Il sole dietro al muretto

di macaofe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra sogno e realtà ***
Capitolo 2: *** L'illusione ***
Capitolo 3: *** Due occhi ***
Capitolo 4: *** Un bacio ***
Capitolo 5: *** Segreto ***
Capitolo 6: *** Incontrollabile ***



Capitolo 1
*** Tra sogno e realtà ***


~~CAPITOLO 1

Tra sogno e realtà

Come cancellare un ricordo? Ve lo siete mai chiesto?
Beh, me lo domandavo tutte le mattine quando al mio risveglio il suo volto riecheggiava nella mia mente. I suoi occhi così profondi laceravano teneramente il mio cuore come un coltello caldo farebbe con il burro e le sue labbra diffondevano un aroma e un profumo che riuscivo distintamente a sentire e che ogni volta creava un subbuglio in me da cui solo dopo alcune ore riuscivo a riprendermi realmente.
Nel mio sogno lui era sempre lì su quel muretto, bello come il sole della prima giornata di primavera, etereo mi rivolgeva quel suo sorriso senza dire nessuna parola. Era stato per lungo tempo il mio sogno proibito, il mio rifugio segreto quando la vita non mi sorrideva, il mio piccolo giardino personale dove i miei sensi si appagavano e la mia ansia si placava. Ora, però, era diventato qualcosa di più: era una ragione di vita, la mia ossessione inconfessabile! Raccontare a qualcuno che ogni notte lui era lì nei miei sogni, non era possibile. Molti mi avrebbero presa per una pazza isterica e ossessiva, ma per me ogni notte diventava sempre più reale. Con il passare del tempo mi stavo convincendo, forse inconsciamente, che c’era un motivo per cui lui era lì, e che quello non era uno stupido vezzo post-adolescenziale ma qualcosa di più reale: un sogno che sarebbe anche potuto diventare realtà. La mia razionalità mi portava durante il giorno ad allontanarmi da quel ricordo ma poi nel cuore della notte inconfessabilmente ritornava sempre ed io mi ci abbandonavo, con meno resistenza, una notte, dopo l’altra. Spiegare come lui era entrato così velocemente nel mio cuore non sarebbe stato difficile, quello che risultava più arduo era, invece, far capire come mai in tutti questi anni lui non ci sia mai più uscito, diventando poi un coinquilino impossibile da sfrattare. Lui era stato per me il primo amore… ma puramente il primo amore platonico. Penso che ognuno di voi abbia avuto la prima adolescenziale cotta, ecco lui era stato la mia prima cotta, ma aveva lasciato in me una profonda cicatrice. Avevo tredici anni quando lo conobbi la prima volta, aveva qualche anno più di me ed era il più bel quindicenne che avessi mai visto. Il tipo che ha sempre la battuta pronta, che attira come calamite le ragazzine. Io per lui, aimè, non ero mai stata una possibile “vittima” perché per lui ero un’amica, una confidente. Al primo sguardo eravamo entrati in sintonia, senza veramente capire come, non avevamo bisogno di parole, ogni nostro sguardo era più eloquente che qualsiasi discorso. Direte voi bellissimo! Certo per molti comuni mortali, ma non per me! Un grosso problema in tutto questo c’era: io in lui avevo visto qualcos’altro rispetto al semplice amico e con il tempo quest’amicizia non mi bastò più. Le nostre vite erano molto intrecciate, ma mai come io avrei voluto e quando nel corso del tempo lui fece le sue scelte di vita, io decisi di portarmi un po’ di lui con me per sempre. Ricordo quando per la prima volta lo sognai e ne fui felice perché era così reale, la mia fervida immaginazione mi stupiva, ma nello stesso tempo dava serenità al mio cuore tormentato. Il risveglio da quel primo sogno fu molto più devastante di come pensavo perché l’impatto con la realtà così profondamente diversa aveva aumentato il mio dispiacere e pensai che fosse meglio per la mia incolumità psichica allontanare con tutte le forze, il suo ricordo. Per un breve periodo riuscii persino a mettere in pratica questo proposito fino a quando le delusioni della vita non mi portarono a ricaderci. Allora capii che per me il suo pensiero era come una droga che mi faceva dimenticare le ansie della vita e m’illudeva con il suo delirio dei sensi. Come tutte le droghe, però, aveva due effetti collaterali: per primo, il risveglio era impossibile da sopportare, l’impatto con la realtà era troppo sgradevole e con il tempo più insopportabile, e secondo dava dipendenza, era qualcosa da cui con il tempo non ti potevi più liberare. Era come un giro sulla ruota panoramica, parti e arrivi in cima, poi piano, piano scendi e in un istante è finito tutto. Ogni volta che iniziava il giro, speravo che arrivata in cima si bloccasse la ruota e rimanessi nascosta in un mondo dove c’eravamo solo io e lui, così che nessuno potesse sbloccare la ruota e svegliarmi dal mio sogno e a sua volta rovinare tutto. Con il passare del tempo questi sogni diventarono la mia ossessione ma mi davano anche la forza per andare avanti. Il risveglio portava via tutta la mia serenità ma il pensiero di rivederlo la notte dopo mi dava lo stimolo giusto. Freud direbbe che “Il sogno è un tentato appagamento di un desiderio…”. Forse era vero. Io, infatti, continuavo ostinatamente a sognare proprio l’oggetto dei miei desideri più nascosti, la persona che non riuscivo nella realtà a raggiungere. In cuor mio, inoltre, quello che non riuscivo proprio a mandare giù era che lui si fosse fatto la sua vita escludendomi del tutto e non potesse sentire quello che io provavo. Il mio dolore per la sua assenza nessuno lo poteva placare: nessun amore nuovo e nessuna piccola o grande avventura. Quello che voglio dire è che nel corso degli anni io non ero rimasta sempre single, ad aspettare un suo ripensamento. Avevo avuto rapporti ma un ombra aleggiava in ogni nuova storia che faceva lentamente scemare tutto molto più velocemente di come era iniziato. In un colpo la nebbia calava sul rapporto e la storia perdeva di significato, e in me ritornava, come un boomerang, il suo ricordo, la sua faccia in sogno diventava più espressiva, e il suo sguardo riusciva a inondarmi di pensieri quasi come se lui parlasse. Quello che è paradossale e che soltanto oggi dopo tanto tempo collego, in ogni rottura c’era un elemento di unione: lui. Si dice che il primo amore non si scorda mai e ancora una volta il proverbio è depositario non solo di saggezza popolare ma anche di verità: era proprio così! Non avevo ancora dimenticato il mio primo amore e mi trovavo inesorabilmente legata a un ricordo da cui poi realmente non volevo separarmi e non riuscivo a separarmi; ogni volta che ci provavo c’era qualcosa che mi faceva ricadere nel baratro: bastava poco anche solo vedere la sua macchina o sentire qualche notizia su di lui, senza parlare di quando lo incontravo e non potevo nascondere l’imbarazzo e non riuscendo a guardarlo in faccia. E la notte lui, che incontrandomi mi aveva quasi ignorato, come sempre, veniva perdonato perché il suo sorriso in me allontanava ogni inquietudine come il vento lentamente porta via le nuvole e schiarisce il cielo.
Questo successe anche alla vigilia del mio ventesimo compleanno ma questo sogno aveva degli aspetti del tutto nuovi e inaspettati per la prima volta lui mi parlò in sogno ed era come se fosse lì realmente. Sempre sorridente e bellissimo con i suoi occhi castani che emanavano calore, Samuele mi disse: “Sara tesoro, cosa ti tormenta, sai che io non posso starti vicino, per ora, nella vita ma siamo vicini, amore mio!”. Io non compresi da subito il significato delle sue parole ma mi suonarono dolci come musica nelle mie orecchie. Il risveglio non fu tragico come sempre, una nuova vita stava per arrivare per me, sentivo che presto qualcosa sarebbe cambiato. Tutti noi siamo curiosi di sapere che cosa ci riserva il futuro e da che parte viene la nostra felicità, ma purtroppo io ormai ero consapevole che la mia felicità poteva essere solo l’appagamento di un desiderio, solo uno ed il suo nome ora ne ero certa era Samuele. Capii allora che io avevo bisogno di lui come avevo avuto bisogno del suo sogno, di qualcosa di straordinario seppure improbabile, di una speranza da coltivare dentro lo spirito come fiori in un giardino, di uno stimolo per andare avanti, di un salvagente per restare a galla e che se ci avessi creduto realmente, forse sarei riuscita a vincere. La vittoria però poteva essere solo lui, solo così mi sarei ritenuta veramente vincitrice. Ne ero talmente convinta che mi convinsi che anche lui aveva bisogno di me e che questo sogno non era la mia rappresentazione di un desiderio profondo ma l’alternativa per entrambi. Pensavo: “Samuele quando capirai cosa rappresenti realmente per me allora inizierai a conoscermi per quello che sono veramente... forse una sognatrice, probabilmente una ragazza che vive fuori da questo tempo, ma che parla col cuore... che ancora crede nell’amore, che ancora s'illude di trovare nel mondo chi la completi”. Il coraggio però di andare da lui in realtà non l’avevo mai avuto, perché un rifiuto non lo avrei proprio sopportato. Potevo sopportare tutto la solitudine, il senso di inutilità ma un rifiuto voleva dire la parola fine ad ogni speranza. Era meglio stare lì, come un’ameba aspettando di addormentarmi per vederlo di nuovo che andare incontro al mio destino, prenderlo di petto perché il rischio di sbatterci contro era troppo grande ed io sapevo che non avrei retto. Allora cosa fare? Risposta ovvia: continuare ad aspettare e fidarmi di lui, di quella rappresentazione onirica di lui che mi rassicurava sulla nostra sorte. Mi convinsi ancora di più che eravamo destinati a stare insieme, niente mi avrebbe distolto da tale convinzione: io e lui saremo stati insieme, non importava quando o quanto avrei dovuto aspettare il destino era inevitabile. Mi sentivo quasi un personaggio epico che sapeva che prima poi qualcosa sarebbe accaduto ed in questa convinzione mi ci accoccolavo ogni sera, aspettando di vederlo in sogno.
Tutti al risveglio dopo uno strano sogno si chiedono che cosa abbia voluto significare e quale sia l’interpretazione giusta. Pensa se non lo avessi fatto io…paranoica e riflessiva com’ero e forse sono ancora. Mi chiesi cosa potessero dire quelle parole, “…siamo vicini amore mio!”. Mi feci mille domande a cui associare poche risposte plausibili. In un primo momento le avevo interpretate come una ovvia constatazione del fatto che di notte stavamo insieme ma poi iniziai ad avere un’idea diversa. Perché dire “…per ora…”? Che senso aveva? La vidi come una premonizione, una sua apertura a qualcosa che stava per avvenire. Una mia grande capacità era, infatti, quella di farmi rappresentazioni del futuro che realmente poi non potevano e non accadevano, era come una sfida con la realtà: la sfidavo, cioè, in questo modo scommettendo che alla fine quello che io volevo, si sarebbe realizzato. La vita non era stata molto dolce con me e non perché non mi aveva dato la gioia dell’amore per Samuele, ma perché già in tenera età mi aveva fatto conoscere come poteva essere cattiva. Non voglio certo annoiarvi con lunghi discorsi su quello che mi è accaduto da bambina ma quello che ne risultò, fu che mi sentii sempre molto in credito con la vita che mi aveva fatto passare tanti momenti così orribili. Oggi penso che mi legai all’immagine di Samuele proprio perché delusa e nel sogno speravo di trovare quella completezza e quella purezza che nella realtà qualcuno bruscamente mi aveva portato via per sempre in giovane età. Samuele per me era il desiderio di una vita pura e perfetta che da sola non riuscivo ad assaporare, era come una sauna che eliminava le impurità e riportava il dolce candore. Anche solo che per poche ore notturne riuscivo a sentirmi migliore, a dimenticare quella sensazione di marcio che durante il giorno mi assaliva. Nelle giornate di pioggia spesso me ne andavo fuori a passeggiare sperando di riuscire ad eliminare quel senso di inutilità che mi affliggeva, a raggiungere il benessere che solo di notte l’immagine del mio amore mi riusciva a trasmettere. Non era facile vivere con certi ricordi nella mente che nei momenti difficili ti affondano verso un baratro che difficilmente riesci ad evitare mentre nei momenti belli offuscano la felicità, rendendoti incapace di ridere e di divertirti come vorresti e come meriteresti. Era assurdo ma un sogno, solo un semplice ed inutile sogno mi aveva dato qualcosa di nuovo: una speranza. Una speranza che si era impossessata di me e mi portò a vedere il mondo in una luce tutta nuova ora finalmente potevo credere in qualcosa di nuovo, in un capitolo della mia vita, dove io sarei stata finalmente la protagonista e non il dolore che fino adesso aveva fatto da padrone. Le parole di Samuele, reali o inventate che fossero, mi avevano dato un’idea concreta di cambiamento, finalmente ora mi sentivo motivata ad andare avanti con grinta. Il futuro che mi aspettava, solo io lo avrei potuto costruire e non avrei più permesso alla mia parte marcia di risalire da quel piccolo nascondiglio dove l’avevo imprigionata. Certo dentro di me questo c’era. Un film avevo sceneggiato e registrato ma la reazione tardò un po’ ad arrivare. Nella mia mente, le mie motivazioni, la mia volontà erano una cosa, avere il coraggio di farlo realmente era un’altra cosa. In me quel sogno aveva scatenato tanto sconvolgimento, come mai prima d’ora che come conseguenza mi chiusi in me stessa. In effetti, anche se vivevo da sola, era raro che passassi le mie giornate senza vedere amici e famigliari che, a differenza mia, contavano molto su di me e mi trovavano forte. Un vero e proprio pilastro che però dentro si logorava a causa di un fiume denso di fragilità, che non mostravo. Ora che tutto era più chiaro, che io ero diversa non potevo mostrare a loro la mia nuova me, perché ne avrebbero letto i cambiamenti, avrebbero fatto domande a cui io per il momento non sapevo rispondere. E’ per questo motivo che scelsi egoisticamente di nascondermi, ora che la mia nuova me in fondo non mi dispiaceva affatto potevo anche stare sola, non avevo bisogno di persone che in parte attenuavano il senso di soffocamento che il giorno mi dava, non avevo bisogno di chiacchiere che coprissero il vuoto che spesso avevo dentro, non avevo bisogno di profumi diversi e nuovi amori ora avevo qualcosa di nuovo ed era quello che avevo sempre voluto. Quello che però non capii subito e che anche, se io non avevo più bisogno, loro si, abituati ad appoggiarsi sulla falsa solidità che volevo trasparire, soffrivano del mio distacco. Mentre io mi estraniavo dal mondo, i miei amici si chiedevano, dove fossi finita, dove fosse la Sara che tutti conoscevano.
Dopo qualche giorno di chiusura dal mondo, qualcuno sbottò contrariando la mia decisione: la mia amica Jennifer. Un giorno decise che era ora di farla finita, che io dovevo uscire ed era ora di ricominciare ad amare ed a vivere. Infatti, dovete sapere che negli ultimi mesi ero entrata in una sorta di solitudine e di gelo affettivo, non riuscivo proprio a legarmi ad un ragazzo perché avevo solo lui nella mente. Inoltre, dopo l’ultimo sogno ero anche uscita meno perché vederlo, avrebbe scatenato in me l’impulso irrefrenabile di parlargli, di abbracciarlo, di avere subito quello che lui mi aveva promesso per il futuro. Ma chiaro che Jennifer delle mie obbiezioni non gli importava nulla e io non ero mai riuscita a dirle un no. Lei era stata per me la mia migliore amica, la mia confidente e l’unica che conosceva le mie più intime sofferenze; anche lei aveva una grande stima di me e non immaginava niente del mio legame con Samuele. Lei piombò in casa mia un sabato pomeriggio, entrò con il suo solito fare disinvolto e mi disse che avevo esattamente due ore per riprendermi e prepararmi. Mentre mi scortava (neanche fosse un marines) verso il bagno, mi raccontò tutto ciò che aveva pianificato: aveva prenotato in pizzeria e aveva deciso che saremo andati a ballare fino a mattina, per questo mi aveva portato alcuni suoi abiti che lei definiva, da “acchiappo”, e tutto il suo armamentario comprendente di trucchi, piastra e profumi. Alcuni particolari della serata li aveva, però, lasciati nascosti e ogni tanto non risparmiava di ricordarmi che aveva una serie di sorpresine per me che avrebbero rivoluzionato la mia vita. Conoscendola immaginavo con paura cosa avesse progettato di tanto diabolico ma mai avrei potuto ipotizzare ciò che di lì a poche ore avrei dovuto affrontare: la mia più grande paura e il mio più grande desiderio insieme.

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Capitolo 2
*** L'illusione ***


~~CAPITOLO 2
L’illusione

Un'illusione è una distorsione di una percezione sensoriale, causata dal modo in cui il cervello normalmente organizza ed interpreta le stesse. L’illusione non è sinonimo di falsa verità, di utopia irrealizzabile, di fantasticheria vuota…ma è fiducia, è speranza di realizzare i propri sogni. Io quella speranza la sentivo mia e non avevo intenzione di abbandonarla, anche se sapevo che sarebbe stata dura, da qualche parte sentivo una fiducia e questo mi permetteva di andare avanti. Quella sera anche il freddo aveva lasciato il passo ad un tepore primaverile, era una serata serena, vedevo le stelle più vicine e più grandi; forse era l’effetto di vederle dopo tanto tempo ma tutto mi sembrava diverso anche la luna sembrava sorridere e strizzarmi l’occhio. Mentre Jennifer guidava io che stavo al suo fianco, provavo a farle delle domande per capire cosa la sua mente malata avesse progettato e feci delle ipotesi strampalate ma lei era decisa a non farmi intuire nulla…diceva solo: “vedrai ti divertirai, ne sono sicura!!!”. Arrivati al ristorante, riuscimmo con difficoltà a trovare parcheggio, il ristorante era affollatissimo e mentre ci avvicinavamo all’entrata d’improvviso, mi bloccai. Su tante auto parcheggiate lo sguardo quasi come per magia mi andò su un auto abbastanza familiare. Il cuore prese a battere all’impazzata, guardai la mia amica e le urlai: “No! Non dirmi che lo hai fatto? Io me ne vado…”. Lei mi guardò sbalordita, non aveva capito perché io avessi reagito così e bloccandomi al volo mi disse: “Ma cosa stai dicendo? Loro non sono ancora qui! Hanno qualche minuto di ritardo, ma vedrai Michele ti piacerà, è un amico di Luca ti ricordi il biondino che io ti ho fatto conoscere l’estate scorsa? Scusa… ma se non ti avessi nascosto tutto, tu non saresti venuta!!!”. Io la guardai ancora, poi rivolsi lo sguardo all’auto di Samuele. Era la sua ne ero certa! L’avrei riconosciuta in mezzo a cento dello stesso modello e pure lei non solo non ammetteva nulla ma non aveva capito niente del motivo che mi aveva spinto a bloccarmi e cercare di scappare. Era così falsa? O io non avevo capito nulla, forse era solo una coincidenza, in fondo nel nostro paesino non ci sono molte pizzerie. Mentre ragionavo tra me e me, Jennifer afferrò di nuovo il mio braccio, buttò la sigaretta e mi spinse dentro il locale in maniera così brusca che quasi caddi e riuscii a evitarlo appoggiandomi a un divisorio aldilà del quale c’erano dei bambini che iniziarono a ridere e sghignazzare verso di me. Diventai immediatamente rossa come un peperone, mi girai verso la mia amica dicendo: “Tu non sei normale! Cosa mi devo ancora aspettare da te?” Lei, allora, si mise a ridere così forte da far girare di nuovo mezzo locale, fin quando improvvisamente la sua risata si spense e lei si bloccò. La guardai sorpresa e vidi che il suo sguardo era fisso su qualcosa o qualcuno dietro di me. Poi si avvicinò e sussurrò: “Oh, oh! Questo non l’avevo proprio previsto! Non te la prendere con me e sorridi disinvolta dai…” Capii al volo di cosa stesse parlando. Mi preparai all’incontro che, in parte, avrei voluto tanto evitare perché non mi sentivo pronta, ma che in fondo da giorni ormai mi sognavo anche a occhi aperti. Mi tolsi velocemente il soprabito, mi arricciai nervosamente i capelli e poi guardai la mia immagine riflessa sulla vetrata: il bellissimo vestito, allacciato al collo, di Jennifer mi stava veramente bene e lei era stata sinceramente brava. Ero pronta, ormai niente mi avrebbe salvato, dovevo farlo e allora mi voltai disinvoltamente e lo vidi…era bellissimo! Sarò banale ma mi sembrava un angelo. Ebbi la stessa sensazione che mi diede la visione di quel corpo perfetto quando lo avevo visto la prima volta. Quando ero un adolescente in pieno subbuglio ormonale! Lo devo ammettere e forse in quel momento lo ero ancora… Mentre lui si avvicinava, io cercavo di rilassarmi. Sara hai venti anni mica cinque, fai l’adulta!!! mi dissi. Quando fu vicino a me, il suo profumo m’invase, lo riconobbi subito e m’innamorai di nuovo di lui. M’innamorai di quello sguardo che ti cattura, di quegli occhi così profondi, così espressivi…e m’innamorai perché il suo sorriso sembrava così angelico, m’innamorai perché lui non è come gli altri...ed è proprio questo suo non esserlo che mi attrae e mi aveva sempre attratto…avrei voluto gridare questo anche a lui ma non potevo, avevo un patto segreto da mantenere e lo avrei mantenuto anche se era così difficile resistere. Samuele mi salutò con la sua solita gentilezza, si avvicinò baciandomi teneramente sulla guancia e disse: “E’ un po’ che non ti vedo ma che fine hai fatto?”. Io lo guardai alzai le spalle e dissi: “Sai le solite cose lavoro, studio…la solita vita!”. Sentivo il viso in fiamme e penso che anche lui lo avesse notato perché avvicinando la sua mano alla mia guancia, mi diede un dolce pizzicotto e disse quasi sussurrando: “sei bellissima stasera!” Il mio cuore fece trentacinque capriole, mi arrivò in gola e fece fischiare le mie orecchie in poche secondi. Poi Jennifer fece la sua comparsa nel siparietto e scacciò via l’atmosfera che si era creata. Tipico suo! Samuele le chiese: “… ma chi state aspettando così tutte in tiro?” Non potei resistere dall’arrossire ulteriormente e Jennifer vedendomi impacciata intervenne al mio posto: “Ho organizzato una cenetta a quattro con due miei amici!!!” In quel momento mi sembrò di morire, era anche peggio di come pensavo ma come le era venuto in mente di sbottare così?…mi sentivo una traditrice e ancora di più quando mi guardò con quegli occhi da cerbiatto. Io lo guardai cercando di fargli capire che non c’entravo nulla e dissi: “La mia amica qui presente ha organizzato un bello scherzetto per me!”. Che cosa avrei potuto dire? In fondo dovevo niente a nessuno e soprattutto a lui, ma allora perché mi sentivo di essere una traditrice? Poi la situazione ulteriormente peggiorò. Quando Jennifer ci si metteva, non c’erano barriere di protezione che tenevano. Quello lo sapevo già. Non si lasciò sfuggire l’occasione per dire: “ Ma non potevo più vederti in quel modo …mi sembravi una vecchia di cento anni. Qualcuno deve farti capire che ne hai solo venti, che sei bellissima e che non puoi continuare a perdere tempo con quel…”. Poi riacquistò un minimo di lucidità e s’interruppe,  forse ricordandosi di chi aveva davanti. Fu in quel momento che però intervenne Samuele, sorprendendomi direi: “Jennifer ha perfettamente ragione! Sara devi vivere i tuoi venti anni perché non verranno più e ti meriti un po’ di felicità!” e mi guardò complice come per farmi capire che aveva compreso in quale trappola mi ero trovata. Jennifer allora lo incalzò con le domande, interrompendo i nostri sguardi: “E tu cosa ci fai? Con chi sei? E Carolina dov’è?” Lui con fatica distolse lo sguardo da me e gli rispose: “Sono con degli amici, una serata di soli uomini. E Carolina…sinceramente non so, dove sia. Io e lei…ecco…non…” ma non riuscì a finire la frase perché Jennifer lo interruppe: “vi siete lasciati, davvero?” Lui non rispose asserì con la testa e mi guardò, veramente tutti e due ora mi guardavano ed io imbarazzata ma con il cuore che scoppiava di gioia, dissi falsissima: “mi dispiace…” e lo guardai di nuovo, ma lo avrei voluto baciare, abbracciare…e come a leggermi il pensiero lui mi salutò baciandomi di nuovo e sussurrandomi nell’orecchio: “…a dopo!” poi a voce alta mi disse: “mi raccomando divertiti…ma non troppo!!!”. Io lo guardai sbalordita e mentre si allontanava con il suo passo deciso e svoltava verso la sala fumatori mi sorrise di nuovo. Non compresi le sue parole cosa intendeva per “...a dopo” Dopo quando? Torna qua ti prego scappo con te! Te lo giuro!...io…io… voglio proprio te…Samu…ormai ero un ondata di pensieri. Un misto di amore e ansia che mi stava sconvolgendo. Non so se potete comprendere, era come aver sfiorato per un attimo l’impossibile e ripiombare nella dura realtà senza nulla sulle tue mani. Alcuni la chiamerebbero amarezza.
Jennifer mi distrasse da quei pensieri: “Sara ma cosa erano quei sguardi e le tue giustificazioni…ma cosa succede tra di voi…c’era una complicità che si vedeva da lontano! Mi stai nascondendo qualcosa e mi dovrei incuriosire?” Io negai spudoratamente: “…ma cosa stai dicendo?…niente, non c’è niente e non sapevo neanche…” ma, poi, venni interrotta da due voci maschili che dissero contemporaneamente: “Ciao…ma siete bellissime!!!” Queste parole in me non suscitarono nulla. Purtroppo non c’era nulla che potesse paragonarle a quelle sentite qualche attimo prima. Solo lui poteva scatenare in me il subbuglio. Mi girai e li vidi, a sinistra c’era Luca che già avevo visto la scorsa estate con Jennifer mentre a destra c’era quello che supposi fosse Michele, era un ragazzo carino, castano con degli occhi molto intensi. Quella sera, però, anche se ci fosse stato, Raul Bova non mi avrebbe fatto effetto e la sensazione che avevo in quel momento non era proprio ideale per intraprendere una nuova conoscenza. Povero Michele con chi era capitato! Pensai. Ci sedemmo al nostro tavolo e con mio grande disappunto (certo visione bellissima, ma contesto sbagliato) ci trovammo proprio di fronte al tavolo di Samuele ed io ero proprio di fronte a lui o più precisamente di fronte a Michele ma io quella sera avevo occhi e testa da un'altra parte. Michele parlava ed io facevo finta di ascoltarlo ma in realtà riflettevo sulle parole di Samuele e guardandolo cercavo le risposte alle mie domande. Lui replicava allo sguardo e sembrava voler rispondere alle mie domande ma sarà che erano troppe, sarà che ero troppo scombussolata, non ci capii molto. Forse, poi, era solo una mia impressione perché, infatti, quando dirigendomi verso il bagno, cercai di fargli capire che volevo parlare con lui, non ottenni ciò che avrei voluto. Non solo, quando tornai al tavolo, notai che lui e i suoi amici se ne erano andati. Domande, mille domande, iniziarono a girarmi nella testa se non fossero bastate quelle che avevo già. E iniziai a ipotizzare che quella complicità me la ero, proprio, inventata. Qualcosa in cui credere ma che in realtà, non era reale. Continuai per tutto il resto della cena a farmi le stesse domande senza avere vere risposte, fino quando non decidemmo di andar via ed io dovetti fingere un malore improvviso per dissuadere Jennifer a costringermi ad andare con loro in discoteca. Michele prontamente propose di accompagnarmi a casa, e questo lo lessi come un suo ultimo tentativo da parte sua di provarci con me, come d’altronde aveva fatto per tutta la sera senza successo. Povero Michele, pensai.
 Durante tutto il tragitto lui mi affogò con le storie più disparate sulla sua grande dote artistica…la musica. Si lodò di aver conosciuto i più grandi musicisti italiani e stranieri grazie al padre che è un avvocato intrigato con alcune importanti case discografiche. Ma mentre lui parlava, più che altro vomitava parole che io con difficoltà riuscivo a seguire, io ripensavo a quello che era successo in quella stravolgente serata e non vedevo l’ora di andare a letto per scoprire cosa sarebbe successo sempre più convinta (o mi ci attaccai a questa speranza) che le parole sussurrate da Samuele si riferivano a qualcosa a me famigliare: i miei sogni! Appena arrivata a casa, dopo aver mollato Michele con la scusa del malessere, mi misi a letto e lentamente mi accoccolai nella speranza di sognarlo al più presto. E ci riuscii ma il sogno fu stranissimo lui non era più sul solito muretto ma era poggiato su una ringhiera in riva al mare, mi sorrideva come sempre e mi invitò con lo sguardo ad ammirare il mare. E all’improvviso lui non c’era più, ero rimasta sola e urlavo il suo nome, tanto, tanto forte che alla fine mi risvegliai, tutta sudata e con le lacrime agli occhi. Come aveva potuto lasciarmi lì? Una seconda volta? Che cosa voleva dirmi? Le domande non mi fecero più dormire. L’orologio sopra il mio comodino faceva le due e trenta, quindi erano le due e venti nell’ora dei comuni mortali non ritardatari come me. Mi alzai per andare a prendere un bicchiere d’acqua e mi fermai a fissare le luci della strada dalla finestra della cucina, non passava neanche una macchina, tutto era così immobile in attesa del ritorno della luce per ricominciare una nuova giornata. Come sarebbe stata la mia nuova giornata? Ora c’era qualcosa di nuovo nella mia vita oppure mi ero solo illusa che qualcosa fosse cambiato? Ero sempre la stessa Sara o ero maturata? Avevo avuto la sensazione che tra me e Samuele quella complicità adolescenziale non si era mai disciolta, che il nostro legame spirituale fosse ancora vivo. Quello che restava da capire era se fosse cambiato qualcosa per lui, cioè se io ora avevo più possibilità, se lui mi vedeva ancora come l’eterna confidente o sperava anche lui in qualcosa di più. A questo punto avevo deciso dovevo affrontarlo solo così avrei capito e mi sarei finalmente rassegnata alla realtà. Era giusto darmi una possibilità in fondo. Così mi sarei fatta anch’io una mia vita lontana da lui o con lui. Certo io speravo la seconda, ma al momento non ne ero tanto certa.

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Capitolo 3
*** Due occhi ***


CAPITOLO 3
Due occhi
La mattina successiva fui svegliata all’improvviso dal frastuono continuo di un fischietto, un tormento che piano, piano si faceva più forte, fino a che non capii che era il suono del mio campanello. Allora saltai giù dal letto e incespicando di qua e di là raggiunsi il corridoio ed afferrai frettolosamente il citofono: “Chi è ?” dissi, forse troppo severamente, ed una voce squillante che mi infastidì mi disse: “Ce l’hai fatta pensavo non eri in casa, aprimi!” Jennifer, che abitava sotto di me non si dava mai per vinta se io non rispondevo alla prima citofonata, sapendo la mia tendenza a collassare nel letto in un sonno profondo. Poi stamattina non vedeva l’ora di sapere il nostro dopocena ma soprattutto di raccontare la sua serata. Entrò al volo e subito si mise a prepararmi la colazione mentre io cercavo di riprendermi e di svegliarmi. Mentre io bevevo il caffè, lei iniziò a raccontarmi come era andata con Luca. Confessò che con lui le cose stavano cambiando, che lui si era mostrato molto interessato a modificare la loro amicizia. Anche se io non li avevo mai visti nelle vesti di amici, lei non si era mai veramente resa conto dell’interessamento di Luca ed ora si stupita di quello che lui provava e soprattutto quello che stava crescendo in lei. Mi raccontò, come suo solito, tanti particolari anche di più di quello che realmente avrei voluto sapere, ma in fondo non mi dispiaceva, ero contenta per lei, si meritava un po’ di felicità e vederla raccontare trionfante della sua serata mi rese gioiosa. Poi mi chiese di me, mi disse che stamattina aveva trovato un messaggio di Michele sulla segreteria telefonica che gli chiedeva il mio numero perché nella confusione della serata non aveva avuto modo di chiedermelo. In realtà, non gli interessava quello, sapeva che lui con me non aveva speranze, e che la serata, per come lei l’aveva immaginata e progettata, era stata sconvolta dalla presenza di Samuele. Ed allora esordì: “Secondo me l’ha lasciata per te, si vede da lontano un miglio che è pazzo di te, fidati”. Io risi fingendo di essere distratta e la seccai: “Ma secondo te se lo avesse fatto per me non mi avrebbe cercato prima. Sai che non è così, non lo è mai stato e forse non lo sarà mai. E poi non mi sembrava così entusiasta di farcelo sapere, non credo che sia una cosa decisa, secondo me è solo un momento di riflessione”. Lo avevo letto dai suoi occhi che non era ancora sicuro di dove andare ma le sue parole nei miei sogni, allora? Non riuscivo a capire ma Jennifer che era da sempre meno paranoica di me era più sicura: “Forse non avrà deciso che fare con quella gattamorta ma è sicuro che tra voi c’è un legame diverso e lui se ne è finalmente reso conto. Tra voi non c’è solo un feeling fisico ma c’è un  legame che va oltre, è qualcosa di strano, come se vi leggete dentro e ieri sera sono sicura che voi vi parlavate con gli sguardi. Anche Luca se ne è accorto e mi ha fatto domande, io ho tagliato corto dicendo che è un vecchio amico con cui non c’è niente ma non credo abbia abboccato. Comunque mi ha detto che a Michele non avrebbe detto nulla.” Il nome Michele mi ricordò di lui e mi dispiacque di come l’avevo mollato: “Povero Michele, ma non credo che ora io…vedi …devo dirgli cosa provo!” e forse non mi riferivo più a Michele e lei lo intuì: “A chi? A Michele o a…”, aveva paura di pronunciare quel nome, in fondo mi conosceva più di quanto io credessi e sapeva le mie reazioni a quel nome e a quella verità. Per qualche istante non parlammo nessuna delle due, io guardavo la strada dalla finestra cercando di reprimere l’istinto di confessare, lei mi osservava aspettando che lo facessi e lo sapeva che lo avrei fatto. Poi io la guardai e gli dissi: “Io lo amo, da sempre e l’ho sempre amato, anche quando dicevo che non mi importava che lui stesse con quella che era una mia amica, anche quando lui veniva da me a struggersi per lei, anche quando sono andata a Milano. Perché credi che sono tornata solo per lui, la sua lontananza mi feriva e mi ferisce ancora”. Feci un sospiro le lacrime ormai avevano coperto le mie guance ed io non riuscivo a trattenerle. Il ricordo del periodo a Milano mi intristì ancora di più, dopo il diploma non resistetti neanche un semestre. Infatti, anche se il corso universitario era interessantissimo qui c’era qualcosa di più che mi attraeva. Presi un fazzoletto mi asciugai le lacrime e continuai: “Ma ora confessarlo a te è un conto, ma dirlo a lui no… non è impossibile, lui non prova questo, lui non l’ha mai provato. Forse mi vuole bene ma non è amore. Non come lo vorrei io…”. Lei continuò con le sue teorie, anche durante il pranzo, e quasi mi avrebbe convinto se la realtà non fosse stata così diversa. Mi lusingava vederci con gli occhi di un'altra persona come una coppia perfetta ma nello stesso tempo mi bloccava la paura che non lo saremmo mai veramente stati. Alla fine esausta dalle sue parole gli dissi fermando quel onda in piena: “Cosa facciamo oggi pomeriggio? Usciamo un po’ ti va?”. Domanda quanto mai retorica non vedeva l’ora di uscire, lei era sempre pronta all’avventura ed oggi ancora di più perché doveva riuscire a convincermi delle sue teorie. Poi come colpita da una botta di adrenalina si alzò saltellando e si diresse verso il mio armadio, canticchiando: “Questo piccolo grande amore…solo un piccolo…” e poi più seria, se mai lo potesse mai essere, disse: “Senti ora tu mi devi un vestito perché quello di ieri sera te lo regalo. A te  sta una favola. Vediamo quale mi puoi dare, non mi va di andare a casa!” Iniziò a perlustrare il mio armadio con la voracità con cui un predatore cerca la sua preda. Solo dopo dieci cambi di abito, di scarpe e di trucco si decise e fu pronta mentre io attendevo già preparata da una mezz’oretta. Prima di uscire si diede un ultimo sguardo allo specchio sull’armadio, era molto bella, i sui capelli biondi erano raccolti e il mio vestito, ormai suo, marrone ed oro le donava davvero. Anch’io mi diedi un’occhiata i capelli mori appena asciugati mi davano un po’ l’idea di trascuratezza ma per il resto stavo abbastanza bene e poi non è che me ne fosse mai importato nulla del mio aspetto: jeans e maglietta erano sempre andati più che bene per me, niente esuberanze. Uscimmo ma non era una domenica come ne avevamo passate tante, ci sentivamo diverse più spensierate, entrambe avevamo qualcosa in cui sperare e ciò ci mandava tanta adrenalina in corso. Suppongo che ne avesse così tanta Jennifer che me l’aveva trasmetteva perché io difficilmente riuscivo ad essere euforica in maniera totalmente disinvolta. L’euforia non faceva parte del mio carattere, infatti, quello di cui mi vergognavo era la manifestazione dei miei stati d’animo, preferivo di gran lunga starmene in  disparte che mettermi al centro dell’attenzione. Carattere assolutamente opposto a quello di Jennifer che invece adorava mettere in risalto la sua figura ed io spesso la invidiavo perché sapeva rivelare se stessa in maniera sciolta e senza timidezza. Jennifer mi convinse ad andare in piazza, io non amavo farmi vedere e non avevo proprio intenzione di cambiare la mia idea proprio oggi, ma come sempre contrariare Jen risultava difficile. In giro c’era molta gente ma evidentemente la tiepidezza dell’aria aveva spinto molti ad uscire per una passeggiata. La piccola piazza cittadina non sembrava riuscire contenere tanta gente e dopo aver dovuto rispondere ad almeno una quindicina di: “Ma che fine hai fatto? Come va?”, capii che forse sarebbe stato più ragionevole seguire il mio istinto primario e evitare le grandi adunate cittadine. Ma poi, all’improvviso, lo vidi lì come nei miei sogni su quel muretto e quando il mio sguardo incontrò il suo lui mi regalò un bel sorriso. Io lo salutai con lo sguardo come da sempre facevamo noi, e ricambiai il sorriso. Poi qualcuno alla mia destra interruppe quel momento idilliaco strattonandomi, io gli rivolsi uno sguardo infastidita ma poi dovetti cedere e sorridere; era, infatti, una mia cara amica non potevo colpevolizzarla tanto. Dopo averla liquidata molto velocemente ed aver inutilmente cercato Jennifer. Ricercai quella complicità con il bel ragazzo al di là della strada ma non lo vidi più e delusa mi appoggiai  su una panchina proprio di fronte. Insoddisfatta perlustravo la piazza in cerca di quel qualcuno che, pensai, aveva approfittato della mia distrazione per andarsene in fretta, ormai ne ero convinta. Non trovando più la mia amica, decisi di ritornare nella mia sicura dimensione casalinga. Mi alzai, diedi un’ultima furtiva occhiata al muretto e me ne andai per la mia strada. Appena allontanata dalla grande folla feci un gran respiro di sollievo, le orecchie ancora mi fischiavano e un cenno di mal di testa iniziava a farsi avanti, a conferma che la mia scelta di andarmene era la cosa più sensata che avessi fatto da quando mi ero svegliata stamattina. Mentre camminavo guardavo i negozi chiusi e le saracinesche delle botteghe di alimentari abbassate. La domenica era sempre stato il mio giorno preferito le vie del nostro borgo trasmettevano una pacatezza ed una tranquillità contagiosa che mi riconciliavano alla vita. Nel mentre, fui abbagliata da una vetrina nuova, ‘ma quando avevano aperto questo gioiellino?’ Non lo avevo mai notato e mi resi conto che era passato tantissimo tempo dall’ultima volta che avevo passeggiato in quella via. Era un piccolissimo negozietto di libri, stupendo. Dalla vetrina si vedeva l’interno con tutti scaffali in legno di uno stile etnico che traboccavano di incantevoli volumi, nella vetrina, in primo piano, c’erano i nuovi best-seller usciti, molti li avevo già letti, ne vidi uno interessante di cui mi avevano parlato e mi dissi che l’indomani sarei venuta per una capatina. Dissolsi lo sguardo per proseguire, quando mi accorsi che pochi metri più in là mi stava osservando appoggiato al muro: “Mi sembravi ipnotizzata? I libri sono sempre la tua passione… eh!”. Samuele immobile con quel sorriso beffardo che da sempre mi rendeva difficile essere arrabbiata con lui, stava lì come ad aspettare che lo raggiungessi: “E tu da quando sei stato ingaggiato per far prendere colpi a povere ragazze innocenti?” e poi un po’ più seria gli dissi: “ Da quanto stai lì non ti ho visto arrivare?”. Rimase un po’ sbalordito dalla mia domanda, forse pensava che io facessi finta di non vederlo, e mi disse avvicinandosi: “Scusa, ma non ti ho più trovato in piazza e ho capito che hai approfittato dell’assenza di Jennifer per scappare indisturbata”. Che bella faccia tosta, pensai, lui se ne va e poi dice a me di essermene andata ma chi si crede di essere: “Mi sembrava che tu fossi scappato alla mia prima distrazione” dissi un po’ offesa. Lui sorrise e abbassò gli occhi: “Vedo che i miei movimenti non ti sono tanto indifferenti…” Disse poi ammaliandomi con lo sguardo: “ Ad ogni modo ero andato a prendere una cosa per te in macchina ma tu, poi, non mi hai dato il tempo…ma comunque sono più contento perché almeno siamo soli”. Ero imbarazzata e mi venne solo questa battuta infelice: “Perché mi vuoi far fuori?”. Lui rise mi diede un buffetto sulla guancia ed inizio a far penzolare dalle sue dita una piccola bustina di carta dicendomi: “No sciocca, volevo darti questo per farmi perdonare di non aver risposto al tuo invito, ieri sera”. E poi si avvicinò dandomi un bacio sulla guancia e mi sussurrò: “Scusami!”. Io diventai rossa come un pomodoro, abbassai lo sguardo e presi il sacchetto, poi senza guardarlo gli dissi: “Credevo che non avessi capito? Mi sono fatta un po’ di domande”. E lui mentre io tiravo fuori dalla busta il pacchetto: “Da quando non riuscirei a capire i tuoi occhi? Per me tu sei stata sempre un libro aperto!”. Il pacchettino verde portava l’etichetta della tabaccheria in piazza, probabilmente era uscito stamattina per comprarmelo dato che era l’unico negozietto aperto la domenica mattina. Alzai lo sguardo e lo vidi che mi guardava impaziente di vedere la mia reazione e allora gli dissi: “Grazie ma non c’era bisogno”. E lui: “Si che c’era, mi sono sentito tutta la notte un traditore e poi…” ma non continuò quasi stesse per dire qualcosa di troppo e continuò cambiando il tiro: “Aprilo dai! Penso che ti piacerà!”. Io quindi iniziai a scartare, presi la carta e la ripiegai nella bustina e sentii lui sbuffare impaziente, poi presi la scatoletta e la aprii…era una stupenda fatina in una palla di vetro che portava una etichetta con su scritto fatina dei sogni. Io lo guardai prima felice poi sbalordita ma come? Ma cosa?...ma lui dissolse ogni mia domanda come fossero bolle di sapone abbracciandomi e dicendomi: “Mi sembrava proprio adatto a te!”. Io mi girai e lo baciai sulla guancia, i brividi mi percorsero la schiena e ci avrei giurato anche a lui aveva fatto lo stesso effetto; ma al momento pensai che mi stavo illudendo un po’ troppo. Allontanandomi gli domandai: “Perché non sei venuto, poi?”, lui mi guardò e disse, mentre iniziavamo a camminare in direzione di casa mia: “Scusa, ma non sapevo come comportarmi…sai con Carolina è tutto…così…”, io lo interruppi: “Ho capito appena lo hai detto a Jennifer, che non vi siete proprio lasciati e più una pausa…vero?”, lui annuì e divenne visibilmente nervoso, voleva parlarmi ma non di Carolina si capiva, ma io continuai: “Ti capisco dopo tanti anni non puoi buttare via una storia. Secondo me devi pensarci, capire cosa provi per lei e quello che conta per te. Vedrai rafforzerà solo il vostro rapporto”. Lui mi guardo, sorrise, evidentemente non aveva molta voglia di parlare di lei, e mi disse, sviando il discorso: “Mi sei proprio mancata sai, solo tu sai leggere dentro di me…ma come fai?”. Io lo guardai, gli feci una linguaccia e poi dissi: “Sai è una mia dote naturale…però mi accade solo con te, con il resto degli uomini il flusso è eternamente interrotto…peccato che tu sia sempre così impegnato!”, e gli feci un'altra linguaccia, ma non scherzavo questa volta, e lui lo aveva capito, perché sempre con aria frivola mi disse: “Lo penso anch’io che sia un peccato!” e poi mi accarezzò i capelli. Eravamo ormai davanti al portone di casa mia. Avrei avuto voglia di stare con lui ancora, ma il mio cuore era già alla duecentesima capriola e quindi gli dissi: “Ok allora …spero che non ci perderemo di nuovo di vista”, e lui: “E’ una promessa!”, poi mi bacio in fronte e fece per andarsene. Io ero sulle nuvole come in un cartone animato, mi girava la testa e piedi erano molli, cercai le chiavi nella borsa quando lui fece dietro front e mi disse: “Sara…io…”, tentennava, guardava al cielo, poi per terra cercava il coraggio per esprimere i suoi pensieri. Rimanemmo qualche minuto lì fermi guardandoci negli occhi pieni di domande troppo difficili da pronunciare. Si era alzato un vento freddo, l’aria prima tiepida era stata sconvolta e si era fatta gelida o forse così la rivelavamo noi che in un momento si eravamo trovati in una realtà diversa da quella che avevamo vissuto fino a pochi minuti prima. Lui fu il primo a rompere quel ghiaccio dicendo: “Stanotte mi sono sentito punito quando in sogno mi sono trovato lontano da te. Lo ho visto come una risposta al mio cattivo atteggiamento, una tua vendetta al mio rifiuto”. Io lo guardai perplessa: “Cosa stai dicendo?…” Non capivo. Ero io quella che lo sognava…io la pazza ossessiva. Lui mi guardò, si avvicinò un attimo di più e poi scosse la testa come a dire lascia stare: “scusami sono stato un pazzo a credere che fosse reale…forse sono uscito di senno.” Mi diede un buffetto e fece per andarsene. Io rimasi un momento tramortita, non poteva essere reale, lui mi sognava?! Come poteva essere normale, questa cosa? Era bellissimo, questo si, ma al limite della logicità. Samuele era il mio sogno irrealizzabile ed ora stava accadendo qualcosa che la mia mente non era ancora riuscita a realizzare. Poi mi ridestai dai miei pensieri e lo guardai, lo vidi mentre si allontanava, con la testa bassa come un cucciolo ferito. Ed era stata tutta colpa mia, lo avevo ferito. Mi ero fatta prendere dalla mia paura, dalla confusione del momento. Ma cavolo se dovevo essere pazza, certo nelle sue braccia sarei stata almeno felice. Allora non esitai gli corsi incontro e lo abbracciai da dietro. Lui barcollo un attimo. Si girò con la testa, prima mi guardò sorpreso, poi mi sorrise. Si voltò e io accucciai la mia testa al suo petto. Il miglior posto al mondo, pensai. Poi ritornammo al portone. Mi staccai, lo guardai un attimo e gli dissi: “Scusami…mi hai sorpreso. Cioè pensavo fossi solo io la pazza che sclerava dietro a questi sogni…” Lui mi guardò e mi riprese tra le sue braccia. Lì nella beatitudine più totale, ci raccontammo tutti i particolari del sogno della notte precedente e poi anche quelli precedenti e ci confrontammo, capendo che era come se avessimo visto lo stesso film da due punti di vista differenti. Fu allora che io con tono polemico gli dissi: “ma perché non mi hai mai detto tutto questo?”, e lui giustamente: “e tu perché non mi hai mai detto nulla?...” e poi ritornando sui suoi sentimenti quasi cercando una giustificazione al suo comportamento: “Non so cosa provo, non è facile!”. Mi avvicinai, gli poggiai una mano sulla sua spalla, mi dava i brividi adoravo quella sua muscolatura non troppo marcata ma soddisfacente, lui mi guardava e si notava che era evidentemente frastornato dalla situazione e mi venne spontaneo dirgli: “tu devi fare chiarezza dentro di te, non pensare a me, io me la caverò come ho sempre fatto. Adesso pensa a parlare con lei e capirai chi sarà il tuo futuro. Io lo sai sarò sempre con te come lo sono sempre stata forse non fisicamente. Durante la notte tu sarai con me ed io sarò con te, se tu lo vuoi.” Samuele mi guardò, mi sorrise teneramente e mi chiese, penso per ritornare in sé e per evitare di abbandonarsi ad un impulso che sentivo in quel momento anch’io vividamente: “cosa fai adesso ti va di venire a prendere un aperitivo al bar così parliamo un po’?”. Guardai l’orologio erano già le sette, sembrava passato un minuto ed invece erano già due ore che parlavamo ed io non me ne ero accorta. Pensai che forse non era il caso, quasi probabilmente avremo incontrato Carolina, ma non volevo lasciarlo ora, quindi accettai ed iniziammo a camminare diretti al bar più vicino, a pochi passi da casa mia. Al bar, ci accomodammo in terrazza. Io avevo preso una Coca, con sua grande disapprovazione, e lui un bitter rosso: “Avevo detto un aperitivo, ti sembra normale prendere una Coca prima di mangiare?”, mi sgridò appena ci sedemmo. Io presi una patatina la mangiai e poi gli dissi: “Ok, Mamma va bene così?”, domandai ironica e lui: “Sì, sì… prendermi in giro e poi vedi quando ti si spappola lo stomaco e vieni a piangere da me”. Continuammo a prenderci in giro così, come avevamo sempre fatto, quando un tempo eravamo più spensierati. Ad un certo punto lui allungò la mano sulla mia, la prese e la intrecciò alla sua e poi mi guardò negli occhi e mi disse: “Sto proprio bene con te, sei speciale, mi fai dimenticare tutto!!!”. Avevo le farfalle nello stomaco, lo adoravo e ebbi l’impulso di baciarlo, mi avvicinai a lui… ma poi…eccola…la sentii correre verso di noi, con i tacchi che sbattevano intensamente sul pavimento e sentii quella voce infastidente dire: “Eccoti, ti sto cercando da più di un’ora, non avevamo un appuntamento in piazza alle sei?”, e senza che lui potesse obbiettare o rispondere si rivolse a me: “Senti noi dobbiamo parlare ora se ci puoi scusare”, disse in un tono solo vagamente cortese e poi vedendo che non mi muovevo, guardò Samuele e disse: “Ma questa è sorda forse…ah, la maleducazione!!”, disse sospirando e mettendo in luce la sua vera natura, era sempre stata assurda, il suo comportamento era sempre sopra le righe, irrispettosa di tutto e di tutti. Si era sempre ritenuta la migliore, superiore agli altri, autorizzata a trattare la gente come mondezza o come oggetti da usare e poi buttare. Io avevo sempre pensato che anche con lui si comportava così, e per questo non siamo mai andate d’accordo. Da bambine eravamo state amiche ma poi crescendo è diventata la mia miglior nemica e non solo perché era la mia rivale. In realtà non la avevo mai ritenuta una rivale fino a quel momento, perché pensavo che anche se non ci fosse stata lei, lui non sarebbe stato con me. Ho sempre pensato che lei fosse solo una viziata che credeva di poter far quello che voleva e le sue parole ora ne erano una conferma.
Allora la guardai con meraviglia e le dissi: “Guarda qui la maleducata sei tu perché irrompi qui e pretendi che me ne vada…ma credi che la gente debba sempre mettersi a tappetino con te…Che faccia che hai!”. Carolina furiosa si rivolse a lui: “da quando frequenti certa gente, non capisco…ora anche le pulci parlano?”. La risposta a queste parole non c’era, ossia c’era ma non volevo essere volgare, quindi mi alzai e rivolgendomi al mio amore, che nel frattempo si trovava in una situazione di imbarazzo assoluto, dissi: “Ok, ora me ne vado…qualcuno un po’ di buon senso qui lo deve avere”. Lui mi prese la mano e mi implorò: “No, non andare…aspetta…”, ma lei gli strappò la mano dalla mia e sedendosi di fronte a lui, al mio posto, gli urlò: “ma cosa… la preghi pure…Noi dobbiamo parlare!”. Io allora lo rassicurai con lo sguardo e gli dissi: “Non ti preoccupare ricorda cosa ti ho detto prima…a dopo!”. Lei non si accorse delle mie ultime battute e iniziò a inondarlo di discorsi a cui lui non sembrava badare molto, mi guardava ed io allontanandomi lo salutai con il mio più dolce sorriso e lui ricambiò. Sul portone di casa c’erano due figure conosciute che si baciavano appassionatamente erano Jennifer e Luca, non si erano accorti della mia presenza, allora tossii per richiamare la loro attenzione. Si girarono e lei mi disse: “Ti stavo aspettando…che fine hai fatto ti ho perso di  vista?”. Scoppiai in una risata e gli dissi: “Ho visto come ti affliggevi ad aspettarmi!”. Ridemmo tutti e tre, poi io aprii la porta e salimmo. Appena arrivati in casa lei mi invase di domande: “Scommetto che eri con lui? Che vi siete detti? Dove è? Si è dichiarato?”. Non avevo voglia di risponderle e riaprire la ferita. Pensavo che ora era con lei, che non avevo combattuto abbastanza per lui. Ma mi sentivo anche un eroina perché mi ero ritirata al momento opportuno e lei aveva fatto una pessima figura proprio di fronte a lui. Sbirciai la terrazza del bar dalla mia finestra, mentre tentennavo a dare una risposta a Jennifer, ma non li vidi supposi che se ne fossero andati insieme. Poi verso Jen dissi: “Si abbiamo parlato, sai con Carolina ancora tutto in forse quindi e meglio lasciar stare…le mille paranoie che mi faccio” Lei allora furiosa: “Quella gattamorta. Non ti devi arrendere, tu la puoi far fuori!” e diede un pugno sul mio tavolo, facendosi male e mentre si faceva, massaggiare la mano da Luca, che insieme a me era scoppiato in una risata schernitrice, io la rincuorai: “Calmati, è tutto a posto.” Vedere Jennifer e Luca insieme mi piaceva, effettivamente una bella coppia, ben assortita: lui più calmo e riflessivo si contrapponeva a lei più decisa e grintosa. La sua grinta mi consolava, ma ero sempre più in pensiero per Samuele, non mi sentivo tradita da lui in fondo doveva sistemare le sue cose con lei e se avesse deciso di rimanere con quella iena l’avrei capito. In fondo non sapevo cosa lo spingesse verso di lei ma da sempre ne era stato attratto. Carolina era effettivamente una bella ragazza, una fotomodella, ma il cervello quello non ce l’aveva davvero. Era sempre alla moda ma non sapeva esprimere un idea originale neanche aiutandola. La odiavo con tutta me stessa, con tutte le mie forse ma la compativo, era troppo poco intelligente per mettermi a competere con lei. Quando i miei amici se ne andarono, presi il cellulare, avrei voluto proprio chiamarlo, non sapevo se il suo numero fosse ancora quello che avevo in memoria. Mi sedei sullo sgabello della cucina con il cellulare aperto di fronte a me e stetti lì qualche minuto, cercando il coraggio di farlo. Quando ad un certo punto, il cellulare iniziò a squillare…ora chi era, era un numero sconosciuto…sospirai presi il telefono e risposi: “Pronto…”. “Ciao come stai ti ricordi di me?” disse la voce maschile dall’altra parte della cornetta. “Chi è?”, domandai un po’ irritata, non dalla domanda ma dalla delusione, forse pensavo che fosse il mio amore ed invece avevo capito benissimo e non mi deluse la risposta:
“Sono Michele, un giorno e già mi dimentichi? Come stai? Spero che ti sei ripresa?”
Ciao, scusa ma non sentivo bene. Sto meglio grazie. Ti volevo chiedere scusa per sabato sera e spiegarti un po’ di cose”, speravo in cuor mio di riuscire spiegarli di Samu senza ferirlo, anche se in fondo non eravamo così intimi da temere questo. Lui però ne approfittò subito: “Stasera ti va di vederci così ne parliamo”. Era proprio ostinato, l’impresa era ardua con lui. “Scusami, ma è molto tardi e domattina vado al lavoro presto e poi ho una lezione successivamente è meglio se mi riposo. Magari facciamo un'altra sera nel fine settimana”, mi pentii subito della mia affermazione, lo stavo ancora illudendo ma dovevo pur liquidarlo in un modo o nell’altro. Lui non dava cenno di cedimento e mi propose: “Ok, va bene venerdì sera c’è una festa organizzata dal comune, sarà una bella occasione per stare insieme e poi vengono anche Jennifer e Luca. Andata?”. Non ero entusiasta di andare alle feste di paese per i soliti motivi ed inoltre sapevo che se Samuele e quella (non mi andava di chiamarla con il suo nome) si fossero rimessi insieme ci sarebbero sicuramente andati. Ma ormai ero in trappola potevo solo accettare e lo feci: “Va bene, ci sentiamo venerdì pomeriggio, così ci organizziamo”. Poi ci salutammo, non prima di avermi fatto promettere che non avrei cambiato idea durante la settimana.

Nota Autrice: Ciao! Questa è una storia che ho scritto tanto tempo fa. Ci sono legata tanto e amo i personaggi come se fossero parte della mia famiglia. Amo molto scrivere ma solo voi potrete dirmi se sono riuscita in questa impresa! Grazie e mandatemi un feedback!!

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Capitolo 4
*** Un bacio ***


CAPITOLO 4

Un bacio

Ma il bacio che cos'è? E' una manifestazione di qualcosa che si dovrebbe sentire, scaturire da dentro; ma qui il condizionale è d’obbligo perché purtroppo a volte il bacio è usato come intercalare e non come qualcosa di reale ed espressivo. Avevo sempre dato una grande importanza al bacio, mostrandone tutto il suo valore, dal come viene espresso fino a quello che vuole rappresentare, e non al quando questo avviene. Il tempo non è una costante ma una semplice variabile in rappresentazione di un attimo, puoi dare un bacio ieri e dare lo stesso bacio oggi, ma il modo in cui lo fai può essere completamente diverso perché diverso il tuo sentimento. In tutte le cose che facciamo o che viviamo credo che il vero senso, l'essenza, è racchiusa solo nel nostro sentire!! Questo pensiero letto in blog di un’amica era l’affermazione più vera che io avessi mai letto e presto io ne avrei avuto la prova. La settimana era corsa veloce tra esami, lavoro e pensieri. Non si era fatto sentire per niente, né una chiamata, né una citofonata, niente, niente…e io stavo da schifo. Il lunedì quando mi ero svegliata, dopo averlo sognato di nuovo ero piena i fiducia, ma poi giorno, dopo giorno questa si affievoliva. Non potevo odiarlo ma detestavo me stessa perché ero salita su quella maledetta giostra e il risultato era stato devastante. Ormai la cosa era certezza. Jennifer mi aveva telefonato il martedì sera e con aria solenne mi aveva detto: “Senti ho saputo da Silvia che l’ha saputo da…” e dopo una fila lunga di chiacchieroni: “…insomma si sono rimessi insieme. Io te l’avevo detto di non fidarti di quella gattamorta…” Fingendo, l’avevo rassicurata che era tutto a posto, che già lo sapevo e che non mi disturbava ma dopo aver attaccato, mi ero abbandonata ad un pianto interrotto. Dopo essermi addormentata in sogno il suo volto mi aveva per un po’ rassicurato. Le luci della mattina mi avevano riportato nella confusione più totale, milioni di domande e una sola certezza: se lui aveva preso la sua decisione, io dovevo rassegnarmi e la prospettiva di uscire il venerdì con Michele non mi dispiaceva per nulla. Non che avessi cambiato opinione su di lui, ma in fondo era stato con me molto carino e poi dovevo verificare quali fossero le reazioni di Samuele, qualora lo avessi incontrato. Alle otto di venerdì ero pronta mi ero rimessa il vestito mozza fiato di Jennifer e lei mi aveva truccato e sistemato i capelli, mentre mi motivava ad essere cattiva con lei e spietata con Samuele. Michele e Luca ci vennero a prendere con un po’ di anticipo, e i due piccioncini ne approfittarono per amoreggiare un po’ in macchina, mentre io e Michele passeggiavamo fuori dal tendone, dove veniva data la festa. Gli spiegai tutta la storia dall’inizio, evitando di entrare nei particolari, e lui alla fine esordì con: “beh, penso che sia proprio un deficiente, potrà essere una fotomodella ma tu sei fantastica e poi non è giusto che rimane con i piedi su due staffe...” Lo interruppi: “Credo che la sua decisione l’abbia ormai presa!” ed indicai due figure che si avvicinavano verso l’entrata del tendone. Erano proprio loro, lei era avvinghiata come una cozza a lui. Mi sembrava una zecca che gli succhiava piano, piano tutto il sangue. Mi irritò tanto la situazione volevo quello che aveva lei, volevo ritornare alla domenica scorsa, avrei voluto sbattere i piedi e piangere come una ragazzina ma non era il caso. Mi ricomposi e preso Michele sotto braccio, ci incamminammo. Per un attimo ci guardammo e lui, capendo cosa volevo fare, mi disse: “Vediamo se si è deciso, lo facciamo schiattare, sei bellissima e lui si pentirà”. Entrammo insieme nel padiglione, alla biglietteria c’era una mia vecchia compagna di scuola. Mi strizzò l’occhio, probabile riferendosi a Michele. Effettivamente qualunque ragazza “normale” sarebbe stata felicissima di uscire con lui, di essere corteggiata da lui. Ma io normale non lo sono mai stata e purtroppo non potevo nutrire un sentimento per nessun altro: avevo solo Samuele nel cuore ed nel cervello. Se lui aveva deciso di dimenticarmi, se domenica era stato un errore e se voleva reprimere i suoi sentimenti me lo doveva dire in faccia. Appena entrati nella sala, li vidi erano già seduti ad un tavolo con altri snob amici di lei. Crudelia (avevo deciso che questo era il soprannome giusto per lei) mi guardava e m’inceneriva ad ogni mio passo verso di loro e lui aveva quello sguardo, che mi inteneriva, quel senso di rimorso confuso. Io non lo considerai molto, mi allungai verso l’orecchio di Michele e gli sussurrai: “Ora divertiamoci dai!” Lui mi guardò, rise e rispose: “Cattiva è! Mi piaci così! Dai lasciamo i cappotti e andiamo a ballare”. Oddio, ballare non era mai stata la mia passione ma avevo bisogno di svagarmi stasera e quindi acconsentii. Ballammo per quasi due ore, ci divertimmo anche insieme a i due piccioncini, che dopo aver fatto loro comodo nell’auto di Michele, si erano riuniti a noi. Samuele e Crudelia erano stati tutto il tempo seduti, lei sghignazzava con i suoi amici, facendo il verso a quello o a quel altro ballerino sulla pista, sicuramente aveva preso di mira me più di una volta perché Samuele ogni tanto la rimproverava e lei si ammutoliva per qualche istante per poi ricominciare. La odiavo, tanto come si odia una rivale, come si odia chi ti impedisce di amare e di essere amata, era una vipera ormai ne ero certa lei era la colpevole. Lui non aveva staccato gli occhi da me neanche un secondo, mi infastidiva vederlo così ma non capivo perché avesse scelto lei, mi chiedevo cosa lo avesse spinto nelle braccia di quella, forse non era libero di fare la scelta che il suo cuore indicava? A volte crediamo di essere liberi, quando decidiamo…ma il più delle volte invece siamo consapevoli di non esserlo. Di fatto molte delle nostre scelte dipendono dall'ambiente, dalla famiglia, dagli amici...da tante cose, solo per ultimo da noi! La nostra libertà di pensiero, di espressione, di parola, e la libertà di scegliere chi amare, anche se garantite da tante Carte e leggi, in realtà è relativa. E lui era forse imprigionato in qualche incantesimo di cui non riusciva a ribellarsi oppure era convinto di quello che faceva? No quest’ultima proposta non l’avrei mai accettata, prima sì, ero convinta che lui non fosse interessato a me, ma ora dopo domenica tutto era cambiato lui provava qualcosa ma perché allora stava con lei? Pensai alle cose più strampalate, loschi incantesimi, pozioni magiche, riti satanici ma nulla nessuna di queste si adattava alla mente, così, sotto la media di Crudelia ed allora cosa poteva spingerlo tra le sue braccia? Forse un tempo per lei provava qualcosa ma ora tutto era diverso, tutto aveva una nuova dimensione. Dovevo parlargli, chiedergli i perché di tutto questo, cosa gli passava nella mente o cosa lei lo costringeva a fare e se lui mi avesse confessato, guardandomi negli occhi, che la amava mi sarei arresa, una volta per tutte. Mentre i miei amici aspettavano un tavolo libero per sederci a bere qualcosa, io ne approfittai per provare ad avventurarmi in bagno. Passai davanti al suo tavolo e lo guardai, uno sguardo rapido. Mi diressi verso il bagno. Era sempre impossibile andare alla toilette a queste feste, un po’ per la fila, un po’ perché l’igiene scarseggiava sempre abbastanza, ma avevo bisogno di un momento di pausa dai suoi occhi e dai miei pensieri. Dopo qualche minuto di fila riuscii ad entrare non c’era molta gente io ero l’ultima della fila, appena dentro respirai profondamente, stetti qualche minuto riacquistando tutta la consapevolezza in me stessa. Poi quando stavo per uscire qualcuno bussò: “Sara sei qui dentro?”. Era lui, mi stupii di me stessa, il mio sguardo era infallibile. Aprii la porta e lui si infilò richiudendola dietro di sé. Mi prese un momento di confusione mentale cosa dire? Da dove cominciare? Fu lui ad iniziare, prendendomi in contropiede: “Senti mi sono sbagliato. Scusa non dovevo dirti quelle cose domenica, non è giusto. Tu non ti puoi far carico dei miei casini sono un egoista. Scusami”. Io lo guardai allibita ma cosa diceva? Non capivo o non volevo capire. Mi innervosii lo guardai furiosa e gli urlai: “Ma perché ti fai fare il lavaggio del cervello da lei? Ragiona con la tua testa, caspita!”. Scosse la testa, abbassò gli occhi e allontanandosi leggermente da me mi spiegò: “Nessuno mi ha fatto il lavaggio del cervello, pensavo che mi conoscessi, che tu più di ogni altra persona potessi capirmi e comprendere??!”, mi sentii gelare, in fondo aveva ragione ma io non mi sapevo spiegare in modo obiettivo la situazione. Girai lo sguardo verso l’appendiabiti dove avevo messo la borsa e afferrandola dissi: “La verità è che stai con lei per amore, allora?”. Lui abbassò nuovamente lo sguardo, che aveva rivolto poco prima ancora su di me, non parlò, esitava come colpito nella ferita già sanguinante. Forse non sapeva che dire, oppure non voleva ferirmi. Io lo incalzai: “A questo punto non lo voglio neanche sapere! Io non mi illuderò più! Se la ami basta è finita qui anche prima di cominciare. Te lo ho già detto non ti devi preoccupare per me”. Mentre parlavo continuava a calciare nervosamente contro il muro, era visibilmente irritato ma in fondo era lui che aveva risposto all’invito sapeva di cosa volevo parlargli. “Io lo so che non ho nessun diritto, non c’entro nulla…e non posso pretendere che tu ti apra con me, se non vuoi. Facciamo così ora ci salutiamo qui, tutto a posto. Amici come prima, in fondo cosa è successo mai? Nulla!” Dissi lapidaria, cercando di oltrepassarlo per andarmene e mettere fine per sempre a quella agonia, vederlo così per me era impossibile. Lui mi bloccò, afferrò la borsa rimettendola sull’attaccapanni e guardandomi nuovamente negli occhi mi disse: “Quello che è cambiato è che io ora ho bisogno di te! l’unico momento felice della mia vita era quando ti vedevo la notte in sogno, ma ora dopo averti confessato tutto, dopo aver passato quei stupendi momenti e avere la consapevolezza che per te è la stessa cosa…non mi bastano più quei piccoli momenti notturni ed ho bisogno di te!...”, notai che aveva gli occhi lucidi che sembrava che prima o poi le lacrime avrebbero superato gli argini per lasciarsi andare in un pianto incessante, e mentre io lo osservavo un’angoscia mi saliva dentro, “…ma nello stesso tempo non ti posso chiedere di sacrificare la tua vita alle mie dipendenze, la mia situazione non è facile e non posso scegliere tu si…puoi farti una vita con qualcun altro”. La visione di quegli occhi mi avevano commosso ma le sue parole mi innervosivano: “Cosa intendi? Chi ti costringe? Non si può essere obbligati ad amare chi non si ama e nessuno dovrebbe farlo. Cosa o chi ti spinge a fare questo sacrificio?” e lui secco: “La responsabilità, la stima, il rispetto verso chi ha sacrificato la sua vita per stare con me, che mi ha sempre amato e che ora non merita di essere abbandonato solo perché io non sono più…” e si bloccò ed io che sapevo già in anticipo cosa voleva dire, e cioè che non era più innamorato di lei, lo rimproverai: “Ma di chi stai parlando? Lei non ha tutte queste qualità, non merita la tua stima, né il tuo rispetto, tu l’hai sempre adorata ed ora ti senti in colpa perché finalmente hai aperto gli occhi?” Ma lui scuotendo la testa: “Non è per lei, i suoi, i miei e la nostra vita già pianificata questo è…è più importante!” e si mise le mani sui capelli. Io presi le sue mani e le strinsi, mentre Samuele mi rivolgeva lo sguardo, io gli chiesi: “E’ più importante…di Noi?”. Una lacrima, una stupida lacrima non riuscii a trattenerla, scese rovinosamente giù aprendo la strada ad altre sue cento compagnie e mise alla luce tutta la mia fragilità che avevo protetto per tutto il tempo. Lui non rispose, mi fissò e fissava il mio sconforto che ormai non potevo più nascondere. Poi si avvicinò oltre ogni limite, rompendo quella sottile barriera che fino ad ora aveva mantenuto con difficoltà. Passandomi il pollice sulle guance cercò di asciugare quelle ultime lacrime che scendevano…mentre lo guardavo negli occhi avrei voluto domandargli come poteva rinunciare a tutto questo, a tutto l’amore che io gli volevo donare…e come poteva costringere me a rinunciarci. Ma i suoi occhi portavano tutta l’inquietudine di chi sa che non ha scelta ed allora mi persuasi a non insistere, l’avrei solo messo più in difficoltà, ed io lo amavo e volevo solo la sua serenità. Il mio silenzio, il suo silenzio, i nostri occhi, oggi ricordo tutto ancora nitidamente, il momento più intimo che fino ad allora avevamo mai avuto ed anche il più difficile. Piano, piano crollò ogni barriera, pensavamo che mai più ci saremo trovati così in contatto, due anime che si parlano che si scambiano un patto di amore eterno, ma che mettono anche la parola fine ad ogni illusione…forse domani avremo avuto il rimorso di ciò che stava per avvenire ma io non avevo nessuna voglia di reprimere i nostri sentimenti, volevo assaporare tutti questi momenti per poter poi portarmeli con me per sempre. Samuele mi abbracciò e facendomi posare la testa sul suo petto mi sussurrò dolcemente: “Non avrei mai voluto farti passare tutto questo, se tutto fosse diverso io sceglierei te senza pensarci ma la vita non è mai facile. Se potessi tornare indietro, tesoro mio!”. Le sue parole dolci erano come il miele, lo adoravo, lo amavo sopra ogni cosa, mi strinsi forte a lui e sentii il suo dolce profumo, mi inebriava i sensi. Alzai gli occhi, lui era lì con gli occhi chiusi e sembrava assorto in un delirio dei sensi, liberai un braccio dalla sua stretta e gli accarezzai il mento, lo distrassi da quel estasi, mi guardò e quello stupendo sorriso si accese nel suo volto e mi disse, o perlomeno ci provò: “Io ti…”, capii che non voleva sbilanciarsi tanto, mettendomi in una condizione peggiore di come era ora, rimase lì a guardarmi esprimendo con gli occhi ogni suo sentimento, ed io gli risposi: “Anch’io…tanto.” Mi strinse ancora più forte, sentivo il suo cuore andare all’impazzata, era un suono magico, un suono dolce…non mi dimenticherò mai di quel momento, di cosa provavo: il mondo non c’era più, lei non c’era né fisicamente né mentalmente e quel aria fresca, pulita dalla sua assenza creò qualcosa di indimenticabile, mai dimenticherò cosa provavamo. Rialzando la testa incontrai di nuovo i suoi occhi, una scintilla e tutto prese fuoco, nessuno poteva fermare quell’ondata di sentimenti che piano, piano avevano distrutto i confini che noi avevamo costruito, sia in lui che in me l’impulso vinse ogni resistenza; lui mi sorrise e poi avvicinò le mie labbra alle sue accompagnandole con una carezza e ci abbandonammo al più dolce e sensuale bacio che avessi mai dato. Sentii un brivido, prima freddo poi caldo attraversare ogni recettore del mio corpo. Mossi la mia mano… gli sfiorai il fianco e sentì le cuciture della sua maglietta tra le mie dita. Gli accarezzai la schiena e sentii il calore del suo corpo contro la mia mano. Accadeva veramente…era bello sentire le sue labbra sulle mie…era fantastico sentire la sua lingua sfiorare gentilmente la mia…era come se tutto in quelli istante fosse dannatamente perfetto. Come le due metà di una mela che si incontrano così noi stringendoci forte l’uno all’altra, desideravano fortemente di fondersi insieme per sempre. Poi qualcuno bussò alla porta del bagno, rovinando tutto e facendoci ripiombare bruscamente nella realtà, noi, come quando non ti vuoi svegliare da un bellissimo sogno, ignorammo per un istante ancora il mondo. Samuele avvicinò il suo naso al mio e lo sfiorò leggermente, poi al mio orecchio mi sussurrò senza lasciarmi ancora andare: “Io sarò per sempre tuo…”. Io lo guardai avevo mille domande ma non osai, mi allungai verso il suo viso, lo baciai sulla guancia e poi gli dissi ora a voce più alta: “Mi mancherai!” Lui non mi rispose immediatamente, mi lasciò andare e mi disse: “Scusami…per quello che sto facendo, soffriremo molto lo so, però lo devo fare”. Feci per aprire la porta, non sarei voluta andare mai via ma dovevo, sentivo di nuovo le lacrime prendere il sopravvento e non volevo mi vedesse di nuovo piangere. Ma prima di uscire lui mi fermò mi abbracciò forte e poi ci baciammo di nuovo, penso che volesse portare con lui un ultimo ricordo di noi insieme. Fu ancora più bello del primo le sue labbra mi volevano ardentemente ed anche le mie, ci amavamo, ma dovevamo lasciarci, come era realmente possibile farlo? Io capii che non mi sarei mai più rifatta una vita senza di lui non era possibile. Quando uscii dal bagno visibilmente sconvolta ma con il cuore che mi batteva ancora in un misto di felicità e tristezza, i miei amici mi stavano aspettando. Mi guardavano curiosi perché ero stata in bagno per più di mezzora, ma non dissero nulla, ci sedemmo ad un tavolo a destra di quello di Samuele e company, mentre mi sedevo vicino a Michele guardai alla mia sinistra ed incontrai gli orrendi occhi di Crudelia la fulminai, la odiavo ora più che mai, poi guardai lui era bellissimo. Mai come ora lo avrei voluto mio, mi guardò e fu come due occhi che si incontrano in una foresta buia, che si conoscono che sanno cosa pensa l’altro ma senza parlare. La purezza dei suoi occhi e l’incanto del suo timido sorriso sul suo volto mi turbarono. In un attimo in quella stanza così affollata di gente io mi ritrovai sola, sola con i miei pensieri, le mie inquietudini ed i miei dubbi, avrei voluto scappare fuggire andare via da tutto questo e da lui, rimpiangevo quando ero chiusa nella mia solitudine, quando le quattro mura di casa mia e la corazza che mi ero creata mi proteggevano e quando, ancor prima di sapere la verità, non mi davo nessuna speranza e forse stavo molto meglio. Mi alzai di scatto come punta da una vespa inferocita per scappare da quelle emozioni ma la testa mi girava, le gambe erano deboli, lo stomaco in subbuglio, il cuore mi batteva in gola per un attimo vedetti tutto annebbiato e poi nulla, non vidi più nulla…riaprendo gli occhi la stanza si trasformò in una baia deserta e tranquilla, le dolci onde mi cullavano come una mamma fa con il proprio bimbo, mi sentivo di nuovo pacifica come non lo ero stata da giorni, riuscivo distintamente a sentire il dolce profumo del mare, poi d’un tratto le onde si incattivirono, come sospinte da un vento che era arrivato chi sa da dove e chissà chi lo aveva persuaso a dirottare la mia serenità, e mi sentii in balia delle acque, prima sentivo che le onde mi schiaffeggiavano. Poi affogavo, ansimavo, non riuscivo a respirare, stavo male, pensai di stare per morire, sentivo il mio corpo che piano, piano si abbandonava e affondava nelle acque. In quegli attimi il suo volto, solo il suo volto era la mia ancora di salvezza, lo vidi prima lontano, poi più chiaramente ed all’improvviso riemersi dal fondo… mi ritrovai circondata da gente, tanta gente. Michele mi sorreggeva mentre Samuele mi accarezzava dolcemente la fronte, mi guardava preoccupato, ma poi incontrando il mio sguardo mi sorrise e mi disse: “tesoro, stai meglio?”. Io annuii non riuscivo a parlare, avevo come un nodo in gola, mi sembrava ancora di percepire quella sensazione di affogamento, ancora non mi aveva abbandonata. Mi resi conto di aver perso i sensi, mi sentivo uno straccio soltanto le sue mani, che mi accarezzavano ed i suoi occhi mi rasserenavano ma poi nei momenti successivi provai un profondo senso di imbarazzo e di stordimento per quello che era successo, come avevo potuto perdere così il controllo? Più tardi Jennifer mi spiegò le dinamiche di cosa era accaduto mentre io ero a terra, che Michele e Samuele mi avevano soccorso e precisò: “l’ho visto catapultarsi su di te come un pazzo”, riferendosi a Samuele e poi: “Era la faccia dell’angoscia, il panico gli si leggeva in volto”. Credo che lui si sentisse responsabile di quello che mi era capitato, infatti, stava lì ignorando la gente e sbattendosi delle sbuffi e dei sguardacci che mandava Carolina poco più là, pensai che quella vipera non aveva un minimo di sensibilità. Mi avevano fatto sedere su una sedia sentivo tutti gli sguardi su di me non riuscivo a tranquillizzarmi e così mostrando tutta la disinvoltura che potevo, mi alzai in un momento di distrazione dei miei soccorritori. Ma improvvisamente mi assalì nuovamente quel senso di soffocamento, le orecchie mi fischiavano, la testa mi girava. Stavo nuovamente per perdere il controllo del mio corpo, quando Samuele con un gesto rapido e deciso mi afferrò, mi strinse a lui, dicendomi dolcemente ma con tono grave: “Ma dove credi di andare devi riprenderti un attimo, ora usciamo fuori, l’aria fresca ti farà bene!” e poi riferendosi a Michele e Jennifer: “prendetegli il cappotto ed anche un bicchiere di acqua zuccherata la aiuterà”. E poi mi scortò fuori dalla cerchia di gente che si era adunata intorno a noi. Samuele mi teneva forte, mi sentivo stordita ma in estasi e pensavo che se anche il paradiso fosse stato così, avrei voluto morire immediatamente. Appena fuori del locale, l’aria fresca che mi colpiva la faccia mi fece riprendere leggermente ora non sentivo più quel senso di soffocamento, ma le orecchie mi facevano ancora male. Michele suggerì di farmi sedere sulla sua macchina e mentre io mi abbandonavo sul sedile, loro iniziarono a discutere di cosa fare: lì sentivo lontani ma mi arrivava qualche frase qua e là. La stupida Crudelia urlava e la sentii nitidamente dire a Samuele: “Mica vorrai accollartela fino all’ospedale, ci penseranno i suoi amici? Su andiamo noi!”. Non mi parve di sentire risposta a queste parole, e Samuele mi sembrava intento a parlare con Michele: “Senti Michele bisogna portarcela è necessario…per due volte…decidiamo allora?” e lui gli rispose in modo sprezzante: “Va bene ma tu non sei necessario! La portiamo noi, voi potete pure andare…”. Crudelia poi si era allontanata ribadendo: “Si! Noi possiamo andare, dai te lo dice pure il suo fidanzato”. Ed io digrignando i denti sussurrai: “Stupida non è il mio fidanzato! E fatti gli affari tuoi!”, Jennifer che era rimasta accanto a me si girò e mi chiese: “Ti senti meglio?”, io la guardai e dissi: “Si va meglio portatemi a casa, ora ho bisogno solo di riposare!”. Ma lei che da fuori sentiva meglio mi disse: “No ora andiamo con Michele all’ospedale, un controllo e poi ti portiamo a casa più sicuri, ok?”. Io non ribattei e cercai ancora di sentire i loro discorsi in lontananza: “Va bene Michele però portacela e fammi sapere!” e Michele: “Tu non ti preoccupare io so badare a Sara. Credo che la tua ragazza ora ti stia aspettando, non la vorrai far aspettare?”, mentre si avvicinava sentivo nelle sue parole, ancora meglio, tutto il suo risentimento nei confronti di Samuele. Ma, il mio amore non mi sembrò dare molta retta ai sentimenti del suo rivale, si affacciò dentro la macchina e mi disse con quella sua voce dolce che solo lui poteva avere: “Come stai? Va meglio?” ed io risposi timidamente: “Si sto bene, puoi andare se vuoi, io mi farò accompagnare a casa da Michele” ma lui sorridendo: “No cara, ora tu vai con loro al pronto soccorso, ti fanno una visitina e poi vai a casa. Ok?”. Ma io come una bambina che fa i capricci: “Non è necessario è solo uno scrupolo, sto bene stai tranquillo?”. Samuele mi accarezzò la guancia e mi disse: “Dai fallo per me, vacci staremo tutti più tranquilli. Vuoi che ti accompagni io?”. Come era perfetto, lo avrei baciato nuovamente in quel momento, ma sapevo che avrei creato solo scompiglio ed imbarazzo, lei era poco più giù sentivo distintamente i suoi sbuffi ed allora guardandolo di nuovo nei suoi profondi occhi castani risposi: “No, vai tu. Mi faccio accompagnare in ospedale da Michele. Stai tranquillo parola di scout.” Lui si avvicinò di nuovo mi sfiorò la guancia e disse ora più pacifico: “Brava tesoro, senti ti chiamo dopo sul cellulare di Michele…” poi sussurrando: “Ti voglio bene.” Quelle parole mi scaldarono il cuore, quanto lo amavo. Mentre ci dirigevamo in ospedale, Michele mi teneva la mano, mi aveva fatto sistemare dietro e aveva chiesto a Luca di guidare. Probabilmente sentiva il peso della responsabilità che gli aveva dato Samuele, ma penso che volesse anche dimostrarmi che lui poteva essere un degno sostituto. Sinceramente lo pensavo anche io, era dolce, premuroso, intelligente ed anche visibilmente bello; ma avrebbe acconsentito a stare vicino a qualcuno che in fondo non lo avrebbe amato mai? Non potevo chiedergli questo così mi girai e lo guardai, lui mi sorrideva ed io mi sentii un nodo in gola, poi però preso coraggio dissi: “Senti…io sono un casino, credo che non dovresti perdere tempo con me. Tu ti meriti qualcuno che ti ami sopra ogni cosa e non una surrogata di ragazza.” Ma lui avvicinando le sue dite alla mia bocca disse: “sss…non dire nulla. Ne parliamo domani”. Avrei voluto continuare, lui doveva sapere cosa era successo, doveva essere al corrente, non si doveva illudere, ma notai la grande insegna del Pronto soccorso e allora mi zittii. Il medico dopo avermi rigirato come un calzino, puntualizzò che sicuramente era stato un abbassamento di pressione dovuto allo stress fisico della serata ed alla mia debole con debole fisica. Mi scortò fuori dai miei amici e gli replicò la diagnosi aggiungendo: “la ragazza deve mangiare un po’ di più e rimettersi in forza, deve riposarsi e stare lontano per qualche settimana da stress fisici e psicologici, ve la affido mi raccomando o domani sera sarà di nuovo qui ed allora verrà ricoverata”. Appena uscita dal pronto soccorso notai Samuele che veniva verso di noi. Fui felice di vederlo non aveva potuto trattenersi e sicuramente si era innervosito dall’attesa. Effettivamente mi avevano tenuto dentro per quattro ore, tra analisi e valutazione dei risultati e lui probabilmente non ricevendo una chiamata aveva preferito venire di persona. Appena mi vide mi sorrise ma poi rivolgendosi a Michele furioso: “Non ti avevo detto di avvisarmi? Che ha detto il dottore?” Fui io a rispondere al posto del mio amico che si era visibilmente alterato: “No, Samuele sono uscita solo ora, il dottore è stato molto scrupoloso e ha voluto aspettare i risultati delle analisi del sangue. Mi ha detto che probabilmente è stato un abbassamento di pressione, dovuto allo stress. Ma niente di preoccupante.” Jennifer intervenne puntualizzando: “Ora deve solo riposare, mangiare un po’ di più e stare lontano da stress psicologici!!!” Ed io irritata, perché sapevo dove lei voleva andare a parare: “e fisici, quindi non si può più andare a ballare!” dissi per smorzare la tensione che si era creata. In effetti, Michele guardava Samuele con occhi rabbiosi era su tutte le furie con lui, aveva intuito che io in bagno avevo parlato con lui e che quello che era successo l’ha dentro mi aveva sconvolto, e per questo lo colpevolizzava. Samuele evitava i suoi sguardi e si rivolgeva verso di me con occhi profondamente pentiti. Sentivo che lui soffriva come me, forse anche di più, perché era responsabile di quello che ci succedeva. Mentre io iniziai a sistemarmi il cappotto, Samuele mi prese una mano e mi disse: “Dai vieni che ti accompagno a casa?”, ma Michele mi trattenne e gli disse: “Non è necessario ci siamo noi!”, il fuoco scorreva nei suoi occhi, e il suo corpo era profondamente alterato, quasi si trattenesse dallo scoppiare. Allora intervenni e gli dissi “Grazie Samuele, ma torno con Michele e meglio così. Non dovevi venire fino a qui, grazie ancora per tutto.” Mi sentii morire, non avrei mai dovuto rifiutare, non volevo…ma ora era la scelta più saggia, lui aveva preso una strada ed io dovevo prendere la mia. Samuele mi lasciò la mano ed io mi avvicinai per salutarlo, sussurrando di nuovo “Mi mancherai!” Lui mi baciò sulla guancia e poi disse sussurrando anche lui: “Sarai sempre nel mio cuore!”. Mi veniva da piangere, sentivo le lacrime spingere ed io cercavo di rimandarle dentro. Non volevo che mi vedesse piangere, non volevo che soffrisse di più di come già soffriva. Per tutto il viaggio di ritorno Jennifer e Michele organizzarono i turni di guardia, in modo che io non fossi stata mai sola. Mi sembrava molto ridicolo ma non gli diedi molto peso, ripensai a Samuele, a ciò che ci eravamo detti in bagno, alle sue parole, al nostro bacio, a quanto desideravo le sue labbra e il suo corpo. Ebbi una stretta allo stomaco quando realizzai che non avrei mai avuto più quel contatto con lui, non avrei avuto mai lui solo per me, non avrei mai fatto l’amore con lui, mai sarei andata con lui al cinema, a fare passeggiate. Quanti San Valentino in cui al mio fianco non ci sarebbe stato lui, ai Capodanni in cui non avremmo brindato insieme. Ed il pensiero che niente di tutto questo avrei potuto condividerlo con lui, mi distruggeva. Non potei più trattenerle ora le lacrime, mi coprivano il viso, e mi resi conto che stavo singhiozzando, mi ero abbandonata ad un pianto disperato e non riuscivo a trattenermi. Michele al mio fianco se ne accorse, mi abbracciò e mi strinse al suo petto. Fu terribile, non era il cuore di Samuele che sentivo battere, il suo battito non aveva un suono melodioso, capii che per lui e per me non c’era speranza mai avrei dimenticato Samuele e mai Michele avrebbe potuto sostituirlo, con tutto lo sforzo che poteva mettere, non lo avrebbe rimpiazzato. Piano, piano comunque mi calmai, lui mi accarezzava i capelli ed ogni tanto mi baciava la fronte, mi infastidiva il suo contatto ma in fondo lui voleva solo aiutarmi. Arrivati a casa, decisero che sarebbero rimasti tutti con me. Jennifer, fece da padrona di casa e sistemò il letto matrimoniale che era nell’altra camera di casa, per far riposare Luca e Michele, e poi venne a dormire al mio fianco. Sapeva che questa notte, o quello che ne era rimasto, per me sarebbe stata dura e non voleva che rimanessi sola con Michele, perché mi sarei sentita più a disagio.

NOTA AUTRICE: Buon San Valentino a tutti!!! Vi allego il nuovo capitolo! ...Bene bene cosa ne pensate? Fatemi sapere!!! Io li amo tanto! Spero piacciano anche a voi?

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Capitolo 5
*** Segreto ***


~~CAPITOLO 5
Segreto


 Per la prima volta in tanti anni, non lo sognai, forse ero troppo stanca oppure rassegnata. Mi svegliai il pomeriggio successivo Jen non c’era più ed al suo posto c’era Michele. Era vestito con gli stessi abiti della serata, probabilmente era rimasto in casa mia tutto il tempo ed ora mi guardava, come per controllare che stessi bene e tenermi al sicuro. Ma penso che la sua maggiore preoccupazione era impedire a qualcun altro di sua conoscenza di venire a disturbarmi. Quando mi vide aprire gli occhi mi disse: “Buon giorno, dormigliona, sai che ore sono?” Io gli sorrisi ancora insonnolita, feci per alzarmi, ma lui mi disse: “Dove vuoi andare? Ti vado a prendere la colazione, o vogliamo chiamarla merenda? Sono le sei del pomeriggio…” e balzò in piedi in un attimo diretto verso la cucina. Sorrideva era felice di vedermi più in forma e serena ma io dentro mi sentivo morire, non mi aveva abbandonato l’angoscia e non mi avrebbe abbandonato forse mai. Con lui però ero tranquilla, evitavo di mostrargli il mio lato oscuro e in quei giorni di riposo fu per me una compagnia stupenda: mi faceva ridere, mi portava la pizza, i dolci, ogni mattina la colazione ed ogni sera un dolcetto ed un film nuovo. Stavo bene con lui non ci avrei rinunciato, ma certo avrei barattato la sua presenza con quella di Samuele. Avevo cercato più di una volta di parlargli, per spiegare com’era andata quella sera, ma lui non ne voleva sapere, ne parlare di Samuele e mi diceva che ora era per me il passato ed io dovevo farmi un nuovo futuro senza di lui. Mi feriva quando diceva questo, mi colpiva al cuore ma sapevo che aveva ragione e con il tempo, decisi di non provare più a intraprendere quel discorso con lui. Soltanto a Jen potevo raccontare le mie sciagure, senza aver paura di ferirla. Gli avevo raccontato nei minimi particolari tutto quello che era successo con Samuele e lei mi aveva dato la sua opinione: “E’ un incosciente, lo sa che non si va contro il proprio cuore? Ama te, diciamo che te l’ha “detto” e poi sta con quella vipera”. Mi aveva poi raccontato della sera del mio malore, di come lui l’aveva azzittita quando Crudelia voleva andar via lasciandomi lì. Della sua preoccupazione e del suo sconforto quando io lo avevo rifiutato fuori al Pronto Soccorso ed io le avevo chiesto: “Cosa dovevo fare? Mi sembrava che stessero per fare a botte, io voglio bene a Michele…e lui una scelta l’ha fatta io l’ho solo rispettata”. E lei: “Ma, hai fatto benissimo è quello che si meritava poteva stare con te se lo voleva veramente invece che con quella gattamorta”. Con il tempo, però, neanche Jennifer apprezzava più di sentir parlare di lui e sviava sempre i miei discorsi, così piano, piano Samuele si allontanò dalla mia vita, ma non dal mio cuore e di notte il suo ricordo ritornava sempre a farmi visita e rimaneva sempre vivo in me. Per Jen io dovevo chiudere con lui, essere arrabbiata e non sopportava quel mio sempre giustificarlo. Non avevo un minimo di orgoglio, ne ero consapevole, ma non riuscivo a colpevolizzarlo, anche se la colpa era la sua, della sua riconoscenza verso quel mostro, che aveva distrutto la sua vita e stava frantumando anche la mia. Carolina era orrenda, aveva fatto della sua esistenza la rovina per Samuele. Si era invaghita di lui quando erano ancora bambini e lei era abbastanza bruttina, ma poi quando lei era sbocciata nella bella ragazza che era, allora non gli era stato difficile farlo suo. Non aveva concretizzato mai nulla nella vita lavorativa, né scolastica e grazie a Samuele si era fatta assumere nella ditta del padre di lui e piano, piano si era intrufolata nella sua esistenza mentre lui si era laureato con il massimo dei voti in Ingegneria ed era diventato a soli ventitre anni un dirigente della società del padre. Da sempre non aveva mollato il pollo perché sapeva che per lei era la cosa migliore che gli fosse mai capitata ed in questo il fatto che avesse taciuto per il suo interessamento a me non faceva stupire. Passarono settimane prima che mi riprendessi realmente da quello che era successo, ed i miei amici furono per me molto importanti, soprattutto Michele. Dedicava tutte le serate a me, i sabati e le domeniche lui si considerava il mio fidanzato, ma io non lo avevo mai illuso, non c’era stato mai nulla di più di un abbraccio. Io non avrei mai potuto abbandonarmi ad un uomo diverso da Samuele. Pensavo che accontentarmi di una copia sbiadita del mio amore per Samu sarebbe stato negativo non solo per me ma soprattutto per il povero Michele, anche se lui continuava a farmi capire che gli andava bene. Penso che nella vita ci si debba saper accontentare di ciò che si ha, ma questo vale anche per l’amore? Fin da quando ero piccola ho sempre sognato la “favola”, l’Amore con la A maiuscola, il principe azzurro. Non mi sono mai interessati gesti clamorosi, tipo serenate sotto la finestra, scritte sul muro o dichiarazioni esagerate. Per “favola” intendo molto meno, un principe che al mattino ti sveglia con un bacio, che durante la giornata ti manda un messaggino con un pensiero carino (e non dico super romantico, carino!), che ogni tanto ti regala un fiore o un cioccolatino (e non dico diamanti!)… insomma, qualcuno che con i piccoli gesti ti faccia sentire amata, senza bisogno di parole. In cuor mio sapevo che era Samuele il mio principe azzurro ma era nelle mani della regina cattiva e non per sortilegio, come nelle favole, ma per sua scelta. Quindi io mi chiedevo: mi devo accontentare del suo sostituto? E’ Vero, troppe volte mi sono accontentata, della passione senza l’amore, della stabilità affettiva e della serenità senza desiderio, di amare senza essere ricambiata… compromessi… con me stessa più che altro. Ma ora conoscevo meglio cosa volesse dire la perfezione ed era difficile rinunciarsi per abbandonarsi a qualcosa che non poteva neanche minimamente emularlo. Michele, ovviamente era fantastico, era il candidato ideale alla sostituzione, quello che entra e subito fa gol, ma che non regge un’intera partita, che non ha quello stile impeccabile, che non ti affascina con il suo gioco…e che in fondo non ti fa sentire speciale. Forse era quello di cui avevo bisogno di non sentirmi speciale in quel momento, perché il confronto con lui sarebbe stato inevitabile sempre. Quello che ho provato con lui non l'avevo provato mai prima e non lo avrei provato mai con nessun altro nemmeno dopo…ma l’alternativa stare sola io in fondo non lo meritavo. Inoltre, mentre i giorni passavano, io mi affezionavo e capivo quanto Michele fosse di aiuto per me. Era il mio opposto, totalmente diverso da me, cinico, razionale e controllato: la pensavamo nella maniera più diversa in qualsiasi questione ma l'intesa era comunque molto forte perché nonostante le opinioni fossero differenti riuscivamo a fare dei discorsi interessanti e stimolanti. Lui non temeva Samuele, come se fosse a conoscenza di cose che io ignoravo. Una sera, ero molto malinconica lui lo aveva notato appena era salito. Era il giorno del compleanno di Samuele ed io come una stupida avevo comprato come ogni anno il regalo per lui ma non avevo avuto il coraggio di portarglielo, perché mi dicevo: a cosa sarebbe servito? Michele, ignorava perché stessi male ma intuiva che centrasse come al solito Samuele, non mi chiese nulla si avvicinò a me e mi disse: “Mio padre dice sempre ‘Nasce, cresce e poi finisce. Per quanto triste è la legge universale. Ciò che è stato non tornerà. Il massimo che puoi fare è sperare che quello che sarà, sia meglio. Nessun rimorso né rimpianto, è inutile ’, credo che si pensi un filosofo”, disse scoppiando in una frivola risata, io lo guardai e risposi: “Ha ragione sai, è inutile piangere, basta, ora basta”. Mi alzai andai verso la mia camera presi il regalo, strappai il biglietto e mi diressi verso la cucina. Michele mi accolse con un sorriso, guardando il pacchetto e mi disse: “E’ per me? Mica è il mio compleanno!” Io annuii e glielo porsi, poi girai la testa trattenendo una lacrima, mentre lui scartato velocemente il regalo, già stava ammirando il lettore compact disc. Poi gli dissi: “Questo è per ringraziarti di tutto, per me sei un grande amico e ti voglio bene”. Lui si alzò dallo sgabello, si avvicinò e senza dire nulla mi baciò sulla bocca, io lo lasciai fare ma mi sentivo come se tradissi Samuele. Era assurdo Michele non meritava questo, mi voleva bene. Lo stavo trattando come un cane che rimane sempre fedele, il miglior amico dell’uomo ma pur sempre un cane che dorme fuori dell’uscio di casa, che rimane vigile a fare la guardia e che si accontenta di un bacio fugace, senza passione ma pieno di tenero affetto. Mi stringeva a se, mi accarezzava i capelli, era tenerissimo…ma non era Samuele, non era la sua bocca, non c’era il suo profumo, non era quella la sua lingua, né il suo petto, non era lui…non era quello che desideravo e non era la sua voce quando mi disse, interrompendo il bacio: “Io ti desidero!” Lo allontanai da me e gli dissi: “Non me la sento, scusami sei tenerissimo ma non posso.” Lui mi abbracciò di nuovo e sussurrando mi disse: “Saprò aspettare…prometto”.  E quanto avrebbe dovuto aspettare lo sapeva? Non lo sapevo neanche io, ma l’attesa a lui sembrava non preoccupare, pensava che prima o poi io avrei ceduto, ma io avevo la certezza che si sbagliava. E si sbagliava anche Jennifer che faceva di tutto per spingermi verso di lui, era pazzesca, s’inventava le peggio scuse per lasciarci soli e mi ripeteva sempre che ero proprio un’insensata rinunciare a tanto ben di Dio. Anche lei era convinta che Samuele era il passato, che dovevo svegliarmi e che lui non sarebbe tornato con il cavallo bianco e la spada sguainata.
Negli ultimi periodi iniziai a pensare che loro sapessero di più di quanto sapessi io, e ne ebbi la conferma un sabato pomeriggio. Ero in camera per cambiarmi, ma avendo dimenticato la borsa in sala la andai a prendere. Jennifer e Michele stavano discutendo ed una frase della mia amica mi colpì: “Ti ha chiamato anche ieri sera? Ma è spudorato!” mi fermai così ad origliare dietro al muro che separava la cucina dalla sala. Capii che parlavano di Samuele. Jennifer era furiosa: “Non solo l’ha trattata così, ora pretende che tu, che sei stato così speciale per lei e che lo hai tenuto sempre aggiornato sulle sue condizioni, gli faccia da portavoce? E’ inconcepibile e tu che gli hai detto?” e lui: “beh all’inizio lo assecondavo, capivo che anche lui soffriva per questa situazione. In fondo lui la ama, ma poi ultimamente è diventato impossibile per me, anch’io nutro un sentimento per lei. E quindi quando ieri mi ha chiesto questo, gli ho detto che se voleva farglielo sapere prima che lo vedesse con i suoi occhi, doveva dirglielo lui.” Io mentre ascoltavo, mi chiedevo cosa di tanto importante dovesse dirmi Samuele che non potessi vedere con i miei occhi, poi Jennifer disse: “Voglio vedere con che coraggio glielo dirà. Ma tu non lo dovevi assecondare a parlargli e meglio che lei si renda conto di chi è! Se lui gli parla la convince che lui deve, ma come deve sposare quella stupida? Chi lo costringe?” e lui, giustificando per assurdo Samuele: “Fidati tu non sai come sono le cose, lui deve e non può lasciarla, se potesse lo avrebbe fatto, lui ama Sara.” Ma lei non era convinta e lui incalzò: “Ci sono motivazioni che vanno aldilà della nostra ragione, anch’io lo giudicavo ma quando mi ha spiegato il vero motivo non ho potuto più. Lui è nei casini veri, e ha solo questa possibilità di scelta.” E lei allora scettica: “Ma allora perché non l’ha raccontato anche a Sara, forse per lei sarebbe stato più facile e si sarebbe rassegnata. Invece che continuare a covare in segreto questo amore impossibile.” E a questo punto me lo chiedevo anch’io perché? E perché lo aveva detto a Michele e non a me? Da quando quei due avevano fatto comitiva? Nel mentre Michele disse, rispondendo a Jennifer ed a queste mie domande: “Per lui non è facile, non l’ha detto a Sara, o perlomeno non gli ha detto tutto, perché non lo avrebbe accettato. Lei lo ama e avrebbe combattuto contro tutti per lui. Lo ha detto a me perché spera che io un giorno glielo spiegherò, quando non ci saranno più alternative, e lei non potrà fare più nulla. Lui vuole che io le rimanga sempre vicino, mi considera un degno sostituto, dice che io ho le palle per stare con lei e che lui invece si sta comportando da codardo. Ma io dopo aver ascoltato le sue motivazioni, non la penso come lui su questo ultimo fatto. Lui sta salvando se stesso si, ma anche lei, credimi quando ti dico che lui la ama veramente.” Ma Jen non ne voleva sapere di giustificarlo: “Sarà come dici tu ma io non gli credo. Comunque secondo me non è una buona idea lasciarlo solo con lei.” E Michele: “No! si deve congedare lui da lei, io gli ho consigliato di dirle questa volta tutto…di vuotare il sacco.” Allora lei: “Ma siete amici ora è? Tu sei più assurdo di lui sai? Ma al tuo amicone gli hai raccontato che ci provi spudoratamente senza successo” e lui: “No, ma sei pazza. Penso che se lo immagini ma lui non mi chiede nulla. Solo una sera, che uscivo da casa di Sara e lui era, come al solito sotto il suo portone, mi ha chiesto se gli facessi abbastanza coccole ed io non gli ho risposto. Dovevi vederlo aveva le lacrime agli occhi.” Ora faceva anche il pappone, mi innervosii, come poteva? Mi mentiva, mi lasciava e poi mi costruiva una nuova vita. No lui non faceva della mia vita una partita a scacchi, ora io avrei fatto la mia mossa. Allora mi feci avanti, le lacrime avevano coperto tutto il viso e sciolto tutto il mascara appena messo, lo guardai con aria di sfida e gli dissi: “Dimmi quando?”, lui era sbalordito e confuso, mi guardò e mi disse: “Senti, se hai ascoltato tutto non c’è bisogno che lo vedi!” ed io furiosa più che mai: “Si che c’è bisogno, lui mi deve una spiegazione. Che crede di fare ciò che vuole, mi imbambola con le sue bugie.”. Michele allora intervenne, sembrava un prete non un rivale in amore: “No, non è bugiardo credimi. Gli parlerò e se vuoi ti dirò io cosa non ti aveva detto lui…ora sei troppo agitata!” Io continuando a sbattere i pugni sul tavolo e gli urlai: “No! Me lo deve dire lui, dammi il suo numero, lo devo vedere stasera!”, gli afferrai il cellulare e cercai, Michele non mi ostacolò e Jennifer, forse, sperando di calmarmi fece una battuta: “Che è, vuoi che ti inviti al matrimonio? Falla finita!”. La fulminai e attesi al telefono che Samuele rispondesse. “Pronto Michele? ”, disse lui con quella sua voce stupenda che per un momento mi confuse. Ma poi: “No, sono io Sara! Dobbiamo parlare mi pare, No? Allora stasera a casa mia alle otto.” Dissi cercando di mantenere un tono distaccato. “Ok, va bene alle otto ci sarò, ma tu stai bene?” Disse si era subito reso conto che qualcosa non andava. Io allora sempre con un tono il più possibile formale: “Io tutto bene, ora ti preoccupi anche per me? Che generoso...ci vediamo dopo” e attaccai, avevo una voce acida, ma era l’unica che poteva nascondere il mio dolore. Michele si riprese il cellulare e io sono sicura che più tardi avrebbe richiamato il suo socio per informarlo di cosa era successo realmente. Io mi chiusi in camera, ormai il pomeriggio di shopping era saltato. Jennifer se ne era andata con Luca e Michele, lasciandomi sola a preparare il contrattacco per poi raggiungermi in seguito a raccogliere le briciole de mio cuore se fosse stato necessario, e loro erano sicuri che sarebbe stato necessario. Alle otto spaccate era lì. Avevo preparato degli aperitivi e qualche cosa da sgranocchiare, che nelle lunghe pause, mi avrebbero aiutato a difendermi dai suoi sguardi. Era lì in piedi sulla mi porta, bello come il sole, atletico come il dio Apollo, stupendo. La sua visione mi fece un po’ perdere la ragione ma non dimenticai perché era lì, allora dissi: “Accomodati, tagliamo subito la testa al toro, tu dovrai andare da lei, penso.”

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Capitolo 6
*** Incontrollabile ***


~~CAPITOLO 6
Incontrollabile


Alle otto precise suonò. Era lì in piedi sulla mia porta, bello come il sole, atletico come il dio Apollo, stupendo. La sua visione mi fece un po’ perdere la ragione ma non dimenticai perché era lì, allora dissi: “Accomodati, tagliamo subito la testa al toro, tu dovrai andare da lei, penso.” E mentre lui si accomodava sul divano, io gli chiesi, acidissima: “A quando il lieto evento? Avete fissato la data oppure tu sarai chiamato a sorpresa la mattina delle nozze?” lui si guardò era tristissimo, sembrava che da lì a un po’ dovesse andare al patibolo. Mi disse dolcemente: “Stai soffrendo ed è solo colpa mia, non ti posso vedere così!”. Avrei voluto correre lì vicino a lui, cullarlo, consolarlo, ma non lo avrei permesso a me stessa. Dovevo aver orgoglio, lui non aveva avuto rispetto per me ed io non mi sarei impietosita: “Sei abile a dribblare le mie domande, tu sei furbo”, e lui immediatamente: “No, non lo sono, se lo fossi, staresti tra le mie braccia e non soffriresti così.” Su questo potevo concordare ma ora doveva parlare, fuori il rospo, e lui, come sempre leggendomi negli occhi, disse: “La data è il 4 luglio, abbiamo già prenotato tutto, effettivamente a fatto tutto Carolina, è iper-nervosa. Ma non è questo il punto, tu ora devi sapere il perché.” avrei voluto interromperlo per baciarlo, tenerlo con me, implorarlo di non farlo, di non sposarla. Lui continuò. “Non è vero che non mi preoccupo per te, io pensavo che piano, piano Michele ti avrebbe aiutato a dimenticarmi e che tu ti saresti consolata con lui, per poi un giorno innamorarti magari di lui. Ecco perché non ti ho detto la verità speravo che tu ti saresti risentita del fatto che rinunciavo a te per rispetto di lei e mi avresti odiato, ma tu sei perfetta anche in questo tu non mi odi…tu accetti, soffri ma accetti per il mio bene.”  No potei più trattenermi dal dirgli: “Ma come potevi pensare che io mi sarei consolata? ma chi credi che io sia? Io preferirei stare sola che vivere un amore a metà, non potrei mai fare questo a Michele, lui è fantastico ma non sei tu”. E lui: “Infatti mi sbagliavo, tu sei ancora più stupenda di come pensavo. Tu sei diversa...da come pensavo….” Si alzò dal divano per mettersi vicino a me, che ero appollaiata sull’altra ala del divano, ma io lo bloccai, mi alzai e rimanendo in piedi impietrita gli dissi: “No! Non te la caverai così a buon mercato io merito una spiegazione e tu me la devi dare. Hai fatto una scelta ora ne paghi le conseguenze. Sono ferita dal fatto che non mi hai detto la verità, oltre che dal fatto che ti sei permesso di mollarmi anche prima di avermi permesso di amarti realmente.” Trattenevo a stento le lacrime ma continuai, mentre lui era lì che mi lasciava sfogare. Sapeva che mi ero tenuta tutto dentro e che ormai una volta esplosa dovevo finire. “Qualsiasi motivazione non farà si che io ti odi, è impossibile, perché io so che tu soffri come me. Se c’è una persona che odio è la tua futura moglie. Ma non vede che tu non stai bene? che tu stai con lei per chi sa quale motivo ma non per amore?”. Feci qualche passo indietro e presi il tovagliolo sul tavolo, mi asciugai una lacrima, sperando che lui non se ne accorgesse, ma impossibile era fisso con il suo sguardo su di me, come ad aspettare una mia inevitabile esplosione, che grazie al cielo non avvenne. Allora prese lui la parola: “Lei mi ama, o perlomeno si vuole convincere e convincere me di questo, si accontentava del mio affetto e forzata devozione, ma sapeva che non era amore, né era consapevole, credo. Ma ora è ancora diverso, lei sa il motivo per cui non la lascerei, e con questo si fa scudo.” Ma io non capivo ancora quale motivo ci potesse essere di tanto grave, per me nessun motivo mi avrebbe ostacolato dallo stare con Samuele. “Non capisco, con quale diavolo hai fatto un patto per mantenere così la lealtà verso lei?” e lui: “Non un diavolo, ma con sua madre. E’ una storia lunga forse è meglio che ti siedi.” E mi fece posto vicino a lui con la mano, togliendo le riviste ed i libri che vi erano accantonati. Mi sedei vicino a lui, il suo profumo mi trafisse, lo amavo ancora, ero proprio senza orgoglio, pensai. Lui iniziò partendo secondo me un po’ troppo da lontano: “Ti ricordi il giorno che mi sono fidanzato con Carolina?”. E come dimenticarlo, uno dei giorni più brutti della mia vita: ero uscita per dichiararmi finalmente a lui, ero decisa, sentivo che tra noi c’era qualcosa di speciale e pensavo che anche lui se ne fosse accorto. Ero assurda come mi ero vestita ma pensavo realmente di essere perfetta per quello che mi aspettava. Avevo una canottiera rosa ed una gonnellina a pieghe blu, i tacchi, una bambolina. Peccato per quei vestiti, che ho buttato nel secchio della spazzatura la sera stessa. Appena arrivata in piazza uno shock, erano lì mano nella mano mentre tutti esultavano, il momento più brutto, ancora adesso e a ragione mi fa male. Mentre io mi ero persa nel ricordo, lui stava continuando: “…insomma per me la realizzazione di un sogno, ero passato sopra tutti per lei anche su di te, scusami ancora. Per anni fui hai suoi piedi senza accorgermene faceva e disfaceva tutto. Qualsiasi cosa voleva io gli davo, tutto e credimi quando dico tutto. L’ho fatta assumere da mio padre, ho comprato casa ai suoi, gli ho comprato il diploma. Sono stato felice con lei in questi anni, credimi, ma mi sono reso conto che era solo un illusione, pensavo a te la notte e mi accontentavo di stare con lei di giorno e stavo con lei perché mi sentivo in colpa per quello che provavo per te. Sono un cretino non avrei mai dovuto continuare dovevo stoppare tutto e essere onesto con me e con te, dichiararmi a te, amore mio, non mi perdonerò mai per questo.” Entrambi sospirammo pesantemente, sapevamo cosa significava quella confessione e le conseguenze che scatenava nel nostro animo tutto ciò. “Comunque ritornando al racconto. Lo scorso gennaio, quando ci siamo lasciati, lei mi aveva tradito. Avevo un sospetto già da tempo ma dovevo scoprirla sul fatto solo così sarei stato sicuro e tranquillo per lasciarla. Lei aveva una relazione con un suo collega di ufficio, un dipendente di mio padre, ti rendi conto! Il ventitre di gennaio lei lavorava, io avevo preso qualche giorno di ferie, mi dispiaceva per lei che doveva lavorare, pensa che stupido! Le feci una sorpresa portandogli il pranzo, ma lei non era in ufficio, uscendo passai nel mio ufficio per prendere delle carte. Tu non puoi immaginare li trovai proprio nel mio ufficio, che schifo ancora mi da i brividi. Non ero geloso anzi fu per me fu un respiro di sollievo, ma sai quel senso di orgoglio che hanno tutti gli uomini, quello mi infastidiva tanto. Pensai subito di venire a parlarti, di chiamarti non potevo continuare a non dar spazio ai miei sentimenti. Provai a cercarti qualche giorno dopo ma tu eri introvabile in quel periodo.” Ero molto concentrata nel suo racconto ma poi questa ultima frase mi fece sobbalzare, lo guardai con occhi impietriti e lui: “Cosa ho detto di male. Si lo so è una storia orribile e io non lo ho ancora perdonata e mai lo farò per questo. Tu ora ti chiederai perché ora la sposo, vero?” ed io: “No, cioè si anche questo, ma non è quello che mi sconvolge più che altro la tua ultima frase. Tu ti lasci ed il mio sogno cambia, tu mi parli ed abbiamo il primo vero contatto d’amore onirico. Sapevo che il nostro amore era speciale ma questo è qualcosa di più.” Lui collegò al volo, infatti. la domenica in cui eravamo stati insieme io gli avevo raccontato tutto anche che il giorno del mio compleanno, il 24 gennaio avevo fatto quel sogno strano e coincideva con la notte successiva al giorno che si erano lasciati. Poi si avvicinò a me mi abbracciò, mi baciò sulla guancia e posò la mia testa sul suo petto. Mentre stavo nell’estasi più totale, gli dissi: “Cosa ti può spingere a continuare a stare ancora con lei?”.  Samuele non rispose ed io mi ricomposi, mentre lui continuava il racconto: “La sera che ti ho incontrato al ristorante, ricordi?” io annuii, sorridendo e lui ricambiò dicendo poi: “tra parentesi eri bellissima, no scusa sei sempre bellissima, eri stupenda, me ne sarei voluto andare con te ma lei…”. Mi sentivo il fuoco in faccia, scossi la testa e gli sorrisi timidamente, lui mi diede un buffetto sul naso, lo adoravo era così dolce: “Tu mi fai sempre perdere il filo, sei tremenda. Dai un contegno”, si accorse che sbuffavo scherzosamente e allora: “Ok vado: …Carolina mi aveva chiamato e voleva parlarmi…Beh, dopo sono andato a ballare e l’ho incontrata lì in discoteca, ci siamo dati appuntamento per la domenica pomeriggio, ma io non ci tenevo tanto, non avevo intenzione di dargli retta ma lei mi disse che doveva parlarmi di una cosa importante che riguardava mio padre. Sai come è mio padre, soprattutto ultimamente, le sue parole mi avevano impressionato. Poi tu come al solito mi hai fatto perdere il senso del tempo, ora capisci perché quando lei è arrivata e ti ha trattato in quella maniera io non potei sbatterla contro il muro? Sono un ipocrita ma la mia situazione famigliare mi ha sempre destabilizzato la vita, scusami”, poi mi accarezzò la guancia ed io: “La fai finita…se non finisci questo racconto io non credo che riuscirò a capire nulla…ok?”. Conoscevo bene la sua condizione famigliare ma ancora non collegavo. Lui si fece serio e ricominciò: “Poi, dopo che tu te ne sei andata, lei ha iniziato a scusarsi, ma io non ne volevo sapere, le ho detto che non l’amavo, che era da tanto tempo e che il suo gesto dimostrava che non mi amava neanche lei. Cercai di farle capire che spesso dopo un po’ di tempo si sta insieme per compagnia e non per amore; che l’amore è qualcos’altro. Quando non ebbe più nulla da dire dopo un bel pianto a modo, tirò fuori il Jolly. Credo che se lo fosse tenuto per ultimo perché sperava di intontirmi con le sue parole come sempre, ma non riuscendoci aveva dovuto calarlo e lo fece con un modo da professionista. Fece finta di aver capito ma mi chiese un ultimo favore quello di comunicarlo insieme a lei a sua madre. Non mi sentivo in debito con lei ma ero talmente soddisfatto di averla convinta che acconsentii. Sapevo che la madre di Carolina, Rebecca era una donna molto rigida e non avrebbe preso di buon occhio la nostra rottura così mi preparai ad una serie di attacchi, ma io sapevo cosa volevo e non ero preoccupato.” Non riuscivo a ricordare il volto di Rebecca, io l’avevo vista solo una volta ad una festa di paese. Mi aveva impressionato il suo modo altezzoso di camminare e di scrutare la gente, era anche peggio della figlia. Si era fatta mettere incinta dal padre di Carolina, un ricco commerciante di camicie ma poi quando lui era caduto in miseria, a causa del suo vizio per il gioco di azzardo, lei l’aveva mollato. Si era poi riconciliata misteriosamente con il marito, ma lui purtroppo era morto qualche hanno dopo, in circostante ancora oscure. In paese si diceva che fossero stata lei e la figlia ad ucciderlo succhiandogli tutto il sangue che gli era rimasto. Io, però, non ho mai creduto alle dicerie della gente, anche se pensandoci bene ora che sapevo più cose su di loro, questa possibilità non mi sembrava così remota. Ma cosa si era inventata per costringere Samuele a sposare la figlia, non riuscivo proprio ad immaginarmelo. Mentre raccontava, lui era sceso piano, piano nello sconforto era qualcosa di grave. Dopo una breve pausa continuò il racconto: “In realtà avrei dovuto esserlo e come. La madre mi accolse festosamente, sapeva già tutto, sicuramente ma fu falsa. Appena arrivato tagliai corto e le dissi cosa avevamo deciso, la sua risposta mi spazientì: ‘Cosa hai deciso tu, non credo che mia figlia arbitrariamente abbia deciso di rovinare questa bella coppia, e poi per uno stupido capriccio. Conosci Carolina è un po’ viziata e se non viene coccolata, beh si consola.’ Non credevo alle mie orecchie ora era colpa mia. Non solo sapeva tutto ma voleva accusare me, ci pensi, ma questo non è il peggio. Quando io provai a giustificarmi, facendole presente il tradimento della figlia, le condizioni in cui li avevo trovati, lei mi disse: ‘Credevo che i tuoi ti avessero insegnato il perdono. Anche tua madre perdona sempre i vizi lussuriosi di tuo padre, e tu non mi sembra che con loro hai questo tono così solenne?’, non riuscivo a capire a cosa si riferisse mio padre non aveva mai tradito mia madre e perlomeno non che io sapessi. Lei vedendomi abbastanza sorpreso, fece finta di scusarsi dicendomi che credeva che io sapessi e gettò la maschera. Mi raccontò che aveva sorpreso mio padre con la sua segretaria, che avrebbe distrutto la mia famiglia, che anche lei si era concessa a lui e aveva le prove. Mi disse che ci avrebbe sbattuto in tribunale che per noi sarebbe stata la fine. E poi se la prese anche con mia madre, disse che la sua salute psichica non avrebbe retto il tracollo della mia famiglia che sarebbe caduta in depressione mi chiese: ‘Vuoi correre il rischio per quella ragazza inutile di Sara. So benissimo che ci si può invaghire ma Carolina ti perdona, tu la perdoni, vi sposate ed il segreto è nella tomba, la tua, cioè la nostra famiglia, sarà felice per sempre.’ Ti rendi conto mia madre una cosa del genere non l’avrebbe retta, cosa dovevo fare?”
 Io ero allibita credevo fossero pazze ma questo è un ricatto, questa è congiura, che schifo. Lui iniziò a piangere silenziosamente, allora lo abbracciai, lo strinsi forte a me, sentivo le gocce delle sue lacrime che mi bagnavano il collo. Non sapevo cosa dirgli come consolarlo, era tutto così pazzesco. Così non dissi nulla stavo lì in silenzio cercando di calmarlo accarezzandolo e baciandogli dolcemente la fronte. Lui all’improvviso si ricompose, mi baciò teneramente sulla fronte e mi chiese: “Non potevo non accettare, Sara, capisci la mamma non reggerebbe se lo venisse a sapere. Spero che tu capirai?”. Afferrai la sua mano la intrecciai alla mia. Sua madre, Claudia, era stupenda la donna più dolce che conoscessi. Dopo la nascita di Samuele ebbe un breve periodo di depressione con crisi di pianto, stati di tristezza e di ansia, tipici della depressione post-partum. Poi si riprese ma ricadde nel baratro quando perse il suo secondo bambino. In seguito cure ormonali eccessive per rimanere di nuovo incinta la destabilizzarono inesorabilmente, mettendo anche in crisi il suo matrimonio. Samuele aveva sempre sostenuto che i suoi avevano ritrovato un armonia dopo molti anni, ma evidentemente si era solo illuso. Io gli risposi: “Certo che ti comprendo, ma tu sei sicuro che sia vero, ne hai parlato a tuo padre?”. Lui annuì, poi: “ Si è la prima cosa che ho fatto, sono andato via dalla villa delle iene per andare nel suo ufficio. Lui ha ammesso tutto e mi ha scongiurato di non dirlo alla mamma. Io ero su tutte le furie gli ho raccontato tutto e lui, senza nemmeno un minimo di pietà mi ha detto che assecondarle sarebbe stata la cosa migliore per la nostra famiglia. Non mi sono subito arreso ero in preda ad una rabbia violenta mi sono precipitato da mia madre, le ho raccontato di Carolina e del suo tradimento. Lei non rimase molto delusa, la conosceva ed evidentemente non aveva mai avuto una buona opinione su di lei e sul mio rapporto con lei. Entrando un po’ in confidenza mi disse che secondo lei dovevo decidere se ne valeva la pena perdonarla, e mi raccontò del tradimento di mio padre, sottolineando che il suo perdono era stato giusto e che lui da allora non aveva più violato il loro matrimonio. Era convinta dell’onesta di mio padre, poverina, non potevo tradirla anche io. Così chiamai Carolina e le chiesi di vederci da sua madre il giorno dopo. Ero stravolto avevo passato tutta la notte tra incubi e la tua immagine solo era riuscita per una attimo a rasserenarmi. Provai nuovamente a far ragionare quella maledetta di Rebecca ma lei non cedette, mi disse che se avessi deciso di sposare sua figlia tutto sarebbe caduto nell’oblio. Dovetti accettare, mi diedi un po’ di tempo prima di ufficializzare il matrimonio, le dissi per non lasciar insospettire te e mia madre e lei accettò, sapeva che non potevo fuggire, mi aveva ben, bene intrappolato. E così mi presi alcuni giorni per decidere cosa dirti ed il resto lo sai…Credimi non avrei rinunciato a te per niente al mondo ma mia madre, era tutta un'altra storia. Scusami… ” Io lo guardai di nuovo gli accarezzai i capelli e poi dissi: “Tu non puoi far nulla, hai fatto la cosa giusta. Sono delle vipere non credevo fino a questo punto, è pazzesco. Ho paura per te di cosa possono essere capaci, amore mio.” Mi venne un brivido al pensiero che lui potesse stare con quel essere così spietato e che lei potesse sfiorare quella purezza con la sua ripugnante pelle. Samuele si accorse del mio disgusto, mi prese la testa tra le sue mani e mi disse: “Stai tranquilla per me e poi lei non potrà avere mai quello che hai tu…il mio cuore è tuo.” Io lo scrutai, misi il broncio, volevo un po’ farlo ridere, lui era sempre stato attratto dalle mie boccacce. Ma in fondo dentro me ancora pensavo e mi venivano allucinanti immagini di lui e lei a letto, mi veniva da vomitare. Lui mi osservava confuso perché non capiva la dualità tra i miei occhi terrorizzati e la mia espressione buffa: “Cosa hai Sara? Dai ormai devi svuotare il sacco anche tu, non abbiamo più segreti noi, dai!”. Mi liberai da lui, girai lo sguardo verso le noccioline e ne presi una. Poi con calma tentennai: “niente…è solo una stupidaggine. Non ti devi preoccupare, ora per me” volevo dirgli tutto ma mi vergognavo tantissimo. Lui insistette: “Non ci sono stupidaggini nella tua mente amore, sei talmente sensata, dai dimmi, ti prego!” Ma a salvarmi squillò il campanello. Sapevo che dopo poco sarebbe tornato al contrattacco ma mi sentii un po’ sollevata, non volevo confessare, lo avrei messo terribilmente in imbarazzo. Lui mi disse guardando l’orologio sul suo polso: “Ma chi può essere sono le dieci?” d’un tratto mi resi conto di come era volato il tempo e gli risposi: “Visto l’ora credo che sia Jennifer o Michele, saranno venuti a controllare se sei ancora vivo? Gli dico che è tutto ok e se vogliono parlare con la vittima gli mando un filmato” dissi scherzando. Mi diressi verso il citofono, lo afferrai e chiesi: “Chi è?” Michele disse: “Ah, ma siete vivi, tutto ok?”, disse trattenendo la sua ansia che evidentemente lo aveva distrutto fino ad allora, si sentiva in colpa e forse temeva veramente la mia reazione. Io lo rassicurai: “No tranquillo, tutto ok, fra poco libero il tuo amico, vuoi parlargli, te lo passo?” Speravo che convincesse Samuele ad andarsene avevo paura di me, in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa ma poi dopo sarei stata peggio. Samuele, che si era già avvicinato, prese la cornetta del citofono e disse: “Michele, senti tutto bene, scusatemi anzi di averla sequestrata. Ti dispiacerebbe se rimango un altro po’ con lei, deve dirmi alcune cose? Ti prometto che appena chiarito, ti chiamo, ok?” Mi infastidiva questo loro modo di controllarmi e gli diedi un calcio sullo stinco, lui mi prese e mi strinse forte a lui, poi coprendo la cornetta mi sussurrò: “Scusami, ma devo convincerlo, ho voglia di star con te e di sapere che ti passa per il cervello.” Michele intanto stava rispondendo e credo che avesse acconsentito, perché prima di attaccare Samuele disse: “Ok te lo prometto, ciao.” Appena ritornati in sala, ancora abbracciati, gli dissi: “Mi sento una bambola con te, tu fai di me quello che vuoi, quanto ti odio!” e lui: “No che non mi odi, hai detto che non puoi, ti contraddici”, sorrideva aveva sempre adorato prendermi in giro: “Ora però voglio sapere tutto, dai dimmi ti prego”, e mi baciò dolcemente in bocca, a stampo ma lo adoravo. Appena mi ripresi dallo stordimento, confessai: “No…è che mi turba un pensiero”, lui mi osservava serio, che pizza, non perdeva una mia parola: “Penso…beh sono infastidita da un pensiero…si io potrò avere il tuo cuore e credimi è tanto, ma lei avrà qualcosa che io non ho mai avuto e non avrò mai…ecco ora te l’ho detto, mi urta il pensiero di voi due insieme, in quel senso. Non è colpa tua, non dovevo dirtelo, ora tu ti tormenterai…ecco.” Lui mi guardò comprensivo, capiva i miei tormenti. “Anch’io ho avuto questa angoscia sospettavo che piano, piano la tua vicinanza con Michele avesse scatenato le normali pulsioni di ogni essere umano. Poi lui non mi diceva nulla, era sempre vago, mi infastidiva ma dovevo starci era sempre una conseguenza della mia scelta…Con Carolina dopo che ci siamo rimessi insieme non c’è stato nulla più, a lei non interessa gli serve soltanto un bamboccio al suo fianco, uno che paga i suoi capricci.” Mi stupii di queste sue dichiarazioni, credevo che lei si fosse subito approfittata della situazione ed invece…ben ero molto più sollevata. “Quindi sei un po’ delusa credevi che per me fosse così facile non pensarti e dare libero sfogo alle mie pulsioni?” mi disse quasi sghignazzando.
“ma lo pensavi pure tu e poi io non sapevo tutto questo pensavo che lei ti avesse sedotto con il suo fascino!” me l’ero presa, e misi di nuovo il muso. “Lei non ha fascino, tu si, soprattutto quando fai così…mi piace quando metti il broncio”, ora si stava prendendosi gioco di me, mi alzai stizzita andai alla finestra della cucina, osservai le stelle, cercando di rilassarmi per non sbottare. Lui mi seguì mi strinse i fianchi, facendomi girare su me stessa, fino ad arrivare faccia a faccia con lui. “A volte sei proprio stupidina, ti preoccupi di me a tal punto, ma poi te la prendi per una cavolata. Dai scherzavo…ma comunque è vero tu sei sempre fantastica. Non riuscirei più a sfiorarla, senza sentirmi in colpa per averti tradito. Ne ho parlato anche con lei, per ora gli ho detto che non riesco a perdonarla che se la sposo non deve credere che tutto tornerà a posto. Non le ho parlato bene di te, delle mie emozioni, quello che lei sa è quello che tutti hanno visto, non riusciamo a trattenere le chiacchiere, tutto il paese parla di quella sera di noi.” Mi accompagnò di nuovo al divano e ci sedemmo. “E cosa vogliono? Cosa dicono?” Ero sorpresa. “Pensano che tra noi ci sia qualcosa, sbagliano?” sorrise soddisfatto, in cuor suo il fatto che tutti lo avessero notato gli faceva piacere, credo soprattutto nei confronti di Carolina che passava per una volta da cornuta, come lo era stato lui per mesi, forse anni. “Mia madre, invece, ti adora, dice che tu saresti la mia compagna perfetta, lo ha sempre sostenuto. Rispetta la mia decisione, ma poi mi chiede sempre di te, di quando tornerai a trovarla. Sai dovresti fargli una visita, sarebbe contenta.”
“Si tua madre mi ha sempre sostenuto, anche quando per me non c’era nessuna speranza. Credo che lei ci vedo lungo, più di te sai?” sorrisi finalmente, e lui se ne rallegro, stava con la testa conficcata nei cuscini del divano e vidi spuntare dalla sua bocca il suo sorriso. Poi mi prese di botto, mi strinse forte, sussurrandomi: “Hai ragione, ma ora che ci vedo, non chiuderò più gli occhi. Te lo giuro.” Mi sentivo tra le nuvole, avrei voluto dirgli ancora tante cose ma non volevo perdere il momento per sentire le sue labbra sulle mie e quindi lo baciai. Lui mi strinse ancora di più e mi prese in braccio. Ci baciammo appassionatamente ma con dolcezza, sentivo il suo sapore, il suo profumo mi stordiva la mente. Le sue mani mi accarezzavano i fianchi, mi facevano venire i brividi, lo desideravo con tutta me stessa con il cuore e con l’anima. Notai anche il suo desiderio, lo baciai sul collo sentivo le sue vene pulsare velocemente, in quel istante sapevo che avrei potuto perdere il controllo di me stessa. Lui mi bloccò, mi prese la testa tra le sue mani sorridendo. “Basta, ora dobbiamo fermarci. Devo andare.” Non credo che lo volesse veramente, ma si rendeva conto che avevamo superato il limite. Non ero molto d’accordo se voleva che accettassi di separarmi per sempre da lui, lui doveva anche accettare questo, ma non volevo essere troppo insistente. “Scusami, non ti va? Non te la senti? Il problema è che…io ti desidero più di me stessa, più di qualsiasi cosa, scusa!” Mi allontanai leggermente da lui. Cercavo di rispettare la sua idea, ma effettivamente era più che altro una tattica, non mi volevo arrendere. Lui mi riprese, mi posò di nuovo la testa sul suo petto e mi disse: “Anche io ti desidero, tutte le mie cellule ti vogliono, ma poi domani, sarai sola tesoro ed anche io, sarà più difficile penso.” Io approfittai della sua tregua per avvicinarmi alle sue labbra, le accarezzai con la punta delle dita e bisbigliai: “A me va bene, resterà tra me e te. Te lo giuro…” “Non è per questo giuro, non mi interessa degli altri, solo di te…non voglio che stai male. Dopo…sarà impossibile vederci e per te credi che sarà facile poi solo ricordare…secondo me sarà più dura!”, mi guardava, più che altro scrutava le mie reazioni. “No…io voglio un ricordo nostro mi aiuterà a vivere, sapere che noi abbiamo condiviso tutto ciò che potevamo, mi aiuterà…ne sono convinta. Comunque non posso costringerti e non intendo sprecare questi ultimi momenti con te per litigare.” Mi ricacciai con la testa sul suo petto, mi ero esposta troppo e mi sentivo rossa di vergogna, lui mi accarezzò la guancia, si chinò per baciarmi. Mi sollevò poi la testa e mi disse: “Sara…io Ti amo”. “Anch’io ti amo tanto, mi mancherai da morire…Ti amo, ti amo…” ma lui mi tappo la bocca con la sua, mi bacio, la sua lingua cercava ardentemente la mia. Poi mi baciò sul collo ed io gli misi le braccia intorno al suo. In quel momento mi sentivo proprio su quella giostra dalla quale non vorresti scendere più, le emozioni che provavo mi facevano sentire finalmente viva e appagata, come mai nella mia vita. Samuele si alzò con me in braccio, e mi disse: “Andiamo in camera, se vuoi stanotte resto con te?”. Io annuii sorridendo, ero felice, lo guidai fino in camera e ci abbandonammo sul mio letto. Non, avevo provato mai quell’estasi, quella completezza, era perfetto. Non chiudemmo occhio per gran parte della notte, la paura che quei momenti non venissero più ci aveva portato a vivere ogni istante di quella notte come se fosse l’ultimo, assaporando il piacere di stare insieme, senza limiti o ostacoli. Io non dormii neanche un secondo in quella stupenda notte e mentre Samuele riposava un pochino, io ammiravo i suoi lineamenti cercando di fissare per sempre quella immagine perfetta. Sentivo ancora nelle mie mani il volume pieno di quei muscoli che avevo stretto, caldi e pulsanti, li avevo accarezzati, li avevo baciati, ne aveva provato il contatto contro la mia intimità più profonda. Lui mi abbracciava, i suoi bicipiti tesi erano come una coperta intorno a me ed il senso di protezione che sentivo in quel momento sapevo perfettamente che mi sarebbe mancato sopra ogni cosa. Quando spuntò il sole e la camera iniziò ad essere più chiara, mi prese un angoscia, mi strinsi ancora di più a lui, il suo corpo nudo e caldo accanto al mio attenuò un po’ la mia ansia. Speravo che non si svegliasse perché sapevo che sarebbe presto dovuto andar via, speravo che il tempo si fermasse, lasciandoci in un limbo eterno, escludendo la realtà così ostile. Quando lui aprì gli occhi mi abbaglio con il suo sorriso perfetto, mi strinse forte a lui sentivo la sua pelle toccarsi con la mia, era fantastico. Cercai di registrare ogni sensazione, ogni emozione mi desse il suo contatto, sapevo che presto non lo avrei più avuto tra le mie braccia e dovevo archiviare tutto. Lo osservavo da sotto al suo braccio cercando di fargli capire quello che volevo senza dirglielo non mi andava di assillarlo di parole che avrebbero rovinato quella atmosfera, lui era più bravo di me  nei discorsi difficili. Poi lui mi disse: “Amore penso che sia ora che me ne vada”. Gli misi le braccia al collo, implorandolo: “Dai sono solo le sette, rimani un altro po’. Amore dai…dai…”, e continuai quasi in lamento cantilenante. “Sara, amore mio la notte a portato via il nostro sogno ormai la realtà prenderà il sopravvento. Alle nove ho appuntamento con chi sai tu, dobbiamo andare a scegliere gli addobbi floreali…”. Mi baciò dolcemente sul collo stringendomi. Non pronunciò il suo nome, sapeva che sarebbe stata una pugnalata, ma comunque lo fu ugualmente. Piano, piano ero ritornata alla realtà e sapevo che lui se ne doveva andare ma non volevo. Dovevo trovare una soluzione, immediatamente, per evitare che la nostra vita fosse obbligata a girare come quelle vipere volevano. “Senti io ho pensato che dobbiamo trovare una soluzione ci deve essere … loro non possono costringerti…”, gli dissi all’improvviso come continuando un discorso lungo che mi ero fatta da sola. “No…questo è il motivo perché tu non dovevi sapere la verità. Non si può cambiare questa condizione!” e si alzò dal letto si rivestì rimanendo a torso nudo. “No, senti io penso che dobbiamo usare la loro stessa tecnica. Se esiste qualcosa che loro vogliono nascondere, noi la dobbiamo trovare ed usarla per proteggerci, amore”, e gli presi un braccio per riportarlo a letto. “E’ pericoloso, amore. Mia madre, ricorda, non reggerebbe”. E si abbandonò di nuovo sul letto. Mi portò sopra di lui, le mie gambe si avvinghiarono ai suoi fianchi, mi strinse a sé, stretto e mi baciò di nuovo appassionatamente. Non insistetti di nuovo sull’argomento ora avevo qualcosa di più importante da fare ma ero ormai convinta, se lui, non era d’accordo, avrei dovuto agire da sola in segreto. Restammo ancora un po’ nascosti dal mondo nel nostro incanto personale, finché poi la sveglia del suo telefono suonò, erano le otto. Samuele si voltò su di me, mi baciò dolcemente, capii che il congedo era vicino. “Sara, devo andare ma prima un ultima cosa…facciamo colazione insieme?” mi disse con il suo sorriso furbetto. “Si! dai aspetta mi metto qualcosa…ok!” e schizzai velocemente davanti all’armadio per prendere un babydoll di seta che mi aveva regalato Jennifer, sperando che l’avrei usato per la mia prima notte con Michele. Indossai anche una corta vestaglia che era abbinata. E lo seguii in cucina. Samuele stava preparando il caffè, mi accostai a lui, aprii la dispensa e presi i cornetti, la cioccolata, la marmellata, e dal frigo il succo e il latte. Disposi tutto sul tavolo prendendo due tovagliolini e due cucchiaini. Samuele si girò ed esclamò: “Ah…ma sei velocissima, che bello!...e che bella, amore” e mi prese per i fianchi, mi strinse a sé baciandomi sul collo.
“Che stupenda che sei! Ma quanto mi piaci…”, aprì la vestaglietta e osservò la mia miss, poi si allontanò andando verso il suo cappotto appeso alla sedia del salotto, ed afferrando il suo telefonino mi disse: “Ti prego posso farti una foto? Voglio tenermi questo ricordo per sempre, amore mio…ti prego!”. Ci scambiammo un po’ di foto, così da tenerle con noi, poi facemmo colazione, chiacchierando del più e del meno e delle nostre abitudini. Il discorso piano, piano andò sulla nostra imminente separazione; “Devo parlare con Michele, dirglielo, lui con me è stato leale ed anche con te. Voglio che rimanga con te, è una persona di cui mi fido”. Mi infastidì di nuovo la sua tendenza risolvere le cose senza interpellarmi. “Ti stai arrendendo ma io non lo farò mi dispiace…fai quello che vuoi con Michele. Io con lui sono stata sempre chiara, se lui si è fatto illusioni è un problema suo e tuo, che glielo hai permesso”.  Mi alzai, lo guardai in segno di sfida. “Sara fai la brava! Ti prego…”, era preoccupato, ma poi: “…So che non mi ascolterai, non voglio che ti arrendi ma neanche che ti illudi. Mi prometti che sarai attenta ad ogni tua mossa. Non è solo per mia madre, devi stare attenta per te sono pericolose, Rebecca è pericolosa, tesoro ricordatelo e ricordati che…ti amo per sempre mai nessuno mi farà cambiare idea”. Mi baciò di nuovo dolcemente, poi prese il cappotto e se ne andò lasciandomi in lacrime. Lo amavo, ma ero delusa, si era arreso. In cuor mio pensavo che dopo questa notte lui sarebbe andato contro tutto e tutti, ma sottovalutavo la sua lealtà alla madre e per questo lo ammiravo dopotutto. In fondo rinunciare a chi si ama nel rispetto e per amore di una madre era una cosa che hai giorni nostri non si concepiva, un rispetto di altri tempi. Amare una persona così mi lusingava ma mi straziava sapevo che se io non avessi fatto qualcosa lui sarebbe andato dritto verso il patibolo, senza ripensarci per un secondo. Avevo una grossa responsabilità ed anche una sola opportunità per salvare quello che ormai dalla notte scorsa era mio: quindi giurai a me stessa che avrei protetto il mio amore con le unghie e con i denti.



Nota Autrice:Ciao a Tutti!!! Cosa ne dite?

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