui di entrare in quel modo nella mia vita e stravolgerla così? Sentivo i nervi pronti a scattare, infastidita persino da Lia entusiasta di non capivo cosa. Io volevo rimanere a casa, non avevo mai chiesto di partire per una vacanza come quella, non avevo mai chiesto niente a nessuno.

Aprii il frigo e lo fissai con aria vuota e il curioso desiderio di piangere, di scappare e di urlare tutto insieme; quando le cose si erano fatte tanto complicate? Dov'era la mia vecchia vita, quella facile in cui il mio problema più grande era scegliere cosa mettere la mattina e il mio unico desiderio imparare a volare come Peter Pan e prendere nove in matematica? Quindi tutta la vita era così? Gli adulti vivevano così ogni giorno della loro esistenza? Sospirai sonoramente e presi un enorme pezzo di torta al cioccolato, che addentai con soddisfazione; il cibo era una cosa fantastica, anche se non tanto quanto i chili di troppo che poi mi si depositavano sulle cosce e sulla pancia.

“E così sono uscita con Raphael.”

“Ah. Com'è andata?”

“Bene devo dire. Cioè, all'inizio credevo che fosse solo un idiota, ma, oh, Tessa, tu non puoi capire! Poi le cose sono andate... Bene. Non abbiamo fatto niente di speciale alla fine, siamo andati solo a mangiare un gelato e, so che sembrerà incredibile, ma siamo andati in libreria! L'avresti mai detto che uno come lui sapeva davvero di cosa parlava quando discutevamo di libri? Ma non ha letto Orgoglio e pregiudizio, dice che è un libro da femmine.”

“Oh.”

“Sì ma penso di poter lasciar perdere, non è proprio imperdonabile. E poi gli piace il mio stesso gelato! E' fantastico!”

“Mmh.”

Lia si sedette al tavolo della cucina davanti a me continuando ad espormi tutte le sue considerazioni riguardo a Raphael, mentre io ascoltavo distrattamente e spostavo la torta da una parte all'altra del piatto, senza più voglia di mangiare. Non ero brava con le persone, non lo ero mai stata, e così anche adesso come ogni volta non avevo la più pallida idea di cosa fare; amare una persona era complicato e richiedeva tempo, energie, pensieri... Tutte cose che non avevo.

“Oh, ora basta!!” strillò d'un tratto Lia facendomi sobbalzare, poi, rivolta alla finestra aperta, prese a gridare: “Daniel!!!” stupefatta – non capivo dove vedesse mai Daniel – seguii il suo sguardo e lo vidi a naso all'insù in mezzo al vialetto che stava tranquillamente attraversando finché la mia coinquilina pazza non l'aveva chiamato.

La mia prima reazione fu quella di arrossire furiosamente e sparire dalla visuale della finestra nascondendomi quasi sotto il tavolo, mentre Lia si alzava in piedi e si sporgeva fuori e faceva cenni entusiastici a Daniel. Cominciai a borbottare maledizioni contro di lei.

“Inviteresti Tessa a un appuntamento??”

“Dovrebbe dirmi di sì, prima!”

“Non può dirtelo se non glielo chiedi!” urlò Lia in risposta “Ma è qui, perciò puoi chiederglielo!” poi aggiunse: “Alzati tu” tirandomi per una manica. Sebbene riluttante decisi di alzarmi, perché sarebbe stato troppo imbarazzante che lui sapesse che ero lì e avevo deciso di non parlargli, come se la situazione non fosse già abbastanza tremenda di suo.

Ed ero anche senza trucco!

Mi affacciai con cautela alla finestra, sperando che il rossore sparisse dal mio viso. Daniel mi sorrise dal vialetto e notai – ci mancava solo questa – che le vecchiette dell'appartamento nove erano sedute giusto al tavolino in giardino a giocare a carte e guardavano anche loro in su, con la partita in sospeso; quelle avevano una soap opera dal vivo.

“Ciao Tessa!”

“Ciao...”

“Vuoi uscire con me?” dovette urlarmelo mettendosi le mani a coppa sulla bocca, illuminato dal sole. Per un istante ebbi il privilegio di sentirmi come Giulietta con Romeo e, pensandoci, mi attardai a rispondere così una delle vecchiette si mise a sventolare in aria le carte e strillò: “Esci con lui ragazza, la vita è breve!”

Arrossi ancora di più.
“Va bene!” urlai allora in risposta. Daniel sorrise mettendo in mostra una fila di denti bianchi e dritti e quel sorriso parve estendersi anche agli occhi color cioccolato.

“Passo a prenderti alle sette!” fece per andarsene, ma lo fermai: “Ehi, aspetta! Dove andiamo?”
“Sarà una sorpresa!” e detto questo si voltò, finì di attraversare il vialetto e uscì, ma qualcosa nel modo in cui camminava mi fece pensare che l'avessi reso felice. Le vecchiette avevano ricominciato a giocare a carte e ridevano tra di loro, come se commentassero già tra loro l'avvenimento a cui avevano assistito... Avrei voluto avere la loro esperienza, perché io non ero mai, mai mai, stata ad un appuntamento e mi stava davvero venendo una crisi d'ansia. Cos'avrei dovuto mettere??

Spazio autrice: eccoci qua! Finalmente vedremo un vero appuntamento tra Daniel e Tessa, e chissà che sorpresa avrà in mente lui. Devo ancora raccontare gli avvenimenti importanti, invece, tra Lia e Raphael: saranno inseriti, probabilmente in un POV Lia nel prossimo capitolo. Per quano riguarda questo ci tengo a specificare che nella prima parte Tessa stava soltanto passando un brutto momento a causa di, come dire, sconvolgimento epocale, non voleva essere scortese con la sua amica :)
Per il resto, se avete domande o considerazioni sapete che potete lasciarle come sempre nelle recensioni ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Appuntamento ***


Capitolo 12 – Appuntamento

 

POV Lia

Seduta sul letto cercavo di capire cosa stesse facendo Tessa con la testa ficcata nell'armadio, preda di una crisi di nervi. Non condividevo molto quello che provava, perché io non mi sentivo nervosa in vista del prossimo appuntamento con Raphael, ma forse per me era diverso visto che io non ne ero innamorata. A vedere la sua faccia si sarebbe detto che avesse avuto il test di ammissione a medicina invece di un appuntamento.

“Cosa metto!?!?” strillò di nuovo, esasperata, brandendo una maglietta come fosse un'ascia da guerra. “Mi serve un manuale, devo studiare queste cose!” esclamò d'un tratto esaminando i miei pantaloncini e scrutandoli neanche fossero cavie da laboratorio; in effetti era tipico di Tessa, considerare lo studio la risposta a tutto.

“Non è che puoi impararle queste cose...” replicai io con un sorrisetto.

Lei mi fissò a occhi sgranati.

“E allora come faccio?? Non voglio arrivare impreparata! Lia, io non ho studiato!!!”

“Ma non è mica un esame!” esclamai ridendo. Questa era proprio una crisi.

“Se almeno una di noi fosse uscita con un ragazzo, adesso sapremmo cosa fare” brontolò frugando di nuovo nell'armadio e gettando prudentemente da parte il sacchetto con la biancheria intima di pizzo; dalla volta in cui Daniel l'aveva vista con quella addosso non ne aveva più voluto sapere.

“Be', non so se conta, ma sono uscita con Raphael e...” Tessa uscì talmente di scatto dall'armadio che batté la testa contro lo scaffale.

COOOOSA!?!? E perché non mi hai detto niente!?!?!

La fissai inebetita.

“Ma te l'ho detto! Eri tu che continuavi a brontolare cose strane del tipo non voglio sposarmi e non sono pronta per un marito e non era un bacio...” replicai con una punta di risentimento. Detestavo quando Tessa non mi ascoltava e sapevo che aveva i suoi problemi, ma mi aveva dato lo stesso un po' di fastidio. Ogni tanto si perdeva proprio nel suo mondo; probabilmente era una delle cose che avevamo in comune.

Riuscì quasi a spaventarmi quando balzò sul letto e si mise a gambe incrociate di fronte a me in meno di un istante, per poi piazzare il viso a meno di due centimetri dal mio e fissarmi con gli occhi sgranati.

“Devi dirmi tutto!!! Cos'è successo?”

“Sì, io...”

“L'hai baciato??”

“Eh...”

“Ti piace???”
“Be', ecco...”

“Sei innamorata????”

“Ehh...”

“Vi sposate?????”

Stavo per dirle che quella del matrimonio era proprio una fissazione oggi, quando lei partì in uno dei suoi soliti monologhi, cosa che faceva sempre quando era entusiasta e in cui parlava talmente velocemente che di rado qualcuno riusciva ad interromperla.

“Allora quando?? Siete fidanzati??? Bacia bene?? Devi dirmi tutto, perché se Daniel mi bacia di nuovo io non so come fare. Oh, sì, a proposito di Daniel, posso portare anche lui al tuo matrimonio? Ma non voglio fare da damigella. Posso vestirmi di nero? Oooh, ti prego posso venire ad assaggiare la torta e i dolci con te??? Per favoreeee! Ah, e io devo venire ad aiutarti a scegliere il vestito! Devo!!! E poi devi essere in forma per il matrimonio, quindi verrai a correre con me, non è vero? Come lo dici ai tuoi??? Oh, che cosa incredibile, sono così contenta per te!!! Sì perché io non vedo l'ora, avevamo proprio bisogno di buone notizie!!! Oh, lo devo dire ai miei... Credi che prima o poi...?”

“Tessaaaaa! Calma, sono solo uscita con lui!” in realtà, la cosa era veramente preoccupante in un certo senso; Tessa per qualche strano motivo era sempre stata capace di avere un certo... Istinto di preveggenza, ecco, per i voti scolastici – i miei soprattutto -, il tempo, i funerali e i matrimoni e il fatto che ora dicesse questo... Be' mi faceva pensare. Ma poi mi dissi che ero un'idiota: Tessa stava solo avendo una crisi di nervi e una di felicità insieme!

“E allora com'è andata???”

Tessa mi fissava in attesa di spiegazioni, così presi un bel respiro e le raccontai tutto una seconda volta, con la differenza che adesso mi fissava ad occhi sgranati con il sorriso dello Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie stampato in faccia. Mi fissava come se le stessi dando le rivelazioni dell'universo invece che raccontando un semplice appuntamento.

“Aspetta che ti racconto; sono arrivata al faro in anticipo. Sì, ero nervosa... Non nervosa, più che altro ero curiosa di sapere come sarebbe andata, ecco. Comunque, lui è arrivato in ritardo. Questo qua quindi arriva e mi dice che Drake non è il suo nome; all'inizio l'ho fissato praticamente sotto shock, ma poi... Oooh, che rabbia! Ero incavolata nera. Cioè, perché...” così le raccontai il dialogo avvenuto sul pontile e di come alla fine avevo accettato questa cosa dei tre appuntamenti con lui.

“Poi mi ha detto che visto che avevamo iniziato a parlare di libri, tanto valeva che andassimo un po' in libreria, così ci siamo avviati verso quella in centro, non so se l'hai vista in questi giorni. Allora siamo arrivati lì e... Oddio Tessa, dovevi sentirlo! Sapeva tutto, li aveva letti praticamente tutti! È stato fantastico: voglio dire, quando mai ti capita di trovare uno come lui che è anche intelligente?”

“Vuoi dire che aveva letto anche Harry Potter??” chiese lei entusiasta; Harry Potter era stato, all'epoca, uno dei libri più amati da Tessa che aveva cercato di farmelo leggere in tutti i modi. Alla fine non ci ero mai riuscita perché con la scuola non avevo tempo, ma lei non aveva mai smesso di rimproverarmelo.

“Sì.” risposi con un sorrisetto al ricordo “Ed è rimasto indignato come te quando ha saputo che non l'avevo letto. Io gli ho detto che lui non aveva letto Orgoglio e pregiudizio e così ci siamo messi un po' lì a discutere, ma non era quella discussione, sai, del tipo stiamo litigando, era uno di quei discorsi in cui ti diverti, non so come spiegarti.”

Tessa annuì con aria molto partecipe.

“Poi mi ha offerto un gelato appena usciti dalla libreria e... Avanti, tu sai quanto sia facile conquistarmi con i dolci! E poi era al cioccolato... E anche lui l'ha preso al cioccolato! Siamo tornati indietro sul lungo mare e mi ha detto che ha già finito le superiori, vuole fare lettere antiche all'università e che viene qui tutte le estati da anni visto che ha un appartamento, ma normalmente vive in città. Anche lui ha un gatto. Poi, vediamo, mi ha detto che gli piacciono i serpenti, va in moto e ha un tatuaggio; è bellissimo. È un albero tatuato qui sul braccio.” indicai a Tessa l'avambraccio “E' stupendo, voglio anch'io un tatuaggio così!” sospirai. In realtà più del tatuaggio mi piaceva la storia che c'era dietro: Raphael mi aveva detto che era l'albero della vita e che se l'era fatto tatuare dopo essere uscito da un periodo orribile della sua vita, per ricordare che le cose potevano sempre risorgere e migliorare. Avevo scoperto che era una persona ottimista.

Quando tornai alla realtà notai che Tessa mi scrutava, ora seria.

“Cosa c'è?” le chiesi ridendo.

“Lui... Ti ha detto altro riguardo alla sua vita?”

Aggrottai le sopracciglia.

“In che senso?”

“No no, niente. Piuttosto, andrai al secondo appuntamento? Quand'è? Cosa fate?” stordita dall'improvviso cambio di discorso dimenticai in fretta quella piccola parentesi e non ci feci più caso.

“Il secondo appuntamento è domani mattina e non so ancora cosa faremo. Mi ha detto di aspettarlo al faro alla solita ora...”
“Ohh, avete già una solita ora!” sospirò Tessa.

 

POV Tessa

 

Il resto del pomeriggio trascorse nella ricerca di qualcosa da mettere che fosse resistente al freddo, al vento, ma che potesse anche permettermi di sopportare il caldo; alla fine scegliemmo un vestito lungo fino alle ginocchia con un paio di ballerine comode e una felpa sopra. Era sportivo, col cappuccio, ed era blu, per di più Lia affermò che mi evidenziava le curve, e lo disse nonostante a me quel vestito sembrasse una tenda.

Facemmo merenda commentando le rispettive situazioni sentimentali e aspettando con ansia che arrivassero le sette; quando arrivarono ero truccata, con i capelli raccolti in una treccia e il disperato bisogno che qualcuno mi dicesse quanto ero ridicola a fare un dramma simile di un semplice appuntamento. Alla fine, sobbalzai non appena Daniel bussò alla porta.

Andai ad aprire con le gambe che tremavano, alzai la testa, lo guardai e... Gli sorrisi. Sparì tutto. Ma sì, perché doveva andare male? Lui era pur sempre... Lui. Nonostante tutto non avevo ancora trovato una definizione per lui, come se non potesse essere catalogato nello spazio in cui di solito inserivo le persone e avesse bisogno di uno nuovo.

“Ciao Tess! Pronta per la sorpresa?”

Stranamente, scoppiai a ridere.

“Sono pronta, sono pronta.” salutai Lia che mi sorrise incoraggiante e uscii tenendo la mano di Daniel. Scendemmo le scale e poi attraversammo il vialetto diretti al cancello, e in quel momento mi sentii osservata; mi voltai e vidi le due signore sedute di nuovo al loro posto, questa volta una stava mangiando un yogurt e l'altra fumava una sigaretta. Mi fecero un cenno incoraggiante quando videro che le guardavo e mi rivolsero un gran sorriso, che ricambiai di cuore.

“Allora dove andiamo?”

“Lo vedrai.” rise Daniel.

“Viva le sorprese, eh?”

“Ah Tessa, non dirmi che non ti piacciono gli uomini del mistero?”

Scoppiai a ridere per la seconda volta in quella sera; quasi non mi riconoscevo.

“Quindi tu saresti un uomo del mistero?”

“Assolutamente sì.”

“Va bene, in questo caso posso dire che gli uomini del mistero mi piacciono.” sentii lo sguardo di Daniel su di me e ricambiai, ritrovandomi addosso i suoi caldi occhi rassicuranti. Tra tutte le persone che avevo conosciuto nella mia vita lui era stato il primo, uno di quei pochi, che se avessi dovuto descrivere avrei davvero definito come una brava persona. Perché lo era, tutto di lui lo diceva: il modo in cui si muoveva, il modo in cui camminava adattando il passo al mio, il modo in cui guardava il mondo. Avevo molto da imparare da lui e per me era una sensazione quasi strana visto che avevo sempre pensato di aver già capito tutto sugli altri e di dovermene per questo tenere a distanza il più possibile.

Persino il modo in cui sorrideva aveva qualcosa di luminoso.

“Tutto bene Tess? Mi stai osservando da un po' ormai.”

Sorrisi tra me e me.

“Sì, ti osservavo.”
“E' una cosa che fai spesso, vero?”

Annuii.

“Solo che di solito nessuno se ne accorge. Tu sei il primo. Di solito non lo nota nemmeno Lia.”

“In effetti sei molto discreta, è una grande arte.” senza saperlo aveva detto una delle cose che ritenevo più vere al mondo, perché osservare gli altri e farlo bene, notare le cose giuste, era un'abilità incredibile che in pochi avevano davvero. Lui ce l'aveva, ne ero sicura.

Per un attimo mentre lo guardavo camminare al mio fianco ebbi una strana sensazione, che avevo avuto anche la prima volta che l'avevo visto ma che era stata prontamente ignorata: lo strano presentimento di averlo già visto. Non conosciuto, piuttosto... Una strana idea di familiarità, quel genere di cosa che si prova quando si trova un oggetto a noi caro completamente fuori posto e, fissandolo perplessi, ci si chiede cosa ci faccia qui.

Ricordai di aver letto una volta, tanto tempo prima, di come certe persone credessero che i flashback fossero un modo di dirci che il nostro destino si stava compiendo; allora tutto questo era scritto? Era scritto che l'avrei incontrato? Che sarei venuta in quel posto?

Presi il cellulare e, con una strana ispirazione, scrissi alla zia di Lia.

“Sei silenziosa stasera Tessa.”

“Come? Oh, sì. In realtà stavo pensando... A Lia. Sai, pare che il suo appuntamento con Raphael sia andato molto meglio del previsto, ma da quanto ho capito lui non le ha ancora parlato del suo passato e sono preoccupata perché se lei lo venisse a sapere magari prima che fosse lui a dirglielo non credo lo perdonerebbe.”

“Non preoccuparti, lo farà. Conosco Drake e so che non le mentirà a lungo; forse cercava di non spaventarla troppo al loro primo appuntamento.” Daniel mi fece l'occhiolino “Come cerco di non fare io.”

“A proposito, dove mi stai portando? Lo sai, comincia ad essere un po' inquietante... Questo interessante vicolo buio, tu che mantieni segreta la nostra destinazione... Ti ho detto che ho fatto un corso di autodifesa, vero?”

Questa volta fu lui a scoppiare a ridere.

“Non c'è pericolo Tess! Siamo arrivati. Eccoci al palazzo degli orrori.” mi rivolse un sorrisetto ammiccante. “Entri?”

Aveva aperto la porta di una delle tante case che si trovavano ai lati della strada deserta e quasi buia, visto che il sole stava calando. Incerta fissavo il corridoio buio alle sue spalle e facevo i miei soliti, rapidi calcoli sul pericolo della situazione, ma come al solito Daniel capì quello che pensavo e precedette le mie domande: “Smettila di pensare e fidati! È un posto di cui sono a conoscenza solo le persone del posto...”

Abbozzai un sorriso e lo seguii, seppure ancora incerta e intenta a guardarmi con attenzione intorno nonostante non ci fosse nulla da vedere perché il corridoio – almeno credevo fosse un corridoio – che stavamo attraversando era veramente buio. Dopo quella che mi parve un'eternità, cominciai a sentire della musica e iniziai a chiedermi se per caso non ci fosse una discoteca in cui si vendevano sostanze stupefacenti nascosta là sotto. Poi comparve la luce e noi ci avvicinammo sempre di più ad essa finché non ci inondò completamente, tanto che dovetti strizzare gli occhi per capire che ci trovavamo in cima alla scalinata di un'immensa sala da ballo dorata, piena di specchi e lampadari di cristallo.

“Wow!” non riuscii a trattenermi. Alcune coppie si stavano preparando per il ballo, altre stavano entrando ed erano tutte vestite elegantissime, i maschi in giacca e cravatta, le femmine con splendidi vestiti da sera e i tacchi. Ci venne subito incontro un tizio altissimo e magro che indossava un completo blu elettrico, aveva i capelli neri pettinati in una frangia che gli copriva l'occhio sinistro e le dita piene di anelli, come notai quando gli strinsi la mano.

“Daniel!” esclamò con una voce che aveva uno spiccato accento straniero a cui non riuscivo a dare una provenienza esatta “Che piacere vederti! Finalmente! Dopo tanto, tanto, tanto tempo che ti chiedo di venire a uno dei miei balli, finalmente ti presenti! Con una ragazza! Era ora! E che bella ragazza oltretutto!” sorrisi, lusingata e perplessa a questa presentazione.

“Ciao Simòn” rise Daniel. Dal nome dedussi che Simon era francese e, quando parlò di nuovo, notai che aveva la erre moscia.

“Ciao, dice lui! Fila a vestirti e porta con te la tua dama, il ballo inizia tra poco!”

“Va bene, va bene!” rispose lui e, tenendomi per mano, mi guidò verso quelli che sembravano essere degli spogliatoi. Le luci lì erano più soffuse, ma potei scorgere lo stesso un sacco di gente e di vestiti; ce ne dovevano essere centinaia! Per uomini e donne, persino per bambini, erano uno più elegante e bello dell'altro, non bastava un paio d'occhi per ammirarli tutti. Per non parlare delle scarpe! Questo era davvero il sogno di ogni donna, pensai tra me e me.

“I vestiti sono in prestito” spiegò Daniel “puoi mettere quello che vuoi.” con un sorrisetto aggiunse: “E quello che hai visto là fuori è mio zio acquisito. Queste sono lezioni di ballo, a cui si partecipa solo alle sue condizioni e solo se si sa dove andare.”

“Lezioni? Ma io non so ballare!”

“Infatti siamo qui per imparare, e poi ti guido io.” Mi fece l'occhiolino poi si diresse verso i completi maschili, così a me non rimase altro da fare se non cercare di non farmi prendere dal panico e di scegliere un vestito che non mettesse in evidenza pancia e cosce. Inizialmente volevo seguire il solito consiglio di Lia – non vestirmi di nero -, ma poi vidi un vestito nero che... Oh mio Dio, era la fine del mondo: le spalline si incrociavano davanti a formare un corpetto con una lavorazione a fiori argentei a fianco, al di sotto del quale si formava una meravigliosa gonna nera, lunga fino ai piedi, semplice e non troppo ampia né aderente. Lo indossai con un paio di tacchi talmente alti e scomodi che sperai vivamente che Daniel sapesse come tenere in piedi una damigella cascante, più che in pericolo.

Quando uscii dal camerino vidi che anche lui era pronto e si stava aggiustando la cravatta allo specchio. Come se mi avesse sentita arrivare anche in mezzo a tutte le coppie che parlavano tra loro, si voltò e mi sorrise lanciandomi uno sguardo carico di ammirazione che mi fece arrossire e al tempo stesso sentire meravigliosa. Allora era così che ci si sentiva a vivere in un romanzo rosa? Erano queste le farfalle nello stomaco?

Presi la mano di Daniel, per una volta alta come lui grazie ai tacchi, e lo seguii nella luminosa sala da ballo.

Inutile dirlo: la serata fu meravigliosa. In mezzo a tutte quelle persone che ballavano, con lui a guidarmi, a sorreggermi, a dirmi cosa fare al momento giusto e la musica, la meravigliosa musica, le ore parvero passare in un lampo. Mi rilassai completamente, tanto che a un certo punto avvolsi le braccia intorno al collo di Daniel e appoggiai la testa sulla sua spalla, e ci limitammo per un po' a dondolarci avanti e indietro, le dita delle nostre mani intrecciate.

Non c'erano parole per dirgli quanto gli fossi grata per quella serata e quanto mi sentissi al sicuro, al riparo da tutto... Erano passati pochi giorni, ma il tempo si era dilatato in maniera straordinaria, o forse pareva a me perché erano successe così tante cose. In qualche modo mi sembrava di essere diventata più forte e più felice e qualcosa mi diceva che era grazie a lui.

Alla fine del ballo, verso mezzanotte, Daniel mi strinse in un abbraccio che mi diede quasi la stessa sensazione del bacio di quella mattina, ma fu in qualche modo meglio perché era un semplice gesto di dolcezza per dirmi che, amore o non amore, lui era lì e avrebbe continuato a regalarmi gioia per quei due giorni che ci rimanevano da trascorrere insieme. Non sapevo come le cose sarebbero andate dopo, ma sentivo che sarebbero andate bene e così ricambiai l'abbraccio, felice di essere lì.

Quando alla fine Simon spense le luci ci cambiammo e andammo a ringraziarlo, poi uscimmo mano nella mano nell'aria fresca della notte. Mentre camminavamo fianco a fianco in silenzio diretti all'appartamento mi venne in mente il messaggio che avevo mandato alla zia di Lia, perciò accesi il telefono per vedere se mi aveva risposto.

Ciao Iris, scrivo per dirti che ti ringrazio molto per il regalo che hai fatto a me e Lia; quando torneremo a casa avremo tanto da raccontarti riguardo a quello che è successo qui... In realtà volevo anche chiederti come ti era venuta l'idea di una vacanza; dove hai trovato l'ispirazione? :)

Ciao Tessa! Allora vi state divertendo, eh? ;) Non vedo l'ora di sapere i particolari!

Poi, un secondo messaggio, inviato un'ora e mezza dopo: In realtà è stata tutta colpa del tuo amico Daniel, lo sai? Fissai quelle parole e lanciai un'occhiata a lui, esterrefatta. Come faceva Iris a sapere come si chiamava?? Avrei capito se avesse conosciuto la madre, la proprietaria dell'appartamento, ma lui?

Quando mi ha chiamata in cerca di una certa Amelia che aveva il tuo aspetto e una madre malata di cancro ho pensato che scherzasse...

“Daniel?” al suono della mia voce a metà tra l'esterrefatto e il confuso mi guardò con aria preoccupata. “Ci siamo già conosciuti noi?”

Spazio autrice: ed eccomi di nuovo, la stessa sera! Viva la supance! Ci ho messo almeno mezz'ora per immaginare questo finale e la storia che c'è dietro; ne saprete il seguito la prossima volta e io mi divertirò davvero nel frattempo ad immaginare le vostre ipotesi. Come si saranno conosciuti questi due? Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate, tanto che se avete idee mi piacerebbe un sacco leggerle nelle recensioni XD
Nel capitolo in generale c'è un cambiamento nel rapporto tra Tessa e Daniel, perché lei ora si fida molto di più di lui e comincia anche a rilassarsi, a scherzare e a prendere confidenza in qualche modo, anche se non del tutto. Lui, invece, ha capito che deve aspettarla ancora un po' e che a volte un semplice abbraccio vale più di un bacio. Il ballo questa volta è in stile Tessa: classico, con vestiti lunghi e note al pianoforte... Quanto vorrei una festa così! Nel prossimo capitolo vedremo anche cosa combinerà Raphael con Lia e, devo ammetterlo, sono curiosa io stessa di sapere cosa mi verrà in mente. Per il momento, vi auguro la buonanotte e spero di non farvi aspettare troppo per il seguito! :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Memoria ***


Capitolo 13 – Memoria

 

Daniel mi fissò con aria perplessa per un istante.

“E dove dovremmo esserci conosciuti?”

Abbassai lo sguardo verso il messaggio sul cellulare, poi guardai di nuovo lui.

“La zia di Lia, Iris, sostiene che è stata tua l'idea di mandarci qui... E anche che mi hai scambiata per lei.” gli mostrai il telefono e lui lesse quelle parole. Sorpreso, corrugò le sopracciglia e scosse la testa.

“No, me lo ricorderei. E dove mai potrei averti incontrata?”

“Uhm... Non lo so. Io sono di North Wings, in collina. Sei mai venuto da quelle parti?”

“Forse una volta. Ci sono passato con mia sorella per andare in ospedale a fare la terapia; andava sempre nello stesso, quello specializzato, in montagna... A... Non mi ricordo quale fosse la città...” cercava di concentrarsi per capire quale fosse il nome, ma io lo sapevo già: “Snowland. Ci va anche mia madre per lo stesso motivo.”

“Allora forse ci siamo incontrati lì.” aggrottò ancora di più le sopracciglia “Ma non me lo ricordo. Se ti avessi pure convinta a venire qui avremmo avuto una conversazione... Me lo ricorderei...”

“Non viene in mente niente neanche a me. Oltretutto tua sorella è già guarita, no? Dovremmo esserci incontrati anni fa ormai.”

“In realtà no, perché ha dei controlli circa ogni tre mesi quindi ci torna spesso, ma sono come minimo tre o quattro mesi che non la accompagno più.”

Riflettei in silenzio mentre camminavamo nel buio, diretti alla spiaggia; la zia di Lia era un po' strana -credeva agli angeli, aveva un tatuaggio e riteneva che il mondo fosse un posto meraviglioso- ma non mi sembrava tanto svampita da inventarsi cose del genere. No, c'era qualcosa sotto. Ma cosa? Come potevo aver conosciuto Daniel senza ricordarmene? Era vero che quando l'avevo visto la prima volta mi aveva dato una curiosa sensazione di familiarità però mi sembrava letteralmente impossibile non sapere di avergli già parlato in passato; decisi di non crucciarmi oltre.

“Domani mattina la chiamerò e le chiederò di cosa parla. Se scopro qualcosa ti faccio sapere.”

“Mmm...” concordò lui, ancora perplesso. “Eppure credo che sia una cosa fondata, lo sai?”

“Davvero? Perché?”

“Mi sei sembrata familiare la prima volta che ti ho vista.” esterrefatta per quella rivelazione stranamente simile a quello che pensavo, alzai la testa e incontrai il suo sguardo che da meditabondo passò a sorpreso quando vide la mia espressione.

“Anche a me sei sembrato familiare! Com'è possibile?”

“Amnesia di coppia?” distolsi in fretta lo sguardo fingendo indifferenza, mentre la mia maniacale mente malata analizzava quello che aveva detto e si soffermava con tanto di lampeggianti sulla parola coppia. L'aveva detto davvero? Eravamo una coppia??

“Mi sembra un po' improbabile.” dissi ostentando totale tranquillità nonostante nella mia testa ci fosse una certa confusione generale, come succedeva quasi sempre quando ero con lui. Guardai la strada buia davanti a noi fingendo di essere ancora immersa nei miei pensieri e notai che nonostante l'oscurità ci circondasse, ci fosse un silenzio praticamente agghiacciante e fosse notte fonda non avevo paura; merito forse di Daniel? Mi sentivo al sicuro.

“La parte più strana è quella in cui io dovrei aver chiamato la zia di Lia. Iris, giusto?”

“Sì.”

“In effetti ho parlato con lei al telefono per la prenotazione del vostro appartamento, ma non sapevo neanche il suo nome prima di adesso...”

“Non credo sia una questione su cui dobbiamo riflettere più di tanto. Sarà uno dei suoi soliti scherzi. La chiamerò domani mattina e cercherò di capire cosa si è inventata questa volta... Che delirio...” mi dispiaceva che fosse l'una di notte perché questo significava che avrei dovuto aspettare chissà quante ore prima di poterle telefonare. Non potevo di certo chiamarla alle sei del mattino. Ero davvero impaziente di sapere cosa intendeva; e se veramente ci eravamo già conosciuti? E se tutto questo, alla fine, era stato opera del destino? Lanciai un'occhiata a Daniel, che ragionava ancora sulla questione con aria meditabonda e pensai che se avessi scoperto che ci eravamo conosciuti proprio per merito del fato allora avrei cercato di mantenere i contatti con lui. Pensandoci, era passata la mezzanotte e questo significava che... O mio Dio. Per la prima volta dall'inizio della vacanza mi sentii schiacciata dal tempo: era il quinto giorno. Il settimo, la mattina, saremmo dovute partire, il che significava che avevamo solo due giorni ancora poi... Poi... Eh, già. Poi?

“Daniel?”
“Sì?”

“Tra due giorni torno a casa. Lo sai, vero?” dovevo dirglielo. Non volevo rovinare il momento e più di tutto non intendevo dargli un dispiacere, ma avrebbe fatto più male saperlo all'ultimo minuto... Lo sapevo per esperienza personale.

“Lo so.” la sua voce era strana, un misto tra rassegnazione, tristezza e un tentativo di indifferenza. Mi faceva un certo effetto pensare che in così poco tempo ero entrata a tal punto nella vita di una persona da renderla triste quando me ne andavo; di solito, se lo facevo, raramente mi preoccupavo di come si sentivano gli altri. Sparivo e basta. Con lui però non potevo farlo, perché oltre a un torto mi sentivo in colpa all'idea di farlo stare male e mi sentivo male io stessa per questo... Che disastro.

“Come mai devi tornare a casa così presto?” la sua domanda mi colse per un istante alla sprovvista. Avevo sempre pensato, affermato ed ero sempre stata convinta, sin dal primo giorno di vacanza, che sarei tornata a casa dopo una settimana esatta, ma quelle parole furono un fulmine a ciel sereno; non ci avevo proprio pensato. Cosa mi tirava verso casa?

“Forse mia madre dovrà ricominciare a fare la terapia e io voglio starle vicino. Devo tornare a casa per lei, per...” per? Non lo sapevo. Mi parve quasi che la mia mente si stesse riempiendo di falle, come una diga costruita male. Cosa potevo fare io per lei se tornavo a casa? Esattamente lo stesso di sempre: niente. Non ero un medico, non ero uno psicologo e non ero abbastanza forte da starle accanto come faceva mio padre... Io non le ero utile. Era più utile se stavo lontana, così lei aveva meno lavoro, un piatto in meno da preparare a cena e a pranzo, una preoccupazione in meno, una stanza in meno da pulire, vestiti in meno da lavare, una persona triste in meno... Mi chiesi cos'avessi fatto a casa per tutto quel tempo, perché non me ne fossi andata prima, e ricordai il senso di inutilità che mi aveva fatta quasi impazzire. Daniel scrutava la mia espressione e avrei potuto giurare che vedesse passare ogni singolo pensiero e capisse tutto quello che mi passava per la testa, come se l'avesse provato lui stesso, cosa che probabilmente aveva fatto.

“Tess?”

“Ripensandoci, non so quanto sia il caso che io torni a casa.”

“Perché?” mi diede l'impressione che sapesse già quello che stavo per dire.

“Perché non... Non posso fare niente per lei. Alla fine... Non sono io quella capace di aiutarla. Non sono indispensabile.” con la coda dell'occhio vidi Daniel fare un sorriso triste, poi mi circondò le spalle con un braccio attirandomi a sé. Eravamo arrivati al porto, illuminato di tanto in tanto dalle luci delle barche e completamente deserto, col solo rumore del mare.

“Per lei sarai sempre indispensabile. In salute e in malattia. Solo che non è la tua battaglia, è la sua.”

“Ma soffro anch'io.”

“Tu però puoi scappare. Hai un corpo sano. Lei no.”

“E allora cosa devo fare? Tornare a casa ed essere di nuovo inutile e triste o rimanere lontana ed essere inutile e più o meno felice?”

Daniel si limitò a stringermi più forte e a rimanere in silenzio. Forse, cercava anche lui la risposta alla stessa domanda.

 

POV Lia

 

Quando mi svegliai e vidi l'ora saltai giù dal letto per lo spavento: no, no, no! Ero in ritardo! Volevo svegliarmi presto per prepararmi decentemente all'appuntamento con Raphael, ma a quanto pareva non ce l'avevo fatta visto che erano già le nove e mezza e io dovevo ancora fare colazione, vestirmi e lavarmi.

Andai in bagno dove mi lavai di malavoglia il viso e guardai la mia immagine allo specchio, rassegnata nel vedere che ero spettinata e piena di brufoli; come cavolo facevano le altre ad essere sempre perfette? Alcune mie compagne di classe riuscivano a mantenere perfetti fondotinta, rossetto, eyeliner e mascara per addirittura sei ore di fila e io non riuscivo a fare lo stesso con un correttore neanche per un'ora. Aaah, pazienza, non avevo tempo.

Uscii di corsa dal bagno e, rinunciando alla colazione, mi infilai dritta in camera alla ricerca di qualcosa da mettere. Sfortunatamente non preparavo i vestiti in anticipo come Tessa, perciò non avevo un'idea precisa; di solito mi vestivo in base alla mia ispirazione dell'ultimo minuto, che quella mattina mi disse di afferrare un paio qualsiasi di pantaloncini e una maglietta rossa e di sbrigarmi. Indossai le scarpe, uscii dalla camera e... Ma dov'era Tessa? Credevo che stesse dormendo, però pensandoci bene era strano che non mi avesse sentita alzarmi o che non si fosse svegliata prima di me. Il suo letto era vuoto e sfatto, il che era davvero insolito visto che lei rifaceva il letto ogni sacrosanta mattina – anche prima di andare a scuola, cosa che io non riuscivo mai a fare.

Poi però vidi l'orologio – mancavano cinque minuti, questa volta sarei arrivata io in ritardo! - e mi dissi che l'avrei chiamata appena ne avessi avuto il tempo, quindi presi con me il telefono, le chiavi e il taccuino e uscii di corsa.

Arrivai al faro col fiatone. Di solito non mi scomodavo così tanto per un appuntamento, ma mi dava fastidio essere in ritardo proprio con lui. Irritata con la sveglia, con il tempo e con lui – perché così presto? - alzai la testa giusto in tempo per vederlo appostato davanti alla passerella del faro appoggiato a braccia incrociate su una moto nera e con un sorrisetto strafottente stampato in faccia.

Sorrisi come meglio potei mentre mi avvicinavo.

“Ciao.”

“Buongiorno Lia.” i suoi occhi luccicarono di malizia “Come stai?”

“Bene” il mio tono era tranquillo ma in realtà ero diffidente perché sembrava troppo felice quella mattina e qualcosa mi diceva che non ero solo io la causa della sua felicità. E poi mi fissava come un gatto fissa il topo ed era veramente irritante.

Si voltò e prese qualcosa dietro di lui, poi me lo porse: era un casco. Aggrottai le sopracciglia, perplessa.

“Secondo appuntamento. Ci si arriva in moto.” lo fissai con l'aria di chi è assolutamente confuso e, in un certo senso, prega di aver capito male. No. Oh, no. Non sarei salita in moto con uno sconosciuto... Non mi interessava proprio niente, io non avevo nessuna intenzione di assecondare questo pazzo, che ne sapevo che non mi avrebbe portata in un luogo buio e deserto e non avrebbe cercato di farmi qualcosa?? Diamine, ma dov'era Tessa quando serviva? Lei aveva sempre uno spry da spruzzare negli occhi alla gente all'occorrenza.

Proprio mentre stavo per scuotere la testa e dire che non sarei andata con lui, Raphael parlò: “Sea Road, Venice Road e poi Blue Road. Sono le strade che ho intenzione di prendere per portarti al nostro appuntamento. Non ti dico cosa faremo perché è una sorpresa, ma stiamo per andare in un luogo affollato dove non potrei neanche lontanamente provare a farti qualcosa di male. Puoi guardare i cartelli per vedere se mento e cambio strada.”

Mi porse di nuovo il casco e questa volta accettai. Raphael indossò il suo invitandomi a salire sulla moto, dietro di lui.

“Sei mai andata in moto?”
“Sì, ne ha una anche mio padre.”

“Benissimo, allora sai già come funziona. Aggrappati a me e andrà tutto bene.” misi il casco e poi cinsi la sua vita con le braccia, un po' imbarazzata per quel contatto fisico; lo facevo anche con mio padre, ma era mio padre. Con lui era... strano.

La moto partì e in breve prese velocità, così corremmo veloci lungo le vie della cittadina e poi lungo strade più ampie, allontanandoci sempre di più dall'oceano. Mentre proseguivamo vidi un cartello con la scritta Venice Road, poi chiusi gli occhi e non badai più a quello che c'era accanto a noi. Mi guardai intorno solo quando Raphael si fermò per parcheggiare la moto e prese il mio casco; eravamo... O mio Dio, eravamo in un Luna Park! Neanche sapevo dell'esistenza di quel posto, e venivo spesso da quelle parti con i miei!

Scesi dalla moto con un sorriso grande come una casa: adoravo le giostre e le fiere. Le adoravo. Raphael se ne accorse e i suoi occhi brillarono: “Ci ho azzeccato?”
“Direi proprio di sì!”

Iniziammo a camminare fianco a fianco in mezzo alla folla di persone, soprattutto famiglie, che affollavano il posto e l'occhio mi cadde subito sul banco delle frittelle. Ooooh, le frittelle! La giornata andava meglio quando si mangiava una frittella. Mi girai per dire a Raphael che andavo a prenderne una, ma invece del suo viso trovai... Una frittella. Sorpresa, notai che era lui a offrirmela e non potei fare a meno di rivolgergli un sorriso.

“Grazie!” trillai prendendo quella squisitezza piena di zucchero e dandole un morso con soddisfazione. Non avevo neanche fatto colazione! Tessa mi avrebbe sicuramente rimproverato la dieta poco sana... Ma Tessa non c'era, giusto? Pensandoci bene, chissà dov'era andata a finire quella mattina. Forse avrei dovuto andare a vedere in spiaggia, magari era lì.

“E così, ti piacciono le frittelle.”

“Mmmh.”

“Fantastico. Io sono bravo a cucinare le frittelle. Ti farò assaggiare le mie.”

“Io so cucinare le crepes alla Nutella più buone dell'universo.”

“Dovremmo fare una gara allora!” il sorriso di Raphael, complice la frittella, era diventato contagioso. “Una gara a chi fa il dolce più buono. Dai Amelia non puoi tirarti indietro!”

“No no no no no, cosa??” mollai il dolce per un attimo. “No no, perché mi chiami Amelia?”
“Hai detto tu che non dovevo chiamarti Lia.” replicò – giustamente – lui, ma io non ero pronta per questo. Insomma, erano anni che qualcuno non mi chiamava col nome intero, era innaturale. “Amy. Ti piace?”

Era un po' strano però annuii lo stesso; sempre meglio di Amelia.

“E Amy sia. Quindi accetti la sfida, Amy?”

“Sì. Però se vuoi che lo faccia devi promettermi una cosa.”

“Cosa?” con soddisfazione notai che era sorpreso.

“Leggerai Orgoglio e pregiudizio.”

“Neanche per idea.”
“Allora io non partecipo alla gara.”

“Non puoi farmi questo!”

Sorrisetto.

“Prendere o lasciare.”

“Se io leggo Orgoglio e pregiudizio tu devi leggere Harry Potter.”

“Affare fatto.” vidi qualcosa brillare negli occhi di Raphael, forse felicità. “Hai una fissazione per Harry Potter come la mia coinquilina, lo sai?”

“Anche lei l'ha letto? Tessa, giusto?”

“Sì. Lo adora. Mi ha ripetuto non so quante volte che dovevo leggerlo, ma non ho mai avuto il tempo né l'occasione.”

“Be', ora li hai entrambi. Ti presto io tutti i libri della serie.”

Sospirai.

“Tessa ti adorerebbe.” tra me e me pensai che però sarebbe stato un problema se mi avesse prestato anche solo il primo libro, visto che non avrei probabilmente avuto occasione di ridarglielo. Ancora due giorni e poi saremmo ripartite; rabbrividii al pensiero di tornare alla solita vita e mi chiesi se anche Tessa avesse paura. Sembrava così tranquilla, lei.

“Non so se riuscirò a leggerlo in un tempo tanto breve da ridartelo, perciò è meglio se lo compro.”

Raphael mi fece un sorrisetto. Cos'aveva in mente ora?

“La tua copia di Orgoglio e pregiudizio è preziosa per te, la mia copia di Harry Potter è preziosa per me. Facciamo uno scambio e quando ci rivedremo ci restituiremo i rispettivi libri.”

“Certo” non ero molto convinta in realtà, innanzitutto perché non mi piaceva questo quando – da quanto in qua era sicuro che ci saremmo rivisti? - e poi perché non mi piaceva l'idea di essere in qualche modo legata a lui, ma non specificai niente di tutto questo. Ero... curiosa, dovevo ammetterlo. Era il primo ragazzo al mondo che trovavo pazzo quanto me, che amava la lettura e che era interessato a me. Per una volta volevo provare a far funzionare le cose e vedere cosa succedeva.

Nel frattempo avevo mangiato tutta la frittella e, quando alzai lo sguardo, vidi una giostra fantastica, con i sedili attaccati a un palo grazie al quale si veniva quasi lanciati in aria, per poi scendere dondolando come su un pendolo. I ragazzi lì sopra urlavano come matti, perciò doveva essere assolutamente divertentissimo.

“Saliamo lì sopra??” Raphael annuì. Avrei quasi creduto che fosse entusiasta quanto me. Aspettammo il giro successivo, poi pagammo il biglietto e salimmo; fu incredibile, io ridevo e urlavo più che potevo ogni volta che scendevamo a velocità sempre più alta e questo portò a un secondo e ad un terzo giro. Fu la volta degli autoscontri subito dopo, dove lui mi perseguitò più che poté urtandomi in tutta la pista. Poi, il polipo, dove delle navette volanti ci portavano in alto e in basso fino a farci venire il voltastomaco. Continuammo per tutta la mattina, salendo e scendendo e mangiando frittelle a volontà, per quanto mi riguardava, mentre Raphael perlopiù mi guardava divertito. In effetti verso l'una o le due di pomeriggio cominciavo a sentirle veramente pesanti sullo stomaco, ma per fortuna avevamo già provato tutte le giostre e assaggiato tutte le frittelle della fiera, perciò potevamo dirci soddisfatti e tornare indietro.

Mentre viaggiavamo in moto mi resi conto che non avevo ricevuto neanche una chiamata da Tessa. Ma dove cavolo era finita?

Spazio autrice: eccomi qua! Come promesso, un nuovo capitolo :) La verità su Tessa e Danel non è ancora stata scoperta, ma finalmente vediamo che Lia si diverte, e sottolineo si diverte, con Raphael; il tempo però è agli sgoccioli per entrambe. Devono tornare a casa tra due giorni, anche se forse Tessa ha notato che non è una cosa poi così scontata... ma lo vedremo nei prossimi capitoli! :) Ne pubblicherò presto di nuovi, approfittando delle vacanze.
Riguardo a questa parte della storia devo precisare: località e strade sono state completamente inventate da me, tra l'altro senza un criterio preciso e seguendo solo l'ispirazione del momento. Se ci sono riferimenti a luoghi o cose reali sono più che casuali :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Finalmente ***


Capitolo 14 - Finalmente

POV Tessa

 

Ero tornata a casa alle due di mattina ma non mi sentivo affatto stanca, tanto che anche dopo essermi messa i pantaloncini e una canottiera e aver tentato di dormire continuavo a fissare il soffitto a occhi aperti, cercando di ricordare se avessi già conosciuto Daniel e spremendomi le meningi per capire.

L'ospedale era l'unica. Dovevamo esserci incontrati là per forza. Dove altrimenti?

Mi imposi di dormire. Lia lo stava facendo già da un pezzo, non si era svegliata nemmeno quando ero rientrata. Che frustrazione! Me la presi con Iris, incavolata nera: non poteva parlare chiaro, per una volta in vita sua? Non tutti trovavano ogni cosa divertente e avevano sempre voglia di stare a ragionare per ore su tranelli assurdi!

Mi girai su un fianco, ma dopo un attimo mi rimisi a fissare il soffitto. Questa cosa di averlo già conosciuto mi tormentava perché quella strana sensazione di averlo già visto ora non me la toglieva più nessuno. Aggrottai le sopracciglia e mi sforzai con tutta me stessa, ovviamente senza risultato. Bene o male però i giorni precedenti erano stati stancanti per me e ora cominciavo a risentirne, come testimoniavano i miei numerosi sbadigli, perciò non riuscivo proprio a stare sveglia nonostante il mio tormento interiore. Mi si chiusero gli occhi. Iniziai a rilassarmi, finché i miei pensieri non divennero così confusi da non poterli distinguere tra loro; proprio un istante prima di addormentarmi ebbi la fugace visione di Daniel con un maglione blu. Aveva l'aria strana, diversa da quella di adesso: aveva le occhiaie, la sua pelle era più pallida e i capelli neri, ma non riuscii a chiedermi da dove venisse quell'idea perché caddi in un sonno profondo qualche istante dopo.

 

La mattina mi svegliai alle sette e Lia, ovviamente, dormiva ancora. Per un attimo pensai di svegliarla, però quando notai che aveva le occhiaie decisi di lasciarla dormire: se le avessi parlato avrebbe capito che qualcosa non andava e io ero ancora troppo confusa per spiegarle il problema, avevo bisogno di riflettere. Mi misi seduta e guardai i raggi del sole filtrare dalle persiane con aria piuttosto assente, ripensando a tutto quello che era successo la notte precedente e chiedendomi se l'immagine di Daniel col maglione blu fosse per caso stata un sogno. Non l'avevo mai visto vestito così, né pallido e con le occhiaie, in fondo era estate e lui era abbronzato, non aveva l'aria stanca e nessun motivo per indossare un maglione. Aggrottai le sopracciglia, confusa e frustrata. Non era accettabile che chiamassi la zia di Lia alle sette del mattino ma dovevo ammettere che ero sinceramente tentata. Che esasperazione!

Mi alzai in silenzio, presi un costume e i vestiti e mi infilai sotto l'acqua calda della doccia. Con calma, a occhi chiusi, ripercorsi mentalmente tutto e mi ritrovai a pensare ancora una volta a lui col maglione. Non era un sogno, era un... Ricordo? Possibile? Cercai di concentrarmi per ricordare dove l'avessi visto così e mi parve di ricordare una sala d'aspetto con le sedie rosse, dove ero stata mesi e mesi prima... Eppure continuava a sfuggirmi. Accidenti! Al diavolo, non avrei aspettato un minuto di più!

Uscii dalla doccia, mi asciugai in fretta e furia, mi vestii e senza neanche pettinarmi afferrai il telefono e mi precipitai verso la spiaggia. Avevo bisogno di calma e solitudine per telefonare a Iris e capire cos'era questa storia. Composi il numero mentre stavo ancora correndo e lo ascoltai squillare, sperando e pregando disperatamente che rispondesse; mi rendevo conto che era da pazzi chiamare a quell'ora, ma... era una questione di vitale importanza! Oddio, Lia aveva una pessima influenza su di me, stavo saltando a conclusioni assurde. In fondo non era così importante sapere questa cosa. Magari ero proprio matta...

“Pronto!” rispose una voce un po' troppo squillante per appartenere a una persona che era appena stata svegliata.

“Ciao Iris, sono Tessa! Mi spiace averti svegliata così, ma...”

“No no, tranquilla! Ero già in piedi. Stavo cucinando i biscotti!”

“Oh, fantastico.” Iris rise. “Ascolta ti chiamavo per chiederti cosa intendevi dire col messaggio di ieri sera. Io non ricordo di aver già conosciuto Daniel e non capisco come potrei avergli parlato e non averlo mai incontrato... E non ricorda niente nemmeno lui!”

“Ma dai! Smemorati che non siete altro!”

Sospirai afflitta.

“Davvero non mi ricordo niente del genere.”

“Ma sei sicura? Sicura sicura?”

“Direi di sì.”

“Teresa ricordi il diario in comune che tenevate tu e Lia quando lei era partita per due settimane? Ricordi che era andata a Londra per quello scambio e avevate deciso che ognuna di voi avrebbe scritto un diario e poi l'avrebbe scambiato con l'altra?”

Esterrefatta da quel cambio di conversazione tanto assurdo, lanciai un'occhiata stralunata al telefono, come se Iris potesse vedere quanto ero stupita. Forse aveva usato il rum per fare i biscotti e ne aveva assaggiato un po' troppo?
“Sì, me lo ricordo” risposi infine.

“Bene. Sai dirmi dov'è finito?”

“Uhm, no. L'ho perso il giorno prima di darlo a Lia.”

“E hai idea di dove potresti averlo perso?” il tono di Iris era palesemente divertito, come a dire com'è possibile che tu non lo sappia? Ma io non capivo. Che c'entrava il quaderno ora?

“Sì... Ero andata ad accompagnare la mamma a una delle sue visite in ospedale, credo di averlo dimenticato lì. Quando siamo tornati papà ha provato a chiedere se qualcuno l'aveva trovato, ma tra gli oggetti smarriti non c'era perciò deve averlo raccolto qualcuno.”

“Sì!!!” esultò Iris facendomi sobbalzare “Assolutamente sì!! Dai Tessa, ce la puoi fare. Chi è questo qualcuno???”

Lei si aspettava chissà quale risposta evidentemente, ma io mi limitavo a corrugare la fronte, disperata.

“Che ne so io, un vecchietto?”

“MA NO!! Tessa, avanti! Chi è questo qualcuno??”

“Ehm... Babbo Natale?”

Iris si esibì in un ruggito. Un vero e proprio ruggito esasperato. E io, cos'avrei dovuto dire?

“Ora basta. Ti ho dato un indizio adesso ci devi arrivare per forza. È troppo ovvio.” e con una risatina divertita chiuse la chiamata prima che potessi dire anche solo ba, lasciandomi a fissare inebetita lo schermo del cellulare. Lei e Lia erano proprio imparentate per quanto riguardava la pazzia assoluta.

 

Camminai furiosamente su e giù per la passerella del pontile per diciassette volte di fila prima di riuscire a darmi una calmata e ad accettare la conclusione più ovvia che, per la cronaca, era anche la più assurda: Daniel aveva raccolto il quaderno. Altrimenti, quale avrebbe dovuto essere il collegamento tra lui e il bizzarro discorso di Iris? Ma ancora non capivo: com'era successo? E perché avrebbe dovuto chiamare la zia di Lia? Più ci pensavo, meno ci arrivavo e di certo non aiutava sapere che era trascorso così tanto tempo da allora; erano passati quasi sei mesi da quel giorno. Se davvero fosse successo avrebbe dovuto essere stato ai primi di ottobre dell'anno precedente, quando avevo accompagnato la mamma a una visita e Lia era partita per lo stage a Londra. Indistintamente ricordavo il quaderno azzurro su cui avevo scritto per giorni... come ricordavo la delusione quando mi ero accorta che in macchina non c'era. Ero stata furibonda con me stessa e la mia distrazione per settimane: avevo raccontato tutto in pagine e pagine di diario a Lia e ora erano andate perse! Mi era dispiaciuto tantissimo e avevo mandato qualcosa come milleduecento maledizioni all'ignoto soggetto che si era portato via il mio diario.

Se questo soggetto era Daniel... be', intanto l'avevo mandato all'inferno, poi conosceva gran parte dei miei segreti e della mia vita da secoli. Ma non era possibile che fosse lui, vero? Insomma, quante probabilità c'erano che proprio lui...

“Tessa!” mi voltai verso la strada. Parlando del diavolo... ecco Daniel, che mi raggiungeva con un sorriso stampato in faccia e... O mio Dio. Aveva in mano il quaderno! Il mio quaderno! Lui! Lo sventolava per aria come un trofeo mentre mi raggiungeva, gli occhi brillanti di soddisfazione. “Ho capito tutto!”

“Daniel! Ma... Quello è il mio diario! O meglio, il diario mio e di Lia.”

“Lo so!” esclamò lui consegnandomelo “E io cerco di restituirtelo da sei mesi a questa parte!”

“Cosa?? Com'è possibile?”

“Il numero sbagliato, ecco come...” fissavo Daniel e il suo sorriso senza capire, più confusa e frustrata che mai. Allora era tutto vero? Ci eravamo già incontrati? “Sì” rispose lui alla mia domanda muta, “e avevamo ragione, ci siamo incontrati in ospedale, ma nessuno dei due se lo ricordava perché è stata una cosa velocissima... Me lo sono ricordato solo quando ho pensato a questo quaderno!”

“Dall'inizio, per favore!” lo implorai nel disperato tentativo di capirci qualcosa.

“Lo so lo so.” si appoggiò al parapetto del ponte e prese un bel respiro, così lo imitai anch'io e guardai lo splendido paesaggio che ci circondava, pensando tra me e me che era il posto perfetto per una rivelazione riguardante il destino. “Sei mesi fa ero, e forse eri anche tu, seduto in una sala d'aspetto d'ospedale con mia sorella e seduta di fronte a me c'era una ragazza con i capelli rossi che scriveva su un diario...” mi porse il quaderno ridendo e improvvisamente la nebbia nella mia mente si schiarì: ecco! Ecco dove l'avevo visto! I capelli neri, il maglione blu... Tutto combaciava!!! Era lui!! Era lui, era sempre stato lui!! Dalla mia faccia dovevano trasparire la sorpresa, la confusione e l'incredulità perché Daniel rise ancora più forte.

“Mi dispiace non avertelo detto... Mi è venuto in mente solo quando ho riflettuto sull'ospedale.”

“Anche a me!!” strillai io “Oddio oddio, eri seduto davanti a me! È vero! Avevi un maglione blu e... Perché avevi i capelli neri?”

“Mia cugina si era divertita a farmi la tinta” rise lui e questa volta io risi con lui. Ma allora il destino esisteva davvero! “Eri seduta davanti a me e scrivevi su quel quaderno, così quando l'hai appoggiato sul tavolino e ho visto che non tornavi a prenderlo... non ho resistito e l'ho preso. Ho pensato che avrei potuto restituirtelo se avessi trovato un recapito telefonico o qualcosa del genere, e in effetti un numero c'era...” aprì il quaderno alla prima pagina e scoppiai in una risata incredula.

“O mio Dio!” esclamai ridendo. C'era, c'era un numero... Il numero della zia di Lia, che io e lei avevamo inserito in prima pagina tra i recapiti, scherzando e immaginando la scena se l'avessimo perso e qualcuno avesse telefonato a Iris... “E' stato per puro caso...” mi giustificai.

“Lo immagino. Comunque, tornato a casa ho chiamato a questo numero e ho cercato di spiegare chi aveva perso questo quaderno, descrivendo te ma usando il nome sul frontespizio...” che era Amelia, ovviamente. In origine il quaderno era suo e io non avevo pensato a scrivere anche il mio, di nome. “Così ho parlato con una signora che ha voluto venire qui di persona a recuperare il tuo diario. Io le ho dato l'indirizzo dell'appartamento, solo che quando è arrivata e ha scoperto che io e mia madre eravamo i proprietari è scoppiata a ridere, ha detto che dovevo tenermi il quaderno e che prenotava le ultime due settimane di giugno.” mi porse il quaderno “Appartamento sette.”

“Non ci posso credere... In effetti è tipico della zia di Lia architettare strani piani, ma questo... Questa è proprio assurda. Come sapeva che ci saremmo incontrati?”

“Ah, questo proprio non lo so. Comunque abbia fatto, però, ha funzionato.”

“Ha decisamente funzionato.”
Ci fissammo per un istante, in un silenzio sorpreso e piacevolmente incredulo, registrando l'uno nell'altra le cose che erano cambiate da allora e cercando di ricordare qualcos'altro riguardo quel giorno. L'avevo visto: era seduto davanti a me, bastava alzare lo sguardo, era impossibile non vederlo. Mi ero chiesta se fosse lì anche lui per la terapia, ma poi l'avevo visto parlare con una ragazza vicino a lui, che stava chiaramente male, e la ragazza era sua sorella. Avevo anche incrociato il suo sguardo per un istante, però un attimo dopo avevano chiamato mia mamma per la visita e così io mi ero dimenticata dello sconosciuto in sala d'aspetto, così come avevo dimenticato il quaderno. Eppure, nonostante avessi sprecato una possibilità che poteva essere più unica che rara di conoscere una persona meravigliosa, il destino me ne aveva data un'altra. E non era giusto sprecare i doni del destino.

“In definitiva, allora, credo di non poterti proprio dimenticare Daniel.”

“Suppongo di sì.” mi guardò “Suppongo anche che avessi pensato di farlo.”

“Sì” risposi con un sospiro esasperato. Ne sapeva una più del diavolo. Capiva tutto quello che pensavo e a volte lo sapeva persino in anticipo, e per quanto avesse letto il mio diario questa non era una cosa che si poteva imparare. “Credevo che ti avrei dimenticato una volta tornata a casa, ma ora...” ammutolii, persa nei miei pensieri e in quel frammento di idea che mi era venuta la sera precedente quando, prima della chiamata di Iris, la conversazione mia e di Daniel era finita su un tasto dolente: il mio ritorno. Non potevo negare di averci pensato, di aver pensato che non ero necessaria là. Erano giorni che non sentivo mamma e papà e forse tutto sommato era meglio così, ma non ce la facevo... Come potevo immaginare di stare via ancora? Era così grave? Non ci avevo pensato molto a fondo, però...

“Tess?”

“Dimmi.”

“Se non vuoi più dimenticarmi, allora potresti considerare... Tess, perché non rimani? Rimani qui e... non lo so, vieni a un altro falò con me, questa volta da sobria” mi sorrise, mentre i suoi occhi illuminavano per l'ennesima volta il mondo intorno a me e dimostravano la dolcezza nel suo sguardo, la tristezza per la mia partenza e la speranza che la mia risposta fosse un sì. Lui sapeva leggere le mie emozioni, ma io sapevo fare altrettanto. “Vieni a un altro ballo. Andiamo a fare un giro in moto. Quello che vuoi, Tess.” la sua voce era morbida come velluto e io avrei voluto di tutto cuore dirgli di sì, di sì, assolutamente, e abbandonarmi a quello che sembrava un sogno; per un attimo immaginai di accettare e immaginai cosa sarebbe successo se l'avessi fatto, immaginai tutte le esperienze che avremmo vissuto insieme, quelle che aveva descritto e molte di più, ma poi mi resi anche conto che prima o poi sarei dovuta tornare a casa e che non potevo lasciare i miei genitori da soli. O potevo? Non avevano bisogno di me. Qui di fronte, invece, c'era qualcuno che me lo chiedeva, che mi chiedeva di rimanere con lui, che affermava di volermi, che desiderava la mia presenza tanto quanto io desideravo la sua.

Mi sentii come se due corde d'acciaio mi tirassero, allacciate alle mie braccia, contendendosi la mia vita e rischiando di strapparla.

“No.” sussurrai infine “Non posso. Non ce la faccio.”

Daniel esitò prima di rispondere.

“Sì invece. Tess, non serve a niente tornare in una situazione che ti fa soffrire. Non ti serve.”

“Ma serve a loro!”

“Ne sei sicura?”

La mia risposta aleggiò nell'aria nonostante nessuno di noi avesse la voglia o il coraggio di dirla ad alta voce. Per la prima volta dopo anni sentii, da sobria, le lacrime pungermi gli occhi e minacciare seriamente di uscire; cosa, cosa dovevo fare?

“No, non ne sono sicura, ma non posso.”

“Tessa dimmi solo una cosa: quello di domani sera sarà un addio?”

Rimasi sconvolta dal limite temporale tanto definito e vicino e ancora di più mi sconvolse quella domanda, perché nonostante avessi detto che ci tenevo a lui e che non volevo dimenticarlo una parte della mia mente tentava ancora di ricordarmi quanto sarebbe stato facile: cancellare tutto questo, tornare a casa e non complicare ulteriormente le cose per i miei genitori e, forse, anche per me stessa. Non sarebbe stato privo di dolore, ma potevo farlo. L'avevo fatto tante volte, cosa sarebbe cambiato aggiungendone un'altra ancora? Se fossi tornata a casa sapevo che l'avrei fatto. Il dolore stesso mi avrebbe imposto di cancellare tutto questo. L'avrei fatto, lo sapevo.

La mia esitazione e forse la mia espressione costituirono una risposta più che soddisfacente per lui: sorrise senza allegria.

“Stasera vado ad una festa e come regalo d'addio vorrei che tu venissi con me, questa volta come mia accompagnatrice.”

Annuii.

“Passo a prenderti alle otto allora.”

Spazio autrice: e così pubblico il giorno di Natale! Mi sembra giusto, a modo mio faccio un regalo a tutti voi. :) Nell'ultima parte, quando Daniel chiede a Tessa di restare, ho immaginato una colonna sonora: Hurts-Stay. Deciderete voi se è la più adatta. Nel frattempo in questo capitolo finalmente le cose tra i due si fanno più chiare, ma proprio ora la nostra protagonista se ne deve andare e per non complicare le cose vuole dimenticare di nuovo. Sceglierà di cambiare le cose? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, insieme all'ultima mirabolante festa di queste due impossibili ragazze! :) A parte questo sono felice di dirvi che medito di scrivere una nuova storia a tema fantasy, naturalmente alla conclusione di questa; fatemi sapere cosa ne pensate!
Buone feste a tutti,
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Partenze ***


Capitolo 15 - Partenze

 

Tornai in appartamento con cuore e anima in subbuglio, tanto che decisi di indossare un paio di scarpe da ginnastica e andarmene a correre nella speranza di dissolvere un po' la nebbia che si era formata nella mia testa.

Al centro troneggiavano le parole di Daniel che mi chiedevano di rimanere con lui; sconcertante era, più di tutto, l'incredibile sensazione di calore che mi aveva invaso le vene dopo la sua proposta. Dunque era questo, essere apertamente desiderati da qualcuno? Era questo che si provava quando si capiva di amare qualcuno e si scopriva che questo ricambiava?

Non sapevo se amavo Daniel, pensai mentre scendevo le scale e uscivo diretta sul lungo mare, ma c'era qualcosa in lui... qualcosa di luminoso. Mentre iniziavo a correre, dimenticando come sempre per l'impazienza di fare un po' di sano riscaldamento, ricordai che quel pomeriggio la mamma aveva la visita. Ed ecco quindi che le cose si complicavano ancora, perché oltre a lui e a me c'era anche questo: chiamare o non chiamare? Piangere o non piangere? Meglio non sapere e avere ancora speranza o sapere e togliere ogni speranza? Certo, c'era la possibilità che la visita fosse andata bene, ma non ci contavo. Non ci contavo più, ormai. Mia mamma aveva già avuto una recidiva e dubitavo seriamente che le cose potessero migliorare; quando ci pensai fu come se mi avessero dato un pugno nello stomaco e la scarica di adrenalina che mi attraversò le vene mi fece correre ancora più veloce, come se stessi scappando e fossi inseguita.

Respirai a fondo.

Ero arrivata lì spaventata e imprigionata dalla mia stessa vita, ma ora le cose erano cambiate. Ero più forte e forse avrei potuto essere più felice... forse era per questo che dovevo accettare la proposta di Daniel: per diventare più felice, forte e capire meglio le cose, facendo esperienze, divertendomi e continuando a fare come in questa settimana, vivendo ogni giorno come se fosse l'ultimo, mangiando schifezze con Lia, cercando di non pensare. Poi sarei tornata a casa e allora sarei stata d'aiuto, avrei resistito meglio.

E oltretutto magari era la cosa giusta. Magari il destino mi aveva dato una seconda possibilità e se io non l'avessi colta sarebbe andata in fumo e qualche entità divina si sarebbe persino infuriata con me perché ero un'ingrata e io non avrei mai più visto Daniel. Forse era questo che dovevo fare.

Ma... e i miei genitori? Cos'avrei detto loro? Dopotutto credevano che io fossi in un campo di inglese e la bugia poteva reggere per una settimana con la collaborazione di Lia, ma non potevamo mica mentire per mesi. Prima o poi avremmo dovuto dire la verità e allora tutti avrebbero scoperto com'erano andate veramente le cose e saremmo finite nei guai io, Lia e sua zia. Nessuna delle due avrebbe più potuto mettere piede fuori casa.

Oooooh, cosa dovevo fare? Perché nei libri saltava sempre fuori all'improvviso una fata madrina in questi momenti? Perché non saltava fuori anche per me? Detestavo queste scelte esasperanti, non sapevo mai cosa fare.

Tentai di concentrarmi sui miei passi e sul respiro cercando di correre più veloce che potevo in modo da svuotare la mente e smettere di pensare, ma non ce la facevo: continuavo a pensare a Daniel. Alla sua proposta. A Daniel che mi abbracciava. Alla sua luce. Ai suoi occhi. A come mi rassicurava sempre. A come conosceva tutti i miei pensieri.

No, non volevo rinunciare a tutto questo. Non volevo dirgli addio quella sera.

Mi fermai quando vidi apparire le scogliere all'orizzonte; dovevo aver corso molto più di quanto credessi, ora sarebbe stata una faticaccia tornare indietro. Guardai l'orologio che avevo al polso e rimasi sorpresa di notare che era quasi mezzogiorno. Tastai le tasche dei pantaloni alla ricerca del cellulare per mandare un messaggio a Lia e dirle che ero in ritardo, ma dovevo averlo dimenticato in appartamento perché con me avevo solo le chiavi. Che situazione interessante... A stento sapevo dov'ero.

Mi voltai e continuai a seguire di corsa il lungo mare nella speranza di vedere presto il faro. Ero stata proprio una stupida visto che non mi ero nemmeno degnata di guardare dove andavo. Mi maledissi per questo ancora di più quando, dopo un'ora che camminavo – troppo sfinita per correre – non ero ancora del tutto certa di sapere dove fossi. Mi pareva di riconoscere un negozio o due, ma non è che ne fossi così sicura da giurarlo.

In ogni caso non avevo scelta, perciò andai avanti finché, mezz'ora dopo, non vidi il faro. Finalmente! Presa dall'entusiasmo feci una corsa fino al faro, poi girai a sinistra nella strada laterale dove si trovava l'appartamento mio e di Lia e attraversai la strada, tra l'altro affamata come non mai. Era dalle sette di mattina che non mangiavo! Dopo tutta quella corsa l'unica cosa che il mio cervello elaborava era pollo. E burro di arachidi magari. E uova. Col pane? Col pane. E la salsa. Altro che Daniel e Daniel, avrei sposato chiunque mi avesse dato della pancetta in quel momento.

Tirai fuori le chiavi prima ancora di arrivare al cancello e un attimo dopo stavo già salendo le scale. Mi chiesi se Lia fosse già rientrata e riflettei sull'eventualità di dirle quello che mi era successo e l'idea che mi era venuta, ma poi pensai che non valeva la pena di mettere in allarme anche lei con le mie assurde riflessioni. Oltretutto la scelta era mia, ero io che dovevo decidere. Lia era mia amica, ma non poteva fare niente per me. Era meglio per lei se non ne sapeva niente.

Infilai le chiavi nella serratura e aprii la porta, aspettandomi tutte le domande dell'universo, ma quando entrai mi accolse solo il silenzio dato dal fatto che evidentemente Lia non c'era. Dove mai era andata? Mentre chiudevo la porta e mi toglievo le scarpe da ginnastica ricordai che mi aveva detto di avere un appuntamento con Raphael, quindi doveva essere con lui. Ecco un'altra preoccupazione, tanto per cambiare: le aveva detto della droga? Sospirai tra me e me e tirai fuori il pollo che avevo comprato il giorno prima. Tolsi la pellicola, lo misi in padella e accesi la tv tanto per evitare che l'appartamento sembrasse proprio vuoto; mentre mi occupavo del mio pranzo e cercavo il burro di arachidi negli armadietti, mi chiesi se effettivamente Raphael dovesse dirle la verità. Per esperienza sapevo che, indipendentemente dal proprio passato, una persona poteva essere tanto e tante cose e ognuno poteva avere i propri segreti, a condizione che non nuocessero agli altri. Era cambiato e aveva iniziato una nuova vita, era diventato migliore e più forte. Questo bastava. Se fossi stata Raphael avrei voluto che Lia conoscesse la persona che ero, non quella che ero stata e non c'era più... e lo stesso volevo che facesse Daniel con me.

Non ero quella che lui aveva visto mesi prima in ospedale. Le cose erano cambiate e per questo decisi che quella sera, prima di andare via, avrei chiamato a casa per sapere i risultati delle analisi e sapere com'era andata la visita.

Con un sorrisetto ripresi a cuocere il pollo e un profumino meraviglioso si diffuse in cucina facendomi venire l'acquolina in bocca. Non avevo trovato il burro di arachidi perciò mi accontentai di maionese e ketchup con un bel contorno di verdure. Prima o poi, in fondo, dovevo ricominciare a mangiare sano. Addentai il pollo con sonora soddisfazione appena fu pronto e in quel momento notai che erano già le due meno un quarto; dov'era Lia?? Ancora con la coscia di pollo in mano andai alla ricerca del cellulare, che trovai sepolto tra le coperte e accesi. Solo una chiamata persa da Lia, nient'altro. Sollevata, decisi che avrei finito di mangiare e poi l'avrei richiamata per sapere che fine avesse fatto.

Divorai tutto il pollo con tanto di salsa e ci volle qualcosa come un chilo di verdure prima che mi sentissi sazia. Solo dopo aver bevuto un litro d'acqua senza neanche prendere fiato e dopo essermi distesa sul letto cominciai seriamente a chiedermi se fosse successo qualcosa a Lia. Afferrai il telefono e digitai il suo numero; magari voleva qualcosa per pranzo. Meglio chiederglielo.

 

POV Lia

 

Raphael si fermò poco distante dall'appartamento e parcheggiò la moto, poi andammo a piedi. Sembrava stranamente contento, con quel sorrisetto in faccia. Dovevo ammettere che anch'io mi sentivo più allegra, mi ero divertita a passare la mattinata con lui anche se ora mi sentivo quelle frittelle sullo stomaco.

“Ti sei divertita oggi?”

“Sì.” vidi che sorrideva “A quando il prossimo appuntamento?” mi sorpresi io stessa della mia audacia. Di solito non mi sentivo così a mio agio con le persone appena conosciute, ma con lui era... diverso. Era rassicurante. Non faceva scattare in me nessun senso di allarme, non ero in allerta come con gli altri e non lo fui nemmeno quando mi prese la mano. Era strano sentirmi così.

“Tu quanto tempo hai?”

“Fino a...” ci riflettei su un attimo “Non ho più tempo.” conclusi infine sentendomi particolarmente giù di morale al pensiero che la mattina dopo io e Tessa saremmo partite. Ma io e Raphael ci saremmo rivisti in un modo o nell'altro, vero?

“L'avevo immaginato.” rispose lui “Però tu tornerai ancora da queste parti, giusto? L'estate è ancora lunga e tu mi hai promesso tre appuntamenti.”

Sospirai. Le promesse erano promesse.

“E' vero. Sì, penso che tornerò.”

“Mi dai il tuo numero?”
“Certo.” anche agli amici si dava il proprio numero dopotutto. Glielo dettai chiedendomi se davvero sarei tornata lì, se ci sarebbe venuta anche Tessa e se avrei rivisto lui; per un attimo mi domandai dove sarei stata tra qualche anno. Sarei riuscita ad entrare all'università di letteratura, come avevo sempre sognato? Ad andarmene?

“Grazie.” Raphael mi scrutò quando finii di dargli il mio numero “Ti chiamerò. Magari verrò io a trovarti.”

Sorrisi.

“Sarebbe bello” la frase rimase in qualche modo in sospeso quando incontrai i suoi occhi, blu come l'oceano, ed ebbi l'impressione che dietro quel sorriso sfrontato e superficiale ci fosse qualcuno che capiva la mia voglia di scappare, la mia voglia di cambiare la mia vita. Io e Tessa eravamo simili in questo. Forse lo eravamo anch'io e Raphael? Nonostante questo non volevo parlargli del mio passato, e molto probabilmente neanche lui voleva raccontarmi il suo.

“Le chiamate faranno parte della storia dei tre appuntamenti?” chiese con un sorriso che si apriva sempre di più.

“No, direi di no.”

Prima che potessi dire altro il mio cellulare squillò; guardai lo schermo e vidi che era Tessa. Era ora!

“Pronto?”

“Ciao Lia, cosa vuoi per pranzo?” il suo tono era davvero strano. Un misto tra felicità, tristezza ed euforia... e quando lei si sentiva così non era mai possibile prevedere cosa sarebbe successo.

“Niente grazie. Ho già mangiato... Ma va tutto bene?”
“Certo!”
“Sicura?”
“Assolutamente.” e cadde la linea. Con le sopracciglia aggrottate guardai Raphael, confusa, e lui scrollò le spalle come a dirmi che non dovevo pensarci troppo. Cominciavo in effetti a preoccuparmi per Tessa: andava tutto bene con Daniel?
“Ora devo andare” guardai Drake che mi sorrise e mi indicò il cellulare. “Ti chiamerò.”
“Okay. Noi ci salutiamo qui allora?”

“Temo di sì.”

“Ciao Raphael.”

“A presto Lia.”

Mi voltai per attraversare il vialetto, poi entrai nel condominio e mentre salivo le scale mi arrivò un messaggio: ognuno i suoi segreti, da Raphael. Ridacchiai e, afferrate le chiavi, aprii la porta dell'appartamento.

 

Quel pomeriggio Tessa non parlò molto. Sì, con Daniel andava tutto bene, no, non era preoccupata per le analisi, e sì era felice di tornare a casa. Queste furono le uniche cose che riuscii a cavarle di bocca, mentre io cominciavo ad avere un'idea decisamente poco adatta alla situazione: e se fossi rimasta lì? Avevo trovato una persona che mi capiva, ne ero sicura. Non volevo partire, non volevo tornare a casa, non ero pronta. Non avevo intenzione di parlarne con Tessa perché sapevo che non avrebbe mai condiviso i miei pensieri, responsabile com'era, e sapevo che non ci sarebbe stato modo di chiederle di reggermi il gioco una volta a casa; avrebbe detto che per il mio bene era il caso che i miei genitori sapessero dov'ero e cosa succedeva, soprattutto se ero da sola. E poi chissà quante me ne avrebbe dette...

Però era davvero un'idea allettante: rimanere lì ancora per un po', divertirmi come avevo sempre sognato di fare e smettere di pensare alla situazione a casa. Sarebbe stato davvero bello. Con quest'idea in testa mi addormentai sul letto mentre Tessa guardava la televisione immersa nel silenzio e seduta dall'altro lato della cucina.

 

POV Tessa

 

Odiavo gli orologi. Li odiavo quando ero a scuola e il tempo non passava mai, li odiavo quando mi dicevano che era tardi e dovevo andare a dormire e li odiavo quando si avvicinavano inesorabili a qualcosa che temevo. Le visite di mia mamma si concludevano sempre verso le quattro e mezza, alle cinque al massimo, e a quell'ora avrei chiamato per sapere com'era andata. E se fosse andata male? Sentii ogni nervo del mio corpo tendersi, il mio cuore battere più forte ed ebbi la tentazione di raggomitolarmi in una palla più piccola possibile e nascondermi lontano dove le brutte notizie non potevano raggiungermi. Perché doveva essere così? Perché doveva essere sempre così? Ero spaventata ma sapevo di non potermi tirare indietro. C'erano giorni in cui andavo avanti solo perché sapevo che prima o poi, a forza di studiare, forse avrei trasformato la mia vita in qualcosa di utile e avrei aiutato famiglie come la mia. Speravo davvero di diventare medico, un giorno o l'altro.

Guardai Lia che dormiva... era così tranquilla, lei. Tornare a casa non le dispiaceva. Era come diceva sempre mio padre, nella vita si era in fin dei conti da soli? O esisteva qualcuno capace di starci vicino?

Lanciai un'occhiata all'orologio. Tre e mezza. Che attesa straziante.

Mi alzai e rifeci il letto, poi riordinai il tavolo, lavai i piatti e sistemai un po' l'appartamento. Sistemai anche il bagno e la camera da letto, e solo alla fine con estrema riluttanza iniziai a fare le valigie: misi via quasi tutti i vestiti tranne quelli che indossavo, il pigiama e il vestito che avevo intenzione di mettere quella sera con relative scarpe. Non mi sarei certo risparmiata; era nero, corto e con la schiena scoperta. Volevo che quella fosse l'ultima sera? Allora era giusto godermela.

Guardai nuovamente l'orologio. Erano le quattro e un quarto. Mi misi a passeggiare nervosamente su e giù per l'appartamento, poi mi sedetti sul letto e fissai il cellulare accanto a me. Era acceso, per ogni evenienza. Lo afferrai e lo appoggiai sul tavolo della cucina, dove mi sedetti per mangiare un vasetto di yogurt al caffè con le mani che tremavano. Sudavo freddo dalla testa ai piedi: e se fosse andata male? E se mi avessero detto che la mamma era gravemente malata e non c'era più niente da fare? Oddio oddio oddio. Mi concentrai sullo yogurt per non scoppiare a piangere. Sembrava che qualcosa mi stringesse la gola in una morsa e quasi soffocai quando il cellulare iniziò a vibrare e sullo schermo comparve un nome che non mi sarei mai e poi mai aspettata di vedere a quell'ora: mamma. Presi il telefono e andai in terrazza per non svegliare Lia.

Poi risposi con il cuore in gola.

“Pronto?”

“Ciao tesoro! Allora, come stai?”

“Io bene mamma, e tu? Com'è... com'è andata la visita?”

Tutto dentro di me si attorcigliò e si contorse in attesa di quella risposta. Mi parve che persino il mio cuore si fermasse. Ero completamente immobile, diventata statua per un istante.

“Bene. Bene, il medico ha detto che le analisi erano a posto. Ora dovrò aspettare i prossimi controlli, ma sembra che possiamo sperare per il meglio.” tutto dentro di me si sciolse per il sollievo quando sentii quelle parole e fui invasa dalla voglia di piangere, saltare, urlare e ridere tutto insieme. O mio Dio, o mio Dio, o mio Dio. Cominciai a ringraziare non sapevo nemmeno io chi. Grazie, grazie, grazie. La mia mamma stava bene. La mia mamma stava bene. Stava bene. Stava bene. Per un attimo tutto dentro di me fu gioia luminosa.

Scoppiai a ridere.

“Sono proprio felice per te mamma. Proprio proprio felice!”

“Anch'io tesoro.”

“A questo punto... be' credo di doverti raccontare qualcosa. Sei seduta?”

“Sì...”

“Bene. Perché io non sono mai stata a un campo di inglese.” e le raccontai tutto. Avevo avuto l'incommensurabile fortuna di ricevere una bella notizia; ora dovevo dimostrarmene degna e così decisi che la verità era un bel modo per dimostrarmi degna di fortuna, perciò le spiegai ogni cosa. La sorpresa iniziale quando ero arrivata lì, l'arrivo di Daniel e Raphael e di come Lia era uscita con lui per ben due appuntamenti – cosa mai successa – e delle nostre feste. Non dissi che mi ero quasi buttata da una scogliera solo per preservare il suo cuore da un infarto, ma non nascosi niente del resto e lei ascoltò tutto. Alla fine, quando dai suoi commenti capii che non aveva intenzione di ammazzare me, Lia e la zia di Lia, le dissi cosa pensavo di fare.

“Be', devi decidere tu.” rispose lei “ormai sei abbastanza grande da capire cos'è meglio e cosa no e mi pare anche che nonostante tutto tu e Amelia ve la siete cavata...” ridacchiò “e io che non ti credevo neanche capace di prendere un treno! A questo punto direi che siete decisamente cresciute. A tuo padre verrà un colpo quando gli racconterò questa storia...”

Risi con lei, sollevata come non lo ero da secoli.

“Sì, vacci piano con lui. Non dirgli di Daniel o gli viene proprio un colpo.” mio padre era sempre stato geloso e se avesse saputo di un fidanzato minimo sarebbe venuto qui alle cinque del mattino per interrogarlo su lui e la sua famiglia. Non era proprio il caso.

“Bene, ora devo andare a preparare la cena” annunciò mia madre. Guardai l'ora perplessa.

“Ma mamma, sono solo le quattro e mezza!”

“Sì, ma tuo padre ha fame... è già andato in frigorifero a prendersi il salame che avevo comprato. Quell'uomo è una spesa continua...” sospirò lei. Io risi. “Va bene va bene. Ancora un po' e cenerete alle sei come le galline” scherzai io. “Vado anch'io, Lia dorme e voglio svegliarla. Ci vediamo quando torno, okay?”

“Va bene. Ciao tesoro, ti voglio bene.”

“Ti voglio bene anch'io mamma.”

Chiusi la chiamata e guardai le palazzine accanto alla nostra, il sole che pur essendo ancora alto aveva già perso un po' di luce e i bambini che giocavano a palla di fronte a noi. Le cose allora potevano davvero andare bene prima o poi. Sorrisi tra me e me. Quella sarebbe stata l'ultima festa, l'ultima volta in quel paradiso, l'ultima sera... O forse no?

Spazio autrice: ciao a tutti! Ho deciso di pubblicare il nuovo capitolo proprio l'ultimo giorno delle vacanze di Natale, prima dell'inizio della scuola, perché so che da ora in poi non avrò molto tempo per scrivere, perlomento fino alla fine di febbraio. Finalmente quindi la vita di Tessa sta cambiando e le cose per lei stanno diventando più semplici. E forse in questa nuova vita ci sarà spazio anche per Daniel, voi cosa ne dite? :) E come andrà quest'ultima festa? Questa serata ultima ma non ultima? :D
Vi lascio così ;) Aspetto le vostre recensioni!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Scelte ***


Capitolo 16 – La scelta

 

Nessuno era più felice di me quella sera; il sogno che avevo sempre sperato si avverasse era effettivamente diventato reale: la mamma stava bene. Anche adesso la mia vita non era perfetta, perché io continuavo a non sapere come sarebbero andate le cose e la malattia poteva riprendere il sopravvento o poteva capitare qualcosa a me; non ero immune dagli incidenti solo perché avevo ricevuto una buona notizia, ma... Accidenti, mi sembrava davvero di esserlo.

Ero un agglomerato di gioia ed euforia, che sentivo scorrermi nelle vene e far battere il mio cuore, come se fosse lei a tenermi in vita e non il cuore stesso. Mi sembrava di volare e di poter fare qualsiasi cosa, mi sembrava che il mondo splendesse di colpo, in un certo senso come quando ero con Daniel ma in modo diverso e di più. Era bellissimo. Lia fu felice per me e le fui grata per questo nonostante capissi il suo silenzio e le sue espressioni a volte cariche di tristezza e rimpianto: era spaccata in due in fondo. Contenta per me e tuttavia consapevole che le cose per lei erano diverse e forse non sarebbero migliorate.

Feci del mio meglio per tirare su di morale anche lei mentre mi preparavo per uscire con Daniel; le avevo chiesto di venire con noi ma a quanto pareva non era proprio in vena, senza contare che aveva tutte le ragioni per non desiderare, come aveva detto lei stessa, di essere il terzo incomodo. Così lasciavo che mi truccasse cercando di non sporcare il mio modestamente splendido vestito nero: era incredibile come rilassandomi e andando un paio di volte a correre il mio fisico si fosse modellato secondo le mie esigenze. Non ero proprio dimagrita, ma adesso in qualche modo mi piacevo di più. Lia fu come al solito fin troppo generosa con chili di ombretto dorato che illuminò i miei occhi, rossetto rosso sfavillante, troppo appariscente per i miei gusti, fondotinta e capelli sciolti sulle spalle e leggermente arricciati. Se fosse stato un giorno normale avrei detto che conciata così ero decisamente troppo audace e che era il caso di vestirmi in un altro modo, ma adesso, lì... Non era solo per la felicità che mi riempiva il cuore e ogni cellula del corpo, no, era anche un atto di ribellione: per tanti anni della mia vita ero stata una brava studentessa, sempre diligente, sempre attenta alle regole e ai desideri degli altri, mai uscita con qualcuno in vita mia, ma adesso ero stufa. Ero stanca di fare tutto per bene senza mai oltrepassare i limiti perché ora avevo finalmente il coraggio di scegliere da sola e adesso sceglievo di divertirmi e dimenticare un po' di responsabilità. Incredibilmente cominciavo a pensare che forse io aspettassi solo quella settimana; ero già pronta per diventare più forte e più adulta, solo che non lo sapevo. Avevo bisogno di essere messa alla prova.

Mentre indossavo i tacchi lanciai un'occhiata a Lia che nel frattempo stava mettendo i vestiti nella sua valigia e stava trafficando con il beauty case. Aveva un'aria crucciata, come se stesse riflettendo intensamente su qualcosa e per un momento, come per scherzo, pensai tra me e me che magari persino lei avrebbe voluto rimanere lì più tempo. Poi però guardandola mi venne in mente che tutto questo era opera sua e così sorrisi.

“Lia?”

Lei alzò la testa e mi guardò.

“Sì?”

“Grazie per questa vacanza. All'inizio devo averti odiata, ma... Grazie.”

Lia sorrise.

“Figurati. Forse serviva anche a me...” di nuovo quell'aria meditabonda. Aprii la bocca per chiederle a cosa stesse pensando quando suonò il campanello e io sentii gioia, euforia ed ansia condensarsi in un'unica grande palla che dallo stomaco risalì alla mia vola e mi indusse a fare un sorriso ebete e a volare dritta verso la porta. Naturalmente era Daniel, che mi sorrise. Lui era più sobrio di me, indossava solo una camicia nera e un paio di jeans ma stava bene lo stesso.

“Sei bellissima.”

“Grazie.”

“Andiamo?”

“Sì.”

Mi voltai verso Lia.

“Io vado! Ci vediamo dopo, ho con me il cellulare.”

Lei sorrise e annuì e io seguii Daniel fuori dalla porta.

 

POV Lia

 

Quando Tessa uscì l'appartamento mi sembrò stranamente vuoto così accesi la tv e mi distesi sul letto alla ricerca di un film. In realtà non cercavo niente di particolare perché stavo pensando a tutt'altro; la tentazione di dire a Tessa cosa mi passava per la testa era grande ma avevo paura di farlo e non potevo evitare di immaginare quello che mi avrebbe detto.

“No Lia! Ma dai, stai scherzando per caso?? Non puoi fare qualcosa di tanto stupido! E poi, pensa allo studio! Come pensi di fare per tutta l'estate? E come farai con la scuola? No no no!” mi sembrava proprio di sentirla. No, non potevo dirle niente. Era evidente che sarei dovuta tornare a casa e basta. Per un istante pensai a Raphael e mi convinsi che in qualche modo l'avrei rivisto; dai, dovevo rivederlo. Finalmente avevo trovato qualcuno che forse mi capiva, non poteva finire così, no? Nei libri non finiva mai così, perché avrebbe dovuto farlo adesso? E proprio a me, poi? Non mi aveva nemmeno dato Harry Potter... e se non me l'aveva lasciato per non avere una garanzia di rivedermi? Ormai avevo cambiato opinione su di lui: mi era piaciuto non essere per una volta forzata a rivelare i miei segreti a uno sconosciuto presuntuoso. E oltretutto i suoi occhi erano bellissimi. Come nei libri e nei film.

In tv c'era poco e niente, perciò presi Orgoglio e pregiudizio e mi misi a rileggerlo per l'ennesima volta. Quasi rimpiangevo di non essere uscita con Tessa... Quasi. A vedere come la guardava Daniel sarebbe stato troppo imbarazzante essere lì con loro. Chissà se l'avrebbe baciata... Lei tendeva ad allontanare un po' tutti in senso fisico – non le piacevano gli abbracci -, ma sembrava che con lui stesse facendo un'eccezione.

In quel momento bussarono alla porta. Sorpresa mi alzai e aprii la porta senza nemmeno pensare di guardare attraverso lo spioncino: era Raphael con un sorriso sghembo stampato sul viso e l'aria da Stregatto.

“Prima che tu dica qualsiasi cosa,” mi anticipò, “so che sto sprecando il terzo appuntamento, ma dovevo darti la mia copia di Harry Poter e poi passavo di qui e ho visto Daniel e la tua amica andarsene quindi ho pensato che forse ti andava un po' di compagnia.”

Sorridendo mi spostai per farlo entrare.

“In effetti sì. Sono da sola e mi sto annoiando un sacco...”

Lui entrò, si chiuse la porta alle spalle e mi mise in mano Harry Potter e la pietra filosofale. Con un sorrisetto io gli porsi la mia copia di Orgoglio e pregiudizio.

“Trattalo bene.” mi ammonì lui.
“Vale anche per te” ma sembrava più uno scherzo perché sapevamo che entrambi l'avremmo fatto.

“Allora, vuoi o no un po' di compagnia?”
“Dai cerchiamo un film.”
Vidi una certa sorpresa nella sua espressione, ma non disse nulla e si sedette sul letto con la schiena contro il muro. Mi sistemai accanto a lui e iniziai a fare zapping mostrandogli che gran parte dei programmi di quella sera erano documentari e thriller, che alla fine mi convinse a vedere anche se la trama era inquietante: una ragazza poco più grande di me e Tessa viveva sola e iniziava a ricevere telefonate anonime e a notare un tizio appostato fuori che la osservava. Era ovvio come sarebbe andata avanti ma mi spaventai lo stesso quando lui apparve all'improvviso davanti a lei e affondai le unghie nel braccio di Raphael facendolo ridacchiare.

“Dai Lia! Non dirmi che hai paura!”

“Senti, non sono affari tuoi se io ho paura...” brontolai io.

“Sì che sono affari miei” replicò lui circondandomi le spalle con un braccio “perché se hai paura posso fare questo.”

“Bene” commentai io ma non mi mossi. In effetti era confortante avere qualcuno che mi stringeva così, perciò lo lasciai fare. Emanava calore a differenza mia che ero sempre gelata. Mentre la ragazza veniva perseguitata da quello che si era rivelato essere un assassino e scappava nella notte, Drake iniziò una sorta di telecronaca del film: “Ecco, vedi quella luce? Dovevano metterla in un'altra posizione. Non illumina bene il viso della ragazza. E poi dai, perché sempre di notte? Non è realistico. Cos'ha addosso, una camicia?? Ma chi metterebbe una cosa del genere per dormire?? Le camicie sono scomode e difficili da stirare. Guardalo! Su, chi vuoi che ci creda? Un idiota si mette a perseguitare una così per divertimento...” alla fine il thriller fu divertente. I suoi commenti erano assurdi e mi dimostrarono che quel film non era neanche lontanamente spaventoso: ai suoi occhi era l'ennesima cavolata. Due ore passarono veloci.

“Faccio il latte. Lo vuoi anche tu?”

“Cioè, fammi capire: tu bevi il latte alle undici?”

“Sì, col cioccolato.”

“Okay allora. Latte anche per me.”

Preparai il latte e per tutto il tempo sentii che lui guardava quello che facevo. Era una sensazione strana, come se in un certo senso avessi qualcuno che controllava che l'assassino del film non entrasse dalla porta e mi ammazzasse.

“Quando ci rivedremo Lia?”

“Non lo so. Torno a casa domani, quindi...”
“Quindi che facciamo per il resto della notte?”

“Per il resto della notte? Stai scherzando, vero? Non so cos'abbia capito tu, ma io non ho intenzione di...”

“Non intendevo quello! Lia non sono mica un maniaco!”

“Okay okay!”

Ero un po' imbarazzata, ma mi accorsi che rideva e smisi di pensarci.

“E poi penso che Tessa tornerà prima di...”

“Naah, io non credo.”

“Perché?”
“Mh, pura intuizione.”

 

POV Tessa

 

Daniel realizzò quella sera uno dei punti sulla mia lista Cose da fare prima che la mia vita finisca: mi portò in moto! L'aveva presa in prestito da Raphael e parola mia fu la cosa più bella che avessi mai provato: il paesaggio che scorreva veloce accanto a noi, già tinto dei colori della notte, era surreale e rendeva, insieme al vento e alla sensazione di volare, il viaggio simile in tutto e per tutto a un meraviglioso sogno.

Ero stretta a Daniel e al giubbotto di pelle che aveva indossato prima di salire sulla moto e mi godevo ogni secondo di tutto quello che stavo vivendo: ad averlo saputo avrei preso la patente per la moto e me ne sarei andata in giro per le strade di notte molto prima. Correre era fantastico e mi dava un senso di euforia e adrenalina impareggiabili, ma era una magra soddisfazione visto che dopo un po' mi sentivo stanca e comunque non andavo a cento e passa chilometri orari. Adesso, invece... Stavo volando. Ricordavo di aver sognato tanto da piccola di volare come le fate, di sollevarmi magicamente da terra e probabilmente sorprendere tutti sostenendo di aver mantenuto questo segreto per anni; non stavo letteralmente volando, ma era quanto di più simile potessi immaginare.

Finì troppo presto.

Daniel mi fece scendere e sorrise quando vide la mia espressione.

“Bello allora?”
“Fantastico!” esclamai io su di giri. Eravamo arrivati davanti a un locale con un'insegna al neon che lampeggiava al buio; dall'interno proveniva una musica ritmata ed entravano e uscivano un sacco di persone. Daniel mi prese per mano.
“Vieni?” annuii. Fosse stato un altro giorno non sarei mai entrata, fosse stato un anno prima gli avrei detto che era matto, però adesso... adesso era ora di smettere di avere paura, decisi. Mentre varcavo la soglia del locale al suo fianco pensai a quanto era cambiato il mio mondo: il giorno in cui ero scoppiata a piangere dentro la discoteca perché non trovavo Lia sembrava lontano anni luce. La musica invase ogni cellula del mio corpo e quando Daniel si mise a ballare con me non mi opposi, anche perché si stava comportando da gentiluomo rimanendo al mio fianco ma lasciandomi il mio spazio cosa che per me era vitale. Lo apprezzai ancora di più per questo e poco prima di immergermi completamente nella musica pensai che lui fosse senz'altro una delle migliori persone che avessi mai conosciuto e questo nonostante non riuscissi a trovare il coraggio di baciarlo. Non è che non volessi farlo – e sapevo che lui lo voleva -, solo che era la prima volta per me... non volevo rovinare tutto.

Ci pensai seriamente mentre ballavo: com'era che si baciava una persona per esattezza? Dovevo fare qualcosa di particolare? I libri dicevano che veniva tutto naturale, ma io non mi fidavo per niente del mio istinto, anzi. Non c'era un manuale su questo? No, eh? Sulle cose importanti nessuno scriveva mai manuali... per un istante pensai di scriverlo io, se mai avessi baciato Daniel. Ballammo per quella che mi parve un'eternità, finché non fummo entrambi talmente sfiniti che dovemmo andare a cercare un posto dove sederci e prendere qualcosa da bere; fu lui a consigliarmi su questo visto che io non avevo alba di alcolici. Quello che mi diede non era male e l'effetto fu diverso dall'altra volta: il cuore iniziò a battermi più in fretta, mi sentii più sveglia e accaldata. La musica mi dava più fastidio di prima però e mi sentivo un po' confusa. Era una sensazione inebriante e piacevole, allo stesso tempo irritante perché mi sentivo come se non fossi esattamente padrona di me stessa e la tachicardia mi rendeva iperattiva. Tornammo a ballare ma questa volta non pensai proprio a niente, mi divertii e basta finché non sentii Daniel prendermi la mano e tirarmi con se al bancone per un'altra pausa; mi accorsi che in effetti stavo sudando. Da quanto eravamo lì? Non mi importava. Mi stavo divertendo, mi dimenticavo di tutto, mi sentivo leggera come non mi sentivo da così tanto tempo... guardai con gratitudine Daniel, che mi aveva fatto provare tutto questo e gli sorrisi.

“Tess, che ne dici di andarcene?” strillò lui sovrastando a malapena la musica. Io annuii. Ero stanca di ballare, anche se il mio cuore continuava a palpitare veloce come un coniglio, e poi ero euforica, sentivo di poter fare qualsiasi cosa – tranne forse correre, visto che in qualche modo mi sentivo affaticata. Il mio cuore andava davvero veloce, era come se avessi bevuto litri di caffè.

Mentre uscivo dal locale al fianco di Daniel mi accorsi di sentirmi anche un po' confusa, ma non tanto. In fondo avevo bevuto a stomaco pieno perciò non mi faceva chissà che effetto. L'altra volta avevo mandato giù decisamente troppo alcol.

“Tieniti stretta Tess” si raccomandò lui salendo in moto e facendomi segno di cingergli la vita con le braccia. Appoggiai la testa sulla sua schiena e chiusi gli occhi, questa volta senza guardare il paesaggio che ci scorreva accanto; sentivo soltanto il vento che mi sferzava il corpo, mentre la testa era protetta dal casco che Daniel aveva avuto il buon senso di portare.

Quando ci fermammo lo tolsi e vidi che eravamo alle scogliere, nello stesso posto dell'altra volta, con la sola differenza che ora sapevo che non avrei bevuto nulla di quello che mi veniva dato. Tenendoci per mano ci avvicinammo al falò: splendeva nella notte e circondava tutti i ragazzi lì intorno di luce calda e dorata. Sembrava un'oasi in mezzo all'oscurità.

Mentre toglievo i tacchi e li appoggiavo dietro una roccia nella speranza di ritrovarli quando fosse stato necessario pensai che era una delle cose che avevo sempre voluto e inserito nella mia lista: divertirmi a una festa senza pensare che potesse succedermi qualcosa di male e completamente felice. Era vero che mi ero immaginata questa scena con una me indipendente, non con un ragazzo al fianco, ma non mi dispiaceva affidare a Daniel questo ruolo.

Ballammo in modo diverso da come avevamo fatto in discoteca. Ora eravamo abbracciati ed era quasi un ondeggiare più che una vera danza. Era qualcosa di confortante, al ritmo delle onde del mare, e continuò ad esserlo anche quando ci separammo dagli altri e dalla musica e correndo a piedi nudi ci avvicinammo all'acqua tiepida. A vederla così sembrava pece.

Ci sedemmo sulle rocce uno vicino all'altra.

“Ehi Daniel, lo sai che in una settimana ho realizzato più aspirazioni di quante ne abbia realizzate in una vita intera?”
“Ma davvero? E a cosa aspiravi quindi?”

Ridacchiai al pensiero di quello che stavo per dire.
“Divertirmi a una festa. Tuffarmi da una scogliera, anche se speravo di farlo per divertimento. Provare a bere. Andare in moto. Partecipare a un ballo elegante. Vivere da sola per un po'. Capire cosa fare della mia vita.” esitai “Avere un ragazzo.”

Daniel rimase in silenzio per un attimo, cosa da cui dedussi che l'avevo sorpreso.

“Cosa intendi per ragazzo?” chiese infine. Io presi un bel respiro. Forse il mio coraggio era dettato anche un po' dall'alcol, ma di sicuro non avevo intenzione di tergiversare su una questione del genere.

“Okay Daniel, sarò molto diretta sull'argomento. Trovo imbarazzanti le dichiarazioni d'amore, perciò non prendertela se non sarò particolarmente sdolcinata.” finalmente la mia capacità di parlare era tornata! “Dopo tutte quelle che sono successe questa settimana e dopo averti, diciamo, studiato posso dire che tu sia... ecco, una delle migliori persone che io abbia conosciuto. Credimi, se mi avessi incontrata tempo fa non mi sarei mai permessa di dirti una cosa del genere, ma si dà il caso che tu sia capitato in un momento della mia vita in cui ho deciso di mandare un po' a quel paese le mie solite idee.” lo guardai negli occhi “Credo che tu mi piaccia Daniel. Non so quanto e non so se sia la cosa giusta da dire, ma se va bene anche per te possiamo provare a far funzionare tutto questo e vedere come va. Che ne dici?”

Il suo viso era una maschera di incredulità e soddisfazione. Intravidi un lampo divertito nei suoi occhi.

“Non avrei mai creduto che saresti stata tanto diretta, però penso che tu abbia ragione. Sì, potremmo provare a far funzionare tutto questo. L'unica cosa è che non so come visto che domani partirai.”

“Ci ho pensato e ho capito che domani io non partirò per il Polo Nord, ma per un posto raggiungibile in treno in una mezz'ora di viaggio.”

“Allora per me va bene Tess.” il suo sorriso si allargò nell'oscurità “Dopotutto l'ha voluto il destino, no?”

“O la zia di Lia, a seconda dei punti di vista.”

Daniel scoppiò a ridere.

“Certo certo.”

Per un istante mi studiò come se vedesse qualcosa che io non ero capace di intuire, poi si avvicinò a me.

“Suggelliamo questo contratto di lavoro?” come avesse intenzione di suggellarlo fu fin troppo chiaro quando il suo sguardo si posò sulle mie labbra. Il tono era divertito, ma gli occhi erano seri e capivo che per lui era importante perciò mi imposi di stare calma e rimanere ferma, di fidarmi di lui. E in effetti volevo farlo, anzi, volevo davvero baciarlo però poi un pensiero fugace mi attraversò la mente e mi bloccò del tutto: e se rovinassi tutto? Non ho mai baciato nessuno, non ho idea di come fare... Mi sentii un'idiota quando indietreggiai quasi di scatto e lo fissai ad occhi spalancati, di colpo completamente lucida.

“A-aspetta.” balbettai in ansia. Daniel avvertì qualcosa di strano nel mio tono di voce e mi guardò sorpreso, gli occhi che sondavano i miei in cerca di una risposta. Okay, mi aveva già baciata una volta ma mi aveva colta di sorpresa e in qualche modo era stato una specie di scherzo; ora mi stava quasi chiedendo il permesso, molto probabilmente perché si trattava di qualcosa di serio e io non riuscivo a non essere in ansia. Dovevo pensarci... Come se non ci avessi già pensato troppo.

“Che succede Tess?” la sua mano prese la mia.

“E' che...” oddio stavo per dirlo davvero “Ti ho mentito. Mi dispiace tantissimo, io... non volevo che pensassi qualcosa di strano di me, tipo che ero una specie di emarginata pazza o che avevo problemi con la gente... I-io...”

“Che c'è, hai ammazzato qualcuno per caso?”

Sorrisi, nervosa.
“No no... è che...” no, non potevo dirglielo ora. Oddio perché non ero stata zitta? Calma. Tessa, calma e diplomazia. Ce la puoi fare. “Okay. Okay. Te lo devo dire, te ne accorgerai comunque.”

“Ehm... Per caso stai per dirmi che hai malattie sessualmente trasmissibili? No perché non so cosa tu ti sia messa in testa ma io stavo solo per baciarti... Ecco, se vuoi andare più avanti non sarò certo io a fermarti ma credo sia un po' presto.”

“NO!!! Ma cosa ti viene in mente?? No, no, no!! No, è che... No, non è così grave credo. Oh no, forse per te è una cosa grave? E ora come faccio?” mi sentii sull'orlo di una crisi d'ansia.

“Avanti Tessa! Che c'è??”

“Aaah! Va bene. Daniel, io non ho mai baciato nessuno in vita mia. Io non ho idea di come fare.”

Dalla sua espressione vidi che si tratteneva dallo scoppiare a ridere di nuovo.

“Davvero? Tutto qui? Da come lo dicevi sembrava che avessi fatto un colpo di stato!”

Risi sollevata. Dovevo proprio imparare a rilassarmi un po' di più.

“Tess credo te l'abbiano già detto, ma non è una cosa che si insegna.”

“Ossignore no, ma che hai capito! Ci mancherebbe solo che ti chiedessi di insegnarmi una cosa del genere...”
“Be', se vuoi...”

“No! Cioè, nel senso, voglio baciarti, ma non... Cavoli, ma cos'ho detto? Senti lasciami perdere, sono completamente svitata, dev'essere l'alcol”

“Guarda che se vuoi possiamo anche non fare proprio niente. Possiamo anche aspettare, non è che c'è il necessario obbligo di baciarci entro la serata” rise lui. Lo guardai esterrefatta.

“Sì, no, cioè, volevo solo avvertirti. Non ho idea di come si faccia e volevo che lo sapessi.”

“Lo trovo davvero interessante cara la mia alcolizzata pazza” commentò lui con un sorriso.

“Ehi!”

“Che c'è? Parole tue!” ammiccò e mi indirizzò un sorrisetto malizioso. “Dai andiamo ora. È l'una di notte passata e si suppone che prima o poi io ti accompagni a casa da bravo gentiluomo.”

Sulle prime annuii, ma dopo aver controllato il telefono scossi la testa.

“Ho fame. Ci sono pizzerie aperte a quest'ora?”

Mi era arrivato un messaggio di Lia: sono con Raphael, a te come va? Meglio lasciare soli i due pensai divertita.

“Credo di sì.”

“E allora andiamo a mangiarci una pizza!” esclamai prendendolo a braccetto. “In fondo hai ammesso che vuoi provare ad essere il mio ragazzo e questo direi che implica il soddisfare le mie assurde richieste, no?”

“Per avere così poca esperienza nel campo sei straordinariamente informata, lo sai?”

“Lo so lo so.”

La pizza alle due meno un quarto di notte fu una delle migliori idee della mia vita. La divorai entusiasta con tanto di wurstel e patatine fritte. No, ormai non sarei più tornata a una dieta sana, mi dissi. Persino Daniel condivise quest'idea malsana ordinando una pizza ai frutti di mare. Finimmo per ridere, scherzare e mangiare fino alle tre e mezza, quando ci decidemmo a pagare il conto e ad andarcene sotto gli occhi perplessi della cassiera che ci aveva visto divorare tutto quel cibo a un'ora assurda di notte.

Mi sentivo piena di energia nonostante l'ora tanto che lui finì per propormi di aspettare le quattro e vedere così l'alba sul mare. Tornammo in spiaggia e ci sedemmo sul pontile ai piedi del faro, così da avere una visione privilegiata dell'orizzonte; ed ecco che un'altra voce della mia lista veniva spuntata, visto che avevo sempre desiderato vedere l'alba. Finalmente, eccomi lì.

Pensai alla partenza del giorno successivo e mi resi conto di quanto mi sembrasse assurda e lontana. Triste, ma in qualche modo lontana. Mi sembrava impossibile partire così presto nonostante avessi tutte le intenzioni di farlo: ora che avevo considerato bene la relativamente breve distanza che mi separava da Daniel avevo deciso che avrei provato a far combaciare la mia vita, con la vecchia Tessa, e questa vita, con la nuova Tessa.

“Ehi Tess qual è il tuo libro preferito? Ho visto che ne hai un sacco in appartamento.”

“Non sono tutti miei. Alcuni sono di Lia.” sorrisi tra me e me “Non ho un libro preferito. Li amo tutti per motivi diversi. A te piace leggere?”
“Sì.”

“Tu ce l'hai un libro preferito?”

“Ce l'avevo, ma dopo quello che hai detto tu ho capito che non ha senso averne uno.”

Fui io a scoppiare a ridere questa volta.

“Ebbene, ti ho stravolto la vita allora! Comunque ce ne sono alcuni che ricordo più di altri: Zanna Bianca, La casa degli spiriti, Harry Potter... Quando ero più piccola amavo anche scrivere oltre a leggere.”

“Cosa scrivevi?”

“Di tutto. Storie, racconti, favole. Da bambina persino poesie. Adoravo i miti.”

“Me ne racconti uno?”
“Il mio preferito è sempre stato quello di Orfeo ed Euridice. Orfeo era capace di incantare tutte le creature con il suo canto, persino gli animali che rimanevano ad ascoltarlo rapiti tanto erano belle le melodie che intonava. Con un talento simile, naturalmente, era amato da molte donne, ma lui aveva occhi solo per Euridice, che infine sposò.

“Gli dei tuttavia non avevano previsto un amore duraturo per i due, così quando lei scappò per sfuggire ad Aristeo, innamorato di lei, calpestò un serpente che la morse e la uccise. Orfeo allora, impazzito di dolore, scese nell'Ade, quello che noi ora chiamiamo Inferno, per riprendersi la sua sposa. Grazie al suo canto riuscì ad arrivare al cospetto di Ade e Persefone, re e regina degli Inferi. Chiese e ottenne di riportare Euridice tra i vivi, ma alla sola condizione di non guardarla finché non fossero arrivati entrambi sulla terra. Purtroppo, per assicurarsi che lei lo seguisse Orfeo la guardò e così la sua sposa fu riportata nell'Ade facendo piombare il talentuoso poeta nella più cupa disperazione, dopo che invano ebbe cercato di tornare laggiù a prendere Euridice.”

“Triste, ma bello. Sarebbe davvero bello poter scendere nell'Ade a recuperare le persone che amiamo.”

“E' vero. A proposito di persone che amiamo, non ti ho detto di mia madre!” raccontai a Daniel della telefonata ricevuta quel pomeriggio. Da come il suo sguardo si illuminava man mano che parlavo capii che era davvero felice per me e capiva quello che provavo: una strana sensazione mi scaldò il cuore, unita alla meraviglia quando vidi che il sole compariva all'orizzonte.

Sorse sul mare, tingendo le onde di rosa proprio davanti a noi e regalando colore a un mondo altrimenti buio. Si sentiva il verso dei gabbiani che si risvegliavano dalla notte, il cielo era terso e si vedevano le isole in lontananza, le barche e i pescherecci che uscivano dal porto. Una leggera brezza mi scompigliò i capelli che, ricordai sorpresa, erano sciolti: di solito li tenevo legati in una coda o in una treccia.

Che meraviglia! Era così... bella. L'alba era bellissima, stupenda, emozionante. Era incredibile. Quasi senza accorgermene mi ero alzata in piedi, come se così potessi vederla più da vicino, e mi ero avvicinata al pontile inspirando quell'aria frizzante.

“Grazie Daniel, per avermi portata qui. Visto che questa vacanza è finita,” mi voltai verso di lui, “ci tengo a ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me fin dal primo giorno.” sorrisi al ricordo di noi due immersi nell'acqua buia la prima sera dopo che lui mi aveva tirata fuori da quell'inferno di discoteca. Nonostante ormai potessi dire di conoscerlo un po' meglio continuava a sembrarmi in qualche modo luminoso; non mi era mai capitato di vedere una persona così, ma tant'era: Daniel emanava una luce tutta sua.

Si alzò anche lui e mi raggiunse sul parapetto del pontile, sorridendo.

“Non c'è di che Tess. È stata, oserei dire, una delle settimane più divertenti che io abbia mai passato qui.” rimase in silenzio per un attimo, poi proseguì: “Posso dirti una cosa senza che mi ammazzi?”

“Vai.”

“Ho letto il diario che avevi indirizzato a Lia dopo averlo trovato. So che non erano affari miei, ma... non lo so Tess, a vederti quella volta in ospedale con quei capelli rosso fuoco e quell'aria incavolata mi avevi incuriosito.”

Sospirai.

“Posso immaginarlo. Non importa Daniel, non preoccuparti. Probabilmente l'avrei letto anch'io se avessi trovato il tuo diario.” mi guadagnai un sorriso. “E in ogni caso sono tutte cose che ora sai di me.”

“Davvero rimanevi fuori una sera dopo l'altra a studiare le costellazioni?”

“Davvero” risi io “Era un modo per mettere in ordine l'universo, per me. Pensavo che dando un nome a tutte le stelle che vedevo lassù forse la notte non mi sarebbe più sembrata tanto spaventosa. In fondo è lassù che dobbiamo andare quando la nostra vita finirà, no?”

“E chi può saperlo?”

“Hai ragione.”

“Vuoi tornare in appartamento?”

“Penso di doverti ringraziare a dovere, prima.” prendendo il coraggio a due mani, mi avvicinai a lui e prima di poterci pensare troppo appoggiai le labbra sulle sue. Daniel parve inizialmente disorientato ma durò solo un istante, poi mi attirò a sé, mi strinse più forte e io capii che era tutto vero: il mio corpo sapeva già cosa fare. Gli buttai le braccia al collo e lasciai che approfondisse il bacio facendo accendere milioni e milioni di scintille nel mio corpo, come se all'improvviso mi fossi accesa di gioia e di qualcos'altro che non capivo fino in fondo ma che sembrava allo sbocciare di un amore per lui. Aveva un buon profumo che somigliava quasi a quello del mare e mi fece sorridere tra me e me perché era assolutamente perfetto. Alla fine fu una delle sensazioni più belle che avessi mai provato, qualcosa come una scarica di felicità da mille volt che mi invase il cuore e lo fece battere talmente forte che pensai lui lo sentisse.

Mi resi conto che un'altra voce della mia lista era stata spuntata: baciare un ragazzo che amo.

Ora dovevo solo capire cosa fare visto che l'ora della partenza era ormai vicina. Ma forse, sebbene presa dall'indecisione, nel profondo lo sapevo già.

Spazio autrice: e contro ogni previsione ho pubblicato il capitolo entro pochi giorni! A quanto pare avevo più tempo di quanto credessi, è stata una vera fortuna :) Mi scuso per l'eventuale lunghezza del capitolo, ma volevo farci stare tutto e ci tenevo a finirlo con il bacio tra Daniel e Tessa, perché per quanto lei si fosse sentita indecisa voleva davvero dimostrargli che le piaceva. :D
Spero che vi siate divertiti a leggere come io mi sono divertita a scrivere e ho lasciato apposta in sospeso Raphael e Lia visto che ricompariranno nel prossimo capitolo che, se tutto va bene, sarà l'ultimo! Eh sì, cari lettori: il prossimo capitolo è l'ultimo. Poi scriverò un epilogo in cui vedremo che fine hanno fatto le nostre protagoniste e poi ci saluteremo, anche se non per sempre; come sapete ho in programma una nuova storia, questa volta con una protagonista dai poteri magici :)
Detto questo, aspetto con ansia le vostre recensioni e vi saluto tutti di cuore!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - A casa ***


Capitolo 17 – A casa

 

Rientrare in appartamento fu decisamente un'esperienza imbarazzante. A quanto pareva infatti Raphael e Lia avevano approfittato della nostra assenza e si erano messi piuttosto comodi: quando io e Daniel entrammo li trovammo stesi sul letto l'uno a fianco all'altra profondamente addormentati e con la televisione accesa.

In fondo, erano le sei del mattino e tutte le persone sane di mente dormivano sodo alle sei del mattino. Per un fugace istante mi chiesi se anche io e Daniel prima o poi saremmo finiti così e mi sentii arrossire; l'avevo baciato, certo, ma questo in qualche modo aveva creato in me ancora più confusione di prima, un misto di adrenalina, felicità e sorpresa, come se io stessa mi chiedessi chi fosse questa sconosciuta che aveva preso possesso del mio corpo.

Guardai Daniel con espressione interrogativa e accennai ai due addormentati di cui uno, nel frattempo, aveva iniziato a russare piano. Lui scrollò le spalle con un sorrisetto malizioso, come a dire ci penso io ed entrò furtivamente nell'appartamento. Mi stavo ancora chiedendo cosa stesse per fare quando lo vidi avvicinarsi a Raphael cercando di fare piano e iniziarle a parlargli sottovoce: “Ehi! Drake!”

“Mmh?”
“Svegliati, devi dare l'esame all'università tra mezz'ora!”

“Naaah, non è vero” biascicò l'altro senza neanche rendersi conto che non era un sogno. Mi trattenni a malapena dal ridere vedendo il suo viso pallido contrarsi in una smorfia, come se ci avesse pensato e dubitasse effettivamente riguardo alla veridicità della storia dell'esame... e questo nonostante fosse domenica.

“Sì invece,” insistette Daniel, “devi dare l'esame di biologia.”
“Ho studiato, non rompermi le scatole...” brontolò quello.

“Hai studiato davvero?”

“Sìììì” mugugnò Raphael con voce impastata e sopracciglia corrugate. Dovevo ammetterlo, potevo decisamente capire cosa ci trovasse Lia in lui.

“Bene,” proseguì imperterrito Daniel, “allora mi parli un po' dell'intestino crasso?”

Ancora addormentato, l'altro sospirò sonoramente, infastidito, ma presto si mise veramente a descrivere l'anatomia di quanto richiesto.

“L'intestino crasso è formato da cieco, colon e retto e il colon si divide in...” e proprio mentre Raphael spiegava al suo insegnante immaginario che il colon si suddivideva in ascendente, trasverso e discendente Lia, svegliata forse dal suono della sua voce, batté le palpebre perplessa e si girò stupita verso di lui.

Quando nella sua espressione vidi la sorpresa e la confusione di ritrovarsi nel letto con lui e di sentirlo parlare di anatomia alle sei del mattino, non riuscii più a resistere e scoppiai a ridere svegliando definitivamente il malcapitato; la faccia della mia coinquilina era impagabile, con i suoi occhi sgranati e la sua bocca leggermente aperta, il viso pallido e i capelli scompigliati quasi quanto i miei.

“No no...” farfugliò “Cosa? Cosa... cosa stai dicendo? Cos'è successo? Oh, non... non stavamo guardando un film? Sono... che ore sono?”

Raphael non rispose, confuso quanto lei dall'insolito luogo in cui si era svegliato e, da come si guardava i piedi, probabilmente anche dal fatto di essersi addormentato con le scarpe addosso. Lia si tirò a sedere e mi fissò, poi fissò l'orologio sulla parete, poi di nuovo me, poi Daniel e infine Raphael, insolitamente vicino a lei e insolitamente arruffato, quasi quanto lei. Erano talmente carini che se avessi potuto avrei afferrato il cellulare e avrei scattato loro una foto, ma non sapevo più dove l'avevo messo, tanto per cambiare.

“O mio Dio, ci mancava solo questa...” brontolò Lia che finalmente si era resa conto della situazione.

“Questo significa che non mi concederai un quarto appuntamento?”

“No, io... cioè sì. No, no aspetta. No. Intendo... devo pensarci. Ho fame, devo mangiare qualcosa.” la conclusione della mia coinquilina fu chiara quando si alzò e, districandosi dalle coperte, si diresse verso il frigorifero. Afferrò pane e Nutella e iniziò a mangiare, così io decisi di preparare caffè e toast per tutti, tanto a quanto pareva ormai Daniel e Raphael erano abbonati alla nostra cucina.

Parola mia, fu la colazione più divertente a cui avessi mai assistito; gli argomenti di conversazione non mancarono mai e ci facemmo più di qualche risata sulla notte trascorsa, soprattutto quando raccontammo che avevamo mangiato la pizza alle due di mattina. Lia me l'avrebbe rinfacciato per anni e anni a venire; la mia dieta non sarebbe più stata la stessa.

Loro invece ci raccontarono del thriller che avevano visto, anche se al posto della trama ci parlarono praticamente solo della scenografia, cosa che fece scattare più di qualche occhiata perplessa tra me e Daniel, ma alla fine non dicemmo nulla in merito. Cose tra loro esattamente come il nostro bacio, che era rimasto solo tra noi; l'avrei raccontato a Lia, ma una volta sole.

Dopo risate su risate, litri di caffè e chiacchiere e chili di toast iniziai a capire che l'ora di andare si avvicinava per me e Lia e più guardavo quello che avevo davanti più capivo quanta nostalgia avrei avuto di tutto questo. Guardavo il sorriso di Daniel e mi sembrava impossibile tornare alla vita di prima. Guardavo il modo in cui Raphael, senza farsi notare, vegliava su Lia come se si fosse imposto di starle accanto. Guardavo Lia ridere alle sue battute e il sole filtrare dalle tende, insieme allo stridio dei gabbiani e ai piccoli suoni di una cittadina di mare che si svegliava. Come avrei potuto tornare indietro ora?

Ma il momento di andare arrivò, infine, quando alle nove e mezza Raphael se ne dovette andare richiamato dal fratello, che gli telefonò chiedendogli dove diavolo fosse stato tutta la notte; salutò Lia fuori dalla porta perciò non sentii quello che si dissero, ma immaginai che fosse successo qualcosa dall'espressione sognante che aveva quando tornò dentro.

La stanza fu invasa da uno strano silenzio: sapevamo tutti quello che stava per succedere, ma nessuno di noi voleva ammetterlo, nessuno di noi voleva dirlo, come se in qualche modo questo potesse renderlo meno vero... ma lo era. Io e Lia stavamo per partire. Provai a dirmelo a mente sperando che avesse più senso. Non funzionò.

“Vado a finire di preparare le valigie” annunciò Lia prima di andarsene con passo deciso nell'altra stanza lasciandoci soli, evidentemente di proposito. Io e Daniel ci scambiammo un'occhiata.

“Tess lo sai che la mia proposta di restare è ancora valida, non è vero?” disse lui con voce sommessa, facendomi saltare il cuore fino nello stomaco per un misto di tristezza e gratitudine perché era la prima volta che una persona che amavo annunciava a voce alta di volermi con lui; non era una cosa poi tanto straordinaria, forse, ma per me era come se lui fosse riuscito a tenere il mio cuore in mano con un'unica abile mossa. Sapevo che i miei genitori non lo facevano intenzionalmente, però da quando la mamma si era ammalata era come se loro si fossero rinchiusi nel loro piccolo universo da cui mi avevano esclusa. E ora, ora Daniel con quelle parole magiche era capace di sconvolgere tutto.

“Lo sai che devo tornare a casa.”

“Lo so.” il tono con cui lo disse mi fece capire che si era ormai rassegnato. La sua voce sommessa e il modo in cui mi guardava mi sciolsero qualcosa nel petto, qualcosa che si scaldò quando mi prese la mano.

“Ci rivedremo Daniel, credo di poterlo promettere. Verrai a trovarmi, vero?”

“Certo. E tu verrai qui di nuovo?”

Sai che lo farò.” mi alzai “Ma ora devo preparare la valigia o perderò il treno.” guardai l'orologio, incapace di rassegnarmi all'idea che fosse già ora di tornare a casa. Anche Daniel si alzò e in due soli passi aggirò il tavolo, mi raggiunse e mi abbracciò stretta.

“Sarà strano non averti più qui.”

“E' passata solo una settimana, ci farai l'abitudine in fretta vedrai.”

“Una settimana lunga...” mormorò lui.

“Una settimana lunga.” concordai io.

 

Le valigie furono pronte in meno di mezz'ora e dopo aver salutato Daniel il mio umore scese sotto i piedi. Io e Lia non parlammo: eravamo entrambe troppo tristi per dire anche una sola parole e ognuna era persa nei suoi pensieri. Infine, dopo aver ritardato il momento il più possibile, fu tutto pronto e noi non avemmo più scuse per rimanere, perciò fummo definitivamente costrette a portare fuori le borse e a chiudere a chiave la porta dell'appartamento numero sette.

Guardai la targhetta e pensai a quando l'avevo vista per la prima volta una settimana prima e, seccata, mi ero chiesta che diavolo ci facessi lì e perché non fossi a dormire nel mio letto. Che ironia il fatto che ora non volessi proprio abbandonarla.

Il tragitto fino alla stazione fu molto più breve di quanto immaginassi e, tacitamente, io e Lia concordammo che non saremmo tornate in spiaggia per vedere il mare un'ultima volta: troppo doloroso. Era meglio andarsene senza rendere terribile quello che terribile lo era già... e proprio quando mi accorsi questo iniziai a ragionare. Come un orologio a cui veniva inserita la batteria, ecco che gli ingranaggi del mio cervello lavoravano, spinti da quel pensiero, per trovare la soluzione che non avevo mai davvero voluto vedere. Fu per questo che quando arrivammo alla stazione dei treni, nonostante mancassero poco meno di dieci minuti all'arrivo del nostro treno, mi fermai in mezzo alla folla costringendo Lia a fare lo stesso.

Perché impormi di soffrire ancora? L'estate era lunga. Dovevano passare mesi prima che finisse e ora la mia mamma stava bene, e in ogni caso perché volevo tornare? Potevo tornare per la scuola, per la famiglia, per nostalgia... ma io non volevo tornare. Quella sarebbe sempre, sempre, sempre stata la casa in cui ero cresciuta, però adesso il mio cuore si stava lentamente spostando verso il mare, verso gli amici e Daniel. Ripensai alla telefonata del giorno precedente.

Daniel mi ha chiesto di restare, mamma.”

Sei grande tesoro, devi decidere tu cos'è meglio per te. Sai che qualunque scelta farai per me andrà bene, l'importante è che tu torni per la scuola.”

Lo so.”

“Lia?”

“Tessa?” dal suo tono capii che si era aspettata che succedesse qualcosa. Ci guardammo.

“Devo dirti una cosa.”
“Anch'io.”

“Anche tu?”

“Non mi dire che...”

“Voglio rimanere qui!!” esplosi infine, incapace di trattenermi, nel momento esatto in cui Lia diceva la stessa identica cosa. E be', scoppiammo a ridere.

“Anche tu?”

“Sì, anch'io!”

“Credevo mi avresti detto di tutto se te l'avessi chiesto!”

“Ma se è da giorni che ci penso!”

Scoppiammo a ridere di nuovo.

“Be' Tessa, cosa facciamo?”

La felicità che avevo perso nelle ultime ore riprese a scorrermi nelle vene.

“Rimaniamo!”

“Ma come faremo con l'appartamento?”

“E' libero nei prossimi mesi. Quando ho capito che volevo rimanere l'ho prenotato per tutta l'estate. È un accordo solo a parole e in attesa di conferme, ma la madre di Daniel ha promesso che non l'avrebbe affittato a nessun altro nel caso in cui avessi cambiato idea.”

“Oddio, davvero?”
“Davvero!”

“E allora torniamo indietro!”

“Aspetta, ma tu cosa dirai ai tuoi genitori?”

“Ahhh, ho tutta la vita per raccontare loro la verità, una sola estate per fare tutto questo!”

Tra le risate ci voltammo e lasciammo la stazione e ci raccontammo finalmente tutto quello che non ci eravamo dette negli ultimi giorni. Lia si dimostrò entusiasta di sentire che finalmente avevo baciato un ragazzo, io altrettanto quando mi disse che avrebbe dovuto leggere Harry Potter e fra le chiacchiere tornammo nella nostra seconda casa e disfacemmo le valigie per la seconda volta, per rimettere tutto esattamente dov'era.

Quando andai dalla madre di Daniel per avvertirla del nostro ritorno lui non c'era, così parlai solo con lei.

“Potete rimanere fino al trentuno agosto, poi dovrete lasciare libero l'appartamento perché arriveranno altri inquilini.” mi scrutò di sottecchi “Abbiamo già parlato dei costi dell'affitto, quindi siamo a posto direi.”

Ringraziai mille volte la mia buona stella di aver avuto la fantastica idea di risparmiare durante l'estate precedente quando davo ripetizioni di italiano e inglese. Incredibile. Non avrei mai creduto che quei soldi mi sarebbero serviti davvero così tanto.

“Certo. La ringrazio tanto anche a nome di Lia”

“Oh, non credo valga più la pena di darmi del lei” ammiccò “dopotutto esci con mio figlio, vero?”

“Direi di sì” risi io.

“Allora dammi del tu ragazza, perché altrimenti mi fai sentire proprio vecchia” scherzò lei rientrando nell'appartamento. Annuii divertita. Tra me e me pensai che quei due si somigliavano proprio: stessi occhi, stesso modo di sorridere, stesso modo di ammiccare. Avrei proprio voluto conoscere sua sorella.

Dovetti aspettare fino alla mattina dopo perché Daniel scoprisse che eravamo rimaste lì. Sua madre non gli aveva detto niente molto probabilmente, visto che alle otto del mattino seguente qualcuno aprì la porta col suo personale paio di chiavi e col chiaro intento di venire a pulire l'appartamento nell'esatto momento in cui io tornavo dal bagno con lo spazzolino in mano.

Ci fissammo interdetti per un istante.

“Tessa!” riuscì infine a dire lui, talmente forte da svegliare Lia che stava dormendo fino a un attimo prima.

“Oh! Buongiorno” salutò lei strizzando le palpebre “Che ore sono?”

“Le otto” risposi io.

“Mmmh, perché mi avete svegliata...?” mugugnò lei girandosi dall'altra parte e ricominciando a dormire quasi subito. Gli occhi di Daniel erano ancora fissi su di me con uno sguardo che mi fece arrossire dalla testa ai piedi.

“Ho deciso che avevo più o meno tutta la vita per tornare a casa, ma una sola estate per stare con te.” spiegai io con le guance in fiamme “E così ho pensato che ne valesse la pena.”

Il suo sorriso disse più di mille parole.

 

E così eravamo rimaste. Parola mia, fu la scelta migliore che avessi mai fatto e quella che avrebbe dovuto essere un'estate orribile divenne l'estate più bella della mia vita: mi innamorai, conobbi nuovi amici e scoprii che amavo le feste. Serviva solo più tempo per confermare quello che tra me e Daniel era già chiaro e ce ne rendemmo conto dopo poche settimane; avevo trovato qualcuno in sintonia con me, qualcuno che sapeva leggermi dentro. Come avevo sempre sognato, non ero più sola. Avrei dovuto comunque fare le mie scelte nella vita e affrontare le mie difficoltà e così lui, ma adesso c'era qualcuno con me. Poteva sembrare irrilevante, ma per me che ero sempre stata sola e avevo sempre rimpianto l'aiuto di una persona che non credevo esistesse, questo significava davvero molto.

Poi, io e Raphael diventammo amici. Non lo conobbi bene come Lia, ma certo alle partite a carte eravamo noi a vincere. Eh sì, perché per quanto Daniel fosse dolce e mi ammiccasse mentre giocavo era letteralmente una catastrofe, anche se si faceva perdonare con la sua bravura in cucina; nel corso dell'estate ebbi occasione di ricevere un sacco di lezioni da lui e alla fine imparai a preparare la pasta. Era una gran cosa se si considerava che negli ultimi anni l'avevo sempre stracotta o servita troppo cruda.

Lia invece insegnò a Raphael a fare le crepes e anche se non ebbe grandi risultati si divertirono un sacco. Quanto a loro, ci impiegarono quasi un mese e mezzo prima di iniziare a fidarsi un po' di più l'uno dell'altra ma quando iniziarono a farlo si capì dalle piccole cose: sedevano più vicini, si guardavano negli occhi, si sorridevano di tanto in tanto e le loro mani, quando si prestavano i libri, si sfioravano sempre un secondo di troppo. Io e Daniel avevamo capito ma facevamo finta di non sapere per non metterli in imbarazzo, anche se quando Lia tornò a casa una sera con aria sognante non potei trattenermi dal fare qualche battutina.

E le feste... le feste! Girammo tutte quelle dei dintorni, tornammo milioni di volte alle scogliere e io ballai con Daniel a tutte quelle feste. Mangiammo altre pizze alle due di notte in quello che ormai era diventato un locale di fiducia e questa volta si aggregarono anche Raphael e Lia che accettò con gioia questa tradizione.

Nonostante le pizze fuori pasto, tornai per quanto possibile alla mia dieta e questo significava corsa: Daniel mi accompagnò quasi ogni mattina alle sei in punto, che si sentisse bene o meno dopo la sera precedente. Dopo la corsa tornavamo all'appartamento e andavamo a prendere le canne da pesca, ora che mi aveva insegnato a pescare era molto più divertente e facevamo a gara a chi prendeva più pesci. Mistero dei misteri, vinceva sempre lui. Mi chiesi sempre se per caso avesse omesso di dirmi qualche trucco fondamentale.

Divertente fu la faccia dei miei quando decisero di venire a trovarci per una visita a sorpresa e fu Daniel ad aprire la porta, tra l'altro senza maglietta perché nel maldestro tentativo di preparare gli gnocchi avevo fatto cadere la pentola addosso a lui bagnandogliela tutta. Dall'espressione di mio padre dedussi che era il caso di spiegare; nonostante i tentativi di giustificare il fatto che lui continuasse ad esibire addominali in giro per casa, a mio padre non fu mai particolarmente simpatico e mantenne un'aria crucciata per tutto il tempo.

Toccò a mia madre l'onore di rivelargli che quello era il mio ragazzo visto che io fallivo miseramente ogni volte che ci provavo. Lui... ah, la prese con filosofia. Più o meno. Dopo tre o quattro mesi si abituò, diciamo, e riuscì a mantenere un comportamento civile quando Daniel venne a cena a casa nostra quell'inverno.

Eh sì, perché alla fine dell'estate io e Lia tornammo a casa: tristi ma non poi così tanto perché tornammo più volte al mare anche se la luce non era più la stessa e l'acqua non era più calda come prima. Facevamo il conto alla rovescia nell'attesa del giorno in cui la neve avrebbe lasciato il posto alla sabbia dorata, in cui il vento avrebbe smesso di soffiare e il mare sarebbe tornato dello stesso colore di uno smeraldo pronto ad accogliere la luce brillante del sole. Nel frattempo, studiavamo.

L'anno scolastico passò veloce. Non tanto come avevamo desiderato, forse, ma veloce abbastanza per farci perdere di tanto in tanto il conto dei giorni che passavano e per ricordarci che presto sarebbe iniziata la vita vera. L'ultimo giorno di scuola portò con sé sole, caldo, speranza e felicità soprattutto quando, concluso l'ultimo anno di scuola, suonò l'ultima campanella e io e Lia uscimmo per l'ultima volta da quel posto. Metteva quasi tristezza pensare a quanto avevo brontolato per tutta la mole di lavoro e le cose da studiare. Quasi.

Appena finita la scuola non potemmo trasferirci subito al mare come desideravamo perché dovevamo ancora dare gli esami della maturità, dare quelli della patente – finalmente! - e poi quelli di ammissione, io a medicina, Lia a letteratura. Daniel non mi era di grande aiuto nello studio se non quando gli chiedevo di togliersi la maglietta per darmi modo di indicare tutti i muscoli; li aveva talmente scolpiti che era meglio di una tavola anatomica. Di tanto in tanto mi sentiva blaterare formule di chimica e allora mi seguiva dappertutto cantando una canzoncina inventata da lui: la piccola scienziata. Finiva sempre che cercavo di dargli il libro in testa per farlo tacere.

Lia in questo fu più fortunata di me, dato che Raphael frequentava un'università di letteratura, anche se in una città diversa, e la aiutò a studiare tutto quello di cui aveva bisogno, così mentre io ripetevo gli enzimi che agivano nello stomaco lei ripeteva i nomi degli scrittori inglesi e mentre io ripassavo le diverse funzioni del cervello lei rileggeva i testi di letteratura sotto l'occhio vigile di Raphael.

Mamma e papà avevano accettato la presenza di Daniel nella mia vita perciò solo mio padre borbottò un po' quando lo vide seduto a gambe incrociate sul mio letto col libro di biologia in mano a farmi domande. Probabilmente i miei non dissero nulla visto che mi aiutava a studiare, ma avevo l'impressione che lui gli piacesse. E così, non c'era proprio più nulla da dire. Avevo trovato il mio posto nel mondo e capii che era vero quando, a settembre, riuscii finalmente ad andare sul sito dell'università con le dita incrociate e lo stomaco aggrovigliato e lessi, accanto al mio nome, ammessa.

Spazio autrice: e così siamo arrivati alla fine! No, non è vero :) Pubblicherò un epilogo nei prossimi giorni, dovrete pur sapere che fine hanno fatto queste due, no? Nel frattempo spero che tutti voi abbriate apprezzato questa storia e vi siate divertiti a leggerla, che sentiate il vostro animo leggero come quello di Lia e Tessa la cui vita è tornata gradualmente al suo posto. Come potete notare forse, non ho concluso la vicenda di Lia e questo perché aspetto l'epilogo per farlo. Ci sarà un lieto fine? Uhm, forse. Nel frattempo godetevi il lieto fine della nostra Tessa e aspettate con speranza il prossimo capitolo! ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 18
*** Epilogo - Cinque anni dopo ***


Epilogo – cinque anni dopo

 

POV Tessa

 

Quando la sveglia suonò non ero psicologicamente pronta per alzarmi, ma sapevo che avrei dovuto farlo e perciò aspettai ben dieci sofferti secondi prima di scendere dal letto, spegnere quel fracasso immane e arrancare in bagno. La sera precedente ero rimasta alzata fino a mezzanotte passata per ripassare gli argomenti di studio dell'esame che avrei dovuto dare da un mese a quella parte, ma questo non significava che quel giorno non avessi lezione.

Mi sciacquai con riluttanza il viso nell'acqua fredda e osservai il mio viso allo specchio: evviva, avevo le occhiaie. Aaah, che freddo! Ma dov'era Lia? Doveva essere rimasta a dormire da Raphael per essersi dimenticata di accendere il riscaldamento al suo ritorno. Avrei potuto verificare sul cellulare ma non ricordavo dove fosse e quando guardai l'ora capii che non avevo assolutamente tempo, ero in ritardo di nuovo!

Con tutta la velocità concessa dal mio recente stato di letargia mi catapultai in cucina, misi il tè sul fornello e intanto partii alla ricerca di una felpa e un paio di jeans da mettere quel giorno all'università; tutto, purché fossero vestiti caldi e adatti a sopportare una fredda giornata autunnale. Una volta vestita aprii le finestre e un vento gelido mi investì. Per il momento non pioveva ma ero certa che l'avrebbe fatto presto, perciò appuntai mentalmente di prendere con me l'ombrello prima di uscire. Per un attimo rimasi a guardare il panorama fuori dall'appartamento: altri edifici come il mio, l'ospedale poco lontano e una città che si risvegliava all'arrivo del mattino esattamente come me.

Il fischio del bollitore del tè interruppe i miei pensieri e mi fece correre in cucina dove versai il tè nella prima tazza che mi capitò a tiro e mentre si raffreddava preparai la borsa da portare quel giorno all'università ficcandoci tutti i libri di medicina che trovavo in giro per casa quasi senza distinguerli, buttandoci dentro quaderni di appunti e pastiglie per il mal di testa. Trovai il cellulare e una bottiglietta d'acqua che si aggiunsero al resto riempiendo la borsa più del dovuto, poi afferrai la tazza e bevvi il tè scottandomi la lingua. Guardai di nuovo l'ora e brontolando tra me e me afferrai le chiavi, due fette di pane integrale – i carboidrati erano importanti – e schizzai fuori casa chiudendo di fretta la porta.

Visto il mio terrore claustrofobico per gli ascensori dovetti prendere le scale e scendere a precipizio con il cappotto ancora aperto, la borsa in una mano, l'ombrello nell'altra, i capelli scarmigliati e ovviamente senza trucco. All'improvviso una figura sbucò fuori di fronte a me: “Teresa! Oooh cara come stai?”
“Salve signora Norrison!”

“Lo sai che grazie a quel tuo consiglio mi è andato via il bruciore di stomaco?”

“Fantastico!” strillai scendendo di corsa “Vado all'università così potrò darle altri consigli!”

“Lavori troppo!” la sentii rispondermi dall'alto, ma ormai ero già uscita nella fredda aria di novembre e stavo attraversando la strada incurante del semaforo rosso e diretta all'edificio poco distante, quello in cui avevo passato gli ultimi anni della mia vita rimanendoci a volte persino di notte: l'università di medicina. Dopo la rispettiva ammissione io e Lia avevamo deciso di trovare un appartamento e condividerlo e ormai vivevamo lì da quattro anni. All'inizio non avevo apprezzato granché la zona, ma ora dovevo ammettere che mi ci ero abituata e avevo imparato a conoscere i dintorni scoprendo così che lì vicino c'era un bar che faceva un caffè fantastico e ti lasciava stare lì a studiare tutto il pomeriggio, che c'era una lavanderia abbastanza economica e che non dovevamo temere infortuni perché abitavamo abbastanza vicino all'ospedale da poterci arrivare in meno di un quarto d'ora a piedi.

I miei avevano brontolato un po' per la distanza dal centro ma alla fine ci avevamo fatto tutti l'abitudine. Giusto mentre attraversavo il parco nelle vicinanze e mi dirigevo verso l'entrata dell'università dall'altra parte della strada la suoneria del mio cellulare partì a tutto volume: lo afferrai e cercai di capire, mentre correvo, chi fosse. Lia. Con un sospiro abbassai la suoneria e lo rimisi nella borsa. Non avevo proprio tempo! L'avrei richiamata in pausa pranzo. Se fosse successo qualcosa di grave mi avrebbe chiamata Raphael.

Fortuna che andavo a correre! Più scompigliata che mai entrai pronta a un'altra giornata di studio.

 

POV Lia

 

Non ci potevo credere! Perché Tessa non rispondeva??? No no no e poi no. Perché non rispondermi proprio adesso? E poi sapevo che era sveglia, lei si svegliava sempre presto. Ooooh, accidenti. Per un attimo pensai di chiamare Daniel, magari era con lui, ma poi ricordai che aveva lezione perciò era tutto inutile: non sarebbe uscita dall'università prima delle cinque di pomeriggio conoscendola. Aaah come avrei potuto aspettare così tanto per darle la notizia??

Sospirai impaziente mentre affrettavo il passo per arrivare in appartamento visto che quel giorno faceva davvero freddo. Una volta entrata ebbi una brutta sorpresa perché faceva un freddo tremendo anche lì. Ma Tessa non aveva acceso il riscaldamento??!

Esasperata chiusi la porta e andai ad accenderlo io, poi preparai un caffè. Avrei davvero voluto andare a cercarla in università ma non era proprio il caso: l'ultima volta che l'avevo fatto ero finita a cercarla in ospedale e almeno cinque infermiere mi avevano sgridata accusandomi di essere in un'area solo per addetti fuori dall'orario di visita perciò decisi che non era il caso di tentare di nuovo.

Se solo non fosse stato così presto avrei chiamato la nonna, ma erano a malapena le otto e anche se la nonna era guarita aveva comunque la sua età. Non l'avrei svegliata.

Dopo aver bevuto il caffè ed essermi resa conto che avrei dovuto aspettare ore prima di dare la notizia a qualcuno presi il libro di letteratura e provai a studiare... o perlomeno ci provai per dieci minuti poi mi accorsi che ero talmente su di giri che non capivo un accidente di quello che leggevo.

O mio Dio o mio Dio o mio Dio!!!

Cos'avrebbe detto Tessa?? E mia nonna? E i miei genitori? Forse ero troppo giovane ma non me ne importava proprio niente: ero così felice!! Cos'avrei dovuto fare adesso?? Era proprio a questo che mi serviva la mia coinquilina, perché sapevo che lei con tutta la sua organizzazione avrebbe presto iniziato a stilare una lista di cose da fare e mi avrebbe schiarito un po' le idee.

Wow wow wow! Strabello! Quasi non ci credevo! Le ultime ore avevano completamente cambiato la mia vita.

 

POV Tessa

 

La mattinata fu incredibilmente intensa tra lezioni e tirocini da seguire e prima che me ne rendessi conto mi accorsi che erano già le dieci e mezza passate e poi le undici e mezza e infine mezzogiorno e poi smisi di guardare l'orologio a forza di prendere appunti e correre di qua e di là. Prima che potessi accorgermene avevo saltato il pranzo ed erano già le due e mezza e della chiamata di Lia mi ero completamente dimenticata.

Tra cartelle, analisi e vari derivati arrivarono le tre e finalmente riuscii ad andare a mangiare un boccone nel bar vicino assieme a una mia compagna di università. Avevo le gambe indolenzite a forza di correre di qua e di là.

“Tessa tutto bene?”

“Oh, si grazie Nancy. Sono solo un po' stanca, ieri sera ho fatto tardi per studiare.”

“Passerai quell'esame col massimo dei voti se continui così!” rise lei. Nancy era una ragazza davvero carina: avevamo frequentato il liceo insieme e avevamo affrontato il test di ammissione a medicina lo stesso giorno, quando avevamo riso istericamente all'uscita e sperato per il meglio. Aveva i capelli neri, era molto alta... e già sposata. Aveva conosciuto suo marito l'estate del terzo anno di liceo e da allora nonostante abitassero lontani erano stati inseparabili, finché lui non si era trasferito qui e si erano sposati. Ero andata in chiesa e nonostante la folla di amici e parenti ero riuscita a vedere quanto fosse splendida e mi ero chiesta, per un fugace istante, se anche tra me e Daniel sarebbe mai arrivato quel momento.

Oggettivamente non ne avevo il tempo e avrei preferito aspettare ancora un paio d'anni, ma mi sarebbe piaciuto.

“Io devo ancora iniziare a studiare come si deve” brontolò Nancy “Di questo passo farò una grande studiata del giorno prima...”

Sorrisi.

“Come ti capisco! A me è capitato con l'ultimo esame che abbiamo fatto...”

Lei voleva specializzarsi in psichiatria, mentre io ero più orientata verso neurologia, ma ci mancavano ancora due anni di studio perciò non eravamo ancora sicure di niente.

“Ehi, non rispondi?”

Stupita guardai il telefono che sporgeva dalla mia borsa e vibrava insistentemente e ricordai all'improvviso la chiamata di Lia, così lo presi e risposi.

“Scusa scusa scusa! Dovevo richiamarti lo so, ma me ne sono dimenticata!!”

“Aaaah, lascia stare! Tessa?”
“Sì?” la sua voce era un miscuglio di allegria, eccitazione e impazienza. Cosa caspita era successo?? Poche volte avevo sentito quel tono di voce...

“Sei seduta?”

“Sì”

“Bene. Pronta?”

“Lia cos'è successo??”

“Okay. Okay. Tessa?”

“Coraggio, spara!!”

MI SPOSO!!!”

Rimasi un attimo in silenzio e incontrai, a occhi sbarrati, lo sguardo di Nancy che aveva sentito l'urlo della mia coinquilina e aveva alzato la testa.

“O santa Maria.” fu tutto quello che riuscii a dire “Raphael ti ha chiesto di sposarlo??”

“Sì!!!”

“O mio Dio!!!!!!!!!!! Congratulazioni!!! E' incredibile, posso farti da damigella vero??? Ohh, lo sapevo che sarebbe successo!!!!!” e per un attimo, mentre Lia strillava la sua felicità al bar intero in ascolto attraverso il mio telefono, tornai con la mente a quel giorno al mare, cinque anni prima quando lei e Raphael erano usciti insieme e io avevo iniziato a parlare di matrimonio...

“Quando vi sposate?”

“Il ventisette aprile!”

“Verrò senz'altro!”

Dopo un quarto d'ora di concitati programmi e descrizioni su come gliel'aveva chiesto – si era dichiarato in ristorante la sera precedente! - ci lasciammo perché dovevo mangiare qualcosa o non ci sarei più riuscita fino a sera, ma per tutto il pomeriggio non feci altro che sorridere come un'idiota: Lia si sposava!

Quell'aprile io e Daniel fummo al loro matrimonio: Drake raggiante all'uscita della chiesa teneva Lia sottobraccio, Lia che portava un vestito con scollo a cuore che le stava divinamente proprio come aveva sempre sognato. Si vedeva lontano un miglio che era felice e che era sicura della scelta fatta, perché la vidi fare l'occhiolino a suo zio prima di andare all'altare. Altro che nervosa! Sapeva cosa voleva.

All'uscita dalla chiesa mentre ci dirigevamo verso la macchina per raggiungere gli sposi in ristorante, Daniel mi guardò.

“Tessa?”

“Dammi solo il tempo di finire gli studi.”

“E poi mi sposerai?”

“Te lo prometto. Nel frattempo, sono rimasta senza coinquilina; ti andrebbe di sostituirla?”

“Anche subito.”

Spazio autrice: ed eccomi qua! Ho voluto pbblicare subito l'epilogo perché ci tenevo a dare un finale definitivo a queste due ragazze, ormai donne. Ed entrambe, alla fine, coronano i loro sogni e imparano a vivere la loro vita, e tutto grazie a una sola, imprevista, assurda, incredibile settimana. Chi l'avrebbe mai detto? Per ora quindi ringrazio tutti coloro che hanno letto e soprattutto lasciato recensioni - sono sempre di grande supporto - e spero che vi sia piaciuto leggere la mia storia come a me è piaciuto scriverla per voi. Nel frattempo per ora ci salutiamo, ma presto pubblicherò qualcosa di nuovo che mi frulla per la testa da un po' perciò se vorrete trovarmi sarò presto qui con una nuova storia.
Per il momento grazie di tutto! :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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