Dante, figure di merda e nuove amicizie

di _MyHeadIsAnAnimal_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i n c o n t r o ; ***
Capitolo 2: *** c a d u t a ; ***
Capitolo 3: *** g e l a t o ; ***
Capitolo 4: *** p r o p o s t a ; ***



Capitolo 1
*** i n c o n t r o ; ***


«Scusa è libero il posto?» la voce esce più roca del dovuto, sembra quasi che l'abbia persa dopo una giornata passata ad urlare allo stadio.

Appena alzo lo sguardo, però, mi rendo conto che la mia supposizione è sbagliata: il ragazzo che sta di fronte a me potrebbe essere tutto fuorché un tifoso di calcio. In realtà ricorda più il tipo di persona che non segue nessuno sport.

Ha un paio di occhiali con la montatura spessa marrone scuro, mi ricorda il colore della terra umida in estate dopo uno dei tipici acquazzoni estivi, che nasconde due occhi marroni con qualche screziatura di una strana tonalità di verde che, diamine, li rende così particolari, non ne ho mai visto un paio simile ai suoi, le labbra screpolate e con qualche piccola traccia di sangue sono arricciate; sembra stanco, il suo sguardo è contornato da delle occhiaie e le spalle sono leggermente ricurve verso il basso. Il viso è contornato da una folta massa di capelli ribelli, mille riccioli castani che si sparpagliano in tutte le direzioni, sembrano così morbidi e ho subito la tentazione di infilarci in mezzo la mano ma mi trattengo.

Sento il suo sguardo su di me e mi accorgo di non aver ancora risposto alla sua domanda. Lo sto guardando anzi, sarebbe meglio dire fissando, da ormai troppo tempo senza proferire parola.

Mi schiarisco la gola e sposto i miei libri, che occupano praticamente tutto il tavolo, raggruppandoli in un piccolo mucchio.

«Certo, siediti pure!» esclamo forse con troppa foga. Mi sistemo meglio e abbasso lo sguardo sul libro della Divina Commedia, aperto sulla stessa pagina ormai da mezz'ora, nella speranza che i lunghi capelli scivolino fino a coprirmi le guance arrossate.

Che poi, perché sto andando a fuoco? È da diciannove anni che colleziono figure di merda con i ragazzi, perché mi imbarazzo per una sciocchezza come questa?

«Che palle» bisbiglio tra me e me. Mi sento in soggezione con lui seduto al mio stesso tavolo, non ha distolto lo sguardo da me nemmeno una volta, neanche quando ha appoggiato i suoi due libri e il quaderno sul ripiano e ha spostato la sedia per sedersi.

«Dante?» un flebile sussurro mi raggiunge ma non sono sicura che sia stato lui a parlare, sono quasi del tutto sicura di essermelo immaginato.

Quando però alzo lo sguardo e lo trovo ancora a fissarmi mi accorgo che, forse, mi ha parlato veramente.

«S-sì,» balbetto lisciando la pagina del libro aperto di fronte a me, «è la Divina Commedia».

Abbasso lo sguardo per poi rialzarlo e puntarlo direttamente nei suoi occhi che si restringono formando delle piccole rughe ai lati quando mi sorride, le labbra tese in un ampio sorriso sono contornate da due adorabili fossette.

Ricambio abbassando di nuovo lo sguardo. Lo sento ridacchiare e, con la coda dell'occhio, lo vedo aprire uno dei due libri, quello più spesso, e il quaderno. Le pagine sono ricoperte da una scrittura un po' disordinata ma leggibile, le lettere leggermente inclinate verso destra e rese eleganti dai tratti leggeri di penna.

Mi ridesto subito dalla mia attenta osservazione di ogni suo movimento e mi concentro di nuovo sul libro che ho davanti.

«Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.» le mie labbra si muovono senza emettere un suono. Ho sempre avuto questo vizio di leggere, senza effettivamente parlare, per capire meglio il testo e per cercare di ricordare il più possibile, con scarsi risultati ahimè.

«Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sí forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona.» la sua voce roca mi raggiunge subito, come uno schiaffo in pieno viso dato da una grande mano gelata. La mia pelle percorsa da brividi mentre le sue labbra rosse si fermano, socchiuse, prima di continuare, gli occhi ancora chiusi, «L'ho studiato qualche settimana fa qual canto, Paolo e Francesca, no? Il cerchio dei lussuriosi

Perché la sua faccia si è contratta in quel modo? Doveva per caso essere un'espressione ammiccante quella? O me la sono immaginata?

«Esattamente» replico grattandomi la guancia.

Non so come mai ma ho questa strana sensazione che la situazione non farà altro che peggiorare.

«Ti stai scarabocchiando la faccia.»

Cosa?

«Come scusa?» le cose sono due: o sono io a sembrare pazza o è lui a non essere normale.

«Dico, ti stai scrivendo sulla guancia con la penna» dice questa volta con la voce allegra e un sorriso malcelato ad illuminargli il volto.

Dio. Che imbarazzo!

Subito sposto la mano e mi accorgo di aver tenuto impugnata una penna aperta per tutto questo tempo e che, in realtà, non era il mio dito ma proprio quest'arma ad inchiostro a muoversi sulla mia guancia.

In meno di due secondi sento la mia faccia andare a fuoco. Di sicuro sono tutta rossa in viso.

Che figura di merda assurda!

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Capitolo 2
*** c a d u t a ; ***


«Cavoli!» esclamo spostando indietro la sedia, dimenticandomi completamente di essere in biblioteca e quindi di non dover far rumore, facendo risuonare in tutta la stanza lo strisciare delle gambe di ferro sul pavimento.

Mi avvio a passo svelto verso il bagno senza voltarmi indietro, tanto so già che il ragazzo si farà quattro belle risate e poi se ne andrà, magari a raccontare a tutti i suoi amici di quanto buffa -per non dire imbecille- fosse la ragazza seduta di fronte a lui in biblioteca.

Mi chiudo subito la porta alle spalle e corro verso il piccolo specchio, il mio sguardo si posa subito sulla guancia sinistra decorata da degli artistici ghirigori neri.

Mio Dio! Non posso essere così stupida.

«Scema! Scema! Scema! Scema!» sussurro mentre afferro due salviette dal contenitore e le inumidisco con un po' di acqua, ci aggiungo anche due gocce di sapone e inizio a strofinare energicamente la pelle sporca.

Dopo un minuto mi fermo e controllo la situazione allo specchio: le linee ben definite che prima ricoprivano la guancia ora sono state sostituite da una macchia grigiastra e dalla cute arrossata. Provo a risciacquare il tutto con un po' di acqua fredda nella speranza di eliminare definitivamente lo sporco e, dopo aver massaggiato ancora qualche secondo, mi fisso allo specchio. Sono riuscita nel mio intento.

Raccolgo quel poco di dignità che mi è rimasto, faccio un bel respiro ed esco dal bagno lasciando finalmente il posto a chi deve fare i suoi bisogni.

Mi avvio con passo incerto verso il tavolo, il cuore che martella in gola. Non so perché sono così agitata, probabilmente se ne sarà già andato e tutti gli altri ragazzi presenti saranno stati troppo impegnati a studiare per accorgersi del mio piccolo incidente.

Mi fermo davanti alla porta di vetro che conduce all'aula studio, sospiro silenziosamente e mi decido ad entrare. Afferro la maniglia e la tiro verso il basso facendo aprire con un fastidioso cigolio la porta.

Bene, nessuno mi ha notata.

Inspira, espira, inspira, espira. Continuo a ripetermi questa sequenza in mente nella speranza di riuscire a mantenere la calma; quando, però, i miei occhi si posano sul mio posto il cuore manca un battito e, per un secondo, ho l'impressione di non avere più la terra sotto ai piedi.

Io lo so che qualcuno lassù mi vuole male altrimenti come si potrebbe spiegare l'infinita serie di figure di merda che mi perseguita?, non è assolutamente possibile essere così sfortunati.

Non so bene cosa sia successo, so solo che è accaduto tutto nella frazione di un secondo, mentre il mio sguardo veniva catturato dal suo.

«Merda!» non riesco a tenere a freno la lingua, la mia esclamazione è riuscita ad attirare tutta l'attenzione su di me, persino quei pochi studenti che non si erano accorti di nulla ora sono girati nella mia direzione.

Mi ritrovo per terra con le ginocchia doloranti per l'impatto con il freddo pavimento, non riesco nemmeno ad alzarmi subito perché una fitta si estende in tutto il corpo a partire dalle gambe.

Maledetto zaino abbandonato in mezzo al corridoio! E maledetto anche il tuo proprietario!

Sento lo sguardo di tutti i presenti puntato su di me e vorrei solo scomparire.

Gli occhi iniziano ad inumidirsi, non so se per il dolore o se per la vergogna, probabilmente questa è una di quelle combo vincenti che ti premiano con un attacco isterico con i fiocchi. Ci manca solo quella.

«Tutto okay?» ho paura ad alzare gli occhi verso il mio interlocutore, so chi è, ho riconosciuto la voce roca.

«S-sì» rispondo cercando di alzarmi «Sto bene».

Quando sento le ginocchia cedere sotto al mio peso e mi vedo già distesa di nuovo per terra, due mani mi afferrano le braccia e mi sostengono.

Punto subito lo sguardo nel suo e vedo che sta sorridendo, non uno di quei sorrisi di scherno, semplicemente un sorriso dolce, comprensivo.

«Vieni» mi dice aiutandomi a tornare al tavolo. Si assicura che mi sia seduta senza fare ulteriori danni e si posiziona sulla sedia a fianco della mia.

«Che ne dici di andare a prendere un gelato?» mi chiede, le fossette che spuntano sulla sua faccia lo fanno sembrare un cucciolo e, per un folle istante, vorrei dare voce ai miei pensieri ma riesco a fermarmi in tempo.

Ringrazio la pelle arrossata dal precedente sfregamento che copre il rossore che si diffonde sulle guance alle sue parole. Mi ha sul serio chiesto di andare a prendere un gelato con lui? Nonostante abbia visto che disastro umano io sia?

«Io-» non credo sia il caso, sto per dire ma mi blocca subito, forse vedendo l'esitazione nel mio sguardo.

«Giuro solennemente che non riderò di te se dovessi cadere di nuovo o disegnarti tutta la faccia» dice posizionando la mano destra sul cuore e ridacchiando.

Non posso fare a meno di sorridere a mia volta prima di annuire. Non so perché ma la sua “promessa” mi spinge a fidarmi di lui. Dopotutto, se avesse voluto prendersi gioco di me avrebbe avuto diverse occasioni ma non l'ha fatto. Anzi, si è comportato da amico.

«Okay allora, andiamo a prendere questo gelato madama» dice facendomi l'occhiolino.

Una piccola risata lascia le mie labbra. Mi viene automatico pensare che sia un po' idiota anche lui e questo è un punto a suo favore.

Raccolgo le mie cose e le infilo velocemente in borsa venendo imitata da lui e, insieme, ci avviamo verso l'uscita della biblioteca.

«Faccia strada, oh mio Virgilio» scherzo mentre seguo il giovane che cammina tranquillo lungo il marciapiede.

In fin dei conti qualcosa di buono tutte queste figure di merda l'hanno portato...

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Capitolo 3
*** g e l a t o ; ***


 

«Comunque io sono Matt.» dice sorridendomi.

«Carolina!» rispondo a mia volta.

Stiamo camminando da cinque minuti, nonostante il suo passo sia lento i miei piedi si muovono più velocemente rispetto ai suoi per mantenere il suo ritmo. Qualcuno deve volermi sul serio male perché non è possibile che, in una famiglia in cui l'altezza media è di un metro e settantacinque, io sia l'unica nana alta a malapena un metro e cinquantacinque.

«Allora, prima stavi studiando per un esame?» mi chiede, dopo qualche minuto di silenzio, voltando la testa verso di me, il sole si riflette sugli occhiali scuri che si è infilato poco prima.

«Sì, ce l'ho tra dieci giorni e non riesco proprio a ricordare le cose!» sbuffo infastidita. È da quasi due settimane che sto studiando ininterrottamente la Divina Commedia e i nomi dei vari personaggi, per non parlare delle loro pene e dei lori peccati, si confondono e sfumano due secondi dopo essere registrati nella mia mente, «Sto cominciando ad odiare Dante.» affermo facendo una faccia imbronciata.

Mi spinge leggermente con la spalla mentre ridacchia sotto ai baffi, «Mannò dai, non dire così! Devi solo riuscire ad interpretare bene i suoi versi e poi vedrai che ti sarà tutto più chiaro.»

La fa facile lui! In tutti i miei anni di studi non ho mai avuto un professore che mi abbia insegnato come leggere, interpretare e studiare in modo corretto la Commedia, l'abbiamo sempre affrontata superficialmente e sbrigativamente.

«Il problema è proprio questo...» borbotto ormai scoraggiata, l'idea di dover ridare a settembre questo esame ormai si è ben radicata nella mia mente.

Dopo qualche minuto di silenzio raggiungiamo una piccola gelateria che fa angolo, è un po' nascosta dagli alti palazzi che le stanno intorno ma, dando un'occhiata al bancone, sento l'acquolina crescere a dismisura.

Mi apre la porta e aspetta che sia io ad entrare per prima per poi seguirmi, davanti a noi una coppia con un bambino viene servita da una signora di mezza età che indossa un'uniforme bianca a righe verticali verdi. Osservo golosa tutti i gusti disponibili indecisa su cosa prendere, hanno tutti un così bell'aspetto!

Quando finalmente tocca a noi il giovane fa ordinare prima me.

«Uhm...» sono ancora indecisa tra tre gusti diversi ma, alla fine, mi affido al mio sesto senso e opto per i miei gusti preferiti, «Un cono con una pallina di stracciatella e una di caffè!» dico infine alla donna che si mette subito all'opera e mi porge il mio gelato.

Inizio subito a leccare le gocce che colano lungo il cono: nonostante l'aria condizionata sia accesa, anche all'interno della gelateria fa un caldo asfissiante.

«Per me una coppetta con una pallina di pistacchio e una di cioccolato.»

Quando anche lui tiene in mano il suo gelato cerco di tirare fuori in fretta e furia il portafoglio per pagare, riuscendo stranamente a batterlo nel tempo. Dopo qualche sua protesta riesco finalmente a convincerlo e do i soldi alla donna che ci sorride divertita, probabilmente abbiamo messo su una scenetta degna delle più allegre comiche.

Ringraziamo e ci avviamo verso il parco più vicino che sta esattamente dietro i palazzoni che ci circondano in questo momento.

Inizio a mangiare con urgenza il gelato visto che quest'ultimo, non appena abbiamo rimesso piede fuori dal locale, ha iniziato a sciogliersi come neve al sole.

Appena oltrepassato il cancello del piccolo parco riesco subito ad avvistare una panchina all'ombra libera. Afferro il gomito del giovane ed inizio a trascinarlo con me.

«Sbrigati, se ce la rubano ti picchio!» scherzo aumentando il passo.

Lui mi segue senza dire niente, ridacchia cercando di infilare in bocca il cucchiaino senza sporcarsi tutta la faccia.

Lancio la borsa sulla panchina e mi lascio cadere con un tonfo su di essa, il giovane mi imita mantenendo però un comportamento più posato del mio.

Grande, sto passando per una rozza scaricatrice di porto quando lui invece è così elegante!

Possibile che io non riesca a comportarmi un minimo normalmente?

Mi sistemo maglio e, per sbaglio, urto con il ginocchio la borsa che finisce per terra facendo scivolare fuori tutti i quaderni e i libri.

«Oh andiamo!» esclamo infastidita, sono sul serio un disastro!

Mi abbasso per cercare di raccogliere il tutto quando sento un “plof”. Mi viene la pelle d'oca.

Non. Ci. Posso. Credere.

Le due palline di gelato sono cadute a terra, un po' sopra il quaderno di appunti e un po' sul terriccio, si stanno sciogliendo in fretta creando una macchia che si allarga a vista d'occhio.

«Cristo!» questa volta urlo. Non è possibile che io sia così fottutamente sfortunata! Nell'arco di un'ora ne ho combinate di tutti i colori.

Mi viene da piangere dalla rabbia e dal fastidio, sento le lacrime riempire pericolosamente i miei occhi. So benissimo di sembrare una bambina piccola che fa i capricci, ma non è giusto!

Mattia ha appoggiato la coppetta sulla panchina e si è chinato per raccogliere le mie cose, pulisce il quaderno con un fazzoletto e poi infila il tutto di nuovo dentro la borsa.

«Aspettami qui» dice alzandosi, «Vado a prendertene un altro!» mi sorride e si incammina velocemente verso l'uscita del parco.

Quando ritorna, cinque minuti dopo, ha in mano un cono che mi porge subito mentre prende posto accanto a me, lo ringrazio e non posso evitare di pensare che abbia lasciato sciogliere quasi del tutto il suo gelato per andare a prenderne un altro per me.

«Posso aiutarti io» dice dopo aver mangiato un po' del liquido dalla coppetta.

Lo guardo confusa. Aiutarmi in cosa?

«Per l'esame dico, posso aiutarti io se vuoi.» mi spiega sorridendo.

Oh.

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Capitolo 4
*** p r o p o s t a ; ***


 

Faccio finta di pensarci un po' su ma, in realtà, la mia risposta è subito pronta ad uscire dalla mia bocca.

«Sarebbe fantastico, grazie mille!» esclamo sorridendogli, “mi salveresti proprio la vita” penso tra me e me. Questa sua proposta è proprio una manna dal cielo, allora ogni tanto qualcosa di buono capita anche a me!

«Figurati, non è un problema. Dante è il mio autore preferito, mi fa piacere ripeterlo e se posso essere d'aiuto ancora meglio!»

In questo momento lo adoro.

«Se domani pomeriggio sei libera potremmo trovarci in biblioteca per iniziare a ripassare.» mi sorride felice, è evidente che ciò che mi ha detto prima è vero.

Annuisco mentre prendo un pacchetto di fazzoletti dalla borsa, per finire di mangiare il gelato ormai del tutto sciolto si è sporcato tutto, e glielo passo.

Meno male che non sono solo io a combinare pasticci.

Parliamo per un’altra ora abbondante, mi racconta di come a lezione fosse l’unico realmente interessato a Dante, del suo grande amore per la scrittura e del fatto che fosse considerato “strano” da tutti per le sue passioni.

Più ci passo del tempo insieme più mi rendo conto che, alla fine, non siamo così diversi io e lui. Entrambi siamo visti con un occhio critico dagli altri, siamo tutti e due un po’ isolati dal resto del mondo.

«Allora confermato per domani alle due?» mi chiede sistemandosi la borsa sulla spalla.

«Certo, stesso tavolo di oggi.» lo saluto con la mano mentre si incammina verso l’uscita opposta rispetto a quella da cui siamo entrati prima. Faccio lo stesso avviandomi verso casa con un sorriso stampato in faccia.

 

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Raccolgo in fretta i libri e il quaderno dal tavolo del salotto, non controllo nemmeno se ne ho presi in più, e li infilo velocemente dentro alla borsa. Apro in fretta il portone dell’appartamento e esco senza salutare mio padre che sta bevendo il suo caffè post pranzo, scendo le scale facendo a due a due gli scalini in marmo pregando di non finire a terra di faccia.

Sono maledettamente in ritardo, mancano meno di cinque minuti all’orario del nostro incontro e la biblioteca dista un quarto d’ora abbondante da casa mia.

Maledizione!

Procedo a passo svelto sul marciapiede, schivando le varie radici sporgenti e zigzagando tra i passanti che sembrano avanzare lentamente come delle lumache, ormai l’unica soluzione per non fare troppo tardi è prendere il bus.

«Mi scusi!» quasi urlo alla vecchietta che ho urtato, rischiando di farla cadere, l’autobus è appena arrivato alla fermata, se mi sbrigo posso farcela.

Non faccio in tempo a pensare. Nell’esatto istante in cui le porte del bus si stanno chiudendo metto male il piede e inciampo cadendo rovinosamente a terra. Fortunatamente sono riuscita ad evitare di spappolarmi di faccia ma le mie mani sono tutte graffiate e iniziano a sanguinare un po’.

Mannaggia a me e alla mia sbadataggine!

Vorrei sotterrarmi. Ci sono cinque persone che mi stanno fissando e, posso scommetterlo, stanno sghignazzando di me. Nessuno che venga a darmi una mano, nessuno che si preoccupi di accertarsi che io stia bene.

Mi rialzo lentamente e raccolgo la borsa, prendo subito un fazzoletto per pulirmi le mani e mi avvio verso la biblioteca a piedi. Non so se Mattia sarà ancora là ad aspettarmi quando arriverò, mi fanno male le ginocchia e sto trattenendo a stento le lacrime dal nervoso. Non posso nemmeno avvisarlo perché nessuno dei due ha pensato che, forse, fosse una buona idea scambiarsi i numeri di telefono.

Decido di fermarmi un attimo alla prima fontana che trovo per sciacquarmi le mani ancora leggermente sporche. Qui vicino c’è il parco in cui ci siamo fermati a mangiare il gelato ieri, non manca molto alla mia meta per fortuna.

L’orologio che indica l’ora sull’insegna di una farmacia segna le 14:18. Ormai sono rassegnata all’idea di studiare da sola, sicuramente si sarà spazientito e se ne sarà andato a passare in modo più produttivo il suo pomeriggio.

Sistemo i capelli in una coda alta mentre attraverso le porte scorrevoli che portano all’atrio della biblioteca, buona parte degli armadietti sono già pieni, c’è più gente del previsto.

Lascio la borsa all’interno del mobiletto n. 249, recupero i libri, il quaderno e il piccolo astuccio verde, che contiene lo stretto necessario per prendere appunti, e, dopo aver chiuso a chiave, mi avvio verso l’aula studio.

Una volta davanti alla porta di vetro do un’occhiata veloce tra i tavoli per vedere se è ancora seduto ad aspettarmi ma non c’è nessuno.

Stupida io che ci ho sperato fino alla fine di riconoscere la sua folta chioma riccia tra tutte quelle teste chine sui libri per studiare.

Uffa.

Abbasso la maniglia e spingo per entrare nell’aula, sarò fortunata se trovo un posto libero, mi guardo intorno alla ricerca di qualche tavolo ancora disponibile muovendomi lungo il corridoio.

«Ehi!» qualcuno sta parlando dalla porta che dà sul giardino della biblioteca.

 

Da quanto tempo era che non aggiornavo più questa storia? Troppo.
Chissà se vi ricordate ancora di Camilla e Mattia... Spero proprio di sì!
Fatemi sapere cosa ne pensate e, se arriverete a leggere fino a qui, vi ringrazio con tutto il cuore.

_MyHeadIsAnAnimal_

 

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