Legami di sangue 2.0

di Spensieratezza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alan e Zaffiro ***
Capitolo 2: *** Una piccola stella danzante ***
Capitolo 3: *** Il pesce velenoso ***
Capitolo 4: *** Un fiore senza profumo ***
Capitolo 5: *** Senza sosta... qualcuno sa cosa stiamo cercando? ***
Capitolo 6: *** Lotta fraterna ***
Capitolo 7: *** In cartolibreria ***
Capitolo 8: *** Oscurità, mia cara amica ***
Capitolo 9: *** La donna misteriosa ***
Capitolo 10: *** Il professor Black White ***
Capitolo 11: *** Tanto per non passare inosservati ***
Capitolo 12: *** Il preside vuole vedervi ***
Capitolo 13: *** Nello studio del preside ***
Capitolo 14: *** L'anello di zaffiro ***
Capitolo 15: *** Le cose che non esistono ***
Capitolo 16: *** Un inizio di amicizia tra Black e Albert ***
Capitolo 17: *** Alisea sorprende Black e Albert a parlare! ***



Capitolo 1
*** Alan e Zaffiro ***


Zaffiro e Alan Pretty, erano due ragazzi, maschi. Due gemelli.

Gemelli eterzogitoti di 16 anni. Bellissimi.

Alan aveva folti capelli castani e occhi azzurri, Zaffiro aveva lucenti capelli corvini e gli stessi occhi azzurrissimi del fratello.

Per quanto riguardava il carattere, Alan era pacato, introverso ma allo stesso tempo ironico, anche se comunque molto vulnerabile…Zaffiro invece era più sicuro di sé stesso e vendicativo per quanto riguardava i torti subiti.

Era estremamente protettivo nei confronti del fratello gemello Alan.
 
In quel momento stavano dormendo entrambi, sul divano, con le gambe intrecciate. Stavano facendo un riposino pomeridiano; erano sullo stesso lato e Zaffiro cingeva teneramente con un braccio per la vita, Alan. I due gemelli erano molto uniti.
 

I due comunque non erano da soli. Avevano una terza sorella. Si chiamava Alisea.

Si chiamava Alisea ed era la loro sorellastra. Aveva la stessa età, il che si giustificava con il fatto che il padre aveva avuto una scappatella con un’altra donna, praticamente nello stesso periodo in cui ingravidò la loro madre, così le due donne rimasero incinte contemporaneamente.

La loro madre poi, perdonò il marito per la scappatella. L’altra donna comunque non volle abortire e nacque Alisea.

I fratelli non avevano mai serbato rancore per questo fatto, anzi, avevano molto legato con l’altra loro sorella. Non era come il rapporto che avevano tra di loro, essendo gemelli, ma ci tenevano comunque a lei..era nata anche lei nello stesso anno, era come una gemella separata alla nascita per loro.  I gemelli sentivano molto il legame della famiglia. Per fortuna la loro madre non era una tipa rancorosa e aveva insegnato a loro i valori veri.

Forse era stato anche questo che le aveva permesso di salvare il suo matrimonio e l’amore con il marito.
 
Alisea aveva una pelle di porcellana, occhi verdi e lunghi capelli rossi e lisci e aveva un carattere particolare. Era molto timida, insicura e introversa, anche più dei fratelli. Non riusciva a fare amicizia con nessuno. Non importava quanto ci provasse. Era una bella ragazza ma non si avvicinava ai ragazzi, non faceva la civetta, non sembrava interessata alle attività di gruppo. Sembrava vivere costantemente in un mondo a parte. Come i fratelli.
 
 
 
 
 
*

Ore 10:00. ora di matematica. Mancava ancora un'ora all'inizio dell'intervallo, e Alan si era già perso nel mondo delle nuvole e delle sue fantasie.
 

"E non è neanche capace di fingere di stare concentrato sulla lezione" Pensava Zaffiro, nel banco a fianco del fratello, con sbigottimento.

Se continua a guardare cosi sfacciatamente il vuoto, il professore finirà per accorgersene" Pensava Zaffiro con rabbia. Intanto Alan stava ricopiando su un quadernetto, una frase che aveva letto sul libro dei profeti, e che l'aveva colpito molto. Zaffiro si sporse un pò per leggerne il contenuto. Si sentiva in diritto di farlo, perché se per Alan fosse stata una cosa segreta, non l’avrebbe scritta a pochi metri da lui. Anzi, in un certo modo, si sentiva lusingato da quella cosa, perché dimostrava quanto suo fratello si fidasse di lui.

i tuoi figli non sono tuoi, sono figli e figli e figli della nostalgia che la vita ha di sè

vengono grazie a te, ma non da te

e anche se stanno con te, tuttavia non ti appartengono.

Puoi dargli il tuo amore, ma non i tuoi pensieri

perchè hanno pensieri loro

puoi custodire il loro corpo, ma non la loro anima

poichè l'anima dimora nella casa del domani,

e là tu non puoi andare nemmeno in sogno

 
 

Zaffiro non fece in tempo a ribattere a quanto aveva appena letto, che qualcun altro fu più veloce e prese il quadernetto dalle mani di Alan. "Ma bene, adesso ci gingilliamo a scrivere quello che ci pare invece di star attenti alla lezione, eh?"


Alan si fece paonazzo e cercò maldestramente di riprendersi il foglio, con scarsi risultati. Alle sue spalle i compagni ridevano.

"Professore, me lo ridia per favore". Disse Alan, ma l'insegnante teneva il quaderno fuori dalla sua portata.


"Non prima di aver letto che cosa aveva di tanto importante da scrivere, da non poter assistere alla lezione, il nostro provetto poet...."  l'insegnante non riusci a finire la frase, che Zaffiro con destrezza gli sfilò di mano il quaderno.


"Mi scusi, professore, ma sono cose personali di mio fratello, che non credo vorrebbe venissero lette".  Disse con spavalderia Zaffiro, sotto lo sguardo irritato del professore, l'aria di gratitudine di Alan e gli sguardi curiosi dei compagni. 
 
"Bene, ragazzo, sei coraggioso, molto coraggioso, io apprezzo il coraggio, e anche la solidarietà fraterna".  Disse il prof con un sorriso maligno. "Un punto di nota per Alan e uno per Zaffiro per la sua insolenza". 

"Che cosa? Nota perchè? Perchè non gli ha fatto leggere una cosa personale? E io per aver difeso mio fratello?" 

"DUE note di demerito per Zaffiro, e se non sta zitto, diventeranno CINQUANTA. " concluse minaccioso il professore andando a prendere il registro, tra le risate generali. 

"Mi dispiace tanto, Zaffiro, è tutta colpa mia" disse Alan in un soffio.

"Non ci pensare, Alan, sono pensieri tuoi che nessuno che tu non voglia ha diritto di leggerli, e intanto quello sbruffone non l'ha avuta vinta" disse Zaffiro con un sorriso. 

"Grazie Zaf, tu puoi leggerli se vuoi" sorrise Alan. Tra loro non c’erano segreti.

"L'ho già letto, caro. sono tuo fratello dopotutto, posso farlo, no? " Disse Zaffiro con un sorriso ancor più ampio.


Alan gli diede una sberla giocosa in testa. 

" Credo che il signor Alan e il signor Zaffiro trovino troppa monotona questa lezione per i loro cervelli sopraffini, quindi credo di fare loro un piacere facendoli uscire dalla classe" disse a denti stretti il professore. Alan e Zaffiro si alzarono in piedi, ma Zaffiro indugiò qualche secondo, poi si voltò.


"Non prende il registro, prof? " 

"Prego?" chiese il professore, irritato più che mai. 

"Beh, aveva detto che se avessi detto un'altra parola, le note sarebbero diventate cinquanta."

"ANDATE FUORI, FUORI" Gridò il professore, mentre Alan agguantò uno zaffiro sghignazzante per la collottola, e si trascinò fuori dall'aula con lui, tra le risate generali. 
 
Nel parco della scuola, Alan rimproverava bonariamente Zaffiro: "Non puoi fare a meno di metterti nei guai, eh? avevi già due note, che bisogno c'era di...."

“Quello non si può permettere di fare il prepotente solo perché siede su quella sedia e non si deve azzardare a fare il prepotente con te!” disse Zaffiro, spiazzando suo fratello che gli rivolse un caldo sorriso.

Sapeva che era inutile insistere. Zaffiro aveva un cuore d'oro, ma era molto testardo, e forse il suo bello era anche questo. Ad ogni modo aveva un cuore generoso, ed era questo che importava. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice: 

scusate per la confusione! Chi sta leggendo la mia storia "legami di sangue" rimarrà sbalordito da questa storia, ma vi spiego..mi sono resa conto di aver scritto delle gaffes mostruose nella mia storia, soprattutto nei primi capitoli..questo è avvenuto perchè la storia avevo cominciato a scriverla quando avevo 14 anni..ovviamente poi la corressi, ma mi ostinai a mantenere la trama che avevo deciso e così inevitabilmente mi sono accorta poi tardi che la storia era un pò inverosimile sotto certi aspetti, a partire dal fatto che feci sparire i genitori dei protagonisti senza preoccuparmi di pensare a come li avrei poi fatti riapparire...lo so, è un disastro, in più ho fatto un pò casino anche con le età..cosa di cui mi sono accorta solo recentemente, quindi ho deciso di riscrivere la storia da capo..Alisea non sarà neanche la sorella dei protagonisti, ma sorellastra..e i genitori non saranno così orribili come avevo scritto nell'altra storia

ora, se leggere questo incipit non vi ha scoraggiato, spero vorrete leggere questa di storia, io terrò comunque l'altra nel sito, finchè, non avrò pubblicata questa fino al capitolo dov'ero arrivata, sì, perchè non cambierò e modificherò proprio tutto..ma qualcosina si, per forza xd 

a presto!

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Capitolo 2
*** Una piccola stella danzante ***


“Alisea, Alisea, svegliati" disse una voce.
 
 Alisea si scrollò dal sonno ancora intontita. "Mmm."
 
 Quando vide quello che gli si parava davanti, cacciò un urlo. "Yiikes". 
 
 "Ehi, calmati, Alisea, non voglio farti alcun male" . 

 Ad aver parlato, era un bellissimo unicorno bianco con sfumature rosa e una coda scintillante. Alisea era terrorizzata e si raggomitolò sul lettino. Fino ad allora aveva creduto che esistessero solo nelle favole!

"Chi sei? cosa vuoi?" gli chiese.

"Perchè sei cosi spaventata, Alisea?  Hai atteso tanto la mia venuta qui" 

Era vero, quante volte Alisea aveva sognato che un unicorno  venisse a portarla via per farla fuggire nel mondo della fantasia, lontano dagli orrori della realtà? dieci- cinquanta volte? Di più? 

"Io...io...sei veramente....?" 

"Toccami, senti il mio pelo". Alisea avvicinò una mano tremante e gli vennero le lacrime agli occhi....

"Allora....esisti veramente....sei davvero qui..."
 
“certo che esisto, monta su, in groppa, ti porto in un posto bellissimo."
 

Alisea avverti un groppo allo stomaco, per tanto tempo aveva sperato una cosa del genere, e proprio adesso che era successa, si scopriva titubante.....

"Io...non posso lasciare i miei fratelli."
 
"Non pensare a loro adesso, monta su" 

Alisea si fece forza e montò su, ma poi strizzò gli occhi.

"Non posso, se mi cercano...."  
 
 "Senti, ti prometto che li rivedrai, ok?" disse l'unicorno con gentilezza. 

"Dici davvero? " chiese Alisea sollevata. 

"Certo".
 
 "Allora ok" disse Alisea, e  si abbandonò al collo dell'unicorno abbracciandolo come un gigantesco peluche. 

"Allora si partee" 
 

le finestre si spalancarono e volarono nella notte. Alisea era elettrizzata, ma spaventata, e si tenne stretta più che potè all'animale. 

"Vedi quella luce? quello è il mio pianeta" disse l’unicorno  e indicò una stella che raggiunsero alla velocità della luce, e ancora prima di averla raggiunta, si trovarono già DENTRO un bosco.
 
Rallentò gradualmente e si ritrovarono immersi nella vegetazione. Alisea si parò la testa e subito dopo si ritrovarono in uno spettacolo meraviglioso. 

Il sole sembrava pura energia, il cielo era più azzurro del mare, le nuvole passeggiavano soffici nel cielo, la luce illuminava tutto il paesaggio fatto di colline e montagne verdissime, e l'acqua di un laghetto sembrava uno specchio. Alle loro spalle fiori di tutti i colori facevano da cornice, mentre oche, papere, coccinelle, canguri, gazzelle e cerbiatti passeggiavano beati.
 
 L'unicorno sorpassò un piccolo pontile, mentre Alisea era stupefatta: 

"é bello da togliere il fiato qui" 

"Oh anche di più" disse l'unicorno.

"Farai venire qui anche Alan e Zaffiro?" chiese Alisea. 

"Oh, ma loro sono già qui" disse l'unicorno. 

Alisea guardò davanti a sè e li vide, distanti pochi metri che la salutavano allegramente con la mano e si illuminò.
 
Li salutò a sua volta. Era felice che anche loro fossero li con lei in quel mondo incantato. Per la prima volta tutto era cosi meravigliosamente perfetto. E poteva anche sentire le voci dei due fratelli. Zaffiro diceva: 

"Alisea è la parte più sognante di noi tre, vero? "
 
"Credi?" disse Alan

"Che cosa ne pensi dei sogni, Zaf?" 

"Penso che i sogni sono per i bambini, Al" 

e Alisea non capi quello che stavano dicendo. Avrebbe voluto chiederglielo, ma sembravano cosi lontani, doveva camminare ancora un pò per raggiungerli, anche se a ogni passo sembravano cosi sfocati.....
 
 
 

 
 
Alan e Zaffiro fecero  tutto il tragitto verso casa, facendo congetture su QUANTO avrebbero potuto prendere male i genitori il fatto che ANCORA UNA VOLTA erano stati ripresi da un insegnante. Zaffiro sostenne che non c'era alcun bisogno di dirlo per forza, in quel modo avrebbero evitato loro della rabbia inutile, facendo loro del bene.

Scoppiarono poi a ridere entrambi. Alan aggiunse convinto:

“Papà ci direbbe secondo me che abbiamo fatto bene, dicendosi orgoglioso. Anche lui ai suoi tempi faceva penare tutti gli insegnanti che avevano la sfiga di trovarselo davanti!”

“Al, io muoio di fame, passiamo da Alisea?” disse Zaffiro, cambiando discorso.
“Vuoi mangiartela?” rise Alan.  

  “No, ma le cose che ci sono a casa sua sì. Casa di Alisea è piena di merendine, cioccolati, e altre cose deliziose.” Disse Zaffiro.

“Prima o poi sua madre ci caccerà via e non ci farà più venire a trovarla!” disse Alan.

“Non deve saperlo per forza! Nascondiamo tutto nelle giacche, fratello!” disse Zaffiro, accendendo la sua moto e aspettando che Alan salga dietro.

Alan lo guardò con aria di rimprovero, mentre si siedeva dietro di lui.

“Quello sguardo è per la frase o il casco?” gli chiese Zaffiro ridendo.

“Lo sai benissimo, incosciente! Prima o poi ci fermerà un poliziotto e..”

“Sai che finchè sei con me non può accaderti nulla!” lo riprese sorridendo Zaffiro.

“Ma loro non lo sanno!” disse Alan, cingendolo per la vita e appoggiando la guancia sulla sua spalla.

Zaffiro sentì un’ondata di calore avvolgerlo. Era bello come suo fratello si fidasse di lui, ma soprattutto si affidasse a lui.

“La prossima volta lo prenderemo entrambi.” Disse sorridendo. La verità era che senza casco poteva sentire la testa di suo fratello appoggiarsi a lui e questo lo riscaldava di affetto e amore.
 

 


 
 
*
Sembrava non esserci nessuno in casa e la porta era aperta, quindi entrarono. Era un’abitudine piuttosto comune. Da quelle parti non giravano ladri, anche loro tenevano sempre la porta aperta.

Una volta  entrati in camera, videro che Alisea stava ancora dormendo. 

Si fermarono un pò a guardarla dormire e si accorsero subito che c'era qualcosa di strano.
 

"Guarda Al, sorride" 

"Dici? a me sembrava stesse piangendo" disse Alan vagamente preoccupato. 

"Piange e ride insieme"

"Dici che sta..?" 

"Si" disse Zaffiro. "Probabilmente sta sognando e dalla sua espressione sembra che sia qualcosa di piacevole, che deve averla commossa molto" 

"Non mi stupisce, è una ragazza cosi sensibile" disse Alan facendogli una delicata carezza per non svegliarla.

Rimasero cosi immobili per qualche istante, a guardare Alisea che dormiva. 
 
D'un tratto Zaffiro disse: 

"Alisea è la parte più sognante di noi tre, vero?”

Alan rispose: "Credi?" 

“Si, ne straborda da tutti i pori. credo che se lo volesse potrebbe mantenerci eternamente giovani, è come se fosse una piccola stella sognante"

"E noi i satelliti che gli giriamo intorno"  disse Alan con un sorriso.

Zaffiro sorrise a sua volta.
 
 
 
 


" Tu Che cosa ne pensi dei sogni, Zaf?"  chiese  Alan voltandosi verso di lui, mentre in salotto, facevano merenda con pane e nutella.

Zaffiro fece un sorriso amaro: “Posso citarti Stephen King?”
“Vai.” Lo incoraggiò Alan.
 
 " I sogni invecchiano prima dei sognatori, ma gli ultimi sogni sono duri a morire e se ne vanno con rauchi gridi strazianti in un recesso del cervello.”

“L’acchiappasogni.” Fischiò Alan ricordando il libro. “Libro stupefacente. Altra citazione?”

Zaffiro si concentrò, poi snocciolò:

“Sei cresciuto, sei diventato uomo, ti sei dovuto rassegnare ad ottenere meno di quanto avessi sperato, hai scoperto che sulla macchina dei sogni c’era un cartello con la scritta FUORI SERVIZIO. I sogni sono per i bambini.”

 Ad Alan dispiacque sentire Zaffiro parlare in quel modo, sentire il suono triste della sua voce.

“E tu..non pensi di essere un sognatore?” gli chiese.

“Cosa? No. Non sono come…Alisea..” disse Zaffiro, stringendosi nelle spalle.

“Perché? Com’è lei?”

 “Una ragazza dolce e sognante come ce ne sono tante. Chissà perché la gente sogna..in fondo la vita è quello che ti succede mentre tu stai a sognare un’altra vita.”

“Forse cerca di evadere nel mondo dei sogni per non vedere gli orrori che ci sono qua.” Disse Alan.


“I sogni sono per i bambini.” disse Zaffiro.

Alan si morse il labbro e uscì dal salone per non far vedere a suo fratello le lacrime che gli stavano per insorgere. Zaffiro rimase sconcertato e lo seguì.

“Alan, aspetta, cos’hai?”
 
Alan si era fermato in giardino, lottando per calmarsi.

“Alan, se c’è qualcosa che io ho detto che ti ha offeso, mi…”

“Zaffiro, Zaffiro, parli tanto di Alisea, ma anche tu sei un sognatore, un poeta anzi, uno che sogna e immagina!..”
“Cosa?”
“Ti ricordi quando eravamo piccoli? Creavi dei mondi fantastici per me e Alisea..immaginavi che esplorassimo mondi fantastici, magari insieme a una fanciulla innamorata..e ancora, di trasformare il fango in ambrosia, l’odio in amore..e ridare la vita ai morenti..me lo ricordo, Zaf..e ci credevo anche io..”

Alan non si aspettava il dolce abbraccio che arrivò da parte di Zaffiro, a cingerlo da dietro.

Ne rimase sorpreso, ma dopo pochi attimi, si abbandonò a quell'abbraccio. Zaffiro poteva sentire il corpo di Alan tremare leggermente, e pensò che di Alisea aveva sempre saputo di quanto fosse fragile, e di quanto fosse infelice....ma Alan? 
 
 
 
“Hai ragione, Al. Mi dispiace.”

“Anche io credevo che potessimo farlo, Zaf..” disse Alan.

“Lo so.” Rispose lui.

Zaffiro avrebbe voluto aggiungere che per lui il SOGNo era il legame con Alan, e quello con Alisea, ma era imbarazzante da dire ad alta voce, quindi rimase zitto. 
 

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Capitolo 3
*** Il pesce velenoso ***


Alan e Zaffiro stavano facendo immersione subacquea. Con la muta, potevano benissimo praticare quello sport senza soffrire il freddo. Era una passione del padre e loro erano contenti di seguirlo.

Ma pesca subacquea no, erano contrari.

Facevano questo solo per esplorare la flora marina.

Ad un certo punto però, successe qualcosa di strano. Zaffiro notò Alan sott'acqua che si teneva una mano, e sembrava agonizzare dal dolore.
Mio dio…                                 
 
Quello che successe, sembrava quasi un incubo. Alan si ritrovò a prendere il fratello tra le braccia, la testa penzoloni, che si dimenava, e tremava, con la mano gonfia.

Quando riemerse, non andò meglio, perchè Alan sembrava esausto e aveva la testa ciondoloni, sorretta solo dalla mano di Zaffiro.

“Alan…Alan…ci sono io, ci sono io, sta tranquillo. Ora ti riporto a riva!” disse lui cercando di calmarlo.

“Che cosa gli è successo??” domandò una ragazza con i capelli castani, vedendo Zaffiro riportare suo fratello a riva, trascinandolo quasi di peso.

“Io..io non lo so..mio fratello si è sentito male..un morso..qualcosa lo ha morso.” Disse Zaffiro tremante, stringendolo a sé e quasi crollando insieme a lui.

La ragazza si avvicinò e lo guardò da vicino.

“Dovete andare subito in ospedale. È il morso di un pesce. Vi porto io.”

Zaffiro era troppo spaventato per ribattere, quindi accettò di buon grado l’aiuto di quella ragazza.
 
 
 
 
 
 
C'era un forte odore di medicina. L'odore dei vari medicinali, miste a candeggina e a quei corridoi cosi insopportabilmente spogli e bianchi erano una visione insopportabile per Clère.

Clère odiava gli ospedali. Il bianco, che era uno dei suoi colori preferiti, visto ora nei corridoi d'ospedali, addosso alle pareti, cosi come le mura delle stanze, cosi bianche, non dava al bianco quella lucentezza, quella purezza, che dava sempre; dava più un sentore come di malattia,cosi come le piante, che erano da sempre indice di accoglienza, di festività, viste nei corridoi degli ospedali, di norma le piante riescono solo a trasudare malinconia, tristezza, abbandono. 

Clère detestava gli ospedali, eppure quel giorno si era ritrovata costretta a tornarci. Quando aveva visto quei due ragazzi così spaventati, ebbe davvero paura di vedere il ragazzo morire davanti ai suoi occhi, poi per fortuna razionalizzò quello che era successo e riuscì ad avere la mente lucida per portare i ragazzi in ospedale.
 
 
 
 
 
 
 
*

Zaffiro vegliò sul fratello fino a quando non si addormentò anch’esso, sfinito. Si era arrabbiato talmente tanto che alla fine gli avevano permesso di restare nella stanza con lui.

Alan si mosse leggermente, avvertendo un peso su di lui. La testa di suo fratello sul suo petto. Il suo cuore si riempì subito di tenerezza e felicità.

“Ehi..” gli disse accarezzandogli di sfuggita i capelli.

“Alan..come stai?”

“Come se mi avessero tagliato via la mano.”

Zaffiro lo guardò molto pallido e Alan disse sbalordito:

“Ho gridato tanto?”

“E anche pianto molto. Mi sono…molto spaventato.”

“Zaf, mi dispiace..” gli dispiaceva davvero molto, ma il dolore era davvero immenso.

“Non scusarti. Hai subito il morso di un pesce velenoso. Potevi…potevi..” disse Zaffiro, prendendogli la mano. Non ebbe il coraggio di continuare.

Alan si imbarazzò un po’ a quel gesto e allontanò la mano, gentilmente, cercando di non sembrare troppo brusco.

“Sei stato tu a portarmi qui?”

“Veramente no. Io ti ho portato fuori dall’acqua, ma una ragazza gentile ci ha accompagnato all’ospedale.”

“Cosa? Quale ragazza?”

“Io.” Disse lei entrando timidamente.

Alan la guardò stupito.

“Ehm…”

“Come sta la tua mano?” chiese lei.

“Bene….cioè, mi fa un po’ meno male, per fortuna... mi ha detto Alan che..ho gridato..” disse imbarazzato.

“A mio padre capitò la stessa cosa anni fa..so per esperienza che fa molto male un morso velenoso da un pesce..non devi vergognarti. Sai, lui era molto preoccupato per te. Ci tiene molto a te.”

Alan si volse a guardare Zaffiro con un gran sorriso. Zaffiro imbarazzato si schiarì la gola:

“Ehm..non dovresti dire certe cose..che poi lui ci crede..”

In quel momento squillò il telefonino di Zaffiro.
 
“Ok, sono arrivati mamma, papà e Alisea di corsa. Sono molto preoccupati.” Disse Zaffiro dopo aver parlato due minuti al telefono.

“Zaf..” sospirò il fratello frustrato.

“Mi dispiace ma se non li avessi avvertiti, avrebbero fatto finire anche me sotto le spire del pesce.”

“Non è divertente.”

Zaffiro lasciò la stanza, insieme a Clère, facendogli una linguaccia.
 
 
 
 
*
 
Clère era una ragazza minuta, con i capelli corti a caschetto e gli occhi di cerbiatto.

“Beh, dai sono contenta che sta bene!” disse la ragazza.

“Meglio di prima. Credo che la mano gli faccia ancora un po’ male, ma gli passerà. Senti, volevo ringraziarti..”

Clère scosse la testa.

“La mia macchina era la più vicina e tu eri sconvolto..non potevo lasciare che guidassi da solo, in quelle condizioni, con tuo fratello così..”

Zaffiro sorrise.

“Beh, non tutti lo avrebbero fatto. E poi sei rimasta, non sei andata vai subito! Sei un angelo. Davvero.”

Clère sorrise.

“Se ti va di restare fino a quando arrivano i nostri genitori.. ti ringrazieranno anche loro e…”

“No. No. Voglio dire, non è necessario..davvero..”

Zaffiro la guardò stranito.

“è solo che…mi imbarazzo facilmente..con gente che non conosco. Lo so, sono una stupida.” Disse lei imbarazzandosi.

“Mmmmm…ok, però sei stata gentile e carina con noi. Mi dispiacerebbe se non ci sentissimo più. Posso..aggiungerti su facebook o qualcosa del genere?”

“Sì, certo.” Disse lei sorridendo.
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Un fiore senza profumo ***


Era una bella giornata di sole e Judith, la madre di Alisea, stava andando con la figlia al centro commerciale, e intanto ne approfittavano per comprare ancora del materiale scolastico.

Judith era magra e aveva gli stessi capelli rossi della figlia.
 

 
Durante il tragitto in macchina, Judith si accorse che Alisea sembrava un pò strana, sulle nuvole… da quando si era svegliata, non aveva detto una parola e aveva le guance rosse. Forse era febbricitante. Quasi a leggerle nel pensiero, Alisea calò il finestrino.

Ecco, ha la febbre.. non avrei dovuto farla uscire..
 
"Alisea, ma sei matta? Siamo in inverno, vuoi prenderti una polmonite?"  Cosi dicendo, chiuse il finestrino.
Alisea guardò inebetita il finestrino, come se l'avesse appena sigillata in una camera mortuaria.

"Cosa ti succede? hai la febbre?”

"No, mamma, ho solo un pò caldo" 

La madre gli premette la mano sulla fronte. Sembrava molto calda.

"Se vuoi che torniamo indietro...." 

"NO!"  disse Alisea ad alta voce. 

La madre la guardò corrugando le sopracciglia. 

"No" ripetè più a bassa voce. 

"Scusa, è che mi sono svegliata male.”
Judith annui solennemente, anche se non era del tutto convinta che dicesse la verità e infatti non sbagliava. Era tutta la mattina, da quando si era svegliata, che Alisea aveva una strana ansia addosso. Neanche lei sapeva spiegare bene che cosa avesse. Sapeva solo che si era svegliata con l'eccitazione strana di chi doveva andare in un determinato posto e con l'intento preciso di trovarvi qualcosa, ma non riusciva bene a capire dove stesse andando o che cosa doveva cercare, o trovare.
 
 

 
 
 


In un'altra macchina, altre due figure silenziose percorrevano una strada, che ben presto sarebbe diventata coperta di neve.

Una era una donna matura, ben curata e truccata, con riccioli d'oro alla Marilyn Monroe, l'altra nel sedile posteriore, accanto a lei,  una ragazza minuta, più giovane, dai lineamenti delicati come una bambola, ma senza alcuna traccia della vanità delle donne che hanno la consapevolezza di piacere.

 Le sue sopracciglia fini e delicate non erano contornate da nessun ombretto e nessuna matita per risaltarne la bellezza degli occhi; cosi come le sue labbra a cuore non erano tracciate da nessuna linea di rossetto. Le sue mani, benchè venissero spesso nominate come bellissime mani da molta gente, non venivano mai colorate da uno smalto.

I suoi capelli erano biondissimi e liscissimi, chiunque avrebbe approfittato di quella fortuna, facendo acconciature, legandoli in modo sexy, mettendoci la lacca, olii speciali per sottolinearne ancora di più la bellezza e per farli diventare ancora più luminosi… invece lei no. Marika non era come le altre ragazze. 

Il suo viso era un viso da bambina, non gli interessava truccarsi, perchè non aveva la malizia di piacere alle persone e ai ragazzi. Di tanto in tanto, si legava nastri d'oro facendosi una mezza coda. Non lo faceva per apparire più bella e regale agli occhi degli altri, lo faceva perchè rimaneva ammaliata dalla bellezza del nastro. No, lei non era come le altre ragazze. Per questo era sempre cosi sola.

"Buon Dio, potresti anche metterci un pò di entusiasmo, figlia mia, domani è il tuo primo giorno di scuola e non dovresti andarci cosi imbronciata". 

"Io non volevo venire, non capisco il perchè di questa uscita, ho già un sacco di vestiti luccicanti da scegliere per la giornata di domani; questa uscita è completamente inutile!!!".  sbottò Marika.

"Santo cielo, Dio mi ha dato al contempo una benedizione e una croce eterna! una benedizione perchè  mi ha fatto generare una figlia con cosi tanta bellezza e grazia, e una croce perchè allo stesso tempo ho generato una figlia senza AMBIZIONI. Lo sai quante persone, quante ragazze vorrebbero essere nei tuoi panni, Marika? Avere la bellezza che hai tu, avere la tua grazia, la tua eleganza, ne hai solo la più pallida idea?"Le chiese la madre puntandole un dito. Marika vide la lunga unghia artificiale di sua madre, colorata di rosa, davanti al viso.

"Questo me l'hai già detto, mamma". 

La madre abbassò il dito e la scrutò con incomprensione frustrata. 

"Non riesco a sopportare che Madre Natura ti abbia dato un dono cosi e tu non abbia neanche l'ambizione di sfruttarlo. Potresti sfilare, diventare fotomodella, recitare. Potresti diventare FAMOSA,  Marika. Tutte le persone sarebbero ai tuoi piedi, ma tu non vuoi. Rifiuti qualsiasi proposta che ti viene fatta… la tua bellezza ti potrebbe aprire molte porte e tu gliele sbatti tutte in faccia, non ti interessa la moda, non ti piace truccarti. ...potresti avere tutti i ragazzi ai tuoi piedi, ma non dai corda a nessuno. Sei un bellissimo fiore senza profumo. Si può sapere che cos'hai?" 

Marika si girò verso il finestrino con aria triste, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Sapeva che sua madre non voleva davvero una risposta e lei non intendeva dargliela. Forse non la sapeva neanche lei.
 
 Alle sue spalle c'era un boccetto di smalto capovolto, nel posto dove di solito è usato come portamonete. Non voleva guardarlo.. lo ripugnava. 

Non sapeva perchè scatenava in lei sentimenti tanto nauseanti, eppure era cosi. 

Guardò fuori dal finestrino e vide un cerbiatto. Guardava proprio nella sua direzione.La fissava. 

Stava forse indovinando i suoi pensieri? Gli animali, anche quelli selvatici, che non sono mai stati a contatto con l'uomo, anche loro, riuscivano ad avere una sensibilità tale che gli permetteva di leggere nell'animo umano? E se era cosi,  questa sensibilità , da dove la prendevano, se nessuno gliel'aveva mai insegnato? 

Ed ecco che il cerbiatto svani, cosi come era apparso. Non svani perchè con la macchina l'avevano sorpassato, ma semplicemente per il motivo più banale e scontato del mondo: perchè non esisteva.

 Senti un dolore acuto per il fatto che non fosse reale; avrebbe voluto davvero essere guardata cosi da un cerbiatto. Non sapeva neanche lei perchè il fatto che non fosse successo realmente,  gli provocava tanto dolore. L'aveva disegnato lei con la sua immaginazione e ora era svanito. Come i suoi stupidi pensieri, come tutto quello che non riusciva a trattenere mai troppo a lungo. 

Un fiore senza profumo, aveva detto sua madre. Era quello che era?
 
 
 






*  

 "I fiori non sono consapevoli del loro valore"  disse d'un tratto Alisea.

"Come  dici?"  chiese Judith con tono vagamente allarmato, che gli veniva sempre quando, Alisea e gli altri due fratelli, dicevano qualcosa di strano. 

"Stavo riflettendo su una frase che lessi nel libro *la principessa che credeva nelle favole*. non so perchè mi è venuta in mente." disse Alisea con aria malinconica.

"Ah" rispose Judith e continuò a guidare. 




 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Senza sosta... qualcuno sa cosa stiamo cercando? ***


Marika e la mamma erano arrivate al supermercato.  La madre aveva adocchiato subito delle magliette azzurre con i brillantini, e le mostrò a Marika prendendola per un braccio. 

"Guarda questa maglietta, tesoro, non è un amore? Potresti metterla per domani ". 

"Mamma, ho già provato a mettere delle maglie simili e ti ho già spiegato che i brillantini mi danno un fastidio immenso. Mi fanno venire l’urticaria!" disse Marika cercando di divincolarsi dalla stretta.

"Quanto sei difficile" borbottò la madre. "Oh, guarda queste magliette che carucce, ne devi prendere assolutamente una."

Marika si voltò a guardare le magliette. Alcune erano nere, larghe e piene di scritte, mentre altre erano cupe, grigie e mascoline, nessun ricamo particolare, nessun piccolo segno di femminilità.....

"Ti ho detto mille volte che non mi piace il nero, non mi piacciono i colori cupi e neanche le maglie da maschiaccio con le scritte da drogati, perchè vuoi a tutti i costi farmi vestire come una tamarra?"

La madre si rivolse a lei come a una bambina ritardata che faticava a comprendere:

"Tutte le ragazze si vestono cosi. è la moda". 

Marika senti la nausea salirgli a sentire parole e frasi dette e ridette da milioni e milioni di persone prima e dopo di lei, ma invece di contestare, disse: " Io non sono cosi. A me piacciono i colori tenui, delicati. Mi piace il soft, mi piacciono le forme delicate, i pizzi, i ricami".
 
 La mamma perse la pazienza.

"Non sei più una bambina, non puoi vestirti da barbie per tutta la vita". 

Marika ripensò a tutte le volte che le persone dicevano che la cosa importante era essere sé stessi sempre.

Lo ripetevano come un tarlo nel cervello, benchè sapessero che era impossibile.  Dal momento in cui nasci a quando inizi a camminare, cercano di farti diventare un'altra persona, diversa da quello che sei, e allora a cosa servivano quelle parole vuote? Ipocriti. 

Cercò di ricacciare indietro le lacrime. Non voleva che la madre la vedesse piangere, sarebbe servito solo a farla arrabbiare ancora di più, quindi si lasciò trascinare nel reparto scarpe. 
 

"Che ne dici di questi stivali?" Gli presentò degli stivali lunghissimi, neri. 

Sembravano stivali da cavallerizza.

A Marika facevano impressione. Si allontanò subito. 

"Marika, dove stai andando? Marika?" 

"Vado a fare un giro nel supermercato. Torno subito".  Disse, allontanandosi  precipitosamente, cercando di scappare dal demone dell'ossessione che la madre aveva nei confronti della moda. 
 
 
 

 
*
 
  Per Alisea e la madre, le cose andarono in maniera un pò diversa. La madre vide un completino azzurro molto carino e lo fece vedere ad Alisea, che sorrise e disse che gli piaceva molto, poi lei si fermò a guardare dei cd musicali e lasciò Alisea libera di girare nel supermercato. 

Sapeva che Alisea non riusciva a resistere alla tentazione di passare nel reparto libri, in qualsiasi supermercato finissero per entrare. 

In quel momento nel supermercato, si senti la tipica melodia di una canzone... un'usanza che usavano in molti supermercati, quella di far partire di colpo la musica. 

Alisea  conosceva molte canzoni e la riconobbe all'istante.
era The Show Must Go On, di Freddy Mercury. 
 
 

 
 
*
 
 Marika riconobbe la canzone di Freddy Mercury. Sorrise e provò un brivido di emozione.
Le era sempre piaciuta quella canzone.  Si fermò per un attimo ad ascoltarla. Si era fermata nello scompartimento di generi alimentari.  Vicino a lei c'era un ripiano completamente vuoto. Marika trovò quello spazio vuoto, desolante. 
 
 

 
Empty spaces - what are we living for 
abandoned places-  i guess we know the score 
 
Spazi vuoti - per cosa stiamo vivendo?
luoghi abbandonati - suppongo che noi conosciamo il risulato.
 
 
 
 

Marika continuò a camminare.   
 

 
On ad on, does anybody know what we are looking for
 
Senza sosta.....qualcuno sa cosa stiamo cercando?

 
 
 
 



Intanto Alisea continuava a camminare. Incrociò un mazzo di palloncini in un angolo.
Lo sfiorò con le mani. Il primo ritraeva Goku con il suo sorriso migliore, il secondo ritraeva Lupin. Continuò a camminare. 
 

 
Another hero, another mindless crime
behind the curtain, in the pantomime
hold the line, does anybody want to take it anymore?
 
Un altro eroe, un altro stupido reato
dietro la tenda, nella commedia (farsa)
resta in linea, qualcuno lo vuole ancora?
(......)
 
 
 
 
*
 
Marika si fermò d'un tratto, sentendo una coppia litigare. 

"Ti prego, Carl, ti prego, non lasciarmi, farò tutto quello che vuoi, ma non lasciarmi".
"Lasciami, sei patetica" si divincolò l'uomo. "Tra noi due è finita, Carmen, sono stanco dei tuoi capricci, STANCO!"  e se ne andò mentre la ragazza piangeva. 

"Non...lasciarmi". disse debolmente la ragazza premendosi le mani sul viso. 
Marika continuò a guardare la ragazza con il cuore colmo di pena. Voleva dirle qualcosa per consolarla, ma non sapeva cosa e trovava ingiusto che una persona dovesse essere lasciata sotto il sottofondo di una canzone cosi triste. 
 

 
 
Another heartache, another failed romance
on and on, does anybody know what we are living for? 
 
Un altro mal di cuore, un'altra storia fallita.
Senza sosta, qualcuno sa cosa stiamo cercando?

 
 

 
Intanto l'uomo che si era allontanato e che nè Marika nè la ragazza potevano più vedere ora, si voltò indietro, senza essere visto. Guardò la ragazza che era ancora in preda ai singhiozzi e pensò: "Perdonami Carmen. è meglio cosi." Una piccola lacrima gli scese per il viso. Non l'asciugò nemmeno e se ne andò con lo sguardo duro. 
 
 
 

 
i must be warner now 
i'll soon be turning (turning turning turning ) 
round the corner now 
outside the dawn is breaking
but inside in the dark i'm aching to be free
 
Suppongo di stare imparando, devo essere più caloroso ora
presto sarò una svolta, gira l'angolo ora
fuori, l'alba sta scoppiando
ma dentro nel buio sto soffrendo per essere felice. 

 
 

 
 
*
 La donna smise per un attimo di piangere, si girò verso Marika che le porse un fazzoletto. La donna lo prese e le sorrise. “Grazie.”

Marika non sapendo cosa dire, non disse niente, e se ne andò. 
 
 
 

 
*
 
 Non sapeva neanche Alisea cosa stesse cercando. Continuava a camminare con la frenesia di chi deve trovare a tutti i costi qualcosa, ma non sapeva bene cosa, poi incrociò una donna in uno scompartimento, anzi la parola esatta è che gli sbattè quasi addosso. Si scusò goffamente.

"Mi dispiace" disse. Alzò gli occhi e si rese conto con stupore che la donna aveva appena pianto. 

"Non importa" sorrise tristemente la donna.
                                                                                               
Alisea la guardò come a dire  mi dispiace anche per questo. Qualsiasi sia il motivo.
e forse la donna lo capii perchè raccolse le borse che aveva a terra, gli fece una sorriso, e se ne andò senza mai smettere di sorridere.
 
 

 
the show must go on 
the show must go on, yeah yeah
ooh, inside my heart is breaking 
my make up may be flaking
but my smile still stays on 
 
lo spettacolo deve andare avanti 
lo spettacolo deve andare avanti 
dentro il mio cuore è rotto
il mio trucco potrebbe scrostarsi
ma il mio sorriso regge ancora.

 

 
 
Alisea si era fermata di botto, nel reparto giocattoli. Aveva visto delle fiabe per bambini.

Un libro aveva calamitato la sua attenzione. In copertina campeggiava un sorriso smagliante di un ragazzo. In testa aveva un cappellino piumato. Sotto c'era una scritta a lettere verdi, sinuose.
 
PETER PAN 

Alisea stava accarezzando la copertina con tenerezza. Le erano sempre piaciute le favole.
All'improvviso fu distratta dalla visione di una farfalla. Era una farfalla bianca, di un candore abbagliante. Lasciò perdere peter pan e la segui. 
 

 
 
my soul  is painted like the wings of butterflies
fairytales of yesterday will grow but never die
i can fly - my friends
 
 
la mia anima è  colorata come le ali delle farfalle.
Le fiabe di ieri invecchieranno, ma non moriranno mai.
Posso volare, amici miei…

 
 

 
 
 
*
 
 Marika ne aveva abbastanza di girare dentro il supermercato. Cominciò a sentire un caldo infernale e desiderò di uscire, anche solo per poco. Scrisse un sms veloce alla madre, per dirle che aveva intenzione di prendere una boccata d'aria fresca. 
 
 
 
 

 
*
Alisea continuò a seguire la farfalla, come ipnotizzata; avanzava lentamente tra gli scaffali. Non scompariva mai e a volte rallentava come se volesse che la seguisse. Quando Alisea vide che stava per uscire dal supermercato, esitò per un pò....e poi imboccò l'uscita di servizio, in preda a un impulso che non riusciva a controllare. 
 
 
 
 

 
*
una volta che Marika fu uscita, riprese lentamente a respirare profondamente. Quell'aria fresca era come un balsamo. Si accorse che stava per mettersi a nevicare. Leggeri fiocchi di neve danzavano nell'aria, Marika rimase li sotto senza cercare riparo. Una volta aveva letto che non esistevano due fiocchi di neve uguali. 
 
 
 
 
 

*
 
 Non doveva uscire. Sua madre si sarebbe arrabbiata quando l'avesse scoperto. Forse proprio in questo momento la stava cercando preoccupata. Forse di li a cinque minuti l'avrebbe fatta chiamare da una voce meccanica alla cassa. "La signorina Alisea è desiderata alla cassa 13" .
 
 Alisea sapeva che non doveva uscire, ma era incapace di trattenersi dal seguire la farfalla. Voleva vedere dove stava andando. 

A un certo punto volò più velocemente e Alisea si mise a correre per restarle dietro. 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
Marika stava cominciando a sentire freddo… in pochi secondi la neve si era fatta più grossa e le aveva riempito il giubbotto di fiocchi di neve e anche la faccia. Decise di rientrare. Si accorse che si era allontanata un pò dall'entrata e accelerò il passo per raggiungerla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
Alisea non sapeva che fuori stava  nevicando. Corse a perdifiato verso l'uscita e La farfalla spari.
 Lei però non voleva  perderla. Arrivata alle porte scorrevoli, scivolò sul pavimento bagnato, mandò un grido di sorpresa e cercò con frenesia, di restare in equilibrio . Ci riuscii, ma non appena mise piede fuori, inciampò di nuovo e questa volta scivolò, andando a sbattere dritta tra le braccia di Marika che stava arrivando dal lato opposto. Lo scontro le fece cadere entrambe.  
 
 
 
"Scusami, oh scusami tanto. Non l'ho fatto apposta." Si scusò Alisea.
 
 Marika strizzò gli occhi. Era coperta di neve e ora gran parte della neve era caduta anche su Alisea.
 
"Non fa niente, non ti preoccupare, ma si può sapere perchè correvi in quel modo?"
 
Ma Alisea  non rispose. Sbarrò gli occhi. La farfalla bianca era proprio sopra la testa di Marika. Rimase ferma per ancora un istante e poi volò via, tra i fiocchi di neve.
 
 "Stavo inseguendo una farfalla" disse con imbarazzo Alisea.
 
"Davvero?" Gli chiese con sorpresa Marika, ma senza ridere di lei. Anche se la cosa poteva sembrare un pò bizzarra, in fin dei conti lei era appena uscita fuori per fare un bagno di neve. Non poteva proprio ridere di chi inseguiva farfalle.
 
"Beh, mi dispiace allora. Il nostro scontro te l'avrà fatta perdere di vista" disse Marika.
 
"uhm..." disse Alisea, incerta se dire o no alla ragazza che la farfalla si era posata proprio sulla sua testa… e se l'avesse considerata matta?
 
"Hai dei capelli stupendi" disse Marika sorridendo.
 
"Alisea rimase sorpresa. Di solito la prima cosa che un estraneo le diceva, era : come ti chiami? Quanti fratelli? Quanti sorelle? sei figlia unica? Ce l'hai il morosetto? vai a scuola?
 
 
Quella ragazza sembrava diversa da tutte le altre. Non diceva cose scontate. Sorrise a sua volta, rendendosi conto che anche i capelli di quella ragazza erano stupendi. Erano di un bel biondo oro.
 
"Grazie... anche i tuoi".  disse Alisea sorridendo. A quel punto si senti una voce agitata, impaziente.
 
 
"Marika, si può sapere che ti prende? Rientra subito dentro… e che cosa ci fai tutta coperta di neve?" Quella donna doveva essere la madre,pensava Alisea. Sembrava una donna piuttosto autoritaria.
 
 
"Devo andare ora, scusami ancora per prima. Comunque troverai altre farfalle da rincorrere, ne sono sicura" disse Marika stringendole la mano.
 
Alisea le disse: " Di che ti scusi? Sono stata io a venirti addosso, anzi scusami ancora"aggiunse facendo una risatina.
 
Marika le sorrise e si avviò verso l'entrata, non riuscendo tuttavia ad evitare che la mamma le scrollasse la neve dai vestiti.
 
"Guarda come ti sei conciata. Che cosa devo fare con te?"
 
 
 
Alisea restò ancora per qualche secondo a ripensare alla farfalla bianca, che aveva inseguito e che si era posata sopra la sagoma di Marika, prima di scomparire. Voleva attirarla da lei oppure era stata tutta una coincidenza? Dopodichè rientrò anche lei, ripensando a una vecchia frase:
 
 
L'occhio che osserva e sa vedere una farfalla bianca volteggiare tra i fiocchi di neve, può cogliere l'anima del mondo.
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Lotta fraterna ***


“Non posso crederci che stai giocando ancora a Medievil, Alan! Quel gioco ormai è sorpassato da anni.” Disse Zaffiro.
 
“Medievil non sarà mai sorpassato. È tipo Dragon ball o Beautiful” rispose Alan, concentratissimo sul gioco.
 
“Hai davvero il coraggio di paragonare Medievil a Dragon Ball? Fai sul serio?” rispose Zaffiro, chiedendosi se il fratello stava davvero scherzando.
 
“Se vuoi paragono Beautiful al tuo vecchio registratore.”
 
“Cos’hai da dire contro il mio videoregistratore? Anzi il NOSTRO? Dopo vent’anni, funziona ancora perfettamente”.
 
“Non so se funzionerà ancora, dopo che ho spaccato il telecomando.”
 
“TU hai fatto COSA???”chiese Zaffiro a bocca aperta.
 
“Scusa” disse Alan imbarazzato, senza smettere di combattere contro gli zombies. “ma mi aveva fatto davvero incazzare ok? Volevo registrare un film ed era scomparso per l’ennesima volta il canale, poi diventava blu, cambiavo i cavi e tornavo nero, poi non si vedeva più la televisione, poi ho sbagliato a mettere rec e invece ho messo il timer, cosi non riuscivo più a toglierlo, perché dovevo spegnere il video, ma nel frattempo il telecomando non funzionava più, ho perso la calma e….l’ho buttato per terra” disse Alan tutto d’un fiato.
 
 
 Zaffiro gli gettò un cuscino che lo centrò con una mira perfetta.
 
“Ehi” disse Alan, spostando la testa di lato. Sir Daniel Fortesque venne colpito da un mostro e morì in quel preciso istante di distrazione.
 
“Noooooo.. sono morto.”
 
“Ben ti sta” rispose Zaffiro. “La tua condanna sarà ripetere quel livello fino al 2020 e anche oltre!”
 
Alan lasciò perdere Medievil e con un sorriso malizioso si lanciò sul fratello che colto alla sprovvista cadde per terra, dopodiché lo bloccò a terra con le ginocchia.
 
 
 
“E questo cos’era?” chiese Zaffiro.
 
“L’attacco di un vampiro naturalmente.”

“Ahhh” disse Zaffiro, sgranando gli occhi con aria di grande riflessione. “E chi sarebbe Stefan e chi Damon, di noi due?”
 
“Tu non sei uno dei fratelli Salvatore. Sei una povera vittima che sta per essere morsa da Stefan, tornato al suo ruolo di Sanguinario.”
 
“Stefan, Stefan, il tuo problema è che non sei capace di stare sull’orlo del baratro, senza la tentazione di caderci dentro” cantilenò Zaffiro.
 
 
 
Prima che Alan ebbe il tempo di ribattere, Zaffiro si liberò di colpo e fece per scappare, cercando di prendere la pistola giocattolo che uno dei loro cuginetti piccoli aveva dimenticato a casa loro, che era sopra il termosifone, ma Alan riusci ad afferrarlo per la caviglia, facendolo cadere di nuovo.
 
“E adesso è giunta la tua fineeeee. Preparati, fratello. Te la farò pagare per aver baciato Elena”
 
Zaffiro mirò la pistola giocattolo al volto di Alan e del liquido nerastro fini sulla faccia del fratello.
 
“Ahhhhhh, sei morto.” Disse Alan.
 
“Mi sa che ti confondi fratello” disse Zaffiro e lo bloccò a terra, spruzzandogli tutto il liquido sulla faccia, sulla maglietta e sul collo.
 
 
 
“Ecco, adesso sembri un vero vampiro.”
 
“Splut! Splut! sei proprio uno stronzo.”
 
Zaffiro si avvicinò a sussurrare all’orecchio di Alan, con voce teatrale:
 
“Dovresti aver capito di non essere più forte di me”
 
Dopodiché aiutò Alan ad alzarsi.
 
“Sei soddisfatto ora?” gli chiese Alan, con i capelli castani tutti schiacciati sulla fronte e gli occhi colanti di nero.
 
“Si” gli disse Zaffiro con un sorrisetto beffardo. “Ti sta bene il trucco, ma ti manca un po’ di rosso sulle labbra” ridacchiò.
 
“Sono contento che ti diverti” disse Alan, avvicinandosi di soppiatto alla scrivania dove stava la vecchia piantina che stava per morire, con le foglie tutte secche.
 
Ne afferrò una manciata e gliele strofinò sul collo e gliele infilò anche dentro la maglietta.
 
“Ma che diav…?” disse Zaffiro, mentre cercava di togliersi le foglie da dentro la maglietta.
 
“Verbena, fratello” disse Alan, sorridendo tranquillo.
 
Zaffiro lo guardò per un istante e poi disse: “Alan, TU SEI TUTTO SCEMO” e caricò di nuovo.
 
I due fratelli cominciarono una lotta frenetica tra risate e urla, fino a quando Zaffiro non atterrò Alan sul pavimento.
 
“Lasciami.” Si ribellò Alan.
 
Zaffiro sembrò indeciso per un momento. Fece un gesto come se volesse morderlo all’incirca sul collo per scherzo, ma gli occhi sgranati di Alan lo frenarono.
 
“E adesso?” gli chiese.
 
“Adesso cosa? Lasciami.” Disse Alan. Aveva un viso dolcissimo in quel momento, un po’ fragile, un po’ ironico. Inaspettatamente Zaffiro desiderò di stringerlo a sé.
 
Si avvicinò al suo collo. “Devo morderti, no? Sono un vampiro.” Disse Zaffiro.
 
“No! No!!” disse Alan agitato.
 
Zaffiro non lo morse. Strusciò solo le sue labbra sulla sua spalla, lasciandola un po’ scoperta, e toccò la sua spalla con un dente, ma senza morderlo. Sentì il respiro affannato di Alan e decise che lo scherzo era durato abbastanza.
 
Alan approfittò che Zaffiro si fosse alzato, per spingerlo via, guardandolo male, pieno di imbarazzo. Erano gemelli, sì…però..esisteva una cosa chiamata spazio personale, anche per loro.
 
Zaffiro aveva forse esagerato? Per qualche secondo aleggiò qualcosa di strano tra di loro, poi..tornò tutto come prima. I due fratelli fecero finta di niente.
 
 

 
Alan si era fatto la doccia, dopo il fratello.
 
 Zaffiro si stava mettendo dei bei jeans e una felpa grigia, mentre Alan si stava ancora asciugando i capelli castani.
 
“Cosa fai, stai uscendo?” domandò Alan, mentre continuava ad asciugarsi i capelli.
 
“Si, dovevo già andare in cartolibreria oggi e la nostra piccola lotta me l’ha fatto dimenticare” ridacchiò Zaffiro, mentre si stava infilando il giubbotto.
 
“Sta per venire buio.”
 
Zaffiro lo guardò. “Ma guarda guarda, il mio fratellino si preoccupa per me” disse scompigliandogli i capelli e rovinandogli la messa in piega.
 
“Ma allora sei proprio stronzo!” disse Alan, dandogli una pacca sulla testa.
 
Zaffiro ridacchiò:” Vieni con me? Dai vieni con me. “
 
“Ma figurati!!”
 
“Daì…” disse Zaffiro, mettendogli un braccio sul collo.
 
Alan sorrise. Non c’era niente da fare. Non riusciva a dirgli di no.
 
“E va bene. i gemelli devono restare uniti, no?”
 
“Fratello. Ogni tanto dici qualcosa di sensato.” Disse Zaffiro, scompigliandogli i capelli.
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








Note dell'autrice: 

questa storia potrebbe diventare "incest" ma non lo so..devo ancora decidere xd <33 

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Capitolo 7
*** In cartolibreria ***


Entrarono nella cartolibreria e Alan vide che c’erano evidenziatori gialli, rosa, verde, e blu, quindi li prese tutti. Aveva sempre avuto un debole per evidenziare le cose. 
 
Si fermarono poi a guardare il reparto libri, quando alzarono lo sguardo e videro una sagoma familiare…..era al piano di sopra e ricurva su un tavolo di libri.I fratelli si affrettarono a salire le scale.
 
Era voltata, ma ne erano sicuri….non potevano sbagliarsi. Era LEI.
 
 
 
“Clère” la chiamarono.
 
Clère si voltò all’istante. Uno scatto fulmineo. Aveva gli occhi sbarrati. Teneva in mano un libro, aveva uno smalto e un rossetto fucsia che gli risaltavano la pelle candida, il collo sottile. Gli occhi sgranati erano grandi ma teneri, profondi.
 
 
Occhi di cerbiatto…  pensarono i due.
 
“Ragazzi? Siete voi?” esitò Clère. Sembrò che le labbra le tremassero e Zaffiro pregò che non si mettesse a piangere dentro la cartolibreria. Cos’avrebbero pensato se li avessero sorpresi tra le braccia di una ragazza in lacrime? Respinse subito quel pensiero. “Si, siamo noi” sorrise, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo nervosismo.
 
Clère appoggiò il libro in tutta fretta al bancone, che comunque cadde sul pavimento, e si precipitò ad abbracciare Zaffiro, che rimase paralizzato dall’improvvisa espansività della ragazza.
 
 
“Sono cosi contenta di rivederti” disse Clère con la voce smorzata. Forse stava piangendo.

Zaffiro degluti cercando di rilassarsi, dopodiché la abbracciò nervosamente a sua volta.

“Sono contenta di rivedere anche te!” disse poi Clère andando ad abbracciare anche Alan.
 
 
“Anche noi” dissero i gemelli parlando in coro.
 
Con gran sollievo di Alan, Clère lo lasciò andare e si asciugò gli occhi.
 
 
 
 
Era davvero carina, sostennero i ragazzi. Quella volta all’ospedale non ci avevano fatto caso. Erano troppo traumatizzati da quell’esperienza, inoltre non avevano fatto caso al fatto che molto probabilmente non doveva essere molto più grande di loro. Forse aveva addirittura la stessa età. Aveva dei bei capelli castani lisci a caschetto, occhi da cerbiatto intensi, viso solare e dolce, ma anche uno sguardo malinconico. Era molto graziosa. Aveva una minigonna di jeans e una maglia nera attillata.
 
“Come state? Non vi ho più visti da quel giorno. Tu?” chiese Clère rivolta a Alan.
 
Zaffiro ammirava la capacità di Clère di dire le cose senza essere invadente, senza fare troppe domande. Lei le diceva ma non diceva mai più del dovuto, si fermava, lasciava che fosse l’altro a decidere se continuare la conversazione o no…e Zaffiro capiva che lo faceva per non sembrare inopportuna…la apprezzava per questo. 
 
 
 
“Stiamo bene. La mia mano sta guarendo. Grazie. Grazie per tutto. “ disse Alan.
 
 “Lo so che è stupido e forse non è giusto dirlo, ma devo farlo… io…dopo quel giorno, vi ho pensati molto. Spesso. Non ho potuto farne a meno…vi ho anche sognati. Volevo sapere come stavate, speravo di rivedervi” disse Clère nascondendo il viso, imbarazzata. Non voleva che pensassero che aveva una cotta per loro.
 
“è normale. E bello anche. Anche noi ti abbiamo pensata spesso.”  Disse Zaffiro.
 
 Era la verità. Si erano ritrovati a sognare spesso di rincontrarla nei giorni successivi a quel terribile giorno. Tutti e tre.
 
clère quasi arrossì.
 
“Aspetta, che ti è caduto dalla tasca?” disse Zaffiro, facendo per prendere la piccola tessera che gli era caduta dalla tasca interna della maglia.
 
“ Frequentante il liceo Dawnsville di Merylbeth “ lesse Zaffiro ad alta voce.
 
“Si, tra pochi giorni frequenterò quel liceo” disse Clère sorridendo. “ Sono venuta a fare una mia fototessera nuova, per la scuola… sai la vecchia l’ho persa e il preside di questa scuola pretende che tutti noi dobbiamo andare in giro con la nostra faccia appiccicata ai vestiti dovunque andiamo. È terribile” rise Clère.
 
Zaffiro e Alan non dissero niente e si limitarono a fissare il vuoto.
 
“Beh, sai non è cosi male quando ti abitui. Finirai addirittura per affezionarticisi. Non potrai più farne a meno” caricò Clère.
 
“Io non…non è per la fototessera…la scuola….è la stessa  scuola che frequentiamo io, Alan ed Alisea.”

Clère lo guardò a bocca aperta e tirò un sospiro.
 
“Non ci posso credere.”
 
“Neanche io “ disse Zaffiro sedendosi.
 
“Beh…a quanto pare saremo compagni a partire da domani.”  Disse Clère sorridendo raggiante.
 
I fratelli la guardavano ancora sorpresi e Clère si sentì di nuovo a disagio.
 
“Bene, io….dovrei andare ora” disse Clère.
 
“Ci vediamo a scuola” la salutarono loro sorridendo.
 
Clère li salutò raggiante. Non vedeva l’ora che fossero compagni di scuola.

 
 
 
 
 


 
*
Mentre i due fratelli uscivano dalla cartolibreria, si misero a discutere dell’incontro con Clère.

“è carina, non è vero? È anche dolce.” Disse Alan.

“Sì, è vero. Mi fa piacere che l’abbiamo rivista.”

Alan lo guardò sospettoso.

“Non è che ti piace?”

“Cosa? Non dire sciocchezze. Perché, piace a te?” chiese Zaffiro a sua volta sospettoso.

“No..è solo che forse..”

“Cosa?”

“Lascia stare.è un pensiero stupido!” disse Alan, sentendo il viso avvampare.

“Andiamo, dimmelo ora!”

“Stronzo. Volevo dire che forse..non sono ancora pronto..a..dividerti con qualcuno. Non ancora, almeno.” Disse Alan, diventando di fuoco e nascondendo la faccia nel cappuccio della felpa.

Zaffiro rimase sorpreso di parole così dirette, ma intenerito e felice strinse un braccio attorno al collo di suo fratello.

“Ti voglio tanto bene anch’io, fratellino. Tranquillo, non ho intenzione di impelagarmi tanto presto in una relazione.” Disse sorridendo.

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Capitolo 8
*** Oscurità, mia cara amica ***


Oscurità…..oscurità completa. …non si pensa mai che il principio è SEMPRE buio….come la fine…..Tutti dicono che quando si muore si vede una gran luce bianca…non è vero..quelle sono favole. È il buio la prima cosa che vedi. E tutto quello che ti accompagnerà dopo. Come potrebbe esserci luce dopo il buio?
 
 
 
"Avrei dovuto saperlo….. "sussurri. Cammini ancora un po’, come un automa. Ti fai strada verso…
 
"Aspetta….è un corridoio?....."
 
Continui a camminare….
 
"Il corridoio di una scuola….ma è tutto buio….non vedo niente…."
 
All’improvviso il corridoio si ilumina in maniera violenta, come se qualcuno avesse acceso di colpo decine di riflettori all’interno…ma non erano riflettori.
 
 
 “Sono LANTERNE. Sono lanterne antiche appese ai muri” esclami con stupore nella voce.
 
“Allora….allora non è vero che c’è solo oscurità e che non esiste la luce.”
 
"Si vede quel che ci si aspetta di  vedere….anche se non corrisponde al vero".
 
 
 
“Aspetta….io non capisco più niente…c’è una tale confusione nella mia testa…credo di non riuscire a ricordare neanche più chi sono. Sono maschio o femmina? Io…non lo ricordo più” dici toccandoti la testa.
 
“Che importanza ha? Si nasce androgini, poi l’uomo nega la sua parte femminile. Il format esterno sentenzia: maschi di qua, femmine di là.

IDIOTI.”

 Tu sobbalzi.
 
"Vogliono dividere L’UNO, ma non possono dividerlo."
 
 
"Io non capisco…."
 
"Non importa. C’è uno specchio là in fondo. Puoi guardarti, se vuoi".

Ti avvicini lentamente e guardi con timore dentro lo specchio. Con timore e con una certa soggezione.
 
Riconoscimento. Era tutto quello per cui lottano gli esseri umani dal momento in cui vengono al mondo a quando muoiono. Per tutta la vita cercano di riconoscersi, di capire chi sono e non riuscendoci, cercano di riconoscersi negli occhi degli altri, incorrendo in un’illusione dopo l’altra…dopo l’altra….
 
 
"Io…sono davvero io?"
 
"Ne hai forse qualche dubbio?"
 
"Non riconosco la persona che è nello specchio".
 
“Quella persona non sei tu. È solo un’immagine illusoria”.
 
 
Ti giri con aria sprezzante
 
 
“Adesso NE HO ABBASTANZA di questi giochetti. DIMMI CHI SEI.”
 
“Come, con tutta questa luce non riesci a vedermi?”
 
“Sei avvolto da una nebbia” rispondi con aria dura.
 
Ti sbagli! Non c’è nessuna nebbia. Tu la vedi intorno a me perché i tuoi occhi non sono ancora pronti a riconoscermi.
 
“Aspetta….io ti conosco già???” Sgrani gli occhi. Non capisci. Sarebbe servito a qualcosa dirti che una volta ti chiedevi continuamente come facevano le persone a meravigliarsi sempre di tutto, anche delle cose che in fondo sapevano già? Adesso tu stavi facendo lo stesso.
 
 
 
Non rispondo. Faccio un sospiro. Ti prendo una mano.
 
“Voglio solo che tu sappia una cosa. Non ho mai voluto  farti del male. Lo sai, vero?”
 
“L’hai fatto?” Dici con voce strozzata.
 
“No! Volevo dire che…non ho mai avuto intenzione di farlo. Neanche quando….c’è stato il grande crollo di tutto.”
 
“Io non capisco quello che tu dici”.

“Si invece, lo rifiuti solamente. Vedi,” dico stringendoti ancora di più la mano.
 
“Io…non riuscivo a capire come potessi decidere di buttare tutto all’aria, tutto quello che avevamo, per colpa di un branco di ragazzini….non riuscivo ad accettarlo…io…”
 
“Lasciami la mano!”
 
“Non potevo accettarlo!! Tu volevi proteggerli, ma non  è… non era nella nostra indole farlo….”
 
Momento di silenzio.
 
“Nostra?” Dici con voce strozzata. Percepisco la paura nella tua voce.
 
Ti lascio la mano.
 
"Basta cosi. Questi ricordi sono troppo dolorosi e poi comunque quando ti risveglierai non ricorderai più niente…e neanch’io.
 
“Aspetta, cosa vuoi dire?”
 
Mi limito a sorridere.
 
Non ha importanza.
 
In quel momento, di nuovo il buio.
 
 
 
 


Black White si svegliò stupefatto da quel sogno.
Chi era quella donna e perché aveva l’impressione di conoscerla??

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Capitolo 9
*** La donna misteriosa ***


Le SETTE E UN QUARTO???” gridò Marika, vedendo la sveglia.
 
la porta del salone  venne spalancata con impeto.
 
“Perché non mi hai svegliata???”
 
“Tesoro, stavi dormendo cosi bene che mi sembrava un peccato svegliarti” disse la madre, mentre era davanti alla televisione, a sgranocchiare un sacchetto di noccioline.
 
“Ti rendi conto che rischio di arrivare in ritardo? Il mio primo giorno di scuola e arriverò in ritardo! Il pullman se ne andrà senza di me!” disse Marika agitata, infilandosi in bagno.
 
 
“Tesoro, ho sempre pensato che tu sia troppo emotiva. Rilassati. Il pullman arriverà tra poco più di dieci minuti.”
 
All’interno del bagno, Marika gemette.
 
Finì di lavarsi i denti e si sciacquò  la faccia, dopodiché mise il vestitino azzurro che aveva preparato da ieri sera, si spazzolò velocemente i capelli e stava per prendere lo zaino, quando la madre la fermò.  “Non senza aver fatto colazione”
 
 
 
“Quale parte della frase:  il pullman se ne sta andando senza di me, non ti è chiara???” disse Marika esasperata.
 
“ Puoi essere in ritardo quanto vuoi, ma sei mia figlia e non te ne andrai senza aver prima fatto colazione” disse la madre.
 
Marika esasperata, prese una mela e un succo di frutta alla fragola.
 
La madre rimase sbigottita, ma la lasciò andare.
 
“Ci vediamo dopo!” gridò Marika,  prendendo il giubbino blu notte, zaino in spalla e correndo come un folletto.
 
 
                                                                                                                  
“Aspettami, aspettami, aspettami, aspettami” continuava a ripetere Marika, cercando di accelerare il passo, ma sentendosi rallentata dallo zaino che teneva in spalla. Mancavano solo cinque minuti. Per fortuna il pullman si fermava proprio sotto casa. Vide il pullman arrivare e gli fece cenno di aspettarla con la mano. Entrò con il fiatone. “La sveglia ha suonato tardi stamattina?” gli chiese il conducente con un sorrisetto malizioso. “A dire la verità, sono io che non l’ho sentita! pensò marika ma non lo disse. Si sentiva già imbarazzata da capo a piedi. Cercò di infilare il biglietto nel pullman, ma non voleva entrare, cercò di spingere. Niente. La stavano fissando tutti.
 
Che idiota, lo stavo infilando dalla parte sbagliata!
 
“Scusatemi, solo un secondo” disse alla platea.
 
Finalmente riusci a timbrare il biglietto. Desiderava solo allontanarsi da li, ma sfortunatamente si era dimenticata che teneva ancora in mano la mela e il succo di frutta, senza aver neanche preso un sacchetto in cui infilarli. Per l’agitazione inciampò e il succo di frutta cadde per terra, insieme a lei, mentre la mela fece un volo e atterrò in grembo ad un altro ragazzo seduto su uno dei sedili.
 
Quando rialzò il viso e si rimise in piedi, la sua umiliazione era completa.
“Mi dispiace, scusatemi” disse al conducente, che borbottò e rimise in moto.
 
“Scusami. Non volevo... sono inciampata” disse, strizzando gli occhi, rivolta al ragazzo biondo e con gli occhi azzurri,  cui aveva gettato addosso la mela.
 
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e sorrise, ma non sembrava volersi prendere gioco di lei.
 
Le passò la mela.
 
“Figurati. L’importante è che non mi abbia preso in testa.  E poi non dicono*una mela al giorno toglie il medico di torno?* tieni. Puoi sederti qui se vuoi.”
 
Marika si sedette nel sedile di fronte. Sentiva ancora un tremendo calore al collo per la doppia figuraccia fatta appena poco prima. “Grazie.” disse ad occhi bassi.
 
 
“Sei fortunata che la mela non è caduta” disse sorridendo, il ragazzo. “è la tua colazione suppongo.”
 
Ecco pensò marika. Si sta prendendo gioco di me. Pensò tristemente.
 
“Anche io non sono riuscito a fare colazione. Stavo per tirare fuori questo” disse con un sorriso da 200 watt.
Marika sorrise guardando il suo latte al cioccolato.
“Lo vuoi? Molto meglio di una mela, no?”
 
“Oh no, non voglio rubarti la tua colazione” disse abbassando lo sguardo. “Io ho la mia mela e il mio succo di frutta” disse indicandoli, sentendosi sempre più stupida.
 
“In realtà non intendevo il mio. Ne ho un altro. Prendi” disse lanciandogli un’altra bottiglietta, senza chiedergli il permesso.
 
“Ti piace il cioccolato, vero?” chiese indeciso.
 
“Certo” sorrise Marika. “Allora, grazie…sei molto gentile”.
 
“Non c’è di che. È bello condividere le cose. a proposito, io sono Stefano”
 
“Io, Marika” disse lei, sorridendo.

Dopo circa dieci minuti di viaggio, Marika pensò che la presenza del ragazzo, tutto sommato, era molto piacevole. Non si sentiva obbligato a dire qualcosa per favorire a tutti i costi la conversazione, né sembrava ritenere un dovere parlare per forza con lei. Si era addirittura messo ad ascoltare la musica nelle cuffie e questo, lungi dall’irritarla, a Marika piaceva molto. Aveva sempre ritenuto affascinanti gli spiriti liberi, quelli che non fanno qualcosa perché sentono di essere tenuti a farlo, ma perché semplicemente gli va di farlo. Quelli che sono spontanei. Quelli che sono sé stessi. A volte Marika riusciva ad apprezzare e amare  addirittura molto più quelli che lottavano per amore di un ideale, che quelli che avevano successo nel campo sociale. Amava i diversi, i dannati,  i solitari, i difficili, i tormentati, quelli che non riuscirai mai a capire, quelli con l’anima in fiamme….
 
Sei una maledetta asociale, lo sai, vero? Una schifosissima. Stramaledetta, asociale e vai anche fiera dei tuoi stupidissimi pensieri. Un giorno tua madre non ce la farà più a sopportare la tua pazzia e ti costringerà ad andare da uno strizzacervelli per capire che cosa non va in te..anzi, neanche. Non ha nessuna importanza riuscire a capirlo. L’unica cosa che conta per lei sarebbe solo che io guarisca  pensò tristemente Marika, sperando che Stefano non si accorgesse del suo abbassamento dell’umore.
“Marika?”
 
“S-si?”
 
“Ci siamo fermati” disse Stefano con voce impassibile.
 
Marika socchiuse appena gli occhi e si voltò verso il finestrino, in strada.
“Marika?”
 
“S-si?”
 
“Ci siamo fermati” disse Stefano con voce impassibile.


 
 
 
 
 
 
*
“Svegliaaaaaaa” La voce squillante di Allan irruppe nella stanza.

 Zaffiro mugolò nei cuscini.

“Dobbiamo andare, forza!” disse Alan, salendo sul letto.

Zaffiro, ancora assonnato, abbracciò le ginocchia del fratello.
Alan sorrise a quel gesto affettuoso.

“Dai sveglia, dormiglione, la scuola è iniziata solo da due settimane, non vorrai fare già assenze.”

 "Dici così solo perché non vuoi andare da nessuna parte senza di me.”

“Dici? Facciamo che tu vai a scuola e io resto qui al calduccio. Ti sfido.”

“Sai che non te lo lascerei fare.”

“Muoviti, pigrone! Ho preparato degli ottimi panini al formaggio, insalata e pomodoro per pranzo.”

“Tu sì che sai come prendere un uomo. Altro che le donne.” Disse Zaffiro, cercando di tirarlo più vicino.

“Che vuoi dire?” chiese Alan arrossendo un po’.

“Beh, tu sai che bisogna prenderli per la gola.” Disse Zaffiro.

“Mmmm..ssssi, ok, ora vestiti.” Disse Alan, scivolando via dalla sua presa, sentendo suo fratello sbuffare.
 
 
 
 
 
 
*

Sul pullman, i due, avevano visto la scenetta della ragazza bionda con il ragazzo, Stefano.

Alisea, loro sorella, era arrivata sul pullman, poco dopo, quando il pullman si fermò nuovamente. Vedendo i fratelli, sorrise, ma poi vide anche Marika.

“Woah..noi già ci conosciamo.” Disse Alisea, salutandola, lasciando la ragazza e i fratelli, sorpresi.

Alisea poi si sedette vicino ai fratelli, cominciando a raccontare come si erano conosciuti.

Poi però successe qualcosa…
 
 
 
Il pullman si fermò. A quanto pareva, una donna stava attraversando la strada con un cavallo bianco

“Ma cosa succede? Chi diavolo è quella???” chiese Stefano.

“Guarda, Alan.. La ragazza dietro la donna, non ti sembra…CLèRE??” chiese Zaffiro sbalordito.

“Sembra proprio lei!”

“Clère? La ragazza dell’ospedale?” chiese Alisea.
 
 
 

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Capitolo 10
*** Il professor Black White ***


Il pullman arrivò con un po’ di ritardo e quando tutti scesero, i tre fratelli si avvicinarono alla nuova amica.

“Clère?? Cavolo sei tu??” chiesero Zaffiro e Alan andandola a salutare, sorpresi, ma ammirati.

“Ciao ragazzi. Ehm, dalle vostre facce, credo che mi abbiate visto al trotto del cavallo eh?”

“Si può sapere cosa ci facevi lì sopra? Sei una ragazza piena di sorprese.” Disse Zaffiro.

“Ero insieme alla mia tutrice..lei è una pazza..ha insistito per portarmi a scuola con il cavallo. Ah..ed è anche una delle nuove professoresse!” disse lei.

“Che cosa??” Zaffiro era stupefatto.                     

“Clère, comunque questa è nostra sorella. Alisea. Non abbiamo la stessa madre..ma è come se fosse nostra sorella a tutti gli effetti.” Disse Alan.

Clère le strinse la mano, amichevole. La ragazza era molto timida e le faceva tenerezza.

“Ok, adesso dovremmo proprio andare..siamo in ritardo!” disse Zaffiro.
 


Infatti, verso di loro si stava avvicinando lentamente una figura, come se stesse facendo una tranquilla passeggiata sulla spiaggia. Era un uomo con una massa di capelli neri, folti, ricci e scarmigliati, con un po’ di gel. Occhi neri profondi come la notte. Non si capiva bene la sua età dal viso. Aveva dei baffetti neri, l’espressione da uomo vissuto e anche un po’ oscuro, ma gli occhi impenetrabili come quelli di un ragazzino triste o insolente. Poteva avere venti anni e allo stesso tempo trentacinque. Aveva una lunga casacca nera tutta abbottonata. Assomigliava a un pipistrello gigante. Si avvicinò e si fermò davanti a loro.

“Bella giornata eh, ragazzi?” chiese l’uomo.

I ragazzi guardarono in su, dove fino a poco prima c’era un bel sole e ora le nuvole lo stavano oscurando.
 
“Perfetta per un picnic, almeno fino a quando non arriva la pioggia.”

Le prime gocce cominciarono a cadere giù.
 
“Ma guarda…sono proprio un mago…” disse sorridendo sarcasticamente.
 
“Signore, ci dispiace di essere…” cominciò Clère

“Muovetevi ad entrare in classe!” disse il professore scocciato. “Anche voi due fringuelli!” gridò all’indirizzo di una ragazza bionda e un ragazzo dai capelli castani che stavano cercando di sgusciare via senza farsi vedere, con scarsi risultati.


















Non trovate che l'insegnante assomigli molto a Piton di Harry Potter? ahhah

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Capitolo 11
*** Tanto per non passare inosservati ***


Alisea, Alan, Zaffiro, Clère, Marika e Stefano erano nella stessa classe,

Per qualche strano motivo, i nuovi amici dei fratelli, erano arrivati tutti e tre in quella scuola, lo stesso giorno, come nuovi alunni, a due settimane dall’inizio della scuola.

I fratelli chiesero loro perché e i ragazzi borbottarono scuse e giustificazioni vaghe di contrattempi, burocrazia e impegni vari, allora i ragazzi non insisterono. In fondo ognuno aveva diritto ai propri segreti.

Però la storia della tutrice di Clère che la portava a scuola con un cavallo..quello non potevano proprio lasciar correre.  Erano troppo curiosi.

“è più un’amica..” spiegò Clère durante l’ora di pranzo, mentre stavano dirigendosi in mensa.  “Ama gli animali..conosce degli amici che ne possiedono e ha chiesto un favore..non pensavamo di creare trambusto..però.” disse lei imbarazzata.

Poi si voltarono e… videro proprio quella donna.

Era davvero stupenda. Aveva lunghi capelli biondi e lisci e un vestito rosato antico lungo.

“Ehm..è una tipa abbastanza eccentrica..ho cercato di convincerla a non vestirsi così per insegnare ma..” disse Clère, ma si interruppe quando vide quello strano professore di quella mattina, avvicinarsi a lei.

“Non temere..” spiegò Alan. “è burbero, ma innocuo. Abbiamo sperato moltissime volte che il preside lo licenziasse, ma a quanto pare ha un’incomprensibile simpatia per lui.” Disse Alan al suo orecchio.

La donna in quel momento inciampò e cadde addosso proprio a costui.

I ragazzi la fissarono allibiti.

“Mi dispiace veramente tanto” disse la donna misteriosa.
 
Il professore grugni. Forse fanno cosi le persone quando non hanno nessuna risposta originale da dare al momento. Avrebbe dovuto tenerlo a mente, pensò Alan.

“Scusatemi”Ripetè la donna. “Ero di fretta.”
 
“Invece di scusarsi, potrebbe fare più attenzione a dove mette i piedi, non le sembra?” Chiese il professore. “Anche se immagino che con quel vestito sia difficile.”

“Già…” seppe dire soltanto la donna, colpita.
 
“Suppongo che sia la nuova insegnante della 4 b “ disse il professore. “Quindi la prossima ora dovrebbe presentarsi agli alunni..”

“Cosa? No, io sono venuta solo per parlare con gli insegnanti..dovrei cominciare la prossima settimana..”

Il professore la guardò con sdegno.

“Prima arriva a scuola con un cavallo e un’allieva al seguito, ora resasi conto della figuraccia che ha fatto, vorrebbe..”

“Non è questo! È che questo vestito, è davvero molto ingombrante, non posso..”

Il professore sorrise ancora. “Niente scuse. Farà un’entrata teatrale, che poi è quello che voleva, no?”

“Senta, io..”

“Arrivederci..” disse l’uomo infastidito,ma poi fissò gli occhi azzurri della giovane donna e per un attimo sembrò che lo  sguardo dell’uomo divenne incerto, stranito. Durò solo pochi istanti, poi si riscosse e andò via.

Lei….era la donna del sogno..o perlomeno ci somiglia moltissimo..
 
 
 
 
 
Una volta entrati in sala mensa, cominciarono a fare la fila per prendere da mangiare, ma Alan stava cominciando ad avvertire un certo malessere.

“Alan, ti senti bene?” gli chiese Zaffiro preoccupato.

“Sì, sì, mi gira solo un po’ la testa..fa troppo caldo qui..”

“Alan, sta attento al vass…” gridò Zaffiro, ma, troppo tardi.  Il cibo e la polenta che aveva preso finirono in buona parte addosso ad un ragazzo sovrappeso e dall’aria corrucciata.

“E adesso chi me li ripaga i vestiti  nuovi? Eh? Erano di MARCA!!!”

“Scusa, scusa, scusa. Non l’ho fatto apposta.”

“Ehi, ti ha chiesto scusa, mollalo, IDIOTA!” disse Zaffiro, indignato, visto che ciccio aveva afferrato Alan, arrabbiato.

“Come mi hai chiamato???” grugni il ciccione.

“Che c’è, sei sordo? Ho detto IDIOTA. Magari un po’ di digiuno ti farà anche bene “ disse Zaffiro, guardando il vassoio del mangiare del ragazzo, rovinato a terra. “Cosi magari dimagrisci. Ti ha mai detto nessuno che sei anche un ciccione??” 

In quel momento, Ciccio abbrancò il ragazzo per il collo, quasi strozzandolo e stava per colpirlo in pieno viso. In quel momento un dito picchiettò sulla schiena di Ciccio. Ciccio si voltò. Era Alan.
 
“Lo sai cosa mi piace dei figli di papà?” disse sorridendo.
 
Il momento dopo gli diede un pugno.
 
Ciccio non se lo aspettava e cadde a terra.
 
“NIENTE” gridò sprezzante Alan al ciccio caduto.

Nel frattempo si era radunata una piccola folla.
 
“Chiamate gli insegnanti” gridò qualcuno.
 
“Mi sa che stiamo attirando l’attenzione” disse piano Alisea.
 
“Mi sa anche a me” disse Marika preoccupata.
 
Ciccio ricambiò quasi subito il pugno, dandone uno in pieno stomaco ad Alan.
 
In quel momento un altro pugno arrivò a ciccio sull’altra mascella. Zaffiro.
 
Zaffiro aveva un’espressione feroce sul viso.
 
“Tocca ancora mio fratello e ti ammazzo, capito?” disse lui.
 
Ciccio cominciò a perdere sangue dal naso, ma non svenne. Era più arrabbiato che mai.
 
 Ringhiò: “Bene!! Questo posto è di una tale noia! Mai che si possa menar le mani! Per fortuna siete arrivati voi a scuoterlo!” e cominciò ad azzuffarsi su di loro. Pugni, calci, fino a che non arrivarono gli insegnanti a dividere i tre. Una dei loro era proprio la donna bionda.
 
 
“Basta ragazzi, basta”. Disse mentre tratteneva Alan.
“È stato lui a cominciare. Quello stronzo.” Gridò Alan.

“Vi faccio un culoo cosi, stronzi!!”  disse l’omaccione.
 
“Andiamo Stinsky. Non essere cosi volgare o sarò costretto a metterti in punizione e ora cammina.” disse il professore spingendo Ciccio, ma non sembrava molto di rimprovero. Gettò un’ultima occhiata indefinibile ai ragazzi e si allontanò con Ciccio, che prima di voltarsi però fece un gestaccio ad Alan e Zaffiro.
 
Alan e zaffiro cercarono di allontanarsi dalla mensa, ma vennero bloccati dagli insegnanti
 
“Dove credete di andare in queste condizioni? Subito in infermeria avanti, e poi dovrete fare due chiacchiere col preside.  Il primo giorno di scuola e già una zuffa. Cosa ho fatto di male” Disse la donna bionda.
 
 

 
 

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Capitolo 12
*** Il preside vuole vedervi ***


Alan e Zaffiro erano entrambi in infermeria, si tenevano entrambi del ghiaccio sul viso.

“Perché è destino che devo sempre finire in ospedale?” chiese Alan.

“Beh, stavolta sono con te, fratello..e poi questo non è nemmeno un ospedale.” Disse Zaffiro.

“Secondo me è la legge del karma, vedrai, la prossima volta verrà anche Alisea!”

“In ospedale o in infermeria?”

Alan tornò a guardarlo serio.

“Dovevi lasciar perdere quell’idiota..potevo cavarmela da solo.”

“Vuoi scherzare? Uno scemo di merda vuole picchiare MIO FRATELLO e io devo starmene buono e fermo? Non esiste, anzi, ringrazia che non gli abbia spaccato la faccia.”

Alan sorrise teneramente.

“Quanto sei scemo. E poi quello che stava per avere la faccia spaccata sei tu, mi sa…”

“Naaa..non è niente..” disse Zaffiro, mentre Alan gli tastava delicatamente il viso.
 
La porta dell’infermeria si aprì e i due fratelli si ritrassero come se avessero toccato il fuoco. Stranamente si sentivano sempre un po’ in imbarazzo quando venivano sorpresi a scambiarsi effusioni, anche innocenti, in presenza di altre persone.


Era Alisea, Marika, Stefano e Clère, che erano venuti a trovarli, portando dolciumi vari.

“Godetevi questi dolci, che poi il preside vuole parlarvi, tra circa mezz’ora, nel suo studio.” Disse Alisea.
 
 


Discussero in tranquillità e parlarono anche dei loro legami di fratellanza.

“Mi sembrava strano che aveste la stessa età tutti e tre. Confesso che sospettavo che foste gemelli, ma è sempre mancata l’occasione di chiedere..ma di Alisea, non sapevo che pensare..ho perfino pensato..” disse Clère.

“Che fossi stata bocciata?” chiese Alisea ridendo.

“Ehm..” disse Clère in imbarazzo.

“Lo sappiamo. Siamo davvero delle famiglie strane.” Disse Alan.

“Mi dispiace aver chiesto..forse non volevate parlarne..” disse Clère.

“Clère, stai tranquilla, non scusarti sempre per tutto.” Disse Zaffiro.

“Già..non fare come me,.” disse Marika e tutti scoppiarono a ridere.
 
Clère, spiegò che aveva fatto amicizia con Stefano e con Marika, quando dopo la loro zuffa, Marika era venuta da lei ed Alisea, assieme a Stefano, a raccontare che conosceva Alisea perché si erano incontrate al supermercato.

“Quanti bei incontri trasversali..potremmo fare uno scambio di coppie uno di questi giorni, in fondo siamo tutti bei ragazzi e ci sono solo belle ragazze qui.” disse Stefano.

Le ragazze lo guardarono tutti male.

“Andiamo, che ho detto di male? Io farei coppia fissa con Marika, mentre i due fratellini possono accoppiarsi con Clère e…ehm ok, no, allora io posso dividermi tra Marika e Alisea e..” disse Stefano, beccandosi dei pugni scherzosi da ambedue le ragazze.

“Credo che sia difficile separarci a breve. È la croce dei gemelli.” disse Zaffiro circondando il collo del fratello con il braccio, facendolo imbarazzare un po’.

“Beh, potete sempre limonare voi due!” propose Stefano.

“Stefano!” lo riprese Clère, mentre le ragazze scoppiarono  a ridere, Alan diventava bordeaux e Zaffiro guardava Alan con uno strano sorriso. “Beh, non sarebbe una cattiva idea..” disse Zaffiro.

“Non pensarci neppure. “ disse Alan, mettendogli una mano sulla bocca e facendolo ridere. “Sei disgustoso.” Disse ancora, anche se il suo cuore aveva accelerato i battiti al pensiero.
 
Superato l’imbarazzo iniziale, tornarono a parlare della zuffa.

“La prossima volta che cercherete di fare gli eroi, cercate almeno di non farvi massacrare di botte eh?” disse Alisea con voce triste.
 
“Chissà cosa avranno pensato gli altri. Tutti quelli che erano in mensa…che vergogna” disse Zaffiro.
 
Alisea sorrise: “Siete diventati degli eroi per tutti. Tutti parlano dei ragazzi che hanno dato una lezione finalmente a quella bestia di Stinsky. Siete diventati famosi” disse Alisea con ammirazione sorridendo. “Pensano che siete stati eccezionali”
 


Superata la mezz’ora, andarono via, lasciando di nuovo Alan e Zaffiro da soli, che cercarono di darsi almeno un tono, prima di andare dal preside.
 
“ Secondo te bisognerebbe denunciare quelli che hanno venduto quella sottospecie di gel azzuro? Insomma, fregano la gente facendo credere che possano colorargli i capelli di blu. Dovrebbero denunciarlo. Chiunque esso sia. O magari è più di uno. Sono una banda.” Disse Zaffiro, finendo di sistemarsi i capelli.

Alan gli sfiorò i capelli appena. Un gesto impercettibile ma che fece sorridere Zaffiro.
 
“ Ti sembra il momento di pensare ai capelli? Basta con queste stronzate” disse Alan tornando un po’ acido, quando vide che Zaffiro stava sorridendo.

“Aspetta, perché sei sempre acido? Vieni qui un attimo.” Disse Zaffiro, cercando di tirarselo vicino, ma Alan si scansò.

“Zaf, siamo in ritardo. Smettila di fare lo scemo.” Disse Alan, scansandosi. Si sentiva a disagio quando il fratello era troppo affettuoso con lui. Da una parte adorava che lo fosse, ma dall’altra gli scatenava sentimenti un po’ troppo intensi..da batticuore, che sconfinava nel tabù e ne aveva paura. Era per questo che non poteva lasciarsi andare quando lui aveva le mania delle..coccole.

Non del tutto.

“Dai, andiamo.” Disse Alan, addolcendosi,prendendogli la mano, vedendo l’irritazione del fratello.

 
Arrivarono davanti alla porta del preside, che aveva dei disegni strani, come ali da fenice.
“Avanti” una voce profonda venne da dietro la porta.
 
I fratelli si fecero avanti e entrarono.
 
 
 














Note dell'autrice: 

non metto l'avvertimento incest perchè non so se voglio che già in questa storia ci sia questo sviluppo, devo vedere come va avanti la storia xd

cmq avrete capito a cosa mi riferisco xd

l'altra storia non la cancello fino adesso perchè devo ancora capire cosa voglio farci..ma non durerà a lungo questa cosa di stallo, tranquilli

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Capitolo 13
*** Nello studio del preside ***


Lo studio era grande e accogliente.  A sinistra c’era un caminetto piuttosto antico e accanto a esso c’era uno di quegli arnesi per ravvivare il fuoco. Al centro c’era una bella scrivania in legno. Lo studio era tinteggiato di bianco, ma sul soffitto c’erano vari affreschi. Sembravano raffigurare angeli.
 
Il pavimento era per metà rivestito di mattonelle bianche e per metà marroncine.
 
Alla scrivania c’era seduto un uomo biondo. Capelli brizzolati e una barbetta dorata, profondi occhi azzurri. Portava degli occhiali e sorrideva loro.
 
 
 
“Buongiorno” sorrise.
 
“Buongiorno” risposero in coro i due ragazzi.
 
“Vi piacciono i miei affreschi?” disse loro agitando il braccio verso il soffitto.
 
I ragazzi annuirono incantati.
 
Fu allora che si resero conto della presenza di altre persone nello studio. La misteriosa donna bionda di quella mattina, il professore severo…- come si chiamava- ? C’era ovviamente anche Stinsky.

A quel punto allora cominciarono a parlare a turni. Zaffiro cominciò a raccontare di come la cosa iniziò perché Stinsky aveva dato fastidio ad Alan. Ovviamente Stinsky si arrabbiò subito e cominciò a dare la colpa ai ragazzi.
 
“è tutta colpa di quei bisbetici. Mi sono venuti addosso. E mi hanno rovinato una maglietta.”
 
“Una zuffa a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico! Credo che dovrebbero essere come minimo sospesi, signor preside!” intervenne il professore arcigno.
      
“Andiamo Black, sono solo dei ragazzi. Una ragazzata può capitare a chiunque” disse il preside in tono amabile.
 
 “Ragazzata? Ragazzata?” chiese la donna bionda.

Intanto il professore stava ancora pensando alle scene di quella mattina. In fondo era stato quasi divertente assistere a quello spettacolo. Almeno qualcosa che è arrivato a spezzare la routine. Calci, pugni, furore, rabbia, ira. Ce l’avevano sempre tutti con questi sentimenti e non si rendevano conto che sono proprio QUESTI tipi di sentimenti che rendono VIVO il mondo. Non l’amore. Non la dolcezza. Non la tenerezza. Il furore è quello che ti da vera energia. Si accorse che stava sorridendo e cercò di controllare i muscoli facciali.
 
Tutti lo stavano guardando con aria interrogativa. Il preside sollevò un sopracciglio perplesso.

“Io…stavo pensando a una cosa. Posso spiegare”cominciò, senza sapere che cosa voleva spiegare.  Si sforzò di controllare la faccia.
 
Il preside lo guardò sorpreso e la faccia sorpresa del preside  fece scappare al professor Black White un sorriso. Sentì l’isteria montargli dentro. 

Come posso sorridere adesso? Pensò.
 
“Lo trova divertente? Professore?” chiese la donna bionda.
 

 
“No, io….non mi sento molto bene” Il professore parlò con voce strozzata , nascondendo la faccia. La donna bionda lo stava fissando. Lui chiaramente lo sapeva. Perché non girava quella faccia? Non aveva diritto di giudicarlo.”E comunque a lei cosa diavolo importi?? Perché non va a dare una zolletta di zucchero al suo cavallo??” si arrabbiò.
 
tutti si stupirono di quello scatto d’ira, compresa la donna bionda.
Il preside si schiarì la voce.
 
“Il professor Black non si sente molto bene ultimamente. Ha contratto una forma di allergia molto fastidiosa, che induce una ridarella incontrollata nei momenti più impensabili, ma si sta curando e a breve dovrebbe riuscire a debellarla” concluse il preside.
 
 
Il professir White lo guardò sorpreso, ma il preside non stava più guardando lui.
 
“Dopo aver sentito le versioni, direi che è stata una semplice ragazzata. Il signor Stinsky si è innervosito per la caduta rovinosa del suo pranzo e ha reagito eccessivamente, prendendosela con il responsabile e il fratello del ragazzo l’ha giustamente difeso. Tuttavia non è successo niente di troppo traumatico. Mi auguro che non capiti più. Per questa volta sarò indulgente” sorrise in maniera ferma.
 
“Ma preside, non vorrà mica lasciarla passare liscia a questi ragazzi” disse Black.
 
“Se dovessi punire gli studenti, per ogni volta che c’è qualche bisticcio, la scuola rimarrebbe senza studenti, ho ascoltato molto attentamente  non trovo elementi sufficienti per mettere questi ragazzi  in punizione. I graffi che hanno sul viso e gli occhi neri, mi sembrano già una punizione più che sufficiente.” Disse il preside.
 
  ci furono diversi attimi di silenzio, poi Zaffiro prese la parola.

“La ringraziamo, signor preside.” Disse Zaffiro.

“Sì, grazie per essere stato comprensivo.” Disse Alan.

Stinsky borbottò qualcosa di incomprensibile che forse volevano essere dei ringraziamenti misti a lamentele per non aver punito i suoi aggressori.
 
“Va bene, con il suo permesso, io ora andrei. “ disse sicuro il professor White.
 
La risposta del preside giunse inaspettata. "NO” disse.
 
Il professor White lo guardò.
 
“Ti voglio qua, Black, ho bisogno di parlarti. C’è ancora qualcosa che posso fare per voi?” chiese sorridendo ai ragazzi.
 
I ragazzi sorpresi fecero cenno di no.
“Bene. Allora arrivederci” li congedò il preside.
  
 
Prima di chiudere la porta, però, i ragazzi si voltarono a guardare il preside. Sorrideva raggiante, ma con un occhio solo. Con l’altro non perdeva di vista il professor White che si sporse ad esaminare su un mobile un oggetto dalla forma strana.
 
poi ragazzi si chiusero  la porta alle spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** L'anello di zaffiro ***


Il professor Black White rimase a guardare la porta che si chiudeva alle loro spalle, poi fissò il preside apparentemente immerso a sistemare delle carte bianche che aveva sulla scrivania.
 
BIANCHE. Come il suo cognome. Black detestava quel colore, come anche il suo cognome. Detestava tutto quello che aveva a che fare col bianco. E se anche il suo cognome era bianco, detestava anche una parte di sé stesso. Sperava che il suo nome inghiottisse quella parte bianca come un vortice.  Non faceva niente. Anzi meglio. L’odio era l’unico mezzo per essere potenti. E se odiava sé stesso per questo, sarebbe diventato più potente! Sorrise tra sé per quel paradosso apparente. E poi si ridisse che non doveva sorridere. Non ancora, altrimenti il preside avrebbe potuto pensare che fosse veramente psicopatico.
 
 
Il preside. A proposito perché mai aveva voluto fermarlo li?
 E perché diavolo gli importava di quello che poteva pensare quella persona? Quell’estraneo?
 
Il preside alzò lo sguardo sul professore. Sospirò  senza dire niente.
 
Il professore si schiari la voce:” C’è qualcosa che vuole dirmi professore?” chiese lui.
 
Il preside fece per parlare, ma l’altro lo antiicipò :”Mi dispiace tanto per prima, stavo pensando a una cosa e…” aggiunse senza lasciare che l’altro parlasse.
 
Il preside lo fissò sbalordito.
 
“Credi che ti abbia detto di restare qui per questo?”
 
Il professore corrugò le sopracciglia perplesso: “Se non era per questo, allora cosa?” Il preside tirò a sé un scatoletta, la apri e gli porse un oggetto blu luccicante. Il professore rimase interdetto.
 
“Dove…dove ha preso quell’anello?”
 
“Dove lo hai perso tu, suppongo.” Sorrise il preside.
 
 
 
 
 
 
“Cavolo, ho dimenticato il cellulare in infermeria. Torno subito” disse Zaffiro mentre in compagnia di Alan, stava recuperando lo zaino e il materiale scolastico. Infatti, le lezioni erano terminate
 
Tuttavia quando l’ebbe preso, non riuscì a uscire subito dalla scuola. Indugiò poco distante dalla porta del preside. Al’interno lui e il
professore stavano parlando di un anello…
 
"Zaf, ma che diavolo fai? Vogliamo andarcene?" gli disse Alan.  
 
 
 
Pov Black
 
Doveva averlo perso quando ci fu quella piccola rissa.
Inavvertitamente si era chinato per trattenere Stinski e l’anello doveva essergli caduto. Com’era potuto succedere? E come sapeva il preside che era suo quell’anello?
 
“Non lo prendi?” chiese il preside.
 
Black  si affrettò a prendere il piccolo anello di zaffiri.
 
“Come ha fatto a sapere che era mio?” chiese senza incrociare lo sguardo del preside.
 
Il preside sorrise: “Avevo notato che ce l’avevi addosso. Non è un anello che passa inosservato. Comunque puoi chiamarmi Albert.. Qui tra noi insegnanti ci chiamiamo tutti per nome..”
 
 
Black si sentiva confuso. Aveva l’impressione che gli sfuggisse qualcosa. Si sentiva preso in giro e non sapere per quale motivo, lo faceva infuriare ancora di più. Strinse i pugni.
 
Black cercò di sorridere ma non ci riusci. Quel maledetto preside era  da quando era entrato in quella scuola che lo spiava, che faceva attenzione a lui. Lo guardava come si guardano i criminali in libertà vigilata. E tuttavia continuava a fare finta di niente. Voleva prenderlo in giro, si divertiva. Ma cosa voleva davvero? Nessuno può permettersi di prendersi gioco di Black White.
 
“Beh, la ringrazio molto per avermelo riportato..allora se non c’è altro, io andrei” disse Black. Fece per voltarsi e si maledisse per il tono da femminuccia che aveva usato. E tuttavia non potè fare a meno di voltarsi ancora una volta, e dire:
 
“La ringrazio anche per prima comunque…per la bugia.” Disse.
 
“Bugia, quale bugia?” chiese Albert scribacchiando su alcuni di quei maledetti fogli bianchi.
 
Black indugiò un momento, prima di rispondere.: “Per quello che ha detto sulla mia allergia…”
 
“Io non ricordo nessuna bugia, Black. Sicuro di non ricordare male?” ribattè il preside sorridendo.
 
Di nuovo black non riusciva a capire se il preside lo stesse prendendo in giro o faceva sul serio. E ancora scribacchiava su quei maledetti fogli bianchi. Black immaginò di farli a pezzettini piccoli piccoli.
 
“Ok, io adesso devo proprio andare. Arrivederci Preside…Albert.” Disse.
 
 Il preside non ricambiò il saluto. Non era abituato ai formalismi. A volte il silenzio è d’oro. È questo che diceva sempre. Black tuttavia era troppo immerso nei suoi pensieri per accorgersene.



Si chiuse la porta alle spalle e si rigirò l’anello di zaffiri tra le dita, poi prese a camminare sempre più velocemente, ma l’anello gli cadde ancora dalle mani.
 
 
Fece per prenderlo e quello si fermò proprio ai piedi dello strano ragazzo dai capelli neri, di nome Zaffiro.“Oh” disse il ragazzo sorpreso. Si chinò a prendere l’anello. Sembrava imbarazzato dal fatto di essersi fatto sorprendere da lui, proprio mentre prendeva il suo anello.
 
Zaffiro guardò prima l’anello e poi lui. Sembrava sorpreso. E Black capii all’istante perché.
Fece un sorriso sadico.
 
“ Si hai indovinato. È proprio di quella pietra. È un anello di zaffiri. Come il tuo nome. Sei perspicace, ragazzo, ma mi dispiace, non puoi averlo. È mio! “ disse Black e ancora  una volta si maledisse per il tono infantile di quella frase.
 
Il ragazzo si rabbuiò.
 
“Non volevo che fosse mio. Stavo solo pensando che è bellissimo. Ecco, prenda” disse Zaffiro.
 
Black fu sorpreso dall’arrendevolezza di quel ragazzo cosi ribelle fino a pochi minuti prima.
Lo guardò in viso. Aveva il viso segnato dai graffi. Graffi rossi. Ben gli stava. Cosi imparava a fare lo sbruffone.
 
All’improvviso piedi di pastafrolla cadde a terra come una pera cotta.
 
“Non ti reggi in piedi eh? La prossima volta  fai meno lo sbruffone” ghignò malignamente il Professore.
 
Zaffiro lo guardò male. Quel breve lampo di tenerezza che gli sembrò di avere nei suoi confronti, svanì all’istante. Era inequivocabilmente detestabile.
 
All’improvviso il professore si avvicinò a lui e senza preavviso gli alzò il mento, cosi che costrinse Zaffiro a fissarlo negli occhi. L’azzurro splendente in un tuffo nel nero più profondo.
 
Rimase per un attimo infastidito da quella confidenza che lui non gli aveva dato e che non aveva nessun diritto di prendersi; però, Zaffiro notò anche che per quanto rude, il tocco sembrava gentile in un certo senso. Non arrogante. Il professore lo stava fissando come un medico guarda le
ferite di un malato. Mancava solo uno stetoscopio al suo collo.
 
Black sorrise maligno e lo lasciò andare. Poi commentò: “ Direi che hai dei lividi non indifferenti, che sicuramente ti sei cercato. Per la prossima volta ricorda questa frase: quando perdi, non perdere la lezione. Tienilo a mente se vuoi evitare altre legnate in futuro. Arrivederci ragazzo.”ghignò. E si allontanò.
 
 

  

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Capitolo 15
*** Le cose che non esistono ***


Alisea si trovava a casa di Marika….era passata una settimana dall’inizio della scuola e aveva stretto molta amicizia con quella strana ragazza bionda, dall’aria un po’ sognante un po’ malinconica…. In quel momento era sabato e si trovavano tutte e due sdraiate sul giardino della casa di Marika a giocare a Memory… quando Alisea le chiese: “Marika… tu che cosa pensi delle favole?”
 
Marika rispose intenerita che adorava le favole e che se voleva alcune volte poteva raccontargliene qualcuna.
 
Alisea chiese ancora: “E che cosa pensi delle cose che non esistono?”
 
Marika rimase un po’ perplessa da quella strana domanda e disse dolcemente: Penso che alla nostra età dovremmo pensare solo che tutto è possibile” e le accarezzò dolcemente i capelli.
 
“ Credi che le cose che non esistono e le cose che non vediamo siano la stessa cosa?”
 
 “Come?” chiese Marika.
 
 “Insomma…voglio dire, se una cosa esiste dovremmo vederla, se non la vediamo è perché non esiste giusto?”
 
“Non è proprio cosi…ci sono un mucchio di cose che non vediamo, ma che esistono realmente…i sogni delle persone, i desideri, le passioni…oppure le persone che hanno fede, che credono in Dio ..”
 
Marika decise di omettere spontaneamente se ci credeva anche lei o no che esistesse realmente.
 
“ L’amore, tante persone affermano di aver visto gli angeli, i fantasmi…il paradiso…”
  
“Sì, ma io voglio dire, se una cosa è invisibile allora, vuol dire che non esiste altrimenti noi la vedremmo..ma tu mi dici che esiste, ma come può esistere e non esistere allo stesso tempo?”
 
Alisea aveva poggiato la testa sul grembo di Marika come a cercare riparo, e Marika cercava di confortarla anche se non sapeva bene neanche lei da cosa…ma lo fece…avrebbe voluto che anche le persone che aveva vicino negli anni più bui, avessero fatto esattamente cosi…che l’avessero consolata anche senza capire perché fosse triste…
 
 “Ascoltami molto bene, Ali…solo perché le cose che amiamo, non le vedamo, non vuol dire che non esistono…non esistono su questo piano della realtà, perché non fanno parte di questa realtà…ma possono esistere…altrove…”
 
“Su un altro piano della realtà? E come si chiama? “ chiese Alisea, lasciandosi accarezzare docilmente i capelli.
 
“Il piano dei sogni… questi due piani sono cosi divisi…che sembrano lontanissimi ma allo stesso tempo sono vcinissimi  e a volte, il piano della realtà può confondersi con quello del sogno…in soggetti particolarmente sensibili, è captato spesso, che talvolta alcuni di loro riuscissero per alcuni istanti a intravedere pezzi di quel sogno…”
 
 
Pezzi di infinito pensò Marika senza dirlo
 
“ E cosa vedono?” domandò Alisea.
 
“A  volte loro…vedono delle cose…possono essere i loro cari nonni defunti, oppure sentire suoni che di fatto non ci sono, voci che sembrano provenire da un posto lontanissimo…ma dura solo pochi secondi, poi il legame si spezza…”
 
E dicendo cosi ripensò a quello strano cerbiatto che gli parve di vedere quella mattina quando usci con sua madre….
  
“ Che peccato…” disse Alisea.
 
Marika non trovò altro da dire…sì, era proprio un peccato…
 
“ Avevi ragione…” disse Alisea.
 
“ A che proposito?”
 
“ Sei…davvero brava…a raccontare favole… “ e si addormentò.

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Capitolo 16
*** Un inizio di amicizia tra Black e Albert ***


Il professor Black White, quella sera si trovava in un pub affollato chiassoso e pieno di gente….era fastidioso, ma a lui piaceva il casino perché lo aiutava a non pensare e poi quello era il classico posto per passare inosservati… tutti bevevano e lui aveva voglia di bere.
 
Ordinò del vino rosso. Beve, bevve e bevve, tre bicchieri di vino uno dopo l’altro, che poi diventarono cinque  e non si accorse della figura che lo stava fissando da ben dieci minuti e che si avvicinò con aria di noncuranza vicino a lui. Era Albert, il preside.
 
“Credo che tu abbia bevuto abbastanza, Black”
 
“Albert” mormorò e fece una risatina. “Non credi che il fatto che tu continui a seguirmi, possa risultare….ambiguo?” e rise ancora.
 
Albert mosse un sopracciglio: “Sei ubriaco” disse, senza rimprovero..solo facendo una constatazione.
 
“Da quanto tempo mi stai spiando?” chiese, ingurgitando un altro bicchiere.
 
“Sai che io non potevo sapere che tu saresti venuto qui, vero?”
 
Black lo guardò. Non era sicuro di aver capito cosa intendesse dire, ma decise di fargli un’altra domanda: “Perché diavolo continui a seguirmi? Che cosa vuoi da me? ”
 
“Stai delirando, Black… ti riporto a casa”
 
“No, non ti avvicinare” disse e barcollò all’indietro, andando a cadere sul pavimento e sbattendo la testa.
 
Albert lo guardò con disprezzo. “Cocciuto che non sei altro. E va bene, rovinati pure da solo” e fece per sorpassarlo senza aiutarlo ad alzarsi. Quel gesto inaspettato confuse Black, che sembrò ripensarci… “No, aspetta, per favore aiutami” disse. Albert si fermò.
 
 
 
Dieci minuti dopo, tempo necessario che Albert immaginò servissero a Black per smaltire gli effetti della sbornia, Black fece capolino dalla porta e entrò nel giardino che faceva parte del pub, dove Albert lo stava aspettando su una panchina.
 
 
Black arrivò con un sorriso sprezzante sul volto: “Pensavo che mi avresti accompagnato per toccarmi la fronte mentre rimandavo l’anima al creatore, sotto il lavandino..invece hai scelto di aspettarmi qui” non era ben chiaro se fosse un rimprovero o una constatazione o semplice presa in giro.
 
Albert rispose:
 
“Beh non siamo ancora cosi intimi…ci conosciamo da poco. Se la nostra stupenda amicizia andrà avanti, e non avrai ancora smesso di bere,  direi che se ne potrà riparlare.” Il tono era canzonatorio, da presa in giro, Black lo sapeva, tuttavia alla parola amicizia le labbra gli incurvarono in un leggero sorriso…non riusci a evitarlo, ma cercò subito di nasconderlo. Ovviamente Albert se ne accorse .
 
“Stavi sorridendo?”
 
“Cosa? No! “ disse muovendo gli occhi in una smorfia divertita. “Mi sa che sei tu quello a essere ubriaco” rispose prendendolo in giro.
 
“Come va questa prima settimana di insegnamento, Black?”
 
Black rimase zitto per un momento. Non si aspettava il discorso avrebbe preso questa piega.
 
“Gli alunni mi odiano” disse come se la cosa non avesse nessuna importanza.
 
“Questo ti ferisce?” chiese Albert.
 
“Cosa? Vuoi davvero parlare dei miei sentimenti? Queste sono cose da femminuccia di romanzo rosa”.
 
“Però ti feriscono” replicò Albert.
 
“A me non ferisce più niente da quando avevo cinque anni! E tantomeno queste sciocchezze. E comunque sono contento che lo fanno. Solo se ti odiano sei davvero potente, non certo se ti amano, casomai quello ti rende più debole! “ disse sempre più sprezzante.
 
 
“ Parli cosi perché l’hai vissuto in prima persona? C’era qualcuno che amavi? Si tratta di una donna?” cercò di indagare Albert.
 
“Cosa? No! Che sciocchezze. Non sono quel tipo di persona che va ad ubriacarsi in un pub di falliti per colpa di una donna! Questo non ha niente a che fare con donne o cose simili… “
 
“E cos’ha a che fare? Me lo vuoi dire, Black?
 
“Non siamo ancora cosi intimi” disse con un sorrisino.
 
“Touchè” replicò Albert. “Posso almeno riaccompagnarti a casa?”
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Albert si fermò davanti casa di Black…prima di lasciarlo, però gli disse: “ Se ti venisse voglia di parlare della cosa che ti ferisce, comunque…puoi sempre trovarmi nel mio studio”
 
“Ancora con questa storia! Un uomo non può semplicemente ubriacarsi perché gli piace farlo? Deve per forza esserci in ballo un sacco di melodrammi romantici? Avete visto troppi vecchi film, voi romantici”
 
“Credi che io sia un romantico?” chiese Albert nascondendo il sorriso che gli era salito alle labbra.
 
Black sembrò rimanere un attimo scioccato, poi disse sprezzante: “Li so riconoscere a occhio ormai, vogliono salvare sempre tutti, anche quelli che non hanno bisogno di essere salvati, o non vogliono. Io ne sto alla larga!” disse con un sorriso sprezzante. 1 a 0 per il professor Black.
 
“Vediamo se ci riuscirai sempre allora” disse Albert sempre più divertito.
 
All’improvviso Black non sorrise più. Chiuse la portiera con uno scatto rabbioso, e urlò: “Grazie del passaggio!”
 
La risata di Albert mentre stava andando via, si disperse per tutto il vialetto.

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Capitolo 17
*** Alisea sorprende Black e Albert a parlare! ***


Black White, il professore di Storia antica , diventava ogni giorno che passava, sempre più detestabile e scontroso ed Alisea non mancava di notare che il preside negli ultimi giorni sembrava preoccupato per qualcosa, sembrava sempre assente e pensieroso e trovava ogni scusa possibile per convocare Black nel suo ufficio, luogo dal quale ella vedeva Black uscire sempre più di malumore ogni volta. Alisea continuava a domandarsi perché il preside si faceva trattare in questo modo da un professoruccio senza arte ne parte come White, mentre quello era sempre cosi scorbutico. Qual’era il segreto del suo ascendente su di lui?
 
 
 
“ Non capisco perché ti interessa tanto sapere perché il nostro preside sia gentile con lui, chi se ne frega… ognuno è libero di cercarsi i guai che vuole..o di scoparsi chi vuole “ disse Alan annoiato e un po’ malizioso, strappando un filo d’erba nel prato dove erano seduti Alan, Alisea e Zaffiro durante la pausa pranzo 
 
 “Alan!” lo riprese Alisea, mentre perfino Zaffiro ridacchiava.  
 
 “Alisea intendeva dire che è INTERESSANTE capire perché Black passi gran parte del suo tempo li dentro. Insomma cosa si dicono?" chiese Zaffiro
 
“Beh..…se volete, possiamo fingere che quei due correggano i compiti in classe!” disse ancora Alan ammiccante. 

"Alan.." lo riprese ancora Alisea, mentre Zaffiro scoppiava ora apertamente a ridere. 

“ Il vero mistero è perché voi pensiate che anche una SOLA parte di questo tizio sia INTERESSANTE.  Ecco QUESTO è INTERESSANTE “ disse Alan esasperato, mentre Zaffiro cercava di trattenere le risate. A volte suo fratello lo irritava, ma la cosa che lo infastidiva di più era che lo faceva anche morire dalle risate, anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti a lui…beh anche a nessun altro… forse solo al suo specchio riflesso, sempre se avesse promesso di non fare la spia.
 
 
Alisea  si annoiò e decise di vagare ancora un po’ nei corridoi della scuola…. Passò davanti all’ufficio del preside e senti inconfondibilmente la voce del preside e poi quella del professor Black.
 
 
“So riconoscere le persone ossessionate da qualcosa, Black, fa parte del mio lavoro!”
 
“Adesso fai anche lo psicologo???”
 
“Non mangi, bevi pochissimo, hai cerchi violacei attorno agli occhi…” disse Albert ignorandolo.
 
“Se vuoi insinuare che faccio uso di droghe, io….”
 
“MALEDIZIONE, BLACK” gridò Albert sbattendo con un gran rumore le mani sul tavolo. “intendevo dire che non dormi, sei sempre più nervoso, gli studenti continuano a venire da me a lamentarsi per come li tratti. “
 
“Che vengano da me a lamentarsi quei vigliacchi. Dimmi i loro nomi” gridò Black.
 
“Non fare il bambino.”
 
“Io non…” cominciò Black indignato.
 
“ Non sei più lucido. Stai perdendo il controllo. È chiaro che qualcosa ti angustia , ti tormenta. Ti… OSSESSIONA.” Disse Albert con un tono più preoccupato e meno duro.
 
Black non disse niente, e Albert incoraggiato dal suo silenzio continuò: “ Devi riprenderti, altrimenti temo che non potrai più insegnare “ disse modulando le parole.
 
 
 
 
Black  rimase in silenzio. Degluti e rispose: “è un bluff.”
 
 
“ Ogni giorno stai sempre peggio… pensi che non mi accorga di come ti tremino le mani quando prendi una tazzina di ….”
 
“Tè” , voleva dire Albert, ma Black se ne andò via chiudendogli la porta in faccia furioso, senza lasciargli il tempo di finire
 
 
 
 
 
Sfortunatamente, dietro la porta c’era Alisea che non si aspettava proprio quel brusco e improvviso cambio di movimento e rimase come inebetita davanti alla porta sentendosi scoperta e vulnerabile.
 
“Cosa…. Cosa” disse paonazzo Black rivolgendosi a una terrorizzata alisea.
 
“io non… volevo solo chiedere se potevo prendere in prestito.. “ cominciò Alisea senza avere la più pallida idea di come proseguire.
 
“COSA HAI SENTITO???” urlò Black
 
“NIENTE, LO GIURO!” squtti Alisea come un coniglietto spaurito.
 
“Non ti credo” disse minaccioso Black. “Se osi anche solo parlarne con qualcuno…”
 
“Non lo dirò a nessuno, lo prometto” disse Alisea.
 
E fu salvata in quel momento dalla campanella che segnalò la fine della pausa pranzo …ne approfittò subito per correre in classe.
 

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