What happens in Russia stays in Russia, or not.

di OlicityAllTheWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The nuke ***
Capitolo 2: *** My wife ***
Capitolo 3: *** What happens in Russia doesn't stay in Russia ***



Capitolo 1
*** The nuke ***


THE NUKE

 

Da quando Alena, la ragazza dell’organizzazione “Helix”, mi ha dato la chiavetta, non sono riuscita a staccare un attimo gli occhi dallo schermo.

Scorro e scorro le informazioni scoprendo cose di volta in volta più sgradevoli, pericolose e inaspettate.

 

Sapevo che Walker non era una brava persona, lo so per esperienza personale quando ha cercato di incastrare John per un crimine che non aveva commesso.

Quello che invece sto scoprendo ora è che l’arma nucleare che aveva incastrato John è ancora nel giro. Più precisamente che Walker sta pianificando di venderla ad un gruppo di terroristi in Russia.

Devo assolutamente dirlo a Oliver, ma devo capire bene come farlo perché lui potrebbe chiedermi come ho ottenuto quest’informazione non ho nessuna intenzione di dirglielo. Devo essere cauta, si è insospettito anche quando gli ho detto che avevo ciò che serviva per esonerare John.

Potrei creare una “soffiata anonima” e leggerla davanti a lui in modo da non creare altre strane situazioni.

 

<< Dobbiamo assolutamente andare a fermare quel bastardo Oliver >> dice John appena leggo la soffiata: << Potremmo chiedere aiuto ad Anatoly, non sarebbe la prima volta >>.

<< Vengo anche io >> dico sicura di me. So che lì potrei aiutare e non voglio avere altre esperienze negative con le armi nucleari. Quella di Havenrock è abbastanza per me.

<< Felicity >> dice Oliver, scuotendo leggermente la testa. Vuole bocciare l’idea da subito.

<< Oliver! >> lo interrompo subito: << Sai che le mie capacità potrebbero esserti utili in una situazione del genere >>.

Si passa una mano sugli occhi, ma non ribatte: sa che ho ragione.

 

Un’ora dopo siamo in volo per la Russia sul jet privato a cui Oliver ha accesso essendo il sindaco. Beh sarà difficile spiegare perché tutti noi andremo in Russia con il suo jet. Ma se ne occuperà lui.

Quando arriviamo Oliver non ha ancora ricevuto nessuna risposta da parte di Anatoly.  Così decide di andarlo a cercare dove sa che potrebbe trovarsi, mentre noi stiamo “buoni” in un rifugio dell’ A.R.G.U.S.

Finalmente ritorna con delle buone notizie, anzi non si potrebbero proprio definire buone ma nemmeno cattive…insomma ritorna con la posizione di Walker.

 

<< So dove si trova Walker. >>

<< Bene, dammi l’indirizzo così vi indirizzo ragazzi. >>

Lui me lo da e gli mostro il tablet. Lui fa una faccia strana, ma è questione di un attimo. Solo io me ne accorgo.

<< Tutto bene? Conosci questo posto? >>

Lui fa un cenno con la testa, poi si guarda intorno come per dire “te ne parlo in un altro momento”.

Gli faccio capire che ho afferrato e lascio perdere.

Raggiungiamo il luogo dello scambio in un furgone, io e Curtis rimaniamo sul retro.

Ovviamente non scendo in campo, mentre lui rimane con me ad aiutarmi perché è più una questione tecnica che altro e gli altri sono già abbastanza da mettere fuori gioco gli uomini che si occuperanno dello scambio.

Oliver si mette in contatto con me attivando l’auricolare: << Overwatch. E’ tutto pronto per disattivare la bomba >>

Abbiamo deciso di metterla fuori gioco, hackerandola, una volta per tutte per renderla “innocua” nel caso ci sia un altro scambio futuro di cui noi non saremo a conoscenza o in cui non potremo intervenire.

<< Ricevuto >> rispondo a Oliver e mi metto all’opera con Curtis.

 

Ho studiato il dispositivo e mi sono aiutata anche con i dati che mi ha dato Alena. E’ una bomba nuclere di tipo A-305Y. Non dovrebbe essere troppo difficile disattivarla se io e Curtis uniamo le forze.

Proviamo 2 codici e nessuno dei due ha la meglio. Ma il peggio accade con il terzo tentativo quando anziché disattivare la bomba la attiviamo. Il conto alla rovescia parte dai 15 minuti, ma scorre più velocemente del normale.

Io e Curtis ci guardiamo, spaventati per un attimo.

Oliver dev’essere davanti alla bomba perché si accorge subito della cosa e mi chiede: << Che è successo? >>

<< Io…non lo so… devo aver innescato qualche meccanismo che ha messo in “allarme” la bomba attivandola. >> dico.

Poi guardo Curtis e prendo una decisione su due piedi, senza rifletterci troppo.

<< Vado a cercare di disinnescarla a mano >>

<< Felicity! >> urla lui cercando di fermarmi, ma sto già correndo verso il magazzino.

 

Quando entro vedo Oliver che spalanca gli occhi: << Che ci fai qui? >>

<< Cercherò di disinnescarla >>

<< E se non ci riesci? >>

<< Beh se non ci riesco cercherò di portarla nel luogo meno affollato e il più lontano possibile >>

<< Non puoi fare una cosa del genere >>

<< Ora non c’è il tempo per discuterne >> dico e mi metto all’opera.

 

Tolgo il pezzo di metallo che copre tutti i fili e cerco di capire quali devo maneggiare per disinnescarla o quantomeno non peggiorare la situazione.

Ho portato con me il tablet che ha delle informazioni molto utili in questo momento.

Seguo quello schema e taglio il filo giallo, improvvisamente il tempo inizia a scorrere normalmente, anzi sembrerebbe più lentamente del normale.

Menomale!

Mi ricordo che nella chiavetta ho visto che codici militari, che servivano per disinnescare le bombe e spero che ci sia anche quello relativo a questa.

La inserisco e nel piccolo schermo iniziano a comparire i codici informatici.

Non posso fare nulla, solo aspettare che il conto alla rovescia finisca.

Guardo Oliver: potrebbe essere l’ultima volta che lo vedo e voglio imprimermi i suoi lineamenti nella mente. Lui sembra fare lo stesso con me perché mi guarda intensamente, come non faceva da tanto.

Corro verso di lui e mi fiondo tra le sue braccia nascondendo il viso nel suo petto. Mi stringe forte e aspettiamo.

 

Dopo qualche momento sentiamo un suono acuto provenire dall’arma: il conto alla rovescia è finito e non è successo nulla.

<< Beh non siamo saltati in aria. Figo >> dico sistemandomi gli occhiali.

Lui rilascia il respiro che stava trattenendo.

Mi avvicino alla bomba e stacco la chiavetta che ci ha salvato la vita. La metto subito in tasca anche se so che Oliver ha visto tutto e non ha intenzione di lasciar perdere.

Infatti dopo nemmeno due secondi mi dice: << Quella è la stessa chiavetta che mi hai mostrato quando mi hai detto di avere le informazioni per esonerare John. Dove l’hai presa? So che mi stai nascondendo qualcosa Felicity. >>

<< Ne parliamo in un altro momento Oliver. >>

Lui mi guarda dubbioso e allora aggiungo: << Prometto >>.

Chiude per un attimo gli occhi: << Dai andiamo >> dice poi trascinandomi fuori dal magazzino.

 

 

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Capitolo 2
*** My wife ***


MY WIFE

 

Siamo in un bar che Oliver dice di conoscere bene, a quanto pare lo frequentava spesso durante il suo periodo in Russia e nella Bratva.

In cerchio alziamo il bicchierino di vodka che Anatoly ci ha offerto e brindiamo alla riuscita del piano.

Dio, questa cosa è disgustosa.

 

Vado un attimo in bagno per rinfrescarmi ma quando esco ci sono due uomini con degli orribili tatuaggi sul viso, che mi sbarrano la strada.

Cerco di passare ma loro si spostano di continuo, per trovarsi di fronte a me ad ogni mio tentativo.

Mi dicono qualcosa in russo, non capisco ma non credo che sia niente di amichevole.

<< Fatemi passare >> dico alzando il mento e cercando di mantenere la voce calma e salda.

<< Perché tanta fretta piccola? >> dice quello più alto. E’ senza capelli e ha delle lacrime tatuate sullo zigomo destro. Inquietante.

<< Sì dai resta con noi >> aggiunge l’altro e si avvicina a me. Troppo per i miei gusti. Il suo alito sa di alcol e fumo, è disgustoso.

Fanno qualche passo verso di me fino a che non mi ritrovo con le spalle al muro.

Potrei urlare ma credo che mi ammazzerebbero prima ancora che qualcuno possa chiedersi da dove provenga il suono.

Potrei scappare ma sono troppo vicina al muro e ai loro, davvero enormi, corpi.

Potrei cercare di difendermi ma con questi tizi non si scherza, sono della Bratva per la miseria!

 

Quando il mio cervello ha esaurito le possibilità vedo Oliver che si avvicina a noi velocemente.

Tiro un sospiro di sollievo: non lascerebbe che nessuno mi facesse del male.

Urla qualcosa in russo. Gli uomini si allontanano da me di due passi.

Quando mi raggiunge mi prende velocemente la mano e mi infila un anello all’anulare sinistro, senza farsi vedere.

Lo riconosco subito. Freddo, pesante e pieno di ricordi. Pesa sul mio anulare come un mattone.

Dopo che fa questo prende la mia mano e la alza vicino al viso dei due, con il dorso rivolto verso di loro.

Loro dicono qualcosa e dalle loro facce credo che siano delle scuse.

 

Quando si allontanano gli chiedo: << Che gli hai detto? >>

<< Che sei mia moglie. E che se ti avessero anche solo sfiorato li avrei ammazzati con le mie mani. Saranno anche degli assassini a sangue freddo ma ci sono delle regole morali molto rigide e che tutti seguono. E una di queste è “non toccare e non guardare la moglie di un tuo fratello Bratva”. >>

Ridacchio per il paradosso.

Oliver però si gira immediatamente verso di me con sguardo severo. Alzo le mani in segno di resa: << Scusa, scusa >> dico.

<< Stai vicino a me >> dice lui solenne e io decido di obbedire.

<< Perché ti sei portato dietro l’anello? >> chiedo improvvisamente.

Lui si ferma e per poco non gli finisco addosso.

<< Perché sapevo che qualcuno ti avrebbe dato fastidio e la scusa dell’essere mia moglie era l’unico modo per tenerteli lontani senza dover prendere a pugni tutti quanti >>.

Rimango un attimo spiazzata, non so bene che rispondere: << Beh, grazie allora >>.

 

I festeggiamenti si protraggono per diverse ore, credo che ormai nessuno di noi sappia più per cosa stiamo festeggiando.

Forse ci stiamo solo godendo un momento che non avevamo da tanto, un momento senza pensieri negativi e lontano da casa, una casa costantemente piena di guai e di brutte notizie.

Oliver è seduto su uno sgabello, le gambe leggermente divaricate e io sono in mezzo con il sedere poggiato nella porzione di sgabello libera.

La mia schiena contro il suo petto, posso sentire quando ride, quando il suo cuore accelera e quando la sua voce roca e bassa gli riempie il petto.

Quando ride nasconde la testa nella mia schiena o la lascia andare sulla mia spalla.

E’ fantastico e così naturale per noi che fa male pensare che sia solo una farsa e che usciti di qui saremo di nuovo distanti come due estranei.

Inizio a fantasticare sul fatto che non sia del tutto una finzione perché l’anello che porto al dito è abbastanza grande da dire “statemi lontani, sono la moglie di Oliver Queen”; non dovevamo spingerci tanto oltre. Eppure eccoci qua a fingere di essere una coppia. Forse è solo un contatto che bramavamo entrambi da tempo.

 

Ogni tanto sento che si irrigidisce e mi accarezza una mano, o mi passa il braccio intorno alla vita e mi stringe di più a sé. E ogni volta vedo che lo fa fissando in modo assassino qualche uomo che a sua volta ha fissato me per un momento più lungo di due secondi.

Mi fa impazzire che sia così possessivo. Ogni tanto lascio cadere la testa all’indietro, sulla spalla. Altre volte gli accarezzo una coscia.

Vorrei girarmi su me stessa e baciarlo per far capire alle donne che ci sono nella stanza, e che lo guardano con fare allusivo, che lui è mio tanto quanto io sono sua e che io sono possessiva tanto quanto lo è lui. Forse la vodka mi sta dando alla testa perché è esattamente quello che faccio.

Mi stacco dallo sgabello e mi giro verso di lui. Gli passo delicatamente le mani sul petto e mi avvicino al suo orecchio sussurrandogli qualcosa che gli altri non possono sentire, e che non riesco a credere di aver detto “andiamo via di qua”.

Lui deglutisce rumorosamente, trangugia l’ultimo sorso di vodka e mi prende per mano trascinando lontano dal resto dei nostri amici che per poco non si soffocano e ci guardano impietriti.

 

Nel retro del bar ci sono delle camere da letto che possono essere utilizzate dai membri Bratva e visto che Oliver è uno di loro non se lo fa dire due volte.

Non appena siamo fuori dalla vista di tutti mi spinge contro il muro e fa aderire il suo corpo al mio. Inizia a baciarmi con passione.

Io rispondo subito, felice e allo stesso tempo sorpresa che lo volesse tanto quanto lo volessi io.

Ci dirigiamo verso la prima stanza che troviamo, senza mai staccarci.

Una volta dentro Oliver chiude la porta con un calcio e poi fa scattare la serratura.

Inizio a baciargli il collo e lui ringhia.

<< Dio, ti desidero da così tanto tempo >> mi dice con voce roca.

Sorrido e continuo a baciarlo, salendo verso l’orecchio e mordicchiandogli il lobo.

<< Sicura non sia colpa della vodka? >> chiede lui cercando di trattenersi.

<< La vodka mi ha solo dato il coraggio di fare quello che volevo fare da tanto, troppo tempo >>.

Con mani esigenti inizia a sbottonarmi la camicetta e me la fa scivolare dalle spalle, rabbrividisco.

Ora è il mio turno di dedicarmi ai suoi abiti. Gli sfilo la giacca in pelle che gli sta da Dio mettendo in risalto i suoi muscoli e lui si sfila la maglia, veloce impaziente.

Mi tolgo la gonna e lui fa lo stesso con i suoi jeans. Non c’è romanticismo in questo momento: solo il desiderio bruciante di due persone, il desiderio di unirsi dopo tanto tempo. Due persone che si sono mancate a vicenda e che erano pronte a condividere il resto della propria vita insieme.

E finalmente dopo tanto tempo facciamo l’amore.

 

Rimaniamo abbracciati per un tempo che sembra interminabile, le gambe e le dita intrecciate, i respiri che si scontrano, i cuori che vanno allo stesso ritmo.

Oliver mi accarezza i capelli e io lo guardo negli occhi, incapace di esprimere cosa sento in questo momento. L’anello che emette riflessi in tutta la stanza grazie all’illuminazione dell’abat-jour.

<< Forse dovremmo andare >> dice interrompendo il silenzio: << Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti >>

<< Credo che dal modo in cui ce ne siamo andati lo abbiamo capito da soli >> rispondo sorridendo.

Lui sbuffa una risata: << John non ci lascerà un attimo in pace. Ci farà tanti discorsi profondi da uomo profondo >>.

<< Forse è quello che ci serve >> azzardo io. Io e lui ci apparteniamo, lo so io e lo sa lui. Ma abbiamo aspettato troppo tempo. Lui mi ha mentito è vero, ma io non sono riuscita a perdonarlo non per qualcosa che ha fatto lui, ma per colpa mia.

Da quando mio padre mi ha abbandonato sento di avere qualcosa che non va. Non credevo che nessuno potesse o volesse amarmi e ho avuto paura che lui si potesse accorgere di questo, che lui potesse trovare quel qualcosa di sbagliato in me. Ho avuto paura che anche lui mi abbandonasse, così ho fatto il primo passo prima che fosse troppo tardi.

Non lo avrei sopportato prima, figuriamoci dopo il matrimonio.

Una lacrima sfugge al mio controllo e si va a depositare sul petto di Oliver. Merda!

<< Ehi! Stai piangendo? >> chiede lui voltandomi verso di sé tenendomi per il mento.

Poi mi asciuga le lacrime: << C’è qualcosa che non va? Ti sei pentita? >>.

C’è insicurezza nella sue voce. Forse anche lui ha paura di essere abbandonato dalle persone che ama, forse ci completiamo a vicenda e abbiamo bisogno l’uno dell’altra.

Faccio di no con la testa.

<< E allora cosa? >>

<< E’ solo che…scusa. >>

<< Di cosa? >>

<< Quando ti ho lasciato. Non era solo per te. Era anche per me. Ti ho fatto sentire in colpa, e ho gettato tutte le colpe su di te ma ero anche io il problema. Avevo paura che tu ti accorgessi che non fossi abbastanza per te, che fossi sbagliata e quindi mi avresti abbandonato. Per questo l’ho fatto io prima che lo facessi tu. >>

Lo mi guarda esterrefatto, non si aspettava una cosa del genere: << Tu sei perfetta Felicity. Perlomeno lo sei per me. Non ti avrei mai lasciato. Ti avrei sposato e ti avrei protetto e tenuto con me per tutta la vita. Lo farei ancora in realtà >> dice. Aggiungendo l’ultima frase dopo aver studiato a lungo il mio viso.

Questo è tutto quello che ho bisogno di sentire per fiondarmi di nuovo sulle sue labbra e ricordando una seconda volta come ci si sente ad appartenere alla tua anima gemella.

 

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Capitolo 3
*** What happens in Russia doesn't stay in Russia ***


WHAT HAPPENS IN RUSSIA STAYS IN RUSSIA, OR NOT

 

Ieri sera siamo arrivati a Star City e io Oliver ci siamo separati come ci siamo abituati a fare negli ultimi mesi in cui non siamo stati insieme, se non per un piccolo bacio a timbro che mi ha dato quando se n’è andato dal covo.

Credo che lui, come me, avesse bisogno di elaborare quello che è successo, ma soprattutto quello che ci siamo detti perché è stato importante.

 

Ormai sono le 11 del mattino e ho riposato abbastanza. Decido di farmi una doccia e di andare al municipio per incontrarlo e cercare di capire cosa sia successo ieri: se è stato uno sbaglio o se siamo pronti a riiniziare. Spero vivamente che per lui sia la seconda opzione perché è esattamente quello che sento io.

Quando arrivo al municipio mi avvicino alla ricezione per farmi annunciare.

<< Signorina Smoak, salve. Per vedere il Sindaco Queen deve aspettare qualche minuto, in questo momento non è solo >> mi dice il ragazzo di turno.

Annuisco senza dare troppo peso alle sue parole. Si sta davvero impegnando questa volta.

Il mondo mi cade addosso, però, quando dalla vetrata vedo che dentro il suo ufficio c’è Susan Williams.

Eh già, non è per niente solo.

Vedo lei che cerca di allacciargli le mani dietro la nuca. Lui che fa un passo indietro, staccandosi da lei. Ma non finisce lì: lei ci riprova e si sporge per baciarlo. Non voglio vedere se lui risponda o meno, preferisco andarmene: ho visto abbastanza.

Ma prima di girare su me stessa i nostri sguardi si incrociano per un momento, solo un vetro a separarci

Spalanca gli occhi e fa per venire nella mia direzione ma io sto camminando svelta verso l’uscita. La coda che oscilla, il respiro affannato e il petto pesante.

Questo è esattamente quello di cui stavo parlando ieri: lui che si rende conto di poter avere di più, lui che si rende conto che sono stata uno sbaglio. Come diceva mio padre a mia madre parlando di me.

 

Lo sento che mi chiama in lontananza ma non mi fermo. Sono costretta a farlo solo quando mi prende un polso e mi gira verso di sé.

<< Non è come sembra. Posso spiegare >> inizia lui.

<< Sì come no. Che clichè Oliver. E’ quello che dicono tutti quando sono colti in flagrante e vogliono prendere tempo per inventare una spiegazione >>

<< No, non è il mio caso. Sai anche tu che è così. >>.

Si guarda intorno, le persone iniziano a osservarci incuriosite. Mi prende delicatamente per mano e mi spinge dentro una stanza chiudendo la porta alle sue spalle.

Decido di agire come faccio sempre: anticipo le persone prima che possano ferirmi.

<< Senti lo capisco benissimo. Ieri eravamo brilli ed eravamo presi dalla situazione della “moglie”. Quello che succede in Russia rimane in Russia, ricordi? >> dico. E solo pronunciando quelle parole mi ricordo di avere ancora l’anello che mi ha dato ieri: non solo ce l’ho ancora, lo porto ancora sul dito.

In quel momento decido di sfilarmelo e di lanciarglielo. Lui lo acchiappa al volo.

Maledetti i suoi riflessi, avrei voluto colpirlo almeno con l’anello visto che non lo posso fare in nessun altro modo.

<< Smettila di essere impulsiva e ascoltami >> dice avvicinandosi a me.

Incrocio le braccia al petto.

<< Avevo chiamato Susan nel mio ufficio per dirle che non la volevo più vedere. Non dopo quello che è successo tra me e te ieri. E lo sai benissimo che non c’entra niente con la farsa che abbiamo messo sù per proteggerti da quegli uomini così come non c’entra niente con quello che abbiamo bevuto. E’ successo perché lo volevamo entrambi, perché ci mancavamo. >> sembra quasi che me lo stia chiedendo.

<< L’ultima volta che mi hai detto questa frase volevo davvero che quello che era successo rimanesse in Russia perché non aveva significato nulla. Ma questa volta è diverso, perché è successo con te. E io non voglio che resti in Russia, voglio che succeda a Star City e ovunque ci troviamo. Non ho mai smesso di amarti Felicity, e lo sai.>>

Mi porto le mani davanti agli occhi, nascondendomi per un attimo: << Quando ti ho visto lì dentro con lei è stato come se tutte le mie paure che ti ho confessato ieri si fossero materializzate davanti ai miei occhi >>.

<< Lo so. Ma credimi quando ti dico che non è così. Voglio solo te e ti prometto che non vado da nessuna parte, non senza di te. Io non sono lui Felicity >> me lo dice ponderando le parole, sapendo quanto l’abbandono da parte di mio padre mi abbia cambiata, mi abbia rovinata.

 

Ho sempre cercato di essere una donna forte ed indipendente e ci sono riuscita, ma quando si tratta di Oliver mi sento la ragazzina vulnerabile di tanto tempo fa. Ho paura di riprovare lo stesso dolore.

Ma queste parole sono balsamo per quella ferita che non vuole ricucirsi. Non mi aveva mai detto una cosa del genere e so che la sente davvero. Mi ha sempre fatto tante promesse ma questa era quella giusta, quella mancante.

 

Mi avvicino a lui e lo abbraccio forte: << Grazie >>

<< Non mi devi ringraziare >>

Sollevo lo sguardo su di lui e gli do un bacio, per niente casto. Lo guardo intensamente prima di confessargli quello che ho tenuto dentro tutti questi mesi: << Nemmeno io ho mai smesso di amarti… >> Lui sorride e si china a bacarmi di nuovo.

Ci stacchiamo solo quando siamo senza fiato. Poi mi guarda negli occhi e sorride: << Senti, so che non siamo pronti e che dobbiamo fare le cose con calma ma vorrei che tenessi tu l’anello. Non come proposta di matrimonio ma come promessa che io ci sarò sempre e per sempre. >>

I miei occhi si riempiono di lacrime, questa volta di gioia e annuisco semplicemente. 

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