Quando principi e dei erano matricole

di Steno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** Intermezzo 1 ***
Capitolo 7: *** 5. ***
Capitolo 8: *** 6. ***
Capitolo 9: *** 7. ***
Capitolo 10: *** 8. ***
Capitolo 11: *** 9. ***
Capitolo 12: *** 10. ***
Capitolo 13: *** 11. ***
Capitolo 14: *** Intermezzo 2 ***
Capitolo 15: *** 12. ***
Capitolo 16: *** 13. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 
Prologo
 
1.Ylva
2.Ageh Corion

Fissava quei nomi già da cinque minuti, ma ormai non li vedeva neanche più.

Era cosciente che intorno a lui la folla di matricole rumoreggiava commentando i risultati dei test d’ingresso, ma non li sentiva.

Il suono assordante del suo cuore aveva sommerso tutto.

Gli sembrava di avere inghiottito un grosso blocco di ghiaccio che gli si era depositato in fondo allo stomaco gelandogli i sensi.

Improvvisamente le parole urlategli contro da suo padre il giorno che aveva lasciato la sua casa per trasferirsi all’università gli rimbombarono nella testa:
“Magia? Cosa conti di fare con una laurea in magia? Non potevi unirti all’esercito come i tuoi fratelli?”

Quel giorno non si era neanche voltato, quelle parole velenose erano scivolate sulla sua armatura fatta di silenzio e sopportazione.

La sua mente era già in viaggio verso la splendida Plaurani, la capitale del vicino regno di Arve, sede di tutte le università più prestigiose e indiscusso epicentro della cultura.

Si vedeva passeggiare fra i candidi palazzi con gli altri studiosi. Essere ammesso nella facoltà di magia dove sarebbe stato senza dubbio il migliore e finalmente tutti lo avrebbero apprezzato.

E invece era arrivato secondo.

Dopo anni di fiducia incrollabile e allenamento continuo una ragazza lo aveva superato. Non che avesse qualcosa contro le donne, per il suo popolo non esistevano disparità fra generi.

Semplicemente non credeva che una donna potesse essere più potente di lui; non credeva che nessuno potesse essere più potente di lui.

Camminando del tutto perso in questi pensieri si lasciò trascinare dalla folla verso l’imponente anfiteatro che rappresentava il cuore della facoltà di magia.

Sulle scalinate già li attendevano gli studenti più grandi. Secondo la tradizione alle matricole erano riservate le gradinate più alte, così ebbe modo di osservare passivamente gli studenti più avanti negli studi.
Il corso di laurea era diviso fra il primo anno in cui venivano studiate più o meno tutte le materie, il secondo anno di specializzazione e infine un anno di pratica sul campo.
Infatti le prime gradinate erano quasi vuote.
Al centro, proprio sotto il culmine del lucernario che copriva tutta la sala c’era un podio, momentaneamente vuoto e subito dietro una fila di sedili per gli insegnanti e gli ospiti illustri.

“Benvenuti!”

La voce veniva da dietro e ci fu un leggero trambusto mentre l’intera sala si voltava.

Lungo tutta la parete correva una balconata che inizialmente non aveva notato. Proprio da lì una figura con un aderente completo bianco scintillante e un mantello a collo alto chiuso con un fermaglio, sorrideva loro bonariamente.

Si capiva a prima vista che non apparteneva alla razza umana. Brillava leggermente; doveva essere un esponente della prima famiglia della razza magica.

La loro capitale, Ianti era situata all’interno della Foresta Notturna e si narrava che la loro luminescenza fosse dovuta alla linfa degli alberi magici, la loro principale fonte di nutrimento.

Fra tutte le sette famiglie magiche erano la più misteriosa, anche perché l’accesso alla loro città era consentito solo ‘su invito’, per così dire, ed era raro vederli all’esterno della Foresta.

“Ricordate per sempre questo glorioso giorno in cui vi unite a noi, perché da oggi la vostra vita cambierà. Non importa da dove venite, importa solo dove state andando e la magia sarà la vostra più fedele compagna da qui in avanti” giusto… erano pomposi fino alla noia.

Intanto l’essere aveva raccolto le mani in grembo sorridendo e improvvisamente dispiegò due grandi ali semitrasparenti.

Ageh sapeva che tutti gli esponenti della razza magica avevano le ali, ma vederlo dal vivo era del tutto diverso. Come tutti ora le fissava a bocca aperta, sembravano pronte a dissolversi al primo soffio d’aria ma quando la creatura contrasse le spalle lo sollevarono in aria senza problemi.

Con la grazia di un ballerino volò sopra le loro teste atterrando sul podio.

Le ali che ora erano in piena luce mandavano mille riflessi sulle pareti. Sembravano incastonate di minuscoli diamanti.

“Ancora benvenuti, la magia non sarà sicuramente la materia più facile del mondo, ma vi invito a non arrendervi. Ad ognuno di voi è stato assegnato un compagno, in base al vostro posto in graduatoria, così che il vostro livello sia simile e possiate avere un sicuro sostegno in questo lungo viaggio che vi attende”

Lui continuò a parlare ma ad Ageh non arrivò neanche una parola.

-Compagno…assegnato secondo il posto in graduatoria…-

Si alzò con gli altri e attraversò l’atrio a passo di carica, ai lati erano allineati diversi cerchi magici che conducevano agli altri edifici. Imboccò quello indicato sul suo biglietto senza neanche rallentare.

L’assegnazione delle camere seguiva lo stesso criterio dei posti nell’anfiteatro quindi alle matricole erano riservati i piani più bassi e vicini all’ingresso della torre-dormitorio.

La sua stanza era ovviamente la prima del corridoio, solo una volta arrivato davanti all’uscio si bloccò.

Al di là della porta c’era probabilmente quella Ylva.

Nessuno gli aveva parlato di gruppi.
Sapeva che prima o poi avrebbe incontrato colei che lo aveva sconfitto senza neanche conoscerlo. Solo non pensava sarebbe successo quello stesso giorno, né tantomeno che ci avrebbe dovuto collaborare.

Posò la mano sulla superficie fredda che lo separava dal suo destino e quella scomparve.

L’ambiente che gli parava davanti era molto più lussuoso di quanto aveva immaginato.
Un ampio salotto si stendeva fino ad un’enorme finestra che occupava tutto il muro di fronte la porta, sotto il quale un divano basso quasi spariva inghiottito da un grosso mucchio di cuscini color mattone.
Altri due divani posti uno di fronte all’altro ai lati di un basso tavolino occupavano il centro della stanza; avevano un’aria terribilmente morbida. Ageh li fissò disorientato, la sua casa era interamente decorata con lo stile spartano che tanto piaceva al suo popolo. Non gli capitava spesso di usare la parola ‘morbido’ in generale.

Lungo i lati si aprivano due porte, sembrava che per lo meno avessero avuto la decenza di riservare una camera personale sia per lui che per Ylva.

Giusto: Ylva.

La ragazza non si vedeva da nessuna parte. Con il senno di poi, forse dipendeva dal fatto che dopo l’assemblea si era praticamene precipitato fuori, era impossibile che fosse arrivata prima di lui.

Un crepitio gli annunciò la sparizione della porta e l’arrivo di qualcuno.

Il suo istinto guerriero che di solito se ne stava tranquillo in un angolino si agitò all’idea di essersi fatto sorprendere alle spalle. Dalla stessa persona che l’aveva già messo in ridicolo agli esami.

S’impose la calma.

Doveva mettere in chiaro da subito che non era lì per fare amicizia ma per primeggiare.

“Ageh Corion?  Ciao io sono Ylva! Che nome luuuungo che hai… Ti chiamerò Aggie!”

‘Aggie’ si voltò di scatto quasi cadendo.

In piedi di fronte a lui con un sorriso a trentadue denti e una mano alzata a mo’ di saluto stava Ylva.

E non era una donna.
 

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Capitolo 2
*** 1. ***


 
1.

“Aggie…”

-Ignoralo! –

“AAAAAAggie!”

-Non deconcentrarti! Pensa solo a ricordarti l’elenco degli incantesimi base-

“AAAAAAAAAAggieeeeeeeeeee!”

“COSA C’È?” urlò, voltandosi.

Ylva perse l’equilibrio, cadendo dai talloni dove si stava dondolando e rotolò sul pavimento.

Si trovavano nello spazio comune della loro stanza dove Ageh (Aggie) Corion sperava inutilmente di poter studiare in pace.

Inizialmente era andato tutto bene: seduto in terra davanti al tavolino e circondato dalle diverse pile di libri che aveva preso in prestito dalla biblioteca, era riuscito a schematizzare in modo semplice e intuitivo le prime lezioni di magia.

Poi si era svegliato il suo compagno di stanza.

Era raro vederlo in piedi prima dell’ora di pranzo, soprattutto nel loro giorno libero. Sembrava incapace di combinare qualunque cosa se non dormiva almeno dieci ore.

Con il tempo aveva stilato una lista di cose che non sopportava: al primo posto c’era la sua brutta abitudine di girare in pigiama. Per lo meno poteva metterselo un pigiama. Invece sembrava sempre che il sonno lo avesse colto all’improvviso mentre si toglieva i vestiti.
Problema a cui ovviamente non si sognava di rimediare prima di uscire da camera sua.

Quando si alzava, rigorosamente mezzo svestito, iniziava il suo inferno personale.

A partire dai dolci.

Ageh non aveva idea di come se li procurasse, ma ogni giorno usciva dalla sua stanza con un dolce e cercava di convincerlo ad assaggiarlo. Quel giorno gli aveva appoggiato davanti una pila di ‘cosi’ (non avrebbe saputo come definirli altrimenti) dalla forma ovale grossi quanto un pugno e del tutto viola.
Secondo Ylva erano un dolce tipico di Powa il regno delle feste e degli eccessi.

Erano sorprendentemente buoni, ma Ageh non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

“Aggie!” esclamò l’altro ragazzo rimettendosi a sedere come se nulla fosse “Mi hai risposto, ora mi devi ascoltare!”

La seconda cosa che detestava, ma prima in ordine d’importanza, era quel ridicolo soprannome!

“Ylva” cercò di mantenere la calma con un notevole sforzo “Te l’ho già detto, il mio nome è Ageh Corion. Ageh, la g è dura e soprattutto non chiamarmi Aggie!”

“Certo, certo” disse agitando in aria una mano, come per accantonare fisicamente l’argomento “Senti ieri ho trovato un cucciolo, posso tenerlo?”

Ageh che già stava per rincarare la dose si fermò con un dito alzato:
“Come?”

“Un cucciolo! Ho pensato che un musone come te ha bisogno di tutto l’affetto possibile e cosa meglio di un cucciolo? Aspetta vado a prendertelo!”

“Asp…” rimase bloccato con una mano protesa nella direzione in cui era sparito.

Questa era la terza cosa che davvero lo irritava: molte volte gli sembrava di parlare da solo. Elencava le sue ragioni, spiegava le cose secondo una logica inoppugnabile e Ylva lo ascoltava. Per poi ignorarlo e continuare secondo il suo personale copione.

Come osava ignorarlo?

Era ancora per metà in ginocchio a riflettere sul suo orgoglio ferito quando Ylva ricomparve.

Preso dalle sue elucubrazioni non alzò subito gli occhi.

Grosso errore.

Una fiammata gli arrivò a pochi centimetri dal naso facendolo cadere all’indietro contro uno dei divani.

Con il cuore in gola e il respiro affannato, l’urlo successivo non gli riuscì virile quanto suonava nella sua testa:
“Cosa è quello?” anche Ylva sembrò sorpreso dell’acuto e per un attimo lo fissò senza parole, poi si morse con violenza il labbro per non ridere.

Fortunatamente l’affarino che teneva in braccio impedì un omicidio iniziando a dimenarsi finché Ylva non lo posò sul pavimento.
Il corpo in se era piccolo, ma fra il collo allungato e la coda, lunga quasi quanto tutto il resto messo insieme, arrivava circa ad un metro e mezzo. Ma a colpire Ageh furono soprattutto le ali.

“Un drago? Ci vuoi fare espellere? Dove lo hai preso? Anzi, no non dirmelo, riportacelo e basta”

Ylva gli sventolò un dito sotto il naso con un sorriso furbo, mentre l’esserino esplorava la stanza, inciampando a volte sulle ali che si trascinava dietro come un mantello.

“Sapevo che lo avresti detto! Così ho già pensato a tutto, ecco l’autorizzazione”

Ageh gli strappò il foglio di mano leggendo in fretta.

“Approfondimento pratico al livello sperimentale? E che vorrebbe dire?”

“E che ne so? Ma sembra che i paroloni piacciano ai professori e quello di Speciologia non ha esitato a firmare quando gliel’ho proposto”

“Si chiama Studio delle Caratteristiche Evolutive delle Diverse Specie”

“Troppo lungo! Perché non ti piace Speciologia? Suona!”

“L’unico suonato qui sei tu! Cosa sta facendo ora?” il piccolo drago aveva incontrato un grosso cuscino sulla sua strada e dopo un paio di tentativi falliti era riuscito a salirci sopra. Ora tastava dubbioso la superficie cedevole.

“Non ne ho la minima idea” rispose candidamente lo svitato in carica.

“Vai a prendermi il libro di Speciologia, corri!”

“L’hai detto! L’hai detto!” canticchiò felice saltellando fino alla sua camera per tornare con un grosso tomo.

Ageh glielo prese con rabbia dalle mani, indeciso se aveva il tempo per strangolarlo, ma rimandò ad un momento più tranquillo.

Appoggiò il libro a mezz’aria dove la sua magia lo bloccò comodamente aperto come se si trovasse su un leggio.
“Draghi!” ordinò alle pagine con voce perentoria e quelle si spalancarono sul capitolo richiesto.

Con Ylva appollaiato su una spalla scorse in fretta le righe osservando il cucciolo più volte: ora girava su se stesso annusando saltuariamente il cuscino.

“Credo stia facendo il nido”

Le dita del altro ragazzo gli si aggrapparono ad un braccio.

“Ma quello è il mio cuscino preferito!”

Con un po’ di vergogna Ageh si rese conto che era meschino provare soddisfazione per una sciocchezza simile, eppure non riuscì a trattenersi.
“Hai voluto tu un approfondimento pratico al livello sperimentale, no?”

“Ma a me quel cuscino piace taaaanto”

La quarta cosa che non sopportava del carattere di Ylva era il contatto fisico superfluo, quell’idiota sembrava non poter fare a meno di punzecchiarlo mentre studiava o mentre erano a lezione.

In quel momento stava strattonando il suo braccio destro avanti e indietro mentre si lamentava.

Si riappropriò del suo arto strappandolo alle grinfie di quell’uragano che il fato gli aveva rifilato:
“Va bene! Ora smettila! Cambierò un altro cuscino con la magia, per farlo uguale a quello, contento?”

Gli occhi di Ylva brillarono:
“Davvero? Posso averlo blu, anzi no verde! Con un drago sopra, adesso che ne abbiamo uno potremmo decorare la stanza a tema…”
Sopraffatto da quel fiume di parole si passò una mano sugli occhi.

Quel giorno sarebbe stato impossibile studiare ulteriormente.

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Capitolo 3
*** 2. ***


2.

Ageh sedeva a gambe incrociate di fronte al suo compagno di stanza fissandolo negli occhi.

Non riusciva mai a distinguere le occasioni in cui Ylva si prendeva gioco di lui da quelle, rare (molto rare), in cui era serio. A questo proposito aveva elaborato una statistica e una linea d’azione consigliata: dal momento che il novanta per cento delle volte il biondo scherzava aveva arbitrariamente deciso di prestargli attenzione solo una volta su dieci e poi decidere in base alle circostanze.

Quella era una numero dieci.

Ma non poteva essere serio.

“Tu…vuoi…consigli sulle ragazze…da me?”

“Ma certo!” risposta immediata targata Ylva.

Ageh si allargò il collo della maglia, sentiva un insolito calore sulle guance. Non era imbarazzato e non faceva particolarmente caldo.

Anzi sembrava una sensazione piacevole.

Gli era così poco familiare che ci mise un po’ a capire di che si trattava.

Era lusingato.

E un po’ incredulo.

“Davvero?” Ageh veniva da una società di guerrieri, forza e abilità nel combattimento erano considerate attraenti, non certo il talento per la magia. Non poteva certo dire di dover tenere a bada le ragazze. Anche perché queste ultime molte volte erano meglio addestrate e forti quanto gli uomini.

“Ma certo tu sei il mio più migliorissimo amico, a chi dovrei chiederlo?”

Il sopracciglio di Ageh ebbe un piccolo spasmo incontrollabile.

“Ylva ti ricordi quel discorso sui superlativi assoluti usati a caso…”

“Non saprei, ad un certo punto mi sono addormentato”

Era inutile, una battaglia persa.

“Ti prego Aggie, tu sei la persona più intelligente che conosco”

Per qualche strano motivo quella che era sicuramente la persona più stupida che avesse mai incontrato, era anche l’unico che sembrava aver colto il suo punto debole.
Quello stesso stupido che ora cercava di fargli tenerezza sporgendo il labbro inferiore e sbattendo le ciglia. Persino il piccolo drago Gavril sbuffò disgustato.

“Eddaaaaaaaaaaaaiiiiiiiiiiiiiiiiii!”

“Va bene, va bene! Adesso smettila però”

Schivò un tentativo di abbraccio bloccandogli i polsi a metà strada e lo rimise a sedere.

“Ok, ho letto al riguardo” Ylva si dispose all’ascolto come un bimbo davanti ad una favola bevendosi ogni sua parola “Sembra che non ci sia un approccio standard che funzioni con tutte le ragazze. Al contrario, la maggior parte dei manuali sembra dare consigli generici come: sii te stesso e l’importante è accettarsi. L’idea che mi sono fatto quindi, conducendo uno studio a campione sulle più famose storie d’amore è che, in campo sentimentale, le ragazze sono molto più sveglie dei maschi!” concluse annuendo convinto.

Ylva lo guardava pieno di meraviglia:
“Mi stai dicendo di chiedere aiuto a una femmina?” per poco Ageh non si tramortì colpendosi la fronte con una mano.

Dopo un attimo di disorientamento il suo sguardo cadde sulla causa di tutti i suoi mali:
“Ti sto dicendo che l’unica che ti può dire se hai speranze è la ragazza che ti piace! Non so se te l’hanno mai fatto presente: ma sei un libro aperto! Probabilmente si è già accorta da chissà quanto tempo che le vai dietro, le hai mai parlato?”

Ylva avvampò all’istante.

“Certo che no!”

“Come immaginavo; lascia la seduzione ai donnaioli consumati, penso che la tua unica possibilità sia cercare di parlare con lei! Se, come penso, ha già capito tutto, non ti rimane che interpretare le sue reazioni”

Ylva si fece pensieroso e Ageh attese, sapeva per esperienza che quell’espressione voleva dire domande in arrivo.

“Quindi dovei parlarle di una cosa qualsiasi e…” corrugò la fronte sforzandosi “Poi non sono sicuro di aver capito”

“Se le parli potremo analizzare le sue risposte e capire se voleva essere carina con te o se rischi di andare in contro ad un rifiuto”

Ylva sbatté gli occhi sorpreso.

“Aggie sei un genio!”

Ageh stavolta non riuscì a impedire la catastrofe: Ylva gli planò addosso a braccia aperte e lo rovesciò all’indietro soffocandolo.

 
°°°

Com’era prevedibile se n’era già pentito.

Dopo che Ylva aveva messo in ridicolo le sue maledizioni, annullandole distrattamente, lo aveva afferrato per un polso e trascinandolo per corridoi, cerchi magici e saloni affollati di studenti allibiti. Si era fermato nel giardino posteriore con aria affannata e gli aveva intimato di aspettare lì perché aveva bisogno del suo ‘Supporto morale’.

Ageh da una parte, sotto una montagna di furia omicida spolverata di odio profondo, era curioso. Ylva era una testa all’aria, quale ragazza poteva averlo messo in una tale agitazione.

Il giardino a quell’ora del pomeriggio era all’ombra del palazzo principale. Era un luogo piacevole, decorato con piante esotiche e panchine in pietra.

Diversi studenti si aggiravano conversando o si mostravano immersi nello studio di qualche grosso tomo.

Una banda di esibizionisti. Perché mai studiare all’aperto, incastrato in qualche contorta posizione semisdraiata contro il tronco di un albero quando tutti avevano una confortevolissima camera e la biblioteca era fornita di larghi tavoli e una riserva infinita di quaderni per gli appunti?

Pieno di sdegno finalmente si rese conto che Ylva aveva puntato una ragazza intenta a disegnare un fiore tipico dei regni al di là dell’oceano.

Un brivido gli attraversò la schiena.

Con il senno di poi forse se lo sarebbe dovuto aspettare.

Quell’incosciente aveva una cotta per Frenuh!

Una ragazza dalla pelle completamente nera e i lunghissimi capelli lilla intrecciati in un complesso sistema di trecce.

Ed era anche l’unico esponente della razza demoniaca che avesse mai calcato il suolo della città universitaria.

Anche da quella distanza riuscì a vedere le lunghe orecchie a punta di lei, che spuntavano orizzontalmente dalla massa dei capelli, tremare quando avvertirono dei passi decisi in avvicinamento.

Gli occhi azzurri che sembravano contraddistinguere l’intera razza si puntarono su Ylva quando si fermò davanti a lei.

Ovviamente non sentiva la conversazione ma poteva sempre interpretare le reazioni: per ora Ylva si era seduto e non sembrava sul punto di essere fulminato.

Peccato. Un’altra occasione sfumata.

Una parte della sua mente registrò che anche altri occupanti del giardino stavano furtivamente sbirciando la coppia.

Forse era perché era occupato a contare gli impiccioni che un suono improvviso lo colse del tutto alla sprovvista.

Una risata cristallina si diffuse nell’aria.

Lentamente riportò la sua attenzione sui due esitante.

Frenuh rideva poco regalmente tenendosi i fianchi mentre Ylva la guardava del tutto incantato.

Si scambiarono ancora un paio di battute fra gli sguardi ormai apertamente curiosi della platea, poi si alzarono.

Con un momento di ritardo Ageh si rese conto che si dirigevano verso di lui.

Un momento di ritardo fatale.

Si guardò intorno in preda al panico in cerca di una via di fuga, ma ormai aveva guadagnato la completa attenzione del pubblico.

In un altro luogo e in un altro tempo avrebbe potuto dire che si sentiva come un cerbiatto davanti ai fari di un camion, ma sfortunatamente tutto quello che gli uscì davanti a quelle due paia di occhi sorridenti fu:
“Ah-Ehm”

“Aggie!”

“Non ch…”

“Ma che cosa carina vi chiamate per soprannome!” Frenuh gli porse una mano e lui guardò le sue cinque falangi nere dalle unghie perfettamente curate come se non sapesse che farci.

“Ho… sbagliato qualcosa? Non si fa così con gli umani?” chiese esitante la ragazza.

“Ma sì, è solo timido…” Ylva gli batté sulla spalla con fare bonario.

“Io non sono timido!” gli abbaiò di rimando.

“Che carino è arrossito!” Frenuh rise coprendosi la bocca delicatamente con il dorso della mano.

Era troppo non poteva reggere un attacco su due fronti.

Ritirata strategica! Subito!

“Oh, quella è l’espressione di panico! Avevi ragione sgrana gli occhi in modo buffissimo!”

Il commento della ragazza penetrò lo stato confusionale dei pensieri di Ageh.

“Ylva…di cosa stavate parlando prima?” chiese con un tono improvvisamente neutro.

Una qualsiasi persona normale avrebbe colto il cambiamento di atmosfera.

Infatti Ylva lo ignorò totalmente.

“Tu hai detto che le dovevo chiedere a lei se le piacevo! Poi le ho spiegato che era stata una tua idea e le ho fatto una tua imitazione!” sembrava estremamente orgoglioso di se.

La furia omicida tornò più potente che mai.

Ageh gonfiò il petto pronto a esplodere ma fu interrotto prima che potesse finalmente far ingoiare una palla di fuoco piena d’affetto al suo ‘migliorissimo’ amico.

“La faccia arrabbiata! È uguale! Ylva sei incredibile!” adesso Frenuh rideva apertamente.

Intorno a loro il mormorio era gradualmente salito di tono: i presunti studiosi si erano raccolti in gruppi e commentavano la scena indicando apertamente.

Ma c’era almeno una persona sul quel pianeta che lo prendesse sul serio?

“Sai Frenuh, questo è niente, se m’impegno riesco anche a imitarlo quando canta sotto la doccia!”

Al diavolo la magia, lo avrebbe strangolato a mani nude!

“Ylvaaaaaaaaaaaa!”
 
 

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Capitolo 4
*** 3. ***


3.

Ageh si coprì gli occhi con un braccio.

Era stanco.

Più stanco di quanto era mai stato.

Ma non al livello fisico.

Era più una questione di stanchezza mentale.

Aveva preso l’abitudine, dopo le lezioni della mattina, di chiudersi in una delle mille sale d’addestramento nel sottosuolo della facoltà e si esercitava per ore fino a cena.
Dopo essere risalito in camera si seppelliva nel ripasso e nell’approfondimento degli argomenti che stuzzicavano il suo interesse.
Era di mesi avanti sul programma, ma non poteva mollare.

Si trascinò stancamente fuori dalle coperte lanciando un’occhiata alla finestra alla sinistra del letto: nuvoloni grigi oscuravano il cielo fino all’orizzonte preannunciando una lunga giornata di pioggia.
Detestava il brutto tempo, gli ricordava con raccapriccio quando ancora lo obbligavano a partecipare all’addestramento militare e lo facevano marciare per ore sotto l’acqua gelida.

Un brivido lo accompagnò mentre scendeva i due gradini che separavano il grosso letto dal resto della stanza.

Passò oltre la scrivania che quasi spariva sotto la mole dei suoi libri e dei suoi appunti.

Quasi andò a sbattere contro la porta del bagno, stava dormendo in piedi, aveva bisogno di una doccia.

L’acqua gelida lo colse di sorpresa, dovevano esserci problemi con la caldaia. Scocciato agitò una mano contro il sifone finché un cerchio di rune magiche apparve intorno al getto modificandone la temperatura.

Almeno aveva raggiunto il suo scopo. Si sentiva ancora stanco ma era sveglio.

Uscì dalla doccia e si ritrovò a fissare il suo riflesso.

I capelli castani ora gli arrivavano quasi alle spalle. A casa sua era inconcepibile una lunghezza simile, da piccolo gli rasavano la testa regolarmente.
Adesso, potendo scegliere, si era fatto crescere i capelli con una certa soddisfazione, ma iniziavano a dargli fastidio, non ci era abituato. 

Forse poteva legarli.

Per il momento si limitò ad asciugarli con un incantesimo.

Vestito solo di un asciugamano entrò nella piccola stanza guardaroba sulla destra del bagno. Non aveva moltissimi vestiti, ma era restio a comprarne altri, non aveva mai avuto molto gusto nel vestire e non aveva certo bisogno di presentarsi elegante a cena.

Infine optò per un paio di morbidi pantaloni e una maglia lunga fino a mezza coscia come andava di moda a Plaurani.

Pescò un laccetto di cuoio da un cassetto e provò a farsi un piccolo codino.

Era del tutto impegnato in questa occupazione quando attraversò la porta che lo separava dallo spazio comune.

Rimase impalato sulla soglia, con il laccio in bocca e le mani dietro la testa.

Per chissà quale congiunzione astrale il suo compagno di stanza si era svegliato ad un orario decente e ora fissava con aria orgogliosa un paio di pennelli giganti che stavano dipingendo il soffitto di arancione. I muri adesso sfoggiavano un intenso azzurro cielo e davanti ai suoi piedi c’era un improbabile zerbino a sua volta arancione che recava, ricamata in rosso carminio, la scritta:

-Buongiorno Aggie!

“Buongiorno Aggie!” Ylva lo salutò sbracciandosi, come se non fossero ad appena due metri di distanza “Ti piace? Questo posto è tutto così dannatamente bianco e noioso che ho deciso di portare un po’ di colore in camera nostra!”

Cercando di assorbire la scena si trovò a scambiarsi uno sguardo con il piccolo Gavril; ora il povero draghetto, nero come il carbone, aveva un assurdo fiocco rosa intorno al collo e sedeva moggio moggio sul suo cuscino.

“Abbiamo anche gli zerbini personalizzati!” stava continuando Ylva indicando il suo che ovviamente recava la scritta:

-Buongiorno Ylva!

Guardò Ageh pieno di aspettativa; quest’ultimo si trovò a pensare per l’ennesima volta che se avesse avuto la coda avrebbe scodinzolato.

Non ce la poteva fare.

Richiuse la porta e la sigillò.

Salì i due gradini e si buttò a braccia aperte sul letto.

Se ne sarebbe preoccupato il giorno dopo.
 

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Capitolo 5
*** 4. ***


4.

In genere le persone associano alla parola ‘refettorio’ l’immagine di un vasto stanzone, invaso da tavoli rettangolari, la cui lunghezza e disposizione per quanto varia rimane molto geometrica.

Il refettorio della facoltà di magia a Plaurani non era così.

Intanto metà della sala era all’aperto: il soffitto a cupola copriva solo metà dell’ambiente, il quale si apriva in uno splendido giardino.

Come per qualunque altro edificio vi si accedeva tramite un cerchio magico posizionato su una piattaforma sopraelevata nella parte chiusa; una scalinata a muro conduceva elegantemente alla prima zona dei tavoli, tutti rigorosamente tondi.

Il primo giorno Ageh aveva scoperto con sorpresa che ogni tavolo aveva un suo piccolo buffet e che erano divisi in zone per rendere giustizia alla tradizione culinaria di tutti i regni.

Volendo poteva mangiare piatti tipici di Pozu tutti i giorni.

Un bel modo per alleviare la nostalgia.

Se avesse avuto nostalgia.

In realtà ogni giorno sceglieva il suo posto in base ad un unico fattore: che fosse diametralmente opposto al tavolo di Ylva.

Sospirando osservò il suo compagno di stanza attraversare la sala con quell’esercito di sbandati che aveva raccolto in giro per la facoltà, praticamente si sentivano solo loro in sala, ma la cosa non sembrava turbarli.

“Quanto sono…vivaci” mormorò una voce delicata alla sua sinistra.

Ageh ci mise un attimo a rendersi conto che stavano parlando con lui. Si voltò e rimase un attimo incantato: due splendidi occhi verdi sottolineati da un mare di lentiggini lo sbirciavano quasi nascosti da una massa di capelli color mogano che alla luce splendevano di lievi riflessi ramati.

Sotto quell’esame attento le gote della ragazza si coprirono di un adorabile velo di rossore; con una risatina imbarazzata si portò i capelli dietro un orecchio spezzando la trance di Ageh.

“Ehm…”

Non dire niente di stupido!

Gli urlò la sua coscienza.

“Sì…sono sempre molto attivi…”

Complimenti hai carisma di un libro di testo ma almeno non ti è uscita quella voce in falsetto che fa tanto ridere Ylva.

A dispetto della sua voce interiore la ragazza sorrise:
“Sai, devo confessarti che è una scusa, è un po’ che volevo parlarti”

Lei. Voleva. Parlare. Con. Te… Adesso le ho viste tutte!

In quei momenti Ageh faticava a non urlare contro se stesso ad alta voce.

“Ne sono lusingato” riuscì a mettere insieme “Mi volevi chiedere qualcosa?”

Wow parlate già da un paio di minuti e ancora non balbetti, bravo Aggie!

Perché la voce nella sua testa adesso assomigliava a quella di Ylva?

“Non esattamente, sai io mi chiamo Mellia, sono al terzo posto nella classifica”

Ageh si complimentò con se stesso per non essere rimasto a bocca aperta; per tutte quelle settimane era stato così assorbito dalla competizione (del tutto unilaterale) con Ylva da dimenticarsi che c’erano anche altri concorrenti in gara.

“Complimenti” esordì in tono neutrale, adesso davvero non capiva dove volesse andare a parare.

“Grazie. Ecco, mi chiedevo se dopo le lezioni qualche volta ti andrebbe di studiare insieme… Purtroppo non vado molto d’accordo con il mio compagno di studi e mi piacerebbe davvero moltissimo stare in coppia con te”

Quel moltissimo, sottolineato con passo avanti e un sorriso quasi lo stordì.

Mi correggo: ORA le ho viste tutte!

Ma Ageh non gli dava retta.

Nella sua testa si vedeva già dopo un allenamento faticoso mentre lei gli porgeva un asciugamano sorridendo, dopo le lezioni sarebbero usciti insieme dalla classe, le avrebbe raccontato del suo difficile passato e lei lo avrebbe ascoltato comprensiva, una sera poi l’avrebbe condotta in città e sulla terrazza panoramica da cui si vedeva il mare, le si sarebbe avvicinato e…

Disgustoso!

Ageh scosse leggermente la testa mettendo a tacere le voci indesiderate.
Lui e Mellia sarebbero stati una coppia perfetta: potenti e intelligentissimi avrebbero avuto dei figli a loro volta eccezionali e con lei al suo fianco sarebbe rientrato nella casa paterna a testa alta.

Wow, e io che credevo fossero le ragazze a farsi i viaggi mentali… adesso che farai andrai a scrivere il suo nome sul tuo diario segreto in una nuvola di cuoricini?

Lei lo guardava ancora con il suo splendido sorriso sul volto:
“Sai mi chiedevo una cosa” chinò pudicamente lo sguardo e Ageh si dovette trattenere violentemente dal lanciare un urletto estasiato “Ti posso chiamare per nome…”

“Ma certo!” la interruppe, poteva chiamarlo come voleva per quanto lo riguardava.

“…Ylva” concluse lei.

“Eh?”

Oh oh! Dieci e lode alla sceneggiatura, temevo quasi di essere in una commediola romantica! Manca solo una persona a questo punto.

“Aggie!” la voce squillante di Ylva, che stavolta (sfortunatamente) non era frutto della sua immaginazione, ebbe lo stesso effetto di un cubetto di ghiaccio nella camicia, interrompendoli sul più bello “Ho trovato un nuovo dolce! Frenuh dice che è tipico del suo popolo, lo devi provare assolutamente! Sa di pollo!” il biondo gli stava correndo in contro sventolando una specie di piccolo panino, inciampò nei suoi piedi, fece una capriola acrobatica in avanti e atterò alzando le braccia raccogliendo applausi e risate dai tavoli vicini.

Ageh si schiantò una mano sulla fronte.

“Oddio non quell’idiota!” il commento carico di una cattiveria gratuita che straripava da tutte le parti lo fece voltare così fretta che si fece male al collo.

Mellia guardava il biondo, ancora intento a pavoneggiarsi in mezzo alla sala, con un tale disgusto nello sguardo che sembrava un’altra persona:
“Ma chi diavolo lo ha fatto entrare in questa facoltà, deve essere un raccomandato…”

Ageh fece un passo indietro sconvolto:
“A…anche lui è fra i primi posti…”

La ragazza si voltò verso di lui con aria di sufficienza.

“Raccomandato! Come ti dicevo se no come altro avrebbe potuto…” si fermò a metà della sua invettiva sbattendo le palpebre come colta da un’improvvisa illuminazione.

Illuminazione che non fece in tempo a condividere perché Yvaraonda piombò tra loro ancora con il panino sospetto in mano.

“Hai visto che ho fatto Aggie? Sono stato bravo? Sembravo un acrobata? Andiamo al circo una volta? Una volta ho conosciuto un giocoliere!”

Sopraffatto come al solito Ageh non riuscì a fare altro che guardarlo a bocca aperta spostando lo sguardo da lui a Mellia.
L’espressione di quest’ultima in particolare un po’ lo preoccupava, passava velocemente da stupita ad infuriata ad quella che sembrava la più fredda calcolatrice.
La mente razionale del povero Ageh non era pronta per affrontare una persona del genere; niente nella sua breve vita lo aveva preparato: il suo popolo era pieno di difetti ma si trattava di gente fondamentalmente semplice, era abituato a leggere chi lo circondava come un libro aperto e ad essere il più intelligente in ogni occasione.

Navigava ancora nella confusione più assoluta, masticando chissà per quale ragione un panino dolce che lasciava uno strano retrogusto di pollo quando infine Mellia parlò:
“Come hai potuto?”

La sua voce tremava, come le sue labbra; pareva sul punto di piangere.

I due ragazzi la guardarono esterrefatti:
“Come hai potuto fingere di essere Ylva per ingannarmi!” i suoi occhi erano addirittura lucidi “Io volevo solo, provare a parlare al ragazzo che ammiravo tanto, perché hai dovuto farlo? Non ti bastava essere quasi in cima alla classifica? Dovevi anche prenderti gioco di me?”

Consiglio una fuga strategica, questa tipa inizia a spaventarmi.

Effettivamente Ageh iniziava a sentire una spiacevole sensazione infondo allo stomaco, la scena aveva attirato l’attenzione e sentiva già le persone nei dintorni bisbigliare.
Il suo sguardo corse ad Ylva che stava fermo con la testa china e le spalle leggermente reclinate.

“Ageh” il diretto interessato sobbalzò al suono del suo nome pronunciato senza storpiature e accompagnato da un tono serio che non credeva avrebbe mai sentito usare a Ylva “Chi è questa ragazza?”

La sensazione nel suo stomaco assomigliava ormai terribilmente alla paura, iniziò a sentire sudore freddo formarsi sulla schiena e la gola improvvisamente sembrava secca quanto un deserto.

“Si chiama Mellia, lei…”

Mellia” Ylva mormorò il nome come assaggiandolo poi alzò gli occhi inchiodandola sul posto “Sai una cosa Mellia…” c’era qualcosa di strano in come pronunciava ogni singola sillaba calcandola “I demoni hanno dei sensi molto sviluppati!” concluse con tono divertito inarcando le sopracciglia.

La ragazza corrugò la fronte senza capire:
“Eh?”

Ad Ageh sarebbe piaciuto poter dire che aveva avuto pietà di Mellia e che la compativa per il guaio in cui si era messa, invece si limitò a gongolare come uno scemo alla vista di Frenuh con le braccia incrociate intenta a sbattere impazientemente il piede a terra giusto dietro l’altra ragazza.

Sarebbe stato bello poter dire di essere misericordiosamente corso in aiuto della ragazza, quando dopo aver notato Frenuh aveva cacciato un urlo non molto elegante e aveva finto uno svenimento.

Sarebbe stato carino poter dire che non aveva sorriso quando la povera Mellia resasi conto che nessuno accorreva a salvarla riapriva gli occhi da sola per poi arrabbiarsi e cercare di maledire Ylva.

Sarebbe stato fantastico poter dire che non aveva riso apertamente quando quest’ultimo aveva afferrato la maledizione con una mano e l’aveva trasformata in un mazzo di fiori.

Invece quando infine Mellia era scappata dalla sala, questa volta davvero in lacrime, ormai era accasciato contro la parete tenendosi i fianchi.

“Aggie?” attraverso le lacrime intravide Ylva con il sorriso da -buffonata in arrivo - che aveva imparato a temere “Questi sono per te!”

Gli offrì i fiori cadendo in ginocchio fra le risate generali.

Beh…almeno lui ti ha portato dei fiori…

Doveva aver offeso personalmente qualche Dio, non c’era altra spiegazione.

 

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Capitolo 6
*** Intermezzo 1 ***


Intermezzo 1

Steno: “Salve ragazzi, in attesa di un nuovo capitolo, sentiamo: cosa vi piacerebbe fare?”
Ageh: "Ci sono! Ylva decide improvvisamente di tornare da dove è venuto e sparisce per sempre. Così io divento il protagonista assoluto nonché il primo del mio corso di laurea!"
Ylva: "Facci diventare due detective e dobbiamo risolvere un caso: perché il preside si veste da donna? Altrimenti posso trovare un unicorno o improvvisamente Ageh diventa..."
Ageh: "Non azzardati a terminare la frase!"

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Capitolo 7
*** 5. ***


 
5.


Ageh Corion secondo migliore allievo del suo anno alla facoltà di magia di Plaurani, capitale del regno di Arve imboccò stancamente il corridoio.

Quel giorno si ritrovò ad apprezzare la sua bravura per un motivo del tutto nuovo.
Dal momento che le camere venivano assegnate in base al posto in graduatoria la sua era la prima del corridoio e in quel momento davvero non aveva la forza di fare un altro passo.
Stava tornando da un intenso allenamento, aveva le spalle a pezzi e l’incantesimo palla di fuoco gli aveva lasciato un fastidioso formicolio alle mani.

La porta scomparve davanti a lui e cercò di tirare dritto verso la sua camera ignorando il centro della stanza: non aveva la fantasia di socializzare.

“Ciao Aggie!” ovviamente questo non valeva per Ylva.

“Ciao Aggie!” e Frenuh la sua ragazza.

“Guwaaaaaaaaa” e Gavril il loro drago, lui era parzialmente innocente: era ancora un cucciolo.

“Ciao Aggie!”

Ageh si fermò a qualche passo dall’agognata meta. Primo errore.

Si voltò lentamente verso il tavolo. Secondo errore.

“E lui chi è?” indicò con un gesto deciso il ragazzo alto e mingherlino dai capelli neri striati di bianco. Errore fatale.

“Nren!” esclamò Ylva come se questo spiegasse tutto. 

“Ylva…” Ageh cercò di mantenere la calma, ormai era dolorosamente conscio che l’orecchio di Ylva non percepiva neanche le sue urla “Non eravamo d’accordo di non invitare sconosciuti in camera?”

“Si certo! Ma lui non è uno sconosciuto, è Nren!”

Ageh si strinse la radice del naso.

“Sto aspettando una spiegazione!”

 “È un elementale dell’aria!” aggiunse Frenuh.

Quando si erano messi insieme Ageh aveva sperato, per un breve e illusorio periodo che avrebbe costretto Ylva a mettere la testa a posto o che almeno lui avrebbe preferito tormentato lei.

Che illuso.
I due sembravano ragionare alla stessa maniera e sfortunatamente invece di annullarsi a vicenda si moltiplicavano.
Fortuna che la sua razionalità aveva subito optato per rivedere il protocollo standard anti-Ylva rinominandolo: ‘Come sopravvivere alla reazione Ylva/Frenuh’.
  1. Domande dirette e concise, se c’è una possibilità che fraintendano sicuramente lo faranno.
“Cosa ci fa un elementale dell’aria in camera nostra?”

Ylva saltò in piedi come una molla:
“È perché è un elementare dell’aria ovviamente!” guardò Ageh colmo di aspettativa e questi lo ricompensò con un sopracciglio inarcato “Ma come Ageh, non capisci? Lui è un elementare d’aria! Aria! Vola!” sbatté le braccia a titolo dimostrativo.

“Ecco…” Nren provò a dire qualcosa ma ormai era tardi.

“Gavril ha ormai diversi mesi, deve imparare a volare!”

“Veramente io…” Ageh osservò con l’ombra di un sorriso comprensivo i miseri tentativi del nuovo arrivato d’interrompere quel fomentato dai capelli biondi. Vista da fuori era una scena divertente.

“Avrei potuto chiedere a una creatura magica qualsiasi, sai hanno le ali! Però quando ho conosciuto lui ho pensato che era semplicemente perfetto! Dai: una creatura d’aria con le ali! Sono un genio!” incrociò le braccia annuendo compiaciuto.

“IO NON SO VOLARE!”

Ageh si appoggiò alla parete per godersi la scena, tanto ormai niente avrebbe potuto stupirlo.

Ylva sgranò gli occhi così tanto che per un attimo temette gli sarebbero caduti. Si voltò di scatto verso Nren ma fu investito da una spiegazione semigridata a velocità accelerata, probabilmente temeva di essere interrotto di nuovo.

“Quando ero piccolo non mi sono cresciute subito le ali così mi vergognavo e non sono andato alle lezioni di volo, poi quando mi sono cresciute è stato ancora peggio! Infine i miei genitori si sono stufati e mi hanno spinto giù dalla rupe del villaggio. In qualche modo sono arrivato a terra fluttuando, così ho scopeto il mio talento innato per la magia…sfortunatamente ho scoperto anche un’altra cosa: soffro tremendamente di vertigini…” il tono era andato decrescendo fino a spegnersi con un bisbiglio.

I silenzio calò sulla stanza, interrotto solo dal piccolo Gavril intento a rincorrersi la coda intorno al suo cuscino.

Ageh si morse l’interno della guancia per non scoppiare a ridere come un Ylva qualunque, sarebbe uscito tremendamente dal personaggio.
Il vero Ylva invece era di spalle, stranamente silenzioso. Un altro errore fu di non capire che era la calma prima della tempesta.

“Perfetto!” esclamò ad alta voce.

Ageh, con il peso poggiato su una gamba sola e l’altra piegata contro il muro, per poco non rischiò di franare a terra. Anche Nren e Frenuh sembravano piuttosto perplessi.

“Allora vorrà dire che ci rivolgeremo ad un esperto! Qualcuno che sa tutto di ogni cosa!” schioccò le dita indicando Ageh che ora si reggeva al muro con una mano.

“Cosa?”

“Alla terrazza!"

Ylva batté le mani e svanirono in uno sbuffo.

La ‘terrazza’ era l’estremità piana dell’altissimo edificio principale. Non era chiusa agli studenti, ma in genere non ci andava mai nessuno.
E il motivo era facilmente intuibile.

“Questo vento è fantastico!” urlò Frenuh con le braccia alzate e i capelli lilla che frustavano l’aria alle sue spalle.

“Ylva riportaci indietro!” urlò Ageh cercando di raggiungere con la voce l’invasato che correva per il terrazzo tenendo alzato Gavril.

“Non ti sembra già di volare?” gridò ‘l’invasato’ all’animale che per tutta risposta provò a sputare fuoco ma il vento fortissimo lo disperse in un attimo.

“Moriremo tutti!” piagnucolò Nren abbracciato ad una gamba di Frenuh.

“Adesso basta!” Ageh trattenne il respiro allargando le mani e il vento cessò. Ora una barriera sferica di una lieve sfumatura viola-azzurrina circondava la cima del palazzo a diversi metri dal bordo del tetto. A grandi passi raggiunse Ylva che stava mettendo Gavril a terra e lo afferrò per il colletto portandolo al suo livello.

“Posso sapere perché pensi che io sappia come si fa a volare?”

“Non lo sai?”

“Ho letto qualcosa ma…”

“Visto che ti dicevo, Ageh non delude mai!” esclamò rivolto a Frenuh liberandosi.

No! Non i complimenti…

“Hai ragione siamo fortunati ad averlo come amico”

No! Non i complimenti da una ragazza così carina…

Sentì un fastidioso pizzicore alle guance e si voltò bruscamente per troncare quella conversazione.

“Tu!” il mucchietto tremante noto come Nren sobbalzò “Voglio vedere le tue ali!”

“Veramente preferirei…”

“Ali! Ora!”

Nren si coprì il volto con le mani e con un lieve fruscio dispiegò le ali.

“Oh…”  

Era davvero uno spettacolo singolare, due grandi ali simili a quelle di una farfalla ma grandi quasi due metri ora si allargavano alle spalle del ragazzo e risplendevano nelle sfumature del rosa pastello alla luce del sole pomeridiano.

“Sei di razza mista” commentò Frenuh accarezzandogli maternamente la testa.
Il povero ragazzo annuì a senza alzare la testa imbarazzatissimo.

Ylva tirò una manica ad Ageh e questi sospirò capendo al volo:
“Di razza mista vuol dire che i suoi genitori appartengono a due diverse famiglie della razza magica, in questo caso i figli ereditano la razza del padre e le ali della madre. Il tuo amico è un elementare d’aria ma sua madre appartiene alla terza famiglia, coloro che discendono dagli animali”

“Avanti non è così terribile” Frenuh provava a consolare un imbarazzatissimo Nren con piccole pacche sulla spalla, avrebbe funzionato meglio se le parole non fossero state accompagnate da risatine maltrattenute.

“Per favore, posso andare?”

“Non esiste!” Ylva bocciò senza appello la preghiera del povero elementale “Tocca a te Ageh!”

Ormai rassegnato al suo destino Ageh raccolse Nren per un braccio e lo tirò in piedi, allungò l’altra mano a Gavril che non esitò a saltargli in braccio, poi s’incamminò alla volta del bordo trascinandosi dietro il ragazzo tremante.
Dal tetto si vedeva buona parte della città, la presenza delle varie facoltà caratterizzava fortemente i quartieri che le ospitavano. Quello che poteva sembrare un tripudio di caos e stili architettonici provenienti da tutto il mondo, agli occhi di Ageh era una delle più grande conquiste dell’era moderna.

“E adesso?” immune a quello spettacolo Ylva quasi saltellava da un piede all’altro in preda all’impazienza “Come si fa a volare? Devono sentire i muscoli sulla schiena? Gli farai fare degli esercizi?”

Ageh pensò un attimo alla risposta, con il tempo aveva imparato a dare spiegazioni molto semplici, anche perché la soglia d’attenzione di Ylva non era solo bassa; era inesistente.

“Vedete: in realtà le ali delle creature magiche sono del tutto inadatte al volo” Nren trasalì visibilmente “È la magia a fare la differenza: secondo studi recenti la magia del volo e le ali in se sono due elementi indispensabili per librarsi in aria. Per questo i maghi umani non volano”

“E quindi?” Frenuh si era comodamente drappeggiata un braccio di Ylva intorno alle spalle e ora lo guardavano entrambi con aria confusa.

“Quello che voglio dire…” prese un respiro “È che non c’è nulla da imparare”

Con queste parole spinse tranquillamente Nren giù dal tetto, ignorando il suo urlo terrorizzato sollevò Gavril con entrambe le braccia.

Ylva e Frenuh, per una volta senza parole, erano accucciati a terra e si sporgevano di sotto.

“Aggie…lo sai che l’omicidio è un reato vero?”

“Gwua?”

Con la massima calma, Ageh lasciò andare anche il drago e in unico movimento afferrò il colletto di Ylva che, impulsivamente, si era buttato a riprenderlo.
Era una sensazione curiosa quella che gli si agitava nel petto, in genere era in balia delle azioni di Ylva ma, per una volta, era proprio il biondo che lo fissava a bocca aperta senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto.

L’urlo ininterrotto di Nren che precipitava cessò improvvisamente e il silenzio calò su di loro denso come la melassa.

Ylva sobbalzò senza riuscire a voltarsi verso il vuoto.
 
Il che fu un vero peccato; perché si perse la figura che sfrecciò davanti a loro puntando al cielo aperto.
Superata la cima del palazzo Nren riprese a urlare, stavolta di giubilo.
Quasi contemporaneamente il piccolo Gavril riatterrò sul tetto, dal modo in cui sporgeva il petto si sarebbe detto che era fiero di sé.

“Tu lo sapevi!” quella di Ylva suonò come un’accusa “Sapevi che avrebbero volato!”

“Credimi Ylva, se mi fossi dato all’assassinio a sangue freddo la mia prima vittima sarebbe stata un’altra” rispose Ageh con un inquietante sorriso battendogli una mano sulla spalla.
 
 

 

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Capitolo 8
*** 6. ***


6.

Ageh si appoggiò comodamente contro lo schienale imbottito; i tenui raggi del sole pomeridiano inondavano la stanza evidenziando le volute di fumo, che si arricciavano sopra la tazza di tè. Il piacevole odore di cannella aveva completamente invaso l’aria e, grazie ad un incantesimo apposito, l’ambiente era completamente isolato dai rumori esterni.
Gavril dormiva placidamente sul suo cuscino godendosi il tepore.
Ylva quella mattina era uscito di corsa, neanche fosse inseguito da un Ageh infuriato, non aveva idea di dove fosse andato ma da allora non si era più visto né sentito.
Era tutto semplicemente perfetto.
Senza neanche preoccuparsi di vestirsi Ageh aveva studiato con piacere tutta la mattina, avvolto nella sua vestaglia preferita; dopo un pranzo leggero consumato in camera, era finalmente riuscito nell’incantesimo con cui combatteva da settimane e infine programmava di leggere un interessante saggio sul design dei cerchi magici trovato in biblioteca.
Si era meritato una pausa e per l’occasione aveva aperto una confezione di tè importata dal regno di Nere. Ageh era sempre stato una persona poco attaccata ai piaceri materiali della vita, ma tutti i suoi scetticismi svanivano davanti ad una tazza di tè caldo.

Niente era come il tè.

In pace con il mondo sollevò la tazzina, aspirando a fondo l’aroma intenso; era talmente rilassato che si ritrovò ad apprezzare la sensazione della ceramica finissima sotto le dita, aveva dovuto nascondere quel servizio proveniente da Pozu per il terrore che Ylva lo distruggesse o peggio che lo usasse.

Fece per poggiare le labbra sul bordo quando un colpo al petto lo lasciò senza fiato, aveva l’impressione che qualcosa lo avesse afferrato e lo stesse strattonando via; i colori dell’ambiente si mescolarono in una macchia confusa, ma Ageh non ci fece neanche caso. I suoi occhi seguirono con terrore crescente la tazzina che precipitava spargendo liquido ambrato ovunque.

Il panico gli aveva svuotato la mente e non riusciva a formulare niente che assomigliasse ad un incantesimo di blocco, né tanto meno ad allungare le dita.

Poi improvvisamente il vortice di colori si fermò e un’altra mano si materializzò dal nulla e afferrando l’oggettino al volo.

Ageh lasciò andare di colpo il respiro e fece finalmente per recuperarla, ma il tè bollente che aveva vagato a mezz’aria durante lo spostamento ricadde sulla mano salvatrice scottandola. Le dita si ritrassero accompagnate da un lamento e la sua preziosa tazzina s’infranse sul selciato.

Con il braccio ancora proteso in avanti Ageh fissò inorridito i frantumi di ceramica schizzare ovunque mentre un grido si faceva largo nella sua gola:

“Nooooo!”

Completamente svuotato dall’acuto, si rese finalmente conto dell’aria fredda che gli soffiava sul volto e di un sospetto mormorio, misto a risatine, che lo circondava.
Una lama di freddo terrore si fece largo nel suo petto: non c’era selciato in camera sua, anzi quella testa vuota di Ylva aveva preteso di colorare tutte e sei le pareti di lilla perché si era stufato di arancione e celeste…ma le mattonelle ai suoi piedi erano grigio chiaro.

Alzò lentamente gli occhi per incontrare quelli del suo odiato compagno di stanza.

La faccia di Ylva era una maschera di dolore mentre si soffiava sulle dita ustionate; la parte più oscura e vendicativa della sua anima archiviò quell’immagine nella memoria a lungo termine con una certa dose di soddisfazione.

Poi notò i capelli di Ylva.

“Cos’è quella roba?” fra le ciocche bionde facevano capolino un secondo paio di orecchie, che somigliavano inquietantemente a quelle di un gatto bianco.

Ylva sbatté le palpebre stringendo al petto la mano lesa:
“Non sono adorabili?” riuscì a dire asciugandosi una lacrima e accennando un mezzo sorriso.

“Ylva, perché ti sei fatto spuntare due orecchie da gatto? Hai finalmente deciso di lasciare la razza umana e andare a tormentare il regno animale?” considerando chi era il suo interlocutore era un’ipotesi più che probabile.

“Ma no! Sei sempre il solito simpaticone” gli disse con una leggera spallata amichevole.

Ageh si ritrasse inorridito ma ovviamente il biondo ignorò la cosa.

“Guarda: è una cosa chiamata cerchietto” si sfilò dai capelli un piccolo arco di ferro molto sottile a cui erano fissate quelle strane orecchie “Si mette fra i capelli per trarli indietro”

“So cos’è un cerchietto!” sbottò Ageh “Ma è una cosa da femmine, te l’hanno spiegato questo?”

“Certo! È perfetto non trovi?” glielo sventolò sotto il naso sorridendo soddisfatto.

Ageh si prese un attimo per formulare la domanda cercando di non essere offensivo, poi si ricordò che non sopportava Ylva e andò dritto al punto:
“Hai deciso di iniziare a vestirti da donna? Perché non ti fai consigliare da Frenuh? Anche se non so quanto possa piacerle questa novità…”

Ylva scoppiò a ridere apparentemente senza motivo, come al solito quindi, tutto regolare.

“Credi che starei bene? Magari potrei provarmi un vestito, che dici mi donano le tonalità calde o è meglio se vado sull’azzurro?”

“Non saprei, ma in ogni caso ti consiglio un vestito lungo, le tue ginocchia spigolose non ingannerebbero nessuno” Ageh quasi iniziava a divertirsi, chissà che diamine passava per la testa a quell’imbecille.

“Non insultare le mie ginocchia! Sono un tratto di famiglia e credimi mio padre potrebbe prenderla sul personale” Ylva sembrava del tutto calato in quella farsa.

“Perché anche lui ha provato a mettersi un vestito?”

Vide Ylva sgranare gli occhi in preda quello che sembrava quasi terrore, se non fosse che Ageh non lo riteneva in grado di provare un sentimento del genere. Gli fece segno di tacere e si guardò intorno con aria atterrita.

“Ssshh! Non gli dare certe idee! Che se poi lo becca mia madre è la fine!”

Ageh lo guardò sconcertato:
“Ma non può certo sentirci…no?” da una parte era anche incuriosito, gli era capitato di chiedersi che razza di genitori potevano generare un mago così potente.

“Non si può mai sapere…” sembrava essersi un po’ calmato.

“Ma tuo padre è un mago?”

“Sì, si può dire così. Penso che prenderò questo, credi che a Frenuh piacerà?”

Non importava se erano mesi che lo conosceva, quei bruschi cambi di argomento continuavano a disorientarlo:
“Frenuh?”

“È per il suo compleanno! Sai che i demoni non festeggiano, quindi questa sarà la sua prima festa e volevo essere sicuro di farle un regalo carino” aveva un sorriso quasi tenero, ma Ageh aveva ben altro per la testa.

“Scusa quand’è il compleanno di Frenuh?” un orribile sospetto stava prendendo forma.

“Adesso!” rispose Ylva come se nulla fosse “Pago questo e andiamo” porse una banconota alla ragazza dietro la bancarella e Ageh improvvisamente registrò l’ambiente circostante.

Sembrava la piazza di un mercato: i passanti camminavano lentamente fra le bancarelle osservando merci di ogni tipo. Di quando in quando qualcuno gettava loro un’occhiata ma nella confusione passavano praticamente inosservati.

Sopra di loro imponenti edifici pesantemente carichi di decorazioni e intarsi in oro si stagliavano contro il cielo, pieni di guglie e doccioni dalle forme più assurde.
“Ylva…posso sapere dove siamo?” afferrò un braccio all’interpellato colto da una vertigine improvvisa.

Questi lo ricambiò con uno sguardo innocente:
“A Inashari perché?”
“Inashari? Il più grande snodo commerciale del regno di Powa?”

“Certo, non credo ce ne siano altre, Nren mi ha detto che non c’è un mercato più grande di questo”

“E come ci siamo arrivati?”

Ylva gli agitò le dita davanti agli occhi e gli bisbigliò con aria cospiratoria:
“Magia…”

“Non è questo che…”

“La tua tazzina!” lo interruppe il biondo, spingendogliela in mano.

“Cosa?” in qualche modo era nuovamente intatta, rimaneva solo il mistero di come Ylva avesse potuto rimettere insieme una tale quantità di frammenti in appena un battito di ciglia.

Del tutto sopraffatto, Ageh a momenti soffocò per l’ennesimo strattone mozzafiato.

Terrorizzato strinse le dita intorno al suo piccolo tesoro per non farselo sfuggire di nuovo mentre i colori si mischiarono nuovamente.

Aveva ancora delle macchie davanti agli occhi quando un grido felice lo investì in pieno:
“Ylva!” Frenuh saltò in braccio al suo ragazzo baciandolo rumorosamente.

Per Ageh effusioni simili in pubblico erano pressoché impensabili, ma ovviamente la sua opinione non poteva importare di meno a quei due, più di una volta li aveva scacciati a suon di fulmini dal salottino della loro stanza per il loro comportamento indecente.
Spostò lo sguardo disgustato e si rese conto che la stanza era abbastanza affollata, c’erano molti ragazzi del loro corso e anche molti di altre facoltà.

E lui era in vestaglia.

“Un sorso di idromele fatato?” gli propose un cameriere sorridente, ma che avevano tutti da ridere?

Afferrò direttamente la bottiglia e marciò verso i divani in fondo alla sala deciso a dimenticarsi di quel pomeriggio.

 
°°°°°
Nella stanza ormai buia Gavril si stiracchiò con uno sbadiglio.

Il suo padrone e l’altro strano animale dal pelo biondo erano spariti nel nulla.

Con quella che poteva sembrare una scrollata di spalle si riacciambellò nuovamente riprendendo a dormire.


 

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Capitolo 9
*** 7. ***


Vi rubo solo un momento.
Forse avrete notato il leggero innalzamento del ranting ma, come dice la guida galattica per autostoppisti: don't panic. La virtù del nostro povero Ageh è salva :P
Volevo rivolgere un ringraziamento in particolare a Chelibe per tutti i complimenti, l'incoraggiamento  la tenacia nel commentare ogni singolo capitolo. Sappi che le tue attente osservazioni e i tuoi consigli mi stanno aiutando a migliorare; almeno spero. Cerchrò di non deluderti.


 
7.

Frenuh aveva molte qualità. Era brillante e sapeva divertirsi, la sua intelligenza non le impediva di seguire Ylva nelle sue follie. Era in grado di andare d’accordo con tutti, interi corsi di laura a Plaurani erano rimasti affascinati dal suo sorriso e dalla sua arguzia. E poi era bellissima, al di là di ogni ragionevole dubbio e della sua specie.

Ylva più di una volta era rimasto incantato dai suoi capelli: lei gli aveva spiegato che per la razza demonica la cura dell’acconciatura aveva un’importanza simbolica quasi impossibile da spiegare. Tutti i demoni mettevano un’attenzione maniacale nel sistemarsi i capelli, che venivano portati rigorosamente lunghi da tutti.
Una volta gli aveva confessato che trovava il suo taglio corto quasi un sacrilegio; anche se il colore le piaceva moltissimo: per la sua specie il biondo era una tonalità impossibile. La ragazza adorava passargli le dita fra le ciocche e guardare il contrasto fra il colore chiaro e la sua pelle nerissima.

Era stato per quel motivo che Ylva aveva iniziato a farsi crescere i capelli.

Anche in quel momento, mentre la teneva stretta a se e ondeggiavano lentamente a tempo con la musica, una mano di Frenuh gli accarezzava lentamente la nuca distraendolo piacevolmente.

L’ampia sala sotto Aggar, la città dei demoni era interamente scavata nella roccia, gli interventi sull’ambiente erano stati ridotti al minimo e le pareti irregolari, da una certa altezza, presentavano sporgenze e stalattiti. Infiniti rocciacristalli dai diversi colori rischiaravano l’ambiente con i loro riflessi.

Il profumo di lei quasi lo stordiva: dolce ma con una nota di aspro.

Fino a qualche tempo non credeva possibile affezionarsi a qualcuno a tal punto. Sentiva che sarebbe uscito di testa se avesse passato troppo tempo lontano da lei.

“Ylva” era così perso che ci mise un secondo a rendersi conto che lo aveva chiamato “Grazie per avermi costretto ad organizzare questa festa” gli occhi della ragazza raccolsero ciò che li circondava con un’occhiata sognante “Non pensavo che si potesse essere così felici” il suo tono si era abbassato e il cuore del ragazzo si strinse quando notò che aveva gli occhi lucidi.

Prima di rendersene conto si era abbassato ad incontrare le sue labbra; la strinse a se mentre lei si aggrappava alle sue spalle sorridendo nel bacio.
Sui baci avevano dovuto lavorare un po’; erano entrambi privi di esperienza e Ageh li aveva cacciati con parole irripetibili quando gli avevano chiesto consiglio. Però ne era valsa la pena.

Frenuh si tirò indietro con un sorriso splendente come il sole:
“Ti amo” gli sussurrò dandogli il colpo di grazia, non glielo diceva spesso perché secondo la sua cultura solamente le cose rare sono davvero preziose, ma questo dava a quei momenti un sapore davvero unico.

Intorno a loro si era sollevato un coro di fischi e Frenuh si nascose imbarazzata contro la sua spalla.

Fu allora che si rese conto che qualcosa non andava.

“Ehm, Frenuh?”

“Sì?”

“Credo che Ageh non stia bene”

La ragazza si voltò a seguire il suo sguardo.

Il suo posatissimo compagno di stanza era seduto davanti al fratello maggiore di Frenuh, Zetnuh, un demone alto dai folti capelli rigorosamente lilla raccolti in una grossa treccia fatta di treccine più piccole, e ad un leggermente stordito Nren.
Sembravano impegnati in una qualche specie di sfida.

Il trio era circondato da un discreto gruppetto esaltato.

“Ali!” proclamò Ageh fissando Nren che sbatté gli occhi. La folla riprese la parola alzando un coro del tutto scoordinato.

L’elementale si alzò rischiando di cadere e sollevò le braccia per quietare il i suoi tifosi. Annuì a chissà chi con gli occhi mezzi chiusi e improvvisamente le sue sgargianti ali rosa si spalancarono accompagnate da un boato entusiasta. Gli passarono un bicchiere di idromele che scolò versandosene addosso buona parte.

Il ragazzo si appoggiò al tavolo con una mano chinandosi verso Zetnuh, sembrava fare fatica a metterlo a fuoco.

“Capelli scolti!” intimò ad un punto alla destra del suo interlocutore, poi si voltò verso il vero demone e si corresse “Volevo dire; sciolti! Tutti e due!” il suo dito accusatore indicò un paio di volte Zetnuh e lo spazio vuoto fra le risate generali.

Il demone si alzò di scatto rischiando di precipitare all’indietro ma fu prontamente sorretto e rimesso in piedi, afferrò la treccia convinto e iniziò a strattonarla con aria confusa:
“Stupidi laccio, arrenditi alla mia volontà superiore!” continuava ad ondeggiare pericolosamente, infine ebbe la meglio sul nodo e la miriade di treccine ricadde a cascata sulle sue ampie spalle.

Il pubblico esultò e anche lui si scolò in un fiato il suo bicchiere d’idromele fatato.

L’attenzione dei due sfidanti in piedi si catalizzò su Ageh che, appoggiata la guancia ad una mano, sembrava sul punto di cadere dal tavolo.

“Verdi!” tuonò Zetnuh sbattendo una mano sul tavolo e svegliandolo di soprassalto “Falli verdi!” ripeté gesticolando in direzione dei suoi capelli “Usa le tue diavolerie magiche!”

Il disorientato Ageh sembrò riprendersi di colpo a questa frase.

“Magia!” esclamò “Io la so la magia!” saltò in piedi anche lui puntando un dito al cielo e per un attimo non accadde nulla.

“Ylva, forse dovresti fermarlo” ma Frenuh non fece in tempo a finire la frase che un lampo li accecò tutti.

Quando le macchie di colore svanirono Ageh sfoggiava un brillantissimo verde smeraldo al posto dell’usuale castano.
Qualcuno riempì la sua inseparabile tazzina di liquore, ma prima che potesse portarla alla bocca Ylva gliela strappò di mano passandola a Frenuh.

“La mia tazzina!” piagnucolò il ragazzo accasciandosi sul biondo nel tentativo di raggiungerla “È la mia tazzina!” insisté agitandosi nella stretta dell’amico.

“Si è proprio la tua tazzina” gli confermò Ylva “Adesso perché non ti vieni a mettere a letto?”

“No! Non sono stanco!” cercò di sfuggire alla presa del biondo “Stavo vincendo!”

Ylva lanciò un’occhiata agli altri due concorrenti: Zetnuh si era comodamente acciambellato sotto il tavolo e dormiva della grossa, Nren volteggiava fra le travi del soffitto cantando una canticchiando in rima.

“Posso farli anche più verdi!” continuò Ageh alzando nuovamente il dito.

“No!” Ylva gli abbassò il braccio con decisione “Per stasera basta!” lo fissò negli occhi intensamente e mormorò con un filo di magia per aiutare l’ipnosi “Tu non userai più la magia finché non lo dirò io”

Ageh ricambiò lo sguardo improvvisamente serio.

“Ylva?” la sua voce sembrava nuovamente ferma.

“Si?”

“Hai degli occhi bellissimi” con un sorriso idiota Ageh gli buttò le braccia al collo “Perché non balliamo?”

Ylva si guardò interdetto con Frenuh che non tratteneva più le risatine.

“Con Frenuh hai ballato tutta la sera, anche io voglio ballare!”

“Aggie per me andrebbe anche bene, ma ho idea che domani te ne pentiresti” Ylva fece mente locale, non era abituato a essere quello ragionevole, lui era quello che provava a congelare un uovo sodo per vedere se tornava crudo (storia vera).
Fortunatamente c’era Frenuh a salvarlo.

“Aggie” gli disse con quel tono di voce in falsetto che si usa con i bambini “Ti ricordi di me?”

Ageh ci riflettè:
“Sei la bellissima ragazza dello scemo! Anche io voglio una ragazza bellissima!”

Frenuh gli sorrise con tenerezza:
“Proprio così sono la ragazza dello scemo” Ylva aprì la bocca per obiettare ma fu fermato da un gesto deciso di lei “Proprio per questo non puoi ballare con Ylva, poi sarei gelosa, capisci?”

“Oh…” in qualche modo il ragionamento sembrò quietare Ageh che cercò di rimettersi dritto e si rivolse al biondo “Mi dispiace! Tra noi non può funzionare!” sentenziò per poi voltarsi malfermo sulle gambe.

“Aggie” lo chiamò ancora Frenuh “Sai che oggi è il mio compleanno?”

Ageh gli sorrise acchiappandosi al tavolo per stare dritto:
“Auguri!” disse giulivo.

“Grazie caro! Dato che è il mio compleanno devi fare tutto quello che dico io, no?”

“Mi sembra giusto” annuì convinto.

“Quindi se io voglio che vai a letto lo farai?”

“Ma io non sono stanco!”

Frenuh scosse energicamente la testa:
“Ma non è per dormire!” disse come se fosse un’ovvietà “Dobbiamo giocare a nascondino: ci andiamo a nascondere di là mentre Ylva conta, che ne pensi?”

“Ma Ylva sa contare?” chiese serissimo avviandosi appoggiato a lei.

“Si si,” ho controllato personalmente. Frenuh gli strizzò l’occhio da sopra la spalla e si allontanarono lentamente.

“Ciao Ylva! Noi ci nascondiamo di là!” lo salutò Ageh e l’interpellato alzò la mano in risposta.

Gli altri due fratelli di Frenuh, Cugiah e Jenuleh, stavano recuperando Zetnuh da sotto il tavolo. Nren già da qualche minuto si era appollaiato sopra uno sperone roccioso, a giudicare dal russare non si sarebbe svegliato presto. Anche il resto della sala si stava lentamente svuotando.

Frenuh tornò da lui abbracciandolo:
“Andiamo anche noi?” gli sussurrò in un orecchio, mandando una cascata di brividi lungo la sua schiena “Non ti ho ancora fatto vedere la mia stanza…”

 
°°°°°°°°°°

A svegliare Ageh fu una fastidiosa sensazione di freddo ad un piede. Scocciato lo tirò sotto la coperta.
Aveva un leggero mal di testa e un sapore schifoso in bocca. Avrebbe dormito volentieri un altro paio d’ore…anche tre. Si girò cercando di riaddormentarsi, ma ormai il suo cervello si era messo in moto e una parte della sua coscienza lo stava già assillando con il trattato sulla Foresta Notturna lasciato a metà. In qualche modo era convinto che fosse colpa di Ylva.

Era sempre colpa di Ylva.

Infine si rassegnò a svegliarsi. Gli sembrava di avere le palpebre incollate insieme. Aprire gli occhi era sempre stavo così difficile?

Ancora con la vista annebbiata si mise a sedere. Nella stanza regnava il buio quindi strisciò fuori dal letto a tentoni, sul momento non riusciva a ricordarsi molto del giorno precedente. Aveva una gran voglia di tè, avrebbe rimesso tutto nella giusta prospettiva.

Poggiò i piedi a terra con un sospiro, il pavimento leggermente irregolare di roccia levigata era freddo ma piacevole.

Roccia?

Aprì gli occhi di scatto.

Buio.

Alzò una mano e senza la minima esitazione schioccò le dita per evocare una scintilla.

Attese pazientemente, con il braccio ancora alzato.

Niente.

Si portò le dita nello spazio ipoteticamente davanti agli occhi e le schioccò ancora, e ancora.

Ma non accadde nulla. Sentì distintamente i brividi di freddo scendergli lungo la spina dorsale e annidarsi comodamente nel suo stomaco.

La sua magia non funzionava.

Cosa cavolo era successo?

Si concentrò sul giorno prima e i ricordi riaffiorarono in una serie d’immagini confuse: la vestaglia, Ylva con le orecchie da gatto, Inashari e la sua tazzina da tè. Poi c’era stata la festa e da lì le immagini sbiadivano, anche perché era altamente improbabile che avesse ballato con Ylva…no?

Perso in un senso di terrore galoppante fu colto di sorpresa dalla mano poggiata sulla schiena; alla faccia dell’addestramento militare. Schizzò in piedi come una molla con un acuto che probabilmente aveva infranto i muro degli ultrasuoni. A metà strada lo colse una vertigine fortissima e precipitò al suolo trascinandosi le coperte.
Con l’orgoglio in frantumi cercò di darsi un contegno raccogliendosi il piumone attorno al petto. Provò a scrutare l’oscurità, ma a mala pena si distinguevano le sagome. Che si fosse immaginato tutto?

Poi quello che pensava essere un mucchietto di lenzuola si mosse e due occhi brillarono nel buio, letteralmente, il loro lieve bagliore per quanto tenue gli ferì gli occhi fu costretto a distogliere lo sguardo, accusando un’altra fitta alle tempie.

“Silenzio! Ho sonno!” biascicò l’intruso per poi premersi un cuscino sulla testa.

-Era una donna! -

Ageh si trascinò indietro sul pavimento sconvolto.

-Perché era a letto con una donna? –

Nel sua disordinata ritirata finalmente incontrò una parete e con gratitudine poggiò la fronte contro la roccia fredda. Il mal di testa e la nausea si affievolirono un poco.

Doveva riflettere.

Cosa diavolo era successo?

I suoi ricordi sembravano avvolti dalla nebbia più fitta.

Si alzò appoggiandosi al muro con le coperte ancora drappeggiate intorno, si era appena reso conto di indossare solo l’intimo e stava equamente dividendo i suoi sforzi in due direzioni: rimanere in piedi e ignorare il fatto di aver passato la notte mezzo nudo con una donna sconosciuta. L’intero argomento apriva tutta una serie di possibilità che si rifiutava anche solo di prendere in considerazione.
La parete lo condusse a una porta finalmente.

Grato per una via di fuga sgusciò in quello che poi si rivelò essere una specie di bagno. Alla luce tenue di un roccia cristallo dorato si vedeva un lavabo posizionato sotto un grande specchio incassato direttamente nel muro, la stanza si affacciava su un’altra della quale s’intravedeva solo il bordo di una grossa vasca scavata direttamente nel pavimento.

Stordito si trascinò davanti allo specchio con il potente bisogno di sciacquarsi il volto.

L’acqua fresca fu un sollievo e si bagnò sotto il getto anche la parte superiore della testa nel tentativo di schiarirsi le idee. Sollevò il capo finalmente lucido e si trovò a fissare il suo riflesso attraverso una cortina di verde.

 
°°°°°°°°°°

La luce del sole mattutino entrava dalla finestra scaldando le due figure nel letto.
Ylva giocava con i capelli di Frenuh e lei gli accarezzava pigramente un braccio.

Un grido squarciò la quiete della città incastrata fra gli alti picchi della catena montuosa orientale.

“YLVAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”

 
°°°°°°°°°°°
Nella stanza accanto, la ragazza si girò fra le coperte.
Stava andando tutto secondo i suoi piani; quel pelle bianca non sapeva cosa lo attendeva.
 

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Capitolo 10
*** 8. ***


Salve a tutti, scusate l'assenza ma avevo un brutto esame. 
Questo capitolo è stato un incubo, letteralmente: me lo sono sognato la notte in un paio di occasioni.
Questo perché la storia fin'ora aveva mantunuto un tono scansonato e mi dispaceva abbandonarlo. Così ho lottato con le unghie e con i denti per alleggerire in ogni modo l'atmosfera.
Ad ogni modo son abbastanza soddisfatta del risultato.
Un grazie speciale a Chelibe.

 
8.

Il giovane demone si lanciò a tutta velocità verso Ageh brandendo una spada ricurva dall’aspetto poco rassicurante.
Frenuh si stava mangiando il labbro in ansia mentre Selgalia non appariva più tanto sicura di se. Dietro di loro Jenuleh tratteneva un nervoso Zetnuh per un braccio, nessuno poteva intervenire, il castano era da solo.
Nren si nascose dietro la spalla di Ylva e quest’ultimo alzò la mani indeciso: non poteva aiutare il suo amico, ma non avrebbe permesso che lo trucidassero.   
Niarada, che ormai incombeva sul suo avversario, alzò le braccia pronto a colpire.
°°°°°°°°°°
Quel giorno si era annunciato denso di eventi da subito, quando un urlo aveva svegliato Aggar. L’incredibile città, cuore della razza demoniaca, era diversa da qualunque altra. Sorgeva fra i picchi rocciosi della catena montuosa occidentale e per metà era scavata dentro la montagna stessa. Le guglie aguzze come i canini di un drago sembravano quasi parte del paesaggio.
Quando finalmente l’eco dell’ultima vocale si fu affievolito, i reduci della prima festa di compleanno mai festeggiata da un demone non ebbero bisogno della magia per sapere che da qualche parte un ragazzo biondo stava per essere ucciso.  

Lo stesso biondo che un’ora e un’epocale sgridata dopo guardava sconcertato le due ragazze dalla pelle nera davanti a lui. Nren, ancora leggermente stordito dalla sbronza, spalancò la bocca al punto che la sua mascella sembrava sul punto di sganciarsi e andare per la sua strada.
“Come?” chiese Ylva.

“La nostra legge parla chiaro” sentenziò Selgalia. Era un’alta demone dai capelli rosa pallido tirati parzialmente in alto con complicato sistema di fermagli e catenelle argentate, sedeva con le braccia incrociate e le gambe accavallate trasudando determinazione da tutti i pori.

“Si ma Aggie è un umano, non è soggetto alle vostre regole!”   

“Umano, magico o demone non m’interessa! Sono stata offesa e pretendo giustizia!” Selgalia sbatté un piede a terra. Data la pelle del tutto nera era difficile dirlo ma Ylva aveva la convinzione che fosse arrossita.

“Eppure ero sicura che la stanza fosse vuota” Frenuh era mortificata. Ylva le circondò le spalle con un braccio e la strinse a se.

“Ageh ci ucciderà tutti” piagnucolò Nren coprendosi il viso con le mai.

“Come dicevo, non era una richiesta. Pretendo che questo Ageh si assuma le sue responsabilità! Se entro un’ora non si presenta sulla piazza centrale per rispondere delle sue azioni mi agirò secondo la legge!”

“Va bene” Ylva cercò di calmarla riflettendo in fretta “Ti porteremo Aggie ma lascia che ci pensiamo noi a spiegargli la situazione”

“Fate come volete, purché fra un’ora sia al mio cospetto!”

Si alzò e marciò fuori dalla stanza sbattendo la porta.

I tre ragazzi ancora seduti sulle spine rimasero in silenzio a meditare per diversi minuti.

“Non credo che gli piacerà” mormorò Frenuh.

“No, che non gli piacerà, siamo morti!” Nern si accasciò sconfortato.

“Niente panico, per il momento preoccupiamoci di trovarlo. Poi penseremo a qualcosa! Forse è ancora a colazione con i tuoi fratelli”

“Speriamo tengano la bocca chiusa. Vai a cercarlo, io cerco di far cambiare idea a Selgalia” Frenuh gli diede un bacio veloce e si affrettò a seguire l’altra demone.

“Non è il momento di disperarsi, dobbiamo trovarlo subito, prima che s’imbatta nella sua futura moglie!” Ylva tirò su Nren con decisione e lo spinse fuori dalla porta.

“Moriremo tutti!” gemette quest’ultimo allontanandosi in direzione opposta al biondo.

 
°°°°°°°°°
“E poi hai detto che sarebbero dovuti passare altri cento anni prima che un pelle bianca e una fatina potessero vincere contro un demone in una gara di bevute” stava raccontando Jenuleh.

Zetnuh, il primogenito, si accasciò mentre la piccola Cugiah gli batteva una mano sulla spalla.
“Mi dispiace” rantolò affranto.

“Figurati” rispose Ageh, qualcuno gli aveva procurato del tè che ora fumava nella sua inseparabile tazzina pronto per essere bevuto.

Aveva deciso che gli piacevano quei ragazzi.
Zetnuh era un ragazzone con la risata pronta e i muscoli massicci che sembrava quasi fuori posto in quel trio. Jenuleh al contrario era decisamente magro, quasi ossuto e a mala pena arrivava alla spalla del fratellone. I suoi capelli avevano una sfumatura azzurrognola che mancava in quelli dei suoi fratelli, li portava raccolti in una coda alta e gli arrivavano appena alla schiena. Infine Cugiah, che era un adorabile bambina dagli indomabili capelli bianchi, aveva sempre un’espressione particolare stampata sul volto, come se soppesasse le persone. Da quello che aveva capito Ageh ancora non parlava.

“Comunque ammiro la tua tranquillità” disse Jenuleh rivolgendosi verso Ageh “Ho saputo che hai passato la notte con Selgalia”

Ageh arrossì violentemente:
“Sto lentamente recuperando la memoria e vi ho già detto che non è accaduto nulla” girò furiosamente il suo tè versandone fuori una parte “Accidenti!” mormorò pulendo con uno sbuffo di magia.

Finalmente l’equivoco dei capelli verdi era stato chiarito. In realtà Ageh si tratteneva appena dal gongolare: Ylva si sentiva in colpa e lo stava più o meno evitando. Aveva fatto un discorso confuso sul fatto che in qualità di suo più ‘migliorissimo’ amico sarebbe dovuto intervenire prima ed era sparito chissà dove.

“Guarda che per noi sei una persona adulta nessuno ti sta giudicando” commentò Jenuleh con un sorriso divertito. Si era reso conto fin troppo presto che la cosa lo metteva a disagio e gli dava il tormento “Però Niarada potrebbe non essere d’accordo con me”

Zetnuh lanciò un lamento affondando la testa fra le braccia muscolose:
“No per favore! Mi sta scoppiando la testa non posso sopportare quel damerino in questo stato!”

“Niarada?” Ageh spostò lo sguardo dall’uno al altro diverse volte prima che Jenuleh si decidesse a spiegargli:
“Niarada è il fidanzato di Selgalia o almeno gli piacerebbe esserlo, le fa una corte spietata sin da quando erano piccoli e ora si è messo in testa di sposarla”

Ageh aggrottò le sopracciglia:
“Sembra un nome da donna”

Zetnuh buttò indietro la testa scoppiando in una potente risata.

“Lo è, grazie ad una divinazione sbagliata i suoi genitori erano convinti di aspettare una bambina” spiegò Jenuleh con un ghigno malefico “Per lui è un nervo scoperto”

Zetnuh gli mise una mano sulla spalla comprensivo:
“Il punto non è questo; quell’invasato esce di testa ogni volta che un ragazzo si avvicina a Selgalia, forse è per questo che lei ha dormito con te”

La porta si aprì con uno schianto rivelando un affannato Nren:
“Ageh!” esclamò sollevato “Per fortuna ti ho trovato!” si appoggiò al tavolo cercando di riprendere fiato sotto lo sguardo indagatore dell’oggetto delle sue ricerche “È una tragedia!” ansimò.

“Cosa? Ylva ha deciso di arredare la sala del trono?”

“No! C’era Selgalia e ha detto che la dovevi sposare, anche se Frenuh le ha chiesto scusa. Ma poi Ylva ha detto che l’avresti sposata e che dovevamo trovarti!” parlava in fretta gesticolando come un matto e mangiandosi le parole “Devi andare sulla piazza centrale!”

Il sopracciglio di Ageh era schizzato così in alto che si faticava a distinguerlo dai capelli:
“Ylva ha detto che devo sposarla?” chiese con un tono inquietantemente basso.

“Secondo la nostra legge lei potrebbe pretendere che la sposi” considerò Jenuleh corrugando la fronte “Anche se mi sembra un po’ estremo, è stata solo un’incomprensione dopo tutto”

Ageh rimase a bocca aperta, la chiuse cercando le parole giuste. Ma tutto ciò che gli uscì fu una specie di rantolo. Il suo rossore aveva raggiunto una tonalità quasi porpora:
“Non è successo niente!” esclamò infine.

“Non importa” Jenuleh lo guardava con compassione.

“Io non posso sposarmi!”

“Aggie!” Ylva scelse proprio quel momento per apparire nel salone, pessimo tempismo.

“TU!” la brocca d’acqua esplose artisticamente e Ageh additò il nuovo arrivato con un’espressione omicida.

“Oh, quindi hai saputo” il biondo fece un passo indietro alzando le mani in segno di resa “Non la prendere male…”

“NON PRENDERLA MALE?” la sedia di Ageh fu scaraventata all’indietro da una piccola onda d’urto e si schiantò sulla parete. I tre demoni si erano prudentemente allontanati dal tavolo. Zetnuh teneva in braccio una divertita Cugiah e Jenuleh osservava la scena seminascosto dietro il suo imponente fratello.

“No, quello che voglio dire è che poteva andare peggio…” Ylva fece lentamente un altro passo indietro.

“PEGGIO?” anche il tavolo cedette alla pressione e rovinò a suolo con un fracasso di stoviglie che si rompevano.

“Nel senso che Selgalia è una principessa, insomma, se la sposi un giorno sarai re…” questa cosa del sarcasmo, ancora non riusciva bene ad Ylva, ci stava lavorando ma era del tutto privo di senso dell’opportuno, cosa che lo aveva messo in non pochi guai.

Ageh sgranò gli occhi incredulo, per un attimo Ylva pensò che gli sarebbero rotolati in terra:
“RAZZA D’IMBECILLE! IO SONO AGEH CORION! FIGLIO DI RE CORION DALE DI POZU! SO CHE NEL TUO PICCOLO MONDO FELICE TUTTO RUOTA INTORNO AD YLVA, MA IO AVEVO UNA VITA ANCHE PRIMA DI CONOSCERTI!”

Stavolta fu Ylva a guardarlo con tanto d’occhi, abbassò le mani lentamente e si morse un labbro. Ageh chiuse gli occhi risentito, non era da lui una frase simile, neppure trattandosi di Ylva. Ma ormai era tardi e se suo padre gli aveva insegnato qualcosa era che un principe non abbassa mai la testa.
Con nuova determinazione riportò la sua attenzione su Ylva. Ma questi non lo stava guardando a sua volta, era girato con le spalle curve:
“Frenuh sta parlando con Selgalia” mormorò con un filo di voce “Forse è riuscita a dissuaderla”

“Dove sono?” chiese freddamente Ageh.

“Sulla piazza grande” La voce di Ylva si era affievolita fino a diventare un sussurro.

“Ti accompagno” intervenne frettolosamente Zetnuh mettendo a terra Cugiah.

Il demone si avviò fuori dalla porta seguito da Ageh. Passando accanto al biondo riuscì a impedirsi di voltarsi. Jenuleh li seguì tenendo per mano Cugiah e infine Nren si accostò al biondo poggiandogli una mano sulla spalla per incoraggiarlo ad accodarsi a quello strano corteo.
Mentre procedevano attraverso le sale sotterranee e corridoi, altri si aggiunsero a loro. Ageh mantenne il mento alto e il passo rigido, quella Selgalia non aveva idea di cosa la aspettasse.

La piazza grande era il cuore della città sorgeva davanti al palazzo reale ed era circondata quasi completamente da alti palazzi aguzzi. Era come una grossa arena, circondata da scalinate già gremite di spettatori, la notizia si era diffusa in fretta.
Il popolo demoniaco, com’era ben noto, aveva una grande passione per lo spettacolo: dai combattimenti simulati, agli spettacoli circensi a rappresentazioni di ogni tipo. Amavano vedere persone comuni fare cose incredibili.

Al centro della piazza, dritta come fuso, Selgalia fissava Ageh da quando era uscito alla luce del sole. Sul palco reale, costruito direttamente sulla facciata del palazzo, re Selticus sembrava indeciso se intervenire o meno, in piedi davanti all’enorme trono in pietra con i capelli bianchi che brillavano quasi incandescenti alla luce del giorno sembra quasi una statua. Un’enorme statua dalle spalle larghe e i muscoli imponenti; e Ageh era riuscito in qualche modo ad offendere l’onore di sua figlia.

In quel momento, davanti alla maggior parte della razza demonica con l’attenzione generale puntata addosso Ageh Corion di Pozu si ritrovò a chiedersi a che punto le cose gli erano sfuggite di mano. Lui era una persona seria e metodica: era partito per l’università senza il minimo dubbio sul suo futuro.

Come si era ritrovato lì?

La risposta era probabilmente qualche metro dietro di lui, camminava a testa bassa accanto a Nren e Jenuleh.

Man mano che avanzavano verso l’arena il corteo si disperse, infine anche Zetnuh, Jenuleh, Cugiah, Nren e un depressissimo Ylva lo lasciarono per prendere posto sulla prima fila di posti.

Adesso era solo.

Ma non avrebbe mollato.

Era un principe dopo tutto, sapeva come affrontare una platea. Giunto davanti a Selgalia si fermò in attesa, d’altronde lui non sentiva di avere la minima colpa, se lei voleva accusarlo di qualcosa avrebbe dovuto farlo da sola.

Selgalia lo guardò trucemente ma infine fu costretta a cedere:
“Ageh Corion!” esordì imperiosa “La nostra legge parla chiaro, le tua unica scelta sta fra sposarmi o perire!”

Ageh assottigliò gli occhi fino a ridurli ad una fessura, ma prima che potesse ribattere alcunché un nuovo personaggio entrò nell’arena a passo deciso.

“Dovrà passare sul mio corpo!” il nuovo arrivato era leggermente più passo di Ageh ma i capelli celesti tirati su in uno strettissimo chingnon lo facevano sembrare più alto “Io, Niarada, ti sfido al combattimento rituale!”

Le gradinate esplosero.

Frenuh afferrò il braccio di Ylva:
“Il combattimento rituale è la misura estrema per risolvere le dispute!”

“I due sfidanti, accettano di sfidarsi davanti al popolo e al re, in modo che tutti siano testimoni del vincitore” Jenuleh si mordicchiava nervosamente l’unghia del pollice “Niarada è un pallone gonfiato ma è addestrato al combattimento, non credo sia stato mai sconfitto”

Re Selticus alzò una mano e il rumore si spense all’istante:
“Niarada, quello che chiedi non ha precedenti, il combattimento rituale non ha mai coinvolto le altre razze” la sua voce era carica di un’autorità che colpì Ageh, gli ricordò moltissimo suo padre.

“Ne sono cosciente Vostra Maestà, ma se le nostre usanze non possono essere imposte ad uno straniero neanche la principessa può pretendere di sposarlo!”

Non faceva una piega.

Ageh osservò il nuovo venuto inclinando la testa: forse la situazione si sarebbe risolta più facilmente del previsto.

“Niarada! Come osi intervenire” Selgalia sembrava quasi sul punto di prendere a schiaffi il suo indesiderato pretendente.

“Non posso imporre ad uno straniero il combattimento rituale” sentenziò re Selticus “Ma non posso neanche ignorare l’accaduto. La mia decisione è questa: Niarada sarà il campione di Selgalia, se lo straniero vincerà il combattimento, sarà libero di andare”

“Ma padre…” Selgalia, sconcertata, adesso non sapeva bene che pesci prendere.

“Se invece perderà allora dovrà sposare la principessa” continuò imperterrito il re.

“Cosa?” l’urlo di Niarada sovrastò il fragore scatenatosi per l’annuncio.

“La mia decisione è questa, hai qualcosa da aggiungere straniero?”

Ageh con un sorriso divertito aveva assistito alla scena senza battere ciglio. Sempre sorridendo s’inchinò ossequiosamente:
“Nessuna Vostra Maestà, trovo questa soluzione onorevole per tutti” 

“Molto bene, Selgalia libera il campo!”

La principessa inviperita si allontanò dal centro dell’arena mentre Niarada lanciava in aria la sua spada curva con maestria:
“Hai commesso un grosso errore amico: il combattimento inizia immediatamente e sono ammesse solo le armi che i partecipanti portano addosso” riprese la spada al volo facendo una pausa drammatica. L’agitò un paio di volte in direzione di Ageh prima di mettersi in guardia con il braccio destro alzato e la spada in posizione orizzontale all’altezza degli occhi “Quasi dimenticavo…ovviamente la magia è proibita, prova solo ad aprire la bocca e sarai istantaneamente squalificato!”

Attese un attimo per godersi l’espressione sgomenta del suo avversario ma questi non sembrava minimamente turbato.
“Sai Niarada, c’è una cosa che non capisco: sembri così sicuro di sconfiggermi ma in tal caso sposerei la ragazza che ami, non è un contro senso?”

“Per sposarla devi essere vivo!” con quelle parole si gettò alla carica.

Il giovane demone si lanciò a tutta velocità verso Ageh.
Frenuh si stava mangiando il labbro in ansia mentre Selgalia non appariva più tanto sicura di se. Dietro di loro Jenuleh tratteneva un nervoso Zetnuh per un braccio, nessuno poteva intervenire, il castano era da solo.
Nren si nascose dietro la spalla di Ylva e quest’ultimo alzò la mani indeciso: non poteva aiutare il suo amico, ma non avrebbe permesso che lo trucidassero.  
Niarada, che ormai incombeva sul suo avversario, alzò le braccia pronto a colpire.

Ageh dal canto suo stava fermo in piedi con le mani lungo i fianchi. Non sembrava intenzionato a spostarsi. All’ultimo secondo, quando la lama stava già calando su di lui fece un singolo passo di lato. Niarada, seguendo la spinta del colpo, si sbilanciò in avanti rischiando di cadere. Si voltò furioso ma Ageh lo attendeva al varco: lo colpì alla bocca dello stomaco con una potente gomitata; il demone tossì cercando di recuperare aria coprendosi la parte lesa con una mano. Ansimante si lanciò di nuovo verso l’avversario ma stavolta il principe di Pozu non si spostò: schivò la lama e afferrò con decisione il polso di Niarada per poi portarsi il suo braccio su una spalla e spingere con tutte le sue forze. Il pubblico trattenne il respiro mentre lo sfidante compieva un arco in aria atterrando sulla schiena con un gemito. Come aveva detto Jenuleh, dopotutto era addestrato bene: rotolò per tornare sulle gambe e si scagliò contro Ageh; ma dovette inchiodare di colpo.
Quest’ultimo con un ghigno quasi malefico gli puntava la sua stessa spada alla gola. La sua postura sembrava annoiata: con le spalle rilassate e il braccio alzato quanto bastava per mantenere la punta della spada sulla gola di Niarada.

“Non sei male” commentò spingendolo indietro con la lama “Probabilmente avresti vinto contro qualcun altro: ma io ho passato tutta la vita a lottare contro avversari più forti e più dotati di me” adesso il sorriso era sparito e il tono si era fatto quasi velenoso “Il combattimento finisce qui!” abbassò la lama e la conficcò con forza nel terreno.

“Il vincitore è lo straniero” decretò re Selticus “Sei d’accordo con me Selgalia?”

La principessa sedeva con la testa china e l’aria sconfitta.

“Si padre” mormorò.

Nren scattò in piedi applaudendo come un matto e tutta l’arena lo seguì.

Tutti tranne un ragazzo biondo.

 
°°°°°°°°°°
“Dimmi la verità, ti sei infilata di proposito nella mia camera” Ageh e Selgalia stavano parlando in uno dei salotti privati del palazzo.

La ragazza scrollò le spalle:
“Volevo solo liberarmi di Niarada, non c’è bisogno di recriminare”

Ageh si accigliò:
“Io trovo che il tuo comportamento sia stato stupido e irresponsabile, hai quasi causato un incidente diplomatico per un tuo capriccio, ho pena di chi ti dovrà sposare”
Selgalia spalancò la bocca allibita, nessuno le aveva mai parlato così prima, ma una qualsiasi risposta sarebbe caduta nel vuoto perché Ageh si era voltato senza indugio mettendo fine quella storia.

I suoi compagni lo aspettavano nella sala della festa in compagnia dei fratelli di Frenuh. Adesso che aveva un momento si rese conto che molti ragazzi dell’università, provenienti anche da altre facoltà avevano partecipato ai festeggiamenti e di conseguenza avevano assistito al duello. La voce si sarebbe sparsa a macchia d’olio a  Plaurani.

Sospirò.

Era rimasta solo una questione da sistemare.

Vagò con gli occhi per tutta la sala fino ad individuare il suo stranamente silenzioso compagno di stanza.

Fortunatamente si era ritirato in un angolo isolato. Era meglio se la conversazione fosse rimasta fra loro due.

Si lasciò cadere accanto a lui.

“Ylva?”

“Oh, Aggie, scusa ti lascio solo” fece per andarsene ma il castano lo rimise a sedere con decisione.

“Fermo un attimo. Hai presente il verde dei miei capelli?” non scoppiare a ridere davanti alla sua espressione perplessa fu una vera sfida “Stavo pensando che potremmo dipingere il salotto di quel colore e magari decorarlo con qualche rocciacristallo, ho idea che l’effetto sarebbe splendido”

Riuscì quasi a vedere le piccole rotelline nel cervello di Ylva ruotare furiosamente fino all’illuminazione.
“Non sei arrabbiato con me?”

Ageh lo fulminò:
“Io sono sempre arrabbiato con te a prescindere, perché ho la certezza che sicuramente hai fatto qualcosa che giustifica la mia rabbia” il biondo s’incupì “Però, in questo caso specifico, convengo che non sia colpa tua. Sono stato io a bere incautamente e il resto è opera di Selgalia e Niarada”

Se ne pentì immediatamente.

Ylva gli gettò le braccia al collo ridendo fortissimo e Ageh si trovò a incenerire con lo sguardo il resto dei presenti che li guardava sorridendo.

Ma chi glielo aveva fatto fare?
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** 9. ***


Salve ragazzi. Di recente ho avuto qualche problema con il computer quindi gli aggiornamenti si sono leggermente diradati ma conto di risolvere presto la situazione.
Ho appurato con piacere che molti di voi sono rimasti sorpresi dalla rivelazione di Ageh sulle sue origini, ma non pote dire che non avessi sparso qualche indizio qua e là (tipo nella presentazione della storia. Ad ogni modo nella prima parte del capitolo ci sarà un scorcio del passato di Ageh che chiarirà la situazione.
Giusto per la cronaca ho pubblicato un piccolo spin-off di questa storia in cui Ageh finalmente ha una piccola rivincita sul povero Ylva.
Un grazie speciale a Chelibe e JOR. 


 
9.


Pozu, fra tutti i regni, era rinomato per la forza dei suoi abitanti.
Così come il regno di Arve aveva scelto la via dello studio di ogni cosa e il regno di Nere amava l’arte in tutte le sue forme; a Pozu i bambini venivano addestrati sin da piccoli al combattimento. Crescendo acquisivano nozioni di strategia e studiavano la storia militare e, infine, durante una cerimonia detta Culdra, i ragazzi di vent’anni venivano proclamati adulti e decidevano in quali discipline specializzarsi.

Il piccolo Ageh Corion secondogenito di re Corion Dale era nato in una tiepida sera di primavera a Iohunghar, la capitale.

La città più impenetrabile del mondo a detta di tutti.
Non tanto per le alte mura spioventi, dotate di frastagliate merlature che rendevano inutile l’uso di scale e neanche per gli enormi trabucchi costruiti su ogni torretta. A giustificare la sua fama, era il fatto che ogni singolo abitante all’interno della città fosse una potenziale macchina da guerra. Ragion per cui non era mai stata attaccata.

Ora: in genere il termine ‘famiglia reale’ potrebbe far pensare ad un immenso palazzo con eserciti di servitori e ricchezza ostentata. Ma non era il caso di Pozu. La famiglia reale viveva in una casa a due piani non diversa da quelle circostanti.

Dopo la scissione dal frivolo popolo di Powa si era venuta a creare la necessità di un capo che guidasse il neonato regno di Pozu, così dopo un’attenta riflessione era stato nominato re il generale più rispettato; ma nessuno nel corso della dinastia reale aveva mai sentito il bisogno di un’opulenta dimora e di titoli altisonanti. Così il re veniva chiamato ancora generale da tutti i suoi sudditi, e la cosa più vicina ad una reggia erano i palazzi del quartiere costruito appositamente per ambasciatori e ospiti illustri di altri regni.

Ageh Corion si era dimostrato subito diverso dagli altri bambini: di tutti i quattro figli di re Corion Dale era l’unico che aveva ereditato il sangue magico di sua madre. La regina Numbra Reghen era figlia del famosissimo comandante Reghen Vardo e di una potente strega umana nota come Jeri. Numbra possedeva solo alcuni dei poteri di sua madre, ma il piccolo Ageh aveva dimostrato subito un incredibile talento per la magia.

Per la gioia di sua nonna si esibiva in piccoli incantesimi e si faceva raccontare le storie sui grandi maghi del passato.

Sfortunatamente crescendo, quello che i suoi genitori avevano considerato un innocuo passatempo iniziò a intaccare il suo addestramento militare. Il giovane principe fin troppo spesso saltava gli allenamenti per chiudersi in biblioteca a leggere o usciva di nascosto dalla città per provare i suoi incantesimi.

Poi sua nonna morì e il re decise di mettere la parola fine a questa storia della magia. A preoccupare re Corion era il fatto che di tutti i suoi figli Ageh era l’unico maschio eppure era il meno temuto; sua sorella maggiore Daira sarebbe diventata un’eccellente regina e le due gemelle Kona e Kera erano già famose sui campi d’addestramento. Ma non gli riusciva di capire come quel suo figlioletto preferisse libri polverosi ad una spada ben affilata. Così gli proibì di praticare ancora la magia.

Fu allora che accadde l’impensato.

Dopo qualche tempo si rese conto che suo figlio gli aveva disubbidito.

Soldati di guardia gli riferirono che a notte fonda usciva dalla sua stanza e non certo per addestrarsi. Arrivò anche a scoprire che aveva un accordo con alcuni degli stranieri in città perché gli procurassero dei libri di magia.

La rottura avvenne quando gli tese un agguato di persona. Lo sorprese in una vecchia armeria abbandonata a tracciare quei suoi stupidi segni con il gesso e, non solo il ragazzo non mostrò il minimo pentimento, ma gli sfuggì usando uno dei suoi trucchetti. Giorni dopo le sue guardie lo sorpresero nascosto su una nave in partenza dal porto. Il grosso fiume che costeggiava la città era il collegamento diretto con Kaladorei, la pacchiana capitale del regno di Powa.

Dopo un’accesa discussione in cui il ragazzo aveva minacciato di trasformare tutte le sue guardie in diversi esponenti del regno animale, la regina era intervenuta offendo una soluzione temporanea: Ageh avrebbe ripreso con serietà l’addestramento fino al Culdra e gli sarebbe stato concesso di proseguire anche lo studio della magia.

 
°°°°°°°°°°

L’ennesimo ragazzo volò a terra e Ageh sospirò.

La finestra dall’ampio davanzale della biblioteca offriva una panoramica perfetta della piazza d’armi. Le sue sorelle minori circondate da uno stuolo di ragazzi li stavano mettendo al tappeto uno dopo l’altro. Quella scena si ripeteva ogni anno con l’approssimarsi del Culdra. Era usanza partecipare in coppia, ma trattandosi di Pozu gli inviti si trasformavano in scontri: chi riusciva ad impressionare il proprio potenziale partner con le sue doti nel combattimento, aveva buone possibilità di ricevere una risposta positiva.

Solo il giorno prima sua sorella Daira aveva sfidato il suo storico fidanzato Colein, quei due anche se prossimi a sposarsi non avevano mai perso la sana rivalità che li aveva sempre legati.

Ageh osservò un altro ragazzo stramazzare al suolo per opera di Kona. Quelle due puntualmente finivano per massacrare tutti i loro pretendenti e andare alla cerimonia insieme.

La cerimonia, giusto.

Quell’anno Ageh aveva compiuto vent’anni e avrebbe partecipato al Culdra con i suoi coetanei.

Doveva decidere cosa fare del suo futuro e partire per l’addestramento avanzato.

Libri di magia giacevano aperti intorno a lui su ogni ripiano orizzontale. Con il tempo la biblioteca era diventata la sua seconda casa, l’angolo dedicato allo studio della magia si era lentamente adattato a lui, schizzi di simboli arcani e creature magiche erano appesi alle pareti, un grosso specchio di comunicazione era appoggiato in un angolo; non aveva nessuno con cui usarlo ma lo trovava un’oggetto geniale e lo conservava con cura.
Sul muro accanto alla finestra una riproduzione in scala della meravigliosa Plaurani faceva bella mostra di se. Aveva comprato quel quadro da un mercante e se ne era innamorato. Non desiderava altro che partire per quel luogo incredibile, cuore della conoscenza. Aveva rimediato un elenco dei corsi della facoltà di magia e in qualche modo si era procurato i libri.

Ciò che gli mancava era la possibilità di scegliere.

Lui era Ageh Corion, secondo figlio di Corion Dale re di Pozu. Non era destinato a diventare re, ma sembrava che un mago non fosse accettabile nella famiglia reale.

Gli si chiuse la gola e un familiare senso di soffocamento lo cinse. Si accasciò scivolando lungo la parete.

-Non voglio! – pensò.

“Non voglio!” mormorò.

“NON VOGLIO!” urlò contro gli scaffali artigliandosi il petto con una mano. I tavoli intorno a lui si spostarono radialmente per effetto della sua magia. Si sentiva sul punto di esplodere rannicchiato contro quel muro.

Il giorno dopo avrebbe dovuto rinunciare a l’unica cosa che lo faceva sentire vivo.

Ma non voleva.

Non poteva!

Mentre il sole calava su Iohunghar i libri furono gli unici testimoni delle sue lacrime silenziose.

 
°°°°°°°°°°

I Culdra si svolgeva al tramonto. Tutta la città si raccoglieva nella gola dalla parte opposta del fiume. Alla base della montagna sorgeva la piattaforma sacra, ogni anno veniva eletto un Culdrant fra gli anziani e il caso voleva che quell’anno fosse il turno di suo nonno.

Reghen Vardo, nonostante l’età avanzata era ancora un uomo imponente, incurvato appena dal passare degli anni. Dopo la morte della sua amata Jeri era diventato silenzioso e riservato, ma aveva un amore particolare per il suo unico nipote. In lui rivedeva molto della sua sposa.

Entrò nella tenda dei candidati e i ragazzi si divisero al suo passaggio. Ageh attendeva seduto in un angolo con la morte nel cuore. Un altro paio di persone condividevano la panca con lui ma all’approssimarsi dell’uomo ebbero il buonsenso di allontanarsi.

Dopo che si fu’ seduto per qualche minuto nessuno dei due parlò.

“Ageh” disse infine Reghen “Sai come ho conosciuto tua nonna?”

“Durante uno scontro, il regno di Egil aveva assoldato la tua compagnia per dare la caccia ad una nave di pirati”

“Giusto, ma credo di non averti mai raccontato l’episodio dettagliatamente, sbaglio?”

Il ragazzo fece segno di no e lo sguardo dell’uomo si perse a rivedere immagini del suo passato:

“Devi sapere che all’epoca io e i miei compagni eravamo solo ragazzini freschi di Culdra e in ansia di mettersi alla prova. Il nostro addestramento sul mare era sicuramente inadeguato per affrontare dei marinai esperti, e riuscimmo ad arenarci in una secca vicino ad una delle isole più piccole dell’arcipelago di Egil. Raggiungere la costa era impossibile perché in quel punto la terra ferma si trasformava in un’alta scogliera a picco sul mare. La nave pirata ci era addosso, già vedevo le bocche dei cannoni prendere la mira mentre noi ci affannavamo cercando il modo di liberare la nave. Credo che quel giorno saremmo morti lì se tu nonna non fosse intervenuta. Le onde si gonfiarono improvvisamente intorno a noi abbattendosi sui pirati. Pensavo che da un momento all’altro una avrebbe colpito anche noi ma sembravamo circondati da un specie di barriera” il volto serio di Reghen fu attraversato da un sorriso “Fu allora che la vidi per la prima volta. Dalla cima della scogliera, con indosso solo un abitino scompigliato dal vento agitava minacciosa una specie di lungo bastone verso i pirati. Sembrava furiosa, i suoi lunghi capelli neri frustavano l’aria dandole un aspetto quasi inumano. Fui incantato. Non avevo mai visto una simile determinazione. I pirati scapparono e il mare si quietò. Neanche due minuti dopo in qualche modo era arrivata sulla nostra nave; fece una lavata di capo memorabile a tutti noi, alcuni dei ragazzi che c’erano quel giorno ancora rabbrividiscono al ricordo”

Ageh era davvero sorpreso; erano più parole di quante ne aveva mai sentite pronunciare a suo nonno in tutta la sua vita. Il Culdra e la sua tristezza erano solo un ricordo lontano mentre con occhi sognanti immaginava nonna Jeri, una donna minuta ed esile, sgridare gli imponenti guerrieri di Pozu.

“Ad ogni modo trovai moltissime buone scuse per tornare sulla sua isola nell’anno successivo. Lei aveva una pessima opinione di me e non faceva altro che insultarmi, però non mi ha mai scacciato. E dire che ne avrebbe avuto tutte le capacità; con il tempo scoprii che non c’era maga più temuta di lei in tutto il regno di Egil, anche se si rifiutava categoricamente di usare la magia salvo casi di emergenza. Era una persona molto pratica, le piaceva fare le cose con le sue mani. Quando infine le chiesi di sposarmi mi sembrò sorpresa, come se non le fosse mai passato per la testa che qualcuno potesse volere lei in moglie. Quella volta usò davvero la magia, per diverse ore ebbi la strana esperienza di essere un rospo; ho idea che pensasse ad uno scherzo”

“E come hai fatto a convincerla?” Ageh non riusciva a stare seduto fermo, nonna Jeri non gli aveva mai raccontato quella storia però che usasse raramente la magia era vero.

Suo nonno si esibì in un ghigno di cui Ageh non lo avrebbe mai, mai, mai creduto capace:
“Quando sono tornato umano le ho detto che se mi preferiva rospo sarei stato felice di gracidare per il resto della vita” gli diede una pacca sulla spalla bonariamente “Devi sapere Ageh che le ragazze sono molto più sveglie di noi per certe cose"

"E lei cosa ha risposto?"

"Secondo te?" gli fece un occhiolino per poi alzarsi "Ti ho raccontato questa storia per un motivo molto semplice. Prima d'incontrare Jeri credevo solamente nella forza fisica, come il resto della nostra gente. Ma tua nonna è riuscita in molte imprese dove un esercito avrebbe fallito. Se deciderai di affrontare il Culdra io sarò felice di insegnarti tutto ciò che so, ma se deciderai di diventare mago sarò comunque dalla tua parte. Non esiste nulla peggio del rimpianto, scegli bene!"

Detto questo si avviò fuori senza voltarsi.

Non che Ageh lo notò.

I suoi occhi erano chini e le sue spalle tremavano leggermente.

 
°°°°°°°°°°

Quando il corno risuonò nella vallata annunciando il tramonto e l'inizio del Culdra, uscì dalla tenda abbandonando tutti i suoi dubbi.

Reghen Vardo, con indosso l'ampia veste viola del Culdrant, li aspettava sulla piattaforma rocciosa della cerimonia. Vicino a lui facevano bella mostra di se, sulle rastrelliere, tutte le armi conosciute all'uomo.

La procedura era la stessa sin dall'alba dei tempi: i ragazzi venivano chiamati sulla piattaforma uno ad uno e annunciavano la strada che avevano scelto.

"Clari Fadu!" annunciò Reghen dopo aver conferito a bassa voce con una ragazza dai cortissimi capelli neri "Ha scelto la strada delle armi a lunga gittata, si faccia avanti un maestro"

I ragazzi venivano sottoposti ad una prova del tutto formale, in genere i vari maestri avevano già scelto quali ragazzi prendere con se.

Non era esattamente una regola scritta ma era usanza che la famiglia reale si esibisse per ultima, quindi Ageh aspettò fremente il suo turno.

"Ageh Corion, figlio di Corion Dale e Numbra Reghen, fatti avanti!" la voce possente di Reghen risuonò nell' aria e il sommesso brusio della folla salì bruscamente di tono. L'anticonformista figlio del re aveva fatto molto parlare di se in quegli anni. Ageh sospettava che alcuni suoi concittadini avessero messo su un giro di scommesse sulla disciplina che avrebbe scelto. Era discreto nell'autodifesa a mani nude e aveva una certa dimestichezza con la sciabola e pugnali da lancio.

Il ragazzo si sentì un attimo mancare sotto lo sguardo severo di suo padre: re Corion Dale aveva affrontato molte battaglie e le sue cicatrici lo dimostravano, come quella che gli attraversava il lato sinistro del volto conferendogli un'aria sempre accigliata.

"È il tuo momento ragazzo" gli sussurrò Reghen incoraggiante "Lascerò che sia tu a parlare se vuoi"

Ageh annuì una sola volta con decisione e fece un passo avanti alzando le braccia:
"Io, Ageh Corion, ho deciso infine!" vide distintamente suo padre chinarsi in avanti colmo di aspettativa "Sono grato a tutti coloro che in questi anni mi hanno addestrato e alla mia famiglia per non avermi fatto mancare nulla. Ma è ora che io vada per la mia strada, la prossima volta che mi vedrete, sarò un mago!" si alzò un'ovazione ma lui non sentiva nulla, non riusciva a credere di averlo detto. Vide suo padre marciare verso di lui, ma ormai non poteva più fermarlo.

Non si era mai sentito così leggero.

Lanciò l'incantesimo quasi senza rendersene conto: con un potente rumore di risucchio svanì nel nulla. Probabilmente a mente fredda non sarebbe mai riuscito a trasportarsi così lontano, la sua casa era a circa una lega di distanza, ma in quel momento sentiva l'energia magica ribollire, doveva scaricarsi o sarebbe esploso.

All'arrivo ebbe un lieve capogiro ma fregandosene allegramente si lanciò subito su per le scale sbandando e ridendo come un pazzo.

Raccolse in un angolo la sua borsa senza fondo (uno degli incantesimi più utili che avesse mai imparato) e iniziò a buttarci dentro alla rinfusa libri e vestiti. Esitò un attimo sulla sua collezione personale di armi, da una parte stava abbandonando il suo passato ma non voleva rinnegarlo. Infine prese il suo set di coltelli preferito, la sciabola che gli aveva regalato suo padre per il Culdra e un paio di caestus, dei comodi guanti rinforzati per la lotta a mani nude, ornati da borchie e fasce di cuoio indurito.

Quando suo padre piombò in casa lo attendeva con lo zaino in spalla e i vestiti da viaggio.

"Tu! Come osi?" non sembrava in grado di fare frasi più lunghe.

"Padre" lo salutò "Ho intenzione di recarmi a Plaurani, prenderò una laurea in arti magiche"

“Magia? Cosa conti di fare con la magia? Non potevi unirti all’esercito come i tuoi fratelli?” per un attimo Ageh pensò che lo avrebbe colpito; in realtà quando aveva preso la sua decisione aveva messo in conto un paio di probabili pugni, sperava solo di non rimetterci un dente.

Però suo padre improvvisamente abbassò le braccia e sembrò quietarsi:
"E va bene" sentenziò "Vai pure, presto ti renderai conto del tuo errore e forse allora sarai pronto ad accettare il tuo destino"

Ageh non riusciva a credere alle sue orecchie, quello era una specie di permesso...no?

"I corsi finiranno in primavera, potrei tornare a casa per l'estate" azzardò.

"Non durerai tre mesi!" con quelle parole suo padre gli indicò la porta e Ageh corse fuori cercando di non urlare.

Euforico attraversò la città ignorando le persone che lo additavano.

Si arrestò solo davanti l'enorme portone di Iohunghar, suo padre aveva parlato destino ma ad Ageh era sempre sembrato un concetto vuoto. Per lui esistevano solo le sue scelte, e le loro conseguenze.

Con decisione fece un passo.

 
°°°°°°°°°°

Nella calma di un pomeriggio primaverile a Plaurani, una tiepida brezza entrava dalla finestra panoramica spalancata sulla città.

Il loro salotto ora era di un pallido verde che sorprendentemente incontrava l'approvazione di Ageh, in qualche modo aveva convinto Ylva ad adottare un pavimento in parquet e ora la stanza si mostrava davvero accogliente. Con il tempo avevano aggiunto un paio di librerie e Ageh aveva comprato alcuni quadri paesaggistici da un artista di Nere.

Appoggiato sulle braccia quest'ultimo riposava tranquillamente sul tavolino. Negli ultimi tempi Ylva si era dato all'esplorazione delle altre facoltà, quindi da una parte trascorreva molto più tempo fuori, dall'altra parte il numero di persone che si radunava in camera loro era cresciuto esponenzialmente.

Ma ad Ageh non dispiaceva troppo, contribuivano a distrarre Ylva e lui poteva studiare in pace.

Fu una lieve sensazione di solletico alla nuca a svegliarlo, aveva l'impressione che qualcuno gli stesse toccando i capelli. Aprì lentamente gli occhi e si trovò a fissare il suo riflesso: per qualche oscuro motivo uno specchio fluttuava davanti a lui. La sensazione si fece più forte e alzò lo sguardo incontrando due paia di occhi che conosceva e temeva giustamente.

"Buongiorno!" trillò Ylva.

"Tesoro, devi tenere le ciocche con più fermezza o ti sfuggono i capelli" gli disse dolcemente Frenuh in piedi vicino a lui.

La sensazione di fastidio alla nuca si accentuò e finalmente Ageh si rese conto della situazione.

"Mi spieghereste cosa state facendo ai miei capelli?"

"Vedi è usanza del mio popolo che le coppie si intreccino i capelli a vicenda, ma Ylva non è capace" spiegò innocentemente Frenuh.

"Frenuh..." mormorò Ylva.

"Dimmi caro"

"Corri!"

Afferrò la ragazza per un braccio catapultandosi fuori.

"Non ti mettere in mezzo Ylva!" urlò Ageh dietro di loro "Giuro che non la uccido, magari giusto un pochino!"

 

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Capitolo 12
*** 10. ***


Dopo un lunghissimo capitolo anche abbastanza serio è necessario tornare su toni più leggeri.
Non penso che manchi moltissimo alla fine della storia, ma non ho ancora deciso come dividere i capitoli così non posso essere più precisa.
La grande notizia (o almeno spero che vi faccia piacere) è che sto già lavorando al seguito. Una altra storia che spero di pubblicare presto è ambientata sempre in questo assurdo mondo ma in altro regno.
Vorrei ringraziare Lolo_ per i gentilissimi complimenti e l'incoraggiamento.
Buona lettura


 
10.



Cari mamma e papà

Ho scoperto questa cosa fantastica che è la posta. Ageh dice che ci sono delle persone che come lavoro raccolgono le lettere e le portano lontanissimo! In ogni parte del mondo! È incredibile!
Ageh è il mio compagno di stanza. È una persona fortissima, giusto l'altro giorno ha sconfitto un demone armato di spada a mani nude! E senza usare la magia!
Purtroppo è sempre arrabbiato, così io faccio di tutto per tirarlo su di morale: gli ho preso un adorabile cucciolo di drago, lo trascino alle feste e cerco di assicurarmi che non passi troppo tempo da solo. Eppure sembra costantemente innervosito da qualcosa, devo impegnarmi di più!
Ageh dice anche che è passato quasi un anno da quando ci siamo incontrati ma non sono del tutto certo, non sono bravo a leggere il calendario e qui le stagioni sono strane; pensate che non si è vista neanche un po' di neve, quindi non può essere già passato l'inverno...no?
Il problema è che secondo Ageh durante l'estate si torna casa; ma non mi lascerebbe mai qui da solo, ne sono certo! Ha anche detto che un giorno forse potrò andare a trovarlo a Iohunghar, ma aveva un sorriso così grande che sono sicuro sia tutto un grosso scherzo.
Ad ogni modo inizio a pensare che vorrei tornare a casa per un po'. Mi piacerebbe presentarvi Frenuh, la mia bellissima ragazza, lei è una demone che frequenta il secondo anno qui alla facoltà di magia. Sono sicuro che anche Ageh vi piacerebbe, anche se è un irrimediabile musone.

Vi saluto e vi scriverò un'altra lettera presto.
P.S. Questa cosa della posta è eccezionale!

 
°°°°°°°°°°
 
Ageh controllò un'ultima volta il bagaglio, quando era partito per Plaurani aveva giusto alcuni cambi d'abito i libri e le sue armi preferite (le quali ora erano esposte sui muri della stanza). Invece quando si era messo a raccogliere l'indispensabile per il viaggio di ritorno gli sembrava di non poter lasciare nulla. Se non fosse stato per la sua fedele borsa senza fondo, il viaggio si sarebbe trasformato in un trasloco.
Soddisfatto, varcò la soglia del salotto, doveva chiedere ad Ylva se poteva badare a Gavril durante la sua assenza o se doveva portarlo con se.

Trovò il biondo intento a fissare intensamente un foglio. Lo osservò dalla soglia un paio di minuti; era raro vedere Ylva così concentrato e non sapeva bene come comportarsi.

"Ylva" provò a chiamarlo incerto.

Questi sembrò risvegliarsi di colpo:
"Oh, Ageh, eccoti! Stavo giusto per venire a chiamarti, questa lettera ha qualcosa che non va?"

Ageh spostò l'attenzione da lui al foglio:
"Vuoi che la rilegga?"

"No, no, è che nessuno viene a prenderla!"

"Come scusa?"

"Hai detto che le persone prendono le lettere e le portano dove vuoi che sia consegnata, ma dall'ora di pranzo non è ancora arrivato nessuno"

Ageh guardò il tramonto fuori dalla finestra e poi di nuovo Ylva:
"Mi vuoi dire che hai passato il pomeriggio a fissare quella lettera?" Ageh si strinse la radice del naso rassegnato mentre quella testa vuota annuiva serissimo.

"Guarda che non passerà nessuno, devi mettere il foglio in una busta e scrivere a dove e a chi vuoi che sia consegnata!"

"Ma loro come fanno a sapere chi sono i miei genitori?"

Ageh sospirò, lo aspettava una lunga spiegazione, ma con un po' di fortuna sarebbe stata l'ultima per molto tempo.



 

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Capitolo 13
*** 11. ***


Benritrovati sul canale delle disavventure di Ageh (forse avrei dovuto intitolare così la storia).
Sto allegramente ignorando un esame che ho fra pochi giorni quindi state al gioco.
Sono finalmente iniziate le vacanze estive dei nostri due protagonisti (mentre le nostre sono purtroppo finite).
Oggi vorrei ringraziare la simpaticissima The_Rolewriters, se vi piace lo steampunk date un'occhiata al suo profilo e non rimarrete delusi, e come sempre un ringraziamento a Chelibe.


 
11.


Una nave, per chi non lo sapesse, è piena di rumori caratteristici. Lo scricchiolio delle assi e delle corde che si tendono, le onde che accarezzano lo scafo, il fruscio delle vele gonfiate dal vento, qualche occasionale ordine gridato a gran voce.

Nella calma del primo mattino Ageh Corion respirava l'aria salmastra guardando la costa scorrere a tribordo. Non aveva mai avuto occasione di fare lunghi viaggi per mare. Partendo da Iohunghar, aveva deciso di attraversare l'entroterra per arrivare prima. Ma, avendo tutto il tempo disposizione, per il ritorno aveva deciso d'imbarcarsi. Quella nave faceva servizio di trasporto passeggeri tra Plaurani e Kaladorei, a Powa; lì avrebbe cercato un altro passaggio lungo il fiume per arrivare fino ad Iohunghar.

Da una parte gli dispiaceva essere partito nel mezzo della notte, non era del tutto certo che Ylva avesse capito che non era uno scherzo. Ma in sua discolpa si può dire che aveva altro per la testa.
Quando aveva lasciato la sua casa era un'altra persona: un giovane impaurito e orgoglioso, convinto di dover primeggiare e sbattere in faccia il suo successo a quel popolo che lo aveva sempre disprezzato. Ora invece non riusciva a ricordarsi perché voleva così disperatamente essere accettato dai suoi connazionali; non li sopportava!

A Plaurani aveva incontrato moltissime persone e culture diverse; soprattutto a causa di Ylva. Eppure, in questo modo, si era davvero reso conto quanto grande fosse il mondo. Studiare la magia inoltre gli aveva dato una soddisfazione così grande che non si ricordava neanche come fosse la sua vita prima. Infinite volte si era sorpreso a chiedersi come sarebbe stato viaggiare e vedere con i propri occhi i posti incredibili, conosciuti attraverso i libri. La visita imprevista ad Aggar aveva reso evidente quanto poco delle pagine ingiallite potessero rendere giustizia alla realtà.

"Siete mattiniero" lo salutò il capitano Wade.

Un aggettivo che poteva adattarsi a lui era 'caratteristico'. Era esattamente come ti saresti immaginato il capitano di una nave: di età indefinita, con il volto abbronzato di chi fa vita al aperto; una complessa ragnatela di rughe si diramava dagli angoli degli occhi e suscitava l'impressione di una persona che ride spesso e volentieri, anche ad alta voce. I suoi vestiti erano sicuramente molto vissuti, ma ben tenuti e puliti, infine il suo cappello a tricorno era sempre lucido e ben curato.

"Buongiorno capitano, mi godevo l'alba"

"Sono felice che apprezziate il panorama; comunque la colazione è stata servita. I vostri amici stanno già mangiando; in particolare il ragazzo biondo mi sembrava davvero affamato, non vorrei che spazzolasse via tutto...si sente bene?"

Ageh si era dovuto aggrappare al parapetto, gli mancava il respiro. Sbandando superò il preoccupato capitano e imboccò le scale rischiando di ammazzarsi. Spalancò la porta così platealmente che le attività all'interno cessarono completamente e l'attenzione si catalizzò su di lui.

"Aggie!" Ylva lo salutò agitando un cucchiaio.

Doveva essere un incubo, sicuramente! L'incubo più realistico e terrificante che potesse fare: stava andando a incontrare il re più chiuso mentalmente che Pozu avesse mai visto e il suo folle compagno di stanza lo aveva seguito insieme a buona parte dei suoi assurdi amici.

Ageh si sentì mancare e andò giù con un tonfo. 
 

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Capitolo 14
*** Intermezzo 2 ***


Salve e ben ritrovati. In realtà quello che leggerete oggi era un intermezzo del tutto imprevisto ma The_Rolewriters, che ringrazio moltissimo anche per le recensioni, ha fatto un adorabile disegno di Gavril e non ho potuto fare a meno di decare un piccolo intermezzo al nostro piccolo amico.
Anche i draghi hanno i loro grattacapi.
In fondo troverete anche un bellissimo disegno di un mio amico, questa è la sua pagina di Devinat art:Dorimi. La consiglio soprattutto agli appassionati dei pokemon, ma non solo.

 
Intermezzo 2

Il piccolo Gavril si riteneva un drago fortunato.

Istintivamente sapeva che la sua vita avrebbe dovuto essere diversa. Avvertiva distintamente il richiamo della sua specie che proveniva da lontano, al di là di quel grosso spazio blu che a volte vedeva dalla sua attuale tana.

Eppure non voleva andarsene.

Il suo padrone gli passò distrattamente una mano sul dorso e il suo piccolo cuoricino fece un balzo.

Amava il suo padrone.

Ma sapeva che non era un drago, se ne era reso conto qualche tempo prima. Era iniziato tutto quando aveva volato per la prima volta.
Il suo corpo lentamente aveva iniziato a cambiare: le ali si erano irrobustite e la coda e il collo si erano allungati. Le scaglie qualche volta formicolavano e ogni giorno sembravano più dure. Sentiva che stava cambiando qualcosa anche dentro la sua testa; prima gli interessava poco che non fosse il cibo e il suo cuscino. Ora invece si chiedeva come mai il suo padroncino non avesse le ali. Neanche l’altro strano essere che vedeva spesso nel loro nido le aveva. Poi un giorno aveva visto il proprio riflesso e aveva capito.

Era lui quello diverso.

Per diverso tempo aveva sperimentato una sensazione sconosciuta: non aveva appetito e gli faceva male il centro del petto.

E se il suo padrone si fosse accorto che era diverso? E se poi non lo avesse più voluto nel nido?

Una mattina poi il suo padroncino si era sdraiato vicino al suo cuscino prendendolo in braccio. Era così felice, non accadeva quasi mai. Lo aveva portato nel suo nido personale ed era rimasto con lui tutta la giornata. Poi era arrivato anche l’altro animale a cui badava il suo padrone. Aveva portato del cibo ed era rimasto con loro.

A volte c’erano tante strani esseri della razza del suo padrone che giravano per il loro nido, ma quel giorno non si era visto nessuno.

Si era addormentato felice cullato dal suono dei versi del suo padrone.

 
°°°°°°°°°°

“Credo si sia addormentato” mormorò Ylva.

Era accucciato vicino alla sponda del letto di Ageh. Il suo compagno di stanza si era sdraiato vicino al drago e lo stava accarezzando.

“Hai capito cos’ha?” sussurrò ancora il biondo.

“Posso solo fare qualche ipotesi” il castano tirò una coperta sopra l’animaletto e scivolò a terra senza svegliarlo.

Il pavimento era costellato di libri sui draghi.

Il piccolo drago da qualche giorno sembrava spento e quasi non mangiava; a mala pena si spostava dal suo cuscino preferito. Se fosse stato un umano avrebbe pensato alla depressione.

“Penso che iniziare a volare abbia sbloccato qualcosa in lui, sta crescendo e forse sente il richiamo della sua specie”

“Vuole andarsene!” Ylva si coprì la bocca con entrambe le mani ma apparentemente il draghetto dormiva ancora beatamente.

“No. Ed è proprio questo il problema, secondo le mie ricerche i draghi sviluppano un forte senso di appartenenza al clan; non vuole allontanarsi da noi ma forse teme che lo allontaniamo perché è diverso, dopotutto non ha mai visto un altro drago”

“E allora cosa facciamo?” Ageh lo osservò sorpreso, sembrava davvero preoccupato.

“Non penso che ci sia qualcosa che possiamo fare”

I due rimasero così seduti fissando il vuoto.

 
°°°°°°°°°°

Ageh si spostò. Il sole gli cadeva proprio sugli occhi. Si girò infastidito e il collo gli mandò una fitta. Doveva essersi addormentato in terra la sera prima.
Si tirò a sedere massaggiandosi la base della cervice. L’erba fresca gli pizzicò il palmo e decise che era ora di alzarsi definitivamente, magari un po’ di tè lo avrebbe rimesso in sesto…

…erba…

Ageh spalancò gli occhi e la luce quasi lo accecò.

Lentamente mise a fuoco un prato delimitato da una scogliera.

Chiuse gli occhi e contò fino a dieci con estrema calma.

Li riaprì.

Prato. Scogliera.

Senza fare una piega si alzò con il corpo che protestava. Inspirò profondamente.

“YLVAAAAAAAAAAAAA!”

L’eco riprese il suo urlo a canone per diversi minuti.

Era talmente concentrato sul mantenere la calma che non si accorse subito del lieve soffio d’aria intermittente che gli scompigliava i capelli. Si voltò sempre con la più totale pace anteriore.

C’era un immenso drago arancione che lo fissava a non più di un paio di metri di distanza.

Fece per dire qualcosa ma richiuse la bocca senza parole.

Aveva un vuoto, non si ricordava mezzo incantesimo.

Il drago aprì la bocca mettendo in mostra un’impressionante collezioni di denti aguzzi.

Ageh si ritrovò a valutare i vantaggi di uno svenimento con una parte distaccata del suo cervello: non era un idea malvagia, cosa poteva succedere? Al massimo avrebbe evitato di scoprire come ci si sente a venire masticati.

Un secondo prima di andare giù come una pera un suono agghiacciante risuonò nell’aria. Aveva imparato sulla sua pelle cosa voleva dire ignorarlo.
Per un attimo ebbe pietà del drago, non aveva idea di cosa lo aspettasse.

“AGGIE!” Ylva gli piombò addosso dal nulla aggrappandosi al suo braccio, non provò neanche a scrollarlo via, sarebbe stato inutile. Contro ogni buon senso ora il drago non lo preoccupava più. Al contrario, gli faceva un po’ pena.

“Dove siamo?”

“Sull’isola dei draghi!” affermò il biondo orgoglioso.

Ageh attese con pazienza le sue motivazioni, oi si ricordò con chi stava parlando:
“E cosa ci facciamo qui?”

 Ylva non si sprecò a rispondere e gli indicò un punto vicino al drago. Il piccolo Gavril ricambiò lo sguardo da sotto l’ala del più grande.

 
°°°°°°°°°°

Gavril si sentì sollevato, il suo padroncino stava bene. Quando si era svegliato non era nel suo nido. Ma il nuovo ambiente aveva perso qualunque tipo di rilevanza quando aveva notato l’enorme essere che lo sovrastava.

Era immenso, ma riconosceva quelle forme.

Era un drago. Uno adulto.

Le sue scaglie non erano più nere come quelle dei cuccioli. Crescendo avevano assunto un’intensa sfumatura di arancione. Diversamente da Gavril possedeva solo quattro arti, di conseguenza la muscolatura era incredibilmente sviluppata.

Ora, non si può dire che i draghi parlino, un intera ala della facoltà di Multilingue all’università di Plaurani era dedicata al tentativo di comunicare con loro. Curiosamente nessuno si era mai chiesto se ai draghi interessasse dialogare. La risposta era in genere negativa. Almeno per quanto gli umani.

-Questi umanidi sono tuoi? – chiese il grande drago.

-Umanidi? – disse Gavril –Sono il mio branco –

-Sembrano potenti per essere umanidi – il drago arancione squadrò i due ragazzi in attesa a qualche metro di distanza –Ma non sono comunque draghi. Puoi rimanere se vuoi, il mio branco baderà a te–

Gavril vide il suo futuro in quel drago. E dietro di lui vide il suo passato.

Il suo padrone e l’altro bipede lo attendevano.

Era davanti ad una scelta.

Non esitò neanche un secondo.

Il suo padrone si chinò a braccia aperte per accoglierlo.

La sua casa era con il suo padrone.




 

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Capitolo 15
*** 12. ***


Come avrete notato le pause fra un capitolo e l'altro si stanno allungando e possiamo ringraziare la tesi di questo, ma conto in ogni caso di completare la storia entro la fine dell'anno, quindi non disperate.
Forse (e sottolineo forse) scriverò un piccolo speciale di Halloween che vedrà protagonisti come sempre Ageh eYlva e come special guest un personaggio attorno al quale ruoterà la prossima storia.
Come sempre vorrei ringrziare Chelibe e The_Rolewriters: i vostri commenti mi spingono a migliorare.
Solo un'ultima nota prima di lasciarvi alla storia, in questo capitolo incontrerete due nuovi personaggi a cui non è stato lasciato molto spazio; si tratta di Gathossia e Callum. Avranno i loro momenti di gloria nei prossimi capitoli non temete.
Buon divertimento.


 
12.


Il sergente Druve Caligari sogghignò vedendo il ragazzo che si avvicinava al posto di guardia sul Ponte degli Antenati, che segnava il confine oltre il quale gli estranei non si erano mai spinti da quando la città era stata costruita.
Fare la guardia a quel ponte era uno degli incarichi più onorevoli a cui un giovane guerriero di Iohunghar potesse aspirare, essere nominato come sentinella rappresentava un automatico riconoscimento di superiori capacità nel combattimento.

Eppure il sergente Caligari non era esattamente un guerriero modello; non era neanche un esempio decente di uomo in effetti. Era basso e non particolarmente muscoloso, inoltre negli ultimi anni i suoi addominali stavano sparendo sotto un sottile strato di ciccia. Però era il cugino del re e aveva approfittato di questa situazione in maniera scandalosa. Il suo carattere sgradevole e calcolatore non gli avevano procurato molti amici, ma era riuscito a farsi strada.

Da una parte l’approssimarsi del giovane principe un po’ lo colse di sorpresa, non credeva sarebbe mai tornato in città. Ma ci avrebbe pensato lui a fargli capire la portata del suo errore. Ad un suo cenno le guardie gli sbarrarono il passo formando una specie di muraglia umana. Anche la più bassa delle ragazze lo superava in altezza di almeno un palmo, ma cosa credeva di fare?

“Buongiorno, forse non lo sapeva ma quest’area è riservata” esordì incrociando le braccia.

“Sergente Caligari! Mi lasci passare!”

Era ridicolo! Portava una qualche specie di grossa lucertola in spalla, aveva fatto crescere i capelli e Indossava una specie di vestito, sembrava una donna. Questo gli diede un’idea.

“Ma cosa abbiamo qui? Dimmi ragazzina ti sei persa?” i suoi uomini ridacchiarono ma lui si dette un contegno, dopotutto era l’ufficiale responsabile.

Il ragazzino buttò il petto in fuori facendo agitare la lucertola che frustò l’aria con la sua lunga coda.

“Sono Ageh Corion, figlio secondogenito di re Corion Dale, principe di Pozu!” proclamò con la voce più perentoria che riuscì a tirare fuori.

“Sono desolato mia cara, già come ragazza non sei un gran che, ma come maschio hai proprio fallito” le guardie risero apertamente buttando indietro la testa senza spostarsi di un passo e Caligari si voltò come per andarsene.

Ageh inarcò un sopracciglio.

 
°°°°°°°°°°

Una deflagrazione scoppiò in lontananza facendo voltare gli occupanti del locale. Ma Ylva non si scosse minimante. Da quando Ageh li aveva scaricati lì stava semisdraiato sul tavolo con le braccia buttate in avanti e una guancia premuta sulla superficie.

“Sicuro che non vuoi nulla?” chiese premuroso Nren.

Ylva emise un suono insofferente.

“Se vuole morire di fame è una sua scelta!” sentenziò Mellia portandosi elegantemente un boccone alle labbra. Dopo il loro incontro disastragico si era fatta più gentile ma era comunque rigida come un pezzo di ghiaccio; e quale migliore occasione di un viaggio tutti insieme per sciogliersi un po’?
Certo forse non avrebbero dovuto trasportarla sulla nave mentre dormiva. Quasi aveva strappato le ali a Nren al suo risveglio, ma dopo le dovute spiegazioni l’avevano convinta a non dare fuoco alla nave.

“Ageh mi odia!” piagnucolò ancora il biondo.

“Ragazzino inizio a pensare che tu sia stupido. Te lo ha spiegato prima di andarsene: la città è divisa in due, in questa metà sono ammessi tutti, mentre dove stava andando lui possono entrare solo i nativi!” zia Fei gli diede una potente pacca sulla schiena.

La donna, anche se avanti negli anni, era bellissima. Il suo corpo, modellato dai continui allenamenti e abbronzato dal tempo passato sotto la luce del sole, si era mantenuto tonico e flessuoso. Nonostante i primi capelli bianchi e le rughe agli angoli degli occhi emanava comunque un’aura di potenza celata.

Ageh li aveva portati nella sua pensione prima di andare ad incontrare la sua famiglia. La città sembrava affollatissima per via delle imminenti nozze reali, eppure la donna non aveva esitato un attimo a trovare un paio di stanze per loro.

Ylva si tirò svogliatamente a sedere e si dedicò dissezionare il cibo nel piatto con poca convinzione. Callum gli batté una pacca sulla schiena comprensivamente; era un possente ragazzo alto quasi due metri, superava la sua piccola sorellina di quasi tutta la testa. Inoltre lei sfoggiava una folta chioma castana, così riccia da avvolgerla come una nuvola. La carnagione olivastra contrastava con il colore pallido del fratello, che se non fosse stato per i suoi capelli rossi, quasi arancioni, sarebbe sembrato monocromatico.

Probabilmente se ci fosse stata Frenuh non sarebbe stato così abbattuto, ma la ragazza era dovuta tornare ad Aggar e il biondo non stava prendendo bene questo nuovo sentimento che era la nostalgia. Persino Gavril aveva preferito andare con Ageh. Gli sembrava che ultimamente nessuno volesse giocare con lui.

Accoltellò con cattiveria una patata, quel pensiero non gli piaceva neanche un po’.

 
°°°°°°°°°°

Re Corion Dale non credeva che quel giorno sarebbe arrivato. Mentre addestrava le nuove reclute gli avevano portato un ragazzo dai capelli lunghi e una veste femminile di dubbia provenienza. Dopo un attimo di sorpresa riconobbe in quel giovane uomo il suo unico figlio maschio.

Lo stesso figlio che quasi un anno prima aveva abbandonato il suo clan per cercare fortuna. Come se ci fosse qualcosa a cui valesse la pena dedicare la propria vita oltre i confini di Pozu.

Non credeva che sarebbe mai tornato, ma ora era lì. E non era solo. Uno strano animale giocava ai suoi piedi con un gatto decisamente sovrappeso. Sembrava una lucertola con le ali. Re Corion aveva sentito parlare di animali del genere ma doveva esserci un errore, da quello che sapeva i draghi vivevano esiliati su un’isola nell’oceano. Perché uno avrebbe dovuto accompagnarsi a suo figlio.

“Sparito!” disse ancora concitatamente Colein.

“Ageh Corion!” la sua voce potente raggiunse senza difficoltà ogni angolo della piazza d’armi zittendo i mormorii, come aveva immaginato molti non avevano riconosciuto il loro principe “Hai fatto sparire tu il Ponte degli Antenati?”

“No”

“Come scusa?” c’era qualcosa di strano in lui, nonostante il suo aspetto sembrava più uomo in quel momento di quanto non lo fosse mai stato, cosa gli era successo?

“Non è sparito, è un illusione! È contro la tradizione che rimanga incustodito, anche se nessuno sano di mente lo attaccherebbe, così l’ho nascosto fino al ritorno del sergente Caligari”

Il re si sentì rincuorato, il ragazzo sembrava aver conservato un minimo di rispetto per le loro usanze.
“E sapresti dirmi che fine ha fatto il sergente?”

Ageh lanciò una breve occhiata al gatto obeso.

Fu più che sufficiente.

“Quello sarebbe il sergente? Riportalo immediatamente al suo aspetto originale! Come osi? Lui è un tuo superiore!”

Poi accadde una cosa che re Corion Dale avrebbe ricordato per sempre.

Ageh sbuffò scostando una ciocca di capelli che gli era scivolata davanti agli occhi.

“Non è un mio superiore, padre, io non sono un soldato, sono un mago”

“Per te sono re Corion! E se hai intenzione di partecipare al matrimonio, vedi di farlo come principe di Pozu!” girò sui tacchi e marciò fuori.

Dopo di lui il campo si svuotò molto in fretta, nessuno voleva rischiare di trovarsi ad accompagnare quello sgradito visitatore.

“Principe” Colein Vomonun non sembrava ansioso di squagliarsela come i suoi connazionali “Forse non avreste dovuto far sparire il ponte…e trasformare il sergente” gli disse lentamente. Non era un cattivo ragazzo, più che altro era una persona semplice. Era un guerriero eccellente e finché gli si indicava chiaramente un nemico non si tirava mai indietro; ma alcune cose, come la politica, erano al di fuori della sua portata. Nonostante questo era una persona piacevole da avere intorno.

Come tutti non capiva la magia di Ageh, ma sembrava anche non capire come praticare la magia potesse essere un problema. Di conseguenza, nella sua ignoranza, aveva sempre trattato Ageh con il rispetto che si deve ad un principe.

Il castano sorrise davanti alla sua esitazione. Riusciva quasi a vedere quanto il poveretto fosse combattuto fra la lealtà al suo re e al suo principe.

“Forse hai ragione Colein. Congratulazioni ad ogni modo” il ragazzone s’illuminò come il sole.

“Grazie!” esclamò dandogli una poderosa pacca sulla spalla.

“Riguardo al sergente, tornerà normale fra un’oretta, posso affidarlo a te?” cercò di massaggiarsi la spalla con disinvoltura, gli sarebbe venuto un livido, come minimo.

“Certamente!” esclamò Colein poi sembrò agitarsi di nuovo “Il ponte…”

“Ci penso io sulla strada del ritorno, manda qualcuno a sorvegliarlo”

“Sulla strada del ritorno? Non andate a casa mio principe? La vostra famiglia vi starà aspettando”

Ageh si perse a guardare verso l’altra metà della città.

“Sicuramente qualcuno mi sta aspettando, ma non in quella che un tempo era la mia casa”

 
°°°°°°°°°

“Ylva! Di nuovo?” Gathossia, la gemella di Callum, squadrava con disappunto il ragazzo biondo “Devi mangiare, non puoi andare avanti così”

Ylva puntellò le mani sul tavolo e si alzò di scatto facendo cadere la sedia. Adesso tutto il suo gruppetto lo guardava e questo lo irritò ancora di più.

“Ho sonno! Buonanotte!” sbottò.

Quel pomeriggio aveva provato a raggiungere Ageh con la magia, ma per qualche assurdo motivo la zona a nord del fiume era un’immensa area sacra al dio degli umani (*), quindi era stato tutto inutile.

Aveva anche chiamato Frenuh che era stata contentissima di sentirlo e di sapere che Ageh non lo aveva ucciso dopo che si era autoinvitato a casa sua, ma quando aveva iniziato a chiederle cosa faceva in quei giorni e perché, nonostante si concentrasse con tutte le sue forze su Aggar non riusciva a contattarla, lei aveva chiuso in fretta la comunicazione senza troppe spiegazioni.

Si lasciò cadere a faccia in giù sul letto.

Voleva solo addormentarsi e finire quella giornata schifosa.

 
°°°°°°°°°

Re Corion Dale si era posizionato in modo strategico, neanche si preparasse alla battaglia. L’entrata della sua dimora dava su una sala dall’aspetto rustico.

In quel momento fissava la porta dalla sua poltrona preferita posizionata su un piano rialzato rispetto al resto della stanza, proprio vicino al grosso camino, tratto immancabile in ogni abitazione degna di questo nome.

Al suo arrivo Ageh si sarebbe trovato a fissarlo dal basso con la luce del camino in volto. Ora non rimaneva che attendere.

E lo fece.

Per ore.

Finché finalmente bussarono. Si affrettò a raddrizzarsi sulla sedia mettendo su un’espressione impenetrabile. Sua moglie Numbra aprì la porta senza commentare quella messinscena.

“Colein!” esclamò con un tono che sarebbe potuto sembrare quasi sconsolato il re in carica.

“Colein!” esclamò entusiasta Daira da un altro punto indeterminato della casa.

“Buonasera mio signore, io e la principessa andiamo a correre” il ragazzo lo salutò compostamente.

“Scendo subito!” urlò ancora la ragazza.

“Ma dov’è quel buono a nulla di mio figlio?” il re si appoggiò allo schienale meditando sulla necessità di mandare una pattuglia a cercarlo.

“Ehm…” quello era l’unico difetto del suo futuro genero, presto sarebbe stato il principe consorte e ancora non era in grado di prendere la parola con decisione “Credo che il principe non abbia intenzione di venire qui stasera”

“Prego?”

“Ha detto che lo stavano aspettando e ha lasciato questa parte della città, l’ho accompagnato personalmente al ponte”

“Non è venuto da solo?” la regina s’intromise incuriosita nella conversazione “Ti ha detto se era con dei suoi amici? O magari con una ragazza?”

“Numbra!” Corion la interruppe scandalizzato “Nostro figlio si rifiuta di tornare a casa e tu ti preoccupi solo di chi potrebbe essersi portato dietro da quel covo di matti?”

La regina si voltò lentamente verso di lui e all’improvviso il re sentì la gola inaridirsi, conosceva quello sguardo. Per molte persone era stato l’ultimo ricordo.

“Se nostro figlio non vuole tornare, caro, probabilmente tu ne sei in buona parte responsabile, ancora non ti ho perdonato di averlo messo sulla porta con due spade e un cambio d’abiti senza consultarmi, quindi cerca di non innervosirmi ulteriormente”

La donna si rivolse nuovamente a Colein sorridendo e Corion riprese a respirare. La vita domestica tendeva a fargli dimenticare che all’occorrenza la sua dolce metà era anche una delle più spietate assassine in circolazione.

 
°°°°°°°°°°

La porta della camera di Ylva si spalancò facendo entrare la luce e il ragazzo si alzò infuriato, non gli capitava spesso di essere così depresso e in quelle rare occasioni era meglio stargli alla larga.

Si stava già preparando a spedire l’intruso in mezzo all’oceano senza vestiti quando tutti i suoi intenti omicidi si dissolsero in uno sbuffo.

“Ageh?”

“Cos’è questa storia che non mangi?”

Ageh entrò con un Gavril sonnacchioso in braccio seguito da un paio di vassoi fluttuanti. La porta si richiuse da sola, il castano si sedette sul letto lasciando andare il drago che si raggomitolò contro il fianco del biondo infilando la testa sotto il suo cuscino.

“Non avevo molta fame” il biondo si era raccolto le gambe al petto, improvvisamente il suo stomaco vuoto si era risvegliato e ora protestava.

“Mangia che domani abbiamo un mucchio di cose da fare” un vassoio si posò davanti a lui e per qualche minuto mangiarono entrambi senza parlare.

“Abbiamo?”

“Si”

“E la tua famiglia?”

“Ho visto mio padre, immagino domani incontreremo anche gli altri”

“Non credevo saresti tornato qui”

Ageh si fermò con un pezzo di pane a mezz’aria.

“Non lo pensavo neanche io” diede un morso. Quando era piccolo, zia Fei gli cucinava il pane alle noci ogni volta che andava a piangere da lei, probabilmente aveva passato il pomeriggio a prepararlo. Era circondato da persone che si preoccupavano per lui, era ora di dimenticare il ragazzino solo ed impaurito che era un anno prima “Vedi Ylva, se c’è una cosa che ho imparato è che attaccare in svantaggio numerico non è mai una buona idea”


*Si tratta di Baelagal, il dio della razza umana. Ci sono diverse religioni intrecciate insieme ma in linea di massima si può dire che gli dei, non importa dove sono adorati, sono tutti parenti in qualche modo. Presto scriverò un approfondimento su di questo e anche su altri aspetti di questi popoli così diversi fra loro. Se ci sono alcuni dettagli che vi hanno incuriosito e che vorreste vedere approfonditi non avete che da dirlo, farò in modo di sanare qualsiasi curiosità.

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Capitolo 16
*** 13. ***


Ok parliamone, questa storia sta finendo e la cosa mi deprime quindi ci sto mettendo un po' a sistemare gli ultimi capitoli.
Ad ogni modo, mentre scivevo il nuovo capitolo mi sono resa conto che la scena iniziale era leggermente di troppo.
Così ho deciso di dividerla dal resto del capitolo e ofrirvela in sacrificio sperando che mi perdoniate per il ritardo.


 
13.

Ageh si appoggiò ai lati del lavabo dopo aver finito di radersi.
Per un attimo il ragazzo nello specchio gli era sembrato uno sconosciuto; non c’era nulla di diverso nel suo aspetto, ma più guardava il giovane uomo al di là della superficie più si convinceva che qualcosa era cambiato.
Per esempio non si ricordava l’ultima volta che aveva esaminato il suo riflesso con tanta attenzione; aveva sempre avuto uno strano rapporto con gli specchi, questo per dire che li evitava. Non c’era nulla d’interessante in lui: era basso per i canoni di Pozu e vicino ai suoi aitanti coetanei sembrava uno spaventapasseri denutrito.
Era sempre stato così, si ricordava che ad un certo punto della sua infanzia gli altri bambini avevano iniziato a crescere e lui si era ritrovato a guardare tutti con il naso in su. Ovviamente a Plaurani la situazione era ben diversa…

L’illuminazione lo colpì all’improvviso; non c’era nulla che non andava in lui! Guardò il suo riflesso con nuovi occhi e stavolta vide che non era né basso né mingherlino come aveva sempre pensato, al contrario, aveva un aspetto sano e delle belle spalle larghe scoprì compiaciuto. Certo ora che non stava più accucciato su sé stesso era più evidente.
Chissà quando aveva smesso di camminare a testa china ed aveva assunto quella postura sicura, quasi fiera. Si sentì un po’ imbecille quando alzo il braccio per esaminare i suoi bicipiti, ma non poté evitare di gongolare internamente quando i muscoli si gonfiarono.
Non era colpa sua se il resto della sua gente sembrava un ammasso di muscoli e testosterone fuori scala. Esclusa Pozu, in confronto al resto del mondo lui era un bel ragazzo!

Arrossì come un idiota al quel pensiero e voltò le spalle al suo gemello bidimensionale ringraziando il cielo che nessuno aveva assistito alla scena.

Com’era prevedibile Ylva lo guardava incuriosito appoggiato allo stipite della porta.
“Volete che vi lasci soli?” 


 

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